Il Lato Oscuro

di cisqua92
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** CAP.1 COME FA? ***
Capitolo 2: *** CAP.2 TIGRE ***
Capitolo 3: *** CAP.3 STALKER ***
Capitolo 4: *** CAP.4 SEGRETO ***
Capitolo 5: *** CAP.5 PUZZLE ***
Capitolo 6: *** CAP.6 OGNI COSA HA IL SUO PREZZO ***
Capitolo 7: *** CAP.7 IL LATO OSCURO ***
Capitolo 8: *** CAP.8 FALL IN LOVE ***
Capitolo 9: *** CAP.9 LE SUE PAROLE ***
Capitolo 10: *** CAP.10 IN CASA ***
Capitolo 11: *** CAP.11 PICCOLI FRANTUMI, GRANDE DOLORE ***
Capitolo 12: *** CAP.12 NON ME NE VADO ***
Capitolo 13: *** CAP.13 RACCONTO ***
Capitolo 14: *** CAP.14 REGALO ***
Capitolo 15: *** CAP.15 30 DICEMBRE ***
Capitolo 16: *** CAP.16 SGUARDI CHE PARLANO ***
Capitolo 17: *** CAP.17 GELOSIA ***



Capitolo 1
*** CAP.1 COME FA? ***


CAP.1 COME FA? ___ “Oggi è una bella giornata” mi ritrovai a pensare, in un istante di distrazione. Ma mi ripresi subito; tra meno di cinque minuti sarebbe suonata la campana per l’inizio di questa nuova ed emozionante (in senso ironico ovviamente) giornata di scuola che inizia proprio con una bella verifica su una delle mie materie preferite: algebra! Guardai l’orologio che segnava le 8.00 e, nel mentre, la campanella suonò ed iniziarono ad entrare i primi studenti tra cui Lysandro (seguito da leggeri gridolini delle ragazze della classe… ma che ci troveranno mai in un tipo dallo stile e dal comportamento così… ambiguo? Fuori moda? Strano? Sarà il fascino dei suoi occhi bicolore), la piccola Violet, Iris e tutti gli altri. Alle 8.10 entrò il professore.
- Bene ragazzi. Vi concedo 5 minuti per ripassare e poi cominciamo con la verifica. Sono 10 quesiti da risolvere entro la fine delle 2 ore. -
Dopo queste parole, sentii un frusciare di fogli, libri e quaderni alle mie spalle (no no. Mi dispiace, ma sono in terza fila, non in prima come sospettavate voi) e leggeri borbottii tra cui riuscì a distinguere solo il commento di Lysandro seguito dalla risposta di Iris.
- Ma c’era una verifica oggi? -
- Si, di algebra. Non dirmi che te ne sei dimenticato come tuo solito! - Risi appena. Quel ragazzo è incredibile: si dimentica quasi di tutto e riesce sempre a farla franca. Se non è un talento questo, ditemi voi cos’è!
Dato che avevo già ripassato, decisi di dare un’occhiata alla classe: il prof stava segnando gli assenti, i ragazzi tentavano di carpire qualche informazione in più dai loro libri, (tranne Lysandro che, incurante del suo problema, scribacchiava qualcosa su un quadernetto). Mi voltai per controllare l’ultima fila e, in particolare, verso le finestre e confermai il mio sospetto: LEI non era ancora arrivata. Dio. Quella ragazza si è rovinata a furia di frequentare quell’idiota di Castiel. Guardai nuovamente l’ora: le 8.15.
- Bene. Via i libri e gli astucci. Vi occorrono solo matita, gomma e penna. - Disse il prof, mentre iniziava a distribuire le fotocopie e in quel momento la porta si aprì ed entrò LEI. E subito la rabbia mi assalì.
- ‘giorno prof. Scusi il ritardo. - Il prof si voltò.
- Avanti, Smith. Siediti e cominciamo. -
Che cosa?! Merda! Neanche questa volta le dice niente?! Quella ragazza entra sempre in ritardo e mai una volta i prof l’hanno in qualche modo sgridata. Mai. Che nervoso. Senza contare che ha la media uguale alla mia. Che nervi. La ragazza (tale Leah Smith) si sedette dietro di me e appoggiò a terra il suo solito borsone da palestra (a che le serve lo sa solo lei) e la custodia del basso. Si, perché lei è la bassista del gruppo di Lysandro e Castiel nonché voce femminile. Non l’ho mai sentita cantare, ma dicono sia brava. Bah! Non è il momento di distrarsi, i numeri mi chiamano.

Come al solito, fui il primo a consegnare e, sempre come al solito, fui seguito da Leah. Il prof, per nulla sorpreso, ci concesse di uscire dall’aula prima e non ce lo facemmo ripetere due volte (anche perché sono indietro col mio lavoro di segretario delegato). Presi le mie cose e uscì dirigendomi verso la Sala Delegati mentre lei andò verso il cortile. La ignorai ed entrai nella Sala. Essendoci bel tempo, decisi di aprire le finestre e mi misi al lavoro. Dopo neanche 10 minuti, sentì un basso suonare: era Leah che si esercitava in cortile. Decisi di ignorarla e proseguire col mio lavoro.

Passò un’ora buona e lei ancora non smise di suonare. Ammetto che quella ragazza è per me una specie di chiodo fisso, fin dal primo giorno di prima liceo: ha sempre avuto una media alta nonostante i suoi ritardi e nonostante io non l’abbia mai vista con un libro o anche solo un foglietto di appunti in mano presa a ripassare. Inoltre, per via del mio incarico, so che ha un lavoro part-time in un minimarket in centro che la impegna anche fino a sera tardi. Ma come fa? Decisi di alzarmi e di sbirciare dalla finestra. Leah era seduta su una panchina sotto un albero, intenta a strimpellare qualche nota con il suo immancabile borsone poggiato di fianco. I capelli lilla dalle punte nere le cadevano sul volto, ma lei non sembrava farci caso. Leah non è una ragazza particolarmente bella, ha un viso comune e non è molto alta. Si veste sempre in modo sportivo: converse, jeans e maglietta, a volte indossa una camicia. Non l’ho mai vista con un vestito o una gonna e nemmeno truccata. La definirei una tipa acqua e sapone. I suoi punti di forza sono i capelli, di un riccio perfetto, e la sua corporatura: è particolarmente muscolosa per essere una ragazza, credo sia per una qualche attività sportiva che pratica, il che riduce ulteriormente il tempo a lei disponibile per studiare. Smise per un secondo di suonare per tirarsi indietro i capelli. E lì mi resi conto per la prima volta di altre due sue caratteristiche: gli occhi (di un verde brillante) e un segno allo zigomo sinistro (una cicatrice forse?). Ma furono gli occhi a colpirmi di più: non avevo mai notato che fossero di un così bel colore. Li ricordavo scuri. Lei alzò lo sguardo e mi notò. Non sembrava né sorpresa né scocciata del fatto che stessi lì a guardarla, semplicemente alzò il sopracciglio e tornò a suonare. Un’altra sua caratteristica? La sua capacità di irritarmi pari a quella di Castiel. Ah ecco… parli del diavolo e spuntano le corna. Eccolo lì che la raggiunge e le dice qualcosa. Probabilmente l’ha informata dell’orario delle prove. Nel mentre, suonò la campana dell’intervallo e io decisi di continuare più tardi il mio lavoro.

Come sospettavo, a fine lezioni, Lysandro venne a informarmi che lui, l’idiota e Leah sarebbero rimasti nello scantinato a provare fino alle 16. Acconsentì e mi preparai per un altro pomeriggio di studio in biblioteca. Si, perché le chiavi dello scantinato le ho io e senza di me non possono provare. Mi piace avere questa sorta di potere su Castiel, ecco perché accetto di far loro da palo durante le prove, potrebbe tornarmi utile. Provarono fino alle 16, come stabilito e io studiai tutto il tempo. Quando uscirono, Lysandro venne ad avvisarmi e io andai a chiudere la porta, dopodiché mi diressi anch’io verso l’uscita. I tre erano appena fuori l’ingresso del cortile a chiacchierare e ad attendere l’autobus sulla quale Leah sarebbe salita. Era il numero 21, lo stesso che prendo io per tornare a casa. Salimmo e lei s’infilò nelle orecchie le cuffie dell’mp3, come fa sempre, mentre io mi ritrovai a pensare. Sono già le 16 e domani c’è un interrogazione per la quale io ho speso tutto il pomeriggio a studiare, mentre lei ancora nulla. A un certo punto, lei si alzò, scese in una fermata del centro e la vidi dirigersi verso un minimarket. Quindi lei ora ha un turno di lavoro. Il che vuol dire che lavorerà minimo fino a chiusura, ovvero verso le 18. Vuol dire che studia di sera? Ma ha dietro quel borsone da palestra. Quindi andrà anche ad allenarsi? Mi misi una mano tra i capelli e sbuffai. Ero troppo curioso. Lo sono sempre stato, ma ora il livello si è alzato di parecchio! Cavolo! Quando studia? E soprattutto, quanto tempo ci mette per essere al mio stesso livello? Come fa? Basta. Ho deciso. Io, Nathaniel, scoprirò il suo segreto!




Note:
Ciao a tutte! Ecco la mia primissima Fanfic! Spero con tutto il cuore che vi piaccia, ci sto mettendo tutta la mia passione! Il primo capitolo potrebbe risultare noioso, ma dal secondo la storia si fa più avvincente! Recensitemi! Commentate! Accetto le critiche, purchè costruttive! Saluti e grazie per aver letto!

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Capitolo 2
*** CAP.2 TIGRE ***


      CAP.2 TIGRE ___    Ormai ho deciso. Scoprirò il suo trucco! Mi puzza il fatto che riesca ad ottenere dei voti così alti senza studiare tanto quanto me. Non lo concepisco. Fortunatamente la Direttrice mi ha concesso 3 giorni di riposo dal mio incarico di segretario delegato (ho mentito dicendo che ho un problema in famiglia… odio le bugie… ma sono troppo curioso), in questo modo posso dedicarmi alla mia indagine. Per l’occasione, ho adottato anche un piccolo cambio look: jeans, t-shirt, felpa e cappellino da baseball. Mi manca già la camicia…

      La mattina procede come al solito. Lei entra in classe al solito orario (8.15) ma oggi ha con sé solo il borsone da palestra, quindi niente prove. Perfetto! Potrò indagare per bene senza perderla di vista. Durante l’intervallo esce in cortile e raggiunge l’idiota e Lysandro,ovviamente la seguo e li sento discutere riguardo il testo di una canzone. Non l’ho ancora vista ripassare. Eppure l’interrogazione è subito dopo l’intervallo, e si parla di filosofia, non delle tabelline! A vederla così tranquilla, mi sento io l’idiota ignorante che ci mette una vita per studiare… che tristezza… anche se, a dirla tutta,è  lei quella che mi sembra triste. Voglio dire, la vedo ridere di rado e quando lo fa non mi sembra una risata fatta con gusto. Inoltre, a parte che con l’idiota e con Lysandro, è sempre da sola o con il basso oppure col telefono in mano. Anzi, quest’ultimo ce l’ha sempre sott’occhio. Sembra quasi ossessionata… no, anzi… dalle occhiate che lancia al telefono, mi sembra ansiosa, non ossessionata. Chissà perché.
Quando l’intervallo finì, rientriamo tutti in classe (tranne Castiel, che resta in cortile a fumare. Ma oggi sono in ferie, quindi mi rifiuto di andare a trascinarlo in classe. Scusa, Melody) e, finalmente, arriva il momento dell’interrogazione. La prima è Iris, che se la cava abbastanza bene. Poi è il turno di Lysandro, il quale mi sorprese perché non si era scordato dell’interrogazione. Poi toccò a me e dopo a Leah. La osservai attentamente per tutto il tempo e non la vidi per nulla agitata. Anzi… rispose correttamente a tutte le domande riuscendo a prendere il massimo come me. Ma che rabbia!
La giornata scolastica si concluse nel migliore dei modi, ma la mia giornata da Sherlock era appena iniziata. Mi infilai il cappellino e mi apprestai a seguirla sull’autobus 21. Come sempre, s’infilò le cuffie dell’mp3 e, dopo una ventina di minuti, scese alla fermata del centro. La seguì e la vidi entrare al minimarket. Erano le 14.00 precise. Secondo i miei calcoli, il suo turno dovrebbe terminare verso le 18.00, quindi mi armai di pazienza ed entrai in un bar lì vicino che mi permetteva una visuale sul minimarket. Per non destare sospetti, mi sono portato dietro il mio computer portatile e finsi di scrivere qualcosa.

      Leah mi ha sempre incuriosito. Ricordo che il primo giorno di scuola del primo anno, fu uno dei rarissimi giorni in cui arrivò puntuale e senza alcuna borsa con sé, puntò subito il banco in fondo, vicino alle finestre, e se ne impossessò immediatamente, mentre io mi sedetti davanti a lei. Fu una giornata di orientamento, senza lezioni, dove ci fecero fare il giro della scuola e ci elencarono le varie attività. E lei, ovviamente, teneva il telefono in mano e guardava il display abbastanza spesso da farmi innervosire. Ricordo che eravamo nella sala del club di teatro ed eravamo seduti vicini sulle poltrone davanti al palco in terza fila. Alla sua ennesima occhiata al display, non resistetti e le parlai per la prima volta.
- Senti, la smetti con quel telefono? I professori ci stanno spiegando l’organizzazione scolastica, porta rispetto e ascoltali! -
Lei non mi rispose. All’inizio sembrava ignorarmi, poi bloccò con estrema calma il display del telefono, lo mise in tasca e si voltò verso di me con un’occhiata gelida.

- Fatti gli affari tuoi, biondino. - Biondino? Biondino a chi?! Stavo per rispondere quando il professore ci bloccò facendo partire un video registrato da alcuni studenti anni prima. Per tutto il resto dell’anno non ci parlammo più.
A partire dal secondo anno, la sua media si alzò drasticamente, portandosi al mio livello e, insieme ad essa, la sua enorme borsa da palestra prese a far parte del suo look. Fu in quell’anno che strinse amicizia con Lysandro e Castiel e prese a far parte del loro gruppo, mentre io iniziai il mio lavoro come segretario delegato. Fu mentre sistemavo delle schede di alcuni studenti che mi capitò di leggere del suo lavoro al minimarket. Curioso, lessi tutta la sua scheda e notai che alcune informazioni non erano riportate. La cosa mi insospettì e, temendo una svista da parte della segretaria che si occupò della sua iscrizione, andai dalla Direttrice a chiedere spiegazioni. Non l’avessi mai fatto! Quella fu la prima (e spero l’ultima) volta che la vidi viola dalla rabbia. Da quel momento giurai che non avrei mai più letto nessuna scheda studente.
Il terzo e il quarto anno passarono rapidi e la sua media non accennava a scendere sotto la mia. Ma fu durante la fine del quarto anno che la mia curiosità sbocciò in tutto il suo splendore. Per darci un’idea di come si svolgerà l’esame di maturità, ci fecero fare una serie di test molto simili a quelli dell’esame ed esposero i risultati sulla bacheca all’ingresso. Ovviamente, al primo posto c’ero io e sorrisi soddisfatto nel leggere il mio nome. Ma il sorriso sfumò nel leggere il suo vicino al mio. Questo vuol dire che abbiamo preso entrambi lo stesso punteggio in tutte le prove? Mi accorsi subito dopo che lei era di fianco a me, a leggere il tabellone. La osservai leggere e sorridere appena nel vedere il suo nome di fianco al mio. E fu con quella faccia strafottente che si voltò verso di me, mi guardò dall’alto in basso alzando un sopracciglio e andarsene da Lysandro, che le diede una leggera pacca sulla spalla complimentandosi. Fu uno shock per me. Ok, va bene, ha sempre preso voti alti, ma avere la conferma della sua bravura così crudelmente sotto gli occhi di tutti mi sconvolse. Strinsi i pugni e la guardai arrabbiato, giurando che sarei riuscito a batterla. Ma, finora, non è ancora successo.

      La vidi lavorare fino all’orario di chiusura (le 18, come previsto), uscire salutando i colleghi e dirigersi verso una stradina secondaria. La seguì, ovviamente, mettendo via rapidamente il mio computer. Non immaginavo che abitasse nei dintorni. Ma quello che vidi mi lasciò senza parole. Cavolo! Adesso si spiega la sua corporatura massiccia e quel borsone onnipresente! Frequenta una palestra di box! Una ragazza che fa box! Mai visto una roba del genere! Mia sorella non muove un solo muscolo per non spezzarsi le unghie, e lei fa box! Beh… Leah mi irrita parecchio, ma non è di certo una tipa come mia sorella e magari non lo pratica a livello agonistico. Almeno spero.
Mi nascosi dietro un muretto e attesi il suo ingresso nella palestra. Una volta che le porte si chiusero, mi avvicinai e con non molto stupore, vidi che l’ingresso era vietato ai non iscritti (tranne in caso di incontri). Non posso perderla di vista proprio ora! Aggirai la palestra in cerca di un altro ingresso, ma la porta antipanico era chiusa dall’interno. Ma per mia fortuna, c’era una finestra lì vicino. Anche se era in alto, sotto c’erano delle scatole e un cassettone dell’immondizia. Mi sarei dovuto arrampicare… vabbè, posso farlo! Non mi arrendo per un po’ di spazzatura! Mostrando un’agilità da bradipo, riuscì a salire sul cassettone (per fortuna che non mi vede nessuno!) e riuscì a spiare l’interno. La individuai subito. Vestita con pantaloncini rossi, tennis e canotta bianca, stava parlando con un signore di circa 60 anni (presumo il suo allenatore) e nel mentre si stava legando i capelli e fasciando mani e dita per poi infilarsi i guantoni. Erano anch’essi rossi ed era palese che li usava da molto, talmente erano consumati. Si diressero verso un sacco da box che era pericolosamente vicino alla finestra dov’ero io. Lei alzò lo sguardo verso di me e io mi nascosi immediatamente. Cavolo… spero che non mi abbia visto… attesi ancora qualche minuto, finchè non sentì i tipici rumori dei pugni contro il sacco. Mi alzai cautamente e la osservai allenarsi. L’allenatore la incitava e la correggeva quando doveva, ma il più delle volte parlavano tra di loro, ma ero troppo lontano, perciò non riuscì a capire nulla di quello che si dicevano. Dopo un po’, mi accorsi che non stavo più cercando di capire cosa si dicevano, ma stavo osservando lei. Mi rapì lo sguardo. Guardarla tirare pugni contro quel povero sacco, gridando di tanto in tanto, muoversi intorno ad esso… non so… la trovai affascinante ed elegante a suo modo. Anzi, no. Meglio ancora: elegantemente feroce, come una tigre. Si. È l’animale che meglio la descrive in questo preciso istante. La vidi metterci cuore e anima in quell’allenamento. Per lei doveva essere uno sfogo, ma la ferocia che ci metteva mi incuriosì: da dove veniva quella rabbia? Perché una ragazza di appena 18 anni dovrebbe allenarsi in quel modo? Cosa la faceva soffrire a tal punto?
L’allenamento proseguì fino alle 21, e quello che vidi in quelle 3 ore, mi lasciò con l’amaro in bocca. Credo che lei abbia un qualche segreto e che il peso di quest’ultimo sia talmente grande da farle cercare uno sfogo. Ovvero la box. La vidi dirigersi verso gli spogliatoi e io scesi dal cassettone per poi dirigermi a pochi passi dall’ingresso della palestra. Nonostante tutto, volevo ancora capire quando lei trovava il tempo di studiare. Uscì dopo circa 5 minuti. Non si era cambiata, aveva tenuto i pantaloncini e la canotta ma, dato che iniziava a venire fresco e visto che era molto sudata, si coprì con una felpa (non è più estate, ormai siamo a settembre inoltrato). Notai che non aveva tolto le fasciature e che guardava spesso l’ora sul display del telefono. Era palesemente in ansia. Perché? Si diresse verso un’altra fermata dell’autobus, la linea 7. Cioè quella diretta all’ospedale. Che abiti nei pressi dell’ospedale e che la sua ansia sia dovuta al fatto che si è fatto tardi e i suoi potrebbero arrabbiarsi? Facendo molta attenzione, la seguì mantenendo una certa distanza. La vidi voltare l’angolo e mi apprestai a raggiungerla, ma appena raggiunsi l’angolo, lei era sparita. Maledizione! Sono stato troppo distante! Dov’è? Mi voltavo in continuazione nella speranza di ritrovarla, quando sentì la sua voce dietro le mie spalle.
E mi venirono i brividi: era troppo tranquilla.
Perché mi segui? -

      Note:

      Ecco il secondo capitolo! E' più lungo lungo del precedente, poichè la storia è entrata nel vivo. Spero vi piaccia! Ciao ciao!

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Capitolo 3
*** CAP.3 STALKER ***


      CAP.3 STALKER ___    Era lì in piedi davanti a me. Il peso appoggiato su una gamba, l’altra leggermente piegata. Le braccia incrociate e i capelli sciolti, umidicci per il sudore, le cadevano sul petto. La borsa posata a terra vicino ai suoi piedi. Mi fissava in modo inespressivo, ma i suoi occhi smeraldo erano inchiodati ai miei. In quel momento capì di aver fatto la più grande cavolata della mia vita. E mi vennero i brividi. 

            - Perché mi segui? -

      Era come se avessi perso la voce. Da un lato, la paura stava iniziando a farsi sentire, dall’altro mi trovai ad ammirarla. Scossi la testa e cercai di trovare una scusa plausibile, ma la mente era vuota. Dannazione! Che mi sta succedendo? Lei piegò leggermente la testa di lato senza smettere di fissarmi. Cavolo… che occhi… ehi, quella è davvero una cicatrice! Se la sarà procurata in un qualche incontro di box? E da quando ha delle labbra così carnose?  E quel neo al collo quando le è uscito? Era palese che ci stavo mettendo troppo a rispondere e che lei si stava innervosendo. Inarcò un sopracciglio e mi incitò a rispondere.

- Allora? -

      Io provai a rispondere, ma l’idea di aver commesso un reato (ovvero stalking) mi bloccò di nuovo e impallidì. Lei si accorse del mio tentennamento e ne approfittò. Mi afferrò la t-shirt con entrambe le mani e mi sbattè contro al muro. Il cappellino cadde a terra e mi ritrovai in punta di piedi con lei che mi teneva ben saldo dalla maglia.

