Because...yes, we are the Olympians

di AliNicoKITE
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Let's go to a party! ***
Capitolo 2: *** R.I.P. Joystick ***
Capitolo 3: *** Se i Grace fossero normali... il mondo sarebbe più povero di persone speciali ***
Capitolo 4: *** le lacrime sono per le altre persone ***
Capitolo 5: *** 100% Era,100% ***
Capitolo 6: *** -I'M FINE! -Sorry, none believe in you... ***
Capitolo 7: *** AUGURI DI BUON NATALE A PRESTO CHICOS! ***
Capitolo 8: *** Quando tutto va male, solo allora inizia a correre (1) ***
Capitolo 9: *** Someone I need to hate ***
Capitolo 10: *** Looking at the window ***
Capitolo 11: *** Alberello Felice ***
Capitolo 12: *** Quando tutto va male, solo allora inizia a correre (2) ***
Capitolo 13: *** Medusa ***
Capitolo 14: *** Patto tra fratelli ***
Capitolo 15: *** Inferi ***
Capitolo 16: *** Over the rainbow ***
Capitolo 17: *** Entrate in scena ***
Capitolo 18: *** In amore e guerra ***
Capitolo 19: *** Fractals of two minds ***
Capitolo 20: *** Loading PianoMalvagio.pdf ***
Capitolo 21: *** What happened to perfect (1) ***



Capitolo 1
*** Let's go to a party! ***


Because.... yes,
 we are the Olympians
Personaggi: Ares,Afrodite, Zeus, Poseidone,Ade, Persefone, Apollo, Artemide, Ermes, Estia, Dioniso,Demetra...OH INSOMMA TUTTI GLI DEI TRANNE EFESTO COME PERSONAGGIO SECONDARIO (PER ORA). (protagonisti prevalentemente i tre fratelli pezzi grossi)
Rating: arancione (poco lime, solo baci e fluff quando serve)
Genere: Sentimentale,Introspettivo, Romantico
Tipo di coppia: Het
COPPIE (SE NON SONO DI VOSTRO GRADIMENTO RIFERITE ALCUNE SONO UN PO' FUORI DAI CANON): Aha, edit postumo (alla mia presunta morte come autrice su efp): ho cancellato questa mia presunta idea di avere già tutto delineato.
NOTE: AU (NORMAL WORLD GENTE GLI DEI SONO SUI DICIASSETTE/DICIOTTO ANNI), Lime, leggermente OOC
AVVERTIMENTI: contenuti forti, tematiche delicate
DESCRIZIONE:
''Ares li percorse con lo sguardo uno a uno: Ermes che giocherellava con i suoi inseparabili braccialetti a forma di serpente, uno rosso corallo l'altro azzurro, Apollo che sorrideva, come se la scena gli ricordasse tempi migliori, Artemide che lo fissava non proprio entusiasta dell'uscita, Zeus esaltato, Poseidone che continuava a infastidire Ade, sempre torvo, per poter usare la sua moto al ritorno.
Era un bel gruppo il loro, lo sapevano, ed erano certi che avrebbero superato tutto quello che stava accadendo assieme. Ares doveva loro molto, e si sentì in dovere di ricambiare.
-Ok ragazzi vediamo di passare una serata indimenticabile. Parola d'ordine Zeus? Suggerimenti?
Il ragazzo in questione sorrise malandrino. Il luccichio dei suoi occhi non faceva presagire niente di buono.
-Parola d'ordine in arrivo: RIMORCHIARE.
I ragazzi esultarono.
Ares si girò, sorrise, e spalancò in un gesto teatrale le porte del Dionisus.''
Capitolo 1
PAROLA D'ORDINE: Let's go to a party!
ARES
Mentre Ares osservava tra le palpebre socchiuse Afrodite rivestirsi veloce, pensava ai suoi sgangherati amici. Quando la gente li guardava in foto diceva sempre che erano un bellissimo gruppo, forse per i sorrisi sinceri e gli sguardi complici rivolti ad Apollo, lo storico fotografo del gruppo. Ma Ares sapeva che dietro a quell'allegria era celato un malessere cocente, frutto di preoccupazioni che non avrebbero dovuto pesare sulle spalle di diciassettenni.
Lui era l'unico ad essere felice, dopotutto. Era riuscito a trovare Afro e a liberarla dal suo stupido fidanzamento programmato dalla famiglia e ora si stavano godendo un po' di felicità genuina. Fino a quando il passato non lo avrebbe sommerso di nuovo in tutta la sua crudeltà. Un giorno si sarebbe svegliato
- Ares, amore, ci sei?- chiese la sua fidanzata, gli occhi grandi preoccupati. I capelli scuri, lunghi e lisci, le coprivano a malapena il seno scoperto mentre lei si infilava la sua gonna di pelle color panna e gli stivaletti col tacco che amava tanto. Sentendosi osservata, le sue guance si imporporarono diventando dello stesso colore delle sue labbra morbide.
-Smettila di fissarmi in quel modo!- protestò sorridendo -Perveritito!
-Ah sì? Pervertito mi dici? Adesso ti faccio vedere io!- disse Ares afferrandola per i fianchi per poi farla cadere con lui sul letto della ragazza. Le loro labbra giocarono un'ultima volta fino a quando il ragazzo portò la mano alla cerniera della gonna.
Afrodite pose un dito a separare le sue labbra rosate da quelle fameliche di lui e allontanò per l'ennesima volta la mano del fidanzato.
-Basta- sussurrò piano - Lo sai che dobbiamo andare, non vorrai che mio padre ci scopra.
Di fronte al ghigno sprezzante di Ares Afrodite non potè far a meno di sorridere.
-Sai che si arrabbierebbe a morte non scherzare!
-Come minimo- disse Ares mettendosi a sedere continuando ad accarezzare la pelle nuda della ragazza -ti farebbe diventare una suora di clausura.- la baciò -e sarebbe il peccato più grande del mondo perderti così.
Aveva la voce roca. Déi, quella ragazza lo faceva impazzire.
-Che ne dici se oggi porto i ragazzi al night club di Dion? Ci troviamo lì ok?-propose speranzoso.
-Certo, ottima idea- acconsentì lei -Porto anche le mie amiche. Loro che stanno diventando suore!
-I ragazzi come stanno?- chiese improvvisamente più seria. Afrodite si preoccupava sempre degli altri, anche se a prima vista poteva sembrare un'oca come tante per il suo carattere allegro.
-La situazione non migliora, Ermes rischia di essere sbattuto in cella di continuo, Apollo è in depressione e nemmeno Art riesce a risollevargli il morale e gli altri...- il suo sguardo si incupì -meglio non parlarne.
Afrodite lo strinse in un abbraccio, conscia di quanto la situazione dei suoi amici lo facesse soffrire.
-Falli divertire stasera ok? Non importa se non stai con me, falli passare una bella serata.
-Sicura?-disse fissandola coi suoi occhi scuri colmi di affetto che riservava solo a lei.
-Sicurissima.-esclamò alzandosi.
-E ora muoversi! Avvisa i caproni: Dion avrà il tutto esaurito stasera!
Ares prese al volo il telefono che gli aveva lanciato e mandò il messaggio.
Ermes, Apollo e Artemide, ormai sempre assieme, Zeus e fratelli: sei telefonini squillarono contemporaneamente.
Il testo era semplice.
''Stasera tutti da Dion, muovete le chiappe. Per voi poveri single la parola d'ordine è una sola: ALCOHOL, WOMEN AND ROCK N' ROLL! ;))))))))))))))) ''
Ares amava le parole d'ordine ed era un asso a sceglierle. Era un'altra cosa che Afrodite amava di lui.
 
 
NOTA DELL'AUTRICE:
Cosa faccio invece di aggiornare ''After all''? Ovvio, inizio una nuova stupidissima storia! L'inizio non è dei migliori, c'è poca carne al fuoco, però spero comunque vi piaccia...
Vi prego di recensire così da vedere se riscontra un giudizio positivo, in caso contrario la cancello per dedicarmi solo all'altra mia long!
Nel prossimo capitolo conosceremo Ermes e i tre fratelli Grace: il mio amato Ade, Possy e Zeus!!
Alla prossima,
AliNicoKITE

 
 

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Capitolo 2
*** R.I.P. Joystick ***


Capitolo 2
Parola d'ordine: R.I.P. JOYSTICK
(storia della morte di una povera consolle)
ERMES
 
Ares inviò il messaggio. Questa fu la piccola causa.
Le conseguenze invece contarono un bernoccolo, un ennesimo furto di bici nella grande New York, un tentato omicidio fratricida e, per finire in bellezza, la scomparsa di un joystick di ultima generazione.
Ma andiamo con ordine: il bernoccolo.
Ermes Mercurius Stoll cadde sonoramente dalla sua amata amaca ''da soffitta'' per colpa di un messaggio. O meglio, per colpa di una suoneria anche troppo rumorosa: gli AC/DC non erano quello che si definisce ''un dolce risveglio''.
Mentre le note di 'back in black' terminavano sfumando, il povero ragazzo si tirò su massaggiandosi la fronte; peccato avesse dimenticato che la sua stanza era in realtà una soffitta, pertanto sbattè la testa su una trave del tetto. Un urlo beduino squarciò l'aria seguito da qualche imprecazione.
-MA PORC....
-ERMEEEEEES, DEFICENTE CHE NON SEI ALTRO!
Il diciassettenne in questione fu improvvisamente lucido e presente alla situazione.
-Merda.- sussurrò.
Ermes aveva tanti difetti e contava varie disavventure nella sua misera e breve vita, ma poteva vantarsi di una cosa: il numero delle volte in cui era stato in una centrale di polizia non sarebbe mai riuscito a eguagliare la quantità innumerevole di persone che aveva tentato di prendersi cura di lui, senza successo.
Era a quota 52, ma la numero 53 sembrava destinata a superare ogni record.
Il ragazzo segnò sul suo calendario una piccola nota: ''Miss Janine Corteses: 37 giorni raggiunti''.
Chissà, magari sarebbe riuscito ad affezionarsi e lei avrebbe incominciato a prendersi cura di lui. Sarebbero diventati una famiglia.
Ermes stava per ridere pensando a quanto stupido era il suo pensiero.
Passi pesanti ruppero la quiete delle cinque del pomeriggio nel placido quartiere in cui vivevano.
La porta della soffitta si aprì, ed Ermes capì di non avere via di scampo.
Occhietti piccoli, sguardo assassino, capelli unti 24 ore su 24, fisico più che obeso, muscoli nelle braccia superiori alla media delle donne di 56 anni: ecco a voi Janine Corteses.
-TU.- cominciò.
-Io.-replicò Ermes sorridendo.
-Sì, Janine, credo di poter essere me stesso.-scherzò giocherellando distrattamente con i suoi capelli ricci. Era sicuro che un osservatore attento potesse vedere il rivolo di sudore freddo che gli percorreva la fronte.
-NON MI INTERROMPERE.
-Agli ordini.-disse facendo il saluto militare.
-NON SCHERZARE CON ME!
-Che cosa ho fatto di male stavolta?-chiese in tono piagnucoloso e fintamente innocente. L'ansia cresceva, ma il suo status di attore sopraffino gli imponeva di mantenere una più o meno credibile facciata.
-CHE COSA HAI FATTO? CHE COSA HAI FATTO?
-Sì, che cosa ho fatto mi sembra una domanda legittima.
Janine assunse una tinta violacea ed Ermes capì di aver esagerato.
-Ok Janine, scusami per la suoneria, è un messaggio..-incominciò a dire scusandosi. Patetico.
-Un messaggio di uno di quei delinquenti che frequenti!Hai svegliato metà vicinato! Sono le quattro del pomeriggio, stanno riposando. Sei un ingrato Mercurius, un ingrato! Io, che ti ho preso in casa..
-Ti ho dato vitto e alloggio e i soldi per la scuola...-ripercorse mentalmente il ragazzo. Stava diventando noiosa!
-Ti ho dato vitto e alloggio e i soldi per la scuola!
-Ecco appunto.
-Hai passato il limite.
-Ti meriti una punizione da ricordare.-completò Ermes nella sua mente.
-Ti meriti una punizione da ricordare.-sbraitò Janine.
Ermes si preparò al colpo.
-Non userai più Sferraglia!
Il mondo crollò addosso al ragazzo.
-NO.- sussurrò.
-SI'.-esultò invece Janine, conscia del potere che aveva quella punizione.
-Non puoi togliermi anche la mia Sferraglia Janine, ti prego...
-Non si discute.
Ermes sapeva di aver perso. La resa era inevitabile, la sconfitta palese.
-Per quanto?-chiese solo. Sperava solo che il tono grave gli concedesse un'aria più distinta, da generale costretto a chiamare la ritirata.
-Fino all'inizio dell'anno scolastico.
-E' solo tra sei giorni.-obbiettò stupito. Rilassò leggermente le spalle.
-Sono abbastanza da impedirti di uscire.
-USCIRE!-pensò colto da un improvviso déjà-vu.-IL MESSAGGIO!
Appena Janine uscì a passo di marcia dalla soffitta, corse ad osservare il display del telefono.
Ares:Stasera usciamo...
Esultò, preparandosi per andare da Apollo e Art. Era una tradizione: se uscivano, appena saputa la notizia Ermes avrebbe corso dal suo migliore amico e dalla rispettiva gemella per chiacchierare. Solo dopo sarebbero andati dai Grace, il secondo storico punto di incontro.
Fu pronto in cinque minuti: non si preoccupava dei vestiti, lui. La classe era qualcosa che stava da qualche parte tra i capelli ricci e il sorriso da ladro, non di certo nelle sneaker distrutte o nella maglietta con il logo della Coca-cola ormai sbiadito.
Gli restava solo da prendere Sferraglia e... ah già, Janine l'aveva sicuramente già bloccata con tanto di triplo catenaccio.
La sua povera, piccola bici... La bici regalo di sua madre Maia. La sua Sferraglia.
Fu la decisione di un momento: riprese i suoi attrezzi. O meglio, l'attrezzo: una tenaglia grande come il suo avambraccio capace di uccidere qualsiasi lucchetto.
I suoi vecchi istinti da ladro gli tornarono utili: calarsi dalla grondaia non era mai stato così facile, persino con lo zaino e le tenaglie. Atterrò con un balzo e corse verso il portabici... trovandolo vuoto.
Fece una smorfia: Janine lo aveva battuto. Gli parve persino di vederla sorridere alla finestra.
Sorrise anche lui: in fondo, aveva trovato semplicemente qualcuno della sua stessa pasta. Poteva essere... un nuovo inizio. Una nuova famiglia dopo la morte di sua madre. O forse non doveva illudersi. Saltò il cancelletto agilmente per non far rumore e si incamminò cercando una nuova vittima. Dopotutto sarebbe stato solo un ennesimo furto di bici nella grande, crudele metropoli. Che male c'era? Nessuno. Se solo non si fosse accorto di chi fosse la bicicletta rubata.
******
Artemide
-Attento caprone, coprimi!Stavo per essere uccisa dal cecchino cavolo!
-Stai calma Art voglio solo completare l'obbiettivo..
-IO devo completare l'obbiettivo! ABBASSATI A ORE SEI, DIETRO DI TE!
-Dove ca..volo sono le ore sei?!?!?! MA PORCA..... MI HANNO COLPITO!
-Ti avevo avvisato, scemo! ORA COPRIMI !
-Ma voglio prendere il kit di pronto soccorso...
-COPRIMI!
-NO.
-Apollo!
-Art sto per vincere, lasciami fare...
-IO sto per vincere. COPRI L'ALA DESTRA VELOCE!
-Ma mi manca pochissimo... Poi sono io il più grande, dò io gli ordini!
-Ancora con questa storia no, ti prego! Dai che ce la faccio....DAI,DAI,DAI...
-Sorellina ti ha squillato il telefono cinque minuti fa, ti avverto..
-Non mi deconcentrare!
-Sorellina...
-STO PER VINCERE STAI ZITTO!
-Suonano al campanello....
-Cosa???
-Suonano al campanello. ART IL GIOCO ATTENTA!
-NOOOO. BRUTTO SCEMO, HO PERSO!!!
-Posso farcela anche io...NO,NO, NO ART IL JOYSTICK NO, NON LANCIARLO!! Art... la consolle no,no,no, NON GIU' DALLA FINESTRA!
CRASH!
-COSI' IMPARI, DEFICENTE!
-ART IO TI UCCIDO LA MIA PLAYSTATION ! IO TI UCCIDO!
-TANTO E' COLPA TUA!
-LO DIRO' ALLA MAMMA!
-BAMBINO!
-ESAGERATA!
-Ragazzi scusate mi fareste entrare? Scusate se interrompo il vostro scannamento fratricida eh...
Ermes era appeso alla grondaia dell'appartamento dei gemelli Solace e fissava non senza un certo stupore la povera Playstation 4 nuova di zecca ormai sfracellata al suolo.
 
 
 
 
Nota dell'autrice:
Ok, spero che abbiate riso almeno la metà di quanto lo ho fatto io mentre scrivevo questo capitolo perché ne varrebbe già la pena... Ermes è uno stronzetto irriverente ma lo amo e Art? Che si incavola perché ha perso? XD la best! E' un po' OOC lo ammetto ma di solito sarà meno isterica ve lo prometto.
Ringrazio le tre persone che hanno recensito (un grazie speciale a Frazelshug, ormai di casa), LE CINQUE PERSONE DELLE PREFERITE, LA PERSONA CHE HA MESSO LA STORIA NELLE RICORDATE E LE QUATTRO DELLE SEGUITE GRAZIE MILLE!!!
Al prossimo capitolo in arrivo i Grace come promesso... preparatevi però ad un ritardo perché devo scrivere il tredicesimo capitolo di After All...
UN ABBRACCIONE MEGA
AliNicoKITE


Edit 07/11/2016: ho aggiustato degli obbrobri.

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Capitolo 3
*** Se i Grace fossero normali... il mondo sarebbe più povero di persone speciali ***


Capitolo 3
Parola d'ordine: Se i Grace fossero normali...
ESTIA
                                 
                

Estia Grace viveva nella convinzione di essere speciale.
Tutti erano speciali, a parer suo, e lei sicuramente non era una eccezione. Era arrivata a questa conclusione all' età di sette anni appena compiuti, 2225 giorni vissuti secondo i calcoli del suo fratellone Ade, la pancia piena di hamburger di Mac Donald's e tante risate fatte con i suoi fratelli da rischiare di vomitare tutto ciò che il suo corpicino esile aveva ingurgitato.
Se ne era accorta allora, in quel momento di euforia e felicità completa. Aveva visto per la prima volta il luccichio. Quel lampo di vita che spesso passa negli occhi delle persone felici.
Lo aveva visto negli occhi grigio ghiaccio di Ade mentre rideva con Pos.
Lo aveva visto nelle iridi verde misto a blu profondo di quest'ultimo.
Persino nello sguardo blu elettrico di Zeus, il fratello con cui litigava più spesso per il titolo di ''più coccolato/a''.
Aveva capito che quel luccichio era speciale. Era un inno alla vita. Era quel particolare che sperava di avere lei quando fissava le fiamme danzare nel camino del suo salotto nei giorni di inverno. Era il momento in cui si dimostrava la capacità e necessità che ognuno ha di essere felice, in pace.
Estia sapeva che tutte le persone nel loro mondo avevano quel lampo e chi finiva sulla cattiva strada rischiava di perderlo per sempre. Alcune persone, quelle speciali, lo avevano più forte e più spesso nonostante le avversità. Come loro quattro, soli a festeggiare il compleanno della piccola di casa in un fast food, senza nessuno che si prendesse cura di loro, i panini pagati con i risparmi di Pos -sempre il più parsimonioso e ricco di loro-, nascosti gelosamente nel suo salvadanaio verde.
Tornati a casa avevano trovato la loro madre, Rea, in lacrime con qualche livido in più e le bottiglie di vino in cantina in meno.
L'atmosfera di festa era finita subito, consci tutti di ciò che era successo.
Ma quando era andata a dormire e Ade le aveva dato la buonanotte, con il suo solito abbraccio stritolante che riservava solo a lei, Estia Grace aveva di nuovo visto quel lampo negli occhi di suo fratello maggiore.
E si era addormentata felice.

***Ore 18.30, Casa Grace***
-ESTIAAAAAA VIENI A METTERE A POSTO I TUOI LIBRI SUL TAVOLO! NON HAI ANCORA FATTO NULLA OGGI E LA MAMMA HA DETTO CHE DEVI FINIRE TUTTI I COMPITI ENTRO STASERA!- tuonò la calda voce di Pos dall'interno della casa. O meglio, della villa: non si poteva dire che i Grace non navigassero nell'oro.
La ragazza saltò giù dal tavolo in veranda e corse fuori con la rapidità di un fulmine: se passi anni ad inseguire o scappare da fratelli più grandi di te, qualche abilità la ottieni per forza.
Saettò verso la porta della cucina con un piano ben preciso: rubare un oggetto commestibile e magari un libro, per poi sfuggire un'ennesima volta ai compiti... e a Pos, esecutore incontestabile delle volontà materne. Estia però non aveva mai visto lui sgobbare sui libri...
Il suo piano era perfetto, certo. Ma anche usato da suo fratello Zeus, più grande di lei di solo un anno, con cui andò a sbattere mandando in fumo il suo intento di essere ''silenziosa come un ninja''.
-Estia porca vacca fai silenzio!-la redarguì il fratello, sebbene Estia non avesse aperto bocca -Non posso farmi beccare da Pos, altrimenti qua faccio notte!- sibilò stizzito.
-Perchè secondo te a me piace studiare come una ossessa negli ultimi giorni di vacanza?-replicò la sorella.
-Ecco i miei due lavativi preferiti in cerca di aiuto.-disse dietro di loro una voce ben nota.
-ADE GRAZIE AL CIELO!- esclamarono all'unisono abbracciando il diciottenne, da sempre salvatore dei più piccoli dagli studi forzati di Pos.
Il più grande dei fratelli Grace era bellissimo, pensò Estia con affetto osservando il ragazzo bardato con il suo solito giubbotto di pelle nera da motociclista. Gli occhi grigio ghiaccio assieme ai capelli neri come l'ebano mossi lunghi fino alle spalle lo rendevano uno degli scapoli più appetibili di tutta la Olympians high school, senza contare che aveva un carattere orribile e la pelle nivea che gli dava un look tenebroso, oppure malaticcio, confermato dai suoi vestiti perennemente neri.
Ade era il ''fratellone'', il suo preferito.... peccato che non sempre riusciva a farla a Pos.
-E così sei in combutta con loro? Pure tu???-chiese sconsolato Poseidone Nettuno Grace, sbucato dal nulla con i libri dei fratelli branditi a mo' di arma.
-Ovvio Pos, sai che ti odiamo se ci costringi a studiare per poi battere la fiacca tu, conscio dell'appoggio della mamma...- iniziò Ade, pronto per iniziare un discorso preparato per far sentire in colpa il fratello di mezzo, con incontestabili risultati di solito.
Peccato che il suo proposito fu bruscamente interrotto da tre suonerie in contemporanea, provenienti dai telefoni dei ragazzi.
Estia strillò soddisfatta alzando le mani in segno di vittoria.
Potevano voler dire solo tre cose quel messaggio.
Primo: i fratelli quella sera uscivano e forse sarebbe riuscita ad imbucarsi nella compagnia nonostante i suoi quindici anni.
Secondo: stavano per arrivare Ermes, Art e Apollo.
Terza e ultima meravigliosa cosa: quel giorno non avrebbe studiato.  
In un attimo ogni dissapore era dimenticato, come i libri lasciati cadere sul pavimento.
Zeus aveva cominciato a cercare di convincere Ade a venire con loro al night club del loro amico mentre Pos faceva gli occhi dolci ad  Estia per farsi perdonare per gli studi imposti.
Circa un quarto d'ora dopo Apollo li avrebbe trovati seduti tutti insieme sul prato programmando la serata.
-Se solo i Grace fossero normali...- pensò il gemello Solace- Il mondo sarebbe più povero di persone speciali. Ehi, ho persino fatto la rima.
Sorrise e aprì il cancello entrando con una naturalità dovuta a tanti anni di amicizia: sarebbe stata sicuramente una grande serata.

 


 

 

Note dell'autrice:
Che ve ne pare di questo capitolo Estia-centric? Pos che costringe gli altri a studiare pur di battere la fiacca come lo vedete?
So che è un capitolo abbastanza corto e povero di avvenimenti ma ci tenevo a pubblicarlo e illustrare un personaggio fondamentale per la storia, la piccola di casa Grace, senza contare i primi accenni al ''fantomatico'' problema che affligge i poveri fratellini...
Qualcuno ha delle ipotesi, critiche o apprezzamenti o commenti vari?
Recensite :)
UN GRAZIE ENORME AI SETTE DELLE PREFERITE AI TRE DELLE RICORDATE E AI 14 (QUATTORDICI NON CI CREDO!) DELLE SEGUITE!!!
QUESTA STORIA CONTINUA GRAZIE A VOI ALLA PROSSIMA CON IL LATO FEMMINILE DELLA STORIA....
BACIONI
AliNicoKITE 
P.S mai dimenticarsi delle quattro recensioni.... anche voi gente siete fantastici grazie mille!!!!



EDIT 07/11/2016: Oh, dei. Correggere gli orrori.

 

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Capitolo 4
*** le lacrime sono per le altre persone ***


Capitolo 4
Parola d'ordine: le lacrime sono per le altre persone
ERIS

 

 Quando Eris vide l’immagine che lo specchio le rimandava non poté fare a meno di sbuffare e scacciare con stizza il pizzicore delle lacrime che premevano per uscire.
 No. Le lacrime non sono fatte per Eris la Rue.
 La lacrime non erano fatte per i La Rue in generale: suo fratello glielo ripeteva spesso, nei momenti bui. E negli anni bui era la parola d’ordine.

 7 anni prima

-Questa è la volta buona, Ares? Dici… dici sul serio?
 Non può crederci. E’ così strano da pensare. Rimanere lì. Lì, in quell’appartamento un po’ vecchiotto a Brooklyn, con… com’è che si chiamano i due tipi? Ah, sì, Marise e Jonathan. Non sono male, sono solo tristi. Sempre. E la domenica è l’unico giorno in cui possono mangiare dolci, perché stranamente sono più allegri della media. Si gira verso suo fratello: ha i suoi stessi lineamenti, solo un po’ più dolci. Il resto di ogni aspetto fisico è stato ripartito in maniera disuguale: al suo carismatico e pazzo fratello gemello il meglio, a lei ogni gene smonco.
 Ma ormai ci è abituata: è lei quella che impedisce di trovare della persone con cui stare, se li potessero separare la prima coppietta senza figli se lo porterebbe via in un lampo.
 Però … non sarebbe mai potuta finire bene, Ares sarebbe tornato da lei, era già successo. Sarebbe iniziato tutto con una leggera fitta allo stomaco, come se una corda attaccata all’ombelico tirasse dalla parte opposta a quella dove stava andando. Poi avrebbe incominciato ad annoiarsi, stando senza nessuna copia di sé stesso al femminile di fianco, pronta ad emularlo e a seguirlo ovunque. Poi avrebbe pianto e l’avrebbe chiamata.
 L’avrebbe cercata, ed entrambi sarebbero stati sicuri di ritrovarsi.
 Ares è biondo e ha gli occhi chiari. I capelli e gli occhi di Eris, invece, ricordano le ali dei corvi. Hanno un legame. E’ un dato di fatto.
 -Stanno arrivando?- chiede ancora a suo fratello.
 Hanno lottato ed è stato lui, ovviamente, a vincere la lotta per vedere dalla toppa della serratura della loro camera. Sta osservando accostato alla porta in ginocchio, come lei adesso.
 -Chi sta arrivando?-replica Ares, abbastanza stupidamente
 Eris sbuffa: a volte è veramente tonto.
 -I cosi, dai! Sai chi!
 Ares si scosta un attimo dalla porta.
 -I cosi?
-Ma sì! I cosi sociali!
 Proprio non si è mai reso conto che arrivavano sempre una settimana dopo essere arrivati in una nuova casa?
-Aaaah, gli assistenti sociali!-dice sorridendo con l’aria di chi la sa lunga.
 Eris si scosta un ciuffo di capelli del color dell’ebano e salta in piedi. Ha sentito un rumore.
 Un sibilo, e la porta si apre.
 -Argh.- commenta Ares ancora seduto per terra.
 E’ Pancetta, con la "P’’ maiuscola. O Bacon, come lo preferisce chiamare Ares.
 Pancetta e Ferro sono i nomi che hanno dato a quelli che li portano sempre via. La signora Bradley dell’orfanotrofio dice che sono buoni, sono i cosi sociali, fanno il loro lavoro per proteggerli e trovargli una famiglia. Allora perché dicono ogni volta ‘’E’ andata male piccoli, sarà per la prossima volta’’? Lo fanno apposta?
 Pancetta è magro ovunque tranne nella pancia, per l’appunto. Ha gli occhi neri e i capelli color topo. Ferro è la sua partner: gira sempre con i ferri da calza nella borsa. All’orfanotrofio si vociferava spesso che la donna usasse quegli attrezzi non per filare la lana, bensì per infilzare i bambini che si rifiutavano di andare via con lei. Ad Eris ha sempre messo un po’ di timore.
-Mi dispiace ragazzi, sarà per la prossima volta.
 Sono poche parole, una frase di routine, ma per la bambina di nove anni che è, sono pugnalate. Sono la voce che ti dice che non avete ancora una ancora. Dovete ancora aspettare, tu ed Ares .
-E’ per la roba bianca che prendevano col naso di domenica? Lo zucchero? Quello per stare bene?
 E’ stato Ares a parlare.
 Lei sta già facendo le valigie, pronta a dimenticare ogni cosa di quell’ennesima sconfitta. Si blocca.
 Suo fratello non è stupido, proprio no. In quel momento è nel suo lato ‘’Marte’’, quello intelligente. Quello calcolatore.
 Pancetta sembra dispiaciuto, teso. Quasi una persona normale. Si avvicina e posa le mani sulle loro spalle. Ha la mano fredda.
 -Mi dispiace, non lo sapevamo. Vi porteremo via di qui subito.
 E si incammina verso l’uscita della casa. Marise e Jonathan non ci sono: Ferro deve essere davvero arrabbiata con quei due se non li permettono nemmeno di salutare.
 Pancetta sta uscendo.
-E’ tanto grave? Quella roba bianca, intendo. E’ una cosa così cattiva?- si sente in dovere di chiedere. Pancetta si arresta. Stavolta si vede che è davvero triste, ma sorride: probabilmente gli fa pena vederla così… piccola.
 Non risponde.
 -Mi sa che era droga quella che annusava Jonathan, Eri.-le dice Ares mentre sono nella ormai familiare macchina grigia di Pancetta con Ferro alla guida.
 -Oh.
 La Bradley si strapperà i capelli quando li vedrà tornare.
 Le viene da piangere. Non doveva succedere un’altra volta.
-Ehi. No, no, no, no, no. Così non va, Eri. Proprio no.
 Ares la abbraccia e ricompone i pezzi della sua sorellina, come sempre.
 La fissa negli occhi scuri.
-Qual è la parol d’ordine per i gemelli La Rue?
 Eris si asciuga le lacrime con la manica della felpa.
 -Le lacrime non sono fatte per i La Rue.
 Ares la stringe un po’ più forte e sta di nuovo bene.
 E’ a casa dopotutto.

 Gli anni bui erano finiti quando Pancetta aveva sorriso annuendo alla muta domanda di Ares. Quando Lucia e Marcus erano diventati ‘Mamma’ e ‘Papà’. Quando, a undici anni compiuti da pochi giorni, avevano per la prima volta disfatto le valigie, increduli.
 Ma ora sembrava tornare quel senso di tristezza, quello spezzarsi dentro.
 Per Ecate. Per la Ellen. Per i suoi occhi viola.
 Per ciò che si era lasciata sfuggire di mano.
 ***

 ATENA

 Casper Jolan era esterrefatto. Lui, uno dei ragazzi più popolari della scuola, eccezion fatta per il gruppo di quei montati dei Grace, era a terra. Il labbro gonfio.
 E’ uno scherzo.
 Non poteva essere vero: aveva solo cercato di vedere cosa si nascondeva dietro la secchiona bionda del suo stesso corso di Matematica, o se c’era effettivamente qualcuno dietro alla facciata che Atena Chase mostrava al mondo.
 Era finito a terra.
 Un pugno, fulmineo. Un calcio al petto lanciato con precisione da boxer professionista.
 Veloce. Letale. Bellissima. Mostruosamente intelligente.
 Ecco cosa c’era dietro la facciata di Atena Chase.
 -Prova a toccarmi ancora e sei morto, chiaro?-aveva sibilato.
 Aveva annuito, ancora sotto shock, mentre la ragazza con i voti più alti di tutto il suo anno si incamminava seguita a ruota da una Era Juno piegata in due dalle risate.
-Wow amico, quella ti ha steso. Fa paura.- commentò un suo amico, un giocatore di football.
-Sai che ti dico?-replicò Casper alzandosi in piedi dolorante- Ho trovato finalmente una donna degna di questo nome.
 E chissene frega se Grace-di-mezzo l’ha dichiarata “proprietà privata: lei è mia’’Tanto poi si detestano …

Casper non aveva idea della sacrosanta verità che la sua mente aveva formulato. Era troppo occupato a grattarsi meravigliato la testa con l’immagine della bionda ancora impressa in mente.




 

ANGOLO AUTRICE NON MORTA MA SOLO IN RITARDO
Ebbene sì, c'è pure la gemella di Ares nel casino che è questa storia! (Spero che  la-recensitrice-che-sa-a-chi-mi-sto-riferendo abbia gradito questo chapter dedicato solo a lei!) Come avrete già capito ogni ''dio'' in questa storia ha avuto un passato, un presente e avrà un futuro del tutto particolare. I gemelli La Rue, Ares dolcioso-un-tempo-tra-un-po'-vi-faccio-vedere-come-è-ora-per-il-resto-del-mondo-senza-contare-Eris, e la ragazzina punk, trasgressiva, senza radici per molto tempo che Eris è. Spero che vi piaccia sentire le sue gesta almeno quanto mi sono immedesimata io nello scrivere! Eris, spero lo abbiate capito dall'acceno a Ecate, è dell'altra sponda, spero questo non crei problemi: sinceramente la ho sempre vista come una troppo femminista per pescare nell'altra metà del cielo...
Ringrazio voi, i 7 meravigliosi delle preferite, i 3 che-resistono delle ricordate e i  DICIOTTO EBBENE SI' SONO COSI' TANTI delle seguite...
e un abbraccio da panda alle cinque salvatrici che hanno cliccato su ''recensisci''... (da tre a quattro a cinque ora punto al sei non deludetemi!!)
Questa storia continua grazie a voi...
alla prossima con un altro po' del duo CHASE-JUNO, qui solo accennato (sì, Atena fa boxe: problemi? ;)) )
AliNicoKITE




Edit 07/11/2016: Lentamente prosegue l'epurazione degli strafalcioni. Abbiate fede.

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Capitolo 5
*** 100% Era,100% ***


Capitolo 5
Parola d'ordine: 100% Era, 100%..
ERA
Era stato troppo divertente. Anzi,esilarante.
A Era faceva ancora male la pancia.
Per questo quando suonò il telefono lo ignorò con un gesto scocciato: non voleva rovinarsi il momento.
Atena Chase era strana. Molto diversa dalla norma per intenderci: una che quando la conoscevi scuotevi la testa o perché l’avevi presa in antipatia o perché non avevi ancora capito cosa frullasse nella testa di quella ragazza.
Non usava trucchi: a Era fremevano le mani quando vedeva quei bellissimi occhi grigi non valorizzati. Quanto avevano litigato lei e Afro cercando di convincerla…
Studiava di propria spontanea volontà, dicendo che ‘lei sapeva appassionarsi a ciò che studiava’, a differenza di qualcun altro nel suo gruppo (e in quel momento nessuno, nemmeno Ecate, che pure era brava, o Demetra e Sefi, che entrambe sapevano recitarti libri di botanica e biologia a memoria, era dispensato da una occhiata di disprezzo o compatimento che probabilmente avrebbero fatto un baffo a qualsiasi futuro dittatore ).
Faceva boxe. E qui incominciavi ad accorgerti che nel quadro ‘essere secchiona: dieci regole per essere soprannominati in questo modo per il resto della tua vita’ non figurava saper stendere in mezzo secondo un giocatore di football americano.
Riceveva periodicamente le avances dei suoi ''compagni di studio'' (cosa si faceva per rimirare una bella ragazza…) e lei, senza nemmeno pensarci, rispondeva, gentilmente o meno, che non era interessata.
Ultima, e non meno scioccante cosa, era sua amica e le voleva bene.
Voleva bene, davvero bene, alla ''figlia-di-papà'' che era Era Juno.
Le voleva bene, più del resto del gruppo, forse proprio perché erano così diverse. Oltre al fatto che condividevano lo stesso odio per i fratelli Grace, rispettivamente Atena quel pazzo di Poseidone ed Era il primino* palestrato e osannato Zeus, anche se per motivi completamente diversi.
Zeus… Jupiter… il mio Jovi…
Scosse la testa affranta: possibile che la avesse fatta soffrire così tanto? Era 'davvero possibile che proprio quando aveva lasciato cadere la maschera anche lui aveva fatto lo stesso rivelandosi una persona orribile?
Adesso che ci pensava era stata proprio la sua rottura con Zeus ad avvicinarla alla ragazza ''secchiona'' del suo gruppo di amiche.  
Si ricordò quando Ate era riuscita a farla smettere di piangere in modo poco ortodosso …
 Sei mesi prima
Atena aveva sentito che la mano le prudeva inesorabilmente. Eppure era rimasta stupita quando aveva visto il suo stesso arto ribellarsi al suo volere e colpire la guancia bagnata  dell’amica.
Era l’aveva guardata sconvolta, ancora in lacrime.
-Perché mi hai tirato uno schiaffo?-aveva subito detto recuperando un po’ la sua alterigia mista a senso di superiorità.
Atena aveva sorriso: i gesti impulsivi non erano da lei, certo, ma forse non aveva fatto male a scrollarla in quel modo brusco dal suo dolore.
-Hai capito che è uno stronzo, no? Ti ha fatto soffrire andando a letto con la prima troietta che passava ferendoti dopo un anno insieme.-aveva continuato ignorando lo sguardo allibito delle amiche. Fissava Era lei e capiva che il suo piano stava funzionando.
Si era chinata per guardare negli occhi la ragazza rannicchiata su una sedia: aveva degli occhi castani così belli… belli e sprecati a piangere per il fratello di quel rompiscatole di Pos…
-Hai capito questo, no?
Era aveva annuito ancora confusa.
-E quindi, spiegami: che senso ha piangere per una persona così? Non ti merita. Il dolore al petto, qui-e si era indicato il punto dove sentiva anche lei ogni tanto il dispiacere dopo il rifiuto di Saul- sparirà. Sei forte. Dimostrami che non sei semplicemente la riccona che ti accusano di essere. Sei o non sei l’erede della nobile casata dei Juno??
Era si era immediatamente alzata altera come sempre.
E l’aveva abbracciata. Atena non amava il contatto fisico spontaneo … ma rispose lo stesso all’abbraccio.
Era sorrise e pensò ‘Quanto miele…
Dopotutto, se d’aspetto o superficialmente non erano simili, Era e Ate sapevano entrambe rialzarsi.
E da un po’ di tempo sapevano di poter contare l’una sull’altra, seppur così opposte.
Era aveva la pelle chiara, con qualche neo, lunghi e scurissimi capelli mossi che si arricciavano in dolci boccoli che le arrivavano alle spalle e occhi castani che cambiavano a seconda della luce. Atena, riccia e bionda e aveva il fisico da, ironicamente, tipica ragazza californiana e occhi grigio tempesta. Era aveva una casa enorme, piscina compresa, simile a quella dei Grace, una famiglia che la adorava e viziava oltre misura, ma che non sapeva donarle vero affetto, solo soldi ogni giorno sul tavolo da pranzo.
Atena, invece, viveva in un appartamento abbastanza spazioso ma colmo di oggetti, libri, soprattutto libri, e ricerche dei suo genitori, entrambi docenti all’università. La casa della famiglia Chase era nettamente più brutta di quella dei Juno ma sapeva di famiglia a partire dallo zerbino consunto comprato dalla madre  alle piante, ormai carbonizzate, sul davanzale della finestra del salotto frutto di un esperimento mal riuscito del padre. Anche se bisognava specificare che la madre era teoricamente la matrigna, questo non toglieva zucchero all’idillio familiare. La madre di Atena era morta in un incidente stradale quando Ate non aveva che quattro anni, e Atena ne conservava gelosamente i pochi ricordi che le erano rimasti, sorridendo orgogliosa quando le dicevano che era 'tutta sua madre'. Lawrence Chase era uscito ovviamente distrutto dalla disgrazia, per di più con una bimba piccola che non aveva la minima idea di come accudire: era Anne quella che badava alla piccola, lui lavorava e stava con lei solo la sera...
Poi era arrivata Sanne, vedova coetanea di Lawrence con un figlio poco più grande di Ate, Saul. Era sembrato un dono dal cielo: Sanne era bella, intelligente e aveva subito instaurato un feeling strepitoso non solo con i genitori di Anne ma anche con la stessa Atena e,cadendo a fagiolo, con Lawrence era scoccata la scintilla.
 Saul e Ate erano diventati inseparabili, quest'ultima sempre a imitare il monello più grande di lei solo di due anni.
Era sospirò: magari la sua famiglia fosse stata così unita...
-Era messaggio da Afro!-la riscosse Ate, telefono in mano e sguardo sul display. Si mordicchiava le labbra e ciò voleva dire solo una cosa: la loro vita sociale li richiamava alla ribalta.
-Dove andiamo Ate?? Dove? Dove? Dimmelo subito!-strillò entusiasta.
Ate sembrava quasi preoccupata.
-Andiamo da Dion.
Tre parole. Ed Era desiderò che la sua vita sociale andasse immediatamente in vacanza.
-Abbiamo il 99% di possibilità di incontrare il gruppo dei Grace.-imprecò Juno alzando le mani al cielo. Cosa avevano mai fatto di così sbagliato nella loro vita precedente?
-Dì pure il 100% di possibilità: è Afro che organizza il tutto e lei e Ares decidono sempre insieme. Avremo il pacchetto completo.
-OH DEI, NO!
Aveva ragione Ate, come sempre. Purtroppo osò pensare.
 
