La tua scelta [interrotto]

di Shadow writer
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** 1_Dove la mia vita cambia drasticamente ***
Capitolo 2: *** 2_Dove tutto comincia ***
Capitolo 3: *** 3_Dove compare il giocatore di football ***
Capitolo 4: *** _Dove inizia la caccia al tesoro ***
Capitolo 5: *** _Dove comincio a capire qualcosa ***
Capitolo 6: *** Dove mi riversano addosso le parole ***
Capitolo 7: *** _Dove tento di ignorare ciò che è successo ***
Capitolo 8: *** _Dove faccio amicizia con il ragazzo che profuma di miele ***
Capitolo 9: *** _Dove le cose si complicano ***
Capitolo 10: *** _Dove faccio conoscenza degli scheletri che ballano tip tap ***
Capitolo 11: *** _Dove resto senza fiato ***
Capitolo 12: *** _Dove faccio la mia scelta ***
Capitolo 13: *** _Dove si sente il vento ***
Capitolo 14: *** _Felicità ***
Capitolo 15: *** _Dove divento una depressa adolescente innamorata ***
Capitolo 16: *** _Dove parlo con il ragazzo che amava il ragazzo che amo ***
Capitolo 17: *** _Dove si va all'ospedale ***
Capitolo 18: *** _Dove cado nei guai ***
Capitolo 19: *** _Dove incontro il falso evaso nel bosco buio ***
Capitolo 20: *** _Dove parlo di bene e male ***



Capitolo 1
*** 1_Dove la mia vita cambia drasticamente ***


La voce ronza come sottofondo dei miei pensieri, ma non ci sto prestando veramente attenzione. È come il sorriso statico sul mio volto. Continua, anche se non ci penso, non ci faccio caso.
I miei pensieri stanno volando, lontano.
Dovrei per lo meno essere grata al signore che sta salendo adesso sul palco, saluta il pubblico e si avvicina al microfono.
Io resto ferma, sorriso statico, pensieri galoppanti.
Penso a dove sto per andare, un anno lontano, un paese nuovo.
Riesco a risvegliarmi appena in tempo per rendermi conto che l'uomo dietro al microfono è cambiato e sta dicendo:
«Ed ora i meritevoli ragazzi della borsa di studio che coprirà le intere spese di un anno scolastico in America, offerta dal signor Benedict Lennox.»
Comincia a chiamare i nomi e cerco di emergere dai miei pensieri.
Mi rendo conto che i muscoli facciali mi fanno male a forza di sorridere e che sto per svenire per essere stata qui immobile in piedi sul palco, sotto le luci accaldanti dei riflettori.
«Luna Leach» 
"Sei tu."
Grazie tante.
"Allora cammina!"
Avanzo, cercando di non apparire impacciata.
Sorrido a trentadue denti quando l'uomo mi stringe la mano e mi consegna una busta. Sorrido alla fotocamera quando il flash mi acceca.
"Cammina lentamente, non vedi bene."
Come se non lo sapessi.
Barcollo in avanti.
Qualcuno mi afferra da dietro.
Sarà il presentatore, mi dico.
"Non sarebbe così maleducato", mi fa notare la solita vocina.
Qualcosa di freddo glaciale mi si posa sulla tempia.
«Non muovetevi!» grida chi mi sta tenendo ferma «O le sparo un colpo in testa»
"Ha una pistola," mi avvisa Voce.
Grazie tante.
Non riesco a mettere a fuoco il pubblico, ma appare come una sagoma nera enorme, nascosta dalle luci.
Ci si aspetterebbe un brusio, ma c'è un silenzio di tomba. Sento solo il fiato pesante del mio rapitore.
Deglutisco.
Se mi spara, sono morta.
Vedo l'immagine della mia testa che esplode e del corpo che si affloscia a terra.
«Voi, spostatevi in avanti!» ordina butalmente al presentatore e agli altri uomini che stavano alle mie spalle.
Il sangue mi pulsa nelle vene.
Le braccia del rapitore sono robuste, i muscoli forti. Profuma di miele.
«Non una parola o giuro che sparo» ripete.
Il freddo glaciale si allontana dalla mia testa, poi sento una detonazione.
Rumore di vetro che si frantuma.
Vetro?
"C'era una vetrata alle tue spalle", continua la voce.
«Se avevate qualche dubbio che la pistola fosse carica, eccovene una dimostrazione. Signor Lennox» chiama a gran voce «Salga sul palco»
Ha il fiato pesante.
D'un tratto mi rendo conto che un proiettile è esploso, ma ora la pistola è vuota. Non so come, non so perché, ma il vento gli passa attraverso, libero.
Perché io sento il vento? 
Sto impazzendo.
Però ciò significa che non può spararmi.
Vedo in lontananza la sagoma di un uomo che si avvicina alle scale.
Alzo il tallone e lo sferro tra le gambe del rapitore.
Lui geme, la sua presa si allenta abbastanza perché possa scivolare verso il basso e liberarmi.
Mi afferra per un polso e mi spinge dietro di sé, sfrutto la sua stessa forza per trascinarlo ancora più in là.
Goffi, inciampiamo al di là dei vetri della vetrata e ci catapultiamo nel giardino buio.
Lui ha il volto coperto ed è vestito di nero dal capo ai piedi.
"Colpiscilo."
Come desideri.
Gli sferro un calcio sullo stomaco e lui rotea le braccia per non cadere.
Si allunga, in equilibrio precario e agguanta il mio braccio.
Il mio strattone dà il colpo di grazia e precipitiamo alle sue spalle.
Peccato che alle sue spalle ci sia una piscina.
L'impatto con l'acqua è imprevisto e mi lascia senza fiato.
Emergo, avida d'ossigeno, mentre il vestito bagnato mi spinge verso il basso.
Anche il mio rapitore emerge,  e imprecando si toglie il passamontagna fradicio.
Trattengo il fiato.
Lo vedo.
È un ragazzo, poco più grande di me, dalla pelle mulatta e gli occhi neri.
"Studialo, la polizia di chiederà un'identikit."
Sono sempre stata una schiappa a Memory.
Lui resta paralizzato per pochi secondi, poi scappa verso il bordo e fugge via, nell'ombra dei giardini.
Il ragazzo che mi ha quasi ucciso.
«Signorina Leach, tutto bene?»
Mi volto e vedo un gruppo di uomini vestiti da guardie farsi avanti.
Alcuni setacciano la zona circostante la piscina, altri si avvicinano per aiutarmi ad uscirne.
Accetto la mano di uno di loro per rimettermi in piedi e barcollo sotto il peso dell'abito.
«Luna!» mia mamma mi corre incontro, con il volto trasfigurato dalla paura.
Appena vede che sono sana e salva fa un sospiro e mi stringe forte tra le braccia.
«Sono tutta bagnata» è l'unica cosa che riesco a dire.
«Ti daranno qualcosa di asciutto» replica.
«No è che...» lei si allontana "ti sei bagnata abbracciandomi".
Scorgo arrivare anche mio papà e alle sue spalle c'è Calvin.
Quando mi vedono fanno tutti un sospiro di sollievo.
«Tu sei matta» mi dice mio fratello avvicinandosi «Quello era armato!»
«Aveva un solo proiettile» rispondo.
«E tu come fai a saperlo?»
Scrollo le spalle.
«Signorina, sappiamo che potrebbe essere sotto shock, ma è essenziale per noi avere una descrizione dell'uomo» mi dice un signore vestito da poliziotto.
"Era solo un ragazzo" vorrei replicare, ma mi rendo conto che non è importante chi fosse, considerando che avrebbe potuto uccidermi.
"No, in realtà."
Hai fagione, lui non voleva uccidermi. Il primo proiettile era per spaventare il pubblico, ma non aveva un secondo per farmi male sul serio. Ma cosa voleva?
"Prima che tu avessi quella rivelazione ha chiamato "Signor Lennox""
È l'uomo che mi paga l'anno all'estero, cioè che mi da la borsa di studio.
"Quindi poteva volere soldi, essendo Lennox ricco."
Forse hai ragione, però non me sono del tutto convinta...
«Luna?» mi risveglia mio papà.
Annuisco.
«Stai bene?» il suo sguardo è serio.
Annuisco ancora.
«Te la senti di testimoniare ora? I ricordi potrebbero farsi sbiaditi»
Ipoteticamente dovrei essere sotto shock perché ho appena sfiorato la morte, perché i poliziotti sono così insistenti?
"Perché non hai dato l'idea di essere shoccata."
E tu cosa ne sai?
Silenzio. Voce è fatta così, quando non vuole, non risponde.
Vengo portata in una delle tante stanza della villa che ha ospitato l'evento.
Ad un certo punto mi trovo con un asciugamano sulle spalle, ma non ricordo chi me l'abbia messo.
Alla mia famiglia non è permesso entrare così mi ritrovo sola in una stanza con colma di poliziotti.
Mi fanno avvicinare ad uno che ha carta e matita in mano, poi mi chiedono di descrivere l'assalitore.
Comincio a parlare e nel frattempo l'uomo disegna, di tanto in tanto lo correggo, ma alla fine non sono neanche io tanto convinta di ciò che ne esce.
«Era buio, non ho visto granché» mi scuso davanti all'immagine.
È più vecchio e più cattivo del vero ragazzo.
«Altri dettagli?» mi chiede il poliziotto che disegnava.
«Era muscoloso»
«Perfetto grazie mille»
E profumava di miele.
"Non è così importante. Questo sembra il dettaglio che nota una ragazzina romantica."
Ah, eccoti tornata.
Silenzio.
 
 
Mi affaccio dal finestrino. L'aereo sobbalza, segno che è pronto al decollo. 
L'ho già fatto altre volte, eppure il mio cuore accelera.
Guardo l'asfalto che scorre e penso alla mia vita che sta scorrendo più veloce di quanto io possa vedere.
Ero convinta di essere una normale studentessa e per quanto ambissi a grandi realizzazioni, non avrei mai pensato che un ricco imprenditore americano fosse stato in grado di scovarmi e di offrirmi una borsa di studio per un anno in America.
La mia famiglia non era apparsa granché entusiasta, ma il mio insistere li aveva fatti cedere.
Non li rivedrò per molto tempo, eppure sono felice.
Li ho appena salutati, prima del controllo bagagli.
I miei genitori parevano commossi. Mia mamma era come la signora Bennet davanti ad una delle sue figlie maritate, soddifatta ed orgogliosa.
Calvin mi è sembrato quasi dispiaciuto, anche se adesso avrà la casa tutta per sé quando i miei non ci sono, forse gli mancherò un po'.
L'aereo sobbalza e mi sento comprimere sul sedile.
"Partenza e arrivo sono i momenti peggiori."
Bentrovata anche a te, Voce.
Quando manteniamo una posizione stabile frugo nella mia borsa ed estraggo il libro che mi sono portata per leggere.
Sì, credo che Il Signore degli Anelli mi basterà per tutto il viaggio.
 
Il viaggio è lungo e per quanto la Compagnia dell'Anello mi impedisca di addormentarmi, decido di interrompere la lettura e mettermi a guardare un film.
L'aereo è piuttosto elegante, i sedili sono larghi e comodi, non c'è rischio di essere disturbati dal vicino.
A quanto pare il mio benefattore non ha badato a spese, mi ha fornito lui il biglietto aereo.
 
Atterriamo verso sera, quando il sole sta tramontando e il cielo si tinge di rosso.
Ho le gambe così intorpidite che è un miracolo riuscire a camminare.
"Prendi la borsa" mi ricorda Voce mentre sto per andarmene senza.
Scendo dall'aereo respirando finalmente una fresca boccata d'aria.
Accendo subito il telefono, perché mi hanno obbligata a promettere che li avrei chiamati il prima possibile.
Mi avvio verso la costruzione attraverso la pista.
Dopo il controllo dei documenti recupero le mie valigie e mi dirigo verso l'uscita in equilibrio piuttosto precario.
Ho troppe cose da trasportare per farcela da sola.
Fortunatamente appena esco vedo il cartello "Miss Luna Leach" e penso che il mio benefattore comincia a starmi simpatico.
Il viaggio in auto dura un paio d'ore.
L'autista mi fa domande gentile sul volo, sul paese da cui vengo e su cosa mi aspetto di trovare.
Il tempo trascorre piacevolmente tra le chiacchiere e il paesaggio nuovo da gustare con gli occhi.
Il viaggio termina davanti ad una distesa di piccole case simili tra loro, dietro alle quali sorge un grande edificio.
«Quella è la tua scuola e una di queste belle casette sarà il tuo alloggio» m'informa l'autista.
Parcheggia accanto al marciapiede, dove sta fermo un uomo.
Inizialmente penso che sia solo un curioso, poi mi rendo conto che ci sta seguendo con troppa attenzione. Ci stava aspettando.
«Luna Leach?» chiede l'uomo avvicinandosi quando scendo dall'auto.
Dimostra circa una sessantina di anni, è basso e ha il volto rotondo solcato da numerose rughe che contornano degli occhi azzurri gentili.
«Sì, sono io» annuisco con un sorriso.
«Mi chiamo Jim Jacobs e sono il custode della scuola. Ti mostro la tua casa»
Prendo le valigie e saluto l'autista.
«Ti aiuto io» si offre Jim e con una forza che non immaginavo potesse avere prende metà delle mie valigie.
«Grazie mille» dico 
«Figurati...ecco la tua bella casetta è vicina alla scuola»
Abbiamo percorso quasi tutto il sentiero che serpeggia tra le costruzioni e Jim mi sta indicando una casa.
Ci avviciniamo e l'uomo estrae delle chiavi dalle tasche, poi le infila nella serratura.
«Questa è tutta tua. Io vivo laggiù» indica una piccola costruzione con dei fiori sui balconi, ma per il resto piuttosto umile.
«Nel caso avessi bisogno di qualsiasi cosa, sono sempre disponibile»
«Grazie mille, davvero.»
Mi tende una delle mie borse e le nostre dita si sfregano per caso.
Sento una scossa risalirmi per tutto il braccio.
Da come ritira in fretta il braccio, mi rendo conto che anche lui l'ha sentita.
Fa un sorriso enigmatico, poi con un cenno di saluto si allontana verso casa sua.
Non ho tempo per rimanere perplessa perché sta calando il buio e non vedo l'ora di scoprire com'è la mia dimora.
Giro le chiavi e spingo la porta, incerta su cosa sto per vedere.
Mi sono preparata a tutti gli scenari peggiori, quindi la vista mi lascia soddisfatta, anche se timorosa che in realtà ci sia nascosto dell'altro.
La stanza principale è una sala cucina non molto ampia, ma in cui ci sta tutto.
In un angolo si trova un piccolo divano davanti al quale è posizionato un televisore ultrapiatto.
Dall'altra parte c'è la cucina, mobili e tavolo con sei sedie.
Lascio i bagagli davanti alla porta, poi mi avvio delle altre stanze.
Trovo la camera da letto, più grande di quel che mi aspettavo, con un letto matrimoniale e un armadio molto spazioso.
L'altra porta conduce al bagno.
Tutto sommato la casa è spaziosa, pensavo mi rifilassero un buco sporco e maltenuto.
"Il tuo benefattore è stato molto gentile, a quanto pare sei più intelligente di quanto pensassi."
Grazie per la stima, Voce



Ciao a tutti, questa è la prima storia che pubblico, una sorta di esperimento. Se avete commenti sono tutti ben accetti (soprattutto critiche e correzioni). Lasciatemi anche una minuscola recensione se potete :) Alla prossima Lux

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Capitolo 2
*** 2_Dove tutto comincia ***



Mancano quattro giorni all'inizio della scuola e decido di fare dei programmi per sfruttarli nel migliore dei modi.
Troppo curiosa per resistere alla tentazione, il primo giorno visito la cittadina che mi ospita. 
Localizzo il centro commerciale e tutto ciò di cui avrò bisogno in questo anno.
Il secondo giorno mi chiudo in casa per disfare le valige e sistemare il mio alloggio.
IL terzo mi reco alla segreteria della scuola per ricevere tutte le informazioni necessarie.
La donna annoiata dietro il bancone mi dice che per ottenere crediti e avere valutazioni superiori devo partecipare per tutto l'anno ad almeno un'attività di volontariato, mi ha presa subito per una secchiona. Le attività sono come aiutare nella mensa, fare giardinaggio e altri lavori pubblici nella città o prestare servizio al Centro Rieducativo Orwell.
Quest'ultimo ha attirato la mia attenzione.
«Di cosa si tratta?» ho chiesto alla donna.
«È un carcere» ha risposto lei controllando con scarso interesse la sua manicure.
«Cosa dovrei fare io se lo scegliessi?» ho domandato ancora con gentilezza come dimostrazione della mia infinita pazienza.
La donna ha inarcato un sopracciglio, incuriosita.
«La maggior parte dei ragazzi che si trovano lì sono stati costretti a commettere crimini, non hanno gravi colpe. I volontari li aiutano a fare i compiti, a giocare per farli sentire un po' più normali»
Ha parlato con passione e trasporto, e mi ha convinta.
Mi ha anche informata che ci sono lavori di poche ore offerti agli studenti per guadagnare qualche spicciolo.
Proprio quello che fa per me.
Ho deciso l'incarico in biblioteca, dato che amo i libri.
Il resto del quarto giorno lo impiego per altre commissioni per la scuola, che concludo la mattina dell'ultimo giorno.
Durante il mio ultimo pomeriggio girovago ancora un po' per la città e la sera preparo il necessario per la mattina successiva.
Da qui comincia la mia nuova vita.


Ho deciso di optare per dei vestiti sobri ma eleganti, jeans, camicia color sabbia e scarpe dello stesso colore.
Non fa caldo e il cielo è coperto.
Esco dalla mia casetta e vedo il flusso di ragazzi che si avvia verso la scuola dal sentiero principale.
Mi avvicino anche io, seppur a disagio.
Tutti si conoscono e si salutano, mentre io rimango sola in un angolo, cercando di sorridere per non sembrare un'asociale.
Faccio scorrere gli occhi sulla folla, in silenzio.
Il suono della campanella è un miracolo.
Filo dentro l'edificio e cerco la mia classe attraversando i corridoi a rapide falcate.
Non guardo dove vado, così com'è prevedibile, presto mi scontro con qualcuno.
«Scusa, scusa» dico subito facendo un passo indietro.
Davanti a me sta una ragazza piccola e grassottella, con un caschetto di capelli castano-rossicci e dei grandi occhiali dalla montatura nera.
Mi guarda un po' in cagnesco, ma alla fine il mio sorriso innocente pare convincerla.
"Chiedile se sa dov'è la classe di Letteratura Inglese."
Ma se ne sta andando.
"Fermala!"
Piroetto su me stessa e mi allungo scattante per afferrarle un braccio.
Ecco a cosa sono serviti anni di danza.
Lei mi fissa sconcertata in attesa di una spiegazione.
La lascio, imbarazzata.
«Scusami ancora, volevo sapere dov'è la classe di Letteratura Inglese...sono nuova e non vorrei arrivare in ritardo al mio primo giorno di lezione»
Il suo sguardo si distende, si fa più sereno.
«Vieni con me, anche io devo andarci» dice sottovoce.
«Grazie mille...»
«Mi chiamo Clare»
Annuisco:
«Luna, Luna Leach»
Clare mi porta nella classe giusta e si offre di sedersi accanto a me.
Accetto volentieri.
Il professore mi rivolge un cenno di saluto come nuova studentessa, ma senza grande entusiasmo.
In un momento di pausa io e Clare confrontiamo i nostri corsi e ci rendiamo conto di averne la maggior parte in comune.
Meglio, almeno avrei avuto un volto amico.
A fine lezione qualcuno si presenta a me, ma nonostante mi costringa a ricordarmi nomi e volti mi rendo conto che ci vorrà molto tempo.

La mattinata si conclude piacevolmente.
Io e Clare ci siamo date appuntamento in mensa per mangiare insieme e quanto arrivo la trovo in un angolo con la sua borsa stretta al petto.
Capisco subito perché è stata così gentile con me, mi ha vista come una possibilità.
«Ciao, dimmi che almeno qui si mangia bene» le dico avvicinandomi.
Sorride leggermente, quasi fosse costretta dalle circostanze.
«In realtà dipende. Quando in cucina c'è Grand Mama si mangia da schifo, quando c'è suo figlio, che è un cuoco, è delizioso»
«Grand Mama?» chiedo perplessa inarcando le sopracciglia.
«La chiamano tutti così perché non ha mai detto a nessuno il suo vero nome» replica con una scrollata di spalle.
"Clare non è una persona di molte parole."
Grazie, da sola non me n'ero accorta.
Durante il pranzo le chiedo di elencarmi i nomi delle persone intorno a noi, tanto per rinfrescarmi la memoria.
Con una smorfia di disgusto mi indica quelle che immagino siano le cheerleader.
Questa è proprio una tipica scuola americana.
«E quelli con loro quindi sono i giocatori di football?» chiedo.
Annuisce.
«Non li sopporti proprio, eh?» commento.
«È così evidente?» 
«Abbastanza»
«Cos'hanno che non va?»
Clare si gonfia:
«Sono degli insopportabili, falsamente superiori palloni gonfiati che guardano il mondo circostante come se fosse abitato da comuni mortali a cui loro, misericordiosi, fanno la grazia di concedere la propria presenza»
«Piuttosto dettagliata come descrizione» replico «Ma non credo che siano proprio tutti così»
«Proprio tutti no» acconsente «Ce n'era uno normale, ma alla fine si è rivelato essere molto peggio»
"Non approfondire l'argomento."
Ma sono curiosa!
"Non farlo, punto."
Sospiro, ma do retta a Voce. Le cose che dice sono sempre giuste e io le ho sempre ubbidito.


Il mio primo giorno di scuola si conclude senza entusiasmo, come un normale giorno di scuola della mia vecchia vita. Mi sento un po' delusa, forse perché mi aspettavo qualcosa di diverso.
Mentre chiudo l'armadietto, sento una voce conosciuta chiamarmi.
«Signorina Leach? Com'è andato il primo giorno di scuola?»
Mi volto perplessa e trovo il volto pacifico di Jim Jacobs, il custode della scuola.
Tiene in mano una scopa e la sua tenuta sembra da bidello.
«Molto bene, grazie, ma mi chiami pure Luna»
«Solo se mi darai del tu e mi chiamerai Jim»
Sorrido:
«Affare fatto»
Lui fa ancora uno dei suoi sorrisi enigmatici, poi sparisce lungo il corridoio.
 
I primi due giorno li trascorro al seguito di Clare che nonostante l'umore sempre cupo e le sue critiche ciniche si rivela una buona compagnia.
Anche se le giornate trascorrono senza grandi emozioni, sono piacevoli, perché mi trovo comunque lontanissima da casa e tanto basta per farmi sentire in fibrillazione.
Il pomeriggio del terzo giorno comincia il mio incarico al Centro Rieducativo Orwell.
Non so cosa aspettarmi, sinceramente. Ho chiesto a Clare e mi ha ripetuto più o meno quello che mi aveva detto la segretaria.
Ma dato che io non credo a nessuno prima di verificarlo con i miei occhi, sono un po' preoccupata per quello che mi aspetta.
Per raggiungere il centro devo prendere il pullman (abbonamento pagato sempre dal mio benefattore) e il viaggio dura venti minuti.
Nel mezzo ci sono solo cinque persone, comprese io e l'autista.
Sono l'unica che scende alla fermata vicino al Centro, ma mi sembra di avere gli sguardi di tutti puntati addosso.
Questo non favorisce a tranquillizzarmi.
Scorgo l'edificio sulla cima di una piccola collina.
È una costruzione molto semplice, geometrica, vista da lontano sembra verde, ma mentre mi avvicino mi rendo conto che in realtà è grigia.
Raggiungo l'ingresso, dove devo suonare un campanello per farmi aprire.
Poi mi ritrovo in una sorta di sala d'attesa vuota.
L'unica altra persona oltre a me è la donna dietro il bancone che mi saluta con un sorriso entusiasta.
«Ciao!» esclama «Io sono Teresa! Cosa ci fai qui?»
«Sono qui per il volontariato» rispondo e le tendo il foglio che mi aveva dato l'altra segretaria.
«Benvenuta al Centro Rieducativo Orwell, i nostri ragazzi ti saranno riconoscenti di essere venuta. Tra poco c'è la pausa compiti, quindi potrai aiutarli. Sono nella sala principale, là troverai Brad che ti dirà cosa fare. Ancora benvenuta!» 
Parla in tono concitato, i suoi occhi luccicano febbricitanti come se fosse emozionata.
Mi dà le indicazioni per raggiungere la sala principale e mi saluta gioiosa.
Dopo la breve chiacchierata mi sento meglio e meno preoccupata.
Devo attraversare corridoi piuttosto spogli, abbelliti solo dai colori pastelli e qualche cartellone di tanto in tanto.
Nell'entrare ho notato che nella parte posteriore c'è una sorta di cortile circondato da mura piuttosto alte, quindi nonostante le pareti colorate, non riesco a togliermi di dosso la sensazione di essere in un carcere.
«Ciao, io sono Brad, tu devi essere la nuova arrivata» mi saluta un uomo alto dalle spalle larghe.
Ha un velo di barba e degli scuri occhi color nocciola che lo rendono nell'insieme un bell'uomo.
«Mi chiamo Luna» dico stringendo la mano che mi porge.
«Benvenuta. Grazie per aver scelto di lavorare qui, ultimamente abbiamo sempre meno personale. La gente crede che qui si trovino pericolosi criminali perché non conosce i nostri ragazzi sul serio. Scommetto che t'innamorerai di tutti loro» mi spiega con un sorriso facendo un cenno alla sala in cui ci troviamo.
È una stanza molto ampia e luminosa, disseminata di lunghi tavoli affollati.
C'è un mormorio costante che mi fa chiedere come facciano questo ragazzi a studiare.
«Come te la cavi con la matematica?» mi chiede Brad sorridendo.
Ha lo stesso entusiasmo di Teresa, entrambi amano il proprio lavoro.
«Anche se non mi piace me la cavo» rispondo.
«Preferisci la letteratura?»
«Assolutamente» annuisco.
«Bene, allora potresti aiutare Marcelo. È un ragazzino intelligente e curioso, ma tutti quelli che lo hanno aiutato non sono riusciti a renderlo appassionato, potresti provarci tu»
Certo che questo Brad sì che sa incoraggiare le persone, penso sarcastica.
Marcelo è un ragazzino non molto alto dai capelli e occhi scuri, con la pelle olivastra e un grande sorriso.
Si dimostra fin da subito molto paziente e mi sta ad ascoltare senza molte storie.
Vedo Brad mostrarmi i pollici alzati e poi sparire per svolgere qualche altro compito.
«Allora hai capito?» chiedo al ragazzino.
«Ho capito l'argomento ma non capisco a cosa mi possa servire nella vita» commenta lui strizzando un po' gli occhi.
«La letteratura, a livello pratico, non serve a nulla nella vita» replico.
Lui mi guarda, forse sorpreso dalle mie parole.
«La letteratura è consolazione, è l'amica più fidata quando ti senti solo, nella letteratura c'è tutto, ci sei anche tu, ma per poterti trovare devi studiare, cercare a fondo, frugare tra pagine e parole alla ricerca della tua vera identità»
Marcelo pare incuriosito:
«Come può la letteratura conoscermi se io manco la conosco?»
«Perché essa è tutto, solo se studierai potrai capirlo»
Temo di avere esagerato, perché il suo sguardo si fa vacuo per un istante, ma l'attimo dopo sta già sorridendo entusiasta.
«Quindi posso scoprire chi sono leggendo?» domanda ancora.
Sorrido:
«Assolutamente sì. Siamo tutti uomini, siamo tutti simili, ma ognuno può scegliere chi vuole essere e la letteratura serve a quello»
Il suo sguardo s'illumina.
«Posso scegliere chi essere?» ripete esterrefatto.
«Certo che sì»
Lui ha un'espressione radiosa.
«Grazie» sussurra, quasi commosso.
«Ti ho solo detto la verità» replico.
«Nessuno mi ha mai detto la verità» mormora sottovoce, meditabondo «Mio papà diceva che se avessi continuato a rubare la mamma sarebbe tornata, invece mi hanno portato qui e non ho più rivisto la mamma»
La bocca mi si fa asciutta. Sono senza parole.
«Sei qui perché qui puoi imparare» dico sottovoce poco dopo.
Complimenti per il tatto.
Taci Voce, almeno per un attimo, cosa ne sai tu di sentimenti?
Lui tira un po' su col naso.
«Nessuno mi aveva mai fatto sembrare questo posto bello» ammette.
Sorrido e Marcelo aggiunge:
«Tornerai vero?»
Anche se la mia risposta fosse negativa, non oserei pronunciarla qui, davanti a quegli occhioni spalancati che mi supplicano come se io fossi l'unica via di fuga.
«Certo, tornerò e li obbligherò a mettermi con te!»
Lui si scioglie in una risata.
Per un istante distolgo lo sguardo da Marcelo e lo sposto alle sue spalle, per la sala affollata che ci circonda.
Degli occhi si scontrano con i miei.
Lui mi sta fissando e le pupille rimangono incastrate.
Marcelo lo nota, si guarda alle spalle, poi scoppia a ridere.
«Guardi Will, non è vero?»
Mi riscuoto e rimetto a fuoco il ragazzino.
«Come scusa?»
«Dai, ammettilo che fissavi lui!»
«Non so neanche chi sia!» replico con un teatrale sbuffo. Butto fuori l'aria dalla bocca e faccio roteare contemporaneamente gli occhi.
«Quello coi capelli neri tutti arruffati e gli occhi blu che stavi fissando» risponde con un sorriso malizioso.
«Era lui che mi fissava!» ribatto contrariata.
«Non ci credo a tutte piace Will!»
Mi sento arrossire:
«A tutte chi?»
«Tutte le ragazze che lo vedono» Marcelo si posa il palmo della mano sulla fronte e finge uno svenimento mentre in falsetto dice: «Oh, Will, Will quanto sei bello! Sei l'amore della mia vita!»
Rido per la sua imitazione buffa.
«Non so chi sia, quindi non posso dire che mi piaccia. Però ti giuro che mi stava fissando!»
Anche Marcelo si scioglie in una risata.
«Tanto quello è matto! Un genio, ma è fuori di testa!»
«Cosa intendi?»
Il ragazzino fa un sorriso malizioso e io sbuffo ancora.
«Ma smettila!» esclamo «Se mi dici una cosa del genere è ovvio che sono incuriosita!»
Lui fa spallucce e strizza gli occhi.
«Will probabilmente è l'unico che è qui per un'accusa seria. La maggior parte di noi ha commesso reati "su istigazione o per necessità"» cita le ultime parole in tono serioso e gonfiando il petto. Non riesco a trattenere un sorriso e anche lui mi imita prima di riprendere a parlare.
«Lui invece si dice abbia organizzato un gruppo di criminali che attenta in ogni modo gli affari di suo zio. Will afferma che il vero criminale sia lui e la gente è troppo accecata dai suoi soldi per notarlo. L'unico motivo per cui non lo hanno messo in un vero carcere è che non ci sono prove contro di lui. Per questo è un genio»
«È perché è matto?» domando incuriosita.
«Diciamo che più che altro è un po' fuori di testa. Non è come gli altri, ma mi piace per questo! Gli importa solo raggiungere i suoi obiettivi e se ne frega del prezzo che lui stesso deve pagare.»
Marcelo strizza gli occhi ma non aggiunge altro.
Riprendiamo la nostra lezione di letteratura.
Per quanto sveglio è pur sempre un ragazzino e dopo mezz'ora non ne può più.
Me ne rendo conto quando cerca in tutti i modi un argomento per distrarmi dai compiti.
«Facciamo così» propongo «Finisci questa pagina e poi chiacchieriamo ancora un po'»
Lui accetta subito, entusiasta.
«Wow, Marcelo, non sapevo avessi quest' insegnante» commenta una voce alle mie spalle.
Sussulto e mi volto di scatto.
Davanti a me, in piedi, sta un ragazzo alto e sottile, dai capelli corvini scompigliati e degli occhi blu scuro.
«Ciao Will» saluta candido il ragazzino «È nuova»
«Will Lennox» si presenta tendendomi una mano affusolata.
La stringo ricambiando energicamente la sua stretta decisa:
«Luna Leach»
«Luna...sei nuova dunque?» chiede sedendosi al mio fianco.
Vedo che anche se è magro ha le spalle larghe ed è ben proporzionato.
«Esatto»
«Frequenti la scuola in città?»
Annuisco e lui fa una smorfia.
Intercetto lo sguardo di Marcelo e lui mi fa cenno di no col capo.
"Non chiedere nulla."
Grazie Voce, come al solito la tua perspicacia è fondamentale!
Anche Will deve aver notato quel silenzioso scambio perché scoppia a ridere.
«Tranquilli, non mordo, almeno non qui dentro. Potete dire quel che volete, sono per la libertà di pensiero.»
"Rispondi."
«Mhh...anche io sono per la libertà di pensiero...» commento.
"Tra tutto quello che potevi dire hai scelto la cosa più stupida."
Non si può dire che tu sia di grande aiuto.
«Interessante» commenta Will. «E credi anche nella libertà delle azioni?»
«La mia libertà finisce quando comincia quella di un altro» replico orgogliosa di poter sfoggiare una perla di saggezza.
Il ragazzo sorride e mette in mostra una serie di denti dritti e scintillanti.
Non esattamente la dentatura di un criminale, penso.
«E agiresti?» chiede ancora, scrutandomi con un sorriso divertito e incuriosito.
«Quando?» ribatto confusa.
Marcelo mi strizza l'occhio, o forse è solo il suo solito tic.
«Se devi fare un'azione, perché tu sai che è una cosa giusta. Ma facendola la gente ti criticherebbe perché non ha ancora capito. Lo faresti lo stesso? O aspetteresti gli altri?»
Lui non li ha aspettati, lo capisco.
«Dipende» dico torturandomi una ciocca di capelli senza sbilanciarmi.
Will sembra innervosirsi.
«No, non dipende, è o non è, lo fai o non lo fai» mormora.
Marcelo strizza gli occhi, ma lo sguardo che mi rivolge sembra piuttosto eloquente.
Cambia argomento.
Hai ragione, questa volta non ho sarcasmo per Voce.
Ci pensa il ragazzo, però.
«Dall'accento si direbbe che sei inglese» mi dice.
Sorrido:
«Lo sono»
«Anche mia mamma viene da lì»
«Quindi sei mezzo inglese»
«Brillante deduzione»
«Ah, ecco perché mi sembravi così familiare!»
Will scoppia a ridere, anche se la mia battuta non mi sembra così tanto divertente.
«Potete smetterla di flirtare davanti a me?» chiede Marcelo scocciato «Sto cercando di fare i compiti»
Faccio una risata nervosa:
«Ma che dici? Stiamo solo conversando»
«Una conversazione molto intrigante» aggiunge Will con uno sguardo sornione.
Il ragazzino sbuffa, ma non sembra molto convinto della sua stessa idea si rimettersi a fare i compiti.
In quel momento si sente suonare una campanella e tutti i ragazzi alzano di scatto il capo.
«Cosa significa?» chiedo preoccupata.
«Ci stanno attaccando a mano armata» risponde Will tranquillo.
Mi guardo attorno allarmata, ma Marcelo scoppia a ridere:
«Ti sta prendendo in giro!»
«Lo sospettavo, sto cercando di capire la verità» replicò con un sorriso.
«Pausa merenda» ride Will «Non era così difficile»
«Non prendetemi in giro! Sono nuova!»
I due continuano a ridere.
Per merenda offrono della frutta e dei biscotti, ma mentre accompagno Marcelo a prendere la sua porzione perdo di vista l'altro ragazzo.
«Te l'ho detto che Will fa colpo su tutte» ride il ragazzino.
Sbuffo con il mio solito modo teatrale.
«Ho solo scambiato due parole con lui» replico.
«Però lo trovi affascinante!»
«Ma tu chi sei? Un agente matrimoniale?»
Ride e per un po' non dice nulla.
Anche a me viene offerta la merenda, ma al contrario di Marcelo che la sbrana voracemente e poi scappa per giocare, io mi siedo ad un tavolo e la mangio lentamente.
«Come va?» chiede una voce alle mie spalle.
Sobbalzo mentre al mio fianco si siede Brad.
«Molto bene, grazie»
«Quindi non scapperai come tutti gli altri?»
Ecco all'opera la fantastica abilità dell'uomo a persuadere di rimanere.
«No, mi piace questo posto e ho promesso a Marcelo che sarei tornata»
«I ragazzi hanno bisogno di gente come te»
Sorrido ma non dico nulla.
Dopo la merenda aiuto Marcelo a finire di fare i compiti, anche se è molto agitato ed impaziente di finire.
Verso le sei Brad viene ad avvisarmi che il mio turno è finito.
«Promettimi che tornerai» esclama il ragazzino.
«Te lo giuro! Ci vediamo dopo domani»
Mi avvio verso l'ingresso, ma sento dei passi che mi si avvicinano.
Mi volto.
È Will.
«Tornerai?» mi chiede sorridendo.
«Perché non dovrei?»
Lui si porta le mani intorno al volto e con voce spaventata esclama:
«Ma quelli sono tutti dei criminali! Se li frequenti o diventerai come loro o ti faranno fuori!»
Rido, ma con un certo nervosismo.
«Questo è quello che dice la gente di noi» commenta, ma sul suo volto è ancora stampato un sorriso sornione.
«Certo che voi sapete proprio incoraggiare la gente a restare» ribatto mentre continuiamo a camminare per i corridoi.
«Non vogliamo gente che resti con noi solo per compassione. Se vuoi rimanere è perché ci credi e vuoi davvero aiutare.»
«Voglio dare una mano, mi piace ricevere anche solo un sorriso di ringraziamento.»
«Non aspettarti che tutti ti siano riconoscenti» commenta.
Raggiungiamo la fine del corridoio, dove c'è una porta a due ante chiusa.
Per poter passare bisogna far vedere il proprio volto attraverso la rete metallica.
«Io mi fermo qui» dice Will rabbuiandosi un poco «Non mi è concesso proseguire. Allora ci rivedremo, anche se mi chiedo per quanto resisterai»
«Ti stupirò» commento, consapevole che la mia aria da ragazza per bene dica il contrario.
Le guardie al di là mi aprono e io passo.
Mi volto appena in tempo per vedere Will sorridermi e farmi un cenno di saluto con la mano prima che la porta si chiuda.




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Ciao a tutti! Grazie a chi ha letto il capitolo ed è arrivato fin qui. Se potete lasciate una recensione, anche mini, alla prossima, 
Lux

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Capitolo 3
*** 3_Dove compare il giocatore di football ***


La sera i miei genitori pretendono una video-chiamata.
Racconto loro del più e del meno, senza scendere nei particolari. Se dicessi a mia mamma che lavoro in una sorta di carcere minorile sarebbe capace di salire su un aereo e venire fin qui per impedirmelo.
Mi saluta anche Calvin che ammette che la casa sembra vuota senza di me.
Non me lo sarei aspettata dal mio fratellino, infatti subito dopo il commento sdolcinato ammette:
«Ah, ho prestato alcuni tuoi libri a dei miei amici, spero non ti dispiaccia, tanto tu sei in America»
Devo soffocare la rabbia perché ci sono anche i miei genitori e non potrei sfogarla al massimo.
«Sai quanto odio che gli altri tocchino i miei libri» mi limito a mugugnare e lui fa un ghigno vittorioso.

«Ciao»
La voce mi arriva da dietro l'anta dell'armadietto.
La sposto quando basta per mostrarmi un ragazzo alto e muscoloso.
Indossa una felpa da giocatore di football.
«Ciao» replico con voce minuta.
«Tu sei quella nuova, vero?» chiede guardandomi con gli occhi color cioccolato.
«Non c'è tanta gente nuova in questa scuola o no?» replico.
Abbozza un sorriso divertito.
«Mi chiamo Simon» dice.
«Ciao Simon, sono Luna»
«Ciao Luna» ride.
«Giochi a football?» chiedo accennando alla sua felpa.
Lui abbassa lo sguardo:
«Sono il capitano della squadra della scuola. Non lo sapevi?»
La mia espressione deve essere chiaramente imbarazzata:
«Ehm...no, sono nuova, ricordi?»
«Tutti conoscono i giocatori di football» dice continuando a scrutarmi. Sembra che il suo sguardo mi stia scannerizzando.
Cerco di ricordare se mi sono pettinata bene stamattina e se i vestiti che indosso sono abbinati.
«Hai trovato l'eccezione» riesco a replicare.
«Un'eccezione piuttosto carina direi» commenta con un sorriso sfacciato, come se avesse vinto. Cosa, non lo so.
Arrossisco, ma non dico nulla.
«Che ne dici di uscire con me?» mi chiede.
«Ma se non ti conosco neanche» replico debolmente.
Il suo sorriso sicuro si allarga:
«Un'uscita tra amici, tu non ne hai ancora, immagino, qui»
«Veramente...» faccio per replicare, ma suona la campanella di inizio lezione.
«Ci si vede» dice Simon e sparisce nella folla di studenti.
Mi avvio verso la mia classe confusa.
«Conosci un certo Simon capitano della squadra di football?» chiedo a Clare dopo essermi seduta al suo fianco.
Lei mi guarda di sottecchi, poi commenta sarcastica:
«Che bello! Quel pallone gonfiato piace anche a te!» 
«Cosa?! Ma che dici?! Cos'è questa storia che tutti mi dicono chi mi piace?!»
Clare socchiude gli occhi, però si calma.
«Cosa intendi?» domanda più pacata.
Le racconto brevemente della mia esperienza al centro rieducativo Orwell.
«E come si chiama il ragazzo che ti fissava?» chiedo, perché io per la velocità ho omesso qualche dettaglio.
«Will» rispondo brevemente.
In questo momento entra in classe l'insegnate che ci intima di fare silenzio.
«Lennox?» chiede Clare sottovoce, senza guardarmi per non farsi vedere dall'insegnante.
Sgrano gli occhi:
«Lo conosci?»
«Sei tu che sei nuova e non conosci nessuno» replica.
«Sì, ma Will non frequenta questa scuola» le faccio notare.
«La frequentava»
Mi viene in mente l'espressione che il ragazzo ha fatto quando gli ho detto che vengo in questa scuola.
«Se n'è andato quando lo hanno arrestato?» chiedo.
Clare annuisce:
«Sì e anche lui era piuttosto popolare»
Ancora una volta mi ritrovo con gli occhi sgranati.
Quel Will Lennox dai capelli arruffati e gli occhi spiritati era popolare?
«Non lo sapevo» sussurro.
«Ovvio, sarà anche stato un genio, ma spesso sembrava fuori di testa»
Questa l'ho già sentita. Non aggiungo altro e cerco di stare attenta alla lezione.

Mentre sono in coda per il pranzo mi si affianca Simon.
«Domani pomeriggio?» mi chiede e devo riflettere un istante prima di rendermi conto che parla dell'uscita.
«Non ho accettato» gli faccio notare.
Lui mi guarda come se avessi detto la cosa più ridicola del mondo.
«Comunque domani pomeriggio non posso» replico.
«Sei nuova, che impegni puoi avere?» 
«Faccio volontariato al Centro Orwell» rispondo.
Lui scoppia a ridere:
«Preferisci quei criminali a me? Pensavo avessi gusti migliori»
Si allontana a grandi passi.
Fantastico, la possibilità di avere un anno entusiasmante si allontana da me.
Non che abbia preferito che rimanesse, dopo quello che ha detto ha praticamente perso la mia simpatia.
Mi siedo con Clare che mi guarda ancora di sottecchi:
«Ti ho vista con Simon»
«Sì ho rifiutato di uscire con lui»
La ragazza si mostra vagamente sorpresa.
«Perché?» chiede incuriosita,
«Perché mi ha chiesto di uscire domani, ma devo andare al centro»
Lei inarca le sopracciglia, ma non fa commenti.

«Luna!»
All'uscita dalla scuola una voce mi chiama.
Mi volto e vede Simon in una delle auto parcheggiata nel piazzale.
È cabriolet e dalla vernice splendente.
«Sei sicura della tua decisione?» mi chiede.
Con lui ci sono altri ragazzi alti e muscolosi che mi scrutano.
«Solo perché sono criminali non significa che tu sia migliore di loro» replico, ma mi pento della mia sfacciataggine e aggiungo «Magari un'altra volta»
«Chi ti dice che ci sarà un'altra volta?»
«Se ci tieni, un impegno non cambierà nulla»
Detto ciò mi volto e mi allontano verso la mia casetta.
Scorgo qualche occhiata che mi viene rivolta, poi Clare mi affianca.
«Hai attirato l'attenzione» commenta.
«Non era mia intenzione» replico tranquillamente.
«Adesso non passerai di certo inosservata»
Scrollo le spalle, non sapendo che altro fare.
La ragazza sembra soddisfatta perché non aggiunge altro e se ne va rivolgendomi un rapido cenno di saluto.
Nel pomeriggio devo lavorare in biblioteca, la paga è scarsa, ma non almeno posso racimolare qualcosa.
Dopo aver finito di studiare cerco un libro interessante e mi perdo tra le pagine da dietro la scrivania dove sono seduta.
«Scusa» 
Alzo lo sguardo. Ancora lui.
«Simon?» chiedo come per avere la conferma di ciò che vedo.
Lui scrolla le spalle:
«Sì, lo so, non sono per niente un tipo da biblioteca»
«Okay, non volevo dire quello,ma...cosa ti serve?»
Sbuffa:
«Vedi per una ricerca mi hanno messo in gruppo con un secchione, ma lui è malato e mi è toccato venire a cercare qualcosa»
Annuisco e mi alzo in piedi:
«Cercherò di aiutarti come meglio posso»
Io suo sguardo studia la mia figura da capo a piedi, poi fa un sorrisino che mi fa arrossire:
«Guidami tu allora»
Andiamo nella sezione delle enciclopedie, non una delle più frequentate.
"Come se esistessero ragazzi appassionati di questi tomi" commenta Voce.
Cerco un volume sull'universo, come mi ha chiesto Simon.
«Spero tu non te la sia presa perché ho rifiutato di uscire con te» gli dico mentre gli tendo il libro.
"Mossa brillante" è la sarcastica critica che ricevo.
«Ci sono altre ragazze in questa scuola» replica, poi si allontana ridendo.
Resto di sasso.
Poi cominciò ad elaborare.
Ma chi si crede di essere?!
"Clare ha detto che è un pallone gonfiato"
Torno furente fino alla mia scrivania. Di certo non mi posso mettere a gridare in biblioteca.
Stizzita prendo un il mio libro e cerco di leggere.
Ma il volto sicuro di Simon compare sulle pagine stampate impedendomi di concentrarmi.
«Ne hai un altro?»
Alzo lo sguardo. Il ragazzo è di nuovo in piedi davanti a me e indica il volume che gli ho appena consegnato.
«In questo c'è tanto testo e poche figure» aggiunge.
«Cos'è sei un bambino?» commento velenosa.
Lui fa un sorriso di scherno:
«Non te la sarai presa?»
Apro la bocca, poi la richiudo non sapendo cosa dire.
«Non m'interessa con chi esci» dico infine «Ma forse la gentilezza non è il tuo forte»
«No, io sono bravo a convincere le ragazze ad uscire con me, ma ricordi, tu sei l'eccezione carina, no?»
"Se non avessi avuto un impegno anche tu saresti uscita con lui"
Sta zitta per un attimo, sto cercando di fare la cattiva.
"Ma non ne sei in grado."
Grazie ancora una volta per la fiducia.
«E il libro?» chiede lui accennando al volume.
«Cercalo da solo, sai dove sono tanto» replico brusca, pregando che non insista, perché so che cederei. 
Le mie preghiere non vengono esaudite perché qualche minuto dopo con un umore nero gli sto mostrando altri tomi che potrebbero servirgli.
"Complimenti per la cattiveria" si fa beffe di me Voce mentre lo guardò allontanarsi soddisfatto.
Lo sai che non so resistere quando mi chiedono per favore.
"Per favore, posso ucciderti?"
Non sei simpatica.

Il giorno successivo trascorre tranquillamente, durante le lezioni sono così occupata che ho a malapena il tempo di cambiare classe.
«Non so come tu faccia a frequentare tutti quei corsi» commenta Clare mentre pranzo in fretta perché non posso arrivare in ritardo alla prossima lezione.
«È solo che è difficile rinunciare a qualcuno» replico, poi schizzo via.
Il pomeriggio vado al centro.
Teresa e Brad mi accolgono calorosamente, ma quello più contento di tutti è Marcelo.
Saltella per la stanza affollata canticchiando.
«Se pensi di evitare i compiti con questo balletto ti sbagli!» esclamo ridendo.
Oggi tocca a matematica, purtroppo, ma lui è abbastanza sveglio per capire in fretta, poi dato che mi ha presa in simpatica sembra molto collaborativo.
Brad mi affianca anche altri ragazzini hanno bisogno solo di qualche dritta o consiglio.
«Oggi Will non c'è» mi dice Marcelo malizioso strizzando gli occhi.
«E con questo cosa vuoi dire?» replico con una risata, però un po' mi dispiace, perché mi sarebbe piaciuto scambiare ancora qualche parola con quel ragazzo.
Prima che me ne vada Brad mi prende da parte e mi dice:
«Sabato organizziamo una caccia al tesoro nel centro. Non sei obbligata a venire, ma se vuoi...»
«Va bene, ci sarò» lo interrompo e sorrido. Lui ricambia, incerto.
Quando torno a casa vedo Jim che pota le rose del giardino vicino alla mia casa.
«Luna, buona sera» mi saluta lui educato con un sorriso gentile.
«Buona sera Jim. Ma il tuo lavoro non era solo quello di custode?»
Mi guarda con dolcezza:
«Non mi piace starmene con le mani in mani quando c'è qualcosa che fare»
«Se ti serve il mio aiuto puoi chiedermi» mi offro.
«Grazie Luna, ma credo che tu sia già abbastanza impegnata. Comunque l'offerta di aiuto è reciproca» fa un sorriso enigmatico, come se ci fosse qualcosa di implicito nelle sue parole.
Non so come replicare.
Lui mi saluta, poi si allontana verso casa sua.
Io entro nella mia perplessa. Di certo ho tante cose su cui riflettere.