- Ehi ehi! Calma! Io non… -

      Per la prima volta, i suoi occhi mi trasmisero un sentimento: rabbia. Pura rabbia. Decisi che non era il caso di parlare, fu lei a farlo.

È da ieri che mi segui e la cosa mi scoccia parecchio. Se ti azzardi a farlo ancora, giuro che userò te come sacco per gli allenamenti. -

Io annuì come un ebete e lei mi lasciò andare, prese il suo borsone e si recò verso la fermata del bus. La guardai andare via e mi sistemai la maglia. Ma chi diavolo è? Hulk? Possibile che una ragazza abbia tutta questa forza? Raccolsi il cappellino e me lo rigirai tra le mani. Effettivamente, potrebbe denunciarmi. È stalking allo stato puro. Ma che mi è passato per la mente? Seguire e spiare una ragazza solo per scoprire come fa ad avere la mia stessa media a scuola? Mi sentivo un verme. La guardai aspettare l’autobus. C’era qualcosa sotto, qualcosa di estremamente grave. Non so cosa, ma ormai sono in pista. Tanto vale ballare. Mi rimisi il cappellino e ripresi l’inseguimento.

L’autobus 7 è quello diretto all’ospedale ed è sempre pieno di gente. Quindi fu facile mimetizzarmi tra la folla senza perderla di vista. La dimostrazione di forza di prima mi è bastata e non ho intenzione di diventare un sacco da box, perciò alzai il mio livello di anonimato.

      Non la persi un solo istante di vista e non la vidi fare altro se non ascoltare la musica dell’mp3. Ma ci poteva anche stare, domani non sono previste interrogazioni o verifiche. Dopo 20 minuti, arrivammo all’ultima fermata: l’ospedale. Approfittando della confusione, scesi dal mezzo e la seguì verso l’ingresso dove, mio malgrado, la persi di vista a causa della marea di gente. Uffa… dopo tutta questa fatica, non mi va di concludere così questa giornata! Provai a capire in quale reparto possa essersi diretta, ma non mi venne in mente nulla se non il pronto soccorso. Magari si è fatta male durante gli allenamenti e non me ne sono accorto. Decisi di dirigermi lì ma non la vidi. La cercai per qualche minuto, poi mi diressi verso un’infermiera. Era molto giovane e parecchio carina, ma non ero lì per rimorchiare.

            - Mi scusi. Per caso avete ricoverato, o si sta facendo visitare, una ragazza di nome Leah Smith? - L’infermiera mi osservò curiosa.

            - Perché lo vuole sapere? -

            - Beh, ecco… lei è mia cugina e l’avevo accompagnata al suo allenamento di box. Quando sono tornato per riaccompagnarla a casa, il suo allenatore mi ha detto che è venuta qui, ma mi sono dimenticato di chiedere il perché… sa, per l’ansia… e in più non risponde al cellulare. - Sembra reggere. Ma perché prima non sono riuscito a spiccicare una parola? L’infermiera mi guardò per qualche secondo poi si diresse verso una scrivania con un computer e iniziò a premere dei tasti.

      - Mi ripete il nome? -

 - Leah Smith. -

      Digitò il nome e premette invio. Sentì il computer rumoreggiare per poi zittirsi. L’infermiera scosse il capo.

  - Mi dispiace, ma sua cugina non è qui. Sicuro che sia in questo reparto? -

- Sicurissimo. E non può vedere se è ricoverata da qualche altra parte? -

      L’infermiera sembrava tentennare. Probabilmente non le era permesso fare una ricerca del genere, o magari non si fidava completamente di me. Lessi il nome sul cartellino e capì perché non poteva farmi questa ricerca: è un’allieva infermiera. Decisi di sfoggiare uno dei miei sorrisi migliori e la voce più seducente che ho.

- Per favore, signorina. È mia cugina, sono molto preoccupato per lei. La prego, lo faccia per me. -

      Ho sempre avuto un buon successo con le ragazze. Infatti, l’infermiera arrossì leggermente, ma non sembrava cedere. Allora le diedi il colpo di grazia, le afferrai le mani e la guardai dritta negli occhi.

- Per favore, Ivonne. Non starei bene con me stesso se fosse successo qualcosa di orribile alla mia adorata cugina. -

      Lei arrossì ancora di più e cedette. Sospirò rassegnata e fece la ricerca. Nella mia mente stavo esultando come un tifoso quando la sua squadra del cuore vince una partita importante. Ma il sorriso si spense subito.

- Mi dispiace, ma  nessun reparto ha ricoverato sua cugina. C’è solo un Nicholas Smith in cardiologia infantile, ma non credo che possa interessarle. -

No, infatti. Sospirai capendo che quella giornata da stalker si era conclusa. In compenso, la piccola infermiera cercava in ogni modo di trattenermi il più a lungo possibile. Guardai l’ora e mi accorsi che era veramente tardi: le 22.40. Con una scusa, mi allontanai e uscì dal reparto. Sbuffando, feci per andarmene ma all’ultimo mi accorsi che Leah era nella hall a parlare con un medico. Esultando nella mente, mi nascosi e tentai di sentire la conversazione che terminò ancor prima che potessi provarci. Leah salutò il dottore e uscì e io, prontamente, la seguì.

Stavolta non si diresse in una fermata dell’autobus. Prese una stradina secondaria piena di piccole villette a due piani e, dopo pochi passi, si fermò davanti a un cancello (io mi nascosi dietro un cassonetto dell’immondizia… oggi mi perseguitano) ed estrasse un mazzo di chiavi dal borsone della palestra, aprì il cancello ed entrò chiudendoselo alle spalle. Attesi che entrò in casa e uscì quando sentì la porta d’ingresso chiudersi. Mi diressi davanti al cancello e guardai la targhetta del citofono. “Fam. Smith”. Nessun nome. Né maschile né femminile. Alzai lo sguardo e vidi che aveva acceso le luci del secondo piano. Dopo 10 minuti, le spense tranne quelle che dedussi appartenessero alla sua camera. La vidi di sfuggita come un’ombra dietro le tende per poi sparire nel buio totale. Passarono altri 10 minuti, ma le luci non furono più accese. Questa volta, la giornata è davvero terminata. Guardai l’ora e imprecai vedendo che segnavano le 23.20. Mi misi a correre verso la fermata dell’autobus più vicina scervellandomi per trovare una scusa plausibile da dire a mia madre per questo mega ritardo.

 

 

 

Note:

Salve a tutti! Ecco il terzo capitolo! Finchè ho tempo, posterò i capitoli in modo abbastanza regolare (dato che li ho già pronti fino al nono ^^). D’ora in poi, nelle note, parlerò di uno dei personaggi a vostra scelta dicendo cosa mi ha ispirato eccetera. Con chi volete che inizi? Alla prossima! Ciao ciao!

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Capitolo 4
*** CAP.4 SEGRETO ***


CAP.4 SEGRETO ___    “È tardissimo!” continuai a pensare mentre correvo verso la scuola. A causa del mio ritardo di ieri sera, mia madre mi ha fatto una ramanzina che si è protratta fino all’una e stamattina non ho sentito la sveglia, quindi ho fatto tutto di corsa e ho dovuto saltare la colazione pur di entrare nell’orario consentito. E infatti entrai a scuola appena dopo il suono della campana della prima ora. Mi precipitai in classe (dopo essermi frettolosamente sistemato capelli e camicia) e tutti si voltarono a guardarmi stupiti. Fu una scena inquietante.

- Ehm… Nathaniel… direi che sei in ritardo. -

- Mi scusi professore, non ho sentito la sveglia. Non succederà più. - E mi diressi al mio posto. Non ebbi neanche il tempo di tirare fuori i libri che la porta si aprì ed entrò Leah. Solita storia: salutò appena il prof che non la sgridò e si sedette al suo posto poggiando la custodia del basso alla parete. Oggi non ha il borsone della palestra, si vede che non va proprio tutti i giorni. Sentivo i suoi occhi puntati alla nuca, ma feci finta di niente. Per tutta risposta, lei incastrò un suo piede alla gamba della mia sedia e fece leva con l’altro. Risultato? Feci un giro su me stesso di 180° talmente veloce da rischiare di cadere, facendo un rumore esagerato e ritrovandomi a fissare Leah che mi guardava sorridendo. Inutile dire che si voltarono tutti, professore incluso.

- Nathaniel! Ma che ti prende oggi? -

- Io… mi scusi. Non credevo di fare così tanto rumore. -

- Datti una calmata. Non è da te fare tutto questo macello. -

- Si. Mi scusi. - Detto questo, mi ricomposi, non prima di lanciare a Leah uno sguardo truce alla quale lei rispose con una risatina. Tutto sommato, è carina quando sorride. Ma a che penso?!

 

Finalmente arrivò l’intervallo. Mi abbandonai sulla sedia sbuffando e portandomi indietro i capelli con entrambe le mani. Sarà che ho dormito poco, ma quella mattina mi sembrò più faticosa del solito e, cosa strana, sentivo gli sguardi degli altri addosso a me. Più di una volta notai qualcuno fissare me e poi Leah e dire qualcosa al suo vicino di banco. Mah… non mi interessano i pettegolezzi scolastici. Anche Leah si era alzata e si era diretta da Lysandro dicendogli qualcosa per la quale lui annuì. Immaginai l’argomento quando lo vidi alzarsi e raggiungermi, quindi lo precedetti.

- Volete provare dopo le lezioni, giusto? -

- Giusto. Mi dispiace stressarti così tanto, ma a breve avremo un concerto e abbiamo intensificato le prove. -

- Non c’è problema. Vi apro la porta appena se ne vanno tutti. -

- Va bene. E ancora grazie. -

Lo salutai con un cenno e lo vidi allontanarsi insieme a Leah. Mi alzai anch’io e decisi di sgranchirmi le gambe passeggiando per il salone d’ingresso finchè la fame non iniziò a farsi sentire. Allora mi diressi alle macchinette e presi una brioches e del caffè freddo, poi andai in cortile e mi sedetti su una panchina gustando quella simil colazione. Ovviamente, non senza controllare le attività di Leah, che si limitavano a chiacchierare con Lysandro e Castiel ignorandomi deliberatamente. Mentre mangiavo la brioches, vidi Castiel reagire a qualcosa che disse Leah e lo vidi voltarsi verso di me. Sembrava furioso e credo di sapere il perché, ma lo ignorai e finì il caffè. Buttai la lattina nel cestino vicino per poi dirigermi in classe. Mi sedetti al mio posto, stiracchiandomi e attesi il suono della campana che non tardò ad arrivare. Ma appena mi sedetti, Castiel entrò rapidamente e sbattè violentemente i pugni sul banco. Io lo guardai alzando le sopracciglia.

- Non fare quella faccia da ebete! Lo sai benissimo perché sono qui! -

- E quindi? Sei il suo cagnolino da guardia? - Bingo. Si è irritato parecchio. Mi afferrò per la camicia facendomi alzare e tirandomi a sé. La sedia cadde a terra, facendo trasalire tutti coloro che erano appena entrati in classe, ma Castiel non mollava la presa, anzi, se possibile la strinse ancora di più.

- Vedi di fare poco lo spiritoso, caro delegato, o ti faccio saltare i denti. -

- Uuh che paura mi fai! Sei ridicolo. Si sa difendere benissimo da sola, senza bisogno di un bifolco come te. -

- Tsè. Sarò anche un bifolco, come dici tu, ma almeno io non seguo le ragazze spiandole in ogni cosa che fanno. -

Ok, sono estremamente dalla parte del torto, ma non ci vidi più dalla rabbia. Lo scansai e lo spinsi violentemente contro il banco dietro di lui che per poco non cadde. Lui rise di gusto e si tolse la giacca.

- Ma bene! Avanti, fatti sotto mammoletta! -

Scansai il mio banco e iniziammo una bella zuffa. Credo che l’ultima volta che abbiamo litigato pesantemente risalga alla seconda o terza liceo, ma fin’ora nessuna rissa. E il fatto che lo stavo prendendo a pugni mi dava un’emozione che non so descrivere. Mi sentivo… estremamente bene, e la cosa mi piacque. Sorrisi al pensiero. In un secondo, Castiel approfittò di una mia distrazione e fece per sferrarmi un bel pugno che avrebbe potuto rompermi il naso, ma Leah lo fermò.

- Basta Cass. Non mi sembra il caso di spaccarti le dita per lui. -

Ubbidiente, abbassò piano il pugno guardandomi in cagnesco. Gli osservai il viso: gli avevo spaccato il labbro e aveva un bel livido alla guancia destra. Quello doveva fare male e si sarebbe visto per parecchio tempo. Molto bene!

- Non credere che sia finita qui. - Detto questo, raccolse la giacca e se la infilò mentre guadagnava l’uscita. Io risi.

- Quando vuoi, cagnolino. Bau bau! -

Castiel si girò e, se avesse potuto, mi avrebbe incenerito con lo sguardo. Scansò brutalmente la massa di gente che si era goduta lo spettacolo e sparì, seguito da Lysandro. Sospirai e nel farlo mi procurai una bella fitta all’addome. Doveva avermi colpito per bene. Nel frattempo, il professore entrò.

- Che sta succedendo qui?! Nathaniel! Che diavolo hai fatto?! -

- Nulla prof. C’è stata una dimostrazione di virilità ma ora è tutto finito. -

Guardai Leah. Non mi aspettavo che rispondesse al posto mio. Si girò verso di me e mi guardò con uno sguardo strano che non riuscì a capire.

- Fila in infermeria! Fatti sistemare e torna immediatamente qui! Non mi aspettavo nulla del genere da parte tua, Nathaniel, ne subirai le conseguenze. -

Sbuffai irritato ed andai verso l’infermeria. Pensa te se per colpa di quell’idiota devo rimetterci io. Beh, tutto sommato, se non l’avessi pedinata ora non sarei in questa situazione.

 

Il labbro era spaccato e non la smetteva di sanguinare. Lo zigomo presentava un taglietto e sia lui che l’addome mi facevano male. La camicia si era macchiata di sangue (mio probabilmente) e la sostituì con una felpa di ricambio che tenevo nell’armadietto. Come se il dolore fisico non bastasse, il professore mi diede una bella punizione. Sarei dovuto rimanere oltre l’orario delle lezioni per dei compiti extra per i prossimi cinque giorni. La cosa mi scocciò parecchio: primo perché tra due giorni avrei ripreso il mio lavoro di delegato, secondo perché domani non sarei riuscito a seguire Leah come avrei voluto e terzo perché l’accaduto sarebbe finito nella mia scheda di valutazione. Note positive? Data la mia condotta, il mio lavoro di delegato e la mia media alta, evitai la sospensione, in più, visto che quei tre dovevano provare, non avrei perso di vista Leah, ma non mi aspettavo che Castiel sarebbe sparito.

- Era troppo furioso, ha preferito tornare a casa. - Mi disse Lysandro. Se… non voleva sentire la preside ragliare contro di lui. Oh beh, tanto meglio per me. Aprì loro la porta dello scantinato e mi diressi in biblioteca a scontare la mia punizione.

Li sentì cantare per tutto il tempo, durante il quale ebbi conferma delle voci che girano sulle abilità canore di Leah, fino alle 16, ovvero fino a quando non uscirono e io chiusi la porta dello scantinato. Leah ci salutò e si allontanò. Feci per andare anch’io ma Lysandro mi bloccò.

- Scusa, posso parlarti un secondo? - Lo guardai sorpreso e sorrisi.

- Vuoi darmi un pugno anche tu? -

- Sia mai! Non sono un bruto come Cass. Volevo solo spiegarti il perché lui se la sia presa così tanto. -

- Lo so già. Leah vi ha raccontato di ieri e lui si è infuriato. -

- Si, c’entra anche quello. - “Anche”? Lysandro sospirò e riprese a parlare.

- Vedi. Noi siamo molto affezionati a Leah. È una nostra cara amica e gradirei moltissimo che tu la smettessi con questa storia del pedinamento. -

- Si, certo, capisco. Ma cosa intendi con “anche quello”? -

Lysandro storse le labbra. Sembrava cercare le parole giuste per dirmi qualcosa.

- Lei… tutto quello che fa, non lo fa per dimostrare che è una super donna o cose simili. Ha un motivo valido e se tu lo porti a galla, sarà lei a risentirne di più. E non solo lei. Anche tu potresti restarci male. -

Ora si che ero veramente curioso. Provai a scucire a Lysandro maggiori dettagli, ma lui era una tomba e non riuscì più a carpire altro. Guardai l’ora e mi resi conto che stavo per perdere l’autobus. Feci per salutare Lysandro ma lui mi fermò per l’ennesima volta.

- Nathaniel. Dico sul serio: basta così. -

Se Castiel e Lysandro difendevano così tanto Leah, non era certamente solo perché è una loro amica. Quello che mi ha detto Lysandro, mi fece riflettere e capire che il segreto di Leah era più grande di quello che credevo. Ma tutto sommato, ero curioso di saperne di più. Il suo segreto è così grande da non essere nemmeno scritto sulla sua scheda di iscrizione? Perché? Sentì lo sguardo di Lysandro farsi più pesante e capì di starci mettendo troppo tempo per rispondere.

- Va bene. La smetterò. -

Sembra più sollevato e tranquillo, ora. Lo salutai e corsi verso la fermata, facendo appena in tempo a salire sull’autobus. Mi sedetti in uno dei primi posti convinto che, ormai, Leah sia già andata via. Invece, venti minuti dopo, la vidi scendere alla fermata dell’ospedale e la curiosità tornò a farmi visita. Per qualche secondo lottai contro questo sentimento: avevo promesso che avrei smesso di seguirla ma, non so il perché, volevo saperne di più. E questa volta, non era solo per la competizione scolastica. Volevo scoprire da dove arriva quella sua rabbia e quella sua tristezza. Mi alzai rapidamente e, altrettanto rapidamente, scesi dall’autobus. E la seguì.

 

 

 

Note:

La rissa… ho adorato scrivere quel pezzo… d’ora in poi, la storia si farà più seria e nel prossimo capitolo molti quesiti verrano risolti. Spero, come sempre, che il capitolo vi sia piaciuto! Ciao ciao!

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Capitolo 5
*** CAP.5 PUZZLE ***


CAP.5 PUZZLE ___    È molto strano. Fino a ieri la seguivo per un motivo ben preciso, ovvero scoprire quando e quanto studia. Ma ora… quello che mi ha detto Lysandro mi ha un po’ scosso, lo ammetto. Cosa si nasconde dietro quei muscoli che, quasi ogni giorno, si sforzano per farla sfogare su un sacco da box? Cosa vedono quegli occhi di smeraldo per renderla così triste? Cosa deve sopportare quel piccolo corpo di ragazza diciottenne per covare tutta quella rabbia? Cosa la spinge a studiare così tanto in così poco tempo libero? E perché quella piccola tigre, attirava così tanto la mia attenzione all’improvviso? Sentivo che i miei sentimenti stavano cambiando. È come se mi fossi levato una pellicola che mi impediva di vedere. Prima di adesso, ho sempre pensato che Leah fosse una ragazzaccia, una maleducata menefreghista con il solo scopo di mettermi in ridicolo, ma da quando mi sono deciso di seguirla è cambiato tutto. Ho iniziato a vederla con occhi diversi e ho notato certi suoi comportamenti che mi hanno sorpreso, certe sue abitudini ed atteggiamenti che non avrei mai immaginato. Inoltre, senza volerlo, iniziai a vederla come una ragazza.

 

E ora sono qui, nella hall dell’ospedale a una trentina di metri da lei, a spiarla nascosto dietro una macchinetta di merendine mentre parla con un medico, lo stesso dell’altra volta. Avrà una trentina d’anni, capelli neri e corti, la barba ben curata e il fascino tipico di un giovane medico. Sembra avere molta confidenza con quest’ultimo, come se si conoscessero da anni. Li vedo di profilo e l’espressione di lei non è delle più felici, ma nemmeno tanto triste. Non riesco a sentire quello che si dicono, ma riesco a leggere qualche parola seguendo il labiale del dottore: “… ieri … non stancarlo troppo … ti accompagno.” Lui appoggiò una mano sulla spalla di lei e si diressero verso l’ascensore dove il dottore premette il pulsante di richiamo. Hanno così tanta confidenza da toccarsi così tranquillamente? Che sfacciato.

- Scusami, ragazzo. Ma posso sapere che cosa stai facendo? -

Sobbalzai. Che cavolo di spavento! Avevo il cuore a mille mentre guardavo l’anziana signora vestita in rosa che avevo davanti e che mi guardava da sopra gli spessi occhiali con le sopracciglia aggrottate. Ma che vuole?

- Buona sera, signora. Ha bisogno di qualcosa? -

- Si. Che tu mi dica cosa stai facendo. Hai l’aria sospetta. - E mi fissò riducendo gli occhi già piccoli in due minuscole fessure. Sospetto? Io? Stavo solo spiando… ah, si giusto…

- Ma no, signora. Sto solo… -

- Guarda che chiamo la polizia! -

- M-ma no! Mi sto solo appoggiando alla macchinetta. Anzi, guardi, me ne vado subito. -

Mi diressi verso il centro della hall tentando di dimostrare una certa non-chalance e sentì la signora borbottare qualcosa. Per fortuna che Leah e il dottore erano entrati nell’ascensore e non mi hanno visto. Certo che non sanno proprio farsi i fatti loro, i vecchi… Senza smettere di camminare, guardai a che piano erano diretti ed andai verso le scale (con estrema calma in modo da non insospettire la signora che, ne ero certo, mi stava ancora fissando) e appena fui lontano dalla visuale della signora, iniziai a correre. Fortunatamente dovetti salire solo tre rampe di scale, ma non sono propriamente in forma e mi piegai a riprendere fiato appena giunto davanti l’ingresso del reparto di… cardiologia? Cardiologia… perché questo nome mi dette un senso di dejà-vu? Scossi la testa, mi ripresi ed entrai giusto in tempo per vedere Leah entrare in una stanza col medico. Chissà perché sono venuti qui. Beh, lui sarà il medico di reparto, ma lei? Quindi era qui che l’altra volta era venuta? L’altra volta… si, quando io andai al pronto soccorso e quell’infermiera mi parlò di uno Smith ricoverato in cardiologia… infantile… un momento: infantile? Sollevai lo sguardo per leggere la targa sulla quale c’era scritto il nome del reparto e mi resi conto che quello era davvero  il reparto di cardiologia infantile. E fu quest’ultima parola a colpirmi. Appena la lessi, sentì come una scossa e il cuore iniziò a battere forte. Avevo una stranissima sensazione. Iniziai ad avere l’affanno (e non era dovuto per la corsa), le mani tremavano e non riuscivo a muovermi, ero lì impalato a fissare la targa, poi spostai lo sguardo alla porta della stanza dove Leah e il dottore erano entrati pochi secondi prima. Era la stanza numero 2 e sulla targhetta era inciso un nome che non riuscivo a leggere, o che non volevo leggere (la distanza non era molta da impedirmi di farlo). La mia mente lavorava ad un ritmo piuttosto lento, una persona normale ci sarebbe già arrivata molto tempo prima. E io che mi vanto tanto dei miei voti alti! Sembrava che stesse fumando. Poi, finalmente, i pezzi del puzzle iniziarono a combaciare.

