Dargovas

di MaDeSt
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Weird findings ***
Capitolo 2: *** Friends ***
Capitolo 3: *** Violetstorm ***
Capitolo 4: *** A safe place ***
Capitolo 5: *** Perfect timing ***
Capitolo 6: *** Into the Forest ***
Capitolo 7: *** The beginning of an adventure ***
Capitolo 8: *** Voices in the head ***
Capitolo 9: *** Oncoming troubles ***
Capitolo 10: *** A long night ***
Capitolo 11: *** From house... ***
Capitolo 12: *** ...To house ***
Capitolo 13: *** Nightwings ***
Capitolo 14: *** Nerkoull ***
Capitolo 15: *** Little meddler ***
Capitolo 16: *** Young ruler of the sky ***
Capitolo 17: *** Questions and suspicions ***
Capitolo 18: *** Knights ***
Capitolo 19: *** New experiences ***
Capitolo 20: *** Gone wrong ***
Capitolo 21: *** Magic ***
Capitolo 22: *** Never face a dragon ***
Capitolo 23: *** A hard decision ***
Capitolo 24: *** One life for another ***
Capitolo 25: *** Preparations ***
Capitolo 26: *** Goodbye ***
Capitolo 27: *** Starlight ***
Capitolo 28: *** Hayra'llen ***
Capitolo 29: *** Ouin ***
Capitolo 30: *** Flight lessons ***
Capitolo 31: *** Neglect ***
Capitolo 32: *** Living among the Elves ***
Capitolo 33: *** The road to Eunev ***
Capitolo 34: *** A new home ***
Capitolo 35: *** Mathan ***
Capitolo 36: *** A misleading power ***
Capitolo 37: *** Not only paranoia ***
Capitolo 38: *** Constant pressure ***
Capitolo 39: *** The first trial ***
Capitolo 40: *** The second trial ***
Capitolo 41: *** The third trial ***
Capitolo 42: *** New places, new friends ***
Capitolo 43: *** Iven ***
Capitolo 44: *** Not a perfect start ***
Capitolo 45: *** Week end ***
Capitolo 46: *** Carrot, lady's mantle, and bugloss ***
Capitolo 47: *** Anguish and excitement ***
Capitolo 48: *** Air ***
Capitolo 49: *** Our little secret ***
Capitolo 50: *** Red on white ***
Capitolo 51: *** A color to each soul ***
Capitolo 52: *** An unusual lesson ***
Capitolo 53: *** I want a hug ***
Capitolo 54: *** Examination days ***
Capitolo 55: *** Father and mother ***
Capitolo 56: *** Mother-in-law's milk ***
Capitolo 57: *** Exhausting hunt ***
Capitolo 58: *** Closer ***
Capitolo 59: *** Love is a strange thing ***
Capitolo 60: *** Repression philter ***



Capitolo 1
*** Weird findings ***


PROLOGO per chi fosse interessato

NOTE DELL'AUTRICE
Beh che dire, innanzitutto benvenuti nel mondo in cui spesso mi sono rifugiata per fuggire dalla realtà!
Spero sia scritto bene e in maniera scorrevole, che vi piaccia e beh... vi avverto, la storia è un po' lenta e lunga, lunga. Cercate anche di comprendere le stupidaggini commesse a volte dai personaggi, cose del tipo che si offendono per un nulla; sono ragazzini che muovono i primi passi verso il periodo della vita forse peggiore: l'adolescenza!
La storia è ancora in fase di sviluppo e non è assolutamente definitiva, la sto cambiando in questo momento per la settima o forse ottava volta. I vostri pareri e critiche a riguardo sarebbero estremamente utili, ho bisogno di un punto di vista esterno che non conosca la storia per sapere cosa non va e cosa invece funziona.
Che altro dire, godetevi la storia e... benvenuti a Dargovas!

Il colore del titolo del capitolo corrisponde al colore della regione in cui la storia al momento si svolge, tenete d'occhio la mappa per sapere dove ci troviamo!

WEIRD FINDINGS

La mia storia inizia in una giornata di mezza estate nella terra di Dargovas, in un piccolo villaggio chiamato Darvil: era chiuso a nord e a ovest da una catena montuosa, a est da una foresta immensa senza nome, o meglio chiamata da tutti ‘la Foresta’ perché, dal momento che nessuno vi entrava mai, gli Umani non si erano preoccupati di darle un nome. Sorgeva sulle sponde del fiume Rimer, che separava le regioni Umane a est dalla regione elfica Haledyl a ovest, in un punto in cui il lungo fiume aveva dato vita a tante piccole isole. Molte case infatti si affacciavano sul fiume Rimer, che attraversava il villaggio, attraversato a sua volta in molti punti da ponti più o meno lunghi, larghi, alti o resistenti, perché potessero attraversarli anche gli animali o i piccoli carri. La maggior parte delle case erano di legno e poco confortevoli, spesso a due piani, ma piccole. In quasi tutte il pavimento del piano superiore sporgeva fuori delle pareti fungendo così da tettoia o riparo per porta e finestre dalla pioggia o dalla neve. Trovandosi molto a nord il clima era rigido per la gran parte dell’anno, tutte le abitazioni erano munite di camino o più raramente di un falò al centro della stanza principale attorniato da muretti di pietra.
Gli abitanti erano ordinariamente gentili e ben disposti nei confronti del prossimo e dal momento che non erano più di un paio di centinaia si conoscevano tutti bene o male. C’erano diversi contadini che badavano al raccolto per gran parte dell’anno, con cui poi il panettiere preparava pane, biscotti o dolci, chi aveva capre o mucche produceva latte e formaggi, chi aveva galline vendeva le loro uova o gli stessi animali al macellaio, che una volta a settimana s’improvvisava cacciatore, c’erano anche una sarta, un calzolaio, una donna che teneva a bada i bambini quando i genitori non potevano, alcuni vecchi che si definivano cantastorie per divertire i giovani attorno ai fuochi serali, un pescatore, un fabbro, un sacerdote, un medico e una guaritrice, un commerciante, un falegname, un’intera famiglia gestiva una taverna e un tempo c’era anche una donna che vendeva o affittava cavalli.
Generalmente tutti vivevano grazie a questi lavori, nel villaggio non circolava molto oro e, escluso chi a volte doveva viaggiare in altre città per lavoro, serviva quasi esclusivamente per pagare le tasse stagionali. Spesso e volentieri invece che pagarsi in oro tra loro barattavano le proprie merci in cambio di altri beni.
Non c’era esattamente una figura che governava il villaggio, ma la cosa più simile a un capo che si poteva trovare era una donna ormai anziana, che viveva in una casa dalle dimensioni modeste non molto lontana da quella della guaritrice e agghindata da sculture intagliate nel legno, simbolo della sua posizione di guida.

Questa era una breve descrizione dell’ambiente in cui vivevano i nostri eroi, ma ora entriamo nel vivo della storia.

In un boschetto non molto lontano, sulla sponda ovest del fiume Rimer, Jennifer – una ragazzina di dodici anni appena compiuti, dai capelli rossicci e mossi, gli occhi grandi e marroni, e il viso coperto di lentiggini – e Susan – sua coetanea bionda, bassina e dagli occhi che cambiavano colore a seconda del tempo, verdi se era bello o altrimenti azzurri – stavano giocando a rincorrersi, mentre le loro due madri passeggiavano nel bosco.
Si trovavano lì, così distanti da casa, per una sola ragione: la madre di Jennifer, Gerida, stava cercando delle erbe dalle particolari proprietà curative, che le servivano in quanto guaritrice del villaggio. La madre di Susan, Jelena, le faceva compagnia. E si erano portate appresso le figlie per non lasciarle in casa da sole o accollate a qualcun altro.
Jennifer stava agilmente scappando da Susan, ridendo e gridandole che non sarebbe mai riuscita a raggiungerla. Era facilitata nella corsa perché indossava pantaloni lunghi, al contrario dell’amica che li aveva solo a mezza gamba nonostante il clima rigido, indossavano entrambe un leggero mantello, Jennifer aveva inoltre con sé una borsa a tracolla e Susan uno zaino.
«Ecco, ho portato del pane fresco per una buona colazione, direttamente dal panificio di mio marito.» disse Jelena frugando nella sua borsa, scostò poi una ciocca bionda che le dava fastidio al naso «Qualche buon frutto, dei biscotti per le ragazze, e un po’ di latte.»
«Molto bene,» rispose l’altra donna, scrutando senza sosta il terreno mentre proseguivano «vorrà dire che presto ci fermeremo a mangiare, prima che il pane si raffreddi!»
«Guarda lì! Non è quella la pianta che cerchi?»
«No, non esattamente. Ma ne raccoglierò un paio di foglie ugualmente, giusto per averne e non dover tornare qui.» dunque si chinò e prese un piccolo coltello con cui incise il gambo della pianta con delicatezza, per staccarne tre foglie rosse screziate di giallo.
«Ragazze! Andate a cercare un buon posto dove fermarsi a fare colazione, ma non allontanatevi troppo!» esclamò Jelena cercandole con lo sguardo.
«Hai sentito? Datti una mossa Susan!» le gridò Jennifer ridendo e cambiando direzione.
«Arrivo!» ansimò lei esausta, e la seguì.
Non ci misero molto a trovare una buona radura sgombra da erbacce e radici, quindi tornarono dalle madri. Questa volta Susan era davanti e scappava, ma l’altra correva più veloce e non tardò a raggiungerla, le afferrò entrambe le spalle e la spinse a terra. Susan cadde gridando terrorizzata e rotolò in mezzo alla neve mezza sciolta mentre l’amica proseguiva e rideva a crepapelle.
«Questa me la paghi Jen!» gridò rialzandosi e pulendosi i vestiti ormai bagnati. Riprese a correre e raggiunse le due donne, dove Jennifer già l’aspettava, e presero a rincorrersi girando intorno a loro per non lasciarsi catturare.
«Ragazze!» le rimproverò Jelena quando rischiarono di scontrarsi «Lasciateci camminare! Allora, dov’è quel posto?»
«Di là!» indicò Jennifer nascosta dietro la gonna verde di sua madre, senza staccare gli occhi da Susan.
Giunsero infine nella piccola radura e su richiesta della madre Susan finalmente lasciò perdere la sua piccola vendetta per aiutare a liberare il posto dalla neve, in modo che potessero sdraiarsi su una coperta portata appositamente. E furono pronte per fare colazione, pane e frutta bastavano per tutte; latte e biscotti erano solo per le ragazze, mentre le due donne avrebbero bevuto del tè portato da Gerida.
Susan prese subito dalla borsa di sua madre un paio di biscotti e una fetta di pane ancora caldo, quindi domandò a sua madre: «Hai portato il burro?»
«Ce n’è un po’.» rispose lei, e glielo porse.
La ragazzina servì prima l’amica, poi se stessa, e mangiarono con calma, ancora ansimando per la corsa di poco prima. Riposarono così qualche minuto, poi Jennifer disse di voler fare una passeggiata per digerire e si alzò. Susan la seguì. Ma ormai aveva accantonato la sua sete di vendetta, e si limitò a osservare insieme a lei la bellezza del bosco alle prime luci del giorno.
Non lasciava spesso il villaggio, e se lo faceva era solo per accompagnare la sua migliore amica e la guaritrice a cercare piante dalle particolari proprietà curative o anestetiche. Le piaceva molto in effetti, e col passare del tempo aveva persino imparato a riconoscerne alcune. Quel bosco era pieno di piante dagli strani colori e foglie di ogni forma e dimensione, alcune così grandi che si sarebbe potuta nascondere lei stessa.
Raccolse da terra uno strano fiore e soffiò, disperdendo tutti i suoi strani semi nell’aria che per alcuni secondi sembrarono piccoli fiocchi di neve.
Finché qualcosa non attirò la sua attenzione: una strana pietra gialla che luccicava in modo straordinario, ben visibile tra le radici e gli arbusti, di forma ovale. Chiazze oro e arancioni erano sparse sulla liscia superficie della pietra e Susan giurò di vederle muovere lievemente.
Tirò il mantello a Jennifer, sbigottita dalla magnificenza di quell’oggetto, distante eppure incredibilmente nitido come un falò di notte. La indicò e sussurrò: «Guarda là! Che roba!»
Jennifer seguì la direzione indicata e aprì la bocca come per dire qualcosa, ma non disse nulla, si limitò a osservare senza parole la grande pietra ovale per alcuni lunghi secondi. Si guardò alle spalle per essere certa che le madri non le vedessero raccogliere quella cosa, ma le donne ancora mangiavano e parlavano allegramente.
Quindi guardò Susan e sussurrò a sua volta: «La prendiamo?»
«Chissà quanto deve valere!»
«Sì, ma se... insomma la sai quella storia, no? Quella del demone che vive nella Foresta e depone uova bellissime...» tentennò d’un tratto timorosa.
«Ma quello ti pare un uovo? Hai visto quanto è grande?» ribatté Susan eccitata dalla novità.
«Ma se anche non fosse un uovo, a chi potremmo mai venderla? Non credo che qualcuno possa pagare il valore di una pietra simile solo con le monete, prosciugheremmo le loro scorte di cibo o risorse. E infine, se anche la comprassero, cosa se ne farebbero di una pietra così grande? Faremmo prima a tenerla in casa per bellezza, non credi?»
«E allora che aspettiamo? La terrò in casa mia!»
«Va bene.» assentì.
Dunque si avvicinarono alla strana pietra con gli occhi che brillavano dall’emozione; era grande, più lunga di un loro avambraccio, ma quando Susan la raccolse da terra rimase sorpresa constatando che non pesava quanto si sarebbe aspettata.
«È leggerissima.» dichiarò senza riuscire a nascondere un vago timore.
«Forse dovresti lasciarla qui.»
«Ma che vuoi che succeda?» sorrise cambiando subito atteggiamento e la mise nello zaino «Ehi! Magari ne troviamo altre qui intorno! Cerchiamole! Una per me e una per te!»
«Non ne sono del tutto convinta... è bellissima, ma...» s’interruppe pensandoci su, e alla fine la bellezza della pietra gialla scacciò ogni altra cosa, compresa la favola del demone che i cantastorie raccontavano ai bambini, convincendosi che fosse solo per spaventarli e scoraggiarli ad accettare doni di cui non comprendevano il valore.
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Così tornarono a esplorare allontanandosi verso est, ma passarono dieci minuti buoni prima che qualcosa di forma e colore insoliti comparisse alla loro vista: questa volta era rossa, nascosta sotto delle radici dissotterrate, ma un raggio di sole la colpiva facendola brillare.
«Eccola lì!» esclamò Susan, e corse a prenderla.
Jennifer la seguì e giunta davanti al nascondiglio s’inginocchiò e la guardò meglio: non era solo rossa, ma anche nera con delle chiazze arancioni e talvolta screziata di bianco. Ma le dimensioni erano pressoché identiche, e quando con un po’ di fatica la estrasse dal nascondiglio capì che anche il peso doveva esserlo.
«Per il Corvo, è bellissima non trovi?» sussurrò Susan di nuovo senza fiato, la pietra pareva catturare i loro sguardi come un magnete attira il ferro.
«Lo è davvero.» assentì rapita «Ma... ma chissà a chi appartengono, non dovremmo prenderle.»
«E chi mai lascerebbe delle pietre così belle qui?! L’hai visto anche tu, non c’è nessuno ed erano abbandonate a loro stesse.»
Jennifer scosse la testa: «Sono pulite e splendenti come se qualcuno le avesse recentemente curate, e questa era nascosta. Senza la luce del sole non l’avremmo mai trovata. Qualcuno l’ha messa qui. E poi non trovi strano che non succeda mai nulla a Darvil, e oggi abbiamo trovato due oggetti fuori dal comune?»
«Forse non accade nulla di strano perché siamo noi a non far accadere nulla, ci hai mai pensato? Qui tutti vivono la loro vita tranquilli e non cercano di cambiarla!»
«Non cercano guai, è diverso. Forse dovremmo imparare da loro.»
«Andiamo, siamo ragazzine ancora! Godiamoci la gioventù e lasciamo che i genitori risolvano i nostri pasticci, come al solito! Dai, prendila! Ce le mettiamo in camera!»
«Io la mostrerò a Mike. Pensa alla sua faccia quando la vedrà!»
Susan scoppiò a ridere: «Era meglio non pensarci!»
«Inoltre suo padre è un commerciante, potrebbero sapere quanto valgono queste pietre. Sarà meglio tenerle nascoste fino ad allora.»
«D’accordo! Ma ora prendila e mettila in borsa! Andremo da Mike appena potremo, speriamo oggi stesso!»
Jennifer annuì, fece appena in tempo a mettere la pietra in borsa che si sentirono chiamare dalle madri preoccupate. Perciò si alzarono e nascosero la borsa e lo zaino stranamente colmi sotto i mantelli, poi corsero verso la radura dove le due donne avevano già ripulito tutto senza lasciare traccia del loro passaggio. E ripresero insieme a loro la ricerca dell’erbacieca, che cresceva solo in climi rigidi ma che persino lì era rara, tenendo ben nascosti i loro strani tesori.

Passarono alcuni giorni prima che potessero finalmente ritrovarsi per andare insieme a casa di Mike, portandosi dietro entrambe le pietre – Jennifer aveva messo in borsa anche garze e rimedi vari per quando andava a giocare fuori casa, per non insospettire la madre. Dopo circa cinque minuti arrivarono davanti alla porta della casa di Mike, un ragazzo undicenne magro e un po’ basso con dei lievi problemi di vista. Aveva occhi verdi, capelli castano chiaro e pelle lievemente più scura di quella di Jennifer. Solitamente lo definivano la calamita attira-guai.
Bussarono. Di solito era Mike ad aprire la porta, infatti gli si parò davanti; indossava una maglia a maniche lunghe color paglia e un paio di pantaloni non troppo larghi di colore marrone.
«Ah! Ciao. Non vi aspettavo... entrate.» disse sorpreso, le invitò a entrare in casa e chiuse poi la porta alle loro spalle «Non fatevi sentire da mia madre, è un po’... beh, non è molto ben disposta in questi giorni, ecco. Credo sia perché il falchetto di papà non è mai arrivato per portare sue notizie... ma non parlatene.»
Facendo finta che sua madre non esistesse proprio come lui aveva suggerito, senza salutare salirono le scale che portavano al piano superiore, dove si trovavano la camera di Mike, quella dei genitori e quella per gli ospiti, insieme a una specie di ripostiglio. La sua casa era poco più grande di quelle di Jennifer e Susan.
Entrarono in camera e gli mostrarono entrambe le pietre scintillanti, con un largo sorriso a metà divertito e a metà derisorio per la faccia che fece quando le vide; entrambe se l’erano immaginata, ma vederla comparire davanti a loro nella realtà e non nella loro immaginazione era diverso, a stento trattennero le grida che avrebbero allertato la donna.
Dopo lunghi secondi di contemplazione, Mike tese una mano come volendo toccare la pietra rossa, ci ripensò e guardò Jennifer come chiedendo il permesso, ma infine ritrasse la mano e guardò prima Susan, poi Jennifer, attendendo spiegazioni.
Quindi Jennifer gli raccontò tutto, inclusa la buffa caduta di Susan, la quale s’imbronciò subito, ma l’altra continuò a parlare imperterrita e finalmente, abbassando la voce, giunse a ciò che lui voleva sapere.
«Non credo abbiano valore qui, delle pietre così grandi. E papà è via, perciò non si può chiedere a lui.» disse Mike infine.
«Ma noi mica vogliamo darle via!» esclamò Susan accarezzando la pietra gialla.
«Susan... sai, ci ho pensato a lungo in questi giorni. E se andassimo a cercarne altre? Chissà quante ce ne sono là fuori!» esclamò Jennifer.
«Poi diventerebbe difficile nasconderle.» obiettò lei.
«Secondo me vengono dalla Foresta.» disse Mike «Non so quanto vi convenga tenerle. Belle sì, ma non sappiamo niente di loro.»
«Ma nessuno infatti è tenuto a sapere qualcosa!» ribatté Susan animata «Diciamo di voler uscire a giocare e sgattaioliamo nel bosco sopra i campi! Un paio di pietre non hanno mai fatto male a nessuno.»
«Non se fossero pietre comuni.» precisò il ragazzino, attese un attimo, poi sembrò cambiare opinione e domandò d’un tratto eccitato: «Posso chiamare un amico? È che... non si è mai vista una cosa così a Darvil da quando ho memoria, un vero mistero! Una vera avventura!»
«Certo, allora noi chiamiamo un’amica.»
«Molto bene! Andiamo.» Mike si mise in fretta le scarpe e perse alcuni secondi a decidere se portarsi dietro anche il mantello, ma alla fine rinunciò.
Uscirono dalla piccola stanza e sgattaiolarono al piano inferiore scendendo le lunghe scale, dove faceva sempre freddo.
«Cercate di non fare rumore.» sussurrò alle ragazze portando l’indice alla bocca.
Tempo di fare quattro passi verso la porta e una voce tuonò: «Dove credi di andare?!»
Era Sirela, la madre di Mike, una donna dai capelli scuri come gli occhi e una corporatura piuttosto robusta; sebbene non fosse particolarmente alta riusciva a incutere timore anche in suo marito, che era due volte la sua stazza. Sopra la lunga veste blu indossava un grembiule che necessitava di una bella pulita.
«Eh? Ah, sì, ciao ma’... stavamo andando a trovare Andrew...» balbettò il ragazzino tutto tremante con un sorriso molto tirato.
Era la verità, ma la madre sembrò non credergli e lo guardò incredula ma nello stesso tempo arrabbiata come poche mamme sapevano fare a Darvil: «Ah sì? Ma se loro nemmeno lo conoscono!» la sua voce si fece tanto forte da far chiudere gli occhi a Mike, brandiva contro di loro un mestolo da cucina.
«Sì, stavamo... andando a conoscerlo.» le assicurò Susan. Strinse più forte lo zaino a sé.
«Ci ha parlato di questo ragazzo, così simpatico, e... abbiamo pensato che conoscerlo sarebbe stato carino.» le disse invece Jennifer. Sorrideva.
Sapeva di non avere il viso convincente, ma la loro testimonianza cambiò radicalmente il volto della madre che sorrise loro e disse con un sospiro: «Chiedo scusa per non avervi salutate, care. E va bene, questa volta passi. Ma non dimenticare che io ti tengo d’occhio Mike.» sottolineò l’ultima frase in tono severo. Gli voltò le spalle tornando in cucina a preparare il pranzo.
«Che buon odore.» disse Jennifer chiudendo gli occhi e annusando l’aria piacevolmente profumata.
«Sì, penso che oggi farà uno stufato di verdure... a me non piace, e poi l’ha fatto due giorni fa!» sbuffò Mike.
«E dai! Non è così terribile!» gli disse Susan ridacchiando, guardandolo di sottecchi.
«Sarà, ma a me non piace comunque.» ribatté lui con una scrollata di spalle.
Uscirono di casa e richiusero la porta rapidamente, poi s’incamminarono quasi correndo conducendo Mike verso casa della loro amica Layla, con le rispettive sacche di pelle contenenti le pietre colorate ben nascoste sotto i loro mantelli com’erano ormai abituate.

Se ci sono due recensioni lasciate dai medesimi autori è perché non potendole spostare nel nuovo prologo le ho lasciate qui; 5 di queste recensioni non sono state quindi lasciate a questo capitolo, ma a quello che prima era il prologo.
Mi scuso per l'eventuale incomprensione!

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Capitolo 2
*** Friends ***


Il colore del titolo del capitolo corrisponde al colore della regione in cui la storia al momento si svolge, tenete d'occhio la mappa per sapere dove ci troviamo!

FRIENDS

Si diressero verso l’isola più a nord salutando la gente che incontravano per strada e venendo ricambiati con sorrisi divertiti, e non ci volle molto per arrivare a casa di lei, di dimensioni modeste, con due piani e una cantina. Sapevano che la porta era sempre aperta, ma si misero d’accordo e fu solo Jennifer a entrare in casa a chiamare la ragazza, per non sembrare invadenti agli occhi della famiglia.
Mike fremeva dalla curiosità, non vedeva l’ora di conoscere questa ragazza più grande e andare a cercare altre di quelle strane pietre; inoltrarsi nel bosco non lo spaventava, a patto che ci fosse luce e segnassero la strada per riuscire a tornare a casa.
E infine Layla uscì di casa con maglietta dall’ampia scollatura e che le lasciava la pancia scoperta, pantaloni a mezza gamba come Susan, e stivaletti poco più alti della caviglia. Era alta per avere solo tredici anni, un primo accenno di seno e fianchi relativamente larghi, la vita molto stretta, come anche le spalle, e gambe lunghe. I capelli erano lisci e lunghi, marroni con qualche ciocca più chiara, una frangetta le copriva la fronte. Gli occhi, di colore verde con una punta d’azzurro, le davano un’aria intelligente, fredda e gentile allo stesso tempo.
Mike trovò il suo abbigliamento a dir poco bizzarro, erano sì in piena estate ma a volte tirava un’aria gelida comunque, non capiva perché la ragazza fosse vestita così... poco. Forse non sentiva il freddo quanto lui, o forse perché fino a pochi attimi prima si trovava in casa davanti al camino acceso.
«Ciao Layla!» la salutò subito Susan «Lui è Mike.»
«Me ne ha parlato Jennifer.» rispose lei con un sorriso garbato.
Se gli occhi sono lo specchio dell’anima, pensò Mike dovrei capire che tipo di persona è.
Anche Layla sembrò fare la stessa cosa, guardandolo curiosa, socchiudeva un occhio.
«E mi ha detto anche che avete un’avventura pronta da vivere.» continuò ancora leggermente a disagio per la presenza del ragazzo appena conosciuto; aveva l’impressione di aver già visto i suoi begli occhi verdi da qualche parte, e di averlo già sentito nominare, ma non ricordava esattamente in quale occasione.
«Oh sì!» esclamò Mike, che temeva di essersi già invaghito di lei «Stiamo radunando un po’ di amici proprio per questo!»
Layla parve illuminarsi: «Posso chiamare una mia amica allora?»
«Sarebbe meglio non essere in troppi o attireremmo l’attenzione, ma se ci possiamo fidare va bene.» le rispose Jennifer.
«Certo che si può! Seguitemi!» disse, e corse via.
I tre amici la seguirono immediatamente senza ripensamenti, e lei li condusse poco lontano, svoltarono giusto un paio di vie e bussò a una porta. Riconobbero subito che era la casa del dottore, con cui la madre di Jennifer era in buoni rapporti.
Aprì la porta una donna bionda ancora in veste da notte, o così sembrava, che sorrise a Layla domandandole subito qualcosa che gli altri non sentirono, e la ragazza annuì. Quindi la donna le fece cenno di aspettare e socchiuse la porta sparendo in casa.
Un paio di minuti dopo ne uscì un’altra ragazza formosa, gli occhi azzurri e i capelli mossi color dell’ambra, indossava una lunga veste azzurra con una gonna, sopra un paio di stivali a mezza gamba, le maniche erano lunghe e uno strano scialle verde le copriva le spalle, a sua volta coperto da un lungo mantello blu. Tutti loro la conoscevano, per lo più per fama, e sapevano che di lì a pochi mesi sarebbe diventata adulta secondo le usanze del villaggio.
«Layla! Che piacere rivederti!»
«Ciao.» ribatté lei, e si salutarono con un abbraccio.
«La figlia del dottore!» esclamò Mike entusiasta «Con la figlia della guaritrice, chi sarà la migliore?»
«Lei senza dubbio.» rispose Jennifer arrossendo d’imbarazzo.
Ed Emily rise: «Oh ciao, Jennifer giusto?»
«Sì. Molto piacere. Ho sentito tanto parlare di te dalla mamma.» farfugliò tenendo lo sguardo basso.
«Ma davvero?» domandò sorpresa, e la ragazzina annuì piano, poi la sua attenzione si rivolse a Susan «E tu sei?»
Così lei e Mike si presentarono, e tutti insieme le spiegarono a grandi linee l’avventura che avevano in mente d’intraprendere. Mentre parlavano si stavano allontanando verso sud, dove Mike aveva detto che abitava il sesto e ultimo componente del gruppo – se non avevano intenzione di chiamare qualcun altro.
«Scampagnate nei boschi. Non mi sembra una grande avventura, lo faccio spesso.» disse Emily terminato il racconto.
«Ma ancora non sai cosa andiamo a cercare!» protestò Mike allegramente; nemmeno ebbe l’occasione di sentirsi a disagio circondato da tutte quelle ragazze, preso com’era dall’avventura. Tutto sommato non gli dispiaceva la presenza di una giovane donna quasi adulta, per di più capace come lei, se anche si fossero cacciati nei guai di sicuro Emily avrebbe saputo cosa fare.
Attraversarono due piccoli ponti, una parte del villaggio quasi deserta, una dove le case sembravano improvvisate. L’unica cosa di cui le ragazze erano certe era che si stavano allontanando dal centro del villaggio, perché le case erano sempre più piccole.
Come fanno a vivere in case così? si chiese Layla data la dimensione ormai visibilmente ridotta delle case; da fuori sembravano essere solo due stanze affiancate.
C’era ancora il secondo piano, ma il soffitto era così basso che un cavallo avrebbe fatto fatica a starci. Alcuni abitanti di tanto in tanto uscivano, qualcuno di loro li guardava con curiosità, c’erano numerosi bambini che giocavano a rincorrersi.
Poi Mike cominciò a correre e le ragazze lo seguirono chiedendosi come mai fosse così ansioso, infine lo videro salutare allegramente uno di quei bambini, che lo vide e fece cenno col capo allegramente a sua volta, sorridendo. Si avvicinò di qualche passo. Le ragazze si fermarono, mentre lui andò incontro al bambino.
«Chi sono loro?» fece il più piccolo sporco in viso guardando curioso le ragazze dietro l’amico.
«Loro sono le mie amiche, Jennifer e Susan.» le indicò Mike «Lei è Layla, l’amica delle mie amiche.» indicò anche lei e diede il tempo di riflettere al bambino «E infine lei è Emily, un’amica di Layla. Lui, ragazze, è Andrew.» concluse Mike questa volta rivolto alle quattro femmine.
Andrew era un ragazzino piuttosto basso e robusto di undici anni coi capelli marroni che quasi gli coprivano gli occhi, del medesimo colore. I vestiti di stoffa gli erano lunghi e anche un po’ larghi, dei colori tendenti al marrone, era costretto a portare una cintura in vita altrimenti i pantaloni gli sarebbero caduti, e sopra a tutto indossava una lunga giacca consunta – a parer loro superflua, con quel caldo. Sembravano vestiti vecchi ed ebbero l’impressione che gli fossero stati passati da almeno un fratello più grande.
«Vieni con noi, abbiamo bisogno del tuo aiuto.» gli disse Mike incamminandosi, prendendolo sotto braccio per costringerlo a seguirlo.
«Del mio aiuto?» domandò Andrew, sembrò sorpreso.
«Di tutto l’aiuto possibile.» gli sorrise Susan.
«Dove stiamo andando di preciso?»
«Nel bosco a nord dei campi.» rispose Mike.
«Nel bosco? Perché?» ripeté Andrew allarmato.
«Beh è lì che abbiamo trovato...» Jennifer s’interruppe appena in tempo «Delle cose misteriose!»
Andrew fece un verso strano, come se fosse a disagio, poi tutti s’incamminarono seguendo la strada sterrata che li avrebbe condotti a uno dei due ponti che collegavano le isole di Darvil alla sponda ovest del fiume.
La gente che incontrarono non li degnò di una seconda occhiata. Attraversato il ponte davanti a loro comparvero i campi coltivati e i recinti che ospitavano il bestiame da latte o le pecore da lana. Cercarono di non farsi notare dagli uomini al lavoro, perché un gruppo di ragazzini diretto a nord di lì non presagiva nulla di buono.
Quando furono certi di non poter più attirare attenzioni indesiderate cominciarono a correre verso il bosco non lontano, e si fermarono solo dopo aver oltrepassato i primi alberi dalle fronde basse. Jennifer raccolse un paio di foglie di coletto – che se ben trattate distendevano e rilassavano i muscoli dolenti – e poi le mise in borsa, affrettandosi a raggiungere il resto del gruppo.
La stavano tutti aspettando e Susan la guardava insistentemente, ma solo quando indicò il proprio zaino ne capì la ragione; era giunto il momento di dire agli altri cosa esattamente stavano andando a cercare.
Così Jennifer si schiarì la voce e parlò per prima: «Bene, vi abbiamo detto di un’avventura, ma non esattamente di cosa si tratta.»
«Oh sì! È il momento della rivelazione!» esclamò Mike saltando sul posto, attirandosi lo sguardo perplesso di Layla.
«Va bene...» sussurrò Andrew incerto «E quindi cosa ci facciamo qui? Volete trovare altre cose misteriose, giusto?»
«Sì.» rispose Jennifer «Ma non cose qualunque, vedete. L’altro giorno abbiamo trovato queste.» e come rispondendo a un ordine lei e la ragazzina bionda estrassero le grandi pietre una dalla borsa e l’altra dallo zaino, tenendole ben in vista davanti a loro.
Come si aspettavano, e come aveva fatto anche Mike non molto tempo prima, Layla Emily e Andrew rimasero letteralmente a bocca aperta a fissare prima l’uno e poi l’altro oggetto.
«Le avete trovate... qui?» fece Layla scettica.
Susan annuì entusiasta: «L’altro giorno! E volevamo vedere se ce ne sono altre da qualche parte! Ma Mike ha voluto chiamare un suo amico, noi abbiamo volto chiamare te, e tu hai voluto chiamare Emily. Perciò eccoci tutti qui!»
«E vorreste trovarne altre.» riassunse Emily «Perché?»
«Perché sono belle!» esclamò Mike, come se fosse scontato «Io ne voglio una tutta per me!»
«Anch’io.» farfugliò Andrew «Però non saprei come nasconderla ai miei fratelli...»
«Posso tenertela io! Magari ne troveremo soltanto una oggi e sarà sia mia che tua!» gli disse Mike, e questo sembrò rallegrare il più piccolo che annuì ora sorridendo.
«Beh, ormai siamo qui.» fece Layla scuotendo appena le spalle «Se non altro potremmo accompagnarli, che dici Emily?»
La giovane donna rimase a lungo in silenzio con una smorfia poco convinta in viso, ma sospirò rassegnata quando Mike Jennifer e Susan cercarono di farle gli occhi dolci. E dopo essersi portata una mano alla fronte annuì piano, senza dire niente.
«Meraviglioso! Seguiteci!» esclamò Jennifer rimettendo la pietra in borsa e scappando via.
Insieme a Susan guidò gli altri quattro in entrambi i luoghi dove avevano trovato le grandi pietre, e rivedendo il nascondiglio sotto la quale avevano trovato quella rossa le venne di nuovo il dubbio che qualcuno ce l’avesse messa di proposito; era sicura che le radici e il terreno fossero stati smossi dall’ultima volta che li aveva visti.
Quando espresse i suoi dubbi agli altri non sembrò preoccuparli più di tanto; Andrew disse che poteva essere stato il vento o alla peggio qualche animale in cerca di un riparo dal freddo notturno. Layla era l’unica a porsi lo stesso dubbio di Jennifer che potessero esserci delle persone, magari banditi, che avevano trovato e nascosto quelle pietre in attesa di trovare un ricettatore che gli offrisse il giusto prezzo di scambio.
Perciò quando Mike Andrew e Susan decisero di correre via abbaiando e ululando per gioco come un branco di lupi, Layla fu l’unica a mostrarsi restia a seguirli. Jennifer fu rapida a mettere da parte la preoccupazione per unirsi ai giochi, ed Emily gli corse dietro senza schiamazzare ma non aveva alcuna intenzione di perderli di vista, tenendo la gonna alzata. Incoraggiata dalla sua migliore amica anche Layla cominciò a correre, il gruppetto si stava dirigendo sempre più a nord, del tutto ignaro dei pericoli che si potevano trovare nei boschi.

Sentì abbaiare e ululare, quindi, all’oscuro di tutto, cominciò a temere che un gruppo di lupi fosse sulle tracce della sua preda; erano un paio d’ore che seguiva le orme di un cervo passato lì da poco, e aspettava quell’occasione da due giorni, non poteva permettere ai lupi di avere la meglio.
Incoccò una freccia ma non tese la corda, avanzò furtivo dietro le felci con il dardo caricato per metà, in attesa dei cacciatori, di certo non li avrebbe uccisi se non necessario, ma sperava almeno di spaventarli.
Fece una smorfia perplesso al suono di un altro ululato piuttosto strano, breve e tremolante.
Che razza di lupi... forse è malato pensò, non poteva immaginare che non si trattasse di veri lupi, dal momento che le probabilità di trovare esseri umani in quel bosco, per di più che ululavano, erano a dir poco limitate.
Gli ululati erano sempre più vicini, ora poteva anche sentire i loro passi in corsa, sembravano due. Ma altri abbaiavano più lontani, forse stavano raggiungendo la coppia a lui più vicina.
Si alzò nascondendosi dietro a un tronco, sbirciò ma ancora non vide nessuno, quindi tornò a nascondersi e ad aspettare il momento giusto per ferirne almeno uno non mortalmente, in modo da scoraggiarli a proseguire. Avrebbe dovuto uscire dal nascondiglio di lì a pochi secondi, stavano venendo dritti verso lui, non avrebbe potuto colpirli alle spalle.
Adesso si disse, con un balzo si allontanò dall’albero dietro cui era nascosto e tirò rapido la corda, pronto a lasciare la freccia, ma la scena che si trovò davanti lo spiazzò: non erano lupi, erano quattro ragazzi.
Ebbe a malapena il tempo di abbassare l’arco e allentare la corda abbastanza gradualmente perché la freccia non partisse e non ammazzasse uno di loro e di gridare: «Ehi!»
Le ragazze urlarono dallo spavento vedendolo sbucare da dietro il tronco pronto a scagliare una freccia, e cercarono di frenare la corsa, ma era comparso davanti a loro così vicino e così all’improvviso che Jennifer ci andò a sbattere dritto addosso, e subito dietro di lei Andrew, che nonostante avesse cercato di scansarli saltando a metà del balzo aveva urtato la schiena del cacciatore, che stava rotolando insieme a Jennifer. E così si unì a loro, rotolando nella neve mezza sciolta. Susan pur di non inciampare in loro si era lanciata in un cespuglio alla sua destra, per poco non aveva urtato un tronco con la testa, e Mike si era buttato pancia a terra e coperto la testa con le mani.
Layla ed Emily si fermarono esclamando ognuna qualcosa di diverso, spaventate dall’arma del ragazzo, e Jennifer appena si riprese dall’urto si guardò freneticamente intorno in cerca di qualcosa con cui potersi difendere. Andrew era ancora sotto di loro, ma lei si trovava sopra lo sconosciuto e non pensò a lungo prima di rialzarsi e afferrare il sasso più vicino pronta a tirarglielo in testa.
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Al che lui la vide e alzò le mani in segno di resa lasciando a terra l’arco, sperando di convincerla a non colpirlo, mentre la ragazzina indietreggiava ansimando senza mai voltargli le spalle.
«Figlio di Despada, cosa accidenti pensavi di fare?!» gridò, mentre Layla le si accucciò accanto e le prese la mano costringendola a lasciare il sasso a terra.
«Credevo foste dei lupi, mi avete spaventato.» disse lui rialzandosi, sempre tenendo ben in vista le mani.
Andrew finalmente poté rialzarsi e si allontanò con uno scatto massaggiandosi i polsi e guardandolo storto.
«Ah noi avremmo spaventato te?» ribatté Susan, che aveva appena finito di pulirsi i capelli dai ramoscelli che vi si erano impigliati «Stavi per ucciderci!»
«Cedric!» esclamò Emily, e non seppero dire se provasse sorpresa, indignazione, paura o rabbia.
«Emily?» fece lui guardandola confuso, poi guardò meglio anche gli altri e riconobbe Layla e Mike.
«Maledizione cosa ci fai tu qui?» riprese Emily con fare ostile.
«Io? Lavoravo. Voi invece cosa ci fate così a nord?» le rispose con sguardo torvo.
«Non sono affari tuoi.»
«È pericoloso, così lontani dalle zone abitate potreste incappare in lupi e orsi.» lanciò una rapida occhiata a Mike, forse triste, poi tornò a guardare Emily che sembrava sul punto di volerlo uccidere.
Susan, solo leggermente più tranquilla, lo guardò meglio per la prima volta. Le parve troppo alto sebbene non sapesse quanti anni avesse, e anche troppo magro, vestito interamente di nero eccetto la giacca di pelle, gli alti stivali e un braccialetto di cuoio al polso sinistro. Aveva una carnagione chiara anche per i canoni di Darvil, capelli neri in disordine – alcuni ciuffi più lunghi, altri più corti – occhi di un colore indefinito tra il grigio e l’azzurro e lineamenti duri e affilati. Pensò che fosse un bel ragazzo, ma fu rapida a ricordare tutte le storie che erano circolate su di lui e a reprimere in fretta quel pensiero.
«Non incontreremo proprio niente, soprattutto facendo tanto baccano.» replicò Andrew col broncio «E ora continueremo la nostra avventura.»
Cedric girò gli occhi e sospirò seccato: «Basta che andiate lontani da qui, o non tornerò a casa nemmeno oggi. Avrete fatto scappare qualsiasi animale nel raggio di seicento piedi.»
Nel momento in cui lui si piegò per riprendersi l’arco, gli altri sei si allontanarono verso ovest senza aggiungere un’altra parola, al massimo voltandosi a guardarlo con aria torva per alcuni secondi prima di proseguire. Emily era quella che più tra tutti non vedeva l’ora di allontanarsi, marciava con passo pesante, i pugni stretti e un’aria così accigliata che invitò i più giovani a non porle domande.
 

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Capitolo 3
*** Violetstorm ***


Il colore del titolo del capitolo corrisponde al colore della regione in cui la storia al momento si svolge, tenete d'occhio la mappa per sapere dove ci troviamo!

VIOLETSTORM

Non ci misero molto a perderlo di vista, e solo allora il buonumore tornò, ricominciarono a salterellare, a volte a corrersi intorno a vicenda, e schiamazzare a voce alta. Mike e Jennifer ingaggiarono una lotta cercando di spingere l’avversario a terra senza cadere a loro volta e la poltiglia di neve che copriva il terreno rendeva il tutto più avvincente.
Non camminarono tanto prima che Emily ordinasse a tutti di zittirsi guardando un punto fisso davanti a sé con occhi sbarrati. Quando si avvicinarono alla giovane donna per chiederle cosa le fosse preso, lei si limitò a fargli cenno di non parlare e subito dopo indicò avanti.
Seguendo la direzione da lei indicata videro dei tronchi anneriti in lontananza, la nebbia – o forse fumo – copriva la visuale più avanti e alcuni alberi avevano i rami spezzati che toccavano terra.
«Cosa... cosa credete sia successo?» domandò Susan allungando il collo per vedere, ma con fare timoroso.
«L’unico modo per scoprirlo è avvicinarsi.» disse Mike muovendo due passi.
«No aspetta!» sussurrò Emily agitata, e tutti la guardarono «La cosa non mi piace... nell’aria c’è ancora odore di bruciato. Chiunque sia non viene da Darvil. Nessuno di noi avrebbe bisogno di fare... questo.»
«Ma questo cosa?» domandò prontamente il ragazzino, ostinato «Siamo venuti in cerca di cose strane, lì ce n’è una!»
«In cerca di cose strane, non di guai.» puntualizzò Layla.
«Ci avvicineremo piano. Nessuno se ne accorgerà.» disse Jennifer affiancandosi a Mike.
I due si guardarono, poi annuirono e in tacito accordo avanzarono con le schiene curve per tenersi nascosti dietro le felci e gli arbusti – la ragazza tenendosi la borsa a tracolla sulla schiena in modo che non la impacciasse. Susan e Andrew li seguirono poco dopo, ed Emily e Layla più tardi ancora non del tutto convinte ma non volendo perderli di vista.
L’odore di legno bruciato era forte, e più si avvicinavano meglio riuscivano a vedere oltre il fumo che ancora si levava dai tronchi anneriti o dal terreno; la neve era completamente svanita, l’erba incenerita e la terra bruciata. C’erano le orme di numerosi piedi umani che sembravano aver tenuto un’andatura frettolosa.
E infine giunsero in vista della radura dove tutto doveva essere avvenuto, ma per poco non si misero tutti a gridare per quello che videro: al centro della radura, attorniato da rami spezzati, c’era il corpo di una creatura enorme, la grande testa era riversa su un lato, aveva un lungo collo, un paio di enormi ali distese scompostamente, due zampe con quattro lunghi artigli e una coda che pareva un serpente sinuoso lunga almeno il doppio del resto del corpo. Su tutto il dorso erano allineate delle spine, e altre sul fianco della coda sostenevano una membrana che poi andava a formare le ali. Era coperto di scaglie, alcune viola e altre grigie. La creatura era sicuramente morta, perché non respirava e giaceva in una pozza di sangue, la membrana delle ali era danneggiata. La testa, comprendendo anche le lunghe corna che aveva alla base del cranio, era lunga quanto Layla, e le decine di denti all’interno della bocca socchiusa avevano dimensioni spaventose.
Tremando come una foglia, Andrew suggerì di andarsene alla svelta, si sosteneva con un braccio perché era sicuro che la schiena non l’avrebbe retto nemmeno da seduto.
«È morto, non lo vedi?» lo apostrofò Jennifer riprendendo un po’ di contegno. Quindi si rialzò e decise di avvicinarsi, sicura che nessuno fosse nei paraggi – chi mai si sarebbe avvicinato a una creatura del genere senza prima essere stato abbastanza vicino da confermare che fosse morta?
«Alcuni animali si fingono morti per attirare le prede!» sussurrò Mike in preda al panico «Torna qui!»
«Non succederà niente!» ribatté lei volgendo le spalle alla creatura «Visto? Non sta fingendo!» e così dicendo diede un colpetto a una delle ali senza smuoverla di mezzo pollice.
Emily si avvicinò a sua volta seguita da Layla e poi da Mike, mentre Susan e Andrew non sembravano affatto convinti di volersi portare più vicini a una creatura del genere, come temendo che potesse svegliarsi e divorarli in un sol boccone. Con le fauci che aveva, sarebbe stato un gioco da ragazzi.
«Cosa credete che sia?» domandò Layla incuriosita, a una seconda occhiata non più spaventata trovò che quella creatura fosse meravigliosa, le scaglie iridescenti luccicavano talvolta di rosa, talvolta di bianco, o scurivano in viola e nero. Il viola più scuro sembrava alternarsi a quello più chiaro disegnando un motivo a strisce sul dorso.
«Che fosse.» precisò Emily accarezzandosi una ciocca di capelli ambrati «Non ne ho idea, non ho mai visto nulla di simile...»
«Le ali somigliano vagamente a quelle di Glayth. Potrebbe essere un drago?» domandò Mike figurandosi nella mente un’immagine della divinità: era solitamente rappresentata in forma umana, coi capelli rossi come fuoco e penetranti occhi dorati, ma aveva un paio di corna sulla fronte, un paio d’ali, dita artigliate, una lunga coda e gran parte del suo corpo era coperto di scaglie brunite.
«Pensavo che i draghi esistessero solo nelle leggende.» disse Jennifer angosciata; non le piaceva l’idea che creature che fino ad allora aveva creduto esistessero solo nelle storie in realtà vagassero a piede libero nel mondo reale.
«Leggenda o no è meraviglioso.» sussurrò Layla incapace di distogliere lo sguardo dal muso lungo e sottile, gli occhi erano velati da una strana membrana di un colore indefinito tra il viola e il grigio, quindi non poté vedere il colore dell’iride.
«Davvero. È un peccato che sia morto.» assentì Mike con un sospiro.
«Se fosse davvero un drago non la penseresti così.» puntualizzò Andrew alle loro spalle «Si dice che i draghi sputino fuoco. Sono felice che sia morto.»
Susan, ora più sicura e più vicina alla creatura la stava osservando meglio e non riuscì a non sentire un moto di tristezza alla vista di quelle ferite.
Emily le indicò: «Non sembrano essere causate da una spada, che dite? Sembra che qualcosa di più grosso l’abbia graffiato...» a quelle parole rabbrividì, non volendo immaginare una creatura uguale a quella ma ancora più grande «Potrebbe essere rimasto ferito e costretto a terra.»
«Questo ancora non spiega perché abbia bruciato tutto qui intorno.» disse Andrew ancora angosciato «Non c’è spazio qui per due creature così grandi, da cosa dovrebbe essersi difeso?»
«Probabilmente non lo sapremo mai.» disse Susan con un sospiro triste.
Distogliendo lo sguardo dalla creatura per un solo attimo, Jennifer scorse qualcosa che mai si sarebbe aspettata di trovare lì attraverso un foro piuttosto largo nella membrana delle ali: qualcosa luccicava sotto di esse, qualcosa di verde che non aveva niente a che vedere col viola pallido della membrana delle ali.
I suoi sospetti divennero realtà quando spostandosi in una posizione che le permettesse di guardare sotto l’ala vide non una, ma ben altre quattro di quelle pietre. Col cuore che le martellava forte in petto strillò e chiamò gli altri a sé, trattenendosi a stento dal saltellare come una bambina che avesse appena ricevuto il permesso di dormire a casa di un’amica per la prima volta.
Gli altri accorsero in tutta fretta e rimasero letteralmente a bocca aperta quando videro le pietre ammucchiate vicine al ventre della creatura.
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Mike agitò le mani e si prese a schiaffi un paio di volte per essere certo che non si trattasse di un sogno, poi domandò a raffica: «Cosa ci fanno qui sotto? Cosa sono? Abbiamo un modo per portarcele a casa? Non abbiamo nulla con noi, vero? Maledizione!»
«Rilassati!» esclamò Layla, anche lei tuttavia in preda a una strana euforia.
«Possiamo sempre prenderle in mano!» disse Susan.
Fece per chinarsi quando Emily disse: «Aspetta! Non sappiamo cosa siano né perché si trovino con questa... creatura. Forse dovremmo semplicemente lasciarle qui.»
«E se qualcuno le trovasse?» esclamò lei contrariata.
«Già, magari le due che abbiamo trovato le aveva prese qualcuno e nascoste altrove.» assentì Jennifer.
«Quindi staremmo rubando a una creatura deceduta e a dei ladri?» intervenne Andrew, poi scrollò le spalle e con aria indifferente disse: «Nessun problema allora.» e così dicendo si piegò per raccogliere la pietra nera e grigia screziata talvolta di rosso.
Mike raccolse quella blu chiaro con chiazze azzurre o blu scuro che si muovevano sulla superficie come nuvole in cielo, talvolta comparivano delle timide screziature argentee; Layla quella viola con chiazze rosa che sembravano brillare di una debole luce propria; Emily alla fine si decise a prendere tra le mani l’ultima restante, quella verde e nera.
Rimasero tutti sorpresi quanto lo erano state Jennifer e Susan quando, raccogliendole da terra, si accorsero che non pesavano affatto quanto la dimensione suggerisse. Emily era sempre più convinta che quella faccenda fosse strana: il peso, la forma, la lucentezza, il colore di quelle pietre, ma soprattutto il luogo del ritrovamento, le facevano credere che non si trattasse affatto di semplici pietre. E le tornò alla mente d’un tratto la storia del demone che deponeva uova bellissime e si aggirava nei pressi della Foresta.
Uova... pensò spaventata Queste sono uova...
Non ebbe il tempo di esporre la propria idea agli altri. Con un fruscio qualcuno emerse dal folto del bosco alle loro spalle e gridò qualcosa, spaventandoli e facendoli voltare: si trovavano davanti a un uomo robusto coperto di una leggera armatura di cuoio, alla cintola pendevano una spada da una parte e un pugnale dall’altra, mentre un’altra lama corta era infilata nello stivale.
L’uomo gridò di nuovo ed estrasse i due pugnali, puntandogliene uno contro e dicendo minaccioso: «Lasciatele giù, quelle sono nostre. Lasciatele e dimenticate di averle viste, e forse vi lasceremo vivere.» concluse con voce untuosa e un sorriso che pareva più un ghigno.
Presi dal panico si limitarono a fissarlo con terrore per alcuni lunghi attimi, non avendo idea di cosa fare. Poi Mike decise di voltarsi e scappare, e tutti gli altri furono costretti a seguirlo e correre a gambe levate, perché il bandito – o mercenario, o qualunque cosa fosse – aveva cominciato a seguirli gridando frasi sconnesse, probabilmente chiamando i suoi compagni da chissà dove.
Corsero a perdifiato nel bosco col cuore in gola, sperando di essere abbastanza veloci da seminare quell’uomo, ma in un primo momento le cose non sembravano andare a loro favore; quello pareva un forsennato deciso a riprendersi il suo tesoro... e che tesoro. Era naturale che non vi avrebbe rinunciato facilmente.
Cambiavano spesso direzione e improvvisamente, sperando di guadagnare pochi secondi preziosi, ma non gli passò minimamente per la testa di separarsi, perché se per caso il tizio li avesse raggiunti in sei avrebbero avuto più possibilità di uscirne vivi.
D’un tratto Susan cominciò a chiamare il nome di Cedric più forte che poté, perché lui era armato di un arco e se poteva scegliere tra la compagnia di un ragazzo mezzo matto in cambio di protezione e al contrario non avere a che fare con lui ma doversela vedere da sola con quell’uomo, per lei non c’erano dubbi: era meglio la compagnia di uno squilibrato armato che li avrebbe difesi.
«Cosa fai?!» le gridò dietro Emily contrariata.
Ansimando, Susan rispose: «Lui può far scappare il tizio!»
«E come? Non incuterebbe terrore nemmeno in un coniglio!»
«Ma ha ragione, è la nostra più concreta via di fuga al momento.» disse Jennifer, e anche lei cominciò a sbraitare richieste d’aiuto.
Non sapevano nemmeno dove si fosse diretto da quando l’avevano lasciato, ma optarono per una generica direzione nord-est, praticamente l’opposto di dove si erano diretti loro. Non si aspettavano di poterlo trovare prima che fosse lui a rintracciarli, e infatti dopo aver quasi perso le speranze lo videro venirgli incontro con l’arco abbassato e l’aria a dir poco infastidita.
Si fermarono col fiato corto davanti a lui, Andrew e Susan caddero in ginocchio cercando di respirare, e Cedric non tardò a vedere le pietre che tenevano in mano; sul suo viso comparve un’aria sinceramente incredula e, gli parve, anche un poco spaventata.
Ebbe solo il tempo di dire: «Dove avete trovato delle...» che l’uomo arrivò e si fermò a breve distanza da loro. Vedendolo armato, il ragazzo fu sorprendentemente rapido a incoccare una freccia e puntare l’arma dritta sull’uomo, che sembrò studiarlo con circospezione, mentre gli altri ragazzi si toglievano dalla traiettoria portandosi alle spalle di Cedric, dove immaginavano che sarebbero stati al sicuro almeno per un po’.
I due si guardarono a lungo senza muoversi né abbassando le armi, limitandosi a studiarsi. L’uomo sapeva che non avrebbe avuto tempo di fare due passi prima di essere colpito, e Cedric sapeva che se per caso la sua freccia non l’avesse ucciso, fermato, o anche solo rallentato, di sicuro sarebbero morti loro, trafitti da quei pugnali.
Senza staccare gli occhi dall’uomo armato Cedric domandò ai ragazzi alle sue spalle: «Cosa sta succedendo?»
Esigeva una spiegazione, essendo capitato in mezzo tra loro e quel tizio e sentendosi costretto a difenderli per qualcosa che nemmeno sapeva, e Jennifer era disposta a dargliene una.
Fece per aprire bocca ma l’individuo in armatura allargò le braccia come a mostrargli che non aveva intenzione di aggredirlo, e con lo stesso sgradevole sorriso che pareva un ghigno disse: «I tuoi amichetti hanno rubato degli oggetti di valore in mio possesso.»
Emily fu rapida a ribattere: «Non siamo suoi amici!» con una faccia che pareva avesse appena ingerito un limone per intero.
Cedric la ignorò e disse: «L’ho notato.» senza tuttavia abbassare l’arco.
«Gradirei riaverli indietro.» continuò l’uomo.
«E tu a tua volta a chi le avevi rubate?»
«Io le ho trovate.» rispose freddamente, abbandonando il sorriso per un’aria minacciosa «E le stavo controllando in attesa di persone con cui ho già un accordo. Perciò se non ti dispiace gradirei che me le restituissero.»
Cedric sembrò riflettere a lungo, tanto che Mike e Andrew cominciarono a sospettare che volesse abbassare l’arma e lasciare che l’uomo si riprendesse le sei pietre.
Ma alla fine il ragazzo scosse la testa e disse: «Non appartengono né a loro né a te. Vanno lasciate esattamente dove sono state trovate.» strinse la presa sull’arma.
«Appartengono a me.» ringhiò l’uomo «Io le ho trovate, due mi erano state rubate, e ora trovo questi ragazzini a rubare le altre! Ho già un accordo! Devo consegnarle!»
«Quelle creature non appartengono a nessuno.» sussurrò Cedric cupamente.
«Sciocchi ragazzini!» gridò l’uomo, afferrò più saldamente i pugnali e gli saltò addosso urlando e imprecando, dando per scontato che Cedric non avrebbe realmente avuto il fegato di ferirlo, tantomeno ucciderlo.
Susan gridò spaventata, Mike e Andrew corsero dalla parte opposta, Emily invece prese Layla e Jennifer e le nascose dietro di sé, a sua volta nascosta dietro Cedric, il quale non si scompose e prese la mira per poi liberare la freccia, che andò a conficcarsi nella spalla dell’uomo.
Venendo colpito, quello cadde a terra e rotolò ora gridando di dolore mentre i ragazzini osservavano la scena con occhi sbarrati; quella ferita se curata non l’avrebbe ucciso, era solo mirata a rallentarlo e scoraggiarlo a inseguirli o minacciarli nuovamente.
Cedric ugualmente gridò loro di correre via, e insieme a lui si allontanarono verso est finché il tizio in armatura sparì dalla loro vista e le sue grida svanirono sostituite dal silenzio del bosco, dal loro respiro affannato e dai loro passi che spezzavano rami e calpestavano neve mezza sciolta. Quando si fermarono, Cedric era l’unico a non ansimare pesantemente, probabilmente perché non aveva corso anche prima al contrario di loro che erano scappati a lungo prima di incontrarlo.
Incrociò le braccia sul petto e li guardò tutti con sguardo accusatorio attendendo delle spiegazioni senza nemmeno chiederle, certo che i suoi occhi dicessero abbastanza. E infatti nessuno sembrava volerlo guardare o volergli parlare per dirgli cos’avessero combinato per costringerlo a ferire gravemente uno sconosciuto – che probabilmente aveva amici altrove e nemmeno troppo lontani.
Questo pensiero non tardò a colpire Emily, che appena ritrovato un po’ di coraggio, solo dando una rapidissima occhiata al suo arco e la rispettiva faretra, esclamò: «Sciocco! Ora lo dirà ai compagni e a quel qualcuno che aveva contattato!»
«Sciocco io?» disse lui fuori di sé dalla rabbia «Cos’avrei dovuto fare? Ucciderlo? Con voi lì presenti? Se vuoi torno indietro e gli do il colpo definitivo!»
«Sarebbe il minimo! Credi che non sappia da dove veniamo? Quanti villaggi ci sono qui intorno?»
«Non sarebbe successo se per prima cosa non aveste preso quelle uova!»
«Uova?» domandò Jennifer spaesata.
«Neanche sapete cosa sono!» esclamò portandosi l’unica mano libera al viso e sospirando cercando di calmarsi «Sono uova di drago maledizione! E sarà meglio che le riportiate dove stavano al più presto!»
«Ma il bandito se le riprenderà!» protestò Mike.
«E il drago era morto.» aggiunse Layla.
Cedric cambiò improvvisamente espressione e domandò incredulo: «Morto? Come sarebbe a dire morto
«Era... morto?» fece Jennifer confusa, non sapendo bene come rispondere alla sua domanda.
«No certo, questo l’ho capito, ma... Non era una domanda. È solo che... un drago morto, qui? Chi l’ha ucciso?»
«Non siamo riusciti a capirlo.» rispose Andrew.
«Quindi il drago non può riprendersi le uova, essendo morto. Ed è meglio che le abbiamo noi piuttosto che quei banditi. Non credi?» disse Mike «Chissà in che mani finirebbero se le dovessero vendere a quel contatto di cui parlava!»
«Certo...» sussurrò Cedric pensieroso, e per la prima volta sembrò essere d’accordo con loro.
«Quindi quello era davvero un drago?» domandò Layla più a se stessa che al gruppo.
«E le storie del demone che depone uova sono vere!» esclamò Jennifer.
«Solo che non si tratta di un demone.» precisò Susan.
«Abbiamo visto un drago!» riprese Layla col fiato corto dall’emozione, come se gli altri non avessero parlato.
«Morto.» aggiunse Mike.
«Era bellissimo...» continuò imperterrita con aria sognante, quasi come se ancora potesse vederlo e immaginarselo vivo, camminare davanti a lei. Ripensando alle dimensioni di quelle spine, denti e artigli rabbrividì e tornò coi piedi per terra.
«Quindi ora che facciamo?» domandò Andrew.
«Tu vai a occuparti di quel tizio.» disse Emily severamente indicando Cedric «Mentre noi troveremo un posto sicuro per queste uova.»
«Ma non ci sono posti sicuri a Darvil!» protestò Andrew «E poi che ce ne facciamo di sei uova? Va bene proteggerle, ma se poi i draghi dovessero nascere e rivoltarsi contro di noi?»
«Potremmo cercare un posto sicuro nella Foresta, dove nessuno andrebbe mai a cercarle.» disse Cedric, procurandosi le occhiate incredule di tutti «Non c’è un luogo migliore per una covata di piccoli draghi per nascere.»
«Allora sei pazzo per davvero!»
«Ma la Foresta è pericolosa per sei cuccioli!» esclamò Susan.
Ignorò l’insulto di Andrew e rispose alla ragazza: «Non sono cuccioli normali. È vero è piena di creature pericolose, ma è l’unico luogo qui intorno che non verrebbe mai esplorato dai banditi, il più lontano dai centri abitati e non meno importante quello con la più alta probabilità che una volta nati incontrino un altro drago. Gli alberi sono così grandi e alti da nasconderli a occhi indiscreti, se ci sono altri draghi nei paraggi che possono crescere questi piccoli di sicuro non li troveremmo qui, ma nella Foresta.»
«E come lo troviamo un posto sicuro? Noi?» ribatté Mike contrariato, provando un immotivato fastidio per come il più grande si esprimeva, con termini così ricercati «Io non ho alcuna intenzione di esplorare quel posto per lasciarci sei uova di drago!»
«Posso andare da solo se preferite.» sussurrò Cedric, come se in realtà non sperasse altro.
«Tu vuoi le uova per te!» lo accusò Susan guardandolo storto.
«Cosa? No! Non me ne farei nulla...»
«Di un drago?» lo interruppe Emily «Davvero?»
«Mi porterebbe solo guai, probabilmente. E non ho il tempo di crescere un cucciolo. Ad ogni modo non è questo il punto, ve l’ho già detto!»
Rimasero in silenzio a lungo riflettendo sulle sue parole, finché Jennifer disse con decisione: «D’accordo.» e tutti la guardarono stupiti, non credendo davvero che volesse separarsi dal suo uovo rosso. Ma si affrettò ad aggiungere: «Ti daremo la possibilità di cercare un luogo sicuro dove lasciarle nella Foresta. Ma se non lo troverai entro una settimana ci terremo le uova e cresceremo i draghi.»
Il ragazzo alzò un solo sopracciglio, perplesso e incredulo a un tempo, e domandò: «Come sperate di crescere sei draghi?»
«Ancora non lo so. Ma è meglio che abbandonarli in un luogo pericoloso o peggio lasciarli a quei banditi. Non approvi?» gli chiese poi con fare provocatorio.
Dopo un lungo silenzio Cedric sospirò e annuì, forse rassegnato, poi ricordò loro di avere delle faccende in sospeso, senza scendere in dettagli che li avrebbero solo angosciati, e corse via sparendo in fretta tra la fitta vegetazione.
Quando il ragazzo fu lontano, Layla si mise le mani sui fianchi e disse: «Ma ancora non abbiamo trovato un luogo dove nasconderle a Darvil.»
«Maledizione l’avevo dimenticato!» esclamò Mike battendosi un pugno sull’altra mano aperta.
«Potremmo costruire un riparo improvvisato al limitare di questo bosco.» propose Susan «Non troppo dentro ma nemmeno troppo vicino al villaggio da poterci incappare per sbaglio.»
«Dove ho trovato la mia!» disse Jennifer «Non penso che i banditi tornerebbero a controllare quel posto se...»
«No.» la interruppe Layla «Il tizio che abbiamo incontrato ha detto che due gli erano state rubate. Quindi dove l’hai trovata tu non l’aveva nascosta lui, ma qualcun altro ancora.»
«C’è un altro bosco, a est.» disse Mike «Le lasceremo lì anche se è più lontano. Non saranno in molti ad avvicinarsi al bosco che precede la Foresta.»
«Dovremmo attraversare Darvil con queste in bella vista, sei impazzito?» esclamò Susan.
«Allora teniamo buona la tua idea.» le disse Andrew «Al limitare di questo bosco. Andiamo!» e così dicendo corse via, ma il dolore al petto delle corse di poco prima lo colpì così in fretta che fece solo alcuni balzi prima di arrendersi e proseguire camminando, imitato dal resto del gruppo.
Non cercarono a lungo un posto dove piazzare le uova, gli andò bene il primo cumulo di rocce che trovarono non lontano dal limitare del bosco. Piuttosto cercarono rami, muschio e grosse foglie con cui poterle nascondere. Camuffarono il tutto con un bel po’ di erbacce per non farlo sembrare un nascondiglio creato da esseri umani, e a questo proposito posizionarono alcune foglie di felce come se fossero una sola pianta.
Si allontanarono solo quando furono soddisfatti, proprio mentre il sole cominciava a calare dietro le montagne a ovest, perciò si affrettarono a tornare ognuno a casa propria prima che i genitori potessero insospettirsi o preoccuparsi della loro prolungata mancanza.

Nel frattempo Cedric aveva seguito le tracce lasciate dall’uomo che, strisciando o avanzando con passo malfermo o talvolta trascinandosi con l’aiuto del braccio sano, si era diretto verso nord-ovest lasciando dietro di sé una lieve scia di sangue, terra smossa e arbusti spezzati. Non gli fu difficile trovare l’uomo ferito, ma com’era successo agli altri ragazzi vedendo il cadavere del giovane drago riverso a terra per poco non si fece scoprire balzando indietro; l’individuo in armatura era lì appoggiato al fianco della creatura, ansimava pesantemente e con delle smorfie di dolore volgendo spesso lo sguardo alla lunga freccia ancora intatta che gli trapassava la spalla sinistra.
Era da solo, e dal momento che a terra era pieno di impronte – sicuramente molte di quelle appartenenti ai ragazzi di Darvil – gli fu impossibile capire se qualche suo compagno fosse nei paraggi al momento. Doveva semplicemente farla finita, e in fretta, prima che quegli eventuali compagni tornassero sopraffacendolo col loro numero.
Incoccò una freccia e tirò la corda, non aveva paura di uccidere, non aveva paura della morte da quando aveva assistito al massacro dell’unica persona che lo avesse mai amato. Trattenne il fiato e liberò la corda della sua presa, così la freccia volò rapida a trapassare il cranio dell’uomo da una tempia all’altra, senza rumore né lamenti da parte sua.
Con un sospiro forzatamente silenzioso si volse dalla parte opposta e se ne andò senza fare rumore, senza il bisogno di accertarsi che l’uomo fosse morto. Di certo i suoi compagni avrebbero pensato che l’assassino fosse di Darvil, ma non credeva si sarebbero arrischiati ad attraversare il villaggio in cerca del possessore di quelle frecce. O forse avrebbero pensato a un altro gruppo di banditi. Comunque sarebbero andate le cose, non credeva di doversi preoccupare nell’immediato futuro.

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Capitolo 4
*** A safe place ***


Il colore del titolo del capitolo corrisponde al colore della regione in cui la storia al momento si svolge, tenete d'occhio la mappa per sapere dove ci troviamo!

A SAFE PLACE

Non potendo tornare a casa prima di aver cacciato qualcosa, Cedric decise fin da subito di lasciar perdere il bosco a nord-ovest di Darvil e recarsi invece direttamente nella Foresta o nel bosco che la precedeva, per svolgere entrambi i suoi compiti; prima che il sole fosse calato aveva già preso il suo cavallo nero dalla stalla e si era addentrato nel bosco a est fin quasi raggiungere la Foresta. Si tenne alla larga da essa per dormire, e così aveva intenzione di fare ogni notte che avrebbe dovuto passare fuori, perché sapeva cosa abitasse la Foresta e non aveva alcuna intenzione di incapparvi al buio, tantomeno essere colto di sorpresa.
Non s’impegnò realmente per cacciare, dal momento che se fosse tornato a casa avrebbe avuto altri lavori da svolgere e niente tempo libero da dedicare alla ricerca nella Foresta. Ma per quanto s’impegnasse addentrandosi il più possibile fino a metà pomeriggio per poi tornare indietro e non passare lì la notte, la Foresta pareva tutta uguale: alberi che potevano raggiungere l’altezza di una collina, distanti anche centinaia di piedi gli uni dagli altri, praterie di erba alta quanto due o a volte tre uomini, rocce piante e funghi di dimensioni sconfinate. C’erano numerose radici dissotterrate, ma tutto era così ingigantito da non offrire un reale buon nascondiglio per sei uova di drago dai colori vivaci, ben visibili da qualsiasi distanza.
Più di una volta rischiò un incontro ravvicinato con alcune delle creature che abitavano il luogo, per fortuna per lo più bestie mansuete e non i pericolosi Krun, creature simili a lupi ma dotati di intelligenza quasi pari a quella umana, alti più di sei piedi, feroci, selvaggi, e muniti di corna, lunghi artigli, ed utensili spaventosi.
Nel frattempo gli altri andarono ogni tanto, senza ritrovarsi prima o mettersi d’accordo, a controllare che le uova fossero ancora in salvo nel nascondiglio. Layla era quella che andava più spesso perché più vicina al piccolo ponte a nord che le permetteva di passare inosservata agli occhi degli uomini nei campi non molto distanti.
Nessuno toccò mai le uova in quel periodo.
Non ebbero notizie di Cedric nei giorni che seguirono finché non fu lui stesso a tornare al villaggio, fece tappa prima dal macellaio a consegnare parte della selvaggina che aveva cacciato, e Layla – che in quel momento era col padre – gli consegnò dei piccoli simboli di legno intagliato pari al valore della cacciagione in modo che non avrebbe dovuto pagare in altri modi se mai avesse avuto bisogno di acquistare qualcosa dall’uomo. Un favore in cambio di un altro.
Per via della presenza del macellaio e di un cliente, Cedric fece finta di non vederla nemmeno, com’era successo quelle rare volte che l’aveva incontrata in passato, e se ne andò dicendo solo il minimo indispensabile seguito dalle occhiate torve dei due uomini.
Quando il ragazzo se ne andò, Layla non lo seguì sebbene dentro di sé bruciasse dalla voglia di sapere se potevano o no tenersi le uova, se avesse trovato un posto dove lasciarle. Ma andargli dietro di corsa avrebbe significato destare non pochi sospetti nell’animo di suo padre, quindi rimase lì buona ad assisterlo per quell’unico giorno della settimana che le era richiesto.
Proprio oggi doveva tornare?! si chiese indispettita fissando l’amico di suo padre con ostilità senza rendersene conto Beh, se non fosse passato oggi non avrei saputo del suo ritorno a Darvil, se non altro. Almeno finché gli altri non sarebbero venuti a cercarmi.
La seconda tappa la fece da Gerida, le portò tutte le erbe che aveva raccolto – e che aveva imparato le servissero – e lei in cambio gli diede una medicina.
Solo allora Jennifer riconobbe chi fosse e come mai ne avesse già sentito parlare: l’aveva visto di persona pochissime volte, dal momento che quando consegnava le erbe a sua madre lei spesso e volentieri si trovava altrove, o con amici, ma sapeva che la guaritrice talvolta preparava delle foglie che infuse in acqua calda permettevano di tenere sotto controllo l’umore di una persona, o persino annullarne le emozioni. A sua madre Cedric non piaceva, ma lo aiutava per andare incontro a suo padre e sua sorella che altrimenti dovevano avere a che fare con uno squilibrato tutte le ore del giorno; lei cercava di ridurre il numero di ore. E a Cedric non piaceva farsi curare a quel modo, ma sapeva di non avere altra scelta.
Appena Gerida fu sparita a riordinare nella stanza delle medicazioni le nuove erbe, Jennifer prese di corsa la sua borsa a tracolla e uscì in fretta di casa trotterellando dietro Cedric senza che lui se ne accorgesse. Non aveva intenzione di indagare su quello strano rimedio, ma aveva intenzione d’interrogarlo riguardo la Foresta.
Lo spaventò quando gli chiese: «Allora? Hai novità per noi?»
Il ragazzo prima fece un balzo all’indietro guardandola sorpreso e innervosendo il cavallo nero, poi si guardò intorno circospetto, e infine le rispose: «Ancora nulla.»
«Non hai trovato un posto?» domandò chiaramente speranzosa.
«No.» a quella parola infatti Jennifer fece un gesto di esultanza, senza fiatare «Non credo sia un bene, sai?» commentò torvo, e riprese a camminare.
Lei lo imitò ammirando il grande animale come se non ne avesse mai visto uno: «Come pensi che potremo farle schiudere? Dobbiamo covarle come gli uccelli?»
«Per la pietà dei Dodici, non ne ho idea!» ribatté piuttosto angosciato «E non dovresti nemmeno pensarci.»
«Meglio noi dei banditi!»
«Abbassa la voce.»
«Non c’è nessuno. Dove stiamo andando?»
«Stiamo? Io a recuperare mia sorella, tu probabilmente faresti meglio a tornare a casa.»
«Sono appena uscita...» brontolò, ma si riprese in fretta: «Quindi non torni nella Foresta?»
Cedric le rivolse uno sguardo infastidito per aver nominato ad alta voce un luogo mal visto; il connubio Cedric e Foresta non avrebbe portato altro che guai.
Alla fine le rispose: «Non oggi.»
«Non hai paura ad andare lì da solo?» attese a lungo una risposta alla domanda, che però non venne, quindi chiese ancora: «Ci tornerai ancora o no? Mi è sembrato di capire che non ci siano molte speranze di trovare un posto dove lasciare le... le... quelle.»
Il ragazzo sospirò e disse stancamente: «Forse.»
«Siamo a metà della settimana che ti abbiamo dato, sai?» osservò la ragazzina con aria compiaciuta e saccente.
«Lo so, ma ho altro da fare! Al contrario di te a quanto pare.» ribatté scontroso.
E lei prese un’aria offesa: «Va bene, ho capito. Se non hai tempo di cercare un posto vorrà dire che dovremo trovare un modo per farli nascere. E per l’amore di Lya prendi quella cosa che controlla il tuo umore prima di dire qualcosa che potrebbe nuocere!» esclamò stizzita, gli volse le spalle e se ne andò a grandi passi.
Ignorò sfacciatamente la sua sorpresa e pretesa di spiegazioni, decisa invece a chiamare Mike e Susan per andare a dargli la buona notizia, e magari convincerli ad andare dove avevano nascosto le uova.
Convincere Sirela a far uscire Mike fu più difficile, ma alla fine i tre amici corsero via, verso il ponte nord. Susan propose di andare a chiamare anche Layla ma Jennifer le ricordò che quel giorno doveva assistere suo padre al negozio.
Giunti al nascondiglio nel bosco, Jennifer diede agli altri due la buona notizia, e animati da una strana euforia cominciarono a discutere di come potessero fare a schiudere quelle uova; dubitavano che per una creatura leggendaria bastasse aspettare che passasse il giusto periodo. La loro unica possibilità era trovarlo su un libro, ma nessuno di loro sapeva leggere abbastanza, giusto alcune parole legate ai mestieri dei propri genitori o dei loro amici.
Il comportamento di Jennifer aveva fatto venire voglia a Cedric di tornare al più presto nella Foresta e ricominciare la sua ricerca di un luogo dove lasciare le uova, quindi andò direttamente a casa propria invece di andare a prendere sua sorella da Ilion per portarla con sé. Si fermò giusto per mangiare, curarsi e riposare un po’, e fu fuori in sella al suo cavallo prima ancora che suo padre fosse tornato da lavoro, lasciandogli quindi credere che non fosse mai tornato dal suo periodo di caccia.

Lo incontrarono tre giorni dopo quando, andando tutti insieme a controllare le uova – compresa Emily – lo trovarono proprio inginocchiato lì accanto con un cavallo nero lasciato libero di brucare l’erba poco lontano.
Gli rivolsero un’occhiata incredula che lui ricambiò con un mezzo sorriso sarcastico, poi Jennifer fece la domanda a cui tutti stavano pensando: «Come le hai trovate?»
Cedric si rialzò e con una scrollata di spalle rispose: «Non nascondete le tracce.»
Mike invece chiese più amareggiato: «Hai trovato un posto?»
A quel punto il ragazzo sfoderò un sorriso vittorioso guardando solo Jennifer: «Sì.»
Emily sembrò l’unica sollevata dalla notizia, tutti gli altri brontolarono qualcosa o protestarono, tanto che non si capì cosa stessero dicendo individualmente. Susan scosse la testa contrariata e si avvicinò a grandi passi pestando i piedi, per poi raccogliere l’uovo giallo e stringerlo tra le braccia. Guardò Cedric con aria imbronciata, come sfidandolo a portarglielo via con la forza, e lui ricambiò l’occhiata a metà divertito ed esasperato. Quando però anche Mike Jennifer e Andrew fecero lo stesso, perse definitivamente il sorriso e li guardò invece con fastidio.
«Avevi detto una settimana.» disse a Jennifer «Una settimana, e ho trovato un posto. Ora sta a voi mantenere la parola.»
«Potremmo almeno aspettare che nascano!» protestò Andrew «Così saremmo sicuri che possano scappare o difendersi!»
Emily rise, mentre Cedric girò gli occhi ed esclamò: «E poi cosa? Insisterete per crescerli?»
«La madre è morta e i banditi cercano le uova!» ribatté Mike «Andrew ha ragione, dovremmo almeno assicurarci che nascano.»
«E poi vorrete assicurarvi che siano al sicuro, che crescano bene, che abbiano compagnia...»
«Cosa c’è di male?» domandò Susan indispettita «Saranno cuccioli, che c’è di male se giochiamo un po’ con loro?»
«C’è che non sono cani, sono draghi! Non animali da compagnia!»
«Li controlleremo finché saranno abbastanza grandi da difendersi dai banditi.» disse Mike ostinato.
A quel punto intervenne Layla, fece alcuni passi avanti e disse con fare pacato, al contrario di tutti loro: «E se si abituassero alla presenza umana e non scappassero dai banditi? Potrebbero non capire la differenza tra noi e loro, e quindi lasciarsi catturare.»
Ma Cedric la smentì, andando contro i suoi piani di abbandonare i draghetti nella Foresta: «Non sono stupidi, per quanto si sappia. Potrebbero essere più intelligenti di noi.»
«Ma sarebbero comunque nati da poco. Non possiamo abbandonarli a loro stessi, ma non possiamo crescerli...» disse poi più a se stessa che a loro.
«Dobbiamo scegliere il male minore.» disse Jennifer.
«Quindi aiutarli a crescere.» disse Andrew.
«Assolutamente no, è la cosa peggiore che possiamo fare.» ribatté Cedric «Hai idea di quanti problemi comporterebbe? E se per caso si venisse a sapere? Chi vuole le uova di drago verrà a cercare anche noi, stanne certo.»
«Ma qui sembra che siamo almeno quattro contro uno.» disse Susan con aria soddisfatta «Nessuno ti obbliga a crescere un drago, basta che tieni la bocca chiusa. Layla? Emily? Voi che volete?»
Layla guardò immediatamente l’amica più grande come aspettando il suo permesso per dire di sì, ma Emily dopo una lunga pausa scosse la testa e disse incrociando le braccia: «No, io non voglio avere un drago. Sputano fuoco! Mi brucerebbe la casa. E se sputano fuoco vuol dire che puzzano. E chissà quanto mangiano, se come dicono le storie non smettono mai di crescere! E volano, e io ho paura dell’altezza. Per colpa di qualcuno...» concluse lanciando un’occhiata cupa a Cedric.
Solo leggermente sorpresa e triste per la risposta negativa, Susan guardò Layla e le domandò: «E tu?»
La ragazza sembrò combattuta e spaesata, guardò ripetutamente Emily, poi Cedric, e poi le uova, cercando di decidere al più presto quale sarebbe stata la sua risposta. Il drago morto che aveva visto nel bosco le era piaciuto immensamente, e ciò la tentava di rispondere sì. Ma era anche vero che se qualcuno fosse stato davvero alla disperata ricerca di quelle uova, probabilmente facendo nascere il drago si sarebbe cacciata in grossi guai.
Alla fine, dopo una lunga pausa di riflessione, annuì timidamente.
«Ottimo!» esclamò Jennifer tutta contenta «Mi dispiace Cedric. Hai perso!»
Lui le rivolse un’occhiata truce: «Non ho perso altro che tempo. Avrei dovuto capirlo da subito e lasciarvi ricoperti di guai senza cascarci a mia volta. Ma avrei potuto evitarmi una settimana nella Foresta, questo sì.»
«Quindi ora dobbiamo realmente trovare un posto sicuro dove farli nascere. E vicino.» aggiunse poi la ragazzina, per evitare di ritornare al discorso della Foresta «Qualche idea?»
«Perché, qui non va bene?» chiese Andrew guardando prima lei con sorpresa, e poi l’ambiente intorno come in cerca di pericoli.
«No, un posto al coperto. Credo siamo già stati abbastanza fortunati che nessuno abbia trovato le uova in questi giorni, se ci è riuscito lui...» e così dicendo lanciò una rapida occhiata a Cedric «E poi non possiamo rischiare che una volta nati se ne vadano a spasso, potrebbero essere visti o catturati.»
«Ha ragione.» disse Mike «Ma tenerli in casa sarebbe una follia.»
«Potremmo...» cominciò Cedric, ma si corresse subito e continuò: «Potreste, lasciarle nella stalla.»
«Quale stalla?» chiese subito Andrew.
L’altro scosse le spalle guardando verso il cavallo nero: «La mia stalla. Cioè, della mia famiglia.»
«Ma tu... ora vorresti aiutarci?» fece Susan perplessa, non credendo di potersi davvero fidare, ancora.
«In realtà no, però... ormai ci sono dentro, come ho detto. Tanto vale assicurarmi che a quei cuccioli non accada nulla di male.»
Il viso di Jennifer s’illuminò ed esclamò: «Grandioso!»
Layla invece gli chiese: «Non è pericoloso? Qualcuno potrebbe trovarle. Se la tua famiglia per caso entrasse...»
«Mia sorella difficilmente ha bisogno di un cavallo e mio padre... beh, non è lui a occuparsene. Ma posso sempre nascondere le chiavi se serve.»
«Allora te le porteremo domani. D’accordo?» disse Mike, e tutti gli altri tranne Emily annuirono. Ma dal momento che la ragazza aveva apertamente dichiarato di non volere un drago non le chiesero il perché.
Cedric decise dunque di passare un’altra notte fuori casa per non dover essere costretto a recuperare sua sorella e quindi averla tra i piedi la mattina seguente, mentre gli altri tornarono a casa propria per non insospettire i genitori.

La mattina seguente tuttavia uscirono tutti con una borsa, un mantello o uno zaino, e sgattaiolarono fuori da Darvil senza essere notati. Di nuovo Emily non si unì a loro, quindi discussero di come trasportare l’uovo verde senza insospettire nessuno, dal momento che un solo uovo a malapena entrava in uno zaino o in una borsa. Perciò Andrew sacrificò il suo mantello consunto per avvolgercelo dentro e trasportarlo come se stesse solo tenendo il mantello tra le braccia, perché inutile col caldo estivo.
Seguirono dunque Mike e Layla, perché erano gli unici a sapere dove abitasse Cedric, ma ancora dovettero fare attenzione agli sguardi delle persone nelle strade perché avrebbero dovuto nuovamente lasciare Darvil, questa volta dalla parte opposta, attraversando il ponte principale – il più lungo e largo.
Riuscivano già a vedere la casa, ma era ugualmente distante dal ponte, tanto che non sapevano se considerarla parte del villaggio o meno. E appena furono vicini notarono che per i canoni di Darvil era grande, forse più piccola solo di quella del medico – che però aveva una parte interamente dedicata alla funzione di sanatorio. Solo allora si preoccuparono di sperare che il ragazzo fosse in casa, sveglio, e soprattutto da solo.
Ma non servì bussare alla porta, perché Cedric li stava già aspettando a braccia conserte appoggiato a un’altra struttura, non troppo lontana dalla casa ma ancora più grande, che immaginarono essere la stalla di cui aveva parlato. E infatti fece loro cenno di seguirlo e aprì metà del grande portone, invitandoli a introdursi prima di lui.
Entrarono timidamente, un po’ in soggezione per la presenza di una decina di animali, tutti più alti di loro eccetto un puledro nello stesso recinto della madre, e si fermarono a pochi passi dall’ingresso, non del tutto certi di dove avrebbero potuto lasciare le uova.
Il ragazzo chiuse il portone dietro di loro e gli fece strada verso il fondo dicendo: «Sarà chiaramente una sistemazione provvisoria, non possono nascere e crescere qui dentro, naturalmente. Ma è meglio di nulla, almeno avremo tempo di pensare a una soluzione.»
Notarono che su ogni recinto era inchiodata una targhetta con scritto qualcosa che non riuscirono a leggere, ma immaginarono essere il nome del cavallo che vi abitava. E più o meno ovunque ci fosse dello spazio libero sulle pareti di legno erano appesi selle, finimenti, corde o altri strumenti di cui non conoscevano la funzione.
Giunto alla parete di fondo Cedric prese una scala a pioli e l’appoggiò a quello che gli altri avevano pensato fosse soltanto il soffitto dei recinti, ma che a quanto pareva avrebbe potuto sostenere il peso di tutti loro, dal momento che il ragazzo gli fece cenno di salire; lui avrebbe tenuto la scala perché non cadessero accidentalmente.
Così salirono uno alla volta, Andrew lasciò il proprio mantello con l’uovo verde a Cedric per avere le mani libere, e quando furono tutti su fu il loro turno di tenere la scala per far salire anche Cedric. Si guardarono intorno e non videro nulla di particolare, a parte del fieno in un angolo, un lenzuolo e l’arco e la faretra del ragazzo.
Sorridendo divertita dal pensiero che l’aveva colpita, Susan domandò: «Dormi qui la notte?»
Lui scosse le spalle e rispose: «A volte.»
Al che la ragazzina lo guardò allibita smettendo immediatamente di ridere per paura di averlo offeso. Ma se anche lo fosse stato non lo diede a vedere, perché si mise invece a preparare un giaciglio morbido per le uova, simile a un gigantesco nido d’uccello, con una discreta quantità di foraggio ed erba ormai secca.
«Quindi... quindi verrai a controllarle ogni tanto.» riprese Susan, sperando di riuscire a riguadagnare i punti persi con la domanda di prima aiutandolo col nido «Noi quando potremo venire?»
Cedric fece una smorfia: «Non troppo spesso, e di certo non di sera.»
«Mia madre non mi lascerebbe uscire comunque, la sera.» disse Andrew infastidito.
«Perché usare così tanto fieno?» domandò Mike scettico.
«Così è più soffice!» esclamò Susan tastandone la morbidezza.
«Ma sono solo uova!»
«Beh almeno staranno un po’ al caldo.» disse Jennifer con una scrollata di spalle.
Caldo... pensò Layla, qualcosa le diceva che fosse importante. E alla fine le venne alla mente il perché ed esclamò: «Credo che il drago avesse bruciato tutta la radura proprio per questo!»
Tutti la guardarono, e Andrew le chiese: «Per riscaldare le uova?»
«E se il fuoco fosse l’unico modo di farle schiudere?» domandò Cedric più a se stesso che a loro.
«No! Speriamo di no! O non nasceranno mai!» protestò Mike.
«Sarebbe obiettivamente più sicuro.» continuò il ragazzo in un sussurro.
«Sì, finché non cadranno nelle mani sbagliate.» lo rimbeccò Susan.
«Forse sarà bastata quella sola volta a risvegliarli.» propose Jennifer tirandosi una ciocca rossa.
«Sì, e forse il drago sperava di vederli nascere prima di morire.» aggiunse Layla tristemente.
«Beh, appiccare un fuoco qui equivale a suicidarsi, più o meno. Controllerò spesso che siano al caldo. Senza provocare un incendio.» disse Cedric.
Uno alla volta sistemarono le uova all’interno del nido, che si rivelò abbastanza spazioso per tutte e sei, e lo guardarono a lungo con aria soddisfatta.
«Ma se non possiamo controllarle spesso come faremo a sapere quando staranno per nascere?» domandò Jennifer.
«Farò il possibile, va bene? Verrò più spesso che potrò e verrò al villaggio per dirvi se sta succedendo qualcosa.» sospirò il più grande con aria abbattuta.
«Potresti dormire qui ogni notte e se per caso succedesse che si schiudano corri al villaggio e ti metti a gridare una parola d’ordine, così lo sapremo.» disse Mike, facendo sbellicare Andrew e Jennifer dalle risate e procurandosi invece un’occhiataccia di lui.
«O potresti metterti ad abbaiare.» continuò Andrew noncurante.
«Ragazzi, dateci un taglio.» intervenne Layla con le mani sui fianchi e un’aria severa, ma anche sfoderando il suo sguardo più truce ci volle del tempo prima che i tre si calmassero; ansimavano tanto avevano riso.
Quando la situazione fu più calma, tuttavia, Andrew riprese: «No sul serio, dormici su.» chiaramente riferendosi alle uova come suggerendogli di covarle, e la situazione degenerò nuovamente.
Susan si morse il labbro e guardò Cedric, che sebbene avesse un’aria triste sembrava meno toccato di Layla, la quale invece era decisamente inviperita. Fu lui comunque il primo ad alzarsi per andarsene, e Susan lo seguì subito lanciando un’occhiataccia a Jennifer, che a malapena la colse. Layla coprì le uova con la coperta lì vicino e poi se ne andò, seguita dagli altri che si asciugarono gli occhi per non mancare i gradini della scala.
«Scusali, di solito non fanno così...» disse Susan a Cedric, mortificata.
Lui rispose semplicemente: «Lo so.» e quando tutti furono fuori dalla stalla richiuse il portone, quindi se ne andò senza dire altro; doveva tornare a Darvil per recuperare finalmente la sorella e tornare a casa con lei.
Quando fu lontano Susan esplose: «Siete stati davvero scortesi! Ci ha dato la disponibilità di questo posto!»
«Suvvia, non te la prendere. Lui non se l’è presa.» disse Mike.
«E saresti tu a dirlo?»
«Stavamo solo scherzando! Ridevamo un po’!» si difese Andrew.
«Uno scherzo è bello solo quando tutti lo apprezzano!»
«In realtà in quel caso sarebbe noioso.»
«Calmatevi!» esclamò Layla, riprendendo finalmente il controllo della situazione «E ora filate a casa, prima che lo incontriate per sbaglio in strada!» ordinò, e immediatamente tutti, compresa Susan, si mossero verso Darvil. Nessuno aveva il coraggio di fiatare o di guardarla negli occhi. Sospirò profondamente cercando di calmarsi, poi li seguì per tornare anche lei dai genitori, grata che almeno non fosse successo nulla.

Nella settimana che seguì andarono così spesso alla stalla per controllare le uova che inevitabilmente incontrarono più di una volta la sorellina di Cedric, Lily, una bambina esageratamente vivace, curiosa e insistente che aveva compiuto otto anni due mesi prima. Quando cominciò a insospettirsi delle loro continue visite, perché né lei né il fratello ne ricevevano spesso, tantomeno da parte di ragazzini, Cedric dovette inventarsi una scusa. E per giustificare il loro continuo andare e venire dalla stalla, disse che a tutti loro piacevano i cavalli e avrebbero voluto imparare a cavalcare.
Sembrò quasi compiaciuto delle loro facce incredule e offese, come se quella dichiarazione gli avrebbe in qualche modo fatto pagare tutta la faccenda delle uova, di cui ora lui sarebbe stato il principale indagato, se mai qualcuno le avesse scoperte per caso. Ma se ne pentì in fretta, perché Lily provò a insistere diversi minuti per unirsi alle lezioni e divertirsi un po’. Così ogni volta che loro si presentavano a casa sua era costretto a portare Lily da Ilion per non averla tra i piedi, e poi doveva fare i conti con suo padre la sera, il quale non apprezzava affatto che la bambina si lamentasse di lui, qualsiasi fosse la ragione.
Alla fine, stufo di essere malmenato a causa loro, un giorno li prese da parte e gli disse di venire meno spesso o di andare direttamente nella stalla senza farsi vedere da Lily. Tra le due opzioni naturalmente preferirono la seconda, felici di avere finalmente libero accesso alla stalla ogni volta che lo volevano.
Un pomeriggio bussarono alla sua porta e Cedric l’aprì di scatto, con un’aria irritata e pronto a rimproverarle i ragazzini per aver bussato quando gli aveva chiaramente detto di non farlo, ma si bloccò immediatamente quando realizzò di trovarsi davanti a quattro soldati in armatura d’acciaio, armati di spade e archi e in sella a cavalli da guerra.
Gli uomini sembrarono comprendere il suo sgomento, quindi smontarono dalla groppa degli animali e fecero per parlare, ma non ce ne fu bisogno perché Cedric riconobbe lo stemma inciso sulle loro armature all’altezza del petto: due spade incrociate davanti a una torre, l’emblema della capitale Eunev.
Era sicuro fossero lì per lasciare i cavalli nella stalla in quei pochi giorni che si sarebbero fermati a Darvil, come accadeva regolarmente, quindi gli disse con voce flebile: «Solo un secondo.» e scappò verso la stalla richiudendo la porta di casa.
Quando ebbe richiuso anche il portone della stalla cercò gli altri ragazzi e gli spiegò la situazione, intimandogli di fare assoluto silenzio per non farsi scoprire. Poi se ne andò e prima che fosse tornato coi soldati e gli animali al seguito, i cinque amici si erano sdraiati sul pavimento nascosti da un muretto di fieno improvvisato, e avevano coperto le uova e il loro strano bagliore con la coperta.
Col cuore in gola, temendo di poter essere scoperti in qualsiasi momento, rimasero immobili quasi senza respirare, ascoltando le poche parole che si scambiarono gli uomini armati e il ragazzo, quindi seppero che si trovavano lì solo per i tributi che i cittadini avrebbero dovuto pagare alla capitale, non per forza in monete d’oro. Se tutto fosse andato bene, nessuno di quei soldati avrebbe mai saputo delle uova.
Rimasero in silenzio anche diverso tempo dopo che gli uomini e Cedric se ne furono andati, per essere del tutto certi che nessuno avrebbe potuto sentirli. Concordarono a malincuore che per quel periodo, finché i soldati fossero rimasti, sarebbe stato meglio moderarsi con le visite alla stalla, per ridurre al minimo le possibilità di essere scoperti.

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Capitolo 5
*** Perfect timing ***


Il colore del titolo del capitolo corrisponde al colore della regione in cui la storia al momento si svolge, tenete d'occhio la mappa per sapere dove ci troviamo!

PERFECT TIMING

I soldati di Eunev si fermarono a Darvil solo per pochi giorni, giusto il tempo di riscuotere le tasse e riposare loro stessi e i cavalli, dopodiché partirono verso la capitale con passo rapido. Era il diciassettesimo giorno del mese di Glayth, la dea dragonessa padrona di fuoco e aria e protettrice dei fabbri. L’ultimo mese dell’estate.
Quello stesso pomeriggio i cinque ragazzi tornarono alla stalla ignorando l’occhiata storta di Cedric che stava rientrando in casa, e una volta salita la scala si sedettero al consueto posto ognuno davanti al proprio uovo. Stavano giusto discutendo di cosa farne di quello verde una volta che il drago sarebbe nato, quando quello nero tremò impercettibilmente, ma non sfuggì a nessuno.
Lo fissarono intensamente, tutti zitti e concentrati, finché tremò di nuovo. Ora certi di non essersi sbagliati, fecero un balzo indietro per la sorpresa. Emozionati, ci misero parecchio a riprendersi, e Susan corse via gridando che avrebbe chiamato Cedric, innervosendo così i cavalli e per poco cadendo dalla scala e inciampando nelle sue stesse gambe. Nel tempo che ci mise a tornare con lui anche l’uovo verde e nero aveva cominciato a tremare.
Cedric non dava visivamente l’impressione di essere preso dal panico, ma continuava ad esclamare che non avrebbero potuto nascere lì, potevano aggredire i cavalli o volare fuori dalle finestre sempre aperte ed essere visti da qualcuno. E non smise di protestare dicendo di doversi sbarazzare in fretta delle uova finché anche lui fu inginocchiato attorno ai piccoli oggetti ovali.
Fece per afferrare l’uovo verde, ma prima che potesse anche solo toccarlo quello si schiuse, facendo ammutolire tutti.
Il draghetto raschiò sul guscio dell’uovo più volte, finché dopo che ebbe tirato una testata, quello non si ruppe. Fece uscire la testa e prese una boccata d’aria, poi, con le piccole zampe già munite di artigli acuminati, ruppe quello che rimaneva dell’uovo e finalmente ne uscì del tutto. Aprì gli occhi e si guardò intorno, vide molti strani esseri attorno a sé che lo fissavano, e altre uova simili al suo da cui era appena uscito. Stiracchiò i muscoli delle zampe, aprì per la prima volta le ali, le richiuse. Sbadigliò e mosse qualche passo incerto verso Cedric, che era il più vicino e il primo che avesse visto. Gli altri trattennero il fiato temendo che l’avrebbe aggredito. Studiò il ragazzo senza riuscire a capire le sue intenzioni, ma non gli sembrava pericoloso. Emise un debole ringhio acuto, poi gli si avvicinò con passo misurato, i minuscoli artigli ticchettavano sul legno.
Cedric, lentamente, tese le mani verso il cucciolo e quando capì che non aveva paura di lui lo prese e se lo posò sulle gambe, senza riuscire a staccargli gli occhi di dosso.
Era un piccolissimo drago color verde acceso e poco tendente all’azzurro, con due minuscole corna nere sul naso, in corrispondenza dei lunghi canini della mascella, sei protuberanze nere alla base della testa, tre per ogni lato. Il capo era grande rispetto al resto del corpo, il collo sottile lungo quasi due volte la testa, gli occhi erano enormi, dalla pupilla rotonda, e le iridi sembravano smeraldi incastonati sotto la cornea. Su tutto il suo dorso, dalla testa alla punta della coda, c’erano delle strane protuberanze nere allineate che spuntavano dalle scaglie a intervalli brevi e irregolari, delle quali la più grande stava poco prima dell’attaccatura delle ali. I lineamenti erano molto simili a quelli di un serpente, la struttura della bocca era rigida, i minuscoli denti sporgevano dalla mandibola, il muso dopo gli zigomi si stringeva più era vicino al naso per un breve tratto, poi si riallargava in corrispondenza dei grandi canini. Aveva quattro zampe poco più lunghe della testa, quelle anteriori avevano quattro dita, di cui uno era un pollice, quelle posteriori ne avevano tre, e tutte già munite di artigli. Un paio d’ali da pipistrello, grandi quasi quanto tutto il suo esile corpicino, con una membrana così sottile da essere quasi trasparente, di un verde poco più chiaro di quello del corpo, mentre la struttura di sostegno delle ali composta da un braccio simile a quello umano e cinque falangi erano nere e terminavano tutte con un grande artiglio nero. Una di queste partiva dal gomito, mentre le altre davano forma a una mano a tre dita e un pollice molto strana. Le scaglie sul ventre erano di un colore più tenue, un verdino pallido, e sembravano avere il bordo tagliente, mentre alcune scaglie sul dorso erano nere o di un verde più profondo.
Il cucciolo lo guardò interrogativo; aspettava ancora le carezze. Ma Cedric lo guardava ancora incredulo. Allora il draghetto un po’ offeso da quella reazione da parte di quello che considerava un padre, si decise ad alzarsi e avvicinare la testa a una delle mani del ragazzo.
Le scaglie erano lisce e se premeva il ragazzo poteva sentire i muscoli del draghetto. Prese ad accarezzarlo facendo attenzione a non pungersi, e come molte altre volte desiderò di poter provare più di una semplice eco di quelle che erano le emozioni; riuscì solo a sorridere meccanicamente come faceva sempre per far credere alle persone di essere normale, di provare qualcosa, non potendosi permettere di più nemmeno alla vista del draghetto che si affacciava per la prima volta al mondo. E paradossalmente non riusciva nemmeno a sentirsi triste per ciò, anche se sapeva di esserlo.
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Dalle ragazze partì un coro di ‘Oooh’ mentre il drago si strusciava come un gattino in cerca di attenzioni, che suo malgrado lo distrasse dalla questione di quella cura forzata.
«Guarda che bello che è! Non immaginavo potessero essere tanto belli!» esclamò Andrew meravigliato «Guardate, ogni scaglia luccica alla luce!»
«Sì, è meraviglioso.» commentò Cedric in un sussurro, e in quel momento, per un attimo, dimenticò la voglia di restituirlo alla Foresta, mentre il piccolo drago aveva stiracchiato le ali e si era poi acciambellato tra le sue gambe.
Il secondo fu quello di Mike.
I loro discorsi e commenti sul drago verde cessarono immediatamente nel momento in cui l’uovo blu cominciò a fremere un poco. Mike lo prese e se lo mise davanti in modo che il drago gli fosse subito di fronte una volta uscito. Lo vide muoversi con più forza, poi comparve una crepa sulla superficie liscia, e un’altra. Presto dove prima c’erano delle crepe comparve un buco, da cui uscì la testa del drago.
Mike era paralizzato. Il drago aveva gli occhi chiusi, ma il ragazzo era sicuro che sapesse di trovarsi davanti a lui. Con il piccolo corno color argento che aveva sulla punta del naso colpì il bordo del buco davanti a sé e lo frantumò.
Mike appoggiò l’uovo a terra e lo aiutò a uscire rompendo delicatamente il guscio. Poi il cucciolo da dentro, dopo aver provato inutilmente a raschiare con le zampe, fece pressione con le ali e si liberò del tutto.
Era un bel draghetto di colore blu chiaro, il collo lungo quanto la grande testa, alla cui base c’erano quattro piccole spine di color argento, due dietro le tempie e le altre verso la fine della mascella, i lineamenti non erano serpentini, aveva la pelle vicino alla bocca più elastica benché ricoperta di piccole scaglie. Dodici denti sporgenti da sopra, tra cui due canini grandi in media il doppio degli altri. Mike notò che aveva solo due zampe, quelle posteriori, fragili e sottili dopo il ginocchio, con tre dita e un pollice proprio come gli uccelli, ma dotate di artigli più lunghi. In compenso aveva una coda molto lunga che terminava con una piccola e solida cresta a due punte di colore blu collegate tra loro da una sottile membrana azzurra e semitrasparente, sembrava una minuscola falce ricurva. Le piccole ali all’altezza delle spalle avevano una forma simile a quella di un braccio umano color blu notte con tre dita molto più lunghe e sottili e un pollice, terminanti in artigli argento, e in mezzo a queste dita c’era una pellicola azzurra quasi trasparente. Un dito molto più corto degli altri partiva dal gomito. Era privo di spine sul resto del corpo. Il cucciolo aprì finalmente gli occhi e si guardarono: aveva occhi enormi dalla pupilla rotonda e le iridi che sembravano puro argento liquido. Le scaglie sul ventre erano più chiare, quasi del colore di un cielo limpido a mezzogiorno, mentre quelle del dorso erano di un blu cobalto iridescente.
Mike lo raccolse da terra stando attento a non pungersi con le punte delle ali e con gli artigli argentati delle zampe. Il draghetto perse un attimo l’equilibrio e spalancò le ali, cadde in avanti e si ritrovò con la testa appoggiata sulla spalla di Mike, la coda sospesa nel vuoto. Non richiuse le ali: con il pollice, ossia un artiglio argentato, si aggrappò alla maglia del ragazzo e si tirò su, poi le ali le lasciò in quella posizione, come se volesse in qualche modo abbracciarlo.
Era liscio al tatto e riusciva a sentire i muscoli già ben sviluppati del suo dorso. Mike sorrise commosso quando si rese conto che il drago era abbracciato a lui, ma non solo: ora aveva anche allontanato la testa e lo fissava.
«Allora finalmente sei nato piccoletto.» sussurrò il ragazzo al drago e quello strofinò la piccola testa sulla sua guancia, annusandolo con curiosità crescente, e poi arrampicandosi fino a raggiungere il suo naso.
Susan sembrava sul punto di sciogliersi tanto era stata intenerita, fino a quando tuttavia il cucciolo blu addentò il naso di Mike, e tra gli strilli sorpresi degli altri il ragazzino riuscì a fargli mollare la presa.
«Tutto bene?» gli chiese Jennifer con un filo di voce.
«Sì...» brontolò Mike strofinandosi il naso che ora gli bruciava, ma guardandosi la mano non la vide insanguinata. Sospirò e abbassò lo sguardo sul cucciolo, che ora stava annusando il legno nello spazio libero tra le sue gambe incrociate.
«Non sono animaletti da compagnia.» gli rinfacciò Cedric in un cupo sussurro appena udibile.
Ma la schiusa dell’uovo di Layla non diede agli altri il tempo di ribattere.
Il piccolo draghetto ci mise più tempo di quanto aveva previsto a uscire dall’uovo. Raschiò più volte con le zampe la superficie interna, sempre più forte, ma ebbe poco successo. Provò con una testata ma lo spazio era troppo piccolo dentro ormai per riuscire a tirarne una decente. Fu libero solo dopo aver colpito più volte un punto con la coda, facendo nascere delle crepe sulla liscia superficie colorata e luminosa, allora spalancò le ali, frantumandolo in tanti pezzi. E in quel momento l’uovo smise di brillare.
Era più lungo di quanto si aspettassero i ragazzi, sembrava un serpente sinuoso con due enormi ali e quattro zampette corte munite di artigli bianchi e lisci. Era di colore viola, con una piccola spina sulla testa, un piccolo corno sulla punta del muso e sei lisce protuberanze incorniciavano la base della testa larga e piatta; tutte le spine parevano fatte di vetro rosa e iridescente. Gli occhi avevano la pupilla verticale, l’iride era rosa dov’era più vicina alla pupilla e sfumava in un viola all’esterno. La bocca era rigida come quella di un coccodrillo, il muso era più stretto dopo gli zigomi pronunciati e si allargava un poco in corrispondenza dei canini, i piccoli denti sporgevano dalla mascella. La coda, anch’essa lunghissima, terminava con una sfera rosa leggermente trasparente. Le ali da pipistrello avevano la forma di un braccio con le dita più allungate, anche se la parte delle falangi era poco più corta del braccio. Non erano come quelle degli altri draghi, non si vedevano le nodose articolazioni ed erano cinque dita che diventavano via via più lunghe partendo dal pollice, il più corto. Non aveva una falange sul gomito, bensì sulle spalle, e la membrana non era attaccata direttamente al corpo, ma a essa. La struttura rigida delle ali era del colore dell’ametista e la membrana era di un viola tendente al rosa. Le scaglie sul dorso erano di un viola poco più scuro, soprattutto nei pressi dell’attaccatura delle ali.
Layla lo guardò ancora sorpresa, ma l’unica cosa che le uscì di bocca fu: «Io non so cosa dire, è... è... meraviglioso...»
«A me non sembra un drago.» commentò invece Andrew «Se non fosse per le ali lo scambierei per un piccolo serpente.»
La ragazza si rivolse al draghetto viola: «Non stare a sentire questo cattivone, sei un drago bellissimo.» con cautela avvicinò a lui le mani e lo prese per metterselo sulle gambe.
Il draghetto incuriosito cominciò ad annusare prima le sue gambe, poi il pavimento sotto di esse. Quando fece per scivolare giù proprio come un serpente Layla sorrise e lo riprese per rimetterselo sulle gambe; provò una strana sensazione di solletico quando camminò sui suoi polpacci punzecchiandola con gli artigli. Sorrise commossa, gli occhi lucidi di lacrime.
«Su Layla non fare così!» esclamò Mike accarezzando il suo draghetto, prese la sottilissima coda tra le dita e la tirò un po’, ma quello non protestò.
«Lo so, è più forte di me!» disse lei tirando su col naso, facendo ridere tutti gli altri.
Il quarto fu quello di Jennifer.
Lei lo stava proprio guardando anche se con la testa era altrove quando l’uovo cominciò a tremare. D’un tratto Jennifer si risvegliò e puntò tutta la sua attenzione sull’oggetto che aveva davanti. Prese a tremare sempre più forte e la ragazza d’istinto si allontanò un po’. All’improvviso comparvero delle crepe, sempre più profonde, finché senza tanti complimenti il cucciolo non uscì, rompendo completamente il guscio.
Era un draghetto rosso con la testa grande, il collo corto e le zampe lunghe, quelle anteriori simili a braccia umane, con le dita che terminavano con quattro artigli acuminati, tre dita e un pollice; quelle posteriori simili a quelle di un felino, munite di tre dita con lunghi artigli. I denti erano nascosti dentro la bocca, la cui pelle era morbida ed elastica nonostante fosse ricoperta da minuscole scaglie. La coda non era lunghissima e terminava con una piccola placca ossea di colore arancione a forma di punta di freccia. Su tutto il dorso a intervalli piuttosto lunghi e regolari c’erano delle piccolissime spine bianche che diminuivano di grandezza più si avvicinavano alla punta della coda. Questo drago aveva le orecchie simili a quelle dei cavalli, gli occhi dalla pupilla rotonda, e le iridi sembravano rubini incastonati sotto la cornea. Le ali da pipistrello avevano la struttura rosso rubino e la membrana tanto sottile da essere quasi trasparente era arancione. Le sei falangi di cui una era il pollice terminavano in piccoli artigli bianchi, e una di esse, più corta, partiva dal gomito. Le scaglie del ventre erano più chiare, di un colore quasi arancione, e come per il drago verde sembravano più dure delle altre.
Il piccolo drago si issò sulle lunghe zampe posteriori e spalancò le ali, poi scoprì i denti in uno sbadiglio. Zampettò un po’ guardandosi intorno, inciampò nelle lunghe zampe e cadde. Il draghetto viola, che pareva davvero molto curioso, scivolò dalle mani di Layla per andare ad annusare il nuovo nato, muovendosi ondeggiando come una lucertola.
«Torna qui! Consolami, lo vedi che sto piangendo?» fece Layla cercando di riafferrarlo. I due giocarono per un po’ azzuffandosi prima che la ragazza si riprendesse il suo serpente viola.
Jennifer allibita guardò il cucciolo rosso e lentamente lo prese stando attenta a non pungersi. Il draghetto si ribellò emettendo strani versi, dopo qualche tentativo di fuggire fallito si calmò e guardò Jennifer che lo teneva sollevato a mezz’aria. Spalancò le ali e lei spaventata lasciò la presa, ma il cucciolo con un piccolo volo le salì in grembo, accoccolandosi sulla sua spalla dopo essersi arrampicato. La ragazza gli fece qualche carezza e, ancora sorpresa, sorrise e dovette trattenersi per non urlare dalla gioia.
Immediatamente dopo cominciò a schiudersi quello di Susan, senza neanche dare ai ragazzi il tempo di commentare il draghetto rosso.
Non si accorse subito che l’uovo accanto a lei fremeva, e quando lo guardò aveva ormai le crepe su gran parte della sua superficie. Picchiettò piano dall’esterno e poco dopo dove aveva toccato spuntò una piccolissima zampina gialla con tre dita e un pollice, gli artigli lisci all’estremità di ogni falange. Con quella zampa a metà tra quella di un felino e di un rettile scavò e ruppe il guscio intorno al buco, poi la coda ruppe un’altra parte, poi le ali lo liberarono completamente. Scosse la testa.
Il drago era giallo, il giallo più splendente che Susan avesse mai visto. Il muso aveva lineamenti fini e delicati. Le orecchie erano simili a quelle di un cavallo, gli occhi grandi erano ancora chiusi, ma quando li aprì la ragazza ebbe l’impressione che dove si trovava l’iride fosse colato dell’oro ancora liquido. Era completamente privo di spine. Le zampe erano piuttosto lunghe e sottili, la lunga coda terminava con un ciuffetto di peli color oro e una serie di piume dorate dalla forma e la struttura insolite. Sul collo, dalla posizione delle orecchie fino alle spalle, c’era una corta peluria dello stesso colore del ciuffo sulla coda. Le ali erano davvero strane. Se guardate dall’alto parevano ricoperte di piume dorate simili a quelle della coda. Avevano un pollice e cinque dita, le prime tre lunghe, le ultime più corte, inoltre le prime tre e l’ultima componevano una parte separata, che ad ali chiuse si sovrapponeva alla parte del braccio. Quest’ultima era legata alla quarta falange della mano. Tra le due parti non scorreva alcuna membrana, perché una membrana c’era, lo si poteva vedere osservandole da sotto, ma terminava alla seconda falangetta, lasciando poi intravedere le strane piume che spuntavano dal lato superiore. Le cinque falangi e il pollice terminavano con piccolissimi artigli anch’essi color oro, ma lucidi, quasi fossero fatti di oro vero. La membrana era di uno strano color crema, il braccio dell’ala era dello stesso giallo splendente delle scaglie, mentre le strane piume avevano un colore diverso per ogni livello: a ogni falangetta della mano corrispondevano un livello e un colore, che andava via via scurendosi verso l’arancio più le piume spuntavano lontane dal braccio.
Il draghetto si guardò intorno e vide Susan alla sua destra, notando immediatamente che era l’unica a non avere accanto né un draghetto né un uovo ancora intero. Si alzò, si stiracchiò i muscoli, stiracchiò anche quelli delle ali e poi con passo incerto si avvicinò alla ragazza e le si accoccolò accanto guardandola negli occhi. Susan, meravigliata, lo prese in braccio senza molte preoccupazioni, dato che non aveva spine, e lo fece sedere sul palmo della sua mano. All’inizio il drago sembrò preoccupato e spalancò le ali per paura di cadere, poi si tranquillizzò e le richiuse sugli esili fianchi. Si guardarono negli occhi.
«Allora, sei maschio o femmina?» chiese sorridendo la ragazza dopo essersi resa conto che era davvero nato.
Il draghetto sembrò pensare a come rispondere, ma non aveva ben chiaro cosa volesse dire quello che lei aveva appena chiesto e scosse la testa rapidamente come un gatto.
«Oh per Glayth è meraviglioso Susan! È il drago più bello che abbia visto finora!» esclamò Andrew.
«Lo è, non è vero?»
«Sembra un falco giallo con collo e coda più lunghi del solito.» commentò invece Jennifer ridendo.
«Cosa? Non è vero!» esclamò Susan accigliata facendo delle carezze al draghetto.
L’uovo di Andrew aveva cominciato prima di tutti a traballare, ma fu l’ultimo a schiudersi. E a tutti fu presto chiaro il perché. D’improvviso cominciò a oscillare sempre più furiosamente, Andrew indietreggiò istintivamente e subito dopo il draghetto ruppe l’uovo in tante parti senza nemmeno aspettare che la superficie si ricoprisse di crepe.
Il cucciolo di drago era sdraiato sulla schiena, scalciò un paio di volte e aiutandosi con le ali si girò sul ventre e poi si alzò. Ringhiò. Era nero, ma le scaglie lucide risplendevano un poco alla luce proveniente dalle aperture sulle pareti. La testa grande in confronto al corpicino esile ma muscoloso, il dorso completamente ricoperto di numerosi piccolissimi e strani bitorzoli poco più chiari delle scaglie, alcuni più piccoli o grandi di altri, eccetto la zona delle spalle e della schiena. Aveva i lineamenti serpentini e la bocca era rigida e i denti sporgevano dalla mandibola, il muso largo si stringeva dopo gli zigomi e si allargava di nuovo sulla punta. Aveva due minuscole corna sulla punta del muso, in corrispondenza dei canini inferiori, due corna sulle tempie, e sul dorso a intervalli regolari erano allineate delle spine, la più lunga all’altezza delle spalle; tutte le spine e le corna erano grigie. Aveva quattro zampe sottili, il collo non troppo lungo, come anche la coda. Il draghetto aprì gli occhi, dalle pupille verticali e le iridi color rosso sangue. Le ali da pipistrello spiegate avevano la struttura ossea di colore nero, ancora più scuro di quello delle scaglie, e la sottile membrana grigia. Le cinque falangi e il pollice terminavano con artigli altrettanto neri, una partiva dal gomito. Anche lui, come il draghetto verde e quello rosso, aveva le scaglie del ventre più dure e dal bordo tagliente, di colore grigio scuro.
Ringhiò di nuovo, questa volta guardandolo negli occhi. Andrew indietreggiò ancora e il drago sembrò quasi compiaciuto di quella reazione. Spalancò la piccola bocca già munita di decine di dentini acuminati, i ragazzi notarono che, come il draghetto verde, le piccole corna sulla punta del muso erano cave e servivano a contenere i canini inferiori, altrimenti troppo lunghi perché potessero richiudere le fauci. Ripiegò le ali e attese paziente che il ragazzo si avvicinasse un poco, ma lui era paralizzato, aveva paura del suo drago. Sebbene fosse appena nato dall’uovo, Andrew era sicuro che avrebbe potuto ucciderlo.
Una volta capito che non si sarebbe mai avvicinato visto come aveva reagito appena uscito dall’uovo, quello spalancò le piccole ali e volò anche se a fatica fino alla spalla di Andrew, che lo guardava avvicinarsi incapace di muoversi. Il draghetto si aggrappò, evitò di ferirlo con le punte delle ali e in qualche modo si girò nella stessa direzione del ragazzo, sempre sostando come un pappagallo sopra la sua spalla.
«Oh... il tuo drago è... carino...» commentò Mike.
«Vero?» fece Andrew con voce tremante, decisamente poco convinto.
«Io credo... credo che siamo nei guai.» disse Cedric incerto, senza staccare gli occhi dal draghetto verde che osservava gli altri draghi senza tuttavia muoversi.
«Cosa intendi dire?» gli chiese Layla.
«Che potrebbero averci scambiati per i loro genitori.»
«Non avevi detto che sono creature intelligenti?» lo rimbeccò Andrew.
«E credo lo siano. Ma capita anche agli uccelli di legarsi alla prima creatura che vedono appena usciti dall’uovo... Forse se ne renderanno conto quando cresceranno. E ora che facciamo? Come diamine cresciamo sei draghi senza che nessuno lo noti? Non possono stare qui...»
Non sembrava che gli altri stessero prestando attenzione a ciò che diceva, erano tutti attratti dai piccoli draghetti soprattutto adesso che quello rosso e quello nero avevano ingaggiato una piccola lotta con deboli versi acuti.
«Dobbiamo portarli via da qui. Fanno troppo baccano.» riprese il ragazzo, e quando tutti finalmente lo guardarono si difese dicendo: «Casa mia non è lontana, mio padre li sentirà sicuramente. Potrebbero far imbizzarrire i cavalli e incuriosirlo... Se dovesse scoprirli probabilmente mi ammazzerebbe.»
«Ma non possiamo lasciarli nel bosco...» disse Susan intristita.
«Potremmo costruirgli delle case sugli alberi e legarli lì.» disse Mike «Almeno finché saranno abbastanza grandi da capire di dover rimanere nascosti.»
«Ma è crudele!» esclamò Susan contrariata.
«Però è sicuro.» disse Andrew «Non abbiamo molte alternative.»
«Credete abbiano fame?» domandò Layla osservando il draghetto blu che ora era sceso a terra e annusava il pavimento intrigato.
«Secondo me sì.» disse Jennifer.
«Allora vado a prendere gli avanzi di mio padre, chi viene con me?»
«Verrei io ma... è meglio di no.» disse Cedric con una scrollata di spalle «A meno che... potrei usare alcuni degli infiniti gettoni di legno che ho accumulato per prendere della carne fresca.» aggiunse poi pensieroso.
«Sì, sarebbe ora che tu ne restituissi qualcuno.» replicò la ragazza con sguardo torvo «Cosa te ne fai se non li usi mai perché tanto cacci per conto tuo?»
Lui fece una smorfia e disse: «Non mi va di spiegarlo ora. Tenetemi questo... il drago.» e così dicendo lo prese tra le mani e lo posò sul pavimento; il piccolo non sembrò prenderla bene, perché lo guardò insistentemente. Pareva offeso nel vedere che si stava alzando per allontanarsi.


NOTE DELL'AUTRICE
Ed eccoli i sei piccoli guastafeste, riuscireste a indovinarne il genere?
So che il livello di pucciosità non è alle stelle, ma sono più propensa a disegnare bestie feroci che cuccioli tenerosi.

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Capitolo 6
*** Into the Forest ***


Il colore del titolo del capitolo corrisponde al colore della regione in cui la storia al momento si svolge, tenete d'occhio la mappa per sapere dove ci troviamo!

INTO THE FOREST

Mentre lui rincasò per prendere almeno sei di quei gettoni in legno per poi andare dal macellaio, i ragazzi cercarono di tenere a bada i draghetti e fare in modo che non planassero giù dal piano rialzato; sembrava che nonostante le ali avessero dimensioni modeste non fossero ancora in grado di volare, si limitavano a sbatterle un po’ o a planare da luoghi rialzati come le balle di fieno.
Erano davvero vivaci per essere appena usciti dalle uova, sembravano già avere un’ottima vista e buona coordinazione, raramente inciampavano nelle proprie zampe, ma capitò che il cucciolo viola – che aveva zampe cortissime – inciampasse nella propria lunga coda appesantita dalla sfera rosa sulla punta. Il cucciolo blu invece faticava a correre, dovendo usare le ali come zampe anteriori. Il più veloce era quello giallo, le cui zampe frontali erano lunghe come quelle dei lupi e gli artigli ancora corti non impacciavano la corsa.
Ma tutti più di una volta andarono a sbattere contro degli ostacoli, soprattutto quando i ragazzi per giocare con loro gli mettevano le gambe sulla traiettoria e i piccoli non riuscivano a scansarle in tempo. Rosso e nero spesso ingaggiavano una lotta, a cui si univa il cucciolo verde con ferocia, ma non vi era mai un vero e proprio vincitore.
I ragazzini si divertirono non poco in quel frangente di tempo, finché Cedric tornò con una borsa piena di carne fresca che attirò tutti i cuccioli; corsero fino a sporgersi per guardarlo e il ragazzo si bloccò sentendosi leggermente a disagio e temendo che gli sarebbero saltati addosso.
Mike e Andrew scoppiarono a ridere, e poco dopo il cucciolo verde spalancò le ali, come pronto a planare giù, ma sembrava indeciso. Si accucciò per saltare, ci ripensò, e si accucciò di nuovo per prendere bene le distanze. Alla fine si decise e saltò spingendosi con le zampe posteriori e cercò di correggere la direzione con le ali, ma se Cedric non l’avesse afferrato al volo sarebbe finito a terra tra la polvere.
Al contrario di quanto il ragazzo avesse pensato, non era sceso per mangiare ma solo per riavvicinarsi a lui, come se fosse felice del suo ritorno; passò ripetutamente da una spalla all’altra aggrappandosi alla sua maglia con gli artigli e strusciando il dorso ruvido sulle sue guance, sul suo collo o sotto al mento.
Il draghetto nero diversamente planò per tuffarsi nella borsa, incuriosito dal nuovo odore, e Andrew corse giù dalla scaletta per andare a riprenderlo. Lo tirò fuori e quello protestò con versi acuti e scalciando, ma non lo aggredì e si lasciò tenere in braccio allungando il collo per annusare la carne ogni tanto.
Cedric ruppe la loro felicità dicendo: «Dobbiamo portarli nella Foresta, dove ho trovato quel posto. Sono nati ora, presto sapranno difendersi.»
«Sono appena nati!» esclamò Susan contrariata «Non possiamo abbandonarli così!»
«Dispiace anche a me, ma qui non possono stare e se dobbiamo lasciarli nel bosco tanto vale che sia la Foresta.» ribatté lui.
«Non possiamo!» disse Jennifer ripetendo le parole di Susan «Sei senza cuore, come fai anche solo a pensarlo?»
Lui girò gli occhi e disse spazientito: «Sono draghi, maledizione. Crescerli non ci porterà altro che guai. Sarà impossibile tenerli nascosti! Prima o poi li dovremmo lasciare comunque, è meglio farlo al più presto.»
«Ci siamo già affezionati.» disse Mike anticipandolo «E loro si sono affezionati a noi.» continuò indicando proprio il draghetto verde.
«Non è affetto questo. Mi ha solo scambiato per un genitore. E non c’è nulla di più sbagliato.»
«Allora lo capiranno. Quando lo capiranno se ne andranno da soli.» disse Layla accarezzando il cucciolo viola, il quale si arrampicò a spirale su tutto il suo braccio tenendosi stretto coi muscoli della coda.
A quel punto Cedric perse la pazienza ed esclamò: «Bene! Fate come vi pare. Io questo lo porto nella Foresta, e voi i vostri li portate lontani da qui. Non m’importa dove, basta che io non ci finisca in mezzo.»
Posò a terra la borsa e cercò di lasciare giù anche il draghetto verde, ma quello proprio non ne voleva sapere di scendere e lo graffiò nel tentativo di restare aggrappato. Quindi Cedric lo ignorò e sellò il proprio cavallo con il draghetto sulle spalle, che fissò il grande animale incuriosito. Hurricane nitrì a disagio, ma non si agitò nemmeno quando il ragazzo salì in sella col cucciolo ancora sulla spalla.
«Stai scherzando, vero?» fece Andrew sbigottito.
«Niente affatto.» ribatté Cedric scontroso.
«E dove li portiamo?» esclamò Jennifer preoccupata, ma il ragazzo le rispose con uno sguardo che chiaramente le fece capire che non gl’importava.
«Va bene! Va bene aspetta. Veniamo con te...» disse Layla rassegnata.
«Cosa?!» esclamò Susan incredula «No! No io non voglio separarmi da... lui, o lei. No!»
«Eravamo d’accordo che prima o poi li avremmo lasciati nella Foresta, ed è meglio presto che tardi.» continuò lei, poi si rivolse a Cedric: «Puoi sellare un cavallo per me?»
Il ragazzo ci pensò a lungo, come cercando di capire se ci fossero trabocchetti in agguato, ma gli sembrò sincera. Quindi alla fine, tra le esclamazioni di protesta di tutti gli altri, scese da cavallo e aprì un altro recinto per sellare Nuvola, una giumenta grigia pomellata di bianco.
Layla scese la scaletta e passò tutto quel tempo prima di poter salire in sella a guardare con aria triste il draghetto viola ancora avvolto sul suo braccio, sentendone già la mancanza, ma continuando a ripetersi che quella era la cosa migliore da fare per tutti, draghi e ragazzi.
Quando la ragazza prese Nuvola per le redini per condurla fuori seguita da Cedric e Hurricane, i quattro ragazzini smisero di urlare e valutarono la situazione, avendo perso il sostegno dei due più grandi – e quindi del macellaio per la carne e la stalla come luogo sicuro.
Alla fine, col cuore infranto, presero in braccio ognuno il proprio draghetto e lasciarono che Cedric sellasse altri quattro cavalli: a Jennifer toccò una giumenta bianca chiamata Neve; ad Andrew una giumenta marrone di nome Wind con una chiazza a lista; a Susan uno stallone dal manto marrone chiaro e il crine bianco di nome Brezza; e a Mike Thunder, un cavallo baio.
Non sapevano cavalcare, ma nessuno lo trovò particolarmente difficile eccetto colpire i fianchi degli animali per farli avanzare; Susan aveva paura di fargli male, come anche Jennifer. Cedric portò con sé anche l’arco e la borsa presa dal macellaio, poi li costrinse a galoppare verso il bosco che precedeva la Foresta, sperando di essere di ritorno prima che facesse buio.
Per tutta la durata del viaggio Susan pianse guardando fisso il draghetto giallo rimbalzare sulla sella davanti a sé, maledicendo Cedric in ogni modo possibile senza pronunciare una parola.
Quando entrarono nella Foresta sgranarono gli occhi, ritrovandosi a viaggiare tra alberi dai tronchi sconfinati e alti quanto colline o quasi, le fronde si trovavano così in alto da essere nascoste da uno strato di foschia, presente ad ogni altezza e che nascondeva qualsiasi direzione.
Tutto era ingigantito, dagli arbusti, ai funghi, alle rocce, e a volte persino erba e animali. Non ebbero più dubbi riguardo il fatto che quello fosse un posto perfetto per un drago in cui crescere di nascosto e al sicuro. Ma avrebbero dovuto difendersi da predatori ancora giganteschi per loro, e Jennifer espresse apertamente la sua preoccupazione per ciò.
Il paesaggio nella Foresta sembrava tutto uguale, ma Cedric stava apparentemente seguendo una pista precisa, che probabilmente conosceva, e dopo un paio d’ore di galoppo fermò il cavallo, imitato dagli altri, e si avvicinò a piedi a uno di quei giganteschi tronchi, spezzato a un’altezza che doveva essere inferiore alla metà e leggermente inclinato, con parte delle lunghissime radici all’aria.
Depositò il sacco della carne a terra, a un nulla dall’ingresso a uno squarcio nel terreno causato dalla fuoriuscita delle radici; avevano dato vita a un buco nella terra che aveva le dimensioni di una caverna, nascosta da quei pochi arbusti di dimensioni notevoli che erano sopravvissuti alla caduta dell’albero.
Gli altri si avvicinarono circospetti, coi draghetti che si guardavano intorno con occhi sgranati e annusando incuriositi, quindi il ragazzo riprese il sacco e cominciò ad addentrarsi nella caverna di legno e terra senza scomporsi. Lo seguirono avanzando con cautela per paura di scivolare sul terriccio umido e scomposto, Susan ancora con la vista annebbiata dalle lacrime, e alla fine giunsero in un tratto piano, dove Cedric aveva depositato sia il sacco che il drago verde.
«Qui saranno al sicuro.» disse.
Susan lo fulminò con lo sguardo e fu l’ultima a lasciare a terra il proprio draghetto, faticò a voltargli le spalle per andarsene sentendosi colpevole e sporca per aver abbandonato un cucciolo nato da poche ore. Cercò di trattenersi ma di nuovo pianse, e Jennifer l’abbracciò per consolarla.
Fecero in tempo a risalire solo di qualche passo prima che i draghetti, a uno a uno, cominciassero a lamentarsi come se stessero piangendo, facendoli fermare e girarsi per guardarli: si agitavano e sbattevano le ali per seguirli su per il pendio, ignorando sfacciatamente la carne alle loro spalle che avrebbe dovuto attirarli e tenerli buoni.
«Questo è un chiaro segno!» esclamò Jennifer con aria soddisfatta, tornando indietro, e il draghetto rosso si agitò ancora di più impaziente di essere raccolto da terra.
«Torna qui!» la rimproverò Cedric.
«No!» disse Susan, e corse giù per riabbracciare il drago giallo.
Mike e Andrew si guardarono incerti, ma alla fine uno alla volta tornarono dai draghetti nell’antro semibuio. Layla cercò di voltargli di nuovo le spalle e fece altri due passi, seguita subito da Cedric, ma i lamenti dei due cuccioli che si stavano lasciando alle spalle la bloccarono di nuovo, e il ragazzo si fermò guardandola come a sfidarla di seguire gli altri ragazzini per tornare dai cuccioli.
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«Mi dispiace, davvero. Non ce la faccio.» disse a Cedric in un sussurro triste, e poi tornò dal draghetto viola che immediatamente si arrampicò lungo il suo braccio.
Cedric aveva un’aria davvero iraconda e ferita, li guardò tutti uno a uno mentre lo superavano per arrampicarsi fuori dalla caverna coi cuccioli in braccio, poi quando fu rimasto solo guardò il draghetto verde, il quale lo fissava in silenzio seduto a terra. Scosse la testa e gli volse le spalle per andarsene e in un primo momento il draghetto rimase zitto. Quando però ricominciò a piangere – perché era chiaro che di questo si trattasse – si fermò in qualche modo incapace di proseguire.
«Prendilo con te.» gli disse Layla con voce gentile.
«Non posso.» rispose lui addolorato, e al contrario di poche ore prima desiderò di poter ancora non provare alcuna emozione; l’effetto del rimedio che era solito prendere durava solo temporaneamente e aveva già cominciato a svanire, lasciandolo in balia di esse.
«Appena capirà che non sei suo padre se ne andrà da solo. Ma fino ad allora dobbiamo trovare un modo per tenerli.»
«Oh maledizione!» esclamò Cedric, e a quella seguirono diverse altre imprecazioni che fecero sbiancare i ragazzi davanti a lui, ma alla fine si zittì e con un sospiro e l’aria decisamente abbattuta tornò indietro. Con una mano si riprese il sacco di tela, con l’altra il draghetto verde che immediatamente gli si arrampicò sul braccio per raggiungere la testa, rimanendo accucciato sulla spalla con le zampe posteriori e appoggiato alla tempia con quelle anteriori.
Quando fu definitivamente fuori da quella strana caverna, Andrew gli disse: «Il nascondiglio non era male.» nel tentativo di farlo sentire meglio, ma ottenne solo un’occhiata talmente cupa da fargli credere che l’avrebbe sgozzato. Perciò si affrettò ad arrampicarsi di nuovo sul dorso di Wind, imitato da tutti gli altri, e ad attendere che proprio lui li guidasse fuori dalla Foresta prima che cominciasse a fare buio.
Videro quello che sembrava un gigantesco cervo viola con corna da montone fuggire da qualcosa relativamente non molto distante, e poi apparvero da dietro un tronco due lupi giganti, che valutarono essere più grandi di un cavallo, seguiti a loro volta da un gruppo di lupi cornuti che correvano su due zampe, alcuni vestiti da armature di pelle e con armi in mano.
Cedric ordinò a tutti di rimanere immobili nascosti dietro al grande cespuglio rosso che fortunatamente aveva impedito ai cacciatori di vederli, per il momento. Mostrava un’aria sicura e determinata per farsi obbedire, ma in realtà era pallido e sudava freddo dalla paura: se quei cosi li avessero visti e seguiti, difficilmente sarebbero usciti vivi dalla Foresta.
«Cosa sono?» domandò Susan in un sussurro sbirciando da dietro le foglie.
«Un clan di Krun e due karjal.» rispose Cedric, più piano di lei, tanto che faticarono a sentirlo coperto dagli schiamazzi dei lupi ora lontani.
«Krun?» fece Mike pensieroso «Maledizione non ricordo dove ne ho sentito parlare...»
«Tanto meglio. Ora muoviamoci, potrebbero tornare in questa direzione.» disse il più grande, quindi spronò il cavallo nero al galoppo e tutti gli altri furono costretti a seguirlo. Susan ebbe qualche difficoltà a far galoppare il suo stallone, ma non rimase indietro abbastanza da perderli nella nebbia.
Cedric non ebbe grandi problemi a ricondurli nel bosco che precedeva la Foresta, anche se le ombre calanti gli resero più difficile seguire le tracce un paio di volte, e gradualmente gli alberi si fecero meno grandi e distanti, fino a che dovettero rallentare il passo perché sarebbe stato pericoloso galoppare.
Quando arrivarono sani e salvi alla stalla e il portone d’ingresso fu chiuso, Mike cominciò a ridere sguaiatamente per scaricare la tensione, imitato da Jennifer che invece rise istericamente, e Layla Andrew e Susan smontarono da cavallo con un’aria piuttosto pensierosa e inquieta. Susan continuava distrattamente ad accarezzare la cortissima e rada peluria sul collo del draghetto giallo.
Cedric, cercando ancora di scacciare il ricordo dei Krun e la paura derivata, con voce leggermente tremante disse: «Io devo tornare a casa, almeno finché mio padre ritorna. Dormirò con loro, così non piangeranno.»
Layla capì in anticipo cosa stesse cercando di chiedergli e disse: «Io rimarrò finché non tornerai, non preoccuparti. Non staranno mai da soli.»
Lui annuì grato che avesse capito e si affrettò a rimettere tutti i cavalli nel proprio alloggio liberi di selle e finimenti, dopodiché si staccò il draghetto verde di dosso con la forza, lo diede a lei e corse via, leggermente in ansia per sua sorella.
«Possiamo fare un’eccezione per oggi, ma non potremo rimanere qui tutti i giorni fino all’ora di cena.» disse Jennifer pensierosa «Dobbiamo trovare una soluzione.»
«Potremmo provare a insegnargli che ricevere il cibo vuol dire che stiamo andando via, ma che a breve lui tornerà!» esclamò Mike, colpito da un’illuminazione.
«Ci vorrà del tempo, intanto saremo comunque nei guai.» disse Andrew amareggiato «Io devo tornare a casa...»
«Certo, tua madre è ansiosa. E la mia severa. Torniamo insieme.» lo appoggiò Mike, entrambi guardarono i loro piccoli draghi con dispiacere prima di salutare e andarsene – gli servì non poca forza di volontà per richiudere il portone e correre verso casa.
Le tre ragazze si guardarono e Layla, pensando a sua madre, quasi rimpianse la sua promessa immaginandosi le scene che avrebbe fatto se fosse tornata dopo il tramonto. Inoltre non avrebbe potuto raccontarle niente di vero di ciò che aveva fatto per stare via fino a tardi, il che avrebbe peggiorato le cose. Anche Susan e Jennifer erano preoccupate, ma tra tutti loro erano quelle coi genitori meno severi e più comprensivi, propensi più all’ascolto che al rimprovero.
Cedric tornò dopo l’ora di cena con un’aria strana che le tre decisero di non indagare, e chiese scusa per averci messo tanto. I draghetti erano tutti di nuovo sul piano rialzato e rilassati, da fuori nemmeno si sentivano i loro deboli versi giocosi. Layla gliela fece passare solo perché non le sembrava che stesse bene, ma sapeva per certo che appena tornata a casa non avrebbe avuto una serata facile.
Non attesero a lungo prima di andarsene per rincasare, dal momento che era tardi, ma abbastanza da salutare per bene ognuno dei piccoli draghi, i quali risposero con dei versi simili a fusa di gatto.
Quando Jennifer rientrò suo padre già dormiva nel letto, mentre sua madre l’aspettava seduta su una sedia a dondolo davanti al camino, passando il tempo a fare la maglia. Dal momento che dopo pranzo era uscita per andare a chiamare Susan, Gerida non le chiese dove o con chi fosse stata fino a tardi, ma le andò incontro sospirando spazientita e le chiese di cenare prima di andare a letto. Jennifer deglutì e annuì, sperando che l’ombra del corridoio nascondesse la sua espressione e il suo colorito pallido.
Gerida si limitò a darle la buona notte e a scusarsi se avevano cenato senza lei, poi sparì su per le scale, diretta in camera sua e del marito. La ragazzina sospirò in parte sollevata dall’assenza di domande sospettose o rimproveri, corse in cucina affamata e divorò la cena in una manciata di minuti, infine salì piano le scale per entrare in camera propria senza svegliare i genitori nella stanza accanto.

L’unico problema di Susan fu nascondere quello che provava e aveva provato; la sua faccia parlava per lei. Ma rimase sul vago tutta la sera, quindi alla fine i genitori, sebbene preoccupati, decisero di non stressarla più, e le suggerirono di andare a riposarsi subito dopo cena. La ragazzina non se lo fece certo ripetere, si cambiò immediatamente per infilarsi sotto le coperte, ancora tremando al pensiero di aver per poco evitato delle creature pericolose solo grazie a una certa dose di fortuna, ma soprattutto al suo draghetto giallo appena nato... e gli altri cinque fratelli al sicuro nella stalla.

Layla incontrò qualche difficoltà, essendo sua madre piuttosto severa, pignola e protettiva; discusse a lungo con lei a proposito degli orari da rispettare e della preoccupazione che, così facendo, causava a entrambi i suoi genitori. Suo padre rimase in silenzio preparando la tavola mentre la moglie discuteva a voce alta e con le mani sui fianchi, la ragazzina rispondeva a tono ma nello stesso tempo cercando di rimanere calma, per non farla arrabbiare di più. Dopodiché cenarono in silenzio e lentamente, finché infine la donna le disse di andare in camera, ammonendola perché una cosa del genere non capitasse più.

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Capitolo 7
*** The beginning of an adventure ***


Il colore del titolo del capitolo corrisponde al colore della regione in cui la storia al momento si svolge, tenete d'occhio la mappa per sapere dove ci troviamo!

THE BEGINNING OF AN ADVENTURE

Entro la fine del mese – e dell’estate – i ragazzi riuscirono a insegnare ai piccoli draghi che quando ricevevano la cena dovevano stare buoni e in silenzio a mangiare da soli, nell’attesa che Cedric sarebbe arrivato per passare con loro tutta la notte. Di giorno invece tutti gli altri andavano e venivano a turno, in modo che ci fosse sempre qualcuno nella stalla ma da non mancare mai un pranzo con la propria famiglia o un pomeriggio in casa ogni tanto, per non fomentare sospetti.
La velocità di apprendimento dei cuccioli gli fu di grande aiuto in questo, perché in quelle due settimane chi si era fermato nella stalla fino a sera tardi aveva poi dovuto discutere in famiglia, talvolta usando la scusa dei fuochi serali. La velocità con cui crescevano era singolare: in due settimane erano alti quasi il doppio di quando erano usciti dall’uovo e lunghi in media più di due piedi.
Giocare con loro e tenerli d’occhio diventava via via più complicato, perché più passava il tempo più acquisivano sicurezza nelle proprie capacità, coordinando meglio i movimenti abbastanza da riuscire finalmente a planare giù dal piano rialzato in tutta sicurezza, senza che nessuno dei ragazzi potesse impedirglielo. Ancora non volavano, per fortuna: erano certi che se avessero imparato sarebbe stato impossibile tenerli dentro le aperture sulle pareti sempre aperte, o fuori dai recinti dei cavalli.
Era Cedric a ricavare il peggio dalla situazione, non solo perché costretto a dormire tutte le notti fuori casa di nascosto, ma anche perché i piccoli draghi non dormivano molto, e doveva tenerne d’occhio sei al buio e soprattutto da solo. Spesso doveva correre da una parte all’altra della struttura per andarli a riprendere quando planavano giù, ma nel tempo che impiegava a riportarne uno al suo posto altri due avevano fatto qualche castroneria altrove. Quelle poche ore che i cuccioli dormivano faticava a fidarsi abbastanza da cadere in un sonno profondo, e la mattina, oltre a dover rimettere a posto tutto ciò che era in disordine, si svegliava decisamente irascibile. Si sfogava poi con sua sorella, la quale a sua volta si lamentava la sera col padre, e lì tutto gli ritornava contro.
Gli altri lo incontravano solo la mattina e la sera, quando si davano il cambio, non avevano occasione di parlargli perché lui a malapena li degnava di uno sguardo, ma più passavano i giorni più erano certi che così non potevano andare avanti; dovevano trovare una soluzione o prima o poi avrebbe dato di matto.
Ne discussero nei due giorni successivi, di insegnare ai cuccioli a rimanere buoni dove li avrebbero lasciati ad aspettare che tornassero per giocare con loro, così Cedric avrebbe avuto un po’ di respiro – o almeno avrebbe potuto dormire in casa. L’unico problema sarebbe stato come al solito trovare un posto dove lasciarli.
Ma quando lo dissero a lui, sorprendentemente rifiutò e disse: «Non si può lasciarli da soli da nessuna parte, semplicemente correrebbero in giro e non li troveremmo più.»
«Potremmo dargli il beneficio del dubbio!» disse Susan con un sorriso divertito.
«E rischiare di perderli?»
«Ma tu non ti vedi in faccia, sei esaurito!» gli disse Andrew.
Cedric scosse la testa: «No, è tutto... Ho tutto sotto controllo.»
«Ti stai sovraccaricando inutilmente.» gli disse Jennifer «Questa notte prova a lasciarli da soli qui dentro, se andrà bene almeno saprai di avere questa possibilità quando sei troppo stanco. Mamma dice che stai esagerando.» non specificò riguardo cosa, ma lo sguardo che le riservò non le diede possibilità di errore; era certa che avesse capito di cosa parlasse.
Dopo averci pensato a lungo, il ragazzo sospirò e sussurrò: «Va bene. Ma ora devo andare, o mia sorella impazzirà.» e dopo aver lanciato un’occhiata d’intesa a Jennifer se ne andò con passo malfermo.
«Esagerando con cosa?» le chiese Susan quando fu sicura che lui non potesse sentirli.
Jennifer scosse la testa e mantenne la parola implicitamente data: «Una cosa che riguarda lui e mia madre, in teoria. Non credo vorrebbero che voi lo sapeste.»
«È in cura per qualcosa? È malato?» insistette lei guardandosi attorno, sperando che uno di loro avesse una risposta. Dopo un po’ Mike fece spallucce e si picchiò la tempia con un dito, e la ragazzina si limitò a sussurrare: «Oh. Non... non sembra.» senza sapere come commentare.
Jennifer lanciò uno sguardo torvo a Mike e disse: «Già... Perciò sarebbe meglio non stressarlo troppo.»
«Stressarlo? Quello è stressato anche senza che noi facciamo nulla.» ribatté Layla incrociando le braccia sul petto; non le piaceva parlare di un ragazzo che non sopportava. O almeno non più.
«Beh questa situazione è stressante.» esclamò Andrew guardando il draghetto giallo e quello blu che saltavano e planavano cercando di atterrarsi senza essere atterrati a loro volta.
«Ci sta un po’ sfuggendo di mano.» ammise Jennifer.
«Mio padre sta cominciando a insospettirsi.» disse Layla con un sospiro malinconico.
«Vorresti chiedere a Cedric di cacciare per i draghi?» domandò Mike incredulo.
La ragazza scosse le spalle e si difese dicendo: «Forse per lui stare fuori casa è meno stressante!»
Andrew scosse la testa e ribatté: «Chiediglielo a tuo rischio e pericolo. Io penso che ce la possa fare a resistere finché i draghi capiranno di non essere i nostri cuccioli. Prima che se ne vadano da soli, insomma...» aggiunse poi con aria triste.
«Io invece credo di no.» disse Jennifer «Dobbiamo abituarli a stare buoni anche senza la nostra presenza. Ormai lo sanno che torniamo sempre a trovarli!»
«Su questo hai ragione, lo sanno. La mattina è come se ci aspettassero.» disse Susan, poi fece un giro su se stessa e corse per salire la scaletta e raggiungere il suo draghetto giallo, il quale scappò per non farsi prendere.
La discussione morì di punto in bianco, perché tutti lasciarono perdere ogni preoccupazione per giocare coi cuccioli; erano ancora più veloci di loro, ma diventava sempre più difficile afferrarli dato che quelli ormai riuscivano a planare.
Capitava ogni tanto che perdessero il controllo di una virata e piombassero al suolo, o che andassero contro un palo, ma ogni volta scoprivano che per fortuna non si erano fatti male. Il cucciolo rosso una volta era pure finito dentro il recinto di Wind e la giumenta era andata su di giri, Jennifer era dovuta correre a chiamare Cedric perché aprisse il cancello per tirare fuori il draghetto e avevano rischiato davvero tanto che Lily lo seguisse per chiacchierare con la ragazzina dai capelli rossi e le lentiggini.
Ma se non altro dopo quell’occasione tutti i cuccioli sembravano aver capito che non dovevano oltrepassare i cancelletti dei recinti nemmeno per errore.

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La prima notte da soli fu invece un disastro. I draghetti, piangendo perché non abituati a stare al buio senza uno di loro a tenergli compagnia, svegliarono e innervosirono i cavalli, i quali a loro volta dopo diversi minuti destarono il fabbro.
Cedric per una volta stava dormendo profondamente, ma ci pensò suo padre, prendendolo per i capelli e spingendolo fuori dalla camera, a svegliarlo quasi completamente. Si mise gli stivali e ancora sbadigliando pensò per la prima volta che fosse una fortuna che gli venisse delegato qualsiasi lavoro che non riguardasse la fucina, altrimenti a quell’ora Jorel avrebbe scoperto i sei piccoli draghi.
Entrò nella stalla e pochi attimi dopo due draghetti – o tre, non seppe dirlo – gli planarono addosso. Gli servì diverso tempo per calmare tutti i cavalli, soprattutto considerando il fatto che i draghetti gli correvano costantemente intorno, anche passandogli tra le gambe, ma alla fine li portò tutti di sopra e cercò di tenerli buoni su un letto di paglia dove si sdraiò anche lui addormentandosi quasi subito.
I cuccioli sembrarono comprendere la sua stanchezza e gli si accucciarono tutti attorno, o anche addosso, per dormire acciambellati insieme a lui.

Quando arrivarono alla stalla e videro tutto in disordine si preoccuparono. Corsero fino alla scaletta e salirono uno alla volta, ma rimasero spiazzati nel vedere Cedric che dormiva con tutti i cuccioli acciambellati nelle vicinanze – e quello verde tranquillamente sdraiato sulla parte alta della sua schiena. Si guardarono tra loro come chiedendosi se dovessero svegliarlo oppure no, perché se ancora dormiva poteva significare che qualcosa non andava.
Ma alla fine Mike decise che non li avrebbe rimproverati, dato che sarebbe dovuto correre da Lily comunque, perciò lo scosse delicatamente un paio di volte e quello bastò a fargli alzare la testa.
Alzandosi da terra svegliò il draghetto verde che ruzzolò nel fieno, ma anche quello blu e quello viola che dormivano appoggiati a lui, uno alle gambe e l’altro al fianco. Si mise a sedere sulle proprie gambe e si stropicciò gli occhi ancora assonnato, poi senza dire una parola si alzò e scese la scaletta.
«Tutto bene?» gli chiese Jennifer, e lui rispose con un verso indistinto che suonava negativo.
Cominciò a riordinare la stalla, ma Andrew gli corse incontro e gli prese le mani per impedirglielo dicendo: «Corri da tua sorella che è tardi. Ci pensiamo noi qui.»
Cedric rimase interdetto per qualche secondo, guardandolo decisamente confuso, e quando Andrew sostenne il suo sguardo per tutto quel tempo il più grande mugugnò un ringraziamento e se ne andò richiudendo il portone alle sue spalle.
Riordinare la stalla li tenne occupati quasi fino a pranzo, perché non sapevano dove rimettere le cose e perché i piccoli draghi continuavano a distrarli e interromperli. Come ogni giorno tornarono a casa uno o due alla volta per non lasciare i cuccioli da soli, ed ebbero l’impressione che diventasse sempre più difficile allontanarsi da loro, si sentivano inspiegabilmente vulnerabili, abbandonati, tristi. Cose che non credevano di provare realmente, e forse erano dovute al fatto che sapevano di mancare ai draghetti anche per quel breve periodo.

Le notti che seguirono furono molto più tranquille per Cedric; talvolta ancora doveva rincorrerli in ogni angolo, e capitava che i piccoli draghi spaventassero i cavalli, ma se non altro appena lui si sdraiava per dormire anche loro si accucciavano vicini a lui e se ne stavano buoni tutto il resto del tempo, fino al mattino seguente.
Di giorno invece erano ancora molto vivaci, i soliti pasticcioni. Giocavano prevalentemente a rincorrersi o fare la lotta, e qualche volta uno dei ragazzi veniva involontariamente ferito da uno dei draghetti e tornava a casa dicendo che aveva perso l’equilibrio cadendo sulle radici di un albero.
Ormai i piccoli draghi erano del tutto autosufficienti, pur essendo alti più o meno fino alle ginocchia dei ragazzi: i denti più grandi erano lunghi circa come la falange più piccola delle dita dei ragazzi, gli artigli erano poco più lunghi, planavano molto meglio e correvano poco più lenti di loro. Le eventuali spine o corna crescevano lentamente, ma erano visibilmente più grandi, le ali crescevano quanto il corpo; rimanevano sempre poco più corte della lunghezza complessiva per il momento, fatta eccezione per il drago blu che avendo collo e corpo più corti nel complesso sembrava avere le ali poco più grandi degli altri. Gli strani bitorzoli sul dorso del draghetto nero presto si rivelarono essere una moltitudine di spine che crescevano più o meno rapidamente, e la stessa cosa valeva per le piccole protuberanze nere allineate sul dorso del drago verde, che si rivelarono spine nere dalla grandezza irregolare.
In quelle settimane tutti i ragazzi, sebbene inconsapevolmente, sperimentarono degli strani mal di testa, dolorose fitte, giramenti, nausee, si sentirono talvolta stanchi e talvolta invece pieni di energie, con la testa pesante come il piombo o leggera come l’aria.
Provarono anche strane emozioni inaspettate; per esempio un giorno mentre stavano raccontando una storiella ai draghi, Mike si lasciò sfuggire un urlo – fu impossibile definire se fosse di rabbia o di paura – e tutti lo guardarono meravigliati, soprattutto Jennifer che stava parlando; erano così occupati a guardare lui che nessuno si accorse del corpicino blu al suo fianco, tremante.
Gli parve di rivivere molti ricordi dimenticati nelle più svariate occasioni, spesso mentre parlavano, e si lasciavano confondere al punto da non ricordare più cosa stessero dicendo. E più volte ebbero la sensazione che qualcuno li stesse osservando, o che soffiasse del vento, ma ogni volta che si guardavano intorno non vedevano né sentivano nulla di strano.
Non collegarono questi fatti ai draghetti, perché i sintomi li accompagnavano anche quando erano lontani dalla stalla, anche se meno intensi, talvolta preoccupando i genitori.
Per questo motivo Cedric per poco ci perse realmente la testa un’altra volta, rivivendo ricordi che ogni giorno cercava di lasciare chiusi in un angolo della mente. Ricominciò a parlare da solo e spesso, scappava da suo padre, rispondeva a domande che non gli erano state poste e talvolta veniva anche preso da veri e propri attacchi di panico o d’isteria. Non riusciva a capire cosa gli stesse succedendo e ne aveva paura, specialmente perché tutto ciò succedeva sia che prendesse il suo rimedio che no; certo le emozioni che provava erano comunque attenuate, ma non tanto come al solito e ad ogni modo non riusciva a impedirsi di pensare a certe cose, semplicemente non ne aveva il controllo.
Jorel più volte lo costrinse ad assumere una dose maggiore di quel rimedio senza ottenere risultati migliori, anzi provocandogli sbalzi d’umore ancora più violenti quando l’effetto calmante svaniva. Portò personalmente Lily da Ilion, dove l’avrebbe lasciata finché non si fosse trovata una soluzione a quella situazione, ma quando erano in casa loro due da soli di certo non lo aiutava a migliorare gridandogli insulti e picchiandolo, col solo risultato che sempre più spesso il ragazzo si chiudeva nella stalla cercando conforto nel piccolo drago verde.
Gli parlava in continuazione quando gli altri ragazzi non si trovavano lì, senza realmente contare sul fatto che potesse già capirlo; aveva solamente bisogno di non tenersi tutto dentro.
Ma al contrario di quanto pensasse, il draghetto in qualche modo comprendeva che qualcosa non andava: ascoltava le sue parole, il suo tono di voce, e poteva sentire le sue emozioni e vedere i suoi ricordi. Tutte cose di cui il ragazzo era inconsapevole. La causa del suo malessere era proprio l’unica creatura in cui cercava consolazione. E questo, il piccolo drago lo sapeva.
Non dovendo più passare tutto il giorno in casa con Lily perché la bambina stava costantemente da Ilion, alla fine gli capitò di incontrare gli altri cinque ragazzi che venivano alla stalla per trovare i cuccioli, e rimanendo lì tutto il giorno permise a loro di andare a pranzare e cenare quando lo preferivano.
Ma non gli parlò mai né si mosse, si limitò a restare seduto in un angolo guardando un punto fisso senza realmente vederlo, talvolta abbracciandosi da solo. Gli era capitato già altre volte di alienarsi a quel modo da tutto ciò che lo circondava, il che lo portava irrimediabilmente a pensare alle proprie questioni senza potersi distrarre, ma se non altro non avrebbe esternato alcuna reazione. Sentiva ciò che dicevano, ma non gli rimaneva in mente; avrebbe ricordato tutto una vola che si sarebbe ripreso.
I ragazzi lo trovarono a dir poco strano e preoccupante, ma le domande che gli facevano sembravano andare perse nel vento, quindi dopo un po’ smisero d’infastidirlo e perdere tempo inutilmente e lo lasciarono perdere lanciandogli un’occhiata di tanto in tanto per tenerlo d’occhio, sperando che prima o poi si sarebbe ripreso e avrebbe cessato quella inquietante sceneggiata che lo faceva apparire come una statua.
Il draghetto verde passava tutto il tempo accanto a lui, spesso cercando d’intrattenerlo o distrarlo dai propri pensieri, ma nemmeno mordendolo riusciva ad attirare la sua attenzione.

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Capitolo 8
*** Voices in the head ***


Il colore del titolo del capitolo corrisponde al colore della regione in cui la storia al momento si svolge, tenete d'occhio la mappa per sapere dove ci troviamo!

VOICES IN THE HEAD

Questa situazione durò così a lungo che quelle volte in cui Cedric si trovava nella stalla con loro in realtà facevano finta che non ci fosse; più o meno era vero, eccetto quando all’improvviso diceva qualcosa apparentemente senza senso e senza un contesto, come se parlasse a un fantasma o a se stesso.
Una di quelle volte, poco dopo la metà del primo mese d’autunno, i ragazzi furono felici di lasciare la stalla per andare a pranzare; capitava sempre più spesso che praticamente fuggissero lasciando i draghetti soli con lui, ma proprio non riuscivano a rimanere nello stesso edificio con un tizio che li ignorava completamente qualunque cosa facessero. Li stava esasperando il non poter far niente, si sentivano completamente inutili e spaventati.
Quando i ragazzi furono lontani il draghetto verde si sedette davanti a lui guardando fisso le sue mani, che al momento coprivano gli occhi. Il ragazzo stava piangendo perché sapeva di essere rimasto da solo coi cuccioli.
Sentiva la sua tristezza, la sua paura e il suo disagio, e il fatto di esserne la causa gli faceva provare emozioni che ancora non conosceva, ma che era certo di condividere con lui. Gli fu naturale entrare nella sua mente indifesa e inconsapevole della sua presenza per comunicare, ma ancora non conosceva molte parole.
Optò per la più semplice, quella che meglio conosceva e che lui di sicuro avrebbe riconosciuto, dunque gli toccò pensare a quale tono di voce usare: cosa voleva esprimere?
Alla fine scelse di mantenersi inespressivo e si decise a sussurrargli: Cedric?
Lui non reagì come si era aspettato, invece si chiuse ancora più in se stesso e tremando sussurrò a sua volta: «Stai zitto.»
Cedric... ripeté ora con un tono più preoccupato, sperando che almeno lo guardasse.
«Despada sia maledetta, basta! Lasciami in pace!» gridò lui.
A quel punto capì che in realtà Cedric pensava di parlare con se stesso, perché aveva usato la sua stessa voce per chiamarlo. Quindi decise di adottare una soluzione più decisiva.
Gli morse la mano e gliela tirò via dalla faccia in modo che per forza avrebbe dovuto guardarlo negli occhi, e appena il ragazzo alzò la testa confuso emise un ruggito acuto e ripeté, questa volta gridando nella sua mente: Cedric!
Il ragazzo si portò una mano alla testa perché quel grido era in qualche modo reale e prepotente, proprio come se qualcuno gli avesse urlato nell’orecchio, ma invece dell’orecchio ora gli doleva una parte indefinita del cervello. Aprì la bocca per dire qualcosa ma era rimasto senza parole, perché dopo qualche secondo di confusione finalmente aveva capito.
«Tu... cosa... aspetta un attimo, eri tu?» gli chiese infine, confuso più che mai; non si aspettava che i draghi potessero parlare, tantomeno senza aprire bocca e nati da così poco. Credeva di esserselo immaginato, ma quel dolore era troppo reale.
rispose il draghetto.
Ma ancora non ne fu certo, perché a rispondergli era stata la sua stessa voce. Si guardò intorno spaesato, cercando di capire, poi guardò di nuovo il cucciolo verde che era rimasto immobile con gli occhi fissi nei suoi.
«Tu mi... mi hai rubato la voce? Parli con la mia voce o sono completamente impazzito?»
Il draghetto non era sicuro di come rispondere, non capiva realmente il significato di quelle parole, e dirgli una bugia o ripeterle senza senso avrebbe potuto causare ancora più danni. Perciò si limitò a fissarlo.
E dopo un po’ Cedric scosse la testa ridendo istericamente: «Lo sapevo, sono io.»
Gli venne in mente un’idea per fargli capire tutto, voleva che capisse che la causa del suo male era proprio lui. Perciò cominciò a pensare ai momenti passati con lui e glieli mostrò: Cedric non avrebbe potuto fraintendere, gli stava mostrando lui stesso con gli occhi di un drago.
Lui capì, infatti, non avrebbe mai potuto immaginare il mondo così pieno di dettagli, suoni e odori, né un punto di vista tanto basso, o di lanciarsi giù da quel piano rialzato senza farsi un graffio... figurarsi la sensazione di controllare sei arti e una lunga coda. Ma tutto ciò lo spaventò, dopo un primo momento d’incredulità cominciò a desiderare che smettesse; aveva già abbastanza problemi senza che quel demonio gliene causasse altri.
Si rialzò prendendosi la testa tra le mani e gridò, questa volta chiaramente diretto al draghetto: «Smettila!»
E lui obbedì, interrompendo immediatamente il flusso di pensieri che li legava, senza mai smettere di guardarlo negli occhi. Cedric era terribilmente inquieto, tremava sconvolto e continuava a indietreggiare per allontanarsi dal draghetto. Tutti gli altri cuccioli osservavano ora la scena.
«Tu... a che gioco stai giocando? Ti sembra divertente? Cosa vuoi da me?»
La sua stessa voce gli rispose: Cedric è la tua voce?
«Cosa... No... No, Cedric è il mio nome.» disse, colto alla sprovvista.
Non devi... cominciò, ma s’interruppe perché gli mancavano le parole per spiegarsi.
Solo leggermente più tranquillo, il ragazzo chiese: «Non devo cosa?»
Il draghetto piegò la testa da un lato, e appena capì il significato della sua domanda rispose: Questo... e Cedric si sentì all’improvviso letteralmente sopraffatto da un’ondata di terrore che nuovamente lo sconvolse.
Gli cedettero le gambe e prima di ricominciare a piangere esclamò implorante: «Va bene! Va bene ho capito! Basta!» e di nuovo tutto cessò com’era cominciato. Lo guardò incredulo, ancora tremando.
Attento.
«Cosa... a cosa?» balbettò.
In risposta il draghetto si limitò a immaginarsi – o lo costrinse a figurarsi nella mente la sua immagine – lui terribilmente vicino a cadere giù dal piano rialzato. Guardandosi alle spalle si accorse che il draghetto aveva ragione, se avesse fatto un passo in più sarebbe caduto una decina di piedi più in basso. E nemmeno se n’era reso conto.
«Grazie...» sussurrò poco convinto tornando a guardarlo «Potevi almeno scegliere un momento migliore per parlarmi, no?»
Di nuovo il draghetto stortò la testa e rispose dicendo altro: Dici molte cose. A me. È colpa mia.
«Cosa è colpa tua?» gli chiese, riavvicinandosi con cautela.
Quello che ho fatto poco fa...
«Lo so, l’ho capito.»
E altro. Tutto quello... tu sei...
Capì che aveva ancora diverse difficoltà a comunicare, ma non gliene fece certo una colpa – dopotutto non aveva nemmeno due mesi di vita.
Ciononostante non riuscì a impedirsi di dire: «Potresti smettere di rubarmi la voce? Mi fai sentire un idiota. Continuerei a credere di parlare da solo se non mi stessi fissando a quel modo, e se non avessi visto e provato quelle cose...» si zittì capendo che probabilmente era ancora troppo presto perché capisse di dover cambiare voce, quindi decise di arrendersi e lasciare le cose così come stavano, per il momento: «Scusa. Non dovrei.»
Cosa? chiese, sicuro di aver capito il significato di quella parola. E infatti ottenne ciò che voleva: una risposta.
«Non dovrei rimproverarti. Quanto capisci di quello che dico?»
Dici molte cose ripeté il draghetto.
«Questo lo so...» sussurrò perplesso. Non sapeva cosa fare ora, il suo draghetto gli stava parlando ma faticavano a capirsi, ci sarebbe voluto forse un altro mese perché potessero comunicare fluentemente.
Solo un mese disse il drago, ripetendo le parole che lo stesso Cedric sapeva di aver pensato.
Lo guardò e gli chiese: «Puoi ascoltare i miei pensieri?»
Dopo un lungo momento di silenzio in cui il cucciolo si sforzò di capire ciò che aveva detto, alla fine rispose: Sì.
«Oh, maledizione... molte cose non ti piaceranno.» si rese conto di sentirsi già inspiegabilmente più a suo agio e quasi felice, ma non riuscì a capirne davvero la ragione.
Ora sapeva che tutte le strane cose che gli erano successe nell’ultimo mese le aveva causate il piccolo drago verde, e sapeva anche che non avrebbe mai voluto causargli sofferenza e probabilmente non l’avrebbe più fatto. Certo riparare il danno avrebbe richiesto del tempo, soprattutto per quanto riguardava la parte di suo padre, ma almeno era sollevato per aver capito quale fosse la reale causa: per una volta non si era trattato della sua mente, ma di una ancora più complessa e misteriosa.
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Quando gli altri tornarono dalla lunga pausa pranzo – l’avevano prolungata perché si aspettavano di trovare Cedric nelle medesime pessime condizioni – rimasero sorpresi nel vedere che in realtà sembrava stare finalmente bene. Gli chiesero allora cosa gli fosse preso e come avesse fatto a guarire nell’arco di un’ora o poco più, e per la prima volta lui effettivamente rispose a una loro domanda.
Spiegò cosa fosse successo col piccolo drago, di come l’avesse mandato fuori di testa facendolo ripensare a cose che non volle specificare, e gli chiese sentitamente scusa per come si era comportato in quel periodo. Dunque gli disse che, avendo più o meno chiarito la situazione col cucciolo, episodi del genere non sarebbero dovuti ricapitare. O almeno non a causa del drago.
Fecero in fretta ad accettare le sue scuse e si concentrarono invece sulla parte della comunicazione. Volevano sapere nel dettaglio come fosse comunicare con un drago, solo che Cedric non sapeva spiegarlo; era stato piuttosto confuso e spaventato per farci realmente caso. Ricordava solo una cosa in particolare: il drago usava la sua stessa voce. Il perché lo ignorava, sapeva solo che non desiderava altro che si scegliesse una voce tutta sua al più presto.
«Forse avere un nome lo aiuterà a scegliersi un’identità propria.» disse Layla quando lui ebbe finito di parlare – pensando ad alta voce.
Con quelle parole se ne rese conto, scosse la testa e disse subito: «Mi dispiace. A volte non me ne accorgo.»
«Non preoccuparti.» disse Mike poco convinto «Comunque potresti avere ragione. Ehi! Chissà se anche gli altri parlano!» esclamò poi, si prese il draghetto blu e lo portò all’angolo opposto per potergli parlare in pace.
Lo guardò intensamente e presto cominciò a sentire un crescente senso di disagio, ma ora sapeva che non si trattava del proprio: era il drago a sentirsi a disagio.
Si allontanò un poco lasciandogli più spazio e sussurrò: «Scusa, non volevo agitarti. Mi capisci?»
Ti... capisco, sì. Ti capisco gli rispose una voce nella testa, proprio come aveva detto Cedric. Mike si immobilizzò. Non era stato lui a pensare. Ne era certo anche se la voce che aveva sentito assomigliava alla sua tanto da spaventarlo, ma aveva come sottofondo uno strano e continuo rumore di aria, come quando si tappava le orecchie con entrambe le mani lasciando solo un piccolo spiraglio per far passare l'aria.
Guardò dietro di sé incredulo, incrociando lo sguardo del più grande che gli rispose con un mezzo sorriso incerto, poi tornò a guardare il draghetto blu e disse piano: «Ne sono felice.»
Io Mike. Anche io. Anch’io sono felice.
Il ragazzino ridacchiò per quei due tentativi sbagliati, ma era sicuro che se in un mese aveva imparato a comunicare, entro il mese successivo avrebbero potuto parlare tranquillamente.
«Quindi ora possiamo dirgli cosa fare!» esclamò Jennifer «Possiamo costruirgli una tana in uno dei boschi e dirgli di rimanere lì!»
Prima che gli altri potessero fare qualsiasi altra cosa, Cedric tentò il tutto per tutto; si alzò e guardò fisso negli occhi il draghetto verde, quindi esclamò: «Non sono tuo padre!» lasciando tutti basiti.
Dopo un lungo silenzio, in cui probabilmente il drago interpretò le sue parole, arrivò una risposta: Lo so.
«Lo... lo sai?» fece il ragazzo incredulo.
Susan rimase a bocca aperta: «Lo sanno?»
«Perché sei ancora con me allora? Non vuoi sapere dove sono i tuoi veri genitori?» continuò Cedric.
Ci fu un’altra lunga pausa, poi: No. Sto bene con te.
Cedric si lasciò sfuggire una sonora imprecazione, dopo la quale si coprì la bocca ma senza chiedere scusa a nessuno.
Tu no?
«Cosa ti ha detto?» gli chiese Andrew curioso.
«Che sta bene con me. Con me! Capite? Devi essere pazzo anche tu.» disse poi al draghetto.
Tu no? gli ripeté la creatura, e Cedric non seppe se si riferisse alla prima o all’ultima affermazione.
«Quindi, Cedric, questo è affetto o ancora no?» lo apostrofò Mike.
Lui di nuovo scosse la testa, decisamente incredulo e spaesato: «Io non... non lo so, forse non ha capito quello che ho detto.»
L’ho capito gli disse il draghetto, facendo ringhiare divertiti anche tutti i fratelli.
«Oh finiscila! Non prenderci gusto! Cambia voce dannazione!» esplose il ragazzo, e quando si rese conto che tutti lo stavano guardando si ricompose e si schiarì la gola, poi sussurrò: «Scusate.»
Susan fu rapida a dimenticarsene e si accucciò davanti al draghetto giallo, che la guardò quasi con terrore, e gli chiese: «Sei un maschio o una femmina? Parlerai con la mia voce anche tu per adesso? Puoi scegliertene una tutta tua, sai?»
Tutti i ragazzi ebbero il tempo di sedersi ed essere affiancati dal proprio draghetto prima che quello giallo rispondesse a Susan; si scelse infatti una voce, ma non molto diversa da quella della ragazzina, solo più acuta: Non so cosa sono ancora. Va bene così?
E lei rise: «Basta che non sia la mia o di qualcuno che conosco! Se piace a te va benissimo.»
«Troviamogli un nome!» esclamò Andrew.
«No! No, prima o poi dovremo separarci, non ha alcun senso!» protestò Cedric.
Nome? domandò il draghetto blu a Mike.
Lui rimase spiazzato: «Ehm... cos’è un nome? Beh, il nome è... una parola! Una parola particolare, io mi chiamo Mike. Se tu dici Mike io so che parli con me.»
Può essere anche mio? Mike.
«Oh no! Solo io devo essere Mike, altrimenti non capiremmo con chi gli altri vogliono parlare.»
Allora chi sono io?
«Ancora nessuno. Ma potremmo scegliere insieme un nome... una parola con cui ti piaccia essere chiamato.»
«Pare ovvio ormai che non se ne vogliano andare.» disse Jennifer riprendendo il discorso di poco prima.
«Ma non possono restare!» disse Cedric spazientito.
Io voglio un nome disse il draghetto viola a Layla, e anche a lei parve strano sentire una voce uguale alla sua nella sua mente.
«Tu... tu vuoi un nome? Va bene allora...» disse pensierosa, immaginando che sarebbe stato difficile sceglierne uno.
«Ma che nomi gli diamo? Non ho mai sentito nomi da drago in vita mia!» esclamò Susan.
«Beh, potremmo dargli i nomi degli elementi, come fuoco, acqua...» propose Jennifer un po’ incerta.
«Ma no!» esclamò Andrew.
«No... decisamente no.» rispose Mike contrariato «Sono draghi! Serve qualcosa di unico e speciale.»
«I nomi delle pietre preziose? Hanno colori simili, specialmente quelli degli occhi.» propose Layla.
«Non è male! Ma una pietra gialla?» disse Susan.
«Oro, topazio, zolfo, ambra, agata...» cominciò Cedric.
«Sì, ma non posso chiamarla Zolfo!»
«Allora non fare il nome di una pietra.» le disse Mike semplicemente mentre Andrew e Jennifer ridevano.
«La mia è simile all’ametista... come suona per voi Ametyst? Ti piace piccola? O piccolo.» chiese Layla.
Ametyst? Ametista? Pietra preziosa? domandò subito la piccola dragonessa sentendosi interpellata.
«Sì, di colore viola! Guardala se vuoi.» si indicò la tempia per farle capire che si stava figurando un’ametista nella mente.
E la giovane creatura non se lo fece ripetere, Layla si sentì la testa pesante e vide più chiaramente la pietra, mentre la draghetta la metteva a fuoco osservandola da ogni angolazione e la faceva scintillare.
È bellissima.
Proprio come te... pensò la ragazza, senza sapere che lei poteva sentirla, e infatti si sentì invadere da un’allegria e un imbarazzo che non riuscì a spiegarsi «Allora, ti piace?» domandò quindi per distrarsi.
Mi piace, sì. Ametyst. Io sono Ametyst! e si esibì in un acuto ruggito spalancando le piccole ali.
«E io? Ha il colore del rubino...» fece Jennifer.
Che ne dici di Rubia? le chiese la sua draghetta – per il momento l’avrebbe considerata femmina dal momento che, anche lei, aveva scelto la voce della ragazza a cui si era affezionata.
«Lei mi suggerisce Rubia... che ne dite?»
«Per lei sembra perfetto. E poi se è stata lei a proportelo immagino le piaccia.» disse Mike «Il mio direi che è simile allo zaffiro... piccolo ti piace il nome Zaffir?»
Zaffir? Sarà il mio nome?
«Ti piace?»
Sì.
«Perfetto!»
«Bene, ma ripeto che non la posso chiamare Zolfo!» esclamò Susan.
«Lei è gialla, le donerebbe un nome che dia l’idea di qualcosa di luminoso...» disse Jennifer pensierosa.
«Sulphane!» esclamò Susan d’un tratto.
Sulphane, sì! le fece eco la draghetta tutta contenta, saltellandole intorno.
Susan la guardò dritta negli occhi e le sorrise. Sulphane finalmente smise di saltellare, si ricompose stringendo le ali ai fianchi e si lasciò coccolare.
«Malachite, giada, smeraldo... Smeryld?» fece Cedric incerto.
«Suona bene!» esclamò Jennifer.
«Ti piace?» chiese dunque al draghetto.
Quello stortò la testa e sembrò pensarci un attimo su: Smeryld e Cedric... suona bene. Mi piace, sì. Mi chiamerò Smeryld? Come desideri.
«Lo sto chiedendo a te!» ribatté lui divertito, e Susan rise.
Smeryld ruggì come Ametyst aprendo un poco le ali, fiero di avere anche lui un nome.
«Ma scusa, tu mica dicevi che non aveva senso?» lo interrogò Layla diffidente.
E lui scosse appena le spalle senza guardarla: «Sì, lo penso ancora. Ma... Smeryld, mi trasmetteva emozioni che sembravano dire ‘Voglio un nome, trovami un nome’.»
«E per me?» chiese Andrew impaziente.
«Ossidiana, onice, ematite...» cominciò Cedric.
Ma Andrew lo interruppe: «No, non voglio il nome di una pietra.»
«Ma l’ematite è ferrosa, una pietra nera e rossa! E l’ossidiana è più nera delle sue scaglie!» protestò lui.
«Qualcosa che suoni tenebroso.»
Mike cominciò a proporre nomi, Andrew scuoteva la testa e il draghetto ascoltava facendo un ghigno di scherno ogni volta che ne proponeva uno.
«No... più aggressivo!»
«Cosa c’è di più aggressivo? Non lo so!»
Si unì anche Cedric alla ricerca disperata di un nome aggressivo e tenebroso come desideravano entrambi, gliene propose alcuni che gli passavano per la testa mentre le tre ragazze coccolavano ognuna il proprio draghetto e Sulphane dibatteva la coda felice.
«No, troppo banale...» fece il ragazzino con una smorfia.
«Allora... Umbreon?» questa volta il draghetto alzò la testa e fissò Cedric.
«Credo che gli vada bene sai...» disse Andrew piano fissando il piccolo drago nero immobile come una statua.
«Allora adesso hanno tutti un nome! Che bello!» esclamò Susan battendo le mani felice.
«È stato fin troppo facile! In pochi minuti abbiamo trovato sei nomi perfetti!» esclamò Mike soddisfatto.
«Tutto molto bello... ma ora che facciamo?» disse Cedric, come riprendendo un vecchio discorso «Crescono troppo in fretta, non possiamo tenerli qui dentro per sempre!»
«Beh, ora possono capirci. Potremmo trovargli un posto nel bosco qui vicino.» disse Jennifer con aria noncurante e una scrollata di spalle.
«O lasciare che se ne vadano per conto proprio.» sussurrò lui cupamente.
Andare dove? Io non voglio andare! disse Sulphane mugolando.
«Non intendeva dire questo.» disse subito Susan lanciando un’occhiataccia a Cedric «Intendeva dire che nessun altro a parte noi deve sapere della vostra esistenza. Quindi dovete rimanere nascosti.»
«Sì! Selliamo i cavalli e andiamo!» esclamò Mike, quindi balzò in piedi e corse fino alla scaletta per poi scenderla in fretta.
Susan Jennifer e Andrew presero in braccio i propri draghetti prima di seguirlo, mentre Zaffir planò giù da solo atterrando proprio in testa a Mike, il quale rise allegramente affacciandosi al cancello di Thunder. Cedric per una volta non ribatté e cominciò subito a preparare i cavalli, mentre Layla rimase tranquilla al piano superiore seduta davanti ad Ametyst senza riuscire a staccare gli occhi dai suoi.
Quando fu il momento di partire per il bosco prese in braccio sia Smeryld che Ametyst per portarli giù, montò in sella a Nuvola e la spinse fuori al trotto mentre il draghetto verde balzò da una sella all’altra sistemandosi su quella di Cedric.
Non ci misero più di dieci minuti a raggiungere il bosco al galoppo, e lì preferirono smontare dalla groppa degli animali per proseguire a piedi conducendoli per le redini. Cedric gli disse di seguirlo, perché credeva di aver in mente un posto che sarebbe andato bene, e li guidò verso nord-est. E in effetti il luogo che gli mostrò non era affatto male: era una naturale barriera di enormi massi che coprivano la vista da nord-est, c’era uno spiazzo libero vicino a essi e poi tutt’intorno felci molto alte. Ma l’unica protezione veramente efficace erano le rocce.
«Quindi da oggi li lasceremo qui?» domandò Mike con una nota di tristezza nella voce.
«Non è lontanissimo, a piedi sarà un’ora di cammino.» disse Jennifer guardandosi intorno come per accertarsi che fosse davvero un buon posto.
«Sì, io ehm... Probabilmente non potrò venire spesso.» disse Cedric, rivolgendosi soprattutto al draghetto verde «Ci proverò. Ma tu non venire a cercarmi. Resta nascosto nel bosco, chiaro?»
Non mi allontanerò da qui promise il drago, e il ragazzo si ritrovò a sperare che davvero avesse capito l’importanza di non essere scoperto.
I cuccioli planarono a terra mentre i ragazzi legarono i cavalli ad alcuni rami, poi esplorarono insieme i dintorni, talvolta giocando a rincorrersi. I draghetti non sembravano disturbati dal nuovo ambiente, né ebbero grandi difficoltà ad abituarsi al nuovo terreno soffice.

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Capitolo 9
*** Oncoming troubles ***


Il colore del titolo del capitolo corrisponde al colore della regione in cui la storia al momento si svolge, tenete d'occhio la mappa per sapere dove ci troviamo!

ONCOMING TROUBLES

Come al solito salutarono i draghi prima di tornare a casa, ma questa volta se ne andarono con più difficoltà: avrebbero voluto parlare con loro per tutta la notte. Inoltre si divertivano perché cuccioli non conoscevano ancora molte parole della loro lingua e continuavano a chiedere spiegazioni, o capivano ben poco di quello che gli veniva detto.
La madre di Layla, una donna dal fisico slanciato, capelli scuri e gli stessi occhi verdi della ragazza, cominciava a insospettirsi. Poco dopo che Layla fu entrata in casa cominciò a farle domande fingendo indifferenza: «Allora... com’è che ultimamente esci e stai fuori tutto il giorno?»
«Oh... beh sai, gli amici che ho sono davvero simpatici, starei da loro anche a dormire a volte...» tentennò lei in risposta, poggiando la giacca sulla poltrona.
«E non dai fastidio, vero?»
«Ma certo che no mamma! Perché dovrei?»
«Oh no niente... volevo solo sapere. E dove passi il giorno di preciso?» continuò con fare incredibilmente soave.
«Ehm...» decise di dirle la verità, evitando di parlare dei draghi «Oggi siamo stati nel bosco.»
La madre la guardò torva: «Ma non è pericoloso?»
«Certo che no! Ormai conosciamo bene alcune zone. Andiamo lì per giocare e ci divertiamo molto, tutto qui.» sperava di essere stata abbastanza convincente.
«Non so perché ma ho l’impressione che tu mi stia nascondendo qualcosa... e credo di aver capito cosa.» Layla la fissò con estrema intensità «Tu esci tutti i giorni e stai via così tanto perché...» la giovane incrociò le dita dietro la schiena «...sei innamorata!»
Ci rimase malissimo, ma in fondo era felice che sospettasse una cosa del genere piuttosto che qualcosa di simile alla realtà: «...Cosa?!» chiese ugualmente, incredula.
«Ma sì cara si vede!» continuò Alena estasiata «Ti sei invaghita di uno dei ragazzi con cui esci!»
«Ma non dire fesserie!»
«Hai visto? Se reagisci così significa che ho ragione!» e se ne andò canticchiando allegramente.
Layla fece un sospiro di sollievo. Corse in camera sua e si sdraiò sul letto aspettando che sua madre la chiamasse per cenare augurandosi con tutto il cuore che non indagasse oltre.
Devo fare in modo che pensi di essere sulla strada giusta con la storia della cotta... Innamorata? Io? E di chi, per Lya?! pensò leggermente infastidita ma al contempo sollevata.

Mike invece tornando a casa trovò la cena già pronta e il falchetto di suo padre appollaiato sullo schienale della poltrona, dunque andò a cercare la madre tutto contento e le chiese quali novità ci fossero.
Ma la donna sembrava tutt’altro che allegra, anche se cercava di mascherare la preoccupazione, e gli disse semplicemente che suo padre aveva bisogno del suo aiuto, quindi sarebbe partita per Miol a breve.
«Ho già lasciato informazioni a Gerida, ha gentilmente accettato di tenerti in casa sua per questo periodo. Saremo di ritorno tra due o tre mesi al massimo. Mi raccomando, fai il bravo.» gli disse, poi lo spinse verso il tavolo da pranzo e consumarono una cena silenziosa, il ragazzino ora era sconfortato e non alzava gli occhi dal piatto.

Quella stessa sera giunse al villaggio un altro gruppo di soldati, sei in tutto, senza stemmi o emblemi di alcuna città. Non si fermarono a parlare con nessuno, attraversarono Darvil solo per passare da una sponda del fiume all’altra, diretti al bosco a nord dei campi: erano le persone che i banditi stavano aspettando per dargli le uova di drago.
S’incontrarono in quella stessa radura dove i ragazzi avevano trovato le uova, dal momento che un giovane drago morto sarebbe stato un punto di riferimento inconfondibile, e lì il compagno dell’uomo che Cedric aveva ucciso gli raccontò tutto ciò che sapeva: Qril, quello morto, appena tornato alla radura con la freccia conficcata nella spalla gli aveva detto che un gruppo di ragazzini aveva rubato le uova, che erano fuggiti nel bosco e che un settimo ragazzo l’aveva ferito. Essendo in pessime condizioni non era stato in grado di fornire molti dettagli sui ragazzini, ma soprattutto ricordava il suo assalitore – alto, magro, capelli neri e lineamenti decisamente inusuali a Darvil – e una ragazzina bionda. Poi lui, Erne, si era allontanato per cercare delle piante curative, e tornato alla radura aveva trovato Qril col cranio trapassato da una freccia identica alla prima, e non aveva avuto dubbi riguardo al fatto che il ragazzo dai capelli neri fosse il responsabile.
Ascoltando tutta la storia, non poco delusi e arrabbiati per la perdita subita, i soldati scelsero comunque di non rimproverare Erne per aver cercato di salvare la vita al compagno e non aver indagato oltre su questi ragazzini, ma concordarono con le ipotesi dell’uomo. Sei o sette ragazzi non sarebbero stati un ostacolo, avrebbero messo le mani su quelle uova e avrebbero fatto nascere i draghi. A tutti i costi.

Qualche giorno dopo Layla decise di passare a chiamare anche Emily sperando che non fosse occupata ad assistere il padre, e per fortuna sembrò essere così; non vedeva l’ora di mostrarle quanto fosse cresciuta Ametyst, e pure di presentargliela. Per stare al suo passo non andò a prendere Nuvola nella stalla, e lungo la strada faticò a tenerle nascosto cosa provava e cosa voleva mostrarle, anche se Emily lo immaginava ugualmente.
Ma per quanto se lo aspettasse, quando finalmente arrivarono alla tana dei draghi dove gli altri stavano giocando ora a rincorrersi, Emily rimase letteralmente a bocca aperta e senza fiato vedendo che le stesse creature che si trovavano dentro le uova erano già grandi più del doppio; non l’avrebbe mai ritenuto possibile senza averlo visto coi propri occhi.
Ametyst si avvicinava lentamente e circospetta col suo consueto passo da lucertola, non aveva bisogno di vedere Layla per sapere che le era vicina, ma non era sicura di conoscere la mente della ragazza che le stava accanto.
Layla le fece cenno di avvicinarsi ulteriormente e la cucciola obbedì un poco rassicurata dal suo sorriso e dalla felicità che la sua amica provava, guardò Emily dritta negli occhi con sguardo penetrante, e lei si sentì girare la testa e le cedettero le gambe, tanto che cadde in ginocchio.
Layla la guardò preoccupata e s’inginocchiò a sua volta prendendole le spalle: «Emily? Come stai? È tutto a posto? Ametyst non farle male! È una mia amica!»
Non era mia intenzione, mi dispiace le disse, subito ritraendosi dalla mente di Emily, che riprese a respirare.
Solo allora gli altri si accorsero delle due, Jennifer si fermò a guardarle ed ebbe solo il tempo di esclamare: «Emily?» prima che Zaffir le saltasse addosso e la spingesse a terra, poi entrambi rotolarono in mezzo a neve e fango fino ad andare a sbattere contro una radice dissotterrata.
Mentre Susan e Mike – che sembrava quasi aver dimenticato la faccenda dei suoi genitori in presenza di Zaffir – ridevano a crepapelle e Jennifer si lamentava che le sarebbero venuti dei vistosi lividi, Andrew e Cedric si avvicinarono a Layla ed Emily seguiti dai loro draghi. La ragazza sembrava non riuscire a staccare gli occhi dal draghetto verde, e quello mugolò a disagio facendo provare lo stesso a Cedric.
Quindi il ragazzo guardò Emily e le disse lievemente freddo: «Stai turbando il mio amico drago.»
«Io... io cosa?» balbettò lei ancora spaesata.
«Smettila di fissarlo. Grazie.»
Emily gli diede ascolto e guardò lui invece, riprendendosi dal senso di vertigine che aveva provato poco prima, si rialzò e gli disse stizzita: «Cosa diamine vuoi saperne tu? Com’è che hai cambiato idea riguardo al drago? Ora lo vuoi tenere? Poverino, non lo invidio.»
«Lo so e basta...» rispose.
Ma lei lo interruppe subito: «Ah sì? E come?»
Layla si schiarì la voce e intervenne in un sussurro: «I draghi comunicano col pensiero, segretamente, solo con chi vogliono.»
Emily la guardò incredula, poi disse: «Parlano?!»
«Eh sì! Sono proprio svegli! Ti sei sentita strana poco fa perché Ametyst ti è entrata nella mente, forse per vedere chi fossi.»
«Ametyst... è... è la tua?» balbettò l’altra.
«Sì. Salutala!»
«Eh... ciao, Ametyst.» disse incerta salutando la draghetta con una mano.
Ciao, Emily le rispose lei, che ancora stava scegliendo una voce ma se non altro non usava più quella di Layla, rimanendo tuttavia a distanza da entrambe.
«Sai, ha una voce davvero tenera.» disse Emily tornando a parlare con Layla, poi guardò il draghetto verde e si rivolse a lui: «E tu? Hai un nome? Vuoi parlarmi?»
In risposta Smeryld brontolò e fece due passi indietro nascondendosi dietro Cedric, mentre Umbreon sbuffava divertito dalla sua aperta dimostrazione di disagio.
«Oh, per le Lune, non dirmi che già si è affezionato a te!» sbottò parlando ora con Cedric.
«La cosa ti sorprende? Ti disturba? O ti dispiace forse? Sei gelosa?» ribatté lui mostrandole un sorriso di trionfo e sfiorando la spina sulla fronte di Smeryld con due dita.
«Credimi, se non fosse che poi metterei in pericolo anche tutti gli altri, ti consegnerei a quei soldati!» disse la ragazza a denti stretti, senza specificare alcunché.
Per un attimo Cedric rimase interdetto infatti, non sapendo di che soldati parlasse, ma venne distratto dal draghetto verde che a quelle parole ringhiò abbassando la testa e scuotendo la coda, e tutti e quattro i ragazzi presenti lo guardarono.
Poi Cedric alzò un sopracciglio e guardò Emily con un lieve sorriso beffardo: «Guarda che così non ti guadagnerai la sua simpatia, sai? Mi ha appena detto che in questo momento ti consegnerebbe alla nostra dea della morte.»
Andrew fischiò per non esprimersi a parole, Layla fissò Smeryld a bocca aperta ed Emily esclamò: «Che cosa?! I draghi sono così crudeli?»
«Beh... dipende dal drago.» disse Andrew lanciando una rapida occhiata furtiva a Umbreon, che tuttavia al momento sostava tranquillo al suo fianco.
«E comunque no, non sono gelosa. Non volevo un drago, volano, e io ho il terrore dell’altezza... per colpa tua.» aggiunse cupamente guardando Cedric di storto, ma il ringhio di Smeryld che venne subito dopo la indusse a riprendere il discorso più serenamente: «Certo sono meravigliosi, e tu più di tutti, secondo me. Adoro il verde. Ma dal momento che Layla è la mia migliore amica, se Ametyst vorrà, potrò parlare e giocare con lei.»
«Ma non è la stessa cosa.» disse Cedric.
Layla gli fece cenno di non dire altro, anche se era chiaro che per una volta voleva essere lui ad avere la meglio su Emily, ma il ragazzo colse la sua occhiata e annuì senza dire più una parola e abbandonando l’aria derisoria di poco prima.
Poi finalmente anche gli altri tre ragazzi coi loro tre draghi si decisero ad avvicinarsi, ancora ridendo, Jennifer zoppicava lievemente e si massaggiava la spalla continuando a mugugnare contro Zaffir.
Sulphane fu la prima a notare la novità; al contrario dei fratelli e delle sorelle corse incontro a Emily e sebbene si tenne un poco distante le saltellò intorno osservandola, e tutti a loro volta poterono notare come la testa rimanesse ferma alla stessa altezza sebbene il resto del corpo si muoveva continuamente su e giù. Dopo averle girato attorno una decina di volte tornò di corsa da Susan, e Zaffir si azzuffò con lei, per nulla incuriosito dalla presenza di un’altra umana.
Emily aveva gli occhi incollati su Sulphane, la indicò e domandò: «Era nell’uovo giallo? È tuo Susan?»
«Sì, credo sia femmina, si chiama Sulphane!» disse lei con un largo sorriso.
«Sì è... è davvero bellissima.»
«Sulphane! Vieni qui, Emily ti ha appena fatto un complimento!» la chiamò Susan.
Un cosa?
«Un complimento! Significa che ha detto una bella cosa di te.»
E cos’ha detto? domandò avvicinandosi, lasciando il piccolo Zaffir da parte a stuzzicare Umbreon mordicchiandogli la punta della coda.
«Ha detto che sei bellissima.»
Sulphane emise uno strano verso acuto e piuttosto lungo, come se fosse lusingata, guardò Emily e di nuovo le trotterellò intorno scodinzolando tutta contenta.
«Puoi toccarla se riesci, ha una personalità molto tranquilla e gentile.» disse Susan ad Emily, e la ragazza tese subito la mano cercando di sfiorare l’ala di Sulphane mentre passava, ma la mancò e tutti risero.
Sulphane alla fine si fermò davanti a lei e si lasciò toccare dalle sue mani tremanti, che le sfiorarono il collo, la criniera dorata, e poi le solleticarono dietro l’orecchio. Non riuscì a trattenere un appagato brontolio di gola a quel tocco, quasi come se stesse facendo le fusa, chiuse gli occhi e rilassò le ali finché si afflosciarono sul terreno, mentre spazzava la neve con la lunga coda.
Emily rise: «Le piace!»
«Così pare.» esclamò Andrew, guardò Umbreon che ricambiò la sua occhiata e si rivolse a lui: «Ti va se provo anche con te?»
Senza dire una parola, ma solo brontolando contrariato, Umbreon si sbrigò a levarsi dai piedi prima che potesse toccarlo, e Andrew lo rincorse ridendo.
«E così li avete fatti nascere... cosa farete ora?» riprese Emily, Sulphane si staccò dalla sua mano solo per rotolarsi a terra davanti a lei, e la ragazza sorrise.
«Li cresciamo, che domande!» esclamò subito Mike, Zaffir alle sue spalle sbatté qualche volta le ali per aiutarsi a salirgli sulle spalle, e il ragazzo barcollò ridendo, poi esclamò sorpreso: «Sei leggerissimo!»
«Li crescerete... come? Voglio dire, crescono in fretta! E poi? Quando saranno troppo grandi?»
«Beh per quel tempo credo che saranno abbastanza grandi da proteggerci da ogni pericolo!» disse Susan allegramente guardando la sua piccola dragonessa la cui apertura alare, tuttavia, era già intorno ai sei piedi.
«Lo direte a Darvil?»
«In effetti non potremo tenerlo nascosto a lungo...» sussurrò Layla «Qualcuno li vedrà prima o poi, o noteranno qualcosa di strano.»
Andrew rinunciò a rincorrere il draghetto nero e si avvicinò a loro per dire semplicemente: «Non necessariamente.» poi lui e Jennifer corsero via per giocare di nuovo coi draghetti, imitati da Susan e Mike. Layla fece cenno a Emily di unirsi ai giochi e la più grande si guardò la gonna con aria delusa, ma ciò non le impedì di sollevarla e cominciare a correre dietro i piccoli draghi ridendo allegramente.
Nonostante ci misero parecchio ad abituarsi ad Emily, i draghetti alla fine la inclusero nei loro giochi e si rincorsero e si azzuffarono anche con lei. Umbreon la graffiò accidentalmente, come anche tutti quelli su cui per sbaglio si strusciava, a causa delle molteplici piccole spine grigie. Smeryld, Umbreon e Rubia furono gli unici a non aprirle la mente.
Tornarono a casa presto per non incorrere in eventuali punizioni per uscire troppo a giocare, senza nemmeno tornare per pranzo a volte. Emily vociava entusiasta, e Jennifer le ricordò che avrebbe fatto meglio a tenere la bocca chiusa riguardo ciò che aveva visto, o per loro – e anche per lei in quanto testimone – sarebbero stati guai.
Quando Mike non si separò dal gruppetto per andare a casa propria, Susan gli chiese il perché. E allora il ragazzino raccontò della partenza di sua madre, dicendo a Jennifer che sarebbe rimasto in casa sua per qualche mese.
«Non c’è problema!» fece lei allegramente «Preparati a svegliarti ogni giorno per fare una bella lotta in camera tra i cuscini!»
«Oh no...» commentò lui preoccupato; Jennifer lo batteva sempre quando lottavano, anche dandogli dei vantaggi.
Andrew scoppiò a ridere e l’altro lo fulminò con lo sguardo, ricordandogli poi che stava allungando troppo la strada per tornare a casa propria.
«Sì, certo. A domani!» ribatté il ragazzino tra le lacrime, andandosene verso sud.

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Capitolo 10
*** A long night ***


Il colore del titolo del capitolo corrisponde al colore della regione in cui la storia al momento si svolge, tenete d'occhio la mappa per sapere dove ci troviamo!

