If you ever felt... di Longview (/viewuser.php?uid=491265)
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** ...Alone ***
Capitolo 2: *** ...Rejected ***
Capitolo 3: *** ...Confused ***
Capitolo 1 *** ...Alone ***
Hola
a todos! Ho voluto cimentarmi in questa... cosa. Non ho idea
di cosa ne sia uscito, è la prima volta che scrivo una
raccolta, e per di più partendo dal titolo delle singole os.
Saranno in tutto undici (Alone, Rejected, Confused, Lost, Anxious,
Wrong, Unclean, Ungry, Ashamed, Curious, Used) e credo ne
pubblicherò una alla settimana, massimo due. Sarei felice di
avere una vostra opinione, un piccolo commentino... anche un semplice
"datti all'ippica" (?). Mi scuso in anticipo se c'è qualcosa di strano nell'impostazione del testo, ma purtroppo l'editor di efp non voleva proprio collaborare D:
Anyway, ora vi lascio alla lettura c: (anche perchè credo
che entro trenta secondi mi andrà a puttane la
connessione quindi mi devo sbrigareeeeee D:).
Ci si vede alle recensioni, pipppppollll (se mai ce ne
saranno).
-Longview
If
you
ever felt…
…Alone
Gli esami
all’università lo stavano uccidendo. Le sue
giornate erano scandite dalla
solita routine: la mattina si svegliava, puntualmente si scopriva in
ritardo e
correva in aula ad attendere che il docente pronunciasse il suo nome,
per
esaminarlo. Così da due settimane. E il tutto
era condito dalla sua proverbiale ansia, che non lo
abbandonava mai da
che ne avesse ricordo.
In mezzo
agli impegni continui, tra lavoro, studio e lezioni a ogni ora del
giorno,
difficilmente Gerard riusciva a ritagliarsi del tempo per se stesso o
per
distrarsi con i suoi pochi amici. Gli sarebbe piaciuto fare uno squillo
a suo
fratello, sentire come stava e come andavano le cose a scuola, e magari
invitarlo a prendere un caffè da lui uno di quei giorni. Ma
sapeva che entrambi
erano troppo occupati per permettersi di prendersi una pausa.
Non era
mai stato un ragazzo con molti amici lui, era una di quelle persone che
non
amano la compagnia di altri esseri umani. Ma in quei momenti non poteva
negare
di sentirsi solo. Non gli faceva effetto la solitudine in
sé, ma il fatto di
non avere nessuno con cui condividere quello che gli succedeva, con cui
parlare
dopo una dura giornata di lavoro, o con cui riempire il poco tempo
libero che
aveva senza dover ricorrere alle sue amiche/nemiche di vecchia data, le
inutili
bottiglie di birra e alcool che lo perseguitavano da anni.
Da ore era
chino sui libri, ripassando per l’ultimo esame che avrebbe
dato il giorno
seguente, conscio che, oltre a quello, aveva da terminare un importante
progetto, da consegnare al suo datore di lavoro entro il mattino dopo.
Erano le
cinque del pomeriggio, e Gerard ebbe l’improvvisa
realizzazione di essere nella
merda. Si strofinò a palmi aperti gli occhi, nel tentativo
di far sparire tutta
la stanchezza come per magia, e magari di far tornare indietro di
qualche ora
le lancette dell’orologio.
Voleva che
tutto andasse per il meglio, ma non era una cosa possibile.
Improvvisamente si
sentì pervadere da uno strano senso d’ansia, che
gli opprimeva il torace e non
lo lasciava respirare. Aveva un gran bisogno di vomitare, sentiva
distintamente
tutte quelle orribili sensazioni che, ne era abbastanza certo, lo
stavano
portando ad avere un attacco di panico, spingere
nell’esofago, o forse lungo la
trachea, e che si stavano preparando ad esplodergli nella cassa
toracica.
Prese
qualche respiro profondo; il suo pensiero costante in quel momento era
quello
di non perdere tempo, ma non sapeva come sarebbe riuscito ad uscire da
quella
situazione senza l’aiuto di qualcuno.