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Capitolo 4
*** _Dove inizia la caccia al tesoro ***


La mia settimana è composta da lunedì, libero, martedì e giovedì al centro, mercoledì e venerdì in biblioteca.
Tra le lezioni numerose e lo studio non mi resta molto tempo libero e anche se ne avessi non saprei come occuparlo.
Continuo a pranzare e chiacchierare con Clare nonostante il suo solito magone.
Sabato arriva in fretta e la mattina si rivela nuvolosa e uggiosa.
Devo andare al centro dopo pranzo, così mangio sola soletta nella casa, poi chiudo tutto e mi avvio verso la fermata dell'autobus fuori dal campus.
Mentre aspetto si alza un vento gelido e le nuvole si fanno plumbee. Dopo non molto qualche goccia mi cade addosso, ma non c'è nulla attorno per ripararmi.
Guardo seccata l'orologio. L'autobus è in ritardo.
Un elegante auto affianca il marciapiede e il finestrino si abbassa.
«Vuoi un passaggio?» chiede una voce dall'interno.
Non dovrei accettare passaggi dagli sconosciuti, ma io conosco quella voce.
«Simon?» chiedo confusa.
«Salta a bordo»
«Sto aspettando l'autobus» replico.
«Lo so, ma non passerà tanto presto. È sempre così quando c'è brutto tempo»
"Non può volerti fare del male" 
Ah, sì certo, sono proprio tranquilla ora.
Apro la portiera e m'infilo all'interno con una certa trepidazione.
«Devo andare al centro Orwell» gli dico tormentandomi una ciocca di capelli.
«E non ti piacerebbe fare una deviazione?» mi chiede con un sorriso.
Spalanco gli occhi spaventata e lui ride alla mia reazione:
«Tranquilla, ti porto dove vuoi, era solo una proposta»
«Grazie» mormoro continuando a rigirarmi i capelli.
«Ti ho offerto io il passaggio»
Arriviamo davanti al centro.
«Sei ancora in tempo per cambiare idea» dice Simon lanciando un'occhiata storta alla costruzione grigia.
«No, grazie per il passaggio» replico mentre scendo in fretta dall'auto prima che mi trattenga ancora.
Mi allontano a grandi passi verso il centro.
All'ingresso non trovo nessuno, ma sulla scrivania c'è un foglio:
"Oggi il Centro Orwell è chiuso alle visite. Tornate domani"
Spingo titubante la porta che da sul lungo corridoio.
Trovo un uomo con l'uniforme da guardia che mi chiede:
«Sei qui per la caccia al tesoro?»
Annuisco.
«Sono tutti nella sala grande»
«Grazie» 
Mi allontano in fretta, chiedendomi che cosa debba aver pensato di me.
Non riesco ad impedirmelo, cerco sempre di fare una bella figura con tutti.
Raggiungono la sala grande, che è quella dove si fanno i compiti.
Vedo Brad in piedi su un tavolo con un microfono in mano.
Anche lui nota il mio ingresso e mi fa un cenno di saluto, poi parla al microfono:
«Bene, ora ci siamo tutti. Formate delle squadre, in cui ci deve essere almeno un ragazzo esterno. Avete dieci minuti, poi comincerà il gioco»
Mi guardo attorno. Le squadre sembrano essere già formate, ma tutti sono alla ricerca di un membro "esterno".
«Luna! Dove eri finita?» esclama Marcelo correndomi incontro.
«Scusa, non arrivava più il pullman» replico.
Lui mi prende per un braccio senza ascoltarmi e mi tira verso una destinazione ignota:
«Senza di te non ho potuto formare una squadra perché tutti volevano conoscere prima il membro esterno.»
«Quindi siamo solo io e te?» gli chiedo.
Lui continua a tirarmi:
«No, me ho convinto uno solo. Ma direi che vale più di una squadra numerosa.»
«Cosa intendi?»
«La sua squadra ha sempre vinto la caccia al tesoro» risponde lui mentre addita un ragazzo che ci aspetta appoggiato al muro.
«Finalmente!» ci accoglie Will con un sorriso.
«È lui?» chiedo conferma a Marcelo.
«Puoi anche parlarmi in faccia» ride il ragazzo.
«Sì» conferma quello che mi sta attaccato al braccio «Con lui vinceremo sicuramente»
«Grazie per la responsabilità, così se perderemo è colpa mia» commenta Will, ma sta sorridendo.
Mi chiedo come faccia ad essere sempre così divertito.
«Perché dovremmo vincere con te?» chiedo incerta.
«Perché sono un genio?» replica lui ironico.
«Scherzo, sono gli altri che sono stupidi. Se qualcuno si mette a correre tutti lo seguono come un gregge, ma solitamente la prima idea è quella sbagliata, quindi quando tutti si saranno dispersi potremmo raggiungere il nostro obiettivo»
«Siete tutti pronti?» chiama Brad e i ragazzi volgono lo sguardo verso di lui.
«Allora, so che ci sono dodici gruppi, quindi i percorsi saranno dodici, alcuni con tappe in comune. Sapete quali sono le zone valide, non si può uscire dall'edificio se non nel cortile. Il tesoro è in comune per tutti i gruppi, quindi
affrettatevi. Adesso sta passando tra di voi Theresa con la prima busta, chi la aprirà prima del via sarà squalificato. Ti vedo, Aaron, non provare ad imbrogliare. Avete tutti la busta? Sì? Tre, due, uno, via!»
Marcelo strappa in fretta la carta e prende il foglio all'interno. Lo guarda un po' strizzando gli occhi.
«Allora?» chiedo trepidante. Lui me lo tende con una smorfia:
«Ma è bianco!»
Will lo prende e controlla in controluce. 
«No» dice «È stato scritto con una matita bianca»
«Qualcuno gliel'ha detto che bianco su bianco non si legge?» sbuffa Marcelo seccato.
«Sarebbe troppo noioso se ci fosse solo l'indovinello» ride il ragazzo.
«Potrebbe essere inchiostro simpatico?» chiedo ragionando.
«Ti sembra che abbiamo un fornello a portata di mano?» ribatte Will.
Sbuffo e alzo le mani:
«Allora non so che fare»
«Io sì» replica lui.
«Allora perché non ti sbrighi?!» sbotta impaziente Marcelo.
Il ragazzo estrae un evidenziatore giallo dai pantaloni e lo fa scorrere sul foglio. Appena la carta si colora compaiono delle parole, un indovinello.
«"Salgono, scendono, ma non si muovono mai". Cosa significa?» fa il ragazzino.
Lo ripeto, cambiando la cadenza, rigirandomi le parole nella mente.
«Tu hai qualche idea?» chiede Marcelo. Scuoto il capo, poi alzo lo sguardo.
Will sta sorridendo.
«Tu sai cosa vuol dire, vero?»
Il ragazzo ride:«Certo, voi non ci siete ancora arrivati?»
«Perché non ce lo dici allora?» chiede Marcelo seccato.
«Pensateci, nel parlato diciamo che salgono o scendono, ma in realtà sono oggetti immobili» spiega lui.
Il ragazzino strizza gli occhi, seccato.
«Le scale!» esclamo all'improvviso.
«È giusto?» fa Marcelo.
«Un punto per la signorina Leach!» è la risposta di Will.
«Forza allora!» esclama il ragazzino e afferra le nostre braccia per trascinarci via.
Attraversiamo corridoi che non conosco fino a giungere a delle scale che salgono verso i piani superiori.
«Cercate!»
Ci mettiamo tutti al lavoro, guardando sul corrimano, tra i gradini e sui pianerottoli, ma il biglietto non si trova.
«Siete sicuri che fosse giusto?» domanda Marcelo nervoso.
«Sta calmo» replica Will «La soluzione era di certo le scale.»
"Avete guardato solo in basso" consiglia Voce.
Alzo gli occhi.
«Lassù!»
Sulla parete, a più di due metri d'altezza, è incollata una busta bianca.
«E come ci arriviamo là?» sospiro.
Anche se Will, che è il più alto, saltasse non ci arriverebbe mai, e non abbiamo né scale né sedie per arrivarci.
«Lavoro di squadra» dice il ragazzo alle mie spalle, poi mi sento afferrare per i fianchi.
Lancio un gridolino sorpreso, ma la stretta di Will è salda.
Mi solleva fino a che riesco a staccare la busta dalla parete.
Quando mi rimette a terra piroetto in fretta su me stessa, andando a sbattere contro il suo petto.
«Oh scusa...» mormoro arretrando, ma la mia schiena aderisce al muro.
Marcelo sbuffa:
«La prossima volta ditelo se volete fare coppia solo voi due»
Lo incenerisco con lo sguardo e scivolo via da quella posizione imbarazzante.
Il ragazzino mi scruta impaziente mentre strappo la busta.
All'interno trovo due fogli.
Uno contiene una sorta di storiella, l'altro ha solo la scritta "DIREZIONE" in alto e un rettangolo più o meno al centro del foglio.
«Cosa...» comincio perplessa.
«Questa volta hai intenzione di aiutarci o farai il misterioso?» chiese Marcelo a Will.
Il ragazzo abbozza un sorriso fissando i fogli.
«Ci sto pensando, non lo so neanche io»
Prende quello con il rettangolo e lo guarda per qualche istante.
«Non c'è alcuna freccia, quindi è da dedurre che la direzione è indicata dalla parola stessa»
Tiene il foglio girato in modo tale che "DIREZIONE" si legga nel verso giusto.
Poi prende quello con la storiella e lo mette al suo fianco.
Lo guardo, perplessa, e allungo una mano per far scivolare il primo foglio sopra l'altro.
Il rettangolo sembra contenere delle parole.
Will lo solleva verso la finestra e riusciamo leggere al suo interno: "Bagni del piano terra"
Il ragazzo ride:
«Non è stato difficile»
L'altro lo guarda confuso e mentre ci allontaniamo mi confessa sottovoce:
«Io in realtà non ho capito come ci siate arrivati»
Ridiamo entrambi.
Davanti ai bagni del piano terra troviamo Theresa e un'altra donna che ci accolgono sorridenti.
«Dov'è il resto del vostro gruppo?» chiedono.
«Ehm...veramente siamo tutti qui» rispondo imbarazzata.
Loro si scambiano un'occhiata divertita.
«Che c'è?» chiede Will circospetto.
Il suo sorriso è più spento e sta studiando con attenzione l'ambiente circostante.
«La prossima prova» comincia Theresa «È che due maschi del gruppo si cambino con i vestiti che ci sono all'interno. Solo quando io e Marina daremo l'okay potrete proseguire per la prossima tappa»
«Tocca a noi, campione» dice Will a Marcelo, ma il suo sguardo è ancora attento.
Theresa e Marina li fanno entrare nel bagno, poi chiudono la porta alle loro spalle.
«Che genere di abiti ci sono all'interno?» domando curiosa.
Le due ridono tra di loro.
«Vedrai, vedrai» è la misera risposta.
Sento dei rumori confusi provenire dall'interno e i due sembrano metterci più di quanto mi aspettassi.
«Siete pronti?» chiede Theresa bussando alla porta.
«Marcelo non riesce ad allacciare i miei nastri» dice la voce di Will.
«Può aiutarvi la vostra compagna, venite fuori»
Appena i due compaiono sulla porta rischio di far picchiare il mento a terra.
La mascella cede e mi trovo con la bocca spalancata.
Indossano entrambi degli abiti barocchi femminili, ricchi di fronzoli e decori, lunghi fino a terra.
«Non.dire.niente.»avverte Marcelo.
Will invece sembra divertito.
«Non trovi che io sia molto attraente, Luna?» mi chiede.
«Madamigello, mi concedereste l'onore di questi ballo?» chiedo con un inchino elegante.
«Oh, mi piacerebbe molto mia cavaliere»
«Giuro che la prossima volta vi lascio soli e mi cerco un'altra squadra» commenta Marcelo strizzando gli occhi.
Rido, arrossendo.
«Bene, adesso dovete essere truccati» dice Marina.
Marcelo sgrana gli occhi:
«Ma stai scherzando?!»
«Tranquillo campione, sarà divertente» lo rassicura Will.
Theresa mi tende una trousse di trucchi.
Faccio sedere i miei compagni.
«Se devo essere sincera, non sono molto brava in queste cose» ammetto chinando il capo.
Will sorride, come al solito:
«Ci credi se ti dico che l'avevo capito?»
Lo guardo perplessa, ma lo sbuffo di Marcelo mi impedisce di continuare oltre.
Prendo un rossetto e mi chino verso il ragazzino.
Lui fa una smorfia che non aiuta per niente la mia opera e alla fine risulta tutto sbavato.
«Male» dice Marina «Se non è perfetto non vi faremo passare al prossimo turno»
Il ragazzino mi guarda seccato.
«Scusa» sussurro dispiaciuta e cerco di sistemarlo.
L'effetto finale, con l'ombretto azzurro, è semplicemente terrificante.
Ma fortunatamente non c'è uno specchio a portata di mano e posso illudere Marcelo di aver fatto un buon lavoro con un falso sorriso.
Lui sembra abbastanza soddisfatto, ma aggiunge:
«Adesso tocca a Will, sbrigati!»
Mi avvicino al ragazzo che sta sorridendo divertito.
«Perché tu sei sempre così tranquillo?» gli chiedo sottovoce.
«Vuoi davvero che ti risponda mentre mi stai mettendo il rossetto? I miei denti sembrerebbero quelli di un vampiro»
Non replico fino a che non ho finito di colorargli le labbra.
Sono così vicina che sento il respiro caldo del ragazzo scivolarmi tra le dita.
«Adesso puoi rispondere» faccio notare mentre prendo l'ombretto rosa dalla trousse.
Will sorride e chiude gli occhi:
«Perché non ho motivo di preoccuparmi, quando faccio qualcosa va sempre come previsto»
«Sei un po' sicuro di te stesso» commento.
«La mia non è arroganza, semplicemente non penso ci sia nulla abbastanza complicato da sconvolgere i miei piani»
Era nei tuoi piani essere in prigione? sto per chiedere, ma le parole mi muoiono in gola.
«Hai finito?» mi chiede Marcelo impaziente. Non ha sentito nulla della nostra conversazione.
Mi allontano da Will per ammirare l'effetto finale.
Non so come, ma in qualche strano modo il ragazzo non sembra spaventoso come Marcelo. I suoi occhi appaiono più blu e profondi che mai.
Certo, se si ignora l'ombretto rosa sulle palpebre.
«Bene, la prossima tappa si trova nelle cucine, affrettatevi perché non sarete soli» dice Marina interrompendo la mia contemplazione.
«Come?» replica Will «Nessun codice o indovinello?»
«Sbrigati!» esclama Marcelo e lo afferra per un braccio tirandolo via. «Meglio così»
Li seguo ridendo.
Nelle cucine c'è un altro gruppo, composto da circa una decina di membri.
Due di loro sono vestiti come Marcelo e Will.
«Lennox» ringhia uno dei due «Sei spaventoso anche vestito da donna»
«Non si può dire che il tuo abito ti addolcisca il volto, Aaron» replica il ragazzo tranquillo.
«Davvero credete di avere possibilità di vincere?» chiede Aaron retorico.
«Il bambino, il matto e la brava ragazza»
Will s'irrigidisce e sono già pronta a bloccarlo, ma sul suo volto spunta un sorrisetto derisorio:
«Sinceramente, sono stupito che tu sia riuscito ad arrivare fin qui, anche se dubito che sia stato merito tuo» 
«Attento a quello che dici, Lennox» sibila l'altro.
«Perché se no che fai? Mi picchi? Vuoi che ti ricordi perché sono qui?» replica Will divertito.
«Ragazzi! Niente litigi, ascoltatemi per favore» dice una donna avvicinandosi.
«La prossima sfida sarà per i due travestiti. Dovrete mangiare un brodo il più elegantemente possibile. Giudicherò io i migliori, i quali riceveranno maggiori indizi rispetto agli altri per la prossima meta, intesi?»
Tutti annuiscono.
Tiro Will e Marcelo da parte:
«Non sbrodolate, niente versi strani, la forchetta va alla bocca e non viceversa, intesi?»
«Perché ce lo dici?» chiede il ragazzo corrugando la fronte.
«Perché di solito i maschi sono dei maiali a tavola» replico incrociando le braccia al petto.
«Non se hai una mamma come la mia» Will mi strizza l'occhio, poi va a sedersi con Marcelo.
La sfida ha inizio.
L'altro gruppo incita a gran voce i propri esponenti, io me ne resto zitta in un angolo, con le braccia incrociate al petto facendo un sorriso incoraggiante a Marcelo.
Will non mi guarda neanche, sembra troppo divertito dalla scena circostante.
Il ragazzino guarda il compagno che non accenna a voler cominciare a mangiare, ma sembra preferire divertirsi guardando gli altri.
Quello che il ragazzo chiamato Aaron e il suo amico non hanno capito è che non si tratta di una gara di velocità, ma di eleganza.
Trangugiano il brodo facendo dei suoni raccapriccianti, curvandosi sul piatto come se fossero gobbi.
Will incrocia il mio sguardo e il suo sorriso si allarga.
"Adesso ho capito" mi sillaba nel labiale.
"Cosa?" gli chiedo confusa.
"Maiali" è la risposta.
Mi ritrovo a ridere tra me e me.
«Ehi! Anche voi due dovete mangiare!» esclama la donna che ha consegnato le zuppe.
Will non se lo fa ripetere due volte.
Prende con grazia il cucchiaio e lo infila nel brodo.
Lo solleva senza neanche farlo coccolare, poi se lo infila tra le labbra rosse di rossetto e alla fine lo riporta nel brodo.
Il tutto con la schiena perfettamente dritta, il collo allungato che gli danno un portamento raffinato.
Marcelo tenta di imitarlo, impacciato, ma un rivolo di zuppa gli cola lungo il mento sbavando il rossetto.
La donna tossicchia e gli sguardi di tutti sono su di lei.
«Ehm...» comincia.
Il gruppo avversario esplode in grida ed esclamazioni.
«Direi che è chiaro chi sono i vincitori» scocca uno sguardo eloquente ai miei compagni che si alzano soddisfatti.
Aaron comincia ad inveire contro Will.
«Scusa, non riesco a sentirti, tutto questo successo mi ha dato alla testa e sono diventato uno schifoso arrogante che non ascolta i perdenti» replica il ragazzo e gli fai "ciao" con la mano mentre si avvicina a me.
«Tu non ti arrabbi mai?» gli chiedo perplessa.
«Non ti piacerebbe» replica ammiccando e si allontana, lasciandomi ancora più interrogativa di prima.

Il prossimo indizio è una mappa.
La nostra è più dettagliata di quella dell'altra squadra, ma risulta comunque incomprensibile per me.
Marcelo sembra riconoscere qualche stanza, ma quello che ci guida sicuro è Will.
Percorriamo parecchi corridoi che mi sembrano tutti simili fino a giungere davanti ad una porta chiusa.
Qui ci attende un uomo con l'uniforme da poliziotto.
«Benvenuti» ci saluta con un sorriso a dir poco spaventoso.
«Siete pronti per la prossima prova?»
Io e Marcelo ci guardiamo mentre Will risponde:
«Se sapessimo di cosa si tratta potremmo darti una risposta più esauriente di "sì", "no", "forse"»
Il sorriso dell'uomo si gela sulle sue labbra:
«Allora Lennox, dato che sei così impaziente, perché non cominciate subito?»
Socchiude la porta alle sue spalle, ma all'interno appare tutto buio.
«Che stanza è quella?» chiedo sottovoce.
«La palestra, in teoria» risponde Marcelo nervoso.
Will sorride all'uomo, poi si avvicina in fretta e scompare nelle tenebre.
Avanziamo anche noi, titubanti.
«Dovete accucciarvi» suggerisce l'uomo.
Faccio come ha detto, imitata dal ragazzino e avanzo nel buio più completo.

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Innanzitutto chiedo scusa per il tremendissimo ritardo, ma ho cominciato presto la scuola e sono stata occupata fin da subito (uff). Per la fretta non sono neanche riuscita a correggere perfettamente il capitolo e mi scuso ancora per eventuali errori, inoltre ho litigato con il computer mentre tentavo di pubblicarla!
Anticipo che la storia è ancora agli inizi e non è successo nulla di entusiasmante perché l'azione non è ancora iniziata! Cosa ne pensate? Per favore lasciate una recensione, anche mini, perché è l'unico modo per sapere cosa ne pensate (se volete anche insultarmi fatelo pure :P).
Alla prossima

Lux
 

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Capitolo 5
*** _Dove comincio a capire qualcosa ***


«Dimmi che non stiamo attraversando a gattoni un labirinto alto neanche un metro nel buio più completo» dico.
Will ride, in un punto che credo sia davanti a me:
«Te lo direi, ma non corrisponderebbe alla verità»
«Anche se è buio preferirei che voi la smettesse di fare i piccioncini, considerando che potreste baciarvi senza che io ne abbia la minima idea» commenta Marcelo con il suo solito tono annoiato.
«L'idea è allettante...» replica il ragazzo divertito.
Mi sento avvampare.
«Non dovresti pensare a guidarci fuori da qui?» chiedo cercando di mascherare il mio imbarazzo.
Dalla risata del ragazzo mi rendo conto di aver fallito.
«Non so voi, ma io sento il pavimento freddo» commenta Marcelo.
Secondo Will, che a quanto pare ha passato parecchio tempo sdraiato sul pavimento della palestra, ci sono delle condutture calde che passano sotto il pavimento e basandosi sulla loro direzione lui ha detto di essere in grado di guidarci verso la porta, nella parete opposta rispetto a quella da cui siamo entrati.
«È tutto okay» risponde il ragazzo, davanti a me.
«Will Lennox?» sento una voce sconosciuta chiamare.
«Al vostro servizio» ride lui «Ma solo per modo di dire»
La voce appartiene a uno dei tanti controllori che girano per il labirinto per assicurarsi che non ci siano problemi e che i ragazzi non si imboschino al buio.
Anche questo ci lascia passare, come gli altri e dopo poco sentiamo le voci di un altro gruppo, che a quanto pare deve essersi perso.
«Non fate rumore» ci dice Will «C'è la possibilità che si tratti di forme di vita dotate di facoltà intellettive e potrebbero pensare di seguirci per arrivare alla fine»
Marcelo non risponde e io soffoco una risata.
Dopo circa dieci minuti raggiungiamo l'uscita.
«Signorina Leach, come vi sentite?» chiede il ragazzo aiutando a rimettermi in piedi.
«Come se avessi appena attraversato a gattoni un labirinto buio, guidata da una persona che dichiarava di saperci guidare verso l'uscita basandosi sul riscaldamento del pavimento» replico con un sorriso ironico.
«Mhh...» si finge pensieroso «Non penso esista un nome del genere per quel sentimento, ma potremmo sempre inventarlo»
Marcelo sbuffa sonoramente:
«Ehi voi due! Non abbiamo ancora vinto! Dopo avrete tutto il tempo che volete per flirtare tra di voi»
"Cerca almeno di nascondere che sei paonazza"
Oh, eccoti Voce, mi eri quasi mancata.
All'uscita del labirinto c'è un altro uomo che ci consegna una nuova busta.
Marcelo strappa voracemente la carte e legge ad alta voce, strizzando gli occhi:
 
Ci sono tre fratelli.
A volte sono brutti, mentre altre volte sono belli.
Il primo non c'è perché sta uscendo, il terzo non c'è perché sta arrivando, c'è poi il secondo che è il più piccolo dei tre, ma che quando manca fa mancare anche gli altri due.
 
«Will?» chiediamo io e Marcelo insieme.
Il ragazzo abbozza un sorriso:
«Non ho mai detto di saper risolvere ogni indovinello! Ma ragioniamo.»
Rilegge un'altra volta il testo.
«Ovviamente non si tratta di tre fratelli, ma di tre...cose simili.»
Fissa la carta, come in preda a una tormenta di pensieri.
Cerco di dargli una mano:
«Brutti e belli non devono essere intesi esteticamente»
Annuisce più volte:
«E i verbi! Quei verbi di movimento indicano il passare del tempo...cosa c'è qui in questo carcere che...»
«Ci sono!» a sorpresa di entrambi, la voce è quella di Marcelo.
«Passato, presente e futuro!»
Lo guardo ancora più confusa. Ci sta, come significato, ma cosa dobbiamo cercare esattamente?
Marcelo schizza via di corsa prima che io possa fare domande.
Will sorride un po', mi guarda di sfuggita, poi mi fa cenno di seguirlo.
Credo che questo suo modo di fare significhi che è pensieroso.
Lo seguo attraverso un'altra serie infinita di corridoi che ci portano verso la sala principale.
Questa è poco affollata, solo qualche adulto e dei ragazzi che si sono ritirati dalla caccia al tesoro.
Will tira dritto verso un altro corridoio, ma svoltiamo subito in una stanza ampia, tappezzata di cartelloni con fotografie.
Al centro Brad ci guarda sorridendo con malinconia.
«Benvenuti nella stanza del presente, passato, futuro, dove conserviamo le immagini di chi c'è stato, di chi c'è e gli auguri per chi ci sarà»
«Il carcerati di ieri, i carcerati di oggi, i carcerati di domani» mi traduce Will con uno sguardo truce.
Brad lo guarda con aria di rimprovero:
«William, sai perfettamente che non gradiamo che questa stanza sia denominata con quel ridicolo soprannome»
Il ragazzo lo ignora e si guarda attorno.
«Allora?» chiede Marcelo impaziente.
Brad lo guarda sorpreso:
«Be', avete finito, questo è l'arrivo. Quei sacchetti di cioccolatini sono per i vincitori, anche se siete solo tre»
«Possiamo andare ora?» chiede Will come se all'improvviso fosse estremamente annoiato.
Brad scrolla le spalle:
«Gli altri non saranno qui prima di mezz'ora, quindi fate ciò che volete. Anzi, sarebbe meglio che vi toglieste quegli abiti ridicoli»
Marcelo e Will accettano più che volentieri e ritornano nei propri vestiti mentre io li aspetto fuori dalla stanza
Il ragazzo esce vivace, mi afferra per un polso e mi trascina lontano da lì.
«Cosa vuoi fare?» chiedo preoccupata.
"Annota: Will è lunatico, cambia umore in fretta"
Come se non l'avessi già fatto.
"Era solo un consiglio"
Non sono così stupida come credi.
"Ho i miei dubbi"
Chi ha vinto una borsa di studio?
Silenzio. Come al solito.
Will mi ha riportata nella sala principale, con Marcelo al seguito.
«Finché non c'è nessuno possiamo servirci al buffet, appena arriveranno tutti ci defiliamo» mi sussurra il ragazzo di risposta.
Ci avviciniamo al buffet. Non offre una grande vastità, ma il cibo sembra piuttosto buono.
La pizzetta che prendo conferma la mia teoria.
«Soddisfatta?» mi chiede il ragazzo.
«Molto» ammetto.
Ci sediamo su delle panche a bordo sala, mentre Marcelo si unisce ad alcuni amici con cui decide di assaltare il buffet.
«La mia domanda verteva su una soddisfazione più generale» precisa Will guardandomi in faccia.
Abbozzo un sorriso:
«Mi stai chiedendo se sono soddisfatta della mia vita? Se accetterei di morire ora sapendo che ho fatto tutto ciò che potevo fare?»
Ride:
«Si può raggiungere qualcosa del genere in una vita sola?»
Scrollo le spalle:
«Non credo, ma penso ci si possa limitare»
«Non proprio» mi corregge.
«Cosa intendi?» lo guardo incuriosita.
«Basta porsi un punto di arrivo e aumentarlo una volta raggiunto. Ci saranno così tante piccole soddisfazioni che porteranno ad un traguardo più ampio»
«Non ci avevo mai pensato» ammetto con un sorriso.
Lui stringe le spalle:
«Se vogliamo essere ottimisti, quando sei chiuso in carcere hai parecchio tempo per riflettere sulla vita e tutti i problemi esistenziali»
Di tutta la sua frase, tutto quello che mi rimane in testa mi porta chiedere:
«Tu sei ottimista?»
Stringe ancora le spalle:
«Nessuno di noi è veramente del tutto pessimista, altrimenti non uscirebbe neanche di casa. Ho cercato di sviluppare un certo livello di ottimismo per poter essere fiducioso nelle mie capacità»
Dopo qualche istante un altro gruppo irrompe esultante della sala e poco alla volta questa si riempie sempre di più fino ad essere gremita di ragazzi che si accalcano verso il buffet.
Will mi afferra per un polso e mi porta con sé all'esterno.
«Troppa gente» commenta quando siamo soli in un corridoio.
«Dove stiamo andando?» domando incuriosita.
"Non dovresti fidarti di lui"
Ma cosa pensi possa fare chiuso qui dentro?
"Io ti ho avvisata"
Il ragazzo mi conduce nei bagni e chiude la porta a chiave, il che non mi rassicura molto.
«Tranquilla» dice con un sorriso disteso «Non ti toccherò neanche se hai paura di me»
Per dimostrarlo mi lascia il polso e solleva le mani pulite.
Continuo a fissarlo, ma non dico nulla.
Lui si avvia verso il fondo della lunga stanza, dove ci sono le docce.
Si accuccia per terra e maneggia con una mattonella del pavimento vicino al muro.
La solleva e ne estrae un pacchetto.
Quando vede mia faccia scandalizzata scoppia a ridere.
«Tranquilla» ripete ancora «Non è droga, cioè non nel senso che intendi tu. Fumi?»
Scuoto leggermente il capo.
Lui, con il pacchetto sotto braccio entra in uno dei box doccia e apre l'acqua, poi lo chiude e riesce.
Indica una ventola sulla parete.
«Serve ad aspirare il vapore e...» apre il pacchetto «Il fumo.»
Contiene un accendino e del tabacco.
Mi rilasso leggermente, anche se sono comunque preoccupata.
«Cosa vuoi fare?» chiedo con voce flebile.
Lui mi guarda come se volesse capire se sto scherzando, poi scoppia a ridere:
«Sei seria? Farmi una sigaretta, non mi sembra niente di così spaventoso»
Incrocio le braccia al petto, con un accenno di broncio sul viso:
«La tua aria molto losca non mi ha rassicurato molto, sai?»
Ride tra sé e sé.
«Ovviamente è vietato fumare e chi ha questa brutta abitudine come me deve ingegnarsi» 
Lo guardo mentre si prepara la sigaretta: le sue mani scorrono abili e veloci, come se lo facesse da tanto tempo.
Quando ha finito se la porta alla bocca e l'accende.
Sono così vicina che il suo primo respiro mi colpisce come uno schiaffo.
Arretro tossicchiando.
Will accenna un sorriso:
«Non hai mai fatto un tiro in vita tua?»
Scuoto il capo:
«Nella vita non aspiro ad avere un cancro ai polmoni, grazie»
Ride:
«Sono delle scelte»
Ritengo sia meglio non fare altre domande e me ne resto in silenzio, a debita distanza, guardandolo fumare.
È piuttosto tranquillo e a suo agio.
L'unico rumore che scorre fra noi è quello dell'acqua della doccia e della ventola che aspira vapore e fumo.
«Quanti anni hai?» mi chiede Will.
«Sedici» rispondo.
«Io diciotto» replica «Avevo sedici anni quando sono entrato qui la prima volta. Poi sono stato libero per qualche mese, per buona condotta, ma ho di nuovo attaccato mio zio e anche se non ne avevano le prove mi hanno sbattuto nuovamente in carcere»
«Mi stai confessando i tuoi crimini? Spero che il prossimo passo non sia uccidermi» commento nervosa.
Ride:
«Tutti sanno quali siano le mie colpe, ma non hanno mai trovato me sul posto»
Resto in silenzio, tormentando una ciocca di capelli.
Will finisce la sua sigaretta, poi rimette tutto sotto la mattonella, chiude la doccia e asciuga il box.
«Andiamo signorina Leach?» 
È ritornato allegro e divertito come prima.
Mi offre un braccio, che accetto poco convinta, poi mi accompagna fuori.
Ritorniamo nella sala dei compiti, dove Brad sta parlando in piedi su dei tavoli, con un microfono in mano.
«Eccovi, Will, Luna!» esclama appena ci vede entrare. «Il magico trio di William, Luna e Marcelo ha vinto questa caccia al tesoro, al secondo posto si è piazzata la squadra di Lynn e al terzo...»
Smetto di ascoltare l'uomo quando Marcelo si precipita da noi, con la bocca piena di patatine.
«Avete sentito?!» esclama contento mentre tenta di deglutire «Ci ha chiamati il magico trio! Perché lo siamo stati davvero, magici intendo!»
La sua gioia è contagiosa e mi ritrovo a sorridere piacevolmente.
 
Quando torno a casa il sole sta già tramontando e il cielo è tinto di rosso.
Raggiungo la mia piccola casa con ancora addosso l'allegria che ho lasciato al Centro Orwell.
Vicino alla siepe di rose trovo Jim.
«Buona sera» saluto educata.
Lui alza lo sguardo limpido su di me. Non sembra sorpreso.
«Ti stavo proprio aspettando, Luna. In casa tua c'è un tecnico per controllare che tutto funzioni, dovrai attendere qualche minuto.»
Si guarda alle spalle, poi mi sorride:
«Che ne dici di venire a bere un tè da me? Tra poco farà freddo e non è bello aspettare qui fuori»
Dopo il primo rifiuto di cortesia, sono costretta ad accettare e seguire l'uomo verso la sua graziosa dimora.
Da lontano non mi ero accorta di quanto fossero ben curate le piante sui davanzali e lungo viottolo che conduce all'ingresso.
L'interno è arredato in modo semplice, ma molto intimo, con soprammobili di famiglia come tazze e statuette.
Mi accorgo che però non ci sono fotografie.
Jim mi conduce nel piccolo salotto dove sono disposte due poltrone, una di fronte all'altra, separate da un tavolino.
Mi fa sedere su una di esse, poi prende un bollitore dal mobile.
Lo mette direttamente sul piccolo fuoco che arde nel camino e mi porta dei piccoli barattoli.
Ognuno contiene delle foglie secche.
«Annusali e dimmi quello che ti piace di più»
Obbedisco e restituisco quello dall'odore più dolce.
«Tè nero con arancia e cannella» dice «Ottima scelta»
Prende alcune foglie e le mette in un piccolo filtro, che poi lascia cadere nel bollitore.
«Mi piacciono i sapori puri» confessa mentre prende posto davanti a me.
«A dir la verità, sei la prima persona che incontro che beve il tè come faccio io. Non riesco a sopportare quello preconfezionato delle buste e compro sempre quello più puro che trovo» gli dico.
Fa uno dei suoi soliti sorrisi enigmatici. Mi rendo conto che nonostante i suoi occhi siano splendenti, il suo viso è solcato da numerose rughe.
«Come stai Luna?»
«Bene, tu?» rispondo quasi in automatico.
Sorride placido:
«Intendo seriamente, cosa provi?»
Sospiro e faccio scorrere lo sguardo per la stanza, pensierosa.
«Sensazioni contrastanti» rispondo «Sono contenta di trovarmi qui e ho trovato qualcosa di interessante. Probabilmente non è quello che mi aspettavo»
Jim mi scruta:
«Nulla sarà come ti aspettavi»
Annuisco tra me e me.
«Non hai percepito nulla di strano?»
Scrollo lo spalle:
«No, o almeno non me ne sono resa conto» 
Jim mi fissa pensieroso.
Non riesco più a trattenermi ed esclamo:
«Perché tutte queste domande?»
L'uomo rimane tranquillo, tende leggermente le labbra verso l'alto, fa uno strano cenno col capo.
«Mi stavo semplicemente preoccupando per te.»
Resto in silenzio un istante, poi commento sottovoce:
«Scusa, forse non sono abituata a queste cose»
Lui sorride ancora, serafico.
Poi si alza in piedi per prendere il tè.
Me lo serve in una tazza scura e il calore si propaga immediatamente dai palmi in tutto il corpo.
«È buonissimo» dico sorseggiandolo.
«Immaginavo ti sarebbe piaciuto»
"Sembra che ti conosca"
Me ne sono accorta.
"Allora perché non dici nulla?"
Cosa dovrei chiedere? Vediamo come si evolve la situazione.
"Contenta tu"
Voce sparisce.
Jim sussulta, poi si alza in piedi e sparisce in quella che credo sia la cucina.
«Quasi dimenticavo» dice quando torna «Il postino mi ha consegnato questo in ritardissimo. Ricevo io la posta di tutti gli studenti e poi la faccio avere ai legittimi proprietari. Questa è tua»
Mi consegna una busta sigillata.
La guardo, incuriosita. C'è scritto semplicemente il mio nome sul retro.
«Aprila pure» m'incoraggia Jim riprendendo la sua tazza.
«Posso farlo anche dopo» replico senza però troppa convinzione.
«Anzi» aggiungo lanciando uno sguardo fugace verso la la finestra «Ormai penso abbiano finito e non credo sia il caso di disturbare oltre. Grazie mille per il tè»
L'uomo fa un sorriso imperturbabile:
«Non preoccuparti, sappi che per qualsiasi necessità io ci sono.»
«Grazie ancora» ciò mentre mi avvio verso la porta d'uscita.
Jim mi accompagna.
È più basso di me di una buona spanna, ma qualcosa in lui ti impone di rispettarlo senza alcun particolare motivo.
È intrigante.
Mi allontano lungo il violetto di ciottoli con il buon sapore del tè in bocca e una busta stretta tra le dita.
Raggiungo la casa mia, che nel frattempo si è svuotata dai tecnici.
Appena entro non resisto alla tentazione di aprire immediatamente la lettera.
Strappo la carta e divoro avidamente il contenuto del foglio.
Mentre i miei occhi scorrono il mio cuore accelera e la mascella mi cede.
L'unica cosa che riesco a commentare alla fine è:
«Merda!»
"Concordo pienamente" acconsente Voce.
 
Sento suonare al campanello mentre sto rovistando nella valigia alla ricerca di un paio di scarpe decenti.
Ho il fiato corto e cerco di non pensare al mio aspetto.
Arranco scalza verso la porta e quando apro mi trovo davanti un uomo elegantemente vestito.
«Buona sera» mi saluta educato.
Il suo sguardo corre poi sui miei piedi nudi e assume un'aria di disappunto.
«'sera» ansimo «Ho ricevuto trenta minuti fa l'invito, potrebbe aspettare ancora qualche secondo?»
Lui guarda l'orologio che porta al polso mentre io tento di stabilizzare il mio respiro.
«Siamo già in ritardo signorina Leach»
Sospiro:
«Lo so, ma come può capire se lo avessi saputo mi sarei fatta trovare puntuale e pronta»
"Ne dubito considerando il tuo solito ritardo"
Oh, sta zitta, per favore!
«Ed, essendo anche io una donna, trenta minuti sono troppo pochi per assumere un aspetto presentabile...»
«Non importa, non perda tempo a parlare. Ha due minuti signorina»
«Grazie mille» mi esce in un unico sospiro, poi gli sbatto la porta in faccia.
Cinque minuti più tardi seguo imbarazzata l'uomo verso un'auto scura dall'aria molto costosa.
Considerando la mia avversione verso tacchi e abiti eccessivamente eleganti, nonostante i numerosi tentativi, la mia valigia non ne contiene nessuno.
Di conseguenza l'abbinamento più elegante che ho trovato è stato un tubino e degli stivaletti di pelle, il tutto nero.
"Sembrerai fuori luogo in mezzo a tutta quella gente ben vestita" mi informa Voce mentre l'auto sfreccia fuori dal campus.
Se lo avessi saputo prima avrei comprato qualcosa più elegante, replico piccata.
"Così non sembrerai molto grata al tuo benefattore se non ti prendi neanche la cura di vestirti bene per lui"
Sbuffo tra me e me.
«C'è qualche problema signorina Leach?» chiede l'autista.
«No, no, nessuno problema, a volte...quanto impiegheremo ad arrivare alla villa?»
Cambio in fretta argomento, imbarazzata.
«Un quarto d'ora. La cena, invece, inizierà tra quarantacinque minuti»
«Grazie mille»
Per il resto del viaggio l'autista si mostra molto loquace.
Scopro che si chiama Victor ed è di origine russa, ma appena trasferì in America trovò lavoro presso il mio benefattore, che lui chiama con ammirazione quasi infantile "l'egregio signor Benedict".
Quando raggiungiamo la villa resto a bocca spalancata.
È enorme, in stile vittoriano, con colonne bianche che la sorreggono dandole un aria imponente e maestosa.
«È bellissima, vero?» chiede retorico Victor.
Riesco solo ad annuire estasiata.
"Forse sarebbe meglio se chiudessi la bocca"
Mi riscuoto all'improvviso quando l'uomo mi apre galantemente la portiera.
«Prego» m'invita a scendere con un cenno.
«Grazie»
Avanzo, impacciata verso la villa.
A malapena mi rendo conto che Victor è ripartito e io sono rimasta sola nel piazzale.
Metto un piede davanti all'altro tenendo la testa all'insù fino a doverle piegare indietro per poter continuare ad ammirare l'edificio nella sua interezza.
«Signorina?»
Altri due uomini in giacca a cravatta sono fermi davanti alla porta.
«Oh, salve, sono un po' ritardo» biascico nervosa.
«Giusto di qualche minuto. Qual è il vostro nome?»
«Luna Leach?»
Quello che ha parlato controlla su un apparecchio elettronico, poi mi fa un sorriso estremamente gentile.
«Prego,sempre dritta fino alla sala principale, impossibile sbagliare»
Chissà come però io sbaglio e mi ritrovo nei bagni delle donne.
«Ciao!» mi saluta un'allegra voce femminile.
Appartiene ad una ragazza alta e robusta. Ha dei corti capelli biondi raccolti indietro.
«Ehm...ciao!» replico.
«Tu sei Luna, no?»
«Come fai a saperlo?» chiedo confusa.
I suoi occhi verdi mi sorridono:
«Ti hanno assegnato il posto vicino a me ed eri l'unica assente, quindi ho dedotto che fossi tu»
Sorrido, rassicurata.
«E tu come ti chiami?»
«Karin! Immagino tu ti sia persa, quindi andiamo a tavola?»
Annuisco e la seguo di buon grado.
Mentre ci avviamo verso la sala Karin ripete per circa una ventina di volte "quindi", ma per il resto sembra socievole e simpatica, anche se parecchio logorroica.
«Eccoci qui, io sono seduta qui, quindi tu al mio fianco»
La sala è a dir poco mozzafiato.
Il soffitto, altissimo, è riccamente affrescato, le pareti sorreggono lampadari elaborati e quadri travolgenti.
Nell'ampia stanza sono sistemati due lunghi tavoli, davanti ai quali è posto un piccolo palco con un leggio e un microfono.
La visione mi ricorda quello che è successo in Inghilterra, all'assegnazione delle borse di studio.
Barcollo indietro.
"Pensavo l'avessi dimenticato"
Non puoi dimenticare in poco tempo che qualcuno ti ha puntato una pistola alla testa, anche se non voleva ucciderti.
«Attenzione» dice una voce gentile alle mie spalle, posandomi una mano sula schiena per sorreggermi.
Nel barcollare indietro stavo per perdere l'equilibrio.
Ruoto in fretta su me stessa, fino a che trovo chi ha parlato.
È un uomo sulla sessantina d'anni, alto e magro, con i capelli scuri macchiati di grigio e dei profondi occhi blu.
«Mi scusi» dico impacciata.
«Non preoccuparti. Tu sei Luna, non è vero?»
Lo guardo con gli occhi sbarrati, stranita.
Voce di prego aiutami.
"È il tuo benefattore" risponde lei scocciata.
Non so da cosa tu possa capire l'umore della tua voce interiore, ma lei è decisamente scocciata.
«Oh, lei è il signor...»
«Benedict, chiamami Benedict»
Grazie al cielo, perché non ricordavo il suo nome.
"Io sì"
Tu sei me!
Voce non replica.
«Come trovi questo posto?» mi chiede lui.
«Estremamente...» cerco le parole giuste «...affascinante» concludo semplicemente.
Ride leggermente:
«Posso facilmente comprenderlo. Ti piace la cittadina in cui tu trovi?»
Annuisco con enfasi:
«Assolutamente. Non può capire quanto le sarò per sempre grata per quello che ha fatto per me»
«Non preoccuparti, si può dire che lo faccia anche per interesse personale, voglio lasciare il mondo nelle mani migliori e posso contribuire a questo solo per mezzo delle borse di studio che aiutano i ragazzi molto dotati»
Mi sento arrossire per quell'elogio, ma l'uomo non mi lascia il tempo di aggiungere altro perché dice:
«Sarà meglio che dia inizio alla cena ora, i miei invitati scalpitano. È stato un piacere Luna, cercherò di raggiungerti più tardi se mi sarà possibile»
Detto ciò si gira e si allontana con passo deciso.
«Che uomo ammaliante» commenta Karin quando restiamo sole.
«Già, i suoi modi sono molto curati e composti» concordo.
«Molto curati» aggiunge lei.
In quel momento Benedict da inizio alla cena dal palco e i camerieri cominciano a sfilare per i corridoi con le pietanze squisite.
 
«Non ho mai mangiato così bene!» esclama Karin quando arriva il secondo dolce.
Mi sento scoppiare, ma non posso far altro che essere d'accordo con lei.
«Neanche da mia nonna ho assaggiato mai questa ambrosia divina!»
Rido con lei.
Durante la serata ho scoperto che lei è per metà tedesca e per metà americana, ma ha sempre vissuto in Europa. E durante le tre ore della cena ho avuto modo di approfondire la mia conoscenza nella cucina tedesca grazie alle descrizioni dei piatti di sua nonna.
«Convinceremo Benedict ad invitarci più spesso nelle sue "umili dimore"» commento io e questa volta è il mio turno di farla ridere.
A proposito del mio benefattore, egli sale ora sul palco e saluta tutti con gentilezza.
«Un saluto particolare è diretto ai ragazzi che si trovano nel nostro paese per una vacanza-studio. Voglio invitare i giovani a fare tesoro di questa esperienza, perché ciò che apprenderanno qui e ora sarà fondamentale per il loro futuro. Spero che potremo unire le forze per completare il progetto della mia società che mira ad un mondo migliore non utopistico. È proprio per passare da utopia a realtà, che questi ragazzi si trovano vicini a me, dove forse rimarranno stabilmente in futuro, come miei soci.»
La folla si scioglie in un applauso scrosciante.
Karin mi rivolge uno sguardo estasiata e anche io non posso far a meno di sorridere, con il cuore pieno di orgoglio.
 
 
L'irritato suoneria predefinita del cellulare mi sveglia all'improvviso il giorno successivo.
Sollevo scocciata il capo, con le palpebre ancora pesanti per il sonno.
Mi alzo a stento e barcollo verso la cassettiera dove si trova il telefono.
Lo afferro e accetto la chiamata senza neanche guardare chi sia il mittente.
«Pronto?» chiedo con voce impastata mentre arranco alla ricerca dei miei occhiali sul comodino.
«Luna! Sono Karin!»
«Karin? Ma che ore sono?» chiedo inforcando gli occhiali.
La visuale si fa immediatamente più nitida.
«Non so, le dieci credo...non dirmi che stavi dormendo a quest'ora!»
«È domenica» borbotto e mi lascio ricadere sul letto.
Lei ride tra sé e sé:
«Comunque volevo sapere come stai»
«Mi chiami alle dieci di domenica mattina per sapere come sto?» farfugliò confusa.
«Mi piace chiacchierare con le persone! Quindi, dato che ci siamo scambiate il numero di cellulare, pensavo sarebbe stato carino parlarti»
Apro la bocca, la richiudo, poi finalmente parlo:
«Non fraintendermi Karin, sei molto simpatica, ma non mi sembra normale telefonarmi...»
«Quindi non hai capito!» mi interrompe la sua voce squillante dall'altro capo.
Resto muta.
«Non ti ho chiamata solo per fare due chiacchiere. Volevo anche chiederti di raggiungermi al centro commerciale questo pomeriggio.»
«Io...cosa?» biascico.
Lei ride:
«Io frequento uno scuola  diversa dalla tua, ma sono comunque vicina. Quindi potremmo vederci quando vogliamo!»
"Che bello"
Tu stanne fuori, che sono già abbastanza intontita.
«Ehm...okay. Che ne dici se porto anche una mia...compagna di scuola?» chiedo.
"Intendi Clare?"
Hai qualche problema, Voce?
"Pensavo ti stesse antipatica tanto è musona".
Spero che lei e Karin si compensino.
«Perfetto! Ci vediamo alle tre! Sai ho sentito dire che il nostro centro commerciale è sempre pieno di ragazzi! Il che è un bene per una single come me- tranquilla ricordo che anche tu sei single»
Il suo fiume di parole mi travolge, ma la lascio fare, troppo assonnata.
«In realtà» continua «Il mio ragazzo ideale sarebbe la versione più giovane del signor Lennox»
Spalanco gli occhi.
«Cosa hai detto?» esclamo balzando in piedi.
La sento interdetta, ma risponde veloce:
«Voglio dire lui è affascinante, intelligente e anche ricco...»
«No. No, frena. Ripeti di chi stai parlando»
«Benedict Lennox, quello che tu chiami "il mio benefattore"»
La mascella mi cede, il braccio ricade sul letto.
Mi giunge la voce lontana di Karin, ma non capisco, viene distorta dal cellulare.
I pensieri turbinano nella mia mente.
«Ci sentiamo dopo» riesco solo a dire.
Poi mi risveglio di colpo e mi vesto come una furia.
Qualche minuto più tardi sto scattando sulla strada con una bicicletta che ho rubato sul viale del campus.
L'aria è gelida e mi sferza il viso.
Nella fretta non mi sono messa le lenti a contatto e gli occhiali ballano sul naso.
Non so bene in che modo e soprattuto dopo quanto tempo, ma raggiungo il Centro Orwell.
Abbandono il mio mezzo nel giardino anteriore in malo modo e corro verso l'ingresso.
Entro con il fiato corto.
«Buon giorno, cosa ci fai qui?» mi chiede la donna dietro al bancone.
È Marina.
«Devo...» sto ansimando «Devo vedere una persona»
«Bene» dice «L'orario delle visite termina alle cinque di pomeriggio, penso tu abbia tempo a sufficienza»
Mi catapulto nel corridoio, poi corro fino alla sala principale.
È piuttosto affollata, tra ospiti e ragazzi, ma con un'occhiata veloce mi rendo conto che chi sto cercando non si trova più.
Ritorno nei corridoi e li percorro a grandi passi, freneticamente.
Non so se vanno più veloci le mie gambe o i miei pensieri.
«Sospettavo portassi le lenti a contatto» commenta una voce alle mie spalle.
Mi volto di scatto.
Will mi guarda, con la schiena appoggiata al muro e il suo solito sorriso divertito.
«William Lennox» mi esce in un sibilo.
I suoi occhi blu sembrano mandare un bagliore, ma il suo volto non cambia espressione.
«Ehi, amico» sento una voce maschile dietro a Will «Tutto okay?»
Alle sue spalle compare un ragazzo poco più grande di me, dalla pelle mulatta e gli occhi neri.
Mi sfugge un gemito soffocato.
In un attimo quel ragazzo è al mio fianco e mi tira verso Will.
Quest'ultimo sta sorridendo sempre più divertito.
«Interessante» 
La testa mi gira, ho la nausea eppure riesco a sentirlo.
Il ragazzo che mi tiene per il polso emana un inconfondibile profumo di miele.



__________________________________________________________

Ciao a tutti! Avevo intenzione di aggiornare in un arco di tempo equamente esteso, ma non cè l'ho fatta perché la tentazione di aggiungere un nuovo capitolo era troppo forte, quindi eccomi qui....
Questo capitolo è piuttosto denso e posso solo anticipare che anche il successivo non sarà da meno.
Come al solito mi scuso per eventuali errori e vi prego di lasciare una piccolissima recensione, perché è davvero l'unico modo attraverso il quale io possa migliorare e inoltre posso sapere se vale la pena di continuare questa storia. Se siete arrivati fin qui vi ringrazio tantissimo!
Lux

P.S. È probabile che cambierò  il titolo della storia, consiglio a chi non ce  l'ha nelle seguite/da ricordare di aggiungerla. 

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Capitolo 6
*** Dove mi riversano addosso le parole ***


Will mi afferra per un polso e mi tira verso uno stanzino.
Anche se non fossi così attonita dubito che riuscirei a liberarmi.
Mi spinge all'interno e i due ragazzi mi seguono.
Appena mi rendo conto di ciò che è successo comincio ad agitarmi nel buio più completo.
«Fammi uscire di qui!» esclamo tastando la porta.
Due mani mi afferrano saldamente i polsi.
«Stai calma» dice la voce di Will, davanti a me.
«Calma?!»
«Vuoi risposte? Se stai buona te ne daremo» ribatte pacato.
«Lui ha cercato di uccidermi!» sbotto divincolandomi.
La presa del ragazzo è forte.
«Prima di tutto, lui ha un nome e si chiama Greg» comincia Will. Scommetto che sta sorridendo ora.
«Non me ne frega di chi è o di come si chiama! Resta il fatto che mi ha puntato una pistola alla testa! Anzi...» prendo fiato «L'hai mandato tu, vero?»
Will ride sottovoce.
Meno una ginocchiata e dal gemito che segue capisco con soddisfazione di aver fatto centro.
«Luna...» si lamenta lui con voce strozzata «Per favore, ti spiegherò, ma tu cerca di collaborare...»
«Collaborare con dei criminali?» sputo.
«Sapevi che ero un criminale anche ieri, ma non ti comportavi così» replica Will palesemente seccato.
Resto in silenzio.
«Okay, credo che starà buona» dice l'altro ragazzo parlando per la prima volta.
«Organizziamo le idee. Tu credi che io abbia mandato Greg alla consegna delle borse di studio.» fa Will.
«Questo lo so già» dico «Tuo zio è il mio benefattore!»
«Sì» ammette lui, quasi allegro.
«Perché non me lo hai detto?» chiedo esasperata.
«Perché non lo sapevo, o almeno non ne ero certo. Avevo il sospetto che fossi tu la ragazza, ma non ne ero certo»
«Sinceramente non sei molto normale, ragazza. Mi hai attaccato mentre avevi una pistola sulla tempia» commenta Greg.
«C'era solo un proiettile» sbuffo.
«E tu come fai a saperlo?» chiede Will.
«Non è la cosa importante!»
«E cosa lo è?» domanda Will ridendo.
Quanto vorrei mollargli uno schiaffo sul suo volto ridente.
Peccato che mi tenga ancora i polsi e ci sia buio pesto.
«Il fatto che hai mandato un tuo complice ad assalirmi, che avevi dei dubbi e non mi hai detto nulla...»
«Seriamente Luna, cosa avrei potuto rivelarti?»
Sento la rabbia gonfiarmi il petto, ma lui continua:
«Prima dovevo assicurarmi che fossi veramente tu la ragazza della borsa di studio»
Fisso con odio il punto ipotetico dove potrebbe essere il suo volto:
«Quindi tutte quelle belle parole, quei bei discorsi intriganti avevano solo il fine di capire se ero quella giusta, eh?!»
Will prende fiato, ma non gli do tempo di rispondere:
«Non m'importa, tanto conosco già la risposta. Adesso lasciami!»
Con uno strattone secco mi libero e poggio le mani sulla porta con forza.
Questa si apre con uno schiocco secco.
Non ho né il tempo né la voglia di esserne stupita.
Esco a grandi passi, ma mi blocco subito.
Nel corridoio c'è Marcelo.
Mi fissa, poi sposta gli occhi alle mie spalle, dove saranno sbucati Will e il suo amico.
Le sopracciglia di Marcelo raggiungono l'attaccatura dei capelli da tanto sono sollevate.
«Pensavo ti interessasse solo Lennox...» commenta.
Mi sento avvampare:
«Non è come sembra, ma sono abbastanza arrabbiata e non ho voglia di spiegare»
Lui stringe le spalle e strizza gli occhi:
«Ti credo, non m'importa»
«Luna...» sento la voce di Will alle mie spalle.
Decido che è arrivato il momento di andarsene davvero.
Faccio per allontanarmi, ma qualcuno mi afferra il polso.
Mi volto di scatto e incontro gli occhi scuri di Greg.
Sottraggo la mano tentando di allontanarlo con quella rimasta libera.
Senza rendermene conto ci metto troppa forza e lo faccio sbattere contro il muro.
Lui mi guarda sorpreso.
Finalmente riesco a correre via, veloce come il vento.
 
Dopo aver inforcato la bicicletta pedalo con furore verso la scuola.
Sento l'aria impetuoso intorno a me, ma più che soffiarmi contro sembra aiutarmi.
Appena avvisto il campus schizzo nel viale e lascio la bicicletta dove l'ho trovata.
Cammino rapida verso la mia casetta.
C'è un pallone in mezzo alla strada e lo calcio per allontanarlo.
Ancora una volta non riesco a dosare la mia forza e quello finisce talmente lontano sul prato che non riesco più a vederlo.
Ora però, sola nel campus deserto, comincio a stupirmi a farmi delle domande.
La confusione generale che aleggia nella mia testa non aiuta di certo a chiarire le idee, ma la nebbia si sta diradando sempre di più.
«Serve una mano con il vento?»
Mi volto di scatto, spaventata.
Sulla soglia della sua graziosa dimora, con un sorriso enigmatico, c'è Jim.
 
L'uomo mi sorride, fa un cenno col capo, si volta e si avvia verso casa sua con lentezza.
Mi ritrovo a seguirlo in fretta.
Nonostante il passo tranquillo, raggiunge lui per primo l'ingresso e scompare oltre la porta.
Lo imito velocemente.
Jim è ritornato nel salottino dove mi aveva accolta ieri e se ne sta seduto sulla sua poltrona.
«Cosa significa?» chiedo frastornata.
Lui ha un volto così pacifico.
«Sapevo che prima o poi te ne saresti accorta. Che ne dici di sederti?»
Annuisco e mi lascio cadere sulla poltrona di fronte.
«Il vento» sussurro.
Fa un cenno di assenso col capo e continua a fissarmi.
«Cosa significa?» ripeto.
Si fa pensieroso:
«Probabilmente tu l'hai sempre denominato con il termine "magia"» comincia «In realtà si tratta di qualcosa di molto più semplice, almeno per noi»
Sento il cuore scalciare nel petto, i pensieri frullano come ali frenetiche.
Jim sembra cercare le parole giuste.
«Hai presente la legge di Lavoiser?» domanda con occhi vigili.
Annuisco e con voce fioca dico:
«Nulla si crea, nulla si distrugge e tutto si trasforma?»
Fa un cenno del capo:
«Esatto. Quello che mi serve è la spiegazione che hai usato ora, non quella scientifica delle masse. Ciò che voglio dire, Luna, è che al mondo esistono persone in grado di trasformare un determinato tipo di energia in forza fisica.»
Lo guardo frastornata per qualche istante, poi mi esce una sorta di gorgoglio:
«Il vento...»
«Esatto» ripete ancora Jim «A quanto pare tu riesci a trasformare l'energia del vento in forza fisica. Questo è ciò che gli ignorante chiamerebbero "magia"»
Vorrei gridare che mi sta prendendo in giro, alzarmi in piedi e correre via, di nuovo con la bicicletta che ho rubato.
Ma il fatto è che il 100% della mia essenza crede al 100% delle sue parole.
«Perché?» domando senza neanche rendermene conto.
Si stringe nelle spalle:
«Siamo sempre stati pochi e le unioni con chi non apparteneva alla nostra razza ci hanno indeboliti»
«I miei genitori...»
Scuote il capo:
«Nessuno, nella tua famiglia, è come te. O almeno nessuno di quelli che conosci. Se uno di noi si sposa con un asthenés, il figlio non ha le nostre abilità, ma le erediterà uno dei discendenti»
«Significa che uno dei miei antenati era come voi?»
Non so più dove mi stia portando la mente. 
L'unica cosa che riesco a pensare è che provo l'impellente necessità di vomitare.
Jim sorride.
«Quel "noi", Luna, comprende anche te»
 
Guardo l'uomo con occhi vacui.
«Cosa significa quella parola che hai detto prima?» biascico.
«Quale?» mi chiede lui con gentilezza.
«Quella greca, non...» la mia voce sfuma.
«Conosci il greco?» domanda con un certo divertimento nella voce.
«Poche cose per cultura» rispondo automaticamente senza rendermi conto che non ha niente a che vedere con il nostro discorso.
Jim riprende la spiegazione:
«Asthenés significa "debole", "incapace". È come da sempre vengono chiamati coloro che non sono in grado di trasformare l'energia»
«I miei genitori sono asthenai?»
«Esatto» l'uomo sembra compiaciuto.
«Stai bene, Luna?»
Annuisco, poi scuoto il capo e infine annuisco ancora, ma quando parlo le parole mi contraddicono:
«Sono successe tante cose oggi, è...difficile, assimilarle tutte. Più che altro è difficile rendermi conto che sono realmente accadute»
Jim mi guarda serafico:
«È dalla prima volta che ti ripeto che io sono sempre qui disposto ad aiutarti»
Faccio un sorriso debole e alzo gli occhi su di lui:
«Però solo ora ho capito il significato delle tue parole»
Sorride ancora, per nulla imbarazzato.
«Che ne dici di un tè?»


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 Ciao a tutti!
Questo capitolo è breve, ma credo piuttosto intenso! Finalmente entriamo nel vivo nella storia! Ecco comparso l'elemento "magico" della storia. Cosa ne pensate? Delusi o soddisfatti? Fatemelo sapere con una recensione anche minuscola! Spero di aggiornare presto,
alla prossima, 
Lux

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Capitolo 7
*** _Dove tento di ignorare ciò che è successo ***


Il mio cellulare comincia a squillare.
Gli lancio uno sguardo bieco, poi mi rendo conto che l'unico modo per farlo smettere è accettare o rifiutare la chiamata.
Opto per la prima.
La voce di Karin mi esplode nell'orecchio.
«Io sono davanti al caffè del piano terra, tu?»
Mi guardo attorno intontita. 
«Ehm...»
«Luna, ti ricordi che dovevamo incontrarci al centro commerciale?»
Cerco di trattenere la mia mascella dal cedere.
«Ehm...sì, ma ho avuto alcuni contrattempi, scusami, sarò lì il prima possibile»
Il prima possibile corrisponde in realtà a trenta minuti più tardi, in cui ho cercato di darmi un aspetto presentabile e meno sconvolto, ho chiamato Clare, mi sono incontrata con lei alla fermata del bus e abbiamo viaggiato fino al centro commerciale.
Karin ci aspetta davanti al caffè del piano terra, come ha detto.
Ci saluta entusiasta e comincia a parlare ancora prima che noi abbiamo il tempo di replicare al suo saluto.
Passeggiamo per tutto il pomeriggio attraverso i negozi, dove Karin fa molti acquisti.
Clare la guarda spesso scettica, mentre io mi limito a cercare di coordinare le due.
«Ma di che genere di contrattempi parlavi, Luna?»
«Niente di che, sono dovuta andare al centro dove lavoro come volontaria e sono stata trattenuta dal custode della scuola» rispondo vaga.
Karin lascia perdere, ma Clare mi guarda interessata, come se fosse convinta che in realtà ci sia ben altro.
Tengo la bocca serrata.
«Guarda chi si vede! Non pensavo che un'eccezione venisse in un posto così popolare!»
Mi volto velocemente, imitata dalle altre due ragazze, per incontrare il proprietario della voce.
Simon mi guarda con un sorriso spavaldo sul volto.
«Sarò un'eccezione perché non mi trovo qui a fare shopping» replico imbarazzata.
Lui si avvicina.
È con un paio di suoi amici, che si disperdono in un attimo nelle vicinanze.
«Ti va di fare un giro con me?» chiede, quasi retorico.
Apro la bocca, ma prima di avere il tempo di ribattere, Karin trascina via Clare esclamando una scusa che non riesco bene a cogliere.
«Che carine, eh?» commenta Simon.
«Non sai quanto»
Cominciamo a passeggiare lungo la galleria del centro commerciale senza prestare grande attenzione ai negozi.
«Stavi parlando del Centro Orwell prima, no?» mi chiede, per avviare una conversazione.
«Esatto» rispondo, mordendomi la lingua. Starà pensando alla mia scarsa abilità di chiacchierare con qualcuno.
«Ti piace proprio quel posto, eh?»
Scrollo le spalle:
«Non ho detto questo, solo lo trovo interessante.»
«Interessante? Sei seria? Che cosa fate di così bello?»
«Be', di solito aiuto i ragazzi nei compiti, ma ieri ho partecipato ad una caccia al tesoro. Ha vinto la mia squadra!»
Sbuffa una risata:
«Davvero?»
«Sissignore! Siamo stati bravissimi!»
«Hai risolto tu gli indovinelli?» chiede senza guardarmi.
«Qualcuno, altri li ha risolti...» mi blocco. Non ho veramente voglia di parlare di lui.
«Chi?» domanda il ragazzo, distrattamente.
«Il mio compagno di squadra» concludo sbrigativa.
«Okay, ora sì che ho scoperto tante cose!»
Rido:
«Ehi! Tu non hai fatto una domanda mirata!»
«Va be', non è che mi importi molto chi fosse il tuo compagno di squadra»
Resto in silenzio, un po' delusa.
Dopo qualche istante Simon scoppia a ridere.
«Che c'è?» faccio perplessa.
«Adesso sono curioso di sapere nome e cognome del tuo compagno»
Rido anche io, poi rispondo:
«William Lennox»
Simon si ferma di botto, con lo sguardo fisso, poi riprende a camminare lentamente.
«Che c'è?» chiedo ancora «Conosci Will?»
Lui mi guarda con una smorfia:
«Siete così amici che lo chiami con un soprannome?»
Scrollo le spalle, poi aggiungo:
«Non hai risposto alla mia domanda»
«Sì, tutti lo conoscono»
Ripenso alle parole di Clare. Mi ha detto che Will era popolare, ma proprio non riesco ad immaginarlo.
Sarà perché io lo vedo con i capelli arruffati e gli abiti stropicciati che porta al centro, rinchiuso in un edificio che odia, che fuma di nascosto nei bagni e usa la sua intelligenza per imbastire conversazioni intriganti. 
Non riesco a vedere una persona del genere popolare come Simon.
«Era tuo amico?» chiedo al ragazzo al mio fianco.
Lui sbuffa un'altra risata:
«Amico?! Ci odiamo a vicenda! Ma non è di Lennox che voglio parlare»
«Neanche io ne ho molta voglia» ammetto e la conversazione cade nella quotidianità banale.
Alla fine Simon mi propone di guardare un film nella sala del centro commerciale.
Karin mi ha mandato un messaggio già da un po' di tempo con scritto che lei e Clare se ne sono andate.
Considerando che non ho alcuna intenzione di stare chiusa in casa rimuginando sulle complicazioni della giornata, accetto volentieri la proposta anche se con un centro nervosismo.
«Cos'hai?» mi chiede Simon, mentre continuo a rigirarmi una ciocca di capelli tra le dita.
«Niente, è solo un tic» rispondo guardandomi attorno nella sala.
"Possibile che tu non riesca mai a rilassarti?"
Non faccio apposta.
"Vuoi sempre fare una buona impressione su tutti"
Che male c'è?
«Ma non ti rompi le palle dopo una settimana tra Centro rieducativo e lavoro in biblioteca?» mi domanda il ragazzo.
La sala si sta popolando.
«No, non saprei che altro fare» rispondo.
«Uscire con gli amici?» propone retorico.
«Non conosco quasi nessuno qui» mi giustifico sempre con i capelli tra le dita.
«Conosci me e ciò ti basta per avere un mucchio di amici»
«Non li definirei proprio "amici"» commento.
Lui non replica perché la luce sta sfumando e viene acceso il proiettore.
La pellicola comincia a girare.
Ora che cala il silenzio, i pensieri riprendono furiosi.
Magia, vento, criminali, asthenés, uomini misteriosi si affacciano nella mia mente.
Per fortuna il film è un thriller e appena si avvia la trama posso limitare la mia concentrazione allo schermo.
 
