From the Ashes

di TheGreyJon
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Le Origini ***
Capitolo 2: *** Castra Ponere ***
Capitolo 3: *** Battesimo di sangue ***
Capitolo 4: *** Per Il Ferelden ***
Capitolo 5: *** Bruschi Risvegli ***
Capitolo 6: *** Soldati, Preti e Mercanti ***
Capitolo 7: *** Il Primo Passo ***
Capitolo 8: *** Notte Buia, Senza Stelle ***



Capitolo 1
*** Le Origini ***


 
CAPITOLO 1:  Le Origini
Giunti sulla cima della collina, io e Ser Gilmore non rallentammo il passo, ma la selvaggia bellezza del paesaggio non ci sfuggì. La valle era una distesa verde di alberi, i quali circondavano quasi per intero Castel Cousland. Solo dal lato est, opposto a dove ci trovavamo, il paesaggio si apriva alla pianura e ai campi coltivati. Su ogni altro versante, montagne e foreste fungevano da scudo per il castello. Dalla nostra posizione potevano riuscire ormai a distinguerne senza difficoltà i profili delle torri che si stagliavano contro il cielo, mentre il vessillo della mia casata sventolava sui pennoni.
  Odore di sottobosco che stuzzicava le narici, un cavallo purosangue lanciato al galoppo in una tiepida giornata di maggio, il mantello che schioccava sonoramente alle mie spalle gonfiato dal vento: quella giornata procedeva nel migliore dei modi. La mia noia esistenziale quotidiana era interrotta solo saltuariamente da momenti come questo, in cui partivo per andare a caccia, lasciando vessilli, servitori e buone maniere alle mie spalle. Seguire la pista di un cervo, magari gareggiare a chi abbatte più quaglie, oppure limitarsi ad una cavalcata spensierata era sempre un piacevole diversivo.
  Rispuntammo sulla strada principale, lasciando dietro di noi le piste e i sentierini selvatici dei cacciatori.
  “Facciamo a chi arriva prima, Ser Gilmore?” Chiesi trattenendo il cavallo per aspettare che il cavaliere mi si affiancasse. Era un ragazzo di poco più grande di me. Era il quarto figlio di uno dei nostri alfieri ed era stato inviato ad Altura Perenne in quanto protetto di mio padre, il quale lo aveva allevato per tutta la fanciullezza ed adolescenza. Era stato anche il mio principale compagno di giochi o, come diceva nostra madre, “complice di turpi misfatti”. Fin dall’età di sette anni, mi divertivo a trascinarlo nelle cucine della vecchia Nan per saccheggiarne assieme le scorte, e a fare con lui scherzi di ogni genere alla servitù, tanto che mio padre dovette più volte minacciarmi di spedirmi in un monastero se non mi fossi dato una regolata. Fu Ser Gilmore a sbollire la mia testa calda. Se, infatti, all’inizio ero io a cacciarci sempre nei guai, lui, crescendo, era diventato quello che ce ne cavava fuori e, a volte, evitava addirittura che ci finissimo.
  “Come volete, Mio Signore.” Rispose con ironica cortesia, e, prima ancora che potessi aggiustare la mia postura sulla sella, egli diede di speroni, incitando la sua cavalcatura a tutta velocità verso il castello. Imprecando a denti stretti, seguii il suo esempio, piantando i talloni nel ventre del mio cavallo e lanciandomi al suo inseguimento. Fu una sfida combattuta, nella quale ci destreggiammo in un violento testa a testa, dove spintoni, frustate al cavallo avversario e insulti politicamente scorretti erano ben accetti. Fu il vedere un il manipolo di uomini a cavallo che ci sbarravano la strada a decretare la fine della corsa. Strattonammo entrambi le redini, bloccandoci di colpo a pochi metri da loro. Erano sette soldati, due dei quali reggevano aste con il vessillo di Casa Cousland, due rami d’ulivo intrecciati in campo blu.
  “Alfieri di tuo padre” mi bisbigliò Ser Gilmore “temo che siate in ritardo per l’incontro con Lord Howe”
  “Come!? Era oggi? Ah, merda…”
Uno degli armigeri si portò leggermente avanti.
  “Mio signore, il Lord tuo padre mi manda a prendervi. Vi prego di volermi seguire.”
  Non che avessi davvero una scelta. Con un sospiro, mi rassegnai a seguire i soldati di mio padre verso il castello. Un quarto d’ora dopo, raggiungemmo le stalle, dove consegnai il mio cavallo alle amorevoli cure di Tom lo stalliere; poi varcai l’arcata delle mura esterne per dirigermi verso la sala grande.
  Non avevo prestato grande attenzione al mio abbigliamento quel giorno e non ero sicuro di poter ricevere uno dei nostri principali vassalli vestito in quel modo. Dopotutto, un farsetto di cuoio e brache di pelle da cavalcata non costituivano certo il completo più elegante. L’unico capo un po’ più raffinato era il mantello: di velluto blu, con il simbolo della mia famiglia ricamato, e assicurato alla spalla sinistra con un fermaglio intarsiato.
  Rapidamente attraversai il cortile e, saliti i gradini antecedenti al portale principale, ordinai ad una guardia di farmi entrare. Un po’ annoiato, tormentavo l’impugnatura della mia spada che pendeva al mio fianco mentre varcavo la soglia.
  La sala grande era il cuore della fortezza. Si trattava di una lunga stanza in solida pietra, posta come primo baluardo della fortezza oltre la cancellata, al cui interno era contenuto lo scranno di mio padre. Per tutta la lunghezza della sala pendevano gli arazzi nobiliari, alternandone uno dei Cousland ad uno dei nostri alfieri principali. Sulle vetrate, poste proprio alla base dell’ambio soffitto a volta, erano rappresentati gli eventi principali della storia della nostra casata, a partire dalla leggendaria morte di Bann Conobar Elstan, ad opera di Flemeth, passando poi per la ribellione contro Amaranthine, fino ad arrivare all’era oscura, dove finalmente ottenemmo lo stato di teyrnir.
  Lord Rendon Howe e mio padre stavano discutendo dei dettagli della partenza vicino al camino.
  Molto sangue era stato versato tra le nostre due case; prima combattemmo gli uni contro gli altri per ottenere l’indipendenza dalla loro autorità e, secoli dopo, per opporci ad Orlais. I Cousland avevano infatti appoggiato Re Maric, mentre il padre dell’attuale Lord Howe si era schierato a favore degli stranieri. A dispetto di ciò, Rendon, ancora giovane e forte, si era unito a mio padre e a mio nonno nella guerra, dando origine ad un’alleanza molto stretta. Mio padre lo considerava un amico, ma non poteva mai permettersi di dimenticare che Howe restava pur sempre un vassallo e che come tale andava trattato. Doveva dimostrarsi generoso nei suoi confronti e rendergli omaggio per la sua posizione di rilievo tra gli altri alfieri, tuttavia senza mai fidarsi totalmente di lui. Gli Howe era meglio averli come amici che come nemici, su questo non aveva mai avuto nessun dubbio, e la loro ambizione era sempre stata pericolosa, perfino tra i più giusti e nobili di loro;  per rendere più salda la loro alleanza e sicuro il loro appoggio, aveva quindi bisogno di un contratto matrimoniale tra le nostre famiglie. Non sarebbe toccato a mio fratello maggiore. Fergus era l’erede, ma mio padre si era già affrettato a trovargli un’altra moglie: Lady Oriana, una graziosa ragazza proveniente da Antiva, di ricca famiglia, che aveva contribuito al bilancio familiare in modo piuttosto marcato. Mio padre avrebbe invece preferito sistemare me con una donna di casa Howe; in questo modo avrebbe assicurato in un colpo solo il mio futuro e la pace nelle nostre terre. In ogni caso, anche se fino ad ora Lord Rendon si era sempre dimostrato fedele a mio padre, le ferite che le nostre due casate si erano inflitte durante la guerra contro Orlais erano troppo recenti per essere ignorate.
  “…e come dicevo, Mio Signore, ho ricevuto notizia di un ulteriore ritardo da parte delle mie truppe. Chiedo venia, questa è tutta colpa mia.”
  “No, no, la notizia del Flagello ci ha colti tutti alla sprovvista. Io stesso ho ricevuto la chiamata del Re solo pochi giorni fa.”
  Eppure, a differenza del vassallo, era stato piuttosto rapido nel radunare le sue forze. Da giorni ormai erano pronti per la partenza, ma degli uomini di Howe nessuna traccia. Fergus e mio padre dovevano aspettare l’arrivo di questi rinforzi prima di partire, ma temporeggiare troppo con la Corona era rischioso e assai poco saggio: non rispondere alla chiamata del Re in caso di guerra, molto spesso portava al patibolo o al ceppo del boia…
  E questa era la principale preoccupazione di mio padre rispetto alla guerra contro il Flagello che imperversava nel paese. Ma che si trattasse davvero di un Flagello? Certo, i prole oscura erano usciti in forze dalle vie profonde e si erano ammassati a sud, presso le rovine di Ostagar, ma non c’era alcuna traccia di un Arcidemone alla testa dell’orda. Magari si trattava solo di un’incursione particolarmente violenta. In ogni caso c’erano già state diverse battaglie nel sud, tutte vinte, ma, a quanto si diceva, l’esercito nemico era in costante crescita e presto dei rinforzi dal nord avrebbero fatto comodo.
  Mi schiarii la gola per palesare la mia presenza e, quando i due uomini si voltarono, chinai leggermente il capo in segno di rispetto verso l’ospite.
  “Ah, eccoti qui, figliolo. Rendon, vi ricordate di mio figlio, Velor?”
  “Certo, ma vedo che è diventato davvero un forte e giovane uomo…”
  Peccato che il tempo non fosse stato altrettanto cortese con Howe, il quale dimostrava molti più anni di quanti non ne avesse. Aveva i capelli completamente bianchi, era basso e magro, con il volto incavato e un grosso naso arrossato da un consumo eccessivo di vino. L’aspetto era quello di un uomo apparentemente insignificante, eppure ai suoi tempi doveva essere stato un guerriero di una certa fama e bravura. Aveva cavalcato con mio padre nella battaglia del Fiume Bianco e ne era uscito vivo, nonostante la tremenda sconfitta. I due dovevano essere quasi coetanei, eppure Bryce Cousland, a dispetto dei capelli grigi, era ancora un uomo forte, alto e dalla cui persona traspariva subito il vigore che doveva averlo animato da giovane e che cominciava solo ora a scemare.
  “È un piacere incontrarvi, Mio Signore.”
  “Mia figlia Delilah ha chiesto di te…” rispose con un ampio sorriso “forse dovrei portarla con me prossima volta che vengo”
  Come già detto, mio padre e Lord Rendon pianificavano da tempo un matrimonio, e Delilah sarebbe presto potuta diventare la mia dolce metà. In effetti non avevo ancora deciso se l’idea di sposarla mi piacesse oppure no… Diavolo non l’avevo mai neanche vista!
  “Ecco… Mio Signore… lei è parecchio… più giovane di me.”
Praticamente una bambina; un’altra cosa che non mi piaceva affatto. Ridendo Howe, rispose:
  “Invecchiando, questi anni di differenza diventeranno sempre meno importanti: una dura lezione, ma che impariamo tutti.”
  “Dubito che mio figlio vi darà retta” intervenne mio padre ridendo. “Ha altre cose per la testa in questo periodo: è un giovane che si infiamma per guerre e battaglie. Temo consideri di secondaria importanza le questioni dinastiche…”
  “Ah, la sua abilità con la spada è ben nota. Il suo temperamento ne ha fatto un valoroso combattente.”
Tutte quelle chiacchere inutili mi stavano uccidendo: dovevo darci un taglio.
  “Padre, mi hai mandato a chiamare?”
  “Ah, sì, è una cosa importante. Mentre tuo fratello ed io saremo via, lascerò te al comando del castello.”
  La notizia mi lasciò piacevolmente sorpreso. In genere era mia madre a tenere in riga la servitù e ad occuparsi di tutte quelle faccende formali quando il Lord era via. Tuttavia avevo 19 anni, ormai non potevo più essere considerato un ragazzino.
  “Io… farò del mio meglio.”
  “Eccellente. Solo un piccolo contingente rimarrà qui. Io e Lord Howe attenderemo l’arrivo del suo esercito, mentre tuo fratello si metterà in viaggio con il grosso delle nostre forze già questa notte. Sono sicuro che una volta solo te la caverai benissimo, dovrai cercare di mantenere sicura la regione e di far quadrare i conti per il tempo in cui saremo via. Contando che avrai validi consiglieri ad aiutarti, non dovrebbe essere difficile. Ah, quasi dimenticavo, c’è anche qualcun altro che devi conoscere…” poi rivolto ad una delle guardie del salone, aggiunse: “fate entrare Duncan!”
  Il soldato si batté un pugno sulla placca pettorale, dando ordine ai suoi sottoposti di aprire il portone al nuovo ospite. Si trattava di un uomo alto, di età compresa tra i quaranta e cinquant’anni, ma ancora estremamente vigoroso. I capelli, raccolti in una corta coda di cavallo, sembravano puro inchiostro, tanto erano scuri, così come la folta barba che gli cresceva dalle ispide e rigogliose basette fino al mento, coronata da larghi baffoni. La carnagione era olivastra, scura, il volto severo, dai lineamenti duri e dagli zigomi alti, mentre gli occhi erano sottili e neri anch’essi. Indossava una corazza leggera, adatta al viaggio, sopra a lunghe vesti logore. L’aspetto generale dava l’idea di un viandante un po’ trasandato, ma tutto in quell’uomo sembrava incutere nel prossimo una sorta di reverenziale rispetto.
  “È per me un onore essere ospite qui, nella vostra sala, Vostra Signoria.”
La voce dell’uomo era posata, calma e le parole erano scandite con chiarezza. Notai Lord Howe osservare il nuovo arrivato con una certa sorpresa… quasi disagio.
  “Mio signore… Non mi avevate accennato che un Custode Grigio sarebbe stato presente.”
  Digrignai i denti e serrai la mascella. Lord Rendon non mi piaceva e confesso che ero un po’ prevenuto nei suoi confronti, ma chi gli dava il diritto di sindacare su chi noi decidessimo di accogliere tra le nostre mura? Questa era casa nostra, e lui era solo un ospite: chi ammettere al nostro cospetto era una decisione che non lo riguardava minimamente.
  Notai con piacere che anche mio padre la vedeva così. Naturalmente mantenne il suo contegno, ma io che lo conoscevo bene, notai una celata nota di fastidio nella sua voce, quasi di rimprovero, quando rispose.
  “Duncan è arrivato da poco. Non annunciato. È forse un problema, Mio Signore?”
Non mancai di notare il gelo con cui pronunciò quel “Mio signore” finale.
  Ci fu un attimo di esitazione da parte di Howe. Forse aveva intuito il suo errore, e tentò subito di recuperare, intonando una scusa con voce bonaria:
  “Certamente no…! È solo che un ospite di tale rilievo richiede un certo… protocollo. Sono colto alla sprovvista!”
  Quasi mi scappò da ridire. Certo, nutrivo grande rispetto per l’ordine dei Custodi Grigi e mi sarei rivolto a loro con tutte le cortesie degne di un mio pari, ma… non credo proprio che sia necessario preoccuparsi del protocollo con loro. Sono guerrieri. Molti sono anche di origini piuttosto umili. Sono abituati a viaggiare molto, a dormire per strada e… a mostrare un certo pragmatismo quando si tratta di prole oscura. Anche Duncan, per quanto formidabile potesse apparire, aveva l’aspetto di uno che aveva probabilmente viaggiato al risparmio, dormendo ospite in case di umili contadini e spezzando il pane con loro. Di certo era una persona ben più interessata a difendere il mondo dall’apocalisse che a spettegolare sulle scarpe nuove di questa o quella nobildonna.
  “Effettivamente è un raro privilegio poterne ospitare uno sotto il proprio tetto” concesse mio padre molto diplomaticamente. “Figliolo, Fratello Aldous  ti ha insegnato di certo chi sono i Custodi Grigi, vero?”
  Come chiedere ad un contadino se avesse mai sentito parlare di una zappa.
  “Certamente, padre. Sono un antico ordine di guerrieri eccezionali.”
  “Sono eroi leggendari. Coloro che terminarono il primo Flagello salvando le terre degli uomini dalla distruzione. Duncan sta cercando nuove reclute prima di unirsi a noi e marciare verso sud. Penso che stia tenendo d’occhio Ser Gilmore…”
  “Se posso permettermi l’ardire…” intervenne Duncan. “Anche vostro figlio sarebbe un eccellente candidato.”
  Istintivamente mio padre fece un passo nella mia direzione, fulminando l’ospite con uno sguardo severo.
  “Per quanto possa esserne onorato, è di mio figlio che stiamo parlando. Non ho così tanti eredi da poterli mandare tutti in guerra. Quindi, a meno che non vogliate avvalervi del diritto di coscrizione…”
  “Non temete, Mio Signore” si affrettò il Custode. “Non ho alcuna intenzione di impormi in questo modo sull’argomento.”
  Credo che a nessuno di noi fosse sfuggito il sollievo dipingersi sul volto del Lord mio padre.
  “Figliolo, ti occuperai tu che Duncan abbia tutto ciò di cui ha bisogno mentre sarò via.”
Con un sospiro, risposi:
  “Certo, padre.”
  “Ottimo. Nel frattempo trova Fergus e digli di partire subito e di condurre le truppe in mia vece verso Ostagar. Dovrebbe essere nelle sue stanze con Lady Oriana.”
  Annuii impercettibilmente e mi congedai con un rapido inchino, dirigendomi poi verso il cortile. L’idea di restare bloccato qui mentre mio fratello si copriva di gloria nel sud non mi era affatto piaciuta all’inizio, ma ora che sapevo che sarei rimasto a governare in vece di Lord, beh… la prospettiva di restare imboscato non era più tanto grama. Intendiamoci, era solo un premio di consolazione, un premio che avrebbe richiesto molti sforzi e grande impegno da parte mia, per non parlare delle notti in bianco che avrei dovuto trascorre ad occuparmi di tutta la burocrazia. Era una faccenda seria, non certo un gioco. Comunque l’idea di essere chiamato Lord Cousland e di prendere decisioni che avrebbero coinvolto l’intero feudo… beh, era troppo allettante per ignorarla!
  Mentre mi dirigevo verso gli alloggi della famiglia, sentii Ser Gilmore che mi chiamava alle mie spalle. Notai che, mentre io ero stato impegnato nel mio breve colloquio, il ragazzo si era cambiato, e ora indossava il suo migliore farsetto, quello con il mabari nero ricamato su sfondo giallo, simbolo della sua famiglia, abbinato ad un ampio mantello da cavaliere e alla sua fida spada di famiglia.
  “Ah, Velor, ti ho cercato ovunque! Senti, io…” esordì scordandosi che, in genere, le persone tendono a salutarsi quando si incontrano.
  “Ehm… ciao anche a te?” Lo interruppi, in modo da fargli notare la sua mancanza. Non che mi importasse molto, infondo c’eravamo separati da poco tempo, eppure era per me un piacere punzecchiarlo in materia di cortesia.
  “Sì, sì, scusa… è solo che tua madre mi ha mandato a dirti che… beh, ecco, che c’è un piccolo problema con il tuo cane.”
  Alzai gli occhi al cielo.
  “Che è successo questa volta? Quale terribile crimine potrà mai aver commesso?”
  “A dire il vero si è intrufolato nelle cucine. Di nuovo. E Nan minaccia di lasciare il castello se la questione non viene risolta.”
  “Oh, suvvia…”
  “Sai come sono questi mabari… estremamente fedeli al loro padrone, capaci quasi di capire il linguaggio umano, ma… terribilmente pericolosi se avvicinati dalla persona sbagliata.”
  Ridacchiai alla sua affermazione, ricordandogli quale bestia avesse ricamata sul farsetto.
  “È buffo che proprio tu, che porti un mabari sul petto, ne tema uno… Andiamo, su, occupiamoci della faccenda.”
  “Andiamo?! E io che c’entro? Ho faccende molto importanti da sbrigare, come ad esempio la mia pennichella!”
  “Dal momento che tu sei l’araldo della mia noia e delle mie commissioni barbose, mi accompagnerai in questa impresa. Orsù, mio baldo scudiero, in marcia!”
  Mentre ci avviammo verso le cucine lo udii distintamente borbottare qualcosa del tipo: “io dovrei essere un cavaliere, in teoria…”
  Per raggiungere il luogo del misfatto, notai, fu sufficiente seguire le grida della vecchia Nan e dei garzoni. Per non parlare dei latrati del mio cane.
  Nan era stata la mia balia e sapevo quanto a volte potesse essere una donna… difficile, per così dire.  Mi era molto affezionata e, anche se fingeva di non sopportare il mio segugio, infondo gli voleva bene. Il castello era tutto il suo mondo; era nata nel castello e sarebbe morta nel castello… ecco perché non temevo affatto che se ne andasse
  Entrati nelle cucine, le trovammo in disordine: pentolame sparso ovunque e un po’ di farina versata sul pavimento, ma nessun problema particolarmente grave. La vecchia Nan stava strigliando per bene una coppia di elfi, i suoi aiutanti, i quali piantonavano la porta della dispensa, chiusa alle loro spalle.
  “… se non riuscirò ad entrare in quella dannata stanza, vi scuoierò vivi entrambi, razza di inutili elfi!”
  “Ehm… calmatevi” intervenne Ser Gilmore, facendosi avanti per tranquillizzare la donna. “Siamo arrivati: ci pensiamo noi.”
  “Tu e soprattutto tu! Quel dannato pulcioso è entrato nella mia dispensa! Dovrebbe essere abbattuto, altroché!”
  Mi fece sorridere il modo in cui calcò il tu rivolto a me. Forse avrei preso più seriamente la faccenda se non avessi trovato così ridicola l’intera situazione.
  “Ehi, non chiamatelo pulcioso! È un mabari purosangue!” Dissi con finta indignazione, sghignazzando sotto i baffi.
  “Basta che tu lo faccia uscire di lì. Subito.”
  “Va bene, va bene, ce ne occuperemo…”
  Sospirando, oltrepassai l’anziana domestica e spalancai la porta della dispensa. Questa era davvero stata messa sottosopra e il grosso e tozzo cagnone sporco di farina che saltellava allegramente nella stanza, ne sembrava il principale responsabile.
  “Ehi, bello, che combini?” Dissi inginocchiandomi per potergli grattare la testa dietro alle orecchie.
  “Guarda, sembra che voglia indicarti qualcosa.”
Effettivamente, il mabari si era messo a ringhiare verso alcune pesanti casse di alimentari impilate una sull’altra a ridosso della parete opposta.
  “Dogmeat…? Hai visto qualcosa?”
Il latrato che ricevetti come risposta fu sufficiente. Io e Ser Gilmore afferrammo due di quelle casse e le sollevammo, rivelando una coppia di enormi ratti delle selve, che si nascondevano dietro di esse. Dogmeat, prima che chiunque di noi potesse fare qualcosa, balzò in avanti, addentando i grossi sorci e sbranandoli con facilità.
  “Mhm…” commentò Ser Gilmore asciugandosi il sudore dalla fronte “mi sembra l’inizio di una di quelle scadenti storie di avventura che mio nonno era solito raccontarmi…”
  Tornati in cucina, Nan sembrava essersi calmata un pochino. Ora era seduta in un angolo, con la testa china e la fronte tenuta fra le mani, mentre il resto della servitù cercava di ripulire il disastro. Le comunicammo quanto era accaduto e che in realtà Dogmeat non voleva saccheggiare la dispensa, ma solo dare la caccia a dei topi giganti. La notizia della presenza di ratti grossi come gatti nella cucina dove lavorava parve non rallegrarla molto. In ogni caso, io ero deciso più che mai a tornare ad occuparmi dei miei affari, mentre Ser Gilmore mi disse di dover andare a porgere i suoi omaggi a Lord Howe. Dopo avergli fatto le mie più sentite condoglianze per questa sua noiosa commissione, ritornai sui miei passi. Mentre camminavo nel cortile, con Dogmeat che trotterellava dietro di me, incrociai mia madre, intenta a discute con Lady Landra, la moglie di uno dei nostri Bann.
  “Caro…” mi richiamò lei. “Vedo che ti sei occupato di quella faccenda del segugio. Ottimo. Ti ricordi di Lady Landra, la moglie di Bann Loren?”
  Certo che me la ricordavo! Si era ubriaca all’ultima festa tenuta in casa nostra, difficile dimenticare una persona tanto divertente. Era una donna davvero piacevole e di compagnia: apprezzava il buon vino (anche troppo), scherzava volentieri ed era una persona molto schietta. Mi piaceva.
  “Naturalmente. È un piacere rivedervi, mia signora.”
Con lei c’erano anche suo figlio, un ragazzotto per bene con il quale avevo scambiato sì e no un paio di parole in tutta la mia vita, e la sua dama di compagnia, un’elfa di città davvero molto graziosa. Normalmente mi sarei offerto di parlare con lei in privato, cercando di accattivarmi le sue simpatie, ma al momento non avevo molto tempo per pensare alle donne.
  “A dire il vero” disse Lady Landra con un’espressione confusa in volto. “L’ultima volta che ci siamo incontrati non avevo passato l’intera serata a bere e a cercare di sedurvi?”
  Scoppiai a ridere. Adoravo quella donna, lei diceva sempre ciò che pensava. Ah, se solo tutta la nobiltà del Ferelden fosse stata come lei, fare il Lord sarebbe stato molto più divertente!
  “Temo… temo proprio di sì, Mia Signora” dissi cercando di ridarmi un contegno.
  “Vedi, Dairren? Non ero poi così ubriaca come sostenevi, dal momento che ricordo tutto nei mini dettagli” disse poi rivolta al figlio. “Voi vi conoscete già? Credo vi siate scontrati nell’ultimo torneo.”
  “E mi avete battuto anche con una certa facilità, potrei aggiungere…” disse il ragazzo.
  “Suvvia, siete troppo modesto. Vi siete battuto bene.”
Era una bugia colossale. Lo scontro con lui nella grande mischia era stato quasi imbarazzante, ma… era risaputo  che si trattava più di un intellettuale che di un combattente.
  “E questa è la mia dama di compagnia, Iona. Coraggio, dì qualcosa, mia cara” disse Lady Landra rivolta alla giovane elfa.
  “È un onore, Mio Signore. Ho sentito cose davvero ammirevoli sul vostro conto.”
  “Oh, guardate, Lady Eleanor, credo che la nostra giovane fanciulla si sia presa una cotta.”
  “Lady Landra! Vi prego, mi mettete in imbarazzo!”
Forse, dopotutto, avrei anche potuto trovare il tempo per conoscerla meglio, ma… successivamente. Per il momento dovevo trovare Fergus e salutarlo.
  “Madre, c’era altro che volevi dirmi?”
  “Immagino che tuo padre ti abbia già detto che sarai tu a governare in sua assenza. Beh, sappi che sono d’accordo e che ho deciso che andrò nella tenuta di Lady Landra per un po’ a tenerle compagnia mentre i nostri mariti non ci sono. Credo che sia meglio che io sia lontana, così non rischierò di mettere in ombra la tua autorità.”
  Riuscivo a comprendere il suo punto di vista. Non doveva essere facile per lei farsi da parte, ma era importante che me la cavassi da solo. Un giorno sarei potuto diventare signore di un castello, magari nei pressi di Amaranthine, ed era essenziale che io fossi preparato. Forse una volta tanto i miei genitori avevano deciso di concedermi un po’ di fiducia. Ne fui quasi commosso.
  “Grazie, madre, non ti deluderò. Lo prometto.”
  “Lo so, tesoro” disse, sfiorandomi la guancia con la mano. “Ora vai a trovare Fergus.”
  “Molto bene. Mio Signore, Mie Signore, confido ci rivedremo per cena. Buona serata.”
Mi congedai e, sperando di non venire interrotto da nessun altro, arrivai agli alloggi di famiglia, nel cuore del mastio. Trovai mio fratello nei suoi appartamenti con la moglie e il figlio.
  Bussai con delicatezza contro lo stipite della porta della loro stanza, lasciata aperta. Attendendo sulla soglia, lo osservai mentre, in ginocchio davanti al figlio, rispondeva alle sue incalzanti domande.
  “Ci sarà davvero una guerra, papà? Mi porterai indietro una lana?” Chiese Oren quasi saltellando sul posto per l’eccitazione.
  “Si dice ‘lama’, Oren. E ti prometto che ti porterò la più possente che riuscirò a trovare! Sarò di ritorno prima che tu te ne accorga.”
  “Vorrei davvero che la vittoria fosse così scontata!” Intervenne Oriana con una severa espressione accigliata. La notizia della partenza di Fergus l’aveva turbata molto e la spavalderia del marito la irritava ancora di più.
  “Non spaventare il bambino, mia amata. Io dico il vero… Oh, guarda chi si vede, il mio fratellino venuto a salutarmi!”
  Rialzandosi mi fece cenno di entrare. Con un sorriso sul volto mi avvicinai e, a dispetto dell’armatura che indossava, lo abbracciai.
  “Vorrei poter venire con te, Fergus.”
Rispose al mio abbraccio con vigore. Credo che anche lui ne avesse bisogno. Lo conoscevo fin troppo bene e sapevo che tutta  quella spavalderia era per lui una maschera, una sorta di armatura per nascondere il fatto che, in realtà, aveva molta paura. Quando si sciolse dalla mia stretta, mi rispose con il suo solito sorriso sornione:
  “Lo vorrei anche io, sarà stancante uccidere tutti quei prole oscura da solo…”
Lady Oriana mi sfiorò il braccio con la mano e mi sorrise candidamente.
  “Vostro padre non poteva certo mettere in pericolo entrambi i suoi eredi…” mi spiegò lei con dolcezza. Naturalmente sapeva che me ne rendevo perfettamente conto, eppure questo era per lei l’unico modo che aveva per provare a rendere meno dura la separazione.
  “Se ti può consolare, fratellino, passerò i prossimi mesi a congelare nel fango e nella melma, senza uno straccio di contatto umano.”
  Improvvisamente mi venne in mente di Duncan, e mi chiesi se non fosse il caso di dirgli che avevamo un Custode Grigio nel castello. Sicuramente ne avrebbe incontrati molti sul campo di battaglia, ma comunque era una notizia che lo avrebbe interessato.
  “Sapevi che c’è un Custode qui da noi?”
Come sospettavo, Fergus si sorprese… e Oren quasi fece una capriola per l’emozione.
  “E… e… e cavalcava un grifone?!?” Chiese con due occhioni spalancati per lo stupore.
  “Shh…” intervenne Oriana. “I grifoni esistono sono nelle storie.”
  “Chissà cosa lo porterà qui… Se io fossi un Custode, è certo che cercherei di reclutarti. Non che nostro padre lo acconsentirebbe mai.”
  Anche fin troppo giusto. Sebbene i Custodi Grigi avessero il diritto di coscrivere chiunque tra i loro ranghi, raramente vi facevano ricorso, specialmente quando c’era di mezzo la nobiltà. Custode o no, calpestare i piedi a un Teyrn non era mai una buona idea, ragion per cui un reclutamento nell’ordine era fuori questione. Inoltre avevo superato quel genere di fantasie e avevo capito che al primo posto veniva sempre la famiglia.
  “Ah, Fergus, nostro padre ti comunica che devi partire subito, mentre lui e Arle Howe attenderanno l’arrivo dei soldati da Amaranthine…”
  “Quindi sono davvero in ritardo! Neanche camminassero all’indietro!” Fergus sospirò distrattamente e aggiunse: “Allora devo andare. A presto amore mio. Ci rivedremo in un mese o due…”
  In quel momento la porta della stanza si aprì ed entrambi i nostri genitori entrarono.
  “Speravamo che ci avresti aspettato per partire, figliolo…” disse nostro padre.
  “Pregherò per la tua salvezza notte e giorno…” Mamma era quasi sull’orlo delle lacrime, ma da donna forte qual era le reprimeva. Non voleva mostrare segni di cedimento o debolezza, doveva restare salda per Fergus e per il resto della famiglia.
  “Che il Creatore vegli su di noi, ci protegga tutti e ci porti serenità” intervenne Oriana serafica.
  “… e anche una cortigiana o due…” aggiunse Fergus con un ghigno sul volto talmente divertito da poter quasi essere definito blasfemo. Notando poi lo sguardo velenoso che la moglie gli aveva appena scoccato si affrettò ad aggiungere: “… Oh, ehm… Per le truppe, naturalmente!”
  Sconcertata e  incredula, Oriana gli sferrò uno scappellotto dietro la nuca.
  “Fergus! Vi sembrano cose da dire davanti a vostra madre?!”
  “Che cos’è una cortigiana???” Chiese Oren sgranando gli occhi scuri. “È una di quelle grosse bottiglie per il vino?” Era chiaro che si stava confondendo con una damigiana.
  Ormai sull’orlo delle lacrime, non riuscii più a trattenermi e scoppiai a ridere, mentre mia madre diventava sempre più paonazza. Dopo avermi fulminato con lo sguardo per la mia incapacità di autocontrollo, scoccò un’occhiata a mio padre che pareva dire… “Tu hai cresciuto questi due figli degeneri, e ora TU spiegherai a tuo nipote cos’è una cortigiana!”
  “Vedi, Oren” intervenne allora con voce incerta. “Una cortigiana è una donna che ha molta raffinatezza… o che non ne ha affatto!”
  Notai che, non cogliendo ovviamente il bambino il doppio senso della frase, mio padre si stava apprestando a spiegargli il concetto con termini più diretti, quando mia madre decise che era troppo.
  “Ma insomma! Mi sembra di essere circondata da un gruppo di ragazzini!”
E questo mi fece ripiombare in una nuova crisi di ilarità incontrollata, alla quale Fergus si unì di buon grado.
  “Ah… mi mancherai, madre! Velor, ti prenderai cura tu di lei mentre sarò via, vero?”
Con la voce ancora un po’ soffocata dagli ultimi spasmi delle risate, risposi:
  “Contaci, fratello. Con me sarà al sicuro.”
  “Oh, mi fa piacere sapere di essere in così buone mani!” Disse lei parecchio seccata.
Concedendosi un’ultima risata, meno intensa della precedente, mio fratello prese congedo:
  “Come dite voi, madre. Ora devo andare, io… spero di rivedervi tutti presto. Padre, confido che calcheremo assieme il campo di battaglia quanto prima.”
  Dopo gli immancabili abbracci tra parenti, Fergus baciò con passione un’ultima volta la moglie e scompigliò i capelli arruffati del figlio. Infine, lasciò la stanza. Noi altri, ci affrettammo tutti sui camminamenti esterni del mastio centrale per guardarlo partire. Lo osservammo montare a cavallo nel cortile e risalire la colonna dei soldati già disposti per la partenza, prendendo posizione in testa. Presto, un lungo serpente di rostri e acciaio, vessilli e insegne, uomini e cavalli, iniziò a strisciare lungo la strada per Ostagar, per poi essere inghiottito dall’orizzonte, ormai baciato dal sole. Non rividi mio fratello per molto tempo. Quasi una vita intera, dal mio punto di vista.
 