Calde e
pesanti lacrime presero a cadere dai suoi occhi oliva, piene di
angoscia e
stress. Avrebbe voluto smettere, nascondere i suoi sentimenti a una
presenza
immaginaria, forse a se stesso, o magari ricevere un abbraccio -si
sentiva
patetico, ma era quello che voleva-, qualche parola di conforto
sussurrata
nell’orecchio. Ma continuava ad essere solo, in
quell’appartamento. Avrebbe
tanto voluto che una certa persona fosse lì con
lui…
Il suono
del campanello della porta d’ingresso lo fece saltare in
piedi con uno scatto,
facendo ribaltare la sedia su cui era seduto. Vide le sue mani tremare,
ma
dovette farsi forza e asciugare le lacrime, riacquistando, almeno in
parvenza,
un po’ di calma. Si diresse verso la porta e, prima di
aprire, prese un ultimo
profondo respiro.
-Gee!-
tutto quello che Gerard riuscì a visualizzare fu il viso
sorridente di un
ragazzetto un po’ più piccolo di lui, che lo
guardava con due occhi tanto dolci
e pieni di gioia. Anche lui avrebbe voluto scoppiare dalla
felicità, perché era
troppo bello per essere vero vedere un volto tanto famigliare. Quello
del suo ragazzo.
-F-Frank…?-
non ci voleva davvero credere. Giusto pochi minuti prima stava pensando
a lui,
a quanto gli sarebbe piaciuto se fosse stato lì, a tirargli
su il morale,
a farlo stare
meglio. Gli mancava.
-Sono
venuto a trovarti… spero non ti dispiaccia- il sorriso che
il più piccolo gli
rivolse gli fece sciogliere il cuore. “Ovvio che
no”, avrebbe voluto
rispondergli. Ma l’unica cosa che gli uscì dalla
bocca fu un sospiro: tutto
quello che fece dopo fu gettargli le braccia al collo e stringerlo a
sé,
togliendogli quasi il fiato, e riprendendo a singhiozzare sulla sua
spalla.
Frank non
fece domande, lasciò che si sfogasse, confortandolo e
rassicurandolo come solo
lui sapeva fare. E Gerard non desiderava altro.
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Capitolo 2 *** ...Rejected ***
...Rejected
Holaaa! :3
Rieccomi con una nuova os c: sarò veloce perchè
sono di fretta, quindi mi limito a ringraziare xCyanade che ha
recensito lo scorso capitolo, Bbpeki e Sunset_Lily che hanno messo la
storia tra le seguite, e anche tutti quelli che hanno letto soltanto
<3 mi rendete taaanto felice <3
Vabbè, ora
scappo che mi aspetta un casino di roba da studiare D: Peccato che non
ne abbia la forza c.c
Byeee <3
-Longview
If you ever felt...
...Rejected
-Ehi, torna qua!-
Frank non conosceva il
motivo preciso per il quale si era trovato a correre tra i corridoi
semideserti della scuola. Aveva incrociato gli sguardi di tre ragazzi
le cui espressioni non promettevano nulla di buono, e il fatto che
fossero diretti proprio nella sua direzione non lo aveva per niente
rassicurato. Si era
sbrigato a recuperare i libri per l’ora successiva e chiudere
l’armadietto, ma
quelli già avevano aumentato il passo e lo avevano bloccato
con le spalle al
muro. In quel momento ringraziò una qualche
entità superiore che, alla sua
nascita, aveva deciso di donargli un corpo così minuto,
così da riuscire a
sgusciare in mezzo ai tre e scappare lontano da loro. Ma quelli non
mollavano.
Frank
aveva raggiunto il cortile esterno, ma ancora non era scampato alla
furia
ingiustificata di quegli idioti; uno di loro lo afferrò per
una clavicola –il
ragazzo gemette dal dolore- e lo fece sbattere contro la parete di
mattoni.
-Dove
corri, Iero?- ghignò quello.
-Il più
lontano possibile da voi tre coglioni, mi pare ovvio- Frank era sempre
stato un
ragazzo sfacciato; non si lasciava mettere i piedi in testa molto
facilmente.
Ma non aveva mai imparato che c’erano momenti in cui avrebbe
fatto meglio a
mordersi la lingua e a pensarci due volte prima di aprir bocca*.
