Il Lato Oscuro di cisqua92 (/viewuser.php?uid=690448)
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** CAP.1 COME FA? ***
Capitolo 2: *** CAP.2 TIGRE ***
Capitolo 3: *** CAP.3 STALKER ***
Capitolo 4: *** CAP.4 SEGRETO ***
Capitolo 5: *** CAP.5 PUZZLE ***
Capitolo 6: *** CAP.6 OGNI COSA HA IL SUO PREZZO ***
Capitolo 7: *** CAP.7 IL LATO OSCURO ***
Capitolo 8: *** CAP.8 FALL IN LOVE ***
Capitolo 9: *** CAP.9 LE SUE PAROLE ***
Capitolo 10: *** CAP.10 IN CASA ***
Capitolo 11: *** CAP.11 PICCOLI FRANTUMI, GRANDE DOLORE ***
Capitolo 12: *** CAP.12 NON ME NE VADO ***
Capitolo 13: *** CAP.13 RACCONTO ***
Capitolo 14: *** CAP.14 REGALO ***
Capitolo 15: *** CAP.15 30 DICEMBRE ***
Capitolo 16: *** CAP.16 SGUARDI CHE PARLANO ***
Capitolo 17: *** CAP.17 GELOSIA ***
Capitolo 1 *** CAP.1 COME FA? ***
CAP.1 COME FA? ___ “Oggi è una bella giornata” mi ritrovai a pensare, in un istante di distrazione. Ma mi ripresi subito; tra meno di cinque minuti sarebbe suonata la campana per l’inizio di questa nuova ed emozionante (in senso ironico ovviamente) giornata di scuola che inizia proprio con una bella verifica su una delle mie materie preferite: algebra! Guardai l’orologio che segnava le 8.00 e, nel mentre, la campanella suonò ed iniziarono ad entrare i primi studenti tra cui Lysandro (seguito da leggeri gridolini delle ragazze della classe… ma che ci troveranno mai in un tipo dallo stile e dal comportamento così… ambiguo? Fuori moda? Strano? Sarà il fascino dei suoi occhi bicolore), la piccola Violet, Iris e tutti gli altri. Alle 8.10 entrò il professore.
- Bene ragazzi. Vi concedo 5 minuti per ripassare e poi cominciamo con la verifica. Sono 10 quesiti da risolvere entro la fine delle 2 ore. -
Dopo queste parole, sentii un frusciare di fogli, libri e quaderni alle mie spalle (no no. Mi dispiace, ma sono in terza fila, non in prima come sospettavate voi) e leggeri borbottii tra cui riuscì a distinguere solo il commento di Lysandro seguito dalla risposta di Iris.
- Ma c’era una verifica oggi? -
- Si, di algebra. Non dirmi che te ne sei dimenticato come tuo solito! - Risi appena. Quel ragazzo è incredibile: si dimentica quasi di tutto e riesce sempre a farla franca. Se non è un talento questo, ditemi voi cos’è!
Dato che avevo già ripassato, decisi di dare un’occhiata alla classe: il prof stava segnando gli assenti, i ragazzi tentavano di carpire qualche informazione in più dai loro libri, (tranne Lysandro che, incurante del suo problema, scribacchiava qualcosa su un quadernetto). Mi voltai per controllare l’ultima fila e, in particolare, verso le finestre e confermai il mio sospetto: LEI non era ancora arrivata. Dio. Quella ragazza si è rovinata a furia di frequentare quell’idiota di Castiel. Guardai nuovamente l’ora: le 8.15.
- Bene. Via i libri e gli astucci. Vi occorrono solo matita, gomma e penna. - Disse il prof, mentre iniziava a distribuire le fotocopie e in quel momento la porta si aprì ed entrò LEI. E subito la rabbia mi assalì.
- ‘giorno prof. Scusi il ritardo. - Il prof si voltò.
- Avanti, Smith. Siediti e cominciamo. -
Che cosa?! Merda! Neanche questa volta le dice niente?! Quella ragazza entra sempre in ritardo e mai una volta i prof l’hanno in qualche modo sgridata. Mai. Che nervoso. Senza contare che ha la media uguale alla mia. Che nervi. La ragazza (tale Leah Smith) si sedette dietro di me e appoggiò a terra il suo solito borsone da palestra (a che le serve lo sa solo lei) e la custodia del basso. Si, perché lei è la bassista del gruppo di Lysandro e Castiel nonché voce femminile. Non l’ho mai sentita cantare, ma dicono sia brava. Bah! Non è il momento di distrarsi, i numeri mi chiamano.
Come al solito, fui il primo a consegnare e, sempre come al solito, fui seguito da Leah. Il prof, per nulla sorpreso, ci concesse di uscire dall’aula prima e non ce lo facemmo ripetere due volte (anche perché sono indietro col mio lavoro di segretario delegato). Presi le mie cose e uscì dirigendomi verso la Sala Delegati mentre lei andò verso il cortile. La ignorai ed entrai nella Sala. Essendoci bel tempo, decisi di aprire le finestre e mi misi al lavoro. Dopo neanche 10 minuti, sentì un basso suonare: era Leah che si esercitava in cortile. Decisi di ignorarla e proseguire col mio lavoro.
Passò un’ora buona e lei ancora non smise di suonare. Ammetto che quella ragazza è per me una specie di chiodo fisso, fin dal primo giorno di prima liceo: ha sempre avuto una media alta nonostante i suoi ritardi e nonostante io non l’abbia mai vista con un libro o anche solo un foglietto di appunti in mano presa a ripassare. Inoltre, per via del mio incarico, so che ha un lavoro part-time in un minimarket in centro che la impegna anche fino a sera tardi. Ma come fa? Decisi di alzarmi e di sbirciare dalla finestra. Leah era seduta su una panchina sotto un albero, intenta a strimpellare qualche nota con il suo immancabile borsone poggiato di fianco. I capelli lilla dalle punte nere le cadevano sul volto, ma lei non sembrava farci caso. Leah non è una ragazza particolarmente bella, ha un viso comune e non è molto alta. Si veste sempre in modo sportivo: converse, jeans e maglietta, a volte indossa una camicia. Non l’ho mai vista con un vestito o una gonna e nemmeno truccata. La definirei una tipa acqua e sapone. I suoi punti di forza sono i capelli, di un riccio perfetto, e la sua corporatura: è particolarmente muscolosa per essere una ragazza, credo sia per una qualche attività sportiva che pratica, il che riduce ulteriormente il tempo a lei disponibile per studiare. Smise per un secondo di suonare per tirarsi indietro i capelli. E lì mi resi conto per la prima volta di altre due sue caratteristiche: gli occhi (di un verde brillante) e un segno allo zigomo sinistro (una cicatrice forse?). Ma furono gli occhi a colpirmi di più: non avevo mai notato che fossero di un così bel colore. Li ricordavo scuri. Lei alzò lo sguardo e mi notò. Non sembrava né sorpresa né scocciata del fatto che stessi lì a guardarla, semplicemente alzò il sopracciglio e tornò a suonare. Un’altra sua caratteristica? La sua capacità di irritarmi pari a quella di Castiel. Ah ecco… parli del diavolo e spuntano le corna. Eccolo lì che la raggiunge e le dice qualcosa. Probabilmente l’ha informata dell’orario delle prove. Nel mentre, suonò la campana dell’intervallo e io decisi di continuare più tardi il mio lavoro.
Come sospettavo, a fine lezioni, Lysandro venne a informarmi che lui, l’idiota e Leah sarebbero rimasti nello scantinato a provare fino alle 16. Acconsentì e mi preparai per un altro pomeriggio di studio in biblioteca. Si, perché le chiavi dello scantinato le ho io e senza di me non possono provare. Mi piace avere questa sorta di potere su Castiel, ecco perché accetto di far loro da palo durante le prove, potrebbe tornarmi utile. Provarono fino alle 16, come stabilito e io studiai tutto il tempo. Quando uscirono, Lysandro venne ad avvisarmi e io andai a chiudere la porta, dopodiché mi diressi anch’io verso l’uscita. I tre erano appena fuori l’ingresso del cortile a chiacchierare e ad attendere l’autobus sulla quale Leah sarebbe salita. Era il numero 21, lo stesso che prendo io per tornare a casa. Salimmo e lei s’infilò nelle orecchie le cuffie dell’mp3, come fa sempre, mentre io mi ritrovai a pensare. Sono già le 16 e domani c’è un interrogazione per la quale io ho speso tutto il pomeriggio a studiare, mentre lei ancora nulla. A un certo punto, lei si alzò, scese in una fermata del centro e la vidi dirigersi verso un minimarket. Quindi lei ora ha un turno di lavoro. Il che vuol dire che lavorerà minimo fino a chiusura, ovvero verso le 18. Vuol dire che studia di sera? Ma ha dietro quel borsone da palestra. Quindi andrà anche ad allenarsi? Mi misi una mano tra i capelli e sbuffai. Ero troppo curioso. Lo sono sempre stato, ma ora il livello si è alzato di parecchio! Cavolo! Quando studia? E soprattutto, quanto tempo ci mette per essere al mio stesso livello? Come fa? Basta. Ho deciso. Io, Nathaniel, scoprirò il suo segreto!
Note:
Ciao a tutte! Ecco la mia primissima Fanfic! Spero con tutto il cuore che vi piaccia, ci sto mettendo tutta la mia passione! Il primo capitolo potrebbe risultare noioso, ma dal secondo la storia si fa più avvincente! Recensitemi! Commentate! Accetto le critiche, purchè costruttive! Saluti e grazie per aver letto! |
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Capitolo 2 *** CAP.2 TIGRE ***
CAP.2 TIGRE ___ Ormai
ho deciso. Scoprirò il suo trucco! Mi puzza il
fatto che riesca ad ottenere dei voti così alti senza
studiare tanto quanto me.
Non lo concepisco. Fortunatamente la Direttrice mi ha concesso 3 giorni
di
riposo dal mio incarico di segretario delegato (ho mentito dicendo che
ho un
problema in famiglia… odio le bugie… ma sono
troppo curioso), in questo modo
posso dedicarmi alla mia indagine. Per l’occasione, ho
adottato anche un
piccolo cambio look: jeans, t-shirt, felpa e cappellino da baseball. Mi
manca
già la camicia…
La mattina procede come al solito. Lei
entra in classe al
solito orario (8.15) ma oggi ha con sé solo il borsone da
palestra, quindi
niente prove. Perfetto! Potrò indagare per bene senza
perderla di vista. Durante
l’intervallo esce in cortile e raggiunge l’idiota e
Lysandro,ovviamente la
seguo e li sento discutere riguardo il testo di una canzone. Non
l’ho ancora
vista ripassare. Eppure l’interrogazione è subito
dopo l’intervallo, e si parla
di filosofia, non delle tabelline! A vederla così
tranquilla, mi sento io
l’idiota ignorante che ci mette una vita per
studiare… che tristezza… anche se,
a dirla tutta,è lei
quella che mi sembra
triste. Voglio dire, la vedo ridere di rado e quando lo fa non mi
sembra una
risata fatta con gusto. Inoltre, a parte che con l’idiota e
con Lysandro, è
sempre da sola o con il basso oppure col telefono in mano. Anzi,
quest’ultimo
ce l’ha sempre sott’occhio. Sembra quasi
ossessionata… no, anzi… dalle occhiate
che lancia al telefono, mi sembra ansiosa, non ossessionata.
Chissà perché.
Quando l’intervallo finì, rientriamo tutti in
classe
(tranne Castiel, che resta in cortile a fumare. Ma oggi sono in ferie,
quindi
mi rifiuto di andare a trascinarlo in classe. Scusa, Melody) e,
finalmente,
arriva il momento dell’interrogazione. La prima è
Iris, che se la cava
abbastanza bene. Poi è il turno di Lysandro, il quale mi
sorprese perché non si
era scordato dell’interrogazione. Poi toccò a me e
dopo a Leah. La osservai
attentamente per tutto il tempo e non la vidi per nulla agitata.
Anzi… rispose
correttamente a tutte le domande riuscendo a prendere il massimo come
me. Ma
che rabbia!
La giornata scolastica si concluse nel migliore dei modi,
ma la mia giornata da Sherlock era appena iniziata. Mi infilai il
cappellino e
mi apprestai a seguirla sull’autobus 21. Come sempre,
s’infilò le cuffie
dell’mp3 e, dopo una ventina di minuti, scese alla fermata
del centro. La seguì
e la vidi entrare al minimarket. Erano le 14.00 precise. Secondo i miei
calcoli, il suo turno dovrebbe terminare verso le 18.00, quindi mi
armai di
pazienza ed entrai in un bar lì vicino che mi permetteva una
visuale sul
minimarket. Per non destare sospetti, mi sono portato dietro il mio
computer
portatile e finsi di scrivere qualcosa.
Leah mi ha sempre incuriosito. Ricordo
che il primo
giorno di scuola del primo anno, fu uno dei rarissimi giorni in cui
arrivò
puntuale e senza alcuna borsa con sé, puntò
subito il banco in fondo, vicino
alle finestre, e se ne impossessò immediatamente, mentre io
mi sedetti davanti
a lei. Fu una giornata di orientamento, senza lezioni, dove ci fecero
fare il
giro della scuola e ci elencarono le varie attività. E lei,
ovviamente, teneva
il telefono in mano e guardava il display abbastanza spesso da farmi
innervosire. Ricordo che eravamo nella sala del club di teatro ed
eravamo seduti
vicini sulle poltrone davanti al palco in terza fila. Alla sua ennesima
occhiata al display, non resistetti e le parlai per la prima volta.
-
Senti, la smetti con quel telefono? I professori ci
stanno spiegando l’organizzazione scolastica, porta rispetto
e ascoltali! -
Lei non mi rispose. All’inizio sembrava ignorarmi, poi
bloccò con estrema calma il display del telefono, lo mise in
tasca e si voltò
verso di me con un’occhiata gelida.
-
Fatti gli affari tuoi, biondino. - Biondino? Biondino a chi?! Stavo per
rispondere quando il
professore ci bloccò facendo partire un video registrato da
alcuni studenti
anni prima. Per tutto il resto dell’anno non ci parlammo
più.
A partire dal secondo anno, la sua media si alzò
drasticamente, portandosi al mio livello e, insieme ad essa, la sua
enorme
borsa da palestra prese a far parte del suo look. Fu in
quell’anno che strinse
amicizia con Lysandro e Castiel e prese a far parte del loro gruppo,
mentre io
iniziai il mio lavoro come segretario delegato. Fu mentre sistemavo
delle
schede di alcuni studenti che mi capitò di leggere del suo
lavoro al minimarket.
Curioso, lessi tutta la sua scheda e notai che alcune informazioni non
erano
riportate. La cosa mi insospettì e, temendo una svista da
parte della
segretaria che si occupò della sua iscrizione, andai dalla
Direttrice a
chiedere spiegazioni. Non l’avessi mai fatto! Quella fu la
prima (e spero
l’ultima) volta che la vidi viola dalla rabbia. Da quel
momento giurai che non
avrei mai più letto nessuna scheda studente.
Il terzo e il quarto anno passarono rapidi e la sua media
non accennava a scendere sotto la mia. Ma fu durante la fine del quarto
anno
che la mia curiosità sbocciò in tutto il suo
splendore. Per darci un’idea di
come si svolgerà l’esame di maturità,
ci fecero fare una serie di test molto
simili a quelli dell’esame ed esposero i risultati sulla
bacheca all’ingresso.
Ovviamente, al primo posto c’ero io e sorrisi soddisfatto nel
leggere il mio
nome. Ma il sorriso sfumò nel leggere il suo vicino al mio.
Questo vuol dire
che abbiamo preso entrambi lo stesso punteggio in tutte le prove? Mi
accorsi
subito dopo che lei era di fianco a me, a leggere il tabellone. La
osservai
leggere e sorridere appena nel vedere il suo nome di fianco al mio. E
fu con
quella faccia strafottente che si voltò verso di me, mi
guardò dall’alto in
basso alzando un sopracciglio e andarsene da Lysandro, che le diede una
leggera
pacca sulla spalla complimentandosi. Fu uno shock per me. Ok, va bene,
ha
sempre preso voti alti, ma avere la conferma della sua bravura
così crudelmente
sotto gli occhi di tutti mi sconvolse. Strinsi i pugni e la guardai
arrabbiato,
giurando che sarei riuscito a batterla. Ma, finora, non è
ancora successo.
La vidi lavorare fino
all’orario di chiusura (le 18, come
previsto), uscire salutando i colleghi e dirigersi verso una stradina
secondaria. La seguì, ovviamente, mettendo via rapidamente
il mio computer. Non
immaginavo che abitasse nei dintorni. Ma quello che vidi mi
lasciò senza
parole. Cavolo! Adesso si spiega la sua corporatura massiccia e quel
borsone
onnipresente! Frequenta una palestra di box! Una ragazza che fa box!
Mai visto
una roba del genere! Mia sorella non muove un solo muscolo per non
spezzarsi le
unghie, e lei fa box! Beh… Leah mi irrita parecchio, ma non
è di certo una tipa
come mia sorella e magari non lo pratica a livello agonistico. Almeno
spero.
Mi nascosi dietro un muretto e attesi il suo ingresso
nella palestra. Una volta che le porte si chiusero, mi avvicinai e con
non
molto stupore, vidi che l’ingresso era vietato ai non
iscritti (tranne in caso
di incontri). Non posso perderla di vista proprio ora! Aggirai la
palestra in
cerca di un altro ingresso, ma la porta antipanico era chiusa
dall’interno. Ma
per mia fortuna, c’era una finestra lì vicino.
Anche se era in alto, sotto
c’erano delle scatole e un cassettone
dell’immondizia. Mi sarei dovuto
arrampicare… vabbè, posso farlo! Non mi arrendo
per un po’ di spazzatura!
Mostrando un’agilità da bradipo, riuscì
a salire sul cassettone (per fortuna
che non mi vede nessuno!) e riuscì a spiare
l’interno. La individuai subito. Vestita
con pantaloncini rossi, tennis e canotta bianca, stava parlando con un
signore
di circa 60 anni (presumo il suo allenatore) e nel mentre si stava
legando i
capelli e fasciando mani e dita per poi infilarsi i guantoni. Erano
anch’essi rossi
ed era palese che li usava da molto, talmente erano consumati. Si
diressero
verso un sacco da box che era pericolosamente vicino alla finestra
dov’ero io.
Lei alzò lo sguardo verso di me e io mi nascosi
immediatamente. Cavolo… spero
che non mi abbia visto… attesi ancora qualche minuto,
finchè non sentì i tipici
rumori dei pugni contro il sacco. Mi alzai cautamente e la osservai
allenarsi.
L’allenatore la incitava e la correggeva quando doveva, ma il
più delle volte
parlavano tra di loro, ma ero troppo lontano, perciò non
riuscì a capire nulla
di quello che si dicevano. Dopo un po’, mi accorsi che non
stavo più cercando
di capire cosa si dicevano, ma stavo osservando lei. Mi rapì
lo sguardo.
Guardarla tirare pugni contro quel povero sacco, gridando di tanto in
tanto,
muoversi intorno ad esso… non so… la trovai
affascinante ed elegante a suo
modo. Anzi, no. Meglio ancora: elegantemente feroce, come una tigre.
Si. È
l’animale che meglio la descrive in questo preciso istante.
La vidi metterci
cuore e anima in quell’allenamento. Per lei doveva essere uno
sfogo, ma la
ferocia che ci metteva mi incuriosì: da dove veniva quella
rabbia? Perché una
ragazza di appena 18 anni dovrebbe allenarsi in quel modo? Cosa la
faceva
soffrire a tal punto?
L’allenamento
proseguì fino alle 21, e quello che vidi in quelle 3 ore, mi
lasciò con l’amaro
in bocca. Credo che lei abbia un qualche segreto e che il peso di
quest’ultimo
sia talmente grande da farle cercare uno sfogo. Ovvero la box. La vidi
dirigersi verso gli spogliatoi e io scesi dal cassettone per poi
dirigermi a
pochi passi dall’ingresso della palestra. Nonostante tutto,
volevo ancora
capire quando lei trovava il tempo di studiare. Uscì dopo
circa 5 minuti. Non
si era cambiata, aveva tenuto i pantaloncini e la canotta ma, dato che
iniziava
a venire fresco e visto che era molto sudata, si coprì con
una felpa (non è più
estate, ormai siamo a settembre inoltrato). Notai che non aveva tolto
le
fasciature e che guardava spesso l’ora sul display del
telefono. Era
palesemente in ansia. Perché? Si diresse verso
un’altra fermata dell’autobus,
la linea 7. Cioè quella diretta all’ospedale. Che
abiti nei pressi
dell’ospedale e che la sua ansia sia dovuta al fatto che si
è fatto tardi e i
suoi potrebbero arrabbiarsi? Facendo molta attenzione, la
seguì mantenendo una
certa distanza. La vidi voltare l’angolo e mi apprestai a
raggiungerla, ma
appena raggiunsi l’angolo, lei era sparita. Maledizione! Sono
stato troppo
distante! Dov’è? Mi voltavo in continuazione nella
speranza di ritrovarla,
quando sentì la sua voce dietro le mie spalle. E mi venirono i brividi:
era troppo tranquilla.
-
Perché mi segui? -
Note:
Ecco il secondo capitolo! E' più lungo
lungo del precedente, poichè la storia è entrata
nel vivo. Spero vi piaccia! Ciao ciao! |
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Capitolo 3 *** CAP.3 STALKER ***
CAP.3 STALKER ___
Era lì in piedi davanti a me. Il peso
appoggiato su una gamba, l’altra
leggermente piegata. Le braccia incrociate e i capelli sciolti,
umidicci per il
sudore, le cadevano sul petto. La borsa posata a terra vicino ai suoi
piedi. Mi
fissava in modo inespressivo, ma i suoi occhi smeraldo erano inchiodati
ai
miei. In quel momento capì di aver fatto la più
grande cavolata della mia vita.
E mi vennero i brividi.
- Perché
mi segui? -
Era come se avessi perso la voce. Da un lato, la
paura
stava iniziando a farsi sentire, dall’altro mi trovai ad
ammirarla. Scossi la
testa e cercai di trovare una scusa plausibile, ma la mente era vuota.
Dannazione! Che mi sta succedendo? Lei piegò leggermente la
testa di lato senza
smettere di fissarmi. Cavolo… che occhi… ehi,
quella è davvero una cicatrice!
Se la sarà procurata in un qualche incontro di box? E da
quando ha delle labbra
così carnose? E
quel neo al collo quando
le è uscito? Era palese che ci stavo mettendo troppo a
rispondere e che lei si
stava innervosendo. Inarcò un sopracciglio e mi
incitò a rispondere.
-
Allora?
-
Io provai a rispondere, ma l’idea di
aver commesso un
reato (ovvero stalking) mi bloccò di nuovo e
impallidì. Lei si accorse del mio
tentennamento e ne approfittò. Mi afferrò la
t-shirt con entrambe le mani e mi
sbattè contro al muro. Il cappellino cadde a terra e mi
ritrovai in punta di
piedi con lei che mi teneva ben saldo dalla maglia.
-
Ehi
ehi! Calma! Io non… -
Per la prima volta, i suoi occhi mi trasmisero un
sentimento: rabbia. Pura rabbia. Decisi che non era il caso di parlare,
fu lei
a farlo.