 
  Nell’attesa che la cena fosse pronta, passando per lo studio del castello, ebbi modo di conoscere meglio Dairren, il figlio di Lady Landra. Era un ragazzo piacevole. A dispetto di una scarsa attitudine per le faccende militari, che pure lo interessavano ed affascinavano moltissimo, era una persona estremamente intelligente ed istruita. Aveva letto una buona metà dei libri presenti tra i nostri ben nutriti scaffali, e non solo quelli che raccontavano storie di imprese eroiche o passionali (per quanto, comunque, restassero le sue preferite) ma anche trattati filosofici e scientifici ben più pesanti. In particolare mi aveva colpito la sua approfondita conoscenza de “Il Trattato sul Buon Governo et Giusti Costumi”, un volume di un certo spessore risalente a parecchi anni fa. Mi spiegò che, nonostante molte teorie lette tra quelle pagine gli sembrassero un po’ troppo conservatrici, altre, invece, le avrebbe prese seriamente in considerazione nel momento in cui avesse ereditato lo scranno del padre. Capii subito che sarebbe stato un eccellente governante.
  Dopo aver discusso tanto piacevolmente, anche se il mio contributo alla conversazione era stato più che altro passivo, mi svelò con emozione che mio padre gli aveva dato l’incarico di fargli da scudiero mentre sarebbero stati ad Ostagar. Gli chiesi se avrebbe combattuto, e lui, con una strana luce negli occhi, mi rispose che lo sperava ardentemente. Non dissi nulla. Da quel poco che avevo visto, non sarebbe stato in grado di uscire vivo da una battaglia, non una su larga scala. Con tutta probabilità, mio padre si sarebbe limitato a fargli pulire la corazza dal fango e dal sangue. Prima che potessi, comunque, aggiungere altro, entrò Iona, la dama di compagnia di Lady Landra. Mi congedai rapidamente dal mio interlocutore e mi decisi a parlare con la giovane elfa.
  Oltre ad essere una ragazza piuttosto avvenente, scoprii molte cose su di lei e sulla sua famiglia, da molto tempo al servizio di Bann Loren. Mi raccontò tutto della sua vita e io ascoltai ogni singola parola, perdendomi nel contempo nei suoi grandi occhi blu, o nella sua cascata di capelli biondi. Mi resi conto presto di esserne ormai invaghito, se non addirittura innamorato! In più di un’occasione, fui tentato di interromperla con un bacio, così, su due piedi, ma, me ne mancò sempre il fegato. Alla fine presi coraggio e, nonostante la gola secca e l’improvvisa mancanza di saliva le dissi:
  “Signorina Iona, io credo che…” la ragazza mi scrutava con i suoi occhioni da cerbiatta, sbattendo le palpebre con ingenuità, quasi non fosse consapevole della sua bellezza. Sentii che mi mancavano le parole, ma, proprio mentre credevo che non sarei riuscito a concludere la frase, esse sgusciarono fuori dalle mie labbra con naturalezza: “… credo che dovremmo conoscerci meglio.”
  “Ma, mio signore, non lo stiamo facendo già?” Rispose lei con una risatina ed un’innocenza nella voce che, almeno al momento, noi fui in grado di giudicare se vera o falsa.
  “Beh, sì, ma… io intendevo, conoscervi meglio in privato…”
  La ragazza sorrise timidamente mentre le gote le si arrossavano. Abbassando lo sguardo, rispose quasi sussurrando:
  “Oh, capisco, Lord Cousland. In effetti, credo che mi piacerebbe smettere di darvi del voi, almeno per il momento.”
  Avvertii un sorriso dipingermisi sul volto. Quell’insieme di innocenza e sfacciataggine mi dava davvero alla testa e sentivo crescere in me il desiderio di… di… beh, di lei.
  Diedi un’occhiata attorno a me e, assicuratomi che nello studio ci fosse solo Dairren, impegnato in qualche lettura, di getto mi feci avanti, afferrai la ragazza per le spalle e le stampai un impetuoso ma rapido bacio sulle labbra. La ragazza divenne anche più rossa di prima e abbassò ulteriormente lo sguardo.
  “Mio signore… siete temerario. Forse, dopo cena, potrei, ecco, venire a farvi compagnia, sì, nella vostra stanza.”
  Non ci fu un solo attimo di esitazione nella mia voce.
  “Sarebbe per me un onore e un piacere e… vi consentirò di darmi del tu!”
Con una risatina, la ragazza si alzò in punta di piedi e, sorreggendosi a me, mi sfiorò, prima la guancia, e poi la bocca con le sua labbra.
  “A questa sera, mio Lord Cousland”
  Mai l’attesa per un pasto mi parve così lunga. Per ingannarla e tenere impegnata la mia mente, me n’ero andato nelle mie stanze a cercare qualcosa di consono per l’occasione. Dopo alcuni minuti di riflessione, scelsi un comodo farsetto di cuoio con dettagli e rifiniture ricamate con i colori della mia famiglia ed il fermaglio con il simbolo della nostra casata.
  Giunta finalmente l’ora, scesi al piano terra per recarmi in sala da pranzo. Naturalmente, a mio padre spettava il posto a capo tavola, con alla sua destra Lord Howe e alla sua sinistra mia madre. Vicino a lei sedeva Lady Landra, fronteggiata da Dairren, assieme a Iona. Io ero affiancato al giovane e di rimpetto alla ragazza. Seguivano Ser Gilmore, Duncan, e altri membri della corte.
  Rendon Howe e mio padre discussero tutta la cena di non so quali importanti argomenti politici che non mi riguardavano minimamente (i dettagli del mio matrimonio, probabilmente), mentre Dairren intratteneva Ser Gilmore con discorsi simili a quelli a cui mi aveva sottoposto nello studio, e Lady Landra spettegolava con mia madre. Io e Iona fingevamo di ascoltare un po’ tutte le conversazioni dei commensali, senza seguirne mai davvero una, preferendo concentrare la nostra attenzione nel lanciarci discrete occhiatine e celati sorrisi. Fu una piacevole serata che si concluse parecchio sul tardi. La prima a ritirarsi fu mia madre, seguita de Lady Landra e altri commensali. Quando anche Ser Gilmore e Dairren si alzarono da tavola, praticamente tutti li imitammo, solo mio padre decise di non andare ancora a dormire, proponendo a Lord Howe di proseguire nello studio.
 
1
 
  “Mio signore…” disse Iona raggiungendomi sul balcone.
  Non risposi immediatamente, concedendomi qualche ultimo secondo per contemplare le stelle. Avevo deciso che invece di stendermi subito sul mio letto, volevo respirare un po’ di fresca brezza notturna, ideale per schiarirsi un po’ le idee. Forse, dopo la pesantezza della giornata di oggi, mi ero meritato un momento con me stesso.
  “Iona, non si era detto che avreste potuto darmi del tu?”
  La ragazza mi sfiorò la mano con la punta delle dita affusolate e mi sorrise dolcemente.
  “Solo quando fossimo stati soli, Mio Signore…”
  Mi voltai e scrutai oltre la porta che riconduceva all’interno, nell’ala degli alloggi padronali, dove al momento buio e solitudine regnavano sovrani.
  “Ma, Iona” dissi cingendola improvvisamente e impetuosamente per i fianchi. “Noi siamo soli.”
  La baciai con entusiasmo, piegandomi in avanti. Lei rispose al bacio, passandomi le mani dietro la nuca e afferrandomi i capelli alla radice. Stringendoci abbracciati, la condussi verso la mia camera da letto.
 
2
 
  Non avrei saputo dire quanto mancasse all’alba, ma non mi importava: avrei potuto restare tutta la notte a guardarla dormire stretta al mio corpo. Il profilo appena abbozzato delle sue gambe sotto le coperte, la pressione dei suoi seni sul mio petto, il leggero respiro appena percettibile nel silenzio della camera da letto, i suoi capelli biondi distesi a cascata sul guanciale, le sue rosse labbra piene socchiuse che fremevano appena nel sonno; i miei occhi la guardavano attraverso l’oscurità alla quale ormai si erano abituati, passando rapiti da un dettaglio all’altro, per poi tornare a concentrarsi nuovamente sulla sua persona in generale. Le scostai una ciocca di capelli che le ricadeva sul viso e gliela sistemai dietro l’orecchio. Continuai a guardarla e mi sembrava che questo fosse l’apice del piacere umano, che non ci sarebbe stato un altro posto, né in cielo, né in terra, nel quale mi sarei voluto trovare. Ero felice. Poi il flusso dei miei pensieri venne interrotto da un mugolio ai piedi del letto: Dogmeat si era alzato sulle zampe drizzando le orecchie. Ci fu un rumore, ma non capii di cosa si trattasse. Era come se qualcosa di pesante fosse caduto a terra. Sentii Iona muoversi nel sonno, mentre il mio cane emise un gutturale ringhio dal profondo della propria gola. Qualcosa non andava, non mi servivano altri indizi per capirlo. Mi sciolsi dall’abbraccio della ragazza, la quale emise un suono lamentoso di protesta, senza però svegliarsi, e mi alzai dal letto. Nel buio rischiai di inciampare nei vestiti che ci eravamo tolti la sera prima e che avevamo lanciato ovunque per la stanza, ma raggiunsi il mio cane. Dogmeat era molto nervoso con il pelo ritto sul collo e i denti esposti.
  “Ehi, che succede, bello?” Dissi inginocchiandomi alla sua altezza. Poi ci furono altri rumori, tra i quali riconobbi… un grido? Seguirono uno schianto più violento e suoni indistinti.
  “Ma cosa…?” Iona si mise a sedere sul letto. La coperta le era scivolata via di dosso lasciando esposto il suo seno perfetto. Mi alzai in piedi e feci per dirle di non muoversi, quando la porta si spalancò di schianto e la mia vita cambiò per sempre.
 
 
CAPITOLO 2: Tu Quoque
 
  Accadde in un attimo. La luce del corridoio rese quasi cechi i miei occhi abituati all’oscurità, mentre sulla porta appariva Kyle il macellaio. “Mio Signore! Il castello è sotto atta…”
  Con uno spruzzo di sangue, la punta di una freccia che gli trapassava la gola recise a metà la frase, trasformandola in un confuso gorgoglio gutturale. Rimasi immobile, con la bocca spalancata; Dogmeat iniziò ad abbaiare furiosamente verso chiunque fosse all’esterno della stanza; qualcuno, probabilmente Iona, lanciò un grido terrorizzato. E io rimasi immobile. Tutto mi sembrava lentissimo, quasi mi trovassi in un sogno. Il soldato in maglia di ferro oltre l’uscio che incoccava un’altra freccia, il mio cane che latrava spaventato, Iona che urlava… tutto un sogno. Io rimasi immobile. Proprio mentre la freccia che mi avrebbe riportato alla realtà stava per essere scoccata, ci fu un altro grido, più profondo e decisamente più terrorizzato. L’uomo cadde atterra, mentre un grosso segugio mabari gli saltava addosso ringhiando e mordendo. Un attimo dopo la giugulare del nemico venne recisa e i suoi lamenti si interruppero con l’allargarsi sul pavimento di una grossa macchia scarlatta. Capii solo all’ora che Dogmeat mi aveva appena salvato la vita. Altri uomini, però, attendevano all’esterno. Senza esitazione Dogmeat ne caricò uno con un latrato di guerra, mentre contemporaneamente un altro soldato entrava in camera. Il nemico levò in alto la propria ascia da combattimento gridando. Io, terrorizzato, mi feci da parte appena in tempo per evitare il colpo, e finii riverso atterra. Sentii sotto il mio copro la presenza di vestiti appallottolati, indumenti maschili e femminili lanciati malamente a terra la sera prima e… qualcosa di più duro: sentivo l’impugnatura della mia spada premermi contro il costato. Rotolai di fianco, evitando un secondo colpo da parte del mio assalitore e trovando contemporaneamente una posizione più consona per recuperare la mia spada. Con un movimento rapido afferrai l’impugnatura, la estrassi dal fodero con un movimento fluido, che trasformai in un colpo alla base del ventre del mio nemico, lacerando cuoio, lana e carne. Con un urlo di dolore, questo cadde in ginocchio tenendosi lo squarcio slabbrato con entrambe le mani, mentre il suo sangue sgorgava a fiumi. Mi alzai in piedi e gli assestai un colpo di grazia alla base del collo. Fu in quel momento che mi accorsi di essere completamente nudo e coperto di sangue. Per quanto ciò mi facesse sentire debole e vulnerabile come mai in vita mia, non avevo scelta: dovevo combattere anche in questo stato. Mi lanciai fuori dalla porta, e vidi che Dogmeat era riuscito a sbranare un secondo aggressore, ma un terzo armato di lancia lo stava tenendo alla distanza.
  “Cane di merda!” Gridava, mentre lo pungolava con la lancia e il segugio rispondeva con righi intrisi di sangue.
  “Figlio di puttana!” Urlai e mi lanciai verso di lui. Prendendolo alle spalle, l’uomo non avrebbe avuto alcuna chance di battermi, eppure egli si dimostrò più rapido del previsto. Schivò all’ultimo momento il mio fendente, scartando verso sinistra, e evitò anche l’immediato contrattacco del cane schermandosi con lo scudo. Fatto ciò, si mosse all’indietro, in modo da avere la parete alle spalle a impedirci di aggirarlo. In questo modo era più facile per lui tenerci bloccati, dal momento che né io, né tantomeno Dogmeat, possedevamo armature, mentre lui aveva il vantaggio di un’arma dalla portata piuttosto lunga. Dovetti rischiare: mi lanciai in avanti. Lui provò ad infilzarmi con la lancia, ma fui lesto a deviare il suo affondo, assestando all’asta un fragoroso colpo di spada. Non potei, però, superare la difesa del suo scudo, che egli usò per respingermi e gettarmi a terra. Tuttavia, ciò diede a Dogmeat l’opportunità di superare le difese dell’uomo, colpendolo al fianco che era stato costretto a scoprire per un attimo. Una volta caduto atterra, all’uomo non restava altro destino se non quello di essere sbranato. Mentre osservavo il mio cane banchettare con la giugulare dell’avversario sconfitto, sentii Iona gridare. Mi volti verso la porta di camera mia con l’orrore dipinto sul volto. Rapido, accorsi alla mia stanza, dove trovai un uomo con le braghe mezze calate che teneva la ragazza stretta contro il muro. Con una mano cercava in vano di tenerle chiusa la bocca, mentre con l’altra le tastava spasmodicamente il bel corpo nudo. Vidi le sue viscide dita che le percorrevano ogni centimetro di pelle, che le stringevano con folle brama ora il seno, ora la natica, ora la coscia, mentre la sua virilità eretta si strusciava contro l’intimità di lei. Le labbra e la lingua lasciavano umidi aloni di saliva ovunque le si premessero contro o leccassero, passando dalla guancia al capezzolo, al collo e al ventre in una frenetica estasi di lussuria, mentre il porco continuava a grugnire di piacere.  Imbracciai la mia spada lunga con entrambe le mani e corsi verso lo stupratore, gridando di cieco furore. “Lasciala!!!”
  Sollevai la mia lama sopra la mia testa e la feci calare sul nemico con tutta la forza che avevo nelle braccia prima ancora che questo potesse rendersi conto di cosa stesse accadendo. Gli aprii uno squarcio in diagonale dalla spalla sinistra fino al fianco destro, in una purpurea pioggia di sangue. Osservando quell’uomo morire, mi diedi dello stupido: non l’avevo notato entrare. Un errore del genere avrebbe potuto davvero costarmi la vita!
  “Iona, oh per il Creatore! Stai bene? È riuscito… lui ti ha… ti ha…?”
La ragazza scoppiò a piangere e, in lacrime, mi abbracciò. La strinsi con forza.
  “Coraggio” le dissi. “Non possiamo cedere. Dobbiamo fare qualcosa.”
Se volevamo sopravvivere non potevamo permetterci esitazioni, dovevamo combattere. Le dissi di indossare qualcosa velocemente, mentre io cercavo nella mia stanza i pantaloni di cuoio e gli stivali. Proprio mentre li stavo indossando, udii la porta che conduceva agli alloggi padronali spalancarsi. Allarmato, afferrai la spada e corsi fuori  a controllare. Vidi mia madre e tirai un sospiro di sollievo. Era vestita di cuoio borchiato e imbracciava un arco, mentre i lunghi capelli grigi le ricadevano sulle spalle, ora liberi da qualsiasi abbellimento e acconciatura.
  “Velor! O, Creatore! Stai bene, vero? Non sei ferito?” Disse correndomi incontro.
Annuii gravemente, mentre Iona mi si affiancava ancora scossa dalle lacrime.
  “Madre, tu sei ferita? Sei in grado di combattere? Dov’è papà?” Chiesi poi con veemenza.
  “Sto bene” rispose lei. “Ma non so dove sia tuo padre, non è venuto a letto ieri notte!” Una lacrima le rigò il volto. “Temo che possa essergli accaduto qualcosa.”
  Mi sentii mancare. Mio padre. Dov’era mio padre? Cosa stava accadendo là fuori? Chi ci stava attaccando?
  “L’ultima volta che l’ho visto si stava recando nello studio con Lord Howe, forse saranno ancora assieme”
  Mia madre sbiancò a quelle parole.
  “Hai visto i simboli sugli scudi di quegli uomini?” Disse indicandomi il cadavere del lancere. “Sono uomini di Howe!”
Con sgomento, mi voltai verso il mio nemico ucciso e osservai lo scudo, al cui simbolo non avevo prestato molta attenzione: era un orso, emblema di casa Howe. Ma perché farci questo? Perché? Poi compresi.
  “Ci attacca mentre il grosso delle nostre forze è lontano…” non ci fu alcun bisogno che completassi la frase.
  “Stai dicendo che i suoi uomini erano in ritardo… di proposito…? Quel bastardo traditore! Gli taglierò la gola personalmente! Vuole sfruttare il caos che la guerra ha generato per eliminare la nostra famiglia e…” si interruppe, quasi un fulmine l’avesse folgorata. “Oren! Oriana! Dobbiamo controllare come stanno!”
  Sentii la bocca dello stomaco che mi si chiudeva. Se quello che pensavamo era vero, allora ad Howe non servivano ostaggi. Gli serviva soltanto che morissimo tutti.
  Mi voltai all’improvviso e corsi lungo il corridoio, verso le stanze di mio fratello. Mentre mi avvicinavo e sentivo il mio cuore battere sempre più forte, notai da lontano la porta sfondata e capii in un attimo che era tutto perduto. Mi bloccai sulla soglia e ciò che vidi fu ben peggio di ciò che mi sarei potuto aspettare di vedere. Oriana giaceva riversa al suolo, nuda, con la gola tagliata da orecchio a orecchio e il volto grazioso deturpato e sfigurato. Qualcuno aveva scritto sul muro la parola “troia” con il suo stesso sangue. Crollai in ginocchio a osservare quella scena, impotente. Sentii gli occhi inumidirsi, ma fu solo quando alzai lo sguardo al cielo che le lacrime ebbero la meglio su di me: dal soffitto dell’ampia sala da letto pendeva il freddo corpicino di mio nipote, impiccato ad una trave con le lenzuola. Era bianco come una statua di cera, tranne che per il volto, quasi nero, i capelli rossicci erano incrostati di sangue, e mani e piedi penzolavano inerti e freddi, quasi fossero stati solo cuciti al busto. Sembrava un pupazzo.
  Il mio fu un pianto silenzioso, di calde lacrime. Volevo urlare, ma non ci riuscivo. La gola era completamente occlusa. Difficile dire cosa stessi provando, dal momento che si trattava di un’emozione del tutto nuova che comprendeva a sua volta molteplici emozioni: rabbia, tristezza, disperazione, odio, sconforto, abbandono… Tutte queste e altre ancora.
  Mi sentii scuotere la spalla. Alzai lo sguardo e vidi mia madre. Dalla sua espressione, dalle sue lacrime, capii che provava quello che provavo io.
  “Velor, dobbiamo cercare tuo padre” mi disse con voce rotta dal pianto.
  Ma a me non importava più niente. Che mi uccidessero, se era quello che volevano. Che venissero pure, che si prendessero la mia testa, se tanto la desideravano!
  “Non mollare, figliolo. Tu devi vivere.”
  Era lei quella forte. Me ne resi conto in un attimo. Tutte quelle volte in cui io e Fergus ci eravamo divertiti a prenderla in giro per l’età e per il temperamento bacchettone… e alla fine era lei ad essere quella forte. Dietro le nostre spacconerie, i nostri sorrisi beffardi e le nostre stupide battute, non eravamo altro che bambini. Bambini che giocavano a fare i grandi.
  Mi alzai in piedi. Non so dove trovai la forza, ma lo feci. E poi sentii l’odio prendere il sopravvento. Bene, mi dissi: la rabbia è meglio della disperazione. Mi feci forza, spalancai l’armadio di mio fratello e ne trassi fuori una cotta di maglia ed una giubba di cuoio. Le indossai in fretta e furia e mi preparai a combattere: una battaglia infuriava all’esterno.
 
