Nothing is impossible...

di Akiko chan
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Fratelli ***
Capitolo 2: *** Scontri notturni ***
Capitolo 3: *** Colpo di fulmine ***
Capitolo 4: *** Amici ***
Capitolo 5: *** Capitano! ***
Capitolo 6: *** Tristi riflessioni ***
Capitolo 7: *** Rancori ***
Capitolo 8: *** Debolezze ***
Capitolo 9: *** Brusco risveglio ***
Capitolo 10: *** Nascosta nell'ombra ***
Capitolo 11: *** Inizio di un'alleanza ***
Capitolo 12: *** Una lunga chiacchierata ***
Capitolo 13: *** Tregua? ***
Capitolo 14: *** Un amico ritrovato ***
Capitolo 15: *** Alleanze in famiglia ***
Capitolo 16: *** Papà! ***
Capitolo 17: *** Fuga a Fusjisawa ***
Capitolo 18: *** Preda o predatore? ***
Capitolo 19: *** Una Nazionale in crisi ***
Capitolo 20: *** La richiesta di Holly ***
Capitolo 21: *** Sconcertante sentimento ***
Capitolo 22: *** Un amore da dimenticare ***
Capitolo 23: *** E la pace è fatta! ***
Capitolo 24: *** Farfalla inesperta ***
Capitolo 25: *** IN CADUTA LIBERA ***
Capitolo 26: *** Partenza: the end? ***
Capitolo 27: *** Amori gettati in mare ***
Capitolo 28: *** Nothing is impossible if....you are with me ***



Capitolo 1
*** Fratelli ***


Eccomi qui con la mia quarta fanfiction su Captain Tsubasa e la seconda su Mark Lenders. Posso dire che questa fic è un’incompiuta nel senso che l’avevo già iniziata  e postata un paio di anni fa  ma poi l’avevo interrotta al quindicesimo capitolo non sapendo bene come proseguire. Ora l’ho ripresa in mano dall’inizio, modificata e cancellato i passaggi che non mi convincevano. Questa volta ho aspettato di scrivere l’ultimo capitolo prima di pubblicarla, memore dei rimproveri che mi sono giunti per aver deciso di toglierla da EFP. Sarà il personaggio che, essendomi tanto caro, mi crea sempre qualche problema nel creargli una storia … all’altezza. Ciao a tutti e buona lettura. Akiko chan.


CAPITOLO I. FRATELLI
 
Lasciò che la  porta si richiudesse con un tonfo sordo alle sue spalle mentre si affrettava a sfilare gli anfibi zuppi di pioggia. Fuori era in corso un vero e proprio diluvio e lei l’aveva beccato in pieno. Ancora ansante per la corsa, portò una mano al volto per staccare le ciocche fradice dalle guance ghiacciate, ma si bloccò, con il braccio sollevato a mezz’aria, non appena la gioiosa risata di una bimba le giunse dalla cucina.
 
Una pugno allo stomaco le avrebbe fatto sicuramente meno male.
 
Alla voce squillante della bambina fecero seguito quelle di altri bambini, di una donna e di un uomo. Per essere precisi la voce di suo padre, della sua sgualdrina e dei suoi bastardi. Tre per l’esattezza. Una viziata bimbetta di sei anni, un odioso ragazzino di nove e un disgustoso preadolescente di dodici.
 
Una bella famiglia di merda, insomma.
 
Si infilò le ciabatte da casa, sciorinando a denti stretti una colorita serie di volgarità pescando nel suo fornito repertorio, quindi si diresse silenziosamente verso le scale che portavano al primo piano della casa che, fino a un mese prima, aveva condiviso in perfetta e solitaria armonia con suo padre.
 
-Shay…sei in ritardo per la cena…- la figura snella del padre si staccò dalla cornice della porta della cucina, affrettandosi ai piedi delle scale.
 
La ragazza si arrestò con il piede sul terzultimo scalino prima del pianerottolo che dava al piano superiore. Strinse forte il corrimano, facendo sbiancare le nocche delle mani, respirò a fondo appellandosi a tutta la sua forza di volontà per far scemare almeno in parte l’ondata di funesta rabbia che le stava montando dentro, più incalzante di un temporale estivo. Se avesse ceduto e concesso alla sua ira di uscire liberamente, sarebbe saltata come una fiera selvaggia al collo del padre, facendogli schizzare con un sol colpo gli occhi fuori dalle orbite, per poi continuare ad infierire martoriando quel volto, con inaudita cattiveria sino a farlo implorare pietà, ma lei avrebbe proseguito, non si sarebbe placata almeno che non le avesse giurato di sbattere fuori di casa quella mandria di fottutissimi parassiti seduta stante.
 
Bastardi figli di una puttana approfittatrice.
 
Feccia partorita da un’arrivista buona a nulla.
 
Il padre riusciva a fiutare nell’aria l’istinto assassino che si dimenava incontenibile nel petto della figlia -Rosaly ha preparato il tuo piatto preferito e…- nella voce controllata del genitore vibrava un’inusuale nota di insofferenza mentre fissava la schiena rigida della ragazza - … avremmo piacere che tu ci raggiungessi per la cena…-
 
Shay abbassò le palpebre sino a coprire quasi interamente l’azzurro cielo delle sue iridi incupite dalla tensione, strinse a pugno anche l’altra mano, ignorando il fastidio causato dalle unghie che si conficcavano nella carne sensibile del palmo. Il dolore non aveva importanza, nemmeno la ricordava più quel tipo di sofferenza, erano troppo profonde le ferite della sua anima per percepire quelle del corpo.
 
Iniziò mentalmente a contare, pregando che nessun muscolo del suo corpo la tradisse.
 
-Shay…-
 
-Non mangio- la sua voce suonò bassa e cupa come lo scoppiettio del fuoco morente.
 
-Neanche stasera!? Quando finirà questo sciopero della fame? Dai non fare la bambina… -
 
-Non ho fame! Chiaro?- replicò in fretta questa volta con voce stridula, quasi isterica, salendo di corsa la manciata di scalini che la separavano dal pianerottolo.
 
-Non ti permetto di usare questo tono con me!- la riprese il genitore alzando il tono e mettendo da parte l’infruttuosa tecnica delle moine, per nulla disposto a cedere di fronte a quell’ennesimo, incomprensibile capriccio -Vatti a lavare le mani e vieni a tavola- ordinò con un piglio pungente che voleva essere imperioso, ma risultò invece vagamente incerto. Decisamente interpretare la parte del genitore autoritario gli costava un’enorme fatica e non ci era proprio tagliato.
 
La ragazza, giunta ormai all’apice delle scale, si bloccò di colpo voltandosi con pericolosa lentezza per affrontare a viso aperto quel padre che l’aveva così profondamente ferita.
 
Il signor Field indietreggiò di un passo, fissandola con sospetto, perfettamente conscio che quando Shay si muoveva così adagio, simile ad una pantera acquattata tra l’erba, era pronta ad attaccare, anche fisicamente, se si sentiva particolarmente minacciata.
 
Ma Reeve Field si riscosse in fretta, non era disposto a cedere, non ancora, non anche questa volta. Scrutò con rinnovato stupore la rabbiosa adolescente che aveva dinnanzi, in cui, per quanto si sforzasse, non riusciva a identificare la spensierata figlia di poche settimane prima.
 
L’uomo sperò con tutte le sue forze che nei suoi occhi Shay leggesse il dispiacere che gli stava procurando e che riprendesse a ragionare e a comunicare di nuovo con lui. Niente da fare: la freddezza glaciale che da un mese ammantava lo sguardo della figlia era sempre lì. Inalterata. D’altronde non poteva pretendere che un suo ordine, dato con goffaggine e poca convinzione, fosse sufficiente per smuoverla dall’assurda posizione in cui si era trincerata.
 
Lo sapeva più che bene che Shay non era mai stata una ragazzina “facile”, niente a che fare con quelle bambine tanto carine sempre educate e impeccabili. Assolutamente no, la sua piccola era fatta di tutt’altra pasta, niente pizzi o gonnelline a fiori. Il carattere determinato sino alla cocciutaggine, la caparbietà con cui portava avanti una sua idea, la forza d’animo che rasentava a volte la violenza, erano sempre state per lui fonte di grande preoccupazione ma anche motivo di infinito orgoglio. Era sempre stato fiero dell’intelligenza acuta della figlia, del suo sarcasmo che la faceva sempre uscire a testa alta da ogni situazione, aperta a nuove esperienze e dotata di una brillante capacità di critica. La sua bambina, la sua adorata bambina, era tutto quello e molto di più.
 
O almeno lo era.
 
Una smorfia amara incurvava le labbra dell’uomo mentre una profonda ruga di preoccupazione prendeva forma sulla sua fronte già da tempo solcata da sottili linee. Parlare civilmente con Shay era diventato impossibile. Sempre pronta ad attaccare con cattiveria, a rifiutare qualsiasi confronto, offendeva ed inveiva contro chiunque le rivolgesse la parola.
 
Che aveva fatto per meritarsi tutto quell’ingiustificato rancore? Perché Shay non gli concedeva di essere felice accanto alla donna di cui si era innamorato? Perché la sua intelligente bambina non capiva che, a quarant’anni suonati, un uomo poteva essere stufo di una vita di avventurette senza consistenza ed innamorarsi seriamente? Perché lo odiava al punto da non accettare di vederlo finalmente realizzato accanto alla donna che aveva scelto per moglie?
 
Lanciò una lunga, preoccupata occhiata al profilo regolare della figlia, fiocamente illuminato dalla luce del salotto. Un sospiro di rassegnata insofferenza gli sfuggì dalle labbra: doveva aspettarselo che neppure quella sera il miracolo si sarebbe compiuto: Shay non era per nulla persuasa ad abbandonare la dura linea di maleducazione e crudeltà che aveva deciso di tenere nei confronti della sua nuova famiglia.
 
Come richiamata da quei pensieri, la ragazza si soffermò ancora un istante sul volto del padre scrutandolo intensamente. L’uomo si ritrovò a fissare attonito i grandi occhi della figlia dove vibrava una fiamma di odio puro, e il messaggio carico di accuse mai formulate gli arrivò forte e chiaro. Ma come doveva fare? Che doveva dirle per convincerla che tra loro non era cambiato nulla, che Rosaly non si sarebbe mai intromessa tra padre e figlia?
 
-Va la diavolo- ringhiò la ragazza a denti stretti prima di scomparire come un fulmine oltre la porta della sua cameretta.
 
Stordito e atterrito da quella creatura indemoniata che aveva sostituito la sua solare figlia, fece un enorme sforzo su se stesso per non girare sui tacchi ed andarsene, lasciandola sola a sbollire tutto quell’ingiustificato rancore -Io non ti permetto …- ribatté riprendendosi dopo un attimo di esitazione e pronto ad affrontarla una volta per tutte – Ora vedrai…- minacciò già pronto a salire le scale se una presa delicata, ma al contempo decisa all’avambraccio, non lo avesse bloccato –Rose lascia che le parli…- protestò voltandosi indietro e scrutando addolorato il volto supplichevole della donna accanto a lui.
 
-Fermati Reeve…calmati-
 
-No ... non posso più tollerare un simile comportamento- protestò l’uomo con molta meno convinzione di quanto avrebbe voluto.
 
-Cerca di capire, è stravolta, lei non si aspettava che tu ti risposassi e di trovarsi per casa tutti questi fratelli…-
 
-Beh è ora che lo accetti. Sapeva della nostra relazione, non le ho mai tenuto nascosto niente, le ho sempre parlato con franchezza, trattandola come una ragazza matura, ma così non è a quanto pare. È solo una ragazzina viziata che pretende che tutto vada come vuole lei! Ma non si vive così, hai capito Shay?- gridò guardando su per le scale -Non andrà avanti ancora per molto questa storia!Hai cinque minuti di tempo per scendere, poi verrò io a prenderti!-
 
Shay ascoltò quello sfogo paterno con la schiena bagnata appoggiata contro lo spesso pannello della porta, osservando, senza vedere, il disordine che regnava sovrano nella sua camera. Abbassò lievemente il capo mentre un ghigno beffardo le piegava le labbra, strette sino allo spasmo in una linea di ostinata strafottenza.
 
D’altronde era così che da più di un mese aveva deciso di affrontare quella realtà tanto odiata: con violenza, arroganza, forza e sdegno. Un fardello pesante che le gravava addosso e che sempre più spesso le dava la sensazione di soffocarla, piuttosto che proteggerla.
 
Scosse il capo infastidita dallo strepito inutile che il genitore stava proseguendo al piano di sotto. Non lo capiva che era tutto fiato sprecato? Che urlasse pure sino a farsi saltare le corde vocali, che inveisse, che scoppiasse soffocato dalla sua bile, tanto per lei quelle erano solo parole vuote, suoni inarticolati ed indecifrabili che le scivolavano addosso senza toccarla, come le tante insignificanti gocce di pioggia che le scorrevano ancora dappertutto lungo il corpo intirizzito.
 
Un fremito violento la attraversò. Rabbia e freddo.
 
Con uno scatto nervoso, l’ennesimo, tanto che ormai aveva la sensazione di essersi trasformata in un automa capace di muoversi solo a scatti improvvisi, si staccò dalla porta dirigendosi verso l’impianto stereo. Lo accese regolando il volume al massimo livello. Le note graffianti della musica “heavy metal” si diffusero all’istante nell’etere, riempiendo l’aria con le loro note dure. Il rimbombo caotico riecheggiò nella stanza sino a far tremare i muri e, solo allora, Shay si concesse un misero cedimento: sovrastata e protetta da quel baccano infernale, lanciò un urlo liberatorio che la svuotò delle ultime, deboli energie, desiderando ardentemente che con esse uscisse dal suo corpo anche quel demone maligno che vi si era subdolamente annidato.
 
Iniziò a spogliarsi con rabbia, togliendosi un capo dopo l’altro: prima la maglietta fradicia, sfilata dalla testa e scaraventata senza grazia contro l’armadio a muro, quindi gli ampi pantaloni verde militare, completamente incollati ai muscoli duri e scattanti delle gambe, infine quella sequela insulsa di braccialetti ed anelli etnici che si sforzava di indossare perché le sapevano di trasgressivo. Osservò disgustata gli oggetti multicolori che uno dopo l’altro finivano sul pavimento, alcuni rotolando sotto il letto o sotto il comodino senza che lei se ne preoccupasse minimamente.
 
Infine sfilò gli slip neri e il reggiseno sportivo a fascia che le comprimeva e proteggeva le forme generose di cui tanto si vergognava. Non era usuale per una ragazza giapponese superare la seconda e lei, che da quando aveva tredici anni si era ritrovata una quarta, aveva sempre tentato in tutti i modi di contenere e celare quelle curve imbarazzanti. 
 
Si avviò completamente nuda verso il bagno, cercando di togliere la fascia elastica dal groviglio di capelli corvini imbruttiti da vistose striature fucsia che, a causa dell’umidità, le si erano arricciati disordinatamente sul capo. Lanciò uno sguardo disgustato allo specchio del lavabo al suo busto formoso e a quel cespuglio multicolore che si ritrovava calcato in testa, mentre con un violento strattone strappava l’elastico, attorno al quale era rimasta attaccata una consistente ciocca di capelli dal colore indefinibile. Una bravata, neanche a dirlo, compiuta per fare un dispetto al padre che aveva sempre affermato di adorare i suoi lunghissimi capelli neri, sua caratteristica peculiare sino a circa un mese prima. E aveva goduto malignamente del dolore che aveva scorto negli occhi cerulei del genitore, appena più scuri dei suoi, quando il giorno successivo al suo matrimonio, era rincasata con i capelli corti e rigati di viola. In realtà avrebbe desiderato raparli a zero e farsi una bella cresta fluorescente in mezzo, ma poi non aveva avuto il fegato necessario per andare sino in fondo, così si era limitata ad un taglio appena sopra le spalle e ad una colorazione che andava dal viola cupo al fucsia acceso.
 
Gettò l’elastico ormai inservibile nel cestino chiedendosi dove trovasse il coraggio di andare in giro con una testa tanto disordinata e sciupata. Quelle tinte orribili non solo erano sbiadite con i lavaggi, ma avevano anche sfibrato i suoi delicatissimi capelli, rendendoli opachi e stopposi. Shay li scrutò nello specchio con aria critica agitandoli un po’ con le mani, dubitava seriamente che sarebbero mai tornati all’antico splendore. Ma tanto, che le importava? Suo padre non la guardava più e ora aveva ben altre teste da accarezzare, altri capelli da ammirare. Se solo qualcuno si fosse degnato di dirle come cazzo avevano fatto quei bastardi ad accaparrarsi l’amore del suo papà, forse sarebbe stata meglio. O forse no.
 
Un gemito strozzato, a metà tra un ringhio iroso e un singhiozzo trattenuto, le sfuggì dalle labbra mentre apriva il rubinetto della doccia del suo bagno personale. Per fortuna la sua camera era dotata di un piccolo bagno tutto per lei, il solo pensiero di dover dividere uno spazio così intimo con quel branco di estranei, le faceva venire il voltastomaco.
 
Si infilò sotto il getto bollente mentre le note acute della radio, esageratamente alta, sembravano voler frantumare tutti i vetri della casa.
 
Quel boato, quasi intollerabile, la innervosiva, non le piaceva per niente quel genere di musica, ma sapeva che anche suo padre la detestava e, pur di dargli un dispiacere, era disposta anche a farsi scoppiare i timpani.
 
Tum tum tututum…
 
Rivoli bollenti scivolavano giù veloci, accarezzandole impudicamente ogni angolo del corpo tonico, sparendo tra le sinuose morbidezze, un corpo sensuale di cui ignorava il potere, vergognandosi quasi della sua femminilità che non aveva ancora imparato a gestire.
 
Massaggiò con vigore il collo, le spalle irrigidite, le braccia indolenzite, sentendo a poco a poco i brividi di freddo placarsi. Rilassò, uno dopo l’altro, i muscoli tesi e doloranti.
 
Tum tum tututum…
 
Quel pomeriggio in palestra si era letteralmente massacrata. L’allenamento intensivo a cui si era sottoposta, l’aveva fiaccata nel fisico, ma non aveva lenito le sue inquietudini interiori. Aveva colpito e ricolpito quella palla maledetta senza uno scopo preciso, senza una meta. Colpire, colpire, colpire per non pensare. Si era fermata solo quando le sue braccia, pesanti come macigni, avevano iniziato, dapprima a tremare per l’eccessiva produzione di acido lattico, e poi a disubbidire completamente ai suoi comandi. I gesti si erano fatti goffi e scoordinati, facendola quasi piangere di frustrazione. Si era sentita come sull’orlo di un burrone e le gambe malferme, fattesi improvvisamente molli, avevano ceduto senza alcun preavviso, facendola accasciare in mezzo al campo tra la polvere sollevata dall’aria fresca della sera, sola, triste, schiacciata da qualcosa più forte della sua volontà. Aveva atteso pazientemente per parecchi minuti che le forze tornassero, prima di trascinarsi faticosamente in spogliatoio a raccogliere le sue cose.
 
E tutto questo solo per distrarsi, per svuotarsi e non lasciarsi il tempo di pensare a null’altro. Non lo aveva certo fatto per piacere o per perfezionare la sua tecnica. Non le importava più niente di niente: né di migliorare, né di vincere, né di perdere. Tutto quello che un tempo era stata la sua ragione di vita, ora sembrava non avere più alcuna importanza. Da quando suo padre le aveva annunciato la sua intenzione di sposarsi, tutto nella sua vita aveva perso di valore, i parametri con cui sino a quel momento aveva soppesato il mondo, si erano come invertiti.
 
Tum tum tututum…
 
Dio, che schifo quella musica, le faceva scoppiare la testa.
 
Un ricordo invadente le bruciò addosso, come un marchio arroventato che, approfittando di quell’attimo di impotenza, tornava a bussare alla sua memoria. Ogni parola di quella stramaledetta discussione con il padre, avvenuta nel loro ristorante preferito, le risuonò nella testa come una funerea campana stonata, sommandosi e confondendosi con le note assordanti.
 
-Shay ti devo parlare-
-Dimmi papà-
-é una cosa  a cui tengo molto  e temo la tua reazione-
-La mia reazione?-
-Sì,anche se so benissimo che sei una ragazza intelligente e capirai...-
-Che cosa ? Mi stai facendo preoccupare-
-Ti ricordi di Rosaly?-
-Rosaly?!?!No..-
-La mia segretaria...-
-Ah sì, devo averla anche vista un paio di volte...-
-Sì-
-Allora?
-L’amo-
-Cosa? Papà sei impazzito? Ma é la donna che ho visto io? Sinceramente non mi sembra il tipo adatto a te-
-Che vuoi dire?-
-Insomma sono abituata a vederti con donne sofisticate e molto belle e... giovani....quanti anni aveva l’ultima? La mia età?-
-Non esagerare, Julie aveva 24 anni-
-Beh tu ne hai 40...-
-Insomma che c’entra? Quella é una storia chiusa...se di storia si può parlare. Era un’avventura-
-Un’avventura....e la segretaria é un’altra avventura. Eh paparino, ti credevo più originale, la storia d’amore tra la segretaria ed il suo capo é vecchia come il mondo ...-
-Sarà, eppure é successo…-
-Non parlerai mica sul serio?!?!-
-La voglio sposare-
 
Aveva lasciato cadere i sottili bastoncini di legno che, rimbalzando contro il piatto di sushi, erano poi finiti a terra, rotolando sotto il tavolo. Un suono tenue, ma che nella sua memoria riecheggiava più forte di un boato, di un tuono invisibile, come, d’altronde, ogni particolare di quella dannata sera.
 
-Papà, non mi piace-
-Ma non la conosci neanche-
-Non mi sembra la donna adatta a te-
-Come fai a dirlo?-
-Papà NO-
-Cosa sono tutti questi capricci? Basta Shay, amo Rosaly e le ho chiesto di sposarmi, lei ha accettato e tra due mesi sarà mia moglie-
 
E così era stato. Cieco e sordo alle sue proteste, aveva mantenuto la parola. Non l’aveva ascoltata, per la prima volta in vita sua, il suo adorato padre aveva anteposto le sue necessità a quelle della figlia e lei si era ritrovava per casa una perfetta sconosciuta e i suoi tre orribili figli.
 
Perché? Perché doveva sopportare tutto quello? Per amore di suo padre? Lui per amor suo non aveva rinunciato a sposarsi! Le aveva imposto la sua scelta, infischiandosene della sua volontà, dei suoi desideri, delle sue esigenze. No, non meritava né comprensione né collaborazione. La faccenda era chiara ai suoi occhi: o cacciava quegli intrusi o sarebbe stata lei ad andarsene!
 
Ma a diciasette anni dove diavolo poteva andare? Non aveva un soldo in tasca, non vi erano parenti che potessero accoglierla…
 
Tum tum tututum…
 
Chiuse il rubinetto dell’acqua e uscì con passo stanco dalla doccia, forse un po’rinvigorita nel corpo ma di certo non nello spirito. Recuperò l’accappatoio strofinandosi con le poche energie residue la pelle serica, arrossata dall’eccessivo calore dell’acqua mentre dalla stanza accanto risuonava imperterrita quell’orribile musica, con l’unico risultato che ora si ritrovava anche una consistente emicrania. Che fracasso insopportabile!
 
Tum tum tututum…
 
Shay passò la mano sullo specchio appannato dal vapore che impregnava tutto lo stretto spazio del bagno e sorrise senza gioia alla sua immagine riflessa.
 
Dispetti, ripicche, piccole vendette, che tristezza era diventata la sua vita.
 
Fissò con espressione assente l’estranea che aveva di fronte. I capelli, a tratti corvini, erano un groviglio multicolore attorno ad un volto dall’incarnato troppo smorto, nel cui mezzo spiccavano due grandi occhi di un limpido azzurro. Che infinita pena le facevano quelle pupille spiritate, spalancate su un mondo che non le apparteneva più, che tristezza quelle labbra perpetuamente serrate in una brutta smorfia di arrogante sopportazione, piegate per la fatica di trattenere le urla di rabbia e dolore.
 
Tum t…
 
-Ma cosa …??- esclamò accogliendo con incredulità il brusco silenzio sceso nella stanza. Sbatté le palpebre più volte, osservando attonita il suo volto riflesso nello specchio che stava velocemente tornando ad appannarsi. Si voltò di colpo mentre quella certezza la colpiva con la forza di una frustata: qualcuno aveva osato spegnere il suo stereo!?!?!
 
Come si era permesso suo padre di entrare in camera sua?!?!
 
Sino a quel momento i patti tra loro erano sempre stati rispettati: ognuno aveva il suo “territorio invalicabile” e camera sua era decisamente off limits!
 
Allacciò saldamente la cintura dell’accappatoio attorno ai fianchi ed uscì come una furia dal bagno -Come osi....- iniziò fuori di sé ma il fiato le morì in gola di fronte all’enorme sagoma che capeggiava immobile nel bel mezzo della sua cameretta, elemento estraneo e stonato in un bailamme di vestiti, libri, riviste e cuscini multicolori sparpagliati ovunque.
 
Shay rimase impietrita con le pupille dilatate colme di spavento, di fronte al volto ombroso dello sconosciuto. Registrò velocemente tutti i dettagli di quell’inaspettato pericolo: superava sicuramente il metro e ottanta, gli occhi scuri contornati da folte ciglia nerissime scintillavano d’ira, le braccia conserte su un torace incredibilmente ampio … forte e atletico … ogni fibra di quel corpo sembrava forgiata nell’acciaio -E tu chi diavolo sei?- strillò stringendosi istintivamente il bavero dell’accappatoio sul collo, non sarebbe stato un avversario facile da attaccare in quelle condizioni.
 
Era nuda, dolorante, sfinita dalla giornata, non poteva certo affrontare quell’energumeno –Papàààààà- urlò con quanto fiato aveva in gola, arretrando rapidamente sino ad andare a sbattere contro la cassettiera di ciliegio, senza staccare neanche per un attimo gli occhi dal ragazzo che dal canto suo non si era spostato di un millimetro.
 
E infatti lo sconosciuto rimase impassibile di fronte al panico della ragazza, le urla e i goffi tentativi di trovare riparo da lui sembravano non sfiorarlo minimamente. Si limitava a scrutarla con disapprovazione, fors’anche disgusto, con la bocca appena piegata all’ingiù sul volto severo.
 
Shay, suo malgrado, si ritrovò imprigionata da quegli occhi neri come la notte senza luna, in cui ardeva una furia a stento trattenuta, che le rivelò in un solo attimo un carattere selvaggio e pericoloso.
 
Il signor Field entrò di corsa nella stanza richiamato dalle urla della figlia -Shay, tesoro, calmati- tentò di tranquillizzarla avvicinandosi a lei mentre la moglie, che lo aveva seguito agitata, si era arrestata prudentemente sulla soglia della stanza.
 
Le bastò un attimo per capire che al padre quella presenza estranea non era un fatto poi così anomalo -Chi é?- sbraitò la ragazza ignorando il tono pacato del genitore e puntando agitata l’indice in direzione del ragazzo.
 
-é il figlio maggiore di Rose ...- fu infatti la sconcertante risposta che la fece avvampare dalla testa ai piedi -Ti ricordi? Te l’avevo accennato...- proseguì il padre con tono sempre più rassicurante, nella speranza di placare la figlia stravolta.
 
Ma non vi era nulla che potesse calmarla! Tutto il mondo attorno a lei aveva cominciato a vorticare irrimediabilmente, si appoggiò con una spalla al muro per non finire a terra, rivelando così a tutti la sua estrema vulnerabilità. Ma fu solo la debolezza di un attimo, il suo carattere impulsivo e soprattutto la sua cocciutaggine, non poteva abbandonarla proprio in quel momento -Un altro?!!?!? - esplose allontanando con rabbia la mano del padre che, notando il pallore innaturale della figlia, aveva tentato di afferrarla temendo che finisse a terra – Ma questo è un incubo senza fine! Una volta per tutte quanti figli ha questa donna?- chiese brusca sollevando in alto il mento e avvertendo così i presenti che se speravano di vederla sconfitta, non avrebbero avuto alcuna soddisfazione.
 
-Shay- la riprese duramente il signor Field scuotendo la testa in segno di disapprovazione.
 
-No Reeve....- intervenne timidamente Rosaly - Quattro, ne ho quattro-
 
Shay fissò la moglie del padre come se solo in quel momento si fosse accorta della sua presenza -Complimenti! Un coniglio non avrebbe saputo fare di meglio!- replicò con astio la ragazza, distogliendo in fretta lo sguardo dalla donna, come se il solo guardarla fosse per lei uno sforzo sovrumano.
 
-Ora basta mocciosa! Non osare mancare di rispetto a mia madre!-
 
Il timbro cupo di quella voce le esplose in testa come il rimbombo di una campana. Un fremito violento la scosse da capo a piedi facendole correre lunghi brividi giù per spina dorsale. Lo sconosciuto non aveva urlato, anzi la sua voce roca era stata poco più di un sussurro, ma per Shay era peggio che se lo avesse fatto. L’ammonimento severo contenuto nel suo tono e soprattutto nel suo sguardo furente, erano temibili più di qualsiasi atto di forza.
 
Se solo non ci fosse stato di mezzo il suo amatissimo padre, se solo non vi fosse stata la sua vita in gioco, probabilmente avrebbe dato ascolto al suo buonsenso che le urlava di starsene alla larga da quel tipo. Ma purtroppo aveva troppo rancore nel cuore per farsi zittire da un energumeno di un metro e ottanta –Se tua madre non si fosse intrufolata in casa mia, io non le avrei mai mancato di rispetto!- replicò acida mentre la rabbia rimontava in lei facendole recuperare in fretta il terreno perduto.
 
-Qui nessuno si é intrufolato! Se non sbaglio tuo padre l’ha sposata!-
 
-Non ti sbagli purtroppo!- sbottò Shay con la voce rotta di pianto. Oh no stava per cedere! Non ce la faceva più! Il suo sistema nervoso era vicinissimo al collasso.
 
Respirò a fondo sforzandosi di ricacciare indietro le lacrime e, come al solito, quando stava per piangere, il suo labbro inferiore cominciò pateticamente a tremare ma, a parte quello stupido particolare, nient’altro sul suo volto palesava la sua vergognosa debolezza.
 
Un particolare che poteva non essere colto da chi non la conosceva a fondo, ma a suo padre non poteva certo sfuggire e, animato dall’amore smisurato che solo un genitore può provare nei confronti del figlio, perdonò alla sua bambina i capricci, le cattiverie, la rabbia delle ultime settimane – Insomma basta! Non vedete che Shay è praticamente nuda?- intervenne deciso per evitare alla ragazza di scoppiare a piangere davanti a tutti, umiliazione che sapeva bene l’orgogliosa figlia non avrebbe tollerato –Lasciamo che si rivesta- disse invitando Rosaly ed il figlio ad uscire dalla stanza -Cara ti aspettiamo di sotto … per favore uscite tutti-
 
Shay non si mosse, concentrata nello sforzo di non far cadere neppure una lacrima. Un grosso nodo in gola le impediva di riversare addosso a quegli intrusi le parole cattive che le passavano per la testa. Aveva gli occhi schifosamente lucidi ma non abbassò lo sguardo anche se, col senno di poi, avrebbe preferito mille volte averlo fatto: due occhi neri come la pece la trapassarono impudenti come nessuno mai aveva osato fare, facendole provare sensazioni a cui non era affatto preparata. Era evidente che il ragazzo non aveva alcuna intenzione di nasconderle il disprezzo che provava e quel fugace contatto le fu sufficiente per saggiare una parte della furia primitiva di cui era capace se provocato.
 
Niente di male, la cosa era reciproca.
 
Shay asciugò con rabbia la lacrima solitaria che, nonostante la sua strenua resistenza, era riuscita a scivolare lungo la gota livida. Lasciò cadere a terra l’accappatoio umido e si affrettò a infilarsi un paio di slip ed il reggiseno. Senza pensarci due volte, estrasse dall’armadio la sua tuta rinforzata da motociclista. Infilò l’attillato indumento chiudendone la lunga zip con gesto rabbioso. Raccolse i capelli ancora umidi con una fascia elastica ed infilò i guanti di pelle nera.
 
Scovò il suo cellulare nascosto tra le pieghe della trapunta gettato sul letto insieme ad una miriade di altri oggetti più o meno identificabili e scrisse in fretta un sms “Tra poco sono da te, esci. Prendi il casco. Shay”.
 
Andare a cena? Sedersi a tavola con quegli esseri infami che le avevano stravolto la vita? Come no! Per quanto la riguardava potevano aspettare all’infinito. Aprì le vetrate della finestra ispirando a fondo l’aria fresca della sera che le diede un barlume di sollievo, quindi, con un agile balzo, si issò sul balcone, si diede una poderosa spinta e agile afferrò il ramo sporgente del grande ciliegio che nelle afose giornate estive, riparava la sua stanza dai caldi raggi del sole. Tenendosi con le mani, si avvicinò al tronco dell’albero quindi appoggiò i piedi su un ramo più basso e con tre familiari mosse toccò il suolo.
 
Non appena mise piede a terra sentì il cellulare vibrare nella tasca anteriore della tuta. Lo estrasse e lesse il messaggio di risposta “Scorribanda notturna? Wow! Ti aspetto in strada. Danny”
 
Sorrise compiaciuta dell’entusiasmo con cui l’amico aveva accolto quell’inaspettato invito e si affrettò verso il garage dove era posteggiata la sua 125 Cagiva, regalo che il padre le aveva fatto per il suo sedicesimo compleanno, un anno e sette mesi prima. Accanto alla sua moto blu notte riposava silenziosa l’Honda CBR 900 nera del padre. Un bolide spaventoso.
 
Accarezzò con quella dolcezza celata con certosina cura dietro il lato forte e determinato del suo carattere sfaccettato, il serbatoio scintillante della moto più grossa. Padre e figlia condividevano una passione sfrenata per le due ruote, un amore disincantato per le vere due ruote, quelle che facevano tremare i polsi tanto erano potenti. Passione che la delicata madre non aveva mai né condiviso né apprezzato. In effetti vedere sfrecciare quei bolidi oltre i 200 chilometri orari non doveva essere affatto rassicurante.
 
La sua decisione fu talmente fulminea che sorprese lei per prima e, ancor prima di rendersi conto di cosa stesse facendo, aveva recuperato le chiavi dell’Honda dall’armadietto appeso alla parete ed era salita a cavallo della moto. L’aveva già guidata al circuito sotto l’attenta sorveglianza del padre, ma non l’aveva mai presa senza il suo consenso. Era una follia. Se l’avesse fermata la polizia stradale sarebbe stato un grosso pasticcio. Un minore non poteva guidare quel missile.
 
Infilò la chiavetta argentata nel cruscotto e rimase immobile con la mano chiusa attorno ad essa. Perché indugiava? Era disposta a tutto pur di fare l’ennesimo dispetto al padre, anche spezzarsi l’osso del collo a 300 chilometri all’ora in balia di un motore troppo selvaggio per obbedire ai suoi comandi.
 
Si raddrizzò sulla sella solo un istante per far scattare la chiusura del casco, poi, questa volta senza esitazioni, accese il potente motore che squarciò il silenzio del piccolo garage come un tuono che irrompeva improvviso nel cielo d’estate. Qualsiasi scrupolo che avesse potuto ancora trattenerla, scomparve soffocato dal suono inebriante dei cavalli pronti allo scatto. Un colpo secco, un’unica profonda accelerata e la moto sfrecciò sulla strada inghiottita dalla notte.  
 
Il rimbombo provocato dal motore del bolide giunse sino alla piccola cucina adiacente al garage, dove la famiglia Field era da poco riunita intorno al tavolo imbandito -Cos’é questo rumore?- chiese Micheal, il secondogenito di Rosaly, alzando il capo dal piatto e tendendo le orecchie incuriosito.
 
-Non so...- rispose la donna preoccupata versando dell’acqua nel bicchiere di Madaleine, la figlia minore.
 
-Io sì lo so!- sbraitò il signor Field scattando in piedi bianco come un cencio -Maledizione Shay!- imprecò fiondandosi come una furia verso la porta che conduceva al garage e spalancandola con foga -Ma che diavolo ha in testa, quella benedetta ragazza?-
 
L’uomo, se possibile, sbiancò ancor di più, constatando che non solo sua figlia se n’era andata, come d’altronde aveva già capito, ma aveva anche preso la sua Honda! Ora Shay aveva superato qualsiasi limite umanamente tollerabile!
 
-Reeve? Che succede?- chiese Rosaly impaurita dal pallore spettrale del marito – Ti senti male?-indagò appoggiando una mano candida sull’avambraccio contratto dell’uomo che fissava incredulo la porta spalancata del garage da dove era appena fuggita sua figlia.
 
-Dio mio, dio mio- mormorò portandosi entrambe le mani al volto e passandosele poi tra i capelli -Quella pazza ha preso la mia moto!- urlò l’uomo, fremendo di rabbia ed apprensione. Il suo cuore di padre era annientato dall’orrore: Shay era un’abile centaura, ma l’Honda era ancora troppo pericolosa per lei.
 
-E per dove é uscita?- chiese il ragazzo che aveva tanto sconvolto Shay qualche minuto prima sopraggiungendo alle spalle dell’uomo.
 
-Dalla finestra- rispose meccanicamente il signor Field osservando impotente la saracinesca del garage mentre la paura per la sorte della figlia cancellava velocemente qualsiasi altro sentimento.
 
-Ma se é al secondo piano...- constatò il ragazzo perplesso.
 
-Uhm bastasse quello a fermarla. É una furia quando si mette....- borbottò Reeve scuotendo desolato il capo.
 
Il ragazzo guardò dubbioso l’uomo –E’ la prima volta che va via in moto?-  
 
-Sì-
 
-La sa guidare?- insistette cogliendo infastidito l’espressione di terrore che oscurava i begli occhi del nuovo marito di sua madre.
 
-Sì é un’ottima motociclista ma .... accidenti è minorenne e quella é una Honda CPR 900! Ma mi sente, ah se mi sente ... appena torna ...- ma la preoccupazione ebbe la meglio sull’ira dell’uomo che non fu neppure in grado di terminare la frase.
 
-Uh! Ti farai mettere nel sacco un’altra volta – commentò con velato sarcasmo il giovane -Sei troppo buono con quella mocciosa viziata-
 
-Mark! Non parlare così. Per Shay non é una situazione facile da accettare- intervenne prontamente Rosaly mettendo a tacere il suo primogenito.
 
-Non é facile per nessuno mamma. Ma noi non ci comportiamo da irresponsabili come fa lei. Credetemi, merita una lezione coi fiocchi!- sbuffò squadrando tutti con sufficienza -Ma voi continuate a difenderla e a dargliele tutte buone. Basta che lei finga di piangere e siete tutti ai suoi piedi. Bah...fate come credete ma non permettetele di rovinarvi la vita- sbottò minaccioso – E comunque stare qui in contemplazione del viale deserto non la farà certo tornare indietro e…la cena si sta raffreddando!-
 

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Capitolo 2
*** Scontri notturni ***


CAPITOLO II. SCONTRI NOTTURNI
 
Shay spense il motore della moto appena oltre il basso muretto bianco che delimitava il perimetro estremo dell’abitazione e percorse in totale silenzio la manciata di metri che la separavano dalla villetta che un tempo era stata casa sua. Un tempo. E ora? Lo era ancora accidenti! Non era certo lei l’estranea!
 
Entrò in garage dalla saracinesca, che nessuno si era premurato di abbassare dopo la sua fuga di qualche ora prima e, senza fretta, sistemò la moto sul cavalletto dilungandosi in una tenera carezza al serbatoio lucidissimo -Che dici, papà ci avrà aspettate? Secondo me sta dormendo della grossa ... sai che gliene importa di noi due!- borbottò risentita scendendo dalla sella e sfilandosi il casco con gesto rapido e sicuro- Per la considerazione che ha di me in questo momento, posso anche spiattellarmi contro un guard-rail...- constatò amara allentandosi appena la zip dell’attillata tuta mentre con la mano libera toglieva le chiavi dal cruscotto.
 
Ripose silenziosamente la chiavetta argentata sulla solita mensola, accanto a quelle della sua Cagiva, annusando disgustata la manica della tuta che emanava un nauseabondo olezzo frammisto di alcool e fumo. La discoteca dove aveva passato la nottata assieme al suo migliore amico, pullulava di ragazzotti ubriachi e proprio uno di quelli le aveva maldestramente rovesciato addosso un intero boccale di uno strano miscuglio di alcool e succo d’anice. E, non contento del disastro causato sulla sua bella tuta nera, a cui lei teneva più di qualsiasi altro capo del suo armadio, aveva tentato di abbordarla con fare insistente e volgare, ricevendo da lei una scarsissima considerazione. Figurarsi se andava in cerca di guai con un tizio che non era neppure capace di reggersi sulle proprie gambe, con quella faccia da ebete poi! Facendo ricorso ad una cortesia che non sentiva propria, aveva rifiutato quelle maldestre avances, sperando che Danny, allontanatosi un attimo per recuperare due bibite, non fosse coinvolto in una seccante ed inutile lite, magari con conseguenze spiacevoli.
 
Per fortuna il rozzo “faccia da culo” aveva desistito in fretta, attratto da una biondona che avanzava incastrata dentro a dei pants più simili ad un perizoma dall’elastico accentuato che ad un paio di pantaloncini.
 
Aveva osservato schifata due bave untuose formarsi agli angoli della bocca del tizio ed i suoi occhietti rapaci, offuscati dall’alcool, posarsi sul fondoschiena ondeggiante della bionda provocatrice, così, senza più degnarla di alcuna attenzione, era sparito tra la folla accaldata, alla rincorsa di quella puttana senz’altro più disponibile di lei a soddisfare certe volgari esigenze.
 
D’altronde, che quello fosse alla disperata ricerca di una veloce scopata, anche un’inesperta come lei poteva facilmente intuirlo e chissà che amara sorpresa sarebbe stata scoprire di essersi imbattuto, non nella pollastrella accogliente di una sera, ma in un’ incazzatissima ex campionessa di kich-boxing, desiderosa di sfogare su qualcuno esigenze molto meno volgari ma altrettanto impellenti!
 
Accidenti a quella troia maledetta che suo padre si era sposato! Accidenti ai suoi quattro figli! Quattro! In un’epoca in cui le donne faticavano a farne uno! Accidenti a quella Bestia sbucata da chissà dove che aveva osato invadere i suoi spazi e arrogarsi il diritto di dirle chi poteva o non poteva offendere.  
 
Aveva serrato la mascella con rabbia nella speranza di ricacciare indietro quell’ondata pungente di odio che le era salita dal profondo, ma percependo che ogni suo sforzo di autocontrollo era vano e arrendendosi al fatto che aveva un disperato bisogno di sfogarsi, si era gettata alla rincorsa del ragazzo di poco prima, nella speranza che fare a cazzotti l’aiutasse a espellere almeno una parte di quel sentimento malvagio che la torturava da troppo tempo ormai. Stava ancora cercando tra la folla la sua potenziale preda, quando Danny le si era accostato, porgendole il bicchiere con il suo solito sorriso scanzonato. Di fronte all’espressione serena dell’amico, non se l’era sentita di trascinarlo in una scazzottata dove sicuramente si sarebbe fatto coinvolgere. A parte qualche veloce accenno, Danny non conosceva nulla del suo passato di boxeur, non aveva la minima idea di quanto male potesse fare, se solo si metteva d’impegno. E così si era rassegnata a ad osservare la consolle dove due DJ si affannavano a selezionare le musiche più in voga, bevendo adagio la sua Coca-Cola e attendendo pazientemente che la bufera nel suo animo si placasse.
 
Entrò silenziosa attraverso la porta secondaria che dava nella cucina, aprì il frigo ed estrasse il bricco del latte versandone una dose abbondante in un panciuto bicchiere.
 
In fondo era stato meglio così. Forse si sopravvalutava e non ammetteva che le sue prestazioni non erano più ai livelli di un tempo, anche se, ne era certa, la furia che in quel momento aveva in corpo, avrebbe senz’altro sopperito egregiamente alla mancanza di allenamento. Da più di un anno aveva appeso i suoi adorati guantoni al muro, da quando, cioè, alla finalissima un pugno dell’avversario le aveva fatto saltare il paradenti e sbriciolato l’intera arcata superiore. Solo la sua incredibile forza di volontà le aveva impedito di non svenire per il dolore. Contro ogni previsione si era rialzata con uno scatto veloce e, con la vista annebbiata dal rosso acceso del sangue, aveva steso l’avversario, talmente convinto di averla ormai sconfitta, che non si era neppure reso conto del terribile calcio al petto che lo fece finire K.O., privo di coscienza.
 
L’ultima cosa che ricordava di quell’eroica finale era il suo braccio sollevato tra le mani dell’arbitro, poi il buio. Si era risvegliata in ospedale, con la bocca talmente gonfia da non poter parlare per cinque interi giorni. Solo quando l’ematoma scomparve, l’odontoiatra poté ricostruirle i denti frantumati. Un lavoro perfetto, doveva ammetterlo, nessuno poteva notare che i denti superiori erano stati completamente ricostruiti. Ma da quel momento suo padre le aveva gentilmente chiesto di abbandonare quello sport così pericoloso - Anche perché - le aveva spiegato dispiaciuto- per rimediare al danno fatto ho dovuto spendere una cifra pari a quattro stipendi, la prossima volta Shay ti dovrai tenere la bocca sdentata o dovrò dichiarare bancarotta- e così aveva rinunciato alla kich-boxing.
 
In più l’iscrizione alla nuova scuola, la Toho School, che aveva deciso di frequentare quando suo padre, un anno prima, aveva acquistato quella villetta in centro a Tokyo per poter seguire meglio la sede centrale della sua agenzia turistica, l’aveva allontanata dal quartiere dove si trovava l’unica palestra degna di quel nome. Costretta a rinunciare al suo sport preferito, aveva cercato di limitare il danno andando alla ricerca di uno sport meno solitario, che le permettesse di stringere delle amicizie più consone al suo sesso e alla sua età.
 
Il softball le era sembrato un buon compromesso.
 
Era stata molto fortunata. La squadra, che godeva già di un’ottima posizione nella classifica del campionato studentesco, l’aveva accettata con simpatia e ben presto era entrata in sintonia con quasi tutte. Per la verità nessuna amicizia degna di quel nome, ma comunque dei cordiali rapporti che le permettevano di passare dei piacevoli pomeriggi, divertendosi. L’allenatrice, la signorina Akaime e le sue nuove compagne, erano rimaste di stucco di fronte ai suoi tiri portentosi a cui lei sapeva imprimere una forza quasi mascolina derivante da anni di duri allenamenti con i punch ball e i sacchi di sabbia. La cosa più difficile, all’inizio, era stato calibrare i tiri che spesso mancavano di precisione, ma in breve tempo era migliorata anche su quel fronte e nessuno ebbe niente da ridire quando, nonostante fosse l’ultima arrivata, l’allenatrice, decise di inserirla tra le titolari.
 
Tutto era perfetto. La sua vita era piena di soddisfazioni: membro di una delle squadre di punta della scuola, ottimi voti scolastici, un rapporto splendido con il padre e la malinconia per la morte della madre, avvenuta cinque anni prima, che si faceva di anno in anno più sopportabile. Insomma tutto andava per il meglio.
 
Sino a quella stramaledetta sera al ristorante in cui il padre le aveva annunciato il suo matrimonio.
 
Maledizione! Ma perché? Che diavolo aveva quella donna per avere fatto innamorare di sé suo padre? Neanche la sua bellissima mamma ci era riuscita! Un dongiovanni incallito, un amante della libertà e delle belle donne. Quante ne erano transitate nella sua vita? Impossibile contarle.
 
Sua madre e suo padre si erano conosciuti ad una riunione di lavoro. Avevano avuto un breve flirt che aveva fatto comprendere ad entrambi di non essere fatti l’uno per altra, anche se tra loro rimase sempre un indubitabile feeling, che fu la solida base della loro successiva e duratura amicizia. Tutto si sarebbe concluso nei migliori dei modi senza alcun trauma, se sua madre non si fosse accorta, dopo due mesi, di essere incinta. Ne avevano discusso a lungo e nessuno di loro due se l’era sentita di negare la vita a quella creatura innocente. E così per amore di quel figlio inaspettato, si erano sposati pur sapendo che tra loro non vi era amore. Ci avevano provato a far funzionare quel matrimonio in nome di quella bambina che era venuta alla luce in una tiepida giornata di inizio primavera. Lei la gioia di mamma e papà. Eppure neanche quella figlia tanto amata era stata sufficiente a salvare la loro inconsistente relazione. O perlomeno non quella tra marito e moglie. Ma in fondo era stato meglio così. Da persone moderne e intelligenti quali erano, avevano cresciuto quella figlia da separati senza disagi per la piccola che, ben presto, considerò normale passare dalla casa di mamma a quella di papà a suo piacimento. Sempre d’accordo su cosa fosse meglio per lei, avevano sempre avuto una condotta serena ed equilibrata, assicurandole un’infanzia tranquilla e piena d’amore. Non aveva mai fatto un dramma per le donne che erano transitate nella vita del padre, che puntualmente le venivano presentate come “amiche”, né si era scandalizzata le rare volte che aveva sorpreso sua madre con un uomo. Non era gelosa dei suoi genitori, non per quelle relazioni passeggere che non lasciavano alcuno strascico. Ma tutto era cambiato cinque anni prima. Sua madre era la guida turistica di un’importante compagnia di viaggi nipponica e quella notte avrebbe dovuto accompagnare un gruppo di facoltosi turisti ad Hokkaido. Purtroppo il velivolo privato su cui viaggiavano ebbe un’avaria e si schiantò al suolo nella fase di atterraggio. Non vi fu alcun superstite.
 
Una tragedia che lasciò un terribile vuoto in lei, ponendo bruscamente fine alla sua spensierata infanzia, catapultandola nel turbolento periodo dell’adolescenza.
 
Ma insieme a suo padre era riuscita a superare il trauma. Lui lo aveva fatto per lei. Lei per lui. Uno scambio reciproco di amore che aveva giovato ad entrambi, aiutandoli a placare il dolore per quella perdita incolmabile. Eliminarlo non era possibile. Per rispetto verso quella figlia, che ora viveva stabilmente con lui, l’uomo aveva posto un freno alle sue numerose relazioni. Shay, all’epoca, gli era stata grata per quella cortesia che comunque aveva ritenuto non necessaria: finché quelle donne non interferivano con il loro rapporto, non avevano alcuna importanza. Eppure una donna aveva conquistato il cuore dell’uomo, sostituendosi a lei. Prima c’era solo la figlia a fare il buono ed il cattivo tempo nel cuore di papà. Ora non più. Un’insignificante segretaria, sul cui volto non solo non scorgeva alcuna avvenenza, ma aveva dei seri dubbi che mai ve ne fosse stata, aveva stregato il padre, allontanandolo da lei.
 
Imprecò a mezza voce ingurgitando il resto del latte in un unico lungo sorso, asciugandosi la bocca con il dorso della mano ancora avvolta nel guanto di cuoio rinforzato.
 
Solo quando riappoggiò il bicchiere nel lavabo, si accorse della fiocca luce che filtrava appena attraverso la porta di vetro smerigliato accostata, che divideva la cucina dall’ampio salotto.
 
Shay trattenne il fiato per un istante: suo padre l’aveva aspettata in piedi!
 
Con la coda dell’occhio guardò l’orologio appeso alla parete sopra la cappa del fornello, le lancette segnavano le quattro e un quarto. Allora qualcosa gli importava ancora di lei!
 
La ragazza percepì con piacere il cuore balzarle in petto, era da tanto tempo che non sentiva addosso quella sensazione di appagamento: ora avrebbero finalmente avuto una bella discussione, come ai vecchi tempi quando andavano avanti ore ed ore a parlare di tutto e di niente.
 
Shay sapeva che non doveva illudersi, che sicuramente era molto arrabbiato e le avrebbe fatto un’interminabile ramanzina, ma era disposta anche a sorbirsi i rimproveri del padre tutta la notte pur di sentire le sue attenzioni nuovamente su di sé. Solo su di lei. Nessuna interferenza esterna, nessun moccioso, nessuna moglie. Solo lei e lui.
 
Si concesse ancora qualche istante sfilandosi lentamente i guanti e chiedendosi se era il caso di dare libero sfogo al suo istinto ed entrare in salotto piroettando su se stessa od optare per un più decoroso contegno. Decise ovviamente per la seconda, e si diresse verso il salotto con andatura solo lievemente affrettata. La stanza era nella totale oscurità eccettuato un cono di luce che proveniva dalla lampada alogena accanto alla poltrona. Intravide una grande mano a penzoloni sul bracciolo ed una sagoma corpulenta affondata nei cuscini, ma, in quella posizione, lo schienale del divano e la penombra, le impedivano di distinguere ulteriori dettagli.
 
-Papà...-chiamò speranzosa avanzando di un passo per poi balzare indietro delusa –Tu!- sibilò tra i denti -Ancora in casa mia!- sbottò furiosa riconoscendo il ragazzo che era entrato in camera, spegnendole lo stereo - Dov’é mio padre?-
 
Il ragazzo si alzò con lentezza, agile e attento, simile ad un felino prima del balzo decisivo -A letto, come é giusto che sia alle quattro del mattino...- disse in un sussurro -…e abbassa la voce che svegli i miei fratelli-
 
Shay sorvegliò allarmata quei movimenti calibrati, paragonandoli mentalmente a quelli di una tigre  pronta a piombare sulla preda, ma se era così, aveva fatto male i conti, lei nei panni dell’indifesa gazzella non ci stava proprio!
 
-Io non abbasso proprio niente- ribatté alzando ulteriormente la voce in gesto di sfida e gettando con rabbia i guanti sulla poltrona che per tutto il tempo aveva tenuto stretti nella mano destra.
 
-Zitta- le intimò piombandole addosso quasi di peso e tappandole la bocca con l’enorme mano mentre l’altra le scivolava veloce dietro la nuca, impedendole così qualsiasi movimento.
 
Il giovane premette entrambe le mani con tale forza che Shay sentì l’aria venire meno, la mano che le ostruiva la bocca era talmente ampia che le tappava anche il naso, soffocandola.
 
Si dimenò in preda al panico e puntellò le mani contro il petto di lui. Percepì i muscoli possenti del torace del ragazzo guizzare repentini sotto la pressione delle sue dita non appena accennò a spingere, ed ebbe la certezza che non sarebbe mai riuscita a spostarlo nemmeno di un solo millimetro. Stava per alzare gli occhi sul volto di lui per carpirne le intenzioni, quando si ritrovò improvvisamente libera, china ed ansante, le mani arpionate sul bracciolo del divano.
 
Solo quando quella fastidiosa sensazione di soffocamento cessò, Shay smise di annaspare goffamente alla ricerca d’aria e, in un baleno, ritrovò la forza di contrattaccare, raccomandandosi, però, di stare più attenta alle mosse di lui che, nonostante la stazza, si era rivelato dotato di un’insospettata velocità -Tu sei pazzo! Vuoi ammazzarmi!?!?- lo accusò, questa volta evitando di di alzare la voce per paura che lui la aggredisse ancora.
 
-No- rispose laconico scrutandola da capo a piedi con fare supponente -Ma meriteresti una bella punizione! Fuggire dalla finestra quando la tua famiglia ti aspetta a tavola, rubare la moto di tuo padre che legalmente non puoi neanche guidare e tornare pacifica alle quattro del mattino ubriaca fradicia-
 
Ma se era astemia! Solo l’odore dell’alcool le dava la nausea -Ma sarai tu ubriaco, imbecille-
 
-Attenta a quello che dici- gli occhi scuri di lui persero in un secondo tutta l’apparente pacatezza di poco prima e brillarono minacciosi nell’oscurità simili a schegge di acciaio - Non sono certo io a puzzare di alcool lontano un miglio-
 
Shay percepì la scarica d’adrenalina che l’aveva attraversata anche la prima volta che aveva udito la sua voce. Le faceva paura, inutile negarlo. Vi era qualcosa in lui di minaccioso, era un tipo estremamente pericoloso, su questo non aveva il benché minimo dubbio.
 
Se fosse stata una ragazza di buon senso, avrebbe dato retta al suo istinto e se ne sarebbe andata il più lontano possibile da quell’ individuo. Ma il buon senso non rientrava nelle sue qualità: la rabbia che provava era ormai incontenibile e niente le avrebbe impedito di sfogare su quell’essere odioso l’amarezza accumulata in quell’ ultimo mese.
 
-Idiota- sibilò guardandolo dritto negli occhi, vagamente consapevole che l’odio la stava accecando, facendole sfuggire il polso della situazione.
 
Un lampo fulmineo baluginò nello sguardo del ragazzo -Io non ti ho offeso, te lo ripeto un’ultima volta: attenta a quello che dici- la redarguì avvicinandosi di nuovo a lei ed incombendo con la sua imponente mole, sperando, in cuor suo, che questo fosse sufficiente a calmarla.
 
Si era aspettato una scena ben diversa: una ragazzina che avrebbe tentato di fare la spavalda, ma che alla sua prima occhiataccia sarebbe scappata a gambe levate, implorando perdono per le sue malefatte. Invece si ritrovava davanti un’indemoniata che lo offendeva sempre più pesantemente e per nulla disposta a farsi intimidire né dallo sguardo della Tigre né tanto meno dalle sue poco velate minacce. Decisamente una situazione che non aveva preventivato.
 
Mark Lenders frugò spiazzato in quelle iridi incredibilmente azzurre, colme di strafottenza.
 
Lo sguardo di lei non accennò neppure a vacillare, rimase fermo, fisso nelle profondità inquiete della Tigre.
 
Il giovane doveva ancora riprendersi dalla sorpresa di avere di fronte un essere capace di tenergli testa senza apparente paura, quando lei lo spiazzò ancor di più sollevando il mento in una posa fiera ed arrogante, comunicandogli così, se ancora ve ne fosse stato bisogno, la sua ostinazione a non farsi piegare né comandare da nessuno, tanto meno da lui.
 
-Altrimenti che mi fai, mi sculacci?- lo provocò con ghigno beffardo -E poi non é vero che non mi hai offesa- aggiunse tornando seria.
 
Mark strizzò gli occhi sino a ridurli a due minuscole fessure -E che avrei detto?-
 
La ragazza lo trafisse con un’occhiataccia -Non serve che parli, la tua sola presenza in casa mia é sufficiente ad offendermi- sentenziò con cattiveria, ignorando la vocina fastidiosa che le stava suggerendo di scappare lontano.
 
Se solo non fosse stato così alto. Se solo i suoi occhi non fossero stati così neri, Se solo il suo corpo virile avesse smesso di emanare quell’aurea di potenza e forza a cui lei era così schifosamente sensibile. Se solo…
 
-Mi spiace ma dovrai tollerarla, rimarrò qui ancora qualche giorno-
 
Accidenti a lui! Ai suoi muscoli, a quella voce impossibile che si ritrovava, a quello sguardo dominatore!
 
-Ma neanche per sogno! Tu te ne vai immediatamente e fai un piacere portati dietro quella sgualdrina di tua mad...-
 
Shay sentì l’aria mancarle e la paura si impossessò di lei tanto da credere di essere di nuovo prigioniera di quelle mani terribili, invece si ritrovò seduta in poltrona con gli occhi incatenati in quelli del ragazzo in piedi a gambe divaricate di fronte a lei.
 
Il sorrisetto sghembo che aleggiava sul volto granitico di lui, le fece perdere il lume della ragione -Come osi mettermi le mani addosso, vigliacco! - disse saltando in piedi e schiaffeggiandolo violentemente a mano aperta con mossa fulminea ed imprevedibile, caratteristica, che l’aveva resa molto pericolosa come boxeur.
 
Questa volta fu lei a sorridere mentre osservava compiaciuta la testa del ragazzo scattare bruscamente di lato e i lunghi capelli corvini sferzare le labbra serrate, le palpebre abbassate, gli zigomi marcati, sotto il colpo inferto dalla sua mano con tutta la forza di cui era capace.
 
Rimase lì ferma a godersi quell’attimo di gloria e boccheggiò incredula quando si ritrovò la testa voltata di lato e la parte sinistra del volto in fiamme.
 
Aveva intuito la pericolosità del ragazzo, ma non poteva immaginare che avrebbe ricambiato il suo ceffone, alzando le mani su una donna. Per questo non si era premurata di porre una qualche distanza tra di loro ed era rimasta immobile a portata di mano.
 
Il dolore bruciante alla sua guancia sinistra, che ora di stava diffondendo velocemente alla tempia e all’orecchio, le rivelò la cruda realtà. Scioccata si portò la mano al volto arrossato -Come hai osato...-
 
-Hai iniziato tu- replicò lui con un tono innaturalmente pacato come se si fosse trattato di un semplice scambio di cortesie.
 
-Ma io ti distruggo- strillò invece lei accecata dalla collera, tentando di colpirlo un’altra volta con un pugno. Ma questa volta Mark non si fece trovare impreparato e la bloccò afferrandole il polso al volo prima che riuscisse a colpirlo.
 
-Lasciami selvaggio- ordinò Shay dimenandosi con forza ma sentendo la presa attorno al suo polso farsi sempre più forte ad ogni suo movimento.
 
-Per permetterti di colpirmi ancora? No cara...e abbassa la voce- le ripeté per l’ennesima volta guardandola con astio e abbandonando la finta calma che si era faticosamente imposto.
 
Shay ringhiò snervata da tutta quella situazione, non sopportava l’aria di impudente superiorità con cui si rivolgeva a lei, non ammetteva che si preoccupasse del suo tono di voce mentre lei rantolava con il volto in fiamme per il dolore e l’umiliazione, e, soprattutto, la faceva andare in bestia la forza di lui tanto sfacciatamente superiore alla sua. Tentò di liberarsi da quella ferrea e mortificante impugnatura che sembrava forgiata nel granito, ottenendo solo una maggiore pressione sul suo arto martoriato. Il polso le doleva da morire sentiva delle fitte partire dalla mano e giungerle dritte alla testa, ma mai gli avrebbe fatto capire che le stava facendo malissimo.
 
Continuò ostinatamente a dimenarsi e a contorcere il braccio stando attenta a non finire nel fascio di luce della lampada per evitare che lui scorgesse le lacrime amare che aveva cominciato a scendere, suo malgrado.
                                                                                           
-Ora mi ascolti ragazzina- le disse scuotendola avanti e indietro come se fosse stata un bambola di pezza e Shay si ritrovò costretta a mordersi a sangue il labbro inferiore per non urlare -Tuo padre lo metti nel sacco con qualche lacrimuccia, ma con me non funziona. Gli ho chiesto io di andare a letto e di lasciare a me la ... ramanzina. Adesso te ne vai a letto pure tu e ti fai una bella dormita e da domani metterai la testa a posto: basta bravate come quelle di stasera o veramente la prossima volta ti riempio di schiaffi sino a che non giurerai di rigare dritto, sono stato chiaro?-
 
Shay non rispose e smise anche di dimenarsi. Era annientata. Impietrita, più che dalle fitte sempre più ravvicinate e pungenti, dallo stupore: un perfetto estraneo, di cui non conosceva neppure il nome, la aspettava a notte fonda in casa sua e faceva le veci di suo padre! Ma era tutto ridicolo. Quella non poteva essere la realtà, era tutto troppo assurdo!
 
-Vedo che taci- proseguì lui annuendo compiaciuto, interpretando erroneamente il suo silenzio come una resa -Bene forse ci siamo capiti. Ora fila a letto- le ordinò mollandola bruscamente.
 
La ragazza vacillò e si appoggiò alla poltrona per non cadere mentre una fitta tremenda le partiva dal polso, trapassandola come una lama arroventata. Lacrime salate le scesero di nuovo giù dagli occhi, unendosi a quelle già versate, disegnandole il profilo delle guance e del mento.
 
L’unica consolazione era l’oscurità quasi completa che la celava e proteggeva, osò quindi lanciargli un’ultima impudente occhiata piena di rancore giurando, in cuor suo, che prima o poi si sarebbe vendicata in un modo talmente crudele che quel tale avrebbe per sempre maledetto il momento in cui l’aveva conosciuta.  
 
Mark Lenders attese qualche secondo in piedi osservando la figura della ragazza sparire su per le scale, quindi, solo una volta certo che non sarebbe più tornata indietro, si lasciò pesantemente cadere sul divano. Si massaggiò nervosamente la guancia che ora sentiva in fiamme, chiedendosi come avesse fatto a mantenere la calma. Quella furia scatenata lo aveva messo a dura prova e per un attimo aveva temuto di perdere qualsiasi controllo. Si era trattenuto, la sua reazione era stata violenta ma non esagerata. Forse avrebbe potuto evitare di prenderla a schiaffi e di scuoterla in quel modo indecente. Ma non si pentiva di niente. Non poteva farlo. Quanta arroganza, quanta strafottenza, quanto ingiustificato rancore c’era in lei. Offendere in quel modo sua madre, rifiutare delle creature adorabili come i suoi fratelli. Non poteva accettare un simile atteggiamento, gliela avrebbe insegnata lui un po’ di civiltà a quella ragazzina viziata. Eccome gliela avrebbe insegnata!
 

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Capitolo 3
*** Colpo di fulmine ***


CAPITOLO III. COLPO DI FULMINE
 
Una sottile lama di luce solcava la parete della camera, creando un piacevole alone chiaro nell’ambiente altrimenti totalmente immerso nel buio. All’improvviso il trillo acuto della sveglia riecheggiò nell’aria, ponendo fine a quella quiete apparente. Da un mucchio di coperte attorcigliate, emerse una mano chiusa a pugno che si abbatté con violenza sul povero orologio appoggiato sul comodino, facendolo finire a terra: era un vero e proprio miracolo che dopo tanti maltrattamenti, quel povero arnese continuasse a funzionare e a suonare puntuale ogni mattina alle 7.15.
 
Shay borbottò qualche parolaccia impastata di sonno, si voltò infastidita di lato, intenzionata a dormire almeno altri dieci minuti. Affondò con decisione il braccio destro sotto il morbido cuscino, ma lo estrasse fulminea, spaventata dall’acuta sensazione di dolore che la percorse, facendola rizzare a sedere sul materasso. Ancora con la mente ottenebrata da quella confusione momentanea di chi sta passando repentinamente dalla stato di incoscienza a quello di veglia, cercò a tastoni l’interruttore della lampada posta sul comodino. Non appena la tenue luce giallognola si accese, osservò corrucciata i segni violacei attorno al polso gonfio. In un attimo la disgustosa scena della notte precedente le scorse davanti agli occhi, facendola fremere di indignazione e disgusto, con un effetto cento volte più refrigerante di una doccia ghiacciata.
 
Spalancò i grandi occhi azzurri e ogni minima parvenza di sonno scomparve dalla sua mente. Maledetto!
 
Si abbandonò all’indietro, affondando nel cuscino, senza preoccuparsi di porre fine alla sequela di volgarità che le saliva alle labbra.
 
Ma chi si credeva di essere quel Bestione tutto muscoli e niente cervello? Ma da dove era sbucato? E, soprattutto, che diavolo voleva da lei?
 
Si vestì in fretta, tentando, senza fortuna, di raccogliere i capelli ribelli in una coda di cavallo, fermando le ciocche più ostili con delle forcine, con l’unico risultato che alla fine aveva più forcine che capelli in testa.
 
-Porca troia!- sbottò liberando la chioma e andando alla ricerca della fascia elastica color melanzana che aveva comprato al mercato delle pulci un paio di settimane prima. La scovò infilata nel cassetto delle mutande, mimetizzata tra slip e canotte multicolori. Si sistemò la fascia in testa, concedendosi il lusso di una veloce occhiata nel grande specchio a muro. Doveva ammettere che la divisa scolastica faceva sempre un piacevole effetto su di lei: la gonna azzurra e la giacca dello stesso colore si addicevano al colore intenso dei suoi occhi. Inoltre il taglio severo dell’uniforme non accentuava per niente le sue forme, che rimanevano mimetizzate sotto l’accollata camicetta bianca. Peccato per quei capelli orribili. Dio come li odiava. Come odiava dover infierire su se stessa per colpire suo padre.
 
Basta, non poteva più restare chiusa in camera a commiserarsi, non vi era davvero più tempo: ormai non avrebbe più fatto in tempo neppure a prendere l’ultimo tram utile. Quella mattina sarebbe andata a scuola in moto, oppure suo padre la doveva accompagnare, sempre che non fosse già uscito.
 
Ultimamente, al mattino, non riuscivano più ad incontrarsi, mentre una volta facevano sempre colazione assieme, un’ altra bella abitudine che “l’intrusa” aveva cancellato!
 
-Papà perché tutto non può tornare come prima?- si chiese mestamente, prendendo la cartella al volo e scendendo di corsa dalle scale.
 
Si arrestò di botto sulla soglia della cucina, osservando infastidita la bimba, ultimogenita di Rosaly, intenta a sgranocchiarsi una fetta biscottata compostamente seduta su una sedia ad un lato del tavolo. La ragazza si dondolò nervosamente da un piede all’altro, incerta sul da farsi: il suo stomaco reclamava almeno una parvenza di colazione, dal momento che la sera prima aveva anche saltato la cena, ma non aveva alcuna voglia di condividere la stanza con quella bimbetta insulsa.
 
Il suo stomaco brontolò rumorosamente attirando l’attenzione della bambina che si voltò, esaminandola curiosa con i suoi occhietti nocciola. Shay sorresse quello sguardo pulito e comprese che ora non poteva più tornare indietro, la sua sarebbe sembrata una fuga e lei non voleva fare la parte della codarda di fronte a quell’essere insignificante.
 
-Ciao Shay!- la salutò gaia Mad non appena entrò in cucina.
 
-Uhm...- fu il grugnito di risposta della ragazza che appoggiò la sua cartella su una sedia senza degnare la bambina di uno sguardo.
 
-Che cosa bevi? Io il latte con il cacao- proseguì Mad, per niente scoraggiata da quell’ atteggiamento ostile.
 
-Anch’io- si ritrovò a rispondere suo malgrado Shay versandosi il latte caldo in una tazza con del cacao.
 
-Piace anche a te? Io vado pazza! Ne berrei sempre...-
 
Alla giovane sfuggì un sorriso -Così poi ti viene il mal di pancia...- replicò pacata, appoggiandosi con un fianco contro il mobile della cucina e sorseggiando il suo latte. Si sentiva stranamente rilassata, cosa che non le capitava da parecchio tempo. 
 
-A volte sì....ma non importa, mi piace lo stesso-
 
Shay si ritrovò a sorridere di nuovo alla bambina. Non era poi così antipatica quella pulce… Ma sì, in fondo che colpa ne aveva lei se aveva una parassita per madre e un bifolco per fratello?
 
Come evocato dai suoi pensieri, la figura imponente del maggiore dei figli di Rosaly apparve nel rettangolo della porta, occupandolo quasi interamente. Shay trattene il fiato interdetta: alla luce del giorno sembrava ancora più alto e più muscoloso. Quanti anni poteva avere? Una ventina...
 
Il ragazzo fece qualche passo avanti sbadigliando rumorosamente e stiracchiando le braccia sopra la testa -Non sei in ritardo? Michal é già uscito da dieci minuti....-
 
-E allora?-
 
Mark la squadrò da testa ai piedi -Non andate alla stessa scuola? Le lezioni iniziano per tutti alle 8...o nella tua classe si fa eccezione? A proposito sei in terza?-
 
-Terza?!??Guarda che faccio diciotto anni a marzo!-
 
-Diciotto!?!? Te ne davo al massimo quattordici...-
 
-Va fan culo- sbottò scaraventando la tazza vuota nel lavello.
 
-Modera il linguaggio davanti a mia sorella!- la minacciò lui posando in fretta le mani sopra le orecchie della sorellina che ora fissava Shay a bocca spalancata.
 
-Mark perché l’hai fatta arrabbiare? Si vede che é grande...é alta- replicò Mad alzando il capo verso il fratello.
 
-Maddy cara, non serve essere alti per essere considerati adulti- replicò placido, prendendo distrattamente un codino della sorellina tra le mani e sistemandole nella giusta posizione l’orsetto che ne adornava l’elastico color oro.
 
-E neanche essere grossi e prepotenti- aggiunse Shay afferrando la sua cartella e avviandosi con decisione verso la porta del garage, sforzandosi di ignorare la strana sensazione allo stomaco che le provocò vedere le mani di Mark, che lei sapeva essere tanto violente ed energiche, maneggiare con tanta delicatezza i capelli di Mad.
 
-E chi sarebbe quello grosso e prepotente, io?- chiese con finta innocenza Mark, sollevando scettico le sopracciglia mentre si avviava verso il frigo, seguendola con la coda dell’occhio.
 
Era sospettoso, e faceva bene, alla minima distrazione Shay gli sarebbe volentieri piombata addosso e, con una sciabolata, gli avrebbe fatto saltare quella testa inutile che si ritrovava attaccata al collo.
 
-Io non di certo- borbottò asciutta.
 
-Affermazione discutibile, ma perché non esci dalla porta principale?- chiese sorpreso aprendo il frigo e fingendo di essere intento ad esaminarne il contenuto.
 
-Ma farti i cazzi tuoi no?- lo rimbeccò prontamente la ragazza, spalancando la porta del garage e sbattendosela alle spalle più forte che poteva.
 
Mark sorrise tra sé e sé immaginando la faccia furiosa della Peste.
 
-Perché Shay dice tutte quelle parolacce?- chiese Mad, attirando l’attenzione del fratello di nuovo su di sé.
 
-Perché ha preso pochi sculaccioni dal suo papà- spiegò tranquillo, appoggiando il bricco del succo di frutta sul tavolo e chinandosi verso la sorellina come se volesse farle una confidenza segreta -Ma rimedieremo piccola, vedrai le faremo imparare le buon.....- il ragazzo fu interrotto dal botto violento della porta spalancata con una forza tale da andare a sbattere contro la parete della cucina retrostante, scricchiolando sui cardini.
 
Shay attraversò con tre ampie falcate la cucina posizionandosi davanti a Mark con le mani puntate sui fianchi -Dove sono le chiavi della mia moto? É opera tua? Sì certo che lo é! Solo un burino prepotente come te poteva farmi una cattiveria del genere....-
 
-...buone maniere- concluse Mark, ignorando la ragazza e rivolgendosi alla sorellina che li guardava dubbiosa.
 
-Che blateri? E rispondimi quando ti parlo- strillò la giovane afferrandolo per il collo del pigiama, costringendolo così a chinarsi.
 
I loro occhi si allacciarono e una spia di allarme rosso scattò nella mente di lei, avvertendola che stava giocando con il fuoco, ma era troppo arrabbiata per dare ascolto al suo fragile buonsenso.
 
Mark le rivolse un’occhiata che avrebbe disintegrato una montagna, ma Shay non si scompose nemmeno.
 
La Tigre rifletté in fretta, ritenendo opportuno rivedere il suo repertorio di occhiatacce: quelle a sua disposizione non sortivano proprio nessun effetto su quella ragazza impossibile!
 
-Le MIE chiavi!- gli urlò in muso, portandoselo a pochi centimetri dal volto.
 
-La-scia-mi- sillabò Mark sfoderando la sua peggiore espressione di minaccia - O mi costringerai a reagire...- 
 
Niente da fare, quella non mollava la presa. Riprovò a spaventarla, trapassandola con i suoi occhi penetranti e rincarando la dose cingendo con la sua mano abbronzata quella più minuta, artigliata al tessuto del suo pigiama.
 
Shay osservò la sua mano scomparire totalmente sotto l’ampia distesa di quella di lui.
 
Quindi quell’essere era circa il doppio di lei, più o meno dieci volte più forte ed infinitamente più pericoloso. In compenso lei era arrabbiatissima e inoltre poteva giocare sull’effetto sorpresa.
 
-Provaci e ti spezzo una gamba-
 
-Cosa?!?!!? Tu sei pazza- esclamò stupefatto, scrutando con una smorfia beffarda l’esile figura della ragazza che gli sfiorava appena il mento.
 
-E tu sbagli a sottovalutarmi- replicò Shay sorridendogli malignamente un istante prima di sferrare l’attacco.
 
Mark comprese troppo tardi le sue intenzioni, e prima ancora di realizzare il senso di quelle parole minacciose, si ritrovò disteso a terra, incapace di dire come ci fosse finito. Il sorriso soddisfatto sul volto di Shay però, gli fece capire di aver sbagliato ad abbassare la guardia con quella ragazzina che, nonostante le esili apparenze, era dotata di una buona dose di potenza fisica, nonché di un’ottima tecnica di combattimento.
 
Il ragazzo sbatté le palpebre sconcertato prima di rendersi conto di cosa fosse successo.
 
L’uomo che sua madre aveva sposato era un perfetto imbecille! Aveva cresciuto una selvaggia priva di qualsiasi senso del pericolo ed in più le aveva permesso di apprendere chissà quale tecnica di autodifesa!
 
-Ora vedrai- tuonò, scuotendo la testa e rialzandosi con la velocità di un fulmine.
 
-Che vuoi fare, prendermi ancora a schiaffi?- lo affrontò Shay non arretrando di un passo e non sforzandosi neppure di mascherare l’acidità che permeava la sua voce.
 
Le pupille della Tigre si dilatarono furiose, rendendo ancor più scuri e pericolosi i suoi temibili occhi -Certo che sì, con i tipi come te é inutile discutere- rispose sullo stesso tono ormai privo di qualsiasi inibizione.
 
Accidenti a quella mocciosa! Nemmeno Price era mai stato tanto impudente!
 
-Non ci hai neanche provato a discutere con me. Ti sei calato nella parte del fratello maggiore e hai cominciato a dirmi che cosa devo e non devo fare. Ma caro mio sei completamente fuori strada: tu non sei mio fratello e questa é casa mia e io faccio quello che voglio, se non ti comoda quella é la porta. E ora dammi le chiavi della mia moto-
 
-Uhm...ragazzina ti conviene cominciare a correre se non vuoi perdere anche la seconda ora di lezione- replicò ironico, cambiando improvvisamente espressione e portandosi le mani dietro la nuca in un gesto di arrogante indifferenza.
 
-Ma allora non mi hai capita...-
 
-Ti ho capita benissimo invece. Ma le regole sono cambiate. Tuo padre ha una moglie e tu una matrigna e dei fratellastri e anche se la cosa non ti piace dovrai accettarla e prima lo farai meglio sarà per tutti....soprattutto per te-
 
-Mai! Hai capito. Mai vi accetterò. Ma che diavolo ho fatto di male per meritarmi questo castigo? Sparite, sparite tutti quanti dalla mia vita- esplose Shay mentre lacrime amare le salivano agli occhi senza che lei ci potesse fare niente.
 
Una voce agitata fece voltare all’unisono i due ragazzi -Ma che succede qui?- Rosaly entrò in cucina seguita da Harry, il penultimo figlio -Mark lascia in pace Shay- proseguì la donna guardando severa il primogenito di cui conosceva fin troppo bene il carattere difficile.
 