A metà film Simon allunga un braccio e lo posa sulla mia poltrona.
Mi sfiora la spalla opposta, tento disperatamente di nascondere il mio sussulto.
Poi fingo che mi sia caduto qualcosa e mi chino in avanti per raccoglierlo.
"Cosa stai facendo?!"
Magari pensa di baciarmi! Io non ci penso neanche!
"Primo bacio in un cinema? Non male, anche se non è una commedia"
Stai scherzando?! Assolutamente no! Lo conosco da troppo poco tempo!
"Che cosa ti trattiene?"
Sei nella mia mente, quindi puoi saperlo.
"Ti prego non lui..."
Esci dalla mia testa!
"Ti ripeto che io sono te"
«Tutto okay?» chiede Simon chinandosi in avanti.
«Sì scusa!» replico a voce un po' troppo alta.
Ritorno seduta:
«Mi era caduto...il cellulare e non lo trovavo più.»
«Ah, okay, non avevo sentito alcun rumore»
Non rispondo, ma le mie guance avvampano.
Sia ringraziato il buio della sala.
Il resto del film procede senza troppo intoppi.
Simon tiene il suo braccio sulla mia poltrona, ma a malapena lo percepisco.
Appena cominciano a scorrere i titoli di coda sono pronta a scattare in piedi.
«Bello!» esclamo quando vengono riaccese le luci.
«Sì, gli effetti erano mitici, ma nella trama mi sono perso»
Rido, mentre ci alziamo per uscire dalla sala:
«Ma dai, era piuttosto banale a dir la verità»
«Stai scherzando, vero? Io mi sono perso a quando il poliziotto aveva due carte d'identità» risponde lui.
«Ma quello era l'inizio!»
«Appunto!»
Scoppio a ridere.
Raggiungiamo la galleria, poi usciamo nell'aria scura e fredda.
«È già così buio?» chiedo tra me e me guardandomi attorno perplessa 
«La mia macchina è di là» dice Simon.
Mi volto perplessa verso di lui.
«E?» ribatto.
«Ti porto a casa, no?»
Apro la bocca.
«Ah...non pensavo...okay»
Lui sorride e si allontana verso un punto del parcheggio a me ignoto.
Non mi va di farmi portare da lui, ma non ho neanche intenzione di camminare per quarantacinque minuti nel buio della notte.
L'auto del ragazzo è sportiva, cabriolet e splendente.
Mi avvicino al posto del passeggero.
«Dove vai?» domanda Simon sorpreso.
«Be', io...»
Lancio uno sguardo oltre il finestrino e scorgo il volante.
Mi sento arrossire:
«Scusa, sono abituata alla guida inglese»
Lui ride forte, mentre faccio il giro e salgo dalla parte giusta.
«Eh, dai mi sono sbagliata» commento quando mette in moto.
«Avresti dovuto vedere la tua faccia!»
Cerca di fare l'imitazione sgranando gli occhi e aprendo la bocca.
Non riesco a trattenermi dallo scoppiare a ridere.
Arriviamo in fretta davanti al campus.
Simon fa un'accelerata rapida e frena bruscamente all'ingresso, ma l'auto risulta comunque delicata.
«Questa piccola è fantastica» commenta tamburellando le nocche sul volante.
«Ti piacciono le auto?» domando.
Lui scrolla le spalle, poi sorride:
«Solo quelle belle»
«Mi sembra giusto»
Faccio scorrere lo sguardo all'esterno.
«Be', grazie per la serata, sarà meglio che vada ora»
«Di già?» domanda quasi deluso.
Cerco di nascondere un leggero rossore e mi rigiro nervosamente i capelli tra le dita.
«Buona notte Simon.»
Faccio per uscire, ma lui mi blocca per un braccio e mi attira verso di sé.
Lo lascio fare, perché non riuscirei a contrastarlo, e quando sono vicina gli lascio un bacio leggero sulla guancia.
Poi scappo via nelle tenebre.
 
 
«Ma tu il bacio glielo hai dato su una guancia?» domanda Clare, corrugando la fronte.
Annuisco, nascosta dall'anta dell'armadietto.
«Direi che non c'è nessun problema allora» commenta.
«Nessun problema?!» replico con le guance arrossate. «Mi ha invitato al cinema, lo conosco da due giorni e gli ho dato un bacio sulla guancia! Adesso penserà che io sono una "facile" e...oddio, avrà ribrezzo di me...chissà cosa sta pensando, anzi io so cosa crede, ne sono convinta! E poi...»
Clare mi lascia parlare a ruota libera, sospirando di tanto in tanto.
Quando la mia voce si smorza commenta:
«Direi che ti sbagli. Oggi tutti si salutano con un bacio sulla guancia»
«Sì, ma non in auto! Di sera! Al buio!»
Con il climax crescente la mia voce si fa più stridula.
«Secondo me ti sbagli» aggiunge «E poi anche se lo pensasse che importa?»
«Non mi piace che qualcuno pensi male di me!» replico nervosa.
«Luna, direi che l'unica cosa che può pensare è che sei una santarellina»
Clare "direbbe" un sacco di  cose, ma io sono comunque tormentata.
Al suono della campanella seguo la mia compagna verso la nostra classe.
«Smettila» mugugna dopo un po', lanciando un'occhiataccia alle mie dita che si rigirano i capelli «Mi metti l'ansia»
Sospirando lascio cadere le braccia lungo i fianchi e prendo posto nell'aula.
L'ultima lezione scorre in fretta.
Finalmente posso uscire da scuola, con i miei libri tra le braccia e Clare a fianco.
«Ma tu, durante i pomeriggi, cosa fai?» chiedo alla ragazza.
Lei mi guarda sospettosa, come se nella mia domanda si nascondesse una qualche sorta di intrigo.
Evidentemente sembra che vada bene, perché scrolla le spalle e risponde:
«Quello che ho voglia di fare»
Non chiedo altro, continuo a camminare lungo il viale.
Clare prosegue per la sua strada rivolgendomi un impercettibile cenno del capo.
La saluto, poi mi avvicino a casa mia.
Con le dita libere tendo di prendere le chiavi dalla tasca della giacca e con qualche manovra che farebbe invidia ad un contorsionista riesco ad infilarle nella toppa.
Lascio i libri sul tavolo, poi sono di nuovo all'esterno.
Cammino a grandi passi verso la graziosa casetta posta dalla parte opposta rispetto a quelle dei ragazzi.
Supero il viale di ghiaia, poi busso alla porta.
Jim mi apre subito, come se fosse stato in attese sulla soglia.
«Ehm...ciao, scusa...volevo sapere se fossi libero per...perché ho qualche domanda da farti»
Sorride, come al solito:
«Forza, vieni dentro»
Si scosta in modo da lasciarmi passare, poi mi conduce ancora nel salotto.
«Vorrei imparare ad usare il mio potere» annuncio immediatamente.
Lui mi guarda attento, sorride, poi si volta e mi fa cenno di seguirlo.
Raggiungiamo un piccolo giardinetto sul retro della casa.
È delimitato da alcune piante di fronte a noi, in modo che risulti di forma circolare.
«Siediti al centro» mi dice.
Avanzo incerta, ma obbedisco.
Mi siedo a gambe incrociate con il volto rivolto verso l'uomo.
Jim prende posto di fronte a me.
«Il primo passo, in qualsiasi trasformazione, è la percezione dell'energia intorno a te, quella stessa energia che poi andrai ad usare»
Annuisco, cercando di seguirlo.
«Chiudi gli occhi e concentrati su ciò che percepisci»
Obbedisco.
"Non ti senti un po' stupida?"
Lasciami concentrare.
"Per me non è una buona idea"
Questo corpo è il mio.
"Ci vivo anche io però."
Sì, ma ti presenti solo quando ne hai voglia.
"Dobbiamo fare una discussione sulle volte in cui sono presente e quelle no?"
Lasciami concentrare!
"Se poi te ne penti, sappi che te l'avevo detto"
Voce esce dalla mia testa e se potesse, sono certa che sbatterebbe la porta.
Finalmente mi metto in ascolto di ciò che c'è intorno a me.
Mi giungono le voci lontane dei ragazzi ritardatari che stanno uscendo ora da scuola.
Ma non è questo ciò su cui mi devo concentrare.
È il rumore del vento.
Lo seguo, mentre sale e scende, gioca con le campanelle, corre tra gli oggetti che mi circondano.
Io l'ho già fatto. 
L'ho già sentito.
Io sono il vento.
 
«Luna»
Una mano mi scuote.
Sollevo le palpebre lentamente.
Sono ancora seduta con le gambe incrociate, ma la ho la schiena curva in avanti.
Jim mi sta scuotendo.
Apro del tutto gli occhi.
Il sole sta calando.
«Basta così per oggi» dice l'uomo gentilmente.
«Che ore sono?» biascico confusa.
«È sera ormai» risponde «Ti sei allenata tutto il pomeriggio»
Cerco di riordinare i pensieri. L'ultima cosa che ricordo è di aver percepito il vento, poi più nulla.
Jim sorride:
«Non preoccuparti, è normale. È come se ti fossi dispersa nell'aria, poco alla volta riuscirai a dominarlo»
Mi alzo in piedi e barcollante mi avvio verso l'uscita.
«Grazie per avermi aiutata» dico a Jim.
«Sempre un piacere»
Resto un istante sulla soglia, fissando l'uomo, poi mi incammino.
Ho i muscoli indolenziti e una leggera sonnolenza che mi appesantisce la testa.
Prendo un respiro profondo.
Non percepisco nulla.
Lascio perdere ed entro nella mia casetta.
Finalmente posso rilassarmi.
 
La mattina successiva scorre più in fretta di quanto desiderassi e presto mi ritrovo alla fermata per andare al Centro.
A dir la verità, oggi non ho voglia di andarci.
Mi sono venute in mente un sacco di cose carine che potrei fare se avessi il pomeriggio libero.
Diciamoci la verità: non ho voglia di vedere Will.
L'autobus passa in anticipo, poi saltellante corre sulla strada.
Ad accogliermi, al Centro Orwell, trovo Marcelo, con un sorriso enorme.
«Ciao!» saluta «Come stai?»
Non riesco a non ricambiare il sorriso:
«Tutto bene, e tu? Pronto per un fantastico pomeriggio di compiti?!»
Il suo sorriso si spegne un po' e strizza gli occhi:
«Era più fantastico prima che parlassi di compiti»
«Forza, non sarà nulla di spaventoso!»
Raggiungiamo la sala principale e prendiamo posto in un angolo.
Scorgo Brad che mi saluta con un cenno, poi se ne va con il suo solito sguardo mogio.
Il pomeriggio comincia bene, però, quando mi dicono che oggi ci sono i compiti di Letteratura.
Faccio parlare il ragazzino e senza che se ne renda conto infilo delle informazioni che deve studiare così che non si annoi.
In questo modo resta vivace per tutto il tempo e possiamo divertirci.
All'ora di merenda schizza via, lasciandomi sola in attesa.
Vedo Brad venirmi incontro.
«Che problema c'è tra te e Will?»
Lo guardo confusa, colta alla sprovvista.
«Cosa?» chiedo con un espressione attonita.
Lui mi rivolge i suoi occhi malinconici:
«Il giorno prima chiacchierate allegramente tra di voi, quello dopo entri al centro come un tornado ed esci con altrettanto furore. E oggi lo hai palesemente ignorato. Luna, non voglio farmi gli affari tuoi, ma sono il responsabile di ciò che accade qui e non voglio che ci siano tensioni»
«Non ci sono tensioni» replico con lo sguardo basso.
«Will ti ha fatto qualcosa?» continua indagatore.
Scuoto il capo.
"Dì di sì"
Non lo farò.
«Sarebbe un problema per te andare a scambiare due parole con lui?»
Alzo gli occhi.
Lo vedo, dall'altra parte della sala, che parla in un gruppo di ragazzi con il suo sorriso divertito.
«Ora?»
Brad annuisce.
"Se gli racconti la verità non sei costretta a farlo"
Sta zitta.
Mi alzo in piedi e cammino lentamente, incerta, per tutta la sala.
Devo raggirare dei tavoli, poi passare attraverso il gruppo di ragazzi intorno a lui che mi ignora.
«Will?» chiamo con voce che mi suona stridula.
Si volta.
Ha degli occhi incredibilmente blu.

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ciao a tutti! Mi rendo conto che questo capitolo è piuttosto scarsino, ma il suo compito è di fare da "ponte" tra quello precedente e  il successivo.
spero lo abbiate trovato comunque in qualche modo interessante. Fatemi sapere cosa ne pensate! Come al solito vi prego di recensire, perché se sbaglio l'unico modo che ho per non farlo più è che qualcuno mi corregga! Fatevi sentire!
ringrazio per la fedeltà  KeynBlack  e AoiRan, grazie mille! :D 
Alla prossima
Lux

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Capitolo 8
*** _Dove faccio amicizia con il ragazzo che profuma di miele ***


«Will?» chiamo con voce che mi suona stridula.
Si volta.
Ha degli occhi incredibilmente blu.
«Pensavo ce l'avessi con me» sorride tranquillo.
P
Poso le mani sui fianchi:
«Io sono arrabbiata con te, furiosa! Ma devo far vedere a Brad che va tutto bene, quindi per favore reggi il gioco»
«Perché non gli hai detto nulla?»
Decido di non rispondere.
Will si alza in piedi e mi guarda negli occhi.
«Luna, non ti ho mai mentito e non era mia intenzione ingannarti» dice serio. Credo sia la prima volta che non lo vedo sorridere.
«Perché hai mandato Greg?» è l'unica cosa che riesco a replicare.
Si lancia uno sguardo circospetto attorno, come per assicurarsi che nessuno stia ascoltando.
«Non era programmato, ma per caso lui si trovava in Inghilterra. Doveva solo spaventare mo zio. Non era previsto che l'ostaggio gli si rivoltasse contro»
Sorride ora.
«Perché ti accanisci tanto contro tuo zio? Mi è sembrato una brava persona»
Will fa una smorfia disgustata: «Quella è la maschera dietro cui si nasconde. È arrogante, ipocrita, mellifluo, manipolatore e approfittatore»
«Lo zio che tutti vorrebbero avere» commento sarcastica.
Gli strappo un sorriso, poi aggiunge, serio:
«Ti sto dicendo queste cose perché tu ti fidi di me, non perché ne parli con qualcuno»
Annuisco.
«Me lo prometti?»
"Dì di no"
Sì, certo e poi cosa? 'Uccidimi così il tuo segreto morirà con me!'?
"Contenta tu."
«Promesso»
Sorride.
Ancora una volta i suoi occhi sono di un blu immenso.
 
Appena torno a casa accendo il portatile e digito "Benedict Lennox".
Dopo alcuni profili Facebook e numeri telefonici di omonimi, trovo articoli dedicati al mio uomo.
Lo descrivono con un magnate, un grande imprenditore molto ambizioso, ma in senso positivo poiché punta a realizzare magnifici progetti,quasi utopistici, a cui però ha gi dato inizio.
È elogiata anche la sua ricchezza che, secondo gli autori dei brani, non lo ha reso superbo, anzi rappresenta un mezzo più concreto e reale per i suoi progetti.
Non riesco a capire perché Will lo odi tanto. Possibile che il ragazzo sia matto come tutti dicono?
Non riesco a trovare una risposta e alla fine crollo in un sonno profondo con il computer ancora acceso sulle gambe.
 
La mattina successiva mi sveglio tutta indolenzita e in super ritardo.
Mi vesto in fretta e furia, poi schizzo a scuola senza neanche far colazione e senza avere il tempo di mettere le lenti a contatto.
Riesco ad entrare nella prima classe di matematica per un soffio.
Il professore si rende presto conto che non sono in vena di rispondere alle domande come al solito (considerando che sono sveglia da poco più di dieci minuti) e mi lascia perdere.
Al cambio dell'ora mi nascondo vicino al mio armadietto, dove di solito compare Clare.
Quando sento qualcuno fermarsi alle mie spalle mi volto sorridente.
Ma non trovo Clare.
È un ragazzo dagli occhi e dalla pelle scura.
Arretro di scatto stupefatta.
«Ciao Luna» dice sottovoce «Non volevo spaventarti»
«Tu sei Greg!» esclamo con voce squillante.
«Sono contento che ti ricordi di me» replica.
Poso le mani sui fianchi:
«Cosa ci fai qui?»
«Io frequento questa scuola» risponde «E in più Will mi ha chiesto di controllarti»
«Cosa?!» esclamo sgranando gli occhi «Gli ho promesso che non avrai parlato!»
«Shh...abbassa la voce. E comunque ieri sera appena tornata a casa hai digitato "Benedict Lennox"»
Mi cede la mascella.
«Come fai a saperlo?» domando con il fiato corto.
Accenna un sorriso:
«Me lo ha detto Will»
«Grazie, questo spiega molto...Come fa Will a saperlo?»
«Pensi davvero che ti svelerei i suoi segreti?»
«Considerando che mi riguardano, sì» ribatto.
Sorride ancora, ma ha un sorriso diverso dall'amico.
Non è sfacciato e insolente, ma più timido e autentico.
Suona la campana dell'ora successiva.
Greg fa per allontanarsi:
«Ehi, aspetta, dove credi di andare?»
Si volta:
«Io non ho più nulla da dire»
«Ma io ho altre domande!»
Riprende ad allontanarsi da me, ormai è troppo distante per parlargli, a meno che non gridi.
Il corridoio si riempie di studenti e anche corrergli dietro diventa un'opzione impossibile.
Delusa mi avvio verso la prossima classe.
 
Alla coda per il pranzo scorgo Greg e lo raggiungo.
«Ciao» gli dico.
Mi guarda stupito, ma ricambia il saluto.
«Ti sei avvicinata perché vuoi avere un vantaggio?» domanda.
«Come scusa?» chiedo sgranando gli occhi.
Ha l'aria di saperla lunga:
«Sospettavi che sarei venuto da te, quindi hai preferito anticiparmi per poter lasciar intendere che fosse stata una tua scelta»
«Arguto» commento cercando di nascondere un sorriso interessato.
«Dopo tanto tempo trascorso con Will non puoi non diventarlo.»
«Pensi che anche io potrei diventarlo?» 
Mi guarda con occhio critico:
«Tu lo sei già»
Rimaniamo un istante immobili, poi ci mettiamo a ridere.
Okay, penso, se tralasciamo il fatto che mia ha puntato una pistola alla testa, non è poi così male.
"Certo, ma resta il fatto che la pistola alla testa te l'ha puntata eccome"
Ma sta zitta!
 
Pranzo con Greg perché non riesco a trovare Clare. 
Il ragazzo si rivela una compagnia tranquilla ma molto piacevole.
Se non lo sapessi con certezza non avrei mai pensato che è lui il mio assalitore, tanto risulta divertente e calmo.
«Ehi, sapevo che eri un'eccezione, ma non fino a questo punto» dice una voce.
Alzo lo sguardo e incrocio gli occhi castani di Simon.
«Ciao» saluto allegra, senza elaborare ciò che ha detto.
Solo qualche secondo più tardi mi rendo conto dello sguardo di ghiaccio che rivolge a Greg e di come la cosa sia reciproca.
«Che c'è?» chiedo facendo saltare lo sguardo da uno all'altro.
«Perché stai con questo sfigato?» domanda Simon.
Mi sento arrossire e per non blaterare qualcosa di confuso resto zitta.
«No, la domanda è perché dovrebbe stare con un pallone gonfiato come te?» replica Greg con una smorfia schifata.
«Ehi!» esclamo «Non ignoratemi! Pranzo con Greg perché mi trovo bene con lui, mentre Simon è stato...gentile con me»
«Certo, è stato gentile...» commenta sarcastico il ragazzo di fronte a me. «Ti ha già chiesto di ricambiare la sua gentilezza?»
«E tu cosa ci fai con una ragazza? Sentivi la mancanza del tuo amico e speravi di cambiare genere?» ribatte Simon con un volto duro.
«Cos'hai detto?» sibila Greg velenoso.
«Sì, hai capito, il tuo amichetto drogato fuori di testa è chiuso in un carcere e ci rimarrà per tutta la vita mentre tu...»
Greg è scattato in piedi e mi precipito davanti a lui per bloccarlo.
Lo guardo intensamente negli occhi.
«Siediti» mormoro cercando di suonare persuasiva.
Lui distoglie lo sguardo, deglutisce, poi si lascia cadere sulla panca.
«Ehi, non avrai veramente pensato di spaventarmi, eh?» lo provoca ancora Simon.
Mi volto con un viso immobile.
«Vattene» gli dico.
Lui mi guarda perplesso.
«Cosa...»
«Simon, vattene per favore» ripeto con più insistenza.
Alza le braccia, ride:
«Va bene, come vuoi. Ma non difendere tanto una persona se non la conosci neanche»
«Fatti gli affari tuoi» ribatto.
Lui fa un sorriso derisorio, poi si volta e si allontana.
«Perché vi odiato così tanto?» domando a Greg.
Lui evita il mio sguardo.
«Ehi! Ti ho appena impedito di far scoppiare una rissa! Non pensi di dovermi delle spiegazioni?»
Sospira:
«Quello è un coglione. Ce l'ha ancora con Will per quando veniva a scuola qui»
«Potresti spiegarti meglio?» domando riprendendo posto di fronte a lui.
Scrolla le spalle e finalmente incrocia il mio sguardo:
«Sai le solite cose, litigavano fra di loro e Simon apparentemente l'aveva sempre vinta. Ma Will si vendicava e l'altro non l'ha mai dimenticato.»
Resto in silenzio e fisso il mio pranzo.
Ci sono ancora tante cose che devo scoprire.
 
Il pomeriggio devo lavorare in biblioteca.
Mi accoccolo sulla mia poltrona con un libro da cui si tanto in tanto alzo gli occhi per controllare lo scarso via vai di gente.
La società attuale non è molto attratta da quei volumi di carta che una volta erano chiamati "libri", penso amaramente.
Mi perdo tra le parole d'inchiostro e il tempo scorre in fretta.
«Ehi»
Alzo gli occhi e immediatamente mi scappa una smorfia.
Davanti a me c'è Simon.
«Cosa ti serve?» gli chiedo sgarbata.
«Ehi non c'è bisogno di essere così maleducati. Devo fare ancora quella ricerca per cui il secchione mi ha bidonato.»
«E lasciami indovinare...ti serve il mio aiuto?» replico.
Fa un sorriso affabile:
«Tu sei la migliore qui, no?»
«Ti aiuto solo perché sono pagata per farlo» rispondo alzandomi dalla poltrona.
«Non pensavo che agli studenti stranieri fosse permesso di lavorare» commenta lui mentre mi segue tra gli scaffali.
«Sarò un'eccezione» ribatto brusca.
«Giusto.»
Pesco il libro dalla libreria e glielo tendo.
Simon lo prende, poi mi guarda negli occhi.
«Non sei stato molto gentile con Greg oggi» commento.
Scrolla le spalle:
«Lui non lo è mai stato con me. E neanche il suo amico.»
Non mi lascia il tempo per replicare e si allontana nella biblioteca.
"Che conversazione interessante"
Risparmiami il sarcasmo.
"Scommetto che ti piace avere così tanti ragazzi attorno"
Ti ho già chiesto di lasciar perdere il sarcasmo.
"Ero seria"
Sì, certo.
"E comunque Simon non è così male. Ha il suo modo di fare, ma dopotutto è un bravo ragazzo"
Tu dici?
"Assolutamente sì"
Ritorno ad accoccolarmi sulla poltrona e nessun altro mi disturba per il resto del pomeriggio.
 
«LUNA KAILEE LEACH! TI RENDI CONTO CHE PENSAVO FOSSI MORTA?!?!»
La voce di mia mamma risuona distorta dalle casse del computer e soffoco l'impulso di tapparmi le orecchie.
Dallo schermo vedo il suo volto livido di rabbia in primo piano.
«Sono stata impegnata...» replico debolmente.
«IMPEGNATA?! NON UN MESSAGGIO, UNA CHIAMATA, UN QUALSIASI SEGNO DI VITA IN UNA SETTIMANA INTERA! TI RENDI CONTO?!»
«Mamma, calmati, sul serio, sei tutta...rossa.»
Lei prende un respiro profondo come per sbottare ancora, ma mio papà la sposta e si mette davanti alla webcam:
«Luna, siamo stati in ansia per te, sei in un continente diverso, in un posto che non conosciamo»
«Me ne rendo conto, papà, ma ti assicuro che sto benissimo, vedi?»
Lui sospira e si sistema gli occhiali sul naso:
«Lo vedo. Parliamo di altro, come va?»
«Bene, te l'ho già detto.»
«Ti sei fatta qualche amico?»
Scrollo le spalle:
«Forse, ho conosciuto ragazzi simpatici.»
«Ma stai tutto il giorno in casa a studiare?» interrompe Calvin spuntando dal nulla.
«Ma ti pare?» replico.
«Infatti, cosa fai durante il giorno?» si aggiunge mio papà.
Spero che dallo schermo non si scorga il mio rossore.
«Ehm...io lavoro in biblioteca...»
«Davvero?» chiede lui stupito.
«Sì, me l'hanno permesso.» cerco di suonare convincente.
«Fai solo quello tutti i pomeriggi? Che noia!» commenta mio fratello.
Se dicessi che lavoro in una sorta di carcere proprio ora che mia mamma è furiosa probabilmente le verrebbe un infarto.
Resto in silenzio.
«Qui è tardi» dico «Devo andare a dormire perché domani c'è scuola»
«Tardi?» domanda Calvin e si mette a fare i calcoli. 
Prima di lasciargli il tempo di scoprire che sono solo le dieci di sera mi congedo da tutti e chiudo il portatile.
"Devi dirlo loro prima o poi"
Lo so.
"Non dovresti essere così titubante"
Sai perfettamente come sono loro.
Immagino Voce che stia scrollando le spalle.
Anche se non ha delle spalle.
 
La mattina successiva incontro Jim nei corridoi di scuola.
Mi avvicino furtiva, come se dovessi rivelargli un'informazione di vitale importanza.
Lui pare divertito dal mio atteggiamento ma mi accoglie come al solito con un sorriso gentile.
«Buon giorno Luna» 
«Buon giorno. Io...volevo sapere potremmo rifare quella cosa di lunedì pomeriggio?»
Metto particolare enfasi su "quella cosa".
«Quante volte devo dirti che sono più che disposto ad aiutarti?»
«Scusa» dico imbarazzata «È per educazione»
«Sei fin troppo educata. Vieni a casa mia quando vuoi»
Ci penso un istante:
«Questo pomeriggio vado al Centro Orwell, posso venire stasera?»
Sorride:
«Quando vuoi, Luna, quando vuoi»
Si allontana serafico nei corridoio sempre più affollati.
È basso e poco imponente, eppure la mia attenzione è catalizzata dalla sua figura.
«È vero che Simon Cox ha litigato per te ieri?»
Mi volto in fretta e trovo Clare.
«Ciao» saluto «Ieri non sono riuscita ad incrociarti»
«Non sono venuta a scuola perché non stavo bene, ma tu non hai ancora risposto»
In realtà ho ignorato la domanda, ma costretta, replico:
«Stava semplicemente litigando con Greg e io ho impedito che si prendessero a pugni»
«Chi è Greg?» chiede lei incuriosita, ma cercando di dissimulare il suo interesse.
«Un amico di Will» replico sbrigativa, ma mi rendo conto che anche questa frase necessita di spiegazioni, infatti Clare domanda ancora:
«Stai parlando di Lennox?»
Annuisco tetra.
«Wow, sei entrata così in intimità con lui che condividete gli stessi amici?» chiede sarcastica.
«No!» esclamo arrossendo «È solo...che l'ho conosciuto»
«Ho capito di chi stai parlando. Direi che quello più che l'amico di Lennox è il suo braccio destro, il complice più fidato.»
Scrollo le spalle:
«Questo non m'importa»
«Contenta tu» dice, poi si allontana nel corridoio, senza rendersi conto che la prossima lezione è uguale alla mia.
La seguo in fretta ed entriamo in classe nello stesso momento, ma lei non mi degna di un'occhiata.
 
«Ciao!» mi saluta Theresa il pomeriggio all'ingresso del Centro «Oggi Marcelo è malato.»
Le rivolgo uno sguardo preoccupato:
«Davvero? Posso vederlo? Come sta?»
Mi risponde con la sua voce concitata:
«Oh, si vede che gli vuoi bene! Adesso è dal dottore, sarà libero solo stasera, ma non preoccuparti è solo un po' di influenza»
Tiro un sospiro di sollievo:
«Per fortuna. Vado a vedere cosa posso fare. Senza Marcelo sono persa!»
La risata di Theresa mi segue mentre vado verso il primo corridoio.
Qui trovo un altro volto conosciuto.
«Signorina Luna Kailee Leach.» dice Will con un sorriso sfacciato. «Non avrei mai indovinato il tuo secondo nome.»
Resto immobile.
«Allora come fai a saperlo?»
Continua a sorridere:
«Mi sono fatto un giro sul tuo portatile e ho scoperto tante cose interessanti»
Sgrano gli occhi.
«Hai visto la mia cronologia di ricerca!» esclamo stupefatta.
Ride:
«Non capisco il perché di questa reazione, in fondo non c'erano pagine sconce»
«Sì ma hai invaso la mia privacy!» sbotto infuriata «E non riesco a capire come tu ci sia riuscito!»
Si avvicina e mi posa un dito sulle labbra:
«Non è il caso di sbandierarlo in giro»
Apro la bocca, la richiudo.
Will fa un sorriso sghembo, poi si volta e si avvia nel corridoio.
«Ehi, aspetta! Dove pensi di andare?» esclamo lanciandomi al suo inseguimento.
«Nel posto dove potrò fornirti delle risposte»
Taccio, stupita.
«Sorpresa che fossi così arrendevole?» chiede ironico «Sapevo che avresti voluto delle spiegazioni e sono pronto a fornirtele in cambio di altre risposte»
«Di che genere?» replico rapida cercando di camminare veloce come lui. Il ragazzo non sembra andare di fretta, ma ha delle gambe più lunghe delle mie.
«Prima ti do qualcosa io, poi tu, poi io, poi tu. È così che funziona.» spiega molto praticamente.
Svolta nei corridoi come se non ci prestasse veramente caso, ma si capisce che conosce perfettamente la strada.
Raggiungiamo una porta spessa sorvegliata da una guardia.
Will gli rivolge un saluto allegro, che è ricambiato con molto poco entusiasmo in aggiunta ad uno sguardo indagatore.
Il corridoio successivo è diverso dagli altri. 
Su di esso si affacciano numerose porta chiuse con una finestra di vetro per guardare all'interno.
Il ragazzo cammina troppo in fretta perché possa fermarmi e scoprire cosa contengono.
Ci fermiamo davanti ad una oltre la metà del corridoio, che Will apre senza il bisogno di chiavi.
All'interno c'è un piccolo letto disfatto, una scrivania con un grosso computer e un mobile basso.
«Ecco la mia camera!» esclama Will.
Resto immobile, incredula. Non è esattamente ciò che mi sarei aspettata.
«Pensavi che vivessi in una cella carceraria?» domanda lui sarcastico.
«No» ammetto «Ma semplicemente non è quello che mi aspettavo»
Lui entra:
«Mah, secondo me è il computer che da un aria strana a tutto, fa pensare ad un proprietario nerd»
Scrollo le spalle.
«Accomodati» dice indicando il letto disordinato.
Avanzo di qualche passo, incerta.
Will appare a suo agio, fin troppo.
«Bene, adesso tocca a te» commenta.
«Come?» chiedo guardandolo con gli occhi sgranati.
«Te l'ho appena spiegato» sbuffa «Lo scambio: uno io, poi uno tu»
Poso le mani sui fianchi:
«Sì, ma tu non mi hai dato ancora nulla!»
«Ti ho mostrato camera mia!»
«Non mi sembra granché» replico guardandolo male.
Fa un sorriso enorme:
«Ma qualcosa ti ho dato, tocca a te!»
Mi guardo attorno.
Scorgo dei fogli scarabocchiati sulla scrivania e una maglia appallottolata gettata sulla sedia.
«Cosa vuoi sapere?» chiedo.
Fa una smorfia buffa, con le labbra tese e gli occhi pensierosi, poi si lascia cadere sul letto:
«Scegli tu, l'unica regola è che valga poco più di quanto io ti ho già dato, così da mantenere vivo e interessante lo scambio»
«Quindi qualcosa che non vale nulla?» replico ironica.
Will mi guarda sorridendo:
«Forza, so che ci puoi riuscire»
Sospiro:
«Ho cercato tuo zio in internet per avere maggiori informazioni su di lui, considerando che non lo conosco per nulla»
«Non ti fidavi del mio parere?» commenta.
Apro la bocca, ma mi blocco appena in tempo e correggo ciò che stavo per dire:
«Risponderò dopo il tuo turno»
«Impari in fretta» replica divertito.
Gli faccio un sorriso vittorioso.
«Okay, tocca a me. Quel computer lì che sembra appartenere alla preistoria» lo indica «è stato da me modificato in modo da fare cose portentose. Così sono entrato nel tuo portatile, se vogliamo dirlo in parole povere. Avevo bisogno di sapere cosa avresti fatto dopo quello che avevi scoperto»
«E come puoi usarlo se sei chiuso qui?» chiedo.
«Guarda che tocca a te» replica ridendo.
«No, la tua informazione non ha abbastanza valore» ribatto con aria maliziosa. Ci sto prendendo gusto in questa cosa.
«Solo perché mi piace la tua espressione aggiungerò dell'altro» acconsente.
«Quelli del Centro mi hanno concesso di tenere un computer ma hanno l'accesso completo a tutto ciò che io faccio. In realtà non hanno calcolato che sono un genio informatico molto più avanzato di loro, quindi apro pagine insulse per farli sentire orgogliosi di aver scoperto ciò che cerco. In realtà tutto il resto lo faccio di nascosto»
«Come spiare mio portatile»
Ride ancora:
«Teoricamente non si può "spiare un portatile", ma hai ragione.»
Lo guardo interessata.
I suoi occhi blu sono scurissimi e così movimentati da ricordare un mare in tempesta.
«È il tuo turno» m'informa mostrando i denti drittissimi.
«Ma, poiché tu mi hai fatto una domanda» aggiunge «ho il diritto di fare altrettanto»
Scrollo le spalle, cercando di apparire tranquilla.
«Spara»
Si alza in piedi e con noncuranza mi si avvicina fino a che devo reclinare la testa indietro per poterlo guardare negli occhi blu. Ha dei capelli scompigliati, che sembrano soffici come piume. Vorrei infilarci le dita dentro per provarlo.
"Idiota, ti sembra il caso di pensare queste cose?" 
Ritorno a concentrarmi sul volto del ragazzo.
Il suo sorriso mette quasi i brividi.
«Che ne dici» comincia «di parlare di quel vento che hai usato contro Greg?»
Il mio cuore accelera di colpo.
"Beccata" 

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Ciao a tutti!
Sinceramente questo capitolo non mi piace, è una mia sensazione e vorrei sapere se anche voi la pensate allo stesso modo. La storia è partita del tutto ormai e da qui in poi potrà solo evolversi.
Cosa ne pensate della trama? E dei personaggi?
Fatemi sapere con una recensione.
Alla prossima:)
Lux
 

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Capitolo 9
*** _Dove le cose si complicano ***


Il mio cuore accelera di colpo.
"Beccata" 
 
"Okay hai due possibilità: o fai la finta tonta o ti atteggi da ragazza misteriosa che nasconde segreti pericolosi"
«Co-cosa?» farfuglio con la bocca aperta.
"Non avevo dubbi che avresti optato per la prima"
Will, guardandomi dall'alto al basso, sorride.
«Luna, io sono stato sincero con te»
Deglutisco per sciogliere il groppo che mi si è formato alla gola.
«E io lo sono con te» ribatto sottovoce.
Scuote il capo:
«Sei una pessima bugiarda»
«Non sono una bugiarda» m'impunto come una bambina.
Il ragazzo si fa serio e sembra sfruttare la sua altezza per intimorirmi.
«E allora io sono il ragazzo che tutti i genitori vorrebbero avere.» ribatte ironico.
Resta calma, resta calma.
"Sì perché fiuta la tua paura. Allora non devi neanche guardarlo negli occhi"
Quante volte ti ho detto che non sopporto il tuo sarcasmo?
I suoi occhi sono fissi nei miei, come se stessero scavando dentro di me.
«Luna...»
Resisti, resisti, resisti.
Mi prende il volto tra le mani, sono così morbide...
«Dimmi la verità»
Perché si sta avvicinando? Oddio, perché?
Il suo profumo, non capisco più niente.
«Il vento...» mormora.
C'è dell'aria tra i miei capelli che mi risveglia di colpo. Spalanco gli occhi, poi spingo Will e lui arretra senza opporsi.
Rimango un istante a fissarlo, con il fiato corto. Lui ricambia lo sguardo.
E scappo.
"Vigliacca, codarda, incapace"
Lo so, lo so, maledizione!
Esco di corsa dal corridoio, poi proseguo a casaccio.
All'improvviso mi scontro con qualcuno.
Barcollo indietro e inciampo a terra, picchiando con forza il fondoschiena sul pavimento.
Con una smorfia di dolore alzo lo sguardo.
«Tutto bene?» chiede Brad mentre mi aiuta a rialzarmi in piedi.
«Sì, grazie» replico di riflesso.
«Intendo per la tua fretta. Sembrava che stessi scappando da qualcuno»
Ma chi io? Ma figuratiiiii!
«No, no, va tutto bene»
«Ti ho vista allontanarti con Will» dice.
"Ah-a"
Zitta.
«Sì, sono andata con lui» ammetto senza opporre resistenza.
«E dove ti ha portata?» negli occhi malinconici dell'uomo è acceso un barlume di curiosità.
«In camera sua, voleva mostrarmela» rispondo, il che teoricamente non è una bugia.
Le sue sopracciglia si sollevano e chiede ancora:
«Ti ha spaventata?»
Scuoto il capo.
«Ti ha offesa? Ti ha costretto a fare ciò che non volevi?»
«No, no, è tutto a posto, sul serio» rispondo.
«Sei una pessima bugiarda» ribatte.
"Ti conviene crederci, è già la seconda persona che te lo dice in meno di dieci minuti"
«Io...» comincio. «Non è nulla di importante, me ne stavo andando»
«Questo l'ho notato» replica pensieroso.
«Non preoccuparti, sto bene!» esclamo in modo convincente, mentre tento di sgusciare via.
Brad mi blocca per un braccio:
«Ricordati che sono il responsabile qui, anche se non sembra»
Annuisco, poi scappo ancora. 
 
Percorro tutta la strada dal Centro alla scuola a piedi e quando arrivo ho la punta del naso e le guance infreddolite.
Nei giardini incontro Jim.
«Ciao Luna»
«Ciao» saluto mogia. «Posso chiederti una cosa?»
Sorride:
«Tutto quello che vuoi»
«Questo...potere che possiedo...è pericoloso?»
L'uomo mi fissa con i suoi occhi azzurri.
«Potrebbe diventarlo, quando impererai ad usarlo. Ma spero che non ti allenerai solo per questo»
«No, no, non intendo pericoloso per gli altri, ma per...me»
Si fa incuriosito e pensieroso.
«Ogni responsabilità determina dei nemici» replica semplicemente infine «Ma questo non è un buon motivo per non fare nulla»
Sospiro:
«Lo so, hai ragione. Esiste qualcuno che potrebbe odiare quelli...come noi?»
«Pochissimi sanno della nostra esistenza e comunque siamo più forti dei normali esseri umani»
Annuisco:
«Giusto. Perché così pochi ne sono a conoscenza?»
Jim sorride:
«Prova ad immaginarlo, non è molto difficile»
Resto zitta un secondo, poi annuisco ancora e replico:
«Ci considererebbero come una razza diversa dalla loro e ne sarebbero intimoriti o disgustati. In ognuno dei casi sarebbe un problema per noi»
«Esatto.»
Faccio scorrere lo sguardo sul giardino immobile intorno a noi.
Non c'è vento. Ma potrebbe esserci.
Prendo un respiro profondo e mi concentro su ciò che percepisco.
Un refolo di aria.
Jim ride delicatamente ma il suono mi strappa dalla concentrazione.
«Stai facendo progressi» mi dice. «Vuoi ancora allenarti?»
Faccio un sorriso enorme:
«Assolutamente sì»
«Vieni con me»
Jim si volta e mi conduce verso casa sua. Lo seguo di scatto.
Ritorniamo nel giardino posteriore dove sono stata l'altro giorno.
«Sembri agitata» commenta l'uomo mentre io prendo posto al centro, seduta a terra con le gambe incrociate.
«Lo sono» ammetto «Un ragazzo sembra aver scoperto la mia abilità»
Jim si fa pensieroso e alla fine replica:
«Un ragazzo molto intelligente, o un ragazzo come te»
Will con dei poteri simili ai miei? Forse. 
Ma in tal caso, perché sarebbe rinchiuso in un carcere? Potrebbe usare le abilità per evadere. O c'è un altro motivo per rimanere, oppure mi sbaglio.
«Che io sappia» sta dicendo l'uomo «Le uniche persone con queste capacità nel raggio di molti chilometri siamo solo io e te»
Resto in silenzio. Sapevo che anche Jim è come me, ma non lo avevo mai lucidamente rielaborato.
«Il mio potere è molto limitato rispetto al tuo» aggiunge, come se mi avesse letto nel pensiero, e si avvicina ad un cespuglio.
Prende con delicatezza un fiore tra le dita:
«Io e le piante viviamo in una simbiosi perfetta, io presto energia a loro e loro a me, per questo sono più vigoroso dei miei coetanei»
In effetti mi era sembrato piuttosto arzillo nonostante le numerose rughe che gli solcano il volto.
«Ora tocca a te» dice placido.
«Va bene»
Chiudo gli occhi, con il cuore in tumulto e cerco di concentrarmi.
Arriva più veloce di quanto mi aspettassi. Il vento schiaffa il mio viso come per dire:
«Ehi! Sono qui per te!»
Gioco con lui, ci confrontiamo e resisto qualche istante più a lungo dell'ultima volta.
Ma, irrimediabilmente, alla fine perdo i sensi.
 
 
«Buon giorno»
Mi volto in direzione del saluto, sbattendo il gomito contro il mio armadietto.
«Ahi! Oh, ciao Greg!» sorrido di risposta.
«Tutto bene?» domanda scrutandomi.
Mi massaggio il gomito:
«Si, si. Ieri non ti ho visto a scuola»
Scrolla le spalle:
«Non sono riuscito a venire»
Lo guardo in silenzio e quando mi rendo conto che non aggiungerà altro abbozzo un sorriso e prendo i miei libri.
«Hai visto Will?» mi chiede con tranquillità.
M'irrigidisco.
«Sì» rispondo sottovoce dandogli ancora la schiena.
«C'è qualche problema?»
«No» fingo di cercare tra i miei libri.
«Io non sono riuscito a passare al carcere, quindi volevo sapere se c'erano novità»
«Riguardo a cosa?» mi volto a guardarlo.
Scrolla le spalle.
In questo momento suona la campana e siamo costretti a salutarci.
Mentre vado nella mia classe incrocio Jim che mi saluta serafico.
Ieri sera mi sono risvegliata dopo un'ora e l'uomo mi ha offerto la cena, così abbiamo chiacchierato delle nostre capacità.
Secondo lui le sto sviluppando con una velocità straordinaria, ma a me pare di essere al contrario piuttosto lenta.
«Ciao Clare» saluto prendendo posto accanto alla ragazza.
Lei mi rivolge un cenno distratto.
«Come va?» le chiedo nel difficile tentativo di avviare una conversazione.
«Direi bene» risponde laconica.
«Dai Clare, potresti essere un po' più espressiva!» commento.
Il primo sguardo che ricevo è infastidito, poi comprensivo.
«Hai ragione» ammette raddrizzando la schiena «Spesso non mi rendo conto di essere così scorbutica»
«Io non ti definirei "scorbutica"» replico.
"Io sì"
Nessuno ti ha chiesto niente.
«Solo spesso molto silenziosa ed introversa» concludo.
«Direi che dovrei essere più come te, così...solare e socievole»
«Socievole? Io?» ribatto con gli occhi sgranati. «Ma dai! Se mi vergogno sempre di tutto!»
«Però sei carina e simpatica e ti sei già fatta un sacco di amici»
Scuoto il capo:
«Amici? Li ho a malapena conosciuti!»
Lei abbozza un piccolissimo sorriso, ma la nostra conversazione viene interrotta dall'ingresso dell'insegnate che ci zittisce bruscamente.
 
In mensa, mentre sono in coda, mi so avvicinano due ragazze bionde tinte strette in gonne cortissime e canottiere attillate.
«Ciao!» mi saluta allegramente la prima come se fosse una vecchia amica.
Clare, al mio fianco, la guarda in cagnesco.
«Io sono Zoey. Ti potrebbe interessare far parte delle cheerleader?»
Penso che lo sguardo scandalizzato che le rivolgo sia abbastanza eloquente.
Lei non demorde e fa un sorriso che mette in mostra i suoi denti bianchissimi:
«Simon ci ha detto che saresti potuta essere una buona recluta»
La mia espressione non può che peggiorare.
«Ehm...io? Deve essersi sbagliato...»
«Luna Leach ha detto. Bionda, capelli sotto alle spalle...okay, gli altri commenti li posso saltare»
Lancio uno sguardo a Clare. È rimasta ferma allo sguardo inferocito.
«Credo che sarei un verso disastro, sinceramente» ammetto «Il massimo a cui posso arrivare è un po' di danza classica»
«Provare non fa male, se cambi idea sai dove trovarmi» ammicca Zoey, poi se ne va con l'amica e uno svolazzo di capelli biondi.
«Ehm...veramente io non so dove potrei trovarla» commento rivolta a Clare.
Lei piega le estremità delle labbra verso l'alto:
«Neanche lei sa cosa voglia veramente dire, però sa che è una frase ad effetto»
Rido.
«Immagino che Zoey sia amica di Simon Cox» le dico.
Lei annuisce, con una smorfia, poi aggiunge ironica:
«A quanto pare sai fare amicizia con ogni strato della popolazione, dai fighetti della squadra di football e le cheerleader ai criminali rinchiusi in carcere e il loro braccio destro»
«L'importante è che siano popolari!» replico ridendo.
«Oh, giusto anche il criminale una volta era popolare!» acconsente lei dandomi corda.
«Questo non me lo so spiegare» dico mentre poso il vassoio per farlo riempire.
La poltiglia che mi viene data fa capire che oggi ha cucinato Grand Mama.
«Direi che se Will Lennox tornasse a scuola domani ci sarebbe la fila di ragazze per lui» dice Clare.
Mi scappa una risata strozzata.
«Sei seria?»
Lei annuisce risoluta:
«Assolutamente. Se si aggiunge l'aria da cattivo ragazzo la fila si riempie ancora di più.»
Faccio scivolare il vassoio in silenzio, poi lo sollevo e cerco con lo sguardo un tavolo libero.
«A te piace?» chiedo.
Dall'occhiataccia che ricevo la risposta è piuttosto chiara.
«Anche se fosse i miei genitori mi ucciderebbero appena lo venissero a sapere»
«Per me è lo stesso» replico.
«Ecco un tavolo libero»
Ci sediamo per il pranzo.
 
Il pomeriggio Clare si ferma in biblioteca e studiamo un po' insieme, poi chiacchieriamo.
Ho sempre pensato che fosse una fantastica persona sotto lo scudo in cui si è nascosta.
«Ti invidio un sacco» dice d'un tratto.
La mia fronte corrugata è un chiaro invito a continuare.
«Be', ti sei trasferita così lontano da tutto e tutti quelli che conoscevi, hai avuto l'opportunità di ricominciare da capo...dev'essere fantastico.»
Sorrido:
«Sì, in effetti sono molto contenta. Tu forse dovresti provare a vivere la tua vita in modo nuovo, secondo me»
Scrolla le spalle:
«Resta il fatto che ogni mattina incontro gli stessi imbecilli che vedo da sempre»
Rido, poi aggiungo:
«A volte mi chiedo perché Benedict Lennox abbia scelto proprio me»
Dietro alle spesse lenti i suoi occhi si fanno perplessi.
«Il tuo benefattore è lo zio di "tu sai chi"?»
«Stiamo parlando di Voldemort?» domando con un sorriso.
Lei si lascia sfuggire una risatina, scuotendo il capo.
«Comunque sì» rispondo.
«Wow, se c'è qualcuno che Lennox odia all'ennesima potenza è suo zio.»
«Lo so» commento con una smorfia.
Lei scrolla le spalle, ma prima che parli ancora una ragazza chiede il mio aiuto per cercare dei libri.
Mi alzo in piedi e mi allontano.
 
“Qui tutto bene, la scuola va a gonfie vele e anche tutto il resto. Spero che anche lì sia tutto a posto. Salutatemi Calvin, a presto”
Rileggo il messaggio che ho mandato ai miei genitori e mi sento nuovamente in colpa per la freddezza che ho usato.
Non ho la minima voglia di chiamarli, quindi non attendo neanche la loro risposta.
Mi accoccolo sul letto con un bel libro tra le mani e mi lascio cullare dalle parole.
Il giorno successivo, che è sabato, mi sveglio tardi e trascorro ciò che rimane della mattinata guardando i cartoni animati con le finestre chiuse per non far vedere a nessuno lo schermo del mio televisore.
Pranzo con Spongebob e nel pomeriggio cerco di studiacchiare un po' con qualche compito.
Prima di sera esco per una passeggiata e tento di concentrarmi sulla presenza del vento intorno a me.
Mi fisso su un cespuglio. Come colpito da un alito leggero, quello si scuote leggermente.
Lo sento, il vento. Lo governo, decido io ciò che deve fare.
All'improvviso mi sfugge via, come se il nostro legame si lacerasse.
Mi ritrovo con il fiato corto. 
Faccio dietrofront e ritorno a casa.
 
Sto correndo, disperatamente.
Intorno a me è tutto buio, tutto ciò che percepisco sono sensazioni pungenti e sfuggevoli.
Continuo a correre, come se inseguissi qualcosa. O come se stessi scappando.
Di colpo davanti a me compare un bivio.
Alle estremità di ogni strada ci sono delle figure. Da una parte un ragazzo alto dai capelli arruffati, un altro dagli occhi scuri, un uomo anziano dal sorriso placido e un ragazzino che strizza gli occhi.
Dall'altro ci sono i miei genitori e Calvin.
E so che devo scegliere. Perché non posso smettere di correre.
Il momento della scelta si fa sempre più vicino, ma ancora non so da che parte svoltare. 
Continuo ad avanzare rapidamente, con il cuore che scalcia nel petto.
Sento dei colpi secchi. Continuo a correre, devo andare avanti.
Altri colpi secchi.
Mi sveglio all'improvviso in un bagno di sudore.
Spalanco gli occhi nel buio della camera e impiego un istante per elaborare ciò che è accaduto.
Era solo un sogno.
Mentre cerco di stabilizzare il mio respiro, risento quei colpi secchi.
Rimango immobile fino a che non si ripetono.
Vengono dall'altra stanza, anzi probabilmente dalla porta d'ingresso.
Lancio uno sguardo confuso alla sveglia.
Segna l'una di notte del lunedì.
Inforco gli occhiali, scendo dal letto cautamente e raggiungo la cucina.
Altri colpi secchi sulla porta mi fanno sobbalzare.
Afferro la prima cosa che mi capita a portata di mano, poi infilo le chiavi nella toppa.
Le faccio girare lentamente.
Toc toc.
Arretro di scatto.
"Non aprire se non sai chi sia"
Ma io voglio sapere chi sia.
"Tieni pronto il vento"
Sì, certo, lo so a malapena controllare.
"Stai pronta"
Poso una mano sulla maniglia, i colpi si sono interrotti e si sente solo il rumore della pioggia scrosciante.
Tiro con lentezza la porta verso di me, mentre mi nascondo dietro.
Quella si spalanca di colpo e qualcuno avanza.
«Luna?»
Con un urlo agguerrito balzo in avanti brandendo il nonsocosa che mi sono procurata.
La figura mi blocca abilmente, stringendo i miei polsi e spingendomi sul divano.
Calcio in ogni direzione con mugugni vari.
«Questa scena l'ho già vissuta» commenta lui, perché è di un lui che si tratta.
Cerco di guardare indietro, ma riesco solo a torcere il collo in modo dolorosissimo.
«Greg?» chiedo con voce minuta.
Lui mi lascia i polsi e io crollo sul divano.
«Sono io, non volevo spaventarti, ma a quanto pare lo faccio sempre»
Mi massaggio i polsi e lo seguo con gli occhi mentre va a chiudere la porta.
«Cosa ci fai qui?» gli chiedo perplessa.
«Ho bisogno di te» dice tenendosi una mano premuta contro la coscia. Ciò lo costringe a piegare la schiena in avanti come se fosse accartocciato su se stesso.
«Aspetta! Prima togliti le scarpe che sono tutte bagnate» ordino rimettendomi in piedi per avere una poso minimamente dignitosa.
Sbuffando ubbidisce, poi ritorna a fissarmi.
L'unica luce accesa è quella di camera mia che gli colpisce solo un lato del volto.
«Ehm...accomodati» aggiungo indicando il divano «A cosa devo...ehm...l'onore di questa visita?»
«So perfettamente che siamo nel cuore della notte» ribatte lui senza accennare di avvicinarsi «Ma sei la persona più vicina che io conosca»
Solleva la mano che teneva contro la coscia e mi rendo conto che i suoi jeans sono tagliati e macchiati di sangue.
Mi cede la mascella.
«Greg?» la mia voce è strozzata.
«Non ce la faccio ad arrivare a casa mia conciato così»
Resto paralizzata per qualche istante.
«Luna?»
Sbatto le palpebre, di nuovo lucida.
«Aspettami qui»
Mi volto e scappo in bagno.
"Come se potesse andare da qualche parte"
È un modo di dire!
Prendo il kit di pronto soccorso e ritorno nella sala-cucina.
Greg si è appoggiato al tavolo.
«Siediti» lo aiuto, poi prendo un'altra sedia e distendo sopra la gamba ferita.
Pesco da un cassetto delle grosse forbici. La poso sui jeans del ragazzo:
«Ti dispiace?»
Scuote il capo con una smorfia, probabilmente per il dolore alla ferita.
Infilo una delle punte delle forbici all'interno dei suoi pantaloni e allargo così il taglio, in modo da avere una visuale completa della ferita.
Greg tiene la mascella serrata e i muscoli contratti.
Per prima cosa disinfetto il taglio, lo pulisco dal sangue.
«Che ne dici di dirmi come è successo?» chiedo.
«Will mi ucciderà» sussurra.
«Pensavo fossi il suo migliore amico.»
Sbuffa:
«Si arrabbierebbe da morire sia con me che con te»
Abbozzo un sorriso mentre applico una pomata:
«Intanto ho già scoperto che hai fatto qualcosa per conto suo, ciò significa probabilmente che è illegale e ha a che fare con suo zio»
Greg non risponde.
«Ho indovinato!» esclamo gongolando.
Lui sospira:
«Va bene, va bene. Non è nulla di che, comunque. Sono solo entrato in un edificio del signor Lennox per cercare informazioni»
«Non mi sembra poco...»
Greg impreca quando faccio pressione con la garza.
«Scusa» dico «Così non perderai troppo sangue. La ferita non è grave, zoppicherai per qualche giorno, ma è poco profonda.»
Lui fa un sorriso forzato:
«Com'è che sei così esperta?»
Mi sento arrossire:
«Ho fatto un corso....Tieni, questa pomata aiuta la rigenerazione della pelle»
«Grazie»
Mi rimetto in piedi.
«Con cosa ti sei ferito?»
«Filo spinato» risponde sottovoce.
«Va bene.» lancio un'occhiata all'orologio.
«Vuoi farti una doccia?»
Mi guarda come se fosse un bambino e gli avessi appena offerto una fabbrica di cioccolato.
«Sei tutto sporco di fango» spiego imbarazzata «E avrai freddo»
«Hai già fatto abbastanza per me» risponde a bassa voce.
Scrollo le spalle:
«Non è un problema per me se ti lavi, l'acqua non la pago io. Solo stai attendo con la ferita. Resto sveglia finché finisci, così se hai bisogno di me sono qui»
«No, Luna, almeno vai a dormire»
«Mi rifiuto categoricamente» abbozzo un sorriso. «Adesso sbrigati!»
Sbuffando zoppica verso il bagno e vi si chiude dentro.
Mi siedo sul divano, poi rimango immobile e comincio ad elaborare.
Greg ha appena compiuto un'azione illegale. Probabilmente lo stanno cercando ora e io gli ho dato rifugio. 
"Se lo trovano qui sei nei casini tanto quanto lui."
Sulle labbra mi spunta un sorriso da invasata.
 