A LONG NIGHT

Il ventiquattresimo giorno del mese di Lya fu una giornata nevosa, ma questo non impedì a Layla di andare a chiamare i suoi amici per invitarli a casa sua il pomeriggio per festeggiare il suo compleanno: chiamò Susan, Jennifer, e con lei Mike, Emily e suo fratello più piccolo Mat, Andrew, e andò persino a chiamare Cedric, e di conseguenza la piccola Lily.
Si presentarono tutti per il compimento dei suoi quattordici anni, nonostante Emily e i genitori di Layla storsero il naso alla presenza di Cedric – Fel era rimasto a casa da lavoro per l’occasione – ma non fecero commenti o altro che le avrebbe rovinato la festa; dopotutto lei l’aveva invitato, voleva dire che lo considerava un amico.
Mat e Lily socializzarono in fretta e Jennifer, a cui piacevano i bambini, passò gran parte del tempo con loro. Fu una giornata divertente, piena di giochi e di scherzi, ma soprattutto cibo e, in particolare, la grande crostata che avevano commissionato al padre di Susan apposta per l’occasione. Le cantarono la canzone tipica degli auguri della festa della nascita e Lily si ritrovò a chiedersi più di una volta perché a lei non fosse mai stata fatta una festa così.
L’evento finì prima di cena, in modo che tutti potessero tornare a casa dalle famiglie per passare un po’ di tempo con loro. Era già buio e rimasero sorpresi nel vedere due cavalli legati davanti a casa, di cui uno era quello nero di Cedric, ma il ragazzo spiegò semplicemente che Lily aveva preferito approfittarne per farsi anche una breve cavalcata. Quindi si salutarono, i due fratelli montarono in sella, e ognuno si avviò verso casa propria.
Prima di giungere anche solo in vista del ponte principale, Cedric e Lily si trovarono la strada sbarrata da due cavalieri e fermarono i cavalli. Il ragazzo ebbe il forte sospetto che si trattasse dei soldati che aveva nominato Emily, non vedendo da nessuna parte simboli che ne determinassero l’appartenenza a una qualche fazione, e cominciò ad aver paura soprattutto perché si trovava in quella situazione a quell’ora con la sorellina.
I due uomini si guardarono e poi annuirono, avendo in mente il medesimo sospetto, e tornarono a guardare i due fratelli.
Quello alla loro sinistra si rivolse a Cedric: «Ci è giunta voce che tu abbia ucciso un uomo.» disse.
Il ragazzo aveva appena ricevuto la conferma ai suoi sospetti, quindi cercò di rimanere il più calmo possibile e disse: «Credo vi stiate sbagliando.»
«Tu non sei nato a Darvil, vero?» domandò l’altro facendo riferimento a una delle poche informazioni che avevano in mano, ovvero che l’assassino non avesse lineamenti tipici di Darvil, ma piuttosto di Eunev.
«Sì. Voglio dire sì, sono nato qui.»
«Che succede Ced?» domandò Lily con voce flebile, guardando i soldati con terrore e con una presa poco salda sulle redini.
Lui la guardò e fece per risponderle, ma il primo soldato esclamò sorpreso: «Cedric?»
E lui fece l’errore di girarsi; non si aspettava che conoscessero anche il suo nome, probabilmente il bandito che aveva ucciso doveva aver detto di aver sentito gli altri gridare quel nome nel bosco.
«Quella dev’essere la ragazzina bionda.» bisbigliò il secondo soldato al primo.
«Scappa.» sussurrò alla sorellina, e lei lo guardò confusa «Non perdere tempo, siamo nei guai. Fagli perdere le tue tracce e vai a casa.»
Lily, contrariamente a quanto Cedric le aveva detto, attese qualche secondo prima di costringere il suo cavallo a invertire la direzione per perdersi tra le vie del villaggio, e appena i due soldati gridarono e spronarono i cavalli il ragazzo si mise sulla traiettoria. Entrambi dovettero fermare i cavalli, che nitrirono innervositi.
«Non è lei. Lei non c’entra nulla.» disse Cedric.
«Ma tu sì.» ribatté il soldato di sinistra con un ghigno cupo.
Il ragazzo fu rapido a spronare il cavallo al galoppo e invertire la direzione, ma i due soldati furono altrettanto pronti a scalciare sui fianchi dei loro. Li condusse in una direzione diversa da quella presa da Lily, e passò a tutta velocità davanti a Susan, che stava ancora camminando verso casa e non gli gridò dietro solo perché subito dopo passarono al galoppo anche i soldati. Il resto delle persone che quasi investirono non si risparmiò né grida d’avvertimento né imprecazioni.
La ragazzina provò a corrergli dietro, ma naturalmente fu un attimo perché li perdesse di vista dietro altre case. Sentiva ancora il rumore provocato dai tre animali, quindi riuscì a capire la direzione che avevano preso e non si fermò. Li vide d’un tratto galoppare ora in direzione est, probabilmente all’isola centrale, e cambiò direzione anche lei, col cuore in gola; qualunque cosa quei soldati volessero dal ragazzo era certa che riguardasse i draghi e le uova, e quindi anche tutti loro. Doveva rimanere calma e ragionare ogni azione prima di avvicinarsi troppo.
Sentì i cavalli nitrire e degli uomini che non riconobbe gridare e nascondendosi di casa in casa finalmente arrivò a vederli; il cavallo nero di Cedric era lì, ma lui no. In compenso i soldati, che erano smontati a terra, sembravano soddisfatti e avevano le facce rivolte alla parete della bottega del macellaio, poi uno di loro si chinò per lasciare qualcosa a terra, tappò un buco con una grata di metallo, e infine insieme posizionarono un barile sopra la grata. Non riusciva a capire cosa stessero facendo lì invece di cercare di rintracciare Cedric, e il fatto che rimontarono in sella subito dopo la confuse ancora di più.
Li seguì con lo sguardo sbirciando da dietro la casa dove si era fermata sperando che non la vedessero, e capì tutto solo quando sentì uno dei due dire: «Per un po’ non ci dovremo preoccupare di lui. Ora cerchiamo gli altri, forse hanno avuto successo.»
Non sapeva quanto tempo avrebbe avuto a disposizione per aiutare Cedric, quindi non pensò di andare a chiamare qualcuno. Fissò il barile intensamente tuttavia rimanendo immobile, perché voleva essere certa che quei soldati non l’avrebbero vista o sentita, e che non sarebbero tornati indietro subito.
Dopo un po’ avanzò furtiva rimanendo attaccata alla parete di legno e sbirciò da dietro l’angolo, ma non vide nessuno. Allora corse rapidamente tenendosi bassa, come un gatto che attraversa rapidamente una strada, il cappuccio del mantello scivolò via liberandole i capelli e giunta al barile provò a spostarlo, ma si rese presto conto che era troppo pesante.
«Cedric sei qui?» domandò in un sussurro, e nessuno le rispose. Ma il cavallo c’era, e il ghigno di quei soldati... Niente le avrebbe impedito di pensare che l’avessero chiuso lì.
Cercò in tutti i modi di smuovere il barile senza rovesciarlo a terra, dal momento che probabilmente il suo contenuto apparteneva a qualcuno, ma non era sufficientemente forte e non pesava abbastanza da poter sfruttare il proprio peso. Piagnucolò qualche richiesta d’aiuto al vento, perché non c’era nessuno nei paraggi al momento: era ora di cena e tutti erano in casa.
Alla fine lasciò perdere le buone maniere e provò a ribaltare il barile sperando che fosse ben chiuso; riuscì a smuoverlo e inclinarlo abbastanza lentamente da non causare danni, quindi lo lasciò prendere la nuova posizione orizzontale e lo fece rotolare un poco per toglierlo di mezzo. Si volse e tolse con un po’ di fatica la grata di metallo, quindi ci mise dentro la testa e fece per chiamare il ragazzo, ma si accorse che l’ambiente era saturo di uno strano fumo.
Le venne immediatamente da tossire e sentì tossire anche lui, quindi non ebbe più dubbi che si trovasse lì dentro. Sperò che quel fumo non fosse tossico, ma escluse un incendio perché era tutto buio. Tirò fuori la testa e lo chiamò, poi prese un grande respiro e s’immerse di nuovo trattenendo il fiato.
Riconobbe che si trattava di uno di quei posti dove la gente del villaggio gettava i pochi rifiuti alimentari o scorie, ma non sentiva odori diversi da quello del fumo; era completamente vuoto perché ultimamente tutti gli scarti del macellaio venivano dati in pasto ai draghetti. Dedotto ciò ricordò che il pavimento era in discesa, più profondo al lato opposto all’ingresso.
Cominciarono a lacrimarle gli occhi, quindi si allontanò dall’apertura osservando il fumo levarsi in alto e disperdersi nell’aria; se i soldati avessero guardato in quella direzione sarebbero corsi a vedere cosa stava succedendo.
«Cedric sbrigati! Dobbiamo nasconderci!» gli sussurrò agitata.
Lui finalmente le rispose chiamando il suo nome, sorpreso e confuso, come se non si aspettasse che qualcuno lo tirasse fuori da quella situazione. E alla fine, senza riuscire a smettere di tossire, si arrampicò lungo la pendenza fino a portarsi sotto di lei. Susan gli tese una mano perché notò che faticava ad alzarsi e reggersi sulle gambe, ma ebbe diversi problemi a tirarlo fuori con la forza. Alla fine, combinando le forze con quelle di lui, riuscì a trascinarlo all’aria aperta e il ragazzo si lasciò andare nella neve.
«Ehi! Stai bene?» gli chiese subito preoccupata «Cos’è successo? Cosa volevano quei tizi? Chi sono?»
Cedric si rialzò sulle braccia, tremando e ancora tossendo, scosse la testa chiaramente impossibilitato a risponderle, e Susan notò del sangue nitidamente stagliato sulla neve.
Trattenne il fiato ed esclamò: «Sei ferito? Dove?» e lui dopo un paio di colpi di tosse s’indicò sopra la tempia «Ti fa male?»
Si prese del tempo per rispondere, sforzandosi di non tossire: «Sento male ovunque. Credo fosse quel... quell’esalazione.» si sentiva infatti debole e confuso, aveva difficoltà a muoversi, nausea e dolorose fitte ovunque «Ma dobbiamo andare.»
«Cosa sta succedendo?» sussurrò in preda al panico.
«Quei soldati...» cominciò lui, ma il rumore di due cavalli al trotto lo zittì, ed entrambi i ragazzi guardarono l’ingresso della via.
I cavalieri comparvero da dietro una casa e fermarono i cavalli, poi puntarono lo sguardo su loro due ancora accucciati a terra, che li fissavano.
Dopo un attimo di sgomento quello a destra esclamò: «La ragazza bionda!» e lanciò il cavallo al galoppo seguito dall’altro.
Cedric ebbe un attimo di lucidità e lanciò la grata addosso al primo cavallo, che s’impennò nitrendo allarmato bloccando la strada all’altro, quindi il ragazzo scattò trascinando Susan in direzione della chiesa in pietra, davanti a lui. Riuscirono a raggiungerla e aprire la porta della navata laterale abbastanza in fretta perché i due soldati non potessero prenderli – per non schiantarsi contro la pietra grigia dovettero far rallentare i cavalli.
Entrarono di corsa richiudendosi in fretta la porta alle spalle con un boato e si guardarono intorno, l’ambiente era buio, a malapena si vedevano persino le vetrate raffiguranti la divinità che tra tutte meglio rappresentava il villaggio: Vuulnas, il Cavallo, signore della terra e delle colture, rappresentato come un centauro con uno scudo in una mano e una lancia nell’altra.
Susan sapeva che non avrebbero avuto molto tempo prima che quei tizi li raggiungessero, lanciò un’occhiata al ragazzo che era inginocchiato a terra e continuava a tossire come se quella breve corsa l’avesse definitivamente stroncato. Lo prese e lo costrinse a rialzarsi per cercare un posto in cui nascondersi, lui quindi si aggrappò a lei per non cadere di nuovo a terra.
Appena sentì la porta aprirsi violentemente, la ragazza si lasciò cadere dietro una panca stringendo Cedric a sé e pregandolo in un sussurro di cercare di non tossire, o li avrebbero trovati. Lui fece il possibile tenendo chiusi naso e bocca mentre i due uomini ispezionavano con attenzione lo spazio davanti a loro; avevano lasciato la porta aperta per far entrare quella poca luce che c’era dall’esterno e con essa entravano delle gelide folate di vento.
Appena i soldati si furono inoltrati un poco, spingendo con violenza le panche che incontravano sulla loro strada per indurre i ragazzi a uscire allo scoperto, Cedric di nuovo prese Susan per mano e scattò – pur muovendosi silenziosamente, grazie all’esperienza derivata dalla caccia, al contrario di lei – e si ritrovarono di nuovo all’aperto dove lui finalmente riprese a respirare, nei limiti di quanto quella brutta tosse gli consentisse. Susan chiuse la porta mentre Cedric fece scappare i cavalli dei soldati, per poi correre instabile verso Hurricane, montando indi in sella. Fece cenno a Susan di salire dietro di lui e la ragazza non se lo fece ripetere, non volendo rischiare di rimanere a piedi con soldati a cavallo in giro.
Con tutte quelle grida e nitriti, alcuni abitanti erano scesi nelle strade chiedendosi cosa stesse succedendo e inveendo contro i soldati quando l’incontravano.
Cedric spronò Hurricane al galoppo, ancora tossendo malamente, e Susan si strinse a lui solo leggermente più tranquilla perché era anche lei in sella a un cavallo. Gli chiese di riportarla a casa ora che non erano più inseguiti da nessuno e gli diede le direzioni, ma quando arrivarono nei pressi del panificio cominciarono a sentire grida spaventate e di protesta. Cedric, su richiesta di Susan, non fermò il cavallo e si avvicinarono per vedere dove fosse la fonte, ma ciò che videro terrorizzò la ragazza.
Tre soldati, di cui uno teneva una torcia, stavano letteralmente trascinando fuori casa i suoi genitori, che gridavano frasi incomprensibili sovrapposte alle voci dei tre uomini a cavallo e di altra gente che assisteva alla scena.
Anche Susan si mise a gridare, allertando immediatamente la madre, e a loro volta due soldati guardarono nella sua direzione. Uno di loro le puntò un dito contro e Jelena le gridò disperata di scappare, quindi Cedric fece voltare il cavallo e lo lanciò al galoppo nella direzione opposta.
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«No!» gridò Susan «Cosa fai? Dobbiamo aiutarli!»
«Non possiamo fare niente contro dei soldati armati.» protestò lui, che ancora faticava a respirare.
«Ti prego! Deve esserci un modo!» disse cominciando a piangere disperata.
Dopo una lunga pausa di riflessione il ragazzo di nuovo invertì la direzione e tornò verso casa di Susan, ma quando arrivarono trovarono lì tutti e cinque i soldati, i genitori di lei erano in sella davanti a due di loro – storditi perché non potessero opporre resistenza – e gli abitanti tutt’intorno gridavano inferociti, sapendo di non poter intervenire; non avevano armi, erano totalmente impreparati e impotenti davanti a una simile situazione.
Due dei tre soldati liberi lanciarono al galoppo i propri cavalli verso loro, e Cedric spronò Hurricane ad allontanarsi, zigzagando tra le case sperando di riuscire a disorientarli. Susan piangeva a dirotto dietro di lui e non ebbe il cuore di chiederle di smettere perché poteva attirare i soldati, ma rallentò fino a un trotto veloce per provocare meno rumore. Sentirono il soldato proseguire in un’altra direzione, e solo allora permise ad Hurricane di riprendere il galoppo. Lo guidò fuori da Darvil, verso est.
«Dove stai andando? Fermati! Torna indietro!» gridò la ragazza cercando di tirare le redini.
Lui la ignorò e mantenne il controllo sul cavallo, spronandolo a galoppare il più veloce possibile verso il bosco, determinato a raggiungerlo prima che i soldati capissero dove fosse andato. La neve avrebbe dovuto coprire in fretta le loro tracce.
Susan si arrese e smise di strattonarlo, capendo che niente l’avrebbe convinto a tornare indietro ad affrontare quei soldati armati, continuando invece a piangere con la fronte appoggiata alla sua schiena.
Dopo aver trottato qualche minuto nel bosco Cedric fermò il cavallo, respirando peggio di prima e a fatica trattenendosi dallo scoppiare a piangere per il dolore.
Susan aprì gli occhi, si asciugò le lacrime e si guardò intorno sorpresa che non stessero più muovendosi. Una volta capito dove si trovassero si chiese come mai Cedric avesse deciso di fermarsi invece di provare a raggiungere i draghi, e quando lui con fatica scese a terra ricominciò a gridargli che avrebbero dovuto trovare un modo per aiutare i suoi genitori.
Il ragazzo, sedendosi con la schiena rivolta a un tronco perché le gambe gli tremavano troppo, si rese conto anche di avere a malapena la forza di parlare perché faticava a respirare, ma provò ugualmente a spiegarle il motivo per il quale non avrebbero fatto altro che cacciarsi ulteriormente nei guai tornando indietro; invece di salvare i suoi genitori molto probabilmente sarebbero finiti catturati insieme a loro.
«E allora chiamiamo i draghi! Non possiamo stare qui a far nulla!» esclamò Susan di rimando, infuriata con lui, coi soldati, ma soprattutto con se stessa; le ritornò alla mente il momento in cui aveva convinto Jennifer a raccogliere la pietra rossa, quando aveva detto che sarebbero stati i loro genitori a rimediare alle loro bravate da adolescenti. Ora voleva non averlo mai nemmeno pensato.
«E per fare cosa? Sono nati da un mese e una settimana, cosa speri che possano fare a dei soldati armati e protetti da armatura?» le disse mantenendo un tono di voce pacato, un po’ perché non voleva nemmeno provare ad alzare la voce e un po’ per non irritarla di più.
«Non lo so! Sono draghi! Qualcosa potranno fare! Spaventarli! Potremmo andare dai soldati e attirarli qui, tendergli una trappola! Non lo so! Ma non voglio stare qui Cedric, devo fare qualcosa!» esclamò disperata, le sue grida e i suoi pianti stavano cominciando a innervosire il cavallo ora che Cedric non era più in sella insieme a lei.
«Capisco cosa vuoi dire. Ma tu cerca di capire la situazione, sarebbe totalmente inutile tornare indietro. Non c’è nulla che possiamo fare.» tossì mentre a quelle parole gli occhi di lei ricominciarono a riempirsi di lacrime, poi aggiunse: «Io non ti posso aiutare. Mi dispiace.»
Susan scosse la testa ed esclamò: «Tu non puoi? Non importa, andrò da sola!» e provò a farsi obbedire dal cavallo nero, ma quello non si mosse e invece sbuffò infastidito. Allora gridò: «Non vuoi collaborare nemmeno tu eh? Non cambia nulla!» e scese rapidamente dalla sella pronta ad andarsene a passo di marcia.
A un tratto il ragazzo fece uno sforzo e si alzò, in un primo momento Susan pensò che volesse abbracciarla per confortarla o risalire in sella al cavallo, ma appena le volse le spalle per allontanarsi prese un’aria offesa e, dopo un attimo d’indecisione, ricominciò a gridare più forte. Lui fece in tempo solo a fare qualche passo prima di ricadere in ginocchio e vomitare anche sangue, ma non se ne rese realmente conto, al che lei finalmente si zittì e lo guardò con una smorfia di disgusto misto a disagio, per poi puntare la sua attenzione sul cavallo nero, asciugandosi le lacrime e attendendo che il ragazzo fosse di nuovo in grado almeno di ascoltarla tenendo le braccia incrociate sul petto.
Cedric si prese del tempo, durante il quale non si sentì altro che la neve cadere dagli alberi o Hurricane che sbuffava o raschiava a terra, si assicurò di avere lo stomaco vuoto e di essersi pulito prima di tornare a sedersi davanti all’albero a cui si era appoggiato prima. Le sussurrò delle scuse senza avere il coraggio di guardarla, e la ragazzina né rispose né lo guardò a sua volta, e invece dopo aver riflettuto nel silenzio raggelante di quel bosco si volse per andarsene con passo deciso. Allora Cedric ritrovò il coraggio di parlarle e azzardò un ultimo tentativo di farla ragionare.
Lei si volse a guardarlo con occhi che quasi lanciavano fiamme e riprese a gridare con una voce talmente acuta e forte da spingere Hurricane ad allontanarsi un poco: «Hai paura? Non c’è problema, lo capisco! Ma quei mostri hanno rapito i miei genitori, Cedric!»
«Non... Non è una questione di paura.» ribatté cercando di mantenere la calma «Ma proprio non ce la faccio, e ad ogni modo lo trovo sciocco.» lei fece per aprire bocca per ribattere a tono, con sdegno, ma lui fu più rapido a proseguire: «Se quelli sono venuti fino a qui da chissà dove solo per noi, non risolverai la situazione gettandoti nelle loro braccia.»
«Ma potrei salvare i miei genitori!»
«Non è detto.»
E a quel punto lei esplose: «Loro li interrogheranno! Li tortureranno per sapere di me! E i miei genitori non sanno nulla di cosa ho combinato! Ma i soldati penseranno che stiano solo cercando di proteggermi e non gli crederanno! Dimmi dunque, cosa devo fare? Lasciar correre? Sai cos’ho detto a Jennifer prima di raccogliere il suo uovo? Che i nostri genitori avrebbero rimediato alle nostre bravate da ragazzine. Capisci? Avrebbero pagato per i nostri errori. Ma non mi aspettavo che sarebbe successo davvero! Stavo solo scherzando, e ora è successo... Devo fare qualcosa!»
«E io ti ho detto che capisco. Ma al momento non c’è nulla che possiamo fare.»
Scosse la testa con forza, determinata: «No, tu non capisci! I tuoi genitori non sono mai stati rapiti! Non sono mai scomparsi senza che tu sapessi che sorte gli sarebbe toccata! Non se ne sono andati per colpa tua!»
«Naturalmente, no. Ogni situazione è a sé stante.» rispose paziente «Ma condivido il tuo tormento.»
«Se questo è il meglio che sei fare per essermi di consolazione, sei a dir poco inetto e patetico. Mi hai già fatto perdere un sacco di tempo! Non m’importa che cosa pensi, io vado.»
«Non puoi andare da sola.» protestò, ma la ragazza gli aveva già voltato le spalle e si sforzò di dire tutto d’un fiato: «Nemmeno la folla a Darvil ha alzato un dito contro di loro. Non puoi fare nulla, tantomeno da sola. Ragiona, maledizione! Non lasciarti guidare dalla rabbia.» ora ansimava, l’aria gli mancava e i polmoni gli bruciavano.
Ma almeno Susan si era fermata, ascoltando per la prima volta con razionalità quello che stava cercando di dirle. Strinse i pugni e cominciò a tremare mentre le lacrime nuovamente le rigavano il viso lasciando tracce che poi gelavano nel freddo di quella notte nevosa.
Non voleva rassegnarsi, gettare la spugna e abbandonare a quel modo i suoi genitori, ma finalmente capì che nemmeno con l’aiuto dei draghi, o dell’intero villaggio, avrebbe potuto tenere testa a cinque soldati armati, esperti, e soprattutto a cavallo; per quanto ne sapeva potevano già essere fuggiti al galoppo verso il loro accampamento, ovunque si trovasse. E anche solo per poterli seguire a cavallo lei stessa avrebbe dovuto perdere altro tempo per andare alla stalla e sellare Brezza, che al contrario di Hurricane le avrebbe obbedito.
Mostrare i draghi appena nati a quei soldati avrebbe probabilmente solo peggiorato le cose, dando conferma a quello che per ora era solo un sospetto, e a quel punto i soldati avrebbero potuto uccidere tutti – i draghi, i suoi genitori, lei e Cedric.
Alla fine si guardò intorno e pensò con amarezza che se avessero dovuto passare la notte fuori per non tornare al villaggio, per ripararsi dalla neve cadente avrebbero avuto a disposizione solo il suo mantello e la giacca con cui lui andava a caccia. Si avvicinò a Cedric sospirando abbattuta e gli si sedette accanto, appoggiandosi anche lei al tronco, seguita dal suo sguardo fugace.
«So che hai ragione.» gli disse alla fine in un sussurro, lo sguardo puntato a terra davanti ai suoi piedi «Non so cosa mi è preso, sento solo un bisogno fortissimo... mi sento in dovere di fare qualcosa. Qualsiasi cosa!»
«Lo so.» rispose semplicemente, senza realmente sapere cosa dire per non farla stare peggio, ma soprattutto per non sprecare altro fiato.
«Non volevo arrabbiarmi con te. Anzi se non fosse stato per te forse avrei fatto la loro fine...» continuò, di nuovo con gli occhi lucidi. Dal momento che lui rimase in silenzio concentrandosi sulla respirazione sempre più difficile, Susan parlò di nuovo: «Dormiremo qui? Nel bosco? All’aperto?»
«Non credo di avere la forza di muovermi, al momento.» disse leggermente in imbarazzo.
«Cos’hai?»
«Non lo so.»
Ci fu una lunga pausa. Rimasero in silenzio, lei guardandosi intorno diffidente del luogo e lui al contrario a occhi chiusi sembrava non curarsi delle circostanze, finché Susan si mosse e si strinse a Cedric cercando calore e conforto. Lo sentì irrigidirsi, ma non riuscì a sottrarsi al suo abbraccio. La guardò invece dall’alto della propria spalla e vide che oltre a singhiozzare in silenzio stava tremando. Quindi con fatica si sfilò la giacca per posarla sulle sue spalle, e la ragazzina se ne rese conto un po’ in ritardo; biascicò un ringraziamento in imbarazzo e si decise a coprire entrambi i loro corpi col suo mantello. Si sarebbe inzuppato, con tutta quella neve, dubitava che li avrebbe protetti a lungo dal freddo. Come anche la giacca, che aveva come priorità la comodità di non impedire alcun movimento piuttosto che tenere caldo, e per questo al ragazzo tornava utile per cacciare.
Era sicura che sarebbe stata una lunghissima notte, piena di incubi e improvvisi risvegli – sempre che sarebbe riuscita ad addormentarsi. Guardò Cedric di sottecchi e notò che ancora sembrava rilassato, dunque cercò di fidarsi della sua conoscenza del bosco e si accoccolò meglio, sperando di riuscire a chiudere occhio e che il pensiero dei suoi genitori la lasciasse in pace giusto per dormire.
Alla fine, esausta e spossata dagli avvenimenti della giornata, fu più rapida di lui ad addormentarsi, suo malgrado, e sebbene la sua notte fu popolata di incubi riguardanti i genitori riuscì a non svegliarsi di soprassalto nemmeno una volta.

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Capitolo 11
*** From house... ***


NOTE DELL'AUTRICE
Volevo ringraziare: Testechevolano, che ha lasciato recensioni costruttive su prologo e primo capitolo; Sagas, che commentano ogni capitolo e m'illuminano la giornata; e DarkLqser che si è recentemente unito alla ciurma.
Un grazie veramente dal profondo... ehm sì, sarebbe meglio tagliare le smancerie e lasciarvi alla storia. Enjoy!

Il colore del titolo del capitolo corrisponde al colore della regione in cui la storia al momento si svolge, tenete d'occhio la mappa per sapere dove ci troviamo!

FROM HOUSE...

La voce di quanto accaduto la notte fu rapida a spargersi al villaggio, fin dalle prime luci dell’alba; chi ancora non aveva saputo nulla, perché abitava troppo lontano magari – come Andrew e la sua famiglia – lo venne a sapere non appena varcata la soglia di casa. Chiunque fosse fuori era in preda all’ansia e all’agitazione, alcuni avevano seguito i soldati a piedi, perdendoli di vista perché quelli galoppavano verso sud.
Gerida tenne in casa sia Jennifer che Mike, sconvolta dalla scomparsa di Jelena e Deren, e anche di Susan. Nessuno era stato realmente in grado di dirle che fine avesse fatto, ma sembrava nozione comune che non fosse coi genitori, e quindi nemmeno coi soldati.
Moriel obbligò tutti e tre i figli a rimanere chiusi in casa, sebbene il più grande avesse quasi vent’anni, ma nulla avrebbe potuto convincerla a lasciarli uscire almeno per quel giorno. Andrew cercò di protestare invano, perché voleva andare a cercare Susan, o almeno ad avvertire gli altri loro amici in comune, ma sua madre fu irremovibile: nemmeno lei uscì di casa, per controllare che tutti e tre i figli rimanessero al sicuro.
I genitori di Layla ed Emily invece si unirono alla gente nelle strade e parteciparono attivamente alla ricerca della ragazzina, dunque sia Emily che Layla poterono unirsi a loro, ma senza allontanarsi per non farli preoccupare. Non poterono ergo discutere del perché secondo loro quei soldati avessero preso di mira proprio lei, anche se pensavano di saperlo, e non avevano la minima idea che Cedric fosse coinvolto; perciò non riuscivano a immaginare dove fosse o cosa le fosse successo.
Cercarono in ogni edificio, compresi i magazzini del grano e i granai sopra i campi a ovest del fiume, ma Susan sembrava essere sparita da Darvil. Solo quando, insieme ai genitori e col permesso di Jorel, ispezionarono la stalla – badando bene che i resti delle uova non fossero visti da nessuno – notarono la mancanza del cavallo nero e chiesero al fabbro dove fosse Cedric.
L’uomo fece dunque mente locale e ammise di non averlo visto, ma non seppe dire loro se fosse andato a caccia o meno.
E Layla scosse la testa: «Era a casa mia. Insieme a Lily. Se lei è tornata e lui no...» s’interruppe pensierosa.
«Pensi che Susan sia con lui?» domandò sua madre speranzosa.
«Lo spero, sì. Meglio con lui che da sola, o con quegli invasori.» sussurrò tenendo lo sguardo basso.
Non prestò attenzione alla discussione che nacque poi tra gli adulti, aveva in testa solo il fatto che se quella sera non li avesse invitati a casa sua non avrebbero incontrato i soldati. O non in quel modo. Magari un altro giorno e alla luce del sole, così avrebbero potuto chiedere aiuto agli abitanti, e i suoi genitori non ci avrebbero rimesso.
«È stata la peggiore festa della nascita della mia vita.» sussurrò abbattuta, e solo Emily la sentì, prendendola poi tra le sue braccia per consolarla in un caloroso abbraccio che tuttavia ebbe solo l’effetto contrario, perché Layla si sciolse in un pianto silenzioso.

Appena sveglia, Susan si rese conto di tremare. Aveva freddo e non era sdraiata sul suo comodo letto, bensì seduta su qualcosa di duro e gelido. Aprì pigramente gli occhi, pronta a sbadigliare, ma invece lanciò un grido strozzato quando si rese conto di trovarsi in mezzo a un bosco. Si guardò intorno confusa e vide Cedric, a cui era abbracciata, erano entrambi coperti dal suo mantello e indossava la sua giacca.
Cosa sta succedendo? si domandò allontanandosi rapidamente dal ragazzo, e quindi svegliandolo. Ripeté la domanda a lui.
Anche Cedric si guardò intorno spaesato, poi la fissò con eloquenza notando che aveva addosso la sua giacca, ma alla fine decise di concentrarsi sui ricordi della sera precedente. Era tutto molto confuso, ricordava solo di essere fuggito da qualcuno, ma non chi o la ragione.
Le disse incerto quelle uniche cose che ricordava, e lei lo guardò con occhi sgranati. Le era sembrato solo un sogno, invece era successo davvero; ricordava tutto perfettamente, e non riusciva a capire come mai lui invece non ricordasse nulla. Il senso d’impotenza e la disperazione furono rapidi a tornare, tanto che cadde in ginocchio e ricominciò a piangere con lo sguardo perso nel vuoto.
Cedric interruppe il suo racconto tentennante e la guardò perplesso e preoccupato, ma pensò che non fosse il momento giusto per chiederle cos’avesse; probabilmente aveva smesso di ascoltarlo e non avrebbe sentito le sue domande comunque. Si sentiva terribilmente debole, aveva nausea e mal di testa, sentiva dolore ovunque come se uno o più cavalli gli fossero passati sopra, doveva sforzarsi di respirare e il suo battito cardiaco era irregolare. Cominciò a essere certo che qualcosa fosse andato storto solo quando se ne rese conto, e finalmente chiese a Susan di raccontargli cosa fosse successo.
Dopo alcuni attimi di silenzio, in cui dubitò che lo avesse sentito, la ragazzina lo guardò e cominciò a raccontare tutto con voce flebile, proprio come se stesse descrivendo un sogno, qualcosa di astratto.
Cedric in qualche modo sapeva che ciò che diceva era successo davvero, ma non conservava altro che ricordi confusi, non rimembrava le parole, i volti, i pensieri, ma solo tracce di eventi. E questo era un problema, se voleva capire cosa gli fosse successo e perché stesse così male. Quando lo chiese a lei, Susan non fu in grado di dargli una risposta.
Le venne in mente all’improvviso del fumo e del sangue sulla tempia, glielo disse, e gli disse anche che quindi, probabilmente, quei due soldati l’avevano picchiato. I colpi subiti potevano spiegare il dolore, il fumo la difficoltà a respirare, e il fatto che avesse vomitato poteva spiegare nausea e debolezza. Ma niente di tutto ciò poteva spiegare gli altri sintomi.
«Pensi sia sicuro tornare a Darvil adesso?» gli chiese con voce flebile «Quei soldati dovrebbero essersene andati...» si zittì prima di completare la frase, perché non riuscì ad esprimere ad alta voce ciò che pensava fosse successo a sua madre e suo padre.
«Se è come dici e molte persone erano presenti davanti a casa tua, allora sì i soldati avranno tagliato la corda per evitare il linciaggio.»
«Quindi dovremmo poter tornare.» sussurrò.
Si scrollò la neve di dosso e gli allungò la giacca, che lui si riprese quasi con riluttanza. Allora si rese conto che sembrava fare più fatica della notte precedente a coordinare i movimenti, e per un attimo si domandò se fosse moralmente corretto chiedergli lo sforzo di tornare al villaggio.
Tuttavia il ragazzo non si mostrò infastidito dall’implicita richiesta e Susan decise di aiutarlo sia ad alzarsi che a salire in sella al cavallo, dato che aveva l’impressione che da solo non sarebbe riuscito, per poi arrampicarsi sulla groppa dell’animale a sua volta, dietro di lui.

Il loro ritorno al villaggio fu accolto in maniera esemplare: chiunque fosse abbastanza vicino da vederli o riconoscerli corse incontro al cavallo nero, infastidendolo, esclamando domande a raffica per accertarsi delle condizioni di Susan. Nessuno in realtà sembrava essere interessato a Cedric, ma né lui né la ragazza alle sue spalle risposero ad alcuna domanda, immersi ognuno nei propri pensieri.
Susan gli chiese in un sussurro di riportarla a casa, e il ragazzo non fermò il cavallo finché non furono davanti alla porta, a costo di rischiare di travolgere la gente che in continuazione cercava di fermarsi davanti a loro o ai lati, senza smettere di vociare come uno sciame di api impazzite attorno a un calabrone.
E sempre ignorandoli, Susan scese da cavallo e serpeggiò tra gli adulti tutti più alti di lei, per poi aprire la porta di casa sua, entrare e richiuderla alle proprie spalle. Si sentì finalmente sola, tutte quelle voci sparirono lasciandola immersa in un silenzio che le parve surreale. Si guardò intorno e quasi non riconobbe casa sua, non volendo accettare che di lì in poi sarebbe stata vuota a tempo indeterminato. Forse per sempre.
Vide come in un sogno ad occhi aperti sua madre salutarla allegramente; una figura diafana dietro la quale riusciva a intravedere la parete opposta all’ingresso, indossava il suo abito preferito color acquamarina e teneva i lunghi capelli biondi legati in una coda, come sempre. Comparve anche suo padre che la salutò gagliardo senza emettere un suono, i corti capelli biondi tagliati tutti alla stessa altezza poco sopra le larghe spalle, addosso aveva la sua camicia perennemente imbiancata dalla farina, come anche parte dei pantaloni e le punte degli stivali.

Non resistette più di un minuto prima di lasciarsi andare in un pianto senza freni, percorse a fatica il corridoio tenendo una mano poggiata alla parete, ma appena arrivò in sala le due figure scomparvero, privando la stanza della loro luminosità. Le ginocchia cedettero e cadde a terra, senza nemmeno la preoccupazione di essersi fatta male. Si strinse nel mantello e si sdraiò sul pavimento di legno raccolta in posizione fetale, dilaniata dal dolore della certezza di aver perso i genitori soltanto per colpa sua, senza sapere se li avrebbe mai più rivisti.
Le parve passata un’eternità quando si riscosse ed ebbe l’occasione e la forza di pensare che tornare lì non fosse stata una buona idea, ma non sapeva dove poter andare a vivere ora per non restare da sola: chi mai avrebbe accolto in casa la figlia di due persone che erano state bersaglio di un gruppo di sconosciuti armati? Lei stessa era stata un bersaglio, e la gente lo aveva visto nel momento in cui i soldati l’avevano seguita quando Jelena le aveva gridato di mettersi in salvo.
Sconsolata e senza speranze si rialzò da terra asciugandosi il viso e cercando di farsi forza. Scacciò con decisione il pensiero dei suoi genitori che l’angosciava con costanza, e pensò che forse Gerida l’avrebbe accolta in casa, se solo non avesse già avuto Mike a cui badare: era improbabile che avesse posto in casa anche per lei. La famiglia di Layla era un’altra opzione, ma qualcuno avrebbe dovuto dormire per terra o sulla poltrona, e non le sembrava cortese chiedergli una cosa simile.
Ma non aveva altre alternative. Forse il medico aveva posto in quella parte di casa che fungeva da sanatorio, oppure Ilion l’avrebbe accolta come accettava di badare ai bambini quando i genitori non potevano; ma in quel caso si trattava di ore, di un pomeriggio, o al massimo un paio di giorni, non certo mesi.
Si volse verso la porta d’ingresso e le venne l’ansia al solo pensiero di quella folla che le faceva domande alle quali non aveva nemmeno prestato attenzione. Accostò l’orecchio e non sentì voci, quindi aprì la porta lentamente per sbirciare fuori e difatti non vide nessuno, c’era solo Cedric in groppa al suo cavallo nero, praticamente sdraiato sul suo collo.
Le venne da piangere di nuovo quando si rese conto per la prima volta che non stava bene per davvero e nonostante ciò gli aveva gridato contro la notte precedente. Riuscì a trattenere le lacrime e si avvicinò a Hurricane, decisa a portarlo da Gerida perché gli desse almeno un’occhiata, sperando che non si sarebbe concentrata prima su di lei.
Afferrò le redini e cercò di trascinarlo, ma l’animale non si mosse e anzi scosse la testa infastidito, risvegliando Cedric che si guardò intorno spaesato finché non vide Susan.
Il ragazzo ora non ricordava nemmeno il suo nome, ma era certo di aver avuto a che fare con lei negli ultimi giorni. Gli sembrava di averle parlato non più di due ore prima.
«Mi hai aspettata.» gli disse guardandolo dal basso «Perché?»
Dal momento che lui si limitò a rispondere con una scrollata di spalle, Susan si arrampicò di nuovo in sella, senza ricevere alcun aiuto, ma alla fine riuscì a sedersi dietro di lui. E gli disse di andare questa volta da Gerida.
Cedric girò la testa quel tanto che gli bastò per vederla con la coda dell’occhio, come per chiederle il motivo, ma non attese una sua risposta prima di spronare Hurricane a camminare. Tuttavia dovette lasciare che lei lo guidasse perché, sempre più preoccupato, non aveva idea di chi fosse questa Gerida.
Lungo la strada non furono più disturbati come prima, ma la gente li indicava e guardava da lontano; probabilmente si era sparsa la voce che la ragazzina non se la sentisse di dare risposte a nessuno.
Lei si strinse nel mantello e ricominciò a tremare, questa volta anche per il freddo, poi scosse la testa e si strinse a Cedric in cerca di conforto, sperando che ciò l’aiutasse a non piangere nuovamente, ma il ragazzo non reagì, e Susan si sentì in qualche modo definitivamente sola e abbandonata a se stessa.
Solo il fatto che di lì a poco furono davanti a casa della guaritrice le impedì di scoppiare in lacrime, e si affrettò a scendere dalla sella lasciandolo di nuovo da solo in mezzo alle strade fangose. La porta era aperta, come al solito nonostante il clima teso diffuso in tutto il villaggio. Quando l’aprì un sonaglio tintinnò, e in pochi attimi Gerida fu dall’altra parte del corridoio.
La donna aveva i capelli rossi in disordine e ombre scure le cerchiavano gli occhi. In un primo momento sgranò gli occhi e aprì la bocca incredula, poi le corse incontro e la strinse forte in un abbraccio così caloroso che alla fine Susan non resse più e pianse di nuovo. Gerida le tenne una mano dietro la nuca, accarezzandole i capelli e coccolandola affettuosamente, felice e sollevata nel vederla sana e salva.
Infine Susan si staccò dall’abbraccio, sicura di aver ritrovato la forza di parlare, ma prima che potesse chiederle di dare un’occhiata a Cedric dovette spiegarle tutto ciò che era successo la sera che i soldati avevano rapito i suoi genitori, perché lei sembrava non voler sapere altro. Disse a Gerida tutto quello che sapeva, escludendo naturalmente i draghi e quindi la causa di quel putiferio. Mentre parlava sentì Jennifer e Mike scendere le scale, e poi la ragazzina le corse incontro per abbracciarla, interrompendo il suo racconto per un lungo momento. Ma alla fine Susan concluse la storia con anche i due amici presenti e poté finalmente chiederle di dare un’occhiata al ragazzo.
Gerida si guardò intorno spaesata, poi indicò la porta e Susan in risposta annuì. Mentre la guaritrice andò ad aprire la porta con un pesante sospiro, Jennifer prese Susan da parte e la condusse in sala per farla sedere davanti al camino, avendo notato il mantello ancora fradicio.
Seguì un lungo silenzio imbarazzato, durante il quale poterono sentire la breve conversazione tra Cedric e la guaritrice, loro malgrado, ma né Jennifer né Mike se la sentivano di fare altre domande a Susan, la quale ora fissava le fiamme con aria triste e assente; stava cercando di distrarsi fissando il camino che l’era sempre piaciuto, essendo aperto anche sulla stanza di fronte – che Jennifer chiamava la stanza delle medicazioni – quella a destra del corridoio d’ingresso.
Era lì che in questo momento si trovavano Gerida e il ragazzo, ma lei non era interessata a quel poco che si stavano dicendo. Al contrario dei due amici che invece non avevano sentito quella parte della storia, ma si dovettero accontentare dei pochi dettagli che lo stesso Cedric aveva saputo da Susan.
Lei fece in tempo a riprendersi e tornare alla realtà prima che Gerida finisse i suoi controlli e avesse pronta una diagnosi, ma non la comunicò al ragazzo. Invece la sentirono mormorare qualcosa, attendere, e poi uscire dalla stanza per rivolgersi direttamente a Susan.
Dopo qualche attimo d’indecisione alla fine si decise a sussurrare: «Mi è parso evidente che quei soldati non avevano la minima idea di cosa stessero facendo. Cedric non sa chi sia io e nemmeno si ricorda il tuo nome, però non è grave, si riprenderà in fretta e ricorderà di nuovo tutto. Ma solo grazie a te e al tuo incredibile tempismo. È stata una gran fortuna che tu abbia assistito.» quando la vide arrossire tornando a guardare il fuoco, Gerida aggiunse: «Non gliel’ho detto.»
Susan si lasciò sfuggire un mezzo sospiro di sollievo e tornò a guardarla, quando le sorse una domanda: «Perché sei venuta a dirlo a me?»
E la donna sembrò in difficoltà. Spostò il peso da una gamba all’altra più di una volta, nervosamente, e alla fine rispose sempre a bassa voce: «Ho pensato che... Insomma, che con lui potresti essere al sicuro. Indubbiamente avranno spazio per te in casa, non sarai d’impaccio. Sempre meglio che qui dove dovreste dormire in due in una stanza, o sulla poltrona.» notando il suo disagio si affrettò ad aggiungere: «Se tu lo vuoi, naturalmente. Lui ha detto che puoi.»
«Lui ha detto così?» domandò sorpresa, a mezza voce.
Gerida annuì: «E sarebbe anche un buon modo per assicurarsi che si riprenda bene. Di sicuro non gli permetteresti di trascurarsi.»
«Credo di doverci pensare.»
La guaritrice si morse il labbro prima di dire: «Pensa in fretta, non hai molto tempo purtroppo.» e poi tornò nella stanzetta delle medicazioni richiudendosi la porta alle spalle.
Dopo alcuni secondi, quando sentì la madre parlare con Cedric, Jennifer s’inginocchiò accanto a Susan e le disse a bassa voce, cercando di sembrare entusiasta: «È una buona idea, non ti pare? Avresti già trovato una valida sistemazione! Lo sai che ti ospiterei per tutto il tempo necessario, ma Sirela ha espressamente chiesto a mamma di badare a Mike...»
«Sì, lo so. Il problema è che... insomma...»
«Lo trovi imbarazzante?»
Susan arrossì: «Beh, sì.»
«Ma hai visto casa sua quanto è grande! Mamma ha ragione, non gli causerai alcun problema!»
«Forse non per la stanza, ma nemmeno li conosco... credi che i suoi accetterebbero di ospitare il bersaglio di un gruppo di soldati?»
«Ma se lui ha già detto sì immagino abbia già pensato di occuparsene di persona, non credi?»
Susan scosse la testa: «Forse ha detto che posso solo d’impulso, perché sa che ne ho bisogno. Non sa nemmeno chi io sia al momento! Sa solo quello che gli ho detto questa mattina!»
«Però è vero, non dovresti gettare all’aria quest’opportunità.» intervenne Mike «Per lo meno sai che c’è, puoi provare e se proprio non va... beh io potrò dormire sulla poltrona.»
«Ma figurati, ci dormirei io.» farfugliò in imbarazzo.
Mike le sorrise sperando di distrarla un po’ dai dolorosi pensieri, poi gli venne in mente un gioco di carte che avrebbe potuto tenerla occupata abbastanza a lungo, e corse a cercare il mazzo in camera di Jennifer. Tornò in pochi minuti e le convinse a sedersi attorno al ceppo di legno che fungeva da poggiapiedi o tavolino da salotto, spiegò loro il gioco e i punteggi delle carte, quindi le interrogò per accertarsi che avessero capito e memorizzato.
Una volta che le ragazzine furono pronte, Mike distribuì le carte e cominciarono a giocare. La prima partita fu solo di prova, perché le due, soprattutto Susan, sbagliarono infrangendo diverse regole. Ma la seconda andò meglio, e la terza fu una partita molto accesa e competitiva, alla quale partecipò attivamente anche Susan che finalmente era riuscita a lasciarsi andare.
A metà della sesta finalmente Cedric e Gerida uscirono dalla stanzetta a lato del corridoio, lei andò a preparare il pranzo in tutta fretta perché erano passate le due del pomeriggio, mentre il ragazzo si avvicinò con passo malfermo per studiare il gioco. Non chiese di potersi unire, ma non rifiutò quando prima Susan e poi anche gli altri due lo invitarono a giocare.
Giocando in quattro cominciarono a volare falsi insulti e false minacce, soprattutto quando al proprio turno qualcuno prelevava una carta dal tavolo che serviva a quello dopo, per accentuare lo spirito competitivo del gioco. Cedric era l’unico a non fiatare, si limitava a cercare di concentrarsi quel tanto che bastava a non fare errori o infrangere regole, ma era certo che le sue condizioni gli facessero sembrare il gioco molto più complicato di quanto in realtà non fosse. Susan gli lanciava spesso occhiate preoccupate, che un paio di volte lui ricambiò, e in entrambe le occasioni lei arrossì tornando rapidamente a concentrarsi sulle proprie carte.
Mangiarono tutti lì, tanto che sul tavolo da pranzo in cucina a malapena c’era spazio, e Jennifer era ansiosa di tornare a giocare a carte. Ma finito di mangiare Cedric disse di dover tornare a casa e guardò Susan con fare incerto, chiedendole implicitamente se l’avrebbe seguito o meno.
Lei cascò dalle nuvole; il gioco di carte l’aveva tenuta impegnata e non aveva riflettuto sulla sua proposta quanto avrebbe voluto. Lo guardò quasi con terrore, poi guardò Jennifer che le fece impercettibilmente cenno di accettare. Quindi alla fine tornò a guardare il ragazzo e annuì timidamente.
Gerida si alzò in fretta da tavola, sollevata che Susan avesse accettato perché così non sarebbe rimasta in casa da sola, e diede a entrambi istruzioni su come utilizzare l’antidoto. Soltanto allora la ragazza venne a sapere che si era trattato di un avvelenamento e guardò la guaritrice con occhi sgranati, incapace di proferire parola. La donna al contrario continuò a parlare nonostante avesse colto la sua occhiata sgomenta, ma aveva l’impressione che in realtà l’unico che la stesse ascoltando fosse Cedric – il quale al momento aveva diverse probabilità di sperimentare lievi amnesie a breve termine. Per questo motivo ripeté ogni cosa da capo appena fu certa che anche Susan ascoltasse.
Susan capì dunque la vera ragione per la quale Gerida sembrava così desiderosa che si fermasse a casa da lui, e si sentì a dir poco terrorizzata data la portata della responsabilità che aveva. Ma sperò di poter contare sul fatto che non era detto che Cedric dimenticasse qualcosa, tantomeno proprio quella chiacchierata. Non poté tuttavia fare a meno di sentirsi una stupida egoista per come si era rivolta a lui la notte precedente, e le fu estremamente difficile non guardarlo nemmeno una volta durante il breve viaggio da una casa all’altra.

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Capitolo 12
*** ...To house ***


Il colore del titolo del capitolo corrisponde al colore della regione in cui la storia al momento si svolge, tenete d'occhio la mappa per sapere dove ci troviamo!

...TO HOUSE

In casa di Cedric non c’era nessuno, suo padre era in fucina e sua sorella da Ilion perché da sola in casa non poteva restare, ma lui aveva sempre le chiavi con sé, dunque non rimasero chiusi fuori. Layla Emily e i loro genitori non si trovavano più nella stalla, essendo tornati a casa propria per pranzare, il ragazzo lasciò il cavallo nero nel suo alloggio e lo liberò di sella e redini.
Poi entrarono in casa. Erano lei e lui. Da soli. E Susan si sentiva ogni minuto sempre più in imbarazzo, che quel silenzio così pesante non faceva altro che alimentare. Si lanciò delle rapide occhiate intorno rimanendo ferma all’ingresso della sala principale e studiò l’ambiente che la circondava: lo spazio era decisamente più ampio di quello cui lei era abituata, ma non seppe quantificarlo. Non era particolarmente illuminato perché le finestre erano tutte chiuse e la poca luce filtrava tra le fessure delle persiane di legno. Subito alla sua destra stava una strana panchetta con braccioli e cuscini, sulla parete alla sua destra invece c’era un grande camino spento, più in là una poltrona. Dietro la poltrona c’era una scrivania con la sua sedia, la prima era occupata da un paio di libri chiusi, uno aperto, un paio di pergamene. Alla sua sinistra doveva esserci una scala che portava al piano superiore, mentre dritto davanti a lei, nascosta da una tenda tirata, c’era un’altra stanza in cui Cedric era entrato, e sulla parete alla sua sinistra c’era una stanza chiusa.
Il ragazzo non ci mise molto a tornare da lei e senza dire una parola le fece cenno di seguirlo, conducendola quindi al secondo piano che ospitava quattro stanze tutte affacciate su un unico corridoio alla cui estremità c’era una finestra – la prima finestra aperta che la ragazza avesse visto lì dentro.
Cedric aprì la porta della prima stanza a sinistra e disse con un sospiro: «Questa stanza è vuota, rendila tua come preferisci. Quella accanto è la mia, di fronte hai quella di mio padre, e l’ultima là in fondo è di Lily. Mia sorella.» spiegò, indicando le stanze una ad una «Il bagno è giù. Tutto chiaro?»
Susan annuì timidamente notando con sorpresa una certa freddezza nei suoi modi e nel suo sguardo, ma sperò che fosse dovuto solo alla stanchezza e non perché già immaginava che la sua presenza gli avrebbe causato problemi.
«Io ora andrò a riprendere Lily, tu puoi passare da casa tua a prendere le tue cose e portarle qui. Credo impiegherai più tempo di noi, dovresti trovarci già in casa.»
«Va bene.» sussurrò con voce flebile, e appena lui si mosse per andarsene lo seguì.
Si calò il cappuccio sul viso perché ancora nevicava fuori e nessuno dei due volle entrare nella stalla e sellare un cavallo solo per entrare al villaggio per poi tornare a casa poco dopo. Lo accompagnò da Ilion fingendo che quella fosse la strada più breve per raggiungere casa propria, quando in realtà voleva solo accertarsi che non svenisse strada facendo. Ma alla fine dovette separarsi da lui e dirigersi da sola verso la sua abitazione, ogni tanto qualcuno le rivolgeva una timida domanda a cui lei si sforzava di rispondere. Non riusciva a sopportare quegli sguardi carichi di pietà e compassione.
In realtà aveva diverse cose da prendere da casa, a cominciare dal cibo che altrimenti sarebbe andato a male; non era certa che la famiglia di Cedric ne avesse bisogno, ma pensava fosse meglio portarne il più possibile e magari risparmiare loro qualche spesa, un favore in cambio del disturbo che gli recava vivendo con loro.
Svuotò quindi la dispensa che era principalmente composta da pane, tortini, marmellate e agrumi, mise in un sacco le castagne, prese un vasetto di miele, la caraffa del latte, due forme di formaggio, due sacchi di farina, e poggiò tutto sul tavolo da pranzo. Guardò quella quantità di cibo con occhio critico, di sicuro avrebbe avuto bisogno almeno di due borse solo per quello.
Mise a soqquadro tutta la casa per impossessarsi di tutti i sacchi e le borse disponibili e stipare il cibo lì dentro. Riempì una borsa e due sacchi di tela di media grandezza, le avanzava un sacco e il suo zaino per i vestiti; non le veniva in mente altro da portare via. Si diresse dunque al piano di sopra e svuotò il baule di tutti i suoi vestiti tra i quali scelse tre vesti da notte, tre paia di pantaloni, tre magliette, tre paia di biancheria e un secondo mantello.
Tornò al piano inferiore con i bagagli stracolmi, si mise zaino e borsa a tracolla e si preparò a trascinare i restanti tre sacchi di tela fino a casa di Cedric. Pesavano parecchio per lei, ma sapeva di dovercela fare fino in fondo. Non chiese aiuto a nessuno e rifiutò le richieste di chiunque le si avvicinò: era colpa sua quanto era successo a Jelena e Deren, era compito suo portare quel fardello. Di nessun altro.
Giunta finalmente a destinazione, ansimante e sudata, rabbrividì al vento freddo e bussò forte alla porta, che Cedric aprì sorprendentemente in fretta. Guardò tutta la roba che trasportava con occhio critico, dopo alcuni attimi si decise ad aiutarla, ma lei lo respinse energicamente spiegandogli le proprie ragioni.
Il ragazzo l’assecondò e si limitò a richiudere la porta alle sue spalle, ma appena Susan ebbe depositato i sacchi in mezzo alla sala Lily, che già aveva conosciuto ma solo in maniera superficiale, le corse incontro e l’abbracciò. Sembrava avere già completamente dimenticato l’accaduto coi soldati della notte prima.
«Lasciala andare.» intimò Cedric alla sorellina con fare irritato.
Lily gli lanciò un’occhiata ostile e ribatté: «Dovresti vergognarti, lo vedi che è stanca? Potresti aiutarla invece di stare lì a fissarla.»
«No, è tutto a posto.» balbettò Susan imbarazzata notando che ora il camino era acceso. Non riuscì a reprimere un certo desiderio di sedersi lì davanti a godere di quel calore rilassante.
E la bambina sembrò notarlo: «Vieni!» le disse prendendole entrambe le mani e conducendola verso la poltrona «Vieni, siediti qui!»
«No Lily, io devo...» guardò di sfuggita i suoi bagagli da scappata di casa mentre la giovane la costringeva a sedersi.
Puntò i vivaci occhi azzurri nei suoi e le rispose: «Rilassati e lascia perdere ora, può farlo Ced.»
Susan scosse la testa confusa e balbettò: «No... No Lily, è... è roba mia, devo farlo io.»
L’altro sospirò e disse con voce roca: «Lascia perdere.» dunque le prese dalle mani borsa e zaino.
«No Cedric, non stai bene...» protestò.
Ma lui la interruppe dicendo fermamente e a denti stretti: «Lascia perdere.»
Susan mollò la presa sulle sue cose guardandolo con aria addolorata, e mentre lui ispezionava i bagagli per sapere dove mettere cosa Lily cercò d’intavolare una conversazione con lei, che in un primo momento rispose distrattamente a monosillabi senza staccare gli occhi da Cedric – il quale tuttavia sembrava fare apposta a non guardarla. Alla fine rivolse le sue attenzioni alla bambina e rispose alle sue domande decisa ad accontentarla e lasciarsi conoscere meglio.
Lily parlava così tanto da far pensare a Susan che non parlasse mai con nessuno, passava da un argomento all’altro senza preavviso e apparentemente senza seguire un filo logico e quando non parlava era solo perché stava dando a lei alcuni secondi per rispondere a una sua domanda. Era una bambina vivacissima, spesso e volentieri si alzava da terra per camminare o addirittura saltellare in quel poco spazio che le separava dal camino.
Susan si disse che se fosse stata così tutto il giorno non c’era da sorprendersi che il fratello fosse l’esatto opposto: Lily parlava e si muoveva abbastanza per tutti e due. A quel pensiero le scappò un debole sorriso, ma riprese in fretta a concentrarsi sulle parole di lei; in quel momento parlava di vestiti.
Si zittì solo quando finalmente Cedric si unì a loro sedendosi sulla panchetta con braccioli e cuscini, accavallò le gambe e incrociò le braccia sul petto fissandole con aria torva. Da quel momento si sentì solo l’allegro scoppiettare del fuoco nel camino di pietra. Susan si guardò intorno spostando solo gli occhi, sicura che muovendosi avrebbe destato l’attenzione di entrambi su di lei.
Alla fine Lily lo apostrofò con un: «Che vuoi?»
Lui si limitò a rivolgerle uno sguardo interrogativo.
La bambina girò gli occhi e si rivolse a Susan come se lui non ci fosse, con fare drammaticamente esasperato disse: «Fa sempre così. Gli fai una domanda e invece di risponderti ti guarda in modo strano. Pretendendo che tu gli legga nel pensiero, capisci?»
Allora Cedric disse cupamente: «Fino a prova contraria questa è casa mia.»
«E devi proprio stare lì a fissarci? Lasciaci parlare in pace! Ci stavamo divertendo.»
«Beh, lui potrebbe chiacchierare insieme a noi.» propose Susan timidamente, ed entrambi i fratelli la guardarono come se avesse bestemmiato. Rendendosi conto di aver evidentemente detto qualcosa che fra quelle mura era considerato anormale, si strinse nelle spalle sperando che il calore sulle guance fosse dovuto al camino e non al fatto che fosse arrossita.
Inaspettatamente Lily rise, sembrava più una risata forzata, e disse: «Lui? Non sarebbe divertente nemmeno se ci provasse.»
«C’è sempre una prima volta.» sussurrò lei, temendo di aver detto un’altra idiozia. Lo sguardo le cadde sulla scrivania alla sua sinistra, su cui c’era un libro aperto, ed ebbe un’idea: «Ma tu sai leggere immagino? Potresti leggerci una storia!»
E Lily sbuffò: «Non c’è bisogno di lui, so farlo anch’io. Ehi! Ti va se ti leggo la mia preferita?»
Solo leggermente abbattuta Susan sorrise educatamente e rispose in un flebile sussurro: «Ma certo!»
La bambina si alzò veloce come un fulmine e corse su per le scale, probabilmente diretta in camera sua, e la ragazza lanciò una timida occhiata a Cedric che non aveva cambiato posizione né atteggiamento.
Sapendo di avere solo una manciata di secondi a disposizione prima che sua sorella tornasse, decise di affrettarsi a chiedergli spiegazioni riguardo il suo comportamento. Ma le uscì uno sgraziato: «Che ti è preso?»
Lui piegò la testa da un lato e corrugò la fronte, probabilmente cercando di decifrare il suo tono di voce piuttosto sgarbato, e alla fine le rispose: «In che senso?»
«Sei... diverso.» tentennò lei, augurandosi che quello bastasse a spiegare ciò che pensava.
«Rispetto a...? Quando? Cosa?»
Susan rifletté troppo a lungo su quelle ultime parole, tanto che Lily tornò al suo posto tutta contenta con un libro tra le mani. Finse di prestarle attenzione mentre in realtà pensava che, dopotutto, con Cedric non aveva mai scambiato più di qualche scontrosa battuta riguardo le uova e i draghi, quindi non poteva realmente dire di conoscerlo. Ma non riusciva a far combaciare le due diverse personalità che le aveva mostrato, una nel bosco la notte prima e una proprio ora. Le era sempre parso un tipo piuttosto schivo e irritabile a dirla tutta, ma credeva di averlo conosciuto per come realmente era quando l’aveva aiutata a riflettere sulla sua impulsività. Quando le aveva impedito di gettarsi tra le braccia dei soldati. Si era forse sbagliata e quella era stata un’eccezione? Forse era solo dovuto al fatto che stesse male. Non che stesse tanto meglio al momento, ma almeno non sembrava più soffrire di dolore.
Verso sera finalmente Cedric si alzò dalla panchetta ed entrò di nuovo nella stanza nascosta dalla tenda. Vedendo la perplessità di Susan, Lily le sussurrò che di lì c’erano il tavolo da pranzo e la cucina, commentò la maleducazione del fratello per non averglielo detto e poi tornò a leggere la fine della storia.
Quando ebbe finito richiuse il libro e corse di nuovo verso la sua stanza, dunque la ragazza si alzò, stiracchiò i muscoli intorpiditi, appese il mantello allo schienale della poltrona e raggiunse Cedric nell’altra stanza per aiutarlo con la cena, ma lui la respinse e dovette persino insistere per apparecchiare la tavola. Alla fine lo fece ignorando la sua occhiata truce, e poi diede le spalle al tavolo incrociando le braccia sul petto, guardandolo con aria di sfida. Lui fece altrettanto dando le spalle al fuoco ormai in via di spegnimento.
Passarono diverso tempo a fissarsi in cagnesco, finché Susan con un sospiro esasperato riprese il discorso di prima: «Perché sei così diverso da ieri?»
«Non capisco che intendi.» rispose lui.
«Lo capisci benissimo.» ribatté prontamente.
A quello seguì un altro lungo silenzio e solo dopo un po’ Susan si rese conto che lui ricordava pressoché nulla di quella notte. In quella distolse lo sguardo dai suoi occhi grigi e fissò il pavimento con terrore, rendendosi conto di aver combinato un altro disastro.
«Mi dispiace. Dimenticavo che non ricordi molto, devi averlo rimosso.» disse infine. Tornò a guardarlo timidamente e gli chiese più dolcemente: «Come stai?»
Sembrò quasi sorpreso di dover rispondere a quella domanda, anche lui distolse lo sguardo puntandolo a terra e disse con un’aria più rilassata: «Bene. Sto bene.»
«Sicuro?» lui in risposta tornò a guardarla e annuì piano, quindi la ragazza si lasciò sfuggire un lungo sospiro e guardò il soffitto dicendo: «Vostro padre torna sempre così tardi?»
«Sì, nostro padre... spesso. Lui...»
Tornò a guardarlo, ora confusa: «Cosa stai cercando di dirmi?»
«Che lui... potrebbe non piacerti, ecco. Presta attenzione a ciò che dici con lui nei paraggi. Non è particolarmente affettuoso, o cauto, o delicato. A dire il vero credo lo sia solo con Lily.»
Susan annuì poco convinta guardandosi di nuovo intorno e ancora una volta rimasero a lungo in silenzio, ma l’atmosfera era più tranquilla di prima.
Il fabbro tornò a casa quando fuori era già buio da un pezzo, annunciò il suo arrivo sbattendo la porta con un sospiro stanco e incedendo con passo pesante. Susan decise di farsi avanti e scostare la tenda rossiccia per presentarsi, quindi Cedric la seguì.
Appena l’uomo incrociò il suo sguardo s’immobilizzò, completamente colto alla sprovvista. Si sfilò lentamente il pesante mantello nero inzuppato, poi lanciò al ragazzo uno sguardo carico di rimprovero come se fosse in procinto di prenderlo a cinghiate, attendendo spiegazioni; la figlia scomparsa dei due adulti catturati dai soldati la notte prima si trovava in casa sua, insieme a lui che a sua volta era sparito tutta la notte.
Dal canto suo, Susan si sentì minuscola e intimorita, non solo dal suo sguardo; l’uomo con Cedric condivideva solo l’altezza, per il resto era l’esatto opposto: capelli chiari, occhi scuri, lineamenti relativamente morbidi e non per ultimo un fisico decisamente imponente. E dire che aveva sempre considerato Deren un uomo corpulento, ora fu costretta a ricredersi; suo padre a confronto sembrava un ragazzetto alle prime armi.
L’aria si era fatta così tesa da poter essere tagliata con un coltello, ma l’arrivo di una vivacissima Lily, che saltò in braccio al padre, li riportò tutti alla realtà. La bambina gli presentò Susan e con entusiasmo gli disse che sarebbe rimasta a dormire da loro – anche se non immaginava il perché, né per quanti giorni.
In presenza della figlia Jorel cambiò lievemente atteggiamento e finalmente salutò Susan, ancora dubbioso, ma se non altro non sembrò volerla cacciare di casa. Chiese loro di raccontargli cosa fosse successo coi soldati e la prima a parlare fu inaspettatamente Lily; il fabbro venne così a sapere per la prima volta che anche lei aveva rischiato di finirci in mezzo e guardò Cedric furibondo, ma la giovane andò avanti indisturbata raccontando di essere riuscita a raggiungere la casa di Ilion. Poi fu la volta di Susan, perché tra i due era quella che meglio ricordava cosa fosse accaduto, e per cercare di mettere una pezza al dramma combinato da Lily cercò di elogiare il coraggio e la scaltrezza del ragazzo il più possibile. Al che lui le rivolse uno sguardo perplesso e incredulo, ma non aggiunse una parola.
«Cos’hai combinato per tirarti addosso cinque soldati?» domandò l’uomo severamente, rivolgendosi a lui.
E Lily rispose animatamente: «Credevano avesse ucciso un uomo!» procurandosi un’occhiata truce di Cedric.
Jorel sgranò gli occhi ed esclamò: «Ed è vero?»
«Sì...» rispose lui vago, si prese alcuni secondi per pensare a cosa dire e prima che l’altro potesse esplodere dalla rabbia esordì con: «Mi ha sorpreso mentre cacciavo, era un bandito armato. Ho dovuto difendermi.»
«E non ti è venuto in mente che potesse avere dei compagni?»
«Non pensavo sarebbe sopravvissuto abbastanza a lungo da informarli dell’accaduto.» ribatté quasi seccato; in un certo senso era vero, solo che doveva averli informati prima di ricevere il colpo di grazia.
«E i suoi genitori come ci sono finiti in mezzo?» continuò.
Il ragazzo si era aspettato una domanda del genere, ma non aveva in mente una buona risposta. Quindi disse semplicemente: «Non ne ho idea.»
Jorel guardò Susan, indeciso se porre la domanda a lei o lasciar perdere, ma alla fine decise che sarebbe stato scortese indagare così presto su una faccenda che in fondo non lo riguardava; continuava a pensare che Cedric c’entrasse qualcosa, ma finché non avesse avuto in mano la prova di quel legame non avrebbe disturbato la ragazza con dolorose domande.
Si diressero a tavola, dove Jorel e Cedric si sedettero entrambi a capotavola, il più possibile lontani l’uno dall’altro, Lily insistette per sedersi affianco a Susan e non di fronte e spostò il proprio piatto accanto a quello della ragazzina. Sembrava l’unica a ignorare totalmente la tensione palpabile, soprattutto quando l’uomo lanciava quelle occhiate al ragazzo che facevano pensare gli sarebbe saltato addosso da un momento all’altro. Mangiarono relativamente in silenzio, dal momento che la bambina cercava di intavolare conversazioni con suo padre o con Susan, ma nessuno dei due aveva realmente voglia di rispondere.

Quando Jorel si alzò da tavola Lily gli andò dietro e Cedric lo seguì con lo sguardo rimanendo immobile.
Solo una volta certo che fosse fuori portata d’orecchio si lasciò andare a un sospiro di sollievo e sussurrò: «È andata bene.»
«È andata bene?» gli fece eco Susan, lieta che fosse stato lui a rompere il silenzio per primo «Ti aspettavi la prendesse peggio?»
«Oh sì. Forse ha preferito non farti una prima cattiva impressione.» rispose, trovando finalmente il coraggio di alzarsi.
Lei lo aiutò a sparecchiare e nel frattempo non riuscì a impedirsi di chiedergli: «Se sapevi che avrebbe reagito così male al fatto di avermi tra i piedi, perché hai detto subito che potevo vivere qui senza prima parlarne con lui?»
Il ragazzo si prese del tempo per rispondere, ma alla fine disse soltanto: «Parlare con lui è inutile. Non sarai tu a dargli fastidio, piuttosto... avere qualcuno che si frappone tra me e lui.»
«Cosa intendi dire?» gli domandò confusa, ma non ottenne una risposta. E dopo un altro po’ le venne in mente di dover scacciare un dubbio: «Ma tu adesso ricordi chi sono, vero? E ricordi chi è Gerida?»
«Sì, grossomodo.» rispose lui vago «Sono sicuro che in generale mi manchino alcune parti, ma credo di poter associare i nomi alle facce delle persone che conosco.»
«Meno male.» sospirò la ragazzina sollevata.
La sorprese la decisione di Cedric di restare sveglio finché non fu certo che il resto della sua famiglia dormisse un sonno profondo, ma sebbene ci mise non meno di due ore a decidersi di salire le scale per andare a dormire Susan rimase con lui seduta davanti al camino, osservandolo spegnersi lentamente e rispettando il suo silenzio.

La mattina dopo cercò di svegliarsi il più presto possibile per aiutare Cedric fin da subito, ma quando si alzò dal letto e scese in cucina scoprì che lui era già sveglio, e stava facendo colazione da solo. Lo salutò e lui ricambiò, dopodiché fece per preparare la colazione anche a lei, ma la ragazza si rifiutò e insistette per pensarci lei stessa, chiedendogli solo cosa potesse mangiare. Pensò anche alla colazione di Lily, a sua insaputa.
Lui parve stupito e a disagio e se ne andò parlando a bassa voce; Susan non capì quello che disse, ma dal fatto che lui sembrava non curarsene intuì che stesse parlando da solo. Scelse di non farglielo notare, e appena lui salì le scale per andare a svegliare la sorellina la ragazza si affrettò a mettere a lavare tutto prima che lui tornasse, in modo che non gli toccasse farlo dopo.
Cedric tornò da solo, anche se Lily si stava vestendo per scendere, ma quando vide il tavolo sgombro, eccezion fatta per ciò che Lily avrebbe mangiato, rimase attonito e senza parole.
«Non sei abituato, lo so. Ma evita quella faccia, non ho fatto granché.» gli disse lei trattenendosi dal ridere per non offenderlo.
Lui tornò lentamente al tavolo e alla fine si sedette senza più guardarla.
«Hai preso l’antidoto?»
«Ho fatto tutto.» le rispose subito quasi interrompendola, come a dirle che non aveva voglia di parlare.
Appena prima che Lily arrivasse gli sussurrò: «Io dopo la colazione vado con gli altri, da Sulphane.»
Cedric la guardò di sottecchi e le rispose malinconico: «Io non posso seguirti.» per poi rivolgerle un sorriso triste, ma l’arrivo della bambina – che come al solito si annunciò con voce squillante – impedì loro di continuare quella conversazione.
Come già detto, Susan uscì appena dopo aver fatto colazione inventandosi una scusa, perché Lily non la prese bene; voleva giocare con lei tutto il giorno. Ma alla fine riuscì ad afferrare il mantello ancora umido e uscire rapida di casa, fuggendo ai suoi abbracci e ai suoi piagnucolii. Non si fermò nella stalla per prendere Brezza, perché non aveva idea di come sellarlo e non voleva rientrare in casa per chiederlo a Cedric, quindi corse via lasciando impronte profonde sulla neve fresca.
Arrivata al momentaneo rifugio dei draghetti li trovò già svegli e piuttosto agitati. Tutti le corsero incontro felici di vederla, scodinzolando come cani – con la differenza che le loro lunghe code parevano ancora più simili a fruste e spezzavano i rami secchi degli arbusti.
Solo Sulphane tuttavia le aprì la mente facendo da portavoce per tutti i fratelli: Dove? Perché? Gli altri?
Susan le accarezzò la testa rispondendo pazientemente: «Ci sono state delle complicazioni l’altra notte, gli altri probabilmente sono rimasti costretti a casa.»
Da cosa? Chi? Perché?
«Dai... dai loro genitori.» disse, improvvisamente malinconica, e Sulphane lo avvertì.
Cosa c’è? Cosa non va?
Le sorrise debolmente: «Niente piccola, l’importante è che voi stiate bene e rimaniate nascosti. Gli altri verranno appena possibile, vedrete.»
Non puoi mentire a me le disse la draghetta quasi severamente.
Susan si morse il labbro, per la prima volta poco entusiasta del fatto che la piccola dragonessa potesse leggerle i pensieri. Alla fine disse: «Scusami, dirtelo a parole sarebbe inutile, probabilmente non capiresti. Ma... puoi vederlo, puoi sentirlo.»
Ci fu una breve pausa, durante la quale Susan si sentì la testa pesante e rivide come sognando a occhi aperti le immagini di quella maledetta notte scorrere rapidamente, sentì di nuovo la rabbia tornare a pervaderla, come anche la paura e la disperazione. Sulphane fu svelta a capire, e quindi a lasciare la sua mente rimanendo in contatto con lei solo per comunicare.
Arrivò a un’unica terribile conclusione che le fece provare per la prima volta cosa volesse dire essere triste. Abbassò la testa senza avere il coraggio di guardarla un secondo di più e sussurrò nella sua mente: È colpa mia...
La ragazza si sentì colpita da quelle parole, come se qualcuno le avesse tirato uno schiaffo: «No! Non è colpa tua. Tu non hai fatto nulla. È stata colpa mia, io ho scelto di farti nascere. L’ho voluto io Sulphane.»
La piccola dragonessa gialla alzò lo sguardo e studiò il suo viso, ma anche senza vedere la determinazione nel suo sguardo aveva capito che pensava realmente ciò che aveva detto.
Cosa posso fare? C’è qualcosa?
«Non lo so.» ammise sconfortata, dubitava che i cavalieri fossero ancora vicini e ad ogni modo non voleva mettere anche la vita di Sulphane in pericolo. Scosse la testa e riprese a sorriderle: «In realtà sì, qualcosa c’è.»
Sulphane drizzò le orecchie in ascolto, quasi smise di respirare per cogliere le sue prossime parole. Ma la ragazza non disse nulla, si limitò a stringerla in un forte abbraccio cercando il conforto che fino ad allora aveva ricevuto solo da Jennifer e Gerida. E Sulphane rispose alla sua indiretta richiesta; il solo fatto che accettò il suo abbraccio – coccolandola a sua volta strofinando la testa sulle sue spalle – la fece sentire subito meglio.
Rubia, compresa la difficile situazione, cercò di rallegrarla correndole incontro e poggiando poi le sue zampe anteriori sulla sua schiena, chiaramente invitandola ad alzarsi e giocare con lei, e la ragazzina lasciò andare la draghetta gialla per rincorrere invece quella rossa; sapendo di dover probabilmente passare tutto il giorno da sola con loro si mise fin da subito nell’ottica di dover tenere occupati tutti e sei.
Con sua grandissima sorpresa in tarda mattinata arrivò Layla, anche lei a piedi, e la più grande sgranò gli occhi letteralmente incredula quando la vide. Le corse incontro e l’abbracciò forte, quasi piangendo per la felicità.
«Temevo ti fosse successo qualcosa! Dove sei sparita? Eri con Cedric? Oh Susan, come sono contenta che tu stia bene! Ti abbiamo cercata ovunque!» esclamò Layla.
Abbracciandola a sua volta, anche se trovava addirittura esagerata la sua reazione, Susan rispose piano: «Sì, ero con lui. Non siamo tornati subito al villaggio perché non stava bene, e ad ogni modo temevamo che potessero prenderci.»
Sciolse l’abbraccio tenendola soltanto per le spalle e la guardò intensamente: «Chi erano? Cosa volevano da te? O da voi... Che diamine sta succedendo?»
Allora Susan si vide costretta a raccontarle brevemente tutto, cercando di non scendere in dettagli – soprattutto riguardo i suoi genitori – ma al contempo cercando di non tralasciare nulla. I draghetti colsero l’occasione per ascoltare attentamente, dal momento che solo Sulphane aveva visto nei ricordi della ragazza cosa fosse successo. Smeryld mugolò preoccupato appena comprese cosa fosse un veleno.
Terminato il racconto Susan lo guardò e gli sorrise amorevolmente: «Starà bene, non devi preoccuparti per lui.» poi inaspettatamente si lasciò nuovamente andare tra le braccia dell’amica che riprese ad abbracciarla.
La draghetta gialla allora comprese appieno il significato di quel gesto che Susan prima aveva compiuto con lei: serviva a dare conforto, speranza e appoggio morale, quindi fu lieta di non aver deluso le aspettative della ragazza poco prima. Il perché gli umani si abbracciassero – quella era la parola giusta – invece di parlarsi o scambiarsi pensieri positivi ancora non lo comprendeva, ma aveva avvertito lei stessa una strana sensazione di calore quando Susan le aveva stretto le braccia al collo appoggiandosi a lei col resto del busto.
Giocherellarono coi draghetti fino all’ora di pranzo, quando Layla propose a Susan di fermarsi a mangiare da lei, e la ragazzina accettò; da una parte perché non si trovava a suo agio in casa con Cedric e Lily, dall’altra perché voleva cogliere l’occasione per dire personalmente alla madre di Layla di stare bene. Sapeva che le sarebbe toccato raccontare quella terribile storia un’altra volta, ma era certa che ne sarebbe valsa la pena.

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Capitolo 13
*** Nightwings ***


Il colore del titolo del capitolo corrisponde al colore della regione in cui la storia al momento si svolge, tenete d'occhio la mappa per sapere dove ci troviamo!

NIGHTWINGS

Nella settimana che seguì a poco a poco i ragazzi furono tutti liberi di uscire di casa come prima, e ritornarono alle vecchie abitudini: giocavano coi draghetti fino all’ora di pranzo, tornavano a casa per mangiare, e poi di nuovo uscivano e facevano ritorno solo quando il sole cominciava a calare. Cedric si era ripreso quasi del tutto dall’avvelenamento, raramente lamentava ancora dolori o improvvise amnesie, e Susan ancora non era riuscita ad abituarsi alla strana atmosfera di quella casa, ma non ebbe più occasione di pranzare altrove.
Mike al contrario si trovava benissimo in casa di Jennifer, Gerida si prendeva cura di lui proprio come se fosse stato figlio suo. Ogni mattina prima della colazione, come la ragazzina gli aveva già anticipato, facevano un qualche tipo di lotta tra i cuscini con regole totalmente improvvisate in base alla necessità e all’umore, oppure giocavano a carte o qualche gioco con le pedine, o ancora prendevano dei fogli e dell’inchiostro e disegnavano cose a caso.
In quei giorni Cedric ebbe modo di raggiungerli alla tana dei draghi solo una volta, e fu per dire a Susan che sarebbe andato a caccia e che quindi in casa avrebbe trovato Ilion, che sarebbe rimasta per badare a Lily fino al ritorno di Jorel da lavoro. Colse l’occasione per giocare un po’ con Smeryld, dopodiché li salutò e se ne andò da solo col cavallo nero al seguito, impedendo categoricamente al draghetto verde di seguirlo.
Smeryld non la prese bene, ma si sedette e rimase fermo a guardarlo allontanarsi dibattendo la coda sul terreno con forza, spazzando la neve, col collo inarcato in un moto di stizza e le ali strette sui fianchi.
Susan rimaneva il centro dell’attenzione di tutti e Mike più di chiunque altro s’impegnava perché rimanesse di umore spensierato e vivace; anche lui sentiva la mancanza dei propri genitori e poteva intuire in un certo senso come la ragazzina si sentisse.
Ilion – una donna minuta dai lunghi capelli scuri, la pelle chiara e i grandi occhi azzurri – sembrò molto felice nell’apprendere che Susan stesse bene e si sarebbe fermata in casa di Jorel finché non si fosse saputo qualcosa dei suoi genitori, o finché essi non sarebbero tornati.
La sua presenza le rese più facile tollerare Lily, perché la donna stessa giocava con lei e si divertiva a intrattenerla. Si comportava come una madre e la ragazzina ebbe l’impressione che a Lily ciò non dispiacesse affatto; l’atmosfera in quella casa senza Cedric era completamente diversa, sembravano quasi una normale famiglia: madre, padre e due figlie.
Ebbe modo di ambientarsi molto meglio e più piacevolmente, cominciò ad apprezzare Lily al punto da considerarla quasi al pari di una sorellina, si affezionò a Ilion e quasi riuscì a farsi piacere Jorel. Dal canto suo, l’uomo sembrava realmente apprezzare la presenza di Susan, in assenza del figlio. Gli faceva piacere che qualcun altro oltre a Ilion tenesse occupata la bambina.
A quel punto non riuscì a non domandarsi cosa diamine avesse Cedric di sbagliato, perché le era ormai chiaro che a rendere insopportabile la permanenza in quella casa fosse la sua presenza. Si ritrovò egoisticamente a pensare – o sperare – che non tornasse poi tanto presto dal suo periodo di caccia, ma appena se ne rese conto scosse la testa e se ne pentì: dopotutto lui le aveva dato un posto in cui stare quando nessun altro probabilmente avrebbe rischiato tanto, era sua ospite e non avrebbe dovuto permettersi di pensare quelle cose.
Ma si guardò bene dal fare domande in casa, soprattutto a Jorel, per non rovinare l’atmosfera piacevolmente rilassata e quasi scherzosa. Per il momento.
Nel frattempo i draghi crescevano e apprendevano rapidamente, comunicavano meglio più ascoltavano i ragazzi parlare, conoscevano le emozioni più basilari e sapevano distinguerle, avevano preso il controllo totale delle proprie menti – e quindi non facevano più inavvertitamente del male ai ragazzi, o non gli provocavano vertigini, né accidentalmente gli facevano provare le proprie emozioni. Continuavano a non usare le ali se non per planare e muoversi più rapidamente di un cavallo al galoppo per brevi tratti.
Ma soprattutto ognuno di loro si era scelto la propria voce. Nessuna rispecchiava la loro giovane età, ma piuttosto un’età più vicina a quella dei sei ragazzi. Eccetto il piccolo Umbreon, che si era scelto fin da subito una voce grave e profonda, quasi un ringhio gutturale; cozzava a dir poco con il suo aspetto, sebbene incutesse timore pur essendo alto poco meno di due piedi.

Cedric passò la sua ultima notte fuori insieme ai draghi a pulire le sue prede alla luce delle due lune, tenendo tendini e carne da una parte e lasciando il resto ai cuccioli sia per nutrirsi che per svagarsi. Sapeva di non poter rientrare in casa prima che suo padre fosse uscito per andare a lavoro perché, oltre a essere chiuso a chiave, l’ingresso era sbarrato dall’interno con un’asse di legno.
Dormì fuori e il giorno dopo ne approfittò per rimanere a giocare insieme agli altri coi draghetti mitigando l’umore tetro, mentre Susan al contrario si fece prendere dallo sconforto quando lo vide, sapendo che il pacifico periodo in casa sua sarebbe terminato.
Appena rincasarono per pranzare in effetti Cedric non ricambiò il saluto allegro di Ilion, la quale assunse solo per un attimo un’aria triste, e Lily non perse tempo a rinfacciarglielo.
Susan si sedette a tavola con un sospiro sconsolato e il ragazzo invece di mangiare con loro si preparò un tè per conto suo. Il suo atteggiamento migliorò nell’ora che seguì e inaspettatamente non impose alla donna di tornare a casa propria, come di solito faceva. Bensì si ritrovò ad ammettere che averla tra i piedi potesse dargli un po’ di respiro e tempo libero da dedicare a Smeryld e agli altri draghetti.
Fu così che divenne un’abitudine, Ilion se non aveva precedentemente preso altri impegni – badare ai bambini quando i genitori non potevano era il suo compito al villaggio – passava dalla mattina al tardo pomeriggio in casa con Lily, e Susan e Cedric potevano tranquillamente andare e venire tra casa e bosco quando volevano.

Una mattina, mentre si accingevano a fare colazione insieme in attesa che Ilion arrivasse, e in assenza di Lily, Susan decise di volersi togliere un dubbio che l’attanagliava più o meno da quando aveva cominciato a comprendere le dinamiche di quella casa. Era certa che quella domanda gli sarebbe parsa stupida o senza senso.
Ma prese in mano tutto il coraggio che riuscì a trovare e si schiarì la gola, catturando l’attenzione di lui, poi gli chiese: «Ti piace il tè?»
Il ragazzo infatti, ancora di pessimo umore come ogni mattina, le rivolse uno sguardo stranito e ribatté: «Perché?»
Susan finse indifferenza scuotendo le spalle: «Lo bevi tre volte al giorno. Sembra quasi che quando non lo bevi per troppo tempo diventi... beh...» con uno sguardo eloquente lo indicò, lasciando intendere che si riferiva a come si comportava di solito.
«No.» rispose soltanto.
«No? Non ti piace o...» lui la interruppe con un gesto affermativo e lei sorrise incredula «E allora a maggior ragione perché lo bevi? Ne sei dipendente?»
«Sì e no. Perché?» ripeté.
«Oh niente.» disse di nuovo con finta indifferenza, era già una risposta più completa di quanto si sarebbe aspettata «Ho solo notato questo strano cambio del tuo umore e volevo saperne il motivo. Allora bevilo, sei più simpatico dopo.» scherzò poi.
Cedric non gradì e la guardò accigliato, ma non ribatté e invece prese tra le mani la tazza per saggiarne il calore prima di ustionarsi.
Susan scosse la testa senza smettere di sorridere divertita, a dispetto di quanto lui probabilmente desiderasse trovava intrigante la sua riservatezza, il che la spingeva a cercare di svelare i suoi misteri uno a uno con determinazione: se lui non le avesse dato spiegazioni avrebbe provato a chiederne a Ilion alla prima occasione. Anche se avrebbe preferito che lui si fidasse abbastanza da aprirsi a lei, ma per quello immaginava ci sarebbe voluto del tempo.

I giorni si susseguivano ormai tutti uguali e senza complicazioni, tranne Jorel che talvolta rimproverava Cedric perché non stava quasi mai in casa lasciando fare gran parte del lavoro a Ilion, e quindi delle volte il ragazzo non poté unirsi a loro. Tutto il villaggio sembrava ormai aver dimenticato la questione degli strani soldati che avevano rapito i genitori di Susan, anche se la mancanza del panettiere si faceva sentire.
Persino la ragazzina era più serena e tranquilla, sebbene ogni tanto il pensiero dei genitori le rendeva difficile dormire, e si ritrovava a pregare i Dodici perché stessero bene. Chiedere conforto a Cedric era pressoché inutile, e si affrettò a capirlo; non ricambiava mai i suoi gesti affettuosi nonostante sembrasse provare empatia e ogni volta che gli parlava di quanto fosse triste – aspettandosi quindi qualche parola di conforto da parte sua – si limitava a stare in silenzio e chiaramente a disagio, spesso guardando altrove.
Ma se non poteva contare su di lui imparò presto a fare affidamento su Sulphane, la quale invece faceva ogni cosa fosse in suo potere per distrarla durante il resto della giornata. E funzionava. I problemi li aveva solo la sera prima di addormentarsi, quando sapeva di non poter contare su nessuno.

Una notte, verso la fine della prima settimana del mese di Voldar, il secondo d’autunno, il villaggio fu colto di sorpresa da una violenta nevicata con tanto di forte vento gelido che sradicò alcuni giovani alberi e mise a dura prova il raccolto e il bestiame. La luce delle lune a fatica penetrava la coltre di nubi che copriva il cielo. Ma nonostante questo fu udibile uno strano rumore, di una grande massa d’aria spostata violentemente e di un cupo rombo di tuono che tuttavia non poteva appartenere a un lontano temporale. Gli abitanti furono costretti a rimanere in casa nei due giorni seguenti per via della troppa neve nelle strade.
Quando i ragazzi furono finalmente liberi di andare a trovare i draghetti nel bosco li trovarono ancora più irrequieti di quanto lo fossero stati dopo la loro prolungata assenza a causa del rapimento di Jelena e Deren. La loro ansia era così intensa che persino loro potevano provarla nonostante i cuccioli ormai avessero imparato a contenere le emozioni entro i confini delle proprie menti.
Avvolgendosi nel mantello a disagio, Jennifer domandò incerta: «Cosa c’è? È successo qualcosa?»
Non ne siamo sicuri... disse piano Rubia Qualcosa si sta muovendo qui intorno, qualcosa di... pericoloso.
«Gli orsi dovrebbero essere in letargo ormai.» disse Cedric perplesso.
Orsi? fece Umbreon, non conoscendo la parola, ma fu rapido a trovare la risposta nella mente del ragazzo e si affrettò a proseguire: No, qualcosa di molto più antico e pericoloso.
Quel giorno non riuscirono a divertirsi, troppo presi dall’agitazione dei piccoli draghi per lasciarsi andare, e tornarono a casa portandosi dietro quelle emozioni. I genitori non ci fecero caso, attribuendolo alla preoccupazione di dover affrontare un clima del genere anche nelle notti a venire.

Alcune notti più tardi il fenomeno si ripresentò, assente di una bufera di neve, ma un rumore terribile squarciò l’aria viaggiando lontano, trasportato dal vento. Al suono di quel ruggito feroce tutto il villaggio scese nelle strade. Il cielo era limpido perché il forte vento disperdeva le nubi, le stelle e le lune brillavano rischiarando la neve e facendone scintillare i minuscoli cristalli.
La gente vociava in preda all’agitazione e i ragazzini riuscirono a sgattaiolare fuori giusto il tempo di guardarsi intorno per poi essere rimproverati dai genitori. Cedric e Susan invece ebbero tutto il tempo che volevano dal momento che al ragazzo toccò andare a tranquillizzare i cavalli, e lei lo seguì a ruota per approfittarne.
Rimase fuori tutto il tempo a scrutare il cielo, sicura che quel ruggito appartenesse a un drago. Non sapeva cosa le desse tale sicurezza, ma sgranò gli occhi incredula quando lo vide passare davanti a una delle lune, a nord-ovest, probabilmente stava sorvolando il bosco dove avevano trovato il drago morto e, vedendolo, aveva ruggito arrabbiato.
Si sentì mancare il fiato a quella vista, le grandi ali da pipistrello attraversarono rapidamente il corpo celeste per poi sparire nascoste dal cielo scuro, ma impegnandosi riuscì a seguirne la traiettoria perché dove passava le stelle si spegnevano. Per essere una sagoma così poco visibile, e per il fatto che sembrava avvicinarsi al villaggio solo di notte portando con sé quegli strani fenomeni atmosferici, Susan intuì che fosse un grande drago nero.

Appena si riebbe corse dentro la stalla gridando il nome di Cedric e agitando di nuovo tutti i cavalli. Lui la guardò storto ma non ebbe il tempo di obiettare prima che la ragazzina lo ricoprisse con un fiume di parole. Mentre lei parlava il ragazzo sgranò gli occhi e le rivolse un’occhiata che le fece pensare che in realtà non la stesse guardando, assorto nei suoi pensieri.
Quando lei si zittì lui sussurrò: «Penso stia cercando i draghi.»
«Anch’io!» assentì annuendo vigorosamente «Secondo me ha ruggito perché ha visto il drago viola morto!»
«Siamo in grossi guai.»
«Non è detto! Se gli spieghiamo che li abbiamo salvati dai banditi forse...»
«Se.» la interruppe Cedric «Non è nemmeno detto che ci lasci la possibilità di parlare. Spero almeno che i draghetti gli spieghino la situazione prima che ci veda...»
«Forse se vede che ci siamo affezionati, noi a loro e loro a noi, non ci farà male! Per non ferire i loro sentimenti!»
«Sono pur sempre enormi incognite.»
«Che dici, andiamo da loro?» domandò ansiosa.
Dopo aver pensato a lungo il ragazzo annuì piano, quindi Susan corse subito verso casa a prendere i vestiti di entrambi mentre lui sellava Hurricane e Brezza. Lei si cambiò in camera e si avvolse nel suo mantello verde, portò fuori il suo cavallo per dare a lui il tempo di vestirsi a sua volta, poi entrambi galopparono rapidi verso il bosco. Il grande drago doveva essere ancora nei paraggi a giudicare dallo strano rumore simile a un rombo di tuono in lontananza che cresceva e scemava d’intensità a seconda della distanza cui volava da loro.
Anche diverse persone al villaggio avevano visto la grande ombra nera oscurare quasi interamente la luna più grande. Chi l’aveva visto solo di sfuggita o con la coda dell’occhio aveva pensato a un pipistrello di dimensioni notevoli, ma una decina di persone gridavano sconvolte, certe che quello fosse uno dei mostri usciti dalle leggende.
Nella situazione di panico generale, Mike Jennifer Layla e Andrew riuscirono di nuovo a uscire dalle loro case di nascosto, vestiti di tutto punto. Nessuno li notò, perché l’intero villaggio aveva ora gli occhi al cielo, e i genitori non si preoccuparono di guardare all’interno delle abitazioni credendo che vi fossero rimasti.
Si ritrovarono tutti alla tana dei draghi, arrivando uno alla volta. Prima che Layla, la prima ad arrivare, li raggiungesse, Cedric e Susan avevano già cominciato a scambiare le loro idee coi piccoli draghi, i quali erano se possibile ancora più irrequieti di qualche giorno prima: sostenevano che il grande drago avesse intercettato le loro menti e avesse tentato un contatto, ma avvertendo la loro paura e la loro diffidenza non aveva forzato l’ingresso.
Andrew, l’ultimo ad arrivare, fece appena in tempo a raggiungere la tana prima che una forte folata di vento l’investisse, e si sentì il chiaro rumore di lenzuola sbattute che precedeva il sordo rombo. I ragazzini si guardarono tra loro, nei loro occhi si leggeva solo puro terrore, e i draghetti si accucciarono a terra con le ali chiuse sul corpo come per ripararsi. I due cavalli nitrirono agitati e s’impennarono, Susan dovette farsi aiutare da Mike per tenere fermo Brezza.
È qui... sussurrò Sulphane atterrita.
Un cupo ringhio annunciò infatti la presenza del drago nero mentre folate di aria gelida li avvolgevano, la neve si sollevò disperdendosi nell’aria come polvere scintillante. Guardarono in alto e tra le alte fronde degli alberi videro un’enorme sagoma nera che agitava le ali per tenersi in quota ferma sopra le loro teste. Gli occhi rossi brillavano di una luce sinistra.
Con un debole ringhio riprese a volare allontanandosi e i ragazzi non riuscirono a capire il perché: era chiaro che li avesse visti insieme ai draghi, li aveva guardati dritti negli occhi uno a uno.
Rubia si rialzò lentamente e ruppe il silenzio dicendo: Credo voglia che lo seguiamo.
«Cosa?! E perché?» esclamò Mike sgomento.
Non lo so, è solo una mia impressione.
«E se volesse ucciderci? Qui non potrebbe farlo senza incendiare tutto e attirare l’attenzione.» protestò Andrew tremando sia di freddo che di paura.
Non ci ucciderà sbuffò Umbreon ritrovando il coraggio di muoversi Non ucciderebbe mai degli altri draghi, tantomeno così giovani.
«Sì, i draghi. Ma noi che vi abbiamo fatti nascere e cresciuti?»
Allora andremo solo noi disse Smeryld Anch’io percepisco che non vuole farci del male. Sembra curioso, vuole capire.
«Quindi non è arrabbiato?» fece Layla titubante.
Non sembra le rispose Ametyst.
Dunque draghi e ragazzi s’incamminarono verso sud, verso la vasta prateria a est di Darvil, trascinandosi i due cavalli per le redini che ancora cercavano di ribellarsi per scappare, senza successo. Ci misero dieci minuti buoni per uscire dal bosco trovandosi allo scoperto nella vasta pianura innevata, e i quattro scappati di nascosto si ritrovarono a sperare che ancora i genitori non avessero messo piede dentro casa, scoprendo così che mancavano.
Cedric e Susan legarono i due cavalli a due alberi al limitare del bosco mentre i sei draghetti si avviavano circospetti fuori, alla luce delle lune. I ragazzi tenevano gli occhi incollati al cielo alla ricerca della sagoma scura dagli occhi rossi del grande drago.
Sentirono l’ormai familiare presenza di una mente estranea nelle loro, che erano sprovviste di qualsiasi difesa e dunque vulnerabili a ogni attacco esterno.
Una voce profonda e gutturale ancor più di quella del piccolo Umbreon, accompagnata dal solito rumore di sottofondo – come quando si tappano le orecchie con entrambe le mani lasciando solo un piccolo spiraglio per far passare l’aria – sussurrò a tutti i ragazzi: Più a est per poi lasciarli. Gli era parso che fosse stato il più delicato possibile, come temendo di poter fare loro del male anche senza toccarli fisicamente.
Riferendo le parole anche ai draghetti obbedirono, camminando in direzione est immaginando che il drago non volesse trovarsi troppo vicino al villaggio; aveva già rischiato tantissimo ed era anche già stato avvistato da diverse persone, era comprensibile che volesse minimizzare il rischio il più possibile.
Mike e Andrew continuavano a guardarsi indietro, pensando che più si allontanavano dal villaggio più tempo avrebbero impiegato a ritornare; la possibilità che gli adulti scoprissero che se n’erano andati era ogni minuto più concreta e la sola idea di doverli affrontare inventandosi scuse campate per aria li spaventava quasi più dello stesso enorme drago.
Ma alla fine, quando lo ritenne più appropriato, il drago nero si riavvicinò da nord planando ad ali spiegate sulla prateria, abbassandosi di quota per poi compiere una lunga virata e atterrare davanti a loro quasi senza fare rumore.

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Capitolo 14
*** Nerkoull ***


NOTE DELL'AUTRICE
Chiedo un attimo di attenzione prima di leggere il capitolo, scusatemi sono una palla al piede.
Mi è piaciuta l'idea di Sagas di creare un gruppo Facebook dedicato alla propria storia, perciò se v'interessa e la seguite vi consiglio di mandare la richiesta per farne parte; ho deciso di non pubblicare più disegni su EFP (salvo eccezioni) e invece pubblicarli lì su richiesta. Ho inoltre creato documenti di testo che spiegano e traducono le lingue che qui trovate incomprensibili, che aggiornerò di volta in volta per non fare anticipazioni.
Insomma, QUI c'è il gruppo, dategli un'occhiata se volete, ci sono più informazioni senza stare a dilungarmi qui.
Mi farà piacere se vi unirete e ora direi di lasciarvi alla storia (finalmente!)

Il colore del titolo del capitolo corrisponde al colore della regione in cui la storia al momento si svolge, tenete d'occhio la mappa per sapere dove ci troviamo!

NERKOULL

Scosse la testa e allungò il collo verso il cielo per poi puntare i grandi occhi rossi dalla pupilla stretta e verticale su di loro, comprendendoli tutti e dodici con una singola occhiata. Sia ragazzi che draghi s’immobilizzarono intimoriti dalla sua mole, Sulphane Andrew e Susan fecero qualche passo indietro.
Di nuovo il drago nero si fece strada nelle loro deboli menti, parlando anche ai draghetti questa volta: Non dovete temermi, non ho intenzione di farvi del male.
«Per ora...» sussurrò Andrew inquieto, ma il drago a quelle parole reagì come se non avesse sentito.
Era completamente nero fatta eccezione per le scaglie del ventre, appuntite e di colore grigio scuro. Aveva la testa circondata di spine, e poi una fila di spine lungo tutta la schiena dalla testa alla punta della coda, che crescevano sulle scaglie a intervalli regolari. Erano piccole sulla fronte, si allungavano lungo il collo e poi si accorciavano verso le spalle, sulla schiena c’erano le più lunghe, che poi cominciavano ad accorciarsi via via che la coda diventava più sottile. Sul collo e sulla coda aveva altre due file di spine più corte di quelle dorsali ma che variavano dimensione al pari delle altre. Aveva due sole zampe munite di tre dita e un pollice, come gli uccelli, dalle quali spuntavano lunghi artigli grigi. Aveva un paio di grandi ali con sei dita di cui solo tre erano allungate a formare la vera e propria ala, la cui membrana di un grigio quasi nero era frastagliata ai bordi e bucata in qualche punto. Poggiava parte del suo peso anche su esse, come se fossero state delle zampe anteriori, proprio come Zaffir. Aveva un corno sulla punta del muso e altri due, più lunghi e sottili, sopra le tempie, i denti superiori sporgenti, ma non molto lunghi.
Sebbene fosse un drago relativamente giovane, le sue dimensioni per i ragazzi – e anche per i piccoli draghi che non avevano mai visto altri loro simili – erano spaventose: Cedric, che era il più alto tra loro e superava i cinque piedi e mezzo, era poco più alto del suo muso da naso a mento. Aveva la testa così grande da poter prendere un cavallo tra le fauci senza alcuno sforzo.
Fu Umbreon a rompere il ghiaccio: Chi sei? Cosa vuoi da noi?
Il mio nome è Nerkoull rispose lui Sorvolavo Dargovas in cerca del sangue del mio sangue.
«E... e l’hai trovato?» tentennò Mike, immaginando che si riferisse a un fratello o una sorella.
Äeh. Sì.
«E questo cosa c’entra con noi?» domandò Jennifer con un filo di voce.
Nerkoull distolse lo sguardo solo per puntarlo all’orizzonte, come per accertarsi che nessuno si stesse avvicinando, poi guardò in direzione del bosco a nord-ovest di Darvil e disse con voce quasi triste, malinconica: Khraalzeh. Lei era il sangue del mio sangue.
Cedric credette di aver capito e domandò: «Il drago morto nel bosco?»
Nerkoull tornò a guardarli: Sì. Khraalzeh era figlia mia, come dite voi Umani.
Layla spalancò la bocca incredula: «Ma se lei era tua figlia... tu pensi che... loro...» e indicò Ametyst.
Sempre del mio sangue si tratta, esattamente.
Sei qui per portarci via? gli domandò Sulphane tristemente.
No. Volevo conoscervi e ascoltare le vostre ragioni prima.
«Le... le nostre ragioni?» domandò Jennifer confusa.
Per quale ragione state crescendo dei giovani draghi? domandò, e per la prima volta parve innervosito.
«Noi...» la ragazzina si guardò intorno cercando negli altri il coraggio che le mancava, e alla fine fu lei a spiegare: «Abbiamo trovato le uova vicine a... a Khraalzeh. Le avevano dei banditi che volevano darle a qualcuno, quindi abbiamo preferito tenerle per sicurezza. I draghi sono nati senza che facessimo nulla, e da allora ci siamo presi cura di loro.»
Quindi intervenne Susan: «Dei soldati. I banditi volevano darle a dei soldati. Sono venuti qui il mese scorso, ci hanno quasi presi...» evitò di parlare dei suoi genitori, anche se già aveva un nodo alla gola.
Layla le mise un braccio attorno alle spalle per confortarla.
Volevate proteggerli, dunque.
«Sì. Non volevamo che cadessero nelle mani sbagliate.» disse Mike «Abbiamo pensato di lasciarli nella Foresta, ma alla fine abbiamo preferito assicurarci che nascessero.»
«E quando una volta nati abbiamo provato a liberarli hanno pianto, quindi li abbiamo tenuti.» concluse Andrew, sperando che dopo quella confessione il grande drago tenesse per sé la voglia di sbranarli.
«Perciò possiamo continuare a crescerli, o vuoi portarli con te?» lo incalzò Layla timidamente.
Nerkoull rimase in silenzio a lungo, come soppesando la scelta, e infine disse: Loro cosa vogliono? Volete crescere insieme a questi esseri umani o preferite crescere insieme ai vostri simili?
Ci lasci scegliere? domandò Zaffir sorpreso.
Non vedo perché non dovrei. Ne vale del vostro futuro, non del mio.
Io voglio crescere insieme a Susan disse subito Sulphane ripensando a quanto la ragazzina in quel momento avesse bisogno di lei per non pensare alla sua famiglia.
Anch’io disse Zaffir.
Gli altri non espressero apertamente il loro assenso ma lasciarono intendere di trovarsi d’accordo con loro due.
E voi? Lo volete? Nerkoull si rivolse ai ragazzi.
«Come no!» esclamò Mike entusiasta «Perché lo chiedi? Io adoro Zaffir, non me ne separerei per nulla al mondo!»
Zaffir?
Sono io rispose prontamente il draghetto blu È il mio nome.
Sarebbe stato meglio darvi nomi nella nostra lingua commentò il drago adulto, ma non si alterò e invece riprese: Vorrà dire che, dal momento che già avete il vostro nome, in futuro ve ne troverò uno alternativo da usare per il richiamo.
«Richiamo?» domandò Andrew.
Ognuno di noi ha un nome specifico, che ci permette di chiamarci l’un l’altro ovunque siamo ed eventualmente rispondere alla chiamata. Ciò funziona perché si usa la nostra lingua, la prima lingua della magia.
«Quindi i nomi che gli abbiamo dato noi non funzionano.» annuì Layla comprensiva.
Crescere al fianco di creature magiche quali noi draghi potrebbe comportare complicazioni, perciò ve lo richiedo: è ciò che volete?
«Che genere di complicazioni?» domandò Cedric incupendosi.
Non ho una risposta precisa. La magia scorre in loro da ancor prima che il loro uovo si schiudesse. Potrebbe alterare il vostro corpo, rendervi più longevi se non immortali, cambiare il vostro modo di pensare e di percepire il mondo. Forse fino a rendervi più draghi che umani nel profondo. Siete disposti a questo?
Susan guardò Sulphane pensierosa e sussurrò: «Se anche non volessimo siamo già molto affezionati gli uni agli altri. Sarebbe difficile, forse impossibile fare a meno di loro ormai.»
Cedric scosse la testa incredulo e non riuscì a trattenersi dal dire: «Scusa la franchezza, ma a te cosa importa di noi? Per questi piccoli draghi sarebbe senza dubbio meglio crescere coi loro simili, con altri draghi. Cosa mai potremmo insegnargli noi, oltre a parlare e riconoscere le emozioni? Perché mai vorresti darci la possibilità di crescere... il sangue del tuo sangue?»
Nerkoull sembrò divertito dalla sua improvvisa sfacciataggine incurante della creatura a cui si stesse rivolgendo: Si può dire che ho un buon presentimento. Seguirò la crescita di questi draghi, ma non interverrò se non per insegnargli ciò che in quanto draghi dovranno sapere. Posso vederlo, avete buon cuore e sareste disposti a rischiare voi stessi per saperli al sicuro da quei... soldati. È vero, con me sarebbero ancora più al sicuro. Ed è vero, sono il sangue del mio sangue. Ma non sono i miei figli, pertanto per quanto sia il consanguineo più prossimo che hanno non è in mio potere scegliere per loro. Se loro preferiscono voi a me, mi adeguo a una loro scelta.
«Vorrei che mia madre fosse altrettanto comprensiva.» brontolò Andrew.
E Cedric ribatté in un sussurro: «A chi lo dici...»
«Insomma, un drago adulto si fa da parte per lasciare che dei piccoli di appena due mesi scelgano cosa fare della loro vita... e io non posso uscire di casa la sera!» continuò l’altro irritato.
Nerkoull grugnì una risata che fece tremare la terra sotto i loro piedi e disse con fare ironico: Apparteniamo a due razze molto dissimili. Loro, a differenza vostra, saprebbero già cavarsela da soli nell’aspro mondo che li circonda.
«Nerkoull?» lo chiamò Susan con una vocina flebile. Il grande drago la guardò dall’alto e lei proseguì con la sua domanda: «Come facciamo a capire se sono maschi o femmine? Sulphane mi ha sempre detto di non saperlo ancora, eppure sa qual è la differenza.»
Nerkoull ringhiò come se stesse ponderando una risposta, e alla fine disse: Perché ancora non ha deciso. La voce che senti è femminile per il semplice fatto che si è legata a te e ti ha considerata come una madre, la cosa più vicina a un genitore che potesse avere.
Mike balbettò perplesso: «Ma allora tu... voglio dire, tutti i draghi... non avete un genere?»
Lo abbiamo. E col tempo lo avranno anche loro. Ma sono ancora molto giovani.
Tra quanto? gli domandò Ametyst Lo sceglieremo noi?
Avrete tempo per sceglierlo finché il vostro controllo sulla Magia sarà ancora instabile. Quando si stabilizzerà potrete decidere il genere, e la Magia si asseconderà alla vostra scelta. Lo capirete da soli quando sarà il momento, non potrete fraintendere.
«Quindi, se ho capito bene.» cominciò Jennifer muovendosi avanti e indietro e catturando gli sguardi di tutti «Noi abbiamo il permesso di crescere i draghi ma tu li seguirai da lontano... ed è tutto qui? Insomma, noi andiamo avanti con la nostra vita e tu starai nei dintorni per chiamare i draghi a te quando lo riterrai necessario?»
A grandi linee, sì.
«Incredibile... Grazie Nerkoull!» esclamò Layla esibendosi in un timido inchino.
Badate che non li obbligherò a restare, se loro un giorno vorranno andarsene per vivere coi nostri simili di certo non li fermerò.
«Sì è comprensibile. È un buon rischio da correre per avere il privilegio di crescere questi piccoletti! Non sai quanto sia felice di avere come amico anche te!» disse Susan saltellando con le mani giunte, improvvisamente non le parve di sentire più tanto freddo.
Frena l’entusiasmo ringhiò Nerkoull contrariato Non mi definirei vostro amico.
«Ma sei lo zio dei nostri amici draghi!» protestò Mike «Se ancora non sei nostro amico lo diventerai! Non possiamo essere in cattivi rapporti.»
«È il nonno.» lo corresse Cedric, senza guardarlo.
«Cosa?» fece il ragazzino interdetto.
E allora il più grande capì di aver pensato ad alta voce, scosse la testa e disse più chiaramente: «Nerkoull è il nonno dei nostri amici draghi, non lo zio.»
Mike lo guardò storcendo il naso, blaterando poi qualcosa riguardo la poca importanza di quella precisazione del tutto superflua, e Andrew ridacchiò.
Si può essere in buoni rapporti pur rimanendo distaccati e neutrali continuò Nerkoull, facendo finta di nulla Ero in debito con voi per aver impedito a umani malvagi d’impossessarsi delle uova, e l’ho ripagato permettendovi di crescere gli stessi cuccioli che avete salvato e a cui vi siete affezionati. Non è un rapporto di amicizia, il nostro.
Mike fece per ribattere, ma Jennifer gli tirò una gomitata per zittirlo sussurrando: «Stai parlando con un drago adulto che potrebbe sbranarci tutti e prendersi i cuccioli per sé, frena la lingua.»
E il grande drago ribatté, nuovamente divertito: Se lo facessi non mi guadagnerei né la loro fiducia né la loro simpatia, sarebbe controproducente.
Jennifer rimase così sorpresa da immobilizzarsi, facendo ridere Andrew che disse: «Hai un buon senso dell’umorismo, è interessante sapere quanto il nostro modo di pensare sia simile!»
Relativamente. Non ho spesso il piacere di conversare con creature come voi, è un’esperienza affascinante. Cerco di adattarmi.
«Ti riesce bene, mi sei simpatico.» gli sorrise il più giovane.
Nerkoull ringhiò un ringraziamento esibendosi in un elegante inchino piegando il lungo collo fino a toccare terra, poi tornò con la testa alta e disse: Ora sarebbe meglio separarci, hai detto di non poter uscire quando è buio e immagino che molto presto gli abitanti del vostro villaggio torneranno sotto il proprio tetto, scoprendo così che mancate. Io troverò un posto non troppo lontano, abbastanza da non destare fastidio o sospetto, ma sufficientemente vicino perché voi e i piccoli draghi possiate raggiungermi. Vi farò sapere di me in futuro.
«Grazie ancora Nerkoull, davvero.» disse Layla con un sorriso.
«Buonanotte!» gli disse invece Jennifer animatamente.
Buonanotte rispose lui solo leggermente perplesso, probabilmente perché a lui quell’usanza era ancora sconosciuta. Poi spalancò le ali, si volse dall’altra parte e con un balzo prese il volo sollevando una nube di neve e salendo rapidamente di quota fino a superare in altezza le cime degli alberi della Foresta. Si diresse a nord-est, probabilmente in cerca di una radura abbastanza spaziosa all’interno della stessa dove poter atterrare e condurre la sua nuova vita non lontano da Darvil.
«Un drago adulto... abbiamo parlato a un drago adulto!» esordì Jennifer quasi senza fiato.
A Umbreon brillavano gli occhi, ancora stava guardando la sagoma di Nerkoull, ormai un puntino nero nel cielo scuro che lui tuttavia riusciva ancora a vedere.
Andrew lo notò e ridendo gli disse: «Diventerai come lui un giorno. Se continui a crescere con questa velocità scommetto in dieci anni!»
«Facciamo anche venti.» precisò Mike.
Sulphane saltò in braccio a Susan, quasi facendola cadere, e strusciandole il muso in faccia disse felice: Il nostro parente più prossimo ci ha permesso di considerarvi ancora più vicini di quanto lo sia lui! Sono felice di non dovermene andare!
«Lo sono anch’io piccola mia. Lo sono anch’io.» sussurrò lei accarezzandole la criniera sempre più lunga.
«Meno male che non ci ha sbranati.» commentò Cedric cupo.
Layla gli puntò un dito contro: «Tu... Hai cercato per l’ennesima volta di far sì che il destino ci separasse! Sei un maledetto guastafeste!»
«Cerca di capirlo, alla parola ‘complicazioni’ avrà già pensato alle peggiori disgrazie.» commentò Mike guardandolo storto mentre accarezzava Zaffir dietro la nuca.
Il più grande scosse le spalle e sussurrò: «Volevo solo che le cose si concludessero nel migliore dei modi per tutti.»
«E a quanto pare il migliore dei modi è che noi cresciamo i draghi, Nerkoull è d’accordo con noi!» ribatté Mike, ora con aria infastidita.
Cedric stava per rispondergli quando d’un tratto Smeryld domandò: Tu non mi vuoi?
Si era rivolto a lui, ma tutti avevano sentito.
Il ragazzo lo fissò interdetto, non si aspettava quella domanda così diretta. Scosse la testa e disse leggermente in difficoltà: «No, non è questo. Tu mi piaci, mi sono... affezionato. Ma ancora penso che crescervi non sia stata una buona idea...»
«Nerkoull la pensa diversamente.» lo interruppe Jennifer fredda «Perciò non dovrebbero più esserci problemi. L’unico nostro problema ora sei tu.»
«Oh, certo, il perfido Cedric. E quei soldati. Perché torneranno quei soldati, aspetta e vedrai. E sono sicuro che sia solo l’inizio.» ribatté lui.
«Adesso basta!» esclamò Layla, e tutti la guardarono in silenzio «Le cose sono andate così e per ora vanno bene. Tu sei sempre in tempo di rifiutare la presenza di Smeryld se proprio lo vuoi. E ora sarebbe meglio tornare tutti a casa, in fretta anche!»
«Bene dici? Sto ospitando Susan in casa mia perché a causa nostra dei soldati dalla provenienza ignota hanno rapito i suoi genitori! Ti sembra un bene questo?» esclamò irritato.
Contro ogni aspettativa fu proprio Susan a rispondergli, con calma: «Non eravamo preparati a questo, ma adesso lo siamo. Se i soldati dovessero tornare... sappiamo cosa fare.»
Il più grande la guardò: «Davvero? Ossia?»
A quelle parole la discussione morì, perché nessuno se la sentiva di rispondere. Seguì un breve silenzio, dopodiché Smeryld corse via subito seguito da Rubia e Umbreon. I ragazzi cominciarono ad avviarsi verso Darvil affiancati da Zaffir Ametyst e Sulphane, ma sebbene non parlarono per tutto il viaggio si separarono soltanto quando Susan e Cedric andarono a riprendersi i cavalli, e dunque i tre draghetti seguirono loro fino al bosco per poi lasciarli e andare alla loro tana mentre i due tornavano alla stalla.
Layla fu l’unica a trovare i propri genitori dentro casa preoccupati dalla sua mancanza, ma riuscì a salvarsi dicendo loro che era semplicemente andata a cercare Susan per accertarsi che quella creatura non fosse venuta a Darvil come i soldati per prendersela con lei. Una scusa senza senso, ma la madre la prese per buona storcendo il naso e le intimò di tornare in camera sua e cercare di dormire.
La ragazza annuì e obbedì non del tutto certa che sarebbe riuscita a lasciarsi andare al sonno con l’emozione che ancora aveva in corpo e la faceva tremare dalla felicità.
Moriel, la madre di Andrew, rincasò poco dopo di lui coi lunghi capelli neri in disordine e un’aria a dir poco inviperita. Stava inveendo contro i suoi due figli più grandi per il fatto che avessero preso l’iniziativa e fossero usciti di casa.
Indicò Andrew e gridò sempre rivolta a loro: «Dovreste dare l’esempio al vostro fratello minore e invece è lui a darlo a voi! È rimasto in casa come gli avevo detto nonostante abbia avuto l’occasione di disobbedire!»
Andrew non poté fare a meno di ridacchiare di nascosto mentre tutti e tre salivano le scale per entrare in camera propria, ma si guardò dal ridere apertamente o smentire la madre dicendole che in realtà con tutta probabilità aveva combinato qualcosa di ben più grave rispetto agli altri due, e dovette nascondersi sotto le coperte per non farsi vedere dai fratelli mentre ridacchiava cercando di prendere sonno.

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Capitolo 15
*** Little meddler ***


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Il colore del titolo del capitolo corrisponde al colore della regione in cui la storia al momento si svolge, tenete d'occhio la mappa per sapere dove ci troviamo!

LITTLE MEDDLER

Ormai passata la metà del mese di Voldar i soldati di Eunev si ripresentarono, insolitamente presto per i tributi, ma spiegarono che al momento la città stava attraversando un periodo difficile. E alcuni giorni dopo arrivarono altri soldati ancora, forse una decina, che si accamparono poco più a sud del villaggio sulla sponda est del fiume. Data la brutta esperienza che il villaggio aveva vissuto con gli altri soldati che non si trovavano lì per i tributi, questo gruppo spiegò di trovarsi lì semplicemente per reclutare uomini forti dal villaggio per combattere una guerra da qualche parte a est; solo secondariamente aggiunsero di trovarsi lì per proteggere il villaggio.
Si guadagnarono così una certa fiducia da parte di alcuni abitanti, ma i ragazzini avevano il forte sospetto che anche quelli si trovassero lì per loro e per i draghi, quindi prestarono attenzione a non essere seguiti ogni volta che andavano nel bosco a trovare le creature.
Le madri di Jennifer e di Andrew non chiesero niente riguardo al fatto che stavano troppo tempo fuori casa ultimamente: erano invece felici per i propri figli perché significava che avevano degli amici con cui stavano bene e con cui avrebbero potuto divertirsi sempre, almeno finché qualcuno non si sarebbe fatto male sul serio; i graffi che portavano sulla pelle stavano a significare che i giochi che facevano erano piuttosto pericolosi e forse un giorno avrebbero potuto farsi male sul serio, perché ogni volta che ne avevano di nuovi erano sempre poco più gravi dei precedenti. Ma finché rispettavano gli orari e non tornavano a casa troppo tardi non pensavano di avere più motivo di preoccuparsi per loro.
Così Mike Jennifer e Andrew ebbero vita facile, senza che le donne sospettassero di niente, almeno per il momento.
La madre di Layla era ancora convinta che la figlia si fosse invaghita di qualche amico, dunque – ora che la storia dei soldati che avevano rapito il panettiere e la moglie pareva lontana – era relativamente serena e poco in pensiero riguardo ciò che la ragazza potesse combinare fuori casa, dando anche per scontato che gran parte del tempo lo passasse con Emily, di cui si fidava ciecamente.
Ilion invece era molto preoccupata: il fatto che Cedric uscisse così spesso la metteva in agitazione, perché, per quanto ne sapeva, non era mai stato così legato agli amici. Anzi, non credeva nemmeno che ne avesse dopo la faccenda della madre e il conseguente cambiamento del ragazzo. Ora invece usciva quasi tutti i giorni per ore, a volte non tornava nemmeno per pranzare e ogni volta portava un graffio in più sulla pelle. Non trovava sbagliato che si svagasse dopo anni passati a dedicare tutto il suo tempo a casa e famiglia, anzi lei era in un certo senso felice di occuparsi di tutto – o quasi – al posto suo per lasciargli un po’ di tempo per se stesso. Ma non così tanto; aveva anche casa propria a cui badare, e i bambini al villaggio.
Inoltre a rendere più strane le cose c’era questa Susan che conosceva da un paio di mesi: stava tutto il giorno insieme a lui, ridevano, scherzavano e lei desiderava persino che le insegnasse a scrivere, quando Ilion non era in casa lo aiutava a occuparsi delle sue cose, e non uscivano mai da soli.
Quando i due ragazzi rincasarono erano già le nove di sera e la donna ormai aveva finito di cucinare da qualche minuto, era seduta su una poltrona in sala davanti al camino; si stava facendo leggere una storia da Lily. Aspettarono il padre per cenare, che arrivò dopo meno di dieci minuti e la donna tornò a casa sua salutandoli allegramente.
Dopo aver finito di mangiare sparecchiarono e salirono le scale per entrare ognuno in camera propria, ma all’ultimo Susan decise di seguire lui, chiedendogli se avesse libri che parlassero di draghi o se conoscesse lui stesso alcune storie da raccontarle.
Lily era rimasta seduta sulla poltrona a leggere il resto della storia, ma loro non l’avevano vista perché era nascosta dallo schienale. Era piuttosto arrabbiata col fratello appunto per il fatto che la trascurava più del solito, preferiva la compagnia di Susan alla sua. Pensò che stessero tramando qualcosa, motivo per il quale forse passavano tanto tempo fuori casa.
Le dava davvero molto fastidio tutto ciò, Cedric le aveva sempre detto di non avere tempo da perdere quando gli chiedeva di giocare, invece a quanto pareva il tempo l’aveva, dato che non faceva altro che stare fuori.
Il tempo ce l’hai quando vuoi, ma non per giocare con me pensò inviperita, così si alzò e in silenzio li seguì su per le scale.

Susan seguì Cedric fino in camera sua mentre il ragazzo cercava il libro più adatto da una mensola nella stanza, ma dato che non c’erano libri che parlassero esclusivamente di draghi ne prese uno che racchiudeva alcune tra le più famose leggende, sperando che le interessassero.
«Leggiamo qui?» domandò lui.
«Va bene.»
Chiusero la porta e la ragazza si sedette alla scrivania dove lui di solito scriveva mentre Cedric accendeva una candela, poi si sedette accanto a lei e mise la candela al centro del tavolo.
«Posso provare…?» domandò lei indicando la penna del rapace che permetteva di lasciare segni colorati su qualsiasi superficie.
Lui gliela porse annuendo: «Che vuoi fare?»
«Provo a disegnare Sulphane mentre leggi!»
«Prego, fa’ pure.» le diede un foglio di pergamena e dell’inchiostro rosso, poi lui aprì il libro e cominciò a leggerlo, mentre la ragazza s’impegnava per impugnare correttamente la penna, divertendosi molto nel vedere come il segno rosso variava in base a come la inclinava rispetto al foglio. Ogni tanto lui interrompeva la lettura per metterle meglio la penna in mano o per ricordarle d’intingere la punta nell’inchiostro prima che si seccasse, e lei rideva divertita seguendo le sue istruzioni.

Lily era appostata sull’ultimo gradino delle scale intenta ad ascoltare, ma quando richiusero la porta fu costretta ad avvicinarsi per riuscire a sentire. Sentì nominare una certa Sulphane da Susan.
Sarà il suo nome in codice in un gioco? si domandò, premendo un orecchio contro la porta.
Ma sentì solamente suo fratello leggere quella che era una tra le sue storie preferite, nulla di sospetto. Entrò in camera per esserne sicura e Cedric la guardò smettendo di leggere; alla sua domanda di poter restare risposero in modo contrapposto: la ragazza esclamò ‘Ma certo!’ mentre il ragazzo disse un secco ‘No, vattene.’
Entrambe lo guardarono incredule, Lily presto mutò la sua incredulità in rabbia e se ne andò di corsa sbattendo la porta e pestando i piedi per tutto il corridoio e anche sulle scale.
«Ma cosa ti è preso? Perché le hai parlato così?» gli chiese Susan attonita.
«Forse perché non volevo che vedesse il tuo disegno?»
«Ma a malapena si capisce cosa sia!»
«Non è stupida, conosce le storie su Garandill. È meglio non rischiare.» concluse, e come se nulla fosse successo riprese a leggere, e dopo un po’ anche Susan riprese a disegnare.
Prima di andare a letto Susan scoprì un altro lato di lui che la divertì non poco: sembrava essere ossessionato dall’ordine, ogni cosa in camera sua doveva stare esattamente dove e come diceva lui. Lo prese in giro approfittando del fatto che per una volta sembrasse di buon umore, e ogni volta che lui rimetteva la boccetta d’inchiostro rosso al suo posto, la ragazza la spostava da un’altra parte.
Dopo averle sclerato dietro per dieci minuti buoni, alla fine Cedric si arrese e la invitò non troppo gentilmente a lasciare la sua stanza per andare a dormire in quella accanto, e Susan se ne andò ridendo a crepapelle senza nemmeno curarsi di augurargli la buonanotte.

Lily era certa che i due ragazzi non sarebbero tornati prima delle quattro del pomeriggio, si trovava da sola in casa con Ilion, e non appena la donna scese in cantina per decidere cosa cucinare per cena la bambina sgattaiolò di corsa al piano superiore. Prese un lungo sospiro, poi in punta di piedi percorse il corridoio, come se temesse di essere sentita anche se sapeva perfettamente che non c’era nessuno.
Aprì la porta della camera di Cedric e non la richiuse, per cogliere qualsiasi rumore sospetto che provenisse da fuori, e cominciò a setacciare la camera in lungo e in largo in cerca di indizi, qualsiasi cosa strana potesse indicarle che lui e Susan stessero combinando qualcosa; era ancora arrabbiata per il comportamento del fratello, non le importava in che modo ma gliel’avrebbe fatta pagare, li avrebbe scoperti e costretti a scusarsi per le loro bravate e poi Cedric avrebbe finalmente dedicato il suo tempo libero a lei. Anzi, si disse che già era stata gentile a non raccontare a Jorel come le avesse risposto la sera prima, facendola sentire rossa di rabbia.
Non trovò nulla sotto al letto, né tra le coperte, né in cassetti, armadio e baule. Si diresse alla scrivania e immediatamente le saltò all’occhio che la boccetta d’inchiostro rosso non era ordinata insieme alle altre. Cosa insolita per un tipo ordinato come lui. Quindi prese il libro che lui aveva letto la sera prima, lo sfogliò rapidamente in cerca di appunti o foglietti volanti nascosti tra le pagine, ma non trovò nulla. Prese in mano le pergamene che c’erano sulla scrivania e le sfogliò una ad una e, finalmente, trovò un disegno in inchiostro rosso.
Lo guardò attentamente storcendo il naso, non aveva mai visto raffigurazioni di una creatura simile: testa grande, orecchie da cavallo, collo lungo, quattro zampe, ali piumate, una lunga coda, e persino una criniera. Gli occhi così grandi lo facevano sembrare un cucciolo.
Era certa che non si trattasse di una strana specie di uccelli nonostante avesse ali piumate; non era un cane perché aveva le ali, e la coda e il collo troppo lunghi; non era un serpente, perché aveva orecchie e sei arti, criniera e piume sulla coda.
Ma allora cos’è? Forse è solo frutto della sua immaginazione... notevole pensò.
Poi, d’un tratto, ebbe l’illuminazione. Nel libro che Cedric aveva letto si parlava di creature simili a rettili, ma con un paio di enormi ali. Draghi. Possibile che quello fosse un drago?
Riprese in mano il libro e lo sfogliò fino a trovare il punto in cui veniva descritto uno dei pochi draghi conosciuti dalla razza Umana, Garandill, e lesse una descrizione spaventosamente simile al disegno su quel foglio: sembianze da rettile, lungo collo, quattro zampe e due ali, lunga coda, criniera, lunghi denti e lunghi artigli. Ma non accennava a orecchie da cavallo, né a piume, bensì a scaglie dure più dell’acciaio e forse protette da magia.
Ma come l’hanno trovato un drago? Sulphane... sarà il suo nome? pensò sconvolta.
Non riusciva a crederci, né riusciva a concepire possibile una cosa del genere. Da quanto sapeva, i draghi non erano addomesticabili, erano enormi creature leggendarie che volavano e sputavano fuoco. Come avevano fatto a farsene amico uno? Quanto era grande? Da quanto tempo andava avanti la storia? Rimembrò che all’improvviso e senza un’apparente ragione diversi ragazzini erano venuti a casa loro quasi tutti i giorni per un certo periodo, a detta di Cedric per imparare a cavalcare. E se invece tutto fosse cominciato per quel drago? Se tutti loro fossero stati coinvolti?
Devo assolutamente indagare più a fondo... pensò cupa.
Rimise a posto tutto come l’aveva trovato, perché sapeva bene che Cedric si sarebbe accorto anche di lievi cambiamenti – non aveva idea di come ci riuscisse, ma ricordava esattamente dove e come lasciava ogni cosa.
Si allontanò verso la porta e diede una rapida occhiata alla stanza per essere certa di non aver dimenticato qualcosa in una posizione diversa da come l’aveva trovata entrando, annuì soddisfatta e uscì richiudendo la porta, attendendo con ansia il loro ritorno.

Appena li sentì rientrare in casa, Lily mise in atto il piano che aveva pensato e perfezionato durante il pomeriggio. Come si aspettava, Cedric andò a parlare con Ilion per dirle che poteva tornare a casa sua perché al resto avrebbe pensato lui, e rimase nell’altra stanza con lei. E come aveva previsto Ilion lo trattenne perché Lily, quel pomeriggio, le aveva raccontato di alcuni suoi comportamenti preoccupanti apposta perché lo tenesse occupato prima di andarsene, in modo che avrebbe avuto Susan tutta per sé. Nulla di ciò che aveva detto a Ilion sarebbe stato preoccupante, se non lo avesse ingigantito di proposito. E sapeva che la donna non avrebbe mai fatto il suo nome, così Cedric non avrebbe potuto sospettare di lei, ma solo pensare che Ilion fosse paranoica.
Susan invece si sedette sulla poltrona a godersi il calore del fuoco sempre più indispensabile con un sospiro, gli occhi chiusi e le labbra piegate in un lieve sorriso.
Lily si sedette sulla sedia della piccola scrivania, vicina a lei, e disse con aria sognante: «Certo che sono proprio strani i draghi, eh? Hai mai letto una loro descrizione?»
La sua vocina squillante e l’argomento della conversazione le fecero rizzare i capelli sulla nuca, ma ugualmente la guardò negli occhi e le rispose con un largo sorriso tirato: «Io non so leggere, Lily!»
«Ah già, è vero. Te la sei fatta leggere da Ced allora? Ne vale la pena, sai? Si sa davvero poco su di loro, sono così rari! Mi piacerebbe tanto averne uno, o anche solo vederlo!»
Sapendo che Lily era una bambina intelligente cercò di non variare la sua espressione, ma soprattutto si chiese se per caso le fosse sfuggito qualcosa nel sonno, o se la piccola avesse parlato con Cedric, o se li avesse sentiti parlare dei loro draghi o di Nerkoull un giorno.
«Qualcosa non va?» la vocina di Lily la riportò alla realtà.
«Oh no, nulla, pensavo.»
«Ai draghi? Allora ti ha già letto qualcosa, vero?» esclamò animata sporgendosi dalla sedia e sollevando le gambe da terra.
«Beh... sì, mi ha letto un libro ieri, e c’era la descrizione di un drago.»
«Sai che quello è uno dei miei libri preferiti? Cioè, intendo dire che c’è una delle mie storie preferite. Ma ce n’è un’altra che mi piace molto in quel libro, mi piace la storia di Garandill! Te l’ha letta ieri?»
«Sì...» sussurrò, cominciava a pensare che davvero la bambina sapesse qualcosa, le sue domande erano mirate a confonderla o preoccuparla: Non devo lasciarlo trasparire!
«Secondo te come fanno i draghi a sputare fuoco? E quanto sarà grande Garandill, in realtà? Pare che nessuno lo sappia!»
«Ma certo, è ovvio! Nessuno l’ha mai vista da vicino!»
«Facciamo una gara a chi disegna meglio Garandill? Oppure a chi disegna il drago più bello!» esclamò vivacemente.
Susan si ritrasse nella poltrona, ora davvero spaventata e più che certa che Lily in realtà volesse arrivare da qualche parte, le sue non erano domande o affermazioni casuali. Ma doveva fare finta di non sapere nulla di draghi, dunque la guardò e di nuovo sorrise e annuì.
La bambina non si mostrò delusa, sebbene in realtà un poco lo fosse, si volse e dietro di sé prese delle pergamene, due penne e una boccetta d’inchiostro nero, poi si sdraiò sul pavimento di legno e fece cenno a Susan di unirsi a lei.
Cominciarono a disegnare mentre Lily ripeteva in continuazione e a voce bassa la descrizione di Garandill come la ricordava dal libro. Avevano disegnato a malapena testa, collo, e spalle della creatura, che finalmente Ilion le salutò per tornare a casa sua e se ne andò, mentre Cedric, passando per andare a chiudere la porta, vedendole sdraiate a terra davanti al camino si avvicinò per vedere cosa stessero facendo.
Lily assunse subito un atteggiamento ostile e sulla difensiva, nascose il suo disegno con le braccia come meglio riuscì e lo guardò irata e innervosita a un tempo, senza dire una parola.
Susan invece, approfittando del fatto che Lily sembrava molto occupata a non staccare gli occhi da Cedric, guardò il ragazzo con uno sguardo quasi disperato, sperando che capisse che erano nei guai. Per essere ancora più sicura, indicò lentamente il suo disegno.
Cedric la guardò perplesso, ma non impiegò più di una manciata di secondi a capire cosa stesse succedendo, avendo riconosciuto la forma di un drago nel disegno. Guardò Lily severamente, si piegò in avanti fino a quasi portare gli occhi all’altezza dei suoi, e le disse: «Ti sembra il modo di trattare una nostra ospite? Farla sdraiare sulla cenere del camino?»
«Avresti potuto spazzare il pavimento invece di farti gli affari tuoi fuori casa.» ribatté lei stizzita «E poi ormai non è più un’ospite, la sento più vicina a me di quanto lo sia mai stato tu in tutta la mia vita! Stiamo giocando, lasciaci in pace!»
«Giocate a un gioco pericoloso.» continuò lui con un tono di voce incredibilmente calmo, sebbene il suo sguardo esprimesse l’esatto opposto.
«Nessuno verrà mai a sapere cos’abbiamo disegnato! Vattene!»
«Papà o Ilion potrebbero vederlo, e chi lo sa, forse potrebbero lasciarselo sfuggire a lavoro.»
«Non sono stupidi, non lo farebbero. Forse nemmeno capirebbero cos’abbiamo disegnato! E ora lasciaci in pace.»
«Cambiate gioco, basta fantasie.»
«Quanto sei paranoico! Sei insopportabile! Ora non posso nemmeno disegnare quello che mi piace! Cos’ho fatto per meritarmi un fratello come te? Ti odio!» urlò, pestò un pugnetto a terra, si alzò in fretta e lo spinse da parte mentre correva per andare in camera sua.
Susan si lasciò sfuggire un lungo sospiro di sollievo, poi guardò Cedric che le rivolse uno strano sorriso.
«Grazie!» sussurrò lei esasperata «Non sapevo come comportarmi, faceva domande sui draghi e quel libro che mi hai letto, e... non sapevo cosa risponderle!» sebbene l’avessero chiaramente sentita sbattere i piedi al piano di sopra, non osò alzare la voce «Ora ho paura a dire qualsiasi cosa! Mi farà altre domande di sicuro, e...» s’interruppe e lo guardò con più attenzione, perché non aveva mai smesso di guardarla, né aveva cambiato espressione «Va tutto bene?»
Lui scosse le spalle e finalmente si rialzò e distolse lo sguardo: «Oh sì. Tanto mi odiava già.»
«Mi dispiace...»
«Figurati, le passerà. Non so che dirti, fai attenzione a quello che le dici e a come glielo dici. È sveglia.»
«Sì infatti, lo so. Per questo ti ringrazio per averla fatta scappare, anche se... poverina, forse voleva davvero solo giocare.» sussurrò tristemente, ora guardando verso il camino.
«No. Ha capito qualcosa. Vado a controllarla.» disse, e s’incamminò verso le scale.
Susan annuì dicendo: «Ti seguo.»
Salendo al piano superiore trovarono la porta di camera di Lily chiusa dall’interno e quando Cedric le disse di aprire la bambina gli gridò dietro con tutte le sue forze di andarsene e lasciarla stare. Non sentirono altri rumori, a loro insaputa stava tramando un nuovo piano diabolico decisa a scoprire se davvero possedessero un drago, perché le era parso che Susan sapesse molto più di quanto lasciasse intendere; ora era ancora più infuriata col fratello, e la sua vendetta, se mai sarebbe arrivata, sarebbe stata terribile.

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Capitolo 16
*** Young ruler of the sky ***


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YOUNG RULER OF THE SKY

Tanto per cominciare con la sua vendetta, appena Jorel fu rientrato in casa Lily corse giù per le scale e gli disse che Cedric non cacciava da molto, eppure quel giorno era andato a svagarsi con Susan nel bosco, come faceva ormai troppo spesso. Bastò quel piccolo parere perché l’uomo lo rimproverasse e gli ordinasse di andare a caccia l’indomani, rovinando così la loro giornata coi draghi prima ancora che cominciasse. Lily sorrise vittoriosa: per almeno quattro giorni non l’avrebbe avuto tra i piedi.
La mattina dopo dunque lui uscì a chiamare Ilion perché rimanesse in casa con Lily e Susan fosse libera di andare da Sulphane. La bambina ne approfittò per chiedere alla ragazza se le andava di insegnarle a fare i biscotti, e lei si vide costretta ad accettare per non insospettirla ulteriormente – o per non aizzarsela contro, dal momento che era già piuttosto arrabbiata col fratello.
Quando Cedric tornò in casa per prepararsi – Ilion li avrebbe raggiunti più tardi – Lily disse ad alta voce, per essere certa che la sentisse: «Sono sicura che verranno buonissimi! Vorrei tanto aver sempre avuto una sorella come te!» e appena lo vide gli rivolse un’occhiata bieca.
Quindi il ragazzo decise di uscire senza aspettare Ilion, augurando loro buona fortuna ma in realtà rivolgendosi solo a Susan, come a dire ‘Divertiti con questa sciagurata’. Si diresse verso il bosco armato di arco, dove gli altri già giocavano, e dovette spiegargli la situazione e la mancanza dell’altra. Nulla però gli avrebbe impedito di passare a dare il buongiorno a Smeryld.
Quando il draghetto venne a sapere della novità scodinzolò tutto contento e insistette per seguirlo, ritenendo di essere ormai cresciuto abbastanza per poterlo accompagnare per i boschi a caccia. E con sua sorpresa questa volta Cedric non rifiutò, gli fece cenno col capo di seguirlo, salutò gli altri, poi s’incamminò verso nord. Smeryld lo precedeva correndo allegro e presto costrinse il ragazzo a correre a sua volta per non perderlo.
Mentre i due cacciavano e Sulphane tornava ad acciambellarsi alla tana per riposare, gli altri ragazzi questa volta si divisero per passare del tempo da soli coi loro piccoli draghi, e Mike non tardò ad accorgersi di provare delle strane emozioni contrastanti. Solo in seguito capì che non erano sue, ma di Zaffir, eppure gli sembravano così intense da non poter appartenere a qualcun altro; non riusciva a smettere di sorprendersi di quanto il loro legame fosse intenso sebbene si conoscessero da poche settimane.
Lo guardò sorpreso e incuriosito, Zaffir tremò intuendo ancora prima che parlasse ciò che voleva chiedergli: «Cosa c’è?»
Nulla brontolò lui.
«Non mentire, so che qualcosa non va.» gli disse con un sorriso beffardo.
Il draghetto lo guardò per una frazione di secondo, poi tornò a guardare davanti a sé e rispose: Non so spiegarlo...
«Sì, mi stai facendo sentire piuttosto confuso.» ammise.
Mi dispiace, non posso controllarlo.
«Vuoi dirmi cosa pensi di avere?»
Io... non ho nulla, solo che... da quando ho conosciuto Nerkoull e l’ho visto volare ho una voglia terribile di spiegare le mie ali e provare cosa vuol dire.
«Non sei ancora troppo piccolo?» domandò preoccupato guardandolo attentamente; le ali erano lunghe, certo, ma non avendo mai volato non era sicuro che sarebbe riuscito, tantomeno in un bosco.
Non lo so, mi sento pronto ma ho paura... disse, e Mike avvertì quella paura, paura di schiantarsi al suolo o di perdere il controllo. Ma nello stesso tempo vide e sentì ciò che Zaffir pensava che significasse volare. E anche a lui parve magnifico, sebbene Mike, con qualche anno di esperienza in più, immaginava che sarebbe stato diverso.
«Perché hai paura? Tu sei nato per volare! È così difficile?»
Non lo so... disse, e di nuovo lo guardò negli occhi Non ho nessuno che m’insegni, non so se ho davvero bisogno di qualcuno che m’insegni... penso che l’istinto sia il maestro migliore, ma ho paura di sbagliare a fidarmi.
«Fidati della tua paura allora, e prova quando ti sentirai più pronto.» gli disse accarezzandolo piano dietro la nuca «Magari Nerkoull ti chiamerà quando penserà sia giunto il momento!»
Zaffir chiuse gli occhi e brontolò, ora contento, poi si strusciò contro la gamba di Mike e si sdraiò a terra chiedendogli del solletico, che aveva scoperto essere piacevole in determinati punti.
Era l’unico tra i giovani draghi a porsi quel dilemma, al momento, tutti gli altri si limitavano a planare giù dagli alberi o a sbattere qualche volta le ali per saltare più in alto, o per planare paralleli al terreno tra un balzo e l’altro durante una corsa, per andare più veloci. Correndo erano più lenti dei ragazzi, ma appena balzavano e spiegavano le ali per compiere quelle brevi planate guadagnavano velocità, e potevano addirittura planare più veloci di un cavallo al galoppo.
Dopo mezzogiorno però l’angoscia tornò a tormentare il giovane drago blu, e Mike non riuscì a trovare un modo per farlo stare meglio. Il solletico non funzionò, e nemmeno la compagnia degli altri sembrò rallegrarlo.
Tornarono a passeggiare da soli nel bosco, Mike calciava tutti i sassi che vedeva, senza alzare mai troppo lo sguardo, e Zaffir proseguiva con la coda che strisciava a terra, la punta della falce blu segnava il terreno.
Ad un tratto il ragazzino gli disse di seguirlo e Zaffir alzò la testa guardandolo incuriosito perché aveva affrettato il passo. Si sbrigò per stargli dietro per quanto la goffa andatura su zampe e ali gli consentisse, e camminarono a lungo. Molto a lungo, tanto che arrivarono al limitare del bosco a sud; davanti a loro si estendeva la prateria, lontanissime c’erano delle colline verso sud-est, e a destra scorreva il fiume Rimer, ma il villaggio era così lontano che non riuscivano a scorgerlo.
Mike indicò davanti a sé allargando le braccia e gli disse: «Qui non rischierai di schiantarti contro i tronchi!» poi lo guardò attendendo una sua reazione.
Alcuni secondi dopo Zaffir smise di guardarlo negli occhi per studiare la prateria innevata: No, ma... posso sempre perdere l’equilibrio e cadere...
«Sei un drago! Sei nato per questo!» gli ripeté incoraggiante «Se non è oggi sarà domani, e se non sarà domani tra una settimana. Ma prima o poi il tuo primo volo arriverà, piccolo. Vuoi aspettare i tuoi fratelli e provare insieme a loro?» non ottenendo una risposta s’inginocchiò accanto a lui e lo accarezzò: «Questo malumore non ti passerà finché almeno non farai un tentativo. Prova! Se fallisci ritenterai! Vola basso.»
Di nuovo Zaffir ci mise un po’ a rispondere, ma alla fine annuì piano: Comincerò planando. Poi se riesco andrò più in alto.
«Non troppo, mi raccomando. Anche perché non devi farti vedere nemmeno per errore.»
Certo. Va bene disse un po’ più deciso.
Si allontanò lentamente da Mike, che si rialzò e lo osservò alle sue spalle, cominciò a correre, impacciato dalle ali. Smise di aiutarsi a rimanere in piedi con esse e le tenne mezze aperte lungo i fianchi, prese velocità e poi balzò, spiegò le ali con un rumoroso schiocco, e quelle lo tennero sollevato da terra per una lunga planata.
Mike gli era corso dietro riuscendo a tenere il passo finché correva a terra, ma appena Zaffir spalancò le ali lo perse, perché la sua planata era molto più veloce della sua corsa.
Emozionato gli gridò: «Sbattile piccolo! Come gli uccelli! Sbattile!»
Zaffir lo sentì, ma non si guardò alle spalle per paura di capovolgersi in aria. Tuttavia fece come gli aveva suggerito, le sbatté una volta, due, tre. E ad ogni battito guadagnava velocità e quota. Provò paura, ma anche una gioia irrefrenabile. Ruggì piano perché solo Mike potesse sentirlo, portò le ali parallele al terreno e con la forza di tutti i muscoli del corpo si spinse verso l’alto, contemporaneamente sbattendo le ali verso il basso. E si alzò verso il cielo, inclinandosi rispetto alla linea dell’orizzonte.
Ora le ali lo frenavano, quindi capì di doverle tenere il più possibile parallele al terreno e continuare a spingersi, se voleva salire. Lo fece, e solo quando raggiunse l’altezza degli alberi smise di sbattere le ali, sforzandosi di riportare tutto il corpo in assetto orizzontale.
Il suo volo era ancora instabile, traballante, irregolare, sbatteva le ali prima velocemente, poi lentamente, in base a quanto sentiva di essere vicino a precipitare; niente a che vedere con gli eleganti movimenti di Nerkoull. Cercò di rallentare un po’ sbattendo le ali perpendicolari al terreno, non abbastanza simultaneamente quindi traballò. Tornò a planare sbattendo le ali di tanto in tanto per tenere la quota, e alla fine si decise a provare la virata.
Inclinò le ali, una verso il basso e l’altra verso l’alto, piegando così tutto il corpo a sinistra, e cominciò la sua virata a sinistra, tenendo la testa immobile per non vedere tutto mosso. Sbatté le ali un paio di volte quando ebbe del tutto invertito la direzione, per tornare in posizione orizzontale. Stava tornando da Mike, e lo vedeva saltare sul posto coi pugni in aria, sentiva il suo entusiasmo e decise di fargli provare cosa voleva dire volare.
Aprì completamente la sua coscienza a lui, così che se il ragazzino avesse chiuso gli occhi avrebbe potuto vedere coi suoi, con gli occhi di un drago, com’era il mondo da lassù. Poi ruggì e riprese quota, portandosi più in alto degli alberi del bosco, e gli enormi alberi della Foresta comparvero davanti a lui, così grandi da sembrare a portata di mano. Virò a destra così rapidamente da perdere quasi l’equilibrio e per un attimo ebbe paura, perse quota, s’inclinò troppo e girò su se stesso prendendo velocità; in men che non si dica toccò terra e rotolò per alcune braccia.
Mike rimase senza fiato, travolto dallo spavento del piccolo drago e avendo visto – come in un sogno ad occhi aperti – come se lui stesso fosse precipitato a terra. Corse subito da lui per accertarsi che stesse bene, anche se lo sentiva, non si era fatto nulla, aveva solo avuto molta paura. Lo vide raggomitolato a terra in posizione fetale, con la lunga coda che avvolgeva tutto il suo corpo e le ali richiuse sopra, sotto la cui membrana s’intravedeva tutto.
S’inginocchiò accanto a lui e lo sfiorò con entrambe le mani, scoprendo così che tremava: «Stai bene?» gli chiese preoccupato.
Credo di sì rispose Zaffir, finalmente si mosse e aiutandosi con le ali si sedette, poi guardò il ragazzino negli occhi: Volare è pericoloso. Non credevo bastasse così poco...
«Imparerai, non crucciarti. Era la tua prima volta. Ma almeno hai provato, no? Non sei contento?»
Non proprio... sussurrò ora guardando il cielo Speravo di riuscirci.
«Ma sei riuscito!» esclamò allegramente «Devi solo imparare a controllarlo, ma sei riuscito!»
Rincuorato dal suo buonumore il cucciolo strofinò il muso sulle sue spalle e si lasciò accarezzare, rotolarono un po’ a terra facendo una specie di lotta, ma il desiderio di prendere il controllo del vento ancora bruciava, e Mike poteva sentirlo. Smisero nello stesso istante di giocare, e sedettero nella neve con aria pensierosa.
Finché Zaffir decise di fare un secondo tentativo promettendo che sarebbe stato l’ultimo, così prese la rincorsa e sbatté le ali prima ancora che il ragazzo potesse impedirglielo. Fallì e riprovò, il balzo si allungò, la planata lo portò più lontano. Saltò una terza volta e ora si sentiva così leggero da spingersi abbastanza in alto per poter sbattere le grandi ali. Una, due, tre, quattro volte. Prendeva quota e di nuovo sentì quell’euforia pervaderlo, la certezza di poter dominare i cieli un giorno. Sbatteva le ali non in sincronia e senza un ritmo preciso, traballava prima a destra poi a sinistra, e la coda accentuava questa sensazione, ondeggiando pericolosamente. Di questo passo avrebbe perso l’equilibrio, di nuovo.
La coda... era un pensiero per se stesso, ma lo sentì anche Mike perché erano ancora profondamente legati.
Gli gridò: «Gli uccelli la usano come timone!»
Come cosa?
«Timone! Per frenare o decidere dove andare!» la gola gli bruciava tanto stava urlando, perché Zaffir era piuttosto lontano.
Timone... ripeté pensieroso, guardò giù e vide la lunga coda penzolare inerte, appesantita da quella doppia cresta. La irrigidì e la tirò su, con sua sorpresa senza fare grandi sforzi, e appena quella smise di agitarsi il suo equilibrio migliorò, all’istante. Certo ancora non perfetto, ma traballava meno, sentiva calato il rischio di perdere il controllo.
Ruggì orgoglioso e tentò un’altra pericolosa virata per invertire la direzione, si sbilanciò così tanto che rischiò di girare nuovamente su se stesso, ma la sua coda parve agire da sola correggendo la traiettoria. Ringhiando felice smise di virare e mostrò a Mike l’immensità della prateria, che da lì sembrava ancora più vasta. Virò ancora a destra e gli fece vedere il fiume e il villaggio, da lì visibili.
Solo allora si ricordò che non doveva farsi vedere, e per la prima volta si pose il problema contrario: atterrare senza schiantarsi. Chiuse la mente al ragazzo per potersi concentrare sulle sue manovre, perché la sua incredulità lo emozionava e non poteva permettersi distrazioni nella fase forse più delicata del suo secondo volo.
Sbatté le ali con forza due volte, le richiuse per perdere quota e precipitò così rapidamente che le spalancò subito dopo, ricominciando a planare. Non sapeva come fare, provò a muovere la coda con cautela, e quello lo sbilanciò, dovette aggiustare il bilanciamento con le ali per non inclinarsi su un fianco, sbattendone una più veloce dell’altra.
Pensò agli uccelli, quelle volte che li aveva visti prendere il volo e atterrare su un ramo; sbattevano forte le ali e allungavano le zampe per attutire l’impatto. Ma prima doveva arrivare vicino a ciò su cui voleva atterrare, e quella era la parte difficile.
Lentamente fece un tentativo, muovendo appena verso l’alto le falangi sui gomiti delle ali per vedere se lo aiutavano a scendere, e infatti fu così: cominciò a planare verso il basso, dunque alzò un poco di più le falangi verso il cielo, inclinando ancora di più la membrana quasi trasparente e dirigendo l’aria in modo che lo aiutasse a discendere. Provò anche a irrigidire la coda e ad alzarla, e scese ancora più rapidamente.
Con una brusca virata s’inclinò tanto da sfiorare il terreno con la punta dell’ala, sollevando cristalli di neve e ciuffi di erba. Riportò le ali parallele al terreno che ormai distava pochi piedi dalle sue zampe, il ragazzo batteva le mani e lo incitava. Quando gli fu abbastanza vicino, Zaffir si sbilanciò portando le ali perpendicolari al terreno, la coda tesa e allungata dietro di sé, e infine si preparò a toccare terra: sbatté con forza le ali, rallentando ulteriormente, e tese le zampe pronto ad attutire l’impatto.
Toccò il terreno una volta e il contraccolpo lo spinse nuovamente in alto un poco, sbatté le ali per prendere quota, poi planò e di nuovo frenò, toccò il terreno con meno violenza, e di nuovo, sempre meno forte, finché infine si fermò e sbatacchiò le ali per sistemarsele ai fianchi.
Mike letteralmente gridò dalla gioia e gli corse incontro per abbracciarlo e per ringraziarlo di aver condiviso le intense emozioni del suo primo volo con lui; era stato un momento davvero unico e speciale per il suo draghetto, non poteva chiedere di meglio che assisterlo – e assistere – in un modo così coinvolgente a un evento tanto importante.
C’era stato un momento cui gli era parso di volare lui stesso, come se avesse sognato ad occhi aperti, e gli era impossibile descrivere cos’avesse provato in quei pochi secondi.
«Hai visto? Sei fortissimo!»
Sembra buffo, ma non ce l’avrei fatta senza il tuo consiglio.
«Ma smettila, ce l’avresti fatta benissimo!» esclamò stringendolo in un forte abbraccio.
Uccelli. Siamo molto più simili di quanto pensassi.
«Ti dà fastidio?»
No, ma è... imbarazzante. Imparare da creature così...
«Insignificanti? Sono molto intelligenti in realtà, sai? I corvi che abbiamo qui sono davvero scaltri!» e gli raccontò un aneddoto cui aveva assistito anni prima mentre si avviavano verso il boschetto per tornare alla tana, e poi gli raccontò del falchetto di suo padre che suo malgrado per un attimo riportò anche la malinconia.
Teneva una mano costantemente appoggiata dietro la testa di Zaffir per grattargli le scaglie, e lui emetteva dei ringhi simili a fusa, contento e orgoglioso come non mai e presto scacciando la tristezza per Mike, sostituendola con le sue emozioni.

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Capitolo 17
*** Questions and suspicions ***


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QUESTIONS AND SUSPICIONS

Andrew tornò a casa esausto intorno alle sette della sera, quando il sole cominciava a nascondersi dietro le montagne a ovest; sorrideva contento mentre camminava, perché quel pomeriggio finalmente il piccolo Umbreon si era deciso a lasciarsi fare il solletico, e aveva scoperto che anche per lui era davvero piacevole almeno dove le scaglie erano più piccole e sensibili.
Il mio piccolo drago finalmente comincia a mostrarsi affettuoso! pensò tutto contento.
Poi pensò a Mike e Zaffir, chiedendosi per quale motivo per gran parte del pomeriggio avessero avuto quell’aria tronfia come se fossero a conoscenza di un segreto che non volevano condividere con nessuno.
Come al solito stava facendo l’ultimo pezzo di strada da solo, quando s’imbatté in due di quei soldati che erano arrivati dicendo di essere alla ricerca di uomini per aiutarli con la loro guerra da qualche parte a est. Trovava strano che ancora si trovassero a Darvil una decina di loro dal momento che nessuno tra gli abitanti aveva mai dato segno di volerli seguire, ma alla vista di quei due istintivamente si strinse nel mantello nascondendovisi fino al naso, lasciando scoperti giusto gli occhi per non perderli di vista, rimembrando la brutta esperienza che il villaggio aveva sperimentato l’ultima volta che soldati diversi da quelli di Eunev si erano stabiliti nei dintorni.
In un primo momento gli uomini non sembrarono notarlo, percorrevano la via nel senso contrario, verso il centro del villaggio, e parlavano tra loro piuttosto animatamente. Andrew immaginò che stessero andando alla taverna a bere qualcosa o che stessero tornando al loro accampamento fuori da Darvil.
Quando gli fu vicino però la situazione mutò; uno dei due soldati lo indicò all’altro, che annuì e rise, poi si diressero verso lui. Andrew si guardò intorno rapidamente in cerca di una via di fuga e individuò un paio di vicoli, ma all’ultimo cambiò idea pensando che scappare con così poco vantaggio da due uomini armati, da solo, fosse stupido. Cercò di sostenere il loro sguardo quando si fermarono bloccandogli la strada, tremava ma per fortuna il mantello lo nascondeva.
Il più alto dei due prese parola per primo: «Non è un po’ tardi per andare in giro alla tua età?»
«Stavo tornando a casa.» farfugliò Andrew.
«Come?» domandò l’uomo avvicinandosi a lui con l’orecchio, perché il bambino aveva parlato dietro alla stoffa che aveva attutito la sua voce.
Andrew spostò il mantello sotto al mento e ripeté più forte: «Stavo tornando a casa.»
«E cosa facevi ancora in giro a quest’ora?» gli chiese l’altro con un sorriso beffardo.
Il ragazzino decise di passare all’attacco e li provocò: «E voi cosa ci fate ancora qui nel nostro villaggio a disturbare la quiete? Qui non è tardi per tornare a casa a quest’ora, non so da dove veniate voi. Il sole si vede ancora per qualche tempo.» e indicò le montagne a ovest.
«E se ti dicessi che siamo le nuove guardie del tuo villaggio?» rispose il primo uomo, il più alto e giovane.
«Non lo siete, lo so benissimo. Siete qui per reclutare uomini per una guerra, ma credo siano già stati abbastanza chiari a riguardo, nessuno ha mai detto di sì. Perché siete ancora qui allora?»
«Succedono cose strane qui, ultimamente. Sono i nostri ordini di rimanere a controllare che la situazione resti tranquilla.»
«Siete voi che non la rendete tranquilla. Darvil è un posto pacifico e tranquillo.» ribatté il ragazzino.
Il soldato più basso si piegò in avanti e indicò la sua guancia: «Proprio un brutto taglio, eh? Che mi dici?»
«Giochi vivaci. Ora dovrei tornare a casa...»
«Oh, ma certo. E che ci fa un ragazzino come te con un cavallo così al seguito?» riprese il più giovane, pareva determinato a smascherarlo come se sapesse già tutto e volesse solo sentirglielo dire.
«Questo è... ehm... preso in prestito.» balbettò colto alla sprovvista, dandosi dello sciocco per non averci pensato prima per potersi preparare una risposta soddisfacente; ultimamente erano riusciti a convincere Cedric a prestargli i cavalli per andare al bosco più in fretta, ma non avevano potuto restituirli perché era via.
«Naturalmente. Per andare lontano, immagino? Forse nella Foresta?»
«Cosa? No! E non sarebbero affari vostri ugualmente!» ribatté scontroso a voce più alta del necessario.
Il soldato fece per mettere una mano all’elsa, ma l’altro lo bloccò appena prima che potesse sguainare la spada in faccia ad Andrew e rise: «Suvvia, non vorrai prendertela in questo modo con un ragazzino! Sono sicuro ci sia stata un’incomprensione, chiedo scusa da parte di entrambi. Ora sbrigati a tornare a casa.» guardò severamente il compagno che annuì e allontanò la mano dalla spada che gli pendeva al fianco.
Poi i due se ne andarono fingendo di non essere più interessati a lui, ma Andrew rimase fermo apposta per sentire se si stessero sussurrando qualcosa, e infatti sentì un bisbiglio indistinto. Sospirò facendosi coraggio e riprese a camminare con le gambe che gli tremavano, e Wind lo seguì sbuffando e scuotendo la testa, distraendolo per un attimo dai suoi pensieri.
L’accarezzò sulla fronte mentre pensava al peggio: Sanno qualcosa di noi... i genitori di Susan, e ora queste domande in mezzo alla strada, quando chiunque potrebbe passare e sentire cosa chiedono e cosa rispondo... dobbiamo fare in modo che non girino più voci strane sui draghi, o presto saranno guai. Che faremo se un esercito dovesse presentarsi a Darvil? Oh no! Dovremmo scappare per impedire che succeda! O forse allerteremmo soltanto di più i soldati, che verrebbero qui in massa a cercarci?
Solo l’arrivo davanti alla porta di casa sua lo salvò da quei pensieri. La guardò con nostalgia, quasi come se già potesse vederla rasa al suolo da quei soldati che cercavano i giovani fuggitivi.
Scosse la testa deciso a non pensarci e legò la giumenta al palo lì accanto, le fece ancora qualche carezza, poi aprì la porta annunciando a sua madre di essere tornato e accogliendo con piacere il calore della sua piccola e comoda casa.
«Oh, finalmente, speravo che per una volta tornassi... beh, non tardi come al solito.» lo salutò lei con un debole abbraccio, poi lo spinse delicatamente in sala e lo accompagnò in cucina «Mi aiuteresti per favore? Apparecchia per tre.»
«Come mai solo tre?» domandò sorpreso.
La donna sbuffò irritata, non dalla sua domanda ma, Andrew capì in seguito, da quello che era successo: «Tuo fratello maggiore si è messo in testa che vuole partire con quei soldati, non te l’ha detto? Strano. Vuole vedere il mondo ed eventualmente liberarlo dal male... oh, non chiedermi quale male, lo sai che non approvo le guerre.»
«Certo.» sussurrò lui amareggiato mentre sistemava con cura i piatti e le posate; da quel poco che sapeva di suo padre molto tempo prima era stato un soldato, e il fatto che fosse scappato con un’altra donna appena saputo del concepimento di un terzo figlio di sicuro non aiutava sua madre a provare simpatia per i soldati, pur se fossero gli uomini più gentili di Dargovas. Scosse la testa, non volendo pensare al padre che nemmeno aveva voluto conoscerlo o vederlo venire al mondo, e riprese: «Lo lascerai partire?»
«Cercherò di farlo ragionare finché potrò. Spero che prima o poi quei soldati se ne vadano, ma spero anche che mi lascino il tempo di far rinsavire quel ragazzo!» esclamò battendo ripetutamente il mestolo sulla pentola.
«Hai saputo qualcosa quindi di... quello che cercano?» domandò titubante, preoccupato di dover prestare ancora più attenzione ora che uno dei suoi due fratelli era propenso ad abbandonarli per seguire i soldati in missione.
«No, non gli hanno detto nulla ancora. Abbiamo solo discusso recentemente... per fortuna eri via coi tuoi amici in questi giorni, non ha nemmeno lavorato.» commentò cupamente.
«Mi farai sapere se torna dicendo qualcosa su quei draghi?» le domandò allegramente per camuffare la sua preoccupazione mentre posava sul tavolo i bicchieri.
«Non c’è nessun drago, Andrew...» cominciò lei passandosi una mano sul viso.
«Sì ma, se lui dice qualcosa che gli hanno detto i soldati, me lo farai sapere?» si dondolò sulle punte dei piedi.
La donna sospirò esasperata e senza nemmeno guardarlo rispose: «Sì! Se mai dirà qualcosa sui draghi te lo farò sapere.»
«Grazie!» esclamò, e corse di sopra, indeciso se sgattaiolare fuori casa per avvertire almeno Mike e Jennifer della notizia, perché erano i più vicini. Ma alla fine decise che fosse meglio non uscire col buio, tantomeno con i soldati in giro col rischio di incontrare proprio gli stessi di prima.

Anche Susan non se l’era vista particolarmente bene passando tutto il giorno insieme a Lily, sempre più certa che nascondesse qualcosa dietro quell’ampio sorriso e lo sguardo vivace. Una volta finito di preparare i biscotti – ai quali la bambina aveva dato la forma di draghi – le aveva fatto un sacco di altre domande riguardanti i draghi, le aveva letto un’altra leggenda che ipotizzava come fosse nato il primo drago dall’unione di Aria e Fuoco e le aveva proposto di disegnare quel drago di cui nessuno sapeva nulla, ma che rimaneva sempre una bella storia da raccontare. Si era inventata almeno cinque diversi modi di divertirsi a tema Draghi, tanto che erano arrivate a dipingersi scaglie sulla pelle finché infine, per la felicità di Susan, Ilion se n’era accorta e le aveva rimproverate mandandole a lavarsi via l’inchiostro. Ma ciò non aveva demoralizzato la piccola Lily, che aveva costretto Susan a giocare anche dopo cena fino a che Jorel aveva detto loro di dormire.
Non appena Lily era uscita dalla sua stanza augurandole la buona notte fingendo di alitare fuoco e poi richiudendo la porta, Susan si era lasciata andare sul letto e si era sentita liberata di un peso enorme, ansimando come se per tutta la sera avesse trattenuto il fiato.
Aveva avuto un sonno tormentato di incubi in cui Lily scopriva il loro segreto, o in cui la piccola prendeva le sembianze del drago elementale della storia e la bruciava col suo alito caldo, oppure che la bambina spifferava tutto ai soldati, i quali poi uccidevano sia i draghi che loro, essendo legati ormai. Era arrivata a chiedersi per quanto tempo avrebbe dovuto tenere occupata Lily cercando di non farle capire nulla, e a sperare con tutta se stessa di essere stata brava a fingere fino a quel momento.

Sebbene Andrew faticò a prendere sonno con quei pensieri per la testa, non si accorse del ritorno del fratello maggiore, che rincasò dopo le quattro di notte e senza che nessuno in famiglia se ne accorgesse si mise a dormire beato nel proprio letto.
La mattina però fecero colazione insieme, e sentendo lui e la madre discutere ebbe la scusa perfetta per uscire di casa, sapendo che loro avrebbero pensato che non volesse assistere alle loro litigate. Lasciò l’abitazione insieme all’altro fratello che lo salutò per andare a lavorare come apprendista del falegname, Andrew ricambiò il saluto e lo guardò allontanarsi.
Quando fu sparito si guardò intorno, sentì le grida dei suoi familiari dentro casa, quindi sbuffò, liberò la giumenta e le salì in groppa per trottare via. Non incontrò nessuno per strada salvo gli uomini o le donne che andavano a lavorare, e si fermò davanti a casa di Jennifer chiedendosi se fosse ancora troppo presto per chiamarli.
Alla fine scelse di non disturbarli prima delle otto di mattina, quindi spronò nuovamente Wind al trotto e lasciò Darvil diretto verso il boschetto. Controllò che nessuno lo seguisse, e una volta che fu tranquillo poté finalmente pensare a cosa dire a Umbreon, sperando che con la sua astuzia potesse aiutarlo a trovare una soluzione.
Arrivato al passo alla tana, perché non aveva fretta e soprattutto per non far male alla giumenta nemmeno per sbaglio, trovò i draghetti ancora addormentati al caldo, ma già avvertiva la presenza del suo cucciolo nero. Smontò dalla sella e legò Wind a un ramo basso, e la giumenta scalpitò innervosita perché percepiva la presenza dei draghi.
Andrew sbirciò nella tana – dove con l’arrivo del vero freddo avevano portato delle coperte costruendo una specie di tenda – ma se anche Umbreon si fosse trovato lì non l’avrebbe visto perché l’anfratto era buio; distingueva i colori di tutti gli altri grazie alle scaglie iridescenti, ma evidentemente non c’era abbastanza luce per far luccicare quelle del drago nero.
Ti sbagli, è perché sono qui disse la sua voce grave nella mente di Andrew.
Il ragazzino si riscosse e si rialzò guardandosi freneticamente intorno, ma non riusciva a vederlo: «Dove?»
Sopra di te pareva divertito.
Alzò lo sguardo e lo vide appollaiato su un ramo con la lunga coda che penzolava inerte accanto al tronco, lo guardava quasi voracemente, ma Andrew attribuì la causa di quella sensazione al colore e alla luminosità dei suoi occhi.
Umbreon scosse un po’ le ali sbilanciandosi ma tenendo la testa perfettamente ferma nella stessa posizione, dopo alcuni secondi di silenzio smise di guardare il ragazzo e si preparò a scendere dall’albero; aprì le ali e balzò giù per poi sbatterle per frenare subito la caduta, e atterrò a pochi passi da lui.
Tornò a guardarlo e mentre si risistemava le ali sui fianchi gli domandò: Qualcosa ti turba?
«In realtà sì...» sussurrò, gli fece cenno di seguirlo per inoltrarsi un po’ nel bosco e mentre camminavano gli raccontò di cosa fosse successo la sera prima, riguardo suo fratello che voleva unirsi ai soldati.
Quando finì di parlare si fermarono e attese il giudizio di Umbreon, che non tardò ad arrivare: Potrebbe anche portarci vantaggio.
«Come?» domandò sorpreso.
Se tuo fratello lavorasse per loro ma vivesse con te, stando attento a non farti scoprire potresti ottenere informazioni da lui.
«Riguardo voi?»
Ogni cosa. Noi, quanto siano realmente vicini a scoprirci, quanto sanno dei draghi, o di voi e di Darvil. E soprattutto scoprire cosa vorrebbero da noi.
«Beh stanno combattendo una guerra, dei draghi farebbero comodo immagino...»
Forse, ma non dimenticare che abbiamo sì e no due mesi di vita...
«Ma siete forti!» lo interruppe «E presto o tardi volerete, così veloce che nessun uomo a cavallo potrà...» s’interruppe colto da un pensiero improvviso. Guardò Umbreon atterrito: «E se volessero uccidervi così nessuno potrebbe usarvi? Voglio dire... forse vi cercano perché hanno paura che qualcuno possa controllarvi...»
Voi.
«...E se qualcuno vi controllasse, e se quel qualcuno fosse loro nemico, nessun uomo, nemmeno a cavallo, potrebbe vincervi...»
Forse ripeté Umbreon Non è un’ipotesi da sottovalutare. Perché in tal caso non vorrebbero morti soltanto noi, e la tortura delle volte può essere peggiore della morte stessa...
«Questo però non mi rincuora affatto...» si lamentò «Ero venuto qui sperando che parlarne con te mi calmasse, ma non fanno che venirmi in mente idee sempre peggiori!»
Non che tu abbia ancora di cui preoccuparti così tanto; non sanno nulla, per ora hanno solo dei sospetti infondati, basati a loro volta su sospetti di altre persone e voci che girano tra le case. E se ci metteranno più di un mese a scoprirci, noi sei saremo abbastanza grandi da potercene liberare.
«In un mese? Crescere tanto da liberarvi di soldati armati, protetti da armatura, e a cavallo?» fece scettico.
Umbreon ridacchiò e agitò la coda: Pare che tu non sappia molto di noi. Forse dimentichi che tu alla mia età avevi solo la capacità di frignare?
«Ehi! Come ti permetti?» esclamò offeso dalla sua affermazione. Pur sapendo che aveva ragione.
Prima o poi voleremo, come hai detto. E non manca molto perché le mie ali siano abbastanza forti...
«E quando arriverà il fuoco?» lo interruppe impaziente, con un largo sorriso.
Umbreon dilatò le pupille e si prese del tempo per rispondere; aveva appena rinfacciato ad Andrew di non sapere molto dei draghi, eppure non aveva idea di cosa stesse parlando. Cercando velocemente la risposta nei pensieri dell’umano, capì che a quanto pareva, secondo le leggende, i draghi potevano sputare fuoco... ma non sapeva cosa volesse dire, né come potessero esserne capaci.
Perciò alla fine scosse la testa e ammise: Non ne ho idea.
Un po’ deluso dalla sua risposta Andrew gli propose di tornare all’inizio del boschetto ad aspettare gli altri e s’incamminarono correndo, il ragazzino rideva perché nonostante Umbreon fosse ormai alto più dei suoi stinchi era ancora più lento di lui a terra.

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Capitolo 18
*** Knights ***


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Il colore del titolo del capitolo corrisponde al colore della regione in cui la storia al momento si svolge, tenete d'occhio la mappa per sapere dove ci troviamo!

KNIGHTS

Susan fuggì da Lily il prima possibile quella mattina, appena dopo aver finito la colazione che Ilion aveva preparato per entrambe. Si affrettò a preparare il proprio cavallo alla bell’e meglio e in men che non si dica fu fuori, diretta al galoppo verso il bosco, e rallentò solo quando giunse in vista dello stesso. Scese dalla sella con un sospiro scacciando la tensione e a piedi condusse l’animale tra gli alberi, fino alla tana dei draghetti.
Non si aspettava che già ci fosse qualcuno, quindi rimase sorpresa nel vedere la giumenta di Andrew. Legò Brezza a un ramo vicino e si avvicinò alla tana cercando il ragazzino con lo sguardo, chiedendosi dove fosse e cosa ci facesse lì a quell’ora sapendo che non era una persona mattiniera.
Chiamandolo a voce piuttosto alta svegliò gli altri draghetti, che uno alla volta uscirono assonnati dalla tana, e Sulphane le si affiancò.
«Ciao piccola, hai visto dov’è andato Andrew per caso?» le domandò accarezzandole la corta peluria sul collo.
Ho sentito delle voci non molto tempo fa, ma avendo riconosciuto Andrew non vi ho dato peso, mi dispiace rispose la cucciola, mentre a occhi chiusi faceva quelle strane fusa appagata dalle coccole.
«Non importa, ero solo curiosa. Voci hai detto? Non era solo?»
Sì che era solo. Ma penso di aver sentito parlare anche Umbreon, forse si è dimenticato di tenere per sé i suoi pensieri.
Rubia si stiracchiò per bene e sbadigliò mostrando i numerosi piccoli denti, poi fu subito pronta per correre dietro ad Ametyst che la stava stuzzicando scodinzolando a un palmo dal suo naso, mentre Zaffir rimase in disparte, in apparenza più tranquillo, ma continuando a guardare la volta del bosco come se volesse guardarvi oltre.
Susan insieme a Sulphane cercò Andrew e Umbreon allontanandosi dalla tana e lasciando gli altri draghetti ai loro giochi, ma non passò molto tempo prima che li incontrassero; stavano correndo nella loro direzione, probabilmente per tornare alla tana, e il ragazzino rideva.
«Andrew!» gridò Susan sbracciandosi.
Lui la guardò e la salutò con un cenno del capo, poi ansimando si fermò poco lontano da lei, si piegò in due riprendendo fiato: «Ciao.»
«Perché correvi in quel modo?»
«Giocavamo!» esclamò sorpreso da quella domanda.
Umbreon si era fermato accanto a lui e lo guardava con sguardo vorace agitando piano la coda da una parte all’altra, alla fine non resistette alla tentazione e gli saltò addosso spingendolo a terra. Andrew imprecò lamentandosi del male mentre il draghetto si allontanava trotterellando, e Susan rise.
Mentre si rialzava esclamò: «Che ti è preso?»
E Umbreon rispose con una nota di divertimento nella voce: Beh, stavamo giocando a rincorrerci, tu ti sei fermato e...
«Già, certo.» sussurrò contrariato massaggiandosi il gomito, poi tornò a rivolgersi a Susan mentre i loro due draghetti presero a rincorrersi: «Ti ha visto qualcuno venire qui?»
«Non lo so, perché?» domandò sorpresa.
Sapeva che Susan era all’oscuro di tutto, vivendo in casa di Cedric che non si trovava vicina al villaggio, quindi non era a conoscenza della presenza dei soldati perché quelli, al contrario dei soldati da Eunev, non avevano lasciato i cavalli nella stalla.
Quindi le spiegò: «Sono arrivati degli altri soldati, non da Eunev, e ho il sospetto che siano qui per dare man forte a quelli che.... Beh, racconterò tutto quando ci saranno anche gli altri, ora torniamo ad aspettarli alla tana.»
La ragazza annuì senza fare altre domande e insieme tornarono indietro senza curarsi di chiamare i draghi, perché erano certi che non ce ne fosse bisogno. E infatti i cuccioli li seguirono a distanza correndo tra un albero e l’altro.
Quando furono quasi arrivati Andrew riprese parola e le chiese: «E tu che ci facevi qui così presto?»
«Oh... Lily fa strane domande sui draghi, temo che abbia capito qualcosa ma non so come. E finché non c’è Cedric a tenerla a bada preferisco stare fuori il più possibile, piuttosto che combinare accidentalmente un guaio.»
Annuì comprensivo: «Già, meglio non lasciarsi sfuggire nulla. Siamo già abbastanza nei guai con quei soldati in giro, non ci serve anche una delle nostre famiglie a ostacolarci.»
Giunti alla tana decisero di passare il tempo giocando con tutti i draghetti e raccontandogli delle storie, mentre quelli ascoltarono seduti e attenti davanti a loro, come un piccolo pubblico a teatro, ma nessuno dei due ragazzi espose i dubbi riguardo la propria famiglia.
Gli altri tre arrivarono in gruppo insieme a Emily e finalmente Andrew raccontò la stessa cosa che aveva detto ad Umbreon la mattina stessa, allarmando immediatamente la più grande, e il ragazzino disse anche cosa gli era stato suggerito di fare dal suo draghetto.
«Una buona idea, ma rischiosa.» commentò Emily «Io direi che sarebbe meglio non venire più qui per un po’, giusto perché la situazione si calmi e quelli se ne vadano. Se sono davvero così sospettosi e ora tuo fratello vuole unirsi a loro è meglio non dargli scuse per pedinarci... verrebbero a scoprire la verità in tal caso, a meno che non decidiate appunto di non venire qui.»
«Io resisterei al massimo tre giorni senza Rubia.» disse subito Jennifer.
«Forse tutti noi, ma bisogna ammettere che Emily ha ragione.» disse Layla «Prima o poi se ne andranno, e allora potremo tornare qui. Ma adesso la situazione sta diventando pericolosa.»
«Quelli non sanno nulla di draghi, non noteranno niente. Basterà assicurarci che nessuno ci segua quando veniamo qui.» disse Mike, non volendo separarsi da Zaffir per alcuna ragione «Crescono in fretta, tra poco sapranno difenderci da quei soldati.»
«Ma cosa vai dicendo? Lo vedi quanto sono piccoli ancora? Vorresti che affrontassero dei soldati a cavallo così piccoli e senza nemmeno saper volare?» ribatté la ragazza con le mani sui fianchi.
«Zaffir sa volare!»
«Ah davvero? Bene! E gli altri?»
Ma Susan si dimenticò della questione e domandò incredula: «Zaffir sa volare?» e Umbreon, Rubia e Sulphane volsero al draghetto blu uno sguardo forse invidioso.
Mike si calmò e arrossì un po’ in imbarazzo: «Beh... l’ho visto volare per qualche tempo poco più alto degli alberi. Però ne è stato capace!»
«D’accordo, ma gli atri no!» riprese Layla, decisa a convincerli a incontrare i draghi meno spesso per un po’.
«Ragazzi è una questione importante... non venite per qualche giorno, fatevi vedere in giro per il villaggio a giocare, venite a trovare i draghi una volta a settimana...» disse Emily con fare calmo e ragionevole.
Ma Jennifer la interruppe esclamando: «Una volta a settimana? Spero tu stia scherzando!»
«È solo una situazione provvisoria, per non attirarci addosso altri guai!» insistette Layla spazientita.
«Che Zeigah si occupi di quei soldati, io pur di venire a trovare Zaffir potrei uscire di casa la notte!» fece Mike incrociando le braccia sul petto.
La discussione andò avanti diversi minuti senza che nessuno cambiasse la propria idea o posizione, e alla fine decisero di lasciar perdere e dedicarsi finalmente ai piccoli draghi; Layla disse loro che l’indomani sarebbe rimasta a casa e il discorso finì lì.

Tornarono dai draghi la mattina dopo, Susan uscì ancora prima che Lily si svegliasse, dal momento che Cedric ancora non era tornato, e andò ad aspettare gli altri alla tana. Quando arrivarono Andrew, Mike e Jennifer, si allontanarono per giocare sapendo che Layla non sarebbe arrivata, e Ametyst piagnucolò per alcuni minuti prima di decidere che avrebbe utilizzato quel tempo da sola per provare a volare.
Tornarono a casa per pranzo per non insospettire le famiglie, e Susan in quell’arco di tempo dovette praticamente fuggire da Lily, nessuna delle sue scuse pareva scoraggiare la bambina dal farle domande e seguirla ovunque andasse. Dunque di nuovo fu la prima a tornare verso il bosco, e gli altri tre la raggiunsero più o meno mezz’ora dopo, mentre lei già stava giocando con Sulphane.
La bambina, ormai arrabbiata anche con lei, pensava di aver capito tutto e decise che appena suo padre sarebbe tornato a casa gli avrebbe confessato tutti i suoi sospetti; poco le importava che suo fratello fosse a caccia, se la sarebbe vista brutta una volta tornato.
I ragazzini decisero di tornare indietro verso i cavalli intorno alle sei del pomeriggio, così salutarono i draghetti e si avviarono a piedi parlando entusiasti di quanto stessero crescendo rapidamente, non vedevano l’ora che imparassero a volare, così che una volta cresciuti abbastanza avrebbero potuto cavalcarli e vedere per primi come fosse il mondo da lassù; i primi Umani al mondo a volare. I primi a diventare amici di sei draghi, i primi a crescerli, e i primi a cavalcarli.
Arrivati dove avevano legato i cavalli ci misero un po’ ad accorgersi che non c’erano, e un poco spaventati li chiamarono e li cercarono nei dintorni, senza mai perdersi di vista gli uni con gli altri. Parlando tra loro a voce alta convennero che fossero legati troppo bene perché si liberassero da soli, dunque il loro primo pensiero fu che li avessero rubati, e lì si lasciarono prendere dal panico, perché non erano i veri proprietari.
La risposta alle loro preoccupazioni non si fece attendere molto; si incamminarono insieme verso la prateria e appena usciti dal bosco li videro: erano tutti lì, tranquilli, ma insieme a loro ce n’erano altri dieci, tutti cavalcati da quei soldati che erano giunti fin lì a causa di una guerra. E per i draghi.
I cavalieri spronarono i cavalli per accerchiare i quattro ragazzi, tagliandogli ogni via di fuga. Sotto gli elmi si poteva vedere che venivano da ogni parte del mondo, alcuni erano chiari di pelle come loro, mentre altri avevano la pelle color dell’ebano, o semplicemente ambrata. Impugnavano anche armi differenti, lance, spade, archi, martelli... ma tutte avevano una cosa in comune: erano puntate contro i ragazzi.
Si strinsero tra loro come per darsi forza e farsi coraggio, ma tremavano e sudavano freddo dalla paura, non sapevano come comportarsi o come affrontare una situazione del genere senza rimanere ammazzati poi. Guardarono i soldati cercando di capirne le intenzioni, ma quelli rimasero fermi con le armi puntate contro di loro così a lungo che per un attimo credettero si trattasse solo di un sogno.
Poi uno di loro, dalla pelle scura, abbassò l’arma simile a una falce a una mano. Ma fu l’unico, tutti gli altri rimasero immobili a fissarli in attesa di un solo movimento sbagliato per poterli ferire, o peggio uccidere. Il soldato incitò il suo cavallo a muovere qualche passo all’interno del cerchio, avvicinandosi ai ragazzi, poi li guardò dall’alto.
L’elmo copriva la sua espressione, ma la voce pareva cupa e suonava metallica dietro l’acciaio: «Dove sono i draghi?»
I ragazzini, guardandosi tra loro, si pentirono di non aver dato ascolto a Layla ed Emily e non aver rinunciato ai draghetti per quel solo giorno. Andrew scorse di sfuggita, e riconobbe, uno dei soldati che l’avevano fermato due sere prima, e distolse in fretta lo sguardo pensando invece a cosa poter dire. Susan riconobbe tre altri soldati: uno di loro aveva avvelenato Cedric e gli altri due avevano trascinato fuori casa i suoi genitori. Fu quindi colta all’improvviso e inspiegabilmente da un moto di speranza; se quei tre soldati erano lì c’era la possibilità che sua madre e suo padre fossero con loro.
La prima ad aprire bocca fu Jennifer, che si decise ad assumere un’aria sconvolta, sperando di essere convincente, e domandò con voce flebile: «Cosa?»
«I draghi. Dove sono?»
«Non... non c’è nessun drago qui...»
«Smettetela di raccontare bugie, ragazzini, o saranno guai. Abbiamo ordini precisi: recuperare le uova e uccidere chiunque ne sia venuto a conoscenza. Perciò ve lo richiedo: dove sono i draghi?»
Mike preso dall’ira scosse la testa ed esclamò: «Se avete intenzione di ucciderci, cosa ci guadagneremmo a dirvi dove sono? Tanto vale farci ammazzare subito e non darvi alcuna informazione!»
Jennifer lo guardò adirata per aver mandato in fumo ogni possibilità che avevano di sviare i sospetti da loro e si morse il labbro pensando a cosa poter dire successivamente.
Gli occhi dell’uomo dalla pelle scura si socchiusero, forse in un sorriso, e fece un cenno appena percettibile con la testa. Un attimo dopo il soldato alle spalle di Mike fece scattare la lancia e lo ferì alla gamba sinistra. Il ragazzino urlò cadendo in ginocchio e Susan strillò spaventata spostandosi dietro a Jennifer come se ciò avrebbe potuto aiutarla.
Il soldato attese con pazienza che Mike smettesse di urlare tenendosi stretta la gamba ferita, poi disse con voce quasi pacata: «Non sempre la morte è rapida e indolore. Forse potremmo farvi cambiare idea, che ne dite?»
Alla sua domanda nessuno di loro rispose, si limitavano a guardare atterriti prima lui, poi Mike a terra che ansimava. Il cavaliere ci mise poco a perdere la pazienza, alzò una mano e si preparò a fare cenno a un altro soldato di colpire.
Ma Susan gridò con voce acuta: «Nella Foresta! È piena di creature strane, se cercate dei draghi sicuramente si troveranno lì! Vicino a Darvil non c’è posto migliore!»
«La Foresta, eh?» domandò lui, e volse una rapida occhiata timorosa agli enormi alberi che facevano capolino dietro il bosco, poi tornò a guardare la ragazzina «Ed è lì che siete stati oggi? Piuttosto lontani da casa, ragazzini. Se noi andremo nella Foresta, verrete anche voi. Così se tentavi di tenderci una trappola ve ne pentirete tutti.»
Senza che lui desse alcun ordine, i soldati smontarono da cavallo solo per accompagnare i ragazzi ai propri, li sollevarono di peso caricandoli in sella ai quattro animali e poi con delle funi gli legarono i polsi alla sella, così che non potessero guidare i cavalli né tentare una fuga. Poi legarono i quattro cavalli a quattro dei loro stalloni da guerra e rimontarono in sella.
«Io non lo farei se fossi in voi...» sussurrò Jennifer tremando di paura, sentendosi persa e vulnerabile. Scoccò una rapida occhiata a Mike che piangeva in silenzio accasciato sul collo di Wind.
«Partiremo per la Foresta domattina. Fino ad allora alloggerete nel nostro accampamento come prigionieri.» disse loro con un sorriso sgradevole.
Dopodiché i cavalieri spronarono i propri destrieri al passo, i quattro cui avevano i cavalli dei ragazzi procedevano in fila uno dietro l’altro, due cavalieri stavano affiancati sulla destra, due sulla sinistra, uno dietro e uno davanti.
Susan pianse colta dalla paura e dallo sconforto, sperando che Layla e Cedric avrebbero capito in fretta la situazione tirandoli fuori dai guai, ma soprattutto sperando di rivedere i propri genitori sani e salvi da qualche parte in quell’accampamento. Solo secondariamente si preoccupò per i draghetti e di uscire viva da quella situazione lei stessa.

L’accampamento dei soldati distava parecchio da Darvil, tanto che a malapena potevano vedere il fioco bagliore delle torce che indicavano la posizione del ponte principale. Non era altro che un agglomerato ordinato di tende intorno a un grande fuoco, poco più in là stavano dei carretti coperti da grandi tele di stoffa; da lì sotto talvolta provenivano versi e rumori sinistri, striduli ringhi e rumore di legno e metallo graffiato. I cavalli legati ai carretti parevano molto nervosi, ma non si muovevano.
Susan sgranò gli occhi incredula, come anche gli altri ragazzini, quando vide sua madre e suo padre con mani e piedi legati, adagiati sopra un giaciglio di coperte e imbavagliati. Ma anche loro la guardarono col terrore dipinto negli occhi. Se non altro sembravano stare bene, solo Deren aveva qualche livido in volto.
I soldati prepararono un solo giaciglio per tutti e quattro loro poco lontano dal falò, poi li fecero scendere dai cavalli e li adagiarono tutti lì, con i polsi sempre legati, e due di loro montarono subito la guardia mentre gli altri portavano da parte tutti i cavalli, legandoli a dei pali. Alcuni di quelli che non dovevano guardarli si spogliarono dell’armatura rimanendo semplicemente con indosso armi e cotta di maglia, per poi sparire nelle tende a riposare, pronti a essere chiamati per il proprio turno. Il capo fu uno di loro.
Lanciando un’occhiata sinistra ai carretti da cui provenivano gli strani rumori, Jennifer avanzò verso Mike trascinandosi coi gomiti. Il ragazzo ancora tremava ma non piangeva più, forse perché al momento aveva in circolazione una grande quantità di adrenalina, ma anche se non aveva visto esattamente dove e come l’avevano ferito non poteva fare a meno di preoccuparsi per la sua sorte; che fosse grave o no stava perdendo sangue e stava macchiando le stoffe del loro giaciglio. Non era nemmeno certa che ai soldati importassero le sue condizioni, e questo la spaventava, perché se non fossero tornati in fretta a casa, senza le cure di Gerida, difficilmente sarebbe sopravvissuto. Forse non sarebbe morto dissanguato, ma la ferita aveva il tempo d’infettarsi.
«Ehi, come stai?» gli domandò in un sussurro.
«Fa malissimo... però credo che potesse andarmi peggio, forse mi ha ferito solo per spaventarci.» rispose con voce flebile.
«Non va sottovalutata. Ma purtroppo non abbiamo nulla con cui pulirla...»
«Zitti voi due!» li rimproverò un soldato con voce aspra, interrompendola.
Per paura che qualcun altro si facesse male, entrambi i ragazzini si zittirono al suo ordine e Susan resistette alla tentazione fortissima di scambiare alcune parole coi propri genitori, rimanendo invece rannicchiata sulle coperte tremando di paura in attesa della loro prossima mossa. Anche perché i due adulti non potevano parlare, si disse poi, tanto valeva non fare innervosire quegli uomini armati per nulla.

Lily seguì il suo piano e finalmente si decise ad attuare la sua vendetta. Mentre aspettavano che Susan tornasse per cenare guardò suo padre di sottecchi e attese che Ilion se ne andasse per poter parlare da sola con lui, le sarebbe piaciuto parlargli mentre Susan era ancora fuori di casa. Giunte le dieci della sera Ilion si scusò perché doveva tornare a casa lasciandoli così cenare da soli, la bambina si finse triste quanto bastò perché fosse credibile, ma appena la donna fu fuori di casa corse dal padre con aria trionfante.
«Devo dirti una cosa!»
«Sembri ansiosa, hai per caso imparato a memoria una canzone?» ribatté lui con un sorriso accarezzandole piano la testa.
«Oh no, è una cosa che probabilmente non ti piacerà.» disse, senza tuttavia abbandonare il sorriso.
Il suo sguardo invece s’incupì un poco, ma la sua voce rimase cordiale: «Vai avanti, allora. Cosa devi dirmi?»
«Io... è un sospetto, ma credimi penso che sia vero! Io penso che Cedric e Susan abbiano un cucciolo di drago!»
«Abbiano... ma come, non si può avere un drago...» sussurrò pensieroso.
«Non l’ho mai visto, ma ho sentito nominare qualcuno di strano, e poi Susan sa molto più di quanto dica sui draghi! Non fa altro che evitare le mie domande!»
«Forse sei stata troppo opprimente e vedi certe cose solo perché ti aspetti che sia così.»
«Vanno sempre via, da mattina a sera! Dove pensi che vadano? Vanno dal drago!» insistette cominciando a spazientirsi, si era aspettata che le avrebbe creduto subito «Chiedilo a Cedric quando torna, vedrai che te ne accorgerai se sta mentendo o no! Vanno nel bosco, li ho visti! Andiamoci!»
«Se davvero ci fosse un drago quello sarebbe l’ultimo posto dove ti porterei.» disse cupamente.
Lily corse via su per le scale lasciandolo sorpreso, e mentre lui ravvivò il fuoco nel camino lei andò in camera di Cedric e prese il disegno in inchiostro rosso di Susan, poi andò in camera propria e prese tutti i disegni di draghi che lei e la ragazza avevano fatto, infine li portò a Jorel.
«Ecco! Guarda! Guarda!» esclamò sventolandogli le pergamene in faccia.
L’uomo sospirò e con pazienza le diede corda lasciando perdere il camino per guardare i disegni, ma rimase sbalordito, perché notò un’inquietante somiglianza tra il disegno in rosso e quelli in nero. Li studiò bene e sul disegno rosso riconobbe anche la calligrafia di Cedric, aveva scritto ‘Sulphane’ e sotto la sua stava un’altra scritta, decisamente diversa, imprecisa, deforme, come di qualcuno che non sapesse scrivere e avesse solo ricopiato quella sopra.
Volse a Lily uno sguardo incredulo e la bambina annuì: «Visto? Quello è il loro drago! Susan l’ha disegnato prima che io cominciassi a farle domande sui draghi, quindi non posso averla influenzata io! E aveva chiesto a Cedric di leggerle una storia sui draghi, deve averlo disegnato mentre lui leggeva!»
«Quando, Lily? Questo quando è successo?» disse alzando piano il disegno rosso.
«Pochi giorni. Non molto, comunque.»
«Non si può possedere un drago... forse stiamo solo esagerando.» sussurrò pensieroso, sperando di avere ragione e che non fosse la bambina ad aver detto la verità.
«Sai come si sono conosciuti Cedric e Susan? Lei veniva qui con gli altri quasi tutti i giorni, Cedric diceva che volevano imparare a cavalcare. Ma non li ho mai visti prendere lezioni, quindi deve aver mentito. E per non avermi tra i piedi mi portava da Ilion! Ricordi? Io mi arrabbiavo e tu ti arrabbiavi.»
«Certo che lo ricordo... » impallidì, al solo pensiero che Susan e chissà chi altri lo avessero forse seguito nella Foresta con un uovo di drago. Un drago! Con i Krun ad abitare la Foresta e quei soldati che giravano... ma Cedric, si rese conto, probabilmente non sapeva dei soldati; quasi certamente non si erano fermati a lasciare i cavalli nella stalla, in quei giorni era stato fuori a caccia e ad ogni modo non andava spesso al villaggio, poteva non averli incontrati.
«Che faremo?» la vocina entusiasta e squillante di Lily lo riportò alla realtà.
Scosse la testa e disse tornando a guardare il disegno rosso: «Non lo so. Se anche avessi ragione non ammetterebbero mai nulla.»
«Costringili a confessare!»
La guardò sorprendendosi di quelle parole, soprattutto perché dette da lei, ma annuì senza sapere come avrebbe potuto riuscirci, dovevano sapere di questo drago e trovarlo prima che fosse troppo tardi. Sempre che fosse realmente esistito, e sperò con tutto se stesso che sua figlia stesse solamente tentando di fare uno scherzo al fratello.
Lily andò a letto quando fu stanca, ma l’uomo rimase sveglio attendendo il ritorno di Susan ormai preoccupato, sperando che si fosse fermata da qualche suo amico senza fargli sapere nulla, lo preferiva all’idea che le fosse successo qualcosa di nuovo. Si arrese alla stanchezza ma si addormentò sulla panchetta nella sala, in modo che si sarebbe svegliato nel caso in cui i ragazzi fossero tornati.