PERSEFONE
Persefone, detta Sefi da ogni persona che le volesse bene, era bella: ancora un po' acerba nei suoi sedici anni ma bella. Il suo solo difetto era avere una sorella maggiore.
Eh già, a volte sperava di non essere conosciuta semplicemente come ''la sorella di Demi'', ma ormai aveva accettato che sarebbe passata alla storia con quel nome.
Dopotutto, chi avrebbe mai potuto notarla preferendola alla sua perfetta sorellona iperprotettiva?
Se Sefi aveva una media di voti nella media, Demi era una delle studentesse migliori del suo anno, superata solo da Atena Chase, anche se quest'ultima era di un anno più piccola.
Se Sefi aveva morbidi capelli castano miele che scendevano mossi fino alle spalle, Demi svettava con i suoi capelli castano mogano ramati sempre acconciati alla maniera migliore, lisci e capaci di cambiare sotto le sue mani esperte.
Se Sefi aveva dolci occhi verde chiaro da cerbiatta, Demi aveva uno sguardo scuro, magnetico, che oscurava ogni possibilità di spicco della sorellina.
E la cosa peggiore è che Demetra non se ne rendeva conto. Non si rendeva conto che essendo più alta, con meno curve sì, ma più snella e atletica, molto più atletica, quando camminava vicino alla sorella catturava subito gli sguardi? Non coglieva il fatto che anche se entrambe si occupavano dell'orto botanico della scuola, se fatta da lei era ''una cosa figa e interessante'', se fatta da Sefi era da ''maniaca della natura''?
No, è troppo occupata a rimirarsi allo specchio per farsi bella con Thanatos...
Ah già, ciliegina sulla torta sua sorella era da mesi impegnata con un suo compagno di corsi. Un record...
Amico/spalla del maggiore dei Grace, Andrew Thanatos, chiamato da tutti con il secondo nome, dark dagli occhi verde scuro e una spruzzata di lentiggini con aggiunta di gran quantità di fascino, il ragazzo amante dei Green Day alla follia aveva trovato la sua anima gemella nella simpatica, sprezzante e dolce insieme Demetra Gardiner. Era iniziato tutto con un progetto di botanica finchè, mentre Demi rinvasava un cespuglio di orchidee fiorite, Thanatos aveva preso il coraggio a due mani e l'aveva baciata. Nessuno dei due, anche se all'apparenza non sembrava, aveva mai avuto una relazione sentimentale seria e dopo  11 mesi non-stop di ''Quanto sono fortunata lui è bello, dolce, intelligente, carino ecc... magari avessi metà della mia fortuna'' Sefi sapeva che, per ora, andava tutto a gonfie vele.
Sbuffò mentre attraversava distratta la strada ripensando alla litigata appena avuta con Demi: possibile che non capisse che non le parlava mai e che metteva sempre sé stessa al centro dell'attenzione???
Scacciò una lacrima dalla guancia. Era una delle poche cose che le accomunavano, l'essere romanticone dalla lacrima facile, assieme alla stessa forma del viso, incorniciato però da capelli completamente diversi.
Era così persa nei suoi pensieri che non sentì il clacson, solo un improvviso spostamento d'aria che la fece quasi cadere: era rosso per i pedoni e le macchine, assieme alle moto, erano partite a tutto gas.
Presa dal panico corse verso il lato opposto della strada... giusto per sentirsi colpire al fianco da una moto sbucata da una viuzza laterale. Una bella moto, oserei aggiungere.
Il terreno si spostò velocemente e Persefone si ritrovò per terra, sfregando il lato colpito dalla moto sull'asfalto.
Sentì la moto fermarsi e il ragazzo alzare velocemente la visiera del casco scendendo dalla moto.
Perchè era un ragazzo, lo sentì dalla voce prima di incominciare a sentire il male alla gamba.
-Accidenti, tutto bene? Oh dei... sei la sorella di Demi!
E ti pareva... sono condannata...
La sorella di Demi.
-MA VAFFANCULO!-si sentì in dovere di dire prima di lasciarsi sfuggire un gemito di dolore.
Non sia mai che muoia senza onore...
 
 
NOTE DELL' AUTRICE
Ehilà, sono tornata, proprio come avevo detto a Dark Angel (grazie per la recensione a proposito, a te e agli altri quattro pazzi che hanno commentato: GRAZIE MILLE DAVVERO) con il duo Juno-Chase come promesso e con un po' di depressione adolescenziale stile Sefi... In questi primi capitoli si presenatano tutti, chi ha voglia di vedere Ecate e come finisce il cliff-hanger di Sefi e del ''ragazzo''?? A proposito, chissà chi ha capito chi è questo figo con la moto e.e...
Devo chiedere scusa a Sof
perchè nello scorso capitolo non la ho ringraziata
e perchè non ho sottoposto questo alla sua mente geniale

SCUSAMI TANTO SPERO IN UN TUO COMMENTO SOF
Voilà, ho finito.
Ora il turno di ringraziare i nove MERAVIGLIOSI delle preferite, i 18 delle seguite, SIETE FANTASTICI, e i 3 delle ricordate, SPERO VI RICORDIATE DAVVERO DI GRACE&CO!!!
alla prossima scusate il ritardo
Ali 
P.S. Sof non ti ho fatto betare il capitolo solo perché ero in ritardo
Scusami tantissimo ancora :(((( 

 

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Capitolo 6
*** -I'M FINE! -Sorry, none believe in you... ***


Capitolo 6
Parola d’ordine: -I’M FINE!
-Sorry, none believe in you
ADE / PERSEFONE
Quando la sorella di Demi l’aveva mandato cordialmente al diavolo, Ade Grace non si era preoccupato del motivo, se fosse stato perché l’aveva investita o perché non si ricordava il suo nome poiché, ovviamente, aveva troppa paura di aver fatto la scemenza che gli avrebbe rovinato la vita.
-Ehi… ti chiami Persefone, vero?- disse inginocchiandosi vicino a lei e scostandole lentamente i capelli chiari dal viso -stai...bene?
La mano della ragazza corse velocemente alla sua, tirandogli uno schiaffo secco.
-Non ti azzardare a toccarmi, sto benissimo.
Faticosamente si rialzò in piedi, sbuffando quando vide la folla di gente che fissava l’accaduto preoccupati.
-AVETE CAPITO? STO BENE, ANDATEVENE!-sbraitò improvvisamente rivolta ai passanti che, impauriti, misero le ali ai piedi e corsero via.
Passò velocemente una mano sul viso, stizzita, e Ade capì che stava per piangere.
Quel gesto le ricordò tantissimo sua sorella Estia, che quando era piccola e cadeva sbucciandosi un ginocchio si arrabbiava con chiunque la aiutasse per poi correre via piangendo. Fu istintivo per lui bloccarle il braccio e poggiarle protettivo le mani sulle spalle per vederla in viso.
-Ehi, non ci crede nessuno che è tutto a posto, ok? Adesso dimmi se e dove ti fa male la gamba o se dobbiamo chiamare una ambulanza. Mi dispiace un sacco.-aggiunse fissando stupito il volto della ragazza.
Non se la ricordava così bella o forse, realizzò, non aveva mai osservato bene quel viso apparentemente così simile a quello della sorella. Vide gli occhi verdi da cerbiatto della ragazza riempirsi di lacrime per lo shock della caduta che improvvisamente calava sulle sue spalle. Sorprendendo sia sé stessa che il motociclista, Persefone non si sottrasse a quell’improvviso contatto con l’amico della sorella. Anzi, le mani calde di Ade la aiutarono a calmarsi e a non lasciarsi schiacciare da quella vocina che canticchiava petulante e paurosamente somigliante alla madre:
‘’Hai visto come si finisce camminando distratti come te?
Sei stata investita, rischiavi di morire, sei stata investita, rischiavi di morire…
.’’.
Sefi alzò lo sguardo verso il ragazzo e riuscì a dire senza far tremare la voce:-Puoi portarmi da Demi?
Un lampo di comprensione passò per gli occhi del maggiore dei Grace, che annuì e si incamminò verso la moto parcheggiata all’angolo della strada.
-Sai,-incominciò mentre le porgeva un casco che le stava grande, probabilmente di un suo amico, magari proprio di Tanathos.-Anche io devo avere un fratello o mia sorella vicino quando sto male.
Sefi sorrise, contenta di aver trovato una persona con cui aveva qualcosa in comune e ringraziando il cielo di non essere stata investita da uno sconosciuto: almeno sarebbe andata subito dalla sorella, il motivo del loro litigio di qualche ora prima già dimenticato.
Cercò di salire sulla moto, ma una fitta di dolore alla gamba destra la fece desistere.
-Diavolo.-imprecò, portando la mano alla coscia e sentendola piena di detriti e sassolini dell’asfalto.
E dire che non aveva sentito male appena caduta a terra. Solo ora si stava accorgendo dei lividi sulle mani e sul fianco scoperto, senza contare i pantaloncini a mezza coscia sbrindellati da un lato.
Ade sgranò gli occhi alla vista delle ferite e, sorprendentemente, Sefi giurò di aver visto un dolore immenso nel suo sguardo, come se vedere gli ematomi rosso fuoco sul corpo della ragazza gli facesse venire in mente qualcosa di molto spiacevole.
-Ehi, tutto bene?-si ritrovò a dire, per poi trovare le sue parole abbastanza stupide, contando chi era stato in sella alla moto nell’incidente e chi no.
Ade rise, infatti, rispondendo in modo abbastanza ovvio:-Potrei chiederti la stessa cosa. Non mi hai risposto.-alzò lo sguardo -Alla domanda di prima, intendo.
Sefi arricciò il naso indispettita da quell’insistenza.
-Forse non ti volevo rispondere.
Il ragazzo rise di nuovo, la risata simile ad un latrato: piegava la testa all’indietro mentre rideva, realizzò Sefi, sembrava più giovane del ragazzo chiuso e vestito scuro che vedeva a scuola.
-Come non detto, mia lady.
Piegò la testa, confusa: lady?
-Sì, lady.-rispose Ade alla sua domanda implicita. Improvvisamente, si avvicinò e la aiutò a salire sulla moto. Le guance della ragazza si arrossarono mentre protestava, colta di sorpresa. Ade era così vicino…
-Hai la stessa altezzosità delle lady medioevali.-spiegò mentre prendeva il suo casco, rigorosamente nero.
Sefi rise: un paragone originale.
Solo quando fu salito ebbe il coraggio di dire, senza doverlo guardare negli occhi:-Quindi tu saresti un cavaliere, mio lord?
Grace ridacchiò dall’interno del casco e stette al gioco.
-Certo, è ovvio. E comporta un grande onore salire sul mio possente destriero. Nessuna donna ha mai avuto questo onore.
Sefi rispose alla risata. –E come si chiama il tuo nobile e possente destriero?
Ade si girò a guardarla mentre diceva in modo solenne: -Buck Harley Davidson III: ha un pedigree di tutto rispetto.- mise velocemente in moto la moto- E ora milady, mi indichi la via. La devo portare a casa Gardiner?
-No.-si rese conto Sefi, trattenendo un sorriso pensando alla faccia della sorella quando l’avrebbe vista scortata dal fido Buck Qualcosa III.-Mia sorella stasera esce con Andrew e compagnia.
-Quindi con me e gli altri Olympians, perfetto.
Diede gas mentre pronunciava il verdetto:- Ho una idea: il padre di Art e Apollo è uno dei più rinomati chirurghi della città: magari potrebbe dare una occhiata alla tua gamba.
-Destinazione casa Solace.-completò Sefi al suo posto.
-Giddap, Buck III! Diamo una scossa a questo mortorio!
Sefi non seppe se ridere o preoccuparsi di aver incontrato un ragazzo così fuori dalle righe: se paragonava i racconti della sorella sul ragazzo Grace al ragazzo che l’aveva investita sembravano un’altra persona.
ADE
Ade Grace guidava in modo prudente, non era stupido. Persefone aveva semplicemente attraversato al momento sbagliato, non era colpa sua. No?
La verità è che mentre si allontanava da casa sua aveva ancora nella testa le parole irate di sua sorella. E la voce carica di delusione di Estia era una delle poche cose che lo rendessero fragile.
Le aveva proibito di uscire per l’ennesima volta: Dion aveva sedici anni e anche lei tra qualche mese l’avrebbe raggiunto, certo, ma lui era stato abbandonato dal padre da quando aveva sei anni e aveva passato la sua vita dietro al bancone del pub, prima guardando la madre e poi sostituendola. Estia era la sorella minore ed aveva sempre vissuto tra persone ‘’per bene’’,escludendo loro padre, protetta dallo sguardo vigile dei fratelli. Non avrebbe dovuto iniziare a frequentare club come quello di Dion a quell’età.
Ma quando Ade aveva detto per l’ennesima volta ‘magari tra qualche anno Es’ la ragazza era scattata.
-ES?ES?? Hai il coraggio di chiamarmi ancora Es? Non ho più sei anni,sai? E ne sono passati quanti da quando hai iniziato con quel ‘’qualche anno’’? Quanti?- gli occhi castani di Estia in quel momento sembravano davvero rossi. Ade non aveva risposto, Pos che cercava di dire a Ermes, Art e Apollo di incamminarsi assieme a Zeus.
E la ragazza aveva continuato.
-Quanti anni devono passare prima che quel ‘’qualche’’ finisca?
Solo in quel momento anche gli occhi del fratello maggiore si erano accessi dello stesso furore tipico della loro famiglia.
-COSA TE NE IMPORTA DI DOVE ANDIAMO NOI! FARTI UNA VITA NO? Perché devi sempre seguirci?
-Perché non voglio rimanere a casa con
loro. Non ci hai mai pensato?
Il tono del litigio era bruscamente calato. Ermes ed Art se ne erano andati assieme a Pos. Zeus cercava inutilmente di far andare via Apollo, che non accennava a muoversi, lo sguardo fisso sugli occhi rossi della ragazzina. Ade aveva visto con orrore gli occhi della sorella riempirsi di lacrime e, perdendo ogni traccia di rabbia, aveva provato ad avvicinarsi…
-Es…?
Ma aveva detto la parola sbagliata. Il pugno della sorella nel suo stomaco non gli aveva fatto male, non quanto l’insulto che ricevette.
-ES? Sei un codardo, Ade. Non affronti nulla e fuggi con i tuoi amici. Quante volte mi hai lasciato a casa e
lui è arrivato? Da quanto tempo non senti più le urla di nostra madre? Dici di essere il fratello maggiore ma stai fuggendo. Ti isoli, sei diverso quando ti vedo a scuola: là non mi saluti, hai la tua cerchia di amici, sei osannato come un dio. E quando arrivi a casa non hai il coraggio di guardare in faccia nostra madre piena di lividi. Bé, sai cosa ti dico? Non hai il diritto di rivolgerle la parola, figurarsi incrociare il suo sguardo.
Ade avrebbe voluto potere, o sapere, dire qualcosa. Ma le parole erano timide e stupide difese, e gli morirono in bocca. Perché Estia aveva dannatamente ragione.
Zeus gli si era avvicinato, e lui si era accorto solo in quel momento di essere caduto in ginocchio.
Sentì l’umorismo stronzo di Apollo farsi strada nella sua mente.
-Molto melodrammatico la caduta a terra. Con stile.
Già, pure Apollo era peggiorato un sacco. Da quanto tempo non lo sentiva ridere senza ferire qualcuno? Con sorpresa di entrambi i fratelli Grace, Apollo si era avvicinato ad Estia e le aveva sorriso teneramente allargando le braccia. E la quindicenne in lacrime si era abbandonata tra le braccia dell’amico.
-Da quando hanno tutta questa confidenza?-aveva sussurrato Zeus, dando voce ai pensieri del moro affianco a lui.
Apollo li aveva guardati mentre Estia affondava la testa sulla sua spalla e gli bagnava la maglietta di lacrime; aveva annuito e sillabato ‘’qua ci penso io’’ per poi incominciare a sussurrare qualcosa nell’orecchio della più piccola del gruppo.
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Ade scosse la testa: era stato troppo scosso per poter guidare bene, e ora Persefone stava pagando le conseguenze. Aveva fatto soffrire, senza volerlo o meno, senza poter far nulla, un’altra persona. Si era ritrovato a ridere facendo finta che andasse tutto bene, scherzando persino sulla sua moto, ma era stato stupito quando la sorella di Demi si era accorta del dolore che gli ematomi sulla pelle delle ragazza avevano riportato a galla. Anche lei non era proprio al massimo della forma, si rese conto, sentendo le dita della ragazza stringersi, quasi alla ricerca di un appiglio alla sua giacca. Una volta anche Art aveva rischiato la vita, seppure in bici e ne fosse uscita illesa completamente. Quando aveva raccontato l’accaduto aveva sorriso, dicendo poi che la cosa strana era che il suo cervello non ne voleva sapere di accettare ciò che era successo,anzi. Aveva continuato a far rivivere nella sua mente la macchina che sbandava e la bici che le sfuggiva tra le mani.
Forse anche Persefone si stava sentendo così. Come si poteva definirlo? Uno shock post-traumatico? Ade non ne aveva idea.
Casa Solace era una delle tante villette mono famigliari che si trovavano nella grande mela nelle aree ‘’in’’. Già, non era un posto che avrebbe potuto permettersi Ermes, o Demi e sorella, ma si distava dalla Half-blood High School esattamente come l’appartamento (o soffitta, per essere precisi) del migliore amico di Art e Apollo, seppure in direzioni opposte, e pertanto quello strano gruppo si era formato senza problemi. Come amava dire Pos, ‘c’era chimica,tra loro’, anche se nessuno sapeva perché proprio Pos, la persona più negata nelle materie scientifiche, prediligesse usare quella espressione.
Quando arrivarono, Zeus e gli altri erano già lì ad aspettarlo, abbastanza perplessi per il suo ritardo. Ade aveva sentito il telefono vibrare dieci volte per chiamate perse, ma aveva pensato che guidare parlando al telefono non avrebbe mai fatto una buona impressione alla sorella di Demi. Era carina, e come carattere gli ricordava Es…tia. Già, niente più soprannomi, doveva ricordarselo.
Frenò e parcheggiò velocemente, notando con sollievo che la ragazza era riuscita a scendere senza problemi dalla moto.
Fu allora che vide Demi.
Gli occhi fuori dalle orbite, i capelli disordinati ( e lì incominciò davvero a preoccuparsi) e il telefono aperto sui messaggi mostrato verso di lui come una accusa. Vide Persefone sillabargli un scusa e raggiungere la sorella per cercare di placare la sua rabbia.
Ehi Demi. Ade Grace mi ha investito, ma non è successo nulla. STA TRANQUILLA. Non è stata colpa sua.
-TU.-intimò la maggiore delle sorelle Gardiner. Ade vide Andrew incominciare a ridere mentre si tappava le orecchie pronto alla sfuriata.
-SEI. MORTO.
-Porco Tartaro.
Zeus giurò di non aver mai visto suo fratello correre così velocemente per scappare da una ragazza.
DIONISO
-Ehi, ci sei?
La voce di Dion, calda e rassicurante, sebbene lasciasse capire che il ragazzo era già un po’ brillo, per una volta non ebbe risposta.
-Ecate!-ritentò.
Come risposta ricevette un singhiozzo.
-Oh miei dei, Eca! Possibile che non hai ancora preparato lo show? Hai detto tu che ti saresti fatto aiutare da una delle Muse!
-Nessuno può, il pianoforte non va loro a genio.
Silenzio.
-E non chiamarmi Eca. Il mio è un nome di cinque lettere, non ha bisogno di essere abbreviato!
Dion perse la pazienza ed entrò nell’area servizio del bar.
-Lo devi proprio annullare?
-Ballerò. Ok?
Il ragazzo sentì il cuore stringersi: Ecate era a terra, le ginocchia al petto, i capelli castano chiaro con ciocche viola come i suoi occhi a coprirle il volto. Sapevano entrambi che il mancato consenso delle ragazze appartenenti al gruppo di sorelle e cugine chiamate ‘’Muse’’ era una bugia: figurarsi se Aede* rinunciava a mettersi in mostra.
Ecate semplicemente non aveva voglia di cantare, cosa che sapeva far benissimo (Licenza di autore, non vero nei miti, perdonatemi ma credo che la magia sia anche musica e.e n.d.a.), avrebbe solo fatto la cubista bevendo e andando a passare la notte con il primo che passava. Non andava per nulla bene. Dion aveva sperato che con l’arrivo di Eris quella ragazza si fosse aggiustata un po’, sorretta da quella pazza gemella di Ares. Stavano bene insieme, dopotutto. E invece ecco che crollava di nuovo.
-Cosa ha fatto?-chiese stancamente.
-Un suo compagno di scuola l’ha baciata: si è staccata solo dopo un po’.-rispose con voce rotta.
Sospirò: era in quei momenti che ringraziava il cielo che ci fosse Arianna, senza paturnie sentimentali a incasinare la vita.
-Andiamo, hai detto tu stessa che è stato un suo compagno a baciarla, non era una cosa corrisposta.-tentò, ben sapendo che Ecate non avrebbe sbollito la rabbia e rimarginato quella ferita facilmente.
Detto fatto, la ragazza lo fissò furibonda senza dire una parola con i suoi occhi viola chiaro, un colore così strano che le persone stupide a volte la chiamavano ‘’strega’’. Dion aveva visto quella che ragazza che a quel tempo aveva solo sette anni, all’apparenza così fragile, minuta e leggera come un alito di vento, reagire a quegli insulti trasformando quell’offesa in una forza. Un mazzo di carte in mano e cinque minuti di preparazione, ed Ecate, dopo solo sei mesi di allenamento, era capace di lasciati a bocca aperta con trucchi e giochi illusori. La ‘’dea della Foschia’’ era il suo nome in codice: amavano darsi dei soprannomi, lei, Dion, Arianna e la compagna di classe della ‘’strega’’, Estia Grace ‘’Occhi di fuoco’’.
Il gruppo dei ragazzi nati sotto la costante ombra degli Olympians, più grandi e decisamente più dotati di carisma, era nato quando avevano tutti capito che, con familiari così influenti persino nella piccola società di una scuola elementare, non avrebbero mai potuto sopravvivere ai bulli se non alleandosi. Già, familiari: Arianna si era aggiunta dopo, quando la ragazza aveva stretto una forte amicizia, poi sfociata in qualcos’altro, con Dioniso, ma in origine c’erano solo Estia e Dion, rispettivamente sorella e cugino** del trio dei fratelli Grace, ed Ecate, cugina di secondo grado** dei famosi gemelli ‘’opposti’’ Solace. Essendo parenti, seppur nel caso di Ecate alla lontana, dei ragazzi sempre al centro dell’attenzione, nel bene e nel male, di tutti, li aveva resi dal primo anno di scuola elementare i puchingball dei ragazzi che, troppo paurosi di sfidare gli Olympians, si sfogavano quindi sulle loro brutte copie più piccole.
Ecate era sempre stata la più magica di tutti loro: imprevedibile, certo, lei e i suoi sbalzi di umore così frequenti, ma così forte nell’affrontare la vita di petto che, come diceva Estia, nei suoi occhi dal colore così insolito si vedeva sempre ‘’quel luccichio’’ che tanto Occhi di Fuoco amava.
E Dion non poteva sopportare vederla in quello stato, proprio lei che con un mazzo di carte da pochi spiccioli riusciva ad affascinare i bulli trasformandoli in suoi fan con pochi giochi di prestigio.
Per questo quando vide chi era alla porta di servizio del bar, appoggiata allo stipite con gli occhi fissi in quelli di Ecate,fu internamente felice. Dopotutto, solo lei poteva essere così pazza da sfidare l’ira di Ecate ancora nel massimo del suo potere con quel sorriso che ti mandava sempre,sempre, in bestia. Ecate era la ‘’dea della Foschia’’, dell’illusione. La ragazza appoggiata alla porta aveva una reputazione del medesimo livello.
-E’ tutta tua, ‘’ragazza della discordia’’.
Ignorò la supplica negli occhi di Ecate che diceva: -Ma io non voglio litigare e parlare con lei ora, voglio ancora inconsciamente macerarmi nel dolore!- e sorrise vedendo il ghigno che ricevette in risposta.
-E’ tutta tua.-ripeté, e corse al bancone per servire il primo cocktail della serata.
Quella tra Ecate ed Eris era una partita ancora tutta da giocare.
E, sinceramente, anche se molto nel profondo del suo essere, tifava per lo sguardo di carbone così stronzo di cui Ecate era ancora innamorata.


NOTE
*= Ho pensato che per adattare le Muse alla vita reale fosse necessario non renderle come un gruppo così numeroso di sorelle (nove, della stessa età circa mi pare impossibile) ma di cugine in generale, una grande famiglia votata alle arti (e al mettersi in mostra). Aede è la Musa della musica, se non erro: mi confondo sempre con il gruppo delle Muse più antiche che con quelle accertate dagli studi sulla mitologia di oggi. Se ho sbagliato,dite e correggerò ;)
**= Ecate e Dioniso NON SONO uno cugino dei Grace e una di Apollo e Artemide ma Dioniso è, come sappiamo, figlio di Zeus (come anche troppi dei u.u) ed Ecate figlia di Titani. Essendo Apollo e Artemide nipoti di Titani abbastanza potenti ho pensato non fosse così male renderli parenti alla lontana: ho bisogno che, bene o male, tutti i personaggi siano collegati. Se non apprezzate, dite e modificherò
***= non c’è una terza nota. Ops, errore mio. Baci e abbracci ^.^
Ah si
Ade arriva a casa Solace con Ermes&co ad aspettarlo perché lo Stoll si è dimenticato la bici, anche se in teoria dopo l'arrivo dai Grace
Sarebbero tutti dovuti andare da Dion. Sarà spiegato tutto nel prossimo capitolo ^.^ ma solo se ne avrò voglia ewe


SALUTI E RINGRAZIAMENTI
Capitolo dedicato:
A Sof perché ama Ecate quasi come me: grazie del betaggio e supporto perpetuo <3
A Dark Angel perché ormai la conosco sia come lettrice che come autrice:grazie di tutto
Alle cinque recensioni: siete ciò che mi fa andare avanti ^.^
Ai 21 delle seguite
Ai meravigliosi delle preferite e ricordate
A voi che leggete nonostante il ritardo: sopportatemi,dai ;)
Alla prossima volta :) baci e abbracci koalosi ....

 

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Capitolo 7
*** AUGURI DI BUON NATALE A PRESTO CHICOS! ***


CHIEDO PERDONO
Scusate il ritardo, vi sto facendo aspettare davvero tanto e me ne dispiaccio perché tre quarti del capitolo sono già pronti dopo tre giorni che ho pubblicato il sesto capitolo. Che dire? Durante le vacanze terminerò questo e sfornerò altri capitoli.
Volevo solo augurarvi un meraviglioso Natale e vacanze di tutto rispetto.
AUGURI PER CHI VI ATTENDE SOTTO IL VISCHIO<3
Baci baci

Ali<3
P,S. grazie ai 25 che seguono, 13 che preferiscono e ai 5 che ricordano. Mi fate sorridere ogni volta.

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Capitolo 8
*** Quando tutto va male, solo allora inizia a correre (1) ***


Capitolo 7
Parola d’ordine: quando tutto va male, solo allora inizia a correre

ERMES
Quell’uscita sarebbe passata alla storia per due motivi, nella memoria di Ermes Stoll.
Primo motivo: ricordò dopo molto tempo il vero significato della parola ‘’essere menato’’.
Secondo motivo: dovette rispolverare il suo vecchio mantra.
Quanto tutto va male, solo allora, inizia a correre.
Ci sarebbe anche un terzo motivo ma,come si suole dire, la privacy impone il segreto.
Incominciamo col dire che, come spesso succedeva, aveva costretto tutto il gruppo a tornare a casa Solace perché si era dimenticato là la bici. Art, come suo solito, lo avrebbe distrutto a forza di parole e offese ‘’fisiche’’, ma si era trattenuta. Stava cambiando, realizzò Ermes: era sempre più riflessiva, calma e insondabile dopo …bé, dopo quello che era successo a lei e al fratello.
Il caso di Apollo era più facile, il due di picche peggiore nella storia dei, come si diceva in quel periodo, ‘’friendzone’’.
Bisognava dire però che la ragazza ci era andata giù pesante.
Art invece aveva un problema leggermente più serio. Ermes a volte non capiva come riuscisse ad andare avanti.
-Guardo le stelle.- gli aveva risposto un giorno, gli occhi argentati come la luna puntati verso il cielo. Era appena iniziata l’estate, e le stelle, fuori città nel boschetto dov’erano, erano ben visibili senza nuvole o smog luminoso di intralcio. Le costellazioni si riflettevano nell’grigio pallido un tempo così luminoso delle sue iridi, ed Ermes aveva pensato che era bellissima.
Dopotutto, era Art.
Un tempo il padre, e il fratello quando la ragazza era lontana, la chiamava ‘’furia del west’’: un diminutivo affettuoso che lasciava capire la focosità della gemella minore.
Art però odiava quel soprannome, anche se non si rendeva conto che arrabbiandosi per quell’epiteto confermava solo il motivo della  nascita del medesimo. Dopo il ‘’fattaccio’’, nome in codice di Ares che indicava la depressione cosmica al massimo livello mai registrato di Art, e del gruppo, la sorella di Apollo era diventata sempre più controllata, cercava quasi di sopprimere ogni sentimento.  Quando aveva visto la Playstation 4 del suo migliore amico volare fuori dalla finestra preceduta dal joystick, aveva sperato in un leggero passo avanti.
 
 Per un attimo aveva ipotizzato di essersi immaginato tutto.
 
 Aveva immaginato fosse possibile tornare di nuovo a vedere lui, il cacciatore, scherzare con Art. Aveva agognato, per un attimo, il pensiero di poter di nuovo litigare persino con quel ragazzo che guardava sempre con rabbia,geloso, qualsiasi scambio di affetto tra Art e ‘quel pazzo di Stoll’. Pensare di sentire di nuovo la strana morsa allo stomaco che sentiva sempre quando li vedeva baciarsi gli era sembrato il paradiso, anche se si era odiato per quel sentimento che si rifiutava chiamare gelosia.
Tutto, pur di vedere di nuovo il suo sorriso, pur di tornare come un tempo. Ma no, lui non c’era più, non si poteva fare nulla per cambiare questo fatto.
Certo che, si accorse quella sera mentre andava a prendere la bici, fresca di furto, appoggiata la muro della villetta a schiera del dottor Solace, sembravano uno più depresso dell’altro. L’amore faceva davvero così male? Persino la sua ex-compagna di banco al corso di matematica, Atena Chase, la ragazza a cui Pos andava dietro senza ammetterlo,anche se era evidente, era rimasta per un po’ fuori dai giochi perché aveva ricevuto un rifiuto abbastanza esplicito dal suo fratellastro, Saul. Lei però si era ripresa, e anche Apollo ci stava riuscendo. Il problema era Art. Lei trascinava tutti verso l’abisso, proprio come facevano i Grace con i loro dilemmi familiari.
Come si faceva a essere felici se la sua migliore amica aveva smesso di arrabbiarsi come suo solito? Cosa poteva fare? Lui rubava. Sentiva l’adrenalina mentre si arrampicava nel cuore della notte scendendo dalla grondaia, e dimenticava i problemi per un po’,Janine che dormiva sonni tranquilli ignara. Ermes era cleptomane, dicevano i medici. Era uno spostato  fissato col furto come il padre, diceva sua madre. Aveva avuto un periodo d’astinenza da qualsiasi forma di reato, quando aveva dieci anni: non aveva rubato per due anni interi. Per premiarlo sua madre Maia gli aveva donato Sferraglia e i due bracciali di suo padre.
-Tuo padre avrebbe voluto che li avessi tu, ma non potrà mai stare con suo figlio. Non fare i suoi stessi errori, Mercurius, capito?
-Ovvio, sono un ragazzo con un QI superiore alla media, io!
Sua mamma aveva riso, poi gli aveva messo in mano i due serpenti uno di un bel corallo rosso, l’altro turchese.
-Quello azzurro è un maschio, si chiama George. Quello rosso è femmina, chiamiamolo Marta ok?
-Ma mamma, non posso dargli un nome, non sono vivi!
-Per me potrebbero offendersi. Pensa rimanere senza nome per tutta la vita.
Ermes si era voltato, allora, e aveva capito che la madre voleva metterlo alla prova: era ancora il bambino che per sbaglio lanciava le macchinine fuori dalla finestra o il futuro teppista che a otto anni rubava le caramelle e i giochi dai negozi?
-Va bene.-acconsente sbuffando- Ciao George, ciao Marta.Benvenuti in famiglia!
- Ermes, loro sono di famiglia da più tempo di te.-ribatte Maia.
Nonostante la correzione, Ermes, intento ad allacciarsi Marta e George ai polsi, avrebbe giurato che sua mamma stesse sorridendo. Persino George sembrava più felice.
Arrivò da Zeus e gli altri di buonumore, accompagnato dalla bici, che solo ora notava quanto fosse di buona marca, leggermente più ottimista,senza motivo. La madre era morta quattro anni dopo, quando lui era già ricaduto nel vizio, certo. Ma se prima di spegnere gli occhi per sempre sua madre  gli aveva rivolto un ultimo sorriso,  cosa gli diceva che il bambino che giocava con le macchinine e ‘’furia del west’’ che rideva fossero solo fantasmi del passato?
Nessuno, si rese conto. Ghignò vedendo Demi incominciare a rincorrere Ade dopo quello che era successo a Sefi.Proprio nessuno.
 
 (NDA: da questo momento cominciano le presentazioni delle varie coppie durante la festa, ErisxEcate, PosxAtena, ecc.)
 
ERIS
Eris La Rue aveva da sempre avuto la capacità di far innervosire la gente, anche solo sorridendo. Il suo viso, secondo alcuni, esprimeva già di per sé una sfida e una strafottenza tali da far perdere la calma anche ai più assennati.
Se poi mettevi a  confronto una ragazza simile con Ecate Ellen, nota per sembrare bipolare nei momenti no, rischiavi di veder volare qualche dente. O di sentire dei suoni poco casti, dipendeva dalle volte.
Quella sera di settembre sembrava rientrare nel primo caso.
Ecate si era rifiutata di alzarsi o degnare la sua (ex?) ragazza di uno sguardo, ostinata nel suo silenzio, rannicchiata in un angolo.
Maledetto Dion, che l’aveva abbandonata nel momento del bisogno, pensava Ecate.
Benedetto Dion, che a quanto pare non era scemo quanto sembrava, pensava Eris.
-Eeeeca.- incominciò cantilenante.
Tre, due, uno…
-Non osare chiamarmi così! Il mio è un nome di cinque lettere, non ha bisogno di essere abbreviato.
Matematico.
Diceva sempre così.
-Allora non hai perso la lingua.-constatò felice.
-Non fare la stupida.-sputò con astio Ecate, fissandola finalmente con i suoi occhi viola chiaro.
-Potrei chiederti altrettanto.-ribatté facile.
-Il mio comportamento è del tutto giustificato.-esclamò alzandosi la più piccola, spolverandosi la gonna scura con la mano. Il ripostiglio non era mai stato un posto molto frequentato. I gatti di polvere raggiungevano dimensioni preoccupanti, prima che Arianna ogni anno entrasse armata di stracci per le pulizie di primavera. 
Eris inarcò un sopracciglio: giustificato? Cosa aveva fatto di sbagliato?
-Cosa ho fatto?-belò infatti sorpresa senza riuscire a mantenere il controllo.
Gli occhi viola di fronte a lei si velarono di lacrime a una velocità preoccupante.
-Il tuo compleanno è oggi e me ne sono dimenticata.-tentò per gettarla sul ridere.
Le lacrime, e la rabbia,di Ecate aumentarono.
Eris ignorava davvero cosa avesse fatto di sbagliato: si era accorta che qualcosa non andava quando, invece di un bacio di benvenuto, aveva trovato il legno della porta di casa Ellen sbattuto in faccia. Aveva persino picchiato la porta, rischiando di buttarla giù, prima che suo fratello non scendesse dalla moto per farla calmare un po’: grazie al cielo si era fatta accompagnare da lui per il loro appuntamento settimanale del sabato pomeriggio. Ares non aveva fatto domande, anche se pure lui era sorpreso da un’accoglienza simile, e l’aveva portata a casa prima di volare di gran fretta dalla sua adorata Afro quanto-sono-bella . Era una fortuna anche il fatto che nessuno dei due La Rue giudicasse le compagnie dell’altro, altrimenti la situazione sarebbe degenerata. Ad Ares, in realtà, Ecate stava simpatica, solo dopo aver visto sua sorella rischiare di piangere dopo tanto tempo aveva sentito il suo istinto bellicoso risvegliarsi. Per Eris, invece, Afrodite sarebbe sempre rimasta un’oca con troppo cuore e poco cervello analitico e funzionante (non impegnato a parlare di gossip, in sintesi). Ma il silenzio riguardo le questioni amorose era d’obbligo, quindi la pace rimaneva.
La La Rue scandagliò inutilmente, per l’ennesima volta, i ricordi delle loro ultime settimane: appuntamenti, clandestini o meno, battibecchi e una sensazione di calore allo stomaco troppo bella per esistere davvero.
-Cosa ho fatto?-chiese un’ultima volta, arrendendosi: la sua sicurezza iniziale mostrata a Dion era crollata in un attimo davanti alla ragazza minuta ed esile, così bella per Eris, davanti a lei. E dire che non era una persona troppo emotiva, si sfogava di rado dalla fine degli anni bui.
Ecate invece piangeva, ogni tanto: di felicità, di tristezza, colta da un senso di malinconia,nessuno riusciva a capirla davvero, di dolore o di gioia. I suoi occhi traboccavano spesso, diventando lucidi e ancora più brillanti. Questo non contando i casi ancora più numerosi in cui le lacrime erano di rabbia: Ecate piangeva,certo, ma non si era mai spezzata realmente.
In quel momento Eris realizzò che la rabbia della sua ragazza era dettata da un dolore tremendo, un dolore che lei stessa aveva provocato.
-Ti prego.-disse, ringraziando il cielo che il suo tono di voce non fosse troppo supplichevole ma con un’ombra dell’antica sbruffoneria.
Ecate sentì la rabbia raggiungere il culmine: in quell’attimo, Eris La Rue rischiò la morte.
-Hai baciato un biondo.
La mascella di Eris toccò terra.
Per quello?
Oh, ma allora cambia tutto.
Si avvicinò repentinamente, afferrò bruscamente la sua maglietta e la baciò.
Ecate oppose resistenza solo un attimo prima di aprire la bocca e lasciarsi inebriare dal sapore e dal gioco di lingue che aveva solo con Eris. Ormai non poteva più scostarla, aveva accettato il morso del serpente, e ora moriva tra le sue spire. Moriva in paradiso, si rese conto. In paradiso nonostante la polvere attorno, la luce fioca, il sapore salato delle lacrime. In paradiso con il corpo di Eris contro di lei, le labbra che la divoravano senza troppa delicatezza, la sua lingua che le carezzava le labbra prima di infilarsi di nuovo tra i denti.
 
-Non ti ho perdonato, sappilo.-riuscì a dire.
-Non puoi pensare che non ti ami vedendomi così. Cosa mi fai, Eca.- rispose la ragazza dai capelli scuri carezzandole una guancia delicatamente.
Era una constatazione, non una domanda: Ecate sapeva già che non le avrebbe spiegato tutto finché non l’avesse perdonata,con una sorta di salto nel buio. Eris voleva la prova del fatto che Ecate l’avrebbe amata anche senza una spiegazione immediata. Le veniva voglia di picchiarla e di affondare ancora le mani tra i suoi capelli insieme: le piaceva così tanto, battibeccare e portare scompiglio nella sua testa?
-A quanto pare il retro è già occupato.-trillò una voce maschile entusiasta- Ciao sorellina, è un piacere vedere che vi siete riappacificate.
-Non abbiamo fatto niente di tutto ciò.-esclamò Ecate spingendo via la ragazza,subito con le guancie in fiamme mentre Eris se la rideva.
-Ti ho baciata perché dovresti documentarti un po’ di più, prima di saltare a decisioni affrettate. Davvero non riconosci più il tuo cuginetto adorato di secondo grado quando lo vedi?-sibilò Eris con le labbra a un soffio dall’orecchio della Ellen.
E se ne andò così, senza sapere veramente se Eca aveva capito o meno, se l’amava ancora o meno, se quella sera avrebbe dovuto piangere o ridere al pensiero di come avesse frainteso tutto.
Eris La Rue, bisogna dirlo, era strana.
 
ZEUS
Il nome del ragazzo appoggiato svogliatamente al banco era Zeus Jupiter Grace, ed era ben conscio che tutti lo sapessero. E giudicassero la persona che portava quel nome.
Il viso del ragazzo era affilato, rude, dagli occhi elettrici e il sorriso malandrino e seduttore. I capelli castani scompigliati senza che si preoccupasse davvero di come gli donavano: avrebbe tranquillamente portato a letto qualsiasi ragazza anche con una pettinatura a carciofo.
Zeus Jupiter Grace non era felice, gli occhi fissi sull’entrata del locale.
Erano in ritardo, lei era in ritardo.
E senza di lei, la serata sarebbe stata peggio del previsto, anche con un mojito in mano e una ragazza a fianco che non fosse lei.
Ogni giorno farsi una ragazza facile
non ha reso mai un uomo meno fragile
non le voglio più vedere io non posso più…
 
Zeus trattenne il respiro mentre Era Juno entrava in tacchi e minigonna blu con camicia azzurra.
Eppure non riusciva ancora a dirle, quelle maledette parole che gli erano rimaste sulla lingue per sei mesi.
Non posso più fare più a meno del tuo sorriso così raro, della tua alterigia, delle tue manie di controllo, del tuo sguardo ora venato di disprezzo.
Io non posso più...
 fare a meno di te.
 
Vide Pos avvicinarsi e fare il baciamano ad Era facendola ridere imbarazzata.
Traditore.
Poi osservò meglio, e vide a cosa puntava veramente suo fratello: Atena Chase sgranò gli occhi notando che Pos non la infastidiva, anzi, la snobbava per Era.
Suo fratello era davvero uno stronzetto calcolatore,constatò ghignando.
 