Nicholas Smith, ecco il nome che mi disse l’infermiera… questo tipo ha lo stesso cognome di Leah. Quindi sono parenti? Cardiologia infantile… un bambino? Quindi sono… cugini? No, non cugini… mio Dio… decisi di avvicinarmi alla porta e ci riuscì, anche se molto lentamente. Non sono mai stato così in ansia prima d’ora. Dopo un tempo che mi sembrò infinito, mi ritrovai a pochi passi dalla porta e riuscì a leggere il nome sulla targhetta :”Nicholas Smith”. Mi fermai e sentì il medico, Leah e un bambino parlare. La voce del bambino era chiara e limpida. Sembrava allegro, molto felice, nono stante il posto in cui si trovava.

- Allora Nick, gli esami di oggi sono andati bene, ma la passeggiata di ieri ti ha affaticato. Quindi, questa sera, starai poco tempo in giro e andrai a dormire presto. -

- Ma uffa! Io non voglio dormire! -

- Dai Nick, niente capricci. A Leah non piacciono, giusto? -

- Giusto. - Sentì una sedia spostarsi e qualcuno alzarsi.

- Su, mettiti la felpa. Così andiamo. -

- Ooook sorellona! -

Mi sentì mancare. Sorellona? Nicholas è il fratello di Leah? Merda! Indietreggiai e mi allontanai appena in tempo: Leah uscì dalla stanza con il fratello mano nella mano e il dottore subito dietro di loro. Preso dall’agitazione, cercai un posto dove nascondermi e vidi un posto libero su una panchina in mezzo a due signore. Mi sedetti di corsa e, altrettanto rapidamente, presi un giornale e lo aprì fingendo di leggere. Li sentì avvicinarsi e il ding dell’ascensore mi fece capire che stavano per andare. Sbirciai da sopra il giornale. Nicholas doveva avere tra gli 11 e i 13 anni, era alto per quell’età ed era un sorriso unico. Indossava un pigiama blu e delle scarpe da tennis, al braccio sinistro aveva attaccata una flebo appesa ad una stampella in acciaio che tirava con la stessa mentre la destra teneva quella della sorella. La felpa che indossava era aperta fino a metà addome, in modo da lasciar uscire dei cavi che entravano in un’apertura del marsupio che portava alla vita. I suoi occhi nocciola riflettevano la sua felicità nell’avere con sé la sorella con la quale chiacchierava allegramente (di figurine di Mr. Metal, il supereroe del momento). Quest’ultima, gli accarezzava dolcemente la testa pettinandogli i corti capelli di un viola intenso. Come sempre, mi soffermai su di lei. Era di spalle e non la vidi in faccia, ma dal tono di voce percepì una certa allegria mista a una punta di tristezza. Ci credo, nemmeno a me piacerebbe vedere Ambra in quella situazione. Dopo un ultimo controllo del medico agli elettrodi alla quale erano attaccati un’estremità dei cavi, i due fratelli entrarono nell’ascensore e scesero al piano terra. Io rimasi seduto, preferì lasciarli soli. Appena il medico si allontanò, mi accasciai alla panchina e appoggiai la testa al muro dietro di me e fissai il soffitto. Mi sentivo male. Lysandro aveva ragione, ciò che ho visto non mi ha fatto piacere. Anzi, sentivo una fitta allo stomaco che mi faceva sentire un verme. I pezzi del puzzle andarono al loro posto e mi sentì svuotato, in colpa e veramente giù di morale. Ecco le risposte a tutte le mie domande, finalmente le avevo trovate. Ero felice di questo? No. Certo che no. Povera Leah, che situazione difficile. Ecco perché i professori la coprivano per i suoi ritardi. Ecco perché la Direttrice si arrabbiò molto quel giorno. Ed ecco perché sulla sua scheda di iscrizione non c’era scritto nulla di questa situazione. Ecco spiegata la rabbia e la tristezza.

 

Dopo qualche minuto, mi ripresi e decisi di andarmene. Chiamai l’ascensore, entrai e scesi al piano terra. Appena arrivò a destinazione e aprì le porte, uscì subito dall’ospedale senza guardarmi in giro, senza cercarla. Non avevo il coraggio di affrontarla ora. Salì sull’autobus ed andai dritto a casa, ignorando mia madre (esasperata dal mio ritardo, dalla mia faccia livida e dalla telefonata da scuola che ricevette) e mia sorella che si lamentava del suo enorme problema: l’unghia finta saltata. Se solo sapesse quali sono i veri problemi della vita. Altro che l’unghia finta che si stacca! Entrai in camera e chiusi la porta. Appoggiai la tracolla sulla scrivania e mi buttai sul letto a pancia in giù. Ero esausto, sfinito da quella scoperta. Tutto avrei potuto immaginare, ma non una situazione del genere. Mi morsi la lingua fino a sentire il sapore ferruginoso del sangue, punendomi per le cattiverie che ho sempre pensato di lei. Che razza di situazione. Che razza di verme schifoso sono… insultandomi all’infinito, finì per addormentarmi. Ma il sonno non durò a lungo. Verso le 3, mi svegliai per la fame. Mi sedetti sul letto stiracchiandomi e tenendomi l’addome per il dolore (mi ero scordato della rissa con Castiel). Decisi di farmi una doccia, così presi il pigiama e m’infilai in bagno. Appena mi tolsi la felpa e la maglia, vidi un bel livido sull’addome. Sorrisi appena: quell’idiota picchia duro. Mi guardai meglio allo specchio: non avevo una bella cera, era palese che quelle poche ore che ho dormito non mi hanno affatto aiutato. Il labbro spaccato aveva fatto la crosta e il taglietto allo zigomo era nascosto da un livido. Ci credo che quella signora mi ritenesse “uno sospetto”, con questa faccia! Speravo che la doccia mi avrebbe aiutato, ma non fu così. Peccato.

Dopo la doccia, andai in cucina e curiosai nel frigo. Presi gli avanzi della cena (riso e piselli), li scaldai al microonde e mi misi a mangiare. Nonostante la fame, il pensiero della mia scoperta non mi fece mangiare molto. Mi ritrovai a fissare il piatto di riso senza vedere realmente ciò che osservavo, con la forchetta a mezz’aria. Avevo ancora nella mente il sorriso felice di quel bambino e la voce di Leah. All’improvviso, sentì qualcuno schiarirsi la voce e sobbalzai alzando lo sguardo. Era mia madre, seduta di fronte a me, che mi guardava con aria preoccupata.

- Tutto bene, Nath? -

Abbassai la forchetta e annuì. Ripresi a mangiare con lo sguardo di mia madre che si spostava osservando il mio viso.

- Mi dici cosa succede? -

Non risposi. Non avevo voglia di parlare. Dopo pochi minuti, mia madre sospirò e si passò le mani sul viso. Alzai lo sguardo su di lei.

- Nath, ti prego. Il ritardo di ieri sera, la telefonata di scuola, un altro ritardo questa sera… la tua faccia livida… insomma, mi sto preoccupando, sai? -

- …. Scusa… -

- Tesoro, con me puoi parlare. Vuoi? -

La guardai. Mi incitava a parlare con lo sguardo. Era davvero preoccupata, ma non volevo spiegarle tutta la situazione. Così sospirai e riordinai le idee. Poco dopo, risposi.

- Per la rissa di oggi, sono stato provocato da Castiel. Mi sono semplicemente difeso. Per i ritardi… ecco… ho fatto delle ricerche e ho scoperto che una mia compagna di classe ha un serio problema familiare. Ci sono rimasto male, perché non me l’aspettavo e adesso non so come comportarmi, dato che non avrei dovuto saperlo. -

- Lei lo sa che l’hai scoperto? -

Scossi la testa. Sia io che mia madre rimanemmo in silenzio e io ebbi il tempo di finire il piatto di riso. Mi alzai, lo lavai e riposi tutto. Anche mi madre si alzò.

- L’unica cosa che posso consigliarti, è di fare come se nulla fosse. Se lo vorrà, sarà lei a parlartene. Resta il fatto che hai volutamente invaso la sua privacy e questo è un reato. Ma se lo hai fatto, avrai avuto i tuoi motivi, quindi non ti punirò. -

Non mi sollevò molto il morale, ma almeno non mi sono beccato una punizione anche a casa. Lei percepì che il mio umore era ancora nero, così mi abbracciò.

- Tesoro mio, sei sempre stato un ragazzo empatico. È vero che sarà lei a parlartene, se lo vorrà, ma tu puoi aiutarla lo stesso. -

- E come? Lei non mi sopporta. -

- Beh, ci sarà pur qualcosa che puoi fare per lei, no? -

Qualcosa? Beh… in effetti, per espiare le mie colpe, potrei farle da sacco da box per davvero.

- Forse. Ci devo pensare. Ora è meglio che vada a dormire, mamma. Grazie. -

- E di che? Buona notte. -

Le sorrisi e mi diressi in camera. Qualcosa che potrei fare per lei?

 

 

 

Note:

Ammetto di aver avuto paura a trattare un argomento medico. Dato che io non sono medico, né sto studiando medicina, spero di non aver commesso qualche errore. In tal caso, avvertitemi e perdonatemi! (soprattutto se qualcuno di voi studia medicina o lavora nel campo). Nathaniel è preso dai rimorsi. Che farà? Alla prossima! Ciao ciao!

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Capitolo 6
*** CAP.6 OGNI COSA HA IL SUO PREZZO ***


CAP.6 OGNI COSA HA IL SUO PREZZO ___    I successivi cinque giorni furono duri. Smisi di pedinare Leah e tornai a lavorare come Segretario Delegato, sperando che il lavoro potesse distrarmi, cosa che non avvenne. Sperai che almeno le ore di punizione avessero questo potere, ma anche stavolta mi sbagliai. Leah e Nicholas erano il mio pensiero fisso, e con loro, la mia sensazione di enorme disagio. Non avevo il coraggio di guardarla in faccia e perciò la ignorai, sperando di trovare un’idea per farmi perdonare e aiutarla in qualche maniera. Ma i giorni passarono e arrivò novembre quasi senza che me ne rendessi conto, e senza che mi venisse in mente niente.

Era mattino e mi stavo dirigendo verso l’ingresso di scuola. Era una giornata veramente fredda e sentivo il naso ghiacciato, così lo coprì con la sciarpa e mi strinsi nel cappotto pensando all’imminente ripasso di storia. Finito dicembre, sarebbe finito anche il trimestre ed eravamo pieni di verifiche e interrogazioni. Stavo per aprire il portone, quando Leah mi precedette aprendolo per entrambi. Io restai come un idiota con la mano a mezz’aria a fissarla stupito. Il mio stomaco si fece sentire, stringendosi in una morsa. Lei inclinò la testa di lato.

- Beh? Non entri? -

Mi resi conto che avevo la bocca aperta per lo stupore. La chiusi ed entrai, seguito dalla ragazza. Preso da un sospetto, guardai l’ora.

- Sono le 7.50. -

- E quindi? -

Sobbalzai, stupendomi nel trovarmela lì vicino e, istintivamente, mi allontanai. Lei mi guardò alzando un sopracciglio.

- Beh… è presto… per te intendo. No, cioè… - Ma che diavolo? Mi grattai la testa imbarazzato e lei rise. La guardai stupito: ha riso per la mia gaffe?

- Lo sai, sei divertente, tutto sommato. Dai, andiamo. -

E mi precedette verso la classe. È davvero minuta, e sotto quel piumino e con il borsone da box a tracolla lo sembrava ancora di più. Sorrisi e la raggiunsi. Fu davvero strano vederla arrivare in classe per prima, ma sapevo che non dovevo abituarmici. Probabilmente, i suoi ritardi erano dovuti al fatto che andava dal fratello. Chissà perché oggi no. Appoggiai la tracolla al banco, mi tolsi sciarpa e cappotto e li appesi all’appendino sotto lo sguardo vigile di Leah. Mi voltai verso di lei.

- Hai bisogno di qualcosa? -

- Mh… no, non direi. -

Ah no? Detto questo prese (per la prima volta in cinque anni!) il libro di storia e iniziò a ripassare. Ma che diavolo succede oggi? Ero veramente allibito! Ripassò fino all’inizio delle lezioni e quando il prof entrò, quasi non fece cadere la sua borsa dallo stupore. Oggi sarà una giornata strana.

 

A parte durante il suo ripasso, non mi tolse gli occhi di dosso per tutto il tempo. Quindi è questo che si prova quando si è osservati? Beh, chi la fa l’aspetti, dicono, per questo non dissi o feci niente (per la cronaca, ad entrambi l’interrogazione è andata bene). Quando suonò la campana dell’intervallo, la vidi frugare nella sua borsa ed estrarvi un pacchettino regalo per poi correre fuori dall’aula. A chi deve dare quel regalo? Curioso, mi concessi per l’ultima volta un pedinamento, ma non dovetti fare molta strada. Lei, l’idiota e Lysandro erano a pochi metri dall’aula e lei porgeva a quest’ultimo il pacchetto.

- Buon compleanno Lys! -

- Oh, grazie Lee. Sei stata gentile. -

- Ehi! E a me non mi ringrazi? -

- Aah, stà zitto Cass. Finalmente 18 anni! - E lo abbracciò sorridendo felice. Lysandro non sembrava né imbarazzato o altro. Anzi, ricambiò l’abbraccio cingendola a livello della vita. Non so perché, ma quel gesto m’irritò parecchio. Digrignai i denti, e mi diressi verso la Sala Delegati dove il lavoro mi attendeva. Rimasi a lavorare per le due ore di lezione successive per poi riunirmi alla mia classe per l’ultima ora: quella di educazione fisica. Mentre mi cambiavo nello spogliatoio, osservai Lysandro. Non credevo che lui e Leah avessero così tanta confidenza. Ci sarà qualcosa sotto? Non è che stanno insieme? Ma a parte l’abbraccio, non li ho mai visti in atteggiamenti equivoci. C’è anche da dire, che lui non mi sembra un tipo da mostrare a tutti certi atteggiamenti (di certo, non come quell’idiota: per lui la parola “privacy” non esiste).

- Nathaniel? Tutto bene? -

Scossi la testa. Lysandro si è accorto che lo fissavo. Mmh… imbarazzante.

- Si, scusa. È che non ho potuto fare a meno di sentire che oggi compi gli anni. Ti volevo fare gli auguri. -

- Beh, grazie. -

- Di nulla. Sono 18, giusto? -

- Giusto. -

- Finalmente la maggiore età. -

- Già. -

Lysandro è un tipo di poche parole. Questo suo lato del carattere, mi è sempre piaciuto. Ma oggi, era in vena di chiacchiere. Sarà l’entusiasmo del compleanno, chiunque non vede l’ora di compiere i 18 anni!

- Tu, invece, quando li compi? -

- A febbraio. Ma i 18 li ho già fatti. -

- Quindi tra poco ne fai già 19. -

- Eh già. -

- Accidenti… ogni volta mi sembra di arrivare ultimo a una gara. - Risi.

- Si, in effetti compiere gli anni negli ultimi mesi dell’anno può fare quest’effetto. -

Oggi è proprio una giornata strana. Decisi di aspettare che anche Lysandro si mettesse la tuta (ci mette una vita solo per togliersi tutta quella roba che indossa, figuriamoci al mattino quando si veste!) e nel mentre, non smettemmo di chiacchierare.

- Comunque, tornando al discorso dei compleanni, Leah è messa peggio di tutti. -

- Perché? -

- Lei è nata il 30 dicembre. -

- Ah si? Credevo che il suo compleanno fosse già passato. -

- Oh no. Quest’anno, io e Castiel vorremmo festeggiarla a dovere. Mi chiedevo se volevi partecipare anche tu. - Eh?! Io? Ma che dice? Lysandro notò il mio stupore e alzò le sopracciglia.

- Perché quell’espressione? Non siete diventati amici? -

- Ma chi? Io e lei? Oh no! L’unica volta che ho avuto uno scambio di battute con lei dopo quella famosa volta, è stato stamattina, ma per il resto non ci filiamo molto. -

- Ah, è così? Mmh… curioso. - E si chiuse nei suoi pensieri. Direi che la conversazione è conclusa. Perché quell’invito? E perché dovrebbe pensare che io e lei siamo amici? Qui qualcosa non torna…

 

Pochi minuti dopo, iniziò la lezione. Il professore ci spiegò la lezione del giorno: stretching e corsa fuori. Dopo i lamenti delle ragazze riguardo la bassa temperatura stagionale (tranne Leah, che tutto era tranne che demotivata), il professore iniziò a illustrarci gli esercizi di stretching da fare e tutti iniziarono a mettersi a coppie (le solite, tra l’altro). Ma il professore ci fermò.

- Eh no. Stavolta le coppie le decido io! Vi mettete sempre coi soliti, ma dovete confrontarvi con forze differenti. Quindi, maschi con femmine! -

Poco male. Stavo sempre in coppia con una ragazza, dato che non ho legato particolarmente con qualche ragazzo della classe. Ma, a quanto sento, gli altri non sono d’accordo. Il professore iniziò ad accoppiare i miei compagni ignorandoli (vidi Violet diventare bordeaux perché venne accoppiata a Lysandro… più che altro perché Lysandro è una montagna a suo confronto).

- Poi… vediamo… Nathaniel con Leah. -

Spalancai la bocca. Io e Leah?! Mi voltai a guardarla e lei ricambiò lo sguardo con un sorriso strano. Io deglutì. La vedo male.

Dopo aver preso e sistemato i vari materassini, io e Leah iniziammo gli esercizi. I primi erano dei semplici allungamenti delle braccia e delle gambe in solitaria, poi iniziarono gli esercizi a coppie: uno seduto a gambe aperte e l’altro lo spingeva in avanti il più possibile, poi schiena contro schiena le braccia dell’uno incrociate a quelle dell’altro per poi, a turno, piegarsi in avanti e sollevare l’altro di peso (non mi sorprese il fatto che Leah riusciva a sollevare i miei 70 chili senza particolare fatica). Mentre eseguivamo quest’ultimo esercizio, mi divertii ad osservare Violet e Lysandro provare a fare lo stesso esercizio; Violet è di poco più bassa di Leah, ma non ha di certo la sua stessa forza. Poverina, capitare con un colosso come Lysandro. Risi piano per non farmi sentire da loro, ma Leah mi sentì.

- Ehi. Non si prendono in giro le persone alle spalle. -

- Ma dai. Fanno ridere. -

- Non mi interessa. Falla finita. - Ehi… che il fattore altezza sia un tasto delicato? Sbuffando (e sorridendo senza farmi notare), continuai con gli esercizi in silenzio. Devo dire che l’ansia che mi ha accompagnato in questi giorni è sparita… da quando lei mi ha rivolto la parola stamattina. Strano. Ma questo non toglie il fatto che mi sento ancora incredibilmente in colpa. Lo so, dovrei dirglielo, ma non ne ho il coraggio. Non so come potrebbe reagire (anche se una mezza idea ce l’ho… sacco da box!) e le parole di Lysandro le ho ancora stampate in mente. Maledico la mia curiosità!

 

La lezione finì e io e Leah fummo incaricati di sistemare nello sgabuzzino i vari materassini utilizzati. Da bravi alunni, sistemammo tutto, ma appena provai a uscire dalla stanzetta per andare nello spogliatoio a cambiarmi, Leah mi afferrò il braccio fermandomi. Sentì come una scossa ed ebbi veramente paura che mi prendesse a pugni. Ma, fortunatamente, non fu così.

- Ora che siamo soli, mi dici perché quel giorno mi hai seguita? -

Con “quel giorno” intende quando mi ha beccato? Credo di si. Altrimenti non sarebbe così calma. Ma perché chiedermelo ora? Mi voltai e la guardai. Il suo viso non trasmetteva nessuna emozione, era inespressivo e mi guardava attendendo una risposta. Formulai bene la frase nella mia mente, prima di rispondere.

- Perché volevo scoprire quando e per quanto tempo studiavi, per avere una media come la mia. È una motivazione ridicola, dettata dal mio orgoglio. Mi dispiace e ti chiedo scusa. -

Mi fissò a lungo. Sembrava stupita dalla mia risposta (lo sarei anch’io al suo posto, ammettiamolo, è una motivazione ridicola!). Poco dopo sbuffò e lasciò il mio braccio.

- Sei un’idiota. Un emerito idiota. Potrei denunciarti, lo sai? - Sentì il cuore mancare un battito.

- Si. Lo so. -

- E non hai paura? -

- Certamente. Ma il danno è fatto e tu sei libera di fare ciò che vuoi. -

Ecco. Adesso diventerò “Nathaniel, il nuovo modello di sacco da box”. Mi stavo preparando psicologicamente, ma lei mi stupì.

- E invece non lo farò. - E si sedette su una pila di materassini. Io la guardai allibito.

- Co-come scusa? -

Lei sorrise e battè la mano sul materassino indicandomi di sedermi vicino a lei. Ubbidì. Non smise di guardarmi un solo istante senza smettere di sorridere.

- Avanti. Fatti coraggio e chiedimi quello che vuoi sapere. -

La guardai di soppiatto. C’è qualcosa sotto, qualcosa di strano. Qual è il suo obiettivo? Stavo per ribattere, ma lei m’interruppe di nuovo.