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Capitolo 19
*** New experiences ***


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NEW EXPERIENCES

Affidandosi agli acuti sensi di Smeryld, Cedric era riuscito a cacciare una coppia di conigli, un giovane cervo e due poiane in tempo record; per gli uccelli e i conigli non c’erano problemi, non pesavano molto, ma il cervo era tutta un’altra storia.
Lo guardò perplesso, steso a terra con una freccia che gli trapassava il collo da parte a parte, lo indicò e disse: «E ora come lo porto via? Non avrei dovuto ucciderlo.»
Puoi sempre lasciarlo a noi ribatté il draghetto pregustandosi il pasto.
«Potrei, ma se torno indietro con questi mio padre avrà da ridire.» disse con un sospiro esasperato.
Lascia quelli a noi e prenditi il cervo!
«Il problema resta, pesa più di me.»
E di solito come fai?
«Di solito ho il cavallo con me.»
Lo porto io.
«No, sei pazzo? Lasceresti i segni dei tuoi denti! E forse nemmeno riusciresti, pesa molto.»
Dubiti della mia forza? domandò offeso guardandolo dritto negli occhi e agitando la coda infastidito.
Il ragazzo non rispose, ma alzò le spalle e fece un verso che stava a significare più un sì che un no. Smeryld ringhiò e quindi Cedric si affrettò ad aggiungere: «Almeno per ora. Sei ancora piccino.»
Pi... picci-cosa? domandò stortando la testa.
«Piccino. Sinonimo di piccolo.»
Ah... fece deluso, ma non la prese troppo sul personale e cambiò atteggiamento: Quindi cos’hai intenzione di fare?
«Non lo so... magari, se riesci...» un rumore lo interruppe, un rumore che Cedric conosceva bene e non avrebbe mai voluto sentire senza avere il cavallo con sé.
Un orso era nei paraggi, e pareva arrabbiato o affamato. Forse aveva fiutato l’odore di diverse prede, tra cui il ragazzo e il piccolo drago – anche se non era certo che un orso conoscesse l’odore di un drago – e il fatto che non fosse ancora andato in letargo poteva essere indice di grossi guai: se non era addormentato era ancora in cerca di cibo. Si diede dello stupido per aver dato per scontato che il bosco potesse essere relativamente sicuro, dato il clima rigido.
Che c’è? gli chiese Smeryld avvertendo la sua preoccupazione, si guardò intorno ma non vide nulla, anche se sentiva del movimento, e pareva essere un animale davvero pesante.
«Forse sarebbe meglio lasciargli il cervo, così avrà qualcosa a cui pensare e avremo il tempo di scappare.» sussurrò.
Scappare? Da cosa? domandò contrariato: un drago non scappava da nulla.
«Da un orso.»
Cos’è?
«Un animale davvero pericoloso, se preso per il verso sbagliato. Sbrigati, andiamocene.»
Fece per andarsene, ma proprio allora Smeryld vide qualcosa muoversi dietro la vegetazione e ringhiò dicendo: È lì! il corpo teso come la corda di un arco.
«Sì! E faremmo meglio a sparire!» disse in fretta, e mentre l’orso compariva da dietro una felce di notevoli dimensioni il ragazzo corse dalla parte opposta esclamando: «Sbrigati Smeryld, vieni via!»
Il draghetto fissò l’animale sconosciuto con occhi sgranati, era davvero enorme, dal folto pelo bruno, gli occhi gialli, lunghi artigli alle zampe. Ma aveva un’andatura goffa, non sembrava veloce né pericoloso e non capiva da dove arrivasse tutta quella paura da parte di Cedric. Era grosso, certo, ma anche i cavalli lo erano, eppure erano bestie mansuete.
Da parte sua, anche l’orso si fermò a osservare Smeryld e sembrò valutare i rischi di affrontare una bestia simile, di piccole dimensioni ma coperto dalla testa alla coda di armi capaci di uccidere. Annusò l’aria, poi si alzò sulle zampe posteriori e bramì con ferocia per intimorirlo.
Oh, sì, ha i denti... è davvero grosso... pensò Smeryld, sulle prime rimanendo pietrificato a fissare l’orso negli occhi.
Cedric sentì la voce dei suoi pensieri come se gli avesse parlato nell’orecchio, perciò si stupì quando guardandosi intorno non lo vide. Si fermò immediatamente e guardò indietro, vedendolo lì fermo dove l’aveva lasciato con le ali afflosciate a terra e la testa rivolta verso l’animale, che ora si avvicinava a lui.
«Smeryld cosa fai?! Vieni via!» gridò.
Vedendo che il draghetto non gli obbediva gettò all’aria ogni prudenza e tornò indietro incoccando una freccia mentre correva, e quando fu abbastanza vicino fece ciò che in circostanze normali non avrebbe mai osato fare: l’orso era poco distante da Smeryld, si alzò di nuovo sulle zampe posteriori e si preparò a colpirlo, ma il ragazzo fu più veloce, prese la mira e liberò la freccia che si andò a conficcare nella spalla dell’animale.
Quello ruggì furibondo e tornò a quattro zampe, ora guardando Cedric. Lasciò perdere il piccolo drago che pareva al momento innocuo, al contrario di quelle frecce, bramì la sua ira e corse verso il ragazzo.
Lui si lasciò sfuggire una sonora imprecazione e cominciò a correre dalla parte opposta, cercando intanto un albero su cui potersi arrampicare, e anche in fretta, perché l’orso era molto più veloce di lui e non aveva più di una manciata di secondi prima che fosse troppo tardi per arrampicarsi.
Fu vedendolo in pericolo che Smeryld si risvegliò, scosse la testa e si dimenticò dei lunghi denti e degli artigli dell’orso: li aveva anche lui. Non così lunghi e forti, ma li aveva, e li avrebbe usati fino a uccidere quella bestia se necessario, altrimenti quello avrebbe ucciso Cedric. Ruggì furente e cominciò a correre più veloce che poteva dietro all’orso, ben sapendo di non poterlo raggiungere a piedi, dunque spalancò le ali con forza e balzò, le sbatté per planare veloce tra gli alberi sebbene sapesse che era molto pericoloso, non avendo ancora imparato ad avere il controllo sul volo. Ma doveva rischiare, non poteva permettersi altri ritardi.
Non c’erano alberi sicuri e Cedric non tardò a notarlo, accettando di dover affrontare l’orso faccia a faccia. Si fermò e incoccò una freccia, poi si volse per prenderlo di mira e impallidì, perché l’orso era già dietro di lui, e anche lui si fermò per alzarsi sulle zampe posteriori, bramendo minaccioso e preparandosi a colpirlo.
Smeryld raggiunse l’orso e gli atterrò proprio sulla schiena, avvinghiandovisi con gli artigli più forte che poté, ruggì di nuovo e spalancò le fauci al limite per riuscire a morderlo dietro al collo. L’animale, colto dall’improvviso dolore, ruggì e lasciò perdere Cedric, cercando invece di capire cosa l’avesse colpito. Il draghetto era minuscolo a confronto, sembrava una lotta tra un cane e un elefante, ma il cane non aveva punti ciechi, e l’unico modo che ora l’orso aveva di sbarazzarsene era schiacciarlo contro un albero o rompergli qualcosa.
Il ragazzo non poteva aspettare che lo facesse, riprese il controllo dì sé e scagliò la freccia che prima aveva incoccato, colpendo l’orso dritto al collo.
L’animale di nuovo ruggì e si agitò, Smeryld non riuscì a tenere la presa né coi denti né con gli artigli, perché la bestia era troppo grande per lui. Rotolò a terra e per fortuna non andò a sbattere da nessuna parte, ma l’orso lo prese subito di mira e gli corse incontro senza lasciargli il tempo di rialzarsi.
Cedric lo colpì nuovamente, ma questa volta l’animale non rallentò la corsa e aggredì Smeryld afferrandolo tra le enormi fauci. Il draghetto emise un acuto verso strozzato, e il ragazzo si sentì come se l’orso avesse azzannato lui, scosse la testa e si affrettò a incoccare un’altra freccia, ma con sua sorpresa l’orso non aveva procurato più di qualche profondo solco tra le scaglie verdi.
Smeryld lo frustò con la piccola coda, ferendolo con le numerose piccole spine, lo graffiò coi piccoli artigli e lo morse sul muso. L’orso non sembrava risentire molto di quelle ferite, ma la persistenza del draghetto alla fine gli fece mollare la presa. Smeryld traballò sulle zampe lamentandosi del dolore di quel potente morso, Cedric liberò la quarta freccia e l’orso si allontanò dalla creatura verde scuotendo la testa, e dando al draghetto l’occasione di balzargli al collo.
Lo morse con forza alla gola scoperta, richiuse le fauci più che poté e tirò verso di sé, strappandogli pelliccia e tessuti, sentì il sapore del suo caldo sangue e ringhiò appagato, mentre l’orso lanciava un ruggito acuto, del tutto inappropriato per la sua mole e la sua fama di grande cacciatore. Lo morse ripetutamente e ogni volta strappò nuova carne, lacerandogli infine l’arteria e la trachea. Il grande orso bruno si accasciò a terra incapace di respirare e perdendo rapidamente sangue, senza più emettere un suono e agitando le pesanti zampe sempre più debolmente, finché alla fine il suo cuore cessò di battere e rimase immobile in una pozza di sangue che aveva tinto erba e neve di cremisi.
Smeryld scuoteva la coda orgoglioso, aveva appena scoperto l’esistenza di un altro potente e pericoloso cacciatore, ma lui l’aveva ucciso. Lui era il più forte. Lo annusò per rimembrarne l’odore, poi ruggì la sua vittoria alla volta della foresta.
Non era poi così pericoloso commentò quando ebbe finito, guardò Cedric chiedendosi perché ancora non avesse parlato e scoprì che era inginocchiato a terra e lo fissava a bocca aperta, quindi dedusse che le gambe lo avevano abbandonato o per la paura o per lo stupore: Qualcosa non va?
«No, io... come diamine... tu?» balbettò il ragazzo incredulo.
Ho ucciso questa possente bestia. Alla fine il punto più debole è lo stesso per tutti. Sarei riuscito anche senza il tuo aiuto disse con fare derisorio, mentre si puliva il muso come un gattino.
«Così piccolo... come hai fatto?»
Lo guardò intensamente negli occhi e gli rispose: L’ho fatto per proteggere te. Come tu hai cercato di ucciderlo per proteggere me. Ma le tue armi e le tue difese non erano adeguate, le mie sì. Non avevi alcuna speranza di ucciderlo. Perché gli sei corso incontro?
«Pensavo che ti avrebbe ucciso. Eri lì fermo a guardarlo!»
Forse non mi avrebbe ucciso, ma a quest’ora non sarei tutto intero. Ti ringrazio.
Cedric si strofinò il collo dove aveva provato la sensazione del morso. Guardandosi la mano non vide sangue e un poco più sollevato rispose con una scrollata di spalle: «Oh beh, figurati. Hai estinto il debito piuttosto in fretta.» a quelle parole Smeryld ridacchiò e fece quello strano verso simile alle fusa di un gatto, poi finalmente Cedric trovò la forza di rialzarsi e gli chiese: «Stai bene? Ti ha ferito, mi dispiace...»
Starò bene lo rassicurò il draghetto.
Indicò l’orso: «Direi che quello te lo puoi tenere come trofeo, ma sarà impossibile riportarlo alla tana. E prima che l’orso m’interrompesse, ti stavo proponendo di aiutarmi col cervo. Ora che ho visto coi miei occhi quanto sei forte credo tu possa portarlo almeno fuori dal bosco, dopodiché ci penserò io. Se causerai danni troppo evidenti ti terrai la parte danneggiata. Affare fatto?»
Affare fatto?
«È un modo per chiederti se sei d’accordo.» spiegò.
Allora sì, affare fatto rispose Smeryld, guardò l’orso ancora una volta, poi gli saltò addosso e ruggì: Mio! facendo ridere Cedric.
«Beh, dal momento che se tornassi con tutta questa roba in così poco tempo mio padre s’insospettirebbe, credo che avremo tutta questa notte e tutto domani per prendercela comoda e tornare a casa.»
Tuo padre sembra una creatura molto fastidiosa commentò il drago, accucciato sopra il corpo dell’orso stava giocherellando a soffiare sui lunghi peli scuri.
Il ragazzo di nuovo rise: «Sì, diciamo che è un fastidioso e violento piantagrane ficcanaso.» si zittì immediatamente scoprendosi quasi dispiaciuto di averlo detto, poi guardò Smeryld che col massimo dell’indifferenza ancora spazzava i peli col suo fiato, e si sentì felice e in qualche modo rincuorato di poter confessare al piccolo drago tutto ciò che voleva senza essere giudicato.
Credo sia meglio per me non conoscere il significato di quelle parole, vero?
«Cosa te lo fa pensare? Non vorresti?»
Da come ti sei pentito di averle usate sembravano un insulto.
«Non esattamente... di certo se lo sapesse non si congratulerebbe con me. Proprio no.» scosse la testa e decise di cambiare in fretta argomento: «Allora, come perdiamo il resto del nostro tempo fino a domani?»
Il tempo insieme a te non è mai perso. Dimmi, Cedric, cosa vuol dire ‘Piantagrane ficcanaso’?
Il ragazzo scoppiò a ridere tanto da sdraiarsi a terra e quasi lacrimare, incapace di contenersi immaginando il suo piccolo drago che ripeteva quelle parole guardando negli occhi il fabbro e, di conseguenza, immaginando la reazione di quest’ultimo non tanto per aver visto un giovane drago, quanto per ciò che la creatura gli aveva detto. Sotto lo sguardo divertito di Smeryld ritrovò un po’ di contegno e si mise seduto asciugandosi gli occhi col dorso di una mano, poi si rialzò per recuperare le frecce dal corpo dell’orso.
E tua madre dove pensa che passi il tuo tempo? Ametyst ci ha raccontato che la madre di Layla pensa che lei sia innamorata di qualcuno di noi. O di voi, forse.
Cedric smise immediatamente di ridere e perse l’aria divertita per una per metà triste e metà furente: «Non lo so.» tagliò corto, sperando di riuscire a tenergli nascosto quello che realmente pensava.
Perché non glielo chiedi? Sono curioso...
«Non ho intenzione di parlartene. Non c’è nulla di interessante da dire.» lo interruppe «Non voglio litigare con te, Smeryld...»
Nemmeno io ammise il draghetto, cercò di non mostrarsi triste per il suo atteggiamento, soprattutto quando sentì che piuttosto che parlarne avrebbe preferito chiudergli la mente. Ma non ne era ancora capace, e il piccolo drago si guardò bene dal carpire informazioni che non avrebbe voluto condividere, quindi abbassò la testa e guardò da un’altra parte senza insistere.
Dopo aver riflettuto diversi minuti per conto suo, senza che la creatura potesse ascoltare, Cedric riprese a camminare spingendosi ulteriormente a nord-est e Smeryld fu costretto ad abbandonare l’orso per seguirlo. Pensava che volesse recuperare le altre prede, ma il ragazzo non si fermò e proseguì ancora e lui non gli fece domande, limitandosi a trottargli dietro tenendo la coda sollevata per non lasciare quella strana traccia sulla neve, come Cedric gli aveva insegnato.
Smeryld cominciava a sospettare che il ragazzo sapesse esattamente dove stessero andando soltanto quando si accorse che non rallentava mai il passo e nemmeno si guardava intorno più di quanto gli bastasse per essere sicuro di stare seguendo la giusta direzione, ma ancora evitò di leggere i suoi pensieri per capire in anticipo dove lo stesse portando.
Cedric si fermò solamente quando giunsero in una radura dove gli alberi erano più grandi del normale e più distanti, segno che si stavano avvicinando alla Foresta, e il draghetto si fermò con lui studiando l’ambiente; non vedeva nulla di diverso al di fuori dei tronchi più alti e voluminosi.
«È qui.» sussurrò Cedric.
Smeryld lo guardò dal basso incuriosito: Cosa è qui?
L’altro si limitò a scuotere la testa avviandosi verso il centro della radura, dove si sedette senza rispondergli, e il draghetto di nuovo lo seguì sedendosi accanto a lui senza fare ulteriori domande.
Rimasero seduti in silenzio e Cedric si ritrovò a pensare, tra le altre cose, se il draghetto considerasse anche questo tempo non perso sebbene non stessero facendo assolutamente nulla. L’aveva portato nel luogo dove aveva visto morire sua madre per mano dei Krun e dove era tornato spesso: la prima volta per seppellire ciò che ne era rimasto; e ogni altra volta che era uscito per cacciare, per passare almeno una notte con lei e coi ricordi di lei che col passare degli anni sbiadivano sempre più.
Si sentì sul punto di piangere ma riuscì a trattenersi, non essendo sicuro di voler spiegare tutto al giovane drago; era ancora troppo piccolo, come minimo avrebbe voluto aspettare qualche altro mese. Ma l’avrebbe certamente evitato del tutto, se possibile, non c’era motivo che sapesse. Aveva già fatto un grande passo avanti portandolo lì con sé.
Guardò la giovane creatura di sottecchi per non farsi notare e vide che si stava guardando attentamente intorno per cogliere l’importanza di quel luogo senza chiederglielo direttamente, dunque Cedric capì che avvertiva il suo desiderio che rimanesse lontano dai suoi pensieri e tirò un sospiro di sollievo. Attirando lo sguardo del draghetto su di sé.
Si limitò a sorridergli debolmente senza dargli alcuna spiegazione per poi tornare a guardare dritto davanti a sé, e Smeryld lo imitò tornando a studiare la radura.
Riuscì a costringersi a rimanere sveglio e seduto anche dopo il tramonto nonostante al buio gli sembrasse di rivivere più chiaramente il ricordo del massacro che era avvenuto proprio poco più avanti, e si rialzarono per tornare a riprendersi le prede solo poco prima che sorgesse il sole. Il draghetto lo seguiva rimanendo distante solo pochi passi sempre rispettando il suo silenzio, ma qualcosa gli diceva che quell’esperienza, sebbene quasi del tutto muta, li avesse avvicinati.
Avevano ancora un’altra giornata da perdere – così diceva Cedric – ed era curioso di sapere cosa si sarebbe inventato il ragazzo dopo quella strana notte. Ma si limitò a dirgli di avere bisogno di dormire almeno qualche ora, quindi portarono tutte le loro prede dove avevano ucciso l’orso e Cedric si accoccolò accanto al grande animale morto per dormire. Smeryld ci mise poco più tempo a decidersi, ma alla fine si unì a lui trovando che fosse strano dormire di giorno.
E una volta che furono entrambi svegli non tornarono sugli argomenti della giornata precedente, piuttosto spesero tutto il dì a giocare; il ragazzo per la prima volta si mostrò davvero divertito e gl’insegnò come rotolarsi nella neve per disegnare diverse figure, cacciando un’altra coppia di piccoli animali nel frattempo.

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Capitolo 20
*** Gone wrong ***


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Il colore del titolo del capitolo corrisponde al colore della regione in cui la storia al momento si svolge, tenete d'occhio la mappa per sapere dove ci troviamo!

GONE WRONG

La prima ad andare nel panico per il mancato ritorno dei ragazzi per cena fu Moriel, che obbligò i suoi due figli a cercare il ragazzino insieme a lei. Ma venne presto a sapere che anche Gerida cercava sia Jennifer che Mike, ospite a casa loro da qualche tempo, e in un primo momento pensarono che si fossero fermati a dormire tutti insieme a casa di qualcuno. Si misero quindi a cercare per il villaggio accompagnate dai figli di Moriel, ma non li trovarono da nessuna parte, nemmeno a casa di Layla.
La ragazza origliò la conversazione dalla finestra di camera propria, e quando le due donne e i due giovani uomini se ne furono andati si preparò in silenzio, sapendo che probabilmente sua madre non l’avrebbe lasciata uscire in quell’occasione. Scese le scale scalza e si mise gli stivali solo davanti alla porta, scusandosi in un sussurro perché sapeva che il suo gesto avrebbe spaventato a morte la donna che al momento ravvivava il fuoco nel camino. Aprì piano la porta e altrettanto lentamente la richiuse senza fare rumore, si strinse nel mantello e sparì coperta dal buio della notte.
Era indecisa se andare a chiamare Emily oppure no, ma alla fine pensò che il suo aiuto, o anche solo la sua presenza, l’avrebbero aiutata a ragionare lucidamente e a rimanere tranquilla. Quindi si diresse verso casa dell’amica e bussò alla porta.
Ci mise un po’ ad aprirla, ma per fortuna fu proprio lei a presentarsi, così poté raccontare la verità invece che mentire a sua madre, e senza pensarci troppo a lungo Emily decise di accompagnarla.
Lungo la strada Layla le sussurrò, per non essere sentita: «Speravo di incontrare i draghi o Cedric, nel bosco. Sento che si sono cacciati nei guai quei testoni.»
«Già, e speriamo che non sia a causa di quei soldati, altrimenti chissà cosa gli faranno...» ribatté l’altra a mezza voce.
Se ne andarono in fretta dirette verso il bosco, sperando di trovare i piccoli draghi ad aspettarle alla tana e che non fossero anche loro prigionieri dei soldati.
Trovarono invece Cedric e Smeryld intenti a tornare verso casa di lui, il draghetto trascinava un cervo morto tutto contento e il ragazzo, stranamente, rideva allegro. Tutti e quattro si fermarono, sorpresi di essersi realmente ritrovati in mezzo a un bosco di notte, e Cedric domandò loro cosa ci facessero lì.
Dunque Layla, chiaramente sollevata per averlo trovato, gli spiegò i suoi dubbi e lui non tardò a incupirsi. Propose alle due ragazze di andare a prendere i cavalli per essere sicuri di poter sfuggire ai soldati nel caso in cui fossero coinvolti, dunque intimò a Smeryld di rimanere lì fermo con la scusa di dover badare alle loro prede, lasciandogli anche quelle che lui trasportava.
Il draghetto tentò una debole protesta ma il ragazzo ripeté inflessibile: «Resta qui!» e se ne andò di corsa insieme alle ragazze soltanto quando fu certo che gli avrebbe obbedito.
Prepararono in fretta Hurricane Nuvola e Tempesta, i quali fino a pochi minuti prima dormivano tranquillamente, poi discussero di dove questi soldati potessero essere accampati. Dal momento che non li avevano mai visti attraversare il villaggio tutti insieme per poi dirigersi dov’era morta Khraalzeh immaginarono che fossero accampati sulla riva est del fiume Rimer, a sud di Darvil.
Era una prateria a dir poco vasta, ma trottando qualche minuto verso sud alla fine giunsero abbastanza vicini al loro accampamento da vederne il fuoco centrale. Cedric fece loro cenno di rimanere ferme in sella, mentre lui smontò a terra e si avvicinò a piedi al campo improvvisato per fare meno rumore, con l’arco in pugno. Layla si agitò in groppa alla giumenta, in ansia per il ragazzo, ma mantenne la presa salda sulle redini e non scalciò sui suoi fianchi.
Lui riuscì ad avvicinarsi abbastanza da doversi nascondere dietro una tenda per non essere visto, rimase sufficientemente distante da non innervosire i cavalli legati lì vicino, due che trainavano i carretti e diversi altri, tra cui quelli dei ragazzi, legati a dei pali. Sentì degli strani versi che lo fecero rabbrividire, poi con cautela sbirciò da dietro la tenda e vide tutti i loro compagni sdraiati su delle coperte, un soldato lì accanto, e più avanti i genitori di Susan con gli occhi puntati sulla figlia.
Sentì un soldato gridare un allarme e infine comparve nel suo campo visivo, stava indicando a nord; probabilmente aveva scorto le sagome dei tre cavalli stagliati sulla neve. Quasi andò nel panico quando sentì l’intero accampamento mobilitarsi mentre i soldati indossavano le armature e preparavano i cavalli. I ragazzini si destarono e si guardarono intorno con rinnovata speranza.
Cedric si allontanò silenziosamente e appena fu lontano corse più veloce che poté verso il cavallo facendo cenno alle ragazze di galoppare via.
Emily colse al volo, vedendo del movimento frenetico all’accampamento, e disse subito a Layla: «Andiamocene.»
«Ma...»
«Subito!» esclamò, e così dicendo spronò Tempesta al galoppo.
Layla guardò Cedric preoccupata, poi seguì Emily augurandosi con tutto il cuore che lui facesse in tempo a raggiungere Hurricane prima dei soldati.
«Dove andiamo?» gridò Layla.
«A casa! Lasciamo i cavalli nei campi in modo che i soldati non sappiano chi li stesse cavalcando, e poi andiamo a casa!» le rispose l’amica.
Layla annuì e si guardò alle spalle: avevano centinaia di piedi di vantaggio su Cedric, e ancora di più sui soldati. Ne distinse tre staccarsi dal gruppo per seguirli al galoppo e altri due girare intorno all’accampamento per essere sicuri di non essere colti di sorpresa o attaccati da altre direzioni. Di sicuro i soldati li avrebbero seguiti fino al villaggio, non c’erano altri posti dove tre ragazzini potessero fuggire, ma era certa che anche il ragazzo si sarebbe trovato d’accordo con lei ed Emily: non aveva senso che tutti e tre facessero da esca, lui li avrebbe attirati dietro di sé e loro avrebbero cercato un altro modo per risolvere la situazione.
Anche Cedric decise di spronare il suo cavallo a galoppare più veloce che poteva fino a Darvil; era piuttosto tardi e la gran parte degli abitanti era già in casa a riscaldarsi davanti ai fuochi o a dormire. Attraversò di corsa il ponte, gli zoccoli dell’animale battevano violentemente il legno schioccando come nacchere, e pochi secondi dopo sentì gli schiocchi provocati dagli animali dei cavalieri. Non fermò la corsa del cavallo, galoppò dentro il villaggio lungo la via maestra fino alla piazza principale, senza incontrare nessuno. Un cantastorie lo guardò severamente, interrompendo la propria lettura alla luce di una fiaccola.
Giunto lì fece arrestare l’animale e scese con un balzo quasi inciampando nella fretta, poi corse in un vicolo per nascondersi alla vista dei cavalieri; si disse che chiedere aiuto in giro per il villaggio fosse inutile: per lui ben poche persone avrebbero alzato la voce contro i soldati.
Anche quelli fermarono gli animali, ma solo due di loro scesero per cercarlo; Cedric non aveva lasciato molte tracce, dal momento che la neve c’era ma le sue orme non erano le uniche presenti, i soldati dovevano seguire quelle poche tracce che avevano e cercarlo nei dintorni.
Il ragazzo si precipitò in un vicoletto tra due case in cui persino lui faticava a infilarsi, e sbucò dall’altra parte dove sapeva esserci una grata malferma che conduceva a uno di quei luoghi in cui gli altri soldati tempo prima lo avevano rinchiuso per avvelenarlo. Anni addietro anche adulti e bambini si erano divertiti più volte a chiuderlo dentro lasciandolo lì per giorni.
Scacciò con forza i brutti ricordi, smosse la grata e strisciò all’interno, era un salto di quasi un braccio e per poco nella fretta non si ruppe entrambi i polsi per attutire la caduta, rotolò su un fianco e si rialzò subito per richiudere la grata, indietreggiò fino a poggiare la schiena alla parete opposta, e attese, le orecchie tese pronte a cogliere ogni rumore appartenente ai soldati.
Sperò di non essere nel torto dando per scontato che quelli non l’avrebbero cercato nello stesso tipo di posto in cui avevano provato a ucciderlo. Ansimava per la paura che aveva avuto di non riuscire a nascondersi in tempo, ma ugualmente riuscì a origliare una conversazione.
A porre la domanda fu sicuramente uno dei soldati che lo cercavano: «Avete visto un ragazzino correre qui intorno? Alto, vestiti scuri.»
«A quest’ora i ragazzini non girano per il villaggio.» rispose un anziano.
«Infatti, lo stavamo inseguendo.»
«E perché mai?»
«Ha... una cosa che ci appartiene.»
«Oh, un ladruncolo? No, mi dispiace, non ho visto né sentito nulla. Sarà la vecchiaia?»
Cedric non era certo che quel vecchio lo stesse coprendo consapevolmente, ma volle essere ottimista. Si lasciò scivolare a terra sfregando la schiena contro il legno umido e coperto di muschio, e lì attese immobile e intimorito finché il soldato e il vecchio non se ne andarono. Ma attese anche oltre, per essere sicuro che non fossero più nei dintorni. Sapeva che ancora lo stavano cercando, e anche che non potevano essere tanto lontani.
Si maledisse per aver lasciato il cavallo nero in mezzo alla piazza; oltre che a essere in bella vista annunciando la sua presenza nei paraggi, se se ne fossero impossessati non se lo sarebbe mai perdonato.
Infine si decise ad azzardare la sua prossima mossa, si alzò e si arrampicò fino ad arrivare all’altezza del terreno, spinse la grata di metallo con cautela e con uno sforzo, ma cercando di fare meno rumore possibile, si trascinò fuori. S’infilò nello strettissimo vicolo per tornare a sbirciare la piazza principale. Il suo cavallo era ancora lì fermo, trattenne un sospiro di sollievo e immediatamente dopo vide l’altro soldato, quello rimasto a cavallo, parlare con il cantastorie.
«Non ne ho idea, casa sua non è da queste parti. Ma ditemi, prima che apra bocca, perché lo cercate?» stava dicendo l’uomo con voce arrochita strofinandosi il naso adunco.
«Dobbiamo parlargli.»
«Oh, capisco. E di cosa?»
«Affari che non dovrebbero riguardare né voi né lui.»
L’uomo fece un verso con la gola, dubbioso: «Degli uomini armati si presentano qui nel nostro villaggio, ci perseguitano con domande riguardo la guerra e danno la caccia ai nostri ragazzi, il tutto senza che noi possiamo pretendere delle risposte. Da dove venite?»
«Da est.»
Il cantastorie stava per aprire bocca, quando incontrò lo sguardo di Cedric. Il ragazzo si riscosse e fece disperatamente cenno di tacere, di sviarlo, di non consegnarlo a quell’uomo. L’anziano scosse la testa come riprendendosi da un sogno e tornò a guardare il soldato pensando a cosa fare.
«Beh, non è una risposta esaustiva.» disse infine, scegliendo di coprirlo.
«Ma è tutto ciò che dovete sapere. Dove abita il ragazzo?»
«Non è andato a casa, ve l’ho detto, abita altrove.»
«E gli altri allora? C’erano tre ragazzi a cavallo, dove sono gli altri due?» insistette l’uomo in armatura cominciando a spazientirsi.
«Non ho visto nessun altro in groppa a un cavallo, a parte voi s’intende!»
Cedric ringraziò il cantastorie con un cenno del capo, poi tornò indietro, infilandosi di nuovo in quello stretto vicolo per sfuggire a occhi indiscreti tra le ombre delle case, e si chinò per richiudere la piccola grata che nella fretta aveva lasciato aperta.
Ma appena si rialzò qualcuno lo afferrò stretto alle spalle e gli cinse il collo con un braccio d’acciaio, quello bastò a fargli capire di chi si trattasse.
«Eccoti qui.» disse infatti la voce del soldato a piedi che aveva parlato col vecchio poco lontano dal suo nascondiglio, il suo alito puzzava di alcol.
«Lasciami andare.» gli disse freddo, faticava a parlare con quel braccio stretto saldamente al suo collo.
«Altrimenti? Chiami il tuo piccolo drago?» il ragazzo fece un verso, come a dire che ci stava facendo un pensiero, ma entrambi sapevano che la creatura era troppo distante «Forza, cammina.» e lo spinse con forza costringendolo a muovere qualche passo.
Finse di assecondarlo per qualche iarda, ma appena vide un altro vicolo stretto, con tutta la forza che riuscì a trovare provò a lanciarvisi dentro, sapendo che il soldato – dalla corporatura più robusta e ingigantito dall’armatura – sarebbe rimasto indietro, fermato dal legno delle case. Cogliendolo alla sprovvista riuscì quasi a sfuggirgli guidandolo verso il vicolo. Il metallo dell’armatura cozzò contro il legno producendo un forte rumore, l’uomo non sembrava voler mollare la presa sul suo collo e strinse tanto da impedirgli di respirare.
Dimenandosi e lottando con tutte le sue forze alla fine riuscì a sfuggirgli, perché il cavaliere poteva far passare un solo braccio nel vicolo, ed era in svantaggio. Cedric cadde a terra quando all’improvviso fu libero della sua presa. Lo spazio era così stretto che per avanzare era costretto a proseguire con la schiena rivolta a una parete; era sdraiato su un fianco, sollevato su un gomito, e sia il gomito che la spalla – che aveva attutito il colpo – gli facevano male. Fece appena in tempo a rialzarsi pronto a correre dall’altra parte, quando sentì un dolore lancinante al fianco destro, esposto al cielo.
Si lasciò sfuggire un urlo e ricadde a terra incapace di reggersi sulle gambe, gli girava la testa e aveva cominciato a tremare, ansimava e il fianco bruciava, gli sembrava che lo stessero ustionando con un ferro rovente. Ebbe la forza di guardarsi alle spalle e vide il soldato rinfoderare una lunga spada per poi afferrargli una gamba sorridendo soddisfatto. Reagì scalciando nonostante lo spazio bastasse a malapena per sollevare la gamba, e tutti i suoi muscoli protestarono per lo sforzo. Si ritenne fortunato tuttavia: la faretra che aveva ancora al fianco aveva in parte deviato il colpo.
Le sue grida avevano però allertato il vicinato e gli altri due soldati; gli ultimi accorsero per primi, ma poco dopo alcuni abitanti uscirono dalle proprie abitazioni con torce o candele accese tra le mani e cominciarono a guardarsi intorno in cerca del pericolo. Trovarono i tre soldati, di cui uno mezzo infilato nel vicolo, e cominciarono a fare domande pretendendo una risposta.
Cedric dal canto suo continuava a lottare con quel soldato, finché alla fine l’uomo perse la presa e si rialzò, pronto ad aggirare le case per aspettarlo dall’altra parte, ma i cittadini lo placcarono, impedendo a tutti e tre di allontanarsi, inveendo sempre più numerosi e chiedendo spiegazioni.
Dolorante e tremante il ragazzo si rialzò e uscì dallo stretto vicolo a malapena riuscendo a vedere qualcosa, ma subito cadde non riuscendo a tenersi in piedi senza appoggiarsi a una parete. Faceva il possibile per contenere versi o grida che avrebbero potuto tradire la sua posizione, sapendo perfettamente che non aveva molto tempo; prima o poi i soldati avrebbero minacciato la gente di smetterla di coprirlo, magari sfoderando le loro armi per spaventarli.
Si allontanò più in fretta che poté trascinandosi e incespicando tra una stretta via e l’altra, finché non si ritrovò di nuovo nella piazza principale. Ma il suo cavallo non c’era più. Imprecò a mezza voce e si costrinse a rialzarsi per camminare, aveva intenzione di tornare a casa e nascondersi, avrebbe dovuto attraversare una zona senza case ed era certo che avrebbe fatto una fatica terribile anche solo a reggersi in piedi.
Sentì i soldati riprendere a cercarlo, ignorando le grida arrabbiate dei cittadini, e cominciò a correre cercando di non pensare al dolore della ferita e delle botte appena prese. Poco dopo aver passato il ponte vide il cantastorie dirigersi verso casa sua, con le redini del suo cavallo in mano. Si fermò barcollando davanti a lui e ricadde a terra ansimando.
L’uomo si spaventò e imprecò, a sua volta spaventando il cavallo: «Ti senti bene?» gli domandò poi.
Lui scosse la testa e disse a fatica: «Grazie per aver portato qui il cavallo, ora me ne occupo io.»
«Serve una mano?» chiese, stringendosi nel mantello consunto.
«No. Grazie anche per avermi coperto.»
«Cosa vogliono quegli uomini? Perché prendersela con te?»
«Non lo so.» mentì, si rialzò e salì in groppa all’animale con uno sforzo di cui si pentì «Ma non c’è molto tempo, devo andare. Grazie ancora.» e detto questo prese in mano le redini e lo spronò al galoppo.
Gli dispiacque abbandonare quell’uomo e lasciarlo in mezzo al nulla confuso, con mille domande per la testa, ma non c’era tempo da perdere e non poteva raccontargli la verità. Galoppare gli faceva quasi più male che correre, casa sua non distava più di un minuto a quella velocità, ma bastò a farlo lacrimare.
Giunto davanti alla porta smontò da cavallo e letteralmente si lasciò andare contro il legno sbattendo di peso contro la porta, si accasciò a terra e bussò da seduto, ma era già tardi e nessuno rispose. Non poteva immaginare che la porta fosse chiusa solo a chiave, senza l’asse a bloccarla; erano abituati diversamente, di solito doveva aspettare davanti a casa che Jorel uscisse per andare a lavoro per poter rientrare dopo aver cacciato. Lo chiamò senza poter alzare troppo la voce per non essere sentito dai soldati, bussò più forte alla porta, lanciò della neve contro le finestre. Ma ancora nessuno rispose.
Credeva di avere almeno un lieve vantaggio sui soldati, soprattutto perché non sapevano dove fosse andato, ma senza accorgersene, né tantomeno volerlo, alla fine svenne pur non essendosi mosso.
Si riebbe dopo poco in realtà e solo perché sentì i soldati gridare. Si guardò intorno confuso e li vide avvicinarsi a lui, ora silenziosi per non destare chi in casa stesse dormendo. Dopo un poco realizzò di aver combinato un disastro e col cuore in gola cercò di rialzarsi per salire in sella al cavallo nero, ma uno dei tre soldati scese a terra e lo afferrò per i capelli costringendolo poi a inginocchiarsi, quasi senza sforzi, per poi disarmarlo.
Quando gli parlò Cedric riconobbe che era uno dei due soldati che già tempo prima aveva cercato di metterlo fuori gioco, la sua voce pareva un ringhio divertito: «Finalmente sei nostro, piccolo bastardo.»

La situazione si faceva più tesa ogni minuto che passava, il capo dei soldati continuava a marciare avanti e indietro davanti a loro con passo pesante, le braccia incrociate e il viso contorto in un’espressione grave. Un soldato stava invece affilando da un po’ la sua lunga spada; quel gesto ripetitivo e lo sgradevole rumore della lama che strideva contro la pietra fece rabbrividire i ragazzi, e Jennifer non poté fare a meno di chiedersi perché lo stesse facendo, temendo che stesse solo aspettando che gli altri tornassero per sgozzarli tutti e poi prendersi i piccoli draghi indifesi.
Dopo aver atteso in silenzio per diverso tempo, uno dei soldati sbottò: «Oh andiamo! Perché non cominciamo a interrogare questi qui, che importa se non ci sono tutti?»
«Importa, il nostro obiettivo non è interrogarli.» ribatté il capo severamente.
«E cosa volete fare?» domandò Andrew ingenuamente.
Tutti lo fissarono, i ragazzi preoccupati.
Poi Jennifer lo assecondò, decisa a prendere tempo: «Già, che volete? Dovete ucciderci? Vi manda qualcuno?»
I soldati risero e il capo rispose: «Sì ragazzina, ci manda qualcuno. E no, potremmo decidere di non uccidervi, se collaborerete. Altrimenti...» diede due sonore pacche al suo fianco, da cui pendeva una spada ancora più lunga di quella che il soldato prima stava affilando. Susan tremò alla vista dell’enorme arma dalla lama curva che pendeva inerte al fianco dell’uomo e a tutti loro venne naturale guardare Mike, ancora steso sulle coperte che mormorava qualcosa d’incomprensibile ogni tanto, forse privo di coscienza di sé e sul punto di svenire.
«Però chi ci vieta di fargli qualche domanda lungo il tragitto? Non ci è stato detto nulla a tal proposito.» disse un altro.
«Portarci dove? Perché?» intervenne Susan, sperando di distrarli.
«Non vi è dato saperlo.» rispose il capo, fece per rispondere agli altri due soldati.
Ma Jennifer parlò prima di lui: «Temo di sì invece, dopotutto noi abbiamo i draghi dalla nostra parte.»
L’uomo la guardò con crescente antipatia: «Tristemente vero, ed è per questo che ora, appena gli altri torneranno, verrete con noi.»
«Tenerci prigionieri non vi farà guadagnare la nostra simpatia.» osservò lei.
«Ma ci garantirà la vostra collaborazione. Non potrete reagire con le mani legate. Ma potete parlare, e ammetto che si sta rivelando fastidiosa la cosa. Quindi, perché non dite qualcosa di utile, invece di infastidirci?»
Ma Jennifer fece un’altra domanda: «Cosa sono questi versi?»
«Demoni.» rispose il soldato vicino alla mola «Chiusi in quelle gabbie laggiù.» dunque indicò una gabbia su un carro.
Il capo si avvicinò a loro e guardò Susan dall’alto: «Allora, torniamo a noi. Da dove arrivano i draghi?»
«Dalle uova, che domanda idiota!» esclamò Jennifer.
«Da dove vengono quei draghi?» ripeté il capo incollerito.
«Dalle uova.» ripeté Andrew con decisione.
«Da dove vengono le uova?»
«Lo volete proprio sapere? Beh, funziona più o meno come per gli uomini, solo che a partorire è stata una dragonessa...»
«Smettetela di giocare! Sappiamo benissimo come funziona! Come avete fatto a impossessarvene, come avete fatto a convincere dei Draghi ad allearsi con voi?»
«Non l’abbiamo mai fatto.» disse Jennifer, rise per provocarli, ma Susan le diede un colpetto col piede per farle capire che fosse meglio non farlo.
L’uomo afferrò Susan per i capelli, lei gridò e gli altri insorsero, ma lui continuò imperterrito: «Rispondi alle mie domande.»
Lei lo guardò con le lacrime agli occhi, sapeva perfettamente che non aveva il coraggio di giocare a guadagnare tempo, ma doveva farlo. Quindi rispose con voce flebile: «Quali domande? Hanno già risposto loro.»
Il capo sospirò a fondo e un soldato aggiunse: «Abbiamo a che fare con degli stupidi ragazzini, nulla più. Sarà più facile trasportarli, ma sarà una scocciatura. Ignoriamoli.»
«O possiamo direttamente sgozzarli e cercare le uova, o i draghi se sono nati.» disse un altro.
«Nerkoull vi ammazzerebbe.» disse Andrew d’impulso. Quando tutti i soldati lo guardarono si fece piccolo sotto i loro sguardi e aggiunse con voce tremante: «Beh, non potete ucciderci, abbiamo un accordo con lui.»
«Davvero?» fece il capo, lasciò Susan e si diresse verso lui, Andrew tremò evidentemente a disagio «Che tipo di accordo?»
«Non possiamo parlarne con nessuno...» balbettò.
«Nemmeno su minaccia di morte?»
Scosse la testa: «Come ho già detto, no. E non potete ucciderci.»
«Se non collaborate...» sguainò la spada e la puntò contro Andrew.
Susan gridò d’impulso: «Per qualsiasi cosa dobbiamo rivolgerci a lui! È questo il patto!» tutti gli uomini la guardarono «Quindi,» aggiunse «se ci portate via con la forza lui prima o poi lo verrà a sapere! Che ci abbiate uccisi o meno. E verrà a cercarvi, trovandovi quindi coi cuccioli. Non vi conviene torcerci nemmeno un capello!»
Uno dei soldati rise: «Mente solo per salvargli la pelle.»
«Può darsi.» commentò un altro «Ad ogni modo questo Nerkoull comincerà a cercarci magari tra due mesi, e non potrà seguire le nostre tracce.»
«Già, non abbiamo nulla da perdere, facciamoli fuori.» assentì il soldato più lontano da loro.
«Noi abbiamo bisogno dei draghi, non di questi marmocchi. Eravamo qui per trovare solo le uova, non ci è stato detto di portarci dietro anche eventuali amici dei draghi, ci servono loro soltanto, non un gruppetto di ragazzini che pretende di essergli amici.»
«Non hai torto.» disse il capo.
Si sentì un rumore di cavalli al galoppo che interruppe la loro conversazione e tutti guardarono verso nord, dove poco dopo i tre soldati che avevano inseguito Cedric entrarono nel cono di luce emanato dal grande fuoco, con il ragazzo e il suo cavallo nero.

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Capitolo 21
*** Magic ***


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Il colore del titolo del capitolo corrisponde al colore della regione in cui la storia al momento si svolge, tenete d'occhio la mappa per sapere dove ci troviamo!

MAGIC

Gli amici si guardarono terrorizzati mentre uno dei tre soldati prese il ragazzo e lo sollevò di peso dalla sella, per poi lasciarlo cadere a terra davanti agli altri tutt’altro che gentilmente. Susan lanciò un acuto e breve strillo mentre un paio di soldati battevano le mani ed esclamavano vittoriosi.
«Non è finita, i cavalli che abbiamo visto erano tre.» commentò aspramente il capo, poi s’inginocchiò davanti all’ultimo arrivato, il quale a fatica cercava di restare sveglio e tremava per il dolore, quindi si rivolse a lui: «Dove sono andati gli altri due?»
Cedric chiuse gli occhi e non rispose, allora l’altro gli prese i capelli dietro la nuca e spinse con forza il suo collo verso terra rendendogli difficile respirare, Susan squittì implorante di non fargli del male. Un paio di soldati al contrario sghignazzarono.
Il capo invece la zittì con un rapido gesto del braccio libero, poi tornò a concentrarsi su Cedric: «Qual era il vostro piano? Dove sono spariti? Chi è Nerkoull?» ma lui di nuovo non rispose e l’uomo ridacchiò piano: «Tu sei quasi adulto, vero? Quanti anni hai? Quindici? O proprio sedici? Perciò non dovrei sentire la coscienza sporca facendo... questo.» e nel dirlo gli sferrò un colpo allo stomaco facendolo gridare, e Susan a sua volta urlò terrorizzata, ma il soldato la ignorò. Anzi sembrò che avesse gradito il suo grido perché ghignò soddisfatto.
Provò a farlo parlare per diversi minuti, frustrato perché il ragazzo non cedeva, ma alla fine si vide costretto a smettere altrimenti l’avrebbe fatto svenire. Con un grugnito rabbioso si rialzò e si allontanò verso il fuoco, i suoi sottoposti lo guardavano ansiosi come temendo che avrebbe sfogato la rabbia su di loro. Susan piangeva sommessamente per non scatenare l’ira degli uomini attorno a lei e Andrew tremava visibilmente, scosso e impaurito.
Ci fu un lungo silenzio carico di tensione, nulla si muoveva eccetto il fuoco da campo e il capo dei soldati che camminava repentinamente avanti e indietro, forse pensando alla prossima cosa da fare. E intanto i demoni all’interno delle gabbie, qualunque cosa fossero, continuavano a produrre sinistri rumori tra cupi ringhi, soffi, grugniti e versi striduli.

Layla ed Emily, una volta certe che i soldati se ne fossero andati, uscirono dal loro nascondiglio tra due case e sgattaiolarono verso i campi dove avevano lasciato le due giumente. Montarono in sella e in tacito accordo le spronarono al galoppo. Attraversarono il villaggio, le cui strade erano ora affollate, procurandosi diverse occhiatacce e seguite dalle grida infastidite degli abitanti; nessuno le riconobbe, perché nessuno riusciva a guardarle abbastanza a lungo da distinguere altro che non fossero i capelli o il mantello di Emily.
Si fermarono solo quando giunsero vicine all’accampamento, dove videro del movimento, ma appena Layla distinse chiaramente uno dei soldati inveire contro Susan spronò nuovamente Nuvola a galoppare; quella vista l’aveva accecata dalla rabbia, come osava un uomo adulto prendersela a quel modo con una ragazzina con le mani legate, totalmente indifesa?
Il rumore degli zoccoli che calpestavano la neve fredda attirò parte dei soldati, ma non quello che stava per colpire Susan dritta in faccia con un guanto metallico, probabilmente perché non la smetteva di piangere. E Layla capì il perché appena vide Cedric e Mike davanti a lei, sdraiati sul loro stesso sangue.
Alcuni uomini urlarono vedendola, ma lei non ci fece caso. Fermò la giumenta che nitrì irrequieta, colta dall’ira tese la mano libera e gridò forte: «No!» sembrava quasi un ordine più che una disperata richiesta.
Ci fu una grande confusione dopo quella parola; un’esplosione di luce viola e bianca, un boato assordante, poi le grida di più uomini e il tonfo del metallo che cadeva a terra. Si sentì immediatamente debole e frastornata, confusa, quasi incapace di capire cosa lei stessa stesse pensando. Si afflosciò sul collo della giumenta sopraffatta mentre la luce svaniva rivelando ciò che era successo: i soldati, tutti quelli più vicini ai ragazzi, erano stati scagliati lontano da qualcosa d’invisibile, e ora erano sdraiati scompostamente a terra, le armi ancora in pugno.
A quel punto tutti guardarono verso lei, con occhi sgranati, un paio di soldati indietreggiarono boccheggiando d’incredulità. Gli altri che non erano stati sbalzati via invece le corsero incontro gridando.
Ma lei non ci fece caso, si sentiva debole, non capiva cosa stesse succedendo e non vedeva realmente quello che guardava. Non sentì Jennifer gridarle di galoppare via, e nemmeno si accorse dell’arrivo di Emily che la strattonò disperata cercando di riportarla alla realtà.
Approfittando della confusione che si era venuta a creare Cedric sussurrò: «Nerkoull.»
Solo Susan lo sentì, si piegò su di lui e domandò incredula: «Cos’hai detto?»
Lui si costrinse a parlare più forte: «Chiama Nerkoull.»
Non capì il perché di quella richiesta, pensò che la perdita di sangue gli stesse dando alla testa. Ma ugualmente prese coraggio e gridò il nome del drago adulto più forte che poté. Sembrò non succedere nulla, ma tutti i soldati del campo si erano immobilizzati e ora guardavano lei, mentre i versi dei demoni improvvisamente cessarono.
«Cos’è che hai detto?» esclamò un soldato iracondo.
Jennifer aveva gli occhi fissi su Layla, ancora imbambolata a fissare il vuoto davanti a sé, mentre Andrew guardava Susan alla sua destra con incredulità.
La ragazzina bionda ebbe un sussulto, capendo perché Cedric le avesse detto di chiamare il drago; evidentemente al contrario di lei, e di tutti gli altri, il ragazzo aveva ricordato che un drago poteva rispondere al proprio nome se veniva chiamato. Non aveva detto che anche per un umano sarebbe stato possibile chiamare un drago, aveva detto che il richiamo si usava tra draghi. Ma aveva anche detto che un drago poteva decidere se rispondere oppure no.
Uno degli uomini si stava avvicinando con passo pesante, l’arma sguainata pronta all’uso, e Susan temette di esserseli solo inimicata ancora di più. Inutilmente. Stava perdendo le speranze e tremava a ogni passo dell’uomo che si faceva più vicino; ora aveva il viso deformato da una smorfia d’odio, ringhiò ferocemente e alzò l’arma al cielo. Ma s’immobilizzò.
Un forte ruggito squarciò l’aria, annunciando l’arrivo del grande drago nero. I soldati si guardarono intorno e poi scrutarono il cielo, intravedendo una sagoma oscurare le stelle. Jennifer la vide e sussultò ritrovando la speranza perduta.
Qualcuno capì e, preso dal panico, gridò: «Nerkoull è il nome di un drago! Nerkoull è un drago!»
«E sta venendo qui! Lei l’ha chiamato!» completò un altro.
Un uomo tentò di spegnere il fuoco, come se al buio potessero sfuggire agli acuti occhi della creatura. Il soldato vicino a Susan imprecò guardandola negli occhi, ma il terrore ancora gli paralizzava gli arti, non riuscì a scappare per mettersi in salvo né a calare il colpo per porre fine alla sua vita. La ragazzina ricambiava lo sguardo atterrita e a bocca aperta.
Aveva funzionato davvero! Nerkoull stava arrivando in loro aiuto! Non riusciva a crederci. Presto sarebbero stati salvi. E avrebbe riabbracciato i genitori. Stavano bene! Era tutto troppo bello per essere vero.
I soldati al campo correvano da una parte all’altra frenetici, preparandosi ad affrontare un drago per la prima volta in vita loro; non ne avevano neanche mai visto uno, ne avevano solo sentito parlare nelle leggende. Non avevano idea di cosa gli stesse arrivando addosso.
Emily era anche lei paralizzata, come i genitori di Susan, guardava il cielo ora che aveva intravisto la sagoma di un drago muoversi. Non le parve tanto grande, ma era certa che si stesse avvicinando. S’ingigantiva sempre più, fino a oscurare una grande porzione di stelle e lasciarla senza fiato: dovette ricredersi, Nerkoull era enorme. Ed era dire poco.
Una folata d’aria gelida l’investì quando Nerkoull frenò e rimase sospeso a mezz’aria sopra al campo, i cavalli nitrirono terrorizzati mentre la neve sferzava violentemente i volti di umani e animali. Presto a tutti furono note le effettive dimensioni del drago, le cui scaglie e spine lucide scintillavano alla luce fredda delle lune. Il gelido vento provocato dalle sue grandi ali quasi spense il fuoco in mezzo al campo, fece volare i teli che coprivano le gabbie sui carri rivelando una famiglia di quelli che sembravano gatti, e quasi scoperchiò le tende dell’accampamento.
Nonostante fosse imbavagliata, Jelena lanciò un urlo strozzato cercando di allontanarsi, ma gli arti legati resero inutile ogni suo tentativo. I soldati erano ora pallidi e non distoglievano lo sguardo dagli occhi rossi del drago, il quale ringhiò ferocemente.
Non sputò fuoco, perché le sue fiamme sarebbero state visibili a centinaia di miglia di distanza durante la notte, perciò si limitò a usare un altro tipo di magia: ringhiò di nuovo e la bufera di cristalli di neve attorno a loro prese una forma più solida, andando poi ad aggredire i soldati come mossa da correnti d’aria che sfidavano quelle provocate dalle sue ali. La neve rincorse gli uomini, compattandosi a poco a poco attorno ai loro corpi: il fatto che fossero ricoperti di metallo, e quindi non caldi, rese più facile al gelo attecchire a loro formando strati di ghiaccio, fino a ricoprirli del tutto e soffocare le loro grida. Di quegli uomini non rimasero altro che cumuli di neve ghiacciata che presto si confusero col resto del paesaggio della prateria. Solo allora Jelena smise di gridare, comprendendo che l’enorme creatura fosse lì per aiutarli, e quindi non si trattasse di un pericolo per lei e la sua famiglia.
Tutti i superstiti, eccetto Mike e Cedric, ora guardavano il drago nero a bocca aperta e occhi sgranati. Lui comprese il loro sgomento e atterrò delicatamente poco lontano dal campo.
Parlò solo ai ragazzi amici dei giovani draghi: Questi erano i soldati di cui avete parlato?
«Sì!» gli rispose subito Susan, procurandosi le occhiate incredule dei genitori e di Emily che pensarono stesse parlando da sola «Grazie per aver risposto Nerkoull! Grazie infinite!»
Ho percepito il pericolo nella tua voce, non potevo rimanere indifferente. Non dovete ringraziarmi, ho fatto un favore anche... ai miei nipoti disse incerto, sicuro che in quel modo gli umani avrebbero compreso meglio Purtroppo non posso aiutarvi oltremodo, ma le creature rinchiuse in quelle gabbie potranno esservi d’aiuto. Lasciate che le liberi per voi.
Così dicendo di nuovo usò qualche tipo di magia, perché una lingua di fuoco si staccò dal falò tingendosi di un sinistro colore scarlatto e, come dotata di vita propria, volò verso il lucchetto che teneva chiusa la gabbia per poi esplodergli addosso in mille scintille rosse, liquefacendo il metallo.
E ora è meglio che vada, prima che qualcuno noti la mia sagoma nera sulla neve. Vi auguro di riprendervi in fretta. Buonanotte aggiunse all’ultimo spalancando le ali, poi prese il volo e se ne andò rapidamente verso la Foresta, seguito dagli sguardi di tutti.
Calò il silenzio, finché Emily si riebbe e scese in fretta da cavallo per liberare i ragazzini delle corde che li tenevano immobilizzati a terra. Appena fu libera Susan corse a liberare e abbracciare i propri genitori, mentre Jennifer corse da Layla e Andrew si affiancò a Mike e lo scosse preoccupato per accertarsi che fosse ancora cosciente, ma rimase deluso nel constatare che era svenuto da diversi minuti.
Le creature, o demoni come li avevano chiamati i soldati, finalmente uscirono dalla gabbia con passo felpato e si portarono vicino al fuoco per mostrarsi. Dunque tutte le attenzioni degli umani furono per loro.
Sembravano gatti, ma due di loro erano grossi quanto cani da guardia, gli altri due erano più piccoli e sembravano dei cuccioli. Avevano occhi scintillanti, ognuno di un colore diverso; giallo e verde i due adulti, rosa e rosso i due più piccoli. Avevano lunghe orecchie e zanne scoperte, troppo grandi per stare nascoste. I due felini guardarono gli umani dritto negli occhi, e quelli ricambiarono lo sguardo sudando freddo dalla paura.
Il felino dagli occhi verdi e il pelo nero e lucente come la notte tremò, poi sfiorò le loro menti fino a potergli parlare e con una strana voce, che suonava stridula ma nello stesso tempo antica, melodiosa, gentile e femminile, disse loro: Il vostro aiuto è gradito, il vostro cuore è gentile. Avete la nostra riconoscenza, Amici dei Draghi.
Erano ormai abituati a sentire voci che solo la mente poteva cogliere, ma la coscienza della gatta era molto diversa da quella dei loro draghi; pareva in egual modo intelligente, ma era indubbiamente molto più vecchia e sapiente. I ragazzi si chiesero quanti anni avesse, ma era impossibile capirlo sia dall’aspetto che dalla voce.
«Grazie, ma cosa... cosa siete?» balbettò Andrew.
Emily lo guardò confusa e sentendosi esclusa capendo che come i piccoli draghi quei gatti evidentemente parlavano col pensiero, poi tornò a fissare i cosiddetti demoni.
Gatti Ferali, tra i pochi rimasti al mondo. Per questo motivo consideriamo rimarchevole il vostro gesto, da quest’oggi sarete anche nostri Amici. Non dovrete mai più temere la nostra ombra, anziché aggredirvi camminerà al fianco della vostra. Yzah è il mio nome, Kalle è il mio compagno. Ani e Geish sono la nostra preziosa prole.
«Avete dei... poteri magici? Perché questi soldati vi volevano?» domandò Susan, ormai ritornata alla realtà.
È così rispose Kalle, dagli occhi gialli e il pelo rossiccio, scosse un orecchio e riprese: Quelli che voi chiamate poteri magici per noi non sono altro che un Dono, un Dono che ci distingue dai comuni gatti. A volte intorno a noi accadono cose che voi direste essere strane. Magia. Agisce quando vogliamo, e anche quando meno ce l’aspettiamo.
Yzah prese nuovamente parola: Alcuni di noi nascono dal grembo di una normale gatta, con occhi luminosi e zampe lunghe, e vengono abbandonati, non riconosciuti dai propri genitori. Ma la Magia ci aiuta a sopravvivere, provvede a noi come noi provvediamo ai nostri cuccioli, e non ci lascia mai soli.
«C’è un motivo per cui la magia vi... sceglie?» domandò Jennifer, non del tutto sicura che fosse la parola giusta.
Se c’è un motivo, non ci è dato saperlo disse il maschio con voce suadente e allo stesso tempo indifferente Il Dono ha scelto noi, e noi non domandiamo. Lo accogliamo.
«Succede lo stesso ai draghi?» domandò Andrew incuriosito.
Non lo stesso, non esistono creature al pari dei Draghi prive di Magia. Loro sono ciò che sono da sempre, dalla nascita del Mondo e della Magia stessa. Storie di tempi lontani raccontano che la Magia è nata coi Draghi, e i Draghi sono nati con la Magia, fanno parte gli uni dell’altra, non si possono separare.
«E quindi dopo la nascita di draghi e magia sono nate creature come voi?»
Così forse è stato, nessuno può dirlo; sono tempi così lontani da essere ormai null’altro che leggenda miagolò Yzah con voce ipnotica.
Jennifer scosse la testa e tornò al mondo reale, fece ai Gatti una timida riverenza e disse in fretta: «Vorrete scusarmi, ma due nostri amici stanno male, e un’altra è quasi svenuta...» quindi dopo averli guardati un’ultima volta tornò a rivolgere le sue attenzioni a Layla ed Emily, la quale nel frattempo aveva fatto scendere la prima da cavallo e l’aveva fatta sedere a terra.
A sua insaputa, prima Yzah, poi i cuccioli, e a chiudere la fila Kalle, si avvicinarono con passo silenzioso e misurato. Susan e Andrew si scambiarono un’occhiata perplessa, poi camminarono dietro i quattro Gatti, e dietro di loro s’incamminarono anche Jelena e Deren che non sentendo le voci dei due felini chiesero spiegazioni alla figlia in un sussurro appena udibile.
«Non si è ancora ripresa?» domandò Jennifer preoccupata, e la ragazza accanto a Layla, che la stringeva a sé per non farle toccare terra, scosse la testa.
Ha involontariamente usato la Magia, è molto debole disse Kalle, e Jennifer trasalì, mentre Emily osservò stupita tutta la comitiva che a uno a uno comparve nel suo campo visivo Non sapeva ciò che faceva.
Ha rischiato molto convenne la femmina, si avvicinò a Layla e le sfiorò la fronte col muso, la folta coda tremò, e dopo qualche secondo di attesa finalmente la ragazza aprì gli occhi.
«Layla!» sussurrò Jennifer sollevata, sentendosi felice come non lo era da ore.
Lei si guardò intorno e domandò confusa: «Cos’è successo?»
«Dicono che hai usato la magia!» esclamò Andrew animato.
«Magia... Io?» fece lei incredula.
Sei legata a un drago, la Magia vive dentro e con lui, più tempo passerete insieme, più la Magia farà parte anche di te le rispose Yzah con voce pacata, e Layla la fissò con occhi sgranati mentre Susan di volta in volta bisbigliava ai genitori le parti di dialogo che non potevano sentire.
«Ma io... io non sapevo nemmeno che esistesse la magia! Come ho fatto?»
Un gesto involontario e pericoloso, se avessi usato più Magia di quanta potessi sostenerne con le tue forze, ora saresti morta le disse Kalle con sguardo severo, dopo quelle parole calò un silenzio irreale.
«...Morta?» sussurrò Layla dopo un po’.
Con essa è meglio non giocare. Non usare questo Dono se non sai ciò che fai.
«Ma è stato involontario...» protestò Andrew.
Yzah annuì e miagolò: Lo è stato, e il vostro legame coi Draghi vi aiuta a controllarla, ma anche vi mette in pericolo perché ve lo permette, e voi non siete pronti ancora.
«Potete insegnarci?» sussurrò Cedric debolmente alle loro spalle, e tutti lo guardarono assumendo un’aria preoccupata.
Noi non siamo in grado di insegnare una simile pratica, noi usiamo il nostro Dono e nient’altro disse il felino ricambiando l’occhiata del ragazzo, poi si mosse per affiancarsi a lui, gli sfiorò il petto con la punta del muso, e come per Yzah poco prima la coda rossiccia tremò mentre tutti lividi e le ferite che il ragazzo riportava scomparivano grazie alla magia.
Lui trattenne le grida quando sentì ogni taglio bruciare, ma alla fine guardò il grande gatto e con un debole sorriso lo ringraziò. Dopodiché il felino passò a Mike, il quale borbottò qualcosa nel sonno mentre si sentiva pizzicare la gamba dove era stato ferito. Ma non si svegliò.
«Cos’ho fatto di preciso? Involontariamente.» domandò Layla quando lo spettacolo fu finito.
«Beh, io ho visto tutto... è come se i soldati avessero sbattuto contro qualcosa d’invisibile che li ha sbalzati all’indietro! Poi c’è stata una luce fortissima, e quel rumore... e quando la luce si è spenta i soldati erano a terra!» esclamò Susan, nuovamente animata.
«E poi sono svenuta.» concluse la ragazza, guardò Kalle e disse: «C’è un luogo dove possiamo imparare, se non col vostro aiuto?»
Non sappiamo molto di civiltà, ma pare che nella vostra capitale ci sia una scuola. Gli studenti potrebbero non essere visti di buon occhio per diversi motivi; primo tra tutti perché non sono molti gli Umani toccati dal Dono, inoltre coloro che non possono usufruire della Magia potrebbero ritenere pericoloso chi la pratica.
Sappiamo per certo, tuttavia, che gli Elfi la studiano e la praticano regolarmente, e questo potrebbe fare di loro ottimi maestri aggiunse la Gatta Ma dobbiamo avvertirvi, si tratta di una razza molto schiva e diffidente, e potrebbero non parlare la vostra lingua.
«Elfi!» esclamò Layla senza fiato.
«Elfi?» le fece eco Deren stranito.
Tre diverse culture si trovano ora a Dargovas disse Kalle Gli Elfi del Sole, cui si proclamano Figli della Luce, popolo orgoglioso e guerriero, devoto alla loro Divinità e null’altro. Gli Elfi delle Lune, Figli della Notte, amanti del silenzio e abili combattenti. E gli Elfi delle Foreste, detti anche Ninfe, un popolo devoto alla Natura, amanti di pace e armonia.
«Potremmo andare da queste Ninfe!» disse Andrew eccitato all’idea di incontrare dei veri elfi, che fino ad allora aveva creduto solo leggenda. Come anche i draghi, dopotutto.
Siamo in buoni rapporti con questi popoli, sono amici dei Grandi Felini e si legano a loro. Ma temo che gli Elfi delle Foreste siano pressoché impossibili da rintracciare: l’unica città elfica in cui siamo certi se ne trovino alcuni è Hayra’llen, abitata anche dai Figli della Notte disse Yzah.
«E sono pacifici... vero? Altrimenti i Figli della Foresta non avrebbero accettato di vivere con loro!» disse Susan speranzosa, le mani giunte in grembo.
In genere, sì rispose Kalle vago Ma gli Elfi sono creature dalle menti antiche e imprevedibili, persino per noi. Se siete disposti a compiere un lungo viaggio, potremmo accompagnarvi.
«Sarebbe meraviglioso!» esclamò Jennifer entusiasta, applaudendo felice.
«No, aspetta, no! E le nostre famiglie?» esclamò Susan contrariata stringendosi a Jelena che aveva appena ritrovato dopo tanto tempo e terribili angosce.
Jennifer la guardò e sorrise: «Beh, siamo Amici dei Gatti Ferali ora! Immagino che l’invito di accompagnarci dagli elfi sarà valido anche quando saremo tutti adulti! Ma ci pensi Susan? Magia!»
Non si può aspettare disse Kalle, facendo svanire il sorriso sul volto di lei Più tempo passate assieme ai Draghi, maggiori sono le probabilità che usiate la Magia, con o senza l’intenzione. Potrebbe accadere per una piccola cosa, come spostare un oggetto da un tavolo, ma potreste nuovamente trovarvi in pericolo e usarla inconsapevolmente per salvarvi. La Magia non è un Dono con cui sia permesso scherzare.
«Lo trovi ancora magnifico?» la rimbeccò Layla con una smorfia di disapprovazione.
Andrew scosse la testa ed esclamò con enfasi: «Maledizione non possiamo! Potreste lasciarci del tempo per organizzarci, o per pensarci?»
Il tempo che volete, noi non insisteremo disse lei Ma dovete tener conto del rischio che correte lasciando passare più tempo del dovuto. Potrebbe non succedere nulla, o potreste morire. La scelta resta vostra, e del vostro tempo siete voi a decidere cosa fare.
«Ma... i draghi non ci possono aiutare a imparare?» domandò Susan titubante, spaventata sia dall’idea di partire per imparare a usare la magia che dal rimanere e usarla per sbaglio rischiando la morte.
Credo che per i Draghi sia lo stesso che accade a noi. Loro sono la Magia, non imparano a usarla, è semplicemente parte di loro rispose Yzah.
«Dobbiamo rifletterci su.» ribadì Andrew guardando i due felini adulti negli occhi uno alla volta.
Kalle mosse la testa in un inconfondibile assenso e disse: Se mai avrete bisogno di noi, saremo nella Foresta. I vostri amici Draghi saranno in grado di trovarci, non ci spingeremo troppo lontano.
«Va bene, grazie.» disse Layla in un sussurro, per nulla convinta di volerli rivedere perché avrebbe significato partire per abbandonare Darvil.
Yzah e Kalle li salutarono con un profondo ed elegante inchino e infine voltarono loro le spalle per abbandonare l’accampamento, diretti dritti verso la lontana Foresta seguiti dal cucciolo nero dagli occhi rosa e in seguito da quello con occhi rossi e pelo striato di diverse tonalità di grigio.
Susan guardò i propri genitori con le lacrime agli occhi, quella rivelazione l’aveva spaventata soprattutto perché dopo aver provato cosa volesse dire vivere senza di loro non voleva che qualcos’altro li separasse. Deren le rivolse un sorriso triste e le sussurrò che ne avrebbero riparlato l’indomani, poi l’abbracciò teneramente e la ragazzina ricambiò nascondendo il naso nella sua camicia.
Cedric si riprese l’arco e decise di portarsi dietro anche i due cavalli da traino e gli otto stalloni da guerra dei soldati, che non avendo più proprietari l’unica alternativa sarebbe stata lasciarli liberi, ma erano degli animali davvero ben curati e nel pieno delle forze. Quindi i ragazzi lo aiutarono legandosene due ciascuno alla sella e trascinandoseli dietro al proprio cavallo. Caricarono Mike su Thunder e si avviarono verso nord per riportare gli animali nella stalla – eccetto il baio che concordarono avrebbe potuto riaccompagnare Mike che ancora dormiva fino a casa di Jennifer.
Arrivati davanti alla stalla rimisero dentro tutti gli animali, che ora numerosi com’erano a malapena ci stavano, alcuni li dovettero lasciare in due in un recinto, ma erano abbastanza spaziosi. Dopodiché si separarono e si diedero la buonanotte, Jennifer prendendo il grande animale per le redini e trascinandoselo dietro.

Layla non mancava da molto a casa, quindi quando tornò e la madre l’accolse preoccupata le bastò dire che era andata a tirare fuori alcuni amici da un pasticcio. La donna capì che quegli amici dovevano essere come minimo Mike, Jennifer e Andrew, perché Gerida e Moriel si erano presentate a casa sua chiedendo se sapesse dove fossero spariti i tre ragazzini.
«Di’ a quegli incoscienti dei tuoi amici di fare più attenzione, contano troppo su di te per uscire dai pasticci!» esclamò Alena sbuffando infastidita.
Layla ridacchiò trovandosi d’accordo; se solo l’avessero ascoltata e avessero rinunciato ai giochi coi draghetti anche solo per un giorno niente di tutto quello sarebbe successo. Forse, però, nemmeno sarebbero venuti a sapere del grande problema che ora gli si parava davanti: la magia.
La madre non avrebbe mai potuto immaginare la pericolosità del pasticcio dal quale li aveva tirati fuori, rischiando la vita lei stessa. E nemmeno l’avrebbe mai saputo, perché non fece domande e quindi la figlia non si sognò di spiegarle alcunché.

Jennifer trovò la porta di casa aperta ed entrò annunciandosi. La guaritrice schizzò fuori dalla stanza delle medicazioni veloce come un fulmine, guardò la figlia per alcuni secondi con aria incredula, poi l’abbracciò forte cominciando a ricoprirla di saluti e domande. Per il momento Jennifer riuscì a evitare di risponderle, ma solo perché la donna non la smetteva di parlare, non lasciandole tempo di aprire bocca.
Riuscì a cavarsela dicendo di avere bisogno d’aiuto a portare Mike in camera, che si era addormentato senza preavviso e aveva dovuto riportarlo a casa a cavallo. Naturalmente era una menzogna per coprire il fatto che fosse svenuto, probabilmente per mancanza di sangue, e sperò vivamente che sua madre non si sarebbe accorta dell’odore né dei panni bagnati.
La donna le rivolse un’occhiata incredula ma comprese che non si trattava di una balla appena vide il grande stallone davanti alla porta, col ragazzino in sella. Lo prese in braccio e lo trascinò dentro mentre la ragazzina legava il cavallo a un palo lì vicino, per poi rientrare e aiutare Gerida a trascinare Mike su per le scale.
La situazione bizzarra fece dimenticare a sua madre d’interrogarla, perciò si limitò ad augurarle la buonanotte ed entrare in camera per lasciarsi finalmente andare al sonno accanto al marito.
Jennifer sospirò sollevata appena si fu chiusa in stanza: evidentemente Gerida non aveva fatto caso al sangue perché aveva dato per scontato che le braghe del ragazzino fossero bagnate dalla neve, la quale ne aveva probabilmente anche nascosto l’odore. Il giorno seguente avrebbero fatto in modo di passare da casa di lui a prendere un nuovo paio intatto e pulito senza che nessuno se ne accorgesse.

Andrew invece ebbe qualche problema. Appena tornato a casa la madre gli fu addosso ricoprendolo di domande, parlava così veloce che a malapena si potevano distinguere le parole, e la sua voce era acuta – il ragazzino sapeva che era un chiaro segno di isterismo, dovuto al fatto che l’aveva fatta preoccupare molto e per lungo tempo.
Ma mia madre diventa ansiosa e isterica anche per un taglietto pensò girando lievemente gli occhi mentre ascoltava la sua ramanzina solo per metà Sempre la solita storia...
Ma non la interruppe, lasciò che si sfogasse per bene, e intanto pensò a come poter rispondere alle sue domande senza che le venisse un infarto per la paura, sebbene ormai lui fosse tornato a casa sano e salvo.
Quando venne il tempo di darle spiegazioni, prima pensò di dirle la verità, cambiò subito idea rimembrando di avere davanti sua madre, e non una qualsiasi donna perfettamente sana di mente. Cercando di non sembrare né vago, né annoiato, né impaurito, raccontò che quei soldati l’avevano trattenuto insieme ad altri ragazzi per fargli delle domande, disse che li avevano tenuti più a lungo del necessario, ma che poi li avevano lasciati andare e non li avevano più visti.
«Siamo tornati tutti ora! Stiamo bene! Sto bene! Non sei contenta?»
«Ma che domande fai, certo che sono contenta...» disse un po’ più tranquilla, tuttavia guardandolo storto «E così quei cafoni vi hanno trattenuti solo per qualche domanda, eh? E perché non ci hanno avvertiti prima? Perché vi hanno trattenuti senza dire nulla a noi o al villaggio?»
«Non lo so.» disse con una scrollata di spalle.
«Forse volevano rapirvi!»
«Mamma, ci hanno lasciati andare!» sbuffò, non vedeva l’ora che la finisse di fare la paranoica, ma temeva che sarebbe andata avanti così per giorni.
«E quello zuccone voleva anche unirsi a loro! Rapire bambini da un villaggio! Chissà, forse cercano con dei criteri precisi e voi non li rispecchiavate! Potrebbe essere stata solo fortuna.» Andrew fece per ribattere ma Moriel gli puntò un dito contro e lo ammonì: «Non voglio che tu esca di casa per qualche giorno.»
Rimase a bocca aperta, subito pensando ad Umbreon: «Ma...»
«Niente ma! Poteva andare peggio! Per fortuna ti hanno trattenuto solo una notte...» gli si avvicinò e lo abbracciò stretto.
Andrew si divincolò in fretta, offeso, nella mente solo il pensiero del suo piccolo draghetto nero che non poteva sapere il motivo per cui non andava a trovarlo. Di nuovo. Andò direttamente in camera sua senza più una parola, lasciandola attonita; non era un comportamento usuale da parte sua. Solo in seguito, a mente lucida, si rese conto che in fondo sua madre era solo preoccupata per la sua salute, e per farle credere che i soldati fossero ancora in circolazione – come lui aveva detto poco prima – e che non fossero morti, decise di fare come voleva. Umbreon avrebbe capito.

Susan tornò a casa propria insieme ai genitori spiegando in un lieve sussurro tutta la questione dei draghi, delle uova e dei soldati. Li abbracciò stretti di nuovo e si scusò per averli cacciati in quel pasticcio, ma al momento i due adulti parevano troppo felici di riaverla tra le braccia per rimproverarle qualsiasi cosa. Spiegò anche di aver trasferito cibo e vestiti in casa di Cedric, e che quindi sarebbero andati a riprenderli l’indomani quando Jorel fosse stato a lavoro.
Né Jelena né Deren in realtà compresero appieno tutta la storia, ma dissero di essere molto curiosi di conoscere i sei piccoli draghi e Susan non poteva certo negarglielo, dopo quello che era successo a causa delle creature. Annuì e disse loro che li avrebbe condotti alla tana l’indomani mattina. Dal canto loro ancora non se la sentivano di raccontarle la loro parte della storia, anche se alla fine non se l’erano vista così brutta come invece tutti quanti si sarebbero aspettati.
Quella notte la ragazzina dormì nel letto matrimoniale in mezzo ai due, abbracciata da entrambi, si addormentò con un largo sorriso tanto serena che nemmeno venne disturbata dal suo stomaco che gorgogliava per la fame, ed ebbe un sonno privo di incubi.

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Capitolo 22
*** Never face a dragon ***


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Il colore del titolo del capitolo corrisponde al colore della regione in cui la storia al momento si svolge, tenete d'occhio la mappa per sapere dove ci troviamo!

NEVER FACE A DRAGON

Cedric si sentiva troppo frastornato per andare nel bosco a riprendersi ciò che aveva cacciato insieme a Smeryld e al quale aveva affidato il compito di controllare gli animali morti. Sperò che non andasse nel panico non vedendolo tornare, ma nonostante ora si sentisse bene non aveva alcuna voglia di rimanere ulteriormente al freddo.
Si sorprese di trovare la porta chiusa solo con un giro di chiave, ma entrò facendo più rumore del necessario e, inconsapevolmente, svegliando Jorel che si alzò dalla panchetta preparandosi ad affrontarlo. Richiuse la porta e fece per avviarsi verso le scale, trasalì vedendo una sagoma nera e mise mano all’arco ma fu troppo lento, l’uomo non ebbe difficoltà a immobilizzarlo contro una parete e poi condurlo verso la sala tenendogli fermi i polsi dietro la schiena. Cercò di liberarsi, ma non ne ebbe bisogno perché dopo poco, con sua sorpresa, lo lasciò, gli tolse l’arco e lo costrinse a guardarlo.
Solo allora riconobbe Jorel, sospirò sollevato e disse: «Mi hai spaventato. Che c’è?»
L’uomo non gli chiese dove fosse Susan, dando per scontato che lui fosse rimasto a cacciare fino a poco prima e quindi non lo sapesse. Invece andò dritto al punto ringhiando: «Sulphane?»
Cedric rimase interdetto per alcuni secondi, sperava di aver capito male e si sentiva troppo stanco per affrontare lucidamente una simile discussione: «Cosa?»
«Cos’è Sulphane? È un drago? Hai un drago?»
Rise forzatamente e temette di non sembrare convincente: «Hai bevuto? Sei appena tornato dalla taverna?»
Per tutta risposta gli arrivò uno schiaffo che quasi lo stese e l’uomo replicò a denti stretti: «No, sono sobrio. Rispondi alla domanda. È un cucciolo di drago?»
Ma il ragazzo continuò per la sua strada sperando che prima o poi rinunciasse, sapendo di non essere bravo a mentire: «Ma come ti vengono in mente certe domande? Te l’ha detto Lily per caso?»
«Cosa te lo fa pensare?»
Incrociò le braccia e sbuffò irritato: «Sta solo cercando un modo per farmela pagare perché è arrabbiata con me, e ha infastidito Susan con questa storia dei draghi facendole domande senza senso...»
«Le stesse che ti pongo io ora? Forse c’è un motivo? Dove andate ogni volta, nel bosco? È lì il drago? Cosa ci fai in quel bosco?» domandò imperterrito.
«Caccio...»
«Le volte che esci con Susan e stai via tutto il giorno non sei a caccia, anzi se non te l’avessi ricordato probabilmente non avresti cacciato nemmeno questa settimana. Dove vai? E cosa fai?» Cedric si prese del tempo per pensare a una scusa credibile e dopo poco l’uomo si stufò di aspettare, capendo che per l’appunto voleva tenergli nascosto qualcosa, quindi riprese gelido: «Se non vuoi dirmelo andrò a verificare io stesso, e farò in modo di non averti tra i piedi.»
Il ragazzo scosse la testa contrariato e fece per parlare, ma l’uomo lo costrinse a salire le scale con la forza per accompagnarlo fino alla sua stanza.
Provò a farlo ragionare: «Lo sai anche tu che sarà inutile, come potrei possedere un drago? Io?» non ottenne risposta e seppe che non aveva cambiato idea, quindi continuò senza riuscire a tenere per sé la preoccupazione: «Non ha alcun senso quello che vuoi fare, stai andando nel bosco a cercare qualcosa che non esiste, non sarebbe meglio che riposassi prima di andare a lavoro?»
Invece di rispondergli con un secco diniego, Jorel aprì la porta della camera e lo spinse dentro mentre Lily usciva dalla sua stanza stropicciandosi gli occhi assonnata. Poi la chiuse e se ne andò.
«Credimi stai facendo un grosso errore, lascia perdere! Jorel?» esclamò, ma non gli rispose e anzi lo sentì prepararsi per uscire e poi scendere le scale. Provò ad aprire la porta piano, per non farsi sentire né per farsi notare da Lily, ma come si aspettava era chiusa dall’esterno. Trattenne un’imprecazione e si concesse solo di colpirla col pugno chiuso.
«È perché hai un drago che sei così nervoso?» domandò una vocina acuta che poteva appartenere solo a sua sorella.
«Fammi uscire di qui, o giuro che...»
«Cosa?» lo interruppe «Sono stufa che passi più tempo col drago che con me! Ora papà risolverà tutto!»
«Credimi, non risolverà un bel niente. Ora tirami fuori di qui!» le disse con rabbia.
«No. Papà ucciderà il drago e così tu tornerai a stare con me, dato che il tempo da perdere ce l’hai a quanto pare. Tanto il drago non sembrava grande dal disegno.»
«Disegno?» domandò sorpreso, ma non ebbe bisogno di una risposta per capire, perché subito dopo lo intuì: «Sei entrata in camera mia e hai guardato tra le mie cose?» esclamò poi, di nuovo arrabbiato.
«Tu non ci sei mai.» ribatté lei freddamente.
Andarono avanti a discutere diversi minuti, in cui lei si prese gioco di lui, e alla fine se ne andò ignorando le grida del fratello.
Quindi Cedric considerò la finestra che era la sua unica via d’uscita, aprì le ante e guardò giù; era un balzo di più di un braccio, ma calandosi con cautela sarebbe riuscito a non farsi male. Uscì senza problemi trovandosi così sul pavimento del piano superiore che sporgeva di un paio di piedi, poi scese rimanendo sospeso contando solo sulla forza delle proprie braccia, si lasciò andare e accusò il contraccolpo senza farsi male. Corse immediatamente verso la stalla ma la trovò chiusa, come anche la porta di casa, quindi dovette rinunciare al cavallo e sperare che anche suo padre fosse a piedi.

Smeryld era rimasto fermo esattamente come aveva promesso, attendeva impaziente il ritorno del ragazzo perché non vedeva l’ora di raccontare ai fratelli delle sue nuove esperienze, prima tra tutte che aveva ucciso un orso; quell’animale era stato in grado di spaventare Cedric, un umano che Smeryld aveva sempre conosciuto come forte, coraggioso e intelligente. Eppure davanti a quella bestia aveva tremato, e sebbene l’avesse affrontato non ne sarebbe uscito vivo senza il suo aiuto. L’aveva ucciso lui. Aveva ucciso un enorme orso.
Sentì dei passi frettolosi in avvicinamento, gli parve un Umano in corsa, ma anche molto più pesante di ciò a cui lui e i suoi fratelli erano abituati, quindi non poteva trattarsi del suo amico; Cedric era sempre molto cauto e silenzioso quando si muoveva nel bosco. Notò che i passi erano ora più vicini, si era distratto a pensare e si rimproverò, ma adesso riusciva a sentire l’odore dell’umano, e gli parve stranamente simile a quello di Cedric. Ciò lo confuse, si guardò intorno; la fioca luce della notte era sufficiente perché i suoi occhi cogliessero tutti i dettagli come se fosse stato mezzogiorno.
E infine lo vide, era davvero enorme per essere un Umano, o almeno in base a ciò che lui era abituato a vedere, e capì che doveva trattarsi di un adulto. Non aveva mai conosciuto un uomo adulto, non ne ebbe paura solo perché sapeva di poter uccidere creature ben più grandi e più forti di quanto avrebbe potuto essere quell’umano. Ma si accucciò ugualmente sperando di passare inosservato, tendendo solo il collo per poterlo vedere, rimembrando che nessuno doveva sapere di loro, a detta dei ragazzi loro amici; unica eccezione per Emily, che era stata a conoscenza delle uova da ben prima che si schiudessero.
Non sembrava averlo ancora visto e immaginò che fosse dovuto al colore verde delle sue scaglie, che in un bosco davano meno nell’occhio di quelle viola di Ametyst o di quelle gialle di Sulphane. Ma ricordò presto di trovarsi pur sempre in un luogo ammantato di bianco.
Infine l’uomo si fermò e lo guardò, lo sentì ansimare, e capì che l’aveva visto o a causa dell’iridescenza delle sue scaglie o proprio perché il bosco era innevato. Quindi si erse in tutta la sua statura sebbene non raggiungesse la vita di quell’uomo in altezza, e ricambiò il suo sguardo. Abbassò la testa schiudendo le fauci in un sibilo minaccioso, aprì un poco le ali per sembrare più imponente e agitò la coda.
Lo sentì borbottare e lo vide tenere qualcosa in mano e poi tendere un braccio all’indietro; non ci mise molto a capire che l’oggetto che aveva in mano era lo stesso con cui Cedric aveva ucciso le loro prede e tentato di abbattere l’orso, quindi seppe per certo che l’uomo aveva intenzione di ucciderlo. Con quale coraggio? Era evidente che quell’uomo sapeva di lui, sapeva che era un drago, ed era venuto fin lì solo per piantargli una freccia nel cuore. E nessuno doveva saperlo al villaggio, secondo ciò che avevano detto i ragazzi doveva sbarazzarsi di lui e impedire che diffondesse la voce. Non aveva paura della sua arma, non era stata in grado di uccidere un orso solo pochi giorni prima, perché mai avrebbe dovuto trapassare le sue scaglie?
Decise di scagliare un attacco alla sua mente, spalancò le fauci in un acuto ruggito, poi entrò di prepotenza entro i confini della mente dell’uomo, che non sapeva come difenderla, quindi non ebbe difficoltà. Gli fece male e lui gridò di dolore, confuso e spaventato da un improvviso quanto atroce male alla testa, ma non cadde a terra e nemmeno lasciò la presa su arco e freccia. Smeryld non si curò di leggere i suoi pensieri, cessò l’attacco e corse verso lui, sempre ruggendo.
Tra le urla dell’uomo e i ruggiti acuti del drago, nessuno dei due sentì Cedric gridare a entrambi di non ferirsi l’un l’altro, gli stava correndo incontro più veloce che poteva rischiando d’inciampare a ogni passo sul terreno dissestato, temendo per il peggio. E a un certo punto smise di rivolgersi a suo padre e chiamò solo Smeryld, ricordando di come il piccolo drago fosse a malapena rimasto ferito dal morso di un orso, mentre era stato in grado di ucciderlo con facilità. Se non l’avesse fermato in tempo Jorel sarebbe rimasto come minimo gravemente ferito. Non sembrava intimorito dal drago e quella sarebbe stata la sua rovina.
Smeryld non vedeva Cedric, non lo sentiva perché stava ruggendo, e nemmeno percepiva la sua presenza, perché era concentrato sull’altro essere umano.
Jorel si riprese dalle acute fitte alla testa senza pensare troppo a cosa potesse averle causate, prese in fretta la mira e lasciò la freccia che partì rapida verso il draghetto verde. Ancora un paio di balzi e sarebbe stato alla sua portata, ma la freccia gliel’avrebbe impedito. Si lasciò sfuggire un mezzo sorriso, ma impallidì appena la freccia raggiunse il drago, perché non lo ferì, e non lo fermò.
Smeryld piegò la testa per non essere colpito negli occhi o in bocca, così il dardo rimbalzò sulle sue dure spine della schiena, frantumandosi in due. Tornò a guardarlo, e l’uomo, pallido e incredulo, poté notare che la sua testa si muoveva diversamente dal corpo, rimanendo ferma sempre alla stessa distanza dal suolo. Per tenere meglio d’occhio la sua preda.
Abbassò il braccio che teneva l’arco, sentendosi perduto e impotente quando il drago balzò per saltargli addosso, le fauci ancora spalancate, gli artigli delle zampe anteriori pronti a dilaniarlo. Non provò nemmeno a reagire, non aveva visto male; aveva prontamente schivato il colpo con un margine di reazione infinitesimale. Se non l’avesse visto con i suoi occhi non ci avrebbe mai creduto, anzi ancora non riusciva a crederci.
Fissò Smeryld dritto negli occhi tutto il tempo che durò il suo balzo, poi li chiuse e si preparò all’impatto, che venne poco dopo; non era abbastanza pesante da farlo cadere all’indietro, ma piantò immediatamente gli artigli nel suo petto e lo morse alla spalla, poi si aggrappò anche con gli artigli delle zampe posteriori e agitò la coda per sbilanciare l’equilibrio, mentre con le ali fendeva l’aria cercando di piegarla a suo favore.
Furono questa serie di cose a farlo cadere a terra davanti agli occhi di Cedric, col drago ancora avvinghiato addosso, che non mollò la presa nemmeno allora e anzi fece affondare ancora di più denti e artigli col contraccolpo.
Smeryld assaggiò così per la prima volta il sangue umano, e non gli parve poi così diverso da quello delle prede che aveva cacciato fino ad allora, scoprì in tal modo che gli piaceva, e per un istante immaginò che ci fosse uno dei suoi amici umani sotto di lui in quel momento; quel solo attimo bastò perché si pentisse di averlo trovato piacevole.
Lasciò la spalla dell’uomo che ora urlava, e indebolì la stretta con gli artigli, lo fissò dritto negli occhi e inarcò il collo pronto a morderlo alla gola, ma prima che potesse muovere un solo altro muscolo venne travolto in pieno da Cedric, che lo allontanò da Jorel urlando fuori di sé, e rotolò per diversi piedi avvinghiato al draghetto ferendosi a sua volta.
Smeryld ringhiò confuso non essendo riuscito a vedere il suo aggressore, ma espandendo i confini della propria mente riconobbe immediatamente che si trattava proprio di Cedric. Cercò di rialzarsi ma il ragazzo gli premeva il collo a terra, allora mugolò confuso guardandolo con un solo occhio.
E lui in risposta gridò: «No! Resta giù! Giù ho detto!»
Non sono in pericolo, era tutto sotto controllo. Non serve che mi tieni nascosto...
«Ma cosa diamine vai dicendo? Resta lì, non avvicinarti a lui! È chiaro?»
Cosa ti prende... sussurrò incredulo, ma subito dopo Cedric lo lasciò per tornare di corsa dall’uomo che era venuto fin lì per cercare di ucciderlo, e ciò lo offese. Si rialzò senza smettere di guardare il ragazzo, sbatacchiò le ali per ricomporsi dopo essere ruzzolato tra la neve e lo vide inginocchiarsi davanti a quell’uomo. Sbatté la coda stizzito e fissò la sua schiena con occhi di fuoco, fremente di rabbia.
Cedric esaminò la situazione tremando sconvolto, inginocchiato di fianco a suo padre che a malapena era cosciente e respirava a fatica. Più che le ferite a renderlo incosciente doveva essere stato l’attacco scagliato alla sua mente, ma questo non poteva saperlo e quasi andò nel panico vedendo tanto sangue sulla neve. Era una scena cui aveva sperato di non assistere mai, soprattutto dopo quello che era successo a sua madre; non riusciva a sopportare l’idea di essere arrivato troppo tardi per salvare Jorel, la sua vita era già abbastanza incasinata con un uomo che manteneva la famiglia risparmiandogli altro lavoro.
Lo chiamò un paio di volte con voce tremante e lo scosse piano senza aspettarsi che aprisse gli occhi, e infatti non reagì. Non poteva sopportare la perdita di un secondo genitore, né poteva sopportare di avervi nuovamente assistito di persona, ma soprattutto non poteva accettare che fosse stato Smeryld, il suo drago, di cui Jorel non era nemmeno a conoscenza. Preso dallo sconforto si accasciò sul corpo dell’uomo continuando a sussurrare tra sé e talvolta rivolgendosi a lui come se potesse sentirlo, poi nascose il viso nella sua giacca, impregnata dell’odore del sangue che non avrebbe mai voluto sentire e che lo nauseò.
Smeryld capì di averla combinata davvero grossa solo a quel punto, perché il ragazzo faceva inconsapevolmente di tutto per fargli capire di stare alla larga dai suoi pensieri e dalle sue emozioni. Non lo voleva, lo odiava. E non ne capiva la ragione, ma ormai era certo di avergli causato un torto a sua insaputa. Si avvicinò di qualche passo con fare incerto e mugolando piano, ma Cedric parve non sentirlo.
Così sfiorò la sua mente facendolo trasalire e sussurrò il suo nome, ma il ragazzo si rialzò in ginocchio solo per scacciarlo e gridargli di andarsene. Era sconvolto e fuori di sé, questo poteva concederglielo, ma cacciarlo a quel modo, perché mai?
Cosa ti è preso? Chi era? Cos’ho fatto di sbagliato? Cosa devo fare?
«Devi andartene.» gli sussurrò freddamente «Non voglio più vederti.»
Quelle parole lo colpirono come se la freccia di Jorel avesse fatto centro nel suo petto. Mugolò e domandò: Perché dici questo?
«Hai ucciso mio padre.» la sua voce era ora roca e al contempo tremante.
Smeryld scosse la testa incredulo: Ucciso... chi? Non è morto, è...
«Morirà! E ora vattene!» lo interruppe.
Non morirà se...
«Se! Se? Se lo riporto in tempo al villaggio? Io? Ma mi vedi o no? Come speri che possa arrivare in tempo? Faccio fatica a trascinare un cervo e vuoi che pensi a lui? Cosa ti è saltato in testa? Perché non ti sei semplicemente nascosto?» gridò fuori di sé.
Ho provato, ma lui mi ha visto...
«E allora hai pensato bene di ammazzarlo!» lo interruppe.
Sbuffò irritato: Non è morto! poi scosse la testa e si affrettò a cambiare atteggiamento: Non avevo idea di chi fosse, mi dispiace. Non credevo fossi così affezionato a lui...
«Ma quanto sei stupido? È mio padre, quello che ti ho raccontato due giorni fa non conta un accidenti! Se lui muore ora la mia vita è finita, lo capisci? Potrai dirmi addio perché non avrò più tempo per te!»
Mi dispiace... ripeté in un sussurro abbassando la testa, realmente addolorato e sentendo comunque ciò che provava lui.
Cedric si prese la testa tra le mani e cercò di calmarsi traendo un lungo sospiro, infine parlò a voce così bassa che Smeryld immaginò stesse parlando da solo: «La colpa è mia, non ti ho mai parlato della mia famiglia e non ho restituito il tuo uovo alla Foresta... non avrei mai dovuto farlo schiudere, né aiutare gli altri... Sono stato uno stupido.» le parole gli morirono in gola e si accoccolò di nuovo sul petto di suo padre.
Non vedi altre soluzioni perché sei sconvolto... Ti ho sconvolto si corresse e si sedette lì dov’era senza osare avvicinarsi Posso chiamare gli altri e dirgli di venire qui subito con un cavallo, possiamo salvarlo... mi hai fermato in tempo.
«La cosa migliore che puoi fare ora è sparire dalla mia vista.» riprese con fare freddo ma più costernato.
Cedric... non l’avrei mai fatto se avessi saputo...
«Vattene.» sussurrò cominciando a piangere piano.
Smeryld mugolò distrutto dal dolore e dalla paura del ragazzo, poi decise che fosse bene assecondarlo finché non fosse stato meglio. Ma se davvero suo padre fosse morto, l’avrebbe mai perdonato? Certo non sapeva chi fosse quell’uomo, ma avrebbe potuto capirlo, o percepire prima la mente del ragazzo, o sentire le sue grida prima di balzare all’attacco, o ancora fuggire nel bosco per non farsi più trovare. Gli aveva causato un dolore terribile che non riusciva ancora a comprendere, ma pensò di esserci vicino quando capì l’intensità del dolore che gli procuravano quell’abbandono e quell’odio da parte di lui. Si sentiva oppresso da una mostruosa sensazione che non conosceva ma che lo faceva stare male.
Mugolò tristemente e si allontanò a testa bassa con la coda che strisciava a terra lasciando un profondo solco nella neve. Non sapeva dove andare, dal momento che aveva solo Cedric e i propri fratelli; ma per stare con loro avrebbe dovuto continuare a frequentare il ragazzo, e sembrava impossibile. Rimaneva soltanto Nerkoull, altrimenti sarebbe stato solo per sempre.
Per cercare di distrarsi tenne lo sguardo fisso sulle proprie zampe concentrandosi su come affondassero in quella fredda morsa, ma alla fine cedette e si guardò indietro vedendo che Cedric si trovava ancora lì fermo. Si chiese come mai non provasse a trascinare quell’uomo, sebbene come già aveva precisato faticasse a trascinare un cervo, ma alla fine si disse che probabilmente era solo ancora molto scosso; forse appena si fosse ripreso avrebbe provato almeno a portarlo fuori dal bosco.
Scosse la testa e decise di sedersi e attendere che gli chiedesse aiuto per trascinarlo verso il villaggio, sperando con tutto il cuore che l’avrebbe fatto e che prima o poi avrebbe smesso di odiarlo.
Il tempo scorreva impietoso e Cedric non fece molti tentativi di trascinare Jorel, dal momento che oltre a pesare molto per lui era ancora indebolito dall’aggressione dei soldati di poche ore prima. Smeryld rimaneva in attesa, ma lui nemmeno lo guardava, forse neanche sapeva che si trovasse ancora lì. Alla fine il ragazzo si arrese, rimanendo aggrappato al corpo di suo padre che respirava sempre più affannosamente, nemmeno il freddo pungente lo spinse ad andarsene a casa, né l’arrivo dell’alba. Probabilmente nemmeno se ne accorse.

Susan Jelena e Deren uscirono così presto la mattina che non incontrarono nessuno, come avevano previsto. Ancora non se la sentivano di dover dare spiegazioni, né d’inventarsi qualcosa su come fossero fuggiti, o come fossero stati rilasciati dai soldati, o perché li avessero catturati tanto per cominciare. Nonostante entrambi i genitori fossero piuttosto deboli e affamati non avevano potuto fare una colazione sostanziosa, perché erano poche le pietanze ancora presenti in casa e ancora meno quelle commestibili dopo tutte quelle settimane.
La ragazzina li guidava verso il bosco a est tenendo stretta la mano della madre, passarono accanto alla casa di Cedric e alla stalla senza guardarle, perché vi sarebbero tornati dopo a recuperare gli oggetti di lei.
Saltellava allegramente e Jelena rideva, mentre Deren le saltellava dietro stando al gioco, quando Susan sentì l’ormai familiare presenza della mente di un drago nella propria. Sulle prime strillò felice pensando che fosse Sulphane, già pronta ad accoglierla anche se così distante dalla tana, ma s’immobilizzò nel sentire la voce più grave, e anche stranamente triste, di Smeryld.
Susan. Aiutami. Mi odia.
«Cosa c’è tesoro?» le domandò la madre vedendola così stranita, lo sguardo perso nel vuoto.
«Dove sei?» sussurrò la ragazzina.
Uomo e donna si guardarono preoccupati, capendo che non si era rivolta a nessuno di loro senza però sapere con chi stesse parlando.
Non posso gridare, non sa che sono ancora qui.
«Va bene, ma dove sei?» ripeté Susan. Il drago sentiva le sue parole solo perché prima di pronunciarle le pensava: «Vienimi incontro e guidami da lui. Cos’è successo?»
Mi odia mugolò Smeryld, poi lasciò la sua mente e il bosco le parve stranamente freddo e silenzioso.
In realtà non aveva ben presente chi fosse questo ‘Lui’ di cui il draghetto stava parlando, ma immaginò che si trattasse di Cedric e non riuscì a capire perché mai il ragazzo dovesse odiare il cucciolo.
Si ricordò di non essere sola e decise di preparare i genitori al loro secondo incontro con un drago, ma probabilmente al primo contatto mentale: «Sta arrivando uno dei nostri draghi, ma temo che non sarà un piacevole primo incontro.»
«Per quale ragione?» domandò Deren sorpreso.
«Mi è sembrato triste, ma non so esattamente il perché. State per conoscere Smeryld, il drago di Cedric.»
Jelena annuì con un sorriso incoraggiante, realmente ansiosa di vedere bene per la prima volta un drago; Nerkoull si era presentato di notte ed era un drago nero, non aveva visto molto benché fosse una figura immensa. Solo un paio d’occhi rossi e scaglie lucenti.
«Se deciderà di parlarvi potreste sentirvi strani, i draghi comunicano col pensiero perciò sentirete una voce solo con la mente... è un po’ strano da spiegare. Ma se Smeryld non vi parlerà lo capirete quando conoscerete Sulphane, lei di sicuro sarà felice di conoscervi!»
Smeryld arrivò pochi attimi dopo di corsa, riservando ai due adulti un’occhiata diffidente e rallentando il passo quando gli fu vicino. Ma appena Susan li presentò si mostrò schivo, come impacciato, fuggiva il loro sguardo e anche quello della ragazza. Non aprì mai la mente ai suoi genitori.
«Allora, cos’è successo?» gli domandò Susan.
Il draghetto la guardò di sottecchi, non un contatto diretto, e le rispose: Ho... commesso un errore.
Susan gli fece cenno di avviarsi, e mentre camminavano dietro al drago riprese: «Ovvero?»
Ovvero? ripeté lui non conoscendo la parola, ma appena la capì rispose: Ho aggredito suo padre senza sapere chi fosse. Ora lui è convinto che morirà.
Susan s’immobilizzò e i genitori con lei, Smeryld non tardò ad accorgersene e finalmente la guardò. Ma quando vide la sua espressione sgomenta di nuovo abbassò la testa e si girò dall’altra parte.
Capendo di averlo ferito, la ragazzina gli s’inginocchiò accanto e accarezzandolo sul dorso sussurrò: «Portaci da lui, svelto.» e mentre di nuovo camminavano si sentì in dovere di spiegare ai suoi genitori a cosa probabilmente stavano andando incontro.
Jelena sbiancò e Deren balbettò: «Ma... ma se lui ha aggredito il padre del ragazzo di cui dovrebbe essere amico... noi...»
«Non vi succederà nulla. Jorel era qui da solo. Vedendovi con me nessuno dei draghi vi toccherà, non temete. Sono molto intelligenti e imparano in fretta.»
«Da quanto tempo hai detto che sono nati? Quasi alla fine del mese di Glayth?» domandò la donna.
«Esattamente. Hanno un paio di mesi.»
«Però...» commentò meravigliata; due mesi e già parlavano, a quanto pareva. Ed erano delle dimensioni di un cane, quasi. In realtà era il collo lungo a renderli più alti, la spalla del draghetto verde non superava il loro stinco.
Smeryld si fermò d’un tratto e con un cenno della testa indicò un punto più avanti, dove Susan intravide tra la vegetazione il ragazzo abbracciato al fabbro, che era a terra. Guardò i propri genitori e per cercare di immedesimarsi nella sua situazione si sforzò di ricordare come si era sentita quando era certa di averli persi, di quando proprio in quel bosco lui l’avesse aiutata a non annegare nella disperazione; cercò di immaginare che tuttora non fossero lì accanto a lei.
Dunque si avvicinò molto cautamente a Cedric, seguita dagli sguardi preoccupati di Jelena Deren e Smeryld, e si sorprese quando una volta che fu abbastanza vicina si accorse che non stava piangendo, ma nemmeno dormiva. Semplicemente giocherellava con la giacca dell’uomo.
Il ragazzo la sentì avvicinarsi e con uno scatto si mise a sedere, come pronto a reagire a un pericolo, ma si tranquillizzò non appena capì chi fosse e puntò lo sguardo altrove, ora tormentandosi le dita.
Nonostante fosse certa di aver provato quello che ora lui probabilmente stava passando non sapeva come cominciare una conversazione. Partì col sedersi accanto a lui senza guardare né l’uno né l’altro e sperò che lo considerasse un buon inizio. Lanciando una rapidissima occhiata a Jorel constatò che ancora respirava, era semplicemente senza sensi e aveva perso sangue, ma c’era ancora speranza.
Gli prese la mano interrompendo il suo gesto ripetitivo e Cedric guardò in basso come per tenerla d’occhio perché non si spingesse oltre a quello.
«Andrà tutto bene.» gli disse in un sussurro, e lo pensava davvero.
Lui scosse energicamente la testa guardando ora fisso davanti a sé con un sorriso sarcastico.
«Invece sì, devi pensarlo anche tu!» gli disse incoraggiante.
«No, e ti dirò perché. Sapeva di Sulphane, grazie a Lily, ed era venuto qui per lei, ma ha trovato Smeryld. Dunque, se non morirà a causa di quel drago sarò io a morire per mano sua.» e indicò Jorel senza guardarlo.
«Lo sapeva?» domandò incredula, e d’un tratto si sentì prendere dal panico; se aveva tentato di uccidere Smeryld di certo voleva dire che non aveva preso bene la notizia. Si lasciò prendere dallo sconforto perché in effetti il ragionamento di Cedric, conoscendo Jorel, aveva senso.
Guardò il ragazzo chiedendosi se fosse meglio non assistere il fabbro oppure assisterlo e rischiare di affrontarne le conseguenze. Si domandò se anche lui stesse pensando lo stesso. In fondo non era particolarmente affezionato all’uomo, e a ragione, ma pur sempre manteneva la famiglia.
«Che cosa vuoi fare?» gli domandò con voce flebile.
Lui scosse la testa e sussurrò: «Non lo so. Forse c’è la possibilità che non ricordi l’aggressione...»
«Ma potrebbe ricordare di Sulphane, e qualsiasi altra cosa gli abbia detto Lily. Oppure lei potrebbe ridirglielo! Però... non possiamo non fare nulla e lasciarlo qui, ti pare?»
Dopo un po’ lui scosse la testa e rispose con più convinzione: «No, certo. Hai ragione.»
«Ci servirà un cavallo per portarlo al villaggio...»
«Non ho le chiavi.» la interruppe.
Dopo un attimo di esitazione Susan tentennò: «Ma lui sì?»
E Cedric abbassò lo sguardo sul padre dopo tanto tempo, quindi dopo una lunga pausa annuì e gli sfilò le chiavi dalla tasca della giacca di pelle.
Susan gli sfiorò appena la spalla dicendo: «Vai tu, distraiti, schiarisciti un po’ le idee. Resteremo noi qui.»
Il ragazzo si guardò intorno chiedendosi a quale ‘Noi’ si riferisse e notò solo allora i suoi genitori, la donna con le braccia incrociate sul petto e un’aria angosciata, ma soprattutto notò che il draghetto verde era con loro.
«Ti avevo detto di sparire.» disse rivolto a lui a denti stretti e con un tono di voce profondo, quasi gutturale quanto un ringhio di Nerkoull.
Smeryld mugolò e abbassò la testa accettando a malincuore quel gelido rimprovero, ma non se ne andò.
«Vai.» gli ripeté Susan con più forza e lo costrinse a rialzarsi, poi lo spinse delicatamente per convincerlo ad andarsene a prelevare un cavallo dalla stalla: «Jorel ha bisogno che tu non perda tempo.» gli disse con decisione, sperando che ciò lo avrebbe persuaso.
Cedric le rivolse una smorfia che la ragazzina non seppe definire, sembrava per metà d’odio e per metà di scherno, ma alla fine le volse le spalle e se ne andò senza mai voltarsi. Doveva ammettere a se stessa che il ragazzo sembrava piuttosto lucido per aver subito un trauma del genere, ma forse era dovuto proprio al fatto che non provasse pressoché nulla per suo padre. O nulla di buono. Se lei avesse assistito all’assalto feroce di Deren e l’uomo fosse praticamente in fin di vita era certa che si sarebbe comportata diversamente. Innanzitutto si sarebbe lasciata prendere dal panico, avrebbe pianto fino a diventare una fontana e avrebbe fatto tutto il possibile per portarlo al villaggio, o avrebbe chiesto aiuto a chiunque fosse nei paraggi. Probabilmente avrebbe chiesto l’aiuto di Sulphane anche se fosse stata lei a saltare addosso a suo padre.
Come ho detto, mi odia disse Smeryld tristemente.
Susan si sedette di nuovo accanto al fabbro e gli rispose con un dolce sorriso, sperando di risollevargli il morale: «È solo un po’ sconvolto, gli passerà vedrai.»
Se lo dici tu... Credo sia meglio che non mi trovi qui al suo ritorno.
«Va bene, vai. Non dire a Sulphane che sono qui, le presenterò i genitori quando questa storia sarà alle nostre spalle.»
Il draghetto annuì e senza dire altro se ne andò correndo verso nord, lasciando prontamente la mente della ragazza. Solo allora lei si accorse che era rimasto con lei tutto il tempo, e quindi probabilmente aveva ascoltato anche tutti i suoi pensieri e considerazioni sul fatto avvenuto.

Cedric tornò cavalcando Overcast, un imponente frisone, che era lo stallone di suo padre. Susan l’aveva intravisto nella stalla, ma non riuscì a non sgranare gli occhi quando lo vide fermarsi a pochi piedi da lei sbuffando e scalpitando fieramente. Le parve un animale più che adeguato per la stazza dell’uomo.
Con l’aiuto di Deren caricarono Jorel sull’alta groppa del cavallo, poi la ragazza disse a Cedric di tornare a casa, e lui la guardò storto.
Quindi lei spiegò: «Ci penserà mio padre. Io ti accompagno a casa e mamma verrà con noi. Tieni la mente occupata altrove. Lo porterà da Mos, lui sicuramente saprà cosa fare. Vedrai.»
Il ragazzo fece un verso contrariato, ma si lasciò convincere piuttosto facilmente dal momento che il dottore del villaggio non avrebbe tollerato la sua vista, figurarsi averlo in casa propria.
Così Deren se ne andò tenendo le redini del maestoso cavallo mentre loro tre presero una direzione lievemente diversa. Cedric non si curò nemmeno di portare a casa ciò che aveva cacciato, a dire il vero neppure ci aveva pensato.
Quando entrarono Lily rimase a bocca aperta trovandosi davanti il fratello, scosse la testa incredula e balbettò: «Ma tu non... tu eri in camera, cosa...»
«Fatti da parte.» parve quasi ringhiare come un Krun e non attese che la sorellina gli facesse largo, la spinse ed entrò a passo svelto.
«Cosa ci fai fuori? Dov’è papà?!» gridò Lily inseguendolo in sala.
Susan entrò timidamente con passo felpato seguita da Jelena, sperando che la situazione non degenerasse e di uscire da quella casa in fretta.
«Stai zitta! È tutta colpa tua!» ribatté Cedric furioso.
«Cosa? Cos’è successo a papà? Cos’hai fatto?!»
Raccolse arco e faretra da dove suo padre li aveva lasciati poche ore prima e poi si girò a guardare la bambina: «Io? Cos’hai fatto tu! Io non ho fatto proprio nulla! Ho cercato di fermarlo!»
«Basta! Basta! Ora calmatevi, d’accordo?» intervenne Susan mettendosi tra i due, perché stavano per saltarsi addosso reciprocamente.
Lily strillò e batté i piedi allontanandosi verso la cucina. Ma anche da lì la sentirono gridare imprecazioni contro il fratello.
Quindi Susan si rivolse a lui: «Vai a riposarti. A lei ci pensiamo noi.»
Il ragazzo ribatté irritato: «Non dirmi cosa fare.»
Tuttavia dopo un breve silenzio se ne andò salendo le scale per dormire finalmente un po’. O almeno provarci.
E Susan esclamò fingendosi d’un tratto allegra: «Lily? Vieni qui, ti presento mia madre!» quindi prese la donna per mano e s’incamminò verso la cucina nascosta dalla tenda tirata.

Deren non incontrò nessuno sulla strada, per fortuna, così ebbe il tempo di pensare a cosa dire a Mos. Ma appena il medico – un uomo dall’aspetto burbero, capelli brizzolati, naso adunco e occhi chiari – ebbe aperto la porta di casa sua sbiancò, rendendosi conto di essersi improvvisamente dimenticato tutto. Gli disse quindi di aver trovato il fabbro in quello stato accanto al suo cavallo, ma che non aveva idea di cosa gli fosse successo, o del perché avesse un arco con sé.
Mentre lo aiutava a portare l’uomo dentro la grande parte della casa adibita a sanatorio, dovette inventarsi un’altra storia da raccontargli riguardo cosa fosse successo a lui e a sua moglie coi soldati: disse a Mos che semplicemente i soldati si erano accorti di aver preso le persone sbagliate e quindi li avevano liberati per poi andarsene da Darvil una volta per tutte.
E dovette suonargli credibile, perché con una scrollata di spalle Mos gli diede il bentornato per poi andare a occuparsi di Jorel. Dunque Deren lo salutò e uscì di casa sua deciso a rimettere ordine nella propria attendendo che moglie e figlia sarebbero tornate.

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Capitolo 23
*** A hard decision ***


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A HARD DECISION

Quando Mike si destò si guardò intorno confuso. Ricordava piuttosto chiaramente di aver incrociato i soldati la sera prima, poi un dolore lancinante, dopodiché si faceva tutto molto indistinto. Ricordava vagamente di essere stato ferito e messo su un cavallo, aveva ricordi sbiaditi di un falò da campo, grida, strani versi e tanta confusione.
Scese le scale per fare colazione e trovò entrambe, madre e figlia, sedute al tavolo intente a consumare il primo pasto della giornata.
«Oh, buongiorno dormiglione!» lo salutò Gerida.
Il ragazzino la guardò stranito e capì che evidentemente la donna non aveva la più pallida idea di cosa fosse successo. Non era stata lei a curargli la gamba ferita. Se la guardò attonito, la toccò dove ricordava di aver sentito dolore, ma non trovò nulla. Nemmeno un graffio. Ed era quasi sicuro che non fosse rimasto neanche il segno della cicatrice. Ma sapeva di non aver sognato, i suoi abiti erano stracciati e resi ruvidi dal sangue rappreso.
Si riebbe e decise di sedersi assieme a loro in fretta per non insospettire la guaritrice, ma lanciò un’occhiata carica di sottintesi a Jennifer, la quale la colse al volo.
Finito di mangiare la ragazzina lo trascinò al piano di sopra ed entrarono nella camera riservata a lui, chiuse la porta e finalmente poté raccontargli nel dettaglio come fossero andate le cose; prima del loro breve dibattito coi soldati, poi cosa fosse successo all’arrivo di Cedric e Layla, e soprattutto di Nerkoull.
Il ragazzino rimase a bocca aperta ascoltando il racconto, lei non alzò mai la voce per evitare che la madre la sentisse anche solo per sbaglio dal piano di sotto. Non riusciva a credere che avessero incontrato altre creature magiche, che gli avessero parlato diventando loro amici, ma soprattutto che Layla avesse usato la magia. Magia! E grazie ai draghi tutti loro potevano usarla!
«Ma qui arriva la parte peggiore.» disse Jennifer con una nota di sconforto nella voce «Layla ha rischiato grosso quel giorno, e potrebbe succedere anche a noi. Pensa se mia madre mi cogliesse sul fatto mentre per sbaglio sposto un bicchiere senza toccarlo! Oppure potremmo usarla per difenderci e... morire...»
«Morire?» sussurrò Mike per la prima volta inquieto, a bocca aperta.
Lei annuì: «Non ci hanno detto come funziona, ma pare che per usare la magia dobbiamo avere le energie sufficienti, e se facciamo per sbaglio una magia troppo potente moriamo... non lo so! Comunque ci hanno proposto di impararla, e si offrono di accompagnarci dagli Elfi per questo.»
«Elfi!» Mike rimase senza fiato.
«Sì... sarebbe tutto magnifico se non dovessimo partire al più presto.»
«Rimanendo qui rischiamo la vita, dico bene? Tutti. E allora perché aspettare?»
«La pensavo anch’io così, ma poi ho pensato alla mamma e al papà... non la prenderebbero bene, e mi mancherebbero...»
«Potremmo dire loro dei draghi!»
«Cosa?! No!»
«Sono i nostri genitori! Cosa ci sarebbe di male?»
«Qualcosa mi dice che sarebbe meglio non farlo... quell’informazione potrebbe anche metterli in pericolo.»
«Ma almeno saprebbero dove stiamo andando e per quale ragione! Credo preferirebbero essere a rischio loro stessi piuttosto che rimanere all’oscuro di tutto.» protestò animatamente.
«Forse. Ad ogni modo dovremo parlarne con gli altri prima.»
«Andrew dirà sicuramente di no, conoscendo sua madre. Fino ad ora avevamo la possibilità di tenerglielo nascosto, anzi direi l’obbligo. Ma se davvero dovessimo andarcene, dovremmo dirgli dove e perché.» ripeté lui con convinzione.
«Prima consultiamo gli altri. Perciò il problema non si pone nemmeno, per adesso.» disse lei, poi lo convinse a indossare il suo cambio da notte per nascondere i pantaloni sporchi di sangue e tagliati, e infine a sdraiarsi per riposare un poco e recuperare le forze. Dopodiché andò dalla madre lasciandolo solo nella stanza.
Mike faticò a prendere sonno dopo ciò che Jennifer aveva detto: magia, Elfi, Gatti Ferali! Gli era dispiaciuto davvero tanto non avervi assistito di persona, ma purtroppo mentre loro parlavano coi Gatti lui era alle prese con tremiti, febbre e dolori lancinanti. Di tutta quella faccenda lui avrebbe solo dovuto rimpiangere di non poter salutare i genitori prima di partire, né di potergli dire ciò che doveva, perché ancora non erano tornati. Ma si affrettò a scacciare il pensiero prima che l’ansia prendesse il sopravvento.

La mattina di tre giorni dopo Gerida uscì a cercare alcune erbe nel bosco e Jennifer voleva approfittarne per andare a chiamare gli altri per discutere della questione. Attese che la donna fosse lontana per certo, poi corse fuori. La prima tappa la fece da Andrew, e anche se ci volle parecchio riuscirono a convincere sua madre dicendole che sarebbero rimasti chiusi in casa della ragazza, non lontana da lì. Insieme andarono a casa di Layla, poi di Susan, e infine con lei andarono fino a casa di Cedric. I due fratelli litigavano in continuazione, per cui non fu difficile convincere Lily a stare da Ilion finché fossero tornati a prenderla; una volta accompagnata la bambina tornarono tutti insieme a casa di Jennifer.
Le tre ragazze e Andrew sistemarono sedie e poltrone nella sala davanti al camino. Dopodiché aspettarono che Mike scendesse, e quando furono tutti in sala cominciarono a discutere dell’idea che il ragazzino aveva avuto qualche giorno prima; come aveva previsto, Andrew fu il primo a rifiutare di parlare di Umbreon alla madre.
«Impazzirebbe! Verrebbe a sapere la verità sui soldati, e sul perché io volevo informazioni da mio fratello! E direbbe che sono troppo giovane, che non vuole che parta, che senza lei non posso andare da nessuna parte!» esclamò agitato.
«Calmati, era solo un’idea perché almeno sapessero dove siamo diretti. In modo che non pensino che siamo morti o spariti!» ribatté Mike.
«Siamo d’accordo che Mike in fondo abbia ragione, dovremo partire, e anche il prima possibile perché qui nessuno può insegnarci a usare la magia...» cominciò Layla parlando lentamente «Però dobbiamo decidere innanzitutto se seguire i Gatti per andare dagli Elfi, che potrebbero anche non accoglierci e considerarci nemici di cui sbarazzarsi prima che i nostri draghi possano crescere, oppure dirigerci a questa scuola di magia nella capitale. E soprattutto dobbiamo decidere se dirlo ai nostri genitori e cosa dirgli in modo che non si preoccupino della nostra scomparsa.»
«Un attimo, dobbiamo considerare anche un’altra cosa.» la fermò Cedric con un gesto della mano, con un cenno del capo si scusò per averla interrotta, poi riprese: «Se chiunque abbia mandato qui i soldati a cercare le uova s’insospettisse del loro mancato ritorno, è probabile che mandi un’altra pattuglia, ed è quindi probabile che vengano a sapere della nostra improvvisa scomparsa. Non soltanto i nostri genitori si chiederebbero dove siamo, anche il resto del villaggio se ne accorgerebbe.»
«Ma non possiamo dirlo a tutta Darvil!» protestò Susan.
«Potremmo infatti non dire niente a nessuno.» ribadì Andrew, l’aria cupa e le braccia incrociate sul petto.
«E lasciare che i nostri genitori vadano nel panico? A me dispiacerebbe lasciargli credere che ci hanno uccisi o rapiti.» disse Jennifer, la schiena rigida non appoggiata allo schienale della sedia.
«Sarebbe meglio così, piuttosto che dire loro tutto e metterli in pericolo! Così se anche dovessero arrivare altri soldati direbbero loro che probabilmente siamo morti, e quindi nessuno a Darvil correrebbe pericoli a causa nostra! Già i miei genitori lo sanno, e per questo sono a rischio!» disse Susan.
«Sì, direi un punto a favore di Susan e Andrew.» commentò Cedric, procurandosi un’occhiataccia di Mike.
«Appunto, i tuoi genitori già lo sanno. A questo punto perché non dirlo anche agli altri?» insistette il ragazzino «Almeno sarebbero in pericolo tutti insieme, potrebbero coprirsi le spalle a vicenda!»
Layla sbuffò irritata dalla situazione: «Una decisione difficile... da una parte sarebbe meglio dirlo almeno ai nostri genitori perché non si preoccupino, ma dall’altra sarebbe meglio non farlo per non mettere loro e l’intero villaggio in pericolo.»
«E se aspettassimo che vengano altri soldati e poi, quando se ne vanno, diciamo tutto ai genitori e partiamo? Stiamo via qualche mese, il tempo di imparare a controllare la magia, e torniamo!» esclamò Mike animatamente.
«Hai ascoltato cosa ti ho detto o no? Dobbiamo partire al più presto!» lo rimproverò Jennifer «Quei soldati potrebbero venire tra sei mesi, o non venire affatto!»
«Allora si può semplicemente dire tutto ai genitori e partire, dicendo loro anche di dire a eventuali soldati che siamo spariti e non sanno dove ci troviamo!» insistette ancora.
«Tu parli perché non devi dire niente a nessuno, tua madre è via!» ribatté Andrew indispettito «Scommetto che se dovessi dire a tua madre di un drago ci penseresti cento volte, e faresti incubi sulle più svariate reazioni che...»
«Va bene Andrew, abbiamo capito!» lo fermò Susan «Io sono nella sua stessa situazione dato che i miei già lo sanno, perciò il mio parere non conta. Ci faremo da parte e lasceremo decidere voi altri.»
«Non dire così, il vostro parere conta eccome! Se anche uno solo di noi non è d’accordo a raccontare dei draghi, la cosa non si potrà fare. O tutti o nessuno.» disse Layla con decisione.
«Buona fortuna a convincere Andrew allora!» sbuffò Mike.
«Beh, mio padre decisamente sa di Smeryld e di Sulphane, anche se non ha visto lei. Perciò, se mai si riprenderà, potremmo essere quasi costretti a dire qualcosa. O ci penserà lui, temo.» disse Cedric piuttosto angosciato.
«Maledizione, questo potrebbe essere un problema... l’avevo dimenticato.» disse Jennifer battendo un pugno sull’altra mano.
«Aspettiamo che si riprenda, magari nemmeno ricorderà cos’è successo! Tu cerca di fare in modo che non ricordi.» disse Andrew, l’aria cupa ora sostituita da una vaga preoccupazione, e l’altro annuì con una smorfia.
«Va bene allora, forse una settimana potremo aspettare, ancora non dovremmo essere in pericolo.» disse Layla.
«E se il fabbro ricorderà davvero? Cosa faremmo allora?» domandò Susan con voce flebile.
Ci fu una breve pausa di silenzio, poi Cedric rispose: «Senza dubbio ce ne dovremmo andare, e alla svelta prima che scopra anche gli altri draghi.»
«Dobbiamo dirlo. Io a mia madre lo dirò.» fece Jennifer con convinzione.
«No Jen, non se io e Andrew non saremo ancora d’accordo.» ribatté Layla, rendendosi conto che in effetti la decisione spettava solo a loro tre; Mike non aveva genitori presenti, mentre i genitori di Susan e la famiglia di Cedric bene o male già sapevano.
«Ma lo sa persino Emily! A lei lo diresti, vero?» la accusò la ragazzina «E se lei dovesse saperlo, perché mia madre no?»
«Perché lei lo sa già dei draghi, e non per sua scelta. C’è capitata dentro perché ci avete chiamate per cercare altre uova e le abbiamo trovate, perciò sarebbe di cattivo gusto non dirle per quale motivo d’un tratto dovremo sparire da Darvil.» rispose la più grande mantenendo la calma.
«E non sarebbe di cattivo gusto tenerlo nascosto ai nostri genitori? I nostri genitori, non amici di scorribande!»
«Andiamo ragazze, finitela.» intervenne Andrew attirandosi i loro sguardi «L’importante alla fine è che noi partiamo, giusto? Non serve a nulla far preoccupare i nostri genitori per qualcosa che non potrebbero evitare comunque. E poi magari saranno i genitori di Susan a dire alle nostre madri cos’è successo! Lasciamo che le cose si sistemino da sole.»
«Dici di non fare nulla?» sbuffò Jennifer «Io lo trovo a dir poco assurdo.»
«Anch’io.» assentì Mike annuendo «Secondo me dovreste dirlo, ma immagino che per ora non abbia importanza, questo è vero. Se anche Jennifer volesse dirlo a Gerida non cambierebbe molto, solo che alcuni genitori lo saprebbero e altri no, proprio come sarebbe se partissimo senza dire nulla.»
«Anche questo è vero.» concesse Layla con un sospiro «Ma per ora non me la sento di dirlo a mia madre.»
«Neppure io.» disse Andrew.
«Bene, spero che cambierete idea, possiamo chiudere la discussione.» disse Jennifer rialzandosi «Io finalmente ne approfitto per andare a prendere un paio di braghe pulite a Mike.»
«Aspetta, la porta è chiusa. Ho la chiave in camera.» disse quindi il ragazzino alzandosi a sua volta e salendo poi le scale seguito dall’amica.
«E io è meglio che torni a casa, che mamma già non voleva farmi uscire.» concluse Andrew «Preferisco farmi vedere il prima possibile.»
I rimanenti così si alzarono e attesero che Jennifer e Mike fossero scesi per uscire di casa tutti insieme, dividendosi poi per seguire ognuno la strada che li avrebbe condotti a casa propria cercando di non dare troppo peso alla discussione appena chiusa.


NOTE DELL'AUTRICE
Mi spiace tantissimo avervi fatto aspettare una settimana per un capitoletto così corto e di passaggio, ma prometto che nel prossimo mi farò perdonare!

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Capitolo 24
*** One life for another ***


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ONE LIFE FOR ANOTHER

La settimana passò lenta per tutti i giovani ragazzi: per Andrew perché per accontentare sua madre aveva deciso di obbedirle, e quindi di rinunciare alla compagnia di Umbreon per alcuni giorni; per Layla perché sebbene andasse spesso a trovare i draghetti il più delle volte era sola; per Mike perché non vedeva l’ora di partire, in un certo senso non voleva aspettare il ritorno dei suoi genitori; per Jennifer perché, per questa ragione, discuteva spesso con Mike quando si trovavano da soli; per Cedric che lavorava quasi senza sosta cogliendo al volo ogni occasione che gli capitava per portare a casa denaro o beni barattati prendendo momentaneamente il posto di suo padre, e se si trovava nella stessa stanza con Lily litigavano urlando talvolta quasi arrivando alle mani; e infine per Susan perché finalmente aveva potuto godersi ogni momento coi genitori, gli aveva presentato Sulphane al settimo cielo quando la draghetta le aveva detto di essere felice di aver fatto la loro conoscenza ed era finalmente venuta a sapere nel dettaglio cosa fosse successo ai suoi genitori coi soldati.
Era stato Deren principalmente a raccontare l’intero accaduto, cercando sia di non spaventare troppo la figlia sia di non mancare troppi particolari. Le aveva detto che in quelle settimane gli uomini armati non avevano fatto altro che tenerli prigionieri a volte dentro una tenda e a volte legati a un palo all’aperto, ma non li avevano mai separati - principalmente per interrogare uno davanti agli occhi dell’altra e sperando di trarre vantaggio dal dolore emotivo di uno dei due, ma questo aveva evitato di dirlo a Susan. Non le aveva nascosto invece la parte dell’interrogatorio, perché immaginava che comunque la ragazzina lo sospettasse.
E alla fine del racconto, Susan non era riuscita a tenere le lacrime e li aveva abbracciati entrambi molto stretti, chiedendosi dove avrebbe trovato il coraggio di dire loro che a breve sarebbero davvero partiti per chissà dove.

Al terminare di una delle innumerevoli notti insonni, Cedric decise di andare a far visita a suo padre in casa di Mos, il medico di Darvil, a dispetto di quanto gli fosse stato consigliato - o meglio ordinato, dal momento che erano in pessimi rapporti per via dell’incidente cui Emily era stata vittima sette anni prima e l’uomo non gliel’aveva mai perdonato.
Sarebbe entrato dalla porta secondaria di casa loro, che era sempre aperta perché conduceva direttamente alla parte dell’abitazione che fungeva da dormitorio, in modo che i familiari o gli amici dei malati potessero fare loro visita a ogni ora del giorno. Diede prima una rapida sbirciata a porta socchiusa, poi, non vedendo né sentendo Mos o Emily, si decise a entrare. Appese la giacca a una colonnina del letto, prese uno sgabello e si sedette accanto a dove riposava Jorel. Perlomeno si costrinse a pensare che riposasse, nonostante le sue condizioni non promettessero bene anche dopo una settimana di cure. Era quasi l’alba, e per un solo attimo fu colto dal pensiero di Lily rimasta da sola in casa senza spiegazioni o istruzioni. Scosse la testa; sarebbe tornato ancora prima che si destasse, si disse.
Da quando aveva saputo che grazie ai draghi avrebbero potuto usare la magia non era riuscito a scacciare la convinzione di poter fare qualcosa, o almeno provarci. Sapeva bene che nessuno a Darvil poteva insegnargli a controllarla, e sapeva che usarla senza essere preparato poteva costargli la vita, ma anche sapeva perfettamente che non avrebbe avuto pace finché non avesse almeno provato.
Sapeva perfettamente che curarlo avrebbe potuto portare a conseguenze disastrose sia per lui che per gli altri ragazzini, e forse anche per i draghi; da una parte non voleva assolutamente aiutarlo a riprendersi, mentre dall’altra sapeva di avere il potere di fare la differenza, non poteva rimanervi indifferente. E si trovava lì in quel momento perché l’ultima sensazione aveva prevalso sulla prima, non gli importava di quali conseguenze avrebbe dovuto affrontare, tanto prima o poi lui e gli altri sarebbero partiti comunque. Tanto valeva fare una prova.
Perciò prese un lungo sospiro, tese le mani sopra il corpo di Jorel e, senza ben sapere cosa fare, cominciò a vagare con la mente: prima all’aggressione di Smeryld, si concentrò sulle sensazioni che aveva provato; poi pensò a come Layla avesse inconsapevolmente usato la magia per proteggere Susan; infine pensò ai Gatti Ferali, ripassando a mente ogni loro parola che riguardasse o meno la magia.
Quando riaprì gli occhi si accorse che non doveva essere passato molto tempo, ma non si sorprese; gli era capitato più volte di constatare che la percezione del tempo nella propria mente era differente da quella che avevano nel mondo reale, succedeva lo stesso nei sogni, dove un solo minuto poteva durare ore o attimi.
Rimase invece piuttosto deluso dal fatto che non sembrava essere successo nulla, e decise di riprovare rivivendo quegli stessi avvenimenti al contrario: prima i Gatti Ferali e ogni loro parola; poi Layla e la sua magia, cercò di comprendere il meccanismo che le aveva permesso di usarla e farlo suo; infine pensò all’aggressione, più intensamente, risentì quelle emozioni tra le quali il desiderio che non fosse mai successo, e la voglia e la determinazione che lo avevano spinto a rischiare pur di rimediare a quell’errore.
Questa volta rimase immobile a lungo, cominciò a piangere silenziosamente, sopraffatto dalle emozioni e dai ricordi, e intanto sussurrava una specie di litania, come se la magia fosse stata una persona in grado di capirlo; la pregò di aiutarlo come aveva aiutato Layla, e solo allora ricordò che la ragazza, prima di usare la magia, aveva dato un ordine. Immaginò dunque che parlando alla magia fosse sulla strada giusta, per quanto sciocco si sentisse.
Dopo quasi un’ora cominciò seriamente a dubitare della sua idea, era frustrato e si diede dell’idiota per averci provato, ma anche dell’incapace per non esserci riuscito. S’insultò a voce piuttosto alta e insultò anche la magia, con le mani ancora aperte sollevate sopra il petto di suo padre.
Fu allora, quasi per punirlo per ciò che aveva detto, che la magia intervenne: prese con prepotenza le sue energie, privandolo rapidamente delle sue forze e lasciandolo senza fiato, trasformandole in qualcosa di diverso, un’energia in grado di risanare le ferite e di restituire la forza di vivere. Ma nel frattempo Cedric ne stava perdendo e ne era cosciente, solo che non sapeva come fermarla, né l’avrebbe fatto finché Jorel avesse riaperto gli occhi.
Cominciò a tremare ma rimase immobile, non perché si sforzasse; c’era qualcosa che lo teneva fermo, seduto sullo sgabello con la schiena rigida e le braccia tese. Chiuse gli occhi cominciando a provare una paura sempre più opprimente mentre gli ammonimenti dei Gatti si rincorrevano nella sua mente, sentiva chiaramente le loro voci stridule metterlo in guardia di fronte a quel potere che lui aveva provocato e che ora si stava prendendo la sua vita per salvarne un’altra. Non aveva il coraggio di riaprire gli occhi: intuiva che doveva esserci una luce e che non si trattava del sole, ma nemmeno di una candela retta da qualcuno, altrimenti avrebbe già sentito urlare.
Più il tempo passava più si sentiva debole, tanto che credette si trattasse di un’allucinazione quando udì una voce dirgli di smettere: Basta. Ti ucciderai. Ciò che hai fatto sarà sufficiente, Jorel vivrà. Ma se continui guarirà del tutto e tu pagherai con la vita. Solleverà domande e sospetti, è questo che vuoi?
In un primo momento la ignorò, pensando non fosse importante. Si sentiva confuso e solo dopo alcuni pericolosi secondi si rese conto di essere stato lui stesso a pensare quelle cose come parlando a qualcun altro. Aprì gli occhi e guardò Jorel, che ancora dormiva ma questa volta era davvero fuori pericolo. Vide la luce provocata dalla magia che fluiva dalle sue mani verso l’uomo per poi passare oltre le coperte e illuminarle da sotto. Si guardò le braccia e vide che anch’esse brillavano, strani veli di luce bianca verde e rosa danzavano come seguendo le vene sottopelle fin quasi alle spalle. Proprio come se da esse stessero drenando il suo sangue, che era anche parte di ciò che lo teneva in vita, trasformandolo in un fascio di luce.
Basta. Ti ucciderai ripeté la sua voce, sembrava estranea e distante come quella di un drago, come se la sua stessa mente non gli appartenesse più.
Annuì con convinzione, ma gli sembrò di faticare a mettere in ordine i pensieri per chiedere alla magia di smettere, di lasciarli; ora era tutto sistemato, non aveva più bisogno del suo aiuto. Gli parve trascorrere un’eternità prima di riuscire a chiudere le mani, interrompendo così l’incantesimo d’un tratto, ed ebbe la sensazione di aver trattenuto il fiato tutto il tempo.
Cadde dallo sgabello non più trattenuto da quella forza invisibile, ansimò tenendosi la gola, tremava e sentiva il battito del cuore lento ma prepotente, quasi doloroso. Si rilassò con un sospiro, lentamente tornò a respirare bene e il battito cardiaco si fece meno fastidioso, però ancora tremava e aveva una sgradevole sensazione di nausea piuttosto insistente.
Si rialzò cautamente perché la testa gli girava, si aggrappò allo sgabello e guardò Jorel sorridendo vittorioso perché non vedeva più alcun segno tra i numerosi rimasti anche dopo le attente cure di Mos; forse non l’aveva guarito del tutto, ma se non altro ora aveva una possibilità di sopravvivere.
Quello che accadde dopo però non avrebbe potuto prevederlo.
Con sua sorpresa Jorel diede segni di vita con un rabbioso brontolio accompagnato da una smorfia, poi aprì gli occhi e si guardò intorno.
Cedric lo guardò incredulo mentre tornava a sedersi e dopo alcuni secondi sorrise sollevato, lo chiamò un po’ incerto e l’uomo lo guardò, allora il ragazzo rise e batté le mani entusiasta, complimentandosi in segreto con se stesso per essere riuscito a curarlo.
Jorel si mise a sedere massaggiandosi entrambe le tempie con una sola mano, un dolore atroce lo colse al ventre, e mentre Cedric rideva sommessamente cercò di ricordare cosa fosse successo; non ricordava come fosse finito lì, né riusciva a immaginare perché il ragazzo gli fosse accanto e stesse ridendo tutto contento. Ma ricordava un bosco, qualcosa di verde, mal di testa, dolore e grida. Fece per chiedergli spiegazioni, ma qualcos’altro gli sovvenne. Un nome: Sulphane. Draghi. E Cedric aveva fatto un secondo nome: Smeryld. Verde. Un piccolo drago verde che quasi l’aveva ucciso.
Guardò Cedric che lo stava fissando sorridendo, dondolandosi avanti e indietro sullo sgabello. Il suo sguardo era così cupo e truce che lo indusse a fermarsi e a smettere di sorridere.
«Qualcosa non va? Ti senti ancora male?» gli domandò preoccupato, temendo per un attimo di aver alterato anche i suoi ricordi o la sua personalità, non sapendo usare la magia.
«Smeryld.» ringhiò Jorel ignorando le sue domande.
Il ragazzo capì di non aver sbagliato nulla al di fuori di averlo curato addirittura troppo, abbastanza da permettergli già di ricordare. Impallidì e cercò di sembrare tranquillo mentre diceva: «Mos non sa che sono qui, altrimenti andrei a dirgli che stai dando di matto. Hai avuto un incidente e ti ha somministrato diverse cure, sarai ancora confuso...»
«Non prenderti gioco di me, ragazzo!» lo interruppe a denti stretti, tremando di rabbia «Smeryld... il tuo drago voleva uccidermi!»
«Ciò che dici non ha senso...» sussurrò con voce flebile, si allontanò lentamente temendo che sarebbe esploso.
«Non prenderti gioco di me!» ripeté minaccioso «Gliel’hai detto tu?»
«No! Io... non so di che parli.»
«Volevi che morissi, così il tuo segreto sarebbe venuto con me... nella tomba?»
«Assolutamente no! Rilassati, ti sei rimesso davvero da poco! Ti davano per spacciato fino a ieri...»
«Era quello che volevi, in fondo!»
«Ma... No! Perché mai?» esclamò cercando sia di mantenere la calma che un tono di voce basso.
«Avresti mille motivi... primo tra tutti quel maledetto drago!»
«Abbassa la voce, o sveglierai tutti! Mos non mi vuole tra i piedi, lo sai!»
«Troverò il modo di uccidere il tuo drago...» disse guardandolo cupo.
Scosse la testa e sospirò: «Quante volte dovrò ripetertelo? Non esiste nessun...»
«Ma prima ucciderò te.»
Cedric ebbe solo il tempo di dire: «Aspetta... Cosa?!» che se lo ritrovò addosso, di nuovo cadde a terra, ma questa volta schiacciato dall’uomo che gli premeva con forza le mani alla gola, impedendogli sia di gridare di dolore che di chiamare aiuto.
«Così non gli darai quell’ordine una seconda volta.»
«Sei fuori di testa... lasciami!» tentò di dire.
Ma appena Jorel capì quelle parole si mise a ridere: «Tu sei fuori di testa. Lo sei sempre stato. Adottare un drago! Come se i draghi potessero essere addomesticati! Alla fine sei molto più stupido di quanto pensassi. Quando mai ho promesso a Laurel che mi sarei preso cura di te! Non hai fatto altro che portarmi guai da quando sei stato concepito, e mi hai portato via la donna che amavo...» concluse in un sussurro, la voce rotta dagli improvvisi singhiozzi.
Cedric cercò di liberarsi, ma ogni suo tentativo fu inutile; già in condizioni normali gli era impossibile uscire illeso da uno scontro con Jorel, che era molto più forte di lui. In questa situazione, col suo peso addosso e incapace di respirare, nonché indebolito dallo stesso incantesimo che aveva dato al fabbro la forza di saltargli addosso, ebbe paura. L’aria cominciava già a mancargli, i polmoni bruciavano, la testa gli girava di nuovo, e non seppe dire se fosse solo una sua impressione che la trachea stesse per spezzarsi.
Scalciò senza esito - ottenne solo un ringhio di disapprovazione da parte dell’uomo - e si convinse che senza l’intervento di qualcuno per lui sarebbe stata davvero la fine. E poi sarebbe toccato a Jorel, perché non aveva speranze di uccidere Smeryld. O forse sì, perché il draghetto non avrebbe più osato toccarlo per paura delle conseguenze?
Per un folle attimo pensò di ricorrere nuovamente alla magia, per liberarsi, ma appena se ne rese conto scacciò il pensiero prima che fosse troppo tardi, conscio di essere troppo debole. Che avesse usato la magia o no, sarebbe morto comunque, per mano di essa oppure di suo padre, a causa di un drago che era nato e diventato suo amico solo perché lui, Cedric, era stato così stupido da non restituire l’uovo verde e tutti gli altri a Nerkoull o alla Foresta.
Alla fine, si disse, stava solo finalmente pagando per il suo errore, l’ultimo di una lunga serie.

Emily entrò nella stanza con la delicatezza di un tornado avendo sentito grida e rumori insospettabili da un uomo in punto di morte. Ancora in veste da notte e assonnata, spalancò gli occhi incredula davanti alla scena che le si presentò: il ragazzo non si muoveva - o almeno così le parve - ma l’uomo continuava a premergli la gola, e questo le diede un po’ di speranza.
Presa dal panico si guardò intorno in cerca di qualcosa che avrebbe potuto aiutarla e appoggiata su una mensola vide una boccetta di sonnifero piena per metà. Aveva effetto per inalazione, era proprio ciò di cui aveva bisogno. Prese uno straccio, lo bagnò col sonnifero e si portò silenziosamente alle spalle di Jorel senza che lui si accorgesse della sua comparsa perché troppo occupato a inveire sul ragazzo.
Sospirò, si fece coraggio e disse: «Perdonami.»
L’uomo la sentì e fece per girarsi, ma lei fu rapida a poggiargli il fazzoletto su naso e bocca, e altrettanto rapido fu il sonnifero a fare effetto; in una manciata di secondi Jorel cadde addormentato addosso a Cedric e per metà sul pavimento.
La giovane donna ansimava come se avesse appena terminato una corsa, al contrario del ragazzo che a malapena respirava. Con fatica spostò il corpo privo di sensi di Jorel, si assicurò che Cedric non rischiasse di soffocare, magari per lesioni interne, poi pensò a come portarlo a casa sua - facendo credere al medico che non fosse mai stato lì e che Jorel fosse caduto dal letto da solo.
Quindi rimise a posto il sonnifero e corse silenziosamente a vestirsi per poi tornare in fretta da Cedric, prenderlo in braccio e lasciarlo appena fuori dalla porta insieme alla sua giacca. Sbuffò mettendosi le mani sui fianchi, preparandosi a dover fare tutta la strada fino a casa sua con lui sulle spalle. Per fortuna non si vedeva nessuno in giro, ancora, e per fortuna era una donna dalla corporatura robusta; non avrebbe avuto troppe difficoltà, anche se la meta era piuttosto distante.
Lo prese in braccio scacciando la sensazione di ribrezzo che provò stringendolo a sé, dicendosi che se non l’avesse fatto sarebbero finiti tutti nei guai - lei, gli altri ragazzini, lui, e soprattutto Layla, non poteva permetterselo. Lungo la strada fu tentata di fermarsi a riposare un paio di volte, ma alla fine la paura di incontrare qualcuno, che si faceva sempre più concreta con l’avanzare dell’alba, la convinse a non cedere.
Una volta arrivata davanti alla porta di casa di lui, per aprirla prese la chiave che il ragazzo aveva con sé, lo portò dentro e lo lasciò sui cuscini della panchetta in sala sbuffando di fatica. Decise che avrebbe aspettato lì finché si fosse ripreso, e nel mentre rifletté su cosa potesse essere successo: innanzitutto Jorel si era risvegliato contro ogni previsione, proprio nel giorno in cui Cedric aveva deciso di fargli visita intrufolandosi in casa loro, sapendo che se fosse stato scoperto le avrebbe prese di santa ragione. Ma ci aveva pensato Jorel, tanto da quasi ucciderlo. Non riusciva a capire il motivo di quel gesto estremo; anche se non sapeva cosa fosse successo nel bosco, era certa che Cedric avesse salvato Jorel da Smeryld, non il contrario. Oppure Jorel aveva saputo che Smeryld era il drago di Cedric?
Un bel casino, se Jorel ricorda... pensò scoraggiata; se era arrivato quasi a uccidere suo figlio, sebbene fosse noto a tutti che non avessero un buon rapporto, non voleva immaginare cos’avrebbe potuto fare agli altri, ai draghi, e a lei.
Il ragazzo sembrava non avere alcuna intenzione di riprendersi, quindi Emily dovette lasciare la casa prima ancora che si svegliasse, per tornare a casa propria prima che la sua famiglia notasse la sua mancanza. Sulla strada però decise di fare una rapida tappa a casa di Susan per spiegarle la situazione, dato che i suoi genitori sapevano tutto non avrebbe corso pericoli menzionando cose strane.
Bussò alla porta e fu Susan ad aprirle salutandola con un ampio sorriso che svanì appena Emily cominciò a raccontarle dell’accaduto.
«Non so perché lui si trovasse lì, né come Jorel si sia risvegliato. Ma... è successo.» concluse Emily.
«Ma sta... sta bene, vero?» balbettò l’altra, appoggiata allo stipite della porta.
«Sì, credo che starà bene. Se non altro non ha più molte difficoltà a respirare, ma penso se la sia vista brutta.»
«Meno male che eri sveglia!» sussurrò atterrita.
«Susan... qualunque sia stata la causa scatenante, comprenderai che Cedric non dovrà trovarsi lì quando mio padre permetterà a Jorel di tornare a casa. Se vuoi che resti vivo.»
«E Lily? Rimarrà da sola!»
«Avvertiremo Ilion, di sicuro quella povera donna si farà in quattro per aiutarvi.»
Susan pensò, con un po’ di ritardo, alla decisione che avevano preso tutti insieme la settimana prima riguardo la loro partenza: se Jorel avesse ricordato Smeryld e tutta la faccenda, sarebbero partiti. Ancora non avevano deciso se dirlo agli altri genitori, ma il momento della partenza doveva essere prossimo, ora per due ragioni; la magia e il padre di Cedric.
Annuì distrattamente per non far insospettire Emily, mentre pensava a come riunire gli altri per raccontare loro dell’accaduto. Certo lei avrebbe potuto ospitare Cedric in casa propria, ma non ci sarebbe voluto molto tempo prima che Jorel capisse dove si trovassero. Sarebbe entrato in casa sua e avrebbe comunque ucciso Cedric davanti ai suoi occhi? Voleva sperare di no, ma dopo ciò che Emily le aveva appena raccontato non poteva escluderlo.
Tornando alla realtà, con voce stridula si rivolse alla madre, insistendo perché la lasciasse andare da lui a controllare la situazione, specie con la bambina che gli gridava contro ogni volta che lo vedeva.
La donna annuì dicendole che non avrebbe potuto accompagnarla, ma alla ragazzina non importava: l’unico pericolo ora era Jorel, che però sarebbe rimasto sotto il controllo di Mos ancora per qualche tempo. Si vestì in tutta fretta, salutò Emily che s’incamminò verso casa propria, poi corse via salutando Jelena e assicurandole che sarebbe tornata almeno per cena.
Trovò la porta aperta perché così Emily l’aveva lasciata, quindi entrò e la richiuse abbassando l’asse per essere sicura che nessuno potesse entrare senza che prima loro avessero controllato chi fosse a bussare. Andò silenziosamente a recuperare una coperta in quella che era stata camera sua al piano superiore, tornò giù e la adagiò sul corpo del ragazzo, poi s’inginocchiò accanto alla panchetta.
Rimase a fissare Cedric senza realmente vederlo, persa nei propri pensieri, poi decise di preparare la colazione per tutti e tre. Tornò davanti alla panchetta sentendosi quasi in dovere di vegliare e assicurarsi che stesse bene dopo quel trauma, che di sicuro avrebbe avuto una certa influenza su di lui; dopo aver avuto paura di perdere suo padre per sempre si era ritrovato a rischiare di essere lui tra i due quello morto. Sperò che Lily si alzasse abbastanza tardi da non vedere il fratello dormire e quindi trovandola lì davanti a lui a fissarlo intensamente.
Com’è carino quando dorme...
Si accorse in seguito di ciò che aveva pensato e si sentì avvampare quando credette di aver capito perché fosse così preoccupata e imbarazzata a un tempo, ma anche perché non riuscisse a staccargli gli occhi di dosso.
Beh è un bel ragazzo! si difese come se avesse dovuto giustificare a qualcuno la sua affermazione. Ma nessuno al momento sentiva i suoi pensieri, e lo sapeva bene.

Quando Cedric finalmente si riprese Susan fu costretta a spiegargli come fosse giunto lì grazie a Emily, ma raccontò anche tutto ciò che le aveva detto la ragazza, chiedendo spiegazioni. Il ragazzo tuttavia rimase in silenzio guardando altrove, e lei continuò il discorso riprendendo nuovamente ciò che aveva detto Emily: dovevano trovarsi fuori da quella casa prima che Mos avesse permesso a Jorel di tornarvi.
«Già, naturalmente non avevo pensato a un ipotetico futuro...» commentò lui cupamente stringendosi nella coperta; certo non faceva caldo in quei giorni di fine autunno, ma era quasi certo che quella sensazione di gelo nelle ossa fosse dovuta all’uso improprio della magia.
«Ma cosa diamine è saltato in mente a tuo padre, posso saperlo?» insistette poggiando le mani sui fianchi.
Cedric guardò verso le scale come per assicurarsi che Lily non potesse sentire, poi si decise a raccontarle a grandi linee e a bassa voce cosa fosse successo a partire dalla sua decisione di curarlo con la magia.
Susan rimase sbalordita, e quando lui finì di parlare dapprima lo rimproverò sussurrando con enfasi: «Non avresti mai dovuto provare a usare la magia! Avresti potuto ucciderti!» poi, più calma e riflettendo sulle parole da usare, continuò: «Eravamo d’accordo che se tuo padre avesse ricordato...»
«Saremmo partiti?» completò incerto vedendola giù di morale.
«Beh, almeno dovremmo consultare gli altri. Dirgli che ricorda e decidere definitivamente cosa fare...»
«Siamo d’accordo, andiamo a chiamarli.» disse pronto ad alzarsi.
Ma lei scosse vigorosamente la testa e ribatté con decisione: «Vado io da sola appena tu stai meglio. Non ci metterò molto comunque.»
«Allora vai subito, sarebbe meglio discutere di certe cose mentre Lily ancora dorme.»
Prima di decidersi a uscire Susan volle accertarsi che davvero fosse già pronto a rimanere in casa da solo ed eventualmente affrontare la sorellina, con cui non aveva fatto altro che litigare dalla mattina alla sera nell’ultima settimana, e solo dopo alcuni minuti si decise finalmente ad annuire e uscire di casa per andare a chiamare tutti gli altri, compresa Emily.

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Capitolo 25
*** Preparations ***


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Il colore del titolo del capitolo corrisponde al colore della regione in cui la storia al momento si svolge, tenete d'occhio la mappa per sapere dove ci troviamo!

PREPARATIONS

Ebbero diversi problemi da affrontare per poter uscire di casa: la madre di Andrew semplicemente non voleva, con tutto ciò che era accaduto ultimamente; Emily per ciò che era successo la notte stessa; e Layla perché ai suoi genitori era giunta voce delle condizioni di Jorel.
Susan dovette impegnarsi al massimo per poter convincere i loro genitori, specialmente Moriel che non conosceva, ma alla fine riuscì a portare tutti loro a casa di Cedric verso le nove del mattino, quando Lily si trovava ancora nella sua stanza - non dormiva ma non aveva intenzione di scendere.
Fu Cedric a prendere parola per primo spiegando perché li avessero chiamati, e raccontò quanto successo la notte precedente, lasciando tutti a bocca aperta - compresa Emily che sapeva la storia ma non della magia. Fu presto chiaro ai quattro ragazzini il motivo di quell’incontro: Jorel ricordava, quindi dovevano una volta per tutte decidere cosa fare prima di partire.
Ne discussero a lungo e animatamente, perché ancora non erano giunti a un accordo per quanto riguardava dirlo o non dirlo ai propri genitori, e finché non fosse stata presa una decisione unanime non sarebbero potuti partire.
Emily rimase piuttosto confusa dalle loro parole, non capiva quale urgenza avessero di partire, e quando sentì nominare una scuola di magia e gli Elfi aprì la bocca per fare le sue domande. Ci ripensò; i ragazzi sembravano molto presi dalla discussione, non era certa che l’avrebbero presa in considerazione e ad ogni modo pareva che sarebbero rimasti a Darvil ancora del tempo. Immaginava che tutto ciò di cui stavano parlando ora aveva a che fare con il dialogo avvenuto tra loro e quegli strani gatti, dal quale lei era stata tagliata fuori.
Non fu facile convincere Cedric Andrew e Layla, ma alla fine concordarono che i loro genitori avrebbero di sicuro preferito rischiare la propria vita per mantenere un segreto e aiutarsi a vicenda a custodirlo, piuttosto che chiedersi che fine avessero fatto e se fossero ancora vivi.
Solo allora, quando la situazione fu più calma, Emily fece le sue domande, ora preoccupata oltre che confusa; magia, elfi, draghi, viaggi. Non voleva credere che i suoi giovani compagni di avventure degli ultimi mesi dovessero partire per andare o a Eunev o da questo popolo leggendario. Elfi!
Con pazienza le spiegarono la situazione, cos’era veramente successo a Jorel, cosa fosse successo con quei soldati, quando Layla aveva usato la magia senza nemmeno sapere di poterlo fare, e infine di ciò che avevano detto i Gatti Ferali.
«E voi partireste basandovi su ciò che vi hanno detto dei... gatti?» fece scettica quando Jennifer ebbe detto l’ultima frase.
«Hai ascoltato o no? Layla ha rischiato la vita per una cosa che nemmeno conosceva!» esclamò Andrew irritato «Se non impariamo in fretta rischieremo di fare la sua stessa fine, o peggio morire! Perciò dobbiamo studiare, o a Eunev o da questi elfi!»
«Emily...» cominciò Layla con voce flebile, catturando lo sguardo dell’amica «Tu sai queste cose perché sapevi delle uova e hai visto i draghi. Avrai capito di essere in pericolo almeno quanto lo saranno i nostri genitori appena glielo diremo, perché sai tutto... e i tuoi non dovranno saperlo...»
«Non preoccuparti Layla, terrò il vostro segreto con me qualunque cosa succederà.» la rassicurò con determinazione «Se riuscite, fatemi sapere dove sceglierete di imparare questa magia, così potrei magari provare a mandarvi dei messaggi, per farvi sapere cosa succede qui...»
«Sarebbe meglio di no.» la interruppe Cedric «Oltre a metterti ulteriormente a rischio, ci sarebbe la possibilità che te lo lasci sfuggire.»
La giovane donna fece per ribattere sdegnata, ma Mike la precedette: «Ha ragione lui. Mi dispiace doverlo dire, ma credo che anche gli altri la pensino così. Meno cose la gente saprà di noi, meno pericoli correrete. Torneremo presto in ogni caso, non preoccuparti.»
«Già, giusto il tempo di imparare a controllare la magia perché non ci uccida per sbaglio e saremo a casa!» esclamò Jennifer allegramente.
Emily fece una smorfia poco convinta, ma non insistette oltre e non fece altre domande. Così i ragazzi tornarono ognuno verso casa propria angosciati ancora più di prima.

Il giorno dopo, come concordato, i ragazzi erano riusciti a convincere i genitori a non lavorare per poterli portare fuori casa tutti insieme. Avevano intenzione di mostrare loro i draghi; mancava Emily e naturalmente anche i suoi genitori, i quali se possibile non avrebbero mai dovuto sapere di tutta la faccenda. Alla fine dunque si trattava solo dei genitori di Jennifer Susan e Layla, con la madre di Andrew.
S’incontrarono tutti poco fuori Darvil, nei pressi della casa di Cedric ma non troppo vicini per non farsi vedere né da Ilion né da Lily, e quando videro il giovane i genitori di Susan e Andrew furono gli unici a non storcere il naso, immaginando che qualunque cosa volessero mostrargli avesse a che fare anche con lui.
La madre di Layla fu la prima a prendere parola, portandosi le mani sui fianchi e domandando con aria severa: «Allora, cosa ci facciamo qui? Di cosa vorreste metterci al corrente, tutti quanti?»
«Ora ve lo spieghiamo.» rispose Mike.
Quindi si avviarono verso il bosco a passo piuttosto svelto, e i genitori si scambiarono sguardi preoccupati, ancor più quando capirono di dovervi entrare.
«Era qui che venivate tutti quei giorni?» domandò il padre di Jennifer, e lei si limitò a rispondergli annuendo.
«Ma perché ostinarvi a giocare tanto lontano da casa, in un bosco? Si può sapere cosa c’è di speciale?» domandò quindi Moriel.
«Tra poco lo vedrai mamma.» disse Andrew in un sussurro.
Arrivarono infine vicini alla tana dei draghi, i ragazzi fecero cenno agli adulti di fermarsi e poi tutti loro se ne andarono, sparendo rapidamente alla loro vista tra la fitta vegetazione. Li lasciarono in ansia solo per un paio di minuti, poi furono di nuovo davanti a loro.
«Ebbene?» domandò il padre di Layla impaziente strofinandosi la rada peluria sul mento.
«D’accordo, promettete di non arrabbiarvi per ciò che vedrete.» cominciò Susan torcendosi le mani.
Questo li innervosì subito, lo sguardo della madre di Layla s’indurì e la donna disse: «Perché dovremmo?»
«Dobbiamo... dirvi delle cose e darvi alcune... brutte notizie.» tentennò Jennifer.
Suo padre prese un lungo sospiro e annuì con aria al contempo preoccupata e severa, quindi passandosi una mano nella chioma rossiccia e indomabile disse: «Coraggio allora.»
«No, un attimo.» disse la madre di Layla «Prima rispondete a un paio di domande. Cosa ci facciamo tutti qui? E perché proprio qui? Cosa venivate a fare in questo bosco ogni giorno per mezza giornata? Tutto questo c’entra con la sparizione della tua famiglia, Susan? E quei soldati? E se davvero la situazione è grave come state lasciando intendere, perché non avete detto tutto subito, quando avete cominciato a ritrovarvi tutti i giorni? E perché...»
«Una cosa alla volta, mamma!» esclamò Layla interrompendola e catturando gli sguardi di tutti. Sentendosi in imbarazzo per il modo in cui si era rivolta a lei, si guardò le punte degli stivali e riprese timidamente: «Ora vi mostreremo la... ragione di tutto questo. La causa di tutto. Dopodiché vi spiegheremo la storia, e infine vi daremo le brutte notizie...»
Poi i ragazzi ordinarono a qualcuno di invisibile agli occhi dei genitori di uscire allo scoperto.
Sei strane creature comparvero davanti agli adulti increduli; erano tutti molto simili nell’aspetto, alti al massimo fino a metà coscia dei ragazzi e lunghi quanto un cavallo, muniti di corna, spine, denti e artigli acuminati, ali, coda e un paio di enormi occhi. Ognuno aveva un colore diverso, incredibilmente vivace, tranne uno di loro che era nero.
Tutti eccetto i genitori di Susan fecero alcuni passi indietro gridando, anche se i due uomini cercarono di darsi un contegno, le madri invece strillarono. Gerida era la più tranquilla, eppure anche lei indicava i draghetti e inveiva contro la figlia. Presto tutti cominciarono a gridare, con grande sconforto dei ragazzi, e i draghetti osservarono la scena con disappunto.
Facciamo davvero così ribrezzo? si domandò Rubia, parlando anche con tutti i draghi e i ragazzi.
«No piccola, ma creature del vostro calibro incutono timore...» le rispose Jennifer in un sussurro.
Perché?
«Beh, siete relativamente grossi per gente non abituata a vedere animali più grandi di un cavallo, avete denti, ali, artigli, corna, spine...»
«Non avete l’aspetto di creature mansuete e addomesticabili, detto in breve.» intervenne Mike fissando la madre di Jennifer che ora era pallida in viso.
Ma questo non fa di noi creature malvagie e pericolose obiettò Zaffir.
«Malvagie no, non è l’aspetto a rendere malvagi. Ma pericolosi, questo sì. Voi siete molto pericolosi.» ribatté il ragazzino, ora guardando il cucciolo blu che abbassò la testa come sentendosi colpevole.
Jelena sorrise a Sulphane e la salutò, quindi la draghetta le fece un cenno con la testa lasciando tutti gli altri sbalorditi.
La prima a inveire fu ovviamente la madre di Layla che gridò a sua figlia: «Ma sei diventata matta? Cosa sono questi... questi... cosi? Da dove saltano fuori?»
«Bella domanda!» esclamò Moriel «Andrew tesoro, vieni qui! Allontanati da quelle bestie!»
Umbreon le rivolse uno sguardo di fuoco.
«Jennifer... Jen vieni anche tu... quelli non sono cani! Né gatti! Cosa... cosa sono, per Jegra?!» gridò Gerida.
«Non sono pericolosi, ora vi spieghiamo tutto.» rispose la ragazzina.
«Farete meglio a parlare in fretta!» disse il macellaio cercando di mantenere un’aria autoritaria anche di fronte a quelli che erano indubbiamente letali predatori.
Mike prese parola: «Vi avevamo chiesto di non arrabbiarvi, ma ci aspettavamo tutti una reazione simile da parte vostra...»
Silenzio. Ascoltavano fissandoli furenti, tenendosi tuttavia a distanza.
Il ragazzino riprese: «Questi cosi come li chiamate voi, sono il motivo di questa specie di raduno...»
«Cosa volete, che li uccidiamo?» lo interruppe il padre di Jennifer, ma prima che Mike, disgustato, potesse esprimersi, accanto a Jennifer Rubia ringhiò e l’uomo fece due passi indietro terrorizzato.
Mike si riebbe e continuò: «Dunque, dicevo... questi sono sei cuccioli di drago...» la madre di Andrew lo interruppe con un urlo di terrore, Umbreon la incenerì con lo sguardo, le pupille ridotte a una fessura.
«Esistono davvero?» chiese incredulo il padre di Layla.
«Io credevo fossero morti tutti!» esclamò invece Gerida.
«...Questi sei cuccioli di drago,» riprese Mike alzando la voce per farsi sentire «sono innocui finché ci siamo noi, perché ci appartengono...»
«Che cosa?!» sbraitò la madre di Layla «Come sarebbe?!»
«Mamma ti vuoi calmare?» le gridò Layla innervosita, Ametyst al suo fianco ringhiò la sua approvazione.
«Innocui quelli?» chiese il padre di Jennifer indicandoli.
«Esatto!» rispose seccato Mike «Sono ai nostri ordini! Sono i nostri draghi! Va bene? Non è vero Zaffir?» chiese poi rivolto al drago blu e quello annuì vigorosamente. Gli adulti rimasero a bocca aperta.
«Praticamente» intervenne Susan «noi siamo i padroni di questi draghi, loro obbediscono soltanto a noi, e noi ora dobbiamo imparare la magia prima che l’uso involontario di questa ci uccida.» disse tutto d’un fiato, ma era tranquilla. Perché i suoi genitori sapevano.
«C-cosa?» chiese incredula la madre di Andrew dopo un lungo silenzio attonito.
«Già...» le rispose il figlio e posò la mano sulla testa di Umbreon «Lo sappiamo, è triste... dobbiamo partire il prima possibile, forse andremo a Eunev.»
«Eunev!» esclamò il padre di Layla con mani e sguardo al cielo «Eunev! La capitale!» poi tornò a guardare la figlia ed esclamò indicando Cedric: «Io con quello lì non ti lascio andare da nessuna parte!» a quelle parole lo sguardo del ragazzo s’incupì e Smeryld ringhiò minaccioso. L’uomo guardò la piccola creatura solo per un istante, poi continuò: «Quello che è successo...»
«Lo so, papà.» lo interruppe Layla con decisione, sperando che non dicesse altro «Ma Ametyst mi proteggerà da qualsiasi cosa. Lei.» si affrettò a indicare la dragonessa viola perché nessuno di loro sapeva chi fosse Ametyst «Inoltre, con questa storia della magia non potrei rimanere comunque. Vorrei, ma non posso.»
«Ora lasciateci raccontare dall’inizio.» disse Susan ottenendo finalmente un silenzio meno teso, quindi cominciò a parlare.
Naturalmente partì dal momento in cui lei e Jennifer avevano trovato le uova, quando ancora pensavano che fossero pietre insolite e di come avevano scoperto che in realtà fossero uova di drago. Passò poi alla parte in cui avevano testardamente scelto di aspettare che nascessero, e poi di come, una volta nati, fossero andati nella Foresta per cercare di lasciarli a loro stessi.
Gli adulti rimasero zitti ma sui loro volti pallidi si poteva leggere il terrore, dunque i ragazzini evitarono di nominare i Krun.
Susan riprese parola raccontando di come si fossero affezionati in fretta ai cuccioli crescendoli, poi intervenne Layla che raccontò di come avessero trovato il modo di farsi capire, Jennifer di quanto in fretta crescessero, Mike di quando avevano cominciato a comunicare, Andrew disse del loro incontro con Nerkoull che gli aveva permesso di crescere coi draghi.
Arrivò poi il momento di raccontare cosa fosse realmente successo coi soldati, e a Jorel. Lì Cedric prese parola per la prima volta e cercò di non lasciarsi prendere dalla rabbia che ancora provava, ma come si aspettavano quella parte del racconto lasciò gli adulti sconvolti. Andrew Susan e Jennifer raccontarono di cosa fosse successo nell’accampamento, Layla della magia e Cedric invece dell’intervento del grande Nerkoull, che li aveva aiutati a liberare anche i genitori di Susan. Infine tutti insieme, eccetto Mike che non era stato cosciente, raccontarono molto in breve della morte dei soldati, dilungandosi poi invece a parlare dei Gatti Ferali e dei loro ammonimenti.
Quando finirono di raccontare la storia scese il silenzio, perché gli adulti davvero non trovavano nemmeno il coraggio o la forza di proferire parola.
Fu dopo un buon paio di minuti che il macellaio scosse la testa come per riprendersi da un incubo e guardò negli occhi tutti e sei, uno alla volta, volgendo talvolta lo sguardo a uno dei sei draghi solo per un breve istante.
Sospirò profondamente e disse con voce flebile: «Quelle creature, quei... draghi hanno ucciso dieci persone? E hanno tentato di uccidere il nostro fabbro? Questo davvero non vi dice nulla su che razza di bestie stiano al vostro fianco?»
«Fel,» disse Susan «non sono stati loro a uccidere i soldati, è stato Nerkoull a rispondere alla mia richiesta d’aiuto. L’ha fatto per noi. Probabilmente saremmo morti tutti se non fosse intervenuto.»
«Per quanto riguarda mio padre...» disse invece Cedric trattenendo una smorfia «Smeryld lo ha aggredito perché non sapeva chi fosse, sapeva solo che nessuno avrebbe dovuto sapere di loro. E per evitare il rischio ha deciso di...» non riuscì a finire la frase e cercò un altro modo per dirlo «Ha cercato di nascondersi prima, ma Jorel l’ha visto. Così ha pensato di non avere altra scelta.»
«Quindi in poche parole, se noi ci fossimo per sbaglio avventurati nel bosco, in questo bosco, avrebbero potuto ucciderci?» esclamò il padre di Jennifer «Per ‘Mantenere il segreto’, dico bene?»
«No. È stato mio l’errore, io non avevo mai parlato a Smeryld di mio padre.» indicò gli altri draghetti con un gesto «Tutti gli altri invece sapevano di voi, delle vostre famiglie, in un modo o nell’altro.»
«Però se qualcuno del villaggio eccetto noi fosse venuto qui, sarebbe morto. È errato questo?» domandò Gerida con un sospiro rassegnato.
«Questo non è errato.» ammise Mike in un sussurro, guardò un attimo a terra, poi riprese a fissare la donna negli occhi «Ma possiamo assicurarvi che avrebbero prima cercato di nascondersi, e solo nel caso in cui fossero stati visti... beh... Ad ogni modo non è mai successo.» tagliò corto.
«E i tuoi genitori, Susan?» domandò la madre di Layla torcendosi le mani.
La ragazzina guardò il padre, che a sua volta venne fissato da tutti i presenti. Sentendosi in difficoltà l’uomo borbottò: «Per qualche ragione sapevano di Susan e sono venuti sotto casa nostra per chiederci dove fosse. La situazione è degenerata e pensando che nascondessimo qualcosa ci hanno presi e portati a sud, verso Miol. Lì si sono incontrati con altri soldati, quelli che sono venuti qui e di cui hanno parlato prima, e ci hanno riportati a nord poco lontano da qui. Il resto più o meno lo sapete, ci hanno interrogati imperterriti finché quel Nerkoull ci ha salvati... uccidendoli.» concluse con una smorfia di ribrezzo ricordando com’erano morti.
«E cos’è invece quest’altra storia dei gatti e della... magia?» domandò Moriel, che nel panico di poco prima era scoppiata in lacrime, atterrita.
«Come vi abbiamo detto, la magia è dovuta ai draghi.» rispose Layla «Grazie a loro noi possiamo usarla...»
«Ed è così che ho salvato Jorel.» la interruppe Cedric «Ma per farlo ho rischiato la vita, perché non la sapevo usare. E finché non impareremo a controllarla, tutti noi rischieremo la vita. Potremmo usarla senza volerlo e in quantità tali da ucciderci.»
«Per questa ragione dobbiamo partire il più presto possibile.» completò Jennifer «Impareremo a controllarla in modo da non usarla per sbaglio, poi torneremo qui. Sarà questione di pochi mesi, ve lo promettiamo!»
«No!» esclamò Moriel «Mio figlio ha solo undici anni! Non può partire... per Eunev poi? Avete idea di come arrivare a Eunev?!»
«E del tempo che ci vorrà per arrivarci.» intervenne Gerida.
«Hanno ragione, voi non potete andare da nessuna parte da soli.» disse il macellaio «Sei ragazzini da soli a Eunev! Questa sarebbe pazzia.»
«Non c’è Eunev come sola alternativa.» disse Susan, ottenendo ancora il silenzio «Se troviamo i Gatti Ferali possiamo chiedergli di condurci dagli Elfi.»
«Elfi? Elfi!» esclamò Gerida, girò su se stessa con lo sguardo al cielo e le mani sul viso, senza voler credere alle proprie orecchie.
«Gli Elfi non esistono.» dichiarò suo marito.
«Ma i Gatti dicono...»
«Gatti? I gatti non parlano, Susan!»
«Quelli sì! Come parlano i draghi! I draghi non esistevano per voi fino a un’ora fa, eppure eccoli davanti a voi!»
Ci fu un attimo di silenzio, poi la madre di Layla scosse la testa e disse fermamente: «Non se ne parla. Elfi o Eunev, non andrete da nessuna parte.»
«Non potete impedircelo, rischieremo di morire!» protestò Mike.
«Abbandonate quelle bestie e il problema si risolverà nel giro di qualche giorno. Ma cosa vi è saltato in mente?! Crescere dei draghi? Cosa vi aspettavate che succedesse, esattamente?» sbottò Alena.
Cedric fu l’unico tra i ragazzi a non abbassare lo sguardo con fare colpevole a quel rimprovero, scosse la testa a sua volta e guardò la donna dritto negli occhi, quindi le disse cupamente: «Non vi abbiamo portati qui per chiedervi il permesso di partire. Pensavamo avreste preferito sapere che non saremmo né morti né scomparsi. Ce ne andremo presto.»
«Cosa? Ho detto no!» gridò Moriel.
Smeryld ringhiò e Cedric si lasciò inconsapevolmente prendere dal suo fastidio, quindi ripeté più aggressivo: «Non abbiamo bisogno del vostro permesso. Se non partiremo moriremo davanti ai vostri occhi compiendo azioni apparentemente inspiegabili. Volevamo solo che non foste in pensiero.» dopodiché si calmò e scosse la testa, sentendosi come appena risvegliato da un sogno.
Nemmeno gli altri capirono cosa gli fosse preso, ma gli furono grati per essersi esposto al posto loro, per di più in quel modo e con parole tanto forti che non sarebbero stati in grado di proferire.
«Tu bada bene a come parli.» ringhiò il padre di Layla irritato «Se non ti dispiace vorrei decidere io per mia figlia, se lasciarla andare nella città più grande e pericolosa del Regno!»
«Ma papà... ciò che ha detto è vero. Noi non possiamo attendere il vostro permesso... non possiamo proprio aspettare! Io sarei partita volentieri tra cinque anni, ma non posso! Andremo a questa scuola di magia, impareremo qualcosa, poi torneremo!» tentò la ragazza.
«Sappiamo che è una situazione spiacevole, e che siamo giovani, che siete preoccupati... ma noi non vogliamo morire, capite?» disse Susan timidamente.
«Forse quei Gatti vi hanno mentito? È una trappola! Vogliono uccidervi per avere quei draghi...» tentennò Gerida.
«Perché mai i Gatti dovrebbero volere i draghi?» esclamò Andrew «Noi li abbiamo salvati da quei soldati, sono nostri amici ora! Non vogliono farci del male.»
«Ah sì? E ve l’hanno detto proprio loro, immagino!» ribatté sua madre, le mani incrociate sul petto.
Dille che prima di uccidere voi dovrebbero uccidere noi, e che sarebbe impossibile per un paio di Gatti Ferali uccidere sei draghi disse Umbreon ad Andrew, la coda che sbatteva furiosamente da una parte all’altra. Quindi Andrew riferì le parole del drago.
«Pare che siamo a un punto morto.» sospirò il padre di Susan, per la prima volta contrariato «Non possiamo lasciarvi andare, ragazzi...»
«Io devo partire prima che Jorel torni a casa, o cercherà di uccidermi di nuovo.» disse Cedric con voce quasi flebile, come per scusarsi per il comportamento tenuto poco prima.
«Di te non credo importi nulla a nessuno.» ribatté il padre di Layla cupamente.
«A noi importa!» esclamò Susan accigliata «E io andrò con lui, non importa dove! Io avrò lui, Smeryld e Sulphane! E gli altri dovranno venire con noi.»
«Non possiamo restare.» disse Jennifer con voce lamentosa «Torneremo presto!»
«Non tornerete più, ve lo dico io!» esclamò Moriel «Quei draghi non vi porteranno altro che un guaio dopo l’altro! Draghi! Se qualcuno vi vedesse...»
«Per questo non dovrete dirlo a nessuno. Quei soldati ci avevano scoperti, e siamo stati costretti a... farli uccidere.» disse Mike con una smorfia «Sapere dei draghi vi metterà in pericolo. Ma abbiamo pensato, per l’appunto, che avreste preferito essere voi stessi in pericolo piuttosto che non sapere dove fossimo finiti.»
«Ed è così, penso di poter parlare per tutti noi.» disse la madre di Jennifer «Ma non me la sento di lasciarvi andare Mike, non dopo quello che è successo! Altri soldati vi troveranno, e non avrete me! Morirete se ve ne andrete...»
«Moriremo anche rimanendo.» ribatté Layla «Penso ancora che avvertirvi fosse la cosa migliore, ma sto cominciando a pentirmene...»
«Layla...» cominciò sua madre, sentendosi ferita da quelle parole.
«Non possiamo restare, lo capite?» gridò, si sentiva gli occhi lucidi «Ci dispiace! Non pensavamo sarebbe successo tutto questo quando abbiamo fatto schiudere quelle piccole uova! Non potevamo saperlo! Ma ora, se non vogliamo morire usando per sbaglio la magia, dobbiamo partire e imparare a controllarla! Io l’ho già usata per sbaglio e sono quasi morta. Cedric l’ha usata consapevolmente ma senza conoscerla ed è quasi morto. Volete che rischiamo tutti almeno una volta, prima di lasciarci partire? E se a uno di noi dovesse andare male, la prima volta? Cosa fareste in quel caso, se uno di noi morisse?»
«Tesoro ora calmati...»
«No! Mi dispiace, ma questo è l’unico modo! Torneremo, ma ora dobbiamo partire, al più presto!» decise di zittirsi, ansimava per aver urlato tutto d’un fiato, cominciò a piangere e nemmeno si trattenne, sia per ciò che aveva detto che per come l’aveva detto.
Anche Moriel riprese a piangere, forse perché cominciava a capire che non avrebbe potuto impedire ad Andrew di partire; avrebbe avuto più possibilità di sopravvivere se fosse partito piuttosto che se fosse rimasto.
Tentò un ultimo tentativo e con foga gridò: «Tu non puoi andare Andrew! Non a undici anni! Nemmeno sai cosa ti aspetta, come funziona il mondo... Non andrai!»
Umbreon si avvicinò ringhiando con passo lento e pesante. La donna subito s’irrigidì e lo fissò con terrore, allontanandosi di qualche passo senza smettere di fissarlo negli occhi.
«Umbreon!» sussurrò Andrew, sicuro che il drago l’avrebbe sentito, e infatti quello si voltò di scatto per guardarlo «Non fare così, ti prego.» continuò il ragazzo.
Umbreon sembrò pensarci su, tornò a guardare la donna minaccioso ed emise un ringhio sommesso, poi senza voltarle le spalle retrocesse accanto al ragazzino che gli carezzò piano un fianco.
«Quel... coso è pericoloso!» esclamò poi la donna con voce tremante.
Umbreon indispettito la fissò ancora più minaccioso, ma non fece altro avendo capito che quel momento era quasi certamente più doloroso per la madre piuttosto che per il figlio.
«È fatto così. È molto più scontroso degli altri ma come vedi mi obbedisce ugualmente.» le rispose Andrew «Mamma... lui ormai è il mio drago! Cerca di comprenderlo! Tra qualche mese sarà grande il doppio temo e per quanto tu lo voglia le cose non possono cambiare, questo è il mio destino...»
«No!» lo interruppe lei «Tu sei mio figlio e decido io per te! Ho detto che sei troppo giovane, il discorso per me è chiuso!»
«Ma non potremo tenerlo nascosto a lungo! Se qualcuno oltre a voi venisse a sapere dei draghi sarebbe una catastrofe! Se dovessero scoprirlo verrebbero qui, e io non voglio che Darvil venga distrutto perché io e Umbreon siamo rimasti!» Moriel scosse la testa tra le lacrime e Andrew gemette: «Mamma... non fare così, torneremo.»
«Sì.» disse Jennifer con enfasi «Torneremo, e ad ogni modo non è ancora arrivato il giorno della partenza. Abbiamo ancora tre o quattro giorni.»
«Lasciate almeno che vi accompagniamo.» disse suo padre.
Cedric scosse la testa: «Il villaggio ha bisogno di voi, e noterebbe la vostra mancanza.»
«Noterebbe anche la vostra.» obiettò Gerida.
«Ma voi dovrete reggere il gioco. Potreste spargere la voce che quei soldati ci hanno catturati, così non andrebbe spiegata nemmeno la loro mancanza.» disse Susan.
«E quando tornerete che diremo?» domandò la madre di Layla.
«Diremo di essere riusciti a fuggire, che ci avevano portato al loro accampamento segreto, o qualcosa del genere. Ci inventeremo qualcosa.» disse Mike.
«Non dovrete temere per noi, staremo bene. I draghi ci proteggeranno.» disse Layla, dopo essersi asciugata le lacrime e aver smesso di singhiozzare.
«Non si può proprio impedirlo, vero?» domandò il padre di Layla sconfortato, e la figlia e Susan scossero la testa in risposta. L’uomo sospirò ma annuì portandosi una mano al viso, rassegnato.
«Beh, ora... vogliamo tornare a casa o volete conoscere un po’ i nostri draghi?» domandò Jennifer timidamente.
Moriel lanciò subito un’occhiata ostile al draghetto nero accanto ad Andrew e non si mosse, anzi si strinse le braccia al corpo come per proteggersi. Jelena invece fece qualche passo avanti e s’inginocchiò a terra allargando le braccia, invitando Sulphane a farsi abbracciare, e la piccola dragonessa dalle ali piumate non esitò: si lanciò di corsa addosso alla donna che rise divertita stringendole il collo sottile. Gerida fissava Rubia con insistenza, e alla fine Jennifer le fece cenno di avvicinarsi. Con diffidenza, la donna mosse qualche passo fino a trovarsi davanti alla figlia, la quale le prese la mano e la tenne stretta mentre la draghetta si avvicinava per farsi toccare. La sensazione che provò nel toccare una giovane creatura leggendaria per un attimo le fece dimenticare ciò che sua figlia avrebbe dovuto passare a causa sua, e sorrise.

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Capitolo 26
*** Goodbye ***


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Il colore del titolo del capitolo corrisponde al colore della regione in cui la storia al momento si svolge, tenete d'occhio la mappa per sapere dove ci troviamo!

GOODBYE

Le ore che seguirono quella discussione furono difficili per i ragazzi; la compagnia dei piccoli draghi dopo un poco cominciò a essere d’intralcio più che d’aiuto, perché le creature erano alla fine la causa di quello sconvolgimento nelle loro vite. Quindi tornarono presto tutti a casa.
Sapendo di non avere più molto tempo, Gerida era taciturna, come tutti gli altri, e cercava di non dare a vedere quanto soffrisse alla sola idea di lasciar andare la propria figlia all’avventura; avrebbe tanto desiderato poter andare con lei, ma sapeva che il villaggio avrebbe risentito della sua mancanza in quanto guaritrice. Le uniche che avrebbero potuto partire insieme ai giovani erano Moriel e Alena, le quali non avevano un preciso lavoro da portare avanti, mentre Jelena spesso aiutava il marito in negozio, o gli portava la farina dal granaio.
Ma entrambe le donne convennero infine che la loro presenza non sarebbe servita a molto ai ragazzi, al di fuori di poter essere due figure di riferimento: non sapevano dove sarebbero andati di preciso, gli Elfi avrebbero potuto non volerle - al contrario dei giovani che erano accompagnati da sei draghi - e a Eunev non era detto che avrebbero trovato un posto dove abitare, dal momento che la scuola, se ospitava, di certo non prendeva gente a caso dalla strada.

La notte stessa Cedric stava ancora cercando di prendere sonno rigirandosi il bracciale di sua madre tra le mani. Pensava tristemente a quanto in fretta immaginava che la sua famiglia si sarebbe abituata alla sua mancanza quando sentì un rumore al piano inferiore.
Non si era nemmeno cambiato, perché ancora non gli era venuto sonno, perciò dovette solo uscire da camera propria. Scese furtivamente le scale in ascolto, sentiva il rumore di un paio di stivali muoversi circospetto e immediatamente pensò ai soldati; gli parve strano che fossero tornati così in fretta, ma magari avevano un distaccamento non lontano dal villaggio. Oppure potevano essere dei ladri, dal momento che la casa era isolata, quindi era facile non essere scoperti; era un pericolo cui era stato abituato a prendere in considerazione anche da bambino.
Girata la curva delle scale poté guardare uno scorcio della sala nella penombra notturna, quindi si accorse presto che parte della sua visuale era oscurata dalla sagoma scura di un uomo. Non fece in tempo a reagire o a tornare indietro, quello lo prese e lo spinse giù dalle scale per poi dirigersi verso il camino mentre il ragazzo tentava di rialzarsi.
Qualcosa lo colpì con tanta violenza da spezzargli il respiro facendolo ricadere a terra, di nuovo, e ancora una volta, finché fu abbastanza stordito da perdere il conto. Ma era ancora cosciente e girandosi su un fianco per prepararsi meglio a subire i colpi riconobbe che si trattava di Jorel e a quel punto si spaventò, certo che avrebbe nuovamente cercato di ucciderlo. Ebbe giusto il tempo di capire che doveva impugnare uno degli strumenti del camino prima che la punta ferrata lo colpisse di nuovo, facendolo gridare per la prima volta.
Si costrinse a reagire prima che fosse troppo tardi, se avesse perso i sensi sarebbe certamente morto. Gli tirò un calcio all’altezza del ginocchio che lo fece indietreggiare prima che potesse colpirlo di nuovo, lo sentì imprecare e insultarlo, ma ebbe il tempo sufficiente di rialzarsi e sfuggire alla sua presa.
Non gli veniva in mente altro da fare se non uscire di casa e correre più veloce che poteva, ma non sapeva se andare dai draghi o da Susan. Non aveva tempo per pensarci, né di preparare il cavallo, e il villaggio era più vicino del bosco, l’avrebbe raggiunto e avrebbe potuto nascondersi prima.
Si schiantò di peso contro la porta trovandola chiusa esattamente come lui l’aveva lasciata, con la serratura bloccata e l’asse di legno abbassato, quindi con un po’ di ritardo capì che suo padre aveva trovato un modo alternativo per entrare in casa, con tutta probabilità la finestra in sala da pranzo che era la più ampia del piano terra. Si sentì prendere dal panico, perché aveva dato per scontato che Jorel avesse lasciato la porta aperta e invece ora si trovava con le spalle al muro e le chiavi fuori portata.
L’uomo comparve con passo pesante all’imboccatura del corridoio e lì rimase fermo per alcuni attimi, con una mano appoggiata alla parete e in attesa che gli occhi si abituassero all’ambiente più buio del precedente. Anche Cedric rimase fermo immobile a guardare la sua sagoma lievemente controluce, attendendo con terrore la sua prossima mossa. Sperò solo che la paura non prendesse il sopravvento lasciando la magia libera d’intervenire e potenzialmente peggiorare la situazione.
«Allora...» cominciò Jorel muovendo qualche passo «Hai intenzione di darmi una spiegazione o devo di nuovo minacciarti di morte? Quel drago verde, è tuo?»
Ora si era avvicinato tanto da portarsi a un passo dal ragazzo, il quale non rispose pensando solo a un modo per uscire da quella situazione; forse se avesse gridato svegliando Lily Jorel si sarebbe dato una calmata?
Dopo un poco l’uomo vibrò altri colpi, se possibile più forti dei precedenti, e alzò la voce: «E quello piumato? Sulphane? Cosa mi dici di quello, ce ne sono altri? Quanti sono?»
Cedric riuscì in parte a moderare i danni raccogliendosi contro la parete e tenendo le braccia sopra la testa, tremando ogni volta che il ferro incontrava le sue ossa, e sebbene Jorel continuasse a inveire e urlare non rispose. Non c’era motivo di dirgli più di quanto già sapesse, considerando come aveva reagito finora. Cercò anche di non gridare e riuscì a non piangere convincendosi di avere bisogno del massimo della lucidità, e una vista appannata dalle lacrime poteva fare la differenza. Non alzò mai la testa, nemmeno quando ebbe l’impressione che le sue ossa stessero alla fine per cedere e spezzarsi tanto gli facevano male.
Quando senza preavviso Jorel si fermò e smise di urlare per riprendere fiato.
«Cedric...» disse ora con voce bassa e roca, e il ragazzo si azzardò a guardarlo intimidito «Non te lo chiederò un’altra volta.»
Lui si guardò rapidamente intorno e si disse che una possibilità c’era quando l’occhio gli cadde sulla porta; non poteva uscire ma quell’asse pesava parecchio, se fosse riuscito a sollevarla e usarla a proprio vantaggio... Tornò a guardare Jorel per tenerlo d’occhio e lentamente si spostò verso la porta.
«Te l’ho già detto, non so di che cosa parli.» sussurrò con voce flebile cercando di prendere tempo, e intanto cercò di usare le pareti dell’angolo per riuscire a rialzarsi. Poi lentamente portò la mano sinistra alla porta e raggiunse l’asse. Vi si aggrappò con tutte le forze sperando che il suo piano funzionasse.
Jorel scosse la testa in una smorfia che l’altro non poté vedere nel buio e ribatté: «Sì, l’hai già detto. E non ti credo. Quindi...»
Aveva alzato il braccio e non c’erano dubbi, stava per aggredirlo di nuovo. Perciò Cedric si sbrigò ad afferrare l’asse con entrambe le mani e non seppe dire dove trovò la forza di sollevarla e tirarla addosso all’uomo; deviò in parte il suo colpo e lo fece barcollare all’indietro perché l’aveva colto di sorpresa. Non perse tempo e scattò superandolo e lasciando il corridoio per poi salire le scale incespicando, ma costringendosi a rimanere concentrato sulla fuga. Non aveva tempo da perdere per cercare la finestra aperta dalla quale Jorel era entrato, ma era certo invece di poter trovare aperta la propria.
Sentì Jorel gridare di nuovo ed ebbe un tuffo al cuore, ma se non altro se l’era cavata senza l’aiuto della magia. Per ora. Entrò di corsa in camera e sentì Lily, ormai sveglia, uscire da camera sua avendo realizzato che suo padre apparentemente era tornato e quindi voleva dire che stesse bene. La bambina corse incontro all’uomo per abbracciarlo e questo lo rallentò, dando invece a Cedric il tempo di chiudere la porta della propria camera a chiave, mettersi gli stivali e usare la finestra per uscire, come qualche notte prima.
Non si curò nemmeno di calarsi con calma, sentiva suo padre gridare fuori di sé e insultarlo senza sosta, in quelle condizioni era quasi certo che avrebbe potuto correre più veloce di lui e raggiungerlo. Non volle pensare alle conseguenze se ciò fosse avvenuto, balzò giù dal piano rialzato e rotolò in mezzo alla neve lamentandosi del dolore, ma si costrinse a rialzarsi e cominciare a correre, non si guardò indietro perché sapeva che Jorel avrebbe presto cominciato a seguirlo. Pensò che cercare riparo al villaggio alla fine sarebbe stata la scelta migliore in ogni caso, altrimenti probabilmente i draghi - soprattutto Smeryld - avrebbero ucciso Jorel per proteggerlo e risolvere il problema alla radice.
Cercò di sviarlo continuando a infilarsi in vie a caso, per non fargli capire subito dove fosse diretto. Quando lo sentì troppo vicino decise d’inoltrarsi in uno di quegli spazi tra le case dove lui stesso faticava a passare: Jorel non sarebbe mai riuscito a seguirlo lì, avrebbe dovuto fare un altro giro. E Cedric ne approfittò per riprendere un attimo fiato, col cuore in gola per il terrore e il corpo che a modo suo protestava per lo sforzo. Poi si decise a riprendere la corsa e questa volta dirigersi direttamente verso casa di Susan su una delle isole a ovest, sperando che suo padre ne ignorasse l’ubicazione.
Bussò repentinamente alla porta sussurrando il nome della ragazza con ansia e guardandosi spesso intorno per paura di veder comparire l’uomo da un momento all’altro. Lo sentiva talvolta fare il suo nome seguito da un’imprecazione o da un insulto. I colpi che dava alla porta, sebbene relativamente lievi, riverberavano per tutta la lunghezza del braccio facendogli male.
Questo non lo fermò e continuò a battere ripetutamente la porta col palmo aperto sussurrando tra sé in continuazione: «Vi prego aprite.» sapendo di non poter fare troppo rumore; il villaggio a quell’ora di notte era silenzioso, se lui poteva sentire Jorel fare il suo nome, l’uomo poteva quasi certamente sentirlo bussare alla porta se insisteva con troppa forza.
Ma alla fine sentì dei lievi passi nel corridoio e Jelena aprì, con aria assonnata e frastornata e una coperta di lana che l’avvolgeva. Cedric la guardò incredulo e si lasciò sfuggire una debole e acuta risata isterica, mentre alle spalle della donna comparve anche Deren spalancando meglio l’ingresso.
«Cosa ci fai qui?» gli chiese l’uomo con fare burbero ma decisamente stanco.
«Vi prego fatemi entrare.» disse Cedric in un sussurro appena udibile.
I due si guardarono perplessi negli occhi indecisi sul da farsi, quando sentirono la voce di Jorel non molto distante e vedendo il terrore negli occhi del ragazzo capirono che qualcosa non andava. Perciò Jelena si fece lentamente da parte e il marito afferrò Cedric per trascinarlo dentro, richiudendo poi la porta senza fare rumore.
Il giovane tremava senza controllo, probabilmente anche per il freddo dal momento che era uscito senza giacca né mantello durante una nevicata e a quanto pareva era pure caduto in più di una spanna di neve fresca. Non la smetteva di ringraziarli con voce flebile stringendosi le braccia attorno al corpo. Nel buio il sangue non si vedeva, ma Cedric era certo di esserne ricoperto, ricordava vagamente di aver visto la neve più scura dopo essersi praticamente lanciato dalla finestra.
Susan scese le scale stropicciandosi gli occhi, avendo sentito poco prima i genitori uscire sbuffando dalla loro stanza, ma appena realizzò di avere davanti Cedric esclamò il suo nome sorpresa.
Lui si volse di scatto a guardarla e ribatté con fare implorante, sempre a bassa voce: «Piano! Non deve sentirti!»
La ragazzina annuì confusa e lo assecondò abbassando la voce: «Chi? Cosa ci fai qui? Stai bene?»
«I-io... no non... non credo. È che...» tentennò coprendosi gli occhi con una mano, come cercando di cacciare dalla propria mente ciò che era successo.
Jelena sospirò paziente e sussurrò: «Cerca di calmarti, sei al sicuro qui. Rilassati e dicci cosa sta succedendo.»
«Vieni.» disse Susan prendendogli una mano per condurlo al tavolo a sedersi.
Lui si ritrasse con uno scatto e disse: «Non toccarmi.»
«Va bene! Va bene.» disse subito lei alzando entrambe le mani in modo che fossero bene in mostra.
«Mi... mi dispiace di aver disturbato, solo che... non sapevo dove altro andare, se non da loro... dai draghi.» continuò lui.
«È tutto a posto, cosa succede?» gli domandò preoccupata, perché aveva l’aria di aver visto un fantasma.
Deren controllò dalla finestra che nessuno avesse visto o sentito nulla, ma Darvil pareva avvolto in un manto di silenzio, dunque richiuse le persiane.
«Jorel... Credevo di nuovo che mi avrebbe ucciso.» rispose incerto.
Susan sussultò: «Ma lui è da Mos!»
Cedric scosse la testa con scetticismo e ribatté freddo: «A meno che non mi sia preso a sprangate da solo, credo che ti stia sbagliando!»
«D’accordo, adesso cerca di stare tranquillo.» gli disse sperando di riuscire a sembrare rassicurante «Probabilmente verrà a cercarti qui, ma non gli diremo nulla. Non preoccuparti.»
Non l’aveva mai visto così spaventato, non era nemmeno in sé. Continuava a lanciare delle mezze occhiate alla porta come temendo che suo padre potesse sfondarla da un momento all’altro, tremava, e il fatto che rifiutasse qualsiasi tipo di contatto le rendeva difficile pensare a come tranquillizzarlo.
«Portalo di sopra.» disse Jelena alla figlia, ed entrambi la guardarono sorpresi, quindi proseguì: «Se Jorel è per strada adesso, probabilmente hai ragione e verrà qui. Sarà meglio fargli credere che lui non ci sia e che stiamo tutti dormendo.»
Cedric scosse la testa e protestò a disagio; non aveva pensato al dopo, si era semplicemente diretto nell’unico posto in cui aveva sperato di trovarsi al sicuro. Si era aspettato che non l’avrebbero cacciato di casa, ma non si era preparato per passare il resto della notte sotto lo stesso tetto.
Susan fece schioccare la lingua sul palato un paio di volte e scosse la testa sorridendogli: «Credi davvero che sarà un problema? Mi hai tenuta in casa tua per settimane! Questo è il minimo che possa fare per ricambiare, hai capito? E ora sali.» con un cenno della testa lo invitò a salire al piano superiore per primo, e lui obbedì titubante. Deren fu l’ultimo a percorrere le scale buie.
Al secondo piano c’erano solo due stanze e un ripostiglio. Jelena diede loro stancamente la buonanotte ed entrò nella propria stanza seguita dal marito, mentre Susan guidò Cedric nella sua e richiuse la porta. Lo invitò a occupare il letto ma lui scosse energicamente la testa, giustificandosi col fatto che probabilmente non avrebbe dormito comunque. E ad ogni modo, si disse, avrebbe rifiutato di occupare il letto di qualcun altro a priori.
Quindi Susan prese dall’armadio tre coperte e gliele mise tra le braccia dicendo: «Almeno vorrai evitare di sederti sul pavimento di legno, sì? Mettiti dove ti pare, sotto al mio letto o nell’angolino laggiù, scegli tu. Va bene?»
Annuì piano: «Va bene.»
Gli sorrise e fu tentata di abbracciarlo, ma si ricordò appena in tempo che non voleva essere toccato. E poteva capirlo, se per davvero fosse appena stato preso a randellate. Non riusciva a immaginare cosa volesse dire, né come un genitore potesse essere tanto crudele. Scosse la testa e preferì non pensarci; Cedric era probabilmente solo spaventato e malridotto, ma stava bene, e presto non avrebbe più dovuto nemmeno pensarci perché sarebbero partiti e sarebbero rimasti lontani dal villaggio probabilmente per mesi.
Si sdraiò a letto dandogli le spalle, immaginando che così facendo l’avrebbe fatto sentire più a suo agio, senza sentirsi addosso il suo sguardo, e cercò d’imporsi il sonno profondo e spensierato di diversi minuti prima.
Proprio quando credette di essere sul punto di addormentarsi lo sentì domandarle in un sussurro: «Perché sei tanto gentile con me?»
Credette di esserselo immaginato, le suonava piuttosto sciocca come domanda, ma voltandosi nel letto per guardarlo scoprì che non si era mosso da come l’aveva lasciato in mezzo alla stanza.
«Non capisco cosa intendi dire.» gli rispose, e davvero non capiva «Non ti riservo un trattamento speciale, se è questo che temi.»
Eppure riflettendo su quelle ultime parole dovette segretamente ricredersi; era abituata a essere gentile con chiunque lo meritasse, ma qualcosa in lui la spingeva a esserlo ancora più del solito. Forse le brutte situazioni in cui si era ritrovato già più di una volta da quando si erano conosciuti.
Rimembrò le parole che le aveva detto Ilion una volta che avevano parlato da sole, secondo cui doveva andare piano con lui, doveva riabituarlo gradualmente a sentirsi amato da qualcuno perché aveva passato l’ultima metà della sua vita ricevendo solo odio e rancore.
Notando che lui non sembrava trovare il coraggio di ribattere e teneva lo sguardo basso gli chiese: «Ti dà fastidio?»
Cedric tornò a guardarla scuotendo piano la testa e infatti disse: «Non è fastidio.»
«E allora cos’è? Per me è normale.»
«Per me no. Tu non hai idea di chi io sia, vero?»
Susan girò gli occhi: «Se ti riferisci a quelle brutte voci sì, lo so. Non sto dicendo che tu non sia strano, credimi sei strano forte. Ma non mi hai ancora dato occasioni per ritenerti così mostruoso, sei solo... molto strano, appunto.» non se la sarebbe mai sentita nemmeno in condizioni normali di usare la parola ‘Pazzo’ davanti a lui, e più che mai l’avrebbe usata in quel momento. Inoltre, al contrario di molte altre persone al villaggio, lei credeva più nelle sue stesse parole di poco prima che a quell’unica parola a dir poco indelicata.
Il ragazzo le sorrise solo per un attimo, poi tornò alla sua aria pensierosa e ribatté: «Devi scusarmi se ti sono sembrato così... fuori di me, ecco.»
«Non c’è nulla da scusare, avrai avuto paura immagino.»
«Sì, ma... non è quello. Insomma, è da un po’ che non...» girò gli occhi e sospirò spazientito perché non sapeva come esprimersi «Ho la testa tra le nuvole ultimamente, non ho pensato a... il mio tè, ecco.»
«Se vuoi lo abbiamo anche qui.» disse, sorpresa che il problema fosse tutto lì.
Ma lui scosse la testa: «Non sarebbe lo stesso, scommetto che le erbe di cui ho bisogno non le hai mai nemmeno viste. In realtà non ne ho bisogno, è solo che...» s’interruppe, cambiando idea all’ultimo; Susan si era dimostrata gentile e paziente, ma non era ancora certo di volerglielo dire davvero. Perciò sospirò e disse: «Credo di averti tenuta sveglia abbastanza, scusami.»
«Non è un problema...» cominciò.
Ma lui fermò la discussione interrompendola e dicendo con fermezza: «Grazie ancora.» per poi voltarsi e andare a stendere le coperte sul lato della stanza opposto al letto della ragazza.
Lo guardò interdetta, con occhi sgranati, ma non disse una parola di più. Invece quando lui si fu sdraiato dandole le spalle anche lei si volse guardando nuovamente la parete e cercò di prendere sonno, ma dopo quella breve chiacchierata le fu molto più difficile.
Sentirono Jorel passare molto vicino alla casa tuttavia senza bussare alla porta, perché non voleva disturbare nessuno degli abitanti, eppure in quel breve frangente di tempo Susan si volse a guardare Cedric che ancora le dava le spalle, mentre il ragazzo quasi smise di respirare per rimanere in ascolto.
A loro insaputa, entrambi rimasero svegli in silenzio a fissare la parete davanti ai loro occhi per più di un’ora, prima che Susan cedesse finalmente il passo al rinnovato sonno. Al contrario lui rimase sveglio molto più a lungo senza riuscire a chiudere occhio per paura di risvegliarsi e scoprire di non aver mai lasciato casa sua, o peggio ancora di non risvegliarsi affatto.