 
 
NOTE DI ALI, LA RITARDATRICE CRONICA N.1
Ecco a voi un capitolo che inizia male e finisce scritto in modo ancora peggiore. Sinceramente, mi scuso un sacco se il capitolo non piacerà a priori però doveva venir fuori così (circa XD)…
Un grazie a Dark e a Sof per le recensioni e un enorme scatola di gelatine tuttigusti+1 ai 27 delle seguite, ai 15 delle preferite e ai 6 delle ricordate *^* grazie mille gentaglia mi fate commuovere, spero di non avere un calo di attenzione ^^ dopo il  capitolo7… Siamo all’uscita da Dion, finalmente. Un Ermes che rimane in sospeso, Eris ed Ecate leggermente OOC per gli isterismi femminili e un Zeus che ritrovo perfetto nella canzone di J-ax& co. ‘’fare a meno di te’’: il testo è puro Zera (ZeusxEra) XD…
 Baci baci
Ali<3
Campagna di Promozione Sociale - Messaggio No Profit: 
Dona l’8‰ del tuo tempo alla causa pro-recensioni. Farai felice milioni di scrittori. 
(Chiunque voglia aderire al messaggio, può copia-incollarlo dove meglio crede) © elyxyz
 
 
 

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Capitolo 9
*** Someone I need to hate ***


Capitolo 8
Parola d’ordine: Someone I need to hate
(dedicato alle PoseidonexAtena shippers)
POSEIDONE
(Finalmente il mio amato Pos sotto la lente di ingrandimento. Diciamocelo: moriamo tutti dalla voglia di sapere cosa gli frulla in testa. Ladies and gentleman: here it is… Poseidon Neptune Grace)
 
Poseidone non aveva mai avuto vita facile, in casa Grace.
Non era il fratello maggiore, non era Ade, Ade dallo sguardo glaciale e l’aria funerea, Ade che riusciva a farsi piacere con un sorriso pur rimanendo il pazzo, il reietto a scuola, dei quattro fratelli. Ade era cattivo, era schietto, feriva con le parole. Ade era codardo, fuggiva via proprio come diceva Estia.
Ma Pos sapeva che Ade era, e sarebbe stato sempre, il preferito di Es, indipendentemente dalle litigate, e l’orgoglio della mamma che vedeva negli occhi del figlio la sua stessa rabbia e alterigia. Ade era il maggiore, il fratellone, e questo bastava.
Non era Estia, che aveva i problemi opposti: troppo piccola, curata, coccolata. Troppo infantile per capire che a lei i fratelli maschi servivano la vita su un piatto d’argento: rimaneva a casa e sentiva le urla, certo. Ma lei non aveva lividi da nascondere se andava in piscina a nuotare.  Così si reputava esclusa e bistrattata, stupida coi suoi occhi bendati. A Estia, Pos non sarebbe mai piaciuto del tutto. Troppo diversi, troppo separati dalle coccole che Ade e Zeus mandavano alla ragazzina. Pos non era tanto espansivo, no, lui ponderava ogni gesto, ragionava, sorrideva e celava tutto dietro al suo sguardo color mare. Estia amava la famiglia, il calore dello stare assieme: aveva, fin da piccola, scambiato la poca espansività  del fratello, soprattutto paragonando i suoi rari abbracci con le coccole di Ade, come un leggero rifiuto. Quindi Pos era diventato il fratello a cui voleva bene, certo, ma con cui non aveva mai legato tantissimo.
Neptune era il suo secondo nome: nessuno lo chiamava così. A parte Pos, l’unico soprannome usato era Possy, se lo si voleva fare arrabbiare. Poseidone si sfogava raramente, ma quelle poche volte che urlava diventava tempesta. C’erano tanti lati nel ragazzo che amava il mare; proprio con il mare il ragazzo condivideva il suo essere imprevedibile, mutevole. Calmo, cristallino: il Pos di tutti i giorni, che ti diceva ciò che pensava sorridendo, quello che o lo amavi per la sua schiettezza o lo odiavi, troppo ironico e sottile, infido. Freddo, ghiacciato: dopo la morte del ragazzo di Art non aveva più scaldato nessuno con un abbraccio o uno scappellotto amichevole. I suoi occhi sembravano fermi al momento in cui l’encefalogramma si era appiattito, i bip bip ormai così soliti che si affievolivano, le urla della sorella di Apollo che crescevano. Era rimasto in uno stato di rabbia repressa che aveva spaventato tutti fino alla litigata che era sorta con Zeus.
In quel momento, Pos era stato Neptune. Era stato il cattivo ragazzo. L’unico problema? Lui non era Ade, non era amato anche per il pessimo carattere.
Lui doveva tenere Neptune sul fondo di una parte nascosta del suo essere. Non aveva personalità multiple, solo si tratteneva troppo. Avrebbe voluto sfogarsi un po’ più spesso, sì, ma c’erano troppe persone con la luna perennemente storta in famiglia. Zeus che faceva il capino, Ade che dalla cantina saliva a mangiare assieme come una persona normale un giorno no e l’altro pure, lui è fatto così Pos, non te la prendere, Estia che era la regina del melodramma, una povera Penelope che si stanca di filare il peplo senza pensare a un povero Odisseo che ne passa di tutti i colori.
Lui aveva deciso di essere quello normale. Quello che, malvolentieri, studiava e portava a casa sufficienze. Quello che faceva la spesa, quando era il suo turno, rispettando l’esatto gusto di marshmallow di Zeus, altrimenti chi lo teneva buono, comprando il caffè preferito di sua madre e i biscotti di cui si rimpinzavano Ade ed Estia. Quello che non voleva dare fastidio.
Voleva essere cristallino.
Come il mare.
Nessuno però gli aveva mai fatto notare che nessuno è realmente calmo, nemmeno l’oceano.
Il giorno della litigata con Zeus aveva rotto tre bicchieri, troppa forza nello stringerli mentre il fratello, crudele, insensibile come era a volte, tanto era Pos, Pos lo si sfrutta,Pos non si arrabbia, metteva sale sulla ferita ancora aperta.
Perché non sei venuto al funerale,Possy? Poooos, sei noioso, tirati su di morale.
Pos, non puoi permetterti di fare così. Pos, devi rialzarti.
E troppi Pos, Pos di qui e di là, troppi Possy venati di ironia.
Non era così che avrebbe voluto il sostegno dei suoi fratelli. Quasi quasi, il migliore era stato Ade: lui non aveva parlato a vanvera. In realtà, non aveva parlato affatto. Estia si disperava del dolore della povera Art: a Possy non pensava.
Dopotutto, nessuno aveva mai notato che lui e il cacciatore avevano legato un sacco. Pos andava in piscina ed era insopportabile, odiato dall’unica ragazza su cui aveva messo gli occhi da tempo.
Lui non era Zeus, il dongiovanni.
O forse sì?
Mentre vedeva Era e Chase entrare gli balenò in testa l’idea del secolo. Suo fratello sarebbe stato fiero di lui.
 
ATENA
Atena Chase non era gelosa.
Credici, bisbigliò la sua vocina interiore.
Si corresse, suo malgrado. Atena Chase, per qualche strano motivo, era gelosa.
***
Doveva ammettere con sé stessa, almeno, che prima di uscire Afro ed Era erano state vicinissime a spuntarla: in mano loro, le matite e i mascara erano armi nucleari. Stavano per vincere, certo, ma dopo era entrato Soul per salutarle prima che uscissero, e tanti saluti ai trucchi. Ate aveva sentito il cuore stringersi, dopo tutto quel tempo, ed era uscita di fretta, in felpa e jeans, senza nessuno a trattenerla. Aveva odiato la compassione negli occhi azzurri di Afro, Era che invece aveva il buon senso di rimanere impassibile. Era intelligente, la sua cara Juno.
Ancora una volta era uscita senza ombretto, senza tacchi, vestita come tutti i giorni.
Era entrata nel locale di Dion mentre si raccoglieva i capelli, pronta per la ventata di caldo dovuta alle tantissime persone: al fidanzato di Arianna non mancava certo la clientela.
Scorse tra la folla Eris La Rue, un ghignetto in volto prima di uscire dal locale. Una ragazza dai capelli scuri e occhi color palude, Anfitrite, le passò davanti senza rivolgerle uno sguardo. Era stata per un anno la fidanzata del suo acerrimo nemico, Poseidone Grace, prima di accorgersi che Traiton (Tritone, n.d.a.) aveva un fisico da nuotatore migliore del suo allora ragazzo. Atena la compatì quando Traiton si trasferì, insensibile e per nulla realmente interessato ad Anfitrite, a Los Angeles lasciando la ragazza in singhiozzi. Adesso era entrata nella squadra delle cheerleader e Afro diceva che era simpatica, ma la ragazza di Ares aveva una buona considerazione di chiunque, non contava. Ate l’avrebbe sempre considerata come una sciocca: per quanto insopportabile, stupido e zotico Poseidone aveva sicuramente un cervello migliore di Mr-tartaruga-Traiton. Non che considerasse Grace intelligente, non era al suo livello, ma almeno un qualcosa nella scatola cranica l’aveva.
Magari un cervello sotto la media.
Pos si avvicinò sorridendo ad Era, un guizzo negli occhi.
Un cervello molto piccolo.
Era rise per una sua battuta su Dion particolarmente azzeccata.
Un apparato celebrale di un gatto.
Pos le fece il baciamano mentre, però, fissava Ate negli occhi.
Un criceto che faceva girare una ruota collegata a un generatore di due pensieri elementari, mangia e dormi.
 Nessun neurone dentro il cranio di Grace.
Oh sì, Atena Chase era gelosa.
Zeus, lontano, si permise di ridacchiare mentre il fratello, fintamente sorpreso, fingeva di riconoscerla solo in quel momento sgranando gli occhi. Patetico.
-Chase! Che bello rivederti.-sorrise il ragazzo. Sorrideva sempre, realizzò Ate: aveva una paralisi facciale, per caso?
-Non dovresti mentire, finirai male un giorno di questi.
Un giorno da segnare sul calendario, sui cui indire una festa nazionale.
-Sai bene che sono un cattivo ragazzo.
Lei sbuffò alzando gli occhi al cielo.
-Stai diventando ripetitivo, Grace. Le tue risposte mancano di inventiva.
Era grugnì un assenso, palesemente annoiata dal solito battibecco. Con uno sventolio di stoffa azzurra, lei e Afro si allontanarono: le Gardiner erano rimaste a casa, erano solo loro tre.
Pos inarcò un sopracciglio ma non replicò. Non sembrava avere pensieri allegri in testa, i suoi occhi erano lontani mentre vedeva Apollo ed Ermes che, imboscati, ridevano sommessamente.
-Non sei stanca, a volte?-chiese, lasciandola confusa.
-Ti costa ammettere che stai finendo le cartucce?-lo stuzzicò. E lui, chiudendo gli occhi, sbuffò.
-Le ho finite da un pezzo.-rivelò.
Atena sentì sé stessa indietreggiare un attimo: non amava i cambiamenti. E Poseidone non sembrava la certezza che era sempre. La certezza di avere un avversario che, checché dicesse a sé stessa, considerava atto a tale ruolo.
-Non hai voglia di scherzare oggi.- constatò.
-Sono solo stanco.-ghignò- A volte mi chiedo se gli altri hanno ragione o meno.
Ate piegò la testa.
-Non fa parte della nostra guerra ascoltare le paranoie reciproche.-disse, ed era vero: c’era un patto non scritto tra loro.  Quella sera, grazie al cielo, avrebbe avuto un po’ di pace. Fece per andarsene quando le parole di Grace la bloccarono.
-E se questa fosse una resa, Chase?
-Non esiste questa parola per due come noi, no?
Non capiva cosa pensasse Grace da essere così giù. Come poteva sapere che Apollo lo aveva bersagliato, pochi minuti prima, di battutine sul loro rapporto: quando calerete l’ascia di guerra e passerete a togliere i vestiti? E domande di questo tipo.
Pos scosse la testa, quasi si stesse svegliando: stava mollando? Lui? No, Apollo diceva scemenze.
Loro due si odiavano, punto. Si punzecchiavano, come quella sera avrebbero dovuto fare, si insultavano pesantemente, nei corridoi di scuola.
-Hai ragione.-digrignò i denti-Preparati al rientro a scuola. Entro la fine dell’anno cadrai ai miei piedi implorando pietà.
Atena sbuffò. Ecco il criceto che era in lui.
-Credici.-e stava sorridendo, difficile da crederlo. Per un attimo aveva pensato a cosa sarebbe successo se avesse vinto: non ci sarebbe stato più divertimento,sconforto e palese fastidio mentre lo incontrava in giro, i suoi occhi verdi che brillavano dopo ogni affondo particolarmente efficace. No, solo un attimo di svista tra loro due.
Vide Poseidone sorridere anche lui, un po’ forzatamente però.
-Non pensi mai a cambiare le carte in tavola? Bam, un castello di carta che va giù: Chase e Grace che diventano amiconi.
Adesso si stava arrabbiando, decise Ate. Stava esagerando.
-Non pensare nemmeno una cosa del genere. Ti odio…
-Da sempre, dall’affare Medusa eccetera eccetera. Sì, la storia la so anche io, sono il protagonista.-la interruppe sfidandola oltre le regole.
-Ti chiedo solo perché non ti passa mai nemmeno in testa un modo diverso di salutarsi che non sia un insulto. Smettere di sentire la campanella che segna la fine dell’intervallo il codice per il cessate il fuoco.
Atena strinse i pugni e si trattenne dal picchiarlo. Odiava le domande stupide.
-Perché ti odio, Grace. Sei un passatempo per tenere affilata la mente, ti rispondo cercando di fartelo capire ogni giorno. Odio i cambiamenti quasi come te. Quindi-e detto questo smise di stringere le dita delle mani in una morsa-Smettila di dar aria alla bocca.
Pensava di aver detto l’ovvio invece le sembrò sentire Grace sospirare affranto quasi.
-Hai bisogno di odiare me.
-Sì, hai afferrato il concetto, criceto. Sei qualcuno che ho bisogno di disprezzare ora e per sempre.
Poseidone chinò il capo e disse, amaro,-Onorato per tale ruolo affidatomi. Ora, acerrima nemica,-le parole un tempo familiari a entrambi sembrarono improvvisamente supide- vado a scoprire come smettere di essere me stesso.
E mentre Ate sospirava e cercava di non sentire un senso di colpa da qualche parte nel suo cuore, Poseidone si rifugiò tra le braccia sbagliate. Anfitrite non gli era sembrata tanto bella, facile come Chase non sarebbe mai stata.
Ad Atena, Anfitrite non le era mai sembrata così diversa da lei. A volte era costretta a chiedersi se la sua maturità così poco adatta alla sua età non fosse insieme un dono e una maledizione.
 
Mentre Pos, però, andava dalla sua vecchia fiamma, che a quanto pare cedeva ancora sotto le sue lusinghe, ebbe l’illuminazione che gli avrebbe cambiato la vita.
 
Fu in quella memorabile sera, caro lettore, che nacque Neptune Hate.
 
Il Neptune che doveva tenere nascosto e l’odio che voleva abbattere. Al rientro a scuola, decise, solo allora, sarebbe entrato in scena.
 


 
NOTE DI UN CAPITOLO CORTO
Sì, non mi sono sprecata, mi dispiace, però qua, insomma, abbiamo Ate e Pos *^* WAAA quanto li amo questi due ciccetti XD.
Noto spesso che nelle rare ff dove è presente questa coppia gli dei assomigliano ai loro figli in molti aspetti. Il mio amatissimo Pos, come vedete nel suo Pov (che ho amato scrivere e spero sia piaciuto almeno la metà di quanto sia entrato nel cuore a me) è un po’ diverso da Percy. La vita in casa Grace non è per nulla facile, sono tutte ‘’persone speciali’’ nel bene… e nel male. Pos porino è leggermente escluso. Io lo amo lo stesso però, voi?
GRAZIE MILLE PER LE RECENSIONI (in particolare alla new entry vas_happening_girl, che mi ha fatto sciogliere il cuore. Grazie a tutte, Little_fox, Sof e Dark^^) E PER IL SUPPORTO DI CHI HA MESSO LA STORIA TRA PREFERITE/SEGUITE/RICORDATE E BLA,BLA, BLA
BACIONI
Ali<3
 
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Capitolo 10
*** Looking at the window ***


Capitolo 9
Parola d’ordine: looking at the window
(or- la sfortuna ama Apollo Solace)
ESTIA
Casa Grace si snodava per tre piani, Inferi a parte. Dominava la viuzza in cui trovava luogo, snobbando le altre abitazioni non altrettanto signorili, grazie alle sue dimensioni e ai pettegolezzi relativi ai suoi abitanti che rendevano la villa ‘‘diversa’’.
 Estia aveva tentato, invano, di socializzare con i vicini: lo strano nucleo familiare che occupava la casa di fronte non aveva nemmeno tentato di capire il suo inglese. Erano egiziani e non si facevano scrupoli a mostrare il loro disprezzo per i ‘’bifolchi americani’’ che infestavano la via che avevano degnato della loro presenza. Il figlio dei due ricchi industriali, un ragazzo dagli occhi di due colori diversi, un sorriso smagliante, la pelle caramellata e un fisico atletico, aveva cercato, un pomeriggio di tanti anni prima, di intrattenere una conversazione: una donna dai capelli talmente scuri da sembrare tinti e occhi castani le aveva sibilato contro in egizio parole decisamente poco amichevoli prima di trascinare il figlio dentro alla casa.
 Solo un quindicenne dai dolcissimi occhi castani vestito sempre di scuro l’aveva trattata bene: a Es aveva ricordato Ade, anche se l’egiziano era decisamente più malinconico e dallo sguardo spento e caldo allo stesso tempo. Purtroppo però il ragazzo dark con gli occhi decorati dal khol andava in un collegio privato a Brooklyn pertanto lo si vedeva raramente percorrere i marciapiedi di **** Street. Nonostante questo, Es aveva sempre amato rimanere a guardare la villa dei Kane dalla finestra dell’ingresso. Si capivano così tante cose di una persona dal luogo che chiamava ‘’casa’’.
Nell’osservare i lievi cambiamenti nelle facciate di ogni abitazione aveva scoperto un’arte sottile, designata solo a lei. Quando le tende dell’ingresso venivano tirate, la sera, aveva capito che o i Kane cominciavano a mangiare oppure, a seconda di quanto tenevano accese le luci, i genitori si preparavano a fare al loro ormai diciassettenne figlio una bella ramanzina. 
 Era stata questa sua strana abitudine il deus ex machina che l’aveva avvicinata ad Apollo. Lui, infatti, alla veneranda età di otto anni, le aveva chiesto perché invece di giocare con lui quando ne aveva la possibilità- ‘’io sono un figo, dovresti dirmi grazie!’-preferiva osservare con un binocolo rotto la casa della signora Akhlys, il vicino peggiore che si potesse avere.
Avevano cominciato a darsele di santa ragione dopo che lei gli aveva spiegato, paziente, che lui non era interessante o ‘’figo’’ ma semplicemente stupido. Zeus aveva adorato vedere la sua piccola sorellina tirare i capelli dorati di Apollo mentre questi, infastidito, aveva subito dopo la geniale idea di prenderla e sbatterla a terra regalando alla bambina uno stupendo bernoccolo. Si erano avvicinati, sì: da semplici conoscenti, amici perché i loro genitori erano amici, erano diventati sfidanti.
 Ogni volta che si incontravano uno dei due proponeva una scommessa. ‘’Salta lo steccato con un balzo e non ti darò più dello stupido’’, Apollo aveva ancora la cicatrice dopo la sua rovinosa caduta a terra, ‘’scommetto che non riesci a mangiare tutti i gaufre finché non vomiti’’ e così via.
 Era stato un periodo buffo, per Es, buffo e carico di scoperte: Apollo, scoprì un giorno, suonava il violino, il pianoforte e sognava una chitarra come regalo di compleanno. Apollo non era stupido, solo solare. Apollo faceva il suo spettacolino quotidiano solo per far ridere Artemide, che capitava si strozzasse mentre facevano merenda tutti assieme solo perché suo fratello aveva fatto una faccia particolarmente buffa.
Apollo aveva un sorriso che ti faceva sciogliere e occhi azzurri talmente limpidi e chiari che sembravano catturare la luce dall’ambiente attorno.
Apollo, scoprì una sera di fine estate, era il ragazzo che catturò per la prima volta il suo cuore.
 Poi, però, suo fratello Zeus cominciò a far notare al suo amico che ehi, Es era una femmina, e una femmina per giunta piccola non meritava di giocare con loro.
A voler essere sinceri, non era passato molto tempo prima che ehi, il ragazzo-sole non la sfidasse più.
Apollo, scoprì Estia quell’autunno, era un grandissimo stronzo.
Però, guardando alla finestra, a volte pensava ancora a lui. La cotta era passata, l’amarezza non del tutto.
E quella sera, dopo la litigata con Ade e il messaggio di Eca che l’avvertiva che, sì, lei era l’unica che rimaneva a casa quella sera come una vecchia zitella, non poteva fare a meno di risentire le parole di Apollo, le sue rassicurazioni. Il suo profumo, che le era entrato nelle narici, sapeva di limone e sale e cera d’api, il suo calore, che mentre l’abbracciava l’aveva circondata, i suoi muscoli, il suo fisico scolpito dopo anni di allenamenti sotto un canestro da basket.
Inspirò bruscamente.
No. Oh, no, no, no. NO. Non se ne parla.
Si voltò verso sua madre, seduta davanti al camino freddo con la testa appoggiata stancamente su un cuscino, e cercò di tornare in sé.
Era sempre meglio, dopotutto, guardare dalla finestra e non uscire.
Ammirare da lontano Ares che accarezzava la schiena di Afrodite e non sentire mai le farfalle nello stomaco.
Capire cosa succedeva dai Kane ma cercare di ignorare cosa succedeva nella sua casa.
Ammirare il sole da lontano.
Perché il sole, se lo guardi dritto negli occhi, brucia.
 
Apollo
La fortuna sorride agli audaci. Apollo questo lo sapeva.
La sfortuna, invece, ama particolarmente chi fa lo sbruffone mentre, in realtà, ha le gambe che tremano come gelatine.
In sintesi, la sfortuna amava anche Apollo Solace.
***
Ermes sembrava particolarmente pensieroso, quel giorno, e Solace non aveva cercato di intrattenere una conversazione in più del dovuto:  aveva preferito lasciare ad Art campo libero alle chiacchiere mentre lui, sigaretta tra le labbra, camminava schivando Dion e compagni camerieri, i satiri, come li chiamavano tutti per la loro orribile barbetta caprina, trattenendo il disgusto di fronte a chi già risentiva degli effetti dell’alcool. Zeus era al bancone e sembrava veramente afflitto.
Le labbra di Apollo si piegarono in una smorfia. Zeus era uno sciocco esattamente come lui.
Si ritrovò a pensare alla piccola Estia mentre notava che, quando Zeus non ghignava o non era depresso, cioè raramente, avevano lo stesso sorriso involontario. Un lieve piegamento delle labbra, giusto un accenno, ma un particolare che rendeva Estia, Zeus non più di tanto visto di chi si parlava, una persona amata da molti, invidiata dagli altri.
Il fuoco di Es sapeva anche essere contenuto in un sorriso, scaldandoti senza bruciarti. Quando aveva litigato con Ade, invece, aveva lasciato libera un po’ di sana rabbia genuina. Al suo posto, anche Apollo avrebbe fatto lo stesso.
La piccola Grace si faceva sempre più bella e distante dal suo mondo: non era una Olympians, purtroppo, e prima o poi si sarebbe stancata di aspettare il ritorno dei fratelli per lasciarsi alle spalle una infanzia vissuta a guardare fuori dalla finestra. Il giorno in cui l’avrebbe vista a braccetto con qualcuno che non fosse Ecate Ellen, o Arianna, avrebbe sentito una lieve fitta all’altezza del cuore, ma non al cuore stesso.
Perché un cuore, andiamo, non lo voleva più. Non riusciva più ad interessarsi alle persone come faceva prima. Ogni cosa gli sembrava marcia, gli rimaneva solo un sentimento di apatia e amarezza mista a disprezzo per il mondo che spesso lo sorprendeva. Si faceva schifo più di qualsiasi altra cosa.
A volte, però, ritrovava la vecchia scintilla e i le sue tele tornavano a essere il suo mondo.  Bastava vedere il sorriso di Art,o un colore particolarmente bello, la risata di Ermes, o i suoi amici scherzare e prendere in giro il look-pelle-nera-perché-sono-figo di Ares per tornare a essere sé stesso e non la sua ombra. Era un po’ lunatico, Apollo: alla fine i suoi drammi erano sempre un po’ esagerati, senza contare quando si parlava di Art. Se si metteva in mezzo la sua sorellina, Apollo perdeva la testa o rimaneva veramente ferito.
Poi, era ovvio, alcune ferite si stavano veramente ancora cicatrizzando ma sarebbe andato tutto bene…
Se la sfortuna non lo avesse amato particolarmente.
Perché si sa, la sfortuna prima o poi arriva a suonare sempre alla porta dei cordardi.
DIONISO
(lente di ingrandimento-parte2;or- amate Semele, perché è un personaggio bistrattato)
Il suo, pensava Dioniso spesso, era un lavoro meraviglioso.
Non faticava poi molto, bastava scollegare il cervello e bam, le mani gli si muovevano da sole mentre mescolava gin, rum, whiskey e chi più ne ha più ne metta.
Secondo sua madre, Dioniso Baccus Wine era sprecato nel suo misero essere barista.
Aveva l’olfatto dell’intenditore, Dion, lo sguardo del collezionista mentre prendeva tra le mani una bottiglia di vino come se fosse un tesoro. Dal suo defunto padre aveva ereditato la bravura da sommelier, la pigrizia innata, gli occhi che sembravano di una particolare viola scuro sotto i raggi del sole, l’animo ribelle e tutto ciò che era sbagliato nel suo carattere. Semele era stata bella, invecchiando era sparito lo sguardo acceso e il rossore dalle guance e, prima della morte, era rimasto poco della ragazza immortalata nelle foto, ma sebbene non avesse mai brillato d’intelligenza sapeva essere gentile, bella dentro, se mi concedete il termine stucchevole.
Da Semele Dion aveva preso i capelli talmente scuri da credere che la paura avesse quel colore, e tanto bastava. 
Semele aveva amato Dion, l’aveva protetto, l’aveva messo su uno sgabello dietro al bancone del pub, e tanto era bastato.
Semele era morta mentre suo figlio era dai Grace. I cugini erano simpatici, quando volevano, e Zeus aveva manifestato, in quel periodo, il suo interesse per il bambinetto dell’età di Es che aveva gli occhi così strani e una ancor più inusuale passione per creare nuovi gusti di succhi di frutta. Zeus si era auto-eletto suo protettore, un minuscolo faro davanti agli sguardi denigratori di Ade, che considerava il cuginetto un inutile palletta di lardo. ( Pos li ignorava – aveva appena scoperto che la piscina della città era aperta tutti i giorni quindi, gioia e gaudio, poteva stare in pace anche durante l’inverno, quando la piscina privata dei Grace rimaneva chiusa.)
Dion quindi stava ascoltato, fingendosi interessato, Zeus che gli elencava il programma di quel pomeriggio di giochi, quando la sua casa aveva fatto bum. Fiamme, un vicino sconsiderato che aveva dato fuoco al suo appartamento, e tanto era bastato per perdere tutto.
Dion, dopo, aveva trovato intatti solo due doni di sua madre.
I capelli blu, quando si vedeva allo specchio.
Un bancone vuoto, che aspettava solo lui una volta cresciuto un po’.
Era bastato così poco per non dimenticare un genitore con cui aveva passato solo quattro anni di vita.
La traccia di Semele era rimasta, impalpabile, su quel ragazzino pigro e indolente.
Dion non era bravo a scuola, no. Era subdolo e crudele, quando lo si faceva arrabbiare.
Ma Arianna, lei più di tutti gli altri, era stata capace di vedere l’eredità di una ragazza che aveva avuto la forza di mandare avanti un pub da sola, un bambino, dietro di lei, su uno sgabello, seduto a farle compagnia.
 
E quindi Dion era lì, felice mentre ricordava la madre mentre serviva i clienti del bar che portava il suo nome, quando aveva visto una ragazza.
-Porco Tartaro.-aveva sibilato.
Arianna, di fianco a lui, seduta su un vecchio sgabello, proprio quello sgabello là, aveva seguito il suo sguardo prima di imprecare anche lei.
La sfiga amava Apollo.
E tutti loro avrebbero subito le conseguenze.
 
 
 
 
NOTE DELL’AUTRICE
HOLA ^^ come state? Comincio col ringraziare le 5 stupende recensioni (continuate così, in regalo un dio figo a scelta su ordinazione!) e le tante persone  che si ostinano a seguirmi in questa avventura. I personaggi mi stanno sfuggendo di mano -.-‘‘ Estia e Dion hanno dei POV che bah, non dovevano allungarsi così (spero apprezziate l’angst di fine capitolo, in compenso) …
Apollo ed Ermes sono in sospeso… cosa succederà? *ghigno malvagio* Ditemi le vostre supposizioni J ^^….
Spero il cap vi possa piacere, alla prossima con un po’ di risposte, spero.
Ah, un avvertimento: Apollo, Dion e Ari sono melodrammatici all’ennesima potenza XD, non spaventatevi.
Kiss and hugs
Ali
 

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Capitolo 11
*** Alberello Felice ***


La ragazza si mise, titubante, di fronte all’entrata del pub.
Insomma, non poteva certo continuare a ignorare ciò che era successo!
Si guardò le mani e,per un attimo, le vide ancora piene di tagli e foglie,con troppi rami nei capelli e sul viso, e ovunque tutto era verde... Un brivido le percorse la spina dorsale mentre cancellava dalla mente quell’attimo di panico. Un volto, un sorriso palesemente indice di idiozia, e ormai tutti la chiamavano Alberello felice. Tutto per colpa di quel montato di uno stalker.
Si irrigidì e sbuffò.
Non avrebbe rinunciato alla sua vita sociale solo per paura di incontrare lui.
Apollo Solace aveva smesso di rovinarle la vita.
Capitolo 10
Parola d’ordine: Alberello felice

DAPHNE / ARES
Daphne Ladondaughter aveva catturato il suo sguardo quando ancora il Cacciatore accusava una lieve cotta per Art ed Ares era solamente il ‘’migliore amico’’ di Afro.
Insomma, qualche anno prima che la situazione degenerasse.
Apollo, quel fatidico giorno, era rimasto ad osservarla da lontano, senza tentare alcun approccio, per ben trenta secondi prima di sorridere e camminare con la palla da basket sotto il braccio verso la ragazza. Un’eternità, per i suoi standard.
Ladondaughter aveva gli occhi verde mela, un colore che prima di allora Apollo aveva visto solo nelle tempere e, beh, nelle mele, e i capelli che cadevano in boccoli chiarissimi fino alle scapole. Era bella e sapeva di esserlo. Aveva dei capelli che stavano magicamente a posto ventiquattro ore su ventiquattro ed era conscia di suscitare tanta invidia tra le sue coetanee. Si palesava, però, nel suo carattere, una modestia timida e genuina che la rendeva restia a parlare di sé. Daphne era timida, asociale e con una spiccata predilezione a ignorare la presenza di esseri maschili nel mondo. Si circondava sempre di altre ragazze del club di giardinaggio, come Eco, bella e pallida come gli oggetti al chiaro di luna ma dalla lingua tagliente come lame.
Era vissuta con i genitori in una villetta sperduta in Canada, là dove era freddo e sbagliavano a pronunciare il suo nome storpiandolo con le liaison francesi, fino a che i servizi sociali non avevano deciso che la bambina dovesse, a sette anni e mezzo vissuti, andare a scuola e conoscere qualcuno che non fosse un membro della sua famiglia.
Dopo numerosi collegi femminili Daphne era arrivata alla Olympus High School con tante nozioni di botanica e poca esperienza a gestire gli ominidi.
Quando Ares aveva sentito la storia della ragazza, la sera del giorno del fatidico incontro, era inorridito nell’unanimità generale. Apollo, invece, era già partito per la tangente: al massimo, diceva, aveva vissuto un po’ da Heidi, ma non c’era nulla di male, no?
Solace aveva poi raccontato che, dopo aver sorriso alla ragazza mentre faceva girare il pallone da basket in equilibrio sull’indice –sbruffone-, questa era corsa via troncando ogni comunicazione, visiva e verbale.
 
Insomma, era cotta di lui.
 
Ermes ricordava bene come aveva sottovalutato la cosa: Apollo era un ragazzo capace di vedere il bello in ogni cosa, era luce e ingenuità fatta persona, si lasciava trasportare da passioni momentanee. Come quando si era fissato con i Queen e aveva cantato ininterrottamente giorno e notte, a scuola e fuori casa, ventiquattro ore su ventiquattro, le loro canzoni prima di essere colpito dalla ‘’miticità’’ di Bob Marley –subito eletto nodello di vita per le successive tre settimane.
Art stava per strozzarlo dopo l’ennesimo tentativo di trovare un decente adattamento di ‘’No woman no cry’’ per violino.
Poi c’era stato il periodo della poesia. Apollo sapeva parlare in rima senza alcuna apparente fatica e si era divertito per quattro mesi ad ossessionarli con composizioni come ‘’al dentifricio’’ o ‘’in morte della sorella gomma da cancellare’’.
‘’Eri la mia musa, tu che correggevi i miei sbagli,
perdevi la tua bianchezza ma rimediavi ai miei abbagli…’’
Spesso Ermes aveva ancora i brividi al pensiero di quei componimenti.
Avevano catalogato Daphne Ladondaughter come l’ennesima sbandata. Ares aveva scommesso che dopo sei rifiuti Apollo avrebbe composto una melodia struggente al pianoforte per poi tornare alla solita routine il giorno dopo.
E invece… si erano sbagliati tutti.
Era stato impossibile prevedere che ogni cosa sarebbe finita con una ragazza che diventava,  additata per l’eternità in quel modo,  Alberello felice.
 
Ares La Rue, ogni giorno, dopo una sana litigata mattutina con la sorella, qualche scazzottata altrettanto salutare con quest’ultima, andava a svegliare la sua bellissima moto per prepararsi ad incrociare al semaforo lo stupendo gioiellino di Apollo Solace. Trovava Art ancora addormentata, seduta affianco al fratello, che invece stava alla guida con, immancabili, occhiali da sole con le lenti a specchio.
Apollo era, e sarebbe sempre stato, il classico ragazzo che non aveva bisogno di guardarsi allo specchio. Era una bellezza classica, dal profilo greco quasi monotono, così perfetto, che si scostava molto dai lineamenti aguzzi di Ares, o dai lievi difetti che si ritrovavano nel viso della stessa Art.
La mattina dopo l’incontro con Daphne, Apollo aveva messo via gli occhiali da sole e si era pettinato i capelli.
La camicia era abbottonata e la cravatta della divisa della scuola era annodata al collo.
Ultimo, terrificante, aspetto, Ares aveva visto, prima di schizzare via pur di allontanarsi da quella visione, lo sguardo di Apollo.
Per la prima volta, il cielo nelle iridi del ragazzo era pieno di nuvole.
E la pioggia, nei suoi occhi, Ares non aveva nessuna voglia di vedere come sarebbe stata.
 
-Apollo è terrorizzato all’idea di non fare colpo su Daphne.
Aveva annunciato la cosa, trafelato, a Zeus, che in qualche modo era riuscito a scroccare un passaggio da Ade. Il minore dei Grace aveva sgranato gli occhi e si era voltato, scettico, in tempo per vedere la bellissima Maserati rossa dei Solace parcheggiare vicino alla scuola. Apollo aveva rischiato di andare a sbattere contro un lampione perché continuava a guardarsi attorno palesemente in cerca di una persona. Zeus si sbracciò per salutarlo, ma il ragazzo non lo degnò di uno sguardo anche dopo essere entrato nel cortile della scuola.
Se prima Zeus non aveva preso il problema sul serio, in quel momento sembrò realizzare ciò che stava succedendo.  Nessuno poteva ignorare Zeus Grace, nemmeno un Apollo innamorato. Ares sorrise sotto i baffi pensando all’orgoglio ferito dell’amico, che entrava in quel momento nella scuola a passo militare.
 
I giorni seguenti erano stati un incubo. Ares era riuscito a vedere Afrodite sì e no per dieci minuti al giorno: appena si ritrovava con la sua migliore amica, una volta schivati gli sguardi rancorosi e astiosi di Efesto –quel ragazzo avrebbe dovuto farsi una vita, prima o poi- qualcuno lo trascinava via con una puntualità preoccupante, ogni volta per lo stesso motivo. Inutile dire che ogni metodo utilizzato aveva solo rallentato l’inevitabile.
 
Giorno uno: Ermes-Ade (di cuffie e mimetismi)
Afrodite gli aveva appena sorriso, dopo aver schivato un paio di cheerleader e di compagne di corso che le stavano per chiedere qualcosa, ed Ares la stava aspettando, appoggiato a un armadietto con un sorriso tagliente dipinto sul viso. Efesto era esattamente tre piani di scale più in basso, nel suo amatissimo laboratorio, quindi Afro lo aveva abbracciato senza particolari problemi e, per non osare troppo, baciato solo sulla guancia. Ares, facendo sospirare un paio di ragazze, aveva sorriso con una sorta di affetto malcelato nello sguardo.
E fin lì, tutto era andato benissimo. Nessuna spia di Efesto appostata per coglierli sul fatto, nessun Grace in giro a esasperare l’anima, nessun professore di italiano pronto a dire ad Ares che no, una ricerca su un libro non poteva essere copiata da Wikipedia dalla prima all’ultima riga –era già successo, quasi si aspettassero che lui davvero leggesse quei libri.
Poi aveva visto il cappellino. Anzi, la cuffia. La grande cuffia del mimetismo, il mitico copricapo del ladro e compagnia bella… e se Ares aveva visto la cuffia tra le foglie dell’alberello finto posto fuori dal laboratorio di scienze, allora erano guai. Ermes Stoll era appostato dietro l’alberello. E, con lui, c’era il vero possessore del potere del mimetismo: Ade Grace.
Come facessero, quei due, uno un po’ di più, uno un po’ di meno, nessuno lo sapeva. Ade aveva cominciato a capire che era palesemente comodo riuscire a nascondersi, per poi non farsi più ritrovare, così da avere un po’ di pace, quando aveva realizzato che i suoi due fratellini, Es non contava, non se ne sarebbero andati via di casa prima di aver compiuto troppi anni. Quindi, se Posy e Zeus non potevano scomparire regalando un po’ di pace, allora aveva capito che era lui quello che non si doveva vedere in giro.
Un giorno Apollo aveva detto che Ade non poteva essere così bravo a scomparire solo perché era bravo -come  come avrebbe fatto altrimenti ad essere migliore di Apollo in persona?–  quindi, per forza, doveva avere con sé un oggetto magico capace di farlo scomparire nel buio.
Mentre diceva quella frase, Ade uscì dalla sua camera con una cappello di lana nero, il suo preferito perché dono di suo padre, quindi tutti convennero, davanti allo sguardo compassionevole e leggermente esasperato del proprietario del cappello, che in quel momento il maggiore dei Grace stava mostrando al mondo il mitico, leggendario elmo dell’invisibilità in pura lana tibetana.  Non importava che il cappellino in stile peruviano fosse, appunto, un cappellino e non un elmo. Ormai era nata la leggenda. E con essa, i relativi accoliti.
Ermes aveva invidiato Ade per molto tempo, perché lui sapeva mettersi in cima ad un albero pur di non essere visto, e disturbato, da ogni essere vivente, tranne forse qualche uccellino. Ade poteva sparire, ed Ermes avrebbe tanto voluto saperlo fare anche lui quando i negozianti lo beccavano a rubare, o quando Maia lo guardava delusa, o, col passare degli anni, quando le pseudo-famiglie adottive lo fissavano, cercando di capire perché anche loro non avevano ricevuto una bambina dagli occhi azzurri e i capelli biondi ricci con un sorriso angelico come era successo ai loro vicini.
Ermes si era costruito da solo la leggenda, prendendo una cuffietta grigia dall’orlo risvolto e cominciando a rubare,e a non farsi beccare, solo con quel copricapo ben calcato sulla testa. Era la cuffia del mimetismo: non era male, anche se le scarpe alate la battevano.
Quindi Ares sapeva bene che Ermes era appostato dietro all’alberello, che ora si muoveva verso di lui in maniera sospetta, e che probabilmente Stoll aveva chiesto l’aiuto di chi, invece, non si vedeva davvero, per preparare una missione, ovviamente in incognito.
Aveva aspettato che Ermes uscisse dalle fronde in plastica e aveva soffocato una imprecazione mista a una risata quando aveva visto le guance di entrambe le spie infiltrate dipinte di nero secondo decorazioni belliche. Ade, invece, non aveva alcuna voglia di ridere.
-Dobbiamo salvare Apollo.-aveva detto.
Poi lo avevano trascinato via.
 
Giorno due: Poseidone-Orion (di gente scomparsa e tattiche violente)
Il secondo giorno, Ares era più preparato: sapeva già che non avrebbe passato troppo tempo con Afro, quella mattina. Peccato che non si aspettasse comunque di essere preso di peso dal migliore amico di Art, il Cacciatore, mentre Possy faceva scrocchiare le nocche in modo inquietante. O meglio, esaltante: Poseidone era bravo nelle risse, il Cacciatore idem, eppure non capiva il motivo di cotanta violenza, anche se non faceva mai male.
Poi Orion, il Cacciatore, l’aveva messo giù, per poi tirare fuori dallo zaino il suo amatissimo arco composito. Pos, invece, aveva già dimostrato di preferire la forza bruta, e aveva proposto ad Ares di usare una mazza da baseball per aiutarli.
La Rue stava per chiedere chi era il fortunato bersaglio, quando per i corridoi era apparsa Daphne, che quasi correva mentre Apollo la implorava di dargli una possibilità.
Si era voltato verso Pos, incredulo. Si sarebbe aspettato una tattica del genere da Zeus, o da sé stesso, ma non dal mitico Possy. Poi aveva notato l’esasperazione nelle iridi verdi di Grace, e la calma serafica di chi è pronto a catturare la preda nella posa rilassata, ma pronta a scattare, di Orion.
-Come facciamo poi col corpo? Apollo è pesantuccio.-aveva provato ad obiettare.
Orion aveva sorriso, indicando, nel parcheggio, la Maserati rossa dei Solace con la capote aperta.
-La gente scompare ogni giorno,no?-aveva detto Pos, ed era uscito con un ghignetto sulle labbra mentre camminava incontro ad Apollo.
 