1
 
Spalancate le porte del mastio centrale, il freddo notturno ci accolse in tutta la sua pungente severità. Alzai lo sguardo alle stelle, le stesse stelle che erano state testimoni del mio bacio con Iona, le stesse stelle che avevo benedetto solo poche ore prima come gli araldi della notte più magica che avessi vissuto, e che ora maledivo per avermi portato via Oren e Oriana e chissà quanti altri ancora.
  “Sentite questi rumori?” Chiese Iona intimorita, riferendosi al clangore di spade che proveniva da ogni direzione attorno a noi. “La battaglia deve essere ovunque.”
  La cancellata principale del nostro castello era situata nel cortile, che a sua volta dava sulla Sala Grande. Questa era assai difendibile ed era probabile che il grosso dei difensori, per quanto colto alla sprovvista, si fosse raccolto lì. La sala era anche il punto da cui si snodavano i sentieri acciottolati che conducevano alle varie alee del castello, tra cui il poderoso mastio centrale, dove ci trovavamo noi. Era di vitale importanza, dunque, che questa fosse protetta, altrimenti i nemici si sarebbero sparsi a centinaia e centinaia ovunque nella fortezza, rendendo futile ogni tentativo di fuga. Probabilmente, però, alcuni sparuti gruppi di nemici dovevano già essere riusciti a oltrepassare le mura o aggirare le difese: non c’erano sentinelle sufficienti a pattugliare strade e camminamenti. Tanto sarebbe bastato per portare il caos nel castello, per razziarlo ed eliminare ogni opposizione dall’interno.
  “Dobbiamo sbrigarci e raggiungere lo studio…” disse mia madre, incamminandosi lungo il sentiero che ci avrebbe condotto alla Sala Grande. Fatti pochi passi, però, da dietro l’angolo un drappello di guardie in fuga ci venne in contro. Erano inseguiti da un nutrito manipolo di soldati di Howe.
  “Mio Signore!” Disse uno dei nostri notandoci mentre correva. “Dobbiamo scappare!”
Estrassi la spada.
  “Non siate codardi! Combattete per proteggere il vostro castello!”
Probabilmente vedere un Cousland ancora in piedi e determinato, diede agli uomini il coraggio di voltarsi e combattere. Anche se non molto convinti, infatti, essi cessarono di fuggire e si prepararono allo scontro. Impattarono con una quindicina di armigeri nemici, superiori a noi di numero, ma gestibili se fossimo riusciti a giocarci bene le nostre carte.
  “Se qualcosa va storto” dissi rivolto a Iona. “Tu scappa nel castello e nasconditi. Con un po’ di fortuna domani non noteranno una giovane elfa che cammina a testa bassa tra le sale.”
  La ragazza mi rispose con uno spaventato cenno del capo. Me lo feci bastare e, gridando, mi gettai nella mischia. Avevo la fama di essere uno dei migliori spadaccini del nord: era il momento di metterla alla prova. Con Dogmeat che correva al mio fianco e mia madre che mi copriva le spalle bersagliando gli avversari di frecce, lanciai il mio grido di battaglia: “Altura Perenne!”. Mi si fece in contro il primo avversario. Era un uomo alto e robusto che brandiva un’ascia da guerra e uno scudo con l’insegna degli Howe. Con un ringhio, egli vibrò un micidiale colpo con la sua arma, che, però, fui in grado di schivare, mentre il mio cane saltava a mordergli il braccio. Gridando, l’uomo lasciò cadere l’ascia e crollò in ginocchio, permettendomi di sferrargli un colpo fatale alla nuca con la mia lama. Si riversò al suolo privo di vita. Subito, però, un altro uomo mi fu addosso, con la propria spada. Le nostre lame cozzarono a mezz’aria, tra scintille e stridii, per più volte. L’uomo non aveva alcuna tecnica e brandiva il suo acciaio come se si trattasse di un martello o di una mazza. Parai i suoi colpi con facilità, poi, dopo l’ennesimo incrocio di lame, assecondai la sua forza spostandomi lateralmente e scaricando la potenza del suo colpo a terra, e sinuosamente la mia spada scattò verso l’alto, incontrastata, colpendo violentemente sotto l’ascella, in un’esplosione di sangue e anelli di maglia. Il nemico indietreggiò con un urlo, lasciando la sua arma. Io mi lanciai in avanti, esibendomi un affondo in pieno petto. La punta della mia spada penetrò senza difficoltà la maglia dell’armatura, sfondando lo sterno e sbucando dall’altra parte. Anche questo avversario cadde al suolo morto.
  Prima che altri due mi si potessero affiancare, mia madre ne uccise uno con un colpo di precisione del suo arco e Dogmeat ammazzò il secondo con balzo leonino. Gli uomini di Howe avevano cominciato a perdere il loro vantaggio numerico e in poco tempo vennero sopraffatti. Con i superstiti del gruppo di soldati, ci dirigemmo poi verso la Sala Grande, mentre sentivo in me rinascere la determinazione. Tenni vicino a me Iona, in modo da proteggerla meglio e da evitare di perderla di vista. Giunti all’ingresso laterale, trovammo la porta sbarrata. Bussai con forza.
  “Aprite! Sono Velor Cousland! Con me c’è anche mia madre.”
Sentii qualcuno armeggiare con la sbarra in legno massiccio e subito dopo la porta venne aperta. La scena non era delle più rosee. Solo un terzo dei soldati rimasti a Castel Cousland erano radunati lì. Anche con l’intero contingente militare, la vittoria non sarebbe stata facile, ma in queste condizioni sperare in essa era quasi folle. Osservai per un attimo i circa trenta soldati intenti a fortificare le difese del portone principale, il quale era scosso pericolosamente a intervalli regolari da un ariete.
  “Velor!” Udii qualcuno chiamarmi. Mi voltai e vidi Ser Gilmore avvicinarsi a me, pallido in volto e dall’aria stanca. “Velor, sei vivo! Oh, Creatore, ti ringrazio! Temevo che gli uomini di Howe fossero già riusciti a passare.”
  “In effetti ci sono riusciti! I suoi sgherri sono ovunque nel castello che razziano, stuprano e uccidono chiunque incontrano!”
  “Io… io ho provato…”
  “Ser Gilmore” intervenne mia madre. “Dobbiamo trovare Bryce Cousland.”
  “Non lo avete incontrato, Mia Signora?” Rispose con aria un po’ confusa. “L’ho incrociato non molto tempo fa, subito dopo l’inizio dell’attacco. Sembrava ferito, anche se non gravemente. Mi ha ordinato di radunare qui le nostre forze e mi ha detto che vi avrebbe cercato alle cucine. Sosteneva che voi conosceste un… passaggio segreto? È possibile, Mia Signora?”  Mia madre annuii. “Allora dovete andare da lui!” Aggiunse con tono concitato. “Non reggeremo a lungo, ma dovete trarre in salvo il Teyrn.”
  “Ma questo significa…” dissi io “significa… che tu… tu…”
  “Significa che combatterò fino all’ultimo respiro per darvi un po’ di vantaggio.”
I colpi dell’ariete si fecero più intensi e il rumore sordo di un esplosione in lontananza fece tremare le pareti: stavano usando le catapulte contro le nostre mura.
  “No, non puoi. Vieni con me”
Ser Gilmore scosse il capo con espressione cupa.
  “Velor sei stato un grande amico per me e io sono contento di morire per l’uomo che… che più ho sentito come mio padre in questi anni.” Rispose appoggiandomi una mano sulla spalla.
  Lo guardai per alcuni secondi, cercando di immaginarmi come sarebbe potuta essere la mia vita senza di lui. Avevamo passato assieme così tanti momenti, vissuto così tante esperienze che… un mondo senza di lui sembrava privo di senso, come un libro le cui pagine sono tutte bianche. Non seppi cosa rispondere. Fortunatamente, fu lui a trovare la cosa giusta da fare, abbracciandomi.
  “Addio, amico mio…”
Il portone vibrò sonoramente, minacciando di aprirsi per davvero questa volta, ma resse ancora quel colpo.
  “Ora vai. Subito!”
  L’entrata in legno massiccio venne spalancata con un fragore di tuono e gli uomini di Lord Howe si riversarono all’interno con la violenza di un fiume in piena. Prima dieci, poi venti, cento, centoventi: già nei primi secondi di battaglia i nemici superavano i difensori di quattro a uno e la situazione sarebbe presto peggiorata. Osservai in silenzio quei brevi primi attimi di scontro senza poter fare niente. Vidi Ser Gilmore imbracciare la propria spada e partire alla carica. Abbatté un nemico, poi un altro, poi un altro ancora, solo per finire circondato da quattro avversari. Parò un colpo, ne schivò un altro, si lanciò in avanti con un affondo, eliminando uno degli uomini di Howe, ma alla fine la lancia di un nemico gli perforò il polpaccio e lui si ritrovò in ginocchio. Parò debolmente un fendente che gli arrivava dall’alto, ma senza nessuna convinzione e la spada gli sfuggì placidamente dalle mani. Abbassò lo sguardo, i lunghi capelli rossicci, madidi di sudore, che gli si appiccicavano in faccia, mentre la morte incombeva su di lui. Uno dei suoi nemici impugnò comodamente la lancia con due mani e, con tutta calma, gliela piantò nel petto, senza che lui opponesse più alcuna resistenza. L’asta penetrò nella carne per svariate spanne. Il ragazzo emise un breve grugnito soffocato, mentre le labbra gli si tingevano di rosso. Alzò lo sguardo sul suo carnefice: disprezzo. Il nemico estrasse con uno strattone la picca, accompagnando il gesto con un notevole spruzzo vermiglio. Osservai il mio migliore amico riversarsi inerte sul suo fianco sinistro mentre il suo bel farsetto decorato si inscuriva sempre più di sangue e il mabari ricamato sopra di esso veniva lentamente cancellato dal denso liquido scuro.
  Dopo di che la battaglia fu ovunque. I nemici ci circondavano completamente e, ovunque mi girassi il caos regnava sovrano. Non c’erano due linee di combattenti, ma una bolgia unica che infestava tutta la sala. Mi guardai attorno preoccupato. Afferrai Iona e mia madre per mano e iniziai a correre verso l’altra porta di uscita laterale. Mi feci largo a spintoni tra gli uomini immersi nel pieno del combattimento, evitando il più possibile di scontrarli, ma nella confusione generale era praticamente impossibile muoversi senza inciampare in un soldato morente, in due cavalieri che duellavano all’arma bianca o in piccoli gruppi di combattenti intenti a dare il tutto per tutto. Ad un certo punto un uomo mi si parò davanti per impedirmi la fuga, costringendomi a lasciare mia madre; la mano destra, ora libera, corse all’impugnatura della spada e la estrasse appena in tempo per intercettare un colpo che altrimenti mi avrebbe certamente ucciso. Fu uno dei miei uomini, passante di lì, però, ad ucciderlo, infilzandolo alle spalle. Feci per riprendere la corsa, quando mi resi conto che la mano sinistra era vuota: Iona non c’era più. Non capii. Ero incredulo. Com’era possibile? Rimasi fermo a fissarmi il palmo vuoto, quasi potessi trovarvi la risposta al problema, ma per quanto intensamente lo guardassi nulla cambiava i fatti. Avevo perso Iona.
  “Velor!” Mi madre mi scosse per le spalle. “Dannazione, Velor! Dobbiamo muoverci!”
  Mi guardai attorno freneticamente. Cercavo Iona, ma ovunque il mio sguardo si posasse, vedevo solo morte, e, se non volevo che questa prendesse anche noi, capii che dovevo andarmene di lì. A testa bassa, mi gettai verso la porta, Dogmeat, spaventato e furioso, mi precedeva di pochi passi, aprendoci la strada. Giunto alla porta, mi ci gettai contro con tutto il peso del mio corpo e la aprii con un boato. Senza rallentare, continuai la mia corsa attraverso la brina del primissimo mattino senza voltarmi indietro. Quando mi fermai senza più fiato, mi accorsi che non mi veniva da piangere, no, mi sentivo semplicemente vuoto dentro. Non proposi neppure a mia madre di tornare indietro per cercare Iona, ormai la ragazza era già morta. Mi accasciai contro il muro di cinta, sferrando un pugno contro il granito. Poi un altro e un altro ancora.
  “Ora basta!” Mi ammonì mia madre “Comportati da uomo! Dobbiamo trovare tuo padre!”
  Impotente: ecco la parola che meglio mi avrebbe potuto descrivere in quel momento. Incapace di costruirmi il mio destino, vittima e preda degli eventi, insignificante pedina ribelle in una scacchiera troppo grande per me. Tutti termini piuttosto azzeccati.
  “Senti…” mi disse lei tirandomi via e iniziando ad avviarsi di buon passo verso le cucine “Il castello cadrà. Ora, tu puoi startene lì appoggiato a piangere su una situazione che non puoi cambiare, oppure puoi lottare per chi ancora può essere salvato. La decisione spetta a te, ma scegli in fretta.”
  Sapevo ciò che volevo, e non era né la lotta, né la rivalsa: era la vendetta. Volevo la testa di Arle Howe su una picca e volevo essere io a spiccargliela dal collo. Volevo guardarlo negli occhi mentre moriva, volevo che lasciasse questo mondo con la consapevolezza che tutto ciò che di caro aveva avuto ora era andato di strutto. Volevo questo e molto altro. Ma per ottenerlo dovevo andarmene.
  “Molto bene…” risposi quasi ringhiando.
 
2
 
  “Qui vicino c’è la tesoreria” disse mia madre interrompendo per un attimo la sua corsa. “Dobbiamo trovarla e impedire ad Arle Howe di mettere le mani sulla spada di famiglia! Non può cadere nelle sue mani, appartiene ai Cousland da generazioni, ormai!”
  Ogni famiglia davvero importante aveva un cimelio o una spada da tramandare di generazione in generazione, passando dal capofamiglia all’erede. Noi avevamo Vendetta Grigia, la leggendaria spada in acciaio bianco, forgiata durante l’era oscura per fronteggiare le orde di mannari. Era nostra, non avrei dato a quel bastardo il piacere di posare il suo ossuto culo raggrinzito sullo scranno di mio padre con la nostra spada al fianco. No, non glielo avrei permesso!
  Svoltammo l’angolo e trovammo la porta blindata. Mia madre inserì la sua chiave nella toppa e ci ritrovammo nell’anticamera. Questa era vuota: probabilmente le guardie erano accorse alla Sala Grande tempo prima. Una grossa porta d’acciaio era l’unica cosa che ci separava dal tesoro della famiglia. La aprimmo e davanti a noi vedemmo una piccola sala absidata, con alcuni bauli lungo le pareti e vari manichini, che esponevano alcune delle più famose armature che antichi membri della nostra famiglia avevano indossato in grandi battaglia passate. Sul fondo, in una sorta di abside, appeso al muro c’era un grosso scudo a mandorla finemente decorato con il simbolo di Altura Perenne, e una magnifica spada lunga. Mi avvicinai per osservarla meglio. L’elsa presentava decorazioni sobrie ma eleganti, con il giusto equilibrio tra solido acciaio e oro brillante, mentre il pomo rappresentava al simbolo della nostra casata con la testa di un mannaro decapitato tra i due rami di ulivo. La sganciai dalla parete e la estrassi dal fodero. Era semplicemente eccezionale, di puro acciaio bianco, perfettamente bilanciata, leggera, ma possente: praticamente un’estensione del braccio.
  “Superba…” sussurrai.
  “Legatela alla cintura e dammi la tua, potrebbe farmi comodo più avanti.”
  Obbedii, ma non potei fare a meno di sentirmi un po’ un ladro nell’assicurarmela in vita. Quella era una lama da Teyrn e io fino ad ora non me ne ero dimostrato molto degno. Avevo passato metà del tempo a disperarmi, ero fuggito dalla battaglia, avevo abbandonato il mio migliore amico e avevo perso Iona. Bel cavaliere che ero! Ma non c’era tempo per questo. Dovevamo trovare mio padre e fuggire da qui. Poi Rendon Howe avrebbe pagato per quello che ci aveva fatto. Tirai giù anche lo scudo dal suo supporto e poi lo imbracciai: tanto valeva essere un ladro fino in fondo a questo punto.
 
3
 
Ci precipitammo tutti e tre all’interno della stanza e chiudemmo la porta dietro di noi.
  “Per ora dovremmo averli seminati…” disse mie madre con la voce rotta dalla fatica. Eravamo riusciti a raggiungere la cucina, finalmente, ma non prima di essere sfuggiti ad un branco di soldati Howe che ci avevano seguito per tutta quell’ala del cortile.
  “Coraggio, madre. Ci siamo quasi” commentai io. “Dove dobbiamo andare?”
  “Per di qua, il passaggio segreto dovrebbe essere nella dispensa.”
Attraversammo di corsa la cucina, buia, tetra e silenziosa. Era strano pensare che fino a ieri pomeriggio lì ci lavorava la vecchia Nan e che mia madre mi ci aveva spedito a recuperare Dogmeat. Quello però sembrava davvero un tempo lontano… una vita lontana.
  Trovammo la porta della dispensa aperta e, oltre quella, seduto debolmente con la schiena appoggiata contro la parete, mio padre. Era pallido, il volto trasformato in una maschera di dolore e le vesti imbrattate di sangue. Teneva le mani premute contro il fianco, dove qualcuno gli aveva inferto un brutta ferita.
  “Padre!” Gridai precipitandomi verso di lui.
  Com’era potuto accadere? Ser Gilmore mi aveva detto che non era ferito gravemente! Poi notai una seconda ferita, decisamente più lieve, alla spalla e capii quel che doveva essere successo.
  “Eccovi qui…” rispose in un sussurro. “Vi stavo cercando, ma mi hanno trovato prima gli uomini di Arle Howe. Quel… bastardo.”
  “Zitto, non parlare” lo interruppe mia madre. “Dobbiamo portarti via di qui e trovare una magia curativa. Resisti.”
  Gli prese le mani nelle sue e strinse con forza, ma Bryce non fu in grado di ricambiare.
  “Non… sopravvivrei allo sforzo. Dovete andare… voi. Anche potessi… muovermi… vi sarei solo… d’intralcio.”
  “Non dire sciocchezze, papà! Ci salveremo tutti.”
  “Temo che Teyrn Cousland abbia ragione” affermò una voce calma alle nostre spalle. Voltandoci vedemmo entrare Duncan, con la spada in mano e coperto di sangue dalla testa ai piedi. “Gli uomini di Howe sono ovunque, la Sala Grande sta per cedere e le mura sono circondate. Non hanno ancora trovato questo passaggio, ma lo faranno presto.”
  Duncan raggiunse il nostro capezzale e si chinò su mio padre. L’espressione che fece quando poté osservare meglio la sua ferita confermò quello che temevo: era oltre ogni possibile guarigione magica.
“Voi… voi siete un Custode Grigio. Non avete obblighi nei miei confronti, ma… Ah! Vi prego, anzi, vi imploro: portate in salvo la mia famiglia”
  L’uomo abbassò un attimo lo sguardo e sospirò, quasi si stesse facendo coraggio per fare qualcosa di alquanto sgradevole.
  “Temo” disse infine. “Di dovervi chiedere qualcosa in cambio, Mio Signore.”
  “Qualunque cosa.” Rispose subito mio padre senza la minima esitazione.
  Sentii crescere dentro di me un senso di rabbia. Che genere di opportunista pretende qualcosa da un padre morente il cui unico desiderio è salvare la propria famiglia? Quell’uomo era un Custode, avrebbe dovuto essere un eroe!
  “Sono venuto qui alla ricerca di reclute per fronteggiare i prole oscura. La minaccia di un Flagello impone che non me ne vada via senza. Voglio il permesso di reclutare vostro figlio.”
  “Accordato. Basta che li salvi…”
  Ero sul punto di protestare, dire che non ero d’accordo, che i suoi dannati Custodi Grigi potevano anche andarsene a fare in culo, se per reclutarmi aveva dovuto ricattare un uomo morente, ma prima che potessi farlo, fu mia madre a parlare:
  “Io resterò con te.”
  “Amore, non dire… assurdità!”
  “Taci…” rispose baciandolo lievemente sulle labbra. “Ucciderò ogni bastardo che oserà varcare quella soglia. Ti difenderò fino a quando avrò vita.”
  A bocca aperta mi chiesi se fossero diventati tutti matti.
  “Madre, no! Non lascerò che ti sacrifichi, è una follia!”
  Lei sorrise. E fu un sorriso dolce, un sorriso da mamma. Mi sfiorò la guancia con la propria mano e, con la voce che usava per spiegarmi le cose più semplici che non capivo quando ero piccolo, mi disse:
  “Il mio posto è accanto a tuo padre. Tu devi vivere.”
  “E vendicarmi…” aggiunsi quasi senza accorgermene.
  “Sì” disse mio padre “vendicarci. Vendicarci tutti…”
Sentimmo un rumore e capimmo che qualcuno stava cercando di sfondare la porta della cucina. Duncan si guardò attorno allarmato ed intervenne:
  “Non abbiamo più tempo, dobbiamo andare.”
  Annuii debolmente, restando però ancora in ginocchio mentre il Custode Grigio si alzava in piedi.
  “Addio…” Bisbigliai, mentre Duncan mi rimetteva in piedi tirandomi per la spalla. Rivolsi un ultimo sguardo incerto ai miei genitori e poi, finalmente, voltai le spalle a quella che era stata la mia vecchia vita per così tanto tempo, sapendo che non avrei più rivisto nessuno di loro.
 
 

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Capitolo 2
*** Castra Ponere ***


CAPITOLO 3: Castra Ponere
 
Non ricordo molto bene cosa accadde in quelle poche ore successive. Io, Duncan e Dogmeat strisciammo nel tunnel e ci ritrovammo oltre i confini delle mura di cinta, ma gli uomini di Howe erano ovunque e in grandi forze. In qualche modo riuscimmo ad aggirare le loro linee e a recuperare dei cavalli; dopo di ché cavalcammo fino all’alba per poi cavalcare ancora, concentrati solo sul mettere quante più leghe possibili tra noi e i soldati di Amaranthine.
  Quando finalmente ci fermammo, le stelle già sorridevano al mondo dalla loro volta celeste e noi potemmo finalmente riposare le membra stanche. Con un grugnito mi sedetti davanti al fuoco, mentre Duncan preparava rapidamente qualcosa da mangiare. Ma né i polpacci e le cosce indurite, né i crampi allo stomaco, né il sonno che pesava sulle mie palpebre contavano molto per me in quel momento. Io in testa avevo la vendetta e nient’altro. Quella era stata la mia ultima promessa ad un uomo morente, e intendevo mantenerla. Ad ogni costo.
  “Stai bene…?” Chiese Duncan allungandomi una scodella fumante di spezzatino.
  Non parlai, limitandomi ad un vago grugnito di assenso come risposta, afferrando la ciotola e immergendovi dentro un cucchiaio di legno. L’uomo mi si avvicinò e mi si sedette accanto.
  “So che in questo momento ti senti perso, ma…” cominciò lui con tono calmo.
  “Già, chissà come mai mi sento perso…” lo interruppi con un sguardo acido. “Sarà che nel giro di una notte tutta la mia vita è stata stravolta, magari. Forse perché ho perso entrambi i genitori per colpa di un uomo che aveva giurato di essere amico e alleato della nostra famiglia per la vita. Non lo so, vedi tu…”
  Duncan sospirò abbassando lo sguardo. Probabilmente non si era aspettato niente di meno cinico, ma ne fu comunque rattristato.
  “Bene, allora. Ti lascio ai tuoi pensieri.”
  Consumai la mia cena rapidamente, dividendola con Dogmeat, senza aggiungere un’altra parola. Quando ebbi terminato, mi distesi e chiusi gli occhi cercando di dormire, mentre il mio segugio si acciambellava ai piedi del mio giaciglio.
  Non so perché in quel momento ce l’avessi tanto con Duncan. Raccontavo a me stesso che era per la storia della promessa estorta a mio padre in punto di morte, ma nel profondo intuivo che non era questo il reale motivo. Era un Custode, e loro devono fare tutto ciò che è necessario per fermare un Flagello. E poi sapevo che non si poteva parlare di un vero e proprio ricatto, ero sicuro che non ci avrebbe lasciati lì a morire anche in caso di un rifiuto… Quindi immagino volessi solamente scaricare la mia rabbia su qualcuno.
  Finalmente mi addormentai, piombando in un sonno agitato. Ebbi molti sogni, eppure, in un certo senso, erano tutti lo stesso incubo. In uno vidi i miei genitori morire, in un altro Iona venire stuprata e sgozzata, oppure Oren e Oriana venire brutalmente e barbaramente massacrati senza la minima pietà, ma in tutte queste occasioni io assistevo alla scena impotente, completamente immobile. Alla fine, guardandomi le mani le vedevo sporche di sangue. Quella notte sognai la mia colpa.
  Quando mi svegliai, di cattivo umore e con la mente annebbiata e confusa, il Custode era già in piedi. Aveva spento il focolare e stava preparando i cavalli per la partenza.
  “Avrai fame…” disse sentendomi alzare. Non percepii emozioni particolari nella sua voce, niente rabbia, niente imbarazzo, quasi come se la sera precedente non gli avessi risposto così male.  “Ti ho lasciato un po’ dello spezzatino di ieri.”
  Mangiai in silenzio e rapidamente, conscio che lo sforzo che mi attendeva era troppo per sopportarlo a pancia vuota. Quando ebbi terminato, ripartimmo.
   Fu un’altra lunga giornata di viaggio. Avevamo rallentato il passo, sicuri di essere abbastanza distanti da essere ormai fuori pericolo, ma ci ritrovammo costretti ad evitare le vie principali, allungandoci notevolmente la strada. Duncan provò ad intavolare qualche conversazione, a cercare di entrare in contatto, ma le mie risposte erano sempre fredde e distaccate, spesso evasive, recidendo ogni germoglio di discorso alla radice. Alla fine, l’uomo rinunciò a ogni tentativo di entrare in confidenza, limitandosi a rompere il silenzio tra noi solo per comunicazioni di servizio. Per quanto mi riguarda, invece, approfittai delle molte ore di cammino che mi attendevano per meditare. Nella mia testa iniziarono a formarsi piani per vendicarmi. Prima cercavo di capire quali dei nostri vassalli ci sarebbe rimasto leale, poi iniziai a chiedermi se magari, degli altri signori feudali che avrei trovato ad Ostagar, qualcuno sarebbe stato disposto ad aiutarmi, ed, infine, mi limitai semplicemente ad immaginarmi la morte di Lord Howe. Lo vedevo spirare in molti modi diversi, sempre più cruenti, ma in tutte le versioni ero io a dargli il colpo di grazia, e al mio fianco c’era mio fratello. Sapevo che erano solo fantasie, ma, Custode Grigio o no, non volevo rinunciare alla mia vendetta
  Finalmente ci accampammo nuovamente e allestimmo il campo. Avevamo trovato un posticino riparato, poco lontano da un villaggio, perfetto per effettuare alcuni acquisti senza dare troppo nell’occhio: era lì che avevamo comprato la cena di quella sera. Così, mentre ero intento a girare un trancio di carne sullo spiedo, notai Duncan che mi fissava, seduto su un ceppo d’albero di fronte a me.
  “Che c’è?” Chiesi con un po’ più di freddezza di quella che avrei voluto usare.
  “Devi superarla” rispose con tono solenne. Notando, poi, il mio sguardo interrogativo, aggiunse: “La tua vendetta. Devi superarla. Il Flagello è più importante.”
  Gli scoccai uno sguardo irritato. Ma cos’era a darmi fastidio veramente? Che mi stesse rimproverando, o che avesse capito perfettamente quello che stavo meditando?
  “Arle Howe deve morire” dissi io, come se si trattasse di una legge della natura che non era possibile aggirare.
  “E morirà. Ne parleremo con il Re” rispose lui pacatamente. Scossi il capo.
  “No… devo esserci quando accadrà. L’ho giurato a mio padre.”
  “Sei un Custode…”
  Eccolo il bando della matassa! Ero un Custode. In quanto tale non potevo permettere alla mia vita precedente di annebbiare il mio giudizio e di distrarmi dal mio dovere.
  “Non mi pare di avere avuto molta voce in capitolo, o sbaglio?”
Duncan rimase in silenzio per un po’, grattandosi la barba. Poi, con un sospiro, sollevò lo sguardo su di me, uno sguardo paterno, carico di comprensione. Mi mandò in bestia.
  “Velor, so come devi sent…”
  “NON…!” scattai io improvvisamente, alzandomi in piedi e stringendo i pugni. In quel momento, Dogmeat, che se ne era rimasto accucciato in disparte ai margini del campo, sollevò curioso la testa con un piccolo guaito. Cercando di controllarmi, ripresi: “Non… non osare dire che sai quello che provo! Non provarci nemmeno!”
  Sapevo di sbagliarmi, sapevo che lui mi capiva, lo percepivo dallo sguardo, dal modo in cui mi guardava.  Capiva anche troppo ciò che stavo passando. Era un uomo che stava solo cercando di aiutarmi, di farmi voltare pagina, ma la cosa sconcertante non era tanto che lo stessi trattando male. La cosa sconcertante era che io sapevo della bontà delle sue intenzioni, eppure continuavo ad agire come un bambino isterico.
  Il suo sguardo cambiò. Divenne severo, stoico, quasi arrabbiato.
  “Tu sei un Custode… come lo sono io. Tutti noi, in un modo o nell’altro, siamo stati strappati dalle nostre vite e siamo stati catapultati in questo mondo. A noi, però, è stata data l’occasione di fare parte di qualcosa di più grande, di cambiare il mondo. Velor, ti ho salvato… non credi che debba esserci una ragione di vita più importante della vendetta?”
  Mi sentii sempre di più crescere la rabbia. Una parte di me sapeva che aveva ragione, che dovevo dargli retta, fare ciò che diceva, ma… non la volevo ascoltare. La mia vecchia vita era conclusa. Era sciocco e futile pensare il contrario. Prima l’avessi accettato, prima ne avrei giovato. Anche se non avessi dovuto unirmi a Duncan nella sua missione, la mia vita non sarebbe potuta tornare ad essere la stessa, mai più. Ciò che quell’uomo stava facendo, anche se non me ne rendevo conto, era offrirmene una nuova, una dove sarei stato a casa, dove avrei potuto trovare la gioia in quello che facevo. Ma non volevo capirlo.
  Alla fine lo dissi, e non rimpiansi mai tanto di aver pronunciato delle parole:
  “Beh, non te l’ho chiesto io. Non farmi credere che io sia in debito con te o cose del genere…”
  Duncan abbassò lo sguardo deluso e io mi vergognai profondamente.
 
1
 
  Mi risvegliò il canto degli uccelli. Aprii gli occhi, ma l’improvvisa luce del mattino sfuocò l’immagine dell’accampamento davanti a me. Mi misi a sedere, portandomi una mando davanti al volto per schermarmi dal sole. Duncan era dall’altra parte del campo, a scrutare l’orizzonte, mentre il mio cane ancora dormiva. Aveva un’aria pensierosa e, mi parve, triste. Con un sospiro mi alzai in piedi. Recuperai giubba, cotta di maglia e mantello, calzai gli stivali e mi appesi la spada alla cinta; lo scudo di Altura Perenne era assicurato alla sella del mio cavallo.
  Mangiai rapidamente qualche avanzo della sera precedente e, mentre Duncan continuava a fissare il cielo davanti a sé, mi tornò in mente la discussione della notte precedente. Avevo avuto tutta la notte per rifletterci su. Ero stato molto duro con lui, me ne rendevo conto. In parte la colpa era stata del mio orgoglio, il quale raramente mi consentiva di fare passi indietro, ed in parte, beh, della situazione generale. In una notte avevo visto più morte e distruzione che in tutta la mia vita, e per lo più si era trattato di gente a cui tenevo davvero. In una singola infame notte ero stato costretto a crescere, a diventare l’uomo che in 19 anni non ero ancora riuscito ad essere. Me ne rendevo conto solo ora, ma sentivo di dover cambiare. Mi rendevo conto che avevo ancora della strada da fare prima di riuscirci, ma consideravo questa consapevolezza un ottimo inizio. Come prima cosa, dunque, avrei dovuto cambiare il mio atteggiamento e comportarmi come l’adulto che sostenevo di essere.
  Quando ripartimmo, il viaggio proseguì con il medesimo silenzio del giorno prima. Non sapevo esattamente cosa dire per cercare di riappacificarmi, se essere diretti, oppure no. Alla fine decisi che era meglio evitare preamboli e giri di parole. Aggiustando la mia postura sulla sella, dissi: “Duncan…” l’uomo si girò verso di me, con uno sguardo quasi sorpreso sul volto, dal momento che, fino a quel momento ero sempre stato in silenzio, a meno di non essere esplicitamente interpellato. “Io… credo di dovervi delle scuse.” Lo giudicai un buon inizio, dopotutto avevo deciso di non prepararmi nessun “canovaccio” mentale; avevo pensato che, semplicemente, dirgli la verità fosse la strategia migliore. “Mi sono comportato da idiota con voi in questi giorni e… so che non lo meritavate affatto.” Un po’ imbarazzato, raddrizzai la schiena e cercai di apparire più cavalleresco e meno infantile. Duncan non fece commenti, ma credetti di intravedere un mezzo sorriso sotto i suoi baffoni.
  “Vedete” proseguii io. “Non vi ho mai ringraziato come si deve per avermi salvato la vita, e questo non è accettabile. Non credo che, passaggio segreto o no, sarei riuscito a scamparla da solo. Dunque, sappiate che ho apprezzato molto quello che avete fatto per me. Siete una brava persona, Duncan. Spero che riusciremo a porre fino a questo Flagello insieme.”
  Il sorriso dell’uomo si fece decisamente più largo. Non rispose, non disse nulla, si limitò ad un cenno del capo. Bene, mi dissi. Immagino che non ci fosse nient’altro da aggiungere.
 