La mattina dopo Susan lo trovò fermo nella stessa posizione che ricordava avesse preso prima di addormentarsi, tremava ancora e sembrava abbracciarsi da solo, ma soprattutto a quanto pareva alla fine aveva anche lui ceduto alla stanchezza. Lo sfiorò per destarlo cercando d’ignorare i brutti lividi, le lesioni e il sangue che aveva sulle braccia - probabilmente perché si era difeso - e a quel tocco il ragazzo si svegliò di soprassalto, facendole fare un balzo indietro per lo spavento. Si guardarono negli occhi a lungo, poi Cedric si riebbe e le chiese scusa. Susan annuì e gli propose di scendere a fare colazione, ma lui disse di non avere fame.
Non volle insistere e se ne andò per mangiare, decisa ad andare a portare la pessima notizia anche agli altri col permesso di Jelena; avrebbe anche controllato dove fosse Jorel, e in caso fosse stato a lavoro l’avrebbe detto a Cedric cosicché lui avrebbe potuto prendere alcune cose da casa sua per il viaggio.
Appena finito di mangiare risalì in camera per vestirsi - mentre Cedric guardava appositamente la parete davanti a sé per non farla sentire in imbarazzo - e poi uscì di casa diretta a nord per avvertire prima Layla.
Quando la ragazza aprì la porta di casa Susan dovette raccontarle in breve cosa fosse successo e Layla trasalì inorridita. Ma appena il racconto fu terminato disse di voler andare ad avvertire Emily, e Susan annuì dicendo che avrebbe parlato con Mike e Jennifer. Se ne andò suggerendole di stare all’erta e, in caso vedesse Jorel, di farglielo sapere.
Layla, dopo aver riferito la notizia della loro imminente partenza a Emily, la guardò a lungo negli occhi e lei ricambiò, sapendo che quella sarebbe stata l’ultima volta che si sarebbero viste da lì a qualche mese. Alla fine si abbracciarono forte trattenendo le lacrime, Layla si scusò per ciò che stava accadendo, ben sapendo di non poter fare nulla per impedirlo. Poi si staccò da lei con decisione, sicura che se fossero rimaste abbracciate un attimo di più non sarebbe riuscita ad andarsene.
«Vado a dirlo agli altri. Partiremo questa notte.» disse con voce flebile e lo sguardo a terra, tirando su col naso un paio di volte.
«Certamente. Fate buon viaggio e augura a tutti buona fortuna da parte mia. Chissà, magari quando tornerete mi farete vedere qualche trucchetto di magia!» esclamò l’altra ostentando una finta allegria, ma le sorrise dolcemente e le diede un buffetto sulla guancia «Non fare così, ci rivedremo presto.»
Layla annuì e sorrise a sua volta guardandola negli occhi, poi si decise a voltarle le spalle e corse via. Emily rimase a guardarla allontanarsi per un po’, ma quando Layla si girò per vedere se fosse ancora in mezzo alla strada non la vide, e sentì un peso al petto conscia che da quel preciso istante i loro mesi di lontananza sarebbero cominciati.
Susan si fermò a casa di tutti per annunciare che sarebbero partiti entro sera o al massimo all’alba del giorno successivo, gli ultimi a cui lo disse furono Andrew e sua madre. Quando la donna chiese il perché di quel momento preciso la ragazza si limitò a dire che Jorel non doveva incontrare Cedric nemmeno per sbaglio.
I genitori dei ragazzi quindi presero zaini e bisacce già preparati il giorno prima per controllare che non mancasse nulla, mentre Cedric - dal momento che suo padre era apparentemente tornato dal medico - non si fece alcun problema a prendersi l’arco e le cose che si era guadagnato nel periodo in cui aveva sostituito l’uomo a lavoro; non dovette nemmeno preoccuparsi di essere visto, perché Lily era a casa da Ilion e lì sarebbe rimasta finché lui o Jorel fossero tornati a casa.
Nel pomeriggio andarono a cercare i draghetti per dirgli di trovare i Gatti Ferali e far sapere a loro che erano pronti per partire, così mentre i piccoli draghetti correvano nella Foresta - o planavano nel caso di Zaffir e Ametyst - i sei ragazzi tornarono indietro per assicurarsi che le ultime cose fossero a posto.
Cenarono, poi Cedric andò a preparare i cavalli portandosi dietro le sue cose da legare alla sella, gli altri si vestirono e si assicurarono per l’ultima volta che non mancasse nulla. I padri di Layla e Jennifer, come anche il padre di Susan, dovettero salutare le figlie in casa, perché la mattina dopo si sarebbero alzati presto e quindi dovevano andare a letto. Le madri invece dissero di voler accompagnare i figli fino alla fine. Si vestirono e uscirono.
Andrew e Moriel rimasero sorpresi e atterriti nel trovare Umbreon seduto davanti alla porta; la donna trattenne un grido acuto che avrebbe potuto allertare il vicinato, il ragazzino invece scosse la testa e gli si avvicinò rapidamente in punta di piedi.
«Cosa fai qui?!» sussurrò angosciato «Come sei arrivato? Sei stato visto? Perché non mi hai detto nulla?!»
Non mi ha visto nessuno Andrew, la notte mi copre ribatté il draghetto impassibile I Gatti sono pronti e vi aspettano alla nostra tana, ero venuto per avvertirti ma ho sentito che stavate uscendo.
«Ma cosa ti è saltato in mente? È pericoloso per te girare per il villaggio!» sospirò «E se dovessero vederci insieme?»
Non succederà lo rassicurò Io sentirò il pericolo ancor prima che possa avvicinarsi, e mi nasconderò.
Annuì poco convinto e gli disse di camminare il più possibile all’ombra delle case, perché sebbene fosse notte la terra era innevata e illuminata da due enormi lune. E i suoi occhi brillavano di un rosso sangue piuttosto vivace, che da lontano poteva essere scambiato per un insolito scintillio di un rubino. Poi fece cenno a sua madre d’incamminarsi e il terzetto si mosse rapido e silenzioso tra le vie deserte di Darvil.
Andrew sapeva che il villaggio gli sarebbe mancato anche per quei pochi mesi; le botteghe assalite da gente vociante, i bambini che giocavano allegri tra i vicoli, le risate delle ragazze più mature che parlavano dei loro primi amori, i sorrisi e i racconti dei vecchi che raccontavano le loro passate esperienze. Fu preso dalla nostalgia, soprattutto quando pensò a sua madre dicendosi che sicuramente gli sarebbero mancate persino le sue eccessive e maniacali attenzioni.
Umbreon lo guardò dal basso, percependo tutto ciò. Camminava al suo fianco e cercò d’indagare a fondo ciò che il ragazzino provava; non conosceva ancora quelle emozioni, ma riusciva a capire che per lui si trattava di un momento difficile.
Mordicchiò affettuosamente la sua mano destra, senza fargli male, solo per attirare la sua attenzione. E ci riuscì, Andrew lo accarezzò piano e gli sorrise pensando che fosse impaziente di scoprire nuovi luoghi, di conoscere il mondo. Era solo un cucciolo, nato da un paio di mesi, aveva ancora molto da vedere.
Anche io si disse Vedrò cose che nessuno a Darvil avrebbe mai creduto possibili.
Hai già visto non uno, ma ben sette draghi, di cui uno adulto. Ci hai visti nascere. Non sarà poi così comune immagino gli disse Umbreon.
Ha ragione. È triste che per vedere il mondo debba abbandonare tutte le mie certezze... e guardò sua madre che camminava alla sua sinistra con gli occhi bassi e un’aria affranta Prima o poi questo momento sarebbe arrivato comunque.
Cosa ti affligge tanto?
Andrew si portò l’indice alle labbra e sussurrò: «Non è il momento Umbreon.» sperando che sua madre non sentisse.
Non c’è bisogno che parli, puoi pensare. Tu pensi, io ascolto.
Posso già comunicare con la mente? si chiese sbalordito.
Le nostre menti sono unite ora, tu senti ciò che penso e provo io, e io sento ciò che pensi e provi tu. Ma non riesco a capire quello che provi, potresti spiegarmelo?
Andrew si prese solo un attimo per riflettere; il suo drago aveva diritto di sapere cosa provava, come aveva già pensato prima aveva ancora molte cose da imparare. E lui aveva il compito di insegnargli, se l’era preso nel momento in cui aveva deciso di farlo nascere e di crescerlo. Perciò durante il tragitto s’impegnò al meglio per spiegargli perché si sentisse così, e come si sentisse. Fu difficile anche per lui indagare le proprie emozioni; un’emozione non si poteva spiegare a parole. Ma il loro legame non era fatto solo di quelle, e Andrew bene o male ormai lo sapeva.
Impiegò così tanto che alla fine giunsero al punto in cui tutti gli altri si erano già riuniti, fuori Darvil, a metà strada tra il grande ponte e il bosco; i cavalli erano pronti e i draghi sedevano sulla neve poco distanti, le tre donne e i cinque ragazzi stavano chiacchierando tristemente.
Le madri di Jennifer, Layla, Susan e Andrew li avevano accompagnati fino a lì cercando di sollevare l’umore dei figli, anche se l’ultima delle quattro era incapace di trattenere le lacrime, mentre le altre facevano il possibile per mostrarsi forti anche davanti a una situazione tanto dolorosa.
La guaritrice si era portata dietro una borsa a tracolla che poi, sorprendentemente, passò a Jennifer; era la stessa borsa in cui lei aveva tenuto nascosto l’uovo rosso di Rubia quando pensava che fosse solo una strana pietra, e che successivamente si era portata sempre dietro.
Guardò la figlia con occhi lucidi e le sorrise dolcemente: «Questa è tua. Dentro ci sono alcune garze, delle fiale, piante essiccate, un paio d’aghi e del filo. Inoltre ti ho lasciato un piccolo quaderno in cui spero riuscirai a prendere nota delle stravaganti piante che probabilmente incontrerai dagli Elfi, in quella Foresta... chissà, potrebbe essere piena di piante magiche.» lanciò uno sguardo timoroso agli alberi che sembravano vicini tanto erano alti, poi tornò a posare gli occhi marroni in quelli della figlia: «Se vorrai farlo, mi piacerebbe davvero molto poterlo sfogliare quando tornerai a casa.»
La ragazzina si mise in spalla la borsa guardando la madre e trattenendo a stento le lacrime, un pesante nodo le serrava la gola impedendole di ringraziarla a parole, dunque la strinse forte a sé e cercò di frenare i singhiozzi che la scuotevano sempre più spesso.
Anche la madre di Layla aveva qualcosa per lei, non utile quanto le erbe guaritrici di Jennifer, ma un oggetto a cui teneva molto. Mise una mano sulla spalla della figlia e con l’altra le passò una sottile catena cui era legato un pendente a forma di spicchio di luna adagiato su una croce, in argento e madreperla.
«Te ne faccio dono come mia madre ne fece dono a me. Spero possa proteggerti da ogni male e sventura in questo lungo viaggio, mia piccola stella.» le disse con voce flebile, sorridendole amabilmente.
«Tu sei la mia luna...?» domandò Layla con gli occhi annebbiati dalle lacrime.
La donna scosse lievemente la testa: «Io sarò tutto ciò di cui avrai bisogno, quando ne avrai bisogno. Se dovesse capitarti di sentirti sola non dimenticare mai che io e tuo padre ti ameremo sempre, qualunque cosa succederà, e che attenderemo il tuo ritorno.»
«Grazie mamma.» sussurrò la ragazza, poi aggiunse con voce lamentosa: «Mi dispiace tanto... non voglio andarmene!»
«Non lo vorrei nemmeno io tesoro mio, ma temo che gli ultimi eventi che ti hanno riguardata ultimamente ci avrebbero separate comunque, presto o tardi... creature magiche, magia, e il rischio che il nostro villaggio venga invaso... Se non per il nostro bene, ci stiamo separando per il bene del villaggio. Vieni qui.» disse infine, e la strinse in un forte abbraccio, sentendo che separarsi sarebbe stato ancora più doloroso dopo quel gesto.
Infine la ragazza si asciugò le lacrime e si allacciò la fragile catenella al collo, accogliendo con un brivido il fresco dell’argento sulla sua pelle.
La madre di Andrew si fece avanti e mise nelle mani del figlio un sacchettino di pelle sussurrando: «Questo è tutto ciò che posso permettermi di darti... spero possa aiutarvi a trovare una sistemazione a Eunev o ovunque andrete. Mi mancherai tantissimo...» la sua voce era piena di dolore.
«Anche tu mi mancherai molto mamma.» rispose lui abbracciandola di sua iniziativa, affondando il viso nella massa di capelli scuri in disordine e assaporandone il buon odore.
La donna ricambiò il gesto: «Vorrei che tutto questo non fosse capitato proprio a voi... tornate presto, sani e salvi. Tutti.» guardò Umbreon negli occhi e mentre si asciugava le lacrime gemette: «Prenditi cura di mio figlio, giovane drago. È tutto ciò che ti chiedo, una volta che tutto sarà finito riportamelo a casa.»
Umbreon annuì, ma non s’insinuò nella sua mente per risponderle, voleva che l’ultima persona a parlarle fosse suo figlio, che stava per abbandonare.
La madre di Susan stava abbracciando forte la figlia, profondamente addolorata di doverle dire addio dopo aver avuto tanta paura di perderla per sempre e averla invece ritrovata.
La baciò augurandole buon viaggio, poi rivolse a Cedric un’occhiata carica di sofferenza e gli disse con la voce rotta dal pianto: «Ti sei preso cura di lei quando siamo venuti a mancare, ti prego abbine cura anche ora.»
Il ragazzo annuì e mascherando il disagio rispose in un sussurro: «Lo farò.»
Quindi Jelena guardò la piccola Sulphane e le rivolse un sorriso triste: «E anche tu. Ti prego, fai tutto ciò che puoi per tenerla al sicuro. Tornate a Darvil sane e salve, insieme.»
La draghetta come Umbreon annuì, le ali piumate che toccavano terra perché colta dallo sconforto sia della donna che di Susan, e alla fine si lasciò sfuggire un mugolio di dolore.
Gerida abbracciò Mike e gli disse che avrebbe portato la notizia a entrambi i suoi genitori appena fossero tornati, per non farli stare troppo in pensiero. Dopodiché s’inginocchiò e accarezzò prima Rubia e poi Zaffir strofinandogli una mano sui corti colli.
Passarono diversi minuti prima che le famiglie si decidessero a separarsi a malincuore, ma alla fine le quattro donne volsero loro le spalle - solo per spingerli ad andarsene senza guardarle in viso - e quando tutti e sei i ragazzi e i draghi si furono allontanati si volsero di nuovo, guardandoli partire verso la scura Foresta in cui mai avrebbero voluto che entrassero. Ma non potevano fare nulla per cambiare le cose, e con questa consapevolezza si rassegnarono al fato.

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Capitolo 27
*** Starlight ***


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Il colore del titolo del capitolo corrisponde al colore della regione in cui la storia al momento si svolge, tenete d'occhio la mappa per sapere dove ci troviamo!

STARLIGHT

Procedevano al trotto per permettere ai draghetti di seguirli correndo, Zaffir come al solito, non potendo correre senza aiutarsi con le ali, planava. Come concordato incontrarono Kalle e Yzah alla tana dei draghi, i loro due cuccioli giocavano a rincorrersi saltando tra un albero e l’altro. Susan stava già piangendo a dirotto e Andrew singhiozzava, mentre Jennifer cercava di consolare la prima e Mike il secondo.
Senza troppi convenevoli i due Gatti adulti s’incamminarono verso est, guidandoli verso la Foresta, seguiti dai piccoli giocherelloni, poi dai draghetti, e infine dai ragazzi a cavallo.
Si fece notte fonda prima che giungessero nella Foresta, dal momento che procedevano a un lento trotto; al buio faticavano a vedere dove dovevano andare o dove stessero andando i Gatti, ma i draghetti stavano davanti a loro e vedevano perfettamente, e i ragazzi a loro volta vedevano le loro scaglie che luccicavano anche alla debole luce che filtrava tra le alte chiome.
Dopo un paio d’ore di cammino sentirono degli strani rumori, come rombi di tuono molto lontani, forte vento che spirava tra le foglie... e poi una cosa enorme comparve davanti a loro, facendo tremare la terra e con un rumore assordante che solo vagamente somigliava agli acuti ruggiti dei loro piccoli draghi. Quel corpo luccicava esattamente come i loro alla fioca luce delle lune, ma di un colore argentato. Si mosse dietro la nebbia, era lucido, snello, elegante e al tempo stesso possente; la cosa più possente che i ragazzi avessero mai visto, ancora più di Nerkoull perché dotata di quattro zampe e due ali. La mole della creatura per quanto grande non le impediva di passare fra gli alberi altrettanto smisurati. Gli occhi gialli e arancioni sembravano ardere, l’immensa testa si piegò quanto bastava per riuscire a inquadrare la scena, il lungo corpo serpentino ricoperto di scaglie, la coda lunghissima frustava forte l’aria, le gigantesche ali da pipistrello dalla membrana traslucida ripiegate sui fianchi.
Davanti a loro c’era niente meno che la leggendaria Garandill.
Si sentirono mancare il fiato dalla paura, i cavalli s’imbizzarrirono, i Gatti inchiodarono e rizzarono il pelo - fu più un riflesso istintivo che un vero tentativo d’intimorire - i ragazzi gridarono impauriti, mentre i draghetti rimasero a osservare con le bocche aperte, increduli e affascinati.
Garandill sputò fuoco al cielo, fiamme di un giallo abbagliante, forse anche bianche, e subito chi ancora non aveva capito si rese conto di essere davanti a un gigantesco drago; la situazione non migliorò quando il corpo di Garandill fu ben visibile alla luce delle sue fiamme, i cavalli erano praticamente fuori controllo e persino i draghetti ora mostravano segni d’inquietudine.
L’enorme dragonessa si calmò, almeno in apparenza, e studiò la scena dall’alto, gli occhi che ardevano come bracieri accesi, le pupille così strette da essere quasi invisibili. Attese che i cavalli si calmassero un po’, poi sbatté forte la coda sulla cui estremità c’era una lunga cresta appuntita simile a una falce bianca.
Decise di prendere parola per prima, sapendo di averli spaventati: Vi porgo i miei saluti, Umani. Io sono Garandill, sorella di Nerkoull che già avete avuto modo di conoscere.
Mike, ora più tranquillo avendo capito che non voleva ucciderli, spalancò la bocca ed esclamò: «Sorella di Nerkoull?!»
Lei assunse una posizione altezzosa inarcando il collo, facendo ondeggiare la criniera bianca che aveva sul dorso: Esattamente. Mi ha informata che presto sareste partiti, a detta di un paio di Gatti Ferali e nel dirlo guardò i due felini Vi aspettavo, Amici dei Draghi.
«Amici dei Draghi?» ripeté Jennifer entusiasta, sentendo il fiato venirle a mancare.
L’enorme dragonessa sembrò divertita dal tono che la voce dei suoi pensieri assunse: Capisco che possa suonare strano, ma noi Draghi non siamo mostri; siamo molto più simili a voi esseri umani di quanto si potrebbe pensare. Perciò, sì... non c’è male a considerarvi amici della nostra razza, dal momento che state legando con sei dei nostri cuccioli.
«Ma Nerkoull non voleva considerarsi nostro amico.» obiettò Mike.
Garandill sbuffò del fumo che le illuminò il viso per un breve attimo: Ciò che lui pensa non conta, siete amici della nostra razza a tutti gli effetti fino a prova contraria.
I ragazzi constatarono che sembrava possedere una maggiore padronanza della lingua rispetto al fratello nero, e si chiesero se fosse dovuto al fatto che avesse già parlato con altri umani in precedenza.
Non è che non si consideri un vostro amico, semplicemente è troppo orgoglioso per ammettere come stanno realmente le cose. Per lui è difficile accettare l’idea che sei cuccioli della nostra specie siano stati di fatto salvati da un destino crudele da... degli Umani.
«Ma se gli va così poco bene, perché ci ha permesso di crescerli allora?» domandò Jennifer confusa.
Perché gli stessi cuccioli così hanno scelto rispose la dragonessa con un tono di voce inaspettatamente dolce, quasi come fosse una madre che parla dei propri figli Siete riusciti a lasciarvi alle spalle le vostre vite per intraprendere questo lungo viaggio?
«Quanto lungo?» domandò Susan scoraggiata asciugandosi le lacrime, ora che grazie all’arrivo di Garandill aveva smesso di piangere.
Non so dirvelo ammise la dragonessa Ma posso accorciare notevolmente il vostro viaggio per arrivare a Hayra’llen e nel frattempo informarmi riguardo la vostra scuola di magia nella capitale.
«Sarebbe molto gentile da parte tua.» le sorrise Layla.
«Hayra’llen?» domandò invece Susan storcendo il naso.
La capitale della regione Yebawan, patria degli Elfi.
«Quindi non andremo a Eunev?»
Il tempo stringe, e per quanto ne sappiamo potrebbero volerci settimane prima che vi permettano di usare la magia a Eunev, e voi non potete aspettare. Pertanto ritengo adeguato che abitiate dagli Elfi in modo che possano introdurvi alla magia, e viaggerete verso Eunev quando sarete pronti. Ora non c’è tempo da perdere, ma in futuro mi piacerebbe conoscere questi giovani draghi sbuffò di nuovo divertita.
«Certamente!» esclamò Andrew «Sarà un piacere scambiare ancora due parole con te, leggendaria Garandill.»
Non lusingarmi, Andrew disse con un tono di voce stranamente affabile.
Lui rimase a bocca aperta: «Come sai il mio nome? Non te l’ho mai detto!»
Lo so e basta. Ora è giunto il momento di riprendere il viaggio disse la dragonessa, poi gridò qualcosa: non era un ruggito, ma nemmeno una parola, o almeno non una parola da loro conosciuta. Non diede loro spiegazioni, si limitò a spalancare le ali e a prendere il volo verso il cielo, muovendosi più velocemente di quanto ricordassero fosse possibile.
Non gli parve di averla attesa più di qualche minuto, ebbero solo il tempo di commentare quanto fosse bella Garandill, con quelle scaglie argentate che brillavano come stelle, poi sentirono l’ormai familiare rumore del suo passaggio al di sopra degli alberi; le loro chiome si muovevano come impazzite e l’aria si fece più fredda solo per un attimo, quando parve spirare un forte vento.
E la sua voce parlò nelle loro menti: Siete fortunati. La scuola di magia che risiede a Eunev è aperta una volta l’anno, per tutto il mese della Magia. Avrete tempo di imparare a conoscere la magia insieme agli Elfi fino alla fine di questo mese o al massimo l’inizio del prossimo. Ora, i vostri amici Gatti Ferali vi guideranno dritti verso Hayra’llen. Il mio incantesimo non durerà a lungo, o almeno non quanto dovrebbe per farvi arrivare oggi stesso dagli Elfi, perciò vi consiglio di partire immediatamente, ogni minuto perso sono ore di viaggio.
«Cosa voleva dire?» domandò Mike.
I draghetti balzarono in sella ai cavalli dietro ai ragazzi, gli animali nitrirono terrorizzati e scalciarono. Dunque lanciarono subito i cavalli al galoppo, confusi, e i Gatti cominciarono a correre davanti a loro tenendo i due cuccioli per la collottola, in modo che non li rallentassero. Umbreon strofinò la punta del muso sulle scapole di Andrew cercando di distrarlo dalla malinconia, e per la stessa ragione Sulphane fece il solletico a Susan con il ciuffo di peli sulla coda. Smeryld invece rimase aggrappato a Cedric solo per necessità, ancora percependo provenire da lui una spiccata ostilità - soprattutto perché il ragazzo ora lo considerava in un certo senso colpevole anche del fatto che Jorel avesse provato a ucciderlo due volte in meno di tre giorni.
Garandill disse loro un’ultima cosa: Sono d’accordo con Gorall perché lui vi raggiunga al più presto quando interromperò l’incantesimo. Lui farà il resto, permettendovi di arrivare prima. Buon viaggio, Amici dei Draghi, e che il vento possa condurvi in luoghi sicuri.
E sparì dalle loro menti, lasciando uno strano vuoto e un silenzio raggelante.
Durante la cavalcata ebbero modo di discutere a lungo delle parole della dragonessa, soprattutto le ultime cose che aveva detto. Innanzitutto aveva in un certo senso accettato che loro crescessero i piccoli draghi nei panni di sei amici; poi aveva parlato di un incantesimo e questo Gorall, e di giungere dagli Elfi il giorno stesso. Come potevano percorrere tante miglia in un giorno? Nonostante non conoscessero la posizione della capitale del Regno degli Elfi erano certi che non si trovasse vicina. Ma pareva trovarsi all’interno della Foresta o ancora più a nord, data la direzione che stavano prendendo.
Galopparono per ore e nulla parve cambiare, il buio era pesto e senza i draghetti davanti a loro faticavano a guidare i cavalli, i Gatti si dovevano girare spesso in modo da mostrare i loro occhi scintillanti che parevano brillare di luce propria. Cavalcare di notte li spaventava, potevano non vedere degli ostacoli o incappare in una buca rischiando di far male al cavallo.
I Gatti tacevano, e mentre i ragazzi parlavano le ore sembravano passare rapidamente, ma nulla intorno a loro cambiava; stimarono che dovevano aver percorso già diverse miglia e che dunque l’alba dovesse essere vicina, ma pareva essere ancora notte fonda, non avevano nemmeno fame né sonno. Neppure i cavalli sembravano stanchi, ma i ragazzi erano ormai certi che la situazione non fosse normale.
Il paesaggio tutto uguale - per quel poco che vedevano - e l’innaturale dimensione dei tronchi che scorrevano lentamente ai loro lati non li aiutavano a quantificare tempo passato e distanza percorsa.
Susan cavalcò tutto il tempo accanto a Cedric, talvolta lanciandogli delle occhiate preoccupate, ma non seppe come cominciare una conversazione con lui sebbene ebbe diverse occasioni. Era anche piuttosto sicura che lui non volesse parlare e che non avrebbero ripreso la chiacchierata tenuta in camera di lei ancora per parecchio tempo.

Passarono le ore, e quelli che sembrarono giorni, ma ancora era notte, loro avevano perso ogni voglia di parlare, non avevano fame né sonno, e Gatti e cavalli continuavano a correre come se fossero passati solo pochi minuti da quando avevano lasciato Garandill.
Avevano interrogato i draghi, ma le creature non sapevano cosa significasse ciò che la dragonessa aveva letteralmente gridato, neppure i felini avevano una reale risposta e se l’avevano la stavano tenendo per sé.
Gli parve passare un’eternità prima di vedere finalmente la Foresta schiarirsi leggermente alle prime luci dell’alba, cominciarono a sentire fame e stanchezza, le gambe si facevano più doloranti.
«Finalmente la notte è passata!» esclamò Mike.
«Forse dovremmo fermarci...» disse Susan, ma s’interruppe nel vedere dei funghi luminosi grandi quanto casa sua. L’indicò rimasta senza fiato e rise, sbalordita.
Gli altri guardarono e rimasero a bocca aperta, ma non ebbero il tempo di commentare; sentirono gli stessi rumori che avevano preceduto l’arrivo di Garandill e i cavalli immediatamente divennero irrequieti roteando gli occhi. Si guardarono ora intorno cercando la sagoma argentata di lei, invece gli parve d’intravederne una ancora più grande oltre la nebbia, scura come ebano. Volava veloce e scomparve subito dalla loro vista, ma erano certi si trattasse di un altro drago, più grosso, più vecchio.
«Forse Gorall è un altro drago!» gridò Andrew per farsi sentire al di sopra dei nitriti spaventati.
Il drago trovò posto per atterrare poco più avanti in una radura tanto grande da poter essere scambiata per una prateria, ma anche da quella distanza sentirono il terreno tremare. Non esitarono a proseguire nella medesima direzione sebbene i cavalli parevano chiaramente contrariati, e più si avvicinavano meglio riuscivano a distinguere i dettagli dell’enorme creatura, benché la fioca luce ne falsasse i colori.
Sembrava grande quasi il doppio di Garandill, il che già di per sé era notevole, le scaglie brillavano di un vivace marrone dove le colpiva la luce, altrimenti l’alba le rendeva quasi nere. La membrana delle ali doveva avere un colore leggermente più chiaro, e testa dorso e spalle erano coperti di spine dalle forme strane di colore ambrato, non ce n’era una uguale all’altra. Avvicinandosi ulteriormente notarono che gli enormi artigli erano del medesimo colore ambrato, gli occhi brillavano di un intenso azzurro, sulla punta della coda vi era una sfera scura ricoperta di spine ambrate dalle forme ritorte. Le scaglie del ventre erano più chiare e dure, e alcune scaglie che ricoprivano la bocca avevano una forma spigolosa, quasi come se fossero una fila di denti esterni - ma i ragazzi erano certi che avesse anche dei veri e propri denti, più grandi di loro, all’interno.
L’enorme creatura li scrutò dall’alto ed entrò quasi timidamente nelle loro menti, come temendo di poter fare loro del male anche senza sfruttare la gigantesca mole del suo corpo massiccio, infine parlò con voce grave e profonda, che pareva appartenere a un’altra era: Non è mio compito giudicarvi, so che Garandill vi ha parlato di me, e ha parlato a me di voi. Io sono Gorall, e permetterò voi di concludere il vostro viaggio oggi stesso.
«Aspetta solo un attimo, cos’è questa storia?» esclamò Susan ansiosa, volendo delle risposte.
Aprì bocca per continuare, ma il drago anziano parlò prima: Presto vi verrà data la risposta, ma non è questo il momento. Godete della nostra magia e gioite di poterla usare a vostro vantaggio. Non ponetevi domande cui il tempo di una risposta non è ancora giunto.
Detto ciò gridò con la sua voce la stessa parola che aveva gridato Garandill, spalancò le ali e prese il volo con un balzo che da solo lo sollevò di diverse decine di braccia.
In modo simile a Garandill li lasciò con una frase pronunciata da sopra le cime degli alberi: Buon viaggio, Amici dei Draghi, e possa il fuoco di mille Soli illuminare la vostra via in luogo di incenerirla.
«Ma come parla?!» esclamò Mike divertito.
«Beh, a giudicare dalla dimensione potrebbe avere un migliaio di anni, non credi? Il nostro modo di parlare sarà cambiato nel tempo.» ribatté Cedric, ancora turbato ma cercando di non darlo a vedere.
«Mille anni!» sussurrò Jennifer tra sé.
Alle sue spalle Rubia parve ridacchiare divertita, immaginandosi altrettanto grande: Chissà quanto potrei viaggiare veloce! Potrei andare ovunque e subito!
«Frena piccola, mille anni sono tanti.» le sorrise la ragazzina girandosi appena per poterla guardare.
Saranno giunti prima ancora che me ne accorga.
«Non te lo auguro, è bello godersi ogni piccolo momento della propria vita. Non sei d’accordo?»
Non lo so, ho ancora solo due mesi...
Jennifer rise e riprese a osservare il paesaggio, ora che in lontananza riusciva a vedere altri enormi funghi luminosi, di ogni colore, che finalmente ruppero la monotonia dell’enorme Foresta. Non tardò a cambiare opinione sul luogo che un tempo tanto aveva temuto; ora aveva un aspetto più selvaggio ma al contempo più rigoglioso, più vivo, vivace e ospitale, sebbene fosse ancora buio. I funghi luminosi coloravano la nebbia dandole un’aria non più lugubre ma estasiante.
Si chiese se quegli strani funghi avessero proprietà alchemiche di cui sua madre avrebbe voluto sapere e pregò il gruppo di fare solo una piccola sosta perché potesse disegnarli sul suo blocchetto.
Fu allora, mentre lei disegnava rapita, che gli altri si accorsero che l’alba sembrava non arrivare mai, esattamente come fino a poco prima si erano trovati in un’apparente notte eterna, e di nuovo non sentivano né fame né sonno, e le gambe parevano riposate.
Ne discussero a lungo nell’attesa, finché Jennifer chiese a Cedric di scrivere accanto al disegno ciò che lei avrebbe dettato - le esatte parole, in modo che sembrasse proprio che lei avesse trascritto i suoi pensieri - rubandolo agli altri per un paio di minuti. Si accorse così solo allora che il ragazzo era mancino, rise e si domandò come fosse fare ogni più piccolo gesto quotidiano al contrario, con la mano sbagliata.
Cedric la guardò storto e ribatté che, per lui, era il resto del mondo a fare le cose al contrario. E quell’affermazione la fece ridere ancora più forte, contagiando anche il resto del gruppo, ma smise appena lui le allungò il quadernetto perché per la prima volta intravide una delle numerose lesioni che gli aveva procurato Jorel fare capolino dalla manica della giacca sotto la quale si preoccupava di nasconderle bene.
Non ne avevano ancora parlato con lui, quindi molto timidamente e con voce flebile balbettò: «Se ti fa male posso... Mamma mi ha dato delle erbe, perciò... Insomma, se vuoi, sarei capace...» ma dal momento che l’espressione di lui s’incupiva di più a ogni frase che cercava di cominciare, la ragazzina alla fine abbassò lo sguardo limitandosi al silenzio.
Quando ebbe rimesso il quadernetto nella borsa a tracolla ripartirono, sempre guidati dai Gatti che ora non faticavano più così tanto a vedere. Diretti a est, come sempre, questa volta immersi a metà tra la notte morente e il giorno nascente, ma di nuovo per qualche ignota ragione bloccati nel tempo.

Il paesaggio cambiava gradualmente, facendosi sempre più rigoglioso, talvolta passavano accanto ad alberi di dimensioni normali cui il diametro delle chiome più larghe rimaneva più piccolo di quello dei tronchi dei giganteschi alberi che rendevano famosa la Foresta. Ora non solo c’erano funghi colorati e luminosi grossi quanto le loro case, ma anche felci, fiori, licheni che ricoprivano interi massi, piante che non conoscevano dalle foglie di ogni forma colore e dimensione, e gli alberi divennero viola con foglie blu e argento, o tronchi blu e foglie viola. Solo a volte s’intravedeva un albero dai colori usuali.
Jennifer chiedeva spesso di fermarsi per aggiungere le piante sconosciute al suo quadernetto, lei disegnava e Cedric scriveva ciò che la ragazza dettava, stando attenta a lasciare spazio sufficiente per scrivere ancora quando eventualmente avrebbe scoperto se le piante appena scoperte avessero o no proprietà curative o invece fossero velenose, o se ancora la loro linfa o l’odore emanato fossero tossici.
Persero naturalmente il conto degli alberi che passavano, riuscivano in qualche modo a capire di aver percorso diverse miglia, ma ancora non erano stanchi e il giorno non arrivava.
A volte i draghetti, Zaffir in particolare, balzavano via dalla sella per provare a volare ora che gli spazi erano ampi e non c’era rischio che si andassero a schiantare contro gli alberi, per poi allenarsi ad atterrare sulla sella alle spalle dei ragazzi appena avevano finito. Rubia era la meno ansiosa di provare, sicura che le sue ali fossero ancora troppo piccole rispetto alla dimensione del resto del corpo, e quindi temendo che non avrebbero retto il suo peso.
D’un tratto, senza che quasi se ne accorgessero, l’alba finalmente arrivò e loro si sentirono affamati e stravolti, ma anche frastornati e confusi. Fermarono i cavalli, sicuri che si sentissero stanchi quanto loro e i Gatti, e li legarono a un albero di dimensioni normali. Decisero di riposare le gambe per qualche ora, quindi presero dalle bisacce una manciata delle loro provviste e le sistemarono nelle scodelle che Mike e Susan avevano portato dalle proprie case; non ebbero bisogno del fuoco perché erano solo frutta verdura e carne secca.
Mangiarono poco sebbene avessero fame, perché non avevano idea di quanto le loro scorte di cibo sarebbero dovute durare prima che arrivassero a destinazione. Si sdraiarono nell’erba per lasciar riposare i cavalli, finché stimarono che il sole doveva trovarsi ormai alto nel cielo, e che quindi poteva essere mezzogiorno.
Slegarono gli animali e ripartirono a un trotto forzato, per non stancarli troppo, mentre Umbreon e Ametyst facevano capriole avventate sopra le loro teste, a decine di braccia dal suolo. Capitò solo una volta che la dragonessa viola perse l’equilibrio e precipitò, frenò la caduta il più possibile ma si schiantò a terra. Layla smontò dalla sella per correrle incontro solo per scoprire che per fortuna non si era fatta nulla, perché aveva frenato.
Ametyst decise di non riprendere il volo per qualche ora, ancora tremando di paura, e salì in sella a Nuvola dietro la ragazza stringendosi a lei avvolgendole la lunga coda intorno alla vita e guardando avanti da dietro la sua spalla.

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Capitolo 28
*** Hayra'llen ***


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Il colore del titolo del capitolo corrisponde al colore della regione in cui la storia al momento si svolge, tenete d'occhio la mappa per sapere dove ci troviamo!

HAYRA'LLEN

Finalmente cominciarono a vedere uccelli volare tra i rami degli alberi, dal piumaggio vivace e lucido come seta; alcuni avevano lunghe creste o code; altri erano grandi quanto i draghetti o così piccoli da stare in una mano; i becchi colorati potevano essere lunghi e stretti o corti e tozzi. Intravidero anche delle creature terrestri, che però erano più sfuggevoli, e gli parve di riconoscere sagome di cervi e lepri, ma anche di capre delle dimensioni di un carro.
Da quelle sarà meglio stare lontani pensò Andrew, guardando con apprensione le lunghe corna ricurve che gli parvero essere grandi più del suo torace.
Predatori per il momento sembravano non esserci, ma Cedric immaginava che quei posti potessero brulicare di Krun data la quantità di prede a disposizione, e soprattutto data la dimensione di alcune di esse; una sola di quelle enormi capre avrebbe potuto sfamare il loro lontano villaggio.
Infine i Gatti si fermarono e i ragazzi tirarono le redini immaginando di trovarsi vicini alla loro meta. I felini posarono a terra i cuccioli, Kalle fu il primo a riprendere la marcia dicendo loro: Da qui sarà meglio proseguire con cautela, siamo vicini a Hayra’llen.
«Siamo già arrivati?» esclamò Mike sbalordito, si guardò intorno e balbettò: «Ma... Ma siamo partiti ieri sera!»
Silenzio intimò Yzah, e il ragazzino annuì tornando a guardare avanti a sé e spronando Thunder al passo.
I draghetti balzarono a terra e Umbreon atterrò con qualche difficoltà, e tutti e sei trotterellarono per tenere il passo coi cavalli. Proseguirono indisturbati guardandosi intorno incuriositi, finché Rubia cominciò a correre in una direzione.
«Dove vai?» le domandò Jennifer preoccupata.
Guarda! Guarda quell’albero!
La ragazzina obbedì e notò che aveva una forma strana, come se qualcosa gli fosse cresciuto addosso, ma era troppo in alto per essere un fungo. E poi riconobbe che quel qualcosa pareva una costruzione, perché aveva dei fori che sembravano finestre, era a una certa altezza dal suolo ma la si poteva raggiungere grazie a una scalinata che si arrampicava sul tronco in una spirale.
Ferma! ordinò Kalle alla dragonessa rossa, e la cucciola si fermò Non avvicinarti così rapidamente, si allarmerebbero.
«Quelle sono case?» domandò Jennifer indicandole, e vide che ce n’era più di una.
Erano ancora molto distanti dalla città, quelle case erano costruite su alberi più grandi del normale, ma non certo quanto quelli della Foresta che avevano sempre conosciuto. Non distinguevano ancora molti dettagli di quelle abitazioni, ma videro che alcune, di solito quelle più in alto, erano collegate ad altri alberi tramite lunghi ponti di legno, che parevano fragili e sottili da quella distanza; al posto delle funi vi erano delle strane liane.
Rimasero così colpiti dalle case tenendo lo sguardo alto da non accorgersi della comparsa di alcuni elfi che li tenevano d’occhio. Quando oltrepassarono un confine invisibile, gli elfi spronarono le loro cavalcature e gli corsero incontro, quindi li accerchiarono. I cavalli nitrirono spaventati e s’impennarono alla vista degli enormi felini che cavalcavano, i ragazzi rimasero a bocca aperta e intimoriti sia dalle zanne degli animali che dalle armi che gli elfi impugnavano.
Ma anche gli elfi parvero sorpresi, perché non tardarono a notare i sei piccoli draghi.
Quando i ragazzi furono più calmi, sebbene ancora avessero strane armi puntate contro da ogni direzione, osservarono meglio gli elfi e i loro felini. Yzah e Kalle avevano già anticipato che il popolo degli elfi si legava ai grandi felini, ma certo non si aspettavano che fossero più grandi dei loro cavalli: dal manto che poteva essere di un unico colore, a strisce, o a chiazze, nero, grigio, viola o blu, o una combinazione di essi; canini lunghi più di una spanna; grandi occhi la cui pupilla non era nera, ma un punto brillante che pareva un diamante; lunghi artigli su ognuna delle tre dita delle zampe, di colore nero o argentato. Indosso avevano una sella di metallo blu e decorazioni argentate e al collo una catena d’argento con un brillante a forma di due spicchi di luna incastrati tra loro; sembravano emanare luce.
Gli elfi che li cavalcavano avevano tutti una corporatura slanciata e snella, indossavano un’armatura di metallo lucente e iridescente di colore blu, con fini decorazioni in argento, composta da pochi pezzi sopra una cotta ad anelli d’argento. La loro pelle era pallida, di colore verde, azzurro, o viola chiaro. I capelli neri, bianchi, grigi, viola o blu, spesso tenuti lunghi. Come anche gli occhi; il felino che cavalcavano aveva gli occhi dello stesso colore del cavaliere, entrambi con la pupilla bianca e brillante.
Sebbene le armi che impugnavano sembravano pesanti, non davano il minimo segno di star compiendo sforzi, apparivano rilassati ma la loro espressione gelida e severa li tradiva, i felini ringhiavano a zanne scoperte e pelo ritto sulla schiena.
Rimasero fermi a osservarli senza dire una parola, e i ragazzi si guardarono tra loro chiedendosi come poter fare per proseguire senza che li attaccassero; erano una ventina di elfi a cavallo di enormi felini dall’aspetto spaventoso, che puntavano loro contro delle armi di metallo luccicante come le loro armature. Probabilmente non parlavano nemmeno la loro lingua e avrebbero potuto interpretare i loro gesti come minacciosi; per quanto ne sapevano potevano avere modi di esprimersi totalmente diversi dai loro.
I due Gatti Ferali si mossero avanzando dritti verso la città, come ignorando la presenza dei felini grossi venti volte più di loro. I cuccioli li seguirono, ma i ragazzi rimasero fermi a cercare di calmare i cavalli imbizzarriti. Vedendo che gli elfi lasciarono passare i Gatti limitandosi a guardarli sospettosi, i draghetti si avviarono a loro volta, uno dietro l’altro.
Gli elfi si mossero a disagio sulle selle, non sapendo come comportarsi di fronte a quelle creature, ma i grandi felini ringhiarono e sbarrarono loro la strada avvicinandosi l’uno all’altro. I draghetti si fermarono e Umbreon ringhiò sbattendo la coda. Andrew lo implorò di essere cauto perché si trovavano di fronte a guerrieri leggendari che avrebbero potuto non avere rimpianti nell’uccidere tutti loro, ragazzi e draghi.
Senza alcun preavviso gli elfi abbassarono le armi e i loro felini smisero di ringhiare, per poi posizionarsi in due colonne, chiaramente intenzionati a scortarli in città. I ragazzi, perplessi, si chiesero cosa gli avesse fatto cambiare idea apparentemente senza motivo, finché gli occhi gli caddero su Kalle e Yzah, che li aspettavano con aria tranquilla mentre i loro cuccioli giocavano a rincorrersi, come se quella fosse stata casa loro; non sembravano affatto turbati da quel popolo, né dalle loro creature.
Incitarono così i cavalli ad andare al passo preceduti dai draghi, e i felini degli elfi si mossero senza che quelli avessero bisogno di dar loro ordini. I Gatti Ferali ripresero a guidarli verso la città a passo lento, e i ragazzi poterono tornare a guardarsi intorno, talvolta volgendo uno sguardo diffidente agli elfi, o alle loro armi.
Tornarono a studiare l’ambiente. Prima di giungere in città attraversarono un fiume che la circondava da ovest a est passando sopra un ponte di legno viola, illuminato da numerosi piccoli cristalli bianchi incastrati tra sottili fili di metallo blu che andavano a formare una strana rete che copriva tutto lo spazio vuoto tra il camminamento e i due archi di legno viola sui lati. Le case che per ora riuscivano a vedere erano tutte simili nell’aspetto e alcune, se si trovavano su alberi vicini tra loro, erano collegate da ponti sospesi a diverse decine di piedi. Si accedeva sempre tramite la scala che saliva a spirale, alcune erano interamente di legno, mentre altre avevano parti in pietra; una pietra dal colore iridescente che pareva argento e aveva venature blu, verdi o viola. Le scale erano illuminate da numerose lanterne di una luce azzurra, fredda ma soffusa, che faceva luce senza dare fastidio agli occhi anche se la si guardava direttamente.
Addentrandosi nella città le case diventavano più numerose, notarono che le strutture erano decorate ognuna in modo differente, a seconda del gusto delle famiglie che le abitavano. E cominciarono a vedere case differenti, scavate dentro agli alberi invece che essere parte di essi, alcune erano sopraelevate, e anch’esse erano talvolta collegate ad altri alberi tramite ponti. Videro che anche i ponti erano decorati con quella pietra lucente, oltre che da piante rampicanti. Su molte case inoltre splendevano simboli simili a quelli sul collare dei grandi felini, di quella pietra che pareva quarzo che risplendesse di luce propria, e sonagli erano appesi accanto agli usci, agitati dal lieve vento che spirava tra i tronchi producevano una musica simile a quella di un bicchiere di cristallo suonato con un bastoncino.
E poi cominciarono a vedere gli elfi che abitavano le case; furono in pochi a lasciare le abitazioni per osservare lo strano corteo, la gran parte di loro si limitava a fissarli incuriositi dalle finestre. Alcuni di loro corsero subito a nascondersi alla vista dei sei draghi, o appena riconobbero che i sei ragazzi non erano elfi, ma umani. Altri invece rimasero a fissarli passare davanti a loro con aria attonita, rassicurati dalla presenza delle guardie elfiche.
I colori della loro pelle, dei capelli, e degli occhi, erano gli stessi di quelli delle guardie, vestivano in abiti eleganti che parevano di seta e indossavano gioielli che i ragazzi mai avrebbero potuto immaginare, d’argento e pietre dei consueti toni freddi che dominavano la città; tutto pareva degli stessi colori: le più svariate tonalità di viola verde e blu, e bianco argento e nero. C’erano elfi coi capelli lunghi ed elfe coi capelli corti; elfi con lunghe vesti ed elfe con pantaloni; vesti eleganti di quel tessuto scintillante simile a seta o abiti più tradizionali simili a quelli umani sia nei colori che nei materiali.
Non ebbero occasione di vedere molto altro, avendo ai lati dei felini giganteschi che coprivano gran parte della visuale. Gli elfi sulla loro groppa continuavano a tenerli d’occhio, c’erano sia maschi che femmine in armatura, e questo li sorprese; le ragazze sorrisero animate dall’idea che un giorno anche loro avrebbero potuto indossare le loro fantastiche armature, se ce ne fosse mai stato bisogno.
Si domandarono dove li stessero conducendo, la città era meravigliosa ma al momento offriva pochi punti di riferimento, le case erano relativamente sobrie e tutte simili, erano davvero poche quelle costruite a terra interamente in pietra - anche se il loro numero cresceva più si avvicinavano al centro della città - e talvolta s’intravedevano edifici completamente diversi che i ragazzi dedussero non essere case.
La città, Hayra’llen, era priva di strade e sembrava costruita nel più totale rispetto della natura circostante: gli edifici avevano grandi finestre, alcune di vetro, altre con tende aperte, per far entrare la massima quantità possibile di luce senza usare lumi o magiche lanterne; un gran numero di alberi erano di dimensioni pressoché normali, come l’erba viola e azzurra che raramente superava l’altezza di un uomo, ma altre piante fiori funghi o arbusti potevano raggiungere dimensioni notevoli.
Non sembrava una città molto popolata, ma quei pochi elfi che videro parvero appartenere a una sola razza, alcuni dalle pupille bianche e brillanti passeggiavano con accanto un enorme felino dal pelo liscio e lucido, con passo elegante e con una naturalezza e spensieratezza sconvolgenti. Altri avevano pupille nere e apparentemente nessun felino a far loro compagnia. Alcune enormi creature vagavano da sole, sia che avessero la pupilla bianca sia che l’avessero nera, e i ragazzi ne videro alcuni appostati accanto a delle case - probabilmente dei loro padroni.
Quando furono giunti in un’ampia piazza al cui centro si trovava una sorgente d’acqua, i felini delle guardie si fermarono, così i Gatti Ferali, e dunque anche i draghetti e i ragazzi fermarono i cavalli. Dall’altra parte della piazza c’era un albero, dall’ampio tronco bianco e dalle foglie verdi e argento che sembravano riflettere ogni raggio di luce che le colpiva. Un gigantesco cervo dalle voluminose corna bianche e gli occhi azzurri smise di brucare l’erba per guardarli, come incuriosito.
Un elfo fece loro cenno di avvicinarsi all’albero muovendo la sua lunga asta alle cui estremità stavano due lunghe lame, quindi i ragazzi smontarono dalle loro selle e con una smorfia per le gambe indolenzite si avvicinarono all’enorme pianta aggirando la sorgente attorniata da pietre argentate. I draghi li seguirono, e Susan e Mike guardarono in alto per scorgere le foglie più alte, constatando che l’albero dal tronco bianco doveva essere alto almeno trenta braccia.
Senza preavviso, con un rumore simile al crepitio della legna che arde, la corteccia cominciò a contorcersi, dando vita a un buco sempre più ampio, fino a diventare abbastanza largo e alto da poter permettere il passaggio anche a loro a dorso degli animali. Ma non dovettero entrare, bensì qualcuno ne uscì.
Era un’elfa minuta e non troppo alta, dalla pelle diafana e i capelli verde smeraldo, due orecchie a punta sporgenti e un paio di enormi occhi dal taglio esotico, le cui larghe pupille parevano limpida acqua o acquamarina, incorniciate da un’iride blu cobalto. Indossava una fascia di uno strano tessuto simile al velluto intorno al seno, di colore azzurro pallido, che risaliva sulle spalle e si allacciava dietro al collo, lasciandole scoperta la schiena. Una strana gonna del medesimo tessuto del corpetto con ampi spacchi su entrambi i fianchi era sostenuta in vita da una corda, le cui estremità pendevano su un lato. Ai piedi calzava delle scarpe di pelle allacciate da sottili strisce del medesimo materiale che risalivano lungo la gamba fin sotto al ginocchio. Nella mano destra teneva un bastone nodoso di legno bianco con una pietra verde incastonata su un’estremità tra piccoli rami attorcigliati.
Rimasero a bocca aperta, era il primo elfo che vedevano che non avesse la pelle di uno strano colore o che avesse capelli verdi. Gli occhi sembravano due limpide pozze d’acqua, e notarono che anche le orecchie erano diverse: gli elfi che avevano visto finora avevano orecchie lunghe, ma sempre vicine al cranio dalla base alla punta; le sue invece erano perpendicolari e parve muoverle su e giù quasi impercettibilmente. Notarono in seguito che alle mani aveva quattro dita sottili invece di cinque. Lanciando occhiate sfuggenti alle guardie alle loro spalle videro che anche loro avevano solo quattro dita.
Cedric e Layla furono gli unici ad avere la decenza di chinare almeno il capo per salutarla, sperando che capisse si trattasse di un saluto. La ragazza dovette spiegare ad Ametyst perché lo stesse facendo, e la dragonessa lo trovò divertente ma non lo rese esplicito a chi non fosse in contatto con la sua mente, e nemmeno s’inchinò.
La donna li osservò a lungo e sembrò più incuriosita che sorpresa, dopodiché sfoderò un sorriso dolce e rassicurante, e con voce armoniosa e pacata si presentò: «Garandill ha annunciato il vostro arrivo non molte ore fa, vi do il benvenuto nell’unica città cui le Ninfe convivono coi Figli delle Lune. Andu-beloth say Hayra’llen, Amici dei Draghi. Io sono Tygra, Ninfa Madre degli Elfi delle Foreste e di questa città. Chi la abita sono i miei Figli, che siano essi delle Foreste o delle Lune; chi abbia intenzioni pacifiche è il benvenuto, non importa la razza, il genere o le credenze. Il mio compagno viene chiamato Deralius.» aveva un accento strano, come se conoscesse la lingua da poco, e con un gesto elegante di tutto il braccio indicò l’enorme cervo che l’accompagnava.
Layla prese parola esibendosi anche in una timida riverenza: «Onorata di fare la vostra conoscenza, Ninfa Madre. E grazie per averci accolti gentilmente. Spero che la nostra presenza non vi arrechi disturbo.»
«Ci è stato assicurato che così non sarebbe stato.» rispose Tygra, quando parlava sembrava cantare «Per me è difficile spiegare, non capita spesso di parlare lingue estranee alla nostra. Il nostro è un popolo schivo e diffidente, ancor più di quanto lo siano i Figli delle Lune e del Sole. Di rado è capitato che i Draghi comunicassero direttamente con noi, sarebbe stato scortese non ascoltare le loro parole. Seguitemi, cercheremo un luogo dove possiate abitare insieme e vicini ai vostri... compagni.» sembrò indecisa sul termine da usare per definire i giovani draghi.
S’incamminò con movenze silenziose e aggraziate, come se non avesse avuto peso, e il grande cervo la seguì da lontano in modo da permettere a ragazzi e draghi di seguirla da vicino. Le guardie tornarono ai propri posti insieme ai loro grandi felini, i Gatti Ferali sembravano scomparsi nel nulla e i cavalli erano più tranquilli che mai.
Con in mano le redini seguirono la Ninfa attraverso la piazza, coi draghetti accanto e attirando gli sguardi di tutti gli elfi che li scorgevano. Tygra invece sembrava ritenere naturale la presenza dei draghi, quando in realtà non gli riservava occhiate curiose né faceva domande solo per non apparire scortese o invadente.
Attraversarono la città potendola finalmente ammirare con calma e la dovuta meraviglia, in silenzio perché troppo timidi e imbarazzati per porre domande. I draghetti non parevano sbalorditi, si limitavano a osservare il nuovo paesaggio con la stessa curiosità riservata a Darvil e al bosco che avevano fatto loro da casa per due mesi e mezzo.
Finché a un tratto la ninfa ruppe il silenzio e domandò cordialmente: «I vostri amici draghi... volano già?»
«Con qualche difficoltà.» rispose Mike.
«Solo alcuni.» precisò Susan «Altri non li abbiamo mai visti provare.»
«Desiderano una casa inaccessibile a chi è privo di ali, oppure preferiscono stare vicini a voi?» continuò Tygra.
Jennifer guardò Rubia e, rimembrando che lei ancora aveva paura di prendere il volo, rispose: «Lei preferisce stare a terra.»
«Allora per il momento troveremo un albero libero solo per tutti quanti voi.»
Camminarono a lungo al fianco di Tygra, videro pochi giovani e soldati in armatura pattugliare le strade invisibili, talvolta affiancati da un enorme felino. Ognuno sembrava farsi gli affari propri senza tuttavia negare un saluto a chi incrociava lungo la strada. Notarono anche che affianco alla porta d’ingresso di tutte le abitazioni c’era una specie d’insegna con incisi dei simboli; alcuni brillavano di una luce bianca, altri invece parevano spenti.
Solo quando giunsero davanti alle loro future abitazioni capirono cosa significassero; era un solo albero da cui emergevano due case in parte scavate dentro il tronco e in parte sospese nel vuoto, sostenute da elementi simili a contrafforti in pietra e legno. La più in basso era sospesa a una decina di braccia dal suolo e come per ogni altra casa si accedeva tramite una scala a spirale che proseguiva fino alla casa più in alto, e ancora fino a un ponte che collegava il loro albero con quello più vicino.
Tygra cominciò a salire le scale illuminate da quelle magiche lanterne azzurre e i ragazzi legarono i cavalli, sebbene avessero l’impressione che non fosse necessario, per poi seguirla insieme ai draghetti. Prima di giungere alla porta passarono sotto le parti sporgenti della loro futura abitazione, i contrafforti in legno e pietra mostravano quindi un grosso ovale per permettere il passaggio di scale e persone, oltre a intricati disegni in cui spazi pieni e vuoti si alternavano con grazia.
La Ninfa si fermò davanti alla porta chiusa della prima casa, indicando le rune spente: «Qui ci sono sei posti liberi, ugualmente la casa sopra. È difficile trovare dodici posti su un solo albero e in edifici che non siano già in parte abitati, perciò spero vi sentiate a vostro agio ad abitare tutti insieme.»
«Ah, quindi queste rune indicano i posti liberi?» domandò Andrew indicandole.
«Esattamente. Credo voi abbiate un concetto diverso di famiglia rispetto a noi.»
«Ce lo faremo andare benissimo, non dovete preoccuparvi.» le disse Layla con un sorriso.
«Molto bene. Dunque ora accompagnerò i vostri amici poco più su e lascerò a voi il tempo di ambientarvi. Credete di riuscire a trovare la strada per tornare da me, quando sarete pronti?»
«Non avremo problemi, e se dovessimo averne ci aiuteranno loro.» rispose Susan indicando Sulphane dietro di sé.
Tygra annuì e li salutò con un cenno del capo, poi indicò ai draghi di proseguire e con la grazia di chi avesse tutto il tempo del mondo salì i gradini che avvolgevano l’enorme tronco fino a sparire dalla loro vista, e con lei tutti e sei i draghetti.
Una volta sicuro che Tygra non potesse sentire, Mike saltellò e batté rapidamente le mani, in parte estasiato e in parte impaziente di esplorare la loro nuova casa: «Che posto meraviglioso! Non avrei mai creduto possibile abitare su un albero! Dentro un albero blu! Gli elfi sono semplicemente meravigliosi!»
«Calmati!» rise Jennifer.
«Non sei d’accordo?» esclamò lui sbalordito.
«Certo che lo sono, che domande!» rispose animata «Ma tu non avevi paura dell’altezza?»
Il ragazzino rimase interdetto per alcuni attimi e sentì un brivido percorrergli la schiena, ma lo scacciò dicendo con decisione: «Mi basterà non guardare giù!»
Trovarsi in un posto tanto strano e magnifico aveva fatto dimenticare loro gran parte del tormento dovuto alla partenza - eccetto Cedric naturalmente, che sembrava oscillare tra una profonda tristezza e una sorprendente suscettibilità che invitava gli altri a degnarlo a malapena di un’occhiata.
«Allora sbrighiamoci!» disse Andrew, e subito dopo aprì la porta dipinta di viola e sulla quale era inciso un motivo a scaglie di qualche strano pesce.
La prima cosa che notarono fu che non era molto illuminata, essendo sprovvista di lumi accesi ed essendo le tende tutte tirate a coprire le finestre. Ma Mike si affrettò a scostare quelle della finestra alla loro sinistra, illuminando un poco quella che pareva una stanza vuota dalla strana forma a imbuto. Da entrambe le parti c’erano pareti convesse di legno levigato dotate di mensole vuote: s’inoltrarono senza chiudere la porta per far entrare più luce e si ritrovarono in un’altra stanza. Questa era più illuminata perché la tenda era già tirata da una parte, e i ragazzi videro quattro stanze aperte su quella che doveva essere la sala centrale: due a sinistra della finestra e due a destra. In mezzo alla sala c’era un tavolo così basso cui avrebbero potuto sedersi solo senza sedie - in effetti notarono che le sedie mancavano. Incavato nella parete opposta alla finestra, alla loro destra, c’era quello che sembrava un camino in pietra venata di blu. Si decisero a esplorare le quattro stanze in senso orario, partendo da quella alla loro sinistra. Scoprirono così che erano stanze da letto, due singole e le altre per due persone. Avevano tutte un ampio balcone; non c’era una porta per accedervi, l’intera parete ricurva opposta all’ingresso era una finestra aperta sulla foresta, la copriva soltanto una tenda di un tessuto traslucido che pareva al contempo leggero e resistente. Ogni stanza l’aveva di colore diverso.
Finita l’esplorazione si ritrovarono nella sala, Susan aveva un’aria quasi sconvolta ed espresse a voce il pensiero di tutti: «Solo quattro stanze, un tavolo e un camino. Niente bagno? Niente cucina? Nient’altro? Quattro camere?»
«Andiamo, le camere non saranno un problema.» disse Mike con una scrollata di spalle «Ma il bagno sì! Insomma... gli elfi non hanno certi bisogni?»
«L’unico modo per saperlo è chiedere perché manchino.» disse Layla cercando di mantenere la calma.
Passando oltre il momentaneo inconveniente si ritrovarono a discutere delle camere: decisero che Layla e Cedric avrebbero abitato nelle due camere singole, che erano quelle centrali e quindi per la maggior parte della loro superficie sospese nel vuoto, mentre Mike e Andrew avrebbero preso una delle due camere a due posti, e Susan e Jennifer l’altra.
Uscirono e scesero le scale per prendere le proprie cose, per poi risalire e cominciare a rendere abitabile la propria stanza a cominciare dalle tende chiuse; sentivano di poterle lasciare aperte tutto il giorno, sia perché la casa era sospesa sia perché dubitavano che tra gli elfi ci fossero ladri. Lasciarono le stoviglie di Mike e Susan vicine al camino spento o in alternativa sul basso tavolo, poi uscirono e questa volta salirono le scale per andare a trovare i draghetti, sperando che fossero ancora lì.
Li trovarono, ed esplorando la casa scoprirono che era davvero molto simile alla loro, con la differenza che aveva tre stanze più larghe, ognuna dotata di un ampio balcone proprio come le loro. Aprirono le tende in modo che i draghetti non rischiassero di rovinarle facendo da sé, cosicché potessero in futuro usufruire del balcone per atterrare - in caso la porta d’ingresso o il corridoio diventassero troppo piccoli per consentire il loro passaggio una volta cresciuti.
Fecero ritorno verso la piazza dove avevano incontrato Tygra a passo lento, continuando a guardarsi intorno sebbene le costruzioni fossero tutte molto simili tra loro. Non salutarono gli elfi che incontrarono, però gli sorrisero perché sapevano per certo che l’avrebbero compreso e non male interpretato; gli elfi talvolta rispondevano con uno dei loro sorrisi serafici, altrimenti si limitavano a guardarli incuriositi. Soprattutto guardavano i piccoli draghi senza riuscire a nascondere una certa ammirazione.
C’erano così tante piante a loro sconosciute che Jennifer quasi impazzì nell’indicarle e ripetendosi che prima o poi se le sarebbe annotate tutte sul libretto che al momento non aveva con sé.
Senza difficoltà giunsero nella piazza dell’albero bianco dove Tygra e Deralius li aspettavano, ma con loro c’era qualcuno: un’elfa e uno di quegli enormi felini, il primo dal pelo bianco che avessero visto finora. Si avvicinarono titubanti, catturando gli sguardi di tutti e quattro.
La tigre che avevano davanti era ancora più grossa dei felini che avevano visto girare per la città insieme ad altri elfi: solo la testa era più grande del loro busto, aveva due candidi denti a sciabola lunghi più della loro testa, i suoi occhi completamente verdi dalla pupilla bianca e splendente erano grandi quanto una mano. A collo teso sarebbe stata più alta di loro a cavallo. Il corpo era lungo e snello, le zampe relativamente sottili con artigli neri grandi quasi quanto la loro testa. Il manto era bianchissimo con delle strisce nere, proprio come una tigre bianca, ma le orecchie erano a punta, come quelle di un gatto, come anche l’estremità della coda. Aveva indosso una sella blu con i bordi argentei.
La giovane elfa che la cavalcava aveva la pelle di un blu chiarissimo, due grandi occhi dalla pupilla bianca e dall’iride dello stesso color verde acceso degli occhi della tigre, due lunghe orecchie a punta, capelli blu con qualche riflesso azzurro o nero. Indossava una lunga veste completamente bianca che a tratti rifletteva la luce mandando bagliori argentati, come se fosse coperta di piccole scaglie lucide come specchi. Non aveva maniche e le lasciava la schiena scoperta allacciandosi al collo come la veste di Tygra; gli ampi spacchi ai fianchi lasciavano intravedere un paio di lunghi pantaloni che sembravano di un leggero tessuto che riluceva come velluto. Ai polsi e al collo aveva dei gioielli d’argento decorati con quello strano quarzo lucente, una catenella le scendeva sulla schiena mentre un’altra collegava le due estremità dell’orecchio sinistro. Ai piedi calzava morbidi stivali candidi, e alla sella blu aveva legato un lungo arco argento con tre punte lungo ogni flettente, opposte alla corda.
La tigre annusò intorno a sé e dall’aria seria e minacciosa che aveva ne prese una più rilassata, l’elfa dalla pelle blu le fece qualche dolce carezza sul collo, poi si avvicinò ai ragazzi e si presentò con un inchino: «Onorata di fare la vostra conoscenza, Amici dei Draghi. Io sono Neraye, Sacerdotessa delle Lune di Hayra’llen, e lei è la mia fedele amica Anutwyll.»
«Amica?» le chiese Susan stranita, poi, imbarazzata, si mise la mano davanti alla bocca come se avesse appena fatto una brutta figura.
Con sua sorpresa l’elfa si rialzò e rise allegramente: «Certo. Siamo amiche da molto tempo ormai. Se non mi avesse accettata come amica non avrei mai potuto cavalcarla come fate voi con i vostri cavalli. Loro sono solo animali in grado di capirci, ma non di scegliere il cavaliere.» Anutwyll ruggì sommessamente, forse divertita.
I ragazzi si presentarono a loro volta inchinandosi, presentando anche i draghetti che non avevano intenzione di aprire la mente a nessuno al di fuori di loro sei.
Dopodiché Tygra riprese parola: «L’albero che vedete qui è la mia dimora. Siamo profondamente legati, pertanto lui prende parte delle nostre energie e le restituisce alla foresta, concedendole di crescere rigogliosa e restituendoci a sua volta le nostre stesse energie tramite i frutti degli alberi, l’acqua delle sorgenti, e la vita delle creature. Questo albero è il cuore di Hayra’llen, e le sue forti radici possono fungere da penitenziario.»
«Ora vi faremo visitare la città.» disse invece Neraye col suo strano accento, incamminandosi seguita da Anutwyll.
Seguendole tra gli alberi capirono finalmente cosa fossero gli edifici che avevano talvolta visto tra una casa in pietra e l’altra: c’erano scuole per i giovani, negozi, numerosi altari, porticati privi di tetto costruiti attorno alle diverse sorgenti d’acqua. Più a nord videro la caserma col relativo campo d’addestramento costruito in una radura, poi la biblioteca - un edificio che somigliava a una torre molto alta e stretta - un tempio e quello che Neraye disse essere un museo, ma solo Cedric capì di cosa si trattasse.
Quando tornarono nella piazza dell’albero bianco, Andrew chiese timidamente dove fossero i bagni, dato che non ne avevano visti nell’abitazione. Gli fu risposto che i bagni si trovavano sottoterra, scavati sotto ogni albero che fungeva da abitazione oppure direttamente all’interno delle radici, o ancora in apposite aree della città - sempre sottoterra. La cosa che però sconvolse i ragazzi fu che gli elfi, a quanto pareva, si lavavano direttamente nei corsi d’acqua che scorrevano nei pressi della città o nelle sorgenti, quando lo desideravano e senza badare alle nudità altrui.
Questo sarà un bel problema... pensò Mike preoccupato, e si trattenne dal lanciare un’occhiata a una qualsiasi delle tre ragazze accanto a lui.
Perché dovrebbe preoccuparvi così tanto? domandò Sulphane a tutti loro, sapendo che avevano reagito tutti allo stesso modo a quella notizia.
È una questione di rispetto, credo... tentennò Layla.
Abitudine direi ribatté Jennifer Ci basterà abituarci.
Non sarà facile... commentò Cedric.
Ma se gli Elfi sono abituati così, non faranno caso a voi disse Rubia.
No, saremo noi a farci caso esclamò Andrew.
Cercando di non darvi peso, Susan scosse la testa e domandò: «Garandill vi ha informati riguardo il nostro problema con la magia?»
«Certamente. E ci dispiace dovervi dire che non possiamo fare molto per aiutarvi, ma è sicuro che faremo il possibile.» rispose Tygra.
«Sono pochi gli abitanti in grado di comprendere e parlare la vostra lingua, vi chiediamo di avere pazienza. E se aveste bisogno di qualcosa venite a cercare noi.» disse Neraye «Ora, se volete potete guardarvi intorno, tornare alla vostra abitazione, oppure semplicemente rilassarvi. Altrimenti posso già accompagnarvi da colui che seguirà i vostri primi tentativi di controllare la magia.»
I ragazzi non ci misero molto a decidere che quel giorno avrebbero riposato e mangiato, e che si sarebbero un poco ambientati girando per la città. Jennifer voleva assolutamente disegnare alcune delle piante che aveva visto. Quindi salutarono l’elfa e la ninfa e tornarono verso casa, Susan e Layla con aria sognante, Jennifer eccitata, Cedric e Andrew ancora sovrappensiero per la questione dei bagni, e Mike parlava animatamente con Zaffir, che lo seguiva con la sua goffa camminata sulle ali.
Jennifer riuscì di nuovo a trascinarsi dietro Cedric per tutto il tempo che volle passare a studiare le nuove piante - Rubia e Smeryld li seguivano un po’ distanti giocando tra loro. Andrew e Umbreon tornarono invece verso casa decisi a studiare il vicinato, ma senza fermarsi a parlare con nessuno. Gli altri decisero di vagare senza una meta precisa, contando sul fatto che i tre draghetti avrebbero facilmente ritrovato la strada per tornare alla loro nuova casa.
«Potevamo almeno chiedere come si saluta a Tygra o Neraye!» esclamò Susan d’un tratto, guardando sopra di sé un lungo ponte di legno viola collegare due alberi blu.
Layla si sfiorò la collana datale dalla madre e annuì, mentre Mike corse via costringendole a seguirlo. Passarono il resto della giornata osservando con ammirazione la città e sorridendo agli abitanti; incrociarono un paio di enormi felini che parvero non accorgersi nemmeno di loro; si riposarono sotto uno dei tanti porticati aperti che racchiudevano al loro interno una fontana; camminarono lungo gli argini di tre piccoli corsi d’acqua che attraversavano la città. Infine tornarono a casa, prima dell’ora di cena, quando la Foresta cominciava a diventare buia ma gli alti alberi dalle foglie chiare raccoglievano i raggi aranciati del sole morente, diffondendoli nella nebbia sopra le loro teste.
Le lanterne delle case e delle scale si accendevano mentre i tre ragazzi stavano seguendo i draghetti sulla via verso casa; Zaffir svolazzava ogni tanto per poi atterrare o a terra o sulle spalle di Mike.
Susan corse saltando i gradini a due a due per vedere se Jennifer fosse in casa, ma trovò solo Andrew che stava cercando di accendere il camino per cucinare con la legna già tagliata e ammucchiata in una pila ordinata lì accanto, coprendo tutta la parete opposta all’ingresso. Non sapevano come accendere le lanterne magiche, quindi aveva pensato che sarebbe stato utile avere il camino acceso anche per fare luce.
Jennifer arrivò saltellando felice qualche minuto dopo, insieme a Cedric, lei e Layla corsero su per le scale. Andrew, con l’aiuto di Susan, era finalmente riuscito ad accendere il camino. Intanto Cedric prese il cavallo e andò a riempire alcune borracce d’acqua, così che poi avrebbero potuto cucinare nel camino, e Layla preparò il tavolo con le stoviglie.
Ebbero una cena fugace, dopodiché decisero di andare ognuno nella propria stanza e ci misero inaspettatamente molto ad addormentarsi, ancora sopraffatti dalle emozioni provate durante tutta la giornata. Erano arrivati dagli elfi in un solo giorno e si erano ritrovati in una parte della Foresta così magnifica da lasciarli senza fiato, come anche le creature che la abitavano. Gli sembrava di stare vivendo dentro un sogno, era tutto troppo bello per essere reale.

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Capitolo 29
*** Ouin ***


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OUIN

La mattina Cedric fu il primo ad alzarsi, svegliato dal dolore che ancora provava di quei violenti colpi, e decise di curiosare meglio la stanza finalmente alla luce del giorno e senza tende tirate. Lo colpì in particolare un solco poco profondo incavato in una bassa mensola, sulla quale stavano alcune boccette di diversi colori. Ne prese una e l’aprì scoprendo così che aveva un profumo sorprendentemente intenso, tanto da spingerlo a chiudere il tappo di cristallo. Sulla mensola non c’era spazio per altro, e dedusse che non si trattasse d’inchiostro ma piuttosto di oli aromatizzanti, ricavati probabilmente da alcune delle piante che il giorno precedente aveva studiato insieme a Jennifer.
Storcendo il naso ancora infastidito dall’intensità di quel profumo prese la giacca e la indossò per coprirsi mentre si dirigeva verso la sala ripensando, parecchio deluso, alla mancanza di una porta. Ma non si soffermò a lungo sulla questione perché Layla lo salutò uscendo dalla propria camera alla sinistra della sua.
Prepararono la colazione anche per gli altri più giovani, poi li aspettarono in silenzio, inginocchiati a terra al proprio posto al tavolo, che avevano scelto la sera precedente. Lei si rigirava in continuazione la collanina tra le dita sentendo la mancanza della madre, lo sguardo vago perso davanti a sé. Lui invece rifletteva chiedendosi se fosse stato un bene o un male non portarsi dietro le erbe che per anni avevano alterato il suo umore: non gli era mai piaciuto prenderle perché sapeva perfettamente che il suo benessere in realtà dipendeva da quelle e non dal fatto che lui effettivamente stesse bene; ogni volta che l’effetto svaniva stava peggio di prima, con quella consapevolezza in mente. Ma non era certo che gli altri avrebbero compreso il motivo dei suoi futuri possibili sbalzi d’umore mentre cercava di combattere la sorta di assuefazione che aveva sviluppato suo malgrado.
Susan fu la prima a unirsi a loro, seguita da Jennifer, e cominciarono a parlare di come fossero comodi i letti sebbene sotto la fodera ci fossero rami e foglie fresche distogliendo entrambi i più grandi dai propri tristi pensieri.
«Non fa né caldo né freddo anche se è quasi inverno e c’è un silenzio così piacevole!» esclamò Susan entusiasta versandosi l’acqua bollente per l’infuso; le foglie essiccate aromatizzanti per le bevande si trovavano in mezzo al tavolo ed erano già lì prima che i ragazzi abitassero la casa, in barattolini di legno con relativo coperchio su cui era inciso qualcosa che nemmeno Cedric era riuscito a leggere.
Andrew e Mike invece se la presero comoda, il primo perché proprio non ce la faceva ad alzarsi presto la mattina, il secondo perché si sentiva ancora un po’ frastornato dal lungo viaggio.
Quando ebbero finalmente finito di fare colazione andarono a chiamare i draghetti, e prima di partire scesero nelle radici per esaminare il bagno sotto casa, scoprendo così che altro non erano che stanzette prive di porta al cui centro c’erano delle specie di fori che scendevano molto in profondità.
«Non c’è nemmeno un secchio per lavarsi!» commentò Jennifer infastidita.
Si fecero accompagnare dai draghetti in città verso l’albero bianco di Tygra in tarda mattinata. Sperarono che fosse già sveglia e disposta ad accompagnarli da colui che avrebbe insegnato loro a gestire la magia senza usarla; quello l’avrebbero imparato a Eunev.
Sulla strada s’imbatterono in uno dei bagni costruiti attorno a una sorgente e decisero di entrarvi uno alla volta, sebbene i posti fossero una ventina, per non recare disturbo o imbarazzo a ognuno degli altri. Quei bagni essendo costruiti sulle sorgenti offrivano diverse possibilità di lavarsi, a eccezione della vasca da bagno.
Susan commentò di non trovare comodo doversi addentrare nella città per potersi anche solo lavare le mani, ricevendo l’approvazione degli altri che ritenevano pressoché inutile la presenza di un bagno sotto casa loro se non vi era possibilità di sciacquarsi senza portarvi personalmente un catino o una bacinella.
Dovrete abitare qui solo un mese o poco meno, fatevelo andare bene disse loro Rubia in una strana imitazione di un umano che girava gli occhi esprimendo fastidio.
«In un mese ci dovremo lavare, prima o poi!» esclamò Jennifer irritata a sua volta dalla noncuranza con cui la piccola dragonessa stava affrontando una questione per loro delicata.
Beh gli elfi sono abituati così, non faranno eccezioni solo per voi per un solo mese ribatté Rubia.
Per fortuna arrivarono all’albero di Tygra, dove la Ninfa già li aspettava, prima che Jennifer potesse ribattere di nuovo. Li salutò e, a proposito di saluti, Cedric le domandò quali fossero le parole elfiche usate per salutare, così che avrebbero potuto usarle.
«Ci sono quattro diversi modi di salutare.» rispose lei indicando loro la via perché s’incamminassero «Un saluto formale da usare se ci si trova di fronte a qualcuno di rango più alto; un saluto informale da usare se ci si trova di fronte a qualcuno di rango pari o inferiore; e due saluti neutri, da usare uno la sera e uno il resto della giornata. Rispettivamente sono: niryastare; nirya; elengleyn; e awidyn.»
I ragazzi, rimasi sconvolti dalla complessità che la lingua elfica presentava anche solo per un banale saluto, decisero di provare a pronunciarli perfino imitando con braccia e mani i relativi gesti che la Ninfa mostrò loro per gran parte della durata del viaggio; Tygra sembrava non stancarsi mai di correggerli quando sbagliavano gesto e soprattutto ripetergli le stesse quattro parole fino alla nausea, anche lentamente in modo da rendere meglio udibile la pronuncia.

Tygra li condusse verso un edificio di pietra argentea venata di verde, più si avvicinavano più il sentiero serpeggiante per raggiungere la porta era delimitato da colorati fiori dal profumo inebriante alti oltre tre piedi e piccole rocce candide. Qui e là spuntavano dei funghi luminosi di piccole dimensioni, che forse servivano a illuminare il sentiero di notte.
Jennifer perse il malumore di poco prima e saltellò girando su se stessa con allegria, circondata da tutte quelle piante che sua madre avrebbe pagato per vedere.
Sulphane pareva l’unica tra i draghetti a non essere infastidita dal profumo pungente, anzi si strusciava sui fiori catturando il loro polline con la criniera sul collo ancora piuttosto corta e spelacchiata.
La Ninfa aprì loro la porta introducendoli nel nuovo ambiente con un elegante gesto del braccio, facendo svolazzare il velo azzurro, e sorrise ricordandogli i saluti che gli aveva insegnato poco prima. Quindi entrarono in un edificio che pareva essere più un porticato aperto su un grande cortile circolare piuttosto che una vera e propria stanza. Al centro del cortile c’era un solo albero dalla corteccia marrone e le foglie verdi, ma vi erano diverse piante in aiuole delimitate da sassi bianchi.
C’erano otto giovani elfi al momento sparsi per la struttura e un elfo adulto; tutti si stavano facendo gli affari propri, ma cessarono ogni attività al loro ingresso, guardando i draghi più che i ragazzi. L’elfo adulto venne loro incontro con un sorriso incoraggiante, mentre i giovani apprendisti si avvicinavano circospetti e incuriositi pur mantenendo una distanza di sicurezza pari a minimo dieci braccia.
Il maestro, dai capelli argentati e la pelle di un blu pallido, indossava una semplice casacca gialla stretta in vita da una cintura, aveva ampie maniche e spacchi su entrambi i fianchi, e sui bordi aveva delicate decorazioni floreali di colore verde. Non indossava calzature ai piedi, ma le gambe erano coperte da braghe di uno strano tessuto marrone. I suoi occhi avevano iride bianca, incorniciata da una sottile linea blu, e pupilla nera.
Allargò le braccia e si presentò: «Nirya, Amici dei Draghi. Il mio nome è Ouin, e ho l’incarico di iniziarvi al controllo e all’uso della magia.»
Layla piegò il capo e si esibì in una timida riverenza: «Niryastare Maestro Ouin, il mio nome è Layla e ti ringrazio per la tua gentilezza.» diede una rapida occhiata alla dragonessa viola e decise di presentare anche la creatura: «Lei è Ametyst, la mia amica dragonessa.»
Ouin s’inchinò dinanzi ad Ametyst sussurrando qualche parola in elfico, poi si rialzò e ascoltò pazientemente le presentazioni di tutti gli altri. Infine fece lui il primo passo, percependo la timidezza e l’imbarazzo dei giovani umani; si avviò verso il cortile facendo cenno di seguirlo e loro obbedirono, coi draghetti al seguito che fissavano gli altri giovani apprendisti con velata diffidenza.
Si fermò davanti a un basso tavolo e si sedette sull’erba a gambe incrociate prendendo posto, i ragazzi fecero lo stesso, e dopo poco Ouin chiuse gli occhi e parlò con voce pacata dei principi alla base di tutta la Magia, di come secondo diverse credenze fosse nata insieme ai Draghi e facesse parte di essi. Si rivolse anche e soprattutto ai draghetti, spiegando loro che genere di creature probabilmente sarebbero senza la presenza della Magia; non in grado di sputare fuoco, né di controllare gli elementi a loro piacere, e nemmeno di pensare e quindi comunicare in ogni lingua che apprendessero. Disse persino che probabilmente non sarebbero in grado di volare, dal momento che era possibile che i draghi adulti di notevoli dimensioni sfruttassero inconsciamente la Magia per controllare l’aria attorno a loro e permettergli di sollevare il loro peso.
I piccoli draghi non gli aprirono la mente e non fecero domande, quindi lui proseguì e tornò a rivolgersi ai ragazzi spiegando loro come funzionava la Magia e perché rischiassero addirittura la vita senza apprendere come controllarla. I Gatti Ferali già l’avevano accennato, ma Ouin spiegò loro nel dettaglio come la Magia aveva bisogno di una determinata quantità delle loro energie per funzionare: offriva loro un immenso potere, ma esigeva qualcosa in cambio; si trattava sostanzialmente di uno scambio reciproco di energie per mantenere l’equilibrio del Mondo senza che nessuna delle due parti, mago e magia, spendessero senza ricevere. Per questo, in base a ciò che volevano la Magia facesse per loro, perdevano le energie necessarie a sostenere l’incantesimo.
Layla era perplessa e domandò timidamente: «Posso fare una domanda, Maestro?»
Ouin le sorrise e le rispose col suo strano accento: «Sono qui per questo. Poni la tua domanda.»
«Mi chiedevo se... se la Magia richiede una certa quantità di energie, come possiamo fare più di un incantesimo senza rischiare la vita?»
«Una domanda interessante. Ma non è un problema che si protrae a lungo, in quanto il tempo è la soluzione. Più tempo dedicherete all’apprendimento e all’uso della Magia, più rapidamente sarete in grado di controllarla. E in maggiori quantità. Vedete, il vostro essere deve abituarsi gradualmente alla presenza di un tale potere, e ancor più tempo ci vuole perché lo possa controllare.»
«Quindi i maghi esperti possono controllare un’infinita quantità di Magia?» domandò Andrew.
«Non è esatto. Gli esseri come noi, che vivono con la Magia ma potrebbero vivere anche senza di essa, non possono controllarne infinite quantità. Notevoli sì, non c’è alcun dubbio. Ma siamo limitati.»
«I Draghi invece? Non potrebbero vivere senza Magia, o perlomeno non sarebbero i Draghi che noi conosciamo.» disse Mike.
«I Draghi sono la Magia. Scorre nei loro corpi dal momento in cui la madre depone l’uovo. I Draghi sono la manifestazione vivente della Magia stessa. Quindi sì, un drago esperto nel controllo della Magia può potenzialmente usufruire di una quantità infinita. Dipende dalla forza della creatura e dalla quantità di Magia che il suo corpo è in grado d’incanalare.»
Umbreon si lasciò sfuggire un ringhio vittorioso catturando tutti gli sguardi, anche quelli dei giovani elfi lontani, e facendo sorridere Andrew.
«Non esistono altre creature in grado di farlo?» domandò Susan.
«Non creature viventi. Ma è giunta voce di questa razza recentemente arrivata a Dargovas, e pare sia stata anch’essa creata dalla Magia. Una magia differente, capace di uccidere l’anima ma non il corpo, e quindi in grado di far vivere qualcuno pur se quel qualcuno in realtà non è vivo. Non-morti li chiamano, e credo che per questo siano legati alla Magia allo stesso modo dei Draghi; non potrebbero vivere senza essa nei loro corpi.»
I ragazzi rimasero atterriti e a bocca aperta, e Jennifer esclamò: «Non-morti?! Ma com’è possibile vivere essendo morti?»
«Grazie alla Magia ha detto.» le rispose Andrew.
«Sì ma... come? È contro natura!»
Ouin scosse la testa desolato: «Non si conoscono le ragioni, e io non ho mai personalmente incontrato uno di loro. Pertanto non spetta a me giudicare.»
«E noi invece, che siamo legati a dei Draghi... cambia qualcosa al nostro modo di controllare e usare la Magia?» domandò Layla.
«Qualcosa sicuramente, dal momento che siete qui.» sorrise l’elfo «La Magia scorre nei Draghi, e scorre ora in voi perché legati a loro. Potrebbe sì esservi più facile imparare a controllarla e permettervi di incanalarne maggiori quantità rispetto a un vostro simile di pari potere. Credo possiate sfruttare le energie dei vostri amici draghi come se fossero le vostre. Col tempo.»
Mike si lasciò sfuggire un verso di entusiasmo e lanciò una rapida occhiata a Zaffir, poi cercò di tornare tranquillo e l’elfo riprese la sua lezione. Si limitarono ad ascoltarlo parlare per tutta la giornata, Ouin voleva essere sicuro che gli fosse ben chiaro il funzionamento della Magia e il legame che avevano con essa prima di passare alla pratica.
Li lasciò andare nel tardo pomeriggio e gli disse di tornare la mattina seguente. Se ne andarono seguiti dai draghetti e dagli sguardi torvi dei giovani elfi che talvolta giocavano con la magia come se fosse una cosa naturale, per fargli invidia. Jennifer e Mike furono gli unici a prendersela e mantennero il broncio finché furono fuori.
Nell’aria aleggiavano diversi aromi, tra i quali l’odore di cibo, e i ragazzi si dissero di dover presto andare al mercato a prendere provviste se non volevano consumare quelle che si erano portati da Darvil.
Decisero di andarci la sera stessa giusto per vedere almeno come funzionava la compravendita dei beni e rimasero estremamente colpiti dal fatto che nessun oggetto era in vendita, ma piuttosto offerto. Gli venne spiegato che la razza elfica non disponeva di monete d’oro da scambiare, piuttosto pietre preziose se la merce era particolarmente pregiata. Ma non era certo il caso di frutta, verdura, carne, bevande, stoviglie e altri piccoli oggetti utili all’uso quotidiano. Persino alcuni mobili non avevano un prezzo. Presero dunque abbastanza vivande per una settimana o poco più, ringraziarono cercando di farsi capire al meglio con gesti e numerosi sorrisi, e tornarono a casa.
Sulla via del ritorno Sulphane decise di allenarsi a volare, e Smeryld Zaffir e Umbreon la seguirono senza ripensarci; caddero a terra diverse volte tutti e quattro, ma non sembravano darsi per vinti. Salirono di parecchi piedi di quota e ogni volta che precipitavano cercavano di rallentare la caduta tenendo le ali spalancate con la forza. Umbreon era interessato a spingersi il più in alto possibile, Smeryld a fare acrobazie che ogni volta fallivano miseramente, Sulphane a controllare tutte le sue piume, e Zaffir a volare sempre più a lungo senza perdere il controllo.
I loro ringhi divertiti catturarono inevitabilmente gli sguardi di parecchi elfi e ninfe, talvolta anche di qualche felino.
I ragazzi salirono per cenare e i draghetti decisero di rimanere fuori a svolazzare attorno alla loro nuova casa, questa volta anche Rubia e Ametyst fecero dei timidi tentativi, ma la draghetta rossa aveva le ali ancora troppo piccole e decise presto di rinunciare. Andarono a dormire tutti alla stessa ora, e di nuovo impiegarono qualche tempo per addormentarsi.

Anche il giorno successivo Maestro e allievi parlarono soltanto, seduti attorno al tavolo, loro ponevano le domande e lui rispondeva. Il terzo giorno qualcosa cambiò, fu lui a porre domande e chiamare il nome di chi doveva dare la risposta; se per caso sbagliavano lui spiegava nuovamente l’argomento, in modo che ascoltassero più attentamente o che meglio rimanesse impresso nelle loro menti. Talvolta facevano brevi pause in cui i ragazzi esploravano il cortile e studiavano le piante, o semplicemente si sdraiavano nell’erba e chiacchieravano. I draghi li seguivano ovunque andassero e la loro presenza impediva ai giovani elfi di avvicinarsi, ma non di schernire i ragazzi da lontano o di mettersi in mostra facendo incantesimi.
Passò così la loro prima settimana a Hayra’llen, lenta e tutta uguale ma non abbastanza noiosa da fargli perdere l’eccitazione di trovarsi lì. E l’urgenza di farsi un vero bagno cominciava a farsi sentire persino in Andrew e Mike, ma l’imbarazzo di doversi spogliare davanti ad altre persone, tra le quali i loro stessi compagni di viaggio, alla fine aveva sempre la meglio.
Ognuno di quei giorni Cedric rimase il più possibile in disparte e in silenzio, per evitare come meglio poteva che gli altri lo cogliessero pensare ad alta voce anche solo per sbaglio ma anche che notassero i suoi profondi disagi; non stava prendendo benissimo l’improvvisa interruzione di quella cura e non ne era realmente sorpreso, solo doveva evitare che i più giovani capissero che c’era qualcosa che non andava.
Ogni tanto coglieva i loro sguardi preoccupati e capiva che in qualche modo stavano capendo, ma tutte le volte sperava pensassero che il suo umore nero o i suoi sbalzi d’umore fossero dovuti alla sua brutta esperienza prima di partire. Per il momento quell’evento avrebbe potuto parargli le spalle, ma non era certo di sapere quale scusa si sarebbe potuto inventare in futuro, se le cose non fossero migliorate in fretta... e aveva paura che non sarebbero mai realmente migliorate.

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Capitolo 30
*** Flight lessons ***


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FLIGHT LESSONS

All’inizio della seconda settimana le cose cominciarono a cambiare. Maestro Ouin disse loro che avrebbero provato per la prima volta a mettersi in contatto con la magia volontariamente, e a questo proposito non li fece sedere attorno al tavolo, ma in cerchio ai piedi dell’unico albero presente.
Parlava con voce pacata e con la sua strana cadenza come al solito e camminava all’esterno del cerchio guardandoli dall’alto: «Chiudete gli occhi e rilassate la mente, apritevi a ciò che vi circonda, al mondo e alla magia. Usate la mente per vedere e sentire, percepite la vita attorno a voi. Ogni cosa ha uno spirito, ogni spirito è differente. Sentite l’erba su cui sedete, diventate l’erba...» andò avanti a guidarli passo per passo, ma non si aspettava che già riuscissero la prima volta.
E infatti nessuno dei ragazzi riuscì a contattare la magia.
Prima di lasciare il cortile frustrati, una giovane elfa gli si avvicinò timidamente con un sorriso e le mani giunte dietro la schiena, aveva pelle azzurra, lunghi capelli viola legati in una coda di cavallo e occhi argento. Indossava una corta maglietta bianca sfrangiata legata dietro il collo, lasciandole scoperta la schiena, una cintura nera in vita, un paio di stretti pantaloni grigi infilati dentro un paio di stivali neri più alti del ginocchio. All’orecchio sinistro portava un orecchino composto da un anello argentato e quattro frangette di dimensioni diverse che pendevano sulla spalla.
Si fermò appena Umbreon cominciò a ringhiare fissandola minaccioso e sbattendo la coda, ma Andrew gli diede un buffetto dietro la testa per farlo smettere e fece cenno alla giovane di avvicinarsi, mentre gli altri elfi apprendisti osservavano la scena chi con stupore e chi con fastidio.
La giovane elfa li salutò con il gesto informale dicendo con voce melodiosa: «Nirya!» indicò se stessa e riprese: «Foyla.» quindi attese una loro risposta dondolandosi sulle punte dei piedi.
Susan si esibì in una patetica imitazione del suo saluto e disse con un sorriso: «Nirya Foyla! Susan, Sulphane.» indicò prima se stessa e poi la dragonessa gialla, che fece un giro su se stessa ringhiando contenta e così rischiando di colpirli tutti con la lunga coda.
Foyla rise, poi anche tutti gli altri presentarono loro stessi e gli amici draghi, avviandosi insieme alla giovane fuori dall’edificio. Non poterono parlare e nemmeno vollero comunicare mentalmente con lei, immaginando che fosse un legame troppo intimo da usare con qualcuno che non fossero i piccoli draghi. Ma li accompagnò lungo la strada verso casa loro camminando con grazia e con un ampio sorriso, forse entusiasta o emozionata, e gradirono la sua compagnia.
A un certo punto Foyla, dopo alcuni tentativi, riuscì a fargli capire che voleva sapere con che parole si salutavano nella lingua umana, e quindi finalmente nacque una timida conversazione a gesti, tentennamenti e tentativi di ripetere ciò che l’altra parte diceva nella lingua a loro sconosciuta. Impararono alcune parole vicendevolmente, come i nomi dei quattro elementi fondamentali, e le parole albero, casa, pietra, elfo, stivale e mano.
Non mancava molto all’albero in cui abitavano quando videro alcuni grandi felini correre agitati in una stessa direzione, anche uccelli e piccoli animali li seguivano, come se stessero scappando da qualcosa. Pure i draghetti si agitarono, ma più che provare paura provavano un fremito di eccitazione, e cominciarono a correre nella direzione opposta ai felini. Foyla rivolse loro uno sguardo confuso, ma i ragazzi non seppero spiegarle cosa stesse accadendo.
Corsero dietro ai draghi seguiti dall’elfa fino a che videro cosa stava allarmando le creature della Foresta: un giovane drago stava planando tra gli alberi, pronto ad atterrare poco lontano da loro. Sembrava bianco, ma talvolta le scaglie prendevano le sfumature di ogni colore. Foyla si fermò rimanendo indietro a bocca aperta, i ragazzi invece proseguirono e si fermarono solo quando anche i draghetti smisero di correre.
Il drago dalle scaglie lucide e cangianti ripiegò le ali sui fianchi e li guardò, era alto almeno venti piedi senza contare la punta delle quattro lisce corna che aveva dietro le tempie, le sue ali parevano sproporzionatamente grandi, aveva una corporatura snella e allungata ma muscolosa e non aveva altre spine. Invece sulla punta della coda c’era una cresta tagliente di colore bianco, molto simile a quella di Garandill, che ricordava una falce leggermente ricurva.
Io sono Huran disse a tutti loro meno Foyla Sono qui per assistere i vostri amici draghi nelle prime fasi del volo, essendo ancora abbastanza giovane da poter volare tra questi antichi alberi... così non dovrete separarvi.
«Molto gentile da parte tua, Huran.» disse Cedric.
Garandill ha chiesto così ribatté inespressivo, e dalla voce grave dedussero si considerasse un maschio.
«Quanti anni hai?» domandò Andrew curioso.
Il drago bianco sembrò guardarlo con aria divertita, ma rispose: Dieci.
«E da dove vieni?» chiese invece Jennifer.
Sono l’unico cucciolo di Garandill.
I ragazzi rimasero a bocca aperta, ma non fecero domande a proposito.
Invece Mike gli chiese: «Quando vuoi cominciare?»
Anche subito. Lascerò che vi accompagnino la mattina per imparare a controllare la magia, poi ci incontreremo per volare nel pomeriggio, fino all’ora della vostra cena. Tutti i giorni.
«Rubia fa ancora fatica a volare, ha provato ieri ma non è riuscita.» disse Jennifer sconfortata.
Forse non è ancora tempo. Ma farò in modo che impari ciò che le sue ali le consentono d’imparare rispose il drago pazientemente, guardando in direzione della cucciola rossa, di cui Jennifer poté percepire il disagio.
Zaffir si fece subito avanti mostrando il suo entusiasmo seguito da Sulphane e da Smeryld, che sebbene non avesse volato in molte occasioni era impaziente di poter compiere tutte le acrobazie che sognava la notte. Umbreon era più titubante e Ametyst ancora ricordava tutte le sue brutte cadute, mentre Rubia proprio non se la sentiva.
Huran non volle obbligarli, chiuse la mente ai ragazzi e spiegò le grandi ali senza prendere il volo, solo mostrando ai giovani draghetti tutte le possibili posizioni da assumere per prendere più facilmente il volo, come darsi lo slancio e quanta forza metterci per evitare di prendere il volo in verticale, che poteva risultare in una manovra disastrosa. Persino come tenere la coda sollevata da terra prima del balzo.
I tre draghetti, e da poco anche Umbreon, imitavano tutte le posizioni che Huran prendeva, giravano su loro stessi quando lui girava su se stesso, sbattevano la coda quando e come lui la sbatteva, spiegavano le ali e facevano finta di sbatterle. Poi volle vedere come balzavano per prendere il volo, senza però che sbattessero le ali, e li corresse quando sbagliavano.
Alla fine, dal momento che non avrebbero volato quel giorno, anche Rubia e Ametyst si unirono alla lezione, quindi Huran decise di riprendere da capo anche per loro; agli altri di sicuro non avrebbe fatto male.
Foyla trovò il coraggio di avvicinarsi solo dopo quasi un’ora, era rimasta immobile a guardare il giovane drago, per lei immenso, temendo che l’avrebbe aggredita se si fosse avvicinata. Susan le prese la mano; il contatto fisico così diretto lasciò l’elfa attonita, ma servì a rassicurarla e a farle tornare un debole sorriso.

La mattina seguente si recarono a lezione subito dopo aver fatto colazione, Ouin era già lì ma alcuni dei giovani elfi ancora mancavano. Foyla c’era, e salutò il loro ingresso agitando una mano in aria imitando il saluto umano con grazia innaturale. I ragazzi la salutarono da lontano senza parlare e si diressero subito verso l’albero accompagnati dai draghetti, come al solito. E Ouin li seguì pronto a riprendere la lezione del giorno precedente da capo, perché tutti avevano fallito.
Prima di cominciare tuttavia domandò: «Siete mai entrati in contatto con la magia? Avete fatto già incantesimi?»
«Io sì, involontariamente.» rispose subito Layla.
«Anch’io, volontariamente.» disse invece Cedric.
L’elfo annuì interessato e sussurrò: «Raccontatemi com’è andata, cos’avete provato.»
I due ragazzi si guardarono un po’ confusi e preoccupati, fu lei la prima a decidersi a parlare: «Io veramente non lo so... un uomo stava per aggredire Susan e ho solo desiderato che non lo facesse, che Susan stesse bene e ne uscisse illesa... non so cos’ho provato, ero confusa. Non riuscivo nemmeno a capire a cosa stessi pensando.»
«Paura.» disse Ouin «Paura, rabbia e disperazione così sincere e profonde da spingere la magia ad aiutarti senza che tu lo chiedessi.» sorrise amabilmente guardando entrambe. Dunque Ouin guardò Cedric e si rivolse a lui: «E per te com’è andata?»
Il ragazzo si strinse nelle spalle a disagio, e di conseguenza Smeryld ringhiò addolorato, ancora tagliato fuori dalla sua mente. Alla fine si decise a mettere da parte le emozioni prima che prendessero il sopravvento facendogli perdere il controllo di sé, e rispose quasi inespressivo: «Volevo salvare mio padre. Stava morendo e... sapevo della magia, così ho voluto provare.»
«Una scelta pericolosa.» commentò l’elfo «Ma riuscita immagino, se ti trovi qui. Probabilmente si tratta delle medesime sensazioni.»
«Non intendi metterci paura per aiutarci, vero?» domandò Mike preoccupato.
«Non temere, volevo solo capire cosa avesse spinto la magia a intervenire... non è ancora il momento di mettervi alle strette e in pericolo per costringervi a usarla e non spetta a me, ad ogni modo. Io vi insegnerò solo a riconoscerla per permettervi di impedirle d’intervenire. Quando ne sarete capaci potrete intraprendere il vostro viaggio verso Eunev. Ora torniamo a noi e alla nostra lezione: chiudete gli occhi e aprite la mente...» cominciò a parlare come il giorno prima, con voce lenta e suadente, girando intorno a loro.
I ragazzi dopo qualche tempo riuscirono a lasciarsi andare alla sua voce pacata e rilassante e gli parve di percepire diverse sensazioni, suoni e odori che prima non sentivano, come se da un momento all’altro avessero cominciato a sviluppare un sesto senso. Dopo diversi minuti a Layla parve persino di vedere qualcosa, come uno strano bagliore, ma la sua eccitazione per la novità la distrasse e tornò a vedere il nero dietro agli occhi chiusi.
A fine lezione i ragazzi non avevano concluso praticamente nulla, gli era solo sembrato di essersi addormentati e aver sognato senza aver effettivamente contattato alcunché. Se ne andarono nuovamente delusi per pranzare anche se era primo pomeriggio, e due elfi li seguirono: Foyla si stava trascinando dietro qualcuno.
Sembrava avere la stessa età di lei, aveva la pelle lilla, i capelli blu lunghi fino alle spalle e occhi verdi. Indossava una casacca simile a quella di Maestro Ouin, ma di colore grigio, pantaloni marroni e stivali a mezza gamba di pelle.
Lo presentò al meglio e il giovane Teranel li salutò in elfico con un timido sorriso. Li invitarono a pranzare con loro e i ragazzi accettarono, seguendoli per la città fino a casa di Foyla al momento vuota. I draghetti decisero di rimanere fuori per non rischiare di rovinare il legno con gli artigli.
Fu un pranzo silenzioso solo per il fatto che non potevano capirsi, ma gesticolarono piuttosto animatamente e risero quando non riuscirono a comprendersi a vicenda, poi i due giovani elfi li accompagnarono dove avrebbero dovuto incontrare Huran. Foyla parlò in elfico fitto fitto e i ragazzi immaginarono che stesse preparando l’amico a ciò che avrebbe visto.
Il drago bianco era già lì, acciambellato sull’erba assorto in un sonno profondo e i ragazzi esitarono non sicuri di volerlo disturbare. I sei draghetti invece non si fecero problemi, si avvicinarono correndo e si sedettero vicini a lui, svegliandolo senza parole ma con la sola presenza delle loro menti.
Cominciò una lezione molto simile a quella del giorno precedente, i giovani elfi talvolta guardavano i sette draghi con sguardo rapito, altre si ricomponevano e cercavano di comunicare coi ragazzi. Dal canto loro, i sei umani erano ormai abituati alla vista dei draghi, quindi passarono tutto il tempo seduti nell’erba a chiacchierare e cercare conforto negli amici per aver fallito nuovamente nel compito affidatogli dal Maestro.

Durante la terza settimana del mese di Despada, l’ultimo dell’autunno, in una mattina uguale a tutte le altre i ragazzi riuscirono finalmente a mettersi in contatto con una presenza a loro sconosciuta, certi che si trattasse della magia. Tutti meno Cedric, perché chi era riuscito aveva inconsciamente fatto affidamento sulla coscienza dei draghi per entrare in contatto con la magia. E Cedric e Smeryld erano ancora restii a riunire le proprie menti.
Ouin parve ugualmente molto soddisfatto, riusciva a percepire che i ragazzi erano riusciti e non li biasimò per aver sfruttato il legame coi draghi: era una loro particolarità, ed era bene che imparassero a sfruttarla il prima possibile. Concesse loro di lasciarsi trasportare dall’allegria e godersi il momento senza interromperli.
Cedric guardò Smeryld di sottecchi e piuttosto sconfortato, ma il draghetto guardava fisso davanti a sé e non se ne accorse. Il ragazzo non cedette e non gli aprì la mente, dicendosi che la magia avrebbe potuto aspettare. Attese con impazienza che la lezione finisse, quindi si congratulò con gli altri con un finto sorriso e se ne andò per conto suo, lasciandoli perplessi.
Smeryld lo guardò allontanarsi e mugolò indeciso se seguirlo oppure no, non sapendo come l’avrebbe presa. Susan gli fece qualche carezza, ma lui si ritrasse e corse via, non ancora del tutto certo di voler seguire Cedric ma sicuro di non volere la pietà di qualcun altro.
Cercarono di non rovinarsi la giornata pensando al malumore dell’amico e lasciarono l’edificio parlando invece animatamente di quello che avevano percepito in quelle ore.
Mike esclamò: «Io ho seguito un’ape! Non potete immaginare quanto sia interessante!»
«Io una formica. Sono intelligentissime, sapete?» disse invece Andrew tutto soddisfatto, lanciandosi poi in un’accurata descrizione della vita all’interno del formicaio.
«Io ho scoperto che anche le piante a modo loro vedono e sentono!» disse Jennifer quando lui ebbe finito.
«E io ho sentito Ametyst! Ero come lei, ero lei! E ho sentito anche voi, sapete? Tutto quello che pensavate!» esclamò Layla.
«Cosa?! No, quello che penso dev’essere solo mio!» esclamò Susan infastidita.
«Non più ormai!» rise la più grande.
Quel giorno conobbero altri due elfi: Henyra, una giovane dalla pelle lilla, i capelli blu e gli occhi azzurri, e Haderyl, un elfo che pareva più grande, dalla pelle azzurra, i capelli neri e gli occhi viola. Pranzarono insieme a loro, Foyla e Teranel, poi come di consueto andarono da Huran che avrebbe dovuto insegnare ai draghetti a volare molto presto. Smeryld non era lì ad aspettarli e questo li preoccupò, ma decisero di sperare che arrivasse più tardi.
Non volarono nemmeno quel giorno e il draghetto verde non si presentò, come anche Cedric. Salutarono gli elfi prima di dirigersi ognuno verso casa propria. Cucinarono anche per i draghi e mangiarono tutti insieme, ora preoccupati perché né Cedric né Smeryld avevano ancora fatto ritorno.
Attesero oltre la mezzanotte senza esito, e alla fine Andrew li convinse ad andare a dormire dicendo: «Siamo a Hayra’llen, a meno che in un giorno non abbia cavalcato tanto da allontanatasi cento miglia non gli succederà nulla. Soprattutto se Smeryld è con lui.»

La mattina fecero colazione senza di lui, ormai Susan era preoccupata oltre ogni immaginazione. Quando si presentarono per la lezione quotidiana lo trovarono seduto sull’erba davanti all’albero, Smeryld non era lì accanto e Ouin era in piedi in silenzio. I ragazzi, nessuno escluso, lo rimproverarono tenendo a fatica la voce bassa, ma Cedric si limitò a scuotere le spalle senza nemmeno aprire gli occhi per guardarli. Il Maestro pose fine alla discussione ordinandogli di sedersi e rilassarsi, e loro furono costretti a obbedire. Smeryld non si presentò e quindi Cedric di nuovo fallì, anche se riuscì a percepire vagamente le menti degli altri e di alcuni insetti, mentre Layla riuscì addirittura a cominciare una conversazione mentale con Ametyst senza che la dragonessa si fosse prima messa in contatto con lei.
La ragazza era talmente fuori di sé dall’entusiasmo che Ouin fu costretto ad allontanarla per non disturbare gli altri che ancora erano concentrati. Se ne andò saltellando seguita inconsapevolmente da Henyra, non riusciva a smettere di parlare con Ametyst sia con la mente che con la voce e la piccola dragonessa ascoltava con pazienza camminandole accanto col suo passo ondeggiante. Quando finalmente si accorse di essere seguita dall’elfa, la salutò e le chiese, con molto imbarazzo e con difficoltà, se ci fosse un altro modo per farsi un bagno che non fosse gettarsi in acqua insieme a decine di altri elfi.
Pareva che non ce ne fossero, ma si disse di avere assolutamente bisogno di un bagno. Quindi si fece accompagnare da Henyra al fiume più vicino, ma sembrava che la stesse conducendo in un luogo preciso: la portò a uno degli edifici costruiti attorno a una sorgente. L’ingresso era uno solo e la pianta era circolare, c’era un ampio spiazzo di terra che gradualmente s’immergeva nell’acqua dove si trovavano diversi appendiabiti o tavoli ricoperti di vesti pulite pronte all’uso per chi avesse finito di lavarsi. Tutt’attorno alla vasta pozza d’acqua c’era una sorta di porticato chiuso, sembravano delle nicchie nelle quali stavano talvolta delle saponette, talvolta degli oli, o asciugamani e quelle che dovevano essere spugne.
La giovane elfa la invitò a immergersi, quindi lei per prima si avvicinò e, giunta vicina all’acqua, si spogliò completamente lasciando tutti i vestiti all’asciutto sull’erba, per poi tuffarsi. Layla rimase allibita non solo perché la giovane aveva un fisico mozzafiato, ma anche dalla naturalezza con cui si era spogliata davanti a lei, praticamente un’estranea, e alla decina di elfi che al momento erano immersi.
Fissò l’acqua titubante mentre Henyra nuotava e giocherellava invitandola con dei gesti a unirsi a lei, e alla fine decise di spogliarsi: «Solo perché ci sono soltanto elfi e sono tutti abituati così, perciò non mi giudicheranno.» disse sia a se stessa che ad Ametyst «Se ci fossero Mike, Cedric o Andrew... ma anche Jennifer e Susan! Non lo farei.»
Lo so le rispose la dragonessa, poi entrambe corsero e si tuffarono nell’acqua fresca.
La ragazza non sapeva nuotare e tentò di spiegarlo a Henyra, quindi rimasero nell’acqua poco profonda, l’umana accucciata per rimanere immersa fino alle spalle, mentre l’elfa non se ne curava - era più alta di lei di quasi una spanna - e guardarono la lunga dragonessa viola serpeggiare poco sotto la superficie dell’acqua, talvolta spaventando qualche elfo sfiorandolo con la coda o con un’ala.
Layla si divertì più di quanto ritenesse possibile, poi nel panico ricordò ad Ametyst della sua lezione con Huran; la dragonessa corse via scrollandosi l’acqua di dosso, mentre lei ed Henyra rimasero a lavarsi col sapone ancora per qualche minuto.

Nel frattempo gli altri erano usciti dall’edificio dove tenevano le lezioni e stavano ricoprendo Cedric di rimproveri per il comportamento che aveva tenuto il giorno prima, gli elfi non si erano uniti a loro intuendo che non fosse una buona giornata. I draghetti invece fecero finta di nulla giocando a rincorrersi poco lontano.
Cedric era rimasto sempre in silenzio, ma alla fine perse la pazienza e, appena davanti al loro albero, sbottò: «Lasciatemi in pace, per la pietà di Lya, il vostro tentativo di costringermi ad aprirmi a Smeryld non servirà a farmi stare meglio! Non voglio farlo solo perché mi renderebbe le cose più facili con la magia. Non voglio. È chiaro?»
«Maledizione hai un drago! Che ti prende? Non lo vuoi più?» esclamò Andrew.
«Non è una cosa che posso decidere di volere o non volere. C’è e basta, e mi serve del tempo. Non stressatemi!»
«Hai avuto già così tanto tempo. Quanto vuoi aspettare ancora?» fece Jennifer scettica.
«Quanto basta.» ribatté lui freddo.
«Potresti parlarne con lui, sai? Sta male poverino.» disse Susan «Non voleva farti soffrire, e ora tu stai facendo soffrire lui. E non te ne frega niente, sei proprio un insensibile!» Cedric fece per ribattere, ma non gli diede tempo e gridò: «Sei un egoista, non hai fatto altro che pensare a te stesso per tutto questo tempo! Non ti importa nulla di cosa prova Smeryld. Il tuo dannatissimo drago! Drago!» scandì bene l’ultima parola, poi se ne andò di corsa e senza più guardarlo, salendo le scale furiosa.
Cedric rimase sconvolto dalla sua reazione e nemmeno la guardò allontanarsi, piuttosto rivolse uno sguardo incredulo agli altri senza aprire bocca.
Ma nessuno sembrava essere dalla sua parte, Mike scosse la testa e sussurrò: «Ha ragione lei. Scommetto che nemmeno sai dove si trovi ora, non è così?» poi se ne andò seguito da Jennifer e Andrew, lasciandolo solo coi suoi sensi di colpa.
Non ebbe il coraggio di salire a pranzare insieme a loro, invece salì in sella al suo cavallo nero e lo lanciò al galoppo deciso a trovare Smeryld per parlargli e sperando che avrebbe accettato le sue scuse.

Layla tornò dopo pranzo indossando dei vestiti che Henyra le aveva procurato mentre i suoi erano rimasti ad asciugare all’aria; le avevano assicurato che nessuno li avrebbe mai rubati, dunque aveva deciso di lavarli e lasciarli stesi a uno di quegli appendiabiti di legno levigato. Gli amici la guardarono a bocca aperta, indossava una veste azzurra legata in vita dalla sua cintura, un paio di pantaloni color blu notte e i suoi stivaletti poco più alti della caviglia. Le maniche arrivavano ai gomiti.
Jennifer strabuzzò gli occhi e le chiese: «E questi?»
«Ho lavato quelli vecchi... e ho fatto un bagno. Davvero rilassante!» quindi si decise a raccontare come avesse passato la mattinata mentre loro si erano esercitati con Ouin.
Aveva pranzato con Henyra, quindi andarono direttamente da Huran insieme ai draghetti, e rimasero come di consueto seduti nell’erba mentre i loro amici alati fingevano di prendere il volo sotto gli occhi attenti del drago bianco.
Layla, che non aveva assistito alla scena di poco prima, domandò dove fosse Cedric, ed evidentemente anche Smeryld. Ma i più piccoli si limitarono a borbottare qualcosa circa la sua maleducazione e i sensi di colpa che speravano si fossero finalmente fatti presenti.
E Mike giustificò la sua assenza dicendo semplicemente: «Non avrà avuto il coraggio di farsi vedere dopo quello che gli abbiamo rinfacciato. Forse finalmente ha capito che il suo povero drago è a tanto così da sparire per sempre.» e fece un gesto con la mano che indicava una piccola quantità.
La più grande annuì poco convinta, senza dire ciò che pensava; non credeva che esprimersi a quel modo avrebbe realmente migliorato le cose, ma almeno sembrava che finalmente Cedric si fosse deciso a prendersi le sue responsabilità. O almeno ci sperava, anche solo per il povero Smeryld che non meritava una vita in solitudine così giovane.

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Capitolo 31
*** Neglect ***


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Qui di seguito posterò un brevissimo spin-off scritto per me dalla bravissima Sky, ho trovato che fosse scritto così bene da adattarsi perfettamente come fosse un "behind the scenes", una scena che io non ho scritto ma che effettivamente nella storia potrebbe succedere. Niente, ci azzecca a tal punto che ho deciso di renderla in qualche modo parte della storia :)
Quello qui di seguito non è stato scritto appositamente per questo capitolo, l'ho ricevuto prima di pubblicarlo, perciò Sky non poteva sapere quanto bene si sarebbe adattato. Abbiamo concordato che la magia effettivamente ESISTE! Ricevere questo spin-off e leggerlo per conto mio è stato veramente emozionante, a dir poco meraviglioso.
Meglio non dilungarmi troppo ora, complimenti vivissimi ancora, non era facile e tu Sky sei riuscita più che egregiamente!
Buona lettura!

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A SMALL GREEN LIGHT

Non c’era stato proprio nulla di strano nei suoi comportamenti.
Il fatto che non avesse aperto la propria mente al drago era perfettamente normale, così come normale era che non volesse parlare con lui.
Del resto, era stata tutta colpa di Smeryld.
Gli altri non capivano, ma in effetti che cosa ne potevano sapere. Lui non aveva neanche provato a spiegare loro com’era andata davvero, per cui era normale che non capissero, e che lo accusassero di essersi comportato in modo sbagliato.
Avanzò nelle strade di Hayra’llen, completamente indifferente alle luci e ai profumi della splendida città elfica.
Aveva fatto rallentare il cavallo a un passo sostenuto, e l’animale si muoveva tranquillo, per nulla infastidito dalla presenza dei grandi felini che peraltro non lo degnavano di uno sguardo; l’andatura lieve consentiva al ragazzo di restare immerso nei propri pensieri, ignorando il mondo circostante.
Era colpa di Smeryld, si ripeté.
Era colpa di Smeryld, se era successo quello che era successo con Jorel.
Era stato il drago ad attaccarlo, quando lui gli aveva detto di non farlo.
Era stato il drago a ridurlo in fin di vita. Ed era stato per via del drago se Jorel gli aveva messo le mani alla gola.
Era stata solo colpa sua.
Senza rendersene conto, Cedric aveva stretto la presa sulle briglie con forza sufficiente da farsi sbiancare le nocche.
La giacca che aveva indosso gli copriva la pelle anche dei polsi, e il colletto alzato lo nascondeva quasi fino al mento, ma lui sapeva che, sotto il tessuto, qualche segno doveva essere ancora visibile. Se Layla aveva ricevuto una collanina come ricordo della sua famiglia, a Cedric restava lo spettro del dolore delle percosse.
Il cavallo scartò di lato e lui sobbalzò, riportato bruscamente alla realtà, come ricordando improvvisamente che in effetti lui era uscito per mettersi sulle tracce del piccolo drago.
Ma la sera stava scendendo, e non aveva idea di dove andare a cercare Smeryld. Suppose di dovergli aprire la sua mente, magari anche perché gli risultasse più facile trovarlo.
Sei un egoista, non hai fatto altro che pensare a te stesso per tutto questo tempo!”
Il ricordo della parole di Susan gli strappò una smorfia.
Si strofinò il dorso di una mano sulle labbra, trattenendo un verso di frustrazione.
Non ti importa nulla di cosa prova Smeryld.”
Non era vero.
Non era vero che non gliene importava, ma era colpa di Smeryld se...
Ricordò il momento in cui evocare la magia l’aveva quasi ucciso, durante il suo disperato tentativo di salvare Jorel.
Ricordò di come il fabbro si era alzato, la sua salute sorprendentemente ripristinata, e gli aveva detto chiaramente di voler mettere fine alla sua vita.
Con le sue stesse mani. Cosa che aveva provato a fare, e che avrebbe fatto se Emily non si fosse intromessa.
Quando mai ho promesso a Laurel che mi sarei preso cura di te!” Aveva gridato Jorel, sovrastandolo con la sua mole e tagliandogli il respiro dai polmoni. “Non hai fatto altro che portarmi guai da quando sei stato concepito, e mi hai portato via la donna che amavo.”
Si ritrovò a dover premere contro la bocca il palmo della mano che aveva alzato, trattenendo un singhiozzo.
Le nocche dell’altra erano di nuovo sbiancate sulla briglia e i lati degli occhi gli pungevano, ma Cedric sbatté le palpebre più volte e regolarizzò il respiro.
No, si disse. Non avrebbe pianto.
Non avrebbe pianto per se stesso, e non avrebbe pianto per Jorel.
Si guardò attorno a labbra strette, nelle piccole luci colorate che ornavano gli edifici elfici, ormai più rade poiché le abitazioni stavano diminuendo.
Scosse la testa a denti stretti.
Non era colpa di Smeryld.
Non lo era mai stata, e lui lo sapeva.
L’unica colpa che aveva Smeryld era quella di essere un piccolo drago, e l’unica colpa che aveva lui era quella di essergli legato.
Mike e Susan avevano ragione.
Doveva trovare il suo drago e dirgli che gli dispiaceva, sperando che la piccola creatura avrebbe capito. Sperando che non l’avrebbe odiato per come Cedric si era comportato.
Riportò il cavallo al galoppo e uscì completamente dalle strade principali, chiamando il draghetto a gran voce e ripetendosi che avrebbe sistemato le cose, per come poteva.
Che ci avrebbe provato, almeno. Sperando che per una volta avrebbe fatto la cosa giusta. 

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Il colore del titolo del capitolo corrisponde al colore della regione in cui la storia al momento si svolge, tenete d'occhio la mappa per sapere dove ci troviamo!

NEGLECT

Cedric trovò Smeryld solo quando decise di tornare al loro albero e guardare se fosse nella casa sopra la loro. Entrò correndo e senza bussare, e finalmente lo vide: era affacciato a uno degli ampi balconi e guardava in basso con le ali spalancate per metà; se non avesse avuto le ali, pensò Cedric, sarebbe stato come guardare qualcuno sul punto di volersi uccidere saltando nel vuoto. Poi si rese conto che il draghetto non sapeva ancora volare, o non del tutto, ed ebbe paura.
Decise quindi di essere cauto, si avvicinò silenzioso ben sapendo che il draghetto era cosciente della sua presenza. Non sapeva come porgergli le sue scuse, Smeryld era come una persona, anzi era molto più complesso di un essere umano e se ancora non lo dimostrava era solo per via della giovanissima età.
Quando lo ritenne troppo vicino, Smeryld agitò con forza la coda e lo colpì volontariamente sopra al ginocchio, senza nemmeno guardarlo. Il drago in altezza superava di una spanna le sue ginocchia, ma il colpo che gli diede fu tanto forte da farlo cadere e ferirlo con le dure scaglie. Il ragazzo lo guardò sorpreso, ma non si alterò e si rialzò con una smorfia, rispettò la sua volontà e non si avvicinò oltre, rimanendo tuttavia ancora in silenzio.
Smeryld riportò la coda arrotolata attorno alle zampe e inarcò il collo esprimendo chiaramente sdegno. Fu lui il primo a parlare, non curandosi del tacito accordo che fino allora gli aveva impedito di entrare nella sua mente.
Sei venuto a cercarmi solo perché ti servo. Loro ti stanno umiliando perché grazie al legame che li unisce ai miei fratelli riescono, mentre tu fallisci.
«Non sono qui per questo.»
Lo sei, invece. E se sei convinto di non esserlo sbagli ribatté, continuando a guardare la Foresta dall’alto.
«È vero, ho sbagliato. E non sarei qui se finalmente non l’avessi capito. Ho sbagliato ad averti trattato a quel modo. Ti chiedo scusa Smeryld, e vorrei poterti spiegare perché ho reagito così...»
Già lo so, lo interruppe la tua vita sarebbe finita.
«O così pensavo. Ti prometto che farò del mio meglio per mettere da parte quello che ho ingiustamente provato per te. Ho solo avuto paura.»
Tu vuoi solo la mia magia ringhiò ostinato.
«Non me ne importa nulla della tua magia!» disse spazientito «Puoi pure non aiutarmi, non mi interessa. Non sono qui per implorarti di aiutarmi con quelle maledette lezioni. Sono qui solo per chiederti di perdonarmi per ciò che ho fatto, perché non ho fatto altro che pensare a me stesso senza curarmi di cosa provassi tu.» scelse di usare le stesse parole di Susan perché era certo che non sarebbe riuscito a trovarne di proprie o di migliori «Sai che sono qui senza secondi fini, lo puoi sentire.»
Smeryld lo guardò con la coda dell’occhio solo per qualche secondo, dopodiché tornò a guardare dritto davanti a sé e ribatté: Lo so, non ragioni come al solito.
Quelle parole lo lasciarono interdetto: «Cosa? Che intendi dire?»
Non lo so. Ma so di avere ragione disse, e dopo questo rimasero in silenzio a lungo, tanto che il sole cominciò a calare colorando la Foresta dei toni caldi del tramonto.
«Che ne dici di parlarne seduti sul letto, o sull’erba?» gli disse Cedric infine; la vista del draghetto così vicino a un precipizio lo metteva a disagio. Smeryld si era chiuso in un ostinato silenzio, quindi riprese: «Vuoi farmela pagare? Vuoi che provi quello che hai provato tu facendomi scontrare con un muro? Lo capirò se mi dirai di aver bisogno di tempo, io ho fatto lo stesso.»
Non ho bisogno di tempo.
«Allora cosa c’è, vuoi chiudere tutto e per sempre? Perché non te ne sei già andato, dunque?» ancora il drago non gli rispose, quindi sospirò e tentò con un’altra domanda: «Cos’hai intenzione di fare?»
Smeryld piegò il collo per guardare in basso e gli rispose in un sussurro: Volevo renderti orgoglioso di me.
«Per quale motivo?»
Così forse saresti tornato da me.
«Non ce n’è alcun bisogno Smeryld, sono qui.»
Lui scosse la testa e tornò a guardare in alto, stese la coda e spalancò le ali per poi richiuderle subito e lasciarle infine di nuovo aperte per metà: Non ha più importanza ormai. Ho perso molte lezioni.
«Molte? Al massimo due, non credo abbiano ancora volato o lo sapremmo.»
Io volerò comunque.
«Certo che volerai, sei nato per farlo. Tra qualche giorno forse Huran ve lo permetterà...»
Io lo farò senza Huran lo interruppe.
«Sarebbe meglio di no.»
Si volse a guardarlo e ringhiò furioso: Perché no? Io faccio quello che mi pare!
«Potresti non essere pronto... Non farlo. Non ora.» lo supplicò.
Non credi in me? domandò incredulo e offeso, e di nuovo aprì le ali in tutta la loro strabiliante lunghezza.
Cedric dovette ammettere a se stesso di essere sorpreso, non si era nemmeno accorto di quanto il draghetto fosse cresciuto nelle ultime settimane e gli dispiacque.
Si ricordò di dovergli una risposta: «Certo che credo in te, solo che... Per favore aspetta che Huran ti dia la certezza di essere pronto.»
Non lo saprò finché non proverò davvero guardò di nuovo in basso e assunse una delle posizioni che Huran gli aveva mostrato per prendere il volo in caso si trovassero, come in quell’occasione, sull’orlo di un precipizio.
«Smeryld...»
Non distrarmi con la tua paura. Io non ho paura disse con ferocia, poi con un acuto ruggito si spinse fuori con le zampe posteriori tanto forte da rigare il legno con gli artigli, le zampe anteriori ripiegate vicino al petto e i muscoli di collo e coda in tensione.
Cedric corse fino al parapetto sapendo bene che non sarebbe mai stato abbastanza veloce da poterlo fermare, quindi lo guardò lanciarsi in picchiata con le ali richiuse sui fianchi per poi spalancarle con forza e sbatterle, prendendo quota e allontanandosi rapidamente. Non vacillò nemmeno una volta, volava così veloce da dover virare spesso per non schiantarsi sugli alberi, salì più in alto per non rischiare di passare troppo vicino a case e ponti e sparì alla vista del ragazzo, ma ancora erano legati.
Perché non me ne sono andato, hai chiesto? virò per riavvicinarsi alla casa e si fece vedere, poi scomparve di nuovo Perché non potevo volare. Ora invece posso, guardami! di nuovo comparve, ruggì e frenò per andare più lento, in modo da non scomparire più e rimanere a volteggiare davanti al loro albero.
Quindi ora te ne andrai? gli domandò Cedric cercando di mantenere la voce della sua mente inespressiva.
Gli rispose un silenzio raggelante, sebbene fosse certo che Smeryld ancora fosse in contatto con lui. Infine il draghetto si allontanò sparendo nella fitta nebbia verso nord, lasciando che il loro legame li abbandonasse gradualmente con l’aumentare della distanza.
Cedric rise amaramente rimanendo fermo a fissare la nebbia che nascondeva i tronchi più lontani e dopo diverso tempo lasciò la casa dei draghi zoppicando, sicuro che presto la totale mancanza della sua presenza l’avrebbe fatto cadere in una depressione ancora più acuta dell’ordinario.
E tutto perché sei stato uno stupido egoista, te lo meriti si disse con rabbia.
Forse, si disse per cercare almeno un lato positivo in quella faccenda, la dipartita di Smeryld avrebbe impedito alla magia di fargli del male a sua insaputa, e quindi il suo viaggio poteva chiudersi lì. Ma poi pensò subito che non aveva alcuna intenzione di tornare a Darvil, eppure non sapeva nemmeno dove poter andare a vivere... forse la sua unica possibilità era cercare fortuna nella città natale di sua madre, la capitale, dove anche gli altri sarebbero dovuti andare comunque, a studiare.
Scosse appena le spalle, se davvero le cose fossero andate così tanto valeva accompagnare i più giovani in un viaggio così lungo e in un posto così pericoloso, anche se a lui fosse stato precluso l’accesso a quella scuola di magia per mancanza... di magia.
Decise infine che gli conveniva distrarsi in qualche modo, per essere il meno triste possibile, e che quindi avrebbe preparato la cena agli altri, in modo che potessero subito rilassarsi dopo la stancante giornata; lui non se la sentiva di mangiare per il momento, non con quella nausea e la paura di rigettare tutto poco tempo dopo.

Zaffir non vedeva l’ora che Huran passasse alle vere e proprie lezioni sul volo, era stufo della teoria, voleva fare pratica. Rubia era del parere esattamente opposto per via delle ali non ancora grandi abbastanza. Ne discussero animatamente con tanto di ringhi minacciosi sulla strada del ritorno mentre Sulphane e Umbreon giocavano a rincorrersi, ma lei aveva zampe più lunghe e artigli più corti, che la impacciavano meno a terra.
Mike intanto rifletteva su che giorno potesse essere, sicuro che si trovassero ormai nel mese del Corvo. Mentre metteva piede in casa stava dicendo: «Chissà se farò in tempo a festeggiare qui il mio compleanno.»
«Quando sarebbe?» gli chiese Layla.
«Il trenta. Dannazione!» esclamò distogliendo rapidamente lo sguardo dagli occhi verdazzurri di lei «Mi piacerebbe davvero!»
Si stupirono di trovare sia la tavola che la cena già pronte, seppero quindi che Cedric era a casa e lo trovarono seduto sul suo letto a guardare fuori dalla finestra.
«Farti sentire in colpa è servito, eh?» gli disse Layla scontrosa.
Lui si limitò a scuotere le spalle e Susan la rimproverò con una spinta, poi si rivolse all’amico: «Smeryld l’hai trovato?»
«Lui? Oh, no, dev’essere a fare un giro.» rispose Cedric tenendosi sul vago e fingendo indifferenza.
Layla girò gli occhi e lasciò la stanza sussurrando: «Non è servito a un bel niente!» riferendosi alla sua domanda di poco prima.
«Hai già cenato?» gli chiese Andrew.
«Sì, fate pure senza di me.» mentì sperando di levarseli presto di torno, voleva stare in solitudine.
«D’accordo! Grazie per la cena!» disse Jennifer scappando via affamata.
«Non c’è di ché.» ribatté il ragazzo in un sussurro che solo Susan sentì, perché era l’unica rimasta in stanza.
«È tutto a posto Ced?» gli chiese senza riuscire a mascherare la preoccupazione.
Gli parve strano sentirsi chiamare a quel modo da qualcuno che non fosse Lily, ma non perse tempo e le rispose: «Sì. Vai a mangiare.»
«Volevo scusarmi per questa mattina, ho solo perso le staffe perché mi spiace per Smeryld...»
«Non preoccuparti, avevate ragione e l’ho capito. Ora vai e lasciami solo.» disse, né scontroso, né freddo, né arrabbiato, sempre inespressivo.
La ragazzina annuì sconsolata e decise di assecondarlo senza dire una parola di più, quindi si unì agli altri per cenare, e dopo andò a dormire direttamente.

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Capitolo 32
*** Living among the Elves ***


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LIVING AMONG THE ELVES

I giorni passavano ormai tutti uguali: la mattina prendevano lezioni da Ouin e facevano lenti progressi, anche Cedric senza Smeryld, impiegava più tempo da solo ma cercava di non darsi per vinto; poi insieme ai giovani elfi pranzavano e andavano da Huran, assistevano all’allenamento dei draghetti; e verso l’ora di cena ognuno tornava verso casa propria.
I ragazzi erano sempre più in pensiero per la prolungata assenza di Smeryld, il meno preoccupato sembrava essere proprio Cedric e questo fece un po’ arrabbiare e un po’ insospettire gli altri; ma cercare di parlarne con lui fu inutile, il ragazzo rimaneva sul vago quelle rare volte che decideva di rispondere e usava sempre lo stesso tono indifferente.
Finalmente si decisero anche a farsi un vero bagno, ma nessuno si spogliò completamente. Henyra parve sinceramente sorpresa dalla decisione di Layla di lavarsi in intimo coprendosi il seno appena accennato con entrambe le braccia, dal momento che l’altra volta aveva invece abbracciato le usanze elfiche; anche Susan e Jennifer si tennero coperte con le braccia ma non si mostrarono eccessivamente a disagio; Andrew invece si sentiva in imbarazzo a mostrare il suo fisico ai suoi occhi tutt’altro che piacevole perché in carne in mezzo a persone che al contrario avevano una corporatura invidiabile; e Cedric lo stesso ma perché sapeva di essere troppo magro, e soprattutto portava ancora il segno dei lividi in via di guarigione. Il primo si fece coraggio e si spogliò ugualmente, il secondo non si mosse.
E i giovani elfi risero a crepapelle, prendendoli in giro nella loro lingua senza malizia, solo sinceramente divertiti dai loro modi di fare.
Mike invece non riuscì a impedirsi di guardare Layla con occhi sgranati mentre lei non lo vedeva e si sentì così caldo che temette di essere visibilmente arrossito. Appena se ne accorse puntò lo sguardo a terra pensando a quanto si trovasse stupido e sperando che nessuno si accorgesse della sua faccia.
Ma per sua fortuna sembravano tutti occupati a ridere di Cedric mentre Jennifer esclamava: «Ce l’abbiamo fatta tutti! Perché tu no? Ti vergogni?» non si aspettava una risposta, che infatti non venne.
Layla scosse la testa esasperata e sospirò: «Che tipo strano.» poi corse dove l’acqua era più profonda ma ancora riusciva a toccare con le punte dei piedi senza dover nuotare, rabbrividendo per il freddo. Solo gli elfi la seguirono così lontano, perché per tutti gli altri l’acqua era troppo alta.
Mike, benché sapesse nuotare, si limitò a sguazzare in acqua perché aveva sempre avuto paura di annegare, e Susan approfittò della corrente docile per imitarlo e cercare di rimanere a galla.
Anche i draghetti si unirono presto ai giochi, Umbreon rimase più a lungo degli altri fermo sulla riva contemplando lo specchio d’acqua che gli bagnava gli artigli. Ma alla fine Andrew corse da lui e lo guidò passo per passo, soprattutto quando per potergli rimanere accanto Umbreon dovette nuotare per la prima volta.
Jennifer espresse la sua frustrazione facendo notare a tutti come i piccoli draghetti sembravano non avere problemi a nuotare nonostante non l’avessero mai fatto, e Mike ipotizzò che le ali li aiutassero molto, permettendo loro di nuotare nello stesso modo in cui permettevano loro di volare.
Solo quando fu sicuro che tutti gli altri fossero troppo presi a schizzarsi a vicenda, Cedric si spogliò a sua volta ed entrò in acqua rimanendo in disparte non volendo essere avvicinato. Ma con un sospiro di sollievo si rese conto che nessuno sembrava più badare a lui. Per precauzione tuttavia, sapendo nuotare discretamente bene per i canoni di Darvil, si allontanò raggiungendo un punto in cui persino lui faticava a toccare; gli altri non si sarebbero arrischiati a seguirlo fin lì.
Zaffir aveva grosse difficoltà a tenere la testa sollevata quando abbassava le ali per spingersi in avanti, quindi Mike gli suggerì di sbatterle solo verso il basso per rimanere con la testa fuori dall’acqua e invece spingersi in avanti solo con le zampe posteriori. Ma il piccolo drago non sembrava particolarmente adatto a nuotare, quindi lo accompagnò fino alla riva sostenendolo dal basso perché non annegasse.
«Allora mi lavo in fretta e ti raggiungo.» gli disse grattandogli la testa quando il cucciolo fu al sicuro.
Scusami brontolò lui tristemente.
«E di cosa?» domandò il ragazzino sgranando gli occhi.
Vi stavate divertendo, ti rovino i giochi.
«Non mi rovini proprio niente Zaffir, troveremo qualcos’altro da fare!» disse allegramente, quindi corse via per sperimentare sulla propria pelle quegli strani saponi nelle nicchie, e quando ebbe finito, tremando di freddo, si scelse alcune vesti elfiche della sua misura e fece cenno al draghetto di seguirlo verso casa, dove avrebbe portato e forse lavato i suoi vecchi abiti.
Tutto sommato, si disse Mike, si sentiva più a suo agio lontano dalle ragazze quasi totalmente svestite che giocavano e ridevano spruzzandosi acqua in faccia, soprattutto Layla. Ripensare a quanto gli piacesse lo fece arrossire di nuovo. Ad Andrew la situazione non sembrava creare imbarazzo, e si chiese come facesse a non pensarci.
Forse è molto preso dal gioco propose Zaffir.
«Forse hai ragione. È probabile, sì.» convenne l’umano. Non riusciva a trovare un’altra spiegazione logica.
La ragione era in realtà molto più semplice: Andrew non si sentiva attratto da nessuna di loro, come le ragazze non si sentivano attratte da lui, tuttavia Layla rimaneva sempre attenta a non fuoriuscire dall’acqua troppo oltre le spalle. Ma a parte questo giocarono a schizzarsi per tutto il tempo cercando di ignorare il più possibile i giovani elfi, che al contrario essendo completamente nudi provocavano disagio in tutti i giovani umani.
Cedric fu il primo a uscire dall’acqua, perché non aveva perso tempo a giocare, si asciugò rapidamente per rivestirsi il più in fretta possibile con abiti elfici dalle maniche lunghe, per poi lavare i propri vestiti neri e ancora macchiati di sangue. Ripensando a quella notte dovette fare appello a tutte le sue forze per non scoppiare in un pianto isterico, ma vedendo che gli altri si accingevano a uscire dall’acqua riuscì infine a contenersi.
Ora che non erano più coperti dall’acqua i ragazzini cominciarono a sentirsi in imbarazzo, quindi Andrew propose di asciugarsi e rivestirsi uno alla volta, mentre gli altri sarebbero rimasti a giocare con gli elfi ancora un po’.
La prima ad accettare fu Susan che, tremando come una foglia e con le labbra ormai viola, si allontanò sull’erba fino a raggiungere un ampio asciugamano. Vi si avvolse dentro come fosse una coperta e si sedette strofinandosi per bene, accogliendo il calore di quella strana stoffa con un sorriso, poi senza scoprirsi riuscì a scegliersi dei vestiti elfici e rivestirsi completamente nascosta dal panno.
Jennifer da lontano sussurrò agli altri la propria incredulità ammirando la maestria della ragazzina nel vestirsi senza far cascare la stoffa a terra, e fu la seconda ad avviarsi verso la riva lasciando Andrew e Layla a schizzarsi e gridare ancora per qualche minuto.
Mentre Susan, seguita da Sulphane, trovò il coraggio di avvicinarsi a Cedric, Jennifer e Rubia tornarono verso casa loro, la dragonessa coi vestiti vecchi della ragazzina appoggiati sulla schiena e su parte della coda.
Cedric la guardò storto ma non si scompose più di tanto, dal momento che ormai era vestito non aveva più scuse per tenerla lontano; dopo averle rivolto un’occhiata infastidita tornò a pulire i suoi vecchi vestiti.
Vedendo che i due ragazzi se ne stavano l’uno accanto all’altra senza parlare, Sulphane pensò bene di schiaffeggiare il ragazzo col ciuffo di peli sulla punta della coda ancora bagnato per costringerli a cominciare una conversazione. Ma lui non sembrò gradire affatto e poco mancò che la cacciasse via malamente.
Funzionò tuttavia, perché Susan presa dal panico esclamò: «Sulphane che ti è preso? Scusa Cedric! Ti giuro non è stata una mia idea!»
Dal momento che Layla era ormai fuori dall’acqua Andrew stava guardando nella loro direzione sperando che sarebbe accaduto qualcosa, e infatti scoppiò a ridere per poi perdere l’equilibrio e finire sott’acqua, a sua volta scatenando le risate degli elfi. Cedric gli rivolse un’occhiata truce ma non reagì neppure quando il bambino sparì sotto la superficie, e nemmeno rispose a Susan, limitandosi piuttosto ad asciugarsi di nuovo.
«Come stai?» balbettò la ragazzina, maledicendosi per non avere in mente niente di meglio da chiedergli.
«Una meraviglia.» rispose lui scontroso, poi si riprese i vestiti e si alzò per avviarsi verso casa.
Sulphane, come Rubia, si divertì a prendersi i vestiti di Susan, infilando testa e collo nella maglia marrone e tirandosi i pantaloni sul dorso, quindi la ragazzina corse dietro al ragazzo e gli si mise davanti costringendolo a fermarsi.
«Parliamone!» gli sussurrò «Se hai bisogno di sfogarti riguardo la questione di Smeryld...»
«Sono a posto.» la interruppe.
Susan si sentì richiamare da Layla con fare ammonitorio, guardò nella sua direzione per qualche secondo ma poi tornò a rivolgersi a lui: «E per quanto riguarda tuo padre? Sei a posto anche per quello?»
Le parve di essere stata troppo provocante con quelle parole, alle quali infatti lui non reagì bene, ma gli diede il tempo di fare solo due passi prima di intercettarlo di nuovo mettendosi sulla sua traiettoria.
Prese coraggio e disse tutto d’un fiato: «Hai qualcosa che non va da allora e voglio aiutarti. Lo voglio davvero! Ti aiuterò a sistemare le cose con Smeryld, ascolterò tutto quello che hai da dire sul suo conto, su Jorel, tutto quanto! Te lo prometto.»
Cedric rimase in silenzio a fissarla con uno sguardo che a lei parve carico d’odio, e in cuor suo sperò vivamente di sbagliarsi, di averlo interpretato male. Non poteva odiarla perché si era proposta di aiutarlo.
Forse non vuole ammettere di averne bisogno, tantomeno a te che gli sei stata così vicina in quel periodo le disse inaspettatamente la voce di Sulphane.
Susan la fissò con occhi sgranati, scoprendo che la piccola dragonessa li stava osservando con la testa piegata da un lato. Si sorprese di quanto una creatura così giovane potesse essere già tanto saggia.
Accogliendo a pieno il suggerimento della dragonessa, la ragazzina scosse piano la testa e sussurrò a Cedric: «Scusami. Lascerò che sia tu a decidere se e quando parlarne. Sappi solo che io ci sono. Sulphane?» si rivolse quindi alla cucciola facendole cenno di tornare al loro albero e quella la seguì subito scodinzolando allegra, lasciando il ragazzo da solo.
Layla e Andrew le raggiunsero poco dopo di corsa, seguiti dai draghetti, ma Susan non fece parola della breve conversazione, né aveva intenzione di dire loro di cosa avesse cercato di farlo parlare.

Rientrata in casa ora tenendo tra le braccia i propri vestiti, Jennifer rimase sorpresa di trovare Mike seduto in un angolino della stanza che divideva con Andrew che si abbracciava con forza le gambe dondolandosi lentamente, lo sguardo perso nel vuoto.
«Ehi?» lo chiamò preoccupata, rimanendo comunque fuori dalla stanza.
Dovette chiamarlo un paio di volte prima che il ragazzino si riprendesse e la salutasse a sua volta, senza tuttavia rialzarsi.
«Stai bene?» gli chiese, sempre sostando sotto l’uscio privo di porta coi vestiti che penzolavano toccando terra.
«Non lo so.» farfugliò Mike «Cioè sì, credo, ma...»
«Vuoi parlarne un po’?»
Lui ci pensò su a lungo, ma alla fine scosse la testa e si costrinse a sorriderle: «Non è niente di grave, non preoccuparti.»
Con sguardo sorpreso e una debole scrollata di spalle Jennifer fece per andarsene, quando all’improvviso si sentì richiamare da Mike; aveva fatto in tempo a fare solo tre passi e tornò indietro per affacciarsi alla sua stanza.
«Jen... io devo dirti una cosa...» balbettò «Te lo dico solo perché sei la mia migliore amica... è una questione delicata. Andrew non credo capirebbe e Cedric... beh è praticamente anaffettivo. O meglio, forse capirebbero sì, ma non potrebbero aiutarmi...»
La ragazza sembrò sorpresa: «Coraggio, ti decidi o no a vuotare il sacco?»
La guardò negli occhi, poi sospirò: «Ti prego, non metterti a ridere...»
«Va bene, perché dovrei?» cominciava a preoccuparsi.
«So che lo farai... d’accordo. Io... sai, a me... insomma, Layla...» balbettò, poi diventò se possibile ancora più paonazzo.
«Sì? Cosa stai cercando di dirmi? È successo qualcosa?»
Scosse la testa: «No, niente di grave...»
«E allora cosa...»
«A me piace... lei...» disse d’un fiato.
Sorrise: «Come?»
«Lo sapevo! Sapevo che non mi avresti preso sul serio!» scattò, subito assumendo un atteggiamento più ostile.
«Mike non ho detto niente! Stai tranquillo!»
«Ti prego non dirglielo!» esclamò poi terrorizzato al solo pensarci.
«Ma certo, sarai tu a farlo!» il ragazzo impallidì «Mike coraggio! Mica ti mangia!»
«Certo, lo so...»
«Oh ti prego! Non è una tragedia! Vai lì, glielo dici e ti togli il pensiero!»
«Sì, ma se lei non prova lo stesso per me? Che faccio se lei mi rifiuta? E se dicesse che siamo troppo piccoli per questo? E se fosse solo una cosa momentanea? Se mi piacesse solo fisicamente in realtà?»
«Sinceramente penso anch’io che si tratti di qualcosa di momentaneo. Insomma, Layla è una bella ragazza e ci siamo ritrovati in questa situazione insolita che ci tiene tutti a contatto. Se invece fossi convinto di ciò che provi e lei rifiutasse, beh... non potresti fare niente, solo accettarlo. Magari invece anche tu le piaci! Preferisci rimanere nel dubbio e non sapere mai la verità?»
«Delle volte è meglio, la verità può far male...» mugugnò guardando in basso.
«Delle volte invece può essere piacevole.» lo guardò e gli sorrise amichevolmente «Vuoi che provi a indagare senza farle capire che a te piace? Così ti dirò se potrebbe accettare o no, ti terrò informato!»
Mike fece una smorfia, poi annuì: «Va bene, grazie... anche se non mi sembra molto corretto, dovrei essere io a indagare.»
«Se proprio non riesci a farlo potrai contare sul mio aiuto.» sorrise e gli si inginocchiò accanto per abbracciarlo «Sono felice per te, Layla sarebbe una buona compagna. Un po’ testarda a volte, ma dolce, premurosa e sempre attenta che non manchi nulla a chi vuole bene!»
«Grazie...» ripeté «Sono felice che tu non ti sia messa a ridere. Apprezzo molto il tuo aiuto! Davvero!» sciolsero l'abbraccio, Mike era ancora rosso in viso.
«Bene. Le farò delle domande un po’ generali, in modo che non capisca.» gli fece l’occhiolino, poi sentendo qualcuno salire le scale per entrare in casa concluse: «Sarà il nostro piccolo segreto, d’accordo?»
Il ragazzino di nuovo annuì in imbarazzo e mosse le labbra in un ennesimo ringraziamento muto.
«Allora, dov’è Zaffir?»
«Oh, lui eh... ha capito che non era un buon momento e ha detto che mi avrebbe aspettato da Huran.»
«Capisco. Allora lascio giù le cose e poi insieme agli altri andiamo da Huran!» esclamò, e scappò via proprio mentre gli altri rientravano in casa in gruppo.

Quella sera oltre a Huran si presentò anche Garandill; i giovani elfi rimasero sconvolti e non osarono avvicinarsi, mentre Cedric temette che avrebbe potuto arrabbiarsi se avesse saputo di Smeryld.
L’enorme creatura si sedette con delicatezza e parlò a Umani e draghi insieme: Vi ho osservati oggi e ritengo che siate sufficientemente preparati, avete imparato a riconoscere la magia e non c’è più il rischio che la usiate involontariamente. Per questo, credo possiate partire per Eunev appena tutti i giovani draghi saranno in grado di volare.
«Grandioso!» esclamò Jennifer entusiasta, guardò Rubia che le rispose con uno sguardo colpevole, sapendo già che avrebbe impiegato più degli altri a imparare a volare.
«Cosa faremo intanto?» domandò Susan.
Continuerete con le lezioni degli elfi, che male non vi faranno rispose lei, poi guardò Cedric e gli chiese con fare leggermente alterato: Dov’è il tuo amico drago?
Il ragazzo temette che gli avrebbe letto nella mente per saperlo, e che quindi non avrebbe potuto né dovuto mentirle. Si strinse le braccia al petto e rimase sul vago: «Non lo so. Se n’è andato da qualche giorno.»
Senza dare spiegazioni?
«Non esattamente... Cioè sì, insomma, non ha risposto alla mia domanda. È andato e basta.»
«Allora l’hai incontrato!» esclamò Layla guardandolo arrabbiata, le mani sui fianchi.
«Prima che se ne andasse.» ribatté lui freddo, poi tornò a rivolgersi a Garandill: «Tu potresti riuscire a trovarlo, per caso?»
Senza un nome nella nostra lingua? No ammise desolata Ma posso cercarlo qui intorno, senza volare non sarà andato lontano...
«Sapeva volare.» la interruppe, lasciando non solo lei a bocca aperta «Ha aspettato proprio di poter volare per andarsene, ha detto.»
Non potrò costringerlo a tornare, e se stare con voi non è quello che lui vuole, sai bene che non farò nulla per convincerlo a ripensarci.
«Certo, lo so. Possiamo parlarne in privato?»
«Perché sai di essere il responsabile della sua fuga?» lo rimproverò Layla.
Ma Garandill ringhiò e fece cenno al ragazzo di avvicinarsi, quindi Huran ordinò ai draghetti che la lezione sarebbe cominciata, e i ragazzi si allontanarono, Mike fumante di rabbia e Susan al contrario preoccupata. La dragonessa non discusse a lungo con lui, gli promise che se l’avesse trovato gli avrebbe portato sue notizie, ma come già precisato non avrebbe costretto Smeryld a tornare se non era ciò che voleva. Poi se ne andò prendendo il volo con un poderoso balzo, e Cedric decise di tornare direttamente a casa a trovare un modo di tagliarsi i capelli, ignorando ogni tentativo degli altri di parlargli.
Quel pomeriggio Rubia prese parte alle lezioni di volo decisa a imparare per non ritardare la partenza, ma come si aspettava non fece altro che planare per poi capovolgersi in aria e precipitare. Huran cercò di confortarla e planò al suo fianco seguendola passo per passo, mentre gli altri quattro draghetti cercavano di imparare a mantenere l’equilibrio a diversi piedi d’altezza.
A cena Cedric fece chiaramente capire che non voleva parlare, tantomeno di Smeryld, quindi Susan s’impegnò perché anche gli altri rispettassero il suo silenzio cercando invece di scherzare sul suo nuovo taglio, e alla fine Jennifer decise di uscire e fare compagnia a Rubia che con ostinazione ancora non aveva smesso di provare a prendere il volo.

Garandill non si presentò nei giorni che seguirono, i ragazzi facevano progressi ormai anche senza l’aiuto delle potenti menti dei giovani draghi ad assisterli, mentre le creature non avevano più problemi a prendere il volo, nemmeno a planare. Zaffir era il più sicuro di sé e volava ormai senza problemi, Umbreon aveva imparato a rimanere sospeso a mezz’aria senza muoversi, Ametyst stava imparando come atterrare gradualmente senza che la lunga coda le fosse d’impaccio, Sulphane riusciva a planare ma ancora non aveva il controllo delle ali e delle piume sulla coda, mentre Rubia ancora non aveva il coraggio di virare troppo, ma almeno non aveva difficoltà a rimanere in aria.
Huran cercava di seguire ognuno dei draghetti, con problemi e caratteristiche differenti l’uno dall’altro: le ali di Umbreon e Ametyst erano larghe più che lunghe, e quindi adatte a tenerli in volo a lungo più che a permettergli di volare veloce o fare acrobazie; per Sulphane e Zaffir era l’esatto opposto, i due erano molto propensi al volo acrobatico e veloce, e infatti avevano una minore massa muscolare rispetto al draghetto nero - lo stesso valeva per Smeryld non presente. Rubia era una via di mezzo, secondo Huran, poteva volare discretamente veloce e a lungo, ma non era certo che potesse compiere particolari acrobazie, anche per il collo e la coda corti e la muscolatura sviluppata.
Nel tardo pomeriggio, senza che nessuno se l’aspettasse e senza essere notato - perché teneva la propria mente nascosta anche agli uccelli - Smeryld atterrò poco lontano da Cedric, che come era diventata la norma se ne stava seduto sull’erba in disparte, senza unirsi alle conversazioni degli altri. Foyla lo vide atterrare alle loro spalle e cominciò a saltellare indicandolo, fremendo di entusiasmo.
Il draghetto verde si avvicinò al ragazzo mentre tutti lo guardavano tranne lui, che non ne aveva il coraggio, poi si sdraiò lì accanto con la testa sulle sue gambe, come in attesa delle sue coccole, e fece anche quelle strane fusa.
Parlò soltanto a lui e fece in modo che nessuno di loro potesse entrare nella mente di Cedric: Anch’io ho sbagliato adesso.
Siamo pari.
Non l’ho fatto per essere pari.
Lo so.
Credevo che vivere da solo sarebbe stato facile, invece credo sia impossibile.
Mi sei mancato quasi quanto mia madre.
Sbuffò dal naso: Lo prenderò come un complimento.
Grazie per essere tornato.
Non l’ho fatto solo per te, sai?
Cedric sorrise debolmente e si decise ad accarezzargli il lungo collo: Sai che mi hai fatto davvero paura? Ho temuto che ti saresti spiaccicato a terra come un frutto troppo maturo caduto da un albero.
Smeryld sbuffò infastidito: Lo so che avevi paura. Ma io no. Ed è andato tutto bene.
Perché non fai vedere agli altri cosa sei capace di fare?
Intendi volare? Non so fare molto...
Ma l’hai fatto da solo.
Il draghetto rimase in silenzio a lungo seguendo i movimenti dei fratelli e delle sorelle a mezz’aria, ma alla fine poggiò la grande testa dov’era prima e brontolò: No, non mi va. Magari più tardi, o domani. Ora voglio solo il solletico.
Il ragazzo rise e lo accontentò, lieto che preferisse la sua compagnia allo sfoggiare le proprie abilità in faccia ai fratelli, e il draghetto tremò tutto, dibattendo la coda e ringhiando di piacere, ora decisamente più contento di aver scelto di tornare.

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Capitolo 33
*** The road to Eunev ***


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THE ROAD TO EUNEV

Il ritorno di Smeryld migliorò l’umore di Cedric che se non altro ebbe sbalzi di umore meno drastici e frequenti, e dal momento che i draghi avevano ormai bene o male imparato a volare i ragazzi decisero di cominciare a prepararsi per un’imminente partenza: chi ancora non l’aveva fatto lavò i propri vestiti indossando solo abiti elfici e misero in ordine le poche cose che avevano, pronti a legarle alle selle dei loro cavalli.
Layla si lamentò del fatto che avessero solo cinque mantelli, due giacche e un pastrano e quindi avrebbero potuto soffrire il freddo fuori dalla Foresta che manteneva un clima relativamente mite.
«Non potremo portare abiti elfici con noi, attirerebbero l’attenzione. Si vede che sono diversi!» convenne Andrew indossando il suo lungo cappotto marrone.
«Forse essendo la capitale sarà piena di culture diverse e passerebbero inosservati...» propose Jennifer.
«Lo è.» confermò Cedric «Ma abiti del genere ti assicuro che nemmeno lì si vedono. Inoltre dovremo dichiarare da dove veniamo, e a Darvil è impossibile trovarne.»
«Dichiarare cosa?» esclamò Susan agitata.
«Un sacco di cose, ma lasciate fare a me.» tagliò corto lui «Cercherò di provare che mi spetta ciò che i miei nonni hanno lasciato a mia madre.»
«Puoi farlo?» domandò Jennifer stupita «I tuoi sono di Eunev?»
Cedric scosse le spalle: «Da parte materna. Non sono adulto, non c’è mia madre e non c’è mio padre, quindi non vi assicuro nulla.»
«Ma se tu riuscissi avremmo una casa! E molto altro!» esclamò Mike rianimato.
«Non dare per scontato che riesca.» lo rimproverò Jennifer.
«Ed è per questo che dovremo essere lì con parecchio anticipo, come ha detto Garandill. L’oro che abbiamo basterà al massimo tre giorni a Eunev, e non so quanto tempo ci vorrà prima che avremo una casa nostra, se l’avremo.» continuò Cedric.
«E se non ce la facessi? Dove andremmo a vivere?» domandò Andrew preoccupato.
«Dovremo sperare che la scuola ci ospiti.»
«E se non ospitano sarà un bel problema.» disse Layla.

Gorall si presentò a loro per annunciare la partenza nei primi giorni del mese di Aendail, non trovò posto per atterrare ma li svegliò dicendogli di prepararsi e salutare, perché li avrebbe accompagnati di nuovo. Disse loro anche di acquisire almeno un paio di guanti ciascuno, nonostante non diede ulteriori spiegazioni.
Così i ragazzi si alzarono e fecero una rapida colazione già provando nostalgia per quella piccola casa tanto diversa dalle loro quanto bella; uscirono accompagnati dai draghetti e andarono a cercare Tygra. Strada facendo si domandarono il perché di quella strana richiesta da parte di Gorall, credendo che il problema secondo il drago sarebbe stato il freddo.
La trovarono per caso che passeggiava per la città in compagnia di Deralius e di altre due elfe: una era Neraye con Anutwyll al fianco; l’altra non l’avevano mai conosciuta, aveva al suo fianco un’enorme pantera nera dagli occhi viola e blu, mentre lei aveva pelle lilla e capelli verdi. Era la prima elfa che vedevano coi capelli verdi e rimasero sorpresi.
La sconosciuta s’inchinò e si presentò: «Nirya Amici dei Draghi, io sono Shalana, Capitana dell’esercito dei Figli delle Lune. È un piacere incontrarvi finalmente. Lui è Anuleyd, il mio fedele compagno di caccia.» e in quella la pantera ringhiò un saluto, senza chinarsi.
«Oh, molto piacere Shalana. Anuleyd. Io sono Susan.» disse piegando lievemente il ginocchio in un’impacciata e timida riverenza «Non vorrei sembrare indiscreta, ma... sei la prima elfa coi capelli verdi che vediamo! Tygra è una Ninfa.»
Shalana sorrise debolmente, quasi come se fosse solo un obbligo formale, e rispose: «Io sono per metà una Figlia della Foresta e per metà una Figlia delle Lune. È successo di rado in tutta la storia del nostro popolo, e ho le caratteristiche di entrambe le nostre razze.»
Dopo che si furono presentati tutti, Layla disse: «Ti stavamo cercando, Tygra.»
«Molto bene, cosa volete dirmi?» disse lei con voce pacata, come al solito.
«Uno dei draghi adulti ci ha ordinato di partire oggi stesso, e non sappiamo se torneremo mai. Volevamo ringraziarvi di tutto dal profondo del cuore.»
Neraye fu l’unica a mostrare il dolore che la notizia le aveva portato, anche se la sola reazione che ebbe fu drizzare la testa e smettere di sorridere.
Tygra invece sorrise ancora di più: «Per noi è stato un piacere e sarete sempre i benvenuti, se avrete bisogno di aiuto i Figli delle Lune vi soccorreranno, se avrete bisogno di riparo i Figli della Foresta vi accoglieranno e proteggeranno. Qualunque cosa il destino abbia in serbo per voi, spero vi porti su strade sicure e verso la pace.»
I ragazzi dubitavano che essere legati a dei draghi potesse portargli sicurezza e pace, ma chinarono il capo e ringraziarono per il sincero augurio.
Neraye li salutò col gesto di addio e sussurrò: «Possa la luce delle Lune proteggervi e esservi da guida, Amici dei Draghi. Il cuore di Hayra’llen per voi resterà aperto. Pregherò per voi che abbiate un viaggio sicuro.»
Loro di nuovo ringraziarono con un inchino e imitarono il gesto d’addio, Shalana li salutò formalmente, poi i ragazzi le lasciarono ai loro affari e si diressero invece al mercato per cercare almeno un paio di guanti ciascuno.
Come al solito non dovettero pagare alcunché e presero i guanti più simili possibili a quelli di fattura umana che riuscirono a trovare; avevano comunque qualcosa di esotico essendo tutti non più corti di una spanna, erano molto aderenti, di pelle - e tutti eccetto Andrew e Cedric presero anche un paio di quella che pareva lana. Ma c’era un problema: i guanti elfici avevano spazio per quattro dita.
Layla prese in mano uno dei suoi guanti e indicò prima quello e poi la propria mano, cercando di far capire al sarto dietro al bancone che avevano bisogno di guanti che potessero andare bene a degli esseri umani. Arrivò a dover indicare le dita del guanto e quelle della propria mano una alla volta per fargli capire il problema.
Col viso illuminato e un indice alzato in aria l’elfo si alzò dal suo sgabello e fece loro cenno di restituirgli i guanti, sui quali si mise a lavorare subito con strumenti sottili e taglienti e nuovi materiali; usò persino la magia per unire alcune parti dove le cuciture sulle dita non sarebbero dovute essere visibili.
Dovettero aspettare quasi un’ora, ma alla fine il sarto gli restituì dieci paia di guanti ora dotati di cinque dita ciascuno, sei di pelle e quattro di lana. Lo ringraziarono tutti con un inchino che lui ricambiò, quindi tutti contenti se ne andarono diretti da Ouin a portare la notizia a lui e ai loro amici elfi.
Anche il Maestro disse che avrebbe pregato le Lune per loro, prese entrambe le spalle a ognuno per salutarli e gli disse che sarebbero diventati dei potenti maghi, soprattutto se avessero imparato a sfruttare il loro legame coi draghi. S’inchinò alle giovani creature, e il loro atteggiamento incuriosì Haderyl che si avvicinò e chiese cosa stesse succedendo.
Parlando con maestro Ouin venne a sapere che i ragazzi stavano partendo, quindi corse a chiamare Henyra Foyla e Teranel, così che anche loro potessero salutarli, e tutti e quattro chiesero il permesso di interrompere la lezione per accompagnarli fin dove potevano. Maestro Ouin glielo concesse con uno sguardo severo.
Giunti davanti a casa liberarono i cavalli, Zaffir volò fino a un balcone per assicurarsi che non avessero dimenticato qualcosa in casa, poi tornò da loro che guidando gli animali per le redini si avviarono verso sud, fino a raggiungere il confine della città. Gorall aveva trovato una radura abbastanza grande dove poter atterrare e li attendeva poco lontano, ancora non lo vedevano ma erano certi che fosse vicino.
Lì si separarono dai giovani elfi che a differenza di Tygra o Neraye non si trattennero, Henyra e Teranel avevano gli occhi lucidi anche se continuavano a sorridere per non scoraggiarli a partire. Susan mostrò loro come si diceva addio a degli amici tra Umani e li abbracciò uno alla volta, facendoli ridere d’imbarazzo per un simile contatto fisico. Gli altri ragazzi furono meno invadenti e si limitarono a una stretta di mano o una pacca sulla spalla, Sulphane si lasciò accarezzare tra le risa, poi corse in cerchio attorno a loro tre volte spaventando i cavalli.
Quando Gorall gli fece notare che stavano perdendo tempo, i ragazzi si decisero a salire in sella ai cavalli per far capire agli elfi che il momento di partire era arrivato. I giovani si fecero da parte e i draghetti presero il volo planando in direzione dell’anziano drago, dunque i sei umani si affrettarono a spronare i cavalli al galoppo per non perderli, salutando gli elfi che risposero al saluto umano.
Giunti davanti a Gorall, dove i draghetti erano atterrati, Susan stava già piangendo e Mike stava cercando di consolarla rendendole noto che avrebbero visitato tanti altri bei posti, e che ad ogni modo gli elfi li avrebbero sempre accolti nella loro città.
L’anziano drago fu comprensivo, le diede il tempo di calmarsi prima di dire a tutti: Sarete accompagnati a Eunev da me, giungeremo forse domani a seconda di quanto spesso i vostri amici draghi vorranno fermarsi.
«Domani?» esclamò Cedric «Ma Eunev dista più di un mese a cavallo...»
A cavallo precisò Gorall, forse divertito Noi non viaggeremo come di consueto. Non c’è tempo.
«Farete di nuovo quella cosa... quella magia? Quella che ci ha permesso di arrivare dagli Elfi in una notte?» domandò Mike.
Esattamente rispose Gorall In alcune occasioni è così che noi Draghi ci spostiamo, come quando ci chiamiamo l’un l’altro. Non che sia ormai urgente arrivare a Eunev, ma immagino che le vostre provviste non basterebbero per un così lungo viaggio. Ed è meglio che non vi fermiate in insediamenti e locande con dei draghi così vicini.
«Gorall, posso farti una domanda?» domandò Andrew, incapace di trattenersi oltre. Il grande drago lo guardò e annuì lentamente, quindi il ragazzino chiese: «Quanti anni hai? Parli in modo così strano a volte...»
Gorall sembrò ridere e la terra tremò, mentre gli uccelli lì vicino fuggirono su altri alberi, poi rispose con un’altra domanda: Più di quanti tu possa immaginare. Facciamo un gioco, prova a indovinare. Vediamo quanto bene conosci i Draghi.
«Ma io non li conosco quasi per nulla!» protestò Andrew, ma il drago anziano sembrò irremovibile, quindi azzardò un: «Cinquecento?»
Ah! esclamò divertito Non ti sei avvicinato neanche un po’.
«Allora milleduecento!» il drago scosse la testa «Milletrecento!» e lui di nuovo scosse la testa.
Intervenne Susan che gridò ora sorprendentemente vivace: «Quattromila!»
Ora esageri, ti sembro così vecchio? ribatté il grande drago fingendosi deluso.
«Duemilasettecento!»
I piccoli draghetti guardavano i ragazzi confusi dal basso della loro stazza; non avevano ancora veramente imparato cosa fossero i numeri e le uniche occasioni in cui li avevano usati era stato per definire una certa quantità di tempo passato, o un numero di persone. Ma l’avevano fatto solo perché i ragazzi lo facevano a loro volta, non perché avessero compreso cosa significasse; conoscevano i numeri solo fino al trenta per via dei giorni dei mesi.
«Duemilaseicentodue.» disse Cedric divertito, non riusciva a credere che un drago anziano stesse giocando con loro a sparare enormi numeri a caso. Ma di nuovo lui scosse la testa.
«Va bene, ci arrendiamo!» disse Andrew «Ce lo vuoi dire?»
Tremilaquattrocentoventitré rispose Gorall.
«Come fai a ricordartelo?!» esclamò Jennifer scandalizzata.
Sono un drago rispose lui ridendo di nuovo, poi si fece serio e gli chiese se fossero pronti per partire. Quando i ragazzi ebbero annuito e i draghetti furono in volo, Gorall gridò: «Kriij!» e balzò per volare sopra gli alberi della Foresta.
Spronarono i cavalli al galoppo e cominciò il loro viaggio in un’eterna mattina, Gorall volava in circolo sopra di loro perché troppo veloce per proseguire in linea retta, i draghetti planavano e cercavano di tenere il passo dei cavalli, più lenti di loro, rallentando di tanto in tanto.
Ametyst intraprese una conversazione in segreto con Layla chiedendole spiegazioni dettagliate riguardo i numeri, e alla fine la ragazza l’accontentò contando fino a cento, dicendole poi che di lì in avanti era un po’ come se i numeri si ripetessero, dovendo solo cambiare la cifra delle centinaia; e di cento in cento contò fino a mille, e poi di mille in mille fino a diecimila. La piccola dragonessa sembrava non stancarsi mai di apprendere come funzionavano i numeri, e alla fine cominciò a contare uno alla volta i numeri fino a diecimila.
Layla passò così il tempo, correggendo Ametyst quando sbagliava a pronunciare un numero, mentre il resto del gruppo stava in apparente silenzio.
Cavalcavano verso ovest e dopo quelle che senza dubbio furono ore la Foresta era già cambiata, era la stessa che avevano sempre conosciuto prima di abitare dagli Elfi: niente alberi viola e blu, rare piante gigantesche dagli svariati colori, pochi funghi luminosi, meno animali. O forse gli animali non li vedevano per via della presenza di Gorall sopra le loro teste. Alcune zone erano persino coperte da un manto bianco nonostante stessero viaggiando verso un clima più mite, ma probabilmente l’unica ragione per cui la neve aveva raggiunto il suolo era che i rami degli altissimi alberi avevano ceduto creando una breccia nel tetto verde oltre la nebbia.
Presero la direzione per il sud e persero la percezione del tempo, come l’altra volta, ed ebbero l’impressione che fosse passata un’eternità da quando avevano lasciato Hayra’llen a quando giunsero al limitare della Foresta, dove gli alberi cominciavano ad assumere dimensioni più ridotte, fino a diventare normali abeti e pini; l’erba non li superava più in altezza, massi funghi e piante erano di dimensioni normali, ma ancora non si vedevano animali.
Usciti dal bosco che introduceva alla Foresta vennero quasi accecati dalla luce del tardo mattino e si sentirono scoperti nella prateria, senza un tetto di foglie sopra la testa e rami e arbusti ai loro lati. C’erano altri boschetti lontani, ma erano solo macchie scure sull’orizzonte chiaro. Il sole invernale non scottava, ma loro stavano relativamente bene anche solo col mantello, abituati a un clima di norma molto più rigido che nel resto di Dargovas. Videro Gorall prendere quota e alzarsi a centinaia di piedi sopra di loro, sempre girando in circolo come un falco che tenesse d’occhio una famiglia di lepri. I draghetti invece preferirono planare basso sperando di non essere accidentalmente visti da occhi indiscreti.
Superarono un gruppo di basse montagne dalle quali nasceva un fiume a ovest e lentamente gli si affiancarono per seguirne il corso, incontrando così la strada che portava a Eunev. Cedric disse loro che sarebbero arrivati relativamente presto, perché ricordava che da quell’incrocio la città distava più o meno una settimana di viaggio, ma comprendendo anche le soste per la notte e un passo non troppo veloce.
Eccitati e animati dalla novità, i ragazzi cominciarono a fantasticare su come potesse apparire ai loro occhi la capitale, la città più grande e più abitata del Regno umano.
Li sorprese la scelta di Gorall di tenersi comunque sulla strada, e capirono la sua decisione solo quando incontrarono la prima persona, un viandante che andava in direzione sud da un villaggio all’altro: era immobile, un piede sollevato da terra pronto a fare il passo successivo. Susan lo indicò a bocca aperta mentre lo sorpassavano rapidamente al galoppo, ma l’uomo sembrò non vederli nemmeno, non reagì, non si mosse.
A quel punto finalmente Gorall rispose alle loro domande spiegando: Il tempo è praticamente fermo, grazie al mio incantesimo. Non temete, loro continuano la loro vita come se nulla stesse succedendo, mentre noi ci muoviamo senza essere visti.
«Stiamo viaggiando bloccati nel tempo!» esclamò Mike entusiasta «Non posso crederci, è meraviglioso! Potremo farlo anche noi dopo aver studiato a Eunev?»
No. Lo si può fare solo usando la nostra lingua, ed è sconsigliato a creature come voi rispose Gorall, spegnendo la piccola speranza di Mike, ma senza cancellare la sua ilarità.
Andrew e Susan cominciarono a discutere tra loro su come dovessero vederli gli altri, solo scie di colore in una frazione di secondo, tanto da risultare forse allucinazioni di un singolo attimo. Pensare che potesse essere già capitato anche a loro di scorgere per un istante una figura muoversi nel tempo li eccitò al punto che andarono avanti a parlarne per ore e coinvolsero anche tutti gli altri, persino i giovani draghi.
Passarono accanto ad altre persone e diverse locande o fattorie costruite vicino alla strada. Ormai dovevano essere in viaggio dall’equivalente di un paio di settimane, ma né loro, né i draghi, né i cavalli avevano bisogno di fermarsi a mangiare o riposare. Ora che sapevano cosa Gorall avesse fatto l’idea di riuscire a viaggiare l’equivalente di intere giornate senza mai fermarsi non li spaventava più.
I draghetti si allontanarono solo per osservare dall’alto una delle numerose fattorie che stavano passando senza essere notati per poi tornare a volare sopra i ragazzi. Quando doveva essere l’una, i draghetti atterrarono sulle selle dietro i ragazzi, come avevano fatto nella Foresta, spaventando a morte i cavalli, ma avevano bisogno di riposare le ali almeno fino a tardo pomeriggio per continuare a volare.
Passate le basse montagne isolate, il sole era ancora relativamente alto nel cielo ma ora coperto da uno strato di nubi, e la nebbia aveva invaso il paesaggio. Andrew si lamentò del gelido vento che spazzava la landa. I draghetti ripresero il volo rimanendo poco distanti per guidare i ragazzi e la strada curvò leggermente seguendo il serpeggiante fiume, si trovavano ancora nel mezzo di una sconfinata prateria con radi agglomerati di alberi lontani e arbusti o piante che Jennifer conosceva sparsi qui e là.
La strada s’immerse in un bosco ed ebbero finalmente un po’ di sollievo dal vento, ma lo attraversarono in quelle che gli parvero una manciata di ore. Quando furono fuori, si accorsero che il sole aveva cominciato la lenta discesa verso l’orizzonte; dedussero che si trattasse più o meno delle sei di sera.
Gorall gli ordinò di fermarsi al limitare di un altro boschetto poco lontano dalla strada, al riparo dagli occhi dei numerosi viandanti che andavano o partivano da Eunev.
Percepirono che si stava allontanando, perché cominciarono a sentirsi stanchi e la sua voce pareva distante quando disse: Qui devo lasciarvi, riposate la notte ed entro domattina sarete giunti ai cancelli della città. I vostri amici draghi non potranno avvicinarsi di più, dovranno cacciare qui e allontanarsi per bere solo la notte. Promettete giovani draghi, non dovete essere visti da nessuno.
Promettiamo, Gorall dissero i piccoli all’unisono.
Molto bene. Auguro voi che la permanenza a Eunev sia sicura, e che possiate imparare a governare la magia al più presto, così da riunirvi ai vostri amici draghi. Ci rivedremo.
Grazie Gorall, a presto! lo salutò Layla, poi il drago anziano lasciò le loro menti.
Jennifer si accasciò a terra lamentandosi del dolore alle gambe e gli altri la seguirono sedendosi in cerchio, prepararono una cena fredda per non accendere un fuoco che avrebbe potuto attirare l’attenzione, e godettero del tempo che finalmente scorreva alla normalità; la sera calò presto e cominciò a fare freddo, quindi i ragazzi presero ognuno il proprio mantello e vi si avvolsero. I draghetti si sdraiarono per dormire con le ali doloranti, Susan si appoggiò al fianco di Sulphane per passare la notte e la piccola dragonessa la coprì con l’ala piumata per ripararla ulteriormente dal gelo.

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Capitolo 34
*** A new home ***


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Il colore del titolo del capitolo corrisponde al colore della regione in cui la storia al momento si svolge, tenete d'occhio la mappa per sapere dove ci troviamo!

A NEW HOME

Si allontanarono controvoglia dai draghetti appena la nebbia si diradò in tarda mattinata, sentendosi stremati dal viaggio che avevano compiuto - dopotutto avevano viaggiato per una distanza che senza i draghi avrebbero impiegato settimane a percorrere. Non c’era ancora molta gente lungo la strada che portava all’unico cancello della città, che già si vedeva da quella distanza, ma decisero di non galoppare e andare invece a un passo forzato.
Solo quando giunsero vicini alle mura si resero conto di quanto Eunev dovesse essere grande; parevano alte un centinaio di piedi e la città era attorniata da un fossato in cui scorreva l’acqua del fiume Locat a ovest, l’unico ingresso guardava a est e dovettero fare il giro di parte delle mura per poterlo anche solo vedere. Non ci misero poco, e Andrew e Jennifer continuavano a volgere lo sguardo in alto, dove sopra le mura le guardie pattugliavano il perimetro circolare. C’era un largo ponte levatoio controllato da dieci guardie, e dietro c’era un enorme cancello in ferro, al momento alzato, dietro il quale a sua volta stava un portone di legno e ferro battuto, al momento aperto. Ma nessuno dei viandanti passava senza che le guardie avessero fatto domande e controllato ciò che portavano con loro, quindi la fila scorreva lenta.
Ai ragazzi cominciò a salire l’ansia più si avvicinavano alle guardie armate e protette da armatura, ma Cedric li rassicurò e disse loro di lasciar fare tutto a lui. Gli altri annuirono senza replicare, non avendo alcuna intenzione di avere a che fare con quei soldati, e vennero fermati da uno di loro. Cedric rispose a tutte le loro domande, gli fece vedere cosa trasportavano in ogni bisaccia e mostrò il proprio arco scaricato, poi gli fu indicato di indossare dei guanti e di fermarsi a un gabbiotto che non avevano notato, sovrastato dalla grandezza delle mura.
Passato il cancello Mike sospirò sollevato mentre si infilava il suo paio di guanti di lana bianca, ma prima che potessero entrare definitivamente in città dovettero dichiarare all’uomo seduto nel piccolo abitacolo chi fossero e da dove venissero, cosa fossero venuti a fare, gli chiese persino l’età, e annotava tutto su un foglio. Lo sentirono commentare quanto trovasse strano che dei ragazzini così giovani vagassero da soli, ma ad ogni modo sembrava non voler perdere tempo perché doveva fermare già troppe persone e in pochi minuti furono dentro. Gli venne indicata la direzione per le stalle, le locande, e infine la scuola di magia, che si trovava entro la seconda cinta di mura.
Eunev era molto diversa da Darvil: il fiume invece che attraversare la città scorreva poco lontano all’esterno delle mura; era divisa in tredici distretti, dodici dedicati ognuno a una Divinità e uno neutrale, che era l’ingresso e ospitava la via principale, più larga delle altre, sempre dritta che portava al cuore della capitale, le strade erano lastricate e ben tenute, o almeno quelle più frequentate; le case erano più grandi e costruite prevalentemente in pietra invece che legno, spesso intonacate del colore del distretto; era circondata da ben due cerchie di mura e l’intera area centrale era riservata al palazzo, anch’essa circondata da un muro circolare come se fosse la terza cinta.
Ogni distretto era caratterizzato dai colori della divinità a cui era dedicato, e persino gli edifici che vi si trovavano potevano variare. In senso orario partendo dall’ingresso erano così disposti: il distretto del Cervo Huunvod, caratterizzato dal colore verde scuro, offriva più di ogni altro la possibilità di acquistare cacciagione e armi da caccia; il distretto del Cavallo Vuulnas, caratterizzato dal colore marrone, era maggiormente dedicato ai campi e al raccolto, e dunque agli strumenti da lavoro, e in secondo luogo al bestiame, ai cavalli e ai cavalieri; il distretto della Ninfa Chada, caratterizzato dal colore rosa, ospitava i parchi più estesi e impressionanti, essendo lei la dea della Natura; il distretto del Pesce Anfimo, caratterizzato dal colore azzurro, era ovviamente dedicato al pescato e ai pescatori, era quello col maggior numero di pozzi e l’unico che avesse un ulteriore ingresso che conduceva al porto sul fiume; il distretto del Falco Jegra, caratterizzato dal colore giallo, era dedicato a ogni tipo di commercio ed era pertanto il meno abitato data la quantità incredibile e varia di negozi, ma era spesso il più affollato; il distretto del Drago Glayth, caratterizzato dal colore arancio, era dedicato a fabbri e negozi di ferramenta; il distretto della Dama Lya, caratterizzato dal colore viola, era dedicato alla cura degli anziani o delle partorienti, ma anche ai bambini orfani e alle persone rimaste per qualsivoglia ragione senza una casa; il distretto del Lord Voldar, caratterizzato dal colore rosso, era dedicato alla guerra e quindi dotato del maggior numero di strutture militari e prigioni, ma anche l’unico luogo in città dove le guardie potevano trovare sempre un posto libero dove passare la notte; il distretto del Corvo Despada, caratterizzato dal colore nero, era l’unico a ospitare i cimiteri, essendo lei la dea del tempo e della morte; il distretto della Magia Aendail, caratterizzato dal colore grigio, era quello dotato del maggior numero di musei, librerie e biblioteche, dedicato al sapere e alla conoscenza, e l’intero settore grigio della seconda cerchia di mura era occupato dalla scuola di magia; il distretto del Serpente Zeigah, caratterizzato dal colore verde chiaro, era il luogo dove i malati sicuramente avrebbero trovato una struttura a loro dedicata per curarsi, riposare, o persino morire in alcuni casi, era anche piuttosto facile trovare un negozio d’alchimia; infine il distretto del Lupo Maerah, caratterizzato dal colore blu, era quello maggiormente abitato perché incentrato sulla sacralità della famiglia e le case erano più piccole della media per risparmiare spazio, ma pur sempre immense per i canoni di Darvil.
Il fatto che ogni distretto avesse una specializzazione non precludeva la possibilità a differenti negozi di sorgere in diversi distretti; sarebbe stato meno facile trovare una bancarella di pesce nel distretto del Corvo, ma non impossibile. E le locande e le taverne, naturalmente, non guardavano il tipo di distretto: quelle c’erano in egual numero ovunque in città.
C’erano enormi case affiancate a case più piccole, talvolta accanto alle abitazioni vi era un pozzo da cui gli abitanti traevano l’acqua, questi erano collegati al fiume tramite la complessa rete di acquedotti sotterranei che attingeva acqua direttamente dal fiume a ovest. Le case erano sorprendentemente belle e con una varietà infinita di decorazioni che variavano da piccole colonne in pietra a delimitare l’ingresso, ad architravi in legno finemente decorati, o più semplicemente piccole statue raffiguranti strane creature infossate in nicchie o che sporgevano dagli alti balconi, per non parlare delle numerose piante e fiori colorati tenuti bene nei loro vasi, sui balconi o accanto alla porta d’ingresso.
«Che città... enorme?» sussurrò Susan sentendosi piccola e spaesata in mezzo a quelle gigantesche costruzioni; la strada principale nel distretto neutrale in cui attualmente si trovavano sembrava minuscola anche se potevano passarci tre carri affiancati e aveva come l’impressione che le case la opprimessero tanto erano grandi.
«Non potevi trovare un aggettivo che la descrivesse meglio.» commentò Mike adocchiando una piantina della città inchiodata vicino alle mura dell’ingresso.
«E non hai ancora visto niente.» ribatté Cedric «Mi sono ricordato il perché dei guanti, anche se da bambino non l’avevo mai compreso appieno.»
«Ovvero? Quale sarebbe?» lo incalzò Jennifer.
«Per sicurezza.»
Tutti gli rivolsero uno sguardo incredulo e Layla domandò: «E perché dei guanti dovrebbero aumentare la sicurezza?»
«Perché qui si studia magia. E pare che coi guanti non si possa usare. Ma forse lo sapremo meglio quando entreremo in quella scuola.» rispose lui.
«Cosa? Le strade hanno un nome?! È così grande questa città che serve dare un nome alle vie?» esclamò Susan avendo visto delle targhe di pietra inchiodate agli angoli delle case in prossimità di incroci «Questa è... è...»
Cedric annuì e disse: «Esattamente. Questa è Via Maestra. Banale, non trovi? È ovvio che è la via principale, non serviva chiamarla così. Ora non so bene cosa fare per prima cosa...» sussurrò Cedric dubbioso fermando il cavallo e di conseguenza tutto il gruppo.
«Potremmo cominciare a spostarci dalla via principale.» suggerì Andrew muovendosi in un vicolo a destra e trascinandovi Wind, gli altri lo seguirono.
«Depositiamo i cavalli.» disse Susan.
«No, devi ereditare la casa.» intervenne Jennifer «Prima di mettere via i cavalli, così potremo mettere dentro tutto quello che abbiamo senza portarcelo a mano. E poi penseremo ai cavalli.»
«Ma le stalle sono qui! Proprio dietro queste strade, dall’altra parte della via principale!» esclamò Susan alzando la voce per farsi sentire; c’era un gran numero di gente vociante, e lontano si sentivano le grida dei mercanti alle bancarelle o dei venditori ambulanti che cercavano di distribuire più copie possibile dei corrieri riportanti le notizie dell’ultimo periodo - che poteva variare da una settimana a due mesi in base al numero di notizie presenti.
«Quelle sono stalle dedicate ai clienti delle locande. I miei nonni ne possedevano una.» disse Cedric.
«Hai ereditato anche quella?»
«Non lo so! Non so cosa ci hanno lasciato.»
«Quindi non sai nemmeno se abbiamo una casa!» esclamò Andrew irritato.
«E dove sarebbe la casa?» domandò Layla con un sospiro.
Cedric indicò davanti a sé, la zona nord della città: «Nel distretto del Corvo. Da quella parte.»
«Sicuro?»
«Sono stato qui nove anni fa l’ultima volta, ma sono piuttosto sicuro, sì.»
«Allora andiamo a vederla!» disse Mike entusiasta.
«Non si può, o almeno... non c’è una legge scritta, ma non si dovrebbero portare i cavalli troppo dentro la città salvo per portarli alle stalle.»
«E allora depositiamo i cavalli! Quante storie! Una stalla qualsiasi andrà bene!» esclamò Jennifer, guardando poi una carrozza trainata da un cavallo immaginando che fungesse da mezzo di trasporto all’interno della città.
«Lo capisci o no che non ce lo possiamo permettere?» ribatté Cedric arrabbiato.
«Allora è questo il problema? Perché non l’hai detto subito?» fece Layla posandosi le mani sui fianchi.
«Credevo fosse ovvio!» esclamò spazientito, mentre il cocchiere del carro passato poco prima chiedeva alla gente di fare largo con voce sonante e schioccando una piccola frusta senza colpire nessuno.
«Per questo vuoi andare alla stalla dei tuoi nonni, perché è tua ora?» domandò Susan, più calma degli altri.
«Questa era l’idea. Ma non so dove andare per riscuotere l’eredità, capito? Lasciatemi pensare un attimo.»
«Un momento, tua madre è morta? Hanno lasciato le cose a lei o a te? O le hanno lasciate a lei e lei a te?» gli domandò Andrew, ma Cedric non rispose.
E Mike si affrettò a cambiare discorso: «D’accordo, ma spostiamoci ancora un po’... tutta questa gente mi mette a disagio.» gli altri a malapena sentirono le sue parole, ma quando si allontanò con Thunder lo seguirono, fino a sbucare in una via parallela a quella principale ma più stretta e meno affollata. Se non altro non vi passavano i carri.
«Tutta la città mette a disagio.» precisò Susan «Hai visto quanto sono grandi le case?!»
«E le strade!» aggiunse Andrew «Ci passano tre carri affiancati!»
«È così grande da aver bisogno di dare un nome alle strade!» continuò la ragazzina, commentando poi quanto le piaceva l’idea di tenere delle piccole piante sui balconi delle case.
Dopo alcuni minuti Cedric uscì dal suo stato di alienazione e smise di discorrere con se stesso, dicendo invece a loro: «Meglio andare a chiedere indicazioni alle guardie o leggere la mappa. Vi lascio Hurricane, aspettate qui. Qui! Non spostatevi.»
«Ci ritroverai?» domandò Susan preoccupata.
Il ragazzo lanciò una rapida occhiata alla targhetta e lesse il nome della via, poi scosse le spalle e disse, sicuro di sé: «Ma certo.» dopodiché corse via e sparì tra la folla.
Si stupirono di quanto la sua presenza gli mancasse in quella città, fin da subito. Almeno il suo atteggiamento sicuro di sé, di dove stessero andando e cosa stessero facendo, li aiutava a tranquillizzarsi nel mare di folla che li circondava. Senza lui si ritrovavano da soli, senza saper leggere, senza sapersi comportare in una città del genere, senza sapersi difendere. Ma, si dissero, in fondo avrebbero solo dovuto aspettarlo qualche minuto senza muoversi, non poteva accadere nulla nel frattempo.
Non parlarono nei primi minuti, troppo presi dall’ansia, ma quando cominciò a passare più tempo di quanto immaginavano ci sarebbe voluto cominciarono a chiedersi dove fosse finito, temendo persino che si fosse perso.
«Non ci siamo allontanati molto dall’ingresso, e sa leggere. Non si è perso!» esclamò Jennifer sperando davvero che fosse così.
«Ma non torna più!» esclamò Andrew «E se gli fosse successo qualcosa?»
Fece per muovere un passo, ma Layla gridò con fare estremamente autoritario: «No! Ci ha detto di non muoverci!» il ragazzino s’immobilizzò immediatamente e lei riprese più calma: «Ci troverà, non preoccuparti.»
«Ma è via da troppo!» protestò Susan.
«Forse ha bisogno di farsi spiegare bene la strada. Dobbiamo stare tranquilli.»
Alcune persone passavano accanto a loro senza guardarli, coperti da abiti stravaganti dagli accostamenti cromatici improbabili, con guanti e cappelli o mantelli decorati anche da piume. Altri invece soffermavano lo sguardo sui loro bei cavalli, oppure sussurravano tra loro senza fermarsi ma lanciandogli occhiate sospette, un gruppo di uomini di mezza età quando passarono fece dei commenti davvero poco graditi alle tre ragazze. Susan si strinse più vicina a Brezza impaurita, sperando che la stazza dell’animale li scoraggiasse ad avvicinarsi; si rese conto solo quando se ne furono ormai andati che la gente di Eunev era abituata più di lei alla presenza di un cavallo.
Cedric tornò poco dopo e Jennifer non riuscì a trattenersi dal rimproverarlo per il tempo che aveva impiegato, quale che fosse la ragione. Lui scelse di non ribattere e chiese invece scusa, sapendo che era solamente agitata dalla grande città, poi si riprese le redini di Hurricane e fece strada conducendoli di nuovo verso la via Maestra.
Attraversarono decine di vie più o meno affollate girando a vuoto prima che Cedric gli dicesse di aspettarlo insieme ai cavalli fuori da un grande edificio bianco incorniciato da un colonnato, questa volta li avvertì che avrebbe potuto impiegare diverso tempo. Dal momento che lì vicino c’erano delle guardie, Susan decise di lasciare i cavalli agli altri ed entrare con lui, per fuggire un po’ dal caos nelle strade e al vento gelido, e Andrew si aggregò.
Layla chiese a una guardia se fosse possibile legare i cavalli da qualche parte mentre aspettavano e le venne indicato un palo orizzontale che sembrava essere fatto apposta. Ringraziò con garbo, poi insieme a Mike e Jennifer legò gli animali. Si sedettero su un basso muretto poco lontano osservando gli abiti colorati e differenti dei passanti, che nemmeno gli rivolsero un’occhiata, pensando solo alla propria meta. Notarono che si trattava per la maggior parte di uomini, le donne raramente giravano se non accompagnate da uomini o altre donne. Questo fece sentire Mike a disagio, perché era l’unico accompagnatore di due ragazze, ed ebbe l’impressione che potesse essere pericoloso.
Non davanti alle guardie si disse poi lanciando occhiate preoccupate agli uomini in armatura che sostavano accanto all’ingresso del grande edificio in marmo e pietra dove Cedric era entrato insieme agli altri due.
Mentre Andrew e Susan perdevano il tempo guardandosi intorno seguendo Cedric passivamente, il ragazzo parlò con decine di persone, chiese informazioni e spesso gli veniva detto di chiedere a qualcun altro, quindi andava da quel qualcuno e ripeteva la domanda, ma talvolta veniva respinto e indirizzato da un’altra persona ancora.
Dopo un’infinità di tempo di vagabondaggio inutile, finalmente incontrò qualcuno in grado di aiutarlo, e lì toccò a lui rispondere a diverse domande su se stesso e sulla sua famiglia, soprattutto dei suoi nonni di cui però non sapeva molto. Gli toccò scrivere e firmare su una quantità incredibile di pergamene, e finalmente l’addetto gli consegnò altri documenti, che gli disse di portare al piano inferiore.
Cedric ringraziò educatamente, ma ormai era esasperato e i due al seguito cominciavano ad annoiarsi, lo seguirono giù per le scale e di nuovo in un’altra stanza, dove dovettero attendere il loro turno per alcuni minuti. Non lo seguirono fino al bancone, lo lasciarono parlare con l’addetto in pace, e passarono il tempo sostanzialmente a girarsi i pollici desiderando che tutto finisse presto.
Finalmente il ragazzo gli venne incontro con delle chiavi in mano e altri documenti, che si fermò a leggere senza parlare lì in piedi davanti a loro, facendogli perdere altro tempo. Andrew dovette scuoterlo per ottenere la sua attenzione e gli chiese di condurli fuori, ma l’altro si limitò a fargli segno di tacere e continuò a leggere. Quando ebbe finito, senza una parola Cedric uscì dalla stanza e i due ragazzini gli corsero dietro ansiosi di lasciare l’edificio.
«Finalmente!» esclamò Mike appena li vide uscire «Che avete combinato?»
«Per favore non ne parliamo.» rispose Cedric seccato, e Susan alle sue spalle girò gli occhi sospirando «Ci è voluto tanto perché non essendo adulto servivano i miei, ma... Ora pare sia tutto sistemato.»
«Abbiamo una casa?» domandò Jennifer speranzosa.
«Abbiamo una stalla?» chiese Andrew.
«Ma tu non eri lì?» rise Mike divertito.
«Mica ho ascoltato tutto quello che si dicevano! Non ci capivo niente...» si difese lui.
«Sì e sì, abbiamo entrambe.» rispose Cedric «Ora andiamo.»
«Magnifico!» esclamò Layla saltellando prima di slegare Nuvola «Ne è valsa la pena aspettare!»
«E abbiamo un sacco di altre cose che dovrei andare a recuperare da qualche altra parte, e parecchio oro anche.»
«Vuoi dire che tu hai quelle cose, non noi.» precisò Susan.
Il ragazzo scosse le spalle: «Potrebbero tornarci utili per il viaggio, e dato che sono mie posso decidere che siano a vostra disposizione.»
«Sarebbe un gesto molto gentile.» gli sorrise Jennifer.
Fecero l’eccezione di portarsi i cavalli fino davanti a casa solo perché avrebbero dovuto liberarli dei bagagli e delle selle. Cedric si fece guidare dai ricordi più che dai nomi delle vie, anche perché alla fine, una volta trovata la via che dal distretto neutrale portava a quello subito più a nord, del Lupo, non dovettero fare altro che seguirla. Giunsero davanti a un cancello ornato da stendardi blu, alcuni rappresentanti la dea Maerah - dall’aspetto fiero e protettivo vestita di un abito blu e affiancata da un lupo grigio - mentre altri presentavano la sagoma bianca di un lupo stagliato su uno sfondo blu notte. Quello era l’unico modo di passare da un distretto all’altro, ed era anch’esso controllato dalle guardie della città.
Una volta passati Cedric seguì la via principale, che dopo la metà cambiò nome in ‘via del Serpente’ perché conduceva a quel distretto, mentre gli altri si guardavano intorno notando il cambio di colori dominanti da bianco del precedente distretto al blu di quello attuale. Era un distretto parecchio affollato ma dall’atmosfera tranquilla e sicura, c’erano diversi bambini che giocavano nelle strade accompagnati dalle famiglie.
Poi passarono i cancelli che conducevano al distretto di Zeigah, il serpente protettore dei malati e degli infermi - rappresentato come un anziano glabro vestito di stracci e con un nodoso bastone dalla testa di serpente con una pietra verde tra le fauci spalancate. I colori dominanti passarono dal blu al verde pallido. Videro diverse persone anziane o malate aggirarsi per le vie, ma nessuno li avvicinò né li disturbò. Jennifer adocchiò un alchimista ma non riuscì a convincere il resto del gruppo a fare una sosta.
Successivamente passarono il cancello ornato da stendardi grigi raffiguranti Aendail, la donna che personificava la Magia, e i colori cambiarono di nuovo assumendo un tono più spento e monotono. Le case erano decorate in modo differente, spesso con richiami ai quattro elementi fondamentali ma non solo, anche altri elementi tra cui distinsero fulmini, cristalli o ghiaccio, oppure libri e pagine volanti facenti capolino dal legno.
Giunti quindi al cancello ornato da stendardi neri raffiguranti o un corvo bianco su sfondo nero o la dea della morte Despada - una donna pallida dagli occhi vitrei, capelli neri come la veste e le ali piumate, con una falce d’argento e blu cobalto in una mano e una clessidra nell’altra - di nuovo vennero controllati dalle guardie e di nuovo furono liberi di passare. Il colore dominante ora era il nero e le statue raffiguranti corvi o scheletri in ogni posizione si potevano vedere ovunque.
«Che distretto... macabro.» commentò Susan guardandosi intorno intimorita; quelle sculture non le piacevano, era come se tanti occhi malvagi la stessero fissando.
«È il distretto di Despada Susan, che ti aspettavi? Mazzi di fiori?» la schernì Andrew.
«Ci sono anche quelli, come omaggio ai morti probabilmente.» disse Layla indicando un vaso di primule bianche far capolino da un balcone.
Cedric li condusse in una zona molto tranquilla poco più a nord-est, non troppo lontana dalla via della Magia che conduceva dritta all’altro distretto, ma nemmeno così vicina da subire il costante via-vai di persone. Fare compere non sarebbe stato comodo, ma almeno c’era silenzio. Tagliarono attraverso un piccolo parco con al centro una bella fontana e le case divennero più caratteristiche e meno diverse le une dalle altre, come se quella zona fosse riservata a chi abitava Eunev da generazioni.
Infine si fermarono davanti a una casa che da fuori non dava l’aspetto di essere disabitata, salvo per le piante attorno non curate e le finestre bloccate da assi di legno, dalle pareti decorate con marmo nero. Se non altro non aveva decorazioni di scheletri agli angoli, ma solo corvi.
I ragazzi non vedevano l’ora di entrare, da fuori sembrava grande almeno come tutte quelle che avevano visto sulla via Maestra. Cedric al contrario si mostrò per la prima volta titubante; non metteva piede in quella casa da anni e soprattutto era il luogo dove sua madre era cresciuta, aveva l’impressione che tornarvi non gli avrebbe fatto bene.
Ma i ragazzini dietro di lui lo pregarono di aprire la porta e così fece. Lui e Layla furono gli unici a non precipitarsi all’interno, quindi mentre i più giovani esploravano la casa buia loro due si presero l’incarico di scaricare i cavalli.
Subito appena entrati in casa c’era il grande soggiorno, completo di scrivania, un divano, poltrone, camino e una piccola libreria ad angolo. Sul soggiorno si affacciavano tre porte: una era la porta dietro cui stava un piccolo sgabuzzino; l’altra portava al bagno principale completo di arredi a cui non erano abituati; l’ultima invece conduceva alla sala da pranzo, al centro c’era un grande tavolo in legno rettangolare attorno al quale stavano una decina di sedie, sul lato opposto c’era un altro uscio che conduceva alla grande cucina. In un angolo accanto al bagno c’era una botola che conduceva alla cantina, che si estendeva sotto l’intero piano, e vi si arrivava scendendo una ripida scalinata in legno. Al secondo piano stavano altre quattro camere: una stanza da letto in cui c’era un letto matrimoniale; un bagno un po’ più piccolo di quello al piano inferiore, ma ugualmente fornito di ogni cosa salvo la vasca e il camino; e due camere fornite di due letti separati ciascuna. Al centro di una delle due camere stava uno strano oggetto nero e lucido che pensarono fosse un alto tavolo dalla strana forma e a tre gambe, con una mensola più bassa sul lato dove stavano tre pedali e uno sgabello. Il terzo piano era molto più piccolo e se non stavano attenti rischiavano di picchiare la testa contro il tetto scosceso, c’erano solo una piccola biblioteca e una mansarda - che occupava i tre quarti del piano e doveva aver avuto la funzione di uno studio privato, perché era piena di piccoli oggetti dalla funzione a loro ignota posati su una scrivania o riposti nei cassetti, ma anche di numerosi oggetti da collezione posati sugli scaffali.
Finito il giro tornarono nel grande soggiorno.
«Che casa enorme!» esclamò Andrew.
«Già, avrei voluto vivere in una casa così per tutto questo tempo.» disse Mike un po’ amareggiato.
«Però va pulita, e non poco. Ti immagini pulire una casa del genere in tre che fatica?!» commentò Jennifer guardandosi intorno per quel poco che si vedeva nella penombra.
«Non ora, prima dobbiamo portare via i cavalli.» disse Cedric, e costrinse tutti a uscire senza aggiungere altro, richiuse la porta a chiave e prese il suo cavallo nero per le redini conducendoli di nuovo verso il distretto della Magia.