- Sappi che ogni cosa ha il suo prezzo, perciò scegli bene le tue domande. -

Non so se è una trappola o se all’improvviso lei si è ammattita, ma quando mi ricapita un’occasione simile? Le sorrisi.

- Ok, ci sto. -

 

 

 

Note:

Il capitolo dopo è il mio preferito, per ora. Leah sta uscendo allo scoperto e la cosa mi piace molto! E a voi? Ciao ciao!

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Capitolo 7
*** CAP.7 IL LATO OSCURO ***


CAP.7 IL LATO OSCURO ____   - Ho due domande. La prima racchiude la maggior parte dei miei dubbi.
- Sentiamola. -
Mi sistemai meglio sulla pila di materassini. Non riuscivo a credere che avrebbe risposto a tutte le mie domande! E ho davvero il sospetto che ci sia qualcosa sotto, ma ormai è tardi per tornare indietro.
- Come fai ad organizzarti? Voglio dire, vai a scuola, lavori fino a chiusura, vai alle prove della band… tutto questo ti porta via molte ore, come ti organizzi con lo studio? -
- Sto attenta alle lezioni, prima di tutto. E poi studio durante gli allenamenti, il mio allenatore è un professore di liceo in pensione e mi aiuta. - La guardai stupito.
- Cavolo! E riesci a fare queste due cose insieme? Beh, complimenti! - Lei rise. Ho detto qualcosa di comico?
- Già. Dimenticavo che voi uomini non riuscite a fare due cose contemporaneamente. -
Ah, ecco… il solito pregiudizio. Aggrottai le sopracciglia e la guardai imbronciato. Lei mi sorrise. Sembrava che la situazione la divertisse e la cosa mi faceva piacere. Quei sorrisi divertiti li ha solo con me e la cosa mi rende estremamente orgoglioso.
- E questa è una. L’altra domanda? -
Mi morsi il labbro. Non potevo chiederle che aveva il fratello per essere ricoverato in cardiologia infantile. Dovevo aggirare l’argomento senza farle capire che io sapevo di lui. Non era ancora il momento… ma, a pensarci bene, quando mai lo sarebbe stato? Se fossi al suo posto, mi arrabbierei in qualsiasi momento. Quindi, è meglio togliermi questo peso di dosso ora? O è meglio aspettare, magari una volta presa maggior confidenza? Non lo so… Spero solo di aver preso la scelta giusta. La guardai e dalla mia espressione capì che stavo per chiederle qualcosa di molto serio, perché vidi il suo bellissimo sorriso svanire sostituito da un’espressione più seria. Chissà, forse aveva intuito qualcosa.
- Perché fai tutto questo? -
Lei non rispose subito. Alzò leggermente il volto e vidi un’ombra comparire nei suoi occhi, capì che stava pensando al fratello. Mio Dio, ma che cosa è successo a quel bambino? Sentì un improvviso bisogno di abbracciarla, di consolarla, ma non lo feci. Non è una ragazza a cui piacciono simili smancerie. Distolse lo sguardo da me e iniziò a fissare il muro di fronte a noi e, con la sua solita voce triste, mi rispose.
- Non ti rispondo. Non ora, almeno. -
- Si. Capisco, non insisto. - Cadde il silenzio. Leah non smise un secondo di fissare il muro e io di sentire lo stomaco sottosopra. Avevo un groppo alla gola che mi impediva di pronunciare qualsiasi parola o emettere qualunque suono. Il bisogno di abbracciarla si fece più intenso e non riuscivo a capire il perché, voi si? A un certo punto, Leah inspirò profondamente e si alzò stiracchiandosi. Nel farlo, la maglietta si alzò di qualche centimetro lasciando intravedere parte della schiena e parte di quello che sembrava un tatuaggio. A quella vista sentì il cuore mancare un colpo e una sensazione strana allo stomaco. Ma che diavolo ho?
- Ho deciso. -
- Eh? Che cosa? - Deglutì e lei si voltò verso di me con la sua solita espressione strafottente.
- Il prezzo per l’unica risposta che ti ho dato. -
- E sarebbe? -
Si piazzò davanti a me sporgendosi in avanti e appoggiando le mani sulla pila di materassini, precisamente ai lati dei miei fianchi. Io mi irrigidì nel vedere il suo viso così vicino e sentì le guance farsi più calde. I suoi occhi… le labbra… oddio, sento il suo profumo… mi fa girare la testa.
- Voglio vedere il tuo lato oscuro. -
- Co-come? Il mio… lato oscuro? -
- Esatto. Per questo motivo, d’ora in poi sarai il mio schiavetto personale. Mi seguirai ovunque e mi obbedirai in qualsiasi evenienza. -
Ha detto “schiavetto”? Che cavolo voleva dire? Le dovevo obbedire? Lei rise per la mia espressione, ma non era una risata divertita. Era… esiste una risata sadica?
- Volevi seguirmi? Ora hai l’occasione di farlo col mio permesso. -
- Si, ma… che intendi con “lato oscuro”? -
- Ti osservo da anni e sei sempre stato un bravo ragazzo, ligio al dovere. Un perfettino, insomma. Non ti ho mai visto nervoso, irritato o arrabbiato e il giorno della zuffa con Cass ti sei trattenuto. Non hai sfogato appieno la tua rabbia. -
- Ma che dici? Se gli ho lasciato un livido sulla faccia per un’intera settimana! -
- Vero. Ma ti sei comunque trattenuto. -
- Ovvio. La violenza non risolve nulla. -
- Non fare l’idiota. Lo so che ti è piaciuto fare a pugni con lui. -
Mi zittì. In effetti, quel giorno provai un’emozione che poteva paragonarsi al piacere. Ma che dico? Io sono Nathaniel! Il segretario delegato, lo studente migliore del liceo! Non possono piacermi simili situazioni! La afferrai per le spalle nel tentativo di scostarla, ma lei le allontanò e approfittò del mio precario equilibrio per sdraiarmi a forza sopra i materassini dov’ero seduto per poi mettersi a cavalcioni sopra di me. Mi teneva saldamente per le spalle e mi guardò con uno sguardo terribilmente seducente e… la mia reazione fu spontanea. E lei lo sentì. Un momento… che… che sta succedendo? Avvicinò ancora di più il suo viso scostando le mani dalle spalle e poggiando gli avambracci al mio petto. Ormai era vicinissima, e il suo profumo mi stava stordendo. Sentivo il suo respiro su di me e il calore del suo corpo invadermi. Non riuscivo ad allontanarla. E per quale cavolo di motivo avrei dovuto farlo? All’improvviso, mi afferrò per i capelli costringendomi ad alzare il mento e lasciare scoperto il collo. Si avvicinò al mio orecchio e, sussurrando, mi disse ciò che avrebbe cambiato la mia vita da quel momento in poi.
- Voglio vedere la tua ira, il tuo odio. Voglio vederti buttarlo fuori, sfogarti, arrabbiarti. Mi hai già dimostrato fin dove ti spingi per l’invidia e per il tuo fottuto orgoglio, ora voglio vedere gli altri tuoi sei peccati capitali. Voglio il tuo lato oscuro! -
Detto questo, iniziò a baciarmi l’orecchio per poi scendere al collo, iniziando anche a leccarlo e a morderlo. I suoi morsi mi facevano male, ma mi provocavano anche un piacere che non so descrivere. Non mi trattenni più e l’afferrai per i fianchi spingendo il suo bacino contro il mio, facendole sentire la mia eccitazione, ma prima che potessi fare altro, mi diede un morso più forte facendomi gemere dal dolore. Quel dolore mi rese più lucido e le lasciai i fianchi. Lei si tirò su e mi fissò, sembrava soddisfatta. Sorrise e scese, mentre io mi rimisi seduto. Entrambi avevamo l’affanno. Poi lei si voltò verso di me sogghignando.
- A domani, biondino. -
La guardai andare via. Appena uscì dallo sgabuzzino, abbandonai la testa all’indietro sospirando sonoramente e deglutì. Avevo la gola asciutta per colpa dell’affanno.
- Avevo ragione, oggi è proprio una giornata strana. -

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Capitolo 8
*** CAP.8 FALL IN LOVE ***


CAP.8 FALL IN LOVE ___    I nostri corpi si intrecciavano. Faceva caldo. Terribilmente caldo, ma non ci importava, il piacere che provavamo ci estraniava dal resto del mondo. Lei gemette e lo feci anch’io. Le afferrai le mani e le portai sopra la sua testa. Lei alzò una gamba e la appoggiò dietro la mia schiena, io la aiutai afferrandole la coscia con la mano libera mentre le baciavo il collo. Il suo profumo inebriava la stanza e mi riempiva le narici facendomi impazzire. Accellerai i movimenti e la sentì irrigidirsi e inarcare la schiena. Tentava di liberare le mani dalla mia stretta ma non mollai la presa. I suoi gemiti si facevano sempre più insistenti. All’improvviso, urlò il mio nome dal piacere e sentì un “driin driin” in sottofondo. Lo ignorai e mi concentrai su di lei. Ma quel suono si fece sempre più insistente finchè lei sbuffò e mi disse
- Driin driin! - La guardai esterrefatto.
- “driin driin”? -
 
E mi svegliai. Ancora mezzo addormentato, alzai la testa (era affondata nel cuscino) e mi guardai intorno nel tentativo di vedere da dove proveniva quel suono. La luce che filtrava dalle persiane mi dava fastidio costringendomi a sbattere ripetutamente le palpebre, ma riuscì ad individuare l’origine di quel suono: il cellulare. Stava squillando. Mi misi seduto, lo afferrai e guardai il display. Era Ambra. Sbuffando, premetti il tasto verde e le risposi.
- Che c’è? -
- Che diavolo, Nath! Stavi ancora dormendo?!  -
- Mmh… - Riuscendo a fatica ad aprire gli occhi, guardai l’orologio sul comodino che segnava le 8.50. Era presto, cavolo!
- Che vuoi, Ambra? -
- Ma sei idiota? Svegliaa!! Sono in stazione, ricordi? Alza il culo, prendi la macchina e vieni qui! Tra 15 minuti arriva il treno! -
Treno? Quale treno? Ma che giorno era? Mi passai una mano sul viso e sbadigliai.
- Si si… arrivo. -
- Dov’è la mamma? Ha finito con la spesa? -
- Ma che ne so… non rompere, Ambra! - E chiusi la chiamata. Mi alzai e, a mò di zombie, mi diressi in bagno per lavarmi. Mia sorella ha un’abilità incredibile nel rovinare i miei momenti felici. A proposito, che stavo sognando? Il mio amichetto è particolarmente sveglio, questa mattina. Alzai le spalle e mi lavai il viso con acqua fredda (avevo bisogno di svegliarmi). L’acqua mi aiutò a capire che era sabato e che dovevo raggiungere Ambra in stazione con nostra madre non appena lei fosse tornata dal supermercato. Asciugandomi il viso, mi guardai allo specchio e il segno del morso fu la prima cosa che notai. Accidenti! È estremamente visibile! Era lì, nell’incavo del collo, che esclamava “Ehi, Nath! Hai fatto una porcellata ieri! Ora lo scopriranno tutti i tuoi familiari!”. Eh no, non si poteva vedere! Fortuna che è inverno, con le felpe e la sciarpa non si sarebbe visto… giusto? Tornai in camera, mi tolsi il pigiama e mi vestì (jeans e felpa con cappuccio senza cerniera blu… no, niente camicia, è pur sempre sabato!). Tirai indietro le coperte e aprì finestra e persiane. Mi sporsi dalla finestra per prendere una boccata d’aria e vidi mia madre davanti al portone con due borse della spesa. La chiamai.
- Nath, puoi scendere ad aiutarmi? -
- Arrivo. -
 
Dopo aver messo via la spesa e aver rifatto il letto, presi portafoglio, infilandolo nella tasca posteriore dei jeans, chiavi della macchina e di casa e aspettai mia mamma che arrivò con un mega sorrisone stampato in faccia e tutta agghindata. Nel vederla così, risi e lei arrossì.
- Beh? -
- Sembri un’adolescente con la sua prima cotta! -
- Oh, ma smettila! - E mi tirò una sberla affettuosa alla nuca. Scendemmo in garage e salimmo in auto (non prima di aver controllato che la sciarpa riuscisse effettivamente a coprire il segno del morso). Misi in moto e partimmo.
Oggi, dopo tre mesi, sarebbe tornato mio padre da un viaggio di lavoro e mia mamma era su di giri; non la smetteva più di chiacchierare e io tentavo di starle dietro, ma cercavo ancora di ricordare il sogno che avevo fatto stamattina.
- Sei contento che tuo padre ritorni? -
- Mh… si, è ovvio. -
- Bugia. -
- Mamma, è ovvio che sono contento. Ma… gradirei che mi lasciasse un po’ di spazio, per decidere da solo del mio futuro. - Sospirò.
- Lo so, Nath. Riconosco che è un uomo molto rigido. Ma cerca di capire, lui lo fa per te. -
- Si. Certo. -
Mio padre è un uomo molto severo, soprattutto con me. Forse perché gli ho sempre dato soddisfazioni dal punto di vista scolastico, si è impuntato che dopo il liceo dovessi iscrivermi a giurisprudenza. Quante litigate abbiamo fatto per questo motivo. Non voglio fare giurisprudenza, quel genere di materie non mi sono mai piaciute. A me piace la scienza. Chimica in particolare, e biologia. Avrei tanto voluto laurearmi in farmacia, ma lui lo riteneva un lavoro degradante per me.
- Giurisprudenza ti apre un mondo. Diventando avvocato, col cervello che hai, avrai la strada spianata! Soldi, donne e successo! E tu mi dici che vuoi fare il farmacista? Un lavoro di così bassa lega? Te lo proibisco! -
“Te lo proibisco”… la sua frase preferita che mi rivolge ogni volta che affrontiamo il discorso. Ormai ci ho rinunciato e mi sono rassegnato all’idea di diventare avvocato. Che rabbia.
“Voglio vederti buttarlo fuori, sfogarti, arrabbiarti.”
Le parole che Leah mi rivolse ieri le avevo ancora in mente. Era come se fosse lì e me le stesse ripetendo. Già, il mio “lato oscuro”.
Quello che lei vuole.
Quello che Leah vuole.
Leah.
Il solo pensare a lei mi provoca una contrazione strana allo stomaco. In più, per via di quello che successe ieri, anche le mie guance decidono ogni volta di fare a modo loro e arrossire. Ma questa volta, mia madre mi vide.
- Ehi Nath, stai bene? -
- Si si… sto bene, tranquilla. -
- È da ieri che sei strano. È successo qualcosa? -
- No, nulla. -
Sentivo che mi stava osservando. Io finsi di non accorgermene ponendo attenzione ad una coppia che attraversava la strada sulle strisce pedonali approfittando del semaforo rosso che mi costrinse a fermarmi. Appena scattò il verde, partì.
- Nath? -
- Si? -
- Sei innamorato di una ragazza? - Sterzai all’improvviso e un auto che procedeva nel senso opposto suonò il clacson. Tornai rapidamente in corsia e sentì l’intera faccia arrossire.
- M-ma-mamma! Ti pare una cosa da dire?! - Stava ridendo e agitando i pugni con aria vittoriosa.
- Nath è innamorato, Nath è innamorato! -
- Smettila! -
- Oh andiamo! Non c’è mica niente di male! Allora? Chi è? -
- Ma chi è chi?! Non sono innamorato! -
- Ma che bugiardo! Avanti, confessa! -
- Mamma piantala! Sto guidando! -
- E allora? Oh, aspetta! Ho capito… è quella ragazza di cui mi hai parlato l’altra volta, vero? Quella che hai pedinato! -
Aprì la bocca nel tentativo di ribattere, ma non ci riuscì. Perché mi tornò in mente il sogno che feci. Oddio, ma sono un porco! Avevo la faccia in fiamme e la mamma rise.
- Stai tranquillo, tesoro. Innamorarsi è bellissimo. E dimmi, ti ricambia? -
Strinsi le labbra nel tentativo di darmi un contegno. Quindi era così? Era davvero così? Mi ero innamorato di quella… piccola tigre ninfomane? Naa… non può essere. Però, il fatto che continui a pensare a lei da quell’episodio in prima liceo poteva significare che mi ero innamorato di lei? Ho sempre creduto che fosse semplice rivalità… ma forse è qualcosa in più. Ecco spiegate le contrazioni strane dello stomaco. Cavolo… all’improvviso mi sento triste.
- No, mamma. Non mi ricambia. -
- Oh. Non preoccuparti, Nath. Sii gentile e premuroso e vedrai che si accorgerà di te. -
Gentile e premuroso? Ah! Non è una ragazza così dolce e tenera da piacerle simili smancerie. A lei piacciono i bulli come Castiel. Arrivammo in stazione e parcheggiai. Spensi l’auto e feci per scendere, ma lei mi fermò.
- Sai, vidi tuo padre per la prima volta al liceo. Io ero in seconda e lui in quinta. Mi innamorai subito di lui, quando lo vidi giocare a basket. Ho sempre avuto un debole per gli sportivi. - Papà che gioca a basket? Non l’avrei mai detto.
- Lui non mi notò per anni, ma io non smisi mai di volergli bene. Quando finì il liceo, trovai lavoro in una caffetteria e un giorno lo incontrai per caso. Iniziammo a parlare e da lì a poco uscimmo per la prima volta. Ci mettemmo insieme poco dopo e, dopo due anni, ci sposammo. Il resto lo sai. -
- Si, e quindi? -
- Quindi, Nath, non smettere di amarla. Prima o poi vedrà il bene che le vuoi e si innamorerà di te. Devi portare pazienza. L’amore vince sempre! -
Lei parla così perché non sa che tipa è Leah. Ma non volli distruggere la sua idea romantica e le sorrisi fingendo di nutrire qualche speranza. Scendemmo dall’auto e ci dirigemmo verso Ambra, che era avvinghiata al braccio di nostro padre. Io sospirai. Dovevo proprio innamorarmi di una ragazza come Leah?
 
 
Note:
Ciao! Rieccomi finalmente! Scusate l’enorme ritardo, ma ho avuto un periodo piuttosto stressante. Ma ecco l’ottavo capitolo! Spero che vi sia piaciuto! Ciao ciaoo!!

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Capitolo 9
*** CAP.9 LE SUE PAROLE ***


CAP.9 LE SUE PAROLE ___    Arrivò l’ora del pranzo. Non ero in vena di chiacchierare con mio padre, quindi decisi di aiutare mamma in cucina. Non per vantarmi, ma ai fornelli me la cavo piuttosto bene, mi rilasso e riesco a pensare con lucidità. E a cosa potevo pensare, se non a Leah? Mia madre ha detto che mi ero innamorato, ma non credo proprio che io provi questo sentimento per lei. Andiamo! Non è possibile! Leah è così mascolina, è più forte di me e si diverte a rendermi ridicolo. È così… così… dannatamente sexy… ok, sarà seducente, ma NON sono innamorato di lei! No!
- Nath? Gira il sugo, o si brucia. -
- Mh? Ah! Cavolo! - Così non va. Ma proprio per niente! Mi sto fondendo il cervello, la devo smettere! Dannata tigre!
 
Finalmente ci sedemmo a mangiare e, come al solito, quella gallina di mia sorella non la smetteva di chiacchierare con nostro padre che la ascoltava pazientemente. È sempre così, quando lui rientra da un viaggio di lavoro, finchè lui decidette di darci un taglio e iniziare col giro di domande. Iniziò con Ambra.
- E per il resto, come va? -
- Oh, non c’è male. La solita routine. Sai, ieri ero in giro con le ragazze e ho visto un vestitino molto carino che… -
- E la scuola? -
- Come al solito. Comunque, stavo parlando di quel vestito. Costa un po’ e non mi bastano i soldi della paghetta. Quindi pensavo che potevi regalarmelo, dato che sono tre mesi che non ci vediamo. Eh, papino? - Ecco dove voleva andare a parare. Che ragazza superficiale.
- Ci penserò. E tu, Nath? -
- Io cosa? -
- Come sono andati questi tre mesi? -
- Molto bene.  -
- I tuoi voti sono sempre eccellenti? -
- Si. -
- Molto bene. Bravo, figlio mio, sono molto orgoglioso di te. - E riprese a mangiare. A quanto pare la mamma non gli ha parlato della mia zuffa con Castiel. Meglio così, o chissà che macello ne sarebbe uscito. E, a proposito di macello… tentar non nuoce.
- Papà? -
- Mh? -
- Io… tra qualche mese ci sarà la giornata di orientamento nelle varie università. -
- M-mh. - Sia la mamma che Ambra spostarono gli sguardi da me a papà e viceversa. Sapevano cosa sarebbe successo di lì a poco, ma volevo provarci lo stesso.
- Volevo… -
- Devi assolutamente visitare la facoltà di giurisprudenza… -
- Veramente io… -
- … e presentarti al professor Adelbert. È un mio conoscente e farti vedere da lui sarebbe un bel vantaggio… -
- No, ascoltami… -
- … è un docente molto influente. Potrebbe… -
- Papà, mi vuoi ascoltare?! -
Avevo alzato la voce. Ambra sussultò e per poco non fece cadere la forchetta. La mamma mi fissò con aria stupita: mai prima d’ora avevo alzato la voce contro mio padre. Lui, con estrema calma, posò la sua forchetta e si asciugò la bocca col tovagliolo. Alzò lo sguardo e mi fissò. Odio quando mi fissa così.
- Dimmi, Nathaniel. –
 
Stavo tremando. Le mani, stavano tremando. Non per la paura. Per la rabbia.
 
“Voglio vedere la tua ira, il tuo odio.”
 
Lo odiavo. Si, lo odiavo. Da sempre mi bombarda con questa storia dell’università. Da sempre mi soffoca e mi opprime costringendomi a fare cose che non volevo.
 
“Voglio vederti buttarlo fuori, sfogarti, arrabbiarti.”
 
Oggi, qualcosa scattò dentro di me. Ma cosa? Che mi stava succedendo? Perché? No… basta domande. Se volevo fare quello che volevo, se volevo decidere da solo del mio futuro, dovevo agire.
 
“Mi hai già dimostrato fin dove ti spingi per l’invidia e per il tuo fottuto orgoglio, ora voglio vedere gli altri tuoi sei peccati capitali. Voglio il tuo lato oscuro!”
 