2
 
  Nei giorni successivi ebbi modo di conoscere meglio il mio nuovo compagno. Duncan era una persona estremamente cordiale e gentile, molto spesso discreta e silenziosa, ma capace di grande empatia. Tuttavia sapeva essere anche molto severo e pretendeva il rispetto che meritava. Era un uomo saggio, che rifletteva sempre molto attentamente prima di parlare.
  Una delle cose che più mi colpì di lui era la volontà ferrea e la sua austerità. Ogni mattina si svegliava sempre prima di me. Non importava quanto mi sforzassi di precederlo, quando mi alzavo lui era già in piedi, a volte a pulire le sue armi, a volte a meditare, a volte scrutare con aria pensosa mappe geografiche e documenti, con le folte ciglia che si inarcavano severe. Al mio ennesimo tentativo fallito di essere il primo a destarsi, gli domandai esasperato a che ora si svegliasse. Con una risata, mi rispose che superata una certa età non si ha più bisogno di molto sonno e che anche poche ore di riposo possono essere più che sufficienti. In ogni caso, mi invitò, se proprio ci tenevo, a continuare a provare: sosteneva che si trattasse di un buon esercizio di autocontrollo.
  Mentre viaggiavamo, chiesi molto dei Custodi e lui mi rivelò di buon grado diversi retroscena interessanti sulla loro storia e il loro compito. Mi spiegò cosa fossero esattamente i prole oscura e gli Arcidemoni, almeno la versione che la Chiesa promulgava. Soprattutto mi raccontò di conoscere di persona il Re. “È un ragazzo giusto” mi disse quando gli chiesi di approfondire. “Ma non credo si renda conto della minaccia che questa invasione potrebbe rappresentare.”
  Scoprii che Duncan gli era molto affezionato ed incredibilmente leale, per quanto dovette riconoscere che… beh, non fosse il più saggio e posato dei monarchi. L’amministrazione della nazione era ricaduta quasi interamente sulla Regina Anora, mentre per quanto riguardava la conduzione della guerra, Re Cailan aveva in testa ancora le leggende che aveva udito da bambino e non era in grado di coglierne appieno la gravità. Fortunatamente poteva affidarsi a Loghain Mac Tir, il più grande generale che il Ferelden avesse mai avuto, nonché uno dei più grandi eroi di guerra di sempre. In ogni caso, Duncan non considerava il Re uno sprovveduto, né uno stupido, come alcuni ritenevano. “È giovane e idealista, ma è anche molto intelligente: imparerà.”
  Speravo davvero che Duncan avesse ragione. In ogni caso, sapere di combattere sotto il comando di Teyrn Loghain, era una sensazione piuttosto rassicurante ed… emozionante.
 
3
 
  “Ecco… quella è Ostagar.” Annunciò una mattina, indicando un gruppo di torri che si stagliavano chiaramente all’orizzonte. Si trattava di una delle più antiche rovine dell’impero Tevinter, che, come molte altre, venne abbandonata per molti secoli. Si trattava della costruzione più poderosa di tutta la nazione, eretta tra due colline in una sorta di “imbuto”, a difesa dalle invasioni dei barbari Chasind, che abitavano le selve subito a sud. Le mura e molti dei ponti che ne collegavano le varie aree erano ancora per lo più intatti. Tra le torri che si erano preservate meglio, la più imponente era quella di Ishal, dotata di un fuoco di segnalazione visibile in un raggio di parecchi chilometri.
  Nonostante l’apparente vicinanza, impiegammo quasi l’intera mattinata per raggiungerne il perimetro, arrivando a mezzogiorno. Notai che la porta del versante Ovest doveva essere stata da tempo rimossa, e che l’attuale guarnigione l’aveva rimpiazzata con una rudimentale barricata di legno. Le mura, però, erano in solida pietra, per quanto da questo lato fossero certamente meno alte che dal versante Sud. Sui camminamenti, cerano alcune squadre di arcieri, mentre a guardia dell’ingresso vi era un manipolo di soldati di fanteria. A differenza di molte nazioni, il Ferelden, non disponeva di una cavalleria particolarmente avanzata, ed il nerbo dell’esercito restava la fanteria pesante, invece piuttosto efficiente.
  “Alt!” Esordì il capitano del presidio avvicinandosi. “Chi siete e perché siete qui?”
  “Sono il Comandante dei Custodi, Duncan.”
L’uomo chinò il capo in segno di rispetto.
  “Bentornato, mio signore” poi, rivolto ad un ragazzetto che piantonava l’ingresso, disse: “Vai, informa il Re che Duncan è qui.”
  Correndo veloce, il bambino superò la barricata tramite una porta di servizio.
  “Mio Signore, il Re ha chiesto di voi. Lasciate i cavalli alle stalle e andate ad incontrarlo.”
  Con un perentorio scatto del braccio, poi, diede ordine che venissero aperte le porte e noi potemmo passare. Seguendo un sentiero di acciottolato, giungemmo alla periferia dell’accampamento, dove erano state allestite alcune tende di minore importanza, tra cui i depositi di vettovaglie e rifornimenti. Le stalle erano situate poco lontano. Consegnammo ai garzoni i nostri cavalli, recuperando prima i nostri effetti personali, per poi dirigersi verso il ponte. Questo si allungava tra l’ingresso Ovest e il corpo centrale, passando sopra le Selve Korcari. Era largo quasi sei metri, di spesso granito, con il pavimento lastricato di pietre squadrate tagliate di dimensioni diverse.
  Mentre ci apprestavamo a percorrerlo, ci venne incontro un piccolo corteo di persone. In testa, camminava un uomo alto, dai lunghi capelli biondi ed il volto sorridente: il Re. Indossava una splendida armatura placcata in oro e portava legata dietro la schiena una poderosa spada a due mani. Era seguito da una decina di cavalieri, tutti in armatura pesante e con vistosi elmi a bocca di rana.
  “Duncan!” Esordì il ragazzo, allungando il braccio verso il Custode.
  “Re Cailan!” Rispose gioviale, stringendo il polso del Re in segno di amicizia.
  Io, non volendo interrompere, mi precipitai a piegare il ginocchio e a rimanere atterra con il capo chino in rispettoso silenzio.
  “Temevo ti saresti perso la battaglia!” Proseguì Re Cailan.
  “Non se potevo evitarlo.”
  “Quindi cavalcherò in battaglia assieme al possente Duncan e ai Custodi Grigi, dopotutto… Glorioso!”
Sul volto dell’uomo era dipinta un’espressione di estasi, mentre teneva lo sguardo alto colmo di ammirazione. Solo in quel momento notò il giovane ragazzo inginocchiato davanti a lui. “Oh… e questa deve essere la nuova recluta di cui avevo sentito parlare…”
  “Vostra Maestà, lasciate che vi presenti come si deve…”
  Con un gesto vago della mano, il Re tagliò la conversazione: “Sono sicuro che non sia necessario essere così formali. Alzatevi, amico mio!”
  Sollevai lo sguardo da terra e mi rimisi in piedi. Devo ammettere che trovarmi al cospetto del Re fu un’esperienza davvero entusiasmante… e in quel momento l’emozione non mi consentì di pronunciare che poche impacciate parole: “Vostra Grazia… voi mi onorate…”
  “Avete un volto familiare” disse con espressione pensierosa. “È possibile che ci siamo già incontrati?”
  “Forse…” suggerii io. “Mi confondete con mio padre. Bryce Cousland, Mio Signore…”
Il volto  del monarca si illuminò, comprendendo dunque di essere stato tratto in inganno dalla mia somiglianza con mio padre.
  “Ah, capisco. Fergus è già arrivato e mi ha assicurato che dovrebbero presto giungere altre truppe assieme al Lord vostro padre, dico bene…?”
  In quel momento sentii davvero mancarmi il fiato. Quella terribile notte mi ripiombò addosso come un getto di acqua gelida. Anche Duncan sembrò notare il mio disagio, tanto che prese la parola al posto mio.
  “Vostra Grazia, Lord Cousland è morto.”
  Re Cailan apparve incredulo.
  “Come sarebbe morto…?!”
  “Un tradimento ad opera di Lord Howe. Egli ha atteso che le difese del castello si abbassassero per poi prenderne il controllo indisturbato. Sperava di riuscire ad uccidere tutti per poi raccontarvi una storia qualsiasi…”
  Notai quanto la notizia l’avesse scosso. Sembrava disgustato e incapace di credere a ciò che sentiva.
  “Non capisco… non capisco come pensasse di farla franca! Non preoccupatevi, giovane Cousland, terminata questa battaglia porterò il mio esercito a Nord e riconquisteremo assieme Altura Perenne.”
  “Avete la mia gratitudine, Vostra Grazia, ma vorrei, se non vi spiace, parlare con Fergus.”
Non che fossi particolarmente ansioso di dargli la notizia, ma rivederlo, rivederlo sano e salvo… era quanto di meglio potessi desiderare. Il pensiero, però, di Oren impiccato in quel modo… la barbarità della sua morte… ancora non riusciva a darmi pace!
  “Temo…” rispose Cailan. “Che non sia possibile. Al momento sta guidando una banda di esploratori nelle selve. Non potrai rivederlo se non a battaglia conclusa. Sono terribilmente dispiaciuto.”
  Il silenzio calò tra di noi. Capivo ciò che il Re aveva fatto per me e sapevo di non poter pretendere altro. Ciò che era certo, però, era che dovevo sopravvivere a questa battaglia e affidare Vendetta Grigia a mio fratello, ora legittimo signore di Altura Perenne, in modo che potesse presto vendicarci tutti. Poi, avrei voltato le spalle a ciò che ero e mi sarei dedicato interamente ai miei nuovi doveri, conscio che la giustizia avrebbe comunque raggiunto Arle Howe.
  A rompere il silenzio fu Duncan, il quale era ansioso di discutere di altre faccende: “Mio signore… avete considerato la possibilità che ci sia un Arcidemone alla testa dell’orda?”
  Il re si limitò a minimizzare la questione con un gesto di sufficienza della mano.
  “Non credo neppure che si tratti di un vero flagello! Sì, sul campo ci sono parecchi prole oscura, ma non c’è stato alcun segno di draghi nelle selve…”
  “Deluso…? Vostra Maestà?” Domandò Duncan con quella che mi parve di riconoscere come una nota di rimprovero.
  “Ah… io volevo una battaglia come nelle leggende! Un Re che cavalca con i Custodi Grigi per uccidere un dio corrotto… Ma suppongo che dovrò accontentarmi di questa semplice schermaglia. Comunque, sarà meglio che ritorni alla mia tenda, prima che Loghain invii una squadra di soccorso!”
  L’ultima battuta venne accompagnata da un largo sorriso da parte di Duncan, che decise di non insistere ulteriormente sull’argomento. Con un ultimo inchino, ci separammo e noi due ci avviammo verso il cuore dell’accampamento.
  “Sembrava molto sicuro di vincere…” commentai sovrappensiero. Ad essere del tutto sincero mi aveva lasciato un po’ perplesso tutta questa fiducia nella vittoria… per non parlare della sua delusione nel non poter affrontare un Arcidemone. Oh, Creatore! Si parlava di un drago, nessun uomo ragionevole dovrebbe essere ansioso di incontrarne uno. Se non altro, il generale Loghain era un uomo che sapeva bene ciò che faceva. Con lui al comando, mi sentivo decisamente più tranquillo,  dopotutto aveva condotto il Ferelden alla vittoria contro Orlais.
  “Hanno vinto alcune battaglie…” concesse lui. “Tuttavia…” Duncan era chiaramente anche più scettico di me sull’esito della battaglia. “L’orda continua a crescere e, ormai, ci sono superiori di numero. Credo che ci sia davvero un Arcidemone, ma non posso chiedere al Re di agire in base a delle semplici sensazioni, non ti pare?”
  “Perché no? Sembra tenervi molto in considerazione…”
  “Non abbastanza da aspettare rinforzi da Orlais. È convinto che basti la nostra leggenda a tenerlo in vita. Comunque, ora abbiamo alcune faccende di cui preoccuparci, non ultima la tua Unione…”
  Capii che probabilmente si riferiva ad una sorta di cerimonia che ufficializzava il mio ingresso tra i Custodi. Con tutta probabilità, si sarebbe trattato di una cosa lunga e solenne, non esattamente una festa. “Certo” risposi. “Ma non si potrebbe mangiare qualcosa prima? Sto morendo di fame…”
  L’uomo rise sotto i baffi e mi accordò il permesso. Poi, indicando le tende militari che avevamo raggiunto, disse: “Sentiti libero di esplorare l’accampamento, solo evita di lasciarlo. Almeno per ora. Quando sarai pronto, cerca Alistair, uno dei nostri custodi. Sarà lui ad accompagnare te e le altre reclute durante il rituale dell’unione. Ora io devo andare, ci rivedremo questa sera.”
 
4
 
  Il campo era il più grande che avessi mai visto. Ogni tanto, quando mio padre era costretto a scendere in battaglia per fermare incursioni di barbari o banditi, ero solito andare con lui e non ero nuovo alla vita militare. Sapevo riconoscere le tende degli ufficiali, dei nobili, degli attendenti e della comune soldataglia, ma mai avevo visto qualcosa del genere. Fino ad oggi mio padre non era mai stato costretto a chiamare a raccolta i propri vessilli, conseguentemente gli accampamenti che avevo visito raramente ospitavano più che un migliaio di soldati. Qui… ce ne saranno stati almeno diecimila, ad occhio e croce. E non c’erano solo militari, ma anche personale addetto ai rifornimenti e alle salmerie, scudieri, mercanti e, naturalmente, prostitute.
  Passeggiando per il campo era facile imbattersi in ogni genere di uomini, tutti impegnati in qualche faccenda. Chi puliva le proprie armi o quelle del proprio signore, chi andava di fretta a sbrigare qualche commissione, chi si occupava di un cavallo e chi osservava carte e mappe. Passavo inosservato ai più, ma alcuni cavalieri, più esperti delle faccende politiche, ogni tanto riconoscevano l’emblema rappresentato sulla mia spilla o sul mio mantello e chinavano leggermente il capo o sussurravano rispettosamente un ossequioso “mio signore”. Riconobbi i vessilli sulle tende di molti nobili diversi, provenienti da ogni angolo del Ferelden, e mi tornò alla mente quando da bambino Fratello Aldous  mi insegnava per interi pomeriggi la storia, l’araldica e i membri delle varie nobili case.
  Continuando ad aggirarmi per il campo, mi imbattei in un gruppo di cavalieri intenti in preghiera davanti ad una sacerdotessa.
  Ero sempre stato educato a pregare il Creatore fin da bambino. I miei tutori stessi erano uomini religiosi e mia madre in particolare aveva premuto perché mi applicassi molto alla preghiera. Dunque sapevo tutto quello che un buon fedele doveva conoscere e, anche se forse non sempre ero particolarmente devoto nel presenziare alle funzioni, avevo una certa fede. Non davo particolare importanza alle questioni più “formali” e liturgiche, ritenendole superflue, dal momento che era risaputo che il Creatore ci aveva da tempo abbandonato, preferendo dimostrare la mia fede nella vita di tutti i giorni. Tuttavia, Egli era rimasto in omertoso silenzio di fronte al terribile sacrilegio compiuto da Lord Howe… dovevo dunque pregare e ringraziare un Dio sordo ad ogni nostro bisogno e parola? Che senso poteva avere lodare una simile divinità? A queste domande, mentre osservavo la sacerdotessa pronunciare la sua benedizione, non seppi dare alcuna risposta, ma alla fine mi inginocchiai con gli altri cavalieri ed iniziai a ripetere mentalmente le preghiere e litanie che avevo imparato, anche se, francamente, più per abitudine che per reale bisogno. Quando la breve cerimonia fu conclusa, mi alzai e feci per andarmene, quando notai le insegne sullo scudo di uno dei cavalieri: una scogliera rossa sormontata da una torre, simbolo di Redcliffe. La cosa attirò la mia attenzione, poiché avevo sentito dire da alcuni soldati che le forze di Arle Eamon erano in ritardo, eppure quel cavaliere indossava la sua livrea. L’uomo non era certo più un giovane rampollo, poco ma sicuro, eppure conservava ancora una certa stazza. I corti capelli rossi erano tormentati da un’incipiente calvizie e la barba era tenuta corta e curata.
  Incuriosito dalla sua presenza, mi avvicinai per domandargli delucidazioni: “Chiedo venia, ser. Non ho potuto far a meno di notare le vostre insegne e domandarmi perché un singolo di cavaliere proveniente da Redcliff si trovi ad Ostagar…”
  L’uomo sembrò sorpreso, ma rispose ugualmente:
  “Il mio nome è Ser Jory e, sì, vengo da Redcliff, tuttavia non combatterò al fianco del mio signore, in quanto nuova recluta dell’Ordine dei Custodi.”
  Dunque… lui sarebbe stato un confratello. Ne fui sorpreso, data l’età avanzata, sicuramente superiore ai quaranta. Quell’uomo non mi dava l’impressione di essere un combattente particolarmente abile, così domandai come fosse stato reclutato. Mi raccontò molto di lui, che era stato notato da Duncan dopo aver vinto un torneo e che da poco si era sposato con una donna che ora lo attendeva ad Altura Perenne. A quel punto confessai al cavaliere di venire io stesso da quelle terre e di essere parte dalle famiglia Cousland.
  “Un… un Cousland… Mio Signore, mi onorate!”
  Fin dalla più tenera età ero stato abituato ad essere trattato così, a pretendere rispetto da chiunque altro, poiché la nostra casata era seconda solo a quella reale. Eppure, ora, senza più una casa, un castello, un esercito o anche solo una famiglia… quel titolo mi pareva davvero effimero.
  “Non c’è bisogno che mi chiamate in questo modo, cavaliere. Ormai sono un Custode. A proposito, avete conosciuto altre reclute?”
  L’uomo mi disse che, da quel che sapeva, l’unica altra persona ad essere stata reclutata era un uomo di Denerim, un certo Daveth. Quando gli domandai se sapessi indicarmi dove fosse, si limitò a rispondermi che a quanto pareva era solito bazzicare in maniera un po’ troppo furtiva la tenda del quartiermastro, che molto spesso si era lamentato dell’improvvisa sparizione di questo o quell’articolo in vendita, senza che mai nessun colpevole fosse stato scovato.
  Non fu difficile trovarlo. Quando lo vidi, si stava intrattenendo in una conversazione con una donna, una graziosa fanciulla bionda vestita di cotta di maglia. Era un uomo alto e atletico, con lunghi e arricciati capelli neri. La barba era più lunga della mia e più scura. Indossava vesti leggere, un po’ malandate che gli conferivano più l’aspetto di un ladruncolo che di un Custode. Parlandoci, però, mi rivelò informazioni piuttosto interessanti. Egli sosteneva, infatti, di aver casualmente sentito due Custodi parlare di mandare le reclute nelle selve per il rituale dell’unione. La notizia era buona, pensai, poiché avrei avuto qualche chance di imbattermi in mio fratello, anche se ancora non avevo idea di cosa gli avrei detto esattamente. In ogni caso ancora non sapevo esattamente quanto pericolose fossero quelle foreste, brulicanti di barbari, cannibali e ora anche di prole oscura, come Daveth mi istruì subito con preoccupazione.
  Finalmente mi congedai, e decisi di cercare Alistair, poiché il pomeriggio, ormai, era arrivato. Chiesi informazioni ad una guardia di pattuglia nel campo, che mi indicò un piccolo fortilizio a Ovest, un antico tempio, a quanto si raccontava. Secondo quanto riferì, il Custode doveva consegnare dei messaggi al Circolo dei Magi. Con passo sicuro, raggiunsi il luogo indicatomi e lì, individuai effettivamente l’uomo. Era un ragazzo di uno, forse due anni più vecchio di me, di altezza media, ma di costituzione robusta. I capelli erano di un castano chiaro, forse biondi, terminanti in un lungo ciuffo. Gli occhi erano obliqui ed espressivi, di un piacevole color nocciola. Il naso era leggermente aquilino, ma non risultava né brutto, né sgraziato. Trovai, anzi, che quest’ultimo gli desse carattere. Devo ammettere, quindi, che nel complesso risultava un ragazzo abbastanza di bell’aspetto. Stava discutendo con un mago, il quale sembrava particolarmente infastidito dall’argomento di conversazione.
  “I Custodi Grigi non hanno già chiesto abbastanza dal circolo?” Si lamentava lui.
  Alistair, invece, mi parve decisamente più sulla difensiva.
  “Mi è stato solo chiesto di consegnare un messaggio da parte delle Reverenda Madre… Lei desidera parlarvi.”
L’interlocutore non sembrò affatto soddisfatto della risposta, aggiungendo con una certa arroganza nella voce:
  “Beh, i problemi di Sua Reverenza non mi riguardano. Io sono impegnato ad aiutare i Custodi –su ordine del Re, potrei aggiungere!”
  “Volete che mi faccia dare un invito scritto…?” Rispose con un sorriso beffardo.
  “Ditele che non intendo essere infastidito in questo modo!”
Ad un passo dall’esasperazione, il Custode assunse un’espressione di finta confusione.
  “Io infastidisco voi, consegnando un messaggio? Questo sì che è strano, non trovate anche voi?”
Il mago scoccò al ragazzo un’occhiata velenosa.
  “La vostra arroganza non vi rende onore!”
  “Oh, ma davvero!? E io che credevo che stessimo andando d’amore e d’accordo… Sapete, stavo persino pensando di chiamare uno dei miei figli come voi… quello brontolone.”
  L’ultima battuta in particolare mi strappò una risatina, mentre mi godevo tranquillamente lo spettacolo da una certa distanza. Il mago non mancò di notarlo e riservò a me uno sguardo del tutto simile a quello che aveva scoccato ad Alistair solo un attimo prima.
  “Basta…” lo interruppe, allora. “Parlerò con quella donna se proprio devo. Toglietevi dalla mia strada, stolto!”
  Detto questo, lo superò senza degnarlo di un ulteriore sguardo e si avviò verso l’uscita. Nel farlo provò anche ad assestarmi una spallata sprezzante, ma, dal momento che ero alto due spanne più di lui e decisamente più massiccio, con davvero scarso successo. Se ne andò borbottando e massaggiandosi il braccio dolorante.
  In quel momento, Alistair si voltò verso di me e parve notarmi. Forse un po’ imbarazzato per la scenata alla quale avevo assistito, mi si avvicinò e disse: “Sapete… una cosa positiva del flagello è come riesca ad unire le persone.”
  In quel momento cercai di decifrare con chi avessi a che fare. Oltre alla cotta di maglia steccata e alla spada lunga che portava al fianco, notai che al suo braccio era assicurato uno scudo con l’effige dei Templari, cosa che mi incuriosì alquanto. Quell’uomo era, o era stato, dunque uno di loro? Questo avrebbe spiegato l’atteggiamento indisponente di quel mago, ma la cosa mi sembrò strana, non avevo mai sentito di templari che avessero lasciato l’ordine, neppure per unirsi ai Custodi. In ogni caso, per ora, decisi che quel ragazzo mi stava simpatico, così risposi: “Già, capisco quello che intendente!” Dopo tutto ne avevo appeno avuto un esempio…
  “È come una festa: dovremmo tenerci per mano e fare un girotondo. Questo darebbe ai Prole Oscura qualcosa sui cui riflettere. Comunque, voi non siete un altro mago, spero.”
  Inarcai un sopracciglio e mi battei una mano sull’elsa della spada. “Non avete notato… la mia lama, il mio scudo, la mia armatura … è ovvio che sono un mago, no?”
  Il ragazzo si fece una risata: probabilmente avevo trovato un linguaggio comune. Poi, mi squadrò un po’ meglio e aggiunse:
 “Uhm… forse ho capito chi siete. Dovete essere la nuova recluta di Duncan…”
 “Velor…” gli suggerii io.
  “Sì, quello era il nome che avevo sentito! Chiedo scusa se non vi ho riconosciuto subito. Io sono Alistair e, in quanto membro più giovane dell’Ordine, vi accompagnerò durante l’Unione…”
  La cosa mi lasciò un po’ perplesso. Perché avremmo dovuto prepararci per l’unione? Non era sufficiente dirci cosa fare e basta. Se si fosse trattato di una cerimonia formale, sarebbe bastato ricevere qualche semplice istruzione su come comportarci, ma nulla di più. Invece, questo Custode doveva accompagnarci… che ci fosse qualcosa di effettivamente pericoloso? E nel caso, che senso aveva mandare qualcuno con noi, se era una sorta di test quello che avremmo dovuto superare?
  “Non è possibile prepararsi da soli?”
Subito Alistair scosse il capo.
  “Anche io ho pensato la stessa cosa quando è toccato a me, ma vi assicuro che è necessario. In ogni caso, dovremmo presto raggiungere la tenda di Duncan. Muoviamoci.”
  Mentre attraversavamo l’accampamento, cercai di saperne di più sul rituale che ci attendeva, ma Alistair fu costretto a negarmi ogni risposta, limitandosi a dire che ci sarebbe stato detto tutto a tempo debito. Per quanto non capissi il motivo di tanta segretezza, mi dissi che non era poi così grave, dopotutto avrei presto scoperto tutto quello che c’era da sapere.


NOTA DELL'AUTORE:
Ecco un altro capitolo. Devo ammettere che la parte su Ostagar, per quanto molto divertente in gioco, è stata un po' noiosetta da descrivere. Non saprei dire perchè, ma ho trovato molto più stimolante l'origine e il viaggio con Duncan. In ogni caso, spero che vi sia piaciuta, anche se, devo ammetterlo, è una sezione un po' lenta.

