Son of Rome

di ArtemisiaSando
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Capitolo Primo ***
Capitolo 2: *** Capitolo Terzo ***
Capitolo 3: *** Capitolo Secondo ***
Capitolo 4: *** Capitolo Quarto ***
Capitolo 5: *** Capitolo Quinto ***
Capitolo 6: *** Capitolo Sesto ***
Capitolo 7: *** Capitolo Settimo ***
Capitolo 8: *** Capitolo Ottavo ***
Capitolo 9: *** Capitolo Nono ***
Capitolo 10: *** Capitolo Decimo ***



Capitolo 1
*** Capitolo Primo ***


                                                             "Son of Rome"

 

Il fuoco distrugge, il fuoco divora la terra, lascia cenere e polvere sotto i calzari, sotto i piedi nudi di chi non può più vedere, di chi non può più parlare. Odore di fumo che brucia la gola, odore di legna riarsa, di tizzoni spenti dal vento delle montagne. Fuoco che ruggisce, imbrigliato in un cerchio di pietre taglienti come i volti affilati, scavati, di chi intorno a quel fuoco è sempre vissuto.

Nei suoi ricordi passi di danza intorno al bivacco, ritmi incalzanti per chi non ha più orecchie per sentire, senza paura incatenando la bestia dalle mille spire, salutandola come sorella, rispettandola come padre severo.

La memoria svanisce negli occhi bruciati, rimane impressa nella terra, nella polvere sporca, dietro gli occhi di chi è rimasto indietro. Trema il deserto, tremano le montagne nel rombo di un dimenticato silenzio che inghiotte, nasconde ricordi lontani. Ricordo di un tempo che era e mai più sarà.

Voci di festa, voci di guerra, voce del vento che spazza la terra. Cancella, dimentica, ma non tu, non tu che di questa terra devi ancora portare memoria.

 

Capitolo Primo

 

Roma. I suoi antenati la chiamavano “nido dell’aquila” quella terra immersa nel sole, tinta nel verde di mille vallate. Aquile per una terra dolce, generosa, come leoni feroci i suoi avi erano stati per le aspre montagne, per gli immensi deserti dei suoi ricordi. Denti affilati, cuori taglienti per quella loro terra ingrata, madre severa eppure tanto amata.

Aquile, sì, colpivano e svanivano, dilaniavano e poi tornavano in alto, in quel loro covo di grazia e bellezza, rifugio sicuro per chi del sangue ha sporche le mani.

Estel aveva solo quindici anni quando arrivò alla famiglia Titus. Aveva viaggiato a lungo, lontana da ciò che più aveva amato e pure dalle terre e dagli uomini che le avevano tolto ogni cosa.

Aveva perso la propria famiglia, la libertà e la propria casa in pochi giorni, aveva masticato polvere e sangue per non cedere anche un solo istante al dolore, al conforto della morte. Aveva continuato a lottare aggrappandosi a quella dignità e a quello spirito di fuoco che da sua madre aveva ereditato.

Eppure nonostante lo sconforto, la solitudine e la schiavitù la sua bellezza non era mai sfiorita, una bellezza in cui sua madre poco prima di morire aveva riposto le sue ultime speranze, augurandosi che l’avrebbe protetta da quella vita da schiava che invece era toccata in sorte a molte delle donne del villaggio.

Arrivò a Roma in un carro. Non imprigionata, ma sedendo a cassetta con lo straniero che si era incaricato di trattare con le nobili famiglie della città.

Parlava un arabo stentato e non la guardò mai negli occhi, né osò sfiorarla durante il lungo viaggio dalla Siria. Non che Estel vi avesse prestato molta attenzione. Ciò che vide in quella città non assomigliava a nulla che si trovasse impresso nei suoi ricordi di bambina.

Le donne passeggiavano vestite come regine su quelle strade lastricate di pietre incredibilmente bianche, i loro gioielli d’oro tintinnavano e splendevano come soli sui loro volti, sulle braccia delicate. Persino le schiave vestivano porpora e avevano fili d’oro intrecciati nelle chiome scure.

Alcuni uomini vestivano come donne, mollemente seduti in scomode portantine. Quelli di loro che camminavano a piedi erano circondati da stormi di ragazze, erano alti, capelli scuri, occhi più chiari di quelli che era abituata a vedere. Poteva scorgere cicatrici sottili sulle braccia muscolose e sulle mani rozze, rovinate.

Vide statue alte come colline, colonne così ampie che sarebbero serviti tre uomini adulti per abbracciarne il fusto. Sentì più voci di quante sarebbe riuscita a coglierne in una vita intera, mentre gli odori si confondevano in una strana armonia che le diede quasi alla testa.

Il carretto si allontanò velocemente dal centro della città, spostandosi dove ancora i campi erano verdi e dove le terre più ampie appartenevano a chi aveva combattuto guerre in onore della patria. Uno di quegli uomini era Leontius Titus.

Ritirato nella pace di quella sua enorme villa alle spalle del Colosseo, necessitava di ancelle per la sua figlia più giovane, Giulia. Lo schiavista la istruì su come avrebbe dovuto comportarsi di fronte alla famiglia, di non parlare né alzare lo sguardo se non interpellata, regole che facilmente la ragazza avrebbe potuto seguire visto il suo stentato latino e la totale mancanza di conoscenze sulla vita di quella enorme, viziata città.

Il colloquio fu breve. Contrariamente a quanto avrebbe dovuto fare, Estel tenne lo sguardo ben alto una volta entrata nella villa lastricata di marmi bianchissimi e forse fu proprio questo a regalarle la sincera simpatia del padrone di casa. Un uomo rude, non avvezzo a cortesie e cerimoniali, la guerra era stata la sua casa, la sua legione la sua famiglia per troppo tempo ed il corpo stanco né portava tutt’ora i segni.

Leontius, oltre la bellissima moglie Septima, possedeva due giovani figli che Estel guardò, durante tutto il colloquio, con malcelata curiosità. Giulia aveva la sua stessa età, bella nell’abito bianco da vergine, i grandi occhi scuri distratti dai gioielli al proprio polso. Alla destra di suo padre il primogenito, Marius sembrava già pronto a valicare il fronte di guerra.

Non c’era tenerezza nei chiari occhi verdi, mentre la osservava dall’alto di tre scalini di pietra, i corti capelli scuri da soldato, il viso squadrato, bello e maturo, già appena sfigurato da leggeri tagli di lama.

Negli occhi del ragazzo Estel vide la propria rovina, la solitudine a cui era stata destinata. Conclusero l’affare, decidendo della sua vita come più loro aggradava e per una volta la ragazza cedette alla rassegnazione. Era ormai lontana dalle terre di fuoco in cui era nata, lontana dalla sabbia e dal vento. Non c’era nulla per lei su quelle verdi colline, solo rimpianto.

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Capitolo 2
*** Capitolo Terzo ***



Capitolo Terzo

Estel si tenne alla larga dal peristilio più a lungo che poté nei due mesi che seguirono, né Marius diede segno di volerle parlare una seconda volta. La vita riprese tranquilla nella fastosa villa romana, Estel poteva ancora sentire il clangore delle spade quando attraversava le stanze adiacenti al ginnasio e questo le era più che sufficiente.

A volte lo vedeva durante i pasti familiari ed i banchetti per gli ospiti, ma non seppe mai dire se i chiari occhi verdi ricambiassero il suo sguardo. Più lontano il giovane Marius rimaneva da lei, meglio sarebbe stato per entrambi.

Arrivò l’autunno e con sé portò un fermento che a stento la ragazza riuscì a comprendere appieno. All’improvviso Giulia aveva costantemente bisogno di lei, riusciva a trascinarla intere giornate nei mercati di stoffe, cercando la più morbida, la più colorata da adattare a nuove vesti invernali. Le cucine traboccavano di cibo ed ogni singolo servo era impiegato in una meticolosa pulizia della villa, ogni tenda andava lavata, cambiata, inamidata. Ogni pavimento lustrato a lucido, liberato dalle foglie morte che s’intromettevano guidate dal vento che scendeva dalle colline.

Estel adorava l’autunno, i suoi colori, i profumi, per questo a volte si attardava nel cortile rabbrividendo alla brezza della sera, incurante delle foglie che s’intrecciavano ai suoi capelli, della polvere che sporcava i calzari.

Era una fredda mattina di novembre quando septa Livia la pizzicò con le stoffe sbagliate, mentre immergeva fugacemente i piedi nell’acqua fredda del laghetto nel peristilio, ormai coperto di foglie sbiadite. Le gridò talmente forte da farle dolere le orecchie, mentre le strappava di mano i panni puliti, ma la ragazza quasi non l’ascoltava. Avrebbe voluto dirle di ascoltare il vento invece, di guardare il cielo limpido di quella mattina piuttosto che concentrarsi su cose futili come le stoffe per l’inverno, e la donna sembrò intuire quella sua impudenza perché, prima che Estel potesse sottrarsi, aveva già sollevato la mano per colpirla.

- Come osi alzare lo sguardo? Sciocca ragazzina! Barbara impudente! Capisci quello che ti sto dicendo? –

Non chiuse gli occhi, pronta a ricevere il colpo, ma con sua sorpresa la mano rimase sospesa a mezz’aria come trattenuta da una forza invisibile. Quella forza non era altro che la solida presa di qualcuno, qualcuno con mani rozze, grandi, rovinate dall’elsa del gladio e dal legno dei pilum.

- Non colpirla. – esordì tranquilla la voce che Estel aveva imparato a conoscere nei mesi passati alla villa, una voce profonda, raspante eppure gentile allo stesso tempo.

In quel momento dopo mesi di sguardi rubati i profondi occhi verdi del ragazzo incontrarono quelli di lei ed Estel quasi si pentì di essere stata tanto vigliacca, di aver anteposto le proprie paure ai sentimenti che aveva provato quel giorno.

- Le barbare portano guai, signore. E questa più di altre! Troppo bella, l’ho detto a tua madre, ma non vuole ascoltarmi. È una ribelle, una piantagrane! E quel che è peggio non capisce la metà delle cose che le chiedo! – continuò a sbraitare la septa agitando il polso nella solida stretta di Marius, eppure Estel non aveva orecchie che per il leggero respiro che lasciava il petto forte di lui.

- Sciocchezze e superstizioni. Mia sorella non si è mai lamentata e tu dovresti fare altrettanto. Cosa le avevi chiesto? – si accigliò, ma lo sguardo era fermo mentre apriva le dita liberando il braccio della donna, segni rossi dove la mano si era chiusa qualche istante prima.

- Un’anfora e lino … LINO, non cotone! – sbottò lei in risposta massaggiandosi il polso, gli occhi scuri ancora fissi nei suoi, sfidandola ad aprire bocca. Marius non si lasciò impressionare dalla furia della septa, piuttosto si allontanò di qualche passo, recuperando un vaso malconcio dal bordo della vasca di marmo.

- Ecco la tua anfora. Dirò a qualcun altro di portarti il lino e ora vai. – la voce dell’uomo era di nuovo sicura mentre porgeva l’oggetto alla septa Livia, congedandola definitivamente. Lei sembrò sul punto di ribattere, ma gli occhi verdi di lui, fissi ed orgogliosi sembrarono farla desistere.

- Si, signore. – biascicò abbassando lo sguardo e, come era arrivata, tornò sui propri passi, sparendo nelle stanze aperte.

Estel guardò il cortile tornare tranquillo e silenzioso, mentre il ragazzo, più alto e possente dell’ultima volta che le era stato così vicino, si accostava a lei.

 

- Mi spiace, non conoscevo la parola. E distinguere le stoffe mi riesce ancora difficile. – sussurrò Claudia, lo sguardo dorato che vagò per un istante fra i propri occhi e l’acqua sporca ai loro piedi. Sembrava più bella dell’ultima volta che l’aveva vista così da vicino, osservò Marius con un certo disagio. Eppure non le avrebbe permesso di scappare, non una seconda volta.

- Non fa niente. Non è colpa tua. La septa sa essere una donna terribile quando vuole, ti consiglio di non sfidarla. – rispose lasciandosi scappare un sorriso, se non fosse stato troppo grande era sicuro che Livia avrebbe volentieri dato qualche scapaccione anche a lui.