-Oh certo mamma. Guai a chi la tocca la cara Shay...poverina la piccola non accetta la situazione, poveretta il trauma é troppo grosso per lei. Lasciamole fare tutto quel cavolo che vuole, non fiatiamo se scappa di notte con la moto del padre, se rincasa alle quattro del mattino, se fa tardi a scuola  e chissà che altro combin...-
 
-Taci stupido Bestione. Tu non sai niente di me e di quello che sto passando per colpa vostra. Stammi alla larga o non so che cosa ti potrà accadere-
 
-Oh tremo come una foglia-
 
-Coglione- strillò la ragazza dandogli una spinta e oltrepassandolo con rabbia.
 
-Shay ti prego ci sono i bambini...- intervenne titubante Rosaly arrossendo di fronte al linguaggio pesante della ragazza.
 
-Brava mamma pregala, vedrai che risultati otterrai con questa selvaggia! Peccato tuo padre mi sembra una così brava persona ma non é riuscito ad insegnarti poi molto...-
 
Shay non si voltò neppure indietro, uscì di casa sbattendosi la porta alle spalle con una rabbia tale che il suono rimbombò nella casa come una potente fucilata.
 
Iniziò a correre lungo il marciapiede aumentando sempre più l’andatura senza badare alla milza che le doleva in corpo, né alle lacrime copiose che le annebbiavano la vista, impedendole di vedere dove andava. Corse, corse per diverse miglia senza fermarsi mai e si bloccò solo quando giunse al cancello della Toho School dove si nascose qualche istante dietro all’alto muro di cinta per darsi una sistemata e cancellare le tracce delle lacrime.
 
Raggiunse in fretta la porta della sua aula al secondo piano ed entrò in classe accompagnata dal trillo prolungato della campanella.
 
-Ma dove eri finita...Shay stai bene?- l’accolse Danny osservando preoccupato la ragazza che prendeva posto accanto a lui nell’ ultima fila della bella aula illuminata da un tiepido sole autunnale.
 
-Ho perso il tram e ho dovuto correre come una pazza...- rispose ancora ansante, asciugandosi con il dorso della mano la fronte madida di sudore.
 
-E non potevi prendere la moto? –
 
-Non una parola in più- rispose brusca tentando si risistemare la fascia color melanzana tra i capelli scarmigliati.
 
-Ma...va bene- accondiscese Dan, consapevole che quando Shay aveva quell’espressione truce era inutile tentare di farla parlare e, se possibile, era meglio starle alla larga.
 
Il professore Nakura, docente di storia, fece il suo lento ingresso in aula con il suo passo strascicato, accompagnato dal suo inseparabile bastone che doveva aver conosciuto tempi ben migliori. Non appena prese posto dietro all’ampia cattedra, si schiarì la voce ed iniziò un lungo monologo sui pregi ed i difetti degli sho-gun del tredicesimo secolo.
 
La noia della lezione, il brusio cadenzato del vecchio insegnante, il tiepido tepore dell’aula furono il colpo di grazia per i due ragazzi che quella notte avevano gozzovigliato in discoteca sino alle quattro. Dopo strenui tentativi di resistenza, Danny cedette miseramente e si accasciò sul tavolo, sonnecchiando accanto al capo dell’amica già da tempo beatamente addormentata.
 
Shay mugolò infastidita dal brusco strattone al braccio che la fece sobbalzare sul tavolo –Ma cos…- iniziò confusa, stropicciandosi gli occhi e bloccandosi immediatamente di fronte al volto raggrinzito dell’insegnante chino a pochi centimetri dal suo naso.
 
-Se questo é l’effetto della mia lezioni, signorina Field e signor Mellow, vi pregherei ardentemente di accomodarvi in corridoio-
 
Shay arrossì violentemente scattando di riflesso in piedi sull’attenti –Mi…mi spiace professor Nakura...io..-
 
-Signorina Field- la riprese di nuovo il professore non lasciandole spazio di replica - Ultimamente le ho ripetuto, non so quante volte, quanto sia il mio rammarico nel vedere una delle mie migliori allieve crollare così miseramente. I suoi voti sono precipitati in tutte le materie, la sua condotta deprecabile...e per l’amor di Dio si sistemi quei capelli, benedetta ragazza, vorrei proprio sapere che cosa le passa per la testa. Ah ai miei tempi certe cose non accadevano!-
 
-Professor...- protestò Shay abbassando il capo desolata.
 
-Stia zitta! Non dica niente, quello che fa é già più che sufficiente e ora fuori da quest’aula-
 
-Ma professore- intervenne Danny, sollevandosi a fatica ancora intorpidito dal sonno che doveva essere stato molto più profondo di quello dell’amica, a giudicare dall’espressione ancora assente.
 
-Fuori- urlò il professore paonazzo per la collera.
 
I due ragazzi uscirono in fretta dall’aula biascicando delle inutili scuse che ebbero come risposta un altro paio di urla del professore Nakura che sino a quel momento era sempre stato considerato il più flemmatico insegnante dell’intero corpo docenti.
 
-Accidenti ci mancava solo questa- sbuffò seccata Shay- Quando si dice che il buongiorno si vede dal mattino! Che vita di merda!-
 
-Eh a chi lo dici...ho un sonno, e oggi mi aspettano tre ore di allenamenti...povero me come farò?- borbottò il ragazzo, sbadigliando a bocca spalancata -Dai andiamo al distributore a prenderci un caffé-
 
-Gli allenamenti! Anch’io ho gli allenamenti oggi!- mugugnò la ragazza, portandosi preoccupata una mano al polso dolorante coperto da un’ampia polsiera bianca- Come farò con questo polso?-
 
-Che cos’hai?- le chiese Danny incuriosito notando solo in quel momento la vistosa fascia che portava l’amica.
 
Shay si arrestò in mezzo al corridoio soppesando l’amico per un istante -Guarda- disse infine dando sfogo alla sua frustrazione, mostrandogli il polso gonfio e tumefatto.
 
Danny le si avvicinò sobbalzando stupito -Ma che hai fatto!?-
 
-Oh Danny! Ti racconto tutto altrimenti scoppio! Sai la donna che mio padre ha sposato? Beh non bastavano i tre mocciosi, no la signora ha pure un altro figlio. Un Bestione di circa vent’anni che si é messo in testa di fare le veci di mio padre. Sto burino stanotte mi ha aspettata e questi sono una parte dei risultati della nostra ehm …“ discussione” notturna. Un deficiente patentato. Un violento senza cervello che perché si ritrova un paio di muscoli ben sviluppati pensa di potermi comandare! E non contento della sua opera di stanotte, stamattina mi ha anche fatto sparire le chiavi della moto...ma me la paga...eccome se me la paga!-
 
Danny prese con delicatezza il polso dell’amica tra le mani girandolo con cautela -Ma tuo padre che dice?-
 
-E che ne so?- proruppe lei ritirando il braccio -Non lo vedo quasi più. Al mattino esce prestissimo e alla sera ...beh sono io a non volerlo vedere con quella mandria di parassiti!-
 
-Shay ma sei sicura che non stai fraintendendo?-
 
-Fraintendendo?!? – urlò incredula -Fraintendendo Danny?- ripeté furiosa -Guarda il mio polso com’é ridotto! In più mi ha anche preso a sberle!-
 
-Questo è troppo! Oggi vengo a casa tua e gli spacco la faccia!-
 
-Ma non farmi ridere é il doppio di te!-
 
-Non esagerare- ribatté il ragazzo che in quanto a corporatura non si poteva certo definire esile. Sin da piccolissimo praticava il calcio ed il suo fisico, un tempo minuto, si era notevolmente rinforzato negli anni.
 
-Non esagero, é un bisonte. Sarà alto un metro e ottanta e ha una montagna di muscoli ...uno schifo!- sbottò rabbiosamente infilando le monetine nella macchina del caffè e selezionando la bevanda.
 
Danny le strizzò un occhio maliziosamente -Da quando in qua i muscoli ti fanno schifo?-
 
-Da quando sono associati ad un troglodita prepotente e cafone! Che tipo! Ma proprio a me doveva capitare?- replicò lei non cogliendo affatto il tentativo dell’amico di sdrammatizzare.
 
-Basta! Sono due mesi che ti sento pronunciare questa frase ogni due minuti. Possibile che a casa tua la situazione sia così tragica? Stasera vengo a studiare da te...voglio proprio vedere-
 
-No preferisco stare a casa tua- borbottò scocciata, appoggiandosi al muro e sorseggiando lentamente la sua bevanda fumante.
 
-No stavolta si fa a modo mio-
 
-Dan non ti ci mettere anche tu a rendermi la vita impossibile, ti prego ho già troppi problemi per i fatti miei-
 
-Niente da fare sono irremovibile. Ci chiudiamo in camera come al solito e intanto controllo la situazione-
 
-Ma che hai da controllare? Te l’ho detto come stanno le cose-
 
-E io comincio a credere che tu esageri. Insomma Shay, tuo padre ti adora non può averti portato in casa un’arpia che gli succhia i soldi e gli fa mantenere la sua nidiata-
 
-Ah no? Era la sua segretaria-
 
-E allora? Questo non significa che abbia sposato tuo padre solo per i soldi, magari lo ama e sta facendo di tutto per farsi accettare da te-
 
-Accettare da me?!?! E anche se fosse? Io non la voglio-
 
-Vedi che ho ragione io? Sei tu il problema-
 
-Va bene sono io- sbraitò la ragazza scaraventando il bicchiere ancora semi pieno nel cestino - Contento? Sei come tutti gli altri! E io che ti credevo un amico!-
 
-Calmati, dai non volevo dire che non ti credo solo che..-
 
-Che cosa Dan?- lo sfidò Shay guardandolo dritto in faccia con una tale espressione disperata nei grandi occhi azzurri che fecero tremare il povero ragazzo.
 
-No Shay...va bene, sono dalla tua parte, ma lasciami venire a casa tua ...solo per stasera. Forse sei troppo coinvolta e non vedi con chiarezza una situazione che magari io potrei aiutarti ad affrontare-
 
-Non mi hai convinta, ma comunque facciamo come vuoi tu per stavolta, dopo gli allenamenti andiamo da me-
 
-Bene- disse il ragazzo tirando un sospiro di sollievo per quella piccola vittoria –E ora su con la vita abbiamo un’ora di libertà…dove poss...- il volto del giovane sbiancò - Non é possibile!-
 
-Che succede? Stai male?- chiese Shay osservando l’espressione incredula apparsa sul volto dell’amico. Istintivamente seguì lo sguardo di Danny e vide in fondo al corridoio la sagoma di un ragazzo dai lunghi capelli corvini.
 
Shay strizzò gli occhi cercando di fare da filtro alla luce che dalla ampie vetrate entrava nel lungo corridoio della scuola, impedendole di capire se quello che aveva di fronte era veramente reale o un bellissimo miraggio. Osservò con attenzione e, una volta resasi conto che quel figo da sballo era vero, il suo stomaco cominciò a contorcersi furiosamente.
 
-Chi é?- chiese a Danny senza distogliere gli occhi da quella visione celestiale. La carnagione del volto era piacevolmente abbronzata nonostante la stagione estiva fosse terminata da un pezzo e i capelli neri, lunghi e leggermente arruffati, gli scendevano morbidi sopra l’occhio sinistro scendendo sulle spalle ampie ed arricciandosi appena contro il tessuto chiaro della felpa. Gli occhi, di un bel nero vellutato, erano attenti e fissi nella loro direzione.
 
Shay sentì qualcosa di sconosciuto borbottare all’interno della sua pancia.
 
-Warner! Ed Warner! Sei proprio tu?- esclamò Danny, avanzando velocemente lungo il corridoio seguito a ruota dall’amica che voleva vedere più da vicino altri particolari dell’affascinante sconosciuto.
 
-Ehi guarda chi si rivede, il piccolo Danny! Certo che sono io, non riconosci più un vecchio compagno di squadra?- rispose il ragazzo sorridendo e con un’espressione benevola negli occhi scuri che tradiva tutto il piacere per quell’incontro inaspettato.
 
-No é che non potevo credere ai miei occhi! Che ci fai da queste parti?- replicò Danny battendo amichevolmente una mano sulla spalla del ragazzo, gesto che fu prontamente ricambiato.
 
Shay non aveva mai invidiato tanto l’amico come in quel momento. Le spalle di quello che aveva sentito chiamarsi Ed Warner erano ampie e solide, tutto l’aspetto del ragazzo era statuario: i jeans scuri e la felpa non celavano del tutto i fasci muscolari ben sviluppati che si intravedevano ad ogni minimo movimento. Sicuramente era un atleta, probabilmente un calciatore, come Danny.
 
-Sono passato in segreteria a ritirare il mio diploma...- rispose Ed mostrando una busta marrone che stringeva in mano.
 
-E che cosa combini? Sempre nella palestra di tuo padre?-
 
-Sì... e tu? Non dovresti essere in classe invece che a spasso con belle ragazze?-
 
Il cuore di Shay cominciò a battere più forte. E così l’aveva notata. E la trovava pure bella, nonostante i capelli fucsia e l’aspetto assonnato. Accidenti avrebbe dato chissà che cosa per riavere i suoi splendidi capelli corvini e far sparire le borse da sotto gli occhi pesti!
 
-Eh... Io e Shay siamo stati buttati fuori dal professor Nakura-
 
Un piacevole stupore illuminò gli occhi intelligenti del giovane -Quel vecchio bigotto? Insegna ancora? E come mai ti sei fatto buttare fuori? Tu il perfettino! In genere eravamo io e Ma...- Ed si fermò e la luce che gli aveva acceso lo sguardo, solo un istante prima, scomparve nel nulla.
 
Shay attese in silenzio, sperando di capire che cosa fosse avvenuto tra i due amici, ma questi non le diedero alcuna spiegazione, limitandosi a guardarsi imbarazzati -Scusate- intervenne con tono gaio, pregando in cuor suo che ciò fosse sufficiente a smorzare quell’atmosfera tesa che si era incomprensibilmente creata -Danny perché non ci presenti?-
 
-Oh sì…certo… che caprone sono! Shay lui é Ed Warner, Ed lei é Shay Field, una mia carissima amica-
 
La ragazza fece un leggero inchino ed Ed fece altrettanto - é colpa mia se siamo stati sbattuti fuori. Ieri sera ero in vena di mondanità e ho trascinato Dan in discoteca sino alle quattro, così stamattina ci siamo addormentati sul banco. Peccato che il professore ci abbia scoperti...- spiegò rallegrandosi nel vedere il sorriso ricomparire sul bellissimo volto di Ed.
 
-Mellow in discoteca sino alle quattro!?!? Danny che prende sonno in classe?!!?Non ci posso credere- esplose ilare Ed battendosi incredulo una mano sulla fronte –Mi sa che qui qualcuno ha cambiato questo innocente ragazzo- aggiunse allusivo notando, divertito, le guance di Danny divenire rosso porpora.
 
-No ... Ed,  io e Shay non ...-
 
-Tranquillo … capita- scoppiò a ridere Ed.
 
-Ma che hai capito, siamo solo amici- sbottò Danny arrossendo sempre più.
 
-Guarda che non mi devi spiegazioni...ora devo andare. É stato un piacere vederti e conoscere Shay. Arrivederci ragazzi e rigate dritto che quest’anno avete la maturità-
 
-Certo “paparino”- lo salutò Danny
 
Shay non si era ancora rassegnata a vederlo scomparire oltre l’angolo del corridoio, quando inaspettatamente il ragazzo si fermò –Danny?- chiamò senza voltarsi.
 
-Sì che c’é?-
 
-Hai avuto sue notizie?- chiese con voce che voleva apparire indifferente, ma che suonava palesemente artefatta.
 
-No- rispose laconico Danny, abbassando il capo affranto.
 
La ragazza spostò lo sguardo dall’uno all’altro, seguendo, senza capire, quel veloce scambio di battute. Chissà di chi stavano parlando, di certo di una persona che doveva stare loro molto a cuore.
 
-Ok ciao- salutò con tono incolore Ed prima di scomparire definitivamente dalla loro vista.
 

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Capitolo 4
*** Amici ***


CAPITOLO IV. AMICI
 
Il sole dorato smise di galleggiare mollemente nel suo mare di fuoco fuso, decidendosi a scomparire piano piano dietro la linea immaginaria dell’orizzonte, ancora pochi istanti e il cielo sarebbe passato dall’arancione acceso al blu cupo. Le ombre dei giocatori, lunghe e sottili sull’erba consumata, si mescolavano con le prime oscurità della sera, formando delle macchie informi che si affrettavano dietro ad una sfera a scacchi. Danny Mellow osservò di sottecchi il lampione giallognolo che si accese improvviso al suo passaggio, inondando di luce artificiale il campo attorno a lui – Questa è l’ultima azione della giornata, speriamo bene – pensò senza troppo entusiasmo il Capitano della Toho School mentre, senza fatica, scartava il secondo difensore con un agile balzo e si apprestava a compiere un perfetto assist al centro. La palla saettò veloce lungo la traiettoria precisa e lineare disegnata dalla sua mente di esperto fantasista, ad appena una manciata di metri dall’area di rigore avversaria, ma l’attaccante era troppo arretrato e la sfera gli passò a mezzo metro dai piedi, finendo in fallo laterale, mandando in fumo quella splendida occasione da goal.
 
Danny non riuscì a trattenere un motto di stizza -Accidenti Brian, devi stare parallelo a me! – urlò fuori di sé, fendendo l’aria con un gesto irato del braccio - Quante volte te lo devo ripetere?- 
 
Il ragazzo, a cui era rivolto quel duro rimprovero, arrossì violentemente ed abbassò il capo mortificato – Mi spiace Capitano, ma non riesco a starti dietro…- disse balbettando, intimidito dalla furia di Danny.
 
-Umf!- sbuffò il numero dieci non tentando minimamente di stemperare il suo disappunto – Se non riesci stare dietro a me, figurati se ti trovassi davanti campioni del calibro di Hutton o  … - la voce adirata del ragazzo tremò impercettibilmente come una foglia scossa da un’inaspettata brezza - … Lenders- disse sollevando lo sguardo fiero e cupo sul compagno, troppo scosso per notare quella piccola esitazione -Per oggi basta! Andate a cambiarvi- aggiunse in fretta, voltando le spalle alla squadra e muovendo qualche passo verso una zona più ombreggiata del campo.
 
Aveva bisogno di pace assoluta. Di calma e tranquillità per affrontare quei ricordi con cui ogni fibra del suo essere si rifiutava di venire a patti.
 
Mark!
 
Si portò la mano al bicipite sinistro attorno al quale era stretta la fascia bianca di Capitano. Non riuscì a cancellare quel fastidioso senso di vuoto che lo faceva stare ogni giorno più male: ora era lui il Capitano! Quel branco di stupidi caproni neppure lo sapevano che cos’era un Capitano! Strinse forte le dita attorno a quella striscia di stoffa apparentemente sottile e superflua, in realtà custode di una forza quasi sacra. Sì, quella fascia era inviolabile! Solo i migliori avevano il diritto di indossarla e lui non lo era di certo!
 
Se Mark avesse visto a come si era ridotta la Toho FC School avrebbe preso a calci quel branco di femminucce, lui per primo! Era un idiota dalla testa ai piedi: lo chiamavano Capitano e non era neppure in grado di far correre nel modo giusto quella banda di mocciosi!
 
Era da quasi un anno ormai che non aveva più notizie di Mark Lenders, l’indomita Tigre del Calcio giapponese. Una frettolosa cartolina, spedita mesi prima, in cui gli comunicava di stare bene e di non azzardarsi a cercarlo, era l’unica prova tangibile che Mark fosse ancora vivo. Sparito nel nulla, dalla sua vita, dal campo e da Tokyo. Persino la sua famiglia sembrava scomparsa, un mese prima aveva tentato di contattare la signora Lenders ma aveva avuto l’ennesima amara sorpresa, scoprendo che la famiglia si era trasferita e nessuno dei vicini aveva saputo, o voluto, dirgli dove.
 
-Accidenti a te Capitano! Dove sei finito?- pensò il ragazzo abbracciando con lo sguardo il campo ormai deserto. Se solo la scuola fosse finita in fretta, allora avrebbe potuto mettersi in mostra in qualche campionato più prestigioso e magari sarebbe riuscito a farsi notare da qualche importante club. In fondo non era un cattivo giocatore, non aveva il carisma necessario per fare il Capitano ma  possedeva un raro e prezioso senso del gioco in grado di trasformare in azioni goal le palle più impensabili. Doveva ammettere che ultimamente si era un po’ impigrito, quel contesto sportivo non gli offriva certo spunti per solleticare le sue doti, ma era certo che un’avvincente sfida come ai vecchi tempi gli avrebbe tirato fuori tutta la grinta che ora sapeva di possedere.
 
Quella grinta che Mark gli aveva duramente tirato fuori con ore di estenuanti allenamenti, rimproverandolo aspramente sino a fargli sputare, oltre al sangue, quel lato determinato del suo carattere, in genere mite e remissivo, che racchiudeva in sé la potenza e la stoffa del campione. Mark aveva fatto di lui un calciatore e un uomo. Per questo gli sarebbe stato debitore per tutta la vita. Aveva scordato le pallonate in faccia tirate con ferocia con l’unico intento di fargli male e farlo arrabbiare, le sberle ricevute, le parole crudeli, tutto cancellato in nome di quel dono meraviglioso che il suo Capitano gli aveva dato: la consapevolezza del suo talento calcistico.
 
-Danny non dirmi mai più che quell’avversario ti crea problemi- la voce bassa e profonda del Capitano risuonò nella mente del ragazzo che chiuse gli occhi con forza per trattenere quel ricordo vivido e prezioso - Quello è una sfida! E le sfide vanno sempre accettate e vinte! Ricordatelo moccioso-
 
Sfida!
 
La vita per Mark non era altro che un’importante partita da vincere, con forza, senza pietà per nessuno. Eppure qualcosa aveva scalfito le certezze della Tigre, l’aveva ferita così profondamente da farla fuggire chissà dove, costringendola ad abbandonare amici, compagni, sogni e speranze.
 
La realtà faceva male ma era tempo che lui, il piccolo Danny che considerava Mark Lenders il più forte di tutti i giocatori nipponici, si decidesse ad accettarla: Mark aveva gettato la spugna, era stato sconfitto, colpito alle spalle dal suo migliore amico.
 
Ed Warner. Terzo elemento del trio magico della Toho. Amico, compagno, confidente. Elemento equilibratore, unica persona in grado di controllare e placare il carattere a volte troppo irruento e focoso della Tigre. Quasi un fratello, forse anche di più. Eppure … non riusciva ad odiare Ed, non si riteneva in grado di giudicare e si era ritrovato da solo a subire le conseguenze degli errori di due ragazzi che un tempo, ormai lontano, erano stati i suoi migliori amici.
 
Danny strinse forte i pugni contro le cosce muscolose, e notò solo allora il vento freddo della sera che gli pungeva le guance sudate, simile a piccoli sputi taglienti. Alzò il capo offrendosi a quella gelida tortura, facendo vagare lo sguardo inquieto tra i verdi rami della folta quercia che ondeggiavano poco lontano.
 
Fu allora che la vide. Piccola figura accovacciata su se stessa ai piedi dell’albero.
 
Shay! Che ci faceva lì? Non aveva gli allenamenti di softball? La ragazza intercettò il suo sguardo e, come se gli avesse letto nel pensiero, sollevò il braccio destro nella sua direzione mentre con l’altra mano gli indicava la polsiera con gesto allusivo.
 
Danny rifletté preoccupato, e così la faccenda era più grave del previsto, il polso malconcio non le aveva permesso di ultimare l’allenamento. Le fece cenno con la mano, facendole capire che non ci avrebbe messo molto a cambiarsi, quindi girò sui tacchi e raggiunse di corsa i compagni all’interno della struttura sportiva.
 
Aprì con foga la porta degli spogliatoi attraversando senza una parola la stanza che era piombata nel silenzio al suo comparire. Era arrabbiatissimo con loro, che lo sapessero e che si decidessero a giocare come si deve. Non vi era niente di impossibile se lo si desiderava veramente, Mark glielo ripeteva in continuazione.
 
Mark …. Shay …. Mark …le immagini dei due amici gli si sovrapposero nella mente mentre si spogliava con gesti meccanici. Entrò nella prima cabina doccia ancora libera, il vapore caldo dell’acqua lo avvolse, rilassandolo e facendo da sfondo ai suoi pensieri. Shay …  la stessa rassicurante sensazione che aveva provato la prima volta che l’aveva vista. Era entrata nella loro classe accompagnata dal preside una settimana dopo l’inizio dell’anno. Era carina: grandi occhi azzurri e lunghissimi capelli corvini, una splendida cascata di seta lucidissima. Quando il professore le aveva chiesto di scegliere il posto, lui l’aveva fissata intensamente cercando di catturare quello sguardo limpido che aveva prepotentemente suscitato in lui un forte senso di familiarità. Eppure era sicuro di non averla mai vista prima. Tra loro era scattato qualcosa a cui Danny, neppure ora, a distanza di un anno, riusciva a dare una spiegazione, fatto sta che non si era sbagliato: quella ragazza emanava una potente aurea carismatica e racchiudeva dietro quell’aspetto innocente un carattere forte, impulsivo, determinato, impetuoso e a tratti violento. Avere accanto Shay era per lui, in alcuni frangenti, come avere di nuovo accanto Mark.
 
 
Shay si avvicinò con passi corti e nervosi all’alta rete metallica che delimitava il perimetro del grande campo da calcio, la percorse tutta sino al limite della linea di fondo campo per poi tornare indietro. Guardò con impazienza l’orologio e sbuffò rumorosamente: Danny era negli spogliatoi da più di mezz’ora. Non si era divertita per niente ad assistere ai noiosissimi allenamenti dell’amico ma li aveva comunque preferiti alla poco allettante idea di andare a casa e magari rischiare di dover rivedere quell’essere insopportabile che suo padre voleva spacciarle per …fratello!
 
Puah! le faceva schifo solo la parola!
 
Quel pomeriggio si era seduta in disparte sull’erba giocherellando con i fili d’erba all’ombra della grande quercia che troneggiava in un angolo del parco della scuola. Come previsto aveva dovuto rinunciare agli allenamenti, al primo colpo aveva infatti visto le stelle ed era sbiancata. L’allenatrice era accorsa preoccupata e dopo, non poche insistenze, era stata costretta a mostrare il polso maltrattato. La ragazza aveva balbettato delle scuse poche convincenti riguardo ad una rovinosa caduta dalle scale e la signorina Akaime, allenatrice della squadra, si era limitata a darle una pacca sulla spalla invitandola ad andarsi a cambiare.
 
E così doveva ricordarsi di ringraziare il suo nuovo “fratello” anche di quel bel regalo. Maledetto schifoso bastardo! Doveva trovare il modo di rimettere le cose al giusto posto.
 
Si era destata dai suoi pensieri omicidi solo alle grida furiose di Danny che inveiva contro un compagno per un goal mancato, accompagnando i suoi rimproveri con dei vigorosi gesti della mano. Era divertente vedere come il suo pacato amico, che sembrava incapace di spaventare una mosca, si trasformasse in una belva appena scendeva in campo. Non era un Capitano mediocre come si definiva lui, ma un giocatore attento, capace e determinato, Shay era sicura che Danny avrebbe fatto carriera nel mondo del calcio professionista, o almeno lo sperava con tutto il cuore: era veramente un ragazzo eccezionale e meritava molto dalla vita.
 
Era soprattutto grazie a lui se era riuscita ad ambientarsi così in fretta alla nuova scuola e a superare il trauma per l’abbandono della kich-boxing. 
 
Quasi un anno prima era entrata nella nuova classe con il cuore che le batteva a mille. Il preside in persona l’aveva accompagnata nell’aula presentandola frettolosamente all’insegnante. I suoi compagni erano già tutti in classe compostamente seduti e la fissavano incuriositi. Intimidita dal silenzio totale dell’aula, aveva acconsentito con riluttanza all’invito del professore Nakata di presentarsi. Con voce tremante aveva pronunciato qualche frase di circostanza sentendosi terribilmente in imbarazzo. Non era un’imbranata né si definiva timida ma comunque l’impatto con un ambiente completamente nuovo era stato più che sufficiente a metterle addosso una cospicua dose di agitazione.
 
Quando il professore aveva cominciato a guardarsi in giro alla ricerca di un banco vuoto dove farla accomodare, nell’aula si era sollevato un sommesso brusio, i nuovi compagni erano felici del diversivo che lei rappresentava. Il professore l’aveva esaminata con una rapida occhiata e, dopo aver fatto le sue debite considerazioni, le lasciò la libertà di scegliersi il posto che preferiva. Vi erano ben tre banchi vuoti, uno in prima fila, uno in penultima e uno in fondo alla classe. Per una strana ragione venne attratta da quell’ultima fila, strano per una che era sempre stata abituata nei primi banchi. Eppure il sorriso luminoso che il ragazzo in fondo all’aula le inviò, la convinsero a scegliere proprio quello. Danny le aveva sorriso con discrezione, vi era incoraggiamento sul suo volto, nessuna intenzione di fare il cascamorto. Anzi, Dan si era sempre dimostrato estremamente corretto nei suoi confronti e ben presto erano diventati inseparabili.
 
Da circa un anno era diventato il suo migliore amico, il suo confidente, la spalla su cui piangere e su cui sfogarsi, e da un paio di mesi anche il compagno inseparabile delle sue scorribande. Aveva accettato senza discutere quella stupida fase di ribellione che lei stava attraversando. L’aveva capito benissimo che stava facendo tutte quelle sciocchezze solo per far arrabbiare il padre, eppure non aveva fiatato, assecondandola sempre. Aveva intuito che se così non avesse fatto, lo avrebbe allontanato, escludendolo da quella parte delicata della sua vita. E Danny le aveva fatto capire che non voleva assolutamente essere escluso ma desiderava starle accanto in quel periodo così difficile.
 
Gli voleva molto bene e ora che aveva scoperto quel cruccio nella vita dell’amico, desiderava ardentemente aiutarlo a risolvere la situazione con il suo capitano ed il bel portiere.
 
Anche perché questo significava rivedere Ed.
 
Ancora non si capacitava della sua reazione incontrollata. Che sciocca! Si stava comportando come tutte quelle ragazzine che non avevano altro per la testa che ragazzi, trucchi e vestiti. A lei quelle cose non erano mai interessate, figuriamoci per un’appassionata di moto e kich-boxing che importanza potevano avere le minigonne, gli ombretti e le unghie laccate? Eppure improvvisamente tutto aveva acquistato un valore nuovo e davanti agli splendidi occhi di Ed, anche lei aveva desiderato avere una minigonna al posto dell’anonima divisa, i suoi vecchi lunghi capelli e un filo di trucco ad illuminarle gli occhi. Invece niente di tutto quello: si era presentata al ragazzo dei suoi sogni nel peggiore dei modi: con il volto disfatto dalla tensione e dalla stanchezza e la testa rovinata da striature inguardabili!
 
La ragazza scosse il capo imbarazzata dall’inconsueto rossore che sentì imporporarle le guance, accidenti si stava comportando esattamente come tutte quelle smorfiosette che aveva sempre detestato! Cercò di allontanare il volto del portiere dai suoi pensieri sperando così di riacquistare un minimo di autocontrollo.
 
Volse il capo verso il campo da calcio e ripensò alla discussione che lei e Danny avevano avuto non appena il portiere se n’era andato.
 
L’amico le aveva voltato le spalle e si era avviato nella direzione opposta dalla quale era sparito Ed Warner. Lei era rimasta ferma a fissare la schiena di Danny, convinta che lui volesse starsene da solo a riflettere su chissà quale problema.
 
-Allora vieni?- la domanda posta con un misto di impazienza ed autorità l’aveva lasciata del tutto spiazzata. Si era affrettata a raggiungerlo e in silenzio erano usciti sull’ampio terrazzo posto sul tetto della scuola.
 
-Tu ed Ed siete stati compagni di squadra?- aveva chiesto dopo qualche tempo, intuendo che l’amico aveva voglia di sfogarsi ma non sapeva da che parte iniziare.
 
-Uhm come si vede che vieni dalla provincia. Tutti nella scuola conoscono il grande Ed Warner il portiere karateca-
 
-Il portiere karateca? Vuoi dire che quello era proprio Warner? Caspita....- non era riuscita a trattenere un lungo fischio- In giro si dice che sarà convocato per la Nazionale nipponica …-
 
-Sì lo sarà. Ed e Benji Price sono i migliori portieri di tutto il Giappone. Due tecniche diversissime ma perfette entrambe- le aveva risposto assorto, pensando alle prodezze dei due portieri.
 
-E...il lui a cui avete accennato?- aveva chiesto cautamente, studiando di sottecchi la reazione dell’amico, conscia dell’enorme sforzo che stava facendo su se stesso per aprirsi.
 
-Il Capitano. Io, Ed e il Capitano eravamo i tre assi della Toho- le aveva detto con orgoglio guardando fisso davanti a sé verso un punto indefinibile dell’orizzonte - Per ben due anni abbiamo vinto i campionati interscolastici contro la Nankatsu di Oliver Hutton e di Price. Che sfide. Delle partite memorabili. Il Capitano ci sottoponeva a degli allenamenti estenuanti che portarono la squadra a dei livelli incredibili… altro che quel branco di brocchi che é ora la Toho!-
 
-Ma che dici la squadra é fortissima e tu sei un Capitano eccezionale-
 
-Se tu avessi visto la vera Toho non parleresti così. Comunque...Ed e il Capitano si sono diplomati l’anno prima che tu arrivassi  ma...la squadra si era già sciolta qualche mese prima della loro maturità-
 
-Perché?-
 
-Vi fu una violenta lite tra Ed ed il Capitano...- il ragazzo si era bloccato e dall’espressione addolorata apparsa sul suo volto lei aveva capito che stava rivivendo quel brutto periodo.
 
E così il vivace Danny nascondeva un segreto nel cuore. Un segreto che lo faceva soffrire che lo aveva allontanato dai suoi amici. Più volte le aveva parlato di questo fantomatico Capitano, ma erano stati solo accenni, ogni volta il ragazzo sviava il discorso ed il suo carattere riservato le aveva impedito di fare domande su una questione che, era evidente, Danny non aveva alcuna voglia di affrontare. Aveva già intuito da tempo che qualcosa doveva essere successo altrimenti non si spiegava come mai quella forte amicizia, che Danny diceva di condividere con il suo ex Capitano, si fosse dissolta nel nulla.
 
-Non mi chiedere il motivo però perché ho promesso di non dirlo- aveva aggiunto il ragazzo dopo alcuni minuti di pausa.
 
-Va bene... ma Ed?-
 
-Ed?- aveva ripetuto Danny sovrapensiero, ignaro dello scombussolamento che il portiere aveva prodotto in lei - Fu lui la causa della lite. Erano degli amici inseparabili ma dopo la cavolata di Ed non si rivolsero più la parola. Non si sono più visti né parlati dal quando hanno finito le scuole e anch’io lo avevo perso di vista sino ad oggi. Non é cambiato molto...anzi per niente....-
 
-Mi sembrava triste –
 
-Sì lo sono anch’io ogni volta che penso a noi tre...-
 
-Ma non c’é qualcosa che si può fare? Sì insomma é passato molto tempo magari puoi contattare il tuo Capitano e vedere se é ancora arrabbiato-
 
-Lascia stare Shay, se lo conoscessi non parleresti così. É la persona più orgogliosa che io conosca ed il torto che gli ha fatto Ed non lo può certo dimenticare, te lo assicuro non basterebbero mille anni per rimettere le cose a posto-
 
-Ma provaci almeno, magari che ne so, il tempo gli ha fatto vedere in modo diverso la situazione...-
 
-Ne dubito e comunque non saprei come ricontattarlo...uhm...persino la sua famiglia non abita più all’indirizzo che io conoscevo-
 
-Allora hai tentato di rintracciarlo!-
 
-Sì un mese fa circa...-
 
-Dan ti aiuterò io a ritrovare il tuo Capitano e a riportare la pace tra i tuoi migliori amici-
 
-Non credo ci riuscirai ma se la cosa ti aiuta a distrarti dai tuoi problemi, ben venga-
 
-Che vuoi dire?-
 
-Non ti sei resa conto che per la prima volta da due mesi a questa parte non hai parlato della tua matrigna, dei tuoi fratellastri e di che cosa hai fatto per meritarti questo castigo divino?- le aveva chiesto sorridendo compiaciuto, recuperando la sua consueta espressione spensierata.
 
-Bah!Io aiuto te e tu aiuta me-
 
-E che dovrei fare?-
 
-Per prima cosa cacciare quel Bisonte da casa mia...-
 
-Il tuo nuovo fratello-
 
-Non lo chiamare così! Non é mio fratello per carità-
 
-Ok...ok...affare fatto …-
 
Un veloce scalpiccio alle sue spalle la fece tornare bruscamente al presente. Il volto sorridente di Danny era circondato da un groviglio di capelli spettinati ed umidi – Eccomi qui!- le disse con candore, dedicandole un ampio sorriso.
 
-Alla buonora!-
 
Danny le fece l’occhiolino stemperando in parte la stizza della ragazza, innervosita da quella lunga attesa -Dai non ti arrabbiare, ho cercato di fare in fretta …-
 
-Come no! Dai andiamo- rispose lei ancora leggermente infastidita: accettava quella situazione solo perché si trattava di Danny, ma che nessun altro osasse farla attendere per mezz’ora al freddo, altrimenti … povero lui!
 

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Capitolo 5
*** Capitano! ***


CAPITOLO V. CAPITANO!
 
I due ragazzi entrarono nell’atrio della curata villetta che sorgeva poco lontano dal centro, in un tranquillo quartiere nella parte ovest della grande metropoli nipponica.
 
Si tolsero le scarpe impolverate, appoggiandole ordinatamente contro il muro -Non c’é nessuno- constatò perplessa Shay, infilandosi le pantofole e indicando a Danny le ciabatte a disposizione per gli ospiti.
 
Il ragazzo si buttò in spalla il pesante borsone sul quale spiccava il logo della squadra. –Toh! Sta a vedere che scopro che la matrigna e lo stuolo di fratellini acquisiti sono frutto della tua fervida immaginazione!-
 
Shay si voltò di scatto fulminandolo con un’occhiataccia -Non dire idiozie- lo rimproverò per niente disposta ad accettare che i suoi problemi familiari, per lei insormontabili, venissero minimizzati con tanta leggerezza.
 
Ma Danny non le badò, proseguendo imperterrito -Come si chiama quella malattia mentale che ti fa creare personaggi fantastici?-
 
La ragazza sbuffò –Schizofrenia, ma smettila Dan!- gli ordinò voltandogli le spalle in malo modo e avviandosi sù per le scale.
 
La bocca del calciatore si piegò all’ingiù in una piccola smorfia -Ok...ok... saranno andati a fare spese- suppose facendo spallucce e affrettandosi a seguirla, decidendo che per il momento era meglio non forzare troppo la mano, anche se rimaneva dell’idea che un po’ di ironia non avrebbe potuto che aiutare quella testa dura a ridimensionare i suoi crucci. 
 
Shay percorse a passo di marcia il corridoio che portava alla zona notte, si arrestò solo un attimo per sbirciare all’interno della stanza degli ospiti proprio accanto alla sua, divenuta la cameretta di Micheal. La porta di noce scura era spalancata e, nonostante la penombra, riuscì ad identificare il profilo di un futon arrotolato ai piedi del letto all’occidentale. Il suo stomaco si contrasse inacidito alla vista dell’odiato giaciglio in cui aveva passato la notte il Bestione.
 
Indietreggiò di un paio di passi e trasse un sospiro di sollievo: in casa non c’era proprio nessuno e per alcuni preziosi istanti, poteva immaginare di aver sognato tutta quell’infelice faccenda.
 
Chiuse gli occhi, illudendosi di aver veramente sofferto di un attacco di schizofrenia.
 
Scosse il capo dandosi della stupida e senza dire niente, entrò nella sua cameretta, invitando con un gesto del capo l’amico a fare altrettanto.
 
Danny appoggiò il borsone sul pavimento accanto al letto, dove giaceva un groviglio multicolore di abiti spiegazzati. La ragazza notò lo sguardo perplesso dell’amico ma non provò nessun tipo di imbarazzo: non era mai stata particolarmente ordinata e, anche se ultimamente il suo grado di disordine aveva raggiunto vette mai toccate prima, ciò non le provocava nessun rimorso. Era come se una parte di lei volesse comunicare anche attraverso il caos e la trascuratezza lo stato di disagio in cui viveva. Era un altro ennesimo modo per esprimere la sua sofferenza e non aveva alcuna intenzione di nascondere il suo dolore, anzi era contenta di poterlo manifestare sino in fondo proprio a Danny.
 
Liberò due sedie dagli ingombri abbandonati sopra e le sistemò vicino alla scrivania –Studiamo storia?- chiese aprendo la cartella e osservando senza entusiasmo la copertina colorata del manuale che le era capitato in mano.
 
-Uhm…- mugugnò il ragazzo, arrossendo impercettibilmente al ricordo della figuraccia della mattina di fronte al vecchio e austero professore – Direi che sarebbe il caso ma …. la voglia … dove la troviamo?-
 
-Ce la faremo venire!- esclamò lei con un’espressione dubbiosa che faceva a pugni con il tono deciso che aveva tentato di dare alla sua voce.
 
Dopo un discreto lasso di tempo di infruttuosi tentativi di studio, Danny cominciò ad agitarsi sulla sedia, si sporse in avanti per sbirciare gli sparuti appunti che l’amica stava scrivendo a bordo pagina -E pensare che eravamo la gioia del professor Nakata …- commentò con fare contrito infilandosi in bocca la matita.
 
-Già- sbuffò lei sconsolata, spingendo di lato il grosso volume di storia –E ora non sappiamo neppure quando i samurai furono massacrati…mi vergogno di me stessa-
 
Danny si tolse la matita di bocca e scattò in piedi -Inutile abbatterci, rimbocchiamoci le maniche e …- replicò stiracchiando le braccia muscolose sopra la testa - … accidenti sono tutto intorpidito …- constatò roteando leggermente il collo di lato.
 
Shay lo osservò con un luccichio divertito negli occhi cerulei-Vuoi un massaggio?-
 
-Uhm veramente preferirei qualcosa da mettere sotto i denti, ma tu non hai fame?- 
 
-A dire il vero sì…ma…-
 
Due discreti colpi alla porta bloccarono la sua replica a metà, quindi le belve erano tornate e lei non le aveva neppure sentite rincasare!
 
Danny lanciò all’amica un’occhiata interrogativa, chiedendole implicitamente che intendesse fare.
 
-Avanti- si decise infine la ragazza, non poteva certo far finta di non essere in casa, anche se per un fugace momento lo aveva desiderato.
 
La bella testa brizzolata del padre fece capolino nella stanza- Cara sei a casa? Abbiamo comprato del sushi se ti va … Danny!- esclamò l’uomo spalancando la porta mentre un radioso sorriso gli illuminava il volto -Figliolo che piacere rivederti! Come stai?- chiese piacevolmente sorpreso di vedere il giovane di nuovo in giro per casa. Gli piaceva molto Danny, era un bravo ragazzo e sperava ardentemente che facesse rimettere la testa a posto a sua figlia. Il fatto che fosse più di un mese che non lo vedeva, lo aveva indotto a credere che Shay avesse allontanato anche lui, constatare di essersi sbagliato lo riempiva di gioia.
 
Il ragazzo fece un rispettoso inchino -Signor Field, sto molto bene grazie, e lei?-
 
-Non ce male figliolo. Abbiamo del sushi appena fatto, ti va di unirti a noi per la cena?-
 
-Veramente…- tergiversò lanciando un’occhiata a Shay in cerca di una qualche indicazione sul da farsi.
 
Shay rifletté in fretta: da una parte Danny era venuto per “controllare” la situazione ed una cena in “famiglia” poteva essere l’occasione giusta, dall’altra parte, però, non aveva nessuna voglia di sedersi a tavola con quegli estranei. Ma forse la presenza di Danny l’avrebbe aiutata e, a pensarci bene, con Dan al suo fianco, la prospettiva non le pareva poi così ripugnante -Sì, si ferma a cena da noi- decise infine.
 
Una scintilla di gioia pura vibrò negli occhi chiari del padre. Per un breve istante Shay desiderò con tutto il suo essere mandare al diavolo il mondo intero e gettarsi tra le braccia del genitore, chiedendogli perdono per tutti i capricci degli ultimi tempi, e lo avrebbe sicuramente fatto se la voce squillante di Mad non le fosse giunta dal piano di sotto, gelando sul nascere qualsiasi suo pentimento e ricordandole, con dolorosa nitidezza, in che situazione di merda il suo caro “paparino” l’aveva costretta!
 
Ogni accenno di dolcezza scomparve dal volto della ragazza e l’uomo, che aveva assistito con accesa speranza a quel caleidoscopio di emozioni susseguirsi sul volto della figlia, gioì dentro di sé: aveva scorto un breccia in quel muro che nei giorni precedenti gli era parso invalicabile e, anche se i tempi non erano ancora maturi, ora aveva la netta sensazione che un importante passo avanti fosse stato compiuto.
 
-Ok dico a Rose di aggiungere un coperto, vi aspetto tra cinque minuti- disse chiudendosi in fretta la porta alle spalle, per evitare che la figlia avesse il tempo di cambiare idea.
 
Shay rimase immobile a fissare il pannello della porta chiuso -Bene eccoti l’occasione per studiare la situazione…tzé…neanche fossi Freud- borbottò infastidita non appena fu sicura che il genitore si fosse allontanato.
 
- E chi sarebbe Frod?- chiese Danny curioso risistemando in fretta i suoi libri nella cartella.
 
-Freud…Un famoso psicanalista occidentale del secolo scorso-
 
-Uhm … e che diceva?-
 
-Tante cose … ma aveva la presunzione di saper portare in superficie i pensieri inconsci della gente…- si volse, scrutandolo seria -Peccato che il mio inconscio sia limpido come una pozza d’acqua: fammi sparire quella mandria di sciacalli!-
 
Danny mise avanti le mani -Ehi io sono qui solo per controllare- si difese, avvertendola di non affibbiargli incombenze che non poteva onorare.
 
-E te pareva! Ma che ti tengo a fare?-
 
Come al solito non aveva capito che lo stava prendendo in giro e l’espressione smarrita del ragazzo la divertì un mondo –Sai credo che se non mi tirerai fuori da questo pasticcio ti toglierò il saluto- proseguì imperterrita, incrociando le braccia al petto.
 
-Ma … io … come diavolo faccio? Me li carico tutti in spalla e li porto al Polo Nord?-
 
-Bravo vedo che un piano ce l’hai allora! - rispose guardandolo ammirata come se avesse trovato la soluzione a tutti i suoi problemi.
 
Il ragazzo la osservò attentamente per qualche secondo -Tu mi stai prendendo in giro!-
 
-Ma va! Sei una faina Dan caro!- disse lei scoppiando a ridere mentre schivava il cuscino diretto alla sua faccia. Una risata spontanea e liberatoria: una boccata d’aria fresca dopo un lunghissimo periodo di prigionia.
 
Sbarre d’acciaio il suo rancore, pesanti pareti di cemento il suo dolore, ma per fortuna c’era ancora chi sapeva farla ridere.
 
La risata allegra di Shay giunse sino nella piccola cucina dove suo padre e la matrigna stavano preparando la tavola, aiutati dai due figli più piccoli.
 
-Questa sera la Peste sembra allegra…-commentò Mark oltrepassando la soglia della cucina seguito da Micheal.
 
La madre lo squadrò severa - Mark per favore non la provocare, stasera forse Shay ci accetterà …-
 
-Ci accetterà?!?!- sbottò, facendo scattare minacciosamente il sopracciglio verso l’alto - Mamma ….-
 
-Zitto!- lo mise a tacere la donna, bloccando sul nascere ogni commento del figlio maggiore con un tono che non ammetteva repliche.
 
Il bruno ragazzo richiuse la bocca ingoiando la sua rabbia, conscio della sua impotenza: amava troppo sua madre per contraddirla davanti ai suoi fratelli, incassò quindi quell’ordine senza battere ciglio, accomodandosi silenziosamente al suo posto.
 
La donna seguì con circospezione ogni mossa dell’imprevedibile figlio. Le era chiaro che si era bloccato solo facendo uno sforzo quasi sovrumano su se stesso, giustificato unicamente dal grande amore che lo univa a lei. Sapeva che un carattere forte e indomito come quello di Mark non poteva accettare, né tanto meno sopportare, i continui capricci di Shay. La mentalità pratica del suo ragazzo non poteva comprendere i sentimenti contrastanti che si stavano agitando nel cuore della figliastra. Agli occhi di Mark, il comportamento di Shay era la manifestazione chiara di un animo capriccioso, viziato, e forse anche petulante, cattivo ed egoista.
 
Invece Rosaly sapeva che la situazione era ben più complicata. Reeve le aveva spiegato quale fosse lo splendido legame che legava il padre alla figlia. Shay era cresciuta figlia di separati ma questo non aveva influito sulla sua serenità perché fin da subito i genitori le avevano chiarito la situazione senza ingannarla: mamma e papà non si amavano ma adoravano la loro bambina che veniva sempre prima di tutto. Era cresciuta in un ambiente familiare atipico ma non per questo negativo. Dopo la morte della madre aveva stabilito un rapporto di simbiosi con il padre, legame che aveva aiutato entrambi a superare il dolore per quella tragica e prematura perdita. Era ovvio che quel vuoto, ancora incolmato nella ragazza, la rendesse fragile ed insicura, facendole percepire la presenza della matrigna e dei fratellastri come un’insopportabile ingerenza capace di mettere in crisi l’equilibrio che aveva ricreato col padre dopo la scomparsa della madre.
 
Ma lei non voleva assolutamente intromettersi in quel rapporto. Aveva sempre taciuto, mettendosi il più possibile in disparte anche accettando che Reeve continuasse a tenere un atteggiamento eccessivamente permissivo che non giovava né alla famiglia né a Shay stessa.
 
Eppure, pur consapevole di commettere un errore, anche lei si era adeguata alla linea di condotta del marito, assecondando la ragazza in tutto e per tutto. Ma ora erano giunti ad un punto critico e non potevano più negare che quella non era affatto la strada giusta per aiutare Shay ad accettare la nuova situazione. Per questo Rosaly aveva accolto con raddoppiato piacere la telefonata di Mark che le annunciava il suo ritorno a casa per alcune settimane. Aveva sperato che la presenza del figlio maggiore scuotesse in qualche modo Shay e aveva, per la prima volta, interferito nella relazione tra padre e figlia chiedendo a Reeve di permettere a Mark di affrontare la ragazza.
 
Mark aveva preso molto sul serio la sua richiesta e il fatto che per la prima volta da quanto si era trasferita in quella casa, la sentisse ridere felice, era una prova che la sua idea stava funzionando. In più quella sera avrebbero cenato tutti assieme e magari Shay le avrebbe anche rivolto la parola per la prima volta senza insultarla.
 
-Mark te lo chiedo per favore, questa sera controllati- disse la donna afferrando con tenera fermezza la mano abbronzata del figlio. Era tesa. Comprese che era nervoso a dispetto dell’espressione distaccata, in fondo la situazione non era facile neppure per lui. Anche Mark era rimasto spiazzato dall’annuncio del matrimonio. Quando lei glielo aveva detto era piombato in piena notte a casa e il giorno seguente l’aveva accompagnata in ufficio costringendola a presentargli Reeve. Si era chiuso nell’ufficio del suo futuro marito uscendone solo dopo due ore. Lei aveva atteso con il cuore in gola, sussultando ad ogni minimo rumore. Aveva tremato al solo pensiero che il figlio, in uno dei suoi famosi scatti d’ira, picchiasse l’uomo che amava. Ne era capace, lo sapeva benissimo. Mark era una persona generosa ma diventava una belva selvaggia e feroce se si sentiva minacciato o percepiva qualche pericolo per le persone che amava. Invece dopo un tempo che le era parso interminabile, erano usciti sorridenti con Reeve che paternamente dava una pacca sulla spalla del suo ragazzo. Aveva compreso all’istante che il suo fidanzato aveva brillantemente superato la prova e che i due uomini si erano reciprocamente piaciuti. Se così non fosse stato lei forse non si sarebbe mai sposata. Non avrebbe mai avuto il coraggio di incorrere nelle ire di Mark come invece, per amor suo, Reeve aveva fatto con Shay.
 
-C’è un coperto in più- commentò con tono annoiato Mark sfuggendo lo sguardo della madre che si ostinava a voler frugare nel suo alla ricerca di chissà quali conferme. La voleva strozzare quella mocciosa insopportabile, ecco che voleva fare! Ma questo ovviamente alla sua mamma non glielo avrebbe mai fatto capire.
 
-Sì c’é un amico di Shay a cena, un suo compagno di classe…- spiegò gaio il signor Field, accomodandosi a capotavola.
 
-Ecco perché Miss Capricci è così allegra!- commentò ironico il ragazzo versandosi mezzo bicchiere di vino rosso.
 
-Mark- lo riprese ancora la madre -Che ti ho detto?-
 
Il ragazzo non replicò, limitandosi a servirsi un’abbondante porzione di sushi.
 
-Aspetta gli ospiti almeno. Ma insomma te l’ho pur insegnate le buone maniere!- lo sgridò la donna puntandosi le mani sui fianchi morbidi e arrotondati dalle quattro gravidanze portate a termine con successo.
 
-Va bene mamma, ma quanto dobbiamo aspettare?- chiese sforzandosi di controllare l’irritazione, era sua madre questo sì, ma che la smettesse di trattarlo come un moccioso maleducato ed irrequieto –Io ho fame …-
 
-E se il Bestione ha fame non capisce più niente … ma questo non è grave tanto non capisce niente a prescindere!- esordì una voce limpida e fresca come uno scroscio di pioggia estiva.
 
-Shay! Ti sembrano affermazioni da fare?- la rimproverò il padre fulminando la figlia apparsa nel rettangolo della porta.
 
La ragazza fece spallucce ignorando volutamente il richiamo del genitore, limitandosi a lanciare un’occhiata di sfida all’oggetto del suo scherno. Ma questi non la degnò neppure di uno sguardo, era evidente che gli avevano ben spiegato di non accettare le sue provocazioni. Un sorrisetto beffardo le increspò le labbra, per il momento era meglio lasciar perdere.
 
Fece un passo indietro sporgendosi all’indietro –Allora ti muovi? Che stai combinando?-
 
-Arrivo…eccomi-
 
Il sorriso divertito sul volto del giovane giocatore, apparso appena oltre le spalle della ragazza, si spense, sostituito da un’espressione di totale incredulità.
 
Shay percepì il corpo dell’amico accanto a lei irrigidirsi, lo sentì trattenere il respiro e il suo volto diventare cinereo -Dan? Stai male?- chiese passandogli veloce un braccio attorno ai fianchi ed attirandolo a sé in un gesto estremamente intimo, non certo consueto tra di loro. Ma la ragazza era troppo preoccupata per rendersi conto dell’apparente audacia del suo abbraccio, strinse ancor più il corpo muscoloso di Danny contro il suo, sospettava un mancamento e, se Dan fosse svenuto, almeno voleva attutirgli il colpo.
 
Ma Danny non svenne e i suoi occhi si animarono di una luce intensa.
 
-Danny sei proprio tu! Oh caro ragazzo come stai?- chiese Rosaly riprendendosi per prima dalla sorpresa e rompendo il pesante silenzio che si era creato nella stanza.
 
-Signora Lenders….- salutò meccanicamente, poi rendendosi conto della gaffe arrossì all’istante- Cioè signora Field …immagino-
 
-Non fa niente caro…vieni accomodati-
 
Ma il ragazzo rimase immobile, incapace di fare anche un solo passo. Due occhi neri come la notte lo inchiodavano: Mark Lenders! La Tigre! Il ….
 
-Capitano!- disse esprimendo in quell’unica parola tutto il tumulto di emozioni che lo stava sopraffacendo. 
 
Mark gli concesse un mezzo sorriso -Che fai Mellow? Non ti metterai mica a piangere come una femminuccia?- lo riprese -Siediti così finalmente mi posso mangiare questo benedetto sushi!- ordinò distogliendo lo sguardo e osservando i rotolini ripieni nel suo piatto. In realtà non gli apparivano più tanto appetitosi, rivedere Danny aveva scosso anche il freddo cuore della Tigre, ma sarebbe morto piuttosto che ammetterlo.
 
-Sì Capitano- rispose come da copione Danny, facendo un paio di passi avanti, abituato ad ubbidire ad ogni comando di Mark senza esitare.
 
-Sì Capitano??!!?!?- la voce si Shay attraversò l’aria roboante come un tuono - Sì Capitano!?!!? – ripeté ancora più forte - Sì Capitano un corno! Dan spiegami chi è questo …. questo … Bestione!- urlò fuori di sé, afferrando un braccio dell’amico e tirandolo con forza indietro, le era insopportabile l’idea del suo Dan vicino a quell’essere vomitevole.
 
-Il Capitano- replicò Danny scrutandola in un modo che Shay non gli aveva mai visto prima. Ma che diavolo c’era tra Dan e quel Bestione insulso? Possibile che ne fosse così affascinato? Eppure quello sguardo ebete, se non la smetteva lo avrebbe preso a pugni.
 
-Dan sei rincoglionito?- gli chiese sprezzante.
 
-Shay! Che razza di termini sono questi?- esclamò inorridito suo padre balzando in piedi- Per favore siediti e lascia respirare quel povero ragazzo se vuoi che ti spieghi come mai conosce Mark-
 
-Mi scusi signor Field, sono uno sciocco è tutta colpa mia, non se la prenda con Shay- intervenne Danny riprendendosi dallo stato di shock in cui era piombato e facendo un leggero inchino di scusa -Lui è Mark Lenders il Capitano della Toho- spiegò ad alta voce e poi rivolgendosi all’amica con tono più basso –Ti prego…- sussurrò guardandola negli occhi e chiedendole tacitamente di calmarsi. Appoggiò la mano sopra quella di lei, ancora convulsamente stretta attorno al suo avambraccio.  Shay era furiosa e tentò di ritrarla ma lui gliela trattenne con forza –Shay non è colpa mia … non è colpa di nessuno…per favore…- le disse ancora più piano vicino all’orecchio in modo che solo lei potesse sentirlo - Abbiamo fatto un patto…tu hai fatto la tua parte…prima del previsto- ironizzò facendole un occhiolino complice.
 
Lo squadrò a bocca aperta. Patto? Lei si era offerta di aiutarlo trovare il suo Capitano, ma non aveva fatto proprio un bel niente, era stato il Capitano a trovare loro! Che beffa grottesca le aveva riservato il fato. E lei che poteva fare ora?
 
-Dai sediamoci … - accettò infine con la morte nel cuore, facendo un enorme sforzo su se stessa per soffocare il suo istinto che le urlava di scappare il più lontano possibile. Liberò  Danny dalla sua presa e si avviò a tavola rigida ed impettita come un automa, prendendo posto accanto a Micheal e lasciando l’ospite all’altro capotavola, alla sua sinistra.
 
-E allora conoscete tutti Danny?- chiese il signor Field cercando di smorzare l’atmosfera tesa.
 
-Mark si è diplomato alla Toho due anni fa- disse cautamente Rosaly constatando che il figlio non aveva intenzione di contribuire al tentativo del capofamiglia di riportare un po’ di normalità in quella cena - è stato il capitano della Toho per sette anni-
 
Il signor Field ringraziò la moglie con un impercettibile cenno -Quindi è stato il tuo Capitano Danny…-
 
-Sì, signore- rispose Danny lanciando un’occhiata di traverso alla ragazza seduta alla sua destra. Shay non lo degnava di uno sguardo e si ostinava a rimescolare il cibo che aveva nel piatto senza neppure toccarlo.
 
-E ora come va la squadra?- insistette il signor Field con forzata disinvoltura, sperando di allentare la tensione che continuava a pesare nell’aria come un cappio sospeso sulle loro teste.
 
-Be…bene, certo non come quando c’era il Capitano…- iniziò titubante Danny sforzandosi di non guardare verso Mark.
 
-Non dire sciocchezze Dan! La squadra è fortissima, l’orgoglio della scuola. Tu sei un Capitano fantastico, il migliore che la Toho abbia mai avuto e il secondo posto in classifica lo testimonia- intervenne la ragazza incapace di contenersi oltre: non sopportava la sottomissione con cui Dan si rapportava a quell’individuo che ai suoi occhi valeva meno di zero.
 
-Secondo?!- ripeté cupo Mark strizzando appena gli occhi come faceva sempre quando qualcosa lo contrariava.
 
-Sì Capitano…mi spiace….- balbettò Danny abbassando il capo.
 
-Basta!- sbottò Shay sbattendo il pugno sinistro sul tavolo facendo tintinnare le bottiglie e i bicchieri -Perché balbetti come un bambino? E poi smettila di chiamarlo Capitano, lui non lo è più-
 
-Ti sbagli. Mark sarà per sempre il mio Capitano- replicò cocciuto Danny con un’involontaria sfumatura di sfida nella voce.
 
-Per una volta sono costretto a dar ragione alla moc… alla Pe …- Mark sospirò infastidito, insomma la trovava così inclassificabile che non sapeva neanche come apostrofarla -…a lei… io non sono più il tuo Capitano-
 
-No- urlò quasi Danny - Scusate…io…- il ragazzo abbassò gli occhi fissando cocciutamente il piatto.
 
Il signor Field colse bene quell’imbarazzo e decise che era giunto il momento di portare l’attenzione su altre argomentazioni che a lui, tra l’altro, stavano particolarmente a cuore -Shay come va a scuola ultimamente?-
 
-A scuola?- ripeté lei confusa da quel brusco cambio d’argomento- Che c’entra ora papà? Stavamo parlando di…-
 
-Non importa di cosa stavamo parlando, ti ho chiesto come va a scuola, per esempio oggi che avete fatto?-
 
-Le solite cose…- tergiversò la ragazza versandosi un po’ d’acqua con fare noncurante e bevendone poi un lungo sorso.
 
-Cioè?- insistette implacabile il signor Field.
 
Shay sospirò rassegnata, sapeva bene che quando suo padre si imputava in quel modo stava andando a colpo sicuro - Ok dimmi che vuoi sapere-
 
-Ha telefonato il professor Nakata oggi…-
 
-… e ti ha detto che stamattina mi ha sbattuto fuori dall’aula?- chiese con calma fingendo di non notare il colorito di Danny che passava dal rosso pallido al rosso bordeux.
 
-Anche-
 
-E che altro?-
 
-Che i tuoi voti sono notevolmente scesi nelle ultime settimane, che in classe sei svogliata, che non fai i compiti e non prepari la lezione…e per concludere il fatto che stamattina ti ha sorpreso a dormire in classe…-
 
-Uhm credo ti abbia detto tutto, non ho altro da aggiungere- rispose scocciata masticando a forza il suo sushi.
 
-Poi ha telefonato anche la signorina Akaime…-
 
Shay gettò involontariamente uno sguardo alla polsiera coperta dalla manica color avorio della felpa -L’allenatrice?-
 
-Sì, ha chiamato verso le quattro e mi ha chiesto se eri già rincasata, ovviamente le ho chiesto spiegazioni, a quell’ora io ti credevo in palestra, e così mi ha spiegato che oggi non hai potuto allenarti perché eri infortunata … ebbene Shay? Mia figlia si è fatta male ed io non ne so nulla?-
 
Shay non rispose.
 
-Allora mi dici che è successo?-
 
-Niente papà…-  tentò di evadere la ragazza ficcando il braccio destro sotto il tavolo, gesto che non sfuggì al padre.
 
- Posso vedere il tuo braccio?-
 
Shay sollevò appena lo sguardo incontrando casualmente quello scuro e sospettoso di Mark. Una fitta acuminata la attraversò tutta, un gomitolo di umiliazione, rabbia, odio, frustrazione, impotenza.
 
Lacrime? Due calde lacrime le rotolarono lungo le gote senza che lei le avesse neppure sentite salire agli occhi. Ecco la sua mortificazione ora era completa. Non accennò neppure ad abbassare il capo, ormai che importanza aveva, aveva toccato il fondo, dato un calcio al suo orgoglio e alla sua dignità.
 
Ma non se la sentiva di mettere in piazza anche la sua inferiorità fisica. Non voleva dire al padre che il caro figlio della sua amata mogliettina gli aveva stritolato il polso, sarebbe stato un colpo troppo duro per lui….un momento!
 
Un sorriso impercettibile le incurvò appena le labbra, con un rapido gesto si asciugò quelle stupide ed inutili lacrime. Dignità? E chi se ne fregava della dignità? Quello che le stava passando per la mente non aveva nulla di dignitoso ma era la via più diretta per risolvere i suoi problemi una volta per tutte – Stupido idiota ora te lo faccio vedere io con chi hai a che fare-
 
-Papà non me lo chiedere- disse piano la ragazza con voce fintamente rotta, distogliendo lo sguardo da Mark che continuava a scrutarla guardingo, aveva infatti percepito il cambiamento avvenuto in lei e la cosa non gli piaceva per niente - Potrei dirti cose che è meglio tu non sappia…-
 
-Shay che vuoi dire?- chiese il signor Field disorientato - Che ti è successo?-
 
Con gesto che Danny reputò esageratamente melodrammatico, Shay appoggiò sulla tovaglia bianca il braccio che sino a quel momento aveva tenuto trincerato sotto il tavolo. Con lentezza, con una smorfia di simulato dolore stampata in volto, tirò su la manica della felpa scoprendo la polsiera candida. Gemendo, spostò il tessuto elastico mostrando i lividi sul polso che erano passati dal viola al giallognolo. Shay faticò a reprimere un motto di delusione. Quella mattina il suo polso faceva una ben altra impressione, ora si era sgonfiato e gli ematomi si stavano velocemente riassorbendo. Comunque l’espressione sbalordita del padre la rincuorò, facendole intuire che il danno era più che sufficiente per permetterle di recitare la scena madre che aveva architettato.
 
I suoi capricci non avevano portato a nulla. Aveva ottenuto come unico risultato rimproveri e tensioni, era quindi arrivato il momento di cambiare tattica, e, ora finalmente, aveva ben chiara quale sarebbe stata la sua successiva condotta.
 
Il signor Field si alzò in fretta avvicinandosi alla figlia che rimase immobile con il capo chino. L’uomo esaminò da vicino il polso offeso - Chi è stato a farti questo?-
 
-Papà…non posso dirtelo-
 
-Lo esigo-
 
Shay sentiva lo sguardo di Mark calamitato su di lei. Il ragazzo infatti non le staccava gli occhi di dosso, sapeva perfettamente che la scena era stata studiata ad arte e che lei ora lo avrebbe infangato. Shay dal canto suo non fece niente per smentire le sue certezze e il lampo di odio che attraversò le sue iridi azzurre gli confermarono ogni sospetto.
 
-Lui-
 
-Cosa??!?- sbottò il signor Field squadrando il figliastro con severo cipiglio.
 
-E non si è limitato a questo papà mi ha anche preso a schiaffi…oh papà lo so che ho sbagliato ma non meritavo un trattamento del genere …non da lui…non da un estraneo, da te lo avrei accettato, ma da lui no!- disse tutto d’un fiato, aggrappandosi alla camicia dell’uomo che l’aveva già cinta in un abbraccio protettivo. Shay si aggrappò teatralmente al padre, condendo il tutto con due occhioni stracolmi di disperazione. Almeno quella non era simulata. Doveva veramente essere disperata per ricorrere a mezzi così meschini.
 
-Questa poi! Mark vieni immediatamente nel mio studio!- tuonò il signor Field avviandosi impettito verso il salotto, non prima di aver accarezzato e baciato la fronte della figlia.
 
Rosaly tentò di richiamare il marito -Reeve…-
 
-Zitta tu- la freddò l’uomo per la prima volta non disposto a sentir le ragioni della moglie -Tuo figlio picchia mia figlia! Questo è troppo, non mi sarei mai aspettato un affronto del genere!-
 
Mark si alzò senza aggiungere altro. Non tentò neppure di difendersi, la situazione era troppo imbarazzante da sviscerare di fronte ai suoi fratellini. Ma prima di uscire dalla stanza indirizzò a Shay un’occhiataccia che la avvertiva che da quel momento in poi avrebbe dovuto stare molto attenta perché si era definitivamente aizzata contro le ire della Tigre.
 
Shay, dal canto suo, non notò neppure quell’avvertimento o, se lo notò, non lo ritenne di particolare importanza, troppo occupata a complimentarsi con se stessa per la sua geniale trovata.
 
Danny invece aveva colto lo sguardo del Capitano e aveva tremato sino alla più recondita fibra del suo essere: sapeve per certo che Shay si era ficcata in un grossissimo guaio e lei … non ne sembrava minimamente consapevole!
 

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Capitolo 6
*** Tristi riflessioni ***


CAPITOLO VI. TRISTI RIFLESSIONI
 
La ragazza entrò nella stanza e lanciò l’ingombrante borsa sportiva in un angolo, dove regnava il consueto disordine. Attraversò la camera strascicando mogiamente i piedi e, giunta presso il letto, vi si abbandonò inerte. Rimase immobile in posizione prona per lunghi istanti, con il volto affondato nella trapunta, trattenendo il respiro come se anche far passare l’aria dai polmoni al naso fosse uno sforzo immane.
 
-Accidenti sono distrutta- mugugnò, rotolando su un fianco e portandosi a pancia in sù. Era esausta. Quel pomeriggio la signorina Akaime l’aveva spremuta come un limone con la scusa che doveva recuperare i due allenamenti che aveva saltato a causa del polso. Già il polso. Portò il braccio destro davanti agli occhi e lo rigirò piano un paio di volte, constatando che i lividi erano completamente scomparsi.
 
Un sorriso amaro le salì alle labbra mentre il suo sguardo azzurro si incupiva rassegnato. E quella doveva essere la micidiale arma con la quale avrebbe dovuto sbarazzarsi di quegli intrusi?
 
Illusa. Sciocca, ingenua, povera credulona!
 
Shay si voltò sull’altro fianco mentre un flebile sospiro le sfuggiva dalle labbra socchiuse. Erano passati cinque giorni da quella famosa cena in cui aveva tentato di far passare il figlio di quella donna per un violento aggressore di ragazzine sprovvedute. Dapprincipio tutto era andato per il meglio: suo padre aveva esaminato sconvolto i lividi sulla sua pelle, aveva trucidato con un occhiata assassina il Bestione e gli aveva intimato senza mezzi termini di seguirlo nello studio … e poi?
 
E poi niente, accidenti!
 
Aveva terminato il suo sushi con calma ignorando il silenzio glaciale che era sceso in cucina, non preoccupandosi minimamente del totale imbarazzo in cui doveva trovarsi Danny. Era troppo concentrata ad immaginare la sfuriata che il Bestione si stava sorbendo e, tra un boccone e l’altro, aveva anche teso le orecchie nella speranza di udire qualche urlo adirato. Ma, per quanto si fosse sforzata, non era riuscita a percepire alcun rumore provenire dallo studio così, dopo qualche tempo, aveva scovato una scusa che le permettesse di entrare nella stanza in cui si erano barricati i due uomini.
 
Cautamente si era avvicinata all’elegante pannello di ciliegio e aveva bussato con decisione.  
 
-Che c’é Shay?- le aveva chiesto brusco il padre non appena aveva messo piede nella stanza, probabilmente infastidito per l’inopportuna interruzione.
 
-Papà vorrei accompagnare a casa Danny…-
 
-Va bene vai-
 
-Mi servono le chiavi della mia moto…-
 
-Prendile-
 
-Ma me le ha sequestrate…-
 
-Cosa?!!?- suo padre era balzato in piedi, il suo sguardo offeso non si era staccato un attimo dal ragazzo seduto rigidamente di fronte a lui - Dagliele-
 
Ma il Bestione non era certo tipo da accettare ordini senza fiatare - Così può scappare ancora con la tua moto?- aveva insinuato con tono sprezzante che l’aveva irritata oltre ogni dire.
 
-Mia figlia non è una mentecatta, certi giochetti con lei non sono necessari, non è più una bambina. Dalle le chiavi delle moto, sono certo che Shay non farà più una sciocchezza del genere, vero?- il padre aveva spostato su di lei il suo sguardo severo lasciandola incredula.
 
Il suo papà! Il suo mite e tenero papà! Non gli aveva mai visto quell’espressione dura e inflessibile prima di allora.
 
Era arretrata sconvolta, annuendo ripetutamente con il capo.
 
Il Bestione la stava scrutando e sicuramente aveva colto quel suo smarrimento, ma non aveva detto niente, limitandosi ad estrarre le chiavi dalla tasca posteriore dei jeans e gettarle sulla scrivania con rabbia mal celata.
 
Il padre, dopo un attimo di esitazione, le aveva sporto entrambi i mazzi, sia quello della Cagiva che della CBR 900, dimostrandole così la sua fiducia e lei era uscita dallo studio in tutta fretta con il cuore traboccante di esultanza.
 
Ma la vittoria doveva avere un gusto ben diverso da quel deludente amarognolo che lei aveva saggiato.
 
Ed infatti si era accorta in breve di non aver vinto proprio un bel niente: suo padre non lo aveva cacciato di casa, anzi quel grosso animale continuava beato ad occupare la camera accanto alla sua!
 
Perché? Moriva dalla voglia di sapere che cosa si erano detti, possibile che accettasse così passivamente che la figlia venisse picchiata?
 
Grugnì rabbiosa sbattendo i piedi sul bordo del letto e cambiando nuovamente posizione. Maledizione!
 
Il giorno successivo era scesa a fare colazione con l’animo alleggerito da un’unica speranza: trovare il genitore finalmente da solo ad attenderla.
 
Ma ancor prima di varcare la soglia della cucina, l’intuizione che qualcosa non aveva funzionato, si era fatta strada in lei, non si stupì affatto, quindi, di trovare Harry e Mad seduti a tavola che bevevano il loro latte e Rosaly affaccendata attorno ai fornelli su cui sfrigolavano allegramente uova e pancetta.
 
Il suo cuore urlò una muta protesta nel ritrovarsi di nuovo faccia a faccia con l’oggetto dei suoi peggiori incubi. Per fortuna il Bestione doveva pensarla allo stesso modo perché, non appena l’aveva scorta, si era affrettato a mettere la tazza nel lavello, e dopo aver salutato la madre e i fratelli, se n’era andato. L’aveva oltrepassata senza degnarla di uno sguardo, come se fosse stata invisibile. Se lei non si fosse scostata, probabilmente l’avrebbe anche urtata con indifferenza.
 
I giorni seguenti erano trascorsi lenti e tutti uguali, senza che nulla di nuovo avvenisse. Lei aveva continuato a barricarsi in camera con l’unica differenza che ora suo padre non insisteva più a volerla con loro a cena, anzi sembrava definitivamente rassegnato al suo comportamento antisociale. Nessuno in casa sembrava più badare a lei e il menage familiare proseguiva tranquillo come se niente fosse accaduto.
 
All’inizio si era convinta che la cosa non la toccasse proprio per niente: finalmente poteva starsene in pace per conto suo, ma ben presto, si era resa conto che quella solitudine forzata non le piaceva proprio per niente. Tanto meno quando sentiva le voci squillanti dei marmocchi provenire dal piano di sotto o quando percepiva i passi felpati di suo padre e dell’arpia che entravano nella stanza accanto per augurare la buonanotte a Micheal e alla Bestia.
 
Scattò in piedi con foga stanca di starsene lì a rigirarsi sul materasso come un tacchino sullo spiedo.
 
Che vita di merda! Non aveva neanche più la consolazione del suo migliore amico dopo la terribile discussione che avevano avuto in classe l’indomani della sua “geniale trovata”!
 
Dan l’aveva criticata, dichiarandole apertamente di non approvare la sua condotta.
 
-Credi che sia stupido? Che non mi sia accorto di quali erano le tue intenzioni ieri sera?- le aveva detto guardandola con severo cipiglio -Lo so bene- aveva continuato nonostante lei lo avesse ammonito con un grugnito che non gradiva affatto quella conversazione -So che preferiresti non parlarne ma non me ne starò zitto, non questa volta. Mi vergogno per te, fingere in quel modo per screditare Mark agli occhi di tuo padre-
 
-Screditare? Fingere? Guarda che lui mi ha fatto male sul serio-
 
-Certo che te ne ha fatto ma chissà che cosa gli hai detto per farlo incavolare in quel modo! Conosco Mark e so che non alzerebbe mai le mani su una donna, non lo ha fatto neppure con Isabelle quando ha scoperto che…- Danny si era bloccato di colpo impallidendo.
 
-E chi diavolo è questa Isabelle?-
 
-Niente dimentica quel nome… - le aveva risposto in malo modo – Lo avrai di certo insultato- aveva ripreso con foga.
 
La rabbia le era salita alla testa facendola avvampare, ma come osava prendere le difese di quel cretino dopo tutte le confidenze che gli aveva fatto?
 
-Sì che lo ho fatto e allora? Lui mi ha preso a schiaffi e mi ha quasi rotto un polso-
 
-Ma fammi un piacere. Il polso non ti faceva quasi più male neanche ieri sera, chissà come mai in camera mi hai detto che stavi bene e a tavola avevi un’espressione che poteva far credere che ti stesse esplodendo il braccio. E poi ti ha preso a schiaffi dici? Guarda che le sberle di Mark le ho provate sulla mia pelle e ti assicuro che lasciano un bel segno visibile per giorni e giorni, invece il tuo viso mi sembra in ottimo stato-
 
-Basta! Da che parte stai? Oh che sciocca sono, è ovvio che sei fedele al tuo caro Capitano. Beh va al diavolo tu ed il Capitano!-
 
-Non è così. Voglio bene a Mark come ne voglio a te, non costringermi a scegliere tra voi due, non ne sarei capace-
 
-E invece devi. O sei con me o contro di me. E poi non mi sembra che abbia fatto chissà quali salti di gioia quando ti ha visto, anzi mi sembrava piuttosto … indifferente alla tua presenza. Bell’amico!-
 
-Non è così- le aveva ripetuto ancora una volta con una cocciutaggine da farle desiderare di scaraventarlo fuori dall’aula - Non farti ingannare dalle apparenze, Mark è una persona complicata e soprattutto non manifesta apertamente i suoi sentimenti-
 
-Sì e io sono la regina d’Inghilterra. Apri gli occhi, a quello non importa niente di te! Toglitelo dalla testa-
 
-Non lo condannare prima di averlo conosciuto. Mark è una persona speciale e se tu gli lasciassi una minima possibilità di dimostrartelo lo capiresti e…-
 
-Basta! Parli come una ragazzina infatuata! Oh caspita Dan! Sei cotto del tuo Capitano?- l’idea le era passata per la testa talmente veloce che l’aveva trasformata in parole ancor prima di comprenderne il significato.
 
-Va la diavolo! che razza di insinuazioni sono? Non la sai distinguere l’amicizia dall’amore? Perché non ci ho mai provato con te non significa che io sia gay!-
 
Danny si era alzato di scatto. L’espressione addolorata sul suo volto le aveva fatto desiderare di non aver mai formulato quell’infondato sospetto. Accidenti a lei e alla sua boccaccia! Quando la collera l’accecava cominciava a sparlare come il peggiore dei deficienti. Ed intanto l’amico aveva preso il banco e si era sistemato nell’altro capo dell’aula, senza lasciarle il tempo di scusarsi e, da allora, non le aveva più rivolto la parola.
 