«'giorno Luna» mi saluta Greg appena esco da camera mia.
Mi blocco un istante sulla porta. 
C'è un ragazzo in casa mia, io indosso il pigiama, ho una chioma da far paura, una faccia da sonno e gli occhiali traballanti sul naso.
"La soluzione?"
Dovrei chiudermi in bagno?
"Sarebbe meglio"
Ignoro il commento di Voce e cerco di assumere un'espressione più sveglia.
«Come va?»
Lui si stringe nelle spalle:
«Meglio, davvero grazie mille. Ti ho preparato la colazione»
Mi avvicino seguendo il buon odore che si alza dai fornelli.
«Non dovevi! Sei stato gentilissimo!»
«Io gentilissimo? È il minimo» dice con un sorriso timido.
Mi fa sedere a tavola, poi mi offre ciò che ha preparato. Devo dire che è proprio un ottimo cuoco!
«Ma i tuoi non si preoccupano se hai passato la notte fuori?» domando con la bocca metà piena.
«Potrei anche essere morto e a loro non importerebbe nulla»
Argh!
"Domanda sbagliata."
Grazie, l'avevo capito!
«Hai intenzione di venire a scuola oggi?» chiedo cercando di cambiare in fretta argomento.
«Non mi sento molto bene e in ogni caso i miei pantaloni sono lacerati» li indica.
«Be', l'unica persona a cui potrei chiedere degli abiti è...Jim» rispondo.
Solleva le sopracciglia:
«Jim?»
«Il giardiniere!» esclamo «Ma anche custode, ma anche bidello ma anche qualsiasi altra cosa di cui ci sia bisogno!»
«E pensi che ti darebbe i vestiti?»
Scrollo le spalle, poi come se mi fossi appena ricordata, mi allungo di scatto in avanti e tocco la fronte del ragazzo.
Sgrano gli occhi:
«Ma sei bollente! Devi assolutamente stare in casa e riposare!»
«Luna, non mi sembra il caso di disturbarti oltre» risponde sottovoce.
«Non vorrai andare in giro in queste condizioni!? Oggi ti riposi, poi vediamo come stai!»
Sbuffa:
«Sì mamma»
«Bravo bambino! Chiederò in infermeria cosa hanno contro la febbre. Vado a prepararmi ora!»
Dopo venti minuti esco di casa salutando Greg. Mi ha giurato solennemente che non farà rumore e non si farà notare.
Nei corridoi della scuola incrocio Simon che mi rivolge un rapido cenno di saluto.
Antipatico.
"Era con degli amici"
Antipatico comunque.
Tra la prima e la seconda ora ho una pausa, quindi decido di andare in infermeria.
Preparo più e più volte la scusa. Tutte le volte che mi sembra di elaborarne una ben fatta, la ripeto sottovoce e mi suona orribile, quindi ricomincio da capo.
Alla fine ciò che mi esce è:
«Ehm...io l'altro giorno sono stata male e ho avuto la febbre, ma non avevo con me nessuna medicina. Volevo sapere se potevate...ehm...darmi qualcosa nel caso capito ancora»
Guardo l'infermiera con il cuore a mille, ma lei annuisce e mi tende delle pastiglie, poi mi da anche delle indicazioni per raggiungere la farmacia più vicina. Facile.
La penultima ora prima di pranzo è in comune con Clare.
«Ciao! Non ti avevo ancora visto stamattina!» la saluto allegra.
Lei accenna un sorriso.
«A pranzo devo non mangio in mensa» dico tormentando una ciocca di capelli.
«Perché?» domanda perplessa.
«Mangio nella mia casa, devo...fare una cosa»
Mi va bene perché a Clare non piace ficcare il naso negli affari altrui.
Quindi non pretende altro e io non sono costretta ad inventare nuove scuse.
L'ora si conclude, poi ne segue un'altra.
Alla fine scappo velocemente verso la casetta di Jim.
Busso con forza sulla porta.
«Avrei sentito anche se fosse stato meno delicato» dice una voce alle mie spalle.
Mi volto di scatto.
Jim si sta avvicinando placido lungo il viale.
«Scusa, ero di fretta...» replico imbarazzata.
 Sorride:
«Cosa ti serve?»
«Ehm...degli abiti da uomo. Te li restituisco puliti, lo giuro!»
Continuando a sorridere apre la porta e mi fa cenno di seguirlo.
«Abiti da uomo?» ripete.
«Ad un mio amico si sono rotti i pantaloni e ha la felpa infangata.»
«Capisco, non è il caso che vada in giro in quelle condizioni. È alto?»
«Più di me, ha le spalle larghe, ma è snello»
L'uomo mi lascia nel salotto e ritorna poco dopo con degli abiti in mano.
«Questi potrebbero andare, se no torna e te ne do altri»
«Grazie mille, non so davvero come ricambiare tutto l'aiuto che mi dai!»
«Va bene così.» sorride.
Esco dalla casa e mi avvio verso la mia.
Appena entro sento un buon profumo che aleggia nell'ambiente.
«Ciao Greg! Non c'era bisogno che preparassi anche il pranzo»
Lui scrolla le spalle. Ha uno sguardo vivo e un'espressione rilassata.
Frugo nello zaino:
«Ti ho portato le medicine e anche dei vestiti puliti.»
Fa un sorriso riconoscente.
«Come va?» domando prendendo due piatti dal mobile.
«Sto un po' meglio, grazie. La ferita fa male solo se carico il peso su questa gamba e la febbre non da troppi problemi»
«Bene!» esclamo allegramente.
«Oggi pomeriggio vado da Will» continua lui versando la pastasciutta nel mio piatto.
Lo guardo con occhi stretti:
«Davvero?»
Annuisce:
«È da qualche giorno che non lo vedo, potrebbe preoccuparsi»
«Devi dirgli ciò che hai scoperto dalla casa di suo zio?» chiedo noncurante mentre infilzo le penne con la forchetta.
Lui mi rivolge uno sguardo pesante, poi annuisce.
«E cosa hai scoperto?»
«Non te lo dico»
Faccio un'espressione imbronciata:
«Ti ho aiutato a mio rischio e pericolo. Me lo merito, no?»
«Non ho mai detto che avrei ricambiato il favore» ribatte.
«Ma è gentilezza farlo, no?» chiedo più insistente.
Mi guarda profondamente per qualche istante, poi sbuffa:
«Non ho trovato nessuna informazione rilevante a dir la verità. Solo il nome di qualche ragazzo che ha vinto la borsa di studio. C'eri anche tu, tra l'altro»
Mi sento rabbrividire.
Ripenso alla serata durante la quale ho conosciuto Karin.
"Se avesse chiesto a te i nomi avrebbe fatto più in fretta e non si sarebbe neanche ferito"
Lo so perfettamente, ma se se ne rendesse conto potrebbe volermi usare come spia e sarebbe pericoloso.
«Aspetta» dice d'un tratto Greg, fermandosi con la forchetta per aria.
«Tu conosci quei nomi, vero?» 
"Ah-a!"
Resto immobile.
Abbozza un sorrisetto trionfante.
«Oggi vieni anche tu da Will»
Gli lancio uno sguardo assassino:
«Scordatelo»
«Perché no?»
«Non aiuto i criminali» rispondo risoluta.
«Hai aiutato me, che aiuto Will, che è un criminale. Indirettamente lo hai fatto per lui»
«Ciò non significa che abbia voglia di vederlo oggi» ribatto.
«Avete litigato?» domanda Greg con un mezzo sorriso.
«Non siamo neanche amici, non è possibile che abbiamo litigato»
Lui mi fissa per un istante.
«Che c'è?»
«Niente» ha il sorriso di chi la sa lunga.
«Greg?»
Continua a sorridere ma non parla.
«Non mi piace quella faccia» commento.
«Prendiamo il pullman delle 17» dice allegro, riprendendo a mangiare.
Punto la forchetta davanti a me come se lo minacciassi:
«Non ho detto che verrò»
Ammicca. Improvvisamente la sua timidezza è sparita:
«E io non ho detto che tu abbia scelta»
 
 
______________________________________________________________________________
 
Ciao a tutti! Ecco un capitolo lungjissimo! Avrei voluto aggiornare molto prima ma sono stata impegnatissima e ho avuto a malapena tempo di respirare! Grazie a tutti quelli che sono arrivati fin qui:) come al solito vi prego di recensire, per favore, anche solo due righe striminzite per sapere cosa vi piace e cosa no della mia storia.
Alla prossima:)
Lux 

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Capitolo 10
*** _Dove faccio conoscenza degli scheletri che ballano tip tap ***


Dopo le lezioni Greg mi dà a malapena il tempo di riporre i libri in casa, poi mi trascina verso la fermata con una forza che un malato come lui non dovrebbe avere.
«Sappi che non ti sarò per nulla di aiuto» commento mentre attendiamo l'autobus.
«A me no, ma a Will molto»
«Non farò la spia» prometto con uno sguardo deciso.
Sospira:
«Non è importante»
«Allora perché mi vuoi portare al Centro?»
In questo momento arriva l'autobus. Greg mi fa entrare per prima, controllando che non tenti di fuggire, poi mi segue.
«Non hai risposto» dico appena siamo seduti.
«Ho ragione di presupporre che ci sia qualcosa tra te e Will, quindi penso che sia una buona idea che vi vediate»
«Cosa intendi con quel "qualcosa"?» domando con le guance arrossate.
Scrolla le spalle:
«Non so, vedremo...»
«Se non fossi già invalido avrei voglia di renderti incapace di muoverti!»
Fa un sorriso timido:
«Quanto sei aggressiva»
Metto il broncio e mi rifiuto di rispondergli.
Quando arriviamo al Centro mi prende per un braccio e mi fa scendere. Non c'è nulla di cattivo nel gesto, vuole solo assicurarsi che non scappi via.
In realtà sono io che devo tenere lui, perché zoppica a fatica lungo il viale d'ingresso.
Nella prima sala troviamo Marina, che ci rivolge un rapido cenno di saluto, poi ritorna ad immergersi in qualsiasi altra cosa stesse facendo prima.
«Andiamo alla camera di Will» dice Greg e prosegue deciso per i corridoi.
Delle guardie ci fermano per chiederci chi siamo e cosa ci facciamo lì, ma dopo essersi assicurate che abbiamo detto la verità ci lasciano proseguire tranquillamente.
«Veramente io dovrei andare da un'altra persona...» tento con Greg.
«Puoi parlarci dopo, ormai siamo arrivati»
Purtroppo ha ragione.
Siamo nel corridoio da cui sono scappata qualche giorno fa, sperando di non doverci rimettere più piede.
«Ma guarda chi si vede!» esclama una voce divertita.
Will compare sulla porta della sua camera, con un sorriso storto.
«Il mio caro amico Gregory con la signorina Leach. A cosa devo l'onore della visita?»
«Io l'ho solo accompagnato» mugugnò senza guardare il ragazzo negli occhi.
Greg sbuffa e si stacca da me per zoppicare da solo verso la stanza di Will.
Quest'ultimo si volta verso di me.
«Cos'è successo?» domanda. Nei suoi occhi blu riesco a leggere la preoccupazione per l'amico.
«Si è ferito» rispondo laconica e faccio per andarmene, ma il ragazzo mi blocca afferrando il mio braccio.
«Aspetta»
Tento inutilmente di liberarmi.
«Non pretenderò risposte se non me le vuoi dare» dice serio.
Mi dimeno ancora qualche istante, poi lascio cadere il braccio, ancora stretto nella sua mano.
«Perché?» chiedo con gli occhi bassi.
«Perché non è così che voglio trattarti.»
Alzo lo sguardo:
«Lo hai fatto giovedì»
«Mi sono lasciato prendere. Quando vorrai dirmelo, lo farai senza essere forzata»
Lo fisso con gli occhi stretti.
«Cosa c'è?» mi domanda sorpreso.
«Sto cercando di capire perché dici così»
Ride:
«Te l'ho appena detto»
Scuoto il capo:
«Scordati che io ti creda...tu vuoi manipolarmi! Speri che con questa tua gentilezza arrendevole poi io ti rivelerò tutto senza problemi»
Mi guarda per qualche istante, dopo scoppia a ridere e senza una minima traccia di imbarazzo commenta:
«Ahi, mi hai beccato! Non mi arrenderò facilmente, vero, ma non ho intenzione di costringerti a dirmelo. Ognuno ha i propri segreti»
Finalmente mi lascia libero il braccio, ma continua a fissarmi con quel suo sorriso divertito.
Mi sento lo stomaco in subbuglio.
"Esagerata"
Sto cercando di godermi il momento!
"Quale momento? A me sembra che non ci sia niente di particolare..."
Questo perché tu sei insensibile!
«Vuoi venire dentro?» domanda d'un tratto «Così mi racconti cos'è successo a Greg insieme a lui?»
Senza rendermene conto mi ritrovo a seguire il ragazzo verso camera sua.
È ancora disordinata come la ricordavo, se non di più.
Greg ha preso posto sulla sedia della scrivania, mentre Will si lascia pesantemente cadere sul letto disfatto.
Io mi appoggio contro la porta chiusa, ma rimango in piedi.
«Allora?» chiede il proprietario della stanza.
L'altro ragazzo gli spiega brevemente ciò che mi ha già detto, il filo spinato, i pochi nomi e il soccorso in casa mia.
«Signorina Leach, non ha per niente deluso le mie aspettative!» commenta Will ridendo.
Abbozzo un sorriso nervoso.
«Immagino di aver capito perché hai portato anche lei» aggiunge poi rivolto all'amico.
Poso le mani sui fianchi.
«Puoi scordartelo che io faccia la spia» dico risoluta.
Lui di volta verso di me, sporge il labbro inferiore e spalanca gli occhioni:
«Neanche se faccio l'espressione da cane bastonato»
Il mio cuore accelera i battiti in modo frenetico.
"Qualcuno freni i suoi ormoni!"
Prendo un respiro profondo:
«Io non voglio far del male a nessuno»
Will si fa pensieroso.
«Ma ti piacerebbe far del bene, giusto?» chiede.
Annuisco dopo qualche istante, incerta di cosa potrebbe nascondere la domanda.
«Mio zio fa del male, tanto male a tante persone. Il tuo aiuto potrebbe essere fondamentale per poterlo vincere»
«Se non ci sei riuscito tu, cosa potrei fare io?» ribatto fissandolo intensamente.
Lui regge il mio sguardo:
«Tutto ciò che ho fatto non è stato inutile, e con il tuo aiuto potrei continuare per piccoli passi che mi porteranno alla vittoria»
Poso nuovamente le mani sui fianchi:
«Sinceramente mi piace tuo zio come persona, non ho intenzione di fare nulla contro di lui»
Greg fischia:
«Ragazza, hai detto una cosa mooolto pericolosa»
In effetti il sorriso di Will si è spento, ma quando parla la sua voce risulta senza intonazione:
«Elencare tutto ciò che ha fatto richiederebbe troppo tempo, ma posso dirti qualcosa,se vuoi»
Rimango in silenzio e lui lo interpreta come cenno di assenso, così continua:
«Ha costretto parecchie famiglie a vendergli le proprie attività commerciali con minacce e atti illegali, così che lui potesse impossessarsi di quel territorio; molti di quelli che avrebbero potuto essergli d'intralcio sono misteriosamente scomparsi; ha un'organizzatissima rete di frodi e intrighi bancari...Il vero problema è che è abbastanza abile da non lasciar intuire che tutti questi crimini sono avvenuti per opera sua e la maggior parte delle persone nutre un'ammirazione platonica nei suoi confronti.»
Lo sguardo che Will mi scocca è abbastanza colpevolizzante.
Mi vien da pensare a Karin che guardava Benedict Lennox come se fosse un miraggio.
«Questo è il motivo principale per cui mi trovo in carcere» continua il ragazzo «Ti fideresti di più di un ragazzino intelligente ma piuttosto infiammato dalle proprie idee tanto da apparire fuori di testa, o di un imprenditore che lavora da anni nel suo settore e ha costruito un impero con le ricchezze guadagnate?»
Resto in silenzio e lui continua:
«È ovvio che diresti l'imprenditore, tutto lo direbbero. Lo hanno detto anche i giudici, quindi...eccomi qui!»
Cala il silenzio e nessuno parla per qualche istante.
«Bene, parliamo di qualcosa un po' più allegro!» il ragazzo batte le mani. 
«Siamo in un carcere, di quale cosa allegra vuoi parlare?» domanda Greg sarcastico. Tiene la gamba ferita tesa davanti a sé con una smorfia.
Gli abiti di Jim gli stanno larghi ma un po' corti.
«Voglio farmi un tatuaggio!» esclama Will cercando di alleggerire l'atmosfera.
«Adesso?» chiedo perplessa.
Ride mentre sprofonda sempre di più nel letto:
«No, ma il prima possibile»
«Un altro?» chiede Greg stupito.
«Hai altri tatuaggi?» domando al ragazzo sul letto.
Il suo sorriso si allarga:
«Non ricordo neanche il numero»
Sgrano gli occhi.
Non ne avevo mai visto neanche uno.
"Però ti piacerebbe vedere un po' della sua pelle nuda, no?"
Da quand'è che pensi cose del genere?!
"Da quando le pensi tu"
Will si solleva le maniche del maglione scure.
Sulle sue braccia si intrecciano figure d'inchiostro colorate e non.
Mi avvicino attratta da quei disegni sulla pelle.
«Cosa sono questi?» chiedo sfiorando due immagini.
Il ragazzo fa un sorriso divertito:
«Due scheletri che ballano il tip tap, non ti piacciono?»
Scoppio a ridere:
«Perché? Solo una domanda: perché?»
«Hai qualcosa contro gli scheletri che ballano tip tap?»
Scuoto il capo:
«Assolutamente nulla, ma io non me li farei mai tatuare su un braccio»
Will mi posa una mano sul fianco e mi fa sedere sul letto.
«Se volete che me ne vada ditemelo» commenta Greg.
«Mi sembra di sentire Marcelo» replica l'altro ragazzo ridendo.
Tra le lenzuola del suo letto, io divento rossa.
Greg incontra il mio sguardo e trattiene a stento un sorriso.
«A proposito, devo andare da Marcelo! L'ultima volta non sono riuscita a vederlo!»
Però non ho molta voglia di alzarmi ora, di lasciare il mio posticino caldo tra le coperte, così vicino a Will.
«Ti accompagno» si offre il ragazzo, poi aggiunge rivolto all'amico:
«Non ti lascerò a lungo solo»
«È una minaccia o una consolazione?» commenta Greg, ma sta sorridendo.
Mi alzo in piedi controvoglia e seguo Will lungo il corridoio.
Non riesco a capire bene come o perché, ma il mio cuore batte all'impazzata appena mi si avvicina.
"Sarai innamorata" dice Voce.
Non ho mai provato per nessuno una cosa del genere! Oddio, invece lui non mi guarda neanche! Scommetto che mi considera solo una ragazzina, mentre io lo guardo adorante! Se ne sarà accorto! Starà ridendo di me! Ne sono certa!
"Non galoppare troppo con la fantasia"
«Tutto bene?» domanda Will voltandosi a guardarmi.
"Asciuga la bava alla bocca"
«Bava?» esclamo tra me e me.
«Luna?» mi richiama il ragazzo.
Lo guardo rossa come un pomodoro:
«Ehm...niente! Cioè, okay, sto bene!»
Scoppia a ridere e mi scompiglia i capelli con una mano:
«Un giorno mi rivelerai a cosa pensi quando ti perdi nella tua testa»
Ci ha azzeccato pienamente, come descrizione.
Raggiungiamo una sala che non avevo mai visto, in cui sono sistemati dei grossi armadi consunti e dei tappeti davanti ad un televisore da un lato, e dei biliardini dall'altro.
«Che posto è questo?» domando con il naso per aria.
«Sala ricreativa» risponde il ragazzo con una smorfia: «Come dire: "Sì, siete rinchiusi in un carcere, ma guardate il lato positivo, avete una sala ricreativa!"»
«Scommetto che il carcere della città qui vicina non ha una sala ricreativa come la vostra» aggiungo con ironia.
«Pensa che invidia» mi dà corda Will, ma si interrompe quando la sua concentrazione è attratta da qualcos'altro. 
«Ecco colui che cercavi» dice indicando un fagotto rannicchiato sul divano.
«Marcelo?» chiedo accigliata avanzando.
Dal baco di coperte spunta un familiare paio di occhioni color caffè.
«Ciao» saluta lui con voce bassa «Come stai?»
«Io bene, ma tu sembra raffreddato»
Annuisce: «Febbre, ma bassa, mal di gola e raffreddore»
Will mulina le braccia tatuate per aria:
«Stammi lontano patria di germi e virus!»
Scoppio a ridere mentre Marcelo strizza gli occhi.
«Puoi andare via se vuoi»
«Stavo scherzando, non prendertela»
Trascorro il resto del pomeriggio con Will e Marcelo, a cui si aggiunge poi anche Greg.
I ragazzi sono tranquilli, chiacchierano allegramente tra loro come vecchi amici e quando è ora di andare mi sembra quasi un dispiacere doverli separare. Non pensavo che la situazione sarebbe filata così liscia con il ragazzo moro.
Saluto Marcelo con un caldo abbraccio che sembra gradire molto, poi mi volto verso Will.
«Posso ricevere un grande abbraccio anche io?» chiede ridendo.
"È la tua occasione!"
«Se proprio insisti» replico con un sorriso.
"In realtà lui non ha insistito..."
Mi avvicino al ragazzo e lo circondo con le braccia.
Lui fa altrettanto.
La sensazione è di sicurezza totale, come se qui nessuno potrebbe ferirmi.
Sento un calore improvviso, una voglia di affetto e di amicizia indicibile.
Mi stacco controvoglia.
«Il bacio la prossima volta?» commenta Marcelo strizzando gli occhi.
Mi volto verso di lui rossa, in tempo per vedere Greg che gli batte il cinque.
«Avete fatto un'alleanza voi due?» chiedo imbarazzata.
«Qualcosa del genere» risponde il ragazzo e segue una risata di Will.
«A noi due conviene tornare a casa, invece» dico a Greg tentando di nascondere il rossore sulle guance.
Lui mi guarda perplesso e io poso le mani sui fianchi:
«Non penserai di andare fino a casa tua in queste condizioni, vero?»
«Pensavo di averti disturbato già a sufficienza» replica.
«Se una bella ragazza ti offre ospitalità, tu non rifiutare mai» interviene Will con uno sguardo ammiccante.
«Insomma, se non ci sbrighiamo perderemo anche il prossimo autobus!» esclamo cercando di non reagire al commento del ragazzo.
"In realtà stai gongolando come uno dei sette nani"
Ah-ah, non fa ridere.
Greg saluta Marcelo e l'amico, poi mi segue lungo i corridoi. Prima di svoltare mi guardo alle spalle e scorgo Will con i capelli tutti arruffati che mi fa "ciao ciao" con la mano.
 
Appena scendiamo dall'autobus, Greg resta qualche passo dietro di me per fare una telefonata.
È già buio e i lampioni intorno al campus sono accesi.
All'improvviso scorgo una figura emergere dall'ombra.
Sussulto spaventata, ma poi ricordo che alle mie spalle c'è un ragazzo alto e muscoloso capace di stendere chiunque. 
Certo, se non si conta il fatto che adesso è ferito e piuttosto malconcio.
Mi tranquillizzo però quando mi rendo conto che si tratta di un uomo sulla sessantina d'anni, alto e distinto.
"Benedict Lennox"
Oh no, cosa ci fa qui?
"Non lo so!"
Ma tu sai sempre tutto!
"Modestamente..."
Ti prego, aiutami!
«Luna Leach, che piacere incontrarti» mi saluta l'uomo con un sorriso affabile.
Ricambio gentilmente:
«Piacere mio signor Lennox»
Oh no, c'è Greg dietro di me...se lo vede capirà che io conosco Will, dato che è il suo migliore amico!
Si acciglia:
«Ti avevo detto di chiamarmi solo Benedict»
«Mi scusi, è l'abitudine» mi schernisco imbarazzata.
Aspetta, se c'è abbastanza buio potrebbe non notare il ragazzo alle mie spalle e poi non sento nessun rumore, forse Greg si è fermato e ha riconosciuto l'uomo.
"Ottima intuizione"
«Allora, da dove vieni?»
«Oh, ero qui in giro!» rispondo con voce squillante.
«Davvero? Ti piace la città?»
Annuisco con enfasi.
"Se continui così ti si staccherà la testa dal collo"
«Sono contento che tu stia bene qui, Luna»
«Non pensavo si ricordasse il mio nome» dico, cercando di spostare la conversazione su qualcosa di più banale.
«Ho scelto personalmente chi premiare per le proprie capacità e tu, Luna, sei una dei migliori, difficile dimenticarsi di te»
Mi sento arrossire, ma c'è qualcosa di strano nelle sue parole. Sarò brava a scuola, ma  ci sono miei coetanei molto più intelligenti di me, come altri ragazzi che ho incontrato alla cena di sabato scorso con Karin. Dal loro modo di parlare ho capito subito che si trovano su un gradino intellettivo più alto rispetto a me.
«Inoltre sei la ragazza che è stata aggredita alla cerimonia per le borse di studio» aggiunge l'uomo.
Mi sento gelare e annuisco come un'automa.
«Ti assicuro che stiamo facendo di tutto per scoprire chi sia il colpevole» tenta di rassicurarmi «Abbiamo già un sospetto, ma non ne siamo del tutto sicuri»
Ho la gola secca e con uno sforzo immane riesco a sputare le parole:
«Chi è il sospettato?»
«Potrò rivelarti il nome quando sarà portato in tribunale, ma sono certo che non ci attaccherà per qualche tempo»
«Bene» commento con voce roca.
Benedict si guarda al polso:
«Si è fatto proprio tardi, devo andare ora. Ci vediamo presto, Luna»
«Buonasera» replico sottovoce e lo guardo allontanarsi con passi decisi.
Lui lo sa! Lui lo sa!
"Cosa?"
Mi precipito in casa mia, sbattendo la porta ma senza preoccuparmi di chiuderla  a chiave.
Mi accascio sul divano con la testa fra le mani.
Lui lo sa! Lui lo sa!
Ma chi è il cattivo? Chi sta dalla parte sbagliata? 
"Chi è in prigione"
No, Will non può essere il cattivo, lui non può...
«Luna?»
Sobbalzo.
Greg sta entrando dalla porta d'ingresso.
«Ti ho spaventata ancora una volta» commenta con un sorriso tirato.
Poi si avvicina e si siede al mio fianco.
«Cos'è successo? Ho visto Faccia di Pupù e mi sono nascosto»
«Faccia di Pupù?» ripeto esterrefatta.
Lui abbozza un sorriso:
«È come Will chiama suo zio»
Prendo un respiro profondo e gli ripeto la nostra conversazione.
«Lui sa che ti ha mandato Will» concludo alla fine con uno sguardo grave.
«Cos'è quella faccia?» domanda stupito «Non eri tu che dicevi "Non aiuto i criminali" ieri?»
«Chiamalo "sesto senso" o "Will è molto persuasivo", ma credo che abbiate ragione»
«Posso chiamarlo "Will è così figo che non posso dargli torto"?»
Gli sferro una ginocchiata e lui si piega in due gemendo:
«La ferita»
«Oh no! Scusami Greg, scusa, scusa, scusa!»
Alza lo sguardo e i suoi occhi luccicano:
«Fregata, mi hai mancato»
Gonfio il petto, ma alla vista del suo sorriso timido non riesco a far altro che scoppiare a ridere.
 
Il giorno successivo Greg mi convince a lasciarlo tornare a casa sua.
«Dato che sentirai la mia mancanza, tornerò presto a trovarti» mi saluta prima di uscire dalla casa.
Lo guardo allontanarsi con malinconia. È stato piacevole avere qualcuno in casa con cui poter chiacchierare e su cui poter contare.
Tra un sospiro e l'altro mi preparo per andare a scuola.
Il piazzale della scuola è zeppo di studenti che si muovono concitatamente stridendo.
Faccio scorrere lo sguardo alla ricerca di Clare, ma qualcun altro mi trova per primo, posandomi le mani sulle spalle.
«Lo sfigato ti ha lasciata in pace finalmente»
Mi volto verso Simon Cox con una smorfia di disappunto disegnata sul volto.
«Ho chiesto io a Greg di rimanere con me»
«Resta comunque uno sfigato, no?» commenta lui.
Fa un sorriso borioso, così replico risoluta:
«E tu rimani comunque un idiota!»
Mi volto di scatto e mi allontano da lui a grandi passi.
"Wow, che cattiva questa Luna!"
Hai visto? Sono stata grandiosa! Quanto avrei voluto fermarmi solo per vedere la sua espressione!
"Secondo me non se l'aspettava proprio una reazione del genere"
Esatto! È stato fenomenale, dovrei farlo più spesso! Senti il mio cuore come batte?!
Mentre gongolo tra me e me della cattiveria che sono riuscita a raccogliere, scorgo Clare vicino al portone principale.
«Ciao» saluto avvicinandomi.
Lei ricambia e aggiunge:
«Non volevo disturbarti perché stavi parlando con Simon Cox, ma direi che l'hai piantato mica male»
Faccio una risata imbarazzata:
«Mi sono divertita un sacco a farlo!»
«Qual era l'argomento della discussione?» chiede con la sua solita noncuranza.
«L'amico di Will Lennox, Greg. Simon gli ha dato dello sfigato, io gli ho dato dell'idiota»
«C'è una piccola ribelle dentro di te» commenta Clare, rivelandosi incredibilmente loquace «Sono certa che Lennox sarebbe fiero di te»
Mi ritrovo con le guance tinte di rosso.
"Oh no, perché l'ha detto? Adesso gongolerai almeno per cinque o sei ore!"
 
 
_____________________________________________________________________
 
Ciao a tutti!
Ho aggiornato un po' prima del previsto perché ho trovato tempo! Il capitolo non è lunghissimo, ma mi è piaciuto scriverlo perché accadono dei fatti interessanti! Luna si sveglia un po' e comincia a fare un pensierino riguardo a Will...Cosa ne pensate? Che idea vi state facendo dei vari personaggi mano a mano che continua la storia? Vi prego di farmelo sapere in una recensione, anche minuscola, perché le recensioni sono il carburante di cui mi nutro per scrivere, sappiatelo!
Alla prossima:D
Lux 

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Capitolo 11
*** _Dove resto senza fiato ***


La mattinata scorre piuttosto in fretta.
Ho tutte le ore in comune con Clare, quindi ci muoviamo insieme.
Tra la seconda e la terza lezione scorgo Simon nei corridoi, che mi scocca uno sguardo arrabbiato, ma sembra più che altro un bambino con il broncio.
A pranzo, approfittando del sole, mangio con Clare in giardino e tento di concentrarmi sul vento intorno a me.
I progressi mi sembrano lenti, ma sono pur sempre progressi.
Quando arriva il pomeriggio mi reco come da programma al Centro.
«Ciao Luna!» mi saluta allegramente Theresa al mio arrivo.
Ricambio con un sorriso enorme e vado filata nella sala principale.
«Signorina Leach, stavo per soffocare a causa della vostra assenza!» è il saluto che rivolge Will quando mi vede entrare.
Mimo un inchino:
«Signor Lennox, quale onore essere accolta dalla Vostra persona!»
Il ragazzo scoppia a ridere e io lo fisso meravigliata.
La scena dei suoi occhi che sprizzano allegria è come il dipinto in cui un pittore è riuscito ad intrappolare abilmente la natura del personaggio rappresentato. 
Così la luce illumina Will come se ci fossero dei fari da palcoscenico strategicamente sistemati.
"Sei proprio partita"  
«Dici che Marcelo si arrabbierà se ti rubo per un po'?» mi chiede sorridendo.
"A te non dispiacerà per niente"
Oh, smettila!
«Perché?» chiedo incuriosita.
«Greg ha detto che dovevi riferirmi qualcosa»
Corrugo la fronte.
«Io non ne so nulla» ammetto.
«Questo è un bel problema!»
«E tu come hai fatto a sentire Greg?» domando ancora.
«Ho costruito un tubo metallico che scorre sotto il centro fino a sbucare vicino a casa sua. In base a come viene colpito emette delle vibrazioni diverse che corrispondono ad un nostro codice inventato per comunicare.»
Sono strabiliata.
«Sul serio?» chiedo.
Will scoppia a ridere.
Poso le mani sui fianchi:
«Mi stai prendendo in giro?»
Lui fa un cenno di assenso col capo.
«Mi ha semplicemente chiamato sul telefono del Centro. Registrano tutte le chiamate, quindi non ha potuto dirmi molto, ma ha lasciato a te il compito» ride.
«Ehi! Non c'è bisogno di fare tanto i saputelli!» esclamo.
«Chiedo perdono! Come posso manifestare il mio pentimento?»
"Io un'idea ce l'avrei"
«Diciamo che adesso sei in debito con me» gli lancio uno sguardo ammiccante.
«Non mi piace avere debiti» ammette pensieroso «Quindi cercherò di sdebitarmi il prima possibile»
Abbozzo un sorriso.
Will si guarda attorno nella sala affollata.
«Dato che Marcelo non si vede in giro, ti rubo»
Mi prende per un braccio e ci spostiamo nei corridoi deserti.
«Posso chiedere dove stiamo andando?» dico.
«Vuoi usare il mio debito per avere la risposta?»
«Mhh...no!» replico decisa.
«Allora devi aspettare»
In realtà dopo non molto raggiungiamo i bagni e come l'altra volta Will chiude la porta a chiave, aziona la ventola e si mette ad armeggiare con la mattonella.
«Ti ascolto» dice.
Mi appoggio ai lavandini tormentandomi una ciocca di capelli.
«Penso che Greg si riferisse all'incontro di ieri sera» comincio.
«Quale incontro?» il ragazzo ha rimesso la mattonella a posto.
Gli riferisco la conversazione con Benedict Lennox, mentre lui mi guarda con le mani si prepara una sigaretta.
«Sa per certo che il colpevole sono io» ammette alla fine, con uno sguardo grave, poi aggiunge: «Quello che non riesco a capire è se sa che tu mi conosci e mi frequenti»
Resto in silenzio, con i capelli arrotolati sulle dita.
«Non ha visto Greg» riflette lui ad alta voce «Ma potrebbe aver saputo dalla segreteria della scuola che vieni qui, oppure dei ragazzi potrebbero averti vista parlare con Greg a scuola e glielo hanno riferito.»
Fa un pausa e si porta la sigaretta alle labbra. Resta un secondo immobile, con quella che gli pende dalle labbra.
«Luna» chiama.
«Sì?» la mia voce è così minuta che potrebbe spezzarsi.
«Tu vuoi aiutarmi?»
Non rispondo per qualche istante.
«Io...» mi esce «Io non so cosa sia giusto e non credo che dovrei schierarmi prima di conoscere bene la situazione...»
«Prove!» mi interrompe lui «Tu vuoi delle prove!»
Annuisco.
«Se te le darò, ti fiderai di me?»
«Se...se non avrò motivo per fare altrimenti, sì, mi fiderò di te»
 Accenna un sorriso e si porta l'accendino verso la bocca.
«Bene, sono certo che le mie prove ti convinceranno» soffia una nuvola di fumo verso l'alto e la guarda con un sorriso «Quando ciò avverrà dovrai dire alla segreteria della scuola che rinunci al lavoro qui al Centro»
Sgrano gli occhi:
«Perché dovrei?»
«Così Faccia di Pupù non saprà che frequenti ancora il Centro e non sospetterà di te»
Rifletto sulle sue parole, poi esordisco:
«Ho due domande.»
«Chiedi pure» si offre togliendo la sigaretta dalla bocca.
«Numero uno: io non ho intenzione di rinunciare al lavoro al Centro!»
Ride:
«Non ho detto questo, semplicemente nella scuola non risulterà più che ti rechi qui. Brad potrebbe preoccuparsi se glielo riferiranno, ma io gli dirò che hai deciso di lavorare qui senza il consenso della scuola perché in quel modo saresti stata molto limitata. Se invece lo farai direttamente, senza l'intervento di un altro organizzatore, in questo caso la scuola, potrai partecipare a maggiori attività di volontariato. Chiaro?»
«Più o meno» rispondo, anche se in realtà la cosa non è per niente chiara.
«Però in questo modo non riceverò i crediti per il volontariato!» esclamo ancora.
Will mi rivolge uno sguardo di disappunto:
«Preferisci avere dei crediti che aiutare la nostra società?»
«Io non so ancora se tu aiuti veramente la nostra società» replico stizzita.
Abbozza un sorriso e prende un tiro dalla sigaretta:
«Vero, infatti non devi scegliere adesso, ma quando avrai visto le prove. La prossima?»
«La prossima cosa?» 
«Domanda, non erano due?»
Sorrido:
«Giusto. La seconda è: perché ti stai preoccupando della mia situazione?»
Mi fissa serio, con la sigaretta che penzola dalle labbra.
Poi si rende conto che ho già formulato la mia domanda e si prepara a rispondere con un'espressione divertita:
«Luna, ti rendi conto che sei a stretto contatto con mio zio? Ti rendi conto che puoi accedere alle sue informazioni molto più facilmente di quando potrebbe farlo la mia intera squadra? Ti rendi conto che sei la personificazione dell'innocenza e nessuno potrebbe sospettare di te?»
«Quindi io ti servo come infiltrata» la mia non è una domanda, anche Will lo sa.
«Sì» ammette «Sì, mi servi, ma solo se tu lo vuoi. In caso contrario esci da questo bagno e dimenticati che questa conversazione sia avvenuta, dimenticati di me e di tutto ciò che hai appreso da me»
Sorride ancora, anche se in modo spento.
«Ci penserai almeno?» chiede.
Prendo un respiro profondo:
«Sì, ci penserò. Non scarto l'ipotesi a priori»
"Soprattuto perché se la scartassi è difficile che voi due diventiate molto intimi..."
Ehi, non penso solo a quello! A me interessa tutta questa questione di 'gagliardi fuorilegge'!
"Non pensare che ti basti citare Ivanhoe per zittirmi"
Magari bastasse quello!
«Bene! Direi che la nostra chiacchierata si è conclusa! Se è andata a buon fine me lo potrai dire tu dopodomani» fa un sorriso smagliante e piuttosto inquietante.
Poi finisce la sua sigaretta e rimette tutto a posto.
«Non ti hanno mai beccato?» chiedo mentre ci avviamo verso la sala grande.
«A fumare? Una volta, per colpa di quel coglione di Aaron, ma mi è bastato cambiare nascondiglio e stare più attento.»
Entriamo nella sala principale infilandoci in mezzo alla folla per non farci notare.
«Ciao, dove vi eravate imboscati?»
Marcelo si materializza davanti a noi, con gli occhioni color caffè sgranati.
«Oh...ehm...» comincio mentre lui si avvicina.
Lo vedo storcere il naso, poi sbianca e si piega in due.
«Marcelo!» esclamo scattando in avanti, ma Will mi afferra un braccio e mi trattiene, così non rimane altro che guardare il ragazzino mentre vomita.
«Oh no, come ti senti?» esclamo appena lui riesce ad alzare lo sguardo.
Ha un conato, ma deglutisce a forza e mi fa un cenno positivo.
«Okay, leviamo le tende» interrompe Will, prendendo Marcelo con la mano libera. 
«Ehi tu» aggiunge poi rivolto ad un ragazzino di passaggio «Ti regalo venti cioccolatini se dici che hai vomitato tu»
Lui accetta più che volentieri e così veniamo trascinati via.
Will ci porta con decisione verso camera sua, senza neanche lasciarci il tempo di opporci o parlare.
«Che schifo avete fumato!» esclama Marcelo appena il ragazzo chiude la porta della sua stanza.
«Lui lo ha fatto, io no di certo» replico massaggiandomi il braccio che è stato attanagliato.
«Hai vomitato per l'odore?» domanda Will con le sopracciglia aggrottate.
Il ragazzino annuisce, ancora bianco come uno straccio.
«Odio il fumo» dice con voce strozzata «Mio papà fumava...cioè fuma tantissimo e io lo odiavo»
Ancora una volta tento di avvicinarmi per consolarlo, ma Will mi trattiene.
Mi volto a guardarlo e lui scuote in modo quasi impercettibile il capo.
Dischiudo le labbra, perplessa, mentre il ragazzo mima con la bocca:
«Lascialo sfogare»
«Tutte le volte che fumava beveva anche tantissimo e poi...poi mi picchiava, tutte le volte» la voce di Marcelo risuona rotta.
«Sono felice di essere qui» continua «Perché qui le persone mi trattano bene, anche se non sono sempre il migliore, anche se non faccio quello che voglio, anche se non rubo per loro...»
Crolla a terra, con le spalle scosse dai singhiozzi.
Finalmente mi libero da Will e mi allungo per abbracciare il ragazzino. Lui piange, scomposto, contro il mio petto.
«Non preoccuparti» gli sussurro dolcemente «Ci siamo noi ora e ti vogliamo bene»
Mi rendo conto che ha circa l'età di Calvin, ma non ha di certo avuto tutte le sue fortune, anzi ha dovuto combattere contro la vita.
Il ragazzino mi getta le braccia al collo e si stringe a me singhiozzando.
Cerco di ricacciare indietro le lacrime.
"Non dirmi che stai per piangere anche tu!"
Come al solito sei insensibile!
«Di certo la vita non sempre è quello che ci aspettiamo, anche la persona apparentemente più felice e fortunata in realtà ha delle cicatrice nascoste. La vera forza di ognuno di noi sta nell'imparare dalle ferite per evitarle la prossima volta» Will si è chinato al nostro fianco e ha posato una mano sulla schiena del ragazzino con un volto estremamente grave.
Incontro il suo sguardo.
Ha degli occhi tempestosi e le sopracciglia aggrottate
Accenno un piccolo sorriso, il suo volto si distende.
«G-grazie» farfuglia Marcelo.
«Non ringraziare» ribatte il ragazzo rimettendosi in piedi.
L'altro si asciuga gli occhi e tira su col naso.
«Be' adesso voi due vorrete trascorrere del tempo insieme, quindi è meglio che io vada»
«Eccoti tornato il solito Marcelo» tento di consolarlo sorridente.
Lui sembra più tranquillo e scioglie l'abbraccio per rimettersi in piedi.
Guarda Will:
«Grazie, anche se non vuoi sentire ringraziamenti»
Detto ciò si volta per uscire dalla stanza.
Rimaniamo immobili, io accasciata a terra, il ragazzo appoggiato alla scrivania con le gambe lunghe davanti a sé.
«Cosa voleva dire?» domando alzando gli occhi su di lui.
«Acuta» commenta, ma non risponde.
«Will?»
Si solleva le maniche del maglione, rivelando i tatuaggi.
«Sì?»
«Sapevi...di Marcelo?»
Finalmente mi guarda.
«Luna, siamo in un Centro rieducativo che in realtà è un carcere, cosa ti aspettavi?»
Chino il capo, in silenzio.
«Hai ragione» concedo infine «Semplicemente non è ciò a cui sono abituata»
«Ci credo»
Rimaniamo ancora in silenzio.
All'improvviso Will scatta e prende qualcosa dalla scrivania.
Quando me lo tende mi rendo conto che è un biglietto con scarabocchiata una scritta.
«Dallo a Greg, lui saprà cosa farci.»
«Di cosa si tratta?» chiedo lanciando un'occhiata fugace alla scritta. Sembrerebbe un indirizzo.
«Prove, non è quello che volevi?»
Annuisco, senza convinzione.
«Stai tranquilla Luna, devi solo imparare» mi dice con dolcezza.
Alzo gli occhi verso di lui.
«Imparare cosa?» domando, ma non sono convinta di voler sapere la risposta.
Le parole di Will arrivano come uno schiaffo di vento.
«Devi imparare a osare»
 
Mentre percorro il viale tra la fermata dell'autobus e la mia casa, il vento si gonfia impetuoso intorno a me, come espressione del tormento di sentimenti che si sta agitando all'interno.
Non riesco a controllare l' energia e l'aria arruffa i miei capelli e tutto ciò che incontra, con ostinazione, insistenza, senza guardare in faccia nulla.
Arrivo alla veranda con il fiato corto.
Mi appoggio alla staccionata, prendo un respiro profondo.
L'aria fredda frizza lungo la gola.
C'è qualcosa che combatte dentro di me.
Da una parte, Voce ripete: "Resta come sei".
Dall'altra ci sono io, piccola, gracile, inerme, che grido con tutto il fiato che ho nel corpo: "Osa!"
 
La mattina successiva mi sveglio di soprassalto.
Ci metto qualche istante per schiarirmi la mente e quando finalmente sono abbastanza lucida, elaboro di aver passato una notte insonne e di essere in ritardissimo.
Mi vesto a casaccio, schizzo in bagno, riesco a mettermi anche le lenti a contatto e corro verso la scuola con due biscotti infilati in bocca a mo' di colazione.
Quando arrivo, con il fiato corto, scorgo Clare nel cortile e le vado incontro trafelata.
Mi rendo conto con un certo fastidio che Zoey e le sue amiche cheerleader mi guardano scandalizzate.
Tento di pettinarmi i capelli e di assumere uno sguardo più sveglio.
«Buongiorno, ti sei appena svegliata, vero?» mi chiede Clare scrutandomi da dietro le spesso lenti dei suoi occhiali.
Abbozzo un sorriso imbarazzato:
«Si vede così tanto?»
«Hai la maglia sporca di briciole e il segno del cuscino sulla guancia»
Scrollo il maglione.
«Ti sei risparmiata almeno le occhiaie» commenta ancora lei tentando di fare una battuta.
Sorrido divertita.
Il suono della campanella ci induce ad entrare nell'edificio e poi in classe, nonostante mi piacerebbe rimanere ancora un po' nell'aria frizzante di prima mattina.
Trascorro le prime ore con la ragazza, poi ci separiamo per l'ultima lezione della mattinata.
Quando suona la campanella del pranzo, mi avvio verso la mensa dove incontrerò Clare.
Sento il cellulare vibrare nei jeans e mi fermo prima di dover svoltare in un altro corridoio, per leggere sullo schermo.
Mentre apro i messaggi sento delle voci sull'altro corridoio che non posso vedere.
«E come si chiama la ragazza?» sta chiedendo una voce bassa a grave.
«Luna Leach» risponde un'altra molto familiare.
Raggelo.
«E com'è?» continua la voce cupa avvicinandosi. Se svoltano sono la prima cosa che vedranno.
"Scappa"
Mi allontano di scatto dall'angolo e corro indietro.
Trovo le scale che salgono verso l'alto, così mi nascondo dopo la prima rampa di gradini.
Il corridoio sotto è poco frequentato, quindi dovrei riuscire a sentire perfettamente ciò che dicono.
«Non è delle persone pacate che abbiamo bisogno» sta dicendo la voce grave «Ma di chi è in grado di resistere a tutto ciò che si presenterà»
L'altra persona, un altro uomo, ride:
«Spero non abbiate intenzione di cominciare una guerra»
«Figurati! Non è mai stata nelle nostre intenzioni. Si tratta semplicemente di saper reggere ciò che noi abbiamo sempre sopportato. Se Luna è debole la sua capacità la distruggerà poco alla volta»
Rimango immobile, rannicchiata in un angolo.
Non vedo nulla, ma i miei pensieri turbinano furiosi.
Entrambi gli uomini sanno del vento.
"Ragiona"
Lo sto facendo.
«Sono convinto che lei saprà imparare a gestire la situazione. È una ragazza molto intelligente» commenta il secondo uomo.
Finalmente lo riconosco. È Jim Jacobs.
La cosa mi tranquillizza inaspettatamente.
"Una persona normale penserebbe che è un traditore. Non credi che la sua gentilezza sia stata falsa?"
Assolutamente no. Se lo ha fatto c'è stato un buon motivo, mi fido di lui.
«La cosa importante è che lei non ne abbia parlato con nessuno. Questo puoi confermarlo?» chiede la voce grave e mi rende conto di non conoscere per nulla il proprietario.
«Non posso dirlo per certo.» risponde Jim.
L'altro sospira:
«Lo sai che qualsiasi asthenés deve essere eliminato, se potrebbe parlare»
Jim non risponde.
«Luna» sussurra una voce pericolosamente vicina al mio orecchio.
Di colpo mi accorgo che una mano preme sulla mia bocca e qualcuno mi sta tenendo ferma.
Faccio per balzare in piedi, ma la persona mi fa cenno di tacere e le sue braccia scivolano via.
Mi volto di scatto, rischiando di perdere l'equilibrio dalla mia posizione accucciata.
«Greg?» esclamo sottovoce sgranando gli occhi.
Lui si porta un dito sulle labbra.
Rimaniamo un istante in silenzio.
L'uomo dalla voce grave sta chiedendo a Jim come crescono le piante.
«Ho visto che stavi origliando e mi sono mosso furtivamente» sussurra il ragazzo indicando le scale che salgono da cui proviene.
«Non sto origliando!» ribatto stizzita.
Lui fa un sorriso eloquente e io sbuffo sottovoce.
«Sto semplicemente ascoltando cose che mi riguardano»
«Quindi è di te che parlano?»
Maledizione!
"Ottima mossa, genio. Hanno appena detto che ogni asthenés che sa delle tue abilità deve essere eliminato"
Grazie mille per avermi rinfrescato la memoria, ribatto sarcastica.
«Sai dove posso smaterializzarmi?» chiede l'uomo dalla voce grave.
«Sul tetto non dovrebbe vederti nessuno» risponde gentilmente Jim.
«Grazie. Contattaci se ci sono novità»
«Lo farò per certo»
C'è un istante di silenzio e sento dei passi giù nel corridoio.
Greg mi tira per un braccio, imprecando:
«Sta venendo in questa direzione, seguimi, veloce!»
Il mio cervello non elabora in fretta ciò che ha detto, ma le mie gambe si muovono subito, e vengo trascinata dal ragazzo per un'altra rampa di scale.
I nostri piedi colpiscono i gradini furtivamente, ma producono comunque un leggero rumore.
«Chi è là?» chiede l'uomo dalla voce cupa.
Greg impreca ancora.
Alla fine delle scale ci troviamo davanti ad una porta chiusa, ma il ragazzo la apre con un gesto secco e mi trascina sul tetto dell'edificio.
L'aria fresca mi colpisce come uno schiaffo, risvegliandomi dalla paralisi mentale in cui ero precipitata.
«Non deve vederci!» esclamo di scatto. Il tetto è piatto, disseminato qua e là di scale o rialzamenti che farebbero impazzire di gioia un amante del Parkour.
«Complimenti per la perspicacia» ribatte Greg e mi tira con sé lontano dalla porta.
Sento dei passi che si avvicinano rapidi alle nostra spalle.
Attraversiamo uno spiazzo, saltiamo uno di quei rialzamenti, poi ci accovacciamo dietro per nasconderci.
«Chi c'è? Vi ho sentiti!» grida l'uomo emergendo sul tetto.
Tento di controllare il respiro, ma mi accorgo che sto andando in iperventilazione.
«Stai calma» sussurra Greg.
«Calma?!» replico con voce strozzata.
«L'unico accesso al tetto è tramite la scala da cui siamo saliti, che però adesso è irraggiungibile»
«Buono a sapersi» bofonchio sempre più nel panico.
«Venite fuori!» grida ancora l'uomo con voce terrificante «O vi vengo a prendere io!»
«L'altra via per scendere è dal tetto della palestra che si trova davanti a noi»il ragazzo indica l'altro edificio a lato di quello su cui ci troviamo.
Tento di prendere un respiro profondo:
«Mi stai dicendo che dobbiamo saltare da un tetto all'altro?» 
Annuisce, tetro.
"Non ce la fai, sono troppo distanti."
Mai una volta che tenti di incitarmi.
«Sei pronta?» mi chiede Greg.
«Assolutamente no»
«Corriamo insieme al tre, okay? Uno»
Studio lo spazio che ci separa alla fine del tetto, disseminato di ostacoli.
Non ce la faccio.
«Due»
E poi il salto. Gli edifici sono troppo lontano l'uno dall'altro, è scientificamente impossibile!
«Eccovi qui!» esclama una voce grave.
L'uomo ci sovrasta, alle nostre spalle.
Con un grido da amazzone balzo in piedi e scatto in avanti.
Scavalco un rialzamento del tetto con un balzo, poi un altro, ma questa volta inciampo e picchio un ginocchio a terra, cadendo a carponi.
Greg mi aiuta a rialzarmi e tenendo stretto il mio braccio, corriamo insieme.
Lui è molto più veloce, ma mi dà la spinta necessaria per non rimanere indietro.
Scavalchiamo un altro ostacolo ma siamo costretti a separarci.
«Non pensiate di potermi sfuggire!» grida l'uomo.
Mi ritrovo di nuovo affiancata dal ragazzo.
«Pronta a saltare?»
«Merda, no!» sbotto.
Ma vedo la fine del tetto. La vedo. E scorgo anche l'abisso tra questo e quello della palestra.
Greg mi prende per mano.
«Se cadiamo, cadiamo insieme» dice.
Vorrei dirgli che no, non m'importa di cadere, ma m'importa che almeno lui non si faccia del male.
Ma ormai il precipizio è vicinissimo.
«Dove pensate di andare?» latra la voce alle nostre spalle.
Ancora due passi. Posiamo nello stesso istante il piede destro sul bordo del tetto. 
E saltiamo.
Nel preciso momento in cui sento il mio corpo librarsi in aria, mi rendo conto che non ce la faremo. Ce l'abbiamo messa tutta, non è colpa nostra. 
È colpa della natura, i nostri muscoli non sono fatti per uno sforzo così grande.
E se un normale essere umano non può farcela, magari una versione più forte sì.
Così il vento ci schiaffa le spalle e ci scaraventa sul tetto della palestra, senza delicatezza né premura.
Atterriamo bruscamente, rotolando sul terreno duro.
Vorrei rimanere accovacciata a terra per qualche istante, lagnandomi di tutte le parti del corpo che mi fanno male, invece balzo in piedi e seguo Greg verso una rampa di scale che finalmente scende verso il basso.
Non mi guardo alle spalle, ma posso sentire lo sguardo penetrante dell'uomo trafiggermi la nuca.
Scendo le scale a rotta di collo, poi mi ritrovo nell'ingresso della palestra, vicino agli spogliatoi.
Greg mi fa cenno di seguirlo verso i bagni, poi ne chiude a chiave la porta.
Il ragazzo prende un respiro profondo.
«Tutto a posto?» mi chiede.
Annuisco, col fiato corto.
«Tu?» ansimo scrutandolo.
Ha un rivolo di sangue che fuoriesce dallo zigomo destro e la felpa strappata su un gomito.
«Qualche botta, nulla di che»
Annuisco ancora, senza un motivo preciso e mi avvicino agli specchi.
Ho i capelli arruffati e il volto cereo. Sento un forte dolore alla spalla sinistra, su cui sono atterrata dopo il salto e il ginocchio che ho picchiato pulsa fastidiosamente.
Mi sciacquo il viso con dell'acqua.
«Allora?» domanda Greg.
Resto in silenzio. So perfettamente a cosa allude.
«Forza Luna!» esclama.
«Hai origliato anche tu, no?» rispondo «Hai sentito ciò che hanno detto? Se informo qualcuno di ciò che so, questo qualcuno finisce in seri guai»
«Se quell'uomo ci ha visti fuggire insieme, probabilmente sta pensando che io sia già a conoscenza di tutto, quindi cercherà di farmi del male comunque,anche se non so nulla.»
«Pensi che sapere di farà sentire meglio?» domando alzando gli occhi su di lui.
Greg sorregge lo sguardo:
«Penso che spiegherebbe molte cose. E mi renderei conto se è stato un bene aiutarti»
Scuoto il capo.
«Will lo sa?»
Faccio ancora cenno di no.
«Non gli dirò nulla»
Le labbra mi si increspano in un sorriso sarcastico:
«Non ti credo»
Alza le mani:
«Te lo giuro, parola d'onore»
"Non dire nulla"
Io devo farlo.
"Sai perfettamente che è pericoloso"
Ma Greg merita di sapere.
"Non farlo."
«Luna?»
Faccio un cenno indefinito con il capo.
«Va bene» sospiro infine «Ti dico tutto, ma devi giurarmi che non dirai nulla ad anima viva, Will compreso e che non cambierà l'idea che ti sei fatto di me»
«Questo cosa significa?» domanda preoccupato.
«Significa che potresti avere paura»
 
_____________________________________________________________________
 
Ciao a tutti, grazie di essere arrivati fin qui! Volevo scusarmi per l'infinito ritardo e per il capitolo non molto lungo! Sono stata davvero pienissima, ma prometto che cercherò di aggiornare più in fretta la prossima volta per farmi perdonare! Mi scuso per gli errori di battitura, litigo ogni volta con il correttore automatico che mi fa impazzire!
In questo capitolo c'è una scena d'azione, che non è proprio il mio forte, quindi mi vorrei sapere se vi è piaciuta o se è proprio scritta male, quindi recensite! :)
Inoltre ho trovato qualche immagine che mi ricorda Will, come io lo immagino, e le ho riunite nel video del link che vi lascio. Se volete mantenere l'idea che vi siete fatti del personaggio senza che possa essere modificata da ciò che io penso, vi sconsiglio di guardarlo, se siete curiosi, ecco il link:
 
 
Vi lascio anche altri due link. Sono le storie di Alle23212, che ringrazio per aver letto la mia storia:3. Fateci un salto!
 
 
Detto questo vi saluto, alla prossima:D
Lux

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Capitolo 12
*** _Dove faccio la mia scelta ***


Riverso le parole addosso a Greg e mano a mano che lasciano le mie labbra, qualcosa si alleggerisce dentro di me.
Il ragazzo mi ascolta in silenzio, con lo sguardo vacuo, ma per il resto mantiene un'espressione impassibile.
Per concludere in bellezza con un po' di concentrazione riesco a produrre un refolo di vento che mi fa svolazzare i capelli.
«Non posso fare altro che crederti dunque» mormora.
Annuisco, timorosa.
«Perché parlavi di paura?» chiede con uno sguardo penetrante.
«Perché non sapevo come avresti reagito, come l'avresti presa.» ammetto.
Cala il silenzio.
«Capisco» dice semplicemente.
«Davvero?»
«Non proprio, ma...posso arrivarci. Devo elaborarlo.»
«Va bene»
Rimaniamo ancora in silenzio.
«Will mi ha dato una cosa!» esclamo all'improvviso e frugo nelle tasche dei jeans per prendere il foglietto che ci avevo ficcato.
Greg lo legge, poi mi guarda.
«Perché te lo ha dato?»
«Ha detto che mi avresti mostrato delle prove» spiego trepidante.
«Capisco, questa volta sul serio»
Sorride leggermente e anche io finalmente mi rilasso.
 