- Non è mia intenzione essere impudente, ma mio padre mi ha insegnato a non abbassare mai lo sguardo di fronte a nessuno. – soffiò sollevando i brillanti occhi d’oro sui suoi e di nuovo Marius sentì distintamente il cuore fallire un battito.

- Tuo padre è un uomo saggio. – sorrise dissimulando la tensione, c’era qualcosa in lei, qualcosa che non esisteva in nessuna delle figlie degli altri generali o senatori. Non era solo bella, selvaggia, era anche forte, sveglia e Marius era sicuro che nascondesse più doti di quante una vita da schiava avrebbe mai potuto permetterle di dimostrare.

- Lo era. – annuì la ragazza ed i folti capelli ramati brillarono di nuovi colori alla luce del mattino.

 

- Quando hai un dubbio chiedi pure a me, non aspettare che alla septa prudano le mani. – sorrise lui e ad Estel sembrò il sorriso più bello e sincero che avesse mai visto. Lo guardò nei begli occhi verdi e seppe di aver trovato qualcosa di più importante del proprio dolore, di più profondo della paura, più vero della solitudine.

- Si. Grazie … – rispose dopo un poco, ma il sorriso di lui non era scomparso. Sentì il tintinnio dei bracciali ai propri polsi, ma per una volta non se ne curò, era la prima persona a guardarla e non vedere altro che lei, non una donna, non una schiava, non un corpo, né denaro.

Estel sentì nella gola il sapore amaro delle lacrime, ma le ricacciò indietro. Non poteva ricambiare quella sua gentilezza, forse non avrebbe mai potuto.

- Dovere. –

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Capitolo 3
*** Capitolo Secondo ***


Capitolo Secondo

La ragazza si chiamava Estel. L’uomo raccontò che veniva dalla Siria, l’aveva strappata alle grinfie di un temibile mercante di schiavi concludendo un buon affare.

Disse che era figlia di uno dei guerrieri che ad est chiamavano Leoni di Persia, che era una creatura rara, spirito di vento e fuoco, difficile da domare, ma Marius stentò a credere ad una sola parola che uscì dalle labbra sdentate dell’uomo. Era bella, bellissima, forse più bella di qualsiasi donna avesse mai visto a Roma e quei lunghi capelli color rame, gli occhi grandi e allungati di quel curioso colore dell’oro dovevano essere l’unico motivo per cui aveva rischiato di essere venduta ad un costoso lupanare.

Come era d’abito sua madre le diede un nuovo nome latino, più facile da pronunciare e da quel momento la ragazza dai grandi occhi d’oro, fra le mura della villa, rispose al nome di Claudia.

Non la vide per giorni dopo la notte del colloquio. Come le altre ancillae se ne stava rinchiusa nella parte femminile della casa, comparendo accanto a sua sorella solamente durante le ore dei pasti senza mai sedersi alla loro tavola.

Eppure Marius sentiva le altre serve mormorare. Barbara la chiamavano attraverso le stanze, occhi da sirena e capelli di fuoco portavano sciagura sotto il loro tetto, ma Giulia sembrava non badare alle dicerie ed il ragazzo le fu tacitamente grato. Così com’era sempre stato insofferente alla politica tanto lo era nei riguardi della schiavitù. Non aveva visto nulla del mondo, suo padre aveva ragione, ma sapeva di popoli che vivevano liberi, senza senatori né imperatori, senza schiavi né gladiatori.

Combatteva perché doveva. Perché era stato deciso prima che lui nascesse. Diventare centurione, generale, poi senatore dovevano essere le sue uniche ambizioni. Trovare una moglie, darle figli maschi.

Sua madre rideva ora quando si fermavano ospiti con figlie femmine. Al ritorno dalla guerra, diceva sognante, ma le giovani donne restavano lontane, oltre il sangue che ribolliva nell’arena, oltre il clangore dell’acciaio, oltre il battito assordante del cuore. Guardava i loro gioielli, i capelli intrecciati d’oro e si chiedeva quali fossero i loro doveri, se era sincero l’interesse che mostravano per lui o solo un compito gravoso.

Arrivò l’estate ed il suono della voce della ragazza era ancora sconosciuto alle sue orecchie, la vedeva aggirarsi nel peristilio durante il giorno, sua madre le aveva regalato vesti bianche come quelle che indossava sua sorella Giulia, ma c’era un solo fermaglio di bronzo scuro ad ornarle i capelli lunghissimi.

Aveva provato più volte ad accostarsi a lei, sapeva di non poterle parlare, non avrebbe capito una sola parola ed era certo che Claudia non parlasse latino. Più per istinto che per pura consapevolezza, Marius aveva preso l’abitudine di lavarsi nel peristilio dopo gli allenamenti con il gladio, dove era sicuro che lei passasse ogni giorno.

Una mattina, sotto il sole d’Agosto, sua sorella Giulia si accorse di lui. Non parlavano molto da quando Marius aveva compiuto diciotto anni, eppure un tempo erano stati bambini insieme, avevano giocato in quello stesso chiostro fino a cadere addormentati nell’erba. Ora lei era una donna in età da marito e Marius non aveva che il compito di preservare la sua purezza, uccidendo chiunque avesse osato sottrargliela, ma non poteva più ridere con lei.

- Che disastro, fratello! – esclamò trattenendo una risata, forse deridendolo per la polvere di cui era coperto, ma gli occhi scuri volarono sul taglio sottile al suo braccio sinistro.

- Quella ferita sembra seria, lasciati dare un’occhiata. – lo rimproverò a labbra strette, aveva lo stesso volto di sua madre, lo stesso sguardo severo.

- Non preoccuparti, sorella, è solo un graffio … - cercò di stemperare il suo cipiglio, ma già la ragazza stava chiamando la sua ancella attraverso le stanze. Colto da un improvviso disagio, Marius si guardò attorno sperando di trovare una via di fuga che tardò di un istante a presentarsi.

Claudia già avanzava lungo il lastricato di pietra che collegava le stanze al piccolo lago del peristilio, se fosse sorpresa da quella strana richiesta non lo diede a vedere, continuò invece a guardare entrambi con cauta curiosità.

- Claudia, per favore, occupati delle ferite di mio fratello. Sono in ritardo per le lezioni con il magistro. – sorrise e quella fu la prima volta che Marius la vide ricambiare il sorriso con uno altrettanto bello, altrettanto sincero.

- Sei in buone mani, caro fratello. Claudia ha dimostrato una particolare attitudine come guaritrice. – sorrise Giulia, prima di scappare in un tintinnio di costosi gioielli, lasciandolo solo con la ragazza straniera ancora in piedi di fronte a lui.

Sembrava ancora una bambina a guardarla bene, così minuta e delicata, quasi i lunghi mesi di prigionia non fossero riusciti a scalfire quella naturale bellezza. Tanto esile che le proprie braccia avrebbero potuto cingerla completamente, spezzarla se solo Marius avesse voluto.

- Io … mi chiamo Marius. – esordì nel silenzio leggero che si era creato, appena stordito da quel sorriso che ancora aleggiava sulle labbra piene e rosee della ragazza.

- Conosco il tuo nome, signore. – rispose lei in un latino insicuro, una voce delicata come il ruscello dell’acqua più limpida, le labbra che si schiudevano sui denti bianchissimi quasi a canzonarlo.

Marius fece fatica a guardarla nei grandi occhi d’oro, belli come il sole al tramonto e quasi non si accorse del rispetto che avrebbe dovuto esigere da lei, della differenza fra le loro condizioni. Sembrava ancora libera, fiera nonostante i bracciali da schiava e i sandali sporchi di chi non cammina solo sul marmo.

- Ma certo. – sorrise sedendosi sulla stretta panchina di pietra ai piedi della bassa fontana, aspettando che la ragazza lo seguisse. Vide il lino morbido muoversi sulle curve del suo corpo e per un istante si vergognò di aver immaginato che cosa nascondesse.

Non parlarono ancora mentre la ragazza bagnava con poca acqua uno dei panni bianchi che aveva portato con sé, passandolo con attenzione sulla ferita aperta alzando lo sguardo di tanto in tanto come ad accertarsi che non gli stesse facendo del male.

Era la prima volta che Marius poteva osservarla con attenzione dopo mesi che abitavano sotto lo stesso tetto, e quasi se ne pentì.

Era davvero bella, pensò sbirciando la linea delicata del collo, il viso appena più scuro di quello delle altre donne romane. C’era qualcosa di selvaggio e al tempo stesso elegante nella lunga, folta chioma ramata, ricadeva con naturalezza oltre le spalle strette, il viso libero grazie al piccolo fermaglio in semplice bronzo, eppure sembrava ancora la più bella fra le regine mentre le labbra piene si schiudevano piano ad ogni respiro.  Poteva sentirlo su di sé, lambire la spalla nuda, più delicato di qualsiasi vento primaverile.

La ragazza aveva lo stesso odore dei piccoli fiori selvatici che crescevano intorno all’arena, così fragili all’apparenza eppure avevano la capacità di nascere e fiorire anche fra le pietre che lastricavano le vie di Roma.

La guardò quietamente, a lungo, prendersi cura di quelle sue ferite. Non aveva bisogno di parlarle, voleva solo che rimanesse seduta su quella panchina, ancora un po’.

 

Quante volte l’aveva osservato di soppiatto lavarsi nel peristilio, chiedendosi che odore avesse la sua pelle, quale fosse il rumore del suo respiro ed ora che era lì, Estel faceva fatica a sollevare lo sguardo.

Nonostante quei bracciali ai propri polsi non provava risentimento verso di lui come lo aveva provato verso il mercante che l’aveva comprata o verso gli schiavisti che per mesi l’avevano tenuta prigioniera. Marius Titus era un uomo onesto e coraggioso, poteva vederlo in quei chiari occhi verdi, pieni di una fiducia che non esisteva il giorno in cui lo vide la prima volta.

Non era solo bello, era alto, forte, fiero eppure le mani ruvide di chi impugna solo la spada giacevano abbandonate sulle cosce seminude quasi stentassero ad afferrare le sue. Per un folle attimo pensò di toccarle, prenderle fra le proprie, ringraziarlo per quel respiro tranquillo, quello sguardo pieno di tenerezza, invece rimase concentrata sulla sottile ferita al braccio sinistro del ragazzo.

La pulì attentamente, in silenzio, accertandosi di non fargli del male e solo quando ebbe finito lo sguardo volò involontariamente sul resto del corpo forte e piazzato. Fu solo per caso che notò un secondo taglio che sanguinava sul petto, all’altezza del cuore.

Lo sfiorò istintivamente, con la sola punta delle dita, ma quello che sentì bastò a farla desistere. Sarebbe scappata immediatamente se solo il giovane soldato non avesse allacciato lo sguardo al proprio.

 

Colto in fallo da quel contatto improvviso, Marius non riuscì più a nascondere il martellare del cuore iniziato nel momento in cui la ragazza si era seduta delicatamente accanto a lui.

Sembrò sinceramente sorpresa nel momento in cui, retraendo immediatamente la mano, incontrò il suo sguardo. Aveva gli occhi più strani ed al contempo più incredibili che Marius avesse mai visto. Sapeva che alcune barbare avevano iridi del colore del cielo, alcune addirittura color ametista, ma non sapeva di nessuno che possedesse occhi del colore dell’oro puro.

Brillarono come stelle alla luce del mattino, mentre il viso si colorava appena. Per un attimo pensò che trattenerla, prenderla fra le braccia fosse la cosa giusta da fare, ma qualcosa nel fondo di quelle iridi confuse lo convinse del contrario.


Non durò che un istante, eppure Estel era sicura di aver distintamente percepito sotto la punta delle dita le forti pulsazioni del cuore di lui. Non seppe dire se a spaventarla di più fossero state le conseguenze di quel gesto o il fatto che lo stesso tumulto si fosse impossessato anche del suo cuore, ma l’istinto di scappare fu più forte di quei gentili occhi verdi e in un attimo stava già attraversando a ritroso il sentiero del chiostro, lontana ormai dalla panchina di pietra.

 

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Capitolo 4
*** Capitolo Quarto ***


Capitolo Quarto

 

S’incontrarono molte volte nei mesi che seguirono. Durante le ore morte, con il freddo e con la pioggia, presero l’abitudine di vedersi nel cortile, lontani da occhi indiscreti. All’autunno seguì l’inverno, all’inverno un’altra primavera ed un’altra estate ancora.