Quindi, morale della storia la sua “intelligentissima” idea le aveva procurato un nemico pericoloso, una reclusione forzata e una lite con il suo migliore amico. Ottimo!
 
-Complimenti Shay sei grande!- dichiarò, liberandosi con scatti goffi e nervosi della giacca della tuta. Scaraventò l’indumento sul letto dove era rimasta impressa la sagoma sformata del suo corpo agitato.
 
Era sabato sera e non aveva la più pallida idea di che cosa fare. Danny sicuramente non ne voleva sapere di uscire con lei e le compagne di squadra erano ad una festa di compleanno di un tizio che a lei non piaceva proprio per niente. Un fighetto dell’ultimo anno che si credeva “lo studente irresistibile”. Certi tipi proprio non riusciva a tollerarli, le davano un fastidio fisico che non si era mai sforzata di nascondere, così quel damerino impomatato, per punirla, si era “dimenticato” di invitarla.
 
Quella mancanza non le avrebbe provocato proprio alcun disappunto, se in quel momento non si fosse trovata nell’imbarazzante situazione di non avere nessuno di disponibile con cui trascorrere la serata. E starsene chiusa in camera non se ne parlava proprio: stare a casa il sabato sera era da sfigati. O da vecchi.
 
No, tanto valeva tentare la fortuna e sperare che Danny si fosse finalmente deciso ad archiviare le sue pietose insinuazioni. Che cretina! Dan gay? Ma come le era potuta balenare un’idea del genere? Era vero che non le aveva mai raccontato di qualche ragazza, che non aveva mai mostrato interesse per nessuna in particolare e che con lei si fosse sempre comportato da ottimo amico non allungando un solo dito neppure le rare volte che si erano concessi qualche confidenza ed erano finiti su qualche divanetto ridendo come dei cretini.
 
Possibile che una sciocchezza come quella, potesse rovinare un’amicizia profonda come la loro? O era solo una scusa? Danny aveva preso la prima occasione buona per staccarsi da lei e riavvicinarsi al suo adorato Capitano senza troppi rimorsi? No, non le sembrava si fosse particolarmente riavvicinato a Mark, a meno che non si vedessero fuori, lei questo non lo poteva sapere.
 
Cominciò a camminare su e giù per la stanza in preda ad una strana inquietudine. Più ci pensava  e più le sembrava plausibile…   
 
-Voglio bene a Mark come ne voglio a te, non costringermi a scegliere tra voi due, non ne sarei capace-
 
Quelle parole che l’amico le aveva detto e alle quali all’inizio non aveva prestato la debita attenzione, ora le suonavano molto minacciose.
 
E quindi aveva scelto. Aveva scelto Mark!
 
Accidenti alla famiglia Lenders! Prima le avevano portato via la casa ed il padre e ora pure Dan!
 
-No..calma Shay…stai sragionando…- si ammonì, passandosi una mano sulla fronte ricoperta da uno strato di impalpabile sudore freddo. La tensione la stava facendo impazzire. Doveva sapere se la sua intuizione era corretta o se per l’ennesima volta stava sbagliando tutto. Negli ultimi tempi era diventata esageratamente impulsiva e assolutamente incapace di valutare i fatti con razionalità. Tutto le appariva o bianco o nero…niente sfumature … no decisamente c’era qualcosa di sbagliato in lei.
 
Il trillo del telefono la prese così alla sprovvista che ebbe l’effetto terrificante di un petardo lanciato dentro la stanza. Il cuore le balzò in petto pulsando forte come un tamburo.
 
Un secondo trillo seguì il primo mentre lei fissava l’ora sulla radiosveglia posta sul comodino. Le sette e cinquanta. Forse era … Danny! E se era veramente lui? Magari non voleva neanche parlare con lei ma con ..Mark!
 
Il terzo squillo la colse ancora immobile ed indecisa al centro della stanza. Accidenti non c’era proprio nessuno in casa che potesse rispondere al posto suo? Ma cos’era tutta quell’indecisione? Possibile che fosse diventata così vigliacca? Lei che si era sempre vantata di essere una coraggiosa, una che affrontava la vita di petto senza fuggire mai! Lei che si era alzata sputando fuori metà dei suoi denti frantumati e ingoiando l’altra metà per colpire l’avversario mandandolo al tappeto con una mossa al limite del falloso, vincendo così il trofeo Nazionale di kich-boxing!
 
E ora tremava davanti ad uno stupido telefono?
 
Si precipitò al piano di sotto e inforcò il cordless  -Pronto?- disse sperando che la sua voce apparisse sufficientemente neutra.
 
-Buonasera signora, mi scusi il disturbo, cercavo Mark Lenders-
 
Shay faticò a controllare il motto di disappunto che le fece desiderare di sbattere giù quello insulso arnese. Tutta quella fatica e poi neanche si trattava di Danny!
 
La voce, che non poteva negare fosse calda e piacevole, le era del tutto sconosciuta.
 
-Chi parla?-
 
-Oh mi scusi non mi sono neppure presentato…che sbadato…sono Benjiamin Price. Mi hanno detto che Mark lo potevo trovare a questo numero, è corretto?-
 
-Sì…abita qui  …purtroppo…-
 
Al di là del filo vi fu un attimo di silenzio -Ma… posso sapere con chi sto parlando? Lei non è la madre vero?-
 
-No- fu la secca risposta della ragazza.
 
-E chi è?-
 
-La tua domanda è molto complicata…- buttò lì con sprezzante ironia acuita da giorni e giorni di quasi totale isolamento -Vediamo…in teoria sono la sorellastra, ma la cosa non mi garba perciò spero di non esserlo più quanto prima- proseguì con un tono che rasentava la maleducazione tanto era irritata. Ma che stava facendo? Raccontava i fatti suoi ad un perfetto estraneo? Chi cazzo era quel Benjiamin Price?
 
-Sorellastra? Boh…Mark c’é?- tagliò corto il ragazzo che evidentemente non era affatto interessato a discutere con lei di una situazione familiare di cui doveva importargli meno di zero.
 
Price? Price! Il portiere paratutto di cui le aveva parlato Danny? Il famoso SGGK di cui elogiavano le incredibili doti calcistiche tutte le più importanti riviste sportive nipponiche? Persino una capra in materia come lei, aveva letto qualcosa sul portiere che sembrava essere la stella nascente del mondo calcistico del Sol Levante.
 
-Caz…ehm..cioé…caspita ma tu sei proprio Benjiamin Price? Il portiere?-
 
-Sì…Mark c’è o no?- ripeté Benji con una chiara sfumatura d’impazienza nella voce.
 
-Sinceramente non lo so. Però posso guardare- rispose la ragazza uscendo dalla sua stanza ma continuando a parlare nel cordless – Sono rientrata da poco ma…- si fermò un attimo mentre assestava due colpi alla porta chiusa della stanza di Micheal. Nessuna risposta.
 
-Bestione sei in casa?- urlò Shay in modo che se Mark fosse stato da qualche parte in casa l’avrebbe sentita.
 
-No non risponde…ehi perché ridi?-
 
Il portiere si sforzò di parlare tra i singulti provocati da un accesso di ilarità -Sai siamo sempre stati molto stupiti nel vedere come Mark cambiasse totalmente tra le mura domestiche, ma ero convinto che questo valesse solo per i familiari stretti….e invece anche gli acquisiti lo mettono sotto…Bestione! Ah ah- un altro scroscio di risate giunse alla ragazza che non comprendeva affatto il motivo di tanto divertimento. Il legame tra lei e la Bestia non la faceva ridere proprio per niente!
 
-Veramente – intervenne seccata - Non andiamo molto d’accordo e l’idea di chiamarlo così è mia…non credo gli piaccia, ma non me ne importa un granché…-
 
-Se a Mark non andasse bene te ne saresti già accorta, eccome. Comunque digli di richiamarmi appena possibile- le disse il ragazzo tornando improvvisamente serio -Sono a Fujisawa e ho urgenza di parlargli-
 
Shay salutò cortesemente prima di chiudere la conversazione. Poggiò la mano libera sulla maniglia d’ottone della stanza dei fratellastri ma si bloccò riflettendo corrucciata. Perché mai doveva riferire al Bestione di quella telefonata? Benji aveva detto che era urgente…ebbene? Ma in fondo che le costava?
 
Entrò nella stanza con passo risoluto senza guardarsi attorno. Recuperò un foglio ed una penna dalla scrivania dove vi erano un mucchio di libri gettati alla rinfusa, e quindi neanche il Bestione era molto ordinato…
 
Scrisse due righe e lasciò il messaggio sul tavolo.
 
Stava per uscire in fretta come era entrata, ma una strana ed inspiegabile curiosità, la fece tornare sui suoi passi. Cominciò a guardarsi attorno prima con titubanza, poi annotando sempre maggiori particolari: il letto rifatto con cura con vicino un futon non proprio perfettamente arrotolato, un paio di pantaloni scuri gettati sul bracciolo della poltroncina, una consistente pila di libri... Afferrò distrattamente il primo in cima e lo sfogliò. Il sottile manuale di economia finanziaria si aprì a metà dove era stata infilata una foto sgualcita. O meglio metà foto, dal momento che era stata stracciata in due parti. Shay la prese tra le mani e la osservò perplessa. Vi era raffigurato il Bestione con la divisa della Toho sudato e sporco ma con un sorriso radioso stampato in volto. Probabilmente era stata scattata dopo un’importante vittoria. Sulla sua spalla sinistra vi era appoggiata una mano guantata. Un guanto da portiere. Shay non faticò ad immaginare che nella parte mancante vi doveva essere stato … Ed.
 
Un’ondata di calore avvolse la ragazza come una calda coperta di lana al pensiero del bel portiere dagli occhi felini.
 
Rimise la foto al suo posto e chiuse il libro con impeto riponendolo dove l’aveva preso. Non era abituata a quelle nuove reazioni del suo corpo. Eppure non ci poteva fare niente, ogni volta che pensava ad Ed sentiva vampate di calore ovunque ed era certa che il suo colorito si avvicinasse vistosamente al rosso. Per soddisfare quella curiosità aprì l’anta dell’armadio dove sapeva vi era affisso uno specchio a figura intera. Osservò la sua immagine riflessa constatando imbarazzata che realmente le sue gote erano diventate di un bel rosa acceso e gli occhi lucidi, già grandi di loro, sembravano ancora più azzurri ed intensi.
 
Che cotta megagalattica si era presa e senza neppure rendersene conto! Ed le aveva a malapena rivolto la parola in quel loro fugace incontro…non osava immaginare che le sarebbe successo se lui la avesse degnata di qualche attenzione in più.
 
Desiderava rivederlo con tutta se stessa ma non era certo quello il momento più adatto per chiedere a Danny delle informazioni sul bel portiere. Ecco un altro valido motivo per far pace con l’amico al più presto. Guardò dubbiosa il cordless che ancora stringeva in mano. Ma sì, al diavolo l’orgoglio, in fondo Danny valeva qualcosa di più di un po’ di orgoglio calpestato. Si apprestò a comporre il numero dell’amico ma il suono del campanello la bloccò alla quarta cifra. Premette infastidita il pulsante off e gettò un’occhiata al suo abbigliamento sciatto. Poteva andare ad aprire in quelle condizioni? I capelli erano in condizioni pietose, come al solito, ciocche dal colore indefinibile sfuggivano all’elastico che tratteneva la corta coda, dandole un aspetto sciatto e disordinato. I pantaloni neri della squadra di softball erano sporchi e sudati e non certo in condizioni migliori era la maglietta di microfibra bianca di un paio di taglie più grande, che lasciava intravedere i contorni del reggiseno sportivo di resistente stoffa elastica che usava per appiattire il seno florido che tentava di celare in tutti i modi.
 
In effetti era talmente stanca e stufa della palestra che non si era neppure fatta una doccia. Quella sera era rincasata sognando un lunghissimo bagno rilassante con la vasca stracolma di sali agli agrumi, i suoi preferiti.
 
Il campanello trillò una seconda volta e sbuffando Shay si avviò a precipizio giù dalle scale –Arrivo- urlò, a quanto pareva quella sera non c’era verso di rilassarsi in santa pace.
 
Se era uno di quei venditori ambulanti che di tanto in tanto suonavano alla loro porta gli avrebbe fatto dimenticare una volta per tutte il loro indirizzo, se invece era uno dei suoi pestiferi nuovi familiari che aveva dimenticato le chiavi… beh…in quattro e quattr’otto in casa ci sarebbe stata una persona in meno!
 
Shay spalancò la porta con un’espressione più che mai minacciosa stampata in volto ma lo shock causato da ciò che si trovò davanti fu talmente forte che richiuse il pannello blindato in faccia al visitatore.
 
-Oh mio dio….non può essere!- mormorò tremando per poi rendersi conto, con crescente sgomento, della scortesia che aveva appena compiuto.
 
Riaprì con estrema lentezza l’uscio mentre una parte di lei pregava di aver fatto un bizzarro viaggio di fantasia e l’altra, invece, sperava ardentemente che fosse tutto vero.
 

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Capitolo 7
*** Rancori ***


CAPITOLO VII. RANCORI
 
Era vero. Tutto meravigliosamente vero.
 
Il sole era tramontato da pochissimo e le ultime tenui lingue arancioni interrompevano il nero manto già puntellato dalle prime stelle della sera. La luce fioca e giallognola del lampioncino accanto alla porta, illuminava il bel volto perplesso del ragazzo alto e moro in piedi di fronte a lei, immobile sullo zerbino di casa. Shay sbatté le palpebre incredula, mettendo a fuoco ogni minimo dettaglio del suo sogno materializzato.
 
Il volto, incorniciato da una cascata di capelli nerissimi che scendevano morbidi oltre le spalle, era semplicemente perfetto: la fronte spaziosa, la virile curva della mascella decisa, gli zigomi alti, gli occhi neri come la pece, espressivi e animati da chissà quali misteriosi pensieri, e quella bocca poi, tumida, appena dischiusa in un sorriso incerto, era di per se stessa sufficiente ad indurla a fare qualsiasi pazzia. Indossava un maglione sportivo chiaro e un paio di blue jeans che ne sottolineavano il fisico atletico: le spalle larghe, il torace muscoloso che teneva in tensione la stoffa, e più giù il ventre piatto e …
 
La ragazza sentì le guance in fiamme -Shay fermati qui- si impose cercando di ricomporre un’espressione almeno passabile, anche se ormai era certa che Ed la considerasse una perfetta imbecille.
 
Sciattona ed imbecille.
 
Porca vacca! Ma proprio in quelle condizioni doveva coglierla l’uomo dei suoi sogni? Sudata, sporca, puzzolente, spettinata e con una faccia da pesce lesso da fare invidia ad una seppia!
 
-Scusa… credo di aver sbagliato casa…- iniziò titubante il portiere esaminando la ragazza che aveva di fronte con freddo distacco - Mi spiace averti disturbata….ciao- salutò, arretrando di un passo con l’intenzione di andarsene.
 
-No…Ed…scusami…oh Dio che accoglienza pessima ti ho riservato…- balbettò confusa diventando di tutti i colori e sperando che le sue frasi sconnesse lo potessero in qualche modo trattenere.
 
Ed aggrottò la fronte stupito -Sai il mio nome?- chiese perplesso scrutandola con una strana espressione in volto come se stesse scavando nella sua memoria alla ricerca di qualche indizio che gli permettesse di capire perché quella ragazzina imbarazzata sembrava conoscerlo.
 
Shay nascose magistralmente la cocente delusione, sfoderando un tirato sorriso di circostanza. E così non l’aveva neppure riconosciuta! Lei da cinque giorni se lo sognava tutte le notti e lui neppure si ricordava di averla vista a scuola! Voleva morire.
 
-Non ti ricordi di me?- chiese con finta noncuranza - Ci … ci siamo incontrati cinque giorni fa nel corridoio della Toho ... ero con Danny Mellow…- aggiunse continuando a spostare nervosamente il peso da un gamba all’altra, incapace di stare ferma davanti a quegli splendidi occhi magnetici.
 
Un guizzo fugace attraversò le nere iridi del portiere - Ah sì …ora ricordo tu sei l’amica di Danny- constatò mentre un sorriso gentile gli si disegnava sulle labbra - Ma perché Danny mi ha dato l’indirizzo di casa tua?!?!- aggiunse poi incerto, rivolgendo la domanda più a se stesso che a lei.
 
Shay si limitò ad alzare le spalle e a spostare lo sguardo altrove. Quindi Ed non era lì per lei. Non che lo avesse sperato. Cioè un pochino sì, in realtà. Che ci faceva altrimenti alla porta di casa sua alle otto di sabato sera? Una parte romantica del suo essere, che si era accorta di possedere solo da quando il bel portiere aveva fatto la sua apparizione, aveva immaginato che il ragazzo provasse per lei lo stesso scombussolamento che la agitava da cinque giorni e, per questo, avesse pregato Danny di dargli il suo indirizzo. Ma era evidente che nel suo ragionamento vi fosse qualche errore. Il ragazzo non sembrava affatto cercare lei, anzi il fatto di vederla, l’aveva notevolmente spiazzato. E poi, pensò Shay mordendosi le labbra per non urlare disperata, aveva anche faticato a riconoscerla.
 
Proprio colpo aveva fatto! Idiota di un Cupido, non lo sapeva che le frecce andavano sempre scoccate a coppie? Quel taccagno ne aveva spedita una sola e …aveva colpito lei…
 
-Non ne ho la più pallida idea…tu …. tu …che gli hai …ehm …. chiesto?- farfugliò cercando con tutte le sue forze di darsi un qualche contegno.
 
Dio mio! Oltre che come una banale ragazzina poco curata ora l’avrebbe anche classificata come una totale mentecatta: doveva proprio smetterla di balbettare frasi incomprensibili passando dal rosso porpora al rosso cardinale!
 
D’altronde solo una Moira burlona poteva averle architettato un destino così! Un attimo prima stava pensando ad Ed e a come poterlo rivedere e, un attimo dopo, eccolo in carne ed ossa, in tutta al sua sfolgorante bellezza!
 
E lei non sapeva far altro che mangiarselo con gli occhi e dire cazzate senza capo né coda … no qui doveva rimediare al più presto -Sono una sciocca- disse complimentandosi con se stessa per il tono deciso che finalmente era riuscita a riacquistare - Prego accomodati- aggiunse da perfetta padrona di casa, scostandosi leggermente di lato per farlo passare.
 
-No…non mi sembra il caso, è evidente che qui c’è un errore, chiederò spiegazioni a Danny-
 
Ma se sperava di liquidarla così il bel portiere aveva fatto male i suoi conti, ora che Shay aveva domato lo smarrimento del primo momento, non aveva proprio alcuna intenzione di lasciarsi scappare quell’occasione più unica che rara. Era disposta a tutto pur di trattenerlo, inscenare un malore, saltargli addosso, supplicarlo in ginocchio … qualsiasi cosa.
 
-Prova a chiederle a me, magari ti posso aiutare…-
 
-Uhm… ho chiesto a Danny di darmi il nuovo indirizzo di un nostro….ehm…vecchio compagno di squadra, e lui mi ha dato questo- rispose lui senza riuscire a celare una sottile sfumatura d’insofferenza, era ovvio che non desiderava affatto prolungare quella conversazione e che solo la buona educazione gli impediva di liquidarla in quattro e quattr’otto.
 
A Shay non sfuggì una virgola dello stato d’animo del portiere, ma sorrise comunque soddisfatta, ora aveva l’arma per trattenerlo, anche se quell’arma le era quanto mai scomoda –Mark Lenders- disse semplicemente godendosi la reazione a dir poco stupita di Ed.
 
Per la prima volta da quando aveva visto il portiere, i suoi ormoni smisero di farla sragionare, permettendole di riguadagnare tutta la sua lucidità.
 
-Conosci Mark Lenders?-
 
Oltre allo stupore non le sfuggì il guizzo di …paura? …. speranza? ...  che modificò i lineamenti perfetti del ragazzo -Sì , dai entra. Non c’è nessun errore, lui abita qui-
 
-Qui??!?!- Ed sbiancò– Con te!?!?!?- aggiunse mentre il suo pallore diveniva quasi spettrale tanto che la ragazza temette che svenisse ai suoi piedi. Non che le dispiacesse in realtà: non chiedeva di meglio che sperimentare le sue scarse nozioni di respirazione bocca a bocca sul bel portiere.
 
-Ehi ricomponiti, se continui a fissarmi a bocca spalancata ti si riempirà di moscerini. Dai entra- disse ritrovando tutta la combattività tipica del suo carattere – Sua madre si … insomma … ha sposato mio padre un mese fa e ora viviamo qui - si affrettò a spiegare notando che non accennava a seguirla in casa -In altre parole lui è il mio … fratellastro- aggiunse con un fil di voce come se temesse che anche solo pronunciare quella parola le potesse nuocere.   
 
-Ah…- si limitò ad esclamare il portiere decidendosi finalmente a varcare la soglia e osservando stupito la celerità con cui Shay la richiudeva alle sue spalle – E…è in casa?-
 
-Beh…- titubò la ragazza andando alla ricerca di una risposta adeguata. Non poteva certo dirgli che non c’era e che non aveva la più pallida idea di quando sarebbe tornato…se fosse tornato…con un po’ di fortuna magari non lo avrebbe più rivisto – In questo momento no ma….torna a momenti, anzi strano che non sia già qui- buttò lì tutto d’un fiato sperando di risultare sufficientemente convincente.
 
-Sei sicura?-
 
Complimenti! Possibile che non riuscisse a dire neanche una minuscola bugia senza farsi scoprire? Capra!
 
-Certo che sono sicura, dai accomodati. Posso offrirti qualcosa? Un the? Un caffé? Un succo di frutta? Un …-
 
-No, grazie sono a posto così- la interruppe Ed con un lieve gesto della mano, guardandosi attorno con circospezione.
 
Shay lo scrutò curiosa, era teso, quasi angosciato, lo si notava ad un miglio di distanza. Un inconsueto impeto di tenerezza si impadronì di lei, moriva dalla voglia di gettarsi ai suoi piedi, di invitarlo a sfogarsi con lei, a rivelarle che cosa lo angustiava e a dirgli che se dipendeva dal Bestione proprio non ne valeva la pena.
 
Strinse forte i pugni, a volte le era difficile controllare il suo carattere impetuoso che le faceva compiere azioni avventate, dettate esclusivamente dall’istinto del momento. Questo, non di rado, le aveva creato degli imbarazzanti problemi, ma in genere sapeva anche come rimediare ai suoi pasticci. Si buttava sì, ma mai senza essersi accertata che il paracadute funzionasse…quasi mai…
 
-Ed…- mormorò bloccandosi all’istante, turbata dalla tonalità troppo calda che aveva impresso alla sua voce: ora era certa di essersi definitivamente tradita! Il portiere non poteva non aver capito quale era l’effetto devastante che aveva su di lei.
 
-Che diavolo ci fai in casa mia?!- il timbro duro e collerico che riempì l’aria dell’accogliente salotto le fece venire i brividi, spiazzandola al punto da realizzare solo con diversi secondi di ritardo da dove fosse giunta quella voce.
 
Vide il capo di Ed scattare in avanti, il corpo improvvisamente rigido e teso, un’espressione indecifrabile in volto, gli occhi spalancati verso un punto oltre le sue spalle. Shay si volse in quella direzione e riconobbe nel rettangolo della porta della cucina il suo “adorato” fratellastro.
 
Il volto di Mark era stravolto dalla rabbia e, anche se lei non lo conosceva affatto, il suo istinto le rivelò che quel piglio assassino era uno dei più temibili di tutto il suo repertorio. Lo studiò sin nei minimi dettagli come se da quella minuziosa analisi potesse trarre chissà quali strategie di difesa: la pelle abbronzata del volto liscia e tesa sugli zigomi, contratta attorno agli occhi ridotti a due sottilissime fessure, il corpo, ancor più possente e scattante di quanto lo ricordasse, pronto al balzo, i pugni serrati con forza, tanto che le nocche bianche risaltavano come perle sulle sue mani scure, ben sollevati davanti il petto che si alzava ed abbassava con pericolosa velocità. Ma che voleva fare? Prendere a pugni il suo ospite?!?
 
Come in risposta ai suoi pensieri lo sentì urlare - Fuori da casa mia, bastardo! –con una ferocia tale che ogni fibra del suo corpo statuario vibrò come un arco da cui era appena stata scoccata una freccia mortale.
 
-Noi dobbiamo parlare- replicò il portiere con una lieve sfumatura di apprensione.
 
Shay spostò lo sguardo stupefatto dall’uno all’altro. Sul volto di Ed vi era ora la stessa espressione ostile di Mark, ma una quiete, che mancava totalmente al Bestione, sembrava insita nel bel portiere.
 
-Fuori! Hai capito? Fuori!- ripeté Mark coprendo velocemente lo spazio che lo divideva dall’ex compagno di squadra.
 
Shay si impose di uscire dal torpore paralizzante in cui era piombata -Modera i toni – intervenne entrando nello spazio visivo del Bestione che rilevò la sua presenza con un suono gutturale simile a un grugnito - E poi questa non è casa tua- aggiunse sentendo il sangue scorrerle più veloce in corpo - Perciò…-
 
-Zitta, piccola mocciosa intrigante!-
 
-Ti ho detto…-
 
-Taci! – il tono duro di Mark la trapassò da parte a parte - Che c’entri tu con lui?- le sbraitò rivolgendole un’occhiata che le fece desiderare ardentemente di scappare in camera e chiudersi dentro a chiave.
 
-Lei non c’entra niente- intervenne Ed in sua difesa, afferrandola con fermezza per un braccio e attirandola verso di sé in modo da allontanarla da Mark.
 
-Non la toccare!- esplose di rimando l’adirato cannoniere nipponico, afferrandola a sua volta per l’altro braccio e strattonandola con molta meno delicatezza di quella usata da Ed - Vai in camera - le ordinò perentorio spingendola di lato dopo che il portiere aveva mollato la presa per non farle del male.
 
Chiunque dotato di un briciolo di buon senso avrebbe eseguito l’ordine di corsa. Chiunque ma non lei. Non quando un essere odioso le dava ordini in casa sua. Non quando sempre quell’essere odioso attaccava il ragazzo più meraviglioso del mondo.
 
Tutta l’indignazione che aveva in corpo le salì alla testa facendola esplodere come un vulcano da troppo tempo sopito -Ma neanche per sogno! Datti una calmata Bestione, Ed è mio ospite e questa è casa mia! Guai a te se osi solo…-
 
-Taci, stupida ragazzina impertinente- tuonò severo.
 
-Idiota di un Bestione senza cervello…-
 
-Shay per favore stanne fuori- intervenne Ed spostando sbigottito lo sguardo da Mark alla ragazza, non era facile trovare qualcuno che non arretrasse impaurito di fronte all’ira della Tigre e, sino a quel momento, aveva ritenuto impossibile incontrare una ragazza capace di tanto. Un guizzo ammirato baluginò negli occhi bruni del portiere ma Shay non lo notò, troppo concentrata ad affrontare il suo peggior nemico che incombeva imponente su di lei.
 
-Con te faccio i conti dopo- la fulminò Mark scrutandola tra l’incredulo e il furioso – Ora a noi due bastardo. Come osi cercarmi? Sparisci dalla mia vista non voglio neppure sapere perché sei qui, per me sei morto …hai capito? Morto!-
 
-Non me ne andrò di qui sino a che non avremo parlato- si oppose cocciutamente il portiere affrontando il suo ex migliore amico con un sorriso sprezzante a fior di labbra.
 
-E allora ti sbatterò fuori a pugni-
 
-Ma bene siamo alle solite. Risolverai tutto con le mani? Eccomi qui, spaccami il muso, spezzarmi tutte le ossa ma poi mi dovrai ascoltare lo stesso perché niente mi potrà impedire di parlarti-
 
-Non voglio ascoltarti, non voglio sentire ancora le tue bugie o le tue patetiche scuse-
 
-Non sono qui per questo, infatti-
 
-E che altro vuoi?-
 
-Hai sentito Benji?-
 
Un lampo d’ incertezza attraversò lo sguardo di Mark -Che cazzo c’entra ora Price?-
 
Shay intervenne con prontezza, stufa di quello scambio veloce e nervoso di battute sputate fuori con violenza -Ha chiamato poco fa-
 
Mark serrò la mandibola con una tale forza che alla ragazza parve di percepire lo scricchiolio dei denti sbattuti gli uni contro gli altri - Non ti intromettere!-
 
-Benji è rientrato in Giappone stanotte e anche Holly e Tom- riprese Ed ignorando volutamente l’interruzione della ragazza - Voci non ancora ufficiali, ma abbastanza certe, circolano sempre più insistentemente sull’intenzione della Federazione Sportiva di costituire una Nazionale Juniores per risollevare le sorti del calcio giapponese che non gode di considerazione a livello mondiale. Si mormora che i prossimi campionati asiatici, programmati per marzo, saranno il banco di prova per questa nuova squadra. Sai che significa questo?- chiese con enfasi, incoraggiato dal fatto che Mark gli avesse lasciato pronunciare tutto il suo discorso senza interromperlo - La Nazionale! La Nazionale Giapponese! Il nostro sogno di sempre…-
 
Shay vide qualcosa di indefinito attraversare il volto duro di Mark. Ma lo conosceva troppo poco per intuire anche solo lontanamente che cosa fosse quella luce intensa e terribile che brillava come brace incandescente nelle scure iridi del ragazzo. Quanto fuoco vi era in lui? Forse neppure l’inferno bruciava di un calore così vivo.
 
-Uno di noi due in Nazionale è di troppo- la freddezza con cui Mark pronunciò quella frase la fece boccheggiare confusa, gelando all’istante sia lei sia il portiere.
 
-Mark tu non puoi chiedermi di rinunciare a quest’opportunità per….-
 
-Per che cosa Ed?- urlò furente -Per che cosa?- ripeté scattando in avanti -Maledizione rispondimi bastardo!- riuscì appena a finire la frase prima che il pugno partisse potente e preciso colpendo il portiere in pieno volto con una violenza tale da mandarlo sul tappeto.
 
Shay si portò le mani alla bocca tappandosela con forza, ma non riuscì a sopprimere l’urlo terrorizzato che le sfuggì mentre Mark si avventava nuovamente sul portiere steso a terra, sollevandolo di peso per il colletto della felpa – Per che cosa?- ripeté per la terza volta il furibondo ragazzo con una cantilena meccanica simile ad un disco inceppato - Per che cosa hai buttato via la nostra amicizia?- mormorò a voce sempre più bassa a pochi centimetri dal volto tumefatto del portiere -Una scopata valeva veramente tanto? Te la sei goduta a sufficienza almeno?- chiese con cattiveria scrollandosi di dosso la ragazza che gli si era avvinghiata ad braccio sollevato in aria con l’intenzione di fermarlo -Ma certo che sì …. una tale troia …- proseguì imperterrito dando, in un colpo solo, una violenta spinta a Shay, che era tornata alla carica, e al portiere, scaraventandolo sul divano come se fosse stato un sacco di stracci.
 
Ed non stava neppure tentando di difendersi. Shay realizzò questa sconcertante realtà mentre il cuore le balzava furioso in petto. Era paralizzata. Da una parte Mark che blaterava frasi senza senso e sembrava intenzionato a uccidere a pugni il portiere, dall’altra Ed che subiva senza neppure tentare di reagire come se si meritasse ogni cosa. E quella luce selvaggia nello sguardo di entrambi che non le permetteva di capire sino a che punto si sarebbero spinti.
 
-No, non accetterò di giocare in squadra con te- dichiarò Mark arretrando di alcuni passi e guardando il suo ex compagno di squadra -O tu o io. D’altronde come potrei attaccare quando il vero avversario ce l’ho alle spalle?- rise senza allegria di quella che doveva essere una divertente battuta.
 
-Calmati…basta!- strillò Shay sull’orlo di una crisi di pianto frapponendosi tra i due ragazzi - Calmatevi tutti e due e…- le parole le morirono in gola, che diavolo doveva dire lei che in quel casino non c’entrava niente!?!?
 
Ed si rimise faticosamente in piedi passandosi il dorso della mano sulla bocca da dove aveva iniziato a scendere un rivolo di sangue, macchiandogli il colletto della felpa -Lascia stare- le disse  mentre il labbro rotto cominciava a gonfiarsi - Ho capito l’antifona. Sei un idiota se credi che rinuncerò alla Nazionale per te. Tu fa quello che vuoi ma io, se sarò convocato, per nulla al mondo mi lascerò sfuggire l’occasione di una vita. Addio Mark, marcisci nel tuo orgoglio e nel tuo rancore-
 
Il portiere voltò loro le spalle e, senza una parola, lasciò in fretta la casa.
 
Un silenzio di tomba seguì il tonfo sordo della porta d’entrata che si richiudeva. In quella quiete momentanea carica di elettricità, Shay non poté opporsi all’ondata di panico che la travolse: il respiro si fece affannoso, le pupille si dilatarono, le mani si contrassero lungo i fianchi, il corpo come paralizzato.
 
L’unico movimento che riuscì a compiere fu portarsi le braccia al petto nell’istante in cui le dita di Mark si serrarono in una presa ferrea attorno alle sue spalle. Forse si sarebbe limitato a romperle un’altra volta i denti e suo padre non avrebbe più avuto i soldi per risistemarli … così lei sarebbe rimasta sdentata per sempre…ed Ed non l’avrebbe mai voluta….
 
Mark la sospinse verso il divano, dove qualche istante prima c’era stato il portiere, e lei vi crollò sopra, le gambe diventate di inconsistente burro.
 
Tenne il capo abbassato, il mento ben impiantato sul petto, non aveva il coraggio di guardarlo, non poteva reggere tanto.
 
Lo sguardo torbido del ragazzo si posò su di lei bruciandole addosso come fuoco sulla pelle -Guardami!- ordinò caustico allungando una mano e sollevandole il mento senza troppi complimenti, costringendola ad ubbidirgli.
 
-Non mi to..to…toccare…- balbettò impacciata cercando di sfuggire al contatto di quegli occhi nerissimi a pochi centimetri da lei. Perché le stava così vicino? Il cuore della ragazza cominciò a battere ancora più forte, se possibile, perdendo colpi su colpi e provocandole una fastidiosa sensazione di torpore simile ad un attacco di tachicardia.
 
-Spiacente mocciosa, dovevi andartene prima quando te ne avevo dato la possibilità, ora è troppo tardi. Che cosa c’è tra te ed Ed?-
 
Shay non rispose continuando a sfuggire quello sguardo feroce.
 
-Rispondi!- ordinò con tono bassissimo ma non per questo meno minaccioso, facendo seguire alla voce una maggiore pressione sulla pelle serica di lei, nella parte inferiore del mento appena sopra la gola.
-N…ni…nien…niente-
-Meglio così. Quel bastardo non lo voglio più vedere in giro per casa, non deve avere a che fare nulla con me o la mia famiglia, chiaro?- Mark strinse ulteriormente le dita, artigliandole su di lei. Osservò con una strana luce negli occhi le labbra rosee della mocciosa piegarsi in una smorfia di dolore, sembravano un delicato bocciolo di rosa che spuntava baldanzoso sul bianco latte del volto, sfidandolo a proseguire. Quanto poteva stringere ancora?
Mollò la presa di scatto, come se si fosse scottato. La odiava ma non aveva certo intenzione di ammazzarla, soffocandola.
Attese qualche attimo strusciandosi le mani contro i jeans e, solo una volta certo di aver allontanato del tutto quei pensieri troppo pericolosi, riprese a parlare -Inoltre non osare mai più immischiarti nelle mie faccende personali, la prossima volta la tua ingerenza te la farò pagare cara. E smettila di guardarmi con quegli occhi pieni di terrore – aggiunse notando che la ragazza, nonostante le avesse liberato il viso, era rimasta nella medesima posizione, fissandolo con occhi sgranati -Non ho intenzione di picchiarti, non l’ho mai avuta anche se tu hai fatto di tutto per far capire che lo avevo già fatto. Comportamento alquanto meschino, non credi? Sai benissimo che non ho alzato le mani su di te … non più di quanto tu abbia fatto con me … anche se Dio solo sa quanto avrei voluto. Ma ora basta, basta con le ripicche, le bugie, i capricci. Mio padre e tua madre si amano, questo lo devi accettare. I miei fratelli non chiedono altro che essere accettati da te. Per quanto mi riguarda tu mi sei tanto insopportabile quanto io lo sono a te. Ma non è un problema, presto me ne andrò e ci penserò due volte prima di tornare in…famiglia. Magari prima mi accerterò che tu sia in qualche posto lontano. Ti è tutto chiaro?- concluse, sfidandola a contraddirlo con un’occhiata da brivido.
 
Lei tacque dandogli l’illusione d’averla avuta vinta. Un sorriso compiaciuto piegò appena gli angoli della bocca del ragazzo, felice di quella ubbidiente remissività.
 
-Sei un essere insopportabile. Violento, cattivo, arrogante…ti odio- sbottò invece lei, facendogli sparire in un solo istante quell’inutile espressione tronfia.
 
Ma come cazzo doveva fare per avere l’ultima parola con quella lì?
 
-Idem- replicò asciutto sporgendosi nuovamente verso di lei e appoggiando ciascuna mano a lato del capo della ragazza, inchiodandola allo schienale del divano.
 
Un silenzio ancora più teso del precedente scese tra loro. Mark non aveva nulla da aggiungere eppure non era riuscito a resistere alla tentazione di minacciarla ancora, incombendo su quel corpo fragile e tremante che sembrava incapace persino di respirare, ma che, nonostante tutto, reagiva. Con veemenza, con forza, con determinazione.
 
Seguì come ipnotizzato la grossa lacrima traslucida, formatasi sotto l’azzurro cielo di quegli occhi incredibili, superare l’inconsistente barriera delle delicate ciglia e scivolare veloce lungo la linea della guancia, per poi sparire oltre le chiazze rossastre che le sue stesse dita avevano lasciato sul quella pelle delicata.
 
Aveva vinto. L’aveva finalmente umiliata e sottomessa … perché allora quella strana sensazione di spossatezza come se fosse lui in realtà a soccombere?
 
-Forza! Sputale addosso parole di disprezzo, feriscila con crudeltà, dai!- si disse con la testa mentre il corpo prendeva l’autonoma decisione di ribellarsi al suo volere. Così, senza saperlo e senza averlo programmato, il suo pollice scivolò lento e gentile sullo zigomo di Shay, asciugando quella sottile linea umida.
 
Il sobbalzo di lei lo fece ritrarre imbarazzato -Smettila vipera. Sembra che io non faccia altro che riempirti di schiaffi dalla mattina alla sera- sbottò sentendosi umiliato come un amante respinto - Te l’ho già detto non ho intenzione di picchiarti, tuo padre è stato molto chiaro su questo punto: farti ragionare con le buone, ma è possibile? Dimmi, è possibile farti entrare in quella testa dura un po’ di buonsenso, senza riempirti di sculaccioni? E poi smettila di piangere, con me non funziona, mi spiace non faccio parte di quella categoria di uomini che se la fanno in braga davanti ad una donna in lacrime-
 
-Ti odio- gli urlò in faccia scattando in piedi. Piangeva? Sì certo che piangeva! E che diamine, l’avevano sottoposta ad una tensione tale a cui neppure un monaco tibetano sarebbe rimasto indifferente!
 
Mark le rivolse uno sguardo annoiato, ora che aveva di nuovo di fronte la Peste nella versione “bambina capricciosa a tratti isterica” si sentiva molto più a suo agio -Me l’hai già detto, sei noiosa-
 
-Al diavolo Bestione- proruppe dandogli le spalle e correndo verso le scale – La Nazionale ci guadagna senza di te- urlò acida voltandosi dal primo scalino e stringendo forte il corrimano per evitare che l’eccessiva emozione le facesse fare una poco dignitosa caduta -Uhm…un pallone non lo saprai neanche palleggiare tu! - voleva offenderlo, fargli provare almeno una parte di quello che lui le aveva inferto - Sei solo un essere arrogante, pieno di sé ed  … incompetente!-
 
Mark si limitò a sollevare un sopracciglio con aria minacciosa, poi, come se avesse deciso che non valeva neanche la pena prendersela, le diede le spalle avviandosi in cucina –Immagino che cenerò da solo stasera, vero?-
 
Shay sapeva che a quella domanda non serviva risposta, che era stata fatta solo per completare la sua umiliazione. Fuggì in camera tra i singhiozzi, chiudendo la porta con un doppio giro di chiave.
 

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Capitolo 8
*** Debolezze ***


CAPITOLO VIII. DEBOLEZZE
 
Il fastidioso rombo che deturpava il silenzio perfetto della sera, cessò non appena l’imponente  Cagiva blu notte si arrestò di fronte al basso cancelletto che delimitava il giardino della villetta di uno sbiadito color ocra. Il sinuoso centauro appoggiò i piedi a terra e si raddrizzò sulla sella, scrutando silenzioso le serrande abbassate della casa, da cui non filtrava alcuna luce. Con un rapido gesto fece scattare la visiera del casco, rivelando due occhi di un limpido azzurro che si muovevano inquieti su e giù lungo la strada. In pochi istanti, la tensione annidata in quelle iridi tristi, si trasformò in sconforto: non vi era traccia di Danny da nessuna parte.  
 
Shay sospirò affranta, constatando che non solo l’amico le aveva dato buca, ma che non vi era proprio nessuno in quella desolata via, tranne lei e uno striminzito gatto randagio indaffarato a rovistare tra i rifiuti alla disperata ricerca di cibo.
 
Tirò giù la visiera con uno scatto nervoso, diede un’unica veloce accelerata e fece scattare la moto in avanti, lasciando sull’asfalto sporco una lunga striscia nera, unica testimonianza del suo inutile passaggio in quella solitaria nottata. 
 
Percorse diversi chilometri a folle velocità, sforzandosi di tenere la propria concentrazione incatenata all’andirivieni dei semafori lampeggianti, ai fanalini delle auto pericolosamente vicini, ai segnali stradali che si riflettevano sul casco lucido con rapidità schizofrenica.
 
Accidenti! Era tutto inutile … niente riusciva ad allentare la sua inquietudine, a farle dimenticare che era sola a correre come una deficiente senza meta in una notte senza luna, con un turbinio di emozioni in petto da non poter condividere con nessuno.
 
E poi quelle sensazioni indefinibili che cercavano di venire in superficie e lei che si ostinava a ricacciarle giù. Come era possibile che la sua vita avesse preso quella piega così grottesca? Come poteva un perfetto sconosciuto, devastarle l’esistenza?
 
-Dan, Dan, Dan … dove sei?- invocò a labbra strette chiudendo gli occhi per un istante. Perché non le era concesso neppure il conforto del suo migliore amico? Perché doveva affrontare quella rabbia e quell’umiliazione tutta da sola?
 
Dopo il suo “diverbio” con quell’idiota del Bestione, aveva faticato non poco a controllare i singhiozzi isterici che l’avevano umiliata più di quanto non avesse fatto quel rozzo individuo. Aveva affondato il volto nel cuscino, prendendolo a pugni e rischiando di soffocarci dentro pur di non permettere all’Essere di sentire anche un solo sibilo uscire dalla sua stanza. Chissà quanto avrebbe riso nell’udire quei pianti da patetica femmina! Una volta allentato quel maledetto groppo, si era asciugata il naso con le maniche della felpa e aveva rovistato come una furia tra le pieghe del letto, mandando all’aria tutto ciò che vi era sopra, alla ricerca del cellulare. Una volta scovato, sotto una pila di biancheria intima, aveva ripetutamente tentato di contattare Danny, ma dopo la quarta infruttuosa telefonata, si era rassegnata a inviargli un messaggio, supplicandolo di farsi trovare pronto, accompagnando la fredda scritta “messaggio inviato” con una lunga preghiera al suo angelo custode.
 
Ma era evidente che il suo angelo in quel periodo doveva essere partito per una lunga vacanza, staccando il filo diretto con la Terra.
 
Aveva sperato con tutta se stessa che Danny intuisse, dal tenore del messaggio, il suo stato di sconforto e si facesse trovare ad attenderla con il casco sotto braccio, come era solito fare. Aveva disperatamente bisogno di lui. Del suo modo speciale di tirarla su sussurrandole all’orecchio frasi sceme, della sua espressione buffissima quando beveva un bicchiere di troppo, della sua intelligente ironia, della sua voce gioiosa, del suo calore rassicurante … 
 
Con una manovra avventata tagliò la strada ad una piccola utilitaria nera carica di giovani che andavano a divertirsi in qualche locale affollato della vivace metropoli. Al prolungato strombazzare dell’auto, Shay rispose con un poco rispettoso dito alzato, infischiandosene del fatto che fosse lei in torto marcio, al di fuori di ogni regola stradale.
 
Aumentò ancora la pressione sull’acceleratore e la lancetta del contachilometri sfiorò i centottanta. Finalmente percepì il conosciuto formicolio lungo le braccia salirle al petto e irradiarsi a tutto il corpo, dandole una sensazione di onnipotenza: era l’adrenalina che le entrava in circolo, sovrastando, per qualche tempo, qualsiasi altra emozione.
 
L’ormone l’aiutò a scacciare la tristezza e a far emergere l’altra pulsione che scalpitava in lei come un cavallo imbizzarrito: la rabbia.
 
Come aveva fatto a ridursi così?
 
Le parole della Bestia le si ricomposero in testa, come un puzzle i cui pezzi si rincorrevano caotici, sovrapponendosi a pensieri omicidi, grondanti d’odio. Il tono minaccioso di quella voce le suonava come un’onta al suo onore forse ancor di più delle parole dure che le aveva rivolto.
 
Ma quello che la faceva letteralmente impazzire era dover ammettere che lo temeva. Temeva la sua ira, la sua forza, il suo carattere focoso. E soprattutto temeva quell’assurda spossatezza mentale e fisica che la coglieva sempre in sua presenza. Per la prima volta in vita sua, aveva a che fare con un avversario che la terrorizzava. Era inutile e controproducente ostinarsi a negare l’effetto devastante che il Bestione aveva su di lei. Sin dal primo fottuttissimo momento, in cui era apparso nella sua vita, lei aveva subito le pericolose vibrazioni a cui neppure una minuscola fibra del suo essere era immune.
 
La scombussolava al punto tale da annientare la sua razionalità, facendole perdere ogni freno. La prudenza, il buonsenso tutto in lei evaporava, avviluppata e travolta dall’istinto selvaggio che lui le risvegliava. Solo la sua parte istintiva riusciva a rapportarsi con lui, tutto il resto se ne andava chissà dove al suo semplice apparire.
 
Le faceva paura.
 
Non voleva incontrarlo mai più.
 
Lo odiava. Glielo aveva detto ed era vero.
 
-Idem-  aveva replicato apparentemente tranquillo. Troppo tranquillo. In lui non vi era spazio per la pace e la tranquillità, era un animo tormentato e a quanto pareva non tollerava avere attorno gente tranquilla. Come Ed.
 
Non sapeva che cosa fosse avvenuto in passato tra di loro, ma niente ai suoi occhi poteva giustificare il comportamento violento del Bestione, soprattutto se contrapposto a quello apparentemente passivo di Ed. Apparentemente. Neppure Ed era così pacato come voleva far credere… anche dalla sua splendida bocca erano uscite parole pesanti e frecciate appena accennate, ma ugualmente percepibili in tutto il loro ingombrante significato….
 
-Sei un idiota se credi che rinuncerò alla Nazionale per te. Tu fa quello che vuoi ma io, se sarò convocato, per nulla al mondo mi lascerò sfuggire l’occasione di una vita. Addio Mark, marcisci nel tuo orgoglio e nel tuo rancore-
 
Parole dure, taglienti, pronunciate con un misto di rancore e sdegno.
 
Che cosa era accaduto? Che cosa mai poteva aver portato quei due ad odiarsi tanto? Doveva scoprilo al più presto, si sentiva troppo coinvolta per starsene fuori e poi…si perché non ammetterlo, voleva assolutamente capire qualcosa in più del carattere enigmatico di suo….che stava per dire? Fratello? No assurdo.
 
Shay accelerò ancora mentre la luce di un semaforo passava dall’arancione al rosso. Con la coda dell’occhio scorse un movimento alla sua destra e sterzò di scatto dalla parte opposta, evitando per un soffio l’impatto con un grosso tir che rispose alla sua pericolosa gincana con un prolungato suono di clacson.
 
-Incosciente che stai cercando di fare? Vuoi morire?- si chiese scrutando la sagoma enorme del camion che si rimpiccioliva all’interno dello specchietto retrovisore – Vuoi veramente morire? Vuoi risolvere in questo modo codardo, tutti i tuoi problemi?-
 
No, certo che non voleva morire! Irresponsabile sì, incosciente a volte, vigliacca assolutamente mai. Mai. Sbirciò il nero asfalto sotto le sue due ruote, a quella velocità sembrava un mare liscio e uniforme, uno spettacolo che l’aveva sempre affascinata ma a cui era giunto il momento di porre termine. Con un sospiro, allentò la pressione sull’acceleratore e la lancetta scese lenta, riportandola nei limiti della prudenza.
 
Ora che non fuggiva più, i pensieri la raggiunsero senza difficoltà, tormentandola con perfida soddisfazione ….
 
-Per che cosa hai buttato via la nostra amicizia? Una scopata valeva veramente tanto? Te la sei goduta a sufficienza almeno? Ma certo che sì…é una tale troia-
 
Una donna quindi. Una donna che si era intromessa tra lui ed Ed. Chissà chi era. Provò qualcosa che sapeva vagamente d’invidia per quella misteriosa sconosciuta che aveva saputo conquistare il bel portiere e …il Bestione….
 
Shay sorrise sardonica: chissà che tipo di donna poteva far innamorare uno come lui.
 
Doveva sapere chi era, doveva scoprirlo ad ogni costo … anche se…
 
- Non osare mai più immischiarti nelle mie faccende personali …-
 
Non importava. Temeva le sue minacce ma la posta in gioco era troppo alta per rinunciarvi. Aveva deciso di rischiare per Ed, per amore del bel portiere che le aveva drogato il cuore.
 
-Quel bastardo non lo voglio più vedere in giro per casa, non deve avere a che fare nulla con me o la mia famiglia, chiaro?-
 
Ma lei non faceva parte della sua famiglia. Lei non era sua … sorella. Neanche per sogno. Non lo era e non lo sarebbe mai stata. I fratelli si amano, loro invece si odiavano. Se l’erano detto a chiare lettere…
 
-Per quanto mi riguarda tu mi sei tanto insopportabile quanto io lo sono a te. Ma non è un problema presto me ne andrò…-
 
Quando?
 
-Presto, fa che sia presto, prestissimo. Che sparisca dalla mia vita per sempre- formulò la preghiera ad alta voce, sperando che la notte le fosse favorevole testimone.
 
-Basta Shay, basta con le ripicche, le bugie, i capricci. Mio padre e tua madre si amano questo lo devi accettare. I miei fratelli non chiedono altro che essere accettati da te-
 
-Mai. Sparite tutti, sparite tutti!-
 
Percepì qualcosa di caldo e umido scivolarle lungo le guance: oh no un’altra volta! Per una che si vantava di non piangere mai, due volte nel giro di poche ore, erano davvero un record assoluto!
 
Si irrigidì sulla sella nello sforzo di respingere le lacrime. Inutile battaglia. Si raddrizzò trattenendo il manubrio con una mano mentre con l’altra faceva scattare la visiera, permettendo all’aria di asciugarle il volto bagnato.
 
Come una delicata e leggiadra carezza, il vento assolse il suo compito, dandole un momentaneo sollievo: forse le dita della notte erano un pochino troppo fredde ma egualmente piacevoli … anche se … non certo quanto… cazzo!
 
Spalancò gli occhi che aveva socchiuso per godere appieno di quell’attimo di pace: non poteva materializzare quel pensiero, se lo avesse fatto non se lo sarebbe mai perdonato … la mano del vento, così leggera … simile ad un altro tocco, un tocco talmente veloce che forse non c’era mai stato … un’impalpabile pressione che aveva cancellato la lacrima che lui stesso aveva provocato … un aguzzino comprensivo!
 
Shay tremò. Un tremito forte, penetrante, un brivido interno che le attorcigliò le viscere facendole balzare il cuore in petto. Ma la sua razionalità non ne volle sapere, il suo corpo poteva cedere ma la sua mente no, non era preparata per farlo.
 
-Fa freddo stanotte, mi conviene fermarmi in un bar a prendere qualcosa di caldo- pensò intenzionata ad imputare alla frescura della notte, la causa di quei brividi sconvolgenti.
 
 
Un giovane uomo dall’aspetto triste se ne stava chino sul bancone consunto di un piccolo bar di periferia, appollaiato su un alto sgabello dall’aspetto scomodo e poco stabile. Era l’unico avventore di quel classico rifugio di uomini allo sbando alla disperata ricerca di solitudine o di una compagnia poco impegnativa che non minasse la loro voglia di isolamento. Ma lui era veramente solo e tale voleva rimanere il più a lungo possibile: non desiderava puttane accondiscendenti in cui affondare il corpo con colpi meccanici e monotoni, né sconosciuti disposti ad ascoltare le sfighe altrui con l’unica egoistica speranza di scoprire che la propria vita, in fondo, non era poi così male. Lui quella sera voleva stare con se stesso. Con i suoi pensieri, le sue paure, i suoi rancori, i suoi dubbi, insomma con tutto ciò che lo aveva portato a quel punto.
 
Ingurgitò tutto in una volta l’ennesimo bicchiere di liquore ambrato … whisky … o era brandy … o schoch? Boh … aveva fatto un tale miscuglio…. Peccato che anche i suoi pensieri non si mescolassero altrettanto bene.
 
Mark sospirò buttando indietro le ribelli ciocche scure che gli stuzzicavano il volto incupito dall’alcool e dalla rabbia.
 
Ed … l’ultima persona la mondo che volva vedere. In casa sua, con sua…. Shay!
 
Maledetta mocciosa petulante, che male aveva commesso per meritarsi una rogna del genere? Perché diavolo non aveva chiesto informazioni sulla famiglia di Reeve? No, da bravo idiota si era accontentato di verificare che l’uomo fosse adatto a sua madre. Adatto. Cioè assicurarsi che si amassero. E non vi era dubbio che fosse così. Solo per amore sua madre poteva tollerare tutte le cattiverie che quella ragazzina pestifera faceva passare a lei e ai suoi figli.
 
Non ci voleva certo un genio per capire quanto Micheal e Harry soffrissero per l’odio infondato che Shay nutriva nei loro confronti! E Mad. La sua dolcissima, fragile, tenera, piccola Maddy. Lei era una gioia per qualsiasi cuore. Dolce, tenera, buona, genuina, innocente. Neppure lei era stata risparmiata dall’odio sconfinato di quella Peste in gonnella!
 
Capirla! Aveva un bel dire sua madre! Che c’era da capire? Era una ragazzina viziata e cattiva. Ecco cos’era. Piena di rancore, nonostante i suoi occhi luminosi. Sì, li aveva notati. Due pezzi di limpido cielo, rubati all’aurora più splendente. Occhi che lo tormentavano. Occhi che lo sconvolgevano.
 
E lei lo sapeva? Uhm … probabilmente no, era bravo a nascondere certe cose. La rabbia, l’aggressività naturale del suo carattere, coprivano ogni altra sfumatura del suo animo. Meglio così. Se quella vipera avesse scoperto che non solo le sue lacrime lo turbavano, ma che lo gettavano letteralmente nel panico, sarebbe stata la fine. Già si manovrava a puntino il padre, ci mancava solo che anche lui si riducesse ad un altro pagliaccio nelle sue mani!
 
E così l’aveva aggredita. Con violenza.
 
Ma se l’era cercata, introdurre Ed in casa! Come aveva potuto arrivare a tanto? Quel bastardo figlio di puttana. No non doveva più vederlo, se la Peste si fosse avvicinata ancora a lui, l’avrebbe uccisa. Prima lui e poi lei. No meglio prima lei e poi lui. Boh… che differenza faceva?
 
-Un altro- ordinò con voce malferma rivolto al barista.
 
L’oste gli lanciò un’occhiata sbieca smettendo di asciugare i bicchieri che aveva appena terminato di sciacquare -Ehi ragazzo non credi di aver esagerato?-
 
-Fatti i cazzi tuoi. Un altro- ripeté Mark con un cipiglio che non lasciava molte alternative: o si faceva come voleva lui o avrebbe disintegrato quel merdoso locale.
 
Senza aggiungere altro, l’oste riempì il bicchiere del cannoniere con una bevanda dal colore trasparente che Mark sorseggiò con lentezza, trattenendo in bocca il liquido sino a che non sentì un fastidioso calore intorpidirgli le papille. Che gli si infiammasse la gola, l’esofago, lo stomaco. Tutto. Che bruciasse vivo. Che le fiamme lo divorassero come lo divoravano i ricordi.
 
Ed … il suo migliore amico. Il migliore, l’unico, il solo.
 
Isabelle … la sua donna. Bellissima, perfetta, SUA.
 
- La Nazionale Mark! La Nazionale Giapponese! Il nostro sogno di sempre…-
 
Un sogno calpestato, stracciato, infangato, infamato. Un sogno fatto a pezzi.
 
-Uno di noi due in Nazionale è di troppo-
 
Ed e Isabelle.
 
-Mark tu non puoi chiedermi di rinunciare a quest’opportunità per …-
 
Isabelle ed Ed.
 
-Per che cosa Ed? per che cosa? Maledizione rispondimi bastardo!-
 
Per lei. Una sudicia puttana. Un traditore ed una troia. Ottimo. Che bella vita la sua.
 
Però bruciava davvero quella schifezza che stava mandando giù, chissà cos’era poi…
 
Ma la sorte non era ancora soddisfatta, aveva deciso di accanirsi contro di lui con maggior veemenza e … ciliegina sulla torta: la sua nuova “sorellina”! Come se di grattacapi non ne avesse già abbastanza. Come se non fosse già dilaniato dalla scelta che doveva fare. La Nazionale. La sua carriera. La meta ambita a cui aveva sacrificato tutto: gli anni della sua infanzia, dell’adolescenza, la sua salute! Tutta la sua vita era stata vissuta in funzione di quell’unico obiettivo: sfondare nel calcio professionistico. Aveva lottato con le unghie e con i denti, senza arrendersi mai, senza arretrare neppure di un passo. La Nazionale! L’occasione che aspettava da una vita. E ora vi doveva rinunciare perché non sopportava di giocare con Ed? Perché, anche se non voleva ammetterlo, aveva scoperto che vi erano valori e affetti che valevano più di uno stupido pallone? Perché ora sapeva che l’amicizia di Ed era per lui più importante della sua carriera? Perché non poteva dirgli, senza rendersi ridicolo, quanto male gli aveva fatto? Perché non riusciva più a guardarlo negli occhi senza provare il desiderio di saltargli al collo e colpirlo, colpirlo, colpirlo sino a distruggere quei lineamenti tanto cari che gli ricordavano le loro serate spensierate, le discussioni infinite, le pacche affettuose, gli sguardi d’intesa? Perché gli era troppo insopportabile il vuoto che Ed aveva lasciato?
 
Che cazzo si immischiava quella Peste insopportabile? Che ne sapeva lei del dolore che il tradimento di Ed gli aveva procurato? Quello di Isabelle l’aveva superato in fretta, una serie di cosce spalancate senza volto né nome lo avevano consolato, rivelandogli in breve quanto poco consistente fosse il legame che lo legava a colei che credeva fosse la donna della sua vita. Aveva ferito il suo orgoglio maschile e questo certo non glielo perdonava, ma ciò che Ed aveva spezzato era molto di più. Quello era affetto sincero, incondizionato, totale. Aveva perso un pezzo di se stesso, forse il pezzo più bello e prezioso.
 
E lei aveva osato mettersi in mezzo! Una vipera altro che sorella. Non la voleva come sorella. Non poteva essere sua sorella, non un cielo dai confini sconosciuti…e quanto mai pericolosi…
 
- Sei un essere insopportabile. Violento, cattivo, arrogante…ti odio-
 
Si lo odiava non aveva dubbi. E anche lui la odiava. Un po’ almeno. Odiava tutto ciò che non riusciva a capire e sottomettere. La odiava perché non si piegava mai, perché anche se terrorizzata continuava a provocarlo. La odiava perché lo poteva annientare. Perché forse, FORSE, era più forte di lui.
 
-E poi smettila di piangere con me non funziona, mi spiace non faccio parte di quella categoria di uomini che se la fanno in braga davanti ad una donna in lacrime-
 
- Sì smettila di piangere davanti a me. Non lo fare più altrimenti io…la prossima volta piangerò con te….-
 
Accidenti quella roba funzionava! Gli stava proprio spappolando il cervello!
 
All’improvviso non aveva più voglia di stare solo, voleva qualcuno con cui bere e parlare, qualcuno che gli desse ancora incoraggianti pacche sulle spalle. Accolse quindi con calore l’avventore che aveva appena varcato la soglia d’entrata di quel locale che ora gli sembrava molto più luminoso e vivace di quando era arrivato -Evviva- esclamò alzando il bicchiere in direzione del nuovo ospite, chiedendosi come avesse fatto l’oste a creare quello strano effetto che faceva girare le pareti come in una giostra - Vieni qui a brindare chiunque tu sia, brindiamo a questa vita di merda fatta di….- il ragazzo proruppe in una risata fragorosa - Amicizia? Onestà? Boh…tu che dici …mah forse non vale la pena brindare alla vita…e allora a che cosa?- chiese facendosi serio e sforzandosi di mettersi in piedi per accogliere degnamente il nuovo venuto.
 
La ragazza, fasciata in un’attillata tuta nera da motociclista, rimase immobile con la mano ancora appoggiata alla maniglia come se fosse pronta ad una precipitosa fuga.
 
Shay spalancò la bocca incredula, rifiutandosi di credere a ciò che aveva davanti. Dopo aver vagato per un'altra mezz’ora, aveva deciso di fermarsi in quel locale ai margini della strada. Aveva sperato di trovarvi una vecchia locandiera disposta a scambiare qualche parola con lei. Magari a raccontarle dei suoi figli, di come andavano a scuola, di sua figlia maggiore che attendeva un bambino. Qualsiasi cosa purché le parlassero di famiglie felici. Non le dispiaceva sapere che gli altri avevano una famiglia normale, la aiutava a sperare che anche lei un giorno ne avrebbe avuta una. La speranza la tranquillizzava.
 
E invece chi trovava in quel posto sperduto? L’ultima persona al mondo che voleva incontrare! In quelle condizioni pietose, poi! Desiderava solo fuggire, eppure qualcosa la trattenne: lo sguardo interrogativo del Bestione le rivelò che non l’aveva neppure riconosciuta. Lo scrutò attenta chiedendosi perché ora non provasse più né repulsione né odio ma solo un’infinito dolore. Che le stava succedendo? Perché continuava a fissare come un’ebete la felpa scura di lui tutta sgualcita e macchiata sul davanti, i capelli arruffati e soprattutto quegli occhi vacui e lucidi persi in chissà quale mondo parallelo?
 
-Vattene Shay vattene e lascialo qui … - si ripeté mentre contro ogni logica avanzava verso di lui -Guarda come ti sei ridotto!- proruppe strappandogli letteralmente il bicchiere di mano che tanto avrebbe sicuramente mollato a terra –Siediti, non ti reggi neppure in piedi!- proseguì imperterrita di fronte allo sguardo strabiliato di lui, che ora sembrava averla riconosciuta - Per favore un caffè forte…fortissimo- disse voltandosi verso il barista che aveva seguito tutta la scena senza intervenire.
-Signorina conosce questo ragazzo?- 
-Purtroppo sì- disse Shay tra i denti senza staccare gli occhi dal volto alterato di Mark. -Tieni bevi questo- gli ordinò porgendogli il caffè che il barista aveva appoggiato sul bancone senza troppe cerimonie.
 
-Ma neanche per sogno, un altro drink – si oppose Mark con tono allegro gesticolando a casaccio.
 
Shay sospirò esasperata -Ascoltami bene Bestione rincoglionito- sbottò afferrandolo per il colletto della felpa e tirandolo con forza a sé - Ora bevi questa roba, sperando che ti schiarisca le idee a sufficienza per permetterti di montare sulla mia moto ed arrivare sino a casa-
 
Il volto di lui si fece dubbioso – Co … come mi porti casa?- chiese fissandola con sguardo ebete.
 
-In moto- spiegò, mollando la presa e tentando di rimanere calma – Ora però bevi- insistette, ficcandogli in mano il caffè.
 
-Io in moto con te non ci vengo. Come minimo mi fai spiattellare contro il primo muretto…-
 
La ragazza sorrise appena ripensando a quanto ci fosse andata vicina poco prima - È un’idea allettante, ma su quella moto ci sono anch’io e non ho nessuna voglia di rischiare la mia pelle per colpa tua. Bevi quella roba e andiamo-
 
-Non voglio venire…-mugugnò Mark poco convinto bevendo un sorso di caffè - Bleah è amaro…-
 
Di fronte alla buffa smorfia disgustata di lui, il volto di Shay si addolcì -Lo so ma te lo sei voluto, su bevi senza fare tante storie…-  
 
Perché quell’improvvisa tenerezza? Perché quella voglia di aiutarlo, di proteggerlo? Da chi poi? Non era neppure in grado di proteggere se stessa! Eppure ora questo non contava. Contava solo lui e il fatto che fosse in estrema difficoltà. Solo la follia poteva averlo portato a perdere in quel modo la sua dignità.
 
Mark buttò giù il caffè tutto di un sorso -E ora?- chiese scrutandola quietamente come se per lui fosse del tutto normale affidarsi alle cure di quella ragazza che solo dieci minuti prima aveva giurato di odiare.
 
-Ora andiamo a casa. Ce la fai a camminare?-
 
-Certo non sono mica ubriaco come credi- replicò lui piccato sentendosi punto sul vivo, ma al primo passo incespicò sbilanciandosi in avanti, costringendola ad uno scatto veloce per impedirgli di finire a terra. Gli passò un braccio attorno ai fianchi obbligandolo ad addossarsi a lei.
 
-Signorina è sicura di quello che sta facendo? Non è meglio chiamare la polizia?- chiese l’oste fissandola preoccupato ma non accennando ad andare in suo aiuto. Era evidente che non si voleva immischiare in quella faccenda.
 
-No, lo porto a casa- disse risoluta. Il solo pensiero di permettere che qualcuno lo vedesse in quelle condizioni la fece rabbrividire. Se Dan avesse visto il suo adorato Capitano in quel momento…oppure Ed, dell’orgoglioso ragazzo che quel pomeriggio lo aveva preso pugni ora c’era solo un ubriaco che farfugliava cose incomprensibili sbavandole addosso. O suo padre…che delusione. Lui criticava duramente chi affrontava la vita in quel modo, affogando nell’alcool o nella droga i problemi di tutti i giorni. Le aveva sempre insegnato a reagire, a contare sulle sue forze a lottare con lucidità contro i colpi della vita. E Rosaly? Vedere il suo amato rampollo ridotto ad una larva…meglio fare di testa sua.
 
Dopo aver pagato il conto, gettando un paio di banconote sul bancone e non attendendo neppure il resto, arrancò a fatica verso l’uscita, ringraziando il cielo che il Bestione collaborasse almeno quel tanto che bastava per permetterle di arrivare sino alla moto. Con la mano libera aprì il piccolo scomparto posto sotto la sella, estraendo il casco di riserva che portava sempre con sé.  
 
-Dai infila questo- mormorò con tono persuasivo appoggiandolo ad un muro lì vicino e puntellandogli una mano al petto per farlo stare in piedi. Mark spalancò gli occhi neri offuscati dalla sbornia e si rizzò riuscendo incredibilmente a stare fermo in posizione eretta per qualche secondo. Shay ne approfittò subito per infilargli il casco ed allacciarglielo nel modo corretto.
 
-Sali dietro di me ed appoggiati alla mia schiena…bravo così- proseguì montando a cavalcioni della moto e ringraziando il cielo che lui la imitasse prontamente – Ecco ora stringimi forte…ok…mi raccomando non sbilanciarti di lato piuttosto addossati a me…chiaro?- continuò ad istruirlo, chiedendosi se mai ce l’avrebbero fatta ad arrivare sino a casa.
 
Shay afferrò le mani di Mark allacciandosele in grembo, lo sentì gravare sulla sua schiena e si avviò piano piano, tenendo con una mano il manubrio e con l’altra le braccia del ragazzo sperando che non si sognasse di allentare la presa.
 
Solo una volta varcato il cancello di casa, trasse un sospiro di sollievo, arrestando la moto a pochi passi dalla saracinesca del garage. Non appena mise i piedi a terra sentì le mani di Mark scivolarle di dosso e il corpo del ragazzo finire a terra, adagiandosi sull’ erba umida del prato.
 
Sistemò la moto facendo bene attenzione a non fare rumore, e si sfilò il casco scrollando la testa, retaggio che le era rimasto nonostante i suoi capelli non avessero più bisogno di essere scossi. Ormai erano così corti e increspati da non muoversi neppure con una bufera di vento.
 
Ritornò in giardino, fissando incredula il Bestione, beatamente disteso ai suoi piedi. Si accovacciò accanto alla sagoma scura acciambellata su se stessa –Ti è passato il sonno?- chiese incrociando i suoi occhi scuri mentre gli toglieva il casco.
 
-No ma ho freddo…mi porti a letto?-
 
-Sì però abbassa la voce- gli consigliò gentilmente Shay appoggiandogli un dito sulle labbra e sentendo una strana sensazione serpeggiarle sotto la pelle. Ma che le stava succedendo?!? Che ci faceva in quella fredda notte autunnale inginocchiata sull’erba di casa sua a coccolare e rassicurare quell’arrogante pezzo di merda che gli aveva sconvolto la vita?   
 
Scosse il capo infastidita mentre riponeva anche l’altro casco nel garage. Inutile chiederselo ora. Se Mark svegliava l’intero vicinato, le sue fatiche per portarlo sino a casa sarebbero state del tutto inutili -Dai alzati…- gli ordinò afferrandolo per una mano e tirandolo verso l’alto –Collabora, non potrò mai portarti a letto se non mi aiuti…sei un bisonte…- aggiunse mentre lui tentava faticosamente di rimettersi in piedi.
 
Shay entrò in salotto felicitandosi che ubbidisse a tutti i suoi comandi senza obbiettare, e che le gravasse addosso solo quel tanto che bastava per reggersi in piedi, peccato che continuasse a farfugliare frasi sconnesse a voce eccessivamente alta.
 
-Vuoi tacere?- gli intimò per l’ennesima volta mentre arrancavano a fatica sul pianerottolo che dava alle camere.
 
-Perché? Chi c’è?-
 
-Scemo- sbottò lei tappandogli la bocca con una mano che lui si affrettò a mordere, per fortuna, senza troppa foga. Shay ricorse a tutto il suo autocontrollo per non mettersi ad urlare e scaraventarlo giù dalle scale.
 
Era inutile tentare di introdurlo in camera di Mike senza rischiare di svegliare il fratello minore, non le restava che un’unica scomoda soluzione.
 
Sospirando rassegnata, trascinò quel riluttante fardello in camera sua mollandolo pesantemente sul letto.
 
Non appena il ragazzo percepì il tepore del letto smise si agitarsi -Sei peggio dei bambini che quando sono stanchi si mettono  a strillare. Ma non illuderti quello è il mio letto e non ho intenzione di cedertelo- lo diffidò sovrastandolo minacciosa -No hai poco da guardarmi così- aggiunse sforzandosi di non ridere di fronte all’espressione supplichevole che rendeva estremamente infantile quel volto maschio - Il letto è mio-
 
-E io?- chiese lui con una nota ansiosa che la fece sorridere. L’alcool aveva un effetto devastante su quell’essere complicato: lo rendeva mansueto, vulnerabile, piagnucoloso come un bambino piccolo.
 
Shay recuperò un futon dal suo armadio dove, da brava giapponese ne teneva sempre un paio di riserva per le emergenze. Fino a quel momento le emergenze erano state le sue amiche, mai si sarebbe sognata di dover sistemare ai piedi del suo letto quel caprone.
 
Ma la vita era strana ed imprevedibile.
 
-E la gente incoerente- pensò mentre passava il futon dall’altra parte del letto in modo che se qualcuno fosse entrato in camera sua, eventualità rara per la verità, non avrebbe visto il suo inconsueto ospite.
 
-Che diavolo sto facendo?- si chiese per l’ennesima volta fissando il petto del Bestione disteso sul letto che si alzava e si abbassava con regolarità. Aprì la zip della tuta sfilandosela distrattamente. Rilevò schifata i segni bianchi sulla pelle nera del suo capo preferito, quell’idiota le aveva sbavato addosso una parte dei litri di alcool che si era tracannato. Accidenti a lui.
 
Ma perché lo aveva difeso in quel modo? Perché continuava a proteggerlo? Un modo per espiare la carognata che gli aveva fatto, facendolo passare per un violento?
 
Shay continuava a porsi una domanda dietro l’altra incapace di formulare anche una sola risposta accettabile. Quella era una notte strana, irreale, qualche influsso lunare le doveva aver scombussolato il cervello, tanto valeva completare l’opera e lasciare i chiarimenti a domani. Sì domani avrebbe fatto chiarezza con se stessa.
 
Sollevata da quella decisione, indossò il suo pigiama di calda flanella azzurra e si avvicinò a lui –Questo non è il tuo posto- gli bisbigliò tirandolo con forza per la grossa mano che penzolava inerme a lato del letto.
 
Non ottenendo collaborazione, Shay insistette con maggiore decisione -Dai- lo incitò puntandosi meglio con i piedi.
 
Mark sollevò il capo di scatto e rotolò giù dal letto trascinandosela dietro. Incredula e spaventata, percepì solo le braccia muscolose circondarle i fianchi e, senza capire come, si ritrovò distesa sotto di lui.
 
Ora la fissava perfettamente sveglio. I loro volti erano a pochi centimetri di distanza e lei poteva sentire l’alito pregno di alcool sfiorarle il volto mentre quel corpo pesante ed enorme la schiacciava, impedendole qualsiasi movimento
 
-Ehm….che diavolo stai facendo?- chiese rianimandosi un pochino e girando la testa di lato per fuggire a quelle che aveva intuito essere le intenzioni di Mark.
 
-Tu che dici?- le sussurrò lui nell’orecchio con un tono allusivo che la scombussolò più di quanto sarebbe mai stata disposta ad ammettere.
 
-Lasciami andare! Sei ubriaco…- protestò agitandosi nel tentativo di spostarlo di lato. Ma si bloccò di colpo rendendosi conto che i suoi inarcamenti avevano avuto un effetto del tutto inaspettato. Shay arrossì sino alla radice dei capelli quando realizzò che cosa fosse quella strana tensione che premeva presuntuosamente contro le sue cosce. Ma bene! Ubriaco e con gli ormoni in giostra!
 
-Complimenti! Hai proprio risolto la questione nel migliore dei modi. Ora non ti resta che chiamare tuo padre e farvi trovare così…quindi se prima lo avrebbe solo disprezzato, ora lo avrebbe sicuramente ucciso…- pensò in preda al panico cercando di stare più ferma possibile in modo da scoraggiare qualsiasi suo ulteriore approccio.
 
Ma Mark non aveva alcuna intenzione di quietarsi: le sue labbra si stavano già muovendo su quel collo pulsante, muovendosi piano su quella pelle deliziosa.
 
Shay rabbrividì mentre un suono roco e sconosciuto le salì alle labbra. Una vampata di calore le si irradiò lungo tutto il corpo dandole una sensazione di benessere mai provata prima.
 
-Così piccola…da brava rilassati…- farfugliò lui abbandonando a malincuore il collo per dedicarsi all’esplorazione del tenero lobo dell’ orecchio.
 
Shay spalancò gli occhi spaventata: come aveva fatto a cogliere quel mutamento in lei? Era ubriaco fradicio, non connetteva assolutamente nulla, eppure si era accorto del suo improvviso assenso.
 
Assenso??!!??!
 
-Lasciami- gli ordinò al colmo del furore sperando di apparire abbastanza convincente, inarcandosi più che poteva per liberarsi di quell’ingombrante peso. Riuscì miracolosamente a svincolare le braccia e senza pensarci su gli puntò le mani al petto spingendo con tutta la forza che aveva –Lasciami- ripeté questa volta con una palese nota di minaccia nella voce.
 
-Com’è che ora non ti va più?- le chiese lui osservandola perplesso – Ah …vuoi Ed- disse con una pena tale nello sguardo che Shay si sentì gelare e smise all’istante di opporre resistenza. Il nome del portiere l’aveva colpita come una frustata. Come faceva Mark a sapere dei suoi sentimenti per Ed? Sentimenti tra l’altro che neppure lei riusciva bene a decifrare?
 
La passione di poco prima sparì dalle iridi scure di lui sostituita da una luce cattiva -Colto nel segno eh?- disse afferrandole i polsi e imprigionandoglieli sopra la testa con uno strattone violento che la fece sussultare per il dolore.
 
In quella posizione Shay era completamente alla sua mercé e non poté nulla per evitare la bocca avida che si poggiò sulla sua. Strinse le labbra, rifiutandosi di cedere a quell’assalto ingiustificato.
 
Eppure non poteva sapere di Ed … non poteva… qualcosa non quadrava … più di qualcosa, in verità: in quella situazione non quadrava proprio niente!
 
Lui si stancò ben presto della sua resistenza e si staccò guardandola con rabbia –Lo ami?-
 
Shay sbatté gli occhi incapace di realizzare il senso della domanda - Chi?- chiese interdetta.
 
-Ed- rispose semplicemente Mark liberandole i polsi.
 
–Non lo so- si sorprese a rispondere.
 
-Perché ci sei andata a letto, allora?-
 
-A letto? Io ed Ed?- borbottò allibita abbassando le braccia e spingendolo di lato.
 
-Non negare…vi ho visti…-
 
-Bestione….chi sono io?- chiese Shay con un fil di voce girando la testa da un’altra parte, incapace di guardarlo in faccia.
 
-Isabelle!-
 
Era stato poco più di un sussurro ma per lei fu come se gli avessero gettato addosso un secchio di acqua gelata. Improvvisamente tutta la scena gli parve grottesca e nauseante. Il sapore del wisky che Mark le aveva lasciato sulle labbra, la scia umida sul collo, i vestiti sgualciti, le loro gambe ancora intrecciate. Ma chi era l’ubriaco lui o lei? Come aveva potuto lasciare che le cose degenerassero in quel modo?
 
-No sono… Shay- rispose atona.
 
-Shay?!- ripeté incredulo – Shay…meglio…- borbottò lasciandosi cadere all’indietro sul futon senza staccarle gli occhi di dosso.
 