Riusciamo ad uscire dalle finestre del bagno e fuggiamo verso il parcheggio della scuola.
L'uomo dalla voce grave non si vede in giro, ma non mi sento comunque molto tranquilla.
Greg apre la portiera di una vecchia auto grigia che non sembra in grado di resistere per più di duecento metri.
«Salta a bordo della mia magnifica carrozza!» esclama con una smorfia sarcastico.
Sorrido:
«Almeno non sei vanitoso come Simon Cox, dovresti vedere come ama la sua auto»
«Me lo immagino mentre l'accarezza e le sussurra dolci parole»
Mi sciolgo in una risata nervosa mentre salgo a bordo.
L'interno della vettura non è meglio dell'esterno arrugginito. I sedili sono rigidi e sgualciti.
Poi l'auto parte con un rumore simile alla tosse.
Sobbalziamo sulla strada per una ventina di minuti, inframmezzati dalle domande di Greg.
«Quindi hai capito che non c'erano altri proiettili alla consegna delle borse di studio grazie al vento?» sta domando con lo sguardo saldo sulla strada.
Annuisco, poi mi rendo conto che non riesce a vedermi, così traduco in parole.
«Forte. Se Will lo venisse a sapere, ti vorrebbe ancora di più al suo fianco» commenta.
M'irrigidisco:
«Hai promesso...»
«Tranquilla» mi interrompe «Mantengo le promesse. Devi valutare tu se dirglielo o no, io non parlo»
«Grazie»
Ci infiliamo un quartiere di case fatiscenti e grigie, simili a catapecchie.
Greg rallenta con un cigolio e parcheggia sul lato della strada rovinata.
Lui scende dall'auto, lo seguo.
C'è una luce strana in questa strada, quasi grigio-giallognola, come se nell'aria volteggiassero granuli di polvere.
«Vieni» mi fa cenno il ragazzo.
Ci avviciniamo ad una delle case meno cadenti della via, che pare comunque piuttosto decrepita.
Ha le imposte scrostate di quella che una volta sarà starà vernice verde, le mura sembrano ricoperte da uno strato spesso di polvere e le pietre del viale sono così irregolari da apparire selvagge.
Greg bussa sulla porta malridotta e dall'interno proviene una voce stridula.
Qualche istante più tardi sulla soglia compare una donnetta bassa e tozza, dalla pelle scura e i capelli color ebano raccolti in uno chignon scomposto.
Il mio sguardo cade sul grembiule che ha legato in vita e sulle pantofole sgualcite.
Ci rivolge qualche parola in una lingua che sembra spagnolo, o forse portoghese, poi ci fa cenno di entrare.
Attraversiamo un lungo corridoio buio, fino a giungere in una piccola sala zeppa di scatoloni.
Con cenni concitati insiste che ci sediamo su un divano da cui spunta dell'imbottitura.
«Signora Ales» la chiama Greg quando finalmente la donnetta si siede sulla vecchia poltrona.
«Luna, la ragazza qui con me, vorrebbe farsi un'idea riguardo Benedict Lennox» dice ancora il ragazzo.
Lei comincia a lagnarsi con dei versetti piagnucolanti, si alza in piedi, fruga in uno degli scatoloni, poi si avvicina e mi tende un pacchetto.
«Guarda! Guarda!» insiste mentre ritorna alla sua poltrona.
«Mia nonna lavava vestiti, mia mamma lavava vestiti, io anche lavavo vestiti lì!» esclama dopo indicando il pacchetto che tengo in mano.
Lo apro e trovo delle fotografie,
La prima inquadra un edificio basso e cubico, che sembra essere, dall'insegna, una lavanderia.
«Io lavoravo lì!» ripete la signora Ales «Ma adesso non più. Sai perché?»
Scuoto il capo.
«Un giorno, io lavoro, mia figlia lavora, mia mamma lavora, lì, ma entra un signore. Alto, bei vestiti, tutto profumato. E ci chiede se vogliamo vendere il negozio. Noi diciamo: "No" perché nostro unico lavoro! Senza questo niente soldi! Allora diciamo: "No", ma l'uomo non va via. Ci fa vedere dei fogli, scritti, con tanti numeri, ma io non capisco, allora chiamo mio figlio. Mio figlio è intelligente, ha studiato!»
La donna fa un sorriso di soddisfazione e mi guarda quasi con orgoglio.
Poi, riprende il racconto, con la sua voce piagnucolante:
«E mio figlio dice che se io vendo negozio, il signore ci dà quei soldi, ma dice anche:"Mamma, questi soldi bastano solo per due mesi. E poi? Cosa facciamo?" Allora io dico: "No" al signore e lo faccio uscire, con gentilezza! Ma sai cosa succede?»
Si ferma e quando mi rendo conto che sta aspettando una risposta, scuoto subito il capo.
«Il signore ritorna! Sette giorni dopo, con altro fogli. Questa volta, dice mio figlio, i soldi sono per quasi tre mesi. Ma in tre mesi io non trovo altro lavoro! Allora diciamo:"No" al signore, ma sempre gentili, noi siamo persone gentili! Ma sai cosa succede?»
Scuoto ancora il capo.
«Guarda! Guarda!»
Faccio scorrere le fotografie mentre la donna si lagna nella sua lingua madre.
L'immagine successiva rappresenta una saracinesca abbassata con una scritta che non riesco a leggere.
«"Brucerete nel nostro inferno, cani brasiliani"» mi sussurra Greg nell'orecchio.
La donnetta ha smesso di piagnucolare e tirando su col naso prosegue:
«C'era quella brutta scritta! E noi...paura! Paura! Ma non possiamo fare niente, così compriamo vernice e copriamo la scritta. Ma sai cosa succede?»
Questa volta scuoto il capo ancora prima che abbia finito di formulare la domanda.
«Guarda! Guarda!»
La prossima fotografia riporta una serie di lavatrici poste l'una accanita all'altra, annerite come se fossero state bruciate.
«Metà di quelle,  tutte in fiamme!» grida la signora con enfasi. «Noi abbiamo paura, tantissima paura...nessuno vuole più stare al negozio, nessuno viene a lavare i vestiti. Che fare? Che fare?»
Rimango in silenzio.
Lei si mette a singhiozzare, e tra le frasi scomposte riesco solo a riconoscere due parole: "negozio venduto".
Lasciamo che la signora si sfoghi senza parlare.
Quando alla fine si asciuga le lacrime e acquista un'aria più dignitosa, Greg si alza in piedi e le stringe la mano, quasi con dolcezza.
«Grazie del suo aiuto» le dice premuroso.
Mi alzo in piedi anche io, scossa e guardo la donna.
«Lei ha mai fatto un corso di teatro?» chiedo senza neanche rendermene conto.
La signora sgrana gli occhi, come se non capisse quello che dico, poi fa cenno di no con il capo.
«Mi dispiace averla disturbata» dico, poi seguo Greg fuori dalla casa.
«Non le hai creduto?» domanda il ragazzo quando ci ritroviamo nell'aria grigia della strada.
«Voglio solo esserne certa al cento per cento. Mi è sembrata piuttosto credibile comunque.»
«Non era una messinscena, Luna, te lo giuro. La zona dove sorgeva il negozio della famiglia Ales ora è stato ristrutturato ed vi si trova un enorme sede di grandi uffici. Sai chi è il proprietario?»
Rimango in silenzio, ma siamo entrambi consapevoli che conosco la risposta.
«Forse Will ha ragione» ammetto infine.
Greg mi rivolge un piccolo sorriso di vittoria:
«Non sai quanto vorrebbe sentirselo dire»
 
Il ragazzo mi riporta a casa, ma mi rendo conto che ho saltato circa un'ora del lavoro in biblioteca.
Decido di telefonare la segreteria della scuola ed informare che sono malata scusandomi per il ritardo.
La passo liscia solo per il fatto che ho una condotta impeccabile.
So che dovrei allenarmi con il vento, ma dopo quello che è successo non ho voglia di incontrare Jim, e preferisco riflettere su tutto, dall'uomo misterioso, alle prove che mi ha fornito Greg.
L'unica cosa che riesco ad elaborare è che l'uomo è come me e Jim e probabilmente ha un ruolo rilevante all'interno di qualche organizzazione dei nostri simili.
Alla fine passo un pomeriggio accasciata sul divano con i pensieri che frullano nella mia testa.
Ah, e Voce non si è fatta viva.
 
Dopo ore di professori barbosi e compagni di classe rumorosi, giovedì pomeriggio posso finalmente andare al Centro.
Mentre aspetto alla fermata passa una splendente auto cabriolet.
«Ciao Luna» mi saluta Simon dall'interno con un sorriso beffardo. Lo guardo perplessa, poi capisco che si sta aspettando che io sia gelosa perché seduta al suo fianco c'è la cheerleader Zoey.
«Ciao» replico scuotendo la mano «Ci si vede in giro»
Lui non sembra molto contento della mia risposta, a giudicare dalla smorfia che fa, e mette in moto bruscamente.
Qualche minuto più tardi arriva l'autobus che mi porta al Centro.
Questa volta all'ingresso c'è un uomo che non conosco, ma saluta comunque con calore mentre mi affretto verso la sala principale.
Scorgo Marcelo che saltella su una panca per attirare la mia attenzione.
«Ciao, attento, stai per cadere!»
Il ragazzino perde l'equilibrio e mi crolla addosso.
Lo freno preoccupata, ma mi basta guardarlo negli occhi per scoppiare a ridere.
«Sembri allegra oggi» mi fa notare quando siamo seduti davanti al libro di scienze.
«Anche tu» replico.
«Lo sarò per poco» commenta con una smorfia «Odio scienze»
«E perché?»
«Perché sono così...fredde, come la matematica!»
«Forse hai ragione, o forse c'è qualcosa di più che puoi imparare. L'unico modo per scoprirlo è cominciare a studiare!» faccio un sorriso smagliante.
«Argh! Traditrice!»
Scoppiamo a ridere entrambi, prima di doverci gettare nella fredda materia.
Quando Marcelo comincia a capirci qualcosa delle cellule, decido di fare una piccola pausa per farlo riposare, così mi metto a conversare con lui.
Ad un tratto chiedo:
«Sai dov'è Will? Non l'ho ancora visto“
Il ragazzino strizza gli occhi:
«In infermeria»
«Infermeria? Cos'è successo?» domando preoccupata.
«Scommetto che quando io ero malato non eri così in pensiero!» commenta lui, ma ha un sorriso malizioso che gli increspa che labbra.
«Ehi, quando la smetterei di cercare di combinare il matrimonio tra me e Will?» replico arrossendo. Mi guardo attorno, ma nessuno sembra interessato alla nostra conversazione.
«Quando ammetterai che ti piace da impazzire!» ribatte il ragazzino.
«Scordatelo!» esclamo con lo guance in fiamme.
"Io non ne sarei così convinta"
Com'è che tu ricompari solo quando ti piace?
"Non ha senso che stai sveglia quando combini le solite cose noiose. A me piace divertirmi."
«Però devo parlargli» riferisco a Marcelo «Dici che se è malato lo disturbo?»
«Io non ho detto che è malato!» esclama lui ridendo.
«Aspetta, quindi cosa ci fa in infermeria?» chiedo stupita.
Il ragazzino fa un sorrisetto divertito:
«Conosci Aaron Jones, quello che si crede di essere il padrone di tutto qui dentro? Be', lui e Will litigano spesso.»
«Okay, quindi hanno fatto a botte?» domando preoccupata.
«Se lo vai a trovare lo saprai da lui»
Scoppio a ridere, scuotendo il capo, ma Marcelo mi detta le indicazioni per raggiungere l'infermeria.
Mi allontano così dalla sala principale, lungo i corridoi, cercando di non perdermi come mio solito.
Raggiungo senza troppi problemi l'infermeria.
"Sarà forse perché c'erano miliardi di cartelli a scritte cubitali per indicare la direzione"
Simpatica, come sempre.
L'infermeria è molto semplice. Saltano subito all'occhio le pareti di un bianco immacolato, su cui sono poggiate delle poche sedie scarne per dare la parvenza di una sala d'aspetto.
Di fronte a me c'è una porta semiaperta, oltre cui si intravede una lunga camerata con degli ordinatissimi letti paralleli.
Mi affaccio sulla soglia, lanciando uno sguardo fugace all'interno.
L'unico letto occupato è uno degli ultimi, dove sta comodamente accasciato un ragazzo dagli arruffati capelli corvini.
«Will?» chiamo incerta.
Lui si volta e mi rivolge un enorme sorriso:
«Ciao. Puoi entrare, ti ho già detto che qui dentro non mordo»
«All'esterno invece sì?» chiedo avanzando lentamente.
Lui continua a sorridere:
«Dipende da che parte stai»
Tiro le labbra verso l'alto in modo nervosamente.
«Allora posso ritenermi al sicuro» commento quando sono vicino al letto.
Mi accorgo che il ragazzo ha un segno violaceo sotto l'occhio destro, però sta sorridendo sempre più estasiato.
«Quindi le mie prove ti hanno convinto?» domanda allegro.
Prendo un respiro profondo.
«Sono state convincenti, non c'è motivo per darti torto» risponde infine.
Lui mi fa cenno di sedermi sul letto e si scosta per lasciarmi spazio.
Prendo posto al suo fianco, ma lascio le gambe penzolanti sul bordo, mentre lui le tiene lunghe sulle lenzuola.
«La mia piccola Luna ha fatto la sua scelta, quindi?» domanda con un sorriso sornione stampato sul volto.
«Luna, che non è tanto piccola e ancor meno tua, ha elaborato che hai ragione e tuo zio è una vera e propria Faccia di Pupù»
Il ragazzo fa un sorrisetto e si passa una mano tra i capelli, arruffandoli ancora di più.
«Quindi dirai alla segreteria della scuola che non frequenti più il Centro?»
Resto un istante in silenzio.
"Non farlo"
Non ho mai fatto niente tutto questo tempo.
"Infatti adesso sei qui, sana, salva e dotata di tutti i neuroni"
Credi che passerò una vita intera pensando solo alla mia salvaguardia? Se posso fare qualcosa, è il momento di farla. Non me ne starò immobile ancora a lungo.
"Mi correggo, forse non hai tutti i neuroni"
 La mia vita è stata inutile fino ad oggi. Non ho realizzato niente, non sono stata produttiva per nessuno.
"Pensi sia giusto farlo solo per un ragazzo di cui sei cotta? Lui ti userà, ti consumerà, ti trascinerà in un vortice da cui non potrai liberarti e ti ritroverai sola, confusa, sperduta in qualcosa che non conosci e che non hai veramente voluto"
Mi sento fremere dalla rabbia.
Voce mi ha detto cosa fare per anni, è stata quella che mi ha fatto prendere le decisioni che all'epoca mi erano sembrate quelle giuste, ma in realtà erano quelle migliori per me stessa e basta.
«Luna?» chiama Will scrutandomi.
Prendo un respiro profondo.
«Ci sto» mormoro.
«Ne sei certa?»
«Sì, sono con te»
"Idiota"
Detto questo, Voce sparisce.
 
Will mi riaccompagna nella sala principale, dopo aver informato l'infermiera delle sue condizioni.
«Chi si è fatto più male?» chiedo al ragazzo mentre camminiamo nei corridoi deserti. Lui capisce subito a cosa alludo.
«Pari, anche se di certo Aaron si incazzato come una bestia.»
«Cos'è successo? Se mi è concesso domandarlo»
Will fa un sorriso pigro:
«Signorina Leach dovreste sapere che ormai non ci sono segreti tra di noi. Aaron Jones, noto per la sua stazza massiccia, tanto quanto per la sua insormontabile stupidità, ha cominciato a stuzzicarmi con banalità, tirandomi qualche "pugno amichevole" sulle braccia. Dato che sono più abile di lui a parole, si è ritrovato presto senza più niente con cui controbattere e ha giustamente deciso di passare alle mani. Sempre a causa dell'insormontabile stupidità non si è reso conto che non poteva attaccarmi a testa bassa senza pensare a difendersi, così si è ritrovato con tante botte quante ne ho ricevute io, pur essendo molto meno piantato di lui.» 
Abbozzo un sorriso:
«Che affascinante storiella»
«Lo credo anche io. Eccoci»
Il ragazzo tiene aperta la porta per farmi entrare nella sala.
Lo ringrazio e mi avvio verso il tavolo dove si trova Marcelo.
«Ciao Will, cosa ci fai qui?» chiede il ragazzino con la bocca piena di pane e cioccolata.
«È venuto per aiutarci a fare scienze» rispondo io con un sorriso smagliante.
Marcelo geme:
«Preferisco guardarvi mentre vi fate gli occhi dolci a vicenda»
«Noi non lo facciamo!» esclamo con le guance rosse.
«Oh, certo che sì» rincara la dose lui con uno sguardo malizioso.
«No!»
«Sì, sì!»
«Will!» mi volto verso il ragazzo che se ne sta seduto con la testa abbandonata sul palmo della mano «Non dovresti aiutarmi?»
Fa un sorriso sornione:
«Mi piace vederti imbarazzata»
Le mie guance ormai stanno andando a fuoco e l'unica soluzione che riesco a trovare per nasconderlo è prendere il libro di scienze e nascondermi dietro.
 
Alla fine riesco a convincere Marcelo a fare un po' di compiti, nonostante Will non sia molto d'aiuto, perché continua a distrarre il ragazzino.
Ad un certo punto gli rivolgo uno sguardo di fuoco e il ragazzo decide di rimediare, così si rivela un ottimo insegnante, molto preparato e per nulla pesante.
Quando Brad vieni a dirmi che è quasi ora di cena, saluto Marcelo con un abbraccio caloroso e la promessa: «Ci vediamo presto!», poi Will si offre di accompagnami verso l'uscita.
«Sai un sacco di cose» gli dico mentre siamo nei corridoi.
Lui sorride:
«Lo so.»
«Modesto» rido «Ma con tutta la cultura che possiedi,perché hai scelto di farti rinchiudere qui?»
Il ragazzo sembra innervosirsi:
«Lo sai. Ho deciso di non fare l'ipocrita e di prendere le mie responsabilità accettandone le conseguenze. Sono colpevole, quindi vivo in un carcere, è normale»
Resto in silenzio fino a che raggiungiamo la fine del nostro percorso.
L'uomo al di là apre la porta, così mi volto per salutare Will.
«Buona serata» gli dico.
Lui abbassa gli occhi blu verso di me e sorride.
«Anche tu, e stai attenta, Luna»
La frase mi provoca un brivido lungo la schiena, mentre mi allontano e lo lascio alle spalle.
Dalla porta d'ingresso è appena entrata una donna, alta, snella e ben vestita, che mi rivolge uno strano sguardo divertito, poi alza gli occhi oltre me e prosegue.
Mi volto in tempo per vedere Will, fermo sulla soglia, fissare senza espressione la donna.
Poi esco dal Centro e tutto ciò che rimane è il mio riflesso incredulo sui vetri della porta d'ingresso.
 
Quando arrivo a casa, trovo delle chiamate perse sul cellulare da parte della mia famiglia e parecchi messaggi che intimano di farmi viva.
Con un sospiro rassegnato prendo il computer, decisa a sistemare tutto il prima possibile.
Pochi secondi dopo l'avvio della video-chiamata, dall'altro capo rispondono.
«Luna!» risponde mio fratello con un sorriso smagliante «La mamma e il papà ti uccideranno! Non ti sei fatta sentire per tantissimo tempo!»
«Lo so, loro sono in casa adesso?»
«No»
Faccio un sospiro di sollievo. Non avevo alcuna voglia di doverli affrontare.
«Puoi dir loro che ho chiamato?»
«Se io lo faccio tu cosa mi dai?» chiede malizioso.
«Calvin, non sono in vena di litigare» ribatto decisa.
«Cos'è stai diventando una cattiva ragazza, lì in America? Mamma e papà lo potrebbero venire a sapere...» continua lui per nulla preoccupato.
«Penso che ti diserederò come fratello, tanto ho già trovato un sostituto» commento secca.
Dall'espressione che Calvin mi rivolge capisco di aver fatto centro.
Mi guarda spaventato, triste, come se io potessi all'improvviso privarlo dell'effetto che provo per lui e trasferirlo a qualcun altro.
Si riprendo però subito dopo.
«E come si chiamerebbe questo sostituto?» chiede con un altro sorriso sfacciato.
«Marcelo» rispondo a tono, ammiccando con gli occhi.
Calvin mugugna qualcosa di confuso, poi aggiunge:
«Va bene riferirò»
Gli rivolgo un sorriso affettuoso:
«Bravo! Come ricompensa ti prenderò quel videogioco che volevi!»
«Scommetto che non ti ricordi neanche il nome» ridacchia lui.
Gli faccio la linguaccia, poi guardo l'ora:
«Aspetta, ma lì non è il cuore della notte?»
Mio fratello sorride:
«Esatto»
Scuoto il capo:
«Non importa, buona notte, Calvin. E dì alla mamma e al papà che ho chiamato!»
«Sissignora!»
«Bravo. Buona notte»
 
Quando la mattina successiva cammino per i corridoi della scuola mi rendo conto che c'è qualcosa di strano.
Guardo alle mie spalle e un ragazzo distoglie gli occhi.
Proseguo per la mia strada, ma poco dopo la scena si ripete nuovamente, con un gruppetto di ragazze che bisbigliano tra loro.
«È una mia impressione o la maggior parte degli studenti mi sta fissando?» chiedo a Clare, ferma davanti al suo armadietto.
Lei mi rivolge uno sguardo indecifrabile da sotto le spesse lenti, poi si guarda attorno.
«Non l'hai ancora capito?» domanda perplessa.
«Ehm...no»
«Le voci girano, adesso sei "Quella che ha piantato Simon Cox"»
Sollevo le sopracciglia:
«Sul serio?»
«Direi di sì» conferma lei.
Sulle labbra mi si dipinge un sorriso divertito.
Clare sbuffa, ma la sento ridere sottovoce.
«Comunque» prosegue poco dopo «In qualità di "Quella che ha piantato Simon Cox" e "Amica di Quella che ha piantato Simon Cox", abbiamo ottenuto questi!»
Lo guardo perplessa:
«Due fogli di carta verde con i brillantini?»
Lei sbuffa e mi rende uno dei due fogli:
«È un invito per una festa, sabato sera»
«Davvero?» chiedo prendendolo.
«No, ti sto prendendo in giro» ribatte lei sarcastica.
«E dove sarebbe questa festa?» 
«A casa di una delle cheerleader, non la conosci»
«Cos'è i suoi genitori sono via per lavoro e lei dà un mega-party?»
Clare mi guarda corrucciata, poi abbozza un sorriso divertito:
«Non dirmi che credi a tutti quei film sugli adolescenti americani!»
Apro la bocca per rispondere, poi decido che è meglio stare zitta e mi precipito dietro Clare verso la nostra prima classe.
 
__________________________________________________________________________
 
Ciao a tutti!
Come promesso ho aggiornato qualche giorno prima rispetto alla scorsa volta, ma personalmente questo capitolo non mi fa impazzire. Vorrei sapere cosa ne pensate voi, quindi, come al solito, vi prego di recensire per farmi sapere cosa va e cosa non va nella mia storia. Ho notato un calo di recensioni, anche se le visualizzazioni sono rimaste le stesse, quindi, per favore, non abbandonatemi, ho bisogno dei vostri consigli e/o pareri! :)
Cosa ne pensate della storia? E dei personaggi? La trama si sta facendo monotona o noiosa?
Grazie a tutti quelli che sono arrivati fin qui. Ricordo che il titolo diventerà:"Cronache di una ragazza che pensava di essere normale" 
Alla prossima:)
Lux 

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Capitolo 13
*** _Dove si sente il vento ***


 
Durante la seconda ora di lezione qualcuno bussa alla porta e l'insegnate fa entrare una bidella con un telefono in mano.
«Scusi il disturbo, c'è una chiamata per Luna Leach»
Gli occhi della classe si spostano su di me, mentre mi alzo con le guance arrossate ed esco dalla classe.
«Pronto?» rispondo al telefono con voce tremante.
«Luna? Ciao!» esclama una familiare voce maschile dall'altro capo.
«Will? È successo qualcosa di grave?» domando preoccupata.
«No, perché me lo chiedi?» capisco dalla voce che è perplesso.
«Mi hai chiamata sulla linea della scuola, durante l'orario delle lezioni» spiego per nulla tranquilla.
«Vero, ma non pensavo ti preoccupassi così tanto»
Faccio un sospiro:
«Allora perché mi hai chiamata?»
«Volevo chiederti se hai impegni per Halloween.»
«Halloween? Non è settimana prossima?»
«Esatto»
«No, ma non credo che andrò per le case del campus a fare "dolcetto o scherzetto"»
«Proprio quello che volevo sentirti dire» replica trepidante «Per la festa dei santi e dei morti ci mandano a casa tre giorni e, non fare commenti, mia mamma ha il vizio di preparare una cena a base di zucca. Vieni?»
Resto in silenzio, spiazzata.
Non avevo mai associato il ragazzo ad una famiglia. Mi era sempre sembrato così fuori luogo al Centro, ma non riuscivo a credere che ci fosse qualche posto in cui si sarebbe sentito a suo agio. È ovvio che abbia una casa.
«Luna, ci sei ancora?» domanda la sua voce.
«Sì»
«È la tua risposta?»
«Cosa? No, no, aspetta. Mi fa molto piacere che tu mi abbia invitata ma non so se sia il caso» 
Lui non parla subito.
«Ti giuro che la mia famiglia è normale, non come me»
«Non ho detto che tu non sia normale» replico, facendo scorrere nervosamente lo sguardo per il corridoio.
Fortunatamente non sta passando nessuno.
«Ma quale ragazzo normale di diciott'anni si farebbe chiudere in un carcere? Comunque, vieni o no? Bisogna che lo sappia.»
«Stai parlando come Sally Hayes.» commento con un sorrisetto.
«Ma tu non stai ancora delirando, Holden Caulfield»
Il sorrisetto mi si appiattisce. Non pensavo che avrebbe colto l'allusione a quel libro.
«Ti assicuro che i miei impazziscono dalla voglia di conoscerti» continua il ragazzo «Sarebbero contentissimi di avere un ospite a cena»
Mi torturo una ciocca di capelli, aspettando quasi involontariamente che Voce mi dica cosa fare. Ma Voce ha deciso di fare sciopero quando io ho deciso di osare.
Allora oso, ancora una volta.
«Va bene, Will, vengo» rispondo decisa.
Quando lui risponde sembra sollevato:
«Perfetto, dirò di passare a prendere al campus»
«Posso anche arrivare a casa tua in autobus» replico debolmente.
«No, mio papà sarà felice di farti da autista» 
«Va bene» acconsento infine «Adesso devo tornare in classe»
«Speravo volessi trattenerti a discorrere con me» ride.
«Mi piacerebbe molto, ma penso che si stiano già preoccupando per la salute di tutti i miei cari. È meglio che vada adesso»
«Certo signorina Leach, buona giornata.»
«Ciao, ci vediamo»
Chiudo la chiamata e prendo un respiro profondo. Sono stata invitata, ufficialmente, a casa di Will.
Il mio cuore accelera involontariamente, nonostante cerchi di rimanere calma.
Quando ritorno in classe pare che parecchi sguardi siamo puntati su di me, ma li ignoro e riprendo posto a fianco di Clare.
«Tutto bene?» mi chiede lei con sguardo circospetto.
Annuisco senza scendere nei dettagli e la mia compagna non fa domande.
L'ora successiva è quella di educazione fisica, che in questo momento salterei più che volentieri.
Mentre mi cambio negli spogliatoi una ragazza mi guarda con la fronte sollevata e seguendo i suoi occhi capisco che sta fissando la mia spalla destra.
Lanciando un'occhiata rapida vedo che la pelle è diventata violacea a causa della botta che ho preso ieri sul tetto.
Mi rivesto velocemente ed esco dagli spogliatoi.
Durante la corsa di riscaldamento poi il ginocchio comincia a pulsare dolorosamente e devo fermarmi per riposare sul bordo della palestra.
«Non pensavo fossi così fiacca» commenta una voce comparsa improvvisamente al mio fianco.
Alzo lo sguardo e incrocio degli occhi scuri.
«Quando salti da un tetto all'altro ti fai parecchio male, pensavo lo sapessi» replico a Greg che sta sorridendo divertito.
«Ne so qualcosa» ribatte lui.
«Leach!» grida il mio insegnante «Credi che questa sia l'ora di socializzazione? Riprendi i tuoi esercizi!»
«Ci vediamo a pranzo!» saluto Greg e mi allontano verso la mia classe come lui va verso la sua.
Dopo una serie di esercizi pietosi a causa delle botte che ho su tutto il corpo il professore mi fa sedere e finalmente tiro un sospiro di sollievo.
 
«Dovresti dirlo a Will» esordisce Greg a pranzo, seduto insieme a me nell'erba del giardino.
«Cosa?» chiedo perplessa.
«La tua abilità con il vento. Lui saprebbe sicuramente cosa farne» risponde brandendo una forchetta.
«Scordatelo» ribatto infilzando la mia insalata ispida.
«Sul serio Luna, non ne farebbe parola con anima viva e sarebbe contentissimo»
«Non ricordi cosa ha detto quell'uomo? Chiunque ne è a conoscenza deve essere eliminato. Tu sei già in pericolo.» ribatto risoluta mentre mi infilo una forchettata di insalata in bocca.
«Will è abbastanza intelligente per non farsi beccare! E tu potresti rappresentare una svolta decisiva nella sua vita»
«Che cosa intendi?» domando e dissimulo l'interesse cercando di concentrarmi sul pranzo.
Fallisco miseramente a giudicare dal sorrisetto malizioso di Greg.
«Mi dispiace deluderti» dice infatti «Ma non si tratta di una svolta intima o romantica. Però potresti farlo uscire di prigione e magari fargli finalmente vincere una causa contro suo zio»
«Stai dicendo che non ne ha mai vinta una?» chiedo sgranando gli occhi.
Lui piega le labbra in una smorfia:
«No, Benedict oltre che ad essere astuto è anche ricco e potente, può pagare per sé gli avvocati migliori e convincere quelli del nipote a lasciarlo vincere. Will si era anche messo a studiare giurisprudenza per provare a cavarsela da solo senza avvocati»
Rimaniamo un istante in silenzio, a fissare il nostro triste pranzo.
«E io cosa potrei fare?» domando infine.
Lo sguardo del ragazzo si fa vivo, ma lo quieto in un istante:
«Questo non significa niente, non ho intenzione di rivelare nulla a Will, che sia chiaro»
L'espressione di Greg si smorza un poco, ma risponde:
«Potresti fornire prove certe, rubare facilmente documenti di Benedict, raccogliere informazioni con cui prevenire le sue mosse e altre mille cose. Sarebbe decisivo»
«So a malapena usare la mia abilità, non sarei di nessun aiuto» ribatto sottovoce.
«Questo è quello che pensi tu» ribatte Greg con uno sguardo grave fisso su di me.
Alzando gli occhi scorgo Clare che mi fissa e le faccio cenno di avvicinarsi, desiderosa di cambiare argomento.
Lei ci raggiunge titubante.
«Non voglio disturbare» dice a voce bassa quanto è vicina.
«Non preoccuparti, non era nulla di importante. Greg, lei è Clare e viceversa»
La ragazza si siede al mio fianco con la sua porzione di cibo e mentre mangia su di noi cala il silenzio.
Greg mi rivolge uno sguardo carico di significato.
Mi pare quasi di sentirlo dire: "Questo discorso non finisce qui"
 
La biblioteca è semi deserta di venerdì pomeriggio, così posso rilassarmi sulla mia poltrona.
L'inconveniente di questo silenzio assurdo che ogni singolo rumore mi fa sobbalzare, distraendomi dalla lettura di "Orgoglio e Pregiudizio".
«Ciao Luna»
Scatto letteralmente in piedi facendo cadere il libro a terra con un tonfo secco.
Spalanco gli occhi.
«Jim...» mormoro scrutando l'uomo in piedi davanti a me.
Lui mi rivolge un sorriso placido che contagia gli occhi azzurri e distende alcune delle numerose rughe.
«Stai bene?» chiede lanciando uno sguardo al povero volume sotto la scrivania.
«Sì, certo» rispondo mentre mi chino per raccoglierlo. Nel farlo però picchio la testa contro il tavolo e mi lascio fuggire un verso di sorpresa e dolore.
«È ancora tutto a posto?» domanda l'uomo tentando di nascondere il divertimento.
«Sì, sì, sono più resistente di quello che sembra, a forza di farsi male ci si fa il callo. Come mai da queste parti?» replico con noncuranza.
«Io lavoro qui, Luna»
«Certo, certo!» esclamo tormentandomi una ciocca di capelli.
«Sembri nervosa» fa notare l'uomo.
Apro la bocca, la richiudo, poi lascio cadere le braccia lungo i fianchi.
L'espressione di Jim si fa seria.
«Stai pensando a quell'uomo che era con me?» chiede prima che io possa parlare.
Decido di annuire semplicemente.
«Sapevo che ci stavi ascoltando...non preoccuparti, sono contenta che tu l'abbia fatto, così non devo spiegarti alcune cose. Quell'uomo si chiama Rufus Wilson e come avrai capito possiede le nostre stesse abilità. A dir la verità appartiene ad un gruppo che si occupa di controllare i nostri rapporti con gli asthenai e tra noi stessi. Si tratta di una sorta di mini-governo.»
«Sono nei guai?» chiedo preoccupata.
Lui ride leggermente:
«Assolutamente no. Rufus ha saputo del tuo arrivo ed è venuto ad assicurarsi che fosse tutto a posto. So che però ha avuto luogo un piccolo inseguimento sui tetti della scuola»
Sento le mie guance scaldarsi e so che non posso fare nulla per impedirlo.
«C'era un altro ragazzo con me» dico allora.
Jim si fa pensieroso.
«È lo stesso ragazzo di cui mi parlavi? Quello che potrebbe aver intuito le tua capacità?»
Scuoto il capo:
«No, non è lui»
L'uomo non risponde per qualche istante, poi torna a fissarmi con i suoi occhi cerulei:
«Mi occuperò io della faccenda e terrò buono Rufus. Dimmi: questo ragazzo sa la verità?»
Rimango in un silenzio imbarazzante.
«Deduco di sì» sorride l'uomo tranquillamente. «Non ne farò parola con Rufus, ma tu stai attenta a chi dai la tua fiducia, va bene?»
«Va bene» annuisco prontamente.
Detto ciò si allontana pacifico verso l'uscita della biblioteca e rimango di nuovo sola.
Ah no, con me ci sono ancora Elizabeth Bennet e il signor Darcy.
 
«Sei pronta?» domanda Clare dal salotto.
Posso sentire i suoi passi leggeri che ispezionano la casetta.
Mi affaccio da camera mia.
«Non sono convinta» annuncio.
Lei sbuffa in modo teatrale:
«È la settima volta che lo dici nel giro di mezz'ora»
«Sono seria! Non pensi che questi pantaloni mi ingrassino?» le mostro la mia figura intera.
«No, Luna» 
«Lo dici solo perché vuoi che la smetta!»
Lei fa roteare gli occhi e si lascia cadere su una sedia:
«Tanto so che ti cambierai comunque, anche prima lo hai fatto»
Sospiro:
«Hai ragione, vada per questi vestiti! Sono pronta!»
«Così in fretta?» chiede sarcastica, poi lancia un'occhiata allo schermo del suo cellulare.
«Mio papà passa tra cinque minuti» annuncia «Possiamo farci trovare sulla strada»
Le rivolgo un sorriso smagliante e prendo tutto il necessario per la festa.
Il padre di Clare, che non ho mai visto, si è offerto di portarci alla festa della cheerleader, dato che si trova dalla porta opposta dalla città e non ce l'avremmo mai fatta con l'autobus.
Chiudo la casa e seguo la ragazza nel viale che porta verso la strada.
Sul fondo scorgo già in attesa una modesta auto nera, a cui Clare si avvicina con tranquillità.
M'infilo dietro di lei sui sedili posteriori e scorgo al volante un uomo muscoloso e dalle spalle larghe che assomiglia a Clare solo per il colore castano-rossiccio dei capelli tagliati a spazzola.
«Ciao» mi saluta «Tu devi essere Luna. Mia figlia mi ha parlato di te»
«Piacere di conoscerla» rispondo.
«Chiamami pure Paul, nessuna formalità» sorride, poi mette in moto l'auto.
Per tutto il viaggio l'uomo si rivela di piacevole compagnia, molto allegro ed estroverso al contrario della figlia che resta in silenzio con lo sguardo perso fuori dal finestrino.
Quando intorno a noi cominciano a comparire case alte ed eleganti, circondate da giardini curati nel minimo dettaglio, capisco che siamo entrati nel quartiere ricco dove si svolge la festa.
Paul parcheggia lungo la via, poco lontano dalla nostra meta.
«Mi raccomando, state attente, non bevete nessun cocktail strano, state lontane dai ragazzi che si comportano in modo strano e non accettate nulla dagli sconosciuti» ci dice serio.
«Sì, signor poliziotto.» risponde Clare aprendo la portiera.
«Io mi preoccupo per il vostro bene, non sapete quanti casi del genere mi capitano ogni fine settimana» continua lui imperterrito.
Seguo sul marciapiede, poi mi volto a salutare l'uomo e ringraziarlo.
«Attente!» esclama ancora lui.
«Non riesce a capire quando fare il poliziotto e quando il papà» commenta Clare quando siamo abbastanza lontane. «La casa è questa» dice poi, indicandone una come le altre.
La scruto con sguardo critico.
«È stranamente silenziosa» commento «Non sembra che contenga una festa»
Lei fa roteare gli occhi e si avvicina al portoncino d'ingresso.
«Quello dello delle feste stratosferiche è un tuo pregiudizio verso gli americani» commenta mentre bussa.
Con due passi veloci sono al suo fianco.
Sulla soglia si affaccia un ragazzo alto e ben piantato, a cui Clare tende gli inviti.
Senza parlare lui ci prende una per un braccio e ci tira all'interno.
La prima cosa che percepisco è un'ondata di musica a volume assordante, che ci schiaffa e ci costringe ad arretrare di qualche passo.
«Solo pregiudizi, eh?» chiedo a Clare.
«Cosa?» grida lei per sovrastare il rumore.
«Lascia perdere!» dico.
«Cosa?»
Scuoto il capo e guardo la stanza davanti a noi.
Scorgo corpi accaldati stretti ovunque, che si dimenano a ritmo di una musica priva di melodia, ma composta solo da forti vibrazioni che mi attraversano dalla punta dei piedi fino alla testa.
Mi volto verso Clare, ma vedo che la folla l'ha allontanata di qualche metro.
La scorgo dimenarsi per ritornare verso di me, però è troppo bassa e dopo poco scompare dalla mia vista.
Cerco di raggiungerla, senza successo e mi rassegno a girovagare per la stanza rasente al muro, con la musica assordante che pulsa dentro di me. 
Incontro alcune mie compagne di corso, che tentano di conversare, ma falliscono miseramente a causa dei troppi drink che impastano loro la lingua e del rumore assurdo.
Quando loro si allontanano mi sento improvvisamente prendere da un capogiro.
Faccio scorrere gli occhi intorno a me, alla ricerca di un'uscita.
Il salotto è enorme e ci sono così tanti ragazzi in mezzo da non riuscire a vedere oltre la massa informe.
Se proseguissi rasente alla parete prima o poi troverei un'uscita, ma di nuovo mi sento male.
Allora decido di buttarmi.
Prendo un respiro profondo e avanzo in mezzo al gruppo di ragazzi.
Per farmi spazio devo spintonare, a volte calciare e spostare persone che non vedo e non sento, ignorando le dita umidicce che mi attanagliano più volte i polsi nel tentativo di bloccarmi almeno per un po'.
«Luna, dove vai?» esplode una voce vicino al mio orecchio.
Mi volto di scatto appena in tempo per vedere un faretto illuminare il volto di Simon.
«Ciao» dico con una certa stizza e faccio per allontanarmi, ma lui mi ferma.
«Balla con me» riesco a leggere il suo labiale.
Scuoto il capo.
«Non ti piaccio?»
«Simon, lasciami» replico tentando di liberare il braccio che tiene.
«Sembra che tu mi odi. Cosa ti ho fatto?»
«Non mi hai fatto nulla e non ti odio, ma adesso sei ubriaco e non sai quello che dici» ribatto con gentilezza.
«Non sono ubriaco» afferma e i suoi occhi si fanno più lucidi «Sono normale. Mi odi?»
«No, te l'ho già detto» rispondo con un sospiro.
La musica rallenta e le luci si fanno meno frenetiche.
«Allora baciami» dice serio.
Mi sento sbiancare, poi avvampare all'improvviso.
«No, lasciami» replico.
«Dai, siamo ad una festa, devi lasciarti un po' andare»
Si avvicina e il mio cuore accelera all'improvviso.
Arretro, calpestando il piede di qualcuno e guardo intorno a me.
Scorgo l'immagine di un giardino poco lontano da me.
Una vetrata da cui uscire.
Mi lascio in quella direzione, ma delle mani mi afferrano il bacino e mi tirano indietro.
«Solo un bacio...» sussurra Simon implorante.
Mi dibatto tra le sue braccia muscolose. So perfettamente che è molto più forte di me e che non ce la farò a liberarmi.
Una sensazione improvvisa mi nasce dal petto ed esplode intorno a me.
Simon viene sbalzato indietro insieme a tutti gli altri ragazzi che mi stavano vicino.
Lo guardo sconvolta, poi rivolgo gli occhi alla vetrata e sento di voler correre via da lì immediatamente.
Qualcuno, che non vedo mi prende un braccio e di nuovo il vento esce da me.
Con un rumore fragoroso la vetrata va in frantumi, scatenando grida terrorizzate.
Non ci penso due volte e mi lancio verso il giardino, incurante di tutto ciò che mi circonda.
Appena sbuco nell'aria fredda della notte, un brivido mi scende lungo la schiena e mi fermo, sotto alla volta celeste.
Gridando alcuni i ragazzi si riversano nel giardino, mentre si guardano attorno spaventati, ma la loro attenzione non è rivolta verso di me. Prendo un respiro profondo.
Ancora una volta sento una mano afferrarmi il braccio, ma quando incontro gli occhi del responsabile mi tranquillizzo.
«Cosa ci fai qui?» chiedo a Greg, stupita.
«Ho detto a Will che avresti partecipato ad una festa e lui mi ha pregato di teneri d'occhio»
Corrugo la fronte:
«Ti ha addirittura pregato
«Me lo ha chiesto, voleva assicurarsi che non finissi nei guai»
Faccio una smorfia: 
«Quanta fiducia nutre nei miei confronti! Aspetta...» il mio sguardo si fa più vivo e consapevole «Gli hai detto qualcosa?»
«Assolutamente no» mi tranquillizza Greg «Ma che ne dici di andarcene? I ragazzi ci stanno guardando molto male, la tua scenetta con Cox ha attirato l'attenzione»
«Scenetta?» ripeto con un'altra smorfia.
«Lascia perdere, adesso andiamocene» 
Mi tira con delicatezza verso il cancello del giardino, poi lo scavalchiamo insieme, non visti dai ragazzi che sono concentrati intorno alla vetrata crollata, e ci allontaniamo nella strada buia.
«Dici che si sono accorti del vento?» chiedo a Greg, voltandomi per guardarlo.
La luce cupa dei lampioni gli disegna ombre gotiche sul volto, che gli danno un'espressione quasi grottesca.
«Non penso. La metà di loro era ubriaca fradicia e l'altra metà era troppo occupata a pominciare. Quelli che ti hanno vista avranno pensato che hai semplicemente spinto Simon»
«Così ho attirato ancora di più l'attenzione su di me» commento sottovoce, con gli occhi fissi sulla punta delle mie scarpe.
Alzo nuovamente lo sguardo.
«Clare! L'ho lasciata alla festa!» 
«L'ho vista parlare con un ragazzo, non credo sentirà la tua mancanza» ribatte Greg.
«Sul serio? Le mando almeno un messaggio per informarla»
Mentre cerco il cellulare, sento il ragazzo fare un sospiro e passeggiare intorno a me.
«È ancora presto» dice alla fine «Hai voglia di andare a bere qualcosa?»
Prendo una ciocca di capelli tra le dita.
«Che genere di bevanda?» chiedo.
Greg fa un sorriso:
«Puoi anche prendere del latte caldo col miele se ti va»
«Allora va bene» gli faccio una linguaccia e lui scoppia a ridere.
 
Qualche decina di minuti e di chilometri saltellanti sull'auto di Greg più tardi, ci ritroviamo seduti in un piccolo locale la cui insegna promette: "Drink e gelati".
L'arredamento è piuttosto scialbo e squallido, ma la coppa gelato che sto mangiando è squisita.
Anche il ragazzo ne ha ordinata una e prende piccoli cucchiaini alla volta che rimangono sospesi qualche istante prima di essere portati alla bocca.
Siamo gli unici clienti oltre ad un piccolo gruppo di uomini di mezz'età, quindi il locale è pervaso da un'atmosfera molto rilassante e pacata.
«Allora...» comincio nervosa «Di cosa vuoi parlare?»
«Di solito si mette in tavola un argomento e poi si segue quello» commenta lui, facendo volteggiare il suo cucchiaio.
«Ma io non so di cosa parlare, quindi comincia tu» gli rivolgo un sorriso smagliante.
«Ciao, mi chiamo Gregory, ho diciotto anni e sono un po' uno studente, un po' un raccoglitore di miele e un po' il braccio destro di un criminale.»
«Miele?» ripeto con un sorriso enorme «Raccogli il miele, quello...» faccio un gesto come per dire "Hai capito".
«A quale miele stai pensando oltre che quello delle api?» domanda lui perplesso.
Scuoto il capo divertita:
«Quando ti ho incontrato, la prima volta, ho pensato che profumavi di miele»
Lui rimane in silenzio, con il volto rilassato, come se fosse in contemplazione.
Poi mi fa un sorriso dolce e timido e ritorna alla sua coppa.
«Come hai conosciuto Will?» chiedo all'improvviso, senza neanche rendermene conto.
Lui fa un sorriso, riflesso di tempi lontani, e si adagia comodamente contro lo schienale della poltrona assaporando di ricordi che la mia domanda gli ha revocato.
«Avevamo dodici anni, credo.» comincia «Ero finito in Presidenza perché dei ragazzi più grandi mi avevano picchiato e mentre aspettavo il mio turno si sedette al mio fianco un ragazzino, come me, con dei capelli neri spettinatissimi, lo ricordo bene. Quando gli chiesi perché era lì, la risposta fu: "Hai mai provato a mischiare alluminio e acido cloridrico nel laboratorio di chimica? Be', non ci provare se non vuoi essere sospeso."»
«Quello fu l'inizio di una grande amicizia?» chiedo sorridendo.
Lui pare così nostalgico e felice.
«Sì» risponde «Di sicuro.»
Sorrido e sento come se tutto dentro di me si fosse calmato.
«Grazie» dico alla fine con riluttanza, temendo di rompere la magica atmosfera creata tra di noi.
«E di cosa?» chiede spostando gli occhi color cioccolato su di me.
Scrollo le spalle:
«Della chiacchierata, di avermi salvato da quella festa terribile»
Lui fa un sorrisetto divertito:
«Mi dispiace solo non averti potuto offrire latte caldo col miele»
Gli lanciò un po' della panna della coppa addosso e lo colpisco sul naso.
«Tié, te lo meriti!»
Scoppiamo entrambi a ridere come bambini.
 
 
L'aria della mattina è fresca e frizzante, riscaldata dai raggi tenui del sole che accarezza le strada intorno al campus.
È domenica mattina e ho deciso di fare una passeggiata per respirare il profumo della natura circostante per quanto consentito dall'intervento artificiale.
Il vento è leggero e delicato, come se riflettesse le sensazioni che provo ora.
Vedo, una figura venirmi incontro e mi preparo a salutare l'uomo che incrocerà il mio cammino.
Mentre si avvicina i suoi tratti si fanno più distinti, fino a delineare una persona che ben conosco.
Benedict Lennox.
«Buongiorno» saluto per prima quando siamo abbastanza vicini.
«Luna! Che piacere» replica lui e ci scambiamo le solite formalità chiedendoci come va la vita.
«Ti è stata inviata una mail con i dettagli per la prossima cena» dice lui d'un tratto.
Faccio un sorriso statico e annuisco.
«La leggo appena tornata a casa» rispondo, ma già sento un brivido scivolarmi lungo la schiena.
Un altro incontro.
Potresti fornire prove certe, rubare facilmente documenti di Benedict, raccogliere informazioni con cui prevenire le sue mosse e altre mille cose. Sarebbe decisivo.
Greg aveva ragione. Sono dentro il gioco, ma se aiuto chi è fuori, potrei davvero diventare un tassello fondamentale.
 
 
_____________________________________________________________________________
 
Ciao a tutti! Eccomi, in ritardo, per cui mi scuso infinitamente! 
Questo capitolo non mi sembra molto interessante, ma questa è una mia impressione e io non mi sono mai soddisfatta dei miei lavori. Mi scuso anche per gli eventuali errori di battitura:) 
Allora come al solito vi prego di recensire, per farmi sapere cosa ne pensate della trama, dello stile e dei personaggi, ho fondamentale bisogno di voi e dei vostri pareri!
Grazie se siete arrivati fin qui, alla prossima:D
Lux

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Capitolo 14
*** _Felicità ***


 
La penna si solleva sobbalzando.
Mantengo lo sguardo fisso su di essa, concentrata come non lo sono mai stata.
Ogni cellula del mio corpo è occupata su quella penna che resta sospesa in aria.
Sento una goccia di sudore formarsi sulla mia fronte per lo sforzo.
«Leach!»
La penna cade a terra con un ticchettio.
«Di cosa stavamo parlando?» chiede il professore con un'espressione arcigna.
Cerco un volto amico nell'aula, ma ricordo che nella classe di matematica non ho mai cercato di socializzare con nessuno.
«Io...» comincio «Ho perso l'ultimo passaggio»
«Non eri attenta!» replica lui come se stesse pronunciando la mia sentenza.
Resto in silenzio con lo sguardo vacuo fisso davanti a me.
«Per questa volta non prendo provvedimenti perché sei sempre stata attenta» continua il professore «Ma che non capiti mai più»
«Sì» rispondo annuendo decisa.
Quando lui si volta rimando immobile, consapevole delle occhiate che i miei compagni mi rivolgono.
Non rispondo a nessuna di queste e cerco di seguire l'attenzione per quanto possibile.
All'ora di pranzo vedo che Clare sta chiacchierando con un ragazzo, ma appena mi scorge si allontana per venire da me.
«Non volevo disturbarti» dico sorridendo ammiccante.
Lei scrolla le spalle:
«Non è un problema ci siamo scambiati solo due parole»
«Allora, chi è?» ammicco ancora.
Clare sbuffa, ma vedo le sue guance arrossarsi leggermente.
«L'ho conosciuto alla festa» spiega brevemente mentre ci mettiamo in cosa per il pranzo.
«E...?» la incito.
«Niente, abbiamo parlato un po' del più e del meno. A proposito, tu dove eri scappata?»
«Ti ho mandato un messaggio» replico stupita «Pensavo ti fosse arrivato»
«Certo che mi è arrivato, ma voglio sapere con chi te ne sei andata» ribatte prendendo lo stesso sguardo malizioso che le ho rivolto poco fa.
«Non farti film mentali. Era solo Greg.» rispondo con un sorriso.
«L'amico di Lennox?» domanda lei mentre posa il vassoio per riempirlo di cibo.
«Sì, lui» 
Resta in silenzio un istante, ma l'unico commento che le esce poco dopo è:
«Stai attenta»
Poi si preoccupa del pranzo e la conversazione cade, lasciandomi una sensazione spiacevole nelle ossa.
Dopo aver mangiato, Clare sfugge per risolvere una questione che non riesco a cogliere nelle sue veloci parole, così rimango sola e per ingannare il tempo decido di  passeggiare per il giardino.
Trovo una panchina vuota  e mi siedo, facendo vagare lo sguardo per il cortile zeppo di studenti.
L'aria è fredda e pungente, ma brilla un flebile sole che scivolando sulla pelle riscalda quanto necessario per percepire una temperatura ideale.
D'un tratto sento dei passi avvicinarsi, così mi volto, certa che si tratti della presenza ormai immancabile di Greg.
Quando riconosco il volto di Simon devo sbattere due volte le palpebre per accertarmi di aver visto giusto.
«Ciao» dice lui mentre tento di sciogliere le mie labbra dalla paralisi in cui sono cadute.
Si siede sulla panchina senza essere invitato, ma qualcosa nel suo atteggiamento lascia intendere che è teso.
«Cosa c'è?» chiedo cercando di tranquillizzarlo.
Si passa la lingua sulle labbra, come un tic nervoso, poi risponde:
«Per la festa di sabato, volevo scusarmi. Io...penso di essermi comportato male, ho bevuto qualcosa e non ero lucido»
«Di questo me ne sono accorta» replico tentando di mantenere un tono freddo.
«Mi dispiace» aggiunge lui in imbarazzo.
Alla vista di Simon con quello sguardo così tormentato non posso far altro che sentirmi il cuore sciogliere.
"Non volevi essere cattiva?"
Voce! Voce! Sei tornata! Voce! 
«Non preoccuparti» dico rivolta verso il ragazzo, mentre nella mia mente continuo a cercare di invocare la vecchia compagna di avventura che invece sta ritornando a fare un indignato sciopero del silenzio.
«È tutto okay tra noi due, allora?» chiede Simon. Leggo l'incertezza nei suoi occhi nocciola screziati di intarsi color smeraldo.
Alzo le spalle:
«Direi di sì»
Il suo volto si apre in un grande sorriso:
«Bene, bene. Grazie di avermi ascoltato Luna»
«Figurati...» replico senza grande convinzione.
Continuando a sorridere, si alza in piedi e se ne va, inspiegabilmente allegro.
«Okay, anche Simon Cox è un tipo strano» dico tra me e me.
"Così disse quella che parlava da sola" 
Voce! Lo sai che mi sei quasi mancata?
Nessuna risposta.
Rassegnata, lascio la panchina e ritorno verso altre ore di lezioni, nonostante la mia mente implori di fuggire da quel luogo per andare a fare qualsiasi altra cosa.
 
«Bene Luna, molto brava»
Dischiudo lentamente le palpebre, rivelando la figura di Jim in piedi davanti a me, con le mani dietro la schiena.
I suoi occhi sorridono, tersi e come al solito le sue rughe si distendono quando è sereno.
«Mi sono sentita più padrona del vento, in effetti» ammetto e sciolgo la mia schiena dalla rigida tensione in cui è rimasta a lungo.
«L'ho sentito» concorda l'uomo «Il tuo potere si percepisce nello spazio, più consistente»
Annuisco, soddisfatta dall'obiettivo raggiunto.
«Può andare per oggi, Luna, hai faticato abbastanza»
«Grazie per avermi dedicato tempo» sorrido mentre mi alzo in piedi.
Jim si volta leggermente, mostrandomi il suo profilo.
«Mi stai per offrire un tè?» chiedo divertita.
Vedo le punte delle sue labbra tendersi verso l'alto.
«Sono così previdente?» è il commento che sfugge dalla sua bocca.
Sorridendo lo seguo all'interno della casa.
 