Marius le insegnò più parole di quante la ragazza avesse mai potuto immaginare di poter imparare in una sola vita e lei le regalò il suo tempo, i suoi sorrisi e la sua dedizione. Imparò a conoscerlo, a leggere qualsiasi cosa attraverso i chiari occhi verdi e così lui l’ascoltò, in silenzio, senza paura la lasciò parlare di sé, del proprio passato, di quello che voleva ricordare.

Tutto il proprio tempo libero dagli allenamenti con suo padre Marius lo passava con lei, dimenticò l’esistenza delle altre donne, perse interesse verso le loro abitudini frivole, i gioielli tintinnanti ed i capelli raccolti. La guardava e sapeva di aver trovato un compagno, qualcuno che capisse a fondo i suoi doveri e le proprie paure.

A volte leggeva per lei, insegnandole quando poteva e la ragazza lo lasciò entrare, lo lasciò guardare i tesori che nascondeva. Non lo rifiutò la notte che, per caso, la scoprì a cantare nel peristilio desolato canzoni imparate durante le lezioni di sua sorella Giulia. Si abituò alla sua presenza, cantò per lui più volte di quante il ragazzo riuscisse a ricordare, i piedi immersi nell’acqua fredda del laghetto e lui sdraiato sulla panchina alle sue spalle.

La sua voce, prodigiosamente delicata quanto quella di sua sorella era stentata e sofferente, leniva le sue preoccupazioni, allontanava il dolore pungente dei muscoli e dei tagli sul corpo. Vedeva la linea gentile del collo oltre la treccia ramata e riusciva ad illudersi che sarebbe durato per sempre, che sarebbe rimasta al suo fianco. Se solo glielo avesse chiesto.

S’innamorò di lei prima di potersene accorgere.

L’amò in silenzio per mesi, con una tranquillità che il suo cuore non aveva mai conosciuto. Non seppe mai dire quando i suoi sentimenti erano diventati tanto veri, tanto profondi, ma di nuovo la primavera era tornata per la terza volta da quando si erano conosciuti e l’allenamento di Marius era volto al termine.

Aveva sempre saputo di dover partire, di dover dire addio a tutto ciò che aveva sempre amato e conosciuto, e, nonostante l’emozione di poter finalmente servire l’impero come suo padre prima di lui, la salutò con la morte nel cuore.

 

- Parto domani mattina. – le disse una calda notte di maggio, la voce più roca di quanto ricordasse.

- Lo so. – sorrise dolcemente la ragazza al suo annuncio, quasi fosse sempre stata pronta, ma Marius poteva vedere un’ombra leggera nel fondo delle iridi d’oro, qualcosa che Claudia non avrebbe mai confessato.  

Non erano mai stati così vicini come ora che si sarebbero separati per un tempo indefinito, Marius avrebbe voluto toccarla, prenderla fra le braccia, ma aveva paura di un suo rifiuto più di qualunque gladio affilato.

- Starò bene. Ma tu promettimi di impegnarti, di dare tutto te stesso. Sei l’uomo più forte e coraggioso che abbia mai conosciuto, dimostralo al mondo. – continuò con un filo di voce, stava sorridendo, ma poteva sentirla tremare.

- Lo prometto. – sussurrò Marius, curiosamente vicino alle labbra rosee della ragazza, per la prima volta il respiro di lei scaldò le sue labbra, aveva aspettato anni per quel bacio anche se cosciente che, una volta dato, non sarebbe mai più tornato indietro. Sarebbe rimasto con lei, insieme a quel suo cuore che batteva disperato nel petto.

 

Estel quasi si abbandonò a quel calore, alla luce ardente dietro i profondi occhi verdi, ma non gli avrebbe mai fatto qualcosa di tanto crudele. Non l’avrebbe legato a sé per scoprire di non poterlo avere, di doverlo guardare vivere e morire inseguendo qualcosa di effimero, di inaccettabile. Nutriva troppo rispetto per Marius e per la sua famiglia.

Lo amava così forte eppure era l’unico uomo che non sarebbe mai stato suo.

- No … non possiamo. Non sarebbe giusto. – sorrise appena, faceva male, ma guardò gli occhi di lui abbassarsi, un sospiro lasciare le labbra chiare e piene. Lo sapeva, lo sapevano entrambi.

- Hai ragione. – rispose il ragazzo con la voce bassa, profonda da uomo qual’era diventato ed Estel si stupì di quanto quelle parole l’avessero ferita. Che cosa si aspettava? Che andasse contro tutto ciò che conosceva per amarla? Di nuovo stava solo sognando.

 

- Addio … Estel. Ti prego, abbi cura di te e di questa casa. – si allontanò a malincuore, nonostante riconoscesse l’assennatezza di quelle parole non poté negare quanto profondamente l’avessero ferito. La ragazza non rispose, limitandosi ad annuire, un sorriso che ancora aleggiava sulle labbra rosee ora distanti come erano sempre state.

 

Lo guardò darle le spalle e allontanarsi dal cortile fino a sparire all’interno della villa. Quelle spalle larghe, forti, sembrava potessero sopportare il peso del mondo intero ed Estel sapeva che sarebbe stata l’ultima volta che le vedeva.

- Addio … - ma non poté fermare le lacrime ascoltando i passi decisi degli schinieri sul marmo, lo stava lasciando andare.

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Capitolo 5
*** Capitolo Quinto ***


Capitolo Quinto

 

Non gliel’avrebbe mai detto, ma quell’addio velato di lacrime Marius riuscì a sentirlo e lo portò con sé negli anni a venire come un amuleto, un tesoro che nessuno avrebbe più potuto sottrargli.

Partì sotto il sole di Maggio, la famiglia che lo salutava dai pochi gradini di marmo del cortile esterno dopo aver distribuito a ciascuno un lungo abbraccio, tranne lei. La vide sorridere in uno sguardo fugace dietro le spalle di sua sorella Giulia, i brillanti occhi d’oro chiari come pietre al sole del mattino, ma non disse una parola. Sollevò una sola mano per salutarlo forse per anni, forse per sempre.

Cosa poteva dirle se non poteva neppure confessarle quel suo amore mancato? Avevano compiuto una scelta.

 

Marius trascorse tre lunghi inverni come legionario del terzo reggimento nella provincia a cui era stato assegnato. Tenne fede alla promessa che le aveva fatto distinguendosi per forza e dedizione, guadagnandosi il rispetto di compagni e superiori con le proprie doti di soldato e con la saggezza che suo padre gli aveva trasmesso.

Alcuni giorni erano buoni, altri meno. Nonostante stesse finalmente mettendo le prime pietre sulla strada che sempre per sé aveva voluto costruire sentiva la lontananza diventare via, via più pesante. Riceveva molte lettere da sua madre, ma nessuna recava mai il nome di Claudia, né lasciava intuire che fosse ancora con loro.

L’amore che pazientemente, per anni aveva custodito come un gioiello prezioso stava cedendo il posto al dubbio. Cercò di prepararsi al peggio, mentendo spudoratamente pur di nascondere l’inquietudine, eppure si sentiva a disagio quando i suoi compagni parlavano dell’amore lasciato in patria, delle mogli ad attenderli nel talamo. Marius aveva amato una sola donna, ed era anche l’unica che non sarebbe mai stata sua.

La notizia del suo temporaneo congedo arrivò una mattina di Giugno. Prima di venire riassegnato ad Alessandria d’Egitto avrebbe ottenuto un mese di congedo per tornare in famiglia, premio per la condotta eccellente e la straordinaria dedizione.

Per prima cosa scrisse a suo padre comunicandogli la notizia che sarebbe tornato a breve, poi poté finalmente tornare a sperare.

Approdò a Roma verso la fine del mese e, con l’armatura ancora indosso si diresse verso la villa. Era tutto proprio come lo aveva lasciato tre anni prima, persino le porte incautamente aperte sulla strada.

Vide suo padre di spalle sulla soglia e per attimo assaporò l’istante in cui l’avrebbe riconosciuto. Quasi mise mano al gladio Leontius nel voltarsi, cipiglio che mutò in sorriso quando Marius avanzò nella luce del mattino.

- Padre … -

- Marius? – esclamò l’uomo in risposta, quei tre anni non erano stati clementi con lui, sembrava più vecchio, più stanco.

- E’ bello rivederti. Allora, come ti sembro? Un vero soldato romano? – ghignò Marius facendosi avanti, l’elmo ancora sotto il braccio destro.

- Ti trovo bene, figlio mio. Bentornato a casa. Bentornato a casa. – sottolineò con un abbraccio strappandogli un largo sorriso, non c’era nulla al mondo che avrebbe potuto ripagarlo più dell’orgoglio di suo padre. L’uomo che più aveva stimato ed amato. Si lasciò guardare un istante assaporando ancora quello sguardo, sapeva quanto fosse fiero di lui e non poteva che esserne grato.

- Sai già dove sarai riassegnato? –

- Alessandria. – rispose con un cenno d’assenso, non che ne andasse davvero fiero.

- Ah, Alessandria. È una provincia piuttosto pacifica. Tua madre ne sarà felice. – sorrise suo padre riprendendo a camminare, quella scelta lo irritava, era difficile nasconderlo.

- Non mi sono arruolato per crogiolarmi al sole, padre. Voglio combattere. Come hai fatto tu. Per l’Impero. – si affrettò a dire, ma Leontius sembrò quasi preoccupato nonostante il fiero sorriso sul volto stanco.

- A tempo debito, figlio mio. A tempo debito. – sorrise afferrando saldamente il suo braccio, avvicinandosi come a sussurrare qualcosa.

- Ricorda, non tutti i nemici si trovano sul campo di battaglia. –

- Padre? – questa volta Marius rimase sinceramente stupito, suo padre sembrava sapere più di quanto in realtà non volesse raccontare e la cosa lo preoccupò non poco.

Passi leggeri sul marmo tirato a lucido allontanarono l’attenzione di entrambi dall’argomento. Marius non trattenne un largo sorriso vedendo sua madre affrettarsi attraverso il cortile, chiamando il suo nome quasi fosse stata la sua gemma più preziosa.

La tenne stretta per un lungo istante quando la donna si gettò fra le sue braccia aperte, inspirandone il familiare profumo d’olio di lavanda, il suo preferito sin da quando era bambino.

- Lasciati guardare. – sorrise percorrendo avidamente il suo corpo con i chiari occhi nocciola, a differenza di suo padre quel suo temperamento solare ed aggraziato non era mutato in quei lunghi anni d’assenza.

- Così attraente … - ammiccò poi con un cenno del capo, la mano piccola e tiepida che già volava verso il suo viso, una carezza per cui Marius ormai si sentiva troppo maturo, con un fine che non era più compatibile con i propri sentimenti.

- Madre, ti prego … - si schermì rimproverandola con dolcezza, allontanando la mano di lei dal suo viso, cosa che non sembrò disturbarla.

- Tua sorella sarà ansiosa di vederti. – continuò afferrando saldamente le dita di Marius fra le proprie, costringendolo per un istante al proprio passo, almeno finché suo padre non la fermò.

- La vedrà presto, amore mio. Per adesso vorrei parlare con nostro figlio, da solo. – sorrise, ma il suo tono era perentorio, qualcosa a cui Marius sapeva non potevano seguire repliche.

- Bene. Andrò a cercare tua sorella. Sono sicura che anche Claudia sarà felice di vederti. – annuì gentilmente, regalandogli uno spiacevole tuffo al cuore. La guardò allontanarsi con una sensazione che nulla aveva mai evocato prima negli ultimi tre anni.

- C’è qualcosa che ti turba, padre? –

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Capitolo 6
*** Capitolo Sesto ***


Capitolo Sesto

 

Septima irruppe nella stanza del cucito con una foga che, nonostante il sorriso, raramente la contraddistingueva. Guardò Giulia negli occhi scuri, le labbra rosee aperte sui denti bianchissimi.

- Tuo fratello Marius è tornato. – il tonfo sordo della spola sfuggita alle dita di Estel non sembrò turbare nessuna delle due donne della famiglia, invece risuonò ad una strana lentezza nella mente della ragazza.

Fu difficile nascondere il martellare del cuore sotto la leggera veste azzurra, mentre Giulia scoppiava in un risolino di gioia andando ad unirsi all’impazienza della madre.