Lei non aveva alcuna voglia di indagare su quel “meglio”, approfittò del fatto che si fosse finalmente deciso a liberarla per issarsi sul letto. Ma lui la trattenne ancora una volta, afferrandola per una caviglia –Stai qui con me- le disse piano.
 
-Ma non ci penso neanche, sveglia Bestione sono Shay non quella Isabelle…- ribatté, scalciando per liberare la gamba - Chi é Isabelle?- aggiunse colta da un’improvvisa illuminazione.
 
-Lo vuoi veramente sapere?- le chiese con un tono insolitamente dolce, agganciandola per la vita e tirandola piano verso di sé. Shay lo assecondò nella speranza che rispondesse alla sua domanda. Forse finalmente avrebbe scoperto chi era questa fantomatica donna che anche Danny le aveva nominato per errore. Il suo istinto le diceva che era lei la chiave di quel inghippo, della lite tra Mark ed Ed e forse anche la causa dello stato attuale di Mark.
 
-Ti voglio vicina…- le sussurrò, costringendola a stendersi contro il suo fianco, facendole appoggiare la testa sul suo ampio torace.
 
-Perché?-
 
-Perché sono triste e ho bisogno di un’amica-
 
-Uhm hai sbagliato persona…- spiegò convinta - Ho capito che non sei in te ma ti ricordo che noi due non ci possiamo soffrire … ci odiamo- aggiunse, ignorando cocciutamente il fatto che due che si odiano non stanno abbracciati in un futon.
 
-Ah è vero….- mormorò lui accarezzandole dolcemente il capo -…però mi dispiace proprio…-
 
Qualcosa nel suo modo di dirlo, le fece battere forte il cuore -Allora chi è Isabelle?- tornò all’attacco, obbligandosi ad ignorare il suo corpo traditore. Forse anche a lei dispiaceva che si odiassero -Allora?-
 
Non ottenendo alcuna risposta, Shay si arrischiò ad alzare la testa e vide i lineamenti del volto finalmente distesi. Si era addormentato.
 
-Era ora – pensò sollevata anche se questo significava non avere alcuna risposta alla sua domanda. Ma per ora era meglio così. Si sciolse in fretta da quell’abbraccio, gli gettò addosso una coperta e si infilò nel suo letto con un’unica certezza in testa: il Bestione sobrio era difficile da gestire, ma ubriaco era decisamente impossibile!
 

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Capitolo 9
*** Brusco risveglio ***


CAPITOLO IX. BRUSCO RISVEGLIO
 
Un ronzio intermittente e fastidioso, simile ad una radio difettosa, gli martellava con insistenza nella testa, aprendogli, a piccoli e precisi colpi, dei varchi di coscienza. Cambiò cautamente posizione portandosi supino e il ronzio cessò, sostituito da un pressante bombardamento che gli batteva inarrestabile dentro le orecchie, sopra le tempie, sulle palpebre, senza in realtà fargli male, ma dandogli la fatua impressione di essere racchiuso dentro un bozzolo di ovatta. Tentò di aprire un occhio ma vi rinunciò sfinito: era tremendamente pesante e sembrava incollato su se stesso. Respirò a fondo sperando che la memoria, avvolta da una pesante coltre scura che sembrava aver inghiottito ogni singola cellula della sua mente confusa, emergesse in qualche modo. Corrugò la fronte provando contemporaneamente ad aprire la bocca … che sensazione disgustosa … ma che diavolo aveva mangiato la sera prima? Perché gli sembrava di aver ingoiato un barattolo di colla?
 
Mark strinse forte i pugni sotto la calda coperta di lana nell’istante stesso in cui la consapevolezza lo travolse. Una scintilla di puro panico gli esplose dentro, stritolandogli le interiora e costringendolo ad acciambellarsi spaventato su se stesso, assumendo una posizione fetale. Premette forte entrambe le mani abbronzate contro la bocca per non vomitare sul cuscino tutto l’alcool ingurgitato la sera prima.
 
Piano piano il peggio passò e l’acidulo gusto dei succhi gastrici ritornò al suo posto quel tanto che bastava per permettergli di riprendere a respirare a ritmo solo leggermente affrettato.
 
Con gli occhi ridotti a due timide fessure cercò un qualsiasi appiglio che gli permettesse di mettere a fuoco l’ambiente che lo circondava. La tenue luce mattutina filtrava appena attraverso le pesanti tende di velluto scuro accostate in fretta da una mano non proprio attenta. Si trovava in un letto, anzi no in un futon… ma quella non era la camera di Mike: la finestra non era nella posizione corretta e la scrivania era scomparsa … no non riconosceva la stanza …eppure aveva un che di familiare ….
 
Si rilassò impercettibilmente, riportandosi in posizione supina, scrutò con attenzione il soffitto scuro attraversato da sottilissime striature di luce solare che sembravano rincorrersi pur rimanendo perfettamente immobili. Vi era pace e tranquillità in quella camera e lui si sarebbe persino rilassato, se non fosse stato per quel maledetto soffitto che a tratti sembrava avvicinarsi pericolosamente sino quasi a schiacciarlo. Che idiota! Quanto aveva bevuto per avere le allucinazioni anche dopo una lunga dormita?
 
Bevuto??!?!
 
Un brivido gelido lo attraversò da capo a piedi facendogli sbattere forte i denti.
 
-Che cazzo ho fatto?!?-
 
No, non poteva essere accaduto realmente … Non dopo quei due lunghissimi anni di maltrattamenti e umiliazioni, non dopo che aveva giurato davanti a Dio di non bere mai più … di preferire la morte piuttosto che ridursi come LUI!
 
Cercò di deglutire ma la sua bocca era arida e la lingua un inutile pezzo di carne inerte. Chiuse nuovamente gli occhi gemendo piano e sforzandosi di richiamare alla mente ogni minimo dettaglio di quella merdosa realtà che l’alcool non era riuscito a spazzare via.
 
-Dopo lo scontro con Ed ho sfogato la mia rabbia infierendo su quella rompipalle, impicciona …  Beh infierito é una definizione non adatta … - una ruga sottile gli solcò la fronte per lo sforzo di ricordare - In fondo se l’é cercata… non sono affatto pentito della scenata che le ho fatto, anzi avrei dovuto andarci più pesante…quella c’ha la testa più dura di un somaro. Ma che cazzo le è venuto in mente di intromettersi nelle MIE questioni personali? Come ha osato portare Ed in casa? Ma cosa sa Shay di me ed Ed? Che Danny le abbia raccontato tutto? Se lo ha fatto giuro che non la passa liscia, lo sa bene quanto sono pericoloso quando m’incazzo ... Ma non sono certo che Shay sappia … Anzi qualcosa mi dice che non sa nulla e che si é trattato di un fottutissimo caso. Ma che c’é tra loro? Non me ne frega niente se Ed se la sbatte, ma questo significa averlo in casa … no non lo tollero. Ma gliel’ho chiesto e lei ha negato … però non ha importanza, é una squallida  bugiarda, approfittatrice, lo so bene, eccome se lo so… guarda che mi ha combinato con suo padre…bah…- Mark scosse leggermente la testa e un altro conato di vomito gli fece spalancare gli occhi – Calma Mark, respira a fondo …- si impose cercando di rilassarsi -Comunque se quella mocciosa se la fa con Ed è una questione che risolverò poi … Ora é fondamentale che ricostruisca che cosa é avvenuto dopo il mio sfogo con lei …quindi… Si ecco…ora ricordo …  é corsa in camera sua in lacrime chiudendosi la porta alle spalle e io sono andato in cucina prima di cedere all’impulso di prenderla a calci … Stavo tirando fuori il riso dal microonde quando ho sentito il rumore della moto in garage. Quindi se n’era andata … A girovagare sino a mattina. Inconcepibile per una ragazzina di soli diciasette anni. Ma perché suo padre non le mette un freno? Non lo vede che razza di piega sta prendendo quella lì? Se dipendesse da me, gliela insegnerei io un po’ di disciplina …- un sorriso amaro gli piegò appena le labbra contratte per lo sforzo di quietare il suo stomaco in subbuglio -Sì bravo idiota che non sono altro, faccio la morale a lei quando io mi sono scolato litri di whisky…Va fan culo! Come diavolo è successo? Vediamo … me ne stavo in poltrona a guardare uno stupido programma alla tv e a mangiare quella specie di poltiglia insapore…-
 
Ricordò con chiarezza la compassione che aveva provato per se stesso, il riso farsi insipido sino a non andargli neanche più giù a forza, lo scatto nervoso con cui si era alzato e aveva svuotato la sua cena nella pattumiera, la porta di casa sbattuta alle spalle, l’aria fresca della notte sul volto. Poi aveva semplicemente preso un tram senza neppure controllare dove fosse diretto, per scendere a una manciata di fermate da casa. Aveva camminato ancora un pochino, trascinandosi dietro pensieri funesti di vendetta e odio finché, più arrabbiato che mai, si era rifugiato in un bar.
 
Trasse due profondi respiri chiudendo un’altra volta gli occhi, aveva la vana sensazione che ad occhi chiusi la sua condotta fosse meno deprecabile. Illuso! Li riaprì con riluttanza scrutando distrattamente le linee di luce che ora erano percettibilmente più grosse.
 
Quindi … che ricordava? Qualcuno gli aveva parlato. Qualcuno che lui conosceva!
 
-Oh…-
 
Chi lo aveva visto in quelle condizioni?
 
-Non mia madre, non i miei fratelli…No! Dio No!-
 
Un sudore ghiacciato gli imperlò la fronte e non ci provò neanche più a controllare la nausea. Si sollevò di fianco puntellandosi con un gomito. Si passò una mano sulla bocca come a voler trattenere il veleno che il suo stomaco voleva a tutti i costi espellere.
 
Non poteva aver fatto questo a loro! Non poteva rigettarli nell’incubo. Non ora che erano finalmente felici.
 
Lottò in silenzio per alcuni istanti convinto di essere destinato a perdere la battaglia ma, inaspettatamente, la nausea passò: anche questa volta aveva evitato di aggiungere il suo vomito al mucchio di merda che aveva prodotto.
 
Novanta chili di pura merda!
 
Un leggero fruscio di coperte stropicciate gli fece alzare la testa di scatto. Troppo di scatto. Una fitta tagliente come una lama di katana* gli attraversò il cervello, facendolo sbiancare. Era da una vita che non prendeva una sbornia del genere. Da quando aveva scoperto il suo migliore amico a letto con la sua ragazza.
 
Finalmente le sue cellule visive si decisero a connettersi con il cervello: ecco il tatami lavorato del pavimento sotto la sua mano appoggiata, il rosso della coperta, che lo aveva protetto dal freddo della notte, sgualcita e attorcigliata attorno alle gambe, l’alto letto all’occidentale accanto a lui da cui pendeva l’angolo di una trapunta azzurra, un fagottino indistinto rannicchiato sotto … Un piccolo fagotto dai capelli arruffati, le lunghe ciglia scure appoggiate contro la pelle bianchissima degli zigomi, la bocca … quella bocca … appena dischiusa, distesa e serena come mai l’aveva vista prima di allora, le dita lattee abbandonate sul cuscino a pochi millimetri dal volto …
 
-Shay!- proruppe sussultando spaventato dal suono roco della sua stessa voce. Al mattino aveva una voce bassa, profonda che, in genere, gli piaceva molto, ma l’alcol vi aveva aggiunto un timbro sconosciuto e vagamente grottesco.
 
La ragazza arricciò appena il naso, infastidita da quella nota stonata che minacciava il suo sonno sereno. Si mosse veloce coricandosi sull’altro fianco e dandogli le spalle. Era ovvio che non aveva alcuna voglia di svegliarsi.
 
Ma lui non aveva alcuna intenzione di lasciarla stare. Che cosa era successo? Doveva saperlo subito!
 
-Svegliati- le ordinò duro rizzandosi in piedi infischiandosene del voltastomaco che ritornava prepotentemente alla carica, del ronzio diventato quasi un boato, delle ginocchia che non volevano saperne di stare salde al loro posto.
 
Shay mugugnò qualcosa di incomprensibile e cacciò lesta la testa sotto le coperte.
 
-Porca puttana! Svegliati!- ordinò lui strappandole letteralmente la trapunta di dosso.
 
-Che succede?!?!- strillò la ragazza sollevandosi spaventata sulle braccia -Ma che cazz…-  borbottò spalancando gli occhi ancora appannati di sonno. Mark studiò con attenzione quelle iridi traslucide e per un attimo, ma solo per un attimo, il suo panico venne meno. E così al mattino li aveva blu. Di un caldo intenso blu. Bellissimi. Osservò imbambolato le contrastanti emozioni che si alternarono fugaci in quelle finestre aperte su un mondo a lui precluso ma perfettamente interpretabile: dapprincipio lo spavento, poi la confusione, quindi lo sconcerto, lo stupore, la consapevolezza, e …ahi lui … il sarcasmo.
 
La vide rilassarsi –Uhm….Bestione….ti sei svegliato?- mugugnò sorniona stropicciandosi gli occhi con il dorso delle mani -Passata la sbornia?- gli chiese con un sorrisetto beffardo stampato in faccia mille volte più fastidioso del ghigno malefico di Price.
 
Ma come osava? Come osava guardarlo così? Quella…quella….
 
-Cosa è successo? Che ci faccio qui?- chiese con un tono che ormai aveva ben poco di umano. Se non si toglieva immediatamente quella smorfia dalla faccia si sarebbe trasformato in una belva e l’avrebbe sbranata in tre secondi.
 
-Ehi calmati…- gli intimò facendosi seria come se gli avesse letto nel pensiero le idee omicide -Che vuoi fare, spaccarmi il culo perché ti ho salvato la faccia?- protestò balzando fuori dal letto.
 
Preferiva affrontarlo in piedi, si sentiva più … sicura. L’ultima volta che erano stati sdraiati assieme, le cose non erano andate per niente bene. Però era davvero uno spettacolo interessante vedere quell’essere odioso in preda al panico. Perché, ne era certa, era puro panico la luce accesa che brillava negli occhi scurissimi di Mark.
 
-Cosa è successo? Che ci faccio in camera tua?-
 
-Ti ho trovato per caso in un bar ubriaco fradicio, sai era uno spettacolo raccapricciante e ho pensato di evitarlo alla …ehm…famiglia, così ti ho nascosto in camera mia. Ma tutte le mie premure saranno inutili se continui ad urlare così!- sbottò Shay arretrando di un passo.
 
Decisamente non le piaceva averlo troppo vicino, di contatti con quel corpo pericoloso, ne aveva avuti a sufficienza per una vita intera.
 
Mark si strinse nelle spalle sempre più confuso –Perché?- chiese dopo qualche istante di silenzio scrutandola con un’espressione che sperò blandamente incredula e non angosciata come temeva –Perché ti sei presa questa briga visto che ieri mi hai urlato in faccia che mi odi?-
 
-Beh….- tergiversò Shay non sapendo bene cosa rispondere. Qualsiasi bugia le sembrava più credibile della verità, ma mentire non era il suo forte e comunque, a quell’ora del mattino, non avrebbe prodotto nulla di sensato -Perché io ti odio, ma intorno hai gente che invece ti vuole bene – disse tutto d’un fiato guardandolo in faccia. Per la prima volta riuscì ad allacciare quegli occhi scuri senza che il suo cuore cominciasse a battere furioso. Era calma, quasi totalmente calma, ed era un’esperienza davvero nuova potersi confrontare con l’unico individuo al mondo in grado di mandarle in pappa il cervello - Danny ti adora e ti venera come un dio in terra, che avrebbe detto vedendoti così? È il mio migliore amico, non avrei mai accettato di infliggergli un colpo simile- vedendo che il ragazzo non aveva la minima intenzione di spiaccicare parola proseguì -Ed, nonostante tu lo abbia preso a pugni, ti vuole altrettanto bene…- aggiunse anche se l’espressione cupa che scese sul volto di lui le fece desiderare di non aver mai aggiunto quella frase.
 
-Non serviva che avvertissi la città intera. Potevi limitarti a chiamare tuo padre- disse il calciatore ringraziando mentalmente il cielo che non lo avesse fatto.
 
-In effetti potevo … ma neanche mio padre avrebbe preso bene il tuo stato. Lui detesta la gente che affronta la vita in quel modo…da vigliacchi-
 
A quella parola Mark serrò di scatto la mascella sgranando gli occhi - Che vorresti insinuare? Che sono un vigliacco?-
 
La voce di lei fu poco più di un basso mormorio -Perché ti sei ubriacato?- aveva posto quella domanda sapendo bene di avere scarsissime probabilità di ottenere risposta e invece la certezza di una sua ennesima sfuriata. Eppure non era riuscita a resistere alla tentazione, c’erano troppi punti di domanda di cui non si capacitava, per rinunciare anche a quel flebile tentativo di avere una spiegazione del suo comportamento assurdo.
 
Il sopracciglio del ragazzo scattò verso l’alto e lei riconobbe prontamente il segnale di pericolo -Che ti ho detto ieri? A proposito delle mie faccende personali …-
 
Shay faticò a sostenere lo sguardo adirato di lui -Che dovevo fare? Lasciarti lì con l’oste pronto a chiamare la polizia? Allora sì lo avrebbe saputo tutta la città-
 
Mark continuò a scrutarla con sospetto incapace di trovare le parole giuste per districarsi da quella situazione imbarazzante, troppo impegnato a tentare di capire che cosa avesse in mente quella testa matta. Perché la favoletta della buona azione non se la beveva proprio. Quella lì come minimo lo avrebbe ricattato a vita. E a lui i ricatti non erano mai piaciuti …
 
Dei passettini leggeri e affrettati lungo il corridoio spezzarono l’invisibile linea di tensione creatasi tra i due ragazzi. Mark si voltò di scatto temendo di vedere la sua sorellina affacciarsi alla porta della camera della Peste e scoprire il suo deprecabile errore. Tutta la famiglia, che ora sentiva muoversi inquieta aldilà di quel sottile pannello di legno, avrebbe scoperto la sua sbornia. Shay non avrebbe certo lesinato particolari e frecciate sarcastiche.  
 
E se lei, per qualche motivo che proprio gli sfuggiva, avesse taciuto, come poteva spiegare il fatto di aver passato la notte in quella camera? Come poteva senza rivelare la verità?
 
Shay lesse nel pensiero del ragazzo con incredibile facilità: era uno stupido Bestione con il brutto vizio di sottovalutare le sue doti strategiche, aveva deciso di aiutarlo e così avrebbe fatto, sino in fondo. Senza degnarlo di uno sguardo ed evitando volontariamente di rispondere al suo piglio interrogativo, si avvicinò alla finestra, tirando la tenda di lato e spalancando le imposte.
 
-Di qua- disse incrociando le braccia al petto e indicando col capo un punto imprecisato del giardino.
 
Mark si affacciò alla finestra ed osservò dubbioso il grosso ramo del ciliegio che sporgeva verso di lui. Senza capire si volse guardarla.
 
-Esci di qui e rientri di lì- spiegò lei indicando prima l’albero poi la porta di casa con una chiara sfumatura di esasperazione nella voce.
 
Mark la soppesò a lungo con estrema attenzione come se la vedesse per la prima volta, gli occhi ridotti a due minuscole fessure –Perché fai questo?-
 
La ragazza sbuffò rumorosamente -Ma che ne so io! Anzi, prima che mi penta cerca di sparire. Sali sul balcone datti una bella spinta e aggrappati con le mani al ramo…non troppo in punta altrimenti si spezza, vedi? Più o meno a quell’altezza. Poi tenendoti sempre con le mani ti avvicini al tronco e appoggi i piedi sul quel ramo più basso e…il gioco è fatto- spiegò mentre una luce complice le animava le iridi azzurre.
 
Mark continuava a fissarla immobile.
 
Shay era stufa di lui, dei suoi occhi impossibili, delle reazioni insolite del suo corpo –Bestione ti è passata la sbornia? Capisci quello che dico?- chiese battendogli una mano sul petto per vedere se reagiva.
 
Mark sorrise appena, era tutto così strano e non aveva la più pallida idea di quale fosse il comportamento giusto da tenere, ammesso e non concesso che ve ne fosse uno -Mi gira ancora la testa, ma credo di farcela- disse infine decidendo di non pensare a cosa dire o a cosa fare ma di affidarsi totalmente al suo istinto -Però non è proprio vicino quel ramo … è un bel salto….ma tu esci sempre di qua?- chiese issandosi sul balcone ed esaminando scettico le braccia della ragazza in parte lasciate scoperte dalla maglia del pigiama.
 
-A volte quando serve…mi raccomando una bella spinta...se ti azzardi a spezzarmi il ramo, ti spezzo il collo-
 
-Se spezzo il ramo, il collo me lo rompo da solo. Siamo a sette metri da terra…- borbottò guardando il prato sottostante.
 
-Oh … paura?- lo canzonò divertita –Così grande e grosso e ti spaventi per così poco?-
 
Il ragazzo la fulminò con un’occhiataccia che l’ammoniva a non addentrarsi oltre su un terreno tanto pericoloso –No – rispose secco - Ma non amo l’altezza- aggiunse tornando a fissare il terreno erboso sotto di lui -Comunque vado- disse spiccando un salto tanto veloce ed improvviso che Shay balzò indietro spaventata.
 
Perfetto. Un salto perfetto, lei non avrebbe saputo fare di meglio. Con un agilità incredibile per la sua stazza, Mark si aggrappò al grosso ramo, diede un colpo di reni e con due mosse veloci agguantò il tronco, toccando terra in pochi istanti. Shay aveva seguito la scena col fiato sospeso ammirando, suo malgrado, i muscoli delle braccia del calciatore guizzare tesi e gonfi sotto il sottile strato di pelle lasciato scoperto dalle maniche arrotolate della felpa scura. Senza volerlo il suo corpo rivisse la sensazione provata tra quei fasci muscolari, era angoscia, ma non solo, il tremito insistente che la fece fremere. Quelle braccia l’avevano stretta con passione ma anche con infinita dolcezza. O meglio avevano stretto Isabelle.
 
Chi diavolo era questa Isabelle? Quale ragazza poteva aver sconvolto la vita di quell’essere impossibile?
 
Shay rimase affacciata alla finestra sino a che lui non toccò terra. Rimase delusa quando il ragazzo avanzò lungo il vialetto senza neppure voltarsi indietro, sparendo in pochi attimi oltre la porta d’entrata. Indispettita chiuse la finestra borbottando qualche improperio in direzione di quel cafone. Lei gli salvava il culo e lui neppure un ”grazie”!
 
Si rificcò sotto le coperte intenzionata a riprendere il suo sonno da dove lo aveva interrotto. Sbirciò il pannello dell’orologio digitale sul comodino: le otto meno un quarto di domenica mattina! Era un delitto svegliarsi a quell’ora di domenica! Lei che era abituata a passare i giorni di festa a letto sino a mezzogiorno!
 
Ecco un’altra sana abitudine che la sua “nuova famiglia” le aveva tolto!
 
*Katana o tachi a seconda della montatura, più in generale token, con questi termini erano indicate le spade prerogativa esclusiva dei Samurai.
 

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Capitolo 10
*** Nascosta nell'ombra ***


CAPITOLO X. NASCOSTA NELL’OMBRA
 
Un lampo squarciò il cielo plumbeo appesantito da ammassi informi di nuvole scure. A poca distanza il rombo sordo di un tuono riecheggiò violento, facendo tintinnare, come tanti fragili bicchieri di cristallo, le grandi vetrate, contro le pareti spoglie della palestra della prestigiosa Toho School. Le ragazze della squadra di softball, fasciate in una calda tuta color blu oltremare di cotone felpato, riportante sul petto la T dorata, stemma della scuola, chiacchieravano allegramente raccolte in piccoli gruppi, attendendo senza impazienza l’inizio dell’allenamento preserale.
 
Solo una ragazza se ne stava discosta dalle compagne, accovacciata in un angolo accanto alla porta-finestra che dava sul cortile interno dell’edificio, intenta a sistemarsi sul polpaccio lo scaldamuscoli di calda lana celato dalla tuta. Shay abbassò appena il capo mentre passava all’altro scaldamuscoli, lo sguardo proiettato al di là delle nuvole e della pioggia, dello spazio e del tempo, perso chissà dove, incapace di scorgere le sfaccettature colorate del mondo circostante. Si alzò, sistemò con gesti lenti e svogliati la fascia elastica che le cingeva la fronte tenendo a bada le ciocche di capelli più corti che si ostinavano a sfuggire alla striminzita coda in cui li aveva raccolti. Incrociò gli occhi chiari convergendoli verso la punta del naso davanti al quale aleggiava un ciuffo nero e sfilacciato, dall’aspetto poco sano. Non c’era niente da dire: i suoi capelli non avevano neppure una lontana parvenza dello splendore luccicante di un tempo.
 
Sospirò cedendo alla rassegnazione, stringendosi appena nelle spalle.
 
Faceva molto freddo, tanto, troppo.
 
Inverno. Un altro inverno era alle porte. Il tempo trascorreva inesorabile con il suo ritmo cadenzato nonostante lei alternasse attimi d’intensa disperazione in cui desiderava con tutto il cuore poter arrestare quel flusso continuo e sempre uguale, con frangenti in cui pregava qualche dio distratto di far scorrere veloci le ore, così celeri da non consentirle di cogliere voci, forme, colori … sensazioni.
 
E in quel preciso momento che desiderava? Niente. La sua vita era un pattume nauseante, piena d’incomprensioni, tanti problemi e nessun motivo per essere felice. A casa sua il menage si era ormai stabilito in un’asfissiante routine inattaccabile: matrigna e fratellini ben insediati in casa, vivevano tranquillamente, evitandola con cura. Era esclusa dalla famiglia, in tutto e per tutto, e la consapevolezza di aver fatto di tutto perché ciò avvenisse, non la risollevava proprio per niente. Suo padre non tentava neanche più di coinvolgerla nelle cene di famiglia, i fratellastri la ignoravano e Rosaly non arrischiava neppure i suoi timidi e patetici approcci di avvicinamento. Il Bestione, dopo quella folle notte, avvenuta quasi un mese prima, se n’era andato. Tornato a Kyoto, aveva sentito dire. Meglio. Non le mancava per niente, in casa si respirava meglio senza di lui.
 
In realtà si respirava male lo stesso. La differenza non era poi così percepibile.
 
Brividi freddi le attraversarono il corpo come una fastidiosa scossa di tensione elettrica. Ma quel freddo proveniva veramente da fuori? Da quel cielo grigio spazzato dal vento sibilante? O proveniva da un posto forse altrettanto grigio ma che solo lei poteva discernere?
 
Rabbrividì ancora.
 
Da quando il Bestione era sparito, aveva smesso con le sue inutili ripicche, preferendo rinchiudersi in una personale dimensione fatta di silenzio ed emozioni soffocate. Aveva mutato radicalmente il suo carattere, divenendo introversa e taciturna, ma questo sembrava star bene a tutti, almeno non rompeva: meglio zitta che a sputare insulti a destra e sinistra. A scuola aveva ricominciato ad applicarsi quel tanto che bastava per accontentare i professori che la incitavano in continuazione, sperando ritornasse ai suoi consueti livelli. Ma era solo fatica sprecata: lei non sarebbe più tornata al rendimento di un tempo. Non poteva. Aveva interamente ceduto all’inerzia, si lasciava trascinare dagli eventi verso lidi sconosciuti, boccheggiando quel tanto che bastava per stare a galla.
 
Lanciò un’occhiata sbieca alle compagne che, impugnati guantoni e mazze, si stavano sistemando chiassosamente nelle consuete postazioni. Bene, stava per iniziare l’allenamento, almeno così si sarebbe distratta e magari scaldata.
 
Mosse qualche passo verso il fondocampo dove erano ammassati tre enormi cestoni contenenti le mazze della sua squadra e del club maschile di baseball, cercando di ignorare le occhiate insistentemente curiose delle compagne. Lo sapeva che stavano attendendo solo lei, ma questo non la invogliava a fare più in fretta.
 
-Shay finalmente!- esclamò l’allenatrice con un motto d’impazienza non appena la ragazza prese posto alla base numero uno -Ragazze iniziate pure-
 
Percepì il silenzio concentrato scendere come un velo impalpabile sul campo, le mani delle compagne stringersi con forza attorno all’impugnatura delle mazze, le dita nervose guizzare all’interno dei guantoni di cuoio sistemandosi nella posizione corretta, l’espressione risoluta, gli occhi animati dalla determinazione di dare il meglio.
 
Perché? Perché quell’atmosfera combattiva non la coinvolgeva nemmeno un po’? Perché si sentiva come l’annoiata osservatrice di un quadro sbiadito e quanto mai insulso? Perché aveva la netta sensazione di essere nel posto sbagliato al momento sbagliato?
 
Non comprendeva più niente. Tutto ultimamente le scivolava attorno senza che lei riuscisse a coglierne il senso: non capiva perché attorno la gente continuasse a ridere felice, a chiacchierare, a vivere…
 
Lanciò la palla senza riflettere e la piccola sfera bianca venne facilmente ribattuta dalla battitrice di riserva della squadra. Shay non notò neppure il puntino bianco che volò sopra la sua testa, superandola.
 
Con Danny la situazione non migliorava. All’inizio lei aveva vissuto quell’allontanamento con un senso di colpa, riteneva che fossero state le sue parole a far infuriare l’amico, ma poi, più ci pensava, più le sembrava ridicolo. Un’insinuazione così sciocca, fatta in un momento di rabbia, non poteva annullare un’amicizia come la loro. O forse era lei che l’ aveva idealizzata e tra di loro non c’era poi tutto quell’affetto?
 
Il senso di colpa si era trasformato coi giorni in frustrazione, ogni suo tentativo si avvicinamento veniva ignorato dal ragazzo che continuava a trattarla con glaciale ed ostinata indifferenza. E allora erano subentrati la rabbia, il dolore, il rancore. Poi, come un fiume in piena che aveva ormai fatto i suoi danni, neanche più quello, solo una nera coltre e un soffocante senso di vuoto che ogni giorno le mangiucchiava un pezzettino d’anima, spegnendola piano piano.
 
Ed Warner, il portiere dagli occhi di velluto, non lo aveva più rivisto. E poi a che sarebbe servito? Con il morale in quelle condizioni non avrebbe mai potuto tentare alcun tipo di approccio. E così lui rimaneva solamente il protagonista indiscusso dei suoi sogni. Bellissimi frangenti colorati. Ma sempre e comunque sogni.
 
E poi il softball. Mosse lo sguardo inquieto passando in rassegna i volti stupefatti delle compagne. Stupido passatempo privo di significato. Che gliene importava a lei di quello sport insulso? Strinse forte i pugni rimembrando la salda stretta dei suoi guantoni di boxeur, se solo avesse potuto colpire ancora … anche un sacco le sarebbe bastato …
 
Il richiamo energico dell’allenatrice, fece scendere un silenzio teso nella palestra- -Shay che combini? Svegliati torna tra noi!-
 
Shay la guardò senza la benché minima emozione nelle iridi trasparenti. Svegliarsi? Magari. Scoprire di avere fatto solo un lungo e schifoso incubo… se solo fosse stato così facile…
 
Una tremula scintilla si riattizzò, scivolando in lei come una sottile lingua di fuoco che riemergeva fiera dallo spesso strato di gelo accumulato nel cuore negli ultimi lunghissimi mesi. Che voleva quella lì? Che volevano quelle compagne che non si interessavano a lei se non perché sapeva fare dei tiri potenti e precisi? Perché in tutto quel tempo nessuna di loro le aveva mai chiesto che cosa le fosse successo? Perché fingevano che tutto andasse bene e che lei fosse solo momentaneamente distratta? Perché nessuno la stringeva tra le braccia assicurandole che andava tutto bene? Che il mondo era un posto bellissimo e la vita un dono meraviglioso?
 
Scosse piano il capo sorridendo appena, un sorriso spento e terribilmente triste. Ma anche sprezzante e sostenuto, tipico delle persone che non ce la fanno più a sopportare le ingiustizie della vita.
 
E lei davvero non ce la faceva più. Va fan culo Mark Lenders. Al diavolo tutta la famiglia Lenders e quel rincretinito di suo padre che a quarantaquattro anni si doveva innamorare della sua insulsa segretaria. Lei aveva una vita da sistemare. Un amore da concretizzare. Un’amicizia da ricucire.
 
Danny! Dolcissimo e caro Dan!
 
Il suo abbraccio confortante, la sua voce limpida, il suo sorriso sereno. No, nulla al mondo poteva farle rinunciare a tutto quello! Ora doveva ascoltarla, eccome lo avrebbe fatto!
 
Sfilò il guanto con ritrovata energia, scrollando le spalle con forza come se volesse farsi scivolare di dosso l’immaginario quanto ingombrante mantello d’apatia che per troppo tempo l’aveva tenuta prigioniera. Sbatté a terra l’ormai inutile simbolo di uno sport che mai l’aveva veramente appassionata, avviandosi a passi veloci e decisi verso l’allenatrice che aveva seguito con cipiglio contrito ogni suo gesto.  Lanciò un ultimo fugace sguardo oltre i rami spogli degli alberi, cercando un qualche cosa che la fermasse, che le impedisse di cedere all’impulso del momento. Trovò solo nuvole e vento. E freddo. Decisamente lo odiava l’inverno e aveva urgentemente bisogno di qualcuno che la scaldasse…
 
-Io lascio-
 
-Che significa? Non puoi lasciare il club! I tuoi voti sono scesi moltissimo e se abbandoni anche il club, avrai ben poche possibilità di accedere all’Università- la redarguì la donna con una velata sfumatura di minaccia – Non fare sciocchezze, torna in campo- ordinò specchiandosi negli occhi chiari della ragazza, sentendosi perduta davanti alla determinazione che vi scorse. Non faceva parte del carattere della riservata signorina Akaime mostrare i propri stati d’animo, minacciare o alterarsi, ma in quel momento non riusciva proprio a contrastare la delusione che quella fanciulla, su cui aveva puntato molto, le aveva inferto.
 
Shay non trovò nulla di appropriato da ribattere quindi, limitandosi a stringersi nelle spalle, e senza salutare nessuno, abbandonò la palestra seguita dalle urla di protesta dell’allenatrice.
 
Appena fuori una follata di vento gelido la investì, facendole amaramente rimpiangere il caldo giubbotto di piuma d’oca appeso nello spogliatoio. Ma non voleva perdere ancora tempo, temeva che quella determinazione, che la stava trascinando praticamente di corsa verso la sede del club di calcio, se ne andasse con lo stesso tempismo con cui era insorta. Erano settimane che fluttuava in uno stato di semitorpore che l’aveva rammollita nel fisico e nella mente e ancora si stava chiedendo che cosa fosse scattato per farla improvvisamente rinascere.
 
Forse era puro e semplice istinto di sopravvivenza. O forse, ancor più semplicemente, esasperazione.
 
Qualunque cosa fosse, era ancora lì con lei mentre varcava la sala dell’imponente edificio sud, interamente dedicato al club di calcio. Quel club era l’unico della scuola a godere del privilegio di uno spazio proprio, mentre tutti gli altri erano costretti a dividersi palestre e spogliatoi, spesso litigando furiosamente per un allenamento in più o in meno. Ma era giusto che fosse così: nessun club della Toho aveva mai raggiunto i livelli e i riconoscimenti della squadra di calcio ed era del tutto normale che l’istituto riconoscesse qualche privilegio a quello che era da tutti considerato il fiore all’occhiello della scuola.
 
Non le ci volle molto per rendersi conto che vi era qualcosa di strano. La luce dell’atrio era accesa ma nessun altro lume si intravedeva lungo i due articolati corridoi che si stendevano in direzioni diametralmente opposte. Accidenti! Quello non era il giorno dell’allenamento serale del club! Danny se n’era già andato da un pezzo.
 
-Merda- esclamò tra i denti muovendosi lentamente nella direzione degli spogliatoi – Maledizione proprio ora che mi ero decisa…- brontolò constatando che il luogo era effettivamente deserto. Girò sui tacchi imprecando tra sé e sé quando una risata cristallina le giunse all’orecchio. Si mise in ascolto e percepì distintamente una voce di donna dal timbro suadente e leggermente affettato. Da dove proveniva? Dal corridoio nord, quello che portava agli uffici amministrativi. Probabilmente era una semplice segretaria che stava flirtando allegramente al telefono con il fidanzato. Eppure…
 
Mossa da un istinto a cui neppure in seguito avrebbe mai dato un perché, raggiunse il primo ufficio dalla cui porta socchiusa fuoriusciva una sottile lama di luce giallognola.
 
Ma che diavolo stava facendo? Non aveva mai origliato in vita sua e non aveva certo intenzione di iniziare ora!
 
- … ti sto semplicemente chiedendo di parlare con Mark!-
 
Mark?!? Quella voce maschile … così calda anche se in quel frangente fortemente alterata … le era familiare …e come avrebbe potuto dimenticarla?
 
 -Perché dovrei avvicinarmi di nuovo a lui? Lo sai com’è fatto… io non voglio certo rischiare la pelle … -
 
Shay si appiattì contro il muro, strisciando silenziosamente sino a giungere alla porta. Il cuore le pulsava furioso in petto e la sua ferma educazione non ne voleva sapere di concederle una bassezza simile: spiare una conversazione privata era oltre ogni suo codice d’onore.
 
-Non dire idiozie, lo sai che non alzerebbe mai le mani su di te … se non lo ha fatto quella volta che ….-
 
-Che?- la donna rise ancora, una risata languida chiaramente costruita, fatta solo per aumentare l’imbarazzo in cui già versava il suo interlocutore -Dai termina la frase Ed-
 
Al suono di quel nome bellissimo, Shay mandò al diavolo anche l’ultimo briciolo di pudore e si sporse sbirciando l’interno della stanza quel tanto che bastava per permetterle di ascoltare e vedere senza essere a sua volta scorta. Da quella posizione aveva la visuale solo di una parte dell’ampia schiena del portiere ed un quarto del suo volto teso e contrito, le mani grandi e ruvide serrate a pugno lungo i fianchi. Era evidente che quella conversazione non gli piaceva affatto, eppure la giovane donna che aveva di fronte avrebbe dovuto suscitare ben altre reazioni nel sesso maschile.
 
Al contrario del portiere, celato per buona parte della stipite della porta, Shay aveva una panoramica perfetta della splendida creatura che l’aveva guidata con le sue risate squillanti. Si trattava di una ragazza bionda, decisamente non alta, o perlomeno non lo sembrava confrontata al metro e ottanta dal quale la scrutava il portiere, ma comunque di una bellezza a dir poco rara. Shay rimase basita di fronte alle fattezze delicate della sconosciuta, rendendosi conto di sembrare una stupida guardona incapace di distogliere lo sguardo da quei corti capelli biondissimi che esaltavano l’ambra dorato degli occhi da cerbiatta e il volto dall’ovale perfetto, candido e delicato come una bambola della migliore porcellana.
 
-Smettila, non siamo qui per parlare di quello-
 
-Ma io voglio parlarne- disse la sconosciuta muovendosi sinuosa verso il portiere e sfiorando il torace affannato del ragazzo con la punta delle dita - Voglio sentirtelo dire…-
 
Ed non si ritrasse ma la sua voce era gelida -Io mi vergogno per quello che è successo e dovresti fare altrettanto anche tu. Ti sto dando la possibilità di rimediare all’errore che hai commesso facendogli credere che fossimo amanti … e smettila!- le ordinò il ragazzo afferrandola per  i polsi e allontanando da sé quelle manine bianche che erano risalite lungo il suo petto e avevano cominciato a giocherellare impudenti con le ciocche dei suoi lunghi capelli.
 
-E non era vero?- chiese lei in tutta risposta per niente disturbata dal gesto di ripulsa del portiere.
 
-Tu sei pazza. Tra di noi c’è stato solo un bacio….-
 
-Solo perché Mark ci ha interrotti, altrimenti….-
 
-Altrimenti un bel niente!- urlò lui spingendola via definitivamente - Per dio eri la sua ragazza!-
 
Un lampo fugace, che Shay non riuscì a decifrare, attraversò le iridi ambrate della donna rendendole color dell’oro brunito -E allora? Io amo te-
 
Questa volta fu Ed a scoppiare a ridere, una risata amara e infinitamente infelice -Non è amore il tuo. Tu sei incapace d’amare chiunque oltre a te stessa. Ma come ho potuto venire da te a chiedere aiuto? Sei l’ultima persona che mi può aiutare!-
 
Lei sorrise soddisfatta -Non l’ultima, ma l’unica. Va bene convincerò Mark ad accettare la convocazione-
 
L’espressione sul volto del portiere mutò all’istante -Davvero? E gli dirai anche che tra me e te non c’è mai stato nulla?-
 
-Non glielo hai già detto tu?-
 
-No, non mi vuole ascoltare-
 
-E allora non ascolterà neppure me. E poi non è vero che non c’è stato nulla, tu hai ricambiato il mio bacio e le tue mani non mi sembravano restie ad accarezzarmi e a farmi chissà cos’altro…perché non riprendiamo ora da dove abbiamo interrotto … Ed?-
 
Shay percepì il segnale di allarme rosso risuonare nella sua testa ed il suo cuore prese a battere furioso mentre osservava la ragazza, avvolta in un abito corto di lanetta scura, sotto il quale sicuramente indossava della biancheria sexi, aderire con gesti lenti e femminili al portiere, con una grazia di cui lei non possedeva neppure una lontana parvenza. E chi era capace di muovere i fianchi con quell’ondeggiamento ipnotico e sbattere le ciglia con tanta civetteria?
 
Shay trattene il respiro premendosi forte una mano sulla bocca per non urlare, incapace di distogliere lo sguardo da quella scena di calda e totale seduzione. E così quella era la famosa Isabelle. Una donna bellissima che sapeva usare con maestria tutti i doni femminili che madre natura le aveva generosamente elargito. Ora le era chiarissimo come avesse fatto Isabelle a far perdere la testa sia a Mark che ad Ed, al punto tale da rovinare la loro amicizia.
 
E ora? Sarebbe riuscito Ed a resistere? No non poteva… nessun uomo avrebbe potuto rinunciare a tanta bellezza.
 
-Toglimi le mani di dosso!- la voce tonante del ragazzo spiazzò Shay facendola ritrarre spaventata  contro il muro buio del corridoio -Non hai dignità! Mi fai schifo!-
 
-Schifo Ed? Non credo proprio-
 
Il cuore di Shay accelerò di nuovo, indignato, mentre dalle labbra le sfuggì un grugnito rabbioso. Ora basta, ne aveva davvero abbastanza di quella Circe incantatrice che non si fermava neppure di fronte alla palese ritrosia del portiere.
 
-Chi c’è là?- urlò Ed voltandosi di scatto nel percepire il basso suono gutturale sfuggitole incautamente.
 
Non ottenendo alcuna risposta il portiere attraversò la stanza in un lampo e spalancò l’uscio.
 
Shay si era completamente addossata al muro pallida e spaventata – Mi di…dispiace- balbettò confusa desiderando che sotto i suoi piedi si aprisse un’improbabile voragine – Io …non…-
 
-E tu chi sei?- chiese Isabelle sopraggiungendo alle spalle di Ed e squadrando con disprezzo da capo a piedi la ragazzina imbarazzata che aveva osato origliare la sua personalissima conversazione.
 
Ma che aveva combinato? E ora? Che doveva dire? Come discolparsi di fronte ad portiere?
 
Shay sollevò appena lo sguardo quel tanto che bastava per scorgere l’espressione del portiere. Riuscì a respirare nuovamente solo quando si rese conto che Ed non era arrabbiato ma semplicemente stupito.
 
-Vattene!- si intromise Isabelle afferrandola per un braccio con l’intento di spingerla via, era evidente che non le piaceva affatto essere stata scoperta in atteggiamenti così compromettenti.
 
Quel tocco invadente e quanto mai indesiderato, riscosse Shay facendole ritrovare in un baleno tutta la sua combattività –Non osare toccarmi- proferì con un tono basso ma talmente minaccioso da far ritrarre Isabelle.
 
-Come osi…-
 
-Come oso?- sputò fuori Shay mentre il sangue le saliva alle guance, imporporandole -Come hai osato tu intrometterti tra Mark ed Ed! Per colpa tua Mark non parteciperà alle selezioni per le nazionali e quel che è peggio ha mandato all’aria un’amicizia a cui, mi sembra di capire, teneva tantissimo. Non ti perdonerò mai per aver ferito così mio fratel…-  Shay ammutolì portandosi entrambe le mani alla bocca. Il solo pensiero di ciò che stava per dire la fece sbiancare.
 
-Ma tu chi sei? Che vuoi da me? E che c’entri con Mark Lenders, ragazzina?- sbottò Isabelle fuori di sé.
 
-Shay va tutto bene- intervenne il portiere appoggiandole una mano sulla spalla per attirare la sua attenzione. Shay si volse a guardarlo. Era disorientata e tremava come una foglia, eppure lo sguardo calmo di Ed, che catturò il suo tenendolo stretto per alcuni istanti, le infuse un piacevole calore. Sentì le gote riprendere colore mentre constatava compiaciuta che il gonfiore sul labbro del portiere era completamente sparito e nessuna cicatrice era rimasta a deturpare quella bocca splendida. Per un lungo, splendido attimo, i suoi pensieri persero coerenza.
 
-Ed Warner tu conosci questa qui?- chiese Isabelle allibita, alla quale, però, non era sfuggito il rossore improvviso della ragazza. E così quella stupida ragazzina intrigante era infatuata di Ed.
 
-Certo che la conosco Isabelle, lei è Shay….la sorella di Mark- replicò pungente, osservando compiaciuto l’effetto scioccante delle sue parole sulla donna.
 
-Sei impazzito? Mark ha solo una sorella di sette anni!-
 
-Scusa, sono stato impreciso, lei è la sorellastra, forse non lo sai, ma qualche mese fa la signora Lenders è diventata la signora Field-
 
Shay non sapeva perché lui si fosse permesso di parlare della sua delicata situazione familiare con tanta leggerezza, ma qualcosa nel tono del ragazzo e soprattutto nella leggera pressione che fece sulla sua spalla, dove ancora teneva appoggiata la mano, la convinse ad assecondarlo. Per la prima volta Shay accettò senza protestare che qualcuno la definisse “la sorella di Mark Lenders”.
 
-Spero tu abbia sentito a sufficienza Shay per poter riferire a Mark come stanno le cose …- le disse il portiere sorridendole complice.
 
-Non ho perso una parola- replicò sullo stesso tono, godendosi il volto di Isabelle che finalmente perdeva un po’ della sua espressione sicura ed inattaccabile. La donna indietreggiò di un passo portandosi nel pieno del cono di luce che fuoriusciva dall’ufficio e la gioia di Shay evaporò all’istante sostituita da una pungente sensazione di invidia. In controluce era impossibile non notare le curve armoniose del corpo di Isabelle: il busto pressoché piatto, i seni piccoli e alti spuntavano appena sotto il tessuto aderente dell’abito che indossava: avrebbe dato un occhio per avere dei seni così poco ingombranti e non quella massa pesante che era costretta a celare costantemente dietro a scomode fasce elastiche contenitive! E poi quei fianchi morbidi, tondi e così femminili … per non parlare delle sue gambe! Altro che le sue! Con quei muscoli quasi maschili e i numerosi lividi che le erano rimasti come eredità del suo passato di boxeur. Shay squadrò meglio il volto della donna…non doveva avere meno di vent’anni, forse ventidue, o, al massimo, ventitre…
 
-Isabelle puoi dimenticare questo nostro incontro…- disse il portiere riscuotendo Shay dal suo poco edificante esame - Credo di aver trovato la persona giusta per far ragionare quella testa dura di Mark. Vieni Shay andiamocene, in questo posto l’aria è molto pesante, non trovi?-
 
-Sì- rispose semplicemente Shay seguendo Ed lungo il corridoio senza avere il coraggio di scrutare ancora quella figura esile e dotata di tutte le grazie che lei avrebbe tanto voluto per far innamorare di sé quello splendido ragazzo che le camminava silenziosamente affianco.
 

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Capitolo 11
*** Inizio di un'alleanza ***


CAPITOLO XI. INIZIO DI UN’ALLEANZA
 
Il portiere della Toho School spinse con piglio risoluto il massiccio portone dell’imponente edificio del club calcistico, inoltrandosi nel buio della sera con passo affrettato, quasi correndo, come se d’improvviso l’aria di quel luogo gli fosse diventata inrespirabile.
 
La ragazza alle sue spalle adeguò l’andatura a quella di lui, per quanto le era possibile, le sue leggere scarpe da ginnastica, infatti, slittavano pericolosamente sul terriccio limaccioso pregno dell’umidità della nottata autunale, rischiando di farle fare una rovinosa quanto imbarazzante caduta.
 
Attraversarono in tutta fretta l’ampio parcheggio riservato ai visitatori esterni, immersi nel più totale silenzio.
 
Solo quando giunsero in prossimà di una delle poche auto rimaste, una sportiva hyunday coupé di colore grigio metallizzato, Shay osò alzare lo sguardo dal suolo e approfittò della luce dei lampioni per studiare l’espressione adombrata sul volto del bel giovane che finalmente aveva arrestato la sua corsa e si era voltato a guardarla.
 
Ed scrutò perplesso l’infreddolita creatura che tremava e ansimava a pochi passi da lui -Scusa se ti ho fatto correre ma, come avrai notato, fa freddo stasera … - disse con una punta di sarcasmo, facendo vagare incredulo il suo sguardo sul corpo intirizzito della giovane - … e tu hai una semplice tuta addosso…- aggiunse facendosi da parte mentre le sicure dell’auto scattavano con un metallico clic - Che fai non sali? Hai proprio deciso di prenderti una polmonite allora…- borbottò tirandosi sù il bavero della giacca a vento per proteggersi il collo da un’ inopportuna follata di vento gelido.
 
Shay sgranò gli occhi sbalordita: era un invito quello? Un invito a fare cosa? A seguirlo??!?
 
-Ti accompagno a casa- puntualizzò il portiere,  notando dubbioso il vistoso rossore che invase in un lampo il volto della fanciulla, imporporandole le gote.
 
Il ragazzo scosse impercettibilmente il capo, proprio non riusciva a capirla: a tratti era capace di infuriarsi sino ad affrontare come una belva scatenata niente meno che Mark Lenders, il calciatore giapponese divenuto famoso, oltre che per le indiscutibili doti calcistiche, anche per il carattere tutt’altro che mansueto e, non paga, era persino riuscita a impalare con un’occhiata una donna subdola, vendicativa e poco avvezza alla ritirata come Isabelle Turner; d’altro canto, tuttavia, rimaneva imbambolata a fissarsi la punta delle scarpe, solo perché le veniva offerto un passaggio, arrossendo come una bimbetta sotto lo sguardo interrogativo del severo insegnante.
 
-Sì ... sì grazie- balbettò Shay attraversata da un forte tremito che le fece riporre qualsiasi ulteriore obiezione. Non che avesse nulla da obiettare ad un passaggio offertole da Ed Warner, ma, prima di salire, avrebbe preferito chiedergli perché invece di insultarla, come si sarebbe meritata dopo essere stata ignobilmente scoperta ad origliare una conversazione che non la riguardava affatto, si prestava gentilmente ad evitarle un assideramento quasi certo.
 
Sprofondò nel sedile di pelle dell’auto chiedendosi perché la gente si ostinasse a foderare le auto di quel materiale così difficile da sgelare. Attese in silenzio, quasi ripiegata su se stessa nella vana speranza di scaldarsi più in fretta, pregando silenziosamente che dai bocchettoni uscisse un getto di aria bollente che ponesse fine, una volta per tutte, al suo ridicolo battere di denti.
 
-Mi spiace per la scena disgustosa a cui hai assistito- iniziò Ed immettendo agilmente l’auto in strada con poche e sicure manovre.
 
Shay si voltò a guardarlo. Il profilo spigoloso e, ai suoi occhi infatuati, incredibilmente virile, si stagliava nitido a pochi centimetri da lei, le sarebbe bastato così poco per accarezzarlo con un dito – N…n…no…no figurati piuttosto sono io che…- la voce le si incrinò per la vergogna -Oh mi spiace! Ti giuro che non lo avevo mai fatto prima!- sbottò nascondendosi il volto tra le mani.
 
-Fatto che?- chiese lui senza capire, sbirciandola di sfuggita.
 
Glielo voleva proprio sentir dire, allora …. che vergogna…
 
-Spiare- buttò fuori tutto d’un fiato, sentendosi arrossire anche la punta delle orecchie.
 
Lui fece spallucce del tutto ignaro del suo penoso stato di imbarazzo -Oh beh io l’ho fatto tante volte …- disse con tono leggero come se fosse la cosa più scontata del mondo - … e comunque una conversazione del genere non me la sarei certo persa, in fondo si parlava di tuo fratello-
 
Shay spalancò gli occhi incupiti da un repentino moto di indignazione – Non è mio fratello!- ribatté piccata  scattando sul sedile come una molla ma immediatamente bloccata dalle cinture di sicurezza che opposero la giusta resistenza. Quella parola l’aveva colpita peggio di un pugno in pieno stomaco, cancellando, come un colpo di spugna alla lavagna, qualsiasi confuso sentimento annidato in lei. All’improvviso era di nuovo lucida e razionale e della tenera eccitazione di pochi istanti prima, non le rimase che una tenue percezione.
 
Il ragazzo approfittò di una sosta al semaforo per scrutarla con maggiore attenzione – Eppure prima l’hai detto tu-
 
-No ti sbagli, sei stato tu a dire a quella che io sono la sorella di quello- reagì ostinata - Perché lo hai fatto poi?-
 
-Perché è la verità. Che problema c’é?-
 
-Veramente … in realtà … nessuno, io non la conosco neppure quella tizia…-sospirò spostandosi distrattamente una ciocca dietro l’orecchio -… solo che non mi piace essere definita la sorella di quel…quel…-
 
-Il rapporto tra di voi non è migliorato dall’ultima volta che ci siamo visti a casa tua, vero?-
 
-No … cioè…- l’immagine di lei e Mark distesi sul futon, abbracciati stretti e quel “meglio” sussurrato nella notte, o forse solo immaginato, le attraversarono la mente come un fulmineo flash che immortalava una segreta immagine celata gelosamente dall’oscurità. Scosse il capo per allontanare quei frammenti – No- rincarò ostinata.
 
Il clacson violento e prolungato dell’auto dietro di loro, fece fare un salto sul sedile ai due ragazzi, il portiere imprecò qualcosa tra i denti e ingranò la marcia con gesto nervoso, facendo scattare l’auto in avanti con un lieve stridore di pneumatici.
 
Un pesante silenzio scese nell’abitacolo dell’auto. Il calciatore non vi fece neppure caso, rimuginando tra sé e sé, depresso dalla presa di consapevolezza che quella ragazzina non lo avrebbe potuto aiutare come aveva dapprincipio sperato.
 
Shay, invece, attendeva invano che lui le rivolgesse la parola, innervosita oltre che dalla sua incapacità di trovare validi argomenti di conversazione anche, e soprattutto, dalle immagini di Mark Lenders che, una dopo l’altra le attraversavano la mente, facendola imbestialire – E’ colpa …é colpa di quella … donna se tu e …il Bestione ora non vi parlate più?- buttò lì facendosi coraggio.
 
-Uhm?- mugugnò Ed confuso interrompendo bruscamente il corso dei suoi pensieri – Tra me e chi?-
 
-Il Bestione- ribadì indispettita constatando che la mente del ragazzo stava viaggiando anni luce lontano da lei, perso in chissà quali pensieri, magari meditazioni dai capelli biondi e il corpo esile…
 
-Intendi Mark? Meglio se non mi chiedi niente … per favore-
 
Shay incrociò le braccia al petto mettendo il broncio -Ho capito hai fatto anche tu il voto del silenzio come Danny?-
 
Ed fece scattare verso l’alto le sopracciglia in un’espressione dubbiosa –No, ma è una storia piuttosto…ehm…personale…e inoltre io non ci faccio per niente una bella figura- non poté esimersi dall’ aggiungere.
 
Shay sbuffò impaziente -Ma come posso convincere il Bestione se nessuno mi dice come stanno le cose?-
 
-Eh?-
 
La giovane si mosse nervosamente sul sedile, reprimendo a fatica un moto di stizza: era di certo un gran bel ragazzo ma non si poteva certo dire che cogliesse tutto al volo!
 
-Hai detto a…quella che avrei convinto io il Bestione ad accettare la convocazione non so bene per cosa ….  lo posso anche fare, ma dammi una mano-
 
-Non credo che ciò sia possibile … - replicò il portiere deluso.
 
-Però è quello che stavi chiedendo a quella-
 
-Lei avrebbe potuto-
 
-E io no?- lo sfidò dura, al limite della sua limitatissima pazienza
 
-Ma se mi hai detto che tra te e il Capitano non c’è un buon rapporto…-
 
-Pessimo, direi- puntualizzò senza scomporsi.
 
-E allora come pensi di convincerlo?-
 
Shay si voltò a guardare i lampioni che uno dopo l’altro si alternavano sul cruscotto dell’auto, sorrise senza motivo evitando di dar adito alla vocina petulante che le chiedeva il perché di quella serpentina eccitazione -Basta ubriacarlo…- mormorò a fior di labbra senza quasi accorgersene –Quando è ubriaco è mansueto come un micetto…- aggiunse con una nota di dolcezza nella voce che sorprese lei per prima.
 
La brusca frenata fece schizzare Shay in avanti mentre il rumore stridulo dei pneumatici, che perdevano aderenza con l’asfalto, le riempì il cervello, facendole accapponare la pelle. Solo con una parte remota dei sensi percepì il colpo violento e doloroso della cintura che le stritolò le carni del seno sinistro.
 
Le ci volle qualche istante per realizzare che quel dolore acuto non era altro che la conseguenza di un’avventata, e a suo avviso ingiustificata, frenata – Ti sei bevuto il cervello?- inveì voltandosi a guardare Ed con occhi pieni d’ira. Era talmente tanta la sua rabbia che per la prima volta l’incontro con quelle iridi scure e vellutate la lasciò del tutto indifferente.
 
-Come fai a sapere com’é Mark ubriaco?- le chiese lui ignorando la domanda che gli era stata posta, senza scomporsi minimamente di fronte all’espressione adirata di lei.
 
Shay lasciò andare i bordi del sedile contro cui si era istintivamente stretta -Ma niente…- tentò di minimizzare, maledicendosi per la sua impulsività – Ho tirato ad indovinare-
 
Ed non si fece certo ingannare da una bugia così mal formulata e il suo sguardo divenne cupo e minaccioso -Non mentire-
 
Shay ragionò in fretta, turbata dal repentino cambiamento avvenuto nel portiere che in quel momento le ricordava moltissimo Mark. Il suo cuore cominciò a galoppare impazzito come le capitava sempre in presenza dell’iracondo ragazzo, riempiendola di quella sensazione di confusa agitazione che la disorientava ma che, al tempo stesso, la faceva sentire così viva.
 
Era palese che sia Ed che Danny cambiavano totalmente personalità quando si trattava di quel maledetto Bestione, ma probabilmente era questo l’effetto oscuro che aveva sulle persone, d’altro canto lei stessa era stata ammaliata al punto da comportarsi in modo ingiustificabile.
 
-Allora?!- la incalzò il portiere, sfiorandole inavvertitamente una spalla con la mano.
 
A quell’ innocuo contatto Shay sussultò ritirandosi un poco sul sedile – Pe …perché dovrei dirti come stanno le cose se tu alle mie domande non vuoi rispondere?- lo sfidò riacquistando in fretta il suo piglio combattivo.
 
Il ragazzo corrugò la fronte pensieroso riportando entrambe le mani sul volante e fissando dritto davanti a sé -Hai ragione…- capitolò dopo alcuni istanti - O ci alleiamo o qui non combiniamo niente…- concluse sospirando -Ti va una pizza?- aggiunse a bruciapelo voltandosi a guardarla con un accattivante sorriso dipinto sulle labbra.
 
-Pi…pizza?-
 
-Non ti piace la pizza? Preferisci qualcosa di più tradizionale?-
 
-No…cioè sì…mi piace molto, solo che …- tentennò arrossendo sino alla radice dei capelli. La stava invitando fuori? Vestita così??!?! Con la tuta da ginnastica?!?!? Si morse il labbro contrita, neanche questa volta era riuscita a farsi la doccia!
 
-Allora è fatta- disse contento Ed rimettendo i moto la macchina che, nella confusione del momento, aveva lascito morire sul ciglio della strada -Mangiamo una pizza in un ristorantino dove la fanno favolosa, vera pizza all’italiana, non quella robaccia che si mangia in giro…- spiegò sbirciando nello specchietto retrovisore per assicurarsi che la strada fosse libera prima di immettersi -Non è molto lontano, puoi rimanere fuori?-
 
-Sì-
 
-Devi avvertire  casa?-
 
Shay si voltò di scatto dall’altra parte fingendosi attratta da qualche cosa oltre il finestrino –No, non serve- replicò sperando che la sua voce suonasse del tutto indifferente.
 
Ed le lanciò una veloce occhiata, non lo rassicurava quell’improvviso malumore, ma preferì non insistere oltre, in fondo non era lì per indagare su insulse beghe familiari. L’unico pensiero che ora occupava interamente la mente del portiere era  Mark Lenders ed era disposto a tutto pur di sapere perché il suo orgogliosissimo Capitano si era lasciato andare con quella ragazzina sino al punto di ubriacarsi.
 

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Capitolo 12
*** Una lunga chiacchierata ***


~~CAPITOLO XII. UNA LUNGA CHIACCHIERATA

Ed Warner guidò in silenzio per altri dieci minuti, quindi svoltò in una via laterale che si dipanava nella prima periferia della città ed imboccò una stretta viuzza a destra. Arrestò l’auto in un modesto spiazzo fiocamente illuminato da tre lampioncini a palloncino distribuiti lungo un breve vialetto di ghiaino che conduceva ad una bassa costruzione di mattoni faccia vista, inframmezzata da ampie vetrate.

Un piacevole aroma di pane caldo accolse i due ragazzi non appena varcarono la porta del locale.

Una minuta cameriera, fasciata in una caratteristica divisa a quadratini azzurri e bianchi, si affrettò ad accoglierli, facendoli accomodare in un angolo appartato, probabilmente scambiandoli per due giovani fidanzatini in cerca d’intimità.

Ordinarono in fretta, scoprendosi entrambi molto affamati. Ed osservò con espressione corrucciata la cameriera che si allontanava con le loro ordinazioni ancheggiando appena e muovendosi con agilità tra i tavoli sparsi nella sala. Attese ancora qualche istante passando distrattamente in rassegna l’arredo essenziale del piccolo ristorante per finire la sua ispezione sul volto della ragazza seduta di fronte a lui – E quindi mi vuoi spiegare quando hai visto Mark ubriaco?- partì all’attacco con piglio deciso allacciando le mani sopra il tavolo.

Shay fissò ammirata le dita scattanti del portiere sciogliersi dalla stretta e tamburellare nervose sulla linda tovaglia color crema. Le immaginò fasciate in pesanti guantoni di cuoio, strette saldamente attorno ad una sfera a scacchi, lanciata con potenza contro la rete che andava difesa ad ogni costo e, senza nozione di causa, nella sua fantasia, il rettangolo verde si trasformava in una stanza ben più ristretta e la rete in un intreccio spiegazzato di coperte e lenzuola …  chissà che sensazioni potevano provocare quelle mani su un corpo di donna…

-Allora?- la sollecitò il portiere facendola quasi saltare sulla sedia, distogliendola bruscamente dai suoi sublimi sogni ad occhi aperti.

-Allora cosa?!- domandò sulla difensiva, ripetendosi con convinzione che non poteva averle letto nella mente e che quindi non aveva nulla da temere.

Ed non si sforzò neppure di nascondere un moto d’impazienza -Dimmi quando hai visto Mark ubriaco!-

Il ritorno provvidenziale della cameriera con il vassoio delle bibite, le permise di prendere tempo e di ponderare con attenzione la risposta da dare a quella domanda così diretta che esigeva una risposta altrettanto diretta. Non voleva rivelare ad Ed le pessime condizioni in cui aveva trovato il Bestione quella sera. Ma avevano fatto un patto: doveva dirgli tutto se voleva sapere esattamente che cosa era successo in passato tra lui e Mark.

Il portiere le versò galantemente da bere senza proferire parola ma fissandola in un modo che le rammentava sin troppo eloquentemente la domanda sospesa nell’aria.

Shay parlò con prudente lentezza, al contrario del suo cervello che stava lavorando alla velocità della luce -Quel pomeriggio, quando sei venuto a casa mia … dopo che te ne sei andato …beh … Mark era fuori di sé …-

-Se l’è presa con te?-

La ragazza sollevò le spalle con indifferenza -Un po’… ma non ha importanza, gli scontri tra noi sono normali. Quando ci incontriamo o ci ignoriamo o ci prendiamo a sberle-

-Ha perso le staffe?- si informò lui seriamente allarmato - Insomma ti ha … fatto del male?- proseguì non osando immaginare la furia del Capitano riversa su quella ragazzina così fragile.

-No, mi ha solo “invitata” con le sue maniere “dolcissime” a non immischiarmi nelle sue questioni personali e di smetterla di fare i capricci…-

-Capricci?- ripeté Ed indirizzandole un’occhiata perplessa.

-Sì- ammise Shay arrossendo leggermente e portandosi il bicchiere alle labbra per darsi un contegno - Non ho preso bene il matrimonio di mio padre e quindi sto attraversando una fase …diciamo…di ribellione...- spiegò non senza imbarazzo - Anche se ormai è passata anche quella, ora sono più depressa che ribelle-

Finalmente aveva estrinsecato il male oscuro che da qualche tempo la divorava. Ora che gli aveva dato una forma ed un nome le sembrava tutto più semplice, poteva persino azzardare un’analisi della sua situazione familiare, mantenendo un minimo distacco emotivo.

L’arrivo della cameriera, questa volta con le pietanze, interruppe per qualche tempo qualsiasi comunicazione tra i due ragazzi, che si immersero deliziati nell’assaggio della pizza profumata che fumava nei piatti di fronte a loro.

-Avevi ragione è veramente eccezionale- esclamò Shay gustando entusiasta la sottilissima pasta guarnita con salsa di pomodoro, mozzarella filamentosa e funghi, riscoprendosi, dopo tanto tempo, affamata e lieta di condividere un pasto caldo con qualcuno. Negli ultimi tempi il suo appetito era drasticamente diminuito e le sue giornate si erano costellate di spuntini irregolari, consumati in solitudine. Quella sera invece il cibo era tornato a piacerle. Merito di Ed? Non era così sciocca da non capire che la presenza del portiere era intimamente correlata al fatto che la vita le sembrasse di nuovo un posto degno di essere esplorato, ricco di eventi d’accogliere con gioia.

Il portiere annuì, soddisfatto da ciò che accarezzava il suo palato -Ora va meglio in casa?- riprese dopo aver buttato giù il boccone.

-No. Io ignoro loro e loro me-

-E Mark come gestisce la cosa?-

-Non la gestisce- replicò Shay addentando un altro pezzo di pizza - Ha tentato all’inizio di mettermi in riga ma con scarsi risultati….perché ridi?- chiese perplessa vedendo il portiere che metteva da parte le caratteristiche posate occidentali e si portava una mano alla bocca per trattenere una risata.

-Perché non oso immaginare un essere orgoglioso come Mark che si vede beffato da una ragazzina!-

Shay smise di sorridere e chinò la testa, ma non abbastanza in fretta da riuscire a nascondere la sua espressione triste. Non aveva affatto gradito quell’appellativo detto con tanta leggerezza dall’uomo dal quale voleva essere considerata ben altro che un’ insulsa “ragazzina”.

Ed notò il repentino mutamento avvenuto sul volto di lei e questo non gli piacque affatto -Ehi ti sei offesa? Scusa non volevo…-

-Faccio diciotto anni a marzo- precisò la ragazza con tono seccato, intenzionata a fargli notare che, almeno anagraficamente, non era tanto meno donna di quella Isabelle! Ma il tono della sua precisazione risuonò alle sue stesse orecchie come un patetico tentativo di mutare ciò che agli occhi di lui era evidente come la luce del giorno.

-Davvero? Ti facevo più giovane- fu infatti la replica scontata che non la sorprese affatto.

La ragazza rialzò fieramente il capo, mettendo da parte l’umiliazione - Ora dimmi qualcosa tu- replicò con una certa aggressività, sfoderata solo per nascondere la sofferenza.

-No, finisci di raccontare-

Shay gli scoccò un’occhiata severa: se credeva di farla fessa solo perché si ritrovava un sorriso disarmante e un corpo da sballo, si sbagliava di grosso!

-Non mi imbrogli…un po’ io…un po’ tu…- disse risoluta, sfidandolo con lo sguardo, consolata dal fatto che il suo smisurato orgoglio aveva ripreso in mano le redini della situazione, relegando la cocente delusione in secondo piano. Ci avrebbe pensato dopo, nell’intimità della sua cameretta, a leccarsi le ferite.

Il portiere la fissò con un misto di stupore ed ammirazione. Ancora una volta il carattere forte e totalmente imprevedibile di quella ragazza lo aveva colto impreparato. Non appena abbassava la guardia, ormai convinto che fosse sul punto di cedere, lei si rialzava, sbandierando ai quattro venti la sua forza. Forse non era così fragile ed indifesa come s’era immaginato dapprincipio, forse Mark non l’aveva piegata e spaventata come aveva troppo sbrigativamente supposto.

Era proprio stato uno sciocco a sottovalutarla con tanta leggerezza. In fondo di spunti su cui riflettere ne aveva avuti parecchi … che diamine! Aveva visto con i suoi occhi la determinazione con cui aveva affrontato un Mark Lenders a dir poco infuriato.

E ora l’aveva offesa del tutto gratuitamente. Era un emerito imbecille! Lo sapeva benissimo che le ragazzine di quell’età si ritenevano già donne fatte. Diciotto anni? Che fosse vero? La scrutò dubbioso. Eppure ai suoi occhi era poco più di una bambina: ancora mascolina, infagottata in tute da ginnastica di una taglia più grande, perennemente spettinata, senza un filo di trucco. Certo non era cieco e si era accorto che non era affatto brutta, che aveva degli occhi splendidi e che la curva della bocca assumeva una piega molto sensuale quando accennava un sorriso. Non aveva dubbi che tra qualche anno sarebbe diventata una compagnia davvero intrigante con cui passare dei momenti di sana passione. Ma in quel momento l’avvenenza di Shay era l’ultimo dei suoi pensieri, anche se questo, ovviamente, non era un valido motivo per ferirla.

-Scusa sono un idiota. Perdonami ma sono sempre cresciuto tra maschi e il mio tatto con le donne è pari a zero... - disse con aria mortificata, sorridendole incerto -Comunque veniamo a noi- tagliò corto non appena la vide annuire e l’espressione sul suo volto serio distendersi un poco - Io e Mark ci siamo conosciuti il primo anno alla Toho. Lui era già un buon giocatore e in poco tempo divenne il capitano della squadra di calcio. Era unico. Il migliore. Io lo ammiravo molto e lo invidiavo …-

-Invidiavi?-

-Sì. Anch’io ho sempre amato il calcio, ma non lo potevo praticare. Mio padre possiede una palestra di kendo e all’epoca desiderava che io seguissi le sue orme e che non mi facessi distrarre da altri sport. Ma la passione per il calcio ce l’avevo dentro sin da bambino e non riuscivo, o meglio non volevo, liberamente. Non potendo fare altro, mi accontentavo di andare ogni giorno, alla fine delle lezioni, a sbirciare gli allenamenti della squadra della scuola….- Ed sospirò trasportato da quei ricordi adolescenziali pregni di nostalgia - … quel giorno al campo mi ero trattenuto più del solito, avevo perso la nozione del tempo mentre, rapito, seguivo le agili azioni del Capitano. Non mi ero affatto accorto che si era fatta sera e che al campo eravamo rimasti solo io e Mark. Lui mi lanciò la palla e con un gesto della mano mi invitò a scendere dagli spalti e a raggiungerlo in campo ...  invitò … cioè…ehm …ordinò... beh insomma quelle richieste che lui formula in modo così perentorio – borbottò il portiere ridacchiando divertito -Giocammo a lungo e lui fu colpito dalla mia abilità di portiere. La tecnica era discutibile ma ero agile e scattante, gli anni di kendo non erano stati inutili, dopotutto. Con lui cominciai ad allenarmi tutte le sere e ben presto anche la tecnica migliorò. Il passo successivo era ovvio, farmi entrare in squadra. Ma mio padre scoprì la mia passione poco prima dell’inizio del campionato studentesco e mi proibì assolutamente di giocare. Mark non si diede per vinto, venne a casa mia, fece ciò che io non avevo mai avuto il fegato di fare: pregò mio padre di lasciarmi giocare. Ma fu tutto inutile. Sono sicuro che Mark provò una terribile delusione di fronte alla passività con cui accettai il volere di mio padre, ma ero solo un ragazzino molto ubbidiente e non mi passava neanche per l’anticamera del cervello di ribellarmi…- affermò il portiere scuotendo piano il capo al pensiero di quanto le cose fossero cambiate: ora niente e nessuno poteva frapporsi tra lui e quella magica palla – Ma niente è impossibile se il destino ha già deciso per te … - Ed fece una impercettibile pausa fissando le iridi trasparenti della ragazza e lieto di cogliere in esse un sincero trasporto, in fondo quella ragazzina, come l’aveva maldestramente apostrofata poco prima, aveva in sé un qualche cosa che mancava alla maggior parte delle persone: la capacità di ascoltare in silenzio e di cogliere le vibrazioni dell’animo altrui -… arrivò il giorno della partita in casa contro la Nankatsu, la squadra favorita del campionato, la squadra della Golden Combi Oliver Hutton e Tom Becker, e difesa da Benjiamin Price. La Toho aveva ben poche speranze di spuntarla ed infatti terminò il primo tempo con uno svantaggio di due reti e il secondo non sembrava promettere niente di meglio. Mark da solo non poteva sfondare la difesa di Price e contemporaneamente preoccuparsi degli attacchi di Holly e Tom. Sembrava una Tigre furibonda, questo da quella partita è rimasto il suo soprannome, lo sapevi?-

Shay scosse il capo senza distogliere un solo attimo gli occhi dal volto assorto del portiere, pendendo letteralmente dalle sue labbra.

-Se lo vedessi giocare capiresti … Mark è proprio una Tigre in campo…e anche fuori....purtroppo. Duro, aggressivo, spietato, infallibile…- Ed strinse gli occhi fissando meditabondo un punto immaginario di fronte a lui -La Tigre era in difficoltà e io non potevo starmene lì a guardare. Fu la decisione di un attimo che ha stravolto la mia vita. Sono entrato in campo, mi sono posizionato tra i pali, gli ho urlato di non badare più alla rete, che lì non sarebbe più entrata neppure una palla e di pensare solo all’attacco … beh…io e lui insieme abbiamo sovvertito tutti i pronostici e la Toho pareggiò con la favoritissima Nankatsu-

-Danny faceva già parte della squadra?-

-No, Danny è arrivato un paio di anni dopo. Noi eravamo già al terzo anno quando Mellow si iscrisse alla Toho. Se tu lo avessi visto allora… era un ragazzino talmente gracile, non so che cosa Mark vide in lui eppure fu l’unico a concedergli una possibilità. Danny amava il calcio ma lo avevano sempre snobbato per la sua costituzione, tutta la squadra lo ignorava, solo Mark fece eccezione. Il Capitano aveva visto giusto, come sempre. Chiese a Danny di fare una partita. Il Capitano massacrò fisicamente e psicologicamente quel povero ragazzo, credo che Mellow abbia passato a letto i due giorni successivi alla partita, ma in campo non cedette neppure per un istante, tenne testa a Mark Lenders. In forza certo non c’era confronto, ma Danny si dimostrò abile e scaltro, aveva un ottimo fiuto per il gioco e molta originalità. Mark vide in lui la sua spalla perfetta. E così fu. Alla Golden Combi Hutton-Becker ora si contrapponeva la coppia Lenders-Mellow. Danny si sottopose a degli allenamenti massacranti, prima come riserva poi come titolare, i risultati furono in brevissimo tempo sotto gli occhi sbalorditi di tutti coloro che avevano snobbato quel giocatore dalle doti insospettabili. Inoltre del gracile marmocchio rinsecchito rimase ben poco, Danny completò il suo sviluppo e nel giro di un paio d’anni si trasformò nell’atleta muscoloso che tu conosci bene…ma questa storia già la conoscerai, Danny te ne avrà parlato…-

-No, mi ha solo accennato raramente del Bestione e di te e io non gli ho mai chiesto niente, ho intuito che parlarne lo fa stare male-

-Povero Danny ha sofferto tantissimo per quanto è successo-

-Vai avanti, dimmi tutto- lo incalzò Shay conscia che si stavano avvicinando alla parte più interessante della faccenda.

-Mark non si allenava solo con la squadra ma continuava ad avere dei rapporti con il suo vecchio mister, un ubriacone della peggiore specie. Ma Mark ha sempre nutrito un affetto morboso per quell’uomo che lo ha iniziato al calcio. Turner, questo era il nome dell’allenatore, ha una figlia e tra il Capitano e lei vi era un’amicizia molto particolare iniziata, credo, ai tempi delle elementari…-.

-Isabelle?- azzardò Shay.

Ed annuì - Vivevano nello stesso quartiere e si conoscevano da una vita, sono praticamente cresciuti insieme. Vi era un feeling palpabile tra loro e la tragedia che condivisero li segnò profondamente, ma aiutò anche Mark ad esternare per la prima volta i suoi reali sentimenti per Isabelle-

La ragazza lo guardò senza capire – A che tragedia ti stai riferendo?-

Ed sollevò un sopraciglio perplesso –Il padre di Mark era alcolizzato, non sapevi neppure questo?-

-No, non so niente di quella famiglia. Mio padre ha sposato Rosaly contro la mia volontà e io ho sempre rifiutato qualsiasi coinvolgimento…-

-Capisco- disse il ragazzo richiamando la cameriera con un gesto della mano -Vuoi altro? – le chiese e al cenno negativo di lei, ordinò velocemente il conto.

Shay rimase in silenzio ammutolita dalla morsa che le chiuse la gola: possibile che il Bestione avesse attraversato degli anni tanto duri? E quei bambini? Che inferno avevano attraversato?

-È per questo che sono estremamente stupito che tu abbia visto Mark ubriaco, non beve mai … solo in situazioni di estrema debolezza, ma questo credo sia capitato un paio di volte in tutta la sua vita. L’ultima volta di cui io ho notizia è quando mi ha trovato a letto con Isabelle…-

Shay aprì la bocca per dire qualcosa ma la richiuse senza che alcun suono ne uscisse. Si lasciò condurre docilmente alla macchina travolta da un turbinio di pensieri sconnessi, accorgendosi appena che il ragazzo aveva rinunciato al suo caldo giaccone per poggiarlo gentilmente sulle sue spalle per proteggerla dal gelo durante il breve tragitto sino all’auto.