- È
da ieri che mi segui e la cosa mi scoccia parecchio. Se
ti azzardi a farlo ancora, giuro che userò te come sacco per
gli allenamenti. -
Io
annuì come un ebete e lei mi lasciò andare, prese
il
suo borsone e si recò verso la fermata del bus. La guardai
andare via e mi
sistemai la maglia. Ma chi diavolo è? Hulk? Possibile che
una ragazza abbia
tutta questa forza? Raccolsi il cappellino e me lo rigirai tra le mani.
Effettivamente, potrebbe denunciarmi. È stalking allo stato
puro. Ma che mi è
passato per la mente? Seguire e spiare una ragazza solo per scoprire
come fa ad
avere la mia stessa media a scuola? Mi sentivo un verme. La guardai
aspettare
l’autobus. C’era qualcosa sotto, qualcosa di
estremamente grave. Non so cosa,
ma ormai sono in pista. Tanto vale ballare. Mi rimisi il cappellino e
ripresi
l’inseguimento.
L’autobus
7 è quello diretto all’ospedale ed è
sempre
pieno di gente. Quindi fu facile mimetizzarmi tra la folla senza
perderla di
vista. La dimostrazione di forza di prima mi è bastata e non
ho intenzione di
diventare un sacco da box, perciò alzai il mio livello di
anonimato.
Non la persi un solo istante di vista e non la
vidi fare
altro se non ascoltare la musica dell’mp3. Ma ci poteva anche
stare, domani non
sono previste interrogazioni o verifiche. Dopo 20 minuti, arrivammo
all’ultima
fermata: l’ospedale. Approfittando della confusione, scesi
dal mezzo e la seguì
verso l’ingresso dove, mio malgrado, la persi di vista a
causa della marea di
gente. Uffa… dopo tutta questa fatica, non mi va di
concludere così questa
giornata! Provai a capire in quale reparto possa essersi diretta, ma
non mi
venne in mente nulla se non il pronto soccorso. Magari si è
fatta male durante
gli allenamenti e non me ne sono accorto. Decisi di dirigermi
lì ma non la
vidi. La cercai per qualche minuto, poi mi diressi verso
un’infermiera. Era
molto giovane e parecchio carina, ma non ero lì per
rimorchiare.
- Mi
scusi. Per caso avete ricoverato, o si sta facendo
visitare, una ragazza di nome Leah Smith? - L’infermiera mi
osservò curiosa.
- Perché
lo vuole sapere? -
- Beh,
ecco… lei è mia cugina e l’avevo
accompagnata al suo
allenamento di box. Quando sono tornato per riaccompagnarla a casa, il
suo
allenatore mi ha detto che è venuta qui, ma mi sono
dimenticato di chiedere il
perché… sa, per l’ansia… e
in più non risponde al cellulare. - Sembra reggere. Ma
perché prima non sono riuscito a
spiccicare una parola? L’infermiera mi guardò per
qualche secondo poi si
diresse verso una scrivania con un computer e iniziò a
premere dei tasti.
- Mi ripete il nome? -
-
Leah
Smith. -
Digitò il nome e premette invio.
Sentì il computer rumoreggiare
per poi zittirsi. L’infermiera scosse il capo.
- Mi
dispiace, ma sua cugina non è qui. Sicuro che sia in
questo reparto? -
-
Sicurissimo.
E non può vedere se è ricoverata da qualche
altra parte? -
L’infermiera sembrava tentennare.
Probabilmente non le
era permesso fare una ricerca del genere, o magari non si fidava
completamente
di me. Lessi il nome sul cartellino e capì perché
non poteva farmi questa
ricerca: è un’allieva infermiera. Decisi di
sfoggiare uno dei miei sorrisi migliori
e la voce più seducente che ho.
-
Per
favore, signorina. È mia cugina, sono molto preoccupato
per lei. La prego, lo faccia per me. -
Ho sempre avuto un buon successo con le ragazze.
Infatti,
l’infermiera arrossì leggermente, ma non sembrava
cedere. Allora le diedi il
colpo di grazia, le afferrai le mani e la guardai dritta negli occhi.
-
Per
favore, Ivonne. Non starei bene con me stesso se
fosse successo qualcosa di orribile alla mia adorata cugina. -
Lei arrossì ancora di più e
cedette. Sospirò rassegnata e
fece la ricerca. Nella mia mente stavo esultando come un tifoso quando
la sua
squadra del cuore vince una partita importante. Ma il sorriso si spense
subito.
-
Mi
dispiace, ma
nessun reparto ha ricoverato sua cugina.
C’è solo un Nicholas Smith in
cardiologia infantile, ma non credo che possa interessarle. -
No,
infatti. Sospirai capendo che quella giornata da
stalker si era conclusa. In compenso, la piccola infermiera cercava in
ogni
modo di trattenermi il più a lungo possibile. Guardai
l’ora e mi accorsi che
era veramente tardi: le 22.40. Con una scusa, mi allontanai e
uscì dal reparto.
Sbuffando, feci per andarmene ma all’ultimo mi accorsi che
Leah era nella hall
a parlare con un medico. Esultando nella mente, mi nascosi e tentai di
sentire
la conversazione che terminò ancor prima che potessi
provarci. Leah salutò il
dottore e uscì e io, prontamente, la seguì.
Stavolta
non si diresse in una fermata dell’autobus.
Prese una stradina secondaria piena di piccole villette a due piani e,
dopo
pochi passi, si fermò davanti a un cancello (io mi nascosi
dietro un cassonetto
dell’immondizia… oggi mi perseguitano) ed estrasse
un mazzo di chiavi dal
borsone della palestra, aprì il cancello ed entrò
chiudendoselo alle spalle.
Attesi che entrò in casa e uscì quando
sentì la porta d’ingresso chiudersi. Mi
diressi davanti al cancello e guardai la targhetta del citofono.
“Fam. Smith”.
Nessun nome. Né maschile né femminile. Alzai lo
sguardo e vidi che aveva acceso
le luci del secondo piano. Dopo 10 minuti, le spense tranne quelle che
dedussi
appartenessero alla sua camera. La vidi di sfuggita come
un’ombra dietro le
tende per poi sparire nel buio totale. Passarono altri 10 minuti, ma le
luci
non furono più accese. Questa volta, la giornata
è davvero terminata. Guardai
l’ora e imprecai vedendo che segnavano le 23.20. Mi misi a
correre verso la
fermata dell’autobus più vicina scervellandomi per
trovare una scusa plausibile
da dire a mia madre per questo mega ritardo.
Note:
Salve
a tutti! Ecco il terzo capitolo! Finchè ho tempo,
posterò i capitoli in modo abbastanza regolare (dato che li
ho già pronti fino
al nono ^^). D’ora in poi, nelle note, parlerò di
uno dei personaggi a vostra
scelta dicendo cosa mi ha ispirato eccetera. Con chi volete che inizi?
Alla prossima!
Ciao ciao!
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Capitolo 4 *** CAP.4 SEGRETO ***
CAP.4
SEGRETO ___
“È
tardissimo!” continuai a
pensare mentre correvo verso la scuola. A causa del mio ritardo di ieri
sera,
mia madre mi ha fatto una ramanzina che si è protratta fino
all’una e
stamattina non ho sentito la sveglia, quindi ho fatto tutto di corsa e
ho dovuto
saltare la colazione pur di entrare nell’orario consentito. E
infatti entrai a
scuola appena dopo il suono della campana della prima ora. Mi
precipitai in
classe (dopo essermi frettolosamente sistemato capelli e camicia) e
tutti si
voltarono a guardarmi stupiti. Fu una scena inquietante.
-
Ehm… Nathaniel… direi che sei in ritardo. -
-
Mi scusi professore, non ho sentito la sveglia. Non
succederà più. - E mi diressi al mio posto. Non
ebbi neanche il tempo di tirare
fuori i libri che la porta si aprì ed entrò Leah.
Solita storia: salutò appena
il prof che non la sgridò e si sedette al suo posto
poggiando la custodia del
basso alla parete. Oggi non ha il borsone della palestra, si vede che
non va
proprio tutti i giorni. Sentivo i suoi occhi puntati alla nuca, ma feci
finta di
niente. Per tutta risposta, lei incastrò un suo piede alla
gamba della mia
sedia e fece leva con l’altro. Risultato? Feci un giro su me
stesso di 180°
talmente veloce da rischiare di cadere, facendo un rumore esagerato e
ritrovandomi a fissare Leah che mi guardava sorridendo. Inutile dire
che si
voltarono tutti, professore incluso.
-
Nathaniel! Ma che ti prende oggi? -
-
Io… mi scusi. Non credevo di fare così tanto
rumore. -
-
Datti una calmata. Non è da te fare tutto questo
macello. -
-
Si. Mi scusi. - Detto questo, mi ricomposi, non prima
di lanciare a Leah uno sguardo truce alla quale lei rispose con una
risatina.
Tutto sommato, è carina quando sorride. Ma a che penso?!
Finalmente
arrivò l’intervallo. Mi abbandonai sulla sedia
sbuffando e portandomi indietro i capelli con entrambe le mani.
Sarà che ho
dormito poco, ma quella mattina mi sembrò più
faticosa del solito e, cosa
strana, sentivo gli sguardi degli altri addosso a me. Più di
una volta notai
qualcuno fissare me e poi Leah e dire qualcosa al suo vicino di banco.
Mah… non
mi interessano i pettegolezzi scolastici. Anche Leah si era alzata e si
era
diretta da Lysandro dicendogli qualcosa per la quale lui
annuì. Immaginai
l’argomento quando lo vidi alzarsi e raggiungermi, quindi lo
precedetti.
-
Volete provare dopo le lezioni, giusto? -
-
Giusto. Mi dispiace stressarti così tanto, ma a breve
avremo un concerto e abbiamo intensificato le prove. -
-
Non c’è problema. Vi apro la porta appena se ne
vanno
tutti. -
-
Va bene. E ancora grazie. -
Lo
salutai con un cenno e lo vidi allontanarsi insieme a
Leah. Mi alzai anch’io e decisi di sgranchirmi le gambe
passeggiando per il
salone d’ingresso finchè la fame non
iniziò a farsi sentire. Allora mi diressi
alle macchinette e presi una brioches e del caffè freddo,
poi andai in cortile
e mi sedetti su una panchina gustando quella simil colazione.
Ovviamente, non
senza controllare le attività di Leah, che si limitavano a
chiacchierare con
Lysandro e Castiel ignorandomi deliberatamente. Mentre mangiavo la
brioches, vidi
Castiel reagire a qualcosa che disse Leah e lo vidi voltarsi verso di
me.
Sembrava furioso e credo di sapere il perché, ma lo ignorai
e finì il caffè.
Buttai la lattina nel cestino vicino per poi dirigermi in classe. Mi
sedetti al
mio posto, stiracchiandomi e attesi il suono della campana che non
tardò ad
arrivare. Ma appena mi sedetti, Castiel entrò rapidamente e
sbattè
violentemente i pugni sul banco. Io lo guardai alzando le sopracciglia.
-
Non fare quella faccia da ebete! Lo sai benissimo
perché sono qui! -
-
E quindi? Sei il suo cagnolino da guardia? - Bingo. Si
è irritato parecchio. Mi afferrò per la camicia
facendomi alzare e tirandomi a
sé. La sedia cadde a terra, facendo trasalire tutti coloro
che erano appena
entrati in classe, ma Castiel non mollava la presa, anzi, se possibile
la
strinse ancora di più.
-
Vedi di fare poco lo spiritoso, caro delegato, o ti
faccio saltare i denti. -
-
Uuh che paura mi fai! Sei ridicolo. Si sa difendere
benissimo da sola, senza bisogno di un bifolco come te. -
-
Tsè. Sarò anche un bifolco, come dici tu, ma
almeno io
non seguo le ragazze spiandole in ogni cosa che fanno. -
Ok,
sono estremamente dalla parte del torto, ma non ci
vidi più dalla rabbia. Lo scansai e lo spinsi violentemente
contro il banco
dietro di lui che per poco non cadde. Lui rise di gusto e si tolse la
giacca.
-
Ma bene! Avanti, fatti sotto mammoletta! -
Scansai
il mio banco e iniziammo una bella zuffa. Credo
che l’ultima volta che abbiamo litigato pesantemente risalga
alla seconda o
terza liceo, ma fin’ora nessuna rissa. E il fatto che lo
stavo prendendo a
pugni mi dava un’emozione che non so descrivere. Mi
sentivo… estremamente bene,
e la cosa mi piacque. Sorrisi al pensiero. In un secondo, Castiel
approfittò di
una mia distrazione e fece per sferrarmi un bel pugno che avrebbe
potuto
rompermi il naso, ma Leah lo fermò.
-
Basta Cass. Non mi sembra il caso di spaccarti le dita
per lui. -
Ubbidiente,
abbassò piano il pugno guardandomi in
cagnesco. Gli osservai il viso: gli avevo spaccato il labbro e aveva un
bel
livido alla guancia destra. Quello doveva fare male e si sarebbe visto
per
parecchio tempo. Molto bene!
-
Non credere che sia finita qui. - Detto questo,
raccolse la giacca e se la infilò mentre guadagnava
l’uscita. Io risi.
-
Quando vuoi, cagnolino. Bau bau! -
Castiel
si girò e, se avesse potuto, mi avrebbe
incenerito con lo sguardo. Scansò brutalmente la massa di
gente che si era
goduta lo spettacolo e sparì, seguito da Lysandro. Sospirai
e nel farlo mi
procurai una bella fitta all’addome. Doveva avermi colpito
per bene. Nel
frattempo, il professore entrò.
-
Che sta succedendo qui?! Nathaniel! Che diavolo hai
fatto?! -
-
Nulla prof. C’è stata una dimostrazione di
virilità ma
ora è tutto finito. -
Guardai
Leah. Non mi aspettavo che rispondesse al posto
mio. Si girò verso di me e mi guardò con uno
sguardo strano che non riuscì a
capire.
-
Fila in infermeria! Fatti sistemare e torna
immediatamente qui! Non mi aspettavo nulla del genere da parte tua,
Nathaniel,
ne subirai le conseguenze. -
Sbuffai
irritato ed andai verso l’infermeria. Pensa te se
per colpa di quell’idiota devo rimetterci io. Beh, tutto
sommato, se non
l’avessi pedinata ora non sarei in questa situazione.
Il
labbro era spaccato e non la smetteva di sanguinare.
Lo zigomo presentava un taglietto e sia lui che l’addome mi
facevano male. La
camicia si era macchiata di sangue (mio probabilmente) e la
sostituì con una
felpa di ricambio che tenevo nell’armadietto. Come se il
dolore fisico non
bastasse, il professore mi diede una bella punizione. Sarei dovuto
rimanere
oltre l’orario delle lezioni per dei compiti extra per i
prossimi cinque
giorni. La cosa mi scocciò parecchio: primo
perché tra due giorni avrei ripreso
il mio lavoro di delegato, secondo perché domani non sarei
riuscito a seguire
Leah come avrei voluto e terzo perché l’accaduto
sarebbe finito nella mia
scheda di valutazione. Note positive? Data la mia condotta, il mio
lavoro di
delegato e la mia media alta, evitai la sospensione, in più,
visto che quei tre
dovevano provare, non avrei perso di vista Leah, ma non mi aspettavo
che
Castiel sarebbe sparito.
-
Era troppo furioso, ha preferito tornare a casa. - Mi
disse Lysandro. Se… non voleva sentire la preside ragliare
contro di lui. Oh
beh, tanto meglio per me. Aprì loro la porta dello
scantinato e mi diressi in
biblioteca a scontare la mia punizione.
Li
sentì cantare per tutto il tempo, durante il quale
ebbi conferma delle voci che girano sulle abilità canore di
Leah, fino alle 16,
ovvero fino a quando non uscirono e io chiusi la porta dello
scantinato. Leah
ci salutò e si allontanò. Feci per andare
anch’io ma Lysandro mi bloccò.
-
Scusa, posso parlarti un secondo? - Lo guardai sorpreso
e sorrisi.
-
Vuoi darmi un pugno anche tu? -
-
Sia mai! Non sono un bruto come Cass. Volevo solo spiegarti
il perché lui se la sia presa così tanto. -
-
Lo so già. Leah vi ha raccontato di ieri e lui si
è
infuriato. -
-
Si, c’entra anche quello. - “Anche”?
Lysandro sospirò e
riprese a parlare.
-
Vedi. Noi siamo molto affezionati a Leah. È una nostra
cara amica e gradirei moltissimo che tu la smettessi con questa storia
del
pedinamento. -
-
Si, certo, capisco. Ma cosa intendi con “anche
quello”?
-
Lysandro
storse le labbra. Sembrava cercare le parole
giuste per dirmi qualcosa.
-
Lei… tutto quello che fa, non lo fa per dimostrare che
è una super donna o cose simili. Ha un motivo valido e se tu
lo porti a galla,
sarà lei a risentirne di più. E non solo lei.
Anche tu potresti restarci male.
-
Ora
si che ero veramente curioso. Provai a scucire a
Lysandro maggiori dettagli, ma lui era una tomba e non
riuscì più a carpire
altro. Guardai l’ora e mi resi conto che stavo per perdere
l’autobus. Feci per
salutare Lysandro ma lui mi fermò per l’ennesima
volta.
-
Nathaniel. Dico sul serio: basta così. -
Se
Castiel e Lysandro difendevano così tanto Leah, non
era certamente solo perché è una loro amica.
Quello che mi ha detto Lysandro,
mi fece riflettere e capire che il segreto di Leah era più
grande di quello che
credevo. Ma tutto sommato, ero curioso di saperne di più. Il
suo segreto è così
grande da non essere nemmeno scritto sulla sua scheda di iscrizione?
Perché?
Sentì lo sguardo di Lysandro farsi più pesante e
capì di starci mettendo troppo
tempo per rispondere.
-
Va bene. La smetterò. -
Sembra
più sollevato e tranquillo, ora. Lo salutai e
corsi verso la fermata, facendo appena in tempo a salire
sull’autobus. Mi
sedetti in uno dei primi posti convinto che, ormai, Leah sia
già andata via.
Invece, venti minuti dopo, la vidi scendere alla fermata
dell’ospedale e la curiosità
tornò a farmi visita. Per qualche secondo lottai contro
questo sentimento:
avevo promesso che avrei smesso di seguirla ma, non so il
perché, volevo
saperne di più. E questa volta, non era solo per la
competizione scolastica. Volevo
scoprire da dove arriva quella sua rabbia e quella sua tristezza. Mi
alzai
rapidamente e, altrettanto rapidamente, scesi dall’autobus. E
la seguì.
Note:
La
rissa… ho adorato scrivere quel pezzo…
d’ora in poi,
la storia si farà più seria e nel prossimo
capitolo molti quesiti verrano
risolti. Spero, come sempre, che il capitolo vi sia piaciuto! Ciao ciao!
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Capitolo 5 *** CAP.5 PUZZLE ***
CAP.5
PUZZLE ___
È molto strano. Fino a ieri la seguivo per un
motivo ben preciso, ovvero
scoprire quando e quanto studia. Ma ora… quello che mi ha
detto Lysandro mi ha
un po’ scosso, lo ammetto. Cosa si nasconde dietro quei
muscoli che, quasi ogni
giorno, si sforzano per farla sfogare su un sacco da box? Cosa vedono
quegli
occhi di smeraldo per renderla così triste? Cosa deve
sopportare quel piccolo
corpo di ragazza diciottenne per covare tutta quella rabbia? Cosa la
spinge a
studiare così tanto in così poco tempo libero? E
perché quella piccola tigre,
attirava così tanto la mia attenzione
all’improvviso? Sentivo che i miei
sentimenti stavano cambiando. È come se mi fossi levato una
pellicola che mi
impediva di vedere. Prima di adesso, ho sempre pensato che Leah fosse
una ragazzaccia,
una maleducata menefreghista con il solo scopo di mettermi in ridicolo,
ma da
quando mi sono deciso di seguirla è cambiato tutto. Ho
iniziato a vederla con
occhi diversi e ho notato certi suoi comportamenti che mi hanno
sorpreso, certe
sue abitudini ed atteggiamenti che non avrei mai immaginato. Inoltre,
senza
volerlo, iniziai a vederla come una ragazza.
E
ora sono qui, nella hall dell’ospedale a una trentina
di metri da lei, a spiarla nascosto dietro una macchinetta di merendine
mentre
parla con un medico, lo stesso dell’altra volta.
Avrà una trentina d’anni,
capelli neri e corti, la barba ben curata e il fascino tipico di un
giovane
medico. Sembra avere molta confidenza con quest’ultimo, come
se si conoscessero
da anni. Li vedo di profilo e l’espressione di lei non
è delle più felici, ma
nemmeno tanto triste. Non riesco a sentire quello che si dicono, ma
riesco a
leggere qualche parola seguendo il labiale del dottore:
“… ieri … non stancarlo
troppo … ti accompagno.” Lui appoggiò
una mano sulla spalla di lei e si
diressero verso l’ascensore dove il dottore premette il
pulsante di richiamo.
Hanno così tanta confidenza da toccarsi così
tranquillamente? Che sfacciato.
-
Scusami, ragazzo. Ma posso sapere che cosa stai
facendo? -
Sobbalzai.
Che cavolo di spavento! Avevo il cuore a mille
mentre guardavo l’anziana signora vestita in rosa che avevo
davanti e che mi guardava
da sopra gli spessi occhiali con le sopracciglia aggrottate. Ma che
vuole?
-
Buona sera, signora. Ha bisogno di qualcosa? -
-
Si. Che tu mi dica cosa stai facendo. Hai l’aria
sospetta. - E mi fissò riducendo gli occhi già
piccoli in due minuscole fessure.
Sospetto? Io? Stavo solo spiando… ah, si giusto…
-
Ma no, signora. Sto solo… -
-
Guarda che chiamo la polizia! -
-
M-ma no! Mi sto solo appoggiando alla macchinetta.
Anzi, guardi, me ne vado subito. -
Mi
diressi verso il centro della hall tentando di
dimostrare una certa non-chalance e sentì la signora
borbottare qualcosa. Per
fortuna che Leah e il dottore erano entrati nell’ascensore e
non mi hanno
visto. Certo che non sanno proprio farsi i fatti loro, i
vecchi… Senza smettere
di camminare, guardai a che piano erano diretti ed andai verso le scale
(con
estrema calma in modo da non insospettire la signora che, ne ero certo,
mi
stava ancora fissando) e appena fui lontano dalla visuale della
signora, iniziai
a correre. Fortunatamente dovetti salire solo tre rampe di scale, ma
non sono
propriamente in forma e mi piegai a riprendere fiato appena giunto
davanti
l’ingresso del reparto di… cardiologia?
Cardiologia… perché questo nome mi
dette un senso di dejà-vu? Scossi la testa, mi ripresi ed
entrai giusto in
tempo per vedere Leah entrare in una stanza col medico.
Chissà perché sono
venuti qui. Beh, lui sarà il medico di reparto, ma lei?