- Dov’è ora? –

- In cortile, sta parlando con tuo padre. – esclamò Septima sistemando i folti capelli scuri della figlia dietro un orecchio, rischiando di rovinare la delicata acconciatura. Le parole giunsero ovattate alle orecchie di Estel, lui era lì. Tre anni era trascorsi, tre anni di lontananza, di sentimenti nascosti, d’immensa solitudine.

Eppure per un curioso istinto di sopravvivenza la paura, il dubbio presero immediatamente il posto dell’emozione, dell’attesa.

Aveva passato mesi a convincersi che Marius non sarebbe tornato, che nulla l’avrebbe riportato da lei, ed ora che si trovava più vicino di quanto non fosse stato nei suoi sogni, Estel si sentì perduta. Quei tre anni erano stati estremamente lunghi, così lunghi che non poteva che averla dimenticata.

- Claudia. Claudia! Non stare lì immobile! Vieni a salutare mio fratello. Gli farà di sicuro piacere rivederti. – la esortò Giulia con quel sorriso ancora da bambina, avrebbe voluto accontentarla, ma il cuore che batteva all’impazzata quasi impediva ai piedi di muoversi.

- Si, arrivo subito. – sorrise in risposta mentre loro la precedevano verso il cortile. Sembrò infinito quel tragitto che separava il gineceo dall’ingresso, eppure non abbastanza da permetterle di pensare a qualcosa di adatto da dire.

Poi le stanze si aprirono sulla luce del mattino, sui gradini dove tre anni prima gli aveva detto addio. Giulia e sua madre si trovavano già ai piedi delle scale di marmo bianco nascondendole per un istante la forma alta e piazzata che ben ricordava.

- Claudia … - la chiamò poi con un sorriso e quasi la ragazza dimenticò il dolore, la solitudine che l’avevano accompagnata nei lunghi anni d’attesa.

 

- E’ bello rivederti. – la salutò Marius con un nodo in gola senza saziarsi di guardarla. Quei tre anni le avevano regalato una grazia ed una bellezza che a stento l’uomo riuscì a comprendere appieno.

- Lo stesso vale per me. –

Il cuore batteva al ritmo di cento colpi di scudi, ma nel leggero sorriso sulle labbra chiare e piene di lei non riuscì a cogliere i sentimenti dai quali era animato tanto fugace fu lo sguardo che poté riservarle.

- Vieni, Marius. Sarai affamato, faccio preparare il pranzo. – lo esortò sua madre, le dita di nuovo aggrappate al suo avambraccio, ma non riuscì a muovere i piedi improvvisamente diventati piombo di fronte alla donna che per anni aveva animato i suoi sogni.

- Fate strada, sono subito dietro di voi. – sorrise dolcemente, tornando a posare lo sguardo sulle brillanti iridi d’oro. Per un istante temette che Claudia li avrebbe seguiti, lasciandolo solo, invece rimase immobile sul ciglio di quell’ultimo basso gradino.

- Bentornato. – rise appena, ma Marius poteva sentire la voce delicata di lei tremare mentre le mani si stringevano nervosamente l’una nell’altra. Era talmente bella, così tanto l’aveva desiderata che quasi cedette all’impulso di darle quel bacio che gli era stato negato al loro addio.

La guardò per un lungo istante godendosi quel leggero silenzio, i sentimenti di cui era impregnato e capì che sarebbe stato impensabile partire ancora senza averle detto ciò che aveva agitato il suo cuore in quegli anni.

- Marius … - lo chiamò con un filo di voce, la mano che già, esitante sfiorava il suo viso, i capelli più corti, meno curati, la barba incolta. Questa volta non si sottrasse alle carezze di quella mano piccola e tiepida, ma si abbandonò a quel tocco, al suo calore.

- Sei davvero tu. Sembri … diverso … -

 

Rise appena. Osservò il corpo più alto, più muscoloso nell’armatura da legionario, la guardò riflettere i raggi del sole e non poté che chiedersi se l’avrebbe protetto abbastanza.

Doveva essersi rotto il naso durante l’apprendistato, notò con un sorriso. La barba non era rasata tanto accuratamente come quando viveva a Roma, i capelli erano leggermente più corti, più ribelli eppure gli occhi, quei profondi occhi verdi, di cui per primi Estel si era innamorata, erano rimasti gli stessi.

Ardenti, impazienti ed allo stesso tempo gentili, pieni di una tenerezza che nessun altro uomo a parte suo padre le aveva mai riservato.

- E tu sei ancora più bella dell’ultima volta. – ribatté Marius, forse in maniera troppo ardita, ma il cuore della ragazza già stava correndo nel petto quando l’uomo coprì leggermente la sua mano con la propria, grande e calda. Attirandola a sé, al proprio petto.

Nonostante il freddo dell’acciaio Estel poté avvertire distintamente il tepore del corpo di lui, le forme ampie e forti adattarsi alle proprie, il petto prendere respiri più profondi mentre la stringeva delicatamente.

- Mi sei mancata. – sussurrò nell’incavo della sua spalla e di nuovo la ragazza poté godere di quel respiro tiepido, intenso sulla pelle dopo anni di sogni e vane promesse.

Schiuse le labbra per rispondere, per non rendere vano il battere frenetico nel petto di lui, ma la voce di Giulia la costrinse ancora una volta a rinunciare.

- Fratello? Fratello, sbrigati! – lo chiamò attraverso le stanze, sciogliendo l’abbraccio, lasciandola di nuovo sola con i propri sentimenti. Gli occhi verdi dell’uomo la guardarono esitanti, forse aspettando parole che non vennero mai.

- Va da lei. -  sorrise invece abbassando lo sguardo dorato, ma poteva sentire la propria voce tremare appena, troppo a lungo aveva atteso per quell’abbraccio rubato, troppo a lungo aveva lasciato che quei sentimenti crescessero ed erano l’unica cosa che avrebbe potuto ferirlo davvero.

Non rivide Marius quel giorno. Preferì non assistere al pranzo della famiglia Titus e non volle passeggiare nel chiostro durante il resto della giornata, assistendo invece Giulia nelle sue mansioni quotidiane non più disturbate dalla presenza del fratello.

Di nuovo la ragazza sentì tintinnio d’acciaio provenire dal ginnasio e per un lungo istante rimase in ascolto. Appiattita contro una delle fredde colonne in marmo ascoltò Leontius incitare calorosamente il figlio, il cozzare sordo degli scudi, il rumore degli schinieri sul marmo, il respiro pesante dell’uomo che amava e per un istante pensò che il cuore sarebbe scoppiato.

Non c’era altra cosa al mondo che desiderasse, ed al contempo che la facesse soffrire allo stesso modo. Se non fosse stata tanto egoista avrebbe pregato per la sua felicità, perché la sua vita fosse sicura, non avrebbe trattenuto il respiro dietro quella colonna cercando d’ingoiare quelle amare lacrime.

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Scusate se fino ad ora sono stata solo ad osservare senza farmi sentire, ma non sono avvezza a prendermi questi piccoli spazi. Volevo però ringraziare dal prondondo del cuore tutti i miei lettori e coloro che, seppur silenziosamente, hanno inserito la mia storia fra le seguite o le preferite. So che questo è un fandom quasi del tutto sconosciuto (soprattutto al pubblico italiano) quindi ci tenevo molto a ringraziare tutti quelli che mi stanno ancora sopportando! Spero la storia vi stia piacendo, ma soprattutto che stia riuscendo a coinvolgervi e appassionarvi. Con tutto il mio affetto, grazie.

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Capitolo 7
*** Capitolo Settimo ***


Capitolo Settimo

 

La villa era ormai buia e silenziosa, quasi abbandonata quando decise di tornare nel peristilio. L’acqua del laghetto tiepida intorno ai suoi piedi nudi, non c’erano foglie sulla superficie argentata, nulla che facesse rumore oltre il proprio respiro, fin quando passi leggeri alle sue spalle non la costrinsero a voltarsi. 

Il tempo sembrò riavvolgersi sulla figura in ombra accanto alla panchina di pietra bianca, quegli anni non erano ancora trascorsi se non sulle spalle larghe, sul petto forte, sul volto più maturo.

Eppure le vesti rimanevano le stesse, quel rosso carminio così intonato al chiaro verde degli occhi di lui.

- Non speravo più di trovarti qui. – sorrise appena, le labbra piene che si aprivano sui denti bianchissimi, eppure le braccia ancora abbandonate lungo i fianchi stretti.

- Sono sempre stata qui, non me ne sono mai andata. – rispose in un soffio, consapevole di quello che il suo cuore aveva voluto comunicare, lasciandolo andare per una volta. Lo guardò avvicinarsi di un passo, i brillanti occhi verdi fissi nei propri alla luce tenue della sera. Le tese una sola mano, quelle dita ferite, rovinate eppure così familiari che avrebbe potuto narrarne a memoria forma e calore.

L’afferrò senza esitazione, lasciandosi aiutare, lasciando che quel tepore tornasse dov’era sempre stato, nel più profondo del suo cuore.

Erano di nuovo vicini, come la notte in cui si erano detti addio, lo stesso silenzio, gli stessi miti sentimenti eppure questa volta le labbra di Marius erano distese in un gentile sorriso. Avrebbe preferito non tenere per sé quei segreti, lasciarlo entrare eppure per ogni tocco che lasciava sul suo viso sentiva il proprio cuore allontanarsi, non tornare mai più.

Lo ascoltò respirare per un lungo istante, osservò il petto largo alzarsi ed abbassarsi come un mantice, poi senza poter resistere permise ancora una volta alla propria mano di raggiungere le guance ispide, tiepide anche alla brezza della sera.

- Hai più cicatrici di quando sei partito. – osservò con un sorriso solcandole piano con le dita, una ad una, piccole venature chiare ora attraversavano il dorso del naso, la guancia destra, il mento deciso ed il sottile labbro superiore.

 

Marius non si sottrasse al tocco delicato delle dita di lei, lo stesso che ricordava, lo stesso di quella mattina d’agosto. Anni fa le avrebbe raccontato ogni cosa, ogni storia dietro quelle sottili cicatrici, ma ora il cuore gli impediva di parlare. Voleva solo che non finisse, che la ragazza non allontanasse la mano dal suo viso.

- Credevo che non ti avrei rivisto mai più … temevo che mi avessi dimenticata. – la sentì sussurrare, la voce delicata tremava appena mentre le dita tiepide di lei percorrevano il suo volto, le sue labbra.

- Non ho fatto altro che pensare a te in questi tre anni, Estel … - gracchiò prendendo un respiro, era difficile parlare di quei suoi sentimenti troppo a lungo annegati nella polvere e nel sangue.

Godette per un istante dell’espressione sorpresa di lei, dei grandi occhi d’oro diventare brillanti di lacrime e sentimenti. Non c’era più nulla ormai che avrebbe potuto allontanarla dal suo cuore.

- Io … ti avrei aspettato per sempre … Marius. – l’uomo osservò le labbra rosee schiudersi ad ogni parola e faticò a tenere a bada l’istinto di stringerla a sé, eppure allungò a sua volta una mano verso di lei, verso i lunghi capelli ramati.

Rimase quasi ferito dalla reazione della ragazza quando quella si ritrasse appena, rifiutando il suo tocco.

- Hai paura di me? – chiese accigliato, la mano ancora sospesa a mezz’aria, quella di lei sul proprio petto.

- Ho paura perché so che se tu mi toccassi ora, non tornerei più indietro. – sussurrò scuotendo appena il capo, gli occhi di lupo velati di lacrime che non caddero mai quando istintivamente, in un battito di ciglia, Marius premette le labbra su quelle di lei, calde come le aveva sempre immaginate, affondando le dita nei morbidi capelli ramati.

La baciò a lungo, istintivamente, profondamente, con un’urgenza che non era mai esistita in nessuno dei suoi pensieri. Lasciò che i respiri della ragazza si confondessero ai propri, avvertì il corpo esile di lei adattarsi al suo più alto, più forte, scoprendo quanto di lei poteva sentire, ogni respiro, ogni battito del cuore.

 

Era strano quanto quel bacio, seppure a lungo atteso, rubato, sembrasse stranamente naturale, quasi fosse sempre esistito solo che nessuno di loro poteva ricordarlo. Estel chiuse gli occhi d’oro lasciando che quel profumo s’insinuasse a fondo in posti dimenticati del suo cuore e della sua memoria.