L’ultima affermazione di Ed le frullava nella testa senza tregua, provocandole un vago senso di nausea …. quando mi ha trovato  a letto con Isabelle… a letto con Isabelle… quando mi ha trovato a letto con Isabelle…

La gelosia era una brutta bestia, per la prima volta Shay la saggiò sulla sua pelle, toccandola con mano, anche se non era certa fosse solo gelosia quel tumulto infernale che le ottenebrava i sensi: il pensiero del Bestione tradito la turbava tanto quanto immaginare Ed a letto con quella puttana.

-Vai per gradi Ed…- si decise infine accomodandosi sul sedile dell’auto e aspettando che lui facesse altrettanto - Mi hai detto che erano amici d’infanzia - ricapitolò per prendere tempo ed assimilare nel modo giusto quella cruda verità.

-Sì tra loro c’era un legame fortissimo sino a che il padre di Mark non morì. Lui aveva appena tredici anni e di punto in bianco si è ritrovato sulle spalle una madre, due fratelli piccoli e uno in arrivo. Anche se in realtà era già da qualche tempo che Mark manteneva la famiglia… Lavorava i fine settimana sino a notte inoltrata, al mattino, prima di venire a scuola, distribuiva i giornali a tutta la zona est della città e nel pomeriggio si allenava, non aveva più un attimo libero ed inevitabilmente si persero di vista … - Ed tacque qualche istante, concentrato a superare un’ingombrante camioncino -Grazie alle sue doti calcistiche riuscì a farsi notare e vinse una borsa per la Toho, scuola che, come sai, è molto selettiva. Mark frequentava la Toho ormai da qualche mese quando suo padre venne a mancare. All’epoca non eravamo ancora molto amici ma, anche se lo fossimo stati, non credo mi avrebbe detto granché. E’ sempre stato un tipo taciturno … ma se lo conosci è di una bontà eccezionale. Ama la sua famiglia con tutto se stesso, è onesto, un amico leale e io…oh Shay mi faccio schifo- proruppe il ragazzo sterzando con forza ed immettendosi nell’arteria principale che portava alla zona residenziale dove dimorava la famiglia Field.

Shay ritenne opportuno smorzare la tensione e lo fece con la classe ed il tatto che la contraddistingueva. Danny glielo diceva sempre che lei sapeva istintivamente come e quando intervenire… Danny…

-Dove ero rimasta?- iniziò con tono volutamente leggero - Ah sì…allora sono uscita. Era sabato sera ed ero sola come un cane, sai io e Danny ultimamente non ci vediamo più, diciamo che lui fa finta che io non esista-

-Perché?- chiese Ed perplesso guidando con agilità nel traffico marchio distintivo della metropoli nipponica  a qualsiasi ora del giorno e della notte.

-All’inizio pensavo per una mia infelice insinuazione fatta in un attimo di rabbia, ma ora credo sia perché gli ho chiesto di scegliere tra me e …lui … beh è evidente che ha scelto il Bestione visto che è più di un mese che non mi parla!-

-Danny stravede per Mark. Gli deve tutto, è l’unico che gli ha dato una possibilità quando nessuno lo degnava della minima attenzione…però trovo strano il suo comportamento, mi sembrava di aver capito che tra di voi vi fosse un legame …forte-

-Se per forte intendi innamorati, no. Se intendi amici, sì. E’ il mio migliore amico. Mi capisce, mi asseconda, mi consola … cioè mi consolava … ora invece ho un mucchio di cose nel cuore e non le posso dire a nessuno!-

-Era il tuo confidente?-

-Oh sì il migliore, lui mi ascoltava sempre sia quando sragionavo sia quando dicevo cose sensate…non spesso per la verità- gorgogliò la ragazza tentando di scherzare –Per fortuna stasera ci sei tu- aggiunse abbassando il capo cautamente nonostante sapesse che lui non poteva distogliere lo sguardo dalla strada piena di vetture e non poteva quindi, in alcun modo, notare il rossore che le infiammava il volto.

Anche se il portiere aveva colto lo strano timbro nella voce della ragazza nel pronunciare quell’ultima frase, fece finta di niente - Quindi giravi da sola di notte…- disse riprendendo il discorso dal punto che gli interessava.

-Sì in moto. Però faceva freddo e ad un certo punto mi sono fermata in un bar non molto lontano da casa. Ho fatto quasi un colpo quando entrando ho visto il Bestione al bancone che blaterava senza sosta, incapace di reggersi in piedi-

-Ti ha riconosciuta?-

-Non lo so, un po’ credo di sì perché quando mi sono avvicinata si è tranquillizzato e ha cominciato ad assecondarmi. Gli ho fatto bere del caffè sperando che si schiarisse le idee quel tanto che bastava per farlo stare in sella …-

-Lo hai portato in moto in quelle condizioni?- esclamò Ed abbandonando imprudentemente la strada e squadrandola stupito.

-E che altro potevo fare?- ribatté sulla difensiva - L’oste minacciava di chiamare la polizia, Dan non volevo lo vedesse così e papà avrebbe senz’altro avvertito Rosaly…ora che mi hai detto di suo padre, mi rendo conto di aver fatto bene a nasconderlo a tutti…-

-Hai fatto più che bene, Shay. Gli hai salvato la faccia. Mark non se lo sarebbe mai perdonato di deludere sua madre in quel modo. Comunque continua, voglio sapere come hai fatto a nasconderlo-

-Semplice. Cioè ora dico semplice, ma non lo è stato proprio per niente. Quello zuccone continuava ad urlare mentre lo trascinavo in casa e più gli tappavo la bocca più faceva casino!-

-Ma come hai fatto? Sei … sei … sei davvero incredibile !- disse Ed sinceramente colpito.

Shay accettò con felicità quel primo complimento e una tenue speranza si riaccese in lei -Ha collaborato un pochino, quello che bastava per non schiacciarmi sotto i suoi novanta chili. Comunque sono riuscita a trascinarlo sino in camera mia…- Shay si bloccò incerta se continuare. Iniziava la parte più … intima, anche se non era obbligata a raccontarla nei dettagli. 

-Uhm … la faccenda si fa interessante- assentì Ed ridacchiando compiaciuto -Ma prima voglio continuare io- aggiunse tornando serio -Isabelle arrivò alla Toho quando noi eravamo al quarto anno. Lei si iscrisse direttamente all’ultimo. Da quello che so sua madre si era messa con un uomo benestante che pagò la retta, permettendole così di diplomarsi in una buona scuola. In breve lei divenne molto popolare a scuola… e di certo non per le sue doti scolastiche. Era una bellissima ragazza, corteggiatissima, che non disdegnava concedersi al bellimbusto di turno. Mark mi confidò che non riconosceva più la sua amica timida e introversa. Cercò di parlarle, di avvicinarla, ma lei all’inizio lo ignorò, troppo presa dalla massa di imbecilli senza palle che le giravano attorno, facendo tutto quello che lei chiedeva. Solo quando vincemmo il campionato scolastico contro la Nankatsu e Mark divenne popolare quanto lei e persino mira di un noto club calcistico, lei sembrò improvvisamente provare dell’interesse per lui. Mark non era uno stupido, ma aveva sempre avuto un debole per lei e così non le ci volle molto a sedurlo …d’altronde hai visto con i tuoi occhi quanto i suoi…ehm…argomenti di discussione possano essere convincenti …- disse alludendo alla scena del pomeriggio a cui Shay aveva assistito.

-Già ma tu non ti sei lasciato convincere…almeno non oggi- puntualizzò esaminando il profilo del ragazzo concentrato nella guida.

-Hai detto bene: non oggi, ma allora ….maledizione- imprecò stringendo forte il volante tra le mani – Che idiota sono stato, se solo potessi tornare indietro…- aggiunse a denti stretti – Ma lasciami finire, voglio dirti tutto in fretta perché ho paura di non avere il coraggio di raccontarti il resto della storia…-

Shay attese in silenzio che lui si calmasse un poco e riprendesse il racconto.

-Cominciarono ad uscire durante il nostro ultimo anno di liceo. Tra loro non vi era nulla di ufficiale, figuriamoci, Mark non era certo tipo da anelli, fidanzamenti ufficiali e boiate simili, ma nessuno nutriva alcun dubbio sulla natura del loro rapporto. Un giorno mi stavo allenando al parco e li incontrai. Era passato quasi un anno dall’ultima volta che l’avevo vista, era cambiata, diventata ancora più bella, se possibile. Ne fui letteralmente folgorato. Sì lo so, sono un verme, era la ragazza di Mark. Ma che ci posso fare? Ero un ragazzo di diciotto anni in piena potenza ormonale, lei una bellissima donna di venti e mi guardava…beh in un modo …me li ricordo ancora i suoi sguardi. Da allora cominciò a frequentare gli allenamenti e qualche volta siamo anche usciti insieme: Danny, io, Mark e lei. Insomma si era intergrata tra di noi, era simpatica, intelligente, esuberante e Mark la adorava, si vedeva anche se non si lasciava mai andare ad alcun gesto affettuoso. Ma la amava glielo si leggeva in faccia. E questo amore credo gli ha impedito di vedere la vera natura di Isabelle e quando io me ne sono accorto, era ormai troppo tardi. Una sera venne a trovarmi in palestra. Avevo da poco finito l’allenamento di kendo ed ero salito in camera mia per fare la doccia. Mi stavo rivestendo quando Isabelle bussò alla mia camera. Non so come abbia fatto a convincere mia madre a farla salire fatto sta che me la sono trovata davanti. Mi si è avvicinata con il suo modo ipnotico, io ero sfinito dal duro allenamento con mio padre e dalle ore trascorse al campo sportivo. Mi sono sentito gelare perché dentro di me avevo già compreso le sue intenzioni e sapevo di non avere in quel momento la forza di tenerle testa. Non ho nemmeno realizzato che cosa sia accaduto, anche se non ci vuole molta fantasia per capirlo, all’improvviso mi sono trovato disteso sul letto con lei sopra…e…- Ed deglutì e continuò con enorme sforzo – ti giuro che cercai di convincerla che stavamo sbagliando tutto, che Mark era il mio migliore amico…

-Non m’importa io voglio te Ed. Ti ho sempre voluto …-
-Isabelle per favore…io non posso fare questo a Mark-

Eppure le mie mani erano già sui suoi fianchi, il suo profumo mi stordiva, la sua bocca mi tentava…Mark entrò in camera mia, probabilmente aveva bussato ma noi non lo avevo sentito e … ci trovò così. Dio sa come fece a controllarsi a non ammazzarci tutti e due. Isabelle scoppiò in lacrime e, terrorizzata dalla furia di lui, gli giurava che ero stato io a sedurla che l’avevo obbligata contro la sua volontà… Io ero troppo scioccato per ribattere e mi sentivo troppo in colpa: non mi sarei mai controllato …-

-Non lo puoi dire, non puoi sapere ciò che non è mai accaduto-

-Sei … non so- disse il ragazzo scuotendo la testa confuso. Si era aspettato tante diverse reazioni da parte di Shay. Disprezzo, disgusto o stupore, e invece con incredibile sensibilità, aveva colto il senso di colpa che lo attanagliava, formulando con una semplicità incredibile la domanda che ogni giorno si era posto da quella maledetta sera: che sarebbe successo se Mark non fosse arrivato? Avrebbe veramente gettato al vento un’amicizia come la loro per quella donna?

-Nei giorni successivi avevo tentato di parlare con Mark, ma non c’é stato verso, ogni volta che mi avvicinavo lui diventava violento e Isabelle non aveva intenzione di collaborare. Continuava a dire che l’avevo costretta, che lei non voleva. Non so nemmeno ora se Mark le ha mai creduto. Fatto sta che si diplomò e poi partì immediatamente per Kyoto, allontanandosi per sempre da me e da Isabelle. Ecco ora sai tutto quello che c’è da sapere ... i particolari te li risparmio. Conosci abbastanza il caratteraccio di Mark per sapere che per orgoglio commetterebbe anche l’errore più grande della sua vita-

-Che intendi?-

-La Nazionale Juniores lo ha convocato. D’altronde lui è la migliore punta di tutto il Giappone. L’ammissione in squadra è certa solo che quello stupido non ne vuole sapere. Benji mi chiama tutti i giorni dicendomi che né lui né Holly riescono a contattarlo, sono andati persino a Kyoto stamattina ma non l’hanno trovato. E l’accettazione deve arrivare entro la prossima settimana altrimenti verrà tagliato fuori. Isabelle era la mia ultima speranza-

-Ma come puoi chiedere aiuto a quella Strega dopo quello che ha fatto?-

-Non lo so, devo essere disperato…-

Shay rifletté in silenzio. Ora sapeva tutto di Mark. Un mucchio di incomprensioni che rischiavano di rovinargli la vita. Ma che poteva fare lei? Che potere aveva su quel Bestione indemoniato?

-Non mi hai ancora detto cosa è successo una volta che hai portato Mark in camera tua …-chiese il portiere svoltando nella via che portava alla casa della ragazza.
 
-O niente- borbottò Shay ringraziando il buio della notte che nascose il suo rossore sempre più accentuato - Si è addormentato e il mattino successivo l’ho fatto uscire dalla finestra…- glissò fingendo noncuranza.

-Però gli hai salvato la faccia su tutti i fronti e ti sarà estremamente grato-

-Come no!- sbottò sarcastica -Prima mi ha aggredita come se fosse stata colpa mia se si era ubriacato da far schifo, poi non mi ha neppure detto grazie e quindi se ne andato senza manco salutarmi, non che mi importasse…-

-Sempre il solito. Orgoglioso sino alla fine. Ma non temere lui sa come pagare i suoi debiti-

-Non è in debito, l’ho fatto perché così mi sembrava giusto. Punto e basta-

-Beh come ricompensa potresti chiedergli di accettare la convocazione-

-E’ un’idea…non so forse potrebbe funzionare…-

Il tono del ragazzo mutò radicalmente -Casa tua è questa tutta illuminata?- chiese Ed allarmato, scrutando un villino color sabbia.

-Sì…che strano sono ancora tutti svegli-

-Ho un brutto presentimento … Te l’avevo detto che dovevi avvertire!- sbottò il portiere inalberandosi - Cazzo sono stato un idiota a non insistere!-

Ed scese in tutta fretta dall’auto imitato dalla ragazza -Dai andiamo che spiego a tuo padre l’equivoco, sperando che non mi cavi gli occhi - borbottò afferrandola per mano e trascinandola lungo il vialetto.

Shay non era nelle condizioni da poter condividere l’apprensione del ragazzo, percepiva solo il suo cuore che batteva a mille mentre fissava le dita brune del portiere intrecciate alle sue. Tutto il resto del cosmo le sembrava estraneo. Solo lei ed Ed avevano consistenza, solo le loro mani unite.

La porta di casa si aprì di scatto e suo padre seguito da Mark e Danny uscirono mandando in frantumi quella bolla romantica che la sua fantasia stava minuziosamente arricchendo di particolari.

-Shay grazie a Dio! Dove eri finita?- la apostrofò il signor Field afferrandola per le spalle e assicurandosi che fosse tutta intera - E tu chi sei?- sbraitò rivolgendosi al ragazzo alto e capellone accanto a sua figlia -Ti sembrano ore da riportarla a casa? Stavo per chiamare la polizia!-

Shay non tentò di discolparsi, stordita dalla reazione del padre. Era palesemente angosciato: ma allora le voleva ancora bene!

-Ed che ci fai tu con Shay?- chiese Danny stupito, fissando incredulo il portiere.

-Lascia stare Danny, la risposta mi sembra anche troppo ovvia- intervenne caustico Mark squadrando Ed con odio per poi passare a Shay. Neanche a lei venne risparmiata un’occhiata astiosa – Entra in casa mocciosa che a questo Bastardo ci penso io- ringhiò trattenuto a stento da Danny.

-Come l’ultima volta, Bestione? – lo apostrofò lei senza scomporsi minimamente - Il tuo sport preferito è prendere Ed a pugni a casa MIA?- chiese per niente intimidita dall’ennesimo sguardo aggressivo di Mark.

-Che stai dicendo Shay?- chiese suo padre perplesso.

-Lo so io - taglio corto la ragazza – A proposito lui è Ed Warner papà, un mio ….amico… Ed mi ha invitata fuori per una pizza e io non ho …ehm…pensato ad avvertirti. Non avevo intenzione di fare così tardi, il tempo è volato- spiegò con tono remissivo e leggermente mielato.

Il signor Field si sciolse come neve al sole di fronte allo sguardo affranto della figlia. Eccola la sua bambina! L’aveva ritrovata finalmente!-Va bene, l’importante è che tu stia bene- concesse, troppo sollevato nel vederla sana e salva.

-Qui non va bene un corno! Reeve non puoi farti abbindolare così dalle moine di questa…questa…- sbottò Mark fuori di sé dalla rabbia.

-Attento a quello che dici ragazzo!- lo redarguì il signor Field impedendogli di pronunciare qualsiasi insulto di cui poi si sarebbe forse pentito –Ti ho già spiegato che le questioni con mia figlia sono private e che non ammetto interferenze di alcun tipo- continuò guardando severo il figliastro più grande.

Shay sentì un’ondata di amore pervaderla, un amore mai sopito per quel genitore che la difendeva a spada tratta anche contro un energumeno come il Bestione. Il suo papà, il suo coraggioso e unico papà!

-Oh papà…- esclamò estasiata affondando il volto nel petto del genitore e gettandogli le braccia al collo. Sorpreso e piacevolmente colpito da quel gesto di affetto della figlia, atteggiamenti un tempo consueti tra di loro, ma che negli ultimi mesi erano del tutto scomparsi -Oh cara!-

-Ma bene sempre meglio- sbuffò Mark dando le spalle a quello spettacolo ai suoi occhi disgustoso. Un uomo ridotto allo stato larvale da una mocciosa, c’era qualcosa di più disgustoso al mondo? Solo una cosa: la brutta faccia di Ed.

-Sparisci tu e gira alla larga dalla me e dalla mia famiglia e poiché da poco anche Shay ve ne fa parte, stalle lontano o la prossima volta non risponderò delle mie azioni- urlò avanzando minaccioso verso il portiere che lo fissava guardingo pronto a scansare un sicuro destro.

-Come ti permetti di minacciare i miei amici?- sbottò Shay divincolandosi dall’abbraccio paterno e frapponendosi ancora una volta tra Ed e Mark, evidentemente quella era una posizione a cui si doveva abituare –Non osare immischiarti nella mia vita- lo minacciò pensando perplessa che quella era la stessa frase che Mark le aveva rivolto circa un mese prima dopo lo scontro con Ed.

Era buffo, continuavano a chiedersi di stare uno fuori dalla vita dall’altra, eppure continuavano ad incappare sulla stessa strada, e lei ora doveva anche convincerlo ad accettare la convocazione. Davvero buffo, quasi quasi le sarebbe venuto da ridere, peccato che l’espressione a dir poco furibonda di Mark non le permettesse quasi di respirare.

-Shay, Mark si preoccupa per te…- intervenne Danny indeciso se temere più la reazione di Mark, di Shay o di Ed.

-Oh guarda chi c’è!- sbottò lei ironica squadrando con freddezza l’ex amico - Da un mese non  mi rivolgi la parola e ora, caro Dan, ti trovo nel cuore della notte in casa mia e mi dai amichevoli consigli sui miei rapporti con …ehm…questo tale che dovrebbe essere il mio…fratellastro-

Era la prima volta che pronunciava quella parola. Non aveva un bel suono e pesava più di macigno.

-Mi ha chiamato tuo padre e io sono corso immediatamente, accidenti ci hai fatto morire di paura! Mark ha ragione sei una bambina viziata ed egoista, che non merita…-

Lo schiaffo colpì Danny in pieno volto. Il ragazzo fissò incredulo l’amica di fronte a lui con il braccio ancora sollevato –Non merito cosa? Un amico come te? Il tuo appoggio? Questo me lo hai già fatto capire chiaramente, una volta sola ti ho chiesto di scegliere e tu mi hai sbattuto in faccia la tua scelta: il Capitano vale più di me Dan? Ok lo accetto ma ciò che non ti perdonerò mai è di non avere neppure avuto il coraggio di dirmelo. Sei un vigliacco e a me i vigliacchi fanno schifo!- esplose lasciando che la sua frustrazione uscisse come una valanga incanalata tra due stretti costoni –Sparisci non voglio avere più niente a che fare con te!-

Mark si mise in mezzo afferrandola per il braccio che lei teneva ancora a mezz’aria -Non è il caso di prendersela con Danny ora, queste scene madri non funzionano cara mia. Il punto è che…-

Shay lo guardò con odio strattonando il braccio con tale forza da sfuggirgli. Non tollerava quel contatto: il tocco di Mark le bruciava come fuoco vivo sulla carne -IL PUNTO È CHE ho fatto un errore che non si ripeterà più. IL PUNTO È CHE tu non accetti che mio padre l’ha capito e mi ha perdonata. IL PUNTO È CHE tu la stai facendo più grande di quello che è perché hai dei rancori personali verso Ed! Se fossi tornata con un altro avresti fatto tutto questo strepito? Il problema è tuo non mio Bestione!-

Mark la fissò rosso di collera, le sopracciglia talmente inarcate da formare quasi due triangoli -Sei impossibile! Ora giri le carte in tavola come ti pare…-

-Basta così!- intervenne con decisione il signor Field -è notte fonda e stiamo urlando in mezzo ad una strada. Shay entra in casa e anche tu Mark, Danny ti riaccompagno a casa e tu…ehm… Warner…beh avrei piacere di scambiare due chiacchiere con te in un altro momento…-

-Certo signore- rispose Ed accennando un educato inchino- A Danny ci penso io se per lui va bene- disse guardando di sfuggita l’amico che continuava a massaggiarsi incredulo la guancia arrossata osservando con occhi spalancati Shay che ora non lo degnava più neppure di un’occhiata.

-Danny?- chiamò il signor Field notando che il ragazzo non rispondeva –Ti va bene se ti accompagna il tuo amico?-

-Cosa? Sì certo signore, nessun problema- balbettò arrossendo e muovendo qualche passo incerto verso l’auto del portiere.

-Bene allora buonanotte a tutti- concluse l’uomo afferrando il braccio di Shay con una mano e quello di Mark con l’altra.

Non appena entrata in casa, Shay percepì un repentino movimento sul pianerottolo e il rumore camuffato di alcuni passi leggeri, passettini da bambino. E così pure i piccoli erano rimasti svegli per lei. In fondo, forse, quella avrebbe potuto davvero essere una famiglia.

Il signor Field si schiarì la voce sforzandosi di assumere un tono autoritario -Shay ora fila in camera tua, sino a sabato non uscirai la sera e dopo gli allenamenti ti voglio a casa, questo per farti capire che bravate del genere non le accetto da una ragazza che reputo … ehm…giudiziosa…nonostante ultimamente tu me ne stia facendo passare di tutti i colori-

-Scusa papà, perdonami, non accadrà più-

I due uomini si scambiarono un’occhiata incredula, entrambi erano pronti ad affrontare l’ennesima sfida ed invecelei mestamente chinava il capo, accettando la punizione senza fiatare.

Il signor Field annuì sempre più sconcertato –Ehm…quindi….bene… buonanotte allora-

-‘Notte- rispose la ragazza avviandosi in camera sua.

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Capitolo 13
*** Tregua? ***


~~CAPITOLO XIII. TREGUA?

Mark aprì il frigorifero e scrutò perplesso le molteplici bottiglie colorate disposte ordinatamente negli appositi ripiani. Latte intero, latte scremato, latte e cacao … oddio gli veniva la nausea solo a guardarli quei bricchi! Scelse un innocuo succo di frutta alla pera e mandarino dall’etichetta accattivante e richiuse l’anta dell’elettrodomestico con un leggero colpetto del fianco.

Sollevò il bel volto imbronciato sbirciando l’orologio appeso alla parete illuminato dalla fievole luce d’emergenza, che segnava le tre e mezza del mattino. Accidenti a lui! Lo voleva capire che quando aveva bisogno di pace, l’ultimo posto in cui la poteva trovare era casa sua? Già un mese prima aveva avuto la “splendida” idea di tornare a Tokyo per un paio di settimane, nella speranza di allentare la soffocante tensione che da un po’ di tempo lo tormentava. Quella sensazione di perenne scontentezza lo aveva completamente distolto dallo studio facendogli perdere un’intera sessione d’esami. Come una piccola onda che si ingrossa man mano che si avvicina alla costa, quel malessere diveniva di giorno in giorno più ingombrante e, neppure i banali diversivi con cui impegnava le giornate per sopperire all’abbandono del calcio e degli allenamenti, avevano ormai la benché minima efficacia. Aveva troppo rispetto per se stesso e per quello sport, per definire le sciatte partite della domenica pomeriggio contro gli atenei universitari di Kyoto, del calcio vero e proprio. Quello aveva smesso di praticarlo quando aveva abbandonato la Toho School e messo da parte qualsiasi ambizione di entrare nel mondo del professionismo. E di tutto ciò doveva ringraziare solo una persona.

Respirò a fondo per controllare la rabbia che infuriava in lui sino a fargli ribollire il sangue nelle vene. Perché non riusciva a prender sonno? Almeno quando dormiva se ne stava tranquillo …

E poi, perché diavolo sua madre si era innamorata del padre di una rivoluzionaria in piena crisi esistenziale che tiranneggiava l’intera famiglia? E manco gli bastava a quella! Non contenta, la Peste, si era pensata bene di introdurre in casa Ed, soverchiando qualsiasi limite che lui fosse disposto ad accettare. Lo aveva ferito, umiliato, distrutto sino al punto da farlo ubriacare. E poi, da perfetto coglione quale era, si era fatto beccare da quella Arpia che, per un motivo ancora non chiaro, lo aveva nascosto in camera sua. Gli era grato per quel gesto generoso, ma dubitava fortemente che si trattasse di un impeto di bontà e attendeva da un momento all’altro la resa dei conti. Un conto che sapeva, gli sarebbe costato caro.
Si sedette su una delle sette sedie che contornavano il tavolo, stringendo forte il bicchiere tra le mani, incurante del liquido giallognolo che oscillava pericolosamente avanti e indietro.
L’ex punta giapponese trasse un ulteriore respiro, facendo sollevare e riabbassare ritmicamente il petto scolpito. Rimuginò a lungo, immobile, completamente assorto. Eppure, per quanto ci provasse, non riusciva a darsi una spiegazione convincente di quanto accaduto e il comportamento di Shay rimaneva per lui un inestricabile mistero. Il giorno seguente a quell’increscioso incidente, l’aveva spiata con fare guardingo, quasi bellicoso, aspettandosi da un istante all’altro che lei rivoltasse tutta la faccenda a suo favore, mettendolo in cattiva luce agli occhi del padre. Aveva udito con le proprie orecchie l’abilità con cui la Peste sapeva mutare i dati di fatto, volgendoli a suo vantaggio. Si era aspettato che si inventasse una storia assurda, del tipo che lui le avesse fatto chissà quale violenza, al solo scopo di far cacciare la matrigna. Quello che lo indispettiva maggiormente era la consapevolezza di non potersi difendere di fronte alle possibili accuse della ragazza, dal momento che di quella notte non aveva il minimo ricordo. Per quanto ne sapeva poteva averla violentata sul serio. Ma che andava a pensare! Non l’avrebbe mai toccata neppure offuscato dall’alcool. Assurdo! Il solo pensiero lo disgustava!
Mark sorseggiò il succo e sorrise tra sé e sé. Se solo avesse tentato di baciare quella iena scatenata, come minimo gli avrebbe cavato gli occhi. Invece si era svegliato con un terribile mal di testa, ma nessun segno visibile sul corpo. Né un occhio nero né un graffio sospetto. Niente di niente.

E quella Peste fetente, il mattino dopo, lo aveva accolto con quella luce canzonatoria nelle iridi trasparenti e, cosa ancor peggiore, quel pungente sarcasmo, corrosivo come l’acido, che ormai le conosceva bene e faceva schizzare la sua collera oltre ogni umana sopportazione. Come la detestava!

Ma nonostante tutto, un punto a favore glielo doveva dare: Shay non aveva raccontato ad anima viva i fatti di quella notte, né lo aveva mai provocato con occhiate allusive. Si era semplicemente rinchiusa in un mutismo forzato, estraniandosi sempre più dal tranquillo menage familiare. Dopo poco aveva deciso che non era il caso di insistere con la sua permanenza in casa, la passività e l’apatia dietro cui la ragazza si era trincerata, lo avevano messo in allarme. Aveva preferito tagliare la corda, sperando che le cose in casa migliorassero.

Era tornato a Kyoto, nello squallido appartamento che divideva con altri due studenti di cui conosceva a malapena i nomi. In effetti, tra partitelle e corsi universitari, a casa ci andava solo per dormire. I giorni avevano ripreso a ripetersi sempre uguali e la sensazione di vuoto lo aveva riagguantato, accentuandosi invece che diminuire.

E poi quel maledetto Price che continuava a cercarlo senza sosta al cellulare e a casa e ora, non contento, aveva chiesto man forte al mezzo finocchio di Hutton e quel caccasotto di Becker….pure Harper, Daimond, Callaghan, Ross, l’avevano subissato di chiamate. Un fuoco incrociato che gli stava avvelenando il sangue. Come se per lui fosse facile rinunciare così ad un’opportunità unica! Eppure non poteva fare altrimenti, era certo che Ed sarebbe entrato in squadra. Cazzo! Lo aveva allenato lui, ne aveva fatto un campione completo. Ed e Benji erano quasi sullo stesso piano. Due portenti a cui la Nazionale non avrebbe rinunciato per nulla al mondo. E lui? Lui era la Tigre, sicuramente un giocatore apprezzato, che avrebbe potuto dare molto alla squadra, avrebbe fatto la differenza sotto la regia di Hutton che, per quanto finocchio, in campo era sempre il numero uno. Ma come accettare Ed di nuovo a suo fianco? Dover vedere ogni giorno la palla stretta tra le mani traditrici di quel bastardo? Le stesse mani che si erano avvinte senza scrupoli su Isabelle, quando lei era sua? No, non lo avrebbe mai accettato, neppure tra mille anni.

L’umiliazione che aveva provato trovandoli a letto assieme, il senso di rottura, di perdita, il dolore che lo aveva accecato, spingendolo a scaraventare lei per terra e sfogare sul corpo dell’amico la sua rabbia, li sentiva ancora forti come allora.

Quella nera sensazione di solitudine l’aveva spinto ad affogare sensi ed emozioni nell’alcool, per la prima volta in vita sua si era ubriacato al punto da non capire più nulla, al punto da cancellare la sua memoria per lunghe ore. Aveva vagato disperato per le strade della città, facendo cose di cui non avrebbe mai saputo nulla, concedendosi pensieri che non gli appartenevano. Si era svegliato all’alba con la testa che gli scoppiava ed il corpo intirizzito, accasciato su una lercia panchina del parco. Senza comprendere bene perché fosse lì e non nel suo letto, aveva atteso con pazienza che il sole sorgesse in cielo, riscaldandosi ai primi raggi del giorno. Ma, man mano che il freddo abbandonava le sue membra, un gelo più profondo e doloroso aveva avvinto la sua anima, un gelo che non lo avrebbe mai più abbandonato. Il gelo del tradimento.

-Nottambulo anche tu?-

Mark fece un salto sulla sedia lasciandosi sfuggire il bicchiere dalle mani che si capovolse, rovesciando sul tavolo tutto il suo contenuto.

-Porc….- imprecò, scostandosi in fretta e spalancando le gambe anche se ormai il succo di frutta gli aveva bagnato buona parte dei pantaloni del pigiama.

-Uhm…ti ho spaventato…chissà a cosa stavi pensando per non accorgerti neppure che ho acceso la luce … - bofonchiò Shay con aria assonnata, aprendo il frigo e scrutando al suo interno.

-Al diavolo! - replicò Mark alzandosi e guardandola furente - Dammi una mano almeno!- sbottò recuperando un rotolo di carta assorbente e cominciando ad asciugare tavolo e pavimento.

La ragazza sbadigliò - … mica è colpa mia se ti eri perso in mondi paralleli…-

-Non potevi startene a letto?- grugnì a denti stretti il giovane sbattendo la carta fradicia nel cestino dell’immondizia.

-Idem per te- replicò lei imperturbabile, sorseggiando con calma il suo bicchiere di succo.

Mark continuò ad imprecare a bassa voce, sciorinando una serie di epiteti irripetibili, recuperò il bicchiere ed aprì il frigo deciso ad ignorare quella fastidiosa presenza che gli aveva così bruscamente interrotto le sue riflessioni notturne. Non che fossero particolarmente piacevoli, forse Shay gli aveva anche fatto un piacere, dopotutto.

-Ma…dov’è il succo?- chiese sorpreso cercando con lo sguardo all’interno del frigo dove poco prima aveva riposto la bevanda.
 
-L’ho finito io- disse lei sventolandogli davanti il contenitore vuoto.

Mark riprese ad imprecare furioso.

La ragazza alzò gli occhi al cielo spazientita -Bestione non la prendere così, non è mica colpa mia se hai preferito dar da bere ai tuoi pantaloni con l’ultimo bicchiere di succo che ti spettava … – asserì sbandierandogli davanti al naso il liquido agognato -Questo è per me- aggiunse divertita portandosi il bicchiere alla bocca ed ignorando le ennesime parolacce che uscivano dalla bocca del ragazzo - Beviti il latte- aggiunse non paga dell’espressione omicida di lui.

-Mi fa …. venire il mal di pancia-

Davanti allo sguardo vagamente imbarazzato del ragazzo, come se rivelare quell’innocua intolleranza fosse chissà che debolezza, Shay non riuscì a trattenersi e gli scoppiò a ridere in faccia –Grande e grosso come sei non digerisci il latte…povero, delicato … Bestione- lo canzonò con fare sdolcinato.

-E non mi prendere in giro, Peste- sbottò lui guardandola in un modo che non prometteva niente di buono.

Shay rimase insensibile alle sue poco velate minacce, liquidandolo con una sfrontata alzata di spalle e riportandosi il bicchiere di succo alla bocca come se il fatto che lui fosse fumante d’ira repressa non fosse minimamente affar suo.

Come osava quella bamboccia prendersi gioco di lui? Perché più si infuriava e più quella sembrava divertirsi?

Fu questione di un attimo: con un’unica falcata il cannoniere coprì lo spazio che li separava e le strappò letteralmente il bicchiere dalle mani pallide -Ma cosa…- esclamò Shay incredula mentre osservava attonita il ragazzo ingurgitare il suo succo sino all’ultima goccia.

- Tu il latte lo puoi bere- replicò tronfio, asciugandosi la bocca con il dorso della mano.

-Tu…tu…brutto Bestione prepotente come osi…-.

-SSSh che svegli tutti- replicò lui stentando a trattenersi dal ridere. Era veramente divertente vederla rossa di rabbia con quegli occhi incredibili che lo minacciavano di fargli chissà che cosa. Povera piccola che ci provasse solo a sfiorarlo…

Shay lo squadrò dalla testa ai piedi. Era grosso, molto grosso. Si impose di contare sino a dieci ma al tre l’espressione beffarda di lui le fece perdere il controllo e mettere da parte anche quella fiammela di buonsenso che le era rimasta. Senza indugiare oltre, gli sferrò, con mossa fulminea, un potente calcio sul fianco, una zona non particolarmente delicata ma comunque assai dolorosa. Il primo impulso era stato spaccargli una rotula ma, se lo avesse fatto, poi avrebbe dovuto spiegare ad Ed che invece di convincere il “caro” Capitano a partecipare alle selezioni, gli aveva per sempre stroncato la carriera di giocatore professionista.

Lo vide sbiancare e mollare il bicchiere ormai vuoto nel lavabo che non si ruppe per puro miracolo. Senza scomporsi di una virgola, Shay rimase a fissare quel corpo massiccio piegarsi di lato come una vela sferzata dal vento. Entrambe le mani abbronzate di Mark si strinsero a pugno sul fianco colpito e nessun altro movimento interruppe l’immobilità perfetta di quella notte. Per alcuni secondi la ragazza fissò il capo chino di lui coperto interamente dalla folta massa di capelli ribelli, il respiro mozzato e tutti i muscoli contratti in un spasmo di dolore.

Ma fu solo la debolezza di un attimo. Mark risollevò il capo e la investì con un’occhiata che le fece ghiacciare il sangue. Ancor prima di realizzare che stesse facendo, Shay si ritrovò a scappare a gambe levate, pregando Iddio e tutti gli altri possibili Dei del cielo, che le facessero trovare in fretta la rampa delle scale che portava alle camere.

Si fiondò in salotto ma il buio totale le fece perdere l’orientamento così, invece di dirigersi verso il piano superiore, si ritrovò incastrata tra il tavolino ed il divano. Percepì con un misto di apprensione e terrore una presenza massiccia alle spalle, troppo vicina per poterla evitare. La ragazza si voltò di scatto conscia che l’unica speranza di salvarsi la pelle era affrontarlo a viso aperto. Sollevò in alto i pugni per proteggere il volto ed il petto dall’attacco di quell’energumeno che aveva tanto maldestramente provocato.
Le sopraciglia di Mark scattarono verso l’alto sottolineando le iridi scurissime velate di dolore ma anche di sorpresa. Che posizione era quella? Che diavolo di arte marziale padroneggiava con tanta dimestichezza quella iena?
-Tirami un altro calcio e ti spacco tutti i denti …- la minacciò tentando di afferrarla per un polso.
La ragazza colse dal pericoloso scintillio degli occhi di lui che quelle non erano minacce vuoto -Non un’altra volta i denti…- farfugliò rivivendo in un gelido flashback tutto il lancinante dolore provocato dal potente pugno dell’avversario seguito dal sapore ferroso e dolciastro del sangue in gola impastato di denti frantumati. Come era vivido quel ricordo … Che l’avesse già colpita e non se n’era neppure accorta?
Colta dal panico fece ciò che un boxeur esperto come lei non avrebbe mai dovuto fare: abbassò la guardia portandosi una mano alla bocca.

Mark, che non attendeva altro, socchiuse appena gli occhi pronto allo scatto, come un felino un attimo prima di piombare impietoso sulla sua preda. Con mossa decisa la afferrò per i fianchi attirandola contro di sé sperando di immobilizzarla contro il suo corpo muscoloso. La reazione di lei non si fece attendere, con un colpo di reni tentò di sgusciargli dalle braccia prima che queste si chiudessero come una morsa attorno alla sua schiena. Ma il ragazzo non si fece trovare impreparato, ormai i suoi sensi erano ai limiti massimi di allerta e aveva ben capito che non poteva permettersi di farsi prendere in contropiede da quella mocciosa dalle mille risorse.

La ragazza fece un poderoso balzo all’indietro -Che cazz…- sbottò attonito mancando la presa e non potendo credere che fosse riuscita a sgusciargli via un’altra volta. Non intenzionato a farsi mettere nel sacco per l’ennesima volta, si gettò a peso morto in avanti, piombandole letteralmente addosso e trascinandosela dietro sul divano in un turbinio di cuscini che finirono, in buona parte, per terra. 

Mark le finì involontariamente sopra e per un attimo temette di averla spezzata in due, ma non fece neppure in tempo a dare corpo a quel pensiero, che la sentì dimenarsi con forza sotto di lui -Stai ferma- le ordinò mentre lei continuava a torcersi come un’indemoniata contro il suo petto, scalciando alla cieca.

La ragazza non aveva alcuna intenzione di quietarsi e, ormai obnubilata dal terrore e dal senso di soffocamento che quel corpo massiccio le provocava, tentò di colpirlo in ogni modo, ormai incurante di rompere rotule o femori, intenzionata solo a salvare le sue di ossa.

-Ma vuoi star ferma?- ansimò lui nel vano tentativo di bloccarla senza farle male e senza ribeccarsi un altro dei suoi temibili calci in luoghi a cui non voleva neppure pensare. Accidenti! Quanta potenza nascondeva quel corpo all’apparenza così innocuo? Era uno stupido! Ogni volta la sottovalutava e ogni volta si ritrovava al tappeto!

Mark aumentò la violenza nei suoi gesti sino a quel momento opportunamente calibrati, ma quell’ossessa sembrava non comprendere i suoi sforzi e gli sgusciava da tutte le parti peggio di un’anguilla. Possibile che fosse così cretina da non accorgersi che l’inferiorità fisica le imponeva come minimo di arrendersi senza fare storie?

Il cannoniere digrignò i denti per impedirsi di insultarla, afferrò le braccia di lei che lo stavano tempestando di pugni dappertutto e la strattonò un paio di volte con tutta la forza che riteneva fosse sufficiente a bloccarla senza ferirla seriamente. Si stupì nel percepire i muscoli fibrosi della ragazza guizzare sotto le sue dita ed opporre una dignitosa resistenza, aveva dei bicipiti di tutto rispetto e ora capiva molto meglio come mai non fosse in grado di tenerla ferma. Altro che fanciulla gracile e piagnucolosa, quella era un’atleta con la A maiuscola che aveva forgiato il suo fisico con ore e ore di allenamenti. Aumentò ancora la forza dei suoi colpi ormai conscio che non rischiava di farle eccessivo male. Le affondò con forza le dita nella carne degli avambracci e, dopo non poca fatica, riuscì ad imprigionarle entrambi i polsi con una sola mano portandoglieli sopra la testa, quindi scivolò leggermente indietro sistemandosi a cavalcioni sopra il ventre di lei.

Shay si fermò un attimo, giusto il tempo di dargli la sensazione di avere vinto.

-Oho … ti sei calmat….- il calciatore non fece neppure in tempo a terminare la frase che una ginocchiata si conficcò dritta tra i suoi reni. Il colpo inaspettato lo scaraventò in avanti facendolo finire disteso sopra il volto di Shay, schiacciandolo tra il divano e i suoi pettorali.

Mark percepì un qualche cosa di indistinto scricchiolare sotto il suo non indifferente peso – Sei … sei tutta intera?- chiese con apprensione sudando freddo e sollevandosi più in fretta che poteva nonostante il dolore diffuso alla schiena. Trattenne il fiato mentre osservava con apprensione il volto mortalmente pallido di lei contratto in una smorfia di dolore. Gli occhi erano serrati con forza, il naso arricciato e le labbra talmente strette da sembrare due inconsistenti striscioline bianche.

-Shay…- chiamò piano riprendendo a respirare solo quando la vide riaprire gli occhi e apostrofarlo con un vocabolo talmente volgare che lui stesso usava solo in situazioni di estrema emergenza. Quella stupida si era fatta male da sola, per fortuna non c’era nulla di rotto, ma la doveva immobilizzare del tutto se non voleva che se ne facesse dell’altro. Scivolò più giù in modo da posizionarsi  sopra le cosce, le strinse con forza tra le sue ginocchia, impedendole così, una volta per tutte, di scalciare.

Dolorante e col fiatone Mark si concesse qualche istante di pausa per permettere ad entrambi di fare il conto dei danni. Quando fu sicuro di essere sufficientemente calmo e padrone della situazione, tornò ad esaminare l’essere sotto di lui che lo guardava terrorizzato. Neppure uno scontro con Price lo aveva mai fiaccato tanto! Il fianco gli pulsava dolorosamente e la ginocchiata sui reni era stata la ciliegina sulla torta … il giorno dopo non era sicuro che sarebbe riuscito ad alzarsi dal letto … Oh ma ora la signorina l’avrebbe pagata cara….

Poteva spaccargli le ossa una ad una, oppure farle saltare sino all’ultimo dente, o strapparle le unghie con sadica soddisfazione o impedirle per sempre l’uso di quelle gambe che utilizzava come armi improprie … oppure … avrebbe potuto baciare quelle labbra da cui troppo spesso erano uscite volgarità, insulti e frasi pungenti … anche se, vederle così, che tremavano impaurite, come due rosei petali mossi dal vento, vulnerabili e dolci, non ispiravano rabbia o rancore … solo un’intensa esigenza di essere sfiorate da altre labbra. Chissà se dopo averla baciata avrebbe ancora avuto il coraggio di beffeggiarlo, insultarlo, umiliarlo e quant’altro…

Baciare?!?!?!?! Ma era impazzito? Se poco prima si era detto che la sola idea lo disgustava! Eppure ora quel visetto pallido non gli sembrava poi tanto disgustoso … eh già … gli appariva diversa quella notte, più morbida, più donna. Il petto di lei si muoveva agitato sotto la stoffa del pigiama di flanella disseminato di angioletti celesti e rosa, le sue curve gli sembravano floride e invitanti, strano avrebbe giurato che fosse ancora poco sviluppata. Mark fissò come ipnotizzato il petto di lei celato dietro a dei casti angioletti dalle ali spiegate per poi risalire lentamente lungo la curva delicata del collo e quindi bloccarsi nuovamente su quella bocca appena dischiusa … decisamente dire che lo disgustava era un’esagerazione … anzi una bugia bella e buona … che sapore poteva avere Shay? Amaro come il suo sarcasmo? O dolce come le sue curve? Dolce. Era dolce. Così immaginava … anzi sapeva … sapeva che, a dispetto delle apparenze, la bocca di lei era dolce e accogliente. SAPEVA?!??!? Come diavolo faceva lui a sapere una cosa del genere? A meno che….

-Shay che ti ho fatto quella notte che mi hai portato ubriaco in camera tua?- chiese tentando invano di assumere un’espressione imperturbabile.

Lei colse nettamente la vergogna alterare i lineamenti decisi del ragazzo ed offuscare appena  le iridi incredibilmente brune -Se mi lasci te lo dico…- patteggiò fissandolo con intensità, incoraggiata da quell’ attimo di smarrimento. Ora che era tornato a parlarle le sembrava di nuovo umano e non il mostro sanguinario in cui per un attimo aveva temuto di essersi imbattuta.

-Non se ne parla nemmeno rispondimi e …ricordati che ho una mano libera al contrario di te che hai libera solo la bocca…-

Lei si mosse appena -Uhm…- biascicò, torcendo le mani nel tentativo di liberare i polsi da quella presa granitica.

Mark la fulminò con un’occhiata -Non farmi arrabbiare e rispondimi-

-Ni...niente…- balbettò abbassando lo sguardo e sentendosi arrossire, ma rincuorata dall’idea che c’era troppo buio per poter vedere le sue guance in fiamme.

-Sicura?- chiese lui poco convinto.

-Insomma che vuoi che ti dica? Non ricordi proprio niente?- sbottò snervata da quella posizione di impotenza forzata. Come lo odiava era così forte e virile da metterla sempre sotto! Proprio non lo sopportava!

-No, come potrei? Ero ubriaco fradicio…- ammise Mark, vergognandosi come un ladro al solo ricordo.

-Questo lo confermo. Eri talmente ubriaco che urlavi come un dannato ho dovuto supplicarti di stare zitto per non svegliare tutti e tu mi hai persino morso!-

-Morso?!?!-

-Sì non volevi tacere ma in realtà eri solo stanco è bastato che ti appoggiassi al letto per farti addormentare…-

-E non ho detto o fatto niente?-

- NO- dichiarò con impeto – Co…come te lo devo dire?- aggiunse con tono più sommesso sperando di non essersi tradita del tutto.

- Ma io ricordo…-

Shay si sentì venir meno -Allora ricordi!-

-SSSHH Peste!- la riprese, tappandole la bocca con la mano libera e chinandosi ancor di più su di lei. Perché quell’urgenza di averla più vicina? Di sentire i suoi seni pieni spingere contro di lui? Perché l’azzurro intenso di quegli occhi lo attirava tanto?

Non appena percepì la consistenza delle forme morbide di Shay contro il suo torace, sentì un familiare calore al basso ventre e maledì con tutto se stesso la sua natura sin troppo umana. Perché cazzo non si era fatto quella cretina del corso che gli si era praticamente infilata in camera? Ora il suo testosterone sarebbe sicuramente stato a livelli accettabili e lui non si sarebbe sentito così …teso.

–Non ricordo granché ma ho qualche flash…- disse ricacciando indietro con rabbia le sue esigenze corporali -Dimmi che è successo!-

Shay attese che lui le liberasse la bocca, ma rabbrividì quando la mano di Mark scivolò sulle sue labbra con la delicatezza di una carezza più che di una presa per farla tacere.

Shay recuperò un fil di voce – Davvero non è successo niente…- spiegò sentendosi terribilmente sciocca: perché il tocco di quel Bestione la turbava tanto? - Blateravi a caso qualcosa su…Isabelle…- buttò lì stringendo forte le labbra come se temesse di aver detto troppo.

-Isabelle?- ripeté allarmato scrutandola con circospezione -Che ti ho detto?-

Shay percepì il corpo del ragazzo contrarsi contro di lei ma non comprese la natura di quella tensione, ingenuamente la attribuì alla rabbia che lui provava nei suoi confronti. Nonostante fosse convinta di detestare quella massa ingombrante, non riuscì a bloccare il ricordo di quello stesso corpo rigido di desiderio contro di sé e, cosa ancor peggiore, non poté nulla contro il vuoto alla stomaco che la rimescolò tutta. Chiuse gli occhi per un istante chiedendosi se quella sensazione confusa che provava le piacesse o meno. Li riaprì senza aver trovato una risposta. Sapeva solo che tutta quella situazione le dava fastidio, molto fastidio.

In ogni caso quella volta si era eccitato credendo di avere Isabelle tra le braccia.

-Peccato…-

Peccato?!?!!? Ma era scema?!?!? Quel Bestione senza cervello?!?!? E che se ne sarebbe fatta lei di un coglione del genere?

-Sì Isabelle- sbottò furibonda, a quel punto, più con se stessa che con lui -Ma ora lasciami, davvero o mi lasci o non ti dico più niente- lo minacciò con foga, riprendendo a dimenarsi con più decisione.

-Ok ok sta calma- Mark allentò piano piano la presa dai suoi polsi senza staccarle gli occhi di dosso, poi lentamente, le scivolò di lato liberandola del tutto se non per un braccio che continuava a tenerle allacciato attorno alla vita sottile –Per sicurezza- le disse piano accennando un sorriso – Ora dimmi tutto-

Lei si bloccò all’istante. Il repentino cambiamento avvenuto nel ragazzo la raggelò. Il suo istinto le diceva che questo lato sensuale e accomodante di Mark era per lei ancora più pericoloso di quello aggressivo con cui aveva avuto più volte a che fare -Ecco mi hai scambiata per lei, hai tentato qualche approccio …-

Mark inarcò le sopraciglia perplesso -Che tipo di approccio?-

Shay lo guardò facendo una smorfia allusiva.

-Ci sono riuscito?- chiese stupito.

-No… - replicò in fretta. Troppo in fretta.

-Vuol dire sì- rettificò costernato -Ma non avevo lividi il giorno dopo!-

-Ma non ti ho picchiato!- sbottò indignata. Per chi l’aveva presa? Per una che pestava a sangue un ubriaco incapace di difendersi? - Hai tentato di baciarmi …credendo che fossi lei ovviamente … e sul più bello mi sei crollato addosso addormentato e non ti sei più svegliato sino a che non mi hai buttato giù dal letto…ma questo lo ricordi, no?- concluse spazientita.

-Sì- borbottò Mark guardando un punto indefinito davanti a sé –Shay?- chiamò dopo qualche secondo di silenzio.

-Eh?-

-Hai detto “sul più bello”?!?- chiese con tono allusivo tornando a guardarla con una strana espressione annidata in fondo agli occhi bruni.

Shay sentì l’indignazione salirle in testa – Ma sei fuori? È un modo di dire! Bestione non sei il mio tipo!- sbottò acida puntandogli le mani al petto e tentando invano di allontanarlo.

-Neanche tu sei il mio- rispose lui sullo stesso tono.

-Ecco un problema in meno- replicò asciutta.

-Già- commentò con un sorriso fugace che rasentava l’insolenza – E ora che altro problema abbiamo io e te?-

Shay rifletté in fretta, quello era forse il momento più adatto per chiedergli ciò che aveva promesso ad Ed. Mark ora sembrava tranquillo e rilassato, non sapeva esattamente dire perché, ma aveva la netta percezione che lui fosse soddisfatto della posizione in cui era, cioè disteso su un divano in piena notte con lei docile e mansueta tra le sue braccia. E inspiegabilmente anche lei ora si sentiva calma e al sicuro -Il tuo debito per esempio- buttò lì con fare indifferente.

-Il mio debito?-

-Sì, io ti ho salvato la faccia e tu hai un debito morale con me…- aggiunse con estrema circospezione. Stava giocando col fuoco ed aveva la certezza di scottarsi.

Ed infatti un lampo minaccioso attraversò le iridi nere del ragazzo, annientando in un lampo l’atmosfera di pace che si era inspiegabilmente creata -Uh! Me lo aspettavo sai? Mi chiedevo solo quanto ti saresti decisa a presentare il conto!- saltò sù acido, aumentando la presa sui fianchi della ragazza.

-No…non è come credi- cercò di spiegargli rabbrividendo suo malgrado sotto quello sguardo intenso e all’urgenza con cui le dita di lui si erano conficcate nella carne del suo fianco.

Mark si protese verso di lei -Ah no? E tu come fai a sapere che credo io?- le sussurrò talmente vicino che Shay sentì l’alito caldo accarezzarle la pelle sensibile del collo. Ma come si permetteva certe confidenze?!?!! Se non fosse stato tanto forte e grosso gliela avrebbe fatta passare lei la voglia di fare il latin lover da strapazzo! E con tutte le ragazze che c’erano in giro proprio con lei doveva giocare al seduttore? No, sicuramente stava fraintendendo la situazione, la stava solo prendendo in giro per spiazzarla e vederla arrossire d’imbarazzo. Ma se questo era il suo intento poteva aspettare in eterno, che credeva? Che fosse un’ innocente verginella totalmente ignara di come girava il mondo? Vergine anche lo era…ingenua proprio per niente!

Shay si agitò a disagio e immediatamente sentì le dita di Mark fare ulteriore pressione sul suo fianco infilandosi sotto l’orlo della maglia del pigiama. Un calore indicibile le si irradiò per il corpo non appena la pelle di lui trovò il contato con la sua –Uff…non ricominciare!- sbuffò spazientita dalle immagini che le scorsero veloci davanti agli occhi: ma perché diavolo le venivano in mente certe cose?!?!??!

Scosse il capo con forza come per dissipare la confusione nei suoi pensieri e incrociò lo sguardo interrogativo della Tigre che non la lasciava un attimo -Io voglio solo che tu spedisca la tua adesione alle selezioni per le Nazionale-

-Cosa?!?!?- sbottò allibito il ragazzo respingendola di scatto e rischiando di farla cadere giù dal divano.

-Hai capito bene. La tua convocazione come ricompensa alla mia buona azione- spiegò senza indugiare –Tutto qua- lo sfidò scivolandogli tra le braccia e ritrovandosi in ginocchio sul tappeto, finalmente libera.

Non le faceva né caldo né freddo la vicinanza di Mark, spiegò a se stessa, ma doveva ammettere che le idee le circolavano meglio se gli stava a debita distanza!

-È un’idea di Ed questa, vero?- ringhiò con ferocia Mark balzando in piedi e fulminandola con una truce occhiata.

Dio quanto era impressionante guardarlo in ginocchio in tutta la sua altezza, sembrava un gigante onnipotente. Shay deglutì un paio di volte prima di trovare il coraggio di rispondere –N..no-

-Bugiarda- ogni traccia di dolcezza che qualche minuto prima le era sembrato di scorgere su quel volto abbronzato, era repentinamente scomparsa e la consueta durezza aveva ripreso ad inasprire quei lineamenti virili.

-Non sono una bugiarda- si difese scattando in piedi. Meglio affrontarlo alla pari. O quasi…che fastidio: scalza gli arrivava a mala pena alle spalle.

-Sì che lo sei non è la prima volta che menti!-

-Se la metti così, allora sì è un’idea di Ed…ma anche mia …io voglio che tu partecipi a quelle maledette selezioni-

Mark la scrutò sospettoso prima di chiederle -Perché?-

-Perché…- poteva dirgli “perché sono cotta di Ed e farei di tutto per esaudire un suo desiderio” …mah…se voleva che Mark la sbattesse fuori di casa a calci avrebbe potuto dirgli quello…meglio un… -Così ti prendono, te ne vai beato in giro per il mondo e io mi libero di te!- spiegò soddisfatta.

-Uff! trova un altro stratagemma Peste, perché io in squadra con quel bastardo non ci voglio stare- ribatté Mark cocciuto, riavviandosi una ciocca di capelli neri che gli era caduta davanti gli occhi – Ah…- esclamò voltandole le spalle, prima di sparire definitivamente su per le scale lasciandola impalata come una statua di cera in mezzo al salotto – è l’ultimo avvertimento che ti do: stai fuori dalle mie faccende personali o…non garantisco più per la tua incolumità-

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Capitolo 14
*** Un amico ritrovato ***


~~CAPITOLO XIV.  UN AMICO RITROVATO

Shay stiracchiò nervosamente le gambe sotto il banco, sbirciando di sottecchi le manovre impacciate di Danny che, con una disinvoltura mal simulata, stava riprendendo posto accanto al lei.
Evitò accuratamente di incrociare lo sguardo del compagno, voltando il capo dalla parte opposta e fingendo interesse per il chiacchiericcio confuso di alcune compagne che stavano parlando fitto tra loro. Non era per nulla disposta a facilitare il compito a quell’ ingrato “Capitano-dipendente”!

Danny prese la sedia, aggirò il tavolo e si sedette impettito accanto a lei, esattamente nel momento in cui il trillo acuto della campanella segnalava l'inizio delle lezioni.

Il ragazzo tossicchiò un paio di volte ma, vedendo che l’amica non gli dava corda, trasse un profondo respiro con la ferrea intenzione di porre fine a quell'inutile ed infruttuoso silenzio che da quasi un mese si era instaurato tra loro -Ehm… mi siedo qui... di nuovo... posso?- 
A Shay, che lo stava attentamente seguendo con la coda dell'occhio, non sfuggì alcuno di quei goffi movimenti né tantomeno le scampò il livido violaceo che spiccava sulla guancia sbarbata del compagno. L'aveva colpito con tutta la forza e la rabbia accumulate in quel triste periodo ed il risultato doveva essere stato alquanto doloroso.

Si morse il labbro inferiore mentre un subdolo senso di colpa, sottile e acuminato come uno spillo, si faceva strada. Sapeva bene di non poter giustificare tutta la sua condotta incolpando gli altri di averla messa in uno stato di eccessiva pressione. Era sufficientemente onesta con se stessa, da ammettere di aver usato Dan come capro espiatorio per scaricare l’angoscia che il sentore di un ulteriore scontro tra il Bestione e Ed aveva suscitato in lei. Questa volta fu il suo turno di aprire bocca per dire qualcosa, ma la richiuse immediatamente, vergognandosi per la sua debolezza, in fondo, l’atteggiamento deplorevole di Danny nell'ultimo mese, giustificava ampiamente la sua spropositata reazione -Fa come vuoi- borbottò facendo spallucce - Non me ne importa niente- mentì, fingendosi intenta a cercare un fantomatico quaderno di appunti tra i libri ammonticchiati alla rinfusa di fronte a lei.

-Uhm ...-mugugnò il ragazzo per niente rassicurato da quella risposta così acida, ma l'arrivo inopportuno del professore, interruppe sul nascere ogni suo ulteriore maldestro tentativo di riavvicinamento.

Shay attese con le orecchie ben dritte che Danny aggiungesse qualche cosa. Nonostante la freddezza con cui aveva accolto quel timido inizio di dialogo, aveva, in realtà, un disperato bisogno di parlare di nuovo con lui, fosse anche per litigare. Le mancava il suo confidente, la sua spalla, il suo ago riequilibriatore!

Ma niente. Dan non solo non aggiunse altro, ma si finse interessato alla lezione, non rivolgendole  più la parola per l'intera mattinata, mandando così in frantumi ogni sua velleità di rivalsa.

Il suono dell'ultima campanella la colse infatti sfibrata e ormai pronta a capitolare: la prospettiva di un altro interminabile pomeriggio senza il conforto dell’amico, polverizzò anche l’ultimo rimasuglio di orgoglio, facendole prendere in mano la situazione. D’altronde, se aspettava i tempi di quell’imbranato, avrebbero potuto stare lì a guardarsi in cagnesco per un’altra settimana almeno… -Finisci l'allenamento alla solita ora? -gli chiese con un tono più freddo di quello che in realtà avrebbe voluto.

-Sì- rispose di getto lui voltandosi di scatto -Shay!-

- Danny!-

Le loro voci si sormontarono riecheggiando confuse nell’aula ormai vuota.

Shay percepì nettamente qualche cosa dentro di lei squagliarsi come neve al sole  -Prima io...-

-No prima io...-ribatté deciso Dan sporgendosi in avanti e tappandole la bocca con la mano, terrorizzato dall’idea che lei potesse aggiungere qualche cattiveria che gli facesse perdere il coraggio di dirle ciò che gli stava a cuore –Mi dispiace per tutto quello che è successo, non è come credi... io non ho scelto Mark, solo che non posso scegliere... tu non puoi chiedermi di...-

Shay sollevò il braccio e scostò dolcemente la mano dell'amico dalle sue labbra, rassicurandolo con lo sguardo -Ora lo so, non ti preoccupare non ti chiederò più di scegliere tra me e …il Bestione- disse scrutandolo a fondo -Ti prometto che risolverò la cosa da sola, ma tu dovrai rassegnarsi ad ascoltare i miei sfoghi...e voglio cominciare subito … - il suo sorriso si allargò e si trasformò in una risata liberatoria - … io proprio non lo sopporto quell Essere arrogante!- sbottò gettandosi la cartella in spalla ed uscendo dall’aula seguita a ruota dall’amico.

-No? A me è sembrato molto preoccupato ieri sera, credo che lui si sia affezionato a te -

Shay smise immediatamente di ridere -Ah sì? Ha proprio un bel modo di dimostrare alle persone il suo affetto! Non fa altro che insultare prendere a pugni miei amici!-

-Se per amici intendi Ed... la loro antipatia non ha niente a che fare con te … -

-Lo so- fu la laconica risposta della ragazza.

-Lo sai ?! ?!- sbottò l’amico bloccandosi di colpo lungo il corridoio che stavano percorrendo per andare alle rispettive palestre.

-Ed mi ha raccontato tutto-

-Ed?!??!?! Ma voi due …- indagò il ragazzo con fare allusivo.

Shay gli lanciò un'occhiata sbieca -No... magari!-buttò fuori con una sincerità che le sgorgava direttamente dal cuore -Non nego che mi piace un sacco ma... non c'è niente tra noi. Ed mi ha invitato a mangiare una pizza per parlare di... Mark!-aggiunse indignata - Ma ti rendi conto? Il ragazzo che mi piace mi invita fuori e non fa altro che parlarmi di quell'odioso Essere che faccio fatica anche solo nominare!-

La ragazza parlò a raffica per altri dieci minuti come una macchinetta impazzita, aveva chiuso troppe emozioni dentro di sè per tanto tempo e ora, che aveva trovato uno spiraglio di luce, la sua anima rivendicava il diritto di uscire allo scoperto, di essere sgravata almeno in parte dal pesante fardello di frustrazione ed amarezza che si portava appresso -…e quindi mi ha chiesto di convincere il Bestione a partecipare alle selezioni- concluse quello che a Danny sembrò un interminabile monologo.

-Magari ci riuscissi!-esclamò il centrocampista nipponico convinto che la sua voce non fosse nemmeno colta in mezzo a quel fiume di parole.

-Stanotte ho tentato di accennargli la cosa...-si sentì invece rispondere.

La sorpresa lo fece quasi ruzzolare giù dalla gradinata -Stanotte?!!? E come è andata? -chiese speranzoso una volta sicuro che il suo equilibrio fosse di nuovo in assetto.

-A pedate e pugni come al solito!-sbuffò Shay che preferì evitare di comunicare all’amico la furiosa litigata avvenuta sul divano e la situazione imbarazzante in cui si era ritrovata. Che strano, avevo tanta voglia di raccontare i suoi sentimenti per Ed ma allo stesso tempo le premeva celare il più possibile i suoi incontri ravvicinati con il Bestione.

-A che ora finisci gli allenamenti?- le chiese il ragazzo quando giunsero al bivio che separava i club maschili da quelli femminili.

-Ho lasciato la squadra…- buttò lì Shay con indifferenza tirando un calcio ad un sassolino bianco che rotolò lungo il margine del vialetto.

-Stai scherzando?-

-No! Non mi ha mai appassionato il softball... era solo un ripiego di cui in questo momento posso fare benissimo a meno -disse con voce incolore - Comunque devo andare in biblioteca, passo a prenderti tra tre ore così rincasiamo assieme … se ti va...-

-Certo che mi va- esclamò il ragazzo sorridendole sereno –Ok allora, ci vediamo dopo - le urlò scappando di corsa, accorgendosi solo in quel momento di essere in enorme ritardo.

Shay impegnò il tempo rovistando annoiata tra i polverosi volumi della ben fornita biblioteca della scuola poi, dopo due ore e mezza di infruttuose ricerche, decise di impegnare l'ultima mezz'ora di attesa in palestra per recuperare gli effetti personali, che aveva precipitosamente abbandonato, compreso il suo adorato piumino d'oca che la sera precedente aveva tanto amaramente rimpianto.

Fortunatamente non incontrò nessuno lungo i corridori degli spogliatoi, non aveva alcuna voglia di dare spiegazioni o di dover sopportare occhiate recriminatici che la accusavano di chissà quale turpe tradimento.  Da oltre la grande porta che divideva la palestra dal resto della struttura, le giunsero le urla concitate delle compagne e il familiare rimbalzare della pallina contro il pavimento e le pareti imbottite. No,  decisamente non era affatto pentita della sua decisione, non le mancava nulla di quello sport, non aveva mai realmente convinta, non l’aveva mai conquistata né stimolato il suo orgoglio sportivo.

Con il caldo piumino ben allacciato sino a sotto il mento e la borsa gettata distrattamente su una spalla,  si avviò con passo deciso verso il grande campo da calcio che occupava tutta l'area Nord del settore sportivo della Toho School.

Il campo era completamente deserto segno che i ragazzi si erano ritirati negli spogliatoi per lavarsi. Attese che Danny finisse di cambiarsi appoggiata ad un grosso platano ormai quasi completamente spoglio osservando distratta le rade foglie secche che si muovevano appena vicino ai suoi piedi.

La monotona calma di quel tardo pomeriggio invernale venne interrotto dal rumore di un motore d’auto che si spegneva a poca distanza. Shay sollevò lo sguardo e fissò imbambolata l'atletico ragazzo moro che con movimenti fluidi ed armonici stava scendendo dall'auto. Non fu in grado di reagire neppure quando Ed alzò la mano destra in segno di saluto. Non poteva fare altro che starsene lì, perfettamente immobile, a divorarlo con gli occhi. Era semplicemente magnifico con un paio di jeans sbiaditi e una spartana felpa beige con le maniche arrotolate sugli avambracci, nonostante il freddo. Una bellezza da capogiro.

-Ehm …ciao- esordì il portiere spiazzato per l’ennesima volta dalle incomprensibili reazioni di quella strana ragazzina.

-Che figura da imbecille ci sto facendo….tanto per cambiare- pensò Shay mordendosi un labbro.

- E allora?-

La ragazza sbatte le ciglia scure senza capire, ridestandosi finalmente dal suo torpore -Allora cosa?-

-Hai parlato con Mark?-

Mark! Mark! E ancora Mark! Possibile che avesse solo quel lo stupido Bestione in testa? E lei? era forse trasparente lei? Perché non le chiedeva come se l’era cavata con suo padre? Come aveva passato la notte? O semplicemente come stava?

No, a sua signoria interessava solo ed unicamente sapere di Mark!

-Calma Shay, calma- si impose continuando sorridere come se niente fosse, mentre in realtà desiderava tirargli un bel calcio negli stinchi... e poi, ovviamente, consolarlo a dovere.

-Ed! Che bella sorpresa- esclamò Danny sopraggiungendo e facendo sussultare i due ragazzi che non si erano accorti di lui -Shay mi ha detto che hai chiesto il suo aiuto per far ragionare il Capitano...-

-Sì- convenne Ed ricambiando il sorriso dell'amico -Avete fatto pace voi due?-

Danny annuì col capo guardando lei con complicità, ma il suo entusiasmo si smorzò di fronte alla fronte corrucciata e a quell’aria truce che lui sapeva perfettamente voler dire “lasciatemi stare sto per esplodere”. Mah... chissà forse era Ed a farle quell'effetto...

-Sono contento per voi- proseguì il portiere che non poteva cogliere tutti i particolari che invece a Danny erano così lampanti - Stavo giusto chiedendo a Shay se aveva avuto occasione di parlare al Capitano…-

Al Capitano! Si domandò perché cazzo continuassero a chiamarlo così fuori del campo. Mark non era più il loro Capitano, eppure loro lo consideravano come tale. Quello stupido spirito di squadra, anche nella vita privata, proprio non riusciva a capirlo né tanto meno ad accettarlo!

Quei tre erano uno più mentecatto dell'altro, constatò riflettendo tra sé e sé, e il fatto che uno fosse il suo migliore amico, l'altro il ragazzo di cui era infatuata e il terzo, ahimè, non certo per sua volontà, era un suo parente stretto, la lasciava più che mai sconcertata.

-Ho tentato di parlargli stanotte...- iniziò sforzandosi di non lasciar trapelare la rabbia che la rodeva.
 
Ed sollevò perplesso un sopraciglio ma non proferì parola, preferendo non interromperla.

-Ci siamo trovati per caso in cucina a bere …- spiegò lei cogliendo al volo la domanda non posta del bel calciatore – Ho fatto come mi avevi suggerito tu... - disse guardandolo allusiva sperando che capisse.

Ed comprese ciò che la ragazza gli stava tacitamente comunicando: Danny non era stato informato della sbornia di Mark e lei sembrava intenzionata più che mai a non farglielo sapere.

-Ebbene?- chiese il portiere glissando lo sguardo interrogativo dell'ex compagno di squadra.

-Niente- rispose lei seccamente-mi ha ripetuto di non immischiarmi nei suoi affari privati o me ne sarei pentita amaramente-

-Ah…la situazione é tragica allora- sospirò Ed rammaricato-Abbiamo pochissimo tempo e ormai ho perso qualsiasi speranza …-

Shay non ne poteva davvero più, sbatté a terra un piede stizzita polverizzando le foglie solitarie finite incautamente sotto le sue scarpe -Ho capito...- mormorò, decisa a risolvere a modo suo quella fastidiosa situazione -Quest'adesione com’è fatta?- chiese risoluta. Forse eliminato il problema del Bestione, Ed si sarebbe finalmente concentrato su di lei e avrebbe smesso di annoiarla ogni volta con quelle patetiche storie sul …Capitano …- …Bleah....-

-E’ un foglio giallo in cui sono richiesti i dati anagrafici del giocatore, informazioni sulla sua carriera e la firma...-

-Umh... a questo punto ci penso io- mugugnò più a se stessa che ai suoi due interlocutori, riflettendo velocemente e definendo nel dettaglio i punti del piano che aveva già ben chiaro in testa.