E dovevo farlo ora.
 
Smisi di tremare e mi alzai con calma senza smettere di guardarlo. Lui sembrava sorpreso da questo mio comportamento e mi guardava incuriosito. Vidi la mamma trattenere il respiro e Ambra allontanarsi leggermente dal tavolo.
- Sai, papà. A me non frega niente di quello che tu vuoi. Il mio futuro lo decido da me e tu mi devi fare il favore di non impicciarti. Mi iscriverò alla facoltà di farmacia e diventerò farmacista. -
Cadde il silenzio. Io e mio padre continuavamo a fissarci, mentre aspettavo una sua reazione. Dopo pochi istanti, poggiò i gomiti sul tavolo incrociando le dita e appoggiando su di loro il mento. E sorrise.
- Te lo proibisco. Non starai dietro un bancone a vendere pillole a vecchi diabetici. Tu diventerai un avvocato, il migliore che esista. Discorso chiuso. -
Strinsi talmente forte i pugni che sentì le unghie ferirmi i palmi. Era troppo. Sbattei violentemente i pugni sul tavolo facendo cadere un paio di posate e la brocca dell’acqua che rovesciò il suo contenuto per poi rotolare e infrangersi a terra. Ambra gridò.
- Nath! Ma che ti prende?! -
La ignorai e mi diressi velocemente verso la porta d’ingresso. M’infilai la giacca e afferrai le chiavi della macchina. Aprì la porta e feci per uscire, ma mia madre mi raggiunse.
- Nath! Dove vai? Aspetta! -
Ignorai anche lei e uscì, sbattendo la porta talmente forte che sentì un quadro cadere a terra e rompersi.
 
Non so per quanto tempo guidai. Quando finalmente decisi di fermarmi, era buio. Parcheggiai vicino ad un parco, uscì dall’auto e mi diressi verso una panchina dove mi sedetti. Faceva dannatamente freddo e avevo dimenticato di prendere la sciarpa, ma non avevo intenzione di tornare a casa. Sospirai e guardai il mio respiro tramutarsi in una nuvoletta di vapore. L’adrenalina aveva iniziato a calare e sentì un’improvvisa calma e stanchezza invadermi. Chiusi gli occhi e piegai la testa all’indietro inspirando a pieni polmoni.
- Ehi, biondino. Che ci fai qui? -
La sua voce. Aprì gli occhi e la guardai. Era in piedi di fronte a me, che mi guardava con un sorrisino stampato sul volto. Aveva un giaccone lungo marrone che copriva quasi del tutto la sua figura e vicino a sé, un ragazzino mi guardava curioso. Era Nicholas, suo fratello. Che ci faceva lì?
- Ciao Leah. -
La sua espressione cambiò. Non dovevo avere un bell’aspetto e la mia voce era più roca del solito. Abbassai lo sguardo. Non doveva vedermi così.
- Cos’è successo? -
- Ti importa davvero? -
- Certo, sei il mio schiavetto. -
- Mpf… già. Anche tu mi obblighi a fare ciò che non voglio. -
Lei ignorò quest’ultima frase e s’inginocchiò, in modo da potermi vedere meglio. La guardai anch’io. Sembrava… preoccupata? Forse, ma una cosa mi era finalmente chiara: a farmi reagire in quel modo, prima, furono le sue parole.

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Capitolo 10
*** CAP.10 IN CASA ***


CAP.10 IN CASA ___    - Ehi sorellona. Ma lui chi è? -
Leah continuava a scrutarmi il viso alla ricerca di non so cosa. Non capivo cosa volesse… poi il suo sguardo scese fino alle mani. Feci per nasconderle in tasca, ma lei fu rapida ad afferrarmele e le voltò mostrando i palmi: avevo stretto talmente tanto i pugni, prima, che ero riuscito a conficcare le unghie nella carne lasciando dei piccoli taglietti a mezzaluna. Le guardò per qualche secondo, poi alzò gli occhi sul mio viso. Io non dissi nulla e lei fece altrettanto. Lasciandomi le mani, si alzò e si voltò verso il fratello.
- Nick, lui è Nathaniel. Nathaniel, lui è Nicholas, mio fratello. -
- Piacere, Nathaniel! -
- Piacere mio. - Mi sorrise allegro. Nonostante la forte somiglianza fisica, era palese che i due fratelli avevano un carattere opposto. Leah era taciturna, Nicholas era un gran chiacchierone. Leah era triste, Nicholas allegro e sempre sorridente.
- Si è fatto tardi, Nick. È meglio andare. -
- Ok! - E si diresse verso l’entrata del parco. Leah, invece, rimase ferma davanti  me, continuando a guardarmi.
- Forza, biondino. Sei invitato a cena. -
- Come, scusa? -
Spostò il viso di lato. I capelli le coprivano il volto e non riuscì a vedere la sua espressione. Si schiarì la voce.
- Ho detto che sei invitato a cena, a casa mia. -
Un invito a cena? A casa sua? Lei che invita me? Che succede?
- O-ok… va bene. -
- Bene. Andiamo. -
E raggiunse velocemente il fratello senza voltarsi. Rimasi per qualche istante a fissarla a bocca aperta. Scossi la testa e mi alzai, raggiungendoli. Nicholas, nel vedermi arrivare, si aprì in un sorriso a trentadue denti.
- La mia sorellona mi ha detto che vieni a cena da noi! Mi fa molto piacere! -
Risi. Quel bambino mi metteva allegria, ha una risata contagiosa ed è molto difficile resistergli. Infatti, anche Leah sorrise.
- Sentite, io sono venuto in macchina. Se volete, possiamo andare a casa vostra con quella, anche se… - “non è molto lontana da qui” stavo per dire. Mi bloccai appena in tempo. Io non posso sapere dove abitano, dato che non ho seguito Leah fino a casa sua. No?
- … non ho molta benzina. Ho passato il pomeriggio a girare a vuoto e devo fare il pieno. -
Leah si strinse nelle spalle.
- Per me va bene. Tanto non è molto lontana da qui. -
Nicholas esultò. A quanto pare gli piaceva fare dei giri in auto. Sorrisi. Eh si, la sua allegria è contagiosa.
 
Ed eccomi di nuovo di fronte a quella villetta a due piani, solo che, questa volta, ero ospite non inseguitore. Questa conferma mi fece sentire a disagio… approfittai di quei pochi istanti in cui Leah cercava le chiavi per guardare meglio la villetta. Il muretto in mattoni non mi permetteva di vedere bene il giardino, ma quel poco che vedevo mi permise di capire che Leah non aveva propriamente il pollice verde. A parte un albero, non c’erano altre piante e l’erba non era molto curata. Appena Leah aprì il cancello, Nicholas varcò la soglia e si diresse verso la porta. Era una porta piuttosto robusta, in legno con al centro, nella parte alta, uno spioncino. Entrai per ultimo chiudendo il cancello alle mie spalle e confermando la mia ipotesi: Leah non aveva per niente il pollice verde. Chissà la casa com’era messa… ma dovetti ricredermi. Mentre Nicholas saliva le scale, Leah mi invitò ad appendere la giacca sull’attaccapanni posto all’ingresso e ad accomodarmi in salotto. Ubbidì e ne approfittai per guardarmi in giro. La casa era in perfetto ordine, profumata e pulita. Le pareti bianche erano adornate da pochi quadri la maggior parte dei quali consistevano in cornici con delle foto dentro. Mi soffermai su una in particolare, posta sopra il camino in salotto. Ritraeva una Leah poco più che bambina, sorridente e felice tra le braccia di una donna, anch’ella sorridente, con i capelli ricci come la figlia e un sorriso altrettanto splendente. Accanto alle due, vi era un uomo molto alto dai capelli scuri e gli occhi di un verde intenso con in braccio un bambino di circa quattro o cinque anni con la bocca spalancata come se stesse dicendo qualcosa al padre. A fare da sfondo, c’era una spiaggia candida e un mare di un azzurro intenso. Era la famiglia Smith al completo durante una vacanza.
- Quella foto è molto vecchia. - Sobbalzai.
- Nicholas! Mi hai fatto paura. -
- Scusa. -
Il sorriso sul suo viso era sparito. Immagino che quella foto dovesse far tornare brutti ricordi nella memoria dei due fratelli, quindi non chiesi nulla. Avevo un sospetto sui loro genitori, ma non volevo la conferma. Non volevo altra tristezza addosso.
- In quella foto io avevo cinque anni e Leah dodici. Mamma trentasette e papà quaranta. Eravamo in vacanza per festeggiare il compleanno di papà. -
Perché me lo stava dicendo? Non volevo sapere. Distolsi lo sguardo da lui e sembrò capire. Con la coda dell’occhio, lo vidi abbassare lo sguardo per qualche secondo per poi tornare a guardarmi con un espressione più allegra.
- Leah mi ha detto di dirti di salire sopra. Ti sta aspettando in bagno. -
- Ah, va bene. -
Dopo essermi fatto indicare la via per il bagno, Nicholas si sedette sul divano e accese la TV. Lo guardai trafficare con il telecomando alla ricerca di un canale di cartoni per qualche secondo, poi salì le scale e raggiunsi la ragazza. Entrai e la vidi chiudere un cassetto. In mano aveva un tubetto di crema e un paio di cerotti di quelli rettangolari bianchi, piuttosto grandi. Si voltò verso di me.
- Dammi le mani. -
- Perché? -
- Dammele e basta. -
Le porsi le mani e lei spalmò un po’ di crema sui taglietti. Il suo tocco era molto più delicato di quanto pensassi e non mi fece male, nemmeno quando mise il cerotto. Ma, devo ammettere, quando sentì il contatto con le sue mani, rabbrividì e sentì il suo calore invadermi tutto il braccio. Inoltre, fu davvero piacevole osservarla mentre mi medicava.
- Senti… -
- Mh? -
- Grazie… per… beh, la medicazione. -
- Tranquillo. - Furono le uniche parole che ci scambiammo in quel frangente. Anche se avrei voluto ringraziarla per avermi fatto andare via da quel parco. Temo che, se fossi rimasto lì, mi sarei depresso ancora di più.
Scendemmo le scale e lei si diresse verso la cucina. Decisi di darle una mano (l’idea di stare lì fermo in salotto mi agitava) quindi la seguì.
- Hai bisogno di una mano? -
Si voltò. - Mh. Se vuoi. Però indossa dei guanti, altrimenti i cerotti si staccano. -
Annuì e, presi e indossati i guanti da cucina, mi rimboccai le maniche e la aiutai a lavare e a tagliare le verdure… il tutto in completo silenzio, il che rendeva l’atmosfera imbarazzante. Almeno per me. La cucina era piccola e capitava che lei mi passasse molto vicino per prendere una scodella o altro, e ogni volta il suo profumo mi inondava le narici facendomi fare pensieri vietati ai minori. Chiedendomi se anche per lei fosse così, la sbirciavo di tanto in tanto per sorprenderla in una qualche espressione, ma sembrava tranquilla e a suo agio. Lo ammetto, un po’ ci rimasi male.
- Ehi. C’è un telefono che suona! -
Ci voltammo verso il ragazzo e drizzammo le orecchie. Ma non c’era nessun suono.
- Sarà la Tv, Nick. -
- No no. È un telefono. Fa “vrr vrr”, non suona. - All’improvviso mi ricordai del telefono lasciato nella tasca della giacca. Mi tolsi rapidamente i guanti e, altrettanto rapidamente, raggiunsi la giacca, infilai la mano in tasca ed estrassi il telefono. Non feci in tempo a rispondere alla chiamata, ma vidi dieci chiamate perse da parte di mia madre e un paio di messaggi di Ambra. Sospirai dandomi dello stupido per essermi dimenticato di avvertire mia madre che avrei fatto tardi. Vidi Leah avvicinarsi.
- Tutto a posto? -
- Si, devo… devo chiamare mia madre. -
- Fa pure. - E tornò in cucina.
 
Quando mia madre rispose, era così agitata che temevo sarebbe svenuta. La tranquillizzai subito dicendole che stavo bene, che avevo fatto un giro in auto e che avevo incontrato un’amica che mi aveva invitato a cena da lei. Non mi chiese nulla, ma sapevo che aveva capito chi fosse quella ragazza.
- Però potevi rispondermi! -
- Hai ragione, scusa, ma l’avevo lasciato in vibrazione e non l’ho sentito. -
Lei sospirò e mi informò del fatto che avevo rotto una caraffa d’acqua e il quadro vicino alla porta, che mio padre non si era arrabbiato più di tanto e che, appena ero uscito, l’ha fermata dicendole “A volte un uomo deve avere i suoi spazi per pensare.”
- Che diavolo vuol dire? -
- Ma che vuoi che ne sappia io?! Vieni a chiederlo a lui, se ci tieni! Maledizione, Nath, ma questa storia ti sta rovinando così tanto l’esistenza? -
La sua voce era tremolante. Stava piangendo?
- Mamma… -
- Quando torni? -
- Dopo cena. -
- Ok. Fai attenzione alla strada, è buio. -
- Si. A dopo. -
Riattaccai e fissai il display. Con quella sfuriata dovevo averla scossa parecchio. Che idiota. Lessi i messaggi di Ambra che, in poche parole, dicevano la stessa cosa: “ Vedi di tornare presto, mamma è impazzita e sta urlando contro papà. Se non mi compra il vestito che voglio, giuro che me la paghi!” Quanto è superficiale, quella cretina.
 
 
 
Note:
Questo capitolo è un po’ noioso. Non succede nulla di particolare, mi è servito per collegarmi al capitolo dopo, che era nato in modo molto diverso.

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Capitolo 11
*** CAP.11 PICCOLI FRANTUMI, GRANDE DOLORE ***


CAP.11 PICCOLI FRANTUMI, GRANDE DOLORE ____   Fu una cena piacevole, come non ne passavo da anni. L’allegria di Nicholas rendeva l’atmosfera frizzante e il cibo sembrava avere addirittura un altro sapore. Risi parecchio e vidi con piacere che anche Leah si divertì. Immagino che sia al settimo cielo per avere con sé il fratello dopo chissà quanto tempo. Tra una chiacchiera e l’altra, arrivarono le nove e Nicholas ci salutò per andare a dormire. Anche io e Leah ci alzammo: io sparecchiavo e lei lavava i piatti. Mi ero offerto di lavarli io al posto suo, ma mi liquidò dicendo che non aveva più guanti da darmi. Una volta che ebbi finito, la raggiunsi per aiutarla almeno ad asciugare i piatti e a metterli via. Anche questa volta, il tutto avvenne in completo silenzio… un silenzio troppo pesante…
- Biondino? -
- … guarda che non muori se mi chiami per nome. -
- Schiavetto? -
- … si? - È inutile insistere, temo…
- Cosa ti è successo oggi? -
- Non credo che siano cose che ti possano riguardare. -
- Oh si, invece. Te l’ho già detto al parco: sei il mio schiavetto, quindi, ti ordino di dirmelo. -
Strinsi le labbra e non risposi subito. Non mi andava giù questa storia dello “schiavetto personale”. Ma, d’altronde, me la sono cercata… sospirai rassegnato e iniziai col racconto.
Prima di tutto, le raccontai di mio padre, del suo modo di opprimermi in ogni cosa che facevo e di programmare la mia vita attuale e futura. Poi le raccontai della sua preferenza verso mia sorella, coprendola in tutto ciò che faceva (giusto o sbagliato che fosse) e soddisfacendo ogni suo capriccio. Infine, le raccontai della mia sfuriata durante il pranzo (omettendo il fatto che furono le sue parole a darmi la spinta per farlo) e della telefonata con mia madre.
- Io vorrei iscrivermi alla facoltà di farmacia, ma lui lo considera un lavoraccio… e mi obbliga a frequentare giurisprudenza, una facoltà “ideale per un genio”, come dice lui. -
Rimase in silenzio per un po’ (ebbi il tempo di mettere via tutti i piatti) finchè non rise.
- Sai, avrei voluto vederti. Hai rotto una caraffa e un quadro? Complimenti. -
- Non scherzare. Mia madre vorrà un risarcimento. -
- E con ciò? Hai finalmente dimostrato di avere fegato, è per questo che tuo padre non si è arrabbiato. -
- Non ho reagito, prima d’ora, perché non avevo un riscontro da parte sua. -
- Errore. Tu non reagivi perché non avevi le palle per farlo! - E si voltò verso di me. Aveva uno sguardo strano. Era come ieri, nello sgabuzzino della palestra. - E ora le hai. La domanda è: continuerai ad averle o spariranno? -
Mi guardava fisso negli occhi e il suo sguardo si fece più intenso. Deglutì. Mi sentivo agitato e sentì il cuore battere più veloce, le mani sudare e un brivido mi corse lungo la schiena quando lei mi si avvicinò e mi accarezzò il viso.
- Ed ecco la tua ira. Sono due su sette. Ora, devi mostrarmi gli altri cinque. -
- Perché? -
- Per il patto stipulato. -
- Si, ma perché proprio questo? Con tutte le cose che potevi chiedermi, proprio questo… perché? -
- Perchè voglio strapparti la maschera e vedere il vero te stesso. Voglio vederti. -
Si era avvicinata molto e senza rendermene conto, mi ritrovai letteralmente con le spalle al muro. Non avevo vie di scampo. Lei inclinò la testa di lato e i capelli le scivolarono dietro le spalle mostrando il neo che ha sul collo. Mi ritrovai a fissarlo e una voglia matta di baciarlo mi pervase. Ma mi trattenni. A fatica, ma mi trattenni. Distolsi lo sguardo da lei e mi misi a fissare il soffitto. Dovevo distrarmi o le sarei saltato addosso!
- B-beh… non credo che tu sia cieca, no? Mi stai vedendo proprio ora. -
- Non fare il cretino. Hai capito benissimo cosa intendo. - Mentre parlava mi accarezzava il collo, sfiorandolo dall’alto verso il basso raggiungendo la clavicola per poi tornare su. Sentivo la faccia in fiamme. E mi venne l’affanno.
- Perché ti trattieni? -
- P-perché… -
- Perché sei un cretino. Ma molto carino, devo ammetterlo. Altri, al tuo posto, avrebbero già ceduto. - Era un complimento?
- Lasciati andare. Con me puoi farlo. - Tornai a guardarla. Era bella come non mai. La sua bocca socchiusa mi reclamava e poi mi sorrise. Un sorriso dolce, diverso dal solito.
- Leah… -
Riprese a fare su e giù col dito sul mio collo per poi soffermarsi sul segno del morso che mi aveva lasciato. Lo fissò per pochi istanti sorridendo, poi si alzò sulle punte e iniziò a bacialo, spostandosi lungo tutto il collo e stringendosi a me. Maledizione… è inutile negarlo ancora… lei mi piaceva. Molto. Avrei tanto voluto farla continuare e lasciarmi andare… ma lei… uno dei sette peccati capitali è la lussuria. Ed è questo quello che vuole da me. Nient’altro. Ma non era quello che volevo io. Poggiai le mani sulle sue spalle e l’allontanai. Mi fissò con aria interrogativa.
- No, Leah. Non posso… -
- No? -
Mi decisi ad agire. Voglio vedere la sua reazione, voglio vedere se sono solo io ad essermi innamorato o se anche lei prova qualcosa per me. Anche solo un piccolo, minuscolo sentimento… qualsiasi cosa… presi fiato…
- No, perché io voglio fare l’amore con te. Non sesso. Perché mi sono innamorato di te. -
Silenzio. Il suo viso, dopo un breve attimo di stupore, tornò inespressivo, ma gli occhi rimasero puntati su di me. Le sue mani, prima incrociate dietro la mia nuca, ora allontanavano le mie dalle sue spalle. Eh già… come immaginavo, non ero ricambiato.
- Vattene, Nathaniel. -
Era la prima volta che mi chiamava per nome. Dovrei essere felice, ma sentì solo una fitta al cuore e lo stomaco stringersi in una morsa parecchio dolorosa. Senza perdere tempo, mi diressi verso l’ingresso, recuperai la giacca e uscì.
 
Il viaggio di ritorno a casa passò più velocemente del previsto. Avevo la testa vuota e non riuscivo a metabolizzare, nemmeno a pensare il suo rifiuto. Ma che mi aspettavo? Era ovvio che non ero corrisposto. Probabilmente per lei ero solo un passatempo, un giochino da usare nei momenti di noia. E io che le davo corda. Mi ero addirittura innamorato! Che stupido…
- Nath!- La voce di mia madre mi riportò alla realtà (non mi ero accorto di essere rientrato in casa). La vidi corrermi incontro a braccia aperte e mi preparai per un suo abbraccio. Non dovetti attendere molto. La sentivo dire qualcosa e mi sentivo rispondere, ma era tutto ovattato e non mi ricordo né cosa mi disse né cosa le risposi. Volevo solo farmi una doccia e buttarmi nel letto. Così mi congedai e mi diressi in bagno, con la promessa che il giorno dopo avremmo parlato.
Speravo vivamente che la doccia mi restituisse un po’ di lucidità, ma non fu così. Mi ritrovai sotto le coperte senza nemmeno rendermi conto di come ci ero arrivato. In posizione supina, puntai lo sguardo al soffitto e finalmente riuscì a rielaborare l’accaduto.
“Vattene, Nathaniel”. A quelle parole, la mia solita lucidità tornò. E con essa, anche il dolore al petto e la morsa allo stomaco… Dio… perché dovevo stare così male? Infondo lo sapevo. Sapevo che lei non mi voleva bene in quel modo… però, una piccola parte di me ci sperava. Ed era quella piccola parte che si era frantumata in mille pezzi facendomi un male incredibile. Mi morsi il labbro e appoggiai un braccio sugli occhi, schiacciando leggermente in modo da impedirmi di piangere. Non so fino a che punto ci riuscì, ma fu in quella posizione che mi addormentai.
 