Giorno tre: Artemide (di fini impreviste, fughe precipitose e buone reputazioni suicide)
Il terzo giorno, Ares Afrodite non l’aveva proprio salutata.
Tutti guardavano, impalliditi, la scena pietosa dal cortile della scuola.
Daphne ed Apollo erano intenti a parlare –quindi Apollo supplicava e Daphne rischiava di ricorrere alla violenza- nell’aula di matematica del primo piano. Dal cortile si poteva benissimo vedere i capelli biondi dei due attraverso la finestra, aperta. I rami del giovane lauro piantato nell’aiuola del club di giardinaggio qualche anno prima sfioravano le ante spalancate, ormai a quell’altezza.
Art voleva fare qualcosa, doveva fare qualcosa, e Ares stava cercando di fare capire che ormai non c’era più nulla da fare. La reputazione di Apollo stava per seguire le orme di Daphne.
Ladondaughter era una ragazza dolce, posata, ma molto emotiva. Era una ragazza paziente, aveva resistito per ben tre giorni di assalti. Ma ormai, si diceva, non ce la faceva più. Apollo continuava a parlarle, a sorridere e a supplicarla, e magari sarebbe anche uscita con lui, se non avesse avuto tanta paura dei ragazzi.
Quindi, in un attimo di follia, decise. Si affacciò alla finestra e saltò nell’albero.
Ad Ares parve proprio di vederla, là, la buona reputazione di Apollo, seguire a ruota la ragazza e incastrarsi tra i rami.
Daphne Ladondaughter venne sospesa per la sua condotta irresponsabile. I suoi bellissimi capelli l’avevano salvata, dato che si era ritrovata incastrata tra i rami dell’albero e non era più riuscita a scendere giù. Inutile dirlo, Eco, da brava pettegola, aveva messo in giro la voce che era stato Apollo a spingere Daphne, ma ormai erano due le buone reputazioni che si erano lanciate giù dalla finestra.
Apollo era rimasto per un po’ additato come stalker, ma gli Olympians si erano ripromessi di contenere le avances dell’amico, in futuro, e tutti, un po’ perché rassicurati da quella promessa, un po’ perché Apollo era fatto così, gli si voleva bene per quello, si erano presto dimenticati dell’accaduto.
A Daphne era andata peggio.
Daphne era diventata Alberello felice, ed aveva cambiato scuola, oltre ad aver sviluppato una certa fobia dei lauri. Ma non aveva dimenticato, e nemmeno Apollo.
Apollo aveva amato Daphne. Era rimasto ferito dalla faccenda quasi come lei, seppur in modo diverso. Era rimasta una questione irrisolta. E Solace, da bravo codardo, non aveva mai più provato a chiedere scusa alla ragazza.
Ma sapevano bene entrambi che la resa dei conti sarebbe arrivata.
 
DAPHNE
Uno schiaffo è plateale, non vero. Non è un pugno, che scarica la rabbia procurando dolore fisico all’avversario. E’ un gesto teatrale, una finzione.
Uno schiaffo non fa male, ma brucia. Uno schiaffo è una offesa personale, un mostrare, schiaffare, il proprio disprezzo verso una persona.
Daphne tirò uno schiaffo in faccia ad Apollo. Ciaff.
E Apollo riuscì a sorprenderla, perché si inginocchiò e le prese la mano con cui lei l’aveva schiaffeggiato. Le disse tanto, le disse le cose più semplici e genuine che aveva provato e che, grazie al cielo, non provava più. Quasi pianse, Apollo Solace, perché era teatrale anche lui, non solo Daphne con il suo schiaffo. Le disse che gli dispiaceva tanto, e che aveva davvero ammirato il fegato della ragazza quando l’aveva vista lanciarsi sull’albero, quasi abbracciandolo. Le disse che un po’ si era mostrata stupida, perché lui mica mordeva. Era stato solo un po’ asfissiante, poteva concederglielo, ma lei avrebbe potuto semplicemente tirargli uno schiaffo un po’ prima, o magari piangere.
Daphne non riusciva a crederci. Lo stalker era completamente pazzo, ma, come lei, non riusciva a provare i sentimenti di un anno prima. Daphne non lo odiava più, ormai era acqua passata. Lo schiaffo era stato per Alberello felice, glielo disse anche.
Apollo rise, anche se dentro di sé aveva ancora una paura tremenda di quella ragazza che era riuscita a sfuggirgli e a spezzargli il cuore.
Daphne non lo avrebbe mai ammesso, ma un po’ l’aveva veramente stupita, lo stalker.
Perché, in fondo, Apollo era fatto così: gli volevi bene (lo compativi) e basta.
 
 
 
NOTE DELL’AUTRICE
*Tanti auguri a me, tanti auguri a me!* Ebbene sì, è da un anno esatto che vi rompo *ehm ehm* che vi delizio con le mie storie! YALLA!
Scherzi a parte, il sacro fuoco dell’ispirazione è tornato quando ho visto che giorno era oggi e quindi…. Sono tornata!
*passa una balla di fieno nel deserto*
Bene bene, vi vedo entusiasti !
Scherzi a parte (parte 2) mi scuso davvero tanto per il ritardo, ma la scuola mi ha impedito di scrivere fino a ieri, cinese escluso. Avrei davvero voluto aggiornare prima, ma spero apprezziate il capitolo lo stesso J. A me piace tanto Ares, mi dispiace. Ares, Ermes, Apollo, Ade… insomma, mi piacciono tanto tutti. Spero anche a voi :P.
Grazie mille delle recensioni, mi fate scoppiare di gioia il cuoricino, e un grazie a coloro che preferiscono/seguono/ricordano. Se vi va, recensite! Mi fate sempre un grande piacere!
(Mi chiedo chi aveva capito chi era arrivato, cioè Daphne, e chi abbia apprezzato la trasportazione del mito nella storia XD è stata un po’ dura )
Ah, finalmente abbiamo il nome del Cacciatore: tante persone sapevano già, spero, che era Orione *yuhuuu*... vedremo tra un po' che gli è successo >.>
Un mega beso
Ali
(non dico più ‘’a presto’’ perché porta sfortuna…)

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Capitolo 12
*** Quando tutto va male, solo allora inizia a correre (2) ***


Capitolo 11
Parola d’ordine: Quando tutto va male, solo allora inizia a correre (2)

ERMES

Ermes aveva sempre considerato Edward Murphy un genio.
Non che il suddetto personaggio avesse esplicato una verità del tutto nuova e sconvolgente, tutt'altro. Sicuramente, nella preistoria, qualche cavernicolo aveva osservato che ''ugh, agha, ugh ugh!'', cioè che ogni singola volta che andava a caccia, qualcosa doveva sempre andare storto. O, ancora, nel medioevo: mai che un certo cavaliere riuscisse a vincere un torneo; bastava un tocco della lancia dell'avversario e immediatamente il cavallo perdeva il proprio cavaliere. Insomma: se qualcosa poteva andare storto, lo faceva fin dall'antichità.
Ma, pensava Ermes, ci voleva un attimo di genio, la folgorazione di un momento, per accettare e dichiarare una tale realtà.
Ogni minima possibilità di sconfitta ha un potere enorme, rispetto all'eventualità di una vittoria.
La fetta biscottata, pertanto, cade sempre dalla parte della marmellata.
ADE
Ade era arrivato al pub con ancora la mente scombussolata. Aveva voglia di uscire come di spararsi a un piede, come succedeva spesso, quindi aveva fatto notare, come succedeva sempre, il suo malcontento con lamenti e borbottii vari. Ares stava per picchiarlo, ma anche questa non era una novità.
Per quanto, poi, Es fosse spesso oggetto dei pensieri del suo fratellone, non era la piccola Grace il fulcro dei ragionamenti nella mente di Ade in quel momento. Non che non fosse ancora amareggiato e triste, oltre che deluso di sè stesso, dopo la litigata con Estia, ma... Persefone l'aveva colpito.
Era una ragazza bella, gentile e che non si preoccupava della reputazione di Ade, avendo chiacchierato con lui normalmente. Inoltre, aveva una scusa per parlarle ancora: chi non si sarebbe scusato una seconda volta, dopo aver investito una bella ragazza, magari andandola a trovare?
In sintesi, Ade ci stava facendo un pensierino, quindi non era molto presente a sè stesso.
Thanatos, però, non amava avere un amico perso nei suoi pensieri.
Il suddetto ragazzo aveva ricevuto una lavata di capo coi fiocchi dalla sua amabile fidanzata, dato che, per forza di logica, essendo Ade il suo migliore amico, allora era anche colpa di Thanatos se Grace aveva investito Sefi. Perciò aveva un disperato bisogno di bere qualcosa che non fosse approvato da Demetra, quindi non strettamente biologico e sano al 100%, e che lo aiutasse a togliersi dalla bocca il sapore di cereali delle labbra della sua fidanzata. Thanatos amava quelle labbra, ma a volte quel retrogusto di barrette ai cereali gli dava il voltastomaco, soprattutto dopo un litigio.
Andrew Thanatos afferrò Ade per la collottola e lo trascinò verso l'entrata, ignorando i versi indignati dell'amico.
-Cerbero ha detto che ci raggiunge.-lo avvisò, mentre Ade si rimetteva a posto il colletto della giacca con un gesto stizzito. Grace grugnì in risposta, per poi notare con la coda dell'occhio i suoi fratelli entrare nel locale, diventando entrambi le copie idiote di loro stessi.
Sospirando, si sedettero per terra, aspettando il loro comune amico, mentre Thanatos cominciava a fiutare qualcosa nel malumore di Ade.
-Beh, chi ti ha morso la lingua?-chiese Andrew, le lentiggini attorno al naso che lo facevano sembrare più infantile, a differenza dello sguardo serio negli occhi verdi.
Ade sbuffò, passandosi imbarazzato una mano tra i capelli.
-Beh, ecco, sai... Forse ho trovato una che mi piace.
Le sopracciglia di Thanatos si alzarono fino a scomparire sotto ai capelli, mentre un ghigno gli deturpava la faccia.
-Finalmente ci diamo da fare, scapolo d'oro.-lo stuzzicò, calcando sull'appellativo che scherzosamente gli aveva appioppato, dopo aver notato il numero di ragazze che andavano dietro al ragazzo con il carattere più odioso della scuola.
Grace gli tirò un pugno sulla spalla, facendo barcollare, e ridacchiare,Andrew.
-Allora, chi è?-incalzò Thanatos con un sorriso da squalo.
Ade sbuffò, appoggiando la testa al muro e rivelando il nome.
Thanatos smise di sorridere, ridacchiando istericamente.
-Stai scherzando? La... la sorellina di Demi?-si bloccò, lo sguardo allucinato -Da quando hai una vena sadica? Sei pazzo, non puoi..
-Chiudi la bocca, scemo, che te ci sei finito a letto, con Demi. Non parlare a me di sadismo.
Thanatos non contestò, ma continuava a borbottare:''Persefone, ma sei fuori? Come ti salta in mente?''.
In effetti, si disse Ade, non si andava certo a scegliere la prima che passava. Ma Sefi gli era piaciuta, non poteva farci nulla. Avrebbe tentato di non essere più lo scapolo d'oro, aveva deciso.
 
Cerbero arrivò a piedi, la gente che si spostava per farlo passare. I due, ancora seduti e intenti a fumarsi una sigaretta, lo avvistarono subito, l'andatura goffa e pesante del ragazzo che, si vociferava, pesasse un quintale.
A dir la verità, Cerbero non si chiamava Cerbero. I suoi tre cani si chiamavo, ciascuno, Cerbero 1, 2 e 3. Ma il fatto che al suddetto ragazzo non fossero venuti in mente nomi per i suoi animali al di fuori di ''Cerbero'', appunto, aveva fatto sì che Ade e Thanatos cominciassero a chiamarlo così, e l'identità di Joseph Three si era modificata. E poi, a distanza di anni dall'accaduto, tutti confermavano che Cerbero non aveva la faccia da Joseph. Cerbero era Cerbero, punto.
L'ex-Joseph era un giocatore della squadra di football della scuola, e fin qui, nessuno si stupiva. Aveva un fisico massiccio, il viso dai lineamenti squadrati e lo sguardo arcigno. Era un po' l'antitesi di Caronte, che però era un caso a parte. Il quarto componente degli ''abitanti degli Inferi'' era sempre un caso a parte.
Il fatto che il loro amico fosse arrivato a piedi aveva fatto scattare un clic nelle menti di Ade e Thanatos. Cerbero, infatti, non si separava mai dall'unica bici in grado di reggere il suo peso, sulla quale si divertiva a improvvisare buffe acrobazie, che a volte gli venivano anche bene.
Cerbero lavorava, a differenza di Ade e Thanatos, facendo il bodyguard in numerosi locali, a serate alterne. Spesso aiutava Dion, anche se a volte era un po' troppo violento per i gusti del paffuto cugino dei Grace. Quel giorno, comunque, Cerbero era a piedi, quindi non aveva potuto raggiungere il posto di lavoro in tempo.
Ade stava ragionando su quella stranezza quando, di nuovo, una rotellina nel suo cervello scattò.
Ermes aveva rubato una bici, per arrivare lì. Sia Ermes che Cerbero vivevano in un condominio nella periferia.
-Andrew, trattieni Cerbero.-ordinò all'amico- Stoll ha rubato la sua bici.
Thanatos sbatté più volte le palpebre, realizzando con qualche secondo di ritardo. Si lanciò verso l'imponente ragazzo, ma questi aveva già visto la sua bici legata a un palo vicino al locale. Ed Ermes lasciava sempre la sua Tenaglia affianco alle sue prede, conscio che nessuno si sarebbe azzardato a prendere un oggetto così... ladresco.
Quindi Ade si passò una mano sul volto, preparandosi al peggio. Ermes Stoll stava per andare incontro alla punizione divina per i suoi furti.
 ERMES
Ermes vide arrivare Cerbero mentre stava chiacchierando con Artemide.
Lei aveva i capelli rossi raccolti in una treccia, lo sguardo vigile, senza una goccia di alcool nelle vene, e si stava lamentando dell'idiozia maschile. Ermes non amava molto le sue considerazioni, ma sapeva anche bene che era meglio non contraddire la sorella di Apollo, se non si voleva finire male.
Cerbero camminava con la mascella contratta, intento a far scrocchiare le ossa delle mani con una posa da film.
''Uh, sfortunata la povera preda.'' aveva pensato, perché Ermes e Murphy andavano a braccetto: non solo il ragazzo aveva problemi a relazionarsi con la dea bendata, ma era persino idiota, quando succedeva il peggio, quindi la situazione raggiungeva toni assolutamente ironici e al limite della realtà.
Roba da Willy il coyote, che quando cammina nel vuoto ci mette un po' a capire che sta per sfracellarsi al suolo.
Infatti, capì che Cerbero stava fissando proprio lui solo dopo un po'. Perché o Cerbero era strabico, o stava fissando lui, ostava osservando la macchia di muffa sulla parete esattamente dietro al ragazzo. E dato che una macchia di muffa, o un muro, non li puoi picchiare, e Cerbero non era strabico, Ermes si immaginò alla velocità della luce Apollo che scriveva con toni drammatici il suo necrologio, con Artemide affianco a lui che rivelava il suo amore mai dichiarato verso il suo migliore amico, seppellendo ogni suo sentimento assieme alla bara... No okay, così stava esagerando. E poi, perché aveva pensato proprio ad Art? Era un cliché, due migliori amici che si dichiarano quando ormai è troppo tardi, poteva anche essere Atena quella innamorata di lui... o anche no, faceva troppo strano.
 
Questi pensieri profondi erano durati qualche secondo, durante il quale Ermes aveva fissato con sguardo vitreo Cerbero, facendo prima arrabbiare e poi voltare Artemide, che aveva fatto due più due più velocemente di Ermes Stoll.
-Cosa hai rubato?-gli aveva chiesto, ed Ermes si era sentito dannatamente in colpa.
-Una...-si bloccò, capendo tutto-una bici.
Una mano gelida si posò sulla spalla di Ermes, un alito di vento proveniente dal condizionatore, forse, ma il ragazzo pensò che fosse un avvertimento della Morte. La nera signora stava venendo a prenderlo nelle vesti di Cerbero Three.
Artemide lo fissò, incredula della sua idiozia. E si arrabbiò, lanciandogli uno sguardo argento carico di delusione, tristezza e tanta rabbia. Non se lo sarebbe mai aspettato, da Ermes, un comportamento così.
-Proprio come stavo dicendo-sibilò-i maschi sono tutti uguali.
E detto questo, lo lasciò al proprio destino.
Immediatamente il motto di Mercurius gli si affacciò in mente.
Quando tutto va male, solo allora inizia a correre.
 
La sua migliore amica, una delle poche persone a cui teneva più di sé stesso, aveva appena smesso di fidarsi di lui.
Apollo aveva appena incontrato Daphne Ladondaughter, diventando pressoché inutile e amebizzato.
Aveva rubato, e subito il karma si era avvalso del suo potere per distruggerlo.
Così Ermes si girò, strinse forte gli occhi per acquisire un minimo di lucidità, e cominciò a correre.
Aveva appena imboccato una strada nuova, lui che era sempre stato il più versatile dei suoi amici. Quello che cambiava direzione facilmente, senza pensare.
Chissà, però, che non stesse per trovare l'unica cosa che, nei suoi viaggi, non aveva mai incontrato: un cartello d'arrivo.
 
Un insegna di un negozio, in questo caso.
ECATE APOLLO
Ecate era confusa. Probabilmente stava realizzando che aveva messo il broncio alla sua ragazza senza un motivo valido, ma era troppo orgogliosa per ammetterlo.
Quando vide Daphne parlare con Apollo -schiaffeggiarlo, più che altro- e questi farle un discorso appassionato, lasciò che la mente seguisse la scena, distraendosi, mentre le sue mani andavano inconsciamente al suo adorato mazzo di carte, ancora perfettamente lisce nonostante l'uso assiduo. Mentre mescolava le carte, le parole di Eris le rimbalzavano in mente.
''Non riconosci nemmeno tuo cugino?''
Possibile che il biondo che Eris aveva baciato fosse suo cugino? Va bene che non parlava spesso con i gemelli, ma pensava che avrebbe saputo riconoscerli facilmente, dopotutto.
Si morse il labbro inferiore, mentre Daphne, un sorriso più sereno sul volto ma anche leggermente più malinconico, abbandonava Solace, anche lui con un'aria da poeta romantico sul viso.
Gli si avvicinò, quasi senza riflettere.
-Hai baciato Eris, una settimana fa?-gli chiese, diretta e concisa, fissandolo con le sue iridi rosa alle luci stroboscopiche.
Apollo aggrottò le sopracciglia, tornando alla realtà. Sorrise imbarazzato, scuotendo la testa e facendosi cadere un ciuffo di capelli biondi davanti agli occhi, mentre si perdeva un'altra volta nei ricordi.
 
-Andiamo, ti scongiuro-la supplichi, le mani giunte in preghiera. Se c'è una persona che ti può aiutare, quella è Eris. La Rue lo guarda con il naso arricciato, i lineamenti fieri e spigolosi addolciti dai capelli scuri.
-Perché dovrei baciarti, scusa?-chiede per l'ennesima volta. Sei sicuro che abbia già capito, ma tenerti sulle spine deve divertirla un mondo. Si lascia sfuggire un ghignetto, che deforma le sue labbra rivelando la sua ilarità.
Cassandra è stata la ragazzina più antipatica del mondo, alle scuole medie. Rifiutò di baciarti, anzi, ti sputò persino in bocca, con quella sua aria di superiorità. Solo perché suo padre è Priamo, il magnate del petrolio...Neanche ti stava simpatico, Ettore, l'ex-capitano di ogni squadra sportiva della scuola e ormai al primo anno di università, fratello di Cassandra e idolo delle folle. Cassandra invece l'avevi amata, istintivamente, per i suoi riccioli scuri e per lo sguardo fiero e penetrante, un po' matto, a volte.
-Devo prendermi una piccola rivincita.-spieghi di nuovo, indicando appunto Cassandra, qualche centimetro di altezza in più e i capelli più corti di quanto ti ricordassi, seduta su una panchina. E' più piccola di te di due anni, ma sembra comunque più matura. Eris sorride affilata: capisci di aver vinto quando gli occhi scuri della sorella di Ares realizzano quanto caos potrebbe portare il suo aiuto.
Quando ti bacia, ti viene da indietreggiare istintivamente: Eris ti morde, e domina sulle tue labbra.
Ma Cassandra ti vede, la noti con la coda dell'occhio fare una faccia stupita e cominciare a spettegolare sul telefono. Quando Eris si stacca, ansante, non sa due cose. Primo, Ecate ha visto la scena, quindi saranno guai per lei. Secondo, Apollo ha avuto una grande rivincita su Cassandra. Quando questa sparge la notizia del bacio a cui ha assistito, immediatamente viene bollata come bugiarda. Tutti sanno dei gusti di Eris, quindi sicuramente Cassandra, accecata dall'odio verso il ragazzo che rifiutò quando era più piccola, vuole semplicemente screditare Apollo, magari perché si è accorta del suo errore nel rifiutarlo.
La Fama non deve nemmeno intervenire, dato che non siete a scuola. Cassandra Prime è una bugiarda, e nessuno le crede più.
Tu, quindi, sorridi. ''Te l'avevo promesso, Prime.''- pensi.
Era una minaccia infantile, nata da un rifiuto -''Te la farò pagare, Prime!''-. Ma comunque una promessa che sapeva di fiele e delusione.
 
Ecate schiocca le dita davanti allo sguardo azzurro di Apollo, che ora sorride leggermente, persino, per distoglierlo dai suoi pensieri.
-Allora? Sei tu che l'hai baciata, cugino?
Apollo Solace era strano, la sua cuginetta lo sapeva, era particolare quasi quanto lei. Eppure la sorprese lo stesso. Solace aveva appena rivisto Daphne, aveva appena accantonato un amore che gli aveva portato così tanto dolore, ma sorrideva, sincero, comunque, e le diceva, mentre le regalava un occhiolino divertito:-Sì, l'ho baciata.
Le diede un buffetto sulla guancia, sempre sorridendo, e si allontanò. Ad Ecate sembrò di sentirlo aggiungere, dopo qualche passo: ''Ma non è nulla di personale, tranquilla. Solo una storia vecchia di un po'.''
Ecate pensò che sarebbe morta, dalla voglia di sentire quella storia.

 
ANGOLO AUTRICE
OKAY, cominciamo col ringraziare. Intanto un mega grazie a tutti voi, che leggete/preferite/seguite/ricordate... mi fate battere forte il cuoricino u.u! Poi, un saluto speciale a Briciole_di_biscotto (Dark, per me :P) e a Oceano2_0, per le loro bellissime recensioni.
E, infine, un saluto e un augurio. Spero non vi siate tutti sciolti per il caldo e che possiate apprezzare il capitolo. Abbiamo alcune spiegazioni (la bici, il titolo del capitolo, chi aveva baciato Eris e perché...) e un'altra trasposizione di un mito. Sempre una storia d'amore di Apollo, il mito di Cassandra, e come questa non verrà mai creduta. Apollo si vendica persino di un bacetto rifiutato alle medie xD, ma lo si adora lo stesso, ya?
Un grande abbraccione, da me e da Murphy (l'elogio di inizio capitolo l'ho amato scrivere),
I Love You,
Ali<3
P.S. Ade e Persefone, abbiamo sviluppi... a quando il rapimento e.e?

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Capitolo 13
*** Medusa ***


 Alle autrici di efp che mi fanno ridere con i loro stupendi pargoli,
anche se non leggeranno  mai (alcune di loro) questo capitolo.
Capitolo 12
Parola d’ordine: Medusa

POSEIDONE
Bastava poco, a uno come Poseidone, per sentirsi soffocare in un luogo chiuso. Sua madre ipotizzava spesso che fosse claustrofobico, quando invece Pos aveva una caratteristica tutta sua che non si poteva riassumere con una fobia così comune.
Pos amava il vento tra i capelli e il brivido dell'adrenalina, il dolore ai muscoli dopo una corsa o una nuotata particolarmente pesante. Odiava sentirsi trattenuto, come qualsiasi testa calda che si rispetti. Leggenda familiare narrava che, quando da piccolo doveva dormire in un lettino con tanto di sbarre, il mini-Poseidone urlava così tanto che Ade cominciava a piangere e a tendere la mano verso il fratello attraverso le assi di legno del lettino.
Mamma Gea commentava sempre dicendo che era una scena molto tenera, pensando che Ade volesse solo afferrare la manina del fratellino per dargli un po’ di conforto, anche se i due fratelli, che non riuscivano a ricordarsi quel periodo così lontano, dubitavano spesso dell’obbiettività della loro madre in quei racconti. In realtà, Ade voleva solo avvicinarsi al lettino del fratello pur di tirargli i capelli e farlo smettere con quello strazio, ma non ci era mai riuscito.
§§§
Anfitrite se ne era andata dopo averlo baciato, appena aveva notato la sua espressione: il ragazzo aveva lo sguardo triste, puntato su una ragazza che non era la cheerleader dai capelli scuri, che era corsa via con gli occhi rossi e umiliata nel profondo.
Un po' si era sentito in colpa, anche se non c'era nulla che potesse fare: era stata Anfitrite stessa a causare quel cambiamento in lui, lasciandolo non appena questi si era deciso a credere in quella relazione. Non poteva aspettarsi che Poseidone tenesse ancora a lei, non dopo quello che lei gli aveva detto quando lo aveva lasciato, anche se nemmeno Pos si era rivelato corretto baciandola davanti a tutti, quella sera.
Pos sapeva che Atena non avrebbe mai fatto una cosa del genere, non avrebbe mai ricambiato il bacio in una situazione analoga, dopo certi trascorsi.
Atena non si sarebbe nemmeno mai messa con lui, a dir la verità, ma questo era perché non c'era nulla che potesse distogliere la ragazza dai suoi propositi di vendetta. Bastava notare come era finita Aracne, che ormai non si notava nemmeno nei corridoi, tanto era attenta a non farsi notare, strisciando come l'ultima degli sconfitti.
Quando Poseidone e Anfitrite avevano litigato, per poi lasciarsi senza tornare sui propri passi in seguito, lei si era messa a piangere e i suoi occhi verdi, lucidi e rossi per il pianto, avevano ferito Pos quasi quanto le sue recriminazioni.
Pos ci provava con Anfitrite quando stava ancora con Medusa, e lei era stata abbastanza brava da ricordarglielo. Medusa era stata l'unica ragazza che Pos avesse mai amato davvero, gli aveva urlato, e lui nonostante questo era stato pronto, dopo lo scandalo del bacio a casa Chase, a tentare subito con un'altra ragazza, l’esuberante nuotatrice della corsia affianco alla sua, l’ ingenua e innocente Anfitrite.
In realtà, mentre diceva quelle parole la ragazza cercava solo una scusa per fuggire dal suo Traiton, non c'era accusa che tenesse sul serio. Poseidone, però, sapeva che un po' aveva ragione lo stesso: Medusa era bellissima, e lui se ne era innamorato nell'estate in cui si erano conosciuti. Al mare, Em -così la chiamavano tutti- era l'unica che aveva il coraggio di buttarsi dalla scogliera subito dopo Pos, per poi guardarlo provocante con il suo sguardo bellissimo. Em aveva negli occhi il colore della terra, un misto di verde e nocciola e nero, e Pos, che era mare, aveva bisogno di un posto a cui ancorarsi.
Aveva avuto bisogno di una ragazza che gli venisse vicino e riuscisse a farlo tornare a casa, senza continuare a nuotare da solo, mentre Zeus lo aspettava a riva chiedendosi dove sbagliasse, per essere meno interessante di una spugna di mare agli occhi di suo fratello.  
Em ogni sera, dopo una certa ora, quando ormai il sole sfiorava il mare, si tuffava per raggiungerlo, sorridendo quando lui le intimava di lasciarlo nuotare in pace e costringendolo ogni volta ad andare con Zeus a casa, perché Ade non li aspettava di certo e al suo fratellino si stava gelando il sedere.
Quando si erano messi assieme, Zeus aveva approvato la scelta anche per quello, mentre Ade aveva fatto una faccia disgustata abbastanza esplicita. Ade non amava le ragazze sfacciate come Em, che puntavano la preda e si rivelavano più sfacciate dei ragazzi stessi; aveva una concezione leggermente arretrata dell'universo femminile, quasi si aspettasse che le donne ancora non potessero portare nemmeno i pantaloni.
Nonostante le numerose critiche del fratello maggiore, immediatamente stemperate da alcune parole più dolci di Estia, Poseidone si era rivelato perfettamente a suo agio con il nuovo ''guinzaglio'', come lo definiva Ade, che Medusa gli aveva imposto. Quando camminavano per i corridoi della scuola, tutte le ragazze sognavano ad occhi aperti: innanzitutto perché erano assolutamente ''cariini'' assieme, ma non solo. Se persino Poseidone, il ragazzo più selvatico e asociale, meno interessato ad avere relazioni, escludendo Ade e la sua cricca, degli Olympians -e quindi dei ragazzi più appetibili della scuola- si era innamorato, rinunciando alla sua libertà per stare con una ragazza in una relazione seria e duratura, allora c'era speranza nel mondo. Persino Zeus sembrava meno impossibile da conquistare, pensavano, ma era prima che Era arrivasse e le cose cambiassero.
Ermes, in quel periodo, venne preso particolarmente di mira, forse perché non era ancora palese quale fosse il suo interesse. Art era ancora felicemente fidanzata.
Poi, accadde l'impensabile.
Poseidone si sentiva male tutte le volte che, col senno di poi, capiva cosa fosse veramente successo.
 
Atena Chase arrivò da Pos con una strana smorfia in viso: non si parlavano da quando avevano litigato su chi avrebbe dovuto costruire la cima dell'Acropoli nel plastico del progetto di storia. La professoressa aveva assegnato ai due, allora semplicemente conoscenti, il compito di ricostruire, con mezzi di fortuna e fantasia, l'Acropoli di Atene. Tutto era andato bene finché Pos si era occupato della città bassa ed Atena del foro. Un mini-Partenone ricco di particolari storicamente attendibili si accordava a una base perfetta, con circa un centinaio di casette a decorare la città bassa, circondata da campi verdi e rigogliosi che Pos aveva costruito. Si erano divertiti parecchio, ognuno concentrato a ricostruire la zona della città che più gli veniva congeniale. Solo una volta installato il tutto, corredando quindi Partenone ''made by Atena'' e le casette di Pos, avevano entrambi convenuto che la cima dell'Acropoli mancava di un ultimo particolare. Pos voleva porvici una mini-fontanella, con un piccolo pozzo a simboleggiare che il mare arrivava fin lì. Atena conveniva invece che un ulivo in miniatura fosse più adeguato, quindi, come ogni volta che due personalità dominanti si scontravano, era iniziato un litigio in piena regola. Avevano chiesto a Zeus e agli altri Olympians, chiedendo un giudizio imparziale ed obiettivo, dato che erano tutti nella stessa aula intenti a costruire vari modellini. Mentre quindi Dioniso a malapena li ascoltava -quella biga del foro romano richiedeva la massima concentrazione mentre si montava la ruota, la fontana che stillava vino era già posta lì di fianco- e Ares continuava a contemplare la sua ricostruzione della città di Sparta, si era giunti a una equa e giusta votazione. Le ragazze -Era, le sorelle Gardiner, Afrodite e compagnia- avevano tutte convenuto che l'ulivo era decisamente più adatto, dava un tocco di verde al bianco etereo dell'Acropoli di Atena. I maschi, quasi per ripicca che per una vera opinione, si erano dimostrati in disaccordo: la fontanella era una idea geniale.
Erano giunti a una situazione di parità quando Atena si era accorta che Zeus non aveva espressamente votato. Se il minore dei Grace si fosse astenuto, un minuscolo ulivo avrebbe simboleggiato la vittoria della ragazza. Poseidone aveva fissato con cattiveria il fratello minore, che era impallidito. Una parte di lui voleva aiutare il fratello, come era ragionevole pensare, ma una vocina nella sua mente voleva fare bella figura con Era, che sembrava guardarlo in modo intimidatorio quasi quanto Pos. Per questo, non fece nessuna delle due cose.
-Come capo degli Olympians- proclamò, suscitando molti sbuffi-mi astengo dal votare.
Pos rischiò di perdere la calma, uccidendo il fratello idiota che si ritrovava -tanto Ade non c'era, e non si sarebbe nemmeno lamentato più di tanto, ne era certo-, ma alla fine optò per non rivolgere più la parola ad Atena, che stava poggiando con aria soddisfatta il suo alberello in cima al plastico.
Dopo alcune settimane, quando ormai la scuola stava terminando e Pos si avviava ad incontrare Medusa in riva al mare, tutti sapevano che Chase e Grace si odiavano. Poseidone era ancora arrabbiato, anche se il progetto di storia gli aveva garantito una A che faceva media, quindi Atena, gelida, gli aveva urlato contro insulti tra cui spiccava la parola ''infantile''. Infantile lui, orgogliosa lei.
 
Una estate a dividere l'accaduto ed Atena si era mostrata misericordiosa: gli aveva proposto una tregua, di dimenticare l'accaduto. Gli piaceva, quel nuovo Poseidone che aspettava Em davanti all'aula con una merenda pronta per lei.
-Ti vedo più maturo-gli aveva rivelato -E io apprezzo la gente matura.
Pos aveva fatto un sorrisone felice, stringendo la mano che Atena gli stava porgendo. Regola della loro nuova convivenza: non nominare la parola ''plastico''.
Quando Em andava dalle sue sorelle, che erano come dipendenti dalla presenza di Medusa, Atena e Poseidone si trovavano a studiare assieme. Stranamente, le loro carenze scolastiche -quelle di Pos maggiori di quelle di Atena- si compensavano. Atena spiegava in modo preciso, conciso e sembrava tutto estremamente facile, quando parlava lei. Pos preferiva un metodo più pratico: abbinava date di storia a numeri civici per ricordarle bene, scarabocchiava le parole chiave degli argomenti sugli angoli delle pagine...
Ate storceva il naso quando Grace le faceva notare che se si guardava una cosa da una certa prospettiva,  tutto diventava più semplice e, magari, solamente meno scientifico.
 
Cambiò tutto quando Ate si ritrovò Poseidone ed Em fare cose non esattamente caste in casa Chase. Rimase sulla soglia della porta finché Grace non si accorse di lei, sgranando gli occhi e boccheggiando, appigliandosi a parole che sarebbero sicuramente suonate vuote. Cosa poteva dire, che Em aveva insistito per dargli un bacio? Tanto Atena era andata nella biblioteca davanti casa per prendere un libro da consultare...   
Non aveva detto nulla, aveva solo raccattato la maglietta e trascinato Em fuori dalla porta di ingresso mentre Atena li faceva passare, cercando di nascondere la sua fiducia tradita e la delusione che le cresceva in petto.
Poseidone si era bloccato, un attimo, appoggiato allo stipite della porta. Lo sguardo grigio di Atena non aveva bisogno di parole.
Io apprezzo le persone mature. Le persone che meritano il mio rispetto sono poche, perché sono pochi coloro che per primi portano rispetto. Ti avevo dato la mia fiducia, Grace.
-Esci e porta via i libri.
La porta si chiuse, facendo capire a Pos che, forse, non era normale stare così male per quello che era appena successo. Non era normale non provare alcun sollievo, solo fastidio, sentendo Em che cercava di sdrammatizzare dicendo che Atena meritava il premio come ''Miss Monaca''. Non era normale, realizzò nei giorni seguenti, evitare Medusa, cominciare a vedere tutti i suoi difetti, che prima aveva amato e in quel momento trovava solo insopportabili.
Poseidone smise di aspettare Em davanti all'aula di biologia con una ciambella in mano.
 
 
 
 


 
NOTE DI UN CAPITOLO CORTO
Scusate la brevità, ma ci tenevo a fare un secondo aggiornamento durante luglio. Abbiamo Pos.Abbiamo Atena.Abbiamo Medusa. (E Anfitrite, ma lei è leggermente nell'angolo, in questo capitolo).
Per definire un po' le cose in ordine cronologico:
1-Atena e Poseidone sono al secondo anno, a malapena si conoscono, sono semplici conoscenti. Litigano pesantemente per il plastico del progetto di storia. (E' il mito dell'ulivo, di Atene e dei diritti che entrambi gli dei vogliono avere sulla città. Ammetto che mi sono divertita troppo a renderlo in questa fic in questo modo :'' )
2-Passa l'estate, Poseidone conosce Medusa. Si mettono assieme gli ultimi giorni di agosto.
3-Da settembre a marzo circa, Atena riallaccia i rapporti con Pos, bello felice con Medusa. A inizio marzo c'è ''lo scandalo a casa Chase'' a cui si alludeva negli scorsi capitoli.
4-Dopo il fattaccio, Pos diciamo che lascia-non-lascia Medusa. I due smettono di vedersi.
5-Pos, per cambiare aria o forse per reale interesse, vedremo poi, comincia ad andare dietro ad Anfitrite. Appena comincia a innamorarsi sul serio, lei lo lascia per Tritone.
6-Due anni dopo, abbiamo un Pos single, una Atena single, un odio imperituro dichiarato almeno da una parte. In sintesi, tutte le carte in regola perché si sposino e abbiano tanti bambini xD
 
Al prossimo capitolo: stavolta prometto di inserire gli Inferi ^^''
Spero vi piaccia il capitolo, lasciate qualche recensione se vi va *^* grazie. Un grazie speciale a Briciole_di_biscotto, come sempre.
Au revoir
Ali<3  
 

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Capitolo 14
*** Patto tra fratelli ***


 

ANGOLO AUTRICE
Scusate, scusate tantissimo. La scuola mi ha inghiottito e bla, bla, bla: la storia la conoscete. Sapete già che è una tragedia greca.
Questo capitolo è corto, ma con tre diversi miti rievocati in chiave moderna (che segnerò a fine capitolo). Ci tenevo a pubblicare perchè, ragazze, siete FANTASTICHE. Chi legge silenziosamente, chi segue, preferisce, ricorda, CHI RECENSISCE (La Posena risale la classifica delle coppie più shippate, 5 recensioni una più bella dell'altra per questi due sclerati cucciolotti *^*).... avete un posto nel mio cuoricino di autrice. Vi auguro buona lettura, quindi.
Lasciate una recensione, mh? Dai, che costa poco ;)
Bacioni,
Ali

 

Capitolo 13
 

Parola d’ordine: Patto tra fratelli


(La fine di una storia)

Zeus fu d'aiuto a Pos, in quel periodo. Quando Em veniva a cercarlo a casa Grace, era Zeus che usciva di casa e accampava una scusa. La prima settimana disse che Pos era malato, per questo non veniva a trovarla, a scuola. Dopo una quindicina di giorni, Medusa si fece aggressiva, ma il ragazzo le rispondeva sempre con una calma serafica che normalmente non gli si addiceva. Le sue parole erano mirate, cercavano di farle capire ciò che invece Em non voleva accettare.

Atena reagì in modo crudele: si fece disegnare da Apollo una caricatura di Medusa con i capelli, un po' crespi, nella vita reale, trasformati in viscidi e confusionari serpenti. Gli occhi avevano uno sguardo appositamente fisso, come se ti volessero scavare dentro fino a farti rimanere fermo, immobile, a contemplare l'opera di Apollo.

Atena aveva fotocopiato il disegno, poi, con una faccia da schiaffi invidiabile, lo aveva appeso un po' ovunque, per i corridoi. Qualche mano anonima aveva lasciato numerose copie davanti all'ingresso della scuola, così da facilitare la diffusione della crudele rappresentazione della ragazza.

Medusa cambiò scuola dopo alcune settimane, abbandonando così quei corridoi ormai per lei invivibili.

 

(La Fama)

La Fama, nella Olympus High School, aveva la ''F'' maiuscola.

Tutto era nato con uno strano annuncio posto sulla bacheca della scuola, davanti all'entrata.

''La Fama porta notizie, la Fama distrugge falsità e svela i segreti. La Fama non la conosce nessuno, ma tutti sono prede della Fama.''

Sotto questa curiosa descrizione, era stato scritto più volte un numero di telefono, con l'aggiunta di alcune istruzioni. Estia aveva afferrato un volantino, copia di quello dell'ingresso, con una leggera punta di curiosità. Ecate l'aveva affiancata subito dopo, cominciando a porre domande a raffica a cui nessuno sapeva rispondere. Ellen aveva immediatamente strappato il biglietto dalle mani di Estia, mandando un messaggio convenuto al numero sconosciuto.

''La Fama ha un nuovo accolito.'', aveva scritto.

Inutile dirlo, dopo qualche giorno, sempre davanti al cancello d'entrata, un secondo cartello portava disegnato sopra il simbolo della Fama, in seguito destinato ad essere ricopiato sui diari delle più grandi fan di quel fenomeno: all'interno di un cerchio vi era raffigurato una sorta di refolo d'aria, accuratamente formato da più e più biglietti, realizzati con una minuzia tale che, all'interno di quei rombi piegati da un vento invisibile, si potevano leggere delle parole. Alcuni fogli erano lettere d'amore, altri insulti a professori, o trame su come svergognare la bella ragazza di turno. Tutti questi scritti, che non era possibile leggere poiché minuscoli e disegnati solo in parte, facevano capire che nulla sfuggiva alla Fama, che la Fama era ovunque e che tutti erano prede della Fama.

Ecate aveva lanciato uno strillo eccitato quando, mentre camminava per i corridoi, il suo telefono, come quello di tutti coloro che si erano dichiarati ''accoliti'', aveva ricevuto un messaggio da parte del numero sconosciuto.

''La Fama ti ringrazia, ti osserva e ti promette un nuovo avviso.''

Da quel fatidico giorno, una mano invisibile tracciava il simbolo della Fama dove questa colpiva. Quando rivelò la tresca segreta tra due studenti, il cerchio era disegnato sulle porte delle classi dei due. Chiunque aveva mandato il messaggio riceveva gli scoop un giorno prima che questi fossero divulgati nel cartellone all'ingresso.

Ogni tanto le notizie mettevano in allarme persino i professori, che però non riuscivano mai a debellare i numerosi avvisi posti sotto al celebre simbolo.

''La Fama ti ringrazia, ti osserva e ti regala un nuovo avviso.''-iniziava sempre. Poi, un giorno aggiunse:''Il professor Chirone ha dimenticato nella fotocopiatrice i risultati dei suoi test di fine semestre. Per chi è interessato, sono disponibili al prezzo modico di mezzo dollaro da inviare al numero di telefono qui presente. Le soluzioni dei test saranno inviate via messaggio, è previsto il rimborso per chi non riceverà minimo una B.''

Quando Ecate lesse il messaggio, quasi si strozzò col succo di frutta. Fu l'unico test che ebbe una media superiore alla B in tutte le classi del professor Chirone. Atena stimò che la Fama era appena stata ripagata di tutti i soldi che aveva speso per la diffusione del marchio e per rispondere ai messaggi di tutti gli studenti. Anzi, probabilmente quella voce anonima aveva persino guadagnato più di cento dollari. Grazie al cielo, il professore non venne mai a sapere della soffiata, perché tra la Fama e gli studenti cominciò subito a crearsi un rapporto di reciproco vantaggio: tante, succose informazioni, per una copertura del, o della, misterioso agente che batteva il sistema lasciando i suoi messaggi in giro per la scuola.

 

(Gli Inferi)

Casa Grace si snodava per tre piani, Inferi a parte.