 

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Capitolo 15
*** Alleanze in famiglia ***


~~~~CAPIOLO XV. ALLEANZE IN FAMIGLIA


Il sole scese ancora un poco nel cielo azzurro appropinquandosi, con la consueta calma, verso la linea impalpabile dell’orizzonte, ancora un’ora ed avrebbe terminato il suo regolare tragitto anche per quel giorno. Shay scostò la tenda che proteggeva la sua cameretta da sguardi indiscreti, sbirciando indispettita il cielo che cominciava a tingersi di sottili lingue arancioni.


Lasciò ricadere il leggero tessuto contro i vetri, sospirando impaziente.

Erano trascorse esattamente tre ore da quanto si era rintanata in camera nell’attesa che il Bestione si decidesse ad uscire. Ma quel pomeriggio, nonostante il sole splendesse in cielo e il vento gelido, che aveva spazzato la metropoli nipponica nei giorni precedenti, si fosse quietato, quel fannullone ciabattaio non si decideva proprio ad andarsi a prendere una salutare boccata di aria fresca.

Si lasciò cadere all’indietro sul letto con le mani saldamente intrecciate in grembo. Ormai aveva ben poche speranze di riuscire a sistemare una volta per tutte quella noiosa questione che stava tanto a cuore a Ed.

I suoi sensi furono bruscamente rapiti dal rumore inconfondibile di ruote che scricchiolavano sulla ghiaia del vialetto che immetteva dal garage alla strada principale. Possibile che non si fosse accorta di nulla? Quell’ energumeno sapeva muoversi con l’agilità di un gatto. Balzò giù dal letto fiondandosi alla finestra, scostò la tenda appena il necessario per vedere il fanalino di coda dell’auto nera di Mark che spariva oltre la curva.

-Evviva!- esultò felice facendo una piroetta su se stessa e gioendo della sua insperata fortuna: i mocciosi più piccoli erano andati a fare spese con la madre, suo padre era al lavoro e Mike doveva essere a fare i compiti da qualche amico.

Senza perdere altri preziosi istanti, Shay si fiondò fuori dalla sua stanza, intrufolandosi furtivamente in quella che Michael e il Bestione dividevano. Si richiuse la porta alle spalle e si guardò un attimo attorno per orientarsi e decidere da dove cominciare la ricerca. Iniziò col rovistare nell’armadio, setacciò tutte le tasche delle giacche, dei giacconi e dei pantaloni del Bestione senza però trovare quel che cercava. Poi passò alla scrivania: rovistò a fondo in ogni cassetto stando bene attenta a riporre tutto com'era. Guardò dentro i libri, negli astucci, persino dentro il portapenne ma non trovò nulla di nulla. Amareggiata e sconfortata rifletté che in fondo quella era la conclusione più ovvia: era del tutto improbabile che il Bestione avesse conservato il foglio delle selezioni così a lungo, data e considerata, la sua risoluzione a non parteciparvi.

Stava per uscire dalla stanza crucciata, alla ricerca delle parole più adatte per dare quella triste notizia ad Ed, quando spostò inconsciamente lo sguardo sul cestino della carta straccia. Ma certo, come aveva fatto a non pensarci! Tutta la sua attenzione venne calamitata da una palla di carta gialla grande come un pugno che giaceva nel cestino in mezzo a fazzoletti sporchi e a penne che avevano conosciuto tempi ben migliori. Recuperò la pallina che aveva magnetizzato tutte le sue speranze e l'aprì piano piano stando attenta a non rovinare il foglio più di quanto non lo fosse già. Non appena mise a fuoco l’intestazione ”Federazione calcio Giapponese” il suo cuore fece una capriola e cominciò a battere impazzito! Ce l'aveva fatta!

-E tu cosa ci fai nella mia stanza?-la bassa voce maschile che rimbombò alle sue spalle le fece gelare il sangue nelle vene. Rimase immobile, completamente pietrificata dalla paura.

Solo dopo qualche istante, quando non poteva più rinviare quell’ennesimo, estenuante scontro, si volse bruscamente a guardarlo, pronta ad affrontare lo sguardo minaccioso di Mark. Il suo sollievo fu indescrivibile quando invece si ritrovò a fare i conti con degli occhi molto simili a quelli della Tigre ma infinitamente meno pericolosi: Micheal.

Nascose in fretta la mano dietro la schiena - Non sono affari tuoi- rispose piccata, ritrovando in un baleno tutto il coraggio che per un attimo era defluito da lei.

Il ragazzo non si lasciò smontare dal tono duro della sorellastra - Ti trovo a rovistare in camera mia e non sono affari miei?- l'attaccò sollevando in alto il mento in segno di sfida.

Shay sbiancò all'istante sentendo la rabbia montarle dentro, vertiginosa come una valanga che si incanalava nello stretto tra due montagne – Uno: non sto rovistando! Due: questa non può essere camera tua perché tutta la casa appartiene a me e mio padre...-

-E a mia madre- aggiunse con fare petulante il ragazzo con la chiara intenzione di far perdere le staffe a colei che da mesi stava trattando lui e la sua famiglia come una mandria di usurpatori.

-A mio padre - ribatté cocciuta fingendo di non aver sentito l'interruzione -Tre: sparisci moccioso!-

-Fammi vedere cosa nascondi dietro la schiena!-

-Non nascondo proprio niente! -fu la secca risposta di Shay che indietreggiò di alcuni passi per prudenza.

Micheal fece un poderoso balzo in avanti, mossa che colse la ragazza del tutto impreparata,  mai si sarebbe aspettata un atteggiamento così impulsivo dal più mite dei fratelli. Il ragazzo le saltò addosso afferrandola saldamente per i fianchi e trascinandola di peso sul futon aperto di Mark.

Shay percepì una nuvola di dopobarba speziato sollevarsi dal morbido giaciglio su cui era piombata e in pochi brevissimi istanti quell’odore la avvolse completamente, stordendole i sensi.

-Fammi vedere- strillava Mike intanto, tentando di afferrarle la mano inconsapevole della stretta allo stomaco che aveva fatto contrarre la ragazza.

-Lasciami stupido o lo strapperai- urlò Shay sentendo la carta cedere tra le sue dita.

-Cos’è?-

-Idiota di un ragazzino. Togliti dal mio stomaco…- protestò scostandolo malamente di lato - Cos’è un vizio di famiglia appollaiarvi sulla mia pancia?-

-Eh? Che hai detto?- chiese lui guardandola vagamente confuso.

-Niente lascia perdere spostati o…- il rumore di un auto la mise in allarme facendole sollevare di scatto il capo – Accidenti è tornato tuo fratello. Fammi uscire di qui- urlò facendo un balzo e rimettendosi in piedi.

-Non ci penso neanche- protestò Mike ben intenzionato a non lasciarla andare - Ora te la vedrai con Mark- la minacciò avvinghiandosi come un’edera alle gambe della sorellastra e stringendole con tutte le sue forze.

-Stupido! Idiota! Ragazzino del cazzo…- imprecò fuori di sé, tempestandolo di pugni -Mark non deve trovarci qui!- protestò disperata - Vieni in camera mia! – capitolò infine comprendendo che non si sarebbe mai liberata in tempo di quell’impiastro  – E muoviti …- ordinò afferrandolo per un braccio e trascinandolo a forza fuori dalla stanza.

Mike da parte sua, smise di fare resistenza e la seguì senza obiettare, aveva infatti scorto il foglio tra le mani di Shay ed aveva capito perfettamente di che si trattava.

Shay scaraventò il ragazzo nella sua stanza senza troppe cerimonie e chiuse la porta alle sue spalle, facendo un doppio giro di chiave. Trattenne il respiro impaurita mentre si avvicinava alla finestra, scostò i tendaggi e riprese a respirare solo quando si rese conto di aver udito il rumore di un’auto di passaggio che si era solo momentaneamente arrestata nella strada di fronte casa.

Immensamente sollevata si voltò a guardare Mike con espressione truce -Non ti volevo coinvolgere moccioso ma ora….sappi che ho intenzione di compilare questo … - disse lei scandendo le parole e sventolando il foglio stropicciato davanti agli occhi attenti del ragazzo che la fissava muto – … firmarlo a nome di tuo fratello e spedirlo - sottolineò con tono duro - E tu te ne starai ben zitto altrimenti guai a te!-

Mike la scrutò attento -Sai fare la firma di Mark?-

-Cosa?- balbettò lei spiazzata da quella domanda inaspettata – N…no … ne farò una a caso…-

-Così ti scoprono subito!- sbuffò scuotendo la testa con disapprovazione - Dai qua, io la so fare benissimo …- disse facendole un occhiolino birichino -Sapessi quante volte mi sono dovuto firmare le giustificazioni…-

Shay lo fissò a bocca aperta -Cosa? Marini la scuola?-

-Ogni tanto quando ho di meglio da fare…-

-E io che ti credevo un ragazzo modello!- sorrise scrutandolo con una diversa espressione in volto - Va bé … lasciamo perdere …. non perdiamo altro tempo- disse risoluta sedendosi alla sua scrivania e inforcando una penna – Nome … Mark … cognome … Lenders…nato…dove?-

-Tokyo-

-Quando?-

Ci impiegarono circa mezz’ora a ricomporre tutta la vita privata, professionale, scolastica del Bestione e alla fine Shay passò la penna a Mike che, senza esitare, appose una firma sicura e decisa. Non aveva mai visto la vera firma di Mark, ma era certa che dovesse essere molto simile a quella: le iniziali marcate e le lettere piccole, senza sbavature, esprimevano alla perfezione la forza e la testardaggine di quel Bestione.

- E ora in posta…una bella raccomandata…- disse guardando soddisfatta la lettera stretta tra le mani di Mike – In effetti non ce l’avrei mai fatta senza di te…non pensavo volessero sapere tutte quelle cose sul Be… su Mark … - si corresse infilandosi il giubbotto da motociclista sopra la felpa -Grazie – aggiunse come congedo prendendo i guanti dal comodino.

-Dove vai senza di me?-

Lei si bloccò con il guanto infilato a metà -Cosa? Vuoi venire anche tu?-

-Certo dopo tutta questa fatica voglio essere certo che tu non abbia ripensamenti-

-E perché dovrei ripensarci?-

-Per paura che Mark ti scopra-

Shay sfoderò il suo solito ghigno ironico mentre infilava anche il secondo guanto -Io non ho paura di tuo fratello-

Mike tacque un istante -Ti ammiro sai… sei una delle poche persone che sa tenergli testa…-

Shay lo fissò confusa -Grazie…- farfugliò distogliendo in fretta lo guardo per nascondere l’imbarazzo. Non era del tutto convinta di meritarsi quel complimento, in ogni caso il furbone aveva raggiunto il suo scopo, l’aveva raggirata, come aveva fatto a capire che i complimenti inaspettati erano il suo punto debole? Maledetti Lenders! – Andiamo giù c’è un mio vecchio giubbotto che dovrebbe andarti bene…- capitolò sconfitta su tutto il fronte - Non hai paura della moto vero?- indagò un attimo prima di uscire dalla stanza.

-Scherzi? È da quanto sono qui che sogno il momento di salirci- ammise Mike esultante, nascondendo la busta con il foglio del misfatto nella tasca dei jeans - Andiamo!-

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Rosaly terminò di preparare la tavola scortata da Mad che le passava le posate con un’espressione seria in volto a testimoniare l’importanza con cui assolveva il delicato compito che le era stato assegnato.

–Mark, sai dov’è finito Mike?- chiese la signora Field al figlio maggiore non appena questi mise piede in cucina attratto dal profumo invitante dello stufato di manzo e verdure.

-No…non era da Key a studiare?-

-Sì ma dovrebbe già essere rincasato … sono preoccupata-

-Vuoi che lo vada a cercare?- chiese il signor Field entrando anch’egli in cucina seguito a ruota da Harry con cui aveva appena terminato di disputare una combattutissima partita a scacchi – Così cerco di scovare anche Shay…- aggiunse con una punta di rammarico – Chissà cosa starà combinando quella benedetta ragazza!-

-E dai sarà da qualche amica…- lo rabbonì la moglie guardandolo con indulgenza -Non l’accusare sempre delle peggiori cose …ultimamente non si sta comportando male- aggiunse decisa, aiutando la figlia più piccola ad accomodarsi sulla sedia accanto a Mark.

Mark si morse la lingua per non ribattere all’infelice constatazione della madre. Se quello di Shay era un buon comportamento, lui era un santo! Il fianco gli bruciava ancora per non parlare dei reni, durante la notte si era svegliato ben tre volte in preda al mal di schiena. E sua madre diceva che si stava comportando bene? Che lo provasse lei il calcio di quella indemoniata!

Il rumore del motore di una moto che si spegneva nel garage accanto lo fece sogghignare. Ecco la furia che tornava fiera al galoppo del suo drago! Bell’idea davvero dare in mano a quella sconsiderata un bolide a due ruote. Era un miracolo che fosse arrivata indenne a diciassette anni! Se fosse dipeso da lui, neanche a piedi si sarebbe fidato a farla circolare. Ma ecco al porta che si apriva, chissà di che umore sarebbe stata la sua “sorellina” quella sera. Arrabbiata? Probabile. Furiosa? Possibile. Scontrosa? Sicuramente. Ribelle? Come al solito.

Mark rimase di gesso quando invece di Shay vide apparire suo fratello minore con addosso un giubbino argentato che gli stava a pennello ed il casco rosso stretto con amore tra le mani, quasi si trattasse di una preziosa reliquia.

-E tu da dove sbuchi? Dove sei stato?- chiese Rosaly esaminando il figlio e dando corpo alla domanda che aleggiava nella testa di tutti i presenti.

-A fare un giro…uhm che buon profumo ho una fame….- disse candido Mike appoggiando il casco sulla credenza e sfilandosi il giubbotto, fingendo di non accorgersi dello scombussolamento che la sua entrata trionfale aveva causato.

-Ma sei andato in moto?- chiese Harry osservando il fratello con evidente invidia.

-Certo- rispose Mike dandosi un tono d’importanza mentre si asciugava le mani che si era sciacquato frettolosamente nel lavabo.

-Certo?!?!?!- gli fece il verso Mark -Ma tu non sai guidare una moto!- sbottò incredulo.

-Ma non guidavo mica io!- obiettò Mike addentando la succulenta bistecca che sfrigolava ancora nel suo piatto.

-E chi?- chiese Mark spaventato per quello che il fratello avrebbe potuto rispondere.

-Guidavo io Bestione, qual’è il problema?- quel tono, quel maledetto tono grondante sarcasmo, come lo odiava! -Il tuo adorato fratellino mi sembra in ottima salute …- proseguì Shay squadrandolo da capo a piedi con i grandi occhi chiari colmi di sfida –E allora perché mi guardate così?- sbottò infine avvicinandosi al lavabo e facendo gli stessi gesti che un attimo prima aveva fatto Mike –E quindi? Che si mangia di buono in questa casa?- concluse strofinandosi per bene le mani e prendendo posto a tavola come se quella fosse per lei la cosa più naturale del mondo.

 

 

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Capitolo 16
*** Papà! ***


~~CAPITOLO XVI. PAPA’

Shay sgranò incredula i grandi occhi chiari -Ma non state esagerando?-

Danny Mallow non diede neppure segno di averla udita, rimase perfettamente immobile, accasciato su una sedia con il volto sprofondato tra le mani, Ed Warner, invece, scosse con forza il capo masticando tra i denti una risposta inopportuna senza diminuire il suo isterico andirivieni per la stanza.

La ragazza immerse più a fondo le mani nella morbida trapunta grigio perla del letto, inclinandosi un poco e dimenando i piedi a penzoloni a mezz’aria. Aveva messo al corrente Dan e Ed della sua geniale soluzione, con la sacrosanta convinzione che i due avrebbero tratto un sospiro di sollievo per la felice e rapida conclusione di quella vicenda. Invece, al contrario delle sue previsioni, non appena aveva finito di raccontare loro quanto lei e Mike avevano fatto, li aveva visti sbiancare.

Ed l’aveva afferrata in fretta e furia per un braccio, scaraventandola quasi di peso sul sedile posteriore della sua auto mentre Danny li aveva seguiti a breve distanza infilandosi rapidamente accanto al portiere, senza smettere di guardarsi attorno con circospezione come se vi fosse il pericolo di avere un branco di banditi alle calcagna.

Il portiere aveva inserito la marcia ed era partito sgommando a tutta velocità fermandosi solo una volta giunto a casa. Non le aveva neppure lasciato il tempo di ammirare la facciata della bassa costruzione in stile giapponese d’inizio secolo che, sempre per lo stesso braccio, l’aveva trascinata in camera sua. 

Ora se ne stava seduta sul letto all’occidentale del portiere ma la tensione dei due calciatori, che impregnava l’aria rendendola molto pesante, le impediva di concentrarsi su quello che per lei in quel momento riteneva fosse di vitale importanza. Ma chi se ne fregava di Mark Lenders, di quel maledetto foglio e di quelle stramaledette selezioni? Lei, Shay Field, stava accarezzando la trapunta del letto del ragazzo che le aveva sconvolto il cuore, la stessa coperta che avvolgeva quel corpo virile ogni notte, che assorbiva il suo respiro, che lo teneva al caldo, che…

Accidenti! Se solo avesse potuto diventare un pezzo di quella stoffa o un’insignificante piuma dell’imbottitura!

Shay sospirò indispettita, dandosi della stupida. Il sogno erotico in questione, non solo non condivideva neanche un millesima parte del suo slancio, ma continuava a correre su e giù per la stanza imprecando e sbuffando peggio di un vecchio treno a vapore.

Danny emise dei sommessi lamenti ormai pressoché accartocciato su se stesso -E ora che si fa?- piagnucolò disorientato.

Ed sollevò le braccia con fare impotente -Ma ti rendi conto di che hai fatto?-

-Come? Ma sei impazzito?- replicò sullo stesso tono non intenzionata a farsi mettere i piedi in testa neppure dall’uomo più bello del mondo -Ho fatto quello che mi hai chiesto!-

-Tu sei matta! - sbottò il portiere fermandosi di botto e scrutandola severo con le mani puntate sui fianchi - IO ti avevo chiesto di PARLARE a Mark, non di mandare l’autorizzazione al posto suo!- affondò entrambe le mani nerborute nella folta capigliatura - E ora chi glielo dice?-

Shay saltò in piedi stufa marcia di tutta quella ridicola pantomima -Glielo dico io, va bene?-

-Così ti ammazza e io ti avrò sulla coscienza per tutta la vita! No cara, tu non ti devi neppure più avvicinare alla Tigre…-

-Tigre!Puah!- replicò asciutta incrociando le braccia al petto – Me la sono vista con lui diverse volte e non mi è mai successo niente- sottolineò ostentando una sfacciata  sicurezza.

-Quasi- aggiunse mentalmente mordendosi l’angolino destro del labbro inferiore senza però mutare l’espressione risoluta del volto: sarebbe morta piuttosto che ammettere di temere la reazione violenta del Bestione!

Ma per quanto coraggio dissimulasse di fronte ai due amici, non era altrettanto convinta con la sua parte più razionale: una sottile indecisione, tinta di paura, si era infatti insinuata subdolamente nella sua testa: per la prima volta, da quando aveva spedito quella famigerata raccomandata, fu colta da una punta di apprensione ed ammise, ma solo a se stessa, e con molta fatica, che forse avrebbe dovuto ponderare il suo piano un pochino con più cautela prima di attuarlo.

“è l’ultimo avvertimento che ti do: stai fuori dalle mie faccende
personali o…non garantisco per la tua incolumità”

La ragazza si irrigidì e sbattè un piede a terra. Ai due interlocutori quello non sembrò altro che un semplice motto di disappunto dettato dall’incoscienza.

In realtà Shay stava riflettendo seriamente sul tono con cui Mark l’aveva apostrofata, non era stato affatto rassicurante…forse la pelle la stava rischiando sul serio … no, no e poi no! Ma che caspita! gliel’aveva chiesto Ed e lei per quel portiere era disposta anche a camminare a piedi nudi sul fuoco, che era mai un Mark Lenders furibondo in confronto?

-Ok… ora calmiamoci e ragioniamo con lucidità…- intervenne Dan decidendosi ad uscire dal fittizio rifugio delle sue mani, incapace di credere che Shay avesse davvero fatto un’azione tanto avventata -Potremmo dirgli tutto e spiegargli che è stato un errore…- iniziò sperando di apparire calmo e controllato e soprattutto di aver trovato la soluzione a quell’enorme pasticcio.

-Sì e chi gliela da a bere?- la risposta tagliente del compagno uccise sul nascere ogni sua fievole speranza -Un foglio interamente compilato coi suoi dati, una firma falsa e una raccomandata per il CT della Nazionale…-

Come risposta Dan mugugnò qualcosa di incomprensibile.

-E allora lasciamo che lo scopra da solo quando sarà ormai troppo tardi-

Il tono sicuro della ragazza attirò immediatamente due paia d’occhi stupefatti su di lei -Certo- proseguì scocciata come se stesse spiegando un concetto estremamente semplice a due bambini piccoli – Avete detto che la selezione è il prossimo fine settimana…- scandì con estrema calma –Bene, Mark arriverà a Fujisawa, scoprirà di essere tra i possibili selezionati e a quel punto non resisterà alla tentazione di mettersi alla prova, entrerà in squadra e … vissero tutti felici e contenti!-

-E come lo porti a Fujisawa? Lo rapisci? Lo droghi?- la pungolò il portiere con aspro sarcasmo.

Lei ci rifletté un attimo soprassedendo sul tono irritante del ragazzo -Uhm...niente di così drastico…ci penserò-

-No- urlò Ed sull’orlo di una crisi di nervi –Tu non pensi più a niente! Ti proibisco di prendere altre iniziative senza averci consultati e, per cominciare, ora mi dici per filo e per segno cosa hai in mente-

Shay non apprezzò affatto quel modo di fare paternalistico né tanto meno quelle parole dure, ma lo sguardo adombrato di Ed era troppo bello per potergli portare rancore –Non so…ecco!- esclamò colta da un’idea geniale -Insceno una fuga da casa, vengo con voi a Fujisawa e lui, credendo di venire a prendere me, si troverà invece a fare le selezioni!-

-Non può funzionare…- brontolò Danny sempre più spaventato - Mark ci ammazzerà tutti-

-Ma smettetela- esplose infine, livida di rabbia – Che può fare? – chiese provocatoria chiudendo i pugni e sollevandoli istintivamente in posizione da attacco: che osassero aggiungere qualche altra stupida frase del tipo “chi ci salverà ora”, “dove andremo per fuggire alla sua ira…”  o altre boiate del genere e li avrebbe stesi entrambi, facendo loro capire che, in fondo, Mark Lenders non era il peggiore dei loro mali - S’incazzerà come al solito, farà sicuramente un mucchio di storie e poi gli passerà…e se non gli passa che se ne vada da casa mia, che sparisca per sempre, così io il mio obiettivo lo avrò anche raggiunto! E ora o cambiamo argomento o me ne vado, sinceramente non mi va di perdere tutto il mio tempo a discutere di quell’odioso essere!-

Il tono alterato o forse gli occhi azzurri scintillanti d’ira o i pugni alzati o tutti quei particolari assieme, convinsero i due ragazzi a non aggiungere nient’altro. I due calciatori si limitarono a guardarsi l’un l’altro e tra loro passò un muto scambio di pensieri condivisi: “Questa è pazza più di Mark …e tra pazzi chissà che non si capiscano!”

---

I giorni seguenti trascorsero in uno stato di calma apparente: in realtà un osservatore attento avrebbe potuto cogliere nell’aria tutti quei piccoli ed importantissimi presagi che annunciano l’imminente tempesta ma, probabilmente, altri pensieri affollavano la mente di Mark Lenders impedendogli di notare la rete che si stava lentamente ma inesorabilmente chiudendo attorno a lui.

Tra le mura domestiche, Shay aveva un bel da fare a ripetersi che l’ira di Mark non le faceva alcuna paura, sapeva di mentire alla grande e la tensione con cui svolgeva anche le normali mansioni quotidiane ne era la prova più tangibile. Lei aveva una fifa marcia di Mark, ecco la verità! A dirla tutta, era l’unico avversario che non aveva nemmeno avuto il coraggio di affrontare! Tutte le volte che si era ritrovata faccia a faccia con lui era sempre finita in tragedia. Per lei. Eccettuata quella volta della sbronza, ovviamente. Ma quello era stato un episodio talmente strano, che a volte dubitava fosse successo veramente. Lo giudicava una via di mezzo tra il sogno e la realtà, una dimensione che sfugge alle leggi oniriche ma anche a quelle terrestri. Insomma un fatto non classificabile e quindi non giudicabile.

Reale invece era la sua truffa. La firma fasulla apposta da Mike. Reale sarebbe stata la reazione di Mark

Ripose sulla mensola il libro di storia che aveva maltrattato per un’ora senza leggerne neppure una riga.

Ma che poteva fare ora? Le sue mosse le aveva compiute, indietro non poteva tornare e quindi tanto valeva andare sino in fondo e sperare che da quella storia ne uscisse qualcosa di buono. Beh … qualcosa lo aveva già ottenuto: Ed le messaggiava tutte le sere per sapere se andava tutto bene e quel fine settimana lei lo avrebbe seguito sino a Fujisawa, passando con lui due interi giorni. Quel dolce pensiero le faceva quasi dimenticare tutto il resto e dava a quella situazione un colore diverso.

Trasse un profondo respiro ed uscì dalla stanza con un’idea ben precisa in testa.

Scese le scale con andatura decisa, Mark era uscito subito dopo cena, Mad ed Harry erano a letto e Micheal stava ultimando i compiti chiuso in camera.

Entrò nel salotto illuminato solo dalla luce azzurrognola proveniente dal televisore e da una lampada posta accanto al divano dove stavano compostamente seduti suo padre e Rosaly.

Le era ben chiaro che non avrebbe potuto portare quella faccenda sino alla fine senza ulteriori alleati e per non gettare alle ortiche tutto il lavoro fatto sino a quel momento, mise da parte qualsiasi rancore personale -Vi devo parlare- disse senza tanti preamboli facendo trasalire i due coniugi che l’avevano vista entrare con la coda dell’occhio, ma che non si aspettavano affatto che la figlia fosse scesa con l’intenzione di rivolgere loro la parola.

Il signor Field mise da parte l’entusiasmo iniziale e fissò la ragazza seriamente preoccupato: che poteva mai essere successo per indurre in Shay a tale risoluzione? Spense il televisore, lanciò una rapida occhiata alla moglie che ricambiò il suo sguardo indecisa sul da farsi.

-Ci devi…?- iniziò timidamente Rosaly non osando sperare che, per la prima volta, da quando era la moglie di Reeve, Shay desiderasse parlarle.

La ragazza annuì col capo -Sì a tutti e due…si tratta…- Shay si morse nervosamente il labbro e se l’avessero ostacolata invece di aiutarla? Poteva fidarsi di quella donna al punto da chiederle di aiutarla ad aggirare suo figlio?

-Siediti cara… - le disse suo padre scostandosi e indicandole il posto vuoto sul divano.

-No preferisco stare in piedi- almeno così poteva vedere le loro espressioni e decidere sino a che punto confidarsi –Si tratta del Bestione….cioé di Mark- si corresse vedendo l’espressione interrogativa di suo padre e rallegrandosi invece per il sorriso divertito che illuminò il viso della moglie.

-Che succede tra te e Mark?- chiese Rosaly ritenendosi ora del tutto legittimata ad intervenire.

-Tra me e lui niente- puntualizzò indispettita la ragazza anche se sapeva bene che la frase di Rosaly non nascondeva nessun doppio senso - I suoi amici vogliono che lui partecipi alle selezioni ma lui non ne vuole sapere…quel testardo è irremovibile … ma siccome i suoi amici sono anche i miei…beh … ecco … sì …insomma … -  tergiversò imbarazzata alla ricerca del modo migliore per spiegare ciò che aveva fatto -Ho pensato di dar loro una mano e fare in modo che Mark vada a queste benedette selezioni…-

-Magari ci andasse! – sospirò la signora Field scuotendo il capo affranta - Ho provato anche io a convincerlo ma non c’è stato verso … rassegnati non ne vuole proprio sapere anche se so che se ne pentirà amaramente…-

Shay sentì il suo cuore fare un balzo felice. Ma allora la pensava esattamente come lei! L’alleanza era cosa fatta, ormai!

-Insieme ce la possiamo fare…io ho già fatto un buona parte-

Rosaly la scrutò incuriosita -Cosa vuoi dire?-

-Ho spedito la domanda di ammissione che Mark aveva gettato nel cestino…-

-Ma non puoi averlo fatto, servivano i suoi dati e la firma…-

-Ho messo tutto…lo so che è una cosa illegale- si affrettò ad aggiungere aspettandosi un attacco violento da parte dei due genitori per aver infranto la legge - … e che lo farà arrabbiare a morte ma ormai è fatta!- specificò Shay non riuscendo ad interpretare l’espressione interdetta di suo padre e della matrigna.

Rosaly balzò in piedi agitata -O mio dio! Che hai fatto! Mark si infurierà…-

Shay seguì con lo sguardo ogni mossa della donna, temendo il peggio -Certo e mi farà un’altra delle sue sfuriate, ma non me ne importa un accidenti e tanto ormai ci sono abituata…- la vide riprendere posto accanto al marito che continuava a tacere e a fissarla a bocca aperta – Papà perché mi fissi così e non dici niente?-

-Tu stai giocando col fuoco bambina mia…- pronunciò il signor Field esaminando con intensità la sua impulsiva ed incosciente bambina. Da quando era cresciuta così? La sua Shay era cambiata molto negli ultimi tempi, non solo il carattere, ma anche il suo corpo stava per abbandonare per sempre ogni elemento infantile, assomigliando come una goccia d’acqua alla madre. Ma quel carattere imprevedibile da chi accidenti lo aveva preso?

Reeve scosse il capo tra il divertito e lo scioccato: visto l’incoscienza con cui lui e Jean l’avevano concepita, non c’era nulla da stupirsi che Shay fosse un pozzo di sorprese di ogni sorta.

-Si arrabbierà molto…ma molto …. molto …- rifletté Rosaly abbassando il capo pensierosa.

-E allora?- la rimbeccò Shay - Non è un mistero per nessuno che io e lui non ci sopportiamo perciò una baruffa in più non cambierà la vita né a me né a lui…- la donna sollevò la testa e fissò la ragazza annuendo appena, un gesto forse inconsapevole ma che indicò a Shay la via per ottenere l’appoggio incondizionato di tutta la famiglia -Papà, Rosaly- li chiamò con tono implorante giungendo le mani davanti al petto -Aiutatemi o avrò fatto tutto per niente. Non solo Mark perderà l’occasione della sua vita … quello stupido non capisce che ha accanto degli amici che gli vogliono molto bene e…una famiglia che crede in lui. Non possiamo assolutamente permettere che butti via tutto ciò …dobbiamo decidere noi perché lui in questo momento non è in grado di farlo- concluse accalorandosi e scoprendosi alla fine del discorso con le guance in fiamme ed il cuore che galoppava impazzito. Ma perché se la stava prendendo tanto a cuore? Perché Ed gliel’aveva chiesto, solo per quello…

Rosaly annuì questa volta con vigore. Balzò nuovamente in piedi ponendosi di fronte alla ragazza, avrebbe voluto abbracciarla ma non osò tanto, in fondo in pochi attimi si erano avvicinate come mai avrebbe creduto possibile -E che dovremmo fare?-

Il signor Field passò allibito lo sguardo dall’una all’altra delle due donne di fronte a lui -Ma cara non possiamo renderci complici di questo imbroglio…-

-Non starò qui buona a guardare mentre mio figlio getta al vento tutto ciò per cui ha lottato per anni- lo mise a tacere la moglie stringendo i pugni con decisione -Da tempo cercavo il modo di oppormi alla decisione di Mark e ora finalmente qualcuno mi ha suggerito come fare- aggiunse rivolgendo un timido sorriso alla figliastra – Shay io sono completamente dalla tua parte, dimmi che devo fare e lo farò ad occhi chiusi!-

Shay ricambiò impacciata il sorriso complice della donna, nel suo cuore qualcosa di indefinito si stava rimescolando scardinando un equilibrio che lei credeva assodato, ma era troppo presa dall’entusiasmo di avere anche Rosaly e il padre dalla sua parte, per dare il giusto peso a quelle emozioni nuove.
---

La settimana trascorse in fretta e il venerdì sera arrivò senza che la ragazza quasi se ne accorgesse. Reeve e Rosaly avevano appreso il ruolo che Mike aveva avuto nel complotto e non se ne stupirono più di tanto: superato lo shock iniziale del gesto avventato compiuto dalla ragazza, il resto sembravano tutti dettagli di irrilevante importanza. In comune accordo avevano deciso di non rendere complici anche i due figli più piccoli, per paura che dicessero qualcosa che potesse insospettire Mark.

Quella sera la famiglia stava ultimando la cena in un clima all’apparenza abbastanza disteso. Mentre finiva di mangiare il suo sashimi in salsa piccante, Shay non riuscì a reprimere l’impulso di spiare lo stato d’animo di Mark. Sembrava tranquillo e ignaro che tra poche ore sarebbe stato costretto ad accettare che altri avessero manipolato la sua vita. Un calcio discreto sul polpaccio la fece sussultare. Stupita si volse di lato beccandosi un’occhiata di disapprovazione da parte di Mike.

Aveva ragione il moccioso, non poteva starsene lì imbambolata a guardare il Bestione nella speranza di leggergli nel pensiero e avere la certezza che non avesse colto il clima completamente diverso che aleggiava in casa da una settimana a quella parte.

Quella faccenda aveva drasticamente cambiato il ruolo della ragazza all’interno della famiglia. Più volte si era trovata con Rosaly a concordare i dettagli del loro piano, facendole scoprire che la presenza della donna non le dava poi così fastidio, anzi era una persona ricca di umorismo e con la battuta sempre pronta. Con suo padre aveva riallacciato quel filo simbiotico che permetteva loro di comprendersi anche senza parlare e con i bambini passava anche qualche momento di normale intimità familiare.

Proprio quel pomeriggio Mark l’aveva sorpresa mentre aiutava Harry a risolvere un problema di geometria che aveva mandato il bambino nel panico. Shay non aveva idea da quanto tempo Mark li stesse osservando, sapeva solo che ad un certo punto aveva percepito una strana agitazione e quando aveva alzato il capo si era ritrovata incatenata a due occhi più scuri e profondi della notte, illuminati da un calore ardente che per un attimo le aveva mozzato il fiato. Si era alzata confusa, visibilmente a disagio, incapace di proferire parola e si era allontanata quasi di corsa, rifugiandosi in camera ed ignorando i richiami del bambino che reclamava il suo aiuto per ultimare l’esercizio.

Possibile che Mark non avesse capito perché la situazione in casa fosse improvvisamente cambiata? Era così sciocco da credere che lei li avesse accettati? Mai! Desiderava che lui passasse le selezioni solo per averlo fuori di casa, non sopportava la sua presenza e neanche quella dei fratellini…no lei stava bene solo con suo padre!

Ingurgitò un boccone troppo grosso senza masticare, si batté con forza il pugno sul petto e tossì ripetutamente mentre Rosaly si affrettava a riempirle il bicchiere d’acqua.

-Tutto a posto?- le chiese la donna riprendendo posto e osservando preoccupata il volto paonazzo della ragazza che riprendeva a respirare normalmente dopo aver bevuto tutto il bicchiere.

Shay non le rispose nemmeno intenta a fissare dritto davanti a sé.

-Ehm… Shay dell’altro sashimi?- le chiese il padre richiamando la sua attenzione. Accidenti c’era cascata un’altra volta! Stava ancora fissando Mark e questa volta lui se n’era pure accorto!

-No grazie…- balbettò arrossendo e abbassando velocemente lo sguardo.

-Non hai mangiato quasi niente- osservò il ragazzo di fronte a lei guardandola in uno strano modo – Qualcosa ti preoccupa?-

Shay sussultò sulla sedia. Tossicchiò nervosa fingendo di avere qualche reflusso di pesce ancora incastrato in gola. Ecco aveva capito tutto! E ora? Come avrebbe fatto a calmarlo?  Forse le conveniva correre a prendere i suoi guantoni in camera …. e poi?

Alzò la testa di scatto ricambiando spaventata il suo sguardo.

L’espressione interrogativa di lui non fu sufficiente a rincuorarla e un brivido gelido la attraversò tutta, la coscienza era troppo sporca per permetterle di capire che Mark non era affatto arrabbiato, ma semplicemente perplesso.

-Ma no, che vai a pensare Mark- intervenne prontamente, troppo prontamente, Rosaly -Shay ha mangiato un panino prima…eh te l’avevo detto che ti saresti rovinata l’appetito…-

-Eh eh! Te lo dico sempre … Pulcino di non mangiare fuori pasto- incalzò il padre che per la tensione l’aveva apostrofata con un nomignolo che non usava più da quando lei aveva compiuto otto anni.

-Se continuiamo così ci scopre…- pensò allarmata la ragazza lanciando un’occhiata sbieca al genitore e fingendo di non aver rilevato quell’insulso appellativo.

-Ma lei non ascolta i consigli di nessuno…è più testarda di Mark mamma!- affermò Harry inconsapevole della tensione in cui versavano i suoi familiari, ancora irritato con la sorellastra per averlo lasciato con il problema di geometria incompleto.

Mark sollevò dubbioso un sopracciglio sforzandosi di rimanere impassibile … l’idea di lui e Shay a confronto … una bella lotta tra titani … ma quella mocciosetta non poteva certo tenere testa a lui, alla Tigre! Non per molto almeno…

-Non è vero! Shay è più dolce di Mark … se vuole- intervenne candida Mad sventolando in alto la sua forchetta come se volesse avvertire i presenti di non osare a contraddirla –Solo che si arrabbia facilmente come Mark e allora fa delle cose brutte che in realtà non vorrebbe fare ma le capita così solo perché è arrabbiata … -

Shay fissò allarmata la bambina che stava tracciando un profilo così accurato della sua personalità. E come diavolo aveva fatto quella pulce a cogliere tutte quelle sue sfumature? Possibile che fosse così cristallina? E soprattutto perché la famiglia continuava a paragonarla al Bestione quando era evidente come il sole in cielo che loro erano diametralmente agli antipodi?

Figurarsi! Lei assomigliare a quel troglodita! Non aveva proprio niente da spartire con quell’ammasso di muscoli senza cervello, cafone, strafottente, violento, insensato!

-…e poi è forte. Una volta ha steso Mark in cucina…- stava continuando imperterrita la bambina fiera di aver calamitato su di sé tutta l’attenzione della famiglia – Lo sapevi che Shay ha buttato a terra Mark…papà?-

Shay sbatté le palpebre un paio di volte, le ci volle qualche secondo per decodificare l’ultima parola detta da Mad e quando il significato le fu chiaro, sentì una morsa d’acciaio attanagliarle lo stomaco e un pensiero violento, tagliente come un rasoio ben affilato, le squarciò il cervello : “vattene!”

Papà?!?!?!?

Come osava quell’ insulso essere col moccio al naso?

Quello era suo padre!

SUO padre!

Shay scattò in piedi, le mani contratte sul tavolo, il capo chino coperto da rade ciocche di capelli corvini, le labbra serrate, gli occhi spalancati. Un silenzio teso scese nella piccola cucina mentre il rimbombo della sedia che era caduta a terra si spegneva. Nessuno osò fiatare, persino Mad si zittì guardandosi attorno disorientata alla ricerca della causa che aveva fatto saltare in piedi Shay, non sapendo di essere proprio lei la fonte di quell’inaspettato epilogo.

-Non succede niente… va tutto bene- bisbigliò Shay più a se stessa che ai presenti –Ho mal di testa…- mentì uscendo dalla stanza quasi di corsa per evitare che qualcuno scorgesse le lacrime che le pungevano spietate gli angoli degli occhi azzurri colmi di rabbia e rancore, paura e disperazione.

 

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Capitolo 17
*** Fuga a Fusjisawa ***


~~CAPITOLO XVII. FUGA A FUJISAWA

Dan si sporse oltre lo schienale del sedile anteriore della bella macchina sportiva di Ed Warner con espressione a dir poco preoccupata -Ehi tutto bene?- chiese passando in rassegna ogni dettaglio della ragazza che aveva appena preso silenziosamente posto dietro di lui.

Shay emise un suono gutturale appena paragonabile ad un grugnito -Sì…perché?- proferì senza neppure tentare di dissimulare il suo malumore.

-Hai una cera orribile- rincarò la dose Ed scrutando perplesso il pallore spettrale reso più evidente dalle occhiaie scure che le segnavano orribilmente gli occhi gonfi – Hai cambiato idea?-

-No- fu la brusca risposta della ragazza – Ho solo passato una brutta nottata, ma non per i motivi che credete voi, perciò smettetela di rompere e andiamo a Fujisawa- ordinò perentoria incrociando le braccia al petto e assumendo un’espressione imbronciata.

-Ehi gattina … - la canzonò Ed che non l’aveva mai sentita rivolgersi a lui in quei termini - Tiri fuori le unghie tutte in una volta?- borbottò avviando il motore dell’auto e sbirciando la sua reazione attraverso lo specchietto.

-Attento portiere …- lo redarguì a denti stretti -… non esagerare … o scoprirai che ci sono animali molto più pericolosi della tua stramaledetta Tigre- minacciò rivolgendogli un’occhiata talmente acida da corrodere l’aria.

Ed stava per ribattere a tono ma l’improvvisa tosse nervosa di Danny attrasse la sua attenzione e l’espressione implorante dell’amico lo convinse a lasciar perdere. D’altronde lui Shay non la conosceva affatto. Magari quello era il suo stato abituale di prima mattina e stava solo aumentando la sua irritazione inutilmente, o magari aveva avuto un altro scontro con Mark. Se fosse stato così però era improbabile che venisse a Fujisawa a riprendersela.

Mah! Quella storia non poteva funzionare, chi glielo aveva fatto fare?

Shay era ancora una bambina ed agiva come tale: con l’imprudenza tipica di quell’età, senza tener conto delle conseguenze. Doveva essere proprio disperato per aver permesso a quella ragazzina di manipolarlo e coinvolgere lui e Danny in quella follia. Altro che Mark, quella mocciosa aveva travolto tutti con la potenza di uno tsunami: Danny si sarebbe fatto tagliare a fette piuttosto che contrariarla, Mark si era fatto incastrare …forse…questo era ancora tutto da vedere… e infine lui! Controllato, riflessivo, giudizioso…messo nel sacco da una furia incosciente, invadente, irrazionale e imprevedibile. Come era potuto accadere?

Si immise nella superstrada a cinque corsie per senso di marcia, una delle più grandi e famose del Giappone che connetteva la capitale, Tokio, con le principali città nipponiche tra cui la caratteristica cittadina di Fujisawa, sede amministrativa della Federazione Calcio Giapponese.

Il sole stava salendo velocemente in cielo ed il traffico era ancora scorrevole. La decisione di partire all’alba era stata presa di comune accordo per fare in modo che al risveglio la famiglia Field avesse tutto il tempo di inscenare la fuga della figlia e mettere in piedi una bella tragedia con tanto di ritrovamento di missiva in cui Shay spiegava come avesse deciso di seguire i suoi amici a Fujisawa.

Se tutto andava secondo i piani, per l’ora di pranzo Mark avrebbe dovuto fare la sua comparsa nella sala conferenze dello Stadio Fuji, luogo designato per quella importane convocazione.

Si erano incontrati ad un isolato dalla casa della ragazza. Shay era uscita furtivamente di casa con uno zainetto in spalla quando era ancora buio, si era intrufolata nella sua auto e ora se ne stava rannicchiata senza proferire parola guardando assorta il paesaggio. Che le era successo? Che le passava per quella testolina calda? Si era accorta finalmente della sciocchezza che aveva fatto e ci stava ripensando? Improbabile, il fatto che fosse lì in auto muta come una tomba, era la prova che quella ragazza non era disposta a ritornare sui suoi passi. Ma ne aveva di paura, poi? Lui e Danny avevano tentato in tutti i modi di farle almeno immaginare quale sarebbe stata la reazione di Mark, ma lei aveva smontato ogni loro tentativo con un’indifferente alzata di spalle, sbuffando e spegnendo con veemenza ogni loro protesta. Era veramente così coraggiosa come voleva fra credere? O era solo sciocca?

Beh se lei era sciocca lui allora era un perfetto imbecille! Per l’ennesima volta Ed si pose quella spinosa domanda: come cazzo ci era finito in quella situazione?

Scrutò nuovamente il sedile posteriore tramite lo specchietto, tanto la strada davanti a loro era completamente deserta. Era pallida, arruffata, come al solito infagottata in una felpa di un paio di taglie più grande della sua misura, gli occhi erano velati di stanchezza ma anche molto gonfi, troppo, probabilmente aveva pianto a dirotto tutta la notte. Si diede dello stupido per non aver notato subito quel particolare, eppure il segno delle lacrime era ancora ben visibile sulle sue palpebre.

Shay si voltò di scattò sentendosi osservata e incrociò gli occhi scuri di Ed attraverso lo specchio retrovisore. Il portiere non sfuggì agganciò il suo sguardo e continuò a fissarla per qualche altro secondo.

La ragazza piegò il capo di lato e lo poggiò contro il finestrino. Era esausta e qualsiasi emozione, bella o brutta che fosse, le dava sui nervi. Se Ed non la smetteva si sarebbe messa ad urlare. E pensare che solo il giorno prima avrebbe gioito chissà quanto per un suo sguardo anche fugace. Ma in quel momento invece desiderava solo essere lasciata in pace. Frugò nello zaino, estrasse un paio di occhiali da sole e li inforcò con foga, una magra barriera per celare dolore e stanchezza ma pur sempre un riparo. Il portiere si affrettò a riportare la sua attenzione sulla strada: il messaggio gli era arrivato forte e chiaro. 

Shay si lasciò cullare dal rumore sommesso dell’auto e scivolò in un dormiveglia all’apparenza tranquillo. Quella notte aveva fatto un incubo dietro l’altro. Il più terribile l’aveva destata in preda al panico. Non ricordava molto, ma ciò che le era rimasto in memoria era sufficiente per farla quasi soffocare di dolore: suo padre era disteso sul divano di casa e rideva divertito con Mad a cavalcioni sopra di lui che strillava a ripetizione “papà” “papà”. Lo aveva chiamato più volte ma lui non le dava retta, allora aveva strillato riuscendo finalmente ad attirare la sua attenzione. Felice lo aveva invitato a fare un giro in moto ma si era sentita liquidare con un “preferisco stare con la mia bambina” …a quel punto aveva urlato tra le lacrime che non era Mad la sua bambina …. era lei…lei…lei sola… ma come risposta aveva ricevuto solo una fredda risata di scherno e un lapidario “non più”…non più… non più …

La ragazza si agitò sul sedile fingendo di cercare una posizione più comoda. Anche in quel momento il solo ricordo di quell’ incubo orribile le faceva venir voglia di piangere sino all’ultima lacrima.

Poi qualcosa nel sonno l’aveva tranquillizzata, un peso caldo ma confortante che magicamente l’aveva tranquillizzarla, regalandole un breve sonno senza sogni. Ma dopo qualche tempo anche quella presenza era scomparsa e gli incubi si erano ripresentati, affastellandosi nella sua testa come le onde impetuose contro i massi della coriacea diga. Così a notte fonda aveva preferito svegliarsi del tutto ed attendere l’alba.

Ed diede un colpetto al braccio di Danny -Tra un’ora saremo a destinazione, vuoi che ci fermiamo a far colazione? - chiese sottovoce con tono forzatamente allegro, sperando di spezzare quel lugubre silenzio in cui erano piombati da quando erano partiti più di due ore prima.

-Fermiamoci- si intromise Shay cogliendolo di sorpresa, era quasi certo che la ragazza stesse dormendo profondamente.

Ed nondisse nulla, limitandosi a mettere la freccia per fare tappa ad una stazione di servizio dove un accogliente bar dalle insegne colorate faceva bella mostra di sé.

Entrarono nel locale accolti dall’aroma invitante del caffè all’italiana e delle brioches al cioccolato appena sfornate. Shay e Danny si accomodarono ad un tavolo mentre Ed si occupava  delle ordinazioni al banco.

-Senti- sbottò il portiere raggiungendoli al tavolo e notando che l’umore della ragazza non accennava a migliorare –E’ inutile che continuiamo con questa faccia da funerale, questo viaggio sta diventando un tormento. Ormai quel che è fatto è fatto. Mark si infurierà, ma poi capirà che il motivo del nostro imbroglio era più che nobile- disse sperando che esprimendo il concetto ad alta voce assumesse una qualche consistenza, ma non ci credeva neppure lui a quelle parole assurde –E poi Shay non ti devi preoccupare, non sarai sola ad affrontare la sua furia, prima lo faremo sfogare con noi e solo una volta esaurita ogni collera, gli permetteremo di avvicinarsi a te-

Shay alzò le spalle con indifferenza prendendo tra la mani una delle tazze fumanti  che la cameriera aveva portato – Non temo Mark- disse scrollando il capo come se volesse cancellare ogni brutto pensiero. Era lì con il ragazzo dei suoi sogni ed il suo migliore amico, l’attendevano due interi giorni pieni di novità e si lasciava intristire da dei stupidi incubi? Che sciocca! Ed lo doveva conquistare e comportandosi così non avrebbe fatto alcun progresso. Scrutò il volto preoccupato di Danny ed accennò un timido sorriso, poi spostò lo sguardo sul volto bellissimo del portiere e il suo sorriso si allargò. Posò la tazza, alzò le braccia al cielo ed allungò le gambe sotto il tavolo stiracchiandosi con vigore. Decisamente ora andava molto meglio.
---

Mark sollevò appena una palpebra emettendo un suono roco simile ad un grugnito. Cos’era quello scalpiccio continuo lungo le scale ed il corridoio? A giudicare dalla luce che filtrava attraverso le imposte abbassate dovevano essere circa le sette del mattino e allora perché la famiglia era già impegnata in quell’esagerato movimento? Si girò di lato portandosi in posizione supina. Sbatté gli occhi ancora gonfi di sonno stropicciandoli con i palmi delle mani. Sbadigliò rumorosamente e solo allora si accorse che Micheal era già alzato. Strano, quello era il terzo sabato del mese e la Toho era chiusa per il riposo mensile, se conosceva le abitudini di Mike, ed era certo di conoscerle bene, in quel momento avrebbe dovuto essere nel suo letto a ronfare saporitamente. Si  sollevò su un gomito concedendosi un altro sbadiglio quando la porta della stanza si spalancò di colpo e Mad in lacrime si fiondò all’interno. Come una molla attivata da un invisibile congegno, Mark balzò in ginocchio sul futon accogliendo la sorella tra le braccia – Ch…che succede?- chiese quasi incapace di parlare per l’apprensione.

La bimba piangeva a dirotto –S…s…sh…Shay….-farfugliò tra i singhiozzi.

-Shay??!?!!?Che ha combinato stavolta?!?!- sbottò Mark sentendo un’ondata di collera assalirlo, perché quell’odiosa creatura doveva ostinarsi a far soffrire la sua sensibile ed indifesa sorellina? Ma questa volta non l’avrebbe passata liscia. Oh no…

-Se n’è a …a…an…andata-

-Andata?!!?!?- ripeté allibito- Andata dove?-

-N…non lo so papà sta chiamando la po…po…polizia-

-Polizia?!?!?- Mark si alzò di scatto con la sorella tra le braccia che, spaventata dal suo gesto brusco, lanciò un urlo e si aggrappò alle sue spalle con entrambe le manine ben appigliate alla folta chioma spettinata del fratello. Il ragazzo corse giù per le scale e la prima cosa che mise a fuoco fu sua madre ancora in vestaglia da notte, accasciata sul divano con Mike ed Harry seduti accanto, poco distante Reeves in piedi accanto al telefono con la mano appoggiata sopra la cornetta come se avesse appena terminato una chiamata.

-Che succede?- chiese squadrando tutti con malcelato rimprovero: perché diavolo tutta la famiglia era in piedi, tranne lui? - Dov’è Shay?- chiese lasciando scivolare Mad sino a terra –Reeves!- chiamò imperioso – Voglio una risposta!- stava veramente perdendo la poca pazienza di cui era dotato.

Il signor Field sussultò guardandolo con una lampante confusione negli occhi chiari -Quella benedetta ragazza! Mi farà ammalare! Se n’è andata Mark…. Toh leggi questo messaggio- disse attraversando velocemente la stanza e porgendo un foglietto stropicciato  al calciatore.

Caro Papà mi sono resa conto che in questa casa non vi è più posto per me.
 Starete tutti meglio se io me ne andrò. Ed ha accettato di darmi un passaggio sino a Fujisawa,
 lì deciderò cosa fare.
 Una cosa però la so per certa. Non tornerò a casa perché io una casa non ce l’ho più.
 Ti voglio bene…nonostante tutto.
 Shay

Mark rilesse quelle poche righe un paio di volte prima di sbottare - Cos’è questa porcheria?-

-Non lo so! Come faccio a  sapere che passa per la testa di Shay? Questa non è mia figlia io non la riconosco più! Ah la mia adorata bambina e la polizia che non vuole andarla  riprendere …-

-Come sarebbe a dire non vuole andare a riprenderla?- domandò Mark scrutandolo perplesso.

Reeve sospirò affranto -Dicono che prima di ventiquattro ore dalla scomparsa non possono iniziare le ricerche, ma ti rendi conto? Ventiquattro ore! Chissà quella pazza scriteriata dove andrà a nascondersi se le lasciamo tutto questo tempo! E poi è ancora un bambina in giro per il mondo da sola! Con questo Ed! Ma chi è poi?-

-E’ un bravo ragazzo- tentò di rincuorarlo la moglie.

-Non ci scommetterei- sbottò d’impulso Mark. La madre lo fulminò con un’occhiata e lui, di fronte allo sguardo angosciato di Reeves si pentì subito delle sue parole- Cioè personalmente non mi fido di lui – tentò maldestramente di rimediare -Ma non farebbe mai del male a Shay, finché sta con lui è al sicuro, ma come diavolo ha fatto a convincerlo ad andare a Fujisawa?-

-Chissà che bugie gli avrà raccontato per convincerlo-

-Dobbiamo andare riprenderla subito- intervenne Mike con voce strozzata.

-Sì Reeve…- mormorò Rosaly.

-Vado immediatamente cara- fu l’accorata risposta.

-No- urlò la donna – Sei sconvolto non puoi guidare sino a Fujisawa in quelle condizioni…non voglio…ti prego non sopporterei che ti succedesse qualcosa…-

-Ma devo andare chi altri altrimenti…-

-Vado io- intervenne Mark lanciandosi sulle scale per vestirsi.

-Mark sei sicuro?- gli chiese la madre piena di gratitudine.

-Sì vado io- annuì dal pianerottolo fermandosi un istante - Però voglio il permesso di assestare due sculaccioni a quella pazza furiosa appena la trovo-

Reeves lo guardò sopprimendo un sorriso di trionfo –Prima portala a casa, poi a turno le daremo la lezione che si merita-

Non appena la potente auto di Mark scomparve all’orizzonte, immettendosi in strada a velocità controllata, la famiglia Fields si scambiò uno sguardo compiaciuto e trasse un sospiro di sollievo.

-Incredibile c’è cascato in pieno!- esclamò Mike trionfante.

-Già- affermò Reeves passando un braccio sulle spalle della moglie e attirandosela vicino –La tua idea di mandare Mad in lacrime a svegliarlo è stato un colpo di genio-

-Conosco i miei polli- affermò allegra la donna- Mark avrebbe capito subito che la situazione era assurda e che lo stavamo imbrogliando a meno che non lo avessimo turbato al punto da impedirgli di ragionare con calma e vi è un’unica cosa che lo getta nella confusione più totale nel giro di pochi istanti: le lacrime della sua sorellina!- disse facendo un occhiolino alla bambina attaccata alla sua lunga vestaglia.

-Sono stata brava mamma? Lo scherzo a Mark ha funzionato?- chiese la bambina.

-Alla perfezione cara. Sei stata bravissima a fingere di piangere-

-Ma io ho pianto sul serio, se facevo finta Mark se ne sarebbe accorto….però non rideva…non mi sembra che lo scherzo lo abbia divertito…-

-Ah ma il bello deve ancora arrivare!- disse Mike con il tono di chi la sapeva lunga…molto lunga.

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Capitolo 18
*** Preda o predatore? ***


Ciao a tutte e BUON ANNO! Scusate il ritardo con cui aggiorno ma le feste natalizie mi hanno completamente assorbita... Chiedo venia alle tante lettrici che mi stanno seguendo e in special modo ad Innominetuo che ad ogni mio minimo ritardo è pronta a “tirarmi le orecchie”. Inoltre questo è stato un capitolo che ho rimanneggiato più volte, è la svolta decisiva della storia e non è stato facile rendere appieno le emozioni dei due protagonisti. Mah...anche ora non sono totalmente soddisfatta ma a voi l’ardua sentenza... baci e auguroni ancora a tutte! Per aspera ad astra. Akiko chan.

CAPITOLO XVIII. PREDA O PREDATORE?

La capiente sala riunioni dello Stadio Fuji, che in quel momento accoglieva i giocatori scelti per le selezioni, il Mister, il Presidente della Federazione Calcio Giapponese e pochi altri intimi, era in gran fermento. Dal corridoio principale, oltre l’enorme portone di vetro smerigliato, custodito a forza da quattro guardie, giungeva un gran frastuono: i rappresentanti delle più importanti testate sportive nipponiche stavano litigando animatamente tra loro per accaparrarsi un posto in prima fila ed avere l’esclusiva della foto da copertina dei calciatori convocati per la selezione della  Nazionale Juniores. Solo ventidue di essi avrebbero indossato i colori nazionali ai prossimi campionati asiatici e successivamente alla selezione per il primo mondiale a cui il Giappone anelava ad accedere. Il fiero paese del Sol Levante non aveva mai eccelso in questo sport e, nonostante l’apparente indifferenza, questa mancanza bruciava assai agli orgogliosi giapponesi. Il fatto che per la prima volta avessero un numero considerevole di campioni su cui deporre le più fulgide speranze, era di per sé sufficiente a rendere l’atmosfera incandescente. E questo spiegava l’accanimento con cui i giornalisti avevano accantonato il nipponico self-control a favore di una buona dose di aggressività mista a maleducazione per ora tutta incanalata verso i quattro energumeni che sbarravano loro il passaggio.

In un angolo della sala intanto, da dietro il suo tavolo di scuro palissandro, il Presidente bisbigliava concitatamente con un imbarazzatissimo commissario tecnico e la sua giovane assistente, Patricia Gatsby, che si fingeva intenta a sistemare carte già ordinatissime.

 –Non posso aspettare oltre Freddy, dobbiamo iniziare...- celiò il Presidente in risposta alla richiesta di Marshall di  attendere ancora dieci minuti - Mi spiace che la squadra non sia al completo ma io non aspetterò oltre, non senti di là che baccano stanno facendo? Non ho nessuna voglia di leggere sui giornali che la Federazione ha costretto i giornalisti ad inutili ore di attesa per sadico piacere…- concluse guardando il suo orologio d’oro -...davvero non ho nessuna giustificazione per attendere oltre … e per il giocatore che manca… beh il Giappone se la caverà anche senza di lui!-

-Verrà Jerome…lasciagli ancora qualche minuto- replicò il Mister sfoderando una sicurezza che era ben lungi dal provare. Da dietro le sue inseparabili lenti scure, con la coda dell’occhio sbirciò la ragazzina che Ed e Danny gli avevano presentato come la sorella di Mark. Sinceramente non gli era  chiaro perché anziché dell’attaccante numero nove nella sala vi fosse sua sorella, ma i ragazzi gli avevano assicurato che Mark sarebbe arrivato in tempo. Ma ora tempo non ce n’era davvero più: i candidati erano stati tutti registrati, le modalità di selezione definite, mancava solo l’atto finale con i giornalisti. Ma se la Tigre non si presentava prima dell’inizio della conferenza stampa per regolarizzare la sua candidatura con la società sportiva, Jerome La Farier non ci avrebbe impiegato molto ad escludere Mark Lenders dalla rosa dei possibili prescelti. E lui non se la sentiva proprio di rinunciare alla sua miglior punta. Chissà che fine aveva fatto quel benedetto ragazzo, da quando lo conosceva non gli aveva dato altro che pensieri … se non si fosse trattato della Tigre, gliela avrebbe data lui una bella lezione!

-Shay non ha funzionato…- constatò Ed lasciando spegnere anche l’ultimo lumicino di speranza. Ci aveva provato con tutto stesso a credere che il loro folle piano sarebbe andato a buon fine e ora la  delusione gli era quasi intollerabile.

La ragazza lo guardò con l’illusione ancora accesa nello sguardo e questo lo fece infuriare ancora di più - Non è ancora finita- la sentì bisbigliare. Ma come poteva crederci ancora? Neppure di fronte all’evidenza era capace  di ammettere una sconfitta?

Il portiere scosse il capo scompigliando un poco i suoi lunghi capelli corvini  - Non ti arrendi mai, vero?-

-Mai …solo alla fine- ripeté lei sentendo il proprio cuore aumentare il battito. Non lo aveva ancora scorto con gli occhi ma il suo corpo, in quel modo sconosciuto ma ormai familiare, ne aveva già percepito la presenza – E la fine non è questa!- esultò felice mettendo bene a fuoco la sagoma scura apparsa nel rettangolo della porta di servizio.

Il portiere seguì incredulo la direzione del suo sguardo e anche il suo cuore cominciò a galoppare a ritmo serrato. Mark! Era arrivato finalmente!

In quel momento la porta principale venne spalancata e una fiumana rumoreggiante di gente si riversò nella sala. Una confusione inverosimile esplose attorno ai due ragazzi che tentarono invano di rimettere a fuoco l’immagine di Mark mentre i reporter si affaccendavano attorno a macchine fotografiche,microfoni, aste e cavalletti. 

Un’altra persona nella sala si era accorta dell’arrivo di Mark Lenders e senza perdere tempo si era fatta strada a gomitate tra i giornalisti. Freddy Marshall in men che non si dica raggiunse il calciatore poggiandogli una mano sulla spalla – Lenders, finalmente – esclamò visibilmente sollevato – A dopo i convenevoli, ora  metti una firma qui- aggiunse il Mister con fare sbrigativo mettendo in mano al ragazzo un foglio fittamente scritto.

Mark spalancò gli occhi stupito e fissò l’uomo come se fosse impazzito – Una firma?!?- chiese perplesso distogliendo lo sguardo dal punto in cui qualche istante prima gli era sembrato di scorgere Shay. 

-Certo pensavi che ti avremmo lasciato fuori? Dai firma che diamo inizio alle formalità con la stampa …- lo incalzò Freddy mettendogli la penna nell’altra mano libera.

Mark fece vagare lo sguardo adombrato sopra le teste dei giornalisti, per fortuna la sua altezza  gli permetteva di vedere oltre quella muraglia umana. Incrociò lo sguardo della sorellastra nell’attimo in cui il reporter che le bloccava la visuale si chinò a raccogliere qualcosa.

La furia sembrava fluire da lui come una corrente scura e densa come l’inchiostro e Shay si ritrasse cercando istintivamente il braccio del portiere al suo fianco. Ed osservò il volto livido della ragazza che gli si era aggrappata terrorizzata e in attimo gli fu chiaro che tutta la sicurezza che aveva sbandierato sino a quel momento, era stata solo un’inconsistente facciata. D’altronde era da incoscienti non temere la reazione di Mark. Ma ora che lui era lì, chi lo avrebbe costretto a firmare? Shay non poteva certo fare anche quel miracolo…

Come era stato stupido pensò allacciando le sue dita a quelle della ragazza nel tentativo di darle un po’ di conforto. Erano ghiacciate nonostante la temperatura nella sala fosse piuttosto elevata. Un moto di sincera tenerezza riempì l’animo del portiere che si chinò verso di lei – Forza…- le sussurrò piano attirandola più vicino.

Shay annuì ma la sua espressione sgomenta non mutò di una virgola.

Ed sospirò preoccupato. Portare Mark lì non era certo sufficiente, bisognava convincerlo a firmare, nessuno poteva costringerlo contro la sua volontà e tra breve avrebbe anche scoperto che la sorella gli aveva falsificato la firma e allora chi lo avrebbe più placato? Doveva inventarsi qualcosa o tutti gli sforzi di Shay sarebbero stati vani. Anche se aveva sbagliato tradendo la fiducia del compagno, per molto tempo era stato il miglior amicodella Tigre e nessuno meglio di lui poteva sapere i modi per farlo ragionare. Perlomeno doveva tentare!

-Mark firma!- la voce imperiosa di Freddy Marshall lo costrinse a voltarsi di nuovo.

-Ma io non ho fatto domanda di entrare in squadra…- replicò il cannoniere con la spiacevole sensazione che vi fosse qualcosa che non tornava.

-Cosa?- Freddy lo afferrò per un braccio e lo trascinò due passi indietro ben lontano da orecchi indiscreti – Qualsiasi gioco tu stia facendo, dacci un taglio Lenders! Questo non è il momento …- gli disse l’uomo con durezza -Sei tremendamente in ritardo ed è solo perché Jerome è un mio vecchio amico che ha accettato di aspettare ancora qualche minuto, ora firma e non fare altre inutili storie-

Mark chinò il capo per leggere il foglio che aveva afferrato meccanicamente quando Freddy glielo aveva ficcato in mano. Scorse in fretta alcune righe qua e là

Contratto  tra la F.C Japan e il signor Lenders Mark il quale si impegna a giocare per la squadra Juniores giapponese in caso di selezione che avverrà……
Mark Lenders … nato a … il …
… ruolo di centravanti …
 come da sue dichiarazioni pervenute in data  23 novembre …

Come da sue dichiarazioni pervenute in data 23 novembre ?!??!?! Ventitre novembre … una settimana prima. Dichiarazioni pervenute?!?!? E chi le aveva spedite?!!?

La risposta gli arrivò veloce e violenta come un pugno in pieno stomaco. Tutti i lati oscuri di quella faccenda all’improvviso erano limpidi e chiari come le acque di un torrente di montagna. Un bagliore che gli bruciava gli occhi, il petto…le mani.

- Oh Shay comincia  a pregare…- pensò furioso -Posso vedere la mia iscrizione?- chiese sollevando appena il capo in modo che i lunghi capelli scuri celassero al Mister la furia omicida che era sicuro gli si leggeva a lettere cubitali in fronte.

-Ma perché?- chiese Freddy disorientato – Per favore Mark firma, non c’è più tempo…-

-Non firmo se prima non mi fa vedere la … mia domanda di iscrizione-

-Dannato , tu mi farai morire- imprecò Marshall tra i denti facendo un cenno alla sua assistente che accorse veloce come se non avesse fatto altro che attendere un segnale dal suo superiore – Patty dammi la cartella di Mark-

La ragazza scorse velocemente le cartelline arancioni che teneva strette al petto e senza dire una parola ne porse una al Mister.

L’attaccante fremeva letteralmente di rabbia ma non permise ad un solo muscolo del suo corpo di sfuggire al suo controllo. Avrebbe fatto una strage ma non davanti a centinaia di giornalisti. Quella era una faccenda che avrebbe risolto in un posto molto più appartato.

Sussultò spaventato quando la sua spalla tremò, per un terribile attimo temette di aver ceduto all’ira e di aver fatto una mossa avventata. Si girò di scatto rendendosi conto che Benji gli era accanto, la mano del portiere saldamente stretta attorno alla sua spalla – Dai testone muoviti con le formalità e vieni con noi- gli disse Benji rivolgendogli un caldo sorriso, quel tipo di sorriso che l’impassibile portiere riservava solo a pochi intimi amici.

-Stammi alla larga Price …-

-E che ti ho fatto?- ribatté, ritirando in fretta la mano come se si fosse scottato, lo sapeva fin troppo bene che quando il compagno aveva quell’espressione erano guai grossi in vista, ma non resistette alla tentazione di punzecchiare il suo miglior ex nemico - Il tigrotto arriva in ritardo e c’ha anche le palle girate?-

Mark lo avrebbe senz’altro colpito se in quel momento Freddy non avesse calamitato la sua attenzione sbattendogli in muso la sua autorizzazione.

Mark  scorse in fretta il frontespizio e girò pagina alla ricerca della sua firma: simile ma non sua!

Veramente Shay aveva osato tanto? Guardò la sorella ora perfettamente visibile al di là delle file di sedie rosse su cui i giornalisti avevano preso diligentemente posto. La ragazza era letteralmente avvolta attorno al braccio di Ed. Maledetti! Avevano architettato tutto insieme? Perché? Possibile che fosse plagiata da lui sino a quel punto?

-Infilati la tuta della Nazionale per le foto- gli ordinò Freddy a denti stretti strappando dalle mani di Patty un fagotto e sbattendolo in mano a Mark – E datti una regolata Lenders. Sei importante per questa squadra ma le regole sono uguali per tutti, te compreso - disse duro – Ora vatti a infilare quella cazzo di tuta e siediti con i tuoi compagni, il contratto me lo firmerai dopo mentre Patty distrarrà Jerome …-

Mark avrebbe voluto ridergli in faccia. Di che regole andava blaterando se lo avevano portato sino a lì con l’inganno?

Holly gli diede un discreta gomitata sul fianco bloccando sul nascere ogni sua replica –Benvenuto a bordo, bomber- gli disse facendogli l’occhiolino e sgusciando velocemente tra i giornalisti per sistemarsi al posto d’onore in mezzo ai suoi compagni.

Le parole di Holly furono per lui l’ulteriore pugno allo stomaco della giornata. Come aveva potuto Ed portarlo sino a lì? Ma c’entrava veramente Ed? O Shay aveva fatto tutto da sola? Quella firma era troppo simile alla sua, come poteva la ragazza conoscerla così bene? Mah... era capace di tutto quella serpe … Ora l’avrebbe costretta a rispondere a tutte le sue domande. Osservò un gruppo di giornalisti che stava avanzando alle spalle di Ed e Shay, i due ragazzi si separarono per liberare il passaggio alla troupe. Shay fu costretta ad indietreggiare isolandosi proprio accanto all’uscita di sicurezza, quel frangente fu sufficiente a Mark per piombare sulla sorellastra e trascinarla a forza al di là della porta.

-Lasciami mi stai facendo male- gemette Shay strattonata per un braccio in malo modo da Mark che quasi correva lungo i corridoi dello stadio – E rallenta non riesco  a starti dietro- ansimò inciampando e finendogli contro un fianco.
Mark si voltò verso di lei arso da una ira cieca, aprì la bocca per dire qualcosa ma poi, ripensandoci, la richiuse, limitandosi a stringere il braccio della ragazza con maggior forza e sbalottolandola come avrebbe fatto con un sacco di patate, senza farsi troppi scrupoli.
Shay gemette ancora, sforzandosi di riconquistare un più solido equilibrio: farsi trascinare era già abbastanza doloroso, se cadeva a terra tutto il suo peso avrebbe gravato su quel povero braccio martoriato.

-Non fare storie e non osare metterti a frignare- ringhiò lui feroce tirandola a sé.

Shay lo guardò sconvolta. Non si sognava neppure di opporre resistenza e stava facendo del suo meglio per mantenere quel passo affrettato ma spesso doveva correre per coprire le lunghe falcate dell’attaccante. Dopo un tempo che le sembrò interminabile, finalmente Mark si arrestò davanti a una grande porta in bambù e vetro opacizzato.

La spalancò, scaraventò la ragazza all’interno e la richiuse alle sue spalle con altrettanto vigore. Shay incespicò, incerta se rifugiarsi nell’angolo più recondito dello stanzone o voltarsi a sfidarlo. L’istinto le consigliò di affrontarlo e una parte di lei era ormai al di là del terrore, in una sorta di staticità glaciale, determinata a non perdere neanche una mossa di Mark.  Era furioso lo sapeva bene, ma lei non era certo da meno, si era intromessa nella sua vita quando lui le aveva chiesto esplicitamente di starne fuori, ma un trattamento del genere non lo tollerava. Che voleva fare, riempirla di pugni? Dalla sua espressione, Shay ne era certa. Si concesse di arretrare di un passo, continuando a massaggiarsi il braccio che Mark aveva tanto duramente maltrattato. Il ragazzo mollò un violento calcio contro una sedia facendola volare lontano. Il colpo rimbombò nella stanzone vuoto facendola tremare come una foglia. Che rumore avrebbero fatto i pugni di Mark su di lei contro quelle pareti mute?  Il pensiero di quelle mani ruvide sul suo corpo le tolse il respiro. Un misto di paura, timore, stupore e …trepidazione.

Le mani di Mark si erano posate diverse volte su di lei, con rabbia ma anche rare volte con estrema dolcezza e una volta pure con passione….ma quella volta non c’entrava…era ubriaco fradicio…
Il cannoniere strinse i pugni sino allo spasmo per controllarsi -Hai paura?- lo sguardo che le lanciò era corrosivo come un calice di veleno –E fai bene, non sai che sforzo immane sto facendo per controllarmi- proseguì squadrandola dalla testa ai piedi  – Come hai osato? Falsificare la mia firma! Sei impazzita? Potresti andare in galera per un’azione del genere!-
Shay sollevò il capo affrontandolo titubante - Solo se tu mi denuncerai…-

-Sei impossibile!- urlò gelido ed affilato come una scheggia di ghiaccio –Sei una mocciosa viziata ma anche calcolatrice e meschina, sai bene di avermi incastrato, non posso denunciarti… rovinare la famiglia, non ne sarei mai capace! Ma questa è solo la punta dell’iceberg! Scappare di casa, far morire di angoscia tuo padre, mia madre, Micheal, Harry…anche la piccola Mad…sei un’incosciente e…-

-Alt!- lo bloccò lei conscia di aver trovato l’appiglio per stupirlo e forse, con un po’ di fortuna, ammansirlo -Questa accusa è infondata- replicò sfoderando l’espressione più innocente che conosceva.

Come previsto Mark rimase spiazzato. Shay vide lo stupore offuscare quello sguardo adamantino e colse l’attimo esatto che avrebbe potuto garantirle di tornare a casa tutta intera  -Non ho fatto tutto da sola…Bestione…mi reputi troppi meriti che non ho- rispose sospirando sollevata, ormai certa di aver trovato una via di fuga indolore. Per una ragione che non tentava neppure di spiegare, Shay si era accorta che gli stati d’animo di Mark le erano noti ancor prima che lui stesso li mettesse a fuoco, come se il ragazzo emanasse una specialissima aurea che precedeva ogni sfumatura del suo carattere, permettendole di riconoscere in anticipo i momenti in cui bisognava temerlo e quelli in cui tergiversava alla ricerca di una spiegazione a qualcosa che non comprendeva. In quel momento lei sapeva che Mark era confuso, alla ricerca di un chiarimento che però non voleva abbassarsi a chiedere.

Shay tacque invitandolo con lo sguardo a proseguire.

-Vuoi dire che tuo padre era complice?-

Un sorriso spontaneo illuminò il volto di lei -E anche Rosaly, i tuoi fratelli, Ed, Danny e tutta gli altri tuoi compagni- disse avanzando di qualche passo.

Lui tacque osservandola incredulo. Era la prima volta che la vedeva sorridere in quel modo così spontaneo e naturale. Mai si sarebbe aspettato che quel volto antipatico si potesse trasformare in un mare sconfinato di dolcezza e luce.

-Non capisci Mark?- chiese lei chiamandolo finalmente per nome – Attorno a te hai persone che ti vogliono…bene….che non accettano che getti alle ortiche l’occasione della tua vita per una stupida ripicca-

-Stupida ripicca?- ripeté incupendosi –Tu non sai di cosa stai parlando!- obiettò duro.

Shay scosse il capo incredula di fronte a tanta testardaggine -So tutto invece, Ed mi ha raccontato ogni cosa- ammise risoluta – Per questo non potevo permettere che tu continuassi a fare di testa tua. Nessuno di noi poteva permetterlo e allora ci siamo coalizzati. Arrabbiati, strepita, picchiami, fai quello che vuoi, ma poi riemergi dal turbine di rabbia e risentimento che ti sta inghiottendo e impedisciti di distruggere la tua vita-

Mark la guardò dubbioso. Il tono dolce ed implorante che Shay aveva adottato lo turbò profondamente. Senza accorgersene agganciò gli occhi azzurri di lei e si ritrovò rapito da quello sguardo limpido, denso di emozioni che lui sentiva di condividere in pieno. Il dolore di lei era il suo, la via che lei gli stava indicando era quella che lui voleva percorrere.

Fece uno sforzo immane per rompere quell’attimo di magia, non voleva cedere a quell’improvvisa debolezza. Era spossato ed incapace di riflettere. Era questo l’effetto devastante delle moine di Shay? Che razza di arti manipolatorie aveva appreso quella dannata ragazzina? Doveva stare all’erta, lo sapeva sin troppo bene che quella Peste sapeva raggirarsi gli uomini con estrema facilità, l’aveva vista all’opera con i propri occhi con Reeve, con Danny e sicuramente anche con Ed...

Shay gli si avvicinò ancora sfiorandogli appena un avambraccio per attirare la sua attenzione, la squadrò confuso ma lei non disse nulla per dissipare i suoi dubbi.

–Ecco cos’era quell’aria da cospiratori che girava in casa- disse infine voltandole le spalle e sottraendosi a quel contatto che lo turbava più di quanto fosse disposto ad ammettere -Tutti complici…Micheal che all’improvviso esce in moto con te, Mad e Harry che ti difendono a spada tratta, mia madre e tuo padre che confabulano….bella famiglia mi ritrovo- sbottò infastidito incapace di accettare la profonda emozione che stava avendo la meglio su di lui. La sua famiglia. La sua splendida famiglia. Una vampata calda e confortante gli avvolse il cuore.

-Famiglia?- ripeté Shay spalancando gli occhi spaventata e arretrando come si fronte a un mortale pericolo.

Mark si voltò di scatto percependo nell’aria il repentino mutamento avvenuto in lei. La osservò incredulo: all’improvviso non aveva più di fronte la ragazza sicura e caparbia in grado di metterlo nel sacco insinuandosi con sconcertante facilità tra le falle della sua corazza, ma una creatura confusa e  sgomenta.

La fissò in silenzio per alcuni istanti chiedendosi che cosa lei si aspettasse di sentirsi dire. Ma lui non lo sapeva cosa dire, poteva solo affidarsi al suo istinto -Non lo accetti ancora, vero?-

Shay arretrò ancora di qualche passo andando a sbattere contro una panca di legno, vi si lasciò cadere afflosciandosi su se stessa come una bambola di pezza. Ora toccava a lei fare i conti con un’onda impetuosa che non riusciva né poteva governare.

Famiglia?

Il cuore e l’anima le si sfaldarono.

Famiglia?

Che cosa era successo? Perché Mark le parlava con dolcezza quando avrebbe dovuto spaccarle il culo?

Famiglia?

Alzò gli occhi alla ricerca di aiuto. Lo sguardo di Mark era calmo e caldo e la accolse senza reticenze.

Famiglia…

Perché la guardava così?

Famiglia…

Perché i suoi occhi la attraevano come una calamita scaldandola e allontanando da lei quell’onda gelida?

Famiglia!

-Che significa Mark? Che io e te siamo fratelli? Che ho ben quattro fratelli e …una madre?-

Non sapeva se aveva posto la domanda ad alta voce o se si fosse formulata solo nella sua mente.

-Siamo così insopportabili?-

La voce di Mark le fece sollevare il capo di scatto con un sussulto. Aveva parlato quindi. Lo guardò disorientata, ora era lei ad avere bisogno di una spiegazione  e a non avere il coraggio di chiederla.

Mark lo comprese, in fondo era da presuntuosi credere che quell’aurea fosse esclusiva solo sua: anche lui le leggeva dentro con estrema chiarezza e ora l’aveva in pugno. Poteva distruggerla con una parola, calpestarla senza pietà. Era disarmata, inerme, vulnerabile con un fagotto di dolore represso che si era inaspettatamente aperto.

Mark si mosse adagio per non spaventarla, le si sedette accanto e strinse forte i pugni sulle ginocchia sino a farsi  sbiancare le nocche. Per un attimo aveva pensato di cedere all’impulso di abbracciarla, di stringerla forte al petto e rincuorarla, pregandola di accettarli nella sua vita. Ma era assurdo: lui non poteva abbracciare Shay! La mocciosa più viziata e rompipalle dell’universo. La odiava altro che abbracciarla!

-No- ammise infine lei –Ma…oh Mark..- sospirò affranta abbattendo con un unico sospiro tutto il mondo di incomprensioni e dolore che si era costruita attorno.

Mark chiuse gli occhi per un attimo conscio di essere perduto. Poteva sopportare tutto ma non il suo nome pronunciato con tanto trasporto, con tanta intima sofferenza. Ma chi voleva prendere in giro? Lui non la odiava affatto quel tenero tormento fatto di ombre scurissime e luci sgargianti, non l’aveva mai odiata neanche quando aveva dato della squaldrina a sua madre e dei bastardi ai suoi fratelli, chiunque altro avesse osato fare tanto non sarebbe ora in questo mondo a raccontarlo, ma non Shay, a lei questo lo aveva concesso. Perché?

Perché aveva due grandi occhi azzurri che sapevano drogarlo.

Perché era l’unica persona che non era mai indietreggiata di fronte a lui.

Perché era fragile come una bambina eppure immensamente forte.

Perché poteva batterlo e fare di lui ciò che voleva.

Perché erano simili come due gocce d’acqua.

Perché le voleva bene.

Perché era sua sorella.

Quella nuova consapevolezza gli scaldò il cuore come una potente fiammata che si impossessa del tronco migliore e gli diede il coraggio di fare ciò che altrimenti non si sarebbe neanche mai sognato di fare: le passò un braccio attorno alle fragili spalle tremanti, attirandola contro il suo corpo massiccio.