Il giorno seguente, dopo aver chiesto scusa a mia madre per la caraffa e il quadro, dopo averle promesso un risarcimento danni, dopo aver subito mia sorella che mi mostrava entusiasta quell’orrendo vestito che papà le aveva comprato, raccolsi il coraggio ed andai da lui. Era seduto sulla poltrona in pelle nel suo studio e mise via il giornale che stava leggendo, dopo averlo accuratamente piegato, non appena entrai nella stanza. Mi fissò a lungo in attesa delle mie scuse. Non avevo voglia di altre discussioni, non ero dell’umore adatto.
- Mi scuso per la mia reazione esagerata. -
- Sei scusato. -
- Ma non mi scuso per quello che ho detto. La mia intenzione è sempre quella di diventare farmacista. Con o senza il tuo permesso. - E mio padre fece una cosa che mi sorprese molto. Sorrise. Sorrise soddisfatto.
- Bravo, Nath. Hai avuto fegato. Sia a far valere le tue convinzioni sia a chiedere scusa al tuo nemico. È importante avere fegato in questo mondo. -
Leah aveva ragione su mio padre.
 
Lunedì arrivò in fretta, ma la mia testa era ancora annebbiata e non riuscivo a seguire le lezioni come al solito, tant’è che non mi accorsi dell’arrivo dell’intervallo e nemmeno che Lysandro si era avvicinato a me (il che è allucinante… chi non vedrebbe arrivare un colosso vittoriano come lui?). Alzai la testa pensando di aver capito perché si stesse avvicinando.
- Ancora prove oggi pomeriggio? -
Lysandro inclinò leggermente la testa di lato e aggrottò le sopracciglia.
- Ma che dici? Non possiamo fare le prove. -
- Ah no? -
- No, dato che non c’è Leah. - Come? Leah non c’è? Sorpreso, mi voltai verso le finestre e mi resi effettivamente conto che Leah non era in classe.
- È  uscita prima? -
- Nathaniel, ma dove hai la testa? È assente! -
- Assente? E perché? -
- Speravo che potessi dirmelo tu. -
- E perché io dovrei sapere quello che fa Leah? - Lysandro sbuffò. Sembrava irritato e anch’io stavo iniziando ad alterarmi.
- Lo sai o no? -
- No, non lo so! E non vedo come la cosa potrebbe importarmi. -
Lysandro scosse la testa e uscì dalla classe. Tornai a guardare il banco di Leah vuoto. Perché non è venuta in classe? Non aveva il coraggio di vedermi dopo sabato? Naa… è fuori discussione. Non è così vigliacca da… un momento… questa non è la prima volta che Leah faceva assenze. Anche durante il terzo anno si assentò, e per parecchio tempo (circa tre mesi). Ricordo che in quell’occasione, sentì Lysandro dire a Castiel qualcosa riguardo… oh mio Dio! Mi alzai di scatto, facendo cadere la sedia. Presi la giacca in un lampo e corsi fuori, ignorando tutto e tutti. Uscì dalla scuola e, una volta raggiunta la fermata giusta, salì sull’autobus 7.

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Capitolo 12
*** CAP.12 NON ME NE VADO ***


CAP.12 NON ME NE VADO  ____   Il viaggio verso l’ospedale mi sembrò infinito. L’autobus sembrava viaggiare lento tanto quanto una lumaca, se non addirittura più lento. Avrei voluto allontanare l’autista e mettermi a guidare al posto suo, ma non ero così disperato e non avevo idea di come guidare un autobus. Ero preoccupato, anzi, molto preoccupato. Per Leah ma, soprattutto, per Nicholas. Perché c’è un solo motivo per il quale lei possa assentarsi improvvisamente da scuola senza avvisare: una ricaduta di suo fratello. Proprio come anni fa. In quell’occasione, sentì solo Lysandro parlare a Castiel di un ospedale, ma all’epoca non sapevo che cosa volesse dire per lei andare in ospedale. Ma ora che lo sapevo, non potevo fare finta di niente.
 
Quando l’autobus si fermò, mi fiondai fuori e raggiunsi di corsa la hall dell’ospedale. Mi fermai al centro e cercai qualcuno che potesse darmi un’indicazione. Per ironia della sorte, vidi l’infermiera che incontrai l’altra volta al pronto soccorso e la raggiunsi di corsa. Lei mi fissò sorpresa e palesemente felice di vedermi.
- Ma tu sei… -
- Devi dirmi dove posso trovare Nicholas Smith! -
- Co-come? -
- È un’emergenza! -
Sobbalzò e si diresse rapidamente al computer più vicino, lanciandomi di tanto in tanto sguardi confusi (credo di averle rovinato la mia immagine da bravo ragazzo).
- Nicholas Smith è attualmente in sala operatoria. Non so… -
- Dov’è la sala? -
- Al quarto piano, ma… -
Non le diedi il tempo di finire la frase. Mi voltai subito e corsi verso gli ascensori che, neanche a farlo apposta, erano tutti occupati. Dicendone di tutti i colori, corsi verso le scale e salì fino al quarto piano, aprì la porta e la vidi. Era seduta su una panca, davanti alla porta della sala operatoria. Vestita con una semplice tuta e i capelli legati in una coda malfatta, aveva il viso tra le mani e muoveva nervosamente una gamba. Mi avvicinai piano ma lei non sembrò accorgersi della mia presenza. Provai a chiamarla ma il fiatone me lo impedì, o almeno credo che fosse il fiatone. Avevo il cuore a mille per l’ansia e vedere la luce dell’insegna sopra la porta della sala accesa di rosso, non mi aiutava. E di certo, non aiutava lei.
- Leah? -
Sobbalzò leggermente nel sentirsi chiamare, e alzò la testa nella mia direzione. Mi sentì male: era bianca come un lenzuolo e le leggere occhiaie mi fecero capire che era qui da molto e che non aveva dormito. Era indubbiamente sorpresa nel vedermi qui.
- E tu che ci fai qui? - Provai a rispondere, ma mi bloccai nel vederla alzarsi e dirigersi verso di me. Adesso era molto arrabbiata e sembrava un toro alla carica. Strinse i pugni ed alzò la voce.
- Che ci fai qui? Come hai fatto a sapere che ero qui, eh?! Sparisci! -
Scossi la testa. - No. -
- Come?! -
- Non ti lascio da sola. - Mi afferrò il colletto della giacca con entrambe le mani. La sentì tremare come una foglia.
- Se non te ne vai, giuro che ti ammazzo di botte! Sparisci! -
- No. -
- Ti ho detto di sparire! -
Vidi i suoi occhi riempirsi di lacrime. Come potevo lasciarla lì quando era palese che mi voleva con sé? Me lo stava dicendo. Me lo stava urlando da tutti i pori. Il tono di voce, la gestualità del corpo… non era di una che voleva alzare le mani… voleva piangere. Sfogarsi con qualcuno. Liberarsi per un po’ del peso che porta, far fuoriuscire tutta la tristezza, la rabbia, la paura che porta dentro e condividerla con qualcuno e non con un sacco da boxe. D’altronde, anche le tigri più forti hanno paura di qualcosa, no? La abbracciai, stringendola forte a me. In quel momento, decisi che l’avrei sostenuta, che sarei stato la sua roccia e che avrei condiviso parte di tutti i suoi problemi. Schiavo o amante, decisi che, per lei, ci sarei sempre stato.
- Puoi farlo. Con me puoi farlo. Lasciati andare … ci sono qui io e ci sarò sempre. Non me ne vado. -
Restò immobile per qualche istante. Sentì la presa delle sue mani sulla mia giacca farsi sempre più debole fino a sparire del tutto e fino a far cadere le braccia lungo i fianchi. Non ricambiò l’abbraccio, ma la sentì affondare il viso sempre di più al mio petto e io la strinsi ancora di più. Non disse nulla, non la sentì piangere. Emise solo un piccolo singhiozzo solitario che mi dilaniò il petto. A quel singhiozzo, risposi appoggiando la fronte sulla sua spalla e in quel momento si abbandonò al mio abbraccio fino a ricambiarlo, appoggiando delicatamente le braccia sulla mia schiena e stringendo tra le mani la giacca. Al singhiozzo di prima, ne seguì un altro. E poi un altro ancora. Finchè, finalmente, si lasciò andare ed esplose in un pianto disperato. Le gambe le cedettero ma riuscì a sostenerla e a farla sedere a terra senza che si facesse male e senza sciogliere l’abbraccio. La sua presa si fece sempre più forte e i singhiozzi più violenti. Mi sembrò così piccola e indifesa… vederla soffrire così, mi fece star male più di quanto potessi immaginare.
 
Non so per quanto tempo pianse, né quanto a lungo rimanemmo seduti a terra anche dopo che smise di piangere. Semplicemente, a un certo punto ci ritrovammo seduti sulla panca uno di fianco all’altro a fissare la porta davanti a noi. Guardai l’orologio e mi resi conto che era mezzogiorno inoltrato.
- Hai fame? -
Lei scosse la testa.
- Dovresti mangiare. Immagino che tu sia a digiuno da chissà quanto. -
Non rispose. Decisi di andare a prenderle qualcosa alla macchinetta, anche solo un caffè caldo, quindi mi alzai. Ma non riuscì a fare più di un passo.
- Come hai fatto a sapere che ero qui? -
Mi bloccai. Non mi mossi e non dissi nulla. Ma non ero così sorpreso dalla domanda, sapevo che me l’avrebbe chiesto, dato che sono piombato da lei così di punto in bianco. E non potevo nemmeno dire che mi aveva avvisato Lysandro, dato che nemmeno lui sapeva del ricovero di Nicholas. Avevo fatto tutto da solo. Sospirai e mi voltai verso di lei, deciso a raccontarle la verità una volta per tutte. Ero pronto.
- Leah. Devi sapere che… -
- Gliel’ho detto io. -
Mi voltai e vidi Lysandro, seguito da Castiel, raggiungerci con la mia tracolla in mano. Me la porse e io l’afferrai.
- Hai scordato questa a scuola. -
- Grazie. -
Dalla sua espressione, capì che era arrabbiato con me e aveva tutte le ragioni del mondo per esserlo: mi aveva avvertito e gli avevo fatto una promessa che ho puntualmente infranto. Ma non mi disse nulla. Semplicemente, mi sorpassò e raggiunse Leah sedendosi vicino a lei.
- Come sta? -
- È lì dentro da stamattina. Si è sentito male e ho avuto giusto il tempo di portarlo qui che… è crollato a terra per un infarto… -
Infarto. Come può un ragazzino di dodici anni avere un attacco di cuore? I miei pensieri furono interrotti da Castiel, che mi afferrò per la giacca e mi trascinò lontano. Eh no, non è il momento per un’altra azzuffata!
- Castiel, non è il momento per… -
- Ti ha chiamato lei? -
- Eh? -
- Ti ho chiesto se è stata lei a dirti di raggiungerla qui! -
Lo guardai. Non riuscivo a capire se la sua era una scenata di gelosia perché lui non è venuto a saperlo prima di me… o perché io ero lì a consolarla al posto suo… possibile che sia innamorato di Leah? Socchiusi gli occhi e spostai il viso di lato, pronto per una sua possibile reazione violenta.
- Sono venuto qui da solo. Nessuno mi ha avvisato di nulla. -
- Come sapevi che era qui? -
Non risposi. Mi lasciò la giacca e incrociò le braccia nella sua tipica posa da bulletto alzando leggermente il viso e guardandomi storto.
- Allora?! -
Alzai le mani in segno di pace. - Senti, penso che tu possa capire come io faccia a sapere di Nicholas e nonostante tutto, non sono così crudele da ignorare una cosa così grave. Non so che legame c’è tra voi due e sinceramente non mi interessa, ma Leah è importante anche per me e che tu lo voglia o no, io da qui non me ne vado. -
Avevo capito giusto: Castiel provava qualcosa di più di una semplice amicizia per Leah. Alzò un lato del labbro, come se volesse ringhiare, e mi fissò in cagnesco.
- Tsè. Non aspettarti che non sia lei a mandarti via. Prima o poi, verrà a sapere la verità e allora ci sarà da ridere. -
- Hai ragione. Ma non sarà oggi. -
Abbassò il capo fissandomi senza dire altro. Nonostante tutto, non era così stupido da non capire la situazione. Leah aveva bisogno del suo amico tanto quanto di me, e lui lo sapeva. Così mi voltai e tornai da Leah e da Lysandro seguito da Castiel. Lysandro, nel vederci tornare, si alzò.
- Andiamo, Cass. Qui siamo in troppi. -
- Che cosa?! Col cavolo che me ne vado! -
- Andiamo e poche storie. - Detto questo, salutò Leah con un cenno della mano, sussurrandole “Fammi sapere” e afferrò per il bavero della giacca il rosso tirandolo verso la porta d’uscita (il quale non smise per un istante di lamentarsi) ma non prima di fulminarmi con lo sguardo. Perfetto… mi sono inimicato anche Lysandro… il che mi fece sentire speciale: Lysandro ha mai odiato qualcuno in vita sua? Quando i due uscirono, mi voltai verso Leah accorgendomi che mi stava fissando.
- Vado a prenderti qualcosa da bere. -
- Aspetta. Vieni qui. - E mi indicò il posto vuoto vicino a lei. Mi sedetti aspettandomi il peggio.
- Lys mi ha raccontato tutto. -
Voilà! E io che avevo da poco deciso di rimandare le spiegazioni… deglutì. - Ah si? -
- Si… mi ha detto che, quando ti ha riferito della situazione di Nick, ti sei fiondato qui senza permettergli di approfondire il discorso su di lui. -
- Oh… beh… -
- Mi sono arrabbiata, perché non doveva permettersi di parlartene senza il mio permesso. Ma ormai… sai, penso che sia giunto il momento di rispondere alla tua seconda domanda. -
La guardai. Immagino la fatica che possa fare nel parlarmi della sua situazione. Ma mi ero promesso che l’avrei sostenuta. Così, mi preparai per farlo.
 
 
 
Note: Al contrario di ogni mia previsione, sto ricevendo dei commenti molto positivi sulla mia storia. Questo mi rende davvero felice e mi motiva ad andare avanti, anche se il tempo per farlo si sta riducendo sempre più (il che non è del tutto negativo, per me!). Cercherò, quindi, di essere il più puntuale possibile nel pubblicare i capitoli e spero nella vostra pazienza e comprensione! Come sempre, spero che il capitolo vi sia piaciuto e vi ringrazio per aver letto e per i bellissimi commenti che mi lasciate. E come sempre… ciao ciao!

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Capitolo 13
*** CAP.13 RACCONTO ***


CAP.13 RACCONTO ____    Come immaginai, restai con Leah per tutto il giorno (stavolta ricordandomi di avvertire mia madre). Il medico che operò Nicholas, lo stesso che vidi insieme a lei il giorno del pedinamento, uscì dalla sala verso le 14 avvisandola che l’operazione era andata bene e che, per il momento, non c’era da preoccuparsi. Da allora, Leah rimase al capezzale del fratello, in terapia intensiva, senza mai allontanarsi troppo da lui. Rimasi anch’io, facendomi debitamente da parte e rimanendo seduto in un angolo della stanza. In quel frangente, rimasi per un po’ a fissare lo schermo del display del mio telefono alla ricerca di una risposta da inviare a Lysandro. Già, perché, poco dopo essere andato via, mi inviò un messaggio (come abbia fatto ad avere il mio numero resta un mistero) il quale diceva:
“Sono Lysandro. Non l’ho fatto per te. Decidi tu cosa fare, ma sappi che se dovesse soffrire per colpa tua, non sarà solo Castiel ad affrontarti.”
Non sapevo cosa rispondere, così non lo feci. Rimisi il telefono in tasca e mi soffermai su Nicholas. Ancora sotto l’effetto dell’anestesia, dormiva tranquillo con la sorella che gli teneva la mano. Aveva cavi ed elettrodi sparsi ovunque sotto la fasciatura al petto, al braccio aveva una flebo ed era attaccato, coi dei tubicini alle narici, ad una bombola dell’ossigeno. Il respiro e il battito erano regolari e questo mi sollevava l’umore. Ma vedere un bambino attaccato a tutte quelle macchine, non era per niente bello. Sospirando, spostai lo sguardo su Leah. Appena rivide il fratello, nonostante tutti quei tubi e cavi, riacquistò colorito e sorrise sollevata. Da allora, se ne stava lì seduta a guardarlo e ad accarezzargli dolcemente i capelli. Guardai l’orologio che segnava le 18. Ero rimasto lì seduto per quattro ore e le gambe reclamavano una camminata. Quindi mi alzai e, dopo aver avvisato Leah, uscì per una passeggiata. Ne approfittai per rielaborare ciò che la ragazza mi disse qualche ora prima.
 
- … sai, penso che sia giunto il momento di rispondere alla tua seconda domanda. -
La guardai. Immagino la fatica che possa fare nel parlarmi della sua situazione. Ma mi ero promesso che l’avrei sostenuta. Così, mi preparai per farlo.
Fece un respiro profondo e riprese a parlare.
- Devi sapere che Nick soffre di una malattia congenita al cuore, il quale lo porta ad avere degli attacchi cardiaci anche violenti. Come quello di due anni fa e di oggi. Fin da piccolissimo, ha sempre fatto avanti e indietro dagli ospedali, cambiando molto spesso cure e peggiorando di anno in anno. Finchè, quando lui aveva tre anni, mia madre lo portò dal dottor Jersy, il medico che lo ha operato oggi. Il dottore le disse che per questo tipo di malattia, l’unica cosa che può salvarlo è un’operazione estremamente delicata… ed estremamente costosa. Da quel momento, i miei misero da parte dei soldi in attesa che Nick raggiungesse l’età giusta per affrontare un simile intervento, ovvero i tredici anni. -
Il suo tono di voce era piuttosto calmo, il che mi sorprese abbastanza. Ma tradiva il suo disagio torturandosi le mani. Capì il perché immediatamente dopo.
- Devi sapere, che i nostri genitori sono morti in un incidente d’auto quattro anni fa. Dovevano accompagnarmi ad una festa di compleanno e, quel giorno, pioveva molto… non ricordo come, sta di fatto che loro morirono sul colpo… mentre a me, di quel giorno, resta solo questa cicatrice. - E si indicò la cicatrice sul volto. Aveva un’espressione molto triste.
- Leah, lo sai, che non è colpa tua… vero? -
- Mpf… certo che lo so. Non mi sono mai data la colpa per questo. Però, io ero lì… e sarei potuta morire… e Nick sarebbe rimasto da solo… -
Fece una pausa, nella quale tornò a guardare la porta della sala. La guardai anch’io, senza insistere per farla continuare. Riprese lei pochi istanti dopo.
- Fummo affidati alla nonna paterna, l’unica nostra parente, nella casa dove abitiamo tutt’ora. Era una donna buona, ma molto anziana e ci lasciò anche lei due anni dopo. Sul testamento scrisse che lasciava la casa e ogni suo bene a me e a Nicholas. Così facendo, raggiungemmo un quarto dei soldi necessari per l’operazione anche riuscendo a vendere l’auto della nonna e qualche oggetto di valore. Subito dopo, venni assunta al minimarket e iniziai il liceo. Lì conobbi te, Castiel, poi Lysandro che mi offrì di far parte della loro band. Poco dopo, conobbi il signor Max che si offrì di aiutarmi negli studi e come allenatore di boxe. -
Fece un’altra pausa. Ora il quadro mi era decisamente più chiaro. Tutto quello che faceva, tutti gli sforzi, erano per suo fratello. Per la sua operazione. Mi sentivo un verme per tutte le cose che ho detto su di lei fino a poco tempo prima.
- Quanto ti manca per raggiungere la quota necessaria per l’operazione? -
- Un paio di stipendi. Se tutto va bene, a marzo finirà il suo calvario e io potrò dedicarmi meglio agli studi. -
- Come se ne avessi bisogno. Sei un genio! -
Rise. Che bella che è quando ride.
- Ho intenzione di continuare a studiare. Mi piacerebbe laurearmi in Scienze Motorie e diventare Personal Trainer. -
- Si… ti ci vedo benissimo. Mi alleneresti, in quel caso? -
Rise ancora. - Eccome. C’è parecchio da lavorare! -
Questa non me l’aspettavo… cadde il silenzio e rimanemmo così per lungo tempo. Finchè non la sentì trattenere un singhiozzo. Misi un braccio intorno alle sue spalle e la strinsi a me poggiando la guancia sulla sua testa.
- Non voglio che lui muoia… -
- Lo so. Neanch’io lo voglio. -
Pianse ancora.
 
La ammiravo molto. È una ragazza estremamente forte e non solo dal punto di vista fisico. Superare la morte dei suoi genitori, avvenuta davanti ai suoi occhi, caricarsi il peso di mantenere sé e il fratello da sola, dopo la morte della nonna, e contemporaneamente mettere da parte i soldi per l’operazione. Chiunque sarebbe crollato… io in primis, non so come avrei reagito a tutto questo. Ma lei ha avuto la forza di resistere a tutto questo. Però, ora, era giunta al limite. Si, perché anche lei ne ha uno, come chiunque altro. E questo mi fece riflettere.
Forse… il suo “patto” era un modo per avermi vicino a sé in ogni situazione. Ma perché proprio io? Un perfetto sconosciuto, un rivale che l’ha odiata fino a poco fa. Perché non Lysandro o Castiel? Li conosce da più tempo. Eppure ora, con lei, c’ero io. Ha voluto me a sostenerla, anche se non me l’ha chiesto direttamente. Quante domande… eppure ero convinto che, una volta che fossi venuto a conoscenza del suo segreto, tutto mi sarebbe stato più chiaro. A quanto pare mi sbagliavo.
Alzai lo sguardo al cielo. A furia di pensare, non mi ero reso conto che ero uscito nel cortile dell’ospedale. Chissà da quanto tempo sono lì fuori? Rabbrividì. Dato che era novembre, l’aria non è propriamente calda ed io ero uscito senza la giacca. Molto furbo. Rientrai subito e tornai da Leah e da Nicholas ma, non con molta sorpresa, la trovai addormentata con la testa appoggiata sul materasso di fianco al fratello. Sorrisi. L’ansia l’aveva provata molto e doveva essere parecchio stanca. Recuperai la sua giacca e gliela misi sulle spalle… e ammirai il suo viso addormentato. La sua espressione era rilassata, tranquilla, la sua bocca socchiusa e il respiro pesante. Mi resi conto, in quel momento, che il sentimento che provavo per lei era cresciuto, in queste ore. La ammiravo davvero molto, non smetterò mai di dirlo. È una ragazza favolosa. Bella, forte e coraggiosa. Sorrisi ancora e l’accarezzai piano. La sua pelle era fresca e più liscia di quello che credevo. Lei non si mosse, era profondamente addormentata. Un pensiero mi balenò nella mente e mi fece arrossire. No dai… non potevo farlo… non era il momento adatto! Però… non resistetti. Percorsi delicatamente le sue labbra con un dito, da un’estremità all’altra, avanti e indietro per non so quante volte alla ricerca del coraggio per farlo. Poi mi fermai. Mi chinai verso di lei e mi fermai ad un soffio dalle sue labbra. Chiudendo gli occhi, respirai il suo profumo per qualche secondo… per poi baciarla. Un bacio a stampo. Rapido. Mi allontanai subito, recuperai la mia giacca e tornai a casa.
 