Ora inizierà per me un lavoro molto difficile: cercare di rendere giustizia ai molti personaggi che popolano questo vasto universo. Devo dire che il buon vecchio Duncan, essendo comunque uno dei miei preferiti, mi ha lasciato soddisfatto, ma spero di essere in grado di fare un lavoro quanto meno equivalente anche per i vari comprimari. Mi piacerebbe che la loro figura rimanesse fedele a quella del gioco, riuscendo, però, a renderli miei. Non è un impresa facile, lo so, lavorare sui caratteri è sempre dura. Oh, beh, incrociamo le dita, allora :)

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Capitolo 3
*** Battesimo di sangue ***


CAPITOLO 4: Battesimo di sangue
 
Con la spada stretta in pugno, ascoltavamo tutti il silenzio della selva. Mentre la sera si avvicinava a passi lenti e il sole si avviava placido verso l’orizzonte, il nostro gruppo rimase immobile sul sentiero, trattenendo il fiato. Fu in quel momento che un mugolio sommesso emerse nuovamente dalla radura davanti a noi, e tutti ci scambiammo sguardi interrogativi.
  “Eccolo di nuovo, avete sentito?” Chiese Ser Jory impugnando più saldamente lo spadone.
  Con un gesto della mano, Alistair intimò al cavaliere di fare silenzio, mentre Daveth si avvicinava silenziosamente al limitare della radura, sfruttando piante e alberi come copertura. Sbirciò oltre la vegetazione per alcuni istanti, poi, voltandosi, affermò: “Sembra che non ci sia nessuna minaccia, però vedo parecchi corpi.”
  Cautamente ci avvicinammo tutti, e finalmente potemmo osservare ciò che ci attendeva: un gruppo di soldati che giaceva nel fango e nel sangue, circondati da alcuni cadaveri di prole oscura.
“Hurlock e genlock…” rilevò Alistair esaminando alcuni dei mostri al suolo. “Due tipologie di prole oscura.” Aggiunse subito in risposta allo sguardo interrogativo di Ser Jory.
  “Pare che abbiano colto questi esploratori di sorpresa…” constatai, iniziando ad aggirarmi cautamente tra i cadaveri. Con passi lenti scrutavo silenziosamente il terreno, quando udii nuovamente quel gemito. Mi voltai di scatto e vidi un uomo ancora vivo, per quanto ferito
  “Chi…? Custodi Grigi?” Gorgogliò lui.
  “Beh, non è poi così morto come sembra…” commentò Alistair dall’altra parte della radura, forse per cercare di sdrammatizzare la situazione; ma dato che avevo un moribondo che si contorceva ai miei piedi, decisi di ignorare la battuta e di concentrarmi sul da farsi, avvicinandomi rapidamente all’uomo.
  “Che è successo…?”
  “Io e i miei esploratori… siamo… siamo… stati attaccati. Sono arrivati da ogni direzione. Devo… Tornare al campo…”
  Mi inginocchiai per cercare di valutare la gravità delle sue ferite, anche se non serviva certo un guaritore per capire che era messo piuttosto male. Noi eravamo nel bel mezzo di una missione e non potevamo certo tornare indietro, tuttavia quest’uomo aveva bisogno di assistenza immediata.
  “Beh, almeno proviamo a curarlo…” suggerii io, senza avere idea di come fare.
  “Aspetta” disse Alistair avvicinandosi. “Ho delle bende nel mio zaino.”
Mi raggiunse e si accovacciò al mio fianco, mentre Daveth e Jory tenevano d’occhio la situazione e ispezionavano la zona. Seguendo le sue istruzioni tentai di aiutarlo come potevo mentre lui puliva le sue ferite e lo bendava. Quando ebbe finito, aiutammo il poveraccio a rimettersi in piedi. Di certo non era in grado di combattere o compire azioni simili, ma almeno sarebbe riuscito a tornare al campo.
  “Grazie…” farfugliò. “Ora… devo andarmene…” E con passo incerto si diresse verso Ostagar.
Subito Ser Jory si avvicinò a noi con aria preoccupata.
  “Avete sentito?! Un’intera squadra di veterani spazzata via da un gruppo di prole oscura…”
Alistair, percependo chiaramene il nervosismo dell’uomo, tentò di rassicurarlo.
  “Calma, Ser Jory. Se staremo attenti, andrà tutto bene…”
  Ma l’uomo sembrava tutt’altro che convinto. Infatti egli scosse con decisione il capo e insistette con nervosismo: “Quegli uomini sono stati sicuramente attenti, eppure sono stati sopraffatti. Quanti prole oscura possiamo abbattere noi quattro? Una dozzina? Un centinaio? Ce n’è un’intera armata in questa foresta!”
  Scrutai il cavaliere con fastidio. Eravamo Custodi Grigi, no? Questo era esattamente il genere di rischi che dovevamo essere disposti a correre. Eppure Ser Jory, cavaliere nobile ed addestrato, unico tra noi ad essere stato reclutato volontario, sembrava il più nervoso.
  Con un sospiro, Alistair si fece avanti, pose una mano sulla spalla dell’uomo e disse: “Ci sono dei prole oscura nei dintorni, ma non rischiamo certo di incappare nel cuore dell’esercito…”
  “E voi come lo sapete? Non sono un codardo…” aggiunse subito lui, cercando di non sembrare così intimorito. “Ma questo mi sembra un rischio stupido…”
  “A me sembrate un codardo, invece, ser” intervenni io, scocciato dal suo continuo blaterare, e ansioso di muovermi da quel campo di battaglia. Subito l’uomo mi scoccò un’occhiata offesa e forse un po’ dispiaciuta.
  “Sto solo cercando di essere razionale…” protestò debolmente sulla difensiva. “Non mi pare di essere scappato…”
  “Un po’ di paura è naturale. Nessuno è ansioso di incontrare i prole oscura” intervenne Alistair.
  “Va bene…” concessi. “Voglio solo finire questa missione.”
Anche io ero un po’ nervoso per il compito assegnatami e probabilmente era anche per questo che avevo risposto in maniera così brusca al cavaliere. Tuttavia, stavamo perdendo tempo.
“Tutti i Custodi Grigi sono in grado di percepire i prole oscura…” lo informò Alistair con fare rassicurante. “Qualunque cosa accada, vi garantisco che non ci coglieranno di sorpresa.”
  “Avete capito, Ser?” Intervenne Daveth gioviale alle mie spalle. Quasi sussultati, dato che neppure mi ero accorto che si fosse spostato dietro di me. “Moriremo comunque, solo che prima ne verremo informati!”
  La battuta strappò un sorriso al cavaliere, il quale sembrò ritrovare un po’ della sua calma. Dopo di ché, ci rimettemmo in cammino.
  Per quanto non fossi ansioso di battermi contro quei mostri, sapevo che era inevitabile. Infondo, era questa la prova: trovare del sangue di prole oscura. Il che significava certamente combatterli. Inoltre, c’era anche un’altra questione che probabilmente ci avrebbe spinto a scontrarci ulteriormente contro di loro, ovvero la necessità di trovare alcuni vecchi documenti abbandonati in delle rovine più a Sud, nella foresta. Non sapevo esattamente di che genere di pergamene si trattasse, ma Duncan ci aveva spiegato che erano antichi trattati che obbligavano alcune fazioni ad aiutare i Custodi in caso di attacco. Il perché documenti di tale valore fossero stati abbandonati in una selva, non mi era affatto chiaro, ma mi importava relativamente. Ero molto più interessato, invece a tutta quella faccenda del sangue. Infatti, come detto, parte della prova consisteva nel recuperare tre fiale di sangue di prole oscura: una richiesta insolita. Il fatto, però, che i Custodi Grigi, notoriamente immuni alla corruzione dei prole oscura presente proprio nel sangue, fossero anche capaci di percepirli quasi… magicamente, mi dava da pensare sul tipo di uso che avremmo fatto di quelle fiale. Le conclusioni che mi venivano in mente non avevano implicazioni piacevoli.
  Mentre mi tormentavo con questi pensieri, giungemmo ad una collina, ai piedi della quale, Alistair si fermò.
  “Ci siamo…” bisbigliò, mentre metteva mano alla spada.
  Tutti preparammo le nostre armi, in quanto il nemico doveva essere vicino. Salimmo con cautela il pendio e, giunti sulla sommità, vedemmo distintamente un gruppo di prole oscura intenti ad appendere per i piedi alcuni esploratori morti dell’esercito di Altura Perenne. Subito mi venne un blocco allo stomaco, pensando che uno di quei corpi sarebbe potuto benissimo essere mio fratello. Fortunatamente, non riconobbi il suo volto tra i cadaveri.
  Alistair si voltò verso di noi con uno sguardo fiducioso e, assicuratosi che tutti fossimo saldi, gridò: “Per i Custodi Grigi!” E  si gettò alla carica giù per la collina, seguito da noi tre. Il ragazzo fu il primo ad ingaggiare il nemico, abbattendo un fendente sullo scudo di un Hurlock e sbilanciandolo. Questo cadde atterra e non poté in alcun modo difendersi dalla punta d’acciaio che il Custode gli piantò in gola. Subito, però due bassi e grassocci Genlock gli si avvicinarono brandendo due spade corte come fossero coltelli da cucina. Alistair alzò immediatamente la guardia, riparandosi dietro lo scudo, in attesa di supporto. Subito io lo raggiunsi per coprirgli il fianco. Mentre mi preparavo ad attaccare brandendo Vendetta Grigia a due mani, notai con la coda dell’occhio Daveth che si spostava su un lato, mentre Ser Jory si precipitava giù per il pendio ad intercettare un altro Hurlock in avvicinamento.
  Alzai la spada sopra la testa e la calai sul mio nemico, il quale, però, fu lesto a scansarsi. Con un rapido movimento del polso fece guizzare la sua lama verso il mio fianco, ma colpendomi solo di striscio e con poca forza; la mia cotta di maglia arrestò il colpo. Prima che potessi contrattaccare, Daveth, comparve alle sue spalle con una daga in mano con un movimento improvviso, recidendogli la gola di netto, con un getto di denso liquido nero. Contemporaneamente, Alistair respinse l’attacco del secondo Genlock e, usando lo scudo scaraventò atterra il nemico. A quel punto gli piantai la lama nel ventre. Quando levai nuovamente lo sguardo, notai che il cavaliere si era occupato anche dell’ultimo mostro, procurandosi, però una ferita alla spalla.
  “Bestiali creature…” commentò successivamente, medicandosi la ferita alla bella e meglio a battaglia conclusa. Altro che bestiali, pensavo mentre esaminavo uno dei loro cadaveri da vicino. Quelli erano proprio dei mostri. Erano creature mollicce, dalla pelle scura e flaccida, con zanne da cinghiale e artigli al posto delle mani… per non menzionare il fetore animalesco che emanavano.   Un po’ disgustato distolsi lo sguardo e domandai a Daveth, il quale aveva appena riempito la sua fiala con il sangue di uno dei mostri lì vicino, se potesse prestarmi una delle sue daghe.
  “Sicuro…” rispose gioviale, porgendomene una dalla parte del manico.
  Afferrai la spada corta con decisione e la avvicinai alla gola del prole oscura. Pungolai la pelle scura e logora del mostro per qualche istante e iniziai a premere con forza crescente. Quasi subito la lama penetrò nella carne, schizzando fiotti di sangue caldo su tutta la mia manica. Un odore intenso e disgustoso aggredì le mie narici, facendomi quasi sentire male. Digrignando i denti per il disgusto, diedi un violento strattone, recidendo la giugulare di netto e facendo sgorgare liquido vermiglio. Recuperai, allora, la fiala dal mio zaino e la avvicinai alla ferita del mostro, fino a riempirla.
  “Se avete finito” annunciò Alistair. “È meglio andare. Credo che presto ne arriveranno altri.”
 
1
 
  Quando vidi ciò che vidi, fu lo stupore a fermarmi, non la paura. Eravamo giunti ad un ponte, ormai prossimi alle rovine che stavamo cercando, quando ci imbattemmo nell’ennesima squadra di prole oscure. Solo che questa volta vidi chiaramente che uno di loro… possedeva magia.
  “Jory! Occupati di quei Genlock! Daveth e Velor, uccidete l’arciere dietro la barricata! Io penserò all’emissario.”
  Alistair partì alla carica verso il mago nemico, il quale se ne stava tronfio a presidiare il ponte, mentre tre dei suoi sgherri lo proteggevano. Subito, il mostro indietreggiò mentre Ser Jory menò un poderoso fendente nel mezzo del gruppo di nemici; io e Daveth ci dirigemmo oltre il ponte a dare la caccia ad un arciere nascosto oltre una barricata. Il Custode invece, correva con la spada sguainata verso l’emissario che, intanto, si allontanava sempre di più da noi. Si fermò improvvisamente, girandosi per affrontare Alistair e lanciandogli contro una sorta di onda d’urto che fece perdere impeto al suo assalto. Mentre il guerriero cercava di riprendere l’equilibrio, dalla vegetazione circostante comparvero altri Hurlock, armati di lunghe spade ricurve. Alistair si guardò attorno preoccupato. “Velor! Vieni, ho bisogno di supporto…”
  In quel momento, però, altri due nemici sopraggiunsero a fermarci, prendendo il posto dell’arciere di cui ormai ci eravamo occupati. Daveth subito si spostò su un lato, dicendo: “Vai, qui li trattengo io!”
  Assestando un duro fendente al fianco di uno dei due mostri, lo superai con una spinta, lasciandolo ferito e in ginocchio. Correndo verso Alistair, ora accerchiato da quelle creature, notai con la coda dell’occhio Daveth eliminare il prole oscura ferito e arretrare velocemente verso il ponte, cercando di tenere il secondo nemico a distanza. Sperai solo che Jory fosse riuscito ad occuparsi dei suoi avversari, altrimenti sarebbe stata dura uscirne vivi.
  Quando sopraggiunsi, Alistair era con un ginocchio atterra e lo scudo disperatamente sollevato contro i molti nemici che lo accerchiavano. Era riuscito ad eliminarne uno, ma gli altri lo avevano costretto a mettersi sulla difensiva. Subito attirai l’attenzione di uno dei due nemici rimanenti, parando senza difficoltà uno dei suoi fendenti; poi mi gettai in avanti, trafiggendolo al ventre. A questo punto Alistair utilizzò il suo scudo per sbilanciare l’ultimo avversario e rimettersi in piedi.
  “Questo lo uccido io, Velor. Pensa all’emissario…”    
Con un cenno di assenso, superai il cadavere del prole oscura e caricai il mago, pochi passi più in la, intento a eseguire degli strani movimenti con il proprio bastone: capii troppo tardi che stava lanciando una palla di fuoco. Mi gettai di lato mentre questa sfrecciava a grande velocità oltre la mia posizione. Quando mi voltai per osservarne il percorso, notai che era indirizzato verso Daveth e Jory, che si erano occupati dei loro nemici e si stavano precipitando in nostro soccorso. Subito ci fu una grande esplosione, e i due ne vennero colpiti. Vidi cadere entrambi all’indietro, sbalzati via dalla forza dell’incantesimo mentre i loro abiti prendevano fuoco. Fortunatamente, riuscirono a domare le fiamme rigirandosi più volte sul terreno.
  Digrignando i denti, assalii il nemico, tagliandogli di netto un braccio. Subito dalla ferita iniziarono a zampillare fiotti di denso sangue nero, mentre il mostro ululava di dolore e si lasciava  cadere atterra morente.
  Quando giungemmo a soccorrere i nostri compagni, li trovammo semi svenuti, con diverse ustioni sul corpo e varie ferite minori, ma nessun danno troppo grave. Somministrammo loro alcuni impiastri magici con proprietà curative che ci eravamo portati dietro dal campo, e subito le loro ferite migliorarono decisamente.
  “Non preoccupatevi” disse Alistair. “Tornati al campo troveremo subito un guaritore e tornerete come nuovi.”
  Per quanto la notizia non sembrasse aver rallegrato l’umore dei due feriti, raggiungemmo velocemente le rovine. Si trattava dei resti di un’antica torre d’osservazione, piuttosto poderosa per gli standard a cui eravamo abituati. Lo stile architettonico ricordava molto la fortezza di Ostagar e probabilmente risaliva anch’essa all’Impero Tevinter. Un portale d’ingresso semidiroccato ci condusse ad una sorta di cortile. La vegetazione, però, lo aveva ormai reclamato da tempo, inghiottendone macerie e resti con i suoi arbusti e le sue piante rampicanti. Solo la rampa che conduceva al torrione vero e proprio era ancora sgombra.
  Entrammo con circospezione nel cortile, non sapendo quali animali o creature potessero essersi insediati in quel luogo abbandonato. Subito, un vecchio baule sfondato al centro dello spiazzo attirò la nostra attenzione. Alistair vi si avvicinò, deciso a chiarire la situazione.
  “Questa… doveva essere la cassa, ma sembra che qualcuno si sia già impossessato dei documenti…” rilevò lui digrignando i denti. Prima che chiunque di noi potesse dire qualunque cosa, una voce suadente attirò la nostra attenzione.
  “Bene, bene! Cosa abbiamo qui?”
Ci voltammo tutti verso la torre. Una giovane donna emerse dalla porta scardinata del torrione, ridiscendendo a passi lenti la rampa. Aveva corti capelli neri, acconciati semplicemente ma con cura, e magnetici occhi ambrati. I suoi movimenti erano lenti e sinuosi, dotati di una tale grazia da apparire quasi ipnotici. La donna agiva con la consapevolezza di possedere una selvaggia quanto sconvolgente bellezza; perfino il suo abbigliamento ne era testimone: indossava un provocante indumento dall’ampia scollatura, che lasciava in mostra molta pelle, specialmente sulla schiena. Il braccio destro era completamente nudo, fatta eccezione per un paio di bracciali, mentre il sinistro era coperto da una singola manica di cuoio e pelle. La gonna che portava sembrava realizzata dello stesso materiale ed aveva un aspetto un po’ selvatico, così come le brache e gli stivali.  Per quanto quegli abiti fossero ben lontani dall’essere eleganti, mettevano straordinariamente in risalto la femminilità della donna, denotando una certa cura nella scelta degli stessi.
  “Siete forse degli sciacalli, venuti a depredare luoghi da lungo tempo abbandonati…” riprese lei con voce calma, avvicinandosi ancora a noi. “Oppure degli intrusi in cerca di facili prede?”
  Ancora sorpresi e, sinceramente, impressionati da questa nuova apparizione, restammo tutti in silenzio, osservando rapiti la curiosa ma affascinante persona davanti a noi. “Allora?” Ci incalzò. “Sciacalli o intrusi?”
  “Non siamo niente di tutto ciò…” mi feci avanti io, poiché i miei compagni restavano in silenzio. “Siamo Custodi Grigi e questa torre un tempo ci apparteneva.” Cercai di apparire risoluto e determinato, ma la donna, chiunque fosse, non parve esserne affatto impressionata. Oltrepassandoci senza guardare nessuno di noi in particolare, rispose:
  “Ho seguito i vostri progressi nella foresta. Chi sono? Mi chiedevo. Cosa fanno? Dove vanno? E ora voi disturbate ceneri dimenticate per lungo tempo…” La donna si fermò a pochi passi da noi, dandoci le spalle ancora qualche secondo, come se avesse parlato più con se stessa che con il nostro gruppo. “…Perché? Mi chiedo…”
  “Non risponderle…” mi precedette Alistair, afferrandomi il braccio. “Sembra una Chasind, altri potrebbero essere nelle immediate vicinanze…”
  “Uhhh…” lo derise lei. “Hai paura che i barbari piombino su di voi e vi spazzino via!”
  “Sì, in effetti… Essere spazzati via è male…”
  Daveth fece qualche passo indietro, chiaramente nervoso: “No, è una strega delle selve, ecco cos’è! Ci trasformerà tutti in rospi!”
  Quasi mi venne da ridere di fronte alla superstizione di Daveth, poiché l’unica strega delle selve di cui avessi mai sentito parlare era parte di una leggenda… e sicuramente non era giovane come la donna che avevamo davanti. Tuttavia, non avrei escluso la possibilità che si trattasse di un’eretica. In ogni caso, strega, eretica o semplice pazza, a me interessava solo trovare i trattati.
  “Strega delle selve…?” Meditò la donna. “Che sciocca favola. Non sei in grado di pensare con la tua testa…?” La donna scosse il capo con un sorriso beffardo in volto, deridendo l’affermazione di Daveth. “E tu, ragazzo affascinante…” mi interpellò lei, con una punta di ironia nella voce. “Dimmi il tuo nome ed io ti dirò il mio. Cerchiamo di essere civili.”
  Non vidi niente di male nel cercare di ragionare con quell’eremita, così le risposi: “Puoi chiamarmi Velor.”
  “E tu puoi chiamarmi Morrigan, se lo desideri. Ora… dovrei provare a indovinare il vostro proposito? Siete venuti in cerca di qualcosa, qualcosa che non è più qui?”
  Infastidito dalla situazione, Alistair fece un passo avanti puntandole l’indice contro: “Non è più qui? Li avete rubati, non è vero? Voi, specie di… infida… strega-ladra!”
  Abbassai lo sguardo, schiaffandomi il palmo della mano contro il volto, piuttosto demoralizzato dalla completa ed imbarazzante mancanza di diplomazia e vocabolario del mio compare.
  “Davvero molto eloquente” commentò Morrigan sprezzante. “Dimmi, come si può rubare a gente morta?”
  “Con molta facilità, a quanto pare…” rispose lui, fulminandola con lo sguardo. “Quei documenti appartengono ai Custodi Grigi e ti consiglio di restituirli.” La mano di Alistair si mosse lentamente verso l’impugnatura della spada. Notai che anche Ser Jory e Daveth sembravano pronti a combattere, per quanto nervosi. Prima che qualunque cosa potesse accadere, la donna, però, rispose con fare scocciato:
  “Non lo farò! Poiché non sono stato io a rimuoverli! Invoca pure un nome che non ha più alcun significato qui, se ci tieni. Io non sono affatto intimorita.”
  Cominciando a stufarmi di tutti quei giochetti, intervenni: “E allora chi li avrebbe rubati?”
  “Mia madre, in effetti…”
  “Cos’è…?” commentai io sorridendo. “Una specie di scherzo?”
La ragazza non sembrò affatto capire il perché dei miei dubbi
  “Certo che no! Dovrò pur aver anche io una madre, non credi? Ed è così strano che in un luogo tanto solitario sia stata lei a prenderli? In ogni caso, posso condurvi a casa nostra. Non è lontana.”
  Né Alistair né gli altri miei compagni apparivano particolarmente entusiasti dell’idea, ma non avevamo scelta se non seguire questa misteriosa maga. Così, ci condusse attraverso la foresta per alcuni minuti, prima di raggiungere una palude. Di lì a poco, giungemmo in vista di una vecchia e semplice capanna di legno da cui si levava un flebile filo di fumo. Seduta su una roccia a pochi passi dall’entrata c’era una donna molto anziana che si godeva l’aria aperta.
  Avvicinandosi a lei, Morrigan, che apriva la fila, annunciò: “Salute, madre… ti porto un gruppo di Custodi Grigi che…”
  “Li vedo bene, figliola…” disse alzandosi faticosamente in piedi. “Questi vecchi occhi funzionano ancora.” Ci squadrò a lungo, poi commentò: “Mhm… sì, proprio come mi aspettavo.”
  Ridendo Alistair rispose: “Dovremmo davvero credere che ci stavate aspettando…?”
  “Oh, voi non dovete fare proprio nulla! Men che meno credere!” E fece seguire una risata sguaiata a quell’affermazione. Dietro di noi, Daveth, piuttosto nervoso, si voltò verso Ser Jory dicendo: “È una strega delle selve! Ci trasformerà tutti in rospi!” Il che era più o meno tutto ciò che aveva ripetuto durante il tragitto.
  “Silenzio!” Intimò il cavaliere. “Se è una strega, vuoi davvero farla arrabbiare!?”
  “Strega delle selve, eh?” Rise lei. “Deve essere stata Morrigan a dirvelo… Oh, come le piacciono certe storie…! Dovreste vedere come balla sotto la luna! Oh-oh-oh!”
  La ragazza scosse il capo imbarazzata, mentre tutti noi ci astenemmo dal commentare, piuttosto confusi. Allora, la donna si fece avanti, guardandomi dritto negli occhi. “E tu… giovanotto… che cosa pensi?”
  Subito avvertii una strana sensazione, difficile da descrivere. Sembrava che gli occhi di quella donna fossero in grado di penetrare dentro di me e… leggere. Per un attimo ebbi la certezza che lei sapesse esattamente ciò che pensavo.
  “Io…” risposi un po’ imbarazzato. “Non saprei…” Anche se in verità, pensavo che quella donna fosse pazza …  e magari pericolosa.
  “Una posizione molto saggia, oh-oh! Non c’è che dire!”
  “Madre…” la richiamò Morrigan. “Non sono venuti qui per sentirti farneticare…”
  “Uh, giusto, cara!” Rispose lei, come se si fosse appena ricordata di una cosa molto importante. “I trattati. Ecco a voi, li ho protetti.” Ed estrasse da sotto le lunghe vesti alcuni vecchi fogli arrotolati e sigillati. Subito Alistair intervenne come se avesse appena udito una confessione: “Ah-ah! Voi li avete…” poi si rese conto di cosa esattamente la vecchia avesse detto. “Oh, voi li avete protetti…”
  “E perché no? Il sigillo magico che li custodiva era stato distrutto. Teneteli e riportateli ad Ostagar. Dite al Re che la minaccia è più grave di quel che pensano…”
  “Che vuol dire…?” Chiesi sinceramente curioso.
  “Che la minaccia è maggiore, o che pensano di meno! Ahaha! O che la minaccia è nulla! O che loro non pensano nulla! Ahaha! Oh, non fate caso a me… Potete andare ora.”
  E così facemmo… con più domande che risposte a tormentare i nostri pensieri.
 
2
 
  Con Morrigan a farci da guida, tornammo al campo in breve tempo. Tuttavia quando il cancello si richiuse alle nostre spalle, era ormai il tramonto. Se davvero volevamo completare questo rituale prima della battaglia, era necessario sbrigarci. Così, mandammo Jory e Daveth a farsi curare da qualche mago, mentre io cercai la tenda dei Custodi per recuperare Dogmeat, rimasto all’accampamento tutto il tempo. Lo trovai vicino ad un falò che sonnecchiava beatamente, mentre Duncan discuteva con Alistair. Il Custode gli riepilogò velocemente come era andata la missione e gli consegnò i trattati.
  “Ottimo” commentò Duncan. “Alistair, porta le reclute al tempio, così che possiamo cominciare il rituale al più presto. Io andrò a preparare il necessario.”
  Prima, però, che tutto fosse pronto, ci volle del tempo e tutti noi, radunati nella stessa struttura dove avevo incontrato Alistair per la prima volta, iniziammo ad innervosirci.
  “Più sento parlare di questo rituale e meno mi piace…” si lamentava Ser Jory, camminando avanti e indietro per la sala.
  “State piagnucolando di nuovo?” Chiese Daveth scocciato, seduto su una delle panche di pietra a tormentare l’impugnatura di una delle sue spade corte.
  “È solo che… questa faccenda… avrebbero dovuto dircelo prima. Non è giusto nei nostri confronti… Io ho una moglie che mi aspetta ad Altura Perenne.”
  Confesso che la cosa aveva dato da pensare anche a me, effettivamente. Tornati dalla missione, Duncan, infatti, ci aveva confessato che quest'ultima parte delll’Unione poteva risultarci fatale, motivo per cui il rituale era tanto avvolto nel mistero. Tra l’altro, ormai, i ripensamenti erano fuori questione, sia per Daveth che era stato coscritto, sia per Ser Jory che era venuto volontario, sia, naturalmente, per me. La diserzione equivaleva alla morte, su questo Duncan era stato glaciale ma chiaro.
  “Sareste venuto se vi avessero rivelato queste cose?” Insistette il giovane ladro di Denerim
  “Io… beh… è solo che non c’è mai stato un nemico che non abbia potuto ingaggiare con la mia lama…”
  “Sono Custodi Grigi, fanno di tutto per fermare il Flagello!” Esclamò Daveth alzandosi in piedi.
Ser Jory non sembrava affatto convinto, ma anzi, iniziò a scaldarsi anche lui.
  “Incluso sacrificare le nostre vite?!”
  Daveth fece una risatina e si avvicinò al cavaliere. Anche se questo lo superava di parecchi centimetri, gli si piazzò proprio davanti e lo fissò dritto negli occhi.
  “Sacrificherei molto di più se sapessi che fermerebbe il flagello. Non sareste disposto a dare la vita per la vostra bella mogliettina?”
  “Io…”
  “Forse morite, forse moriremo tutti” lo incalzò Daveth imperterrito. “Se nessuno ferma i prole oscure, moriremo di sicuro.”
  Rimasi piuttosto impressionato dalla dimostrazione di carattere di Daveth. Un uomo di umili origini, un ladruncolo insomma, che da lezioni di spirito di sacrificio e coraggio ad un cavaliere veterano. Ero troppo stupito per aggiungere altro. In ogni caso, la nostra conversazione venne interrotta da Duncan che fece il suo ingresso nel tempio proprio in quel momento.
  “È tutto pronto. Possiamo iniziare. Alistair…” chiamò lui. “Vuoi per favore pronunciare le parole?”
  Il Custode, rimasto in disparte fino ad ora, si fece avanti, mentre noi altri ci riunivamo in cerchio con Duncan.
  “Unitevi a noi, fratelli e sorelle…” intonò lui con lo sguardo basso. “Unitevi a noi nell’oscurità dove resistiamo vigili. Unitivi a noi poiché compiamo il dovere che non può essere rinnegato. E semmai doveste morire, sappiate che il vostro sacrificio non sarà dimenticato. E che un giorno, noi ci uniremo a voi.”
  Quando Alistair ebbe terminato, il silenzio calò su di noi, mentre tutti meditavamo su quelle parole. Con un sospiro, Duncan si avvicinò all’altare dietro di lui, sul quale era stato posto un calice d’argento. Con una certa reverenza, lo prese tra le mani e disse: “Queste parole sono state pronunciate e tramandate fino a noi a partire dai primi Custodi Grigi, i quali per primi bevvero il sangue dei prole oscura e ne sconfissero la corruzione.”
  Su tutti noi si dipinse la medesima espressione di disgusto e terrore. Tutto questo aveva un suono terribilmente sbagliato e, nonostante avessi intuito in cosa questo rituale consistesse già nelle selve, una parte di me non era riuscita a credere che fosse davvero possibile. Sentirselo dire in faccia, vederlo di persona… mi colse più di sorpresa di quel che pensavo.
  “Daveth…” proclamò Duncan con voce solenne. “Fatti avanti.”
  L’uomo fece un singolo passo avanti e prese tra le mani il calice che gli veniva offerto. “Da questo momento in avanti, tu sei un Custode Grigio.”
  Con un sospiro se lo portò alle labbra e, dopo un momento di esitazione, lo inclinò, trangugiandone diversi sorsi. Porse il calice nuovamente a Duncan e per un momento non accadde nulla; poi l’espressione sul suo viso si contrasse con un gemito, subito si portò le mani alla gola, provando a gridare, ma senza riuscirci. Cadde in ginocchio con un tonfo sordo, contorcendosi per gli spasmi e graffiandosi la gola con le unghie. Presto, iniziò a scorticarsi da solo sotto i nostri occhi, mentre un dolore insostenibile lo divorava. Con un’ultima incontrollata contrazione muscolare, levò il capo al cielo, e tutti quanti lo osservammo in silenzio mentre il suo cadavere si accasciava atterra con un rivolo di sangue che gli colava dal lato della bocca.
  “Mi dispiace, Daveth…” disse Duncan abbassando lo sguardo. Poi si voltò verso il cavaliere. “Ser Jory, fatti avanti…”
  Subito questo impallidì, arretrando di un passo.
  “No… io… non posso… ho una moglie…” farfugliò portando la mano all’impugnatura della spada. Ma Duncan si avvicinò, gli occhi severi, duri, glaciali che lo scrutavano con severità.
  “Non si può tornare indietro…” disse con voce inflessibile e priva di pietà. La sua figura avanzò ancora di qualche passo, implacabile, mentre il cavaliere estraeva la spada, seppur con poca convinzione.
  “No, io… non voglio morire… Non c’è onore in questo…”
  Duncan impugnò la propria daga senza rispondere e senza accennare a fermarsi. Ser Jory tentò un fendente debole e piuttosto impacciato, che Duncan non ebbe la minima difficoltà ad evitare e, un attimo dopo, la lama del Custode si era piantata nel fianco del cavaliere senza che nessuno di noi se ne rendesse neppure conto. Sgranando gli occhi per la sorpresa, il cavaliere crollò atterra senza più emettere un fiato.
  Io, sconvolto e sconcertato, rimasi immobile ad osservare la scena con la bocca aperta e gli occhi sbarrati… Ser Jory era morto! Quasi non riuscivo a credere che l’uomo silenzioso e spietato che avevo davanti fosse lo stesso che mi aveva salvato da Lord Howe e le sue truppe. La mia mano si avvicinò all’elsa della spada, ma… senza la minima convinzione o reale intenzione di usarla. Subito Alistair mi afferrò il braccio. Quando gli rivolsi lo sguardo, mi fece cenno di no con il capo, ma nei sui occhi percepii lo stesso disagio, la stessa paura che provavo io. Non era stato l’atto a turbarmi così tanto, quanto la freddezza con cui era stato compiuto.
  “Mi dispiace, Ser Jory…” disse infine. “Ma l’Unione non è ancora completata.” E mi si avvicinò reggendo il calice dal quale, a dispetto del breve combattimento (o omicidio?), non era caduta neppure una singola goccia di sangue. Accettai dubbioso la coppa e, guardando prima Duncan e poi Alistair in cerca di conferme, bevvi in un unico sorso il liquido rimanente. “Da questo momento in avanti, tu sei un Custode Grigio.”
  Non chiedetemi di ricordare quali sensazione provai, non saprei come descriverle nè vorrei farlo, so solo che all’improvviso il calice mi sfuggì dalle mani, mentre il mio corpo veniva attanagliato da un grande dolore, uno come mai più ebbi modo di sentire. Poi furono solo gli incubi.