La sentì dapprima sussultare sorpresa, per un attimo temette un suo imbarazzante rifiuto, ma poi sentì le braccia di Shay stringersi attorno ai suoi fianchi e il volto della ragazza sprofondare nel suo petto. Si era raccolta nel suo abbraccio, affidandosi a lui con sicurezza, concedendogli di toccare le sue paure più grandi. Poteva sentire il suo respiro caldo e accelerato stuzzicargli la pelle del torace attraverso la felpa. Chiuse gli occhi e lasciò che la sua vicinanza lo inondasse come una marea delirante, la strinse ancora di più affondando il volto nei suoi capelli corvini che profumavano di vaniglia. Meglio impedirle di alzare il viso e leggere il turbamento profondo che lo sconvolgeva. Non avrebbe saputo dare spiegazioni né a lei né a se stesso.

-Io una mamma  ce l’ho…- mormorò la ragazza contro il petto del calciatore, gli stava parlando dritto al cuore, in tutti i sensi possibili -è qui sempre accanto a me, dentro di me, davanti ai miei occhi, in ogni mio gesto, in quello che sono e questo nessuno lo può cambiare- singhiozzò strofinandosi leggermente contro il tessuto ruvido della felpa di Mark. Quanto calore, quanta comprensione in quell’abbraccio. Poteva dire finalmente ciò che da sola non avrebbe mai potuto sopportare. Ma il peso delle sue parole era assorbito da Mark e lei era protetta, finalmente…

-Nessuno vuole cambiare questo- mormorò lui strofinando la guancia contro i capelli di lei in una delicata carezza.

Ma Shay era troppo coinvolta dalle sue emozioni contrastanti per accorgersi di quel gesto goffo ma dolcissimo che rivelavano i reali sentimenti del ragazzo per la sorellastra –E allora Rosaly non potrà mai essere la mia mamma-

-Ma la compagna di tuo padre sì, la donna che lui….ecco ha scelto per ….-

-Dillo pure, non temere- lo incitò lei tirando forte su con il naso e staccandosi dal petto caldo del ragazzo - La donna che papà ama-

-Ti fa male dirlo?-

-No lui non ha mai amato la mia mamma- disse tirando su un’altra volta.

A Mark sembrava proprio una bambina indifesa in un corpo troppo grande e troppo morbido per lei -Non dire così- disse alzandosi e prendendo un rotolo di carta igienica appoggiato ad una panchina poco distante.

-Ma è vero- replicò lei prendendo la carta e asciugandosi rumorosamente il naso –Non la sai la storia dei miei genitori?- Shay lo guardò di sottecchi mentre lui la scrutava ritto davanti a lei con le mani affondate nelle tasche. Per la prima volta la sua altezza non la intimoriva né la metteva a disagio, anzi la proteggeva, come un valoroso cavaliere, così il dolore non l’avrebbe sopraffatta -Si sono conosciuti ad una festa di amici, si sono piaciuti e hanno avuto una breve storia ma ben presto si sono accorti entrambi di non essere fatti l’uno per l’altra. Ottimi amici sì, ma non innamorati. Solo che mia mamma si accorse di essere incinta. Ne discussero a lungo e decisero di non negare la vita a quel bambino che non c’entrava niente con la loro leggerezza. Si sposarono per amore mio ma la cosa non funzionò, si separarono dopo pochi mesi dalla mia nascita. Per me è stato normale crescere con genitori separati e devo dire comunque che l’amicizia che li legava mi ha protetto da qualsiasi trauma, per me non erano un problema gli uomini che transitavano nella vita di mia madre e le molte donne nella vita di mio padre. Io venivo sempre prima di tutto di ciò avevo la certezza, non mi hanno mai fatto mancare niente. Poi la mamma è morta…cinque anni fa…- Shay non riuscì a reprimere un brivido e Mark lo percepì quasi fosse stato lui stesso ad averlo, ma non si scompose continuando a scrutarla in silenzio. Lei era forte, poteva farcela anche da sola. Era per questa forza interiore che la stimava tanto.

-Ce la faccio…- mormorò lei sollevando il capo.

-Lo so- Mark fissò attonito il suo sorriso incerto e gli occhi lucidi, la vide deglutire convulsamente lottando per tenere a freno le emozioni. Come la ammirava, quanta forza, quanto coraggio in quel mare in tempesta -Shay…- mormorò non sapendo neanche lui che volesse dire, l’emozione lo soffocava –Continua…-

-Ecco- proseguì lei rilassandosi al suono di quella voce dal timbro rassicurante e pregno di una dolcezza che non gli aveva mai udito prima - La mamma morì all’improvviso e la sua perdita gettò nello sconforto sia me che mio padre. Ma per amore l’uno dell’altra superammo quel tragico momento e da allora tra me e mio padre è iniziato un rapporto nuovo ancora più intenso e simbiotico di prima, lo so è difficile da capire per chiunque ma…noi eravamo una cosa sola. O almeno io lo percepivo così. Poi invece papà mi disse che si era innamorato, non una delle sue solite scappatelle ma una cosa seria, parlava di matrimonio e …in pochi mesi mi sono ritrovata per casa un padre che non apparteneva più solo a me, un’estranea che percepivo come un’usurpatrice e dei marmocchi che non sapevo neppure come classificare. E poi tu Bestione, con la tua boria e le tue folli idee di “mettermi in riga”-

Mark ridacchiò imbarazzato ripensando a tutti i suoi maldestri tentativi andati a vuoto -Non tanto folli…eri una furia scatenata…stavi facendo venire un esaurimento  a tutti…-

-Ero arrabbiata, ferita, delusa, mi sentivo tradita, umiliata, spodestata e reagivo per non soccombere alle mie stesse emozioni-

 -Lo capivamo tutti ma ciò non ti scusava Shay…non era giusto nei confronti di persone che tentavano solo di avere il tuo affetto-

-Ora lo so- disse sospirando finalmente serena dopo tanto tempo.

-Oh alla buonora …quindi niente più colpi di testa-

-Uhm…- mugugnò Shay guardandolo con espressione birichina – A patto che neppure tu ne faccia-

Mark rimase di sasso -Non molli mai eh?- replicò sapendo bene che doveva sentirsi arrabbiato per quel ricatto ma in realtà incapace di provare altro che un’infinita felicità.

-Bestione non puoi deludere la tua famiglia così, noi crediamo in te…-

-Va bene Shay, lo faccio per voi- capitolò infine conscio che se lei avesse continuato a fissarlo in quel modo non le avrebbe mai negato nulla –Domani scenderò in campo, mostrerò di cosa sono capace con il mio numero nove sulla schiena-

La ragazza balzò in piedi -Oh come sono felice di sentirti parlare così- disse gettandoglisi addosso.

-Piano Peste mi fai perdere l’equilibrio e finiamo per terra entrambi- rise Mark vacillando sotto l’impeto inaspettato della ragazza.

-Andiamo- esultò Shay tirandolo per una mano- Gli altri saranno felicissimi della tua scelta-

Mark si rabbuiò -Non è cambiato nulla tra me ed Ed, non lo voglio in squadra e farò di tutto per non averci a che fare-

-Ma Mark …- replicò profondamente turbata dall’espressione arcigna ridiscesa di nuovo sul volto del ragazzo.

-Non accetterò mai quello che mi ha fatto-

Shay trasse un profondo respiro –Mi piace- disse semplicemente sentendosi arrossire ma non facendo niente per nascondere il suo imbarazzo.

Mark la squadrò duro, incapace di proferire parola.

-Ed mi piace - ripeté lei risoluta –Ha sbagliato e lo sa, anche se la colpa non è stata tutta sua e comunque non spetta a me giudicarlo, lo so che non è perfetto nessuno di noi lo è e sbagliare capita a tutti-

-Ci sono principi che non vanno traditi mai- replicò Mark acido- Un vero amico certi errori non li fa-

-Non lo hai neanche mai ascoltato, non hai sentito la sua versione-

-Non lo voglio sentire, non lo voglio vedere, non voglio avere più niente a che fare con lui- rispose asciutto.

-Ok Bestione, era ovvio che non potevamo essere d’accordo su tutto- replicò Shay sullo stesso tono prima di uscire dallo spogliatoio e lasciare Mark solo alle prese con i suoi rancori, sollevata per essersi liberata definitivamente dei suoi.

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Capitolo 19
*** Una Nazionale in crisi ***


CAPITOLO XIX. UNA NAZIONALE IN CRISI

L’assist del Capitano Oliver Hutton era pressochè perfetto: calibrato, repentino, fantasioso e il centravanti nipponico agganciò la palla ruggendo di gioia, era un piacere giocare al fianco di quel campione e per nulla al mondo avrebbe sprecato un passaggio così eccezionale. Avanzò ancora di poco, che imprudenza imperdonabile lasciarlo tutto solo ad una manciata di metri dalla porta, aveva persino il tempo di equilibrare il peso sulle gambe e calcolare il tiro al millimetro. Quello era un goal sicuro.

-GOAAAAL! La Nazionale giapponese raddoppia le distan… -

Il boato assordante dello stadio coprì le ultime parole del telecronista ma nessuno se ne crucciò: sentire il calore del pubblico era molto più eccitante di qualsiasi descrizione delle prodezze di quel inaspettato Giappone. L’autore della doppietta, Mark Lenders, salutò i tifosi sollevando in aria il braccio, la mano stretta a pugno, il dito indice e medio tesi in modo da formare una strafottente V. Godette compiaciuto di quella caotica confusione di cui era fautore ma l’euforia durò solo un istante. In cuor suo era conscio che quel goal avrebbe cambiato di poco le sorti di quell’ennesima, mediocre partita.

Stavano vincendo per 2 a 0 contro una delle squadre più scarse del continente asiatico. Avevano pareggiato a fatica con la Cina, vinto, grazie ad un rigore trasformato in goal, con la Corea, perso con la Turchia. E quella sconfitta bruciava ancora addosso alla squadra, soprattutto per il Capitano, che considerava la Turchia l’unica degna rivale del campionato, l’unica che avesse un calcio tecnico vagamente simile a quello europeo. L’Europa la patria del calcio. Le migliori squadre del mondo. I migliori giocatori del mondo. Come avrebbero potuto competere in quelle condizioni?

Per gli standard asiatici quel Giappone era già un fenomeno ma ogni singolo componente della squadra sapeva che anche contro la più scarsa delle squadre europee o sud americane, non vi era alcuna speranza. E loro avevano un obiettivo solo in testa: la coppa del mondo, di tutto il mondo! Così non funzionavano. Holly, che da sei mesi militava nelle fila del Santiago, non faceva che ripeterlo, spalleggiato da Benji che da tre anni indossava la maglia dei giovani del Bayer Monaco in attesa di una prossima promozione nella squadra titolare. Il portiere era senz’altro meno loquace del Capitano nell’esprimere le sue preoccupazioni, ma il suo silenzio e i suoi sguardi sprezzanti non lasciavano molti dubbi sui suoi reali pensieri.

Il gioco riprese con un lungo passaggio dell’ultimo difensore vietnamita al centrocampo ma Mark non badò a quel contropiede, la loro difesa era impeccabile e nonostante i suoi sentimenti decisamente ostili per Warner, non era così stupido da non riconoscere il valore calcistico del compagno.

Ed.

Erano passati poco più di tre mesi dallo scontro con Shay negli spogliatoi della stadio di Fujisawa.

Il suo pensiero oltrepassò veloce migliaia di chilometri, oltre il mare sino a giungere nella sua isola, nella sua città, nella sua casa. Sua madre, il suo patrigno, i suoi due fratelli e le sue due sorelle. Due. Sorrise appagato tra sé e sé, pensare a Shay da un po’ di tempo a quella parte, gli faceva davvero uno strano effetto.

Dopo che la sorella era uscita dagli spogliatoi, sbattendosi la porta alle spalle con il suo consueto piglio arrogante e indisponente, si era ritrovato completamente solo costretto a dover prendere in una manciata di minuti la decisione forse più importante della sua vita.

Le parole di Shay gli giravano per la mente come un mulinello impazzito, spazzando via una ad una le sue convinzioni. Solo il pensiero che i suoi cari fossero in pena per lui e si fossero alleati, superando incomprensioni e ripicche, aveva importanza in quel momento, tutte le altre motivazioni che per mesi lo avevano allontanato dall’idea della Nazionale, ora non erano che sbiadite comparse.

Non ci aveva messo molto a venire a patti con il suo orgoglio: lui desiderava più di ogni altra cosa partecipare a quei mondiali, l’occasione d’oro per farsi vedere a livello internazionale e, chissà, magari essere ingaggiato da qualche importante società com’era capitato ad Holly e a Benji. Lui non valeva certo meno di loro, gli era mancata solo la giusta occasione.

Si era cambiato in fretta, aveva indossato la tuta della Nazionale provando qualcosa di viscerale a contatto con la stoffa morbida della sua maglietta che lo avvolgeva alla perfezione, dando finalmente il giusto colore ai suoi desideri più veri. Era uscito da quella stanza senza voltarsi indietro, aveva percorso il corridoio a passo di marcia prendendo posto accanto ai compagni nella sala conferenze tra i flash frenetici dei numerosi fotografi che già avevano abbozzato le illazioni più strampalate sull’assenza del bomber più famoso del Giappone tra i convocati.

Aveva ricambiato gli sguardi complici dei compagni e risposto d’istinto al sorriso soddisfatto di Danny Mellow, pur sospettando una parte importante dell’amico nelle trame della sua sorellina.

Si era rifiutato invece di voltarsi verso Ed.

Non ci riusciva proprio, neppure ora, e neanche dopo mesi di allenamenti fianco a fianco, si erano più rivolti la parola. Solo una volta Ed aveva tentato di parlargli, ma lui lo aveva guardato con disgusto e non erano serviti grandi discorsi per far desistere il portiere da ogni inutile ed ipocrita tentativo di riavvicinamento.

Dopo la firma del contratto era tornato a casa in auto assieme a Shay e durante il tragitto, la sorella gli aveva raccontato tutti i retroscena della trappola che gli avevano teso. Nonostante la rabbia per essere stato ingannato, quella dannata ragazza era riuscita a farlo ridere a crepapelle sino a fargli venire le lacrime agli occhi e, quando sul più bello era riuscito a calmarsi, il volto allarmato di sua madre e di Reeve, che li attendevano preoccupati sulla soglia di casa, lo avevano fatto scoppiare a ridere un’altra volta. Quel giorno si era sentito euforico, come non gli capitava da tantissimo tempo e gran parte del merito lo aveva avuto quella testarda impicciona. Da quando aveva indossato la tanto agognata maglia della Nazionale, aveva toccato con mano l’enormità dello sbaglio che la sua famiglia gli aveva tenacemente impedito di fare anche se, da bravo fratello maggiore, aveva intimato a Mike di non osare mai più, per nessun motivo al mondo, falsificare la sua firma.

I giorni seguenti erano stati frenetici e li ricordava a fatica. In breve aveva sistemato i suoi impegni con l’università, preparato le valigie ed era  partito per il ritiro.

In quei tre mesi di lontananza aveva chiamato a casa quasi ogni sera per assicurarsi che Shay continuasse a comportarsi in maniera adeguata e spesso si era ritrovato a  prolungare la comunicazione via cavo, intrattenendosi con la sorella in chiacchiere sulla scuola, i compiti in classe, i progressi di Mad, trasformando quello che era nato come una responsabilità verso la sua famiglia, nel momento più piacevole della sua lunga giornata di serrati allenamenti.

L’arbitro guardò l’orologio e Mark si rilassò, ormai mancavano solo pochi istanti alla fine anche se i vietnamiti non sembravano disposti a perdere quella partita. Con una splendida intuizione il Capitano del Vietnam aveva recuperato la palla e tutto il centrocampo era scattato in avanti seguendo il loro numero dieci,  lanciandosi in un’ultima disperata quanto inutile azione.

Il giocatore vietnamita superò la difesa evitando l’entrata in scivolata di Bruce Harper, l’intervento maldestro di Ted Carter  al limite del falloso, e si avviò velocemente con la palla al piede nell’area di rigore. Il Capitano non tirò in porta ma passò la sfera alla sua punta che si trovava in una posizione più favorevole al tiro. Ed fu preso in contropiede da quest’ultimo passaggio, avrebbe giurato che il Capitano avversario tentasse il tiro, il suo errore di valutazione lo costrinse ad un acrobatico scatto per ritornare nella giusta posizione. Il contatto con i piedi dell’attaccante fu inevitabile e il portiere, rendendosi conto che il vietnamita gli sarebbe inevitabilmente precipitato addosso, tentò di ripararsi il più possibile avvolgendosi su se stesso.

Il volto di Ed ci impiegò una frazione di secondo a trasformarsi in una grottesca maschera di dolore quando il ginocchio dell’avversario piombò sulla mano aperta che non aveva fatto in tempo a ritrarre dal freddo e compatto manto erboso.

Il triplice fischio dell’arbitro e il boato euforico dei tifosi nipponici fu un tutt’uno. L’ultima partita del girone C era finita con una vittoria di 2 a 0 per il Paese del Sol Levante, sancendo la qualificazione del Giappone al campionato asiatico.

Nessuno sembrava essersi reso conto che il portiere non si rialzava ma si agitava convulsamente nell’erba, stringendo al petto il braccio con la mano infortunata.

I difensori, Paul Diamond e Bruce Harper furono i primi a prestare soccorso al loro compagno e, scambiate due parole con il portiere, fecero segno ai medici a bordo campo di accorrere con la barella.

In brevissimo tempo tutta la squadra si strinse attorno all’amico, solo il numero nove, Mark Lenders, rimase immobile nella medesima posizione in cui si trovava al momento del fischio finale, a pochi passi dall’area di rigore avversaria.

I primi attesi fiocchi ancora non si decidevano a cadere, peccato avrebbe accolto con sollievo il tocco della neve, gelato ma delicato come una carezza purificatrice. Qualcosa di bianco in un mare di pattume nero.

Ed era il suo migliore amico e non era accanto a lui.

-Sei solo un fottuto bastardo-

Il suo piede destro scattò in avanti verso il bordo campo dove i medici avevano trasportato il portiere infortunato, gli occhi bruni fissi sulla barella bianca da cui spiccava la maglia grigio argento del compagno.

-Lui si è scopato Isabelle quando lei stava con te…non sei tu il bastardo…-

Si bloccò, l’animo disgregato da opposti sentimenti, il volto innaturalmente voltato di lato teso nel tentativo di nascondere al mondo, e soprattutto a se stesso, la momentanea debolezza. Non voleva vedere quella scena, non voleva sapere quanto grave fosse la ferita di Ed…

-Potrebbe essere la fine della sua carriera…-

Non aveva seguito l’azione ma, per una strana coincidenza, si era voltato proprio nell’istante in cui Ed si tuffava tra i piedi dell’avversario, il colpo era stato violento, poteva davvero trattarsi di qualcosa di grave.

-Idiota lui a rischiare tanto per un goal che non avrebbe cambiato niente…-

Mark voltò le spalle al portiere, ai medici, alla squadra dirigendosi verso gli spogliatoi – Lui è un campione e non avrebbe mai rinunciato ad una parata!-

Basta! Quella vocina clemente era insopportabile. Ed si era scopato Isabelle, solo questo doveva tenere a mente, null’altro. Senza voltarsi indietro, Mark proseguì con maggiore determinazione la sua marcia e imboccò il buio tunnel di acciaio e cemento, freddo e scuro quasi quanto il suo cuore.

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-Ecco dov’eri finito- esclamò Julian Ross spalancando la porta degli spogliatoi riservati alla nazionale giapponese ed osservando esterrefatto il compagno fresco di doccia che terminava di allacciarsi i pantaloni come se niente fosse –Beh allora?- insistette il difensore nipponico mandando letteralmente a quel paese la sua famosa aplomb e digrignando i denti come una belva inferocita.

Mark chiuse la zip dei jean e sollevò il capo di scatto  –Allora cosa?-

Julian gli lanciò un’occhiata più corrosiva dell’acido -Non mi chiedi come sta Ed?-

L’attaccante storse appena la bocca -Non mi interessa- rispose, recuperando l’asciugamano e passandoselo velocemente sul torso nudo dove scorreva ancora qualche gocciolina sfuggita ai capelli umidi.

-Non ci credo- sentenziò laconico Benji Price soppraggiunto alle spalle di Ross e già atteggiato nella sua consueta posa da “io sto sopra e vi giudico tutti” con la spalla appoggiata allo stipite della porta e il capellino rosso a coprire per metà lo sguardo. Benji sapeva quanto quel suo atteggiamento facesse imbestialire la Tigre ma non si scompose di una virgola neppure di fronte al  ringhio che uscì dalla gola di Mark. Per una volta nessuno della squadra fece caso a quel segnale che sapevano presagio di lite: erano tutti troppo arrabbiati con l’attaccante per farsi intimorire da un paio di grugniti. Anche se erano grugniti di Tigre.

Il portiere avanzò nella stanza seguito dal resto della squadra ormai giunta al completo, i suoi occhi di pece erano incollati al volto vibrante di collera del numero nove ma, visto che questi non ribatteva e continuava a sfuggire il suo sguardo, si sedette su una panca e cominciò a slacciarsi le scarpe da calcio con fare indifferente.

Mark sapeva benissimo che l’affermazione di Benji era un frecciata fatta solo per farlo esplodere e sapeva pure che l’aria fintamente indifferente assunta ora del portiere, era un abile espediente per farlo uscire allo scoperto. Ma non avrebbe funzionato. Non avrebbe spiattellato a tutti il reale motivo dell’attrito tra lui ed Ed. Cercò con lo sguardo Danny che si muoveva a disagio alle spalle di Tom Becker, nella speranza di passare inosservato. No, lui non avrebbe mai parlato, non avrebbe mai raccontato a nessuno del tradimento di Isabelle…se solo avesse osato farlo…

Finì di vestirsi in fretta fingendo di non notare il pesante silenzio sceso come uno strato di cemento nella stanza. Controllò velocemente il contenuto del borsone per assicurarsi di non aver dimenticato nulla, quindi se lo gettò in spalla e fece per avviarsi alla porta.

-Aspetta…- lo bloccò Holly frapponendosi tra il compagno e la porta – Credo sia giunto il momento che tu ed Ed risolviate i vostri problemi- scandì il Capitano con un tono di rimprovero che lo irritò ancora di più, se possibile – Lo so che non sono affari nostri ma dal momento che i vostri problemi rischiano di interferire con il rendimento della squadra … -

Un lampo d’ira accese lo sguardo di Mark. La sua testa smise di ragionare sottomessa da mesi di frustrazione. Dentro di sé sapeva che Holly aveva ragione ma non una sola cellula del suo essere era disposta ad ammetterlo. Come osava intromettersi in una faccenda tanto delicata? Che cazzo centrava il suo rendimento in squadra? Aveva segnato due goal anche in quell’ultima partita, non gli sembrava proprio che il suo contributo alla squadra fosse in discussione. Se il Giappone non aveva stravinto tutte le partite come Holly si aspettava, la colpa non era certo sua.

- Quello che voglio dire- continuò Holly con tono innaturale messo a disagio dal pericoloso livello di aggressività che leggeva sul volto teso dell’attaccante – … è che sino ad ora è andato tutto bene perché abbiamo affrontato le squadre più deboli, ma presto dovremmo giocare con le Europee e allora avremmo bisogno della nostra arma vincente che è sempre stato l’affiatamento della squadra…ma la tensione tra te ed Ed è palpabile e crea imbarazzo e disagio anche tra di noi…-

Gli occhi di Mark fiammeggiarono per l’indignazione e le parole gli uscirono di bocca senza la possibilità di poterle fermare – Vorrei vedere te se il tuo inseparabile amicone Becker si scopasse Patty!-

Holly arrossì e perse in un attimo la parvenza di sicurezza che era riuscito a raccimolare – Che c’entra…- farfugliò confuso non cogliendo immediatamente il nesso logico tra le sue parole e la reazione di Mark – Io e Patty…-

-Lascia stare non mi interessa- lo bloccò il bomber giapponese artigliando la spalla del compagno e spingendolo in malo modo di lato – Sono un idiota!- si rimproverò trai denti mentre oltrepassava la porta sparendo velocemente lungo il corridoio.

I giocatori si fissarono allibiti gli uni con gli altri per alcuni secondi nel più assoluto silenzio – Che avrà voluto dire?- chiese Philip Callghan riscuotendosi per primo dallo stupore.

-Non l’hai capito? Che Holly se la intende con Patty…- borbottò Bruce con il tono di chi credeva di aver capito tutto anche se ancora gli sfuggiva come le faccende private di Holly potessero interessare a Mark.

-Questo lo sanno anche i muri- lo zittì Philip - Intendevo dire che razza di esempio ha fatto…uhm –mugugnò il centrocampista grattandosi con fare pensoso il mento coperto da una corta peluria –Vuoi vedere che Ed si é ….-

-Ma che acuto il nostro Callaghan- lo fermò sarcastico Benji legandosi l’asciugamano attorno ai fianchi nudi – Per fortuna che non giocate come ragionate, altrimenti … povero Giappone- commentò con una smorfia prima di infilarsi nel bagno.

Mentre l’acqua scrosciante della doccia sostituiva il silenzio di tomba della stanza, Tom Becker scivolò alle spalle del suo Capitano che si era tratto in disparte e si stava spogliando a capo chino per evitare qualsiasi domanda inopportuna – Holly sbrigati a chiamare Patty…- mormorò all’orecchio dell’amico -… non possiamo più aspettare- aggiunse allontanandosi solo dopo aver visto il capo del Capitano abbassarsi e rialzarsi in un cenno affermativo.

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Capitolo 20
*** La richiesta di Holly ***


~~CAPITOLO XX. LA RICHIESTA DI HOLLY

Un fiacco sole giallognolo illuminava quello stentato inizio di primavera, filtrando appena da una spessa coltre di plumbee nubi foriere di pioggia. Un’aria fredda e pungente sferzava le mattonelle di terracotta dell’ampio terrazzo dove due ragazze stavano finendo di sorseggiare la loro calda bibita , al riparo di una bassa tettoia di tegole scure, protette dal doppio vetro della veranda contro cui andavano a sbattere le foglioline strappate a forza dai rami di ciliegio.

-Che giornataccia …- bofonchiò una delle due giovani scuotendo la testa e facendo ondeggiare il suo fulvo caschetto di capelli nerissimi, talmente lucidi da sembrare un manto di seta corvina. L’incarnato del volto era pallido e la bocca contratta in una smorfietta nervosa. Il corpo minuto era fasciato in un vestito di lana azzurro che le si drappeggiava addosso con eleganza, sottolineandone le curve ben modellate, senza però scadere nel lascivo.

Il sobrio contegno della ragazza si contrapponeva nettamente alla diversa personalità dell’amica seduta di fronte a lei, con le ginocchia tirate al petto in una posa scomposta più adatta ad un salotto privato che ad un locale pubblico, infagottata in un paio di jeans sbiaditi strappati in più punti e abbinati ad una felpa sformata che ne occultava totalmente il profilo del corpo che, comunque, si intuiva essere più abbondante di quello della compagna.

Anche sul volto pallido di questa capeggiava un’espressione tutt’altro che rilassata -Ma ti ha detto proprio così?-  chiese per l’ennesima volta Shay lanciando un’occhiata sbieca all’amica che mandava giù soddisfatta l’ultimo sorso del suo caffè nero e amaro. Shay represse un’espressione di disgusto … blah lei lo odiava il caffè, amaro poi … eppure, a parte qualche gusto culinario diametralmente opposto, per la prima volta in vita sua stava vivendo l’esperienza della sintonia perfetta con una persona quasi coetanea. Non aveva mai creduto alle stupidaggini sull’amica del cuore, sull’amica che ti capisce con uno sguardo, li aveva sempre ritenuti dei sentimentalismi privi di qualsiasi fondamento.

E invece da quando Patty era entrata nella sua vita, circa tre mesi prima, Shay aveva dovuto rivedere molte delle sue convinzioni in fatto di amicizia e di rapporti interpersonali. Osservò incuriosita la ragazza che sollevava la mano candida per richiamare l’attenzione del cameriere e, come sempre, si ritrovò ad ammirare il sorriso luminoso che Patty elargiva con la generosità tipica del suo carattere, anche nell’ordinare un semplice caffè lungo “all’italiana”, come le piaceva specificare.  L’amica, come le aveva minuziosamente raccontato, si era innamorata di quella bibita forte e dall’inconfondibile aroma durante una vacanza in Italia in occasione del diploma, circa un anno e mezzo prima. Patty adorava parlare di quella vacanza, la prima fatta senza i genitori in compagnia dei suoi amici ed amiche più care.

- Sì e l’ho fatta anche meno brutta di quel che é…le parole che Holly ha usato erano decisamente più colorite di quelle che ti ho riportato io …-

Shay continuò a fissarla: rimaneva sempre basita di fronte all’espressione sognante che assumeva quando solo nominava il Capitano Hutton.  Abbassò lo sguardo fingendosi attratta dalla trama della tovaglia ad elissi colorate che ricopriva il minuscolo tavolino circolare. Ne era convinta: Patty era perdutamente innamorata di Oliver Hutton eppure non le aveva mai fatto cenno di questo amore. Sospirò passando distrattamente la mano su e giù sopra un’elisse di colore rosa confetto.

La giovane mise giù una gamba facendola penzolare sotto il tavolo agitandosi un pochino, perché Patty non si confidava? Lei non aveva avuto alcun problema a raccontarle della sua passione per Ed.

Ed…

Tra pochissimo lo avrebbe rivisto dopo tre mesi. La Nazionale era stata impegnatissima prima con il lungo ritiro in una zona top secret del Giappone e poi in un fittissimo ciclo di partite amichevoli con svariate nazionali asiatiche.

Tre mesi che Mark era lontano da casa.

Mark? Ma non stava pensando ad Ed? Perché quell’ingombrante essere si insinuava sempre a tradimento nei suoi pensieri?

Shay mise a terra anche l’altra gamba, stiracchiandole entrambe con vigore. Ormai ci aveva fatto l’abitudine: da qualsiasi punto prendesse avvio la sua riflessione, il finale era sempre il medesimo: Mark Lenders.

D’altronde il loro ultimo giorno assieme era stato a dir poco surreale. Sorrise tra sé e sé ripensando a quel folle pomeriggio a Fujisawa di tre mesi prima. Dopo lo scontro negli spogliatoi dello stadio, non aveva quasi creduto ai propri occhi quando lo aveva visto entrare nella sala dove si stava svolgendo la conferenza stampa, vestito di tutto punto con la tuta della nazionale. Lo aveva seguito avidamente come fa un gatto con la preda, trattenendo persino il fiato mentre lui prendeva posto tra i compagni, evitando accuratamente di cercarla con lo sguardo. Ma lei non si era crucciata di ciò, lo aveva lasciato stare, intenzionata a concedergli tutto il tempo necessario per sedimentare le proprie emozioni e riprendere il controllo della situazione.

Da quel momento la forza e la sicurezza di Mark non erano più state un minaccia per lei, ma un porto sicuro dove cercare asilo.

Si era ritirata in un angolo del corridoio accanto ad una grande vetrata, rassegnandosi a passare le due lunghe ore della conferenza nella noia più totale. Annoiata si era inoltrata lungo il viale dell’albergo. Ma non erano trascorsi che cinque minuti quando una figura minuta, vestita con i colori chiari della squadra, avanzò verso di lei e il sorriso raggiante di Patty l’aveva subito conquistata, quel dono meraviglioso che l’amica non si rendeva conto di possedere e che donava indistintamente ad un cameriere servizievole o ad una sconosciuta impacciata. L’aveva presa e trascinata per negozi, per passare il tempo le aveva detto,  travolgendola con la sua parlantina inarrestabile, le aveva raccontato tutto il raccontabile, e anche di più, su ogni singolo giocatore convocato dal commissario tecnico Marshall, l’unica cosa che le sfuggiva, aveva più volte commentato durante il suo lungo sproloquio, era lo strano comportamento del numero nove, Mark                                        Lenders …

-Dieci yen per i tuoi pensieri…-

Shay richiamata bruscamente alla realtà, fissò con aria smarrita l’amica – Non indovinerai mai- replicò riscuotendosi e scuotendo leggermente il capo. Mark era un pensiero troppo nebuloso e confuso persino per lei ed era impossibile che un altro essere umano lo potesse cogliere…

-Vediamo … solo una possibilità …. Un nome e un cognome…- Patty si portò il dito affusolato al volto toccandosi con fare pensoso la punta del naso – Uhm…Mark Lenders alias la Tigre se preferisci- disse decisa facendo schioccare le dita in aria con fare saccente e godendosi un sacco l’espressione sbalordita sul volto dell’amica. Povera piccola, credeva davvero che il suo sentimento per il fratellastro fosse così nascosto? Poteva sbandierare all’infinito la sua infatuazione per il portiere, poteva ingannare se stessa ancora per un po’ se questo la faceva stare tranquilla, ma presto, molto presto, Shay avrebbe dovuto fare i conti con la realtà.

-Come…io…che dici!- saltò in piedi la ragazza – Non stavo affatto pensando a lui!- urlò quasi, arrossendo sino alla radice dei capelli.

-E allora gioisci hai appena vinto dieci yen!- replicò asciutta Patty bevendo il suo secondo caffè, scrutando attenta quegli incredibili occhi azzurri in cui albeggiavano stupore, rabbia e … paura? Se era così,  faceva bene ad averne: amare la Tigre non era affatto una cosa semplice e farsi amare da lui … beh poteva essere qualcosa che andava al di là delle possibilità di quella ragazzina che lei stimava tanto.

Da quando si erano conosciute tra loro era nata un’amicizia intensa e ormai aveva perso il conto dei fine settimana trascorsi assieme a casa dell’una o dell’altra a ridere di mille sciocchezze, spendere soldi in dolci e gelati, svuotare fumetterie e divorare ore di film in prima uscita. Le piaceva Shay, le era piaciuta sin dal primo istante e, quando poi le avevano descritto la sua delicata situazione familiare e di come avesse messo da parte risentimento, rancore e rabbia rischiando grosso per trascinare con l’inganno Mark alla selezione per la nazionale, la sua stima era diventata incalcolabile. Lei era la sola a sapere che cosa fosse avvenuto nello spogliatoio con Mark. Shay glielo aveva raccontato solo un mese prima. Per due mesi la ragazza si era tenuta tutto dentro cercando in qualche modo di elaborare quegli attimi che avevano avvicinato due anime tanto testarde ma così simili. Aveva ascoltato in silenzio, cosa non facile per un inguaribile chiacchierona com’era lei, non aveva espresso giudizi neanche quando l’amica glieli aveva esplicitamente chiesti, in fondo non vi erano commenti possibili, solo Shay e Mark potevano dirsi e spiegarsi che cosa fosse realmente avvenuto tra loro. Ma i due ragazzi non avevano più avuto modo di stare insieme, erano tornati a Tokio ma poi si erano subito separati, lui assorbito totalmente da allenamenti e trasferte, lei in procinto di dare gli esami finali che avrebbero chiuso il capito del liceo e forse aperto quello dell’università. Shay aveva fatto domanda per una borsa di studio in marketing a Kyoto nella stessa università dove studiava il fratellastro, coincidenza che aveva subito colto ma si era ben guardata di farla notare all’amica, che diventava estremamente suscettibile ogni volta che veniva fatto il nome di Mark. In un impeto di follia avevano fatto anche domanda per un’università inglese rinomata per gli studi di spettacolo e cinematografia, la vera passione di entrambe. Patty già da un anno meditava su quella possibilità ma i forti affetti che aveva in Giappone, l’avevano sempre bloccata dal fare un passo così azzardato. Era certa, e lo stesso valeva per Shay, che anche se fossero state selezionate, nessuna delle due avrebbe avuto il coraggio di abbandonare la famiglia, gli amici e l’amore per quattro anni. Ma sull’onda dell’ultimo eccezionale film di Spielberg il loro entusiasmo era stato tale da averle indotte a compilare e spedire le domande riservandosi la possibilità di rifiutare facendo appello ai soliti vaghi ma efficaci “problemi familiari”.

- Tu non sai quello che dici! Tutti quei caffè che ingurgiti ti hanno confuso le idee- sbottò Shay sbattendosi un dito in fronte per sottolineare all’amica che la considerava un po’ tocca.

- Anch’io sono dell’idea che Patty dovrebbe smetterla con tutti quei caffè- la bella voce del Capitano colse entrambe di sorpresa, facendole voltare all’unisono - A che tazzina sei arrivata? La quarta? La quinta?- proseguì il ragazzo alto e moro scansandosi di lato per far passare un’anziana signora ingobbita sul suo bastone da passeggio.

-La seconda- replicò fiera Patty alzandosi in piedi e facendo le linguacce al suo Capitano, celando così il rossore traditore che le imporporava le gote – Oh Holly ben tornato- gioì abbracciando di slancio.

-Ehi Patty...-

Patty rise tirando un pugnetto affettuoso sull’atletico petto del Capitano – Siediti va, che sarai sfinito dopo il lungo viaggio-

-A dire il vero sono un po’ stanco ma…- il volto di Holly si rabbuiò mentre prendeva posto al tavolo.

-Ma…- fece eco Patty desolata facendo cenno a Shay di riprendere posto – La situazione è grave…-

-Gravissima direi- il calciatore roteò i begli occhi ambrati in un gesto disperato e d’istinto cercò lo sguardo di Shay – Già una volta tu hai compiuto un mezzo miracolo…- mormorò con un filo di voce al limite tra il supplichevole e lo sconsolato - Non è che riusciresti a fare anche l’altro mezzo?-

-Io vorrei ma…- Shay balbettò confusa, non era pronta a uno sconforto così grande, in fondo non poteva essere così grave la faccenda, non era né la prima né l’ultima volta che due compagni di squadra non andavano d’amore e d’accordo.

- Abbiamo pareggiato contro la Cina! Contro la Cina! – strillò sprezzante il numero dieci facendola ammutolire - La Cina, Dio mio! Una delle Nazionali asiatiche più scarse e sai perché? Perché il nostro attaccante era più preoccupato a non far avere la palla a me che buttarla in rete per il solo fatto che gli avevo fatto notare che lui ed Ed non potevano continuare a fare finta di essere trasparenti …la Cina…che vergogna- borbottò sconfortato puntando i gomiti sul tavolo e affondando il volto tra le mani.

-Cameriere un doppio whisky per favore- cinguettò Patty sbracciandosi in direzione del fido inserviente che ormai le avrebbe portato la luna, se solo lei lo avesse chiesto.

Holly scosse il capo con vigore -Ma sei pazza? Così a stomaco vuoto?-

-Hai bisogno di tirarti su Capitano- replicò lei candida – La conosco bene la tua espressione da “questa è la fine del mondo…” molto mooolto pericolosa…-

Holly la guardò allibito – Tu mi prendi sempre in giro….eppure non riesco mai ad avercela con te… - disse sorridendole con dolcezza -e faccio sempre come vuoi tu…- rise prendendo il bicchiere che il cameriere gli porgeva e ingurgitandolo in un unico, lungo sorso.

Shay abbassò lo sguardo disorientata e anche un po’ turbata dalla profonda complicità tra i due giovani -Non posso intromettermi tra Ed e Mark … lui non me lo permetterebbe mai e poi…no non posso- ripeté convinta sollevando il capo e incontrando il volto teso di Holly.

Il Capitano sospirò mestamente -Almeno sapessi che cosa è successo tra i due. Chiederglielo a loro è impensabile e Danny non parla neppure sotto tortura…-

-Neppure io te lo dirò- fu la lapidaria risposta della ragazza.

Holly la scrutò per un lungo istante – Neppure per il bene delle Nazionale?-

-Non vedo come il sapere il perché della loro lite possa aiutare la Nazionale. Bisogna trovare un’altra soluzione...-

-E come faccio se non so neppure da che parte iniziare?-

-Probabilmente in mezzo c’é una donna- intervenne Patty riflettendo ad alta voce con la sua solita perspicacia. Purtroppo quello era un altro argomento che Shay si era ben guardata dall’affrontare, come d’altronde praticamente quasi tutti quelli che coinvolgevano Mark Lenders troppo da vicino.

- Lo pensa anche Benji e un frase che è sfuggita a Mark dopo la partita con il Vietnam lo conferma ma … vorrei saperne di più! Non ci credo che Mark ha perso la testa per una semplice donna!-

-Semplice donna- lo scimmiottò Patty accigliandosi.

Holly non si rese totalmente conto della gaffe ma il repentino cambio d’umore di Patty lo mise comunque in allarme – No … cioè …  io volevo dire che…-

-Lascia perdere Holly- lo bloccò con un secco gesto della mano la ragazza evitando lo sguardo diretto del Capitano -Lo so che l’unico essere al femminile che puoi concepire rotola in un campo verde-

-Io non...- replicò il Capitano mentre una ruga di stanchezza gli solcava la fronte.

-No non aggiungere altro, ti prego - protestò Patty fissandolo torva -E comunque non ha importanza, non siamo qui per questo-

Ad Holly il tono severo di Patty non poteva essere sfuggito ma se lo ferì, fu abile a nasconderlo perché la sua voce e la sua espressione non lasciavano trapelare nulla, quando riportò la sua attenzione su Shay – Te la metto così anche se gli ultimatum non mi sono mai piaciuti: o Mark risolve in fretta le sue questioni personali o farà il campionato asiatico seduto in panchina-

-Ma è assurdo- replicò Shay sbalordita dalla durezza delle parole di Holly – La Nazionale non può rinunciare ad un elemento così valido!-

-Il Mark Lenders di queste ultime partite è solo una sbiadita controfigura del campione che conoscevo io – rincarò il ragazzo alzandosi e poggiando con determinazione le mani sul tavolo – Aiutaci Shay! Faremo tutto quello che ci dirai ma ti prego ridai alla Nazionale la sua Tigre-

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Capitolo 21
*** Sconcertante sentimento ***


~~Ciao a tutte! Grazie per il calore con cui mi seguite....mi sembra incredibile che tante di voi stiano seguendo con tanta costanza questa mia storia! Grazie infinite e scusate per i ritardi degli ultimi tempi...Ah … dimenticavo: BUONA PASQUA A TUTTE! Per aspera ad astra. Akiko chan.

~~CAPITOLO XXI. SCONCERTANTE SENTIMENTO

Mark spalancò la finestra lasciando che la fresca brezza della notte rinfrescasse il suo corpo accaldato. Faceva davvero troppo caldo per essere solo inizio aprile, oppure erano i suoi pensieri a fargli gorgogliare il sangue? Si voltò osservando stupito la sagoma del fratello che scompariva sotto il piumone tirato sin sopra la testa, lui di certo non sembrava percepire l’afa.

Sorrise appena nell’oscurità: ma quanto idiota era? Quale caldo accidenti! L’arsura veniva tutta  dall’interno... Erano tornati da appena tre giorni dalla trasferta per i campionati asiatici e ancora non riusciva a togliersi dalla testa la squallida figura che aveva fatto negli spogliatoi dopo l’infortunio di Ed. Che gli era preso? Perché aveva svelato così stupidamente il suo più intimo segreto? Il tono da paparino di Holly lo aveva mandato in bestia. Quell’imbranato, che fuori dal campo valeva mezza sega, si permetteva di venir a dare lezioni a lui su come comportarsi nella vita privata. Lui che da anni era innamorato perso di quell’oca di Patty e non aveva mai trovato il coraggio di dirglielo! E quella stupida a piangere, a disperarsi, a pendere dalle labbra di uno che non vedeva altro che erba e pallone!

Ma figurarsi se accettava ramanzine da personaggi del genere!

Non aveva resistito all’impulso di provocare il Capitano nel punto in cui lo sapeva più sensibile ma nel fare ciò si era scoperto rivelando il suo più vergognoso segreto: il suo migliore amico e la sua ragazza a letto assieme.

Vergogna e rabbia lo stavano facendo avvampare, togliendogli pace e sonno. Voltò nuovamente lo sguardo verso l’orizzonte. Le prime luci rosate dell’alba stavano cautamente strappando brandelli di cielo alla notte, tanto valeva vestirsi e fare una bella corsa rigenerante che starsene lì a battere sempre sugli stessi tasti amari.

Con gesti felpati per non svegliare il fratello, infilò la tuta da ginnastica, si risciacquò la faccia in bagno e scese silenziosamente le scale.

Si stava dirigendo dritto verso l’uscita quando la sua attenzione venne attratta da una fioca luce proveniente dalla cucina, stupito vi si diresse -Shay che fai sveglia a quest’ora?- chiese perplesso sorprendendo la sorellastra china sul tavolo con le mani pallide strette attorno ad una tazza di latte fumante.

-Uhm- fu l’unica risposta che ricevette. Neanche uno sguardo... Il ragazzo fece il possibile per domare la stizza, non voleva arrabbiarsi, era già abbastanza agitato - Ah dimenticavo che la cortesia è una parola a te sconosciuta…- borbottò appoggiandosi allo stipite della porta con le braccia incrociate al petto.

-Non rompere Mark, sto male- grugnì debolmente lei senza nemmeno l’ombra della sua solita aria battagliera.

Mark sentì qualcosa rimescolarglisi dentro- Male?- ripeté allarmato avvicinandosi alla sorella - Che hai?-

-Mal di pancia…-

-Per forza- la rimproverò convinto -Ieri sera ti sei abbuffata come una cloaca e…-

-Cretino non capisci niente!- sbuffò lei animandosi – E’ un mal di pancia diverso…ciclico…-

-Ciclico?- replicò senza capire, scrutandola attento.

Shay respirò a fondo soppesando l’espressione del fratellastro, ma quanto era tonto... eppure in qualche modo era preoccupato per lei. La constatazione le procurò un sospetto calore al ventre che le lenì in parte i dolori mestruali – Lasciamo stare. Piuttosto dove stai andando a quest’ora?-

-A correre-

-Alle 5 del mattino??!- ribatté sorpresa sbirciando l’orologio a parete che segnava esattamente le quattro e cinquantasette minuti.

-Mi sono svegliato e non riuscivo più a prender sonno … -

Shay lo osservò sorpresa: tentennava. Mark Lenders che tentennava! Questa sì che era una portata servita su un piatto d’argento, no meglio, di platino purissimo! Voleva confidarsi lo intuiva, le aveva aperto una porta e lei poteva decidere se entrarvi con l’inganno, come sino ad allora aveva  fatto, ottenendo alla fine ciò che desiderava ma ad un prezzo assai elevato, o chiedere apertamente il permesso. Non avrebbe per nulla al mondo messo di nuovo in discussione lo strano e ancora fragile legame che si era creato tra lei e il fratellastro. Voleva entrare con il suo consenso, dunque, finalmente, a carte scoperte. Niente più bugie, trappole, sotterfugi, firme false, fughe fittizie …

Ma Mark era pronto per accogliere la sua istanza? La richiesta di Holly ce l’aveva stampata in testa, inutile negare che nelle ultime notti le aveva tolto calma e serenità non consentendole di godere sino in fondo di quell’armonia familiare che regnava in casa da quando Mark era tornato dal campionato asiatico. I bambini erano a dir poco elettrizzati dalla presenza del fratello campione, Rose rifletteva in ogni suo gesto il giusto orgoglio di mamma e la sua energia positiva contagiava chiunque le si avvicinasse. Infine suo padre che parlava con Mark e di Mark con la stessa fierezza con cui un padre parlerebbe di un figlio. E lei in tutto questo si sentiva partecipe, condivideva appieno l’euforia e la gioia della famiglia. La sua famiglia. Ora più che mai ne aveva la certezza.

Shay sorseggiò risoluta il suo latte. Non avrebbe più usato l’inganno con Mark - Pensieri?-chiese osservandolo attenta per carpirne l’espressione e fare marcia indietro alla prima avvisaglia di pericolo – Posso indovinare di che tipo?-

-Potremmo ricadere in discorsi che non voglio sentire-

Shay lo scrutò a fondo prima di osare -Tu vuoi parlarne vero?-

Mark ricambiò quello sguardo schietto con la stessa spontaneità - E va bene Shay parla. È da quando sono tornato che mi giri intorno con l’aria del cacciatore che lavora ai fianchi la preda….- sospirò esausto lasciandosi cadere su una sedia - Hai vinto, non ho dormito per tutta la notte, sono esausto e puoi infierire a tuo piacere, ma ti avverto- aggiunse in un repentino pungolo di orgoglio - Non credo otterrai ciò che vorrai …-

Shay sorrise dolcemente – Io ci provo… questa volta è stato il Capitano in persona a chiedermelo…-

-Ah la mezza sega…sentiamo-

-A me non sembra affatto una mezza sega… anzi...-

-Oh credevo che le tue attenzioni fossero tutte per i portieri…-

La ragazza arrossì vistosamente e Mark rise compiaciuto, lo divertiva metterla in imbarazzo e questo lo ripagò in parte della sorpresa di aver usato le parole “hai vinto”. Le aveva mai dette prima di allora? Di sicuro mai ad una donna e mai fuori dal campo da calcio – Ma lui ti ricambia?-

Shay sgranò gli occhi disorientata - Mark!-

Il calciatore si sporse in avanti cercando di nascondere il crogiuolo di piacere che provava nel farla arrossire -Dai dimmelo, ci sta o non ci sta?-

-Smettila! Non siamo qui per parlare di questo!-

-Di questo no…- ammise con riluttanza -… ma di lui sì …-

-Lui ha un nome e potresti anche reimparare a dirlo-

-Traditore-

-Errato-

-Figlio di puttana-

-Mark! No!-

-Bastardo?-

-Dacci un taglio, non sei divertente-

-E va bene- convenne sollevando le braccia -Ed Warner- sibilò a denti stretti come se quel nome gli bruciasse sulle labbra.

-Oh finalmente! Così va meglio- dichiarò Shay esultando soddisfatta. Quindi Mark le stava davvero dando una possibilità, a modo suo ovviamente, ma aver pronunciato il nome del compagno di squadra dopo probabilmente mesi, per lei era un evento di notevole rilevanza ed una prima minuscola vittoria.

-Io credo…- cominciò rinvigorita e fiduciosa di iniziare quella nuova giornata con una bella notizia per Holly – Che sia giunto…-

Il debole trillo proveniente dalla tasca sinistra di Mark la interruppe – Ma chi è a quest’ora?- si chiese il giovane estraendo il cellulare dalla tasca della tuta – Numero sconosciuto… pronto-

Shay comprese immediatamente che qualcosa di grave era accaduto perché per la prima volta vide il volto di Mark diventare dello stesso colore del latte che galleggiava nella sua tazza – Che succede?- chiese allarmata balzando in piedi.

Il ragazzo la freddò con uno sguardo, si alzò e le voltò le spalle precludendole qualsiasi tentativo di avvicinamento – Dimmi- lo sentì dire.

La voce di lui era fredda e tagliente più di una lama di ghiaccio, Shay rabbrividì e pregò che Mark non si rivolgesse mai a lei con quel tono terrificante – Capisco … ripetimi dov’é…- aggiunse addolcendo un poco la voce – Dammi dieci minuti e sono lì- concluse riattaccando l’apparecchio.

Mark si diresse veloce verso l’uscita senza voltarsi, Shay si sentì profondamente ferita per l’indifferenza con cui il fratellastro la stava liquidando. Accantonò in fretta la rabbia e la frustrazione e lo raggiunse esigendo una spiegazione, conscia che se lo avesse lasciato andar via così non se lo sarebbe mai perdonato – Mark che è successo?-

-Niente- fece lui aprendo con foga la porta.

- Eh no caro non mi liquidi così!- lo bloccò aggrappandosi di peso al suo braccio.

-Lasciami andare Shay, non ho tempo da perdere-

-Con me vero?- non voleva fargli vedere quanto profondamente la stava ferendo ma allo stesso tempo non sapeva proprio come celare quel dolore - Non sono neppure degna di sapere che ti succede? È questo il tuo concetto di famiglia oppure nonostante tutte le tue belle parole io non rientro nella tua idea di famiglia?-

Mark si voltò di scatto e prima che lei potesse capire qualcosa, liberò il braccio e la avvolse stringendosela forte al petto – Io ti voglio bene come ad una sorella vera, non dubitare mai di questo- la scostò un poco e la guardò dritta negli occhi sgranati per lo stupore - Era Isabelle…Turner sta morendo, vado all’ospedale- aggiunse staccandosi da lei e sparendo oltre la porta. Shay rimase immobile a fissare stralunata il pannello di noce chiara, il cuore che batteva all’impazzata e il respiro mozzato in gola  – Ma io no …- mormorò portandosi una mano tremante alla bocca – Mio dio … io non … - balbettò confusa – Io non ti considero un fratello …- ammise piombando di peso sullo scalino di tatami schiacciata da quella rivelazione sconcertante che dava finalmente corpo e volto alla strana inquietudine che da mesi non le dava pace – Io mi sono innamorata di te ...–

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Capitolo 22
*** Un amore da dimenticare ***


~~CAPITOLO XXII. UN AMORE DA DIMENTICARE

Mark Lenders varcò l’imponente vetrata automatica, entrata principale della moderna costruzione a ferro di cavallo che costituiva il policlinico di Tokyo, nel cuore della metropoli nipponica.

L’acre odore di disinfettante misto a bendaggi intrisi di chissà quali misture, colpì le narici del ragazzo facendogli correre un brivido gelido lungo tutta la spina dorsale. Decisamente l’ospedale non era affatto un luogo a lui tollerabile. Quello in particolare. Anche se erano passati quasi otto anni, non aveva dimenticato che al terzo piano di quella struttura, suo padre aveva esalato il suo ultimo respiro, lasciando la famiglia priva di qualsiasi sostentamento economico e morale.

Istintivamente il suo sguardo corse alla scala che portava ai reparti, quante volte l’aveva percorsa animatodai più differenti stati d’animo: apprensione, angoscia, dolore, ma anche tanta rabbia, seguita poi da una stiva di sensi di colpa e impotente frustrazione? E quante volte quel malato circolo vizioso si era ripetuto nel suo animo portandolo quasi alla perdizione se il calcio non lo avesse letteralmente salvato. Il calcio e Jeff... con tutti i suoi difetti e le sue zone d’ombra, aveva comunque saputo prendere quel ragazzino rabbioso e trasformarlo in un campione.  Prima di Jeff aveva trascorso mesi in una perenne tensione, dilaniato da sentimenti contrastanti che, come in un calderone impazzito, aveva impastato e reimpastato, rendendoli una poltiglia di un colore  indefinito.

-Ehi ragazzo ti decidi a dirmi cosa vuoi?-

La voce roca dell’infermiera, rovinata da centinaia di sigarette fumate tra un turno e l’altro, lo ridestò all’improvviso. Senza accorgersene si era diretto alla cabina della segreteria e l’addetta al primo turno gli stava giustamente chiedendo spiegazioni – Ehm hanno ricoverato qui un certo Turner … Jeff Turner-

- Lasciami controllare nel computer.. è stato ricoverato stanotte?

-No non credo…ma…-

-Mark…-

La sfumatura peculiare di quella voce l’avrebbe riconosciuta tra mille e, a distanza di più di un anno, era ancora in grado di attraversarlo da parte a parte come una scossa elettrica.

Quindi il momento era giunto, dopo tanto tempo si ritrovava suo malgrado a dover riaprire un capitolo che sperava chiuso per sempre.

Il calciatore osservò distratto l’infermiera – Lasci stare- non era né bella né particolarmente simpatica, ma Mark decise comunque di concederle uno dei suoi rarissimi sorrisi, aveva intuito che non avrebbe riso per il resto di quel triste giorno che stava nascendo - Credo di potermi arrangiare-

E passare un’intera giornata senza sorridere, almeno una volta, era quanto mai deprimente.

Si voltò con calma, respirando a fondo e tentando di controllare ogni singolo muscolo della sua faccia - Isabelle- esordì come saluto.

Lei non rispose, non sorrise e si limitò a scrutarlo in silenzio con una sorta di indolente superiorità nelle iridi dorate.

Mark si chiese che cosa avesse da osservarlo tanto, era teso, in tuta da ginnastica, spettinato -Sta molto male?- la incalzò infastidito, non potendo sopportare oltre quella muta attesa.

Beh se voleva proprio saperlo neppure lei era uno splendore: pallida, i corti capelli tenuti all’indietro da un semplice cerchiello di raso azzurro, gli occhi imperscrutabili, annebbiati quasi, e delle occhiaie scure che rivelavano molto più di quanto fosse disposta a confessare. Mark notò con stupore quanto sembrasse fragile, per un attimo credette di avere davanti la bambina minuta di un tempo che tante volte aveva difeso durante la loro breve infanzia.

-Non credo vedrà il sole tramontare stasera-

Istintivamente strinse forte i pugni lungo i fianchi, non si aspettava che la situazione fosse così disperata – Portami da lui-

La ragazza annuì dandogli le spalle e avviandosi per le scale. Salirono in silenzio tre rampe sino a che si trovarono di fronte ad una porta di metallo con una scritta nera su sfondo bianco “Medicina Interna Uomini”

Mark rimase paralizzato sull’ultimo gradino della scalinata – Mi spiace- celiò Isabelle – Ma questo è il reparto dove mettono i vecchi con quel tipo di problema…- spiegò con un sorriso che avrebbe voluto essere sprezzante ma che risultò una smorfia informe su un viso che lui non poté negare di trovare ancora bellissimo.

-Non fa niente è passato tanto tempo- mentì malamente sollevando le spalle in un gesto di rassegnazione e appoggiando una mano sul maniglione rosso antipanico.

- Ma certe cose non si cancellano mai, vero?-

Mark non replicò, si limitò a fermarsi per farle cenno di passare avanti, di certo non aveva tempo né voglia di infilare la testa dentro a tutte le stanze del reparto. E comunque anche volendo trovare una risposta, ne esisteva una che non suonasse banale e scontata? Era ovvio che certe esperienze non si dimenticano mai!

Isabelle lo studiò per un istante quindi lo oltrepassò, marciando silenziosa sino alla penultima porta -E’ qui dentro, vai-

-E tu non entri?- le chiese, vedendola ritrarsi in un angolo

- No, me lo sono già sorbita abbastanza, ora tocca a te…-

-E’ tuo padre…-

-No, è solo un vecchio ubriacone che sta tirando le cuoia, purtroppo talmente insulso da non avere niente di meglio che una figlia insensibile ed un estraneo al suo capezzale-

La fissò duro -Sei patetica ...non hai mai saputo affrontare il dolore-

-Non sto soffrendo- ora era il suo turno di mentire.

Mark preferì lasciar cadere il discorso – Io entro ma tra dieci minuti ci raggiungi e attenta a ciò che fai, potresti pentirtene per il resto della tua vita-

Isabelle gli voltò le spalle con fare altezzoso, solo un piccolo sussulto del capo tradì quella falsa manifestazione d’indifferenza. Senza indugiare oltre, Mark entrò nella stanza del suo ex Mister morente.

La camera era nella penombra e il ragazzo dovette attendere qualche istante prima di adattarsi a quel repentino cambio di luminosità. Non appena i suoi occhi si abituarono, si avvicinò all’ unico letto presente, talmente ingombrato di macchinari da risultare angusto. L’asta della flebo si ergeva minacciosa su un lato, dall’altro un aggeggio elettrico emetteva un disarmonico bip. A Mark tremarono le gambe quando, avvicinandosi, comprese che quel bip smorzato era il cuore di Turner che si spegneva piano piano. Si avvicinò e scosse leggermente il braccio dell’uomo. Non si aspettava una risposta e quindi la sua sorpresa fu grande quando il vecchio spalancò gli occhi perfettamente vigile.

- Ce ne hai messo ad arrivare Tigre spelacchiata-

Mark lo guardò stupito – Non parlare, potresti sentirti male-

-Peggio di così? Idiota non lo capisci che me ne sto andando? Hai perso il cervello oltre che le palle dietro a quella puttanella di mia figlia?-

Mark boccheggiò angosciato. Il suo sguardo corse istintivamente alla porta, per fortuna Isabelle non aveva ancora colto il suo invito ad entrare. Forse non lo avrebbe mai fatto. E cominciava a credere che non sarebbe stata una cattiva idea.

-Ehi Lenders le cose vanno chiamate con il loro nome no? Mia figlia è una puttana come sua madre e tu un coglione che ha abbandonato l’unica cosa che sapeva fare perché lei gliela ha fatta vedere ad un altro…-

Mark si irrigidì, come faceva Turner a sapere certi particolari? E soprattutto come diavolo faceva a parlare con quella foga con un cuore ridotto a un anelito affannato?

 -Ci hai fatto venire per insultarci?- chiese cauto, non voleva alterarlo più di quanto non fosse già, accidenti poteva morire da un momento all’altro sotto i suoi occhi!

-Quella me la sono ritrovata…per quanto riguarda te ho voluto vederti solo per dirti quanto mi hai deluso, quando ti deciderai a tornare a giocare come un tempo? Ho forse sprecato i miei anni migliori ad allenare una femminuccia buona a nulla?-

-Forse eri troppo annebbiato dall’alcool per accorgertene, ma io sono già tornato giocare …-

-Ah sì?- lo interruppe l’ex allenatore con tono sarcastico.

-Ma li hai visti i campionati asiatici?-

-Certo-

-Beh … c’ero anch’io!-

-Davvero? Non ti ho visto. Ho visto solo quella specie di tua caricatura che girava per il campo intralciando i giocatori del Giappone-

-Turner stai esagerando- replicò l’attaccante a denti stretti.

-Ah eri tu? Per un attimo mi ero illuso che fosse una tua controfigura riuscita male – l’uomo emise un rantolo strascicato – Allora ho davvero sprecato il mio tempo con te. Che idiota avrei potuto dedicarlo a Isabelle, magari con la mia guida sarebbe cresciuta meglio di come è ora …-

Una folata di gelo attarversò la stanza -Non credo proprio- la voce era tagliente, glaciale, inanimata e l’impavido Mark Lenders tremò suo malgrado. Un tremito intenso, profondo, dritto al cuore. Da quanto tempo li stava ascoltando? La cercò con lo sguardo ma il viso di lei era una maschera inespressiva e la poca luce di certo non gli facilitava il compito.

-Troppo comodo nascondere il tuo fallimento di padre dietro ad un ragazzino che vedeva in te la figura paterna che gli mancava … che ci vedesse in te di paterno poi questo non me lo so spiegare- aggiunse spegnendosi in un sussurro ma non per questo meno freddo.

Turner sgranò gli occhi e il cardiometro fece una serie di bip acuti –Allora è questo che mi rinfacciavi con quegli occhi pieni di odio… non il fatto che bevessi … non che mi fossi fatto lasciare da tua madre … solo questo…-

 -E ti sembra poco?- strillò Isabelle perdendo in un solo attimo tutto l’autocontrollo che si era faticosamente imposta -  Io ero tua figlia, non lui!- scattò in avanti e si sarebbe scagliata sul corpo indifeso del padre se Mark non l’avesse fermata, frapponendosi – Lasciami bastardo! Tu non dovresti neppure essere qui!- urlò crollando subito dopo in un pianto isterico – Solo io ho il diritto…. Solo io … sono sua figlia…- blaterò tra le lacrime soffocando i singhiozzi più forti tra le pieghe della felpa del calciatore.

- Hai capito perché mi odiava tanto Mark? E perché odiava anche te?- disse l’uomo in un soffio – Perdonala se puoi non è stata colpa sua … è solo colpa mia… perdonami Isabelle…. bambina mia … perdona questo fallimento di padre …- il bip del monitor sussultò velocemente assieme al corpo dell’uomo inarcato da uno spasmo muscolare.

- Chiama il dottore- urlò la giovane donna liberandosi dalle braccia di Mark e gettandosi sul letto del padre – chiama il dottore!- ripeté in preda la panico -Vecchio sveglia! Non puoi lasciarmi così … noooo….- protestò disperata afflosciandosi sulle ginocchia – Papà hai troppe cose da farti perdonare, non puoi tagliare la corda così ….non è giusto…sei un vigliacco…PAPA’!- ma il corpo dell’uomo tornò ad adagiarsi sul lenzuolo candido, immobile, inerme mentre il bip dell’ elettrocardiogramma si sintonizzava su un suono continuo, piatto... privo di vita.

Mentre la stanza si riempiva di camici bianchi, Mark prese Isabelle per le spalle e  la trascinò fuori all’aperto nella speranza che l’aria fredda del mattino la  scuotesse, risvegliandola da quello stato di profonda prostrazione in cui mai avrebbe creduto di vederla.

La lasciò piangere aggrappata al suo petto, la cullò tra le braccia, accarezzandole dolcemente i capelli arruffati dalla brezza della mattino, risistemandole con gesto impacciato il cerchietto azzurro che le era scivolato sulla fronte. Attese con infinita pazienza, lui che di pazienza non ne aveva mai avuta, che quel fiume di lacrime represse si esaurisse, permettendole di ritrovare un po’ di controllo. Trascorsero molti minuti abbracciati, affogati in un dolore simile, vicini come mai lo erano stati, uniti dal ricordo di un uomo che tanto aveva sbagliato ma che ad entrambi aveva dato qualcosa di importante.

Ci volle un’altra mezz’ora e un latte bollente preso al bar dell’ospedale, a quell’ora ancora poco frequentato, per calmare la ragazza.

Mark attese in silenzio seduto di fronte a lei incapace di spiaccicare parola e ormai convinto che comunque non era sua incombenza iniziare il discorso.

-Ora lo sai…- incominciò finalmente Isabelle aggrappandosi con entrambe le mani alla tazza di latte fumante.

-Cosa?- chiese, disorientato da quello strano esordio – Non capisco a che ti riferisci…-

Isabelle sollevò il capo affrontando senza più difese il suo sguardo confuso – … che Ed non c’entrava niente…Volevo fartela pagare e ti ho colpito nel punto in cui ti sapevo più debole, volevo farti perdere il tuo migliore amico e infrangere tutti i tuoi sogni …-   si interruppe respirando a fondo, quelle iridi nere infuocate dallo stupore che si stava in fretta trasformando in ira, erano difficili da reggere, eppure doveva togliersi quel peso dalla coscienza, lo voleva fare come ultimo omaggio a quel genitore che tanto l’aveva fatta soffrire ma che comunque rimaneva sempre suo padre – Ed non voleva tradirti, io gli sono saltata addosso, sapevo che stavi arrivando e avevo calcolato tutto … lui non … lui non ti ha mai tradito!-

Mark tirò un pugno sul tavolo – Porca troia!- l’urto fece traboccare il liquido caldo dal bicchiere della ragazza andandole a finire sulle mani ma lei non le ritrasse, considerando quel dolore il minimo della pena per il male che gli aveva fatto.

-E non è finita qui….sono stata talmente abile da convincerlo che lui di colpa ne aveva sul serio, l’ho convinto che era stato mio complice, colpevole quanto me per il solo fatto di aver avuto un attimo di debolezza …. Se mai ce l’ha avuto… ho tentato anche recentemente di farlo cedere, così per il solo gusto di assaporare ancora un po’ di vendetta, con l’unico scopo di fartelo sapere e di farti ancora del male…questa volta è stata la mezza teppista della tua sorellastra ad interromperci, ma comunque il suo intervento è stato superfluo, lui mi aveva rifiutata ….-

-Basta non voglio sapere altro! È più di un anno che vivo in un inferno! Ho mandata a fan culo il mio migliore amico, il calcio e per poco anche l’occasione più importante della mia vita …- Mark tra sé e sé ringraziò il cielo per avergli mandato una sorella tanto cocciuta quanto imprudente – E tutto questo perché Turner mi aveva dedicato qualche attenzione di troppo che la sua figlioletta non ha gradito?-

-Mio padre ha dato più a te in un singolo pomeriggio che a me in un’intera vita! E se tu non hai capito quanto ho sofferto…beh …mi dispiace ma io non ho nessun altro modo di dimostrartelo se non dirti tutta la verità una volta per tutte-

Mark si appoggiò all’indietro spingendo la muscolatura contratta del dorso contro lo schienale della panca, la sua ira era andata oltre l’immaginabile, bloccandolo in una sorta di staticità glaciale – Bene credo che con questo i conti siano pareggiati … io e te non abbiamo più nulla in sospeso, vero?- chiese atono,  lo sguardo vuoto puntato su un punto indistinto alle spalle della donna.

-Sì ora siamo pari…-

-Bene- concluse l’attaccante alzandosi – Quindi stiamo attenti a non incrociarci più, io e te- scandì lapidario prima di voltare per sempre le spalle a colei che sino a quel momento aveva considerato il più grande amore della sua vita.

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Capitolo 23
*** E la pace è fatta! ***


~~CAPITOLO XXIII. E LA PACE E’ FATTA

-Shayyy…aspettami!-

La giovane studentessa si bloccò a pochi passi dal cancello che delimitava il perimetro esterno della Toho School, si voltò lentamente rivolgendo all’amico un bel sorriso luminoso –Ehi Campione come hai fatto a liberarti dalle tue fans?- lo canzonò mentre il ragazzo la raggiungeva di corsa.

-Bleeh- esordì Danny sottolineando la sua contrarietà con un’esagerata smorfia di disappunto – Non ne posso più! Perché mi hai lasciato solo in mezzo a quel pollaio starnazzante?-

-Ma sentilo il villano! È così che tratti delle belle dame che impazziscono per il Campione della Nazionale Juniores?- lo schernì lei, ridendo divertita di fronte all’espressione desolata dell’amico.

Da quando era rientrato in classe il giorno precedente, Danny Mellow era diventato l’attrazione principale dell’intera scuola. Letteralmente rapito da orde di indemoniate che reclamavano autografi e foto ricordo, era stato sballottato senza pietà di aula in aula, da un piano all’altro, riuscendo a seguire ben poco delle lezioni di fine anno. Il giorno prima Shay aveva provato un cocente fastidio per il fatto di non essersi potuta neppure avvicinare all’amico, ma quel giorno era quasi grata a quelle ragazzine chiassose. Dopo la sconvolgente scoperta della mattinata, le era difficile mostrare un atteggiamento rilassato e Danny, che la conosceva ormai troppo bene, non ci avrebbe messo molto a capire che qualcosa non andava.

E lei non voleva assolutamente mettere in parole quella marea confusa di pensieri che la tormentavano. Mark … possibile che si fosse veramente innamorata di lui? Come era potuto accadere e quando? Era prepotente, arrogante, presuntuoso, violento, irragionevole … eppure... Scosse il capo stizzita, fingendo di voler allontanare dal volto delle ciocche ribelli.

No non voleva neanche pensarci…

Estrasse il cellulare dalla tasca. Niente, neppure un messaggio ed era ormai l’una. Probabilmente non riteneva il caso di rassicurarla.

-Alla faccia del non pensarci!- si rimproverò mentalmente continuando a fissare delusa lo schermo del telefonino senza alcun messaggio segnalato.

-Ma mi stai ascoltando?-

-Eh?- Shay sbatté le palpebre disorientata si era quasi scordata della presenza di Danny al suo fianco – Ehm … si … Dan  …ti ascolto-

-Bugiarda!- la riprese lui duramente -Mi dici che hai? È da stamattina che ti mando segnali che tu non cogli…che c’è? Ce l’hai con me perché ora sono famoso?- disse gonfiandosi il petto in una posa da divo e facendole un occhiolino complice.

Shay rise suo malgrado, era lontano mille miglia dalla verità e a lei andava benissimo così –Forse un po’, ma sono contenta per te-

Lui la osservò per qualche istante, dubbioso –Eh no non mi freghi …. allora che ti è successo? Mi stai facendo preoccupare-

Colpita e affondata! Danny migliorava di giorno in giorno: ora gli bastavano tre minuti per smascherarla. E dall’espressione determinata sul volto del calciatore, capiva che non aveva molte speranze di eludere le sue domande. Tanto valeva cominciare dall’inizio … -Ecco …non so se posso dirtelo, non riguarda me…riguarda Mark-

-Il Capitano!?!? E che diavolo ha fatto questa volta?- Danny alzò gli occhi al cielo disperato, erano tornati solo il giorno prima, possibile che quei due avessero già ricominciato a beccarsi?

-Lui niente …- sospirò la ragazza che aveva un bisogno assoluto di condividere con qualcuno almeno una parte delle pene che da quella mattina la angustiavano – Stamattina all’alba ha chiamato Isabelle Turner…-

-Isabelle Turner?!?!!?- ripeté Danny sempre più incredulo -Pazzesco !-

-Si, per comunicare che il padre è in ospedale, mi sembra di aver capito che è grave…-

-Oh e Mark?-

-E’ uscito di corsa e non so niente, non si degna neppure di mandarmi un messaggio quel Bes…-

Un brusco stridore di pneumatici sull’asfalto li fece voltare all’unisono. La ragazza fece istintivamente un balzo all’ indietro nel medesimo istante in cui Danny stendeva il braccio robusto, modellato da anni di ininterrotta attività agonistica, davanti al petto dell’amica in uno spontaneo gesto di protezione. Una macchina sportiva si accostò al marciapiede -Calma Mellow, non voglio investire la tua amica…- scherzò Mark appoggiandosi alla parte superiore della portiera aperta e sorridendo stancamente all’amico e alla sorellastra.

-Mark- urlò quasi Shay mordendosi subito le labbra per la foga con cui aveva pronunciato quel nome tanto tormentato, ma nessuno dei due ragazzi batté ciglio, evidentemente ignari del suo scombussolamento.

-Dai salite, non posso stare in sosta qui!- ordinò senza tanti preamboli, risistemandosi al posto di guida.

I due ragazzi salirono in fretta nella vettura sportiva, Shay prese posto davanti accanto al fratellastro mentre Danny si accomodò dietro.

-Shay mi stava dicendo di Turner…mi spiace, come sta?-

Mark tacque e Shay trattenne il respiro sbirciandolo furtiva, non era sicura di aver fatto bene a parlare con Danny. Ma non fu rabbia o fastidio ciò che corrugò il bel volto bruno del calciatore, ma puro e semplice dolore.

Shay provò una fitta al petto e comprese all’istante ciò che era accaduto, ancora prima che lui desse fondamento alla sua intuizione – E’ morto- confermò infatti con un fil di voce.

-Oh…- esclamò Danny rabbuiandosi – Mi spiace molto …davvero…-

-Grazie Danny ma ora non parliamone. Voi due mi dovete accompagnare in un posto-

-E dove?- chiese Danny curioso.

-Vediamo chi di voi indovina…- sorrise sornione, scalando agilmente marcia.

-Ma è troppo facile! - esclamò Shay elettrizzata dal fugace guizzo che per un attimo aveva disteso il volto del fratellastro, concentrato nella guida.

-Non è facile per niente…- brontolò Danny dispiaciuto di non capire altrettanto bene i pensieri del suo Capitano.

-Andiamo da Ed- disse Mark come se fosse la cosa più ovvia del mondo.

-Da Ed?!?!?- urlò quasi Danny- Tu stai scherzando vero? Che vuoi da Ed?- chiese agitandosi sul sedile posteriore.

-Tranquillo Danny, non voglio spaccargli la mano rimasta – replicò quasi divertito Mark – Anzi- aggiunse laconico tornando a rincorrere solitario i suoi pensieri.

Shay osservò impotente il cupo cipiglio che ridiscese sul bel volto del fratellastro -Ma sei sicuro di volere me e Dan in mezzo ai piedi? Magari vuoi parlargli a quattr’occhi- asserì incerta pronta a cogliere ogni minima vibrazione nella sua voce.

Ma, contrariamente alle sue aspettative, Mark sembrava tranquillo e per niente preoccupato a nascondere la debolezza del momento -No, non so cosa dire…è una situazione un po’ imbarazzante preferisco avere voi vicino ... un compagno sentimentale e una sorella testarda come un mulo ... a proposito ti è passato il mal di pancia?-

Shay arrossì violentemente presa in contropiede da quella domanda inaspettata. Abbassò lo sguardo sulle sue mani intrecciate in grembo, sperando così di nascondere l’imbarazzo – Non del tutto …ma va meglio grazie…-

-Sicura di non aver fatto indigestione? Ieri sera ti sei ingozzata di pollo al curry e patatine fritte eppure te l’avevo det … -

-No!- lo interruppe brusca - Ti ho detto che è ciclico…insomma proprio non capisci?- sollevò il mento in un gesto di esasperazione eppure Mark non sembrava farlo apposta, proprio non coglieva e questo la offendeva ancora di più.

-Io no … Danny tu hai capito che ha?-

-Ma Mark …-  balbettò il ragazzo tirato in ballo, suo malgrado, in quell’assurdo scambio di battute  - … ha le mestruazioni…-  svelò, incredulo di fronte a tanta indelicatezza del Capitano.

-Le mestruazioni?!?!?!- ripeté Mark, distogliendo per un attimo l’attenzione dalla guida e voltandosi a guardarla -Ma se sei poco più di una bambina!-

Shay si stritolò le dita sino a farsi male, facendo del suo meglio per non fargli scorgere l’umiliazione che le aveva inflitto -Ho quasi diciotto anni- scandì sull’orlo delle lacrime voltandosi a guardare fuori dal finestrino e fingendo un improvviso interesse per i passanti fermi sul marciapiede in attesa di attraversare. Lei si era innamorata di uno che la considerava “poco più di una bambina”?!? Possibile che fosse così poco attraente? Certo di fronte alla sensualità con cui Isabelle aveva tentato di sedurre Ed, lei era una pivella, ma una bambina proprio no! Era troppo! Ricacciò indietro le lacrime e si ostinò a fissare la strada grigia mentre l’auto svoltava a destra abbandonando la via principale per inoltrarsi nel quartiere dove risiedeva la famiglia Warner.

-Scusa non volevo offenderti solo che …ecco…dimostri al massimo dodici anni-

-L’età di Mike- constatò atona, ormai svuotata di qualsiasi piglio combattivo. Proprio non riusciva a smettere? Possibile che non sentisse il suo dolore?

-Ecco sì- disse infatti sollevato, convinto di aver trovato una replica intelligente – Sembri una sua coetanea … però in effetti me lo avevi già detto che sei più grande ….-

-Va bene, lasciamo perdere per favore-

-Ma perché te la prendi? In fondo non è grave dimostrare qualche anno in meno…-

A Shay si strinse il cuore, eh già che male c’era? Il ragazzo che hai appena scoperto di amare ti sta dicendo che ti considera non solo una sorella, ma per di più una sorella-bambina!

-Ti ho detto di lasciar perdere e poi rallenta siamo arrivati!-

-Si lo so, non ho dimenticato dove abita…-

Parcheggiarono in silenzio nello spiazzo ghiaioso antistante alla bassa casa dei Warner. Scesero dall’auto e suonarono il campanello attendendo che lo scalpiccio all’interno dell’abitazione si facesse più vicino.

Fu Ed in persona ad aprire. Una maschera di stupore e sospetto scese sul bel volto del portiere – Danny! Shay!- salutò, poi con estrema cautela si appoggiò con una spalla allo stipite della porta, come a voler cercare qualcosa di solido che lo rinfrancasse -...Mark…-  incrociò le braccia al petto in un istintivo gesto di chiusura e protezione. Non aveva dimenticato il pugno in faccia che si era beccato  nel loro ultimo incontro.

-Uh come accoglienza non mi sembra il massimo- iniziò Mark registrando attento ogni minima espressione del compagno -Ti ricordavo più ospitale…-

Ed non aveva perso la capacità di cogliere al volo i tanti non detti nelle frasi del Capitano. Spostò sospettoso lo sguardo da gatto sulla ragazza immobile davanti a lui. E ora? Che diavolo si era inventata questa volta per convincere Mark? Che aveva una cancrena alla mano e che avrebbero dovuto amputargliela? Che durante la visita ortopedica gli avevano trovato un cancro all’ultimo stadio alle ossa? Che gli alieni lo avevano reclutato per una transferta senza ritorno?

-Ehm...- iniziò confuso, raddrizzandosi in tutta la sua altezza e sollevando la mano fasciata all’altezza del viso. Nessuno proferiva parola e gli occhi del portiere si spostavano sempre più inquieti dal volto di Shay a quello di Mark in cerca di qualche segnale rivelatore.

Mark corrugò perplesso la fronte -E’ grave?- chiese non trovando alcun altro argomento a cui appigliarsi.

Il portiere sussultò, scrutandolo spaventato. Allora aveva indovinato! Shay gli aveva detto che stava per perdere la mano! Che doveva fare ora? E perché quel demonio di ragazza non lo aveva avvertito prima del nuovo intrigo?

-E allora Ed che ti prende?- lo incalzò Mark a disagio spostando nervosamente il peso da un piede all’altro -Non mi far fare grandi discorsi lo sai che non ne sono capace, cerca di essere un po’ perspicace…- 

-Io … non  … non so  … che cosa ti abbia detto per convincerti, ma ti assicuro che non sto per perdere la mano - obbiettò sottolineando la sua affermazione sventolando energicamente la mano infortunata -Non è così grave...cioè sembrava ma …non...-

-Cosa?!?!- chiese Mark stupito osservando con curiosità i gesti del compagno, poi comprese e rise divertito stemperando in parte l’inevitabile titubanza che si era creata tra loro –No calmati Ed, lei non c’entra questa volta, mi sembra impossibile ma questa volta Shay non c’entra proprio niente …-

I due ragazzi si misurarono con decisione, gli occhi ambrati del portiere si intinsero per lunghissimi secondi in quelli scurissimi dell’attaccante nipponico e qualcosa di inintelligibile ai più si ridestò nell’animo di entrambi. Così con estrema naturalezza, senza bisogno di altre insulse parole, lasciarono che il filo impalpabile della loro amicizia si riallacciasse, che l’antica intesa tornasse a scorrere magica e potente come se non fosse mai stata interrotta, e solo dopo, con calma, al momento opportuno, si sarebbero concessi il lusso delle spiegazioni.

Danny li osservò felice mentre all’unisono scoppiavano a ridere a crepapelle, paghi e felici di quell’inaspettata e semplice conclusione. Anche Shay fu ben presto contagiata da quell’atmosfera allegra e mentre a sua volta si lasciava andare ad una risata liberatoria, un’ultima battagliera idea le attraversò veloce la mente – E ora mio caro, te lo faccio vedere io chi è la bambina!-

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Capitolo 24
*** Farfalla inesperta ***


~~CAPITOLO XXIV. FARFALLA INESPERTA