NOTE DELL'AUTRICE
Ecco qui una sintetica mappa di Eunev che indica la posizione dei distretti e i nomi delle vie principali che conducono da un distretto all'altro. Spero sia leggibile e chiara!
Grazie a chiunque sia giunto fino a questo punto della storia!

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Capitolo 35
*** Mathan ***


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Il colore del titolo del capitolo corrisponde al colore della regione in cui la storia al momento si svolge, tenete d'occhio la mappa per sapere dove ci troviamo!

MATHAN

Facendo a ritroso la strada di poco prima attraversarono il distretto della Magia, del Serpente, del Lupo e quello neutrale - dovendo attraversare perpendicolarmente la via Maestra per poco rischiarono di perdersi di vista, tanto era affollata, e ricevettero diversi insulti e rimproveri per star disturbando il traffico - poi quello del Cervo, e finalmente giunsero in quello del Cavallo. Lì Cedric cercò di impegnarsi al massimo per far riaffiorare i ricordi, e alla fine arrivarono alle stalle che cercava.
Si fermò e aprì con decisione il portone d’ingresso annunciandosi con un: «Buongiorno.» ma all’apparenza non c’era nessuno «Non so da chi siano gestite ora, ma fate attenzione.» aggiunse quindi.
Entrarono guardandosi intorno con circospezione e gli altri cinque rimasero a bocca aperta nel vedere quanti cavalli potesse ospitare quella stalla; ce ne stavano almeno una cinquantina, ma molti recinti erano vuoti in attesa che qualcuno vi lasciasse i propri animali.
«C’è nessuno?» domandò Susan a voce alta, sperando che qualcuno prima o poi rispondesse e li accogliesse.
«Pare di no.» disse Mike sconfortato.
«Però i cavalli ci sono, aspettiamo un po’.» ribatté Jennifer fiduciosa.
Proprio allora comparve un uomo dalla corporatura robusta e i capelli neri tenuti tagliati sopra le spalle, gli occhi avevano una sfumatura a metà tra l’azzurro e il grigio.
Entrò dall’altro portone e li accolse gridando un: «Benvenuti!» incoraggiante, gli andò incontro a passo veloce presentandosi poi col nome di Mathan.
«In cosa posso esservi utile? Avete bisogno di selle o finimenti? O semplicemente lasciare qui i cavalli?» domandò quando gli fu vicino con voce vigorosa.
«Dovremmo lasciarli qui.» rispose subito Jennifer, lieta che il proprietario apparisse come una persona molto loquace e gentile.
«Per quanto?» domandò quindi facendogli cenno di seguirlo.
«Non lo sappiamo, siamo qui per studiare. È un problema?»
«No, non esattamente. Ho molti altri posti liberi.» si fermò e indicò sei cancelletti piuttosto vicini, tre da un lato della stalla e tre dall’altro «Questi sono liberi e al momento non li ha prenotai nessuno. Potrebbe darsi che qualcuno paghi per averli e potrei dover cambiare posto ai vostri animali, ma sotto la mia supervisione non verranno rubati.» con una chiave aprì i cancelli dei recinti.
Mentre i cinque ragazzini sistemavano i cavalli nei recinti e finalmente li liberavano delle redini e della sella, Cedric spiegò all’uomo di essere l’effettivo proprietario dell’edificio e gli mostrò i documenti in modo che non potesse negarlo, quindi gli chiese se fosse possibile non pagare perché - tecnicamente - non potevano permetterselo.
Mathan lo guardò storto e borbottò: «Il proprietario eh? E perché non è venuta direttamente tua madre?»
Con una stizzita scrollata di spalle il ragazzo ribatté freddo: «Non può.»
«In realtà io non ho bisogno del tuo permesso per stare qui e gestire gli affari, vedi... ne sono diventato proprietario nel momento in cui sei nato.»
Cedric non credette alle proprie orecchie: «Come prego? L’hanno lasciata a...»
«Ai tuoi genitori.» lo interruppe «Ma io sono tuo padre, lo sai?»
Mike poco dietro di lui sbiancò, pietrificato, gli altri stavano chiacchierando quindi non avevano sentito.
«A quanto pare no. Bene, ti spiego...» lo prese sottobraccio e lo condusse lontano dagli altri, ma il ragazzo si sottrasse quasi subito «Tua madre proprio non voleva accettarlo, eh? Te l’ha tenuto nascosto?»
«Chi sei?»
«Oh, uno dei tanti.» fece con una scrollata di spalle.
«Uno dei tanti?» ripeté lentamente con un sorriso scettico, cominciando a innervosirsi.
«Non so cosa pensi di lei, ma forse non è la persona che credi. Ti ricordi della vecchia Iven? So che Laurel ti ha portato da lei qualche anno fa.»
«Il nome non mi è nuovo.» ammise.
«Ah, la cara Iven, Laurel adorava tormentare quella donna coi suoi pianti.» sospirò Mathan guardando in alto.
Mike si riscosse e attirò l’attenzione degli altri: «Andiamocene.» sussurrò.
«Perché?» domandò Susan confusa guardandosi intorno «Cosa sta succedendo? Dov’è... Ced?» lo chiamò ad alta voce, ma Cedric non la guardò nemmeno e le fece solo segno di tacere.
«Perché... perché sì, voglio andarmene.» continuò l’altro.
«Ma almeno aspettiamo lui...» disse Layla.
Il ragazzino a malapena ebbe il coraggio di guardarla negli occhi, ma scosse la testa impaziente: «Sono sicuro che non stia per succedere nulla di buono. Cedric perde le staffe quando si parla di sua madre.»
«E sua madre cosa c’entra ora?» domandò Jennifer quasi interrompendolo «Stanno parlando di lei? Il tipo la conosce?»
«Così pare, forse è anche peggio. Andiamo.» insistette Mike, ma gli altri non ne volevano sapere e anzi rimasero in silenzio sperando di riuscire a cogliere parte della conversazione.
L’uomo stava dicendo: «Com’è che ti ha chiamato? Ced... Ced... Cedric, giusto? Ah, è venuta qui un paio di volte, ma non è mai passata a salutarmi. Ti ho visto, insieme a lei e a quell’uomo che ha deciso di sposare.»
«Probabilmente era un uomo migliore di te.» disse Cedric, senza tuttavia crederci realmente visto il rapporto che aveva con lui.
«Tu non mi conosci, non puoi sapere nulla. Le piaceva cambiare, che fosse perché non trovava un uomo che la trattasse come meritava, o solo per il gusto di farlo. Non che fosse una cattiva persona, anzi era la persona più gentile e premurosa che abbia mai conosciuto. Ma... beh...» fece una piccola pausa e guardò Cedric, che sembrava sul punto di ammazzare qualcuno, ridacchiò: «Stai attento a non farti male, rilassa quei muscoli!»
Per tutta risposta lui sfoderò un sorriso che non raggiunse gli occhi, ma lo ignorò e non disse nulla.
L’uomo sospirò e riprese: «Le piaceva cambiare, sì. E ogni volta che rimaneva delusa dal suo nuovo compagno lo lasciava, a volte pagandone le conseguenze, e puntualmente veniva a piangere prima da me, poi da Iven. Naturalmente non poteva parlarne a madre e padre senza ricoprirli di vergogna. È andata avanti così per anni.» s’interruppe per un attimo, non credeva di essere in grado di dirgli certe cose con una tale sfacciataggine «Forse dovreste tornare a casa, l’ora di pranzo è già passata.»
«Vai avanti.» lo interruppe freddamente, prima che gli altri potessero cogliere al volo l’occasione per andarsene.
«Non ti ha mai raccontato nulla? Sei grande ormai, potrebbe dirtelo! Quanti anni hai? Quattordici giusto? E non ti ha mai detto nulla... ah Laurel! Perché scappare da questo incubo per crescere un figlio in un luogo tranquillo, se poi alla fine avrebbe saputo? No, lei ha preferito tenerti all’oscuro. Quando tornerai a casa potrai chiederlo a lei!»
«Voglio che me lo dica tu. Sii più coraggioso di lei. Da uomo a uomo. Andiamo, sono cresciuto dall’ultima volta, sbaglio?» lo provocò con un sorriso di scherno.
L’altro non voleva realmente fargli una cattiva prima impressione, ma si disse che ormai aveva già parlato troppo; tanto valeva andare fino in fondo. Gli si avvicinò di qualche passo e Cedric non si mosse.
Poi come accettando una sfida Mathan riprese con voce grave: «Finché... un giorno non ho retto più. Non so che idea ti sia fatto di lei Cedric, e non vorrei distruggerti un modello, ma lei era... beh, come dire... una donna che si comporta così, questo vuole e questo merita.» concluse con una scrollata di spalle e un ghigno.
Voglio andarmene gemette Susan tra sé Io non me la sento di restare ad ascoltare, ho già sentito troppo!
Lo ripeté ad alta voce.
Ma nonostante le lamentele di Susan non si mossero; provavano anche loro un certo disgusto per quell’uomo e non volevano credere a ciò che stava dicendo sulla madre del loro compagno, ma avevano intenzione di rimanere perché avevano l’impressione che senza la loro presenza la situazione potesse degenerare.
«Vai avanti.» sussurrò Cedric con rabbia.
Sorrise piano: «Ah, quel giorno. Laurel non si era mai concessa a me, nonostante che lo volesse o no fossi la persona più importante che aveva. Poi ha conosciuto quel giovane che si trovava qui per affari e credeva di essersi innamorata... ma la verità era che aveva visto una possibilità per andarsene. Hanno cominciato a frequentarsi, e quando ho saputo che si sarebbe volentieri concessa a uno straniero solo per lasciare questa città... non ho retto più. Le ho detto ciò che provavo e mi sono visto rifiutare. Allora l’ho presa e...» in un certo senso non aveva il coraggio di dirglielo.
«Narcisista ed egocentrico. Vai avanti.» ripeté imperterrito.
«No. Non ce n’è bisogno.» disse Layla con decisione «Grazie per il tuo tempo e scusaci tanto, ma ora...»
«Chiudi quella bocca!» gridò Cedric guardandolo furioso «Non t’intromettere.»
«Non hai bisogno di farti del male! Sai già cos’è successo, andiamo via!» insistette angosciata.
Cedric scosse la testa e tornò a guardare l’uomo che dopo un po’ riprese a parlare lentamente, ma più deciso ad andare fino in fondo: «Ho fatto come avevano fatto tutti gli altri, le ho mostrato con la forza le conseguenze delle sue scelte. Non sono più riuscito a riavvicinarmi a lei, mi evitava come se avessi una malattia contagiosa.»
A quelle parole Cedric alzò un solo sopracciglio e l’uomo intese quella reazione come approvazione e stima per la donna, quindi incupì lo sguardo.
«Dopo alcuni mesi ha scoperto di... esserci rimasta. Le era sempre andata bene, invece con me le è andata male. Jorel, l’uomo che ti ha cresciuto, era da pochi giorni tornato qui, e quando lei ha scoperto di essere incinta ha colto l’occasione al volo... ed è riuscita a far sì che la portasse con sé. Il resto più o meno lo sai.»
Cedric annuì e inspirò profondamente cercando di contenersi per non saltargli addosso; ora almeno l’inizio di tutte le sue disgrazie aveva un nome. Mathan fece per prendergli le spalle proprio come un padre orgoglioso delle gesta del figlio, ma lui si allontanò non provando altro che rabbia e ribrezzo.
«Non mi toccare, lurido...»
«Calma! Calma con le parole.» lo interruppe con tono pacato, alzando le mani «Capisco che possa essere dura da mandare giù...»
«Tu menti.»
L’uomo sospirò: «Lo vedi? Non vuoi accettarlo! Ma non temere, imparerai. Dopotutto non posso essere peggiore di quell’uomo. Non dev’essere stato facile per lui crescere un figlio non suo... e non credo abbia dato del suo meglio per farlo. Sbaglio forse?»
«A che gioco stai giocando? Ti sembra divertente?» gridò Andrew irato «Lascialo in pace maledizione!»
Cedric invece stava ripensando a tutte le volte che Jorel gli aveva detto di non chiamarlo padre e lui aveva pensato che fosse solo molto arrabbiato, o che avesse perso il controllo come quando era ubriaco. Ma poi pensò a come lo picchiava, e il dubbio che quel tizio stesse dicendo il vero cominciò a farsi più presente, tanto da mettergli davvero paura. Da quando sua madre era morta Jorel non aveva passato un solo giorno senza averlo picchiato o alla meglio insultato, sminuito o umiliato. Non aveva mai fatto nulla per aiutarlo a uscire da quella brutta situazione e anzi aveva infierito sulla sua sanità mentale e cercato di ucciderlo diverse volte più o meno velatamente, preferibilmente lasciandolo chiuso in camera sua a sanguinare per giorni, aspettandosi poi che ripulisse tutto da sé. Forse, si disse infine, era ancora vivo solo perché gli serviva che qualcuno badasse a Lily mentre lui lavorava e Ilion aveva già i suoi affari a cui pensare.
In tutta risposta l’uomo guardò Andrew e rise, ma tornò a rivolgersi a Cedric: «Dov’è che è fuggita con Jorel? A Darvil, giusto? Era disperata quando ha scoperto di aspettare un figlio, è andata dove nessuno mai l’avrebbe cercata o aggredita.»
«Come diamine ti permetti di parlare di lei in questo modo?» esplose Susan sentendosi calda in viso; quell’uomo la disgustava e l’unica ragione che la spingeva a non prenderlo a schiaffi era la necessità di lasciargli i cavalli. Nemmeno la differenza di stazza avrebbe potuto fermarla in quel momento.
Mike le afferrò la mano per zittirla, lei lo guardò e lui sussurrò: «Sapeva di Darvil e Jorel, nessuno di noi li ha mai nominati prima. Non poteva saperlo se... se non stesse dicendo almeno in parte la verità.»
«Magari la conosceva soltanto!» disse Jennifer, a sua volta bisbigliando.
Mathan riprese a parlare a Cedric e si zittirono per ascoltare: «Cosa c’è ragazzo, sei sconvolto? Capisco... non ho fatto una buona prima impressione, eh?»
Cedric gli rivolse uno sguardo carico di odio, aveva tutti i muscoli in tensione ed era certo che sarebbe stata solo una questione di tempo prima che avrebbe ceduto alla rabbia e gli fosse saltato addosso.
Ma l’uomo gli si avvicinò ancora di più fissandolo dritto negli occhi, ignorando completamente il suo stato d’animo precariamente controllato: «Non hai mai avuto una sola goccia del sangue di Darvil e, senza offesa, si vede lontano due miglia. Forse qualche anno fa sarebbe stato più facile nasconderlo, ma più cresci più ti vedo simile a me. Siamo identici.»
«Non ne sono certo lusingato.»
«No, lo capisco. Non è facile accettare simili tragedie, soprattutto dopo tanti anni... ma adesso sei qui, finalmente. Sei tornato da me nonostante quella donna abbia cercato di tenerti lontano...» fece per mettergli una mano sulla spalla, ma Cedric si decise a reagire; gli afferrò il braccio e lo costrinse dietro la sua schiena, facendogli male.
Lui urlò sorpreso: «Ma che diamine stai facendo?!» e gli altri fecero due passi indietro spaventati, i cavalli nei recinti nitrirono infastiditi.
«Taci, hai parlato abbastanza.» sibilò il ragazzo.
L’uomo cercò di liberarsi della sua presa, ma con le buone maniere non ci riuscì. Allora perse le staffe, col braccio libero lo colpì ripetutamente al fianco con forza. Gridò di nuovo quando Cedric gli sferrò un calcio dietro al ginocchio, caddero insieme e Mathan ne approfittò per prenderlo alla cintura e sbatterlo a terra. Si rialzarono entrambi alla svelta, ma il ragazzo fu veloce a sferrargli un pugno.
«Cedric!» esclamò Layla sconcertata «Va bene sfogarsi, ma non esagerare! Non sai nemmeno se dica la verità, forse la conosceva soltanto!» cercò di allontanarlo dall’uomo tirandolo per un braccio.
«A conti fatti, quest’uomo è stato la più grande disgrazia della mia vita!» ribatté Cedric guardando ora la ragazza e trattenendosi a stento dall’alzare la voce o a liberarsi della sua presa.
«Posso immaginarlo, ma cerca di...»
«La più grande disgrazia della tua vita?» la interruppe Mathan gridando, si era rialzato e si stava allontanando «Se quel giorno non avessi esercitato un mio diritto ora non saresti qui! Dovresti ringraziarmi!»
«Esercitato un diritto? È questo che credi di aver fatto? Non te ne frega nulla di aver ferito un altro essere umano abusandone?» sussurrò Cedric incredulo tornando a guardare lui, Layla non dovette più faticare a tenerlo fermo e guardò l’adulto a sua volta con una smorfia di disgusto.
Per tutta risposta l’uomo rise: «Ma ti senti come parli? Quella donna ti ha fatto il lavaggio del cervello? Non mi sembra ti sia fatto problemi a fare del male a me.»
Il ragazzo scosse la testa: «Oh, ma tu sei un verme, meriteresti di marcire in una cella.»
«Per non aver nemmeno commesso un reato? Davvero? E quella donna era una puttana che andava rimessa al suo posto, come la mettiamo?»
«Ma che parole sono! Come ti permetti?» esclamò Layla, ora anche lei furibonda; aveva conosciuto Laurel e mai avrebbe tollerato che una donna tanto dolce venisse definita a quel modo.
Mathan indicò la ragazza e continuò a rivolgersi a Cedric guardandolo con sguardo torvo: «Ecco, vedi? Esattamente come lei. Ti conviene metterla a posto prima che si senta troppo libera di mettere i piedi in testa a un uomo. Deve imparare che ogni azione ha una conseguenza.»
Layla lo stava guardando con sdegno e a bocca aperta, ma quando Mathan mosse alcuni passi verso lei impallidì e indietreggiò spaventata, temendo il peggio; Mike si frappose tra lei e lui trovando poco dopo l’appoggio di Jennifer, mentre Susan e Andrew indietreggiarono a loro volta; Cedric invece si mise sulla sua traiettoria minacciandolo di non avvicinarsi a loro, ma dal momento che non parve averlo ascoltato coprì rapidamente la distanza che lo separava dall’uomo e lo colpì di nuovo, questa volta dritto al naso.
Lui gridò terribilmente forte e si portò le mani al viso proprio mentre una giovane donna entrava nella stalla dall’altro portone chiamando il nome dell’uomo. Appena comprese cosa stava succedendo la ragazza si mise a urlare il nome di quello che i ragazzi di Darvil appresero essere suo padre.
Mathan indicò Cedric lasciando scoperto un lato del naso sanguinante ed esclamò: «Maledetto! Maledetto se continui così chiamo le guardie! Che tu lo voglia o no sei mio figlio e ora esigo che resti qui! Che venga ad abitare qui! Altro che tornare a Darvil... scommetto che Jorel non muoverà un dito per venire a riprenderti!»
«Puoi scordartelo schifoso bastardo!» gridò l’altro a sua volta, fece per saltargli addosso di nuovo ma Mike e Jennifer gli sbarrarono la strada e caddero entrambi nel tentativo di fermare la sua corsa.
«Calmati! Datti un contegno Cedric!» esclamò Mike cercando di tenerlo fermo con estrema fatica. Riuscirono a fermarlo a terra gravando col loro peso su entrambe le sue spalle e alla fine il più grande parve rassegnarsi con un sospiro.
L’uomo intanto si allontanò guardandolo circospetto, ansimava e tremava dalla rabbia: «Non chiamerò le guardie solo se resterai qui!» esclamò furibondo.
«Preferirei farmi arrestare.» ribatté Cedric, ancora costretto a guardare il soffitto della stalla dagli altri due.
«Come desideri!» si volse verso la figlia e con un brusco cenno le ordinò di uscire.
«No! No ti prego è solo un po’ sconvolto!» intervenne Susan avvicinandosi all’uomo sperando di farlo ragionare, e in quella la giovane donna si fermò per ascoltare «Ti prego passaci sopra e lascialo venire con noi, non possiamo andarcene senza di lui! È il più grande tra noi, è la nostra guida, il nostro punto di riferimento! Non puoi portarcelo via!»
«Smettila di frignare ragazzina!» disse Mathan con foga, ma poi scosse la testa e sospirò «Va bene, va bene. Ci passerò sopra... ma questo non vuol dire che ti permetterò di lasciare Eunev.» disse poi al ragazzo.
«Tu non hai alcun diritto di dirmi cosa fare.» ringhiò lui, finalmente libero di mettersi almeno seduto.
«Ce l’ho eccome! Se lo dicessimo alle guardie ti direbbero di abbassare la testa e fare quello che ti dico!» gridò fuori di sé dalla rabbia, poi si asciugò il sangue che colava dal naso.
«Ma non dirai nulla.» intervenne Mike «Senza Cedric non potremo lasciare Eunev per tornare a Darvil.»
«Se davvero tieni tanto al fatto che resti qui vai a parlarne direttamente con... Jorel.» disse Jennifer fermamente, tentennando solo sull’utilizzo di quel nome «Fino ad allora verrà con noi, altrimenti non riusciremmo ad affrontare il lungo viaggio di ritorno. Abbiamo bisogno di lui, è l’unico che se la sappia cavare ovunque si trovi.»
Quante belle parole commentò Cedric scettico.
I ragazzi rimasero spaesati sentendo la sua voce nelle proprie menti, e si domandarono come avesse fatto a mettersi in contatto con loro. Lo guardarono allibiti finché l’adulto parlò di nuovo.
«Lo farò, statene certi...»
Cedric si rialzò e disse cupamente: «Vai pure a dirlo a Jorel, sprecheresti solo tempo. Non avevo intenzione di tornare a vivere a Darvil.»
«Quindi rimarrai a Eunev!» esclamò l’uomo, come accogliendo una buona notizia.
«Forse, ancora non lo so. Ho una casa qui, non mi serve stare con te. E per allora sarò adulto comunque, non potresti dirmi cosa fare.»
«Per allora quando? Posso ordinarti di restare qui già oggi e mi aspetto che tu obbedisca.» ringhiò l’altro.
«Non puoi impedirmi di studiare, sono qui per questo.»
«Posso eccome!»
«No, non puoi.» disse freddamente, e si tolse il guanto alla mano sinistra puntandola aperta in direzione di Mathan, il quale capì rapidamente le sue intenzioni e indietreggiò di qualche passo, mentre sua figlia di nuovo tornò ad ansimare di paura. Gli altri ragazzi alle sue spalle ebbero un sussulto all’unisono.
«Quello che stai facendo è illegale!» balbettò l’uomo, per la prima volta con voce tremante, si scostò un ciuffo di capelli neri dal viso per tenere meglio d’occhio il ragazzo mentre dalla sua mano cominciava a diffondersi una luce verde che poi risaliva lungo il suo braccio come seguendo il disegno delle vene.
«Cedric...» lo ammonì Layla in un sussurro, tenendo lo sguardo fisso su Mathan.
«Non sto facendo niente.» disse lui con tono forzatamente calmo.
«Mi stai minacciando! Stai per usare la magia! Chiama le guardie!» ordinò di nuovo l’uomo a sua figlia.
Ma prima che lei potesse muovere un solo passo Cedric ribatté: «Se mi rimetto il guanto non puoi dimostrare che ti abbia effettivamente minacciato. E non potresti comunque provare di essere mio padre. Non ti credo io, vuoi che ti creda una giuria?»
«No, ma a questo crederanno!» esclamò l’uomo indicandosi il naso sanguinante.
E Cedric scosse le spalle: «Potresti aver avuto un incidente con un cavallo. Tu hai una sola testimone, io cinque, scommettiamo che loro mi coprirebbero?»
Mathan sghignazzò scettico e ammise: «Non sei poi così stupido, eh? Allora smettila con questa storia e fai come ti dico.»
«No. Ti lascerò tenere il posto, non preoccuparti, non potrei curarlo io comunque. Ma questo non significa che accetterò di doverti rivedere.»
L’uomo guardò con apprensione la mano del giovane che continuava a risplendere di una luce soffusa come un costante monito: «Giuro sulla mia testa che faccio chiamare le guardie se non ti dai una regolata!»
Si mette male... pensò Mike agitato, non sapendo cosa fare.
«Fallo.» lo sfidò Cedric con un sorriso.
Tutti lo guardarono increduli per qualche attimo, ma prima che Mathan potesse fare qualsiasi cosa, sua figlia - una giovane donna decisamente alta e dal fisico prestante, di qualche anno più grande - avanzò verso i ragazzi con aria intimidatoria. I più giovani indietreggiarono mentre Layla fece da scudo col proprio corpo, e Cedric ora guardò lei senza scomporsi.
«Obira torna qui!» ordinò l’uomo.
Ma la giovane scosse la testa facendo ondeggiare la chioma scura e ribatté: «Non è così stupido da usare la magia contro di me. E se lo è avrai qualcosa da raccontare alle guardie.» quando ebbe finito di parlare si trovava a un passo dalla mano aperta del ragazzo e lo guardava cupamente.
Cedric ridacchiò e pensò fosse meglio ritrarre la mano, quindi si rimise il guanto e commentò: «Beccato. Hai ragione.» e la luce verde pian piano svanì dietro la pelle nera.
«Allontanati da lui.» disse Mathan temendo che il ragazzo potesse saltarle addosso senza motivo; ora che non era più sotto minaccia ritrovò il coraggio di avvicinarsi.
Cedric colse il movimento con la coda dell’occhio e pensò rapidamente a un modo per uscire da quella situazione soltanto avvantaggiati: l’unica cosa che gli venne in mente fu alzare la mano come se fosse sul punto di picchiare la giovane donna.
Al suo scatto improvviso Obira reagì e gli tirò un possente destro dritto sulla tempia; lui, che non aveva alcuna intenzione di difendersi o reagire, accusò il colpo barcollando all’indietro e portandosi una mano alla testa.
«Cosa fai?» esclamò Susan con voce acuta in preda al terrore, i cavalli nei recinti si agitarono nuovamente.
La giovane donna si fece trasportare dalla rabbia continuando a inveire su Cedric con altri colpi, ai quali il ragazzo non reagì ancora, ignorando gli ammonimenti di suo padre e le grida dei più giovani che tuttavia non avevano il coraggio d’intervenire. Lo insultò anche, come insultò sua madre, ribadendo quanto fosse stato meschino a minacciare Mathan e a parlargli a quel modo; dopotutto era loro padre, e loro erano fratellastri entrambi tenuti a obbedirgli anche dopo essere diventati adulti.
Inavvertitamente fu proprio Mathan a fermare l’aggressione immobilizzando Obira, e quando lei protestò perché ancora non aveva finito l’uomo le ordinò di tacere.
Jennifer e Susan corsero subito da Cedric per assicurarsi che stesse bene, gli s’inginocchiarono accanto perché tremava ma si accorsero con grande sorpresa che stava ridendo silenziosamente.
E Mathan se ne accorse, quando lo guardò infastidito gli domandò aspramente: «Che hai da ridere, cretino?»
A quelle parole Cedric rise più forte e si rialzò un poco stordito, poi lo guardò cercando di darsi un contegno e disse con aria quasi innocente: «Lo sai benissimo.»
L’uomo ringhiò: lo sapeva eccome. Il fatto che sua figlia gli fosse saltata addosso ora gl’impediva di chiamare le guardie perché non avrebbe più avuto una difesa solida, tantomeno senza poter provare di essere stato minacciato con la magia. Lo guardò con crescente antipatia, capendo che Cedric aveva avuto tutto sotto controllo fin da subito, non aveva mai realmente voluto aggredire Obira ma aveva sperato in una reazione della giovane donna. Che era tempestivamente arrivata.
Strinse i pugni con forza e si volse dall’altra parte facendogli cenno di andarsene: «Sparite prima che cambi idea.»
Cedric si rivolse a Obira: «Tu fai quasi più pena di lui, difendi un essere che ti darebbe la colpa di qualsiasi cosa ti succeda perché sicuramente te lo saresti meritato. E allora sai che ti dico? Ti meriti un padre come lui. Ma io non voglio averci niente a che fare.»
«Vi ho detto di sparire!» gridò furioso «E tu signorina, torna in casa! Faremo i conti più tardi.»
Obira guardò Cedric con risentimento, al che lui le rispose con un sussurro gelido e un sorriso di scherno: «Buona fortuna. E grazie.»
Mathan non lo sentì e non lo vide perché ormai gli voltava le spalle, ma lei sì e pestò un piede per terra sapendo di non poter ribattere, poi se ne andò a passo svelto e pesante, i pugni chiusi.
Layla raccolse le pergamene da terra mentre Mike e Jennifer costrinsero Cedric a voltarsi e uscire dall’enorme portone da cui erano entrati spingendolo con forza, scuri in volto, ma nessuno disse nulla, né lo liberarono della loro presa finché la stalla non sparì dalla loro vista nascosta dalle alte case di pietra intonacate di marrone o decorate con travi di legno grezzo.
Allora Mike lo lasciò, imitato da Jennifer, e sbottò: «Ma ti sei bevuto il cervello? Che diamine pensavi? Chi ti credevi di essere?! È un miracolo che non ti abbia fatto arrestare! Che razza di figure ci fai fare!»
«Non sapevi nemmeno se stesse dicendo la verità!» esclamò Jennifer «E gli sei saltato addosso.»
«Ti sei cacciato in grossi guai! Quella tizia ti avrebbe ucciso se avesse potuto!» aggiunse Andrew.
Lui scosse le spalle: «È andato tutto secondo i miei piani.» disse, lasciandoli interdetti.
«Che... Che cosa?» esclamò Susan a bocca aperta «Ti sei fatto picchiare di proposito?»
«Esattamente. Così non avrebbe potuto chiamare le guardie.» e nel dire ciò fissò Mike con eloquenza, come rispondendo alle sue domande «Conoscete il gioco degli scacchi? Delle volte si devono sacrificare dei pezzi per vincere la partita.»
«Tu sei tutto scemo.» commentò Layla con le mani sui fianchi e un’aria severa.
«Ho dovuto trovare un modo per rimediare a un mio errore. Mi sono lasciato prendere dalle emozioni, non succederà più.» la rassicurò, ma era praticamente certo di averle appena mentito; non era qualcosa che poteva permettersi di promettere nelle sue condizioni.
«E l’ultima parte? Dimentichi di aver avuto un padre peggiore di lei, forse? Te lo sei meritato anche tu, dato che gli hai salvato la vita? O vale solo per lei quell’affermazione?» lo provocò gelida.
Cedric le rivolse un’occhiata truce rendendosi conto che in parte aveva ragione e le rispose altrettanto duramente: «Sì, vale anche per me. Dopotutto non ho mai chiesto aiuto a nessuno accettando quello che mi veniva dato, giusto? Non sono un ipocrita, mi faccio pena da solo.»
«Stai bene?» gli chiese Susan con voce flebile e preoccupata, decisa a cambiare argomento «Per un attimo ho davvero avuto paura... più di una volta.» si corresse poi.
«Sì, sto bene.» mentì lui, fisicamente non ne avrebbe risentito poi tanto nonostante Obira pesasse quasi due volte lui, ciò che lo preoccupava di più era naturalmente quello che aveva appena appreso su se stesso e su sua madre.
Gli fece cenno di seguirlo e senza dire altro li ricondusse a casa cercando di convincersi che quell’uomo si fosse preso gioco di lui e avesse inventato quella storia solo per tenersi i diritti e il possesso su quella stalla, ma questa volta aveva davvero paura di non essere in torto pensando al peggio.

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Capitolo 36
*** A misleading power ***


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Il colore del titolo del capitolo corrisponde al colore della regione in cui la storia al momento si svolge, tenete d'occhio la mappa per sapere dove ci troviamo!

A MISLEADING POWER

Tornati a casa decisero subito di cominciare a renderla abitabile anche se vi avrebbero vissuto per poco tempo, non si separarono per fare il lavoro tutti insieme e impiegare meno tempo per ogni stanza. Cominciarono togliendo le assi che sbarravano le finestre - il che richiese loro parecchio tempo ed energie. All’interno invece cominciarono dal bagno al piano terra così che potessero poi portarsi i secchi d’acqua e sapone in giro per casa, poi passarono a cucina, sala da pranzo e salotto. Curiosarono nello sgabuzzino giusto per vedere se ci fosse qualcosa di utile, ma non trovarono nulla che potesse servirgli in un futuro prossimo.
Scesero in cantina, che era umida fredda e vuota se non per i mobili sui quali dovevano stare le provviste di scorta, sale, spezie e alcune bevande. Spolverarono un po’ giusto perché non rimanesse sporca, accesero un paio di torce per deumidificare l’aria e risalirono in sala senza chiudere la botola per il ricambio d’aria.
Layla aprì una delle finestre del salotto, poi passarono al piano superiore e anche lì cominciarono dal bagno, più piccolo e facile da pulire rispetto all’altro, in seguito riordinarono le stanze a partire da quella matrimoniale, e quando giunsero in quella dello strano tavolo nero - che Layla ancora non aveva visto e rimase sorpresa - Susan non riuscì a trattenersi.
Si avvicinò indicandolo e domandò a Cedric: «Sicuramente lo sai, sei già venuto qui... a cosa serve un tavolo così alto?»
«Non è un tavolo.» rispose il ragazzo avvicinandosi a sua volta seguito da tutti gli altri «È un pianoforte.»
«Un cosa?» domandò Andrew curioso.
In risposta Cedric spolverò il piano del tavolo per poi sollevarlo aprendolo come se fosse un armadio sdraiato a terra e rivelando uno strano meccanismo di corde e martelletti al suo interno. I cinque ragazzi si affacciarono osservandolo a bocca aperta, ma ancora non avevano idea di cosa si trattasse.
«E tutta questa roba a cosa serve?» domandò Jennifer.
Cedric fece il giro del pianoforte fino a portarsi davanti alla mensola più bassa, spolverò un po’ anch’essa, poi l’aprì rivelando una serie di rettangoli bianchi e neri alternati in un ordine preciso. Mike sgranò gli occhi, poi Cedric premette uno dei rettangoli attivando il meccanismo che gli altri ancora stavano osservando, e fecero tutti un balzo all’indietro quando il martelletto colpì la corda producendo uno strano rumore.
«Serve a... a... a cosa?» domandò Susan confusa.
«A produrre musica.» rispose lui.
«Lo sai suonare?» gli chiese Layla entusiasta.
Cedric scosse la testa: «No. Mia madre lo suonava, questa era la sua stanza. Ricordo di averla ascoltata, ma non siamo venuti qui più di un paio di volte, perciò...» lasciò in sospeso la frase.
«Peccato.» commentò Andrew tristemente «Posso provare?»
In risposta Cedric si fece da parte mettendo lo sgabello in posizione e Andrew si sedette tutto emozionato, Susan tornò a sporgersi per osservare il meccanismo in funzione mentre l’amico premeva i tasti. Non ne uscì una bella melodia, perché Andrew schiacciava tasti a caso, quindi smise presto di suonare.
«Immagino che suonerebbe meglio se fossi capace.» disse Mike.
«Ha davvero un bel suono.» confermò Cedric «Ma ora sarebbe meglio riprendere il lavoro, prima che faccia buio.» disse, così richiuse sia la parte dei tasti che quella del meccanismo, e tornarono a riordinare le stanze.
Negli armadi c’erano ancora numerosi vestiti e lenzuola che evitarono di sciupare, in giro trovarono diversi libri che rimisero in ordine sulle mensole o sui tavoli. Finito di pulire anche il terzo piano e di riordinare tutti i libri nella biblioteca si era già fatta l’ora di cena e si arrangiarono a mangiare ciò che si erano portati da Darvil, piuttosto affamati perché avevano saltato il pranzo. Concordarono sul fatto che dovessero andare al più presto al mercato, ma che certo non potevano farlo a quell’ora.
Discussero a lungo su come dividersi le stanze, soprattutto perché una di esse aveva un solo grande letto, ma alla fine decisero che Cedric e Andrew avrebbero dormito nella vecchia stanza della madre del primo, Susan e Layla in quella col letto matrimoniale, e Jennifer e Mike nell’ultima. Le tre ragazze furono le uniche a poter prendere delle vesti da notte dagli armadi di Laurel, i ragazzi invece si adattarono alle vesti più larghe appartenute al padrone di casa. A Susan la veste da notte stava piuttosto lunga, ma se la fece andare bene e ringraziò Cedric per la disponibilità, rossa in viso e imbarazzata.
Jennifer propose a Cedric di farsi rimettere in sesto anche se dallo scontro con Obira riportava solo dei lividi, ma come l’ultima volta il ragazzo rifiutò la sua offerta e lei non insistette.

Il giorno dopo, finito di fare una colazione fredda e rapida, decisero all’unanimità di andare quindi a visitare la città in cerca dei negozi meno cari, perché l’oro che a Darvil sarebbe bastato loro anche due mesi nella capitale sarebbe bastato per pochi giorni. Non avevano intenzione di costringere Cedric a perdere un altro lungo pomeriggio per ritirare l’oro che gli avevano lasciato i nonni in banca.
Non si fermarono nei negozi che si affacciavano sulle vie principali o sulle vie laterali, invece preferirono visitare le bancarelle all’aria aperta, nelle piazze meno grandi; avevano con loro dei sacchi e delle borse prese da casa, nella speranza di poter comprare ciò che poteva servirgli e bastargli per almeno una settimana senza spendere tutto il poco che avevano. Coi mercanti delle bancarelle era più facile trattare i prezzi, ma nonostante tutto non li ribassarono più di qualche moneta di bronzo o al massimo una d’argento, in qualsiasi distretto.
Tornati a casa giù di morale e con le borse vuote, mentre Cedric Andrew e Jennifer andarono al pozzo più vicino a prendere l’acqua - anche se potevano prenderla in casa, ma i due più giovani avevano insistito per fare un giro - gli altri cominciarono a stipare le loro poche provviste nella grande cantina in ordine sugli scaffali.
Dopo pranzo decisero di uscire e fare un giro non lontano da casa loro per vivere la città ma nello stesso tempo non buttarsi nel caos. Non era una zona frequentata, infatti più che osservare l’abbigliamento stravagante degli abitanti si godettero il silenzio e la rilassante camminata. Non c’era ancora neve a Eunev, sarebbe forse arrivata la fine del mese di Despada.
Tra gli alti tetti delle case ne scorsero alcuni molto più alti: erano le torri della scuola di magia, strette e altissime; ogni torre aveva il suo colore e la luce del sole faceva splendere le pareti.
Tornarono a casa per l’ora di cena e non persero tempo: mangiarono e dopo parlarono della città, di quanto la trovassero strana ma gli piacesse. Cedric era ancora un po’ sovrappensiero e non badò molto alla conversazione, mentre gli altri discutevano animatamente se ne rimase in silenzio sulla poltrona a fissare il grande camino vuoto.

Sebbene i letti fossero comodi ebbero un sonno poco piacevole, perché la casa era fredda; nessun fuoco ardeva da anni all’interno di quelle mura e passarono la mattina seguente a cercare la legna per accendere il camino principale. Alla fine la trovarono stipata in un angolo della cantina dedicato a essa, un piccolo rifugio nascosto da una tenda, pieno di ragni.
Layla alla loro vista diede segni d’insofferenza più degli altri, ma nessuno a parte Cedric se la sentì di biasimarla: il più grande era l’unico non intimorito dai piccoli animali a otto zampe ma si limitò a una debole risata che nessuno notò, per evitare di offenderli e scatenare una lite.
La legna era umida e decisero di portarla fuori dalla cantina e lasciarla all’aria aperta sul davanzale di una finestra sperando che si seccasse abbastanza da prendere fuoco entro sera; ancora una volta avrebbero dovuto accontentarsi di un pasto freddo e le provviste cominciavano a scarseggiare sensibilmente.
Dopo pranzo si sedettero tutti in sala per affidare a ognuno un preciso incarico da svolgere in casa, in modo che non potesse esserci confusione su chi dovesse fare cosa: Layla e Cedric sarebbero stati gli addetti alla preparazione di pranzo e cena una volta che il fuoco sarebbe stato acceso, ma chiunque avrebbe potuto aiutarli; Andrew e Susan sarebbero stati gli addetti al lavaggio delle stoviglie, quindi avrebbero anche apparecchiato e sparecchiato; Mike avrebbe pensato al bucato, e dato che era il compito meno impegnativo avrebbe aiutato Jennifer a mantenere in ordine e pulita ogni stanza della casa.
Andrew, dopo aver quindi sparecchiato e lavato le stoviglie aiutato da Susan, andò in quella che per quei giorni sarebbe stata camera sua e non riuscì a resistere alla tentazione di provare a suonare quell’enorme strumento: ancora schiacciò tasti a caso, ma cercò di beccare gli accordi giusti andando a orecchio. Scoprì che le note si ripetevano ogni sette tasti bianchi e cinque neri, ma il suono era via via più acuto sulla destra e grave sulla sinistra. Trovò che avesse un suono davvero meraviglioso, tuttavia la sua incapacità a produrre una melodia degna di tale nome lo scoraggiò presto, e se ne andò tornando in sala con gli altri.
Jennifer smise di parlare e gli sorrise: «Allora, come vanno gli studi, grande...» guardò Cedric e domandò: «Come hai detto che si chiama? Pianista?» lui annuì, quindi Jennifer tornò a guardare Andrew «Come vanno gli studi, grande pianista?»
«Oh, non prendermi in giro!» sbottò il ragazzino «Non è facile, sai? Perché non provi tu, grande pianista?»
«Dai, non prendertela! Stava scherzando!» disse Mike con un largo sorriso.
Andrew si sedette di getto sul divano accanto a Cedric, facendo rimbalzare sia lui che Susan alla sua destra. La ragazza rise coinvolgendo anche il ragazzino, mentre il più grande diede a malapena segno di averci fatto caso. Così lasciarono perdere il discorso del pianista e cominciarono una nuova conversazione, questa volta sulla scuola di magia della quale avevano intravisto le altissime torri. Immaginavano che si trovasse dentro la seconda cerchia di mura, quindi non sapevano come poterla visitare prima di doversi effettivamente iscrivere, perché quella zona di Eunev era notevolmente più controllata e protetta: non solo c’era la scuola di magia, ma anche altre scuole ordinarie, caserme, la cattedrale più grande e il palazzo dove abitava l’uomo che controllava tutta Dargovas; o almeno la parte umana a ovest del fiume Berst, dal momento che ora la città vicina al deserto, Vonemmen, oltre a star affrontando una guerra civile voleva l’indipendenza ed essere eletta a capitale delle regioni dell’est.
Cedric perse presto l’interesse per la discussione e per un po’ rimase zitto a fissare il vuoto pensando ai fatti suoi, poi se ne andò borbottando una mezza scusa che nessuno sentì, ma non ci fecero caso e ripresero a parlare e ridere. Andò in camera e dopo averci pensato a lungo decise di curiosare tra le cose di sua madre in cerca di qualcosa che potesse dirgli di più su di lei, e trovò diversi fogli che ricordava di aver già visto, ma ci mise del tempo a rammentare cosa fossero: erano fogli speciali su cui si scriveva la musica, ed erano infatti pieni di strani segni allineati su cinque linee sottili e poco distanti tra loro. Non sapeva leggere quel genere di linguaggio, quindi cercò di non disordinarli e li mise da parte.
Rimettendo in ordine tutti quei fogli volanti saltò fuori un piccolo libretto dalla copertina rossa e tenuto chiuso da una sottile fascia di cuoio. Se lo rigirò tra le mani ma non trovò titoli scritti sulla copertina, quindi si decise ad aprirlo e lo richiuse appena capì che si trattava di un diario; non era sicuro di voler violare la sua segretezza, per quello che sapeva nei diari si scriveva ciò che non si riusciva a dire a parole. O ciò che non si voleva dire. Lo rimise a posto e se ne andò, era rimasto su parecchio e non avrebbe voluto insospettire gli altri per non averli attorno, perciò tornò controvoglia seduto sul divano e ascoltò passivamente una storiella che Mike gli aveva già raccontato una volta quando erano bambini, ma funzionava sempre se voleva far ridere qualcuno.

I giorni che seguirono passarono più o meno tutti uguali: non c’era molto da fare in città se non si voleva spendere qualcosa, e loro non avevano denaro da sperperare; in casa nemmeno perché non sapevano leggere, e costringere Cedric a leggere alcune storie per loro non aveva prodotto un buon risultato. Mike cercò di migliorare la sua scarsa capacità di lettura, ma non ebbe successo, conosceva troppe poche parole per essere in grado di leggere un testo complicato quanto la maggior parte di quelli presenti in casa.
Una mattina si svegliò e dal momento che gli altri ancora dormivano decise di raccogliere tutti i loro vestiti nelle stanze di ciascuno - fu così silenzioso da non disturbare nemmeno il sonno leggero di Cedric, muovendosi in punta di piedi - e li mise a lavare lasciandoli immersi nell’acqua e sapone. Per quel giorno costrinse quindi tutti a rimanere in veste da notte e si fece delle grasse risate quando Andrew protestò infervorato, con la veste che quasi toccava terra.
«Che vuoi? È il mio compito!» si difese Mike, ma quell’affermazione fece scattare il più piccolo che cominciò a inseguirlo per tutta casa con le mani alzate a pugno, decisamente poco divertito.
Susan decise invece di provare la strana vasca da bagno del bagno principale, si fece aiutare ad accendere il camino in bagno per riscaldare l’acqua a secchiate che poi sarebbe finita nella vasca, dopodiché si chiuse dentro la stanza e rimase immersa nell’acqua a rilassarsi finché diventò quasi fredda. Allora si costrinse a lavarsi, uscire e rimanere accucciata su un tappeto davanti al camino per asciugarsi.
Cedric invece si era deciso a leggere il diario di sua madre, e all’inizio si divertì anche, erano i pensieri di una giovane donna appena entrata nell’età adulta, il tono era vivace e scherzoso. Ma via via che proseguiva la lettura, e passavano i giorni, gli argomenti si fecero più seri e delicati, tanto da scoraggiarlo a leggere altro temendo ciò che avrebbe potuto scoprire. Più ciò che leggeva si faceva difficile da accettare e più il ragazzo diventava irascibile e taciturno. Non ci mise molto a scoprire che quello che aveva detto Mathan era vero, e si ritrovò a pensare quanto fosse al tempo stesso ironico e sensato il fatto che fosse cresciuto nella violenza così come vi era nato.
Gli altri tentarono di capire cosa gli stesse passando per la testa, ma lui non voleva rispondergli e si arrabbiava se gli facevano domande. Lo capirono solo quando per la prima volta lo videro leggere quello che pensarono essere un normale libro, come tutti quelli che giravano per casa, ma quando gli chiesero cosa diamine ci fosse scritto per renderlo così instabile, Cedric li cacciò via minacciandoli di non dire più una parola.
Jennifer se ne andò con una scrollata di spalle e si trascinò dietro Mike, che la seguì controvoglia, mentre gli altri rimasero lì e Layla insistette con le domande. Al che Cedric se ne andò ringhiando come un Krun arrabbiato, e Andrew ci mise qualche tempo a convincersi di seguirlo fino in camera con la scusa che, dopotutto, anche lui dormiva lì; si mise a suonare il pianoforte e l’altro accettò la sua presenza solo perché se ne stava in silenzio a suonare senza fare domande.

«L’ho sentito piangere stanotte.» sussurrò Andrew agli altri, come al solito riuniti in sala seduti sul tappeto, approfittando del fatto che Cedric in quel momento fosse in bagno «Forse pensava che dormissi.»
«Non gli hai chiesto perché?» gli chiese Susan.
Andrew scattò a sedere ed esclamò: «Per Despada, no!»
«E perché lo dici come se dovesse essere ovvio?» ribatté Jennifer.
Il ragazzino si strinse nelle spalle, come imbarazzato: «Beh... non volevo disturbarlo. Non mi sembrava un bel momento.»
«Naturalmente. Ma qualunque cosa stia leggendo gli sta dando alla testa!»
«Credi davvero sia quello?» intervenne Layla perplessa «Secondo me è l’intera faccenda di trovarsi in questa casa...» s’interruppe appena si accorse che Cedric si stava avvicinando e in tacito accordo scelsero di non parlarne con lui.
Jennifer impedì a Layla di cucinare il pranzo quel giorno prendendola per mano e conducendola fuori casa; fece l’occhiolino a Mike, il quale colse al volo le sue intenzioni e sprofondò nella poltrona allungata diventando più rosso di Rubia.
«Cosa c’è Jen? È successo qualcosa?» fece subito Layla preoccupata, dal momento che voleva chiaramente parlarle in privato.
«No, niente. Volevo solo parlarti, è un po’ che non chiacchieriamo da sole. Volevo dirti una cosa.» disse chiudendo la porta.
Si fece subito seria: «Coraggio, sai che di me ti puoi fidare!» le cinse le spalle e cominciò a camminare lentamente.
Jennifer annuì: «A te è mai capitato d’innamorarti?»
«Beh... no, non credo. Anche mia madre pensava che fossi innamorata di qualcuno, ma a essere sincera non ci ho nemmeno mai pensato. Gli altri? Li vedo solo come compagni di un’avventura a dir poco incredibile.»
«Cosa pensi di Cedric? È quello che critichi di più, non è che lo fai per un motivo in particolare?» la guardò e sorrise maliziosamente.
Layla andò nel panico: «Ma no! Io Cedric non...» sospirò «Jen, non c’è nessun motivo. Semplicemente lo critico perché va criticato. Non so se hai notato che non è esattamente normale.»
E Jennifer rise: «Non ti piace proprio, eh?»
«È mezzo matto, e so bene di cosa è capace appena perde un attimo le staffe... anche se per il momento non mi ha dato grandi motivi per averne paura. O meno dei motivi per volerlo accanto, almeno.»
«Però ha poco senso dell’umorismo, proprio come te.»
La ragazza si congelò sul posto e la guardò con la bocca aperta, in procinto di dire qualcosa, poi si ricompose e socchiuse gli occhi portandosi lentamente le mani sui fianchi con una finta aria maliziosa riprendendo: «Tu dici?»
«No, hai ragione. Lui capisce l’umorismo ancora meno di te, il che è tutto dire...» la prese in giro di nuovo, e prima che Layla potesse ribattere domandò: «E di Mike cosa pensi?» arrivò al punto, aveva appositamente parlato prima di Cedric e aveva scherzato per far sì che non capisse le sue vere intenzioni.
«Mike? È un ragazzo molto simpatico, davvero! Però anche lui non scherza in quanto a stranezza...»
«È la psicologia maschile, che ci vuoi fare?»
«Temo di non poter fare niente... sai...» abbassò la voce e si avvicinò al suo orecchio «Nonostante tutto comunque sono entrambi carini...» arrossì e sorrise.
«Già...» sperava che dicesse di più «Ma chi ti piace di più tra i due?»
Layla sussultò: «Beh, io... non saprei, non ci ho mai fatto caso.»
«Provaci ora!»
«Oh Jen ti prego! Vuoi saperlo per dirmi di non pensarci nemmeno perché l’hai già puntato tu?» la rimbeccò per mascherare l’improvviso imbarazzo.
«Ma no, cosa c’entra? Vorrei il parere di un’altra ragazza, ecco!»
«Così su due piedi?» si portò una mano sotto il mento e rifletté a lungo prima di dire: «Il fisico di Mike e i lineamenti di Cedric!» e dopo una breve pausa scoppiò a ridere «Comunque credo che Cedric sia già occupato... insomma hai visto Susan?»
Jennifer l’assecondò ridendo per mascherare la delusione, poi riprese: «Eccome! Ma capiscila, ha vissuto con lui quando credeva di non avere speranze. Se uno dei due, o entrambi, dovessero confessarti di essersi innamorati di te, come reagiresti?»
Layla smise di ridere e la guardò pensierosa, cominciando a sospettare che l’amica stesse in realtà nascondendo qualcosa, ma le rispose: «Per come stanno ora le cose rifiuterei. Come ho già detto, al momento non è tra le mie priorità.»
«E se ti dicessi che... secondo me uno dei tre è interessato a te?» le domandò maliziosamente.
«Cosa?!» era incredula, urlò talmente forte che anche i ragazzi in casa la sentirono, e Jennifer scoppiò di nuovo a ridere «Come posso sapere chi dei tre... e... e se becco quello sbagliato? Ti prego Jennifer non farmi questo! Dimmi chi è!»
«No. È solo una mia sensazione dopotutto. Ed è giusto che sia tu a scoprire se è vero o no.» sorrise vittoriosa; l’aveva fatto, le aveva messo la pulce nell’orecchio e aveva al contempo ottenuto le informazioni che le servivano da riferire a Mike.
«Ti prego almeno dimmi che non è Cedric! Potrei morire in tal caso! Con gli altri almeno ci si potrà lavorare in futuro, ma certo non adesso! E non lui!» esclamò disperata, portandosi sempre più vicina a Jennifer, la quale invece a ogni suo passo si ritraeva.
Sentendosi richiamare per tornare in casa la discussione morì lì, e Jennifer pensò a come avrebbe potuto riportare la notizia a Mike senza distruggerlo. Ma nello stesso tempo era felice di aver insinuato quel dubbio nella ragazza, così forse studiando i tre maschi con più attenzione si sarebbe accorta di Mike.
Il pomeriggio uscirono di casa per fare un breve giro e sgranchirsi le gambe, giusto per cambiare un po’, ma il freddo gli fece presto cambiare idea e quando tornarono verso casa notarono una vecchietta fuori dalla porta di casa propria che li guardava. A suo tempo doveva essere stata una bella donna, ora tarchiata e con le spalle curve sul bastone, i lunghi capelli grigi raccolti in una coda incorniciavano un viso rugoso dal piccolo naso aquilino e un paio di bellissimi occhi color del ghiaccio. Era la più vicina tra i vicini di casa, e dopo averli osservati per un po’ li salutò con la mano e un largo sorriso.
Susan rispose energicamente, gli altri furono più timidi e composti e Cedric rimase confuso e non salutò affatto, sapendo di averla già vista da qualche parte e sperando vivamente che non si trattasse proprio di Iven.

La mattina seguente Cedric non fece nemmeno colazione, rimase seduto con loro ma si limitò a tamburellare sul tavolo con le dita, come se fosse nervoso o impaziente, gli altri fecero finta di nulla e Susan, appena ebbe finito di mangiare, gli si avvicinò con aria allegra.
Lui la guardò dal basso senza abbandonare il suo sguardo torvo, ma la ragazza capì di averlo incuriosito e domandò con voce squillante: «Mi insegni a leggere?»
Cedric rimase interdetto per un attimo, poi scoppiò a ridere e la ragazza si sentì presa in giro. Se ne andò prima che lui potesse risponderle e fu tentato di seguirla per spiegarle che non dubitava nelle sue capacità di imparare, ma piuttosto nelle proprie capacità d’insegnare. Invece rimase seduto al tavolo a guardarla allontanarsi fino a che fu sparita.
Layla subito assunse un’aria accusatoria ed esclamò: «Sei proprio un idiota.»
Con sua sorpresa invece di ribattere Cedric sussurrò: «Lo so. Ma ha frainteso, davvero. Non ridevo di lei.»
«Certo.» ribatté la ragazza contrariata, poi se ne andò lasciando ad Andrew il compito di sparecchiare.
Per farsi perdonare, Cedric propose a Susan di prendere in mano un libro, ma la ragazza non ne volle sapere. Lui provò a spiegarle per cosa stesse ridendo in realtà, ma lei non gli credette e lo cacciò via, ancora offesa. Così il ragazzo se ne andò in camera propria e per una volta decise di non leggere quel diario, almeno per un giorno, invece si sedette al pianoforte e cercò di ricordare come si suonava. Non lo sapeva fare, ma dopo i primi fallimenti si lasciò guidare dai ricordi e si mise d’impegno, superando in un pomeriggio l’abilità di Andrew - che aveva suonato tutti i giorni da quando erano arrivati.
All’inizio i ragazzi in sala pensarono che fosse proprio Andrew a suonare ed espressero apprezzamento, ma poi il ragazzino fece capolino dalla cucina e capirono immediatamente che a suonare era Cedric; lo guardarono con occhi sgranati e imbarazzati, perché dalla cucina aveva sentito tutto quello che avevano detto.
Andrew fece spallucce e disse: «Vi ringrazio per aver creduto che fossi io. Almeno so che credete che un giorno possa farcela.»
«Ma certo che puoi!» esclamò Jennifer con un sorriso.
«Meno male che aveva detto di non saperlo suonare.» commentò Susan asciutta.
«Forse siamo noi che non abbiamo idea di come vada suonato e ci sembra che lui ne sia capace.» disse Layla cercando di rallegrare sia lei che Andrew, il quale era davvero abbattuto.
La più grande fu tentata di andare di sopra e dire a Cedric di smettere di suonare perché stava demoralizzando Andrew, che si era messo d’impegno tutti quei giorni eppure ancora suonava peggio di lui, che invece si era seduto a suonare per la prima volta quel pomeriggio. Ma poi si costrinse a ripensarci, forse era meglio avere in giro per casa Andrew giù di morale piuttosto che Cedric così fastidiosamente irascibile.
«Perché non vai a vedere come suona? Magari impari qualche trucco!» disse Jennifer ad Andrew sperando di rallegrarlo un po’.
Lui fece una smorfia e rispose: «Non oggi, magari domani. Se suonerà ancora.»
«Ha un suono così triste ma anche potente... che bello.» sussurrò Mike, poi chiuse gli occhi e si lasciò coccolare dalla musica mentre si rilassava sulla poltrona.

Ma Cedric non suonò di nuovo, per la felicità di Andrew e il dispiacere degli altri; non perché non volessero che il più giovane si esercitasse, piuttosto perché a parer loro suonava davvero bene. Anche se rispetto ad Andrew prediligeva melodie decisamente più malinconiche.
Layla decise che per distrarsi dal pensiero fisso che le aveva messo in testa Jennifer avrebbe fatto un piccolo regalo alla vecchietta dell’altro giorno, la loro vicina che abitava a poche braccia dalla loro casa, e insieme a Susan andò a comprare per pochi spiccioli gli ingredienti per preparare alcuni dolcetti - anche in previsione della festa della nascita di Mike, volevano allenarsi a sfornare dolci - che poi misero ordinatamente in un cesto di rametti intrecciati. Andarono insieme a bussare alla porta dell’anziana signora, che aprì dopo qualche tempo perché faticava a camminare, e le salutò con un largo sorriso.
Layla le porse il cesto sorridendo a sua volta e disse: «Siamo Layla e Susan, abitiamo lì, ci hai visti l’altro giorno. Volevamo salutarti in quanto... più vicina tra i vicini.»
«Ciao!» esclamò Susan allegramente salutandola con un rapido movimento della mano.
«Ma come siete gentili! Piacere di conoscervi.» disse stringendo la mano a entrambe «Io sono Iven. Prego, entrate pure!»
«Grazie.» disse Layla entrando in casa seguita dall’altra; era molto simile a casa loro per quel che potevano vedere, l’arredamento era più curato e l’ambiente più luminoso e caldo, ma le stanze erano disposte in modo analogo.
Iven le invitò a sedersi al tavolo, dove Layla posò il cesto, e la padrona di casa scaldò l’acqua per il tè, poi si sedette insieme a loro e appoggiò il bastone allo schienale della sedia.
«Dunque belle signorine, avete qualcosa da raccontare a una povera vecchia?»
«Spero che i dolci siano buoni.» buttò giù Susan imbarazzata, non sapendo che dire «Mio padre è fornaio. Ho imparato da lui, ma... in realtà non ho imparato molto.»
«Sono sicura che saranno deliziosi.» le rispose Iven con un sorriso, poi guardò Layla: «E tu?»
«Mio padre è macellaio, niente a che vedere coi dolci. Ma mi piace cucinare e sperimentare.»
«Ottimo! Si deve sempre osare un po’ in cucina.» disse strizzando un occhio con aria complice «Da dove venite?»
«Oh, Darvil.» rispose subito Susan «Siamo qui per studiare... magia.»
La donna rimase sorpresa: «Meraviglioso. Sapete già fare qualcosa?»
«No, ecco... non potremmo.» tentennò Layla «Sappiamo che è rischioso, ci siamo informate.»
«Peccato. Sono stata a Darvil una volta, tanti anni fa. Un posto davvero tranquillo, dev’essere stato bello crescere lì.»
«Oh sì!» esclamò Susan animata «Qui è completamente diverso, non riesco a sentirmi libera. Lì invece potevo fare quello che volevo, a patto che non mi allontanassi e che tornassi a casa prima di cena.»
Layla sbuffò: «Per me invece è cambiato solo il fatto di dovermi prendere cura di persone più giovani invece che stare accanto a mia madre.»
«Capisco. Vi siete trovate bene comunque, a Eunev?» domandò Iven.
«Un po’ troppo cara.» ammise Layla «Per il resto sì, sembra davvero una bella città.»
«Non vorrei sembrare indiscreta, ma... Come avete avuto il permesso di abitare lì? Era tanto tempo che non sentivo suonare quel bel pianoforte.»
Le due ragazze si guardarono negli occhi sentendosi a disagio, immaginando che quella donna avesse conosciuto la famiglia di Cedric, ma alla fine decisero di dire la verità, e come immaginavano Iven non si mostrò molto sorpresa.
Invece sorrise e disse: «Ah, meno male, temevo che l’avessero affidata comunque a qualcuno perché è rimasta disabitata troppo tempo, invece pare che Cedric sia riuscito a provare di essere imparentato coi vecchi proprietari. Vorrei riuscire a salutarlo un giorno, chissà se si ricorda di me!»
«Io credo proprio di sì.» disse Susan in un sussurro ripensando a come il ragazzo non l’aveva salutata la prima volta che l’avevano vista «Conoscevi i suoi parenti?»
«Se li conoscevo?» rise Iven «Erano tra le poche persone qui intorno di cui una signora si potesse davvero fidare! Brave persone, sì. Mi mancano molto, è un peccato che se ne siano andati così presto.» concluse in un sospiro triste.
Si alzò per togliere la teiera dal fuoco e versò l’acqua in tre tazze, poi vi lasciò cadere delle bustine di tela contenenti le foglie essiccate per l’infuso e attesero pazientemente che fu pronto.
«Zucchero?» domandò la vecchia porgendo alle ragazze un’ampolla munita di beccuccio.
«Volentieri!» disse Susan prendendole l’oggetto dalle mani; adorava le cose dolci.
L’avevano appena conosciuta, quindi nessuna delle due ragazze se la sentì di chiederle cosa fosse realmente successo a Laurel - o così avevano capito si chiamasse la madre di Cedric. Perciò bevvero il tè parlando della città e delle attrazioni che offriva di tanto in tanto ai cittadini, tra cui una celebrazione che avveniva ogni quindicesimo giorno di tutti i mesi e consisteva in una sorta di festa dedicata alla divinità del mese corrente.
Iven fece in modo che capissero di trovarsi in una città pericolosa; loro erano ragazzine abituate alla serenità di un villaggio praticamente abbandonato a se stesso, non sapevano nulla di città, grandi eventi e folle numerose.
«Ma se voi o i vostri amici aveste mai bisogno di qualcosa, non dovrete fare altro che chiedere! Io abito a pochi passi da voi.» concluse l’anziana signora con un sorriso.
«Lo terremo presente.» disse Layla, le piaceva davvero quella donna, ed era sicura che avesse tante storie da raccontare «Se le pesti con cui vivo me lo permetteranno, verrò spesso a parlare con te.»
Susan a quelle parole la guardò offesa e Iven rise, poi disse loro che sarebbe stato meglio se fossero tornate a casa presto, ripetendo che anche per quei pochi passi quando l’ora si faceva tarda due ragazzine come loro rischiavano molto a girare da sole.

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Capitolo 37
*** Not only paranoia ***


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Il colore del titolo del capitolo corrisponde al colore della regione in cui la storia al momento si svolge, tenete d'occhio la mappa per sapere dove ci troviamo!

NOT ONLY PARANOIA

Le provviste portate da Darvil bastarono per poco, dal momento che facevano tre pasti al giorno. Dovettero andare a fare la spesa entro la fine della loro prima settimana a Eunev, ma i ragazzi non avevano molta voglia di uscire. Layla li rimproverò con le mani sui fianchi cercando di convincerli ad accompagnarla, quando d’un tratto Cedric scese le scale e con la solita aria torva degli ultimi giorni le fece cenno di uscire, portandosi dietro anche la giacca. La ragazza strinse le labbra ma non ribatté, capendo che l’avrebbe accompagnata lui; prese un paio di borse, si mise giacca e mantello e se ne andò lanciando un ultimo rimprovero agli altri prima di richiudersi la porta alle spalle.
«Chissà quanto peseranno queste borse quando torneremo!» esclamò furibonda «Dobbiamo collaborare tutti, maledizione!»
«Rilassati, ti aiuterò io.» le disse lui con fare quasi annoiato.
Layla salutò la vicina che li guardava dalla finestra sorridendo per un solo attimo, ma appena la vecchia fu sparita lo guardò accigliata e gli chiese: «Vuoi dirmi per una buona volta che diamine ti è preso? Non sei mai stato così insopportabile. Stai facendo di tutto per farti odiare. Da tutti, credimi.»
«Grazie.» ribatté semplicemente, senza rispondere ciò che lei avrebbe voluto.
Furono costretti a passare dalla banca nella seconda cinta di mura, distretto del Falco, perché le poche monete che avevano non sarebbero bastate per ciò che avevano in mente di acquistare per i giorni seguenti, e Layla decise di seguire Cedric anche dentro l’edificio nonostante fuori fosse pieno di guardie rimembrando le parole di Iven.
Impiegarono meno del previsto, poi tornarono indietro verso casa seguendo la via Maestra, sicuri che in quel distretto sebbene i negozi fossero tanti i prezzi sarebbero stati alti e non trattabili: c’era una piazza nel distretto di Lya dove avrebbero potuto acquistare viveri a un prezzo ragionevole, o così aveva detto Iven. Ci misero quasi un’ora solo per tornare nel distretto del Corvo seguendo le vie principali e proseguirono verso quello della Dama.
Non si accorsero che un gruppo di uomini li stava seguendo da un po’; Layla si stava lamentando di quanto poco lui dimostrasse fiducia nei loro confronti standosene zitto senza parlargli dei propri problemi, e in effetti lui continuava a non ribattere, anzi quasi faceva finta che la ragazza al suo fianco non esistesse.
«Lo vedi? È proprio questo di cui parlo!» esclamò spingendolo con forza appena ebbero passato il cancello che introduceva al distretto viola.
«Finiscila. Ci stanno guardando tutti.» sussurrò lui guardandola irritato e tornando a camminarle accanto.
«Ah è questo che t’importa!»
Mentre lei continuava a parlare ad alta voce, Cedric si guardò intorno come per accertarsi che nessuno badasse realmente a loro e fu allora che si accorse degli strani individui che li seguivano; al contrario del resto delle persone che non li degnava di una seconda occhiata, quelli continuavano a fissare o lui o la ragazza al suo fianco. Li osservò continuando a girarsi per qualche minuto e non gli piacque affatto il modo in cui li guardavano e poi parlottavano tra loro ridacchiando.
Strinse forte il gomito a Layla e chinò il capo per sussurrarle all’orecchio: «Temo sia tardi, abbiamo dato nell’occhio.»
«E quindi?» domandò lei ora a bassa voce.
«Quei tizi lì dietro, non li ho osservati a lungo ma pareva ci guardassero in modo strano.»
«Continuo a non capire cosa ti preoccupi...»
«No, non guardarli.» la interruppe proprio mentre lei stava per voltare la testa e la costrinse a velocizzare un po’ il passo.
«Mi stai mettendo paura, smetti di comportarti così!»
Appena passarono dietro a un carro Cedric corse in uno stretto vicolo alla loro destra allontanandosi dalla via del Lord e sparendo così alla vista del gruppo di uomini, trascinandosi dietro Layla. Quando l’ebbero attraversato tutto e furono sbucati nell’altra via - meno trafficata della precedente - il ragazzo si guardò alle spalle per essere sicuro che non l’avessero seguito e Layla lo imitò; vedendo il vicolo vuoto si tranquillizzarono.
«Secondo me ti sei spaventato per nulla.» disse lei, poi si lasciò andare a una debole risata per scacciare lo stress.
«Forse. Ma è meglio tenere gli occhi aperti e non abbassare la guardia.» le sorrise solo per un attimo, poi riprese la sua aria torva e cercò di ritrovare la strada anche se avevano dovuto deviare improvvisamente.
Proseguirono tranquillamente per qualche centinaio di passi nel distretto tranquillo, lontani dalla via principale non c’era molta gente, dopodiché videro due di quegli uomini a poca distanza davanti a loro, che si guardavano intorno, chiaramente cercando qualcosa o qualcuno. A un certo punto uno dei due li vide e diede un colpetto sulla spalla all’altro, quindi cominciarono a camminare verso loro.
Layla strinse il braccio di Cedric, anche lui li aveva notati e si affrettò a spingere la ragazza nel primo vicolo che incontrarono alla loro destra, lo percorsero in fretta guardandosi spesso indietro e videro che i due li stavano seguendo di corsa, quindi si lanciarono in un altro vicolo e sentirono gli uomini gridare qualcosa.
Cambiarono altre due vie senza incontrare nessuno, ma prima di fare capolino nella via seguente trovarono la strada sbarrata da un altro uomo dalla corporatura massiccia, faceva parte anche lui del gruppo che li aveva presi di mira. Furono costretti a tornare indietro seguiti anche da lui e fecero appena in tempo a uscire dal vicolo, ora trovandoseli tutti dietro.
Svoltarono in un’altra via quasi inciampando in alcune casse di legno e solo quando giunsero a metà si accorsero che era cieca. Si fermarono cominciando ad avere davvero paura, quando Cedric notò che in realtà svoltava a destra alla fine. Trascinò Layla con la forza mentre lei guardava l’inizio del vicolo sperando che gli uomini non li avessero visti entrare lì, ma quando raggiunsero la svolta si trovarono davanti un cancelletto di metallo alto più di otto piedi.
«D’accordo, forse non stavi esagerando.» ansimò Layla nel panico «Che facciamo?»
I quattro uomini, ora tutti riuniti, si fermarono all’inizio del vicolo e dopo aver parlato tra loro e ghignato divertiti cominciarono ad avvicinarsi a passo lento.
«Dobbiamo cercare di raggiungere il distretto di Voldar, è pieno di guardie e caserme.» disse Cedric, poi la spinse verso il cancello e le fece cenno di salire.
«Come?!» gridò lei spaventata prendendogli entrambi i gomiti.
Il ragazzo la prese in braccio e la sollevò fin sopra la propria spalla, così lei fu in grado di aggrapparsi alle punte in cima al cancello e, con una piccola spinta, riuscì a scavalcarlo per poi lasciarsi cadere dall’altra parte con un balzo, lamentandosi del forte contraccolpo che le sue gambe assorbirono. Si guardò indietro e si appoggiò al cancello guardando l’amico con ansia, mentre Cedric guardò gli uomini e notò che uno di quelli stava indicando la loro destra tendendo il braccio; in tre corsero in quella direzione, lasciando il più grosso da solo che poi cominciò a percorrere la via cieca avvicinandosi con dei ghigni malevoli.
«Corri! Quegli altri stanno facendo il giro apposta per intercettarti!» le gridò lui.
«E tu?» domandò lei.
«È te che vogliono, non me. Vai!»
«Come lo sai?»
«Lo so e basta. Corri!» le disse impaziente.
La ragazza non se lo fece ripetere un’altra volta, con riluttanza gli volse le spalle e corse via sperando di trovare presto una strada affollata, o che almeno ci fosse qualcuno a cui poter chiedere aiuto. Un negozio, una casa di cura: quel distretto era dedicato alle persone in difficoltà, e loro decisamente lo erano; ma essendo un distretto tranquillo e adiacente a quello di Voldar c’erano meno guardie in circolazione.
Lo lasciò a fronteggiare quell’uomo che era un armadio a due ante sperando che ne sarebbe venuto fuori ancora tutto intero, era impossibile sperare che ne uscisse illeso. Intravide della gente passare nella via successiva e corse in quella direzione più rapida che poté, ma si trovò la strada sbarrata dagli altri tre che finalmente avevano trovato il modo di raggiungerla. Si sentì in trappola e cominciò a tremare, aveva in mano solo due borse di tela vuote che non le sarebbero servite a nulla e un sacchetto di monete legato alla cintura. Indietreggiò istintivamente e si chiese se fosse meglio riunirsi a Cedric scavalcando il cancello o tentare la fortuna e correre verso la strada affollata sperando che quegli uomini non sarebbero riusciti ad afferrarla.
Dall’altra parte del cancello Cedric era piuttosto in difficoltà, l’unica ragione per cui non era ancora a terra svenuto era che quell’uomo per quanto grosso non era alla pari di Jorel, e lui e Jorel si erano scontrati spesso; negli ultimi due anni aveva imparato a reagire e a capire come riuscire a minimizzare i danni. Quindi sebbene i colpi dell’uomo furono forti il ragazzo riuscì alla fine a sfuggirgli e correre fuori da quel vicolo, in cerca della strada che gli avrebbe permesso di raggiungere Layla.
Lei, vedendolo correre via - e l’uomo imprecare e seguirlo - si lasciò prendere dal panico, rimasta ora sola a fronteggiare tre uomini che si avvicinavano ridendo. Sapeva di non poter usare la magia e resistette alla tentazione, ormai fortissima, di chiederle di spazzarli via come aveva fatto coi soldati.
L’ultima cosa che mi serve ora è svenire si disse con decisione, e indietreggiò fino a toccare il cancelletto con la schiena Piccola Ametyst dove sei? Ora sì che avrei bisogno del tuo aiuto...
«Guarda un po’ cos’abbiamo qui!» disse quello biondo con voce roca «Una bella ragazzina tutta sola.»
«Sì, sei davvero carina.» sussurrò un altro, quello più basso, si portò così vicino a lei da poterle afferrare il viso e la ragazza non reagì, paralizzata dalla paura; se fosse stato un uomo da solo di sicuro non gli avrebbe risparmiato un bel calcio, una ginocchiata o due dita in un occhio, ma tre erano troppi, voleva uscirne riportando meno danni possibile.
«Come ti chiami? Sanguini già?» le chiese l’ultimo uomo, che Layla identificò come quello alto.
Non rispose e temette di aver capito il perché di quella domanda specifica: se sanguinava poteva rimanere incinta. La risposta era no, ma quello avrebbe potuto spingerli a fare ciò che volevano senza dover pensare alle conseguenze, quindi rimase zitta e cominciò a tremare temendo il peggio: non era pronta ad affrontare una situazione come quella e le parole di Iven che l’ammonivano su quanto la città potesse essere pericolosa le rimbombarono nella mente, quasi stordendola e distraendola per alcuni pericolosi attimi.
Quello basso, che era il più vicino a lei, le tirò uno schiaffo dritto in faccia e grugnì arrabbiato ma al contempo divertito: «Ti ha fatto una domanda, rispondi!»
Invece lei si schiacciò contro il cancello alle sue spalle e lo guardò terrorizzata. Si sentiva bruciare dove l’aveva colpita, ma ancora non reagì e puntò lo sguardo da un’altra parte.
«Sai che c’è? Non avrebbe alcuna importanza comunque. Era solo per sapere.» disse il biondo con una scrollata di spalle, e si avvicinò anche lui. Cominciò semplicemente toccandola ed esprimendo commenti ad alta voce, poi quando lei cominciò a dare segni d’irrequietezza e non volle collaborare la picchiò e la insultò, aiutato dal compagno lì accanto mentre il terzo uomo, quello alto, per il momento rimaneva in disparte e la scherniva ridendo.
Cedric riuscì a seminare l’uomo che lo seguiva facendogli credere che non avesse intenzione di soccorrere la ragazza ma piuttosto di fuggire verso il distretto rosso. Tornò indietro chiedendo aiuto alla gente che incontrava nel frattempo, ma nessuno sembrava avere voglia di perdere il proprio tempo a rischiare la pelle per aiutare una ragazzina. Non si fermò a convincere nemmeno una persona, deciso soltanto a tornare da Layla il più velocemente possibile perché non aveva tempo di raggiungere una caserma, dare la notizia alle guardie, attendere che si mobilitassero e tornare indietro con loro; Layla era in grossi guai e doveva aiutarla a venirne fuori.
Seguendo le risate degli uomini e le grida di lei riuscì a ritrovarli e vide che avevano cominciato ad aggredirla; non ci sarebbe voluto molto prima che le avrebbero tolto i vestiti. Si avvicinò senza gridare per non allarmarli, e prese di mira l’uomo più alto che al momento era il più lontano da Layla e attendeva il suo turno per aggredirla: avvalendosi dell’effetto sorpresa riuscì a prenderlo per le spalle e spingerlo violentemente addosso a una parete dove picchiò la testa, ma non lo uccise sul colpo e invece il rumore sordo annunciò agli altri due la sua presenza.
Il biondo, che era piuttosto robusto, lasciò perdere la ragazza per pensare invece a lui. Gli corse incontro con un grido e Cedric non riuscì a rimanere in piedi quando si scontrarono, lo picchiò più forte che poté ma trovandosi sotto di lui era in svantaggio; era già malridotto dallo scontro di prima e tutti i calci e i pugni che prese non lo aiutarono ad avere la meglio.
Layla risollevata dall’arrivo dell’amico cercò di reagire, trovandosi ora da sola con un uomo, la posizione che aveva non la avvantaggiava, ma lo colpì a un occhio e in seguito gli sferrò il pugno più forte che le riuscì dritto sul naso. Si fece male lei stessa, ma l’uomo davanti a lei gridò e ciò le diede un’immensa soddisfazione. Lui si allontanò quel poco che le servì per decidersi ad allungare una gamba e colpirlo col tacco dello stivale dritto al ginocchio facendogli perdere l’equilibrio.
L’uomo non fece in tempo a reagire perché Cedric si liberò del biondo solo per portarsi davanti a Layla, frapponendosi tra lei e tutti gli altri. Appena l’uomo basso si rialzò da terra il ragazzo lo colpì di nuovo al viso; l’uomo alto si riebbe e con un ringhio furioso si lanciò addosso a Cedric spingendolo contro il cancello e immobilizzandolo con la forza.
Layla ebbe un attimo di lucidità, raccolse la propria cintura da terra e frustò l’uomo nel tentativo di liberare Cedric, quando il biondo intervenne e immobilizzò anche lei spingendola all’angolo. Fecero male a entrambi gridando nel mentre numerosi insulti, sia colpendoli sia spingendoli violentemente contro il cancello di metallo che emetteva rumori sinistri ogni volta che veniva scosso.
Qualcuno da qualche parte gridò di fare silenzio, probabilmente un anziano chiuso in casa che non si disturbò di guardare fuori dalle finestre, e Layla gridò in cerca di aiuto più forte che poté, ma a nulla servì.
Il biondo spogliò la ragazza quasi completamente e Cedric alla fine decise di rischiare, sfilarsi i guanti e fare uso volontario della magia: l’uomo davanti a lui venne sbalzato a diverse braccia di distanza da un muro d’aria che gli corse incontro tingendosi di bianco e verde, e sbattendo contro una parete si ruppe il collo e cadde riverso a terra, inerte. Solo l’uomo alto se ne accorse, il biondo era troppo occupato a cercare di violare Layla fino all’ultimo; rideva soddisfatto perché lei ormai opponeva poca resistenza e senza nemmeno guardarlo più.
Cedric si rialzò sulle ginocchia nonostante l’uomo alto fosse furioso e cercasse d’impedirglielo, ma lui lo ignorò essendo determinato soltanto ad allontanare il biondo dalla ragazza. Gli mise il braccio sinistro intorno al collo e lo tirò indietro con tutta la forza che aveva cercando d’ignorare per quanto possibile i colpi dell’altro. E poi li ebbe entrambi addosso, ma non per molto: quelle terribili sensazioni di poco prima tornarono e in qualche modo la magia agì di nuovo facendo volare entrambi gli uomini con un boato. Non ottenne l’effetto desiderato perché ormai era stremato, ma ambedue si allontanarono ugualmente, uno tenendosi la gola e boccheggiando perché respirava ma con fatica, e l’altro per la prima volta spaventato. Incerti su cosa fare decisero di andare a cercare il quarto uomo, quello grosso e apparentemente non molto sveglio, quindi il biondo corse via e l’altro barcollò senza scostare la mano dalla gola, lasciando il loro ultimo elemento nel freddo vicolo, morto.
A quel punto il ragazzo seppe di non avere molto tempo per andarsene, ma non sapeva come convincere Layla a muoversi senza che lo menasse pensando che si trattasse ancora di quegli uomini. Si rialzò con una smorfia e tremando, cercò di parlarle per riportarla alla realtà, ma lei rimase accucciata con la testa tra le mani senza rispondergli. Allora prese in mano i propri guanti e le sue cose e la sollevò di peso sforzandosi di non cedere, con sua sorpresa lei non reagì e si lasciò condurre rimanendo aggrappata con forza alle sue spalle.
Si costrinse a non fermarsi a riposare per allontanarsi il più possibile dai tre uomini rimasti, e solo quando giunsero in un altro vicolo deserto ma con più di un’uscita, in modo che non potessero più rimanere in trappola, cedette al dolore e alla stanchezza e cadde a terra insieme alla ragazza che si lasciò sfuggire un acuto grido di sorpresa e paura.
Lei si rannicchiò in posizione fetale stringendosi le braccia intorno alla vita e ricominciò a piangere e tremare, mentre il ragazzo non ebbe la forza di rialzarsi per accertarsi che nessuno li avesse seguiti. Sentì gli uomini, ora di nuovo riuniti in gruppo, gridare e correre, ma le voci si affievolivano. Si lasciò sfuggire un sospiro di sollievo, lasciò passare qualche minuto e poi finalmente cercò di mettersi seduto. Anche lui tremava, si sentiva debole e come se gli avessero rotto tutte le ossa, aveva la nausea e la testa gli girava, ma almeno non aveva avuto l’aggravante di un trauma psicologico, al contrario di lei.
La guardò e la chiamò ma Layla ancora non rispondeva, e solo allora notò quanto quegli uomini fossero stati vicini a farle ciò che volevano: il suo mantello, la sua maglietta e la sua cintura li aveva raccolti lui stesso da terra, senza nemmeno badarci, mentre lei si era tenuta i pantaloni in vita tutto il tempo; era anche piena di lividi e graffi soprattutto sulla schiena, causati dal cancello, dai quali sanguinava un poco. In attesa che si riprendesse dal trauma prese il mantello e glielo mise sulle spalle perché potesse coprirsi.
La ragazza tornò alla realtà, si alzò e si volse di scatto, lo guardò per un attimo, poi vi si avvolse stringendo la stoffa con forza, ancora tremando.
«Stai bene?» le chiese debolmente.
«Tu?» ribatté lei invece di rispondere, rannicchiandosi a terra con le ginocchia sotto il mento.
Lui scosse le spalle ma se ne pentì subito, ora che la tensione era passata sentiva veramente il dolore. Fece una smorfia e rispose: «Sono stato peggio.»
«Ottimo.» sussurrò lei, poi si abbracciò le gambe e nascose il viso tra le braccia.
Entrambi avrebbero fatto fatica a camminare fino a casa, quindi decisero senza nemmeno parlarne di aspettare un po’ prima di provare a rialzarsi. E non servì nemmeno dire che non volevano andare al mercato in quelle condizioni, perché anche su quell’argomento si trovavano implicitamente d’accordo.
«Come facevi a saperlo?» domandò lei dopo un po’, con voce flebile «Di quegli uomini. Tu lo sapevi, hai cercato di seminarli.»
«Non lo sapevo. Ma ci guardavano in modo strano.»
Layla sollevò il viso solo per mostrargli un debole sorriso: «Allora essere paranoici a volte serve.»
Cedric fece una smorfia e ribatté: «Ho solo peggiorato la situazione.»
«Non è stata colpa tua, loro conoscono la città, noi no e ci siamo persi.» lo interruppe con decisione sperando che ciò bastasse a non farlo sentire in colpa, poi riprese con voce flebile: «Hai usato la magia...»
Lui la guardò sorpreso, non aveva pensato che fosse abbastanza lucida da capire cosa stesse accadendo, invece lo ricordava perfettamente. Rimase in silenzio pensando a come rispondere a quel rimprovero, ma non gli venne in mente nulla.
Lei però scosse piano le spalle e continuò sussurrando: «Se non l’avessi fatto probabilmente non se ne sarebbero mai andati. Ti ringrazio.»
Non trovò niente di meglio da dire di: «Figurati.» e si girò dall’altra parte, ora con la sua solita aria torva.
Layla guardò Cedric che fisicamente stava peggio di lei a causa delle perdite di energia improvvise, e sebbene si sentisse già pronta a rialzarsi per tornare a casa al sicuro decise che avrebbe aspettato in silenzio che anche lui fosse in grado. Per qualche ragione sentiva di avere paura di lui anche se non aveva fatto altro che difenderla da quegli uomini. Lasciandosi guidare da quei pensieri si allontanò lentamente fino ad appoggiare la schiena alle mura della casa alle sue spalle e continuò a fissarlo con un misto di ansia e paura. Forse perché, ora che aveva di nuovo uno sguardo tetro com’era sempre stato negli ultimi giorni, temeva che avrebbe potuto perdere la testa e prendersela con lei per qualsiasi ragione si sentisse così irascibile.
Il ragazzo ad un certo punto si accorse di come lo stava guardando, riprese un’aria più preoccupata e le chiese: «Qualcosa non va?»
Lei scosse piano la testa senza parlare e senza cambiare atteggiamento; dopotutto Cedric aveva ucciso un uomo davanti ai suoi occhi e aveva tentato di ucciderne altri allo stesso modo. Poco importava che quegli uomini fossero malvagi, lui ne era stato in grado e non sembrava provare rimorso.
Il ragazzo mise da parte la rabbia: la ragazza aveva rischiato di subire ciò che sua madre aveva sopportato per anni, e non riusciva ad accettare entrambe le cose, ma si disse che ora Layla aveva bisogno di qualcuno di cui sapeva di potersi fidare, non di qualcun altro da temere. Cambiò completamente atteggiamento capendo di averla in qualche modo spaventata, ma non cercò di iniziare una nuova conversazione.
Ci pensò lei, dopo alcuni minuti di riflessione, domandandogli: «Come ti senti?»
«Un po’ ammaccato. Tra poco andiamo via, tranquilla.»
«Hai ucciso un uomo!» continuò la ragazza, ora con fare accusatorio «Non senti proprio nulla?»
Cedric cercò di non mostrarsi offeso e ribatté, forzatamente calmo: «Dovrei? L’ho già fatto con quel maledetto bandito. E quelli non erano uomini. Nemmeno una bestia si comporterebbe così.»
«Certo, su questo hai ragione. Non provo pena per quel... mostro. Ma per te.»
Lui ridacchiò quasi divertito: «Per me? Non farti problemi per me. Vuoi sfogarti un po’ prima di andare?»
La lasciò interdetta per un attimo: «Sfogarmi?»
«Sì! Hai qualcosa da dire? Contro quei tizi magari. Prima che torniamo dai ragazzini, sai... è meglio che certe cose non le sentano.» rispose con aria complice.
«Perché dici questo? Come...» sussurrò a mezza voce, ma s’interruppe e strinse le labbra puntando lo sguardo altrove per non guardarlo, rigirandosi la collana di sua madre tra le dita e rendendosi conto di quanto in quel momento l’avrebbe voluta con sé, per avere un punto di riferimento.
Cedric ci mise del tempo a rispondere, ma alla fine per farla sentire più sicura optò per una mezza confessione: «Anch’io avrei voluto, molte volte. Ma non potevo farlo. Nella mia situazione avrei solo peggiorato le cose.» fece una breve pausa in cui lei lo studiò di sottecchi, poi riprese con un debole sorriso: «Ma tu puoi dire tutto quello che vuoi, non ti giudicherò. Non spetta a me.»
Si chiese cosa gli stesse passando per la testa, ma non le sembrava che la sua offerta avesse un secondo fine, forse voleva davvero solamente che si sentisse meglio. Layla non aveva alcuna intenzione in quel momento di avere a che fare con un qualsiasi essere appartenente alla categoria maschile e glielo disse senza troppi problemi; aveva tutti gli strumenti per farle male come quegli altri e anche di più, aveva la forza di prenderla e fare di lei ciò che voleva senza curarsi di cosa lei avrebbe pensato e provato.
Cedric sorrise piano e ribatté: «Guarda, in questo momento proprio non potrei farti alcunché. Non riuscirei a sollevare un secchio d’acqua.»
«Ah sì?» ribatté lei scettica tenendo gli occhi chiusi a forza.
«Oh sì, credimi.» sussurrò alzandosi con qualche difficoltà solo per poi sedersi accanto a lei, immaginando che avesse bisogno della sua vicinanza dal momento che aveva subito un trauma di una certa rilevanza.
«Stai zitto.» esclamò debolmente prendendosi la testa tra le mani, il solo sentire la sua voce la irritava in un modo che non avrebbe mai creduto possibile.
Qualcosa scattò in lei appena il ragazzo le fu accanto, sentire le loro spalle a contatto la fece reagire: con un movimento improvviso si scagliò addosso a lui afferrandolo per entrambe le spalle e lo spinse a terra per poi tenerlo fermo gravando sul suo corpo col proprio peso. Lo guardò a lungo dritto negli occhi con sguardo infuocato, ansimava e singhiozzava in preda a una nuova crisi di pianto silenzioso. Con tutta la forza che aveva strinse la presa sulle spalle di lui e ricominciò col suo sfogo insultandolo duramente, tanto da paragonarlo a quei quattro uomini di poco prima.
Ma Cedric non si mosse e di nuovo non la interruppe, ben sapendo che tutto ciò che stava dicendo Layla era dettato dalla paura provata poco prima e che ora stava liberando di getto insieme allo stress; l’aveva spinta lui a sfogarsi e non l’avrebbe fermata.
Dopo diversi minuti la ragazza smise man mano di gridare ma non di tremare, tirò su col naso cercando di darsi una calmata e infine lo guardò attentamente: non aveva mosso un muscolo e a malapena respirava mantenendo costantemente un controllo impeccabile, ma soprattutto non distoglieva mai lo sguardo dai suoi occhi e in quella Layla si rese conto di non avere addosso nulla eccetto stivali e pantaloni, e il mantello in posizione molto precaria pendeva da una sola spalla.
Appena se ne rese conto sussultò colta da un’improvvisa vergogna e imbarazzo che la fecero arrossire violentemente, ma ancora una volta lui rimase fermo in attesa che lei si ricomponesse da sé.
Layla si allontanò da lui con uno scatto ricoprendosi col mantello e puntando lo sguardo dalla parte opposta nascondendosi alla sua vista dietro i lunghi capelli.
Soltanto allora il ragazzo si rimise seduto e le domandò in un sussurro: «Va meglio?»
«Sì, io... non costringermi a farti male, allontanati da me!» balbettò ancora sconvolta e confusa.
«Fammi male se vuoi, non ti servirà a nulla sapermi lontano piuttosto che vicino. Anzi, credo sia meglio che tu capisca che non sono come quei bastardi...»
«E chi me lo assicura?» lo interruppe freddamente «Dopotutto non mi sei sembrato un tipo posato né poco fa né in quella stalla!» appena dopo averlo detto si disse che al contrario era stato perfettamente controllato fino a pochi attimi prima, ma non lo menzionò; non voleva ammettere di avere torto davanti a lui, soprattutto in quel momento. E invece aggiunse: «Anzi sei così disagiato che se ti dicessi di averne bisogno per sfogarmi mi lasceresti prenderti a pugni. E credimi se insisti lo farò.»
Cedric per un attimo pensò alla sua situazione e paragonò la paura e l’odio che lui provava per tutti i Krun - sebbene uno solo di loro fosse colpevole della morte di sua madre - alla paura e poca fiducia che ora Layla aveva nei confronti di tutti gli uomini a causa di un gruppo ristretto.
Scosse la testa e le rispose: «Nessuno può assicurartelo, nemmeno io. Ma credimi ti capisco, anche se per ragioni diverse, e io ho impiegato anni ad accettalo... non è di me o di Mike o Andrew che devi avere paura, lo sai. Sii più forte di me, non chiuderti in te stessa e non rifiutare l’aiuto di Jennifer e Susan, soprattutto in questo momento. Parla con loro se ti dà fastidio parlare con un uomo...»
«Tu non sei un uomo.» lo interruppe con un sussurro.
La guardò scoprendo così che lo stava fissando, ma appena i loro sguardi s’incontrarono lei abbassò il viso e guardò a terra.
«No, non ancora. Manca poco più di un anno.» assentì.
«Non sono stata capace di tenere testa a un uomo... un dannato essere schifosamente viscido! Se lo sarebbe meritato! Perché non ce l’ho fatta?!» gridò disperata mettendosi le mani nei capelli.
«Eri molto spaventata, tutto qui. La paura ci tiene in vita, ma se non gestita bene gioca brutti scherzi.»
Finalmente Layla si decise ad ascoltarlo e lo vide per ciò che era realmente, non certo un nemico da cui dover scappare; se aveva ucciso l’aveva fatto per proteggerla, poco importava che provasse rimorso o no. Lui non avrebbe mai osato toccarla né guardarla senza permesso, e nemmeno Mike e Andrew. Loro erano suoi amici, erano gli unici di cui davvero potesse fidarsi.
«Mi dispiace per quello che ho detto... non avrei dovuto.» balbettò Layla, stava a poco a poco smettendo di singhiozzare «Non volevo farti male, né insultarti, io... hai ragione, ho avuto paura.»
«Non c’è problema. È servito?»
Lei annuì piano, si asciugò gli occhi e si pulì il viso dal sangue rimasto, poi tirò su col naso scacciando definitivamente le lacrime e gli chiese: «Ora te la senti di alzarti?»
Cedric non la guardò, ma annuì e disse: «Casa nostra non dovrebbe essere troppo lontana. Credo da quella parte.»
Si rialzarono aiutandosi a vicenda e appoggiandosi alle pareti delle case, dunque Layla si rivestì mentre il ragazzo le dava appositamente le spalle. Fecero tutta la strada zoppicando un po’ entrambi, lei ancora aggrappata a lui che le teneva un braccio intorno alle spalle. Lo guardò di sottecchi un paio di volte, nonostante ciò che si erano detti continuava ad avere paura, e non era certa di sapere di cosa. Forse perché si trattava di un ragazzo dalla mente palesemente fragile e che ultimamente aveva molto altro per la testa che lo rendeva nervoso.
Arrivati davanti a casa nel loro distretto nero si staccò immediatamente da lui e aprì la porta senza nemmeno guardarlo, combattuta e in balia di diverse emozioni che tra loro facevano a pugni: gli era grata per averla protetta, ma non gliel’avrebbe mai detto e aveva scoperto un lato di lui brutale e violento tutt’altro che rassicurante; si proclamava suo amico e totalmente diverso dalle bestie che li avevano aggrediti, ma aveva chiaramente dimostrato di avere la forza di poter essere pericoloso quanto loro... se solo non fossero stati, in effetti, parte di un gruppo di amici. E per ultimo ma non meno importante, sebbene - litigi a parte - con lei fosse sempre stato gentile, era mezzo matto ed emotivamente instabile; per quanto ne sapeva avrebbe potuto agire a quel modo anche lui, se fosse stato preda di scatti d’ira sufficientemente intensi da non farlo ragionare a dovere. E questo di certo non l’aiutava a rassicurarla, considerando quanto rapidamente era in grado di cambiare umore per una sola parola detta nel momento sbagliato.

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Capitolo 38
*** Constant pressure ***


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Il colore del titolo del capitolo corrisponde al colore della regione in cui la storia al momento si svolge, tenete d'occhio la mappa per sapere dove ci troviamo!

CONSTANT PRESSURE

Era già passata l’ora di pranzo quando Layla e Cedric misero piede in casa, e Jennifer non tardò a notare le borse vuote né l’andatura insicura di entrambi e lo sguardo terrorizzato della ragazza.
Si alzò dalla poltrona e le andò incontro domandando sorpresa: «Cos’è successo? Cominciavamo a preoccuparci!»
Layla la scansò, finse di sorridere e disse con voce tremante: «Un contrattempo, non avevamo abbastanza oro così ce ne siamo andati.» in realtà l’oro ce l’aveva lei, stretto alla propria cintura e nascosto sotto il mantello, ma si guardò dal farglielo scoprire cercando di non far tintinnare le monete.
Attirarono l’attenzione degli altri ed Andrew notò subito che entrambi sembravano stare in piedi per miracolo, ma anche che lei era avvolta nel mantello come a voler tenere tutto il mondo all’esterno. Cercò di parlarne e ottenere delle risposte, ma i due non vollero dare spiegazioni e si limitarono a dei versi o borbottavano qualcosa senza curarsi che capissero o meno.
Finché Cedric, per convincerli a lasciarli stare, cominciò a parlare con se stesso di cose apparentemente senza senso e non inerenti riprendendo l’aria poco rassicurante e facilmente irritabile che di solito li teneva alla larga. Layla gli rivolse un solo e breve sguardo di gratitudine per averli dissuasi a interrogarli, poi tornò agli affari propri e si chiuse nel bagno del primo piano, mentre Cedric andò al bagno del piano superiore.
Lei si sciacquò e prima di asciugarsi con un asciugamano pulito si guardò allo specchio per essere sicura di essersi pulita bene per non sporcare nulla di sangue e rimase sorpresa nel vedere quanto fosse cambiata dall’ultima volta che si era guardata mesi addietro; aveva le guance più incavate, che facevano risaltare gli zigomi alti, i suoi grandi occhi avevano conservato il loro magnifico colore, verde con striature quasi azzurre, era più alta e relativamente formosa - molto per i suoi gusti, ma non aveva nulla a che vedere con una qualsiasi donna interamente sviluppata.
Ne aveva parlato solo un paio di volte con sua madre, piuttosto di recente, quindi sapeva che presto il suo corpo sarebbe cambiato preparandosi a dover eventualmente portare una nuova vita in grembo e successivamente a crescerla. Ma non si sarebbe mai aspettata che nel giro di pochi mesi le sue forme sarebbero mutate tanto. Un tempo nemmeno ci badava a quanto fosse carina fin da bambina, ora aveva appena imparato una dura lezione e lo rimpianse davvero.
Sto diventando una donna... una bella donna, veramente si ritrovò ad ammettere con un sospiro, poi però notò i lividi che riportava a causa di quegli uomini e fece una smorfia ripensando a quei terribili minuti Ora vorrei non essere mai stata così carina... Passeranno. Non è successo nulla, abbiamo solo rischiato grosso.
Le tornò alla mente quello che il biondo le aveva gridato: Ti renderò impura, vediamo se farai ancora la spavalda quando nessuno ti vorrà!
Rabbrividì capendo che quegli uomini l’avevano puntata per come l’avevano vista comportarsi nelle strade col ragazzo: Non è colpa mia. Quello che è successo non è stato per colpa mia! Io sarò pure carina e indipendente, ma quegli schifosi hanno scelto per sé, non li ho obbligati con un coltello alla gola! cercò di pensare per risollevarsi un po’ il morale.
Sentendo un nodo alla gola decise che per passare il tempo e rilassarsi si sarebbe fatta un bagno caldo, dunque chiuse la porta con un giro di chiave e accese il camino per scaldare l’acqua con la quale poi riempì la vasca; così calda le avrebbe sciolto i muscoli e fatta sentire meglio.
Anche il ragazzo come lei si pulì il viso, trattenne a fatica l’impulso di vomitare e si costrinse a non pensare a quello che era successo, né a quello che aveva recentemente saputo dal diario di sua madre. Si asciugò e si guardò allo specchio, sorrise piano guardando il suo riflesso dritto negli occhi al momento grigi per via del cielo coperto.
Sono sempre stato così diverso da te... Avrei potuto accorgermene, che stupido sono stato pensò tristemente riferendosi all’uomo che l’aveva cresciuto.
Scosse la testa cercando di non pensarci più, poi si tolse giacca e maglietta per vedere come fosse ridotto e non ne rimase per nulla compiaciuto: i muscoli piuttosto definiti non compensavano la vista di tutte le ossa, compreso lo sterno, e le clavicole sporgevano tanto da far sembrare la pelle così sottile da potersi lacerare e scoprirle da un momento all’altro. E naturalmente era pieno di lividi. Fece uno sforzo per guardarsi la schiena e vide che la situazione non era differente con le scapole e le ossa del bacino. Senza contare poi alcuni segni dei maltrattamenti di Jorel ancora visibili dopo anni; si chiese se la magia potesse farli sparire come era del tutto sparita la ferita al fianco provocatagli dai soldati.
Non sono affatto carino, hanno ragione a dirmi di mangiare di più pensò preso da un lieve sconforto, e per la prima volta in vita sua si chiese preoccupato se si sarebbe mai ripreso del tutto da quei disturbi alimentari che l’avevano segnato e tutt’ora lo rovinavano.
L’unica nota che trovò positiva fu l’assenza di barba o baffi nonostante avesse quasi quindici anni: per qualche ragione sentiva che si sarebbe piaciuto ancora meno in tal caso. Si rivestì in fretta per nascondersi alla sua stessa vista, se non altro con qualcosa addosso sembrava semplicemente mingherlino di costituzione.

Nessuno dei due aveva alcuna intenzione di raccontare ai quattro più giovani cosa fosse accaduto o di cosa avessero parlato in seguito. Ma il loro atteggiamento schivo era sospetto, e Layla non fece che peggiorare la situazione quando, come già era successo altre volte, Cedric si avvicinò per aiutarla a cucinare e lei lo cacciò con maniere tutt’altro che gentili, gridandogli dietro di non avvicinarsi e non toccarla, anzi di non guardarla nemmeno, minacciandolo con un mestolo.
Lasciò sorpreso anche lui, che perse l’aria cupa solo per chiederle cosa le fosse preso, ma a una seconda sfuriata di lei - che cercò di colpirlo ma lui fortunatamente riuscì a evitare il colpo - decise di andarsene senza ribattere e si chiuse in camera, lasciandola insieme agli altri che entrarono in cucina soltanto per poterla guardare a bocca aperta.
«Beh che c’è? Fuori!» esclamò lei irritata, e tutti obbedirono all’istante tornando in sala per non prendersi una mestolata in testa.
«Cosa diamine sta succedendo?» domandò Mike in un sussurro; erano seduti davanti al camino in modo da potersi guardare.
Susan scosse piano la testa ancora sconvolta: «Non ne ho la più pallida idea.»
«Qualcosa è successo, qualcosa che gli ha impedito di andare al mercato e li ha sconvolti.» disse Andrew «Il problema è cosa. Non ne vogliono parlare! E non può essere soltanto perché non avevano abbastanza oro, avrebbero portato a casa qualcosa comunque.»
«Potrebbe essere successa qualsiasi cosa.» disse Jennifer abbattuta «E di certo non ce lo diranno mai.»
«Allora dobbiamo scoprirlo.» ribatté Mike battendosi un pugno sull’altra mano aperta «Non hanno comprato nulla, non camminano bene, si comportano in modo strano... Layla è fuori di testa! Non è da lei! Lei sa contenersi benissimo.»
Non pensarono a un’aggressione, erano ancora inesperti e ingenui per arrivare subito a una simile conclusione; dove vivevano loro cose del genere erano del tutto fuori discussione... a meno che la vittima non fosse il povero Cedric, che non era ben visto al villaggio. Ma qui si trattava di Layla, non di lui, e non avrebbero mai potuto immaginare cosa fosse realmente successo.
Più che pranzare ebbero una merenda insolitamente sostanziosa che tuttavia non li sfamò a sufficienza, ma Layla aveva dovuto arrangiarsi con le ultime cose rimaste. E più tardi si riunirono tutti in sala, c’era anche Cedric che non aveva mangiato ed era tornato a leggere il libriccino rosso. Regnava un silenzio imbarazzante che nessuno sembrava voler spezzare, Layla tratteneva a fatica lacrime e tremori, seduta ben lontana da tutti.
«Come mai vi siete... chiusi in bagno così tanto?» domandò Susan incerta appena ritrovò il coraggio di aprire bocca per spezzare il silenzio opprimente; la sua voce parve quasi amplificata.
Cedric e Layla si guardarono sapendo perfettamente che la domanda era rivolta a loro, poi fissarono la ragazzina che si strinse nelle spalle in imbarazzo.
Lei si costrinse a sorridere e le rispose: «Io mi sono fatta un bel bagno. Mi ci voleva proprio per rilassarmi un po’.»
«Sì ma perché prima di pranzo? E perché siete tornati senza niente? La scusa dell’oro non me la bevo.» obiettò Andrew incrociandosi le braccia sul petto.
A quel punto Cedric si alzò dicendo di voler andare a prendere qualcosa da bere e scese in cantina, Layla lo seguì con lo sguardo torcendosi le mani; ancora indossava il mantello per nascondere i lividi e lui non si era mai tolto la giacca, ma non lo trovarono strano perché da quando l’avevano conosciuto se l’era tolta solo per lavarsi o per dormire e neanche tutte le notti - soltanto Susan aveva avuto occasioni di vederlo senza, quando aveva abitato in casa sua.
Cedric tornò da loro con una bottiglia in mano e chiese esplicitamente a Layla se volesse unirsi a lui. Incuriosita la ragazza si alzò e lo seguì in cucina, dove lui prese due bicchieri ma riempì solo il suo, gli altri si costrinsero a rimanere in sala ad aspettare e tesero tuttavia le orecchie per cercare di cogliere le loro parole dall’altra stanza.
I due però parlarono a bassa voce.
«Cos’è?» domandò lei.
«Non ne ho idea.» ammise lui guardando pensieroso il liquido trasparente «Ma era in casa, perciò non sarà avvelenato.»
«Però chissà da quanto tempo era lì! Potrebbe essere andato a male!»
Cedric la schernì con una risata e fece un verso di diniego; non voleva diventare come Jorel e a causa sua aveva una certa avversione per le bevande alcoliche, ma si disse che di certo non sarebbe diventato un alcolizzato per una sola volta. La ragazza ignorò il fatto che avesse pensato ad alta voce parlando da solo, era già capitato più di una volta, e lui dopo aver riflettuto a lungo scacciò il pensiero di Jorel fuori controllo e vuotò il bicchiere in un solo sorso.
Rise perché gli bruciò la gola, poi porse l’altro bicchiere a Layla e le chiese: «Sicura di non voler farmi compagnia?»
Lo guardò preoccupata e rispose: «Piuttosto sicura, sì. Perché lo fai? E perché io dovrei farlo?»
Cedric scosse le spalle con una smorfia di dolore: «Non lo so. Di solito si fa così, quando...» lasciò in sospeso la frase non del tutto certo di volerle dire di avere più di un pensiero dannoso per la testa, perciò sperò che credesse si trattasse solo dell’aggressione di quella mattina.
«Lo so. E ho sempre pensato che sia stupido, non cancella i problemi.» ribatté lei infatti, avendo intuito a cosa si riferisse.
«Lo penso anch’io.»
A quelle parole Layla lo guardò incredula: «E allora perché ti comporti... da stupido?!»
«Vorrei smettere di pensare a tutto questo solo per un po’.»
«Tutto cosa?»
Scosse la testa e guardò da un’altra parte bevendo di nuovo: «Non ha importanza.»
«Sì è chiaro che hai qualcosa che non va, da quando siamo arrivati a Eunev!» si sforzò di tenere la voce bassa per non farsi sentire dagli altri, più che certa che stessero tentando di origliare «Ma così non farai altro che peggiorare la situazione!»
Lui fece un altro verso e le fece gli occhi dolci chiedendole di nuovo: «Sei sicura di non volere la stessa cosa? Se saremo in due non sarà poi così male!»
«Cosa... no! Dai mettila via e finiscila con questa storia, non bisogna scappare dai propri problemi, li si deve affrontare.»
Perse immediatamente l’aria gentile e sbuffò irritato: «Sto provando da anni.»
«Ed è normale, si chiama vita. Chiaro? Ora rimetti quella cosa dove l’hai trovata, chissà da quanti anni è lì... un solo bicchiere potrebbe fare danni quanto un fiasco di vino!»
«D’accordo, vattene se vuoi. Io per una sola volta vorrei non essere costretto a pensare, per un pomeriggio non voglio pensare a nulla! Una sola volta!» disse alquanto irritato, preparandosi a bere un terzo bicchiere.
«Hai solo quattordici anni!» lo rimbeccò arrabbiata.
«E questo cosa vuol dire? Tanto dimmi, importa realmente a qualcuno di me?»
«Oh quanto sei sciocco. Ci rinuncio! Fai quel che vuoi.» lo interruppe e se ne andò tornando dagli altri.
«Mi hai quasi tirato un mestolo in testa due ore fa!» le gridò dietro lui come a voler sottintendere di avere ragione, ma lei lo ignorò.
Immediatamente Andrew cominciò a parlare come se fosse nel mezzo di una conversazione, e Susan colse l’occasione per esclamare: «Potremmo andare a quel bel parco! Che ne dite?»
«Potremmo andare al mercato! Anzi dovremmo, non possiamo più rimandare o rimarremo a digiuno.» continuò Jennifer entusiasta.
«Sì! Anch’io penso sarebbe divertente!» disse Mike saltando in piedi «Allora? Andiamo? Cedric!» corse verso la cucina e lo trovò seduto al tavolo con l’aria più cupa del solito, ma prima ancora che potesse chiedergli di uscire il ragazzo scosse la testa. Mike abbassò le braccia perdendo l’entusiasmo di poco prima e domandò tristemente: «Perché no?»
Cedric gli fece cenno di lasciar perdere con la mano, ma rispose: «Non credo di sentirmela. Non mi va di uscire.»
«Dai Cedric ti prego! Non andremo lontano!» lo implorò Jennifer affacciandosi all’ingresso della stanza.
Lui scosse la testa irremovibile: «No. Andate senza me.»
Susan si alzò e se ne andò dicendo ad alta voce: «Sicuro di non voler venire? Ci divertiremo tantissimo!»
Lui commentò in un sussurro: «Ne dubito. Perché ora siete tanto ansiosi di fare compere?»
«Perché ora fa meno freddo e non possiamo più rimandare, come ha detto Jennifer!» rispose Andrew come se fosse ovvio, al che l’altro fece una smorfia chiaramente contrariato, maledicendoli in segreto per non essersi uniti a loro quella mattina.
Layla al contrario non volle commentare la loro scelta, ritenendo che forse fosse stata una fortuna che i più piccoli fossero rimasti a casa: se quegli uomini li avessero seguiti e aggrediti ugualmente ne sarebbero rimasti traumatizzati ancor più di loro. Certo, il loro numero avrebbe potuto scoraggiare gli aggressori, ma in fondo si trattava di un gruppo di ragazzini appena diventati adolescenti o quasi.
Poi tutti seguirono Susan, compresa Layla che rivolse un ultimo sguardo implorante a Cedric sperando che cambiasse idea e li accompagnasse, ma lui non si mosse decisamente determinato a mantenere la sua posizione in merito.
Rimase spaesata perché non se la sentiva di uscire già di casa, ma se avesse rifiutato anche lei gli altri avrebbero capito che di certo qualcosa non andava: già sospettavano, non poteva permettersi di sgarrare ancora; finché era Cedric a comportarsi in modo strano potevano quasi considerarla normalità, ma lei assolutamente no. Lei era sempre controllata, era la colonna del gruppo.
A Eunev faceva più caldo che a Darvil, soprattutto perché ancora non nevicava, ma ugualmente si avvolsero nei mantelli risentendo dell’aria gelida. Appena messo piede fuori furono travolti da un’ondata di freddo che li spezzò, quasi convincendoli a tornare al caldo dentro casa. Ma Susan sospirò e, facendosi coraggio, s’incamminò con la schiena dritta e la testa alta, come dandosi un’aria d’importanza per aver fatto il primo passo. Gli altri la seguirono subito dopo, Layla chiudeva la fila guardandosi attentamente intorno; niente le sarebbe sfuggito questa volta.
Ma in giro non c’era nessuno, fosse per il gelo o perché si trovavano in una zona tranquilla. Le cime degli alberi più alti del parco verso cui erano diretti talvolta facevano capolino tra una casa e l’altra, non sarebbe stato difficile arrivarci; il vero problema sarebbe stato tornare a casa.
Videro una coppia di guardie armate pattugliare una strada laterale e Layla si lasciò sfuggire un sonoro sospiro di sollievo che però non destò l’attenzione degli altri, perché nessuno poteva sapere a cosa pensasse costantemente.
Il parco, che avevano già attraversato il loro primo giorno, non aveva nulla di speciale: c’era un sinuoso sentiero di ciottoli di diversi colori che scrocchiava sotto le suole delle loro calzature, e tutt’intorno le aiuole ricoperte d’erba piuttosto curata, alcuni fiori e felci di diversi colori, ma anche numerose varietà di alberi. Lungo il sentiero erano disposte delle panchine di marmo nero per poter riposare all’ombra. Non era grande e c’era un piacevole silenzio, ma soprattutto gli alberi portavano riparo dal vento. Proseguirono fino alla fontana con una statua di Despada al centro dalle cui mani libere sgorgava acqua; si trovava nel mezzo di una piccola piazza, attorniata da ghiaia, e tutt’intorno erba e alberi ai cui piedi stavano diverse panche.
Susan si sedette su una panchina di marmo nero e chiuse gli occhi godendosi il calduccio del suo mantello, piegando il collo come per guardare il cielo e sorridendo spensierata. Layla si sedette accanto a lei tenendo d’occhio una coppia di mezz’età che passeggiava, e poi un gruppo di ragazzi, una madre col figlio piccolo e un vecchio che si trascinava con passo lento ma con aria serena.
Jennifer Mike ed Andrew giocarono a schizzarsi con l’acqua della fontana senza riuscire a trattenere delle grida acute quando venivano bagnati dall’acqua gelida, poi cominciarono a rincorrersi per tutta la piazza cercando di afferrarsi i mantelli o le giacche a vicenda. Quando tutti e tre ebbero il fiatone si sedettero con le altre due godendo della pace che regnava nel luogo, tanto che non vollero cominciare una conversazione per non rompere il silenzio, interrotto solo dal vento che dava voce alle foglie o dagli uccelli che cantavano chiamandosi tra loro.

Cedric non sorbì gli effetti desiderati dall’alcol, anzi non successe nulla, tuttavia non bevve altro perché era rimasto da solo in casa e perché per l’appunto lo trovava stupido. Non sapeva in realtà cosa l’avesse spinto a tanto, forse un breve attimo in cui dolore e disperazione avevano preso il sopravvento. Non sapeva nemmeno se essere grato o meno che Layla si fosse rifiutata di fargli compagnia.
Camminò per la stanza continuando a leggere il diario di sua madre alla debole luce delle finestre o di un paio di candele, e nel mentre parlava da solo commentando quello che leggeva o fingendo di parlare con lei.
Essendo rimasto da solo in casa, tuttavia, i pensieri e i ricordi si accavallarono e sovrapposero in maniera confusa, non riusciva a gestirli e per quanto desiderasse che sparissero non ne fu capace, non aveva modo di distrarsi per zittirli. Proprio com’era stato molti anni prima, e fu rapido a rendersi conto che di lì a poco niente di bello sarebbe successo; ma non poteva nemmeno fermarlo.
Si prese la testa tra le mani e si lasciò andare su una sedia abbandonando la lettura. Tutto quello che aveva recentemente scoperto su sua madre e su se stesso lo assillava e lo distruggeva; gli tornò alla mente Jorel, come lo trattava e come gli parlava, cosa gli faceva o diceva che fosse sobrio o meno. Si sentì pervadere da una rabbia cieca ora che capiva molte cose e se fosse stato in sé avrebbe avuto paura di perdere il controllo, proprio come accadeva all’uomo che l’aveva cresciuto.
Ma trovandosi da solo con se stesso non doveva necessariamente fingere di stare bene, solo che non c’era nessuno su cui potesse sfogare la rabbia. Se non lui stesso. Si odiava ora più che mai e non aveva freni, non ragionava come al solito. Jorel aveva cercato di ucciderlo più di una volta, gli aveva detto che l’avrebbe preferito morto al posto di Laurel così tante volte che ne aveva perso il conto. Nemmeno sua madre in realtà l’aveva amato, l’aveva odiato e aveva cercato di ucciderlo ancor prima che nascesse in ogni modo possibile, più di una volta, arrivando ad avvelenare se stessa. E nemmeno sua sorella, che raramente aveva perso l’occasione di ricordargli quanto lo considerasse un inetto. I pochi amici che aveva avuto, compresi Mike e Layla, gli avevano voltato le spalle e non sembravano intenzionati a tornare sui propri passi.
Non gli era nuovo sentire voci che nessun altro poteva cogliere, il timbro grave di Jorel che lo insultava e quello più acuto ma severo di Laurel che gli domandava perché l’avesse abbandonata e lasciata morire, ma anche la voce di se stesso bambino che rideva di lui e gli rimproverava i suoi errori e il ringhio gutturale di quella bestia che s’era preso la vita di sua madre.
A breve immaginava che sarebbero arrivate anche le allucinazioni, e sapeva che l’alcol non c’entrava assolutamente nulla con quello che stava succedendo; non gli serviva essere ubriaco perché la sua realtà si trasformasse in un incubo nell’arco di un attimo. Doveva farla finita una volta per tutte, allora sì che quei pensieri l’avrebbero lasciato in pace.
Non seppe come riuscì ad andare in cucina senza cadere a terra, ma nemmeno gl’importava; in mente aveva solo l’idea di far tacere tutte quelle voci che l’avevano sempre tormentato, compresa la propria.

Ebbero sorprendentemente poche difficoltà a trovare la via di casa, ma vagarono a zonzo per alcuni minuti prima di trovare un negozio di alimentari - Layla insistette per entrare in un negozio al chiuso. Lei aveva ancora il denaro che avrebbero dovuto usare la mattina in un sacchettino appeso alla cintura, quindi non ebbero problemi a comprare alcune cose in modo che nessuno avesse un peso esagerato da trasportare, non avendo borse. Susan la convinse a comprare di nascosto anche gli ingredienti per preparare la torta a Mike per festeggiare il giorno della sua nascita che già doveva essere passato, ma non avevano un calendario a portata di mano per sapere in che giorno si trovassero.
Quando arrivarono in vista della porta di casa loro si accorsero che c’era qualcuno davanti, e la identificarono come la loro vicina di casa; stava guardando dentro le finestre con aria preoccupata e incuriosita.
Una volta che le furono vicini, Andrew si schiarì la gola e domandò: «Possiamo aiutarti?»
L’anziana si volse lentamente a guardarli, li squadrò tutti per alcuni secondi prima di dire: «Sentivo urlare e credevo steste litigando, ma quando ho bussato nessuno ha aperto. Poi ho capito che stava parlando da solo, e infatti Cedric non è con voi.»
Layla assunse subito un’aria preoccupata e domandò: «Cosa stava gridando? Credi stia bene? Hai sentito qualcosa?»
«Sentito sì, capito no, mi dispiace.» rispose lei mortificata, le mise una mano sul braccio e la ragazza s’immobilizzò per guardarla dritta negli occhi «Credo sia meglio che vi sbrighiate a vedere cosa sta combinando.»
Mentre Layla annuiva posando la mano sulla maniglia, Jennifer decise di domandare: «Come conosci il suo nome? Sei Iven?»
La donna sembrò sorpresa, sicura di non essersi mai presentata a lei, e domandò a sua volta, con occhi sgranati: «Vi ha parlato di me? O forse loro due?»
«Veramente no...» rispose Andrew in un sussurro, evitando di dire come erano venuti a conoscenza del suo nome.
Layla era rimasta di nuovo ferma ad ascoltare in caso la vecchia signora avesse avuto qualcosa da dire, poi si ricordò che avrebbero dovuto affrettarsi a rientrare e si decise ad aprire la porta che non si erano disturbati di chiudere a chiave, dal momento che Cedric era rimasto dentro e ad ogni modo le chiavi appartenevano a lui.

«Cosa stai facendo?»
La voce di Layla lo riportò alla realtà prima che fosse troppo tardi, cercò di darsi un minimo di contegno con scarso successo. Si asciugò gli occhi, sciacquò il coltello e lo posò da una parte, poi si appoggiò al piano di pietra che fungeva da tagliere dandogli le spalle e fronteggiando la ragazza.
Quindi rispose: «Niente, niente. Vi aspettavo.»
«Sei ubriaco?»
«Cosa? No! Eh... Sto bene.» ribatté immediatamente, lievemente sdegnato.
Layla si mise le mani sui fianchi e lo affrontò con aria severa ripetendo: «Sei ubriaco?»
«No.» disse con più convinzione «Tranquilla, è tutto nella norma.» aggiunse, e sperò di essere sembrato convincente.
«Ti stavi preparando a cucinare con la dispensa vuota?»
«Beh no, io...»
«E allora cosa...» d’un tratto la ragazza sgranò gli occhi indicando il suo braccio ed esclamò terrorizzata: «Oh Lya misericordiosa! Ti scongiuro dimmi che... buon cielo cosa ti è passato per la testa?!»
«Cosa? Abbassa la voce! Non è successo niente.» sussurrò lui ansiosamente; non aveva bisogno di chiederglielo per capire che doveva aver visto del sangue, perché lui sapeva di star sanguinando. Prese uno straccio e si fasciò stretto il braccio, affrettandosi in seguito a rimettersi la giacca e dandosi dello stupido per non averlo fatto prima.
Ci fu un breve silenzio, infine lei sussurrò severamente, indicando l’uscita: «Esci a schiarirti le idee!»
«Come prego?» fece lui confuso.
«Non ho alcuna intenzione di lasciare che gli altri sappiano... Sparisci e non tornare finché non avrai capito che idiozia stessi facendo!»
Le rivolse un mezzo sorriso sarcastico: «Mi stai cacciando da casa mia?»
«Puoi dirlo forte! A costo di portarti fuori io stessa, non permetterò che tu e quei poveri ragazzini viviate sotto lo stesso tetto finché... Come... Cosa diamine hai che non va?! Se mio padre lo sapesse! Aveva ragione maledizione! Non sei affatto a posto!»
«Adesso calmati, o li allarmerai.» le disse cercando di rimanere tranquillo «Mi dispiace, davvero. Non volevo spaventarti e non volevo che venissi a saperlo, né gli altri lo sapranno mai... da parte mia.» aggiunse poi «Ma come ti ho detto è tutto nella norma e... mi rendo conto che questo non sia rassicurante.» fece una pausa e la ragazza gli lanciò uno sguardo truce, ma non disse niente, quindi ripeté: «Mi dispiace.»
«Che ti dispiaccia o meno la situazione non cambia!» sussurrò inviperita «Come glielo spieghiamo che appena ti lasciamo da solo provi ad ammazzarti? E l’hai detto tu, è normale! Come credi debba sentirmi ora che lo so?!»
«Io non... non volevo. Gli altri non lo sapranno. Non so cosa dirti, mi stai facendo sentire un idiota.»
«Idiota è dire poco! L’ho detto l’altro giorno e lo ribadisco ora! Maledizione rispondi, cos’hai che non va?» domandò, ora spaventata e sul punto di piangere.
«Non so spiegartelo, succede e basta.»
«Succede e basta!» gli fece eco incredula.
«Non sei tenuta a sapere cosa mi passa per la testa...»
«E invece sì se quello è il risultato!» lo interruppe «Ma dimmi te, cosa potrei inventarmi se da un giorno con l’altro ti trovassimo morto, eh?!»
«Layla...»
«Rispondi dannazione! Come reagirei? Come reagirebbero loro? Cos’è, la carenza d’affetto ti spinge a credere che a nessuno importi davvero di te? La prossima volta pensa a come noi potremmo reagire! Conta fino a mille prima di fare qualcosa! Sei un disgraziato!» finalmente riuscì a dare sfogo a tutta la tensione scoppiando in un pianto silenzioso, asciugandosi tuttavia le guance appena vennero bagnate dalle lacrime.
Cedric non trovò il coraggio di ribattere, perché sapeva che la ragazza aveva ragione; ai loro occhi quel gesto sarebbe sempre sembrato stupido ed egoista, il che non era del tutto falso. E non poteva neanche pretendere che lei comprendesse le ragioni che per un attimo l’avevano spinto a tanto. Poteva solo giustificarlo con una momentanea mancanza di controllo, e fu quello che le disse dopo un lungo silenzio.
Ma dopo quella sorta di giustificazione Layla si trovò vicina a esplodere nuovamente, riuscì a contenere la voce solo per miracolo: «Quindi per un attimo di mancato controllo potresti rovinare la nostra vita per sempre? Non ti perdonerò mai per questo. Ti terrò d’occhio, sappilo.»
«Va bene. Non ho niente in contrario. Suppongo sia in buone mani. Per esempio se ti fossi unita a me non sarebbe successo.»
«Che la luce di Jegra ti folgori! Ora cerchi pure di addossarmi la colpa?» esclamò con stizza pestando un piede.
«No, hai ragione. Non avrei dovuto dirlo.» si affrettò a rispondere.
«La povera Susan si è molto affezionata a te, ma a quanto pare non te ne frega nulla!»
«Questo non è vero. Lei... mi piace, credo.» sussurrò colto alla sprovvista.
«Stalle lontano.» lo interruppe con voce tremante «Prima di coinvolgerla in qualcosa del genere! La distruggeresti! Mettiti la testa a posto se proprio ci tieni!»
«Non sarei comunque capace di darle ciò che merita.» ribatté quasi freddo.
«Beh sai una cosa? Non mi sorprende se la tua massima aspirazione è morire! Non le dirò quanto si stia sbagliando solo per non doverle spiegare il perché. Dirle che sei effettivamente pazzo non servirebbe, non mi crederebbe.»
«Dove sono gli altri?» domandò.
«Gli altri?» esclamò incredula «Gli altri! Stiamo parlando di te e pensi agli altri! Non cambiare discorso!»
«Stai gridando, ti sentiranno di sicuro... a meno che non siano in casa e vorrei sapere il perché in tal caso.»
«Non fingere di essere preoccupato per loro adesso quando fino a poco fa non te ne sarebbe fregato niente!» sibilò a denti stretti.
Cedric si lasciò andare a un lungo sospiro, chiuse gli occhi e si mise le mani nei capelli non avendo la più pallida idea di come placare la furia della ragazza, probabilmente ogni cosa che avrebbe detto le sarebbe suonata stupida e senza senso.
Sentì la porta chiudersi e immaginò che gli altri fossero rientrati, infatti sentì Andrew domandare a gran voce: «Siamo tornati Cedric, dove sei?»
Ma quando riaprì gli occhi non vide nessuno davanti a sé. Rimase interdetto per un lungo attimo, poi capì di essersi immaginato tutto e inavvertitamente rise e pianse insieme, da una parte sollevato e dall’altra sentendosi quasi in pericolo per essere realmente tornato alle vecchie abitudini, a vedere e parlare coi fantasmi.
Si guardò dentro la manica per accertarsi che non ci fosse sangue visibile: la vista annebbiata non gli impedì di constatare che per il momento era tutto a posto, non sentiva nemmeno il dolore; il sangue non colava più e col tempo quello sarebbe diventato solo uno dei tanti segni visibili della sua instabilità.
Dal momento che lui rispose con una risata apparentemente isterica, Susan domandò: «Qualcosa non va Ced? Vieni fuori!»
Layla lasciò le cose che aveva tra le braccia sulla poltrona e corse immediatamente a vedere cosa stesse combinando, solo per scoprire che si trovava in cucina e rideva e piangeva al tempo stesso, con le mani tra i capelli.
«È tutto a posto?» gli chiese spaventata.
Gli altri entrarono nella stanza - si erano spartiti le cose di Layla per non lasciarle sulla poltrona - e Cedric li guardò quasi sorpreso, poi si volse verso Layla e le disse: «Tutto a posto.»
La voce flebile e incerta del ragazzo non l’era piaciuta affatto, quindi insistette: «Sei ubriaco?»
Aveva già vissuto quella scena e sperò che non degenerasse come nella sua allucinazione, lo sperava davvero. Ma non ebbe il tempo di risponderle.
Andrew scoppiò a ridere e tutti lo guardarono, quindi si difese indicando Cedric ed esclamando: «Sei ubriaco eccome! Se ti vedessi in faccia lo capiresti!» presto la sua risata coinvolse anche Mike e Jennifer.
Layla si mise le mani sui fianchi e prontamente ordinò: «Smettete di ridere a quel modo e portate le cose in cantina, piuttosto! Voglio che sia tutto in ordine senza doverlo ripetere!»
«Agli ordini!» disse Mike all’istante, e corse via non volendo farla arrabbiare ulteriormente, seguito subito da Susan. Andrew e Jennifer ci misero poco di più e al contrario di lui non smisero di ridere, ma se non altro si erano tolti di torno.
Senza mutare l’espressione del viso la ragazza tornò a fronteggiare Cedric e, sebbene fosse più bassa di lui di tutta la testa, emanava un’aria talmente autoritaria che lui si strinse nelle spalle come pronto a ricevere una bastonata ben meritata.
Ripeté la domanda ora con aria severa: «Sei ubriaco?»
«No.» ripeté più convinto. Di nuovo. Proprio come poco prima.
«Piangevi e ridevi insieme, Cedric!»
«Sì, e con ciò? Maledizione sto...» s’interruppe e chiuse gli occhi facendole cenno di lasciar perdere.
Avevano solo pochi minuti per chiarire la situazione prima che i ragazzini tornassero di sopra: «Male? Bene? Come stai?»
«Non lo so. Male, suppongo.»
«Che ci facevi qui?»
Cedric tornò a guardarla cercando di capire perché avesse fatto quella domanda; se sospettasse qualcosa, se volesse solo sapere, oppure ancora soltanto intrattenere una conversazione per mettere alla prova la sua lucidità. Non credeva di essere ancora sufficientemente in sé da tenere un discorso serio come quello nemmeno con Andrew, figurarsi con Layla.
«Io niente, io... vi aspettavo.» balbettò, non aveva ancora la situazione sotto controllo e sperava solo che il peggio fosse passato, che non si mettesse a urlare senza motivo proprio davanti a lei...
«Il che è una palese bugia. Cosa stavi combinando qui?» ripeté lei.
Il ragazzo scosse la testa e disse qualcosa con fare implorante, ma Layla non fu sicura di aver capito. Quando gli chiese di ripetere lui fece un verso supplicandola di lasciar perdere.
Al che lei perse la pazienza e lo interruppe gridando severamente: «Smettila, Cedric!» e lui si zittì chiudendo gli occhi e scattando come se effettivamente avesse ricevuto l’attesa bastonata.
Prima che potesse pentirsi di aver gridato perché sicuramente gli altri l’avevano sentita, il ragazzo parlò: «Non... non comportarti così, non alzare la voce. Per favore. Potrei non reagire bene, ecco.»
«Cosa vuoi dire?» gli chiese dunque, ora cercando di apparire paziente.
«Intendo dire... eh... è difficile da spiegare. Non sto bene, fattelo bastare.» tagliò corto infine.
«Va bene, che ne dici se ti porto fuori a prendere un po’ d’aria?» e senza attendere una sua risposta fece per afferrargli il braccio.
Ma lui si ritrasse e sussurrò a denti stretti: «Non mi toccare.»
Il suo atteggiamento la lasciò attonita; lo guardò incredula, congelata sul posto dalla paura, e non seppe come reagire mentre le tornavano alla mente sprazzi di ricordi della mattina stessa.
«Non c’è niente di cui parlare Layla, è tutto nella norma.» le disse poi più calmo capendo di averla spaventata, ma non accennò a volersi scusare.
«Va bene...» sussurrò confusa, poi scosse la testa e decisa a non insistere per non stressarlo riprese: «Allora che ne dici di aiutarci, eh? Abbiamo fatto un po’ di spesa per la settimana.»
Il ragazzo si costrinse ad annuire e seguirla giù per le scale per non insospettirla ulteriormente, gli era già andata molto meglio di quanto avesse temuto e non poteva permettersi che qualcosa gli sfuggisse di nuovo. Perciò le disse a bassa voce di aver semplicemente continuato a leggere delle cose poco piacevoli da quel libretto, ma niente di cui doversi preoccupare. Non le disse che probabilmente tutti i suoi disagi erano dovuti al fatto che ancora non si fosse abituato alla mancanza delle erbe che per anni Gerida gli aveva somministrato, o peggio ancora dal fatto che dopo tutti quegli anni ancora aveva bisogno di un aiuto esterno per mantenere il controllo perché da solo non riusciva.
Lei gli credette e si limitò a suggerirgli di smettere di leggere da quelle pagine, per poi dire a Susan e Andrew di andare a svolgere il proprio compito apparecchiando la tavola. I due più giovani corsero via mentre gli altri quattro finirono di riporre i viveri sugli scaffali della cantina in un religioso silenzio imbarazzato.

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Capitolo 39
*** The first trial ***


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THE FIRST TRIAL

Dilettandosi in cucina a Layla tornò persino il buonumore finalmente lasciandosi da parte l’aggressione di quella mattina, mentre Cedric si chiuse in bagno di nuovo e lì rimase per tutta la durata della cena e anche la notte, passando gran parte del tempo a vomitare e lamentarsi di quanto stesse male nonostante non avesse quasi bevuto o mangiato.
Passando lì davanti Andrew lo prese in giro ricevendo in risposta solo un vago brontolio di disappunto che lo fece sbellicare dalle risate mentre saliva le scale per recarsi in camera propria. Suonò un poco il pianoforte prima di infilarsi sotto le coperte, e Susan s’intrufolò nella stanza per incoraggiarlo a migliorare e ascoltarlo suonare sdraiata sulla pancia sul letto di Cedric, col mento posato sulle braccia e facendo oscillare le gambe su e giù in alternanza seguendo il ritmo.

La sera prima avevano comprato alcune cose, tra cui latte e biscotti per la colazione. Mentre Susan scaldava la bevanda Andrew riprese a canzonare Cedric, ora perché aveva mal di testa, e il ragazzo lo lasciò divertire senza lamentarsi. Jennifer fece un timido tentativo di farsi raccontare come avesse passato la notte, ma l’occhiataccia di Layla la zittì quasi immediatamente e scelse di aspettare che la colazione fosse pronta fissando il tavolo di legno laccato.
Per tutto il tempo tra colazione e pranzo Mike Jennifer e Andrew discussero della scuola di magia mentre giocavano a carte, perché ormai il mese di Aendail era cominciato - a loro insaputa - e concordarono che sarebbe stato meglio almeno imparare la strada per arrivarci da casa loro. Nel frattempo gli altri tre si erano chiusi in cucina per preparare la crostata a Mike, immaginando che l’ultimo giorno del mese di Despada fosse prossimo o da poco passato.
Pranzarono festeggiando la festa della nascita di Mike che compiva dodici anni. Non ebbero occasione di fare grandi festeggiamenti, per non uscire di casa troppo tardi, ma Mike Jennifer Andrew e Susan ballarono e cantarono, scherzarono e si raccontarono barzellette per tutta la durata del pasto. Dopo un pranzo abbondante si decisero a uscire in strada dirigendosi subito verso la via Maestra per avere almeno un punto di riferimento in partenza.
Susan si lamentò di quanto fosse affollata e rumorosa chiedendo a Cedric di fargli allungare la strada pur di sfuggire al caos, mentre Mike obiettò che da lì avrebbero solo dovuto mantenere la direzione per raggiungere il cancello che introduceva nella seconda cerchia di mura. Alla fine optarono per la proposta maggiormente richiesta, ovvero allungare la strada ma allontanarsi dalla folla, ed entrambi i ragazzi più grandi tirarono un silenzioso sospiro di sollievo per aver scampato eventuali pericoli nascosti nei vicoli secondari.
Layla si guardava ancora intorno con eccessiva preoccupazione e stava appiccicata a meno di un piede da Cedric, quasi tentata di afferrargli un braccio e tenerselo stretto. Tale dettaglio sfuggì solo a lui e ad Andrew che era perso a guardarsi intorno allegramente come al solito, studiando gli abbigliamenti stravaganti dei passanti o le decorazioni e l’architettura degli edifici o le piante in vaso sui balconi.
Mike e Susan si scoprirono gelosi di ciò: Susan sapeva di provare qualcosa per il ragazzo, anche se probabilmente si trattava solo di una cotta momentanea; come anche Mike perché temeva di essersi davvero invaghito di Layla, e non voleva che qualcuno potesse far colpo su di lei prima che lui stesso ne avesse la possibilità; Jennifer invece si limitò a farsi più attenta e sospettosa riguardo l’insolito comportamento della ragazza, che normalmente non avrebbe mai avuto contatti con Cedric se non necessario.
Il ragazzo fu l’ultimo ad accorgersene, essendo impegnato a cercare di non perderli nella folla, e quindi in un primo momento pensò che la vicinanza della ragazza fosse dovuta al non volersi separare. Guardò Layla a dir poco sorpreso, non credendo possibile che volesse davvero stargli così vicino, ma senza che lei ebbe bisogno di parlare capì che era solo spaventata e si volse dall’altra parte tornando a crearsi un varco tra la folla come se lei non avesse fatto nulla.
Combattuta da emozioni contrastanti, Layla scelse di limitarsi a stringerli la manica della giacca: si sentì in qualche modo più sicura, ma nello stesso tempo non si trovava in eccessivo contatto con lui; il solo pensiero la spaventava a morte e non era certa di sapere il perché.
Quel piccolo gesto scatenò la gelosia di Mike e Susan che tuttavia dovettero rimanere in silenzio per non esporre a tutti i propri sentimenti, e si sentirono bruciare dentro dalla voglia di separarli con la forza, ma pur di non agire il ragazzino dovette mordersi la lingua.
Jennifer al contrario rise sotto i baffi credendo che si stessero innamorando l’uno dell’altra, e quindi la preoccupazione per il comportamento di lei e per ciò che poteva essergli successo quando erano tornati con le borse vuote svanì all’istante. Pensò anzi che si fossero appartati da qualche parte invece di fare la spesa e poi se ne fossero pentiti, e quel pensiero la fece ridere. Ma non diede spiegazioni agli altri e continuò a camminare con un largo sorriso stampato in faccia, finché tuttavia incontrò lo sguardo cupo di Mike e si pentì di aver trovato la situazione divertente. Gli si avvicinò e provò a consolarlo prendendolo per mano a sua volta, e il ragazzino la lasciò fare sospirando un poco più sollevato.
Lo stesso Cedric invece a quel contatto tremò e quasi si ritrasse, tuttavia incontrando nuovamente lo sguardo della ragazza la vide spaesata e intuì che avesse bisogno di sostegno - che non poteva chiedere agli altri, perché i più giovani non avrebbero mai dovuto sapere dell’aggressione. Quindi per la seconda volta tornò a fare finta di niente e la lasciò fare.
Una volta giunti al cancello che gli permetteva di entrare nella più esclusiva zona di Eunev dovettero rispondere a tutte le domande che le guardie gli fecero. Ne approfittarono per chiedere indicazioni su come raggiungere la scuola e cosa fare una volta lì, ma le guardie non seppero dirgli nulla perché al di fuori di chi vi studiava nessuno era a conoscenza dei segreti custoditi dalla struttura; la magia non era cosa per tutti e così doveva rimanere. Seppero solo che la scuola occupava l’intero distretto grigio della seconda cerchia di mura e che per entrare dovevano superare almeno una prova.
«Questa non ci voleva...» commentò Andrew angosciato una volta che le guardie li ebbero lasciati entrare richiudendo il cancello alle loro spalle.
Layla lasciò finalmente la giacca di Cedric con un sospiro sollevato, dicendosi che lì dov’erano ora non potevano esserci delinquenti, le guardie che pattugliavano le strade erano più numerose e chiunque volesse entrare dall’unico cancello veniva controllato con attenzione.
Le alte e strette torri della loro futura scuola erano ben visibili da ogni parte della seconda cerchia di mura, perciò non gli fu difficile capire come arrivarci. Le case e i negozi parevano più grandi, c’erano diversi enormi edifici la cui funzione ai ragazzini era sconosciuta, ma se capitava che passassero abbastanza vicini Cedric poteva leggere su cartelli o targhette di cosa si trattasse; Susan notò sbalordita che ad alcuni incroci c’erano dei cartelli che indicavano una direzione per raggiungere gli edifici più importanti. Videro delle alte guglie nere tra gli alti edifici, e dopo alcuni minuti capirono che si trattava di un’enorme cattedrale nel distretto del Corvo, non lontana dal cimitero principale, la sua grandezza li lasciò meravigliati: solo gli alberi della Foresta e i draghi adulti erano più grandi di quella magnifica costruzione piena di stretti pinnacoli e di nicchie riempite da statue.
Parlottavano tra loro così eccitati che a malapena si accorsero del tempo che passava, e in un battito di ciglia furono finalmente davanti alla loro scuola. Tutti si zittirono per guardare la cima della torre più alta, che pareva toccare le nuvole. Le parti della costruzione che riuscivano a vedere oltre le mura del distretto erano in gran parte in marmo grigio, alcune parti o dettagli erano di una meravigliosa pietra blu venata di azzurro, e le torri avevano infatti ognuna un colore diverso dalle altre. Non persero tempo a contare il numero di torri presenti, sicuri che alcune fossero nascoste alla loro vista da altre ancora.
Per accedervi si dovevano oltrepassare due cancelli di ferro invece di uno, incastrati sotto un arco a tutto sesto che attraversava le mura del distretto, e non sembrava esserci nessuno ad accoglierli - era il primo passaggio tra due distretti che trovavano incustodito da guardie armate.
Attesero diversi minuti, finché Andrew disse sconfortato: «E ora che facciamo?»
«Forse è un enigma? O la prova di cui hanno parlato le guardie?» propose Layla.
«E cosa dovremmo fare?» ribatté Mike confuso «Ci sono solo due cancelli sbarrati!»
Mentre gli altri discutevano e si scambiavano ognuno la propria idea per risolvere l’enigma, Cedric provò a toccare il cancello per vedere se fosse possibile aprirlo e la sua mano lo attraversò. Colto alla sprovvista fece un balzo indietro gridando, e quell’aperta dimostrazione di paura lasciò tutti gli altri basiti.
Il ragazzo si riprese in fretta sentendosi vulnerabile e osservato, scosse la testa e con la sua solita aria composta disse: «Il cancello è un’illusione.»
«Come l’hai capito?» esclamò Jennifer al contempo sorpresa ed eccitata.
«Beh ecco... non è che l’abbia capito. È stato un caso più che altro, volevo solo...»
«Grandioso! Andiamo!» lo interruppe Andrew entusiasta, le mani sollevate sopra la testa. Corse attraversando il primo cancello senza intoppi ma prima che gli altri potessero fermarlo andò a sbattere contro il secondo, che invece esisteva davvero.
Mike scoppiò a ridere quando cadde a terra, mentre il resto del gruppo attraversava il cancello immateriale sostando ora a metà tra i due sotto l’arco di pietra.
«Era ovvio che non potesse essere la stessa cosa per entrambi!» disse Layla con enfasi.
«Poteva anche non essere così.» sbuffò il ragazzino rialzandosi «Se tutti pensano come voi, sarebbe comprensibile rendere entrambi i cancelli immateriali, così chi la pensa come voi resta bloccato qui le ore senza riuscire a entrare!»
«Va bene, hai ragione, ma ora troviamo il modo di aprire quest’altro.» disse Susan con un sospiro, e cominciò a guardarsi intorno in cerca d’indizi; notò che le facce degli altri risultavano di un azzurro pallido, quasi spettrali, a causa della riflessione della luce del sole sulle pareti grigio-blu.
«Come facciamo ad aprirlo senza usare la magia?» si chiese Jennifer.
Andrew le rispose mentre si massaggiava il naso: «Forse può entrare solo chi la sa già usare.»
«E se dovessimo solo toccarlo per dimostrare che la magia scorre in noi?» propose Mike.
«Sì! Proviamo!» esclamò Susan lanciandosi sul cancello.
Lo toccarono tutti insieme e rimasero fermi per diverso tempo, immaginando che un breve tocco non avrebbe funzionato perché poteva anche essere accidentale. Ma attesero così diversi minuti in silenzio e in ansia senza che accadesse nulla.
«Pare non funzionare.» disse Layla sconfortata.
«Non vedo indovinelli da risolvere scritti da nessuna parte.» disse invece Jennifer guardandosi intorno con più attenzione, anche sotto i loro piedi, ma c’era solo pietra di un grigio leggermente tendente al blu.
«Qualche idea Cedric?» gli chiese Mike.
Lui inclinò leggermente la testa da un lato e sussurrò: «Forse.»
«Dillo!» esclamò subito Jennifer.
«Scassinarlo.» scherzò Andrew.
Cedric stette al gioco e disse: «Ci ho pensato.»
«Non sarebbe un’idea poi così malvagia...» rifletté Mike.
«E che se ne fanno in una scuola di magia di uno scassinatore?» domandò Susan contrariata.
«L’idea di toccarlo non era stupida.» riprese Cedric, ora serio «Ma forse ha ragione Andrew e si apre solo se si dimostra di saper usare la magia.»
Si guardarono tra loro preoccupati, nessuno voleva usarla dopo tutto quello che gli avevano detto a riguardo, tantomeno senza i draghi accanto. Toccarono nuovamente il cancello, poco convinti, ma nessuno sembrava voler essere il primo a usare la magia per paura di esagerare e sentirsi male, o svenire... o peggio ancora.
Layla diede una lievissima gomitata a Cedric, che la guardò, e lei fece un cenno quasi impercettibile con la testa indicando il cancello e fissando prima quello e poi il ragazzo con eloquenza.
«Non so se...» cominciò lui in modo che solo lei potesse sentire.
«L’hai già fatto tre volte.» rispose lei altrettanto piano.
«Sì ma... provavo emozioni a dir poco spaventose.»
«Allora proviamo insieme. Ripensiamo a ieri mattina.» disse, e senza attendere una sua risposta chiuse gli occhi e cercò di concentrarsi, sperando che lui avrebbe fatto lo stesso.
Non le fu difficile figurarsi alla perfezione ciò che era successo la mattina del giorno precedente, e alla fine fu la ragazza da sola a lasciarsi prendere dalle emozioni abbastanza da ricominciare a tremare. Quasi scoppiò a piangere sentendosi ancora quelle viscide mani addosso, le loro risate di scherno e gli insulti. Ciononostante riuscì a trattenersi per poter rimanere concentrata sulla magia, non l’aveva mai usata consapevolmente ma desiderava solo poter scacciare quegli uomini, voleva cambiare il suo ricordo, voleva che fosse stata lei ad allontanarli con la magia, non Cedric.
Le venne in mente che a quanto pareva la magia non poteva essere usata indossando dei guanti, quindi si tolse i propri e toccò nuovamente il ferro con più decisione, gli occhi chiusi per concentrarsi e non lasciar fuggire ricordi né emozioni.
Pochi attimi dopo intorno a loro si fece tutto buio, Susan gridò spaventata mentre si sentì mancare la terra sotto i piedi e Andrew prese la mano di Jennifer, che era vicina a lui, stringendola forte. Non riuscirono a vedere nulla per qualche tempo, dopodiché lentamente la luce tornò e la sensazione di cadere nel vuoto cessò, ma quando finalmente riuscirono a mettere a fuoco ciò che stavano vedendo capirono immediatamente di trovarsi da un’altra parte.

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Capitolo 40
*** The second trial ***


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THE SECOND TRIAL

Erano al chiuso ora, in una stanza circolare che andava via via illuminandosi sempre più di una luce soffusa di colore grigio, il colore di Aendail. Al centro, proprio sotto il globo di luce che rimaneva sospeso a diverse braccia d’altezza, c’era un tavolo di pietra, e colonne che sostenevano archi a tutto sesto separavano la sala centrale dal porticato sotto cui ora si trovavano. Non c’erano porte, erano chiusi dentro quella stanza senza vie d’uscita. C’erano cinque statue, sotto gli archi e tutte uguali, rappresentanti Aendail, la divinità della magia.
A Susan venne subito il panico e si schiacciò contro la parete alle sue spalle cercando di mantenere la calma. Layla si guardava intorno spaesata, ancora tremando, e si asciugò in fretta le lacrime prima che qualcuno potesse notarle.
Cedric le mise una mano sulla spalla e lei scattò come una molla per guardarlo, quindi lui sussurrò: «Sei stata brava, ma ora cerca di non pensarci più.»
«Ho fatto tutto io?» domandò in risposta, e il ragazzo si limitò ad annuire.
Perplessa, sorpresa, e inspiegabilmente felice tornò a guardare la stanza con un debole sorriso mentre si rimetteva i guanti: Andrew era accucciato accanto a Susan che tremava di paura e Jennifer studiava il tavolo di pietra sul quale vi erano delle rune raffiguranti ognuna qualcosa di diverso.
Mike si era allontanato per fare il giro di tutto il porticato passando dietro le statue, e una volta tornato al punto di partenza si affiancò a Susan e domandò: «E adesso?» tenendo le mani sui fianchi.
«Siamo bloccati qui!» esclamò subito Susan, la sua flebile voce tremante echeggiò nell’ampia stanza dal soffitto così alto da essere in ombra.
I due più grandi si misero a studiare le rune unendosi a Jennifer, mentre gli altri due cercarono di tranquillizzare Susan che si era seduta a terra con le ginocchia vicine al petto e tremava. Erano incise su delle pietre che stavano in una mano, tutte della stessa forma e dimensione, ma ognuna aveva un colore e un simbolo diversi. Ne riconobbero alcune: la runa del fuoco, una fiamma arancione; la runa della terra, una catena montuosa marrone; la runa dell’acqua, delle onde blu; la runa dell’aria, delle nuvole verde chiaro. Le altre erano meno intuitive: c’erano una boccetta da cui fuoriuscivano delle bolle, di colore verde; uno spicchio di luna di colore viola; un sole giallo; un fulmine di colore bianco; dei cristalli di colore azzurro; un fiore di colore rosa; uno strano simbolo di colore rosso; un altro strano simbolo con degli anelli color tuorlo d’uovo; una spada e uno scudo di colore grigio.
Layla richiamò l’attenzione di Mike Andrew e Susan, chiedendogli di unirsi a loro per cercare di capire cosa dovessero fare con quelle rune, e i tre ragazzini obbedirono avvicinandosi al tavolo. Insieme cercarono di identificare le rune che ancora non avevano capito cosa rappresentassero e fecero progressi: il sole poteva rappresentare il giorno o la stella stessa; la luna allo stesso modo poteva rappresentare la notte o i due corpi celesti; la boccetta verde poteva rappresentare una pozione; il fulmine bianco una tempesta o qualche fenomeno atmosferico; il fiore rosa poteva rappresentare la natura, Chada, o più semplicemente la flora. Delle altre rune non avevano davvero idee, i cristalli azzurri e spada e scudo non riuscivano a interpretarli, mentre gli ultimi due simboli non riuscivano nemmeno a capire cosa rappresentassero.
Mentre gli altri discutevano su cosa potessero essere le ultime quattro rune, Mike di nuovo fece il giro sotto al porticato, e poi osservò le statue di Aendail. La divinità pareva bellissima, avvolta in una lunga veste composta da un solo lungo velo che avvolgeva il suo corpo snello come mosso da un vento invisibile. Non aveva alcun oggetto magico nelle mani con il quale poter controllare la magia: lei era la magia. I lunghi capelli le ricadevano sulla schiena in morbide onde, solo leggermente mossi dalla stessa aria che dava vita alla sua veste, la cui monotonia era spezzata da una spessa cintura. Aveva pochi accessori tra cui alcuni bracciali su entrambe le braccia, e un diadema dalla fattura preziosa.
Dopo aver osservato la statua a lungo, finalmente si accorse che ai suoi piedi, appoggiata al piedistallo, c’era una targhetta di marmo bianco completamente vuota. La fissò a lungo ma non cambiò, né nulla di scritto comparve sulla sua superficie, allora la toccò e finalmente delle rune risplendettero di una luce grigia per poi diventare nere, come dipinte sulla targhetta con l’inchiostro.
Provò a leggere ma i caratteri erano troppo arzigogolati e presto rinunciò, chiamando invece Cedric e interrompendo la loro discussione riguardo le rune. Tutti e cinque si avvicinarono a passo svelto incuriositi, ma lasciarono spazio al più grande che si fermò accanto a Mike e come lui si piegò in avanti poggiando le mani sulle ginocchia per leggere dalla targa di marmo.
«Cosa c’è scritto?» domandò Susan impaziente, sulle punte dei piedi per vedere oltre la spalla di Jennifer.
«Sembra un indovinello, o un enigma.» rispose Cedric rialzandosi «La definizione in versi di qualcosa che noi dobbiamo indovinare.»
«Ovvero?» chiese Andrew «Potrebbe essere qualsiasi cosa, come facciamo?»
Layla notò una fessura piuttosto profonda sopra la targhetta, in cui chiaramente andava infilato qualcosa, e pensò di aver capito cosa. La indicò ed esclamò: «Lì! Scommetto che dobbiamo inserirci la runa giusta! Dobbiamo capire quale tra quelle rune sta descrivendo la targa!»
«Ma prima dovremmo capire esattamente cosa le rune rappresentano!» protestò Susan sconfortata.
«Forse lo capiremo meglio leggendo la descrizione.» ribatté Mike.
«Non è detto, dipende quanto la descrizione è enigmatica.»
«Leggila ad alta voce!» ordinò Jennifer a Cedric, e lui obbedì mentre tutti gli altri si zittirono istantaneamente per ascoltare con attenzione.
La targhetta recitava:

Di ogni creatura sono il fine ultimo,
mia sorella è mia nemica e il mio opposto,
giungo e riparto in un singolo attimo,
impedire il mio arrivo ha un alto costo.

Jennifer storse il naso al secondo verso in una smorfia a metà tra il disappunto e l’incredulità, esprimendo ciò che tutti pensavano. Non avevano idea di cosa quelle frasi stessero descrivendo né tantomeno riuscivano ad associarle a una qualsiasi delle rune del tavolo.
Ne discussero a lungo, ma non venendo a una soluzione decisero di passare a quella successiva toccando un’altra targhetta; come poco prima le rune comparvero magicamente nere su bianco, e Cedric lesse di nuovo, una nuova rima:

Per me il vento è gambe e voce,
la mia presenza difficilmente è notata e nuoce,
senza me tuttavia la vita è impossibile,
la mia mancanza porta a una fine terribile.

«Ma che razza di cosa è questa?» esclamò Susan irritata.
«Un enigma, genio.» ribatté Jennifer.
«Sì, ma... è impossibile capire cosa siano! ‘La mia mancanza porta a una fine terribile.’... mi prendete in giro?»
«Bisogna mantenere la calma e pensarci a lungo prima di dare una risposta.» disse Layla con un sospiro incoraggiante.
«E se sbagliamo?» domandò Mike preoccupato.
«Per questo dovremo pensarci con attenzione e dare una risposta solo quando siamo sicuri.» rispose la ragazza.
Quando si guardarono negli occhi Mike arrossì e si affrettò a girarsi dall’altra parte. Lo salvò dai sospetti soltanto il fatto che Susan parlò proprio nello stesso momento.
«Ma siamo bloccati qui! Finché non diamo la risposta giusta. Non possiamo pensare in eterno!»
«Non possiamo nemmeno correre il rischio di sbagliare, potremmo non essere ammessi alla scuola o peggio potrebbe scattare un meccanismo che potrebbe anche ucciderci!» esclamò Andrew agitato.
Prima che potesse scoppiare una lite, Layla ordinò a Cedric di proseguire con la lettura e lui non esitò a obbedire. Il ragazzo toccò la targhetta sotto la statua successiva, che recitava:

Siamo sorelle di differenti dimensioni,
di giorno dormiamo e di notte viviamo,
la nostra presenza regala emozioni,
siamo spesso vicine ma di rado ci incontriamo.

Come al solito i ragazzini girarono gli occhi e cominciarono a discutere, mentre Layla scuoteva la testa irritata rimanendo in silenzio e Cedric, anche lui zitto, rifletteva pensando di aver identificato le ultime due rune, ma non essendone sicuro ancora non disse nulla.
«Ne mancano altre due.» disse la ragazza più grande indicando la successiva con un cenno del capo «Leggile.»
Gli altri smisero di discutere appena si accorsero che Layla e Cedric si stavano avvicinando alla statua seguente, e li seguirono di corsa.
Susan commentò: «Non sarebbe meglio cercare di capire cosa rappresentino tutte le rune prima di leggere gli enigmi?»
«Già, non sappiamo nemmeno di cosa parlino!» assentì Andrew trotterellando alle spalle di Layla per assicurarsi il suo posto per vedere le lettere comparire sulla targhetta.
Prima illuminandosi di grigio e poi scurendosi fino a divenire nere, le lettere comparvero:

Sono freddo ma divengo presto caldo,
fuoco e tempo sono la mia sola debolezza,
chi di me fa uso spesso è spavaldo,
porto sia morte che salvezza.

Questa volta non si fermarono a dibattere, ma decisero di passare direttamente all’ultima statua, e con lei l’ultima targhetta, che recitava:

Sono il risultato di infinite possibilità,
mescola, pesta, taglia, bolli,
c’è chi dice io non sia scienza ma casualità,
comune errore commesso dai folli.

Jennifer s’illuminò ed esclamò: «Questa la so! È alchimia!»
«Ne sei certa?» le domandò Mike dubbioso.
«Mescola, pesta, taglia, bolli. Più chiaro di così!» ribatté lei con un largo sorriso.
«Sempre che abbiamo capito bene e quella runa rappresenti l’alchimia. Magari è veleno o... beh non so che altro, lo ammetto.» disse Andrew.
«Il discorso non cambia, sempre di alchimia si tratta.» disse la ragazza con voce sorniona.
«Torniamo al tavolo delle rune e studiamole bene in base agli indizi che abbiamo ora.» propose Layla, e nessuno ebbe da obiettare quindi si mossero tutti insieme.
Si riunirono attorno al tavolo di pietra illuminato direttamente dal cono di luce sopra di esso e disposero le rune ordinatamente in cerchio, quindi cominciarono a parlare e proporre le proprie idee cercando dapprima di identificare le quattro rune mancanti, ma i due simboli rosso e oro davvero non gli dicevano nulla, mentre il cristallo e il fulmine non riuscirono a ricollegarli a nessuno degli enigmi.
Quindi cercarono di concentrarsi sulle frasi pensando a quali potessero descrivere una qualsiasi delle restanti rune. A Cedric toccava ripetere spesso i versi senza il bisogno di rileggerli una seconda volta.
«Sorelle di diverse dimensioni che dormono di giorno e vivono di notte.» cominciò Susan «Cosa tra questi elementi dorme di giorno e vive di notte?»
«I cristalli potrebbero brillare di notte per quanto ne sappiamo.» disse Andrew.
«La runa oro ha due cerchi, potrebbero rappresentare le due sorelle?» domandò Jennifer più a se stessa che agli altri, Mike le rispose annuendo incoraggiante e lei proseguì: «Non sappiamo cosa rappresentino, ma sono in due...»
Layla sfiorò distrattamente la collana di sua madre e dopo qualche attimo ebbe l’illuminazione, si mise una mano sulla fronte ed esclamò: «Ma certo! È ovvio che sono Dela e Yra! Le Lune! Sono sorelle e di giorno poco visibili, è bello guardarle e s’incontrano una volta l’anno a fine inverno eclissandosi a vicenda!»
«Sì, potresti avere ragione.» disse Andrew «Mettiamo la luna da parte.» e così dicendo la prese e la spostò verso il centro, escludendola dal cerchio delle possibilità.
«D’accordo, potresti avere ragione.» ammise Mike.
A quel punto Cedric decise di esporre finalmente le proprie idee e disse: «Ho pensato che il secondo enigma possa parlare dell’aria, e sono d’accordo con Layla riguardo al terzo e con Jennifer riguardo l’ultimo.»
«L’aria, eh?» disse Susan pensierosa, fissando la runa verde chiaro con intensità e riflettendo sulle parole incise sulla targa bianca.
«Quindi in teoria mancano solo la prima e la quarta.» disse Andrew.
«Il fine ultimo di ogni creatura... vivere?» propose Jennifer.
«Impedire il mio arrivo ha un alto costo... potrebbe essere!» esclamò Susan. Al suono di quelle parole Cedric fece una smorfia, che nessuno notò.
«Sì ma dov’è la runa della vita qui?» precisò Layla.
«Il fiore!» esclamò Susan.
«Sarà una di quelle che non abbiamo identificato, e sua sorella nemica e opposta è la morte!» disse Andrew.
«Io credo sia all’inverso.» disse Mike, procurandosi le occhiate incredule di Andrew e Susan.
«Pensi parli della morte?» domandò Layla.
«Non credo che la vita direbbe questo, se parlasse di sé.» rispose il ragazzino.
«Il problema non cambia, quale tra queste sarebbe la runa della morte?» ripeté Jennifer.
«La rossa.» disse Cedric senza esitazione.
«O la grigia.» ribatté Susan «Le spade uccidono.»
«Ma non rappresenteresti mai la morte come una spada.» precisò Andrew «Vada per la rossa.»
«Aspettate, e se la morte è rappresentata col veleno e l’alchimia col fiore?» domandò Jennifer presa tutto d’un tratto dal panico; la sicurezza con cui abbinavano i significati delle rune ai versi delle targhette l’allarmava, si aspettava che sarebbe stato più difficile.
«Maledizione hai ragione.» disse Mike cupamente, tornando a guardare le rune sul tavolo di pietra.
«Prima di decidere quale delle due può essere l’alchimia, risolviamo l’ultimo enigma.» disse invece Layla con determinazione, e recitò: «Sono freddo ma divengo presto caldo, fuoco e tempo sono la mia sola debolezza, chi di me fa uso spesso è spavaldo, porto sia morte che salvezza.»
«Cosa è debole a tempo e fuoco?» si chiese Susan.
«Direi tutto.» disse Andrew, poi aggiunse: «Eccetto i Draghi.»
«Qualcosa che sia morte e salvezza insieme...» sussurrò Layla «La natura?»
«Credi la runa del fiore?» domandò Jennifer «Così non avremmo più il problema dell’alchimia!»
«Aspettate, la natura non torna.» disse Mike «Debole a tempo e fuoco, sì. Morte e salvezza, sì. Ma chi sarebbe spavaldo a farne uso? E non è fredda. E parla di sé al maschile.»
«Potrebbe non intendere fredda al tocco, ma fredda emotivamente!» obiettò Andrew «E si scalda in fretta se presa per il verso giusto e rispettata.»
«Io non credo.» disse Susan «Secondo me ha ragione Mike. Tu che dici Ced? Non stare zitto a farti gioco di noi.»
Lui annuì e disse: «Sono d’accordo con te. Se dovessi descrivere la natura non userei queste parole. Sembrano quasi minacciose più che benevole.»
«Era solo un’ipotesi.» si difese Layla scrollando le spalle.
«Ed è giusto così, dobbiamo provarle tutte.» la rassicurò Jennifer «Ma ora siamo daccapo.»
«Ricapitolando, abbiamo l’aria, le lune e l’alchimia. Dobbiamo decidere se il primo enigma parli della morte o della vita, e quest’ultimo non abbiamo idea di cosa sia. Da quanto siamo qui?» disse Andrew.
«Non da molto, mi sembra.» rispose Susan «Perché?»
«Non ha importanza... pensavo che potremmo avere un limite di tempo e ho paura che potremmo superarlo.»
«Non siamo lontani dalla soluzione, possiamo farcela.» ribatté Jennifer con decisione.
«Va bene, quindi a proposito di tempo non dovremmo sprecarlo parlando d’altro, giusto?» intervenne Mike impaziente che tornassero a riflettere sui restanti enigmi.
«Non abbiamo nemmeno ricontrollato se il secondo può effettivamente essere l’aria!» esclamò Susan incrociando le braccia sul petto.
«Beh quelle parole le si addicono, basta guardare il primo verso. Di che altro il vento potrebbe essere gambe e voce?» obiettò Mike.
«Del fulmine?»
«Ma la mancanza del fulmine non porta a una fine terribile, o sbaglio?» le disse con fare irritato, guardandola storto.
Susan si accigliò e stava per ribattere che il fulmine poteva anche rappresentare l’energia in ogni sua forma, quando Layla si mise in mezzo guardando prima uno poi l’altra severamente: «Non c’è bisogno di litigare! Susan ha espresso la sua legittima opinione e le si può dire che ha torto in modi più gentili! Ora torniamo a discutere pacificamente!»
Entrambi i ragazzini puntarono lo sguardo sul tavolo di pietra sentendosi in imbarazzo e finalmente calò il silenzio. Mike guardò Susan di sottecchi e le porse delle timide scuse che lei fu costretta ad accettare, dunque finalmente tornarono agli enigmi. Ripresero a scambiarsi le proprie idee soprattutto riguardo l’ultimo enigma e notarono con non poco fastidio che Cedric come al solito si era chiuso in se stesso, incurante di ciò che dicevano e riflettendo tra sé. Dovettero fare a meno del suo aiuto e passarono così altri preziosi minuti.
Finché con un verso bizzarro il più grande finalmente uscì da quella sua alienazione ed esclamò: «Metallo!»
Tutti lo guardarono interrompendo la discussione.
«Cosa?» fece Andrew perplesso.
«L’ultimo enigma, parla del metallo. La runa grigia.» spiegò, e così dicendo afferrò la runa con scudo e spada e la spostò al centro insieme alla luna viola.
«Aspetta un attimo, prima di darlo per accertato dobbiamo parlarne!» protestò Jennifer spostando nuovamente la runa grigia dove stava prima.
Cedric scosse le spalle con aria noncurante e disse: «Va bene, parliamone.»
«Ci sei arrivato da solo, escludendoci dal ragionamento. Come ci sei arrivato? E perché pensi che sia proprio il metallo descritto dalla targhetta?»
«Stavo pensando alle rune in realtà, a quali potrebbero rappresentare la vita o la morte, e di conseguenza ho pensato al primo enigma. Sono più propenso a pensare che parli della vita e non della morte, dunque mi sono perso pensando a quest’ultima e a quante volte abbia cercato di...»
«La versione breve esiste?» lo interruppe Layla impaziente, girando gli occhi.
«Ci stavo arrivando. Volevate sapere come ci sono arrivato, sbaglio?» ribatté lui guardandola con sufficienza.
«Sì ma non ha chiesto la storia della tua vita.»
«Va bene. Come ho detto, ci stavo arrivando. Ciò sopraccitato mi ha portato a pensare a mio... a Jorel.» si corresse con un ringhio, riprese in fretta l’atteggiamento di prima e continuò: «Che a sua volta, eviterò di dirvi come, mi ha portato a pensare al suo lavoro. Ed ecco qua. Nel fuoco si dà al metallo qualsiasi forma. Col tempo il metallo arrugginisce e si deteriora se non curato, un’armatura può salvarti la vita e un’arma la può togliere. E chi ha un’arma con sé o indossa un’armatura di solito si sente più sicuro, da qui l’atteggiamento spavaldo che l’enigma riporta. È tutto abbastanza chiaro?»
«Non credo di averti mai sentito parlare tanto.» sussurrò Jennifer per prenderlo in giro.
«Infatti. Per carità non parlare più, è tutto molto chiaro.» assentì Andrew.
«E in effetti il metallo come risposta non fa una piega, tra tutte quelle che conosciamo è di sicuro la più azzeccata.» disse Layla, quindi prese la runa grigia e la spostò definitivamente nel centro.
«Molto bene, allora... vita o morte?» domandò Mike guardando le rune restanti con perplessità.
Susan spostò la runa dell’aria al centro insieme a luna e metallo, poi disse: «Io resto dell’idea che sia la vita la risposta. Non si può impedire l’arrivo della morte, mentre si può impedire quello della vita con un alto rischio, ovvero il rimorso. Vivere è lo scopo di ogni creatura, e la sua sorella nemica ed opposto è la morte. È tutto perfetto.»
«Penso esattamente lo stesso.» disse Cedric con una nota malinconica.
«Tranne una cosa, la vita non viene e va in un attimo. La morte sì.» ribatté Layla.
«In realtà la morte è eterna, non pensi? La vita invece no, rispetto all’età del Mondo la nostra esistenza passa in un attimo.» disse Andrew.
«No, no! Il terzo verso non mi convince, e la tua interpretazione nemmeno!» esclamò Mike rivolgendosi ad Andrew «Giungo e riparto in un solo attimo. Non può essere la vita, andiamo!»
«Di questo passo non ne verremo mai fuori.» disse Susan con un sospiro, sconfortata «Sono entrambe opzioni molto valide! E chi ci dice che si parli in effetti di vita e morte e non di altro?»
«Già, magari siamo completamente fuori strada!» esclamò Andrew.
«Il fine ultimo di ogni creatura non può essere altro. Dobbiamo solo decidere quale effettivamente tra le due, secondo i maghi, è il fine ultimo.» disse Layla con decisione.
«Allora io dico morte.» disse Cedric.
«Cambi idea molto in fretta.» lo punzecchiò Susan imbronciata.
«La morte interviene laddove ritiene che una creatura non debba più vivere. Segna la fine di ogni cosa per ognuno di noi.» spiegò lui a sostegno delle sue ragioni.
«Arriva e se ne va in un attimo.» convenne Mike annuendo.
«Ed è il fine ultimo perché in questo mondo non c’è altro dopo essa.» continuò Layla.
«Forse la magia permette al mago di impedire o ritardare la morte di qualcuno, ma con un alto costo in termini di energie vitali. Forse a costo della vita stessa del mago.» riprese Mike.
La situazione cominciò a smuoversi a favore di loro tre mentre Andrew Susan e Jennifer si convincevano sempre più che la risposta all’enigma fosse la runa rossa, lo strano simbolo che pareva un serpente che separava due piccoli cerchi e si chiudeva mordendosi la coda. Discussero anche di quale simbolo potesse rappresentare l’alchimia, se il fiore o la boccetta verde, e alla fine dopo diverso tempo giunsero a una soluzione che mise tutti d’accordo: il primo enigma parlava della morte, la runa rossa; il secondo parlava dell’aria, la runa verde chiaro; il terzo delle lune, la runa viola; il quarto del metallo, la runa grigia; e il quinto ed ultimo dell’alchimia, la runa verde.
Presero le cinque rune e, una alla volta e tremando per l’ansia di aver sbagliato qualcosa, le inserirono negli appositi spazi sopra le targhette, dove s’incastravano perfettamente. Sembrava non succedere nulla, e nulla successe finché non inserirono anche l’ultima, quella dell’alchimia. Dopodiché tutte le rune brillarono e con un assordante rumore di pietra che sfrega contro altra pietra un varco si aprì dove i sei ragazzi si erano ritrovati appena giunti lì: era comparsa una porta dove prima c’era solo un solido muro.

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Capitolo 41
*** The third trial ***


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THE THIRD TRIAL

Mike avanzò incuriosito verso la nuova via d’uscita seguito subito da Jennifer per guardare da più vicino, Layla esitò solo qualche attimo ma si avvicinò anche lei e la seguì Susan, mentre Andrew e Cedric rimasero fermi a fissare lo strano portale da lontano.
«Sembra una casa.» disse Layla studiando il portale con occhi socchiusi, cercando di scrutare la penombra dell’ambiente.
«Una casa? Io ci vedo dell’acqua!» esclamò Mike preoccupato.
«Anch’io vedo una casa.» disse Susan «Una stanza, più precisamente.»
«Io vedo un villaggio deserto, sembra Darvil.» disse Jennifer.
«Io vedo tutto nero...» sussurrò Andrew, e decise di avvicinarsi per accertarsi che non ci fosse qualcosa che da così lontano non vedeva, ma anche quando fu a un passo alle spalle di Mike non vide altro che il vuoto «Cosa vuol dire? Perché vediamo tutti cose diverse?»
«Sembra chiaro che si tratta di un’altra prova.» disse Jennifer pensierosa «Entriamo ognuno nel proprio o aspettiamo per vedere se per caso cambia finché non vediamo tutti la stessa cosa?» domandò poi volgendo le spalle al portale per guardarli tutti in viso. Notando quindi che Cedric non si era avvicinato, anzi sembrava riluttante all’idea di varcare la soglia, si rivolse a lui: «Cosa vedi? Vieni qui con noi!»
Lui scosse la testa, ma alla fine si avvicinò e le rispose: «Un bosco.»
Layla si mise le mani sui fianchi e sospirò: «Aspettiamo un po’, se vediamo qualcosa cambiare vuol dire che potremo aspettare di vedere tutti la stessa cosa.»
Cedric di nuovo scosse la testa e ribatté impaziente: «Non credo cambierà.»
Andrew lo guardò perplesso più degli altri: «Perché no?»
«Conosco quel posto.»
«E con ciò? Anch’io conosco Darvil.» domandò Jennifer.
«Quel posto è...» s’interruppe per cercare le parole giuste, ma non trovandone alla fine semplicemente si portò un dito alla tempia.
«Vuoi dire che è frutto della nostra immaginazione?» domandò Susan incredula e agitata «Ma allora non potremo mai vedere tutti la stessa cosa!»
«Invece sì, se vedrete tutto nero come me!» ribatté Andrew animatamente.
Ma Cedric obiettò: «Per ognuno di noi in quel nero si può nascondere qualcosa di diverso. Susan ha ragione, non vedremmo mai la stessa cosa.»
«Quindi proponi di entrare ognuno nella propria... visione?» fece Mike incerto.
«No, io... io non voglio entrarci.» disse l’altro con una smorfia.
«Hai paura?» domandò Jennifer, sembrava esaltata, forse perché non era abituata a vederlo esprimere ciò che provava.
Andrew lo salvò dal dover dare una risposta, dicendo: «E come non averne? È una porta uscita dal nulla in cui ognuno di noi vede qualcosa di diverso e che forse nemmeno esiste! Tu non hai paura?»
«Di un villaggio? Veramente no.» sussurrò lei con noncuranza.
«Non del villaggio in sé, ma dell’intera faccenda!» disse Mike indicando la porta in cui lui si trovava sott’acqua, i raggi del sole filtravano dall’alto ma era impossibile definire quanto distasse la superficie.
Lei mise le mani sui fianchi e prese un’aria offesa: «Naturalmente mi spaventa. Ma siamo qui per entrare in questa scuola, e se queste sono le prove da affrontare per passare, beh, non credo abbiamo scelta. O affrontiamo questa faccenda ed entriamo, oppure lasciamo perdere e la magia ci ucciderà.»
«Non hai torto... anche perché non c’è altra via d’uscita.» ammise Layla in un sussurro, con fare rassegnato.
«Perciò, se non vi dispiace...» continuò l’altra, lasciò in sospeso la frase e gli volse nuovamente le spalle per poi dirigersi dritta verso la porta con passo deciso.
«No Jen aspetta!» esclamò Mike «Forse dobbiamo solo aspettare, forse c’è altro da fare prima! Non entrare, parliamone!» mentre diceva ciò la ragazza varcò la soglia e scomparve, lui non fece in tempo a raggiungerla per fermarla.
Mike si era fermato così bruscamente pur di non entrare nella sua visione d’acqua che era quasi inciampato ottenendo l’effetto opposto; se solo Layla non l’avesse trattenuto per la camicia ora si sarebbe ritrovato decine di braccia sotto la superficie a lottare per raggiungerla.
Guardarono il portale vedendo ognuno la propria immagine che aveva inghiottito Jennifer ma che nonostante ciò non la mostrava, perché lei era altrove, e si sentirono improvvisamente scoraggiati ad entrare sapendo benissimo che una volta dentro avrebbero potuto contare solo su loro stessi.
«Jen!» gridò Mike disperato, ma perfettamente consapevole che non gli avrebbe risposto. Cominciò ad avanzare avanti e indietro sentendo il nervosismo crescere.
«Dunque cosa facciamo?» domandò poi Andrew con voce flebile.
Layla si mise le mani sui fianchi e rispose: «Io credo che Jen avesse ragione, se questo fa parte delle prove da affrontare non possiamo fare altro che entrare, se vogliamo essere ammessi alla scuola.»
Ma il ragazzino guardò il suo ambiente totalmente nero con sguardo dubbioso, e Cedric alle sue spalle scosse vigorosamente la testa.
Layla sbuffò: «Non abbiamo scelta! Perché siete così restii?»
«Se vedessi quello che vedo io invece di una casa,» ribatté Andrew quasi offeso indicando il misterioso portale «non saresti della stessa opinione.»
Mike prese un lungo sospiro finalmente smettendo di camminare, poi disse con decisione: «Io entro.»
«No Mike aspetta...» cominciò Cedric con fare supplichevole.
«No cosa?» lo interruppe l’altro voltandosi a guardarlo «Layla ha ragione, non abbiamo scelta! E se tu hai ragione e questa visione non cambierà mai, non ha senso aspettare! Perciò è meglio entrare tutti subito e raggiungere Jennifer dall’altra parte!»
«Concordo.» disse Susan anche se ancora non del tutto sicura di voler entrare in una stanza dove non vedeva né porte né finestre, ma cercò di convincersi che fosse perché era poco illuminata.
«Lo so, è solo che... ho un brutto, davvero brutto presentimento.» disse Cedric sentendosi in difficoltà perché nessuno pareva volerlo ascoltare «Di cosa hai paura?»
«Io?» fece Mike incredulo indicandosi «Di cosa ho paura io? Piuttosto di cosa hai paura tu
«No, non intendevo questo. Volevo solo farti riflettere, rispondi alla mia domanda.»
«Ora basta Cedric.» lo rimproverò Andrew «Sono già abbastanza spaventato senza che ti ci metta pure tu! Questa cosa va fatta e non possiamo discutere!» sospirò e guardando Mike annuì dicendo: «Non abbiamo scelta. Pronto o no, entro anch’io.»
«Ma...»
«Basta!» esclamò Mike, riuscendo a farlo tacere una volta per tutte «Ora entriamo tutti insieme.»
Andrew prese la mano a Mike, che a sua volta la prese a Susan, e lei la prese a Layla. Sia Andrew che Layla porsero la loro mano libera a Cedric, ma lui di nuovo scosse la testa rifiutandosi di voler entrare.
«Non vuoi?» gli chiese Susan.
«No, io ho... bisogno di più tempo.» disse lui infine.
«Come vuoi. Ma se resti qui troppo rischi di fallire la prova ancor prima di cominciare.» lo ammonì Layla ritirando la mano.
Andrew invece continuò a tendergliela fino all’ultimo, quando Mike si decise a fare i primi passi verso lo strano portale, e venne risucchiato rapidamente come cadendo in un baratro, trascinandosi dietro tutti gli altri che, colti alla sprovvista, gridarono per lo spavento. Layla fece in tempo giusto a gridare inorridita intravedendo nella sua visione un gigantesco ragno fare capolino nell’arcata prima di venire risucchiata a sua volta.
Cedric fece un ultimo tentativo scattando avanti per afferrare le mani di Andrew e Layla e tirarli fuori esclamando tutto d’un fiato: «Ho fatto quelle domande perché lì dentro state per affrontare...» non li raggiunse in tempo, ciò che lui vedeva - alberi completamente neri stagliati su uno sfondo color del sangue - li inghiottì tutti lasciandolo da solo ad ascoltare le ultime parole di quella frase pronunciate ora lentamente e in un sussurro sconfortato: «...le vostre paure.»
Rimase a lungo a fissare quell’immagine apparentemente statica che sapeva perfettamente essere frutto della propria mente, ed era proprio questo a spaventarlo tanto; aveva già fatto diversi incubi ambientati in quel luogo e non aveva alcuna intenzione di affrontarli anche nella vita reale, sapendo a cosa andava incontro.

Le era parso di entrare in una vasca da bagno o in un ruscello di acqua ghiacciata, ma quando riemerse dall’altra parte era completamente asciutta. Accecata da una luce bianca quasi inciampò appena attraversato il portale. Quando la vista tornò si guardò intorno provando una lieve nausea, e non ci volle molto prima che capisse di trovarsi dall’altra parte del cancello contro cui diverso tempo prima - a giudicare dal sole doveva essere passata almeno un’ora - Andrew aveva sbattuto la testa.
A bocca aperta per l’incredulità si guardò alle spalle e non vide stranezze, solo il cancello di ferro materiale, l’arco a tutto sesto sotto cui avevano sostato in cerca di indizi, e più dietro ancora il cancello immateriale. Il resto del distretto di Zeigah era ben visibile attraverso le sottili sbarre di metallo.
Tornò a guardare davanti a sé e vide la strada che portava all’ampio giardino che circondava tutta la struttura: un viale di pietra blu si snodava sinuoso tra i cancelli e l’ingresso della scuola, gli alberi sempreverdi crescevano ordinatamente al limitare dei sentieri e ciottoli bianchi erano disposti tra la pietra blu della strada e l’erba verde e ben curata.
Incantata da quella vista cominciò ad avviarsi a passo lento, guardando verso il cielo per scorgere le cime delle alte e strette torri, talvolta la loro snella figura era interrotta da quelli che sembravano balconi o ampie stanze a cielo aperto.
Quel portale era solo un’illusione... ma a che scopo mostrare qualcosa che esiste solo nella nostra mente per poi ritrovarci qui? Era una prova? Che genere di prova? si domandò pensierosa.
Qualche attimo dopo sentì dei rumori dietro di sé e si volse di scatto, pronta a reagire o scappare, ma si tranquillizzò quando vide che si trattava degli altri ragazzi che attraversavano un muro invisibile comparendo davanti a lei come emergendo da un liquido; dove doveva esserci la soglia che lei stessa aveva attraversato, l’aria e l’ambiente dietro essa s’incresparono come acqua.
I quattro, che si tenevano per mano, persero l’equilibrio e si trascinarono verso terra a vicenda gridando di sorpresa, paura e anche dolore - Mike pestò la mano di Andrew e Susan tirò un calcio involontario allo stinco di Layla mentre cadevano.
La scena fece ridere Jennifer dopo alcuni attimi di stupita contemplazione, mentre loro cercavano di ricomporsi in un groviglio di mantelli.
La vista presto tornò e, come lei, Susan e Mike rimasero a bocca aperta contemplando la scuola di magia davanti ai loro occhi; Layla si rialzò per prima pulendosi i vestiti dalla polvere borbottando ingiurie contro gli aracnidi, grata che si fosse trattato solo di un’illusione; Andrew invece prese un’aria offesa e chiese a Jennifer cosa ci fosse di tanto divertente.
Mike le evitò di dover rispondere sussurrando senza fiato: «Ma questa è... la soglia... la prova... ma...»
«Esattamente!» disse Jennifer saltellando sul posto e battendo le mani rapidamente «Era solo finzione! Forse per questo era un’immagine nella nostra mente! Sono così eccitata, non vedo l’ora di entrare!»
«Non posso crederci ce l’abbiamo fatta! La scuola è davanti a noi!» disse Susan entusiasta, finalmente rialzandosi.
Mike, ancora sdraiato a terra e sollevato sui gomiti, annuì a bocca aperta e con occhi sgranati, decisamente incredulo. Anche Andrew si rialzò, e ora che Jennifer aveva smesso di ridere, e anzi sembrava occupata a girare su se stessa come improvvisando un ballo, finalmente rivolse all’enorme edificio la meritata attenzione, notando che era interamente circondato da quel muro dal colore grigio tendente al blu. Occupava davvero l’intero distretto grigio della seconda cerchia di mura.
Layla al contrario rivolse alla costruzione una rapida occhiata, poi si guardò alle spalle solo per scoprire che non c’era altro che il cancello che avevano appena oltrepassato grazie alla risoluzione degli enigmi.
Le venne un dubbio e domandò preoccupata: «Cedric non sa nulla, credete che verrà?»
«Oh se la caverà, tranquilla.» le rispose Andrew sicuro di sé, senza guardarla, massaggiandosi la mano dolorante.
«Sì, ma sembrava piuttosto restio...»
Jennifer finalmente si fermò, si prese la testa tra le mani perché le girava, ma infine le disse con decisione: «Ad ogni modo non si può tornare indietro a dirglielo. Se non è sciocco rifletterà su ciò che ho detto e si deciderà a raggiungerci.» rimase in silenzio qualche attimo, poi domandò perplessa: «Perché vi siete tenuti tutti per mano?»
«Per attraversare quella... cosa tutti insieme.» le rispose Susan.
«Per le sorelle Lune non riesco a credere che quella sarà davvero la nostra scuola!» esclamò Mike con un ampio sorriso.
«Potresti cominciare a rialzarti intanto, non credi?» gli domandò Andrew ridendo.
«Per quanto restiamo ad aspettare Cedric?» chiese Jennifer.
«Tutto il tempo necessario, che domande!» esclamò subito Susan guardandola con stizza.
«Concordo, non lasciamo che l’impazienza ci separi.» disse Layla con calma.
«Ma... ma c’è la scuola di magia davanti a noi! Io voglio entrare!» protestò Andrew indicando l’edificio con entrambe le mani.
«Credo che tutti noi lo vogliamo allo stesso modo, ma entreremo insieme.» ribatté lei con fermezza «E tu Mike rialzati da terra per favore, pensa se qualcuno ci sta guardando che figura ci fai fare!»
Il ragazzino a malapena annuì in risposta, ancora perso a osservare le torri slanciate. Mise i palmi a terra e fece leva per rialzarsi, proprio quando Cedric finalmente comparve sulla soglia invisibile che di nuovo increspò l’ambiente dietro di loro. Gli altri si allontanarono con un balzo, ma Mike non fece in tempo a rialzarsi prima che il più grande inciampasse nelle sue gambe cadendo per terra a sua volta.
Jennifer di nuovo rise piegandosi in due mentre Mike brontolava per il dolore, Layla assunse un’aria cupa con le mani sui fianchi, Susan guardò i due ragazzi preoccupata sperando che non si fossero fatti male e Andrew non seppe se ridere o al contrario dirsi infastidito dalla reazione di Jennifer.
Tra le imprecazioni di Mike i due si rialzarono da terra, il più grande a dir poco confuso, Jennifer smise di ridere e prima che Cedric potesse fare domande Layla decise di spiegargli in poche parole cosa fosse successo.
Quando lei ebbe finito Andrew commentò: «Meno male che non hai impiegato molto a deciderti!»
«Meno male che era solo un’immagine dissuasiva...» ribatté Cedric in un sussurro.
«Già...» disse l’altro guardandolo perplesso «Ti sei lanciato di corsa nel portale?»
Cedric si strinse nelle spalle e rispose in un sussurro: «Più o meno...» al che Andrew questa volta scoppiò a ridere.
Mike scosse la testa ed esclamò animato: «Ora entriamo nella nostra scuola!»
«Sempre che ci accettino.»
«Non cominciare col tuo pessimismo! Abbiamo passato le prove! Andiamo!» disse Jennifer, quindi corse verso la scuola seguita subito da Andrew e Mike.
«Non così di fretta!» li rimproverò Layla, ma loro la ignorarono e lei scosse la testa infastidita: «Proprio dei bambini!»
Poi anche i tre rimanenti s’incamminarono, a passo svelto per non restare troppo indietro ma senza correre per evitare di risultare altrettanto infantili.