NOTA DELL'AUTORE:
Allora, finalmente anche questo capitolo è pronto. Non avete idea di quanto tempo mi abbia preso. C'era una marea di cose che non mi piacevano e che ho dovuto continuamente modificare prima di pubblicarlo. Sono soddisfatto? Beh, ritengo di aver scritto capitoli migliori di questo, ma in fin dei conti immagino che vada abbastanza bene. Comunque, due cose ho voluto far risaltare rispetto alle altre: i due compagni temporanei e la freddezza di Duncan.
Daveth e Jory sono due personaggi molto curati nel gioco, per quanto tu non possa avere a che fare con loro se non per poco tempo. E' impressionante come avessi sviluppato sentimenti di simpatia o antipatia per entrambi in così poco tempo, contando che si trattava di personaggi assolutamente secondari. Insomma, questa cura per i dettagli è una delle caratteristiche migliori del gioco ed uno dei fattori che riescono a rendere incredibilmente profonda ed immersiva l'intera esperienza.

Bene, a breve dovrebbe arrivare la battaglia di Ostagar. Vi dico già che ho modificato diverse cose per rendere il tutto più realistico... e anche perché non si può essere certo fedeli al 1000% all'opera originale, non siete d'accordo anche voi? No? Beh, peccato, la storia è mia e faccio quello che mi pare xD

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Capitolo 4
*** Per Il Ferelden ***


CAPITOLO 5: Per il Ferelden!

 

Buio e bisbigli nell’oscurità. Con queste parole avremmo potuto riassumere gli incubi che mi perseguitarono mentre giacevo privo di sensi. Al mio risveglio, con il sole già calato da diverso tempo, vidi solo Alistair e Duncan chini su di me, ed un cielo stellato alle loro spalle.
  “Come ti senti?” Mi chiese Duncan preoccupato.
  In quel momento mi ricordai di cosa era successo durante l’Unione.
  “Non posso credere che abbiate ucciso Ser Jory…” risposi con un filo di voce.
  Duncan abbassò lo sguardo, visibilmente a disagio, e sospirò malinconico. Anche Alistair apparve turbato dal ricordo di ciò che era appena successo.
  “Noi Custodi abbiamo un dovere da compiere, non importa quale sia il costo. Prima di venire, Sir Jory era stato avvertito: non c’è spazio per ripensamenti. Mettendo mano alla spada, non mi ha dato scelta, ma, credimi, non ho provato alcun piacere nel compiere il mio dovere…”
  Nel guardarlo negli occhi, decisi che era sincero. Comunque, dopo quella notte, ero più che convinto di quanto quell’uomo fosse letale, se costretto.
  “Avete avuto incubi?” Chiese Alistair.
  “Sì, ma… non ricordo gran ché…”
  Comunque, non ci tenevo molto a parlarne. “Preferirei non discuterne, se non vi dispiace. Ora… per la battaglia?”
  Duncan si alzò in piedi e mi tese il braccio per aiutarmi ad imitarlo. Dopo che mi fui rimesso in piedi, rispose: “Non manca molto. Ora devo andare ad un incontro con il Re per discutere di alcune strategie e… dovrai accompagnarmi. Cailan ha chiesto esplicitamente di te.”
  “Di me?” Domandai un po’ confuso. Probabilmente aveva a che vedere con la questione di Howe.
  “Sì, non so esattamente perché. Prenditi qualche minuto per recuperare un po’ di fiato. Quando sarai pronto raggiungimi lì.” Detto questo, il Custode se ne andò.
  Con un sospiro mi appoggiai ad una delle colonne di pietra del tempio e mi lasciai cadere debolmente atterra. Alistair si avvicinò e si sedette al mio fianco. Non disse nulla, non subito, si limitò ad osservarmi, comprendendo quanto fossi confuso. Mi appoggiò una mano sulla spalla e, solo allora parlò: “Sapete, durante la mia Unione morì solo uno di noi, ma… fu terribile ugualmente.”
  Lo fissai dritto negli occhi, e vidi che comprendeva bene quello che passavo e che non mi biasimava per essere così scosso. “Però, fu la corruzione ad ucciderlo…” precisò poi. “E non… sì, beh… avete capito no?”
  Non risposi, mi limitai ad un profondo sospiro. “Sentite, so che ciò che Duncan ha fatto può apparire eccessivo… Io stesso ne sono rimasto, come dire… impressionato? Comunque, lo ha fatto solo perché era necessario e…”
  "No” lo interruppi. “Capisco. O credo di capire, almeno. Ho sempre saputo che i Custodi fanno tutto il necessario per fermare il Flagello, solo… non avevo visto questa regola applicata così alla lettera. Fidatevi, rispetto molto Duncan e… gli sono molto grato per ciò che ha fatto per me. Gli devo la vita, capite? Non ho intenzione di dimenticarlo. Quando verrà il momento saprò ripagarlo in qualche modo.”
  Alistair ascoltò in silenzio quello che gli dissi, annuendo. Probabilmente in quel momento avevo bisogno più che altro di qualcuno che mi ascoltasse, piuttosto che di un interlocutore vero e proprio, e credo che lui se ne fosse reso conto.
  “Mi fa piacere” disse infine. “È un brav’uomo.” Poi, ricordandosi improvvisamente qualcosa, aggiunse: “Uh! Prima che me ne dimentichi… tenete.” Il Custode mi consegnò un amuleto, molto semplice, con un piccolo grifone stilizzato inciso come unica decorazione. “È soltanto un medaglione con una goccia del sangue usato durante l’Unione” spiegò. “Sapete… per ricordare coloro che non ce l’hanno fatta.”
  Mi rigirai il pendente tra le dita, esaminandolo più attentamente. Notai che era tiepido al tatto, in particolare nella zona centrale, e sigillato lungo i bordi. Lo indossai immediatamente e dissi: “Beh grazie, Alistair. Non ho nessuna intenzione di scordarli…”

1

Quando giunsi all’incontro con il Re, proprio fuori dal tempio, ero ancora curioso di capire perché volesse una giovane recluta al suo consiglio di guerra, ma, data la mia posizione di scarso rilevo, decisi che per ora non avrei fatto domande.
  Attorno al tavolo, ingombro di mappe e documenti, era raccolto un piccolo gruppo di uomini, tutti chini a discutere animatamente e ad indicare freneticamente qualche punto sulla carta per supportare le proprie argomentazioni. Tra loro riconobbi immediatamente torreggiare su tutti, nella sua eccezionale armatura d’oro, il Re, al cui fianco presenziava accigliato e a braccia conserte Duncan, silenzioso e solenne come sempre. Oltre a lui, individuai quello che appariva come un mago del circolo, dato il suo aspetto vagamente eccentrico e la lunga tunica, braccato a vista dalla Gran Sacerdotessa. Infine erano presenti alcuni nobili, i cui volti mi erano poco familiari, eccezione fatta per Teyrn Loghain, inconfondibile per chiunque non avesse vissuto tutta la propria esistenza con la testa sotto la sabbia. Sicuramente non era più il ragazzo giovane e testardo che aveva aiutato Maric a riconquistare il Ferelden, ma appariva chiaro come la forza del suo spirito fosse rimasta intatta. L’armatura a piastre che indossava era uno specchio perfetto delle sue qualità: robusta, poderosa, rigida, ma soprattutto essenziale, senza fronzoli o abbellimenti; che Teyrn Loghain fosse un uomo pratico, duro come l’acciaio temprato, era risaputo e, con il tempo, questo aspetto del suo carattere non si era certo smorzato. Fisicamente, era ancora un uomo in forze, per quanto non certo bello. Il volto era segnato dal trascorrere del tempo con profonde occhiaie e rughe incipienti ai lati della bocca; sopracciglia folte e scure come i suoi capelli, ancora non affetti dall’inevitabile ingrigimento, si inarcavano continuamente in quella che appariva un’eterna espressione di rimprovero, e la sua voce, ruvida, profonda e potente, non faceva che alimentare questa sensazione.
  Quando raggiunsi il tavolo, nessuno interruppe i propri sproloqui, almeno fino a quando il Re non alzò lo sguardo, individuandomi tra la folla.
  “Ah…!” Esordì tacendo ogni altra conversazione. “Ecco qui la nuova recluta. Mi è stato detto che siete riuscito a superare l’Unione. Mi pare di capire che delle congratulazioni siano d’obbligo.”
  “Siete troppo gentile, Vostra Maestà…” risposi chinando rispettosamente il capo. Ora, però, che tutti si erano accorti della mia presenza, mi resi conto di quanti sguardi ostili avessi addosso. Evidentemente non era stato affatto apprezzato che una recluta dei Custodi fosse arrivata in ritardo ad un incontro al quale doveva ritenersi molto più che onorato anche solo di partecipare, interrompendo, di fatto, la discussione dei piani di guerra. “Vorrei anche scusarmi…” aggiunsi, allora. “Per il ritardo. Vi assicuro che non si è trattato di una mancanza di rispetto, è solo che il rituale si è rivelato… spossante.”
  “Non preoccupatevi, amico mio” intervenne gioviale il Re. “Ora, vogliamo tornare al piano? Dicevamo… sì, ecco, disposti gli arcieri in questa posizione, io combatterò in prima linea, con i Custodi.”
  “Rischiate troppo, Cailan” intervenne Teyrn Loghain con decisione. “L’orda è troppo pericolosa per mettervi a fare l’eroe in prima linea!”
  “In questo caso, dovremmo aspettare le forze di Orlais, dopotutto” rispose lui, nonostante conoscesse bene l'astio che in molti provavano nei confronti degli orlesiani. L’affermazione provocò reazioni diverse tra i vari uomini presenti e, ovviamente, lo scoppio di nuovi battibecchi.
  “Devo ripetere le mie proteste riguardo questa vostra sciocca fissazione che abbiamo bisogno di Orlais per difenderci” insistette Loghain con astio, sovrastando i commenti della folla. Da come aveva parlato sembrava quasi che stesse avendo a che fare con un bambino e non con un Re. Cailan lo fulminò con lo sguardo, non gradendo affatto il tono con cui il generale gli si era rivolto.
  “Non è affatto una sciocca fissazione! E voi vi ricorderete chi è il Re qui! Le nostre dispute con Orlais sono affare del passato.”
  Ma l’uomo parve non degnare di molta importanza il richiamo del sovrano, poiché continuò comunque il suo rimprovero con sguardo insofferente: “È una fortuna che Maric non sia qui per vedere suo figlio consegnare il Ferelden nelle mani di coloro che lo schiavizzarono per oltre un secolo…” Tutto ciò riaccese le liti tra i nobili. Personalmente, dando un’occhiata di sfuggita alle mappe, notai subito quanto, a dispetto dei nostri sforzi, l’orda nemica fosse comunque parecchio superiore alla nostra. Quindi, per quanto considerassi Orlais un paese di cui diffidare… beh, non vedevo in quale altro modo radunare forze sufficienti a resistere. Probabilmente, mi dissi, avrei dovuto vivere il periodo della rivolta di Re Maric per capire appieno il risentimento di Teyrn Loghain, tuttavia, sarebbe stato saggio aspettare che ci raggiungessero almeno i Custodi da oltre il confine. In ogni caso, con un uomo come Loghain dalla nostra parte, avevamo tutte le carte in regola per combattere una battaglia da ricordare, dovevamo solo avere fede in lui. Per quanto duro potesse apparire, era certamente il nostro miglior comandante.
  “Allora immagino che dovremo farci bastare le nostre forze” concluse Cailan con ferrea decisione, acquetando nuovamente gli animi. “Duncan. I tuoi uomini sono pronti per la battaglia?”
  “Si, Vostra Maestà” rispose lui con deferenza.
  “Ottimo. Giocherete un ruolo chiave nello scontro.”
  Esasperato, Loghain voltò le spalle al tavolo coperto dai documenti, allargando le braccia con un gesto spazientito.
  “La vostra passione per la gloria e le favole sarà la vostra rovina!” Poi, si avvicinò nuovamente al Re e, fissandolo dritto negli occhi, aggiunse con un tono che non ammetteva repliche: “Dobbiamo attenerci alla realtà!”
  “Va bene!” Sbuffò Cailan, chinandosi nuovamente sulle mappe. “Esponete la vostra strategia. Dunque… i Custodi ed io provocheremo i prole oscura ad attaccare le nostre linee e poi…?”
  Loghain gli si affiancò con impazienza, indicando una zona sulle carte.
  “E poi…” spiegò con la voce insofferente di una persona costretta a ripetere più volte uno stesso discorso. “Accenderete il fuoco di segnalazione della torre di Ishal per segnalarci quando sferrare l’attacco decisivo sul fianco dell’orda.”
  Il mormorio che si levò tra i nobili fu di generale approvazione. Ascoltai con attenzione le parole del comandante, cercando di seguirne i risvolti tattici. Il piano era semplice, ma efficace: attirare tutte le forze in un imbuto, dove la loro superiorità numerica potesse essere meno decisiva, e attaccare al momento giusto sul lato debole dello schieramento avversario con tutta la cavalleria e la fanteria pesante a disposizione del Teyrn. Tuttavia, la questione dell’imbuto… sembrava molto una lama a doppio taglio. Se, infatti, ciò conferiva il vantaggio di poter reggere meglio la carica iniziale, presto avrebbe potuto trasformarsi in una trappola mortale se Loghain non avesse calcolato bene i tempi.
  “Va bene, ora ricordo” commentò Cailan. “Ma chi accenderà il falò?”
  “Ho alcuni uomini là. Non è un compito complicato, ma è cruciale.”
  “Allora invieremo il meglio” affermò il Re. “Mandate Alistair e la nuova recluta ad assicurarsi che ciò venga compiuto.”
  La notizia mi colse del tutto alla sprovvista. Non era la questione di assolvere un compito meno pericoloso ad infastidirmi, ma forse il fatto che fino a quel momento avevo semplicemente dato per scontato che avrei partecipato in modo attivo al combattimento. Magari era meglio che la mia prima volta in un vero campo di battaglia non corressi troppi rischi… però, essere tagliato fuori a questo modo era quasi umiliante.
  “Volete dire che… non mi unirò allo scontro?” Domandai un po’ sorpreso.
  “Ci serve quel fuoco. Senza di esso gli uomini di Loghain non saprebbero quando attaccare” spiegò Duncan, come se non me ne rendessi perfettamente conto.
  “Vedete?” Intervenne Re Cailan con lo stesso tono di un bambino che ha appena ottenuto un compromesso parecchio vantaggioso e che cerca di convincere i coetanei di quanto in realtà fosse equo. “Gloria per tutti!”
  Decisi di non ribattere, ma, ancora prima che potessi farlo, Loghain si lamentò ulteriormente della fiducia che il Re riponeva nel nostro ordine.
  “Voi contate troppo sui Custodi. È davvero saggio?”
  “Basta con le vostre teorie complottistiche!” Esclamò Cailan levando gli occhi al cielo. “I Custodi combattono il Flagello, indipendentemente da dove provengano.”
  “Vostra Maestà” si intromise Duncan gentilmente ma con fermezza. “Dovreste considerare l’ipotesi che appaia l’Arcidemone.”
  “Non è per questo che i vostri uomini sono qui?”
  “Io… sì, Vostra Maestà”
  Molti nobili, i quali probabilmente avevano già ricevuto istruzioni prima del mio arrivo, dissero di ritenersi soddisfatti del piano, anche se il mago lì presente, Uldred, sosteneva che tutte queste strategie non fossero affatto necessarie e che, anzi, i maghi avrebbero potuto garantire una maggiore potenza di fuoco se impiegati più attivamente. Tuttavia la Gran Sacerdotessa si dimostrò apertamente contraria e Loghain tagliò corto, decidendo che il piano avrebbe funzionato perfettamente così com’era. Finalmente ci venne concesso di prendere congedo.

2

  Come ci venne spiegato in seguito, il nostro compito era semplice: attendere nei pressi del ponte che collegava l’accampamento con l’ingresso Ovest che dal campo di battaglia sottostante ci venisse ordinato di muoverci. Dopo di ché, avremmo guidato una squadra di soldati fino alla torre e avremmo acceso il fuoco di segnalazione, attendendo poi ulteriori istruzioni. Inutile dire che Alistair non ne fu contento. “E quindi hanno bisogno che due Custodi se ne stiano a reggere una torcia, non si sa mai…” Infondo non potevo certo dargli torto. Eravamo due Custodi, il nostro compito era combattere la prole oscura, non certo accendere fuochi, per non contare che entrambi avevamo ricevuto un addestramento decisamente superiore a quello di qualsiasi armigero. In ogni caso, non avevo nessuna intenzione di discutere un ordine diretto del Re. Non ci restava che attendere tranquillamente che la battaglia avesse inizio.
  Anche se esternamente potevo apparire calmo, in realtà ero molto agitato per la battaglia che doveva venire. Immagino che fosse una reazione comprensibile, dal momento che dal risultato dipendeva il destino dell’intera nazione. Fortunatamente, avevo trovato nella manutenzione della spada di famiglia, seduto con la schiena appoggiata al parapetto del ponte di pietra, una distrazione sufficiente per non pensare troppo a ciò che sarebbe accaduto nelle prossime ore. Sfortunatamente, lo stesso non si poteva dire di Alistair.
  “… è solo che non capisco perché non possiamo combattere anche noi. Siamo Custodi, dopotutto!” Ripeté per la terza volta, continuando a passeggiare nervosamente avanti e indietro. “Non che voglia mettere in dubbio il giudizio del Re, ma… mi sembra così strano” continuava, mentre io grugnivo qualche monosillabo d’assenso di tanto in tanto, senza, però, ascoltarlo davvero. “Credetemi, amico mio! Il nostro talento è sprecato…”
  “Alistair…” dissi infine alzando lo sguardo su di lui. “State innervosendo il mio cane.”
  Effettivamente, tutto questo camminare avanti e indietro, stava dando sui nervi al povero Dogmeat, il quale aveva iniziato a ringhiare sommessamente. “Calmatevi, se volete evitare di perdere una mano.”
  Il Custode mi fissò per qualche momento, cercando di capire se, per caso, potesse esserci una minaccia reale o se la mia fosse solo un’esagerazione. Immagino decise di non voler correre rischi, poiché con un sospiro si avvicinò al parapetto del ponte, cercando di impegnare la propria mente guardando l’esercito disposto sotto di noi. Si trattava davvero di una grande armata. Il grosso della fanteria era stato disposto dietro le barricate, che avrebbero dovuto ridurre ulteriormente la forza numerica nemica, con gli arcieri ad occupare le posizioni rialzate. Una buona metà di loro era stata disposta alle spalle delle altre truppe, su un piccolo rilievo, mentre i rimanenti tra un plotone e l’altro. In prima linea, si distinguevano chiaramente diverse squadre di Guerrieri della Cenere, un nobile ordine di soldati che aveva votato la propria vita alla cura dei segugi mabari, con i loro grossi cani che latravano nervosi. Nell’area centrale della prima linea, saltava subito all’occhio il gruppo del Re. Esso comprendeva, oltre alla sua guardia personale, anche alcuni dei cavalieri più fidati e, naturalmente, i Custodi Grigi.
  “Wow…” commentò Alistair. “È veramente impressionante! Avete mai visto uno spettacolo del genere?”
  Riposi la cote nella mia sacca e mi alzai in piedi. Mentre rinfoderavo la lama, ora pronta al combattimento, mi avvicinai ad Alistair e mi appoggiai a mia volta al parapetto. Dovetti ammettere che la vista era impressionante. A questa altezza dal suolo era possibile tenere d’occhio l’intera valle e una frazione considerevole delle Selve Korcari. Chissà come sarebbe stata la vista dalla cima della torre di Ishal.
  “Avete ragione” confermai, assestandogli una leggera pacca sulla spalla. “Vedrete che andrà tutto bene. Vinceremo questa battaglia.”
  In quel momento avvertii una strana sensazione, una sorta di prurito alla nuca, e, spostando lo sguardo verso le selve, compresi: lentamente, dall’oscurità del bosco, emersero silenziosamente i primi prole oscura. Spalancai la bocca davanti all’enormità del loro numero, davvero oltre ogni possibilità di essere calcolato. Non vidi generali, né comandanti, né battaglioni o unità, vidi solo una schiera sterminata, ricoperta di acciaio e corna, inghiottire velocemente la piana sottostante come una macchia d’olio che si allarga sul pavimento.
  “Per lo spirito del Creatore…” fu l’unico commento di Alistair.
  In quel momento qualcuno latrò un ordine e tutti gli arcieri appiccarono fuoco alla punta delle loro frecce, le quali vennero poi scoccate all’unisono verso la vasta schiera nemica. Una sorta di mantello dorato ricoprì il nostro esercito per alcuni secondi, mentre i dardi venivano sguinzagliati come un possente stormo di falchi rossi e arancioni. Molti prole oscura, che ora avevano iniziato una carica frenetica verso le nostre linee, vennero falciati dalla pioggia di morte. Tuttavia, laddove uno moriva, altri due ne prendevano il posto e l’orda continuava ad avanzare instancabile. Fu in quel momento che i mabari vennero spinti ad attaccare il nemico, in modo da riuscirne a smorzare l’impeto della carica. Il piccolo branco di cani corse coraggiosamente verso un nemico tanto potente e numeroso da apparire invincibile, e, come era facile presumere, non fecero che rallentare appena l’implacabile macchina di morte nemica. Così, tra i dardi che continuavano ad essere scagliati senza sosta e il clangore di spade e scudi, fu battaglia. 

3

“Ci siamo!” Esclamò Alistair, scuotendomi per un braccio. “Quello era il segnale!” Disse individuando tra le retrovie alcuni soldati agitare delle torce. Ci voltammo ad osservare gli uomini che ci erano stati assegnati. Molti erano giovani contadini reclutati dalle campagne, ma potei notare anche qualche scudiero e qualche giovane nobile, che sicuramente avevano ricevuto un addestramento più serio.
  “Molto bene” dissi. “Il nostro compito è chiaro e vitale. Muoviamoci, alla torre di Ishal!”
  Ciò detto, attraversammo di corsa il ponte, seguiti dal nostro piccolo manipolo di uomini, incuranti della pioggia di fuoco e fiamme che infuriava appena sotto di noi. In un attimo, fummo dall’altra parte, e raggiungemmo subito la cancellata esterna della torre, incontrando, però, un singolo soldato in fuga nella nostra direzione.
  “Aiuto!” Gridava. “I prole oscura hanno preso la torre, sono ovunque!”
  “Cosa?!” Chiese Alistair sbigottito. “Spiegati meglio.”
  Il soldato era spaventato e probabilmente ferito, ma gesticolando, indicò l’edificio e rispose: “Sono… sono sbucati all’improvviso dal sottosuolo. I piani più bassi sono stati occupati.”
  “C’è ancora resistenza…?” Incalzai io, temendo che avremmo dovuto riconquistarla con le poche forze in nostro possesso.
  “Io… credo di sì, m'lord…” balbettò cautamente l’uomo.
  “In questo caso, riprenderemo la torre e vinceremo la battaglia.” Mi voltai verso i soldati, percependo un morale un po’ troppo basso nei loro occhi. “Uomini, ascoltate! Lo so che le cose non stanno andando come programmato, ma la vittoria dipende da noi. Lascerete forse che i prole oscura ci fermino? Permetterete loro di superare Ostagar per poi andare a divorare i vostri figli e bruciare i vostri villaggi?” Il mio sguardo li trapassò severo, mentre pronunciavo queste parole di incoraggiamento. “Beh, io no di certo! E sapete perché? Perché è questo quello che i Custodi Grigi e i soldati che li affiancano sono chiamati fare. E voi che intenzione avete? Scapperete o lotterete?” Chiesi loro estraendo la spada. “So che combatterete, con me, al mio fianco! Qui e ora. Per il Ferelden!” E levai in alto Vendetta Grigia, risvegliando in quegli uomini il valore al suono di un ruggito di guerra. Perfino Dogmeat esibì il suo migliore ululato da battaglia. Mi voltai e, senza esitazione, mi lanciai oltre la cancellata, verso il cortile, seguito dai miei soldati. Questo era affollato di guardie, intente a resistere con le unghie e con i denti contro molti nemici. La nostra carica fu violenta e improvvisa, e del tutto inaspettata. Io ed Alistair correvamo in testa, spada sguainata, scudo imbracciato e tutta la determinazione necessaria a vincere la battaglia. Subito ci gettammo nella mischia, fianco a fianco. Infilzammo con ferocia due di quelle creature e subito opponemmo lo scudo al contrattacco di altri mostri. Questi graffiavano e mordevano e gridavano, ma noi lottavamo come leoni, facendo roteare la spada in ogni direzione in una danza di fendenti e spazzate. Dogmeat, mai a più di un passo da noi, ci guardava le spalle, aggredendo con furore bestiale ogni nemico che ci si avvicinasse troppo. Supportati dal coraggio dei nostri uomini, riprendemmo il cortile e ricacciammo i mostri all’interno della torre.
  “Non diamo loro tregua!” Esclamai mentre i soldati esultavano con grida di giubilo. “Pressiamoli, alla carica!” E ci lanciammo al loro inseguimento, ora accompagnatati dagli uomini che avevamo appena soccorso. Irrompemmo al primo piano della torre, trovandolo gremito di creature. Queste erano intente ad eliminare le ultime branche di resistenza, mentre alcuni di loro avevano già iniziato a banchettare con i cadaveri dei caduti. Io e Alistair ci guardammo nervosi. Alla fine, gli concessi un sorriso incerto e dissi: “Avrete avuto la vostra battaglia, in fin dei conti…”
  Il ragazzo ricambiò il mio sorriso e, assieme, guidammo il nostro gruppo di superstiti alla carica. Lanciammo tutti il nostro grido di battaglia: “Per i Custodi Grigi!” E ci tuffammo anima e corpo nello scontro. A permetterci di sopraffare il nemico, il quale ci superava di numero, oltre all’effetto sorpresa, fu l’improvvisa impennata del morale data dalla nostra leadership. Non seppi dire da cosa fosse scaturito questo mio impeto e ardore, ma in quel momento non potei che benedirlo, mentre mi lanciavo alla carica. Ciononostante, lo scontro fu estenuante e l’impatto con il nemico duro, ma il vero problema si rivelò essere un capobranco Hurlock (così come lo definì Alistair), una sorta di “ufficiale” alla guida di bande di prole oscura. Era un mostro davvero enorme, con un terrificante quanto brutto spadone, che roteava senza sosta attorno a lui. I pochi soldati che osarono avvicinarsi vennero mutilati all’istante dalla furia omicida di quella bestia, così, presto, gli uomini iniziarono ad allontanarsi terrorizzati. Io ed Alistair, allora, ci lanciammo verso di lui con Dogmeat al nostro fianco, ordinando al resto delle truppe di coprire la nostra carica. Subito il mostro calò la sua lama contro di me, ma fui decisamente più rapido a frapporre il mio scudo tra me e la morte, tuttavia, l’incredibile violenza della sferzata inclinò il metallo del mio scudo e quasi temetti di essermi rotto il braccio. Prima che il nemico potesse attaccarmi nuovamente e rompere la mia guardia (se non uccidermi direttamente), scartai rapidamente verso sinistra, proprio mentre Alistair tentava un affondo sulla destra. Il colpo non andò a segno, ma permise a me di alzarmi rapidamente e piantargli con forza la punta della spada nell’anca. La creatura ruggì furiosa, assestandomi una poderosa gomitata al volto che mi spedì lungo disteso ad alcuni passi di distanza. Furibondo, Dogmeat tentò di azzannarlo alle gambe per fermarlo. Senza curarsi minimamente del segugio, di cui si liberò malamente con un calcio, né del mio compagno, sopraggiunse su di me, levando lo spadone alto sopra la sua testa e pronto a tagliarmi in due. Ci sarebbe anche riuscito, se mezzo metro d’acciaio non gli fosse sbucato fuori dal ventre proprio in quel momento; merito di Alistair che lo aveva infilzato comodamente da dietro le spalle. L’enorme lama gli sfuggì dalle mani con un grugnito, ed il mostro cadde riverso atterra. 

4

  “Non capsico…” disse Alistair, osservando accovacciato il cadavere del Capobranco. “Non avremmo dovuto incontrare nessuna resistenza qui.”
  “Beh” risposi massaggiandomi il braccio dolorante che era stato costretto a sostenere quel poderoso colpo di spada. “Provate a spiegarlo voi ai prole oscura…”
  “Già! Perché questo è solo un malinteso!” Rise lui. “Sono sicuro che se glielo spieghiamo, si comporteranno civilmente.”
  Dogmeat, che non doveva aver percepito l’ironia nel tono di Alistair, rispose con latrati severi, quasi volesse dare al Custode dello stupido. Prima, comunque, che potessi rispondere, mi si avvicinò uno dei superstiti della battaglia.
  “Signore…” cominciò lui, irrigidendosi sull’attenti. “Abbiamo trovato la causa dell’attacco a sorpresa del nemico.”
  Avevo dato ordine ai soldati che mettessero in sicurezza l’intero piano. Anche se il salone principale occupava la gran parte dello spazio e indubbiamente i prole oscura vi si erano concentrati, non era escluso che in alcune delle stanze laterali, adibite principalmente alla conservazione delle provviste, potessero essercene ancora. 
  “Ottimo!” Esclamai. “Portaci sul posto.”
  “Sissignore!”