Note: Lo so, lo so… mi state odiando. Sia per la brevità, sia per come ho concluso il capitolo. Lo so e mi dispiace! Ma non ho trovato alcun modo per allungarlo un po’ e non volevo forzare il finale… anche perché adoro mettere suspance <3 alla prossima! Ciao ciao!!

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Capitolo 14
*** CAP.14 REGALO ***


CAP.14 REGALO ____    Durante il periodo nella quale Nicholas rimase in ospedale, io e Leah legammo molto. Per via del ricovero, lei non poteva frequentare regolarmente scuola, così mi impegnai a portale i compiti e ad aggiornarla sui progressi scolastici, sostituendo il lavoro svolto dal suo allenatore: ovvero darle ripetizioni. In sintesi: durante il lavoro di Segretario, durante le ore buche, l’intervallo, la pausa pranzo e nel primo pomeriggio, studiavo quello che c’era da studiare e verso sera, dopo averla raggiunta in ospedale, le ripetevo tutto spiegandole ciò che non capiva e ascoltandola mentre riepilogava la mia lezione. Sorrisi nel vedere che le mie “lezioni” le erano ben chiare e rimasi molto colpito dalla sua eccezionale memoria. Ma non studiavamo solamente. Ogni tanto, quando Nicholas stava meglio oppure quando il medico lo visitava, uscivamo e ci ritrovavamo a passeggiare nei dintorni dell’ospedale (sempre col cellulare sott’occhio) chiacchierando come due ragazzi normali su argomenti di ogni tipo, dalle stupidate alle cose più serie. Fu durante una di queste passeggiate che scoprì che Leah e Lysandro ebbero una breve storia sentimentale durante il secondo anno e conclusa all’inizio del terzo. A detta di Leah, si lasciarono perché si scoprirono più amici che amanti ed ecco spiegati certi loro comportamenti… ma non riesco a capire se anche per Lysandro fu la stessa cosa… restando sempre su quest’argomento, un giorno mi capitò di rimanere da solo con Nicholas per qualche minuto, e lui se ne uscì con un ragionamento strano.
- Sai, tu mi piaci di più rispetto a Lys. -
- Perché? -
- Perché Lys è strano… beh, anche tu lo sei. Però meno di lui. -
- Ah.. si? -
- Si. Ti vesti normale tu. E poi lui non ha mai visto mia sorella come l’hai vista tu. Non glielo ha mai permesso e questo è un punto in più per te. - Penso che si riferisca al fatto che le sono stata accanto durante tutto il tempo dell’operazione vedendola piangere, cosa che Lysandro non ha fatto. Ma chi può dirlo? Non ho idea di come ragionino i bambini della sua età.
I giorni passavano e Nicholas stava sempre meglio. Tant’è che, verso metà dicembre, Leah tornò ad allenarsi… con me al seguito… si… perché, sempre durante una delle passeggiate, mi ha letteralmente costretto a seguirla anche durante gli allenamenti sia per aiutarla nello studio, che per gli allenamenti. Ammetto che fu un vero spettacolo vederla allenarsi da vicino, sentire i suoi colpi dall’altro lato del sacco mentre glielo tenevo fermo, contarle gli addominali, oppure facendo jogging con lei intorno all’isolato (anche se all’inizio fui solo una palla al piede… sono estremamente fuori allenamento, e me ne vergogno, ma sto recuperando). Inoltre, divenne sempre più allegra nei miei confronti e più spontanea. Mi sorrideva più spesso e scherzavamo molto. Questo mi rese molto più positivo riguardo una sua possibile infatuazione nei miei confronti… chissà.
Era il 22 dicembre, ed io mi trovavo in centro città per fare una commissione per conto di mia madre. Tutto intorno a me era addobbato a festa con luci, ghirlande e alberi di Natale, le persone stesse erano più allegre e, come me, giravano per negozi alla ricerca degli ultimi regali da acquistare. Avevo già preso il regalo per Ambra, per mia madre e mio padre (un semplice taccuino in pelle per lui, una sciarpa pesante per mia madre e un profumo per mia sorella); ora mi stavo dirigendo verso un negozio di giocattoli. Avevo già in mente di fare un regalo a Nick, come buon augurio per una pronta guarigione, così decidetti per un pupazzo del suo eroe preferito: Mr Metal. Mi stavo proprio dirigendo lì quando mi imbattei nella vetrina di una gioielleria. Non so cosa mi attirò, ma mi fermai senza pensarci molto, direi anche distrattamente. Ma i miei occhi si spalancarono quando vidi una catenina con un ciondolo a forma di tigre. Era piccolo, d’argento, con un brillantino a sostituire l’occhio e una lavorazione tale da simulare le caratteristiche strisce del manto. La tigre era nella sua classica posa da caccia: ovvero accucciata, pronta per un balzo verso la sua preda e con la bocca spalancata. Era bellissimo e già me la immaginavo al collo di Leah. Devo ammettere, che ho passato quasi tutti i giorni e le notti a pensare ad un regalo per lei, senza risultati. In un primo momento, volevo acquistarle un nuovo paio di guantoni, ma mi sembrò un idea banale e la scartai subito. Volevo qualcosa di speciale e di unico per lei. Qualcosa che potesse stupirla e credo proprio di aver trovato un regalo che rifletta le mie aspettative… ma pochi giorni dopo Natale, ci sarebbe stato il suo compleanno e dovevo trovare un altro regalo da darle a Natale. Senza pensarci troppo su, entrai nel negozio e mi diressi verso l’unica commessa libera che mi accolse con un sorriso a trentadue denti.
- Posso aiutarla? -
 
Giunse la vigilia di Natale. Dato che la mia famiglia non festeggia il 24, decisi che sarei andato a trovare Nick e Leah in ospedale approfittandone per dar loro i regali. Con in mano un sacchetto contenente il regalo di Nick e quello per Leah, li raggiunsi e il bambino mi accolse con uno dei suoi bellissimi sorrisi e agitando la mano.
- Ciao Nath! -
- Ciao Nick. Vedo che stai molto meglio. -
- Oh si! Molto! -
Mi guardai intorno, notando che non c’era Leah. Quando chiesi al fratello dove si trovasse, lui mi rispose che era andata a fare una passeggiata. Decisi, quindi, di aspettarla e, dopo essermi tolto giacca e sciarpa, aprì il sacchetto estraendo il pacco regalo per Nick.
- Buon Natale, Nick. Spero che ti piaccia. -
Glielo porsi e lui lo prese osservandolo con molta cura.
- Ma Natale è domani. -
- Si, lo so. Ma domani non potrò venire, quindi ho anticipato la consegna. Aprilo pure, se vuoi. -
Nick spostò lo sguardo da me al pacco e viceversa, indeciso sul da farsi. Poi lo poggiò sulle gambe e lo aprì con estrema delicatezza ma, appena riconobbe la scatola del pupazzo, abbandonò tutta la delicatezza dimostrata ed esultò come un matto sollevando il pupazzo del supereroe appena liberato dalla sua prigionia.
- Mr Metal! Grazie Nath! -
Risi molto, nel vedere quanta felicità esprimeva il suo volto. - Prego! Divertiti quanto vuoi con lui! -
Ma ormai non mi ascoltava più, troppo preso dal suo eroe. Sorridendo, mi sedetti su una sedia osservandolo mentre giocava; dopo poco tempo, sentì dei passi e due voci a me familiari. Mi voltai verso la porta sentendomi improvvisamente agitato. Leah era in compagnia del dottore e stavano chiacchierando tranquillamente. Quando mi vide, si fermò e mi osservò stupita.
- Ehi. E tu che ci fai qui? -
- Sono venuto a trovarvi. Buon giorno, dottore. -
- Buon giorno. - Non so perché… ma ogni volta che lei parlava con il dottor Jersy, sentivo crescere una sorta di rabbia dentro di me. Quel dottore, per quanto fosse un bravo medico, mi stava antipatico e credo proprio che il sentimento sia reciproco. Infatti si congedò subito e se ne andò.
- Allora? Come mai qui? - Disse Leah, sedendosi sul letto di fianco a Nick, osservandolo giocare.
- E quello da dove sbuca? -
- Me l’ha regalato Nath! -
- Gliel’hai regalato tu? -
Annuì. - Regalo di Natale. -
Sembrava sorpresa dal mio gesto. Sicuramente non se lo aspettava e la cosa mi fece piacere. Presi nuovamente il sacchetto recuperando il regalo per lei: una semplice busta bianca che lei osservò curiosa.
- E questo è il tuo. -
Leah prese la busta e aggrottò le sopracciglia osservandomi.
- Io non ti ho preso niente. -
- Non importa. Aprilo. -
Mi guardò dubbiosa per qualche istante prima di decidersi ad aprire la busta. Deglutì agitato, avevo il cuore a mille quando estrasse il bigliettino che avevo lasciato dentro la busta e quando iniziò a leggerlo. Credo che lo lesse almeno tre volte (probabilmente per accertarsi di aver letto giusto), poi sollevò lo sguardo su di me restando in silenzio. Stavo sudando freddo e sentivo il viso in fiamme, ma sostenni il suo sguardo. Nel frattempo, Nick, incuriosito, si sporse per leggere ad alta voce quello che avevo scritto.
- “Verresti a cena con me, al Ristorante del Centro, il giorno 30/12 alle 19.00?”. Woah! Leah! Dì di si, dì di si! -
Sembrava più felice il fratello che lei. Ma non dovevo farmi prendere dal panico. Non aveva ancora detto nulla. Deglutì ancora, aspettando una sua risposta.
- Nick. Non mi va di lasciarti da solo. -
- Ooh andiamo! Per una sera non succede niente! Starò bene! Dai, Leah! -
La ragazza restò in silenzio, senza smettere di scrutarmi il viso. Non cedetti e non smisi di sostenere il suo sguardo, forse fu questo che la fece arrossire (anche se di poco).
- Va bene. Accetto. -
Nick esultò e battè le mani felice. Io spalancai gli occhi e mi aprì in un sorriso sospirando e appoggiandomi allo schienale della sedia, decisamente più rilassato. Anche lei sorrise, ma fu un sorriso imbarazzato. Aveva accettato di uscire con me. Forse avevo davvero una speranza.
 
 
Note: Eccomi con il 14esimo capitolo! Ragazzi che sudata… ci ho messo tre giorni per scriverlo! Non perché non avessi ispirazione, ma perché ero a corto di tempo! Ma alla fine eccolo qua! Godetevelo! Bacioni e ciao ciao! Alla prossima!

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Capitolo 15
*** CAP.15 30 DICEMBRE ***


CAP.15 30 DICEMBRE ____    Il giorno dopo, ovvero Natale, restai in casa ad aiutare mia madre per i preparativi del pranzo in famiglia. Ci avrebbero raggiunti in casa la nonna materna, la zia Ines, sorella minore di mio padre, con il marito e lo zio Clark, fratello maggiore di mia madre con i rispettivi figli e compagna. In totale eravamo una dozzina e in casa si respirava un clima di festa e allegria. Ma io non riuscì a sentirla, almeno non completamente. La mia mente era fissa su un unico pensiero: l’appuntamento. Ero davvero in ansia; da un lato non vedevo l’ora che arrivasse quel momento e dall’altro avevo una fifa blu ed ero tentato di annullare tutto. Ad aiutarmi, c’era mia madre. L’unica a sapere dell’appuntamento e che comprendeva la mia distrazione, che mi aiutava e dava consigli. Una complice in sintesi, cosa che a mia sorella non andava giù e che continuava a fare scenate su scenate, senza risparmiarsi. L’unico che le dava un minimo di corda era mio padre che, esasperato, venne a chiedere prima a me e poi alla mamma cosa stesse succedendo ma senza successo. Rinunciò subito, per fortuna.
Quando finalmente i vari parenti ci raggiunsero, ebbe inizio il pranzo, seguito dal classico scambio e apertura dei regali. La nonna, come ogni anno, regalò sia a me che ad Ambra dei soldi pronunciando la, ormai, mitica frase:
- Metteteli nel porcellino, così non sarete tentati a spenderli subito. -
- Certo nonna. Stà pure tranquilla. - Le rispondeva ogni volta Ambra, pregustando una giornata di shopping sfrenato con quelle due oche delle sue amiche. Ma questa volta, sono pienamente d’accordo con lei, neanch’io avrei conservato a lungo quei soldi. Il ristorante dove avevo prenotato per il 30, era uno dei più rinomati della città e, di conseguenza, uno dei più cari. Si, ci tenevo a fare bella figura con Leah.
 
Dopo Natale, i giorni passarono talmente in fretta che mi ritrovai, nel tardo pomeriggio del 30 dicembre, davanti al mio armadio aperto, a fissare ogni singolo capo d’abbigliamento in mio possesso con un’espressione talmente concentrata che mia madre non smetteva per un istante di prendermi in giro.
- Guarda che non devi andare chissà dove. Mi sembri Ambra ogni volta che deve uscire! -
- Non mi paragonare a lei. Qui è questione di vita o di morte! -
- Oddio che esagerato! Avanti, fammi dare un’occhiata, tu siediti buono sul letto. -
Sbuffando, obbedì e la osservai tirare fuori, osservare e gettare sul letto alcuni dei miei capi d’abbigliamento più eleganti sbottando ogni tanto parole senza senso. Alla fine, dopo una buona mezz’ora, ne scelse due e li appese ognuno su un’anta aperta dell’armadio.
- Ok. Scegline uno. -
Mi alzai e la raggiunsi per osservare i due completi davanti a me. Storsi la bocca e misi le mani sui fianchi.
- Non sono troppo eleganti? -
- Ti ricordo che hai prenotato in un ristorante piuttosto lussuoso. Non puoi andarci con jeans e felpa! E poi, sono sicura che anche lei si tirerà a lucido per bene! -
Tornai ad osservare i due completi. Quello alla mia destra era blu scuro. Mia madre vi aveva abbinato una camicia azzurro ghiaccio e una cravatta blu con strisce oblique grigie. Come seconda scelta, mia madre aveva puntato sull’intramontabile total black. Completo nero con camicia nera, senza cravatta.
- Fossi in te sceglierei il completo nero. Il blu lo indossi fin troppo spesso. -
- Ci ho pensato anch’io. Ma non saprei… completamente nero per una serata simile, mi sembra troppo. -
- Concordo. - Sia io che mia madre sobbalzammo e ci voltammo verso la porta. Chi aveva parlato era mio padre. Nel vedere le nostre espressioni, si aprì in un sorriso e si avvicinò al mio armadio curiosando l’interno.
- Quando si esce con una donna, il nero va sempre bene, soprattutto se è un appuntamento elegante. Ma il total black è troppo serio e si rischia inconsciamente di allontanare la ragazza. - Allungò un braccio e afferrò una stampella dove vi era appesa una camicia che non vedevo da anni. Era completamente rossa. Un rosso forte, caldo, prepotente e grintoso. Non ricordo per quale occasione la acquistai, credo di averla indossata una volta sola, perché fin’ora mi era sempre sembrata una camicia dall’aspetto troppo aggressivo per il mio stile. Ma ora, ai miei occhi, appariva diversamente. Mio padre afferrò la stampella della camicia nera e la sostituì con quella rossa, poi si voltò a guardarmi.
- Nathaniel, ricorda che nella società odierna, vince chi ha l’aspetto migliore. È una regola che vale in qualsiasi campo, quindi ricordala bene. -
Lo fissai e annuì. Dopodiché, si voltò e uscì dalla mia stanza senza aggiungere altro. Mi voltai verso mia madre che mi sorrise scrollando le spalle e mi invitò a cambiarmi, per poi uscire anche lei. Una volta rimasto solo, indossai il completo e mi guardai allo specchio. Da quanto tempo non osservavo il mio riflesso in quel modo? La persona che vidi, non era più il Nathaniel di qualche tempo fa. Gli occhi ambrati di quella persona, studiavano la figura di fronte a sè e trasmettevano sicurezza e calma. Erano gli occhi di un uomo adulto molto sicuro di sé ed affascinante. I capelli dorati erano leggermente più lunghi di quello che ricordavo e donavano alla persona riflessa nello specchio, un carisma che il Nathaniel di qualche tempo fa non possedeva. Infine, quella persona, appariva forte, carismatico, affascinante e bello. Possibile che quel riflesso, appartenga a me? Sono cambiato a tal punto? Possibile che Leah abbia veramente portato a galla una parte del mio “lato oscuro”? Con questi pensieri, mi diressi in bagno e decisi di darmi una sistemata ai capelli. Erano cresciuti parecchio, quindi decisi di tirarli indietro utilizzando un gel per capelli ma qualche ciuffo ribelle, mi cadde comunque sulla fronte. Lottai con loro per un po’, ma poi rinunciai. Dopo essermi infilato le scarpe, aver preso chiavi, il regalo per Leah e il portafoglio, recuperai il cappotto e mi diressi verso la porta.
- Aspetta Nath. Voltati, fatti guardare. -
Mi voltai verso mia madre. Rimasi di sasso quando vidi i suoi occhi illuminarsi ed inumidirsi. Persino Ambra che era lì solo di passaggio, si fermò di colpo, rinunciando alla lettura dell’ultimo messaggio ricevuto per osservarmi a bocca aperta. Infine, giusto per non imbarazzarmi ulteriormente, ci raggiunse persino mio padre, il quale mi osservò con un sorriso soddisfatto in volto.
- Ehm… tutto bene? - Stringendosi le mani e portandosele vicino alla bocca, mia madre mi sorrise e vidi che tratteneva a stendo le lacrime. Perché quella reazione?
- Nath… quella ragazza è un toccasana per te. Vai, ora, e buona fortuna. -
Sospirai, non capendo bene cosa sia successo, e le sorrisi. Uscendo, l’unica cosa che sentì prima di chiudere la porta fu una scandalizzata Ambra.
- Hai detto ragazza?! -
 
L’orologio posto nel cruscotto dell’auto, segnava le 18.10 precise. Avevo parcheggiato l’auto in un posteggio vicino al cancello dell’abitazione di Leah e la stavo aspettando appoggiato alla fiancata dell’auto. Quando le citofonai, mi rispose dicendo che avrei dovuto aspettare qualche minuto e da allora ne sono passati cinque. Cinque interminabili minuti. I più lunghi della mia vita. Dire che ero agitato è poco. Il cuore mi batteva talmente forte che sembrava scoppiarmi in petto e, preso dall’ansia, avevo iniziato a battere ritmicamente un piede sull’asfalto fissando a vuoto il cancello di fronte a me dalla quale sarebbe dovuta uscire la ragazza da lì a poco. Sbuffai nervoso e mi scostai dall’auto muovendo le braccia per scaldarle. È proprio vero che le donne ci mettono una vita a prepararsi. E per fortuna che le avevo detto che sarei passato a prenderla per le sei! Rimisi le mani in tasca e sfiorai il pacchettino contenente la collana per Leah. Quel tocco mi calmò per un istante, giusto il tempo di pensare ad una sua possibile reazione una volta visto il ciondolo. Ma la calma durò poco, perché fu in quel frangente che sentì scattare il cancello e aprirsi poco dopo. Mi voltai verso di lei. La luce di un lampione illuminò la sua figura permettendomi di vederla. Aveva raccolto i capelli in uno chignon morbido dal quale cadevano alcuni riccioli che le sfioravano le spalle coperte da una pesante sciarpa nera. Gli orecchini argentati a pendolo, le illuminavano il viso. Notai con piacere che era truccata. Un trucco leggero ma che le risaltava moltissimo gli smeraldi che aveva al posto degli occhi… e le labbra… dipinte con un rossetto rosso acceso, sembravano ancora più belle del solito. Ero incantato e la ammiravo senza ritegno. Ma di lei, potevo vedere solo il viso, perché il resto del corpo era coperto da un cappotto grigio scuro con tre bottoni sul davanti che le arrivava poco sopra il ginocchio, mostrando le sue bellissime gambe avvolte da un collant nero pesante e i suoi piedi che calzavano un paio di decolleté dal tacco alto dello stesso colore delle calze. Lei notò i miei sguardi e si lasciò guardare, mostrando una nota di vanità nello sguardo. Ma anche lei mi osservava con la stessa luce negli occhi, probabilmente immaginando come io possa essermi vestito o chissà cos’altro… mi stava letteralmente mangiando con gli occhi (o almeno credo). Eravamo entrambi curiosi su quello che sarebbe potuto accadere quella sera. E la cosa mi piacque molto.
 - Possiamo andare. Che dici? -
Le sorrisi, le porsi il braccio, che afferrò tranquillamente, e ci incamminammo verso il ristorante.
 
Note: Rieccomi a voi! Dopo quasi due settimane di assenza, ecco qua il capitolo 15. Scritto con gioia, impulso e col cuore a mille… e presto capirete il perché. Il Nathaniel descritto in questo capitolo, è un vero pezzo di figo… spero sia piaciuto anche a voi! Fatemi sapere se è così!! Un bacio!! A presto!