Quando i tre fratelli Grace erano piccoli, dormivano nella nursery. La pareti azzurro chiaro, le tendine di colori tenui alle finestre, tutto, in quella stanza, dava l'idea di essere dentro a un posto sicuro e accogliente, ma non adatto a tre piccole pesti che consideravano picchiarsi a sangue un'attività all'ordine del giorno.

Quando nacque Estia, Ade fissava la culla, il quarto posto per dormire, nella stanza, con occhi seri e poco interessati: era il terzo fagotto che vedeva arrivare da quando era nato e, vedendo come era finita con gli altri due, non considerava il nuovo arrivo come una buona novella.

Eppure la mamma gli aveva spiegato che, con il fagotto rosa, sarebbero cambiate molte cose. All'inizio pensò che sarebbero cambiate le sue ore di sonno: Es strillava per ore, quindi Ade era costretto a sbirciare sopra il bordo della culla per tendere una mano alla piccola sorellina. Es aveva bisogno di qualcosa da stringere nel piccolo pugno, quando dormiva, ma non si accontentava di un peluche, voleva la mano del suo fratellone Ade che, quindi si addormentava con la mano in quella della sorella e la fronte poggiata sul legno della culla. Quando Es smise di piangere, quando ormai si avvicinava il suo secondo compleanno, mamma Gea spiegò cosa sarebbe cambiato, nelle vite dei fratelli Grace. Non erano le ore di sonno, Ade si era sbagliato.

Lasciare la nursery gli fece strano, dopotutto. Pos e Zeus erano più piccoli di lui, ma cercarono di imitare il suo atteggiamento tranquillo quando scoprirono che avrebbero dovuto dormire da soli.

Papà non abitava più in casa, dall'arrivo di Estia nelle loro vite. A volte, Ade si ritrovava a ringraziare la presenza della sorellina, memore di alcuni ricordi confusi, carichi di urla e frasi che non capiva, che i suoi fratelli non potevano ricordare.

Anche Mamma sembrava più felice, dopo la nascita di una femminuccia, un po' di tranquillità rispetto ai tre discoli che si ritrovava.

Ade aveva sei anni, Pos cinque, Zeus quattro e la piccola Estia due. Fu esattamente un anno dopo l'addio della nursery che avvenne il referendum.

Casa Grace era un edificio meraviglioso, che, dai tre fratelli, era stato diviso in quattro zone.

La prima era la zona di pace. Il territorio della Mamma, di Estia, della nursery e dei luoghi dove non potevano litigare, cioè tutto il primo piano. Secondo Zeus era la parte noiosa della casa.

Al piano terra, poi, c'era una seconda stanza da letto, con un'enorme finestra che copriva quasi l'intera parete che si affacciava sulla piscina. Era la zona con il letto più grande, morbido e con un accesso al giardino, all'esterno, privilegiato -allora visto anche come un'ottima via di fuga dalle grinfie materne all’ora del bagnetto. Annessa alla stanza, a completare la seconda zona, c'erano sia la piscina che lo sgabuzzino delle scope, anche quello ottimo nascondiglio per i risparmi di una vita.

L'area più osannata, però, era la mansarda. Vi si accedeva tramite una scaletta arrugginita, che veniva da loro definita ''il ponte levatoio'': una volta entrati, si aveva la possibilità di andare non solo sul tetto, e sulla terrazza annessa, ma anche di godersi la mansarda stessa, una stanzetta dotata di un letto comodo, una TV personale e una pila di vecchi DVD che costituivano un tesoro molto ambito.

Solo l'ultima zona non presentava lati positivi.

Gli Inferi erano orribili, facevano paura. Al piano terra, infatti, una stretta scala portava giù, giù, fino alle viscere dell'inferno, appunto, come diceva Ade. La porta degli Inferi non veniva mai aperta, anche perché le stanze sotterranee erano sì cariche di tesori -giochi, vecchi ricordi dei nonni paterni e ancitchi album fotografici, oltre ai gioielli della nonna- ma anche fredde, senza finestre, illuminate da lampadine che sembravano riscaldarsi lentamente solo per lasciare gli ambienti al buio più tempo possibile.

Il referendum prevedeva il trasportare la guerra continua tra i tre fratelli dall’intera casa alla zona di pace. Le altre tre aree si sarebbero divise, in base alla camera da letto di ciascuna zona, diventando ognuna regno assoluto di ogni Grace.

Inutile dirlo, tutti e tre i bambini speravano di vincere la mansarda e i possedimenti circostanti. Solo Estia si era accontentata, piccola com’era, di ottenere solo la veranda in giardino e parte di quest’ultimo, dato che a nessuno sembrava davvero interessare quel misero appezzamento in confronto alla maestosità della mansarda.

Bastava pescare il dado azzurro e bianco e avrebbe vinto: facile, pensava Ade.

Poseidone stringeva il sacchetto di stoffa nervosamente, lasciando ad Ade la possibilità di pescare, opportunatamente bendato, uno dei tre dadi che avevano trovato per casa. Il dado azzurro rappresentava la mansarda, la felicità dei piani alti, il brivido di poter rimanere sulla terrazza dal tetto a tempo indeterminato. Il dado blu, lo scarto per il secondo più fortunato, lasciava come consolazione la piscina, almeno, e un letto veramente comodo. Il dado bianco, con i puntini neri, era per il perdente: gli Inferi, nonostante contenessero una stanza da letto abbastanza spaziosa, non li voleva nessuno.

Inutile dirlo, il referendum finì male.

***

 

Erano stati così tranquilli, a colazione, che Gea li aveva scrutati con sospetto. Perché le sue piccole pesti non si picchiavano, non lanciavano scatole di cereali da una parte all’altra del tavolo, rovesciando sale al posto dello zucchero nelle tazze dei fratelli?

In realtà, i Grace erano esaltati, determinati a vincere.

La mansarda sarà MIA.

Nessuno considerava possibile pescare il dado bianco.

Figurati se finirò negli Inferi.

Estia li guardava preoccupata, cercando di mangiare senza guardare dove fosse il cucchiaio, con scarsi risultati. Pos aveva lo sguardo fisso nel latte e picchiava i cereali immaginando fossero i suoi fratelli che affogavano. Zeus pestava i piedi contro il legno della sedia senza sosta, senza riuscire a mangiare. Ade, poi, sembrava assente: stringeva il cucchiaio tra le mani fissando davanti a sé una Estia ignara testimone di ciò che stava per accadere.

 

Visto da un occhio esterno, la cosa fu esilarante.

 

-MUORI. ORA. POS, AIUTAMI.

-A’e, Pos…-(la voce di Estia soffocata dagli urli infantili).

-Tu morirai ora, piccolo scarabeo stercorario!-(gli insulti di Ade erano sempre originali).

-Ho vinto io! Tu… tu sei solo un idiota!-(Zeus era più canonico).

-POS! Metà della mansarda se lo tieni fermo.-(gli alleati erano sempre fondamentali).

-Ade, lui ha pescato il dado azzurro... Se la mamma ci scopre, poi-(ma mettersi in posizione neutrale era la via della salvezza).

-IO NON ANDRO’ NEGLI INFERI!

-IO HO VINTO!

-IO NO, MA VIVO BENE LO STESSO, MI PIACE LA PISCINA.

-TU STAI ZITTO, POS.-(fu un coro che parve programmato).

 

-Voi tre ora andate a fare i compiti. Adesso.

 

Bastò una frase, non di più. Gea Grace aveva gli occhi ridotti a fessure, la mascella contratta, le braccia incrociate e il mento alzato. Gea Grace, quindi, faceva paura.

Ade teneva Zeus per i capelli, Pos era avvinghiato al fratello maggiore ed Estia sembrava essere sul punto di piangere. In meno di un secondo, si schierarono in fila deglutendo a vuoto.

-Siamo fottuti.

-Sempre così eloquente, Zeus.-commentò Ade con uno sguardo d’odio-Ma hai ragione.

Erano fottuti.

 

I miti sono:
-la spartizione dei cieli, dei mari e degli Inferi tra i tre fratelli dopo la cacciata di Crono
-il mito della Fama, qui una sorta Gossip girl crudele e con obbiettivi monetariamente renumerative (se qualcuno indovina chi è gli lascio inserire un suo personaggio nella storia u-u a mia discrezione)
-il finale del mito di Medusa. Un bel ritratto sa distruggerti :3, n'est pas?
saluto ancora ^^
Ali

 

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Capitolo 15
*** Inferi ***


Capitolo 14

Parola d’ordine: Inferi

CARONTE

La maestra Dorothea Wilkins si considerava fortunata. Il suo lavoro era qualcosa di meraviglioso, anche in quella scuola dove, un po’ per caso, un po’ perché il preside la riteneva incapace, le erano state assegnate le classi più problematiche dell’intero istituto.

Nonostante quindi ogni sua parola potesse essere usata contro di lei da una banda di teppisti in età scolare, ogni giorno Dorothea si presentava a scuola in scarpe lilla col tacco basso, tailleur e cappello a tesa larga abbinato. Il suo fisico, asciutto e senza troppe forme, era oscurato dal suo sorriso gentile, la pelle scura che faceva risaltare i denti bianchi e gli occhi dolci che sembravano partecipare anch’essi alla bellezza del suo sorridere.

Gli altri insegnanti la reputavano troppo buona, il suo programma scolastico troppo breve e personale -non poteva certo selezionare gli argomenti su cui concentrarsi in base alla classe!- e il suo buonumore mattutino semplicemente troppo… troppo.

In compenso, la Wilkins contemplava sempre tanti esemplari di persone frustrate e scontente del proprio lavoro con un lieve corrugarsi delle sopracciglia e uno sguardo compassionevole. Aveva ragione di pensare che dovessero passare davvero una pessima vita.

Dorothea amava i bambini. Adorava particolarmente insegnare a leggere e a scrivere, infatti, quando fece per la prima volta lezione alla 2°B, non si disperò trovando i suoi studenti praticamente analfabeti, anzi. Si promise di riprendere le basi con pazienza e metodo, aiutando quel piccolo gruppo di bambini pestiferi e un po’ maleducati a rimediare alla nullafacenza dell’anno scolastico precedente.

Così, un mese dopo la prima lezione, che era stata principalmente caratterizzata dal cancellino della lavagna che volava di mano in mano assieme a numerose palline di carta, la fantastica maestra Dorothea chiese ai bambini di provare ad assegnare a ciascuna lettera dell’alfabeto una parola che cominciasse con tale lettera.

Osservò con uno sguardo compiaciuto le teste chine sui quaderni, notando con piacere che persino ‘’Cerbero’’, come lo chiamavano tutti, aveva almeno imparato come scrivere accanto alla ‘’C’’ la parola ‘’cane’’.

Poi, vide il suo più grande cruccio dell’ultimo mese, un bambino così magro che ci si chiedeva se gli dessero da mangiare, dondolare distratto le gambe troppo corte per sfiorare il pavimento, guardando fuori dalla finestra.

Gli occhi chiarissimi erano venati di rosso, intenti a scrutare con una pallida ombra di indifferenza i bambini di altre classi uscire a giocare in cortile controllati a vista dai maestri.

-Come mai non scrivi?-gli chiese cercando di non far notare il suo sconforto.

-Non scriverei mai le parole che dicono gli altri.-rispose stupendola-Stupidi, come fanno ad arrivare a scuola sorridenti? Non sanno che non c’è speranza di essere felici?

Dorothea sussultò, seguendo lo sguardo dello studente: effettivamente, alcuni bambini entravano in ritardo di qualche minuto a scuola ridacchiando tra di loro, ma la seconda frase che quel ragazzino aveva detto era qualcosa di ancora di ancora più  sconvolgente ed inquietante.  Sentì un moto di istinto femminile-materno crescerle in petto: cosa doveva aver passato per dire cose del genere?

-Perché dici così? Se scrivi le tue parole, sarai sicuramente più originale e bravo dei tuoi compagni.-provò a sorridergli incoraggiante.

-Scrivo.

Dorothea sospirò, guardando il bambino dai capelli bianchi cominciare ad usare la penna con la mano che tremava.

 

A. La prima lettera.

Albino.

Non scrisse ‘’amico’’, ‘’albero’’, o ancora peggio, ‘’amore’’. Albino, perchè lui era albino e ogni giorno pensava che quei capelli troppo chiari fossero qualcosa di orribile. Contronatura.

B. Buono?

La maestra era buona, anche se non lo avrebbe mai detto davanti a lei.

C. Troppo facile, scrisse il suo nome. Diede uno sguardo alla pagina: le lettere erano simili a scarabocchi.

D. Disgrafico.

Lo definivano con troppe parole, avrebbe saputo fare il compito della maestra solo con quei termini. Disgrafico, in questo caso, dimostrava che non sapeva neanche scrivere come una persona normale.

E,F,G. Edera (quella a cui ti aggrappi sul muro del parco), foto (del papà in divisa sul comodino), gioco (nuovo che non puoi chiedere come regalo). Le prime parole che gli venivano in mente.

La penna lasciava la sua traccia sul foglio in un continuo trascrivere i suoi pensieri, parole che sembravano sconnesse tra loro, senza filo logico per tutti tranne che per lui.

E sentiva un moto di dolore, di rabbia, crescergli in petto scrivendo ‘’povertà’’ - perchè ‘’Siamo poveri, Caronte, devi capire questa cosa’’- , ‘’robot’’ -era il suo unico giocattolo elettronico che facesse bella figura, che ancora si muoveva guidato da un telecomando, ma si stava rompendo e dopo non avrebbe avuto più nulla con cui giocare…-, ‘’silenzio’’ -ciò che lui odiava, preferiva sentire le urla dei personaggi dei film horror della mamma che rimanere in quell’appartamento piccolo e animato solo dalla musica del vicino del piano di sopra che si sentiva attraverso i muri-.

Dorothea guardava quelle sottospecie di geroglifici con il cuore colmo di affetto e compassione per quel bambino che scriveva ‘’malvagità’’ al posto che ‘’maglione’’, ‘’tasse’’ invece che ‘’trenino’’...

‘’Vigliacco’’ invece che ‘’volpe’’ o ‘’vaso’’. Vigliacco.

-Bambini, dov’è Caronte?

‘’Cerbero’’ Three storse il naso, annaspando mentre borbottava:-E’ uscito,se n’è andato.

Dorothea uscì dalla classe urlando il nome del bambino, anche se sapeva già che non lo avrebbe trovato più dentro quella scuola in cui non c’era speranza di essere felici.

 

*******

Ultimo anno di scuole superiori, sesta fuga dall’aula. Caronte Cinder si sedette a gambe incrociate sul primo muro deserto che trovò, in una stradina così sporca che pochi vi sarebbero entrati. Si scostò un ciuffo bianco dagli occhi, mentre aspettava i suoi unici amici.

Cerbero non aveva il fegato, né l’abilità, di sfuggire agli sguardi vigili dei bidelli e dei professori, né tantomeno sarebbe stato abbastanza magro da infilarsi nel vasistas delle finestre del bagno aperte dopo essersi arrampicato a fatica. Caronte però era bravo a fuggire, e stava scrivendo febbrilmente sul telefonino un ‘’sto arrivando’’.

Si strinse nella felpa, incrociando le braccia mentre appoggiava la testa al muro, esponendo il collo sottile e niveo all’aria di settembre, deglutendo a vuoto.

Aveva voglia di vedere gli altri, ma sapeva per esperienza che ormai mandavano sempre un bidello a controllare attorno alla scuola per vedere di scovare Cinder, il ragazzino che ogni due settimane decideva di uscire prima degli altri. Non poteva rischiare di essere visto mentre era costretto a camminare davanti all’istituto, sarebbe stato un pasticcio tremendo.

Aspettò venti minuti, sospettando che Seb, il bidello scansafatiche che coglieva sempre l’opportunità di avere la possibilità di acchiappare Caronte, che odiava con tutto il cuore, avrebbe continuato a cercarlo come minimo per un quarto d’ora prima di aver voglia di tornare a sedersi a scuola.

‘’Arrivo, campo libero’’ inviò a Thanatos, che ovviamente rispose con una faccina idiota ‘’:D’’.

Camminare verso il quartiere ‘’in’’ gli avrebbe sempre fatto strano, realizzò, anche se ormai casa Grace gli era più familiare del minuscolo appartamento di sua madre. Se Gea Grace infatti non l’aveva presa in simpatia, così non era successo con il figlio maggiore. Ade era sostanzialmente insicuro, schivo e pessimo nei rapporti interpersonali. Le dimostrazioni di affetto che riservava ad Estia erano una rarità, frutto della differenza di età e di una vita passata a guardare quel fagottino rosa con apprensione, senza vergogna di mostrare il proprio attaccamento. Ade era cosciente di non saper essere né comandante né leader volontario, e questo Caronte l’aveva capito subito: Ade odiava essere il fratello maggiore che doveva dare l’esempio, perché nessuno gli dava davvero la possibilità di mostrarsi come tale, i suoi fratelli sapevano benissimo che non era adatto. Caronte lo aveva accolto come ‘‘capo’’,da ragazzino problematico che sapeva aver bisogno di amici a ragazzo meno problematico che però necessitava di trovare il suo posto.

Era stato Thanatos a decidere di sfruttare gli Inferi, però. In seguito avrebbe sempre fatto rimarcare la sua importanza in quel frangente, alludendo leggermente a come si trovassero tutti bene, nel piano interrato di casa Grace. Il risultato del sorteggio dei dadi all’inizio aveva sempre ricordato ad Ade quanto, in fondo, la sua vita fosse leggermente ironica: troppo ombroso per essere un fratello maggiore ad hoc, era diventato il meno importante, quello relegato in cantina. Era Zeus quello che, quando si arrivava al nocciolo della questione, si faceva valere. Non Ade, che ormai era sempre più pallido mano a mano che diminuivano le sue uscite dagli Inferi quasi a sembrare un cadavere, o, come diceva Zeus, ‘‘Peggio, un emo!’’-per quanto Thanatos avesse numerosi aspetti emo, soprattutto da più piccolo, e Zeus non avesse mai avuto il coraggio di dirgli qualcosa.

Thanatos aveva preso gli Inferi e li aveva trasformati in un ambiente abitabile, insonorizzando una stanza pur di sfoggiare le sue abilità musicali trasportando lì i suoi strumenti, chitarra elettrica compresa, adibendo l’ambiente a ‘‘sala prove’’. Gli Inferi rimanevano cupi, certo, e neanche un posto allegro, ma almeno riuscivano tutti a porvi un tocco personale per chiamare quella cantina ‘‘casa’’.

 

Caronte entrò di nascosto, sfruttando il passaggio utilizzato una volta, circa cinque anni prima, da quel bambino dai riccioli d’oro fissato con la musica -Orfeo, si chiamava? Od Oreo, come i biscotti?

Orfeo-Oreo Cithara era il ragazzino convintissimo che la sua fidanzatina delle medie, Euridice, fosse finita negli Inferi per errore, quando Andrew aveva semplicemente preso coraggio e le aveva chiesto aiuto per una verifica di scienze sui rettili. Nella versione del bambino dal viso d’angelo che sembrava uscito da qualche mito antico -andiamo, chi sapeva suonare una cetra a tredici anni? Un bambino di tredici anni normale, si intende- la sua ragazza era stata fatalmente trasportata negli Inferi contro la sua volontà, quindi si era con molto coraggio si era lanciato nella tana del lupo trovando un punto in cui la rete della recinzione del giardino era facilmente scavalcabile.

Era finita bene, anche se Orfeo ci era rimasto malissimo quando Euridice era tornata negli Inferi per finire di studiare invece di fuggire, ‘‘salvandosi’’, con lui. Se ben si ricordava, a quel tempo, mentre Ade era già andato a studiare da solo lamentandosi per la loro rumorosità, non era stato lui, Caronte, né Zeus o Pos a pacificare gli animi e ad evitare che Ade si lanciasse, imbufalito, contro Oreo, cioè Orfeo.

Come si chiamava, pure, quella bambina che sapeva citare a menadito i nomi latini dei fiori, quella che aveva degli occhi verdi particolari e i capelli… di che colore aveva i capelli? Comunque, se non si ricordava male, era la sorella di Demi. Sì, era la sorella di Demetra Gardner. Il suo nome, però, non avrebbe saputo dirlo. Si ricordava che la ragazzina era venuta occasionalmente in casa Grace per studiare con la sua amichetta Euridice, e che era rimasto sorpreso quando quello scricciolo aveva cominciato a parlare in modo stentoreo ma dolce richiamandoli all’ordine in pochi secondi. Aveva bloccato Orfeo, spiegandogli al situazione in poche semplici parole, e rassicurato Euridice che non doveva assolutamente arrabbiarsi con il suo ragazzo per la pessima figura che gli stava facendo fare. Aveva zittito Thanatos, che stava già partendo in quarta contro Orfeo, e aveva bussato un attimo alla porta della stanza dove studiava Ade per ricordare a tutti chi rischiavano di far arrabbiare.

Era calato un silenzio di tomba, mentre Ade sibilava un:-Ascoltate la bambina.

La sorella di Demi aveva ignorato con nonchalance il modo in cui era stata chiamata e aveva risolto la cosa. Il rapporto tra Orfeo ed Euridice si era, in seguito, irrimediabilmente deteriorato: Orfeo si era dimostrato melodrammatico ed esagerato come sempre, cominciando a dire in giro che aveva perso Euridice per sempre in circostanze tragiche.

A Caronte, questo era importato poco, tanto lui era più grande di Thanatos di un anno e aveva già preso una insufficienza in quel compito un anno prima. Ormai Caronte era andato in una High School di periferia, giusto per dimostrare a sua madre che continuava a studiare. A quel tempo, comunque, andava tutto abbastanza bene.

 

CARONTE/THANATOS

Ade lo aveva salutato con un burbero ‘’era ora’’, mentre Andrew era ancora nella stanza insonorizzata alle prese con qualcosa di estremamente rumoroso: continui trambusti e rumori metallici provenivano dalla stanza dove Thanatos teneva gli strumenti, e Caronte si limitò a dare un calcio alla porta socchiusa così da contenere i rumori molesti.

Negli Inferi c’era sempre un continuo andare e venire di persone che si trovavano ‘’nei guai’’: o perché facevano qualcosa che non dovevano fare -cioè andavano contro le regole di Ade, Andrew e Caronte interne alla Olympus- o perché Andrew faceva continue selezioni per formare una band. Thanatos, infatti, nonostante fosse soprannominato ‘’la morte’’ nella squadra della scuola di football americano, aveva un voce bellissima e amava la musica quasi quanto Apollo Solace, che però era certamente più versatile in ogni branca musicale del figlio della signora Nyx, tremendo incubo per coloro che facevano rumore attorno a casa sua.

Andrew sapeva che sua madre adorava il silenzio, soprattutto dopo il tramontare del sole. Nyx era rimasta vedova poco dopo la nascita di Andrew Thanatos, che aveva ereditato da lei i capelli scurissimi e mossi, e di Hypnos, più fragile e meno volitivo, la capigliatura sempre riccia come la madre ma di un tenue colore dorato, lascito del padre. I due non potevano essere più diversi, ma si completavano con una facilità e un affetto al di là di tutto disarmante. Sapevano litigare per tutto, perchè uno era un inguaribile filosofo -’’esperto di pare mentali’’, per alcuni-, pessimista e dispensatore di perle di saggezza come ‘’tanto tutti devono morire’’, mentre Hypnos  era dolce, amante del ‘’vivi e lascia vivere’’ ed incredibile, stoico, pigro. Qualsiasi cosa succedesse, Hypnos rimaneva ben deciso a voler dormicchiare e rimandare al giorno dopo ogni cosa da fare. Thanatos faceva tutto e subito, era ‘’puntuale come la morte’’, come usava dire, e certamente aveva un istinto da fratello maggiore verso il fratello gemello che spingeva Andrew a cercare ogni giorno di risollevare Hypnos dalla sua pigrizia. Non che Hypnos non facesse mai nulla, era uno scrittore eccezionale - ‘’le migliori idee vengono dormendo, nei sogni’’- ma era come se il suo fratellino dall’aspetto così cherubico avesse paura di affrontare la realtà, preferendo una parvenza di sogni che si mescolavano con la vita quotidiana. Quando erano piccoli, Hypnos era capace di immaginare che qualsiasi cosa mangiasse avesse una storia, fino a rifiutarsi di mangiare uno spicchio di mandarino perché era così piccolino, doveva prima ritrovare la sua mamma, non poteva già essere grande. Al che Thanatos rispondeva che la mamma dello spicchio di mandarino era morta e trangugiava il piccolo orfano senza pietà. Eppure i due si volevano bene, un affetto totalizzante e sincero che spingeva Thanatos a tornare a casa ad orari decenti anche dagli appuntamenti con Demetra pur di trovare, se aveva fortuna, il fratello non ancora addormentato. Solo così poteva sentire da lui tutte le storie più belle che nascevano da quell’universo onirico in cui Thanatos non sarebbe mai riuscito ad entrare. Hypnos glielo diceva spesso, al fratello, che quel mondo non era adatto ad Andrew: se Thanatos filosofeggiava, lo faceva con la ragione, con i capisaldi di morte e vita e cambiamenti che Hypnos spesso dimenticava. I suoi personaggi, dicevano, erano fortunati perché non sarebbero mai davvero morti. Se una storia di Hypnos terminava con la morte del protagonista, Thanatos si deprimeva, e il fratellino rispondeva che non capiva l’essenza della storia, o il fatto che la morte di William fosse l’unico modo per fargli raggiungere l’amata sorella. Ade era spesso geloso di Hypnos, perché Andrew era il suo fratello non di sangue, e le storie di Ade erano molto più truculente e crude di quelle di Hypnos. Hypnos era il sogno, Ade l’incubo, e Andrew stava in mezzo tra i due.

Hypnos apprezzava molto la musica del fratello, dai primi componimenti al piano agli assoli di chitarra che gli faceva sentire: aggiungeva spesso delle note che rendevano la musica più eterea e dissonante, con alcuni suoni che facevano provare qualcosa in più rispetto alla musica normale, come fossi immerso nei tuoi pensieri in un sogno, dove ogni ragionamento ne scatena tre completamente diversi e collegati da un filo di irrazionalità. Spesso aiutava Andrew a nascondere gli strumenti quando Nyx tornava, così che il silenzio permettesse alla donna di risentire gli echi dei ricordi in cui suo marito era ancora vivo.

Quando Andrew cominciò a suonare negli Inferi, Caronte accettò la cosa con una punta di curiosità, perché spesso il ritmo della musica gli faceva battere il piede a tempo senza che se ne rendesse conto.

Quel giorno, dopo la sesta fuga da scuola, Thanatos uscì dalla stanza insonorizzata e disse:-Si avvicina il tuo compleanno, quindi ti ho fatto una sorpresa.

L’albino si bloccò sul posto, corrucciato: spesso non amava le sorprese, ma si fece scortare lo stesso bendato nella stanza degli strumenti.

E allora la vide, l’unico grande amore della sua adolescenza: una batteria nuova di zecca, una sfida in cui Caronte si buttò a capofitto diventando il batterista di Thanatos senza neanche pensarci due volte.

-Secondo mio fratello dovresti dare un nome alla batteria.

-Hypnos è un drogato.-commentò Ade, e Caronte annuì in risposta.

-Già, secondo lui come si chiama?

Andrew accarezzò con lo sguardo la batteria, porgendo a Caronte due bacchette:-Si chiama Stige.


Angolo Autrice:
Sì, sì, sì. Il Lucca comics mi ha fatto bene, e oggi sono riuscita a terminare la parte di questo ultimo, importante capitolo.
Volevo presentare gli Inferi al meglio, e voilà: all'inizio spero non vi siate annoiati, Caronte meritava il suo spazio. Il suo POV, soprattutto sulla sua infanzia, è importante per mostrare questo quarto cavaliere degli Inferi. Si è pure visto Cerbero da piccolo :'', ma soprattutto.... THANATOS E HYPNOS.
Sì, loro due mi piacciono un sacco e... spero non amiate troppo la coppia Demetra/Thanatos, perché per Andrew, come per Ade, ci sarà un lungo cammino da percorrere. E Hypnos è un amore, soprattutto perché sarà fon-da-men-ta-le. Quel piccolo angelico pigro scrittore merita tanti commenti pucciosi, sappiatelo.
Che altro dire? Ah, già. OREOOOOO! Pardon, ORFEEEEO XD. Il mito di Orfeo con lo sguardo di Caronte, che ovviamente non puù ricordarsi il nome di Sefi (la sorella di Demi 2 e la vendetta, o meglio, il prequel). Sefi è già entrata in contatto con Ade, che ovviamente si è scordato di aver detto ''ascoltate la ragazzina''. Chissà che questa storia non salti fuori in futuro.
Abbiamo tante cose in ballo, da Ermes ad Ade a Pos! Lasciate un commentino che vado a studiare :''
Bacioni, un mille grazie per le 70 persone che seguono/preferiscono questa storia!
Ali
P.S. mi piacerebbe fare una pagina facebook della storia, a voi andrebbe? Ci sarebbero spoiler, scleri e conversazioni mitologiche ;) e non solo!

 





 

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Capitolo 16
*** Over the rainbow ***


Capitolo 15
Parola d’ordine: Over the rainbow

ERMES
 
Ermes sentiva in quel momento il disperato bisogno di Sferraglia. Non perché avesse paura di essere preso -picchiato a sangue e probabilmente menomato a vita- da Cerbero Three, ormai non vedeva più il suo inseguitore alle calcagna. Ermes semplicemente amava sentirsi abbastanza veloce da fuggire da tutto, quindi correre, correre lontano, non era più abbastanza.
Dopo qualche anno, Ermes avrebbe continuato a ricordare quel momento con una precisione che solitamente ritrovava solo nel riportare alla mente i momenti più importanti della sua vita.
L’insegna era una semplice frase che illuminava con una luce neon blu lo spiazzo davanti al negozio.
Due o tre gattini miagolavano davanti all’entrata, ed Ermes non poté fare a meno di pensare che fossero davvero carini. Uno dei mici, un batuffolo bianco con dei bellissimi occhi azzurro cielo, si mise a seguirlo, incuriosito dalla presenza di una persona sconosciuta davanti al negozio. Intenerito, il ragazzo raccolse il gattino per la collottola, osservandone il muso peloso.
-Ma sei carinissimo-disse, dimenticandosi per un attimo dello sguardo deluso di Artemide. Il suo cervello stava già distruggendo i possibili sensi di colpa: era stato solo un piccolo furto, prendere la bici di Cerbero ricadendo così nell’illegalità!
Stava accarezzando il pelo morbido del gatto, quando immediatamente sentì un brivido scorrergli lungo la schiena, una sensazione spiacevole che provava solo quando i commercianti lo scrutavano diffidenti mentre rubava, o provava a rubare.
Si voltò e vide la persona che avrebbe scoperto essere, forse, allo stesso tempo uguale e diversa da lui.
La ragazza era una accozzaglia di capelli chiarissimi, alcune ciocche dipinte di blu, un ciondolo a forma del simbolo della pace appeso al collo e un sorriso che voleva significare ‘’giù le mani dai miei gatti’.
-Ehm, non volevo rapire nessun gattino innocente.- si difese appoggiando a terra il piccolo, che schizzò verso la ragazza dai capelli colorati.
-Sarà meglio, soprattutto per te. Steve ha la mania di graffiare, dopo ti ritrovi le mani come le mie.
Mostrò le dita fasciate, ricordando ad Ermes il personaggio di Dobby in ‘’Harry Potter’’.
-Mh. Steve?-commentò inarcando un sopracciglio. Lui avrebbe preferito chiamare i gatti Pallina, Fuffi, o che so io. Steve era tante cose, ma non un nome adatto a una palla di pelo bianca come quel cosino lì.
-Steve Rogers II. Suo fratello Bucky è quello nero.
-The winter soldier.
Le parole gli uscirono spontanee, stupite. Leggermente ammirate, avendo immediatamente colto la citazione della ragazza.
Lei fece un sorrisetto, uno sbuffo accondiscendente.
-Ovvio. Seguimi, se non vuoi che quella sottospecie di Hulk ti prenda e mutili gravemente.
Si voltò, senza dare il tempo ad Ermes di dire, a sua volta, un ‘’ovvio’’ sussurrato.
 
***
Si chiamava Iride Flaw, ed aveva qualche anno in più di lui. Lavorava come impiegata - ‘’come vittima sottopagata piegata appunto dalle avversità’’, citando le sue parole-  per sua nonna. L’amabile vecchietta era in quel momento rappresentata solo da una sua foto con sopra un post-it recante la parola ‘’LAVORA’’. Iride aveva gli occhi azzurri come il cielo di primavera, un colore molto simile a quello delle iridi di Apollo, e i capelli, che fuori dal negozio gli erano parsi bianchi, erano semplicemente biondo platino, ma alcune ciocche si rivelarono blu elettrico - ‘’10$ di tinta artigianale, un furto’’. Ermes la trovò ancora più simpatica quando notò i numerosi tic nervosi che aveva -si toccava la punta del naso leggermente appuntito ogni volta che era a disagio- e quando disse a Cerbero:‘’Il ragazzo che correva urlando come una femminuccia è andato dall’altra parte, sei fuori strada.’’.
In sintesi, lo aveva salvato. Già, incredibile.
-Allora esistono ancora le persone pure di cuore a questo mondo.-declamò nascondendo la sua reale gratitudine.
-Ermes, giusto?-rispose la ragazza mentre spariva nel retro del negozio.
Ah, già, il negozio. Anche quello stuzzicava l’interesse di Ermes.
Era pieno di cianfrusaglie, anche se l’insegna diceva ‘’Rainbow Delivery Service’’. In sintesi, non era solo una ‘’ditta di trasporto merci, lettere e oggetti culinari’ -chissà perché secondo la nonna di Iride non andavano inseriti nell ‘‘merci’, si chiedeva Ermes mentre leggeva il sottotitolo dell’insegna. Il negozio sembrava sul punto di crollare su sé stesso per la quantità di ciondoli, bracciali, cappelli, fasce per capelli -il tutto fatto a mano- che affollava le mensole sulle pareti.
Ermes scorse un possibile regalo per ogni suo amico, compreso un fantastico cartello ‘’Non disturbare. La musica è una cosa seria’’ per Apollo, da appendere sulla porta della sua camera. Tanto il suo migliore amico diceva sempre di andare a studiare quando poi si sentivano gli assoli di chitarra attraverso il legno della porta. Altro regalo fantastico, un orologio che segnava sempre dieci minuti di ritardo per Atena: così avrebbe smesso di arrivare sempre in orario e con la tracotanza di chi sa di esserlo. Erano tutti oggettini originali, dal gusto più o meno pacchiano e molto colorato.
Quando capì che Iride gli aveva chiesto una conferma sul suo nome, si affrettò a rispondere:-Sì, Ermes. Ermes il Furbo, per gli amici.
Davanti al sorrisetto strafottente del ragazzo, Iride arricciò le labbra con un’espressione di superiorità.
-Ermes lo Sconsiderato. Non si offende il nemico che non si può battere.-disse, dopo essere uscita dalla stanzetta retrostante con sei o sette pacchi, indirizzi scribacchiati in un angolo della carta gialla.
-Non è la prima volta che rubo alla persona sbagliata. Anzi, spesso i furti peggiori hanno avuto conseguenze meravigliose.
La ragazza pareva scettica.
-Nel senso che venire picchiato da quell’energumeno simile a un cane sarebbe stato un ottimo risultato?
-Per ora prendere quella bici mi ha portato a conoscere te.-rispose con una adorabile faccia da schiaffi, tanto che Iride scoppiò a ridere piano e lasciò perdere.
-Lasciamo stare, va’. Mi sembri un gran piantagrane e io devo chiudere il negozio.
Pareva dispiaciuta di doverlo farlo andare via, ma l’orario era davvero improponibile per tenere le luci accese in quella piccola bottega. Ermes la osservò mettere a posto alcuni cappelli da cowboy rosa e azzurri in uno scaffale, arrampicarsi su una scaletta per aggiustare la disposizione di pupazzetti di lana e portachiavi. Iride prese poi Steve II, Bucky e Greg -Greg era un gattino nero con gli occhioni verdi talmente bello che Ermes avrebbe voluto rubarlo e cambiargli il nome in Loki, o qualcosa del genere- li imprigionò a forza in un buco nero di coperte di lana dentro ad un cesto di vimini, chiuse la porta che conduceva al retro del negizio e rivolse infine un sorriso soddisfatto allo specchio di fianco alla suddetta porta, il tutto in qualche secondo.
-Wow, sei veloce.-commentò, chiedendosi da dove gli uscivano questi commenti così eloquenti. Probabilmente lo influenzava l’apparente capacità di Iride di resistere al suo sorriso da ladro. Ermes pensava di avere un meraviglioso sex appeal, un fascino che si sarebbe potuto trovare solo in Arsenio Lupin o Zorro; probabilmente sperava, sotto sotto, che le persone avessero compassione di un ladro -più o meno- pentito come lui, e allo stesso tempo non poteva accettare di essere davvero compatito.
Iride lo guardò in modo strano, come se non capisse qualcosa e allo stesso tempo non volesse chiedere.
-E tu sei quasi interessante. Un ladro che cerca una casa.-rispose la ragazza-Quando avrò bisogno che tu mi ripaghi il favore ti saprò trovare, Ermes. Sono brava a recapitare messaggi.
Si voltò a far scendere la serranda sul negozio, l’insegna non rischiarava più l’asfalto con la luce azzurra.
****
 
ZEUS
Apollo la chiamava ‘’maledizione del dopo - sbornia’’, anche se era solo una diceria. Ermes  non vi badava molto, perché troppo spesso era perseguitato dalla sfortuna per essere più accorto in alcune speciali occasioni. In realtà, il tutto era una diretta conseguenza dell’alcool in corpo.
Secondo tale maledizione, che Ares appoggiava in pieno al gemello di Artemide, la mattina dopo una festa -che si fosse bevuto, che ci si fosse ubriacati, o meno- gli astri si muovevano in modo la lanciare verso quello strano gruppo una serie di cambiamenti, perlopiù in negativo. Ci si poteva trovare, la domenica mattina, a fronteggiare la fine imprevista delle scorte di caffè o minacce di morte da parte di persone non bene identificate -era successo, a Zeus, ma stranamente Grace ne usciva sempre illeso.
A volte si litigava a causa di ciò che era successo la sera precedente -Eris cercava sempre di dare il suo contributo a riguardo-, oppure qualcuno si ritrovava vuoti di memoria che si potevano imputare all’alcol senza problemi. Secondo Estia, quella scusa era solo un meccanismo di difesa mentale per non acccettare ciò che avevano combinato senza freni inibitori il giorno prima.
Ade non credeva a quella diceria, anche se quella mattina aveva assunto un’aria talmente funerea da far innervosire Estia dopo qualche minuto: i due non si erano ancora riappacificati, dopo che la ragazza aveva urlato al suo adorato fratello tutta la frustrazione che nasceva dall’essere la piccola, unica femmina, di casa.
   Zeus se ne preoccupava poco: i suoi contatti con la sorella erano sempre stati ridotti al minimo indispensabile, forse perché l’arrivo di Estia l’aveva messo in una posizione spiacevole, in fatto ad età. Zeus si era subito reso conto di non essere Poseidone, che era abbastanza vicino ad Ade in età per sentirsi grande, per sapersi ritagliare dei momenti -rarissimi- in cui stava al centro dell’attenzione di sua madre.
All’inizio, aveva mal sopportato Estia perché, se fosse rimasto il più piccolo, avrebbe ricevuto più attenzioni da Gea e i suoi successi sarebbero valsi il doppio: avrebbe voluto dire che aveva fatto qualcosa che i suoi fratelli maggiori non erano riusciti a fare. Erano pensieri meramente infantili, che però erano rimasti, un tarlo continuo dentro la testa.
      Solo quando aveva raggiunto i sette anni di vita qualcosa era cambiato: aveva scoperto cosa era successo il giorno della sua nascita ascoltando la vicina, Akhlys, spettegolare con una sua amica davanti alla loro porta di casa.
Crono Grace era sempre stato un ottimo argomento di conversazione, che Akhlys riprendeva ciclicamente aggiungendo ogni volta nuovi particolari velenosi. Il signor Grace, comunque, all’inizio era conosciuto dai vicini perché, essendo l’erede della Uranos Company, avrebbe potuto non muovere un dito fino alla morte e vivere comunque con un reddito annuo con tanti zeri. Sua moglie, di notevole bellezza, sembrava, agli inizi del loro matrimonio, pendere dalle labbra del marito. E qui Akhlys cominciava a sorridere –Brutta vecchia inquietante, diceva sempre Pos- e raccontare come il rapporto fosse degenerato: alcuni insinuavano che lei, o lui a seconda dei casi, avesse tradito la propria dolce metà, facendo crollare la famiglia appena costruita.
Altri sostenevano che Gea avesse tentato di rubare dei soldi a suo suocero, Urano, il padre di Crono. In realtà, si sbagliavano su tutta la linea, e quando Zeus ebbe sette anni sentì la vera storia.
Crono Grace era uno stronzo della peggior specie.
Disse proprio così la vecchietta, senza giri di parole. Gli occhi scuri, torbidi, si spostarono sulla porta d’ingresso della casa come se potesse vedere attraverso i muri, scovando le persone di cui stava parlando. Zeus, che era nascosto in un angolo del giardino, si scurì in viso. Suo padre non c’era mai stato. Ade a volte provava a descriverlo, perché era vissuto qualche anno con la presenza di Crono ancora nella casa, ma non parlava mai di quell’argomento tabù davanti alla madre. Zeus, fino a quel giorno, sapeva solo che suo padre se ne era andato dopo la nascita di Estia.
-Vedi-aveva detto Akhlys con quell’aria compiaciuta, da avvoltoio-se dico una cosa del genere c’è una ragione.-si era chinata in avanti, verso la sua interlocutrice-Lui non voleva avere figli. Ha minacciato di ucciderli appena nati, sai, di soffocarli.
Il sangue si era gelato nelle vene di Zeus, il respiro aveva cominciato a correre veloce, pensò che sarebbe morto in quel momento, di crepacuore, come Ade gli aveva raccontato fosse possibile accadere ai cervi, sentendosi braccati e senza via di scampo.
Lui si era sentito un cervo, che appena pensa di aver trovato l’equilibrio sulle gambe troppo magre, appena uscito dal ventre materno, cade rovinosamente a terra.
-Senza la bambina-la voce di Akhlys era corrosiva, quasi-senza di lei, oh, quei bambini sarebbero senza un soldo.
Il cuore si strinse come compresso da una morsa di acciaio.
-Quando Gea Grace rimase incinta, i medici convennero che era difficile stabilire il sesso del nascituro, ma erano quasi sicuri che si trattasse di una femmina. Crono, che era parso tutto fuorché felice della notizia della gravidanza, sembrò improvvisamente entusiasta del futuro erede, e riempì la moglie di attenzioni, fino al giorno in cui Gea partorì. Un parto prematuro, sai, ma il bambino sembrava stare bene.
Le parole di Akhlys lasciarono un silenzio agghiacciante, una volta dissolte nell’aria. La donna emise una risata rauca, come se dopo la storia fosse molto meglio.
-Era un maschio, capisci? Un maschio, un erede! E Crono fu così arrabbiato che lasciò cadere il bambino come se fosse schifato del contatto. Ci scommetto che ha una cicatrice sulla zucca, il maggiore.
Ade aveva, effettivamente, una ferita sulla fronte, ma la notavano solo quelli che conoscevano la storia –fasulla- secondo la quale si era procurato quella ferita sbattendo la testa contro il legno della culla.
-Crono non voleva dei maschi, perché il vecchio Urano aveva deciso di lasciare il tutto al nipote maschio maggiore, non appena questi avesse compiuto un singolo anno. A Crono non rimaneva un soldo bucato, niente, era un problema! Eppure, rimase. Forse provava davvero qualcosa per quella là-indicò con la testa la casa-o forse non voleva che la gente parlasse male di lui- e qui esibì, divertita, una chiostra di denti gialli-Passò un anno, e la moglie rimase incinta di nuovo. Ed era sempre una scena comica, perché Gea prometteva una figlia femmina, invece anche il secondo si rivelò un maschio! La situazione si aggravava, perché Urano non modificava il testamento. Alla terza gravidanza, Gea stette male e al settimo mese di gravidanza furono costretti a ricoverarla in ospedale. Il bambino, o, come diceva lei al marito, la bambina, scalciava troppo, ed alla terza gravidanza poteva incorrere in alcuni problemi.-riprese fiato, e Zeus tremava, perché era la sua parte della storia.
-Crono era sempre più arrabbiato, perché i figli non riusciva a sopportarli. Aveva cominciato a bere, a non dava eanche la parvenza di lavorare. Ho scoperto, qualche giorno fa, una cosa: l’unico modo, per Gea, per trattenere il marito, era stato quello di modificare il testamento di Urano con una clausola ben strana: -sollevò lo sguardo come per dire ‘’senti un po’ qua’’-non appena il figlio maggiore di Gea avesse compiuto un anno, Urano aveva deciso che avrebbe tagliato i fondi al figlio riservando il capitale al nipote. Ma! Se i figli avessero avuto un solo anno di distanza l’uno dall’altro, cioè se ogni anno Gea avesse avuto un figlio, a Crono sarebbe rimasta la possibilità di gestire in quegli il patrimonio del padre.Come, ti chiederai tu! Come?–Zeus inspirò, non stava capendo niente di quel discorso-Il nome di ciascun figlio sarebbe stato fatto ‘'sparire’’ dal testamento al compimento di un anno, e sarebbe stato sostituito da quello che lo seguiva in età. Come se, al compire di un anno, morisse. Puff! Era un continuo sostituire la data di scadenza, si aggiungeva un anno di tempo a Crono per gozzovigliare.Quando Gea non avrebbe più potuto fare una cosa del genere perché un pupo appena nato non si sarebbe trovato, allora Crono avrebbe potuto andarsene con la somma di denaro destinata a Gea, che aveva riscosso le simpatie del vecchio Urano molto più del figlio maggiore. Quindi-ripetè-Ade compì un anno, ma nel testamento apparve scritto ‘’Poseidone Grace’’, che un anno di vita ancora non aveva. Fuori uno, fuori due, anche Poseidone compì un anno: quando Zeus stava per rivedere anch’egli il giorno della sua nascita sul calendario, Gea era alle strette. Le serviva ancora suo marito, perché senza i documenti del divorzio a lei non sarebbero rimasti soldi, Crono stava arraffando il capitale del padre. Fu allora che rimase incinta della bambina che tanto il padre aveva sperato. Crono se ne andò quando questa nacque, ma appena vide che era realmente una femmina firmò i documenti del divorzio, lasciando i tre maschi illesi in cambio di una somma esorbitante di denaro. Il tutto perché, in quella mente contorta, l’unico essere a cui voleva augurare un po’ di bene era la figlia femmina. Senza Estia, Crono avrebbe lasciato la moglie senza soldi, rubando tutto prima che Zeus compisse un anno.
 