Quindi era qui che
l’altra volta era venuta? L’altra volta…
si, quando io andai al pronto soccorso
e quell’infermiera mi parlò di uno Smith
ricoverato in cardiologia… infantile…
un momento: infantile? Sollevai lo sguardo per leggere la targa sulla
quale
c’era scritto il nome del reparto e mi resi conto che quello
era davvero il
reparto di cardiologia infantile. E fu
quest’ultima parola a colpirmi. Appena la lessi,
sentì come una scossa e il
cuore iniziò a battere forte. Avevo una stranissima
sensazione. Iniziai ad
avere l’affanno (e non era dovuto per la corsa), le mani
tremavano e non
riuscivo a muovermi, ero lì impalato a fissare la targa, poi
spostai lo sguardo
alla porta della stanza dove Leah e il dottore erano entrati pochi
secondi
prima. Era la stanza numero 2 e sulla targhetta era inciso un nome che
non
riuscivo a leggere, o che non volevo leggere (la distanza non era molta
da impedirmi
di farlo). La mia mente lavorava ad un ritmo piuttosto lento, una
persona
normale ci sarebbe già arrivata molto tempo prima. E io che
mi vanto tanto dei
miei voti alti! Sembrava che stesse fumando. Poi, finalmente, i pezzi
del
puzzle iniziarono a combaciare.
Nicholas
Smith, ecco il nome che mi disse l’infermiera…
questo tipo ha lo stesso cognome di Leah. Quindi sono parenti?
Cardiologia
infantile… un bambino? Quindi sono… cugini? No,
non cugini… mio Dio… decisi di
avvicinarmi alla porta e ci riuscì, anche se molto
lentamente. Non sono mai
stato così in ansia prima d’ora. Dopo un tempo che
mi sembrò infinito, mi
ritrovai a pochi passi dalla porta e riuscì a leggere il
nome sulla targhetta :”Nicholas
Smith”. Mi fermai e sentì il medico, Leah e un
bambino parlare. La voce del
bambino era chiara e limpida. Sembrava allegro, molto felice, nono
stante il
posto in cui si trovava.
-
Allora Nick, gli esami di oggi sono andati bene, ma la
passeggiata di ieri ti ha affaticato. Quindi, questa sera, starai poco
tempo in
giro e andrai a dormire presto. -
-
Ma uffa! Io non voglio dormire! -
-
Dai Nick, niente capricci. A Leah non piacciono,
giusto? -
-
Giusto. - Sentì una sedia spostarsi e qualcuno alzarsi.
-
Su, mettiti la felpa. Così andiamo. -
-
Ooook sorellona! -
Mi
sentì mancare. Sorellona? Nicholas è il fratello
di
Leah? Merda! Indietreggiai e mi allontanai appena in tempo: Leah
uscì dalla
stanza con il fratello mano nella mano e il dottore subito dietro di
loro.
Preso dall’agitazione, cercai un posto dove nascondermi e
vidi un posto libero
su una panchina in mezzo a due signore. Mi sedetti di corsa e,
altrettanto
rapidamente, presi un giornale e lo aprì fingendo di
leggere. Li sentì
avvicinarsi e il ding dell’ascensore mi fece capire che
stavano per andare.
Sbirciai da sopra il giornale. Nicholas doveva avere tra gli 11 e i 13
anni,
era alto per quell’età ed era un sorriso unico.
Indossava un pigiama blu e
delle scarpe da tennis, al braccio sinistro aveva attaccata una flebo
appesa ad
una stampella in acciaio che tirava con la stessa mentre la destra
teneva
quella della sorella. La felpa che indossava era aperta fino a
metà addome, in
modo da lasciar uscire dei cavi che entravano in un’apertura
del marsupio che
portava alla vita. I suoi occhi nocciola riflettevano la sua
felicità
nell’avere con sé la sorella con la quale
chiacchierava allegramente (di
figurine di Mr. Metal, il supereroe del momento).
Quest’ultima, gli accarezzava
dolcemente la testa pettinandogli i corti capelli di un viola intenso.
Come
sempre, mi soffermai su di lei. Era di spalle e non la vidi in faccia,
ma dal
tono di voce percepì una certa allegria mista a una punta di
tristezza. Ci
credo, nemmeno a me piacerebbe vedere Ambra in quella situazione. Dopo
un
ultimo controllo del medico agli elettrodi alla quale erano attaccati
un’estremità dei cavi, i due fratelli entrarono
nell’ascensore e scesero al
piano terra. Io rimasi seduto, preferì lasciarli soli.
Appena il medico si
allontanò, mi accasciai alla panchina e appoggiai la testa
al muro dietro di me
e fissai il soffitto. Mi sentivo male. Lysandro aveva ragione,
ciò che ho visto
non mi ha fatto piacere. Anzi, sentivo una fitta allo stomaco che mi
faceva
sentire un verme. I pezzi del puzzle andarono al loro posto e mi
sentì
svuotato, in colpa e veramente giù di morale. Ecco le
risposte a tutte le mie
domande, finalmente le avevo trovate. Ero felice di questo? No. Certo
che no.
Povera Leah, che situazione difficile. Ecco perché i
professori la coprivano
per i suoi ritardi. Ecco perché la Direttrice si
arrabbiò molto quel giorno. Ed
ecco perché sulla sua scheda di iscrizione non
c’era scritto nulla di questa
situazione. Ecco spiegata la rabbia e la tristezza.
Dopo
qualche minuto, mi ripresi e decisi di andarmene.
Chiamai l’ascensore, entrai e scesi al piano terra. Appena
arrivò a
destinazione e aprì le porte, uscì subito
dall’ospedale senza guardarmi in
giro, senza cercarla. Non avevo il coraggio di affrontarla ora.
Salì
sull’autobus ed andai dritto a casa, ignorando mia madre
(esasperata dal mio
ritardo, dalla mia faccia livida e dalla telefonata da scuola che
ricevette) e
mia sorella che si lamentava del suo enorme problema:
l’unghia finta saltata.
Se solo sapesse quali sono i veri problemi della vita. Altro che
l’unghia finta
che si stacca! Entrai in camera e chiusi la porta. Appoggiai la
tracolla sulla
scrivania e mi buttai sul letto a pancia in giù. Ero
esausto, sfinito da quella
scoperta. Tutto avrei potuto immaginare, ma non una situazione del
genere. Mi
morsi la lingua fino a sentire il sapore ferruginoso del sangue,
punendomi per
le cattiverie che ho sempre pensato di lei. Che razza di situazione.
Che razza
di verme schifoso sono… insultandomi all’infinito,
finì per addormentarmi. Ma
il sonno non durò a lungo. Verso le 3, mi svegliai per la
fame. Mi sedetti sul
letto stiracchiandomi e tenendomi l’addome per il dolore (mi
ero scordato della
rissa con Castiel). Decisi di farmi una doccia, così presi
il pigiama e
m’infilai in bagno. Appena mi tolsi la felpa e la maglia,
vidi un bel livido
sull’addome. Sorrisi appena: quell’idiota picchia
duro. Mi guardai meglio allo
specchio: non avevo una bella cera, era palese che quelle poche ore che
ho
dormito non mi hanno affatto aiutato. Il labbro spaccato aveva fatto la
crosta
e il taglietto allo zigomo era nascosto da un livido. Ci credo che
quella
signora mi ritenesse “uno sospetto”, con questa
faccia! Speravo che la doccia
mi avrebbe aiutato, ma non fu così. Peccato.
Dopo
la doccia, andai in cucina e curiosai nel frigo.
Presi gli avanzi della cena (riso e piselli), li scaldai al microonde e
mi misi
a mangiare. Nonostante la fame, il pensiero della mia scoperta non mi
fece
mangiare molto. Mi ritrovai a fissare il piatto di riso senza vedere
realmente
ciò che osservavo, con la forchetta a mezz’aria.
Avevo ancora nella mente il
sorriso felice di quel bambino e la voce di Leah.
All’improvviso, sentì
qualcuno schiarirsi la voce e sobbalzai alzando lo sguardo. Era mia
madre,
seduta di fronte a me, che mi guardava con aria preoccupata.
-
Tutto bene, Nath? -
Abbassai
la forchetta e annuì. Ripresi a mangiare con lo
sguardo di mia madre che si spostava osservando il mio viso.
-
Mi dici cosa succede? -
Non
risposi. Non avevo voglia di parlare. Dopo pochi minuti,
mia madre sospirò e si passò le mani sul viso.
Alzai lo sguardo su di lei.
-
Nath, ti prego. Il ritardo di ieri sera, la telefonata
di scuola, un altro ritardo questa sera… la tua faccia
livida… insomma, mi sto
preoccupando, sai? -
-
…. Scusa… -
-
Tesoro, con me puoi parlare. Vuoi? -
La
guardai. Mi incitava a parlare con lo sguardo. Era
davvero preoccupata, ma non volevo spiegarle tutta la situazione.
Così sospirai
e riordinai le idee. Poco dopo, risposi.
-
Per la rissa di oggi, sono stato provocato da Castiel.
Mi sono semplicemente difeso. Per i ritardi…
ecco… ho fatto delle ricerche e ho
scoperto che una mia compagna di classe ha un serio problema familiare.
Ci sono
rimasto male, perché non me l’aspettavo e adesso
non so come comportarmi, dato
che non avrei dovuto saperlo. -
-
Lei lo sa che l’hai scoperto? -
Scossi
la testa. Sia io che mia madre rimanemmo in
silenzio e io ebbi il tempo di finire il piatto di riso. Mi alzai, lo
lavai e
riposi tutto. Anche mi madre si alzò.
-
L’unica cosa che posso consigliarti, è di fare
come se
nulla fosse. Se lo vorrà, sarà lei a parlartene.
Resta il fatto che hai
volutamente invaso la sua privacy e questo è un reato. Ma se
lo hai fatto,
avrai avuto i tuoi motivi, quindi non ti punirò. -
Non
mi sollevò molto il morale, ma almeno non mi sono
beccato una punizione anche a casa. Lei percepì che il mio
umore era ancora
nero, così mi abbracciò.
-
Tesoro mio, sei sempre stato un ragazzo empatico. È
vero che sarà lei a parlartene, se lo vorrà, ma
tu puoi aiutarla lo stesso. -
-
E come? Lei non mi sopporta. -
-
Beh, ci sarà pur qualcosa che puoi fare per lei, no? -
Qualcosa?
Beh… in effetti, per espiare le mie colpe,
potrei farle da sacco da box per davvero.
-
Forse. Ci devo pensare. Ora è meglio che vada a
dormire, mamma. Grazie. -
-
E di che? Buona notte. -
Le
sorrisi e mi diressi in camera. Qualcosa che potrei
fare per lei?
Note:
Ammetto
di aver avuto paura a trattare un argomento
medico. Dato che io non sono medico, né sto studiando
medicina, spero di non
aver commesso qualche errore. In tal caso, avvertitemi e perdonatemi!
(soprattutto se qualcuno di voi studia medicina o lavora nel campo).
Nathaniel
è preso dai rimorsi. Che farà? Alla prossima!
Ciao ciao!
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Capitolo 6 *** CAP.6 OGNI COSA HA IL SUO PREZZO ***
CAP.6
OGNI COSA HA IL SUO PREZZO ___
I successivi cinque giorni furono duri. Smisi
di pedinare Leah e tornai a lavorare come Segretario Delegato, sperando
che il
lavoro potesse distrarmi, cosa che non avvenne. Sperai che almeno le
ore di
punizione avessero questo potere, ma anche stavolta mi sbagliai. Leah e
Nicholas erano il mio pensiero fisso, e con loro, la mia sensazione di
enorme
disagio. Non avevo il coraggio di guardarla in faccia e
perciò la ignorai,
sperando di trovare un’idea per farmi perdonare e aiutarla in
qualche maniera.
Ma i giorni passarono e arrivò novembre quasi senza che me
ne rendessi conto, e
senza che mi venisse in mente niente.
Era
mattino e mi stavo dirigendo verso l’ingresso di
scuola. Era una giornata veramente fredda e sentivo il naso ghiacciato,
così lo
coprì con la sciarpa e mi strinsi nel cappotto pensando
all’imminente ripasso
di storia. Finito dicembre, sarebbe finito anche il trimestre ed
eravamo pieni
di verifiche e interrogazioni. Stavo per aprire il portone, quando Leah
mi
precedette aprendolo per entrambi. Io restai come un idiota con la mano
a
mezz’aria a fissarla stupito. Il mio stomaco si fece sentire,
stringendosi in
una morsa. Lei inclinò la testa di lato.
-
Beh? Non entri? -
Mi
resi conto che avevo la bocca aperta per lo stupore.
La chiusi ed entrai, seguito dalla ragazza. Preso da un sospetto,
guardai
l’ora.
-
Sono le 7.50. -
-
E quindi? -
Sobbalzai,
stupendomi nel trovarmela lì vicino e,
istintivamente, mi allontanai. Lei mi guardò alzando un
sopracciglio.
-
Beh… è presto… per te intendo. No,
cioè… - Ma che
diavolo? Mi grattai la testa imbarazzato e lei rise. La guardai
stupito: ha
riso per la mia gaffe?
-
Lo sai, sei divertente, tutto sommato. Dai, andiamo. -
E
mi precedette verso la classe. È davvero minuta, e
sotto quel piumino e con il borsone da box a tracolla lo sembrava
ancora di
più. Sorrisi e la raggiunsi. Fu davvero strano vederla
arrivare in classe per
prima, ma sapevo che non dovevo abituarmici. Probabilmente, i suoi
ritardi
erano dovuti al fatto che andava dal fratello. Chissà
perché oggi no. Appoggiai
la tracolla al banco, mi tolsi sciarpa e cappotto e li appesi
all’appendino
sotto lo sguardo vigile di Leah. Mi voltai verso di lei.
-
Hai bisogno di qualcosa? -
-
Mh… no, non direi. -
Ah
no? Detto questo prese (per la prima volta in cinque
anni!) il libro di storia e iniziò a ripassare. Ma che
diavolo succede oggi?
Ero veramente allibito! Ripassò fino all’inizio
delle lezioni e quando il prof
entrò, quasi non fece cadere la sua borsa dallo stupore.
Oggi sarà una giornata
strana.
A
parte durante il suo ripasso, non mi tolse gli occhi di
dosso per tutto il tempo. Quindi è questo che si prova
quando si è osservati?
Beh, chi la fa l’aspetti, dicono, per questo non dissi o feci
niente (per la
cronaca, ad entrambi l’interrogazione è andata
bene). Quando suonò la campana
dell’intervallo, la vidi frugare nella sua borsa ed estrarvi
un pacchettino
regalo per poi correre fuori dall’aula. A chi deve dare quel
regalo? Curioso,
mi concessi per l’ultima volta un pedinamento, ma non dovetti
fare molta strada.
Lei, l’idiota e Lysandro erano a pochi metri
dall’aula e lei porgeva a
quest’ultimo il pacchetto.
-
Buon compleanno Lys! -
-
Oh, grazie Lee. Sei stata gentile. -
-
Ehi! E a me non mi ringrazi? -
-
Aah, stà
zitto Cass. Finalmente 18 anni! - E lo abbracciò sorridendo
felice. Lysandro
non sembrava né imbarazzato o altro. Anzi,
ricambiò l’abbraccio cingendola a
livello della vita. Non so perché, ma quel gesto
m’irritò parecchio. Digrignai
i denti, e mi diressi verso la Sala Delegati dove il lavoro mi
attendeva.
Rimasi a lavorare per le due ore di lezione successive per poi riunirmi
alla
mia classe per l’ultima ora: quella di educazione fisica.
Mentre mi cambiavo
nello spogliatoio, osservai Lysandro. Non credevo che lui e Leah
avessero così
tanta confidenza. Ci sarà qualcosa sotto? Non è
che stanno insieme? Ma a parte
l’abbraccio, non li ho mai visti in atteggiamenti equivoci.
C’è anche da dire,
che lui non mi sembra un tipo da mostrare a tutti certi atteggiamenti
(di
certo, non come quell’idiota: per lui la parola
“privacy” non esiste).
-
Nathaniel? Tutto bene? -
Scossi
la testa. Lysandro si è accorto che lo fissavo.
Mmh… imbarazzante.
-
Si, scusa. È che non ho potuto fare a meno di sentire
che oggi compi gli anni. Ti volevo fare gli auguri. -
-
Beh, grazie. -
-
Di nulla. Sono 18, giusto? -
-
Giusto. -
-
Finalmente la maggiore età. -
-
Già. -
Lysandro
è un tipo di poche parole. Questo suo lato del
carattere, mi è sempre piaciuto. Ma oggi, era in vena di
chiacchiere. Sarà
l’entusiasmo del compleanno, chiunque non vede
l’ora di compiere i 18 anni!
-
Tu, invece, quando li compi? -
-
A febbraio. Ma i 18 li ho già fatti. -
-
Quindi tra poco ne fai già 19. -
-
Eh già. -
-
Accidenti… ogni volta mi sembra di arrivare ultimo a
una gara. - Risi.
-
Si, in effetti compiere gli anni negli ultimi mesi
dell’anno può fare quest’effetto. -
Oggi
è proprio una giornata strana. Decisi di aspettare
che anche Lysandro si mettesse la tuta (ci mette una vita solo per
togliersi
tutta quella roba che indossa, figuriamoci al mattino quando si veste!)
e nel
mentre, non smettemmo di chiacchierare.
-
Comunque, tornando al discorso dei compleanni, Leah è
messa peggio di tutti. -
-
Perché? -
-
Lei è nata il 30 dicembre. -
-
Ah si? Credevo che il suo compleanno fosse già passato.
-
-
Oh no. Quest’anno, io e Castiel vorremmo festeggiarla a
dovere. Mi chiedevo se volevi partecipare anche tu. - Eh?! Io? Ma che
dice?
Lysandro notò il mio stupore e alzò le
sopracciglia.
-
Perché quell’espressione? Non siete diventati
amici? -
-
Ma chi? Io e lei? Oh no! L’unica volta che ho avuto uno
scambio di battute con lei dopo quella famosa volta, è stato
stamattina, ma per
il resto non ci filiamo molto. -
-
Ah, è così? Mmh… curioso. - E si
chiuse nei suoi
pensieri. Direi che la conversazione è conclusa.
Perché quell’invito? E perché
dovrebbe pensare che io e lei siamo amici? Qui qualcosa non
torna…
Pochi
minuti dopo, iniziò la lezione. Il professore ci
spiegò la lezione del giorno: stretching e corsa fuori. Dopo
i lamenti delle
ragazze riguardo la bassa temperatura stagionale (tranne Leah, che
tutto era
tranne che demotivata), il professore iniziò a illustrarci
gli esercizi di
stretching da fare e tutti iniziarono a mettersi a coppie (le solite,
tra
l’altro). Ma il professore ci fermò.
-
Eh no. Stavolta le coppie le decido io! Vi mettete
sempre coi soliti, ma dovete confrontarvi con forze differenti. Quindi,
maschi
con femmine! -
Poco
male. Stavo sempre in coppia con una ragazza, dato
che non ho legato particolarmente con qualche ragazzo della classe. Ma,
a
quanto sento, gli altri non sono d’accordo. Il professore
iniziò ad accoppiare
i miei compagni ignorandoli (vidi Violet diventare bordeaux
perché venne
accoppiata a Lysandro… più che altro
perché Lysandro è una montagna a suo
confronto).
-
Poi… vediamo… Nathaniel con Leah. -
Spalancai
la bocca. Io e Leah?! Mi voltai a guardarla e
lei ricambiò lo sguardo con un sorriso strano. Io
deglutì. La vedo male.
Dopo
aver preso e sistemato i vari materassini, io e Leah
iniziammo gli esercizi. I primi erano dei semplici allungamenti delle
braccia e
delle gambe in solitaria, poi iniziarono gli esercizi a coppie: uno
seduto a
gambe aperte e l’altro lo spingeva in avanti il
più possibile, poi schiena
contro schiena le braccia dell’uno incrociate a quelle
dell’altro per poi, a
turno, piegarsi in avanti e sollevare l’altro di peso (non mi
sorprese il fatto
che Leah riusciva a sollevare i miei 70 chili senza particolare
fatica). Mentre
eseguivamo quest’ultimo esercizio, mi divertii ad osservare
Violet e Lysandro
provare a fare lo stesso esercizio; Violet è di poco
più bassa di Leah, ma non
ha di certo la sua stessa forza. Poverina, capitare con un colosso come
Lysandro. Risi piano per non farmi sentire da loro, ma Leah mi
sentì.
-
Ehi. Non si prendono in giro le persone alle spalle. -
-
Ma dai. Fanno ridere. -
-
Non mi interessa. Falla finita. - Ehi… che il fattore
altezza
sia un tasto delicato? Sbuffando (e sorridendo senza farmi notare),
continuai
con gli esercizi in silenzio. Devo dire che l’ansia che mi ha
accompagnato in
questi giorni è sparita… da quando lei mi ha
rivolto la parola stamattina.
Strano. Ma questo non toglie il fatto che mi sento ancora
incredibilmente in
colpa. Lo so, dovrei dirglielo, ma non ne ho il coraggio. Non so come
potrebbe
reagire (anche se una mezza idea ce l’ho… sacco da
box!) e le parole di
Lysandro le ho ancora stampate in mente. Maledico la mia
curiosità!
La
lezione finì e io e Leah fummo incaricati di sistemare
nello sgabuzzino i vari materassini utilizzati. Da bravi alunni,
sistemammo
tutto, ma appena provai a uscire dalla stanzetta per andare nello
spogliatoio a
cambiarmi, Leah mi afferrò il braccio fermandomi.
Sentì come una scossa ed ebbi
veramente paura che mi prendesse a pugni. Ma, fortunatamente, non fu
così.
-
Ora che siamo soli, mi dici perché quel giorno mi hai
seguita? -
Con
“quel giorno” intende quando mi ha beccato? Credo
di
si. Altrimenti non sarebbe così calma. Ma perché
chiedermelo ora? Mi voltai e
la guardai. Il suo viso non trasmetteva nessuna emozione, era
inespressivo e mi
guardava attendendo una risposta. Formulai bene la frase nella mia
mente, prima
di rispondere.
-
Perché volevo scoprire quando e per quanto tempo
studiavi, per avere una media come la mia. È una motivazione
ridicola, dettata
dal mio orgoglio. Mi dispiace e ti chiedo scusa. -
Mi
fissò a lungo. Sembrava stupita dalla mia risposta (lo
sarei anch’io al suo posto, ammettiamolo, è una
motivazione ridicola!). Poco
dopo sbuffò e lasciò il mio braccio.
-
Sei un’idiota. Un emerito idiota. Potrei denunciarti,
lo sai? - Sentì il cuore mancare un battito.
-
Si. Lo so. -
-
E non hai paura? -
-
Certamente. Ma il danno è fatto e tu sei libera di fare
ciò che vuoi. -
Ecco.
Adesso diventerò “Nathaniel, il nuovo modello di
sacco da box”. Mi stavo preparando psicologicamente, ma lei
mi stupì.
-
E invece non lo farò. - E si sedette su una pila di
materassini. Io la guardai allibito.
-
Co-come scusa? -
Lei
sorrise e battè la mano sul materassino indicandomi
di sedermi vicino a lei. Ubbidì. Non smise di guardarmi un
solo istante senza
smettere di sorridere.
-
Avanti. Fatti coraggio e chiedimi quello che vuoi
sapere. -
La
guardai di soppiatto. C’è qualcosa sotto, qualcosa
di
strano. Qual è il suo obiettivo? Stavo per ribattere, ma lei
m’interruppe di
nuovo.
-
Sappi che ogni cosa ha il suo prezzo, perciò scegli
bene le tue domande. -
Non
so se è una trappola o se all’improvviso lei si
è
ammattita, ma quando mi ricapita un’occasione simile? Le
sorrisi.