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Capitolo 42
*** New places, new friends ***


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NEW PLACES, NEW FRIENDS

Il viale di pietra che stavano percorrendo ad una certa altezza si sdoppiava in altre due direzioni, una a destra e l’altra a sinistra, che permettevano di passeggiare nei giardini tutt’attorno alle torri protetti dall’alto muro di pietra grigio-azzurra e conducevano all’altro cancello per accedere al distretto del Corvo - l’altro adiacente a quello della Magia. Loro proseguirono per la via più ampia, quella che conduceva agli enormi portoni d’ingresso al momento nascosti da una delle alte torri, ma quando l’ebbero finalmente aggirata videro Mike Andrew e Jennifer già fermi sui gradini che li attendevano saltellando impazienti.
Affrettarono un po’ il passo per raggiungerli più in fretta e quando furono tutti riuniti finalmente le porte si aprirono a loro proprio come per magia, senza che nessuno da dietro le tirasse. Nemmeno un meccanismo.
L’edificio dentro cui stavano per entrare, sebbene di notevoli dimensioni, pareva minuscolo se confrontato con la mole delle due torri che lo affiancavano; esse non erano direttamente costruite sulla parte centrale della struttura, piuttosto solo collegate da un corridoio. La facciata era rettangolare, ma sopra di essa si ergeva un muro alto e spesso che terminava in una forma triangolare; centrato in quel muro vi era un enorme rosone in marmo bianco e splendente diviso in undici parti: una parte centrale circolare e dieci spicchi, in ognuno dei quali era raffigurato un simbolo e dieci diversi colori brillavano dove la pietra era bucata.
Quando furono entrati le porte si richiusero da sole quasi senza rumore e si ritrovarono in un’enorme sala a tre navate. Quella principale era la più larga e al centro si ergeva una statua di Aendail, uguale a quelle che avevano già visto durante la seconda prova, ma molto più grande e con le braccia sopra la propria testa, le mani a coppa reggevano un globo di luce grigia che illuminava tutto lo spazio. Le navate secondarie, separate da slanciate colonne bianche, parevano totalmente vuote.
Cominciarono a percorrere la navata centrale a passo lento, guardandosi intorno a bocca aperta e talvolta girando su loro stessi per abbracciare ogni cosa con lo sguardo. Superata la statua, che notarono solo ora in realtà si trovava al centro di una sorgente d’acqua delimitata da un basso muretto su cui ci si poteva sedere, videro che c’era un’altra porta da varcare, in fondo alla stanza.
Andrew prese la mano di Susan per farsi guidare da lei mentre ammirava la statua con occhi rapiti, e smise solo quando la porta che li avrebbe condotti nella nuova stanza si richiuse dietro di lui. Allora si concentrò sul nuovo ambiente che era, se possibile, ancora più grande del precedente: largo quanto tutte e tre le precedenti navate e lungo almeno quattro volte tanto, le pareti a destra e a sinistra erano intervallate da porte di dimensioni quasi normali incassate in archi a tutto sesto, mentre la parete opposta mostrava un solo uscio, e la porta - anch’essa incassata in un arco simile - sembrava essere grande quanto quella che avevano appena superato. Ai quattro angoli della stanza partivano delle scalinate che portavano al piano superiore. Salivano in una lieve spirale che permetteva loro di riempire tutto lo spazio della sala senza mai incontrarsi, magari avvicinandosi fino a che lo spazio che le separava non superava mezzo braccio di lunghezza, ma sempre rimanendo divise. L’unica altra decorazione presente era un’ampia fontana al centro della stanza, anch’essa attorniata da un basso muretto bianco, e la sua acqua sembrava risplendere di luce propria.
Solo quando si avvicinarono scoprirono che in realtà era illuminata da sotto, incisi nelle mattonelle della base c’erano dei simboli che brillavano di una luce grigio chiaro, erano gli stessi dieci simboli presenti sul rosone esterno e si presentavano nel medesimo ordine.
Mike si lasciò sfuggire un lungo fischio incapace di esprimere a parole ciò che pensava mentre guardava le scale slanciarsi con grazia sopra la sua testa.
«Bene, siamo dentro!» esclamò Andrew a bassa voce, per paura che rimbombasse tra le pareti «E ora? Non c’è nessuno!»
«Ci sono così tante porte...» disse Susan pensierosa guardandosi intorno.
«Io direi di sederci alla fontana, prima o poi arriverà qualcuno!» propose invece Layla.
Jennifer si sedette immediatamente imitata da Mike, ed entrambi guardarono dentro l’acqua ma cercando di evitare la luce emanata dai simboli. Andrew si sedette ed immerse una mano nell’acqua fresca, quindi osservò il pilastro dalle strane forme da cui sgorgava l’acqua.
Non ebbero il coraggio di scambiarsi più di qualche parola mentre aspettavano, finché con un rumore lieve ma pur sempre udibile, dato che la stanza era praticamente vuota, una porta di quelle che si affacciavano sul lato destro si aprì e ne uscì una giovane donna vestita in modo strano anche per Eunev: gli era capitato solo un paio di volte di vedere gente camminare per le strade con giubbe aperte e pantaloni a sbuffo tenuti stretti in vita da una fascia colorata. I suoi abiti avevano colori sgargianti tendenti all’arancio, salvo la fascia che era di un intenso verde foresta. Sopra a tutto indossava un pesante mantello nero, perché chiaramente non era abituata a quel clima.
La giovane li guardò con curiosità e, qualunque cosa stesse per fare, l’accantonò per avviarsi verso i sei ragazzi. Al che Mike Jennifer e Andrew si alzarono e l’attesero con pazienza; le sue scarpe parevano di un tessuto leggero, quasi velluto o tela, e non facevano rumore sulla pietra blu del pavimento.
«Buongiorno.» li salutò con voce acuta.
«A te.» le rispose subito Layla «Stavamo aspettando che qualcuno ci dicesse qualcosa, ma sei la prima persona che vediamo...»
«Oh, ma certo. È normale, gli insegnanti stanno tenendo lezione ora.» disse lei, tirandosi i lucidi capelli neri da un lato «O correggendo compiti. O riposando per insegnare la notte.»
«Ma credevo che le lezioni non fossero ancora cominciate...» borbottò Andrew.
«Sì infatti, ogni giorno arriva gente nuova per iscriversi. Ma a quanto pare ci sono degli studenti entrati l’anno scorso che ancora non hanno terminato il percorso di studi. Alcuni dicono che non siano normali studenti ma aspiranti arcimaghi.»
«E tu?» domandò Mike curioso e perplesso.
«Io devo ancora essere assegnata a una classe, proprio come voi. Siete qui per studiare?» sembrava eccitata e speranzosa.
«Sì, siamo qui per studiare.» le confermò Jennifer.
«E speriamo di cominciare il prima possibile.» aggiunse Susan, poi si presentò tendendole una mano.
La giovane la strinse subito: «Molto piacere, io sono Deala.» era alta all’incirca quanto Layla, la sua pelle era scura e i suoi occhi lo erano ancor di più, aveva un fisico minuto e slanciato «Lì ci sono gli appartamenti per chi come noi ancora non ha una classe o per chi ancora non ha scelto la propria specializzazione.» continuò indicando la porta da cui era uscita senza tuttavia guardarla.
«Quindi... dovremo stare lì fino a che non avremo una classe?» domandò Andrew incerto.
Deala si mise le mani sui fianchi con aria pensierosa: «Immagino di sì. In ogni caso all’ora di cena farò in modo di presentarvi agli insegnanti o a un arcimago.»
«Molto gentile.» le sorrise Susan con gratitudine.
«Puoi dirci qualcosa mentre aspettiamo la cena? Riguardo la scuola magari. L’hai esplorata? Da quanto sei qui?» le domandò Mike curioso.
«Io sono qui dal primo giorno del mese. In questi tredici giorni sono arrivate trentuno persone oltre a voi. Non ho potuto esplorare molto perché l’accesso alle torri è riservato a chi studia, però posso mostrarvi il cortile se volete! O le stanze. Negli alloggi degli insegnanti, sopra di noi, è meglio non entrare senza dei validi motivi. Dove volete andare?»
«Aspetta, quindi il mese di Aendail è cominciato da così tanto?» esclamò Andrew incredulo.
«Già, e noi che abbiamo festeggiato il mio compleanno oggi, con tredici giorni di ritardo!» annuì Mike con il broncio «Potevo tranquillamente festeggiarlo a...»
Jennifer lo interruppe tirandogli una gomitata per evitare che nominasse gli elfi o la loro città, perché era certa che stesse per farlo. E infatti il ragazzino la guardò dapprima offeso e poi lentamente la sua faccia mutò in un’espressione di panico misto a sollievo.
«Direi che una passeggiata nel cortile la possiamo fare.» disse Layla per sviare il discorso, anche lei avendo capito la situazione, e Jennifer annuì entusiasta immaginando che ci fossero anche lì molte piante strane da osservare.
Deala annuì e con un gesto invitò i sei ragazzi a seguirla, quindi si avviò verso la parete opposta all’ingresso, quella che mostrava una sola porta di notevoli dimensioni, ma non ripresero a parlare finché furono fuori. Come al solito le porte si spalancarono da sole - altrimenti troppo pesanti da muovere - e si ritrovarono in uno spazio aperto apparentemente circolare: era così ampio che era difficile a dirsi. Le torri si ergevano tutt’intorno a questo enorme spazio, di altezze differenti. Probabilmente al centro del cortile c’era quello che sembrava un campanile alto poco più delle mura che li tenevano all’interno dell’aia. Ed esattamente com’era all’esterno, il cortile era percorso da serpeggianti vialetti di pietra blu o grigia o bianca che si perdevano sinuosi in mezzo a piccoli boschi o aiuole piene di fiori invernali, ma anche di esotici arbusti e rovi. La gran parte era ciononostante in via d’appassimento o già priva di foglie, essendo l’inverno cominciato.
«Che meraviglia!» esclamò Jennifer con gli occhi che le brillavano.
«Già. Qui di solito gli studenti vengono tra una lezione e l’altra, tempo permettendo, per ripassare o studiare insieme ad amici che hanno scelto altre materie.» spiegò Deala rabbrividendo dal freddo.
«Quindi potremmo trovare qualcuno? O sono tutti a lezione ora?» domandò Andrew.
«Credo che gli astronomi al momento siano liberi. È una materia perlopiù notturna per ovvie ragioni.» si fermò per indicare delle panche di pietra sotto ad alcuni alberi, implicitamente proponendogli di fermarsi lì a continuare la chiacchierata, e Mike e Susan annuirono in risposta «Ma non ho visto molti studenti a essere sincera, solo Specialisti che a quanto pare non hanno una scadenza delle lezioni e possono continuare a studiare per anni. Gli studenti di rango inferiore credo stiano aspettando l’inizio dei corsi come noi.»
«Sono salici piangenti?» domandò Jennifer una volta che tutti ebbero preso posto. Rabbrividirono a contatto con la pietra gelida.
Deala rise: «Non chiederlo a me, vengo da Melonas e non ho ancora cominciato gli studi. Dove vivo io non ci sono molti alberi, sapete. Perlopiù pini marittimi e arbusti. Voi di dove siete invece?»
«Di Darvil.» rispose Susan.
«Dove si trova?»
«Ehm... a nord. Molto a nord.»
«Nord-ovest.» precisò Cedric, parlando per la prima volta.
E infatti Deala lo guardò sorpresa sussurrando: «Pensavo fossi muto.» facendo scoppiare a ridere tutti gli altri.
«No, è solo molto timido.» sorrise Layla guardando il ragazzo di sbieco, e lui si limitò a scuotere le spalle.
«Che segno siete?» domandò l’altra curiosa «Io sono del Falco.»
«Davvero? Anche io!» esclamò Jennifer entusiasta.
«Io del Cervo!» rispose Susan.
Mike alzò la mano e sorrise: «Corvo!»
«Dama.» disse Layla con un sorriso appena accennato.
«Cavallo!» fece Andrew con enfasi.
«Non ne abbiamo uno uguale!» rise Deala divertita.
Cedric di nuovo scosse le spalle e rispose noncurante: «No. Io sono un Lupo.»
«Sì, un lupo solitario.» commentò Layla a mezza voce lanciandogli un’occhiataccia.
«Avete già in mente in cosa specializzarvi?» domandò la donna dalla pelle scura, cambiando rapidamente argomento.
«Non sappiamo nemmeno cosa si studi qui!» protestò Mike.
«E perché siete venuti?» chiese, sembrava confusa.
«Tu sei qui per partire da zero? Come hai passato le prove?»
«Ammetto che è stata dura... so leggere poco e non ho mai usato la magia, ma evidentemente il cancello ha percepito qualcosa in me che mi ha lasciata passare... No, non l’ho mai usata ma fin da bambina avevo il desiderio di apprendere.»
«Forse ha percepito la tua passione.» propose Layla.
«Forse. Voi l’avete già usata?»
«Si è... come dire, presentata a noi senza preavviso.» balbettò Jennifer non sapendo che altro dire.
«E abbiamo scoperto che è pericoloso usarla senza conoscerla, perciò abbiamo preferito venire qui.» completò Layla.
«Tu quindi hai già qualche idea?» le chiese Andrew, riproponendole la domanda che lei aveva fatto a loro.
«Oh sì! Io credo che mi lancerò principalmente sull’alterazione della materia! La manipolazione degli elementi del Mondo. Mi ha sempre affascinata come l’acqua possa diventare sia aria che ghiaccio, e voglio imparare a dominare questa sua caratteristica. Non so quale materia dovrò scegliere per fare ciò però... o Elementi o Manipolazione.»
«Si può scegliere solo una materia?» domandò Susan preoccupata.
«Non credo... forse da un minimo di una a un massimo di tre o quattro, dipende da quanto ci si voglia ammazzare di studio!» rise.
«E quante sono in totale?»
«Dieci.»
La ragazzina rimase a bocca aperta e Layla sussurrò: «Come i simboli sul rosone.»
«E nella fontana.» aggiunse Andrew.
«Sapete già usare la magia quindi? Potreste farmi vedere qualcosa?» domandò Deala speranzosa.
I ragazzi si guardarono tra loro e alla fine Jennifer disse indicando Cedric e Layla: «In realtà solo loro l’hanno già usata. Ma solo lui l’ha usata consapevolmente.»
«Allora voialtri che ci fate qui?»
«Sappiamo di avere la dote ma non abbiamo ancora usato la magia.» tagliò corto Mike.
«Capisco.» si arrese lei, capendo che non avrebbero provato a fare magie senza prima aver studiato.
«Sai quali siano le materie?» le chiese Andrew.
Lei prese un’aria pensierosa e guardò in alto: «Mmh alcune le so. So per certo Astronomia, Elementi, Manipolazione, Alchimia, Biologia... ho parlato con alcuni studenti durante i pasti. Mi è sembrato di aver sentito parlare di Evocazione... ma non saprei dirvi altro. So che alcune, tra cui Manipolazione ed Evocazione, si basano anche e soprattutto sugli elementi, perciò non capisco cosa si studi effettivamente in Elementi che non si studi nelle altre... Sono così curiosa!»
Cedric indicò la torre più alta e stretta e domandò: «Quella è Astronomia immagino?»
«La più alta, vero? Sì, credo sia ovvio. È la costruzione più alta di Eunev, in modo che si possano scrutare i cieli indisturbati.» rispose Deala.
«Andremo a studiare Astronomia Cedric?» domandò Mike tutto contento «Così mentre guardiamo il cielo giochiamo a individuare disegni nelle stelle, come da bambini!»
Lui sorrise imbarazzato guardando di sottecchi la torre, sorpreso che improvvisamente avesse deciso dopo tanti anni di tirare fuori la questione della loro vecchia amicizia, e ribatté: «Giochi o no, credo che io andrei a studiare lì ugualmente.»
«Ti piace l’astronomia?» domandò Deala.
«Mi ha sempre affascinato.»
«Io credo che andrò su Biologia o Alchimia.» disse subito Jennifer «Pensate quando tornerò a casa quanto sarà orgogliosa mia madre! Saprò più cose di lei senza dubbio!»
«Oh sì, c’è anche Storia. Quella è obbligatoria per tutti.» continuò la giovane donna «Non l’avevo considerata perché non si sceglie. Ma credo che dopo un po’ si possa decidere di non studiarla più, quando si sceglie una specializzazione. Ho sentito parlare di prove terribili, che non tutti superano...» per un attimo rabbrividì e sembrò costringersi ad accantonare in fretta il pensiero.
«Prove per cosa?» domandò Susan preoccupata.
«Credo per avanzare di rango, sapete... prima di scegliere in cosa specializzarsi. Bisogna dimostrare di essere pronti.»
«Sembra logico.» commentò Cedric.
Videro un gruppo di studenti, tutti vestiti con tuniche nere dai tagli differenti, passare piuttosto vicini a loro discutendo e gesticolando animatamente. Uno di loro, che indossava sopra la tunica una casacca dai bordi dorati e con un simbolo simile a uno scudo al centro del medesimo colore, rise quando gli altri si zittirono. Poi il gruppo sparì dalla loro vista.
«Cos’era quel simbolo?» domandò Andrew «Perché lui aveva la casacca con un solo simbolo e gli altri no?»
«Perché lui ha passato le prove e si sta specializzando, credo.» rispose Deala.
«Quante materie puoi scegliere per specializzarti?» domandò Layla.
«Credo due al massimo.»
Notarono che il cortile stava cominciando a popolarsi; in un’aiuola priva di piante qualcuno aveva steso una coperta e vi si erano seduti in cinque, due di loro avevano con sé dei libri ma tutti sembravano al momento presi in un’accesa conversazione. Attraverso i lunghi rami degli alberi videro un altro gruppetto passeggiare lungo il viale di pietra, tutti indossavano una casacca dai bordi e dal simbolo verdi. Videro anche una coppia di due donne - non sembravano ragazze - dalle vesti nere e la casacca dai bordi e dal simbolo rosso fuoco.
Deala le indicò ed esclamò: «Ecco quello è il simbolo degli Elementi! Una fiamma rossa!»
Un gruppo di tre ragazzi e due ragazze si avvicinò a loro, probabilmente con l’intenzione di sedersi a quelle panchine senza sapere che erano occupate. Stavano ridendo spensierati ma smisero appena videro loro già seduti, che li guardavano, e scusandosi se ne andarono in cerca di un altro posto.
Trovandosi così vicini notarono che sulle casacche di tutti i membri del gruppo c’era un simbolo rosa che ricordava una mano aperta.
«Sembra un posto molto tranquillo.» commentò Layla «Mi riesce difficile credere che ci troviamo ancora in una città come Eunev.»
«Hai ragione, sembrano tutti così spensierati e allegri!» assentì Susan con un filo d’invidia.
«Quindi tu saresti in classe con noi?» le chiese Layla sperando in un sì; le piaceva Deala.
«Beh non lo so. Gli studenti in attesa di essere smistati saranno tanti a fine mese credo, forse formeranno sei classi.» rispose la giovane donna scrollando appena le spalle.
«Mi è sembrato di capire che non siano in molti a presentarsi per studiare.» disse Mike.
«Non ancora. Ma siamo solo al quindicesimo giorno d’apertura. In realtà la scuola non ha pochi studenti. Certo la magia è una cosa che spaventa molti ed è un dono raro, ma qui si presenta anche chi vuole magari studiare le piante o il cielo, non per forza praticare incantesimi. È un luogo di pace dove si viene per apprendere.» disse con un sospiro «Forse è anche a causa della guerra in corso che la gente preferisce rimanere a casa e non viaggiare... banditi, ladri, trafficanti, profughi... potrebbe essere pericoloso.»
«E tu come sei arrivata fino a Eunev?» le domandò Jennifer.
«Ho viaggiato con mio padre e mio nonno. Ma ho dovuto attendere di essere adulta per poter lasciare casa e inseguire i miei sogni.» disse con amarezza.
«Sei venuta subito qui senza fermarti in locande in città?»
«Ovvio! Girano brutte voci su questa città. Mia madre non voleva nemmeno che venissi. Però mi piace, è strana e... beh enorme. L’architettura è particolare, come se racchiudesse tutta Dargovas!»
«Vero. Hai visto anche un po’ di Melonas qui? Noi non abbiamo visto molte persone vestite come te.» disse Andrew.
«No infatti, ma ho visto alcune case dall’architettura simile, sì. Voi?»
«Neanche un po’.» rise Mike «Credo che il nostro villaggio sia troppo insignificante. Chi mai da Darvil verrebbe a vivere a Eunev portando con sé le proprie tradizioni? No, noi siamo gente cocciuta e sedentaria.» quelle parole fecero ridere tutti e attirarono alcuni sguardi di studenti curiosi che passavano vicini.
Un altro ragazzo, non vestito di nero e dall’aria spaesata e quasi triste, li vide e camminò rapido nella loro direzione, poi quando fu abbastanza vicino chiese il permesso di sedersi con loro. Indossava una giubba di buona fattura e un paio di pantaloni che gli lasciavano le gambe scoperte dal ginocchio in giù e calzava un paio di scarpe che all’origine dovevano essere state aperte e poi, trovandosi in un clima inadatto, le aveva modificate chiudendole con della tela. Aveva capelli scuri, pelle ambrata e occhi color nocciola.
«Ciao Vill!» lo salutò Deala, poi spiegò: «Lui è un altro che aspetta di poter essere assegnato a una classe.» e infine presentò al giovane i sei ragazzi di Darvil.
«Io vengo da Vonemmen.» spiegò Vill «Ultimamente quel posto è un inferno. Sono grato di essere venuto qui, non m’interessa quanto tempo dovrò aspettare.»
«Cosa sta succedendo a Vonemmen di grave?» domandò Susan ingenuamente.
Lui scosse le larghe spalle: «Gli Spettri stanno dando di matto. A volte la gente sparisce e ricompare nei panni di non-morti. È così che ho scoperto di avere il dono, per scappare da uno di loro. La mia famiglia non ha esitato, mi hanno comprato un cavallo e mi hanno praticamente buttato fuori di casa, ansiosi che fuggissi. Almeno avevo una scusa.»
«Dev’essere terribile, mi dispiace.» sussurrò Jennifer addolorata.
«Preferisco non pensarci. Mi chiedo cosa li trattenga ancora là... gli ho proposto di raccogliere tutto l’oro e fuggire, ma non hanno voluto. Beh... credo sia meglio che mi parliate del vostro villaggio sperduto.» tagliò corto cercando di sorridere.
«In realtà non c’è molto da dire.» disse Mike, dopodiché si lanciò in una breve ma accurata descrizione del villaggio e di tutte le avventure che aveva vissuto, escludendo, naturalmente, i draghi.
Vill aveva diciassette anni e parve sorpreso che loro avessero scoperto la magia in così giovane età, ma non volle indagare; sembrava un tipo piuttosto riservato, forse perché a lui stesso non piaceva condividere le proprie esperienze. Faceva poche domande ma si mostrava molto aperto di mente e interessato a ciò che gli altri dicevano. Rispettarono la sua richiesta di non parlare di Vonemmen anche se morivano dalla voglia di fargli domande riguardo gli spettri; erano una razza misteriosa ai loro occhi e lui a quanto pareva li conosceva.
«Tu sai già cosa studierai?» gli chiese Mike.
Vill ci pensò su a lungo, ma infine disse: «Credo che studierò Elementi o Alchimia. O forse entrambe. Ma anche Telepatia mi incuriosisce.»
«Telepatia?» fece Layla sorpresa.
«Oh sì!» esclamò Deala «Ecco una di quelle che non ricordavo! Dev’essere davvero interessante.»
«Forse nel mio caso sarebbe meglio imparare Difesa e Guarigione... qualcosa che possa portare aiuto alla mia città.» continuò Vill.
«Guarigione? So già cosa studiare!» disse Jennifer con un largo sorriso «Guarigione, Alchimia, Biologia. E se devo aggiungerne una quarta... vedrò.»
«Credo che tu possa evitare Alchimia, puoi sempre imparare da tua madre.» le disse Mike «E lanciarti invece su qualcosa che non conosci, come Manipolazione magari! Io credo che seguirò te Deala. Da ciò che hai detto sembra molto intrigante.»
«Mi farà piacere.» rispose lei con un sorriso.
«Penso che i primi mesi studieremo le basi di tutte le materie, giusto per capire quali ci potrebbero interessare da approfondire e quali invece potremmo scartare.» disse Vill.
«Penso che abbia più senso così, sì.» annuì Layla.
«Sarà difficile organizzare tutte le classi e le materie in modo che ogni studente possa partecipare a tutte le lezioni delle materie che ha scelto.» disse Cedric pensieroso.
«Per questo è sconsigliato sceglierne più di tre.» disse Vill «Naturalmente si può, ma più materie si studiano più è difficile seguire le lezioni, potrebbe capitarti di dover scegliere tra due o più materie tenute nella stessa ora.»
«C’è un modo di recuperare le lezioni perse?» chiese Andrew.
«Beh... nelle ore che hai libere, se trovi un insegnante di quella materia che non sta tenendo lezione, si può trovare una stanza. Basta che gli riassumi l’ultima lezione che hai tenuto e credo che si possa combinare qualcosa, sì. Altrimenti ci sono i libri.»
«C’è un luogo comune in cui si possa studiare che non sia una delle torri?» chiese Layla.
«Che io sappia no. Magari c’è un seminterrato da qualche parte.»
«E c’è qualcuno che possa insegnarci a leggere?» domandò Susan in imbarazzo.
Vill la guardò forse incredulo, ma cercò di non farla a sentire a disagio rispondendo: «Non ne sono sicuro, ma potrai sempre chiedere agli insegnanti.»
Ora che conoscevano tutte le materie che ci sarebbero state discussero di cos’avrebbero potuto scegliere o cercarono di conoscersi meglio, finché si fece sera; il sole cominciò a nascondersi dietro i tetti delle case più alte e cominciò a scendere il vero freddo, insopportabile per Deala e Vill che venivano entrambi da luoghi caldi quasi desertici.
Il cielo fece in tempo a farsi scuro prima che tutti gli studenti si fossero riuniti nell’immensa sala da pranzo, che i ragazzi scoprirono essere lunga e larga quanto la stanza delle scale e della fontana: tutte le porte sul lato sinistro si aprivano sulla sala in cui ora loro sedevano a uno dei lunghi tavoli che la riempivano.
Era un ambiente dal soffitto altrettanto alto, illuminato lungo tutto il perimetro da bracieri incastrati nel muro in modo che nessuno potesse accidentalmente ustionarsi, ma anche da torce appese a un’altezza sufficiente perché nemmeno i più alti o anziani potessero urtarle con le loro teste.
Per quanto numerosi, tra studenti e insegnanti, alcuni tavoli rimanevano vuoti o non del tutto occupati. Tutti vociavano entusiasti producendo un baccano quasi assordante, i tavoli degli insegnanti stavano ai due lati estremi della sala da pranzo e disposti perpendicolarmente rispetto ai loro, seguendo i lati corti del perimetro. Prima che Deala si alzasse per condurli al tavolo degli insegnanti più vicino ebbero modo di conoscere e parlare con due ragazze che con tutta probabilità si sarebbero trovate in classe con loro per i primi mesi, e persino con uno studente che si era fermato un attimo a presentarsi, sicuro di non aver mai visto le loro facce prima.
Deala si schiarì la gola e gridò per farsi sentire: «Signora Kir?»
Una donna di mezz’età si volse sentendosi chiamare, i lunghi capelli che cominciavano a tingersi di grigio raccolti in una coda, gli occhi piccoli e acuti, un naso importante e un lungo abito che pareva leggero di colore blu, coperto sulle spalle da un pesante scialle di lana scuro.
Si avvicinò e con voce gentile ed entusiasta esclamò: «Porti al mio cospetto nuovi volti... Deala, giusto?»
«Sì signora. Sono arrivati oggi!»
La donna portò il mento vicino al petto nascondendo del tutto il collo quasi inesistente e li guardò a uno a uno come una volpe avrebbe guardato un pollaio gremito di galline, batté le mani ed esclamò: «Bene! Molto bene! Falli sedere con te e dopo cena portali ai nostri alloggi, faremo in modo che vengano registrati! Vi do il benvenuto giovani.» dopodiché li congedò con rapidi gesti delle mani invitandoli a sedersi proprio mentre un considerevole numero di uomini e donne - probabilmente addetti al personale che manteneva pulite le stanze e che serviva o cucinava per tutti - passavano con dei vassoi sulle spalle, per poi posarli a intervalli regolari sui tavoli in modo che ogni studente potesse prendere ciò che voleva dal vassoio.
«Chi era?» domandò Susan quando si furono nuovamente seduti, sempre a voce alta per farsi sentire.
«La signora Kir? Oh lei è una persona fantastica, è tra gli insegnanti di Manipolazione!» le rispose Deala «Spero di capitare nella sua classe!»
«Magari insegna alle matricole che presto saremo.» sorrise Layla.
C’era una così ampia scelta di pietanze che non persero tempo a indagare cosa vi fosse sui vassoi, si limitarono a prendere dei piatti a caso anche per non dare fastidio agli altri studenti per troppo tempo. Era tutto delizioso e ai loro gusti insolito, talvolta insipido o talvolta all’opposto speziato. Troppo per Susan, che fece cambio di piatto con Mike mentre Deala rideva divertita, abituata a una cucina più saporita ancora. C’erano pietanze per ogni gusto e palato di Dargovas, dai piatti nordici ricchi di patate e burro ai piatti mediterranei conditi con olio, insalate, macedonie di frutti di ogni tipo, dolci e torte salate e piatti di pesce dei paesi in riva al mare. Tutto sommato ebbero piacere nel provare così tanti sapori nuovi.
Per tutta la durata della cena ebbero l’impressione di trovarsi in una calda locanda sovraffollata, mancava solo la musica dei bardi o i giochi dei menestrelli. Quando ebbero finito uscirono, e la sala della fontana parve fredda e buia a confronto. Si sedettero sul basso muretto e passarono il tempo a osservare gli studenti lasciare a poco a poco la sala da pranzo per dirigersi chi alle torri e chi nelle sale degli studenti comuni, per tutte le matricole.
Gli insegnanti uscirono per ultimi e mantenendo un tono di voce basso, subito dirigendosi verso le scale. Solo allora Vill li salutò per andare a dormire e Deala si alzò correndo dietro la signora Kir, seguita dai sei ragazzi. Si mantennero a distanza per non disturbare gli insegnanti, ma Kir fece loro l’occhiolino per fargli capire che li aveva visti.
Quando furono arrivati in cima la donna salutò i colleghi e fece loro cenno di seguirli, anche Deala si unì a loro ma rimase fuori dallo studio in cui li condusse, ad aspettare. Fece loro cenno di entrare e l’insegnante richiuse la porta quando furono tutti dentro, quindi si avviò a passo lento verso la scrivania e si sedette aprendo un voluminoso libro e girando le pagine in cerca dell’ultima su cui era stato scritto.
«Prego, sedetevi.» disse Kir, ignorando il fatto che non ci fossero abbastanza sedie per tutti.
In tacito accordo Cedric e Layla decisero di rimanere in piedi e far sedere gli altri, che quindi presero posto mentre i più grandi si portavano alle loro spalle, lei poggiando le mani sullo schienale della sedia di Susan.
«Eccoci qui. Prendo penna e inchiostro...» disse Kir, sembrava parlare più a se stessa che a loro, o forse era per cercare di metterli più a loro agio. Sistemò il calamaio in una posizione più comoda, poi li guardò e riprese: «Avrei bisogno dei vostri nomi, provenienza, età, ed eventuali esperienze con la magia prima degli studi.»
Uno alla volta i ragazzi risposero alla domanda, qualora mancasse una precedente esperienza con la magia non dissero nulla, ma alla donna non sembrava importare; d’altronde avevano passato le prove, il che voleva dire che erano sufficientemente qualificati. Annotò tutto sul libro in un’ordinata tabella. Poi gli chiese cosa si aspettassero dalla scuola e sulle prime non seppero cosa rispondere.
Jennifer ruppe il ghiaccio dicendo: «Vorrei poter aiutare mia madre in quanto guaritrice del villaggio.»
Kir annuì, questa volta senza scrivere nulla ma piuttosto soffiando sull’inchiostro perché si asciugasse: «Voi altri? Non avete ancora le idee chiare?»
Mike Andrew e Layla scossero la testa in risposta, quasi vergognandosi.
«Oh non preoccupatevi, se avete il talento sarà solo questione di tempo prima che lo capiate. Ci sarà sicuramente qualcosa che v’intrigherà più di altro. Qualcosa in cui eccellerete, che vi costerà meno fatica. La quota d’iscrizione è di cinquanta monete d’oro.»
Jennifer sbiancò ed esclamò: «A testa?»
Kir le rivolse uno sguardo che pareva insinuante e calcolatore a un tempo: «Mia cara, la scuola va mantenuta. Ti sarai accorta che è una struttura piuttosto grande.»
«Sì, certamente, ma... noi non disponiamo di tutto quell’oro!» protestò.
Andrew pensò al sacchettino di monete che gli aveva lasciato la madre, nel quale c’era una sola moneta d’oro e cinque d’argento, ed erano i risparmi di una vita. Immaginò che per i canoni di Eunev cinquanta monete d’oro non dovevano essere nemmeno tante.
«In effetti forse no, se venite da Darvil.» fece la donna ora mortificata «Ma non possiamo fare eccezioni ragazzi, mantenere questa struttura, nonché occupare un intero distretto, ha un costo elevato. E ultimamente non riceviamo tanti studenti quanti erano un tempo.»
Riscuotendosi in fretta dallo stupore, Cedric scosse la testa: se quello fosse stato l’unico modo per entrare nella scuola e far sì che la magia non li uccidesse non potevano fare altro che accettare le condizioni.
Quindi disse di getto: «Io sono di Eunev. In parte.» si corresse immediatamente, avendo appena dichiarato di venire da Darvil «Posso provvedere alle spese, non ci saranno problemi.»
«Ma...» cominciò Jennifer.
«Va fatto.» tagliò corto lui, e la ragazzina distolse lo sguardo imbarazzata.
Kir gli rivolse un’occhiata sospettosa, ma dopo un lungo silenzio sembrò andarle bene e con una scrollata di spalle chiuse il libro e si alzò.
Andrew sgranò gli occhi e domandò: «Tutto qui?»
La donna lo guardò con un sorriso forse malizioso: «Ti aspettavi qualche altra prova, ragazzo?»
«Beh... forse, io... meglio così.» concluse infine balbettando.
Lei ridacchiò: «Seguitemi ora, vi mostrerò le stanze libere.»
Avviandosi verso l’uscio, Susan non riuscì a trattenersi e chiese: «Abbiamo parlato con alcuni ragazzi che attendono di essere assegnati, quanto manca alla fine del mese?»
«Già sapete che comincia con l’inizio del mese di Zeigah? Molto bene, non me lo aspettavo da studenti di Darvil. Il mese di Aendail terminerà in sedici giorni.» disse aprendo la porta, Deala sentì la risposta per metà e il suo viso s’illuminò.
«E tra quanti mesi potremo scegliere le nostre materie?» chiese Mike mentre scendevano le scale.
«Per i Novizi è fisso un mese di apprendimento generale. Farete due mesi come Ammessi e se supererete gli esami passerete a tre mesi come Apprendisti. Qualora superaste anche gli esami da Apprendisti avrete davanti tutto il tempo che vorrete da passare come Specialisti, e se proprio vi dimostrerete molto portati per una materia vi verrà proposto di intraprendere il percorso per diventare Arcimaghi. Dopo ogni esame potrete decidere di interrompere il percorso di studi e riprenderlo in un secondo momento, dovrete aspettare il mese di Zeigah perché i Novizi comincino l’anno e man mano potrete unirvi alle lezioni degli Ammessi dal mese di Maerah o alle lezioni degli Apprendisti dal mese di Huunvod, in base al vostro rango. La scuola resterà sempre aperta una volta che sarete iscritti.»
«E non dovremo più pagare?» domandò Jennifer ansiosa.
In risposta Kir scosse la testa.
«Grandioso!» sussurrò Andrew entusiasta.
Finito di scendere le scale Kir disse: «Domani mattina potrete andare dai sarti a farvi prendere le misure per le vostre vesti da Novizi, che riceverete prima dell’inizio del vostro corso.»
«Finalmente!» disse Deala tutta contenta «Sono andata a farmi prendere le misure undici giorni fa, spero non abbiano perso le mie vesti!»
La donna rise aprendo una delle porte sul lato destro della sala principale con scale e fontana, conducendoli attraverso i corridoi che separavano le piccole camere singole: «Se hai lasciato il tuo vero nome le ritroverai, ragazza.» dopo un po’ si fermò e disse: «Ecco qui, le camere dalla duecentotrentadue alla duecentotrentasette sono vostre. Per i bagni seguite questo corridoio fino in fondo, destra le femmine sinistra i maschi. Spero abbiate una lieta permanenza in queste stanze finché non passerete al grado successivo di Ammessi. Ora vi auguro una buona notte.» concluse con un sorriso e si volse per tornare sui suoi passi.
Susan d’impulso domandò: «Domani oltre che dai sarti dove potremmo andare? In generale in questi giorni.»
«Ovunque vogliate eccetto le torri, il seminterrato e gli alloggi degli insegnanti.» rispose lei senza fermarsi né voltarsi.
Quando la donna fu sparita dietro a una curva Deala letteralmente esplose di gioia, lanciando un grido acuto e saltellando sulle punte dei piedi con le braccia alzate sopra la testa: «Non vedo l’ora! Non vedo l’ora! La mia stanza è la duecentonove se mi cercate! Meraviglioso! Meraviglioso!» e così dicendo corse via.
Cedric ridacchiò sotto i baffi e commentò: «Che tipa.» poi ognuno si scelse la stanza e si chiusero dentro.
Non erano ampie, perché ce ne stessero il maggior numero possibile affiancate: c’era spazio per un letto attaccato alla parete di fondo, appoggiato alla testata c’era un armadio nascosto da un divisorio, in modo che si potessero cambiare in tranquillità; una scrivania alla parete sinistra, le mensole sopra la scrivania erano occupate da numerose candele integre, fogli di pergamena vuoti, penne e boccette d’inchiostro; sulla destra stavano un contenitore in metallo e cilindrico contenente torce pronte all’uso e un piccolo braciere infossato tra la parete di destra e il pavimento. Un tappeto copriva gran parte del pavimento di pietra. Dal soffitto piuttosto alto pendeva una sorta di candelabro che sosteneva un magico globo di luce grigia piuttosto tenue, che non dava fastidio alla vista ma era sufficiente per illuminare tutta la stanza. Non c’erano finestre.
Si chiesero come poterlo spegnere per dormire, dopodiché a turni si recarono ai bagni e infine si riunirono nella stanza scelta da Mike per discutere animatamente di tutta la giornata prima di tornare ognuno nella propria e provare a riposare in attesa della giornata successiva.

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Capitolo 43
*** Iven ***


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Il colore del titolo del capitolo corrisponde al colore della regione in cui la storia al momento si svolge, tenete d'occhio la mappa per sapere dove ci troviamo!

IVEN

Non dormirono benissimo con quel globo di fioca luce perennemente acceso sopra le loro teste, ma se non altro il letto era comodo; nell’armadio avevano trovato delle vesti per dormire che potevano andare bene sia a femmine e maschi di ogni età altezza e peso. Appena svegli andarono a lavarsi in bagno, ma prima che fossero tutti riuniti fuori dalle stanze passò una buona mezz’ora.
Vennero intercettati da un gruppo di ragazzi prima di ritrovarsi nella sala centrale, tra cui c’era anche Deala, la quale appena li vide li indicò e gridò: «Eccoli! Sono loro!» e tutto il gruppo gli corse incontro vociando.
Fecero conoscenza scambiandosi alcune esperienze e battute per qualche minuto, finché Susan volendo defilarsi disse timidamente: «Dovremmo andare per le nostre vesti...»
Un ragazzo la sentì in mezzo al frastuono ed esclamò: «Dai sarti? Non c’è problema, vi ci porto io! Ah, io sarei Gaule.» si presentò poi, era un giovane anche lui proveniente da Vonemmen, non troppo alto, dai capelli e occhi scuri.
Finalmente riuscirono a liberarsi di gran parte della folla, solo Gaule Deala e Vill li accompagnavano insieme a una timida ragazzina di Eunev che nemmeno aveva pronunciato il proprio nome. Li portarono nella sala da pranzo e poi a sinistra, oltre il tavolo degli insegnanti, per poi scendere una scalinata che portava agli alloggi della servitù. Nel frattempo parlarono animatamente con tre dei quattro accompagnatori, scoprendo che Gaule era giunto solo pochi giorni prima insieme ad altre tre persone; parte dei futuri studenti di cui Deala aveva parlato.
Non badarono nemmeno a dove andavano, ma appena giunsero a destinazione Deala cominciò a parlare con delle persone, probabilmente i sarti, che quindi presero le misure ai sei ragazzi di Darvil e chiesero loro se avessero preferenze per quanto riguardava la lunghezza o la larghezza di maniche e pantaloni, e alle ragazze se invece preferivano delle gonne. In pochi minuti già dissero loro di poter andare.
Tornarono in cortile a chiacchierare fino all’ora di pranzo, poi si riunirono con il resto degli studenti in quell’enorme sala per mangiare, e di nuovo si divisero: gli studenti tornati a scuola dopo un anno o più di pausa si allontanarono per rifugiarsi da qualche parte a studiare e i futuri studenti si sparpagliarono per il cortile.
Non fecero altro che parlare, girare il cortile e conoscere i loro probabili futuri compagni di classe nei giorni che seguirono, durante i quali arrivarono altri ragazzi, in tutto una quarantina. Uno di loro veniva persino da Elseir, un villaggio sconosciuto e più o meno popolato quanto Darvil; forse era l’unico ragazzo di Elseir in tutta la scuola.
Parlando coi futuri studenti vennero a sapere che praticamente tutti avevano scoperto di poter usare la magia per caso, e di certo non si trattava di una situazione pericolosa per loro; al contrario dei sei ragazzini di Darvil tutti i giovani che si iscrivevano erano nati con la predisposizione all’uso della magia, e perciò non rischiavano che essa si manifestasse senza il loro consenso. Certo comunque se la usavano senza sapere come rischiavano la vita, ma se non altro dovevano essere loro a volerla usare.
Mike Andrew Jennifer e Susan notarono che Layla continuava a starsene stranamente sulle sue e in silenzio se si trovavano in un gruppo nutrito a chiacchierare, e riprendeva a essere se stessa solo se si ritrovavano loro sei da soli o al massimo se oltre a loro era presente Deala.
Provarono un giorno a chiederle come mai il più delle volte sembrava volersi volontariamente isolare, perché era strano che non provasse come al solito a partecipare a una discussione per avere l’ultima parola, ma in risposta lei si limitò a scrollare piano le spalle e rispondere, senza guardarli, che semplicemente non se la sentiva di conversare con gente che non conosceva.
Jennifer non le credette, ma insistere servì solo a far arrabbiare Cedric, che dopo alcuni minuti sbottò all’improvviso intimandole di smettere d’infastidire la più grande.
Si erano ormai quasi abituati al suo comportarsi in modo strano, sapevano che bastava molto poco a fargli cambiare umore e per una parola detta al momento sbagliato poteva passare dalla sua abituale aria malinconica a un improvviso accesso d’ira, com’era appena successo. Ma ultimamente stava esagerando, e questo stava cominciando a irritarli.
Quelle poche volte che il ragazzo rispondeva alle loro domande spesso usava un tono freddo, inasprito o infastidito, come se loro gli avessero fatto un torto, ma non dava alcuna spiegazione del perché agisse a quel modo o che cosa esattamente loro avessero fatto per innervosirlo. Il resto del tempo lo passava zitto, perso nei propri pensieri, e talvolta sembrava non ascoltarli proprio, tanto che ai ragazzini sembrava di viaggiare insieme a un fantasma di cui percepivano solo la presenza; era capitato che fosse rimasto indietro con lo sguardo perso da qualche parte perché non li aveva seguiti quando avevano deciso di spostarsi dal cortile all’interno della struttura in cerca di calore, ed erano dovuti tornare indietro a chiamarlo.
Non mostrava mai nemmeno un accenno di sorriso, talvolta parlava da solo dicendo cose che non avevano alcun senso, non mangiava quasi nulla e alcune volte se ne andava proprio abbandonando la conversazione a metà, come se non gliene fregasse assolutamente niente. Per non parlare poi delle occasioni in cui senza alcun preavviso rideva istericamente o al contrario piangeva, pure quando erano presi da una conversazione di gruppo. Evidentemente davvero non gli importava di non trovarsi da solo per conto suo, come forse immaginava di essere, e inevitabilmente si stava attirando una brutta fama da parte di chi non lo conosceva.
Quella sua presa di posizione in difesa di Layla fece arrabbiare Jennifer a sua volta, che esclamò: «Si può sapere una volta per tutte che ti prende? Siamo preoccupati per lei! E anche per te, ma non te ne frega nulla!»
In effetti lui non rispose, e la ragazzina a quel punto preferì allontanarsi trascinandosi dietro Mike per non peggiorare le cose. Di conseguenza la seguirono anche Andrew e Susan, un po’ meno convinti, per andare a cercare il gruppo di Deala.
Layla dal canto suo guardò Cedric con aria sbigottita, ma di certo si disse di non potersi lamentare; innegabilmente che prendesse le sue difese a quel modo poteva apparire sospetto, però almeno sperava che i più giovani non avrebbero più provato a indagare. Nemmeno lei aveva idea del perché si comportasse a quel modo, eppure si faceva andare bene il fatto che quantomeno su quel fronte fossero dalla stessa parte; evidentemente il ragazzo capiva come mai lei sentisse di dover stare sulle sue senza dare spiegazioni, cosa che lui faceva abitualmente in fondo. Perciò Layla cominciò a capire che Cedric doveva avere delle ragioni più profonde del semplice essere mezzo matto per comportarsi così da anni, ora che era cambiata e rimasta traumatizzata lei stessa si chiese cosa avesse traumatizzato e cambiato lui allo stesso modo.

Trascorsi dieci giorni a scuola in attesa che gli studi cominciassero decisero però di passare il resto del mese di Aendail nella loro casa nel distretto del Corvo, per finire definitivamente le vivande che avevano comprato al mercato pochi giorni prima. I draghetti mancavano a tutti terribilmente e ne discussero in quei giorni, sperando che stessero bene ma sapendo perfettamente di non poter uscire dalla città per andare a trovarli, perché sarebbe stato macchinoso rientrare.
Andrew suonò ogni giorno per migliorarsi e perché gli piaceva molto, mentre Layla andò spesso a trovare Iven passando con lei gran parte del pomeriggio a sorseggiare tè davanti al camino, parlando animatamente; le piaceva davvero quella donna e aveva tante cose da narrare. Una volta persino ne approfittò per raccontarle dell’aggressione che aveva subito sperando che la sua figura potesse sostituire quella di una madre che le mancava tanto.
L’anziana Iven fece di tutto per farla sentire coccolata e al sicuro per il resto del pomeriggio, e la ragazza se ne andò asciugandosi gli occhi solamente quando il figlio di lei fece ritorno a casa; non si erano mai incontrati e lo salutò educatamente, ma non si trattenne a lungo. Un paio di volte anche Susan e Jennifer si unirono a lei per passare il pomeriggio con Iven.
L’ultimo giorno andarono in banca tutti insieme per trasportare ben trecento monete d’oro. Una cifra che nessun abitante di Darvil avrebbe probabilmente mai visto tutta in una volta, ma che per l’appunto a Eunev non era granché - con cento monete ci si poteva a malapena permettere un cavallo meticcio.
Il pomeriggio decisero di fermarsi da Iven, avendo finito tutte le scorte nella dispensa. O perlomeno lo decise Layla, e dal momento che Cedric fu l’unico a obiettare - sostenendo che piuttosto avrebbe saltato il pasto - alla fine si presentarono alla porta della vecchia. Trascinandosi dietro anche il più grande con la forza.
Iven aprì lentamente la porta, prima sbirciando cautamente per non ricevere brutte sorprese, ma appena vide la faccia di Layla spalancò l’uscio e li invitò a entrare. Mentre varcava la soglia la ragazza spiegò il perché si trovassero tutti lì e le disse subito che se fosse stato un disturbo per lei se ne sarebbero andati trovando un altro posto dove cenare.
Ma la donna ribatté che non ci sarebbe stato assolutamente nessun problema, anzi le avrebbe fatto piacere ricevere un aiuto in cucina. Strinse la mano a Mike e Andrew, i quali si presentarono per la prima volta rossi d’imbarazzo, abbracciò Jennifer e diede un bacio in fronte a Susan. Cedric era rimasto indietro, ma si vide costretto ad allungarle la mano per presentarsi ed entrare a sua volta. Solo che Iven gli andò incontro a braccia aperte e ridendo esclamando il suo nome, per poi stringerlo in uno stretto abbraccio che lo lasciò interdetto e a disagio. Andrew e Jennifer scoppiarono a ridere vedendolo rimasto senza fiato e rosso in viso.
Una volta che furono tutti dentro Iven disse di fare come se fossero a casa loro, quindi Mike le chiese subito se avesse un mazzo di carte con cui giocare. Lei rispose immediatamente di sì, ma che non ricordava dove l’avesse messo. Fece mente locale e lo invitò a seguirla, quindi frugò in qualche cassetto e finalmente lo trovò. Si propose di insegnare loro alcuni giochi e si sedettero tutti attorno a un tavolino davanti al camino acceso.
«Ho vinto di nuovo!» esclamò l’anziana al termine della terza partita «Volete del tè mentre aspettiamo l’ora di cena?»
«No grazie.» rispose Mike nascondendo il broncio dietro ai pugni con cui sosteneva la testa.
«Possiamo giocare a squadre ora? Per te è troppo facile vincere!» esclamò Andrew demoralizzato.
«Se giocassimo a squadre io starei con Iven!» disse subito Layla.
«Ti piace vincere facile?» la accusò il bambino.
Lei prese un’aria vagamente offesa: «No! Trovo solo che tra voi sia la più adatta a stare con me! Abbiamo una mente simile!»
«Allora io sto con Cedric!» si buttò Susan, poi aggiunse: «Almeno uno dei due sarebbe intelligente.» e Andrew scoppiò a ridere.
Jennifer invece disse maliziosamente: «Non avevamo dubbi.»
E Susan arrossì esclamando con voce acuta: «Cosa intendi dire?»
«Niente, niente.» ribatté l’altra dandosi un’aria d’importanza, come se appunto tenesse una verità nascosta in pugno.
«Bene, se voi due volete stare con ‘Quelli intelligenti’ noi tre saremo un’unica squadra!» disse Mike mettendosi le mani sui fianchi.
«Ci sto!» sibilò Susan accettando la sfida.
«Ehi aspetta un attimo! Tu ci stai perché dovrei fare io tutto il lavoro!» ribatté Cedric, per una volta stando allo scherzo, e Andrew rise di nuovo.
Iven mischiò e distribuì le carte alle tre squadre e cominciarono una nuova partita, consultandosi tra loro prima di fare ogni mossa in modo da non dare vantaggi agli avversari.
A un certo punto del gioco Iven disse: «Allora Cedric, sei venuto qui con un gruppo di amici per studiare magia. Che mi dici di Laurel? Tornerà mai a trovarmi?» quindi scartò la carta che Layla le stava indicando.
Il ragazzo s’immobilizzò e nonostante fosse il turno della sua squadra perse totalmente interesse per il gioco, pensando invece a come rispondere.
Intervenne Susan per lui: «Stai cercando di distrarlo?»
E Iven ridacchiò: «Niente affatto, voglio solo sapere come sta!»
«Ho una sorellina, perciò non c’è molto tempo libero.» buttò giù Cedric, e tutti lo guardarono con aria incredula, sapendo che aveva deciso di mentire ma non per quale ragione.
«Oh, che bella notizia! E quanti anni ha? Potrebbe venire qui con lei ogni tanto!» esclamò la vecchia.
Lui finse un sorriso: «Non credo sarebbe una buona idea.» poi tornò a concentrarsi sulle carte e Susan gli indicò quella che avrebbe voluto scartare. Ci pensò un po’, dunque le sussurrò: «No, abbiamo in mano la carta più forte del gioco... sarebbe stupido. E poi Jennifer ha già scartato un quattro di fiori...»
«Quando?» domandò lei interrompendolo.
«Al primo turno.» rispose lui.
Susan lo guardò incredula: «E te lo ricordi? Sei sicuro di non sbagliarti?»
«Assolutamente. Lei ha scartato il quattro e Iven l’ha preso insieme a un cinque di fiori con la regina di ori.»
«Va bene, allora scegli tu.» disse infine rassegnata, ma fiduciosa.
Quindi Cedric scartò un cavaliere di fiori, che ora stava in tavola insieme a un due di spade e un tre di coppe.
Venne il turno del trio, i quali decisero di aggiudicarsi il tre di coppe con il tre di fiori che avevano in mano.
Iven e Layla all’unisono indicarono la stessa carta, e con un fante di ori si presero il fante di fiori.
Susan sussultò, ma Cedric schioccò la lingua e prese l’ultima carta con un due di ori, aggiudicandosi un punto in più perché aveva svuotato il tavolo.
«Sì!» esclamò Susan alzandosi dal tavolo e lanciando i pugni in aria.
«La partita è ancora tutta da giocare, mia cara!» le disse Iven con un tono pacato e un sorriso velato.
E aveva ragione, perché nonostante Susan e Cedric fecero numerosi punti la squadra di Layla e Iven li batté di poco, principalmente per il numero di carte prese e per aver preso più ori. Il terzetto arrivò ultimo in classifica.
Tra le lamentele dei più giovani che avevano perso di nuovo Iven si alzò dicendo che sarebbe stato meglio cominciare a pensare alla cena. Layla si alzò immediatamente per seguirla, e poco dopo anche Cedric lasciò il tavolo da gioco; almeno senza di lui avrebbero potuto giocare in due squadre da due.
«Che vuoi?» fece Layla infastidita appena entrò in cucina.
Cedric la guardò sorpreso: «In casa nostra ci occupavamo entrambi dei pasti...»
«Beh, ora non ce n’è bisogno.» lo liquidò in fretta.
La sua freddezza lo sorprese, ma non fece in tempo a rispondere perché Iven aggiunse: «Quello che stiamo facendo non è roba per te, gli uomini non badano alla casa. Dai un’occhiata ai più giovani.» guardò il ragazzo, che la fissava incredulo «Beh? Che aspetti?»
«Ma...»
Gli sorrise amabilmente: «Comunque mi rallegra sapere che c’è qualcuno che s’interessa. Di solito gli uomini non si preoccupano minimamente di ciò che succede in casa.» lo costrinse a voltarsi e lo spinse fuori dalla cucina.
«Sono cresciuto diversamente.» disse con una scrollata di spalle.
«Ma che bravo, sarai un perfetto uomo di casa! Solo povera la donna a cui toccherà vivere con te!» esclamò Layla mentre tagliuzzava col coltello una carota sul tagliere di legno «Se mai ce ne sarà una.» aggiunse poi in un sussurro.
Cedric in un primo momento non rispose, si limitò a guardarla torvo, ma poi sussurrò: «Dov'è finita tutta la gratitudine di qualche giorno fa?»
Layla si limitò a fargli segno di stare zitto e disse: «Non c’è mai stata. E ho altro in mente in questo momento.»
«Oh, quindi il tuo comportamento nei miei confronti varia in base a ciò a cui pensi?» ribatté irritato.
Layla lo schernì ridendo divertita: «Non mi sembra che tu faccia diversamente.»
Cedric le rivolse uno sguardo carico di rancore, al quale lei rispose sorridendo e agitando poco e velocemente la mano come per dirgli di andarsene, quindi lui si volse e tornò in sala dagli altri che stavano giocando una nuova partita, e lì rimase a braccia conserte.
«Non andate molto d’accordo voi due.» osservò la vecchia tornando in cucina dalla ragazza.
«No, infatti. Ci detestiamo cordialmente appena gli altri non guardano.»
«Ti ha mai fatto qualcosa di male?»
«No.» disse lei con una scrollata di spalle mentre accendeva il fuoco «È così fin dalla prima volta che ci siamo visti.» mentì, non volendo nominare Emily; il solo ripensare a ciò che le aveva fatto la fece rabbrividire.
Pensò poi con rammarico che la donna era stata molto affezionata alla famiglia del ragazzo e quindi probabilmente provava simpatia anche per lui, ma non poteva cambiare le proprie emozioni solo per non fare un torto a Iven.
«Oh Layla, dopo quello che hai passato in questi giorni non c’è da sorprendersi se hai cominciato a provare qualcosa per lui! Ti ha aiutata molto, non si può negarlo, ed è anche giusto che tu ti senta spaventata, è un sentimento che ancora non conosci.» le disse l’anziana, ora con fare più dolce.
Layla scosse la testa: «No, è impossibile. Lui...» s’interruppe perché con orrore le venne in mente quello che le aveva detto Jennifer, uno dei ragazzi era apparentemente e probabilmente innamorato di lei, ma non sapeva chi.
No, tranquilla non è possibile. Mi odia! Ci odiamo a vicenda! Però sarebbe un buon motivo per farsi prendere a calci al posto mio... pensò nauseata al solo pensiero, sia di ricordare l’accaduto che di aver pensato a certe cose. Con tutto quello che aveva avuto in mente in quel periodo aveva quasi dimenticato la questione. O forse in realtà non se n’era dimenticata, ed era il motivo per cui lo aveva appena trattato a quel modo. Non riusciva proprio a capire se gradisse o no la presenza del ragazzo, eppure di certo non aveva motivo di bistrattarlo dopo tutto quello che aveva fatto per cercare di aiutarla.
«Cosa c’è?» domandò Iven notando il suo improvviso pallore.
Scosse la testa: «Un’idea stupida. Tra noi non succederà mai un bel niente, puoi starne certa.»
E tra sé, Layla si disse che davvero sperava sarebbe stato così, volgendo uno sguardo di nascosto alla stanza adiacente. Poteva forse accettare di avere un rapporto di amicizia con lui alla pari degli altri, ma la sola idea che Cedric potesse realmente essere interessato a lei le faceva venire i brividi. Di nuovo scosse la testa, non gli avrebbe permesso di invaghirsi di lei a costo di sembrare una insensibile che lo maltrattava senza motivo; la sua costante freddezza avrebbe dovuto allontanarlo, si disse con convinzione.
Cedric si stufò presto di guardare gli altri quattro giocare ridendo spensierati e tornò dalle due, rimanendo a lungo in disparte a osservarle in silenzio per non turbare Layla. Come di consueto faticava a restare nella stessa stanza con qualcuno che al contrario di lui riusciva a essere felice, e un’aperta dimostrazione di divertimento in certi casi lo faceva solo sentire peggio e fuori luogo.
Alla fine fu lei a interpellarlo, continuando a giocare la parte dell’insofferente: «Perché sei tornato?»
E lui scosse le spalle: «Mi annoiavo.»
«Quindi hai preferito tornare nella tana del serpente. Sei proprio strano.» bofonchiò Layla, poi con uno scatto fulmineo gli puntò contro il cucchiaio di legno come se fosse stata una spada: «Ma ti avverto, non ti azzardare! Non provarci con me!»
«Cosa?» esclamò incredulo, poi scosse la testa «D’accordo, che ti prende? Si può sapere che diamine ti ho fatto?»
«Lo sai benissimo!» ribatté furiosa.
«No, non credo. Che ho fatto per meritarmi questo quando fino all’altro giorno mi sembrava volessi il mio aiuto? Non ti è dispiaciuto di tutte le volte che ti ho difesa.» la accusò.
E lei ribatté limitandosi a dire a denti stretti una sola parola: «Emily.»
Seguì un lungo silenzio in cui lei guardò lui e lui la guardò senza realmente vederla, rimanendo turbato al punto da paralizzarsi sul posto, dopodiché la ragazza riprese quello che aveva interrotto nascondendo il viso coi capelli; era arrossita ma non voleva che lo sapesse, né tantomeno voleva si sapesse che quella era stata solo una mezza scusa che probabilmente l’aveva ferito più di quanto la verità stessa avrebbe fatto.
Cedric pensò che in fondo avrebbe dovuto aspettarselo dalla ragazza, era la migliore amica di Emily e senza dubbio aveva sentito solo una versione dalla storia. Ovvero quella in cui lui aveva cercato di uccidere Emily, nessuno si era mai soffermato a chiedersi se quella versione fosse anche solo lontanamente possibile; tutti avevano usato la scusa che fosse pazzo per giustificare un comportamento del genere.
Eppure ci rimase male, fino ad allora non gli era sembrato che Layla serbasse tanto rancore per quella storia, anche se la sua diffidenza nei suoi confronti era sempre stata dovuta a quello. Dopo quello che avevano condiviso negli ultimi giorni poi, aveva creduto che la ragazza si fosse appoggiata a lui per superare quel momento, e forse l’aveva fatto ma una volta ripresa la confidenza in se stessa era tornata a temerlo ancora più di prima. Dopotutto in quell’occasione aveva davvero ucciso qualcuno, cosa poteva dire in sua difesa per farle capire che con Emily era stato diverso?
«Posso almeno guardare?» chiese il ragazzo quando ebbe ritrovato la forza di parlare.
«Ma certo che puoi, se ti fa piacere.» gli rispose Iven cercando di riportare la calma.
Layla decise di cambiare argomento e si buttò: «Tu... tu ti sei mai innamorato?» Cedric la guardò incredulo, colto alla sprovvista, stava per ribattere ma Layla continuò: «Non fraintendermi. È solo una domanda, tu non m’interessi.»
«Oh bene, confortante. No, non credo proprio.»
«Bene, è un indizio... grazie.»
«Un indizio? Per cosa?»
«A quanto pare non ti riguarda. Ora fai silenzio.» riprese quello che fino a poco prima stava facendo.
«Ma potremmo almeno provare una volta sola ad andare d’accordo?» esclamò indignato.
«Chiudi la bocca e fai silenzio!» ripeté lei scontrosa; se non altro aveva ottenuto una risposta, ed era quasi certa che non avesse mentito. Ma ancora non poteva esserne sicura.
Cedric non rispose una seconda volta, imprecò tra sé e incrociò le braccia risentito, ma rimase in silenzio a guardare lei e la vecchia alle prese con la cena per tutto il resto del tempo.

L’atmosfera quella sera a cena era un po’ tesa tra Cedric Layla e Iven, mentre gli altri chiacchierarono allegramente. Conobbero il figlio della donna; somigliava molto a lei, tranne per il fatto che aveva i capelli scuri e la pelle più chiara. Era un tipo molto simpatico e spigliato e giocò con Mike e Jennifer a farsi gli indovinelli a vicenda per tutto il tempo che prese la cena.
Finché tuttavia Iven decise di tirare fuori l’argomento ‘Chi ama chi’ di poco prima mascherandolo in modo da far venire la ridarella a tutte e tre le ragazze parlando invece delle proprie esperienze passate.
Mike si appoggiò al tavolo col gomito e si tenne su la testa col braccio, guardandosi intorno annoiato e tamburellando sul legno con le dita, sbuffò un paio di volte e guardò Cedric come per pregarlo di alzarsi e portarlo con sé da qualche parte.
Ma lui al contrario era piuttosto interessato all’argomento e divertito nel vedere Iven ridere tanto parlando dei vari uomini che aveva conosciuto e che ci avevano provato con lei, quando era più giovane. Rise sorpreso nel sentirla definire uno di loro un ‘Lama che sbavava tanto da poter innaffiare tutte le piante della città con la sua saliva’.
Il figlio della donna e Andrew ascoltavano la conversazione in imbarazzo, sentendosi fuori luogo - soprattutto l’uomo che dovette ascoltare la madre parlare delle sue esperienze con altri uomini.
«E voi? Troppo giovani eh? Oh, sono sicura che tre belle ragazze come voi potranno vantarsi di raccontarne ancora più di me!» concluse la vecchia con una debole sventolata di mano.
Risero tanto che la pancia gli fece male, poi Layla esclamò: «Beh, veramente Jennifer ha una cotta!»
Lei arrossì ed esclamò: «Cosa?!»
«Ma sì, è evidente! Quel giorno! Altrimenti perché mai avresti voluto il mio parere, se non per essere certa che non c’interessasse la stessa persona?»
«Cosa?» fece Cedric a sua volta, imbarazzato.
«Oh sì tranquillo, tu non m’interessi, lo sai già. Ma forse interessi a lei!»
«No!» esclamò la ragazzina sbigottita, non sapendo tuttavia come provarlo. Poi le venne in mente cosa dire per sviare i sospetti: «Ma di sicuro interessi a Susan!»
«Che?! Lui?» esclamò Susan, tuttavia arrossendo come un melograno «Ma finiscila Jen!»
«Ma sì, si vede!» riprese Layla.
«Io direi che lui piace a te cara!» intervenne Iven rivolta a Layla.
«A chi? A me?! Assolutamente no!»
Andrew rideva senza controllo e Cedric stava ad ascoltare senza riuscire a nascondere il disappunto, guardava ogni volta chi parlava cercando di capire chi stesse mentendo e chi no, poi domandò: «Interesso a qualcuna o proprio a nessuna?»
«A nessuna pare! Puoi metterti il cuore in pace!» esclamò Layla allegramente.
«In tal caso... a me potresti interessare! Sei un bel ragazzo in fondo!» disse Iven facendogli l’occhiolino.
Cedric si volse dall’altra parte arrossendo visibilmente e sussurrando qualcosa, mentre gli altri si sbellicavano dalle risate.
Mike sorrise per la prima volta, ma tornò subito a sperare che il figlio di Iven si alzasse da tavola per seguirlo e parlare con un uomo di cose che non riguardassero altri uomini.
«Per gli dei però so che uno di voi è innamorato di me!» si lasciò sfuggire Layla d’un tratto preoccupata.
Mike rimase in ascolto cercando di mostrarsi noncurante: «Noi? Uno di noi? Chi te l’ha detto?» domandò ostentando una tranquillità incredibile, anche se dentro di sé scoppiava.
«Lei.» rispose indicando Jennifer.
«Beh, ti ho detto che era solo un’impressione!» si difese la ragazzina.
«Ti stai comportando in modo strano ultimamente, non provare a negarlo!» esclamò Layla guardando Cedric.
«Io?» fece lui indicandosi sorpreso «Ma ti pare che io possa innamorarmi di qualcuno? Non mi interessa, non mi interessi tu in particolare e ad ogni modo ti ho già risposto. Ho altro per la testa, non ho tempo di pensare anche a questo.»
«Quindi ti sei preso tutti quei calci senza motivo? Davvero?»
Si guardò intorno in difficoltà: «Cosa? Beh... no, ma... non è per quello.»
«Cedric è innamorato!» esclamò Jennifer tutta felice, Mike per tutta risposta s’incupì di nuovo e lei gli fece un impercettibile cenno di stare al gioco, sperando che avrebbe resistito e non si smascherasse da solo.
«No! Andiamo, non so neanche cosa voglia dire!» ribatté lui.
Anche Susan cercò di contenersi per non mandare all’aria la sua mezza menzogna di poco prima, ma lo guardò storto e sussurrò: «Forse Jennifer ti stava solo prendendo in giro.»
«Lo spero proprio!» esclamò Layla guardando in direzione della giovane bionda.
«Aspetta, di quali calci parli?» domandò Andrew a bocca aperta.
I due più grandi si guardarono, lei ci mise poco a maledirsi mentalmente mordendosi il labbro inferiore e lui tenne tutti i muscoli in tensione. La loro reazione non piacque a nessuno della tavolata, che lentamente si fece cupa e silenziosa.
Poi Cedric sorrise e spiegò: «Metaforicamente parlando, ovviamente. Si riferiva al fatto che in quanto donna più grande di voi debba mettere i piedi in testa a tutti, me compreso.»
«Beh, tu glielo lasci fare.» sussurrò Mike come accusandolo di un torto.
Layla colse la frecciatina, socchiuse gli occhi e ribatté freddamente, guardandolo dritto in faccia: «Questo perché sono l’unica ad avere del sale in zucca, certe volte!»
«Ragazzi, per favore.» intervenne Iven troncando la discussione prima che fosse troppo tardi.
L’umore non migliorò col tempo sebbene nessuno toccò più l’argomento. Il figlio di Iven cercò di scherzare di nuovo coi più giovani, i quali si sforzarono di partecipare, e tutti svuotarono i propri piatti rapidamente.
Dopo cena si prepararono per tornare nell’altra casa e dormire, Layla disse anche a Iven che dal giorno successivo sarebbero rimasti a scuola tutti i giorni, e che quindi non sarebbero probabilmente più tornati.
La vecchia padrona di casa la strinse forte in un abbraccio che lei ricambiò con un sorriso sincero, poi allo stesso modo salutò tutti gli altri compreso Cedric, dicendo al ragazzo che le avrebbe fatto piacere rivedere Laurel un giorno e conoscere la sua figlia più piccola.
Lui si limitò a rispondere con una scrollata di spalle, non sentendosela di dirle la verità, ma Iven non si lamentò e li salutò un’ultima volta prima di chiudere la porta e abbandonarli a un breve tratto al freddo e al buio.

Quando tornarono a scuola, il giorno prima che il mese di Aendail terminasse, la struttura ormai ospitava ben più di duecento tra giovani e adulti che dovevano essere smistati nelle diverse classi, e capirono che la possibilità di trovarsi insieme a Deala e Vill era davvero bassa. Gli insegnanti invitarono i futuri Novizi ad andare a recuperare le loro vesti, e così fecero; i ragazzi di Darvil attesero il tardo pomeriggio per evitare la massa di persone che si precipitava negli alloggi della servitù.
Questa volta non furono accompagnati da nessuno. Quando giunsero nel reparto della sartoria dissero il proprio nome uno alla volta, e vennero condotti davanti allo scaffale dov’erano riposte piegate con cura due copie del medesimo completo.
Tutte le vesti avevano qualcosa in comune oltre al colore: avevano il collo alto ed erano aderenti, salvo eventualmente le maniche dopo il gomito o i pantaloni dopo il ginocchio, in un tessuto che non sembrava né lino né cotone, ma estremamente comodo e traspirante così che non avrebbero sofferto né il caldo né il freddo. In tutto ricevettero: braghe, stivali alti e stretti, due paia di guanti - uno dei quali con le punte delle dita tagliate per lasciarle scoperte - una veste che quasi gli arrivava a mezza coscia, un mantello, una borsa a tracolla di pelle e una casacca lunga fino al ginocchio che all’altezza delle anche, su entrambi i fianchi, aveva uno spacco che arrivava fino in fondo, dividendola in due parti, fronte e retro.
Tornarono verso le stanze notando che tutti i futuri studenti si aggiravano per i corridoi o per la scuola con indosso il completo nero, sfoggiandolo con entusiasmo come un trofeo, e non ne rimasero sorpresi: era esattamente ciò che anche loro avevano intenzione di fare.
Si cambiarono dietro al divisorio ognuno nella propria stanza, riponendo nell’armadio i loro vestiti e l’altra copia della loro divisa da maghi, compreso il mantello.
Andrew aveva scelto maniche lunghe e larghe e pantaloni larghi da lasciare sopra gli stivali; Cedric maniche ai gomiti e strette, e pantaloni stretti da infilare dentro gli stivali com’era abituato; Jennifer maniche lunghe e larghe e pantaloni stretti; Layla maniche strette e lunghe e pantaloni stretti; Mike maniche strette e a metà avambraccio e pantaloni larghi, esattamente com’era abituato in vesti normali; Susan maniche lunghe e larghe e pantaloni stretti.
Appena si furono tutti ritrovati fuori delle loro camere, Susan fece un rapido giro su se stessa, entusiasta, ed esclamò: «Le nostre vesti da maghi sono meravigliose!»
«Hai proprio ragione!» disse Jennifer allargando le braccia e guardandosi i piedi.
Layla si sentiva lievemente a disagio per via del seno anche se solo leggermente annunciato, ma i nuovi vestiti le piacevano molto, e Mike come di consueto dovette distogliere lo sguardo dal suo corpo per non arrossire visibilmente.
Cedric invece si ritrovò a guardarsi con apprensione le braccia scoperte, soprattutto il destro su cui spiccava piuttosto evidente il lungo sfregio ancora rosso sulla pelle pallida, ma anche i sottili segni molto più vecchi e ormai quasi invisibili. Non a caso cercava di farsi vedere a braccia scoperte il meno possibile, e Susan fino ad allora era stata l’unica, ma trovandosi in casa di lui che era sempre poco illuminata non aveva mai avuto la possibilità di notare quei segni.
Si mise a braccia conserte appena uscito da camera propria e non cambiò posizione, ma con un sospiro di sollievo constatò che gli altri sembravano troppo presi dall’entusiasmo per rinfacciarglielo. Rimpianse la sua scelta poco ponderata delle maniche dicendosi che sarebbe risultato strano se avesse portato la sua giacca di pelle sopra le sue vesti da mago.
Si aggirarono per il cortile esattamente come gli altri giorni, ma questa volta sentendosi ancora più parte della scuola, perché indossavano i loro vestiti da Novizi. Tutti i Novizi sembravano provare lo stesso. Deala li salutò da lontano, ma essendo già parte di un gruppo non si staccò per unirsi al loro.
A un soffio dallo scadere dell’ultimo mese, appena in tempo per farsi cucire le vesti, arrivarono altri ragazzi, ognuno per sé, aumentando il numero di studenti di qualche testa.

Il giorno dopo indossarono nuovamente le loro vesti nuove di zecca fin dal primo mattino. A colazione Andrew ancora sbadigliava cercando di svegliarsi e gli altri non tardarono ad accorgersi del fatto che Cedric sembrasse avere lo sguardo perso nel vuoto. Il giorno prima non avevano fatto commenti, ma non avevano nemmeno mai fatto caso in precedenza ai sottili e lunghi segni bianchi accompagnati da uno più roseo e recente che attraversava quasi tutta la lunghezza dell’avambraccio destro.
Jennifer, seduta di fronte a lui, lo indicò con un cenno del capo e domandò: «Che ti è successo?»
«Cosa?» fece Cedric, come cadendo dalle nuvole.
La ragazzina si disse che come di consueto doveva essersi appena ripreso dal suo stato di alienazione, si allungò sul tavolo per prendergli il polso e ruotarlo in modo che il graffio fosse visibile; inaspettatamente lui la lasciò fare, volendo capire dove volesse arrivare.
«Quello. Ti fa male?»
«Che accidenti hai combinato? È quasi una spanna!» esclamò Susan sconvolta.
«Oh, questo.» sussurrò Cedric «È... maledizione. Cioè, voglio dire... Un incidente con la corda dell’arco.» buttò giù alla fine «Ho incoccato male una freccia e...» imitò il gesto di tendere male l’arco e graffiarsi con l’estremità non affilata della freccia; quello leso era il braccio destro, quello con cui solitamente reggeva l’arco: se non indossava protezioni incidenti del genere potevano capitare.
Ma gli sguardi che ricevette gli fecero capire che non se la stavano bevendo, tutti in qualche modo sapevano che era molto bravo e attento con l’arco e inoltre non lo usava da molto tempo, mentre quel graffio sembrava più recente; non poteva nemmeno essere stato Smeryld.
«Stai bene?» azzardò quindi Jennifer preoccupata.
«Sì. Sì, sto bene.» rispose lui tornando con le braccia appoggiate al tavolo e ostentando una finta tranquillità. Rabbrividì ripensando alle parole che la sua stessa mente aveva fatto dire a Layla quel giorno, e mai prima di allora era stato tanto certo che se la ragazza avesse scoperto qualcosa avrebbe fatto una scenata mettendosi a gridare anche in mezzo a centinaia di studenti sconosciuti.
«Intendo dire il tuo...» continuò lei con un tono più basso e confidenziale, s’indicò le tempie titubante non sapendo come dirglielo senza offenderlo «Insomma sei più strano del solito, e non mi sorprende molto. Con quello che è venuto fuori da Mathan, poi... Sai che se hai bisogno d’aiuto...»
«Sto bene.» tagliò corto lui scuotendo rapidamente la testa come per scacciare un pensiero.
Capendo che ancora si rifiutava di parlarne Jennifer si rimise a sedere compostamente al suo posto, lanciando tuttavia un’occhiata eloquente a Layla che rispose annuendo con un sospiro. Cedric non colse il messaggio dietro quella muta conversazione e nemmeno volle soffermarsi a pensare; puntò lo sguardo su un punto del tavolo poco alla sua sinistra e non tornarono più sull’argomento.
Jennifer notò che a lui sembrava essere passata la fame come era successo molte altre volte, ma solo dopo quel breve scambio di parole le venne in mente il ricordo lontano di sua madre che era dovuta uscire di casa per andare a controllare un ragazzino che si rifiutava di mangiare e aveva tendenze autolesionistiche più o meno spiccate. Si sentì male rendendosi conto per la prima volta che quel ragazzino era lui, Gerida non ne aveva mai fatto il nome ma le aveva raccontato di averlo praticamente strappato alla morte; si era persino lamentata che avevano dovuto chiamare lei al posto del medico perché l’uomo si sarebbe rifiutato d’intervenire. E a chiamarla era stata Ilion, quello lo ricordava perché si era presentata alla loro porta.
Lo guardò con eccessiva preoccupazione immersa nei propri pensieri e in qualche modo sentendosi una stupida per non essersene accorta prima. Avrebbe voluto e dovuto aiutarlo, sia in passato che nel presente, ma non aveva idea di come avvicinarlo e far sì che si lasciasse effettivamente aiutare: non sapeva quale situazione lo facesse comportare a quel modo, ma immaginava che le cure della guaritrice per quegli anni erano riuscite a tenere a freno questi suoi atteggiamenti. E ora che erano venute a mancare perché avevano dovuto lasciare Darvil probabilmente stavano tornando.
Si riscosse rendendosi conto che anche a lei era passata la fame, mentre gli altri quattro erano tornati a chiacchierare allegramente mangiando pietanze ai loro gusti ancora esotiche. Fissò la sua fetta di torta alle mele intensamente pensando a un modo per poter migliorare la situazione: non avrebbe potuto dire una parola di tutto quello agli altri, non voleva immaginare come avrebbero reagito loro o lo stesso Cedric, e l’unico modo che trovò per consolarsi fu pensare che non avrebbe avuto modo di aiutarlo se lui avesse continuato a impedirglielo; non poteva imporre la propria volontà sulla sua, piuttosto avrebbe dovuto pazientare che lui facesse il primo passo. Ma qualcosa le diceva che non sarebbe mai successo.
Dopo aver mangiato, a riprova di ciò, Cedric si chiuse in camera sua intimando loro di non disturbarlo lasciandoli perplessi, tutti tranne Jennifer che immaginava di sapere cos’avesse in testa. Lo assecondò riuscendo a mascherare la preoccupazione solo perché era certa che non si sarebbe fatto del male dentro la scuola.
Spesero il loro tempo seguendo gli altri futuri Novizi ma tenendosi in disparte per poter discutere degli affari loro, specialmente dei draghetti, e rividero il più grande solo a cena. Cedric disse loro di aver dormito e si sforzò di mangiare, come anche Jennifer che non gli credette e lo guardò piuttosto cupamente sperando che se ne accorgesse, ma così non fu; non la guardò nemmeno.
Durante la cena un arcimago chiese il silenzio annunciando a tutta la scuola che finalmente era giunto l’inizio del mese di Zeigah e le lezioni avrebbero avuto inizio il primo giorno della prima settimana del mese - ovvero il terzo giorno del mese. La notizia fu caldamente applaudita da tutti gli studenti, compresi gli Ammessi, gli Apprendisti e gli Specialisti - i quali avrebbero dovuto aspettare dei mesi prima di potersi unire a una classe, nel frattempo avrebbero alloggiato e studiato individualmente.
L’anziano chiese nuovamente il silenzio, che ottenne solo dopo alcuni minuti di vociare eccitato, ma infine poté spiegare ai Novizi dove dirigersi per essere smistati nelle proprie classi, cosa sarebbe successo nella giornata e come era organizzata la scuola. Li invitò ad alzarsi e prepararsi in anticipo in modo che fossero presenti per tempo nella sala principale per essere smistati. Quindi li congedò e tra nuovi applausi tutti gli studenti della scuola andarono nei propri alloggi, i Novizi col cuore gonfio per l’emozione del domani.

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Capitolo 44
*** Not a perfect start ***


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Il colore del titolo del capitolo corrisponde al colore della regione in cui la storia al momento si svolge, tenete d'occhio la mappa per sapere dove ci troviamo!

NOT A PERFECT START

La mattina di due giorni dopo tutti i nuovi Novizi erano già pronti e vestiti un’ora prima di fare colazione assieme al resto della scuola. Il tempo sembrò non passare mai, ma alla fine, alle otto, si diressero tutti nella sala da pranzo con le borse in spalla, al contrario di alcuni altri studenti delle classi più avanzate; c’era chi indossava dei normali abiti da viaggio o di casa propria e chi addirittura ancora portava le vesti da notte.
L’attesa non era ancora terminata, dal momento che dopo la colazione dovettero aspettare dopo pranzo - altre tre ore - prima di avere il permesso di riunirsi tutti nella sala principale attorno alla fontana. Un uomo di mezz’età fece loro cenno di sedersi sul pavimento lucido e freddo davanti a lui, mentre sarebbe rimasto in piedi perché tutti potessero vederlo, e gli studenti a poco a poco e bisbigliando senza alzare la voce sedettero ordinatamente.
Il silenzio scese rapidamente perché il maestro potesse parlare.
Si schiarì la gola e con un mezzo sorriso, che parve assonnato come anche la voce, si presentò: «Sono lieto di dare il benvenuto a tutti, Novizi dell’Accademia di Eunev. Io sono Erbil, e sarò il vostro insegnante di Storia finché sarete pronti ad avanzare di rango. Ora, probabilmente alcuni di voi nel lungo tempo che hanno passato qui avranno parlato con altri studenti e si saranno informati sul funzionamento dell’Accademia, ma per i ritardatari spenderò qualche parola adesso.»
A quelle parole qualcuno ridacchiò guardando i ragazzi arrivati solo un paio di giorni prima, poi tornò il silenzio.
«L’accesso alle torri è consentito a tutti gli studenti, ma ai Novizi è proibito salire oltre la metà, e la torre di Astronomia non fa eccezione.»
E qui qualcuno si lasciò sfuggire dei sospiri tristi o delle smorfie addolorate.
«Per il resto vi è consentito accesso a ogni altra ala dell’Accademia, ma vi chiedo di evitare di girovagare nelle stanze della servitù o degli insegnanti senza un buon motivo. Alloggerete ancora nelle stanze comuni finché non passerete almeno al grado di Ammessi, il che vi concederà anche di scegliere di eliminare alcune materie dal vostro orario di lezione e il completo accesso alle torri delle materie che deciderete di portare avanti. Via via che avanzerete di rango dovrete scegliere in cosa specializzarvi e cosa invece scartare, finché al rango di Specialisti vi concentrerete appunto su una sola materia o due al massimo. Le lezioni, per questo mese, iniziano dopo pranzo all’una e terminano alle otto. In quanto Novizi voi studierete due materie al giorno per cinque giorni a settimana, per tre ore ogni lezione; avrete una pausa di un’ora tra una materia e l’altra. Vi prego di ricordare che non è permesso girare per la scuola senza guanti addosso, li potrete togliere soltanto dentro le aule dopo l’arrivo dell’insegnante o se sarete chiamati per usare la magia dal rango di Ammessi in poi. Credo di aver detto tutto ciò che è necessario a sopravvivere nei vostri primi giorni.» quelle parole scatenarono altre risate mentre il maestro apriva un foglio di pergamena e strizzava gli occhi per leggerlo, poi tornò a guardare gli studenti e disse: «Ora chiamerò la prima classe, i vostri nomi in ordine alfabetico, ho qui una lista. Quando vi sentite chiamati alzatevi in piedi.»
Si schiarì la gola, dopodiché lesse uno alla volta tutti i nomi della lista. Essendo quasi duecentocinquanta studenti e potendo smistarli in sole cinque classi, ognuna di esse si ritrovava ad avere in media cinquanta teste. I sei ragazzi di Darvil scoprirono con non poco sollievo di trovarsi tutti insieme, con Deala e Vill, ma anche Gaule e la ragazzina di Eunev che non aveva proferito parola.
«Ora prego seguitemi tutti. Voialtri attendete qui, Wolgret arriverà per chiamare i nomi della seconda classe.» disse il maestro avviandosi, teneva la lista dei nomi arrotolata in una mano e procedeva con passo sorprendentemente svelto.
Tutti lo seguirono, ma gli unici a parlottare a bassa voce erano quelli che già si conoscevano tra loro, nessuno aveva intenzione di stringere nuove amicizie per il momento.
Jennifer Mike ed Andrew erano in assoluto i più incapaci di tenere a bada le proprie emozioni, quando uscirono per attraversare il cortile la ragazzina continuò a indicare le piante che non conosceva ripetendo imperterrita che non vedeva l’ora di cominciare a studiare Biologia. Layla cercava di tenerli buoni tutti e tre senza alzare la voce, perciò Susan fu l’unica a notare l’aria perplessa di Cedric e gli chiese cos’avesse, attirando l’attenzione degli altri quattro.
Lui parve risvegliarsi da un trance, scosse la testa e con una debole alzata di spalle rispose: «Mi chiedevo solo come potremo studiare Astronomia di giorno. Ha detto che le lezioni finiscono prima di cena.»
«Forse solo per i Novizi, quando sarai Ammesso e sceglierai la tua amata Astronomia avrai accesso all’intera torre e forse avrai la possibilità di passare le notti sveglio.» gli rispose Layla.
Dando per buona la sua risposta i ragazzi tornarono a guardarsi intorno, ma ora la loro attenzione era per la torre verso la quale si stavano dirigendo: era altissima, eppure era tra le più basse e strette. In senso orario partendo dall’ingresso del cortile era la seconda torre. Si dovettero stringere per passare in un lungo corridoio che sfilava sotto le mura del cortile e probabilmente proseguiva oltre, perché camminarono diversi minuti prima di giungere nell’atrio della torre di Storia.
Come all’esterno, era costruita interamente in pietra bianca di diverse varietà di cui riconobbero marmo, cristallo bianco e alabastro. Il centro dell’atrio era vuoto, le scale partivano alla loro destra e salivano a spirale seguendo il perimetro della torre. A illuminare l’atrio c’erano sia alte finestre che globi di luce argentata, la quantità di luce che entrava e il numero di fonti rendeva l’ambiente eccessivamente luminoso e piatto nonostante a ogni finestra si alternasse una lesena. Sul lucido pavimento era ripetutamente inciso un simbolo, quello che sul rosone stava su sfondo bianco, che pareva un libro aperto su un piedistallo; era ogni volta ricoperto di resina trasparente in modo che il pavimento risultasse liscio.
L’insegnante li guidò su per le scale, ma non si fermò al primo piano - dove per il momento non avrebbero saputo cosa ci fosse. A ogni piano la scala s’interrompeva per un tratto dove vi era l’accesso al piano indicato da una targhetta accanto all’arco a sesto acuto che si apriva direttamente sull’aula - o qualunque cosa il piano ospitasse.
Dovettero salire fino al terzo piano prima che Erbil aprisse la porta e li invitasse a entrare tutti prima di lui per prendere posto; l’aula era naturalmente circolare, solo il tratto di parete opposto all’ingresso era dotato di strette e alte finestre. C’erano diversi armadi appoggiati alle pareti e i banchi erano disposti in una formazione tale che tutti potessero vedere la cattedra perché, notarono con un po’ di ritardo, il pavimento era in salita, la cattedra stava alla loro sinistra sul livello più basso. Ogni fila di banchi disposti quasi a semicerchio occupava un gradino.
I tavoli erano abbastanza anche per una classe così numerosa e ognuno cercò di prendere il posto per sé e per i propri amici in modo che non fossero troppo distanti, anche se i tavoli erano per una persona sola. I Darvileni trovarono posto in terza fila un po’ spostati sulla destra, più lontano dall’ingresso, Gaule si sedette al fianco di Andrew che era l’ultimo a sinistra, mentre Susan, l’ultima a destra, dovette sedersi accanto a Velia. La ragazza dai corti capelli castani e i freddi occhi grigi la guardò incuriosita per qualche secondo facendola arrossire, ma non si presentò e successivamente spostò la sua attenzione sulla cattedra dove Erbil stava prendendo posto.
L’insegnante attese che tutti fossero seduti e in silenzio, dopodiché ricominciò a parlare: «Benvenuti Novizi in quella che sarà la vostra aula di Storia finché sarete Ammessi. Come già ho detto ma lo ripeto, a voi è ancora proibito accedere alla seconda metà della torre, dal sesto piano in su. Se avete domande quali dove trovare la biblioteca per ripassare o i bagni vi prego di non andarle a cercare per conto vostro ma di venire da me. Detto questo, direi che possiamo cominciare.» da un armadio dietro di sé prese un libro dalla spessa copertina, lo appoggiò sulla cattedra e lo aprì «Spero abbiate portato il materiale per prendere appunti, altrimenti nel sottobanco troverete pergamene, inchiostri e penne. Ma solo le pergamene su cui scrivete potranno lasciare questa stanza.»
Solo qualcuno aveva pensato di portarsi dietro almeno dei fogli di pergamena su cui scrivere, e tra i giovani di Darvil Cedric era stato l’unico; non che agli altri sarebbe servito a molto, dato che l’unico che sapeva leggere - e a malapena - era Mike ma comunque non sapeva scrivere.
Ci fu rumore di tutti i cassetti che venivano aperti e ispezionati, di fogli mossi, boccette d’inchiostro posate nell’apposito solco sul banco, il quale era leggermente reclinato ma non troppo perché l’inchiostro non colasse. Poi fu di nuovo silenzio.
Cedric notò che anche tutti gli altri avevano poggiato il materiale sul tavolo e ridacchiò dicendosi che fosse solo per non farsi vedere distratti o poco volenterosi dal primo giorno: sapeva che non avrebbero scritto nulla ma piuttosto scarabocchiato.
La prima lezione di Storia fu, naturalmente, sulle origini di Aelduir, il loro mondo, con i suoi cinque continenti, i mari, le isole. Non si soffermò sulla geografia quanto piuttosto sugli eventi e di come la magia avesse in ogni modo influito nella sua creazione. Non nominò mai i Draghi e i ragazzi si guardarono bene dal chiedere il perché, volendo mantenere un basso profilo. Erbil sembrava dare per scontato in effetti che tutti conoscessero la geografia non solo di Dargovas ma di tutti i continenti, eppure nessuno fece domande per approfondimenti, forse per timidezza, e lui continuò a parlare indisturbato per tutta la durata della lezione talvolta indicando la mappa del loro mondo appesa alla parete alle sue spalle.
A lezione finita sospirò, quasi come se fosse rimasto senza voce per aver parlato tanto, e disse: «Meglio lasciarvi il tempo di far asciugare l’inchiostro. La lezione è terminata ma uscirete tra qualche minuto. Avete domande?» scossero tutti la testa all’unisono, perciò lui annuì, richiuse il libro e poi lo ripose nell’armadio dietro la cattedra «Fatevi trovare davanti al campanile prima che la prossima lezione cominci; sarà così solo per questa settimana per mostrarvi la strada la prima volta.»
Velia tornò a guardare Susan e sorrise quasi sprezzante notando che non aveva scritto nulla, piuttosto preso appunti con dei disegni. Mise i propri appunti in borsa e attese che qualcuno si alzasse per potersi alzare a sua volta.
Coperta dal brusio degli altri studenti sussurrò a Susan: «Bel modo di cominciare, eh? Sei qui per studiare o scarabocchiare?» e poi se ne andò ridacchiando.
Cedric fu l’unico a sentirla, ma si limitò a seguirla con uno sguardo sorpreso per poi guardare Susan allo stesso modo e dileguarsi rapidamente, andando a osservare la mappa di Aelduir da più vicino.
Lei si strinse nelle spalle abbattuta, maledicendosi per non aver saputo ribattere: Ma cos’avrei potuto dire? Che non so scrivere? Bella figura che farei si disse amareggiata.
Gaule invece era stato più comprensivo con Andrew, ci era andato leggero chiedendogli se sapesse scrivere e alla sua risposta negativa ci avevano riso su. Gli aveva persino proposto di fargli da maestro.
Lasciarono l’aula insieme a Deala Gaule e Vill ma senza Cedric, che era ancora perso a guardare la cartina. Se ne accorsero solo due piani più in basso, quando la giovane donna di Melonas fece notare la sua mancanza, e con un’imprecazione tra le risate generali Mike corse indietro per andare a riprenderlo.
Sulla strada per raggiungere il cortile gli studenti si sparpagliarono, pure Gaule li lasciò per unirsi a Deala e Vill, e solo quando furono soli a passeggiare sul viale lastricato del cortile interno Jennifer si accorse dell’aria sconsolata di Susan.
«Ehi che hai? Non sei contenta di aver tenuto la tua prima lezione?» le domandò incredula.
L’altra la guardò senza cambiare espressione, lanciò un’occhiataccia a Mike e Andrew che ridevano spensierati, poi scosse le spalle e sussurrò: «Oh sì, certo. Solo sono già stata presa in giro da quella tipa lì, non mi ricordo il nome.»
«Perché?»
«Perché ho scarabocchiato. Non sarò certo stata l’unica, chissà quanti altri non sanno scrivere...» borbottò.
«Onestamente? Penso che nessuno venga qui totalmente impreparato, noi siamo qui solo perché altrimenti rischiamo la vita.» disse Cedric con un’aria sufficientemente presuntuosa da farle inviperire entrambe.
«Taci tu, la tua parola non ha valore.» ribatté Jennifer, e lui scelse di non controbattere limitandosi a girare gli occhi.
«Spero che cominciamo presto con la pratica e che lei sia venuta senza aver mai usato la magia, così vedremo chi imparerà più in fretta!» esclamò Susan «Io almeno un po’ di pratica l’ho fatta e sono legata a Sulphane, allora vedremo chi sarà l’incapace!» e nel dire ciò premette il minuto pugno destro sul palmo sinistro come sfidando Velia a fare meglio di lei.
«Vuoi fare cambio di posto con me?» le chiese Cedric «La prossima lezione di Storia. Se lei si siederà lì di nuovo.»
«Non posso imparare a leggere e scrivere in una settimana.» gemette la ragazza «Ci penserò.»
Come tutti gli altri, il gruppetto di Darvil preferì non allontanarsi troppo dal campanile in modo da non perdersi la presentazione del successivo insegnante né tantomeno la strada da fare per arrivare alla loro aula. Si sedettero metà su una panchina e metà sul prato all’ombra di un albero a discutere dei draghi a bassa voce; ogni volta che qualcuno si avvicinava a più di due braccia interrompevano la conversazione.
«Sono sicuro che sia così.» concluse Mike «Se la sanno cavare, non si lascerebbero mai sorprendere da qualcuno che girovaga nei boschi. E certo che gli manchiamo, ne sono più che convinto.» sussurrò infine con lo sguardo a terra, ripensando al suo piccolo drago blu e chiedendosi quanto fosse cresciuto in quelle settimane, desiderando di potergli parlare ma sapendo di non poter lasciare la scuola, né tantomeno la città, ma anche che il draghetto non avrebbe mai potuto sorvolare Eunev senza correre il rischio che qualcuno lo vedesse e gridasse l’allarme.
Fu riscosso dai propri pensieri quando sentì una voce chiamare a sé i Novizi e i suoi amici si alzarono, quindi tutti insieme si diressero al campanile dove alcuni degli oltre duecento nuovi studenti si erano già seduti sull’erba.
L’uomo che avevano davanti sembrava prossimo alla mezz’età, era glabro, aveva la pelle scura, un viso squadrato e un fisico ben piazzato con spalle larghe e vita relativamente stretta. Gli occhi scuri erano messi in risalto da una linea dorata sulle palpebre. Vestiva con toni caldi di prevalenza arancione, il che dava lui un aspetto energico e gagliardo che in un primo momento sembrò rispecchiare appieno la sua personalità.
Fece loro cenno di avvicinarsi e si presentò con un inchino facendo svolazzare la veste vivace: «Benvenuti all’Accademia miei Novizi. Mi presento a voi come Wolgret, vostro insegnante di Evocazione per i mesi a venire. Sono sicuro l’abbiate già fatto, ma qui ho un elenco dei vostri nomi e, purtroppo, dovrò chiamarvi a uno a uno. Dovrete passare questo supplizio con ogni nuovo insegnante, perciò è bene che vi abituiate. Quando vi sentite chiamare alzatevi in piedi. Cominciamo!» si schiarì la gola svolgendo il rotolo di pergamena che teneva in mano e come Erbil chiamò la prima classe uno alla volta con voce ferma e sonante.
Quando chiamò Velia, Susan le rivolse uno sguardo truce che lei non notò perché si trovava più vicina a Wolgret rispetto a loro e quindi mostrava la schiena. Prese mentalmente nota del suo nome.
Finito l’appello l’insegnante fece loro cenno di seguirlo e si avviò verso la torre di pietra aranciata, che all’apparenza sembrava essere la più larga e tra le più alte; i ragazzi immaginarono fosse perché le creature evocate necessitavano di spazio per muoversi, o potevano raggiungere notevoli dimensioni. La torre di Evocazione era la quinta in senso orario.
Anche per accedere a essa dovettero percorrere un corridoio scavato sotto le mura e parzialmente oltre, ma non altrettanto lungo; in poco tempo giunsero nell’enorme atrio della torre interamente costruita con pietre tendenti all’arancione che non seppero identificare. Come l’altra, il centro della torre ospitava un atrio e a salire le aule, una per ogni piano; le scale partivano da destra e seguivano il perimetro esterno salendo a spirale, a ogni piano s’interrompevano e lasciavano spazio a una porta incassata in un arco a sesto acuto permettendo di accedere alle aule verso il cuore della struttura, poi le scale riprendevano e così si accedeva a un altro piano.
Si fermarono al secondo. Era una stanza circolare, i banchi erano disposti in una sola fila che partiva alla destra dell’ingresso e proseguiva lungo tutta la parete curva, e guardavano verso l’interno dell’aula, verso il centro. La cattedra stava esattamente a un quarto della circonferenza sulla sinistra. Il centro dell’aula era vuoto, vi era inciso il simbolo dell’Evocazione, sempre ricoperto di resina trasparente, che sembravano essere le fauci spalancate - o meglio, le zanne soltanto di una bocca spalancata - di qualche creatura. Gli armadi erano disposti solo a sinistra della porta fino al primo banco passando dietro la cattedra.
Mantenendosi in fila, uno alla volta e senza fretta presero posto a sedere, i Darvileni tennero lo stesso ordine dell’aula di Storia con la differenza che Susan fece a cambio con Cedric anche se non fu Velia che gli si sedette accanto, ma Noumea, la timida ragazzina di Eunev. Ci fu nuovamente rumore quando tutti gli studenti presero il materiale per posarlo sui banchi, poi fu di nuovo silenzio.
Wolgret partì con un’introduzione piuttosto che spiegare la materia in sé, spiegò loro come l’evocazione di creature si basasse principalmente ma non soltanto sulla loro conoscenza degli elementi, perciò non scese troppo nei dettagli perché ancora non avevano avuto modo di approcciarsi a essi. Ma gli spiegò il funzionamento: una creatura evocata poteva rimanere presente e fare ciò che l’evocatore le chiedeva solo finché egli o ella fossero stati abbastanza in forze da mantenerla o sufficientemente concentrati.
Era un tipo di magia che normalmente veniva votato alle battaglie, il mago protetto dalla fanteria evocava creature che supportassero l’esercito. Ma poteva tornare utile anche in caso di aggressioni di ogni genere se ci si trovava in svantaggio: l’evocazione di un mostro di fuoco e terra avrebbe scoraggiato la maggior parte dei briganti senza ombra di dubbio.
Gli anticipò inoltre che nei panni di Specialisti avrebbero appreso come evocare anche armi e armature, il che si ricollegava pure con la materia Difesa; una spada di fuoco sarebbe stata impugnabile soltanto dall’evocatore, il quale avrebbe potuto toccarne le fiamme senza ustionarsi.
Biad, una ragazza dal fisico minuto e la pelle color dell’ebano, alzò timidamente la mano quando ebbe finito di prendere freneticamente appunti e quando l’insegnante le diede il permesso domandò: «Le creature evocate possono avere qualsiasi forma?»
«Le creature evocate non hanno una vera e propria forma, quindi sì, possono prendere qualsiasi sembianza voi abbiate in mente. Più grande la creatura, maggiori le energie e la concentrazione necessarie a tenerla in vita, ricordatevelo sempre.»
Gli elementi di cui disponevano, come avrebbero successivamente studiato nell’apposita materia, non erano solo i quattro elementi fondamentali da cui il loro mondo era stato costruito, ma anche i loro derivati oltre a spazio, tempo, luce e oscurità.
Garrett, un giovane dal naso importante e mento sporgente, alzò la mano per intervenire e Wolgret annuì, quindi domandò: «Si possono combinare più elementi nella creazione di una sola creatura?»
«Naturalmente, come ben presto capirete sarà più dispendioso in termini di energie, ma non di concentrazione.» rispose l’uomo.
«E si può evocare più di una creatura?»
Wolgret sorrise debolmente: «Per tutto ciò che riguarda l’Evocazione, l’unico limite che avrete sarete voi stessi. Governando gli elementi per dare vita a qualcosa potete sbizzarrirvi, il vostro unico limite saranno le energie a vostra disposizione.» alzò un dito ora con fare severo di ammonimento «Non spingetevi mai oltre, la magia può uccidervi se non siete in grado di sostenere ciò che vorreste fare.»
Invece che sospiri preoccupati si sentì lo scribacchiare delle penne ancora più furioso sulle pergamene. Susan, Jennifer, Mike, Layla e Andrew avevano cercato di nuovo di prendere appunti con immagini e simboli, e ognuno di loro aveva rappresentato gli elementi a modo proprio. Susan cercò di sbirciare cosa stesse scrivendo invece Cedric, ma essendo lui mancino non ci riuscì e presto rinunciò tornando ad ascoltare la lezione.
Evocazione sembrava suscitare più interesse di Storia, pertanto furono relativamente numerosi gli studenti che intervennero per fare domande a cui Wolgret talvolta rispondeva che lo avrebbero scoperto in seguito.
Naturalmente non provarono a evocare quel giorno e quando fu chiesto tra quanto l’avessero fatto il maestro si limitò a rispondere con un sorriso enigmatico: «Non in quest’aula.»
Rimasero così a lungo nella torre che sentirono il campanile segnare la fine delle lezioni quando ancora avevano il materiale sui banchi, qualcuno addirittura ancora scriveva. Capirono perché ci volesse tanto prima che gli studenti di tutte le torri si riunissero nella sala da pranzo per cenare; mentre scendevano le scale a spirale della torre di Evocazione si mescolarono con alcuni Apprendisti e addirittura con un gruppetto di Specialisti, ma non parlarono con loro.
La cena fu come al solito deliziosa e sostanziosa e dopo una giornata relativamente faticosa i Novizi se ne andarono per le proprie stanze con aria entusiasta e vociando lungo i corridoi. Qualcuno correva per raggiungere i bagni con una certa urgenza.
Salutarono Deala che aveva cenato con loro e si diressero poi verso le loro stanze ammassandosi tutti in quella di Mike, dove tirarono fuori i loro appunti fatti di simboli e disegni, linee e frecce e risero di loro stessi; Jennifer seduta sulla scrivania commentò gli scarabocchi di Andrew augurandogli buona fortuna nel decifrarli per ripassare. Sembravano tutti dare per scontato che Cedric li avrebbe aiutati coi suoi appunti ordinati o leggendo per loro i libri di testo e questo in un certo senso lo infastidì non poco.
«Non posso studiare per tutti e sei!» protestò scontroso.
«E come pretendi che potremmo fare noi senza saper leggere e scrivere?» lo rimbeccò Layla, mettendosi le mani sui fianchi come ogni volta che discuteva.
«Ascoltate bene la lezione.»
«Certo che ascolteremo!» esclamò Mike alterato «Ma spero non ti dispiacerà se per ovvie ragioni prima o poi chiederemo il tuo aiuto!»
«Suvvia ragazzi non roviniamoci la giornata!» intervenne Jennifer cercando di calmarli «Ce la caveremo, sono sicura che anche senza appunti riusciremo bene nella pratica grazie agli elfi e ai draghi.»
«Nella pratica, appunto.» puntualizzò il ragazzino, ma scosse le spalle deciso a lasciar perdere.
Pur cambiando argomento l’umore non migliorò, quindi dopo un po’ decisero di andare ognuno nella propria stanza per cambiarsi d’abito e cercare di dormire, ma ancora una volta si erano dimenticati di chiedere come si spegnessero le luci.

La mattina seguente, dopo aver pranzato ed essersi lavati, si riunirono come al solito sotto al campanile ad attendere il nuovo insegnante chiedendosi quali materie gli sarebbero toccate quel giorno, e puntualissima la donna arrivò: non era alta ma sembrava giovane rispetto agli altri insegnanti, di bell’aspetto, i capelli lunghi e lisci erano neri, la pelle chiara e gli occhi di un colore indefinito a metà tra il verde e l’azzurro. Indossava abiti di ogni sfumatura di rosso, leggeri tanto da essere quasi trasparenti, ma sufficientemente numerosi perché del suo corpo non si vedesse nulla; ogni volta che si muoveva sembravano danzare come fuoco, dunque da ciò e dal colore rosso vivo capirono che doveva essere l’insegnante di Elementi.
Infatti si presentò come Allia, insegnante della materia Elementi nella torre rosso scarlatto, e di nuovo fece l’appello di tutti i loro nomi chiedendogli di alzarsi in piedi quando sentivano il proprio. Aveva una voce determinata ma allo stesso tempo fragile che li mise più a loro agio risultando in qualche modo materna.
Poi li condusse verso la torre rossa, anch’essa piuttosto larga e all’apparenza più alta di quella di Evocazione. Era l’ultima in senso orario e imboccarono un lungo corridoio relativamente stretto e serpeggiante.
Dopo un cammino interminabile finalmente arrivarono nell’atrio della grande torre degli Elementi che come struttura somigliava molto a quella di Evocazione, perché le aule avrebbero occupato il cuore dell’edificio mentre scale e corridoi avrebbero seguito il perimetro circolare. Ma era costruita in pietre di ogni tonalità di rosso tra cui granito e quello che sembrava marmo - gli parve strano vedere marmo rosso venato di bianco, giallo o nero, ma si dissero che poteva essere stato alterato con la magia. Il simbolo inciso sul pavimento era una fiamma stilizzata.
Salirono le scale fermandosi nuovamente al secondo piano ed entrarono nella prima delle due stanze presenti, che occupava quasi tutto il piano ed era davvero molto simile all’aula dove avrebbero studiato Evocazione; il pavimento non era né in discesa né in salita, la disposizione dei banchi a una sola fila a semicerchio in modo che tutti potessero guardare sia il centro dell’aula sia la cattedra, non c’erano finestre e dal soffitto pendeva un altro di quei candelabri che sosteneva un globo di luce grigia.
Allia prese posto alla cattedra e attese che i Novizi facessero lo stesso, i ragazzi di Darvil mantennero il loro solito ordine: da sinistra a destra Andrew, Mike, Jennifer, Layla, Susan e Cedric. Quando tutti furono in silenzio pronti a prendere appunti la lezione ebbe inizio.
Anche la donna partì con un’ampia introduzione di tutti gli elementi, descrivendone uno alla volta le potenzialità e le debolezze, spiegando di come alcune delle materie che avrebbero studiato all’Accademia si basavano sulla conoscenza di essi; voleva che capissero quanto fosse fondamentale spendere tempo e attenzione nello studio degli elementi in modo che potessero avere almeno la conoscenza necessaria per poi fare eventualmente a meno di proseguire nello studio della materia. Lo sconsigliò nel caso in cui qualcuno volesse proseguire gli studi con Evocazione o Manipolazione, dicendo che se possibile sarebbe stato meglio continuare a studiare Elementi almeno anche al rango successivo se si voleva eccellere nelle altre due come Specialisti.
Non suscitò tante domande quante la materia Evocazione, ma tenne gli studenti con le orecchie tese e le mani impegnate per tutta la durata della lezione. Allia rispose a qualche sporadica domanda ma senza inserirsi nel funzionamento della magia in sé; immaginavano che avrebbe richiesto anch’essa concentrazione ed energie vitali, ma per il momento Allia decise di non parlarne, limitandosi a spiegargli l’importanza degli elementi in ogni azione quotidiana, anche che non implicasse l’uso della magia. Soprattutto dei quattro elementi fondamentali, su quelli si basavano gli elementi secondari - come il ghiaccio si basava su acqua, o i minerali e i metalli sulla terra.
Gli sembrò di trattenersi più a lungo dell’orario di lezione in quella torre, o forse perché il tempo scorreva lentamente, ma alla fine furono liberi di ripercorrere l’infinito corridoio per ritrovarsi in cortile a godersi la pausa non distanti dal campanile. Mike e Susan erano i più entusiasti tra tutti loro di studiare gli elementi e a fatica contenevano l’euforia.
Dopo la pausa si presentò loro l’insegnante di mezz’età Auselion, vestito da una lunga tunica grigia dalle ampie maniche che quasi sfioravano terra, e dopo l’appello li condusse verso la torre più stretta e alta di tutte, quella di Astronomia. Con grande sorpresa di tutti Auselion li portò in un’altra parte del cortile, sempre di forma circolare ma più ristretta rispetto al cortile principale, e sul quale si affacciavano quattro torri; a due di esse si accedeva direttamente, senza alcun corridoio. I due cortili comunicavano tra loro tramite un ampio spazio aperto dove doveva esserci l’intersezione delle due piante circolari, ma a parte quello sembravano essere un’unica forma. La torre grigia era, in senso orario, la prima ad affacciarsi sul piccolo cortile, alla loro sinistra. Il passaggio che attraversava le mura e conduceva alla torre era ancora più lungo di quello che portava alla torre degli Elementi, ma non era chiuso e buio, bensì delle sottili colonne sostenevano il soffitto a botte e permettevano di guardare all’esterno sia a destra che a sinistra attraverso un muretto alto tre piedi; videro a sinistra la torre arancione di Evocazione e a destra una torre verde poco meno ampia, e i giardini che circondavano l’intero complesso di torri e occupavano tutto lo spazio restante del distretto grigio. Il corridoio era così lungo che oltrepassarono entrambe le grandi torri prima di raggiungere ed entrare in quella di Astronomia.
I piani della torre erano disposti in modo tale che l’ingresso alle aule fosse sempre a sud-ovest e gli ampi balconi - o in generale le aperture sulla città - fossero sempre a nord-est, dove non vi era alcuna torre a disturbare la vista del cielo.
Si fermarono al quinto piano e presto appresero che era la torre con il maggior numero di piani di tutta la scuola; persino i bagni occupavano un singolo piano per quanto la torre fosse stretta, e i soffitti erano appositamente bassi - relativamente. L’aula non era in pietra argentata come si aspettavano: le pareti erano nere e punteggiate di minuscoli cristalli che rilucevano di bianco, ognuno rappresentava una stella o un corpo celeste, alcuni erano più grandi, altri più piccoli, e talvolta erano collegati da linee oppure vi erano dei nomi scritti in bianco. Non vi erano colonne e il balcone era al momento chiuso in modo che i cristalli bianchi sulle pareti fossero ben visibili. Sembrava infatti che fosse notte e di guardare il cielo stellato privo di nuvole sopra le loro teste e tutt’attorno. Non vi erano finestre né nicchie o lesene a disturbare il disegno sulle lisce pareti. Sul pavimento al centro dell’aula riluceva debolmente il simbolo dell’Astronomia, un cerchio alla cui sinistra stavano dei sinuosi raggi e alla destra uno spicchio di luna. I banchi erano disposti in più file a semicerchio dando le spalle al balcone, rivolti verso la cattedra che si trovava a una decina di braccia dall’ingresso dandovi le spalle e, come per l’aula di Storia, il pavimento era in salita procedendo verso il balcone.
Tutti si guardarono intorno a bocca aperta, trovando che finora fosse l’aula più strabiliante tra quelle viste, e presero lentamente posto mentre Auselion già si trovava alla cattedra invitandoli gentilmente a muoversi. Ogni banco, cattedra compresa, era illuminato da un globo di luce grigia che non dava fastidio allo sguardo né impediva di vedere chiaramente le pareti nere, ma che tuttavia permetteva di vedere dove mettevano i piedi, di guardarsi in faccia, di scrivere, leggere e vedere chiaramente l’insegnante.
Quando tutti furono pronti a scrivere Auselion cominciò con l’introduzione, spiegando la scienza dell’astronomia e gli usi che la sua conoscenza potevano offrire; era una di quelle materie che poco aveva a che fare con la magia in sé ma oggetto di studi e interessanti teorie, seguita più volenterosamente da persone che volessero studiare più che impratichirsi. Parlò di come la conoscenza di stelle e pianeti - o la presenza di qualcuno che ne sapesse qualcosa - potesse essere utile quando si viaggiava o si esplorava il mondo, soprattutto se non si aveva a disposizione una mappa. Ma anche di come tale scienza fosse stata utilizzata più volte allo scopo di creare enigmi che avrebbero ostacolato il più delle menti, essendo una materia complessa e in continua evoluzione.
Non sembrò suscitare l’interesse di molti per lo stesso motivo per cui Jennifer, a fine lezione mentre tutti riponevano gli appunti e si alzavano, sussurrò scherzosamente: «Troppo tempo da passare sui libri, fare calcoli e guardare il cielo, non m’interessa.»


NOTE DELL'AUTRICE
Mi rincresce spezzare il capitolo in questo modo così brusco, originariamente questo era un capitolo unico che ho dovuto spezzare in due parti perché raggiungeva una lunghezza complessiva di 39 pagine - 10.709 parole.
Spero abbiate gradito ugualmente e che non vi disturbi dover riprendere il prossimo capitolo, in cui di nuovo purtroppo succederà poco o niente come in questo, ma... descrizioni...

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Capitolo 45
*** Week end ***


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Il colore del titolo del capitolo corrisponde al colore della regione in cui la storia al momento si svolge, tenete d'occhio la mappa per sapere dove ci troviamo!

WEEK END

La mattina del terzo giorno l’entusiasmo non era ancora svanito, ma la gran parte dei Novizi se la prese più comoda avviandosi ai piedi del campanile con relativa calma.
Come prima insegnante si presentò loro una donna snella e alta vestita in un elegante completo di giacca e stretti pantaloni sotto alcuni veli dai motivi floreali e delle più svariate tonalità di verde. Fece prima l’appello e poi si presentò come Elsi, insegnante di Alchimia.
Jennifer sgranò gli occhi entusiasta e seguì il corteo diretto alla torre verde smeraldo, la quale pure si affacciava sulla seconda parte del cortile, alla destra della torre grigia, saltellando tutta contenta perché non vedeva l’ora di cominciare.
Cedric l’apostrofò sussurrando: «Non credere che qui non ci sia da passare ore sui libri.»
Lei si fermò e rispose accigliata: «Lo so meglio di te.» poi proseguì a testa alta dandogli le spalle e affiancandosi a Layla.
Entrando nell’atrio notarono subito che le finestre erano di forma circolare, di dimensioni ognuna diversa dall’altra e disposte in ordine apparentemente casuale. Non vi erano lesene né nicchie visibili e le scale erano aperte sull’atrio, senza che alcuna parete le separasse da esso. Il simbolo inciso sul pavimento era un’ampolla dalla quale delle bolle uscivano librandosi in aria.
Qui i piani erano disposti in modo tale che l’ingresso di ogni aula guardasse a uno dei punti cardinali in sequenza a salire: sud il primo piano, est il secondo, nord il terzo, ovest il quarto e di nuovo sud il quinto e via dicendo. Si fermarono al secondo piano che aveva l’ingresso a est e, sul lato ovest opposto, aveva un enorme balcone coperto da un porticato sul quale si trovavano alcune piante in vaso. La stretta torre di Astronomia poco lontana era ben visibile. Il pavimento era anche lì a livelli dove il più basso era quello della cattedra e a salire vi erano le file di banchi a semicerchio che davano le spalle al balcone per guardare verso l’ingresso, davanti al quale stava la cattedra. I banchi in realtà erano tutti uniti e separati gli uni dagli altri da un calderone incastrato nel legno e alcuni attrezzi tra cui strane ampolle, mortaio con pestello e alambicchi; il numero di calderoni e strumenti era pari a quello dei banchi. Lungo le pareti a destra e a sinistra dell’ingresso c’erano gli armadi contenenti libri di testo, ingredienti, strumenti addizionali e centinaia di scodelle, ampolle o barattoli di cristallo.
Presero posto ai banchi lunghi e stretti, si prepararono a prendere appunti guardandosi talvolta intorno, e la lezione cominciò. Elsi aveva una voce soave, ma tutti potevano udire le sue parole quando spiegò quanto fosse importante che capissero di avere a che fare con una scienza perfetta ed esatta, che non ammetteva errori al costo di devastanti conseguenze: un singolo ingrediente combinato con altri o in modo differente poteva essere sia antidoto che veleno. Ma nonostante questo non li scoraggiò dal mettersi alla prova e fare pratica fin dalle prime lezioni, essendo una materia che non aveva a che fare con la magia anche se poteva tornare utile come supporto a essa; erano due arti che potevano rimanere separate senza conseguenze ma potevano anche essere usate in contemporanea, in collaborazione, e beneficiare l’una dall’altra.
Sebbene avrebbero fatto pratica relativamente in fretta disse subito che non avrebbero provato le pozioni da loro create, per evitare gravi incidenti dovuti alla loro inesperienza, e quando qualcuno domandò che fine avrebbero fatto i loro esperimenti lei rispose con un sorriso di non preoccuparsi, che non sarebbero andati sprecati ma gli avrebbero trovato un uso.
In molti nella classe sembravano attratti dall’alchimia e impazienti di cominciare con la pratica, o forse era proprio questo a piacere agli studenti: finalmente una materia dove studio e pratica sarebbero andati di pari passo. Jennifer era fuori di sé dall’emozione soprattutto per quel motivo, non vedeva l’ora di mettersi alla prova. Ma nonostante l’interesse, la lezione finì così presto che quando il campanile suonò si trovavano già nel cortile.
L’insegnante di mezz’età della seconda materia si presentò loro col nome di Kir, sempre vestita di blu e un poco tarchiata, al che Deala si mise a saltellare gridando entusiasta. Li chiamò per nome uno alla volta con un sorriso enigmatico, dopodiché li condusse verso la torre blu cobalto, poco più stretta e bassa di quella rossa al lato opposto del cortile. La lunghezza del corridoio che conduceva alla torre era a metà strada tra quello della torre di Astronomia e quello della torre degli Elementi - in poche parole era lungo.
A un certo punto si sdoppiava ma la donna disse ad alta voce: «Ricordatevi di non prendere mai la via a destra, l’accesso a quella torre è riservato a insegnanti ed Esaminati. La torre di Manipolazione si raggiunge prendendo la via a sinistra. Corridoio blu!»
Qualcuno guardò il corridoio di destra con curiosità, era largo quasi il doppio di quello che stavano percorrendo e si perdeva nell’ombra tanto era lungo nonostante fosse illuminato da globi di luce bianca. Il loro invece, di lì in avanti, era illuminato di una luce blu non molto rassicurante che rendeva le pareti bluastre ancora più vivaci. Il simbolo della Manipolazione, ripetuto sul pavimento a intervalli regolari, erano due diversi simboli - sembravano una fiamma e una goccia d’acqua - separati da una linea sinuosa.
Lo spazioso atrio di pietra blu e azzurra era illuminato da ampie finestre alternate a lesene che parevano di cristallo o acquamarina. Salirono fino al terzo piano ed entrarono nella seconda aula, la parete curva opposta all’ingresso si apriva su un ampio balcone coperto da un porticato, i banchi erano disposti vicino alle pareti e tutti rivolti verso il balcone davanti al quale c’era la cattedra. I tavoli erano lunghi anche se a un solo posto e accantonati alle pareti c’erano un’infinità di secchi, vasi o altri contenitori compresi calderoni.
Notarono che l’aula era priva di armadi e Kir rispose alla loro implicita domanda spiegando: «Nell’aula qui affianco c’è una libreria, gli armadi sono superflui. Ci sono i sottobanchi.» prese posto alla cattedra e appena tutti furono pronti con le penne in mano cominciò la sua lezione.
Come tutti gli altri partì dall’introduzione, spiegando lo scopo della materia e gli usi che si potevano fare della manipolazione; era un’arte molto complessa che richiedeva una certa conoscenza di tutto ciò che era l’oggetto che si voleva cambiare, ma anche tutto ciò che voleva essere l’oggetto che poi sarebbe diventato. Fece il classico esempio di trasformare una pepita d’argento in una pepita d’oro: si dovevano conoscere sia l’oro che l’argento per poter trasformare l’uno nell’altro. In mancanza dell’adeguata conoscenza era comunque possibile cambiare il materiale, ma non ci si poteva aspettare che corrispondesse al risultato che si sarebbe voluto ottenere.
Dal momento che prima o poi avrebbero conosciuto piuttosto bene gli elementi, disse loro che sarebbe stato più facile trasformare del fuoco in acqua, una pietra in luce, un metallo in terra e via dicendo; la manipolazione degli elementi era cosa relativamente semplice. Molto più difficile sarebbe stato manipolare materiali quali legno o vetro: il primo perché non esattamente legato alla terra ma piuttosto era una parte di qualcosa che un tempo era stato vivo; il secondo perché pur derivato della terra in quanto silicio aveva già subito una trasformazione tale da risultare non più parte dell’elemento Terra. Gli disse da subito che avrebbero sì fatto pratica dopo qualche tempo passato a studiare gli Elementi, ma che i materiali più complessi li avrebbero studiati solo gli Specialisti, i quali avrebbero anche imparato l’arte di incantare gli oggetti comuni per trasformarli in potenti artefatti.
A lezione quasi finita Deala non riuscì a trattenersi, alzò la mano e quando Kir le diede il permesso di parlare domandò tutta entusiasta: «Puoi farci vedere un esempio di manipolazione?»
La donna si guardò intorno con sguardo malizioso e vide che tutti erano in trepidante attesa di vedere la loro prima magia, dunque scosse le spalle, agitò le braccia stirando i muscoli, infine portò le mani avanti e l’aria davanti a lei si fece più densa, per poi trasformarsi in polvere e appesantirsi sempre più, prendendo un colore marrone e cadendo a terra sotto forma di sabbia. Quella sabbia dopo un poco si sollevò e si consolidò prendendo la forma e la consistenza di una pietra, che a sua volta poco dopo divenne un cristallo scintillante, per poi prendere fuoco - anzi, diventare fuoco - e disperdersi tornando a essere l’aria da cui tutto era partito. L’esibizione fu seguita da un lungo silenzio, per poi essere accolta da un caloroso applauso, e Kir fece un elegante inchino. Poi li congedò pochi minuti prima che il campanile suonasse la fine delle lezioni.
«Avete visto che ha fatto?! È stato strabiliante!» esclamò Deala a tutto il gruppo.
«Sì! Grazie per averle chiesto di farlo!» disse animatamente Ovittalia, una ragazza in carne dai capelli rossicci e gli occhi neri come la pece «Ora prenderò davvero in considerazione di studiare Manipolazione!»
«Ma quello che ha fatto non è possibile farlo anche studiando soltanto gli elementi?» domandò dubbioso Abion, un ragazzo piuttosto basso, coi capelli biondi a caschetto e dall’aria impacciata.
«Certo che no!» ribatté Deala «Gli elementi si possono governare uno alla volta, mischiare, farli interagire, ma non puoi cambiare il fuoco facendolo diventare acqua! Che emozione!»
«Sì, è stato davvero bello.» sorrise Susan ancora ripensando a come quella pietra si era trasformata in un enorme cristallo bianco e opalescente.
«Non vedo l’ora di provare!» concordò Mike.
«Prima dovremo studiare parecchio.» ribatté Cedric, come cercando di frenare il loro entusiasmo prima che s’illudessero troppo.
Deala lo indicò col pollice fissando il resto del gruppo di Darvil e domandò: «Lui è sempre così?»
«Sempre.» rispose subito Layla «Se parla è per esprimere il suo pessimismo.»
Cedric fece per ribattere, ma dal momento che erano tutti scoppiati a ridere decise che sarebbe stato inutile e si limitò a girare gli occhi con un sospiro esasperato.
Solo allora, dopo che per giorni avevano avuto nient’altro che la scuola di magia per la testa, si accorsero che nonostante tutto lui manteneva quell’aria turbata e mai felice, e non poterono fare a meno di pensare che si trattasse di ciò che aveva sentito dire di sua madre da quell’uomo, ma si chiesero come potesse influenzarlo anche in un luogo come quello: stavano per davvero studiando magia in una scuola apposita! Persino Layla era tornata alla sua solita vita, lasciando l’aggressione in un angolo della mente, non dimenticata ma se non altro distante dalla realtà.
Il tentativo che fece Susan di parlargliene dopo cena, quando raggiunsero le loro stanze, fu naturalmente inutile; appena lei menzionò il suo umore il ragazzo le chiuse la porta in faccia lasciandola basita e offesa. Mike dovette parlare con lei per una buona ora prima che le tornasse il buonumore e andasse a dormire in camera sua il resto della notte.

Il quarto giorno di lezione tutti i duecento studenti affollarono il cortile in attesa che la propria classe venisse chiamata. Come al solito la prima classe venne chiamata dal primo insegnante che si presentò col nome di Meidrea, una giovane donna dai lunghi capelli neri e i lineamenti affilati, la corporatura snella e la pelle chiara, gli occhi freddi come il ghiaccio. Vestiva tutt’altro che stravagante, piuttosto con un completo simile a quello degli studenti ma di diverse tonalità di viola.
Fece l’appello e gli studenti chiamati si alzarono in piedi, dopodiché la seguirono nella seconda parte del cortile e poi dritti verso la torre viola, più alta di quella di Alchimia ma più bassa di quella di Elementi. Anche questo corridoio era piuttosto lungo e solo leggermente serpeggiante, e non era illuminato; piuttosto via via che si addentravano si faceva più buio fino a raggiungere la semioscurità, e la luce filtrava dalle pareti più sottili delle profonde nicchie che sembravano quasi finestre viola su una parete quasi nera - quando non erano occupate da strane statue che apparivano come sagome nere su sfondo violetto.
L’ampio atrio della torre era intervallato da colonne e lesene di quarzo viola e ametista che scintillavano alla luce del sole mattutino che entrava dalle ampie finestre, le quali quasi toccavano il soffitto. Le scale salivano a spirale da sinistra affacciandosi alle finestre aperte dotate solo di parapetto per non cadere giù nel cortile. Il simbolo ripetuto sul pavimento e laccato di resina era una testa umana vista di profilo, le cui linee andavano a disegnare una spirale racchiusa nel cranio.
Questa volta gli toccò salire di ben quattro piani, ma se non altro l’intero piano era dedicato all’aula, senza bagni o librerie a portare via lo spazio. I banchi erano disposti in due file a semicerchio, alla destra dell’ingresso, dando le spalle all’ampia finestra che prendeva gran parte della parete ricurva, divisa in più parti da sottili colonne di marmo viola. La cattedra occupava il lato opposto, a sinistra dell’ingresso.
Meidrea prima di prendere posto alla cattedra tirò una tenda, in modo che la luce prepotente del sole non disturbasse la mente degli studenti, e gran parte dell’illuminazione ora era dovuta a uno di quei globi grigi sospesi sopra un candelabro pendente dal centro del soffitto. Poi gli studenti presero posto, l’insegnante andò a occupare il suo, e la lezione cominciò.
La sua voce severa li tenne subito sull’attenti, tutti quanti, ma nonostante le apparenze si dimostrò essere una persona aperta all’ascolto, disposta a interrompere la sua lezione per rispondere a qualche sporadica domanda. Capirono il suo atteggiamento austero nel momento in cui compresero la severità della materia che avrebbero studiato in quell’aula: Telepatia.
Da come parlava la donna sembrava che entrare nella mente di altre persone o creature senza sapere cosa si stesse facendo potesse provocare gravi danni sia agli ospiti che agli intrusi.
Ai ragazzi tornò subito alla mente il breve periodo che aveva seguito la nascita dei draghi, durante il quale avevano provato emozioni non proprie, reagito in modi inusuali, dimenticato cosa stessero dicendo ai propri genitori perché troppo distratti dai pensieri che in realtà appartenevano alle creature.
Per questo motivo gli disse che, nonostante la materia non richiedesse necessariamente l’uso della magia, non avrebbero provato presto a contattare qualcuno mentalmente - e di certo non avrebbero cominciato contattandosi tra studenti, ma entrando direttamente nella mente di lei, che sapeva difenderla. Non parlò altro che della pericolosità che l’inesperienza avrebbe potuto causare, ma anticipò alla classe che la telepatia poteva anche essere usata per fare volontariamente del male a qualcuno o indurre allucinazioni o persino illusioni così perfette da sembrare reali, o ancora modificare i ricordi di qualcuno o impedire a un soggetto di usare la magia, oltre che semplicemente tenere segreta una conversazione.
Dopo aver rimesso a posto i propri appunti i Novizi lasciarono l’aula leggermente angosciati, nessuno sembrava ansioso di voler sperimentare sulla propria mente l’effetto di un attacco da parte della mente di qualcun altro. Ma nello stesso tempo qualcosa gli diceva che quel momento sarebbe arrivato.
Dopo pranzo li accolse un insegnante anch’egli dall’aria austera, la pelle scura e i lineamenti inusuali lo identificarono come una persona proveniente dai luoghi più caldi di Dargovas. Si presentò col nome di Gawdi, insegnante di Difesa, quindi dopo l’appello gli fece strada verso la seconda torre in senso antiorario, stretta quasi quanto quella di Astronomia ma decisamente più bassa.
Percorso il cortissimo corridoio, appena più lungo delle mura che chiudevano il cortile, si ritrovarono in un ambiente molto luminoso dovuto al fatto che era costruito con svariate pietre gialle e arancioni. C’erano pochissime finestre e le pareti erano lisce, prive di colonne nicchie o lesene; erano decorate unicamente dall’alternarsi dei diversi materiali con cui era edificata. Come tutte le altre torri le scalinate si arrampicavano a spirale seguendo le pareti esterne, e il segno inciso sul pavimento era uno scudo stilizzato aperto su un lato e al cui centro stava un pallino.
Salirono fino al terzo piano e anche quest’aula aveva un ampio spazio libero al centro, con i banchi e la cattedra rivolti a esso. Gli studenti cominciarono a sospettare che tutte le torri che insegnavano materie pratiche ospitassero aule strutturate a quel modo, per lasciare spazio appunto alla pratica.
Una volta che tutti furono al proprio posto e gli studenti pronti a prendere appunti, Gawdi cominciò la sua introduzione alla materia con voce sonante, spiegando il semplice concetto della difesa, cui sostanzialmente altro non era che chiedere l’intervento della magia affinché evocasse una barriera protettiva attorno a loro. Gli disse che era certamente possibile difendere un indefinito numero di persone, a patto che si avessero le energie necessarie a sostenere una barriera di grandi dimensioni, e che si poteva decidere anche lo spessore di essa in base all’entità del pericolo da cui dovevano proteggersi.
Non la rese particolarmente interessante, molti ragazzi si annoiarono limitandosi a prendere appunti. La materia in sé non sembrava coinvolgente. Ma tutti sapevano che sapersi difendere da incantesimi ostili o frecce e pugnali volanti poteva essere di vitale importanza; per quanto la materia o l’insegnante potessero non piacere, non si poteva fare a meno di una base di Difesa.

Il quinto e ultimo giorno per primo conobbero Houl, il loro paziente insegnante di Guarigione vestito appunto con una tunica rosa che all’altezza del petto mostrava il simbolo della materia: una mano le cui linee andavano a disegnare una spirale sul palmo.
Condusse la prima classe verso la torre rosa dopo l’appello, che era la prima in senso orario, alla sinistra di quella di Storia. Il corridoio pareva lungo all’incirca quanto quello che conduceva alla torre degli Elementi ed era incurvato verso sud.
L’ampio atrio della torre era esageratamente illuminato, non solo dalle grandi finestre che si aprivano lungo tutta la parete ricurva, ma anche da diversi globi bianchi grigi o rosa che fluttuavano apparentemente dotati di vita propria, come bolle di sapone mosse da un vento invisibile. Era costruita in quarzo, marmo, granito e pietre delle più svariate sfumature di rosa, da molto acceso a pallido. Sul pavimento lucido era naturalmente inciso il simbolo della mano con la spirale sul palmo.
Salirono la scalinata a spirale fino al terzo piano, dove entrarono in un’aula che al contrario dell’atrio era priva di globi di luce, ma ugualmente molto ben illuminata dalle strette e alte finestre terminanti in un arco a sesto acuto e ciascuna incorniciata su entrambi i lati da colonne di marmo rosa venato di bianco. Anche qui c’era uno spazio libero al centro dell’aula, ma era meno ampio essendoci tre file di banchi disposti a semicerchio, e la cattedra dava le spalle alle finestre.
Jennifer Layla e Vill erano tra i più entusiasti della classe di cominciare la lezione e furono tra i primi a prendersi il posto, mentre altri sedettero con più calma, c’era persino chi non era attratto dalla materia.
Houl introdusse la sua materia trasportato dalla propria passione e presto catturando l’attenzione anche di chi non fosse realmente interessato, spiegando di come la Guarigione non comprendesse soltanto il compito di guarire ferite, ma anche curare da avvelenamenti in caso si fosse sprovvisti di antidoto, donare le proprie energie a chi ne avesse più bisogno, e in alcuni casi persino risanare i danni causati da un’aggressione telepatica. L’unico modo in cui questo tipo di magia potesse essere dannoso, spiegò l’insegnante, era dovuto al fatto che impiegava notevoli quantità di energie - soprattutto per chi era agli inizi - perché doveva prendere le energie del mago e donarle alla persona che si desiderava guarire: quindi il mago avrebbe dovuto avere a disposizione abbastanza energie da riportare il ferito in buone condizioni e nello stesso tempo non svenire o morire egli stesso per la mancanza di esse. I suoi più grandi limiti invece erano non poter riportare in vita i morti e non poter riportare le ossa rotte a uno stato completamente sano; si poteva tuttavia alleviare il dolore.
Al contrario degli altri insegnanti dunque, Houl spese diverso tempo a spiegare il funzionamento di quella magia, che era alla base anche di tutte le altre materie in cui la magia era coinvolta, secondo cui appunto ogni incantesimo richiedeva in cambio una determinata quantità di energie vitali: accendere un fuoco dal nulla richiedeva una certa quantità, mentre evocare una barriera avrebbe privato il mago di una parte di energie ogni volta che quella avrebbe assorbito il danno per proteggerlo, e persino uno scontro tra due menti in alcuni casi poteva richiedere un coinvolgimento delle energie vitali di una persona. Guarire era tra le cose che più richiedeva energia, perché appunto si dovevano possedere abbastanza energie per due persone. O anche di più, se si voleva guarire più di un ferito.
Ma li rassicurò dicendogli con un largo sorriso che più si fossero impratichiti meno fatica avrebbero fatto a sostenere quel determinato tipo d’incantesimo: uno Specialista in Guarigione avrebbe tranquillamente potuto risanare le ferite di un centinaio di persone senza risentirne, come uno Specialista in Difesa avrebbe potuto evocare barriere di notevoli dimensioni e spessore per lungo tempo e assorbire una quantità incredibile di danni a spese della propria energia, mentre al contrario avrebbe probabilmente faticato a guarire più di cinque persone, come chi era specializzato in Guarigione difficilmente sarebbe riuscito a difendere qualcuno oltre a se stesso.
Alla fine, gli disse, era soltanto questione di tempo, pratica e conoscenza del tipo di magia che stava utilizzando. E a tal proposito annunciò che dalla lezione seguente avrebbero studiato l’anatomia umana per avere la base da cui partire: senza sapere cosa curare non si poteva riparare un danno, esattamente come non si poteva operare un paziente senza essere un medico e aspettarsi che ne uscisse vivo.
Dopo pranzo toccò all’ultima materia, insegnata da Dalca, un uomo piuttosto anziano e dall’aspetto fragile, capelli brizzolati e occhi scuri, indossava dei normalissimi abiti, quasi da contadino ma di tessuti decisamente più pregiati, di varie tonalità di marrone. Dopo averli chiamati li condusse verso l’ultima torre, la quale si affacciava sulla parte secondaria del cortile e vi si accedeva direttamente, attraversando solo un corridoio della stessa ampiezza delle mura che chiudevano il cortile.
La torre marrone era la più bassa in cui si potesse tenere lezione - l’unica più bassa ancora era quella più lontana, dove a quanto pareva si svolgevano gli esami e i test per avanzare di rango - ed era di media ampiezza, alla pari di quelle d’Alchimia e Guarigione. Guardandola dal basso sembrava essere più che altro un agglomerato di balconi che li lasciò a bocca aperta. Entrando nell’atrio - costruito in pietre marroni e sul cui pavimento lucido era ripetutamente inciso il simbolo di un fiore con otto petali a punta - in effetti notarono subito che questa volta le scale erano disposte al centro, salivano ugualmente a spirale ma erano molto più strette e ripide. I soffitti di ogni piano, compreso l’atrio, erano bassi, forse dovuto al fatto che essendo la torre stessa non molto alta si era dovuto risparmiare spazio, o perché le scale non risultassero troppo ripide.
A intervalli regolari e in corrispondenza dei quattro punti cardinali la scala s’interrompeva brevemente per lasciare spazio alla porta che conduceva a un’aula o a una stanza, per poi proseguire più avanti e salire alla successiva. Gli toccò salire fino alla quarta porta, dunque Dalca li invitò a entrare prima di lui.
L’aula era quasi completamente aperta e in realtà occupava tutto il piano. L’unica parete esterna stava dietro i banchi, i quali erano rivolti verso il centro della struttura; tutto il resto del piano era occupato da erba e terra, sulla quale crescevano diverse specie di fiori, arbusti, funghi, piante insolite e persino qualche albero. Gli parve di trovarsi in un enorme giardino sotto un porticato interrotto dalla pietra soltanto dove gli studenti si sarebbero seduti per ascoltare la lezione. Il poco spazio libero tra cattedra e banchi era occupato dal simbolo della materia ricoperto di lucida resina trasparente.
Con gli occhi incollati sull’ampio balcone a cielo aperto, gli studenti presero posto e l’insegnante cominciò la sua lezione mentre ancora la gran parte dei ragazzi stava prendendo il materiale per gli appunti.
Parlò con voce lenta e flebile di cosa si sarebbe studiato in quella materia: non solo avrebbero imparato a distinguere e riconoscere tutte le specie animali e vegetali di cui gli Umani erano a conoscenza studiandone anche l’anatomia, ma anche a controllare la flora - sfruttando in maniera trasversale l’elemento Terra - e a trarre energie vitali oltre che da essa anche dalla fauna, per rigenerare le proprie in caso di estrema necessità; spiegò loro che non era mai bello privare altri esseri viventi delle loro energie senza consenso, anche perché una perdita troppo sostanziosa di energie avrebbe potuto condurre il donatore a svenimento, coma o morte.
Jennifer aveva lo sguardo costantemente volto al balcone, ma non era l’unica: anche Ovittalia, Reanne - una bella ragazza dalla pelle chiara, le giuste curve, occhi verdi e lunghi capelli quasi neri - Mjlner - una donna che pareva avere più di vent’anni, dai grandi occhi e i lineamenti taglienti - Tegro - un giovane uomo dal corpo robusto, la pelle scura e testa quasi interamente rasata - e Hranda - una ragazza molto alta dai lunghi capelli neri e la pelle ambrata - continuavano a guardare le numerose piante, molte delle quali erano sconosciute a ognuno di loro. Dalca, sebbene li vide, non li rimproverò e non interruppe la sua lezione, semplicemente consapevole che una disattenzione l’avrebbero pagata nel momento dei compiti o dei test.
A lezione finita tornarono al refettorio, ormai il sole era calato ma diverse lanterne illuminavano i sentieri del cortile, o in alternativa globi di luce fluttuanti. Qualche studente delle classi più avanzate sfoggiava la propria abilità nel controllare gli elementi per fare luce ai compagni.
Mangiarono animatamente discutendo della settimana, tutta la loro classe riunita per stare tutti il più vicino possibile, e andarono a letto con la testa pesante e le braccia doloranti per tutti gli appunti presi. Avevano ora davanti due giorni di riposo, dopodiché la routine sarebbe ricominciata da capo, identica per altre tre settimane.

Il giorno successivo, dopo aver pranzato, indossarono le loro vesti da Novizi così che gli sarebbe stato più facile poter rientrare in città, perché avevano intenzione di andare a trovare i piccoli draghi. Camminarono senza andar a recuperare i loro cavalli alla stalla, in modo che Cedric non fosse costretto a incontrare quell’individuo spregevole - era già di un umore sufficientemente pessimo senza che succedesse nulla per peggiorarlo.
Lungo la strada vennero seguiti da sguardi curiosi per via dell’abbigliamento e l’assenza di giacche, pastrani o mantelli, perché le loro comode vesti sebbene fossero di un tessuto leggero riparavano bene dal freddo invernale. Ma a parte quello la gente si teneva alla larga, come se studiare magia equivalesse ad avere la peste, nonostante indossassero i guanti come stabilito dalla legge vigente. A loro non dispiacque: la gente si apriva in due ali per farli passare persino nell’affollatissima via Maestra.
Lasciarono la città senza alcun problema, a malapena guardati dalle guardie che erano più occupate a controllare bene chi entrasse, e si diressero immediatamente verso il boschetto a nord poco lontano, sperando che, essendo giorno, i draghetti fossero lì a sonnecchiare in attesa della notte per cacciare, bere o sgranchirsi le ali.
Li chiamarono a bassa voce, in caso ci fosse qualcuno oltre a loro a passeggiare nel bosco, e infatti ci misero parecchio a trovarli perché i cuccioli stavano piuttosto inoltrati; si erano trovati un agglomerato di vecchie tane di volpe scavate sottoterra, che avevano prontamente provvisto ad allargare per potervi entrare con le ali, e quando avvertivano qualcuno avvicinarsi troppo si nascondevano lì, acciambellati in attesa che il pericolo passasse.
Appena furono certi di essere rimasti completamente soli coi ragazzi i draghetti uscirono allo scoperto e Sulphane corse subito incontro a Susan.
La ragazzina però mise le mani avanti ed esclamò: «No no no! Ti prego non graffiare queste vesti, ne ho solo una di ricambio! E desterebbe sospetti!»
La piccola dragonessa si era fermata al secondo ‘No’ guardandola stupita, ma appena comprese la motivazione le rispose tranquilla: Ho capito, non c’è problema.
«Scusami! Però puoi strusciarti!» continuò ora allegramente.
Sulphane scodinzolò contenta e si avvicinò ora più cautamente lasciandosi coccolare, così i ragazzi notarono che ormai i draghetti erano alti in media fino alla loro metà coscia.
«Come crescete in fretta...» commentò Mike senza parole osservando Zaffir, che pur essendo tra i più bassi superava il suo ginocchio.
Umbreon si tenne a distanza da tutti per evitare di graffiare le loro vesti da maghi con le spine o con le dure scaglie del ventre, e lo stesso in un certo senso fece Smeryld. Non che entrambi fossero particolarmente affettuosi, raramente si strusciavano o si lasciavano coccolare da qualcuno che non fosse il loro compagno. Zaffir invece più di una volta dovette resistere alla tentazione di fare i suoi agguati a Mike.
Dopo averli coccolati per bene e aver commentato la crescita delle loro spine, corna, denti e artigli, finalmente i ragazzi si sedettero sul terriccio freddo e umido e gli raccontarono di Eunev, saltando i particolari peggiori di cui nessuno voleva parlare, e poi passarono alle tre prove per entrare a scuola e della scuola stessa, dilungandosi sulle lezioni della settimana anche un po’ per essere certi di aver capito tutto e ricordare ogni cosa.
I draghi li lasciarono parlare senza fare domande.
Finito il racconto Jennifer disse come per mettere una pezza a un problema mai menzionato: «Ma verremo qui ogni fine settimana, non vi preoccupate! Non lasceremo passare di nuovo così tanto tempo!»
Sono felice che siate venuti le disse Rubia con fare divertito Cominciavate a mancarmi davvero.
Jennifer si finse offesa: «Cominciavamo, eh? Voi mi siete mancati da subito!»
A Susan era tornato il malumore ripensando alla sua prima lezione di Storia e appena Sulphane le chiese cos’avesse la ragazzina si lanciò in un furioso sfogo con tanto di gesti sorprendentemente violenti e un tono di voce rauco e sprezzante. Lasciò attoniti tutti quanti, ma in particolare la piccola dragonessa gialla che si pentì di averle fatto quella domanda.
Alla fine Susan scosse la testa e concluse con fare irritato: «Oh, lasciate perdere! La signorina le prenderà di santa ragione appena faremo pratica!»
Mike si mise quindi le mani sulle ginocchia e domandò allegramente alle creature: «E voi invece? Cos’avete da raccontarci?»
Allora i draghetti, uno alla volta per non affollare le menti dei ragazzi, raccontarono di come avessero trovato e ampliato la loro tana, dei loro brevi voli di notte a bassa quota nella prateria più a est - per non avvicinarsi alla città e quindi alla gente - e Smeryld disse di come avesse tramandato ai fratelli le sue nuove conoscenze su prede e predatori, ma anche le strategie di caccia che aveva imparato l’ultima volta che aveva accompagnato Cedric per i boschi.
Tutto sommato i ragazzi dedussero con non poco sollievo che se la stavano davvero cavando molto bene anche senza loro, proprio come aveva detto Nerkoull.
Rimasero nel bosco a giocare spensierati insieme a loro fino a che il sole cominciò a calare dietro l’orizzonte e l’aria si fece tanto fredda anche sotto quelle magiche vesti. Come promesso i draghetti non le avevano graffiate o sgualcite, ma rotolandosi per terra Mike Andrew e Jennifer le avevano un poco sporcate.
Solo sulla strada del ritorno si domandarono se la servitù le avrebbe lavate o se invece sarebbe toccato a loro; ma nel primo caso non avevano idea di dove lasciarle perché le portassero a lavare, e nel secondo non avevano idea di dove poterle portare per lavarle al di fuori dei bagni in comune.
Davanti al cancello d’ingresso una guardia li adocchiò in mezzo alla folla e fece loro cenno di affrettarsi a entrare. Mentre i ragazzi gli passavano di fianco l’uomo spiegò che i cancelli della città chiudevano appena il sole completamente spariva all’orizzonte e consigliò loro di tenerlo bene a mente se avevano intenzione di fare altre escursioni tra un giorno di lezione e l’altro.

Il giorno dopo passò pressapoco come il precedente, con la differenza che nel tempo tra la colazione e il pranzo decisero di ripassare le lezioni della settimana trascorsa, costringendo Cedric a rileggere tutti i suoi appunti. Il ragazzo, sebbene visibilmente scocciato, dovette arrendersi perché appena cercò di protestare se li ritrovò tutti contro. Perciò si riunirono tutti in una stanza e lì rimasero fino a che sentirono il campanile scoccare l’ora di pranzo, finito il quale andarono a trovare i piccoli draghi.

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Capitolo 46
*** Carrot, lady's mantle, and bugloss ***


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Il colore del titolo del capitolo corrisponde al colore della regione in cui la storia al momento si svolge, tenete d'occhio la mappa per sapere dove ci troviamo!

CARROT, LADY'S MANTLE AND BUGLOSS

La mattina seguente indossarono il secondo cambio delle loro vesti da Novizi e passarono una buona ora dopo aver fatto colazione a vagare a zonzo per la scuola con le vesti sporche fra le braccia, in cerca di qualcuno che potesse dirgli dove lasciarle. Alla fine incontrarono un Apprendista che gli disse di lasciarle in un cesto accanto alla porta della propria stanza accompagnate da un foglietto con scritto il numero della camera alla quale riconsegnarle.
Storsero il naso appena lo studente si allontanò, sperando che in quella scuola nessuno fosse portato ad atti di bullismo o da branco, altrimenti avrebbero potuto rubargliele e farle sparire da qualche parte. Ma alla fine Cedric li convinse a metterle nel cesto numerato e portarli manualmente negli alloggi della servitù per sicurezza, chiedendo poi che le riconsegnassero nella giusta stanza dopo cena.
Quando arrivò l’ora della prima lezione della seconda settimana - per loro Storia - si diressero direttamente alla torre bianca e salirono fino al terzo piano per poi entrare nella loro aula. Qualcuno era già seduto al proprio banco, lo stesso che aveva occupato l’ultima volta. Susan infatti fu l’unica a scambiarsi di posto, con Cedric per l’appunto, ma l’ingresso di Velia non le diede il tempo di ringraziarlo: prese subito un’aria tetra e la tenne d’occhio di nascosto mentre la giovane prendeva posto.
Stava scherzando con Irea, un giovane dal corpo massiccio e lo sguardo assente, i capelli castani come gli occhi, il quale rideva con la testa rivolta all’indietro e poi andò a sedersi accanto a lei. Velia non tardò a notare lo scambio di posto.
Ignorando completamente Cedric che sedeva tra lei e Susan rivolse a quest’ultima un sorriso derisorio e disse con voce canzonatoria: «Cosa c’è, ti sto antipatica? Perché non vuoi più sederti accanto a me?»
Attirò anche l’attenzione di Layla che guardò Susan lasciando perdere il discorso che Jennifer stava facendo a Mike, ma rimase in silenzio con aria pensierosa.
Susan invece si sentì bruciare dalla rabbia e fece tutto il possibile per tenere lo sguardo fisso sulla cattedra, chiedendosi per quale motivo una volta tanto che Cedric avrebbe dovuto fare lo scontroso se ne stava zitto a pensare a tirare fuori i suoi appunti, come totalmente incurante dell’astio che si era creato tra le due. Lo guardò con la coda dell’occhio e gli pestò il piede per attirare la sua attenzione.
«Ahi! Che c’è?» fece lui a mezza voce, interrompendo i suoi affari per guardarla.
La ragazzina indicò alla loro destra con un movimento della testa appena percettibile e tremò sentendo Velia e Irea ridere di nuovo.
Allora Cedric seguì la direzione da lei indicata e vide Velia appoggiata alla spalla di Irea, entrambi stavano guardando Susan e ridevano di lei, ma appena si accorsero dello sguardo del ragazzo si concentrarono su di lui. Dopo un attimo di silenzio Cedric scosse piano la testa e con una debole scrollata di spalle li guardò come a chiedergli cosa ci fosse di tanto divertente.
In tutta risposta Irea rise di nuovo e l’altra gli rivolse uno sguardo ora sprezzante oltre che divertito: «La ragazzina bionda ha mandato avanti la cavalleria? Non ha il fegato di parlarmi per conto suo?»
Fu a quel punto che, per la felicità di Susan, Cedric prese un’aria torva e ribatté freddo: «Non ti riguarda. Fatti gli affari tuoi.»
Ma Velia non fece altro che sorridere studiandolo meglio con l’aria di chi ha accettato una sfida, poi ridacchiò e con un atteggiamento altezzoso che irritò sia Susan che Layla tornò a scherzare con Irea, a bassa voce per non farsi sentire e quindi palesemente ridendo o di Susan o di Cedric.
Però il ragazzo non se ne curò, gli bastava che avesse smesso di fissarli, e rivolse a Susan uno sguardo interrogativo chiedendole implicitamente se fosse soddisfatta. La ragazzina fece una smorfia e gemette tornando a guardare la cattedra, e per fortuna Erbil arrivò pochi attimi dopo per cominciare la sua lezione.
Furono tre ore inaspettatamente interessanti, l’insegnante parlò di come i primi uomini fossero riusciti a impossessarsi di gran parte del continente respingendo gli Orchi e costringendo gli Elfi a rifugiarsi nelle più remote foreste del nord e dell’ovest. Una sottospecie nata dall’unione di quelle due razze abitava ora in cunicoli sotto gli immensi monti di Jeradokel - la regione all’estremo est - o sotto la catena montuosa della regione ora conosciuta col nome di Shiraleddar, perché occupata dagli Spettri. Nacquero così quattro distinte regioni: tutto il nord, separato dal resto del continente dalla Foresta, divenne patria degli Elfi delle Lune e delle Foreste; l’estremo est divenne la patria degli Elfi del Sole, separata dal continente dal fiume Rimer; la parte del continente racchiusa tra i fiumi Berst e Serf rimase abitata dagli Orchi e ben protetta, quindi nonostante fosse giunta la voce che gli Orchi l’avessero ormai abbandonata nessun Umano si era spinto nell’arido deserto a controllare per tentare una nuova conquista; il resto di Dargovas invece divenne terra Umana.
Le domande furono numerose, soprattutto riguardanti la grande guerra che aveva visto la scomparsa da Dargovas di quasi tre razze; era durata più di duecento anni e gli Umani avevano potuto sopraffare Orchi ed Elfi solo grazie al loro numero. Gli Umani stessi si erano quasi estinti durante quella guerra, ed era stato il periodo della storia conosciuta in cui c’era stato a Dargovas il maggior numero di draghi. Con la ripopolazione del continente apparentemente le creature magiche erano migrate nel continente più a nord-est, un arcipelago di isole che formava una spirale, quasi in comunicazione con la regione Jeradokel.
Erbil concluse la lezione dicendo che la volta successiva avrebbero parlato della guerra che invece aveva visto la nascita delle regioni di Dargovas.
Mentre rimettevano a posto ognuno i propri appunti - come al solito i più giovani avevano più che altro scarabocchiato sulle pergamene - sentirono una voce alle loro spalle domandare: «Mi spieghi cosa ci fai insieme a questi marmocchi incapaci di scrivere?»
Tutti e sei si volsero all’unisono e scoprirono che a parlare era stata la ragazza castana dagli occhi grigi e si era rivolta a Cedric; era alta quasi quanto lui, il che era tutto dire, e doveva avere quindici o sedici anni, un fisico ben proporzionato, e un ghigno di scherno perennemente stampato in viso.
Dal momento che il ragazzo, come tutti gli altri, si limitò a osservarla con sguardo torvo, la ragazza riprese: «Sono Velia, da Enedar. Tu saresti...?»
«Cedric.» rispose lui asciutto finendo di mettere via le proprie cose senza smettere di guardarla.
«Piacere di conoscerti. Cedric da Eunev, immagino.» lui di nuovo non rispose e Velia continuò: «Allora, che ci fai con questi qui? È palese che non siano Eunevi dato che nemmeno sanno leggere, come ti sei affezionato a loro?»
«Non sono affari tuoi.» ribadì irritato.
E lei ridacchiò divertita: «Come siamo scontrosi! Sono solo curiosa!» gli si avvicinò con aria innocente, le mani dietro la schiena, e gli sussurrò: «Non sarai un Amico del Corvo forse?»
Il ragazzo si ritrasse stizzito, avendo finito di mettere via tutte le proprie cose, poi si allontanò per lasciare l’aula facendo cenno agli altri cinque di imitarlo, senza dire una parola.
«Come vuoi, faremo una chiacchierata qualche altra volta!» lo salutò Velia alzando la voce, al che lui non rispose e anzi sospirò infastidito.
«Che ti ha detto?» chiese Andrew trotterellandogli dietro per stare al suo passo mentre scendevano le scale a spirale per uscire in cortile.
«Niente.» tagliò corto lui «Una cosa stupida.»
«Sarebbe?» lo punzecchiò Layla guadagnandosi un’occhiataccia «La cosa stupida sembra averti infastidito parecchio.»
«Sì beh, non tutta Dargovas è come Darvil. Anzi direi che Darvil è una piacevole eccezione, e perché lo dica io vuol dire che è vero.» ribatté lui.
«Ce ne siamo accorti.» commentò la più grande lasciando intendere che si riferisse a quanto poco Eunev le fosse piaciuta «Quindi che succede fuori Darvil che t’infastidisce?»
Cedric di nuovo le rivolse un’occhiata torva, ma le rispose: «In realtà questo è successo anche a Darvil, ma perché prendersela con me era il passatempo preferito di tutti.»
Layla girò gli occhi: «Questo cosa?»
Lui sospirò: «Mi ha velatamente dato dell’Amico del Corvo.»
Mike sobbalzò incredulo e d’istinto esclamò: «Non dovresti dirlo ad alta voce!»
Cedric scosse le spalle: «Probabilmente hai ragione, è solo che ormai ci ho fatto l’abitudine.»
«E perché l’ha fatto?» domandò Jennifer irritata «Nemmeno ti conosce, ti ha solo dato un’occhiata! Credimi, di tutte le cose che si possono dire di te di certo quella è l’ultima.»
Il ragazzo rise: «In realtà sarebbe tra le prime, se vogliamo essere fiscali. Di certo non fa piacere essere insultati senza un vero motivo, ma credo si riferisse al fatto che faccio tutto con la mano sbagliata.» guardò Jennifer con eloquenza, avendo usato le stesse parole che aveva pronunciato lei mentre erano in viaggio verso Hayra’llen.
E infatti la ragazzina sorrise imbarazzata e distolse lo sguardo dai suoi occhi: «Beh, sei effettivamente baciato dalla sfortuna, ma non sei una persona cattiva. Quell’insulto non ha senso, tu non faresti del male a nessuno.»
«Ti ringrazio per la fiducia.» ribatté l’altro divertito, tuttavia dicendosi che lui era in grado di fare del male eccome, e senza neppure provare una briciola di rimorso se necessario.
«Ma quindi pensi che non dovrai farti vedere da nessuno mentre scrivi, altrimenti cominciano a insultarti?» domandò Andrew preoccupato.
E Cedric scosse le spalle con noncuranza: «Come ho detto, sono abituato. Non me ne frega niente, che dicano quel che vogliono. Se arrivano a pensare male di me solo perché scrivo in modo diverso sono loro quelli con dei problemi.»
A quelle parole Andrew non riuscì a trattenere una risata che attirò l’attenzione di un paio di studenti poco più in basso, ma se non altro nessuno fece domande, mentre Jennifer esclamò un’approvazione battendo le mani.
Col freddo che c’era ormai decisero di passare il tempo chiusi tutti insieme nella stanza di Jennifer al caldo dei bracieri, e ripensando alla lezione non poterono fare a meno di chiedersi come mai gli elfi li avessero ospitati sebbene secoli prima gli Umani avessero quasi sterminato la loro razza - o se non altro si erano dimostrati arroganti nel voler costringere tutte le altre razze a farsi da parte per lasciare loro tutta Dargovas.
«Forse perché l’ha chiesto Garandill.» disse Layla scrollando le spalle.
«Ma se anche l’avesse chiesto lei, ci avrebbero mostrato dell’ostilità no?» intervenne Andrew «Invece a me sono sembrati sinceramente gentili!»
«Forse perché usano il cervello.» si lasciò sfuggire Cedric pensando ad alta voce, e Jennifer rise.
«Forse. Ma è strano che un popolo così longevo si lasci alle spalle situazioni di quel genere solo perché un drago ha chiesto che si facesse così.» concluse Mike, ancora pensieroso, sperando che l’ultima offerta di Tygra rimanesse sempre valida.

La lezione di Evocazione dopo l’ora di pausa al contrario non fu interessante. Wolgret parlò di nuovo del legame tra mago e creature evocate senza spingersi nei dettagli perché ancora non conoscevano gli elementi, perciò ritenne che sarebbe stato inutile.
Quindi tra i ragazzini di Darvil Cedric fu l’unico ad ascoltare veramente la lezione, mentre Susan e Layla discutevano a voce bassissima di Velia; accanto a Cedric ora c’era Noumea, ma la nuova avversaria di Susan sedeva a due posti da lei e continuava a volgere occhiate sprezzanti alla propria sinistra.
Dopo cena fecero in modo di trovarsi ognuno nella propria stanza e i servitori, puntualissimi, consegnarono loro in mano le vesti lavate e rassettate insieme al cesto e al bigliettino col numero della stanza.

Il giorno successivo dopo pranzo si ritrovarono nella loro aula di Elementi, dove Allia li introdusse a essi denotandone per ognuno le caratteristiche, i punti di forza e di debolezza. Disse loro che i quattro elementi spazio, tempo, luce e oscurità erano fuori dalla portata della maggior parte dei maghi - non solo Umani - mentre aria acqua terra e fuoco, ognuno con i propri elementi derivati, erano estremamente più facili da manipolare. Il fuoco in sé non aveva elementi secondari, ma conoscendo esso si poteva manipolare anche il calore o il magma; i derivati dell’aria erano vento ed elettricità; l’acqua aveva ghiaccio e vapore, garantendo anche un certo controllo su neve, pioggia, umidità e basse temperature; legati alla terra c’erano le piante, le rocce, i metalli e i minerali compresi i cristalli e le pietre preziose. Alcuni degli elementi potevano fondersi tra loro, come elettricità vento e acqua potevano dare vita a una tempesta, oppure il vapore poteva essere considerato anche come secondario dell’aria.
La lezione vide presto la sua fine e il campanile suonò mentre Allia ancora parlava e gli studenti scribacchiavano furiosamente.
Dopo la pausa la lezione di Astronomia fu più rilassante, dal momento che dovettero limitarsi a fissare il soffitto e le pareti dell’aula per studiare il firmamento, mentre Auselion parlava con voce pacata indicando le stelle delle quali pronunciava il nome.
Mentre scendevano le scale per andare al refettorio per cena, Jennifer disse con un sospiro preoccupato: «Spero non si aspetti che ci ricordiamo tutti quei nomi!»
«Tantomeno la posizione!» assentì Mike annuendo vigorosamente.
Lo stomaco di Andrew brontolò e tutto il gruppo, compresi Deala, Noumea, Gaule e Ovittalia, rise allegramente.

Nella lezione di Alchimia della mattina dopo passarono subito al sodo: Elsi disse di aver speso un tempo sufficiente la settimana prima a spiegare cosa fosse l’alchimia, come praticarla e quali fossero i rischi. Volle invece cominciare già con la pratica, dicendo che nelle prossime lezioni avrebbe spiegato loro come preparare tre pozioni - e quindi avrebbero anche studiato gli ingredienti necessari.
Batté le mani due volte per chiudere la breve introduzione e gli disse di lavorare a coppie condividendo il calderone che li avrebbe separati, quindi passò di banco in banco a riempire fino a un quarto il calderone che avrebbero usato con dell’acqua tramutata dall’aria. Allo stesso modo accese anche un fuoco sotto ognuno di essi. Mentre gli studenti preparavano le pergamene per gli appunti o gli strumenti necessari a preparare le pozioni, Elsi andò agli armadi e tirò fuori un numero considerevole di scodelle e ingredienti di vario tipo.
«Oggi prepareremo una pozione che permette di vedere al buio.» disse, e intanto passava a distribuire gli ingredienti alle coppie «Vi guiderò passo per passo, fate esattamente come dico e andrà tutto bene. Eseguite e memorizzate, perché potrebbe capitarvi di rifarla e non ci sarò io ad aiutarvi. Non temete, è una pozione semplice.»
I ragazzi guardarono gli ingredienti con perplessità, riconoscendo che c’era la possibilità di usare le carote. E due tipi di foglie diversi che non riconobbero.
Ma Elsi rispose alla loro implicita domanda: «Gli ingredienti necessari alla preparazione di questa pozione sono carote, foglie di alchemilla rossa e foglie di buglossa. Ora seguitemi con attenzione, per favore.» scese il silenzio mentre gli studenti si preparavano a scrivere la procedura per non dimenticare neanche un passaggio «Pestate le foglie di buglossa nel mortaio per cominciare. Quando cominciano a perdere la loro linfa blu filtratela con lo scolino dentro una ciotola.» dopodiché si zittì, lasciando loro il tempo di eseguire l’ordine con calma.
Andrew era in coppia con Mike e Jennifer con Layla. Loro cominciarono subito a dividersi i lavori perché, non sapendo scrivere, non dovettero perdere tempo a prendere appunti. Susan era in coppia con Cedric e mentre lui scriveva lei cominciò a pestare due foglie di buglossa, spesso sbirciando i movimenti di Jennifer che già aveva esperienza con quella pratica. Andrew Layla e Cedric ebbero il compito di scolare la linfa per poi restituire il pestello al compagno. L’acqua nel calderone aveva cominciato a bollire.
Una volta che tutti ebbero pestato abbastanza foglie da riempire la ciotola di linfa, l’insegnante - che nel frattempo passava tra i banchi a controllare - riprese parola: «Bene così, tutti quanti. Ora aggiungete la linfa all’acqua nel calderone, aiutatevi con le spatole. Perfetto, ora dividetevi il compito di spelare e tagliare le carote, in pezzi piccoli. Più piccoli saranno più facile sarà il passo successivo.» quindi passò a distribuire una caraffa d’acqua a ciascuna coppia.
Dal momento che non specificò il numero di carote da spelare immaginarono che fossero contate. Quindi si divisero i compiti, Elsi ricordò ad alta voce di tenere anche d’occhio il calderone e mescolare la miscela ogni tanto, e quando tutte le carote furono pronte tagliuzzate in piccoli pezzi nella ciotola continuò la lezione.
«Prendete una manciata di carote e una foglia di alchemilla, mettetele insieme nel pestello e pestate. Aggiungete un dito d’acqua e pestate ancora, fino a ottenere una poltiglia. Aggiungete quindi la poltiglia alla miscela nel calderone, e ripetete il processo finché finirete le carote.»
Questa volta ognuno prese il proprio pestello appena finì di scrivere, per velocizzare il compito facendolo in due.
Una volta che tutte le ciotole di carote furono svuotate la donna riprese: «Ora mescolate fino a che diventi omogenea, quindi spegnete il fuoco.» attese che tutti i fuochi furono spenti e concluse: «Mescolate la miscela finché si addensa. Se avete fatto tutto bene dovrebbe assumere un colore blu acceso. Quando siete sicuri che il colore sia giusto smettete di mescolare e lasciatela riposare.»
Le tre ore di lezione erano praticamente terminate, il tempo era letteralmente volato, ma nessuno sembrava voler lasciare l’aula. La stragrande maggioranza dei ragazzi guardava dentro il calderone, talvolta tossendo a causa dei vapori esalati dalla mistura che ancora ribolliva ed evaporava. Elsi gli diede il permesso di trattenersi anche dopo che il campanile ebbe suonato la fine della lezione, per assistere all’analisi del contenuto di tutti i calderoni: l’insegnante li travasò uno a uno in ampolle di vetro e gli studenti poterono notare quanto si fosse ridotta di volume; se prima il liquido occupava un quarto di calderone, ora occupava a malapena due bicchieri.
Elsi sigillò ciascuna ampolla con un tappo. Il colore del blu variava non poco, praticamente non ce n’era una uguale all’altra. Ma Elsi disse che tutte si avvicinavano al blu che avrebbe dovuto avere la pozione perfetta, decretandole tutte quindi accettabili, dopodiché indicò loro quella che più si era avvicinata all’obiettivo: l’avevano preparata Noumea e Leudren, entrambi provenienti da Eunev. Il ragazzo in effetti somigliava spaventosamente a Cedric, ma aveva un fisico più robusto ed era più adulto, mentre la ragazza aveva sì capelli neri e occhi azzurri, ma lineamenti più delicati.
Quando il resto della classe li applaudì complimentandosi per il loro lavoro Noumea arrossì e si fissò le punte dei piedi, mentre Leudren le mise una mano su una spalla sorridendo soddisfatto, chiaramente compiaciuto di quelle lodi.
Si avviarono verso la torre di Manipolazione con passo rapido vociando entusiasti: quasi a tutti era piaciuta la prima lezione pratica dell’anno. Jennifer naturalmente era fuori di sé dall’eccitazione, non vedeva l’ora di proseguire gli studi della materia, come molti altri. Mike e Andrew invece non sembravano particolarmente entusiasti, risposero ai saltelli della ragazzina con una smorfia.
La lezione di Manipolazione andò praticamente di pari passo con quella di Elementi. Kir spese tutte e tre le ore ad analizzare i quattro elementi fondamentali e tutti i loro derivati in modo approfondito, ma da un punto di vista molto più fisico che magico: voleva che i suoi studenti capissero a fondo la natura degli elementi, cosa indispensabile se li si voleva trasformare in qualcos’altro.
Dopo la solita cena abbondante si riunirono tutti in camera di Cedric, così lui non avrebbe dovuto trasferire gli appunti in un’altra stanza, ma più che ripassare discussero animatamente della giornata trascorsa, e alla fine rientrarono ognuno nella propria camera per andare a dormire chiedendosi cosa avrebbe riservato loro quella seguente.

I più giovani ne rimasero delusi, sia da Telepatia che da Difesa, perché entrambi gli insegnanti passarono tutte le ore di lezione a leggere dai libri passaggi che spiegavano le materie; sapevano che avrebbero dovuto fare l’intero mese di sola teoria, ma la lezione di Alchimia aveva risvegliato in loro la speranza di poter fare un po’ di pratica, soprattutto in Difesa dato che Gawdi aveva già lasciato intendere che fosse una materia relativamente semplice.
Invece gli venne dato da leggere e portare compiti scritti la volta successiva.
Dopo cena, riuniti in camera di Andrew, il ragazzino sbottò: «Noi sappiamo già tutto di Telepatia, grazie ai draghi! A cosa serve fare i compiti?»
«Gli insegnanti questo non lo sanno, e ad ogni modo non sappiamo proprio un bel niente.» ribatté Layla con le braccia incrociate sul petto.
«Sappiamo eccome! Abbiamo fatto pratica con Ouin!»
«Hai imparato a riconoscere la magia per impedirle d’agire senza che lo chiedessi, non a usarla.»
«Ma Telepatia non è magia.» rimbeccò lui imbronciato.
«Se sei tanto bravo coraggio, prova a entrare nella mia mente!» esclamò Jennifer irritata.
E Cedric sbuffò: «Smettetela di fare i bambini, tanto a voi toccherà solo ascoltare quello che io leggerò, e possibilmente memorizzarlo. Siamo finalmente dentro questa dannata scuola, ora dobbiamo fare ciò che va fatto.»
Layla annuì senza guardarlo, trovandosi d’accordo con lui su tutto, e invece fissò Andrew quasi con aria di sfida. Il ragazzino sbuffò irritato e si arrese, invitandoli poi a lasciare la sua stanza.

Ma anche il giorno dopo non andò tanto diversamente, nonostante Houl, l’eccentrico insegnante di Guarigione, parlasse sempre in un modo che riusciva a coinvolgere tutta la classe tenendoli costantemente attenti. Non gli diede compiti scritti, ma gli diede da leggere e disse che forse la lezione seguente avrebbe interrogato qualcuno.
Nell’ora di pausa cercarono il libro che gli aveva dato da leggere Houl e fecero appena in tempo a trovarlo prima di dover correre a lezione di Biologia.
Dalca li fece sedere invece che ai banchi sull’erba in diversi cerchi attorno a lui, e lesse dal suo libro i nomi di tutte le piante curative conosciute dagli Umani, come le voci di un dizionario, ognuna con la propria descrizione e che genere di effetto benefico avesse.
Gli diede il medesimo libro da leggere e gli consigliò di lavorare in gruppo perché non ce n’erano più di cinquanta copie nell’intera struttura, dopodiché disse loro che il compito per la settimana successiva consisteva nello scegliere una sola di queste piante curative e spiegare come l’avrebbero usata e perché l’avessero scelta tra tante.
«Tutti questi compiti cominciano ad accumularsi...» si lamentò Susan.
Cedric si espresse in un lungo sospiro come lasciando intendere che avesse ragione mentre con lo sguardo scorreva rapidamente gli scaffali della libreria, ma avevano la sensazione che il libro che stavano cercando non l’avrebbero trovato lì: erano entrati nella prima libreria che avevano trovato nella torre marrone, in cerca di una copia di quel tomo prima che sparissero tutte; le altre classi avevano già avuto quella lezione perché loro erano gli ultimi della settimana a frequentarla.
«Sarà nascosto da qualche parte, dove nessun altro studente abbia ancora cercato.» disse Jennifer appoggiata a uno scaffale, perché nonostante il ragazzo stesse cercando da diverso tempo ancora non l’aveva trovato «Si sta pure facendo buio.»
«Hai controllato là in alto?» gli domandò Layla alzandosi sulle punte dei piedi per indicare gli scaffali più alti.
«Ho controllato.» le rispose Cedric senza nemmeno considerarla. Cercò ancora finché fece troppo buio per poter leggere i titoli senza una qualche fonte di luce in mano e infine arretrò mettendosi le mani sui fianchi con aria pensierosa. Quando d’un tratto gli venne un’idea ed esclamò: «Nessuno avrà preso il libro del maestro! L’ha messo nell’armadio.»
«Ma non puoi prendere quello!» protestò Mike «Gli serve per fare lezione!»
Cedric si volse a guardarli e ribatté con un sorriso beffardo: «Noi eravamo l’ultima classe a tenere questa lezione.»
«Ma non puoi sapere se la prossima sarà simile o completamente diversa!» lo rimproverò Layla.
E lui scosse le spalle: «Sono sicuro che avrà una copia per sé, altrimenti non avrebbe lasciato quella alla portata di tutti, nella nostra aula.» il campanile suonò l’ora di cena e senza attendere una loro risposta Cedric corse via esclamando: «Tenetemi un posto a tavola!»
Layla scosse la testa borbottando qualche cosa che di certo non erano complimenti, poi si mosse e tutti i più giovani la seguirono per scendere le scale mentre il più grande al contrario saliva per recuperare il libro di Dalca dalla loro aula.
A cena Deala e Vill si sedettero al tavolo con loro e la donna di Melonas riuscì a convincere Mike ad assaggiare una specialità della sua zona: polpa di granchi neri in salsa di alghe rosse. Il ragazzino non andava matto per il pesce, e di certo non si aspettava che fosse piccante, perciò tossì e si lamentò per tutto il pasto mangiando pane insieme a ogni boccone per smorzare il pizzicore, mentre il resto della tavolata lo prendeva in giro eccetto Vill che si limitò a sorridere.
Cedric li raggiunse inaspettatamente tardi, ma gli avevano tenuto un posto come richiesto e spiegò che aveva impiegato così tanto perché aveva dovuto cercare una torcia già accesa da portarsi dietro per non prendere il libro sbagliato.
E Deala sgranò gli occhi esclamando: «L’hai trovato? Vi dispiace se mi unisco a voi?»
«Niente affatto!» disse subito Susan prendendosi il suo dolce dal vassoio.
Vill sembrò doversi tirare fuori le parole di gola con la forza mentre domandava a mezza voce: «Vi disturba se mi unisco? Dalca ha detto che è meglio fare gruppo, perciò...»
«Tranquilli, non c’è problema. A Cedric farà piacere non essere l’unico a saper leggere e scrivere.» disse Jennifer scoccando al ragazzo un’aria divertita alla quale lui per una volta non si mostrò infastidito, e Layla e Andrew risero mentre il povero Mike ancora boccheggiava incapace di liberarsi del piccante.

Decisero a malincuore di passare i loro due giorni liberi dedicandosi ai compiti, perché si erano accumulati, e si dissero che dalla settimana seguente avrebbero usato le ore libere per studiare o scrivere - o meglio dettare cosa scrivere a Cedric - in modo che magari avrebbero avuto almeno un pomeriggio completamente libero da passare coi piccoli draghi.
Passarono praticamente entrambe le giornate in uno scompartimento del seminterrato insieme a Deala e Vill, dove nessun altro li disturbò nonostante videro Velia passare e riservargli una risata derisoria. Tuttavia Susan fu l’unica a farci caso e imbronciarsi, e dovette affrettarsi a farsela passare per ascoltare i tre più grandi che a turno leggevano e discutevano ciò che avevano appena letto.

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Capitolo 47
*** Anguish and excitement ***


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ANGUISH AND EXCITEMENT

All’inizio della terza settimana l’entusiasmo era tutt’altro che svanito nonostante, come gli era già stato detto, sarebbero state molto poche le materie in cui avrebbero fatto pratica al rango di Novizi. Fin dal primo giorno gli studenti si erano ritrovati a doversi arrangiare nel trovare la strada per le loro aule e ricordarsi la materia che la loro classe teneva in quale giorno e in quale fascia oraria.
Loro non ebbero grandi problemi perché Cedric dimostrò di avere tutto sotto controllo, anche se non sapevano come facesse a ricordarsi tutte quelle informazioni senza sforzo, ma molti altri studenti - non solo della loro classe che ne contava più di quaranta - si persero fin da subito sbagliando materia o piano della relativa torre, e di conseguenza entrando in aule vuote o frequentate da altre classi.
Gli insegnanti da una parte fecero il possibile per mettere gli studenti a loro agio, dall’altra al contrario si dimostrarono severi e inflessibili riguardo le regole e gli orari da rispettare; se uno studente ritardava a lezione era possibile che gli sarebbe toccata una ramanzina di fronte a tutti, un compito improvvisato, o dei compiti in più da fare per la lezione della settimana seguente.
Perciò Deala, trascinandosi dietro Vill e Gaule, ogni tanto si unì ai sei Darvileni almeno per le prime settimane, giusto per essere sicura di non perdersi.
Esplorando solo la teoria delle materie era consuetudine che gli insegnanti, oltre a parlare per conto loro, facessero leggere libri di testo in classe talvolta facendo domande pescando studenti a caso dalle file di banchi e interrogandoli, per assicurarsi che stessero seguendo, e dopo ogni lezione davano da leggere altri libri per la settimana seguente, oppure da preparare un breve saggio orale da esporre - sempre la settimana seguente, in classe davanti a tutti - o ancora davano da fare dei compiti scritti che poi sarebbero stati corretti o privatamente o pubblicamente, a discrezione dell’insegnante stesso.
Naturalmente Cedric, come già discusso, dovette fare la stragrande maggioranza del lavoro essendo l’unico in grado di leggere un testo dall’inizio alla fine e di scrivere. Quindi gli toccò leggere, prendere appunti, fare riassunti scritti che poi faceva imparare agli altri e scrivere per tutti e sei variando la calligrafia quel tanto da far credere agli insegnanti che i compiti non fossero stati scritti dalla stessa mano.
Non se la sentì nemmeno di protestare più di tanto, conscio che se non l’avesse fatto lui non l’avrebbe fatto nessun altro e i cinque ragazzini sarebbero forse stati cacciati da scuola, ma non mancò di far notare a tutti loro che avrebbero almeno potuto provare a imparare a leggere e scrivere per venirgli incontro; in effetti tutta quella pressione sfiancante non mancò di fargli tornare le crisi di nervi e sbalzi di umore ancora più repentini, improvvisi e violenti.
A rendere ulteriormente peggiore il suo umore c’era Velia, la bella ragazza Enedarea che, non contenta di aver trovato il suo gruppetto di amici - Irea Tegro e Hranda, tutti piuttosto alti o robusti, come tre guardie del corpo - sfruttava ogni occasione possibile per cercare di reclutare anche lui.
Capitava che lo disturbasse anche tre volte al giorno, o dopo una lezione o prima di sedersi a un tavolo del refettorio, e nel mentre rideva degli altri cinque prendendoli in giro forte del sostegno degli altri tre che ridevano quasi a comando, come se non avessero avuto volontà propria o, come disse Cedric un giorno, come se non avessero avuto un cervello.
Colazione pranzo e cena divennero un piacere immancabile, ogni giorno si divertivano ad assaggiare qualcosa di nuovo, sebbene nessuno provò mai i granchi neri in salsa di alghe rosse per non fare la fine di Mike, e trovarono quasi emozionante scoprire le abitudini culinarie del resto di Dargovas. Si accorsero tuttavia con non poco sconforto che non sembravano esserci pietanze tipiche del loro lontano villaggio, piuttosto semplicemente ricette tipicamente nordiche. Era sì un dispiacere, ma dall’altra parte li aiutava a non provare più nostalgia di casa di quanta già ne avessero.
Jennifer doveva prestare particolare attenzione perché, come si vide costretta a spiegare dopo aver minuziosamente ispezionato ogni piatto, era allergica alla frutta a guscio. Anche se li rassicurò dicendo che si trattava di un’allergia lieve, al massimo avrebbe avuto mal di pancia, formicolio a bocca e viso e orticaria, ma nulla di letale.
Cedric non si sbilanciava mai, tanto che Jennifer, preoccupata per la sua salute, gli ricordò che non mangiava abbastanza da compensare la fatica che faceva a studiare e fare i compiti per sei persone e per questo aveva l’impressione di sentirsi costantemente stanco nonostante poi non dormisse molto.
La sera stessa l’accontentò mangiando più del solito sebbene non volesse, giusto per farla tacere, ma alla fine finì per peggiorare la situazione: stavano per entrare in stanza di Susan, come al solito per ripassare o fare qualche compito prima di dormire, quando il ragazzo senza preavviso scappò via senza dare spiegazioni e fece appena in tempo a raggiungere il bagno più vicino per vomitare. Persino lui ammise di essere stato fortunato a riuscire a trattenersi così a lungo, soprattutto correndo, e mentre tornava indietro verso le stanze vide tutti i più giovani in mezzo al corridoio che lo cercavano preoccupati.
Quando gli chiesero cosa gli fosse preso gli rivolse un sorriso tirato e disse semplicemente di aver avuto urgentemente bisogno del bagno, senza scomodarsi a scendere in dettagli. E aggiunse che avrebbe provato subito a dormire perché si sentiva stanco, dunque senza attendere una loro risposta si avviò verso camera propria, dove si chiuse e si mise a letto senza nemmeno cambiarsi o mettersi sotto le coperte.
Si premette il cuscino sulla testa per soffocare le sue grida di frustrazione, e appena ebbe terminato lo sfogo si costrinse a tornare a respirare fissando ora il soffitto della stanza illuminata da quel maledetto globo fluttuante. Si perse seguendone la traiettoria lenta e irregolare che dava vita alle ombre di ogni oggetto facendole danzare e nel frattempo domandandosi cosa ci fosse di sbagliato in lui, e come potesse fare per cambiare.
Nella stanza accanto gli altri ragazzi non sentirono nulla, un po’ perché lui aveva soffocato le grida e un po’ perché ogni stanza era molto ben isolata; da fuori era difficile che si sentisse qualcosa senza che la porta fosse aperta.
Privati della presenza di Cedric tuttavia non poterono fare molto, quindi più che studiare cose nuove a malincuore dovettero convincersi a discutere delle lezioni tenute il giorno stesso in base a ciò che ricordavano di quello che gli insegnanti avevano detto, finché furono stanchi e si diedero la buona notte per andare ognuno nella propria stanza a dormire.

Il mattino seguente come al solito si prepararono e si lavarono con calma, e prima delle otto erano tutti pronti per andare a fare colazione, ma Cedric ancora non si era visto. Pensando che stesse dormendo rimasero ad aspettarlo con pazienza nel corridoio, davanti alla sua stanza, mentre qualche altro studente andava e veniva tra camere e bagni o già si avviava verso il refettorio - la colazione cominciava a venire servita alle sette, ma volendo i Novizi, che avevano lezione solo dopo pranzo, potevano aspettare fino alle dieci.
Vedendo che tuttavia non sembrava volersi alzare dal letto, Susan si avvicinò alla porta della camera e bussando forte disse a voce alta, per essere sicura che la sentisse: «Cedric, dobbiamo andare a fare colazione, ti stiamo aspettando! Non voglio andare là che è quasi finita!»
Tuttavia non ebbe risposta, si guardò alle spalle e ottenendo un cenno d’assenso di Layla si decise ad aprire la porta, scoprendo così che il ragazzo non si trovava in stanza. Ne rimase a dir poco sorpresa, poi subentrò il fastidio di aver aspettato in mezzo al corridoio forse mezza ora, e richiuse la porta sbattendola con stizza dando agli altri la brutta notizia.
Si avviarono verso il refettorio e lo trovarono lì infatti, già vestito e seduto al loro tavolo con un libro aperto davanti; i vassoi della colazione erano già stati portati, le bevande tenute al caldo nei recipienti di metallo o ceramica, ma lui ancora non aveva preso nulla. Evidentemente li stava aspettando a sua volta.
«Avresti potuto avvertirci che saresti venuto qui insieme ai galli.» lo rimbeccò Andrew mentre tutti e cinque prendevano posto.
Cedric alzò la testa per guardarlo e scosse le spalle per scusarsi, poi tornò ad appoggiarsi al pugno chiuso per sostenersi la testa e ricominciò a leggere.
«Perché sei venuto qui così presto? Che stai leggendo?» gli domandò allora Layla servendosi una tazza di tè.
«Mi sono svegliato e non ho ripreso sonno, così ho deciso di studiare un po’ come riassumervi la scorsa lezione di Storia.» rispose lui mestamente.
«Gentile.» commentò Layla con un sorriso tirato, poi si prese dal vassoio tutto ciò che le serviva per prepararsi una fetta di pane con marmellata di mirtilli.
«Hai già mangiato o ci stavi aspettando come noi aspettavamo te?» lo interrogò Jennifer.
«Oh, no, vi aspettavo. Non volevo svegliarvi all’alba, perciò non vi ho fatto sapere nulla.» disse Cedric, che vedendosi costretto a fare colazione insieme a loro si prese soltanto del tè senza neanche guardare cosa faceva per tenersi concentrato sulla lettura.
Non rovesciò nulla fuori dalla tazza se non altro, e i ragazzini sebbene perplessi non commentarono, concentrandosi invece sul loro pasto e cominciando a discutere animatamente di quanto la giornata si prospettasse noiosa con Telepatia e Difesa - durante le quali difficilmente avrebbero fatto qualcosa più di ascoltare gli insegnanti parlare.
Velia sfilò accanto al loro tavolo poco prima che tutti finissero di fare colazione e salutò allegramente Cedric posandogli una mano su una spalla mentre gli passava dietro, ma il ragazzo non diede alcuna impressione di essersene accorto, non reagì affatto, nemmeno si mosse. La castana non si fermò, ma Susan poté notare la sua aria irritata e fu il suo turno di ridacchiare per prenderla in giro.
Sperarono che fosse perché semplicemente Cedric non ne poteva più dei suoi tentativi di apparire splendida ai suoi occhi e invitarlo a unirsi al suo gruppo, invece era realmente alienato, immerso nella lettura, tanto da non accorgersi che lo stavano ripetutamente chiamando per tornare alle loro camere e studiare lì.
Quando finalmente lui alzò lo sguardo come se niente fosse Mike e Andrew scoppiarono a ridere, Jennifer invece gli ripeté che avevano intenzione di tornare alle stanze e infine si alzarono dal tavolo.
Cedric passò il resto della mattina in silenzio, scrivendo passivamente quello che uno alla volta i ragazzini gli dettavano per il compito di Difesa del pomeriggio, ma di nuovo non commentarono il suo umore pensoso nemmeno quando a pranzo mangiò meno del solito, finché non fu arrivato il momento di andare a lezione.
Salirono le scale della torre viola discutendo tra loro senza badare a dove si trovassero, come al solito contando sul più grande, che tuttavia li condusse in un’aula vuota. Quando aprirono la porta si zittirono all’unisono trovandosi davanti una stanza piena di banchi non occupati e sulle prime credettero di essere arrivati in anticipo, ma poi sentirono il campanile suonare un rintocco dando inizio alle lezioni. Persino Cedric per la prima volta quella giornata tornò coi piedi per terra stupito.
«Che succede?» domandò Andrew guardandosi intorno spaesato.
«A che piano siamo?» chiese invece Layla con aria severa.
«Ehm...» sussurrò il più grande sentendosi in difficoltà «Non lo so, non ci ho fatto caso.»
«E la lezione dove sarebbe?» domandò Mike, già pensando a cosa sarebbe successo una volta arrivati, perché erano in ritardo.
«Quarto.» rispose Cedric guardandosi intorno in cerca di qualcosa che gl’indicasse a che piano si trovassero.
«Sei sicuro?» fece Andrew dubbioso guardandolo di sbieco.
Fu allora che Susan si mise le mani sui fianchi e lo affrontò con aria scontrosa: «Si può sapere che hai? È tutta la mattina che sei...»
«Strano? Credevo di esserlo sempre.» la interruppe lui allontanandosi per scendere le scale a passo svelto.
La ragazzina era rimasta spiazzata dall’interruzione, ma si affrettò a balbettargli dietro a voce alta: «Beh lo sei più del solito!»
Come si aspettavano tuttavia lui non rispose e si affrettarono a seguirlo lungo le scale a spirale di corsa, fino a che giunsero al piano inferiore che era quello giusto ed entrarono in aula senza fare complimenti.
Avendo interrotto la lezione tutti li guardarono facendo piombare la stanza in un silenzio irreale, sentendosi più di quaranta paia di occhi addosso Susan e Andrew cercarono di nascondersi dietro agli altri, in imbarazzo e col cuore che pompava a mille.
«Ah, ecco i Darvileni. Cominciavo a chiedermi dove foste.» esordì Meidrea con un sopracciglio sollevato e un’aria al contempo severa e indisposta.
Qualcuno ridacchiò, e tra quelli c’era anche Velia. Non sapevano come rispondere a quell’accusa e sperarono che l’insegnante non avesse intenzione di punirli solo per qualche minuto di ritardo, rimanendo istintivamente fermi sul posto in attesa di un suo cenno per avanzare verso i loro banchi.
Inaspettatamente dopo alcuni attimi d’indecisione fu proprio Cedric a rompere il silenzio prendendosi tutta la responsabilità temendo che la donna avrebbe potuto tenere anche gli altri dopo lezione a scrivere qualcosa, e loro non sapevano farlo: «È colpa mia, li ho convinti a salire al quinto piano pensando che la lezione fosse lì.» buttò giù la prima cosa che gli venne in mente con voce flebile.
Al che gli altri cinque gli rivolsero un’occhiata palesemente incredula senza pensarci. Ma non furono gli unici, anche alcuni studenti e la stessa Meidrea lo fissarono allo stesso modo.
La donna strinse le labbra e si vide costretta a dire severamente: «Molto bene, ora chiudete la porta e sedetevi.»
«Sei impazzito? Potrebbe farti scontare una punizione adesso!» sussurrò Jennifer agitata mentre lui richiudeva la porta e gli altri si avviavano verso i propri posti; Meidrea si era già dimostrata molto severa e intransigente.
«Beh almeno io so scrivere, meglio me di voi.» ribatté lui senza ammettere obiezioni.
La lezione proseguì indisturbata per il resto delle tre ore - come si aspettavano non ci fu alcuna pratica - e alla fine Meidrea disse a Cedric di restare seduto, mentre gli altri studenti si avviavano verso l’uscita e Susan gli augurò buona fortuna, alla quale lui rispose con un sorriso poco convinto. Come prima qualche studente ridacchiò di loro e tra quelli ci fu Velia, la quale si guadagnò un’occhiataccia dalla ragazzina bionda ma non se ne curò, e Layla dovette tenere Susan ferma per le spalle perché temeva le sarebbe saltata addosso.
Nell’ora di pausa andarono a recuperare ognuno i propri compiti di Difesa e poi attesero in cortile il tempo di andare nella loro aula della torre gialla sperando che Cedric li avrebbe raggiunti, perché non ricordavano a quale piano fosse; lui avrebbe potuto distrarsi e sbagliare aula, ma se non altro se lo ricordava.
Ma alla fine dato che mancava poco all’inizio della lezione e lui non era ancora arrivato decisero di unirsi a Vill e Deala, non volendo incorrere in una punizione anche loro nonostante fossero preoccupati dal suo ritardo.
Dal canto suo Cedric non osò far notare a Meidrea che avrebbe rischiato di arrivare tardi alla prossima lezione, e lasciò l’aula soltanto quando lei glielo permise. Uscì a passo svelto ma senza correre per non sembrarle impanicato, eppure appena la porta della classe si fu richiusa alle sue spalle si precipitò giù per quattro piani di scale e attraversò tutto il cortile senza mai fermarsi, per andare a prendere gli appunti e i compiti di Difesa nella sua stanza. Poi corse di nuovo fino alla torre gialla sentendosi debole e stanco e salì di corsa le scale fino al terzo piano, dove entrò in aula ormai col fiatone e le gambe molli. Ma almeno era riuscito ad arrivare in tempo.
Andrew lo applaudì mentre qualche studente li osservava incuriosito e Layla gli chiese cosa gli avesse fatto fare Meidrea, ma lui non volle parlarne dicendo che ad ogni modo non era importante; nulla di nuovo, niente che non avesse già spiegato le lezioni scorse, soltanto parecchio da scrivere.
Se non altro Gawdi gli diede un po’ di respiro perché scelse di correggere i compiti individualmente chiamando i Novizi alla cattedra, dunque passarono tre ore sostanzialmente a bisbigliare e, quando furono chiamati, a correggere il compito dov’era sbagliato rispondendo alle domande poste dall’uomo sul momento.

Già dal giorno dopo le cose cominciarono a tornare alla normalità sebbene dedussero che Cedric si trovasse in un baratro di frustrazione mista a depressione e non parlava o non mangiava quasi per nulla, ma non venne meno ai suoi impegni nei loro riguardi e fu attento a non sbagliare più aula.
Velia, la ragazza di Enedar, continuava a dare parecchie rogne ai sei Darvileni, in particolare a Cedric perché non riusciva a capire come mai uno di Eunev volesse stare con dei ragazzini provenienti da un villaggio insignificante che sfruttavano la sua capacità di saper leggere e scrivere fino a esaurirlo.
Naturalmente nessuno di loro si era curato di spiegarle che in realtà avevano tutti abitato a Darvil e si erano conosciuti lì, ma la ragazza continuava imperterrita a chiedere al più grande di abbandonare i ragazzini e unirsi invece al suo gruppo. Dopo che lui ebbe rifiutato l’offerta per l’ennesima volta, stufa di essere presa in giro, Velia per ripicca cominciò a spargere la voce che lui fosse appunto un Amico del Corvo, col risultato che di lì in avanti alcuni studenti riservarono occhiate sinistre a Cedric, o che non si avvicinarono, o che lo tennero d’occhio scoprendo che effettivamente era davvero mancino.
Di contro anche gli altri cinque ricevettero sguardi diffidenti, perché nonostante la pessima nomea continuavano a frequentarlo, e questo lo aiutò a non lasciarsi abbattere dai trattamenti che riceveva. Se non altro gli insulti si limitavano a bisbigli alle sue spalle e niente che influisse pesantemente sul suo umore, al massimo rendendolo ancora più malinconico e taciturno del solito.
Per metterla sul ridere Andrew si autodefinì Amico dell’Amico del Corvo, al che Cedric gli rivolse un sorriso mezzo grato e mezzo addolorato, mentre Deala gli riservò un’occhiata preoccupata, ma lei continuava a non lasciarsi influenzare dai pregiudizi nonostante si facesse vedere insieme a loro meno frequentemente del solito.
Avendo fatto i compiti in settimana durante le ore di pausa, gli ultimi due giorni riuscirono a ritagliarsi qualche ora per andare a trovare i draghetti fuori Eunev nel pomeriggio, scusandosi per non essere riusciti a passare anche la settimana precedente.
Ma le creature stavano bene, sentivano la loro mancanza pur riuscendo a vivere tranquillamente nel bosco e crescevano ancora molto rapidamente. L’unico problema che riscontravano data la prolungata assenza dei ragazzi era che non progredivano con la loro conoscenza della lingua umana, ma a quello, si dissero, avrebbero potuto facilmente rimediare una volta finita la scuola; i draghi non avevano problemi d’apprendimento con l’avanzare dell’età, e se anche li avessero avuti si sarebbero presentati in non prima di trecento anni.
Gli dispiacque molto non potersi fermare più di tre ore entrambi i giorni, ma i cuccioli sembrarono comprendere la loro necessità di non dover sparire per troppo tempo dalla struttura e soprattutto di sfruttare ogni attimo libero per studiare, cercando invece di incoraggiarli come meglio potevano e starli ad ascoltare ripetere le lezioni piuttosto che giocare a rincorrerli.

Entro la fine del mese le uniche materie di cui fecero pratica oltre ad Alchimia furono Biologia, durante la quale prelevarono con fatica alcune energie dalle piante sull’ampio giardino; Guarigione, nella quale Houl propose agli studenti di scambiarsi le energie giusto per capire il funzionamento della magia; Difesa, in cui provarono a evocare piccole barriere senza che ci fosse qualcosa da cui dovettero difendersi; e Telepatia, in cui qualche volontario provò a contattare la mente dell’insegnante senza successo - i ragazzi di Darvil vedendo che nessuno era riuscito non s’impegnarono, immaginando che il loro immediato successo avrebbe destato sospetti.
Nell’ultima settimana non gli vennero dati compiti, ma solo da leggere, dunque poterono andare a trovare i draghetti tutte le mattine e parlare con loro o ascoltare insieme alle creature Cedric che leggeva di una delle dieci materie.
Mike, ora che aveva la testa più libera e che l’entusiasmo dell’inizio si era lievemente mitigato, ebbe modo di tornare a occupare i suoi pensieri con la figura di Layla; appena lei non guardava il ragazzino la fissava insistentemente, come volendosi imprimere la sua immagine a fuoco nei pensieri, e gli altri non tardarono ad accorgersene ma per evitare di scatenare liti inutili non lo fecero notare alla più grande.
Ascoltò passivamente Cedric che leggeva il processo di evocare una barriera magica nel dettaglio, mentre con la testa vagava altrove: ripensò alla prima volta che la vista di Layla gli aveva effettivamente provocato qualcosa d’inspiegabile, quando l’aveva vista praticamente svestita dagli Elfi.
Appena si accorse di cosa stesse pensando scosse la testa, dicendosi che non aveva diritto di pensare di lei in quel modo, e farlo a sua insaputa e mentre gli voltava le spalle era ancora più meschino. Ma si rese conto che da allora aveva faticato a non pensare a quell’immagine di lei quasi ogni volta che l’aveva guardata, che ne fosse cosciente o meno.
Ma che mi sta succedendo? si domandò indignato, e non si accorse di Susan che osservava la sua faccia stranita.
Qualcosa non va? gli domandò la voce del piccolo Zaffir.
Voltandosi a guardarlo scoprì che lo stava fissando coi suoi grandi occhi argentati e si costrinse a sorridergli grattandogli le scaglie della testa: Non ne sono sicuro. Indubbiamente qualcosa non va, ma non saprei dire cosa.
Sei confuso osservò il draghetto sorpreso, dato che di norma fino ad allora tutti i ragazzini erano stati in grado di dargli risposte il più delle volte, ma questa volta Mike sembrava davvero non averne una.
E infatti sospirò: Sì, parecchio. Ma anche se non lo fossi non credo vorrei spiegartelo ancora, è una faccenda complicata.
Come vuoi commentò il cucciolo, e Mike fu sollevato di constatare che non sembrava essersi offeso.
Discussero poi coi draghi delle materie animatamente, scambiandosi le proprie opinioni riguardo cosa fosse meglio continuare a studiare e cosa no non solo per interessi personali ma anche per tutto il gruppo; l’intenzione era quella di coprire il maggior numero di materie in modo che condividendo le conoscenze di tutti potessero cavarsela in ognuna e imparare pressoché tutto.
Andrew chiese persino il parere di Umbreon su che materie scegliere di portare avanti, e dopo avergli spiegato brevemente cosa studiasse ognuna di esse il cucciolo espresse la sua preferenza per Evocazione o Difesa.
E Andrew fu anche il primo a decidere quali sarebbero state le materie da scartare: Storia, Astronomia e Biologia.
Jennifer scelse di abbandonare Evocazione, Astronomia e Telepatia; Mike Storia, Alchimia e Telepatia; Cedric Evocazione, Biologia e Difesa; Layla Evocazione, Astronomia e Biologia; infine Susan decise di scartare Storia, Astronomia e Difesa.
Tornarono a Eunev con l’ansia del futuro che colmava i loro animi, domandandosi se qualcuno li avrebbe guidati nelle aule, perché non gli era stato spiegato da nessuno cosa sarebbe successo. E si addormentarono col medesimo pensiero, con la sola consolazione che anche tutti gli altri Novizi sembravano nella stessa situazione di smarrimento.