Da quel
momento Frank staccò completamente il cervello; le uniche
cose che sentì nei cinque
minuti successivi furono urla, insulti, finché non vide un
pugno serrato farsi
strada e colpirlo in piena faccia, facendolo cadere a terra,
già senza forze.
Si faceva una certa pena, non era neanche in grado di incassare un
colpo senza
cominciare a sentire i sensi abbandonarlo, proprio come in quel
momento. Non
reagiva, ma era contento di aver scatenato una simile reazione: un
sorrisetto
strafottente si fece largo sul suo viso.
-Allora,
non dici nulla??- Frank lo fissò impassibile, nonostante il
dolore che iniziava
a irradiarsi per tutto il volto e per il quale si sarebbe volentieri
messo a
urlare. Per qualche secondo venne sfiorato dall’idea di
rispondergli per le
rime, ma dovette ricordare a se stesso il fatto che non si trovava
nella
posizione adatta per insultare e sperare di salvarsi la pelle. Poco ma
sicuro
gli avrebbero spaccato la faccia, e lui non era ancora a un livello di
masochismo tale da dare loro un pretesto per farlo.
-Ehi,
fermi!- una voce, lieve ma decisa, interruppe il flusso dei suoi
pensieri;
sperò non appartenesse a quel ragazzo gracilino e occhialuto
che li fissava da
non molto lontano, e che in quel momento si stava avvicinando deciso a
loro,
frapponendosi tra il suo corpo riverso a terra e i tre che fino a
cinque
secondi prima lo stavano malmenando… ecco, Frank
pensò non esistesse cosa più
stupida di quella, ma ringraziò comunque mentalmente quel
ragazzino, visto che
gli stava offrendo una buona occasione per darsela a gambe levate.
Ci fu un
breve scambio di battute tra i quattro, a cui però Frank non
prestò molta
attenzione, intento com’era a raccattare la sua roba e
scappare; ma la sua
coscienza non lo fece andare molto lontano: in fin dei conti quel
poveretto
aveva tentato di difenderlo, e lui come ringraziamento lo mollava
lì da solo a
vedersela con tre ragazzi che erano almeno il doppio di lui? Sapeva non
sarebbe
potuta finire bene in ogni caso, ma almeno non avrebbe fatto la figura
del
bastardo.
Contro
ogni sua aspettativa, quei tre, dopo aver scagliato a entrambi
un’occhiata carica
d’odio, se ne andarono, facendo tirare un respiro di sollievo
ai due ragazzi.
-Ehm,
piacere, io sono Michael- Frank sollevò lo sguardo,
incontrando quello nascosto
da due spesse lenti di vetro dell’altro -Ma tutti mi chiamano
Mikey-
Rispose in
modo forzato al sorrisetto che gli aveva rivolto, riscuotendosi dallo
stato di
shock in cui ancora si trovava e stringendo la mano che questi gli
aveva porto:
-Sì, piacere… io sono Frank-
-Primo
incontro un po’ burrascoso, eh?- entrambi risero, Frank via
via sempre meno
convinto ora che l’adrenalina del momento stava sparendo. Si
chiese perché il
suo naso non avesse deciso di far scoppiare una bella emorragia quella
volta,
ma ne fu contento, nonostante il dolore che gli stava impedendo ogni
singolo
movimento. E Mikey parve accorgersene, visto che tentò di
sorreggerlo, anche se
in fondo non ce n’era bisogno.
-Già, ma
va bene, ormai ci sono abituato… qui tutti mi trattano come
l’ultima ruota del
carro, sai com’è- abbozzò una risatina
nervosa, tanto per sciogliere la
tensione, ma l’altro rimase serio, e forse un po’
dispiaciuto.
Lasciato
indietro questo fatto, i due presero a parlare del più e del
meno, e, per
quella che era forse la prima volta in vita sua, Frank si
sentì accettato da
qualcuno. Forse anche per lui era arrivato il momento del riscatto.
*Questa frase l'ho
bellamente rubata a Temper
temper dei Bullet for my valentine (se cliccate sul titolo
potete ascoltarla); sono i primi due versi della canzone.