-
Ok, ci sto. -
Note:
Il
capitolo dopo è il mio preferito, per ora. Leah sta
uscendo allo scoperto e la cosa mi piace molto! E a voi? Ciao ciao!
|
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Capitolo 7 *** CAP.7 IL LATO OSCURO ***
CAP.7
IL LATO OSCURO ____ -
Ho
due domande. La prima racchiude la maggior parte dei
miei dubbi.
-
Sentiamola. -
Mi sistemai
meglio sulla pila di materassini. Non
riuscivo a credere che avrebbe risposto a tutte le mie domande! E ho
davvero il
sospetto che ci sia qualcosa sotto, ma ormai è tardi per
tornare indietro.
- Come fai
ad organizzarti? Voglio dire, vai a scuola,
lavori fino a chiusura, vai alle prove della band… tutto
questo ti porta via
molte ore, come ti organizzi con lo studio? -
- Sto
attenta alle lezioni, prima di tutto. E poi studio
durante gli allenamenti, il mio allenatore è un professore
di liceo in pensione
e mi aiuta. - La guardai stupito.
- Cavolo! E
riesci a fare queste due cose insieme? Beh,
complimenti! - Lei rise. Ho detto qualcosa di comico?
-
Già. Dimenticavo che voi uomini non riuscite a fare due
cose contemporaneamente. -
Ah,
ecco… il solito pregiudizio. Aggrottai le
sopracciglia e la guardai imbronciato. Lei mi sorrise. Sembrava che la
situazione la divertisse e la cosa mi faceva piacere. Quei sorrisi
divertiti li
ha solo con me e la cosa mi rende estremamente orgoglioso.
- E questa
è una. L’altra domanda? -
Mi morsi il
labbro. Non potevo chiederle che aveva il
fratello per essere ricoverato in cardiologia infantile. Dovevo
aggirare l’argomento
senza farle capire che io sapevo di lui. Non era ancora il
momento… ma, a
pensarci bene, quando mai lo sarebbe stato? Se fossi al suo posto, mi
arrabbierei in qualsiasi momento. Quindi, è meglio togliermi
questo peso di
dosso ora? O è meglio aspettare, magari una volta presa
maggior confidenza? Non
lo so… Spero solo di aver preso la scelta giusta. La guardai
e dalla mia
espressione capì che stavo per chiederle qualcosa di molto
serio, perché vidi
il suo bellissimo sorriso svanire sostituito da
un’espressione più seria.
Chissà, forse aveva intuito qualcosa.
-
Perché fai tutto questo? -
Lei non
rispose subito. Alzò leggermente il volto e vidi
un’ombra comparire nei suoi occhi, capì che stava
pensando al fratello. Mio
Dio, ma che cosa è successo a quel bambino? Sentì
un improvviso bisogno di
abbracciarla, di consolarla, ma non lo feci. Non è una
ragazza a cui piacciono
simili smancerie. Distolse lo sguardo da me e iniziò a
fissare il muro di
fronte a noi e, con la sua solita voce triste, mi rispose.
- Non ti
rispondo. Non ora, almeno. -
- Si.
Capisco, non insisto. - Cadde il silenzio. Leah non
smise un secondo di fissare il muro e io di sentire lo stomaco
sottosopra.
Avevo un groppo alla gola che mi impediva di pronunciare qualsiasi
parola o
emettere qualunque suono. Il bisogno di abbracciarla si fece
più intenso e non
riuscivo a capire il perché, voi si? A un certo punto, Leah
inspirò
profondamente e si alzò stiracchiandosi. Nel farlo, la
maglietta si alzò di
qualche centimetro lasciando intravedere parte della schiena e parte di
quello
che sembrava un tatuaggio. A quella vista sentì il cuore
mancare un colpo e una
sensazione strana allo stomaco. Ma che diavolo ho?
- Ho deciso.
-
- Eh? Che
cosa? - Deglutì e lei si voltò verso di me con
la sua solita espressione strafottente.
- Il prezzo
per l’unica risposta che ti ho dato. -
- E sarebbe?
-
Si
piazzò davanti a me sporgendosi in avanti e
appoggiando le mani sulla pila di materassini, precisamente ai lati dei
miei
fianchi. Io mi irrigidì nel vedere il suo viso
così vicino e sentì le guance
farsi più calde. I suoi occhi… le
labbra… oddio, sento il suo profumo… mi fa
girare la testa.
- Voglio
vedere il tuo lato oscuro. -
- Co-come?
Il mio… lato oscuro? -
- Esatto.
Per questo motivo, d’ora in poi sarai il mio
schiavetto personale. Mi seguirai ovunque e mi obbedirai in qualsiasi
evenienza. -
Ha detto
“schiavetto”? Che cavolo voleva dire? Le dovevo
obbedire? Lei rise per la mia espressione, ma non era una risata
divertita.
Era… esiste una risata sadica?
- Volevi
seguirmi? Ora hai l’occasione di farlo col mio
permesso. -
- Si,
ma… che intendi con “lato oscuro”? -
- Ti osservo
da anni e sei sempre stato un bravo ragazzo,
ligio al dovere. Un perfettino, insomma. Non ti ho mai visto nervoso,
irritato
o arrabbiato e il giorno della zuffa con Cass ti sei trattenuto. Non
hai
sfogato appieno la tua rabbia. -
- Ma che
dici? Se gli ho lasciato un livido sulla faccia
per un’intera settimana! -
- Vero. Ma
ti sei comunque trattenuto. -
- Ovvio. La
violenza non risolve nulla. -
- Non fare
l’idiota. Lo so che ti è piaciuto fare a pugni
con lui. -
Mi
zittì. In effetti, quel giorno provai un’emozione
che
poteva paragonarsi al piacere. Ma che dico? Io sono Nathaniel! Il
segretario
delegato, lo studente migliore del liceo! Non possono piacermi simili
situazioni! La afferrai per le spalle nel tentativo di scostarla, ma
lei le
allontanò e approfittò del mio precario
equilibrio per sdraiarmi a forza sopra
i materassini dov’ero seduto per poi mettersi a cavalcioni
sopra di me. Mi
teneva saldamente per le spalle e mi guardò con uno sguardo
terribilmente
seducente e… la mia reazione fu spontanea. E lei lo
sentì. Un momento… che… che
sta succedendo? Avvicinò ancora di più il suo
viso scostando le mani dalle
spalle e poggiando gli avambracci al mio petto. Ormai era vicinissima,
e il suo
profumo mi stava stordendo. Sentivo il suo respiro su di me e il calore
del suo
corpo invadermi. Non riuscivo ad allontanarla. E per quale cavolo di
motivo
avrei dovuto farlo? All’improvviso, mi afferrò per
i capelli costringendomi ad
alzare il mento e lasciare scoperto il collo. Si avvicinò al
mio orecchio e,
sussurrando, mi disse ciò che avrebbe cambiato la mia vita
da quel momento in
poi.
- Voglio
vedere la tua ira, il tuo odio. Voglio vederti
buttarlo fuori, sfogarti, arrabbiarti. Mi hai già dimostrato
fin dove ti spingi
per l’invidia e per il tuo fottuto orgoglio, ora voglio
vedere gli altri tuoi
sei peccati capitali. Voglio il tuo lato oscuro! -
Detto
questo, iniziò a baciarmi l’orecchio per poi
scendere al collo, iniziando anche a leccarlo e a morderlo. I suoi
morsi mi
facevano male, ma mi provocavano anche un piacere che non so
descrivere. Non mi
trattenni più e l’afferrai per i fianchi spingendo
il suo bacino contro il mio,
facendole sentire la mia eccitazione, ma prima che potessi fare altro,
mi diede
un morso più forte facendomi gemere dal dolore. Quel dolore
mi rese più lucido
e le lasciai i fianchi. Lei si tirò su e mi
fissò, sembrava soddisfatta.
Sorrise e scese, mentre io mi rimisi seduto. Entrambi avevamo
l’affanno. Poi
lei si voltò verso di me sogghignando.
- A domani,
biondino. -
La guardai
andare via. Appena uscì dallo sgabuzzino,
abbandonai la testa all’indietro sospirando sonoramente e
deglutì. Avevo la
gola asciutta per colpa dell’affanno.
-
Avevo ragione, oggi è proprio una giornata strana. -
|
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Capitolo 8 *** CAP.8 FALL IN LOVE ***
CAP.8
FALL IN LOVE ___
I nostri corpi si intrecciavano. Faceva caldo.
Terribilmente caldo, ma
non ci importava, il piacere che provavamo ci estraniava dal resto del
mondo.
Lei gemette e lo feci anch’io. Le afferrai le mani e le
portai sopra la sua
testa. Lei alzò una gamba e la appoggiò dietro la
mia schiena, io la aiutai
afferrandole la coscia con la mano libera mentre le baciavo il collo.
Il suo
profumo inebriava la stanza e mi riempiva le narici facendomi
impazzire.
Accellerai i movimenti e la sentì irrigidirsi e inarcare la
schiena. Tentava di
liberare le mani dalla mia stretta ma non mollai la presa. I suoi
gemiti si
facevano sempre più insistenti. All’improvviso,
urlò il mio nome dal piacere e
sentì un “driin driin” in sottofondo. Lo
ignorai e mi concentrai su di lei. Ma
quel suono si fece sempre più insistente finchè
lei sbuffò e mi disse
-
Driin driin! - La guardai esterrefatto.
-
“driin driin”? -
E
mi svegliai. Ancora mezzo addormentato, alzai la testa
(era affondata nel cuscino) e mi guardai intorno nel tentativo di
vedere da
dove proveniva quel suono. La luce che filtrava dalle persiane mi dava
fastidio
costringendomi a sbattere ripetutamente le palpebre, ma
riuscì ad individuare
l’origine di quel suono: il cellulare. Stava squillando. Mi
misi seduto, lo
afferrai e guardai il display. Era Ambra. Sbuffando, premetti il tasto
verde e
le risposi.
-
Che c’è? -
-
Che diavolo, Nath! Stavi ancora dormendo?! -
-
Mmh… - Riuscendo a fatica ad aprire gli occhi, guardai
l’orologio sul comodino che segnava le 8.50. Era presto,
cavolo!
-
Che vuoi, Ambra? -
-
Ma sei idiota? Svegliaa!! Sono in stazione, ricordi?
Alza il culo, prendi la macchina e vieni qui! Tra 15 minuti arriva il
treno! -
Treno?
Quale treno? Ma che giorno era? Mi passai una mano
sul viso e sbadigliai.
-
Si si… arrivo. -
-
Dov’è la mamma? Ha finito con la spesa? -
-
Ma che ne so… non rompere, Ambra! - E chiusi la
chiamata. Mi alzai e, a mò di zombie, mi diressi in bagno
per lavarmi. Mia
sorella ha un’abilità incredibile nel rovinare i
miei momenti felici. A
proposito, che stavo sognando? Il mio amichetto è
particolarmente sveglio,
questa mattina. Alzai le spalle e mi lavai il viso con acqua fredda
(avevo
bisogno di svegliarmi). L’acqua mi aiutò a capire
che era sabato e che dovevo
raggiungere Ambra in stazione con nostra madre non appena lei fosse
tornata dal
supermercato. Asciugandomi il viso, mi guardai allo specchio e il segno
del
morso fu la prima cosa che notai. Accidenti! È estremamente
visibile! Era lì,
nell’incavo del collo, che esclamava “Ehi, Nath!
Hai fatto una porcellata ieri!
Ora lo scopriranno tutti i tuoi familiari!”. Eh no, non si
poteva vedere!
Fortuna che è inverno, con le felpe e la sciarpa non si
sarebbe visto… giusto? Tornai
in camera, mi tolsi il pigiama e mi vestì (jeans e felpa con
cappuccio senza
cerniera blu… no, niente camicia, è pur sempre
sabato!). Tirai indietro le
coperte e aprì finestra e persiane. Mi sporsi dalla finestra
per prendere una
boccata d’aria e vidi mia madre davanti al portone con due
borse della spesa.
La chiamai.
-
Nath, puoi scendere ad aiutarmi? -
-
Arrivo. -
Dopo
aver messo via la spesa e aver rifatto il letto,
presi portafoglio, infilandolo nella tasca posteriore dei jeans, chiavi
della
macchina e di casa e aspettai mia mamma che arrivò con un
mega sorrisone
stampato in faccia e tutta agghindata. Nel vederla così,
risi e lei arrossì.
-
Beh? -
-
Sembri un’adolescente con la sua prima cotta! -
-
Oh, ma smettila! - E mi tirò una sberla affettuosa alla
nuca. Scendemmo in garage e salimmo in auto (non prima di aver
controllato che
la sciarpa riuscisse effettivamente a coprire il segno del morso). Misi
in moto
e partimmo.
Oggi,
dopo tre mesi, sarebbe tornato mio padre da un
viaggio di lavoro e mia mamma era su di giri; non la smetteva
più di
chiacchierare e io tentavo di starle dietro, ma cercavo ancora di
ricordare il
sogno che avevo fatto stamattina.
-
Sei contento che tuo padre ritorni? -
-
Mh… si, è ovvio. -
-
Bugia. -
-
Mamma, è ovvio che sono contento. Ma… gradirei
che mi
lasciasse un po’ di spazio, per decidere da solo del mio
futuro. - Sospirò.
-
Lo so, Nath. Riconosco che è un uomo molto rigido. Ma
cerca di capire, lui lo fa per te. -
-
Si. Certo. -
Mio
padre è un uomo molto severo, soprattutto con me.
Forse perché gli ho sempre dato soddisfazioni dal punto di
vista scolastico, si
è impuntato che dopo il liceo dovessi iscrivermi a
giurisprudenza. Quante
litigate abbiamo fatto per questo motivo. Non voglio fare
giurisprudenza, quel genere
di materie non mi sono mai piaciute. A me piace la scienza. Chimica in
particolare, e biologia. Avrei tanto voluto laurearmi in farmacia, ma
lui lo
riteneva un lavoro degradante per me.
-
Giurisprudenza ti apre un mondo. Diventando avvocato,
col cervello che hai, avrai la strada spianata! Soldi, donne e
successo! E tu
mi dici che vuoi fare il farmacista? Un lavoro di così bassa
lega? Te lo
proibisco! -
“Te
lo
proibisco”…
la sua frase preferita che mi rivolge ogni volta che
affrontiamo il discorso. Ormai ci ho rinunciato e mi sono rassegnato
all’idea
di diventare avvocato. Che rabbia.
“Voglio
vederti buttarlo fuori, sfogarti, arrabbiarti.”
Le
parole che Leah mi rivolse ieri le avevo ancora in
mente. Era come se fosse lì e me le stesse ripetendo.
Già, il mio “lato
oscuro”.
Quello
che lei vuole.
Quello
che Leah vuole.
Leah.
Il
solo pensare a lei mi provoca una contrazione strana
allo stomaco. In più, per via di quello che successe ieri,
anche le mie guance
decidono ogni volta di fare a modo loro e arrossire. Ma questa volta,
mia madre
mi vide.
-
Ehi Nath, stai bene? -
-
Si si… sto bene, tranquilla. -
-
È da ieri che sei strano. È successo qualcosa? -
-
No, nulla. -
Sentivo
che mi stava osservando. Io finsi di non
accorgermene ponendo attenzione ad una coppia che attraversava la
strada sulle
strisce pedonali approfittando del semaforo rosso che mi costrinse a
fermarmi.
Appena scattò il verde, partì.
-
Nath? -
-
Si? -
-
Sei innamorato di una ragazza? - Sterzai all’improvviso
e un auto che procedeva nel senso opposto suonò il clacson.
Tornai rapidamente
in corsia e sentì l’intera faccia arrossire.
-
M-ma-mamma! Ti pare una cosa da dire?! - Stava ridendo
e agitando i pugni con aria vittoriosa.
-
Nath è innamorato, Nath è innamorato! -
-
Smettila! -
-
Oh andiamo! Non c’è mica niente di male! Allora?
Chi è?
-
-
Ma chi è chi?! Non sono innamorato! -
-
Ma che bugiardo! Avanti, confessa! -
-
Mamma piantala! Sto guidando! -
-
E allora? Oh, aspetta! Ho capito… è quella
ragazza di
cui mi hai parlato l’altra volta, vero? Quella che hai
pedinato! -
Aprì
la bocca nel tentativo di ribattere, ma non ci
riuscì. Perché mi tornò in mente il
sogno che feci. Oddio, ma sono un porco!
Avevo la faccia in fiamme e la mamma rise.
-
Stai tranquillo, tesoro. Innamorarsi è bellissimo. E dimmi,
ti ricambia? -
Strinsi
le labbra nel tentativo di darmi un contegno.
Quindi era così? Era davvero così? Mi ero
innamorato di quella… piccola tigre
ninfomane? Naa… non può essere. Però,
il fatto che continui a pensare a lei da
quell’episodio in prima liceo poteva significare che mi ero
innamorato di lei?
Ho sempre creduto che fosse semplice rivalità… ma
forse è qualcosa in più. Ecco
spiegate le contrazioni strane dello stomaco. Cavolo…
all’improvviso mi sento
triste.
-
No, mamma. Non mi ricambia. -
-
Oh. Non preoccuparti, Nath. Sii gentile e premuroso e
vedrai che si accorgerà di te. -
Gentile
e premuroso? Ah! Non è una ragazza così dolce e
tenera da piacerle simili smancerie. A lei piacciono i bulli come
Castiel.
Arrivammo in stazione e parcheggiai. Spensi l’auto e feci per
scendere, ma lei
mi fermò.
-
Sai, vidi tuo padre per la prima volta al liceo. Io ero
in seconda e lui in quinta. Mi innamorai subito di lui, quando lo vidi
giocare
a basket. Ho sempre avuto un debole per gli sportivi. - Papà
che gioca a
basket? Non l’avrei mai detto.
-
Lui non mi notò per anni, ma io non smisi mai di
volergli bene. Quando finì il liceo, trovai lavoro in una
caffetteria e un
giorno lo incontrai per caso. Iniziammo a parlare e da lì a
poco uscimmo per la
prima volta. Ci mettemmo insieme poco dopo e, dopo due anni, ci
sposammo. Il
resto lo sai. -
-
Si, e quindi? -
-
Quindi, Nath, non smettere di amarla. Prima o poi vedrà
il bene che le vuoi e si innamorerà di te. Devi portare
pazienza. L’amore vince
sempre! -
Lei
parla così perché non sa che tipa è
Leah. Ma non
volli distruggere la sua idea romantica e le sorrisi fingendo di
nutrire
qualche speranza. Scendemmo dall’auto e ci dirigemmo verso
Ambra, che era
avvinghiata al braccio di nostro padre. Io sospirai. Dovevo proprio
innamorarmi
di una ragazza come Leah?
Note:
Ciao!
Rieccomi finalmente! Scusate l’enorme ritardo, ma
ho avuto un periodo piuttosto stressante. Ma ecco l’ottavo
capitolo! Spero che
vi sia piaciuto! Ciao ciaoo!!
|
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Capitolo 9 *** CAP.9 LE SUE PAROLE ***
CAP.9
LE SUE PAROLE ___
Arrivò l’ora del pranzo. Non ero in
vena di chiacchierare con mio padre,
quindi decisi di aiutare mamma in cucina. Non per vantarmi, ma ai
fornelli me
la cavo piuttosto bene, mi rilasso e riesco a pensare con
lucidità. E a cosa
potevo pensare, se non a Leah? Mia madre ha detto che mi ero
innamorato, ma non
credo proprio che io provi questo sentimento per lei. Andiamo! Non
è possibile!
Leah è così mascolina, è
più forte di me e si diverte a rendermi ridicolo.
È
così… così… dannatamente
sexy… ok, sarà seducente, ma NON sono innamorato
di
lei! No!
-
Nath? Gira il sugo, o si brucia. -
-
Mh? Ah! Cavolo! - Così non va. Ma proprio per niente!
Mi sto fondendo il cervello, la devo smettere! Dannata tigre!
Finalmente
ci sedemmo a mangiare e, come al solito,
quella gallina di mia sorella non la smetteva di chiacchierare con
nostro padre
che la ascoltava pazientemente. È sempre così,
quando lui rientra da un viaggio
di lavoro, finchè lui decidette di darci un taglio e
iniziare col giro di
domande. Iniziò con Ambra.
-
E per il resto, come va? -
-
Oh, non c’è male. La solita routine. Sai, ieri ero
in
giro con le ragazze e ho visto un vestitino molto carino
che… -
-
E la scuola? -
-
Come al solito. Comunque, stavo parlando di quel
vestito. Costa un po’ e non mi bastano i soldi della
paghetta. Quindi pensavo
che potevi regalarmelo, dato che sono tre mesi che non ci vediamo. Eh,
papino?
- Ecco dove voleva andare a parare. Che ragazza superficiale.
-
Ci penserò. E tu, Nath? -
-
Io cosa? -
-
Come sono andati questi tre mesi? -
-
Molto bene. -
-
I tuoi voti sono sempre eccellenti? -
-
Si. -
-
Molto bene. Bravo, figlio mio, sono molto orgoglioso di
te. - E riprese a mangiare. A quanto pare la mamma non gli ha parlato
della mia
zuffa con Castiel. Meglio così, o chissà che
macello ne sarebbe uscito. E, a
proposito di macello… tentar non nuoce.
-
Papà? -
-
Mh? -
-
Io… tra qualche mese ci sarà la giornata di
orientamento nelle varie università. -
-
M-mh. - Sia la mamma che Ambra spostarono gli sguardi
da me a papà e viceversa. Sapevano cosa sarebbe successo di
lì a poco, ma volevo
provarci lo stesso.
-
Volevo… -
-
Devi assolutamente visitare la facoltà di
giurisprudenza… -
-
Veramente io… -
-
… e presentarti al professor Adelbert. È un mio
conoscente e farti vedere da lui sarebbe un bel vantaggio… -
-
No, ascoltami… -
-
… è un docente molto influente.
Potrebbe… -
-
Papà, mi vuoi ascoltare?! -
Avevo
alzato la voce. Ambra sussultò e per poco non fece
cadere la forchetta. La mamma mi fissò con aria stupita: mai
prima d’ora avevo
alzato la voce contro mio padre. Lui, con estrema calma,
posò la sua forchetta
e si asciugò la bocca col tovagliolo. Alzò lo
sguardo e mi fissò. Odio quando
mi fissa così.
-
Dimmi, Nathaniel. –
Stavo
tremando. Le mani, stavano tremando. Non per la
paura. Per la rabbia.
“Voglio
vedere la tua ira, il tuo odio.”
Lo
odiavo. Si, lo odiavo. Da sempre mi bombarda con
questa storia dell’università. Da sempre mi
soffoca e mi opprime costringendomi
a fare cose che non volevo.
“Voglio
vederti buttarlo fuori, sfogarti, arrabbiarti.”
Oggi,
qualcosa scattò dentro di me. Ma cosa? Che mi stava
succedendo? Perché? No… basta domande. Se volevo
fare quello che volevo, se
volevo decidere da solo del mio futuro, dovevo agire.
“Mi
hai già
dimostrato fin dove ti spingi per l’invidia e per il tuo
fottuto orgoglio, ora
voglio vedere gli altri tuoi sei peccati capitali. Voglio il tuo lato
oscuro!”
E
dovevo farlo ora.
Smisi
di tremare e mi alzai con calma senza smettere di
guardarlo. Lui sembrava sorpreso da questo mio comportamento e mi
guardava incuriosito.