Le mani di lui scottavano sulle sue spalle nude, fra i capelli sciolti, ruvide eppure delicate nello stesso tempo, quelle mani che troppo a lungo aveva esitato a stringere fra le proprie.

Lo ascoltò respirare, sempre più in fretta mentre la lingua calda raggiungeva la propria, leccandola lentamente, disperatamente. Si strinse alla schiena ampia, forte e per un istante credette che sarebbe durato per sempre, che ci sarebbe stato posto anche per lei in quella sua vita da soldato, da uomo del popolo.

- Chi è là? – l’eco dilagò come acqua nel silenzio del piccolo cortile facendola sussultare. La rauca voce femminile proveniva dalle stanze del gineceo immediatamente affacciate sul peristilio, costringendoli ad interrompere il bacio.

- La septa … ci avrà sentiti parlare. – sussurrò Estel sulle labbra di lui, eppure non riuscì a trovare nei suoi occhi, sul suo volto la stessa preoccupazione che stava animando i suoi pensieri. Possibile che Marius fosse pronto a mostrare al mondo ciò che la ragazza aveva paura di confidare persino a se stessa?

- Corri. – fiottò lui afferrandole la mano, costringendola a tenere il suo passo, eppure Estel avrebbe giurato di aver visto l’ombra di un sorriso sulle labbra chiare.

Corsero attraverso le stanze aperte sul peristilio, ma in direzione diametralmente opposta dalla quale era giunta la voce della septa Livia. La ragazza non era mai stata nella parte maschile della villa, eccetto poche occasioni. Mentre correvano l’architettura le sembrò la stessa del gineceo dove aveva trascorso quei lunghi anni al servizio della famiglia Titus, ma con dei dettagli differenti.

Gli affreschi non ritraevano più gloriosi banchetti, aggraziate danzatrici o scene di vita quotidiana, ma uomini battersi per la gloria, per la giustizia, per la vittoria. Dei immobili vigilavano su eroi insanguinati, qualcosa che istintivamente le trasmise una strana repulsione.

Si fermarono in fondo al lungo corridoio di marmo, nell’unica stanza non più affacciata sul cortile ma sull’intera città. Sentì Marius riprendere fiato, mettersi in ascolto, più divertito che realmente spaventato, eppure il suo sguardo era stato ormai rapito da ciò che, in silenzio, si stagliava contro i drappeggi della finestra.

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Capitolo 8
*** Capitolo Ottavo ***


Capitolo ottavo

 

Aveva visto molte volte il Colosseo accompagnando Giulia durante le sue passeggiate, ma mai da quella distanza. Era bellissimo ed angosciante allo stesso tempo, troppo sangue veniva sparso ogni giorno nell’arena polverosa, troppo a lungo i cittadini avevano osservato divertiti poveri uomini dilaniarsi per riavere una libertà che spettava loro di diritto.

- Avevo dimenticato quanto bella fosse la vista. - sorrise Marius alle sue spalle e d’un tratto Estel capì. Molte volte in quegli anni si era chiesta che cosa pensasse il ragazzo nella solitudine di quella stanza ed ora che era lì si sentì perduta. Quante cose non sapeva di lui, quante non ne aveva volute conoscere e se ne accorse guardandosi intorno. La mobilia era semplice, spartana, come si era sempre immaginata.

Accanto all’entrata una serie di pilum faceva bella mostra di sé, seguita da un unico ripiano di pregiato marmo nero su cui erano appoggiati in perfetto ordine una serie di gladi. Il più piccolo e consumato era in scuro legno di ciliegio, l’ultimo era quasi di una spanna più grande, di perfetto acciaio levigato.

Sulla stessa parete tre scudi giacevano appesi, il primo rotondo, scheggiato, poi via, via più grandi fino all’ultimo, squadrato, enorme, con cui l’aveva visto più volte tornare dal ginnasio prima della sua partenza.

Il letto era ampio, ma semplice, in legno laccato con drappeggi color porpora, ma senza gli intarsi che decoravano quello di sua sorella Giulia, ai piedi del quale si trovava un unico grande baule dai lati rinforzati.

Avrebbe voluto chiedere molte cose ed al tempo stesso scappare, impedirgli di spezzarle il cuore con promesse che nessuno dei due avrebbe potuto mantenere, eppure nient’altro che un sorriso salì alle sue labbra quando si voltò per incontrare ancora i chiari occhi verdi di lui.

- Perché avevi paura della septa, Estel? – chiese poi accigliato ed Estel capì che anche questa volta non avrebbe mai potuto ricambiare quel suo coraggio, quella sua gentilezza.

 

Marius vide le mani di lei stringersi istintivamente ai bracciali di bronzo, lo sguardo dorato che si allontanava per tornare fisso nella notte stellata. Quel gesto pesò sul suo cuore come un macigno, non c’erano parole che avrebbero potuto cambiare la sua condizione, ma forse quel suo amore, si, qualcosa ancora poteva farla.

- Perché tu non ne hai? Se ci vedessero insieme … ti rovinerei la vita. – sospirò ed i bracciali ancora tintinnavano, l’avrebbe liberata se solo avesse potuto, se fosse stato abbastanza forte, invece quella sua rassegnazione lo feriva tanto a fondo da scatenare una rabbia senza nome.

Cosa avrebbe potuto dirle se non una bugia? Estel era troppo intelligente per credere anche ad una sola delle menzogne che avrebbe potuto raccontarle. Forse per questo lasciò che il suo corpo parlasse per lui, si avvicinò alla schiena esile di lei, coprendola con la propria, sperando che non lo rifiutasse.

Ispirò il profumo delicato della ragazza, le mani che lentamente scivolavano sui fianchi stretti, eppure Estel non si sottrasse. La sentì sussultare appena, immaginò le labbra rosee schiudersi appena per sospirare, ma le dita esili raggiunsero le proprie in una strana armonia. Erano talmente piccole e lisce rispetto alle sue, abituate solo all’acciaio del gladio ed al legno dello scudo, eppure per un attimo Marius si lasciò cullare dall’illusione che quella fosse l’unica donna che avrebbero mai potuto sfiorare.

Avvicinò le labbra alla linea gentile del collo, la stessa che per mesi aveva osservato in silenzio dalla panchina di pietra, ascoltò la ragazza tremare, il respiro farsi appena più svelto, le dita tiepide aggrapparsi alle proprie come mai prima di quel momento.

Marius avrebbe voluto poterle parlare di ciò che stava provando, di quanto il cuore stesse correndo nel petto al solo pensiero di poterla avere per sé solo, ma non era altro che un soldato, le parole non erano mai state il suo forte.

Liberò gentilmente le mani dalla sua stretta, sperando fossero abbastanza gentili, abbastanza calde mentre sfioravano appena le spalline della leggera tunica color lavanda. Si accorse di tremare solo quando le dita incespicarono liberando la stoffa dalle semplici spille di bronzo, l’unico materiale che le fosse permesso indossare.

Estel non disse una parola mentre l’uomo accompagnava silenziosamente il lino leggero nella discesa dal corpo di lei, cadendo ai loro piedi in un sommesso fruscio. Eppure avvertì il respiro di entrambi diventare più svelto, sovrapporsi curiosamente nel silenzio della stanza. Solo allora, prendendo una certa distanza da lei, Marius osò guardarla come aveva sempre voluto. Osservò le curve gentili dei fianchi e del fondoschiena, le spalle strette, la pelle brunita e levigata, le cosce esili e tornite stagliarsi contro il chiarore della notte.

Ma qualcosa, sulla schiena nuda di lei, gli spezzò il respiro, serrò le sue mascelle in uno schiocco sordo. Tre cicatrici, lunghe, sottili la percorrevano per metà lunghezza, intrecciandosi fra loro in un angosciante disegno.

Solo allora Marius capì quanto di lei non sapeva, quanto non aveva voluto sapere e per un istante se ne vergognò. Allungò la mano istintivamente, sfiorandole con la sola punta delle dita, quasi avesse dovuto farle del male.

E per la prima volta Estel si sottrasse, fu scossa da un sussulto leggero e le mani piccole corsero lungo il ventre raggiungendo la schiena.

- No! Ti prego Marius, ti prego … non … non guardarmi. – fiottò tentando invano di coprirsi, la voce di lei così spezzata affondò il suo cuore. Non capiva quanto l’amava? Non sarebbero state quelle cicatrici a cambiare i suoi sentimenti, avrebbe solo voluto dirglielo.

 

- Non coprirti … sei bellissima, Estel. Più di quanto avessi mai immaginato. – quella voce profonda e gentile di nuovo raggiunse posti del suo cuore che la ragazza avrebbe preferito dimenticare. Sentì le mani di lui sui propri fianchi, le braccia forti cingerla completamente in un abbraccio da cui non voleva scappare, non più.

Assaporò il contatto della pelle abbronzata di lui con la propria scoprendo che vi si adattava perfettamente, godette dei respiri profondi, lenti, del cuore battere veloce sotto i pettorali tesi, contro la sua schiena e seppe che non c’era altro uomo a cui si sarebbe voluta donare.

Si voltò nella stretta tenace e gentile insieme dei suoi bicipiti, guardò nei chiari occhi verdi  e vide che avevano bisogno di lei, che la stavano pregando di restare.  

Fu lei questa volta ad avvicinare le labbra a quelle chiare e piene di lui, accogliendone il tiepido respiro, inspirando il profumo della barba ispida, della pelle abbronzata dal sole caldo delle province. Durò solo qualche istante eppure non riuscì a dire una parola, una volta allontanate le labbra perché con sua sorpresa Marius la sollevò gentilmente da terra.

Non resistette all’abbraccio e si lasciò depositare sul letto di fresco lino bianco, un letto che Septima aveva continuato a far tenere in ordine nonostante l’assenza del figlio. La stava guardando di nuovo a quel modo, con quella cieca, immutabile fiducia nei brillanti occhi verdi. Avrebbe voluto dargli di più, molto di più di quello che era, molto più di quello che mai sarebbe potuta essere in quella vita.

- Sei bellissimo, Marius. L’uomo più bello che abbia mai visto. - sorrise sfiorando il viso squadrato, le guance ispide e le parole volarono fuori dalle labbra come uccellini da una gabbia aperta, per la prima volta Estel lo vide cambiare colore.

Un battito di ciglia e l’uomo fu chino su di lei, le labbra premute sulle proprie, le mani grandi, ruvide che percorrevano lentamente il suo corpo. Chiuse gli occhi lasciandosi guidare dal suo tocco, dalle dita sui seni generosi, sui fianchi stretti, giù fino all’inguine.

 

Marius non aveva mai toccato una donna e l’idea che avesse potuto farle del male si affacciò ai suoi pensieri nonostante le dita si muovessero in maniera istintiva, con un urgenza mai conosciuta prima. Più toccava di lei, più voleva toccare.

Guardò il viso arrossato, i lunghi capelli ramati sparsi sulle lenzuola di lino, gli occhi d’oro appena nascosti dalle ciglia scure e capì che voleva di più. Percorse con la lingua la linea del collo, le clavicole, soffermandosi sul seno sodo, morbido come niente avesse mai toccato in vita sua.

Inspirò il leggero profumo della pelle di lei, godette del cuore che batteva veloce sotto la propria lingua, sotto la punta delle dita strette al seno, l’ascoltò respirare freneticamente, pronunciare il suo nome di quando in quando finché l’erezione non divenne dolorosa sotto la vecchia tunica porpora.

Percorse con la lingua il ventre ed i fianchi, giù sino all’inguine. Spesso aveva sentito i suoi compagni parlare di donne, di quello che con loro avevano sperimentato e sperò di poterle dare altrettanto piacere, di compensare con l’intraprendenza ciò che difettava in esperienza.

Preso dall’istinto insinuò gentilmente la mano fra le cosce della ragazza scoprendole più umide di quanto si sarebbe aspettato, accarezzò il sesso bagnato posandovi sopra il palmo della mano e la ragazza sussultò. Non stava ricambiando il suo sguardo eppure vide le dita di lei aggrapparsi al lenzuolo, il petto alzarsi ed abbassarsi freneticamente cercando di calmare la voce.

Marius si scoprì a sorridere mentre entrava con delicatezza dentro di lei, dapprima con un solo dito, cercando di abituarla alla sensazione.