5

“Beh…”commentò Alistair. “È proprio un gran bel buco…”
  “Per usare un eufemismo” risposi sovrappensiero, troppo impegnato ad osservare la voragine che alcuni soldati avevano scoperto in uno dei magazzini laterali. “Scommetto che conduce direttamente al campo di battaglia.”
  “Questo significa che ne arriveranno altri?” Domandò il Custode con aria preoccupata. Annuii turbato. “Cosa facciamo, allora?” Mi soffermai a pensarci su ancora qualche momento, prima di voltarmi verso una guardia, una di quelle che erano già all’interno della torre.
  “Quanta resistenza prevedi che potremmo trovare ai piani superiori?”
  “Mhm… non saprei. Un po’, forse, ma… credo che il grosso della banda si sia concentrata al primo piano e nel cortile.”
  Io ed Alistair ci scambiammo occhiate dubbiose, poi, quasi mi avesse letto nel pensiero, affermò: “Il fuoco di segnalazione ha la priorità…” Chiaramente, aveva capito quello che avevo in mente, ma non era ansioso di dirlo lui stesso. O magari, semplicemente, non era sicuro che fossi d’accordo. In ogni caso, non avevamo molta scelta.
  “Sigillate la porta e barricatevi nell’ingresso. Vi lascio al comando di questi uomini, dovrete fare di tutto per impedire che qualunque abominio riesca ad accedere ai piani superiori. Dovrete dare il tempo ad Alistair e me di raggiungere la cima e di accendere il fuoco."
  “Io… sì, m’lord.” Non credo che il soldato si rendesse completamente conto che, con tutta probabilità, lo stavo condannando a morte. Sicuramente non ci sarebbe voluto molto prima che una seconda ondata raggiungesse la torre. A quel punto, quel ridotto pugno di guardie non sarebbe riuscito che a rallentare i prole oscura. Forse, se fossimo stati particolarmente rapidi, avremmo potuto ordinare una ritirata in tempo per salvare alcuni di loro, ma… la maggior parte sarebbe certamente morta. I Custodi Grigi fanno tutto il necessario per fermare un Flagello, dopotutto.

6

  “Senti molti prole oscura ai piani superiori?” Alistair ed io varcammo la soglia dell’anticamera delle scale, mentre il resto dei soldati prendeva posizione nel salone.
  “No, credo che la guardia avesse ragione” rispose. “Tuttavia, con un esercito tanto grande che combatte proprio qui sotto, è difficile esserne sicuri. In ogni caso, dovremmo essere in grado di gestire qualunque minaccia in cui possiamo imbatterci.”
  Annuii. Di certo, il talento di Alistair di percepire i prole oscura ci sarebbe tornato molto utile in caso volessimo evitare scontri. Tuttavia, io non ero ancora in grado di farlo, non con chiarezza. Confesso di aver avvertito un certo… presentimento quando l’orda era emersa dalle Selve, ma si era trattato di una sensazione molto vaga e incerta, nonostante l’immensità dell’armata nemica. Presto, comunque, avrei iniziato anche io a percepirli in maniera produttiva.
  Percorremmo i gradini, i quali si arrampicavano lungo il perimetro curvilineo della parete, protetti dal muro esterno alla nostra sinistra e da uno interno alla nostra destra. In breve scorgemmo la porta del secondo piano davanti a noi e ci preparammo al combattimento. Alistair chiuse gli occhi, il viso contratto dallo sforzo di concentrazione mentre si sforzava di percepire nemici oltre il portone di legno. Quando riaprì le palpebre, scosse il capo: nessuno. Varcammo la soglia, ritrovandoci al secondo piano. Questo non era strutturato molto diversamente dal precedente, con la differenza che la circonferenza della sala principale era ridotta, dal momento che ogni livello era di dimensioni più contenute del precedente, fino a giungere alla piccola stanzetta del falò.
  Sparsi in giro per l’ingresso, c’erano i cadaveri di alcune guardie, ma nessun prole oscura nei dintorni, né vivo né morto. Dogmeat, si avventurò nella stanza stranamente tranquillo, annusando un paio di quei corpi con aria curiosa. Alistair, invece, si chinò ad esaminarne uno. “Strano…” commentò dopo alcuni secondi.
  “Cosa?” Risposi pattugliando la zona con la spada sguainata.
  “Questo non è stato trafitto… né morso o graffiato… Sembra più che gli abbiano spezzato la schiena.” Mi soffermai un attimo a riflettere, sinceramente perplesso nell’apprendere la notizia. Certamente, da recluta qual ero, non potevo definirmi un esperto di prole oscura, eppure credevo di aver inquadrato abbastanza bene il loro modo di combattere. Erano creature selvagge, che si lanciavano nello scontro con furia assassina, non temendo né morte né dolore, in una sorta di folle frenesia. I più brutali e spietati, anche se spesso più astuti, li guidavano, impartendo semplici comandi e combattendo con crudeltà. Tuttavia, per quanto brutali… utilizzavano armi piuttosto comuni, come spade e asce… Come erano riusciti a procurare danni così singolari a quel soldato?
  “Sarà stato un maglio” ipotizzai. “Brandito da un altro capobranco, magari.”
  Alistair sembrò meditarci su, poi rispose: “Può essere, ma se non il responsabile si trova qui…”
  “Lo troveremo più avanti” conclusi io. “Non abbiamo tempo da perdere. Muoviamoci, il Re non ha tutto il giorno.”
  Azzardando una minore cautela, ci precipitammo di corsa verso il piano successivo, preparati comunque ad affrontare ogni nemico in cui ci imbattessimo, ma la situazione che ci si presentò al terzo livello della torre era del tutto simile a quella del secondo: pochi cadaveri e nessun prole oscura. Ormai vicini alla nostra meta, non indagammo oltre e percorremmo gli ultimi gradini che ci separavano dal raggiungimento del nostro obbiettivo. Mentre correvamo lungo le scale con il fiatone che iniziava a rallentare i nostri passi, non potei fare a meno di domandarmi cosa esattamente fosse successo a quelle guardie e perché non avessimo ritrovato alcun cadavere di prole oscura. Se davvero non erano così numerosi da poter essere percepiti da Alistair, sicuramente i pochi soldati dislocati ai vari piani avrebbero dovuto riuscire ad abbatterne qualcuno, eppure, a dispetto dei chiari indizi di una battaglia, mancavano i caduti di una delle fazioni. Com’era possibile? Raggiunto il quarto piano, ottenni la mia risposta.

NOTA DELL'AUTORE:
Finalmente Ostagar! Lo so, ho lasciato le cose in sospeso, ma non l'ho fatto per crudeltà. Diciamo che il capitolo mi sembrava già abbastanza lungo e volevo dedicare un'onesta porzione di storia anche allo scontro finale. Comunque, non c'è molto da dire su questo capitolo, se non che rappresenta la conclusione della fase iniziale.

Vi confesso che mi sono sforzato di descrivere al meglio quanto il mio personaggio ammiri Loghain e quanto quest'ultimo fosse un uomo comunque eccezionale... decidete voi se l'obbiettivo è stato raggiunto oppure no. Insomma, ho dedicato una buona fetta di storia alla descrizione dell'incontro con il re per sottolineare quanto sovrano e generale la vedessero diversamente su praticamente tutto.

Ho apportato alcune modifiche anche alla battaglia vera e propria, in quanto trovavo irrealistico che due Custodi e una guardia riuscissero a riprendere una torre brulicante di prole oscura. Credo che sia impossibile scrivere una ff di questo genere senza modificare nulla... Voglio dire, ok seguire la trama e rispettare i personaggi, ma abbiamo tutti il sacrosanto diritto di essere creativi, anche e soprattutto in questi casi.

Spero che sia venuta bene. Se c'è qualcosa che vi piace o che non vi piace, oppure se semplicemente c'è qualcosa che vi passa per la testa e volete dirlo, non esitate a commentare qui sotto! Le recensioni sono importanti, sia positive, sia negative.

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Capitolo 5
*** Bruschi Risvegli ***


 
 
CAPITOLO 6: Bruschi Risvegli
 
  “Oh, Creatore…” fu l’unico commento che mi sfuggì dalle labbra. Io e Alistair ci scambiammo sguardi incerti, mentre osservavamo la schiena dell’enorme creatura davanti a noi. Era alto più di due metri, con muscoli come macigni, tesi sotto la pelle violacea. Un paio di enormi corna da capra gli fungevano da elmo e ariete allo stesso tempo, innestate su un deforme cranio squadrato. Gli occhi erano piccoli, porcini, ed il muso della creatura sporgeva dal volto, vagamente simile a quello di un cane, con una falange di denti affilati come rasoi. La creatura era china su alcuni cadaveri, della cui carne ancora stava banchettando.
  Raddrizzò la schiena, ma non le gambe, che rimasero leggermente piegate in un posa scimmiesca, e si voltò nella nostra direzione assottigliando gli occhi in due fessure.
  “Un… ogre” balbettò Alistair al mio fianco. Nel vederci, il mostro emise un terrificante ruggito gutturale, che spinse entrambi ad un passo indietro. Mentre si batteva con foga i pugni sul petto ampio e muscoloso, io ed Alistair cercavamo a tentoni l’impugnatura della spada senza distogliere lo sguardo dall'abominio davanti ai nostri occhi.
  L’unico di noi che pareva, per quanto spaventato, non aver perso il suo spirito guerriero era Dogmeat che latrava furibondo verso la creatura, con le zampe divaricate e i denti in mostra. Si era posizionato saldamente davanti a me, deciso più che mai a difendere la mia vita. In quel momento sentii per lui crescere in me affetto e commozione.
  Improvvisamente, il mostro ci caricò con sorprendente agilità, a dispetto di una stazza che avrebbe dovuto quanto meno impacciarlo. Corse nella nostra direzione a testa bassa, percorrendo a grandi passi i pochi metri che ci separavano. La sorpresa e la paura annebbiarono i miei riflessi e coordinazione, impedendomi di agire con efficacia; riuscii soltanto a ripararmi dietro lo scudo. Sarei sicuramente morto se, incurante di tutto, il mio fiero mabari non si fosse lanciato in uno sfrenato assalto verso la creatura. Lo osservai a bocca aperta mentre balzava agile e potente verso l’enorme prole oscura, la testa bassa mentre si insinuava tra le gambe tozze del mostro per fargli perdere l’equilibrio. Questo, evidentemente sorpreso, barcollò di lato, riuscendo comunque a reggersi in piedi. Sdegnoso, sferrò un calcio con non curanza al mio segugio, il quale rotolò lontano mugolando. Nell’osservare Dogmeat inerme atterra, sentii crescere in me una rabbia incontenibile. Gridando, estrassi con decisione la spada e mi lanciai alla carica. Al mio fianco, notai Alistair urlare: “Fermo, no…!” Ma io ormai ero proiettato in una corsa spregiudicata. Quando raggiunsi il mostro, questo tentò subito di colpirmi con il dorso dell’enorme mano, ma io scartai di lato, assestandogli un brutale fendente contro le nocche, dure come pietra. Il prole oscura, ritrasse la mano con un ruggito, agitandola come se si fosse appena scottato. Mi feci avanti, deciso ad incalzare la creatura, ma questa reagì con prontezza, sferrando un pugno colossale contro di me. Ancora una volta fui più rapido del mio nemico, scansandomi a sinistra all’ultimo momento, ma lo spostamento d’aria da solo fu sufficiente ad atterrarmi. In quel momento, vidi Alistair fiancheggiare la creatura e piantare diversi centimetri di lama nell’enorme piede del mostro. Questo levò la testa al cielo, ululando di dolore. Furioso, scalciò via Alistair di prepotenza, afferrando me subito dopo. Mi portò all’altezza del suo viso deforme, scrutandomi con i suoi piccoli occhi miopi. Debolmente cercai di assestargli qualche fendente al polso, ma lo scalfii appena, mentre questo iniziava a stringermi con forza sempre maggiore. Sentii presto mancarmi il fiato, mentre mi contorcevo come un verme tra le sue grinfie e la lama mi sfuggiva dalle mani. Lottai ancora, sferrando qualche patetico pugno o gomitata scoordinata, ma in pochi secondi i miei deboli tentativi di salvarmi si trasformarono in una spasmodica e disperata danza di morte. Il mostro, quasi beffardo, mi ruggii in faccia, proprio mentre sentivo gli anelli di maglia dell’armatura infrangersi, assieme a diverse ossa del mio costato. L’alito della creatura puzzava di putrefazione e morte, ed in esso avvertii la mia fine. Ad un passo dallo svenire, con la coda dell’occhio notai Alistair rialzarsi in piedi, faticosamente ma con una strana luce negli occhi. Si avvicinò alla creatura, reggendo la sua lama con entrambe le mani. Con un unico, rapido, deciso e brutale movimento recise di netto il tendine del polpaccio del prole oscura, il quale mi liberò all’istante, emettendo un grido tanto terribile come mai ne avevo sentiti fino a quel momento. Atterrai inerme sul pavimento, mentre Alistair rotolava sotto le gambe del mostro un attimo prima che questo piombasse rumorosamente in ginocchio. Subito, il Custode si voltò e, sfruttando l’energia della capriola, fece pressione sul pavimento con le gambe, spiccando un salto verso la creatura. Portò il braccio della spada all’indietro, caricando un colpo, e quando il balzo lo portò a ridosso del mostro, piantò ferocemente la lama fino all’elsa nel muscolo pettorale del nemico. Tenendosi appeso alla spada con una mano e alla clavicola del mostro con l’altra, lo cavalcò mentre questo crollava sulla schiena. Rovinato l'ogre a terra con un tonfo, Alistair estrasse la spada in una pioggia purpurea e la sollevò alta sulla testa. Il prole oscura alzò il braccio destro in un impacciato tentativo di afferrarlo, un attimo prima che il Custode gli piantasse la sua arma dritta nel cranio. L’arto del mostro ricadde debolmente al suolo, mentre Alistair si accasciava esausto sul cadavere del nemico.
 
1
 
  Ridevo quasi isterico, incurante del terrificante dolore che mi trafiggeva il torace ad ogni minimo movimento. Ridevo perché ormai era fatta. Ridevo perché il cadavere dell’ogre era a pochi passi da me, morto ed inerme, e l’unico ostacolo che ci separava dalla vittoria era un falò. Mentre continuavo con la mia stravagante euforia, alla quale anche Alistair si era unito da qualche parte al limitare del mio campo visivo, avvertii il fiato tiepido di un animale sulla guancia ed una lingua calda ed umida sfiorarmi la pelle. Debolmente, mi voltai verso Dogmeat che mi fissava preoccupato. Sollevai la mano e passai le dita tra il pelo del nobile animale, afferrandolo saldamente ma con dolcezza; con l’altra lo accarezzavo distrattamente, mentre i miei occhi scrutavano silenziosi e grati quelli felici e stanchi di lui.
  “Grazie, bello…” sussurrai con un sorriso. “Sei proprio un bravo cane.”
  Con un grugnito mi alzai in piedi, lottando per non svenire.
  Barcollando mi avvicinai alla spada, abbandonata poco distante dal cadavere dell’ogre. La raccolsi da terra e, sostenendomi ad essa come fosse stata un bastone, mi avvicinai al falò. Alistair, intanto, era ancora sdraiato atterra che ridacchiava distrattamente. Lo guardai comprensivo e grato per avermi salvato la vita: che riposasse tranquillo.
  Raggiunta la pila di legna, accatastata all’interno di una sorta di camino, afferrai un torcia dal sostegno posto lì affianco. Con un unico, ampio e fluido movimento del braccio la gettai sui ciocchi di legno e li osservai in silenzio mentre questi prendevano fuoco. Con un sorriso, osservavo le fiamme che divampavano sempre più feroci, mentre nella mia mente già immaginavo le acclamazioni che avremmo ricevuto. Avrei fatto strada tra i ranghi dei Custodi, ne ero certo: questa sarebbe stata solo la prima di una lunga serie di vittorie.
  Tornai dal mio compagno e gli tesi la mano. Tra grugniti e mugolii, lo aiutai a rialzarsi, ed insieme ci dirigemmo verso una delle finestre della Torre di Ishal. Prima della battaglia, mi ero chiesto come sarebbe stato osservare il mondo da lassù e finalmente potei ottenere una risposta. Ancora oggi non credo di aver mai visto un panorama più bello e terrificante di quello. Davanti ai miei occhi l’immensità delle selvagge selve Korcari si estendeva senza limiti fino alla linea dell’orizzonte in una sorta di terribile oceano scuro; sotto di noi, invece, potevamo vedere la battaglia infuriare violentemente, immersa in una sorta di soffuso bagliore arancione, quasi l’alba stesse sorgendo direttamente dal campo di battaglia. Osservavamo lo scontro sottostante con la bocca aperta e trattenendo il fiato. I nostri soldati erano riusciti a mantenere una linea difensiva ben definita ed in qualche modo stavano reggendo alla carica, ma presto, molto presto, l’immensità dell’orda li avrebbe sopraffatti: Loghain era stato avvertito giusto in tempo. Dalla nostra posizione sopraelevata riuscivamo senza difficoltà a scorgere le truppe del Teyrn, posizionate su una piana poco distante e già in formazione per la carica. L’ottima fanteria pesante e la cavalleria a disposizione del generale avrebbero dovuto senza difficoltà sfondare il fianco destro dell’orda nemica.
  “Eccoli, sono lì…!” Esclamò Alistair indicando i reparti di Loghain. Sul volto del ragazzo si era dipinto un sorriso largo ed entusiasta che attendeva solo di allargarsi ulteriormente quando avesse udito l’ordine di carica. “Ascoltate!” Mi incalzò poi, scuotendomi per il braccio. Il lungo e cupo lamento di un corno risuonò per la pianura. “Sentite, ecco questo è l’ordine di carica…” Ma qualcosa non mi tornava. Osservavo corrucciato le truppe rimanere ferme per qualche istante, mentre i sergenti sbraitavano ordini ai loro plotoni, troppo distanti perché noi potessimo udirli; poco dopo capii. Quello che avevamo udito non era il segnale della carica… ma della ritirata. Mentre l’esercito si allontanava lentamente dallo scontro, osservai il sorriso di Alistair spegnersi sul suo viso. Alla fine, ci era arrivato. “Noooo!” Gridò disperato sporgendosi dalla finestra. “Fermi! Tornate indietro…! Non potete, no! Fermi…”
  E mentre il ragazzo si disperava e urlava, io guardavo silenzioso il nostro esercito perdere sempre più terreno sul campo di battaglia. Sul mio volto era dipinta un’espressione di incredulità, ma di un’incredulità particolare, talmente acuta che il mio cervello sembrava non aver ancora realizzato che tutto era perduto. Era come se ciò accadeva davanti ai miei occhi non potesse essere reale… quasi mi trovassi in un sogno.
  Non so quanto tempo rimasi così, in silenzio, ad osservare i nostri ranghi assottigliarsi sempre di più, uomini andare in rotta e cercare di fuggire verso il fondo di un imbuto senza uscita, e centinaia di coraggiosi soldati morire invano. Né saprei determinare esattamente quando udimmo il rumore del cancello della torre sfondarsi e dei combattimenti ai piani inferiori; ciò che ricordo con esattezza, però, è quanto poco me ne importò. Rimasi lì immobile, cercando di realizzare poco a poco che ormai eravamo morti, al di là di ogni possibile salvezza, e quando la porta della cima della torre venne spalancata da un fiume in piena di prole oscura, quasi non me ne accorsi. Il resto è buio e incubi.
 
2
 
  Riaprii gli occhi all’improvviso, rizzandomi a sedere sul letto. Il mio corpo era madido di sudore e decisamente dolorante, ma la mia mente… ancora una volta incubi terrificanti ed indescrivibili, popolati da creature senza volto e tetri mostri silenziosi, avevano sconvolto un sonno agitato. Mi guardai attorno alcuni istanti, non riuscendo a capire dove mi trovassi. Era una piccola stanzetta con un misero focolare spento. Il soffitto era basso e le pareti spoglie, senza decorazioni. Il letto su cui mi trovavo era abbastanza ampio da ospitare due persone, con un materasso sfondato e diverse pellicce usate come coperte. Di certo non era la mia stanza a Castel Cousland… e da ciò dedussi che tutto quello che avevo vissuto fino a quel momento non poteva essere stato solo un brutto sogno.
  Subito i ricordi di Ostagar tornarono alla mia mente e la disperazione mi attanagliò le viscere. Un massacro. Era stato un massacro in piena regola… difficile immaginare che ci fossero superstiti. L’unico elemento positivo era che Fergus non vi aveva preso parte, dal momento che si trovava in ricognizione nelle selve. Immagino che la prospettiva non fosse poi di molto più felice, si trattava di barattare una morte certa con una morte quasi certa; dopotutto ormai i prole oscura dovevano essere ovunque nella foresta.
  “Ah, sei sveglio” disse una ragazza entrando dalla piccola porta di legno. Mi voltai verso di lei e la riconobbi immediatamente come la maga incontrata alle rovine. “Mia madre sarà soddisfatta.”
  Si avvicinò al mio capezzale, sedendosi sul bordo del letto. Cercai di raddrizzare la mia posizione, ma alcune fitte di dolore ai fianchi mi strapparono un grugnito sofferente. Osservandomi il petto nudo, potei notare con stupore diverse fasciature, una che attraversava diagonalmente il torace, una che mi cingeva i fianchi, più varie minori a spalle e braccia.
  "Tu sei... la ragazza delle selve..."
  "Morrigan, in caso te ne fossi scordato" puntualizzò lei. "E prego, a proposito!"
  "Beh… grazie per avermi curato” sussurrai infine.
  “Io… non preoccuparti” rispose lei, piantando i suoi occhi ambrati sui miei. “Ma non è me che dovresti ringraziare, è stata mia madre a fare il grosso del lavoro. Non sono una guaritrice.”
  Mi ricordavo di sua madre… davvero una donna strana. Cionondimeno, ero in debito con lei.
  “Erano molto gravi le mie ferite?” Domandai.
  Sfiorandomi le garze di lino con la punta delle dita affusolate, la ragazza annuì seria.
  “Sì, ma niente che non fossimo in grado di rattoppare. Voi due, tra l’altro, vi siete ripresi straordinariamente in fretta.”
  “Noi due?!” Chiesi incredulo. “Alistair è vivo?”
  “Sì, lo è...” rispose sbuffando ed incrociando improvvisamente le braccia. Capii che i due non dovevano piacersi molto. “Il tuo amico piagnucolone è là fuori che ti aspetta.”
  Amico… non avrei saputo se definirlo in quel modo, dopotutto non lo conoscevo che da un giorno. “Che è successo all’esercito? E al Re?”
  “Tutti morti” rispose la ragazza con brutale sincerità. Abbassai lo sguardo, i miei timori erano stati confermati. “L’uomo che doveva rispondere al vostro segnale se ne è andato, lasciando l’intera armata a morire. Ho visto cosa stanno facendo i prole oscura ai pochi superstiti… potrei descrivertelo, ma... non credo tu voglia saperlo.”
  Avevo già avuto un assaggio della mostruosità di quegli esseri e mi ero fatto un’idea di cosa potessero avere in serbo per quegli sfortunati... non era necessario scendere nei dettagli. Scossi con decisione il capo.
  “Quando te la senti di alzarti, fai un salto fuori. Sono sicura che Alistair ed il tuo cane siano ansiosi di rivederti.”
  Sgranai gli occhi. “Dogmeat è qui? Ma come… come ci avete salvato, esattamente?”
  Morrigan scrollò le spalle con noncuranza, quasi infastidita da una domanda che doveva considerare priva di importanza.
  “Flemeth dice di essersi trasformata in un’aquila gigante e di avervi tratto in salvo dalla cima della torre. Stando a quanto dice, i prole oscura erano ovunque e voi due eravate crollati atterra, solo il vostro cane stava ancora combattendo.”
  “Flemeth?!” Chiesi sconcertato, non sapendo se sorprendermi più per il nome o per la curiosa storia dell’aquila gigante. “Quella Flemeth?! Tua madre… è… è…?”
  Morrigan sbuffò annoiata, alzandosi in piedi.
  “Non ho tempo per questo… Cerca di non metterci troppo.”
 
3
 
  Quando Morrigan lasciò la stanza, rimasi alcuni minuti in silenzio a fissare il soffitto della capanna. Stavo cercando di fare ordine nella mia testa, di capire cosa fosse necessario fare. Per prima cosa, immaginai che lasciare le selve e allontanarsi il più possibile dall’orda fosse una buona idea, ma poi? Eravamo solo due Custodi, reclute per di più; cosa avremmo potuto fare contro un esercito di prole oscura? Certo, volevo che Loghain pagasse, ma non vedevo come poterlo portare davanti alla giustizia. Forse per ora, l’unica cosa da fare era raggiungere un luogo sicuro e trovare un modo per contattare altri Custodi.
  Mi alzai in piedi, cercando con lo sguardo le mie cose. Non trovandole, provai a frugare all’interno del baule posto ai piedi del letto. Effettivamente, lì erano riposti tutti i miei effetti personali, compresi spada e armatura; trovai anche la daga di Daveth, che, a quanto pareva, mi ero scordato di restituirgli durante la missione nelle selve. Indossai rapidamente i pantaloni e la giubba di cuoio rinforzati e la cotta di maglia, per quanto questa non fosse certo in ottime condizioni. Mi assicurai la spada alla cintura e, quando cercai lo scudo, vidi che questo non c’era; con tutta probabilità era rimasto in cima alla Torre di Ishal.
  Quando uscii fuori, respirai a pieni polmoni l’aria della foresta, così diversa da quella densa e pesante che aleggiava all’interno della baracca. Era una giornata davvero magnifica, nella quale il freddo del Sud sembra essere un po’ smorzato dal sole mattutino e finalmente un briciolo di estate si era deciso a fare capolino. Era strano pensare che una giornata tanto bella fosse venuta dopo una così tragica.
  Alistair era seduto su una roccia, con il volto tra le mani, mentre la vecchia donna si occupava con tutta tranquillità di un piccolo orticello sul lato destro della baracca. Morrigan, invece se ne stava seduta con la schiena appoggiata contro un albero, fischiettando serena ed ignorando completamente Alistair. Questo, quando udì la porta della baracca chiudersi, alzò la testa e nel vedermi, gli occhi gli si illuminarono. “State bene!” Esclamò alzandosi in piedi e venendomi incontro. “Per un attimo ho temuto di… Non riesco a crederci! Se non fosse stato per la madre di Morrigan noi…”
  “Non parlate di me come se non ci fossi, ragazzo!” Intervenne una voce rauca alle sue spalle. La vecchia ci raggiunse con passo incerto e affaticato, spolverandosi le vesti sporche di terriccio.
  “Chiedo scusa, non intendevo certo offendere. Ma… ma come dovremmo chiamarvi? Non ci avete neppure detto il vostro nome.”
  Notai distintamente l’ombra di un sorriso dipingersi sul volto della donna per un istante, quasi lei fosse divertita dalla domanda. “I nomi sono carini, ma inutili. In ogni caso, chiamatemi Flemeth.”
  La reazione di Alistair non fu molto diversa dalla mia di pochi minuti prima.
  “La Flemeth delle leggende?” Chiese lui, sbarrando gli occhi. “Daveth aveva ragione! Voi siete una strega delle selve!”
  La donna sbuffò.
  “Sì, è vero, conosco un po’ di magia. E con questo? Mi pare vi sia stata piuttosto utile, no?”
  “Che importanza ha chi è?!” Mi intromisi io seccato. Francamente, non mi importava che fosse un’eretica, una strega o altro, non ero un templare e queste cose non mi riguardavano affatto. Cavillare su questi argomenti mi sembrava una futile perdita di tempo… e con tutti i mostri che infestavano le selve, non ero per niente tranquillo. “Non possiamo stare qui, non è sicuro. Dobbiamo decidere in fretta cosa fare.”
  “Dobbiamo portare Loghain davanti alla giustizia!” Intervenne Alistair con decisione, battendosi il pugno sulla placca pettorale. Sospirai. Loghain era un eroe. Un grande eroe, uno di quelli celebrati in ballate e canzoni. In lui avevo riposto grande fiducia e speranza… come, del resto, tutta la nazione. Convincere la nobiltà poteva non essere così facile, ma capivo il sentimento di Alistair… piuttosto bene, in effetti. Non era la prima volta, dopotutto, che provavo l’amaro sapore del tradimento. “È che davvero non capisco perché l’abbia fatto…” constatai amareggiato
  “Questa è una buona domanda!” Disse Flemeth con un sorriso sdentato. “Che creda che il Flagello sia una minaccia secondaria? Facilmente aggirabile con l’astuzia, magari. Non riesce a vedere che il male che si nasconde dietro di esso è la reale minaccia.”
  “L’Arcidemone…” concordò Alistair.
  “E noi cosa dovremmo fare?” Chiesi con una punta di impazienza nella voce. “Combattere?”
  “Chi se non voi due…?” Rispose la vecchia con una risata, quasi la mia domanda fosse stata davvero stupida.
  “Siete seria…?” Domandò Alistair. “Intendo, nessun Custode è riuscito a ucciderne uno senza aver radunato gli eserciti di mezzo continente. Ed io non ho idea di come fare…” Fui contento di percepire un po’ buon senso da parte di Alistair. Per un attimo, avevo temuto che si sarebbe messo in testa di andare a caccia di draghi nelle selve.
  “Quale delle due, hm? Uccidere l’Arcidemone o radunare un esercito?” Il Custode la guardò confuso, senza capire il sottinteso. “Il vostro ordine non ha più nessun alleato di questi tempi?”
  “Ma certo!” Esclamò lui, facendo un balzo in avanti per l’entusiasmo. “I trattati! Possiamo usarli per costruire un'armata!”
  “Trattati…” Intervenni io con tono critico. “Che noi non abbiamo. Li avete consegnati a Duncan, ricordate...?”
  Alistair scosse il capo: “No, prima della battaglia me li ha riaffidati. Mi disse che preferiva che li tenessi io, in caso gli fosse accaduto qualcosa.”
  “Non è questo il punto. Anche riuscissimo a radunare un esercito… Beh, come faremo con Loghain, ci avete pensato? Di sicuro non se ne starà a guardare mentre gli unici testimoni dei suoi crimini reclutano uomini su vasta scala.”
  “E che dovremmo fare, eh!?” Scattò lui. “Ignorare ciò che è successo?”
  “Certo che no!” Risposi io con più aggressività nella voce di quanta avrei voluto. Non dovevo prendermela con Alistair, me ne rendevo conto, però dovevo fare in modo che restasse con i piedi per terra. Sospirai, cercando di calmarmi. “Dobbiamo agire con cautela. Senza un nobile abbastanza potente a favorirci all’Incontro dei Popoli, non possiamo sperare di condannare Loghain. Se, invece, sprechiamo le nostre forze a combatterlo sul campo, come certamente ci spingerà a fare, non saremo in condizione di fermare un Flagello. La cosa più saggia è aspettare i Custodi di Orlais.” Certo, io ero con tutta probabilità l’ultimo dei Cousland, la famiglia più nobile dopo quella reale; forse avrei anche potuto avere voce all’Incontro dei Popoli… ma essendo un Custode e non possedendo più né terra né titoli, sarebbe stata una voce piuttosto debole. Orlais era l’unica flebile speranza.
  Alistair scosse il capo.
  “Non arriveranno. Sapete quanto Loghain odiasse Orlais. Con tutta probabilità li avrà fermati al confine. E se noi ce ne andiamo per cercare altri Custodi, non saremo più in grado di tornare in tempo. Le altre nazioni si prepareranno al meglio mentre i prole oscura sono impegnati a divorare il Ferelden”
  Sbuffai esasperato. “Che proponete, allora?”
  “Arle Eamon. Lui è un nobile molto rispettato ed amato, ha ancora tutti i suoi uomini ed è un uomo buono e giusto.”
  “Anche Loghain lo era” gli feci notare io. “E guardate cosa è successo. Cosa vi fa pensare che supporterà noi e non lui?”
  “Lo conosco. Personalmente. Se gli raccontiamo ciò che è successo non si tirerà indietro, ci aiuterà... Era lo zio del Re, dopotutto...!”
  Flemeth, che era rimasta in silenzio ad osservarci con un’aria quasi divertita sul volto, si intromise: “Sarò anche vecchia, ma a me sembra che con i vostri trattati e questo Arle Eamon… e il Creatore soltanto sa cos’altro, voi stiate parlando di un esercito… Direi che non serve altro per porre fine a questo Flagello.”
  Il mio sguardo passò da Alistair a Flemeth e vice versa un paio di volte, mentre mi domandavo se fossero diventati tutti matti. Va bene, forse avremmo potuto radunare un esercito, forse avremmo potuto vincere l'Incontro dei Popoli, ma... fermare il Flagello? Restava un'impresa disperata e noi non eravamo che semplici reclute.
  Sospirai e, massaggiandomi le tempie, risposi: “Va bene, ci proveremo…”
  Alistair sorrise raggiante e mi assestò una decisa pacca sulla spalla. Ricambiai il suo sorriso con uno più incerto e meno ampio, ma comunque sintomatico di buona volontà.
  “Ora, prima che andiate…” disse ancora la vecchia. “C’è un’ultima cosa che posso offrirvi.” Poi, rivolta a Morrigan, ancora seduta sotto l’albero che ignorava totalmente i nostri discorsi, aggiunse: “Tu andrai con loro, ragazza!”
  “Coooooosa!?” Esclamarono lei ed Alistair contemporaneamente.
 