Zeus non aveva capito molto di quella conversazione, se non una cosa: senza Estia e la sua presenza femminile, non avrebbero avuto una esistenza tranquilla come quella che avevano potuto vivere.
Allora, ti chiederai tu, confuso dal raccontare sconclusionato di una vecchietta, come mai Zeus, sapendo questo, non si sia avvicinato, anche poco, ad Estia. Le doveva molto, tutti le dovevano molto, per il semplice fatto di essere nata femmina. Ma Zeus, ovviamente, non poteva dirlo, non voleva: sentiva che quel segreto terribile su loro padre era stato loro nascosto per un motivo. Ed Estia, secondo lui, non meritava onori e gloria solo perché Crono era uno svitato che non voleva eredi maschi. Quindi aveva continuato come se nulla fosse, picchiando i fratelli e ignorando la sorella, prendendo in giro il cuginetto Dion –lui e i suoi succhi di frutta strani-, ponendosi come piccolo despota senza incontrare resistenza dai fratelli. Come se la mansarda l’avesse investito di un’aura di comando, che un po’ gli veniva naturale. A Gea, spesso Zeus ricordava Urano, il nonno burbero e solitario, potente e autoritario che aveva deciso di preferire sua nuora al figlio.
 Zeus, erede di Urano o meno, risultava spesso insopportabile, con questo suo atteggiamento.
     Il suo reale problema era che, dopotutto, non capiva di non avere nulla da dimostrare a nessuno. Non serviva che superasse i suoi fratelli in tutto, non aveva bisogno di trovare il suo posto nella famiglia in una maniera così decisa e drastica. Estia non cambiava nulla, Zeus non riusciva ad evitare di sentirsi come se gli mancasse qualcosa rispetto agli altri. Si imponeva così sui suoi fratelli, cercando di supplire questa mancanza. Perché tutti avevano un posto: Poseidone, volubile, ma capace e genuinamente simpatico, era ciò che non sarebbe mai stato, Ade poteva fare a meno di tutti, era nel suo mondo di Inferi e solitudine, si era adattato così bene a quella scelta che avevano fatto i dadi… Estia era amata. Estia era una ragazza, era una bellissima bambina che poteva attaccarsi alle gambe di Gea per un po’ di coccole come Zeus non avrebbe mai potuto fare. Se lui avesse implorato per un po’ di affetto, gli altri l’avrebbero preso in giro, sarebbe stato un debole.
Non sarebbe stato lo Zeus che aveva deciso di essere: capo, ma solo.  
 
Zeus ragionava così, mentre Estia si alzava da tavola con la sua tazza in mano. I suoi occhi rossi non cercarono quelli del fratello più piccolo per un po’ di appoggio. E Zeus fece finta di niente, mentre apriva uno sportello e prendeva la scatola di cereali per fare colazione. Inutile dire quanto fu comica la sua espressione facciale quando scoprì che nella credenza non c’era più nemmeno l’ombra, di cereali. Poseidone gli passò dietro la schiena nascondendo la sua risata:-Vedi, se non vai a fare la spesa, prima o poi i cereali finiscono.
Zeus gli rivolse una occhiata omicida, al che suo fratello si difese con una semplice frase: ‘‘Maledizione del dopo-sbornia’’.
 
****
PERSEFONE
 
Persefone aveva un buon spirito di osservazione. Coglieva spesso sua sorella reduce da una nottata
che sicuramente sua madre non avrebbe approvato, quando Demetra scendeva le scale con passi pesanti, i capelli disordinati. Se proprio il giorno prima aveva lasciato andare buona parte della sua razionalità, allora non si preoccupava neanche di coprire i segni violacei che Thanatos le aveva lasciato sul collo, morsi che lasciavano intuire come i due avessero passato la serata. Spesso notava un particolare curioso comune a ogni domenica mattina: se qualcosa andava storto, Demetra imputava il tutto a una certa ‘‘maledizione del dopo-sbornia’’.
 
 
    Sefi si svegliò al cantare del gallo, cioè della sua sveglia a forma di volatile che ogni tanto preferiva cantare due ore prima o, come in questo caso, dure ore dopo.  
Demetra stava urlando qualcosa al telefono, quindi si rigirò nel letto cercando di soffocare con un cuscino sulla testa i due strilli quasi identici, prodotti uno della sveglia e uno dalla sorella.
Tralasciando noiosi particolari su come un calzino fosse finito sotto il letto, una pantofola decise di apparire sotto al suo piede nudo senza che lo sapesse, facendola scivolare con il secondo calzino in mano alzato come trofeo, o come talismano contro le avversità.
Una risata facilmente riconoscibile come appartenente a un essere umano maschio, giovane e con una strana tendenza a ridere sembrando un cane -la prima e la terza caratteristica erano sicuramente riprovevoli, la terza di difficile interpretazione- la fece bloccare sul posto. Grazie al cielo era di nuovo in piedi, con in mano il calzino a pois rosa -pessima caratteristica per l’indumento di una sedicenne- mentre la risata continuava.
Un cane, sembra un cane. Di chi è questa risata, quando l’ho già sentita?
Si stava spremendo il cervello, appigliandosi a volti a malapena conosciuti, scartando toni di voce uno dopo l’altro, quando realizzò alcune cose.
Primo, sua sorella non stava urlando al suo ragazzo al telefono, ma in diretta, dalla finestra, con la vestaglia viola calata sulle spalle in fretta e furia.
Secondo, non era Thanatos a ridere, dato che stava rispondendo a sua sorella per le rime -le piaceva sempre di più quel ragazzo, visite mattutine a parte.
Terzo, c’era un ragazzo che la fissava dalla finestra, appoggiato alla moto come se fosse uscito da una commedia romantica per ragazzine di pessimo gusto.
Un ragazzo, che vedeva lei.
Chi l’ha pagato per guardarmi? Mi sta guardando. Sta guardando me.
E sta ridendo di me.
Ed è Ade Grace.
 
ADE
Thanatos si svegliava sempre carico di propositi illegali: un giorno voleva rubare prima di andare a scuola un vaso di fiori dal davanzale dei vicini. Troppo spesso parlava di morti –di insetti, di libri-, e allora solo Ade riusciva a starlo a sentire. La domenica mattina, sempre a causa della  maledizione, le sue idee erano ancora peggiori.
Poiché il tempo che abbiamo a disposizione è limitato, tratteremo solo del proposito mattutino che espose ad Ade Grace la domenica mattina di cui abbiamo fino ad ora parlato.
-Voglio vedere Demetra anche se sua madre non vuole.-aveva annunciato Andrew con un sorriso, l’equivalente, per Ade, di una insegna luminosa recante la scritta ‘‘PERICOLO: MALEDIZIONE?’’.
Grace aveva cercato di rimanere calmo e di opporsi con una remora razionale, matura e adulta.
-Pensa, potresti vedere Persefone! E non avrebbe nemmeno la sorella intorno, perché voglio portarla in giro per farmi perdonare del fatto che hai investito Sefi.
Avrebbe potuto vedere Persefone. Magari appena sveglia, con gli occhi verdi sgranati per la sorpresa di vedere lui ed Ade la domenica mattina. Magari gli avrebbero offerto la colazione. Sicuramente Persefone era bellissima, appena sveglia.
 
Una remora razionale, matura e adulta, Ade.
 
-Ci sto.
 
 
La scena era stata divertente. La sveglia sembrava urlare come Demetra, che non sapeva fingere di essere completamente arrabbiata con Thanatos per quella visita inaspettata -forse si vergognava del pigiama con cui dormiva, ma i fiorellini non erano mai fuori moda, lo sapevano tutti.
Poi si era accorto che le persiane della finestra accanto alla camera di Demetra erano aperte e l’occhio gli era caduto su una inconfondibile Persefone in pigiama verde mela che, cercando un calzino, da come si intuiva dalle sue sottili imprecazioni, era scivolata su una pantofola in una maniera così ridicola e goffa da farlo ridere. Forse quella mattina non sembrava più così carina come gli era rimasta in mente dal loro incontro, però non ce la faceva proprio a non ridere, anche se senza una reale cattiveria, solo un lieve velo di compatimento.
Poi lei si era rialzata e, dopo qualche secondo, si era accorta di essere stata ammirata nella sua mirabolante caduta.
-STALKER!-urlò, tirando le tende con un colpo secco-Non si invade così la privacy altrui!
Ade sbatté le palpebre per qualche attimo, scioccato. Un forte mal di testa, che lo perseguitava dal suo risveglio, tornò a farsi sentire, martellando nelle tempie come un esercito di ultras della squadra di basket della scuola.  
Altro che colazione gratis, Persefone con un bel pigiama e i capelli scompigliati ad arte. E sicuramente Demetra gliel’avrebbe fatta pagare, per quel tentativo di approccio alla sorella.
E aveva solo riso! Figuriamoci se le avesse detto: ‘‘Ehilà, buongiorno!’’. Probabilmente in quel caso lei l’avrebbe pure preso per pazzo, poi Demi avrebbe frainteso le due parole con ‘‘Salve, sono pieno di malvagie intenzioni poco caste!’’
Si voltò a guardare Thanatos che veniva deriso dalla sua ragazza –IO, venire in giro con te su quella moto orrenda? Mai!-, poi Demetra chiuse di scatto le imposte e Ade e Andrew se ne andarono, lasciando dietro le loro spalle due finestre che di certo non si sarebbero riaperte per augurare loro una buona domenica.
Ade guardò casa Gardiner un’ultima volta, poi si volse verso Thanatos, assorto.
-Ma secondo te-chiese, le sopracciglia aggrottate e la risata da cane sparita del tutto-la maledizione del dopo-sbornia esiste sul serio?

 
Questo capitolo è stato un parto, ho ampliato, modificato -penso ancora che Akhlys sia incomprensibile, ma doveva essere così, è una vecchia rincitrullita, come direbbe Pos- e ora avete più di 4000 parole che in realtà sono solo un:''Grazie, per continuare a leggere. Esisto ancora. Baci,spero vi piaccia.''.
Ali

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Capitolo 17
*** Entrate in scena ***


Capitolo 16
Parola d’ordine: Entrate in scena
Giungendo a questo punto nella stesura di questo misero racconto, temo che tutti noi necessitiamo di un breve… riepilogo. Sì, mettiamola così. Degli studenti della Olympus High School, già i più importanti vi sono stati presentati.
Iniziamo quindi dalle sorelle Gardner: che siano loro a guidarci tra le bolge dantesche di questa scuola.
DEMETRA
Demetra cominciò il suo ultimo anno in quell’edificio infernale con un sorriso pacato e malinconico. Non amava i cambiamenti, le ‘‘ultime volte’’ quasi come le prime, quindi il suo cervello continuava a inviarle ricordi e flash dal passato: ammassi confusi di complessi adolescenziali e amicizie che erano come altalene, continui cambiamenti senza alcun appiglio fermo. Quando sua sorella le aveva chiesto cosa non andasse, lei le aveva semplicemente scostato una ciocca di capelli con un sospiro.
-Odio non avere mai avuto una migliore amica con cui-si fermò un secondo, attraversando la strada con passo affrettato. Sefi la seguì dopo qualche secondo, ringraziando educata la macchina che li aveva fatti passare –con cui poter dire: ‘‘Guarda, siamo già all’ultimo anno. Ti ricordi..’’ e magari partire a raccontare i primi anni di liceo.
Se sua sorella fosse rimasta sorpresa da quella improvvisa risposta sincera, non lo diede a vedere. Il cielo era uno schiaffo di azzurro acceso, poche nuvole e un sole allegro che sapeva ancora di estate, rendendo il ritorno a scuola ancora più surreale. I capelli di Persefone erano grano maturo, le lentiggini un dolce memento della bambina che era stata, quando piccoli puntini di pelle più scura coprivano l’intero viso, nelle estati passate a giocare nei giardini della casa dei loro nonni, quando ancora si allontanavano da New York durante le vacanze. Demetra si mise a posto la gonna a fiori, una macchia di colore vivace nel grigiore degli abiti di coloro che le passavano di fianco.
Persefone sembrò pensare per un po’ come rispondere alla sorella, poi si decise a parlare:-Era ti vuole bene, siete amiche da anni. Anche Atena ti rispetta, ha detto che ti considera intelligente e caparbia, è un complimento, no?
      Demetra annuì, ma dentro di sé si stava già rimproverando per la debolezza che aveva dimostrato con quell’affermazione: non perché non volesse parlare di sé a sua sorella, la persona di cui si fidava di più al mondo; no, non per quello. Era solo una caratteristica di Demetra di cui quasi nessuno si rendeva conto, a primo impatto: ogni volta che l’argomento di conversazione risultava essere i suoi ‘‘problemi’’ –anche se non li avrebbe mai chiamati in questo modo, aveva una vita troppo felice per lamentarsi con termini così decisi- sentiva le parole che uscivano dalla sua bocca estremamente noiose, prive di reale importanza. Insomma, i problemi degli altri erano più impellenti, urgenti da discutere. Demetra sapeva avere buone parole per tutti, sebbene spesso si dovesse mordere la lingua per non esprimere giudizi troppo affrettati. Alla fine era la consulente di tutti, ma l’amica ‘’vera’’, la migliore amica, di nessuno: era troppo chiedere un legame speciale, forse? 
Era era una ragazza decisa, un po’ snob, che solitamente le rivolgeva la parola quando le doveva chiedere un favore: da quando Zeus, poi, aveva tentato una liaison anche con Demetra, i rapporti si erano fatti sempre più freddi, come se il fratellino di Ade non avesse tentato un approccio amoroso con buona parte della fauna femminile della scuola.
Atena era amica delle altre persone a modo suo: forse era troppo seria perché Demetra riuscisse ad approcciarsi in maniera meno professionale, meno da compagne di scuola, quindi, e più da amiche che venivano trascinate a forza alle stesse feste.
       I suoi pensieri vennero presto interrotti dall’impatto con la marea di persone che affollavano l’entrata della scuola. Scorse Ares, che aveva due lividi sullo zigomo destro violacei e probabilmente recenti, gesticolare e lanciare un messaggio inequivocabile a sua sorella. Eris aveva sempre avuto il potere di incutere timore alle persone, di instaurare un istantaneo rapporto di diffidenza e antipatia. Anche Demetra la considerava abbastanza inquietante, soprattutto da quando si era tagliata i capelli. Poco dopo il suo esplosivo coming out, avvenuto al termine del precedente anno scolastico, Eris si era presentata una mattina con un lungo ciuffo di capelli scuri davanti all’occhio destro e i capelli quasi del tutto rasati, una pettinatura abbastanza mascolina da far notare le somiglianze con i tratti più spigolosi e regolari del fratello.
      Quella mattina Eris teneva infilate tra i capelli due mollette insolitamente rosa, che le risparmiavano una visone dimezzata del mondo: gli occhi scuri parevano quelli di una pazza, ma, come diceva spesso Persefone, ‘‘Almeno era una pazza che si divertiva’’. A volte Demetra considerava Eris come l’unica persona che, in mezzo a una situazione drammatica e disperata, avrebbe avuto modo di trovare un motivo per divertirsi. Lo zaino che lasciava penzolare lungo un fianco –tipica posa di chi si atteggia in qualche modo, pensò Demetra- era stranamente privo di spille e toppe di band metal. A quanto pare sia lei che il fratello avevano cambiato zaino, osservò, e la cosa era abbastanza rara per chi, come i fratelli La Rue, non aveva mai navigato nell’oro. Demetra si sentiva abbastanza in colpa, per le informazioni di cui era a conoscenza su buona parte degli amici di Thanatos,  ma pochi potevano ignorare la storia turbolenta che si celava dietro quei due ancor più turbolenti fratelli. Eris fece un gesto poco educato al fratello, camminò nella direzione delle sorelle Gardiner, prese contro alla spalla di Persefone e se ne andò senza scuse o saluti.
Demetra storse le labbra, salutando la sorella prima di andare a cercare Thanatos: sentiva quasi il bisogno di vederlo, di parlargli: qualcosa le diceva che, qualunque cosa questi avessi detto, sarebbe stata dieci volte più utile e rassicurante delle parole di Persefone. Dopotutto, non avrebbe mai saputo dire una occasione in cui era accaduto il contrario.
 
ESTIA
Estia si era persa.
Oh, meraviglioso.
Probabilmente era l’incarnazione di uno stereotipo comico, da fumetto: una ragazza goffa con i capelli e i vestiti sporchi del caffè -rovesciato da Zeus- che non sa nemmeno trovare l’aula di scienze.
Attorno a lei, altri studenti scivolavano come ombre lungo i corridoi, senza degnarla di uno sguardo: la ignoravano, schivandola come se fosse parte dell’arredamento dell’atrio centrale della scuola. Poiché era proprio ciò che Persefone aspirava –nessuno doveva vederla in una situazione così imbarazzante-, lei cancellava ogni possibilità di essere aiutata facendo finta di star aspettando qualcuno. Si guardava attorno, facendo sorvolare lo sguardo sui suoi compagni di scuola senza davvero soffermarsi sui volti: il culmine lo raggiunse quando, a forza di far finta di guardare l’orologio e sbuffare per il ritardo dell’amico immaginario, una ragazza cominciò a fissarle la gamba, chiedendosi, forse, se per caso le fosse venuto un tic nervoso al piede.
Persefone smise di tamburellare il piede a terra come una madre costretta ad aspettare il figlio in ritardo.
-Ho bisogno di aiuto. -pensò, realizzo e ammise tra sé e sé.
Si ricordava, nebulosamente, cosa avesse detto Persefone una decina di minuti prima, mentre l’aiutava con un sorriso gentile a decifrare la cartina appesa fuori da scuola. La ragazza aveva parlato di scale, per arrivare al laboratorio di chimica, ne era sicura, quindi fece finta di scaricare in maniera plateale il suo amico in ritardo–quella che prima aveva cominciato a fissarle il piede sobbalzò per l’improvviso ‘‘Ah!’’ seccato che proruppe dalle labbra di Persefone- e cominciò a saltare i gradini a due a due con il cuore in gola. Non voleva arrivare in ritardo, anche perché come avrebbe spiegato a suo fratello -Pos- che ci aveva messo più di mezz’ora per arrivare in aula?
   Vide passarle accanto Ermes, che pareva abbastanza giù di corda da non sollevare nemmeno lo sguardo dal pavimento. Prima che Estia potesse salutarlo, il ragazzo parve riscuotersi e si lanciò giù dalle scale molto più velocemente.
In basso, Artemide pareva glaciale come la sfumatura argentea dei suoi occhi, ma si degnò di aspettare Ermes, che più che il ‘‘Lupin dei poveri’’ in quel momento sembrava un umile postulante che chiede aiuto e ausilio a una grande regina. Persefone notò con una certa soddisfazione che Artemide non solo guardava a ogni piè sospinto l’orologio, ma picchiettava il pavimento con la punta della scarpa proprio come prima aveva fatto lei, anche se Ermes e l’Amico Immaginario non avevano molti aspetti in comune.
Per la prima volta da giorni, desiderò avere Ade al suo fianco pronto a sostenerla: dopotutto, suo fratello maggiore era all’ultimo anno, e conosceva la scuola come le sue tasche.  Dopo la litigata che avevano avuto, Estia aveva notato sia con soddisfazione che con timore che entrambi sembravano riuscire a ignorarsi l’un l’altro senza problemi, e lei stessa non sentiva il bisogno di fare pace.
   Poseidone, quella mattina, aveva provato a farli riappacificare chiedendo ad Ade se poteva accompagnare Estia a scuola, poiché doveva scambiare con Zeus qualche parola, senza ascoltatori. Magari Pos doveva davvero dire qualcosa a Zeus, ma sia Estia sia Ade avevano capito che, se la piccola Grace fosse andata a scuola in moto con il fratello, il confronto, o il conflitto, sarebbe stato inevitabile. Quindi, da buon fratello maggiore che era Ade, questi aveva accampato una scusa inverosimile e se n’era andato in anticipo rispetto al solito con Thanatos, lasciandosi dietro il rombo delle moto ed Estia abbastanza punta sul vivo.
  Nella sua mente si dipinse, stranamente, il viso bonario di Dioniso che le diceva:-Stai calma, un aiuto arriva sempre a coloro che ne hanno un disperato bisogno.
La filosofia di Dioniso aveva sempre fatto acqua da tutte le parti, certo, e quella frase era un po’ troppo ottimistica, ma Estia sentì il bisogno di lasciarsi convincere dal suo rubicondo ed etilista cugino e salì le scale con maggiore convinzione. A volte si chiedeva come Arianna facesse a sopportarlo, eppure in quel momento realizzò che, se non altro, quando Dion era calmo e relativamente brillo sapeva dare consigli fantastici. Insomma, il Guru-Dion dentro la sua mente la fece arrivare al secondo piano, ma il laboratorio di chimica non sembrava essere presente sulla cartina, quindi il potere di quella frase evaporò con la stessa velocità con cui Dioniso beveva un bicchiere di vino.
 In preda al panico, Estia corse su per le ultime scale e arrivò al terzo piano. E lì, davanti ai suoi occhi, vide la dimostrazione che, forse, ogni tanto il Guru-Dion aveva ragione.
Apollo era davanti a lei, voltato di spalle rispetto alla sua direzione, e guardava incuriosito il nuovo cartellone che la Fama aveva appeso: tra le varie notizie, Estia scorse ‘‘Poseidone Grace e la cheerleader Anfitrite colti sul fatto al club di Dioniso Wine: ritorno di fiamma?’’ e ancora ‘‘Medusa manda una cartolina dalla sua nuova scuola a una sua amica: tanti baci dalle tre sorelle con i capelli di serpenti!’’.
Apollo perse interesse nel cartellone, ed Estia prese il coraggio a due mani e gli batté una mano sulla spalla:-Ehm, scusa-cominciò, ma subito Apollo la interruppe con un:-Estia, ciao!-, come al solito vispo e solare.
-Sapresti dirmi dove si trova l’aula di scienze?-lo pregò la ragazza, assumendo un’aria leggermente implorante-Mi sono persa.
Apollo sorrise, ed ad una minima parte del cuore di Estia mancò un colpo. Stupidi ormoni da quindicenne, pensò.
-Ti ci porto immediatamente, i laboratori sono proprio vicino all’ufficio del preside!
E con aria baldanzosa, la prese sottobraccio e la condusse fino all’aula, che, con grande dispiacere di Estia, non era molto lontana dal luogo in cui aveva incontrato il ragazzo.
 Quando la lasciò andare, Estia pensò che Apollo fosse davvero carino, anche con la camicia un po’ spiegazzata e gli occhi dorati cerchiati da delle leggere occhiaie. I capelli del ragazzo mandarono bagliori chiari al contatto con la luce, assumendo una tinta quasi bianca.
-Grazie mille-disse, gentile, ricordandosi di sorridere e di riacquistare un minimo di controllo: non le succedeva molto spesso, di solito, di ritrovarsi così per un ragazzo. Anzi, non le piaceva proprio sorprendersi a pensare che Tizio o Caio avesse un bel sorriso e dei capelli fantastici, proprio no.
Apollo scrollò le spalle, rispondendo con un:-Di niente, Es., come se salvare ragazzine che si perdevano nella loro scuola fosse qualcosa che faceva tutti i giorni.
Per una volta, non storse troppo il naso davanti a quel nomignolo, e aspettò che Apollo si incamminasse verso la fine del corridoio prima di entrare in classe, notando subito Ecate in penultima fila che si sbracciava per dirle di sedersi vicino a lei.
-Cosa diavolo è successo?-le chiese la ragazza, mentre Estia terminava la sua sfilata in mezzo ai banchi; tutti la fissavano, essendo l’unica arrivata in ritardo.
-Mi sono persa, ma Apollo mi ha aiutata.-rispose con voce più bassa, mettendola a tacere prima che il professore trovasse qualcosa in più da ridire oltre all’orario in cui era arrivata in classe.
Ecate lanciò lo stesso un urletto, scribacchiandole sul banco: ‘‘Niente male, come entrata a scuola’’.
  Sebbene l’espressione sul volto dell’amica lasciasse presumere che non aspettava altro che un minimo, minuscolo, incoraggiamento per ufficializzare ‘‘Apollo’s hot’’ come prossimo argomento di conversazione, Estia dissimulò abilmente il suo imbarazzo e cominciò a prendere appunti.
ATENA
Atena prese posto nel suo banco, poggiando una serie di libri, molto più numerosi rispetto ai suoi compagni di scuola, sulla superficie limitata che aveva a disposizione.
Quando i professori la vedevano scrivere e leggere quando non serviva, a volte storcevano il naso e stavano zitti, mentre capitava anche che la rimproverassero a lungo, poiché una studentessa del suo calibro non poteva comunque permettersi di non seguire la lezione. Era veramente frustrante, sapere che non avrebbero mai capito che lei riusciva ad ascoltare e scrivere contemporaneamente di altre cose.
    Al suo fianco, nessuno si era seduto, come succedeva spesso: Era non seguiva tutti i suoi corsi, e altri suoi conoscenti avevano ormai un compagno di banco consolidato, come tutti sapevano che Ade e Thanatos avrebbero condiviso pure i compiti in classe, se avessero potuto.
Atena non aveva alcuna voglia di riallacciare i rapporti con coloro che non aveva più sentito durante l’estate: il solo pensiero di andare a parlare a Orfeo Cithara, seduto dietro di lei, le faceva venire in mente tutte le canzoni tristissime e melense che quest’ultimo aveva composto, e quindi provava un insano desiderio di vomitare.
   Ancora peggio, Zeus e Poseidone erano entrambi del suo anno, sebbene il primo avesse saltato un anno di asilo pur di non rimanere troppo tempo in quel posto per bambini dove non permettevano nemmeno di usare le forbici senza la punta arrotondata.
Poseidone era seduto vicino alla finestra, come suo solito: pareva soffrire di una qualche mancanza fisica, se non stava abbastanza a contatto con la luce solare e l’aria aperta.
Come un bonsai, insomma. Solo che Atena aveva il pollice verde di chi alle piante procura diserbante invece che acqua, quindi i bonsai non erano la sua più grande passione. Appunto, Poseidone colse l’opportunità nata da una minima distrazione dell’insegnante per schiacciare il naso contro il vetro della finestra, giusto per mostrare come volesse, più di ogni altra cosa, fuggire da quel luogo il prima possibile. Il che, considerò Atena in un angolo remoto della sua mente, era strano, perché comunque aveva visto poco prima Poseidone prendere appunti, scribacchiando su un’agenda dai fogli bianchi con una certa alacrità.
Si costrinse a concentrarsi sulla lezione, piuttosto che su Poseidone Grace, perché altrimenti rischiava sul serio di tirargli un righello in testa pur di farlo comportare in maniera civile e un minimo matura. A volte, Atena si sorprendeva della sua incapacità di sopportare anche minime cose, il tutto perché venivano compiute da persone di cui aveva una pessima opinione.
   Zeus Grace emise un gemito soffocato, e Atena lo vide spalmato sul banco come una balena spiaggiata sulle coste del Giappone. Gli occhi del ragazzo erano di un blu elettrico molto particolare, ma in quel momento non pareva al massimo della sua vitalità.
Naturale, pensò, che motivo aveva di sforzarsi di rimanere attento se non c’era Era disposta a vederlo?
Un moto di fastidio la portò a scribacchiare qualcosa sul suo quaderno, quando proprio Zeus la richiamò con un sussurro.
-Tutto bene?-le chiese.
Gli occhi grigi della ragazza si rannuvolarono, specchio della sua sorpresa.
-Sì, perché?-rispose in fretta, stringendo una penna tra le dita: non che la domanda l’avesse infastidita, ma prima di pensare a come reagire voleva avere più elementi, necessari a capire perché le avesse rivolto la parola nel bel mezzo della lezione.
Zeus aveva i capelli chiari tagliati corti, ma Atena sapeva ancora ricordare come stesse con i ricci, tanto che al ragazzo era rimasta l’abitudine di metterseli a posto ogni tanto, per avere un aspetto presentabile. Completamente diverso dal fratello, che invece pareva vivere nel suo essere selvaggio con una dedizione estrema.
-Sembravi assorta e infastidita da qualcosa, e non hai nessun compagno di banco per poter esprimere giudizi negativi su mio fratello.
Dopo quella frase, ad Atena venne in mente la prima volta in cui aveva parlato con Zeus Grace, e il motivo per cui lo considerava il migliore dei tre fratelli maschi, sorvolando sul suo comportamento con le ragazze. Riuscì persino a tirare fuori un sorriso, ma non una risposta, perché Zeus si era già spostato, fulmineo, vicino a lei.
Ma certo, nemmeno Zeus ha un compagno di banco fisso, fu il primo pensiero che le passò per la mente. Il suo sguardo doveva essere abbastanza stupito, ma non ostile, perché Zeus, dopo aver controllato la sua reazione, si stabilì definitivamente sul banco vicino a quello della ragazza con un sorriso soddisfatto.
-A volte è difficile trovare qualcuno con cui fare una conversazione decente. E, tranquilla, non mi offendo se insulti mio fratello- le disse prima di venire richiamato dal professore-credo sia un buon prezzo da pagare, per avere affianco la mia consigliera preferita.
Al che, Atena lasciò andare i suoi pensieri denigratori verso i suoi compagni e sorrise, prima di sibilare:-Tuo fratello è un selvaggio bifolco.
-Oh-il ragazzo sorrise-lo so.
*****
  Il suo armadietto era un ammasso di metallo piegato da numerosi urti, causati più da giocatori di basket con una pessima mira che altro. Ad Atena piaceva, perché aveva un’aria vissuta e comunque un minimo di dignità, come si conveniva a un vecchio armadietto.
Improvvisamente, Atena si ritrovò a spalancare l’anta di metallo mezza arrugginita: Poseidone aveva cambiato armadietto, come succedeva ogni anno, e stavolta stava a un metro e settanta centimetri dal suo. Rivolse un’espressione disgustata al ragazzo, ma questa venne schermata dal metallo, cosicché Pos ebbe il via libera per iniziare una conversazione.
-Atena Chase, ma che bella sorpresa!-cinguettò deliziato. Il suo tono di voce talmente carico di glucosio che la ragazza gli augurò una glicemia fulminante, così da portarlo a un coma diabetico possibilmente nei seguenti trenta secondi.
-Poseidone Grace, ritorna dai tuoi inetti amici e risparmia ogni possibile contatto con la mia persona. Ne va della tua incolumità.
Atena vide riflessa la linea rigida delle sue labbra posta sull’anta dell’armadietto, e si complimentò con sé stessa quando Poseidone fece davvero fagotto e si allontanò con un suo amico della squadra di nuoto al seguito.
Come a volte succedeva, Atena si ritrovò delusa della vittoria facile che aveva avuto, poi si ricordò che Poseidone era solito incontrare Anfitrite ogni intervallo, quando stavano ancora assieme. Probabilmente quella loro abitudine era ripresa, e con quel pensiero tranquillo e capace di far quadrare la situazione cominciò a rimettere a posto i suoi libri e quaderni, per poi accorgersi di un particolare.
Lei non aveva alcuno specchietto nell’armadietto.
Atena non era Afrodite, e nemmeno Era: non c’era trucco da aggiustare, come contorno di quegli occhi grigio tempesta. Quindi quello specchietto non l’aveva messo lei, o forse era per lei. Un gentile dono di una delle sue amiche? Se sì, perché non chiederle il permesso? Sapevano tutte quanto curasse le sue cose, e come non volesse che altre persone vi ponessero mano senza permesso. Con un pensiero assurdo che le balzava davanti agli occhi, Atena afferrò i bordi del rettangolo adesivo riflettente che costituiva quel misero specchio e lo staccò dall’armadietto. Il suo cuore si permise di perdere un colpo, metaforicamente parlando, quando trovò una piccola busta attaccata al retro dell’adesivo, talmente sottile da non creare uno spessore evidente una volta attaccato il tutto all’armadietto.
 
Salve.
 Spero tu sia disposta a giocare a questo gioco, che sono sicuro
potrà essere per te stimolante, divertente e utile. Non saprai mai chi
sono, ti avverto. Ma solo concederti questa lettera spero ti dia abbastanza
indizi da lasciarti presumere del contrario. Un augurio di un felice e gioioso
anno scolastico.
N.H.
P.S. La risposta a questa lettera potrà essere lasciata dove più ti
aggraderà
 




 
Angolo Survival
Sono viva, e ho tracciato la stesura della maggior parte degli intrecci malvagi di questa storia che, davvero, spero mi perdoniate se aggiorno solo ora. Ho riletto le vostre recensioni, e il mio cuore si è scaldato come un marshmallow ustionato dalla Maserati di Apollo, perché siete fantastici e io adoro anche solo chi ha letto il prologo o si ricorda vagamente di questa storia. 
Spero che il capitolo vi piaccia, e che vogliate esprimere un parere. Un grazie alla balda recensitrice dello scorso capitolo, davvero. 
E sappiate, se volete farvi due risate, che la suddetta AliNicoKITE si è lei stessa persa nella sua stessa scuola ed è stata aiutata da un vispo giovane a trovare la retta via. Dispiace solo non fosse Apollo, ma lui ora si chiama Lester e Rick ci farà soffrire parlando di lui.
Intanto, Atena è alle prese con N.H.. Si dia il via al televoto per chi sa qualcosa.