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Capitolo 3 *** ...Confused ***
Mi scuso
con quelli che seguivano questa raccolta -sempre che ce ne fossero,
ovviamente-, è da qualcosa come... tre mesi che non mi
faccio sentire. Ho passato un po' un periodaccio sotto ogni aspetto e
mi era passata la voglia di scrivere. Giusto giusto ora ho finito di
scrivere questa os e... beh, perchè non pubblicarla subito?
Spero vi piaccia e boh, se avete voglia di lasciarmi una recensione per
farmi sapere cosa ne pensate ne sarò molto felice :)
Alla prossima -si spera presto- <3
If you
ever felt...
...Confused
Frank
adorava le mattine d'inverno. In questa stagione aveva l'abitudine di
puntare la sveglia una decina di minuti prima dell'orario in cui si
sarebbe dovuto alzare per portare i bambini a scuola, così
da potersi crogiolare per quel breve lasso di tempo nel piacevole
tepore delle coperte a pensare. A esser sinceri, pensare e riflettere
erano azioni che, ne era convinto, aveva iniziato a compiere da poco.
Fino a un anno prima chiunque avrebbe istantaneamente associato il suo
nome alla personificazione dell'illogicità e della
sconsideratezza: era abbastanza certo che nel vocabolario sotto la voce
"pericolo" ci fosse stampata una sua foto.
Fatto sta che Frank era cambiato, da qualche mese a quella parte. Si
sentiva come se, un bel giorno, si fosse svegliato nel corpo di un
altro, in un'altra casa, con una moglie diversa. Anche se sapeva e
ricordava di conoscere molto bene chi fosse lui e chi gli stava
attorno, ogni cosa gli appariva troppo lontana per essere avvertita
alla perfezione. Era come quando ti sforzi per ripescare dalla tua
mente un qualcosa di perso, dimenticato, ma che senti di percepire
perfettamente. Aveva il ricordo di com'era la sua vita prima sulla punta
della lingua. Per quanto si spremesse le meningi, non riusciva a
ricordarsi chi fosse lui
precedentemente. Chi era Frank Iero? Cosa ne faceva della sua vita? Che
cosa aveva costruito fino a quel momento?
Che forse stesse vivendo la vita che gli sarebbe toccata se solo una
serie di curiose coincidenze non gliel'avesse stravolta, dodici anni
prima? O forse era stato tutto un sogno? Il tutto gli ricordava un film
con Nicholas Cage che aveva visto la sera precedente. e non sapeva se
riderne o esserne spaventato, perché, al momento, aveva un
tornado in testa che gli confondeva le idee.
Avrebbe voluto aprirsi la scatola cranica e anestetizzarsi il cervello
per qualche ora, in modo da non fargli vomitare addosso a sé
tutta quella marea di domande; o magari punzecchiarlo, così
da fargli provare le torture a cui lo sottoponeva ogni fottuto giorno.
In fondo era anche inutile crogiolarsi nei ricordo, nei sensi di colpa,
nella staticità che si attraversa quando si attende un
momento importante, durante la quale ogni istante è vissuto
senza goderselo appieno, giusto per far trascorrere i minuti, le ore, i
giorni che separano da quell'avvenimento. Perché non c'era
più nulla da aspettare. E il tempo non si sarebbe fermato
pazientemente fino a che non avrebbe compreso appieno la cosa.
In quei mesi che erano trascorsi da quando aveva preso la decisione
più difficile della sua vita, aveva capito che non poteva
restarsene con le mani in mano, a osservare il mondo andare avanti
senza di lui. Frank c'era, cazzo, e voleva farsi sentire! Per questo
era arrivato alla conclusione che doveva rendere vana quell'attesa.
Voleva raggiungere un traguardo, e finalmente porre fine a quella
sensazione di statico. Anche se non sapeva in che modo, o forse lo
sapeva talmente bene che aveva paura di aver frainteso le sue
volontà. Come quando a scuola era certo di conoscere la
risposta a una domanda dell'insegnante, ma si ritrovava sempre nel
dubbio di aver compreso appieno ciò che questo intendesse.
Si era detto che sbagliando non avrebbe causato niente di irreparabile.
Quella mattina, infine, come molte altre, si era alzato dal letto e si
era trascinato in bagno, non molto pronto ma con l'apparente voglia di
voltar pagina.
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