- Marius … - lo chiamò ancora e l’uomo capì di volere di più, entrò in lei con due dita, lasciando che le anche assecondassero i suoi leggeri affondi. Solo allora tornò accanto alla ragazza, accarezzando i lisci capelli ramati con la mano libera, premendo ritmicamente le labbra su quelle di lei, leccandole appena.   

I gemiti di Estel aumentarono d’intensità via, via che si faceva strada dentro di lei, finché non fu più abbastanza. Allontanò la mano, dandole un istante di tregua in cui i brillanti occhi d’aquila tornarono ad incontrare i propri regalandogli una spiacevole sensazione di vuoto al petto.

Si sollevò di nuovo sulla ragazza, ma solo per insinuarsi gentilmente fra le cosce esili, ancora semi aperte, lo sguardo dorato di lei che vagava ancora nel proprio in una strana armonia nel silenzio della stanza.

Afferrò gentilmente i fianchi stretti, lentamente, il viso stranamente più caldo mentre lasciava che le gambe della ragazza si sistemassero sulle proprie spalle. Estel sembrò confusa, eppure quando finalmente Marius raggiunse il sesso di lei con le labbra la ragazza gridò.

Aveva il suo stesso profumo, un sapore dolce eppure sconosciuto osservò l’uomo leccandola appena, dapprima delicatamente, poi sempre più a fondo, sempre più intensamente. Qualcosa che, curiosamente, faceva battere il suo cuore più di qualsiasi battaglia, più di qualsiasi scontro.

Sentì le mani di lei raggiungere i suoi capelli, le braccia. Calde come non erano mai state, cercavano qualcosa che l’uomo stentava ancora a credere di poterle dare. La leccò a lungo, avidamente, ascoltando la stanza riempirsi dei gemiti mal trattenuti di lei, dei propri pesanti respiri e per un momento credette di non poter resistere un altro istante.

- No. Vorrei che fosse con te … - ansimò Estel all’improvviso, le dita fra i suoi capelli, fermandolo. Marius sentì il viso scottare, l’erezione dolere sotto la tunica e lentamente si lasciò guidare dalle mani della ragazza. La lasciò andare, le permise di aiutarlo a sdraiarsi sotto di lei, le mani piccole e calde che già correvano sotto il fresco cotone della veste, accarezzando il petto, il collo, costringendolo a prendere respiri più profondi.

Lasciò che Estel allentasse la cintura di cuoio, che sfilasse la tunica porpora abbandonandola ad un lato del letto. Era la prima volta che si sentiva così inerme, così scoperto di fronte a qualcuno. Senza l’armatura, senza il gladio, non era più un legionario, ma un uomo. Non poteva difendersi da lei, dall’amore che sentiva per la ragazza che sorrideva appena accanto a lui e per un istante il pensiero quasi lo spaventò.

Se fossero andati fino in fondo non sarebbe stato più in grado di nascondere quello che era accaduto. L’avrebbe detto al mondo.

 

Nonostante il cuore che correva nel petto, Estel si soffermò a guardarlo. Inspirò l’odore deciso della pelle abbronzata, sfiorò il viso aperto, virile, le labbra chiare e piene, sentì la barba ispida sotto le dita, il calore del sangue che correva veloce e capì che non voleva tornare indietro.

Tracciò con la punta delle dita la linea decisa del collo, la sottile cicatrice da cui era percorsa trasversalmente, fino al petto largo, ai pettorali tesi, sfiorò la corta peluria con un sorriso, gli occhi che non volevano lasciare i suoi, verdi e profondi. Le parole quasi scapparono dalle sue labbra mentre Marius ricambiava le sue carezze sollevando la mano grande e calda posandola sul suo viso, affondando le dita rovinate fra i suoi capelli, la bocca che di nuovo si avvicinava alla propria, coprendola con un sospiro.

Durò solo un istante prima che Estel si sollevasse su di lui, scostando la treccia morbida sulla spalla sinistra, per ricambiare i suoi baci, le sue carezze, tracciando con le labbra le forme dell’uomo. La mandibola squadrata, il collo, giù fino al petto, agli addominali in rilievo.

Godette del rumore leggero del cuore sotto le labbra, dei battiti forti contro la pelle, dei respiri pesanti dell’uomo finché non si fermò, accostando l’orecchio.

- Come ti batte il cuore. - soffiò dolcemente, le labbra ancora vicine alla pelle abbronzata e bollente, ed il cuore di lui fallì clamorosamente una contrazione.

- Mi sembra di morire. – lo sentì ansimare in risposta, le dita che già raggiungevano i suoi fianchi, accarezzavano la sua schiena nuda. Si adagiò su di lui un istante solo per scoprire che i loro corpi si completavano perfettamente, quasi avessero aspettato una vita intera solo per quel momento.

Continuò ad accarezzarlo in posti di lui che non aveva mai visto, le labbra corsero fino all’inguine, le dita scostarono la fasciatura bianca facendola scivolare lungo le cosce piazzate, forti. 

 
Entrò in lei delicatamente, le dita della ragazza che si aggrappavano alla sua schiena, alle sue spalle, contraendo i suoi muscoli, accelerando il suo respiro. Non assomigliava a nulla che avesse mai provato in vita propria, un tepore più caldo del fuoco, più gentile delle fiamme nei bracieri, un calore che sembrava provenire dal più profondo dei loro corpi. In un punto imprecisato fra l’addome ed il cuore di lei. Faceva bollire il suo sangue, accelerava il battito del cuore come nient’altro al mondo, tendeva i suoi muscoli in un curioso concerto.

Marius prese a muoversi istintivamente, dapprima con delicatezza, poi ad un ritmo più sostenuto, il viso della ragazza ancora così vicino da poterne captare ogni respiro, ogni rossore sulle guance brunite. Non le era mai sembrata bella come in quel momento di assoluta vulnerabilità, la stringeva fra le braccia e sapeva per certo di appartenerle, di aver atteso una vita per quel solo momento, solo per lei.

La sentì molte volte sussurrare il suo nome, nel silenzio della stanza, in una strana armonia ora che i loro respiri si confondevano nel vago chiarore, ora che anche il legionario aveva ceduto il passo all’uomo mentre le dita percorrevano il viso caldo, affondavano nei capelli ramati.

 

Per minuti interminabili Estel ebbe la strana sensazione di aver perduto i propri confini. C’era qualcosa di familiare in lui, nel suo corpo, nel suo calore che sembrava aver atteso una vita intera solo per ricongiungersi a lei, per culminare in quell’unione, in quella stanza.

Si muoveva gentilmente ed allo stesso appassionatamente dentro di lei, ed Estel sapeva di aver fatto la cosa giusta, aveva seguito la voce del cuore e quella, ancora una volta, non l’aveva tradita. Le dita grandi e rovinate la stringevano in un abbraccio senza fine e la ragazza ebbe come la sensazione che centinaia di finestre si fossero spalancate di colpo. Qualcosa dentro di lei era cambiato per sempre, per un istante riuscì a dimenticare il dolore, il vuoto, la mancanza che aveva sentito in una vita intera e lo lasciò entrare.

Avrebbe solo voluto dirgli quanto a lungo l’aveva amato.

La strinse più forte lasciando il suo ultimo calore dentro di lei, lo ascoltò ansimare, sentì i loro respiri sovrapporsi nell’aria ferma intorno a loro e sorrise. Le mani del ragazzo l’accompagnarono gentilmente mentre si sdraiava accanto a lei, stringendola al petto.

Il buio tornò silenzioso, rotto solo dal canto lontano di una civetta, dalla brezza gentile della sera, rimasero abbracciati per lunghi minuti, senza poter dire alcunché. Entrambi sapevano che non c’era ritorno da ciò che avevano vissuto, li avrebbe segnati per sempre, avrebbe segnato la sorte di entrambi.

 

- Quelle cicatrici … sono segni di frusta, vero? Chi … ? – esordì Marius ad un certo punto, senza poterla guardare negli occhi d’oro. Sentì le dita di lei muoversi sul proprio petto, accarezzare appena la corta peluria in un ritmo lento, delicato.

- Quell’uomo è morto. Tempo fa. È stato ucciso a mani nude da due dei suoi schiavi … non può più farmi del male. – quasi sorrise, ma non c’era pietà nella sua voce e per un istante l’uomo fu preso da un’ira senza nome, la stessa che lo spingeva nell’arena, che lo spronava in battaglia.

- Marius …  – sollevò il capo dal suo petto e finalmente gli occhi d’oro incontrarono i suoi, riaprendo il sorriso sulle sue labbra.

- Sono solo … arrabbiato. Eri una bambina, soltanto una bambina. –

- Lo so. Ma è stato tanto tempo fa. - soffiò ricambiando il sorriso e le dita volarono sul suo viso, quasi a rimproverarlo.

- Nessuno usa più la frusta, è una cosa … - si accigliò il ragazzo, se c’era una cosa che suo padre davvero gli aveva trasmesso questa era di certo l’umanità. Come avrebbe potuto tollerare l’uso di tali mezzi su una bambina?

- Da barbari? – lo interruppe lei bruscamente e per la prima volta da quando si conoscevano parve davvero ferita.

- Non intendevo questo … -

- E cosa allora? Era un Alessandrino, un Romano l’uomo che mi ha fatto questo. E mi parli di barbari? Avevo solo alzato lo sguardo. Ero così spaventata, lui continuava a gridare ed io non capivo una sola parola di quello che diceva. Ho osato guardarlo negli occhi e mi è valso tre frustate. Se due dei suoi non l’avessero fermato mi avrebbe uccisa. È stato il dolore più forte che abbia mai provato … – lo fronteggiava ora, seduta sul letto accanto a lui, le lenzuola di lino a coprire il seno brunito. Uno sguardo che non ammetteva repliche, si abbassò sulle ultime parole guardando i bracciali di bronzo scuro.

Marius si sentì un vigliacco, cosa poteva saperne lui del dolore? La vita era stata generosa con lui e con la sua famiglia, non avrebbe mai capito la sua solitudine, né compreso il coraggio dietro quello sguardo immobile. La guardò atterrito per un lungo istante, maledicendosi per essersi lasciato prendere dalla retorica. Le avrebbe restituito ogni cosa se solo avesse potuto, anche in cambio della propria vita. Avrebbe voluto dirglielo.

- Mi spiace … io … non avrei dovuto parlare in quel modo. Se fosse ancora vivo gli avrei strappato il cuore dal petto con le mie stesse mani. – fiottò senza osare sfiorarla, temendo che questa volta l’avrebbe rifiutato. Invece la ragazza sorrise, un sorriso malinconico, pieno di una tenerezza che Marius stentò a comprendere fino in fondo.

- E’ stato tanto tempo fa. Le ferite sono guarite ormai. Non puoi raddrizzare tutti i torti del mondo da solo, Marius. – sussurrò allungando ancora una volta le dita verso il proprio viso, sfiorando appena i capelli disordinati.

- E’ vero, ma posso comunque provare a proteggere te, d’ora in poi. – sorrise l’uomo in risposta, lasciandosi accarezzare, coprendo la mano piccola e calda con la propria, cercando la forza di starle accanto.

- Non avrei dovuto aggredirti a quel modo, mi dispiace. –

- No. Hai ragione, avresti tutto il diritto di odiarmi, eppure non è così. Hai sempre servito la mia famiglia con lealtà e dedizione. Perché? Perché non ci odi? – non le avrebbe lasciato negare il dolore che aveva provato, ciò che le era costato arrivare fino a lui.

- Perché ho imparato a mie spese che non tutti gli uomini sono uguali. Chi mi ha venduta era un uomo della mia gente, chi mi trovò dopo che il villaggio era stato bruciato era un Romano, un legionario. Ricordo ancora il suo viso, non capivo cosa mi stesse dicendo, ma sapevo che era sincero. Fu gentile con me e mi avrebbe tenuta con sé, mi avrebbe riportata ad Aleppo da donna libera, se i suoi superiori non l’avessero scoperto. E così è stato per la tua famiglia. Tua madre non mi ha fatto mai mancare nulla, tua sorella è come fosse anche mia sorella e tuo padre mi ha sempre trattata come suo pari. – sorrise e la dolcezza nei suoi occhi lo colpì nel profondo. Nonostante la sottile coltre di rimpianto nel fondo delle iridi d’oro, per la prima volta da quando si erano incontrati la sentì davvero vicina, sentì di essere nel suo cuore e scoprì che il solo pensiero lo rendeva stranamente leggero. Avrebbe voluto dirle quanto fosse fiero di lei, di quel suo coraggio, ma le sole parole non sarebbero state abbastanza, doveva fare qualcosa per lei, qualcosa di reale, di concreto. Qualcosa che ripagasse tutto il dolore e la solitudine che l’avevano accompagnata in quegli anni.