Bacioni,
Ali

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Capitolo 18
*** In amore e guerra ***


Capitolo 17
Parola d’ordine: In amore e guerra

AFRODITE
A volte, la vita di Afrodite poteva sembrare, ai più, o assolutamente perfetta, o assolutamente mediocre. Queste due opzioni quasi opposte tra loro dipendevano, principalmente, dall’opinione che qualcuno poteva avere di Afrodite.
 Quando ‘Afro’ era arrivata al liceo, non era mai stata più sicura di voler stravolgere la sua vita, soprattutto in merito a ciò che la gente pensava di lei. Sebbene anche negli anni precedenti non fosse mai stata timida, infatti, non era nemmeno mai stata popolare come avrebbe voluto.
Insomma, sia lei che suo fratello minore, Eros, avevano sempre avuto un disperato e primitivo bisogno di attenzioni che, a differenza delle altre persone, facevano di tutto per supplire con ciò che i geni avevano donato loro, cioè, per essere chiari, una bellezza da distruggere le autostime altrui.
Afrodite non negava, insomma, di adorare essere al centro dell’attenzione, né che solitamente otteneva gli sguardi della folla grazie a un look che la valorizzasse, curato nei dettagli.
Il trucco, amava spesso ripetere, era l’arma –il proiettile migliore, diceva lei- dei brutti, ma dato che lei non era sicuramente brutta, invece che un proiettile, nelle sue mani una matita da trucco acquisiva la forza di una mitragliatrice.
 Già il fatto che usasse armi come termini di paragone per trucchi e belletti faceva presumere chi, fin dal primo anno nella scuola, fosse la sua ‘punta’ migliore.
Afrodite aveva puntato Ares dopo la prima lezione di ginnastica; i suoi pensieri principali, durante quelle due ore, erano stati: ‘Dio mio, quegli addominali’, oppure ‘Una maglietta così aderente dovrebbe essere illegale’, e così via andando avanti. Poco importa che in quella stessa lezione fossero in mostra altri ragazzi dalle piacevoli apparenze, come Thanatos, o, se si amava l’aria leggermente emo, l’Ade Grace di allora, appena quattordicenne: l’unica persona che aveva colto il suo sguardo era stata Ares La Rue.
 I problemi, però, erano cominciati subito, giusto alla fine della lezione: Ares pareva essere interessato alla maggior parte delle ragazze che gli passavano davanti, possibilmente combattive e disposte a rispondergli per le rime. Per la prima volta, la nuova Afrodite disposta a molto-o-quasi-tutto per ottenere la vita sociale perfetta vacillò, soprattutto quando, alla fine del primo anno, vi fu lo Scandalo della Cintura, la prova, insomma, che a volte la bellezza poteva nuocere alla famiglia Beauregard.
 Quella storia, però, Afrodite aveva giurato a sé stessa di nasconderla e non tirarla più fuori, soprattutto se pensava a come fosse finita. Erano stati cancellati, quel mese di follia e quell’estate orribile, ritagliati dalla sua vita perfetta come una foto venuta male in un album di ricordi.
La vita di Afrodite, infatti, poteva effettivamente essere considerata perfetta: era bella, era conosciuta e ammirata, aveva delle buone amiche e un ragazzo bellissimo che la adorava. Eppure, alcuni la osservavano con pietà, reputandola persino mediocre, o finta: come se la sua quotidianità, i suoi sforzi, le esperienze imbarazzanti che cercava di nascondere, i litigi con Ares, o con i suoi genitori, i sotterfugi per evitare Efesto, come se tutte le imperfezioni che rendevano la vita di Afrodite reale fossero un illusione, e la sua bellezza fosse l’unica cosa che la tenesse in piedi. Come se Afro fosse semplicemente l’incarnazione di una cheerleader, e non potesse esserci niente per elevarla a qualcosa di più.
ARES
Ares LaRue, quella mattina, aveva litigato con Eris.
Di fronte a questa realtà dei fatti, nessuno dei loro rispettivi amici si sarebbe sorpreso: Poseidone non se ne sarebbe curato, Zeus avrebbe commentato che Eris era la solita pazza, Ecate avrebbe consolato Eris con un bacio e Dioniso avrebbe elargito ad entrambi i litiganti, una volta tornati a casa, una bistecca surgelata da mettere sui lividi.
Eppure, quella mattina era stato diverso.
I genitori biologici di Ares ed Ecate, loro non li avevano mai visti. Secondo Ares, non li sarebbero mai venuti a cercare, e la cosa era reciproca: né da parte sua, né da parte di sua sorella, infatti, era mai nato il desiderio di andare a investigare sulla madre che li aveva abbandonati e poi, chissà, trovarla e scoprire che la loro vita altro non era che una replica di serie B di ‘Mamma mia’. Era probabile che fossero nati in una famiglia disastrata, turbolenta –i loro caratteri erano, dopotutto, in parte frutto del corredo genetico che avevano lasciato loro-, oppure erano figli di una sedicenne alle prese di un parto gemellare senza l’ombra del fidanzatino di allora tra le corsie dell’ospedale.
 Da piccolo, Ares aveva provato rabbia, al pensiero dell’abbandono che avevano subito. Col passare degli anni, i suoi sentimenti si erano ammorbiditi, prima grazie a una forzata indifferenza, poi con una certa coscienza di causa: non doveva essere stata una situazione facile per i loro genitori, in ogni caso, quindi Ares non era abbastanza ipocrita da voler giudicare una donna che, ignara, camminava per le strade di New York con gli occhi scuri di Eris e i capelli di Ares.
I loro nomi li aveva scelti lei, ed era l’unica cosa che la loro madre biologica aveva lasciato, assieme a un cognome che non era davvero il suo.
 Sballottati da una famiglia affidataria all’altra, con Ferro e Pancetta come unica costante, Eris era cresciuta acida, cinica, Ares facile all’ira e spregiudicato. Uniti, i gemelli La Rue avevano incontrato Lucia e Marcus con troppa diffidenza negli occhi per essere bambini normali, eppure aveva funzionato. Marcus era sembrato l’unico in grado di inquadrarli subito: la prima giornata assieme, infatti, l’avevano passata a vedere incontri di wrestling e a mangiare hot dog grondanti ketchup, con grande soddisfazione di tutti e tre, nonostante i silenzi imbarazzanti o le domande inopportune da entrambe le parti.
  In seguito, Ares era rimasto entusiasta del vecchio lavoro di Marcus, quando aveva trovato la divisa da militare nell’armadio, ed Eris aveva ascoltato i racconti di guerra con aria grave, seria, mentre gli occhi dell’uomo che li aveva accolti in casa si facevano distanti e tristi. Ares aveva imparato da Marcus quali fossero le guerre che erano davvero giuste, senza violenze e spargimenti di sangue innocente, cioè nessuna. Per la prima volta, aveva capito cosa significasse davvero la parola ‘guerra’, un concetto che prima aveva associato al sopravvivere nei quartieri dove erano stati costretti a vivere. Un concetto che, nonostante tutto e fortunatamente, non era mai stato realmente del suo mondo di bambino.
 Lucia sapeva tenerli in riga. Litigava con Eris come se si divertisse, facendola arrendere a forza di risposte salaci. Riusciva a rubare baci al marito, misantropo e burbero come un orso, ed elargiva abbracci a tradimento ad Ares, che accettava sorpreso quell’affetto a lui estraneo. Dopo qualche anno, Ares aveva smesso di essere esageratamente freddo, in tensione, nei confronti della loro famiglia adottiva. Eris ci aveva messo forse di più, ma alla fine anche lei aveva rinunciato ai pianti in solitudine, dopo che le sue compagne di classe la evitavano come la peste, preferendo nascondere il viso nell’incavo della spalla di Lucia.
 Una cosa bella, per tutti.
Come se avesse potuto durare davvero, pensò Ares La Rue, di fronte al viso in lacrime di sua madre. Lucia aveva i capelli scuri venati di grigio, e occhi grigi stanchi e rossi che, negli anni trascorsi assieme, Ares aveva visto raramente in quello stato.
Le parole di Lucia incontravano il silenzio, rimbalzando sui muri della cucina. Alle pareti, Ares osservò, con un angolo della sua mente, le fotografie del matrimonio dei suoi genitori: Marcus poco più alto di sua moglie, il suo sorriso più vivo di quello che aveva ora; a quel tempo, non aveva ancora finito il servizio militare.
 -Ares, ascoltami.
Sollevando lo sguardo, incontrò quello di Lucia. Lei non aveva più la fede, né il sottile anello di fidanzamento, a ingentilirle l’anulare sinistro.
-Eris non la prenderà bene.- fu la risposta di Ares. L’orologio, inclemente, segnava il loro crescente ritardo per prendere l’autobus per la scuola; Ares decise che avrebbe preso la moto, con la testa ancora ovattata mentre lentamente realizzava.
Marcus e Lucia che accennano, senza alcun apparente motivo, a ciò che sta succedendo ai vicini del piano di sotto -‘Stanno divorziando, a volte succede.’ I litigi nascosti alle loro orecchie da una porta socchiusa. Eris che propone di andare tutti in Grecia, la prossima estate, e la timida remora di Marcus che sconsiglia di fare progetti per l’anno venturo. Lucia che sbatte la mano sul tavolo, durante una discussione accesa, così forte che una pietra dell’anello di fidanzamento salta dal suo incavo. Marcus che accenna ad Ares che, forse, tornerà a usare la divisa nell’ultimo ripiano dell’armadio. Eris che corruga la fronte, davanti ad alcune valigie di papà che sono state tirate fuori dalla cantina.
-Eris dovrà accettarlo.
Per la prima volta dall’inizio del discorso –‘Io e Marcus abbiamo deciso di prenderci una pausa’-, Ares sentì le lacrime salirgli agli occhi. Non era rabbia, però, a causarle, o la solita tendenza a recriminare tutto a tutti; era un male sordo nel petto, che faceva bruciare forte gli occhi mentre si sforzava di immaginare il loro futuro. Ares ed Eris con Lucia. Marcus via, nel mondo che aveva descritto ad Ares, bambino, con lo sguardo triste che ora indossava sua moglie. La sua futura ex-moglie.
  No, Eris non l’avrebbe accettato. Eris si sarebbe chiusa a guscio, prima di insultare entrambi, Marcus e Lucia, accusandoli di tutto ciò che, invece, hanno sempre evitato di fare, con le migliori intenzioni. E forse nemmeno Ares avrebbe saputo metabolizzare la situazione, però era sua sorella il problema più urgente, quindi non doveva ancora pensarci troppo, non poteva.
Eris…
***
Ares La Rue, quella mattina, litigò con Eris.
Di fronte a questa realtà dei fatti, nessuno dei loro rispettivi amici si sarebbe sorpreso: Afrodite avrebbe nascosto il suo dispiacere con un’espressione serena, cercando di rallegrare il suo ragazzo, Estia avrebbe sospirato, rassicurando entrambi che era normale, dopotutto, che in famiglia si litigasse, Atena avrebbe blaterato qualcosa sulle statistiche sulle relazioni tra fratelli.
Eppure, quella mattina fu diverso.
Eris affrontò Ares non appena questi uscì dalla cucina. Aveva con sé lo zaino nuovo che Marcus le aveva regalato e una nota mortalmente risoluta, quasi folle, negli occhi.
-Stanno divorziando, non è vero?
Ares annuì, senza troppi fronzoli, e sapeva anche senza guardare che le mani della sorella si erano chiuse a pugno.
-Dopo tutti quei bei discorsi sul vivere bene, sulla famiglia, dopo ogni cazzata su come i litigi non influenzino davvero gli affetti-la voce bassa, un po’ roca, faceva sperare ad Ares di cancellare tutto, di poterle dire di no, che erano ancora una famiglia, unita, dopo e grazie a tutti gli sforzi che avevano fatto.
-Sono peggio di tutti gli altri. Sono peggio dei due drogati e di quelli che ci rispedivano indietro dopo una settimana.
-Non è colpa loro, a volte-
Eris lo interruppe, ed Ares percepì lui stesso quanto suonassero vuote le sue parole.
-E di chi è la colpa, allora? Del sogno di papà, della sua vita, così inconciliabile con le idee pacifiste della mamma? O è colpa dei soldi, che scarseggiano perché la ditta di mamma è fallita? E’ colpa tua, Ares?-veleno, veleno, recriminazioni, la colpa, di chi era la colpa?-E’ colpa tua, perché hai fatto tornare in mente a papà cosa vuol dire sentirsi un eroe, con tutti i tuoi vaneggiamenti da bambino su ‘Papà va in guerra perché anche se non è giusto, a volte accade lo stesso’?
-Smettila! -le mani di Ares si strinsero ai polsi della sorella-Stai sputando su ciò che di buono abbiamo avuto-
-Cosa abbiamo avuto?-le labbra di Eris erano livide, gli occhi ridotti a fessure-Un appartamento minuscolo e qualche incontro di wrestling? Hot dog col ketchup? Qualcuno che ti venisse a prendere da scuola quando finivi dal preside?
-Una famiglia! Fino a ieri mi pareva stessi benissimo, Eris!-il nome di sua sorella era come un insulto.
-Certo, perché è colpa mia!
Stavolta, Eris stava urlando, ed Ares non si preoccupava più di cosa Lucia potesse sentire.
-E’ colpa mia se tutti litigano, perché Lucia dice che io sono depressa e ho bisogno di spazio, e tu e Marcus siete tutti lì a dire: ‘Ma no, è fatta così, non puoi scusarla’, e dopotutto chi è che si diverte quando tutti si guardano in cagnesco, io!
-Sei sempre la solita egocentrica, non capisci mai-
Il sonoro ciocco del pugno di Eris sul naso del fratello era ciò che stavano aspettando entrambi. Trasformando le lacrime in pugni, i tentativi di vedere il lato positivo della situazione –se esisteva davvero- in graffi, entrambi, seppure in silenzio, si chiesero se, prima o poi, i litigi tra di loro avrebbero avuto infine delle conseguenze, come dopo anni di matrimonio era successo ai loro genitori.
AFRODITE
Afrodite non vide Ares tutta la mattina. Il suo ragazzo non si presentò a nessuna delle lezioni, e la mente di Afrodite viaggiò a vuoto, ponderando i motivi che avrebbero potuto spingere Ares a saltare persino il primo giorno di scuola.
Seduta dietro di lei, Demetra Gardner aveva parlottato incessantemente con il suo ragazzo fino a farsi rimproverare da più insegnanti; eppure, all’ora di pranzo sembrava più sollevata e felice di come fosse appena arrivata a scuola, come se le parole di Thanatos avessero avuto il potere di calmarla.
  La mensa era un continuo chiacchiericcio, a volte animato da urli e risate sguaiate. Afrodite aveva sempre visto quell’ambiente come lo specchio della società della scuola, la dimostrazione visiva dei vari gruppetti e ruoli di potere tra gli studenti.
  Poseidone, al solito, era circondato dalla squadra di nuoto al completo; per festeggiare il ritorno a scuola, i nuotatori si erano dipinti il viso di azzurro, usando i mirtilli che una delle ragazze della squadra aveva portato per merenda. Il viso di Poseidone era solare e allegro, gli occhi verdi brillavano a contrasto con la pelle da puffo, sebbene, come Afrodite notò immediatamente, Anfitrite non fosse seduta vicino a loro ma, anzi, riservasse sguardi rancorosi alla squadra di nuoto a cui un tempo apparteneva. Afrodite già si figurava il titolo che la Fama avrebbe posto tra poco in giro per la scuola: ‘Poseidone è ancora single, Anfitrite scartata come un vecchio calzino’, o qualcosa del genere. Con un moto di empatia femminile, si appuntò di consolare Anfitrite non appena avesse avuto l’occasione.
  Poco lontano, Zeus e Atena facevano comunella attorno ad un piccolo tavolo circolare. Entrambi seri, accoltellavano le mele che stavano mangiando con una metodica violenza, sembrando entrambi due strateghi in procinto di mettere a punto una strategia d’attacco. Dallo stesso lato di Zeus, Ermes lanciava alcuni piselli verso Artemide, seduta al tavolo di fianco a pochi centimetri di distanza. Di fronte all’amico, Apollo rideva in faccia alla sua gemella.
 Con occhio distratto, Afrodite osservò il gruppetto di Dioniso, Arianna seduta vicino a lui, Estia di fronte. La piccola Grace osservava con pari insistenza sia Ade, al solito seduto con Thanatos e Demetra in un angolo della mensa, sia Apollo, con un vago rossore nelle guance quando si soffermava troppo su quest’ultimo.
 E, al tavolo di Afrodite, Era chiacchierava con Persefone, che era troppo timida per opporsi alla sfilza di insulti contro Zeus Grace che l’altra le vomitava addosso come acido.
Ares, Ecate ed Eris non si vedevano in giro, così Afrodite si risolse a sedersi vicino a Persefone; immediatamente, Era la incluse nella sua filippica contro Zeus.
-Guardalo, là, a parlare con Atena! Mi ruba pure l’amica-borbottava, macerando i piselli come avrebbe voluto fare con il cervello del suo ex-ragazzo-poi durante la serata da Dion mi fissava, coerente soprattutto. Se non fosse che Atena è la Svizzera fatta persona, sempre neutrale tranne che con Poseidone, sarei già lì a urlargli addosso.
-Con questo tono di voce, dubito che non ti senta comunque, tesoro. Stai calma o ti verranno le rughe in giovane età.
L’occhiata di fuoco di Era la fece quasi ridere, eppure l’amica si tranquillizzò sul serio.
-Hai visto Ares, o Eris?-le chiese Afrodite, spostando l’argomento di conversazione a cose più importanti. L’assenza di Demetra e Atena, di solito al loro tavolo, era evidente e quindi fastidiosa, sebbene accanto ad Era fossero comunque sedute altre cheerleader come Ebe e Anfitrite.
Per la milionesima volta nella sua vita, Afrodite fu felice di non aver provato ad uscire con uno dei tre fratelli invece che con Ares: i Grace attiravano davvero i peggiori drammi amorosi.
-Ecate ed Eris si stavano baciando appassionatamente al terzo piano-fu la risposta di Ebe, che era talmente innocente da repellere l’uso di termini come ‘limonare’. 
Persefone azzardò un sorriso, solidale per il tono leggermente scandalizzato dell’amica, poi dalle sue labbra uscì un ‘oh’ soffocato. Ade Grace la stava salutando con un sorriso, dall’altra parte della sala.
-Mi è sembrato che Eris stesse piangendo, dopo-continuò Ebe, eppure Afrodite non la ascoltava già più.
Finalmente, scorse con la coda dell’occhio Ares entrare nella mensa. Si alzò in piedi e, senza dire niente, lo trascinò lontano dalle occhiate indiscrete dei loro compagni di scuola o, peggio, di Efesto appostato in un anfratto nascosto, mentre mangiava piselli, carne, mele e una abbondante porzione di rancore.
Lo sguardo di Ares era basso, e i suoi modi sgarbati, eppure questo servì solo a far preoccupare di più Afrodite. Quando lei provò a baciarlo, il ragazzo la spinse lontano con un sospiro seccato.
-Cosa è successo?-lo interrogò ansiosa-Stai bene?
La risposta di Ares fu prima un mugugno indefinibile, poi un abbraccio talmente stretto da mozzare il fiato. Ares era triste, ed il fatto che mostrasse il suo stato d’animo ad Afrodite faceva solo capire quanto grave fosse la situazione. Per un attimo, Afro ebbe paura di non sapere cosa dire, come se le malelingue che le davano della ragazza bella, ma senza cervello, avessero ragione.
 Si limitò a stringerlo forte a sua volta, aspettando che parlasse. Ares era più alto, e in quella posizione le stringeva fastidiosamente il seno, eppure non si mosse finché non fu lui a scostarsi di un poco, il necessario per guardarla negli occhi. In un momento di intimità delicata e fragile, così estranea al loro rapporto, Afrodite vide che Ares aveva gli occhi lucidi e due lividi sullo zigomo destro, e sentì le sue labbra screpolate e tagliate in alcuni punti quando questi le poggiò sulle sue.
 Senza chiedere, Non subito, pensò, non ora, Afrodite Beauregard lasciò che il ragazzo di cui si era innamorata la baciasse e non la lasciasse andare fino a quando suonò la campanella che segnava l’inizio delle lezioni. Solo allora, con delicatezza gli accarezzò il viso macchiato dai lividi e lo condusse a lezione con lei, mentre sottovoce, così piano che solo lei riusciva a sentirlo, Ares le raccontava tutto, pronto a lasciarsi alle spalle ogni ferita non appena avessero varcato la porta dell’aula, dando inizio a una nuova battaglia. Pronto a negare che il silenzio di Eris gli facesse alcun male, Ares La Rue ringraziò il cielo perché, almeno per un poco, aveva potuto sperare che amore e guerra potessero convivere.










 
 
Angolo autrice
*Da leggere con sottofondo di Bohemian Rapsody* DRAMAAAA **uhuhhhhuuuuu** AND IT’S JUST BEGUUUN….
Okay, sarò veloce. Al solito, chiedo venia per il ritardo spaventoso e vi dico che spero che questo capitolo vi sia piaciuto. Sì, tanto dramma, perché Eris prima o poi doveva litigare e Afrodite doveva prima o poi fare qualcosa (quanto sono cattiva a dire così, invece è una delle poche che fa qualcosa di buono per ora).
Grazie alla balda giovine, come dice mia nonna, (sì, dico a te M., LaFilleTerrible) che mi ha spinto a continuare la storia dopo un periodo letargico: spero che il capitolo sia stato di tuo gusto.
Baci, abbracci e dei fighi, si accettano commenti<3
Ali

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Capitolo 19
*** Fractals of two minds ***




 

Capitolo 19

Parola d’ordine: Fractals of two minds

ADE

Sebbene la scuola fosse iniziata a malapena da due settimane, Ade Grace aveva la sensazione che l’estate non fosse mai esistita, e di non aver mai lasciato quei corridoi. Bisognava ammettere che i corridoi della Olympus High School non erano orribili, con le loro pareti giallo crema e le foto degli ‘studenti meritevoli’ appesi alle pareti -c’era pure uno scatto di una accigliata e vagamente indispettita Atena, scattata in occasione della sua terza vittoria consecutiva ai campionati di chimica, fisica, trigonometria e onniscienza, come se quella foto fosse solo un motivo di noia e una perdita di tempo per la ragazza-, ma Ade aveva sempre trovato il peregrinare tra quelle stanze un detestabile supplizio.

Ade non amava chi, come Afrodite, camminava per i corridoi come se si sentisse la persona più importante della scuola: era inutile, pensava, ritenersi qualcuno di speciale. Non era forse vero che entro pochi anni sia lui sia Afrodite sarebbero stati un vago ricordo per la scuola, un ennesimo viso sorridente nelle foto scolorite nell’ufficio del preside?  

Ade sapeva che, se un giorno sarebbe tornato alla Olympus dopo il diploma, avrebbe trovato non solo un’altra capitana delle cheerleader, magari bella quanto Afrodite stessa, ma anche un altro ragazzo dall’aria mogia che voleva sedersi, solo, nell’angolo più imboscato della mensa. Si immaginava, a volte, seguendo quel filo di pensieri, di andare dal suddetto ragazzetto, che magari portava una logora giacca di pelle proprio come era stato solito fare anche lui, solo per rivelargli, sedendoglisi affianco con aria lugubre, di non preoccuparsi per le sue disavventure scolastiche o, non sia mai, amorose, perché tanto sarebbero tutti morti prima del previsto, e a nessuno sarebbe importato ad un colloquio di lavoro se la cheerleader dai capelli rossi l’avesse scaricato o meno nel fatidico giorno del ballo di fine anno. Come se esistessero davvero, pensava allora con un sorriso disincantato e, nella sua testa, adulto e cinico, i balli di fine anno come si vedevano nei film. Da quando gli Olympians avevano infettato la scuola come un morbo incurabile, le feste di fine anno si erano sempre risolte con un delirio di alcol, urla e ormoni sovraeccitati.  Per l’ultimo anno di Ade, Afrodite, Ares e Thanatos, Dioniso aveva promesso che in occasione del ‘ballo’ avrebbe preparato il miglior punch mai realizzato. Ade era conscio di cosa avrebbe significato, e dopotutto gli andava bene: sapeva già come sarebbero andate le cose. Presagiva già come Demetra e Thanatos avrebbero ballato in maniera disgustosamente romantica, o poteva scommettere ad occhi chiusi sul fatto che Zeus ed Era per allora si sarebbero già rimessi assieme -checché ne dicessero tutti, aveva un occhio per certe cose-, e accettava come dato di fatto il finale solitario che l’attendeva come giusto coronamento dei suoi anni di liceo.

 Quella mattina, i suoi pensieri erano più negativi del solito. Non solo avrebbe confidato al ragazzo dalla giacca di pelle di non curarsi della vita amorosa, ma anche di proseguire la sua vita con il fermo proposito di non fidarsi né degli amici, né tantomeno dei fratelli. Una vita da lupo solitario, ecco la vera via. Tanto alla prima occasione il tuo migliore amico ti avrebbe abbandonato per un’uscita romantica con la sua ragazza, e i tuoi fratelli si sarebbero accordati per lasciarti solo con la sorellina con cui avevi litigato. Sì, trasferirsi in Antartide, o non uscire più dagli Inferi, ecco cos’avrebbe dovuto fare.

Poseidone era uscito a comprare il latte ad un orario inumano -conoscendo suo fratello, aveva fatto di tutto per evitare di essere presente al momento dello scontro-, e Zeus aveva stranamente lasciato la cucina con la scusa di dover rifare il letto.

Rifare il letto, alle sette e un quarto di mattina. Ma sul serio.

Ade osservò con fare recriminatorio la porta da cui Zeus era appena uscito, e nella sua mente riecheggiavano le parole di Thanatos, dovutamente modificate dal suo subconscio: ‘Domani io e Demi andiamo assieme a scuola, berremo cioccolata calda ed elisir del vero amore e voleremo a scuola sulle ali del lieto fine adolescenziale che incarniamo ai tuoi occhi’.

Se non fosse stata mattina, Ade si sarebbe persino arrabbiato, ma la sera prima Caronte era andato via dagli Inferi verso le due di notte dopo una salutare maratona di ‘The Walking Dead’ e circa sei chili meno salutari di M&M’s ingeriti: sentiva il coma diabetico pronto a bussare alla porta, e il cervello rispondeva poco alle proteste del suo corpo intorpidito.

Alla porta, però, non era il coma diabetico a fissarlo in stile ‘A Christmas carol’, ma Estia. Probabilmente gli aveva anche rivolto la parola -dopo due settimane di silenzio-, perché dopo un attimo disse:-Allora, Ade?

Il lupo solitario che era il lui si rese conto che rimanere immobili con una bottiglia di latte vuota fissando con aria ottusa il vuoto non era il massimo che si poteva fare di fronte alla sorella con cui, doveva davvero ricordarselo, aveva litigato poco prima dell’inizio della scuola. Scrollò le spalle, quindi, e voltandosi alla ricerca di qualcosa da mangiare -era sicuro di vomitare alla vista di un altro M&M’s, un grissino, un grissino, i miei Inferi per un grissino- rispose:-Come scusa?

-Ti ho chiesto se mi daresti un passaggio a scuola.

Ade sollevò la testa e si girò di nuovo per guardarla in viso: non solo evitava di parlargli per due settimane, ma pretendeva pure una scorta su Bucky III. Un germe di reale fastidio si annidò tra i capelli scuri.

-Ah, no.

Silenzio. Ade si concentrò sulla bottiglia vuota, sperando che fissando abbastanza intensamente il fondo alcune gocce di latte sarebbero magicamente apparse. Niente da fare.

Decise di optare per un caffè, nero come la sua anima, e con quel nuovo proposito passò davanti ad Estia in maniera agile e fulminea, con la velocità che acquistava Ermes quando c’era da saltare giù dal divano pur di afferrare per primo il telecomando del televisore.

-Okay. Allora arriverò in ritardo. Zeus è già uscito.

Ade fece finta di non aver percepito la finta nonchalance con cui la sorella aveva pronunciato quelle parole, e con lo stesso identico modo di fare rispose:-Male. La scuola è importante, mamma non sarà contenta.

Finalmente, Estia diede segno del suo rancore.

-Oh, per piacere, mi chiedo chi dei due abbia quindici anni qui dentro!

Ade le rivolse un’occhiata carica di veleno:-Beh, tu.

E l’hai pure dimostrato ampiamente.

Estia emise una specie di ruggito soffocato, come se si trattenesse dal saltargli addosso solo per non dar fastidio ai vicini, o alla loro madre. Ade sperò che ci provasse, giusto per giungere all’apice dello schifometro per quella mattina. Sicuramente Akhlys avrebbe fatto il tifo per lui, sbirciando dalla finestra del suo orribile salotto.

-Sto cercando di fare la pace, per l’amor del cielo! Lo vuoi capire?

-Un attimo, rinfrescami le idee: devo capire che vuoi fare la pace, -quelle espressioni così infantili gli facevano saltare i nervi- o devo capire che sei una donna matura che non vuole più avere a che fare con il fratello iperprotettivo che si ritrova? Illuminami.

Estia per poco non roteò gli occhi al cielo, ma dimostrò un autocontrollo migliore del fratello nel non rispondergli a tono.

-Entrambe le cose. -Estia incrociò le braccia al petto, prendendo un respiro profondo come se stesse per recitare un discorso imparato a memoria -Mi sono arrabbiata per il fatto che mi consideriate troppo piccola per uscire con voi, o per uscire in generale, e per la stupida concezione che avete tu, Pos e Zecca -a quel soprannome, Ade non poté fare a meno di sentire un minuscolo moto di ilarità: Zeus si arrabbiava sempre quando Estia lo chiamava così, come Poseidone quando qualcuno chiedeva dove fosse ‘Possy’- sul fatto che io sia l’unica che non sa come va davvero il mondo, o quanto faccia schifo ritrovarsi papà a casa ubriaco a mesi alterni. Non è così, e dato che ci siamo capiti non vedo il motivo di continuare a non parlarci. Zeus fa schifo a fingere di far finta di ascoltarmi, e Pos-

-Poseidone sta architettando qualcosa, non fa che leggere e pretendere di studiare.- la interruppe Ade, che cercava comunque di mostrarsi distante e non sollevato da quel ramo di ulivo offerto in una situazione tranquilla, lontano da sguardi altrui. Vide Estia accennare a un sorriso.

-Esatto. L’ultima volta che l’ho visto stava leggendo un libro sulla crittografia.

-Crittografia.-meditò Ade, stando attento a non versare caffè ovunque-Forse stava cercando di decifrare la sua stessa scrittura, dubito sappia davvero scrivere.

-E’ una copertura-gli diede manforte Estia-E’ rimasto alla scrittura cuneiforme.

Ade le sorrise mentre beveva il caffè. Per una volta, potevano riappacificarsi senza drammi ed esplosioni, da persone adulte e responsabili.

Diede uno sguardo all’orologio appeso sul muro della cucina.

-Cazzo, siamo in ritardo. Prendi i caschi, muoviti!

Estia imprecò in maniera più educata e corse, sempre mormorando i suoi ‘Acciderbolina’ che facevano ridere Zeus alle lacrime.

Arrivarono in ritardo di dieci minuti, ma Ade giurò di non aver visto mai Estia così rilassata mentre entrava a scuola.

 

ARTEMIDE

A pranzo, Artemide pensò che suo fratello potesse fare a meno di lei, e non andò alla mensa. Quella mattina era passata in una lenta e metodica alternanza tra urla dei professori ed esercizi, immersa nello scorrere delle penne sulla carta e nello sfrigolio impercettibile del gesso sulle lavagne. Artemide aveva avuto la tentazione di tirare il suo quaderno di trigonometria in faccia al suo compagno di banco, un ragazzetto nuovo con un’acne incipiente lungo il viso, non appena questi aveva tirato fuori da una tasca dello zaino una untuosa focaccia che avvolgeva parecchi wurstel, divorando poi il panino con aria famelica e leggermente ripugnante. Per amor di buon vicinato, Art aveva solamente separato i due banchi di qualche centimetro e scostato il più velocemente possibile tutte le briciole che gli erano finite addosso.

Gerione Triplets era un essere sudicio, ma la trigonometria era un affare ben più sporco: Artemide non aveva mai amato studiare. Non era per pigrizia, o per disinteresse degli argomenti trattati a scuola: semplicemente, tutto in quella scuola, dai corridoi trafficati e i bidelli incompetenti, dalle cheerleader cliché viventi alle stupide faide tra gruppi di amici e squadre di basket, baseball e nuoto, tutto la faceva soffocare. Il soffitto delle aule era sempre a un centimetro di distanza dalla sua testa, pronto a schiacciarla. Non era così che Art avrebbe voluto scoprire il mondo e i suoi segreti, non con lezioni tediose e briciole di wurstel masticato sui fogli.  Artemide agognava la libertà di scegliere cosa fosse meglio per lei, e, sotto sotto, la possibilità di staccarsi dai suoi amici storici, e da suo fratello.

Non c’era mai stato, tra lei e Apollo, né quell’odio viscerale che a volte intercorre fratelli troppo presenti nella vita dell’altro, specialmente nel caso di due gemelli come loro, né allo stesso tempo l’attaccamento affettivo che invece teneva assieme fratelli come Elio e Selene, quella scintilla di comprensione e complicità che vedeva Phobos e Deimos uniti nelle malefatte e nelle punizioni. Lei e Apollo si volevano bene, tanto, troppo, un dato di fatto dato per scontato. Erano però persone indipendenti, con interessi diametralmente opposti e attitudini sostanzialmente divergenti su aspetti fondamentali. Apollo sarebbe stato un perfetto intellettuale medievale, dedito a ogni campo del sapere con lo stesso entusiasmo e la stessa grinta con cui studiava la musica, o l’arte. Apollo era poliedrico e inconcludente, Artemide più selezionata nei suoi interessi. All’età di cinque anni avevano entrambi cominciato a prendere lezioni di tiro con l’arco, dimostrando tutti e due un talento naturale per la disciplina. Se per Apollo, però, il tiro con l’arco era un passatempo come un altro, per Artemide era un sogno divenuto realtà. Artemide amava il suo arco con la stessa intensità con cui Apollo stringeva al petto il suo violino dopo aver suonato, con lo stesso ardore con cui Apollo dipingeva uno scorcio particolarmente vibrante di colori, con la stessa foga con cui Apollo divorava tomi sull’anatomia umana. Per Apollo il mondo era una stanza colorata, insidiosa ed estremamente divertente; per Artemide era una scala di grigi tenuamente illuminata dal perlaceo illuminare della luna, con qualche oggetto risplendente di luce argentea.

Artemide sapeva già che, alla fine del liceo, tutta la sua vita sarebbe cambiata, e se tutto fosse andato bene sarebbe andata nella direzione che desiderava. Voleva continuare a tirare con l’arco e andare al poligono di tiro con chiunque fosse stato abbastanza coraggioso da accompagnarla, ma sicuramente avrebbe lasciato New York. Apollo sarebbe andato in una discreta università, e ne sarebbe uscito con un camice bianco e uno stetoscopio. Lei aveva intenzione di lasciare a suo fratello la casa in cui in quel momento vivevano, e girare il mondo. Studiare all’estero e magari cacciare in luoghi ancora impervi e nemici all’uomo...

-Art?

La ragazza sbatté le palpebre. Nel cortile della scuola, il sole era mogio dietro le nuvole, e lasciava quella luce fastidiosa tipica di un’estate morente. I capelli di Ermes erano fili di rame aggrovigliati come cavi elettrici attorno al viso dai lineamenti elfici.

Sebbene il ragazzo avesse il viso in ombra, Artemide conosceva il colore degli occhi del suo amico, un verde intenso e macchiato di pagliuzze scure e dorate, ma differenza di Apollo non avrebbe mai saputo trovare i colori giusti per rappresentarli.

Ermes era appoggiato su un muretto con lo zaino posto a terra davanti ai suoi piedi. Teneva in mano quello che poteva sembrare un accendino, ma che probabilmente era l’ennesimo pezzo di ciarpame che il ragazzo aveva trovato in giro, e la plastica rossa ricordava quella dei giocattoli meccanici che Apollo aveva ricevuto un anno a Natale. Le dita nodose e sottili rigiravano il nuovo anti-stress come gli imbroglioni fanno con le carte da gioco di fronte ai turisti ignari, mentre un complice ruba il portafoglio con mani leste ed abili. Al solito, non passava un attimo senza che Ermes non si muovesse impercettibilmente, le membra scosse da un impulso irrefrenabile che ad Artemide faceva venire in mente le domeniche mattine passate a bere caffè pur di tener dietro alla vitalità innaturale di Ermes dopo poche ore di sonno.

Senza dilungarsi in molte parole, Artemide si sedette di fianco all’amico. Ermes le offrì un panino alla marmellata, e Art pensò chiaramente che il silenzio fosse un buon ornamento alla figura del ragazzo. Era raro che Ermes stesse zitto, ma era anche vero che le parole non erano mai -troppo- inutili, o pronunciate senza pensare. Ermes non era stupido, sebbene a volte si comportasse come tale.

Diede un morso al panino, riempito all’inverosimile da una marmellata ai frutti di bosco che a quanto pare Janine sapeva fare benissimo: ad Artemide piaceva quella donna, anche se spesso incuteva un leggero timore ai suoi amici.

-Hai restituito la bici a Cerbero?

Ermes si voltò di scatto, distogliendo lo sguardo dall’entrata della scuola.

-L’ha ripresa il giorno in cui siamo andati al locale.-rispose il ragazzo, lanciando quello che sembrava uno strano temperino da una mano all’altra-Mi sono scusato con lui-aggiunse frettolosamente. Artemide colse il fetore della bugia con la certezza di un segugio.

-Sei scappato, altroché- gli diede una leggera spallata, offesa nell’orgoglio. Ti conosco troppo bene.

-Sì, sono scappato. Ho corso a una velocità mai percepita dall’occhio umano, alterando lo spazio e il tempo.

Art trattenne un sorriso esasperato.

-Sì, certo. Non mi piace che rubi. - Potresti fare mille altre cose.
Ermes era simile ad Apollo, pieno di interessi e passioni: non capiva quanto si sprecasse continuando con quei piccoli furti?

-Nemmeno a Janine. O ad Apollo. O alle forze dell’ordine e al mio senso civico.

-Trattieniti, Ermes.-rimarcò con tono più serio -Prima o poi finirai male. Trovati un lavoretto pomeridiano, studia.

Ermes le rivolse un’occhiata da ‘‘dice il bue ‘cornuto’ all’asino’’.

-Il progetto di scienze sui batteri era interessante!- si difese, non era assolutamente vero che non aveva interesse per tutto ciò che facevano a scuola; era stato divertente vedere Poseidone fare scena muta all’interrogazione, per poi uscirsene con l’unica frase sensata ‘I batteri causano le infezioni batteriche’. Pos si era dimenticato di dover esporre il suo progetto quel giorno, e Atena non era mai stata più felice della sua A in confronto al misero voto di Poseidone.

 

-Ah, io ho finito il mio!- si rianimò Ermes, dando un calcio allo zaino per aprirlo del tutto. si chinò e riesumò trionfante dal buco nero di quaderni semi-distrutti un foglio leggermente stropicciato sui bordi-Ta-daaa!

-Il testamento di Escherichia-coli John, il batterio più figo al mondo.-lesse Artemide. Fissò l’amico:-Sul serio? Un testamento?

-Se fossi in un batterio, cederei il mio patrimonio genetico in maniera oculata.- Ermes annuì solenne.

-Non vedo l’ora di vedere la faccia di Atena quando esporrai questo… coso alla classe. Sarà più scandalizzata della professoressa stessa. -Art sentì il suo lato oscuro sgranocchiare biscotti con aria soddisfatta.

Ermes si fermò un istante. Solo uno.

-A parlar del diavolo…

Ermes stava indicando Atena, indice puntato sulla ragazza come fanno i bambini. La bionda stava procedendo a passo di marcia nella loro direzione, e pareva decisa ad ucciderli. Ermes ebbe l’istinto di nascondersi, Artemide di urlare di gioia di fronte a una possibile situazione adrenalinica. Atena era una di quelle persone che non portavano mai il conflitto a livelli preoccupanti, e conversare con lei era sempre fantastico, forse perché pochi altri avevano davvero il coraggio di farlo.

Poi Atena afferrò la manica di Ermes e cominciò a trascinarlo senza troppi complimenti verso la scuola.

-SEQUESTRO DI PERSONA, ART! VENDICAMI!- cominciò a strillare Ermes. Non erano urla molto virili, e Artemide scoppiò a ridere. Il suo lato malvagio aprì una nuova scatola di Oreo.

-Riportalo tutto intero, Atena, mi serve per scienze!-urlò alla ragazza prima di addentare il panino di Ermes. Uh, nutella. Il ladruncolo teneva sempre quelli alla nutella per lui.

Atena non si voltò nemmeno.

-Mi serve per un controllo. Sto facendo un’indagine.

-Uh.-commentò Artemide. Avrebbe anche chiesto qualcosa in più, ma la coppia mal assortita era già entrata a scuola, una imperiosa, l’altro scalciante.

Si guardò attorno nel cortiletto più o meno deserto, e inspirò a pieni polmoni quell’aria di pieno autunno.  Quel periodo dell’anno era sempre piaciuto ad Orione.

Diede un altro morso al panino di Ermes, stando attenta a non sporcare il testamento di escherichia-coli John ulteriormente: una ditata di unto era già impressa in un angolo, e Artemide si figurò Ermes chino sul tavolo della cucina di Janine, la schiena curva come un ramo carico di neve e una fetta di pizza alle olive in mano. Ultimamente Artemide si sforzava di concentrarsi sul presente, sui più minuscoli particolari, pur di non pensare al passato. Orione era una presenza costante nei suoi pensieri. Nella sua agognata solitudine, era sempre stato lui, dopotutto, a farle compagnia.


***Primo Ricordo***

 

Artemide non è mai stata al poligono di tiro. Non ha nemmeno l’età adatta, probabilmente, ma il suo istruttore non ha mai badato a certe sottigliezze: Artemide è il talento migliore che abbia visto da anni, e limitarsi a un arco sarebbe uno spreco. Ha promesso ad Art che non appena compiuti i sedici anni, la porterà a sparare. Art non sa se esserne felice o meno: il pensiero di utilizzare una pistola, o una carabina, le pare una questione completamente diversa dal tirare con l’arco. Continua a rimuginare su come può essere legale portare una sedicenne a sparare senza porto d’armi o allenamento specifico quando Orione le si para di fianco.

Orione le va dietro, secondo Apollo, fin dal primo momento in cui l’ha conosciuta. Art non se ne cura molto: ci sono già troppi maschi inutili che girano per casa, e Orion non fa eccezione, anche se è l’unico che sarebbe capace di sostenere con lei una conversazione in merito al tiro con l’arco. Apollo non conta, dato che salta più della metà delle lezioni e preferisce strimpellare sul pianoforte dal mattino alla sera.

 

Orion non è un Olympian, ma a Poseidone sta simpatico, e gli altri accettano ben volentieri la sua compagnia. La prima volta che Art lo ha visto, durante la prima lezione di tiro con l’arco dopo il rientro dalle vacanze estive, mai si sarebbe immaginata che presto sarebbe stata parte integrante della sua vita, sempre in giro con Apollo e gli altri. Forse lo riteneva più intelligente, con dei gusti più selettivi in merito ad amicizie. Art fatica a sopportare Dioniso, alcune volte, e Poseidone più o meno tutte le volte in cui apre bocca. Ultimamente sono tutti più rincretiniti che mai all’adolescenza: Zeus non era così interessato alle gambe di Era Juno prima, né Apollo era così attento alla direzione che prendeva il suo ciuffo biondo di capelli appena sveglio. Artemide ringrazia il cielo di avere delle amiche, le sue cacciatrici: alcune sono molto più grandi di lei, ma tutte sembrano capire sia la sua passione per la corsa, ‘la caccia’ -l’adrenalina che scorre nelle vene quando si allenano-, l’arco, -persino il dolore ai muscoli una volta tornata a casa-, e il suo disinteresse verso i maschi in senso amoroso. Insomma, quando sua madre le chiede la mattina perché non esce con Afrodite Beauregard e le altre cheerleader, Artemide rischia di strozzarsi con i cornflakes.  Tra le due, il male minore rimane suo fratello: territorio neutro, anche se maschile.

Orion non è territorio neutro. E’ alto, con le spalle forti e una risata vibrante. Porta orribili canottiere verde militare e ogni volta che Art gli risponde in malo modo non fa cenno di prendersela, ma persiste nel parlarle quando persino suo fratello la ignora, magari mentre tutti gli Olympians sono sdraiati sul divano a guardare Star Wars con aria attenta. Quando Pos lancia un pop-corn in testa ad Artemide, ogni volta Orion prima ride, poi si volta come per vedere se Artemide sta bene, se non se l’è presa. Lei si premura ogni volta di lanciargli un’occhiata gelida, o proprio di non restituire lo sguardo.
Apollo ha le sue teorie riguardo ad Orion. A volte Art lo sente blaterare con Mamma riguardo alla sua vita amorosa, e si trattiene dall’uccidere il fratello solo perché non è legale, e perché Apollo non ha mai detto che Art ricambia. Quello sarebbe il massimo dell’offesa e della bugia.

 

Orion le si siede accanto. Artemide guarda avanti, ignorando il tranquillo ‘Buondì’ che il ragazzo le rivolge.

Passano le restanti due ore a sorridere sprezzanti di fronte ai centri che entrambi segnano sui bersagli. Orion è bravo, ma non come lei. E’ bravo abbastanza da sfidarla.

Il fatto che lei lo batta sempre sembra non preoccuparlo.

**Continua!**









 
Note:
Riprendo con rinnovata speranza e prematura felicità di fronte a questo parto. Non sono convinta di alcune cose, ma mi sono resa conto che programmare ad oltranza per poi incartarsi nella scrittura meticolosa e 'seria' non si addice a questa storia. E' nata come un teenage drama mitologico, e così sarà fino alla fine. Scriverò altri ricordi di Orion e Artemide. Avevo intenzione di non inserire questo primo ricordo, che è più un'introduzione che altro, ma ho pensato che meritaste quante più parole possibili. Non queste mie, in blu. Le altre.
Un grazie ad M. e a tutti voi.
Ali 
P.S. sto già scrivendo il nuovo capitolo, con Atena ed Ermes e un Grace-Pov. Sarei curiosa di sapere di chi vi interessa più sapere, ma so di chiedere troppo. Un bacione!

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Capitolo 20
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Capitolo 20

Parola d’ordine: Loading PianoMalvagio.pdf

POSEIDONE

Poseidone Grace aveva sempre cercato di ricavare dei profitti dal semplice fatto di essere sé stesso.

Hai un fratello maggiore che fa paura a bambini più grandi di te? Non c’è problema, questo non farà altro che risaltare il tuo carattere in confronto solare e gioioso!

Hai un altro fratello che pare aver deciso di diventare il futuro George Washington sulle banconote da un dollaro? Lascialo fare: anche nel caso in cui vinca in maniera inaspettata la mansarda dei tuoi sogni, accontentati del giusto mezzo e goditi la piscina.

Hai una sorella (sì, anche) incapace di vedere l’affetto che provi per lei? Risparmia il tempo che impiegheresti per abbracciarla per comprare in maniera anonima i suoi biscotti preferiti prima che finiscano a metà settimana, facendole così una mini-sorpresa ogni mercoledì mattina! (Anche se questo non ti farà comunque acquisire stelline d’oro da fratello perfetto, ma non si può voler tutto dalla vita.)

Hai un gruppo di amici infinitamente chiassoso e saturo di dramma adolescenziale? Diventa capitano della squadra di nuoto e fissa gli allenamenti in corrispondenza dei periodici deliri dei soggetti più problematici!