Vidi la mamma trattenere il respiro e Ambra allontanarsi leggermente
dal
tavolo.
-
Sai, papà. A me non frega niente di quello che tu vuoi.
Il mio futuro lo decido da me e tu mi devi fare il favore di non
impicciarti.
Mi iscriverò alla facoltà di farmacia e
diventerò farmacista. -
Cadde
il silenzio. Io e mio padre continuavamo a
fissarci, mentre aspettavo una sua reazione. Dopo pochi istanti,
poggiò i
gomiti sul tavolo incrociando le dita e appoggiando su di loro il
mento. E
sorrise.
-
Te lo proibisco. Non starai dietro un bancone a vendere
pillole a vecchi diabetici. Tu diventerai un avvocato, il migliore che
esista.
Discorso chiuso. -
Strinsi
talmente forte i pugni che sentì le unghie
ferirmi i palmi. Era troppo. Sbattei violentemente i pugni sul tavolo
facendo
cadere un paio di posate e la brocca dell’acqua che
rovesciò il suo contenuto
per poi rotolare e infrangersi a terra. Ambra gridò.
-
Nath! Ma che ti prende?! -
La
ignorai e mi diressi velocemente verso la porta
d’ingresso. M’infilai la giacca e afferrai le
chiavi della macchina. Aprì la
porta e feci per uscire, ma mia madre mi raggiunse.
-
Nath! Dove vai? Aspetta! -
Ignorai
anche lei e uscì, sbattendo la porta talmente
forte che sentì un quadro cadere a terra e rompersi.
Non
so per quanto tempo guidai. Quando finalmente decisi
di fermarmi, era buio. Parcheggiai vicino ad un parco, uscì
dall’auto e mi
diressi verso una panchina dove mi sedetti. Faceva dannatamente freddo
e avevo
dimenticato di prendere la sciarpa, ma non avevo intenzione di tornare
a casa.
Sospirai e guardai il mio respiro tramutarsi in una nuvoletta di
vapore.
L’adrenalina aveva iniziato a calare e sentì
un’improvvisa calma e stanchezza
invadermi. Chiusi gli occhi e piegai la testa all’indietro
inspirando a pieni
polmoni.
-
Ehi, biondino. Che ci fai qui? -
La
sua voce. Aprì gli occhi e la guardai. Era in piedi di
fronte a me, che mi guardava con un sorrisino stampato sul volto. Aveva
un
giaccone lungo marrone che copriva quasi del tutto la sua figura e
vicino a sé,
un ragazzino mi guardava curioso. Era Nicholas, suo fratello. Che ci
faceva lì?
-
Ciao Leah. -
La
sua espressione cambiò. Non dovevo avere un
bell’aspetto e la mia voce era più roca del
solito. Abbassai lo sguardo. Non
doveva vedermi così.
-
Cos’è successo? -
-
Ti importa davvero? -
-
Certo, sei il mio schiavetto. -
-
Mpf… già. Anche tu mi obblighi a fare
ciò che non
voglio. -
Lei
ignorò quest’ultima frase e
s’inginocchiò, in modo da
potermi vedere meglio. La guardai anch’io.
Sembrava… preoccupata? Forse, ma una
cosa mi era finalmente chiara: a farmi reagire in quel modo, prima,
furono le
sue parole.
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Capitolo 10 *** CAP.10 IN CASA ***
CAP.10
IN CASA ___
- Ehi sorellona. Ma lui chi è? -
Leah
continuava a scrutarmi il viso alla ricerca di non so
cosa. Non capivo cosa volesse… poi il suo sguardo scese fino
alle mani. Feci
per nasconderle in tasca, ma lei fu rapida ad afferrarmele e le
voltò mostrando
i palmi: avevo stretto talmente tanto i pugni, prima, che ero riuscito
a
conficcare le unghie nella carne lasciando dei piccoli taglietti a
mezzaluna.
Le guardò per qualche secondo, poi alzò gli occhi
sul mio viso. Io non dissi
nulla e lei fece altrettanto. Lasciandomi le mani, si alzò e
si voltò verso il
fratello.
-
Nick, lui è Nathaniel. Nathaniel, lui è Nicholas,
mio
fratello. -
-
Piacere, Nathaniel! -
-
Piacere mio. - Mi sorrise allegro. Nonostante la forte
somiglianza fisica, era palese che i due fratelli avevano un carattere
opposto.
Leah era taciturna, Nicholas era un gran chiacchierone. Leah era
triste,
Nicholas allegro e sempre sorridente.
-
Si è fatto tardi, Nick. È meglio andare. -
-
Ok! - E si diresse verso l’entrata del parco. Leah,
invece, rimase ferma davanti me,
continuando a guardarmi.
-
Forza, biondino. Sei invitato a cena. -
-
Come, scusa? -
Spostò
il viso di lato. I capelli le coprivano il volto e
non riuscì a vedere la sua espressione. Si
schiarì la voce.
-
Ho detto che sei invitato a cena, a casa mia. -
Un
invito a cena? A casa sua? Lei che invita me? Che
succede?
-
O-ok… va bene. -
-
Bene. Andiamo. -
E
raggiunse velocemente il fratello senza voltarsi.
Rimasi per qualche istante a fissarla a bocca aperta. Scossi la testa e
mi
alzai, raggiungendoli. Nicholas, nel vedermi arrivare, si
aprì in un sorriso a
trentadue denti.
-
La mia sorellona mi ha detto che vieni a cena da noi!
Mi fa molto piacere! -
Risi.
Quel bambino mi metteva allegria, ha una risata
contagiosa ed è molto difficile resistergli. Infatti, anche
Leah sorrise.
-
Sentite, io sono venuto in macchina. Se volete,
possiamo andare a casa vostra con quella, anche se… -
“non è molto lontana da
qui” stavo per dire. Mi bloccai appena in tempo. Io non posso
sapere dove
abitano, dato che non ho seguito Leah fino a casa sua. No?
-
… non ho molta benzina. Ho passato il pomeriggio a girare
a vuoto e devo fare il pieno. -
Leah
si strinse nelle spalle.
-
Per me va bene. Tanto non è molto lontana da qui. -
Nicholas
esultò. A quanto pare gli piaceva fare dei giri
in auto. Sorrisi. Eh si, la sua allegria è contagiosa.
Ed
eccomi di nuovo di fronte a quella villetta a due
piani, solo che, questa volta, ero ospite non inseguitore. Questa
conferma mi
fece sentire a disagio… approfittai di quei pochi istanti in
cui Leah cercava le
chiavi per guardare meglio la villetta. Il muretto in mattoni non mi
permetteva
di vedere bene il giardino, ma quel poco che vedevo mi permise di
capire che
Leah non aveva propriamente il pollice verde. A parte un albero, non
c’erano
altre piante e l’erba non era molto curata. Appena Leah
aprì il cancello,
Nicholas varcò la soglia e si diresse verso la porta. Era
una porta piuttosto
robusta, in legno con al centro, nella parte alta, uno spioncino.
Entrai per
ultimo chiudendo il cancello alle mie spalle e confermando la mia
ipotesi: Leah
non aveva per niente il pollice verde. Chissà la casa
com’era messa… ma dovetti
ricredermi. Mentre Nicholas saliva le scale, Leah mi invitò
ad appendere la
giacca sull’attaccapanni posto all’ingresso e ad
accomodarmi in salotto. Ubbidì
e ne approfittai per guardarmi in giro. La casa era in perfetto ordine,
profumata e pulita. Le pareti bianche erano adornate da pochi quadri la
maggior
parte dei quali consistevano in cornici con delle foto dentro. Mi
soffermai su
una in particolare, posta sopra il camino in salotto. Ritraeva una Leah
poco più
che bambina, sorridente e felice tra le braccia di una donna,
anch’ella
sorridente, con i capelli ricci come la figlia e un sorriso altrettanto
splendente. Accanto alle due, vi era un uomo molto alto dai capelli
scuri e gli
occhi di un verde intenso con in braccio un bambino di circa quattro o
cinque
anni con la bocca spalancata come se stesse dicendo qualcosa al padre.
A fare
da sfondo, c’era una spiaggia candida e un mare di un azzurro
intenso. Era la
famiglia Smith al completo durante una vacanza.
-
Quella foto è molto vecchia. - Sobbalzai.
-
Nicholas! Mi hai fatto paura. -
-
Scusa. -
Il
sorriso sul suo viso era sparito. Immagino che quella
foto dovesse far tornare brutti ricordi nella memoria dei due fratelli,
quindi
non chiesi nulla. Avevo un sospetto sui loro genitori, ma non volevo la
conferma. Non volevo altra tristezza addosso.
-
In quella foto io avevo cinque anni e Leah dodici.
Mamma trentasette e papà quaranta. Eravamo in vacanza per
festeggiare il
compleanno di papà. -
Perché
me lo stava dicendo? Non volevo sapere. Distolsi
lo sguardo da lui e sembrò capire. Con la coda
dell’occhio, lo vidi abbassare
lo sguardo per qualche secondo per poi tornare a guardarmi con un
espressione
più allegra.
-
Leah mi ha detto di dirti di salire sopra. Ti sta
aspettando in bagno. -
-
Ah, va bene. -
Dopo
essermi fatto indicare la via per il bagno, Nicholas
si sedette sul divano e accese la TV. Lo guardai trafficare con il
telecomando
alla ricerca di un canale di cartoni per qualche secondo, poi
salì le scale e
raggiunsi la ragazza. Entrai e la vidi chiudere un cassetto. In mano
aveva un
tubetto di crema e un paio di cerotti di quelli rettangolari bianchi,
piuttosto
grandi. Si voltò verso di me.
-
Dammi le mani. -
-
Perché? -
-
Dammele e basta. -
Le
porsi le mani e lei spalmò un po’ di crema sui
taglietti. Il suo tocco era molto più delicato di quanto
pensassi e non mi fece
male, nemmeno quando mise il cerotto. Ma, devo ammettere, quando
sentì il contatto
con le sue mani, rabbrividì e sentì il suo calore
invadermi tutto il braccio. Inoltre,
fu davvero piacevole osservarla mentre mi medicava.
-
Senti… -
-
Mh? -
-
Grazie… per… beh, la medicazione. -
-
Tranquillo. - Furono le uniche parole che ci scambiammo
in quel frangente. Anche se avrei voluto ringraziarla per avermi fatto
andare
via da quel parco. Temo che, se fossi rimasto lì, mi sarei
depresso ancora di
più.
Scendemmo
le scale e lei si diresse verso la cucina. Decisi
di darle una mano (l’idea di stare lì fermo in
salotto mi agitava) quindi la
seguì.
-
Hai bisogno di una mano? -
Si
voltò. - Mh. Se vuoi. Però indossa dei guanti,
altrimenti i cerotti si staccano. -
Annuì
e, presi e indossati i guanti da cucina, mi
rimboccai le maniche e la aiutai a lavare e a tagliare le
verdure… il tutto in
completo silenzio, il che rendeva l’atmosfera imbarazzante.
Almeno per me. La
cucina era piccola e capitava che lei mi passasse molto vicino per
prendere una
scodella o altro, e ogni volta il suo profumo mi inondava le narici
facendomi
fare pensieri vietati ai minori. Chiedendomi se anche per lei fosse
così, la
sbirciavo di tanto in tanto per sorprenderla in una qualche
espressione, ma
sembrava tranquilla e a suo agio. Lo ammetto, un po’ ci
rimasi male.
-
Ehi. C’è un telefono che suona! -
Ci
voltammo verso il ragazzo e drizzammo le orecchie. Ma non
c’era nessun suono.
-
Sarà la Tv, Nick. -
-
No no. È un telefono. Fa “vrr vrr”, non
suona. -
All’improvviso mi ricordai del telefono lasciato nella tasca
della giacca. Mi tolsi
rapidamente i guanti e, altrettanto rapidamente, raggiunsi la giacca,
infilai
la mano in tasca ed estrassi il telefono. Non feci in tempo a
rispondere alla
chiamata, ma vidi dieci chiamate perse da parte di mia madre e un paio
di
messaggi di Ambra. Sospirai dandomi dello stupido per essermi
dimenticato di
avvertire mia madre che avrei fatto tardi. Vidi Leah avvicinarsi.
-
Tutto a posto? -
-
Si, devo… devo chiamare mia madre. -
-
Fa pure. - E tornò in cucina.
Quando
mia madre rispose, era così agitata che temevo
sarebbe svenuta. La tranquillizzai subito dicendole che stavo bene, che
avevo
fatto un giro in auto e che avevo incontrato un’amica che mi
aveva invitato a
cena da lei. Non mi chiese nulla, ma sapevo che aveva capito chi fosse
quella
ragazza.
-
Però potevi rispondermi! -
-
Hai ragione, scusa, ma l’avevo lasciato in vibrazione e
non l’ho sentito. -
Lei
sospirò e mi informò del fatto che avevo rotto
una
caraffa d’acqua e il quadro vicino alla porta, che mio padre
non si era
arrabbiato più di tanto e che, appena ero uscito,
l’ha fermata dicendole “A
volte un uomo deve avere i suoi spazi per pensare.”
-
Che diavolo vuol dire? -
-
Ma che vuoi che ne sappia io?! Vieni a chiederlo a lui,
se ci tieni! Maledizione, Nath, ma questa storia ti sta rovinando
così tanto
l’esistenza? -
La
sua voce era tremolante. Stava piangendo?
-
Mamma… -
-
Quando torni? -
-
Dopo cena. -
-
Ok. Fai attenzione alla strada, è buio. -
-
Si. A dopo. -
Riattaccai
e fissai il display. Con quella sfuriata
dovevo averla scossa parecchio. Che idiota. Lessi i messaggi di Ambra
che, in
poche parole, dicevano la stessa cosa: “ Vedi di tornare
presto, mamma è
impazzita e sta urlando contro papà. Se non mi compra il
vestito che voglio,
giuro che me la paghi!” Quanto è superficiale,
quella cretina.
Note:
Questo
capitolo è un po’ noioso. Non succede nulla di
particolare, mi è servito per collegarmi al capitolo dopo,
che era nato in modo
molto diverso.
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Capitolo 11 *** CAP.11 PICCOLI FRANTUMI, GRANDE DOLORE ***
CAP.11
PICCOLI FRANTUMI, GRANDE DOLORE ____
Fu una cena piacevole, come non ne passavo da
anni. L’allegria di Nicholas rendeva l’atmosfera
frizzante e il cibo sembrava
avere addirittura un altro sapore. Risi parecchio e vidi con piacere
che anche
Leah si divertì. Immagino che sia al settimo cielo per avere
con sé il fratello
dopo chissà quanto tempo. Tra una chiacchiera e
l’altra, arrivarono le nove e
Nicholas ci salutò per andare a dormire. Anche io e Leah ci
alzammo: io sparecchiavo
e lei lavava i piatti. Mi ero offerto di lavarli io al posto suo, ma mi
liquidò
dicendo che non aveva più guanti da darmi. Una volta che
ebbi finito, la
raggiunsi per aiutarla almeno ad asciugare i piatti e a metterli via.
Anche
questa volta, il tutto avvenne in completo silenzio… un
silenzio troppo
pesante…
-
Biondino? -
-
… guarda che non muori se mi chiami per nome. -
-
Schiavetto? -
-
… si? - È inutile insistere, temo…
-
Cosa ti è successo oggi? -
-
Non credo che siano cose che ti possano riguardare. -
-
Oh si, invece. Te l’ho già detto al parco: sei il
mio
schiavetto, quindi, ti ordino di dirmelo. -
Strinsi
le labbra e non risposi subito. Non mi andava giù
questa storia dello “schiavetto personale”. Ma,
d’altronde, me la sono cercata…
sospirai rassegnato e iniziai col racconto.
Prima
di tutto, le raccontai di mio padre, del suo modo
di opprimermi in ogni cosa che facevo e di programmare la mia vita
attuale e
futura. Poi le raccontai della sua preferenza verso mia sorella,
coprendola in
tutto ciò che faceva (giusto o sbagliato che fosse) e
soddisfacendo ogni suo
capriccio. Infine, le raccontai della mia sfuriata durante il pranzo
(omettendo
il fatto che furono le sue parole a darmi la spinta per farlo) e della
telefonata con mia madre.
-
Io vorrei iscrivermi alla facoltà di farmacia, ma lui
lo considera un lavoraccio… e mi obbliga a frequentare
giurisprudenza, una
facoltà “ideale per un genio”, come dice
lui. -
Rimase
in silenzio per un po’ (ebbi il tempo di mettere
via tutti i piatti) finchè non rise.
-
Sai, avrei voluto vederti. Hai rotto una caraffa e un
quadro? Complimenti. -
-
Non scherzare. Mia madre vorrà un risarcimento. -
-
E con ciò? Hai finalmente dimostrato di avere fegato,
è
per questo che tuo padre non si è arrabbiato. -
-
Non ho reagito, prima d’ora, perché non avevo un
riscontro da parte sua. -
-
Errore. Tu non reagivi perché non avevi le palle per
farlo! - E si voltò verso di me. Aveva uno sguardo strano.
Era come ieri, nello
sgabuzzino della palestra. - E ora le hai. La domanda è:
continuerai ad averle
o spariranno? -
Mi
guardava fisso negli occhi e il suo sguardo si fece
più intenso. Deglutì. Mi sentivo agitato e
sentì il cuore battere più veloce,
le mani sudare e un brivido mi corse lungo la schiena quando lei mi si
avvicinò
e mi accarezzò il viso.
-
Ed ecco la tua ira. Sono due su sette. Ora, devi
mostrarmi gli altri cinque. -
-
Perché? -
-
Per il patto stipulato. -
-
Si, ma perché proprio questo? Con tutte le cose che
potevi chiedermi, proprio questo… perché? -
-
Perchè voglio strapparti la maschera e vedere il vero
te stesso. Voglio vederti. -
Si
era avvicinata molto e senza rendermene conto, mi
ritrovai letteralmente con le spalle al muro. Non avevo vie di scampo.
Lei
inclinò la testa di lato e i capelli le scivolarono dietro
le spalle mostrando
il neo che ha sul collo. Mi ritrovai a fissarlo e una voglia matta di
baciarlo
mi pervase. Ma mi trattenni. A fatica, ma mi trattenni. Distolsi lo
sguardo da
lei e mi misi a fissare il soffitto. Dovevo distrarmi o le sarei
saltato
addosso!
-
B-beh… non credo che tu sia cieca, no? Mi stai vedendo
proprio ora. -
-
Non fare il cretino. Hai capito benissimo cosa intendo.
- Mentre parlava mi accarezzava il collo, sfiorandolo
dall’alto verso il basso
raggiungendo la clavicola per poi tornare su. Sentivo la faccia in
fiamme. E mi
venne l’affanno.
-
Perché ti trattieni? -
-
P-perché… -
-
Perché sei un cretino. Ma molto carino, devo
ammetterlo. Altri, al tuo posto, avrebbero già ceduto. - Era
un complimento?
-
Lasciati andare. Con me puoi farlo. - Tornai a
guardarla. Era bella come non mai. La sua bocca socchiusa mi reclamava
e poi mi
sorrise. Un sorriso dolce, diverso dal solito.
-
Leah… -
Riprese
a fare su e giù col dito sul mio collo per poi
soffermarsi sul segno del morso che mi aveva lasciato. Lo
fissò per pochi
istanti sorridendo, poi si alzò sulle punte e
iniziò a bacialo, spostandosi
lungo tutto il collo e stringendosi a me. Maledizione…
è inutile negarlo
ancora… lei mi piaceva. Molto. Avrei tanto voluto farla
continuare e lasciarmi
andare… ma lei… uno dei sette peccati capitali
è la lussuria. Ed è questo quello
che vuole da me. Nient’altro. Ma non era quello che volevo
io. Poggiai le mani
sulle sue spalle e l’allontanai. Mi fissò con aria
interrogativa.
-
No, Leah. Non posso… -
-
No? -
Mi
decisi ad agire. Voglio vedere la sua reazione, voglio
vedere se sono solo io ad essermi innamorato o se anche lei prova
qualcosa per
me. Anche solo un piccolo, minuscolo sentimento… qualsiasi
cosa… presi fiato…
-
No, perché io voglio fare l’amore con te. Non
sesso. Perché
mi sono innamorato di te. -
Silenzio.
Il suo viso, dopo un breve attimo di stupore,
tornò inespressivo, ma gli occhi rimasero puntati su di me.
Le sue mani, prima
incrociate dietro la mia nuca, ora allontanavano le mie dalle sue
spalle. Eh
già… come immaginavo, non ero ricambiato.
-
Vattene, Nathaniel. -
Era
la prima volta che mi chiamava per nome. Dovrei
essere felice, ma sentì solo una fitta al cuore e lo stomaco
stringersi in una
morsa parecchio dolorosa. Senza perdere tempo, mi diressi verso
l’ingresso,
recuperai la giacca e uscì.
Il
viaggio di ritorno a casa passò più velocemente
del
previsto. Avevo la testa vuota e non riuscivo a metabolizzare, nemmeno
a pensare
il suo rifiuto. Ma che mi aspettavo? Era ovvio che non ero corrisposto.
Probabilmente per lei ero solo un passatempo, un giochino da usare nei
momenti
di noia. E io che le davo corda. Mi ero addirittura innamorato! Che
stupido…
-
Nath!- La voce di mia madre mi riportò alla
realtà (non
mi ero accorto di essere rientrato in casa). La vidi corrermi incontro
a
braccia aperte e mi preparai per un suo abbraccio. Non dovetti
attendere molto.
La sentivo dire qualcosa e mi sentivo rispondere, ma era tutto ovattato
e non
mi ricordo né cosa mi disse né cosa le risposi.
Volevo solo farmi una doccia e
buttarmi nel letto. Così mi congedai e mi diressi in bagno,
con la promessa che
il giorno dopo avremmo parlato.
Speravo
vivamente che la doccia mi restituisse un po’ di
lucidità, ma non fu così. Mi ritrovai sotto le
coperte senza nemmeno rendermi
conto di come ci ero arrivato. In posizione supina, puntai lo sguardo
al
soffitto e finalmente riuscì a rielaborare
l’accaduto.
“Vattene,
Nathaniel”. A quelle
parole, la mia solita lucidità tornò. E con
essa, anche il dolore al petto e la morsa allo stomaco…
Dio… perché dovevo
stare così male? Infondo lo sapevo. Sapevo che lei non mi
voleva bene in quel
modo… però, una piccola parte di me ci sperava.
Ed era quella piccola parte che
si era frantumata in mille pezzi facendomi un male incredibile. Mi
morsi il
labbro e appoggiai un braccio sugli occhi, schiacciando leggermente in
modo da
impedirmi di piangere. Non so fino a che punto ci riuscì, ma
fu in quella posizione
che mi addormentai.
Il
giorno seguente, dopo aver chiesto scusa a mia madre
per la caraffa e il quadro, dopo averle promesso un risarcimento danni,
dopo
aver subito mia sorella che mi mostrava entusiasta
quell’orrendo vestito che
papà le aveva comprato, raccolsi il coraggio ed andai da
lui. Era seduto sulla
poltrona in pelle nel suo studio e mise via il giornale che stava
leggendo,
dopo averlo accuratamente piegato, non appena entrai nella stanza. Mi
fissò a
lungo in attesa delle mie scuse. Non avevo voglia di altre discussioni,
non ero
dell’umore adatto.