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Capitolo 48
*** Air ***


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AIR

Emily, avvolta nel mantello per combattere il freddo vento invernale, stava vagando per il bosco a nord-ovest in cerca di una pianta in grado di alleviare il dolore delle ossa rotte: il suo fratellino giocando per le vie del villaggio con altri giovani era scivolato sulla neve ghiacciata, procurandosi una frattura al polso. Appena la trovò tagliò un paio di ramoscelli con un coltellino, lasciando alla pianta gli altri dieci, mise tutto in borsa e tornò verso casa con aria preoccupata stando attenta a dove metteva i piedi, ora che la neve poteva arrivare all’altezza del ginocchio.
Nelle settimane che avevano seguito la partenza di Layla e gli altri, il villaggio era caduto nel caos per la loro scomparsa e il ritorno della famiglia di Mike - i quali si erano fatti prendere dal panico non trovando il figlio a casa e a cui Gerida aveva raccontato tutto lasciandoli increduli e sconvolti quasi più di prima. Jorel era ancora tentato di scoprire dove fosse scappato Cedric per riprendere da dov’era stato interrotto, ma sapeva di non poter lasciare Lily da sola, né poteva affidarla a Ilion per un periodo di tempo indefinito. E i soldati scomparsi - perché nessuno se ne sarebbe andato lasciando lì tutte le proprie cose, né tantomeno lasciando i cavalli nella stalla del villaggio - avevano creato non poco scompiglio, dando solo un motivo in più a Jorel per credere che il drago verde e quel misterioso drago piumato che non aveva mai visto fossero bestie pericolose e fuori controllo.
Le cose di quei soldati erano state messe in ordine dentro i carri ormai vuoti. Moriel ne aveva approfittato per rimproverare il figlio più grande perché avrebbe voluto unirsi a loro, rimembrandogli la fine che, insieme a loro, avrebbe potuto fare se avesse incontrato quei banditi - tutti i genitori a conoscenza dei draghi, a parte Jorel, usarono questa scusa per giustificare la scomparsa dei ragazzi e del gruppo di militari, come concordato per proteggere i giovani e i draghi.
Verso la fine del mese di Zeigah, tuttavia, le cose cominciarono a peggiorare per il villaggio: altri di quei soldati arrivarono, oltre agli ufficiali di Eunev che si presentavano ormai mensilmente. Anche loro dissero di essere in cerca di uova di drago o draghi già nati, la loro precedente pattuglia non aveva fatto ritorno e sospettavano fosse perché li avevano trovati. Avevano intenzione di interrogare tutti i cittadini a riguardo, anche i bambini che avevano più di dieci anni.
Emily si fece quasi prendere dal panico, ritrovandosi a sperare che non usassero delle pozioni per costringere a dire il vero, o che per qualche motivo non sarebbero mai riusciti a interrogare il fabbro, altrimenti era certa che pur di far ammazzare Cedric e il suo drago avrebbe detto ai soldati tutto quello che sapeva. Anche se nessuno, al di fuori di lei, Moriel, e le famiglie di Mike, Jennifer, Susan e Layla, poteva sapere dove fossero andati. Nemmeno loro in realtà sapevano dove si trovassero in quel momento, però sapevano all’incirca dove avrebbero dovuto andare.
A questo punto spero siano dagli Elfi; quei soldati non oserebbero invadere le città di un popolo così schivo e leggendario, mentre potrebbero trovare strada libera a Eunev... pensò Emily preoccupata, guardando storto un soldato di quelli prendere da parte un anziano con poca delicatezza.
Decise d’intervenire in sua difesa quando l’uomo armato cominciò a strattonare il braccio del vecchio, si fece valere anche davanti alla minaccia della mano del soldato sull’elsa della spada, pronto a sguainarla. Ma lì i presenti insorsero tutti insieme, e il soldato si vide costretto a rinfoderare l’arma e andarsene senza le sue risposte.
Il vecchio la ringraziò, ma la ragazza fece solo un cenno distrattamente con la testa, presa da altri pensieri. Era preoccupata per Layla, sapeva che prima o poi i soldati avrebbero ottenuto quanto gli sarebbe bastato a mettersi sulle loro tracce, e sperava che quel giorno sarebbe arrivato il più tardi possibile, quando i draghetti sarebbero stati abbastanza grandi da intimorire chiunque si avvicinasse senza permesso.

La mattina, prima che la colazione fosse servita l’arcimago di Alchimia chiese il silenzio e finalmente gli venne detto cosa fare nei prossimi due giorni: avrebbero dovuto portare le loro casacche completamente nere dai sarti e lasciare loro detto quali materie avevano scelto di continuare a studiare, così che i simboli delle relative discipline potessero essere aggiunti. Da quel giorno in avanti le casacche andavano indossate sopra gli altri abiti, e servivano ad assicurarsi che gli studenti avessero o meno accesso alla seconda metà delle torri. Per quanto riguardava gli orari delle lezioni tenute nelle torri avrebbero trovato entro sera una pergamena con scritti i diversi orari per ogni materia divisi per giorni, aule e fasce orarie.
Così i sei ragazzi finito di mangiare andarono nelle proprie stanze a recuperare la casacca che fino ad allora non avevano mai indossato, e insieme a un fiume di gente si recarono negli alloggi della servitù. Rimasero sempre in gruppo e attesero uno alla volta il proprio turno mentre con la magia i sarti facevano apparire sette differenti simboli incastrati tra loro e ognuno di un colore diverso che rappresentavano le materie scelte da ogni studente. Andrew fu il primo a consegnarla e riceverla, e subito la indossò guardando con orgoglio i simboli delle sette materie che aveva deciso di proseguire sfavillare dall’altezza del petto in giù.
Prima che tutti ebbero la loro veste fece in tempo ad arrivare l’ora di pranzo, non perché i sarti fossero lenti, anzi il processo non richiedeva più di qualche minuto, ma i futuri Ammessi erano decisamente tanti.
Il pomeriggio lo passarono insieme ai draghi passeggiando nel bosco ormai imbiancato da una spruzzata di neve - niente di simile a ciò a cui erano abituati. Il vento soffiava piuttosto forte e freddo, ma gli alberi aiutavano a smorzarlo.
Sulphane tra loro era la più alta e superava le anche di Susan, che tra i ragazzini era la più bassa; Smeryld e Umbreon erano più o meno alti uguali, il primo aveva il collo più lungo e il secondo le zampe, ma entrambi erano più bassi di Sulphane solo di un palmo; Rubia era la quarta in ordine d’altezza e subito dopo veniva Ametyst, le lunghe zampe della prima compensavano il collo corto e al contrario il lungo collo della draghetta viola sovrastava le corte zampette; infine veniva Zaffir, le cui lunghe zampe posteriori non consentivano comunque di tenere la testa alta, perché doveva aiutarsi a stare in piedi usando le ali e il collo piuttosto corto gl’impediva di innalzarsi al di sopra delle teste dei fratelli - a meno che non fosse fermo, allora poteva distendere le braccia delle ali e risultare più alto di Sulphane.
La sera dopo cena, rientrando in stanza, trovarono una pergamena appesa alla porta di ognuno di loro; a tutti gli studenti era stata consegnata una copia di tutti gli orari di lezione tenuti in ogni singola torre, era anche indicato l’insegnante che teneva la lezione e l’aula o il piano della torre. Una delle tabelle era divisa in materie incolonnate e giorni - divisi nelle fasce orarie mattina, pomeriggio e notte - su una riga. Ogni fascia oraria era segnata con una lettera maiuscola e una minuscola. Immaginarono che la lettera minuscola stesse a indicare la fascia oraria, ma non avevano idea di cosa stesse a significare la lettera maiuscola; probabilmente il giorno della settimana, ma non pensavano che ogni giorno avesse un nome.
Decisero di parlarne l’indomani, e infatti invece di andare dai draghi si riunirono in camera di Jennifer per riuscire a incastrare tutte le loro lezioni senza separarsi nel caso in cui la materia fosse comune a più di uno di loro. Ogni materia era insegnata o alla mattina o nel pomeriggio in quattro giorni della settimana, ma a ogni lezione potevano accedere solo una volta: quindi, avendo scelto sette materie, ognuno di loro aveva sette lezioni da quattro ore ciascuna alla settimana.
Incastrarle non fu troppo difficile, scelsero di frequentare Elementi - che tutti avevano scelto di approfondire - nel pomeriggio del primo giorno della settimana; Guarigione, un’altra materia scelta da tutti, avrebbe occupato il mattino del secondo giorno; Storia, cui attendevano solo Cedric Jennifer e Layla, avrebbe occupato il pomeriggio del secondo giorno mentre gli altri avrebbero avuto del tempo libero; la mattina del terzo giorno Andrew Mike e Susan avrebbero frequentato Evocazione; la mattina del quarto giorno era libera per tutti, mentre Manipolazione avrebbe avuto luogo nel pomeriggio; la notte invece Cedric e Mike sarebbero andati a seguire la lezione di Astronomia; il mattino del quinto giorno era occupato da Alchimia, abbandonata solo da Mike; la lezione successiva si teneva nel pomeriggio del sesto giorno ed era Biologia, frequentata da Jennifer Mike e Susan; nel pomeriggio Andrew Cedric Layla e Susan avrebbero seguito la lezione di Telepatia; e infine nel pomeriggio del settimo e ultimo giorno di lezione, Andrew Jennifer Layla e Mike avrebbero studiato Difesa.
Cedric storse il naso quando si rese conto di dover frequentare lezioni nel pomeriggio del quarto giorno, la notte stessa e la mattina subito dopo, ma non riuscirono a trovare altre soluzioni più agevoli senza doversi separare o senza rinunciare alle lezioni tenute dagli insegnanti che già conoscevano; senza contare che comunque Astronomia era sempre tenuta di notte, quindi in un modo o nell’altro si sarebbe ritrovato ad avere una lezione subito prima o subito dopo.
«Non ci avevo pensato.» si lamentò Mike riguardo gli orari di Astronomia «Credevo sarebbe stata anche lei come tutte le altre magari nel pomeriggio! È un buon motivo per abbandonarla dopo questi due mesi...»

La prima lezione nei panni di Ammessi dunque la tennero il pomeriggio del primo giorno della settimana, nella torre scarlatta al quinto piano, insieme ad Allia. Notarono che molti degli studenti presenti erano stati insieme a loro come Novizi, compresa Velia, più o meno metà della vecchia classe aveva scartato la materia o più probabilmente scelto un altro orario, mentre diversi volti erano nuovi. La materia doveva essere tra le più seguite perché a studiarla non era solo chi fosse davvero interessato agli elementi in sé, ma anche chi voleva proseguire gli studi di Evocazione e Manipolazione.
La donna disse loro di aver già speso abbastanza tempo nell’ultimo mese nell’introdurli alla materia, quindi di lì in avanti avrebbero lentamente fatto pratica. Avrebbero cominciato dall’Aria, l’elemento per ovvie ragioni più comune e quindi più facile da controllare, e per questa prima lezione disse di avere bisogno di un volontario che volesse toccare con mano per la prima volta cosa voleva dire avere il controllo su un elemento.
Si fece avanti Seam, il ragazzo di Elseir dai corti capelli color del miele e la pelle olivastra. Allia gli fece gentilmente cenno di avanzare verso il centro dell’aula e unirsi a lei, quindi spiegò a lui ma anche al resto della classe cosa sarebbe successo di lì a poco.
«Userò l’aria per costringerti a rimanere immobile, voglio che tu provi a muoverti per capire esattamente cosa sto facendo. Non preoccuparti, non ti farò male.» lo rassicurò subito, e il ragazzo annuì deglutendo poco convinto.
Gli studenti ai banchi invece si fecero più attenti, molti si sporsero in avanti poggiando parte del loro peso sul tavolo reclinato, qualcuno si preparò a scrivere su un foglio.
L’insegnante attese che Seam le facesse cenno di essere pronto prima di tendere le mani in avanti; l’aria attorno al ragazzo s’illuminò di una luce bianca e a tratti rossiccia, esattamente come i palmi delle mani della donna, i cui occhi s’illuminarono come brillando di luce propria, e poi andò a compattarsi attorno al corpo di Seam. Allia gli fece cenno di provare a muoversi e il giovane obbedì, rendendosi presto conto di essere realmente paralizzato, come se attorno a lui avessero costruito un muro quasi invisibile. Dopodiché l’insegnante, per essere certa che tutti capissero cosa stesse succedendo, ordinò all’Aria di sollevare il corpo del ragazzo da terra, il quale ritrovandosi a fluttuare nel vuoto cacciò un grido allarmato guardandosi i piedi che ora penzolavano a pochi palmi dal pavimento.
Dopo alcuni secondi Allia lo riportò delicatamente a terra e fece mollare all’Aria la presa sul suo corpo, quindi il bagliore bianco e rosso sparì mentre Seam barcollò instabile, ora dovendo sostenere il proprio peso da solo. Era decisamente scosso e tremava mentre tornava a sedersi al proprio posto seguito da molti sguardi a cui era del tutto noncurante.
Dopo un breve silenzio la donna parlò di nuovo: «Questo era solo un semplice esempio di ciò che il controllo sull’elemento Aria permette di fare. Naturalmente avrei potuto farle creare una pressione tale attorno al suo corpo da rompergli le ossa, o bloccargli il respiro, o persino fare in modo che l’aria non raggiungesse i suoi polmoni. Utilizzando l’Aria si può sollevare qualsiasi cosa da terra e farla arrivare a voi, o scagliarla lontano, ma è bene che teniate a mente che più l’oggetto è grande e distante, maggiori saranno le energie necessarie a spostarlo. Andando avanti acquisirete sempre maggiore controllo e consapevolezza, e se vorrete potrete rendere invisibile l’aria, che invece normalmente brillerebbe come avete appena visto.»
Gli Ammessi stavano scrivendo gran parte di quelle annotazioni, alcuni erano pallidi e scossi quasi quanto il povero Seam.
Allia alzò un dito ora con fare severo: «Voglio che nessuno di voi, e ripeto nessuno, usi queste caratteristiche degli elementi per fare del male ad altri studenti. Se dovesse succedere mi assicurerò personalmente che il colpevole sia espulso per non essere più riammesso e, se adulto, arrestato e processato secondo le leggi di Eunev. Si faranno delle lezioni pratiche in cui vi dovrete sfidare per mettervi alla prova a vicenda, ma lo farete solo e soltanto sotto la mia supervisione. Non voglio duelli nelle camere, nei corridoi o in cortile. Solo in aule con insegnanti qualificati presenti. Sono stata chiara?»
Tutti gli studenti annuirono all’unisono con convinzione e lei sembrò soddisfatta.
Riprese la sua aria sorridente e rassicurante e continuò: «Molto bene, ora qualcuno vuole provare a mettersi in contatto con l’elemento?»
Ci fu un lungo silenzio teso e imbarazzato, ma alla fine si alzò una ragazza in carne dalla pelle chiara, i capelli biondi e mossi le coprivano quasi tutta la schiena. Allia la invitò a raggiungerla al centro dell’aula e Jeah si sfilò i guanti lasciandoli sul banco, obbedendo e cercando di darsi un’aria sicura. Quando l’ebbe raggiunta l’insegnante le spiegò come fare per riuscire a contattare la magia, le disse di chiudere gli occhi e percepire con la mente e con gli altri sensi la presenza dell’aria tutt’attorno a lei; essendo ovunque non sarebbe stato difficile entrare in contatto con l’elemento.
Ci vollero parecchi minuti, ma alla fine la ragazza si lasciò sfuggire un sospiro di sorpresa e sorrise, sicura di aver percepito l’Aria, quindi Allia le disse di concentrarsi e provare a immaginare di darle un ordine. E quando quel pensiero fosse diventato abbastanza coerente e reale le disse di provare a metterlo in pratica.
Jeah riaprì gli occhi e tese le mani davanti a sé, guardò Allia come per chiederle una conferma e la donna la incoraggiò annuendo, dunque la ragazza tornò a concentrarsi e una nuvola bianca e azzurrina avvolse la borsa di Ivniraz, che era in prima fila.
Il ragazzo dalla pelle scura e i ricci capelli neri quasi cadde dalla sedia per lo spavento mentre la sua borsa si sollevava sopra il suo banco spinta da quella nuvola colorata, e un coro di esclamazioni si diffuse in tutta l’aula, seguito poi dagli applausi.
Distratta dalle ovazioni Jeah interruppe involontariamente l’incantesimo e la borsa ricadde sul banco con un tonfo che a malapena si sentì. Anche Allia stava applaudendo, e successivamente le chiese se se la sentisse di riprovare o se preferisse lasciare il posto a qualcun altro.
Jeah decise che sarebbe stato più educato lasciare che altri provassero, dato che avevano solo quelle quattro ore per tutta la settimana, e tornò al suo posto ancora seguita da qualche applauso e sguardi ammirati.
Il suo successo aveva rianimato la classe, e in molti alzarono le mani per essere i successivi scelti per provare. Alla fine l’insegnante decise che avrebbe chiamato i volontari in ordine alfabetico per essere imparziale, e Biad fu la prima.
Si alzò in fretta e raggiunse il centro dell’aula di corsa, poi chiuse gli occhi preparandosi a seguire le istruzioni di Allia per riuscire a contattare l’elemento. Questa volta la donna le portò un oggetto da sollevare e lo posò a terra, ai suoi piedi, mentre la giovane si sforzava di percepire l’Aria.
Riaprì gli occhi quando fu sicura di esserci riuscita e si trovò davanti a un catino di metallo; tese le mani verso esso e gli ordinò di sollevarsi. Qualcuno rise. Decise di cambiare tattica e ordinò invece all’Aria di sollevarlo, e dopo qualche tentativo fallito il catino fu avvolto da una nuvola bianca e arancione. Sorridendo soddisfatta Biad sollevò piano le mani come guidando l’aria, e la nuvola rada la seguì.
Ci furono altri applausi mentre la ragazza riportava il catino a terra per poi correre via al proprio posto e lasciare che il prossimo studente provasse da sé; era ora il turno di Caoru, un ragazzo robusto dalla pelle scura. Anche lui ebbe successo e tornò al proprio banco lasciando spazio a Elestrea, una ragazza dai capelli rossi e mossi piuttosto simile a Jennifer, se non per il fisico più slanciato e sviluppato.
Furono diversi gli studenti a provare la loro prima esperienza di controllo su un elemento, e tra loro ci fu anche Mike, il quale grazie alle lezioni di Ouin non ebbe alcuna difficoltà a contattare la magia ma finse di aver avuto degli intoppi per non insospettire nessuno; l’aria davanti ai palmi delle sue mani divenne di un blu sorprendentemente acceso mentre il catino cominciava a volteggiare nel vuoto come senza peso.
Soltanto due dei ragazzi volontari non riuscirono a controllare l’aria quel giorno, ma erano entrambi così elettrizzati dalla novità e dal fatto di averci provato per provare tristezza o delusione, sicuri che la volta dopo sarebbe andata meglio.
Mike invece si pavoneggiò con gli altri ragazzi di Darvil per tutto il resto della giornata, fin da quando Allia annunciò insieme al campanile che le ore di lezione erano finite; mancava un’ora alla cena e si riunirono tutti in una stanza per poter parlare e chiedere al ragazzino cos’avesse provato.
«Non vedo l’ora di dirlo a Zaffir! È stato meraviglioso!» concluse lui ancora fremente d’emozione «Riuscivo a sentire l’aria che muoveva il catino proprio come se lo stessi muovendo io! Come se le mie braccia si fossero allungate! Avreste dovuto provare!»
Mentre parlava, Andrew cominciò ad agitare le braccia come se fossero tentacoli impazziti facendo il verso all’amico.
«Secondo voi perché l’aria diventa colorata quando qualcuno la usa?» domandò Susan pensierosa, poi si rivolse a Mike: «E sarà solo un caso che quando l’hai usata tu è diventata blu come Zaffir?»
«Quando l’ho usata io è diventata verde...» sussurrò Cedric, ma si pentì subito di avere come al solito pensato ad alta voce; gli altri non avevano assistito.
Andrew gli chiese: «Hai usato l’Aria?»
E lui prontamente rispose: «No, però quando ho curato Jorel... c’era una luce strana, verde e rosa.»
Layla gli lanciò un’occhiata furtiva che lui colse, poi sospirò pesantemente capendo che aveva mentito per coprire l’aggressione da lei subita, dove lui aveva effettivamente fatto uso dell’Aria per uccidere uno di quegli uomini, come aveva mentito al tavolo di Iven per la stessa ragione.
«Potremmo chiederlo ad Allia la prossima volta!» esclamò Jennifer «Sarebbe interessante sapere perché ognuno ha un colore diverso!»
«Beh, domani mattina abbiamo Guarigione, potresti raccontare a Houl della tua esperienza e chiedergli perché la magia cambia colore a seconda di chi la usa.» disse Mike a Cedric, il quale annuì distrattamente non del tutto convinto di volersi esporre davanti a diverse decine di persone.

E infatti la mattina del giorno dopo, a lezione di Guarigione, sebbene Cedric ebbe ben quattro ore per convincersi a porre la domanda non lo fece. Preferì non disturbare la lezione durante la quale dei volontari si scambiarono le energie a vicenda, soprattutto perché anche dopo tutti quei giorni la gente ancora lo guardava malamente, e questa volta parteciparono anche Layla e Jennifer in coppia, riuscendo con un po’ di fatica.
Le due ragazze ebbero modo di riprendersi dalle repentine perdite di energie vitali durante la pausa pranzo, per poi dirigersi alle tre del pomeriggio nell’aula di Storia insieme a Cedric, mentre gli altri tre avrebbero avuto il resto della giornata libera.
L’ultima volta si erano lasciati con un approfondimento su come fossero state suddivise le regioni della parte umana di Dargovas con una successione di guerre tutt’ora non del tutto concluse, come disse accennando di Vonemmen che ancora voleva l’indipendenza e diventare capitale delle regioni dell’est. Ma non si soffermarono su quello, piuttosto sulla nascita del culto dei Dodici che aveva lentamente preso piede schiacciando i diversi culti che vigevano di regione in regione. Gli consigliò una lettura intitolata appunto Il Culto dei Dodici come approfondimento a fine lezione, poi li lasciò liberi di andare.
«Studiare la storia è molto più interessante di quanto pensassi.» stava dicendo Layla mentre attraversavano il cortile per tornare alle proprie stanze e lasciare lì le borse prima di andare a cenare.
Molti studenti appena diventati Ammessi avevano deciso di trasferirsi nelle camere all’interno di una delle torri delle materie scelte. Loro invece avevano deciso di rimanere negli alloggi comuni per dormire tutti vicini.
Jennifer fece una smorfia: «Sì, ma c’è troppo da leggere e memorizzare.»
«A proposito, dove potremmo trovare quel libro? Non penso ci saranno abbastanza copie per tutti!» continuò l’altra pensierosa.
«Ci sono diverse librerie, e avendo accesso all’intera torre di Storia penso che cercando con attenzione una copia la troveremo.» le rispose Cedric.
«Sì, ma saranno centinaia di libri!» protestò Jennifer.
«Abbiamo una settimana per trovarlo.»
«E leggerlo.» puntualizzò Layla «E se dovessimo continuare a leggere anche per altre materie?»
«Intendi dire se io dovessi leggere, forse.» ribatté lui infastidito «Mi toccherà comunque studiare tutte e dieci le materie invece di sette.»
«Smetti di lamentarti, tutti quanti studieremo tutte le materie alla fine.» disse Jennifer, infastidita a sua volta.
Cedric scosse la testa e cambiò discorso: «Ad ogni modo, se sono tutti libri riguardanti un unico argomento non possono essere troppo impegnativi.»
«Speriamo di no.» sospirò Layla.
I corridoi erano praticamente vuoti, dal momento che in pochi avevano scelto come loro di rimanere nelle stanze comuni, ma Mike Susan e Andrew non si trovavano lì, e gli altri tre si ritrovarono a sperare che non fossero andati a trovare i draghi per quelle poche ore rischiando di rimanere chiusi fuori città tutta la notte.
Alla fine per fortuna li trovarono già seduti a un tavolo nella sala da pranzo ad aspettare l’ora di cena insieme a qualcun altro che aveva fatto parte della loro classe da Novizi nel mese precedente.

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Capitolo 49
*** Our little secret ***


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Il colore del titolo del capitolo corrisponde al colore della regione in cui la storia al momento si svolge, tenete d'occhio la mappa per sapere dove ci troviamo!

OUR LITTLE SECRET

Gli unici ad avere lezione il giorno dopo erano Andrew Mike e Susan, che dovettero attendere alla lezione di Evocazione la mattina, mentre gli altri avevano tutta la giornata libera e ne approfittarono per andare di libreria in libreria alla ricerca del loro tomo.
Wolgret chiamò tutti gli studenti a sé, ed erano davvero in molti a seguire Evocazione, ma riuscirono a mettersi uno accanto all’altro formando quasi un cerchio completo al centro dell’aula, nello spazio tra banchi e cattedra. Quel giorno, gli disse, avrebbero provato a evocare dall’Aria. Gli toccò quindi spendere la prima ora a spiegare più o meno il funzionamento di quella magia per chi ancora non avesse frequentato la prima lezione di Elementi nei panni di Ammessi - e dunque non avesse ancora fatto pratica.
Appena ebbe finito di parlare gli diede il via, e tutti tesero le mani in avanti e chiusero gli occhi nel tentativo di contattare l’elemento tutt’attorno a loro. I pochi che riuscirono furono solo alcuni tra quelli che già avevano seguito la lezione di Elementi e quindi in un modo o nell’altro erano già stati iniziati alla pratica.
Velia, che si trovava insieme a loro anche in quella classe, era tra quei pochi riusciti a far prendere all’Aria una strana forma luminosa; la sua in particolare sembrava un cane fluttuante composto da nuvole di pulviscolo giallo paglierino più o meno brillante.
A quella vista Susan smise di far finta di non essere capace, corrucciò la fronte in un’espressione arrabbiata e si concentrò per poi dare vita a una creatura d’aria che prese la forma e le dimensioni di Sulphane; l’aria si tinse di un giallo incredibilmente acceso, quasi come quello delle scaglie della dragonessa, e la creatura sembrò emettere un suono simile a un ruggito quando spalancò le fauci fissando il cane di Velia.
Tutti in classe si volsero a guardare o la creatura o la ragazza che ne era padrona, e a quel punto Mike afferrò di getto i polsi di Susan e la costrinse ad abbassare le mani, distraendola al punto da farle interrompere l’incantesimo. E la creatura si dissolse nel nulla, l’aria di cui era composta tornò invisibile smettendo di brillare.
In realtà tutte le creature evocate erano scomparse, perché i ragazzi erano occupati a guardare nella medesima direzione. Rendendosi conto di aver quasi combinato un possibile disastro, Susan abbassò lo sguardo a terra e si portò le mani dietro la schiena arrossendo d’imbarazzo.
Wolgret, avendo fiutato un certo astio scorrere tra le due ragazze, come Allia ribadì che non avrebbero dovuto esserci scontri tra studenti se non nelle classi in presenza di professori, pena l’espulsione o addirittura un processo se per caso qualcuno fosse morto.
La ragazzina in quel momento avrebbe voluto sotterrarsi dalla vergogna, soprattutto perché Velia era tornata a evocare il suo cane e rideva senza pietà di lei, credendo di averla avuta vinta solo perché l’altra era stata rimproverata.
Susan infatti non provò più a evocare quel giorno, per paura di farsi prendere troppo dalla rabbia; Mike volle ancora portare avanti la facciata di non riuscire a contattare la magia, perché già era riuscito nella lezione di Elementi il giorno prima e preferiva fare progressi con cautela.
Invece Andrew volle provare a mettersi in gioco e cercò con tutte le sue forze di non pensare ad Umbreon mentre evocava, perché se la classe avesse visto due draghi evocati nello stesso giorno ed entrambi da ragazzini di Darvil avrebbe potuto insospettirsi. Soprattutto Wolgret.
Quindi alla fine riuscì a concentrarsi su un ragno, il primo animale che gli era venuto in mente, e ne evocò uno delle dimensioni di una ruota di carro, nero e a tratti rosso rubino, che fece gridare di terrore la ragazza accanto a lui. Allora decise di cambiare idea e fargli prendere la forma di un pesce, e lo fece sguazzare per la stanza giocando a fargli rincorrere le altre creature di colori diversi.
L’insegnante concluse la lezione tutto sommato soddisfatto, soprattutto perché nessuno di quelli che era riuscito a evocare aveva lamentato significative perdite di energia anche dopo due ore. Lasciò loro detto di arricchire possibilmente la lezione leggendo Evocando l’Aria, che avrebbero potuto trovare sia nella torre arancione che nel seminterrato - un luogo che occupava tutta l’ampiezza del cortile diviso in scompartimenti dove i ragazzi di diverse materie potevano riunirsi e studiare tutti insieme in un luogo coperto, specie d’inverno.
Si ritrovarono tutti nella sala da pranzo, Cedric teneva la loro copia del libro di storia in una borsa per riprendere la lettura con Layla e Jennifer nel pomeriggio, e per tutta la durata del pasto gli altri tre raccontarono di come fosse andata la lezione. Non nominarono Sulphane finché non si sedettero nello scompartimento del seminterrato dove Jennifer Layla e Cedric avevano letto per metà della mattinata - avevano impiegato diverso tempo a trovare quel libro, e avevano visitato tre diverse librerie a tre diversi piani della torre di Storia.
Naturalmente Susan li lasciò a bocca aperta, ancora vergognandosi per non essere riuscita a controllarsi, e Layla non tardò a rimproverarla.
«Cosa ti prende?» le chiese invece Jennifer «Da quando hai conosciuto quella Velia sei cambiata! Non sei più la timida Susan, sei Susan l’attaccabrighe!»
«E dai, smettila!» si offese l’altra «Non l’ho fatto apposta, è più forte di me! Non la posso vedere!»
Mike appena vide Cedric tirare fuori il libro, per cambiare argomento si schiarì la gola e cominciò: «Avremmo un problema.»
La conversazione morì di punto in bianco, perché ora tutti guardavano lui, e Layla domandò sorpresa: «Quale problema?»
«Noi dovremmo... ecco... leggere un libro sull’Evocazione.» continuò il ragazzino, e appena il più grande girò gli occhi si affrettò ad aggiungere: «Però è solo consigliato!»
«Si farà.» disse Layla con fermezza lanciando un’occhiataccia a Cedric «Che libro sarebbe?»
Mike guardò Andrew e poi Susan, sperando che loro ricordassero il titolo esatto, e a turno balbettarono qualche parola sentendo come suonava alle loro orecchie.
Finché Andrew esclamò: «Evocando l’Aria!»
«Sei sicuro?» gli chiese Jennifer dubbiosa.
«Sì.» rispose Susan «Era quello.»
«Beh, io non potrò venire con voi a cercarlo, perciò...» disse Cedric, quindi scrisse il titolo su un pezzo di pergamena che poi diede in mano a Mike: «Tu qualcosa sai leggere, prova a cercarlo nella torre. Abbiamo tutto il pomeriggio e la prossima mattina liberi, ma non credo di riuscire a leggervelo.»
«Ma non c’è un altro momento in cui siamo liberi tutti insieme!» protestò Andrew.
«C’è, invece. Il pomeriggio del quinto, la mattina del settimo e la mattina del primo giorno.»
«Sei sicuro?» gli chiese Jennifer.
Il ragazzo la guardò turbato: «Perché me lo chiedi?»
«Hai memorizzato l’orario?» fece scettica.
«No. Cioè... sì. Insomma, non lo faccio apposta. Difficilmente dimentico quello che leggo.» tentennò Cedric in difficoltà.
Susan e Andrew sgranarono gli occhi e la ragazzina esclamò: «Davvero? È per questo che ricordavi la carta di Jennifer da Iven? E la tua stanza sempre in ordine allo stesso modo?»
«Sei oltremodo paranoico?» scherzò Jennifer, dato che il dettaglio della stanza non era mai venuto fuori.
«Possiamo tornare ai libri?» disse lui sentendosi oppresso.
«Cosa recitava il secondo enigma?» gli chiese Andrew lanciandogli la sfida.
Cedric sospirò: «Se ve lo dico mi lasciate in pace?»
«Promesso!» ribatté il ragazzino sporgendosi sul tavolo.
«Non lo faranno...» lo ammonì Layla in un sussurro «Non stare al loro gioco.»
Il ragazzo le diede corda e riaprì il libro di storia dove l’avevano lasciato poco più di un’ora prima, ma Andrew cominciò a lamentarsi e non sembrava voler smettere, attirando gli sguardi di diversi studenti che erano lì per cercare di studiare in altri scompartimenti.
«Stai zitto! Va bene!» disse Cedric a mezza voce, esasperato, quindi recitò in fretta: «Per me il vento è gambe e voce, la mia presenza difficilmente è notata e nuoce, senza me tuttavia la vita è impossibile, la mia mancanza porta a una fine terribile. Contento?»
«E ora lasciaci apprendere.» completò Layla guardandolo accigliata.
Andrew batté piano le mani, ma al di fuori di quello non fece altro per disturbare ulteriormente la loro lettura, anzi rimase buono ad ascoltare per approfondire le proprie conoscenze.
Mike invece se ne andò stringendo il bigliettino tra le mani, deciso a trovare il loro libro sull’Evocazione al più presto; avrebbe sempre potuto chiedere un riassunto a chiunque di loro per farsi un’idea migliore della storia di Dargovas. Tanto più ora che aveva avuto la prova dell’incredibile memoria dell’altro.
Anche lui dovette girare diverse librerie prima di trovare il tomo, ma alla fine ci riuscì. Con le gambe doloranti gli toccò scendere sette piani di scale, ma se la prese molto comoda dal momento che comunque non l’avrebbero letto prima di qualche giorno. Lo sfogliò un poco e vide che c’erano diverse illustrazioni, quindi si concentrò su quelle. Pensò fosse dovuto al fatto che si trattava di un libro che introduceva i nuovi studenti alla materia e quindi necessitava di figure esplicative.

Dopo cena si divisero in due gruppi per ripassare ognuno le proprie lezioni, il gruppo di Storia continuando a leggere il tomo sui culti e il gruppo di Evocazione chiacchierando del metodo più semplice per evocare oppure guardando le figure del libro che dovevano leggere.
E la mattina dopo, nel tempo tra colazione e pranzo, fecero praticamente lo stesso in attesa della lezione di Manipolazione del pomeriggio; nessuno si aspettava granché dalla materia, dal momento che prima di poter manipolare gli elementi li si doveva conoscere e studiare a fondo. Andrew temeva che anche Kir avrebbe dato da leggere qualcosa, ma se non altro in quell’occasione avrebbero dovuto per forza leggere tutti insieme.
I peggiori presentimenti di Andrew divennero realtà quando dopo un’intera lezione passata a studiare l’Aria l’insegnante diede da leggere un libro interamente incentrato sull’elemento, lasciando anche detto che la lezione successiva li avrebbe interrogati.
Lasciarono l’aula brontolando sconfortati e decisero di dedicare il tempo restante alla cena alla ricerca del volume; tutti avevano accesso a ogni piano della torre, e insieme a Deala corsero da un piano all’altro alla ricerca di una libreria; lei era una dei pochi studenti a non lasciarsi influenzare dalle voci di corridoio che Velia aveva messo in giro, e ogni tanto aveva piacere a passare del tempo insieme a loro.
Il tempo era poco e anche la luce, dovettero presto appropriarsi di una torcia e accenderla per farsi strada nei corridoi color cobalto. Ma questa volta ebbero fortuna, perché lo trovarono dopo aver ispezionato solo una libreria.
Confrontando i loro orari con quelli di Deala scoprirono che qualora la materia fosse comune lei aveva scelto gli stessi giorni e gli stessi orari, quindi decisero che ogni volta che tutti loro avessero avuto del tempo libero avrebbero studiato insieme quel libro per Manipolazione, che sembrava essere più urgente delle altre materie.
Per questo motivo dopo cena Jennifer e Layla si unirono a Cedric in camera sua per finire di leggere il volume di Storia nell’ora che precedeva la lezione di Astronomia; rimasero il più a lungo possibile chiusi in camera cercando fino all’ultimo di terminare la lettura, tanto che alla fine lui dovette correre per non arrivare tardi a lezione, mentre Mike già lo aspettava all’ingresso della torre grigia. Mancavano ancora diverse pagine alla conclusione, ma le due ragazze si dissero che ce l’avrebbero fatta in meno di un’ora la prossima volta che tutti e tre avevano del tempo libero.
Di fianco a Mike si sedette Vill e di fianco a Cedric si sedette Noumea, ma durante le quattro ore di lezione - dalle dieci alle due di notte - non fecero molto oltre a studiare le stelle di una singola costellazione; la posizione delle stelle in relazione alle altre e la posizione della costellazione nel cielo durante l’arco dell’anno.
Tra loro Vill e Mike erano gli unici a non avere lezione la mattina seguente, mentre Cedric e Noumea parteciparono alla lezione di Alchimia insieme agli altri ragazzi di Darvil e Deala. Ma non fecero niente di particolarmente impegnativo, limitandosi ad ascoltare con attenzione Elsi mentre spiegava il funzionamento di determinati antidoti; alcuni si potevano preparare solo con una certa percentuale dell’ingrediente che combinato in altro modo prendeva parte alla creazione del veleno.
A pranzo si riunirono tutti e dopo aver mangiato andarono a cercarsi un posto nel seminterrato per studiare il libro di Manipolazione insieme a Deala. La lettura dopo appena un’ora divenne noiosa, perché trattava solamente dell’elemento Aria dal punto di vista fisico, basandosi sulle attuali conoscenze dei maghi e degli studiosi.
Non fecero in tempo a finirlo prima di cena, quindi gli toccò tornare al seminterrato e leggere al buio finché Cedric disse loro di voler riposare almeno quella notte, costringendoli a posticipare la fine della lettura al mattino del settimo giorno, quando sarebbero stati di nuovo tutti liberi.

La mattina dopo Layla riuscì a convincere Cedric a leggere Storia anche se Jennifer sarebbe stata a lezione di Biologia, dicendo che le avrebbero fatto un riassunto dopo cena se necessario, e riuscirono a finirlo nelle ore tra la colazione e il pranzo. Andrew si era unito a loro preferendo spendere quelle ore apprendendo qualcosa anche se al di fuori delle proprie materie d’interesse piuttosto che girovagare senza un fine per la scuola.
Nel frattempo gli altri avevano tenuto un’interessante lezione sulle diverse specie di funghi, molti dei quali velenosi dai colori sgargianti o al contrario molto simili a funghi del tutto innocui se non addirittura commestibili.
Ma Dalca disse loro che c’era sempre un modo per distinguerli: delle volte si dovevano guardare le lamelle sotto il cappello, perché potevano essere di colore diverso; altre volte li si doveva incidere e se all’interno erano impregnati di liquido poteva essere il segno della presenza di veleno; delle particolari specie di funghi velenosi si potevano sradicare, e dopo alcuni minuti perdevano il colore fasullo per acquisire il loro, lasciando morire il travestimento; oppure alcuni funghi imitavano solo il colore di altre specie innocue, ma non le dimensioni o le proporzioni.
In ogni caso era sempre bene controllare ogni fungo prima di coglierlo e cucinarlo.
Il pomeriggio Andrew Cedric Layla e Susan andarono a lezione nella torre viola. Con grande fastidio scoprirono che anche Velia aveva scelto quell’ora e quel giorno per studiare la materia, seguita come al solito da Irea Hranda e Tegro come guardie del corpo.
Si divisero a coppie, Andrew con Cedric e Layla con Susan, per scrutarsi a vicenda nella mente seguiti passo per passo da Meidrea, la quale girava costantemente tra i banchi dando consigli ad alta voce e controllando che nessuno facesse accidentalmente male al compagno.
Senza l’aiuto dei piccoli draghi e delle loro potenti menti faticarono a raggiungere la mente degli altri, e l’unico che non ebbe difficoltà fu proprio Cedric, perché aveva fatto pratica senza Smeryld. Andrew si spaventò e sussultò appena l’altro s’insinuò quasi con prepotenza nella sua mente; non di proposito, piuttosto perché lui stesso non pensava di farcela tanto in fretta.
Meidrea notò la sua reazione e si avvicinò guardando la coppia con attenzione, pronta a intervenire se fosse successo qualcosa, ma Andrew le sorrise e le disse semplicemente che non era preparato dopo così poco tempo dall’inizio della lezione. Anche l’insegnante sembrò trovarlo strano, ma si limitò a congratularsi e a guidare entrambi perché si dicessero qualcosa col pensiero senza farsi inavvertitamente del male.
Entro la fine della lezione riuscirono a contattarsi vicendevolmente e cercarono di limitare lo scambio di informazioni tramite il pensiero alle sole parole piuttosto che alle emozioni, ma alla fine successe che le due ragazze cominciarono a ridere senza controllo sopraffatte dall’allegria e dall’esaltazione che entrambe involontariamente si scambiarono.
Meidrea rivolse loro uno sguardo severo, ma sotto quegli occhi gelidi si nascondeva un sorriso sinceramente compiaciuto. Tutti gli altri studenti invece le guardarono invidiosi e infastiditi, eccezion fatta per gli altri due ragazzi di Darvil che ancora erano concentrati a scambiarsi solo alcune frasi, senza emozioni di mezzo.
A fine lezione mentre lasciavano l’aula Susan sentì Velia parlare concitata con Irea, la voce sprezzante e roca mentre commentava con stizza il fatto che la biondina fosse riuscita nel compito prima di lei. La ragazzina di Darvil non poté fare a meno di sorridere e passarle accanto superandola a testa alta, assicurandosi che Velia la vedesse. Ma non si guardò indietro, piuttosto domandò agli altri tre se la castana l’avesse guardata.
«Ti stava bruciando con gli occhi.» le rispose Andrew divertito, e Susan rise ancora più forte.

Mike volle approfittare dell’unico giorno alla settimana in cui lui e Jennifer avevano entrambi un momento libero. Loro due soltanto. Doveva assolutamente parlarle di Layla, non aveva avuto altre occasioni prima di allora; in qualche modo c’era sempre stato qualcuno con loro.
Dopo pranzo salutarono rapidamente gli altri e il ragazzino prese l’amica per mano conducendola via verso la propria stanza. La spinse dentro in fretta e richiuse la porta per poi voltarsi e scoprire che lo stava guardando con un’aria metà sorpresa e metà accigliata.
«Che stai facendo?» lo apostrofò con voce acuta.
Mike si guardò intorno sentendosi in difficoltà, si bagnò le labbra portandosi le mani ai fianchi e si decise a dirle con un sospiro: «Layla.»
«Oh...» fece lei, capendo all’istante perché fosse così ansioso.
«Sei riuscita a parlarle?» continuò lui, spostando di continuo il peso da una gamba all’altra.
«Sì, ci ho provato... Mi dispiace non avertelo detto prima.» tentennò lei; era arrivato il momento di dargli quella che probabilmente sarebbe stata una brutta notizia.
Mike annuì: «L’ho capito da Iven.»
«Esatto. E beh... ha detto che sei carino, ma...» lui prestò più attenzione, avvicinandosi inconsapevolmente di qualche passo «Ma al momento non è interessata a intraprendere quella strada, ecco.»
«Quindi è... è un no. Ma lei non lo sa, vero? Lei... tu non le hai detto chi, o così ha detto da Iven...» balbettò lui speranzoso e preoccupato a un tempo.
«Non le ho detto chi. Chissà cosa avrà pensato. Credo che Andrew l’abbia scartato a priori.»
«Forse ha scartato anche me.» borbottò guardando in basso «Non mi è mai sembrato che mi stesse studiando.»
«Ha studiato bene Cedric al contrario.» ridacchiò lei.
«Oh sì... ma si sarà resa conto in fretta che non è lui.»
«Dici?» domandò ora preoccupata «Secondo me sta ancora cercando di capirlo. Non ha mai rivolto l’attenzione a te o ad Andrew per ora, giusto?»
«Così sembra.» ammise Mike ora guardandola «Ma insomma... non è difficile capire che non può essere lui. Come ti ho detto è praticamente anaffettivo, e lei più o meno lo sa.»
«Ma sa anche che le persone cambiano, e per il momento sembra ancora concentrata su di lui.»
Socchiuse gli occhi: «Credi che sia un bene?»
«Secondo me sì. Voglio dire... avresti il tempo di capire se per lei provi davvero qualcosa o se è meglio lasciar perdere. Hai da poco compiuto dodici anni in fondo, credo che per una risposta più certa dovrai aspettare i quindici.»
«Già, per quel tempo sarò più maturo. E se dovesse continuare a piacermi per tutti questi anni?» domandò poi ansioso.
Jennifer sorrise: «Vorrà dire che forse fino ad ora non ti sei sbagliato del tutto, no? Voglio dire, in tre anni avrete modo di conoscervi meglio! Se dopo tre anni ti piacerà non solo perché è bella ma anche il suo carattere allora...»
«Hai ragione, probabilmente.» la interruppe arrossendo «Ad ogni modo per ora è troppo presto per dirlo. Per ora potrebbe essere solo una cotta perché... perché è bella.» e nel dire questo arrossì ancora di più. Scosse la testa e si affrettò a concludere: «Beh, ti ringrazio per esserti esposta per me. Davvero, sei stata grandiosa.»
La ragazzina sfoderò un sorriso ancora più ampio: «Non c’è di che. È stato un piacere. Sarà il nostro piccolo segreto.»
E Mike annuì poco convinto, non sentendosi del tutto rassicurato da quelle affermazioni; passato l’entusiasmo della novità e l’eccitazione dell’essere effettivamente entrato a far parte di quella scuola aveva ricominciato a sentirsi strano ogni qualvolta Layla fosse stata nei paraggi. E non solo, ultimamente faticava anche a dormire la notte. Talvolta si svegliava con la sensazione di aver sognato la ragazza, altre volte invece gli tornavano alla mente i soldati che li avevano catturati, e li immaginava mentre catturavano anche il suo piccolo Zaffir, riuscendo in qualche modo a trattenerlo, per poi svegliarsi di soprassalto e scoprire che sia Layla che i soldati erano stati solo un sogno.
Quando Jennifer ebbe abbandonato la stanza si lasciò sfuggire un sospiro sconfortato e fece cadere lo sguardo sul braciere incassato tra la parete e il pavimento. Non aveva idea di quanto tempo ancora sarebbe riuscito a sopportare quella situazione.

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Capitolo 50
*** Red on white ***


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RED ON WHITE

Guardava il cielo bianco con una delle due membrane richiusa su entrambi gli occhi perché la neve non le desse fastidio. Scendeva lentamente imbiancando strato per strato la radura nella quale sedeva a riflettere, abbastanza lontana dai fratelli e dalle sorelle da non sentirli schiamazzare ma sufficientemente vicina per non perdere il contatto con le loro menti.
Huran aveva spiegato a tutti loro perché disponessero di due membrane da chiudere sugli occhi, una quasi trasparente e l’altra più opaca: quella quasi trasparente la potevano chiudere durante il volo, per guardare in ogni direzione compreso il sole, oppure sott’acqua, o quando spirava un forte vento, avrebbe protetto l’occhio senza compromettere la vista; quella opaca non si poteva chiudere da sola, ma solo richiudendo anche l’altra perché era quella più esterna e generalmente serviva solo per dormire o per sbattere le palpebre - così dicevano gli umani, ma i draghi non avevano palpebre, solo quelle doppie membrane.
Prima di incontrare il drago bianco le era capitato più volte di chiedersi come mai Jennifer potesse chiudere gli occhi in quel modo così diverso, mentre lei doveva far scorrere contemporaneamente una membrana più leggera e una più spessa, ma pur sempre sottile. Non che avesse mai avuto problemi a farlo, ma le palpebre umane scorrevano verticalmente sugli occhi, mentre le sue - o le loro - scorrevano quasi diagonalmente, e non s’incontravano a metà ma si sovrapponevano ricoprendo entrambe l’occhio per intero.
Scosse la testa, rendendosi conto di star divagando; per ovvie ragioni draghi e umani erano differenti, si erano adattati diversamente ai diversi ambienti che frequentavano. Forse se gli umani avessero avuto le ali si sarebbero ritrovati a dover proteggere gli occhi in un modo simile dal vento.
Si chiese se gli umani vedessero bene sott’acqua senza quella membrana. Ma di nuovo aveva cominciato a divagare. Non che avesse di meglio a cui pensare, Jennifer le mancava terribilmente ma sapeva bene di non potersi avvicinare alla città né a piedi né in volo; con quegli uomini in vesti d’acciaio che probabilmente ancora li stavano cercando non era prudente farsi avvistare da qualcuno.
Aveva molte cose da dirle, soprattutto riguardo il volo: non aveva più avuto problemi nell’ultima settimana, finalmente le sue ali erano cresciute abbastanza da sostenere il suo peso senza sforzo. Ancora non poteva imitare le acrobazie di Smeryld, ma nemmeno Zaffir e Sulphane ci riuscivano pur essendo anch’essi propensi al volo acrobatico.
Il draghetto verde aveva a suo parere delle proporzioni davvero invidiabili, ogni volta che lo guardava desiderava poter avere le sue lunghe ali, o il suo fragile corpo così flessibile da permettergli di toccarsi il dorso tra le ali con la punta del muso, e allo stesso modo il ventre. Anche Ametyst aveva un corpo notevolmente mobile, davvero simile a quello di un serpente, ma trovava scomode le zampe così corte. Non che quelle di Smeryld fossero molto più lunghe, in confronto alla lunghezza del collo.
Anche Sulphane non era male, zampe lunghe, collo lungo, coda lunga, ali lunghe. E una corporatura leggermente più robusta di quella di Smeryld. Ma di lei le piacevano di più i denti: aveva due paia di canini superiori; un paio leggermente più piccolo davanti e l’altro più grosso dietro. Le sue ali erano troppo complesse da manovrare, ragion per cui era ormai tra loro quella che faticava di più a volare, non aveva ancora il totale controllo delle due parti separate delle ali, mentre ormai aveva imparato a usare le piume della coda. E probabilmente era il solo motivo per cui non precipitava a terra.
Si chiese se fosse normale per un drago provare invidia nei confronti di altri draghi, o se invece l’avesse imparato vivendo a stretto contatto con gli umani. Non era certa di sapere la risposta, ma non aveva dubbi sul fatto che crescere con degli umani piuttosto che in una famiglia di draghi li rendesse dei draghi diversi; forse più docili, o più istruiti sul mondo e sulle lingue, o con vedute del mondo circostante completamente diverse. Non era un caso che sia Garandill che Nerkoull volessero insegnargli a comportarsi come dei draghi avrebbero fatto.
E quello che Nerkoull aveva detto ai ragazzi: crescere accanto a dei draghi poteva cambiarli fino a renderli più draghi che umani nel profondo. O addirittura renderli immortali. Non era sicura di sapere cosa fosse l’immortalità, qualcosa le diceva che per lei era una cosa scontata vivere per sempre. Le bastava pensare a Gorall, che aveva più di tremila anni. Al contrario gli umani le erano sembrati sbalorditi.
Ma quindi se Nerkoull fosse stato in errore Jennifer sarebbe morta con l’età? L’avrebbe lasciata da sola? Come? E in quanto tempo? Questo pensiero l’angosciò e liberò un mugolio; non voleva separarsi dalla creatura che l’aveva amata e seguita fin dal suo primo passo nel mondo. Sperò egoisticamente che crescere insieme avrebbe reso immortale anche l’umana. Forse le avrebbe causato dei disagi, perché il suo corpo non era programmato per vivere in eterno.
Decise che avrebbe chiesto consiglio ai draghi adulti appena si sarebbero riuniti, non poteva tollerare di vivere tremila anni senza la giovane al suo fianco; l’aveva fatta nascere e ora stava rischiando la vita - sia a causa della magia che per quegli uomini in vesti d’acciaio che cercavano loro, i draghi - pur di rimanerle accanto.
Scosse tutto il corpo per scrollarsi di dosso il sottile strato di neve dove il calore non era sufficiente a scioglierla, come le spine, la membrana delle ali o sulle scaglie più spesse del dorso. Si guardò gli artigli delle zampe, sollevando da terra quella che per un umano sarebbe stata la mano destra e aprendo e chiudendo le dita, come artigliando qualcosa d’invisibile. Ne rimase compiaciuta: quegli artigli diventavano più lunghi e forti mese dopo mese; se quegli uomini in vesti d’acciaio un giorno fossero ricomparsi si sarebbero ritrovati a dover affrontare quelle armi letali.
Non avrebbe esitato a uccidere per proteggere Jennifer. La sua amica Jennifer. Trovava così strano che volesse continuare quella vita insieme a lei nonostante fino ad ora le avesse portato solo problemi, ma non poteva sentirsi colpevole di ciò: stava cominciando a capire che genere di creatura fosse un drago, e non poteva biasimare gli umani che volevano provare a controllarli per vincere una guerra. Ma quegli umani non avevano evidentemente tenuto conto della loro intelligenza, se pensavano di poterli utilizzare come quei cavalli, a loro piacimento.
Rimise a terra la zampa, nella neve, senza sentirne il freddo. Sapeva cosa fosse il freddo solo grazie a Jennifer, ma non lo aveva mai sperimentato sulla propria pelle. Probabilmente perché la sua pelle era coperta di dure scaglie, o perché nel suo corpo scorreva fuoco, che avesse ancora imparato a respirarlo o meno.
Ecco uno dei vantaggi di poter crescere con degli umani, immaginò che un drago sapesse cosa fosse il freddo solo per sentito dire, ma non l’avesse mai provato nemmeno indirettamente. Lei invece lo sapeva.
Un rumore la distrasse e si volse immediatamente alla propria destra: sembravano dei passi incespicanti, ma la creatura doveva essere troppo grande per essere un animale, a giudicare dal rumore. Orsi non potevano essercene, non in inverno e non in quel piccolo bosco in mezzo alla pianura; ma un cervo sarebbe stato decisamente più silenzioso, a meno che non fosse stato morente.
Decise di allontanarsi dalla radura per cercare riparo tra i tronchi e gli arbusti per essere meno visibile, e provò a coprire le tracce spazzando la neve con la coda. Non voleva espandere i confini della propria mente per capire cosa si stesse avvicinando, perché se fosse stato un umano, e per caso quell’umano avesse avuto esperienze su come usare la propria mente per comunicare, la segretezza dell’esistenza di almeno un cucciolo di drago nei pressi di Eunev poteva essere compromessa.
Non dovette attendere molto tra gli arbusti prima di vedere un cucciolo di umano fare capolino da dietro gli alberi; sembrava poco più giovane di Jennifer e ferito, si teneva un braccio stretto al petto e zoppicava lasciandosi alle spalle una scia di sangue. Comparve poi una donna, anche lei ferita e con incedere malfermo, continuava a guardarsi ansiosamente alle spalle. Ora si sentivano dei feroci latrati, e immaginò quindi che fossero stati aggrediti da un branco di lupi.
Non poteva aiutarli, non doveva farsi vedere. Per qualche ragione provò tristezza e non era certa di sapere il perché; dopotutto se quei due si erano imbattuti in un branco di lupi di giorno voleva dire che non avevano prestato attenzione.
Ma la creatura che entrò nella radura pochi attimi dopo non era un lupo, o almeno non del tutto: ringhiava e latrava come tale, aveva un muso canino, zampe con lunghi artigli neri e pelliccia bruna, ma stava in posizione quasi eretta, aveva un paio di mani, due corna sulle tempie, indossava delle specie di vesti di cuoio o pelle ed era di dimensioni notevoli, alto quasi due volte la donna. Aveva una corporatura massiccia, e in una delle grandi mani artigliate impugnava una strana arma che non era certa di aver mai visto, ma sembrava un coltello grande quasi quanto un lupo normale.
La donna gridò di terrore e ordinò al ragazzino, che doveva essere suo figlio, di mettersi al riparo. Rubia dubitava che sarebbe mai riuscito a sfuggire a quella creatura; una volta morta la madre sarebbe toccato a lui. Ma non poteva intervenire. Non doveva essere vista. Se quegli umani fossero morti lei non avrebbe corso rischi, non poteva salvarli.
Il ragazzino stava piangendo e tremando, ma obbedì e con passo malfermo riprese ad allontanarsi, avvicinandosi invece a Rubia.
Lei si maledisse per essere rimasta ferma a osservare la scena: se ora si fosse mossa in qualsiasi direzione sicuramente il giovane l’avrebbe vista. Tanto più che aveva le scaglie rosse, avrebbe avuto una possibilità di nascondersi solo se fosse stata vicina ad arbusti dai rami o dalle foglie del medesimo colore, ma il bosco era spoglio, e il basso strato di neve copriva le foglie gialle, rosse o secche cadute dai rami nelle ultime settimane.
E il grande lupo stava ringhiando ferocemente, come pregustandosi il pasto o uno spargimento di sangue, sembrava quasi divertito dalle urla di terrore della donna.
Così decise d’intervenire. Non seppe esattamente cosa la spinse al di fuori di non avere la possibilità di svignarsela senza essere vista. Non conosceva nemmeno la creatura alla quale stava correndo incontro. E lo strano lupo non sembrò riconoscerla a sua volta.
Con un ringhio balzò oltre la donna frapponendosi tra lei e il lupo, ruggì a testa bassa aprendo le ali e sollevando la coda con aria minacciosa. Sentì l’umana gridare ancora di più e il giovane dirle di correre via. Sentiva gli sguardi di tutti addosso a sé, anche il lupo la stava studiando; ora non aveva più un’aria divertita, ma piuttosto cauta e riflessiva. Dedusse che dunque fosse mentalmente più simile a un umano che a un lupo, e disponesse quindi di un’intelligenza sufficiente da capire di avere a che fare con un drago. E a quel punto sarebbe dovuto fuggire.
Al contrario cominciò ad avanzare avanti e indietro senza mai staccarle gli occhi gialli di dosso, come studiando la sua prossima mossa o attendendo quella dell’avversaria.
Rubia decise di non chiamare gli altri draghi: se doveva esporsi mostrandosi a due umani preferiva pensassero che fosse da sola, magari senza vedere altri draghi non sarebbero riusciti ad associarla ad alcuna creatura esistente.
Se Smeryld era riuscito a uccidere un orso quando era grande la metà di lei ora, non avrebbe dovuto avere difficoltà a uccidere quel lupo. E Rubia non era da meno, sapeva di avere un corpo più forte e resistente, anche se meno agile.
Ruggì di nuovo e gli corse incontro senza preoccuparsi della sua arma, difficilmente avrebbe potuto penetrare le sue dure scaglie, soprattutto quelle del ventre che ora era scoperto. Il lupo infatti provò a colpirla con un fendente diretto proprio sotto lo sterno, ma non la ferì. La sbalzò tuttavia a diverse braccia di distanza, ma la dragonessa riuscì ad alzarsi in volo per atterrare subito dopo.
Volse un rapido sguardo ai due umani e vide che erano ancora fermi, il figlio accanto alla madre, probabilmente perché lei non riusciva a camminare oltre. Tornò a guardare il lupo che sembrava sorpreso di non averla ferita, guardava prima lei e poi la propria arma forse chiedendosi se fosse affilata.
Rubia ruggì ancora, catturando la sua attenzione, e corse attorno a lui cercando un suo punto cieco, o di riuscire a coglierlo alle spalle. Ma il grande lupo si guardava bene da lasciarle un punto scoperto da colpire.
Fu l’intervento del giovane ragazzo a darle l’occasione di saltargli addosso in sicurezza.
L’umano in qualche modo capì che lei stava solo cercando di aiutarli, e trovò il coraggio e la forza di alzarsi in piedi. Gridò diversi insulti al lupo con tutto il fiato che gli era rimasto, ma quello da solo servì a farlo ringhiare infastidito e nulla più; voleva tenere d’occhio il pericolo più grande, ovvero la dragonessa. Dunque il giovane si guardò intorno e scorse diversi sassi; prese il più grande tra le mani e con fatica lo sollevò tremando per lo sforzo, e infine lo lanciò.
Colpì il lupo al fianco, il quale si girò di scatto, colto dall’improvviso dolore, e vedendo il ragazzino in piedi capì che era stato lui ad aggredirlo. Scoprì i lunghi denti in un ringhio feroce e drizzò il pelo sulla schiena.
Ma Rubia non gli diede il tempo di muovere nemmeno un passo verso madre e figlio: gli saltò subito sulla schiena, il lupo sembrò accorgersi immediatamente di aver commesso un grave errore lasciandosi andare alla rabbia, e subito dopo la dragonessa lo azzannò alla nuca, dove non era coperto né di pelle e cuoio né dalle corna.
La creatura ruggì di dolore e le afferrò la testa con una di quelle mani smisurate, ma Rubia rispose affondando le zanne più in profondità assaporando il suo caldo sangue. Il grande lupo cadde a terra incapace di muoversi, paralizzato dal dolore dei centri nervosi danneggiati che si propagava rapidamente lungo tutta la spina dorsale, e la dragonessa sferrò il colpo decisivo recidendogli la carotide coi lunghi artigli.
Non rimase a guardarlo morire, piuttosto volse la sua attenzione ai due umani che la guardavano ora con terrore, temendo che si fosse liberata del lupo per un semplice fatto di concorrenza e potersi appropriare delle sue prede.
Tuttavia Rubia rimase immobile a guardarli e per rassicurarli decise di allontanarsi e fare un giro più largo, senza mai smettere di fissarli.
La donna era ancora in lacrime e tremante, ma ora nel suo sguardo riusciva a leggere un vago senso di gratitudine che si era sostituita al precedente terrore.
Per questa ragione Rubia si sentì pronta a entrare nella mente della donna e sussurrarle lentamente: Non raccontare di me. Non dire di avermi visto. Di’ lo stesso a tuo figlio.
La lasciò a bocca aperta e nuovamente spaventata, ma dopo averle detto quelle parole corse via sparendo rapidamente nel folto del bosco per tornare dagli altri. Sperava di non aver commesso un grave errore parlandole, e soprattutto sperava che la donna avrebbe obbedito alla sua richiesta; aveva capito di essersi trovata davanti a un giovane drago, aveva dovuto provare a dissuaderla dal raccontarlo.
E davvero sperava che avesse funzionato, altrimenti poteva appena aver ricoperto Jennifer e i suoi compagni di un mare di guai.

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Capitolo 51
*** A color to each soul ***


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A COLOR TO EACH SOUL

Il mattino del settimo giorno lo passarono dunque a studiare Manipolazione tutti insieme nel loro piccolo spazio privato del seminterrato. Con loro c’era anche Deala e lessero - talvolta interrompendosi per farsi a vicenda delle domande a sorpresa - anche dopo pranzo, quasi fino alle due del pomeriggio, quando dovettero correre per frequentare Difesa tutti eccetto Cedric e Susan.
La lezione fu relativamente facile; Gawdi chiese chi di loro volesse provare a evocare una barriera mentre a turno gli altri studenti lanciavano all’aspirante mago alcune sfere di uno strano materiale, cave all’interno in modo che non facessero troppo male.
Questa volta tra loro si espose Layla, ed essendoci già lei come volontaria nessuno degli altri ragazzini di Darvil si fece avanti per essere fatto a pezzi. Ma lei non fu l’unica della classe a offrirsi, dunque si formarono diversi gruppi di lanciatori attorno a ogni volontario.
Oltre a Deala nel loro gruppo di lanciatori di sfere c’erano anche Leudren e Vill, che ridevano tra loro non volendo mettersi nei panni di Layla, la quale se ne stava in piedi guardandosi attorno spaesata e spaventata in attesa dell’inizio della lezione; la sua prima prova pratica di Difesa.
Chiuse gli occhi e si fece forza pensando: Devo solo portare le mani avanti e desiderarlo. È semplice! Posso farcela, non fallirò. Devo solo chiedere alla magia di proteggermi dalle sfere vaganti... è semplice!
Appena l’insegnante diede il via ci fu un coro di grida mentre gli studenti lanciavano le sfere entusiasti e divertiti, alcuni vollero provare a sollevarle e lanciarle usando la magia a loro volta, per fare pratica con l’elemento Aria.
Tutti i volontari vennero colpiti al primo giro di lancio, compresa Layla che, resasi rapidamente conto che la magia non le avrebbe obbedito tanto facilmente, si era riparata il viso con le braccia e si era accucciata a terra soffocando un grido, mentre le sfere di cristallo - o così sembrava dal momento che erano traslucide - la colpivano senza farle male; le avrebbero al massimo lasciato qualche livido.
Al secondo tentativo qualche studente riuscì a evocare delle piccole barriere che deviarono alcune delle sfere lasciandone passare altre, perché di diametro troppo piccole per proteggerli del tutto, o troppo sottili e quindi svanirono dopo il primo impatto.
Ma nessuno si diede per vinto e già al quarto tentativo una studentessa riuscì a bloccare tutte le sfere che le vennero indirizzate.
Layla faticava più del previsto, forse perché aveva troppa paura o al contrario non abbastanza, dal momento che le sfere potevano risultare pericolose solamente se la colpivano a un occhio.
Fin quando infine, al sesto giro, riuscì a evocare una barriera tutt’attorno a lei, non solo davanti, che la chiuse in una semisfera protettiva. Sembrava fatta d’acqua, ma era tanto solida che si poteva toccare come fosse solida e aveva una sfumatura di un viola acceso; tutto ciò che stava dall’altro lato appariva distorto, proprio come se si trovasse sott’acqua.
Si guardò intorno a bocca aperta: la sua era stata fino ad allora l’unica barriera così spessa e vasta, tanto da proteggerla da ogni direzione, e non sembrava accennare a dissolversi, nemmeno se lei era lievemente distratta. A malapena sentì il calo di energie dovuto al fatto che la barriera aveva assorbito l’urto delle piccole sfere di cristallo a lei indirizzate dai compagni.
Dal momento che la sua era stata l’unica barriera evocata completamente, Gawdi le disse che se voleva poteva andare a riposarsi seduta al banco, ma la ragazza rifiutò; voleva vedere per quanto sarebbe riuscita a resistere agli assalti degli altri sei.
Leudren si complimentò con lei ammirandone il coraggio, dopodiché fu il primo a riprendersi in mano una sfera e scagliarla con tutte le sue forze. Ma la sfera rimbalzò sulla barriera e venne deviata e rispedita indietro colpendo invece la povera Deala lì vicino. Il ragazzo di Eunev si piegò in due dalle risate, mentre la giovane di Melonas fu tentata di saltargli addosso e prenderlo a pugni, ma ci pensò Mike al posto suo lanciandogli una sfera addosso.
Sebbene la loro lite fu amichevole, Gawdi decise di intervenire rimembrandogli che la ragazza da colpire era Layla, e la situazione ritornò sotto controllo.
Inaspettatamente, Layla riuscì a tenere viva la barriera per tutto il resto della lezione; ansimava alle sei del pomeriggio, mentre tutti si avviavano verso la propria stanza, il seminterrato o il bagno, ma era decisamente soddisfatta e seguita dalle ovazioni di molti compagni, o da qualche indesiderata pacca sulla spalla.

Cedric e Susan spesero diverso tempo seduti al medesimo tavolo del seminterrato a guardarsi o al contrario guardando qualsiasi cosa si muovesse eccetto gli occhi dell’altro, finché lui si alzò per tornare in stanza e lei lo seguì.
Sulla strada incontrarono Noumea, che con un timido sorriso e la voce flebile parlò chiedendo a Cedric se volesse unirsi a lei per ripassare un po’ di Astronomia. L’avevano sentita parlare così poche volte che rimasero entrambi sorpresi, e il ragazzo si disse che lui stesso doveva aver suscitato quella reazione negli interlocutori più di una volta; l’esempio che gli venne in mente fu Deala, che l’aveva creduto muto.
Comunque lui accettò l’offerta e Noumea sorrise ancora più ampiamente stringendosi la borsa al petto mentre facevano marcia indietro verso il seminterrato.
Susan rimase impalata in mezzo a un vialetto del cortile a guardarli allontanarsi mentre attorno a lei la neve cadeva lenta, sentendosi esclusa, gelosa e perché no, anche un po’ umiliata: il fatto che non sapesse leggere e di dover dipendere completamente da Cedric per poter studiare anche le proprie materie la imbarazzava. Ma Noumea non le sembrava il genere di persona che rideva delle incapacità altrui.
Tanto più che dopo qualche passo si fermò e si girò verso Susan dicendole gentilmente: «Se ti va puoi unirti a noi. È una materia complessa ma è molto bella.»
Susan si morse il labbro inferiore riflettendo, probabilmente non avrebbe capito nulla di quella materia fatta in gran parte di complicati calcoli, ma se non altro avrebbe passato il tempo al chiuso e non da sola. E alla fine si disse che non le avrebbe fatto male arricchirsi con un po’ di conoscenza del firmamento, quindi sorrise a sua volta e annuì, unendosi a loro saltellando allegramente verso il seminterrato.

La mattina successiva ricominciò il loro ciclo settimanale e finalmente riuscirono a finire la lettura per Manipolazione; decisero d’interrogarsi a vicenda per essere certi di poter rispondere ad eventuali domande poste da Kir, e prima che potessero dirsi soddisfatti dovettero lasciare il seminterrato per pranzare.
Nel tempo che precedette la lezione di Elementi Cedric decise di cominciare a leggere Evocando l’Aria che Mike si portava in borsa ormai da giorni in attesa di essere aperto. Perciò si riunirono nel seminterrato insieme a Deala, che come spesso accadeva si ritrovava a camminare o a studiare insieme a loro.
Appena si furono seduti e Mike ebbe tirato fuori il libro, la giovane di Melonas esclamò a bocca aperta: «Dove l’hai trovato? Io l’ho cercato in quattro librerie diverse!»
Mike sfoderò un sorriso ammiccante e fingendo di sistemarsi un cappello sul capo disse: «Magia!» facendo ridere tutti tranne Cedric.
Alla lezione pomeridiana questa volta parteciparono tutti gli studenti, e ancora il tema era cercare di dominare l’Aria. La metà non riuscì, ma i ragazzi di Darvil non erano tra quelli: tutti e sei riuscirono a sollevare la propria borsa di pelle con la magia e posarla sul banco ripetutamente, per quasi tutta la durata della lezione - alla fine Jennifer tremava per lo sforzo e Andrew ansimava un poco.
Susan si accorse delle occhiatacce di Velia che al contrario di lei faticava parecchio a controllare la traiettoria della borsa, o la quantità di aria necessaria a muoverla, e non poté fare a meno di sorridere soddisfatta fingendo sfacciatamente di ignorarla; ne era stata certa fin da subito che quando fosse venuto il momento di passare alla pratica la smorfiosa castana non avrebbe potuto eguagliare le sue abilità, essendo Susan legata a Sulphane.
Più o meno a metà lezione Mike colse l’occasione per porre la domanda che Cedric non aveva voluto esporre la settimana prima: «Allia? Mi chiedevo perché l’Aria cambia colore per ognuno di noi. Sembra che la magia in generale abbia per ognuno un colore diverso, ma sempre lo stesso anche se facciamo magie diverse.»
L’insegnante sorrise e si mise una mano sotto al mento quando rispose: «Una domanda interessante. Non si è mai riuscito a capire perché, ma c’è una valida ipotesi a riguardo che ogni mago tiene per buona; semplicemente il colore che la magia assume è quello che meglio rispecchia la nostra anima. Non è legato al potere, alle capacità, o alla quantità di energie e magia che un mago manipola. Come hai giustamente notato, ogni persona ha il proprio colore, un’impronta unica tanto quanto la forma del lobo di un orecchio; quel colore è la tua identità magica. Non saprei spiegarlo meglio, e sinceramente mi piace pensare che questa teoria sia quella più simile alla realtà.»
«In effetti potrebbe avere senso.» disse il ragazzino più a se stesso che a lei, pensando a quanto il suo colore fosse simile a quello delle scaglie di Zaffir; evidentemente la sua identità magica coincideva con quella della creatura grazie alla quale ora poteva usare la magia. E così doveva essere anche per gli altri cinque.
Ma a quel punto si domandò con quale criterio per le persone normali la magia acquisisse un colore piuttosto che un altro, come facesse a decidere da sé quale colore rispecchiasse al meglio l’anima di una persona, sempre che la teoria di Allia fosse giusta. Forse era Aendail stessa a deciderlo, come decideva chi fosse portato all’uso della magia fin dalla nascita e chi invece doveva studiare sodo e impegnarsi.
E poi ci siamo noi, che probabilmente senza i draghi non saremmo mai stati degni di usare la magia per Aendail, eppure siamo qui pensò sconfortato, sostenendosi pigramente la testa con un braccio mentre guardava la propria borsa a tracolla venire sollevata e abbassata dalla nuvola d’aria blu brillante.

La mattina seguente a lezione di Guarigione, approfittando del fatto che Houl volesse correggere i compiti scritti chiamando gli studenti uno alla volta alla cattedra, Jennifer e Mike si proposero di rimettere in sesto Layla che ancora aveva vistosi lividi a causa della lezione di Difesa. In due riuscirono a riportare la sua pelle perfettamente sana e rosea com’era sempre stata; persino il dolore scomparve e la più grande li ringraziò perché aveva già provato da sola ma non aveva ottenuto alcun risultato.
Nel pomeriggio Mike Susan e Andrew si unirono a Deala per riprendere a interrogarsi sulla materia Manipolazione, mentre Cedric Jennifer e Layla andarono a lezione di Storia.
Questa volta Erbil parlò di come, una volta che gli Umani si erano ripresi dalla guerra che gli aveva assicurato il controllo su gran parte del territorio di Dargovas, vennero fondate le città, e soprattutto di come alcune di esse si fossero arricchite a discapito di altre, fino ad arrivare alle lotte e gli scontri che avevano visto Eunev uscirne vincitrice, e quindi essere definita capitale del Regno umano.
Di nuovo fece solo un accenno alla recente guerra scatenata da Vonemmen per la propria indipendenza da Eunev, ma ormai sembrava chiaro che prima o poi ne avrebbero discusso sebbene si trattasse di storia contemporanea; molti studenti parevano incuriositi tuttavia senza il coraggio di porre domande.
Cedric Jennifer e Layla sarebbero stati liberi fino alla lezione di Manipolazione, ovvero il pomeriggio del quarto giorno. Decisero quindi di cominciare a leggere uno dei libri consigliati dall’insegnante di Storia riguardo il periodo buio che aveva visto la nascita dell’impero di Eunev mentre gli altri avrebbero seguito la lezione di Evocazione.
Nella spaziosa aula arancione furono chiamati tutti uno alla volta al centro per evocare una creatura seguendo i limiti imposti dall’insegnante: poteva avere qualsiasi forma ma doveva essere composta d’Aria, essere delle dimensioni di un cane da guardia, e dovevano controllarla in modo che fluttuasse al massimo a un piede d’altezza da terra.
Un ragazzo, giusto per divertirsi, volle dare alla propria creatura la forma di un rastrello per vedere cosa sarebbe successo, e il risultato fu che per una buona parte della lezione alcuni studenti rimasero troppo presi dalle risate per concentrarsi a sufficienza ed evocare.
Il pomeriggio decisero di andare dai draghetti e dormire con loro, rimanendo fuori da Eunev fino al mezzogiorno successivo, prima di andare a lezione di Manipolazione.
Parlarono molto ed entusiasticamente, ma anche giocarono e si sincerarono delle loro condizioni sperando che il freddo non li turbasse troppo. Provarono a trasmettergli le loro conoscenze sulla magia e si divertirono a guardare le piccole creature che provavano a manipolare l’ambiente intorno a loro, in particolare l’aria, che in diversi punti si tinse di colori luminosi.
Su proposta di Jennifer poi andarono in giro per il bosco alla ricerca di funghi, per allenarsi a capire quali fossero velenosi e come riuscire a distinguerli da quelli commestibili. La ragazzina si maledisse per aver lasciato i propri schizzi nella sua stanza a scuola, ma fortunatamente anche Mike e Susan avevano prestato attenzione alla lezione e riuscirono a riassumerla egregiamente, in tre.
A Jennifer venne spontaneo chiedere a Cedric se potesse aiutarli a leggere qualche libro di approfondimento su piante o specie animali di Dargovas, che dopotutto avrebbe giovato a tutti - soprattutto a chi di loro studiava anche Alchimia - e il ragazzo si trovò costretto ad annuire, questa volta non troppo infastidito.
Rubia si guardò bene dal raccontare ai ragazzi cosa fosse successo la settimana prima nella radura, come non lo aveva detto agli altri draghi, e per tutto il tempo rimase silenziosa e schiva, seguendo Jennifer ovunque andasse solo passivamente. Non aveva il coraggio di dire che probabilmente li aveva cacciati nei guai.
Per la notte si costruirono un riparo vicino alle vecchie tane di volpe usando diverse fronde di abete e mangiarono un po’ di pane che avevano preso dal tavolo da pranzo e nascosto nelle borse; dormirono tutti vicini per tenersi più al caldo, e la mattina dopo si svegliarono pieni d’imbarazzo.
Sulphane fu rapida a scacciare quelle sensazioni correndo in un cerchio attorno a loro, al che Susan si stiracchiò e si alzò per rincorrerla, ormai senza molte possibilità di raggiungerla.
Decisero di tornare a Eunev prima del previsto, per lavarsi dopo aver passato una notte all’aperto, cambiarsi le vesti e mettere le altre a lavare, e quindi ne approfittarono anche per fare un pranzo sostanzioso nel refettorio comune.
La lezione di Manipolazione andò bene, Kir interrogò solo alcuni ragazzi, e dal momento che quelli risposero correttamente a tutte le domande non ci fu bisogno di interpellarne altri; Susan trasse un sospiro di sollievo, dicendosi che benché avesse studiato insieme agli altri e fosse sicura di ricordare bene ogni cosa, una volta alla cattedra il panico avrebbe sicuramente avuto la meglio su di lei facendole dimenticare tutto. Tanto meglio se Kir non l’aveva interrogata.
La notte Mike e Cedric parteciparono alla lezione di Astronomia insieme a Noumea e Vill, dove studiarono un’altra costellazione, ma il primo e l’ultimo parlarono tra loro per gran parte del tempo, non mostrandosi particolarmente interessati a ciò che l’insegnante stava dicendo, al contrario degli altri; Noumea più di una volta gli rivolse uno sguardo di rimprovero, ma non espresse mai il proprio sdegno a voce continuando piuttosto a prendere appunti in silenzio.

La mattina dopo ad Alchimia studiarono uno degli svariati modi di produrre una pozione per respirare temporaneamente sott’acqua; tutte le versioni avevano come ingrediente comune il fiore dell’onda, una pianta così chiamata perché cresceva solo in acqua salata ed era interamente blu dallo stelo ai petali.
Il solo fatto di poter respirare in acqua in sé lasciò molti degli studenti attoniti e sinceramente interessati alla preparazione di una pozione simile, che poteva tornare molto utile. Ancora non avevano ben compreso realmente le potenzialità che dava la padronanza dell’alchimia, ma dopo una lezione del genere molti studenti s’interessarono ad approfondirla al rango seguente, curiosi di sapere in quale altro modo il produrre pozioni avrebbe potuto alterare la realtà andando contro gli stessi principi della natura.

A lezione di Biologia della mattina seguente una ragazza domandò a Dalca se gli fosse possibile approfondire come trarre le energie vitali dalle piante intorno a loro senza ucciderle, quindi l’insegnante modificò il programma per spendere alcune ore su quell’argomento: non era tanto diverso dal prelevare le energie a una persona, spiegò, con la differenza che una pianta non dava molti segni ammonitori per far capire quante energie le rimanessero; naturalmente non essendo un essere senziente non poteva dar loro segnali espliciti, piuttosto solo energetici, o variazioni del proprio aspetto, e Dalca cercò di dare loro alcune linee guida.
Disse di guardare principalmente la secchezza dei petali se ce n’erano, o in alternativa delle foglie, e solo successivamente notare se la pianta avesse o meno problemi a reggersi eretta. Comunque, il mago aveva sempre modo di mettersi in contatto più profondo con le sue energie, in modo da poter percepire quante quella pianta fosse ancora in grado di donarne senza poi rischiare di appassire, incapace di sostenere le proprie funzioni vitali così differenti dalle loro e allo stesso tempo simili.
A fine lezione, mentre scendevano le scale per andare a pranzare, Jennifer espresse la sua opinione dicendo che non trovava bello prelevare energie da un essere vivente che non aveva modo di opporsi, mentre Mike ribatté che, se c’era la possibilità di morire, lui non avrebbe esitato a uccidere una pianta per salvare se stesso.
La lezione di Telepatia del pomeriggio gli diede modo di discutere ampiamente dell’argomento, dato che loro due erano gli unici a non partecipare, mentre gli altri continuarono la lezione della settimana precedente con la differenza che questa volta Meidrea pretese che comunicassero solo scambiandosi emozioni.
La mattina del settimo giorno lessero qualcosa di Biologia come Jennifer aveva proposto nel bosco, e il pomeriggio tutti eccetto Cedric e Susan si presentarono per studiare Difesa: i due andarono di nuovo a leggere di Astronomia insieme a Noumea, mentre gli altri ripetevano la lezione della settimana prima, tenendo gli stessi gruppi di lanciatori di sfere, ma questa volta fecero a turni per evocare la barriera difensiva e Layla si ritrovò ad ammettere che bersagliare il malcapitato con quelle piccole sfere di cristallo traslucido fosse assai divertente.

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Capitolo 52
*** An unusual lesson ***


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Il colore del titolo del capitolo corrisponde al colore della regione in cui la storia al momento si svolge, tenete d'occhio la mappa per sapere dove ci troviamo!

AN UNUSUAL LESSON

Nella loro terza settimana da Ammessi le cose cambiarono lievemente per quanto riguardava Elementi, Evocazione e Manipolazione: le tre materie difatti, andando di pari passo le une con le altre, cambiarono l’elemento soggetto delle lezioni. Dall’Aria passarono alla Terra.
Risultava più difficile dell’Aria da controllare nonostante Allia e Wolgret provvedettero a procurargli dei campioni da cui partire. La donna gli mostrò quello che manipolando l’elemento avrebbero potuto fare facendo crescere e sbocciare un fiore nel vaso, che poi sparì, e la terra invece s’increspò creando delle dune che crebbero in altezza fino a diventare minuscole montagne.
Usando la Terra, disse alla classe, si potevano innalzare picchi di roccia verso il cielo, provocare terremoti, prendere il controllo delle piante per farle sbocciare o appassire, o ancora modificarne la forma e far fuoriuscire le loro radici da terra per usarle come fruste, modificare i minerali o crearne artificialmente di nuovi. Se diversi maghi particolarmente potenti ed esperti nella manipolazione di quell’elemento univano le forze, avrebbero potuto addirittura cambiare la conformazione di una catena montuosa.
Ma sembrava appunto un elemento molto difficile da manipolare o controllare, più restio al cambiamento rispetto all’Aria che invece essendo in costante movimento e alterazione non offriva alcuna resistenza.
Le lezioni pratiche di Elementi ed Evocazione non andarono bene a nessuno, Kir diede loro altri libri da leggere incentrati sull’elemento Terra, mentre bene o male le lezioni delle altre materie rimasero invariate per le successive due settimane. Gli toccò leggere parecchio, tanto che si ritrovarono a stare svegli riuniti in gruppo anche di notte per poter studiare e riuscire meglio nella pratica.
Cedric festeggiò il suo quindicesimo compleanno per metà della giornata leggendo agli altri un libro che dispensava consigli su come controllare la Terra e per l’altra metà cercando di tenere Layla fuori dalla propria mente durante la lezione di Telepatia. Lui sapeva bene che giorno fosse, ma non si preoccupò di dire agli altri che il ventesimo giorno del mese di Maerah era il giorno in cui era nato; tecnicamente Mike e Layla avrebbero dovuto saperlo, ma nessuno dei due accennò a fargli gli auguri. Dunque semplicemente lasciò perdere.
La lezione di Storia della quarta settimana invece fu decisamente interessante: finalmente si parlò della guerra d’indipendenza scatenata da Vonemmen ai danni di Eunev e appoggiata dalle città dell’est.
Jennifer guardò di sfuggita Vill temendo che la lezione avrebbe potuto turbarlo, ma il giovane si limitò semplicemente a posare la penna; di certo lui che l’aveva vissuta in prima persona non aveva bisogno di prendere appunti.
Dopo diversi decenni di pace che aveva seguito la lotta alla nomina di capitale del Regno umano di Dargovas infatti, Vonemmen - della quale i successivi reggenti non avevano mai completamente appoggiato la sottomissione a Eunev, essendo essa una città altrettanto ricca e importante - si era apertamente dichiarata contro Eunev e il suo impero che aveva notevolmente impoverito le città a est del fiume Berst in favore di quelle dell’ovest.
L’est era già di per sé un luogo più difficile in cui vivere, perché ampiamente occupato da un deserto arido, tre vulcani, paludi di catrame e vicino a Shiraleddar. Ma Vonemmen e le città minori che a essa si erano sottomesse avevano smesso di commerciare con l’ovest sperando di causare instabilità a Eunev e al suo impero, basando invece la propria sopravvivenza sul commercio con gli Spettri, talvolta minacciato dall’ostilità tra le due razze, ma i non-morti potevano fornire agli umani metalli e cristallo estratti direttamente dalla catena montuosa sulla quale avevano edificato la loro unica città.
Fino al momento presente non c’erano ancora mai stati scontri tra i due eserciti, anche se la tensione tra est e ovest era lampante e i cittadini delle relative regioni potevano avere non pochi problemi a spostarsi. La scuola di magia era una delle poche eccezioni che consentiva ai cittadini dell’est di camminare liberamente nelle terre dell’ovest, ma nello stesso tempo le regioni dell’est scoraggiavano i propri cittadini a intraprendere il lungo viaggio solo per poi finanziare Eunev.
Elestrea - una ragazza dai capelli rossi piuttosto simile a Jennifer, se non fosse per il fisico più slanciato e sviluppato - pose la domanda che i ragazzini di Darvil non avevano avuto il coraggio di chiedere: domandò a Erbil se fosse possibile sapere qualcosa sugli Spettri e la guerra interna scoppiata nella stessa Vonemmen a causa dei non-morti.
Solo a quel punto Vill e Gaule diedero segni di disagio, essendo fuggiti da quella situazione sperando di non doverne più sentir parlare per almeno qualche mese. Ma l’attenzione suscitata dalla richiesta della ragazza mise in difficoltà l’insegnante.
L’uomo si umettò le labbra e cominciò lentamente a rispondere partendo con la premessa che, nonostante gli Spettri fossero arrivati a Dargovas ormai decenni addietro, ancora non si sapeva molto di loro, né come esattamente fossero approdati sul continente.
Girava voce, disse loro, che fossero nati tutti o in larga parte da un solo uomo, o spettro, che ora veniva chiamato Ashinesh - che significava ‘falso padre’ nella loro nuova lingua. Il procedimento che mutava un umano in spettro agli Umani era sconosciuto, ma si diceva che fosse un’evoluzione estremamente dolorosa e terribile alla quale assistere, perché era come veder morire qualcuno; con la differenza che poi quel qualcuno si rialzava da terra e si ritrovava a dover affrontare i cambiamenti del suo corpo che lentamente moriva ma non smetteva di funzionare, grazie a qualche magia. Molti umani tramutati in spettri perdevano la memoria, completamente o solo in parte, mentre altri non dimenticavano nulla e anzi si portavano dietro il peso di quei ricordi della trasformazione e la consapevolezza di non poter più tornare umani, e per questo spesso perdevano del tutto la ragione. Ma anche lì, il perché il processo non fosse reversibile era un mistero, e tutti, nessuno escluso, per qualche motivo dimenticavano qualsiasi lingua avessero appreso durante gli anni per parlare unicamente la lingua degli Spettri, detta anche della Magia Nera - ovvero quell’oscura magia che consentiva loro di continuare a vivere in un corpo sostanzialmente morto.
Di questo Ashinesh non si sapeva nulla, se non che fosse stato il primo spettro conosciuto e che fosse per qualche motivo innaturalmente potente rispetto agli altri; si diceva anche che un singolo spetto potesse sopraffare dieci uomini in un combattimento corpo a corpo e uscirne ancora in forze. Per non parlare della loro predisposizione alla magia: questi due motivi - disse Erbil - avevano scatenato la guerra civile tutt’ora in corso all’interno della città, perché gli spettri avevano inavvertitamente o volontariamente ferito, ucciso, stuprato, menomato uomini e donne, giovani e vecchi.
Una delle poche cose certe che gli Umani avevano in mano riguardo quella misteriosa razza era che si trattava di creature estremamente instabili e suscettibili, che quando perdevano il controllo causavano ingenti danni a persone, animali, edifici o ambiente. Erano apparentemente inarrestabili, le guardie della città faticavano a contenerli quando ciò succedeva; più lo spettro era potente, più persone potevano morire prima che rimanesse a secco di energie. Ma a quanto pareva erano anche molto sensibili alla luce e ai cambiamenti a cui era soggetta la magia, e gli Umani col tempo avevano imparato a difendersi sfruttando quelle loro limitate debolezze; senza magia nel proprio corpo uno spettro cessava di esistere, perché non era vivo, e la magia gli procurava le energie di cui aveva bisogno.
C’era chi, da entrambe le parti, si sforzava al massimo delle proprie forze per convivere in pace, perché la gran parte di quegli spettri non era diventata tale per propria scelta. Anzi erano pochi quelli che coscientemente si rivolgevano a uno spettro per chiedere di essere mutati; solo un altro spettro poteva farlo, e questo era un altro dei numerosi misteri che quella nuova razza si portava dietro.
La gran parte degli abitanti di Vonemmen invece, unica città di Dargovas dove spettri e umani convivevano, non ne poteva più di queste creature che da un giorno con l’altro potevano far saltare in aria una via per motivi apparentemente inspiegabili. Ed ecco spiegato il perché della guerra civile che poi aveva coinvolto anche il resto di Dargovas, o la parte umana. Gli Umani sostenevano che la guerra fosse scoppiata a causa degli Spettri, ai quali dovevano porre una fine sterminandoli tutti, in modo che non potessero tramutare altri esseri viventi in non-morti. E così era nata una confraternita che si era stabilita nell’unica regione di Dargovas ancora libera da qualsiasi controllo, chiusa al centro del continente da tre fiumi, dal clima desertico o paludoso. Quella era diventata la sede di ciò che negli anni si era trasformato in un vero e proprio esercito al quale si erano uniti uomini sia dall’est che dall’ovest per combattere la minaccia dei non-morti.
Ma Erbil non si mostrò altrettanto convinto da questa teoria, per quanto la convivenza con gli spettri fosse difficile non credeva che fosse un buon motivo per voler commettere gli errori del passato e provare a cancellare l’esistenza di un’intera razza dal continente.
A quell’affermazione Vill storse il naso in una smorfia e sussurrò aspramente: «Questo perché non sai di cosa stai parlando.» ma nessuno eccetto i compagni di banco a lui più vicini lo sentì.
Elestrea invece, evidentemente non ancora soddisfatta della lezione, pose un’altra domanda: «Ma se non è possibile tornare umani, come mai a Ochasta ho sentito parlare di mezzi spettri? Cosa sono se non, come dice il nome, spettri per metà?»
«I mezzi spettri sono esattamente quello.» rispose l’insegnante «Ma non sono spettri che sono riusciti in parte a tornare umani; bensì umani che non sono stati completamente mutati in spettri, e che quindi presentano le caratteristiche di entrambe le razze.»
«Ma sono ancora vivi o sono non-morti anche loro?» domandò Ivniraz.
«Sono ancora vivi e possono morire esattamente come può un umano, ma hanno una parte di quella magia che gli dà parte delle caratteristiche degli Spettri.»
«Ma ancora non capisco...» riprese Elestrea con la fronte corrucciata «Non si sa proprio nulla di questo processo? Insomma, cosa succede? Come si muore? Bisogna essere morti per diventare spettri o il processo in sé uccide?»
«Non sono informazioni conosciute dagli Umani, e penso che chiederlo direttamente a uno spettro sarebbe una pessima idea.» rispose Erbil.
«Ma chiederlo a un mezzo spettro no!» obiettò lei «Perché nessuno l’ha fatto? E se l’hanno fatto, perché non si è sparsa la conoscenza? Ci sono libri che parlano di questa razza?»
L’insegnante scosse la testa: «Solo alcuni manoscritti e per lo più custoditi nei palazzi, nelle caserme o nelle cattedrali, è estremamente difficile trovarne alla portata di tutti in una biblioteca. E la scuola di magia non fa eccezione, voi siete qui per studiare magia, non gli spettri.»
«Ma gli Spettri ormai fanno parte della storia di Dargovas, non sarebbe sbagliato farne materia di studio come si fa degli Elfi o degli Orchi.» obiettò Seam con sguardo tetro.
«Di Elfi e Orchi insegniamo ciò che si sa, ma a meno che non vogliate specializzarvi nella materia non studierete quel poco che si conosce della loro cultura, e lo stesso vale per gli Spettri. Ho risposto alla domanda posta dalla ragazza perché tutti sembravate molto interessati e perché è giusto che voi mi chiediate di parlare di argomenti di vostro interesse ogni tanto. Ma al contrario di Elfi e Orchi, come detto poco fa, non abbiamo documenti scritti che riportino le caratteristiche di questi Spettri...»
«Ma sono passati più di cento anni dalla loro comparsa! Perché non si sa nulla?» lo interruppe con enfasi.
L’insegnante rispose all’interruzione con un pesante sospiro: «Perché tutto ciò che li riguarda è inspiegabile, contro natura. Sono cose di cui nessuno sa nulla perché certe cose le si può comprendere solo quando le si vive sulla propria pelle, e per ovvie ragioni nessun umano può. Forse se poni queste domande a uno spettro sarai abbastanza fortunato da ottenere una risposta... o forse non vi capireste e non la otterresti mai, o ancora potresti ottenerla, ma il tuo interlocutore potrebbe non provare piacere a parlarne e trattandosi di esseri imprevedibili potresti anche essere ucciso prima o dopo aver ottenuto ciò che cercavi. Hanno già provato a instaurare contatti con gli Spettri solo per chiedergli come il loro corpo funzioni, e non molti sono sopravvissuti. Quello che si sa lo dobbiamo a quell’esiguo numero che ha ottenuto una risposta e in più era in grado di capirla.» richiuse il libro che aveva usato per la prima parte della lezione e riprese con un tono più rilassato: «Ma ora è meglio che andiate, l’orario della lezione è terminato diversi minuti fa.»
«Esseri morti ma vivi.» commentò Jennifer incredula mentre scendevano le scale a spirale «Sembra quasi un insulto alla vita, non vi pare?»
«Esseri umani morti ma vivi.» la corresse Cedric «Secondo quanto Erbil ha detto sarebbe più corretto considerarli degli umani particolarmente sfortunati.»
«Non sono più umani, che l’abbiano voluto o no.» ribatté la ragazzina «Non è scorretto definirli per quello che sono.»
«No, certo. Intendevo solo dire che probabilmente a loro non piacerebbe venir definiti ‘Esseri’ e basta.»
Jennifer girò gli occhi e si costrinse a sorridere per poi dargli ragione e non andare avanti a discutere di simili sottigliezze all’infinito; probabilmente non avrebbero mai incontrato uno spettro comunque, quindi non aveva la minima importanza di come li definissero.
Decisero di condividere con gli altri tre le nuove informazioni quando ancora erano fresche nella loro memoria, quindi discussero degli Spettri fino a notte, quando Susan disse che sarebbe stato meglio per loro dormire un po’ dato che la mattina seguente avevano una lezione che si prospettava impegnativa.
E così fu infatti, ma solo Andrew e Irea riuscirono a dare forma a una piccola creatura di terra partendo dal mucchietto dentro al vaso che avevano sul banco. Andrew si sorprese di quanta fatica gli costasse tenerla in vita rispetto a quella evocata dall’Aria, nonostante questa fosse notevolmente più piccola.
Dopo appena due minuti la creatura svanì, il ragazzino ansimava e sudava per lo sforzo che aveva compiuto cercando di tenerla presente il più a lungo possibile; le sue mani smisero di brillare di una luce rosso sangue screziata da ombre nere e la polvere ricadde nel vaso mentre lui si accasciava sulla sedia senza forze.
Wolgret si avvicinò per assicurarsi che stesse bene e posandogli una mano sulla spalla gli propose di andare a riposarsi in camera o di andare a bere qualcosa, così Andrew annuì e si alzò dal banco per lasciare l’aula. Era ancora presto, dal momento che non era passata la prima ora di lezione, ma l’insegnante non gli aveva chiesto di tornare, perciò immaginò che fosse esonerato per quel giorno.
Non trovando gli altri compagni in alcuna delle camere capì che dovevano essere al loro solito posto nel seminterrato e si avviò di nuovo verso il cortile. Si coprì col mantello e arrancò nella neve sentendosi le gambe ancora molli, e si ritrovò a sperare di non cadere svenuto in mezzo al gelo all’improvviso per mancanza di forze; ancora sudava e quel freddo gli faceva ghiacciare le gocce sulla fronte.
Sospirò sollevato quando entrò nell’ambiente chiuso e riscaldato del seminterrato, e non ci mise molto a trovare gli altri tre che leggevano sempre nel solito scompartimento.
Jennifer appena lo vide sgranò gli occhi e gli chiese: «Cosa ci fai qui? Non avevi lezione?»
Andrew si limitò ad annuire debolmente, ancora tremando e ancora sostando in piedi nello spazio tra le sottili pareti di legno che fungeva da ingresso.
«Stai bene?» gli chiese Cedric preoccupato alzando appena lo sguardo dal libro per guardarlo negli occhi.
Di nuovo Andrew si limitò ad annuire e Layla si affrettò ad alzarsi per prenderlo sottobraccio e condurlo al tavolo per farlo sedere tra lei e Cedric.
«Stai congelando!» esclamò la ragazza più grande, attirando gli sguardi anche degli altri due.
«Che è successo?» incalzò allora Jennifer sporgendosi sul tavolo per poterlo guardare, dal momento che si trovava all’altro lato di Cedric.
«Niente.» sussurrò Andrew con una scrollata di spalle, la voce faticava a uscirgli «Ho evocato.»
«È così faticoso? L’ultima volta ne avevate parlato diversamente...»
«Terra.» si limitò a dire il ragazzino interrompendola.
«Oh, giusto.» sussurrò Jennifer «Hai bisogno di una mano? Possiamo rimetterti in sesto!»
«No... No, è proibito.» balbettò Andrew scuotendo piano la testa.
«È proibito fare del male agli altri, non restituirgli le energie.» ribatté lei.
«Ma...»
«Siamo andati bene a lezione di Guarigione, non avremo problemi.» disse Layla prendendogli una mano pronta a dargli parte delle proprie energie «Dimmi quando ti senti meglio.»
Andrew si trovò costretto ad accettare il loro aiuto e a turno, prima Layla poi Cedric, gli passarono abbastanza energie da fargli almeno tornare il colore in viso e il calore in corpo. A un suo cenno entrambi smisero di usare la magia e gli lasciarono le mani, dopodiché il più piccolo fu finalmente in grado di parlare e spiegò cosa fosse successo, lasciando gli altri sorpresi che soli due minuti di controllo sulla Terra lo avessero ridotto in quello stato.
Dopo che ebbero pranzato e che Mike e Susan si fossero assicurati che Andrew stesse bene, tornarono nel seminterrato per continuare a leggere dei consigli su come controllare la Terra, e lungo la strada Mike e Susan raccontarono di come fosse andato il resto della lezione - in cui nessun altro era riuscito a evocare - quindi Andrew si concesse alcuni minuti per pavoneggiarsi. Deala li raggiunse correndo prima che entrassero, e insieme si sedettero al tavolo.
Mike prese il libro dalla sua borsa e lo mise in mano a Cedric. Solo in quel momento, guardando il più grande negli occhi di sfuggita, gli venne in mente che doveva aver compiuto quindici anni la settimana prima perché erano ormai quasi giunti alla fine del mese.
Si schiarì la gola attirando l’attenzione di tutti e per non fare del tutto una pessima figura decise di porre la sua certezza in forma di domanda: «Il mese di Maerah sta finendo? Che giorno è?»
Deala tirò fuori una specie di calendario e lo consultò, ma non fece in tempo a parlare perché Cedric rispose quasi subito: «Oggi è il ventiquattro, sì. Mancano sei giorni alla fine del mese. Perché?»
«Quindi è tempo della festa di fine inverno al villaggio! Chissà come se la stanno cavando.» prese tempo il ragazzino, ripensando con un sospiro nostalgico alla settimana di festa che il villaggio organizzava secondo la tradizione.
«Festa di fine inverno?» domandò Deala curiosa «Sembra divertente!»
«Lo è!» esclamò Andrew, e si buttò in una dettagliata descrizione della settimana.
Venivano organizzati giochi per i bambini quali staffette, salto della corda, indovinelli, caccia al tesoro, corse coi sacchi, e alcuni strani giochi della tradizione, come cercare di addentare della frutta appesa a uno spago senza usare le mani, rincorrere e cercare di afferrare un pollo nel recinto, indovinare il nome di una pietanza - cibo o bevanda - senza poterla vedere ma solo assaggiandola, un gioco simile agli scacchi ma con regole più semplici apposta per i più giovani, o ancora un gioco in cui si facevano delle domande e in base alle risposte che davi dovevi poggiare mani o piedi su appositi simboli disegnati a terra - giocare in più di uno a quel gioco voleva dire doversi per forza ingarbugliare tra i corpi, le braccia e le gambe degli altri ragazzi. Molti giochi erano a punti. Erano numerosi i giochi in cui veniva proposto di partecipare a coppie, spesso uno dei due era molto più giovane e l’altro quasi adulto, in modo che anche i più piccoli avessero uguali possibilità di vincere un gioco. Alla fine di ogni giorno i punti venivano sommati, e dopo l’eclissi delle lune i vincitori ricevevano un piccolo premio - di solito una statuina intagliata nel legno con scritto l’anno della vittoria.
Veniva preparata una quantità di cibo incalcolabile, chi aveva fame si serviva ai tavoli quando e quanto voleva: c’erano stufati, pasticci di carne, salumi, pollame e cacciagione cotte sugli spiedi, verdure crude o cotte, panini dalle forme più bizzarre, caldarroste, e soprattutto i dolci. Torte ripiene di creme ai frutti di bosco, biscotti, involtini di crema, tartine alla frutta, marmellate da spalmare con pane e burro e infinite altre cose che facevano venire fame solo a guardarle.
E la sera, quando faceva buio e tutti i giovani avevano il fiatone per aver giocato ore di fila, si accendevano i falò nella piazza principale e i cantastorie raccontavano le vicende più belle e conosciute del continente. Il miglior modo per fare andare a letto presto i ragazzini: stremarli di giorno e raccontare loro meravigliose storie la sera mentre cenavano, lasciandogli così una notte ricca di bei sogni.
«E l’ultima notte si guarda l’eclissi di Dela e Yra.» completò Susan con le mani giunte e gli occhi chiusi, figurandosi nella mente la luna più piccola passare davanti a quella più grande, che in quell’occasione tuttavia apparivano quasi delle stesse dimensioni, e sparire inghiottite dal cielo nero «Io spesso aiutavo mio padre e mia madre a preparare i dolci.»
«Anch’io, mia madre partecipava sempre con almeno una torta.» disse Layla sorridendo divertita.
Deala rise, poi si fece più nostalgica: «Mi piacerebbe sapere di più delle vostre tradizioni, alla mia famiglia non è mai piaciuto far parte di queste manifestazioni. Melonas è una città troppo grande, si perde quel senso d’intimità che sicuramente è presente a Darvil.»
Incuriosita, Jennifer le domandò: «Per caso il tuo nome è ispirato a quello della Luna Maggiore?»
Deala sorrise e annuì: «Mia madre è un’amante dell’astronomia, sì. Ha chiamato me in omaggio alla luna Dela e mia sorella più piccola in omaggio alla luna Yra. A entrambe ha dato un ciondolo che portiamo sempre con noi.» e nel dire ciò con aria malinconica estrasse da sotto la veste una catenella d’argento con una luna viola come pendente, striata talvolta di bianco e talvolta di blu proprio come una Dela in miniatura.
«Anche mia madre mi ha lasciato un ciondolo simile prima che partissi.» intervenne Layla sorpresa estraendo la sua collana a sua volta, fino allora tenuta nascosta sotto la veste nera dal collo alto.
Mettendole a confronto risultarono spaventosamente simili, e la Darvilena arrivò a chiedersi come mai e dove le sue ave potessero aver trovato un simile ciondolo.
«Forse è solo una coincidenza.» sussurrò infine Deala pensierosa fissando il proprio ciondolo e poi quello di Layla.
Mike, per smorzare la tensione, si finse d’un tratto sorpreso mettendosi una mano nei capelli e si rivolse al più grande: «Accidenti! Quindi hai già compiuto quindici anni.»
Cedric gli rivolse una smorfia sospettosa e Mike incrociò le dita sotto al tavolo sperando non avesse capito che il suo era stato solo un diversivo.
Layla fece finta di nulla continuando a fissare il proprio ciondolo, mentre Susan esclamò: «Davvero? Quasi un mese prima di me? Auguri!» e contro ogni previsione gli saltò al collo e lo abbracciò forte.
«Auguri in ritardo.» si affrettò a dire Andrew «Non lo sapevo, perché non l’hai detto?»
Il più grande si affrettò a scrollarsi la ragazzina di dosso e rispose stringendosi nelle spalle: «Non mi sembrava importante.»
«Ma certo che lo è!» ribatté Susan, poi si rivolse anche agli altri: «E per la mia festa mi aspetto qualcosa di bello!»
«Tipo cosa?» la rimbeccò Jennifer «Siamo qui per studiare, non possiamo farti regali o prepararti una torta!»
«Inventatevi qualcosa! La mia festa deve essere speciale!» disse lei giungendo le mani con aria sognante.
Deala d’un tratto la guardò con più attenzione dritta negli occhi finché si accorse di starla mettendo a disagio, quindi timidamente domandò: «Scusami, ma tu... tu non avevi gli occhi verdi?»
«Cosa?» ribatté Susan confusa, poi capì a cosa si riferisse e rise: «Oh sì! Sono verdi quando c’è bel tempo, ora sono azzurri perché minaccia neve costantemente!»
«Capisco... è che avrei giurato che fossero verdi quando ci siamo viste la prima volta.» sussurrò la giovane donna dalla pelle scura, poi rivolse un timido sguardo a Cedric e chiese: «Anche tu, vero? Sono quasi certa che avessi gli occhi azzurri quando ci siamo conosciuti, mentre ultimamente li hai grigi.»
Lui scosse le spalle e disse piano: «Anche io, sì.»
«Scusate le mie domande sciocche.» Deala si strinse nelle spalle, ma la sua carnagione impedì agli altri di notare che era arrossita.
«Figurati!» le sorrise Susan tutt’altro che offesa.
«Beh, auguri Cedric.» disse Jennifer con aria rassegnata, decisa ad accantonare l’idea di Susan per il momento, e Deala le fece eco.
«Grazie.» fece lui inespressivo «Ora possiamo continuare con gli studi?»
Layla sospirò profondamente cercando di trattenersi dal rimproverarlo per la sua sgarbatezza, e dal momento che lui aprì il libro e gli altri si sedettero meglio al tavolo riuscì a non parlare, limitandosi a sedere con la schiena rigida per la tensione.

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Capitolo 53
*** I want a hug ***


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Il colore del titolo del capitolo corrisponde al colore della regione in cui la storia al momento si svolge, tenete d'occhio la mappa per sapere dove ci troviamo!

I WANT A HUG

Il mese di Huunvod portò altre novità, perché di nuovo si cambiò elemento di studio e dalla Terra si passò all’Acqua sia in Elementi che in Evocazione e Manipolazione. Rispetto alla Terra risultò inaspettatamente facile da domare, ma pur sempre più restia al cambiamento rispetto all’Aria perché tendenzialmente immobile se non disturbata.
Mike si trovò bene fin da subito sebbene l’acqua in genere non gli piacesse e proprio per questo in un primo momento non riuscì a spiegarsi come mai invece gli risultasse così facile controllarla. Gli piacque addirittura, l’effetto traslucido tipico dell’elemento che distorceva qualsiasi cosa si trovasse dall’altra parte si mescolava con dei vivaci bagliori di quel blu elettrico che era la sua identità magica, quasi da perdersi allo sguardo e sembrare semplicemente acqua che brillasse di luce propria.
Anche Susan riuscì meglio degli altri nel controllo sull’Acqua, e notò con poco piacere che anche Velia sembrava riuscirci piuttosto facilmente. Più di una volta la guardò cupamente senza tuttavia perdere la concentrazione necessaria a portare avanti il proprio incantesimo; condividevano quasi persino il colore della loro identità magica, con la differenza che quello di Susan era un giallo splendente e vivace mentre quello di Velia era più pallido e paglierino, quasi tendente al grigio, ma certamente non era viola o verde. Era giallo, come il suo, e questo la faceva imbestialire nonostante non ce ne fosse motivo.
Mike si concentrò molto sulla lettura, cercando di impegnarsi a imparare per studiare per conto proprio, e sulla pratica clandestina chiuso nella sua cameretta; tutti loro talvolta facevano esercizi pratici di nascosto perché non si poteva fare fuori dalle aule, ma il più delle volte si riunivano per studiare insieme. Lui invece cominciò a cercare di restare da solo appena poteva, e il motivo di tutto ciò era solo uno: Layla.
Si sentiva troppo a disagio e sempre più spesso per i motivi più futili, quando si guardavano negli occhi a fatica riusciva a mantenere lo sguardo, arrossiva ogni volta che lei gli rivolgeva la parola, non riusciva a staccarle gli occhi di dosso e più volte si era reso conto di averla messa a disagio, quindi aveva dovuto rimediare in fretta per evitare che capisse che quel giorno, ormai mesi addietro, Jennifer aveva parlato di lui.
Aveva l’impressione che la ragazza avesse cominciato a tenerlo sotto controllo, e non voleva che lo pensasse neanche lontanamente. Doveva rimanere un segreto. Doveva continuare a pensare o che si trattasse di Cedric o che Jennifer l’avesse presa in giro.
Non se la sentiva di fronteggiarla perché già sapeva che non ne sarebbe stato in grado; verosimilmente sarebbe arrossito e avrebbe balbettato qualcosa d’incomprensibile per poi fuggire in imbarazzo. Nelle ultime settimane aveva addirittura faticato a dormire, svegliandosi anche più volte a notte apparentemente per nessuna ragione, salvo poi ricordare che aveva fatto un sogno o addirittura un incubo su Layla oppure su quei soldati che erano arrivati a ferirlo pur di spaventare lui e i suoi amici.
Gli altri notarono fin da subito che aveva qualcosa di strano, ma cercare di farlo parlare sembrava soltanto peggiorare la situazione, perché il ragazzino si stringeva nelle spalle a disagio e borbottava delle scuse, spesso tirando fuori la storia che per imparare a leggere aveva bisogno di solitudine e silenzio per concentrarsi.
«Puoi fare come me! Puoi unirti a noi, non è brutto!» gli aveva detto Susan la prima volta, riferendosi alle lezioni che sempre più spesso chiedeva a Cedric nei momenti liberi che condividevano.
Ma Mike quel giorno aveva scosso le spalle dicendo che preferiva fare da sé, e di lì in avanti non avevano provato a insistere più di tanto per ottenere le informazioni che bramavano.
Susan al contrario infatti aveva preso l’abitudine di sedersi in un luogo appartato e tranquillo accanto a Cedric, il quale si era finalmente convinto a farle da maestro. Fece lenti ma notevoli progressi e lui si scoprì un insegnante molto paziente, nelle prime due settimane di lettura lei si era limitata ad ascoltarlo leggere lentamente mentre il ragazzo teneva il segno col dito perché potesse seguirlo, e rispondeva a ogni sua domanda meglio che poteva.
Nelle ore di Manipolazione non avrebbero fatto pratica fino al rango successivo, al contrario ormai di tutte le altre materie salvo Storia e Astronomia che erano solo teoriche: in Guarigione avevano imparato piuttosto bene a scambiarsi energie vitali, sia chi fosse portato sia chi non lo fosse, e nelle ultime settimane avrebbero provato a curare alcune ferite appositamente inflitte all’insegnante; in Alchimia erano andati avanti a studiare come produrre i più svariati tipi di pozioni e veleni, ma le informazioni su ogni ingrediente da tenere a mente erano davvero troppe, come anche le variabili, gli esiti e le conseguenze degli errori; in Telepatia, dopo aver imparato a contattare le menti altrui, Meidrea li aveva introdotti alla difesa della mente e come schermarla per renderla invisibile a chi non sapesse esattamente dove trovare la persona, ma li aveva anche preparati annunciando che al rango successivo avrebbero provato a sfondare le difese di un compagno al contempo difendendo la propria mente, e questo aveva scoraggiato gran parte della classe a proseguire la materia; in Biologia nell’ultimo mese avevano studiato diversi esemplari di flora e fauna, imparato definitivamente a rifocillare le energie sfruttando l’ambiente attorno a loro e Dalca aveva persino accennato a come rintracciare il passaggio di qualcuno o qualcosa attraverso le tracce di energia o magia lasciate addosso alle piante tramite un contatto fisico diretto.
Nel frattempo il loro gruppo ristretto di sei individui - ed eventualmente Deala - si allargò comprendendo anche Noumea, Leudren, Ovittalia e Vill. A ogni pasto sedevano allo stesso tavolo e avevano cominciato a conoscersi più a fondo trovando piacevole la compagnia reciproca, e sempre più spesso capitava che studiassero assieme; tutti loro avevano una certa antipatia per Velia e la sua scorta per via dei loro atteggiamenti di superiorità e da branco, e questo li aiutò a solidificare i legami.
Leudren tra loro era il più adulto, aveva vent’anni ed era estremamente sicuro di sé, era piuttosto narcisista ed egocentrico, adorava le adulazioni, ma se non altro era abbastanza intelligente da capire quando un’altra persona aveva bisogno di spazio, silenzio, aiuto, o una parola di conforto. Tutto sommato risultava quasi empatico. Layla l’aveva preso in antipatia nei primi tempi perché essendo nato e cresciuto a Eunev era abituato a sentirsi superiore ai più sfortunati e alle donne, ma quei mesi di vita nella scuola l’avevano lievemente cambiato e reso più disponibile al dialogo e umile. Pur rimanendo un’inguaribile testa calda.
La timida Noumea per la stessa ragione era partita con un sacco di complessi d’inferiorità, non parlava mai perché così le era stato insegnato, e se parlava si assicurava di non interrompere nessuno, era molto educata e servizievole, estremamente empatica ma tutto sommato di buona compagnia. Soprattutto negli ultimi tempi che, pur ancora evitando di risultare invadente, si era un po’ sbloccata e aveva acquisito maggiore sicurezza di sé.
Vill al contrario era rimasto costante in quei mesi, non era diventato più aperto e non parlava mai di sé, anzi parlava davvero poco. Ma aveva un gran senso dell’umorismo e di responsabilità, il che faceva di lui uno di quelli con la testa mediamente più sulle spalle essendo molto cauto e riflessivo. L’unica cosa che era cambiata di lui era l’umore: da quando aveva passato l’esame per diventare un Ammesso avevano notato un certo rilassamento e una maggiore apertura alle emozioni - forse perché non sarebbe tornato a Vonemmen tanto presto.
Deala invece era sempre stata molto esuberante, una bomba di ottimismo, determinazione, spiccato umorismo e vitalità. Non aveva paura di lanciarsi in discussioni anche se dell’argomento sapeva poco o niente, giusto per il piacere di confrontarsi con qualcuno. Era sempre un piacere infatti quando a tavola si sedeva a mangiare con loro. Ma anche lei sapeva capire quando era tempo di tenere la bocca chiusa e rispettare il silenzio altrui.
Ovittalia, l’ultima componente del loro gruppo, era un po’ una pedina incerta. Non la vedevano spesso a causa degli orari troppo differenti, ma da quel poco che avevano appreso gli piaceva: aveva diciannove anni, era una persona vivace e solare, le piaceva parlare e sembrava che qualsiasi argomento di conversazione la interessasse. Anche lei era molto empatica e sensibile alle emozioni, il che ne faceva un’ottima spalla su cui piangere e confessarsi.
Tutti loro sapevano leggere, e questo diede un po’ di respiro al povero Cedric quelle volte che uno qualunque dei cinque nuovi amici decideva di studiare insieme a loro. La stragrande maggioranza degli altri studenti invece a loro non voleva neanche avvicinarsi proprio a causa di Velia e delle voci che aveva sparso aiutata dalla sua fedele amica Hranda e dai due bestioni Irea e Tegro.

Nella seconda metà del mese di nuovo le materie che studiavano gli elementi cambiarono incentrando ora le lezioni sull’ultimo elemento fondamentale rimasto: il Fuoco.
Era per certi versi molto simile all’Aria, molto facile da manipolare se si partiva da una fiamma già presente, ma al tempo stesso dotato di una natura più imprevedibile e sfuggevole, tendente alla distruzione e quindi difficile da tenere sotto controllo. Non furono molti gli studenti che in quelle ultime settimane da Ammessi furono capaci di controllarlo appieno, e Cedric fu l’unico tra i ragazzini di Darvil; sembrava molto più portato a controllare quello piuttosto che gli altri elementi, e ognuno aveva un elemento in cui eccellere: se Cedric era bravo col Fuoco, Jennifer era decisamente la migliore a manipolare la Terra seguita subito da Layla, Susan e Mike l’Acqua e Andrew l’Aria.
Velia invece sembrava portata tanto quanto Cedric, forse per via della sua personalità vivace e irruente rappresentata al meglio da quell’elemento piuttosto che dagli altri. Fu quindi di nuovo il suo turno di punzecchiare la giovane Susan, la quale già dopo la prima lezione di Evocazione diede di matto.
Ma quello era il diciassettesimo giorno del mese, in cui si festeggiava la sua festa della nascita: avrebbe compiuto tredici anni, e tutti e cinque gli amici decisero che l’avrebbero portata fuori Eunev a distrarsi per festeggiare in compagnia dei piccoli draghi.
Si portarono qualcosa da mangiare fuori da scuola, di nascosto, perché avevano intenzione di rimanere la notte a dormire coi cuccioli dato che la mattina seguente nessuno avrebbe avuto lezione; quella settimana, essendo la penultima prima degli esami, avevano ancora dei compiti da fare e dei libri da leggere, ma si dissero che un giorno avrebbero potuto prenderselo libero e dedicarlo interamente alla loro amica.
Vedere i piccoli draghi, e Sulphane in particolare, fece istantaneamente dimenticare a Susan la questione Velia e Fuoco. Corse incontro alla draghetta gialla levandosi la casacca e lasciandola a terra, mentre Sulphane le correva incontro a sua volta, e si saltarono addosso a vicenda per abbracciarsi. Susan si fece più male del previsto cozzando col corpo dell’altra ormai muscoloso sebbene ancora non pesasse quanto lei; cadde distesa a terra mentre la dragonessa atterrò sulle quattro zampe assumendo un’aria impassibile, come se fosse rimasta ferma in piedi tutto il tempo.
Mentre cercava di rialzarsi dolorante, le domandò con voce roca: «Come mai sei così grossa eppure pesi ancora così poco? Pesi meno di me, ma hai... come dire... più muscoli.»
E come faccio a saperlo? Sarà una nostra caratteristica ribatté lei con la sua solita vocina flebile che a Susan era mancata tanto anche per quei pochi giorni.
«Oh, vieni qui! Oggi si festeggia!» esclamò poi la ragazzina stringendole il collo per abbracciarla, e Sulphane scodinzolò spezzando arbusti e sollevando chiazze di neve mezza sciolta.
Cosa si festeggia? domandò Zaffir confuso avvicinandosi lentamente insieme agli altri quattro.
Così i sei ragazzi spiegarono ai sei draghetti quale fosse il motivo della loro visita fuori programma in settimana e gli dissero che si sarebbero fermati a dormire, poi cercarono di spiegargli anche cosa fosse la festa della nascita e non ci misero molto a farglielo capire.
Quindi tu l’hai festeggiata tredici volte disse Sulphane guardando Susan negli occhi, ora sedute una accanto all’altra.
«Sì beh, in realtà la prima non si festeggia, o almeno non la festeggia chi nasce ma tutti gli altri. Si festeggia la madre in un certo senso, che ha dato una nuova vita.» rispose la ragazzina.
Però si festeggia anche chi nasce, non è corretto?
«Sì, è corretto.»
Quindi hai festeggiato tredici volte.
Susan si vide costretta a darle ragione, perché in fondo aveva davvero ragione, sospirò e commentò: «Sei davvero molto sveglia Sulphane, sei più sveglia di me.»
«Perdonami se te lo dico Susan, ma non ci vuole molto.» la provocò Andrew facendo ridere il resto del gruppo, compresi alcuni draghi.
La ragazzina invece si accigliò: «Senti chi parla!»
La dragonessa gialla riuscì a farle tornare subito il buonumore, strusciandosi sulla sua spalla fino a scuoterla, e Susan le sorrise scompigliandole la peluria sul collo ormai lunga più di un palmo.
Naturalmente la cena non fu granché e andarono a dormire che ancora non erano sazi, ma Susan proprio non riusciva a prendere sonno e rimase fuori dalla tana insieme a Sulphane e Cedric, che a sua volta non sarebbe riuscito a dormire per ancora qualche ora, mentre gli altri si ammassarono dentro le vecchie tane di volpe talvolta esclamando qualche rimbrotto verso qualcun altro per essersi preso troppo spazio o troppe libertà.
I due rimasti fuori si fecero compagnia in silenzio, per la maggior parte la ragazza conversava con la dragonessa e solo di rado interpellava anche il ragazzo. Susan dovette resistere alla tentazione fortissima di abbracciarlo per tutto il tempo mentre la draghetta - ormai alta più delle sue gambe - grugniva divertita e correva seguita dallo sguardo confuso di lui, che tuttavia non fece alcuna domanda.
Finché alla fine Sulphane le si sedette accanto ansimando lievemente per aver corso a lungo, e le sussurrò nella mente: Fallo.
Cosa? fece lei colta alla sprovvista.
Ne abbiamo parlato tanto, fallo!
Temette di aver capito a cosa si riferisse e borbottò: Non so se...
Non c’è bisogno d’essere imbarazzata con me, Susan. Cosa vuol dire, poi? Tu mi abbracci spesso.
Sì, tu, ma... è diverso.
Cosa c’è di diverso? le chiese ingenuamente.
Lui... A lui non piace disse semplicemente.
Oh, capisco... Sulphane rimase in silenzio per qualche attimo, poi riprese: Allora proponiglielo!
Come?
È la tua festa, non è così?
Non disse altro, ma Susan capì dove voleva andare a parare e bofonchiò una scusa senza senso distogliendo lo sguardo dai suoi luminosi occhi dorati, finché Sulphane con un colpo di testa la spinse verso Cedric abbastanza forte da farle quasi perdere l’equilibrio; dovette poggiare una mano a terra per non finire sdraiata.
«Ehi!» sussurrò offesa massaggiandosi la spalla lesa e guardando la cucciola col broncio. Sentì il ragazzo ridere piano e voltandosi a guardarlo provò il bisogno impellente d’inventarsi una scusa, dunque tentennò: «Vuole... vuole giocare. Non le va che io resti seduta a lasciarla correre da sola.»
Cedric non rispose, si limitò a distogliere lo sguardo lasciandolo vagare praticamente a vuoto nella penombra e facendo lentamente svanire il sorriso. Sedeva con le ginocchia sollevate e le braccia allacciate di fronte, in posa rilassata, ma la sua espressione era tornata cupa come al solito.
Susan tornò a guardare Sulphane che reclinò le orecchie all’indietro e fece quelle strane fusa allargando a dismisura le pupille degli occhi fino a quasi far sparire l’iride. Lo trovò strano e fece inconsapevolmente una smorfia, ma immaginò che stesse tentando il tutto per tutto sperando d’intenerirla.
«Sei inquietante.» le disse invece la ragazza con un mezzo sorriso divertito.
A quelle parole la dragonessa riprese un atteggiamento più normale, scosse repentinamente la coda e infine si alzò per trotterellare via, dicendo nella mente di Susan: Allora vi lascio soli soli...
Sulphane...
Ciao ciao concluse lei, lasciando poi la mente di Susan e correndo via.
«Ma...» sussurrò incredula allungando il collo per vedere dove stesse andando, tuttavia il luccichio delle scaglie gialle venne presto inghiottito dalla vegetazione.
«Dove sta andando?» le chiese Cedric, voltato a sua volta a guardare dove la dragonessa era sparita.
«Non lo so.» rispose lei scrollando piano le spalle e tornando a guardare davanti a sé.
Il fatto che Sulphane se ne fosse andata in realtà non le dispiaceva, non credeva fosse sbagliato provare imbarazzo davanti a lei: era pur sempre una creatura senziente, molto intelligente, e per di più erano legate emotivamente; era legittimata a non volerla presente mentre provava certe emozioni, esattamente come non avrebbe voluto che fossero presenti gli altri ragazzi, o gli altri draghi, o i suoi genitori. Ma Sulphane era molto di più, lei poteva letteralmente sentire le sue emozioni e provarle a sua volta.
Eppure, se possibile, si sentiva ancora più in imbarazzo di prima. Forse proprio perché non aveva più qualcuno con cui distrarsi da quel silenzio che pesava, e probabilmente faceva sentire a disagio solo lei tra i due.
L’idea della dragonessa non le dispiaceva affatto, aveva ragione a dire che era la sua festa e avrebbe potuto tranquillamente usarla come scusa. Alla peggio Cedric l’avrebbe presa in giro, non avrebbe risposto o se ne sarebbe andato, ma di certo tutto sarebbe tornato come prima già il giorno seguente. Il problema era che non sapeva come porglielo.
Si schiarì la voce attirando la sua attenzione e decise di cominciare tenendosi sul vago: «Oggi è la mia festa della nascita.»
Cedric la guardò perplesso, e disse cautamente: «Lo so. Ancora per qualche ora. E con ciò?»
«Non ho ricevuto regali...» disse fingendosi triste, sempre mantenendo un atteggiamento vago e scavando un piccolo solco con la punta dello stivale.
Il ragazzo si fece se possibile ancora più perplesso: «Non capisco dove stia il problema.»
Susan si trattenne dallo sbuffare, stava parlando con uno che quasi certamente non festeggiava da almeno sette anni: «I miei genitori me ne facevano sempre uno, anche solo una crostata. Per Mike l’avete fatta.»
«Potevamo farla al tempo, adesso direi di no. Ma lui non ha passato il pomeriggio coi draghi, tu sì.» ribatté lui.
Lei si morse l’interno della guancia, pensando a come rispondere, e infine gli domandò: «Tu me lo faresti un regalo?»
«Non saprei nemmeno da dove cominciare...» sussurrò il ragazzo distogliendo lo sguardo.
«Ho chiesto un regalo, non una sorpresa.» precisò Susan con un sorriso che lui non poteva vedere.
Sospirò pazientemente portandosi una mano agli occhi: «Che cosa proponi?»
E ora sono nei guai pensò la ragazzina, ma se non altro aveva avuto una conversazione tutto sommato tranquilla fin lì. La parte peggiore sarebbe dovuta arrivare a breve.
«Ce la farai entro l’alba?» scherzò per prendere tempo.
«Beh, dipende.» rispose Cedric tornando a guardarla stringendosi il polso con l’altra mano «Ancora non so che cosa vuoi.»
«Voglio un abbraccio.» disse di getto, prima che potesse interrompersi a metà.
A quelle parole seguì un lungo silenzio, più pesante ancora di quello di prima, perché a differenza di allora nessuno dei due adesso poteva dirsi rilassato. Cedric la stava fissando dritto negli occhi, eppure poteva dire quasi con certezza che in realtà non la stesse guardando, forse occupato a pensare se quelle parole fossero state pronunciate davvero.
Alla fine lui si esibì in una debole risata che non le parve allegra ma piuttosto derisoria e distolse nuovamente lo sguardo, senza tuttavia commentare. Non le disse né sì né no, anche se quella reazione certamente non esprimeva impazienza di stringerla tra le sue braccia.
«È la mia festa della nascita...» sussurrò con voce flebile in un patetico tentativo che sicuramente sarebbe andato a vuoto.
«Ancora per poco.» disse lui infatti.
«Quindi non ce la farai entro domani?»
«Credo di doverci pensare su.»
E quello, capì, equivaleva a dire che piuttosto avrebbe perso tempo finché l’alba fosse giunta portando con sé il giorno successivo. Cercò di mascherare la delusione, in fondo si aspettava dall’inizio che sarebbe andata più o meno così, e si volse a guardare quel poco che riusciva a vedere del bosco illuminato dalle lune, abbracciandosi stretta le gambe e poggiando la testa alle ginocchia.
Non voleva essere triste per qualcosa che sapeva benissimo sarebbe successa, aveva preferito tentare la fortuna e le era andata male, la storia doveva finire lì. Eppure lo era, perché fino all’ultimo aveva sperato che per una volta, o approfittando di quella scusa, Cedric si sarebbe aperto a un contatto. Ma forse considerava un abbraccio esagerato e troppo intimo, dopotutto non erano altro che amici.
Dovette passare diverso tempo a riflettere, perché le ombre si erano spostate di almeno una spanna, e infine sentì Cedric sospirare pesantemente ma resistette alla tentazione di guardarlo per vedere che facesse.
«Vieni qui.» le disse poi con un tono di voce profondo e roco che raramente gli aveva sentito usare, e le parve che fosse rassegnato.
Si girò incredula e cercò di studiare la sua espressione al buio, ma non riuscendo a decifrarla gli chiese con voce flebile: «Davvero? Sei sicuro?»
Cedric fece una smorfia e piegò la testa prima da un lato e poi dall’altro, come soppesando la risposta, per poi ammettere: «No. Ma sbrigati, prima che cambi idea.»
Stava per dirgli che non l’avrebbe fatto finché davvero fosse stato disposto, ma qualcosa la fermò; poteva essere la sua unica occasione in un arco di tempo indefinito, anche mesi per quanto ne sapeva. Non credeva che da questo punto di vista sarebbe mai cambiato senza impiegare anni.
Perciò si spostò lentamente, sedendosi via via più vicina a lui e senza smettere di guardarlo, in modo che se avesse fatto smorfie troppo evidenti si sarebbe fermata. In effetti di smorfie ne faceva senza tuttavia ritrarsi, come se proprio non lo volesse ma stesse cercando di controllarsi. Anzi alla fine si decise ad abbassare le ginocchia incrociando le gambe e a distendere un braccio per lasciarle libero accesso.
A quel punto, la ragazzina si sciolse in un largo sorriso e sentì tutta la tensione di poco prima svanire improvvisamente, ormai era così vicina che non ebbe bisogno di fare scatti in avanti; le bastò allungare le braccia e stringerlo, dapprima delicatamente per evitare che si sentisse troppo a disagio. Le fece una certa impressione, era davvero tutto pelle e ossa.
Cedric si esibì in un verso contrariato, come se stesse provando ribrezzo, e Susan non tardò a notare che teneva entrambe le braccia ben distanti: non aveva alcuna intenzione di abbracciarla, piuttosto, tuttavia, si stava lasciando abbracciare. Il che era già qualcosa.
«Rilassati, non ti sto avvelenando.» gli disse scherzosamente.
Con la guancia premuta sul suo petto riusciva a sentire il suo battito cardiaco, che era inaspettatamente lento e forte; se lo aspettava rapido e irregolare, invece era come se si stesse risparmiando per usare le energie per difendersi.
«Avevo chiesto un abbraccio, ma va bene anche così se preferisci.» gli disse dopo un po’, dato che non sembrava voler parlare.
«Vorresti che fossi io ad abbracciare te?» domandò lentamente, infatti dava l’impressione di faticare a parlare in quella situazione.
«Solo se vuoi.» ribadì.
«È il tuo regalo, non il mio.»
«Allora consideralo anche tuo.»
Dopo quel breve scambio di parole Cedric la strinse delicatamente a sua volta, ma talvolta tremava ed era lampante che non sapesse come comportarsi. Perciò Susan si avvicinò ulteriormente facendo aderire i loro fianchi, posò meglio la testa sulla sua spalla e intensificò appena il suo abbraccio. Sorrise felice nel sentire lui rispondere allo stesso modo ma non disse nulla, invece si rese conto che il suo cuore batteva troppo piano e per un attimo temette che potesse svenirle tra le braccia.
Pochi istanti dopo lui parlò, distraendola da quei pensieri: «Non dirlo a nessuno.»
Susan non riuscì a trattenersi e rise, possibile che con tutte le cose che poteva dire avesse pensato proprio a quella?
«Tanto non mi crederebbe nessuno.» disse alla fine.
«No, forse hai ragione.»
«È così terribile?»
«No... Ma non chiedermelo di nuovo, ti prego.»
Susan si permise di ridacchiare ancora, sperando di non offenderlo, e dopo alcuni attimi disse: «Non lo dirò a nessuno. E non te lo chiederò più... forse.»
Lo sentì sospirare debolmente e non ribatté a quella frase, ma nemmeno sciolse l’abbraccio. E continuò a non farlo a lungo, tanto che la ragazzina poté infine addormentarsi tra le sue braccia e con le labbra incurvate in un sorriso.

Come Susan aveva immaginato - e sperato - già dal domani sia lei che il ragazzo si comportarono come se niente fosse successo la notte prima, anche se ogni tanto nei giorni che seguirono lo sorprese prendere leggermente le distanze, come se temesse che dalla loro vicinanza potesse nascere qualcosa di simile una seconda volta.
Le materie andarono avanti col proprio programma senza variazioni, talvolta incentrando la lezione su una domanda posta da uno studente.
Mike a lezione di Astronomia si annoiava a morte, spesso sbadigliando e lamentandosi per la mancanza di sonno, e non ascoltava realmente le lezioni dicendosi che ad ogni modo non avrebbe continuato la materia. Mentre le lezioni di Alchimia riuscivano sempre a catturare tutti - che si trattasse del semplice studio degli ingredienti e dei loro effetti o che si preparasse una pozione.
Andrew e Susan scoprirono di non essere particolarmente portati in Telepatia, al contrario di Layla e Cedric: ormai i due stavano sempre in coppia insieme perché troppo bravi per confrontarsi coi più giovani, erano capaci sia di forzare la propria presenza nelle menti altrui sia di impedire intrusioni nella propria mente, quindi i loro scontri per quanto amichevoli e controllati potevano durare un’intera lezione, o finire male per uno dei due che si ritrovava a dover fare i conti con terribili mal di testa nei giorni a venire.

Gli era stato detto che gli ultimi quattro giorni del mese di Huunvod e i primi tre del mese di Vuulnas sarebbero stati dedicati agli esami. Avrebbero affrontato una sola materia per ogni giorno, perché ora avrebbero dovuto scartarne altre tre e sceglierne quattro da proseguire, man mano avvicinandosi alle due materie in cui volevano specializzarsi.
Decisero di discuterne tutti insieme coi draghetti presenti il pomeriggio del quinto giorno dell’ultima settimana di lezione, a un nulla dall’inizio degli esami.
Andrew era sicuro di voler portare avanti Difesa ed Evocazione, e come terza e quarta materia non gli fu difficile scegliere Manipolazione ed Elementi - la quale gli sarebbe servita molto dal momento che voleva proseguire con le altre due.
Anche Jennifer non aveva dubbi riguardo Biologia e Guarigione, e scelse di proseguire gli studi anche di Alchimia ed Elementi, che non sarebbero guastati.
Mike decise di seguire esattamente le orme di Andrew, essendo interessato alle medesime materie.
Susan seguì per metà Mike e per metà Jennifer scegliendo di proseguire gli studi di Biologia, Elementi, Guarigione e Manipolazione.
Layla e Cedric, essendo gli ultimi a dover scegliere, furono invece più riflessivi; dovevano cercare di coprire il maggior numero di materie possibili, ma nessuno dei due era realmente intenzionato a proseguire con Storia - per quanto interessante avevano in mente altro per il loro futuro.
La ragazza fu la prima a decidersi e annunciò di voler continuare con Alchimia, Telepatia, Difesa e Guarigione, tutte materie che potevano tornargli utili in caso si trovassero nei guai.
Il ragazzo disse di voler proseguire con Astronomia e Telepatia come primarie, e Manipolazione e Alchimia come secondarie.
«Niente Storia quindi.» disse Jennifer con un sospiro preoccupato.
«Niente Storia.» confermò Layla «Sappiamo già più o meno tutto quello che ci serve sapere, insomma è interessante ma non praticamente utile quanto le altre. E ad ogni modo potremo leggere dei libri, se li troviamo nel seminterrato.»
«Non vedo l’ora di cominciare la pratica di Manipolazione!» esclamò Mike fremendo dall’emozione, cambiando appositamente argomento senza degnare l’altra di uno sguardo «Kir ha detto che avremmo cominciato da Apprendisti!»
«Prima dobbiamo passare gli esami.» puntualizzò Cedric.
«Non può essere così difficile!» sbottò l’altro «Sarà solo per vedere se siamo portati per la materia o no!»
«E tu continui Manipolazione senza Elementi?» domandò Andrew al più grande con una smorfia perplessa.
Cedric scosse le spalle: «So leggere, ho fatto pratica per due mesi e ci sarete voi a spiegarmi le vostre lezioni se restassi indietro. Posso farcela.»
Dunque alla fine salutarono i piccoli draghi e si costrinsero a tornare a scuola per cena, seguiti dagli sguardi intristiti delle creature, mentre la nebbia si faceva più fitta e con la mente pensavano agli esami e a cosa gli sarebbe toccato fare per dimostrare di essere all’altezza di proseguire le materie scelte, chiedendosi invece cosa sarebbe successo se li avessero falliti e al contempo sperando che in nessuno di essi fosse richiesto saper leggere o scrivere.

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Capitolo 54
*** Examination days ***


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EXAMINATION DAYS

Ogni piano della piccola torre bianca, la più isolata di tutte e riservata a insegnanti ed Esaminati, ospitava una diversa materia. In ordine dal piano terra all’ultimo piano stavano: Storia; Guarigione; Evocazione; Difesa; Manipolazione; Alchimia; Telepatia; Biologia; Elementi; e infine Astronomia. I ragazzini si consultarono tra loro per cercare di restare uniti e affrontare gli esami delle materie in comune tutti nello stesso giorno.
Il primo giorno sarebbe toccato a Elementi, che condividevano Andrew Susan Mike e Jennifer; Cedric si sarebbe diretto all’ultimo piano per Astronomia e Layla avrebbe affrontato l’esame di Difesa da sola. Il secondo giorno decisero di affrontare Manipolazione insieme, mentre Jennifer e Layla avrebbero sostenuto l’esame di Guarigione. Il terzo giorno Cedric Jennifer e Layla decisero di dedicarlo ad Alchimia, quindi Mike e Andrew l’avrebbero dedicato a Evocazione, mentre Susan sarebbe andata da sola a Guarigione. L’ultimo giorno d’esami rimanevano Telepatia per Layla e Cedric, Difesa per Andrew e Mike, e Biologia per Jennifer e Susan.
Tutto sommato, concordarono alla fine, non era poi così male. E nemmeno gli esami furono difficili; gli esami, per fortuna loro, non erano scritti e non c’era nulla da leggere, piuttosto dovevano semplicemente portare a termine il compito che l’insegnante s’inventava sul momento.
A Elementi Allia gli chiese semplicemente di dominare uno dei quattro elementi fondamentali a loro scelta e sfoggiare alcune abilità mostrando sicurezza e determinazione; tutti e quattro i ragazzini di Darvil passarono l’esame senza intoppi. Ma dal momento che Susan era tra gli ultimi - perché venivano chiamati in ordine alfabetico - gli altri tre decisero di rimanere fuori dall’aula ad aspettarla e attesero diverso tempo in piedi o seduti sulle scale a spirale.
In Astronomia Cedric non ebbe alcun problema a ripetere a memoria la mappa delle costellazioni senza nemmeno guardarla, lasciando il vecchio Auselion sbigottito e con gli occhi sgranati; non erano in molti in quell’aula per passare l’esame, come probabilmente era sempre stato, ed evidentemente all’uomo non era capitato spesso di vedere qualcuno così poco intimorito dalla materia. Il ragazzo terminò l’esame sorprendentemente in fretta e se ne andò senza guardare nessuno, messo a disagio dagli sguardi allibiti e invidiosi di tutti gli altri studenti.
A Difesa Layla eccelse nel dimostrare la propria abilità a sostenere una barriera completa che assorbì gli assalti dell’insegnante per più di dieci minuti, finché lui si disse soddisfatto e si complimentò con la giovane per la sua forza. Lei ringraziò con un mezzo inchino, rossa d’imbarazzo, e se ne andò senza essere degnata di altri sguardi perché erano tutti troppo occupati a pensare alla propria prova imminente.
Cedric attese a lungo nella propria stanza che qualcuno degli altri tornasse e bussasse per accertarsi che ci fosse e approfittò del tempo perso per ripassare un po’ di Manipolazione, che sarebbe stata la sua prossima materia, sdraiato sul suo letto. Finché sentì bussare timidamente e rispose, facendo capire a Layla che era presente.
La ragazza aprì quindi la porta e lo salutò, non molto sorpresa di trovarlo già lì perché anche lei non era stata via molto. Parlarono a lungo da soli, dal momento che gli altri quattro rimasero occupati nella torre degli esami per più tempo, e si complimentarono a vicenda per essersi dimostrati più che all’altezza di proseguire gli studi delle loro materie.
Quando calò il silenzio lui riprese a leggere e lei sedette sull’unico sgabello alla scrivania, con la schiena rigida e le mani infilate tra le gambe strette. Si guardò intorno incerta, indecisa se intavolare una nuova conversazione con lui che non avesse a che fare con la magia, perché già si erano detti tutto.
Alla fine si fece coraggio, sospirò e lo chiamò: «Cedric?»
Lui come al solito non la guardò né diede cenno di averla sentita, ma la ragazza era quasi sicura che fosse in ascolto nonostante stesse continuando a leggere.
Quindi riprese: «Credimi mi costa fatica quello che sto per fare, gradirei che mi guardassi mentre ti parlo.»
Solo allora lui si voltò e fece più volte scorrere lo sguardo dalla sua testa ai suoi piedi rapidamente, come analizzando il linguaggio del suo corpo.
Dopo pochi attimi richiuse il libro e si mise a sedere dicendo semplicemente: «D’accordo. Cosa c’è?»
Layla deglutì con fatica e distolse lo sguardo in imbarazzo, ma poi si rese conto di avergli appena chiesto di guardarla mentre parlava; non poteva essere così ipocrita da non guardarlo lei stessa.
Tornò a puntare lo sguardo nel suo e si fece forza, raramente ammetteva uno sbaglio e doveva smettere di considerarlo una debolezza: «Ormai è... è passato parecchio tempo, ma volevo scusarmi per come...» s’interruppe un attimo, non voleva farlo, non poteva scusarsi con lui. Scosse la testa, era la cosa giusta da fare: «Per come mi sono comportata da Iven, ecco. Ero solo un po’... beh non lo so.» aveva già detto troppo, più di quanto volesse.
«Va bene.» disse lui lentamente senza abbandonare quello sguardo calcolatore, e a lei parve che non sapesse come interpretare le sue parole «C’è altro?»
«In realtà no. Non credo.» si lasciò sfuggire un mezzo sospiro di sollievo: non aveva fatto domande per indagare.
«Tutto qui?» chiese Cedric sorpreso, e lei in risposta annuì «Mi aspettavo qualcosa di più... beh, sembravi spaventata. E hai voluto che ti guardassi per... questo?»
Davvero non capisce si disse girando gli occhi, e gli rispose: «Per me è difficile, va bene? Non sono solita chiedere scusa.»
«No, questo lo so. Non credevo l’avresti fatto.»
«Ma non t’importa comunque.» osservò lei.
Il ragazzo attese qualche secondo prima di dire: «Non molto, no. Voglio dire, non mi capita spesso di ricevere le scuse di qualcuno, perciò...»
«Perciò lasci perdere.» completò Layla «Buono a sapersi per il futuro.»
E non sapendo che altro dire Cedric si limitò semplicemente ad annuire. Dopo essersi assicurato che Layla non volesse dirgli altro quindi si rimise cautamente sdraiato, tenendola d’occhio di sottecchi, e riprese a leggere da dove aveva interrotto.
Layla lo osservò di sottecchi a sua volta per tutto il resto del tempo mentre aspettavano gli altri, da una parte sollevata che non avesse chiesto chiarimenti, spiegazioni o dettagli, e dall’altra parte sorpresa di ciò; quasi desiderava che lo facesse, altrimenti aveva l’impressione che davvero non gl’importasse nulla né della situazione né delle sue scuse - che le erano costate tanto.
Ma non fece in tempo a decidersi di aprire bocca di nuovo, comunque, perché i quattro più giovani si stavano avvicinando; potevano sentirli schiamazzare in corridoio. Cedric richiuse il libro e si alzò per rimetterlo a posto, mentre Layla si alzò per aprire la porta e fare cenno ai ragazzini di raggiungerli.
Parlavano tutti insieme sovrapponendo le proprie voci, raccontando ognuno la propria esperienza senza riuscire a fermarsi per parlare uno alla volta, quindi i due più grandi alla fine capirono poco dei dettagli ma erano più che certi che a tutti fosse andata bene. Solo una cosa gli fu chiara: nessuno aveva provato a dominare il Fuoco per evitare eventuali figure imbarazzanti.
E naturalmente Layla e Cedric non condivisero con gli altri la loro breve conversazione.
Dopo cena decisero di andare dai sarti a farsi cambiare le casacche, sulle quali alla fine degli esami ci sarebbero stati quattro simboli - quattro colori - invece di sette. Volevano aggiungerne uno alla volta e la loro richiesta non sembrò turbare gli addetti al compito, quindi in pochi minuti si ritrovarono fuori e con le casacche praticamente vuote, su quattro delle quali vi era ora una vivida fiamma rossa all’altezza del petto.

Cercarono di dormire il più possibile in previsione della materia più complessa, tenuta da Kir e altri quattro insegnanti che non avevano mai visto - ma che probabilmente insegnavano anch’essi Manipolazione, essendo tutti vestiti di blu.
Non ci furono magie da fare, bensì solo rispondere alle domande che la donna poneva; dieci domande a testa che riguardavano non solo gli elementi fondamentali, ma anche quelli secondari, per accertarsi che fossero pronti a passare alla pratica di quella materia estremamente ardua.
Diversi studenti tentennarono sulle domande più ostiche, ma alla fine tutti gli interessati - ed erano davvero in molti - vennero ritenuti abbastanza pronti da proseguire la materia.
Per l’esame di Guarigione invece sia Jennifer che Layla riuscirono a risanare delle ferite che a turno gli insegnanti s’infliggevano e a restituirgli le energie. La parte più difficile veniva per ultima, dove gli Esaminati stessi venivano feriti e dovevano essere in grado di curarsi da soli: se uno degli insegnanti fosse intervenuto la prova sarebbe stata considerata fallita.
Ma nessuna delle due si arrese, nonostante il dolore acuto delle ferite d’arma da taglio, e passarono la prova. Jennifer attese Layla fuori dall’aula per scendere le scale insieme a lei, e se ne andarono stremate, quasi zoppicando, sperando che gli altri sarebbero stati in grado di rimetterle in sesto.
Andrew fu naturalmente il primo a lasciare l’aula, seguito da Cedric e dopo diverso tempo da Mike. Susan era come al solito tra gli ultimi a essere esaminata, quindi prima che tutti e quattro poterono tornare alle loro stanze passò quasi tutto il pomeriggio, tanto che le altre due si erano quasi del tutto riprese.
Condivisero ognuno le proprie esperienze soltanto dopo cena mentre andavano dai sarti a far aggiungere il secondo simbolo sulle loro casacche e i quattro di Manipolazione rimasero sconvolti dalla crudezza dell’esame di Guarigione, soprattutto Susan che avrebbe dovuto affrontarlo da sola il giorno seguente; si fece dire tutto nel dettaglio nella speranza di essere preparata a qualsiasi cosa, ma l’ansia e la paura non la fecero dormire la notte.

Il giorno successivo toccava ad Alchimia per Cedric Jennifer e Layla, Evocazione per Andrew e Mike e Guarigione per Susan. Dopo pranzo si diressero insieme verso la torre bianca e si separarono salendo rispettivamente fino al sesto, terzo e secondo piano.
Per Alchimia venne richiesto di preparare una pozione di media difficoltà che aveva come effetto quello di addormentare il bevitore; c’erano diversi ingredienti su ogni banco tra i quali scegliere, c’era la possibilità di usare il calderone o meno, e tutti gli strumenti erano a loro disposizione. La difficoltà stava nel ricordare quali strumenti e quali ingredienti usare, e in quale ordine.
Jennifer, essendosi anche impegnata molto in Biologia, fu quella che ebbe meno problemi dei tre a preparare la pozione; Cedric ricordava di averla studiata e seguì le istruzioni che aveva letto identiche a com’erano scritte; Layla invece se la cavò perché era stata molto attenta alle lezioni e questa pozione in particolare l’aveva colpita molto, quindi non le fu difficile far riaffiorare i ricordi.
Per Evocazione a tutti gli studenti fu lasciata la scelta dell’elemento - o gli elementi - da utilizzare per la loro creatura, ma la forma e le dimensioni le stabilirono i quattro diversi insegnanti: gli aspiranti Apprendisti dovettero evocare nientemeno che un cavallo, una creatura immensa rispetto a quelle cui erano abituati.
Uno alla volta vennero chiamati per nome in ordine alfabetico, in mezzo all’aula stavano due grandi bacinelle, ognuna contenente materia d’acqua e terra sufficiente a evocare la creatura delle giuste dimensioni, sulla destra ardeva un grande fuoco il cui calore era quasi soffocante, e naturalmente l’Aria non necessitava di un recipiente o di un campione, essendo tutt’attorno a loro.
L’Aria paradossalmente sarebbe stata la più difficile da gestire, perché non vi era un limite all’utilizzo della materia, ma Andrew si sentiva capace ed era certo che per ora quello fosse il suo elemento, dunque quando fu il suo turno fece prendere all’aria davanti a lui la forma prestabilita sgarrando solo sulle proporzioni; Wolgret gli fece notare che le zampe erano troppo lunghe, ma lo congedò con un sorriso e gli disse che la prova era superata.
Il ragazzino scaricò la tensione con un sonoro sospiro di sollievo, sorrise a sua volta cessando l’incantesimo e se ne andò trotterellando allegramente. Fece l’occhiolino a Mike quando gli passò vicino e si fermò in mezzo al corridoio per aspettare che l’amico finisse il suo turno.
Dal canto suo, Mike si sentiva molto teso ma non lo dava a vedere, si limitava a sciogliere in continuazione le mani scuotendole lungo i fianchi. Quando venne il suo turno cercò di mantenere quella calma apparente e rimase sul sicuro scegliendo di evocare un cavallo d’acqua. Nei primi istanti ebbe qualche difficoltà per la tensione, ma alla fine i suoi palmi brillarono del consueto blu intenso e con uno schizzo e fragore di onde infrante l’acqua nel grosso catino di legno si levò prendendo la forma quasi perfetta di un cavallo traslucido.
Venne dunque congedato allo stesso modo di Andrew, e Mike colto dall’entusiasmo si dimenticò di far svanire la creatura gradualmente; l’acqua ripiombò verso il basso con tutto il suo peso schizzando ovunque e il ragazzino chiese scusa in imbarazzo, dileguandosi poi rapidamente dagli sguardi severi degli adulti che non erano mai stati suoi insegnanti.
Uscito dall’aula trovò Andrew e non riuscì a resistere: con un grido di gioia selvaggia lo abbracciò stretto facendo finalmente anche a lui i dovuti complimenti e lasciandolo paonazzo in viso, confuso sul da farsi.
Susan al secondo piano tremava come una foglia attendendo la sua prova, sapendo bene cosa l’aspettava. Superò la prima parte senza alcun problema, ma quando venne il momento di essere ferita tentennò; era essenziale che imparasse a curare se stessa anche in condizioni di sofferenza, ma aveva troppa paura del dolore.
Houl le tendeva una mano e le sorrideva incoraggiante sussurrandole che finora era stata molto brava e non aveva nulla da temere: niente sarebbe successo finché ci fossero stati loro a supervisionare l’accaduto, al massimo avrebbe fallito la prova e scelto un’altra materia, tentato nuovamente di passare l’esame, o deciso di proseguire soltanto nelle altre tre che aveva scelto.
Ma lei non aveva alcuna intenzione di fallire la prova. Scosse la testa con decisione e prese la mano dell’insegnante che gentilmente la condusse da una donna con in mano un pugnale affilato. Susan strinse la mano a Houl e chiuse gli occhi mentre la lama si avvicinava al suo braccio scoperto; le bruciò terribilmente e non riuscì a trattenere un grido, ma subito dopo entrambi la lasciarono e capì che era giunto il momento di curarsi.
Tese la mano sinistra sopra il braccio destro e si concentrò cercando di mettere da parte il dolore, fino a che quel bruciore venne sostituito da un intenso pizzicore. Ma ancora non poteva permettersi distrazioni, o l’incantesimo sarebbe terminato prima di portare a compimento l’incarico assegnatole.
Non ci volle più di un paio di minuti perché tutto finisse, finalmente aprì gli occhi per guardarsi il braccio speranzosa e vide che non vi era rimasto alcun segno, la pelle era tornata liscia e persino più perfetta di prima se possibile. Le sfuggì una risata di sollievo e guardò Houl con gli occhi ancora bagnati da un accenno di lacrime, ma con grande soddisfazione si rese conto di essere riuscita a non piangere.
L’uomo sempre vestito di rosa le fece un cenno d’assenso col capo, un sorriso gentile perennemente presente sul suo viso, e le sussurrò che la prova era stata superata egregiamente.
Una tra le migliori ha detto si ripeté la ragazzina mentre lasciava la torre, sentendosi il cuore leggero come una piuma Sono stata una delle migliori!
Naturalmente nessuno perse l’occasione di pavoneggiarsi coi compagni di viaggio, soprattutto Susan il cui atteggiamento saccente fece innervosire Jennifer - che fino a quel giorno era stata l’esperta indiscussa in fatto di guarigione - e dopo cena come al solito andarono dai sarti per farsi aggiungere il terzo simbolo sulla casacca nera.

Il quarto e ultimo giorno rimanevano solo Telepatia, Difesa per i due ragazzi e Biologia. Prima di pranzo ripassarono le note dell’ultimo minuto, per essere sicuri di non dimenticare nulla, e Layla cercò di rassicurare i due ragazzini più giovani dicendo loro che Difesa non fosse difficile da superare. Le due ragazzine invece erano un po’ in ansia, soprattutto Susan, perché non sapevano cosa sarebbe stato chiesto loro di fare in Biologia, ma speravano con tutto il cuore che non si trattasse dell’unico esame scritto. I due più grandi erano allo stesso modo timorosi di affrontare Telepatia, una materia complessa e pericolosa sebbene entrambi fossero davvero bravi: non avevano la più pallida idea di cosa aspettarsi da quell’esame.
Come di consueto Andrew fu tra i primi ad essere chiamato - solo una ragazza questa volta venne chiamata prima di lui - e superò l’esame di Difesa senza alcun problema, limitandosi a tenere viva la barriera per tutto il tempo richiesto dall’insegnante in vesti dorate.
Mike ebbe qualche difficoltà rispetto a lui, ma sebbene la sua barriera fu più piccola e sottile superò l’occhio critico dei cinque insegnanti, che la ritennero ugualmente accettabile perché lo difendeva da ogni parte e riuscì a resistere tutto il tempo richiesto.
«Aveva ragione Layla.» disse Mike dandosi un’aria di chi possedeva ogni verità in pugno quando entrambi si ritrovarono fuori dall’aula «Non era affatto difficile.» si concesse di esagerare perché Andrew non aveva assistito alla sua prova, pertanto non c’era motivo di rendergli nota la sua lieve incompetenza nella materia.
Molto semplicemente non sono portato si disse per tranquillizzarsi, e con questo riuscì a riprendere un’aria serena, conscio che finalmente aveva passato gli esami di tutte le materie che si era prefissato di approfondire nei panni di Apprendista.
Difesa fu la materia più rapida a concludersi, dunque i due ragazzini dovettero aspettare parecchio tempo davanti alle porte delle loro camere che anche gli altri arrivassero.
Jennifer e Susan a Biologia dovettero dimostrare di saper prelevare energie dalle piante circostanti senza ucciderle, ma anche dare il nome a ciascuna delle piante dalle quali prendevano le forze ed eventuali animali connessi a esse - che fossero insetti che si nutrivano del nettare, uccelli che ne mangiavano i frutti, o quadrupedi che si cibavano delle foglie. Non venne chiesto nulla degli animali predatori, e Susan la ritenne una fortuna perché preferiva di gran lunga studiare e parlare di creature mansuete.
Furono la seconda coppia a tornare e rimasero a parlare davanti alla camera di Mike a lungo con gli altri due, finché alla fine si decisero a entrare in stanza per liberare il corridoio e aspettare gli ultimi.
Telepatia era una materia che spaventava molti, ma allo stesso tempo incuriosiva; il numero di studenti presente all’esame era nella media. A ognuno di loro veniva chiesto qualcosa di diverso che talvolta ricapitava a qualcun altro: a Cedric venne chiesto di impedire all’insegnante di fare breccia nella sua mente, un compito facile per uno che aveva passato anni a non volere gente attorno, figurarsi se avrebbe lasciato che Meidrea spiasse i suoi pensieri più intimi; a Layla invece venne chiesto di rendere la propria mente invisibile a quella dei cinque insegnanti, e con qualche difficoltà alla fine riuscì a occultarla, ma non a tutti e cinque contemporaneamente.
Lui venne congedato con tanto di complimenti, molto prima di lei, mentre Layla al termine della sua prova si stava torturando le dita, sperando che non la considerassero fallita. Ma Meidrea le disse che aveva un enorme potenziale, e che rendere la propria mente invisibile a cinque maghi esperti nella materia non era compito facile per una semplice Ammessa. Quindi la congedò col suo solito sorriso gelido e tuttavia sincero dicendole che se avesse voluto per lei le porte della torre viola sarebbero sempre state aperte, per migliorarsi e diventare una potente maga con un’arma spaventosa tra le mani.
Uscì dall’aula e solo allora si concesse un sonoro sospiro di sollievo a occhi chiusi, e quando li riaprì la prima cosa che vide davanti a sé fu Cedric seduto sul davanzale di una finestra aperta che la guardava con un mezzo sorriso.
«Siamo al settimo piano, non hai paura di cadere?» gli domandò mascherando la preoccupazione.
Lui scosse le spalle e rispose inespressivo: «No. Com’è andata?»
«Direi bene. Andiamo.» ordinò incamminandosi subito dopo, e lui la seguì senza fare obiezioni.
Non aveva voglia di parlare con lui dopo essersi mostrata tanto vulnerabile da chiedergli scusa, ma nello stesso tempo un sacco di domande le ronzavano nella testa; non erano molte le occasioni in cui poteva rimanere completamente sola con lui senza che gli altri quattro ficcassero il naso.
Così, quando raggiunsero il bivio del corridoio che li avrebbe portati al grande cortile aperto, gli prese la mano e lo trascinò con forza nell’altra direzione - nel corridoio blu che conduceva alla torre di Manipolazione.
Lui guardò ripetutamente e con aria allarmata prima lei e poi il bivio che si allontanava sempre più, non si sottrasse alla sua decisione ma indicò la diramazione aprendo la bocca come per dire qualcosa, senza però parlare perché lei continuava a voltargli le spalle ed evidentemente voleva parlargli in un luogo sicuro.
Solo quando la svolta fu sparita dietro una curva Layla si guardò indietro per assicurarsi che nessuno potesse accidentalmente vederli o sentirli, e con un sospiro si fermò spingendo lui dentro una nicchia poco profonda nella parete.
«Che ti è preso? Cosa c’è ancora? Altre scuse?» incalzò il ragazzo.
«No, non altre scuse. Volevo dirti... Ecco, sai quelle cose che sono venute fuori da Iven?»
«Lo ricordo, sì. Continua.» disse Cedric cautamente.
Layla si umettò le labbra e si abbracciò da sola prendendosi i gomiti: «Insomma, mi hai detto di essere piuttosto sicuro che tu non ti sia mai innamorato. Era vero o l’hai detto solo per farmi stare tranquilla?»
La domanda lo colse completamente alla sprovvista, tanto che per un attimo rise per metà incredulo e per metà scettico, ma quando capì che la ragazza era arrabbiata e preoccupata a un tempo le rispose: «Layla, in tutta sincerità, tu cosa pensi?»
«I-io penso che fosse vero. Non avrebbe alcun senso...» balbettò speranzosa.
«No.» concordò «Cos’è questa storia? Non è che Jennifer ti ha solo presa in giro?»
«Comincio a credere che sì, volesse solo divertirsi.» disse tristemente, distolse lo sguardo e aggiunse in un sussurro: «Non è bello prendersi gioco dei sentimenti altrui, per questo non credo che abbia mentito... ma niente di tutto questo ha un senso. Perché mai uno di voi dovrebbe essere innamorato di me? Innamorato! Al massimo potrebbe essere una cotta perché... perché...» non riuscì a finire la frase, anche se lei stessa aveva capito di stare diventando una bella ragazza.
Cedric le rivolse un debole sorriso che lei colse solo con la coda dell’occhio, poi le disse con fare inaspettatamente dolce: «Forse non sono la persona ideale con cui parlarne, non credi? Io ti direi di non darci troppo peso, siamo ancora troppo giovani per questo.»
Lei lo guardò incredula, per un attimo chiedendosi se fosse la stessa persona di sempre che aveva davanti, poi annuì timidamente: «Non posso parlarne con nessuno, capirai perché. A te l’avevo già accennato, perciò... Ed Emily, io... non volevo tirarla in ballo, non c’entrava niente. In realtà il motivo era questo, avevo paura che fossi tu di cui Jennifer stava parlando e sapevo che con Emily di mezzo non avresti insistito.»
«Giammai. Sarebbe una disgrazia per te, non è così?» commentò lui, e Layla non seppe dire se fosse divertito o al contrario addolorato.
«Insomma, dimentica tutto.»
«Io non dimentico mai niente senza l’intervento di forze esterne.» ribatté con un sorriso beffardo.
E Layla riprese l’atteggiamento insofferente che di solito teneva con lui esclamando: «Oh, che Despada ti prenda!»
Gli volse le spalle per andarsene con passo svelto e pesante, come se si fosse offesa, e Cedric ridacchiò mascherando i brutti pensieri che quella sola frase aveva fatto tornare; Layla non aveva idea di quante volte il Corvo fosse realmente arrivato vicino a prendersi la sua vita per sempre.
La ragazza gli era in realtà grata per averle dato una mezza sicurezza che prima non era convinta di avere, ma non si sarebbe mostrata nuovamente vulnerabile per ringraziarlo. Si guardò indietro di sfuggita e vide che la stava seguendo a passo più lento, ma non rallentò.
Non si perderà anche se rimarrà indietro si disse, non voleva rischiare che le si avvicinasse abbastanza da riprendere il discorso.
Giunta davanti alle loro camere bussò a ogni porta finché, quando picchiò l’uscio della camera di Mike, la voce di Jennifer le rispose e la porta si aprì.
Si guardarono a lungo in silenzio, poi Jennifer cercò di nascondere al meglio il sorriso e domandò: «È andata?»
«Sì!» esclamò Layla con voce acuta allungando la parola, alzò le braccia al cielo e sia Jennifer che Susan lanciarono delle acute grida di gioia correndole incontro per abbracciarla.
Mike e Andrew le guardarono saltellare e poi si guardarono tra di loro, entrambi pensando che fossero matte, ma potevano benissimo comprendere il loro entusiasmo per aver passato tutte le prove. Nemmeno l’arrivo di Cedric con la sua solita aria cupa le fece smettere.
«Che c’è, non l’hai passato?» domandò Andrew al più grande non riuscendo a spiegarsi il suo umore tetro.
Cedric scosse la testa: «È andato benissimo.»
A quelle parole Andrew scosse le spalle e decise che sarebbe stato meglio lasciar perdere, che sicuramente in quel momento Cedric stesse pensando a qualsiasi cosa fosse che di solito lo rendeva scorbutico. Perciò tornò a fissare insistentemente le tre ragazze che ancora saltellavano in cerchio, sperando che il suo sguardo fisso le facesse finalmente comportare come al solito.
Mike non staccava gli occhi da Layla a sua volta, non l’aveva mai vista comportarsi così infantilmente ma per qualche ragione la trovò adorabile; il suo sorriso spensierato e la sua vocina da bambina gli fecero tornare alla mente, dopo tante distrazioni, che pensava di essere innamorato di lei.
Quel pensiero lo fece immediatamente arrossire e distolse finalmente lo sguardo con uno scatto per fissarlo sul letto disfatto, e ciò non sfuggì a Cedric - ancora fuori dalla stanza perché le tre ragazze bloccavano l’ingresso - il quale si lasciò andare a una risatina silenziosa che nessuno notò; ora era quasi convinto che Jennifer in realtà non avesse mentito, ma si promise di non parlarne con Layla prima che lei avesse fatto di nuovo il primo passo.
Avviandosi verso gli alloggi della servitù sottoterra, videro affisse alle porte del refettorio le pergamene coi nuovi orari di lezione per gli Apprendisti. Decisero all’unisono di andare a dare un’occhiata prima di portare le casacche ai sarti, e quando Mike si propose di andare a prendere penna e pergamena per annotare gli orari Cedric gli disse che non sarebbe stato necessario perché li avrebbe ricordati.
Nonostante avesse già dato prova della sua memoria, Mike lo guardò sospettoso chiedendosi se ne sarebbe realmente stato in grado, poi tutti insieme ricominciarono a camminare per avviarsi verso la loro meta originaria.
Una volta che anche l’ultimo simbolo fu aggiunto sulla casacca di ognuno i più piccoli dovettero sforzarsi di non ricominciare a saltellare e gridare di gioia, tornando invece di sopra per cenare.

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Capitolo 55
*** Father and mother ***


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FATHER AND MOTHER

Ci era voluto parecchio, ma alla fine avevano scelto un modo per incastrare i loro orari mantenendo gli stessi insegnanti con i quali ormai avevano un rapporto quasi d’amicizia, ma pur sempre rispettoso. Questa volta bisognava attendere alle lezioni della stessa materia due volte a settimana, e di nuovo fecero tutto il possibile perché riuscissero a entrare nelle aule insieme quando la materia fosse in comune, ma si resero conto che non avrebbero più avuto una mattina o un pomeriggio in cui sarebbero stati tutti liberi per andare in gruppo dai draghi.

I cuccioli intanto crescevano rapidamente, tanto che dovettero rinunciare alle vecchie tane di volpe perché nemmeno ampliandole riuscivano più a starci senza che diventasse un rifugio troppo visibile. Dovettero adottare un’altra tattica per poter dormire e decisero che uno alla volta sarebbero rimasti svegli a controllare che nessuno si avvicinasse mentre gli altri fratelli e sorelle si riposavano all’aperto.
Rubia ancora non aveva raccontato di quel lupo gigante a nessuno e si portava il peso di quell’errore, si era fatta vedere e aveva difeso due umani pur di non lasciarli morire; continuava a ripetersi che non avrebbe dovuto, che avrebbe dovuto lasciare che quel lupo li uccidesse e poi, eventualmente, uccidere lui per non farsi aggredire a sua volta. Eppure ogni volta che ci ripensava la figura del piccolo umano veniva sostituita da quella di Jennifer; vedeva lei aggredita da quel lupo e si diceva di aver fatto bene salvando la vita a quei due, che sicuramente da qualche parte anche loro avevano qualcuno che gli voleva bene e avrebbe sofferto la loro mancanza.
Ma con sollievo aveva notato che nessun umano si era addentrato nel bosco per cercarla, quindi forse quella donna e suo figlio avevano mantenuto la parola e non avevano raccontato come le cose fossero effettivamente andate. Si chiese cosa si fossero inventati per giustificare le ferite senza che la gente poi si domandasse come fossero sfuggiti a un predatore di quelle dimensioni.
Zaffir e Sulphane stavano approfittando della fitta nebbia per svolazzare sopra le cime degli alberi giocando a rincorrersi a mezz’aria, e quando la sera cominciò a calare anche Smeryld si unì a loro.
Umbreon preferì rimanere sotto le fronde a sonnecchiare e Ametyst a controllare che nessuno si avvicinasse alla loro tana allo scoperto, mentre Rubia pensava a Jennifer sperando che la prossima visita giungesse presto così avrebbero parlato, giocato, e avrebbe ricevuto tante coccole - anche se ne era in grado, ancora non le piaceva particolarmente volare.
Quando all’improvviso sentirono il familiare richiamo di Huran nelle loro menti e si voltarono all’unisono guardando a nord, senza aspettarsi di vederlo. Il drago bianco non atterrò infatti, si limitò a dire ai cuccioli di seguirlo perché avrebbe dovuto portarli da Garandill e Nerkoull; il motivo non lo espresse e i piccoli immaginarono che nemmeno lui lo sapesse con certezza.
Senza dirlo a nessuno? Ma... i nostri amici? domandò Sulphane con un tono ansioso.
È troppo rischioso cercare le loro menti all’interno di una struttura nella quale gli Umani si addestrano all’uso della magia, potrebbero rintracciare le nostre menti le rispose Huran Non temete, non starete via a lungo. Quando gli anziani avranno finito con voi vi riaccompagneranno qui.
Perché non sono venuti loro stessi? chiese Ametyst con sospetto.
Il drago più grande sembrò irritato dal tono di voce che i suoi pensieri assunsero: Perché, piccola Ametyst, il rischio di essere avvistati cresce con la tua stazza. Ugualmente il rumore che le ali producono.
Ma l’incantesimo... cominciò Zaffir.
E Huran prontamente lo interruppe: Per potervi parlare voi dovreste essere inclusi nell’incantesimo dall’inizio; non possono avvicinarsi alla città e parlarvi senza interromperlo. E per riprenderlo dovrebbero ruggire facendosi localizzare in un raggio di decine di miglia. Capite ora? Coraggio cuccioli, prendete il volo e seguitemi. I vostri amici staranno bene. Viaggiamo veloci finché è notte.
Tu non puoi usare l’incantesimo? gli chiese Rubia, poi precisò: Quando saremo abbastanza lontani dai villaggi.
Potrò farlo, sì. Attenderò il mattino, ma non durerà più di una giornata le rispose cambiando completamente atteggiamento.
Dopodiché i tre draghetti che ancora erano a terra corsero in cerca di una radura e appena la trovarono presero il volo, ritrovandosi presto davanti il grande drago bianco che si teneva fermo a mezz’aria.
Huran cambiò direzione da fermo e poi cominciò a volare verso nord seguito subito dai sei draghetti, spesso rallentava fino a quasi fermarsi per stare al loro passo, sebbene volassero notevolmente più veloci di un cavallo al galoppo.
Cosa vogliono da noi i draghi adulti? chiese Sulphane.
Non lo so con esattezza, immagino vogliano fare il punto della situazione, o insegnarvi la lingua, o capire come affrontare i cambiamenti... rispose Huran.
Cambiamenti? gli fece eco Zaffir preoccupato.
La magia avrà presto degli effetti su di voi. Ma non sono io che devo insegnarvelo.
Intervenne Umbreon: Andrew un giorno mi ha chiesto quando avrei sputato fuoco... non sapevo come rispondergli. Cosa vuol dire esattamente? So di non sapere molto del mondo ancora, ma da quanto ho appreso dalla mente di Andrew non credo sia possibile per una creatura... sputare fuoco.
Non lo è, infatti. Ma noi siamo diversi disse Huran, e prima di dargli la risposta che cercava si portò alle sue spalle con una virata e sputò fuoco con ferocia proprio addosso a lui.
Gli altri draghetti ringhiarono presi da un’improvvisa paura e virarono bruscamente per allontanarsi da Umbreon e non essere colpiti dalle fiamme bianche. Durante la manovra Rubia e Ametyst quasi si ribaltarono in volo rischiando di precipitare.
Umbreon invece ruggì spaventato, per la prima volta avvertendo direttamente un senso di calore attraverso la pelle; la fiamma bianca non durò più di qualche secondo, perciò non ebbe tempo di provare realmente caldo, né di farsi male. Lo spavento però lo destabilizzò al punto che precipitò e ruzzolò a terra in mezzo alla neve.
Huran e gli altri gli atterrarono intorno subito dopo, il primo con un’aria tranquilla e i secondi fremendo dalla preoccupazione: tutti gli si avvicinarono per annusarlo e accertarsi che stesse bene.
Ma il piccolo Umbreon non riportava ferite o ustioni dovute al fuoco, bensì soltanto qualche dolore sparso qua e là dovuto alla caduta da diverse braccia d’altezza.
Cosa ti è preso? ringhiò ferocemente Umbreon al grande drago bianco appena si fu ripreso.
Era solo una dimostrazione pratica di quanto ho detto prima, noi siamo diversi. Il Fuoco non ci tange, è il nostro più potente alleato. Qualsiasi altra creatura al tuo posto sarebbe morta, se non si fosse in qualche modo protetta con la magia. Ma tu non hai dovuto fare nulla per proteggerti, sei nato col Fuoco dentro e il Fuoco lo sa.
Potevi dirlo invece di farlo precipitare! lo rimbeccò Ametyst aspramente.
Huran la guardò e ringhiò divertito: Sono del parere che l’esperienza sia l’insegnante migliore. Ma ora riprendiamo il volo, la luce delle mie fiamme potrebbe avere attirato attenzioni indesiderate.
I sei draghetti obbedirono senza obiettare prendendo il volo subito dopo di lui, Umbreon ancora irritato dal suo atteggiamento e Zaffir al contrario lo prendeva in giro. Il cucciolo nero provò a mordergli la coda per ripicca, ma l’altro era troppo agile per lui e aveva un controllo sul volo maggiore, perciò si vide costretto a lasciar perdere prima che prendesse a ridere di lui anche per quel motivo.
Dopo diversi minuti di silenzio Rubia chiese a Huran: Tu quando hai cominciato a sputare fuoco?
Io poco dopo le due eclissi. Due anni, come direbbero gli Umani rispose il drago bianco Ma varia a seconda del drago, l’antenato di mia madre ha cominciato poco dopo la prima eclissi, mentre lei ha dovuto aspettarne ben cinque.
Dipende da quanto siamo bravi con la magia? chiese Sulphane Il nostro fuoco è dovuto a quello, giusto?
In un certo qual modo, sì.
Quindi i nostri amici potrebbero insegnarci a usare la magia prima di altri draghi?
No, un umano non potrebbe mai insegnarvi perché egli stesso non saprebbe come insegnarvelo. Possono sì aiutarvi con la comune magia e il normale controllo sugli elementi del mondo, ma non quel controllo di cui avete bisogno.
Per questo ci porti da Garandill e Nerkoull disse Smeryld, e la sua non era una domanda.
Loro potranno e dovranno insegnarvi assentì Huran Ma non è per questo che vi sto conducendo da loro, è ancora troppo presto.
Allora cosa vogliono da noi? fece Rubia confusa.
Ho detto che non lo so. Forse vogliano iniziarvi all’uso della nostra lingua per avere un maggiore controllo quando il Fuoco diverrà definitivamente parte di voi, o più in generale iniziarvi all’uso della magia.
Ci stai portando vicino a dove siamo nati?
Nella Foresta, sì. Ma non vicini al nido dei vostri amici.
E tra quanto tempo saremo arrivati? domandò invece Zaffir.
Huran sospirò con un debole ringhio costringendosi ad essere paziente perché aveva a che fare con dei cuccioli: Avrete bisogno di riposare più volte, ma dovremmo farcela in pochi giorni.
Di lì in poi viaggiarono in silenzio perché avevano capito di aver esagerato con le domande e non volevano infastidirlo ulteriormente. Si fermarono a riposare le ali poco prima dell’alba e appena il sole sorse ripartirono; Huran usò quell’incantesimo che rallentò il tempo e viaggiarono fino a che si fece notte, la quale parve arrivare almeno tre volte più lentamente.
Fu il turno di Umbreon a ridere di Zaffir, perché le sue fragili ali come quelle di Smeryld e Sulphane faticavano a sorreggerlo così a lungo ed era sul punto di implorare il grande drago bianco per fare una sosta.
Ma non servì chiederglielo, perché appena trovarono un boschetto sotto il quale ripararsi gli concesse di atterrare per dormire, interrompendo l’incantesimo per riposarsi a sua volta.

Il giorno dopo viaggiarono allo stesso modo, la lontanissima Foresta comparve all’orizzonte come una linea scura, mentre sotto le loro ali l’immensa distesa d’erba e neve chiamata Piana del Vento scorreva veloce accompagnata da qualche sporadica presenza di civiltà umana.
E il giorno successivo, quando ormai la Foresta distava soltanto qualche decina di miglia, Huran non usò la magia per rallentare il tempo, piuttosto dovette far addensare la nebbia attorno a loro in modo che li coprisse, non volendo chiedere ai piccoli draghi di volare ad alta quota. La giornata durò molto meno, riuscirono a raggiungere il vasto bosco che precedeva la Foresta prima di dover atterrare per riposare le ali stanche.
Il quarto giorno di viaggio se la presero più comoda perché non rischiavano più di essere individuati, essendo coperti dagli alberi. Huran faticò a trovare una radura abbastanza ampia da permettergli di prendere il volo e il vero viaggio riprese nel primo pomeriggio, sempre diretti a nord dritti verso la Foresta, ormai così vicina che gli alberi già sembravano alti quanto colline. Prima che finisse il giorno vi entrarono definitivamente.
Ma soltanto nel pomeriggio del quinto giorno di viaggio raggiunsero la radura dove i due fratelli, Garandill e Nerkoull, li aspettavano accucciati l’uno accanto all’altra. Appena videro i sette giovani draghi atterrare si alzarono e li salutarono uno alla volta con un ringhio che fece tremare la terra circostante.
Perché ci avete mandati a chiamare? domandò Ametyst, sbadigliando subito dopo.
Fu Garandill a prendere la parola: I vostri compagni stanno studiando per conto loro, non vedo perché voi non dovreste fare altrettanto.
Perché siamo lontani da loro! protestò Sulphane E non abbiamo nemmeno potuto dire loro che saremmo partiti!
Pace, giovane dragonessa disse Nerkoull con un tono pacato I vostri compagni sanno che non c’è motivo di preoccuparsi per la vostra salute.
Non con quegli uomini in vesti d’acciaio che ci cercano! esclamò Rubia alterata.
Garandill sbuffò dalle narici: Potremo fare in modo di mandargli un messaggio se lo desiderate. Ma non sarebbe saggio sprecare il tempo che avete ora a disposizione; sono già passati tre mesi senza che voi faceste altro che cacciare e crescere rimanendo nascosti, è giunto il momento che impariate ciò che un genitore insegnerebbe al proprio cucciolo.
Cos’avete in mente per noi? domandò Umbreon cautamente.
Rimarrete con noi per qualche tempo. Vivrete con noi. Vivrete con una famiglia di draghi e imparerete come una famiglia di draghi affronta il mondo. Imparerete a comunicare nella nostra lingua sia con la mente che con la voce.
Ci aiuterete con la magia? domandò Ametyst speranzosa Con il Fuoco e tutto il resto?
Non è ancora il momento rispose Nerkoull Non penso faremo in tempo prima che dobbiate tornare vicini a Eunev. Ad ogni modo non avevamo intenzione di trattenervi per più di tre o quattro mesi, saranno sufficienti perché impariate a comunicare fluentemente usando la nostra lingua quanto ora siete capaci di usare la loro.
Cosa vuol dire usare la voce? domandò Smeryld curioso.
In risposta Garandill ruggì al cielo mostrando i lunghi denti retrattili senza temere di essere sentita da creature che non fossero semplici animali o Krun - ai quali non importava nulla della presenza di uno o più draghi nelle vicinanze. O per meglio dire, gli importava sapere dove si trovassero per tenersi il più lontano possibile, ma non certo per aggredirli come avrebbero invece potuto pensare di fare certi umani.
Ma questo già lo facciamo... sussurrò Sulphane perplessa, e come sostenendo la sua tesi Umbreon liberò uno stridulo ruggito che non aveva niente a che vedere con quello spaventoso dell’adulta dalle scaglie argentate.
Lo fate, ma non per comunicare disse lei dolcemente, in netto contrasto con la ferocia di pochi attimi prima.
I piccoli draghetti si guardarono sbigottiti, non avendo mai ritenuto possibile poter comunicare in altri modi che non implicassero l’uso della mente o della lingua umana.
Qual è la parola che gridate per rallentare il tempo? Perché si tratta di una parola, giusto? È nella nostra lingua? domandò infine Zaffir, e tutti e sei i draghetti tornarono a guardare uno dei due adulti davanti a loro.
Rispose Nerkoull: Dici bene. La parola è kriij, e non significa altro che quello. Tempo. Ma non è ancora giunta l’ora per voi di provare una simile magia, dovrete attendere qualche anno prima di esserne capaci.
I vostri nomi hanno un significato nella lingua dei draghi? chiese Ametyst curiosa.
Precisamente rispose Garandill In lingua umana il mio nome significa luce-di-stelle, e il suo ali-della-notte. Il mio cucciolo porta il nome della pietra che brilla come le sue scaglie, opale. Gorall significa fiamma-dorata.
Il nome di vostra madre, mia figlia Khraalzeh, significava tempesta-viola concluse Nerkoull con voce triste e nostalgica.
Rubia gracchiò entusiasta e stese le ali per stirare i muscoli, poi domandò: Anche noi avremo dei nomi nella nostra lingua?
Potrete sceglierli voi stessi o potremo sceglierli noi per voi, ma solitamente si lasciano passare tre anni perché le caratteristiche del drago si delineino; ogni nome deve avere un significato, ed è più facile che lo sentiate vostro se vi definisce per ciò che siete.
Perché dovremo rispondere a quel nome completò Ametyst Così anche voi potrete chiamarci usando la magia come noi facciamo con voi. È così?
Ciò che dici è esatto disse Nerkoull Meglio il nome vi definisce, più facilmente riuscirete a rispondervi.
Ora riposatevi, sarete stanchi dopo questo lungo viaggio disse Garandill, tese un’ala per indicare loro un grande giaciglio di enormi rami di sempreverde ammucchiati per renderlo soffice.
Era così spazioso che avrebbero potuto acciambellarsi tre draghi delle dimensioni di Huran senza toccarsi.
I sei cuccioli si guardarono tra loro soppesando la proposta e alla fine Rubia fu la prima a muovere i primi passi verso i due draghi adulti seguita da Sulphane e Zaffir, e solo più tardi anche dagli altri tre.
Quando furono tutti sdraiati Zaffir, incapace di contenere la curiosità, domandò ancora: Se doveste scegliere il nome ora, quali sarebbero le nostre caratteristiche?
Al momento? fece Garandill pensierosa, guardandoli con occhio attento Tu saresti artigli-d’argento. Sulphane potrebbe essere piume-di-luce, ma suonerebbe piuttosto simile al mio nome. Smeryld lunghe-ali o dorso-nero. Umbreon occhi-di-sangue, dorso-spinoso o qualcosa che ricordi il colore nero delle sue scaglie. Ametyst spine-di-cristallo o serpente-alato. Per te sarebbe più difficile... disse poi rivolta a Rubia Forse punta-di-freccia, la tua coda è particolare.
Ametyst stortò la testa e commentò: Non sembrano suonare bene.
Questo perché non sono nella nostra lingua precisò Nerkoull Vi suonerebbero strani all’inizio, e finché non avrete un nome che sentirete vostro tanto da farvi fremere le scaglie continueremo a cercare.
Sulphane chiese curiosa: Ma se Gorall significa fiamma-dorata vuol dire che dovremo aspettare di poter sputare fuoco per avere un nome?
Non è detto, ma può aiutare nel caso in cui non si trovino nomi o caratteristiche migliori rispose Garandill.
Si può cambiare nome una volta scelto? domandò Umbreon.
Si può, nello stesso modo in cui puoi cambiare quello attuale. Ma è più difficile separarsene, soprattutto se si è già stati richiamati col nome che si vorrebbe cambiare. Come ora faticheresti a rispondere a un nome che non sia Umbreon; col tempo ti abitueresti, ma all’inizio avresti difficoltà.
I piccoli draghi tentarono poi di cominciare una conversazione riguardo la razza umana, volendo sapere più di quanto avessero appreso fino ad allora dai giovani a cui si erano legati, ma i due draghi adulti si rifiutarono di dargli lezione per il momento.
Rubia non cedette terreno facilmente quanto gli altri cuccioli, scosse la testa con determinazione e domandò: Perché noi siamo immortali? Gli umani non lo sono, vero? Questo significa che prima o poi ci abbandonerebbero?
Le rispose Nerkoull: Piccola dragonessa, nemmeno noi abbiamo una risposta alla tua domanda; nessun drago si è mai legato a un essere umano come avete fatto voi, quindi non sappiamo dirvi se la vostra immortalità toccherà anche loro o se vi abbandoneranno.
Ma se non dovesse toccarli, tra quanto... lasciò in sospeso la domanda incapace di pronunciare le ultime parole.
Gli Umani non vivono che un battito di ali in confronto a quanto possiamo vivere noi. I più fortunati possono superare le cinquanta eclissi, ma non tutti possono vantarsene.
Cinquant’anni... sussurrò Rubia incredula, presa da un improvviso terrore e senso di nostalgia al solo pensiero Cinquant’anni non sono niente... e pensò a Gorall di nuovo, la possibilità che lei stessa arrivasse a vivere a lungo come lui era concreta, e non riusciva a credere che avrebbe dovuto trascorrere più di duemila anni senza la sua amica umana.
Non lasciarti angosciare Rubia, è qualcosa che non si può cambiare. È la natura ribadì il grande drago nero.
Lei di nuovo scosse la testa e lo guardò dritto negli occhi rosso sangue con ardore: No! Per noi non sarà così, io cambierò la natura! Io la renderò immortale. Sono un drago!
Nerkoull ridacchiò con un ringhio acuto: La tua determinazione ti fa onore, e ti auguro di riuscire a realizzare il tuo desiderio. No, non sappiamo se diventare immortali inciderà sulle loro vite e sui loro fragili corpi aggiunse poi, anticipando la sua prossima domanda Gli Umani non sono fatti per vivere in eterno, è vero. Ma è vero anche che sono Umani speciali, legati a voi. Ciò che dovrà succedere lo vedremo insieme per la prima volta, tutti quanti noi.
Garandill per addolcire la pillola di quelle notizie incerte si sdraiò accanto a loro cingendoli tutti con la lunga coda e disse affettuosamente: Siete alla lontana sangue del mio sangue, essendo la progenie della progenie del mio compagno di nido. Pertanto abbiamo deciso insieme che se riteneste di avere bisogno di un legame affettivo simile a quello che i vostri amici umani possiedono potrete chiamarci madre e padre da qui fino a quando ne avrete bisogno.
Grazie Garandill disse Ametyst con una vocina flebile a confronto con quella della grande dragonessa A me farebbe piacere, e sicuramente anche ai miei fratelli.

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Capitolo 56
*** Mother-in-law's milk ***


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Il colore del titolo del capitolo corrisponde al colore della regione in cui la storia al momento si svolge, tenete d'occhio la mappa per sapere dove ci troviamo!