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Capitolo 16
*** CAP.16 SGUARDI CHE PARLANO ***


CAP.16 ­­­­SGUARDI CHE PARLANO____    So che non è galante portare una ragazza in un ristorante così di lusso a piedi. Ma non è stata una scelta casuale: avendo parcheggiato l’auto vicino a casa sua, avrei avuto tutto il tempo per calmarmi e armarmi di coraggio per darle la collana durante il ritorno. In più, il ristorante non è molto lontano da casa sua; infatti, dopo circa dieci minuti, giungemmo a destinazione e un cameriere, vestito di tutto punto, ci accolse invitandoci ad attendere qualche minuto al piano bar.
- Volete lasciarmi i vostri cappotti? -
Non me lo feci ripetere due volte. Fuori faceva freddo, ma dentro al locale, coperti in quel modo, faceva veramente troppo caldo (e non mi andava di sudare). Mi tolsi immediatamente il cappotto e lo porsi al cameriere che lo prese piegandolo accuratamente e poggiandolo sull’avambraccio, mentre Leah si toglieva la sciarpa. La ragazza alzò lo sguardo e mi osservò attentamente sorridendo.
- Bella camicia. -
- Grazie. - E finalmente, anche lei si liberò del cappotto. In quel momento, sembrava che i miei occhi si aprissero in modo esponenziale solo per vederla meglio. Era… uno spettacolo unico… qualche tempo fa affermai che non avevo mai visto Leah truccata, o vestita in maniera femminile. E ora capivo il perché. Anche se era vestita in modo molto semplice, attirava l’attenzione di molti attorno a noi. Persino il cameriere si fermò per osservarla meglio, prima di allontanarsi coi cappotti. Indossava un tubino grigio che la copriva fino a metà coscia, stretto in vita da una fascia nera annodata da un lato. Lo scollo a barca permetteva alle clavicole, alle spalle e al decolleté di farla da padrone e il suo neo era in bella mostra grazie anche ai capelli raccolti. Alzai lo sguardo sul suo viso e vidi che mi osservava in attesa di una qualche mia reazione. Sembrava imbarazzata dal mio sguardo più che da quello degli altri… perché? Era semplicemente…
- Stupenda. -
Credo che non si aspettava questa precisa parola da me. Dischiuse la bocca sorpresa e arrossì di colpo, ma non smise di guardarmi. E non lo feci nemmeno io. I suoi occhi vagavano lungo tutta la mia figura, soffermandosi in particolare all’altezza delle spalle e sulla camicia, poi sui capelli ed infine sugli occhi. Si morse il labbro inferiore e mi guardò come quel pomeriggio in palestra. Bastò quel gesto a far reagire il mio corpo e a farmi provare l’irresistibile impulso di prenderla e baciarla, di portarla via e concludere subito la serata in camera da letto… un momento… cosa ho appena pensato?!
- Il vostro tavolo è pronto, signori. Prego, seguitemi. -
L’arrivo del cameriere mi destò dai pensieri scabrosi che avevo appena avuto (appena in tempo direi…). Schiarendomi la voce, porsi nuovamente il braccio a Leah che afferrò e, insieme, seguimmo il cameriere il quale ci condusse al nostro tavolo.
Il locale era piuttosto grande, ben illuminato, con le pareti color panna e le decorazioni oro e rosse. I tavoli (saranno stati almeno una cinquantina) erano ben distribuiti e adornati con tovaglie avorio sulla quale vi era poggiato un semplice portacandela dorato. Il nostro, era quello più vicino all’enorme finestra che mostrava un giardino esterno ben curato. Il cameriere ci fece accomodare e si allontanò, ma non prima di averci consegnato il menù. Ne presi uno, lo aprì e iniziai a leggere, seguito a ruota dalla ragazza. Con la coda dell’occhio, vidi che Leah continuava ad osservarmi da dietro il menù e che sorrideva. Alzai lo sguardo su di lei.
- Qualcosa non va? -
Senza smettere di sorridere, richiuse il menù e lo ripose delicatamente sul tavolo per poi unire le mani e portarsele sotto al mento.
- Stavo pensando che è la prima volta per me, in un locale del genere. Ma tu sembri a tuo agio. Ci vieni spesso? -
Richiusi il menù.
- No, almeno non qui. Da bambino cenavamo spesso in locali simili, soprattutto per delle riunioni con i colleghi di mio padre. Ma sono anni che non lo fa più, quindi nemmeno io ci sono abituato. La mia è una calma apparente. -
- Oh, quindi sei agitato? -
Temo di aver parlato troppo. Si mise a ridere, compiaciuta per averci azzeccato.
- Beh, ti ringrazio per avermi portata qui. Ma andava bene anche un fast food, chissà quanto ti costerà questa cena. -
- Per te, è anche poco. -
Smise di ridere e mi osservò. In questi ultimi mesi, sono riuscito a conoscerla meglio e certi suoi comportamenti, che prima mi erano incomprensibili, ora riesco a leggerli bene e a capirli. Stessa cosa per i suoi sguardi. Mi erano sempre sembrati spenti, ma ad un’occhiata più attenta, ho potuto vedere certi suoi microscopici segni di espressione che caratterizzavano ogni suo sguardo. Ad esempio: in questo momento aveva dischiuso leggermente le labbra, segno di stupore, una vena del collo aveva iniziato a pulsare più vistosamente, segno di agitazione, e il suo respiro si era fatto lievemente più pesante, segno di ansia. Scossi la testa.
- Perché sei in ansia? -
- Non sono in ansia. -
- Non mentirmi, Leah. Ormai ti conosco abbastanza. Dimmi cosa c’è che non va. -
Avevo fatto centro. Per la prima volta, Leah abbassò lo sguardo, vinta dal mio, e sciolse le mani appoggiandole sul tavolo.
- Sei in pensiero per Nick? -
- No, non è questo. -
- Allora parlami. -
Tornò a guardarmi. Lo sguardo che aveva ora, mi era nuovo. Non glielo avevo mai visto e non riuscì ad interpretarlo. Ma come apparse, svanì e venne sostituito dal sorriso più dolce che mi abbia mai rivolto.
- Mi ami davvero così tanto? -
Sapevo che non si riferiva al fatto che per lei sarei entrato in bancarotta. La osservai per un po’ e vidi un leggero velo di tristezza nei suoi occhi. Allungai una mano e afferrai la sua, stringendola. Era calda e morbida. Inclinai leggermente la testa di lato e le sorrisi.
- Si. -
Cadde il silenzio. Non era un silenzio pesante, come quel pomeriggio a casa sua. Era leggero e tranquillo. I suoi occhi parlavano al suo posto e, finalmente, ero in grado di sentirli. Mi stavano dicendo qualcosa di dolce che mi fece tranquillizzare. Mi stavano dicendo che anche lei aveva iniziato a nutrire qualcosa di più profondo  nei miei confronti. Quello sguardo, valse più di mille parole. Mi sorrise. Il sorriso più bello di sempre e ricambiò la stretta della mia mano.
- Perdonatemi, signori. Volete ordinare? -
 
Il resto della cena trascorse tranquillamente. Dopo quel discorso più serio, ne seguirono altri più leggeri e demenziali. Ridemmo come due matti, tant’è che la gente intorno a noi ci lanciava occhiatacce agghiaccianti. Ma ce ne fregammo e continuammo a ridere come se niente fosse. Fu davvero una splendida cena che si protrasse fino alle 22 circa. Rendendoci conto dell’ora, decidemmo di alzarci ed andare via. Recuperati i rispettivi cappotti, chiesi a Leah di aspettarmi fuori mentre avrei pagato il conto. Così fece, ed io, oltre a pagare, ebbi l’occasione di controllare per l’ennesima volta se mi ero ricordato di portare il regalo. Sedata la mia ansia, la raggiunsi e ci dirigemmo verso casa sua. Con mia sorpresa, questa volta fu lei ad afferrarmi spontaneamente il braccio stringendosi a me. È inutile dire che mi mise agitazione… molta agitazione, dato che la sentivo estremamente attaccata a me in tutta la sua fisicità… sentì il volto avvampare e sfruttai la diversità di altezza per nasconderle il rossore. Credo di esserci riuscito. Dopo pochi minuti, raggiungemmo il suo cancello.
- Eccoci arrivati. -
- Già. -
Si staccò da me e, con una lentezza esagerata, aprì la borsa ed estrasse un mazzo di chiavi con la quale iniziò a giocherellare.
- Allora… grazie per la cena… -
- Si… prego… -
La ragazza annuì e si voltò avvicinandosi al portone. Ora il livello di agitazione era alle stelle. E non solo l’agitazione, ma anche la paura. Avevo una paura tremenda, ma non potevo lasciarmi sfuggire quest’occasione! Quindi, ora o mai più!
- L-leah, aspetta! -
Si voltò e mi osservò speranzosa. Speranzosa? Ottimo! Avanti, Nath, metti da parte la paura e affrontala! Sentivo il volto in fiamme, molto più di prima, e deglutì un paio di volte prima di decidermi e mettere le mani in tasca per estrarre il pacchettino. Lo osservai per pochi secondi, poi, sospirando, alzai lo sguardo verso di lei. Anche lei osservava la confezione. Le porsi il regalo.
- Buon compleanno, Leah. -
Gli occhi di lei danzavano dal regalo al mio volto. Era incredula.
- Come… sapevi che… -
- Ringrazia Lysandro. -
Sospirò e dalla sua espressione capì che lo aveva appena maledetto. Scosse la testa sorridendo e si avvicinò a me prendendo il pacchettino. Lo rigirò un po’ tra le mani, palesemente imbarazzata, e lo aprì. La sua espressione mutò improvvisamente. Aprì la bocca un paio di volte, probabilmente nel tentativo di dire qualcosa, ma la voce le morì in gola. Fui io a parlare.
- Quando ti vidi in palestra la prima volta, ti trovai affascinante ed elegante. Ti paragonai ad una tigre, elegantemente feroce, tremendamente stupenda. E, durante questi mesi, ho capito che ci avevo visto giusto. Tu sei come una tigre. Bella, affascinante, forte, letale e magnifica come questo felino. Ma anche dolce ed affettuosa, come una mamma tigre coi suoi cuccioli. Io vedo questo in te e vorrei che lo vedessi anche tu. Vorrei che questa collana risulti come l’impersonificazione della tua anima. E che rappresenti il sentimento che provo per te, Leah. -
Sollevò lo sguardo. Aveva le sopracciglia aggrottate e gli occhi lucidi. Le labbra erano serrate, nel vano tentativo di non piangere. Dico vano, perché una lacrima le scappò e scese lungo la sua guancia che prontamente asciugai con una mano. Feci per parlare nuovamente, ma un improvviso fiocco di neve mi distrasse e mi fece sollevare lo sguardo verso il cielo. Aveva iniziato a nevicare.
- Nath? -
Tornai a guardarla, ma non feci in tempo a fare altro. Sentì una sua mano afferrarmi la nuca e spingermi dolcemente verso il suo viso. La vidi chiudere gli occhi e sentì le sue labbra poggiarsi sulle mie. Il cuore mancò un colpo e rimasi per poco con gli occhi spalancati, ma lei non si staccò. Anzi, socchiuse le labbra ed insinuò la sua lingua nella mia bocca stuzzicando la mia. Risposi al bacio. Chiusi gli occhi e la strinsi a me, sollevandola leggermente. Lei avvolse le braccia intorno al mio collo. E ci baciammo sotto la neve.
 
Note: Per farmi perdonare del ritardo nella pubblicazione del precedente capitolo, ho deciso di pubblicare anche il 16 ^^
Tornando alla storia… cosa ne pensate? Finalmente siamo arrivati al bacio… aaah, come vorrei essere Leah… pensavo a questo mentre scrivevo il capitolo… sapete, inizio ad apprezzare sempre di più Nath e mi piacerebbe che si sciogliesse di più anche nel gioco… come sempre, grazie per aver letto e ci si vede al prossimo capitolo! Un bacione!!

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Capitolo 17
*** CAP.17 GELOSIA ***


CAP.17 GELOSIA ____    - Nath? -
Mi chiamò e ripresi un po’ di lucidità. Mi accorsi che eravamo nella sua camera, più precisamente io alla porta e lei dentro. La stavo fissando da qualche minuto mentre lei era in attesa di una mia mossa. Ero perfettamente conscio di ciò che sarebbe successo di lì a poco, eppure non ero per nulla agitato. Anzi, ero calmissimo. Allora perché ero lì imbambolato? Leah inclinò la testa di lato e mi sorrise. Poi alzò una mano e si sciolse i capelli, liberando i ricci che ricaddero sulle spalle. Si liberò anche degli orecchini ma non della collana. La mia collana a forma di tigre, che si era messa poco prima di entrare in casa. Le donava davvero molto. Allungò la mano verso di me invitandomi ad entrare. La afferrai e lei intrecciò le sue dita alle mie. Appoggiò la mano libera sul mio petto facendola scorrere verso la spalla e liberandola dalla giacca, poi iniziò a sbottonarmi la camicia. La guardai slacciare i bottoni, ma la poca luce che filtrava dalla finestra, non mi permise di vedere bene il suo viso. Alzò lo sguardo accorgendosi che la stavo osservando.
- Che c’è? -
Scossi la testa e sorrisi accarezzandole il volto.
- Nulla. -
E la baciai stringendola a me. Mi liberai della giacca e iniziai a slacciale la cintura che le legava la vita mentre lei finiva di sbottonarmi la camicia per poi togliermela. Una volta che le tolsi la cintura, le accarezzai i fianchi e la feci voltare con lo scopo di slacciarle il tubino. Percorsi la schiena con una mano mentre col l’altra le spostavo i capelli di lato, liberandole il collo ma, soprattutto, il neo. Ci appoggiai le labbra sopra e la sentì rabbrividire. Mi spostai dal collo all’orecchio, mordicchiandolo appena, mentre con l’altra mano le abbassavo la zip del tubino, ma fui interrotto. Mi spinse delicatamente col bacino, facendomi indietreggiare di qualche passo. La guardai interrogativo e lei mi rispose con un sorriso voltando appena il viso verso di me, senza girarsi del tutto. Le osservai la schiena, appena visibile, e ritrovai il tatuaggio che scorsi appena quel giorno nella palestra della scuola. Erano tre ideogrammi giapponesi, uno in fila all’altro in verticale, lungo tutta la colonna vertebrale lombare. Non le chiesi cosa volessero dire, non era il momento. Oltretutto, si era appena tolta il tubino restando in intimo e in autoreggenti …. autoreggenti …. nere …. e intimo nero …. però! La sentì ridere per la mia espressione e, finalmente, si voltò permettendomi di vederla. Era bellissima. Si avvicinò a me e iniziò a slacciarmi i pantaloni. La lasciai fare.
- Leah? -
- Mh? -
- …. No, nulla. -
 
Non saprei dire da quanto tempo aspettavo questo momento: il momento in cui avrei potuto sentirla mia. Era come se stessi vivendo un sogno. Avevo la mente offuscata, non riuscivo a pensare razionalmente e mi stavo abbandonando all’istinto. La vista era annebbiata, solo il suo viso mi era del tutto chiaro. Vedevo e sentivo solo lei, solo la sua voce e il calore della sua pelle. Il suo respiro e il mio erano mescolati, non saprei distinguerli. Anche l’ambiente intorno a noi non aveva più un senso. Ero sopra di lei, nel letto, che la baciavo con foga, che percorrevo il suo corpo con una mano, afferrandole una coscia e sollevandola facendola incastrare nell’incavo del mio gomito, mentre con l’altra giocavo coi suoi seni, per poi scendere. Sempre più giù, fino a trovare la sua intimità e iniziare a giocare anche con quella. Lei respirava affannosamente. Mi stringeva a sé intrecciando le dita nei miei capelli mentre con l’altra mano mi afferrava una spalla. Dopo poco, inarcò la schiena e liberò le labbra dalla mie, in modo da dar sfogo al piacere mentre io continuavo e le baciavo il collo e la spalla. Un gemito più forte, mi fece perdere la testa e non resistetti più. Entrai in lei, afferrandole con una mano il bacino e spingendolo di più contro il mio. Ed iniziai a muovermi. Dopo qualche minuto, si liberò dalla mia presa con agilità e invertì le posizioni. Stavolta ero io sotto di lei. Rimase ferma, a cavalcioni, a guardarmi per un istante. Io capì e mi misi a sedere, aiutandola ad intrecciare le gambe dietro la mia schiena. I nostri visi erano ad un soffio di distanza l’uno dall’altra. Le liberai il viso da una ciocca di capelli, accarezzandola dolcemente. Era coperta di sudore, ma era sempre bella. Le sorrisi e lei anche. Baciandola, le afferrai la schiena con una mano, in modo da non farle perdere l’equilibrio e ripresi a muovermi. I gemiti di entrambi, divennero sempre più insistenti, veloci ma ritmici. All’unisono. E sempre all’unisono, raggiungemmo l’apice.
 
Mi rivestì, poiché, senza rendermene conto, erano arrivate le 3 di notte. Dopo aver finito di fare l’amore, io e Leah chiacchierammo a lungo del più e del meno per poi addormentarci abbracciati l’uno all’altra. Quando mi svegliai e controllai l’ora alla sveglia posta sul comodino, mi alzai e iniziai a vestirmi sperando di non svegliarla. Cosa che non avvenne.
- Stai andando via? -
Mi voltai verso di lei e le sorrisi. La ragazza si mise a sedere e accese l’abat-jour, accecandomi per un istante.
- Sì. Si è fatto tardi. -
- Ho visto. Aspetta, ti stai allacciando male la camicia. -
E si alzò, avvicinandosi a me per allacciarmi meglio la camicia. Arrossì e distolsi lo sguardo da lei mentre procedeva ad allacciarli.
- Ah… grazie. -
- Prego. -
Strano. Non dovrei sentirmi in imbarazzo, dopo quello che è successo. Proprio no! Eppure… al solo pensare quello che era successo, sentivo la faccia in fiamme. Sentì Leah darmi una pacca sulla spalla e tornai a guardarla.
- Fatto. Ora puoi andare. -
- Ok. -
Raccolsi la giacca e la indossai. Poi scesi al piano di sotto, accompagnato da Leah e recuperai anche il cappotto, indossandolo.
- Allora, ci vediamo domani? -
- Domai? Ormai è già domani. -
- Oh… si, in effetti… -
Rise. Risi anch’io, imbarazzato, e mi grattai la nuca. Lei mi guardò sorridente, piegando la testa di lato.
- Sarò in ospedale tutto il giorno. Raggiungici verso sera, se vuoi. Fanno i fuochi d’artificio a mezzanotte e dalla balconata dell’ospedale si vedono bene. -
- Già. È capodanno. Va bene, vi raggiungerò. -
Sorrise e si avvicinò per baciarmi. Mi chinai e ricambiai il bacio, accarezzandole il viso. Dopo esserci staccati, afferrò il colletto della camicia facendomi chinare ancora di più e avvicinando le labbra al mio orecchio.
- Questa camicia la dovrai indossare solo in mia presenza. Intesi? -
Deglutì. - V-va bene. -
La sentì sorridere e mi leccò l’orecchio, per poi allontanarsi.
- Vai a casa, ora. -
La guardai. Poi risi e mi avvicinai a lei. Stranamente, lei indietreggiò ma venne bloccata dal muro. Le impedì ogni via di fuga poggiando le braccia al muro dietro di lei e guardandola intensamente senza smettere di sorridere. Sarà da differenza di altezza (ero più alto di lei di tutta la testa), sarà per l’intensità del mio sguardo, ma finalmente, fui io a farla arrossire. E non per l’imbarazzo. Mi avvicinai ad un soffio dalle sue labbra.
- È gelosia la tua? -
- Proprio per niente. -
Sorrisi ancora. Poi la baciai di sfuggita e uscì.
 
La felicità e la perfezione di quel momento non durarono molto. Purtroppo per me, venni destato dal mio brodo di giuggiole da Ambra. La mia adorata sorellina mi aveva aspettato per tutta la notte seduta sulla poltrona in sala e mi raggiunse in corridoio non appena varcai la soglia di casa.
- E tu che ci fai ancora sveglia? -
- Silenzio! Qui le domande le faccio io. Ti sembra questa l’ora di rientrare a casa? -
Sospirai infastidito e mi tolsi il cappotto appendendolo all’attaccapanni.
- Piantala, Ambra. Non sei nelle condizioni di farmi la predica. -
- Oh si invece, dato che in questa casa sono l’unica a cui interessa la vita privata di mio fratello! -
- Ecco, appunto. Vedi di farti gli affari tuoi e fila a letto. -
La scostai non troppo gentilmente e feci per dirigermi in camera mia, ma Ambra mi si piazzò davanti mettendosi nella sua classica posa di sfida: peso su una gamba, una mano sul fianco e con l’altra prima si scostò una ciocca di capelli per poi puntarmi il dito contro.
- Mi sto facendo gli affari miei! Non posso permettere che mio fratello vada in giro a fare chissà cosa fino alle tre di notte con una poco di buono! -
“Una poco di buono”? Aggrottai le sopracciglia e sentì il sangue iniziare a ribollirmi nelle vene.
- Finiscila qui, Ambra, prima che sia tardi. -
- O-oh! Altrimenti che fai? Mi metti le mani addosso?  Ma che diavolo, Nath! È da un po’ che ti comporti in modo strano! È colpa di questa qua? Eh?! Ti sei fatto abbindolare dalla prima che passa?! Chi diavolo è questa puttana con cui ti vedi?! -
Fino a qualche mese fa, non avrei reagito alle sue provocazioni. L’avrei lasciata sbraitare ignorandola. Finchè se la prende con me, va bene. La lascio parlare. Ma non deve osare nominare Leah. Soprattutto con certi termini. Infatti, non ci vidi più. E con sua enorme sorpresa, le afferrai il colletto del pigiama e la sbattei al muro. Dovetti farle male, perché la sentì gemere e quando riaprì gli occhi, la sua espressione mutò. L’aria di sfida si tramutò in terrore. Aveva paura di me.
- Devi stare zitta. Non nominarla. Non pensarla nemmeno. Prova un’altra volta a parlar male di lei, anche solo una, e ti giuro che non avrai più un bel visino. Intesi? -
Non urlai. La mia voce era calma. Ferma. Forse fu questo a far paura ad Ambra, che annuì con le lacrime agli occhi. La guardai ancora per qualche secondo, poi la lasciai ed entrai in camera mia chiudendo la porta ed impedendo al suo sguardo di seguirmi ancora.
 
Note: Che dire… assolutamente niente! Questo capitolo mi è piaciuto molto scriverlo. Nathaniel è… ditemelo voi com’è. Fatemi sapere cosa ne pensate, di lui, di Leah, di Ambra e della situazione che si è creata. Così potrò capire se sono riuscita a farvi conoscere il mio Nath e la sua storia ^^ un bacio. Ciao ciao e alla prossima! Grazie per aver letto!

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