-
Mi scuso per la mia reazione esagerata. -
-
Sei scusato. -
-
Ma non mi scuso per quello che ho detto. La mia
intenzione è sempre quella di diventare farmacista. Con o
senza il tuo
permesso. - E mio padre fece una cosa che mi sorprese molto. Sorrise.
Sorrise
soddisfatto.
-
Bravo, Nath. Hai avuto fegato. Sia a far valere le tue
convinzioni sia a chiedere scusa al tuo nemico. È importante
avere fegato in
questo mondo. -
Leah
aveva ragione su mio padre.
Lunedì
arrivò in fretta, ma la mia testa era ancora
annebbiata e non riuscivo a seguire le lezioni come al solito,
tant’è che non
mi accorsi dell’arrivo dell’intervallo e nemmeno
che Lysandro si era avvicinato
a me (il che è allucinante… chi non vedrebbe
arrivare un colosso vittoriano
come lui?). Alzai la testa pensando di aver capito perché si
stesse avvicinando.
-
Ancora prove oggi pomeriggio? -
Lysandro
inclinò leggermente la testa di lato e aggrottò
le sopracciglia.
-
Ma che dici? Non possiamo fare le prove. -
-
Ah no? -
-
No, dato che non c’è Leah. - Come? Leah non
c’è?
Sorpreso, mi voltai verso le finestre e mi resi effettivamente conto
che Leah
non era in classe.
-
È uscita
prima?
-
-
Nathaniel, ma dove hai la testa? È assente! -
-
Assente? E perché? -
-
Speravo che potessi dirmelo tu. -
-
E perché io dovrei sapere quello che fa Leah? -
Lysandro sbuffò. Sembrava irritato e anch’io stavo
iniziando ad alterarmi.
-
Lo sai o no? -
-
No, non lo so! E non vedo come la cosa potrebbe
importarmi. -
Lysandro
scosse la testa e uscì dalla classe. Tornai a
guardare il banco di Leah vuoto. Perché non è
venuta in classe? Non aveva il
coraggio di vedermi dopo sabato? Naa… è fuori
discussione. Non è così vigliacca
da… un momento… questa non è la prima
volta che Leah faceva assenze. Anche durante
il terzo anno si assentò, e per parecchio tempo (circa tre
mesi). Ricordo che
in quell’occasione, sentì Lysandro dire a Castiel
qualcosa riguardo… oh mio
Dio! Mi alzai di scatto, facendo cadere la sedia. Presi la giacca in un
lampo e
corsi fuori, ignorando tutto e tutti. Uscì dalla scuola e,
una volta raggiunta
la fermata giusta, salì sull’autobus 7.
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Capitolo 12 *** CAP.12 NON ME NE VADO ***
CAP.12
NON ME NE VADO ____
Il viaggio verso l’ospedale mi sembrò
infinito. L’autobus sembrava
viaggiare lento tanto quanto una lumaca, se non addirittura
più lento. Avrei
voluto allontanare l’autista e mettermi a guidare al posto
suo, ma non ero così
disperato e non avevo idea di come guidare un autobus. Ero preoccupato,
anzi, molto
preoccupato. Per Leah ma, soprattutto, per Nicholas. Perché
c’è un solo motivo
per il quale lei possa assentarsi improvvisamente da scuola senza
avvisare: una
ricaduta di suo fratello. Proprio come anni fa. In
quell’occasione, sentì solo
Lysandro parlare a Castiel di un ospedale, ma all’epoca non
sapevo che cosa
volesse dire per lei andare in ospedale. Ma ora che lo sapevo, non
potevo fare
finta di niente.
Quando
l’autobus si fermò, mi fiondai fuori e raggiunsi
di corsa la hall dell’ospedale. Mi fermai al centro e cercai
qualcuno che
potesse darmi un’indicazione. Per ironia della sorte, vidi
l’infermiera che
incontrai l’altra volta al pronto soccorso e la raggiunsi di
corsa. Lei mi
fissò sorpresa e palesemente felice di vedermi.
-
Ma tu sei… -
-
Devi dirmi dove posso trovare Nicholas Smith! -
-
Co-come? -
-
È un’emergenza! -
Sobbalzò
e si diresse rapidamente al computer più vicino,
lanciandomi di tanto in tanto sguardi confusi (credo di averle rovinato
la mia
immagine da bravo ragazzo).
-
Nicholas Smith è attualmente in sala operatoria. Non
so… -
-
Dov’è la sala? -
-
Al quarto piano, ma… -
Non
le diedi il tempo di finire la frase. Mi voltai
subito e corsi verso gli ascensori che, neanche a farlo apposta, erano
tutti
occupati. Dicendone di tutti i colori, corsi verso le scale e
salì fino al
quarto piano, aprì la porta e la vidi. Era seduta su una
panca, davanti alla
porta della sala operatoria. Vestita con una semplice tuta e i capelli
legati
in una coda malfatta, aveva il viso tra le mani e muoveva nervosamente
una
gamba. Mi avvicinai piano ma lei non sembrò accorgersi della
mia presenza.
Provai a chiamarla ma il fiatone me lo impedì, o almeno
credo che fosse il
fiatone. Avevo il cuore a mille per l’ansia e vedere la luce
dell’insegna sopra
la porta della sala accesa di rosso, non mi aiutava. E di certo, non
aiutava
lei.
-
Leah? -
Sobbalzò
leggermente nel sentirsi chiamare, e alzò la
testa nella mia direzione. Mi sentì male: era bianca come un
lenzuolo e le
leggere occhiaie mi fecero capire che era qui da molto e che non aveva
dormito.
Era indubbiamente sorpresa nel vedermi qui.
-
E tu che ci fai qui? - Provai a rispondere, ma mi
bloccai nel vederla alzarsi e dirigersi verso di me. Adesso era molto
arrabbiata e sembrava un toro alla carica. Strinse i pugni ed
alzò la voce.
-
Che ci fai qui? Come hai fatto a sapere che ero qui,
eh?! Sparisci! -
Scossi
la testa. - No. -
-
Come?! -
-
Non ti lascio da sola. - Mi afferrò il colletto della
giacca con entrambe le mani. La sentì tremare come una
foglia.
-
Se non te ne vai, giuro che ti ammazzo di botte!
Sparisci! -
-
No. -
-
Ti ho detto di sparire! -
Vidi
i suoi occhi riempirsi di lacrime. Come potevo
lasciarla lì quando era palese che mi voleva con
sé? Me lo stava dicendo. Me lo
stava urlando da tutti i pori. Il tono di voce, la
gestualità del corpo… non
era di una che voleva alzare le mani… voleva piangere.
Sfogarsi con qualcuno.
Liberarsi per un po’ del peso che porta, far fuoriuscire
tutta la tristezza, la
rabbia, la paura che porta dentro e condividerla con qualcuno e non con
un
sacco da boxe. D’altronde, anche le tigri più
forti hanno paura di qualcosa,
no? La abbracciai, stringendola forte a me. In quel momento, decisi che
l’avrei
sostenuta, che sarei stato la sua roccia e che avrei condiviso parte di
tutti i
suoi problemi. Schiavo o amante, decisi che, per lei, ci sarei sempre
stato.
-
Puoi farlo. Con me puoi farlo. Lasciati andare … ci
sono qui io e ci sarò sempre. Non me ne vado. -
Restò
immobile per qualche istante. Sentì la presa delle
sue mani sulla mia giacca farsi sempre più debole fino a
sparire del tutto e fino
a far cadere le braccia lungo i fianchi. Non ricambiò
l’abbraccio, ma la sentì
affondare il viso sempre di più al mio petto e io la strinsi
ancora di più. Non
disse nulla, non la sentì piangere. Emise solo un piccolo
singhiozzo solitario
che mi dilaniò il petto. A quel singhiozzo, risposi
appoggiando la fronte sulla
sua spalla e in quel momento si abbandonò al mio abbraccio
fino a ricambiarlo,
appoggiando delicatamente le braccia sulla mia schiena e stringendo tra
le mani
la giacca. Al singhiozzo di prima, ne seguì un altro. E poi
un altro ancora.
Finchè, finalmente, si lasciò andare ed esplose
in un pianto disperato. Le
gambe le cedettero ma riuscì a sostenerla e a farla sedere a
terra senza che si
facesse male e senza sciogliere l’abbraccio. La sua presa si
fece sempre più
forte e i singhiozzi più violenti. Mi sembrò
così piccola e indifesa… vederla
soffrire così, mi fece star male più di quanto
potessi immaginare.
Non
so per quanto tempo pianse, né quanto a lungo
rimanemmo seduti a terra anche dopo che smise di piangere.
Semplicemente, a un certo punto ci ritrovammo seduti sulla panca uno di
fianco
all’altro a fissare la porta davanti a noi. Guardai
l’orologio e mi resi conto
che era mezzogiorno inoltrato.
-
Hai fame? -
Lei
scosse la testa.
-
Dovresti mangiare. Immagino che tu sia a digiuno da
chissà quanto. -
Non
rispose. Decisi di andare a prenderle qualcosa alla
macchinetta, anche solo un caffè caldo, quindi mi alzai. Ma
non riuscì a fare
più di un passo.
-
Come hai fatto a sapere che ero qui? -
Mi
bloccai. Non mi mossi e non dissi nulla. Ma non ero
così sorpreso dalla domanda, sapevo che me
l’avrebbe chiesto, dato che sono
piombato da lei così di punto in bianco. E non potevo
nemmeno dire che mi aveva
avvisato Lysandro, dato che nemmeno lui sapeva del ricovero di
Nicholas. Avevo
fatto tutto da solo. Sospirai e mi voltai verso di lei, deciso a
raccontarle la
verità una volta per tutte. Ero pronto.
-
Leah. Devi sapere che… -
-
Gliel’ho detto io. -
Mi
voltai e vidi Lysandro, seguito da Castiel,
raggiungerci con la mia tracolla in mano. Me la porse e io
l’afferrai.
-
Hai scordato questa a scuola. -
-
Grazie. -
Dalla
sua espressione, capì che era arrabbiato con me e
aveva tutte le ragioni del mondo per esserlo: mi aveva avvertito e gli
avevo
fatto una promessa che ho puntualmente infranto. Ma non mi disse nulla.
Semplicemente, mi sorpassò e raggiunse Leah sedendosi vicino
a lei.
-
Come sta? -
-
È lì dentro da stamattina. Si è
sentito male e ho avuto
giusto il tempo di portarlo qui che… è crollato a
terra per un infarto… -
Infarto.
Come può un ragazzino di dodici anni avere un
attacco di cuore? I miei pensieri furono interrotti da Castiel, che mi
afferrò
per la giacca e mi trascinò lontano. Eh no, non è
il momento per un’altra
azzuffata!
-
Castiel, non è il momento per… -
-
Ti ha chiamato lei? -
-
Eh? -
-
Ti ho chiesto se è stata lei a dirti di raggiungerla
qui! -
Lo
guardai. Non riuscivo a capire se la sua era una
scenata di gelosia perché lui non è venuto a
saperlo prima di me… o perché io
ero lì a consolarla al posto suo… possibile che
sia innamorato di Leah?
Socchiusi gli occhi e spostai il viso di lato, pronto per una sua
possibile
reazione violenta.
-
Sono venuto qui da solo. Nessuno mi ha avvisato di
nulla. -
-
Come sapevi che era qui? -
Non
risposi. Mi lasciò la giacca e incrociò le
braccia
nella sua tipica posa da bulletto alzando leggermente il viso e
guardandomi
storto.
-
Allora?! -
Alzai
le mani in segno di pace. - Senti, penso che tu
possa capire come io faccia a sapere di Nicholas e nonostante tutto,
non sono
così crudele da ignorare una cosa così grave. Non
so che legame c’è tra voi due
e sinceramente non mi interessa, ma Leah è importante anche
per me e che tu lo
voglia o no, io da qui non me ne vado. -
Avevo
capito giusto: Castiel provava qualcosa di più di
una semplice amicizia per Leah. Alzò un lato del labbro,
come se volesse
ringhiare, e mi fissò in cagnesco.
-
Tsè. Non aspettarti che non sia lei a mandarti via. Prima
o poi, verrà a sapere la verità e allora ci
sarà da ridere. -
-
Hai ragione. Ma non sarà oggi. -
Abbassò
il capo fissandomi senza dire altro. Nonostante tutto,
non era così stupido da non capire la situazione. Leah aveva
bisogno del suo
amico tanto quanto di me, e lui lo sapeva. Così mi voltai e
tornai da Leah e da
Lysandro seguito da Castiel. Lysandro, nel vederci tornare, si
alzò.
-
Andiamo, Cass. Qui siamo in troppi. -
-
Che cosa?! Col cavolo che me ne vado! -
-
Andiamo e poche storie. - Detto questo, salutò Leah con
un cenno della mano, sussurrandole “Fammi sapere” e
afferrò per il bavero della
giacca il rosso tirandolo verso la porta d’uscita (il quale
non smise per un
istante di lamentarsi) ma non prima di fulminarmi con lo sguardo.
Perfetto… mi
sono inimicato anche Lysandro… il che mi fece sentire
speciale: Lysandro ha mai
odiato qualcuno in vita sua? Quando i due uscirono, mi voltai verso
Leah
accorgendomi che mi stava fissando.
-
Vado a prenderti qualcosa da bere. -
-
Aspetta. Vieni qui. - E mi indicò il posto vuoto vicino
a lei. Mi sedetti aspettandomi il peggio.
-
Lys mi ha raccontato tutto. -
Voilà!
E io che avevo da poco deciso di rimandare le
spiegazioni… deglutì. - Ah si? -
-
Si… mi ha detto che, quando ti ha riferito della
situazione di Nick, ti sei fiondato qui senza permettergli di
approfondire il
discorso su di lui. -
-
Oh… beh… -
-
Mi sono arrabbiata, perché non doveva permettersi di
parlartene senza il mio permesso. Ma ormai… sai, penso che
sia giunto il
momento di rispondere alla tua seconda domanda. -
La
guardai. Immagino la fatica che possa fare nel
parlarmi della sua situazione. Ma mi ero promesso che l’avrei
sostenuta. Così,
mi preparai per farlo.
Note:
Al contrario di ogni mia previsione, sto ricevendo
dei commenti molto positivi sulla mia storia. Questo mi rende davvero
felice e
mi motiva ad andare avanti, anche se il tempo per farlo si sta
riducendo sempre
più (il che non è del tutto negativo, per me!).
Cercherò, quindi, di essere il
più puntuale possibile nel pubblicare i capitoli e spero
nella vostra pazienza
e comprensione! Come sempre, spero che il capitolo vi sia piaciuto e vi
ringrazio per aver letto e per i bellissimi commenti che mi lasciate. E
come
sempre… ciao ciao!
|
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Capitolo 13 *** CAP.13 RACCONTO ***
CAP.13
RACCONTO ____
Come
immaginai, restai con Leah
per tutto il giorno (stavolta ricordandomi di avvertire mia madre). Il
medico
che operò Nicholas, lo stesso che vidi insieme a lei il
giorno del pedinamento,
uscì dalla sala verso le 14 avvisandola che
l’operazione era andata bene e che,
per il momento, non c’era da preoccuparsi. Da allora, Leah
rimase al capezzale
del fratello, in terapia intensiva, senza mai allontanarsi troppo da
lui.
Rimasi anch’io, facendomi debitamente da parte e rimanendo
seduto in un angolo
della stanza. In quel frangente, rimasi per un po’ a fissare
lo schermo del
display del mio telefono alla ricerca di una risposta da inviare a
Lysandro.
Già, perché, poco dopo essere andato via, mi
inviò un messaggio (come abbia
fatto ad avere il mio numero resta un mistero) il quale diceva:
“Sono
Lysandro. Non l’ho fatto per te. Decidi tu cosa
fare, ma sappi che se dovesse soffrire per colpa tua, non
sarà solo Castiel ad
affrontarti.”
Non
sapevo cosa rispondere, così non lo feci. Rimisi il
telefono in tasca e mi soffermai su Nicholas. Ancora sotto
l’effetto
dell’anestesia, dormiva tranquillo con la sorella che gli
teneva la mano. Aveva
cavi ed elettrodi sparsi ovunque sotto la fasciatura al petto, al
braccio aveva
una flebo ed era attaccato, coi dei tubicini alle narici, ad una
bombola
dell’ossigeno. Il respiro e il battito erano regolari e
questo mi sollevava
l’umore. Ma vedere un bambino attaccato a tutte quelle
macchine, non era per
niente bello. Sospirando, spostai lo sguardo su Leah. Appena rivide il
fratello, nonostante tutti quei tubi e cavi, riacquistò
colorito e sorrise
sollevata. Da allora, se ne stava lì seduta a guardarlo e ad
accarezzargli
dolcemente i capelli. Guardai l’orologio che segnava le 18.
Ero rimasto lì
seduto per quattro ore e le gambe reclamavano una camminata. Quindi mi
alzai e,
dopo aver avvisato Leah, uscì per una passeggiata. Ne
approfittai per
rielaborare ciò che la ragazza mi disse qualche ora prima.
-
… sai, penso che sia giunto il momento di rispondere
alla tua seconda domanda. -
La
guardai. Immagino la fatica che possa fare nel
parlarmi della sua situazione. Ma mi ero promesso che l’avrei
sostenuta. Così,
mi preparai per farlo.
Fece
un respiro profondo e riprese a parlare.
-
Devi sapere che Nick soffre di una malattia congenita
al cuore, il quale lo porta ad avere degli attacchi cardiaci anche
violenti.
Come quello di due anni fa e di oggi. Fin da piccolissimo, ha sempre
fatto
avanti e indietro dagli ospedali, cambiando molto spesso cure e
peggiorando di
anno in anno. Finchè, quando lui aveva tre anni, mia madre
lo portò dal dottor
Jersy, il medico che lo ha operato oggi. Il dottore le disse che per
questo
tipo di malattia, l’unica cosa che può salvarlo
è un’operazione estremamente
delicata… ed estremamente costosa. Da quel momento, i miei
misero da parte dei
soldi in attesa che Nick raggiungesse l’età giusta
per affrontare un simile
intervento, ovvero i tredici anni. -
Il
suo tono di voce era piuttosto calmo, il che mi
sorprese abbastanza. Ma tradiva il suo disagio torturandosi le mani.
Capì il
perché immediatamente dopo.
-
Devi sapere, che i nostri genitori sono morti in un incidente
d’auto quattro anni fa. Dovevano accompagnarmi ad una festa
di compleanno e,
quel giorno, pioveva molto… non ricordo come, sta di fatto
che loro morirono
sul colpo… mentre a me, di quel giorno, resta solo questa
cicatrice. - E si
indicò la cicatrice sul volto. Aveva
un’espressione molto triste.
-
Leah, lo sai, che non è colpa tua… vero? -
-
Mpf… certo che lo so. Non mi sono mai data la colpa per
questo. Però, io ero lì… e sarei
potuta morire… e Nick sarebbe rimasto da solo…
-
Fece
una pausa, nella quale tornò a guardare la porta
della sala. La guardai anch’io, senza insistere per farla
continuare. Riprese lei
pochi istanti dopo.
-
Fummo affidati alla nonna paterna, l’unica nostra
parente, nella casa dove abitiamo tutt’ora. Era una donna
buona, ma molto
anziana e ci lasciò anche lei due anni dopo. Sul testamento
scrisse che
lasciava la casa e ogni suo bene a me e a Nicholas. Così
facendo, raggiungemmo
un quarto dei soldi necessari per l’operazione anche
riuscendo a vendere l’auto
della nonna e qualche oggetto di valore. Subito dopo, venni assunta al
minimarket e iniziai il liceo. Lì conobbi te, Castiel, poi
Lysandro che mi
offrì di far parte della loro band. Poco dopo, conobbi il
signor Max che si
offrì di aiutarmi negli studi e come allenatore di boxe. -
Fece
un’altra pausa. Ora il quadro mi era decisamente
più
chiaro. Tutto quello che faceva, tutti gli sforzi, erano per suo
fratello. Per
la sua operazione. Mi sentivo un verme per tutte le cose che ho detto
su di lei
fino a poco tempo prima.
-
Quanto ti manca per raggiungere la quota necessaria per
l’operazione? -
-
Un paio di stipendi. Se tutto va bene, a marzo finirà
il suo calvario e io potrò dedicarmi meglio agli studi. -
-
Come se ne avessi bisogno. Sei un genio! -
Rise.
Che bella che è quando ride.
-
Ho intenzione di continuare a studiare. Mi piacerebbe
laurearmi in Scienze Motorie e diventare Personal Trainer. -
-
Si… ti ci vedo benissimo. Mi alleneresti, in quel caso?
-
Rise
ancora. - Eccome. C’è parecchio da lavorare! -
Questa
non me l’aspettavo… cadde il silenzio e rimanemmo
così per lungo tempo. Finchè non la
sentì trattenere un singhiozzo. Misi un
braccio intorno alle sue spalle e la strinsi a me poggiando la guancia
sulla
sua testa.
-
Non voglio che lui muoia… -
-
Lo so. Neanch’io lo voglio. -
Pianse
ancora.
La
ammiravo molto. È una ragazza estremamente forte e non
solo dal punto di vista fisico. Superare la morte dei suoi genitori,
avvenuta
davanti ai suoi occhi, caricarsi il peso di mantenere sé e
il fratello da sola,
dopo la morte della nonna, e contemporaneamente mettere da parte i
soldi per
l’operazione. Chiunque sarebbe crollato… io in
primis, non so come avrei
reagito a tutto questo. Ma lei ha avuto la forza di resistere a tutto
questo.
Però, ora, era giunta al limite. Si, perché anche
lei ne ha uno, come chiunque
altro. E questo mi fece riflettere.
Forse…
il suo “patto” era un modo per avermi vicino a
sé
in ogni situazione. Ma perché proprio io? Un perfetto
sconosciuto, un rivale
che l’ha odiata fino a poco fa. Perché non
Lysandro o Castiel? Li conosce da
più tempo. Eppure ora, con lei, c’ero io. Ha
voluto me a sostenerla, anche se
non me l’ha chiesto direttamente. Quante domande…
eppure ero convinto che, una
volta che fossi venuto a conoscenza del suo segreto, tutto mi sarebbe
stato più
chiaro. A quanto pare mi sbagliavo.
Alzai
lo sguardo al cielo. A furia di pensare, non mi ero
reso conto che ero uscito nel cortile dell’ospedale.
Chissà da quanto tempo
sono lì fuori? Rabbrividì. Dato che era novembre,
l’aria non è propriamente
calda ed io ero uscito senza la giacca. Molto furbo. Rientrai subito e
tornai
da Leah e da Nicholas ma, non con molta sorpresa, la trovai
addormentata con la
testa appoggiata sul materasso di fianco al fratello. Sorrisi.
L’ansia l’aveva
provata molto e doveva essere parecchio stanca. Recuperai la sua giacca
e
gliela misi sulle spalle… e ammirai il suo viso
addormentato. La sua
espressione era rilassata, tranquilla, la sua bocca socchiusa e il
respiro
pesante. Mi resi conto, in quel momento, che il sentimento che provavo
per lei
era cresciuto, in queste ore. La ammiravo davvero molto, non
smetterò mai di
dirlo. È una ragazza favolosa. Bella, forte e coraggiosa.
Sorrisi ancora e
l’accarezzai piano. La sua pelle era fresca e più
liscia di quello che credevo.