MOTHER-IN-LAW'S MILK

Le lezioni nei panni di Apprendisti sarebbero cominciate il quarto giorno del mese di Vuulnas, in corrispondenza con l’inizio della prima settimana del mese. Dunque avevano ancora tre giorni liberi, perché loro al contrario di altri studenti non avrebbero dovuto ripetere esami falliti o tentare la fortuna con altre materie.
Mike insistette per non andare dai draghetti perché disse, a tutti meno che ad Andrew, di aver appunto intenzione di portarci il ragazzino per la sua festa della nascita che era il terzo giorno del mese.
Decisero perciò di andare da Iven il loro secondo giorno libero, giusto per condividere il loro successo con qualcuno e passare il tempo diversamente dal solito, e dopo pranzo lasciarono la scuola indossando comunque le loro vesti, su cui spiccavano i quattro simboli delle materie scelte da ognuno.
La notte prima aveva piovuto e la strada era ancora bagnata, così come l’aria era più fresca del solito, ma il cielo era limpido e il sole fece in tempo ad asciugare le ultime pozzanghere a terra prima che arrivassero alla casa della vecchia Iven nel distretto del Corvo, poco lontana dalla loro.
Fu naturalmente lei ad aprire loro la porta quando bussarono, essendo sola in casa, e sembrò sinceramente sorpresa di trovarseli sulla soglia ma li fece entrare con un largo sorriso. La trovarono bene come l’ultima volta, salutò con un abbraccio ognuno di loro prima che fosse entrato in casa, e Cedric come suo solito diede segni d’insofferenza.
Prendendosi ognuno un posto nel salotto iniziarono spiegando a Iven cosa ci facessero lì, dicendole che avevano passato i loro primi veri esami e potevano quindi proseguire con le loro lezioni; le mostrarono i simboli sulle casacche e le spiegarono cosa significasse ognuno di quelli, cercando anche di riassumerle ciò che si studiava in ciascuna materia. E naturalmente apprezzarono i numerosi complimenti che la vecchia fece loro, pur ammettendo che molte di quelle materie non riusciva a capire come funzionassero.
Passarono praticamente tutto il pomeriggio a discutere della scuola e delle materie cercando di spiegarle alla donna, tanto che finirono per bere un tè coi biscotti e Iven li invitò nuovamente per cena. Non ci furono litigi in cucina questa volta, anzi i ragazzini si ammassarono nella stanza con lei per cucinare tutti insieme e nel frattempo farle vedere come accendevano il fuoco, tagliavano i viveri o aggiungevano acqua nelle pentole con la magia, lasciandola ogni volta a bocca aperta; Iven spesso commentava quanto le piacessero i bagliori che coloravano sia gli elementi manipolati che i palmi delle loro mani.
Attesero che il figlio di Iven fosse tornato a casa prima di sedersi a cenare, e riconobbero che la loro presenza l’aveva molto sorpreso. Probabilmente era abituato a cenare da solo con sua madre, non a ben otto posti a tavola. Lui somigliava molto a Iven, tranne per il fatto che aveva i capelli ancora scuri e la pelle più chiara, e naturalmente aveva una corporatura meno fragile. Era un tipo molto simpatico e spigliato a cui raccontarono più velocemente tutto quello che avevano detto alla stessa Iven nel pomeriggio.
Mike si stancò presto di stare a sentire le stesse cose una seconda volta, perciò colse al volo l’occasione di alzarsi un attimo dal tavolo quando la caraffa dell’acqua si svuotò completamente, la prese dicendo che l’avrebbe riempita e chiese ad Andrew di accompagnarlo.
«Ma perché? Possiamo farlo con la magia!» protestò Susan sorpresa.
E lui fece una smorfia: «Tanto non mi costa nulla...»
Ma Iven lo interruppe dicendo: «Allora già che ci sei perché non ci prepari un tè al tarassaco per digerire? Si trova nella credenza a sinistra, c’è scritto sul barattolo.»
Il ragazzino annuì e posò la caraffa facendo cenno ad Andrew di seguirlo, e l’amico si alzò dal tavolo con uno sbuffo avviandosi insieme a lui in cucina.
Ci misero del tempo a trovare il barattolo indicato dalla vecchia aprendo diverse ante mentre l’acqua per il tè bolliva sul fuoco, e insieme al tarassaco essiccato trovarono svariate altre cose, tra cui liquori o boccette dai nomi ignoti che Mike provò a leggere.
«Questo non ha senso...» disse prendendo in mano una bottiglia con del liquido ambrato.
«Che c’è scritto?» domandò Andrew alle sue spalle.
«Latte di suocera. Deve essere qualcosa di strano...» rispose lui stappando la bottiglia, da cui uscì un odore stranamente caramellato «Ma perché si chiama così? Questo non è latte...»
«Forse hai sbagliato a leggere, sembra un liquore! Fammelo provare!» fece Andrew allungando le mani.
Ma Mike lo spostò abbastanza lontano perché non ci arrivasse: «Ce ne sono almeno altri tre, perché vuoi proprio questo? Questo lo provo io.»
«No! Aspetta!» lo fermò l’amico, prima che potesse nuovamente portarsi la bottiglia al naso, e Mike lo guardò incuriosito «Diamolo a Cedric!»
«E perché?» domandò l’altro, scettico.
«L’ultima volta che ha bevuto rideva e piangeva insieme, ricordi? Dev’essere divertente vedere come arriva a ridursi a quel modo!»
«E se si accorgesse di qualcosa…?»
«Andiamo, credi abbia mai bevuto il tè al... qualunque cosa abbia detto Iven? Potrà pensare che abbia un cattivo sapore!»
«Ma se lui ha già bevuto liquori se ne accorgerà sicuramente.» protestò Mike.
«Allora lo mischieremo al tè. Dai, facciamolo! Ci facciamo due risate, tanto più se poi passa la notte in bagno!» alla sua smorfia poco convinta Andrew provò con un patetico tentativo di fargli gli occhi dolci: «Domani è la mia festa, per favore! Fai finta sia già domani, facciamoci due risate...»
«E va bene! Guarda che l’acqua sta già bollendo.» esclamò infine Mike tenendo la voce forzatamente bassa, anche se di là ancora si sentiva ridere.
Si dedicarono poi alla preparazione effettiva della bevanda aggiungendo alcune parti essiccate dal barattolo di cristallo alla teiera colma d’acqua fumante, e mentre attesero che l’infuso fosse pronto per essere versato scelsero otto tazze delle dimensioni di piccoli boccali dalla credenza. Non riuscirono a capire di quale materiale fossero fatte, ma sembravano coperte da uno strato di smalto lucido e di colori diversi, dunque per Cedric ne scelsero una tendente al marrone in modo che non potesse distinguere propriamente il colore del liquido al suo interno.
Poi versarono l’infuso nelle tazze e quella del ragazzo la riempirono per metà, mentre il resto lo occuparono con quello strano liquore ambrato; l’odore del tè in qualche modo riusciva a coprire quello dell’altro, ma non a nasconderlo del tutto, e sperarono che Cedric non se ne sarebbe accorto... e soprattutto dovevano riuscire a non ridere davanti a tutta la tavolata prima che il più grande avesse cominciato per primo.
Rimisero a posto tutto quanto e cominciarono a portare al tavolo le tazze quattro alla volta, fino a portare le proprie per ultime. Si sedettero come se nulla fosse sorseggiando il loro infuso a cui dovettero aggiungere due cucchiai di zucchero ciascuno, e si sforzarono di concentrarsi sulla nuova conversazione piuttosto che guardare Cedric in continuazione.
Il ragazzo in effetti dopo aver dato il primo sorso rivolse alla sua tazza uno sguardo perplesso e una smorfia di vago disgusto sentendosi la gola bruciare, poi si guardò intorno per osservare le reazioni degli altri, che tuttavia continuarono a chiacchierare e a ridere come se nulla fosse. Perciò concluse che dovesse trattarsi dei suoi gusti e aggiunse un cucchiaio di zucchero sperando ne migliorasse il sapore, e lo bevve a piccoli sorsi, lentamente. Ma nonostante lo nauseasse non se la sentiva di lasciarlo, già che aveva mangiato poco non voleva apparire maleducato.
La situazione cominciò a degenerare lentamente, quando a una battuta del figlio di Iven Cedric fece un verso col naso, cercando di reprimere una risata coprendosi la bocca col pugno chiuso, e tuttavia faticando a chiedere scusa perché si sentiva sul punto di scoppiare a ridere senza un apparente motivo. Non gli venne neppure da chiedersi il perché e temette di trovarsi in preda a una crisi di ridarella, cosa che non era mai successa in più di nove anni.
Fino a lì nessuno al tavolo notò niente, perché stavano tutti ridendo, ma quando scese il silenzio uno alla volta lo guardarono con curiosità o perplessità, e Mike e Andrew a un certo punto si guardarono tra loro trattenendo a stento le risate.
Cedric mascherò l’imbarazzo bevendo un altro piccolo sorso per nascondersi dietro la tazza, e a quel punto non badò più allo strano sapore della sua bevanda: gli girava la testa e si sentiva un poco stordito, come se in realtà non capisse esattamente cosa stesse succedendo intorno a lui e doveva sforzarsi, e pure si sentiva caldo e temette di essere arrossito. Senza motivo, non gli veniva in mente nulla che potesse giustificarlo. O forse era l’imbarazzo che provava. Sì, pensava di essere in imbarazzo.
Quando cominciò a ridere apertamente e senza controllo fino a lacrimare, dell’imbarazzo non gl’importava più già da un pezzo. A quel punto Mike e Andrew poterono finalmente lasciarsi andare alle risate a loro volta, avevano una buona scusa vedendo Cedric insolitamente ridotto in quello stato, mentre le tre ragazze cominciarono loro malgrado a preoccuparsi, trovandolo strano. Iven e suo figlio non sembrarono particolarmente in pensiero e continuarono a ridere a loro volta, ma loro nemmeno conoscevano bene il ragazzo.
Fu quando Cedric cominciò a faticare nel dire una qualsiasi frase di senso compiuto che Iven si fece più attenta e lo studiò meglio, chiedendogli poi cosa ci fosse dentro la sua tazza. Ma non ottenne risposta dato che il ragazzo nemmeno l’aveva ascoltata, e chiedere agli altri due ragazzini fu altrettanto inutile.
«Forse il tarassaco non gli fa bene?» propose Susan confusa.
Ma l’anziana scosse la testa: «Il tuo amico è proprio ubriaco.»
«Che avete combinato voi due?» fece Layla con tono severo rivolta a Mike e Andrew.
«Perché dovremmo essere stati noi?» domandò Andrew faticando a smettere di ridere «Magari ha soltanto voglia di ridere!»
«Ma se non parla nemmeno!» esclamò Jennifer.
«Sì che parla, solo che non pensa a cosa dire prima di parlare!» rispose il più giovane.
Jennifer volse prima un’occhiata a Cedric che cercava invano di darsi un contegno coprendosi il viso con entrambe le mani, poi tornò a guardare in direzione dei due ragazzini con sguardo eloquente.
«Non abbiamo fatto niente!» continuò Andrew.
«Va bene, sarà meglio che togliamo il disturbo.» disse Layla alzandosi, rivolta a Iven «Mi dispiace che dobbiamo andarcene così di fretta...»
«Potete restare qui per la notte...» cominciò la padrona di casa.
Ma lei scosse subito la testa e la fermò: «No, soprattutto se davvero è ubriaco. Saremmo tornati a scuola comunque.»
«Ma è tardi, ragazzi abbiamo due stanze libere. Arrangeremo sei giacigli, non me la sento di lasciarvi andare a quest’ora da soli.» insistette Iven preoccupata, con il costante sottofondo di Cedric che faceva strani versi nel disperato tentativo di trattenere le risate; per cosa stesse ridendo poi, lo sapeva solo lui.
«Non preoccupatevi, non ci toccherà nessuno con queste vesti.» replicò Layla affiancandosi a Cedric per costringerlo ad alzarsi dalla sedia.
«Siete sicuri?» domandò l’uomo esitante, e anche Susan cominciò a preoccuparsi guardando Layla in attesa della sua risposta.
La ragazza sbirciò dentro la tazza marroncina trovandola vuota e fece una smorfia, poi tornò a rivolgersi ai due adulti: «Andrà tutto bene, grazie per l’ospitalità.»
«Sì, è stato divertente.» ghignò Mike alzandosi a sua volta «Grazie.»
La più grande gli rivolse un’occhiataccia mentre cercava di far rialzare il ragazzo, il quale però sembrava non riuscire a mantenersi dritto sulle proprie gambe e si appoggiò a lei facendola barcollare. Si vide costretta a doverlo tenere su ringhiandogli un rimprovero sussurrato che lui naturalmente ignorò, e anzi dopo un po’ le cinse le spalle in un debole abbraccio.
A quel punto Layla passò prima dall’essere pallida come un lenzuolo al diventare rossa come un lampone, gli occhi sgranati, e se lo scrollò di dosso con veemenza guardandolo scura in volto.
«Se lo farai di nuovo dovrai camminare per conto tuo. È chiaro?» esclamò a un palmo dal suo naso, puntandogli contro un indice.
E Cedric annuì appena dicendo: «Scusami.» poi scoppiò di nuovo a ridere e sembrò cambiare idea «Ma tanto cammino bene anche da solo, tranquilla.»
«Sì, proprio.» commentò la ragazza asciutta, rivolgendosi poi di nuovo a Iven per ringraziarla ancora.
Uscirono salutando all’unisono la padrona di casa, Mike e Andrew aprendo la fila e continuando a parlottare e ridere tra loro, Susan e Jennifer rimanendo in silenzio con sguardo torvo e Layla a chiudere la fila aiutando Cedric a stare in piedi. Non c’era molta gente per strada data l’ora tarda, perciò ad un certo punto Layla suggerì agli altri di andare avanti e raggiungere la scuola, che con Cedric se la sarebbe vista lei da sola.
«No!» protestò subito Susan con un grido acuto «Non ti lasceremo da sola con lui in queste condizioni! E di notte poi!»
«Stai tranquilla Susan, io e lui staremo benissimo.» le rispose ostentando tranquillità, mentre sostenere il ragazzo cominciava a pesarle. Le fece poi cenno di avvicinarsi e le sussurrò all’orecchio: «Vorrei che voi due riportaste indietro quei mascalzoni. Verrei con voi, se non fosse che qualcuno deve rimanere con lui... e non voglio che lo prendano in giro tutta la sera.» concluse indicando Cedric con un cenno del capo.
E proprio in quel momento Mike esclamò: «Oh no, Layla. Non ti lasceremo da sola con lui, figurati!»
«E invece sì.» disse Susan d’un tratto, facendo ridere Cedric «Se lui è ubriaco io non voglio vederlo vomitare per strada, se ci tiene se la vedrà lei.»
«Ha bisogno di noi.» disse il ragazzino, a fatica nascondendo un ghigno.
«Non ho bisogno proprio di nulla.» ribatté Layla «Voi piuttosto dovrete dormire. Non avete tempo di aspettare che gli passi, io sì.»
«Nessuno ha lezione domani.» obiettò Andrew «Possiamo dormire quanto ci pare.»
«E allora mettiamola così, voglio parlare da sola con lui per capire bene cos’è successo.» replicò lei cominciando a perdere la pazienza, e il suo fastidio dovette essere evidente perché Andrew perse il sorriso.
Ma Mike provò a insistere, nonostante faticasse a sostenere lo sguardo della più grande senza sentirsi accaldato: «Non c’è niente da sapere Layla, gli è preso un momento di ridarella.»
«Oh no, non è così semplice, ne sono sicura. E ora lasciateci in pace.»
«Layla, perché sei così cattiva con loro? Sono solo preoccupati per te.» disse Cedric, con una vena di divertimento nella voce.
E la ragazza guardò lui: «Non mettertici anche tu. Quelli vogliono solo vederti dare di matto, capito?»
«Sto... dando di matto? Non mi sembrava...» fece in un sussurro pensieroso.
«Ti hanno fatto uno scherzo! Ci arrivi almeno a questo, sì?» gli domandò irritata.
E Cedric non le rispose, evidentemente perso a pensare a chissà cosa, e non per forza a ciò che lei aveva appena detto. Finché scosse piano la testa e rispose qualcosa che suonò simile a ‘Non lo so’.
«Sei proprio sicura di voler rimanere da sola?» insistette Jennifer.
Layla sospirò: «No. Tantomeno a quest’ora. Ma alla fine dovremo solo trovare la via Maestra, camminare tutto dritto e poi girare a destra fino a trovare i cancelli della scuola. Ce la caveremo.»
«Oh, andiamo! Lasciaci restare con te!» si lamentò Mike.
E la ragazza ribatté freddamente: «Vi siete già divertiti abbastanza. E ora sparite.»
«Non è carino quello che avete fatto.» disse Susan in un sussurro mentre si allontanava con gli altri tre che finalmente sembravano aver smesso di voler insistere, forse avendo capito di averla fatta arrabbiare.
«Ma non abbiamo fatto niente!» si difese ancora Andrew.
«Bugiardi. È chiaro che avete combinato qualcosa. Ci siete stati voi in cucina un’infinità di tempo, nessun altro!» li rimproverò Jennifer, e dopodiché Layla non fu più in grado di distinguere le loro parole, perché erano già troppo distanti.
Rimase in silenzio a guardarli camminare verso il centro della città sperando davvero che le vesti avrebbero scoraggiato gli assalitori di notte come di giorno, non poco inviperita per ciò che era successo, per di più sotto al naso di tutti.
«Possibile che non ti sia accorto di nulla?» domandò poi a Cedric, ancora aggrappato a lei per stare dritto.
«No... cioè... pensi davvero sia ubriaco? L’ultima volta non è finita bene.» rispose lui, con un’aria vaga e lo sguardo perso al cielo.
«Lo sei, decisamente. Forse ora stai un po’ meglio, che hai respirato dell’aria fresca. Ma come hai fatto a non accorgertene?!»
L’altro scosse appena le spalle: «Non lo so. Credo mi sia sembrato strano, ma... non sono esattamente un esperto in questo campo.»
«Non te ne sei accorto e hai bevuto lo stesso.» completò lei con un sospiro esasperato «Maledette piccole pesti, guarda ora che mi tocca fare.»
«Sei sempre così insofferente con me.» sospirò lui a sua volta, e la ragazza si limitò a fissarlo a labbra strette, ma non fece in tempo a figurarsi una risposta prima che lui di nuovo parlasse: «Mi è sempre piaciuto guardare le stelle di notte.»
«Avrei detto le guardassi di giorno...» commentò appena più tranquilla, ma ancora scura in viso.
«Non credo di aver mai provato.»
«E vorrei ben vedere! No, forse non stai poi così bene.» esclamò avviandosi lentamente, e lui la seguì senza curarsene.
«Non trovi anche tu che siano belle? Mi sono sempre domandato cosa fossero, e perché si vedessero solo di notte e non di giorno.»
«E per questo stai studiando astronomia, ti piace proprio eh?»
«Sì. Prima di allora ho sempre pensato fossero le anime dei morti che ancora sentivano di avere un dovere nei confronti di chi invece viveva, e che quindi ci guidassero di notte quando la luce del sole non poteva farlo.»
Layla lo guardò di sbieco nascondendo la sorpresa che provò nel sentirgli dire quelle cose, scoprendo che ancora stava guardando in alto e smise di camminare per imitarlo; sì, le piaceva guardare le stelle, ma non aveva mai realmente pensato che fossero qualcosa al di fuori di puntini luminosi stagliati sul firmamento e messi lì dagli dei, forse da Maerah che era la padrona della notte.
«Le guardavo per cercare di consolarmi, e spesso sentivo la voce di mia madre. La gente diceva che ero pazzo, ma io la sentivo davvero.»
«Cedric... stai straparlando.» lo ammonì Layla preoccupata, con un tono di voce più cauto e gentile.
«Ah? Mi dispiace.»
Quando ricominciarono a camminare entrambi abbassarono lo sguardo sulla strada e rimasero in silenzio piuttosto a lungo, lei non sapendo come iniziare una nuova conversazione, e in fondo non volendolo realmente, e lui invece pensando ai fatti suoi. Talvolta la ragazza lo sentì mormorare qualcosa, e cercò tuttavia di non darvi peso dicendosi che stesse pensando ad alta voce.
Fin quando si mise a canticchiare una canzone che Layla non aveva mai sentito, attirando lo sguardo di un passante, e quando lei gli chiese dove l’avesse imparata il ragazzo si limitò a rispondere che gliel’aveva insegnata sua madre molto tempo prima. Poi sghignazzò e s’infilò in una via laterale ignorando i suoi rimproveri, e anzi spesso girandosi per controllare che lo stesse seguendo.
Lei non fece altro che richiamarlo, perché non se la sentiva di prendergli un braccio per trascinarlo verso la via della Magia anche se probabilmente avrebbe avuto la forza di farlo - o almeno aveva dalla sua il fatto che lui non fosse stabile sulle gambe. Ma sgridarlo a parole non servì a nulla, e fu costretta a camminargli a fianco.
Chiedendogli dove stesse andando ottenne come risposta un semplice: «Un posto dove sono stato una delle volte che siamo venuti a Eunev io e lei. È divertente, fidati.»
«Dobbiamo tornare a scuola!» gli sussurrò angosciata.
«Abbiamo tempo.» disse lui con noncuranza, e da lì proseguirono nuovamente in silenzio.
Non lasciarono il distretto del Corvo, anzi Cedric la portò più a nord fino a giungere davanti al cimitero minore; era uno spazio chiuso dietro un muro alto almeno due braccia, con un ingresso ad arco subito dopo il quale c’era una piazza con al centro una statua di Despada - le grandi ali nere spiegate dietro di sé, una lunga falce in una mano e una clessidra nell’altra. Da quella piazza poi partivano diversi sentieri che si snodavano attraverso il cimitero, dove anche nella notte si potevano intravedere le strutture dei sepolcri, dei piccoli altari, delle nicchie che ospitavano i vasi con le ceneri o le lapidi che segnavano la posizione di un corpo sottoterra.
«Cosa ci facciamo nel cimitero?» domandò la ragazza.
«Te l’ho detto, è divertente.» si limitò a ripetere il ragazzo, conducendola in un posto che evidentemente conosceva.
«Sei sicuro di stare andando dalla parte giusta? Quanti anni fa ci sei stato l’ultima volta?»
Lui fece un verso, pensieroso, e alla fine rispose: «Sì, è stato l’ultima volta che siamo venuti. Nove anni fa. O forse dieci.»
Layla si lasciò condurre senza più ribattere, fino a che lui cominciò a ridere indicando le lapidi, e lei non capì cosa ci fosse di tanto divertente finché Cedric stesso glielo spiegò: a quanto pareva ricordava che alcune di quelle lastre di pietra, o targhette sotto a statue, recassero delle frasi divertenti al posto dei classici epitaffi d’addio seri e strappalacrime.
«Leggi questa!» le disse il ragazzo fermandosi davanti a una di quelle, rimanendo abbastanza distante perché lei potesse inginocchiarsi e leggere da sé.
Sospirò: «Non so leggere Cedric, lo sai.»
«Ah già. E poi è troppo buio. Beh, qui c’è scritto ‘Ero qualcuno. Chi, non è affare tuo.’» e detto ciò di nuovo rise. La ragazza invece si lasciò andare a una smorfia perplessa, e appena lui la notò riprese: «Va bene, aspetta. Ce ne sono altre, vieni.»
«Ti ricordi a memoria cosa c’è scritto su quali lapidi?» gli chiese mentre lo seguiva, dando per scontato che anche per lui fosse troppo buio perché leggesse.
Il ragazzo annuì distrattamente e dopo alcuni minuti si fermò davanti a una tomba sovrastata da una statua di Despada in marmo nero, gliela indicò e disse: «Qui c’è scritto ‘Tranquilli, è solo sonno arretrato.’» e non ottenendo la reazione sperata, Cedric provò a insistere: «Sonno arretrato Layla, capisci? Dormirà per un bel po’...»
«L’ho capita.» lo interruppe premendosi una mano sugli occhi «Solo che non lo trovo divertente. I morti si devono rispettare, non prendere in giro.»
«Io non prendo in giro nessuno. Loro hanno deciso di incidere queste frasi nella pietra, non io. Evidentemente volevano che chi le leggesse si divertisse.»
«No, forse volevano soltanto morire come sono vissuti, ovvero da ottimisti o cinici visionari. Andiamo adesso, coraggio.» gli disse pazientemente, come se stesse cercando di convincere un bambino a lasciare a terra un giocattolo.
«Va bene, aspetta. Ti faccio vedere l’ultima.» ribatté il ragazzo cominciando ad allontanarsi con l’indice destro vagamente puntato contro di lei.
«Cedric...» sospirò Layla seguendolo svogliata «Dobbiamo andare, altrimenti i ragazzini restano da soli e si preoccupano.»
Ma lui la condusse davanti a un’altra tomba, che di nuovo indicò e recitò a memoria: «Se solo non avesse perso la testa...» attendendo poi la reazione di Layla.
Una volta che ebbe compreso il significato di quest’ultima la ragazza ridacchiò suo malgrado, dando a lui la scusa per ricominciare a ridere spezzando il breve silenzio.
«Questa era carina.» ammise quando finì di sogghignare «Ma adesso andiamo, dai.»
Cedric sbuffò, stranamente non compiaciuto dalla sua poca voglia di scherzare, ma alla fine con passo ancora incerto le fece cenno di seguirlo e la ragazza sperò vivamente che si sarebbe ricordato quali strade prendere per tornare sui loro passi. In effetti sembrò essere così perché se non altro lasciarono senza intoppi il cimitero, ora restava da vedere se fossero riusciti a tornare sulle strade principali.
Come prima rimasero avvolti in un silenzio rotto soltanto dai sussurri o dai canticchi del ragazzo, fino a quando tuttavia lei chiese: «L’ultima volta non è andata bene...?»
E Cedric si riscosse da qualsiasi cosa stesse pensando, rispondendo dopo qualche attimo: «No, in effetti no. Ma soprattutto per te, non è così?»
«Soprattutto per me cosa?» fece confusa.
«Beh, l’ultima volta che abbiamo girato la città da soli non hanno tentato di stuprare me.»
Layla non rimase sorpresa soltanto dal fatto che avesse tirato fuori quella cosa dal nulla, dato che lei si riferiva a ciò che aveva detto lui precedentemente, all’ultima volta che aveva bevuto, anche se non tanto quanto poco prima. Ma soprattutto da come gliel’aveva sbattuto in faccia, senza mezzi termini o senza provare a farla arrivare da sé coi suoi soliti giri di parole.
Si fermò in mezzo alla strada con gli occhi sbarrati a riflettere su ciò, e lui tranquillamente andò a sedersi sul muretto che circondava il piccolo cortile di una casa, come se non avesse detto nulla più di un banale commento sui suoi capelli.
«Cosa... non stavamo parlando di quello.» sussurrò la ragazza infine, quando ritrovò la voce.
«Ah no? Beh, adesso sì.» fece lui scrollando appena le spalle, poi fece una smorfia e si lamentò di qualcosa, forse relativo ai giramenti di testa.
«Non c’è niente da dire.» tagliò corto la ragazza.
«Oh, no, c’è molto da dire. Siediti qui.» le disse allungando una mano sul muretto, ma dal momento che Layla esitò a lungo aggiunse: «Non ti va di farmi sapere che cosa pensi di quei quattro trogloditi senza cervello?»
«Onestamente? No.» rispose lei «Non ce n’è bisogno, sto bene.»
«Come vuoi, a me non sembra.» disse lui tornando a guardare il cielo.
Layla strinse le labbra e non disse niente, pensando che in effetti lui aveva ragione, e si chiese da quanto tempo lo sapesse e non gliel’avesse mai detto, forse soltanto per non creare imbarazzo o per non farla soffrire, o ancora per evitare una brutta discussione. Ma al momento non gliene importava nulla a quanto pareva, decisamente non era in sé per arrivare a dirle certe cose così schiettamente. Eppure la ragazza non aveva intenzione di parlarne, tantomeno con lui considerando la sua buona memoria, e non era detto che aver bevuto fino a ubriacarsi l’avrebbe precluso dal ricordare l’intera conversazione.
«Comincia tu.» lo provocò infine, in modo che se lui si fosse rifiutato avrebbe avuto un’ulteriore scusa per non dire nulla.
«Io?» fece Cedric sorpreso, tornando a guardarla «Non ho nulla da dire a riguardo.»
«No, magari non su quello. Ma lo vedi? Ti sfido a dirmi cosa ti turba sempre. Tu non lo faresti, perché io dovrei?»
«Perché poi mi dici che straparlo. Io non te lo direi mai.»
Alla fine Layla scosse la testa e sospirò: «Siamo qui solo per tornare a scuola. Non ho voglia di farmi un’altra chiacchierata da sola con te, chissà cosa ne verrebbe fuori. Andiamo.»
Cedric sbuffò di nuovo e si alzò barcollando un poco, ma non cercò il suo sostegno e i due camminarono a un passo l’uno dall’altra per conto proprio. Alcune persone gli rivolsero delle occhiate torve e Layla seppe che avevano compreso la situazione, sebbene in effetti il ragazzo al suo fianco non si comportasse in modo troppo strano né camminasse troppo storto; ogni tanto rischiava di perdere l’equilibrio, ma camminando molto vicino alle case alla fine gli bastava fermarsi un attimo e appoggiarsi per riprendersi e continuare la marcia.
«L’altra volta è andata male, sì. Ma non vuoi sapere il perché.» disse lui dopo qualche minuto, rompendo il silenzio.
«E allora perché me l’hai detto?»
Il ragazzo scosse le spalle: «Rispondevo alla tua domanda.» lasciò passare altro tempo, poi di nuovo parlò: «Perché desideri che Despada mi prenda?»
«Cosa?» domandò colta alla sprovvista.
«Sì, insomma, l’hai detto l’altro giorno.»
Ci mise alcuni attimi a ricordare della loro breve chiacchierata dopo la fine dei loro esami e scosse velocemente la testa: «No, ma non intendevo sul serio! Era solo un modo per dirti di piantarla con le fesserie. Perché mai dovrei volerlo davvero?»
«Non lo so. Non saresti la prima.»
«Non ti ho mai davvero voluto morto Cedric, non ne avrei motivo. Non sono così meschina.»
«Oh. Va bene. Grazie.»
Gli rivolse un’occhiata stranita, non sapendo bene se le cose che stesse dicendo fossero dovute al fatto che non pensava bene come al solito a cosa dire prima di parlare.
«Nemmeno quando ho fatto male a Emily?» riprese lui dopo un po’.
«No... insomma ho avuto paura, e lei mi ha sempre parlato male di te... ma non fino a quel punto, no. Chi altro ti voleva morto?»
«Oltre all’intero villaggio? Gli orsi.»
La risposta così sciocca e inattesa la lasciò sorpresa: «Seriamente? Ma gli orsi sono animali...»
«Sì ma c’è stato un periodo in cui ho creduto volessero accanirsi tutti su di me. Credo di averne incontrati ventidue a cui poi sono sfuggito. Forse ero solo paranoico. Non che ora non lo sia...»
«Probabile, forse ti sei solo avvicinato troppo ai cuccioli...» non volle indagare su come si fosse salvato ogni volta, non volendo immedesimarsi in una situazione del genere. E dopo un altro silenzio si convinse a chiedergli con titubanza: «Allora cos’è successo esattamente con... con Emily? Io so solo una metà della storia...»
«Che sarebbe? Io che mi metto a urlare come un pazzo e la spingo giù cercando di ucciderla?» esclamò, meno arrabbiato di quanto Layla si sarebbe aspettata.
«Più o meno.» rispose cautamente, sperando che lui avrebbe comunque risposto alla sua domanda.
«Cosa cambierebbe se te lo dicessi?»
«Non lo so. Mi hanno sempre detto di starti alla larga e ti ho sempre creduto pericoloso, per questo non mi fidavo. Ma... alla fine non sei poi così male. Quindi forse vuol dire che loro sbagliavano…?»
«Beh, che fossi pazzo forse era vero. Parlavo da solo e solo a sentir nominare mia madre facevo delle scenate incredibili, ma avevo delle ragioni. Però in realtà non ho mai avuto intenzione di fare del male a Emily, volevo solo che smettesse di farmi quelle stesse domande che tutti ripetevano, e lei si sentiva in diritto d’insistere perché era la mia migliore amica... così l’ho spinta perché volevo si allontanasse.»
Il ragazzo fece una piccola pausa infilandosi in un vicolo per sedersi su un altro muretto e di nuovo guardò verso l’alto, mentre Layla incrociò le braccia al petto con una smorfia preoccupata, ricordando da sé che il tutto era successo nella stalla, più precisamente sul piano rialzato dove loro avevano nascosto le uova. E dove lui in effetti, per diverso tempo dopo che i draghetti erano nati, era andato a nascondersi smettendo di rispondere a loro o a qualsiasi stimolo esterno, rimanendo perso in chissà quali pensieri. Evidentemente era stata un’abitudine per lui rifugiarsi lì quando stava particolarmente male, ed Emily doveva esserne stata a conoscenza.
«Non mi sono nemmeno reso conto che fosse caduta giù.» riprese poi il ragazzo «L’ho capito solo quando Jorel è venuto a riprendermi, e lì c’era Mos che gridava cercando di rianimare Emily. Pensavo fosse morta, ma alla fine è rimasta solamente immobile per... non lo so, forse un paio di mesi. Tutte le mie scuse non sono servite a nulla, naturalmente, e Mos non ha più voluto vedermi nemmeno quando avevo davvero bisogno di un medico. ‘Veditela per conto tuo’, capisci? Lo so che non è giustificabile, ma... è andata così.» concluse scrollando piano le spalle e tornando a guardarla.
«Non... non te ne sei reso conto...» ripeté lei, non sapendo se considerarla propriamente una domanda.
E lui scosse piano la testa: «No Layla, non capivo niente. Ero sconvolto.»
«Sconvolto da cosa? Insomma non puoi essere impazzito all’improvviso, giusto?»
Questa volta Cedric non rispose, distolse lo sguardo e scosse impercettibilmente la testa ma non sembrava voler approfondire la questione.
«Non volevo dirlo in questo modo, mi dispiace.» si affrettò a dire lei, pensandolo sinceramente «Solo che... pensavo ti sarebbe stato più facile capire dove volessi arrivare. Era per tua madre? Se non sbaglio il periodo...»
«Sì, lo era.» la interruppe «Nel caso specifico di Emily, era per quello. Il resto è dovuto all’inutile vita di merda che ho vissuto di lì in poi.»
Di nuovo la sua schiettezza la sorprese, al contrario di ciò che aveva detto; non ne sapeva molto perché nessuno al villaggio ne parlava apertamente, nonostante tutti sapessero cosa succedeva tra lui e Jorel pur senza alzare un dito per aiutarlo, e non se la sentì di indagare più a fondo. Non sarebbe stato utile alla loro conversazione né alla loro amicizia, piuttosto Cedric avrebbe dovuto sentirsi libero di potersi fidare di lei al punto da dirglielo spontaneamente.
Tuttavia lui continuò da sé: «Penso che Jorel fosse quello che mi voleva morto più di tutti, tornando alla domanda di prima. Non mancava mai di incolparmi di aver ucciso mia madre e di farmela pagare per qualsiasi cosa. E col fatto di Emily c’è andato davvero vicino, mi ha picchiato così forte che non sono riuscito a muovermi per giorni. Ancora adesso mi fa male, a volte.»
A quelle parole Layla fece nuovamente una smorfia sentendo un brivido lungo la schiena e si trattenne dal dirgli che aveva ricominciato a straparlare, lasciandolo sfogare invece. Verosimilmente non ne aveva mai parlato con nessuno prima d’ora e nemmeno se ne stupì considerando la brutta nomea che s’era attirato negli anni.
«Oh, non guardarmi così.» sbottò poi il ragazzo, evidentemente avendo capito di averla turbata «Non me ne faccio niente della tua compassione.»
«Beh, diciamo che da oggi andrà meglio allora. No?» disse infine cercando di risollevargli l’umore.
E Cedric di nuovo scosse le spalle: «Sì, forse. Non so che farmene della mia vita, a Darvil non ho alcuna intenzione di tornare... ma vivere da solo qui sarà difficile.»
«Non è detto che tu debba essere da solo per sempre. Pensaci.» gli sorrise, facendogli cenno di riprendere a camminare, e infatti lui si alzò e la seguì, così la ragazza poté notare che camminava meglio di prima.
«E saresti tu la fortunata pretendente?» le chiese a bruciapelo.
«Cosa? No!» esclamò subito lei.
«Lo so, stavo scherzando. Ma non potrei mai essere un buon padre comunque.» sospirò poi.
«E questo chi te lo dice? Certo sei particolare, ma in fondo sei premuroso e responsabile. E sei disposto a rischiare sempre tutto per noi. Sono anche sicura che non commetteresti gli stessi errori di tuo...» s’interruppe appena in tempo evitando di definire padre un uomo che non lo era realmente e comunque non lo era mai stato per lui. Si sentì strana dopo aver detto quelle cose, che in fondo pensava davvero, ma che non avrebbe mai voluto ammettere. Tantomeno davanti a lui. Forse l’aveva detto inconsciamente per farlo sentire meglio.
«Oh, questo è un giorno da ricordare! La sputasentenze che fa i complimenti al disturbato.»
Layla aprì la bocca scandalizzata: «La... come mi hai chiamata?» quando lui scoppiò a ridere nonostante si sentisse un poco offesa non poté fare a meno di sorridere a sua volta «Beh, tu ti sei dato del disturbato... posso passarci sopra.»
Come completamente dimenticandosi della discussione di poco prima, Cedric ricominciò a canticchiare e poi a saltellare con lei che era costretta a stargli accanto in quella danza senza senso per non perderlo di vista. Gli sbalzi d’umore a quanto pareva erano rimasti.
«Cedric! Ti prego smettila, sei imbarazzante!» sussurrò guardandosi intorno.
«Oh andiamo, lasciami divertire! Stai certa che non berrò mai più, non ricapiterà di nuovo. Goditi questo momento e smettila di fare la ragazza seria e composta!»
«Ma... è più forte di me! Ah! No! Lasciami giù!» gridò; il ragazzo l’aveva presa in braccio e riprese a saltellare con lei in spalla «Cedric! Dico davvero, guarda che ti picchio!»
«Fallo! Vediamo se riesci! Come se tu potessi farmi qualcosa.»
Layla strinse il pugno e fece per darglielo dritto in testa, ma vederlo ridere in quel modo la fece sentire una stupida egoista nel desiderare che smettesse. In fondo non le stava mancando di rispetto per farla sentire impotente, stava solo cercando di far divertire anche lei.
Così sbuffò sorridendo, piantò i gomiti sulla sua spalla e rimase lì con la testa tra le mani guardando in alto, aspettando che si stufasse di tenerla sollevata. Finché finalmente lui fece un giro su se stesso e poi la lasciò con cautela a terra, gli girò la testa e si sdraiò sulla schiena.
«Ti senti bene?» gli chiese subito Layla preoccupata.
«Mai stato meglio credo. Davvero. O non negli ultimi anni.» le rispose sorridendo.
«Non ti credevo capace di ridere tanto.» ammise sedendosi accanto a lui.
«Io sì. Dipende da molte cose. Di solito non riesco perché... diciamo che ora non penso davvero a nulla.» allungò la parola davvero pronunciandola anche con un tono più acuto «O meglio sì che penso, ma non mi soffermo. Voglio dire, laggiù c’è un uomo che mi guarda. Ma non me ne frega niente. Io faccio lo stesso lo stupido anche se so che penserà che sono un idiota. E di solito credimi, non lo farei.»
«Lo so, sei come me. Per ragioni diverse, ma entrambi vogliamo fare una bella impressione alle persone… Cos’hai?» gli chiese poi, vedendo che si era messo a sedere con una smorfia.
«Mi sento sul punto di dover vomitare. Dopo tutti quei saltelli...»
Layla scoppiò a ridere a quelle parole: «No ti prego, non farlo qui! Non dirmi che Susan alla fine aveva ragione!»
«Allora, mi trovi così davvero odioso?»
Si volse di scatto smettendo di ridere e lo fissò dritto negli occhi, come stava facendo anche lui: «Sei ubriaco, non sei davvero in te.»
«Questo sono io. O forse dovrei dire che sarei io, se non avessi sempre tutti quei brutti pensieri per la testa… O meglio, no, va bene forse non sarei così. Sarei così ma... meno stupido?»
Lei inevitabilmente riprese a ridere: «Sarebbe difficile essere più stupido di così... guardare le stelle di giorno!»
«Tecnicamente si potrebbe, se non ci fosse il sole. Ma che dico, il sole è una stella! Una stella che si vede solo di giorno.»
«Ehi hai proprio ragione! Non ci avevo pensato! Sei un genio!»
«Genio? Ma quale genio, si chiama Astronomia. Sono solo sveglio e ho letto molto, tutto qui. Potresti essere al mio livello se avessi letto quanto me.»
«Oh certo!» esclamò ironica, ma non poté fare a meno di prendere realmente in considerazione ciò che aveva detto «Lo pensi davvero?»
«E perché no? Chi può dire il contrario? Sei sveglia anche tu mi pare.»
Layla distolse un attimo lo sguardo per non fargli vedere che era arrossita: «No, mi mancherebbe comunque la tua bella memoria.»
«Bella è relativo, io l’ho sempre odiata.» ammise lui.
«Comunque ti prendevo in giro. Lo so che il sole è una stella, mi hai riassunto le tue lezioni di Astronomia, genio.»
«Ah, è vero. Dov’è finita la mia bella memoria?» fece Cedric facendola ridere ancora una volta, poi cambiò argomento: «Sei sicura di non volerti sfogare?»
Layla annuì piano tornando seria: «Sì. E tu? Vuoi dire altro?»
«Meglio di no. Ho già detto troppo, solo che non ci penso. Ti prego non farmi altre domande.»
«Come vuoi. Allora andiamo per davvero questa volta, si sta facendo troppo tardi.»
«Hai paura?» le chiese rialzandosi.
«Un po’. Credo ci salvino solo le nostre vesti da quelle bestie...»
«Ah! L’hai detto.» Cedric si lasciò andare a un sorriso beffardo.
E Layla dovette ammettere che in parte aveva ragione, ma non aveva alcuna intenzione di sfogarsi. Riprese a camminare sperando di non sbagliare strada, ma appena le capitò di prendere la svolta errata il ragazzo dietro di lei la richiamò per correggerla. E così raggiunsero la via Maestra, che non ebbero problemi a percorrere tutta dritta.
Prima di raggiungere la seconda cerchia di mura la ragazza dovette rimproverare l’amico più di una volta, perché lo beccò giusto in tempo prima che bussasse alle porte delle case che si affacciavano sulla strada principale.
Questo non può essere Cedric si disse sospirando spazientita Sono solo gli effetti collaterali di una bevuta devastante. Ma se invece avesse ragione? Se lui in realtà sarebbe così? Mi domando cosa ti abbia realmente fatto perdere la testa... E tutto sommato alla fine è meglio così concluse, dicendosi che non avrebbe sopportato di dover tenere a bada pure lui insieme a tutti gli altri. Almeno adesso un poco la aiutava a tenere l’entusiasmo dei più giovani a freno.
Come al solito grazie alle vesti non ebbero problemi né con la gente che alla peggio li guardava insistentemente né con le guardie al cancello che non fecero domande, e raggiunsero la scuola relativamente in fretta.
«Trogloditi senza cervello mi è piaciuta, comunque.» disse Layla all’improvviso, una volta attraversato il doppio cancello che conduceva al distretto grigio della seconda cerchia di mura.
«Anche a me.» ridacchiò il ragazzo.
Lei si morse l’interno delle guance, combattuta se sfogarsi o meno in sua presenza; non se la sentiva di farlo perché in un certo senso se ne vergognava, e perché lui avrebbe ricordato ogni parola, ma in fondo sapeva anche che non l’avrebbe giudicata, e dirlo a Iven le aveva fatto bene... con Cedric avrebbe potuto anche essere più specifica, perché lui aveva assistito dall’inizio alla fine. Era la sua ultima occasione, mancava poco perché entrassero effettivamente nella struttura. Doveva decidersi in fretta.
«Io... per quanto mi sforzi non riesco a trovare degli insulti adatti.» sussurrò infine.
«Sono sicuro che in realtà tu ne abbia pensati un’infinità, ma rifiuti di ammetterlo a te stessa. Sei troppo gentile, quelli non lo meritano.» rispose lui con tono neutro senza guardarla.
«Tu quanti ne hai pensati?» gli domandò guardandolo con la coda dell’occhio.
E Cedric scosse le spalle: «Vuoi tutta la lista?»
«Sì, grazie.»
Il ragazzo smise di camminare improvvisamente per guardarla stralunato, evidentemente aveva buttato giù la domanda aspettandosi una risposta negativa. Ma alla fine riprese a camminare scuotendo le spalle e cominciò a elencare tutta una serie d’insulti, dal più classico ‘Bastardi senza spina dorsale’ a un più colorito ‘Inutili ammassi di letame buoni nemmeno a concimare’.
Il che fece ridere Layla molto più degli strani epitaffi sulle lapidi, tanto che a un certo punto cominciò a interromperlo ogni tanto per esclamare tra le risa gli insulti che le venivano in mente a sua volta, eppure neanche lontanamente creativi quanto i suoi.
Si costrinsero a smettere quando ebbero raggiunto l’ala delle stanzette comuni per evitare che qualcuno li sentisse ridere, e la ragazza sospirando felice disse: «È stato divertente. Grazie.»
«Figurati. Era ora che lo facessi.» ribatté Cedric «Visto? Ne hai detti parecchi alla fine.»
«Mai quanto te! Ma sono riuscita a lasciarmi andare.»
Appena prima che si avvicinassero alle loro stanze Cedric le afferrò il braccio e la fermò. Non le diede il tempo di dire nulla che subito parlò: «Devo chiedertelo, non dire niente a nessuno di quello che è successo stasera. Io... non ero del tutto in me, potrei aver straparlato un po’.»
Annuì: «Non c’è problema, non preoccuparti. Anch’io ho qualcosa da nascondere ai ragazzini, alla fine, potresti minacciarmi se dovesse per sbaglio scapparmi qualcosa.»
Cedric le sorrise grato: «Non succederà, ma comunque già lo sapevo.»
Layla stava per augurargli la buonanotte e dargli le spalle quando lui senza preavviso l’abbracciò. Lei ricambiò imbarazzata pensando che ancora non fosse propriamente in sé per fare una cosa del genere, ma poi le diede anche un fugace bacio sulla guancia.
La ragazza si staccò immediatamente e lo guardò dritto negli occhi a bocca aperta, non in grado di commentare. Allora lui le posò un dito sulle labbra e le fece l’occhiolino, poi riprese a camminare e lei lo seguì, incapace di pensare che stava per sdraiarsi sul suo comodissimo letto dopo quello che era appena successo e dopo gli scambi di parole che avevano avuto; mai avrebbe immaginato di potersi divertire, sfogare tanto, con sincerità e disinvoltura. Con lui. Il ragazzo dal quale i suoi genitori ed Emily avevano insistito tanto nel tenerla lontana. Di sicuro non gli sarebbe piaciuto sentire di quell’episodio, per quanto ne sapeva avrebbe persino potuto perdere per sempre la stima di Emily.
Layla fece infatti molta fatica a prendere sonno, non riuscendo a non pensare a ciò che si erano detti quella sera. Ma soprattutto a quel bacio che seppur fosse stato appena accennato l’aveva mandata completamente in confusione. Avendone già parlato con lui immaginava si trattasse solamente di una sorta di strano modo di ringraziarla, o salutarla, o più semplicemente un banale gesto d’affetto. Eppure per un solo attimo le tornò alla mente la possibilità che lui le avesse mentito, e che pur di nascondere i suoi sentimenti preferiva ripetere a se stesso di non essere in grado di amare.
Scosse la testa cercando di non darvi peso, rigirandosi nel letto; qualunque cosa quel gesto volesse dire era sicura che il giorno successivo non avrebbe più avuto alcuna importanza, che tutto sarebbe tornato esattamente come prima. E se anche lui fosse stato abbastanza disinibito da fare una cosa del genere, l’indomani sarebbe tornato a essere il solito ombroso pessimista che non dimostrava mai affetto a nessuno; in fondo Cedric sapeva che lei non era interessata a una relazione, e l’aveva sempre rispettata, non vedeva perché soltanto per una notte senza freni sarebbe dovuto cambiare tutto improvvisamente.

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Capitolo 57
*** Exhausting hunt ***


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Il colore del titolo del capitolo corrisponde al colore della regione in cui la storia al momento si svolge, tenete d'occhio la mappa per sapere dove ci troviamo!

EXHAUSTING HUNT

La mattina seguente Cedric si alzò dal letto con un senso di nausea più insistente del solito, un lieve mal di testa e un generale senso di stordimento che gl’impediva di concentrarsi su un solo pensiero troppo a lungo. Ma sapeva benissimo a cosa fosse dovuto perché ricordava tutto, e non evitò di darsi dello stupido per non essersi reso conto di cosa stesse bevendo prima che fosse troppo tardi. La povera Layla si era ritrovata a dover fare i conti con lui fuori controllo, e ringraziò mentalmente tutti gli dei perché sarebbe potuta andare molto peggio... eppure quello che le aveva detto non gli permise di mettersi l’anima in pace, aveva parlato senza freni e si era comportato come un vero idiota; le avrebbe fatto le più sentite scuse quanto prima, e i due ragazzini l’avrebbero pagata cara.
Raggiunse gli altri al tavolo quando già avevano finito di fare colazione, ma non se ne curò perché aveva lo stomaco chiuso comunque. Stavano parlando animatamente di qualcosa, e dedusse che quel qualcosa dovesse essere lui appena tutti si zittirono vedendolo vicino. Per fortuna se non altro quella mattina Deala non era seduta con loro.
«Ah, eccoti finalmente! Come stai?» lo salutò Jennifer prima che i due ragazzini potessero parlare.
Ma Cedric non si curò di prenderla in considerazione, vedendo come i due più giovani si stessero sforzando di trattenere le risate e di come invece Layla sembrava d’un tratto aver perso la luce negli occhi; se prima stava inveendo aspramente contro Andrew ora se ne stava con lo sguardo basso sul tavolo e le mani giunte tra le gambe.
«Mi dispiace.» le disse quindi, e vide Jennifer assumere un’aria indignata per essere stata tranquillamente ignorata.
Però Layla capì in qualche modo che stava parlando con lei, perché alzò la testa per guardarlo e sbatté rapidamente le palpebre, confusa: «Ti dispiace per cosa?»
«Per... Ah, niente.» tagliò corto, rendendosi conto che non sarebbe stato bene parlarne davanti agli altri.
Mike scoppiò a ridere esclamando: «Sei ancora ubriaco, eh? Poteva essere la serata migliore di sempre!»
«Già. A proposito, voi due.» fece Cedric indicando prima Andrew e poi Mike, che lo guardarono sorpresi «Non vi scriverò i compiti per due settimane.»
«Cosa?!» esclamò Andrew alzandosi dal tavolo preso dal panico «Ma non è giusto! Aspetta, dai era solo uno scherzo per la mia festa! Non puoi fare sul serio! Gli insegnanti ci puniranno!»
E mentre Susan rideva il più grande scosse piano la testa senza abbandonare l’aria severa, mentre Layla sospirò.
«Dai Cedric ti prego, non è giusto!»
«Ben vi sta! Così la prossima volta ci penserete meglio!» esclamò Susan, scatenando un’accesa discussione.
Ma di nuovo Cedric li ignorò e preferì allontanarsi per non doversi sorbire le loro urla, temendo che se gli avesse risposto avrebbe nuovamente perso il controllo per quanto fosse arrabbiato. A dispetto di quanto si aspettasse, Layla non lo seguì e rimase al tavolo per cercare di placare i più giovani che stavano attirando diversi sguardi infastiditi da ogni angolo della sala.
In qualche modo, prima di pranzo Mike riuscì a convincere le tre ragazze e Cedric a rimanere nella scuola per preparare una sorpresa ad Andrew, mentre lui l’avrebbe distratto portandolo a festeggiare il giorno della sua nascita fuori Eunev, coi draghi.
Godendo del bel clima primaverile che man mano prendeva il sopravvento su quello invernale, conclusosi nel mese della Lupa Maerah, dopo pranzo i due ragazzini lasciarono dunque la città da soli come al solito seguiti da occhiate torve dei cittadini. C’era ancora la nebbia talvolta, e quello era uno di quei giorni, ma il tepore del sole arrivava alla loro pelle riscaldando in fretta le vesti nere.
Non erano particolarmente allegri, considerando la piega che aveva preso la situazione solo per uno stupido scherzo, Andrew calciava via tutti i sassolini in cui incappava e una volta rischiò di colpire gli stinchi di un vecchio, che gli gridò di fare attenzione.
«Non è giusto.» mugugnò alla fine il più giovane «Era solo uno scherzo, non doveva prendersela così male! Mi ha rovinato la giornata!»
«Oh beh dai, stiamo andando a trovare i draghi! Vedrai che andrà meglio.» ribatté Mike sperando di risollevargli l’umore.
«Sì, ma intanto non ci scriverà i compiti per due settimane. E se gli insegnanti dovessero punirci con più compiti? Noi non sappiamo scrivere!»
«Non lo farà davvero.» disse Mike sicuro di sé «E se anche fosse ormai le punizioni saranno pratiche, vedrai.»
Appena fuori dalla visuale delle guardie smisero di camminare per correre invece verso il boschetto, giocando nel frattempo a inseguirsi e a scansare i piccoli petali bianchi che cadevano dai rami dei prugnoli selvatici cercando di farsi tornare l’allegria. Diedero per scontato che le loro risa avrebbero allertato i draghetti facendoli uscire dal nascondiglio, ma così non fu.
Smisero di rincorrersi solo quando entrambi ormai ansimavano piuttosto pesantemente, Andrew più di Mike, e cominciarono a chiamare i cuccioli sussurrando, certi che avrebbero sentito.
Eppure ancora i draghetti non si mostrarono.
Andrew si guardò intorno temendo che qualcuno fosse nelle vicinanze, mentre Mike ispezionò la tana e la trovò vuota.
«Forse sono a caccia.» disse il più grande rialzandosi e pulendosi la casacca dal terriccio.
«Forse.» assentì Andrew, quindi propose di andare a cercarli; quello era un giorno importante e Umbreon doveva saperlo. Voleva condividerlo con lui. Non poteva credere che le cose potessero andare peggio di così.
La sera ci mise diverso tempo ad arrivare, ma i draghetti sembravano scomparsi. Vagarono per il bosco chiamandoli per nome, in modo che se per caso avessero incontrato qualche umano sembrasse che stessero chiamando degli amici dai nomi bizzarri, o i loro cani. Provarono persino a cercare le loro menti - Andrew più di Mike perché gli riusciva meglio - ma gli rispose il nulla completo.
Prima che calasse la notte, ormai preoccupatissimi, ritornarono in città di corsa per non rimanere chiusi fuori e si diressero sempre correndo verso la scuola di magia; le guardie della seconda cerchia li lasciarono passare senza fare domande appena riconobbero la divisa scolastica, e il cancello ferrato che precludeva l’ingresso nel distretto grigio si aprì davanti a loro senza che nessuno lo muovesse.
Ansimando per non aver mai rallentato il passo andarono dritti verso le loro stanze comuni spalancando tutte le porte finché trovarono gli altri riuniti nella stanza di Susan.
Appena la porta si aprì Jennifer esclamò: «Auguri Andrew!»
Susan gridò: «Sorpresa!» lanciando le braccia sopra la testa e liberando una pioggia di coriandoli di pergamena colorati avanti e dietro con inchiostri diversi.
E Layla gridò, anche lei alzando le braccia per mostrare il disegno di una crostata: «Buona festa della nascita!»
Cedric fu l’unico a limitarsi a un augurio sussurrato davanti alle facce incredule di Andrew e Mike, rimasti letteralmente a bocca aperta, e Susan lo guardò con aria truce tirandogli un colpetto di rimprovero dietro la nuca perché non si era attenuto alla decisione che tutte e tre avevano preso - lui avrebbe dovuto come minimo fingersi allegro e gridare gli auguri, non sussurrarli. Ma Cedric si sentiva ancora stordito; le grida già gli davano fastidio, non aveva alcuna intenzione di alzare la voce lui stesso.
Dopodiché Jennifer corse incontro al ragazzino per abbracciarlo e Susan la seguì, ma all’ultimo Andrew la scansò. Le due ragazze lo guardarono con aria confusa, notando che la sua espressione pareva incredula ma in modo negativo, come se Andrew non capisse cosa ci fosse di bello da festeggiare.
«Qualcosa non va?» gli chiese Jennifer preoccupata.
E Mike parlò per lui: «I draghi sono spariti.»
Layla sgranò gli occhi, corse a trascinarli tutti dentro la camera e chiudere la porta, quindi Andrew si avviò a passo lento verso il letto e si sedette, seguito e imitato da Susan, mentre Jennifer non smise di fissare Mike con occhi vuoti.
«Spiegatevi.» disse Cedric in tono severo appoggiando la schiena a una parete.
Così i due ragazzini si alternarono per raccontare come avessero passato il pomeriggio nel bosco alla ricerca dei draghetti, di come si fossero spinti decisamente troppo lontani perché non avessero potuto in qualche modo sentire le loro voci, e di come al contrario i cuccioli non si erano mai mostrati.
«Non abbiamo percepito nemmeno le loro menti!» concluse Andrew, ripercorrere ciò che era successo l’aveva messo di nuovo in agitazione.
«Non abbiamo avuto il tempo di esplorare tutto il bosco, è vero.» disse Mike «Ma sono certo che le loro menti le avremmo percepite da qualsiasi punto lì dentro!»
«Pensate i soldati li abbiano trovati?» domandò Susan torcendosi le mani preoccupata.
«No.» rispose subito Cedric, e tutti lo guardarono.
«Io sì. Perché tu no?» fece Jennifer.
«Non sappiamo da quanto manchino, ma sono piuttosto certo che non si lascerebbero prendere facilmente.» rispose tenendo un atteggiamento tranquillo, poi si rivolse a Mike e Andrew: «C’erano segni di lotta nel bosco?»
«No...» tentennò Andrew, cominciando a credere che potesse avere ragione.
«E in città ancora non si è sentito niente, o in qualche modo l’avremmo saputo. Una notizia del genere non potrebbe mai passare inosservata.» continuò il più grande.
«A meno che i soldati non siano riusciti a tenerla nascosta.» puntualizzò Layla contrariata «Dopotutto si trovavano abbastanza lontani da Eunev, se non si sono avvicinati coi draghi al seguito nessuno li avrà visti.»
«Ma non è possibile catturare sei draghi!» protestò Susan.
«A meno che non fossero cento soldati, ma a quel punto avrebbero attirato l’attenzione.» convenne Andrew.
«Ma domani cominciano le lezioni! Non potremo cercarli tutti insieme! Chi è libero domani?» esclamò Jennifer preoccupata.
Le rispose Cedric: «Domani mattina solo Andrew, Mike e Susan. Il pomeriggio io, te, Layla e Susan.»
«Noi oggi avremmo potuto passare la notte fuori a cercarli, allora.» disse Mike affranto.
«Ora presentiamoci a cena e cerchiamo di far finta di nulla.» disse Cedric, che davvero riusciva a mascherare molto bene se stesse effettivamente provando qualcosa; aveva la sua solita espressione fredda e insofferente.
«Tu non sei proprio in ansia, eh?» lo accusò Jennifer guardandolo storto.
E lui scosse la testa tranquillo, avendo bene in mente l’immagine del piccolissimo Smeryld che uccideva un grosso orso a morsi e poi Jorel... quasi. Per catturare sei draghi di quelle dimensioni sarebbero serviti ben più di dieci soldati, che difficilmente sarebbero passati inosservati.
Andarono quindi a cena che ormai i vassoi erano già sui tavoli e non trovarono sei posti vicini. Cercarono di far credere a chiunque li guardasse che la loro ansia fosse dovuta all’inizio delle lezioni il giorno seguente.
Finito di cenare Cedric si separò dal gruppo per leggere da solo in stanza, mentre gli altri cinque si riunirono in camera di Andrew e studiarono i propri orari per vedere quando sarebbero potuti uscire da Eunev per cercare i sei draghetti.

La mattina seguente quindi Layla augurò buona fortuna ai tre più giovani che subito dopo colazione lasciarono la scuola, mentre lei e Jennifer sarebbero rimaste insieme a Cedric per la loro prima lezione di Alchimia.
I due ragazzini mostrarono a Susan tutti i luoghi del bosco che avevano controllato il giorno prima, dovettero fare tutto molto più rapidamente perché avrebbero dovuto ripresentarsi a scuola per pranzo e quindi non ebbero il tempo di esplorare zone nuove.
Naturalmente a pranzo davanti ad altri studenti non ne parlarono, e nemmeno a lezione di Evocazione mentre le tre ragazze andarono fuori Eunev accompagnate questa volta da Cedric.
Susan, essendo già stata nel bosco la mattina, riuscì a ricordare più o meno dove gli altri ragazzini l’avevano già portata e guidò i tre compagni in zone nuove, mentre il ragazzo teneva d’occhio il terreno in cerca di tracce che indicassero il passaggio recente di draghi o altre creature.
Ma di nuovo non trovarono niente, né tracce né indizi di cosa potesse essere successo, e a cena Deala Ovittalia e Leudren si unirono a loro dandogli occasione di distrarsi un attimo dall’ansia sempre più opprimente.

I seguenti due giorni proseguirono identici, tra notti quasi insonni, ansie, paure e fallimenti a lezione dovuti sia alla stanchezza che alla scarsa concentrazione. Cedric e Layla erano gli unici che sembravano riuscire a tenere il passo con le materie pur unendosi alle ricerche nel bosco appena avevano una mattina o un pomeriggio libero. Soprattutto il ragazzo però, che in quei tre giorni - dopo la lezione di Alchimia del primo giorno - ebbe solo una lezione di Telepatia e una di Astronomia, e quindi gli toccò impegnarsi anche per tutti gli altri ancora più del solito, per compensare le loro distrazioni; normalmente erano loro a dettargli cosa lasciare scritto nei compiti, ma i recenti avvenimenti li avevano stravolti al punto che dovette pensare a tutto lui. E tuttavia mantenne la parola data, non scrivendo alcunché per Andrew o Mike, i quali comunque sembravano troppo presi dalle ricerche per curarsene.

Una svolta avvenne il quarto giorno di ricerche, quando toccò ai tre ragazzi da soli esplorare il bosco mentre le tre ragazze rimanevano costrette a scuola per frequentare Guarigione.
Cedric era piuttosto provato, oltre che dalle ricerche, sia dalla lezione di Astronomia avvenuta la notte prima che dagli studi più faticosi del solito. Sulla Via Maestra comunque riuscì a ottenere da un corriere un volantino con su scritte le notizie dell’ultimo periodo: era stato acciuffato un criminale; un tale affermava di aver trovato la ricetta per trasformare un metallo in oro tramite una pozione; cinque persone erano state assassinate all’interno delle mura; uno dei più ricchi uomini della città era stato derubato inspiegabilmente di un oggetto di valore dentro casa propria; tre uomini sostenevano di aver assistito all’uso della magia in un vicolo, dove il loro quarto membro era morto; una donna e un bambino avevano scampato la morte grazie a una creatura che aveva ucciso un Krun.
A quella notizia si fermò e rimase a fissare le parole scritte sulla pergamena, lesse tre volte per essere sicuro di non essersi sbagliato e al momento non provò nulla; fu una sensazione surreale, il tempo gli parve rallentato e non si accorse di un uomo alla guida di un carro che gli gridava dietro perché gli bloccava il passaggio.
Mike lo riportò violentemente alla realtà prendendolo per un braccio e spostandolo dalla traiettoria del mezzo di trasporto: «Ehi! Non rispondevi! Che fai?»
Cedric non riuscì a dire quello che aveva in mente, tantomeno davanti a tutta quella gente; qualcuno li fissava in modo strano perché erano fermi in mezzo al traffico oltre a indossare le vesti da maghi. Fece loro cenno di seguirlo e corse via nelle strade meno affollate, e i due più piccoli gli andarono dietro per non perdersi.
«Che ti è preso?» gli domandò Andrew preoccupato faticando a tenere il passo così rapido; facile per Cedric, pensò infastidito, con le gambe lunghe che si ritrovava poteva semplicemente camminare veloce mentre lui era costretto a una lenta corsa.
«Una notizia preoccupante.» tagliò corto l’altro facendogli segno che avrebbe dato spiegazioni più tardi; in realtà le notizie preoccupanti erano due, dal momento che era certo che quei tre uomini della penultima erano stati gli aggressori di Layla, ma l’ultimo articolo era decisamente peggiore.
E solo quando furono davanti casa sua, al sicuro nel poco trafficato distretto del Corvo, passò la pergamena delle notizie a Mike, il quale si mise d’impegno per leggere mentre Cedric attendeva impazientemente che finisse. Ma a metà lettura Mike gli restituì il foglio arrendendosi, e Andrew incitò il più grande a parlare. Il quale riportò la notizia esattamente com’era scritta, facendoli sbiancare.
«La donna non ha detto molto.» riprese Cedric dopo una pausa tornando a leggere «Ha dichiarato che una creatura che non aveva mai visto le ha salvato la vita. A lei e al figlio. Potrebbe non voler dire nulla e potrebbe voler dire tutto.»
«Non è detto che fosse un drago. E non è detto che sia successo vicino a Eunev. Non sappiamo nemmeno quando.» disse Mike speranzoso «Potrebbe essere successo vicino alla Foresta, e lì di creature strane ce ne sono parecchie.»
«Anche perché cosa ci farebbe un Krun qui? È estremamente raro trovarli fuori dalla Foresta.» continuò Cedric «Non lo so... ma leggerlo su questo foglio mi ha messo agitazione.»
«Era ora.» commentò Andrew.
Ma l’altro non se la prese a male e si limitò a commentare: «Peccato che non abbia con me le chiavi, altrimenti prenderei l’arco.»
Ai due ragazzini parve che avesse più che altro pensato ad alta voce, e subito dopo Cedric fece in modo di far passare la pergamena delle notizie sotto la porta, per non doversela portare in giro, poi si allontanò e gli altri lo seguirono a ruota guardandosi preoccupati; di sicuro se davvero ci fossero stati dei Krun vicini a Eunev avrebbero preferito che il ragazzo girasse armato, ma non sembrava aver voglia di perdere tempo per tornare a scuola a prendere le chiavi di casa sua.
Come al solito non ebbero problemi a uscire e rimasero nel bosco a cercare i draghi quasi fino all’ora di pranzo, senza mai allontanarsi gli uni dagli altri: se la creatura aveva ucciso un Krun, e se fosse successo proprio in quel bosco, preferivano non dover eventualmente affrontare altri di quei mezzi lupi da soli.
Ma in quelle poche ore non trovarono nulla, né i draghi né segni del passaggio di Krun, e tornarono a scuola dalle ragazze appena in tempo per pranzare e non destare sospetti. Tuttavia decisero unanimemente di non raccontare loro di quella notizia, per il momento, evitando di allarmarle forse inutilmente.
Andrew e Mike vennero trattenuti da Kir a fine lezione quel pomeriggio, perché non avevano presentato alcun foglio di pergamena come era stato richiesto.
L’insegnante li guardò severamente chiedendo loro il perché, e i due ragazzini, dopo aver squadrato male Cedric e Susan che lasciavano l’aula senza di loro, abbassarono lo sguardo pensando a quale scusa inventarsi.
«Noi... siamo stati molto occupati a pensare alla pratica.» cominciò Andrew.
«Sì, non vediamo l’ora di cominciare e ci siamo dimenticati di scrivere.» annuì Mike immediatamente dopo guardando ora la donna.
Lei assunse un’aria se possibile più scura: «La pratica di questa materia è una cosa estremamente complessa. Non potete sperare di potercela fare senza avere una buona base di teoria.»
«Ma la base ce l’abbiamo, studiamo con attenzione dai libri!» esclamò Andrew in sua difesa.
«Questo lo vedremo la prossima lezione.» ribatté Kir, invitandoli poi a lasciare l’aula.
I due ragazzini si guardarono sorpresi ma non esitarono a obbedire, concordando sul fatto che fosse strano non li avesse puniti. Tanto meglio, avevano altro a cui pensare.
Nel frattempo Layla e Jennifer avevano lasciato Eunev per sfruttare le ore libere impiegandole nella ricerca dei draghetti. La più grande aveva ancora paura ad attraversare la città, soprattutto se accompagnata soltanto da una ragazzina più giovane, ma sperò che le loro vesti nere le aiutassero a tenere lontani gli assalitori.
Tuttavia anche loro non trovarono niente e ne discussero insieme agli altri quattro dopo cena, tutti stipati nella camera di Andrew.
Cedric disse che, sebbene fosse l’unico ad avere le due notti e la giornata a venire completamente libere, non se la sentiva di stare fuori e arrivare impreparato alla parte della settimana per lui più impegnativa - aveva lezione di Alchimia, Manipolazione, Astronomia e Telepatia tutte di fila nei seguenti due giorni.
Sebbene delusi e preoccupati gli altri non se la sentirono di biasimarlo per voler studiare e riposare, soprattutto perché alla fine tra tutti Cedric era quello che studiava tutte le materie essendo l’unico in grado di leggere un testo dall’inizio alla fine e di prendere appunti.
E a parte Cedric, Layla era l’unica ad avere un buco libero il quinto giorno della settimana, perché la mattina non aveva lezione al contrario dei più giovani che erano occupati mattina e pomeriggio. Ma non voleva andare a cercare i draghetti da sola e anche in quell’occasione nessuno se la sentì di rimproverarla.

Così le ricerche ripresero la mattina del sesto giorno con Andrew Mike e Susan, mentre gli altri tre erano a lezione di Alchimia. Non trovando nulla per l’ennesima volta, sulla strada del ritorno arrivarono a due possibili conclusioni: i draghi si erano allontanati in volo per qualche ragione e quindi senza lasciare tracce; o aveva nevicato recentemente eliminando ogni traccia di un eventuale scontro tra draghi e soldati. Ma non credevano fosse possibile trovare la neve a Eunev in quel periodo dell’anno se non a terra in via di scioglimento.
Di nuovo non poterono parlarne fino a dopo cena, e durante la lezione di Manipolazione Layla e Jennifer decisero di rimanere a scuola a ripassare Guarigione scambiandosi energie a vicenda aspettando che venisse il momento di essere aggiornate con nuove notizie sulle ricerche.
Andrew e Mike se la passarono piuttosto male; come punizione per la mancata consegna dei compiti alla lezione precedente vennero chiamati alla cattedra uno alla volta per metà lezione ciascuno, e l’insegnante li mise sotto pressione al punto da renderli incapaci di rispondere a diverse domande.
Kir non si mostrò sorpresa né per nulla contenta dell’andazzo dei due ragazzini, rinfacciandogli che solo pochi giorni prima avevano sostenuto di starsi impegnando molto studiando dai libri, eppure non sembrava essere così. E come punizione diede esclusivamente a loro il compito di studiarsi un intero libro dedicato al ruolo che alcune pietre preziose o particolari metalli potevano avere nell’incanalamento e nella conservazione delle energie magiche o della magia stessa.
Questa volta Velia non fu l’unica compagna a ridere di loro insieme a Irea Tegro e Hranda; i due ragazzini dovettero subire le occhiate derisorie di quasi metà classe mentre scendevano le scale per avviarsi verso le stanze.
A loro volta non si risparmiarono le occhiate truci dirette a Cedric, ma chiedergli di aiutarli a studiare quel libro fu completamente inutile. Si ricongiunsero agli altri al tavolo per cenare e non smisero di guardare Cedric in malo modo, ma presto la loro concentrazione tornò di fatto ai draghetti scomparsi e insieme a Susan dissero come al solito di non averne trovato tracce nemmeno quel giorno.
La notte Auselion introdusse la classe poco numerosa ai giorni della settimana, ora che avevano una vaga conoscenza degli astri; indicò loro le cinque stelle più luminose che avevano dato i nomi ai giorni e disse loro che la nomenclatura tuttora usata dagli umani derivava dall’elfico. In origine ogni nome terminava in hasten, che in lingua elfica significava giorno, e iniziava col nome di una stella: Glenhasten era il primo giorno, dedicato al Sole; Urylhasten il secondo; Suashasten il terzo; Dnilhasten il quarto; Jeylhasten il quinto; Eneyhasten il sesto; e Twyllhasten l’ultimo, dedicato alle Lune.
Nei secoli gli Umani, avendo adottato la medesima nomenclatura, li avevano man mano semplificati adattandoli alla propria lingua, dunque i nomi che correntemente si usavano erano: Glenasten; Urilasten; Suasten; Dnilasten; Jeilasten; Eneiasten; e Twilasten.
Ed ecco spiegate quelle lettere sugli orari, sono le iniziali dei giorni pensò Cedric, finendo di appuntarseli e promettendosi di cominciare a usarli abitualmente.
Gli sembrò di essersi appena addormentato quando dovette già svegliarsi per fare colazione e andare insieme a Layla a lezione di Telepatia, sperando che la lieve stanchezza non avrebbe influito sulle sue abilità.
Mike e Andrew avevano di nuovo la giornata libera e ancora una volta andarono fuori Eunev a cercare indizi su dove potessero essere i draghetti, ormai senza nutrire molte speranze, mentre le ragazze rimasero a scuola perché il pomeriggio dovevano partecipare a Biologia.
Non trovavano tracce dei piccoli draghi da ormai una settimana, periodo in cui Mike e Andrew se la passarono piuttosto male con le loro materie, soprattutto Manipolazione. Ai due ragazzini non rimase che sperare che Cedric alla fine si sarebbe impietosito e li avrebbe aiutati, oppure che Kir avrebbe mantenuto la pazienza fino al termine delle due settimane.
Avevano esplorato quasi tutto il bosco, gli restava solo la zona nord da controllare, ma erano sempre più convinti che le creature fossero fuggite da qualche parte, forse proprio perché avevano percepito la presenza dei soldati e per non farsi trovare avevano cambiato bosco.
Cedric continuava ad essere del parere che non dovessero preoccuparsi, i piccoli draghi erano del tutto autosufficienti e in grado di volare, per cui se anche avessero incontrato dei soldati avrebbero potuto fargli perdere le proprie tracce in fretta.
Ma gli altri, Susan e Mike in particolare, non riuscivano a non pensare al peggio; erano solo dei cuccioli dopotutto, non ancora in grado di usare la magia intenzionalmente e quindi non in grado di difendersi da eventuali maghi.
Jennifer scosse la testa ed esclamò decisa: «Dannazione, Jegra mi sia testimone! Domani pomeriggio andrò in quel bosco anche da sola, passerò lì la notte e la mattina dopo se necessario! Userò la magia e cercherò di capire cosa le piante hanno da dirci, dove sono andati i draghi e quando!»
«Sei sicura di esserne in grado?» chiese Andrew preoccupato.
«No, non ancora. Ma mancano da una settimana, non posso più fingere di essere tranquilla! Che se ne siano andati per conto loro oppure no, non ci hanno fatto sapere nulla.»
«Non avrebbero potuto.» puntualizzò Cedric fermandola.
Ma lei riprese guardandolo dritto negli occhi: «Bene, questo non cambia che per qualche ragione siano dovuti sparire! Dobbiamo fare tutto il possibile per rintracciarli.»
«Vengo con te.» disse Susan, che già aveva comunque in mente di sfruttare i suoi due giorni liberi per cercare Sulphane.
«Io questi due giorni posso solo il pomeriggio.» disse Layla amareggiata.
«E noi solo la mattina.» disse Mike indicando anche Andrew.
Cedric sospirò e si vide costretto a dire: «Le accompagnerò io.»
«Oh no, io verrò.» disse Layla «Qualcuno dovrà pur riaccompagnare Jennifer a scuola!»
«Ma se torno con te ho meno tempo!» protestò la ragazzina «Tu hai lezione la mattina del secondo giorno, io no!»
«Anche io ho seguito le lezioni di Biologia.» precisò Susan, quasi offesa perché l’amica dava per scontato di essere l’unica in grado di captare i segnali delle piante; cosa che Dalca non aveva mai approfondito, e non facile ad ogni modo.
«In realtà un po’ tutti.» disse Andrew in un sussurro, dato che alla fine condividevano tutti gli studi coi compagni.
«Siamo d’accordo allora.» concluse Jennifer «Domani pomeriggio andremo noi quattro.»
Dopodiché ognuno tornò nella propria piccola stanza cercando di dormire, ma a nessuno venne facile chiudere occhio col pensiero fisso dei piccoli draghi scomparsi.

Il giorno successivo, dopo pranzo, le tre ragazze accompagnate da Cedric lasciarono la scuola con un finto sorriso spensierato stampato sui volti per non insospettire nessuno. Questa volta il ragazzo si portò dietro le chiavi di casa e senza dare alcuna spiegazione alle altre tre disse di volersi prendere l’arco per precauzione, e una volta fatto ciò si avviarono a passo svelto verso i cancelli della città.
Seguirono la strada per non destare l’attenzione di qualche curioso - già incuriosivano a sufficienza le loro casacche nere coi quattro simboli diversi tra loro - e solo quando furono certi che nessuno guardasse si misero a correre verso il bosco.
Si fermarono solamente quando furono dentro, ansimando un poco, Cedric incordò l’arco e si tolsero i guanti tutti quanti, pronti a usare la magia in qualsiasi momento.
Cominciò Jennifer perché sarebbe dovuta andare via per prima, mentre Susan scelse di conservare le energie. Una volta giunti alla vecchia tana dei draghi la ragazzina cominciò a sfiorare le piante mentre camminava in circolo, in cerca di una traccia di magia memorizzata dalla flora: magari uno dei draghi si era strusciato su una felce imprimendovi la sua particolare traccia; come per molti altri aspetti era molto più semplice percepire la presenza di un drago rispetto ad un qualsiasi animale, per via della quantità di magia presente nella creatura stessa che lasciava una traccia particolare - come la mente di un drago era ben distinguibile da quella di un essere umano.
Dopo parecchio tempo schioccò la lingua sul palato in un moto di frustrazione, scosse la testa e farfugliò: «Niente da fare, o non riesco o è passato troppo tempo dall’ultima volta e la traccia è andata persa.»
«Forse una settimana è troppo.» convenne Layla.
«Continuiamo a cercare!» insistette Susan «Se sei stanca comincio io.»
Jennifer scosse nuovamente il capo: «Non è quello, è solo frustrante. Se non c’è traccia di loro qui dove hanno abitato non credo la troveremo altrove.»
«Forse non hai scavato abbastanza a fondo! Riprova, coraggio!» la incoraggiò.
L’altra sospirò e annuì decisa a non arrendersi tanto facilmente, ricominciando a girare attorno alle vecchie tane di volpe sfiorando le piante che incontrava su entrambi i lati, con ambedue le mani. Le parve di percepire qualcosa sfiorando una quercia, ma scavando più a fondo capì che si trattava solo di un coniglio passato di lì la mattina stessa.
Non si diede per vinta e continuò a cercare, imponendosi di scendere più in profondità, tanto che perché potesse proseguire Layla dovette passarle parte delle sue energie, ma alla fine venne ripagata.
Sgranò gli occhi appena fu certa di aver percepito quella che era indubbiamente pura magia, non semplicemente le energie di una pianta o il fugace passaggio di un animale.
«Ci sono!» esclamò, e gli altri tre tornarono all’erta.
«Chi? Dove?» domandò Susan avvicinandosi di corsa.
«Non lo so, sembra... Sembra Sulphane, ma non ne sono sicura. Provo a capire dov’è andata, ma mi serviranno più energie... dev’essere perché è passata una settimana ormai, le piante a malapena ricordano la presenza di sei draghi. Sei draghi
«Sono draghi molto giovani, potrebbe anche essere per quello.» ipotizzò Cedric «Forse non lasciano una traccia abbastanza visibile perché ancora non usano la magia.»
«Sì, è probabile.» assentì Layla stringendo una mano a Jennifer per passarle altre energie necessarie a sostenere l’incantesimo.
«Rubia!» disse Jennifer a mezza voce, colta dall’emozione di aver percepito e riconosciuto la traccia della sua dragonessa «È andata di qua, a nord!»
«Sicura?» fece Susan titubante.
«Sì! Seguitemi!» ribatté l’altra, e così dicendo corse via seguendo la scia lieve di magia lasciata dalla cucciola rossa.
Era se possibile ancora più sfuggevole delle altre, ma Jennifer si disse che forse la percepiva più facilmente perché era legata a lei, le era più familiare; sebbene fosse più flebile era sicura di non star seguendo la pista sbagliata, quasi come fosse stata una scia di odore che aveva sentito per tutta l’infanzia.
La traccia li condusse in una radura dove con grande sorpresa trovarono il corpo di un Krun mezzo coperto di neve steso a terra e in via ormai di decomposizione. Le tre ragazze gridarono dallo spavento e Cedric invece d’istinto incoccò una freccia, ma non mirò a nulla e invece quasi smise di respirare rendendosi conto che né Jennifer né quella notizia si erano sbagliate: quella donna, chiunque fosse, aveva incontrato Rubia che l’aveva salvata da morte certa uccidendo un Krun.
Inevitabilmente quel pensiero lo portò a sua madre, a come lei invece non aveva avuto alcuna possibilità, ma lo scacciò in fretta scuotendo la testa e riprendendosi, quindi disse finalmente alle tre ragazze di quell’annuncio letto sul volantino.
Tutte e tre rimasero a bocca aperta e Layla esclamò incredula: «Perché non ce l’hai detto prima?!»
Susan invece boccheggiò: «Ma quella... quella donna... lei ha... ha... ha visto Rubia! E l’ha raccontato in giro!»
«Forse non sapeva che fosse un drago.» disse Cedric, per la prima volta davvero angosciato dalla situazione, ora che aveva compreso che Rubia era veramente stata vista da qualcuno.
«E se invece lo sapeva? O se i soldati o le guardie l’avessero capito? Potrebbero essere venuti qui a cercare Rubia e averli trovati tutti!» esclamò Jennifer presa dal panico, cominciò a camminare in circolo nervosamente mordendosi le punte delle dita.
«Stiamo calmi! Jennifer per favore smetti di comportarti così, mi metti ansia!» disse Layla forzatamente calma «Tutto questo può voler dire tutto e può voler dire niente...»
«Ho usato le stesse parole quando ho letto la notizia a Mike e Andrew. Ma ora mi è difficile crederlo.» ammise Cedric.
Layla lo guardò mordendosi il labbro preoccupata e abbracciandosi da sola, rimase zitta a lungo mentre Jennifer borbottava tra sé continuando a camminare avanti e indietro e Susan singhiozzava sul punto di piangere.
Infine la più grande scosse piano la testa e riprese: «Dobbiamo fare qualcosa.»
«Ossia?» domandò il ragazzo.
«Non lo so! Ottenere informazioni!»
«Potremmo peggiorare le cose, non è che possiamo andare in giro per locande a chiedere di draghi, o leggere nella mente di tutta Eunev. Aspetta, magari stiamo solo avendo una reazione esagerata guidata dal panico. Torniamo a scuola e aspettiamo gli altri per riflettere a mente fresca.»
«Non credo sia possibile.» disse Susan con voce flebile «Ora che so per certo che qualcuno ha visto Rubia non credo riuscirò mai a calmarmi.»
«D’accordo, è giusto che abbiamo paura e che siamo preoccupati delle conseguenze, ma in fondo io sono ancora sicuro che non li abbiano presi. È semplicemente impossibile catturare sei draghi.» continuò lui cercando di rassicurarle e rimettendo la freccia nella faretra.
Jennifer diede una rapida occhiata al cadavere del Krun e senza smettere di fissarlo disse: «Non se si hanno i mezzi per farlo.»
«Ma li hai visti quei soldati quando è arrivato Nerkoull! Non sapevano cosa fare! È chiaro che non siano preparati.»
«Forse non lo erano quando pensavano di dover cercare solo uova di drago. Ma ora sanno che i draghi sono nati, ne sono certa.» disse Layla.
«Di questo passo non ne verremo mai fuori.» si lamentò Susan asciugandosi gli occhi.
«Provate a vederla in questo modo: se anche li avessero catturati non potremmo fare nulla.» disse Cedric.
«No! Noi dovremmo fare qualcosa!» gridò la ragazzina stringendo i pugni e irrigidendosi sul posto per la rabbia.
«E cosa? Ha ragione lui.» disse Layla guardandola severamente «Non possiamo lasciare la scuola così, di punto in bianco. E non abbiamo segni del passaggio di soldati, o di chiunque possa aver catturato i draghi. Non abbiamo niente in mano!»
«Quindi dobbiamo semplicemente fare finta di nulla? Volete dire questo?» li accusò Jennifer guardandoli con fastidio.
Entrambi i più grandi sospirarono, poi Layla disse costernata: «Non possiamo fare nulla Jennifer. Io voglio sperare che ovunque siano ora stiano bene e prima o poi riescano a tornare. Se li avessero catturati stai certa che fuggirebbero alla prima occasione. Anche uno solo di loro, sono convinta che se solo uno potesse fuggire verrebbe a cercarci. Non sono stupidi e hanno delle armi potenti, non disperare.»
«Andrà tutto bene.» completò Cedric, cercando di convincersi lui stesso «Ho visto di cosa era in grado Smeryld quando era alto così.» e si abbassò per indicare un’altezza poco superiore ai suoi stivali «Ha ucciso un orso adulto, davanti a me. Per questo credo che nessuno li abbia presi, anche se la notizia dell’avvistamento mi ha spaventato.»
«Voglio davvero sperare che abbiate ragione.» soffiò Jennifer tra i denti, chiaramente non convinta da quelle parole.
«Posso rimanere queste due notti a cercare altri indizi.» riprese Cedric dopo un attimo di silenzio «In realtà non vorrei arrivare troppo stanco a lezione di Telepatia il pomeriggio di Suasten, ma...»
«Il... il pomeriggio di cosa?» lo interruppe Susan confusa.
«Suasten... ah... il terzo giorno. Scusate, non vi ho ancora riassunto l’ultima lezione di Astronomia.»
La ragazzina fece spallucce e disse: «Posso restare con te se ti va. In due è meglio, anche se non so con esattezza che tipo di indizi dovremmo cercare.»
Lui annuì senza dire altro, quindi Layla sospirò: «Va bene, allora noi torniamo per cena e diciamo ai ragazzi cos’abbiamo scoperto. Buona fortuna, fate attenzione qui fuori la notte.»
«Non preoccuparti.» la congedò Cedric con fare lapidario.
La ragazza si allontanò lanciandogli un ultimo sguardo perplessa. Invitò Jennifer a sbrigarsi a seguirla e la ragazzina obbedì sussurrando buona fortuna e di fare attenzione - a Susan più che a Cedric.
La ragazzina bionda annuì guardandola allontanarsi rapidamente dietro la più grande e si strinse le braccia al petto tirando su col naso, sentendosi per qualche ragione molto più triste ora che le amiche li avevano lasciati da soli.

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Capitolo 58
*** Closer ***


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Il colore del titolo del capitolo corrisponde al colore della regione in cui la storia al momento si svolge, tenete d'occhio la mappa per sapere dove ci troviamo!

CLOSER

Layla e Jennifer fecero ritorno a scuola con passo lento e misurato, guardando ogni guardia della città che incontravano con sospetto, come se ognuno di loro potesse star nascondendo i sei piccoli draghi in casa propria. Un uomo cercò di vendere loro delle cianfrusaglie agitandogliele davanti e Layla rifiutò con un gelido sorriso cercando di non scomporsi per apparire cortese, mentre il tizio le seguiva talvolta tagliando la strada per assicurarsi la loro attenzione e si arrese solo dopo un paio di minuti.
Una volta entrate a scuola non dovettero attendere molto per cenare, riunendosi finalmente a Mike e Andrew, ma naturalmente non si misero a parlare dei draghetti e anzi tutti e quattro intavolarono una conversazione sulla lezione di Evocazione di quel pomeriggio con un finto sorriso, commentando come fortunatamente per i due ragazzini Wolgret non avesse mai ancora richiesto compiti scritti. Sperarono con tutto il cuore che nessuno facesse caso alla mancanza di Susan e Cedric perché non sapevano che inventarsi per giustificarla.
Ma Deala, col suo piatto di granchi rossi in salsa piccante e macedonia di frutti del sud, prese posto accanto a Layla salutandoli e chiedendo proprio dove fossero gli altri due. Ci fu un lungo silenzio durante il quale i quattro ragazzi di Darvil si guardarono cercando di non lasciar trapelare il panico dai loro occhi.
Finché Jennifer finse una risata estremamente ilare ed esclamò: «Probabilmente si saranno appartati da qualche parte, nessuno dei due aveva lezione il pomeriggio.»
E la giovane donna rispose con aria complice: «Allora c’è davvero qualcosa tra quei due, eh?»
«Puoi scommetterci!» continuò la ragazzina, sperando credesse che amasse i pettegolezzi e non cogliesse la preoccupazione di tutti gli altri «È così evidente che te ne sei accorta anche tu che non li conosci bene quanto noi?»
Deala scosse le spalle: «Beh no, evidente no. Non da parte di lui, ma lei...» lasciò cadere la frase con fare esasperato, girando gli occhi con un sorriso.
Andrew si unì al gioco esibendosi in un lungo fischio che fece ridere entrambe e riportò un poco di buonumore al tavolo. Tutto sommato non fu un evento malvagio l’arrivo di Deala, perché andarono avanti con la conversazione ridendo.
Ma sia Layla che Mike ebbero modo di pensare all’argomento: lui arrossì e per fortuna la luce aranciata dei bracieri diffusa nella grande sala lo nascose; lei invece ricominciò a pensare a chi potesse essere innamorato di lei o se invece Jennifer l’avesse presa in giro, aver parlato di quello con Cedric l’aveva aiutata solo a eliminarlo quasi certamente dal cerchio delle possibilità, ma il tarlo rimaneva e si faceva sentire. Soprattutto ora che il ragazzo poteva effettivamente provare liberamente qualsiasi emozione, non come quando erano a Darvil, e considerando quanto fosse accaduto solo poche notti prima.
Finito di cenare la salutarono per andare ognuno nelle proprie stanze - lei aveva deciso di abitare in una camera nella torre di Manipolazione - e i quattro di Darvil si chiusero nella stanza di Susan, che sarebbe rimasta vuota tutto il tempo.
Jennifer si mise subito a raccontare velocemente come fosse andata la ricerca, arrivando al punto in cui avevano trovato il Krun mezzo decomposto; sorvolò il dettaglio del fetore senza soffermarsi sul fatto che avrebbero dovuto sentirlo da un miglio di distanza tanto era disgustoso.
I due ragazzini, che già sapevano della donna salvata dalla creatura, sbiancarono e rimasero a bocca aperta alla fine del racconto senza sapere cosa dire, e Layla ne approfittò per ripetere ciò che lei stessa e Cedric avevano detto nel bosco a Jennifer e Susan, sperando che anche i due maschi sarebbero rimasti relativamente tranquilli e coi piedi per terra.
«Ma quindi è davvero successo qui a Eunev!» esclamò Andrew dopo una lunga pausa «Come facciamo a stare calmi? E se invece dei soldati i draghi avessero incontrato altri Krun e si fossero uccisi a vicenda?»
«Te l’ho già detto, non potremmo fare niente comunque senza far capire che noi siamo gli Amici dei Draghi che cercano!» ribatté Layla cercando di mantenere la calma.
«Sarà difficile da accettare ma ha ragione lei.» disse Mike con voce flebile attirando gli sguardi di tutti su di sé «Insomma, dei ragazzini che studiano magia non dovrebbero essere a conoscenza della presenza di draghi intorno a Eunev. Se indagassimo ci cacceremmo nei guai. Non abbiamo una pista perché i soldati, sempre che abbiano catturato i draghi, non hanno lasciato nessuna traccia. Quindi non possiamo chiedere a nessuno né lasciare la scuola per inseguirli.»
«Non potremmo lasciare la scuola comunque.» intervenne la più grande «Dovremo almeno aspettare di aver passato gli esami per diventare Specialisti. Non possiamo andarcene prima.»
«Lo so.» disse Andrew abbattuto «Sono solo preoccupato per Umbreon.»
«Tutti lo siamo.» disse Layla, ora dolcemente e col viso più rilassato «Ma sappiamo anche che se la sanno cavare. Appena potranno torneranno da noi. Dobbiamo solo aspettare.»
«Non possiamo fare altro...» concluse Jennifer amaramente, odiando la situazione e il fatto di essere completamente impotente per aiutare la sua piccola amica in difficoltà.

Susan cercò tracce dei draghi fino a notte fonda, seguita ovunque andasse da Cedric che le faceva da guardia del corpo; un paio di volte sentirono dei lupi ululare lontano e alla ragazzina gelò il sangue nelle vene pensando che fossero altri Krun. Nessuna creatura però si avvicinò, e il fatto che il ragazzo dietro di lei era armato di arco e perennemente in cerca di altre menti attorno a loro la rassicurava: finché lui era tranquillo lo era anche lei, se avesse avvertito una mente in avvicinamento gliel’avrebbe detto senz’altro per tempo.
Per la notte tornarono alle vecchie tane di volpe allargate dai draghetti e vi s’infilarono per dormire al coperto. L’angoscia aveva fatto passare la fame alla ragazzina che non si era mai nemmeno sforzata di cercare delle piante commestibili mentre pensava a seguire il passaggio dei piccoli draghi, ma anche il ragazzo sembrò non curarsene particolarmente e non le fece nemmeno domande.
Non si erano scambiati che qualche parola per tutto quel tempo, e il costante silenzio stava cominciando a farla sentire inquieta, talvolta l’era parso di udire rumori che si erano rivelati solo frutto della sua immaginazione.
Susan si tolse la casacca per posarla a terra perché schizzinosa; non voleva sporcarsi di terriccio umido, soprattutto i capelli.
«A proposito di capelli, dovrei tagliarli un po’.» borbottò pensierosa passando una mano per tutta la loro lunghezza - le arrivavano oltre le reni. La sua stessa voce le suonò strana dopo tanto tempo passato in silenzio.
Quell’affermazione, e il fatto che fosse così schizzinosa, fecero ridere il ragazzo senza alcun preavviso. Lui stesso era piuttosto schizzinoso, ma non a quei livelli: il terreno non era così umido da dare fastidio o appiccicarsi alla pelle.
Sentirlo ridere in quel modo così spensierato di lei la fece inviperire e suo malgrado la distrasse, lo schiaffeggiò ripetutamente usando come arma i propri guanti neri vuoti ma non ottenne alcun effetto. Nemmeno spingendolo o rimproverandolo a voce, lui continuò imperterrito a scaricare l’arco dalla tensione della corda sghignazzando tra sé. Quindi alla fine lasciò perdere e si accoccolò sulla casacca a terra col viso corrucciato in una smorfia offesa, ma di nuovo non parlarono.
Si addormentò per prima e la mattina seguente si svegliò dopo di lui, sbadigliò assonnata e guardandosi intorno capì di essere rimasta da sola. Quindi si affrettò a rimettersi la casacca sulle spalle e uscire dal rifugio, trovando il ragazzo poco lontano con lo sguardo perso a nord e l’arco già incordato in mano.
Pioveva, ma non dava l’impressione d’importargli.
«Buongiorno.» sussurrò Susan stiracchiandosi, la voce le venne fuori roca e più acuta del solito. Non ottenendo risposta seguì la direzione del suo sguardo ma non vide nulla: «Che stavi facendo?»
Cedric scosse le spalle e rispose vago: «Niente.»
«Non pensavo avrei dormito così bene. Soprattutto pensavo che sarebbe arrivato un Krun nel mezzo della notte. Tu?»
«Più o meno.»
«Più o meno cosa?» gli domandò confusa.
Lui finalmente la guardò: «Cosa mi stavi chiedendo con quel ‘Tu’?»
Susan si guardò le punte degli stivali riflettendo, e i capelli bagnati le scivolarono sugli occhi: «Non lo so... come hai dormito, e se pensavi la stessa cosa?»
Ma a quel punto Cedric smise di fissarla e tornò invece a guardare davanti a sé, senza risponderle, lasciando che solo la pioggia accompagnasse i loro pensieri.
«Ho in mente qualcosa di diverso oggi.» continuò lei, fece una pausa sentendo lo stomaco brontolare e si avviò in un’altra direzione. Lui la seguì qualche attimo dopo e Susan non attese che parlasse prima di riprendere: «A parte cercare qualcosa da mangiare, volevo provare a cercare tracce dei soldati invece che di draghi.»
«Non credo sia possibile, se a malapena siamo in grado di percepire il passaggio di sei draghi.» osservò Cedric.
«Lo so. Ma non possiamo fare molto, e dato che ormai sappiamo che i draghi non sono qui non credo abbia senso continuare a cercare loro tracce.» disse lei, lamentandosi tra sé per essere già fradicia, ma almeno indossava stivali alti.
«E allora perché hai deciso di restare? Io sono rimasto per questo.»
La ragazzina scosse le spalle: «Beh ieri ci ho provato, e non ho trovato niente come mi aspettavo. Sono via da troppo tempo e sono troppo piccoli, non lasciano tracce visibili dopo settimane.»
E volevo farti compagnia pensò, curandosi di non dirlo ad alta voce e sicura di essere arrossita.
Dopo una breve pausa il ragazzo riprese: «Potremmo sempre seguire le tracce dei draghi se i soldati li avessero presi. Per prenderli avrebbero dovuto catturarli da terra. Inoltre i draghi sono ben riconoscibili, i soldati no. Sono umani qualunque alla fine, e chiunque potrebbe essere entrato in questo bosco. Noi stessi siamo entrati, potresti seguire le nostre tracce credendo di seguire le loro.»
«Perché mi fai sempre sentire stupida?» lo provocò sperando che ridesse come la notte prima; in fondo le era piaciuto, l’aveva solo trovato fastidioso in quel momento.
Ma lui rispose inespressivo scuotendo piano le spalle: «Mi dispiace.»
A quel punto si girò a guardarlo notando che era tornato alla sua solita aria malinconica, si sistemò i capelli dietro l’orecchio e gli domandò: «Qualcosa non va? È per ieri sera?»
«Ieri sera?» fece lui alzando lo sguardo, per un attimo confuso, ma appena capì di cosa stesse parlando scosse la testa e rispose tornando a guardare il terreno: «No, non è niente.»
E lei sbuffò: «Dici sempre così, ormai non funziona più.» si girò fingendo di guardare avanti mentre in realtà continuò a guardarlo di sbieco «È da quando siamo arrivati a Eunev che hai qualcosa che non va.»
Lui girò gli occhi: «A dire il vero da quando abbiamo lasciato Darvil.»
«Se vuoi andare fino in fondo direi da quando ti ho conosciuto. Allora, cosa c’è?» domandò beffarda asciugandosi il viso inutilmente.
«Niente.» rispose lui, ma sebbene cercò di non lasciar trapelare il fastidio Susan lo colse.
«Guarda che non mi freghi!» lo canzonò avvicinandosi in punta di piedi alle sue spalle per punzecchiargli la schiena con le dita «Dai, lo so che mi vuoi bene! Ora che non c’è nessuno puoi dirlo! Non vedi l’ora di parlarmi!»
Lui tollerò il suo tocco repentino sopo per pochi attimi prima di sbottare: «No, non è vero. Smettila!»
E Susan obbedì rimanendo interdetta e fermandosi, mentre lui continuò a camminare e smise solo quando si accorse di averla lasciata indietro.
Sospirò alzando lo sguardo al cielo, poi disse esasperato: «Scusa!»
«Scusami tu.» sussurrò la ragazzina sentendosi davvero ferita dal suo atteggiamento, ma si promise di non insistere e invece riprese: «Direi di controllare meglio la radura del Krun, approfittiamo della pioggia.»
«Vuoi tornare indietro?» le chiese sorpreso, perché era stata lei stessa a prendere quella direzione.
«Tanto qui non percepisco nulla.» tagliò corto guardando in basso.
«Stai già provando? Senza nemmeno toccare le piante?» fece scettico.
Sei una stupida Susan... si rimproverò in privato lanciandogli una breve occhiata truce; sebbene fosse certa che lui stesse già cercando altre menti attorno a loro sapeva che non era in contatto con lei, al massimo le loro menti si sfioravano soltanto. Ma non poteva sentire i suoi pensieri.
Si limitò a tornare indietro senza rispondergli, toccando al volo una felce blu a un passo da lei fingendo di aver sempre svolto il proprio compito in realtà, e Cedric la seguì senza commentare.
«Mi dispiace.» le disse infine, dal momento che la ragazzina avanzava tenendo lo sguardo basso, a malapena si curava dei capelli bagnati davanti al viso e lo ritenne decisamente inconsueto.
Susan sospirò: «Sì, l’hai già detto.»
«Mi dispiace che ti abbia offesa.»
Allora non sei poi così impedito a capire cosa provano gli altri si disse guardandolo storto per un attimo dal basso dei suoi cinque piedi scarsi d’altezza.
Si guardò bene dal dirgli quello che pensava, piuttosto rispose: «Non importa, non è niente comunque. Concentriamoci sui draghi finché possiamo, sono sicura che Layla non ci farà tornare qui un’altra volta.»
Dopo una pausa di riflessione tanto lunga da consentire loro di raggiungere la vecchia tana dei draghi, Cedric si convinse ad accontentarla un poco per non farla sentire così inadeguata e disse piano: «Pensavo a mia madre.»
Susan drizzò la testa di scatto, colta completamente alla sprovvista da quella confessione: sapeva che prima o poi sarebbe ricapitato che abbassasse la guardia in sua presenza, come era già successo la notte che l’aveva ospitato in casa propria. E da quell’esperienza seppe anche che non sarebbe durato a lungo.
Pertanto ne avrebbe approfittato e chiese ingenuamente: «Cosa ti ha fatto pensare a lei?»
Solo qualche attimo dopo aver fatto quella domanda le tornò alla mente Mathan e tutto il discorso che aveva fatto su Laurel. Si morse la lingua maledicendosi per aver scelto il modo peggiore per continuare quella conversazione tanto delicata, ma al contempo sperò che non se la sarebbe presa; dopotutto aveva scelto lui di tirare fuori l’argomento.
E Cedric ridacchiò scettico: «A parte l’intera città?»
«Acuta osservazione.» commentò trattenendo un sospiro di sollievo perché non sembrava essersi offeso.
Contrariamente a quanto Susan sperasse la breve chiacchierata sembrava destinata a morire così, perché lui non continuò e lei si scervellò alla ricerca di altre domande da porgli prima che fosse troppo tardi. Il suo stomaco brontolò di nuovo ma non se ne curò, al contrario del ragazzo che la guardò sorridendo senza tuttavia fare osservazioni.
«Quella non era una vera risposta.» buttò giù alla fine, il rumore della pioggia battente quasi la distraeva e sperò di non essergli sembrata stupida quanto lo era parso a se stessa.
Cedric fece un verso che Susan interpretò come ‘Mi hai fregato’ e lei faticò a contenere un sorriso soddisfatto.
«Mmh... sai quella donna, quella che è sfuggita al Krun?»
«Sì?» lo incalzò.
«Lei ha avuto la fortuna di incontrare Rubia, mia madre no.»
«Oh. Mi dispiace.» disse sinceramente mortificata, sebbene sapesse fin dal principio che quel discorso non sarebbe finito bene.
Cedric scosse le spalle e concluse: «Quindi no, non ho dormito bene e sì, mi aspettavo che un Krun sarebbe arrivato.»
Poi di nuovo calò il silenzio mentre a passo lento si avvicinavano alla radura.
«Se vuoi non ci torniamo.» disse Susan d’un tratto smettendo di camminare, poi aggiunse: «Dal Krun.»
«E cosa cambierebbe?» domandò lui fermandosi a sua volta.
«Non lo so, magari non vederlo sarebbe meglio.»
«Non mi cambia niente. L’ho già visto e grazie a Lya è morto.»
La ragazzina rimase in silenzio un attimo, poi scosse la testa: «Non ci torniamo. Tanto non era importante. Continuerò a cercare intorno alla tana.» e dicendo ciò se ne andò a passo svelto verso il rifugio nascondendo le mani nelle ampie maniche della veste nera.
Cedric ancora una volta non commentò e la seguì invertendo nuovamente la direzione di marcia, percepì le menti di una famigliola di lupi ma erano abbastanza lontani da non costituire un pericolo e ad ogni modo troppo occupati a badare ai cuccioli.
Susan era indecisa se indagare più a fondo o accontentarlo e lasciar perdere, perché sapeva benissimo che lui avrebbe preferito la seconda opzione ma non voleva gettare all’aria quell’occasione; difficilmente le sarebbe ricapitato, soprattutto all’interno della scuola e con gli altri attorno. Ma non sapeva cos’altro chiedergli senza entrare troppo nel personale.
Alla fine si decise a chiedere: «Quando è successo? Cioè, quando lei è...»
Non fece in tempo a terminare la frase che lui la anticipò rispondendo inespressivo: «Otto anni fa.» e contrariamente a quanto si aspettasse non le sembrava essere rimasto infastidito dalla domanda.
«E l’hai saputo da Jorel? Immagino non cacciassi già, voglio dire... avevi sette anni, giusto?» l’ultima era più una domanda retorica, era quasi certa che avesse appena compiuto quindici anni, non quattordici né sedici, altrimenti sarebbe stato adulto e avrebbero festeggiato diversamente.
Lui scosse piano la testa e disse: «Ero con lei, in realtà nessuno ha mai saputo cosa sia successo perché ero l’unico a saperlo.»
Quella risposta la lasciò spiazzata e la fece impallidire, ma riuscì a non interrompere la marcia e a continuare: «E tu come sei fuggito?»
«Non l’ho fatto.» tagliò corto il ragazzo.
E a quel punto Susan si fermò e lo guardò incredula e confusa a un tempo: «In che senso non... allora scusa, ma perché sei vivo? Non... mi sono espressa male, scusami. È solo che...» balbettò, sperando un’altra volta di non averlo offeso.
«Capisco che possa sembrare strano.» disse lui fermandosi a sua volta e ricambiando il suo sguardo «Ma il Krun semplicemente se n’è andato quando ha finito con lei.»
«Strano, sì... non so molto di Krun ma mi è giunta voce che siano creature violente.»
«E lo sono. Non so perché se ne sia andato, forse era un giovane che aveva solo bisogno di un trofeo da riportare indietro al clan, e io non gli servivo.»
Dopo quelle parole Susan rabbrividì, non volendo immaginare cosa fosse effettivamente successo quel giorno, né volendosi figurare la scena a cui lui possibilmente aveva assistito.
Inaspettatamente Cedric rise piano: «No, non se l’è portata via mentre lei gridava disperatamente di lasciarla giù. Non era lei il trofeo.»
«Ah.» rispose la ragazzina senza sapere che altro dire, e in effetti ripensandoci non voleva realmente sapere che cosa avesse fatto il Krun, se non si era portato via la donna tutta intera.
Rimasero alcuni minuti in piedi senza fissarsi né parlare, o meglio lei non aveva il coraggio di guardarlo mentre lui non stava facendo altro, chiedendosi come mai non avesse voglia di riempirlo di domande ora che aveva una buona scusa per farlo.
E infine glielo disse: «Mi aspettavo una cascata di domande.»
«Cosa?» fece lei riprendendosi dai suoi pensieri, tornando a guardarlo.
E lui scosse piano le spalle: «No, niente. Tanto meglio.»
«Sì, è che... Non credo mi risponderesti. E in realtà non credo di voler sapere com’è andata.»
«Lo vorresti, ma già ti stai immaginando uno scenario più spaventoso dell’altro e hai paura di quale di quelli possa essere quello vero.» sussurrò lui.
E Susan gli rivolse un’occhiata questa volta perplessa: «Mi stai leggendo nella mente?»
«No.» rispose lui con la massima tranquillità.
«E tu vorresti parlarne?»
«Non vorrei nemmeno pensarci.»
«E allora...»
«Ma ci sto già pensando.» la interruppe, come se non avesse finito di parlare poco prima.
Alla fine Susan balbettò: «E allora voi... insomma, come l’avete incontrato un Krun fuori dalla Foresta?»
«Non lo so.» la sua risposta la lasciò spiazzata, ma meno di quanto seguì «È stata colpa mia.»
«Cosa intendi dire?» domandò «A meno che tu non gli abbia fischiato per chiamarlo, non credo sia stata colpa tua. Nessuno incontrerebbe un Krun di proposito, sbaglio?»
«No. Ma se avessi ascoltato mia madre forse non l’avremmo incontrato affatto.» ribatté lui, e dopo aver riflettuto qualche attimo le fornì una versione più completa: «Stavamo giocando a rincorrerci, e l’ho ignorata quando lei mi ha detto che mi stavo allontanando troppo, pensando che fosse solo una scusa per raggiungermi. Invece quando mi sono fermato ho visto il Krun, ed è successo quel che è successo.»
«Però il Krun non ti ha toccato...» tentennò lei, non sapendo se porla come una domanda.
Ma lui scosse la testa: «No. E ti ripeto che non so perché. Ma avrebbe dovuto.»
«Non scherzare!» lo rimproverò.
«Scusami, ho pensato ad alta voce.»
«E non l’hai mai detto a nessuno?» domandò Susan, al che il ragazzo si limitò a fare cenno di no col capo «Perché?»
«A chi avrei potuto dirlo? Non mi avrebbe creduto nessuno comunque.» fece una piccola pausa, poi riprese con sarcasmo, fissando il vuoto: «‘Sai Jorel, siamo andati nel bosco e abbiamo incontrato un Krun, ma si è divertito a strappare il cuore solo a lei e poi è corso via, io sto benissimo.’»
«Ha fatto... cosa?» sussurrò Susan inorridendo.
«Cosa?» le fece eco il ragazzo, confuso.
«Hai detto che... ha...» balbettò la ragazzina, non riuscendo a dirlo.
«L’ho detto?» sussurrò Cedric, ora preoccupato «Sì, l’ho detto. Merda. Non avrei dovuto dirlo. Mi è scappato, scusami.» si affrettò a dire poi, portandosi l’unica mano libera al viso.
«Non... non volevi dirlo?» tentennò Susan, ancora con voce flebile ma cercando di mostrarsi meno spaventata.
«No, non avrei dovuto.» ripeté lui, riportando la mano al fianco «Il punto è che non mi avrebbero creduto. Non so come spiegartelo, ma so più o meno come sarebbe potuta andare se avessi parlato. Mi è stata data la colpa senza che abbia mai raccontato nulla, figurati se avessi aperto bocca cosa sarebbe successo.»
«Ma è ingiusto...»
«Pensi che importi qualcosa a qualcuno di cosa sia giusto e cosa no? Credimi, sono vivo solo perché serviva qualcuno che si prendesse cura di Lily, e Ilion non poteva dedicarle tutto il suo tempo.»
«E l’hai fatto.» sussurrò Susan senza sapere cosa dire, come aveva temuto la conversazione era caduta a dir poco nel personale.
Cedric scosse le spalle e commentò con una smorfia: «Sì, più o meno. Più che altro sono riuscito a farmi odiare a morte perché non la lasciavo mai uscire e non giocavamo. E non sapevo cucinare, o fare tutte quelle altre cose insieme.»
«Ma avevi solo sette anni, è normale! Tutti i genitori si trovano in quella situazione, solo che tu ti sei ritrovato a esserlo troppo giovane...» concluse con voce flebile, e dato che il ragazzo non rispose dopo qualche minuto di silenzio gli chiese: «Se non l’hai mai detto a nessuno come... voglio dire, come hai fatto a tenerlo nascosto a Jorel? A tua sorella? A tutti. Nessuno ha chiesto dove fosse finita Laurel? Nessuno ha visto che stavi male?»
«Certo che sì.» rispose come se fosse ovvio, guardandola per un attimo come valutando la sua intelligenza, poi tornò a fissare il vuoto davanti a sé: «Ma io non ne volevo parlare. Ci hanno provato in ogni modo, non è stato piacevole. Io non volevo nemmeno sentir nominare lei o il bosco, me ne stavo chiuso in camera in un angolo o in alternativa nella stalla. È meglio sorvolare su come abbia vissuto di lì in poi, paradossalmente vederla morire non è stato poi così tragico a confronto.» concluse rabbrividendo.
«Mi dispiace, avrei voluto poterti aiutare ma nemmeno sapevo che esistessi.» sussurrò lei, ora guardando a terra con aria triste.
«E meno male, altrimenti non saresti qui ora. O non volentieri, almeno.» commentò aspramente.
«Perché dici così?» domandò confusa alzando di nuovo gli occhi su di lui.
«Credimi, probabilmente non mi avresti nemmeno parlato quando abbiamo trovato le uova. Se ora ti sembro strano, non puoi immaginare come fossi allora.»
«Quando te l’ho detto non volevo offenderti.» disse dispiaciuta.
«Lo so. Non mi hai offeso.»
«Ma allora perché non l’hai detto quando... insomma, quando tutto è diventato più tranquillo?» insistette.
«Era già troppo tardi.»
«Cosa intendi dire? Non ti avrebbero creduto comunque?»
Cedric sbuffò guardando verso il cielo, chiaramente non gli piaceva affrontare quell’argomento, che tuttavia lui stesso aveva iniziato. Di nuovo si sentì solo il rumore della pioggia per diverso tempo.
«Non so neanche perché ti sto dicendo queste cose.» riprese il ragazzo infine, ripensando a qualche sera prima, quando si era lasciato sfuggire ben di peggio davanti a Layla; non aveva alcuna intenzione di rifare lo stesso errore, per di più da sobrio.
«Forse perché in fondo sai di poterti fidare di me?» azzardò Susan, lieta che avesse ripreso a parlare da sé.
Cedric scosse la testa piuttosto convinto, ma continuò: «Sicuramente avrai sentito cosa la gente diceva di me.»
«Ho sentito vaghe storie su un ragazzino da evitare perché pericoloso, ma non sapevo chi fosse quindi non me ne fregava niente.» disse di getto «Quindi? Eri tu? La gente diceva che eri pazzo, giusto? Lo eri davvero?»
«Forse.» rispose scuotendo le spalle «Di sicuro nessuno ha cercato di aiutarmi. Tranne Gerida, glielo concedo. Ma in realtà più che aiutare me rendeva tollerabile la mia presenza al resto della famiglia.»
«Con quell’infuso?» domandò, e lui si limitò ad annuire «E hai continuato a prenderlo fino a pochi mesi fa? Non faceva effetto?»
«Oh sì, ma non a lungo termine.»
«Dovevi prenderlo tre volte al giorno.» annuì cercando di non perdersi neanche un pezzo del racconto.
«Jorel mi costringeva a prenderlo ogni volta che accennavo una mancanza di controllo. E io quando ero da solo facevo di testa mia, a volte non lo prendevo e a volte esageravo. Ma alla fine non valeva la pena disobbedire, sarei solo stato peggio.»
«E... cosa cambia adesso che non lo prendi?»
Cedric fece una smorfia tornando a guardarla: «L’ho appena detto, mancanza di controllo.»
«Ho visto solo esagerati sbalzi d’umore finora.» obiettò Susan scura in volto.
«Tu. Ma tu non sei me.» ribatté lui.
«Quindi non ti manca il controllo. Noi non abbiamo notato altro che sbalzi d’umore. Sai controllarti benissimo.»
Sospirò cercando di non perdere la pazienza, ma il tono che usò fu gelido: «Beh forse adesso, solo sono passati anni in caso non l’avessi notato. Se non fosse cambiato nulla sarebbe un bel problema, non credi?»
Ignorò la provocazione, la cosa gli stava sfuggendo di mano e voleva riportare i toni della conversazione a un livello civile prima che degenerasse del tutto.
Quindi disse più calma, di nuovo con voce flebile: «Mi dispiace che nessuno abbia realmente cercato di aiutarti. Ma non vuol dire che debba sempre essere così.»
«Mentirei se dicessi di saperlo.» disse, a sua volta più tranquillo.
«Capisco perché non ti fidi. Ma io non posso fare paragoni, non m’interessa che persona fossi prima e non posso giudicarti per quello che è successo. Io ho dato di matto quando i miei genitori sono stati solo rapiti, figurati...» cercò di scherzare ma lui rimase impassibile, quindi continuò tentennando: «Perciò per quanto possa valere potrai sempre rivolgerti a me se avessi bisogno di qualcosa.»
Stava andando troppo oltre, lo sapeva, sia per lui che non era abituato a questo genere di rapporto sia per se stessa, perché Cedric le piaceva e si era molto affezionata. Temeva di poter piangere, arrossire, o scoppiare in manifestazioni isteriche da un momento all’altro, specialmente se lui avesse apertamente accettato il suo aiuto. Anzi si sorprese di non essere già scoppiata in lacrime ed ebbe l’impressione che anche il ragazzo si stesse trattenendo - non seppe dire se per rabbia o per tristezza.
Ma per il momento Cedric si limitò a ringraziarla quasi freddamente, e Susan si disse che la ragione era proprio perché non ci credeva fino in fondo o altrimenti perché fosse imbarazzato e non voleva darlo a vedere. Considerando però quello che le aveva detto credeva fosse più probabile che avesse davvero poca fiducia nel prossimo, quindi anche in lei. E non poteva del tutto biasimarlo: forse lui stava già aspettando il momento in cui gli avrebbe voltato le spalle, come avevano già fatto tutti gli altri.
Decise di chiudere lì la conversazione non volendo stressarlo troppo o farlo sentire a disagio, quindi sospirò guardandosi intorno ed esclamò ostentando ilarità: «Beh, direi che sarebbe meglio rientrare a scuola se non vogliamo ammalarci, che dici? Dovremmo asciugarci.»
Cedric la guardò confuso inclinando la testa da un lato, ma fu lieto di poter finalmente cambiare argomento e le diede ragione. Fu lui a dover prendere la direzione perché a Susan decisamente mancava il senso dell’orientamento, specialmente dopo aver cambiato senso di marcia così tante volte.
La ragazzina tornò ad avvertire la fame e disse che sperava sarebbero rientrati prima che cominciasse il pranzo perché non avrebbe retto fino a cena. Lui sorrise debolmente, ma per l’ennesima volta non commentò limitandosi a proseguire il cammino.
La pioggia veniva frenata dalle fronde degli alberi e nonostante ciò erano bagnati fradici, si fermarono appena prima di uscire dal bosco osservando come allo scoperto la pioggia fosse così fitta da non permettergli di vedere le mura della città non lontane.
Susan sbuffò: «Maledizione allo scoperto è terribile! Tu sei fortunato!»
«Fortunato per cosa?» fece lui sorpreso con un solo sopracciglio sollevato.
«Hai i capelli corti! Non li devi continuamente allontanare dagli occhi per vedere!»
Con quelle parole riuscì finalmente a farlo ridere come la notte prima, e anche se non durò molto questa volta invece di lamentarsi e prenderlo a sberle lo guardò attentamente; non le era capitato spesso di vederlo apparentemente felice e voleva imprimersi quel sorriso sincero nella memoria.
«Ci converrebbe correre allora, se la pioggia ti dà così fastidio.» riprese Cedric smettendo di ridere.
«Tu hai le gambe lunghe, saresti troppo veloce.» farfugliò Susan fingendosi offesa, poi ghignò divertita: «Ma ho un’idea!»
Il ragazzo non fece in tempo a chiederle cosa prima che lei si avvinghiasse al suo braccio sinistro - il destro era occupato a tenere l’arco.
A un suo sguardo evidentemente confuso spiegò, come se stesse parlando con un bambino: «Così se corri sei costretto a portarti dietro il mio peso morto!»
Ma lui immediatamente dopo perse l’aria felice e invece fece una smorfia contrariata guardando altrove, ritraendosi e costringendola a lasciarlo.
Susan incrociò piano le braccia al petto e osservò contrita: «Il contatto fisico proprio non lo sopporti, eh?» dal momento che lui rimase fermo e zitto senza cambiare espressione continuò, ora con fare indagatore: «Non è semplicemente quello, vero? Ne hai proprio paura.»
A quell’affermazione lui la guardò e ribatté infastidito: «Cosa te lo fa pensare?»
«Non ti lasci neanche prendere per mano. Stavi proprio soffrendo quando ti ho abbracciato. L’hai fatto solo perché era la mia festa e mi hai vista triste.»
«E con questo? Non mi piace essere preso per mano, non mi piace essere abbracciato, non mi piace trovarmi in posti affollati e no, non mi piace essere toccato. Non mi piace nemmeno parlare o guardare qualcuno negli occhi se è per questo. C’è qualche problema?»
«No.» disse lei semplicemente con aria innocente, scuotendo piano le spalle «Se non fosse che ne hai paura.»
«Non ne ho paura!» esclamò spazientito.
«Ma anche qui non ti si può biasimare.» continuò Susan come se il ragazzo non avesse parlato, e si guadagnò l’ennesima occhiata truce «Sono l’ultima persona di cui tu debba aver paura, insomma mi vedi o no? Potresti mettermi fuori gioco in un attimo!»
Cedric per un istante cambiò espressione, come se ora la stesse studiando in cerca di un tranello nascosto, e dopo una lunga pausa rispose: «Non se usassi la magia.»
E la ragazzina girò gli occhi mostrando un sorriso esasperato: «Scommetto che non avrei possibilità comunque. Tu sai usare il cervello.»
Dicendo questo riuscì a farlo sorridere ancora e il ragazzo posò lo sguardo a terra come se stesse riflettendo, finché lei gli allungò la mano e il movimento catturò la sua attenzione. Dopo averla studiata a lungo, Cedric tornò a ricambiare il suo sguardo e lei gli sorrise di nuovo, un gesto sincero e incoraggiante che sperò avrebbe fatto crollare quella barriera eretta da una legittima paura che ancora li separava.
Si prese il suo tempo, ma alla fine molto lentamente e ancora chiaramente non del tutto convinto Cedric strinse timidamente la presa sulle sue dita tese; aveva la mano fredda, notò la ragazzina, o forse era lei ad averla calda perché la sua veste aveva le maniche lunghe, mentre le sue terminavano all’altezza dei gomiti.
Susan si costrinse a rimanere impassibile anche se dentro di sé stava esplodendo di felicità, era in qualche modo riuscita a convincerlo a fare il primo passo e non ricordava in effetti di averlo mai visto prendere per mano qualcuno spontaneamente. Ora le rimaneva da sperare che quella sarebbe stata la prima di tante altre volte.
Ancora al settimo cielo, gli strinse la mano a sua volta e sentendo il contatto col bracciale lo interrogò: «Posso chiederti una cosa?»
«Oh, ti prego non di nuovo.» fece lui guardando il cielo, e Susan non seppe capire se fosse realmente esasperato o la stesse prendendo in giro.
«È un sì o un no?»
«È un... entrambi? O nessuno dei due.» rispose incerto tornando a guardarla.
«Allora te lo chiedo lo stesso e tu deciderai se rispondere o no. Qual è il tuo cibo preferito?» decise di buttarsi su una domanda stupida invece di quella che aveva in mente, per spiazzarlo.
E ci riuscì decisamente bene, il ragazzo la guardò esterrefatto: «Perché questa domanda?»
«Stupida vero? Ti aspettavi un’altra domanda seria?»
«Beh... sì.» confessò infine «Non ne ho.»
Susan lo guardò a bocca aperta e pensò: Mi ha davvero risposto? A una domanda così sciocca?
«Perché, tu sì?»
«Adoro le mele cotte! E i dolci!»
«Ma pensa un po’...» commentò inespressivo.
«Anche tu?»
«Mai mangiate.»
«Devi provarle assolutamente! Il prossimo autunno! O magari qui a scuola le hanno!»
Scrollò le spalle: «Come vuoi.»
«Non te ne frega niente, vero?» lo accusò.
«Non sono un amante del cibo.»
«No, si capiva.» borbottò lei.
Cedric le rivolse una smorfia di disappunto, ma non ribatté e tornò a studiare il breve tratto di pianura che li separava dalle mura della città.
«Però ci sarà qualcosa che non tolleri!» continuò Susan.
«Mmh... beh sì, il formaggio.»
«Davvero? Io invece non sopporto le verze!»
«Hai proprio ragione. E le rape.»
«E il cavolo!» rise.
«Il latte.»
«Cosa? Ma ogni tanto ti ho visto aggiungerlo al tè!» fece attonita.
«Mi fa venire la nausea, non è che non mi piaccia. Mi hai chiesto di cose che non tollero, è più generico di ‘Cose che non ti piace mangiare’.»
«Oh, come sei pignolo!» sbuffò.
«Tocca a te.»
Capì che intendeva fosse il suo turno a elencare una pietanza difficile da tollerare e sorrise felice che volesse continuare a giocare con lei: «Mmh... i funghi.»
«Vediamo... Oh, cavolo.»
«Quello l’ho già detto!» esclamò lei beffarda.
«No, lo so. Mi riferivo al tuo stomaco. Forse parlare di cibo non è l’ideale, che dici?» disse, considerando che aveva ricominciato a gorgogliare.
Susan si strinse la vita con le braccia senza lasciare la mano a lui e ignorò l’avvertimento del suo corpo, accogliendo il suo suggerimento e domandando invece: «Perché porti un braccialetto? Trovo strano che non lo togli mai.»
«Chiedimelo un’altra volta e forse ti risponderò.» disse ambiguamente, senza aggiungere una spiegazione.
Susan non fece in tempo a ribattere perché lui si lanciò fuori dal bosco cominciando a correre sotto la pioggia battente e lei fu costretta a tenere il suo passo veloce pur di non lasciargli la mano; quasi inciampò più di una volta e lo maledì gridandogli di rallentare. Lui non rise di nuovo, ma nemmeno le diede ascolto e le strinse la mano trascinandola fino a che giunsero ai cancelli di Eunev, lei col fiatone quasi si accasciò sul ponte di legno.
Ora non più mano nella mano dovettero indossare i guanti e si diressero a passo più lento verso casa a lasciare l’arco e la faretra di lui, Susan ne approfittò per strizzare i propri vestiti da maga nella vasca da bagno e Cedric attese pazientemente che si fosse rivestita. Poi uscirono nuovamente sotto la pioggia, la ragazzina camminava appiccicata ai muri di case e negozi per bagnarsi il meno possibile e lui non si allontanava mai troppo, per evitare si cacciasse in situazioni analoghe all’aggressione subita da Layla.
Tutto sommato si divertì a stare al passo di Susan che saltava le pozzanghere a terra o che scattava quando il suo sentiero all’asciutto era interrotto da una via laterale, ma non si unì al suo gioco, limitandosi a lanciare occhiate minacciose a chiunque la guardasse troppo insistentemente.
Non sapeva cosa l’avesse spinto ad aprirsi tanto a lei quel giorno e non era certo gli fosse piaciuto; non voleva che qualcuno arrivasse a conoscerlo così bene da trovarsi in mano l’arma per distruggerlo nuovamente. Non l’avrebbe sopportato ancora. Susan aveva qualcosa di diverso, ma non voleva illudersi pensando che gli sarebbe rimasta accanto anche se le avesse detto tutta la verità mostrandosi per ciò che realmente era.
Lei rideva spensierata cercando di accantonare la macabra immagine che si era fatta dal racconto sulla morte di sua madre e non sapendo esattamente cosa dovesse provare per come aveva passato la mattinata: ne era sia lusingata sia angosciata, e non riusciva a capire quale emozione prevalesse sull’altra; Cedric si era aperto a lei ma aveva ugualmente dimostrato una spiccata diffidenza. Non sapeva se fosse peggio non godere della sua fiducia ma essere riuscita a instaurare un rapporto, oppure non godere della sua fiducia ma non avere comunque niente a che fare con lui.
Alla fine non poteva dirsi delusa, se non altro aveva ottenuto qualcosa di cui nessun altro poteva vantarsi. Era persino riuscita a farlo ridere due volte.

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Capitolo 59
*** Love is a strange thing ***


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Chiedo nuovamente un attimo di attenzione perché, di nuovo, è successa una cosa straordinaria.
In data 25 Agosto ho ricevuto un bellissimo regalo da parte di Spettro94, trattasi di una breve fanfic su Mike. E come era successo già tempo addietro con Sky di Sagas, è scritta così bene che ho deciso di inserirla nel capitolo. Anche perché Spettro non lo sapeva ma una cosa simile a ciò che ha scritto sarebbe successa, proprio in questo capitolo.
Quindi ripeto ciò che ho scritto anche all'inizio del capitolo 31 - Neglect: quello qui di seguito non è stato scritto appositamente per questo capitolo, l'ho ricevuto prima di pubblicarlo, perciò Spettro non poteva sapere quanto bene si sarebbe adattato. E come per la prima volta, leggere questo pezzo sapendo quanto bene l'autore si fosse immedesimato nel personaggio mi ha emozionata tantissimo.
A differenza dell'altra volta, questa fanfic l'ho direttamente integrata nel capitolo, modificando sia essa che il mio testo per cercare di adattare l'uno all'altra. Le parti scritte da Spettro appariranno in BLU.
Buona lettura!

Il colore del titolo del capitolo corrisponde al colore della regione in cui la storia al momento si svolge, tenete d'occhio la mappa per sapere dove ci troviamo!

LOVE IS A STRANGE THING

Avendo saltato già cena e colazione nelle ore precedenti Susan a pranzo divorò nientemeno che primo, secondo, contorno e frutta nello stesso tempo che gli altri impiegarono a finire il loro pasto di una sola portata. Jennifer l’ammonì dicendole che mangiando a quel modo sarebbe stata male di stomaco, mentre Andrew e Mike la prendevano in giro e Cedric e Layla mangiavano in silenzio con lo sguardo basso.
Prima di separarsi per studiare, Layla volle sapere come mai fossero tornati così presto e Susan usò la scusa della pioggia invitandola a guardare che tempo c’era fuori. Alla ragazzina bionda sarebbe piaciuto molto passare dell’altro tempo da sola con Cedric, magari sarebbe riuscita a farlo ridere ancora, ma Layla non aveva lezione il pomeriggio e si unì a loro per studiare un po’ anche se non avevano più una materia in comune a tutti e tre.
Fu in quel pomeriggio che il ragazzo insegnò loro i nomi dei giorni della settimana.
La lezione di Elementi proseguì lineare come al solito, ormai consisteva solo nell’impratichirsi e migliorare sul controllo dei quattro elementi fondamentali e i loro numerosi derivati; ancora non parlarono degli altri quattro elementi più astratti - luce, ombra, tempo e spazio.
Andrew e Mike ne uscirono piuttosto provati, perché già avevano avuto Difesa la mattina stessa ed Evocazione nel pomeriggio di Glenasten. Dovevano fare ancora uno sforzo sostenendo Difesa la mattina successiva, e poi avrebbero potuto riposare fino al pomeriggio di Dnilasten.

Smisero di lasciare la scuola per andare a cercare i draghetti, ormai convinti di non poter fare nulla né per rintracciarli né per aiutarli qualora fossero in difficoltà, ma per l’appunto non sapevano nulla, a partire da dove fossero.
Ricominciarono a concentrarsi sugli studi e il povero Cedric tornò al ruolo di enciclopedia vivente, dedicandosi alla lettura di qualsiasi libro venisse consigliato in ogni materia, ripetere e spiegare nel dettaglio le lezioni a cui lui partecipava attivamente, e in rari casi prendere appunti dai libri di testo per materie che invece non seguiva di persona per poi riproporli ai più giovani in modo che capissero meglio: a volte era difficile per loro seguire i testi complicati presenti nelle antiche librerie della scuola, e se lui non si perdeva dietro ad alcune parole era solo perché riusciva ad aggirare quelle più complesse comprendendone il significato dal contesto.
Manipolazione, Telepatia e Alchimia si rivelarono essere le materie più difficoltose: non solo la teoria era estremamente impegnativa, ma anche la pratica poteva risultare estenuante se non pericolosa.
La pratica di Manipolazione il più delle volte risultava in un fiasco o un risultato solo parzialmente esatto; per quanto bene potessero studiare un elemento - o i componenti di un oggetto - in modo da poterli alterare in qualcos’altro, c’era sempre un dettaglio che gli sfuggiva, o dell’elemento di partenza o di quello finale, oppure durante il processo gli studenti venivano meno di concentrazione e l’incantesimo falliva.
Mike e Andrew vennero ripetutamente presi di mira da Kir per fare pratica, perché agli occhi dell’insegnante i due ragazzini si ostinavano a non voler consegnare qualsiasi genere di compito scritto lei gli assegnasse. Continuavano a ripetersi che presto le due settimane di punizione sarebbero terminate, o in alternativa che prima o poi qualsiasi compito scritto sarebbe stato sostituito da uno pratico.
Andrew come al solito provava a partire dall’Aria, ma la sua volubilità e instabilità spesso rendevano le cose molto più difficili; la stessa cosa valeva per Cedric che prediligeva il Fuoco. Mike e Susan, scegliendo più spesso l’Acqua, erano facilitati dal fatto che l’elemento avesse una forma solida e quindi fosse sempre così come lo vedevano finché qualcuno lo disturbava facendogli cambiare forma.
Il giorno in cui Velia riuscì a trasformare un sassolino in un’ametista scintillante la classe l’acclamò compresa l’insegnante Kir, tutti tranne Susan che mise il broncio e per solidarietà i tre ragazzi suoi amici applaudirono soltanto senza mostrare alcun trasporto emotivo.
Telepatia, come già sapevano dopotutto, era la materia più pericolosa in assoluto, perché le ferite della mente una volta inferte erano più difficili da curare di quelle del corpo. Gli studenti sotto la guida di Meidrea cominciarono a ingaggiare duelli tra le loro menti a coppie, uno cercava di proteggere la propria mente erigendo una sorta di muro invisibile e l’altro provava a sfondare il muro.
Quelle volte che l’aggressore riusciva nel suo compito, spesso e volentieri succedeva che l’altro provava terribili mal di testa per la violenza del colpo che la mente riceveva: tutta la forza e la concentrazione dell’aggressore vi si riversavano all’improvviso con impeto, causando instabilità, tremori, vertigini, e dolore come se la testa si fosse spaccata in due nei casi più gravi.
Non durava molto, perché appena il difensore gemeva, gridava, cadeva a terra in preda a convulsioni, o in qualsiasi modo manifestava di aver ceduto all’intrusione, Meidrea interrompeva subito lo scontro e l’aggressore tornava entro i confini della propria mente per lasciare che l’insegnante aiutasse il malcapitato a riprendersi.
Cedric e Layla stavano naturalmente sempre in coppia, erano entrambi molto bravi anche grazie alla pregressa esperienza fatta coi draghi - Meidrea li aveva più volte nominati tra i cinque migliori della classe.
Ma la ragazza più passavano le lezioni più aveva paura: sentiva che la mente di lui era in qualche modo più debole della sua perché già di per sé instabile, ma per qualche motivo era sempre un passo avanti a lei; l’unica ragione per cui Layla non aveva ancora ceduto alla sua violenza era un’enorme forza di volontà e capacità di concentrazione superba. Attendeva con terrore il momento in cui la sua attenzione sarebbe vacillata dando a lui l’occasione di dilaniarle la mente, i suoi attacchi erano attentamente studiati e violenti, piuttosto l’attaccava solo tre volte in un’ora ma con una brutalità spaventosa e all’improvviso.
Al contrario lui non godeva di una capacità di concentrazione eccellente, ma era sempre molto determinato a tenere la propria mente solo per sé ed era in grado di adattarsi molto rapidamente a ogni offensiva scagliata dalla ragazza: lei preferiva un attacco costante e debole, mirato a distrarlo dagli sporadici e improvvisi attacchi più violenti. Ma se non era bravo a concentrarsi su una sola idea o su un solo pensiero era decisamente bravo a estraniarsi completamente da ciò che lo circondava e di conseguenza evitare distrazioni.
Nelle lezioni di Alchimia non correvano veri e propri rischi perché non provavano le pozioni da loro create, ma le infinite variabili dovute all’enorme quantità di ingredienti disponibili e conseguenti combinazioni, unite al fatto che un piccolo errore - o un ingrediente di meno o di troppo - potevano trasformare un’innocua pozione in un veleno mortale, rendevano le cose molto complicate. In alcuni casi persino la temperatura del liquido durante la preparazione poteva influire sul risultato, o la luce solare, o quanto denso fosse.
Elsi li terrorizzò quando disse loro che probabilmente per l’esame avrebbero dovuto bere la pozione da loro preparata, e se non agli esami comunque lo avrebbero fatto a lezione come Specialisti. Perciò era fondamentale che conoscessero la più vasta gamma d’ingredienti possibile e come trattare ognuno di essi per ottenere l’uno o l’altro effetto.
Erano in sostanza un sacco d’informazioni da memorizzare e altrettanti libri da leggere. Ma a discapito delle difficoltà rimaneva una delle materie in assoluto più affascinanti insegnate nella struttura.
Nelle lezioni di Evocazione Wolgret cominciò a pretendere che combinassero due elementi in una creatura sola, e Mike ebbe serie difficoltà trovandosi a suo agio solo controllando l’Acqua. Andrew invece si adattò piuttosto in fretta. Certo manipolare due elementi invece di uno era doppiamente impegnativo in termini di energie vitali, ma la soddisfazione nel vedere una creatura di fuoco e terra - che combinati assieme davano vita a una sorta di magma di rocce incandescenti - era impagabile.
Il più giovane come al solito usò l’Aria come elemento base e vi aggiunse il Fuoco: venne fuori un mostro devastante perché i due elementi si alimentavano a vicenda, aveva una forma solo vagamente riconducibile a un essere bipede con corna da bovino e ali da pipistrello, una lunga coda e artigli spaventosi alle mani.
«Cosa accidenti stai facendo?!» esclamò Leudren terrorizzato quasi cadendo dalla sedia, sentendo il calore del fuoco anche se l’unico in piedi al centro dell’aula era Andrew.
Wolgret invece lo incoraggiò con un applauso caloroso, ma notando la fatica che stava compiendo gli disse di far sparire la creatura e il ragazzino obbedì sospirando sollevato. Non fu il primo a evocare da due elementi combinati, ma nessuno si era mai spinto tanto oltre - la sua creatura aveva raggiunto un’altezza di dieci piedi.
«Stai migliorando in fretta.» si complimentò Mike dopo la lezione, mentre scendevano le scale a spirale per andare verso le loro stanze.
«Vero? Mi piace molto Evocazione, non credevo di essere così portato!» esclamò Andrew tutto contento, ancora si sentiva debole ed ebbe paura di poter rotolare giù per le scale mettendo un piede in fallo.
«Io credo che non mi specializzerò né in Evocazione né in Difesa, non mi riescono bene.»
«Oh, non demoralizzarti! Sarai di sicuro più bravo in altro.» gli disse mettendogli un braccio intorno alle spalle. Rise tra sé dicendosi che ne avrebbe approfittato per farsi sostenere un po’.
E Mike se ne accorse, lo guardò con una smorfia ma non lo cacciò: «Sì, lo so. Mi impegnerò di più in Manipolazione.»
«Già, dobbiamo imparare in fretta. Altrimenti non potremo evocare fiamme dal nulla!»
«Che il nulla in realtà sarebbe Aria tramutata in Fuoco.»
«Esattamente! Vedo che sei sveglio!» esclamò scherzoso battendogli l’altra mano sul petto con enfasi, poi aggiunse più pensieroso: «Forse Umbreon mi ha consigliato da subito Evocazione e Difesa perché aveva inconsciamente visto qualcosa in me...»
L’altro si guardò intorno circospetto, ma nessuno degli studenti attorno a loro sembrava averlo ascoltato; erano tutti troppo occupati a vociare entusiasti delle loro lezioni.
«Evita di dire queste cose in pubblico!» lo rimproverò in un sussurro.
«Lo so, lo so. Scusa. Hai ragione. Maledizione queste scale sono infinite!» esclamò poi infastidito; la torre arancione era la più ampia, il che significava più gradini da salire e scendere.
«Sai, io credo che alla fine la teoria di Manipolazione non serva poi tanto.» continuò Mike «Insomma, una volta che ti riesce le volte a venire sarà sempre più facile, non pensi? Col tempo impareremo a conoscere gli elementi così bene che non sarà faticoso alterarli a nostro piacimento.»
«Forse. Ma richiederà comunque grande concentrazione.»
«Secondo me uno Specialista può accendersi la pipa senza nemmeno pensarci.» commentò cupamente, sperando di arrivare a quel livello un giorno «E se per assurdo ci trovassimo in un posto senza aria circondati da legno? Come faremmo senza sapere come manipolare il vuoto o il legno?»
«A parte che senza aria moriremmo. Comunque sai quei quattro elementi astratti che ancora non abbiamo studiato... magari si potrebbe creare aria dalle ombre o dalla luce, e di conseguenza tutto il resto.»
«Già, se anche venisse a mancare l’aria non potrebbero mai mancare ombra e luce. Senza luce c’è solo ombra e senza ombra solo luce, ma una delle due l’avremmo comunque.»
«E lo spazio e il tempo poi. Come si può manipolare lo spazio? Il tempo ci riescono solo i draghi, quindi perché dovremmo studiarlo se non possiamo farlo?»
«Perché comunque ci serve saperlo, non si può mai sapere.» osservò Mike «Chissà se qualche umano è mai riuscito a manipolare spazio e tempo. Credo sia piuttosto facile manipolare la luce, guarda tutti i globi fluttuanti che ci sono a scuola. Per le ombre non so, non saprei nemmeno da dove cominciare. Possono prendere forma e consistenza?»
Andrew lasciò che la sua domanda morisse perché non conosceva la risposta, si guardò intorno a occhi socchiusi, poi avvicinò pericolosamente il proprio viso a quello di Mike e disse con malizia: «Allora... tu e Layla? Eh?»
Il più grande cercò di allontanarsi per quanto gli fosse possibile, ma Andrew non glielo concesse usufruendo del braccio sulle sue spalle.
«Che vai dicendo?!» esclamò Mike sentendosi già caldo.
«Andiamo, quella cosa di cui hanno parlato a tavola da Iven! Uno di noi! Ma dai ce lo vedi Cedric a dire una cosa del genere a Jennifer? O più semplicemente pensi possa essere innamorato? Io di certo non sono, perciò...» lasciò in sospeso la frase e si avvicinò ancora di più.
Mike gli premette una mano sul viso per spingerlo più lontano con la forza ringhiando: «Non dire fesserie! Jennifer se lo sarà inventato per creare imbarazzo e farsi due risate.»
«Lo sapevo! Ti ho beccato!» mugugnò Andrew con la mano di Mike ancora premuta in faccia.
«Ti ho detto di smetterla!» esclamò l’altro ritraendo la mano prima che Andrew la leccasse per spingerlo ad allontanarla dalla sua bocca.
«Ma guardati, sei tutto rosso solo a parlarne! Ho ragione!» lo canzonò, finalmente tornando entro il proprio spazio personale.
«Hai preso un paguro.»
«Si dice hai preso un granchio.»
«È la stessa cosa!» sbottò irritato.
«Guarda che lo dico a Layla!» lo minacciò con un ampio sorriso malevolo.
E Mike dovette ricorrere a tutto il suo autocontrollo per non saltargli addosso, si limitò a scuotere le spalle e dire inespressivo: «Fallo, dai. Proprio come i bambini. Vallo a dire alla mamma. Tanto io so che non è vero.»
«E va bene! Mi hai convinto. Forse.» sbuffò «Quasi ci speravo, sarebbe stato divertente.»
«Cosa ci sarebbe di divertente?» esclamò stizzito.
«Beh sai quella cosa che fanno gli adulti...» e così dicendo mimò un bacio appassionato fingendo di avvinghiarsi a qualcuno.
Per un attimo Mike sperò che cadesse dalle scale: «Che schifo Andrew, smettila.»
Il ragazzino obbedì e sorrise: «Sì, sei ancora tu. Non ti ho perso sotto la gonna di Layla.»
«Layla non ha una gonna...» borbottò impensierito.
«Era un modo di dire!» sbottò lui girando gli occhi.
Finalmente smisero di scendere scale e s’inoltrarono nel breve corridoio che li separava dal cortile, fuori stava cominciando a fare buio.
Mike dopo quella chiacchierata ripensò a quanto fosse stato saggio scegliendo Jennifer come consulente piuttosto che Andrew; di sicuro il più piccolo sarebbe stata la scelta peggiore, e subito dopo non sapeva se mettere l’ingenua Susan, che tuttavia era una persona molto dolce e sentimentale, o Cedric che su questo genere di cose non aveva esperienza, ma almeno aveva un cervello... più o meno. Sì, forse tra i due Cedric sarebbe stato peggio. Ma se non altro non avrebbe spifferato nulla, mentre Susan avrebbe potuto lasciarsi sfuggire qualcosa essendo in buoni rapporti con Layla. Era una scelta davvero combattuta.
Non che me ne debba curare, alla fine ho scelto la migliore si disse poi, mentre insieme a un fiume di studenti entrava nella sala principale che si frapponeva fra refettorio e stanze comuni.
«Io credo farò un bagno prima di cena, ho sudato come un bovino nei campi.» dichiarò Andrew «A dopo!»
«A dopo.» sussurrò Mike mentre l’amico correva via verso le stanze comuni.
Si diresse verso camera propria. Vedendo come aveva reagito Andrew e come Layla aveva preso la notizia tempo addietro si chiese se e quando avrebbe mai potuto dirglielo: lei al momento non era interessata e non avrebbe mai avuto il coraggio di farsi avanti finché fosse rimasta di quel parere.
Entrò nella propria piccola stanza sbattendo con violenza la porta alle sue spalle e in un moto d’ira calciò il muro alla sua destra che era libero di mobilia, ignorando che Cedric fosse nella stanza adiacente. Ma il più grande sebbene sentì il colpo alla parete non venne a disturbarlo, e Mike si sdraiò di getto sul letto liberando un pesante sospiro.
Gli parve di rimanere fermo per pochi attimi a riflettere quando qualcuno bussò alla sua porta, e andandola ad aprire scoprì che si trattava di Susan; si era preoccupata perché lo stavano aspettando al tavolo per cenare e non si era presentato, perciò era venuta a vedere se fosse in camera sua.
Mike si costrinse a sorriderle e le chiese scusa, inventandosi come scusa il fatto che la lezione l’avesse sfiancato e si fosse addormentato senza volerlo, e la seguì fino alla sala da pranzo, e poi mangiò senza badare al sapore o ai discorsi degli altri. Colse solo vagamente Leudren raccontare di come Andrew avesse spaventato mezza classe con la sua creatura.
Poi andò direttamente in camera sua salutando distrattamente gli amici, e di nuovo si sdraiò similmente a prima, attendendo di essere realmente abbastanza stanco da dormire, e sperando che l’incoscienza portasse con sé quei pensieri. Ma rimase a fissare il globo fluttuante poco distante dal soffitto per quelle che gli parvero ore, senza riuscirci.
Accadeva, di rado, che la notte si girasse senza pace nel letto. Il più delle volte erano stati gli incubi a tenerlo sveglio, scene che lo riportavano a quella notte, in cui gli sconosciuti quanto spaventosi soldati avevano cercato di rapirli, e chissà cos’altro gli avrebbero fatto pur di avere informazioni sui loro cuccioli.
Quella notte, così buia, cupa, che in un attimo si era rischiarata della sua luce. E lì l’aveva vista: bella, a cavallo, la chioma sospinta all’indietro dal vento mentre una luce ametista la circondava. Forse era stato solo un sogno, forse era già svenuto quando era accaduto, eppure quell’immagine, reale o meno che fosse, gli era rimasta marchiata a fuoco nella mente, e tutt’ora rimaneva: la figura di Layla risplendeva di luce propria. Un attimo fugace, prima che il suo istintivo quanto pericoloso incantesimo portasse caos e distruzione; un brivido gli percorse la schiena al solo pensare quale rischio avesse corso, non solo di apprensione, ma di paura.
Forse era stato proprio in quel momento che il suo attaccamento per lei si era destato: quell’emozione forte che sentiva premere sul suo stomaco come un macigno, a cui non era ancora riuscito a dare un significato; motivo anch’esso delle sue notti occasionalmente insonni, casualmente trascorse a pensare a lei, al suo sorriso. Constatò solo in quel momento che erano giorni che non aveva più avuto occasione di ammirarlo, troppo intimorito che Layla scoprisse, che nei suoi occhi trovasse la risposta allo stratagemma di Jennifer.
Già, proprio lei. Si era aperto con la sua vecchia amica, per timore aveva acconsentito affinché sondasse le emozioni della loro magnifica compagna. E solo in seguito una parte di lui si era pentita di averglielo lasciato fare: gli era sembrato di avere smosso un oceano, e la terra aveva iniziato a tremargli sotto i piedi; o forse erano le sue gambe a tremare, come manifestando il proprio conflitto interiore, tra voler sapere se anche per lei era lo stesso e dunque affrontarla come un uomo, o scappare come il più codardo dei ragazzini.
Ma in fondo lo era ancora un ragazzo. Non era un uomo ormai fatto come Cedric: non sapeva prendere di petto le situazioni, non sapeva ancora leggere abilmente, né scrivere, neanche suonare il pianoforte. Era ovvio, si diceva, che nonostante l’astio malcelato Layla si affidasse al più grande, come tutti loro. In fondo, come avrebbe mai potuto ricambiare un ragazzo come lui, che non era in grado di capire cosa provasse?
Non poteva negare di aver provato un leggero fastidio nel constatare che lei e il figlio di Jorel, o di quel violento stalliere, si erano avvicinati dal loro arrivo nella capitale.
Che forse stesse nascendo qualcosa tra loro?
Scosse la testa. No, non era possibile, piuttosto era probabile che lei stesse cercando di capire chi di loro tre fosse il misterioso compagno di viaggio che provava qualcosa. E ciò lo mise più in allarme che in precedenza: doveva prestare la massima attenzione, o sarebbe stato scoperto! Non poteva dunque non allontanarsi, prendere le distanze e con esse le dovute cautele; se lei l’avesse scoperto, se lei l’avesse preso da parte per confessargli ciò che già sapeva... sarebbe morto di vergogna, probabilmente non avrebbe più potuto guardarla in faccia, né ammirare il suo volto, i suoi occhi sempre vigili e attenti, scintillanti alla luce del sole.
No, non si sarebbe mai più ripreso da una cosa simile. Doveva temporeggiare, doveva crescere, trovare il coraggio di essere più affidabile, coraggioso. Doveva dimostralo prima a se stesso, e forse lei l’avrebbe considerato più di un semplice amico; forse avrebbe mostrato un’apertura nel suo viso imperscrutabile, che avrebbe risposto alla sua domanda definitiva, anzi fondamentale: amava Layla o era solo una cotta passeggera?

Giunse alla conclusione che forse, per guadagnare tempo e tirarsi fuori dai guai ma anche per abituare Layla all’idea di essere desiderata da qualcuno, per lui sarebbe stato meglio fare in modo che la ragazza continuasse a credere di interessare a Cedric. Il rischio era che poi quei due si sarebbero realmente piaciuti, a furia di punzecchiarsi. Ma non lo credeva possibile, era fermamente convinto che Cedric a Layla non piacesse e non volesse nemmeno frequentarlo sebbene era costretta dagli eventi, mentre dall’altra parte Cedric con tutta probabilità non sarebbe stato in grado di affezionarsi a lei in quel senso.
Domande, doveri, preoccupazioni... In quel momento avrebbe voluto essere un drago, come Zaffir, e volare in alto nel cielo, al sicuro dai problemi a terra, libero da ogni turbamento.
Senza volerlo si ritrovò a sorridere. No, neanche i draghetti erano immuni dai loro sentimenti, anche loro potevano provare confusione, paura, forse amore; da questi non sarebbero mai potuti sfuggire, per quanto in alto fossero potuti volare.

Avevano avuto un’ardua settimana che non aveva fatto altro che peggiorare il suo umore già pericolosamente messo alla prova da queste sensazioni e dai continui rimproveri degli insegnanti per aver mancato le consegne dei compiti; doveva riprendere le forze per affrontare al meglio la prossima giornata. Anche l’indomani avrebbe cercato di mantenere le distanze, anche il giorno dopo, e quello dopo ancora. Una parte di sé voleva rimandare il momento della verità all’infinito, un’altra voleva liberarsi di quello sfiancate conflitto, eppure... sapeva che non l’avrebbe mai fatto.
Doveva capire, doveva pensare, doveva... trovare il coraggio di affrontare di petto ciò che lo circondava, o non ci sarebbe mai riuscito.

Riprese a prestare attenzione al globo fissando intensamente il soffitto, le braccia conserte dietro la nuca. Si scompigliò i capelli castani con violenza non sapendo cosa fare. Il suo piano avrebbe potuto andare esattamente come voleva, o creare disagi all’interno del loro gruppo, o ancora finire nel peggior modo possibile - ovvero che i due s’innamorassero per davvero. L’unica cosa di cui era certo era che non poteva continuare a vivere così, faceva fatica a guardare Layla senza sentirsi caldo e stupido. Non poteva esporsi ma non poteva nemmeno rimanere in disparte a guardare e aspettare anni il momento giusto per farsi avanti.
Qualunque scelta avesse fatto sarebbe stata sbagliata, ne era convinto. O perché puramente egoistica, o deleteria, codarda, con un sacco di falle e cose che potevano andare storte dal suo punto di vista e quello degli altri.
Non sapeva come agire ed era prigioniero delle proprie emozioni, avrebbe tanto voluto poter sfuggire loro. O cavarsi gli occhi, così non sarebbe più arrossito davanti a Layla. Ma ripensò a come gli era piaciuta anche quando aveva saltellato come una bambina spensierata dopo aver passato tutti gli esami, a come la sua risata l’aveva fatto impazzire facendogli provare i brividi e le famose farfalle nello stomaco; l’aveva sempre trovata una metafora stupida fino ad allora.
Mi sto davvero innamorando? si disse preoccupato, il fatto che gli piacesse anche la sua risata poteva voler dire che non era più solo una questione di attrazione fisica Ma perché? Non siamo grandi amici, non siamo emotivamente affiatati, abbiamo parlato poche volte e ho pure pensato che fosse bacchettona e troppo confidente! Perché?!
Di nuovo si prese la testa tra le mani e si sforzò di trattenere lacrime di disperazione. Non riusciva a capire come mai il destino, o gli dei, avessero deciso così per lui. Non lo voleva, voleva vivere la sua avventura in pace senza dover fuggire lo sguardo di una ragazza più grande. Layla gli piaceva realmente, eppure non era ciò che voleva. Era davvero confuso, come aveva detto Zaffir.
Se solo potessi tornare come un tempo e smettere di provare tutto questo...
D’un tratto ebbe un’idea, di difficile realizzazione ma non impossibile, gli bastava solo che Jennifer fosse dalla sua parte un’altra volta ancora. Alzò la testa e fissò la porta della propria camera con sguardo risoluto, dicendosi che alla prima occasione le avrebbe parlato.
Si prospettava un’altra notte insonne...

L’unico periodo della settimana in cui condivideva un momento libero con Jennifer era nella mattina di Twilasten, mentre Layla e Cedric erano a lezione di Telepatia. Erano liberi anche Andrew e Susan, ma riuscì ad appartarsi con Jennifer usando la scusa di dover andare in bagno mentre in realtà si chiusero nella stanza di lui.
«Cosa succede?» fece lei in un sussurro, preoccupata «Se è per Layla mi dispiace, ma non ho potuto più parlarle...»
«Lo so, tranquilla. Non è più necessario che le parli, mi hai già detto come stanno le cose.» la fermò, non voleva che si sentisse in colpa per qualcosa che alla fine non la riguardava «Ho bisogno di un favore.»
«Tutto quello che vuoi!» esclamò sempre a bassa voce per evitare che, se per caso Andrew e Susan fossero passati di lì, avrebbero sentito.
«Tu studi ancora sia Alchimia che Biologia. Pensi sarebbe possibile preparare una pozione per me?»
«Non lo so, dovrei chiedere a Elsi o altrimenti farlo di nascosto... perché? Cosa ti serve?»
Sospirò e si fece coraggio, immaginava che il piano non le sarebbe piaciuto: «Vorrei inibire le emozioni. Come faceva tua madre.»
«Cosa?! Ma... Mia madre lo faceva per curare, non perché... non puoi volere questo solo per...»
«Per poterla guardare senza dare di matto?» la interruppe scettico.
«Mike è un rimedio estremo! Non so neanche se ti farebbe bene, sai? Potrebbe peggiorare le cose a lungo andare! Quello che provi è normale Mike, ci passeremo tutti prima o poi!» esclamò, poi prese un tono di voce più gentile «Non devi lasciarti frenare da questo, devi abbracciarlo. È una cosa bella.»
«Non in questo caso! Non adesso!» sbottò lui «Jennifer non lo voglio! Cos’altro potrei fare? Dobbiamo convivere per quanto ancora? Mi sto davvero innamorando, ho paura!»
«Non è una cosa di cui avere paura...» provò a dire.
Ma lui la interruppe di nuovo, furibondo: «Perché non sei me! Non sai cosa provo! Non lo sai, e io non voglio provarlo.»
«Ma...»
«Avevi detto qualsiasi cosa.» la rimbeccò con fare accusatorio.
Lei rimase interdetta e balbettò: «Sì, ma... non questo! È assurdo!»
«Non posso chiederlo a Cedric, né tantomeno a Layla. E io non lo saprei fare.»
«Ma Mike, io non...»
«Prepariamone una a lungo termine! Che impedisca d’infatuarsi! È possibile?» scattò di nuovo speranzoso.
«Devo chiedere a Elsi.» ripeté la ragazzina con voce flebile.
«Mi faresti un grandissimo favore, credimi.»
«Scusa se lo dico, ma secondo me stai esagerando. Sei solo ossessionato perché è una novità e non ti piace, ma io credo che col tempo passerebbe da sola.» sussurrò sperando che il ragazzo non pensasse che stesse sminuendo il suo problema.
Mike scosse le spalle: «Beh, quando passerà sarà tutto risolto, ma almeno nel frattempo non sarei più innamorato.»
«Ti avverto, non credo si possa fare. Si possono inibire le emozioni, sì, ma tutte. Non solo una, non due, e non una esclusa. O tutte o nessuna, capisci? E credimi non vorresti diventare vuoto.»
«Esperienza personale?» disse, di nuovo irritato.
«Non potresti nemmeno più essere felice, e non t’importerebbe neppure finché l’effetto permane. Te ne renderesti conto dopo, e avrebbe un effetto devastante, come un fiume che straripa. È un prezzo troppo alto da pagare, ti prego cerca di comprenderlo finché sei in tempo.» lo supplicò.
«E tua madre allora perché lo somministrava come cura?»
«Non lo faceva, era un’eccezione!» sbottò «Fai una bella cosa, vai da Cedric e chiedigli quanto è bello non provare emozioni o quasi! Se solo sapesse cosa vuoi fare, ti riempirebbe di calci.»
«Quindi questa volta non sei con me?» le domandò mascherando il dolore con uno sguardo truce.
Lei non si fece abbindolare dal senso di colpa, lo stava facendo per il suo bene. Scosse la testa e disse piano: «Non così, mi dispiace. Se hai bisogno di altro certamente, ma non qualcosa di così pericoloso.»
«Me ne farò una ragione.» disse scuro in volto, poi si avviò verso l’uscio e lasciò la stanza con passo pesante.
«Mike...» lo chiamò girando su se stessa per seguirlo con lo sguardo, ma il ragazzino non si fermò e non si volse a guardarla, richiudendo la porta una volta fuori.

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Capitolo 60
*** Repression philter ***


Già il capitolo scorso avevo chiesto la vostra attenzione, ma questa volta è davvero importante; non è un continuo "Al lupo!".
Dopo una lunga pausa di riflessione, a malincuore annuncio che questo sarà l'ultimo capitolo che posterò su EFP: per questioni di sicurezza infatti non me la sento più di condividere la mia storia online dove chiunque può prenderne delle parti e farne ciò che vuole, senza che io venga nemmeno tutelata. Se lascerò i capitoli qui sarà solo per usarli come "prova" che io effettivamente li abbia pubblicati per prima, e tuttavia sto pensando di lasciare forse solo i primi dieci per non lasciare troppo spazio alla caratterizzazione dei personaggi - dopo aver ovviamente salvato tutte le vostre bellissime recensioni, per cui non vi ho mai ringraziati abbastanza.
Ma - c'è un ma.
Dato che alcune persone so per certo abbiano seguito questa storia fino all'ultimo capitolo pubblicato, mi è sembrato estremamente scorretto nei loro riguardi privarli della fine, e per loro - e chiunque ci tenga davvero a proseguire - sono arrivata a una conclusione.
Ormai più di un anno fa ho creato il gruppo chiuso su Facebook dedicato a questa storia, e ora rinnovo l'ultimo invito a partecipare [ https://www.facebook.com/groups/1229535403785896 ], perché sarà da lì d'ora in poi che si potrà seguire il continuo di questa storia; lì posterò tutti i link necessari solo per quelle persone che davvero ci tengono a continuare. Mi dispiace davvero arrivare a questo, ma sono - estremamente - paranoica e vorrei ridurre al minimo il rischio.
L'unica condizione richiesta per poter essere accettati è rispondere alla domanda che vi verrà fatta una volta effettuata la richiesta, ovvero di darmi il nickname di EFP col quale mi seguite. Dopodiché potete anche entrare con un account fake di Facebook; non è il vostro nome e cognome o la vostra vita privata a cui sono interessata, ci mancherebbe. Chiedo il nickname, di nuovo, per essere sicura che seguiate la mia storia e che ci teniate, se non otterrò una risposta non accetterò la vostra richiesta perciò vi prego di fare attenzione a questo passaggio!

Detto questo, arrivati alla fine del nostro viaggio su questo sito, ringrazio SkyCendre, EpsylonEmme, Spettro94, morgengabe e Fan of the Doors per aver recensito ogni singolo e talvolta noioso capitolo di questa lunga storia, per i consigli, i pareri, le dritte e il supporto che mi hanno fatto arrivare. Un grazie davvero sentito.
Ma non posso non ringraziare anche i recensori occasionali, che in qualche occasione hanno speso il loro tempo per farmi sapere cosa ne pensavano strappandomi qualche sorriso. Quindi grazie a Hanna McHonnor, da capo ancora, DarkLqser, Thethis, GothicGaia e Testechevolano.
Infine ringrazio anche tutti i miei lettori silenziosi, che sebbene non mi abbiano mai fatto sentire il loro parere mi hanno in qualche modo fatta sentire apprezzata da qualcuno anche soltanto aggiungendo la storia tra preferite seguite o ricordate.
Grazie veramente a tutti, grazie a voi questa storia è migliorata tantissimo e mi avete motivata a riprenderla in mano in continuazione per scrivere un nuovo capitolo dietro l'altro, talvolta facendomi venire le crisi di nervi perché non stavo al passo con la pubblicazione. È stato un viaggio lungo e bello, che in realtà era pure appena iniziato, e spero che continui... dall'altra parte. E di ritrovarvi numerosi.
Ora, finalmente, vi lascio alla storia.
Buona lettura!

Il colore del titolo del capitolo corrisponde al colore della regione in cui la storia al momento si svolge, tenete d'occhio la mappa per sapere dove ci troviamo!

REPRESSION PHILTER

Jennifer e Mike condividevano solo le lezioni di Elementi, ma nonostante il poco tempo che passavano insieme gli altri riuscirono a notare la freddezza del ragazzo e la conseguente tristezza della ragazza già dai primi giorni. Entrambi si rifiutarono di approfondire l’argomento, piuttosto sminuendolo e dicendo che non c’era nessun problema - tutti e due usarono la scusa di essere troppo impegnati a studiare per giustificare il loro malumore.
Ma gli altri quattro non se la bevvero facilmente. Quello che riusciva a rimanere più indifferente era naturalmente Cedric, perché non legato emotivamente a nessuno dei due; ma Susan e Layla cercavano di passare tutto il loro tempo libero con Jennifer per rallegrarla nonostante lei non volesse, e Andrew dall’altra parte ogni tanto provava a chiedere approfondimenti a Mike per capire la situazione.
Mike non voleva parlarne con nessuno e Jennifer non poteva, soprattutto ora che Mike si sentiva tradito da lei; non avrebbe dovuto sgarrare oltremodo.
Tuttavia la faccenda andò avanti così a lungo da rendere difficoltosi gli studi e i quattro non coinvolti sapevano di dover fare qualcosa: qualunque fosse la ragione del loro distacco, per il bene di tutto il gruppo avrebbero dovuto riunirli.
Quando Layla riuscì a raccogliere tutti nella sua piccola stanza e glielo disse però, Mike sbottò e diede di matto non potendo credere di trovarsi lì per parlare di quello: le disse di non infilarsi in faccende che non le competevano, che non c’era niente di strano o sbagliato in loro - come già avevano detto entrambi i diretti interessati - e di non insistere ulteriormente con quella storia, o l’avrebbe solo fatto innervosire di più. Dopo aver sbraitato se ne andò stizzito richiudendosi la porta alle spalle, lasciandoli tutti basiti.
«Che cosa gli è preso?» domandò lentamente Layla, voltandosi a guardare Jennifer.
E lei fece spallucce scegliendo ancora di coprirlo: «Non ne ho idea. È solo stressato forse.»
«Stressato da cosa?» la rimbeccò Susan.
«Beh a me qualche giorno fa è sembrato piuttosto abbattuto perché non riesce bene in alcune materie.» disse Andrew, e Jennifer lo guardò ringraziandolo in segreto per aver involontariamente sviato i sospetti da lei.
«Gli passerà.» disse Cedric cercando di riportare la calma.
«Sì, ma cosa gli passerà? Se non ne vuole nemmeno parlare!» esclamò Susan.
«No che non ne vuole parlare, se Andrew ha ragione e si tratta dei suoi fallimenti nelle sue materie.» ribatté il più grande «E se non fosse quello, dubito che qualcuno di noi gli abbia volontariamente fatto un torto, quindi quando sarà meno nervoso potrebbe finalmente dirci cosa sia successo.»
Jennifer fece una smorfia e abbassò lo sguardo abbattuta, ben sapendo che in realtà i due ragazzi avevano torto; lei aveva ferito i sentimenti di Mike, eccome, dal suo punto di vista tradendolo scegliendo di non aiutarlo. A fare una cosa che per lei non aveva alcun senso, ma il ragazzino evidentemente non riusciva a capirlo guardando oltre al proprio naso.
E Layla sospirò: «Va bene, diamo per buona la ragione di Andrew. Ma questa storia presto dovrà finire.» sentenziò, poi congedò tutti quanti pretendendo che lasciassero la sua stanza e nessuno si azzardò a disubbidire.

Mike cominciò a fingere che tutto fosse tornato alla normalità quando si trovavano in gruppo, per poi invece indirizzare a Jennifer delle occhiate torve quando nessuno guardava, e non le rivolgeva la parola se si trovavano per caso da soli. Si era detto di doverlo fare per evitare le domande scomode degli altri a cui non poteva permettersi di rispondere, e in effetti sembrò funzionare; la ragazzina pur di non dargli ulteriormente contro preferiva stare al suo gioco e comportarsi come se non avessero mai litigato, quando si trovavano davanti agli altri, mentre quando per caso s’incrociavano da soli sembrava triste, ma non provava a cominciare una conversazione. Il che lo faceva sentire in qualche modo fiero di sé e consapevole che presto Jennifer avrebbe ceduto.
Quel che non sapeva era che Jennifer si sentiva costretta a sorridere durante il giorno per poi piangere la notte nel suo letto e risvegliarsi la mattina seguente come se nulla fosse successo, per mandare avanti la sceneggiata senza peggiorare ulteriormente il loro rapporto già incrinato a sufficienza. Questo naturalmente mise a dura prova i suoi nervi, la sua pazienza e persino il suo ottimismo cominciò a venire meno dopo una settimana, tanto che perse l’appetito e la sua capacità di concentrazione, il che le rese difficile stare al passo con le lezioni.
Eppure ignorò qualsiasi tentativo di Susan di rallegrarla, consapevole che nonostante gli sforzi non sarebbe cambiato nulla. Vedeva chiaramente la preoccupazione sul viso di Layla e la confusione di Andrew, nonostante entrambi chiaramente si sforzassero di non disturbarla. Ma arrivò a turbare persino Cedric, che una mattina le chiese come mai stesse mangiando così poco ultimamente, e Jennifer ignorò pure lui domandandosi tra sé se in realtà il più grande la stesse rimbeccando come lei stessa aveva fatto con lui mesi prima. Naturalmente il ragazzo non insistette e gliene fu grata, come era grata anche agli altri per lo sforzo che stavano facendo nel non immischiarsi più del dovuto.
Era convinta di non essersi mai sentita così triste prima d’ora, nemmeno quando aveva dovuto lasciare casa sua per andare dagli elfi; non avrebbe mai creduto di potersi sentire abbandonata dal suo migliore amico, né tantomeno dopo aver fatto quella scelta per il suo bene. Ma Mike evidentemente proprio non riusciva a capirlo, o non le avrebbe tenuto il muso così a lungo.
Arrivata vicina al punto di rottura, non sapendo come venire fuori dalla situazione, tentò l’impossibile. Al termine di una lezione di Alchimia sospirò e si fece coraggio, poi si avviò verso la cattedra facendo cenno a Layla e Cedric di lasciare l’aula; li avrebbe raggiunti dopo aver parlato con Elsi.
La donna la notò in piedi poco lontana dal suo tavolo con le mani strette sulla fascia della borsa a tracolla, e la invitò ad avvicinarsi.
Così la ragazzina, tormentandosi le dita, comincio: «Vorrei farti una domanda... a scopo puramente informativo.»
«E perché non l’hai posta durante la lezione?» domandò Elsi sorpresa.
«Perché... mi vergognavo.» mentì Jennifer fuggendo il suo sguardo.
«Parla allora, ti ascolto.»
«Ecco io mi chiedevo se... se ci fosse un modo per inibire una singola emozione.» guardò di sottecchi la donna e le vide uno sguardo incredulo, quindi continuò in fretta: «Mia madre era la guaritrice del villaggio, ed era capace di inibirle tutte. Quindi ho sempre dato per scontato che non fosse possibile cancellarne una singolarmente. Ma se, per esempio, io fossi innamorata e non volessi esserlo? Si potrebbe in quel caso fare qualcosa solo per quello?»
«Mia cara, esistono i filtri per far innamorare le persone in alcune circostanze, credi non sia possibile il contrario?» la interrogò Elsi con un sorriso che alla ragazzina parve compassionevole.
«No, io non... non ci avevo pensato.» ammise Jennifer arrossendo per l’imbarazzo, ma in cuor suo aveva appena ottenuto una risposta.
«Questo perché non è un argomento che abbiamo ancora trattato nello specifico. Ma per rispondere alla tua domanda, sì. È possibile.»
«Ed è molto difficile, immagino.» sussurrò, sperando che l’insegnante non cogliesse la sua intenzione di preparare una pozione del genere di nascosto.
«Sì, no, dipende da molti fattori, dovresti saperlo. L’Alchimia è una materia estremamente complessa e con infinite variabili. Ma di certo un piccolo errore potrebbe essere devastante...»
«Certo, si potrebbe involontariamente preparare un veleno invece di un filtro d’amore, lo so.» la interruppe, lasciandosi sfuggire un sospiro «Bene, era solo una curiosità, magari mia madre non lo sapeva nemmeno e pensava che le sue cure fossero già perfette.»
«Immagino avrai molto da raccontare quando tornerai a casa.» le sorrise la donna.
Jennifer le sorrise a sua volta e la salutò dicendole di dover raggiungere i suoi amici, dunque lasciò l’aula e corse per le scale fino a raggiungere il gruppo della sua classe di Alchimia. Però ora c’era un altro problema: non avevano studiato come preparare quel genere di pozioni, e di certo non poteva inventarselo, ma non sapeva leggere. O non abbastanza per poter preparare senza errori una pozione completamente nuova.
Con una smorfia frustrata volse un’occhiata a Cedric appena davanti a lei che camminava poco dietro Layla, ma come Jennifer non sembrava particolarmente interessato alla conversazione che la ragazza stava tenendo con Ovittalia lì accanto. Di certo non avrebbe potuto chiedere l’aiuto di Layla neanche se fosse stata capace di leggere, ma il ragazzo era l’unica altra persona di cui si fidava davvero che studiasse ancora Alchimia, e oltre a saper leggere bene aveva una buona memoria. Però era sicura che non gli sarebbe piaciuto affatto dover collaborare a una cosa del genere.
Si morse il labbro indecisa sul da farsi, sapendo che se voleva andare incontro a Mike quella era la sua unica possibilità. No, in realtà non lo voleva, semplicemente doveva farlo altrimenti chissà quanto sarebbe andata avanti quella storia; non avrebbe potuto sopportare quella freddezza da parte del ragazzino per un’altra settimana, e prenderlo da parte per parlargli sarebbe stato inutile, considerando quanto fosse testardo e accecato dalla rabbia.
Così infine si decise a raggiungere Cedric e tirargli la manica per attirare la sua attenzione, e dato che si trovavano dietro a Layla e Ovittalia nessuna delle due notò alcunché.
Il ragazzo la guardò sorpreso e si fermò insieme a lei sulle scale, dando fastidio al resto degli studenti che scendevano, ma a lui sembrò non importare affatto.
Jennifer gli fece un muto cenno di seguirla fino alla parete per togliersi dal traffico e lui obbedì senza ribattere, lanciando solo una rapida occhiata a Layla che tuttavia non si era ancora accorta di niente.
Attese che fosse lei a chiarire la situazione, infatti la ragazzina sussurrò: «Devo chiederti un favore.»
«Va bene.» disse lui scuotendo le spalle «Cosa c’è?»
«Lo farei io ma non so leggere, perciò... avrei bisogno che mi aiutassi a trovare un libro e me lo leggessi.»
«Solo a te?» domandò sospettoso.
E lei annuì: «Solo a me. È una... questione personale.»
«Jennifer io devo già leggere un sacco di cose...»
«Lo so! Lo so, ma questo è davvero importante. Ti prego!» lo interruppe con la voce flebile e le mani giunte.
Cedric sospirò profondamente e le domandò con fare rassegnato: «Di cos’hai bisogno?»
Solo leggermente sollevata, Jennifer rispose: «Io... se... Se te lo dico devi promettermi di non dirlo a nessuno. Prometti?»
«Va bene! Lo prometto. Ora dimmi cosa c’è.»
Lei sospirò a sua volta e rimase in silenzio ancora qualche secondo, sapendo di poter fare affidamento sul fatto che non avrebbe parlato, ma probabilmente non si sarebbe trovato d’accordo con ciò che aveva in mente di fare.
«Mi serve preparare una pozione di nascosto. Una pozione che... che inibisca le emozioni.» disse infine.
«Sei preoccupata per me?» la interrogò incupendosi appena.
«Cosa? No, no. Non è per te. È per...» si morse le labbra e per il momento decise di tacere l’informazione cambiando discorso: «Però sì, potremmo usarla come scusa se gli altri dovessero fare domande. Fingere che sia per te ma non lo è.»
«Io dopo pranzo ho lezione. Non posso trattenermi oggi.» obiettò lui.
«E questa notte?» domandò speranzosa.
Ma Cedric scosse la testa: «Ho lezione oggi pomeriggio, questa notte e domani mattina.»
«Accidenti, io sono libera fino a domani mattina, poi il pomeriggio ho lezione.» sussurrò lei frustrata guardando a terra, realizzando che a parte gli intervalli prima e dopo i pasti non avrebbero avuto momenti liberi da sfruttare insieme.
«Perché vorresti preparare una pozione del genere?» investigò il ragazzo, catturando nuovamente il suo sguardo «E come ti è venuto in mente di chiederlo proprio a me?»
«Perché sei l’unico che sa leggere, che domande! Io... non vorrei. Devo farlo e basta. Mi dispiace.»
«D’accordo, ma perché? Dovrebbe essere l’ultima delle tue soluzioni.» insistette lui.
«Lo è...»
E l’altro la interruppe: «Anzi forse non dovrebbe esserlo nemmeno. Non seguire le orme di tua madre...»
«Ma non lo sto facendo!» sbottò lei interrompendolo a sua volta «Cedric, ti prego, lo so che l’idea non ti piace, non piace nemmeno a me! Non posso dirti niente, ho già detto troppo. E so che non sai abbastanza per capire perché devo farlo, ma per favore fidati di me!»
Rimasero in silenzio a lungo e si sentì estremamente a disagio sotto il suo sguardo indagatore, le venne da chiedersi a cosa stesse pensando e se fosse offeso o arrabbiato, o se avesse addirittura già capito tutto ma non volesse dirglielo.
Tuttavia alla fine il ragazzo parlò e infatti chiese: «Si tratta di Mike?»
Jennifer sobbalzò colta alla sprovvista, domandandosi come ci fosse arrivato senza leggerle nella mente, perché era certa che non l’avesse fatto o se ne sarebbe accorta. A meno che non fosse diventato così bravo da non farsi percepire, questo non poteva saperlo. Le sembrò semplicemente più probabile che l’avesse intuito dai recenti avvenimenti e che pensasse volesse somministrargli una pozione di nascosto per calmarlo. Ma aveva poca importanza come ci fosse arrivato, sapeva che era un ragazzo sveglio dopotutto.
Sospirò rassegnata e annuì: «Sì, è solo una l’emozione che devo cancellare, non voglio fargli del male. E... non posso dirti altro, mi dispiace. Solo che non lo farei se non dovessi.»
«Questo non cambia che tu abbia comunque scelto questa strada.» commentò Cedric a mezza voce, e Jennifer ebbe l’impressione che in realtà avrebbe solo voluto pensarlo piuttosto che dirlo quando cambiò rapidamente argomento: «Possiamo vedere se troviamo qualcosa prima di pranzo, ma è meglio farci trovare dagli altri per quell’ora o faranno domande.»
Non trovando niente di meglio da dire la ragazzina annuì di nuovo e senza perdere altro tempo insieme a lui salì le scale fino a superare nuovamente la metà della torre; Cedric le disse che aveva intenzione di controllare nelle librerie meno frequentate perché immaginava che le istruzioni per preparare pozioni di quel tipo fossero tenute più nascoste di altre. Avevano più o meno mezza ora da dedicare alla ricerca di quel libro prima che dovessero correre al refettorio ed essere lì per tempo.
Nella libreria dell’undicesimo piano tuttavia non lo trovarono, nonostante lui non fece in tempo a leggere tutti i titoli comunque, e mentre scendevano rapidamente le scale il ragazzo le disse che avrebbe provato a cercare tra una lezione e l’altra.
Jennifer non poté fare a meno di ringraziarlo, sapendo quanto in quei due giorni sarebbe stato impegnato e quanto poco si trovasse d’accordo con quel metodo, ma comunque decise che non si sarebbe unita alla ricerca per evitare che gli altri s’insospettissero vedendoli sparire sempre insieme.
Il ragazzo usò la scusa che in quei giorni voleva starsene per conto suo e rimandare per un attimo gli studi, perché per lui il fine settimana era molto impegnativo, e sebbene gli altri protestarono non ci fu niente che potessero fare per convincerlo a cambiare idea; Cedric chiese scusa, ma in ognuna delle pause prima e dopo i pasti correva via nascondendosi nella torre di Alchimia. Questo però lo sapeva solo Jennifer.
Furono costretti a sostituire gli studi teorici con quelli pratici in quei giorni, oppure a unirsi agli altri cinque ragazzi di Eunev Vonemmen o Melonas, approfittandone anche per domandare a Ovittalia da quale città venisse e scoprendo che era nata e vissuta a Deranor - una piccola cittadina che da Eunev si poteva raggiungere seguendo il corso del fiume Locat verso il mare.

Jennifer ebbe notizie da Cedric nel pomeriggio di Twilasten, il giorno seguente, dopo la sua lezione di Biologia. Mentre attendevano l’ora di cena ripassando insieme a Deala, il ragazzo le disse nella mente che aveva trovato una possibile pista: un elenco di tutte le pozioni che potevano essere create e i relativi titoli dei libri presenti nella scuola che trattavano la creazione della specifica pozione. Le disse anche di entrare nella sua stanza la notte, una volta sicura che tutti gli altri dormissero, per poterne discutere.
E così fece, sentendosi il petto oppresso dall’ansia, nemmeno si cambiò le vesti in caso Cedric avesse avuto intenzione di tornare di nascosto nella torre di Alchimia. Naturalmente era contro le regole entrarci di notte, e forse la sua ansia era dovuta a quello più che all’avere una pista da seguire.
Una volta sicura che gli altri quattro ragazzi stessero dormendo uscì dalla propria stanza e bussò a quella che sperava vivamente essere di Cedric. Chiuse gli occhi e incrociò le dita finché la porta si aprì e liberò un sospiro di sollievo realizzando di non essersi sbagliata. Dunque entrò e si sedette alla scrivania per lasciare a lui il letto.
Ma il ragazzo non si accomodò, dopo aver richiuso la porta prese il libretto e glielo aprì davanti mostrandole l’elenco.
Lei lo studiò con lo sguardo riuscendo a leggere a malapena una parola su dieci, immaginando che un elenco simile fosse utilizzato dagli insegnanti di Alchimia della scuola per pianificare le lezioni.
Perciò guardò Cedric e aprì bocca per fare domande, ma lui l’anticipò dicendo: «Non chiedermi dove o come l’ho trovato.»
Dopo una breve pausa Jennifer prese un’aria sospettosa: «Ma sei sicuro di non leggere nella mente?»
In risposta lui rise piano e le rispose: «No, non lo faccio mai se non a lezione.»
E lei ribatté: «Ma se l’hai fatto proprio poche ore fa, per dirmi di venire nella tua stanza di notte! Cioè, adesso. Insomma hai capito!»
Dovette aver capito eccome, perché il ragazzo rimase immobile a fissare il vuoto e a malapena respirando per diverso tempo, senza risponderle, chiaramente interdetto. Poi rimanendo in piedi alle sue spalle cominciò a leggere rapidamente l’elenco, evidentemente senza sapere come difendersi da quell’accusa.
Jennifer lo fermò appena lui lesse dell’inibizione dell’attrazione. Cosa significasse nel dettaglio non lo sapeva, ma immaginava potesse trattarsi dell’attrazione verso una persona e che quindi quella pozione potesse fare al caso loro.
«Va bene...» disse Cedric lentamente, e solo allora, voltandosi a guardarlo, si accorse che aveva un’espressione perplessa.
«Non... non fare domande. Per favore.» balbettò rossa in viso.
E lui in risposta scosse piano la testa, ma prima di richiudere il libretto le domandò: «Sei sicura o vuoi che vada avanti?»
«Vai avanti, per sicurezza.» gli rispose ancora in imbarazzo, stringendosi i pantaloni nei pugni ed evitando il suo sguardo.
Ma quella, di tutto l’elenco, alla fine fu l’emozione che secondo lei era da debellare per andare incontro a Mike, quindi Cedric lesse per sé i titoli di tutti i libri che ne parlavano dicendole che le avrebbe fatto sapere quando avrebbe trovato uno di quelli.
«Comincerai stanotte?»
Il ragazzo scosse di nuovo la testa e le rispose: «Non oggi, sono piuttosto stanco. Se dovessi svegliarmi presto proverò prima di fare colazione.»
«Certo, d’accordo.» sussurrò rialzandosi, e prima di andarsene lo ringraziò di nuovo ora guardandolo negli occhi: «Non hai idea del favore che mi stai facendo. Sono in debito con te.»
Cedric sbuffò richiudendo il piccolo libro: «Non essere sciocca. Vai a dormire.»
Jennifer sorrise piano non lasciandosi intimidire dal tono austero che aveva usato, ma obbedì e lasciò la sua stanza rapidamente per poi entrare nella propria in punta di piedi. Si cambiò e per la prima volta dopo diversi giorni andò a letto col cuore leggero, riuscendo a dormire un sonno tranquillo.

Sapere di essere così vicina alla risoluzione del problema la aiutò a ignorare le occhiatacce che Mike ancora le rivolgeva, e invece tornò a sorridere sinceramente e di buon umore. Certo continuava a non essere d’accordo con quel metodo estremo, ma se non altro aveva scoperto che non era necessario inibire tutte le emozioni per debellarne una soltanto; era già qualcosa.
Cedric di nuovo provò a sparire appena possibile per cercare uno di quei libri, ma non avendo più la scusa delle sue quattro materie tutte di fila dovette perdere del tempo a studiare insieme a loro; dopo la lezione di Alchimia nel mattino di Glenasten infatti sarebbe stato libero per due giorni interi, e Susan bramava le sue lezioni per migliorare la sua capacità di lettura.
Il ragazzo cercò d’ignorare anche lei, sebbene vederla delusa e ferita lo facesse sentire in colpa, ma voleva risolvere la questione di Mike e Jennifer il prima possibile; avrebbe avuto tempo di sistemare le cose con Susan, una volta risolta quell’altra.
Trovò uno dei libri citati dall’elenco nel pomeriggio di Urilasten, mentre gli altri eccetto Layla erano a lezione di Elementi, ma aveva fatto sì che la ragazza lo perdesse di vista prima di correre verso la torre verde.
Di nuovo lo disse mentalmente a Jennifer e di nuovo le chiese di presentarsi in camera sua quella notte, ma questa volta sarebbero andati di nascosto in un’aula della torre per preparare la pozione.
«Al buio?» sussurrò Jennifer sconcertata una volta che si furono riuniti «E se dovesse richiedere più di dieci ore? O la luce del sole? O ingredienti che non possiamo trovare?»
Cedric scosse la testa a ogni sua ipotesi e disse: «L’ho già letta, non devi preoccuparti. Certo richiederà del tempo, ma ci prenderemo un’aula che non sia utilizzata da nessuno domattina, e in caso serva salteremo la colazione. O io almeno, tu potrai andare se vorrai.»
«Hai già pensato a tutto?» gli domandò con un sorriso beffardo, incrociando le braccia in petto.
«Se proprio dobbiamo infrangere le regole è meglio farlo bene, sbaglio? Ma tu sei davvero sicura di voler fare una cosa del genere?» le domandò poi, e la ragazzina sperò di sbagliarsi nel pensare che fosse triste.
Scosse appena le spalle ora evitando di guardarlo e farfugliò: «Te l’ho già detto, non vorrei. Devo farlo e basta.»
«E lui è d’accordo?»
«Me l’ha chiesto lui.»
Dopo una breve pausa Cedric riprese: «Come vuoi. Allora c’è solo un problema.»
«Sarebbe?»
«Serve un capello di entrambi. Io vado da Mike, tu da Layla.»
Jennifer lo guardò esterrefatta, e sul momento senza pensare esclamò: «Come l’hai...» interrompendosi subito dopo, anche se non aveva senso ormai tenerglielo nascosto preferiva non dargli un’ulteriore conferma.
Cedric non rispose e la ragazzina nemmeno attese che lo facesse, sbrigandosi a uscire da quella stanza ed entrare altrettanto rapidamente in quella di Layla sperando che lui non la vedesse. Con un sospiro silenzioso si avvicinò al letto dell’amica sentendosi il cuore in gola per l’ansia, per tutto il tempo sperando di non essere scoperta, ma anche quando venne il momento di strapparle un capello con un gesto deciso Layla si limitò a lamentarsi nel sonno.
Con un muto cenno di esultanza Jennifer uscì in punta di piedi dalla stanza senza fare rumore e dovette aspettare poco tempo prima che Cedric lasciasse la stanza di Mike. Dopodiché lo seguì sgattaiolando silenziosamente verso il cortile.
Il buio e la totale assenza di neve li aiutarono a passare inosservati a eventuali occhi guardinghi, soprattutto perché evitavano il più possibile di camminare lungo i sentieri di sassolini bianchi e piuttosto si nascondevano tra la vegetazione; se avessero accidentalmente fatto rumore sarebbe stato imputabile al vento, mentre sarebbe stato più difficile mascherare lo scrocchiare della ghiaia.
Cedric aveva in effetti studiato l’orario per assicurarsi che non sarebbero stati colti di sorpresa la mattina seguente, e condusse Jennifer nell’aula del nono piano; era già illuminata da uno di quei globi grigi fluttuanti e lei tirò un sospiro di sollievo. Se non altro le finestre illuminate non avrebbero destato sospetti se qualcuno le avesse guardate.
Lui si scelse uno dei numerosi banchi e vi poggiò il libro aperto alla pagina giusta, indicandola a Jennifer: «Non ce ne servirà molta, se è per una sola persona. Qui c’è scritto che la durata è molto variabile, va da un minimo di due a un massimo di sei mesi. Va assunta a stomaco pieno o l’effetto durerà drasticamente meno. Farà effetto gradualmente nel giro di qualche ora.»
«Perfetto.» annuì lei avvicinandosi «E gli ingredienti?»
Cedric fece una smorfia e uno strano verso prima di dire: «La preparazione non è semplicissima, e spero davvero che non sbaglieremo niente.»
«Dice anche cosa si potrebbe ottenere con uno sbaglio?» domandò preoccupata.
«No. Quello è piuttosto imprevedibile, dovresti saperlo.»
«Ci speravo.» sospirò abbattuta, poi alzò lo sguardo e disse con più decisione: «Ma noi due siamo in gamba, non sbaglieremo niente. Quindi, gli ingredienti?»
«Saranno tutti qui da qualche parte.» disse Cedric guardando in direzione dell’armadio, poi glieli elencò; servivano la radice di mandragora, la radice di aconito, i semi di finocchio, le foglie di primula, il fiore di biancospino, il senecio e i semi di zucca. E naturalmente i due campioni di capelli.
La preparazione in sé richiese molto tempo, precisione e cautela, ma i due ragazzi rimasero concentrati dall’inizio alla fine totalmente incuranti della stanchezza, anzi nemmeno la sentirono perché troppo presi dal lavoro. A ogni passaggio Jennifer chiedeva se l’avesse fatto bene e quale fosse quello successivo, e Cedric le rispondeva rimanendo al contempo assorto nel compito che stava svolgendo, ma lei non dubitò mai nemmeno per un attimo della veridicità delle sue parole. Il capello di Mike dovettero aggiungerlo più o meno a metà della preparazione, perché la pozione era destinata a lui, mentre quello di Layla alla fine, appena prima di lasciarla riposare.
Alla fine del procedimento si era quasi fatta l’alba e il composto aveva assunto un colore arancione come da istruzioni, che una volta raffreddatosi sarebbe dovuto diventare giallo e opaco, piuttosto denso, da ricordare il miele nella consistenza, nel colore e nel sapore.
E con un ennesimo sospiro di sollievo Jennifer constatò che, dopo averlo lasciato riposare in una fiala per una buona ora, sembrava essere andato tutto bene: la pozione ricordava in tutto e per tutto una fiaschetta contenente un miele dorato.
Nel frattempo avevano rimesso a posto gli ingredienti non utilizzati e ripulito gli strumenti fino a farli tornare come nuovi, in modo che nessun insegnante avrebbe potuto scoprire la loro attività clandestina; sperava che per il tempo che quell’aula fosse nuovamente utilizzata per la lezione ogni odore sarebbe svanito.
Ora il problema sarebbe stato tornare verso le camere senza che nessuno li vedesse, ma a quel punto Cedric propose di fermarsi nella torre e nascondersi nei bagni attendendo che gli altri studenti cominciassero a rianimarsi e fingendo di essersi svegliati presto; dopotutto entrambi loro volendo avrebbero potuto avere una camera nella torre verde, come provava il simbolo della boccetta sulle loro casacche, e poteva essere che gli altri studenti non avrebbero fatto caso alle loro facce nuove.
Jennifer lo guardò con gli occhi sgranati, non potendo credere alle proprie orecchie e soprattutto che un piano così demenziale fosse uscito dalle sue labbra.
«Ti credevo più intelligente.» gli disse per scherzo, tuttavia trovandosi costretta a doverlo assecondare perché con la luce che c’era era ormai troppo probabile incappare in un insegnante se avessero fatto ritorno alle stanze comuni.
Raccolse con cura la fiala e l’arrotolò in diversi strati di pergamena per essere sicura che non andasse in frantumi urtando qualcosa, per poi metterla nella propria borsa e lasciare l’aula accompagnata da lui.
Vagarono con circospezione su e giù per la torre in cerca dei bagni finché li trovarono e rimasero insieme nella parte comune dei lavabi, appoggiati ognuno al proprio in attesa di vedere altri studenti entrare o uscire, segno che avrebbero potuto lasciare i bagni e correre giù per le scale sperando di non essere riconosciuti.
Jennifer cominciò a sbadigliare e a sentire sonno nell’attesa, le si chiusero gli occhi e Cedric dovette scuoterla più di una volta per risvegliarla e impedire che franasse a terra, ma alla fine venne il momento di andarsene e scesero in fretta dieci piani di scale. Per fortuna erano davvero pochi gli studenti già in piedi, quindi nessuno badò realmente a loro e non ebbero intoppi nel tornare alle loro camere.
Lei depositò borsa e fiala sulla scrivania di camera propria, poi si unì agli altri in attesa della colazione. Naturalmente non ne parlò con Mike, il quale aveva lezione di Difesa la mattina, e cercò il più possibile di mascherare la stanchezza. Lanciando una rapida occhiata a Cedric notò che lui, al contrario, non faticava a restare sveglio e si chiese quante volte gli fosse già capitato di non dormire la notte a loro insaputa; se resisteva così bene doveva essere abituato e per una volta lo invidiò.
Entrambi avevano la mattina libera dagli impegni, ma solo Jennifer poté sdraiarsi a letto e recuperare qualche ora di sonno fino a pranzo, perché lui dovette rimediare all’aver trascurato Susan per troppo tempo e quindi rimase nel cortile con lei a seguire i suoi progressi.
Il pomeriggio invece Mike era libero, ma non Jennifer che aveva lezione di Biologia, quindi alla ragazzina toccò aspettare dopo cena per consegnare all’amico la pozione: chiese segretamente a Cedric di distrarre gli altri e invece al ragazzino fece un cenno quasi impercettibile invitandolo a seguirla. Mentre gli altri non guardavano, i due sparirono rapidamente nella stanza della ragazzina che si affrettò a richiudere la porta.
«Cosa c’è?» domandò Mike seccato.
«Ho trovato un modo.» rispose lei in un sussurro, faticando a sostenere il suo sguardo irritato.
«Un modo per fare cosa?»
E in risposta lei gli porse la boccetta contenente il liquido giallo, che lui fissò con una faccia stralunata, e spiegò: «Farà effetto gradualmente, quindi bevila adesso. Potresti sentirti un po’ inibito ma l’unica cosa che verrà cancellata dalla tua testa sarà il desiderio. L’attrazione fisica, non il desiderio in generale. E durerà minimo due mesi, ma non so quanto.»
Mike le prese la fiala dalle mani e se la rigirò studiandola attentamente, la stappò e l’annusò trovando che avesse un buon odore, poi la richiuse e guardò Jennifer sospettoso: «Come hai fatto?»
Lei cercò di rimanere sul vago: «Studio Alchimia e Biologia, come hai detto tu. Non è stato semplice e ho dovuto infrangere diverse regole...»
«E se avessi fatto un errore?» continuò lui interrompendola.
Jennifer scosse la testa e rispose paziente: «Impossibile.»
«Sembri piuttosto sicura.» osservò lui, senza abbandonare l’aria torva.
«Non te l’avrei data in mano se non fossi stata certa di aver fatto tutto bene! Per chi mi hai presa?» esclamò tenendo a fatica la voce bassa, ma la sua diffidenza la stava facendo crollare di nuovo e si sentiva sul punto di piangere.
«E hai fatto tutto da sola? Spero tu non abbia raccontato questa cosa a qualcuno... e con qualcuno intendo l’unico di noi che sappia leggere.»
«Ho fatto da sola, ho solamente dovuto pensare molto per evitare di sbagliare. Per questo ci ho messo tanto. Va bene?» esclamò lei di rimando, sperando vivamente che Cedric avrebbe davvero mantenuto la promessa.
Mike fece un verso pensieroso e distolse lo sguardo dai suoi occhi castani per fissare di nuovo la fiala. Dopo averci pensato a lungo la stappò e infine la vuotò in un sol sorso, assaporò il liquido e gli parve proprio di bere del miele perché oltre al colore ne condivideva la dolcezza e quasi la densità.
«Come ti senti?» gli domandò Jennifer notando la sua smorfia incerta, asciugandosi rapidamente gli occhi.
«Bene.» rispose lui subito «Nulla è cambiato per ora. Ma hai detto che sarà graduale, perciò richiedimelo domattina.»
«D’accordo. Ora esci di qui prima che Susan venga a darmi la buonanotte.»
«Cosa...» cominciò incredulo, ma la ragazzina gli aprì la porta e lo sbatté fuori senza dargli ulteriori spiegazioni.
Scosse le spalle deciso a non darvi peso, dopotutto anche a lui piaceva quando sua madre entrava in stanza per dargli l’ultimo saluto prima di dormire. Entrò invece in camera sua e si sdraiò sul letto richiudendo la porta sfruttando una corrente d’aria giusto per far pratica, sentendosi il cuore leggero come una piuma immaginando di svegliarsi la mattina seguente senza più alcun problema. E così sarebbe stato per almeno due mesi a venire, avrebbe finalmente potuto guardare Layla senza sentirsi scoppiare la testa dall’imbarazzo.

Già dalla mattina dopo poté notare la differenza. Passò quasi la metà del tempo che prese la colazione a fissare Layla con occhi sgranati facendo tutto il resto passivamente. La ragazza, che sedeva di fianco a lui al tavolo, lo notò e non poté fare a meno di sentirsi a disagio e continuare a tenerlo d’occhio di nascosto, ma lui non sembrava voler distogliere lo sguardo.
S’insinuò nella mente di Susan, seduta davanti a Mike, e la pregò di distrarlo, quindi la ragazzina bionda gli diede un colpo col piede sotto al tavolo e cercò di intavolare una conversazione con lui. Soltanto allora Mike si riebbe e con una scrollata di spalle disse di essersi perso nei propri pensieri rimuginando su come fare per poter evocare una creatura da Acqua e Fuoco senza che si danneggiasse da sola.
Dentro di sé stava esplodendo dalla gioia: la pozione che gli aveva dato Jennifer la sera prima stava funzionando meglio di quanto sperato; non si sentiva meno felice, meno stanco, meno preoccupato per i suoi fallimenti, ma soltanto non più attratto dalla ragazza che aveva accanto. In un certo senso gli dispiacque aver cacciato un’emozione così naturale e bella, ma scuotendo la testa si disse che al momento per l’amore non c’era posto: doveva concentrarsi sugli studi, sui draghi e sui soldati, non su una ragazza. E inoltre credeva ancora di essere troppo giovane per quello, gli faceva senso pensare di dover condividere una casa con lei in futuro, o avere dei figli.

Essendo il problema di Mike svanito la situazione ritornò tranquilla e alla normalità nel giro di un paio di giorni. Layla ancora era in dubbio se Jennifer l’avesse presa in giro o no, ma gli altri erano di nuovo tutti affiatati come quando erano appena giunti a Hayra’llen e nessuno dei tre ragazzi le dava in alcun modo occasione di pensare che qualcuno fosse realmente innamorato di lei.
Appena ebbe un momento libero da sola con Cedric, Jennifer lo abbracciò stretto senza dargli alcuna spiegazione e solo per pochi attimi, non gli diede nemmeno il tempo di ribattere e levarsela di dosso infastidito, e se ne andò saltellando con gli occhi lucidi dalla felicità lasciandolo momentaneamente perplesso, ma sicura che avrebbe capito.
La cosa strana su cui ora poterono concentrarsi era che persino Cedric sembrava più sereno e decisamente più ben disposto, sopratutto nei confronti di Susan, la quale si prendeva spesso la libertà di camminare stringendogli la mano. E che il ragazzo lo concedesse era a dir poco bizzarro, aveva sempre dimostrato una feroce avversione per il contatto fisico.
I due ragazzini cominciarono a prenderli di mira e punzecchiarli con malizia tanto da spingere Cedric a chiudersi nuovamente in se stesso, e Susan li rimproverò energicamente, ma a nulla servì il suo tentativo di farli ragionare.
Layla era sempre riuscita a contenersi, perché sapeva che a parti invertite a lei stessa quell’atteggiamento non sarebbe piaciuto, e Jennifer non aveva alcuna intenzione di farsi beffe del ragazzo dopo che l’aveva aiutata a risolvere i suoi problemi con Mike, eppure trovava insensato che proprio quest’ultimo scherzasse a quel modo dopo aver sofferto per quelle emozioni che aveva tanto insistito per cancellare.
Provarono a parlarne un poco con Susan sperando di rincuorarla - non ne parlarono con Cedric perché non se la sentivano - ma la ragazzina fece finta di niente dicendo che ad ogni modo tra loro due non c’era altro che amicizia. Il che in fondo non era falso, solo si trattava di un’amicizia più profonda di quanto gli altri potessero vantare, e si guardò bene dall’ammettere di provare qualcosa per lui.
La notte di Eneiasten di quella stessa settimana Cedric tenne una lezione di Astronomia che riguardava la suddivisione dei giorni in ore e minuti, dove Auselion insegnò loro a leggere le meridiane o direttamente capire che ora fosse in base alla posizione del sole nel cielo di giorno e delle lune di notte; disse loro che durante l’anno il modo di calcolare le ore cambiava perché non sempre il sole sorgeva precisamente a est e tramontava precisamente a ovest, né le lune seguivano la stessa orbita - anzi cambiava ogni notte e il ciclo ricominciava l’anno successivo, dopo la notte di eclissi.
Dopodiché gli insegnò le formule e i calcoli che gli avrebbero consentito di sapere da sé tutte quelle informazioni in qualsiasi periodo dell’anno; volendo avrebbero potuto scoprire esattamente dove sarebbe sorto il sole nel ventesimo giorno del mese di Jegra pur essendo nel mese di Maerah, e allo stesso modo avrebbero potuto prevedere dove e quando si sarebbero trovate le lune, o in quale fase.
Dopo la lezione scese le scale senza unirsi ad alcun gruppo di studenti ripassando a mente quanto l’insegnante aveva spiegato, trovando la pratica appena studiata molto affascinante: anche a Darvil esisteva un metodo per contare le ore ed era il campanile della piccola chiesa, ma non serviva ad altro che scandire i ritmi dei lavoratori; a nessuno in realtà importava come il campanile funzionasse o se fosse preciso, anzi lui stesso credeva che in realtà il sacerdote suonasse la campana un po’ quando gli pareva.
Mentre percorreva il cortile per tornare in stanza vide il bagliore di due occhi verdi nascosto nell’ombra, ed ebbe la sgradevole sensazione che fossero fissi su di lui. Si fermò in mezzo al sentiero e si guardò intorno di sfuggita per non perdere di vista quegli occhi troppo a lungo e si rese conto di trovarsi da solo: nessuno nella sua classe di Astronomia abitava ancora nelle stanze comuni.
Non si fece prendere dal panico e tornò a fissare gli occhi verdi e brillanti, quindi espanse i confini della propria mente per sfiorare quella della creatura con cautela, sperava di non sbagliarsi pensando che appartenessero alla Gatta che avevano aiutato mesi addietro.
Yzah lo accolse amichevolmente nella propria mente, venendo piano allo scoperto senza fare rumore, il pelo nero e lucido rifletteva a tratti la luce fredda delle lune.
Cedric si rilassò con un sospiro salutandola con un cenno e chiudendo il legame con la magia che si era preparato a dover usare in caso di pericolo.
Cosa ci fai qui? le chiese dopo che la Gatta lo ebbe salutato a sua volta.
Lei si portò molto vicina a lui, ma rimase nascosta nell’ombra: I draghi mi hanno mandata a darvi un messaggio.
Sarebbe? fece sorpreso.
Vogliono sappiate che i vostri giovani amici sono al sicuro con loro, li cresceranno in una famiglia di draghi nelle prossime settimane.
Questa è una buona notizia ammise, annotandosi mentalmente di doverla riferire agli altri la mattina seguente Grazie per averci cercati.
Dovere ribatté lei semplicemente.
Ora faresti meglio a tornare dai tuoi cuccioli, mentre è ancora notte e nessuno può vederti le disse premuroso, evitando di chiederle come avesse fatto a scavalcare due cinte di mura della città e quelle del cortile della scuola.
La creatura gli fece un profondo inchino per salutarlo, i lunghi peli della folta coda che quasi le sfiorarono la testa, poi con un balzo sparì in mezzo alle frasche e Cedric la perse immediatamente di vista; non faceva nemmeno rumore nonostante non ci fossero altri suoni nell’ampio cortile - non si muovevano nemmeno le foglie degli alberi.
Tornò sui propri passi guardandosi intorno come per assicurarsi che nessuno l’avesse visto fermarsi apparentemente senza motivo in mezzo al cortile, e pensò divertito al fatto che sia lui che la Gatta condividevano una scarsa loquacità; gli era sembrata felice del fatto che la conversazione fosse durata così poco.

La mattina appena sveglio andò a lavarsi, dopodiché attese che anche gli altri si fossero destati e si fece coraggio, per la prima volta sarebbe stato lui a richiedere una riunione nella propria camera.
Prima di ritrovarsi nella stanza di Cedric decisero di cambiarsi d’abito indossando le loro vesti nere e la casacca sopra esse. E appena Susan ebbe richiuso la porta lui raccontò dell’incontro con Yzah e delle poche battute che si erano scambiati, lasciandoli tutti a boccheggiare per il sollievo. Susan saltellò felice e alla fine abbracciò Jennifer che divenne il bersaglio di sfogo della sua gioia.
«Visto? Non c’era nulla di cui preoccuparsi!» esclamò Layla con un ampio sorriso ostentando un’aria sicura di sé per aver detto la medesima cosa fin dall’inizio, ma nel profondo anche lei si sentiva decisamente molto più sollevata ora che aveva la certezza che niente era successo, o che nulla sarebbe successo mai finché i piccoli fossero stati in compagnia di Garandill e Nerkoull.
Avevano brancolato nell’ombra e nel dubbio per più di un mese senza sapere che fine avessero fatto, ma alla fine tutti i peggiori presentimenti che avevano avuto se ne sarebbero andati: i cuccioli stavano bene ed erano al sicuro, lo erano stati fin dall’inizio ed evidentemente non avevano potuto dirlo.
E anche questa rivelazione contribuì a un notevole miglioramento di tutti i ragazzi in tutte le materie, sia che si trovassero nelle aule con gli insegnanti a imparare da loro, sia che si allenassero in segreto nelle proprie stanze condividendo le nozioni che gli altri non apprendevano perché non seguivano la determinata materia.

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