Il grande giorno arriva.
Martedì 31 ottobre trascorre nella trepidante eccitazione di ciò che accadrà nella serata. Ogni avvenimento della giornata pare sfumato nell'impazienza se confrontato all'evento che sto aspettando.
Dopo scuola mi chiudo in casa, misurando l'ambiente ad ampi passi, sempre più nervosa.
Quando sento squillare il mio cellulare, scatto, tesa, e solo dopo qualche minuto riesco a realizzare che devo rispondere.
«Luna!» esclama la voce di Will dall'altro capo.
«Ciao» rispondo «Perché mi chiami?»
«Non ricordi che stasera sei invitata a cena da me?» replica lui senza perdere allegria.
«Certo, certo. Non pensavo mi chiamassi»
«Mio papà passa alle 18.30, va bene?»
«Certo» ripeto ancora, tormentandomi una ciocca di capelli.
«Tutto bene?» chiede lui.
Esito un istante, quanto necessario per far intuire al ragazzo che la risposta alla sua domanda non è del tutto positiva.
«Sei preoccupata per stasera?» domanda ancora, con un sospiro.
«Un po' sì» ammetto, sollevata che se ne sia accorto senza farmi parlare.
«Non dovresti. Ti ho già detto che i miei genitori sono a posto, sul serio. Sono persone molto tranquille»
«Allora può dirmi che genere di abiti devo mettere?»
Dall'altro capo Will sbuffa sonoramente:
«Non ho mai capito il problema femminile del vestirsi. Tanto ti sta bene tutto»
Sento le mie guance scaldarsi:
«Vestirsi bene è segno di rispetto»
«Ti assicuro che non ti caccerò di casa se sei vestita con i colori scoordinati»
Will mi strappa un piccolo sorriso nervoso.
«Va bene, allora vado a prepararmi» dico lanciando uno sguardo all'orologio.
Il ragazzo scoppia a ridere:
«Luna, sono solo le 16»
«Ho bisogno di tempo! Quindi ti saluto. Ciao, a stasera!»
Lui ride ancora, provocando una fitta nel mio petto.
«A stasera» mi saluta allegro e solo quando sento riagganciare, allontano il cellulare dall'orecchio.
Ascolto il cuore battere all'impazzata per qualche istante, come persa nell'assurda contemplazione di qualcosa di molto più meraviglioso di ciò che la mente umana possa concepire.
Okay, mi dico, devi smetterla di ragionare come una ragazzina follemente cotta di un idolo.
Decido che è meglio mettersi a fare qualcosa, prima di impazzire per tutta questa tensione.
Faccio qualche compito, riordino la casa, rispondo frettolosamente ai messaggi dei miei genitori che chiedono come vada la scuola, senza accennare al fatto che non li sento da quasi due settimane.
Alla fine decido di indossare camicia con maglione e semplici jeans, per non sembrare né troppo elegante né troppo sciatta.
Sono pronta in anticipo, ma continuo a specchiarmi per controllare che vada tutto bene, così quando arriva l'ora, sono ancora in bagno per rifinire il trucco che ho deciso all'ultimo di applicare.
Sento qualcuno bussare alla porta e il mio cuore accelera ancora all'improvviso. 
Torturandomi nervosamente una ciocca di capelli, mi avvio verso l'ingresso.
Quando apro, sulla soglia compare un uomo alto, dagli zigomi affilati sormontati da occhi blu.
Sembra la versione più giovane e gentile di Benedict Lennox, a giudicare dal sorriso caloroso che mi rivolge.
«Luna?» chiede. Anche la sua voce è piacevole e suadente.
«Sono io» replico con un sorriso smagliante.
«Sei anche più bella di quanto mi immaginassi. Mi chiamo George»
«Piacere...» comincio, ma interrompe con un gentilezza:
«Nessuna formalità, sono solo il padre di un tuo amico. Andiamo?»
Annuisco e dopo aver chiuso la casa, lo seguo lungo la via principale del campus.
Sul fondo è parcheggiata una Jaguar nera d'epoca.
«Prego» dice George aprendo la portiera del passeggero.
«Grazie» 
L'uomo prende posto al mio fianco, poi mette in moto e parte con velocità.
Sobbalzo sul sedile, tesa in un silenzio imbarazzato.
«Allora...» comincia lui per sciogliere la situazione «Sei inglese, vero?»
«Sì, so che anche la madre di Will lo è»
Sorride con tenerezza:
«Sì, l'ho conosciuta durante un viaggio ed è stato un colpo di fulmine...ma tu probabilmente non avrai voglia di sentire i vecchi ricordi di un vecchio uomo»
«In realtà mi piace ascoltare le persone parlare» ammetto più rilassata.
«Ti piace solo il suono che producono o ascolti anche le parole?» chiede ironico.
Mi sciolgo in una risata leggera:
«La seconda»
All'improvviso George fa una svolta brusca e vengo schiacciata contro il finestrino dell'auto.
«Scusa!» esclama lui dispiaciuto «La mia delicatezza è quasi peggiore di quella di Will»
«È un così pessimo guidatore?» chiedo incuriosita, massaggiandomi la guancia che ha colpito il vetro.
«Ha a malapena fatto in tempo a prendere la patente che si è fatto rinchiudere nel Centro Rieducativo» commenta George tranquillo.
«Si è fatto rinchiudere?» ripeto tra me e me, con gli occhi persi sul paesaggio esterno.
Ci stiamo allontanando dalla cittadina, così cominciano a comparire lunghi campi più o meno incolti.
«Poteva scegliere tra quello e il rinunciare a fare la guerra contro mio fratello, porgendogli pubblicamente le sue scuse. Will è sempre stato un tipo orgoglioso che non accetta di essere sconfitto»
Rimango in silenzio, temendo di suscitare ricordi spiacevoli, e continuo a far scorrere gli occhi sul paesaggio campestre.
D'un tratto l'auto svolta e supera una cancellata che non avevo notato.
Ci immettiamo in un viale che serpeggia attraverso un giardino disseminato di alberi elegantemente curati come se fossero sculture artistiche.
Sotto all'auto scricchiola la ghiaia di un bianco splendente, in contrasto con il color smeraldo dell'erba.
Superiamo una serie alti pioppi e finalmente compare la fine del viale.
Davanti a noi si staglia un'imponente villa bianco sporco, stile Liberty, alta parecchi piani e resa ancora più maestosa dagli archi raffinatamente decorati che compongono la facciata anteriore.
Intorno alla costruzione si stende un giardino splendente, come se ogni filo d'erba fosse stato lucidato a mano e ogni foglia degli alberi fosse stata ritagliata con cura.
George si ferma sulla fine del viale, a qualche metro dalla scalinata che conduce alla porta d'ingresso.
«Vai pure, io intanto parcheggio»
Annuisco, senza parole, e scendo dall'auto.
Sento gli scricchiolii della ghiaia sotto la suola delle scarpe, mentre avanzo, strabiliata dal capolavoro di architettura.
Salgo impacciata i gradoni e trovo il portone aperto.
Sulla soglia sta un uomo con un papillon nero.
«Benvenuta signorina Luna» mi saluta appena entro «Eravamo tutti in attesa del vostro arrivo»
Ancora senza fiato, faccio scorrere gli occhi per l'ingresso.
Mi trovo in un locale ampio, su cui scende una scalinata, proprio davanti a me.
Il soffitto è affrescato, come se si trattasse di una chiesa del Rinascimento, e contrasta con il bianco delle pareti.
«Ciao» una voce riecheggia nell'ampio spazio.
Ne cerco la provenienza.
Sopra alla scalinata c'è una figura familiare. 
Will, scalzo, con addosso dei pantaloni sformati e una felpa troppo larga, mi guarda,.
«Ciao» dico tutto d'un fiato, continuando a guardarmi attorno:«Perché non me lo hai detto?»
Lui infila le mani nelle tasche dei pantaloni.
«Dirti cosa?» replica «Che sono ricco sfondato? Pensavo ci fossi arrivata da sola.»
«Io...» comincio, senza fiato. Ogni angolo della costruzione catalizza la mia attenzione su di sé.
«Eccola qui, la nostra ragazza!» esclama una voce squillante, amplificata dall'eco dell'ingresso.
Dalla porta alla mia destra compare una donna alta, dai voluminosi capelli corvini e dal sorriso smagliante.
Il suo viso ha dei lineamenti che attirano subito l'attenzione, molto raffinati e simili a quelli di Will.
«Io sono Keira» mi saluta gioiosa «Sono così contenta che tu sia potuta venire!»
Finalmente la riconosco. È la donna che ho visto uscire dal Centro settimana scorsa.
«È un piacere mio essere stata invitata» rispondo gentile.
Keira mi si avvicina e mi abbraccia calorosamente.
«Non mi piacciono le formalità» sussurra allegra.
«Mamma, è appena arrivata, lasciala respirare» commenta Will scendendo dalle scale.
La donna mi lascia libera, ma continua a sorridere gongolante.
Poi mette a fuoco il figlio, avvicinato a noi:
«Aspetta, tu pensi di venire a cena conciato così? Anche se è Halloween nessuno ha detto che devi sembrare un mostro!»
Will sbuffa e fa roteare gli occhi, ma Keira gli tira uno  schiaffetto sul braccio:
«Corri a cambiarti! Veloce!»
Il ragazzo fa una smorfia, poi si volta e sale con svogliatezza le scale.
«Vieni Luna, andiamo in una stanza più confortevole» dice Keira con un sorriso e prende a braccetto.
M'irrigidisco leggermente, ma la donna non se ne accorge e mi conduce tranquillamene lontano dall'ingresso. Giungiamo in una sala arredata con colori più caldi, che pare essere una sala da pranzo.
Le lunghe finestre sono addobbate con voluminose tende scarlatte e i mobili sono in legno scuro, forse ebano.
Al centro c'è un lungo tavolo già apparecchiato per quattro solo in un angolo, ma Keira prosegue verso il fondo della stanza, dove sono sistemate alcune poltrone.
«Non è gentile sedersi a tavola quando non ci sono tutti i convitati e non è gentile far attendere in piedi un'ospite. Questo concilia le due cose» dice, invitandomi con un cenno a prendere posto sulla poltrona. Lei si siede su quella a fianco.
«Grazie per l'invito, prima di tutto» rispondo nervosamente. 
La donna sorride:
«Quando ti ho vista uscire dal Centro, ho subito pensato che fossi una brava ragazza e non ho saputo resistere alla tentazione di chiedere a Will di te. Lui ha solo confermato i miei sospetti»
«Davvero?» domando incuriosita, con le guance che si scaldano: «Posso chiedere cosa ha risposto, se non è indiscreto?»
Keira sorride ancora. Il suo sorriso è uguale a quello del figlio, contagioso e colmo di gioia sincera:
«Ti ha descritta con ammirazione ed interesse. Crede che tu sia intelligente, ma non saccente, bella, ma non arrogante»
«Sul serio?» esclamo sorpresa, ma soddisfatta dalla sua risposta.
La donna annuisce.
Il silenzio tra noi due non dura a lungo, perché si sente la porta della sala spalancarsi e dei passi rapidi avvicinarsi.
Io e Keira tendiamo il collo, per vedere George che ci viene incontro.
«Eccovi qui!» saluta l'uomo sfregandosi le mani «Dov'è Will?»
«L'ho mandato a cambiarsi, era impresentabile!» risponde la moglie con un leggero sbuffo.
Lui si china per lasciarle un bacio sulla guancia, poi prende posto sulla poltrona rimasta libera.
«Sembri nervosa, Luna» dice George guardandomi.
«Un po' lo sono. Non vi conosco e sono ospite nella vostra meravigliosa casa, quindi...» la mia voce si perde nell'imbarazzo.
L'uomo fa un sorriso rassicurante:
«La nostra casa mette in soggezione molte persone in effetti. È stato mio fratello a convincermi di costruirla così. Se Will ti ha detto anche solo poche parole su di lui, puoi ben immaginare che tipo di persona sia.»
«Will, si è...diciamo...lasciato molto trascinare nel descriverlo» commento, suscitando i sorrisi dei due.
«E dire che sono stato anche gentile» dice la voce nitida del ragazzo.
Ci voltiamo tutti e lo vediamo in piedi, davanti al tavolo.
Ha indossato una camicia e dei pantaloni più eleganti, anche se i capelli sembrano anche più arruffati di prima.
«Il meglio di te lo hai dato in tribunale, infatti» replica suo padre alzandosi in piedi: «Aspetta, com'è che avevi detto...ah, già: "insormontabile porco capitalista privo di una qualsiasi moralità dedito solo alla salvaguardia del proprio culo bastardo". Lì hai raggiunto proprio l'apice»
«Ho scelto con cura le parole, grazie» ribatte ironico Will, con un sorriso divertito stampato sulle labbra.
George ci invita a prendere posto a tavola e tutti obbediamo con entusiasmo.
«Ti avevo avvertito che dopo questa cena non vorrai mai più vedere qualcosa alla zucca, vero?» mi dice Will, sedendosi al mio fianco.
Keira, dall'altra parte del tavolo, gli scocca un'occhiataccia:
«Mio caro, se la cena non è di tuo gradimento,  puoi sempre portare il tuo sedere ribelle fuori da questa stanza.»
«Stavo scherzando!» ride lui.
«Sarà meglio per te» ribatte la donna, ma poi scoppia anche lei a ridere.
La cena comincia con allegria e semplicità, come non mi sarei aspettata.
George e Keira mi fanno domande gentili, ma non invadenti.
 «Sei inglese, giusto?» domanda la donna.
Annuisco.
«Dall'accento si direbbe del sud»
«Sì, casa mia si trova poco distante da Londra» rispondo con un sorriso.
Io e Keira chiacchieriamo della nostra patria, scambiando pareri entusiasti, come se fossimo sorelle ritrovate dopo lunghi anni.
«La cena è squisita, comunque» dico immergendo il formaggio sulla forchetta nella salsa di zucca.
«Visto?» la donna di rivolge a Will.
Lui sbuffa, poi commenta:
«Io e papà abbiamo un altro parere»
George annuisce, ma quando la moglie si volta a guardarlo, si paralizza e le rivolge un sorriso smagliante.
«Ti ho visto!» esclama Keira «Non puoi mentirmi!»
Lui addolcisce lo sguardo e la fissa negli occhi:
«Zollettina mia, sai che tutti noi amiamo la tua cucina, ma una cena intera, a base di zucca...»
«Da domani digiunerete allora, ingrati che non siete altro!» esclama la donna concitata.
Mi lascio sfuggire una risatina soffocata dal tovagliolo.
«Non ridere delle nostre disgrazie!» esclama Will con un'espressione tragica.
«Credo che ognuno sia artefice delle proprie disgrazie» commento.
«Vuoi zittirmi con una frase colta, signorina Leach?» replica con un sorriso sornione.
«So perfettamente che in quanto a cultura, ho poche possibilità di vincere» 
«Non sottovalutarti così» dice Will sorridendo.
Rigiro la forchetta sul piatto: «Non mi sono sottovalutata, ho detto che non vincerei, ma non che non raggiungerei il tuo livello»
«Acuta la signorina»
Alzo distrattamente lo sguardo su Keira e George. Si stanno lanciando occhiate complici e ammiccanti.
Mi raddrizzo, con le guance arrossate e riprendo a mangiare lasciando cadere la conversazione con Will.
«Potete continuare, non fate caso a noi!» dice la donna zuccherosa.
«Anche se seguissi il tuo consiglio resterebbe il fatto che tu ci sei, mamma, e non posso ignorarti del tutto» ribatte il ragazzo.
Lei sorride e la cena prosegue nel più piacevole dei modi.
Il piatto finale è una crostata di zucca, che nonostante le previsioni dei due uomini di casa, è molto buona. 
«Andate pure ragazzi» dice Keira alla fine «Così potete chiacchierare tranquillamente tra di voi» 
Il suo sorriso sembra ammiccare.
Will non risponde, ma mi prende per un braccio dicendo:
«Forza, togliamo il disturbo!»
«E Luna, mi raccomando: controlla che il mio bambino non si metta a fumare!» grida Keira dalla sala da pranzo, mentre noi siamo già tornati all'ingresso.
«Se solo ci provi, William, stanotte dormi in giardino!» si aggiunge la voce minacciosa di George.
Il ragazzo scoppia a ridere e continua a tirarmi su dalle scale.
Qualche minuto più tardi ci troviamo all'ultimo piano dell'enorme, in una grande stanza che sembra essere la camera da letto di Will.
La maggior parte dello spazio è vuoto e tutti i mobili sono concentrati in un angolo, composti essenzialmente da letto, libreria, armadio e una lunga scrivania.
Io e il ragazzo ci troviamo dalla parte opposta rispetto alla porta d'ingresso, affacciati al davanzale della finestra aperta.
Will tiene tra le dita sottili una sigaretta accesa.
«Ho completamente fallito nel mio compito» commento sporgendomi all'esterno.
Scorgo una tettoia coperta da tegole qualche metro più in basso e ancora più in giù il giardino scuro.
«Se non era tua intenzione impedirmi di fumare allora non devi sentirti delusa» ribatte Will espirando una nuvola di fumo. La osservo perdersi nel buio della notte, poi rimango immobile a fissare il ragazzo.
È tranquillo, ma comunque nella sua espressione si percepisce una perenne tensione, manifestata dagli angoli della bocca tirati.
Tiene le maniche risvoltate di qualche centimetro sopra i polsi, così da rivelare i tatuaggi che poi si arrampicano sotto la stoffa leggera della camicia.
«Mi stai fissando» dice con un sorriso tirato.
«Ti sto analizzando, è diverso» lo correggo senza riuscire a trattenere una punta di divertimento nella voce.
«E cosa hai dedotto, signorina Leach?»
Mi sollevo, per poterlo guardare meglio.
«Ho capito che non sei rilassato, o almeno non del tutto. Ma il tuo sorriso è strano, così...» m'interrompo un istante, concentrata «Così autentico...e non capisco perché»
Will sbuffa, liberando il fumo che gli era rimasto tra i denti.
«Perché il mondo mi diverte» è la risposta «Mi fa ridere, la gente, nel suo modo di atteggiarsi all'interno di un mondo così assurdamente adattato ai propri scopi che tentano di influenzare le scelte degli altri»
«Io...» cerco di concentrarmi sulle sue parole, per elaborarle.
Will sorride:
«Credo che tu ce la possa fare, Luna»
«Fare che cosa?»
«Staccarti dagli altri e decidere di testa tua. So che può sembrare una banalità, ma ci ho impiegato quasi diciotto anni per imparare a farlo»
Sorrido:
«Mi piace il tuo modo di pensare»
«Mi piace che ti piaccia» ribatte lui ridendo «Gli altri dicono che sono fuori di testa»
«Sono solo invidiosi» commento divertita.
Will si volta verso di me e i suoi occhi brillano contro il nero della notte.
Sento il suo respiro che sa di fumo accarezzarmi il viso.
Trattengo il fiato.
Dei colpi secchi sulla porta della camera fanno sobbalzare entrambi.
Il ragazzo spegne in fretta la sigaretta e chiude la finestra, mentre io vado ad aprire.
«Ciao Luna, anche tu guardi un film horror con noi?» saluta Greg sorridente sulla soglia.
Sgrano gli occhi e mi volto verso Will.
«Potrei aver omesso un dettaglio» commenta lui sfuggente.
Sollevo le sopracciglia: «Un dettaglio inconsistente, se non fosse per il fatto che non ho la minima intenzione di guardare un horror»
Will fa un sorrisetto: «Hai paura?»
Poso le mani sui fianchi: «Sissignore e tu non potrai convincermi!»
«Tu credi?»
«Non ho motivi per supporre il contrario» 
Greg fa saltare lo sguardo tra me e il ragazzo, come se non capisse da che parte penda questa battaglia verbale.
Will si avvicina rapido, ma senza fretta.
«Ti assicuro che non avrai paura» mi dice con tono solenne «Ti proteggeremo io e Greg»
Sollevo ancora le sopracciglia.
«Il ragazzo che mi ha aggredita con una pistola e quello che lo ha mandato, adesso sì che non ho nulla da temere» commento sarcastica.
Will si porta una mano sul cuore e sgrana gli occhi del colore dei lapislazzuli.
«Così mi ferisci, signorina Leach!»
«Non cederò!» informo risoluta.
Il ragazzo spalanca i suoi occhioni.
Le ginocchia mi si fanno molli. Il mio cuore accelera di colpo.
E qualche minuto più tardi mi ritrovo schiacciata tra Greg e Will, su un divanetto in una piccola sala, mentre dallo schermo del televisore compare il titolo del terrificante film che i due hanno deciso di vedere.
Mi è stato concesso di tenere una coperta, forse nel tentativo di sedare il mio broncio, e ho ferreamente deciso di non lasciarla, anche se qui sotto c'è un caldo soffocante.
I suoni del film mi giungono ovattati, così dopo un po' comincio ad assopirmi.
«Toc toc» mi sussurra una voce sul volto.
Spalanco gli occhi all'improvviso e trovo il viso di Will nella penombra sotto la coperta.
«Cosa ci fai qui?» chiedo con gli occhi sbarrati.
«Mi assicuro che tu non ti addormenti» risponde e le sue labbra si tirano verso l'alto.
Il suo volto è così vicino! Nel suo fiato c'è un vago sentore di fumo che si sta affievolendo. Mi basterebbe avanzare di due centimetri e le nostre labbra si abbraccerebbero.
Resisti! m'impongo con tutte le forze.
«Fallirai allora» commento con un sorriso tirato.
Will sorride, poi sento le sue dita colpirmi sullo stomaco.
Scoppio in una risata isterica, dimenandomi sul divano. 
«Proprio adesso dovevate giocare a farvi il solletico!» brontola Greg «Hanno beccato l'assassino»
«No! Voglio tornare sotto la coperta!» grido, ma una nuova risata mi scoppia dal petto.
Cerco di replicare al solletico, ma perdiamo l'equilibrio e rotoliamo giù dal divano, sul tappeto.
Greg sbuffa vistosamente.
Riesco a bloccare il ragazzo per un polso, ma lui continua ad attaccarmi sui fianchi.
Con l'altra mano tento di colpirlo e anche lui scoppia a ridere.
Rotoliamo l'uno sopra l'altra fino a scontrarci con il mobile che sorregge il televisore.
Will si lascia sfuggire un gemito e io ne approfitto per bloccargli anche l'altra mano.
«Arrenditi!» grido vittoriosa.
Lui ride ancora, col fiato corto.
Solo ora mi rendo conto che sono praticamente sdraiata sul ragazzo,con la guancia premura sul suo collo.
«Se volete esco, non c'è problema» commenta Greg sarcastico.
Balzo in piedi col volto infuocato.
«No, no!» esclamo con voce forse troppo squillante.
Will rimane sdraiato per terra, sorridendo tranquillo.
Non riesco a resistere e scoppio ancora a ridere.
 
«Ti sei divertita?»
Alzo lo sguardo su Will appoggiato al davanzale della finestra spalancata.
Ormai è passata la mezzanotte e l'aria che entra nella stanza è fredda e pungente.
«Sì, molto. Forse Greg un po' meno» dico sorridendo.
«Anche a lui è piaciuta la serata, non preoccuparti»
Faccio correre lo sguardo intorno a me: «È meglio che torni a casa adesso»
Will mi guarda stupito.
«Be', è tardi e non voglio disturbare ancora...» tento di spiegarmi.
«Luna, pensavo avessi capito. C'è una stanza libera per te, non è necessario che tu torni a casa ora»
Rimango immobile, interdetta.
«Se tu solo provassi a lasciare questa casa, mia mamma ti inseguirebbe e ti segregherebbe qui dentro.»
«Will...» comincio.
«Tranquilla, non verrò a disturbare i tuoi sogni stanotte» dice in un sussurro.
Come improvvisamente attratta dalla sua voce, avanzo verso di lui.
«Devo interpretarla come una cosa figurata o più concreta?» chiedo, ormai di fronte alla finestra.
«Quello che ti piace di più»
Sorrido, poi succede.
Il ragazzo mi prende per i fianchi e mi attira verso di sé.
Sento le sue labbra premere contro le mie e tutto sparisce, tutto perde importanza.
 
«Ragazzi?» chiama la voce di Keira fuori dalla porta.
Sobbalzo leggermente, ma sento Will posarmi una mano sui capelli.
Sono appoggiata al petto del ragazzo, sul suo letto e stiamo sfogliando un album di famiglia.
«Entra pure» risponde il ragazzo.
Mi metto seduta e continuiamo a sfogliare le foto distanti almeno mezzo metro l'uno dall'altra.
«Ciao» dice la donna entrando «Che carini, state guardando Will quando ancora non pensava a conformismi e ribellioni»
«Era un bambino bellissimo» replico con un sorriso.
«Non pensi che lo sia anche ora?» chiede Keira affettuosa.
«Un bambino? Forse sì» rispondo e la donna scoppia a ridere.
Il soggetto della nostra conversazione pare non gradire di esserne escluso, così ci interrompe:
«Mamma, hai un pigiama e dei vestiti per Luna? Non sapeva di essere costretta a dormire qui»
Keira sorride: «Certo, vieni con me»
Lascio il letto, poi la stanza e seguo la donna fino al piano inferiore.
Attraversiamo un corridoio infinito, fino a giungere in una camera da letto grande quanto quella di Will, ma molto più elegante e raffinata.
C'è un letto a baldacchino, di fronte ad un caminetto spento e molti mobili in legno scuro sparsi qua e là in modo accorto.
Keira apre una porta di fronte a quella da cui siamo entrate e  fa cenno che mi avvicini.
«Credo che abbiamo la stessa taglia, quindi prendi quello che vuoi»
Avanzo titubante e quando lancio uno sguardo nella stanza successiva, rimango strabiliata.
Si tratta di una cabina-armadio, che più che altro è una sala-armadio.
Sulla parete destra sono appesi in ordine di colore numerosi abiti, mentre su quella sinistra sono piegati su lunghe mensole.
Rimango incerta sulla porta, ma la donna mi esorta a scegliere quello che voglio.
Opto per un pigiama comporto da pantaloni stretti e maglia larga, e un cambio per domani di jeans e maglione.
«Sei una persona molto semplice» commenta Keira «Mi piaci»
Arrossendo, faccio un leggero cenno di ringraziamento.
Una decina di minuti più tardi, ritorno nella camera di Will, con addosso il pigiama.
«Ehi» mi saluta lui aprendo la porta «Sentivi già la mia mancanza?»
«Avevo voglia di chiacchierare un po' con te» rispondo sorridendo.
Lui mi fa entrare e ci sediamo ancora sul suo letto.
«Sei felice, Luna?» chiede d'un tratto.
Scruto i suoi occhi blu. Paiono tersi, come se non nascondano nulla, o meglio siano bravi a farlo credere.
«Sono dell'idea» comincio nervosa «Che la felicità sia un attimo effimero, che l'uomo tenterà per tutta la vita di raggiungere, ma senza poterne godere a pieno»
«Allora perché provare a cercarla?» domanda lui.
È interessato, lo si capisce dalla posa che ha assunto: ritto, pronto a captare ogni suono.
«Perché...perché questa ricerca è lo scopo della vita, senza il quale non avrebbe senso.» faccio un istante, cercando una sua reazione, ma ad eccezione del leggero sorriso perenne, non lascia trasparire nulla.
«E tu cosa ne pensi?» chiedo allora.
Will non risponde subito. Prende tempo, rigira le parole sulla punta della lingua, come assaporandole. Quando capisce di aver creato la giusta composizione, dice:
«Il mio parere personale è che la vita sia intrisa di felicità, in ogni suo istante e che stia nella capacità di ogni uomo, riuscire a coglierla sempre. Difficile, no?»
«Secondo il tuo ragionamento, quindi, anche ora c'è della felicità, giusto?»
Il ragazzo annuisce: «Certo, ma solo per chi sa coglierla»
«E come si fa a trovarla?» lo incalzo incuriosita.
Will abbozza un sorriso divertito: «Bisogna sentire la sofferenza e ricavarne una capacità di amare la vita ancora più grande. È per questo che dico che è difficile , non tutti lo sanno fare»
Incrocio le gambe vicino a me, sulle coperte del letto, pensierosa.
«Sei triste, Luna?» 
Lo guardo ancora. Ha un volto incredibilmente serio.
«C'è sempre e irrimediabilmente della tristezza nell'animo umano.»
Sorride e i suoi occhi brillano.
«Da cosa è data la tua tristezza?» mi chiede.
«Dal passato» rispondo senza esitazione.
«Da ciò che hai vissuto?» domanda ancora.
Annuisco.
«Però in ogni cosa rimane un briciolo di consolazione. Adesso non sei del tutto felice, ma pensa a ciò che hai, qui e oltreoceano»
Faccio una smorfia: «In Inghilterra c'è solo la mia famiglia, con cui non mi trovo comunque bene»
Will sbuffa: «Avrai pur degli amici...»
Stringo gli occhi e scuoto il capo, mentre mi si forma un groppo alla gola.
«Migliore amica?» ritenta lui..
Faccio ancora cenno di no.
«Mi stai dicendo che non hai mai avuto una migliore amica?» 
«L'avevo» rispondo con voce flebile e lo sguardo basso.
Will sospira, come se si fosse accorto dell'aria pesante che è piombata su di noi.
«Mi interessa la faccenda, ma non voglio che tu ti senta costretta a parlare. Se vuoi sono pronto ad ascoltarti»
Mi torco le mani nervosamente.
«Se vuoi sopportarmi posso parlarne» mormoro nervosa.
«Va bene, ma procediamo con cautela, okay?»
Annuisco: «Fai tu le domande»
«Quando è stata l'ultima volta che le hai parlato?» chiede Will con circospezione.
Abbasso le palpebre.
«Tre anni fa»
Il ragazzo pare sorpreso dalla risposta, ma tenta di non darlo a vedere.
«Perché avete smesso? Di chi è stata la colpa?»
«Di nessuna di noi due» rispondo e chiudo gli occhi caldi di lacrime.
«Non è stato a causa di un litigio?»
Scuoto il capo.
«È qualcosa di irrimediabile?» la voce di Will si fa stranamente esitante.
Annuisco e una lacrima mi riga il volto: «Sì, se n'è andata per sempre»
 
 
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Ciao a tutti! Mi scuso, prima di tutto, per il ritardo assurdo con cui pubblico il capitolo. Spero che vi sia piaciuto, ma per saperlo ho bisogno delle recensioni, quindi recensite!
Cercherò di aggiornare il prima possibile:)
Alla prossima
Lux

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Capitolo 15
*** _Dove divento una depressa adolescente innamorata ***


 
_Dove divento una depressa adolescente innamorata
 
«È qualcosa di irrimediabile?» la voce di Will si fa stranamente esitante.
Annuisco e una lacrima mi riga il volto: «Sì, se n'è andata per sempre»
 
Rimango immobile, con le guance coperte di lacrime.
Will si avvicina, poi lo sento avvolgermi con le sue braccia. Poggio la fronte contro il suo petto e soffoco un singhiozzo.
Piango, sorretta da lui, come se fosse la cosa più naturale del mondo.
Ho pianto poche volte in vita mia e non avrei mai pensato di farlo davanti ad un ragazzo che conosco solo da qualche settimane.
Lui sussurra qualcosa, ma non riesco ad afferrare il significato delle sue parole.
Chiudo gli occhi, senza fiato.
Lentamente scivolo sul letto e mi addormento senza rendermene conto.
 
Mi sveglio di soprassalto nel cuore della notte. 
Scatto seduta, senza fiato.
Poco alla volta i miei occhi mettono alla luce la stanza rischiarata dalla leggere penombra e ricordo dove mi trovo.
Al mio fianco dorme Will. Guardo il suo viso sottile.
Le ombre della notte ne nascondono il pallore e le occhiaie, restituendogli un minimo di giovinezza perduta. Tutte le rughe sono distese, gli occhi riposano tranquilli, senza tormento.
Con questa visione dipinta sulle palpebre, mi lascio ancora una volta andare in un sonno profondo.
 
 
Quando la mattina successiva, elaboro che ho passato la notte con il ragazzo che mi piace da impazzire, dopo aver sporcato la sua felpa di lacrime e mascara perché gli ho rivelato uno dei miei più intimi segreti, decido che è meglio cominciare a pensare al luogo migliore in cui seppellirmi viva.
Fortunatamente Will non è nel letto al mio risveglio e si risparmia una chioma leonina e gli occhi arrossati perché ho dimenticato di togliere le lenti, una delle quali vaga ancora sotto la palpebre.
La tolgo in fretta, imbarazzata, poi strizzo gli occhi per vedere meglio la zona circostante.
Trovo la mia borsa, poggiata su uno dei due comodini vicino al letto, così frugo fino a trovare gli occhiali e noto che a fianco c'è anche un foglio.
 
Sono nella sala da colazione, al piano terra. Ti aspetto là. Cerca di non far capire che esci da camera mia, signorina Luna Kailee Leach.
 
Sento un improvviso rossore inondarmi le guance. Ripongo il biglietto e decido di alzarmi. Sulla sedia accanto alla scrivania sono piegati gli abiti che mi ha dato Keira ieri sera.
Mi cambio in fretta, poi esco nel corridoio alla frenetica ricerca di un bagno.
Ne trovo uno qualche porta più avanti e dò inizio al processo "Restauriamo Luna".
Riesco addirittura a trovare un mascara, così me lo passo velocemente sulle ciglia nel disperato tentativo di rinvigorire il mio sguardo.
Qualche minuto più tardi scendo lo scalone principale e riesco a perdermi con un'abilità straordinaria.
Fortunatamente trovo una donna vestita da cameriera che mi dà indicazioni per raggiungere la sala da colazione.
Quando finalmente faccio il mio ingresso, trovo Will accasciato svogliatamente su una sedia, mentre mangiucchia il cibo che c'è sul tavolo.
Dalla parte opposta della stanza, che non è molto ampia, rispetto alle altre che ho visitato, c'è Keira, davanti ad un bollitore di acqua calda.
«Buongiorno» saluto sfoggiando un sorriso radioso.
Will alza lo sguardo su di me e l'unica cosa che cambia nella sua espressione è un lampo negli occhi azzurri.
«Buongiorno Luna. Will, l'hai salutata?» replica Keira.
Lui sbuffa: «Sì, mamma»
«E io non ti ho sentito» ribatte lei piccata. Soffocando una risatina vado a prendere posto di fronte al ragazzo.
«Ho salutato con gli occhi» risponde lui rivolgendomi un sorriso fugace.
«Gli occhi possono essere ambigui. Salutatala»
«Mamma, ormai si è già seduta!»
«S-a-l-u-t-a-l-a» scandisce la donna con uno sguardo severo.
«Ciaooo Lunaaa» dice il ragazzo.
«Ciao Will» rido.
«Contenta?» chiede lui voltandosi verso la madre.
Keira non risponde, ma il suo atteggiamento gongolante è abbastanza espressivo.
Non c'è tempo di aggiungere altro perché il bollitore comincia a fischiare, attirando l'attenzione di tutti.
«Ti piace il tè, Luna? O preferisci il caffè? Oppure latte?» domanda la donna.
«Tè va benissimo» rispondo e il mio pensiero vola al caro Jim.
Qualche minuto più tardi Keira ci serve due tazza fumanti e si allontana annunciando che cercherà di far alzare George dal letto.
Quando rimaniamo soli, tra me e Will cala il silenzio.
Mi schiarisco la voce e contemporaneamente lui scoppia a ridere.
«Cosa è successo?» chiedo con una punta di imbarazzo nella voce.
«Mi fa ridere il tuo imbarazzo» risponde diverto.
Cerco di mettere il broncio, anche se è difficile con gli occhioni enormi di Will che ridono davanti a me.
Il ragazzo gira il cucchiaino nella tazza, poi si solleva le maniche della felpa, mettendo in mostra i tatuaggi.
«Ieri sera hai detto di non avere un buon rapporto con i tuoi genitori» commenta, facendo scivolare lo sguardo su di me, come se non gli interessasse veramente, ma un luccichio nell'ordine tradisce il suo comportamento.
Sospiro.
Meglio parlarne prima che faccia la domanda diretta.
«Mia mamma è una persona che si preoccupa dell'aspetto esteriore piuttosto che della sostanza. Ha sempre cercato di farci apparire una bella famiglia, ma non si è mai sforzata di esserlo veramente. Mio papà la segue e anche se ci vuole bene non può fare molto, dato che è quasi sempre fuori casa per lavoro»
«Come hanno preso il tuo trasferimento in America?» chiede ancora, prendendo la tazza tra le mani.
«Non molto bene» confesso «Forse temevano che sarei potuta cambiare, lontano da loro»
Will non risponde e io, dopo aver parlato di cose private, mi sento in diritto di richiedere  qualcosa in cambio.
«E i tuoi cosa hanno detto quando hai deciso di combattere contro Benedict?» domanda.
Le labbra del ragazzo si piegano in un sorriso storto.
«Sono sempre stato una testa calda. La loro scelta è stata solo tra rimanere i miei genitori come al solito o rinnegarmi. Hanno optato per la prima»
«Hai dei grandi genitori» commento.
Lui scrolla le spalle, ma sta sorridendo.
 «Mi sono appena ricordata di una cosa!» esclamo all'improvviso «Tuo zio mi ha mandato una mail per il prossimo incontro. Ti interessa?»
«Mi stai chiedendo se mi interessa sapere dove il mio acerrimo nemico si ritrova con i suoi più spietati alleati così che io possa pensare di organizzare qualcosa di serio? Cazzo, sì!»
Rido: «Peccato che tu sarai in prigione»
Il ragazzo fa un sorriso divertito.
«La tua intelligenza fa invidia alla mia, signorina Leach. Se solo io non fossi così dannatamente previdente...»
Mi metto a ridere, scuotendo il capo.
«E cosa hai intenzione di fare?» chiedo poi mi metto a sorseggiare il tè caldo.
«Non te lo dico» William fa un sorriso serafico da far invidia a Jim.
Nascondo un sorrisetto dietro alla tazza.
«Perché no?»
«È un segreto professionale»
Faccio il broncio e lui scoppia a ridere.
Poi all'improvviso si fa serio. La mia espressione si spegne con la sua.
«Luna, riguardo al bacio di ieri sera...»
«Sì?» la mia voce diventa debole.
"Lascialo parlare"
Voce, cosa ci fai qui?
"Mi assicuro che tu non faccia stupidate."
«Be'» comincia il ragazzo «Credo sia stato causato dalle circostanze. Probabilmente nello stesso luogo, ma durante una conversazione diversa, oppure con la stessa conversazione ma in un posto diverso, non sarebbe accaduto. Voglio dire, quel bacio non significava nulla»
Rimango in silenzio con lo sguardo vitreo su di lui.
«Era una cosa da chiarire. Non vorrei che tu pensassi che io lo abbia fatto per poterti sfruttare contro mio zio» aggiunge a voce bassa.
Mi sento morire dentro. 
Come se mi avessero mostrato la cosa più bella del mondo e poi, ridendo sguaiatamente, me l'avessero portata via affinché io non la possa mai avere.
Fermare le lacrime è difficile, soprattutto con il cuore che scalcia nel petto desideroso di farsi sentire, ma riesco a trattenerle.
Fisso Will, nei suoi occhi blu enormi, occhi che non mi appartengono e non mi apparterranno.
«Dì qualcosa...» mormora il ragazzo, addolorato, quasi fosse lui a provare questa indescrivibile piaga che mi sta infiammando il petto.
Questo è il momento per ribadire ciò che penso, ciò che provo, ma uno scambio di sguardi con gli occhi color zaffiro, fa sparire i miei pensieri.
«Hai ragione» mento sottovoce «È stato uno sbalzo del momento»
Will sembra ritornare improvvisamente allegro. Sfodera un sorriso scintillante, come se volesse rigirare il coltello nella piaga.
Poi arriva l'ultimo affondo:
«Allora amici, come prima?»
Annuisco e mento a tutto il mondo con un sorriso falso.
 
Caro Will, 
Mi dispiace, prima cosa, per averti mentito. Io provo qualcosa per te. Qualcosa di indescrivibile, qualcosa che non ho mai provato per nessun altro. Ogni volta che ti vedo è come se tutte le stelle del firmamento si concentrassero nei tuoi occhi blu e brillassero nel tuo sorriso. Credo si chiami Amore, l'amore sventurato di chi non è corrisposto. Quante opere ho letto, quante parole sono state scritte nell'amara consapevolezza di non potere ottenere ciò che più di tutto si desidererebbe. 
Ciò che io desidero? Perdermi tra le tue braccia, sentire il tuo profumo che sa di libertà anche se sei in un carcere, guardarti fumare, quando il tuo sguardo si fa lontano e viaggia oltre i confini stabili della realtà, ascoltarti parlare, con quella luce che illumina il tuo sguardo e quel sorriso che rischiara tutto ciò che ti circonda.
La gente non lo capisce, ma dentro di te c'è un bene enorme, una bontà duramente soppressa dalle costrizioni della società. L'ho capito in un tempo così limitato. L'ho imparato dalle tue risate e dal tuo divertimento, dalla tua disponibilità e dal tuo desiderio di aiutare chi ti sta attorno.
Non c'è arroganza nella tua sicurezza, non c'è scherno nelle tue risa e non c'è malvagità nel tuo impegno.
Sto scrivendo queste righe di getto, nel buio della notte, con il cuore che martella nel petto e con le lacrime che mi rigano il volto. 
Voglio scusarmi per la terribile codardia che ho dimostrato quando davanti a te, non ho avuto il coraggio di gridare: «Ti amo!».
La mia paura più grande era quella di perderti, di non poter più godere del solo starti accanto. E quando hai detto che saremmo stati solo amici, ho sentito divampare dentro di me l'impossibilità di essere altro ai tuoi occhi. E mi dispiace per questo. Mi dispiace perché quando leggerai queste parole mi vedrai come l'incapace che sono. Scoprirai la mia incapacità di ribellarmi, l'incapacità di essere me stessa, l'incapacità di gridare contro la massa, l'incapacità di combattere per ciò in cui credo, l'incapacità di essere coraggiosa. 
E mi dispiace davvero tanto, perché tu non meriti una persona del genere. 
 
Luna
 
 
Will abbassa il foglio e mi guarda negli occhi. Il mio cuore accelera all'improvviso, isolandosi dalle grida degli altri ragazzi del Centro intorno a me.
«Tieni» mi passa la carta, senza sorridere.
Cerco di apparire tranquilla, ma mi tremano le mani.
Lancio un'occhiata fugace alle scritte sul foglio.
Si tratta della mail di cui mi parlava Benedict. L'ho stampata e l'ho portata a Will, il quale, passato Halloween, è ritornato al Centro Orwell.
Caccio dalla mia mente, la lettera che ho scritto questa notte. È ovvio che non la consegnerò mai a Will, ma non riesco a dimenticarmene neanche per un istante.
Dopo averla finita, ho appallottolato il foglio e l'ho gettato a terra.
Questa mattina, quando l'ho ritrovato, mi sono messa a lisciarlo e l'ho nascosto in una copia de "Il giovane Holden" che avevo a portata di mano.
«C'è qualcosa di interessante?» chiedo fingendo noncuranza.
Il ragazzo alza le spalle, ma sorride:
«Nella norma»
Sbuffo, scuotendo il capo, e decido di allontanarmi per tornare al vero motivo per cui mi trovo qui, cioè Marcelo.
«Interessante la chiacchierata con Will?» domanda il ragazzino quando lo raggiungo. 
«Molto, ma tu dovresti preoccuparti di matematica!» replico e tra una lamentela e l'altra lo convinco a rimettersi sui libri.
Quando suona la campanella, il ragazzino si fionda a far merenda, mentre io rimango seduta al tavolo.
Lo vedo abbuffarsi come se fosse da mesi che non mangia e non riesco a trattenere un autentico sorriso.
Dopo la pausa riprendiamo i compiti, anche se Marcelo si stanca subito.
«Cosa hai fatto ad Halloween?» mi chiede, nel disperato tentativo di distogliere la mia attenzione dalla matematica.
Cedo con un sospiro.
«Ho cercato di non guardare un film horror» rispondo vaga.
Lui ride: «Perché?»
«Perché mi faceva paura, è ovvio!»
«Io invece ne ho guardato uno intero!» confessa orgoglioso.
Gli rivolgo un sorriso entusiasta e lo rendo contento.
Alla fine del mio turno, lo saluto con un abbraccio e mi volto per cercare Will.
Lui è concentrato su qualche foglio, ma ad un tratto alza gli occhi.
Quando incrocia il mio sguardo sorride e alza la mano per salutarmi.
Ricambio, imbambolata.
Poi, con uno sforza di volontà, mi volto e lascio il Centro.
 
Schizzo fuori dal bagno, infilo le scarpe, le allaccio a casaccio, poi balzo nel viale.
Sono le sette e cinquanta di mattina e, come al solito, io sono in ritardo.
Cammino a passo rapido verso la scuola.
«Buongiorno» mi saluta una voce familiare.
Clare mi ha affiancata con un'espressione imperscrutabile.
«Buongiorno anche a te!» esclamo ad alta voce «Anche se temo che questo augurio sarà vano!»
Lei corruga la fronte, ma non fa commenti.
Entriamo nel corridoio principale della scuola e ci dirigiamo verso la nostra prima classe.
«Come va con il ragazzo della festa?» chiedo d'un tratto.
Lei mi rivolge uno sguardo severo, ma poco a poco lo addolcisce.
«Direi nella norma.»
«E...? Vi siete sentiti? Per messaggio? Per chiamata...?» la incalzo.
«Siamo usciti assieme, solo una volta.» ammette facendo spallucce.
«Cosa? Davvero?!» esclamo entusiasta per lei. Sono davvero contenta che abbia trovato qualcuno che l'apprezzi per ciò che è.
«Sì, ma solo come amici.» precisa, scoccandomi un'occhiata ammonitrice.
Siamo arrivate in classe e ci sediamo in fondo all'aula, vicine.
«E lui ti piace?» chiedo con un sorriso innocente.
Clare sospira:
«È carino, simpatico...»
«Ma?»
Scrolla le spalle. 
«Non so, lascia perdere»
Lascio perdere davvero. Un po' perché è entrata l'insegnante, un po' perché non voglio tartassarla troppo, so che lei non lo farebbe con me.
Me ne sto in silenzio e mi preparo ad ascoltare la lezione.
 
All'ora di pranzo, mi dirigo verso la mensa, alla ricerca di un volto amico. Ho perso di vista Clare prima dell'ultima lezione, dato che l'abbiamo diversa, e non ho visto Greg da stamattina.
Decido di prendere il pranzo e cercare un tavolo.
Appena sono seduta, sento qualcuno avvicinarsi. Quando alzo lo sguardo rimango stupita. È Simon Cox, con un gruppo di amici che lo attende qualche passo più indietro.
«Ciao» mi saluta con un sorriso sicuro di sé che nasconde un pizzico di imbarazzo.
«Ciao» rispondo incuriosita.
«Sabato sera faccio una festa, in un locale in centro, per il mio compleanno. Sei invitata, se ti va»
Lo guardo incerta, tormentandomi una ciocca di capelli.
«Ti giuro che non proverò a baciarti a meno che non sia tu a chiedermelo» dice sbuffando una risata.
Sorrido anche io.
«Non ho motivi per rifiutare allora»
«Perfetto, a domani allora. Scusa se non ti ho dato molto preavviso»
Simon si allontana ridendo con i suoi amici e mi lascia con un sorriso leggero sulle labbra.
«Se hai appena accettato un invito di Cox, be', sono deluso da te, Luna» commenta Greg, comparendo all'improvviso.
Prende posto di fronte a me con la fronte aggrottata.
«Temo proprio di averlo fatto» replico candida.
Lui è ancora più perplesso.
«Perché lo hai fatto?» chiede.
Sento un leggero fastidio scaturire a causa della sua domanda, ma rispondo comunque: «Perché un ragazzo mi ha gentilmente chiesto di andare al suo compleanno e non avevo scuse per non accettare»
Greg mi rivolge gli occhi color caffè più seri che abbia mai visto:
«Luna, fino a settimana scorsa lo odiavi. Cosa ti ha fatto cambiare idea?»
Scrollo le spalle: «Si è scusato con me per quello che ha fatto, è stato carino»
Il ragazzo fa una smorfia: «Cosa devono sentire le mie povere orecchie! Questa volta non ti vengo a salvare e non sarà il caso di usare di nuove il tuo potere...»
Mi rabbuio.
«So cavarmela da sola»
«Non è di te che non mi fido, ma di Cox» commenta lui.
Porto le mani sui fianchi in modo quasi istintivo: «Questo lo pensi tu o lo pensa Will?»
Greg mi fissa per un istante, poi scuote il capo: «Lo pensiamo entrambi. E Will tiene abbastanza a te da non volere che ti causi problemi.»
«Ma Will non lo deve venire a sapere» commento con un accenno di malizia nella voce.
Il ragazzo sbuffa, fingendosi seccato, ma le sue labbra si piegano verso l'alto.
«Sto cominciando a tenere un po' troppe cose segrete al mio migliore amico» commenta.
«Non sei una ragazza, siamo noi quelle per cui: "Non lo dico a nessuno" esclude la propria migliore amica.» ribatto divertita.
Greg fa un'altra smorfia poco convinta, ma l'arrivo di Clare gli impedisce di continuare.
Sfoggio un sorrisetto vittorioso, facendolo sbuffare ancora una volta, divertito.
 
Dopo le lezioni vado in biblioteca, che come al solito, è deserta. 
Giocherello con penne e libri leggeri, facendoli svolazzare sulla mia scrivania e lasciandoli cadere con un tonfo appena sento qualcuno avvicinarsi.
Finalmente riesco a governare bene il vento, anche se per oggetti piccoli. Non ho provato a mantenere il controllo a lungo, ma sono convinta che non mi costerà una grande fatica.
Ho elaborato piuttosto bene l'idea di questo potere e sto cominciando a conviverci piacevolmente.
Rufus, l'uomo che ha inseguito me e Greg sui tetti della scuola, non si è più fatto vivo, e questo mi fa presupporre che non abbia più alcun interesse nel tenermi sotto controllo.
Oggi ho incrociato Jim nel corridoio, ma non sono riuscita ad avere una conversazione seria con lui.
Sola nella biblioteca, mi ritrovo in balia dei miei pensieri.
Di colpo mi assale il ricordo di Corinne. Pensavo di averla rimossa, di aver rielaborato il lutto, ma averne parlato con Will ha riportato alla luce il ricordo e le lacrime ritornano a premere forti contro le palpebre serrate.
 
«Non piangere Luna. La vita è così e io l'ho accettata. La tua tristezza non cambierà nulla, quindi...sii felice! Ridi per me! Ama per me! Vivi per me! Non devi sentirti in colpa, io sono contenta della mia vita, sono contenta di averti incontrata. Sei stata il dolce e l'amaro in ogni cosa. Ti voglio bene, come non l'ho mai voluto a nessuno, devi saperlo questo. E quando non ci sarò più...»
 
Sento le lacrime rigarmi le guance. Non l'ho mai lasciata finire. Non ho mai voluto che finisse. Ma lei è finita, per sempre, irrimediabilmente.
A tredici anni sapevo cosa fosse una malattia, ma non riuscivo a concepire perché avesse toccato una persona che io amavo. 
Sono passata dalla fase del "Ho capito, vita, che mi vuoi far soffrire", quando pensavo che Corinne sarebbe morta di sicuro, a quella "Perché lei muore, mentre io ho ancora tutta una vita davanti?" quando l'ho vista fragile e inerme nel letto d'ospedale.
Mi passo una mano sul viso, nel tentativo di ricompormi, quando sento dei passi avvicinarsi.
Prendo un respiro profondo.
Vedo entrare un professore e mi chiede se un libro è disponibile.
Controllo meccanicamente l'elenco, poi scuoto il capo.
Lui se ne va, senza salutare e io rimango nel silenzio della biblioteca, con il mio cuore infranto.
 
«Sei venuta alla fine!» esclama Simon accogliendomi sulla porta del locale dove si svolge la sua festa.
Sfoggio un grande sorriso.
 «Già, in fondo cosa mi costava?» replico, anche se in realtà ci sarebbe una risposta alla mia domanda.
Venire mi è costato una litigata con Greg davanti alla porta di casa mia, lui che mi diceva di non andare e io che lo supplicavo di accompagnarmi in auto.
Alla fine ha ceduto, solo perché ho minacciato di farmela tutta a piedi al freddo e al buio, ma ha tenuto il broncio per tutto il viaggio.
«Ehi, ti ho vista arrivare col catorcio dell'amichetto di Lennox» dice uno degli amici di Simon, appena entro, alitandomi addosso un fiato che sa di alcool.
L'invitato lo allontana seccato e mi prende per un braccio:
«Tu ignorali, se bevono non sanno più quello che dicono»
Annuisco guardandomi attorno.
La sala principale è molto ampia, soprattutto perché ogni mobile è stato spinto contro le pareti in modo da lasciare un grande spazio libero nel mezzo, dove si susseguono luci veloci e colorate.
Ci sono oltre una cinquantina di persone, che mangiano, parlano fra loro, bevono, o si dimenano al centro, fingendosi grandi ballerini.
Mi lascio tirare da Simon in un angolo, a disagio.
«Conosci qualcuno?» mi chiede lui.
Faccio scorrere lo sguardo sulla folla. Scorgo Zoey, la cheerleader che ha cercato di arruolarmi, ma nessun altro che mi abbia mai rivolto la parola.
Scuoto il capo.
«È una buona occasione per fare nuove amicizie» replica ad alta voce, per sovrastare il rumore della musica che hanno fatto partire.
Rimango in silenzio, sempre più a disagio. Questo ambiente non mi appartiene. Sono una persona che preferisce rimanere chiusa in casa a leggere, piuttosto che ascoltare musica a palla.
«Vado a prenderti qualcosa da bere» dice Simon e prima che io possa impedirlo si allontana.
Rimango sola per molto poco, perché ritorna subito con due bicchieri fra le mani.
«Tieni»
Lo sorseggio per gentilezza, anche se l'alcool che brucia lungo la mia gola rischia quasi di soffocarmi.
«Tu e Lennox state insieme?» domanda lui d'un tratto.
La bibita mi va di traverso e tossicchio, con le lacrime agli occhi, per tentare di respirare nuovamente.
«No!» dico con voce strozzata «Perché lo chiedi?»
«Ti vediamo sempre con il suo amico, pensavamo ci fosse qualcosa dietro.» commenta con una scrollata di spalle.
«Aspetta, che cos'è quel plurale?» esclamo con il volto arrossato. Spero vivamente che le luci nascondano il colore delle mie guance.
«Intendevo me e qualche mio amico. Ne stavamo parlando oggi»
«Voi parlate di me e Will?»
Simon fa un sorrisetto divertito: «Noi parliamo di te, Luna. Non credi?»
Non so quanto la pelle umana sia in grado di sopportare il calore, ma di sicuro sto battendo ogni limite, perché ora il mio viso va a fuoco.
«Sei tutta rossa!» ride Simon.
«Be', è imbarazzante...» tento di spiegare, ma la situazione non migliora affatto.
Il ragazzo sbuffa un'altra risata, poi mi prende per un fianco e mi tira al centro della sala.
Svuoto il bicchiere che avevo in mano in un unico sorso, così lo posso lasciar andare.
All'improvviso sento la mia testa farsi leggera e vaga. La musica slava le altre sensazioni, tutto si perde nel turbinio delle luci, delle note e dei corpi che si stringono intorno a me.
Allora decido ballare, perché ne ho una voglia matta.
Mi dimeno, insieme a tutti gli altri, grido insieme a loro. Percepisco le mani di Simon che di tanto in tanto si posano sui miei fianchi per non farmi allontanare troppo.
Gli spazi si sfumano e svaniscono. I ragazzi urlano e io urlo con loro, ridendo come una matta.
Di colpo percepisco un freddo pungente colpirmi le braccia nude.
Sbatto più volte le palpebre, cercando di mettere a fuoco il posto in cui mi trovo.
Sento ancora la musica della festa, alle mie spalle, ma il mal di testa la rende simile al ritmo pulsante di un tamburo, piuttosto che ad una melodia.
Sono nel piccolo giardino sul retro del locale, sotto il cielo nero e nel freddo della notte.
Al mio fianco c'è Simon, accasciato come me contro uno steccato.
«Cosa è successo?» chiedo articolando le parole a fatica.
Lui fa un sorriso leggero: «Stavamo ballando, non ti ricordi?»
Cerco di scuotere il capo, ma non riesco a capire l'effetto che ottengo.
«Stavi ripetendo "aria", quindi pensavo volessi uscire. Vuoi rientrare?»
Rimango in silenzio e prendo un respiro profondo. Okay, non ha accennato a nulla di sconveniente che potrei aver fatto.
«Credo che tu abbia avuto un mancamento, per questo non ricordi» aggiunge Simon voltandosi verso di me.
Annuisco. Qualsiasi cosa abbia bevuto, ne sento ancora gli effetti.
È come se qualcuno picchiasse con violenza contro le mie tempie, impedendomi di pensare lucidamente.
«Stai meglio?» chiede Simon.
«Sì, grazie...per avermi portata qui...»
Lui arriccia le labbra, ma non fa commenti.
Rimaniamo in silenzio, a fissare le stelle. È una notte insolitamente serena.
«Se devo essere sincero, non pensavo che saresti venuta stasera.» dice il ragazzo poco dopo.
«E perché?» chiedo sorpresa.
«Credevo di non starti per nulla simpatico, ma sopratutto che tu fossi insieme a Lennox. Io e lui siamo l'uno l'opposto dell'altro. Se ti piace lui, non ti piaccio io.»
«Non è vero...» mormoro, senza rendermene conto.
Lui scrolla le spalle.
«Sei strana Luna» aggiunge poco dopo «Non sei come le altre ragazze e questo mi piace di te. Sei...contorta. Non sei una persona facile e noiosa.»
Una ragazza contorta per un ragazzo tormentato. Forse io e Will staremmo bene insieme.
Ma lui ha chiaramente affermato il contrario. Freno le lacrime ancora prima che il mio cervello concepisca di produrne.
Mi volto ancora verso Simon e i nostri nasi si sfiorano. Non mi ero accorta che fosse così vicino. Ha degli occhi grandi, con dei filamenti color smeraldo che si arricciano intorno alla pupilla.
Sento una lacrima che minaccia di superare l'argine degli occhi. 
Decido di lasciarlo fare. 
Lascio che Simon mi baci, tenendo il mio volto tra le sua mani calde, come lui voleva.
 
 
_________________________________________________________________________
 
Eccomi tornata, con un capitolo soddisfacente a seconda dei vostri gusti! Mi scuso per il ritardo con cui ho aggiornato, spero di trovare maggiore tempo con le vacanze di Natale! Allora, ringrazio tutti quelli che hanno recensito gli ultimi capitoli, EleEmerald, AoiRan, BloodChocolate e KaynBlack. Grazie! I vostri pareri sono importanti! Quindi fatemi sapere cosa ne pensate della storia, della piega che ha preso la trama, dei personaggi e di tutto quello che mi volete dire! 
Grazie se siete arrivati fino a qui, alla prossima:)
Lux


 

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Capitolo 16
*** _Dove parlo con il ragazzo che amava il ragazzo che amo ***


 
_Dove parlo con il ragazzo che amava il ragazzo che amo
 
Simon si stacca da me e mi guarda negli occhi. All'improvviso mi rendo conto di ciò che ho fatto.
Ho baciato un ragazzo, che non mi piace, solo per colmare il vuoto che un'altra persona ha lasciato.
"Sei spregevole, Luna"
Non avevo bisogno di te per saperlo.
"Volevo ricordartelo"
Balzo all'improvviso in piedi e i miei occhi si riempiono di centinaia di puntini colorati roteanti.
«Scusa...» biascico.
Simon mi rivolge uno sguardo stanco, interrogativo, ma soprattutto addolorato.
«Perdonami, se puoi...» riesco a sussurrare, poi fuggo.
Fuggo oltre il locale con la musica a palla, fuggo sulle strade buie, fuggo nel vento gelido della notte.
Fuggo dagli altri, dai loro giudizi, fuggo da me stessa e da ciò che provoco.
Corro, con le ali ai piedi, per le strade deserte.
Anzi, ai piedi, ho il vento. Vento che mi spinge, che mi solleva, che obbedisce ai miei ordini come se fossi la sua padrona assoluta.
Faccio un balzo e l'aria mi spinge più in alto, oltre le cime degli alberi. M'innalzo contro il cielo nero bagnato di stelle.
Apro le braccia, stringo l'orizzonte tra le mie mani. Inspiro il freddo della notte e tutti i suoi sapori.
Potente, ecco quello che sono.
Non me ne sono mai accorta, ma ho le capacità per compiere atti grandiosi.
Devo solo liberarmi da tutte le catene che mi sono e che mi hanno costruito.
Resto immobile nel vento carezzevole, nel suo alito amico e sincero.
 