Ti sei reso conto di sentire un certo calore alle guance quando la tua ‘acerrima nemica’ ti fissa con troppa intensità? Beh… beh…

A volte faceva abbastanza schifo, essere Poseidone Grace.

Atena Chase aveva la capacità di farlo sentire stupido e allo stesso tempo l’unica persona interessante di tutta New York. Litigare con lei a mensa era una buona scusa per scoprire che, seppur figlia modello, Atena non amava mangiare la sua dose settimanale di verdure, ingerita sempre controvoglia e regolarmente a rischio di finire sulla faccia di Pos dopo un commento particolarmente irritante. Litigare con lei in classe, invece, lo faceva ridere: Atena faceva una faccia esilarante quando si accorgeva di aver perso un frammento di spiegazione del professore per colpa sua, ed era sempre bello sapere di riuscire a farla arrabbiare quasi senza sforzo. Litigare con lei quando si usciva al pub di Dioniso gli dava l’occasione di ammettere, con la mente leggermente offuscata dall’alcol, che le labbra di Atena erano belle anche quando non sorrideva, e che quando Atena rideva per qualche commento salace di Era improvvisamente smetteva di sembrare più adulta del dovuto.

Litigare con lei gli dava l’assoluta certezza, soprattutto, di conoscere buona parte dei suoi difetti, dall’orgoglio all’alterigia alle piccole maniacali ossessioni su come si dovesse mangiare un budino -il budino della scuola faceva talmente schifo che, no, Pos credeva non meritasse un cucchiaino come un qualsiasi altro dolce, ma la forchetta sporca con cui aveva appena finito di mangiare l’insalata: che Atena se ne facesse una ragione.

Eppure il problema era proprio quello: nonostante fosse in possesso di quella conoscenza, per certi versi privata e concessa a pochi, Pos riusciva comunque a rimanerci male al termine di ogni bisticcio. Era terrificante, realizzare di accontentarsi di un rapporto quasi estenuante e rancoroso pur di ottenere la sua attenzione.

Poseidone aveva accettato con filosofia la sua cotta durante l’estate, e definitivamente dopo il disastroso pomiciare con Anfitrite. Dopo, tutto era cambiato in maniera esponenziale.

***

Solo il primo biglietto aveva richiesto una preparazione scrupolosa e una buona dose di arguzia.
Aveva scritto al computer nel font più anonimo e comune che potesse esserci -grazie, Times New Roman-, stampando il biglietto a scuola preoccupandosi persino di non lasciare impronte digitali. Dopotutto, se Atena avesse raccolto la sfida, cosa che riteneva matematicamente certa, si sarebbe dovuto preoccupare di essere il più cauto possibile, persino paranoico.

Aveva scritto e riscritto il biglietto una decina di volte, arrivando persino a consultare Lie to me, una delle serie preferite di Orion, riguardo a come riconoscere il sesso di chi scriveva una lettera anonima: quella serie era una fonte magica di sapienza, in grado di far impallidire i ragionamenti deduttivi di Conan Doyle o Poe con i loro investigatori*.

Nessuno gli aveva fatto compagnia durante quella maratona, ma per Pos era stato meglio così. Ancora si ricordava le reazioni di Orion di fronte ad alcuni colpi di scena, la maniera in cui saltava sul divano quando scopriva di aver azzeccato l’identità dell’assassino: riguardò i primi episodi trattenendo la malinconia e immaginando di avere Orion ancora lì, di fianco a lui sul letto enorme di camera sua, una ciotola di pop-corn in mano e lo sguardo incatenato allo schermo in attesa di un indizio rivelatore. Alla fine della prima stagione ignorò le lacrime e pensò a cosa avrebbe detto Orion della sua iniziativa.

  Orion gli avrebbe dato manforte dopo una ritrosia iniziale: da un lato non avrebbe approvato un sotterfugio del genere dal punto di vista etico, dall’altro Orion era un cacciatore, e viveva di agguati e attese oltre all’adrenalina con cui affrontava ogni giornata. Orion gli avrebbe detto di combattere per chi amava, come lui aveva sempre fatto con Artemide.

Spense le luci e uscì in giardino: faceva già abbastanza freddo da lasciargli brividi lungo le braccia scoperte, e le piastrelle del bordo piscina erano gelate e lisce come un lago d’inverno. Osservando le stelle, la cintura di Orione gli aveva sorriso con la promessa di ritornare anche l’inverno seguente.

Il giorno dopo, Poseidone aveva nascosto il primo biglietto di Neptune Hate.

***

   In biblioteca, le persone dimostravano chi fossero davvero. Forse era per il religioso silenzio imposto dai continui pattugliamenti ad opera del bibliotecario e dei professori, oppure l’aria era davvero satura di ossigeno e cultura, come aveva detto una volta Apollo. Sta di fatto che Poseidone non era mai stato spaventato come in quel momento, quando aprendo la porta della biblioteca si ritrovò di fronte le anime dei suoi compagni di scuola spogliate dei loro gusci esteriori.

   Scorse Eco, il viso pallido, gli occhi scuri e le labbra rosse visibili sopra le coste dei libri in uno scaffale, un ritaglio della sua figura sottile come tutto ciò che era rimasto di lei. Orfeo, la sua cetra stretta al petto in fondo al corridoio, esponeva i biondi ricci al sole in un’aureola luminosa attorno al viso addolorato, con il capo poggiato sul vetro opaco di sporcizia. Euridice non si vedeva più, a scuola, forse si era davvero trasferita come si diceva.

Persino Afrodite, che pure amava e sapeva parlare, non apriva bocca dal tavolino circolare che aveva colonizzato con le altre cheerleader. La sorella di Demi, silenziosa come un assolo di batteria in un pezzo di musica classica, gli sorrise velocemente e gli passò davanti in punta di piedi, lasciando una scia di zucchero e fiori.

  Proprio in mezzo alla stanza, però, era il bibliotecario Proteo a inquietare Poseidone più di quanto fosse logico pensare. L’uomo sedeva sulla sua poltrona girevole ricoperta di un tessuto di feltro blu, agitando mollemente le gambe come per testarne la comodità. I capelli bianchi, traslucidi di unto e tendenti al giallo, gli arrivavano alle spalle poggiandosi sulle guance e la fronte come viscidi tentacoli. Gli occhi blu, simili a quelli di Poseidone stesso, parevano appartenere a un uomo diverso, più giovane, anche se a volte parevano gialli e vitrei come se la vecchiaia giungesse violenta sulle spalle del bibliotecario.  
  Fin dal primo anno, Pos aveva incontrato problemi ogni volta che era entrato nella biblioteca, il tutto a causa di quell’uomo. Era noto, infatti, come Proteo non amasse aiutare gli studenti nelle loro ricerche, e di come evitasse spesso di rispondere alle loro domande nonostante la sua vasta cultura e la sua pressoché completa conoscenza di ogni libro di quella scuola.

   Proteo dichiarava sempre di avere un certo impegno importante o un certo professore da incontrare non appena qualcuno gli chiedeva dove fosse un tale libro, o come si potesse definire un tale fenomeno scientifico. Solo coloro che erano in grado di coglierlo nel giusto momento, solitamente verso mezzogiorno, dopo la pausa pranzo, e che lo assillavano di domande e, persino, velate minacce, riuscivano ad ottenere ciò che cercavano.

Pos vide la sorella di Demetra vagare con un’aria confusa di fronte alla sezione di letteratura inglese delle origini, senza azzardarsi, ovviamente, a chiedere aiuto a Proteo; Pos non la biasimava per questo. Lui però avanzò con passo deciso, arrivando di fronte alla scrivania di Proteo prima di quanto sperasse. L’uomo stava leggendo quello che sembrava una edizione in lingua originale de I fratelli Karamazov di Dostoevskij, il che non avrebbe sorpreso nessun studente della Olympus: quell’uomo era tanto sfuggente quanto saggio, e Pos necessitava della sua sapienza.

-Signor Proteo?-azzardò.

Proteo emise un verso a metà tra ‘Sono impegnato’ e ‘Mh’, senza sollevare lo sguardo. Eco, da qualche parte, replicò con aria vagamente divertita le parole del bibliotecario. Poseidone invocò la forza necessaria per quella difficile impresa.

Sarebbe stata una lunga conversazione.

-Signor Proteo, mi servirebbero dei libri sulla crittografia.

Proteo roteò su sé stesso e gli diede le spalle, al che Poseidone riservò il suo sguardo esasperato allo schienale della sedia.

-Signor Proteo.

Proteo fece un minuscolo salto sulla sedia, ondeggiando come un grosso pesce obeso di feltro blu e plastica.

Pos si sarebbe anche accontentato di leggere Crypto di Dan Brown, evitando così letture più pesanti ed erudite, ma in quell’esatto momento scorse Atena Chase attraverso la piccola finestra rettangolare di plastica trasparente incorniciata sopra al maniglione antipanico della porta di entrata. Gli occhi grigi della ragazza apparivano da lontano dello stesso colore delle ceneri, o del fumo di una Londra passata. Pos si figurava già come quelle ceneri si sarebbero animate di un redivivo fuoco non appena la ragazza lo avrebbe visto nella biblioteca, agli occhi di Atena il luogo più sacro di tutto l’edificio. Poseidone non intendeva essere colto nell’atto di profanare la biblioteca, né farsi vedere, una decina di giorni dopo il primo biglietto di Neptune Hate, dalla destinataria stessa con in mano un libro su come scrivere messaggi cifrati. Pos, realizzò, era un uomo d’azione, non di parole. Afferrò a due mani lo schienale della sedia girevole, dandone un violento scossone prima di voltare la poltrona di scatto. Si trovò faccia a faccia con il vecchio, respirando uno sgradevole odore di alghe e mare -Cosa diavolo mangiava durante la pausa pranzo? Anemoni? Calamari?- tale da farlo tentennare un attimo.

-Signor. Proteo. -scandì, scuotendo di nuovo lo schienale per far recepire bene il concetto-Crittografia, per favore.

Atena stava per aprire la porta da un momento all’altro, quando improvvisamente si voltò a parlare con un interlocutore che Pos non riusciva a vedere.

Proteo sembrò boccheggiare proprio come un pesce per qualche secondo, prima di corrugare le sopracciglia e tentare un’ultima ritirata.

-La inseguirò fino a stasera, giorno e notte, anche di domenica, finché non mi aiuterà nelle mie ricerche. È una minaccia-chiarificò, e per poco non cedette alla tentazione di iniziare una rivoluzione studentesca, magari appendendo il panciuto bibliotecario con le corde che in palestra parevano cimeli pre-bellici.

Fuori dalla porta si sentì un urlo presto soffocato. Pos si volse quel minimo che bastava per scorgere Atena ed Ermes, una seria e l’altro praticamente terrorizzato.

-Quarto corridoio dietro lo sgabuzzino.

Per poco l’intera biblioteca non si bloccò in quell’attimo irreale. Eco ripeté le parole di Proteo pur di convincersi che fossero vere.

Poseidone lasciò andare la sedia girevole, il fiato sospeso. Era difficile credere che Proteo sapesse davvero muoversi senza l’ausilio della sua poltrona, ma così stava succedendo davanti agli occhi increduli degli studenti. Arrancò dietro a uno scaffale pericolante, introdusse la mano in uno oscuro anfratto in fondo a un piccolo corridoio e ne ricavò un libro praticamente intonso, se non per il timbro della biblioteca nella scuola impresso sulla costa. Brusco mise il libro tra la braccia dello studente, rauco proferì di nuovo consigli su dove trovare altri volumi utili, sconfitto ritornò alla sua postazione.

Poseidone, trionfante, sollevò il faticato frutto delle sue minacce.

Atena aprì la porta, e l’incanto della simbolica vittoria del corpo studentesco contro il tirannico bibliotecario si dissolse. Lo status quo venne ripristinato, Eco riprese a mormorare ciò che origliava dagli studenti vicini a lei e Pos si voltò a fronteggiare la sua… nemicotta, nemica e cotta allo stesso tempo. Il criceto del cervello di Pos si preparò a fornire scemenze quali il termine nemicotta al momento opportuno.

 

ATENA

Atena non aveva tempo da perdere, nemmeno per Poseidone Grace. Il ragazzo teneva sollevato un libro a lei sconosciuto come se, inclinandolo a dovere, la sapienza al suo interno si potesse riversare nella vuota scatola cranica del ragazzo. Speranza vana.

Il ragazzo si ricompose in fretta, infilando il libro nello zaino. Crypto, invece, di Dan Brown -l’aveva letto durante il suo secondo anno, il finale non aveva mantenuto le aspettative sorte durante la lettura- rimaneva saldo tra le dita del giovane. La vista di Poseidone Grace nella biblioteca era disturbante di suo, facendo raggiungere livelli onirici alla situazione già di per sé irritante.

Ermes Stoll non aveva intenzione di parlare, sembrava. Atena aveva sospettato di lui fin da subito, per poi declinare sull’ipotesi che Ermes, dato che non aveva alcun motivo per scrivere il biglietto firmato N.H., fosse solo un complice, o un ignaro informatore utile ai suoi scopi. Appena lo aveva trovato nel parcheggio della scuola intento a parlare con Artemide, aveva colto l’occasione per interrogarlo. Ermes prima non aveva capito, poi aveva fatto finta di non capire, poi l’aveva convinta quasi del tutto della sua innocenza.

Si era persino offerto di aiutarla a scoprire il vero mittente del biglietto, e così Atena aveva proposto una salutare incursione nel suo territorio. L’infestazione che vi aveva trovato non era anch’essa nei suoi piani.

Poseidone fu il primo a prendere parola.

-Chase.

-Grace.

-Stoll.-si intromise Ermes.

Atena si promise di uccidere Ermes non appena avesse smesso di essere utile. Sapeva che Artemide avrebbe capito e non avrebbe sporto denuncia.

-Sai leggere-non poté fare a meno di dire la ragazza.

Grace fu sul punto di dire qualcosa, poi decise il contrario. Abbassò il capo, passò loro davanti e diede uno schiaffo fulmineo sul collo scoperto di Ermes.

Chiuse la porta e se ne andò.

-Volgave.-commentò Ermes con una finta erre moscia, a tutti e nessuno in particolare. Atena socchiuse gli occhi.

-Torniamo a lavoro.-lo rimproverò-Ermes, comincia a tirare fuori il libro più pesante che hai dallo zaino.

Il ragazzo le rivolse uno sguardo interrogativo.

-Dobbiamo minacciare Proteo con un oggetto contundente per essere efficaci.

Eco sgranò gli occhi: quel giorno in biblioteca non si poteva proprio stare tranquilli. Grace e Chase, inoltre, a volte avevano la stessa scintilla di follia negli occhi quando compivano gesti estremi, il che la divertì abbastanza da ripetere sottovoce ciò che Atena prima aveva dichiarato con fermezza.
-...per essere efficaci.-mormorò.








 

Note Autrice

Queste sono note lampo perché il tempo stringe. Grazie del supporto, della recensione e grazie a tutti coloro che continuano a leggere. Spero che questo aggiornamento 'lampo' per i miei standard vi faccia sorridere. Ermes is the new Ciuchino, comunque ;)
Note tecniche:

I miti ripresi in questo capitolo sono il mito di Proteo, indovino mutaforma (spesso sotto forma di pesce, o poltrona) e recalcitrante, ed Eco, che in maniera buffa e un po' strana ripeterò da ora in poi le ultime parole di chiunque le stia vicino ;P, spero abbiate apprezzato l'adattamento.

*Lie to me: una bellissima serie tv ormai conclusa da anni dove il protagonista è specializzato nell’analisi facciale per rilevare bugie, emozioni nascoste e altra roba. Una figata.

Poe ha scritto il primo romanzo con un investigatore che lavora sulla base delle prove e del ragionamento deduttivo, come Sherlock Holmes per intenderci, intitolato ‘I delitti della rue Morgue’: è un classico da non denigrare ;).

Santo Wikipedia per i curiosi:

https://it.wikipedia.org/wiki/I_delitti_della_Rue_Morgue

https://it.wikipedia.org/wiki/Lie_to_Me

Bacioni, spero che tifiate per Pos quanto me
Ali<3

 
 

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Capitolo 21
*** What happened to perfect (1) ***


Capitolo 21
Parola d’ordine:What happened to perfect
Warning:passato, ricordi, angst.
What happened to perfect
What happened to us
We used to be worth it
We never gave up
It wasn't on purpose
But it hurts like it was
Nobody deserves this
What happened to perfect
-What happened to perfect,
Lukas Graham
ERMES
Più il tempo passa, meno Ermes si costringe a pensare a sua madre.
Prima, invece, Ermes combatteva l’inevitabile e si sforzava di non dimenticare nulla, di ricordare ogni minuscolo particolare dell’agonia e malattia di Maia, incidendo nella memoria come le labbra di sua madre riuscissero sempre a produrre un sorriso così bello da farlo sperare di averlo ereditato geneticamente per trasmetterlo ai suoi figli, anche quando ormai le sue labbra erano pallide, e poi violacee e poi rosse di sangue quando tossiva.
Ora invece sa che il passato non funziona in questo modo: il passato torna con un flash di luce e colore, e che tu lo voglia o no, solo qualcosa si salva.
Si salva il sorriso di Maia per pura testardaggine di Ermes, perché è vitale ricordarlo ogni mattina quando si chiede per quale motivo valga la pena alzarsi.
Si salva pochissimo della routine lontana dei tempi in cui anche suo padre era vivo. Sua mamma aveva una capigliatura sbarazzina e corta che la faceva sembrare Trilli, sebbene con una sigaretta tra le labbra. Si ricorda vagamente come fosse bello svegliarsi la domenica nel letto dei suoi genitori, rotolandosi nelle coperte finché non riceveva un calcio nello stinco come punizione per la sua disdicevole energia mattutina. A volte suo padre gli faceva il solletico: Ermes urlava così forte che Maia si lamentava perché era costretta a svegliarsi. Lei aveva le efelidi sparse sul viso come cacao in polvere lanciato sulla pelle a piccole macchie, e sul cuscino dalla federa verde limone gli occhi risplendevano come giada macchiata di caffè. Anche questo resta.
 
  Resta un ricordo reso slavato dal tempo. Da un momento all’altro, corrugando le sopracciglia come se una forza arcana e superiore piegasse a forza i suoi lineamenti, Maia piange. Piegata sul divano, con Ermes accucciato vicino a lei.  Suo padre se ne è andato lasciando due braccialetti e foto segnaletiche, esalando l’ultimo respiro in un ospedale dove a malincuore hanno accolto l’avanzo di galera che è, o era, fresco di nuova condanna.
 
Resta la maniera in cui Ermes aveva sempre saputo quando era possibile farla sorridere, distogliendola dal motivo della sua tristezza. È un dolore acuto a metà del petto, simile a una stilettata pulita e senza scandalo da parte di un sicario, portare alla mente il giorno in cui si era reso conto di essere lui stesso la causa di un pianto addolorato e contenuto.
 
Non può dimenticarsi l’affetto che Maia provava per lui, un amore talmente grande da farlo ricredere sul genere umano nel suo intero, ma lo stesso vale per la rabbia che infiammava gli occhi di sua madre, la sera in cui Maia l’aveva lasciato sul pianerottolo di casa a dormire, senza farlo entrare fino alla settimana seguente.  
Ermes a volte si chiede quante altre piccole cose fondamentali, preziose al pari delle refurtive di una vita intera, abbia lasciato per strada, abbandonate sotto il cuscino e dimenticate tra le pieghe delle coperte sull’amaca da soffitta.  Cos’è successo a quei ricordi felici?
Se qualcuno glieli ha rubati, pensa Ermes, non può dire molto, se non che forse se lo merita.  
 
ORIONE/ARTEMIDE
(La terza lente d’ingrandimento, questa volta più che mai legata al passato.)
 
(Non era passato molto tempo, forse, prima che Artemide accusasse una lieve cotta. Orione era gentile, e testardo e paziente, attento e un poco fuori di testa.)
 
Orion si era fatto largo tra una folla di studenti mentre Daphne Ladondaughter compiva il suo primo e ultimo volo fuori dalla finestra, solo per arrivare vicino ad Art. Ares, poco vicino a loro, aveva in viso una delle più buffe espressioni che Orion avesse mai visto, e sul primo momento non si accorse nemmeno dell’arrivo dell’amico. A quanto pareva, poco era servito che Pos, Orion ed Ares avessero fatto sparire Apollo in seguito a una dose di ‘‘terapia intensiva’’, o che i maestri del mimetismo avessero operato nell’ombra ai danni del nuovo amore che Apollo sentiva nascere nel petto. Quella di Alberello felice sarebbe stata una storia ben conosciuta nei mesi a venire.
  Orion aveva rivolto ad Art uno sguardo che dimostrava ciò che sentiva in quel drammatico momento: un irresistibile desiderio di ridere, piangere e urlare ‘Perché?’ ad Apollo, che solo ed affacciato dalla finestra del primo piano faceva davvero pena.
 Art avrebbe voluto uccidere suo fratello, e Orion l’avrebbe sicuramente aiutata. I due si conoscevano ormai da quattro anni, da quando Orion aveva cominciato il corso di tiro con l’arco con lei, ed erano amici da tre. Non sapeva come fosse successo, Art, che Orion fosse un maschio eppure fosse diventato suo amico, suo consigliere fidato.
Orion era un po’ così, difficile da catalogare, da capire, da vedere nel suo insieme. Nelle foto veniva sempre sfocato, perché Orion era tante cose difficili da immaginare al primo colpo, come un timido, e un solitario. Orion cacciava da solo e odiava essere fotografato, ( e Art tiene ancora gli unici scatti mai riusciti bene in camera, incorniciati, preziosi e rari. Fa così rabbia non averne altri, pensa, poi si corregge mentalmente, perché sono altre le cose che la fanno davvero stare male).
Orion non era nemmeno un nome possibile da abbreviare, a detta degli Olympians, e dire che erano riusciti nell’impresa persino con Zeus, a cui era stato affibbiato un tenero e affezionato ‘Jovi’ da Era, e Poseidone era ‘Pos’ o ‘Possy’ (e Ade era Ade, ma nessuno trovava necessario trovargli un amichevole soprannome; riguardo agli altri, obbrobri come ‘Ermy’, o ‘Pollo’, erano stati grazie al cielo deliri temporanei presto cacciati nell’oblio).
Orion era sempre stato Orion e basta, e prima era solo amico di Pos, poi più tardi era stato l’unico compagno di Art nei suoi allenamenti prima dei tornei, e Art aveva imparato a rispondere di sì senza pensare quando Orion le chiedeva se potesse accompagnarla a casa, per salutare Apollo, in teoria. In pratica, Orion camminava con lei al termine di ogni allenamento –anche se casa sua era dalla parte opposta rispetto al poligono- per poter ogni giorno avvicinarsi di più ad Art senza che questa non si ritraesse, imbarazzata. Orion era uno stratega, Pos l’aveva sempre detto.
Orion odiava i piccioni, e una volta si era deciso ad uccidere i due disgustosi volatili che avevano fatto il nido nelle vicinanze della scuola. Aveva resistito immobile per ore, accucciato in uno sgabuzzino la cui finestra dava sul muro che i due piccioni avevano colonizzato, prima di uccidere entrambi con due colpi ben piazzati. Art l’aveva aiutato a rimuovere le frecce e aveva riso quando Orion aveva emesso un verso simile a un ‘ewh’ disgustato non appena i due cadaveri avevano ricevuto una degna sepoltura in un cassonetto.
Orion era diverso da chiunque altro avesse dimostrato interesse per Art, perché capiva cosa servisse per resistere e tenere duro anche quando lei era fredda, e apparentemente insensibile. Bisognava credere in sé stessi, per essere sicuri che Artemide tenesse davvero a lui, dopo anni di preziosa amicizia e lento corteggiamento all’odore di sangue di piccione e col sottofondo del rumore che le frecce fanno quando colpiscono il bersaglio -tunf, stack.
‘‘Da una lunga gavetta, deriva una lunga lista di motivi per compierla’’, aveva detto Pos, e Orion gli aveva dato ragione mille volte, altro che spider-man.*
Insomma, Orion aveva avuto tutte le ragioni per continuare a essere com’era con Art, perché lei ne valeva la pena, ed era contento anche quando era l’unico a pensarla così.   
E non era passato molto tempo, forse, prima che Artemide accusasse una lieve cotta. Orione era gentile, e testardo e paziente, attento e un poco fuori di testa. Accettare di avere una cotta, e fare qualcosa a riguardo, erano stati un altro paio di maniche. (Forse, un’altra cosa che fa rabbia è il poco tempo che hanno avuto.)
 
ZEUS/DIONISO
Era la prima uscita di Artemide e Orione come coppia dichiarata, provata e certificata ad hoc. Zeus se la ricordava benissimo, anche se per motivi suoi personali oltre a ciò che concerneva l’allora giovane coppia.
Poiché al tempo il tredicenne suo cugino era troppo giovane per essere titolare del locale –al di fuori del nome sull’insegna e sul testamento di sua madre-, dentro al bar a chiacchierare con Zeus non solo c’era Dion, ma anche il caro vecchio, grasso, beone, rincitrullito, straripante di grasso e peli, l’adorabile Sileno in tutto il suo splendore. Zeus aveva una grandiosa opinione del tutore di Dioniso, tale da fargli arricciare il naso ogni volta che l’uomo, ex-sommelier rinomato e migliore amico del padre di Dion, passava loro vicino prima di sparire nel retro del locale. Ancora le luci a neon erano spente, ad eccezione delle lampadine bianche sopra al bancone, e Zeus e Dion erano lì a chiacchierare, uno di fronte all’altro con le gambe quasi a penzoloni dagli sgabelli. Nessun altro era ancora arrivato al luogo dell’incontro, ma ai due cugini non importava.
Dion era piegato in due dalle risate, tanto che Zeus, se non avesse avuto una fiducia incrollabile nelle sue abilità oratorie, si sarebbe chiesto se per caso Sileno avesse già alzato il gomito sbagliando bicchiere da riempire.
-E dopo?
-Era era rossa, bordeaux! Dovevi vederla, quasi scannava Europa con lo sguardo.
-Ma… ma-Dioniso cercò di riprendere fiato-Sul serio si chiama Europa? E sul serio- un altro scoppio di risa lo costrinse a fermarsi. Gli occhi violacei di Dion erano lucidi di lacrime. A Zeus piaceva vedere suo cugino ridere così, sebbene solo nelle giuste occasioni.
-Sì -confermò per l’ennesima volta-La sua più grande passione sono i tori.
Era l’ultima bravata di Zeus, al tempo. Europa altro non era che l’ennesima ragazza molto carina che Zeus non aveva esitato a corteggiare, suscitando le ire della sua pseudo-ragazza-non-ragazza-così-seria, alias Era Juno. Europa, però, l’aveva sorpreso, e non solo per l’infelice scelta che i suoi genitori avevano riferito all’anagrafe.
Ciò di cui Europa amava parlare, a quanto pareva, erano i bovini. Zeus non sapeva se la sua fosse una passione momentanea, un amore eterno e dichiarato, o magari solo il primo argomento che le era passato per la testa all’inizio del loro appuntamento. Non aveva assolutamente intenzione di scoprirlo in una seconda occasione. Aveva blaterato di tori, vacche e mammelle per due ore.
Solo poter raccontare a Dion la tremenda serata che aveva passato in compagnia di Europa –con la misera eccezione delle piacevoli effusioni che ogni tanto avevano intervallato un’orazione a favore dei tori senza un corno e un’altra- lo ripagava in parte della pazienza che aveva dimostrato. Dopotutto, pensava Zeus mentre Dioniso si lanciava in un’ispirata imitazione di Europa che limonava un toro, cioè Zeus, cioè in quel momento una bottiglia di vino che forse era vuota e forse no, Era rimaneva l’unica ragazza con cervello, occhi, tette e gambe (e che gambe) funzionanti. Si ripromise di fare la pace con lei quella sera, o, al più tardi, entro la fine della settimana seguente.
Dopotutto, Zeus non tradiva Era con cattiveria, o perché non le volesse bene: sapeva che probabilmente Era era l’unica ragazza che avrebbe potuto amarlo e sopportarlo con tutti i suoi difetti, meno l’infedeltà, ma sapeva anche che si era giovani una volta sola, e che nessun adolescente era obbligato ad avere relazioni serie fin dal principio. E, se solo Era avesse ragionato un momento, si sarebbe accorta che tecnicamente non era tradimento, perché i due non erano mai stati assieme in maniera seria in primo luogo. Certo, Zeus le aveva fatto una dichiarazione d’amore seria, e correlata da anelli o orecchini in regalo, due o tre volte, ma nulla di più.
 
Zeus sapeva dimostrare un’ottusità sconcertante in campo amoroso, pensava Dioniso tra una risatina e un’altra. Se non avesse avuto riprova, negli anni, dell’acuta furbizia del cugino al di fuori degli affari amorosi, Dion gli avrebbe già fracassato una bottiglia in testa da tempo. Bastava sentirlo raccontare tutti gli appuntamenti disastrosi a cui si ostinava ad andare –che poi, davvero, mucche- per chiedersi perché Zeus non volesse affrontare la realtà e mettersi in una relazione seria con Era Juno, che fin dall’asilo era un corpo celeste in costante attrazione verso il tracotante pianeta che era Zeus. Era una ragazza intelligente, Era, e a Dion a volte faceva un po’ pena, perché al posto suo lui non avrebbe mai continuato a spendere tante energie per un ragazzo che si comportava così. Forse Juno pensava di essere già sposata con Zeus, mentre questi credeva di non aver mai avuto una relazione con lei in primo luogo.
Dion pensò ad Arianna, e a come fosse contento che lei ridesse quando lui faceva una battuta stupida, quando durante le loro uscite era già brillo alle dieci di sera, e a come lui non avrebbe esitato un momento a portarla via da quel suo stupido ragazzo –Teseo, ma che nome era? Europa, Teseo e un toro entrano in un bar, sarebbe stato l’inizio di una bellissima barzelletta-  se solo fosse stato sicuro che anche Arianna provasse qualcosa per lui, e non amasse quell’omuncolo palestrato dai riccioli castano dorato e occhi verdi con cui stava assieme da sempre. A Dion, Arianna era piaciuta dal primo momento in cui l’aveva conosciuta, lei così gentile e intelligente, abile nella logica e pronta alla battuta, così gentile da non guardare Dion male per la fama di alcolista infantile che l’aveva sempre accompagnato. Ed anche a Zeus Era era sempre piaciuta, insomma!
Solo un Grace può essere così coglione, ragionò mentre suo cugino riprendeva il suo racconto.
-Dopo essere usciti dal bar, sai, io camminavo con il braccio attorno alla vita di Europa, lei portava una camicia scollata che attirava magneticamente lo sguardo- Dion grugnì, immaginando intanto Arianna in qualcosa di diverso dalle magliette bianche che solitamente portava e apprezzando l’immagine fittizia-e stavamo camminando di fronte al cinema vicino a casa di Casper Jolan**, il coglione del gruppo di football che ci proverebbe persino con Atena se lasciato libero.
-Un morto di figa.-sintetizzò Dioniso eloquentemente.
-Ecco. Comunque, dal cinema stava uscendo un po’ di gente, doveva essere finito un film. Europa mi ha guardato, e io l’ho baciata, perché se avesse ricominciato a parlare di tori mi sarei messo a piangere-Dion emise un verso soffocato di empatia-ed in quel momento si è sentito un urlo assurdo.
Zeus fece una sorta di versetto oscenamente acuto:-ZEUS!-strillò imitando la voce di Era-COME HAI POTUTO?
Come hai potuto tradirmi per la trecentesima volta?, rielaborò Dioniso nella sua mente. Cavoli, Juno, ormai con i bollini di alta infedeltà puoi ricevere una teiera in regalo!
Si sentì un essere disgustoso, pensando poi a come si sentiva lui ogni volta che Arianna scusava i comportamenti insopportabili di Teseo davanti a lui ed Estia, e provò una fitta di solidarietà per Juno.
Zeus intanto stava descrivendo l’acceso dialogo che era presto nato tra le due ragazze, Europa ed Era, ToroLover01 e ZeusLoverFinDall’Asilo,Stronze nella mente di Dion.
Le due a quanto pare avevano cominciato una sorta di ‘Lui è mio!’, ‘No, lui è mio.’ come si faceva a casa Grace per l’ultima fetta di torta al cioccolato, anche se, in questo caso, l’oggetto contestato era Zeus Jupiter Grace. Per la milionesima volta nella sua breve vita di consulente romantico di suo cugino, Dion si chiese come Zeus avesse tanto successo con le donne –come riuscivano a non fuggire tutte non appena cominciava a parlare?
Zeus pareva un tacchino fiero del suo piumaggio –un tacchino, sì, non un pavone- mentre raccontava la maniera in cui Era aveva definito Europa una feticista dei bovini, assieme ad altri insulti meno carini. Poi Era aveva ingiuriato anche Zeus, e a quel punto del racconto il narratore si fece meno allegro.
-Mi ha tirato in testa la borsetta.
-Beh, amico, è il minimo che potesse fare. Io ti avrei già evirato, al suo posto-rispose Dion forse con troppa sincerità. Bere con Sileno prima che arrivasse Zeus forse non era stata una grande idea come era sembrata all’inizio, meditò distrattamente. Suo cugino corrucciò le sopracciglia.
-Non cominciare anche te con la manfrina del tradimento, andiamo-
-Zeus-Dioniso lo interruppe-Se vuoi che i tuoi inutili e orribili appuntamenti non siano considerati come tradimenti, allora devi smetterla di considerare Era come la tua ragazza, nel senso che devi lasciarla andare! Quando Era ha provato a uscire con qualcun altro hai dato di matto, e così sei solo ipocrita!-ignorò il rannuvolarsi negli occhi blu elettrico di Grace-Se vuoi che non stia con nessun altro all’infuori di te, stai con nessun’altra all’infuori di lei, altrimenti le stringerò la mano non appena smetterà di andarti dietro come un cagnolino!
Silenzio. Dioniso deglutì, ignorando il formicolio alla base del collo alla vista dell’espressione sul viso di Zeus. In vino veritas, avrebbe detto Sileno in quel momento come commento del suo scoppio di sincerità, ma il suo tutore era fuori dal locale, e una volta tornato avrebbe trovato solo il corpo, freddo e privo di vita, di Dioniso Wine, giovane ragazzo trovato morto nel suo pub e ucciso dal cugino Zeus Grace in un attimo di rabbia. Fonti incerte dicono che la vittima avesse appena suggerito una forma di regolazione delle attività amorose del cugino, in favore di una giusta relazione monogama…
 
   Apollo Solace ed Ermes Stoll entrarono in quell’attimo dentro il pub. Zeus ringhiò e, una volta a debita distanza dal cugino, quest’ultimo respirò di sollievo.
Dopo un saluto generale, Dion si accorse di ciò che non quadrava nella scena che aveva davanti agli occhi.
-Ehi, ma dov’è Art?
Il viso di Apollo, che quell’anno portava i capelli biondi un po’ lunghi e occhiali da sole wayfarer persino di notte, si accartocciò come carta stagnola mentre cercava le parole. Pareva sconvolto.
Ermes intervenne.
-Si sono messi assieme, Orione e Artemide-si premunì di specificare. Zeus assunse una comica espressione di incredulità.
-Merda –commentò -ma allora Possy aveva ragione! Orion ce l’ha fatta!
In un istinto di solidarietà maschile, prese un bicchiere pulito e vi versò i rimanenti della bottiglia di cui prima Dion aveva appassionatamente esplorato i contenuti. Il cugino appurò con aria leggermente disgustata l’apparente noncuranza delle più basiche norme igieniche da parte dei suoi amici mentre Ermes e Apollo accettavano, dopo qualche inutile remora, l’invito di Zeus di bere anche loro, tutti dallo stesso bicchiere.  Essere allevato in un luogo come un locale, dove per garantire qualità bisognava stare attenti all’igiene, controllando più di tre volte da chi provenisse il bicchiere da cui si voleva bere anche per la propria salute personale, faceva sì che per Dion la scena aveva un che di disturbante, quasi come il pensiero di Artemide Solace impegnata in una relazione romantica.
Art li odiava i ragazzi, questo era un dato di fatto. Li disprezzava e sopportava mal volentieri, come aveva premura di ricordare loro ad ogni uscita, prima di fuggire con una sua ‘Cacciatrice’.
Art voleva bene ad Orion e passava più tempo con lui che con suo fratello, però. Ed Orion era galante, cacciatore, e uccideva piccioni come un Robin Hood durante gli intervalli.
Forse Art era umana, pensò Dion. Campane suonarono nella sua mente leggermente brilla al pensiero che persino Artemide avesse un cuore. Voleva sicuramente dire che anche lui aveva speranza con Arianna, e al diavolo i commenti scettici di Ecate ed Estia a riguardo.
Prese una bottiglia di aperol nuova, e si diede da fare con i primi spritz della serata.
-Bisogna festeggiare!-urlarono sia lui che Zeus a pochi secondi di distanza. Il locale si fece presto pieno di risate e battute di pessimo gusto, fino all’arrivo della coppia.
 
ORIONE/ARTEMIDE
Orion sentiva di poter ballare un tango con una scopa davanti al mondo intero senza nemmeno vergognarsi, perché in quel momento tutto gli sembrava quanto mai perfetto e destinato a rimanere tale. E questo non perché tra lui e Artemide sarebbe mai potuto filare tutto liscio –la loro stessa amicizia era nata tramite schermaglie verbali e, a volte, fisiche-, ma perché Artemide in quel momento, in quel giorno, e probabilmente anche domani e forse tra una anno gli voleva bene. Gli voleva bene abbastanza da dirglielo come se fosse una brutta notizia, dopo un’ora di silenzi carichi di tensione di cui Orion aveva tentato di scoprire la causa con qualche domanda posta con cautela.
-Orion, mi piaci.- Orion, sei orribile, avrebbe potuto dire, il tono era quello.
Orion era rimasto fermo, immobile, il respiro colto tra le labbra come se fosse morto sul colpo alle parole della ragazza. Art aveva i capelli raccolti in una treccia scomposta e gli occhi argentei dal taglio allungato stanchi e un po’ rossi, un brufolo sul naso e un’espressione sofferta. Orion pensò che avrebbe voluto baciarla, come dopotutto pensava ogni volta che passava del tempo con lei da quando si conoscevano.
Avrebbe voluto chiedere una conferma, mormorare un ‘Sul serio?’, ma sapeva che se Art aveva pronunciato quelle parole –e se il tutto non era un frutto di un’allucinazione uditiva-, allora Artemide era seria nella sua dichiarazione, che aveva ragionato per chissà quante ore sulla loro amicizia e il loro rapporto, su Orion e su come, forse, valesse la pena rischiare il rapporto che avevano costruito per mantenere la sincerità schietta che era sempre stata presente nel loro rapporto.
Orion si era dichiarato ad Artemide quando si era reso conto che era riuscito a diventare suo amico, e non aveva più tirato fuori l’argomento. Era un detto-non-più-detto che non aveva mai arrugginito più di tanto il loro rapporto, perché Art aveva premura di ricordargli periodicamente che loro erano amici, e che anche solo per il fatto che gli aveva concesso la sua amicizia e stima Orion avrebbe dovuto baciarle i piedi. Quando Art faceva un discorso del genere, Orion rideva, e i due si burlavano delle facce confuse di Apollo. Pochi capivano Artemide. Orion l’aveva sempre trovata enigmatica, difficile da inquadrare nel complesso. Sfuggente, sempre in corsa.
Art correva veloce, e diceva sempre che chi amava davvero la terra era chi correva, perché era capace di accarezzarla senza incidere sul suolo. Orion aveva imparato ad amare la terra, la sua vita, le piccole conquiste e le vittorie inseguendo Art con il fiatone, sorridendo quando lei si voltava per controllare che mantenesse il passo.
Ora che Art si era fermata, Orion forse rischiava di proseguire e lasciarla indietro.
Lo stava guardando con una nota incerta negli occhi che non era solito vedere nella sua migliore amica, e Orion capiva benissimo come si dovesse sentire, lei che mai si sarebbe aspettata di ricambiare un giorno i suoi sentimenti –dopotutto, Art sapeva poco di sentimenti, gliel’aveva sempre detto.
Le prese le mani, e con una certa calma reverenza così propria di chi tocca ciò che è caro al suo cuore intrecciò, con lentezza, come per controllare che andasse bene, che non fosse troppo veloce, perché Art a volte correva via e batteva la ritirata, le sue dita con le sue.
Art sorrise, e Orion sentì di aver fatto la mossa giusta.
Con lentezza, come per accompagnare Art in un cammino che non aveva mai percorso prima, Orion si permise di baciarle le labbra con la leggerezza di un soffio, e giurò che la sua migliore amica e probabilmente qualcosa di più –dei, non ci poteva credere- fosse appena arrossita.
-Anche tu mi piaci.
Artemide aveva sorriso di nuovo, meno imbarazzata e più lei, più Art.
Quella sera, Orion le aveva tenuto la mano sotto al tavolo quando Apollo ed Ermes non li fissavano con troppa insistenza, e quando Dion evitava di venir loro vicino per appurare, con aria vagamente scettica e divertita, la nuova situazione nel panorama della vita degli Olympians. Nonostante le pessime frecciatine di Zeus, i pessimi racconti di Zeus circa una certa Europa, e infine i terribili commenti di Zeus circa la loro relazione (Orion non andava matto per il giovane Grace, bisogna ammetterlo), Artemide gli aveva assicurato, a fine serata, di essersi davvero divertita. Orion aveva trovato più facile respirare, e immaginare una corsa che sia lui che Art riuscivano a compiere assieme.
 
 
 
NOTE:
*-parodia di ‘Da grandi poteri, derivano grandi responsabilità’, celebre frase di Ben Parker, zio di Spider-man
**-il giocatore di football che nel capitolo 4 (il futuro, rispetto a questo capitolo XD), ci ha effettivamente provato con Atena
!Chiedo scusa per il turpiloquio, ma Dion non ha certo ricevuto una educazione tale da limitare il linguaggio nel contesto amichevole e informale che ha con il cugino nel pub!
Spero che abbiate apprezzato questo capitolo, vagamente frammentato. Nel prossimo raccoglieremo i fili di questo lungo flashback. Mito affrontato è, ovviamente, quello di Europa :P, certamente rielaborato in maniera…inusuale.
Baci e abbracci, grazie del magnifico supporto! Scusate il ritardo, come sempre, spero che il capitolo abbia ripagato l’attesa. NON CONDIVIDO LO STILE DI VITA AMOROSO DI ZEUS, SIA CHIARO. Preferisco di gran lunga il brioso Dioniso (di cui finalmente conosciamo il tutore, il satiro Sileno!).
Ali<3
 

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