I giorni che seguirono furono una girandola di avvenimenti concitati che consumarono le ore una dopo l’altra con sorprendente velocità. Gli ultimi aliti dei venti freddi del nord smisero di soffiare sulla grigia metropoli di Tokyo, per lasciare finalmente il posto al tiepido sole di primavera. Ed e Mark erano partiti alla volta di Fujisawa da Holly e Benji per rincuorare i compagni di squadra e permettere loro di vedere, con i propri occhi, l’armonia ritrovata. Il Capitano nipponico, quasi in lacrime, aveva chiamato quella sera stessa Shay ringraziandola ripetutamente e a nulla erano valsi gli sforzi della ragazza per spiegargli che lei non aveva avuto proprio alcun merito nella riconciliazione, che la faccenda si era praticamente sistemata da sola. Dan si era trincerato in casa, immerso nello studio per recuperare alcune insufficienze prima degli esami finali, particolare che non la impensieriva affatto, dal momento che il suo profitto scolastico era tornato a discreti livelli dopo il periodo di depressione.

Ben altri pensieri turbavano la mente della ragazza. Davanti al suo armadio spalancato sospirava sconfortata da un quarto d’ora. La sua camera era ridotta ad un pot-pourri di stoffe colorate disseminate ovunque, tappeti ricoperti di scarpe, ciabatte, stivali, anfibi, mobili aperti, straripanti biancheria di vario genere. Aveva svuotato cassetti e armadi passando in rassegna tutto il suo guardaroba, non tralasciando nulla, dalle mutande ai calzini.

Accidenti! Non c’era neppure un capo che potesse definirsi “femminile”!

Tute da motociclista, giubboni rinforzati, pantaloni extra-large, felpe unisex…e il peggio era che anche volendo spendere i suoi miseri risparmi in abiti e scarpe, non sapeva da che parte iniziare…

-Maledizione!- imprecò, lanciando sul letto un paio di canotte sgualcite che un tempo indossava per gli allenamenti di kick boxing - Se solo ci fosse Patty qui! Lei saprebbe certamente darmi qualche consiglio…-mormorò sconsolata pensando al corpo esile dell’amica infilato in femminilissimi vestitini - … lei saprebbe certamente che comprare …-

Ma certo! Poteva prendere la moto e pigiando un po’ sull’acceleratore, in paio d’ore essere sotto casa dell’amica.

Si spogliò in fretta e indossò la tuta nera da motociclista, raccolse alla bell’ e meglio i capelli in un’alta coda di cavallo ed infilò il primo dei suoi guanti di cuoio rinforzati. Osservò la sua mano piccola e bianca scomparire dentro il guantone e si bloccò con il dorso sinistro infilato solo per metà. Borbottando a denti stretti, sollevò lentamente lo sguardo e fissò intensamente l’immagine che lo specchio appeso alla parete le rimandava.

Ma chi voleva imbrogliare? Lei era colei che lo specchio, con disarmante chiarezza, le mostrava. Era alta rispetto alla media giapponese, non certo magra, anzi in alcuni punti molto morbida nonostante tutti i suoi sforzi per mascherare le curve imbarazzanti del corpo; i capelli corvini stavano ricrescendo in fretta ed erano tornati lucenti e setosi come un tempo, leggermente arricciati sulle punte. Gli occhi blu erano profondi e inquieti e una luce dubbiosa tremolava in essi, una luce che in quelle ultime settimane aveva imparato a conoscere bene. Fece qualche passo avanti verso la lucida superficie rifrangente. Lei era così. Una   ragazza di quasi diciott' anni con passioni che si potevano definire in molti modi ma non certo femminili: le moto potenti, la kich-boxing e tutti gli sport fisici, molto fisici, i pantaloni comodi, le magliette informi. Non vi era nulla di più appagante per il suo ego indomito, di essere considerata forte e indipendente, era disposta a tutto per ottenere rispetto, anche usare le mani, alle quali ricorreva spesso e volentieri.

Sbatté nervosamente le lunghe ciglia corvine respirando a fondo, svuotando la pancia dall’aria e gonfiando il petto come le aveva insegnato il maestro anni prima per raccogliere l’energia prima del combattimento. Ma quel movimento lento e studiato non la calmò affatto ed ebbe come unico risultato di mettere in evidenza l’imbarazzante curva del seno. Shay scosse il capo come per allontanare un’idea molesta e, dopo un attimo di esitazione, abbassò lentamente la zip della tuta sino all’altezza dell’ombelico, sfilò la parte superiore del nero indumento liberando spalle e braccia e arrotolò con cura sui fianchi la stoffa fredda e resistente. Rimase qualche istante  immobile in ascolto dei battiti tumultuosi del suo cuore, intenta a decifrare quell’istinto sconosciuto che l’aveva spinta a spogliarsi davanti allo specchio. Si sentiva tremendamente a disagio, certo non era la prima volta che esaminava il suo corpo nudo, ma non era la nudità in sé ad imbarazzarla, piuttosto quella sensazione voluttuosa che le era estranea e sembrava aver preso possesso della  sua mano e della sua mente. Sfilò la maglietta dalla testa e fece un passo indietro per osservarsi meglio. Le spalle erano larghe, la candida pelle liscia al tocco e i bicipiti ancora ben delineati, anche se la muscolatura si era notevolmente ridotta da quando aveva interrotto gli allenamenti intensivi di boxeur. Scese con lo sguardo, la pancia era piatta con gli addominali ancora disegnati attorno al delicato incavo dell’ombelico. Facendo uno sforzo su se stessa per scacciare quel fastidioso senso del pudore che le urlava di rivestirsi immediatamente,  risalì con lo sguardo sino all’altezza del petto. I suoi occhi si soffermarono a lungo sulla fascia bianca che stringeva i seni. Che sciocca era! Chi voleva imbrogliare? Come poteva voler essere femminile se non aveva neppure il coraggio di portare un reggiseno normale, ma si ostinava a costringere le sue forme sotto fasce elastiche? Respirò a fondo per l’ennesima volta e mai come allora la costrizione della fasciatura le sembrò scomoda e infantile.

Con gesto deciso cercò l’apertura della fascia sotto l’ascella quando un affrettato scalpiccio di passi leggeri lungo il corridoio la fecero voltare di scatto. Scosse il capo sentendosi sempre più ridicola e con il cuore che le pulsava furioso in gola si avvicinò alla porta e diede un giro di chiave accertandosi così che nessuno l’avrebbe colta intenta nell’imbarazzante esame che si apprestava a fare.

Si riposizionò davanti allo specchio esitando solo una frazione di secondo – Coraggio – si disse mentre faceva scattare il fermaglio metallico che teneva ferma la fascia. La serica stoffa bianca scivolò giù allentata di attimo in attimo dal ritmico sollevarsi del respiro. Shay non fece assolutamente nulla per accelerare quella lenta tortura, era scombussolata dall’eccitazione che si stava procurando. I seni leggermente arrossati per la costrizione a cui li aveva sottoposti, ben presto capeggiarono finalmente liberi, rosei e tondi, ornamento ancestrale del corpo femminile. Erano belli: eretti e ben fatti, ma decisamente troppo pieni e troppo … femminili. Ecco il punto! Lei la femminilità ce l’aveva, il suo corpo era di donna da anni ormai, era lei a non essere in grado di gestirlo, si vergognava solo all’idea di avvicinarsi ad un uomo con la sinuosità con cui Isabelle si era avvicinata ad Ed, arrossiva al pensiero del corpo di una donna accostato a quello di un uomo! Com’era ancora immatura e bambina! In fondo Mark aveva ragione!

Stramaledettamente ragione!

Si lasciò cadere indietro finendo supina sopra il letto. La profumata brezza primaverile che soffiava attraverso le imposte aperte, le solleticò il corpo seminudo, accarezzandole i capezzoli che si inturgidirono a contatto con l’aria fredda, facendola rabbrividire di piacere. Quel fievole alito di vento poteva assomigliare in qualche modo alle carezze di Mark?
 
-Pervertita- mormorò arrossendo sino alla radice dei capelli – Che pensieri sono questi? Oh Shay non ti riconosco più!- gemette sconsolata, voltandosi a pancia in giù, sottraendosi a quell’innocuo piacere che l’aveva tanto sconvolta. Affondò il volto fra le coperte sentendosi perduta, bruco dentro forma di farfalla, in balia di un corpo che reclamava attenzioni che non gli aveva mai concesso. In breve tempo e senza che se ne rendesse minimamente conto, Mark le aveva svegliato istinti sconosciuti che non poteva più ignorare ma come soddisfarli, era una domanda alla quale proprio non sapeva rispondere.

La voce profonda della causa del suo malessere le giunse dal piano di sotto, stava discutendo con il fratello minore su qualche cosa che Shay non colse. Come poteva sottrarsi a tutto quello? Se solo avesse potuto scappare lontano e dimenticare per sempre Mark Lenders e tutto ciò che lui ormai significava.

Rimase distesa in quella posizione a lungo sforzandosi di non pensare a nulla, ma più cercava di svuotare la mente e più pensieri che non riconosceva come propri la tormentavano, turbandola sempre più. Pose fine a quella confusione con un enorme sforzo di volontà cercando di annegare l’ansia tra i rivoli bollenti di una lunghissima doccia. Il rimedio funzionò perché l'acqua attutì almeno una parte della confusione e del senso di estraneità che provava, rischiarandole un poco le idee. 

Quando scese in cucina per la cena la famiglia era già seduta a tavola -Scusate il ritardo- disse prendendo posto e stando bene attenta a non sollevare lo sguardo sul fratellastro maggiore. Non sarebbe stato facile mangiare con lui seduto di fronte.

-Non ti preoccupare cara- disse il signor Field senza tentare nemmeno di dissimulare l’orgoglio e il piacere che provava nel vedere la sua numerosa famiglia tutta riunita attorno ad un tavolo – Io Rose e i bambini andiamo al cinema stasera, vuoi venire?- le chiese il genitore scrutandola e cercando di trattenere un sorriso.

-Ti ringrazio ma devo studiare…- replicò scostando la sedia dal tavolo. Fu allora che lo notò.

Un grosso pacco rettangolare avvolto in una carta lucida color oro e un enorme fiocco bianco nel mezzo -Ma cosa ... -

Suo padre ora sorrideva apertamente -Un regalo in anticipo per il tuo compleanno! – esclamò alzandosi in piedi per l’eccitazione -Lo so che mancano ancora tre giorni ma … aprilo e capirai!-

Shay lo osservò confusa, poi voltò il capo verso il calendario appeso alla parete accanto ai fornelli, in effetti era il 27 marzo e fra tre giorni lei avrebbe compiuto diciott' anni –Grazie, grazie papà- disse semplicemente non trovando altre parole adatte da aggiungere. Disfò il fiocco e scartò il pacco con mani tremanti sotto gli occhi attenti dei fratellini che le si erano fatti tutti attorno curiosi. Tutti tranne uno, constatò Shay rilevando con la coda dell’occhio la sagoma corposa di Mark ferma al proprio posto. Se lui le si fosse avvicinato, dopo tutti i pensieri lussuriosi che si era concessa quel pomeriggio, probabilmente avrebbe avuto una crisi isterica. La situazione comunque urgeva una soluzione immediata, non poteva certo sperare di evitare qualsiasi contatto fisico con il fratellastro, gli spazi della casa non erano così ampi da permetterle di evitarlo in eterno.

–Ma è ….- balbettò sempre più confusa estraendo dal pacco un vestito di delicato lino azzurro corredato da un golfino di una tinta appena più scura. Sul fondo della scatola notò anche un paio di sandali con il tacco, dello stesso colore dell'abito. Shay rimase senza parole e tacque guardando il vestito tra le sue mani. Era la prima volta che il padre le regalava un abito. Possibile che fosse al corrente dei suoi turbamenti? Possibile che avesse indovinato cosa era accaduto in camera sua qualche ora prima? Il solo pensiero che il genitore potesse aver intuito il suo attimo di debolezza la fece arrossire vistosamente. Ma il padre sembrava non aver colto l’agitazione della figlia o, se l’aveva colta, la imputò erroneamente alla sorpresa per quel regalo anticipato – Per il tuo compleanno cara! Ho prenotato come al solito al nostro ristorante  preferito, un posto per due al solito tavolo … - il signor Field esitò solo un attimo incerto - … almeno che tu non preferisca festeggiare i 18 anni  con i tuoi amici o in qualsiasi altro modo... – concluse osservando con sguardo attento la figlia.

- Un posto per due?- ripeté la ragazza ricambiando lo sguardo del genitore identico al suo.

-Si per due-

-E loro?- chiese Shay con sincera sorpresa indicando con un ampio gesto del capo gli altri presenti in cucina.


-Oh cara!- esclamò suo padre avvicinandosi per abbracciare forte la figlia -Speravo tanto che tu mi facessi questo regalo … davvero desideri che ci siano anche loro alla tua festa di compleanno?-

-Ma che domande sono papà?- borbottò sempre più confusa tra le braccia del padre che sembravano non  volerla lasciare più – Certo, non siamo tutti una famiglia?-

Già una famiglia, peccato che lei si fosse innamorata del candidato a fratello maggiore. Ma forse non era così, forse si era sbagliata. Era tutto così complicato e Shay in quel momento pregò con tutto il cuore che quell’infatuazione per il fratellastro fosse veramente un fuoco di paglia, che sarebbe svanito all’improvviso così come era avvenuto. Come le era successo con Ed. Non si era convinta di essere follemente innamorata del bel portiere? E poi non era tutto scomparso come un’effimera bolla di sapone esplosa a contatto con un alito di vento appena più vigoroso degli altri?

Con quella tenue speranza nel cuore trovò il coraggio di sbirciare oltre la spalla del padre, nella direzione del fratellastro. I loro occhi si allacciarono per un solo istante ma fu sufficiente per far perdere un battito al cuore della ragazza – Eh no, non ci siamo proprio! – pensò sconfortata mentre si perdeva nel sorriso serafico che aleggiava sul bel volto bruno di lui, evidentemente compiaciuto della mansuetudine che ormai caratterizzava la sorellastra ribelle.

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Capitolo 25
*** IN CADUTA LIBERA ***


~~CAPITOLO XXV. IN CADUTA LIBERA

Un’ora dopo Shay si trovava seduta alla sua scrivania con il libro di storia aperto e la cena, che aveva mandato giù a forza, che le ribolliva indolente nello stomaco. Ma la lampada da tavolo non illuminava affatto una fronte china in silenzioso studio, si divertiva invece a disegnare lunghe strisce di calda luce giallognola tra le ciocche lucenti, strette da un nastro di seta viola. Shay infatti non stava affatto leggendo il libro ma voltava le spalle alla scrivania, dondolandosi nervosamente su e giù con le gambe a penzoloni sopra il bracciolo.

Dopo cena i genitori e i tre fratelli più piccoli si erano accomiatati allegramente diretti al cinema e Mark era andato in camera sua a preparasi per una serata in compagnia di Ed.

Lei era tornata in camera e aveva appoggiato il pacco aperto sul letto. Si era seduta alla scrivania con l’intento di studiare ma, dopo qualche minuto, si era alzata e aveva messo il vestito su una gruccia in armadio – Così non si strapazza- aveva giustificato quella prima interruzione. Dopo poco si era rialzata e lo aveva tirato fuori riponendolo nel pacco –Tanto lo faccio restituire- si era detta convinta – Spero che papà non si offenda ma che gli è saltato in mente di prendermi sto coso? E poi le scarpe, vuole che mi ammazzi?- Soddisfatta per la risoluzione presa si era riaccomodata e aveva iniziato a sfogliare il testo tanto trascurato.  Ma le interruzioni si erano susseguite sempre più frequenti, una volta per riporre l’abito nell’armadio decisa a tenerlo, l’altra per rimpacchettarlo convinta di restituirlo.

-Al diavolo così faccio notte!!- si ammonì nervosa, alzandosi per l’ennesima volta – E sia, togliamoci il pensiero!- si disse estraendo la causa di tanta inquietudine dalla confezione dorata. Osservò con fare sospettoso quella leggera nuvola di seta azzurra inerte tra le sue mani sollevate in alto e constatò con piacere che non era poi così indecoroso da indossare come aveva dapprincipio pensato. Forse non le sarebbe stato male. Si drappeggiò con circospezione la stoffa sul corpo, sbirciandone di sottecchi l’effetto allo specchio. La gonna non era proprio corta come le era sembrato all’inizio, doveva arrivare appena sopra il ginocchio e la scollatura, la parte dell’abito che manco a dirlo la imbarazzava di più, non era molto accentuata, certo non sufficiente per permetterle di celare sotto le fasce elastiche, ma per fortuna il golfino, che si allacciava con un nodo sul petto, mimetizzava a sufficienza la curva del seno, nascondendone alla vista l’attaccatura – Speriamo che quella sera non faccia troppo caldo…- borbottò preoccupata iniziando a spogliarsi. Infilò il vestito dalla testa e si stupì nel sentire il piacevole senso di leggerezza che la stoffa delicata le dava. Le stava aderente sul busto per poi aprirsi a corolla sui fianchi e la gonna, come aveva previsto, era abbastanza lunga da coprirle i lividi che capeggiavano indelebili sulle sue cosce, ricordo di duri combattimenti. La scollatura a barchetta lasciava vedere chiaramente il solco audace dei seni, Shay sentì puntuale una vampata di calore salirle alle guance e, sospirando, si affrettò ad  infilare il golfino. Studiò con estrema diligenza l’effetto della sua immagine riflessa  e per quanto fosse dura con se stessa, non riuscì a non provare un moto di soddisfazione. Mosse qualche passo continuando a spiarsi con diffidenza e notò che il ribelle capo si apriva un po' lasciando intravedere la linea del petto, indispettita si affrettò a stringere il nodo davanti. Ma nel complesso l'effetto era piacevole e quella era sicuramente l'immagine più femminile che avesse avuto di se stessa da diciott'anni a  quella parte!

Felice di quell’inattesa conquista, fece una piroetta su se stessa osservando curiosa l’effetto della gonna che si apriva maliziosa sulle gambe nude. La felicità del momento non le fece comunque dimenticare il problema numero uno: i sandali col tacco. Li afferrò e li portò all’altezza del volto, squadrandoli perplessa. Provò ad infilarli. Il cinturino  sottile si allacciava attorno alla caviglia lasciandole scoperto il collo del piede. Tentò qualche passo. Non era male.

-Shay sto uscendo, buona serata-

La ragazza sussultò, presa com’era dalla sua personale sfilata, per un attimo si era dimenticata di non essere sola in casa -Buona serata anche a te- si affrettò a rispondere sperando che a Mark non venisse in mente di entrare in camera sua. Ma per fortuna il ragazzo si diresse alle scale e scese con passo affrettato, probabilmente era in ritardo.

Aspettò in attesa di sentire lo scatto della porta di casa che si richiudeva ma nessun rumore le giunse da sotto – Sarà sceso dalla porta secondaria, direttamente in garage – pensò rincuorandosi. Attese ancora qualche minuto immobile, poi, definitivamente convinta di essere sola in casa, cominciò a camminare su e giù per la stanza -Decisamente va meglio di quel che pensassi! -esclamò fiera complimentandosi con se stessa per le inaspettate doti di equilibrista.


Dopo alcuni minuti si sentì pronta ad affrontare lo scoglio più grosso: le scale. Aprì la porta della stanza con estrema cautela, rimanendo in ascolto. Nessuno rumore. Persuasa di essere davvero sola, appoggiò la mano umida per la tensione alla parete e con cautela attraversò il corridoio, affacciandosi alla tromba delle scale. Afferrò il confortante sostegno del corrimano di duro legno d’ebano e fece i primi scalini – Tutto a posto, non c'é niente di cui preoccuparsi …- si ripeteva incredula - Davvero ho avuto paura per tanto tempo dei tacchi alti e in realtà li so portare beniss…- il pensiero le morì a metà nella mente, ucciso da un peccato di presunzione che si apprestava a pagare molto caro: la caviglia destra cedette, facendole andare il piede in parte, istintivamente si slanciò verso il corrimano e, per non cadere in avanti, spostò tutto il baricentro all’ indietro, ma questo non fu sufficiente a risparmiarle l’inevitabile caduta. Senza poter fare nulla, si ritrovò a volare sopra una manciata di scalini e a fare il resto della scala appoggiata al suo dolorante fondoschiena. Atterrò rumorosamente sul pavimento del piano di sotto strillando di dolore e paura.

-Ma che succede? – la voce di Mark le fece l’effetto di una dose di morfina, anestetizzandola e immobilizzandola allo stesso tempo. Il ragazzo attraversò di corsa il salotto impallidendo lievemente alla vista della sorellastra stesa a terra -Shay cos’é accaduto? Stai bene?-indagò sollecito accovacciandosi accanto alla ragazza.

Lei sbatté le palpebre confusa – Ma … ma non eri uscito?- chiese aggrappata alla fievole speranza che quella fosse un’allucinazione e che sarebbe scomparsa al suono della sua voce.

-Sono tornato indietro perché avevo dimenticato il portafoglio- spiegò invece l’“allucinazione” prendendo, purtroppo per lei, consistenza reale -Ma che diavolo è successo?- ripeté il calciatore passandole in rassegna le gambe e rincuorandosi nel notare che non avevano preso una posizione innaturale -Come hai fatto a cadere? Non hai sbattuto la testa vero?- investigò, palpando adagio la testa della ragazza, sincerandosi che non vi fossero ferite.

Lei chiuse gli occhi con forza sottoponendosi al controllo delle mani del fratellastro sul suo capo senza obiettare, d’altronde, anche volendo, non era in grado di trovare neppure il fiato per respirare, quindi non le restò che scuotere il capo debolmente chinandosi sconfortata, schiacciata dall’imbarazzo.

Mark terminò di toccarle il capo e di scostarle i capelli alla ricerca di protuberanze sospette o di macchie di sangue, e solo una volta certo dell’integrità della testaccia dura della sorella, cedette alla curiosità di osservarla meglio. Notò il vestito azzurro aperto a raggiera attorno alle gambe, i piedi avvolti nei sandali  e tutto gli fu chiaro in un baleno -Prima volta che porti i tacchi?- commentò divertito, ormai certo che la sorellastra non avesse nulla di rotto - Non avresti dovuto azzardarti a fare le scale…-

-Sciocchezze non è la prima volta … sono caduta perché mi sono distratta …- mentì con candida spudoratezza, senza però osare guardarlo in faccia – E comunque non mi sono fatta niente- aggiunse alzandosi di scatto, sostenuta da un ultimo impeto d’orgoglio. Il dolore lancinante alla caviglia destra tornò a farsi sentire in un’unica devastante ondata e la gamba cedette incapace di sorreggere il peso del corpo, costringendola, per non cadere, a sbilanciarsi in avanti e ad appoggiarsi a piene mani sulle spalle del fratellastro.

Shay chiuse gli occhi contraendo ogni più piccolo muscolo del corpo per non cedere al dolore, serrò spasmodicamente le mani attorno alle scapole del ragazzo, conficcandovi dentro le dita. Mark non si mosse, accettò quella stretta dolorosa senza battere ciglio inginocchiato di fronte a Shay con il volto all’altezza del suo petto. Da quella posizione privilegiata, dal basso verso l’ alto, osservò rapito ogni minimo dettaglio dell’espressione di puro dolore sul bel volto contratto di lei, i muscoli rigidi, le palpebre chiuse, le labbra sbiancate strette con forza tra i denti, le  lacrime copiose che cominciavano a segnarle le gote livide nonostante gli evidenti sforzi per trattenerle. Mark trattenne il respiro per cogliere il minimo rumore, ma da quelle labbra, ermeticamente serrate, non gli arrivò un solo suono. Per l’ennesima volta il ragazzo non poté fare nulla contro l’ondata di calore, fatta di meraviglia e stupore, che gli saliva dal ventre sino al cuore ogni volta che pensava a lei in quei termini. L’ammirava. Ammirava  la caparbietà e la forza con cui sapeva sopportare il dolore -Non fare la stupida, non vedi che non riesci neanche a stare in piedi?- replicò con tutta la dolcezza di cui era capace, sollevandosi piano per non farla sbilanciare ancora sulla gamba infortunata – Vieni qua!- disse prendendola in braccio con delicatezza quasi si fosse trattato di una bambola di cristallo. Presa alla sprovvista, Shay non poté evitare di irrigidirsi ancora di più e Mark, per non sbilanciarsi,  fu costretto a stringerla con maggior decisione contro il suo corpo, facendo aderire ogni curva di lei contro il suo petto. Rimasero un istante immobili, lo sguardo allacciato, il respiro mozzo, increduli per quella vicinanza così carica d’aspettative inespresse. Mark fu il primo a distogliere lo sguardo facendo credere alla ragazza di essersi immaginata quell’attimo di smarrimento. Si affrettò a deporla sul divano, sistemandole con eccessivo zelo un cuscino sotto il polpaccio destro in modo da tenere sollevata la caviglia.

-Speriamo non ci sia nulla di rotto- borbottò confuso cercando di allontanare  le strane idee che il contatto di poco prima con il corpo della sorella gli aveva suscitato -Fammi vedere questa caviglia- che gli stava succedendo? Quella era sua sorella!  -Si sta gonfiando ma non mi sembra rotta … uhm sì … - mugugnò palpandola con attenzione e allontanando con caparbietà ogni pensiero illecito dalla sua mente -Decisamente una bella storta ma niente di rotto, vado in cucina  a prendere il ghiaccio, guai a te se ti alzi!-

-Anche volendo non credo di riuscirci …- rispose lei sospirando abbandonandosi a peso morto tra i cuscini.

Il ragazzo tornò  dopo una manciata di minuti con il ghiaccio avvolto in un asciugamano turchino – Ecco qua!- esclamò soddisfatto posizionandolo sopra la caviglia stesa – Ora però smettila di frignare, il male ora dovrebbe passare- brontolò notando gli occhi lucidi e arrossati contornati da sottili ciglia zuppe d’acqua.

-Non piango di dolore, ma di umiliazione – dichiarò annientata, consapevole dell’inutilità di fingere -Sapessi come mi vergogno!- sbottò coprendosi il volto con un cuscino del divano mentre lottava con se stessa per tenere a bada le ondate di nauseante frustrazione che le pungevano gli occhi suo malgrado.

-E di che?- chiese lui totalmente disarmato di fronte a quella tenera ed inattesa vulnerabilità - Non sei abituata a portare  i tacchi alti, non dovevi azzardarti a far le scale senza prima aver fatto qualche prova in camera- cercò di consolarla inginocchiandosi vicino al cuscino sotto il quale era nascosto il volto sofferente di Shay.

-Ma io l'ho fatto ed andava tutto bene mi sentivo sicura- replicò cocciuta non accennando ad uscire da quel puerile nascondiglio.

-Troppo sicura e questo ti è stato fatale, sciocca bambina, potevi spezzarti l’osso del collo- la rimproverò bonariamente mollandole un colpetto sul cuscino con il palmo della mano aperto, ottenendo come risposta un mugugno lamentoso – Dai esci di lì, struzzo –


Lei ubbidì meccanicamente a quell’ordine e abbassò di scatto il cuscino, inconsapevole che il volto di Mark fosse proprio a pochi centimetri dal suo. Shay sbarrò gli occhi incredula, trattenendo il respiro incapace di formulare un pensiero coerente. Si tuffò rapita nelle iridi scurissime di lui nonostante la vergogna e l’imbarazzo le facessero desiderare di abbassare lo sguardo. Mark, altrettanto disorientato, spiazzato da quest’altra inaspettata vicinanza, rimase immobile, in ascolto del suo corpo che, per la seconda volta quella sera, sfuggiva la suo controllo. Le iridi azzurre di Shay, dilatate e rese traslucide dal recente pianto, erano per lui come una potente calamita e, nonostante una vocina nella sua testa gli dicesse si non farlo, non poté impedirsi di seguire con lo sguardo l’ennesima goccia che fuoriusciva da quelle pozze azzurre e scendeva piano piano lungo la linea morbida dello zigomo, disegnando una lunga scia umida e finendo la sua breve esistenza nell’angolo rosato della bocca. Focalizzò inerte la bocca  della ragazza dischiudersi sotto il suo sguardo. L’invito era esplicito ma era certo che Shay non ne fosse consapevole. Neppure ore dopo riuscì a spiegare a se stesso la forza di quell’impulso che lo fece osare tanto, fatto sta che non vi era stato modo di resistere e, ancor prima di realizzare cosa stesse succedendo, si era chinato quel poco che bastava per annientare il breve spazio tra loro. La sua bocca calda ed esigente si posò sopra quell’angolo tentatore, aspirando la goccia di lacrima salata colpevole di averlo condotto alla perdizione. Shay dischiuse ancor più le labbra e si girò verso di lui offrendogli la via per un contatto più profondo e soddisfacente ma quel leggero movimento fu sufficiente per scuotere Mark dallo smarrimento in cui era precipitato.

Come se la pelle di Shay fosse diventata improvvisamente ripugnate, il ragazzo fece un balzo all’indietro passandosi rabbiosamente il dorso della mano sulla bocca come se volesse pulirla da chissà quale sozzeria.  Lei si sollevò su un gomito fissandolo incredula.

– Non so che diavolo sia successo ma dimenticalo, capito?- era uno sguardo di puro disgusto quello che lui le rivolse e questo la ferì mortalmente inconsapevole che quel disgusto il ragazzo non lo stava rivolgendo a lei ma a se stesso.

Era arrabbiato perché non riusciva a fare a meno di  rilevare le labbra ancora aperte, il vestito scivolato di lato che lasciava fuoriuscire buona parte del seno sinistro, lo sguardo languido e tentatore…

-Ma io… balbettò lei sempre più confusa con il volto in fiamme di fronte a quegli occhi di puro fuoco – Io non…-

-Capito? Ascoltami bene Shay- ordinò sempre più duro e tagliente - Questa è la prima vera famiglia che i miei fratelli sperimentano, la prima volta che vedo mia madre serena …- spiegò agitando affannosamente le mani davanti a sé come se volesse spazzare via qualsiasi cosa che avevano condiviso lui e la sorella, persino l’aria -Non li ho mai visti così felici e non ho intenzione di rovinare tutto perché tu hai bisogno di fare un po’ d’esperienza con l’altro sesso. Non credo che ad Ed la tua inesperienza dia tanto fastidio e non credo sarà avaro di insegnamenti, quindi vai da lui ad impratichirti e non osare più tentarmi. Io sono tuo fratello per la legge, mettitelo in testa!- buttò fuori tutto d’un fiato, passandosi entrambe le mani tra i lunghi capelli corvini.

-Aspetta un attimo!- tentò di prendere tempo nell’affannoso tentativo di capire il senso di quello accuse – Io non ….ma …. Dove vai?- chiese in preda alla più totale confusione ma già animata dall’ira del suo orgoglio ferito – Dove vai! Idiota di un Bestione non mi puoi lasciare così!- urlò sopraffatta dalla furia cieca che aveva sostituito lo smarrimento nell’attimo in cui aveva realizzato che Mark se ne stava andando – Non mi puoi accusare… e vieni qui!- ordinò osservando allibita il pannello scuro della porta attraverso cui era scomparso il ragazzo – Sei un vigliacco! Bastardo vigliacco!- gli urlò dietro, fuori di sé per l’umiliazione scagliando il cuscino che aveva causato tutta quella confusione contro la porta chiusa.

Che sciocca era stata a scambiare quelle di prima per lacrime di umiliazione, non erano proprio niente in confronto alle ardenti braci che ora le bruciavano gli occhi, il volto, il cuore. Ma come era potuto accadere? Cosa era accaduto? Così all’improvviso, così in fretta…

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Capitolo 26
*** Partenza: the end? ***


~~Intanto BUON NATALE! Manca davvero poco alla nascita del bambino Gesù. E manca anche davvero poco alla fine di questa mia storia. Grazie infinite per l’affetto con cui mi sostenete sempre! Buona lettura. Akiko chan.


CAPITOLO XXVI. PARTENZA: THE END?

Shay finì di sciacquare le verdure e le lasciò cadere nell’acqua bollente osservando distratta le bolle borbottare in superficie. E quindi tra poco sarebbe tornato. Tutta la famiglia era in fermento nella piccola cucina, ognuno concentrato nella mansione assegnata da Rosaly, splendida regista di quello spettacolo di “Bentornato Campione”.

Mark stava per rientrare in Giappone. Partito come semplice giocatore di una Nazionale minore rientrava in patria come Campione Mondiale Juoniores. Il solo pensiero avrebbe dovuto esaltarla e invece non riusciva a pensare ad altro che all’uomo che lui rappresentava.

Il contegno con cui l’aveva trattata dopo....dopo cosa? Lo sfioramento accidentale di labbra … era stato a dir poco glaciale. Il loro rapporto era tornato ad essere teso e distaccato come all’inizio, no ancora peggio, perché ora più lui la ignorava più lei si sentiva sporca e depressa. Neppure il giorno del suo diciottesimo compleanno era servito a cambiare qualcosa: la serata era stata sicuramente piacevole ma non certo rilassata. Tra loro due la tensione era palpabile, entrambi si erano tacitamente accordati per fingere di fronte alla famiglia e, se suo padre o Rosaly, si erano accorti di qualcosa, avevano avuto il buonsenso di tacere.

Nessuno dei due se l’era sentita di affrontare la questione a viso aperto, di iniziare un discorso che non sapevano dove li avrebbe condotti. O meglio, lei non lo sapeva proprio per niente mentre Mark sembrava avere le idee ben chiare: non li avrebbe portati da nessuna parte perché non vi era parte del mondo in cui lui volesse andare con lei.

E poi finalmente era partito. Finalmente, perché averlo accanto con quella tensione era devastante.

Ora tornava dall’Europa. Aveva assistito con Patty alla finale contro la Germania. Aveva esultato ad ogni goal e sofferto ad ogni rimonta. Lo aveva seguito con occhi avidi sfrecciare nello schermo. Il suo cuore aveva urlato il sentimento infinito che provava per lui in attesa del suo ritorno anche se non sapeva esattamente cosa doveva aspettarsi. Si era chiarito le idee? Per quanto la riguardava di dubbi non ne aveva più nessuno: Mark le si era insinuato nell’anima, sotto la pelle, dentro le ossa, l’aveva completamente impregnata ed era del tutto inutile domandarsi se mai  qualcosa -il tempo o l’oblio - avrebbe potuto diminuire ciò che nutriva nei suoi confronti e che avrebbe preferito mille volte non provare. Ma quel amore c’era, un macigno che le pesava sul cuore.

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Mark si sistemò meglio sul sedile dell’aereo che li stava riportando in Giappone. I compagni discutevano eccitati commentando la ricomparsa di Roberto e la repentina partenza di Holly per il Brasile. Nessuno badava a lui e questo gli faceva molto piacere. Aveva bisogno di risistemare i suoi pensieri prima di…rivederla. E trovare una qualche risposta a quella scomoda domanda che lo tormentava da più di un mese.  Come era potuto accadere? Per essere precisi, nella mente del bruno attaccante il quesito risuonava esattamente così - Come cazzo era potuto accadere, porca di una straporca  puttana?-

Ripensò a quella sera a quel bacio a fior di labbra. Era letteralmente scappato di casa in preda al ... terrore. Mark sentì le guance farsi calde. Inorridì: stava arrossendo. Lui, Mark Lenders alias la Tigre, stava arrossendo! Sprofondò ancora più nel sedile sperando di diventare un tutt’uno con la stoffa a righe, si guardò fugacemente intorno, no nessun rompipalle in avvicinamento.

Si concentrò sulla soffice lanugine delle nuvole e tornò a quella maledetta sera.

“Aveva raggiunto Ed e Danny fingendo che non fosse accaduto nulla ed erano andati alla solita discoteca.

Una colorata moltitudine di luci psichedeliche saettavano vivaci nell’aria accaldata tutt’attorno, creando un’atmosfera surreale dove sagome umane dai contorni evanescenti si dimenavano sull’ampia pista da ballo o, come lui, sorseggiavano con aria indifferente drinks multicolori ai banconi dei vari bar disseminati qua e là lungo il perimetro del capiente locale.

Aveva stretto ancora più forte le dita nervose attorno al collo della bottiglia di weisser bionda che aveva deciso di scolarsi in solitudine. Respirò a fondo trattenendo il liquido amarognolo in bocca, non amava la birra ma quell’aroma, quasi fastidioso, era un diversivo come un altro per obbligare i suoi pensieri a concentrarsi su qualcos’altro. Qualcosa che non fosse lei. Ingoiava rabbioso il liquido dorato frugando con lo sguardo tra la folla alla ricerca degli amici con cui stava trascorrendo la serata. Ed si era allontanato poco prima, esasperato dal suo mutismo e ora si stava giustamente godendo la serata, scatenandosi poco distante assieme a due ragazze dalle morbide forme che gli si strusciavano addosso come due gatte in calore.

Ma in fondo che cosa aveva da recriminarsi? Aveva dato un casto bacio alla sorella niente di più. Osservò meglio le ragazze accanto ad Ed. Una era mora, piccolina e aveva decisamente un bel fondoschiena, come sottolineavano ampiamente le attillatissime fuseaux azzurre all’interno delle quali lo aveva costretto. L’altra era una biondina di una spanna più alta dell’amica avvolta in un miniabito rosso cardinale troppo corto, troppo scollato, insomma troppo. Ed erano esplicite, dirette, non vi era dubbio che quella sera fossero a caccia di piaceri intensi ma poco impegnativi. Il messaggio era forte e chiaro. Un messaggio di sesso. Quella specie di bacio con Shay aveva anche solo la parvenza di sesso? No, decisamente no. Era stato un gesto fraterno, dettato da un impeto di debolezza scatenato dalle copiose lacrime della ragazza. Sì ecco tutto.

Si era mosso a disagio abbarbicato sull’alto sgabello di acciaio e plastica colorata. Ma chi voleva prendere in giro? In effetti quel bacio non poteva neanche definirsi tale, non era niente, il problema, il reale problema, era l’intimo scombussolamento che Shay gli aveva procurato. Ma da quando in qua il corpo della sorella era così armonico, così morbido, così invitante? Ripensò al seno semiscoperto, alle labbra turgide…

-Porca troia!- aveva imprecato a voce alta, sbattendo energicamente la bottiglia semivuota sul bancone ricoperto di marmo nero mentre le immagini della sua fuga gli scorrevano spietate davanti agli occhi. Il ragazzo del bar gli rivolse un’ occhiata guardinga ma lui non lo badò nemmeno, totalmente rapito dagli imbarazzanti frangenti che aveva condiviso con la sorellastra. Eh sì perché poteva girarla e rigirarla mille volte, ma quella che aveva messo in atto era una fuga bella e buona. Lui in fuga! Lui che aveva un orgoglio smisurato, un’ autostima elevatissima e una capacità inesauribile di affrontare tutti i colpi della vita a testa alta. Lui il temuto, l’indomito Mark Lenders. Lui, lui, lui … la più grande testa di cazzo vivente.

Era indietreggiato come una femminuccia impaurita, scosso sino nell’ultimo brandello d’anima dagli occhi increduli di Shay, quegli occhi più azzurri del cielo estivo che un attimo prima gli avevano promesso tutto e concesso tutto e all’improvviso si erano levati su di lui pieni di confusione e diffidenza …

-Sei un vigliacco! Bastardo vigliacco!-

E questa volta la sua offesa non era stata gratuita. La verità non può offendere. È vera, punto e basta.

-Mi offri qualcosa da bere?- la voce argentina della ragazza a pochi centimetri da lui lo aveva fatto sussultare. Osservò sorpreso la sua vicina e notò che si trattava della morettina che un attimo prima si stava scatenando con Ed.

-Allora? Insistette la giovane accettando non senza compiacenza quello che credeva un approfondito esame della sua persona. In realtà nel suo sguardo vi era più sorpresa mista a fastidio, che non ammirazione per le forme ben esposte della ragazza.

Senza dire nulla aveva fatto un lieve cenno affermativo col capo.

La ragazza gli aveva sorriso sorniona ed ordinò il suo cocktail a base di vodka alla frutta.

Si era sporto lievemente in avanti appoggiando i gomiti sul bancone e fingendo di non badare a lei. In realtà la stava attentamente scrutando con la coda dell’occhio in attesa di prendere una decisione sul proseguimento della serata.

La morettina non si scoraggiò affatto per quell’apparente momentanea indifferenza, poiché era certa che fosse solamente temporanea e approfittò di quell’attimo di distrazione del suo accompagnatore per dare una sistemata alle armi di battaglia. Con occhio critico scrutò la sua immagine nella vetrata rifrangente posta di fronte, assicurandosi che non un granello del suo sapiente trucco fosse colato sotto le calde luci della discoteca. Constata la bellezza e la cura dei propri lineamenti, strusciò tra loro le labbra ricoperte da un generoso strato di rossetto color mattone. Il barista si frappose tra lei e la parete nella quale si stava ammirando, ponendo fine alla sua egocentrica ispezione – A lei signorina- disse con fare sbrigativo ma educato, poggiando un calice colmo sino all’orlo di una bevanda color pesca.

Lui si era voltato, per continuare apertamente il suo esame mentre lei portava il bicchiere alla bocca con studiata lentezza. Era piccolina ma le scarpe a tacco alto ne allungavano la statura di almeno una decina di centimetri, mentre i fuseaux azzurri, che aveva già avuto modo di notare, le segnavano con impudenza ogni piega del corpo. Era carina, non eccezionalmente bella, ma da come si atteggiava, il calciatore comprese che lei si considerava bellissima e non sarebbe certo stato lui a dissuaderla da quella sua erronea opinione.

– Da quant’è che non mi concedo una bella scopata?- aveva pensato velocemente – Uhm tanto tempo… ecco la spiegazione, troppo testosterone accumulato…- concluse, fingendo di ascoltare le sciocchezze che la sua compagna si sforzava di intavolare per riempire il tempo in attesa dell’epilogo che ormai entrambi sapevano certo.

Aveva atteso con pazienza che lei finisse di bere il suo drink, osservando con una punta di insofferenza i continui lisciamenti di quella specie di corpetto in cui si era infilata, in un crescendo di ammiccamenti sempre più espliciti. 

Poiché non le dava soddisfazione e non accennava  a trasformare la sua finta attenzione in qualcosa di più di un blando interesse, la ragazza pensò bene di mettere in campo l’armeria pesante e sospirando lievemente si era avvicinata sino a strusciare il seno scarsamente coperto sul suo bicipite. Mark non oppose alcuna resistenza al corpo accaldato della ragazza che si incollava al suo. In genere avrebbe dimostrato più riluttanza, non amava vedere il suo spazio fisico invaso dalla prima venuta, in condizioni normali una ragazza così diretta ed esplicita l’avrebbe liquidata nel giro di pochi secondi, ma quella non era una serata normale e, se non avesse cancellato quelle immagini di Shay dalla mente, niente sarebbe stato più normale per lui. Accettò quindi di buon grado le mani della ragazza muoversi languide sul suo petto e i capelli di lei talmente vicini da solleticargli il mento. In fondo sì, quella era la soluzione più diretta e gli veniva offerta senza troppe complicazioni. Si era alzato con un movimento improvviso e lei lo fissava interrogativa.

-Fa caldo qui dentro andiamo a prender un po’ d’aria - le aveva ordinato più che chiesto, alzando la voce in modo da farsi sentire oltre il frastuono del locale.

Lei lo aveva gratificato con un ampio sorriso - Buona idea- disse maliziosa seguendolo veloce tra la folla festante con un’espressione trionfante stampata in volto.

Dal canto suo, aveva proseguito spedito facendosi largo senza troppi scrupoli tra la calca di corpi sudati, decisi a divertirsi a tutti i costi, ormai la sua decisione l’aveva presa e quella sera avrebbe posto rimedio al suo attimo di smarrimento a modo suo. Condusse quindi senza esitazioni la ragazza verso l’uscita e poi senza proferire parola la invitò ad infilare la giacca e a seguirlo nel parcheggio.

-Ehi come vai di fretta- ansimò la ragazza non appena furono all’aperto, affrettando il passo per stargli dietro – Ma dove lo vuoi fare? Fa freddo qui all’aperto…-

-Ti va bene questa?- le aveva chiesto con aria sardonica facendo scattare la serratura della sua bella macchina sportiva.

-Beh… sì!- esclamò la sciocchina sbattendo le mani eccitata – Bella l’auto, bello tu, sono fortunata stasera-

-Si davvero fortunata- le aveva fatto seguendola all’interno dell’auto.

Come amplesso non fu certo dei migliori, per fortuna la morettina ci sapeva fare ed aveva sopperito egregiamente alle bizze del suo corpo. Aveva faticato non poco a trovare la giusta erezione nonostante la ragazza si fosse data un gran da fare attorno al suo sesso riluttante ma alla fine c’era riuscita e senza tanti complimenti l’aveva infagottato dentro la protezione di lattice e se l’era infilato in corpo dimenandosi soddisfatta sopra di lui.

L’orgasmo era arrivato quasi a tradimento, uno dei peggiori della sua vita: veloce e indolore, praticamente inesistente. Ma lei non sembrava dello stesso parere – Uao una scopata memorabile!- esclamò estasiata facendolo scivolare fuori dal suo corpo.

-Già proprio memorabile…- rimarcò lui a denti stretti tirandosi su in una volta sola  i boxer neri e i jeans attorcigliati frettolosamente attorno ai polpacci. Aveva terminato con gesti nervosi di abbottonare i pantaloni e lanciò un’occhiata di sbieco alla sua amante. Represse un’imprecazione nel constatare che lei non accennava a vestirsi ma anzi lo scrutava speranzosa. Che ne volesse ancora? Ma non l’aveva capito che aveva scopato praticamente da sola? L’aveva osservata meglio -Senti…- esordì deciso ormai persuaso che quella non aveva capito niente – Credo sia meglio finirla qui…- l’aveva praticamente sbattuta fuori dall’auto ancora mezza nuda, aveva ingranato la marcia e vagabondato per le strade sino all’alba.”

Poi era rientrato a casa con un'unica, granitica consapevolezza nel cuore: non avrebbe mai messo a repentaglio la stabilità della sua famiglia per una sua debolezza non classificabile. Shay era soltanto un capriccio per lui, forse l’orpello del predatore che aveva finalmente sottomesso definitivamente la sua preda. Qualunque cosa fosse per lui, Shay non era niente in confronto alla famiglia che sua madre era riuscita faticosamente a ricostruire.”

-Ehi Lenders ti decidi a mollare quelle cazzo di cinture? Non vedi che stiamo scendendo tutti- la voce odiosa di Benji Price lo ridestò. Non si era accorto che erano già atterrati. Si alzò in fretta. E quindi ecco il momento. Sicuramente la Peste sarebbe stata all’aeroporto ad attendere il suo bel portiere. Che sciocco era! Si stava facendo un sacco di seghe mentali per un bacio castissimo e Shay, con ogni probabilità, non faceva altro che sognare di fare l’amore con Ed!

Recuperò in fretta i bagagli e si apprestò ad uscire. La cercò tra la folla vide Patty, Amy, Eve, Susy…lo smarrimento di Patty nel non vedere Holly, ma nessuno aveva avuto la delicatezza di avvisarla? Poveretta chissà che shock! Ma lei non c’era. Mark fece spallucce non avrebbe mai ammesso neanche con se stesso la delusione di non vederla lì. Appoggiò una mano sulla tasca della felpa e sorrise soddisfatto: aveva percepito sotto le dita la spessa carta del contratto con il club italiano e in un attimo qualsiasi altro pensiero fu messo in secondo piano.

---

Non fece neppure in tempo a togliersi le scarpe che l’intera famiglia gli si fiondò addosso. Quasi intera. Shay se ne stava in disparte mollemente appoggiata allo stipite della porta della cucina. La cercò con lo sguardo tanto per farle capire che non la evitava, che per quanto lo riguardava era tutto dimenticato ed archiviato per sempre.

Lei ricambiò. Si erano quindi chiariti? Così con uno sguardo?

Si sedettero a tavola e Mark faticò a tenere testa a tutte le domande incalzanti dei fratellini senza lasciarsi sfuggire alcuna anticipazione di quella che voleva fosse la notizia “bomba” da servire assieme al dessert.

La sua eccitazione cresceva e quando vide la madre disporre la panna montata accanto al budino alla vaniglia, finalmente si decise a dare il grande annuncio – Mamma, Reeves, fratelli…- disse con un’inconsueta eccitazione nella voce, sorridendo finalmente felice.

Tutta la famiglia, Shay compresa, lo fissò in muta attesa.

Mark tacque ancora, si alzò e si avvicinò alla madre. Era lei la prima persona che voleva abbracciare, lei che lo aveva sempre sostenuto ed incoraggiato, lei che gli aveva dato la vita e gli aveva insegnato a viverla.

Shay seguiva ipnotizzata ogni gesto del ragazzo. Lo osservò immergere un dito nella ciotola con la panna, portandoselo alla bocca. La protesta accorata della donna non si fece attendere ma Shay non la udì neppure, rapita e stregata dalla risata spontanea di Mark così rara e per questo così preziosa, che trasformava radicalmente la sua espressione solitamente aggressiva e portava un tale calore nel suo sguardo da lasciarla letteralmente senza fiato.

Il suo cuore perse un battito. Ancora non riusciva a capacitarsi di come la sua cotta per il portiere, che all'inizio le era sembrata così grande, fosse sparita nel nulla e di quanto banale fosse stato il sentimento per Ed in confronto a quella passione ardente che la sconvolgeva ogni volta che posava lo sguardo su Mark.

Abbassò il capo colpevole stringendo forte i pugni sotto il tavolo.

Era una stupida! Non sapeva neanche se quel subbuglio di emozioni poteva definirsi amore. Mentre sapeva con certezza che un clima di famiglia così, lei non lo aveva mai sperimentato. Come poteva mettere tutto in discussione per un amore che non sapeva neanche se poteva definirsi tale? E se il rapporto tra lei e Mark non avesse funzionato, che sarebbe successo alla famiglia? Suo padre si sarebbe certamente schierato dalla sua parte, Rosaly non avrebbe mai abbandonato il figlio e così sarebbero stata causa delle tensioni e magari della rottura tra i due coniugi. E a pagarne le conseguenze i bambini…per cosa poi?

Si decisamente poteva anche accontentarsi di un rapporto fraterno come Mark le aveva fatto chiaramente intendere e godersi, per la prima volta in vita sua, tutte le gioie di avere una famiglia numerosa. Decisamente per adesso un'atmosfera di affetto e serenità era il massimo che potesse desiderare.

Respirò a fondo. Sicuramente quell’attrazione sarebbe presto evaporata, come le era accaduto per Ed.

-Facile liquidare tutto con un“passerà”- accidenti a quella vocina impertinente, ma perché non taceva?

L’eco di stupore e giubilo che esplose nella stanza spezzò quel frammento di consapevolezza che era emerso senza che lei potesse far nulla per frenarlo. Shay abbassò lo sguardo confusa rendendosi conto che, assorta nei suoi pensieri, si era persa l’annuncio di Mark. Perché ora tutti erano in piedi e correvano verso di lui? Perché Rosaly piangeva stretta nel fiero abbraccio del figlio maggiore?


-….ho l’aereo martedì per Milano…-

La portata di quella frase la riportò alla realtà – Milano? Chi parte per Milano?-

Mark la guardò dapprima stupito poi palesemente scocciato – Ma non mi scolti neppure quando parlo? Ah dimenticavo che la mia “sorellina” – a Shay non piacque per niente l’inflessione nella voce di lui - Sta vivendo l’amore della sua vita con il bel portiere della Nazionale…Sveglia cara torna tra noi!-

Shay scattò in piedi punta sul vivo – Se non sai dire niente che attiri la mia attenzione non è colpa mia!- sbottò furiosa.

-Basta ragazzi- intervenne il signor Field alzando gli occhi al cielo, ma quei due avrebbero mai smesso di beccarsi? - Non ricominciate come al solito, questo è un momento troppo importante…- tornò a guardare il ragazzo straripando orgoglio da ogni poro - Mark ci ha appena comunicato che è stato ingaggiato da un’importante squadra italiana, un contratto di quattro anni con un compenso da vero fuoriclasse…-

Shay spalancò gli occhi– Una squadra italiana?- ripeté inebetita- Quattro anni?-

– Bah! Ma chi me lo ha fatto fare!- Mark scosse il capo infastidito - Comunque ha ragione Reeve non mi rovinerai la festa, Peste-

Shay alzò le spalle fingendo indifferenza e i suoi  occhi divennero come di gelido ghiaccio, mentre si imponeva di non far trasparire nulla del dolore che provava: l’Italia si trovava dall’altra parte del mondo! Un puntino che non riusciva neanche ben a collocare sul mappamondo...

La gioia elettrizzata che aveva contagiato tutta la famiglia le ferì il cuore. 

E così partiva, se ne andava per sempre dal Giappone, da lei! Era tutto finito ancor prima di iniziare! Che vigliacco, preferiva la fuga piuttosto che affronatre quella “cosa” che c’era tra loro. Ma cosa andava a pensare? Era proprio stupida, stupida sino al midollo. Mark stava cogliendo l’occasione della sia vita, stava per coronare il suo sogno e quella “cosa” non era proprio nulla in confronto. E poi probabilmente esisteva solo dentro la sua testa,  si era immaginata tutto, neanche un frammento delle sue pene turbavano l’animo e il cuore del fratellastro. 

Respirò ancora a fondo, il cuore infiammato dal dardo rovente che lui vi aveva infilato, scagliato senza pietà. Obbligò i suoi occhi  a rimanere asciutti, poi avrebbe avuto tutto il tempo per piangere – Complimenti…-

Gli occhi neri come il carbone la scrutarono – Grazie- in essi brillava la luce della gioia di vivere quella vita che finalmente era come lui l’aveva sempre desiderata. Una vita in cui lei non c’entrava proprio nulla.

La ragazza annuì, il volto accuratamente inespressivo -Scusatemi ma devo finire di studiare per l’interrogazione di domani…- l’intenso sentimento che tanto repentinammente era cresciuto dentro di lei si attenuò di colpo, come un elastico teso rilasciato all’improvviso. Per fortuna non si può soffrire in eterno e ad un certo livello di dolore il cuore si anestetizza.

Quello era stato il loro commiato, nessuno dei due aveva ritenuto opportuno aggiungere altro.

Cinque giorni dopo era partito per l’Italia.

THE END (?)

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Capitolo 27
*** Amori gettati in mare ***


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CAP. XXVII AMORI GETTATI IN MARE

Le nuvole cariche di pioggia se n’erano già andate volubili seguendo il vento e adesso le ombre blu della notte, stavano calando dai muri dei palazzi confondendosi con le ombre sul fondo della strada. Spense il motore di fronte alla casa dell’amica attendendo che questa uscisse. L’attesa non fu lunga, Patty era già pronta da un pezzo, desiderosa solo di uscire e sfrecciare sul bolide di Shay nella speranza di riuscire a seminare i rimpianti che le stritolavano il cuore.

La  vista del potente mezzo però la fece esitare -Ma sei sicura?-

-Sta tranquilla la so guidare bene...-

In fondo aveva poi qualche importanza? Patty fece spallucce, infilò veloce il casco integrale e salì allacciandosi ben stretta all’amica.

Il rombo del motore squarciò il silenzio della notte e l’accellerata che ne seguì fece tremare la mora manager non abituata a quella sensazione di velocità sul filo precario dell’equilibrio. Le luci della città si susseguivano ininterrotte come fasci di luce incandescente, riflettendosi negli occhi e sulle visiere, mentre loro viaggiavano come un nero proiettile sparato da una parte all’altra, il fruscio dell’aria sulla carenatura, la strada che correva liscia come un fiume di catrame liquido davanti alla ruota anteriore della moto.

Patty percepì appena la lieve incertezza nella guida di Shay e sussultò quando l’amica le urlò -Qualcuni ci sta seguendo ….-

-Cosa?!?!-

- Mi sembra una Ducati rossa... sono circa cinque minuti che ce l’abbiamo dietro...- sterzò con decisione a sinistra imboccando la superstrada che portava alla spiaggia, accelerando ulteriormente con un colpo nervoso della mano. Patty non riuscì  a trattenere un grido di paura. Non aveva fiato per dire nulla e nemmeno si accorse che il mezzo stava rallentando,  rientrando nella prima corsia.

In un istante la moto rossa fu loro affianco – Ma è Benji!- strillò Patty mettendo a fuoco il bolide rosso fiammante appena entrato nella sua visuale.

-Benji?- ripetè Shay perplessa riprendendo velocità e immettendosi con una mossa azzardata nella corsia di sorpasso. Aveva voglia di una corsa il bruno portiere? E come non accontentarlo subito?

-Che stai facendo? Vuoi uccidermi?- e in quell’istante la giovane capì di non voler affatto morire. Anche se Holly se n’era andato dall’altra parte del mondo senza manco salutarla, gettando via anni di dedizione con una noncuranza che manco al sacco della spazzatura gliela riservavi, alla vita lei teneva ancora. L’andrenalina le scaldò le vene facendole sentire un gran caldo- Non correre così!Shay fermati,  fammi scendereeeee!-

Tutto inutile, l’amica aveva un fantasma ingombrante quanto il suo da lasciarsi alle spalle. Non avrebbe rallentato, Shay non avrebbe rallentato mai più. Rassegnandosi al suo destino e affidandosi ai riflessi della centaura, si strinse con tutte le sue forze al busto della ragazza, unica, effimera ancora di salvezza in quella scia di insensatezza.

Benji vide la moto di fronte a lui scattare in avanti con piglio deciso, sterzare e quasi tagliargli la strada. Ma con chi se ne stava andando Patty? Chi cazzo era quel pazzo che guidava nella notte a quella velocità? E pensare che alla sua di moto non si era neanche mai voluta avvicinare. Stupido lui che si era aspettato di trovarla ancora sconsolata a inzuppare il cuscino di lacrime. Si era consolata in fretta! Era passato sotto casa dell’amica dopo una nottata trascorsa ad annoiarsi, nella speranza di intravederla alla finestra e invece l’aveva trovata in strada intenta ad infilare un casco e salire sulla moto di uno sconosciuto. Non aveva saputo resistere alla tentazione di sapere chi era. Ma ora quel bellimbusto si era accorto di lui e lo sfidava in una corsa all’ultima accelerata. Ma se pensava di farla alla sua Ducati si sbagliava di grosso.

Corsero veloci zigzagando nel rado traffico notturno finché giunsero allo spiazzo che dava accesso alla spiaggia. Shay spense il motore e appoggiò i piedi a terra e Benji fece altrettando a una manciata di metri da lei.

-Bastaaaaaaaaa- urlò Patty sull’orlo delle lacrime -Voi due siete pazzi!- anche se non era sicura della staticità delle sue gambe, scese dal mezzo infernale sfilandosi il casco con gesto rabbioso e scaraventandolo contro Shay che lo afferrò al volo.

- Allora ci  tieni ancora  alla tua pellaccia!-

Benji osservò attonito la centaura che si toglieva il casco scrollando i capelli scuri che le ricaddero morbidi sulle spalle -Shay-

-Ciao Benji-

-Caspita ci sai fare con le moto...-

-Grazie-

-Ma bravi scambiatevi pure i complimenti! Ma per me restate due pazzi incoscienti e io ancora più pazza a farmi convincere...- sbuffò Patty voltando loro le spalle e avviandosi a gran falcate verso la battigia.

I due ragazzi non aggiunsero  nulla, sistemarono le moto e la raggiunsero.  Il rumore cadenzato del mare tranquillizzava i loro animi inquieti. Rimasero in silenzio per un lungo periodo sino a che una luce rosata apparve all’orizzonte.

-E’ l’alba- constatò Paytty ammirando l’impercettibile striscia luminosa che si cominciava a delineare all’orizzonte -L’alba di un nuovo giorno...-

Benji e Shay la scrutarono in silenzio. Patty si accucciò e raccolse un sasso -U giorno che non voglio sprecare più...voglio tornare a vivere ogni ora della mia vita...- respirò a fondo e strinse forte nel palmo il bianco sassolino - Chiudo il mio amore per Holly e il mio dolore in questo sasso...- disse solennemente chiudendo gli occhi - ... e lo getto in fondo al mare!- urlò scagliando il sasso lontano tra le onde.

Shay sorrise soddisfatta, contagiata dalla forza d’animo dell’amica -Brava!- disse raccogliendo a sua volta un sassolino -E io chiudo il mio amore per….- lo poteva dire? Ora che se ne stava per liberare, lo poteva ammettere la mondo? -…Mark … in questo sasso e lo getto viaaaaaaaaa- urlò a sua volta ammirando il perlaceo oggetto scomparire tra la schiuma bianca del mare.

-E tu Benji non hai un sasso da gettare?-

-Uhm...- mugugnò il portiere raccogliendo anche lui un sassolino bianco - … ma non lo getto via- disse infilandoselo in tasca. Le ragazze non commentarono e tornarono a guardare il primo spicchio di sole che si stava delineando in cielo. Shay scrutò ancora per qualche breve istante il volto di Benji e non le sfuggì lo sguardo con cui accarezzò l’amica. Decisamente per Patty si stava aprendo un nuovo capitolo. E forse anche per lei una nuova storia stava per iniziare.

Respirò a fondo. Doveva estirparlo dal cuore come si fa con un’erbaccia in un prato. E ora poteva respirare libera da quell’amore mai vissuto, immaturo e sbagliato. Libera di costruirsi una vita, la SUA vita, di percorrere la strada che l’avrebbe definitivamente allontanata da Mark Lenders.

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Capitolo 28
*** Nothing is impossible if....you are with me ***


~~CAP. XXVIII. NOTHING IS IMPOSSIBLE …IF YOU ARE WITH ME

Circa quattro anni dopo…

La giovane donna chiuse la zip dell’ultima valigia e abbracciò con lo sguardo la piccola stanza, ormai disadorna di tutti i ricordi accumulati in quegli anni. Shay sospirò godendosi quel momento di malinconia. Eccettuato il rumore monotono del traffico proveniente dalla strada sottostante, regnava ovunque un inconsueto silenzio. La casa che aveva condiviso con Patty, nel cuore della capitale inglese, era ormai pronta per essere lasciata.

Quattro anni prima era partita con l’amica per Londra, l’avevano deciso quella notte dopo aver gettato tra le onde i loro amori infantili, pronte a diventare finalmente donne. Donne con dei sogni da realizzare, con delle ambizioni da soddisfare, con la voglia di scoprire che cosa le attendeva oltre i confini della loro amata-odiata isola. Pronte a spiccare il volo, libere da quelle catene inconsistenti di cui esse sole erano state fautrici. Si erano iscritte all’università anglossassone decise a mettere più chilometri possibili tra loro e tutto ciò che era stata la loro vita sino a quel momento: e neanche a dirlo avevano scelto arti cinematografiche specializzandosi in seguito lei in tecniche di regia e Patty in scenografia.

Gonfiò il petto colmo di orgoglio: pochi giorni prima aveva firmato un contratto come aiuto regista per un emergente e quotato regista italiano che stava lavorando al suo secondo lavoro ambientato nella città più importante del mondo occidentale e non solo: Roma caput mundi! Ripensò a quella firma che la legava alla grande metropoli italiana e provò una gioia così totale da dubitare di poter provare ancora un’emozione così appagante. Gettò distrattamente uno sguardo all’elegante orologio da polso e sussultò –Accidenti ma è tardissimo!- esclamò arraffando in fretta le valigie e sistemandole sul pianerottolo -Addio vecchio rifugio, sei stato prezioso, ti porterò sempre nel cuore…- recitò come ultimo commiato mentre chiudeva la porta con un doppio giro di chiavi prima di consegnarle al portiere che le avrebbe poi restituite al padrone di casa.

Salì nel taxi che l’attendeva in strada già da alcuni minuti e si accoccolò sul sedile osservando la solita sottile pioggerellina inglese che scendeva incessante mentre il tassista sistemava le valigie nel bagagliaio. E così si apprestava a tornare in Giappone. A casa. Da suo padre, Rosaly, i suoi fratellastri e …lui.

Annuì soddisfatta. Come aveva previsto il pensiero di rivedere Mark non le procurava assolutamente alcuna emozione. Ce l’aveva fatta! Era stata dura ma era riuscita a toglierselo dalla mente ed estirparlo per sempre dal suo cuore. Anche Patty era stata brava ed aveva mantenuto la parola. Aveva per sempre messo la parola fine alla sua inutile cotta per Oliver Hutton. Anzi la caparbia amica era andata molto oltre, concedendo il suo cuore ad un altro. E questo era il motivo per cui si trovava costretta a rientrare in Giappone invece di raggiungere immediatamente i suoi colleghi a Roma come d’istinto avrebbe voluto fare.

Patty era partita una settimana prima per ultimare i preparativi per il suo imminente matrimonio. Shay sorrise felice al pensiero dell’amica, la futura signora Price. E così Benji c’era riuscito. Lentamente ma inesorabilmente aveva scardinato dal cuore di Patty l’amore per Holly e aveva sostituito anni di sospiri inconcludenti, cuscini zuppi di lacrime, speranze puntualmente disilluse con una sfilza incessante di premure e promesse concrete. Quel sasso che quella fatidica notte Benji si era rifiutato di gettare, lo aveva gelosamente custodito e consegnato a Patty il giorno che l’aveva chiesta in moglie rivelandole così che il suo amore per lei risaliva a molti anni prima, a quando erano ancora ragazzini, sentimenti che l’ossessione per Holly non le aveva mai consentito di cogliere.

Ma Shay non si era trovata del tutto impreparata di fronte a quella storia d’amore. Qualcosa lo aveva intuito proprio quella notte mentre la luce del sole nascente illuminava il volto del ragazzo assorto nella contemplazione del profilo dell’amica.

Era amore quello che vibrava allora nelle scure iridi di Benji. Ma c’era voluto un po’ affinché anche Patty si accorgesse di quel tenero sentimento. C’erano voluti tre anni di serrato corteggiamento, non smielenso, sia ben chiaro, ma sottile, nello stile Price, per abbattere tutte le barriere che l’amica aveva erto attorno al suo cuore dopo la delusione con il Capitano. Alla fine però Benji aveva vinto la sua partita più importante, lei aveva assistito a tutte le fasi della nascita di quell’amore e, manco a dirlo, aveva fatto un tifo sfrenato per il bel portiere.

Immersa nei suoi pensieri quasi non si accorse di essere giunta al grande aeroporto di Haetrow. Scese dal taxi e pagò il gentile tassista, quindì espletò senza fretta le pratiche per l’imbarco e si sedette ad aspettare accanto al gate per Tokyo.

Lì seduta nell’immenso aeroporto londinese a Shay non restava che attendere. Il piede, calzato in una bella decolté dal tacco basso, oscillava con un movimento che tradiva una certa insofferenza: a quel punto non desiderava altro che arrivare il prima possibile in Giappone, riabbracciare il padre e comunicargli il suo successo lavorativo, condividere la felicità dell’amica e prendere il primo volo per Roma. 

Sopsirando, riprese il filo dei suoi pensieri da dove lo aveva interrotto poco prima.

Un amore infantile estirpato dal cuore. Così Patty aveva definito la sua infatuazione per Holly e felice le aveva comunicato di averlo rivisto durante un suo breve soggiorno a Fusjisawa durante le vacanze estive e di non aver provato assolutamente nulla. E nenache una piega aveva fatto all’annuncio della nascita del piccolo Juan Carlos, primogenito di Holly avuto da una giovane brasiliana con cui faceva coppia fissa da due anni ormai.

E lei? Aveva eliminato dal cuore il suo amore infantile?

Finalmente era iniziato l’imbarco. Mentre prendeva posto nell’aereo ripensò al fratellastro. Come le sembrava lontano il tempo in cui lui le faceva battere forte il cuore con uno sguardo o quando lei si infiammava per una sua parola. In quei quattro anni si erano visti poco, sembrava che tra di loro vi fosse un tacito accordo a non incontrarsi più del necessario: lei arrivava e lui partiva o viceversa. Lui militava tra i titolari della Juventus e qualche volta navigando in internet aveva letto di qualche sua avventuretta con qualche soubrette italiana, veline le chiamavano… Forse all’inizio un po’ di fastidio lo aveva anche provato ma poi tutto si era lenito, il tempo è il balsamo dell’oblio più potente in assoluto e la sua mente era stata assorbita dagli esami, dalla tesi, dai piccoli successi accademici e infine dall’inseguimento di quel progetto coronato con il sogno della sua vita.

Sì, ora era davvero felice, una donna appagata che stava per iniziare una splendida carriera tra le rovine dell’antica Roma. E nessun Mark Lenders di turno poteva scalfire anche un minuscolo angolino di quel senso di completezza che aveva conquistato con tanta abnegazione.

----

Il taxi arrestò la sua corsa di fronte alla bella facciata candida della villetta a schiera. Shay pagò la corsa e rimase qualche istante ferma davanti alla porta osservando l’entrata della sua casa d’infanzia. Suonò in attesa di risposta ma nessuno venne ad aprirle. Cercò le chiavi nella sua borsetta da viaggio ed osservò divertita il buffo portachiavi a forma di gatto che Mad le aveva regalato il Natale precedente. L’aveva fatto lei con delle pietre swaroski e delle stoffe colorate. Adesso che lo guardava bene però non era sicura che fosse proprio un gatto…arancione con perle nere che sembravano delle striscie…decisamente sembrava proprio una tigre.

Shay riccacciò in tasca le chiavi, era un gatto, punto e basta -C’è nessuno?-

No in casa non c’era proprio nessuno e dall’odore di chiuso dovevano mancare da un po’. Sistemò le valigie nell’atrio e fece un veloce giro. Non era cambiato nulla: il garage da cui tante volte era uscita in groppa alla sua possente moto, il ciliegio che si sporgeva verso la finestra della sua stanza da dove qualche volta era fuggita, il divano ormai consunto dove la famiglia si era riunita tante sere a guardar la tv, la piccola cucina dove avevano condiviso i pasti, e ancora le scale da dove lei era precipitata giù soccorsa da Mark...

Scosse il capo facendo ondeggiare i lunghi capelli corvini che le arrivavano a metà schiena. Ma perché si sentiva così in colpa nel pensare a lui? Era normale no? Era ovvio che le venisse in mente Mark lì in casa, ogni angolo era intriso di qualche ricordo legato a lui o ai fratelli…

Lasciò le valigie al piano inferiore, ci avrebbe pensato poi a trascinarle su per le scale. Andò nella sua camera. Caspita era sempre tutto perfettamente uguale. Nonostante mancasse da casa da quattro anni e non vi era alcuna previsione di un suo ritorno, Rosaly e suo padre non ne avevano voluto sapere di dare la sua cameretta ad uno dei fratelli, uniti nell’idea che in qualsiasi momento lei avesse deciso di tornare, l’avrebbe trovata pronta ad accoglierla. E così era stato e in fondo le faceva piacere, la faceva sentire attesa in qualsiasi momento la cogliesse un po’ di nostalgia.

Era stanca ed affamata per il lungo viaggio, una doccia prima di cena l’avrebbe certo rinfrancata. Si spogliò lentamente lasciando cadere i vestiti a terra in un mucchietto disordinato, brutta abitudine che non aveva perso nonstante i continui rimproveri di Patty per il suo immane disordine. Accese al radio e la sistemò su una stazione di musica classica, aveva proprio voglia di relax, alzò il volume quasi al massimo per poterlo sentire anche da sotto la doccia, tanto in casa non c’era nessuno a cui poter dare fastidio.

Si concesse una lunghissima doccia bollente e uscì avvolgendosi nel suo accappatoio lilla, quello di quando era ragazzina, ancora perfettamente morbido e integro.

Si osservò nello specchio disappannandolo con un veloce gesto della mano. Osservò soddisfatta il volto della giovane donna che sorrideva e lo confrontò con quello di una ragazzina triste e arrabbiata di tanto tempo prima. Se tutto fosse stato come allora la musica sarebbe dovuta cessare in quel momento.

Shay sbatté gli occhi incredula. La musica era cessata!

Con il cuore in tumulto uscì dalla stanza e …lo vide. Stessa posizione di allora, stessa sensazione di potenza, stessa espressione seria, ma negli occhi no, non vi era la rabbia e il rimprovero di allora ma un luccichio birichino, forse divertito, forse curioso.

Shay simulò un terrore che era ben lungi dal provare ed indietreggiò andando a sbattere contro il cassettone -E ora dovrei urlare “papà”…- disse sorridendo.

Mark sorrise a sua volta, annuendo piano con il capo - Già…-

-Un deja-vu coi fiocchi, bravo- disse rilassandosi, ce l’aveva di fronte e stava bene, non stava accadendo nulla, non sentiva nulla! -Ma la musica non era poi così male...-

-E’ vero, molto meglio il classico dell’Heavy Metal…- disse riaccendendo la radio ma abbassando il volume in modo che facesse da dolce sottofondo.

-Sei arrivato oggi?-

-Poco dopo di te immagino...-

-Ma non c’è nessun’altro in casa?-

-No sono andati a trovare una cugina di mia madre a Yokohama, rincasano domani…-

Shay sentì un brivido lungo la schiena -Ah….- una notte loro due soli in casa... al diavolo! Che c’era di male? Erano fratelli!

Mark la scrutò attento -Su su non fare quel faccino triste, domani riabbraccerai la tua adorata famiglia!-

-Non mi prendere in giro- sbuffò lei togliendosi l’asciugamano dalla testa e lasciando che i cappelli umidi le ricadessero sulle spalle -Mi mancano davvero quando sono lontana-

Mark seguì ogni suo gesto con attenzione  – Anche a me mancate …tutti-

Shay sorrise complice, qualche anno prima avrebbe dato un rene per sentirsi dire una cosa del genere da lui. Ma ora tutto era cambiato o perlomeno, il senso di quella frase era del tutto diverso per lei.

Mark le lanciò un’ultima indecifrabile occhiata quindi le voltò le spalle –Sto ordinando qualcosa da mangiare, ordino anche per te?-

-Si grazie-

-Che cosa vuoi?-

-Te-

Shay non aveva la minima idea di che effetto facesse un’anima che esplode in mille pezzi ed abbandona un corpo, ma non doveva essere lontano da quel senso di irrealtà in cui sembrava immersa. Si portò una mano alla bocca. Non lo aveva detto vero? Non poteva aver detto, ma neanche pensato, un’assurdità del genere. Che diavolo le era preso?

Fissava immobile come una statua la punta dei suoi piedi nudi. Sussultò spaventata quando percepì le dita bollenti di Mark sotto il mento che la costrinsero ad alzare la testa di scatto.

- Io non…- cominciò alla disperata ricerca  di una battuta che potesse alterare il senso di quella sillaba che le era sfuggita così incautamente ma ogni bugia le morì in gola, soffocata dalle labbra di Mark.

Il mondo sparì in quell’istante. Vi era il nulla assoluto in quella stanza, in quella città, in quel pianeta. Il nulla attorno a loro due. Solo loro due. Shay lasciò che il suo istinto avesse la meglio e si aggrappò a quel corpo che per anni aveva bramato con ogni fibra del suo essere pur negandolo con altrettanto vigore. Allacciò le mani attorno al collo di Mark, avvinghiandosi a lui con la forza di un naufrago che in mezzo ai flutti trova una zattera, afferrando saldamente i capelli corvini per impedirgli di allontanarsi. Ma Mark non aveva alcuna intenzione di arretrare, affondò deciso la lingua nella bocca calda di lei mentre la liberava dall’accappatoio lasciandola completamente nuda alla sua mercè.  Si staccarono un attimo affannati come dopo una folle corsa, fronte contro fronte, si scrutarono per un istante trovando una nello sguardo dell’altro ciò che stavano cercando, quindi riunirono le loro bocche scivolando languidi sul letto.
Come avevano potuto esistere fino ad allora separati? Il loro desiderio divenne ben presto furia e cominciarono a gemere all’unisono sempre più forte in un sincrono perfetto, testimonianza di un movimento ancestrale che aveva come duplice scopo la soddisfazione del desiderio e il desiderio che quella soddisfazione non arrivasse mai...
Aprì gli occhi infastidita dalla luce che filtrava tra le tapparelle semi abbassate. Era giorno inoltrato. Spalancò gli occhi al ricordo della notte trascorsa, si mosse piano nel letto anche se sapeva di essere sola. Non si era aspettata di trovarselo accanto al mattino. Sicuramente lui, già pentito di quanto accaduto, se ne stava da qualche parte a maledire quell’attimo di debolezza. Per lui forse lo era stato,  per lei invece era molto di più. Era la sua parte di donna che aveva rinnegato. Era il suo amore grande e immenso che per quattro lunghi anni aveva tentato di etichettare come “infatuazione infantile”, era la sua anima che aveva anelato e avuto il suo attimo di libertà, era il suo castello di sabbia sbriciolato dalla marea della sera.

Ma era tutto finito.

Era durato anche troppo per essere un attimo. Shay si stiracchiò nel letto, le dolevano tutti i muscoli. Avevano fatto l’amore più e più volte, con un’intensità che non credeva possibile, ogni volta aveva creduto di aver raggiunto l’apoteosi del piacere e invece la volta successiva lui le aveva fatto raggiungere vette ancora più alte. Quella notte l’avrebbe ripagata di tutta la vita che l’attendeva senza di lui, il piacere che le aveva dato se lo sarebbe fatto bastare per l’eternità.

-Ti sei svegliata finalmente!-

Shay sussultò. Che ci faceva lì? Non si era aspettata di rivederlo così presto. E poi perché quell’espressione tranquilla?

-Dormito bene?- le chiese con un sorriso divertito avvicinandosi al letto. Era bellissimo. Indossava solo i pantaloni neri della tuta, il torso nudo e i capelli ancora umidi di doccia.

Che domanda era? E soprattutto che risposta voleva? -Mark….io….noi….- abbassò il capo in un gesto di estrema pudore mentre nulla poteva contro il rossore che sentiva riscaldarle il volto.

-Ehi Peste petulante sei rimasta senza parole? Allora era questo il sistema per zittirti!-

Lei lo scrutò confusa provando un calore al basso ventre non certo dovuto al tepore delle coperte – Mark noi abbiamo un problema…-

Lui alzò le braccia in un gesto di resa -Ce l’abbiamo da quando ci siamo conosciuti il problema…-

-Ma adesso è peggio….noi…-

Il ragazzo si sedette sul bordo del letto sfiorandole una guancia ancora arrossata con il dorso della mano -Ho cercato di cancellarti dal cuore Shay, mi sono fatto tutta Torino nella speranza di dimenticarti…- Mark si arrestò di fronte allo sguardo cupo della ragazza lasciando scendere la mano lungo la curva della gola, soffermando il pollice proprio sopra la giugulare palpitante - Mezza Torino…un quarto…insomma qualcuna me la sono fatta ma non è servito Peste…- scese ancora, sino all’orlo della coperta che lei stringeva al petto - Tu sempre tu mi ritornavi in mente …- la scostò, scoprendole un seno che si affrettò a circondare, sentì subito il capezzolo inturgidirsi contro il suo palmo - …sempre te desideravo rivedere al mattino e non facce anonime di donne qualsiasi….-

-Io…io…- Shay fece un immane sforzo per dare coerenza alla frase che aveva in mente mentre Mark si impossessava anche dell’altro seno divertendosi un mondo a strofinarli con lo sguardo beato del gatto che si è appena accapparato il posto migliore sulla poltrona accanto al fuoco - … pensavo che avresti rinnegato tutto, che tutto finisse qui…-

Mark fermò il suo lussurioso trastullo -E’ quello che vuoi?-

-No- ansimò coprendogli le mani e trattenendole sul suo petto - No io ti amo con tutta l’anima da…sempre credo-

Mark le sfiorò appena le labbra - Come sia successo non lo so, forse subito quel giorno in camera tua…- liberò una mano dalla presa di lei facendogliela scorrere sul ventre e giù tra le gambe trovandola calda e bagnata pronta di nuovo per lui. Lui soltanto. 

-Non so …. ah …- Shay non poté reprimere il gemito che le era sgorgato dalla sua parte più selvaggia  -…credo anch’io subito ma …la famiglia… come glielo diciamo?-

-Nel modo più semplice possibile e poi …dovranno accettare ora so che tu non sei il capriccio di un momento, sarà un po’ difficile da far capire ma non impossibile…

Gli occhi di Shay erano ora cupi e offuscati ma riuscì comunque a dire -Nothing is impossible…-

Lui sollevò un sopracciglio senza minimamente accennare a ridurre il lascivo movimento della mano -Che fai sfoderi il tuo inglese? Ok ci sto: Nothing is impossibile if you are with me-

-Ma se torna qualcuno?- protestò con l’ultimo barlume di assennatezza che le restava.

-Uhm ho sentito Reeves dieci minuti fa, rientrano nel primo pomeriggio, abbiamo ancora un paio d’ore per noi-

-Ah…allora se è così vieni qui…Bestione …-

Mark si adagiò sopra di lei e le bisbigliò qualcosa all’orecchio.

-Non ho capito!-

-Peste è italiano, forse dovresti cominciare ad impararlo…-

-Oh lo farò molto presto …- L’italia li aspettava,  e davvero si stupì nel constatare quanto Torino e Roma fossero vicine. Sino a quel momento non ci aveva neppure pensato eppure il destino aveva  già tutto deciso –...ma ora dimmi cosa hai detto-

-Uhm …ti amo e ti voglio, adesso e per sempre-


THE END

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