Lei non si mosse, era profondamente addormentata. Un pensiero mi
balenò nella
mente e mi fece arrossire. No dai… non potevo
farlo… non era il momento adatto!
Però… non resistetti. Percorsi delicatamente le
sue labbra con un dito, da
un’estremità all’altra, avanti e
indietro per non so quante volte alla ricerca
del coraggio per farlo. Poi mi fermai. Mi chinai verso di lei e mi
fermai ad un
soffio dalle sue labbra. Chiudendo gli occhi, respirai il suo profumo
per
qualche secondo… per poi baciarla. Un bacio a stampo.
Rapido. Mi allontanai
subito, recuperai la mia giacca e tornai a casa.
Note:
Lo so, lo so… mi state odiando. Sia per la
brevità,
sia per come ho concluso il capitolo. Lo so e mi dispiace! Ma non ho
trovato
alcun modo per allungarlo un po’ e non volevo forzare il
finale… anche perché
adoro mettere suspance <3 alla prossima! Ciao ciao!!
|
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Capitolo 14 *** CAP.14 REGALO ***
CAP.14
REGALO ____
Durante il periodo nella quale Nicholas rimase in
ospedale, io e Leah
legammo molto. Per via del ricovero, lei non poteva frequentare
regolarmente
scuola, così mi impegnai a portale i compiti e ad
aggiornarla sui progressi
scolastici, sostituendo il lavoro svolto dal suo allenatore: ovvero
darle
ripetizioni. In sintesi: durante il lavoro di Segretario, durante le
ore buche,
l’intervallo, la pausa pranzo e nel primo pomeriggio,
studiavo quello che c’era
da studiare e verso sera, dopo averla raggiunta in ospedale, le
ripetevo tutto
spiegandole ciò che non capiva e ascoltandola mentre
riepilogava la mia
lezione. Sorrisi nel vedere che le mie “lezioni” le
erano ben chiare e rimasi
molto colpito dalla sua eccezionale memoria. Ma non studiavamo
solamente. Ogni
tanto, quando Nicholas stava meglio oppure quando il medico lo
visitava,
uscivamo e ci ritrovavamo a passeggiare nei dintorni
dell’ospedale (sempre col
cellulare sott’occhio) chiacchierando come due ragazzi
normali su argomenti di
ogni tipo, dalle stupidate alle cose più serie. Fu durante
una di queste
passeggiate che scoprì che Leah e Lysandro ebbero una breve
storia sentimentale
durante il secondo anno e conclusa all’inizio del terzo. A
detta di Leah, si
lasciarono perché si scoprirono più amici che
amanti ed ecco spiegati certi
loro comportamenti… ma non riesco a capire se anche per
Lysandro fu la stessa
cosa… restando sempre su quest’argomento, un
giorno mi capitò di rimanere da
solo con Nicholas per qualche minuto, e lui se ne uscì con
un ragionamento
strano.
-
Sai, tu mi piaci di più rispetto a Lys. -
-
Perché? -
-
Perché Lys è strano… beh, anche tu lo
sei. Però meno di
lui. -
-
Ah.. si? -
-
Si. Ti vesti normale tu. E poi lui non ha mai visto mia
sorella come l’hai vista tu. Non glielo ha mai permesso e
questo è un punto in
più per te. - Penso che si riferisca al fatto che le sono
stata accanto durante
tutto il tempo dell’operazione vedendola piangere, cosa che
Lysandro non ha
fatto. Ma chi può dirlo? Non ho idea di come ragionino i
bambini della sua età.
I
giorni passavano e Nicholas stava sempre meglio.
Tant’è
che, verso metà dicembre, Leah tornò ad
allenarsi… con me al seguito… si…
perché, sempre durante una delle passeggiate, mi ha
letteralmente costretto a
seguirla anche durante gli allenamenti sia per aiutarla nello studio,
che per
gli allenamenti. Ammetto che fu un vero spettacolo vederla allenarsi da
vicino,
sentire i suoi colpi dall’altro lato del sacco mentre glielo
tenevo fermo,
contarle gli addominali, oppure facendo jogging con lei intorno
all’isolato
(anche se all’inizio fui solo una palla al piede…
sono estremamente fuori
allenamento, e me ne vergogno, ma sto recuperando). Inoltre, divenne
sempre più
allegra nei miei confronti e più spontanea. Mi sorrideva
più spesso e
scherzavamo molto. Questo mi rese molto più positivo
riguardo una sua possibile
infatuazione nei miei confronti… chissà.
Era
il 22 dicembre, ed io mi trovavo in centro città per
fare una commissione per conto di mia madre. Tutto intorno a me era
addobbato a
festa con luci, ghirlande e alberi di Natale, le persone stesse erano
più
allegre e, come me, giravano per negozi alla ricerca degli ultimi
regali da
acquistare. Avevo già preso il regalo per Ambra, per mia
madre e mio padre (un
semplice taccuino in pelle per lui, una sciarpa pesante per mia madre e
un
profumo per mia sorella); ora mi stavo dirigendo verso un negozio di
giocattoli. Avevo già in mente di fare un regalo a Nick,
come buon augurio per
una pronta guarigione, così decidetti per un pupazzo del suo
eroe preferito: Mr
Metal. Mi stavo proprio dirigendo lì quando mi imbattei
nella vetrina di una
gioielleria. Non so cosa mi attirò, ma mi fermai senza
pensarci molto, direi
anche distrattamente. Ma i miei occhi si spalancarono quando vidi una
catenina
con un ciondolo a forma di tigre. Era piccolo, d’argento, con
un brillantino a
sostituire l’occhio e una lavorazione tale da simulare le
caratteristiche
strisce del manto. La tigre era nella sua classica posa da caccia:
ovvero
accucciata, pronta per un balzo verso la sua preda e con la bocca
spalancata.
Era bellissimo e già me la immaginavo al collo di Leah. Devo
ammettere, che ho
passato quasi tutti i giorni e le notti a pensare ad un regalo per lei,
senza
risultati. In un primo momento, volevo acquistarle un nuovo paio di
guantoni,
ma mi sembrò un idea banale e la scartai subito. Volevo
qualcosa di speciale e
di unico per lei. Qualcosa che potesse stupirla e credo proprio di aver
trovato
un regalo che rifletta le mie aspettative… ma pochi giorni
dopo Natale, ci
sarebbe stato il suo compleanno e dovevo trovare un altro regalo da
darle a
Natale. Senza pensarci troppo su, entrai nel negozio e mi diressi verso
l’unica
commessa libera che mi accolse con un sorriso a trentadue denti.
-
Posso aiutarla? -
Giunse
la vigilia di Natale. Dato che la mia famiglia non
festeggia il 24, decisi che sarei andato a trovare Nick e Leah in
ospedale
approfittandone per dar loro i regali. Con in mano un sacchetto
contenente il
regalo di Nick e quello per Leah, li raggiunsi e il bambino mi accolse
con uno
dei suoi bellissimi sorrisi e agitando la mano.
-
Ciao Nath! -
-
Ciao Nick. Vedo che stai molto meglio. -
-
Oh si! Molto! -
Mi
guardai intorno, notando che non c’era Leah. Quando chiesi
al fratello dove si trovasse, lui mi rispose che era andata a fare una
passeggiata. Decisi, quindi, di aspettarla e, dopo essermi tolto giacca
e
sciarpa, aprì il sacchetto estraendo il pacco regalo per
Nick.
-
Buon Natale, Nick. Spero che ti piaccia. -
Glielo
porsi e lui lo prese osservandolo con molta cura.
-
Ma Natale è domani. -
-
Si, lo so. Ma domani non potrò venire, quindi ho
anticipato la consegna. Aprilo pure, se vuoi. -
Nick
spostò lo sguardo da me al pacco e viceversa,
indeciso sul da farsi. Poi lo poggiò sulle gambe e lo
aprì con estrema
delicatezza ma, appena riconobbe la scatola del pupazzo,
abbandonò tutta la
delicatezza dimostrata ed esultò come un matto sollevando il
pupazzo del
supereroe appena liberato dalla sua prigionia.
-
Mr Metal! Grazie Nath! -
Risi
molto, nel vedere quanta felicità esprimeva il suo
volto. - Prego! Divertiti quanto vuoi con lui! -
Ma
ormai non mi ascoltava più, troppo preso dal suo eroe.
Sorridendo, mi sedetti su una sedia osservandolo mentre giocava; dopo
poco
tempo, sentì dei passi e due voci a me familiari. Mi voltai
verso la porta
sentendomi improvvisamente agitato. Leah era in compagnia del dottore e
stavano
chiacchierando tranquillamente. Quando mi vide, si fermò e
mi osservò stupita.
-
Ehi. E tu che ci fai qui? -
-
Sono venuto a trovarvi. Buon giorno, dottore. -
-
Buon giorno. - Non so perché… ma ogni volta che
lei
parlava con il dottor Jersy, sentivo crescere una sorta di rabbia
dentro di me.
Quel dottore, per quanto fosse un bravo medico, mi stava antipatico e
credo
proprio che il sentimento sia reciproco. Infatti si congedò
subito e se ne
andò.
-
Allora? Come mai qui? - Disse Leah, sedendosi sul letto
di fianco a Nick, osservandolo giocare.
-
E quello da dove sbuca? -
-
Me l’ha regalato Nath! -
-
Gliel’hai regalato tu? -
Annuì.
- Regalo di Natale. -
Sembrava
sorpresa dal mio gesto. Sicuramente non se lo
aspettava e la cosa mi fece piacere. Presi nuovamente il sacchetto
recuperando
il regalo per lei: una semplice busta bianca che lei osservò
curiosa.
-
E questo è il tuo. -
Leah
prese la busta e aggrottò le sopracciglia
osservandomi.
-
Io non ti ho preso niente. -
-
Non importa. Aprilo. -
Mi
guardò dubbiosa per qualche istante prima di decidersi
ad aprire la busta. Deglutì agitato, avevo il cuore a mille
quando estrasse il
bigliettino che avevo lasciato dentro la busta e quando
iniziò a leggerlo. Credo
che lo lesse almeno tre volte (probabilmente per accertarsi di aver
letto
giusto), poi sollevò lo sguardo su di me restando in
silenzio. Stavo sudando
freddo e sentivo il viso in fiamme, ma sostenni il suo sguardo. Nel
frattempo,
Nick, incuriosito, si sporse per leggere ad alta voce quello che avevo
scritto.
-
“Verresti a cena con me, al Ristorante del Centro, il
giorno 30/12 alle 19.00?”. Woah! Leah! Dì di si,
dì di si! -
Sembrava
più felice il fratello che lei. Ma non dovevo farmi
prendere dal panico. Non aveva ancora detto nulla. Deglutì
ancora, aspettando
una sua risposta.
-
Nick. Non mi va di lasciarti da solo. -
-
Ooh andiamo! Per una sera non succede niente! Starò bene!
Dai, Leah! -
La
ragazza restò in silenzio, senza smettere di scrutarmi
il viso. Non cedetti e non smisi di sostenere il suo sguardo, forse fu
questo
che la fece arrossire (anche se di poco).
-
Va bene. Accetto. -
Nick
esultò e battè le mani felice. Io spalancai gli
occhi e mi aprì in un sorriso sospirando e appoggiandomi
allo schienale della
sedia, decisamente più rilassato. Anche lei sorrise, ma fu
un sorriso
imbarazzato. Aveva accettato di uscire con me. Forse avevo davvero una
speranza.
Note:
Eccomi con il 14esimo capitolo! Ragazzi che sudata…
ci ho messo tre giorni per scriverlo! Non perché non avessi
ispirazione, ma perché
ero a corto di tempo! Ma alla fine eccolo qua! Godetevelo! Bacioni e
ciao ciao!
Alla prossima!
|
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Capitolo 15 *** CAP.15 30 DICEMBRE ***
CAP.15
30 DICEMBRE ____
Il giorno dopo, ovvero Natale, restai in casa ad aiutare
mia madre per i
preparativi del pranzo in famiglia. Ci avrebbero raggiunti in casa la
nonna
materna, la zia Ines, sorella minore di mio padre, con il marito e lo
zio
Clark, fratello maggiore di mia madre con i rispettivi figli e
compagna. In
totale eravamo una dozzina e in casa si respirava un clima di festa e
allegria.
Ma io non riuscì a sentirla, almeno non completamente. La
mia mente era fissa
su un unico pensiero: l’appuntamento. Ero davvero in ansia;
da un lato non
vedevo l’ora che arrivasse quel momento e
dall’altro avevo una fifa blu ed ero
tentato di annullare tutto. Ad aiutarmi, c’era mia madre.
L’unica a sapere
dell’appuntamento e che comprendeva la mia distrazione, che
mi aiutava e dava
consigli. Una complice in sintesi, cosa che a mia sorella non andava
giù e che
continuava a fare scenate su scenate, senza risparmiarsi.
L’unico che le dava
un minimo di corda era mio padre che, esasperato, venne a chiedere
prima a me e
poi alla mamma cosa stesse succedendo ma senza successo.
Rinunciò subito, per
fortuna.
Quando
finalmente i vari parenti ci raggiunsero, ebbe
inizio il pranzo, seguito dal classico scambio e apertura dei regali.
La nonna,
come ogni anno, regalò sia a me che ad Ambra dei soldi
pronunciando la, ormai,
mitica frase:
-
Metteteli nel porcellino, così non sarete tentati a
spenderli subito. -
-
Certo nonna. Stà pure tranquilla. - Le rispondeva ogni
volta Ambra, pregustando una giornata di shopping sfrenato con quelle
due oche
delle sue amiche. Ma questa volta, sono pienamente d’accordo
con lei, neanch’io
avrei conservato a lungo quei soldi. Il ristorante dove avevo prenotato
per il
30, era uno dei più rinomati della città e, di
conseguenza, uno dei più cari.
Si, ci tenevo a fare bella figura con Leah.
Dopo
Natale, i giorni passarono talmente in fretta che mi
ritrovai, nel tardo pomeriggio del 30 dicembre, davanti al mio armadio
aperto,
a fissare ogni singolo capo d’abbigliamento in mio possesso
con un’espressione
talmente concentrata che mia madre non smetteva per un istante di
prendermi in
giro.
-
Guarda che non devi andare chissà dove. Mi sembri Ambra
ogni volta che deve uscire! -
-
Non mi paragonare a lei. Qui è questione di vita o di
morte! -
-
Oddio che esagerato! Avanti, fammi dare un’occhiata, tu
siediti buono sul letto. -
Sbuffando,
obbedì e la osservai tirare fuori, osservare e
gettare sul letto alcuni dei miei capi d’abbigliamento
più eleganti sbottando
ogni tanto parole senza senso. Alla fine, dopo una buona
mezz’ora, ne scelse
due e li appese ognuno su un’anta aperta
dell’armadio.
-
Ok. Scegline uno. -
Mi
alzai e la raggiunsi per osservare i due completi
davanti a me. Storsi la bocca e misi le mani sui fianchi.
-
Non sono troppo eleganti? -
-
Ti ricordo che hai prenotato in un ristorante piuttosto
lussuoso. Non puoi andarci con jeans e felpa! E poi, sono sicura che
anche lei
si tirerà a lucido per bene! -
Tornai
ad osservare i due completi. Quello alla mia
destra era blu scuro. Mia madre vi aveva abbinato una camicia azzurro
ghiaccio
e una cravatta blu con strisce oblique grigie. Come seconda scelta, mia
madre
aveva puntato sull’intramontabile total black. Completo nero
con camicia nera,
senza cravatta.
-
Fossi in te sceglierei il completo nero. Il blu lo
indossi fin troppo spesso. -
-
Ci ho pensato anch’io. Ma non saprei…
completamente
nero per una serata simile, mi sembra troppo. -
-
Concordo. - Sia io che mia madre sobbalzammo e ci
voltammo verso la porta. Chi aveva parlato era mio padre. Nel vedere le
nostre
espressioni, si aprì in un sorriso e si avvicinò
al mio armadio curiosando
l’interno.
-
Quando si esce con una donna, il nero va sempre bene,
soprattutto se è un appuntamento elegante. Ma il total black
è troppo serio e
si rischia inconsciamente di allontanare la ragazza. -
Allungò un braccio e
afferrò una stampella dove vi era appesa una camicia che non
vedevo da anni.
Era completamente rossa. Un rosso forte, caldo, prepotente e grintoso.
Non
ricordo per quale occasione la acquistai, credo di averla indossata una
volta
sola, perché fin’ora mi era sempre sembrata una
camicia dall’aspetto troppo aggressivo
per il mio stile. Ma ora, ai miei occhi, appariva diversamente. Mio
padre
afferrò la stampella della camicia nera e la
sostituì con quella rossa, poi si
voltò a guardarmi.
-
Nathaniel, ricorda che nella società odierna, vince chi
ha l’aspetto migliore. È una regola che vale in
qualsiasi campo, quindi
ricordala bene. -
Lo
fissai e annuì. Dopodiché, si voltò e
uscì dalla mia
stanza senza aggiungere altro. Mi voltai verso mia madre che mi sorrise
scrollando
le spalle e mi invitò a cambiarmi, per poi uscire anche lei.
Una volta rimasto
solo, indossai il completo e mi guardai allo specchio. Da quanto tempo
non osservavo
il mio riflesso in quel modo? La persona che vidi, non era
più il Nathaniel di
qualche tempo fa. Gli occhi ambrati di quella persona, studiavano la
figura di
fronte a sè e trasmettevano sicurezza e calma. Erano gli
occhi di un uomo adulto
molto sicuro di sé ed affascinante. I capelli dorati erano
leggermente più
lunghi di quello che ricordavo e donavano alla persona riflessa nello
specchio,
un carisma che il Nathaniel di qualche tempo fa non possedeva. Infine,
quella
persona, appariva forte, carismatico, affascinante e bello. Possibile
che quel
riflesso, appartenga a me? Sono cambiato a tal punto? Possibile che
Leah abbia
veramente portato a galla una parte del mio “lato
oscuro”? Con questi pensieri,
mi diressi in bagno e decisi di darmi una sistemata ai capelli. Erano
cresciuti
parecchio, quindi decisi di tirarli indietro utilizzando un gel per
capelli ma
qualche ciuffo ribelle, mi cadde comunque sulla fronte. Lottai con loro
per un po’,
ma poi rinunciai. Dopo essermi infilato le scarpe, aver preso chiavi,
il regalo
per Leah e il portafoglio, recuperai il cappotto e mi diressi verso la
porta.
-
Aspetta Nath. Voltati, fatti guardare. -
Mi
voltai verso mia madre. Rimasi di sasso quando vidi i
suoi occhi illuminarsi ed inumidirsi. Persino Ambra che era
lì solo di
passaggio, si fermò di colpo, rinunciando alla lettura
dell’ultimo messaggio
ricevuto per osservarmi a bocca aperta. Infine, giusto per non
imbarazzarmi
ulteriormente, ci raggiunse persino mio padre, il quale mi
osservò con un
sorriso soddisfatto in volto.
-
Ehm… tutto bene? - Stringendosi le mani e portandosele
vicino alla bocca, mia madre mi sorrise e vidi che tratteneva a stendo
le
lacrime. Perché quella reazione?
-
Nath… quella ragazza è un toccasana per te. Vai,
ora, e
buona fortuna. -
Sospirai,
non capendo bene cosa sia successo, e le
sorrisi. Uscendo, l’unica cosa che sentì prima di
chiudere la porta fu una
scandalizzata Ambra.
-
Hai detto ragazza?! -
L’orologio
posto nel cruscotto dell’auto, segnava le
18.10 precise. Avevo parcheggiato l’auto in un posteggio
vicino al cancello
dell’abitazione di Leah e la stavo aspettando appoggiato alla
fiancata dell’auto.
Quando le citofonai, mi rispose dicendo che avrei dovuto aspettare
qualche
minuto e da allora ne sono passati cinque. Cinque interminabili minuti.
I più
lunghi della mia vita. Dire che ero agitato è poco. Il cuore
mi batteva
talmente forte che sembrava scoppiarmi in petto e, preso
dall’ansia, avevo
iniziato a battere ritmicamente un piede sull’asfalto
fissando a vuoto il
cancello di fronte a me dalla quale sarebbe dovuta uscire la ragazza da
lì a
poco. Sbuffai nervoso e mi scostai dall’auto muovendo le
braccia per scaldarle.
È proprio vero che le donne ci mettono una vita a
prepararsi. E per fortuna che
le avevo detto che sarei passato a prenderla per le sei! Rimisi le mani
in
tasca e sfiorai il pacchettino contenente la collana per Leah. Quel
tocco mi
calmò per un istante, giusto il tempo di pensare ad una sua
possibile reazione
una volta visto il ciondolo. Ma la calma durò poco,
perché fu in quel frangente
che sentì scattare il cancello e aprirsi poco dopo. Mi
voltai verso di lei. La luce
di un lampione illuminò la sua figura permettendomi di
vederla. Aveva raccolto
i capelli in uno chignon morbido dal quale cadevano alcuni riccioli che
le
sfioravano le spalle coperte da una pesante sciarpa nera. Gli orecchini
argentati
a pendolo, le illuminavano il viso. Notai con piacere che era truccata.
Un trucco
leggero ma che le risaltava moltissimo gli smeraldi che aveva al posto
degli
occhi… e le labbra… dipinte con un rossetto rosso
acceso, sembravano ancora più
belle del solito. Ero incantato e la ammiravo senza ritegno. Ma di lei,
potevo
vedere solo il viso, perché il resto del corpo era coperto
da un cappotto
grigio scuro con tre bottoni sul davanti che le arrivava poco sopra il
ginocchio, mostrando le sue bellissime gambe avvolte da un collant nero
pesante
e i suoi piedi che calzavano un paio di decolleté dal tacco
alto dello stesso
colore delle calze. Lei notò i miei sguardi e si
lasciò guardare, mostrando una
nota di vanità nello sguardo. Ma anche lei mi osservava con
la stessa luce
negli occhi, probabilmente immaginando come io possa essermi vestito o
chissà
cos’altro… mi stava letteralmente mangiando con
gli occhi (o almeno credo). Eravamo
entrambi curiosi su quello che sarebbe potuto accadere quella sera. E
la cosa
mi piacque molto.
- Possiamo andare.
Che dici? -
Le
sorrisi, le porsi il braccio, che afferrò
tranquillamente, e ci incamminammo verso il ristorante.
Note:
Rieccomi a voi! Dopo quasi due settimane di
assenza, ecco qua il capitolo 15. Scritto con gioia, impulso e col
cuore a
mille… e presto capirete il perché. Il Nathaniel
descritto in questo capitolo,
è un vero pezzo di figo… spero sia piaciuto anche
a voi! Fatemi sapere se è
così!! Un bacio!! A presto!
|
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Capitolo 16 *** CAP.16 SGUARDI CHE PARLANO ***
CAP.16
SGUARDI CHE PARLANO____ So che
non è galante portare una ragazza in
un ristorante così di lusso a piedi. Ma non è
stata una scelta casuale: avendo
parcheggiato l’auto vicino a casa sua, avrei avuto tutto il
tempo per calmarmi
e armarmi di coraggio per darle la collana durante il ritorno. In
più, il
ristorante non è molto lontano da casa sua; infatti, dopo
circa dieci minuti,
giungemmo a destinazione e un cameriere, vestito di tutto punto, ci
accolse
invitandoci ad attendere qualche minuto al piano bar.