Cammino per la strada, tenendo le braccia strette al petto. Nonostante la giacca pesante, il freddo s'insinua attraverso la stoffa.
Ho solo una vaga idea di dove possa essere casa mia, così mi dirigo in quella direzione.
Sento il rumore di un'auto che si avvicina, ma continuo a camminare sul bordo della strada, chiusa su me stessa.
Quella rallenta, fino ad affiancarmi.
Continua a camminare, mi dico, con il cuore che accelera nel petto.
«Luna!» chiama qualcuno.
Mi fermo, poi volto lentamente il capo. Quando riconosco il catorcio di Greg, mi sfugge una risata dalle labbra.
«Serve un passaggio?» chiede con un sorriso.
«Sei incredibile!» esclamo, ma m'infilo in fretta all'interno dell'auto.
Quando rimette in moto, lo vedo fare un sorrisetto soddisfatto.
Sbuffo, poggiando la testa al finestrino freddo.
«Forza dillo» gli dico esasperata.
«Sei sicura?» chiede ancora con quel sorriso. Annuisco.
«Avevo ragione io!» esclama con un sorriso soddisfatto. 
Sbuffo ancora, ma non riesco a trattenere un sorriso.
«Allora?» domanda lui guardando la strada mentre svolta «Cos'è successo?»
Prendo un respiro profondo e mi rigiro una ciocca di capelli tra le dita.
«Mi sono fatta baciare da Simon Cox» mormoro.
«Non ho capito» dice Greg corrugando la fronte.
Lo ripeto a voce più alta, con il cuore a mille.
Lui non fa commenti per qualche istante.
«Dì qualcosa» lo imploro.
«Pensavo ti piacesse Will» dice serio.
«COSA?!» esclamo con le guance in fiamme. Greg fa un svolta brusca e mi spiaccico contro il finestrino freddo.
«Ehi!» mi lamento cercando di tornare in una posizione stabile.
«Allora non è vero?» domanda lui ancora serissimo.
Sospiro: «Tra me e Will non funzionerebbe mai, possiamo solo essere dei buoni amici»
«Ti arrendi così facilmente?» chiede lui con una smorfia.
Lascio vagare il mio sguardo fuori dal finestrino per qualche istante. Stiamo attraversando la città per i quartieri meno frequentati.
«Non ha senso provarci» rispondo senza espressione.
Greg pare prendere fiato.
«Una volta ero innamorato di una persona. Questa era per me la cosa più importante sulla faccia della terra, e non riuscivo a stare più di giorno senza parlarle. Se era felice, io ero felice, se era triste io ero triste, se era arrabbiato con me, io ero arrabbiato con me stesso. Non gliel'ho mai detto, però»
Fa una piccola pausa. Il mio cuore brama ardentemente di sapere come finisce la sua storia, ma non ho il coraggio di fiatare.
Greg continua senza che io parli.
«L'ho visto innamorarsi di altre persone ed essere felice con  altri che non conoscevo, mentre io morivo dentro, lentamente. Ora quell'amore esagerato che provavo è passato, ma ne rimane comunque una scia molto intensa»
Resta zitto, ma mi pare di vedere i suoi occhi luccicare.
«Che fine ha fatto questa persona?» chiedo riuscendo finalmente a spiccare parola.
Greg respira profondamente una volta, prima di rispondere.
«Ora, è il mio migliore amico»
 
Quando giungiamo davanti al campus, Greg rallenta fino a affermarsi di fronte all'ingresso del viale.
Non abbiamo parlato per tutto il resto del viaggio, quindi tra di noi è calato un silenzio imbarazzato e imbarazzante.
«Vuoi...» comincio incerta «Vuoi entrare? Insomma, tu mi hai accompagnata fino a casa e...»
«Forse è meglio se ti riposi» risponde il ragazzo senza guardarmi in faccia.
«Non è un problema, sul serio, mi faresti compagnia» ribatto esitante.
Il petto del ragazzo si alza lentamente.
Dieci minuti più tardi è sul divano della mia piccola casetta, mentre io, accanto ai fornelli, aspetto che l'acqua bolla per farne un tè.
Nel frattempo preparo due tazze e ci metto una quantità spropositata di zucchero.
«Tè nero o all'arancia?» chiedo.
«È uguale» risponde Greg giù di morale.
Gli porto la tazza fumante accompagnata da un sorriso, ma lui non sembra stare molto meglio.
Mi siedo al suo fianco con un sospiro.
«Will lo sapeva?» domando tornando seria.
Il ragazzo fa una smorfia e si porta di malavoglia la tazza alle labbra, pur di prendere tempo prima di rispondere.
«Che sono gay? Sì. Che ero innamorato di lui? No, non gliel'ho mai detto»
Rimango in silenzio e sorseggio di tanto in tanto il mio tè all'arancia.
«La cosa comica è che ci troviamo entrambi nella stessa situazione» aggiunge lui, con lo sguardo perso sul pavimento.
«Dimentichi che io in più ho anche baciato Simon Cox» tento di ironizzare e gli strappo un piccolo sorriso amaro.
«Facciamo pietà» commenta il ragazzo.
«Ehi! Parla per te!» 
Scoppia a ridere, involontariamente. Anche io mi aggrego alla sua risata e parte della tensione che ho nel petto mi si scioglie.
«Greg...» comincio con cautela «Se vuoi fermarti a dormire, il mio divano è sempre libero, così mi fai compagnia»
Il ragazzo mi mostra un sorriso dolce e tenero come solo lui sa fare.
«Devo tornare a casa, almeno per stasera. Avrei accettato volentieri»
Sorrido, senza traccia di risentimento.
Mi chiedo che genere di famiglia abbia Greg. Non ne ha mai parlato, neanche il ben che minimo accenno. E poi che genitori lascerebbero il figlio fuori casa per tante notti di seguito senza problemi? 
Le mie domande restano senza risposta, sospese nell'aria.
«Devo andare ora, grazie per il tè e per la chiacchierata» dice lui alzandosi in piedi. Posa la tazza nel lavandino, poi si avvicina alla porta,
Vado ad aprirgli.
«Sempre disponibile per te» gli sorrido.
«Grazie» risponde riconoscente. Si china in avanti e mi lascia un bacio sulla guancia.
«'notte»
«'notte Luna»
Lo seguo con gli occhi mentre si allontana lungo il viale, silenzioso, chiuso in se stesso.
 
Domenica scorre su di me come una doccia troppo veloce.
Mi sveglio quasi a mezzogiorno e nel pomeriggio ho a malapena il tempo di fare i compiti e una passeggiata prima che cali il sole.
Nella sera, mi chiudo in casa per guardare un film strappalacrime, con il solito giovane attore che fa impazzire le adolescenti, anche se non me ne ricordo il nome.
Il giorno successivo riesco incredibilmente ad alzarmi in tempo per camminare con calma verso la scuola.
Incontro Clare lungo il viale, mentre parla con un ragazzo.
Resto qualche passo indietro, ma non riesco a sentire la loro conversazione.
"Non si origlia"
Mi sto assicurando che...stiano parlando di argomenti consoni!
"Consoni a che cosa?"
Oh, lascia perdere,tu non puoi capire queste cose!
"Neanche tu a dir la verità"
Il ragazzo si allontana, lasciando Clare, così io posso avvicinarla.
«Allora?» chiedo subito quando mi avvicino.
«Cosa?» ribatte lei perplessa.
«Non fare la finta tonta!» ribatto.
«Parli di Robert?» domanda corrugando la fronte.
«Non so come si chiami»
«È il ragazzo della festa se t'interessa» risponde senza convinzione.
«È carino» ammetto ammiccando. Lei si lascia scappare un sorrisetto nonostante cerchi di nasconderlo.
«Potrei chiederti la stessa cosa, comunque» aggiunge lei.
Le rivolgo uno sguardo stupefatto.
«Cosa intendi?»
«Girano certe voci riguardo te e Simon Cox»
Le mie guance prendono fuoco all'istante.
«Cosa?!» sbotto «Che genere di voci?!»
«Sei andata alla sua festa?» chiede Clare ignorando la mia domanda.
«Sì, ma...»
«Ed è vero? Del bacio?»
Prendo un respiro profondo.
«Sì» ammetto infine, lasciando uscire tutto il fiato.
La ragazza fa per dire qualcosa, poi lascia perdere e si avvia verso l'ingresso della scuola.
«Lo sanno in tanti?» chiedo inseguendola.
«Cosa te ne importa?» domanda Clare stizzita.
«Non volevo baciarlo, è capitato per caso» rispondo «Se tornassi indietro non lo rifarei»
La ragazza mi guarda incerta. Prima aveva un'espressione tradita, ma ora pare aver riacquistato fiducia in me.
«Pensavo lo odiassi» ammette sottovoce.
Scrollo le spalle: «Non è così male, ma non m'interessa in quel senso»
Clare accenna un piccolo sorriso, ma che si perde nella tipica piega amara della sua bocca.
Senza dire nulla varchiamo il portone della scuola e ci troviamo nei corridoi ormai familiari.
Scorgo parecchi sguardi posarsi su di me e poi allontanarsi in fretta, per riferire all'amico vicino una notizia succulenta.
Anche Clare lo nota e mi rivolge una smorfia comprensiva.
Quando incrocio degli amici di Simon, questi mi sorridono maliziosi e poi spariscono alle mie spalle sghignazzando tra sé e sé.
Finalmente arrivo nella mia prima classe e cado dietro al banco con l'imbarazzo che mi cuoce le guance.
Gli altri studenti, quando entrano, lanciano uno sguardo in mia direzione, i più discreti, con una certa circospezione e nonchalance, i più sfacciati, mi fissano e parlano col compagno additandomi.
Decido di ignorarli e fissare con insistenza l'insegnante per tutta la lezione.
Alla fine dell'ora fuggo a rifugiarmi nei bagni, nel timore di incontrare qualche altro curioso.
Mi sciacquo più volte il viso, nel tentativo di raffreddarlo.
Sento la porta aprirsi e alzo in fretta lo sguardo verso la ragazza che entra.
La riconosco subito per la gonna corta, il fisico sottile e i capelli biondi tinti.
È Zoey.
«Oh, ciao!» mi saluta sgranando gli occhi azzurri come se non si aspettasse di trovarmi qui.
«Ciao» replico, posando le mani sui fianchi, nel mio gesto abituale.
Non ho intenzione di schiodarmi dal bagno fino all'inizio della prossima ora.
«Allora...» comincia con la sua voce cinguettante «È vero che tu e Simon vi siete baciati?»
«Sì» replico «Ma esiste la privacy in questa scuola?»
Lei fa una risatina acuta. 
«Effettivamente no, ma potresti farci l'abitudine» risponde sorridendo con i suoi denti capolavoro di dentisti costosi.
«Non mi piace che la gente parli di me senza sapere ciò che dicono» ribatto.
«Oh, tranquilla, parlano solo del bacio e fanno congetture, anche se non sanno nulla in realtà»
Zoey mi supera per entrare in uno dei bagni e io decido che, nonostante la voce da oca e il fisico pesantemente costretto a diete, pur essendo già perfetto, e il fatto che sia una cheerleader, mi sta simpatica.
Esco dai bagni pronta ad affrontare altre lunghe ore di lezione.
 
«Ti squilla il telefono» dice Clare indicandolo sul tavolo.
In effetti lo schermo è acceso, ma è in silenzioso per non rischiare che suoni durante le lezioni.
Lo prendo, mi alzo in piedi ed esco dalla mensa dove stavo pranzando.
«Pronto?» rispondo quando sono uscita sotto la tettoia che circonda l'edificio prima dei giardini.
«Ho ragione di presupporre che ti piaccia la danza classica» dice la voce dall'altro capo.
«Ciao anche a te, Will» commento sarcastica mentre il mio cuore accelera involontariamente.
«Ciao signorina Leach. Conferma le mie ipotesi, su.»
«Ho fatto anni di danza classica costretta da mia mamma, ma dopotutto non mi dispiace» ammetto «E tu come fai a saperlo?»
«Ho trovato delle foto di te in body e tutù sul tuo computer. Eri una bambina tenerissima!»
«William!» esclamo arrabbiata «Hai di nuovo hackerato i miei dati?!»
«Hackerare è un parola grossa, considerando quanto sia stato facile. "Calvinstupido" non è una gran password, se posso permettermi...»
«Resta il fatto che hai isolato la mia privacy e non è una bella cosa!» sbotto «Potevano esserci foto di me nuda sul quel computer»
«In tal caso, avrei finto di non vederle, ma me le sarei godute a pieno» risponde lui divertito.
Di nuovo le guance vanno a fuoco.
«Comunque» riprende Will «Anche se ho superato le tue pur deboli difese, questo mi ha permesso di sapere che hai una conoscenza di danza classica»
«E questo cosa importa?» chiedo brusca ma incuriosita.
«Importa, perché mia mamma ha due biglietti per uno spettacolo che si terrà venerdì sera, così ha pensato di invitarti»
«Sul serio?» chiedo stupita. Keira ha davvero pensato a me?
«No, ti sto prendendo in giro perché voglio illuderti che tu abbia la possibilità di vedere Sogno di una notte di mezza estate, ma non ci andrai veramente.» sbuffa Will.
«Okay, okay, non c'è bisogno di tirar fuori il sarcasmo. Solo non voglio essere invadente, magari tua mamma voleva andarci con qualcun altro»
«Le sue amiche sono via, mio papà si sparerebbe in un piede piuttosto che sorbirsi tre ore di danza classica e io sono chiuso in un carcere. Anche se non avesse pensato subito a te, le alternative non sarebbero state molte»
Sospiro.
«È un sì?» chiede il ragazzo dall'altro capo.
«Non ho parlato!»
«Luna, ho bisogno di una risposta perché ancora qualche secondo e Brad mi strozza, sto occupando troppo il telefono»
Rimango in silenzio, incerta.
Sarebbe logico, da parte mia, tagliare qualsiasi cosa che potrebbe avvicinarmi a Will, così da non soffrire. Sarebbe logico ignorarlo e correre dietro a Simon, che mi accoglierebbe a braccia aperte. Sarebbe logico rifiutare e passare il venerdì a mangiare schifezze con Greg sul divano di casa mia.
"Ma tu sei un'idiota e della logica te ne freghi" commenta la saggia Voce.
Perché la risposta è un: «Sì, ci sarò»
 
«Ciao!» mi saluta allegramente Marcelo il giorno successivo, quando entro al Centro.
«Ciao, sei così contento che oggi potresti anche fare scienze?» chiedo speranzosa.
«Non così tanto!» replica lui continuando a sorridere.
Lo seguo fino ad uno dei tavoli, dove ha già preparato tutti i libri.
«Tutto bene?» gli chiedo, per non cominciare immediatamente.
Lui scrolla le spalle.
«Novità?» domando ancora mentre prendo dalla borsa le penne.
«È venuto mio papà» dice lui in un sussurro.
Stringo le labbra, ma non parlo per qualche istante.
«E com'è andata?» aggiungo simulando un'allegria il più autentica possibile. 
Scrolla ancora le spalle e strizza gli occhi.
«Ha detto che ora non beve più tanto, ma io non ne sono convinto»
Ho sentito da qualche parte che quando una persona rivela un'esperienza traumatica che lo riguarda personalmente, al contrario di quel che si crede, è meglio fare domande, non troppo riservate ovviamente, ma che comunque lo facciano aprire riguardo le questioni che lo fanno soffrire.
«Quando potrai uscire da qui?» gli domando.
Marcelo strizza ancora gli occhi: «Quando avrò qualcuno da cui andare»
«E se tu padre ti chiedesse di tornare da lui ora?» continuo.
Lo sguardo del ragazzino si fa vacuo, così capisco che mi sono spinta troppo oltre.
Batto una mano sul tavolo per sciogliere la tensione.
«Allora, a che pagina eravamo arrivati l'ultima volta?»
Marcelo apre il libro, con il volto spento, ma vedo che tenta di concentrarsi sulle parole, senza grande successo.
«Facciamo una piccola pausa» gli dico dopo mezz'ora «Vuoi prendere un po' d'aria?»
Annuisce: «Vado a fare un giro nel cortile»
«Vuoi che venga con te?»
Scuote il capo: «Torno subito»
Si alza ed esce malinconico dalla stanza.
Rimango immobile per qualche istante, poi decido di alzarmi in piedi.
Scorgo Will e Greg poco distanti, apparentemente concentrati su un plico di fogli.
Li raggiungo incuriosita.
«Ciao» saluto sorridente.
Loro alzano gli occhi su di me. Color caffè e color zaffiro.
Will nasconde in fretta i fogli sotto al braccio e mi rivolge un sorriso smagliante.
Poso le mani sui fianchi: «Tranquillo. Non ho intenzione di rubare le vostre cose, volevo solo salutarvi»
«È un po' teso» commenta Greg con una smorfia.
«Qualcosa che ha a che fare con Faccia di Pupù?» chiedo con un sospiro.
Gli occhi di Will brillano un istante, divertiti.
«Io l'ho sempre detto che questa ragazza è perspicace» ride infatti.
«Semplicemente tuo zio è la tua unica fissazione» replico.
Lui mi fissa per qualche secondo, come se stesse riflettendo.
«Ti contraddico» dice infine «Penso anche ad altre cose. Ora però siamo parecchi impegnati, ci scuserai se non ci tratteniamo molto a parlare»
«Vuoi che me ne vada?» domando con una punta di delusione nella voce.
«Non ho detto questo, ma...»
«Fa niente, me ne vado» sospiro. Faccio saltare un ultima volta lo sguardo tra i due, Greg fa un sorriso dolce, poi faccio per andarmene.
«Luna?» la voce di Will mi blocca.
Esito un istante. Lasciarlo con l'amaro in bocca e andarmene o voltarmi pronta ad ogni suo desiderio?
"Indovinate cosa sceglierà la nostra stupida eroina?"
«Dimmi» rispondo a Will maledicendo Voce.
«Venerdì sera passa mia mamma, okay?»
Rimane a fissarmi in silenzio, con gli occhi che riflettono i pallidi neon della sala.
I nostri sguardi si sorreggono a vicenda.
«Okay»
Finalmente me ne vado.
«Che scambio interessante tra te e Lennox» commenta Marcelo quando torno al nostro tavolo.
«Tu quando sei comparso?» chiedo sgranando gli occhi.
«Ti stava guardando tutta la sala» continua lui con un sorriso malizioso.
«Comincerò a farci l'abitudine» replico sbuffando.
Prendo i libri e cerco di trovare qualcosa da fare.
«A cosa?» chiede Marcelo.
«Ad essere al centro dell'attenzione» rispondo «Allora, questa scienze?»
Lui sbuffa vistosamente, ma questa volta non ho intenzione di spostare l'argomento su di me, e scienze sia!
 
«Luna!» esclama Keira quando mi vede uscire da casa mia.
È bellissima, nel suo abito nero aderente e mi fa sentire uno schifo.
«Sei una meraviglia!» lei contraddice invece i miei pensieri con un sorriso smagliante simile a quello del figlio, anche se un po' meno inquietante.
«Vieni, forza!»
Corre verso l'auto in modo che non avrei mai ritenuto possibile considerando la dimensione dei tacchi che indossa: sottili come spilli e alti come grattacieli.
«Will mi ha detto che ti piace la danza classica» esordisce mentre l'auto parte sobbalzando sulla strada. L'abilità alla guida quindi è una dote di famiglia, penso ironica.
«Come ho detto anche a lui, ho fatto qualche anno su insistenza di mia madre» spiego pragmatica.
«Ciò non esclude il fatto che possa essere comunque una passione» replica lei, poi prende una curva come se fossimo durante l'inseguimento di un film d'azione.
Picchio la guancia contro il finestrino, proprio dove avevo la botta causata dalla curva di Greg.
«Questo è vero» riesco a replicare quando la donna imbocca un rettilineo «Infatti amo i balletti classici, nonostante molti li trovino noiosi»
«Esatto! È proprio quello che penso anche io!»
«Quello che la gente in realtà non sa, è la vera difficoltà di tutti quei passi. La vera bravura di un ballerino sta nel far apparire tutto molto facile, ma di facile, in realtà non c'è nulla! Anche un solo pliè, costa lo sforzo di parecchi muscoli che lavorano insieme e chi non lo ha mai provato non lo può sapere. Si può apprezzare totalmente solo ciò che si conosce»
Keira pare riflettere sulla mia osservazione, ma ciò non le impedisce di sbandare un po', prima di raggiungere il teatro.
La donna parcheggia esattamente di fronte e quando scendo dall'auto, resto affascinata dall'edificio che si staglia davanti a noi.
È una costruzione molto semplice e classica, ma emana un'aura diversa dagli altri che ci circondano.
Seguo Keira nell'atrio, dove sono accalcati tutti gli spettatori. Degli uomini in giacca e cravatta distribuiscono volantini sullo spettacolo, oppure indicano come raggiungere una parte del teatro.
Facciamo controllare i biglietti ad uno di questi, poi prendiamo le scale che salgono fino al primo piano.
Mi ritrovo a guardare affascinata il pavimento di marmo nero e le sue venature color latte. Questo posto mi piace già!
Quando entriamo nella sala vera e propria, resto ancora una volta senza fiato.
Tutto si basa sul blu notte, dal rivestimento dei sedili, al sipario serrato, fino alle decorazioni sul soffitto. Da quest'ultimo pende un enorme lampadario di cristallo, così riccamente adornato che pare provenire da un altro secolo.
«È bellissimo, non è vero?» mi domanda la donna, sorridendo davanti alla mia meraviglia.
«Sono senza parole» rispondo in un sussurro.
Prendiamo posto nella prima balconata centrale, così da avere una bellissima visuale sul palco.
«Hai mai visto questo spettacolo?» chiede ancora Keira, sfogliando il volantino che le hanno allungato.
Scuoto il capo: «Mai dal vivo»
«Sono convinta che ti piacerà, questa compagnia è eccezionale!»
"Eccezionale" è proprio la parola giusta per descrivere ciò che vedo nelle ore successive.
I ballerini volano sul palco, nei loro abiti leggeri, fatti di aria.
Non hanno peso, non hanno costrizioni, non hanno regole, o almeno così pare. Si librano sul palco come farfalle e atterrano giusto il tempo per darsi la spinta e ripartire.
Nella scena finale i ballerini si muovono a creare disegni e figure, che dalla nostra posizione si possono vedere chiaramente.
Al termine della musica, le luci restano accese ancora qualche istante, poi si abbassano lentamente mentre il palco viene liberato.
Dopo i saluti, finalmente si chiude il sipario e si riaccendono le luci della sala.
«Bellissimo!» esclama Keira gioiosa.
«Sì, mi è piaciuto molto» ammetto alzandomi in piedi.
Lei fa un sorriso smagliante, poi si avvia verso l'uscita.
È già notte fonda e fuori c'è così buio che il colore sembra palpabile.
Aspettiamo che si smaltisca la folla, in modo da uscire poi con calma.
L'aria fredda mi colpisce come uno schiaffo e un brivido scende lungo la schiena.
Camminiamo lungo il marciapiede per qualche metro. L'unico lampione della zona è rotto, così ci troviamo in una chiazza di oscurità.
Improvvisamente la donna si volta verso il piccolo viale alla destra del marciapiede, chiuso da due case, che sparisce nel buio.
«Che c'è?» bisbiglio preoccupata.
«Ho sentito delle voci» risponde lei.
«È scuro ed è tardi, forse è meglio se...» la mia voce viene soffocata da qualcosa che mi tappa bruscamente la bocca. 
Sento delle mani afferrarmi e tirarmi indietro, nonostante i miei calci e proteste.
«Eccole qua» ride una voce fredda «La mammina e l'amichetta di Lennox»
Mi sento gelare il sangue.
La scarsa luce mostra una sagoma davanti a me e un'altra più in là, Keira e la figura che lo tiene.
Incrocio lo sguardo della donna. Ha gli occhi sgranati, ma contengono una sicurezza spaventosa.
«Allora, da chi cominciamo la nostra vendetta?» chiede ancora la stessa voce.
Tento di dimenarmi, ma ottengo solo di essere stretta ancora più forte.
«La ragazzina sembra impaziente, a quanto pare»
Mi esce un verso strozzato.
«Però lei può essere facilmente sostituita da quel desgraçado di Lennox. Invece, di mammina ne ha una sola» la figura si volta malignamente verso Keira.
Gli occhi della donna paiono fulminare, ma d'un tratto la loro luce vacilla e capisco perché.
L'uomo misterioso tiene tra le mani qualcosa che cattura i riflessi luminosi. Una lama, un coltello.
Cerco ancora di liberarmi, ma chi mi tiene si stufa e mi sbatte violentamene contro il muro. Seppur intontita tento di alzarmi in piedi, ma un pugno nello stomaco mi fa accasciare definitivamente. Per sicurezza lui mi colpisce anche con uno schiaffo che mi fa chinare il capo. Sono così debole ed impotente.
Le palpebre si abbassano, lasciando libero solo uno spiraglio.
Vedo un coltello alzarsi in aria e ammiccare con uno scintillio.
 
«Io sono Keira» mi saluta gioiosa «Sono così contenta che tu sia potuta venire!»
 
______________________________________________________________________________
 
Ciao a tutti! Allora mi scuso come al solito per il tremendo ritardo e spero che il capitolo abbia potuto compensare un po'. Insomma, si scoprono alcune cose interessanti. Cosa ne pensate? Soddisfatti o delusi? 
Mi dispiace per il finale brusco e per questo cercherò con tutte le mie forze di aggiornare il prima possibile! ;)
Alla prossima, 
Lux 

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Capitolo 17
*** _Dove si va all'ospedale ***



_Dove si va all'ospedale

Il coltello dell'uomo si abbassa così velocemente da apparire una scia luminosa.
Ma si blocca prima di trafiggere Keira. Ho il fiato corto. Tutto il vento che sono riuscita a raccogliere si concentra sotto la punta di quel pugnale, per contrastarlo.
Vedo i muscoli nel braccio dell'uomo tendersi e devo concentrarmi per mantenere l'attenzione.
«Ma che diavolo...» comincia lui.
Riporta indietro il coltello e lascia cadere il braccio lungo il fianco.
Sciolgo il vento con un respiro profondo, poi sento un rumore secco e un rantolo.
L'uomo ha colpito Keira con un calcio.
«Lasciala!» grido balzando in piedi. Il mondo rotea intorno a me per un istante, quanto basta perché un'altra figura mi afferri ancora per i capelli e mi scaraventi contro il muro.
Ma so che ho dato il tempo necessario a Keira per allontanarsi dal raggio di azione dell'uomo.
Sento un dolore propagarsi dalla mia nuca. Ho bisogno di vomitare.
Vedo arrivare un altro colpo e lo schivo piegandomi di lato. Cado a terra, ma rotolo sul suolo duro per evitare un calcio.
Ho nella bocca il sapore del sangue.
«Tenete ferma la ragazzina, incapaci! Voglio che assista alla sua morte!»
Mi afferra per il collo, poi mi spinge contro il muro.
«Non ti muovere» sibila la voce del mio avversario.
Non posso far altro che obbedire.
Dall'altra parte del vicolo, due sagome stanno tenendo ferma Keira. La donna ha il capo a ciondoloni sul petto, che si alza e abbassa velocemente, alla ricerca di ossigeno.
L'uomo che ha parlato la prende per i capelli e la solleva in modo che tutti possano vedere il suo volto.
Un fiotto di sangue esce dal suo naso e le impiastra parte del viso.
«Ultime parole?» chiede lui con un tono quasi retorico.
Keira non risponde, non so se per non dargli soddisfazioni o perché non ne ha le forze.
«Allora, siamo giunti alla fine. Ma prima voglio dire una cosa alla ragazzina» si volta verso di me con un ghigno terrificante.
«Riporta a Lennox che abbiamo un nuovo fornitore e che presto anche la parte nord della città sarà nostra»
Alza ancora il coltello.
«No!» grido, ma la presa su di me è salda.
«No!»
Colpisco l'uomo che mi tiene con il palmo aperto. Lui, spinto da una forza invisibile, viene scagliato lontano e mi libera dai suoi artigli.
Balzo in avanti, mentre il pugnale si abbassa. Mi lancio contro l'uomo quando la lama colpisce Keira.
Rotolo insieme a lui per qualche metro, sbattendo le ossa contro il selciato.
Tento di rialzarmi in piedi, ma quello sferra una gomitata contro la mia tempia. 
Picchio violentemente la testa a terra e le forze mi abbandonano.
Rimango immobile, esanime. 
I pensieri si azzerano, voglio solo riposare.
Quando il dolore comincia a farsi più insistente, capisco che rimanere qui sdraiata ad aspettare la fine non risolverà nulla.
Mi metto seduta a fatica. Nella via siamo rimaste solo io e Keira.
Keira?
Improvvisamente rivedo il coltello che cala sul corpo della donna. Balzo in piedi, ma mi ritrovo a barcollare, debole.
Avanzo a passi instabili verso la sagoma accasciata a terra.
«Keira?» chiamo con voce rotta. «Keira!»
Frugo nella mia giacca ed estraggo un cellulare ormai a pezzi. Lo lascio a cadere mentre mi lancio vicino alla donna.
La scuoto, la chiama, tento di svegliarla, ma lei rimane immobile. 
Disperata, mi metto a cercare intono a me. Trovo la sua borsetta, con un cellulare ancora integro.
Digito tremando il numero di emergenza. Tutto si annebbia, le mie parole suonano ovattate perfino a me stessa.
Quando la chiamata si chiude, cado riversa sul corpo della donna. Il suo sangue bollente bagna il mio petto e sento il suo dolore dentro di me.
Le lacrime si mischiano al sangue, la tristezza alla disperazione, i singhiozzi alle grida.
Rimango così per un tempo indeterminato, fino a che alle mie orecchie giungono delle voci.
Alzo il capo e devo socchiudere gli occhi a causa della luce troppo forte. Ci sono dei fari che mi abbagliano.
Voci, voci intrecciate, voci confuse.
Tutto bene?
Come ti chiami?
Cosa è successo? 
Da quanto tempo siete qui?
Di chi è il sangue?
«Keira...» è tutto quello che riesco a dire «Salvate Keira»
Qualcuno mi rimette in piedi e barcollo sulle mie gambe verso il furgone dell'ambulanza.
«Aspetta, dobbiamo medicarti» una donna mi prende per un braccio.
Scuoto il capo: «Voglio sapere come sta...»
«Prima devo medicarti, stai ferma»
«No!» grido «Io sto bene!»
Mi libero dalla presa della donna e corro verso l'ambulanza. Qualcun altro chiude le braccia sul mio stomaco per fermarmi.
«Keira!» strillo come una matta «KEIRA!!»
«Signorina, signorina, buona!» 
Le lacrime mi rigano le guance macchiate di sangue:
«Voglio vederla! Voglio vederla!»
Altre voci intrecciate.
Tu tienila ferma.
Bisogna sedarla.
Ecco il sedativo.
Sento qualcosa pizzicarmi, ma sono così confusa che non capisco in che parte del corpo vengo colpita.
Si alza una nebbia davanti ai miei occhi, le palpebre calano.
Mi sollevano tra le loro braccia e mi portano lontano.
Rimango in uno stato di trance a lungo o forse per poco,ma non saprei dirlo.
Ballo con le buche della strada.
Ad un certo punto mi accorgo che l'ambulanza si è fermata davanti ad un ospedale e un barella corre in fretta verso di esso.
Mi alzo in piedi, confusa, e subito compare una donna pronta ad aiutarmi.
«Ce la faccio» biascico, sperando che le mie parole siano comprensibili.
Lei mi aiuta a camminare, poi ho un vuoto di memoria.
Quando ritorno lucida mi ritrovo in una camera d'ospedale, rannicchiata su un letto pulito.
Tutte le mie ferite sono state fasciate e indosso solo una grande maglia azzurra lunga fino a metà coscia.
Stropiccio gli occhi e mi guardo attorno. Sono sola.
Allungo le gambe, con i muscoli intorpiditi e tento di alzarmi.
Quando i piedi nudi si posano sul pavimento freddo, sento un brivido scendermi lungo la schiena.
Sposto tutto il peso su di essi. Mi sorreggono.
Avanzo titubante fino ad una porta e la faccio scorrere, rivelando un piccolo bagno. Raggiungo il lavandino per potermi specchiare.
Mi hanno lavato il sangue dal volto, ma la parte destra del mio viso è gonfia e violacea.
I capelli biondi paiono più scuri del solito, in contrasto con il pallore della pelle.
Ne arrotolo una ciocca intorno ad un dito, mentre vado verso l'uscita della camera.
Il rumore del corridoio mi stordisce per qualche istante.
C'è un viavai di persone frettolose e frenetiche.
Mi guardo attorno attonita.
Un infermiere si scontra con me, ma se ne va con un paio di scuse veloci.
Cammino esitante.
«Signorina, cosa ci fai qui?» un dottore mi ferma e fissa il suo sguardo serio nel mio.
«Sto cercando...» comincio con voce rauca «Keira» mi schiarisco la voce «Cerco Keira, una donna, è entrata in ospedale con me»
Lui annuisce, grave.
«Sì, lo so. Purtroppo la signora era gravemente ferita» di nuovo quella sensazione di morire dentro mi attanaglia.
Il dottore prosegue: «È ancora incosciente, ha perso tantissimo sangue, ma fortunatamente nessuno degli organi interni è stato lesionato. Questo perché nel momento in cui il coltello è affondato dentro di lei, qualcosa gli ha impedito per un pelo di forare un organo. Sei stata tu?»
Rimango in silenzio un istante, con il capo chino.
«Ho spinto via l'assalitore» ammetto poi sottovoce.
L'uomo mi posa una mano sulla spalla fasciata, ma con delicatezza.
«Le hai salvato la vita, ma è ancora presto per dire se si risveglierà senza problemi.»
«Posso vederla?» domando senza neanche rendermene conto.
Il dottore annuisce ancora e si volta, per condurmi in un'altra stanza.
Lasciamo il reparto in cui mi trovavo, poi ci infiliamo in un altro.
«Ecco qui» l'uomo spinge una porta per farmi passare.
La supero e mi ritrovo in una camera poco più piccola di quella in cui mi sono svegliata.
C'è un solo letto ed è occupato da Keira.
Ha il volto pallido, le labbra esangui e le palpebre serrate. Si vedono i punti in cui è stata colpita e le botte che ha ricevuto.
La cosa più impressionante sta nella sua bellezza. Nonostante sia incosciente, in fin di vita, rimane comunque bellissima.
I capelli corvini le incorniciano il volto e scendono morbidamente sul suo petto.
Mi avvicino tremando.
«Posso...» comincio indicandola e il dottore annuisce.
Prendo una delle sue mani tra le mie. È fredda, quasi glaciale. Rabbrividisco ancora.
«Signorina, ci sono dei poliziotti che vorrebbero parlarti. Credi di farcela in questo momento?» mi chiede l'uomo.
Faccio un cenno di assenso senza alzare il capo.
Il dottore esce ed entrano al suo posto due uomini alti e muscolosi.
Mi fanno domande su di me e su Keira, sul motivo per cui ci trovavamo al teatro e tutte le circostanza dell'attacco.
«C'è qualche dettaglio che potrebbe identificare gli aggressori?» chiede uno dei due uomini.
Sto per scuotere il capo, era buio ed io ero così confusa, quando ricordo una cosa.
«Uno di loro ha fatto un commento in un'altra lingua. Credo fosse spagnolo»
Il poliziotto annuisce e scambia uno sguardo col collega.
«Vi hanno detto perché siete state assalite?»
Non parlo subito. Perché so perfettamente la risposta, ma non so se voglio darla.
«Non mi sembra, non ne sono sicura»
«È necessario che tu dica tutto ciò che ricordi o potresti essere accusata di intralcio alla giustizia.»
Chino il capo, poi lo scuoto lentamente.
«Signorina Leach, il nostre database informa che hai già subito un attacco, in Inghilterra. C'è qualcosa che possa collegare le due aggressioni?»
Sento il mio cuore accelerare, ma rimango lucida.
«No, non credo» alzo gli occhi sui poliziotti. 
«Abbiamo bisogno di una risposta definitiva» insiste uno dei due.
Cerco di convincermi che in realtà non sto mentendo, almeno non del tutto, e rispondo: «No, sono sicura che non abbiano nulla a che fare l'una con l'altra»
«E hai più incontrato il primo aggressore? Sappiamo che ne hai visto il viso, anche se era buio»
Resto spiazzata dalla domanda, ma scuoto in fretta il capo.
«No, per fortuna no.» rispondo.
Il mio cuore accelera ancora, ipotizzando quale potrebbe essere la prossima domanda, ma i poliziotti vengono interrotti dal rumore della porta che si apre.
Sulla soglia compare un ragazzo alto, dagli scompigliati capelli corvini e le occhiaie gonfie sotto gli occhi rossi.
Will pare sorpreso di vederci e il suo sguardo scatta verso il letto, dove c'è Keira priva di sensi.
«Scusate...» comincia incerto. Anche i poliziotti paiono colti alla sprovvista.
«Fermo!» intima uno di questi e si allunga per bloccarlo.
«Ehi, credi che sia evaso dal carcere per venire in un ospedale?!» sbotta il ragazzo seccato «Ci sono due guardie fuori dalla porta e una per ogni uscita. Idiota, mi hanno concesso di venire per vedere mia mamma in fin di vita!»
Il poliziotto lo lascia andare, mormorando qualche parola di scusa, poi supera il ragazzo ed esce dalla stanza con il collega.
Rimaniamo solo io, Will e Keira.
Il ragazzo mi vede, ma impiega qualche secondo per mettermi a fuoco.
«Luna...» chiama con voce addolorata.
Lo guardo con le lacrime agli occhi: «Scusa, se vuoi...io me ne stavo andando...»
Lui non mi lascia finire e mi stringe tra le braccia.
Affondo contro il suo petto, inspirandone il profumo familiare.
«Grazie» sussurra con il mento poggiato sulla mia spalla.
«Mi dispiace tanto...»
«È solo merito tuo se non è ancora morta» replica lui.
Mi guarda negli occhi.
«Vedrai che andrà bene» sento come il dovere di rassicurarlo.
«Sì...» commenta poco convinto e si sfrega gli occhi già arrossati.
Arranca verso il letto della madre.
Lo guardo mentre le accarezza i capelli e le guance, poi scende e prende le mani gelate della donna tra le sue.
«Chi è stato?» domanda poi, senza alzare gli occhi da Keira.
Guardo alle mie spalle, per accertarmi che i poliziotti non possano sentire.
«Tranquilla, se ne sono andati ormai» rassicura Will come se mi leggesse nel pensiero.
Prendo un respiro profondo.
«Hanno detto di riferirti un messaggio: hanno un nuovo fornitore e la parte nord della città sarà presto loro.»
Il ragazzo fa un sorriso amaro: «Parte nord? La vogliono in così tanti che non saprei da chi iniziare.» alza gli occhi blu su di me: «Altri indizi?»
«Uno di loro ha parlato in spagnolo...»
«Portoghese!» mi interrompe Will «Quei figli di...»
«Cosa significa?» chiedo brusca.
Lui mi guarda interrogativo e io porto le mani sui fianchi, arrabbiata:
«Io e tua madre siamo quasi state uccise, non pensi di dovermi delle spiegazioni? Soprattutto quando tutto quello che so fa pensare a delle gang!»
Will sospira, poi sfoggia un sorriso inquietante.
«Sì, forse hai ragione, dovrei dirti qualcosa, nonostante tu mi tenga comunque alcuni segreti importanti» accuso il colpo in silenzio e lui prosegue «Ci hai visto giusto, quei portoghesi potrebbero essere definiti una "gang", come altri in questa città. Sai cosa fanno: compiono azioni illegali, occupano una certa zona e la difendono dai rivali. Anche il mio gruppo potrebbe essere definito una "gang", anche se in realtà il fine è proprio quello opposto. I portoghesi e tutti gli altri si fanno pagare da coloro che abitano nelle loro zone, in cambio di  protezione, e vivono di questo. Al contrario, io occupo i territori senza che la gente lo sappia ed impedisco ai gruppi di compiere soprusi. Hai capito?»
Annuisco, attenta.
«Nella parte nord della città ci sono le industrie, quindi guadagnerebbe molto chiunque la occupasse. Attualmente è sotto la mia tutela, ciò significa che non avvengono atti violenti o illegali, o almeno in modo limitato»
«E come fai a gestire tutto dal carcere?» chiedo incuriosita.
Will non risponde subito, ma quando lo fa è tranquillo:
«Greg è l'anello che mi lega col mondo esterno, anche se devo stare attento perché un passo falso mi condannerebbe per sempre»
Nessuno di noi due parla per qualche istante. Il ragazzo stringe la mano di Keira e i suoi occhi si perdono nel guardare le sue vene. Scorgo una lacrima scivolare lungo la guancia di Will.
Decido che è meglio lasciarlo solo, così apro la porta per uscire.
«Dove vai?»
Mi volto. Il ragazzo mi sta guardando.
«Io...non lo so» ammetto con un sospiro. «Ma voglio lasciarti il tuo spazio»
Gli occhi di Will corrono sul mio corpo e ricordo che indosso solo una lunga maglia con le gambe nude.
Si alza in piedi, poi si toglie la felpa e viene a mettermela sulle spalle.
«Non vorrei che anche tu ti ammalassi» spiega con un sorriso triste.
«Grazie»
Lascio la stanza con la felpa colma del calore di Will.
Appena fuori della camera, scorgo una persona familiare nella sala d'attesa.
È George, che mi viene incontro velocemente.
«Ciao Luna, come stai?» chiedo rivolgendomi un sorriso gentile.
«Bene, grazie. Mi dispiace per ciò che è successo»
Lui fa una smorfia e annuisce.
Mi siedo insieme a lui poco lontano dalla stanza, ma nessuno dei due ha la forza o la voglia di parlare.
 
«Toc. Toc. Posso entrare?»
Alzo gli occhi dal libro e vedo Greg, fermo sulla porta della mia stanza d'ospedale.
«Sei già dentro ormai» replico divertita. Lui avanza ancora fino a raggiungere il letto su cui sono seduta.
«Tutto bene?» chiede sedendosi sul bordo.
«Sì, mi dimetteranno stasera. Novità da Keira?»
Lui scuote il capo, sconsolato.
«Will è dovuto andare via, lo hanno praticamente trascinato. Mi ha detto di salutarti e che puoi tenerti la felpa»
Rido sottovoce. In realtà, anche se i medici mi hanno fatto avere dei vestiti puliti, sopra questi ho infilato di nuovo la felpa del ragazzo.
«Hai informato i tuoi genitori?» chiede Greg.
Faccio una smorfia: «Mia mamma mi ha chiesto con che aereo avevo intenzione di tornare. Quando le ho detto che voglio rimanere si è messa a strepitare. Crede che ci sia una congiura contro di me e che gli Stati Uniti non siano un posto sicuro»
«Se vuoi staccarti da Will e da tutto quello che fa, non è un problema, posso parlargliene io, lui capirà»
Scuoto il capo, convinta: «Non ho intenzione di lasciar perdere, anzi. Quegli uomini devono pagare per ciò che hanno fatto»
Greg sgrana gli occhi: «Chi sei tu e che ne hai fatto della dolce e spensierata Luna che conoscevo?»
 
 
«Ciao!» 
Mi volto in direzione della voce allegra da cui proviene il saluto e quando scopro che a parlare è stata Clare, non riesco a trattenere un'espressione esterrefatta.
«Cos'è tutta questa gioia?» chiedo stupita.
«Sono semplicemente felice.» risponde, mentre ci avviciniamo alla scuola.
«E a quanto pare tu invece sei di cattivo umore. Aspetta, ma hai delle botte!»
Il fatto che se ne sia accorta mi fa sentire ancora peggio.
Stamattina mi sono svegliata con gli occhi simili a quelli di un panda, che uniti al taglio sullo zigomo mi danno un'aria da dura.
Mi appoggio contro alcuni armadietti per riprendere fiato. Ho dolori in ogni angolo del corpo e i vestiti che sfregano contro la pelle non aiutano per niente.
«Cosa è successo?» domanda Clare, ritornando la solita ragazza seria e imbronciata che conosco.
Verità o un po' meno verità? mi chiedo.
«Mi hanno picchiata, fuori dal teatro in città. Forse volevano rubarmi qualcosa»
Clare spalanca la bocca, spaventata.
«Potevano ucciderti...» mormora.
Deglutisco e faccio scorrere lo sguardo sui ragazzi che stanno entrando. A quanto pare questa voce non si è ancora diffusa, perché nessuno sembra fare gran caso a me.
«Già, ma sono viva»
So che lei vorrebbe chiedere altre cose, ma non è nella sua indole farsi i fatti altrui, così se ne sta zitta.
Ci avviamo verso la prima classe, ma proprio fuori dall'aula, incrocio Jim.
Lancio un'occhiata all'interno, la professoressa non è ancora arrivata, quindi decido di fermarmi a parlare con l'uomo.
«Luna! Cosa è successo?» chiede lui quando mi vede.
Il suo tono è pacato come al solito, ma la sua voce nasconde una nota tesa di preoccupazione.
«Mi hanno picchiata, ma sto bene. Grazie ai miei poteri sono riuscita ad impedire agli assalitori di uccidere la donna che era con me»
Lui sorride: «Finalmente hai capito, a cosa servono le tue abilità. Non è necessario diventare dei supereroi per fare del bene. Il tuo gesto ha salvato una donna e la sua famiglia, perché la morte trascina irrimediabilmente altre vittime con sé. I tuoi poteri sono una piccola meraviglia della vita, non uno spettacolo né una dimostrazione»
Sulle labbra mi spunta un sorriso che nasconde soddisfazione, felicità e anche un pizzico di malinconia.
«Questo è stato merito tuo, Jim» commento.
Scuote il capo:
«Forse ti ho aiutata, ma il vero lavoro, lo hai fatto tu. Devi ringraziare te stessa per ciò che sei»
Mi mostra un sorriso enigmatico, ancora così denso di mistero, e si volta per allontanarsi lungo il corridoio della sua scuola.
 
 
«Penso che tu mi debba delle spiegazioni»
Guardo davanti a me, con le labbra dischiuse per lo stupore e il corpo rigido dalla tensione.
Will è in piedi, al centro della sua stanza, tiene le braccia incrociate al petto con un'espressione così seria che non ho mai visto.
Senza il solito sorriso il suo volto prende una piega cattiva e severa.
Deglutisco.
«Riguardo che cosa?» chiedo con voce tremante.
Ero venuta qui nonostante sia lunedì sperando di sapere qualcosa sulle condizioni di Keira, ma l'espressione del ragazzo mi fa pentire di aver fatto questo viaggio.
Lui prende un foglio dalla scrivania e se lo porta davanti agli occhi.
«Questo è ciò che mi ha riferito uno degli infiltrati tra i portoghesi. "Mentre tentava di affondare il pugnale contro la donna, qualcosa, come una forza invisibile lo ha bloccato. Dice di aver provato un gran freddo e non riesce a spiegarselo, dato che fino a qualche istante prima era completamente lucido"»
Will smette di leggere e alza gli occhi blu e rossi accusatori contro di me.
Non parlo e lascio che sia lui a farlo.
«Ripeto: penso che tu mi debba delle spiegazioni»
«Non so di cosa tu stia parlando» rispondo con una voce che pare uno squittio.
«Ti ho già detto che sei una pessima bugiarda»
Sento un improvviso calore sul volto e gelo in tutto il resto del corpo, nonostante stia sudando come se fossi nel Sahara.
«Will, io...» arretro di un passo mentre lui avanza.
«Ti ho detto tutto quello che volevi sapere, ora è il momento di ricambiare il favore, non credi?»
«Non posso dirtelo» bisbiglio spaventata.
Lui scoppia a ridere:
«Sì e adesso mi dirai che è per il mio bene!»
Annuisco, con gli occhi pieni di lacrime.
«Mi dispiace, è così sul serio. Un uomo ha inseguito me e Greg sui tetti della scuola per questo!» tento di spiegare.
«Aspetta, Greg lo sa?» sbotta lui stupito.
«So cosa?» domanda proprio Greg, facendo capolino alla porta.
«Grand bell'amico sei! Lei ha dei poteri soprannaturali e tu non me lo dici neanche!»
Greg si volta verso di me: «Gliel'hai detto?»
Faccio una smorfia: «Lo hai appena fatto tu»
Poi mi volto verso Will: «Com'è possibile che tu ci sia arrivato?»
Lui ci guarda entrambi esterrefatto:«Stavo facendo del sarcasmo, non ero serio!»
Io e Greg ci scambiamo uno sguardo senza parole, incerti su cosa fare o dire in una situazione del genere.
Will si lascia cadere pesantemente sulla sedia accanto alla scrivania, poi scoppia a ridere.
«Che situazione di merda! Mia mamma sta per morire e i miei amici dicono di avere super poteri» commenta passandosi una mano sul volto.
Ci guarda sorridendo: «Quindi? Avete intenzione di rimanere lì impalati sulla soglia o vi mettete comodi così discutiamo con calma?»
Avanzo, seguita da Greg e ci sediamo sul bordo del letto, straniti.
«Okay, ora...seriamente, parliamone. Luna hai dei poteri sovrannaturali?»
Annuisco, fissandolo negli occhi.
Lui ride ancora. È tornato il ragazzo allegro che conosco e la cosa mi alleggerisce il cuore.
«Non credo se non vedo»
Con un sospiro, tento di concentrarmi.
Guardo i capelli spettinati del ragazzo e li immagino scossi da una leggera brezza, come quelle che si sentono in riva al mare di prima mattina.
Le ciocche ribelli cominciano a danzare, poi accelerano il loro moto, fino ad ingarbugliarsi freneticamente.
Decido di lasciar perdere la sua chioma e mi concentro sulla mano, dove si allunga dal polso un'ombra di inchiostro dei tatuaggi.
Immagino di essere lì vicino e di sollevarla prendendola delicatamente.
Inizialmente non accade nulla, poi, poco alla volta comincia a tremare e si alza sgraziatamente.
Will scoppia a ridere, divertito.
«Hai nascosto nella mia camera qualcosa per fare questo giochetto?» commenta facendo saltare lo sguardo tra me e la sua mano.
La sua voce mi distrae, così il braccio del ragazzo ricade bruscamente al suo fianco.
«Non avrebbe senso, considerando che non volevo dirtelo» replico con un pizzico di stizza.
Will si esanima la mano in ogni suo dettaglio mentre Greg sospira e mi rivolge uno sguardo grave.
«Allora, come riesci a farlo?» chiede l'altro ragazzo con il suo solito sorriso stampato sul volto. Mi rende più tranquilla.
«Quindi ci credi?» domando stupita.
Lui scrolla le spalle: «No, ma voglio sentire la tua spiegazione»
Prendo un respiro profondo e comincio a rivelargli ciò che mi aveva spiegato Jim e che io poi ho riportato a Greg.
Will è un bravo ascoltatore. Perché rimane zitto, ma mantiene uno sguardo attento, segno che non si perde neanche una delle mie parole.
«Credi che anche io potrei sviluppare un'abilità del genere?» chiede quando ho finito di parlare.
«Aspetta, tu ci credi ora?» domando confusa.
Greg, al mio fianco, tossicchia, ma non fa commenti.
«Mi hai dato una spiegazione logica e una dimostrazione pratica, non ho nulla con cui contraddirti. Ovviamente la parte razionale del mio cervello mi sta dicendo di cacciarti da questa stanza per tutte le stupidate che hai detto, ma la parte più infantile e ingenua si fida ciecamente di te. Quindi, per favore, non tradire questa fiducia»
Rimango senza parole.
Sento gli sguardi dei due ragazzi fermi su di me, con una serietà insostenibile.
Quando mi sono cacciata in questa situazione? Quando è cominciato tutto questo?
Cerco di tornare indietro nel tempo, ma non trovo il vero momento in cui la mia vita è cambiata sul serio.
È stata una concatenazione di eventi che l'hanno stravolta poco alla volta, come tante gocce nel famoso vaso del proverbio, in attesa dell'ultima che l'avrebbe fatto traboccare.
«Luna?»
La voce di Will mi risveglia dalle fantasticherie. 
«Cosa pensi di fare ora?» domanda serio. I suoi occhi sono inflessibili, quasi duri nella loro luce bluastra.
Le differenze tra le risposte che potrei dare ora sono le stesse differenze che scaturirebbero in seguito a ciò che deciderò di dire.
Faccio un sorriso e guardo fisso nelle pupille del ragazzo.
«Perché chiedi a me cosa fare? Pensavo fossi tu il capo»
 
________________________________________________________________________
 
Ciao a tutti!
Ecco il nuovo capitolo! Mi sono accorta con dispiacere che le recensioni sono calate negli ultimi capitoli. Mi piacerebbe sapere quali sono problemi e gli errori per poterli risolvere il prima possibile, quindi vi prego di mandarmi un messaggio in qualsiasi via di comunicazioni per dirmi cosa sistemare! Ci tengo a migliorare e solo voi potete correggermi:)
Grazie mille in ogni caso se siete arrivati fin qui.
Alla prossima
Lux

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Capitolo 18
*** _Dove cado nei guai ***


_Dove cado nei guai
 
«Simon Cox in avvicinamento» bisbiglia Clare guardando oltre le mie spalle.
Sbuffo e fingo di continuare a mangiare il mio pranzo schifoso gentilmente offerto dalla mensa della scuola.
«Le altre ragazze si volterebbero per saltargli addosso» commenta Clare con un tono divertito.
«Le altre ragazze non si sono fatte baciare da lui e poi sono scappate come in preda ad un attacco di schizofrenia» replico, ma anche io non riesco a trattenere un sorriso.
«Luna!» esclama una voce alle mie spalle.
Mi volto e quando vedo Simon fingo un'espressione stupita che farebbe invidia solo all'abilità recitativa di un bambino costretto a partecipare alla recita scolastica.
«Oh, ciao!» saluto sempre con la mia pessima nonchalance.
Lui prende posto al mio fianco, ignorando Clare, che a sua volta finge di ignorarlo.
«Volevo chiederti una cosa molto importante» annuncia con un sorriso tronfio sul volto.
«Dimmi» lo incito, anche se il mio cuore accelera involontariamente.
«Vuoi venire al ballo d'inverno con me?»
L'espressione che mi si forma sul volto dev'essere terrificante, perché Simon rimane interdetto.
Mi volto verso Clare: «C'è un ballo d'inverno?»
«Evidentemente» risponde lei, soffocando le risa.
Ritorno a guardare Simon che attende impaziente.
«Dovresti aspettare che io mi riprenda dallo shock di scoprire che c'è un ballo d'inverno» consiglio.
Lui pare non capire ciò che intendo.
Sospiro: «Voglio dire che mi piacerebbe, ma non so neanche se parteciperò»
«Tutte le ragazze vorrebbero farlo» replica lui ancora confuso.
«Io sono l'eccezione, ricordi?»
Finalmente anche sul suo volto si apre un sorriso, perché forse ha finalmente seguito il mio ragionamento.
«Va bene, fammi sapere domani, altrimenti dovrò trovarmi una nuova accompagnatrice, ma sarebbe un peccato, perché non ce ne sono molte carine quanto te»
Si alza e se ne va prima che io possa scoppiare a ridergli in faccia.
Non so perché ma improvvisamente io e Clare siamo scosse da un attacco di risate e rischiamo di soffocarci con il cibo insipido della mensa. 
«Allora tu al ballo ci vai con Robert?» domando all'altra ragazza asciugandomi le lacrime agli occhi.
«Forse, ma non me l'ha ancora chiesto»
Faccio un'espressione maliziosa: «Secondo me non si farà attendere a lungo»
Clare scoppia ancora una volta a ridere.
 
Una nuova settimana è cominciata e il nastro della quotidianità è stato riavvolto.
Keira si è risvegliata, per la gioia di tutti, ma è ancora piuttosto debole e i dottori hanno riferito le sue condizioni attuali solo a George, quindi non so quali danni possa aver subito.
Will e Greg, dopo che il primo ha scoperto dei miei poteri, sono stati stranamente buoni per un po', anzi fin troppo. Infatti tutte le volte che vado al Centro li vedo confabulare tra di loro e quando mi avvicino si zittiscono rivolgendomi innocenti sorrisi zuccherosi.
Credo che stiano tramando qualcosa, ma non vogliono rivelare nulla.
È strano che Will non abbia ancora chiesto l'aiuto dei miei poteri, quindi cerco di stare molto attenta ad ogni suo comportamento.
«Woooooo...Luna! Ti sei imbambolata di nuovo! Dopo Brad ti sgrida se sono io a dirti di non distrarti!» esclama Marcelo ridendo.
«Scusa, sono solo distratta» replico e tento di ritornare sui suoi libri.
«Me n'ero accorto. Se vuoi fare una pausa va bene...» comincia speranzoso.
«Mi dispiace» rispondo inflessibile «Dobbiamo finire almeno queste due pagine, non è così difficile»
Gli sorrido cercando di rassicurarlo, ma lui strizza gli occhi, stanco e mi ascolta controvoglia.
Finiamo gli esercizi e mi ritrovo a fissare un punto imprecisato della sala.
«Puoi andare da lui, se vuoi» dice Marcelo con un sorriso.
Metto a fuoco il punto imprecisato e mi rendo conto che sto fissando Will.
Il ragazzo nota il mio sguardo e sventola la mano con un sorriso sfacciato.
Sbuffo vistosamente.
«Ti ho detto che puoi andare da lui, se proprio ci tieni. Anzi sarebbe meglio. Non voglio vedervi flirtare a distanza» insiste Marcelo.
Il ragazzo dall'altra parte della sala fa cenno che mi avvicini, ma io scuoto il capo. Non voglio dargli la soddisfazione di fare ciò che dice.
Mi volto verso Marcelo, che mi sta rivolgendo uno sguardo perplesso e interrogativo.
«Che cosa state facendo?» domanda poco dopo.
«Cose da grandi, tu ritorna a studiare» replico con un sorriso e lui ubbidisce sbuffando.
«Signorina Leach, il modo in cui mi ignora, risulta come una pugnalata dolorosa per il mio onore» comincia una voce alla mie spalle.
Mi volto di scatto. Non mi ero resa conto che Will si fosse alzato e mi avesse raggiunta.
«Ci sono molte cose che mi feriscono, signor Lennox, ma io non mi lamento di tutte queste» replico con un sorriso candido.
Le sue labbra si tendono ancora di più.
«Ed è giusto che il nostro grido di dolore si perda nel vuoto dell'oblio?» continua e i suoi occhi mandano scintille.
«Oblio e silenzio sono due cose diverse, mio caro» lo correggo.
Marcelo fa il verso di chi sta per vomitare: «Non solo flirtano, ma usano anche delle parole d'altri tempi! Disgustoso!»
Io e Will ridiamo, divertiti.
«Forse sarà meglio proseguire la discussione in un luogo più consono» suggerisce il ragazzo con un sorriso ammiccante 
Lancio uno sguardo verso Greg, ancora chino sul suo tavolo.
«Pensavo avessi delle urgenti incombenze» commento con un pizzico di insinuazione nella voce.
Anche Will si volta verso l'amico, ma il suo sguardo ritorna in fretta a me.
«Capisco quanto tempo è necessario dedicare ad ogni faccenda e il mio interesse, al momento, supera tutte queste»
«Interesse verso cosa?» continuo pungente.
Marcelo finge un altro conato e io soffoco una risata.
«Interesse nei confronti di una conversazione brillante.» si guarda attorno «Magari con il supporto di un po' di tabacco»
Qualche minuto più tardi ci ritroviamo nei bagni, con la ventola accesa, continuando in pace il nostro dialogo nel rumore dell'acqua della doccia che scorre.
Will tiene tra le dita sottili la sigaretta che ha preparato e di tanto in tanto lascia uscire dalle labbra un sospiro di fumo.
«Perché, critico come sei, accetti di dare soldi ad una multinazionale che, tra l'altro, ti procura la morte attraverso un cancro dannoso per te e per chi ti circonda?» chiedo, storcendo il naso alll'odore.
Lui scrolla le spalle: «Che ci vuoi fare, ognuno ha i suoi vizi. Qual è il tuo?»
«Il tè» rispondo sicura.
«La bevanda più benefica è il tuo unico vizio? Non hai neanche bisogno del Purgatorio, mia cara» commenta imitando lo stesso appellativo che ho usato poco fa.
«Non elencherò di certo i miei difetti davanti a te» replico divertita.
Lui si porta la sigaretta alle labbra e aspira, sorridendo.
«Non parliamo di vizi e difetti, ma di virtù e abilità» dice guardandomi negli occhi.
«Cosa intendi?» domando, anche se un sospetto comincia a farsi strada dentro di me.
«Credo che tu l'abbia capito. Sto parlando della tua capacità di controllare il vento»
Fa un cerchio con le labbra e soffia una nuvola di fumo.
«Lo immaginavo» ammetto.
«Mi chiedevo una cosa: tu puoi controllare il vento,  che si estende in tutto lo spazio intorno a noi. Questo spazio è dove si diffondono le vibrazioni dei suoni»
Will mi guarda con degli occhi blu seri, ma come al solito, sta sorridendo.
«Vuoi sapere se sono in grado di dirigere i suoni muovendo l'aria?» chiedo.
«Voglio sapere se, in pratica, puoi origliare una conversazione» 
Incrocio le braccia al petto, contrariata e lui scoppia a ridere.
«Non è corretto» dico per far trasparire il mio disappunto.
«Non ho detto che lo sia. Puoi farlo?» dalla sua bocca esce dell'altro fumo.
Tossicchio: «Non ho mai provato»
Sulle labbra del ragazzo si dipinge un sorrisetto provocante.
Così, grazie alla mia grande capacità di oppormi a William Lennox, mi ritrovo a seguirlo verso la stanza principale.
Rimaniamo nel corridoio, nascosti una da un lato e uno dall'altro della porta.
Le voci degli altri ragazzi giungono fin qui come un miscuglio inscindibile e confuso di suoni discordanti.
Will lancia un'occhiata all'interno.
«Scegli chi vuoi» mi dice ancora con quel sorriso malizioso.
«Non so, dimmi tu» replico incerta. Non sono convinta che questo possa funzionare.
Posso usare il vento a livello fisico, solo se mi concentro su qualcosa di specifico. 
«Aaron Jones, la persona più stupida che io abbia mai conosciuto» propone lui, indicando il ragazzo alto e massiccio che ho già avuto il dispiacere di incontrare.
«Non credo che funzionerà» lo avverto.
«Io ne sono quasi convinto» replica lui e passa velocemente davanti allo spazio aperto della porta per raggiungermi.
Si mette alle mie spalle, sbirciando come me dallo stipite.
Sento il suo odore mischiato a quello di tabacco, così vicino da annebbiarmi la mente e aggrovigliare i miei pensieri.
In un istante ho il fiato corto e il cuore che batte a mille.
«Tutto bene?» domanda lui.
Annuisco, perché la voce mi tremerebbe e decido di concentrarmi.
"Per fortuna avevi deciso di allontanarti da lui per non soffrire"
Voce, non è il momento! Sparisci per settimane e poi ti fai viva quando meno ho bisogno di te!
"Tu hai sempre bisogno di me, tu saresti persa senza di me"
Questo non è assolutamente vero! Me la sono cavata egregiamente anche da sola! sbotto infuriata nella mia mente.
"Stai aiutando un criminale a cui hai rivelato tutti i tuoi segreti. Non ti rendi conto che ti sta manipolando? Non ti rendi conto che sta usando le tue abilità per raggiungere i suoi scopi?"
Ho deciso io di aiutarlo! Io sono dalla sua parte!
"Tu non lo conosci neanche! L'unica cosa che vuole è la vendetta personale. Desidera più di ogni altra cosa schiacciare ciò che a sua volta lo ha schiacciato e tu sei solo una pedina molto forte ma valente solo in questo!"
Esci dalla mia testa!
"Io sono te!"
NO! VATTENE!
"Luna..."
«Luna...»
«NO!» sbotto dimenandomi all'improvviso.
Will si allontana da me, perplesso.
«Cosa succede?» domanda con uno sguardo serio.
«Io...» prendo un respiro profondo «Va tutto bene»
«Non si direbbe dalla tua faccia»
Abbozzo un falso sorriso rassicurante: «Sto bene, vedi?»
«Sei una pessima bugiarda e tutte le volte che sei preoccupata ti si formano delle piccole rughe intorno agli occhi, su questo non puoi mentire»
Lo guardo sorpresa. Lui mi conosce, lui sa come sono e chi sono.
Un altro ragazzo non si sarebbe accorto della mia pessima abilità nel mentire o di come cambia il mio volto in base allo stato d'animo. Un altro ragazzo non si sarebbe preoccupato per me, ma Will lo ha fatto.
«Grazie» dico, senza un motivo ben preciso.
Lui rimane immobile, come se stesse ascoltando qualcosa, con la fronte corrugata.
Io mi posiziono ancora dietro allo stipite, decisa a non fallire.
Elimino tutto dalla mente, elimino Voce, elimino me stessa. Fisso lo sguardo su Aaron Jones, senza distoglierlo per nulla al mondo.
Sta parlando con un altro ragazzo e ridono insieme, fragorosamente.
Seguo i movimenti delle sue mani e delle sue labbra, mi concentro su ciò che lo circonda.
Comincio a sentire il vento nella sala, come una carezza, ma dopo qualche istante perdo il contatto. Cerco ancora la concentrazione che avevo raggiunto e il vento s'increspa intorno ad Aaron come se fosse fatto di onde.
Lo guido, dal ragazzo a me, nel suo alito carezzevole e sottile come una lama appuntita.
Aaron smette di parlare ora, ma il suono della sua voce che ho deciso di far arrivare, si apre in un sussurro tra me e Will.
«...sì, l'ho presa e le ho ficcato la lingua in gola...»
Perdo immediatamente il contatto, ma la fibrillazione per ciò che è accaduto è troppo grande per farmi pensare ad altro.
«Non potevo immaginare che facesse discorsi così seri e profondi» commenta Will sarcastico, ma lo sguardo che mi rivolge brilla.
«Ce l'hai fatta» aggiunge poi «Te l'avevo detto»
«Se avessi saputo che mi avresti rinfacciato la mia scarsa fiducia avrei finto di fallire» replico con un sorriso sfrontato.
«Non pensavo fossi così orgogliosa, signorina Leach» pronuncia il mio nome con una sorta di divertimento e sfacciataggine che invoglierebbe qualsiasi ragazza a saltargli addosso.
Con grande sofferenza, la forza di volontà vince sui miei istinti di ragazzina scalpitante, così rimango semplicemente a fissarlo con la bava alla bocca.
«Tutto bene?» chiede lui continuando a sorridere.
Mi risveglio ed elimino i brillantini che la mia mente malata ha prodotto intorno al corpo del ragazzo.
«Sì, sono contenta che abbia funzionato»
Le labbra di Will si increspano in un sorriso, ma mi affretto ad aggiungere: «Questo non significa che origlierò delle conversazioni per te»
Lui sbuffa, continuando a sorridere.
«Come sta tua mamma?» domando all'improvviso e il suo sorriso si spegne.
«È viva e per ora tanto mi basta» risponde serio «Ma devo farla pagare a tutti coloro che hanno provocato questo»
«Hai scoperto qualcosa?» chiedo incuriosita.
«Ho un piccolo progetto nella mia mente. Hai qualche impegno sabato prossimo?»
«No» rispondo ancora prima di pensare. Lui sorride: «Perfetto»
Questo, però, non significa che mi rivelerà ciò che sta frullando nel suo brillante quanto contorto cervello di vendicatore accanito.
 