La ragazza dovette notare quel suo momento di riflessione perché rise appena, come era solita fare di fronte ad ogni suo cipiglio e, di nuovo, si chinò per posare leggermente le labbra calde sulle sue.  L’accolse ancora una volta fra le sue braccia e capì di aver sempre avuto la risposta che cercava.

 

Si amarono più e più volte ancora quella notte, sempre più intensamente, più consapevolmente, nel buio della stanza tornarono a parlare come nei giorni passati, trascorsi sul bordo della vasca del peristilio, finché le prime luci dell’alba non portarono il sonno agli occhi di entrambi.

Estel fu la prima a svegliarsi. Non avrebbe potuto rimanere con lui, sapeva di dover tornare al lavoro, che prima o poi qualcuno l’avrebbe cercata per attendere alle prime mansioni del giorno, eppure il calore che provò guardando il viso addormentato di Marius accanto a lei quasi la convinse a rimanere. Non l’aveva mai visto a quel modo, tanto inerme come in quel momento e quasi il tempo sembrò tornare indietro di anni su quel viso disteso, di nuovo giovane.

Avrebbe voluto sorridere, eppure per un attimo la ragazza si sentì sul punto di cedere il passo alle lacrime che mai aveva pianto in quegli anni. Cosa ne avrebbe fatto ora di quel suo amore? Ora che aveva conosciuto il corpo ed il cuore dell’uomo addormentato accanto a lei, come avrebbe potuto tornare indietro?

Era stata egoista, aveva allentato la guardia ed ora la reputazione e la carriera del ragazzo potevano essere in pericolo. Nessuno avrebbe accettato la loro unione, se non ad un prezzo altissimo, il prezzo delle sue aspirazioni. Avrebbe preferito essere venduta ancora una volta piuttosto che rovinargli la vita, eppure il pensiero della notte passata, delle frasi sussurrate nel buio non volevano lasciare il suo cuore.

Aveva guardato dentro di lui ed aveva visto gli stessi sentimenti che da tempo agitavano i suoi pensieri, era difficile ora fare finta che nulla fosse mai accaduto.

Passi improvvisi nel cortile la scossero appena, che spiegazione plausibile avrebbe potuto fornire se l’avessero pizzicata fuori dal gineceo? Lasciò un ultimo sguardo ed un’ultima carezza sul volto del ragazzo, poi, raccogliendo ed infilando di nuovo gli abiti di leggero cotone bianco, abbandonò in tutta fretta la stanza affacciata sul Colosseo.

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Salve a tutti! Bentrovati vecchi lettori ed un caloroso benvenuto ai nuovi! So di pubblicare capitoli a singhiozzo ma purtroppo la vita universitaria richiede insistentemente la mia attenzione per ora. Ci tengo comunque molto a ringraziare sia chi continua a leggere la storia, sia chi la inserisce fra le seguite o le preferite! Mi stupisce un pò in realtà dato che non è un fandom di ampissima diffusione, per questo sono ancora più contenta. Dal prossimo capitolo in poi stavo seriamente pensando di inserire delle note storiche qua e là (su usi e costumi soprattutto), a mio parere potrebbe essere simpatico, che ne pensate? So che questo capitolo è estremamente lungo ma per motivi di continuità di trama non potevo proprio sezionarlo, mi spiace! Spero apprezzerete lo stesso, grazie ancora! Buona lettura!

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Capitolo 9
*** Capitolo Nono ***


Capitolo Nono

 

Il banchetto sembrava essere iniziato da ore interminabili, eppure Marius non poteva che essere distratto. Era grato a suo padre per aver voluto celebrare il suo ritorno tanto calorosamente, di come lo sentiva raccontare di lui agli altri senatori eppure la coppa rimaneva piena di fronte a lui. Le giovani figlie dei generali ballavano timidamente al centro della sala in un fiume d’oro e così anche sua sorella Giulia.

La sola a cui forse avrebbe potuto raccontare quello che era accaduto, i sentimenti che da troppo tempo agitavano il suo cuore eppure al tempo stesso non voleva caricarla di quel fardello o forse era solo paura quella che provava. La sciocca paura di non poterle rimanere accanto.

Padrone e schiava, una storia vecchia come il mondo. Molti dei soldati che conosceva erano figli bastardi nati dal sodalizio fra generali e serve barbare, eppure Marius si sentiva rivoltare lo stomaco al solo pensiero che qualcuno avesse potuto accusarlo di aver solo voluto scaricare certe pulsioni sulla ragazza.

L’amava. Da più tempo di quanto riuscisse a ricordare e non avrebbe permesso al mondo di negare quei suoi sentimenti.

Fissò il lungo tavolo imbandito con occhi vuoti, cosciente del sorriso di sua madre, di quello che stava sussurrando all’orecchio della sua vicina. Avrebbe voluto vederlo sistemato con una di quelle giovani ragazze e Marius avrebbe voluto accontentarla, più di qualsiasi altra cosa, ma ormai non c’era modo di tornare indietro.

- Padre, con il tuo permesso vorrei ritirarmi. – esordì dopo poco voltandosi verso Leontius alla sua sinistra, sorrideva, lo sguardo orgoglioso di chi sta guardando la propria impresa più riuscita.

- Ma certo, Marius. Va pure. – rispose dopo un istante di esitazione ed il ragazzo gli fu tacitamente grato per non aver chiesto il motivo di quella sua momentanea fuga. E per un attimo Marius sembrò cogliere un lampo di consapevolezza negli occhi chiari di lui, quasi sapesse.

Lasciò la sala con discrezione, lanciando un unico fugace sguardo verso sua sorella ancora intenta a ballare, senza voltarsi indietro, senza portare con sé quel vortice d’oro.

Rimase a lungo indeciso sul da farsi, non aveva voluto portare con sé nessuna delle sfarzose lampade ad olio della sala principale, sperando che il buio della casa potesse lenire anche solo per un attimo la sua irrequietezza. Era sempre stato così, dacché aveva memoria. Non era mai stato calmo come l’acqua della vasca del peristilio nelle lunghe notti d’estate, qualcosa si era sempre agitato sotto la superficie.

Era nato e vissuto nelle passioni, nel sangue e nella polvere aveva mosso i suoi primi passi, nulla era mai stato agio e velleità, si era guadagnato ogni cicatrice, ogni vittoria. E quegli stessi sentimenti avevano dominato il suo amore per la ragazza.

Dentro gli occhi d’aquila di lei aveva sempre visto quel fuoco che da una vita guidava ogni sua azione, poteva sentirne ancora il calore, impresso sulla pelle e nel cuore. Le aveva promesso di essere il migliore e lo era stato, ma non le aveva mai promesso che sarebbe tornato, eppure lei lo aveva aspettato.

C’era una strana armonia, un fragile equilibrio in quel loro amore. Si erano amati per anni senza mai essere davvero vicini, Marius aveva marcato a fuoco nel proprio cuore il nome della ragazza senza che mai fosse stata sua, ed ora che quel vuoto, quella distanza erano stati colmati nulla avrebbe potuto impedirgli di legarsi a lei. Lo avrebbe detto al mondo, a che prezzo non aveva la benché minima importanza.

Senza accorgersene il ragazzo si ritrovò nel cortile più remoto della casa, quasi in disuso dato che a poca distanza suo padre aveva predisposto gli alloggi della servitù.

Eppure non erano le voci e le risate provenienti dalla sala del banchetto a disturbare la quiete sopra lo spoglio peristilio. Poteva sentirle mescolarsi alla melodia di più di un flauto traverso, un suono più rozzo di quello a cui era abituato, più concitato, eppure il ritmo era lo stesso a cui sua sorella stava ancora ballando all’interno della villa.

Non aveva lasciato un festeggiamento per unirsi ad un altro, per di più uno a cui di certo non poteva che presentarsi come ospite sgradito, ma non poté resistere all’impulso di avvicinarsi.

Si accostò alla semplice architrave in legno grezzo e sbirciò all’interno. I piccoli alloggi erano diventati niente più che un turbinio di corpi in movimento, di risate sguaiate, di festeggiamenti sommessi.

- Fermi, basta, mi gira la testa! – avrebbe riconosciuto la sua voce fra mille, il suono leggero della sua risata ed il cuore sembrò affondare di un poco quando vide la ragazza comparire fra quella piccola folla, uno dei bambini della servitù teneramente afferrato alle mani piccole e tiepide che solo fino a qualche ora prima aveva stretto fra le proprie.

- Allora canta una canzone! – pretese lo stesso bambino, la tunica grigia troppo grande per il corpo minuto, il sorriso sdentato da lattante.

- Si, si ti prego! – intervenne una seconda mocciosa, prima che la madre potesse afferrarla già era sgattaiolata ai piedi della ragazza, aggrappandosi alla chiara tunica azzurra.

- Va bene, va bene. – rise come poche volte aveva riso di fronte a lui, al resto della sua famiglia. Avrebbe potuto rimanere nel gineceo quella notte, godersi di riflesso il grande banchetto in suo onore come avevano preferito fare molte delle ancillae di sua madre. Ma Estel non era come loro, non lo era mai stata e questo Marius lo aveva sempre saputo.

Sentì nascere un sorriso sulle labbra chiare mentre la ragazza si sedeva ad un lato della stanza, prendendo a cantare una di quelle vecchie canzoni che aveva imparato da sua sorella, un latino più sicuro, la voce più limpida di una volta, la stessa che pure Marius ricordava nei suoi sogni.  

Non riuscì guardare il suo viso, l’ascoltò attentamente, la schiena premuta contro la pietra fresca della casa, ma preferì non posare lo sguardo sulle labbra rosee schiudersi ad ogni parola, sui capelli ramati ondeggiare sulle spalle seminude temendo che il cuore sarebbe esploso.

Troppo tardi si accorse della bambina comparsa accanto a lui, la stessa che aveva pregato la ragazza di cantare per loro. Guardò nei grandi occhi azzurri e non lesse alcuna paura, solo una sincera curiosità. Non sapeva neppure se la bambina sapesse di lui, di chi avesse di fronte mentre la manina tiepida e sporca di terra si aggrappava al bordo della sua vecchia tunica virile[1].

La ragazza stava ancora cantando quando la bambina senza nome cominciò a strattonarlo piano, invitandolo ad entrare. Marius avrebbe voluto dire qualcosa, qualsiasi cosa che avesse potuto convincere la mocciosa a desistere, ma si sentiva pure terribilmente a disagio quasi avesse potuto ferirla anche solo rimanendo fermo dov’era. Raramente aveva dovuto avere a che fare con dei bambini e quasi sempre non v’era stato bisogno di nessun tipo d’interazione.

- Stavi guardando. Perché la stavi guardando? – chiese ad un certo punto, abbastanza forte da arrivare alle sue orecchie, ma senza sovrastare la musica, quasi fosse stata la cosa più naturale del mondo, lasciandolo spiazzato. Una domanda semplice, la risposta più difficile della sua vita.

La ragazzina lo strattonò tanto insistentemente che quasi non si accorse di essere entrato, la donna all’angolo della stanza, la stessa che prima aveva trattenuto quella che doveva essere sua figlia, raggelò.

La musica cessò all’improvviso. Parecchi si voltarono a guardarli, lui, il figlio maschio del padrone, l’erede di qualunque cosa quegli uomini e quelle donne avessero mai avuto, erede persino delle loro stesse vite con un piede sulla soglia, la bambina dai biondi capelli arruffati a guidarlo dentro.

Marius tentò un sorriso, il cuore improvvisamente accelerato, e la bambina dovette avvertire il suo disagio tanto che lasciò scivolare la mano minuscola nella sua, quasi volesse in qualche modo giustificare la sua presenza.

 

Estel si sarebbe aspettata qualunque cosa tranne vederlo comparire a quel modo. Eppure per un istante i loro due mondi sembrarono avvicinarsi a dismisura, quasi avessero potuto toccarsi. Non riuscì a trattenere un sorriso vedendo l’imbarazzo disegnarsi sul volto squadrato, severo che così bene conosceva.