-
Volete lasciarmi i vostri cappotti? -
Non
me lo feci ripetere due volte. Fuori faceva freddo,
ma dentro al locale, coperti in quel modo, faceva veramente troppo
caldo (e non
mi andava di sudare). Mi tolsi immediatamente il cappotto e lo porsi al
cameriere che lo prese piegandolo accuratamente e poggiandolo
sull’avambraccio,
mentre Leah si toglieva la sciarpa. La ragazza alzò lo
sguardo e mi osservò
attentamente sorridendo.
-
Bella camicia. -
-
Grazie. - E finalmente, anche lei si liberò del
cappotto. In quel momento, sembrava che i miei occhi si aprissero in
modo
esponenziale solo per vederla meglio. Era… uno spettacolo
unico… qualche tempo
fa affermai che non avevo mai visto Leah truccata, o vestita in maniera
femminile. E ora capivo il perché. Anche se era vestita in
modo molto semplice,
attirava l’attenzione di molti attorno a noi. Persino il
cameriere si fermò per
osservarla meglio, prima di allontanarsi coi cappotti. Indossava un
tubino
grigio che la copriva fino a metà coscia, stretto in vita da
una fascia nera
annodata da un lato. Lo scollo a barca permetteva alle clavicole, alle
spalle e
al decolleté di farla da padrone e il suo neo era in bella
mostra grazie anche
ai capelli raccolti. Alzai lo sguardo sul suo viso e vidi che mi
osservava in
attesa di una qualche mia reazione. Sembrava imbarazzata dal mio
sguardo più
che da quello degli altri… perché? Era
semplicemente…
-
Stupenda. -
Credo
che non si aspettava questa precisa parola da me. Dischiuse
la bocca sorpresa e arrossì di colpo, ma non smise di
guardarmi. E non lo feci
nemmeno io. I suoi occhi vagavano lungo tutta la mia figura,
soffermandosi in
particolare all’altezza delle spalle e sulla camicia, poi sui
capelli ed infine
sugli occhi. Si morse il labbro inferiore e mi guardò come
quel pomeriggio in
palestra. Bastò quel gesto a far reagire il mio corpo e a
farmi provare l’irresistibile
impulso di prenderla e baciarla, di portarla via e concludere subito la
serata
in camera da letto… un momento… cosa ho appena
pensato?!
-
Il vostro tavolo è pronto, signori. Prego, seguitemi. -
L’arrivo
del cameriere mi destò dai pensieri scabrosi che
avevo appena avuto (appena in tempo direi…). Schiarendomi la
voce, porsi
nuovamente il braccio a Leah che afferrò e, insieme,
seguimmo il cameriere il
quale ci condusse al nostro tavolo.
Il
locale era piuttosto grande, ben illuminato, con le
pareti color panna e le decorazioni oro e rosse. I tavoli (saranno
stati almeno
una cinquantina) erano ben distribuiti e adornati con tovaglie avorio
sulla
quale vi era poggiato un semplice portacandela dorato. Il nostro, era
quello
più vicino all’enorme finestra che mostrava un
giardino esterno ben curato. Il cameriere
ci fece accomodare e si allontanò, ma non prima di averci
consegnato il menù. Ne
presi uno, lo aprì e iniziai a leggere, seguito a ruota
dalla ragazza. Con la
coda dell’occhio, vidi che Leah continuava ad osservarmi da
dietro il menù e
che sorrideva. Alzai lo sguardo su di lei.
-
Qualcosa non va? -
Senza
smettere di sorridere, richiuse il menù e lo ripose
delicatamente sul tavolo per poi unire le mani e portarsele sotto al
mento.
-
Stavo pensando che è la prima volta per me, in un
locale del genere. Ma tu sembri a tuo agio. Ci vieni spesso? -
Richiusi
il menù.
-
No, almeno non qui. Da bambino cenavamo spesso in
locali simili, soprattutto per delle riunioni con i colleghi di mio
padre. Ma sono
anni che non lo fa più, quindi nemmeno io ci sono abituato.
La mia è una calma
apparente. -
-
Oh, quindi sei agitato? -
Temo
di aver parlato troppo. Si mise a ridere,
compiaciuta per averci azzeccato.
-
Beh, ti ringrazio per avermi portata qui. Ma andava
bene anche un fast food, chissà quanto ti costerà
questa cena. -
-
Per te, è anche poco. -
Smise
di ridere e mi osservò. In questi ultimi mesi, sono
riuscito a conoscerla meglio e certi suoi comportamenti, che prima mi
erano incomprensibili,
ora riesco a leggerli bene e a capirli. Stessa cosa per i suoi sguardi.
Mi erano
sempre sembrati spenti, ma ad un’occhiata più
attenta, ho potuto vedere certi
suoi microscopici segni di espressione che caratterizzavano ogni suo
sguardo. Ad
esempio: in questo momento aveva dischiuso leggermente le labbra, segno
di
stupore, una vena del collo aveva iniziato a pulsare più
vistosamente, segno di
agitazione, e il suo respiro si era fatto lievemente più
pesante, segno di
ansia. Scossi la testa.
-
Perché sei in ansia? -
-
Non sono in ansia. -
-
Non mentirmi, Leah. Ormai ti conosco abbastanza. Dimmi cosa
c’è che non va. -
Avevo
fatto centro. Per la prima volta, Leah abbassò lo
sguardo, vinta dal mio, e sciolse le mani appoggiandole sul tavolo.
-
Sei in pensiero per Nick? -
-
No, non è questo. -
-
Allora parlami. -
Tornò
a guardarmi. Lo sguardo che aveva ora, mi era
nuovo. Non glielo avevo mai visto e non riuscì ad
interpretarlo. Ma come
apparse, svanì e venne sostituito dal sorriso più
dolce che mi abbia mai rivolto.
-
Mi ami davvero così tanto? -
Sapevo
che non si riferiva al fatto che per lei sarei
entrato in bancarotta. La osservai per un po’ e vidi un
leggero velo di
tristezza nei suoi occhi. Allungai una mano e afferrai la sua,
stringendola. Era
calda e morbida. Inclinai leggermente la testa di lato e le sorrisi.
-
Si. -
Cadde
il silenzio. Non era un silenzio pesante, come quel
pomeriggio a casa sua. Era leggero e tranquillo. I suoi occhi parlavano
al suo
posto e, finalmente, ero in grado di sentirli. Mi stavano dicendo
qualcosa di
dolce che mi fece tranquillizzare. Mi stavano dicendo che anche lei
aveva
iniziato a nutrire qualcosa di più profondo nei miei confronti. Quello
sguardo, valse più
di mille parole. Mi sorrise. Il sorriso più bello di sempre
e ricambiò la
stretta della mia mano.
-
Perdonatemi, signori. Volete ordinare? -
Il
resto della cena trascorse tranquillamente. Dopo quel
discorso più serio, ne seguirono altri più
leggeri e demenziali. Ridemmo come
due matti, tant’è che la gente intorno a noi ci
lanciava occhiatacce
agghiaccianti. Ma ce ne fregammo e continuammo a ridere come se niente
fosse. Fu
davvero una splendida cena che si protrasse fino alle 22 circa.
Rendendoci conto
dell’ora, decidemmo di alzarci ed andare via. Recuperati i
rispettivi cappotti,
chiesi a Leah di aspettarmi fuori mentre avrei pagato il conto.
Così fece, ed
io, oltre a pagare, ebbi l’occasione di controllare per
l’ennesima volta se mi
ero ricordato di portare il regalo. Sedata la mia ansia, la raggiunsi e
ci
dirigemmo verso casa sua. Con mia sorpresa, questa volta fu lei ad
afferrarmi
spontaneamente il braccio stringendosi a me. È inutile dire
che mi mise
agitazione… molta agitazione, dato che la sentivo
estremamente attaccata a me
in tutta la sua fisicità… sentì il
volto avvampare e sfruttai la diversità di
altezza per nasconderle il rossore. Credo di esserci riuscito. Dopo
pochi minuti,
raggiungemmo il suo cancello.
-
Eccoci arrivati. -
-
Già. -
Si
staccò da me e, con una lentezza esagerata, aprì
la
borsa ed estrasse un mazzo di chiavi con la quale iniziò a
giocherellare.
-
Allora… grazie per la cena… -
-
Si… prego… -
La
ragazza annuì e si voltò avvicinandosi al
portone. Ora
il livello di agitazione era alle stelle. E non solo
l’agitazione, ma anche la
paura. Avevo una paura tremenda, ma non potevo lasciarmi sfuggire
quest’occasione!
Quindi, ora o mai più!
-
L-leah, aspetta! -
Si
voltò e mi osservò speranzosa. Speranzosa?
Ottimo! Avanti,
Nath, metti da parte la paura e affrontala! Sentivo il volto in fiamme,
molto
più di prima, e deglutì un paio di volte prima di
decidermi e mettere le mani
in tasca per estrarre il pacchettino. Lo osservai per pochi secondi,
poi,
sospirando, alzai lo sguardo verso di lei. Anche lei osservava la
confezione. Le
porsi il regalo.
-
Buon compleanno, Leah. -
Gli
occhi di lei danzavano dal regalo al mio volto. Era incredula.
-
Come… sapevi che… -
-
Ringrazia Lysandro. -
Sospirò
e dalla sua espressione capì che lo aveva appena
maledetto. Scosse la testa sorridendo e si avvicinò a me
prendendo il
pacchettino. Lo rigirò un po’ tra le mani,
palesemente imbarazzata, e lo aprì. La
sua espressione mutò improvvisamente. Aprì la
bocca un paio di volte,
probabilmente nel tentativo di dire qualcosa, ma la voce le
morì in gola. Fui io
a parlare.
-
Quando ti vidi in palestra la prima volta, ti trovai
affascinante
ed elegante. Ti paragonai ad una tigre, elegantemente
feroce, tremendamente stupenda. E, durante questi mesi, ho capito che
ci avevo
visto giusto. Tu sei come una tigre. Bella, affascinante, forte, letale
e
magnifica come questo felino. Ma anche dolce ed affettuosa, come una
mamma
tigre coi suoi cuccioli. Io vedo questo in te e vorrei che lo vedessi
anche tu.
Vorrei che questa collana risulti come l’impersonificazione
della tua anima. E che
rappresenti il sentimento che provo per te, Leah. -
Sollevò
lo sguardo. Aveva le sopracciglia aggrottate e
gli occhi lucidi. Le labbra erano serrate, nel vano tentativo di non
piangere. Dico
vano, perché una lacrima le scappò e scese lungo
la sua guancia che prontamente
asciugai con una mano. Feci per
parlare nuovamente, ma un improvviso fiocco di
neve mi distrasse e mi fece sollevare lo sguardo verso il cielo. Aveva
iniziato
a nevicare.
-
Nath? -
Tornai
a guardarla, ma non feci in tempo a fare altro. Sentì
una sua mano afferrarmi la nuca e spingermi dolcemente verso il suo
viso. La vidi
chiudere gli occhi e sentì le sue labbra poggiarsi sulle
mie. Il cuore mancò un
colpo e rimasi per poco con gli occhi spalancati, ma lei non si
staccò. Anzi,
socchiuse le labbra ed insinuò la sua lingua nella mia bocca
stuzzicando la
mia. Risposi al bacio. Chiusi gli occhi e la strinsi a me, sollevandola
leggermente. Lei avvolse le braccia intorno al mio collo. E ci baciammo
sotto
la neve.
Note:
Per farmi perdonare del ritardo nella pubblicazione
del precedente capitolo, ho deciso di pubblicare anche il 16 ^^
Tornando
alla storia… cosa ne pensate? Finalmente siamo
arrivati al bacio… aaah, come vorrei essere Leah…
pensavo a questo mentre
scrivevo il capitolo… sapete, inizio ad apprezzare sempre di
più Nath e mi
piacerebbe che si sciogliesse di più anche nel
gioco… come sempre, grazie per
aver letto e ci si vede al prossimo capitolo! Un bacione!!
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Capitolo 17 *** CAP.17 GELOSIA ***
CAP.17
GELOSIA ____
- Nath? -
Mi
chiamò e ripresi un po’ di lucidità. Mi
accorsi che
eravamo nella sua camera, più precisamente io alla porta e
lei dentro. La stavo
fissando da qualche minuto mentre lei era in attesa di una mia mossa.
Ero
perfettamente conscio di ciò che sarebbe successo di
lì a poco, eppure non ero
per nulla agitato. Anzi, ero calmissimo. Allora perché ero
lì imbambolato? Leah
inclinò la testa di lato e mi sorrise. Poi alzò
una mano e si sciolse i
capelli, liberando i ricci che ricaddero sulle spalle. Si
liberò anche degli
orecchini ma non della collana. La mia collana a forma di tigre, che si
era
messa poco prima di entrare in casa. Le donava davvero molto.
Allungò la mano
verso di me invitandomi ad entrare. La afferrai e lei
intrecciò le sue dita
alle mie. Appoggiò la mano libera sul mio petto facendola
scorrere verso la
spalla e liberandola dalla giacca, poi iniziò a sbottonarmi
la camicia. La
guardai slacciare i bottoni, ma la poca luce che filtrava dalla
finestra, non
mi permise di vedere bene il suo viso. Alzò lo sguardo
accorgendosi che la
stavo osservando.
-
Che c’è? -
Scossi
la testa e sorrisi accarezzandole il volto.
-
Nulla. -
E
la baciai stringendola a me. Mi liberai della giacca e
iniziai a slacciale la cintura che le legava la vita mentre lei finiva
di
sbottonarmi la camicia per poi togliermela. Una volta che le tolsi la
cintura, le
accarezzai i fianchi e la feci voltare con lo scopo di slacciarle il
tubino.
Percorsi la schiena con una mano mentre col l’altra le
spostavo i capelli di
lato, liberandole il collo ma, soprattutto, il neo. Ci appoggiai le
labbra
sopra e la sentì rabbrividire. Mi spostai dal collo
all’orecchio,
mordicchiandolo appena, mentre con l’altra mano le abbassavo
la zip del tubino,
ma fui interrotto. Mi spinse delicatamente col bacino, facendomi
indietreggiare
di qualche passo. La guardai interrogativo e lei mi rispose con un
sorriso
voltando appena il viso verso di me, senza girarsi del tutto. Le
osservai la
schiena, appena visibile, e ritrovai il tatuaggio che scorsi appena
quel giorno
nella palestra della scuola. Erano tre ideogrammi giapponesi, uno in
fila
all’altro in verticale, lungo tutta la colonna vertebrale
lombare. Non le
chiesi cosa volessero dire, non era il momento. Oltretutto, si era
appena tolta
il tubino restando in intimo e in autoreggenti ….
autoreggenti …. nere …. e
intimo nero …. però! La sentì ridere
per la mia espressione e, finalmente, si
voltò permettendomi di vederla. Era bellissima. Si
avvicinò a me e iniziò a
slacciarmi i pantaloni. La lasciai fare.
-
Leah? -
-
Mh? -
-
…. No, nulla. -
Non
saprei dire da quanto tempo aspettavo questo momento:
il momento in cui avrei potuto sentirla mia. Era come se stessi vivendo
un
sogno. Avevo la mente offuscata, non riuscivo a pensare razionalmente e
mi
stavo abbandonando all’istinto. La vista era annebbiata, solo
il suo viso mi
era del tutto chiaro. Vedevo e sentivo solo lei, solo la sua voce e il
calore
della sua pelle. Il suo respiro e il mio erano mescolati, non saprei
distinguerli. Anche l’ambiente intorno a noi non aveva
più un senso. Ero sopra
di lei, nel letto, che la baciavo con foga, che percorrevo il suo corpo
con una
mano, afferrandole una coscia e sollevandola facendola incastrare
nell’incavo
del mio gomito, mentre con l’altra giocavo coi suoi seni, per
poi scendere.
Sempre più giù, fino a trovare la sua
intimità e iniziare a giocare anche con
quella. Lei respirava affannosamente. Mi stringeva a sé
intrecciando le dita
nei miei capelli mentre con l’altra mano mi afferrava una
spalla. Dopo poco,
inarcò la schiena e liberò le labbra dalla mie,
in modo da dar sfogo al piacere
mentre io continuavo e le baciavo il collo e la spalla. Un gemito
più forte, mi
fece perdere la testa e non resistetti più. Entrai in lei,
afferrandole con una
mano il bacino e spingendolo di più contro il mio. Ed
iniziai a muovermi. Dopo
qualche minuto, si liberò dalla mia presa con
agilità e invertì le posizioni.
Stavolta ero io sotto di lei. Rimase ferma, a cavalcioni, a guardarmi
per un
istante. Io capì e mi misi a sedere, aiutandola ad
intrecciare le gambe dietro
la mia schiena. I nostri visi erano ad un soffio di distanza
l’uno dall’altra.
Le liberai il viso da una ciocca di capelli, accarezzandola dolcemente.
Era
coperta di sudore, ma era sempre bella. Le sorrisi e lei anche.
Baciandola, le
afferrai la schiena con una mano, in modo da non farle perdere
l’equilibrio e
ripresi a muovermi. I gemiti di entrambi, divennero sempre
più insistenti,
veloci ma ritmici. All’unisono. E sempre
all’unisono, raggiungemmo l’apice.
Mi
rivestì, poiché, senza rendermene conto, erano
arrivate le 3 di notte. Dopo aver finito di fare l’amore, io
e Leah
chiacchierammo a lungo del più e del meno per poi
addormentarci abbracciati l’uno
all’altra. Quando mi svegliai e controllai l’ora
alla sveglia posta sul
comodino, mi alzai e iniziai a vestirmi sperando di non svegliarla.
Cosa che
non avvenne.
-
Stai andando via? -
Mi
voltai verso di lei e le sorrisi. La ragazza si mise a
sedere e accese l’abat-jour, accecandomi per un istante.
-
Sì. Si è fatto tardi. -
-
Ho visto. Aspetta, ti stai allacciando male la camicia.
-
E
si alzò, avvicinandosi a me per allacciarmi meglio la
camicia. Arrossì e distolsi lo sguardo da lei mentre
procedeva ad allacciarli.
-
Ah… grazie. -
-
Prego. -
Strano.
Non dovrei sentirmi in imbarazzo, dopo quello che
è successo. Proprio no! Eppure… al solo pensare
quello che era successo,
sentivo la faccia in fiamme. Sentì Leah darmi una pacca
sulla spalla e tornai a
guardarla.
-
Fatto. Ora puoi andare. -
-
Ok. -
Raccolsi
la giacca e la indossai. Poi scesi al piano di
sotto, accompagnato da Leah e recuperai anche il cappotto, indossandolo.
-
Allora, ci vediamo domani? -
-
Domai? Ormai è già domani. -
-
Oh… si, in effetti… -
Rise.
Risi anch’io, imbarazzato, e mi grattai la nuca. Lei
mi guardò sorridente, piegando la testa di lato.
-
Sarò in ospedale tutto il giorno. Raggiungici verso
sera, se vuoi. Fanno i fuochi d’artificio a mezzanotte e
dalla balconata dell’ospedale
si vedono bene. -
-
Già. È capodanno. Va bene, vi
raggiungerò. -
Sorrise
e si avvicinò per baciarmi. Mi chinai e ricambiai
il bacio, accarezzandole il viso. Dopo esserci staccati,
afferrò il colletto
della camicia facendomi chinare ancora di più e avvicinando
le labbra al mio
orecchio.
-
Questa camicia la dovrai indossare solo in mia
presenza. Intesi? -
Deglutì.
- V-va bene. -
La
sentì sorridere e mi leccò l’orecchio,
per poi
allontanarsi.
-
Vai a casa, ora. -
La
guardai. Poi risi e mi avvicinai a lei. Stranamente,
lei indietreggiò ma venne bloccata dal muro. Le
impedì ogni via di fuga
poggiando le braccia al muro dietro di lei e guardandola intensamente
senza
smettere di sorridere. Sarà da differenza di altezza (ero
più alto di lei di
tutta la testa), sarà per l’intensità
del mio sguardo, ma finalmente, fui io a
farla arrossire. E non per l’imbarazzo. Mi avvicinai ad un
soffio dalle sue
labbra.
-
È gelosia la tua? -
-
Proprio per niente. -
Sorrisi
ancora. Poi la baciai di sfuggita e uscì.
La
felicità e la perfezione di quel momento non durarono
molto. Purtroppo per me, venni destato dal mio brodo di giuggiole da
Ambra. La mia
adorata sorellina mi aveva aspettato per tutta la notte seduta sulla
poltrona
in sala e mi raggiunse in corridoio non appena varcai la soglia di
casa.
-
E tu che ci fai ancora sveglia? -
-
Silenzio! Qui le domande le faccio io. Ti sembra questa
l’ora di rientrare a casa? -
Sospirai
infastidito e mi tolsi il cappotto appendendolo
all’attaccapanni.
-
Piantala, Ambra. Non sei nelle condizioni di farmi la
predica. -
-
Oh si invece, dato che in questa casa sono l’unica a
cui interessa la vita privata di mio fratello! -
-
Ecco, appunto. Vedi di farti gli affari tuoi e fila a
letto. -
La
scostai non troppo gentilmente e feci per dirigermi in
camera mia, ma Ambra mi si piazzò davanti mettendosi nella
sua classica posa di
sfida: peso su una gamba, una mano sul fianco e con l’altra
prima si scostò una
ciocca di capelli per poi puntarmi il dito contro.
-
Mi sto facendo gli affari miei! Non posso permettere
che mio fratello vada in giro a fare chissà cosa fino alle
tre di notte con una
poco di buono! -
“Una
poco di buono”? Aggrottai le sopracciglia e sentì
il
sangue iniziare a ribollirmi nelle vene.
-
Finiscila qui, Ambra, prima che sia tardi. -
-
O-oh! Altrimenti che fai? Mi metti le mani
addosso? Ma che
diavolo, Nath! È da un po’
che ti comporti in modo strano! È colpa di questa qua? Eh?!
Ti sei fatto
abbindolare dalla prima che passa?! Chi diavolo è questa
puttana con cui ti
vedi?! -
Fino
a qualche mese fa, non avrei reagito alle sue
provocazioni. L’avrei lasciata sbraitare ignorandola.
Finchè se la prende con
me, va bene. La lascio parlare. Ma non deve osare nominare Leah.
Soprattutto con
certi termini. Infatti, non ci vidi più. E con sua enorme
sorpresa, le afferrai
il colletto del pigiama e la sbattei al muro. Dovetti farle male,
perché la
sentì gemere e quando riaprì gli occhi, la sua
espressione mutò. L’aria di
sfida si tramutò in terrore. Aveva paura di me.
-
Devi stare zitta. Non nominarla. Non pensarla nemmeno. Prova
un’altra volta a parlar male di lei, anche solo una, e ti
giuro che non avrai
più un bel visino. Intesi? -
Non
urlai. La mia voce era calma. Ferma. Forse fu questo
a far paura ad Ambra, che annuì con le lacrime agli occhi.
La guardai ancora
per qualche secondo, poi la lasciai ed entrai in camera mia chiudendo
la porta
ed impedendo al suo sguardo di seguirmi ancora.
Note:
Che dire… assolutamente niente! Questo capitolo mi
è piaciuto molto scriverlo. Nathaniel
è… ditemelo voi com’è.
Fatemi sapere cosa
ne pensate, di lui, di Leah, di Ambra e della situazione che si
è creata. Così
potrò capire se sono riuscita a farvi conoscere il mio Nath
e la sua storia ^^
un bacio. Ciao ciao e alla prossima! Grazie per aver letto!
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