 
Il cellulare suona libero per due volta, poi una voce famigliare si apre nel mio orecchio.
«Ciao. Sei ancora viva, allora?»
Guardo il prato placido davanti a me, le foglie ferme, i fili d'erba immobili.
«In realtà ti sto chiamando dall'oltretomba» replico con un sorriso trattenuto sulle labbra.
Calvin soffoca una risata: «Costano così tanto le chiamate dall'Ade?»
«Sono sempre stata tirchia» commento.
Mio fratello non risponde per qualche istante e tra di noi cala il silenzio.
«Come va?» chiede poi.
«Bene, ho conosciuto delle persone simpatiche»
«Di che genere?»
«Umano»
Calvin ride ancora. Me lo immagino proprio, nel modo in cui ride sempre lui.
«Non sto scherzando!» mi lamento.
«Certo, certo, e dimmi come si chiamerebbero queste "persone" in grado di sopportarti!»
«C'è un ragazzo, che si chiama Will...» comincio, ma quel simpaticone di mio fratello continua:
«Scommetto che in realtà gli sei andata addosso come al solito!»
«Okay, se non vuoi credermi, non preoccuparti. Ciao, vado da Will...»
Allontano il cellulare dall'orecchio ridendo.
«Aspetta, aspetta, scherzavo» mi trattiene lui «Solo che è strano che tu lo dica»
«Tutti cambiano, Calvin» replico.
«Sei rimasta sempre la stessa da quando...» s'interruppe esitante.
«Sì, lo so, da quando è morta Corinne» concludo sbrigativa «Ma ho capito che non posso rimanere ferma in quelle lacrime. È passato troppo tempo»
Guardo il parco in cui mi sono rifugiata per parlare con il mio fratellino lontano. Non ci sono altre persone in questo silenzio.
«Sono felice di sentirti parlare così» dice lui, vagamente triste «Questo Will dev'essere proprio fantastico» 
Mi ritrovo a sorridere con gli occhi pieni di lacrime. Provo una voglia assurda di rivedere le persone che non sono qui con me e di abbracciarle forte, come per imprimere la loro forma contro il mio corpo.
«Lo è, sul serio»
«Sono...felice» risponde esitando.
«Ti voglio bene Calvin» dico con voce rotta.
«Non fare troppo la sdolcinata, Lunetta, rimani sempre la mia sorella maggiore...antipatica» replica lui, ma so che quell'istante di silenzio tra le sue parole è servito per soffocare un singhiozzo.
«La sorella insopportabile chiude ora. Devo andare» dico mordendomi le labbra. Stanno calando le tenebre,
«O-okay. Ciao»
Rimaniamo entrambi in silenzio, ma nessuno di noi che ha intenzione di premere il tasto rosso del cellulare.
«Potresti farti viva più spesso» dice mio fratello.
«Lo farò» una lacrima scappa dagli occhi, poi un'altra.
La chiamata è terminata.
 
 
Bussano alla porta della casa. Si spalancano nella soglia della mia mente tutte le possibili imprecazioni adatte al momento, ma non ne ho il tempo materiale.
Smetto di frugare nell'armadio in cui pensavo seriamente di trovare un paio di scarpe adatte e mi infilo le francesine che sto usando da qualche giorno.
«Arrivo!» grido alla porta, sperando che non se ne vada.
Mi manca solo la borsa e la giacca, il che sarebbe facile e veloce, se io non fossi Luna Leach, abile disordinologa con tanto di master nel campo. 
Avevo completamente dimenticato l'invito di Benedict Lennox fino a due giorni fa, quando l'ho ritrovato per caso in mezzo ai quaderni di scuola.
Spalanco la porta d'ingresso col fiato corto e l'uomo al di là mi fissa scettico.
Lo riconosco subito: è Victor, lo stesso autista della volta precedente.
«Ehm...andiamo?» chiedo imbarazzata.
«Sei stata veloce» commenta lui mentre salgo nell'auto. Rimango in silenzio, troppo nervosa per parlare.
Mercoledì scorso Brad mi ha chiamata per informarmi che il Centro sarebbe rimasto chiuso agli esterni per un po', quindi è da una settimana che non vedo Will e Greg non si è fatto vivo a scuola.
Non ho idea di quali siano attualmente i loro rapporti con Faccia di Pupù, quindi non ho neanche idea di come dovrei comportarmi stasera. Ho promesso a Will la mia fedeltà e partecipare a questo incontro potrebbe significare un aiuto importante per il ragazzo, ma lui non mi ha riferito nulla.
Sono tesa e ogni dettaglio mi fa sobbalzare.
Raggiungiamo lo stesso palazzo alto ed imponente che aveva ospitato la prima cena.
«Buona serata, signorina» dice l'autista quando mi apre la portiera.
«Grazie, anche a te Victor» replico con un sospiro.
Rimango sola nel piazzale davanti all'edificio. Lo guardo un istante, in tutto il suo splendore, assaporando ogni curva e angolo, poi mi decido ad entrare.
Le due guardie davanti alla porta mi rivolgono uno sguardo freddo, ma mi lasciano passare senza problemi. 
Questa volta, decisa a non perdermi, trovo immediatamente la porta della sala in cui si si terrà l'incontro.
«Luna!» mi saluta la voce squillante di una ragazza alta e robusta.
«Ciao Karin» ribatto con un sorriso convincente.
«Come stai? Mi dispiace non averti sentita in questo periodo! Da quanto tempo non ci vediamo?»
«Un mese, credo» rispondo «Io sto bene e tu?»
Mentre Karin si lancia nel dettagliato resoconto di ciò che le è accaduto nell'ultimo periodo, descrivendo i particolari di ogni singola sensazione che ha provato, faccio scorrere gli occhi per la stanza.
Dei lunghi tavoli sono stati distribuiti in modo omogeneo nella sala, lasciando libero, come la volta scorsa, lo spazio necessario per un piccolo palco sormontato dal telo per un proiettore.
Sulle porte ci sono degli uomini in giacca e cravatta, dallo sguardo immobile ed impassibile, ma che tradisce una certa attenzione per tutto ciò che sta accadendo.
«Non corrucciarti troppo, Luna, sono solo normali misure di sicurezza» commenta una voce armoniosa in avvicinamento.
Dopo aver conosciuto Will e George, mi sono resa conto di quanto Benedict somigli loro.
Gli stessi zigomi appuntiti del fratello e lo stesso sguardo suadente del nipote, lo rendono simile ad un serpente ammaliatore, pronto a convincerti ad essere la sua preda. Un brivido gelido mi attraversa la schiena.
Questa è la realtà o solo l'influenza di Will?
«Buona sera signor Lennox» saluto educatamente. Karin si è zittita, per poter ammirare il suo idolo appieno.
«Ti ho detto di chiamarmi Benedict, Luna, ma la tua educazione è ammirevole» replica lui «Com'è l'America, signorine?» chiede poi gentile.
«Soddisfacente» rispondo con un sorriso e Karin annuisce per darmi ragione.
«Vi voglio anticipare che alla fine della serata ci sarà un annuncio interessante per tutti i ragazzi che sono qui grazie alla borsa di studio. Divertitevi» ci saluta con un cenno del capo e si allontana leggiadro.
Dopo qualche minuto prendiamo posto ad uno dei tavoli. Vicino a me e Karin ci sono due ragazzi asiatici e una italiana nostri coetanei, così possiamo chiacchierare con loro.
I camerieri sfilano fra di noi nelle loro tenute impeccabili e ci servono il cibo come ombre silenziose e inesistenti.
Ad un tratto uno di loro mi urta per sbaglio e si affretta a chiedere scusa. Alzo lo sguardo per dirgli che non fa niente, ma quando incontro i suoi occhi le parole mi muoiono in bocca.
Occhi color caffè.
Faccio cadere intenzionalmente un tovagliolo e Greg si china per raccoglierlo insieme a me.
«Cosa cavolo ci fai qui?» sibilo con la testa sotto il tavolo. È ovvio che non è qui per lavorare, gli altri camerieri sono troppo accorti e ben preparati, non avrebbero mai assunto Greg.
«Will mi aveva detto che non ci saresti stata» replica lui velocemente. I suoi occhi sono sinceri.
«Cosa c'entra Will?» chiedo ancora, ma la voce di Karin che mi chiama impedisce di aspettare una risposta.
Mi alzo di scatto con una smorfia: «Scusate, il tovagliolo sembrava scomparso»
«Quel cameriere era carino, magari ci provava con te» commenta Karin con un sorriso ammiccante.
«Dubito fortemente» rispondo nascondendo una risata. So per certo che non sono il genere di persona che piacerebbe a Greg.
Quando cerco il ragazzo con gli occhi, mi sento gelare. 
Sta uscendo dalla sala e scambia uno sguardo d'intesa con una delle guardie fisse lungo le porte. Questa guardia fa poi un cenno ad un'altra e questo viene poco alla volta trasmesso a tutte.
Ho il fiato corto e il cuore che mi martella nel petto.
Greg rientra nella sala e incrocio la usa espressione grave. Scorgo i rigonfiamenti delle armi sotto gli abiti delle guardie. 
Will mi aveva chiesto se avessi impegni oggi, ma io ho negato immediatamente, perché non ricordavo di questa cena. Sono stata io ad informare Will sull'evento, sono stata io a dirgli dove e quando.
Lui si è preoccupato di organizzare tutto il resto.
E adesso siamo circondati.
 
 
____________________________________________________________________
 
Ciao a tutti!
Cosa ne pensate del capitolo? Si è creata la giusta suspense? L'unico modo che avete per farmelo sapere è lasciando una recensione anche minuscola per riferirmi i vostri pensieri, anche quelli più assurdi o negativi.:)
Volevo ringraziare tutti coloro che sono rimasti con Luna fino a questo punto. Il vostro appoggio è fondamentale, una forza che mi spinge a continuare a scrivere.
Ringrazio soprattuto EleEmerald per la sua spaventosa velocità nel recensire e per la sua presenza. Grazie di cuore 💙
Alla prossima
Lux
 

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Capitolo 19
*** _Dove incontro il falso evaso nel bosco buio ***


_Dove incontro il falso evaso nel bosco buio
 
 
Mentre viene servita la seconda portata, Greg lascia scivolare sulle mie gambe un foglietto. Lo srotolo lentamente mentre gli altri sono concentrati sul cibo e leggo con occhiate fugaci.
Devi uscire dalla sala prima che proiettino il video. Fingi di dover andare in bagno appena puoi.
Stringo il biglietto in un pugno tremante. Will voleva salvarmi, ma i suoi piani non sono andati come previsto.
Controllo ancora una volta la sala: le guardie sono immobili e Benedict sta ridendo serenamente. Un cameriere che non è Greg porta via il mio piatto intatto e lo sostituisce con un altro.
«Non hai fame?» mi domanda la ragazza italiana, credo si chiami Camilla.
«Non mi sento bene» rispondo con voce salda, cercando di far capire che la situazione non è così grave come potrebbe sembrare. Così ora ho la scusa per andare in bagno senza destare sospetti.
Una delle guardie sfiora con la mano il rigonfiamento della giacca, dove sono sicura ci sia nascosta un'arma. Sento il cuore scalciare furiosamente nel petto.
Salvarmi egoisticamente da sola non è un'ipotesi che voglio prendere in considerazione.
Nessuno sembra essersi accorto del fatto che le guardie servono a tutt'altro che difenderci.
«Devi andartene» bisbiglia Greg nel mio orecchio mentre si china per togliere il piatto davanti a me.
Afferro il suo polso di scatto e lo freno, incurante degli sguardi degli altri ragazzi.
«Voglio che loro vengano con me» gli sussurro di risposta.
Scuote impercettibilmente il capo, si libera dalla mia stretta e si allontana con i piatti tra le mani.
Merda.
«Cosa succede?» domanda la voce squillante di Karin quando incrocia i miei occhi tesi.
Faccio un sorriso tirato: «Va tutto bene, tranquilla»
Un movimento nella sala attira la mia attenzione e il mio sguardo scatta nervosamente verso Benedict Lennox, che si è alzato in piedi e sta raggiungendo il palco.
Prende un microfono e sorride a tutti gli ospiti:
«Buona sera a tutti, spero che la cena sia stata di vostro gradimento. Grazie per essere venuti, prometto che non vi annoierò con inutili parole e lascerò spiegare le motivazioni di questa cena ad un video. Buona visione.»
Il panico mi assale quando vedo le guardie scambiarsi un altro cenno d'intesa.
Ho il cuore in gola e la tensione mi sta annebbiando i pensieri.
«Vieni con me» dico a Karin.
«Cosa? Ma voglio vedere il video!» si lamenta lei sbuffando come una bambina.
Le afferro il braccio e la tiro in piedi insieme a me.
«Venite anche voi» ordino in tono brusco agli altri tre ragazzi seduti con noi.
«Perché?» chiede Eizan, il ragazzo giapponese, esterrefatto dal mio tono.
«Veloci!» li incito e mi avvicino verso ad una delle uscite trascinando Karin con me.
Mi volto per controllare e scopro che gli altri ragazzi sono rimasti qualche passo più indietro. Il mio sguardo dev'essere veramente disperato perché decidono di accelerare come se fossero spaventati da come potrei reagire.
«Mi dispiace, non potete uscire ora» ci blocca una delle guardie con espressione glaciale.
«Io devo uscire» replico seria. Fortunatamente Karin non mi sta ascoltando e sta cercando di vedere il video, che non è ancora partito.
L'uomo si porta una mano verso l'interno della giacca.
«Fermati» lo blocca una voce, prima che possa farlo io. Greg compare da dietro la porta: «Lasciala passare»
«Anche gli altri?» chiede l'uomo indicando il seguito che mi sono portata appresso.
«Luna!» mi rimprovera Greg come un papà farebbe con la figlia.
«O tutti o nessuno» replico decisa.
«Will ti ucciderà» avvisa stringendo i pugni. Reggo il suo sguardo e alla fine lui fa cenno alla guardia di lasciarci passare tutti.
«Chiudetevi nei bagni e non uscite per nessuna ragione al mondo» mi sussurra mentre supero la soglia della stanza tirando Karin.
Vorrei chiedergli cosa sta per succedere e che fine faranno tutte le altre persone rimaste nella sala, ma devo accontentarmi di riuscire a salvare chi è con me.
Faccio come ha detto Greg, aspetto che tutti entrino nei bagni, poi chiudo la porta con due giri di chiave.
«Cosa sta succedendo?» chiede Camilla facendo saltare lo sguardo tra me e Karin.
Prendo un respiro profondo. Voce, sono graditi consigli, sai che sono una frana con le bugie. Silenzio di tomba.
Mi passo una mano tra i capelli come se tentassi di calmarmi e intarmo prendo tempo.
«Ho notato un comportamento strano nelle guardie» comincio neutra «E ho capito subito che c'era qualcosa che non andava. Tenevano d'occhio la sala in un modo troppo sospetto e continuavano a scambiarsi degli sguardi eloquenti. Sono riuscita a sentire ciò che due di loro si dicevano e la cosa non ha fatto altro che confermare i miei sospetti: è stato organizzato un attacco a Benedict Lennox e a tutti i suoi collaboratori presenti stasera. Non era sicuro rimanere nella sala, ma gridarlo in mezzo a tutti non avrebbe portato a nessun vantaggio, avrei solo accelerato i tempi.»
«Così hai preferito salvare noi» commenta Hyun-Sik, il ragazzo che fino ad ora è rimasto in silenzio.
Siamo in cinque, solo in cinque.
«Avresti potuto salvare altre persone» aggiunge Eizan con una smorfia. 
Camilla viene in mio soccorso: «Intanto ha salvato noi, cerca di esserne grato»
Il ragazzo tace.
«E chi era quel cameriere che ti ha parlato?» interviene Karin. Provo un desiderio assurdo di stringerle le mani intorno al collo.
«Non saprei. Si è accorto di ciò che mi sono accorta io e ha voluto aiutarci.»
Fortunatamente Hyun-Sik distoglie la conversazione dall'affascinante cameriere gay, perché si avvicina alla porta e ci fa cenno di tacere.
«Si sente qualcosa?» trilla Karin entusiasta. La zittiamo con un'occhiataccia, ma il ragazzo coreano scuote il capo: «Siamo troppo lontani»
Faccio scorrere il mio sguardo per la stanza. Il pavimento di lucido marmo color senape conferisce un'aria di maestosità anche ai bagni di questo palazzo.
«Io dico che bisogna uscire di qui» dice Camilla, passandosi una mano nei lunghi capelli castani.
La fisso, incerta. Ha un piccolo neo sotto l'occhio sinistro che le conferisce un'espressione seria e decisa.
«Il cameriere ha detto di non muoverci, è troppo pericoloso» la contraddico, ma lei non mi dà retta e comincia a muoversi per la stanza.
All'improvviso sentiamo delle grida, seguite da una detonazione. Ognuno di noi si paralizza nella posizione in cui è. Finalmente anche Karin ammutolisce e mi fissa con i grandi occhi verdi sgranati.
«Dobbiamo uscire» ribadisce Camilla e indica le finestre sopra di lei. Sono dalla parte opposta rispetto alla porta del bagno e credo che si affaccino sul giardino a lato del palazzo.
«Se usciamo da qui possiamo correre fino al bosco che fiancheggia l'edificio e da lì chiamare la polizia» propone la ragazza.
«Sembra un buon piano» acconsente Hyuk-Sik. Karin ed Eizan non parlano, ma mi guardano, come se aspettassero le mie parole. Sono stata io a trascinarli qui, è giusto che sia io a tirarli anche fuori.
«Qualcuno sa aprirle?» domando indicando le finestre. Si trovano nella parte alta del muro e sembrano chiuse con delle inferriate.
«Io me la cavo bene in queste cose» dice Eizan e si avvicina per controllare.
Dopo esser salito in piedi sul ripiano dei lavandini, si allunga verso le finestre e comincia a tastare, alla ricerca di punti deboli che potrebbero lasciarci liberi.
«Nulla di difficile, non sono fatte per impedire di essere aperte» commenta dopo poco.
«Qualcuno ha una forcina o un fil di ferro?» chiede poi.
Camilla si sfila una molletta dai capelli e gliela tende. Mentre Eizan continua ad armeggiare con le finestre, altri colpi di pistola esplodono nella sala.
«Dite che qualcuno è stato colpito?» domanda Hyuk-Sik sottovoce.
Karin mormora qualcosa di incomprensibile, ma nessuno riesce a decifrare le sue parole.
«Fatto» informa Eizan e con un colpo secco apre la finestra. Non è molto grande, non raggiunge neanche il metro di altezza, ma è sufficiente per calarci all'esterno.
«Chi vuole andare per primo?» domanda il ragazzo giapponese. Ci scambiamo uno sguardo silenzioso, come se cercassimo di invogliare gli altri e ad offrirsi al nostro posto.
«Io» esclamo appena leggo l'incertezza nei loro occhi. Se c'è qualcuno, posso sempre usare il vento prima che uno dei ragazzi mi veda.
Salgo in piedi sul marmo accanto al lavabo e facendo pressione con le braccia sulle soglia riesco a spingere il mio busto attraverso la finestra. 
Vedo tutto nero davanti a me, ma questo non mi impedisce di allungare le braccia avanti e trascinarmi fuori.
Cado nell'erba, ma mi sposto in fretta per lasciare spazio agli altri. Escono uno alla volta, in silenzio.
Quando sono tutti fuori, rimaniamo rannicchiati per qualche istante nell'angolo sotto alla finestra.
Davanti a noi si estende un lungo giardino, alla fine del quale si apre il bosco di cui parlava Camilla. Per raggiungerlo dobbiamo attraversare duecento metri di campo aperto e scarsamente illuminato.
«Possiamo correre due alla volta e poi ritrovarci nella prima fila di alberi» propongo cercando lo sguardo degli altri. Annuiscono e in un attimo decidiamo le coppie: io e Camilla, Karin ed Eizan e per ultimo Hyuk-Sic.
Prima di cominciare a correre, studio lo spazio davanti a noi. Non ci sono figure, ma le tenebre potrebbero tirarci in inganno.
Prendo un respiro profondo e raccolgo tutta la mia concentrazione.
«Pronta?» Camilla mi guarda facendo dondolare i tacchi che tiene tra le mani.
Annuisco e comincio a correre. L'aria fredda della notte ci schiaffeggia il volto e fa lacrimare i nostri occhi. Continuo a correre a perdifiato fino a che davanti a me non compaiono i primi alberi. Mi blocco di scatto per non sfracellarmi contro un tronco e scorgo Camilla fare lo stesso. 
Ci nascondiamo tra gli alberi, in attesa degli altri. Tra le fronde si scorge la sagoma del palazzo da cui siamo fuggiti. Le finestre del piano terra sono accese, ma non si scorge nulla dell'interno.
«Stanno arrivando?» chiedo a Camilla e lei mi risponde con un mugugno indecifrabile.
Innervosita dalla sua replica, mi sporgo per cercarla con lo sguardo e vedo i suoi occhi sgranati. Ha qualcosa di scuro davanti alla bocca.
Cerco di metterla a fuoco bene, ma mi sento afferrare bruscamente alle spalle.
Una mano. È una mano guantata che le tappa la bocca come un'altra sta facendo con me ora.
«Non muoverti» sibila la voce dell'uomo che mi sta tenendo ferma. Tento di mugugnare contrariata e lui mi stordisce con un colpo alla nuca.
Le mie ginocchia credono, i muscoli si sciolgono. Quando riesco a tornare lucida scorgo Eizan che si dimena per liberarsi da un altro uomo vestito di nero, ma fallisce. Ci hanno presi, tutti.
«Portali al capanno» dice la sagoma che tiene Karin tra le braccia. La ragazza ha la stessa espressione di una lepre che sta per essere investita.
Gli uomini ci spostano bruscamente. Non hanno torce, ma si muovono abilmente tra gli alberi come se conoscessero bene il sentiero. Cerco di ragionare.
Se sono uomini di Benedict, siamo salvi, perché il loro scopo dovrebbe essere difenderci. Se sono uomini di Will, posso dimostrare che lo conosco, ma un solo errore nel mio ragionamento ci farebbe precipitare in una situazione irrimediabile.
Ad un certo punto tra gli alberi compare sagoma di una casa di legno.
L'uomo che stringe Camilla, davanti a tutti, bussa alla porta e qualcuno dall'interno apre. Dopo pochi secondi ci ritroviamo tutti nel buio soffocante del capanno.
Sento chi mi tiene armeggiare alle mie spalle, poi qualcosa di freddo e metallico mi artiglia i polsi. Manette.
Non riesco a smettere di tremare. C'è un attimo di confusione e bisbigli confusi, poi ci ritroviamo chiusi in uno sgabuzzino piccolissimo. Da sotto la porta filtra un leggero spiraglio di luce fievole. Rimango immobile mentre gli occhi mettono a fuoco i volti degli altri ragazzi. È stato tutto così veloce che non abbiamo avuto il tempo di reagire.
Le mani di tutti noi sono legate dietro alla schiena, inutili. Karin, rannicchiata in un angolo,si lascia sfuggire un singhiozzo.
«Andrà tutto bene» mormora Hyuk-Sic e preferiamo illuderci che abbia ragione, piuttosto che correggerlo con ciò che realmente pensiamo.
«Chi sono questi uomini?» sibila Eizan.
«Una volta ho sentito Benedict Lennox dire che essere un uomo importante fornisce irrimediabilmente dei nemici, anche pericoli» dice Camilla «Forse ci hanno preso come ostaggi»
Rimango stupita dalla lucidità con cui gli altri stanno ragionando. Siamo chiusi in uno stanzino buio, con le mani legate, con la paura che palpita nell'aria stantia, inconsapevoli di ciò che ci circonda, eppure loro riescono a formulare pensieri razionali. Sento Eizan muoversi per la stanza tastando le pareti alla ricerca di qualcosa che possa aiutarci. Camilla e Hyuk-Sic sono immobili, con lo sguardo perso nel buio, concentrati.
Devo fare qualcosa. 
Mi avvicino alla porta chiusa e picchio il ginocchio contro il legno duro per bussare.
«Ehi!» chiamo a gran voce.
«Che fai?» sibila Eizan immediatamente. Lo ignoro e continuo a battere contro la porta.
«Smettetela, se non volete che entri!» sbotta l'uomo al di là.
«Voglio parlare con il vostro capo.» replico decisa.
«Luna!» mi richiama Camilla «Sta' buona!»
«Voglio parlare con il vostro capo!» grido ancora.
«Non ti piacerebbe ragazzina» replica beffardamente la voce dello stesso uomo.
«Non avrete paura di una ragazzina!» lo provoco in tono di sfida.
Adesso i ragazzi mi fissano zitti, in attesa.
«Non sono così sconsiderata, so quello che faccio» continuò «Siete voi che temete di non essere in grado di tenermi sotto controllo!»
La porta si apre di scatto e mi sento afferrare per il colletto.
«Cosa vuoi fare?» mi sbotta addosso l'uomo che ha parlato prima, cercando di intimorirmi. Ha il volto coperto e vedo solo gli occhi rabbiosi che mi inchiodano qui.
«Conosco il tuo capo» dico sottovoce tentando di suonare convincente. Dubito che Greg sia rimasto nella sala, perché Benedict potrebbe riconoscerlo e risalire a Will.
«O forse hai paura che io riesca a fuggire» proseguo.
Lui non risponde, si allontana dal mio volto, ma mi tiene saldamente per un braccio.
Tento di raccogliere le forza, ma mi sento debole. L'aria è troppo pesante e statica, non c'è un filo di vento. 
Senza parlare, l'uomo mi tira lungo il corridoio buio del capanno, poi bussa ad un'altra porta.
Non sento alcuna risposta, ma lui mi spinge all'interno del nuovo stanzino. La porta sbatte alle mie spalle.
Rimango immobile, i pugni chiusi dalle manette. La stanza è poco più grande di quella in cui mi trovavo e dal soffitto pende una piccola lampada dalla luce pallida.
C'è una sagoma maschile davanti a me, di schiena. Indossa una felpa nera e dei jeans rovinati.
«Mi avevi detto di non avere impegni stasera» commenta la figura.
Spalanco gli occhi, esterrefatta.
«Will...» chiamo, come se stessi cercando di convincere me stessa di ciò che vedo.
Il ragazzo si volta e scorgo i suoi occhi mandare un bagliore bluastro.
«Cosa ci fai qui?» chiedo deglutendo. Tutta la mia risoluzione è stata spazzata via dall'improvviso stupore. Il ragazzo sorride, come al solito, ma le sue labbra hanno una piega seria.
«Mai sentito parlare di evasione?» domanda ironico. Se possibile i miei occhi diventano ancora più grandi e lui ride.
«Tranquilla, tornerò nella mia cella prima che si accorgano che non ci sono» risponde divertito. «Perché rimani lì impettita?»
Faccio una smorfia: «Ho le mani legate»
Will ride ancora: «Vieni qui!» 
Mi avvicino impacciata e lui mi fa voltare. Mentre armeggia con le manette sento il suo respiro caldo solleticarmi il collo. Ho i brividi.
«Sei gelida» mormora quando sfiora la mia pelle.
«Non ho avuto tempo per coprirmi mentre scappavo» replico sottovoce. Ride ancora. Quando sento le mani libere massaggio i polsi, non perché ne senta la vera necessità, ma perché nei film fanno sempre così.
All'improvviso qualcosa di caldo si posa sulle mie spalle e una piacevole sensazione di torpore si diffonde in tutto il mio corpo.
Mi volto. Will si è tolto la felpa per cedermela.
«Scappavi, mia piccola Luna?» chiede retorico.
«Sì, dai tuoi uomini» replico prontamente.
Lui sbuffa: «Sei venuta a farmi la predica?»
Prendo coraggio e fisso i miei occhi nei suoi: «Ho sentito degli spari. Pensavo fossi diverso da tuo zio, pensavo difendessi le persone.»
«Io difendo le persone buone» ribatte serio, ma sul suo volto aleggia ancora l'ombra di un sorriso.
«I ragazzi che come me si trovavano in quella sala, non erano "persone buone"?» chiedo ancora, con una smorfia. Lui sbuffa:
«Ho detto di non fare del male ai ragazzi infatti. Ma tutti gli uomini presenti sono colleghi di mio zio!»
Faccio per ribattere, ma lui mi zittisce: «Lasciami finire. Il mio piano consisteva principalmente nel sostituire il video che Faccia di Pupù voleva proiettare con un altro, che spiegava le azioni criminali in cui è implicato. Le guardie servono principalmente ad impedire che la gente lasci la sala. Voglio che tutto vedano quelli immagini e capiscano che tipo persona è Benedict. Non voglio uccidere nessuno, se non è strettamente necessario»
«Però saresti disposto a farlo» commento incrociando le braccia al petto con una smorfia di disappunto.
Mi guarda negli occhi. Sono bellissimi, grandi come l'oceano, avvolgenti come le sue onde. Nel buio della stanza, la lampada ondeggia dalle travi del soffitto.
«Sì, Luna,sarei disposto a farlo, anche Greg lo sarebbe e anche tu.» non mi lascia il tempo di interromperlo e prosegue: «Se qualcuno ti puntasse una pistola alla testa, non ti piacerebbe che io fossi pronto ad ucciderlo per salvarti?»
La sua domanda aleggia qualche istante nel silenzio. 
«E io lo farei» continua «Premerei quel grilletto migliaia di volte, pur di farlo prima di quel bastardo che vorrebbe portarti via da me»
«C'è sempre un altro modo, Will. Non puoi ammazzare metà della popolazione mondiale per la difesa dei tuoi ideali...»
«Questo lo so! L'ho capito con il tempo. Le mie armi sono diverse dalla violenza, ma talvolta per combatterla, c'è bisogno della stessa, in piccole quantità. Ma non sono qui per discutere la correttezza dei miei metodi. Devi andare Luna, via da qui»
«Cosa?» chiedo esterrefatta.
«Fingi di esser riuscita a fuggire da questo capanno con i tuoi amici. La polizia è già arrivata dall'altro lato del palazzo»
«Pensi che me ne vada così facilmente?» chiedo stizzita. Non ho intenzione di lasciare qui Will quando potrebbero scoprirlo da un momento all'altro. Nonostante non sembri, sono io la più forte qui dentro.
«Cercherò di essere più chiaro» continua lui «Ricordi ciò che ti hanno detto i portoghesi che hanno quasi ucciso mia mamma?»
Annuisco, incerta su ciò che voglia dire.
«Ho scoperto chi è il loro nuovo fornitore, ovvero colui che li finanzia e permette loro di compiere tutti i soprusi. Vuoi saperlo?»
«Benedict Lennox» rispondo prima che lo faccia lui, stupita dalle mie stesse parole.
Cerco il suo sguardo, confusa, ma Will annuisce, grave. Sulle sue labbra si dipinge una smorfia:
«Indirettamente è lui il responsabile di ciò che è avvenuto. Adesso capisci perché devi andartene? È troppo pericoloso rimanere qui.»
«Perché vuoi proteggermi dopo avermi chiesto di passare dalla tua parte e di essere pronta ad aiutarti sempre, a mio rischio e pericolo?» 
Parlo con sicurezza e risoluzione, come non ho mai fatto. Will mi prende le mani e leggo il dolore nello sguardo che mi rivolge.
«Non sai quanto mi sia pentito di avertelo chiesto, Luna. Ora voglio solo proteggerti.»
«Perché?» chiedo addolorata. «Non voglio essere protetta, non sono una bambina! Mi sono schierata al tuo fianco e ho accettato ciò che questo comporta. Perché ti comporti ancora così?»
«Perché mi piaci Luna» risponde sulle mie labbra. Dei brividi mi percorrono la schiena e attraversano tutto il corpo. Blu. Vedo solo il blu dei suoi occhi.
«Negarlo sembrava la cosa più conveniente, seppur la più dolorosa e mi sono illuso di poter vivere con questa sofferenza se ciò sarebbe servito a proteggerti.» mormora. Le iridi di Will brillano.
C'è un istante infinito di attesa, di sospensione, di pausa, di studio, di contemplazione.
Poi mi bacia. E non è tanto diverso dall'ultima volta, sento solo la necessità di farlo e le palpitazioni per l'entusiasmo di ciò che lui ha appena detto mi pervadono.
Percepisco la parete di legno contro la mia schiena e il petto di Will contro il mio.
Le sue mani stringono saldamente le mie, come se mi sorreggessero con forza.
Questo è tutto ciò che voglio. 
 
 
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Ciao a tutti!
So di essere infinitamente in ritardo e chiedo scusa a tutti per ciò, mi dispiace molto!  Spero che gli ultimi avvenimenti possano compensare la lunga assenza. 
Fatemi sapere al più presto cosa ne pensate! :)
Alla prossima
Lux
 
 

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Capitolo 20
*** _Dove parlo di bene e male ***


_Dove parlo di bene e male
 
L'uomo mi spinge malamente nello stanzino buio e sbatte con violenza la porta alle mie spalle. 
Percepisco l'agitazione degli altri ragazzi, la leggo sui loro volti scarsamente illuminati dallo spiraglio di luce che filtra da sotto alla porta.
«Tutto bene?» chiede Camilla con uno sguardo serissimo dipinto negli occhi castani.
Annuisco e cerco le figure degli altri.
«Cosa è successo?» domanda Eizan impaziente.
«Ho parlato con il loro capo. "Parlare" è un eufemismo. In realtà lui mi ha guardata in cagnesco per tutto il tempo e mi ha lasciata andare dicendo di stare buona e di dire a voi di non provare a scappare»
«Com'è?» chiede Hyuk-Sic, attento. I suoi occhi pungenti sembrano scrutare nella mia anima per estrapolare le informazioni ancor prima che io spicchi parola.
«Non sembrava molto alto, ma è tozzo, ne sono quasi sicura. Non saprei dire altro»
I ragazzi si guardano fra di loro scoraggiati.
«Ma...» proseguo. Ho di nuovo la loro attenzione palpitante. «Ho preso una cosa»
Mi avvicino ad Eizan e gli passo del fil di ferro. Le mani di entrambi sono legate dalle manette, così il passaggio è un po' impacciato e lento.
«È fantastico» sussurra lui «Ora vi libero»
Lo sentiamo armeggiare con le manette, nel silenzio della stanza. Ho programmato con Will la nostra "evasione". Sapevo che Eizan se la cava a forzare serrature, per questo ho preso il filo di ferro.
«C'è una sola persona di guardia a questa porta» dico «E noi siamo in cinque. Possiamo assalirla e poi fuggire. L'uscita è a destra, in fondo al corridoio, ma non ci sarà nessun altro, o almeno è così che ho visto prima. Dobbiamo sbrigarci prima che cambino organizzazione»
Vedo Camilla studiarsi la linea dei polsi, finalmente liberi, poi, il più in fretta possibile, cedono anche le manette di Hyuk-Sic e Karin. Per ultima vengo liberata io. 
Lascio che siano gli altri ad organizzare l'attacco, perché la mia sicurezza non dia troppo nell'occhio.
I ragazzi discutono sottovoce tra di loro e ci spartiamo i compiti velocemente. 
Eizan infila il fil di ferro nella serratura della porta che ci tiene rinchiusi. L'unico rumore che percepiamo è un leggero tintinnio metallico e, di tanto in tanto, i sospiri stanchi della guardia.
Sentiamo tutti un piccolo scatto e i nostri respiri si fermano in quello spazio immobile tra la gola e la bocca, per non produrre nessun altro rumore.
I sospiri annoiati dell'uomo continuano imperturbabili. Eizan fa un cenno. Ci disponiamo tutti secondo le posizioni stabilite.
Il ragazzo posa una mano sulla maniglia, poi spalanca la porta.
Agiamo in fretta, senza pensare, spinti dall'impulso della vita che cerchiamo.
Hyuk-Sic scatta avanti, afferra la guardia e la spinge all'interno dello stanzino, Karin gli tappa immediatamente al bocca, mentre Camilla tiene ferme le sue braccia. Quando io esco per controllare il corridoio, Eizan sferra un colpo alla nuca dell'uomo ed egli si accascia svenuto a terra.
«Venite, veloci» dico in un sussurro.
Scivoliamo sul legno che non ci risparmia qualche scricchiolio fino a giungere davanti alla porta d'ingresso. Eizan si porta a capo della fila e armeggia ancora con la serratura. Impiega più tempo di prima e i nostri cuori scandiscono il tempo con i loro battiti frenetici.
Rimaniamo immobili, come per confonderci con le ombre del corridoio, con le orecchie tese pronte a cogliere ogni rumore diverso dai nostri respiri.
Quando anche questa serratura cede ci infiliamo nel buio freddo del bosco. Non c'è nessuna luce artificiale e la luce delle stelle fatica a superare le fronde degli alberi tutt'intorno a noi.
Sentiamo dei passi provenire dal lato destro della casa e ci lanciamo insieme verso dei cespugli dalla parte opposta. Mi ritrovo con la gamba di Camilla sulla pancia, che mi preme a terra, è il gomito di Karin sulla coscia. Sotto la luce della luna si delinea la figura di un uomo che lancia uno sguardo circospetto intorno a sé. Guarda in nostra direzione e stringe gli occhi.
Il mio vento fa scricchiolare del rametti più avanti e lui si allontana per andare a controllare.
«Non avevamo pensato alle guardie esterne» fa notare Eizan.
«Grazie, non me n'ero accorta» commenta Camilla con una smorfia, o almeno immagino la stia facendo perché non riesco a vedere il suo volto.
«Andiamocene a coppie» propone Hyuk-Sic «Anche se ci muoviamo tutti assieme potrebbero prenderci. Se ci muoviamo in pochi abbiamo meno possibilità di essere visti e se uno solo di noi arriva dalla polizia, può chiamare i soccorsi»
Gli danno tutti ragione e non posso far altro che unirmi a loro.
«Vado io per ultima» mi offro e nessuno di loro si sente di fare l'orgoglioso e controbattere.
Per primi vanno Camilla e Hyuk-Sic. Vediamo i loro corpi delinearsi nelle tenebre e scomparire tra queste. Mi metto seduta dietro al cespuglio mentre anche Karin ed Eizan se ne vanno. Sono rimasta sola.
Mi alzo in piedi, pronta a captare ogni suono.
«Veloce come il vento, signorina Leach?» 
Mi volto si scatto.
«Se era una battuta, era davvero pietosa.» commento cercando il proprietario della voce. Will compare con il suo sorriso stampato sul volto.
Si avvicina, poi mi prende per una polso e mi attira a sé.
Sento il sapore delle sue labbra contro le mie ancora prima che si tocchino.
«Ci stai prendendo gusto con questi baci» commento e mi rendo conto dopo dell'idiozia che ho appena detto. A lui non importa e ride. Il suono scivola nel buio, ma nessuno ci fa caso.
Gli regalo un altro bacio, labbra contro labbra, poi scappo veramente.
Supero il bosco, gli alberi scompaiono alle mie spalle.
Mi fermo un istante per prendere fiato e studiare lo spazio intorno a me. A sinistra c'è il palazzo, con le luci del piano terreno ancora accese, mentre sento dei rumori provenire dalla parte anteriore.
Riprendo a correre in quella direzione e poco alla volta ai miei occhi si delineano delle figure raggruppate intorno a delle auto. 
Riconosco i lampeggianti della polizia, così rallento leggermente e cerco di schiarirmi le idee.
«Luna! Luna!» Camilla mi corre incontro gridando e mi abbraccia con forza.
La sento stretta a me, vibrante.
«Ci sono tutti?» chiedo con il fiato corto. Lei annuisce a fatica. Ha gli occhi lucidi e le sue labbra tremano.
Ci avviciniamo insieme al gruppo. Scorgo Karin rannicchiata in un angolo, poi Eizan e Hyuk-Sic che parlano con un poliziotto.
«Luna» mi sento prendere per un braccio e tirare dolcemente a lato. Camilla scompare e io sono troppo confusa e attonita per cercarla.
L'uomo che mi ha stretto il polso è alto e muscoloso, con i capelli castano-rossicci a spazzola. Impiego un istante per riconoscerlo come il padre di Clare.
«Perché sei qui?» gli chiedo stupita.
«Sono un poliziotto, è normale che io sia qui. Tutto bene?» 
Annuisco, confusa.
Le luci blu e rosse illuminano i volti dei presenti in modo quasi spettrale, poi scivolano sullo spazio circostante e sul palazzo alle nostre spalle.
È pieno di persone che cercano sostegno e di poliziotti che corrono di qua e di là per controllare che tutto sia in ordine.
Scorgo del trambusto poco distante da noi e un secondo più tardi un'ambulanza parte gridando.
«Cos'è successo?» chiedo al padre di Clare. Lui mi porta in disparte, dove i rumori della gente paiono più lontani ed ovattati.
«Questo dovresti dirmelo tu»
Fissa i suoi occhi castani nei miei terrorizzati. 
«Insomma, voi eravate presenti. Cosa avete visto? Cosa avete sentito? Ogni dettaglio potrebbe essere fondamentale per identificare i colpevoli.»
Mi tranquillizzo un poco, ma la sensazione di ansia continua ad attanagliarmi il petto.
«Va bene» dico «Risponderò a tutto»
Un collega dell'uomo mi fa qualche domanda sporadica, troppo generale perché io debba ingegnarmi con le bugie.
Rifilo anche a lui la storia del criminale non molto alto e tozzo che ho raccontato agli altri ragazzi e mi lasciano presto in pace. 
«Adesso vi portiamo a casa» dice il padre di Clare e mi fa salire sulla sua auto.
Lancio un ultimo sguardo alla folla raggruppata davanti al palazzo. Eizan e Hyuk-Sic stanno ancora parlando con un poliziotto, mentre Camilla si è avvicinata a Karin e si sono sedute vicine, avvolte dalla stessa coperta.
Stanno tutti bene. Sono tutti salvi.
Sento le lacrime premere sugli occhi e ne lascio scivolare una lungo la guancia fredda.
Sono fredda, sporca, stanca, dolorante, ma felice
Sono riuscita a salvarli tutti.
Salgo sull'auto che mi porta via inosservata. Attraversiamo le strade deserte, immerse nel silenzio della notte che se potesse parlare avrebbe un mondo di parole da riversare su di noi.
Chiudo gli occhi e mi lascio cullare dal suono leggero,delle gomme sull'asfalto.
 
Il giornale cade sul tavolo di metallo sbattuto con forza, come per evidenziare le lettere che a caratteri cubitali informano dell'ultimo clamoroso avvenimento: 
"UN ALTRO ATTACCO A BENEDICT LENNOX, 2 MORTI E 11 FERITI"
Will, dall'altro lato del tavolo, alza gli occhi verso di me così in fretta da far dubitare che abbia letto il titolo, ma sono più che convinta che in realtà ha già scansionato anche le prime righe dell'articolo, senza darne segno. 
«Non fare il finto tonto» gli dico seria.  
Lui sospira e si passa una mano tra i capelli, scompigliandoli.
«Qualcuno ti ha vista entrare con questo giornale?» lancia uno sguardo circospetto alla sala intorno a sé. Come al solito è così affollata che nessuno farebbe caso a no.
Scuoto il capo: «Will, sono morte due persone, ti rendi conto?»
«Saresti disposta a farti carico di vite umane?» domanda lui, come se volesse cambiare discorso all'improvviso.
«No!» replico prontamente.
«Saresti disposta a fare sacrifici per grandi cose?»
«Non se vite umane»
«Allora lascia fare a chi è disposto. Non c'è bisogno di coraggiosi pieni di misericordia in questo mondo.»
«Era necessario uccidere quelle due persone?»
«Derek Hamilton, accusato per estorsione non è stato condannato per mancanza di prove, attualmente faceva da segretario a mio zio, e Samuel Taylor, segnalato più volte per maltrattamenti ai suoi dipendenti.»
Sgrano gli occhi esterrefatta.
«Quegli omicidi erano programmati?» esclamo incredula.
Il ragazzo guarda alle mie spalle, poi abbozza un sorriso: «Se non gridassi, te ne sarei molto grato»
Mi siedo sulla panca di fronte a lui e mi piego in avanti per essere più vicina.
«Li ha fatti uccidere?» sbotto sottovoce.
Lui sbuffa: «Che brutta scelta di parole, come se io fossi un dio e una mia decisione possa controllare delle vite. Sono un essere umano anche io, signorina Leach»
«Sembra invece che tu ti stia comportando come un essere superiore, non credi?» replico guardandolo negli occhi. Le sue iridi del colore dei lapislazzuli rimandano un bagliore divertito.
«Qualcuno deve pur prendersi certe responsabilità.»
«Sei disposto a vivere con la consapevolezza di aver spezzato delle vite?»
«Non ero io quello con le mani sporche di sangue»
«È ipocrita da parte tua ritenerti innocente»
«È ipocrita da parte tua credere di poter cambiare ma non accettare di fare un solo passo»
Comincio a sentirmi vuota. Io non sono fatta per combattere.
«Cambiare non significa diventare male» annaspo.
Lui sorride: «Ritieni di essere bene ora?»
«Di certo più di te. Tu sei male, Will, tanto male, come il dolore che hai fatto provare a quelle persone che aspettavano il ritorno dei loro cari, ma hanno ricevuto la chiamata della polizia per dir loro che erano morti. Spero che tu te ne renda conto»
Mi alzo di scatto in piedi, prima che possa rispondere e lascio in fretta la sala.
Attraverso i corridoi il più velocemente possibile, poi esco dal Centro, per lasciarmi alle spalle tutta la sofferenza che mi ha provocato. Ma rimane un sapore amaro sulle mie labbra e qualche lacrima negli occhi.
 
C'è un venticello leggero nel campus. Soffia tra le case portando con sé l'odore dell'inverno imminente e si allontana raccogliendo i profumi di questo posto.
Sono nella veranda della mia casa e ascolto i rumori intorno a me.
Ho appena parlato con la mia famiglia. Dopo un lungo periodo di forzato silenzio mi sono arresa e ho accettato le loro chiamate. Non mi sembra che se la passino male, insomma sempre le stesse cose: papà impegnato con il lavoro, mamma che si vanta di quanto sia brava sua figlia e Calvin che finge di essere felice della mia lontananza ma ne soffre più di tutti.
Chiudo gli occhi per un istante e quando li riapro c'è una nuova sagoma nel viale. Ha il sole alle sue spalle, quindi riesco a scorgerne solo i contorni, ma raddrizzo la schiena sulla panca, incuriosita. La figura si avvicina lentamente.
«Ti ha mandato Will?» chiedo quando lo riconosco.
Un sorriso si apre sul volto di Greg mentre prende posto al mio fianco.
«No, ma mi ha detto che hai fatto un bel casino»
Scrollo le spalle: «Abbiamo solo avuto una discussione»
«Che ha attirato l'attenzione di tutti i presenti» aggiunge lui.
«Non me n'ero accorta» replico stupita.
«Lo so, Luna, tu non ti accorgi mai di ciò che ti riguarda, perché sei una persona buona e le persone buone non pensano a se stesse per prime»
«Cosa vuoi dire?» mi volto vero di lui e vedo il sorriso sulle sue labbra.
«Se tu sei buona e hai deciso di stare dalla nostra parte, un motivo ci deve essere» continua Greg.
«Significa che voi siete i buoni?»
«No, gli schieramenti non nascono buoni o cattivi, ma lo diventano per le persone che vi aderiscono»
Mi metto a ridere e anche il sorriso del ragazzo si accentua.
«Sei molto più persuasivo di Will, lo sai?» commento divertita.
«Lui è più "fumo e specchi (*)", io "sincerità e autenticità"»
Mi alzo in piedi e do la schiena al sole in modo da poter guardare finalmente Greg negli occhi.
«Be', il più efficace alla fine sei stato tu. Grazie»
«E di cosa?»
Si alza in piedi anche lui, mi posa una mano sulla spalla ed è così vicino che riesco a sentire il suo profumo di miele.
Mi lascio abbracciare da lui e mi fa sentire così bene e così al sicuro nonostante tutto.
 
Mentre cerco di infilarmi una lente a contatto nell'occhio sento bussare con forza alla porta della mia casa.
Rimango un attimo immobile, stupita. È lunedì mattina, chi mai può essere?
Lascio cadere la lente nel suo contenitore e mi sposto nella sala inforcando gli occhiali.
Quando apro la porta trovo davanti a me due uomini con la divisa della polizia. Soffoco il primo istinto di sbatter loro la porta in faccia e fuggire dal retro, ma sforzo un sorriso smagliante e un'espressione interrogativa.
«Buon giorno agenti, posso aiutarvi?»
Il primo si sistema gli occhiali sul naso,che gli conferiscono un'aria intellettuale e si schiarisce la voce:
«Sì, vorremmo parlare con te riguardo quanto avvenuto sabato sera. So che sei già stata interrogata, ma eri sotto shock ed è possibile che a mente lucida tu sia riuscita a rielaborare quanto avvenuto.»
«Certo» annuisco per dargli ragione e apro del tutto la porta «Accomodatevi»
Fortunatamente il salotto si trova in condizioni umane (riesco a chiudere la porta della camera prima che si accorgano del pigiama appeso al lampadario), così riescono a prendere posto sul divano.
Mi posiziono su una sedia di fronte a loro.
«Ricordi quanto raccontato ai nostri colleghi sabato sera?» chiede l'uomo con gli occhiali che ha parlato prima.
Annuisco.
«Ti dispiace ripeterlo?»
Cercando di essere il più fedele possibile, ripeto la farsa che avevo rifilato agli altri poliziotti.
L'altro uomo controlla su dei fogli qualcosa ogni volta che io apro bocca, come per confrontare la mia versione dei fatti con altre.
«Gli altri ragazzi che erano con te hanno detto che hai parlato con il capo dei criminali, è vero?» domanda l'uomo con gli occhiali.
«Sì, o almeno così mi è stato detto. Come ho già riferito, ricordo solo che era un uomo non troppo alto e di corporatura robusta.»
«Questa è già la terza aggressione che subisci in meno di tre mesi. Credi ci sia qualche collegamento?» continua lui.
Attivo la mia modalità attrice con il suo scandalosamente pessimo rendimento e rispondo, in tono falso affranto: «No, ma spero finiscano. Io...io non so cosa posso aver fatto e più ci penso più mi convinco di non c'entrare nulla in questa storia, ma la continua insistenza di questi eventi non aiuta a pensare positivo. Avete scoperto qualcosa a riguardo?»
I due uomini si scambiano uno sguardo, poi entrambi scuotono il capo.
«Grazie per la collaborazione.» dice l'occhialuto, poi prende un foglio, lo firma e me lo tende: «È la giustifica per l'entrata in ritardo, se è della polizia non possono dirti nulla» 
Si alza in piedi con il collega e si avvicinano alla porta. Poco prima di uscire, si volta e fissa i suoi occhi, dietro alle lenti profonde, nei miei. 
«Giusto per chiarire, volevo ricordarti che tutto quello che hai dichiarato e dichiarerai sarà parte di documenti ufficiali. L' intralcio alla giustizia è un crimine e come tale viene punito»
Tento di annuire ma mi sento i muscoli paralizzati e rimango a fissarli mentre escono e chiudono la porta alle loro spalle.
Qualche istante più tardi, quando i due sono spariti dalla strada, vado verso la scuola per non ritardare ancora la mia entrata. Se riesco a fare pochi giorni di assenza, considerando la mia media della A, posso essere esonerata dagli esami di fine semestre e sarebbe davvero fantastico non dover ripassare tutto il programma fatto da settembre.
Riflettendo tra me e me raggiungo la classe di matematica.
Il professore seduto dietro alla cattedra lancia un'occhiata alla mia giustifica, poi mi fa cenno di sedermi tra i banchi. Sento gli occhi degli altri ragazzi seguirmi con interesse e curiosità, ma li ignoro e tento di concentrarmi sulla lezione.
Nel corso della giornata non riesco a trovare Clare, così, finite le lezioni, torno subito a casa. 
Gli altri studenti sono ancora radunati nel piazzale della scuola e parlano tra loro divertendosi. Mi allontano da loro con le mani infilate nelle tasche della giacca nel tentativo di ripararle dall'aria fredda di novembre.
Raggiungo la mia dimora e non faccio in tempo a sedermi che già qualcuno bussa alla porta. Sarà Greg? mi chiedo.
La mia cara vecchia Voce decide ancora una volta di non farsi sentire, così sono costretta ad avvicinarmi titubante all'ingresso.
Poso una mano sulla maniglia, mentre un'altra serie di battiti scuote il legno.
Apro lentamente la porta, lanciando uno sguardo davanti a me.
«Ciao Luna» mi saluta Benedict Lennox nella veranda della casa con un sorriso bello da far rabbrividire «Devo parlarti di una cosa molto importante»
Maledico la mia pessima capacità recitativa e sgrano gli occhi.
 
 
(*) smoke and mirrors: è un modo di dire inglese che indica l'inganno e l'illusione facendo riferimento agli strumenti utilizzati dai prestigiatori nei loro trucchi.
 
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Ciao a tutti! 
Finalmente ho trovato il tempo di completare il capitolo! Le cose si complicano e voi cosa ne pensate? Vi è piaciuto? Lasciatemi una recensione e ditemi tutto quello che volete dire:)
Alla prossima
Lux

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