I loro sguardi s’incontrarono oltre gli schiavi della famiglia Titus presenti nella stanza umile, raffazzonata ed Estel non poté che riprendere a cantare, lasciando che la presenza del ragazzo diventasse una gentile certezza.

I flauti e le lire sghembe ripresero a seguire la sua voce e di nuovo molti dei presenti ripresero a sorridere e ballare, quasi l’interruzione dell’erede fosse stata solo una parentesi di poca importanza. Estel avrebbe voluto poter dire lo stesso, ma la presenza dell’uomo aveva cambiato ogni cosa. Da quando si erano incontrati i loro sguardi non si erano più lasciati oltre la piccola folla e, per una sola volta, la ragazza si concesse qualcosa che in altri tempi non avrebbe mai permesso al proprio cuore.

Lasciò che le parole morissero fra le note appena stonate e raggiunge Marius accanto alla porta nuda, dove ormai il legno laccato della porta era stato consumato da pioggia e troppa usura. Non gli avrebbe chiesto perché era venuto, non voleva saperlo, voleva solo vivere qualche istante ancora nella certezza che fosse per lei, che quella loro unione avrebbe potuto avere un significato più profondo di quello che la società in cui era nato e cresciuto poteva accettare[2].

- Danza con me. – sorrise porgendogli gentilmente la mano. Vide una linea sottile comparire fra le sue sopracciglia mentre valutava la sua proposta, eppure fu certa che il respiro si fosse fatto più svelto.

- Non conosco i passi. – rispose Marius con una delicatezza che poche volte la ragazza aveva sentito nella sua voce e di nuovo gli occhi verdi di lui incontrarono i suoi, sinceri come nient’altro al mondo.

- Non ha importanza. A volte devi solo imparare ad unirti alla danza. –

Questa volta la mano di Marius raggiunse quella di lei in una stretta leggera e fiduciosa, lasciandosi guidare verso il centro della stanza. Afferrò entrambe le mani del ragazzo fra le proprie impartendo il ritmo ad entrambi, un ritmo che le scorreva dentro fin da quando era bambina, lo stesso che per anni aveva seguito con sua madre intorno ai grandi bivacchi. Ora avrebbe potuto insegnarlo a lui, una danza barbara per uno dei figli patrizi[3] di Roma.

 

La ragazza non lasciò mai le sue mani mentre danzavano sulla terra nuda, sulla paglia calpestata al ritmo familiare dei flauti traversi. Erano anni che Marius non provava quella leggerezza, era rimasto lontano così a lungo da riuscire a dubitare di qualunque cosa avesse lasciato indietro.

Era tornato ad essere felice di quella familiare felicità che aveva provato sin da ragazzino, sapendola accanto a sé. Da quando l’amicizia si era trasformata in amore non avrebbe saputo dirlo, eppure si fidava di lei, sapeva che se solo glielo avesse chiesto sarebbe rimasta con lui, forse per sempre.

La guardava sorridere e sapeva che avrebbe dato qualunque cosa pur di amarla da donna liberta[4], era facile immaginare un futuro per entrambi, per quanto complicato fosse. Avrebbe solo dovuto intraprendere il proprio cursus honorum[5], diventare tribuno in pochi anni assicurando ad entrambi una vita tranquilla, lontana dalla schiavitù che da sempre li aveva divisi.

Sorrise, lasciandosi guidare, lasciando che la polvere sporcasse i calzari, che il sudore impregnasse i capelli corti, la tunica pulita, senza abbandonare la sua stretta. 

 

La risata della ragazza si confuse a quelle degli altri presenti, alla musica appena stridente per un tempo che parve stranamente indefinibile. Il flauto e la lira suonavano ancora quando si fermarono, il respiro pesante, avvicinandosi in uno strano concerto. Le mani di lei sfiorarono le sue braccia scoperte al caldo della sera con un’esitazione che da sempre aveva condizionato il loro rapporto, eppure sorrideva ancora oltre il tepore confuso dei loro respiri. Non le avrebbe chiesto di baciarlo, non le avrebbe chiesto alcunché, quello che da lei aveva ricevuto era già molto più di quanto avesse mai osato sperare.

- Non costringeteci ad assistere a qualcosa che non vogliamo sapere. Vi prego. – esordì qualcuno alle spalle della ragazza, qualcuno che Marius riconobbe come una delle schiave di sua madre. Sorrideva appena interrompendo il loro scambio di sguardi, ma il legionario non poté che darle ragione. Nessuno avrebbe potuto scambiare quella loro vicinanza per pura lussuria, nessuno avrebbe potuto giustificare quello che sarebbe avvenuto in seguito.

Con un cenno di gratitudine lasciarono l’alloggio dirigendosi mano nella mano, come la notte precedente, verso la parte maschile della villa.

I rumori del banchetto, il calore dei grandi bracieri erano ormai un ricordo lontano quando il sonno li sorprese ancora una volta fra le stesse lenzuola. Tutti gli invitati avevano ormai rovesciato le ultime gocce di vino sul pavimento come ringraziamento ai loro déi muti[6], lasciando la villa immersa in un vago odore di fiori ed incenso spento, in un tetro silenzio, un silenzio che ai due ragazzi era parso come una benedizione. Il buio aveva nascosto il loro amore rubato, aveva avvolto i loro respiri in una stasi senza fine, imprigionandoli per sempre fra quelle mura.

Anche Marius aveva compiuto un voto quella notte rovesciando la coppa. Un voto di fedeltà. Verso quelle quattro mura, quei sussurri nascosti, quelle ore rubate alla notte, verso la donna che per due notti si era concessa ed aveva giaciuto con lui, la stessa donna che a lui aveva dedicato gli anni più soli e ardenti della sua vita.

Si addormentò stringendola a sé, ma ancora una volta al suo risveglio la ragazza se n’era già andata.

NOTE 

[1] =  La toga virilis veniva indossata per la prima volta a 16 anni per fare il primo ingresso nel foro con un rito di passaggio dall'adolescenza alla maturità. 

[2] =  Non erano rari nell'età Romana, ed in particolare quella Imperiale, i figli nati da rapporti extraconiugali fra schiave e padroni, anzi era quasi considerato sano intrattenere certi tipi di rapporti per un uomo romano.  Un uomo poteva avere più di un'amante (lo stesso non valeva per le donne ovviamente anche se in età Imperiale i costumi  si erano già in parte logorati dando alle donne molta più libertà sessuale rispetto al passato), poteva avere con tali amanti figli bastardi, addirittura alcuni degli schiavi erano deputati appositamente oltre che alla cura estetica dei padroni anche a soddisfare i loro capricci sessuali. 

[3] = Per Patrizi si intende l'elite romana, i ricchi e potenti del tempo per intenderci.  

[4] = I liberti erano schiavi liberati col denaro. Potevano essere i padroni a liberarli dopo anni di fedele servizio, oppure loro stessi potevano comprare la propria in caso avessero  raccolto una sufficiente somma di denaro.

[5] =  Il cursus honorum era in sostanza la carriera politica che l'uomo romano poteva intraprendere. Conteneva un insieme di cariche politiche e militari.  Essendo i cittadini divisi in tre classi (ordine senatorio, equestre e plebei), i membri di ciascuna classe potevano intraprendere una ben distinta carriera politica. Essendo Marius un legionario avrebbe sicuramente intrapreso la carriera nella milizia equestre, il cui grado più alto a cui avrebbe potuto aspirare sarebbe stato il prefettorio.  

[6] = Come per i Greci un'usanza tipica era quella di rovesciare in terra le ultime gocce di vino a fine pasto come preghiera o in un certo senso come buon auspicio. La coppa poteva essere anche vuotata interamente per compiere un voto, come fatto da Marius. 

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Bentornati! Come promesso in questo capitolo ho inserito delle note :) spero possano essere interessanti da leggere e che chiarifichino qualche eventuale dubbio! Questo era un capitolo di passaggio o in un certo senso di conclusione, si perchè la prima parte della storia si è ormai conclusa. Dal prossimo capitolo le cose si faranno davvero movimentate! Spero continuiate a seguirmi ^^ Grazie ancora a tutti i miei lettori (vecchie e nuovi che siate)!

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Capitolo 10
*** Capitolo Decimo ***


Capitolo Decimo

 

Per anni il ginnasio era stato la sua casa, era vissuto nella spartana bellezza di quel pavimento in marmo colorato, di quel colonnato spoglio, pochi affreschi per un luogo duro, un luogo che, come era accaduto per suo padre, l’avrebbe portato alla grandezza. Il clangore dell’acciaio, il cozzare sordo degli scudi l’avevano cullato ed ora, tornare a combattere in quel grande santuario di guerra, lo riempiva di una strana leggerezza.

Marius era sempre stato un animo feroce, nell’arena si era sempre nutrito di passioni irose, non si era mai risparmiato, andava fiero delle sue cicatrici, di come si erano impresse nella sua carne. Eppure era nervoso quella mattina fronteggiando Leontius. Aveva qualcosa da chiedere, qualcosa che forse avrebbe distrutto l’immagine della sua famiglia, ma più importante avrebbe potuto minare il rispetto che suo padre nutriva nei suoi confronti.

Tentennò più d’una volta sotto i suoi attacchi, subendo in silenzio i concitati rimproveri, sapeva quanto quegli scontri significassero per suo padre, il suo mentore e generale, ma non poteva fare a meno di essere distratto. Vedeva chiaro l’orgoglio di Leontius scintillare nel fondo delle iridi azzurre, nonostante la propria trascuratezza di quella mattina, nonostante lo scudo avesse ceduto e tremato sotto i suoi assalti, suo padre non aveva smesso di incitarlo, di far leva su quella sua furia.

Per la terza volta, da quando era tornato, lo sopraffece, eppure sorrideva Leontius mentre insieme si accostavano alla rastrelliera in legno spoglio, il respiro ancora pesante, abbandonando scudo e gladio.

- Triste, ma fiero giorno, quello in cui infine il figlio supera il padre. -  sospirò, lo sguardo ancora saldamente allacciato al suo mentre Marius liberava la corta zazzera castana dall’elmo sudato.

Nonostante il tumulto che albergava nel suo cuore, il ragazzo non riuscì a trattenere un sorriso, infondo doveva a lui quella sua determinazione, la chiara consapevolezza di volere per lei, e per se stesso, un futuro migliore.

- Hai di certo destrezza con la spada, ma non avere mai fretta di sguainarla, Marius. Porgi sempre la mano prima. – continuò più dolcemente, riponendo il gladio con un rispetto che raramente Marius aveva visto negli occhi di altri generali con cui aveva prestato servizio.

Annuii,  cosciente che era stato un uomo con gli stessi principi di suo padre ad aver salvato la donna che amava, ad averla condotta da lui.

- Cammina con me, figlio. – sorrise precedendolo sulle scale in marmo chiarissimo che conducevano fuori dal ginnasio, verso la parte superiore della villa. Era in quelle stanze che un tempo suo padre aveva ricevuto le alte cariche dell’esercito e della propria legione, quelle stesse scale dove Marius aveva sognato e giocato da bambino, ansioso di poter prendere finalmente parte a quel mondo lontano, baciato dalla gloria e dall’onore di mille battaglie.

- Ho sentito voci di grandi cambiamenti a Roma. – esordì infine seguendolo oltre le porte inferriate, verso il tablino. Tre inverni erano trascorsi dalla sua partenza eppure nulla sembrava essere cambiato, l’armatura di suo padre era ancora là, in bella mostra all’entrata dello studio, vicina come un tempo era stata enorme, lontanissima ai suoi occhi.

Si fermò a guardarla con un rispetto che non aveva dimenticato, i begli occhi verdi accarezzarono ancora una volta le piastre levigate, le cerniere lucide, il cimiero elegante ed il cuore sembrò affondare un poco nel petto. Non vi sarebbe stata sconfitta più grande per lui che perdere l’amore e la stima di suo padre, quello che per lui avevano significato. Eppure doveva tentare.

Posò l’elmo sullo stesso ripiano in nero legno laccato, quasi finalmente a reclamare un posto per se stesso in quell’olimpo di gloria che un tempo aveva tanto bramato e seguì Leontius verso i suoi archivi privati, le insegne politiche col suo nome ed il leone ruggente simbolo della sua famiglia ancora esposte sulle pareti spoglie.

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