4
 
  Impiegammo buona parte della mattina per lasciare le Selve Korcari, ma grazie alla guida della nostra nuova compagna, fummo comunque più rapidi di quanto saremmo stati normalmente.
  Morrigan non mi era parsa certo entusiasta di unirsi a noi, ma sua madre aveva insistito fortemente e sosteneva che ci sarebbe stata di grande aiuto. Inoltre, la ragazza non si era mai avventurata oltre le regioni circostanti e sarebbe stata per lei un’ottima occasione per vedere il modo e fare esperienza, almeno a detta di Flemeth.
  Alistair, invece non era altrettanto convinto. Forse a parlare era il templare che era in lui, ma sembrava a disagio all’idea di portarsi dietro una maga eretica, soprattutto perché riteneva che avrebbe potuto attirare su di noi attenzioni indesiderate. Inoltre, avevo come l’impressione che i due non si piacessero molto. In ogni caso, non mi importava: se voleva davvero trascinarmi in questa follia, avrei accettato tutto l’aiuto di cui avevamo bisogno… ed un mago poteva farci davvero molto comodo.
  Viaggiammo velocemente, con Morrigan in testa al gruppo. Mentre la ragazza ci indicava sentieri nascosti o ci suggeriva come identificare bacche commestibili, Alistair rimase in silenzio per tutto il viaggio, immerso nei propri pensieri. Io, invece, trovai molto interessanti tutte queste nozioni, dal momento che non ero particolarmente pratico di viaggi in boschi e paludi.
  Quando uscimmo finalmente dalle selve, era ormai mezzogiorno, e decidemmo di accamparci brevemente per mangiare e rifornirci d’acqua presso un torrente. Mentre io mi davo da fare per preparare il fuoco da campo, i miei due compagni riempivano le borracce.
  “Allora…” disse finalmente Alistair mentre immergeva il proprio otre nel ruscello, seduto su una roccia sulla sponda. “Di che abilità siete in possesso esattamente, Morrigan?”
  La ragazza se ne stava in piedi a braccia conserte fissando l’orizzonte con espressione infastidita, un’espressione che iniziai a pensare non avrebbe mai abbandonato il suo viso.
  “Beh…” rispose. “So come manipolare alcuni elementi, come l’elettricità e il fuoco, e possiedo qualche nozione base di magia curativa. Inoltre, ho anche appreso alcuni… talenti magici da mia madre. Sì, insomma, magia esterna a quella del circolo. Potente... pericolosa.”
  “Sapete cucinare…?” Chiese Alistair con un sorriso beffardo, quasi ciò fosse più importante della magia della compagna.
  “Sì…” rispose lei incerta. “So… so cucinare.”
  “Ottimo! Io sono un pessimo cuoco… Comincio a vedere la vostra utilità, finalmente!”
  Morrigan gli scoccò uno sguardo al veleno e si allontanò con fare sprezzante. Si sedette al mio fianco mentre cercavo di appiccare fuoco ad alcuni ramoscelli sfregando una coppia di pietre focaie. Con stizza, la ragazza allungò la mano verso il focolare e generò una fiammata dal palmo. Per la sorpresa, mi sbilanciai all’indietro, confuso.
    “Spostatevi ora…” disse lei. “Quello stolto vuole che cucini... Vediamo se ricordo dove ho messo quei funghetti lassativi.”
  Non saprei dire se quella fosse stata solo una frecciatina stizzita o una minaccia reale, ma oggi sono più propenso a credere che se solo avesse avuto gli ingredienti giusti sotto mano, non avrebbe esitato a far venire la dissenteria ad Alistair...
  Consumammo un pasto veloce e leggero, ed io ne approfittai per dare un’occhiata ai trattati. Non ebbi grossi problemi a destreggiarmi tra la retorica dei termini contrattuali, riuscendo a cogliere facilmente il succo del testo. Sostanzialmente, si trattava di una dichiarazione di alleanza e aiuto ai Custodi in caso di Flagello, e recava la firma di molti clan elfici, del Re dei nani, e del Primo Incantatore del Circolo dei Magi. Certamente, si trattava di una forza militare considerevole, se riunita assieme. Tuttavia, Arle Eamon, signore di Redcliffe, avrebbe probabilmente dato l’apporto maggiore, avendo a sua disposizione un esercito vero e proprio ed un grande peso politico. Forse, con la situazione politica attuale, sarebbe stato opportuno recarsi prima da lui. In ogni caso avevamo bisogno di rifornimenti, per cui decidemmo di fare tappa a Lothering, dove avrei poi discusso con i miei compagni del da farsi.
  Smontato il campo, ci ricongiungemmo con la Strada Imperiale per poi giungere nei pressi di Lothering a pomeriggio inoltrato. Questa sorgeva a ridosso della strada ed era divisa in due grossi quartieri da un fiume. A circondare l'insediamento, c'era una vasta campagna di campi coltivati e fattorie, mentre il cuore del centro cittadino era il mercato, che rendeva il posto un importante snodo commerciale.
  Mentre ci accingevamo ad entrare, incrociammo un gruppo di uomini che presidiavano l’ingresso del villaggio. Questi non avevano l’aspetto né di guardie né di Templari, tuttavia erano armati ed erano vestiti in cuoio e cotta maglia.
  “Salve, viaggiatori!” Iniziò uno di loro avvicinandosi a noi. Era alto e dall’atteggiamento amichevole, ma circondato da compagni dall’aspetto decisamente più losco. In particolare, spiccava tra tutti un grosso bestione pelato, dal viso butterato e... dall’aria decisamente più bella che intelligente. “Benvenuti a Lothering. Per passare è necessario pagare una piccola tassa. 20 pezzi d’argento.”
  “Davvero?” Chiesi io squadrando il tipo davanti a me con sospetto. “Non avete esattamente l’aria di esattori di dazi... e noi non siamo comuni profughi...
  “Ehm…” intervenne quello grosso e ottuso, con voce profonda. “Capo, questi non sembrano come gli altri. Niente carri, niente vestiti, e sembrano perfino armati! Forse dovremmo farli passare…”
  L’uomo liquidò il compagno con un gesto della mano. “Sciocchezze! Il pedaggio si applica a tutti. Ecco perché non la chiamiamo semplicemente ‘tassa per i rifugiati’”
  Morrigan sbuffò con impazienza. “Sono degli stolti a volersi mettere sulla nostra strada! Io dico di impartire loro una sonora lezione.”
  Mi avvicinai al capo di quegli uomini, con le braccia incrociate ed un’espressione di sfida. "Siete proprio sicuri..." sibilai a denti stretti. "Di voler rapinare dei Custodi Grigi?"
  “Custodi Grigi?!” Esclamò Grossoescemo (come lo avevo mentalmente soprannominato). “Ho sentito che sono molto forti. Ho sentito che hanno addirittura ucciso il Re!”
  La notizia, mi scosse. Ucciso il Re? Questa doveva essere una calunnia messa in giro da Loghain, certamente. Immagino che i nobili gli avessero fatto pressioni per sapere coma mai, mentre tutti gli uomini erano morti, lui non avesse perso neanche un singolo soldato. Con tutta probabilità si era inventato una scusa, dicendo che in realtà i Custodi Grigi avevano architettato un piano ai danni di Cailan. Alcuni avrebbero potuto perfino essere abbastanza ciechi da crederci… dopotutto era già successo che i Custodi si opponessero ad un Re del Ferelden. Era una storia molto vecchia, chiaramente, ma l’ordine era rimasto in esilio per diversi secoli e riammesso solo di recente.
  “Mhm…” il capo dei briganti rifletté sulle parole del compagno. “Forse hai ragione. Potete andare amici, nessun dazio per voi oggi!”
  “Ma davvero?" Risposi con un sorriso di finta cortesia. "E dimmi, amico, che mi dici delle guardie qui a Lothering...? Perché non vi hanno ancora cacciato?”
  “Beh…” rispose. “Il Bann è andato a Nord, con Teyrn Loghain, portandosi dietro tutti i soldati. Inoltre, la città è diventata una sorta di ritrovo per i rifugiati... e noi...”
  “E voi... avete pensato bene di rapinare ogni singolo disperato che passava di qui, immagino...” Dissi, avvicinando la mano all'elsa della spada.
L'uomo sembrò allarmarsi. “Non... non... c’è bisogno di ricorrere alla violenza! Ce ne andremo, promesso.” Si affrettò subito. Lo fissai per alcuni secondi negli occhi con severità, ci scambiammo sguardi indagatori. Era a disagio, nervoso, ma pronto a difendersi se necessario... Non voleva combattere, ma lo avrebbe fatto se costretto.
  Allontanai la mano dall’elsa di Vendetta Grigia e sorrisi affabile. “Ma certo…” risposi avvicinandomi. Gli posi una mano sulla spalla e lo guardai dritto negli occhi. “Sono sicuro che voi abbiate imparato la lezione…”
  L’uomo ricambiò il mio sorriso con un altro più incerto, tuttavia sembrò rassicurarsi, tanto che si concesse anche una risatina. “Eh-eh... Sapevo che potevamo metterci d'accordo. Dacci solo il tempo di…”
  Prima che la carogna potesse finire di parlare, gli assestai un pugno alla bocca della stomaco con tutte le mie forze. Il colpo troncò di netto il discorso, mentre l’uomo si piegava in due con gli occhi sbarrati. Subito, estrassi dalla cintura la daga di Daveth e gliela piantai senza pietà nella perforando il cranio con uno schizzo di sangue. Grossoescemo fece per afferrare la propria ascia, ma Morrigan agì con una prontezza di riflessi a dir poco sorprendente; levò in aria il suo bastone e dal palmo della mano emise un raggio infuocato che investì in pieno sia il bruto, sia un altro dei briganti lì vicino. I due uomini andarono a fuoco, mentre con noncuranza mi sbarazzavo del cadavere del loro capo con un calcio. Estrassi la spada e mi preparai ad affrontare gli ultimi tre superstiti, i quali si lanciarono contro di noi. Mi mossi di lato, evitando il fendente di spada del primo, e piantandogli la mia lama fino all’elsa nel costato. Alistair, invece, che non aveva ancora messo mano alle armi, impreparato a questa mia mossa, rimediò subito, sguainando la spada. Uno dei ladri tentò di colpirlo con un pugnale, ma il Custode gli afferrò il polso, bloccando il colpo a mezz'aria e sferrando poi un fendente alla mascella. Il nemico cadde atterra con metà faccia sfondata, mentre l’ultimo se la dava a gambe. Prima che potesse compiere più di tre passi, Morrigan scagliò un fulmine dalla punta del bastone con una risata divertita, uccidendolo all’istante.
  “Si può sapere che vi è preso?!” Domandò Alistair imprecando.
  “Che mi è preso, dite?” Risposi ghignando. “Mi è preso che questi uomini andavano eliminati. Ecco cosa mi è preso...”
  Alistair mi guardò sconcertato. "Capisco che fossero dei fuorilegge, ma..."
  " 'Ma' cosa, Alistair? Gente come loro, gente che lucra sui disperati è il peggio della nostra società. Sciacalli e lupi famelici, ecco cosa sono. Buoni solo per la forca."
  “Questo lo so, ma… avremmo potuto cacciarli.”
  Morrigan rise sprezzante. “Perché sicuramente non sarebbero mai tornati indietro non appena noi avessimo voltato le spalle, vero?”
  Con un sospiro, aggiunsi: “Non c’è nessuno qui che possa occuparsene. I soldati sono partiti e i Templari devono avere altre faccende per la testa, dunque la gente di qui è del tutto indifesa.”
  Alistair annuì, forse un po’ più convinto. “Capisco, ma… È solo che… Prossima volta avvisate, magari.”
  “Non capisci che avvisando te avrebbe avvisato anche loro, perdendo completamente il fattore sorpresa?" Intervenne acida la ragazza. "Il poveretto sperava che tu ti saresti tenuto pronto comunque... Che illuso, vero?”
  Troncai la conversazione con un gesto della mano. “Ora basta. Abbiamo un lavoro da fare.”
 

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Capitolo 6
*** Soldati, Preti e Mercanti ***


CAPITOLO 7: Soldati, Preti e Mercanti
 
“Bene...” dissi io sedendomi sulla panca. “Ho esaminato i trattati e, sostanzialmente, ci permetteranno di ricevere aiuto da parte di elfi, nani e maghi.”
  La locanda era piuttosto affollata, ma eravamo riusciti ugualmente a ritagliarci un po’ di spazio, accomodandoci ad un tavolino isolato sul fondo del locale, anche se, sfortunatamente, non ci era stato consentito di far entrare anche Dogmeat, che ora attendeva all’esterno.
  Avevamo “requisito” i soldi che i briganti al ponte avevano racimolato e deciso che potevamo permetterci una dormita in un letto vero prima di iniziare a viaggiare per tutto il Ferelden. Inoltre, eravamo stati alla Cappella, dove Ser Bryant, il comandante dei Templari di Lothering, ci aveva ricompensati con altri venti pezzi d’argento. Da lui eravamo riusciti ad apprendere diverse cose sul villaggio. Ci aveva detto che da quando i soldati se ne erano andati, era toccato ai Templari difendere la popolazione, ma gli uomini al suo comando non erano molti. Fortunatamente, la Reverenda Madre, si stava occupando di far evacuare l’impellente numero di profughi giunti al villaggio da tutte le campagne circostanti.
  “Ci sarebbe anche Arle Eamon di cui occuparci...” proseguii. “Non possiamo vincere l’Incontro dei Popoli senza di lui. Allora, che proponete di fare?”
  Morrigan rifletté un paio di secondi e poi con una scrollata di spalle rispose: “Non so cosa voglia questo Loghain, ma se è lui il tuo nemico, rintraccialo e uccidilo direttamente. Affrontalo a viso aperto…”
  Non un gran ché come suggerimento, in effetti. Seguendo questa logica, io e Alistair avremmo davvero dovuto andare a caccia di draghi nelle selve. No, il piano di Morrigan non poteva essere preso seriamente… cosa che Alistair si affrettò a far notare.  “Già, come se non avesse un esercito a proteggerlo… o una fortezza... o delle spie.” puntualizzò sarcastico.
  “Beh” mi intromisi. “Voi a cosa pensate, Alistair?”
  “Al suo ombelico, presumo!” Lo intercettò Morrigan con un ghigno. “Di certo lo ha contemplato a lungo!”
  La ragazza si riferiva al fatto che durante tutto il viaggio, il Custode quasi non aveva aperto bocca, camminando in silenzio e con lo sguardo basso. Anche una volta giunti a Lothering, il suo atteggiamento non era mutato.
  “È così difficile per voi capire il mio dolore?” Protestò lui. “Ho appena perso tutti coloro a cui tenevo… Cosa fareste se vostra madre dovesse morire?”
  “Prima o dopo aver smesso di ridire?” La donna gli rivolse un larghissimo sorriso tronfio e soddisfatto, mentre sul volto di lui si dipingeva un’espressione incredula.
  “Lasciate stare…” disse infine, distogliendo lo sguardo con fare seccato. Poi, dopo aver bevuto un sorso di vino dal suo calice, si rivolse a me: “Volete la mia opinione sull’argomento…?” Il ragazzo si grattò meditabondo la barba che, ma dopo pochi secondi, si strinse nelle spalle. “Proprio non saprei. Vedete voi, non farò storie su ciò che deciderete…”
  La cosa mi sorprese. Lui era il Custode più anziano, ma fino a quel momento non si era comportato molto come tale. Insomma, il comando gli spettava di diritto, eppure, fino a questo momento, si era sempre fatto da parte lasciando che fossi a scegliere il da farsi. Non capivo.
  “Perché lasciate che sia io a decidere? Siete un Custode da più tempo.”
  Il ragazzo tenne lo sguardo basso, non molto ansioso di rispondere.
  “Mhm… Lo ammetto: non mi piace prendere decisioni… e credetemi, voi sareste certamente un leader migliore di me, dunque per quanto mi riguarda, il comando del gruppo è vostro.”
  “Siete sicuro?” Chiesi io, sinceramente sorpreso. Non mi andava di forzarlo a fare qualcosa che non si sentiva di fare, ma ero più che convinto che bisognasse essere piuttosto chiari su questo punto. Se ora si stabiliva che il capo ero io, non volevo che ci fossero ripensamenti.
  “Sì, davvero. Anche in futuro… lo scettro è tutto vostro.”
  “Beh…” dissi io, senza sapere esattamente cosa rispondere. “Grazie, suppongo...”
  Fu in quel momento che la porta della taverna si aprì rivelando tre armigeri all’ingresso. Su scudi e livrea, portavano il drago giallo di Teyrn Loghain, il che significava che questi erano certamente suoi uomini. In testa al gruppo camminava un uomo dalla carnagione abbronzata ed i capelli scuri; portava una folta ed ispida barba nera che gli conferiva un aspetto un po’ trasandato. Indossava una corazza a scaglie, e le insegne militari che portava lo identificavano come ufficiale.
  Mentre i tre individui si facevano largo tra i tavoli affollati della sala grande, uno dei suoi sottoposti richiamò la sua attenzione con una gomitata, indicando poi nella nostra direzione. “Ehi…” sbraitò. “Quei due non rispondono perfettamente alla descrizione?”
  Il capitano ci squadrò a lungo, per poi grugnire un rapido assenso: “Mhm… lo vedo…”
  “Oh-oh” mi bisbigliò Alistair. “Guai in arrivo…”
  “Ehi, voi!” Disse il primo degli uomini avvicinandosi.
  Io ed Alistair, che eravamo seduti a fianco sulla stessa panca e davamo le spalle a quegli uomini, decidemmo di tenere un basso profilo.
  “Non vogliamo problemi…” affermai prima che chiunque di loro potesse aggiungere qualcosa.
  Il loro capo mi pose una mano sulla spalla, un gesto ironicamente amichevole…
  “Già… Ma a volte i problemi vi trovano lo stesso. Non siete per caso Custodi Grigi, vero?”
  Tenemmo gli sguardi bassi, senza dire niente; in questi casi era la cosa migliore. Avrei preferito evitare una battaglia proprio nella taverna, ma sembrava che quegli uomini fossero davvero determinati ad iniziarne una. Scoccai una rapida ma eloquente occhiata a Morrigan, seduta di fronte a me, con l’intenzione di comunicarle di tenersi pronta. Grazie al sorrisetto che intravidi sul suo volto, dedussi che aveva capito.
  “Il capo vi ha fatto una domanda…” insistette il terzo dei suoi sgherri. “Fossi in voi risponderei.”
  “Siamo qui solo per riposare. Non per iniziare una rissa”
  “Temo che sarete costretti…” rispose il capitano facendo un passo indietro e avvicinando la mano all’elsa della spada. Restando seduto, feci lo stesso da sotto il mantello. Prima, però, che uno di noi potesse avventarsi sull'altro, vidi una donna venirci in contro dal fondo della sala. Era una ragazza dai grandi occhi grigi e corti capelli rossi, tagliati in maniera semplice, rustica. Il volto era di una bellezza naturale, quasi innocente, che, con il sobrio abito monacale che indossava, le conferiva l’aria di una comune ragazza di campagna. “Coraggio, signori” intervenne lei con voce serena, quasi cinguettante. “Sono sicura che questi uomini siano solo semplici viaggiatori, sì? Non c’è bisogno di far ricorso alla violenza.” Le sue parole tradivano un accento straniero, lieve e musicale, che probabilmente era da ricondurre ad Orlais. Rivolsi alla ragazza uno sguardo comprensivo. “Vi ringrazio” risposi mentre mi alzavo in piedi. “Ma vi conviene farvi da parte, sorella. Questi uomini non ci lasceranno in pace.”
  “Ben detto!” Rispose con tronfio divertimento il capitano delle guardie, estraendo la spada. Subito lo imitai, ma prima che potesse anche solo provare ad attaccarmi, Morrigan balzò in piedi, sfiorandosi la fronte con le dita. Un attimo dopo, avvertii una specie di spostamento d’aria… e gli uomini davanti a me sembrarono colpiti da un’improvvisa emicrania, talmente forte da piegarli in due per il dolore. Con brutalità sferrai un possente colpo d’elsa al volto del capitano, spedendolo riverso al suolo, accompagnato dal soave ticchettio dei suoi denti che rimbalzavano ovunque sul pavimento. Gli altri due fecero per attaccarmi, per quanto ancora un po’ storditi; ma ora anche Alistair era in piedi e colpì con forza il volto di uno dei due con il suo guanto d'armi, rompendogli il naso con un’esplosione di sangue. L’uomo cadde in ginocchio, reggendosi il volto tra le mani e ululando di dolore. Il terzo soldato fece un passo indietro, intimorito e, proprio mentre sembrava che stesse per scappare, si avvicinò alla ragazza e l’afferrò per i polsi. La sua intenzione, probabilmente, era prenderla come ostaggio, ma questa iniziò subito a dimenarsi.
  “Che fate? Lasciatemi andare…”
  “Non credo proprio…” ghignò l’uomo, mentre le ruotava un braccio dietro la schiena in una chiave articolare e usava la ragazza come scudo umano. “Ora… lasciate quelle armi.”
  Io e Alistair ci scambiammo occhiate incerte. Avremmo anche potuto acconsentire, in fondo non sarebbe stato difficile sopraffare anche l’ultimo nemico, perfino a mani nude… ma che garanzie avevamo che lasciasse effettivamente l’ostaggio? “Non mi avete sentito…?” Insistette l’uomo, avvicinando il volto a quello della sacerdotessa. “Non vorrete che faccia del male ad un fiorellino così grazioso…” aggiunse annusando avidamente i capelli della ragazza e sfiorandole la guancia con la mano libera. Sul volto della sacerdotessa si dipinse un’espressione disgustata. “Ora basta!” Esclamò.
  L’uomo fece per schermirla, ma in un attimo, lei riuscì a colpirlo con una gomitata al volto e a ribaltare la presa in cui era stata bloccata; poi si voltò e assestò al sorpreso nemico un calcio proprio alla base dello stomaco. L’uomo si piegò in due per il dolore e piombò in ginocchio. Ruotando fluidamente, la ragazza gli sferrò un secondo calcio, dritto in faccia… e in un attimo altri denti volarono ovunque a decorare il pavimento. Morrigan rise di gusto…
  “Bene!” Annunciò la ragazza dai capelli rossi mentre i tre uomini rantolavano per terra. “Hanno imparato la lezione, possiamo smettere di combattere.”
  Ci riflettei un attimo, meditando se valesse davvero la pena uccidere quei soldati. Agivano sicuramente per ordine di Loghain, il quale doveva aver raccontato al resto della nazione che eravamo noi Custodi i traditori… Per quanto mi dispiacesse ammetterlo, l’unico crimine di quegli uomini era stata la lealtà.
  “Avete sentito la signora…” annunciai rinfoderando la spada. “Fuori di qui, prima che cambi idea.” I tre uomini si rimisero faticosamente in piedi e lasciarono il locale.
  “Mi dite che vi è saltato in mente, sorella? Quegli uomini erano pericolosi, avrebbero anche potuto ammazzarvi.” Dissi poi severamente alla sacerdotessa. Questa mi rivolse uno sguardo risoluto e rispose: “Non potevo starmene in disparte mentre quegli uomini spadroneggiavano. Dovevo fare qualcosa.”
  “Lo apprezziamo molto” intervenne Alistair. “Ma non era necessario.”
  “Certo che lo era!” Ribadì la ragazza, sorridendo. Pensierosa, ci squadrò per un attimo, mentre il suo sguardo passava da me ad Alistair e vice versa. “Quegli uomini avevano ragione? Voi siete Custodi Grigi, vero?”
  La fissai con sospetto. “Perché vi interessa tanto?”
  “Vedete…” iniziò lei con tono incerto. Sembrava quasi che tutto d’un tratto la sicurezza e la determinazione l’avessero abbandonata. “Io… devo venire con voi.”
  “Cosa???” Esclamò Morrigan. “E perché mai?!”
  “Perché… me lo ha detto… me lo ha detto il Creatore.”
  Alistair fece per dire qualcosa, ma si bloccò, non sicuro di aver capito bene.
  “Il Creatore…?” Ricapitolai io.
  “E io che pensavo che fossimo già al completo di matti…” aggiunse Alistair scoccando un’occhiata a Morrigan, la quale rispose alla provocazione con uno sguardo al veleno.
  “Ho avuto una visione!” Insistette la ragazza, ora più decisa. “Ed in questa visione, il Creatore mi diceva di dover combattere il Flagello. E voi siete Custodi, sì? Voi combattete il Flagello, sì?”
  “… E c’erano delle voci in questa visione…?” rispose Alistair sogghignando beffardo. Dopo avergli assestato una decisa gomitata a mo’ di ammonimento, intervenni: “Sentite, questa non è una scampagnata. Si tratta di combattere i prole oscura. Dei mostri, capite? Non posso preoccuparmi anche della vostra incolumità”
  “Ma so come combattere! Lo avete visto anche voi!” Insistette lei. “So che può sembrare una follia, ma devo accompagnarvi. So badare a me stessa.”
  Scossi il capo. “Mi dispiace. Sconfiggere il Flagello sarà diverso da una comune rissa da taverna.”
  “Ma… ma…! Ah… va bene, solo promettetemi che ci penserete.”
  “Va bene. Oggi partiamo. Se per caso dovessi tornare sulla mia decisione, ripasserò dalla taverna prima di lasciare Lothering.” Non che contassi veramente di farlo, in ogni caso. Avevo ben altro di cui preoccuparmi che i complessi mentali di una sacerdotessa.
  Rivolto agli altri due, aggiunsi: “Comprate l’occorrente per partire; Morrigan, occupati di provviste e reagenti; Alistair, vediamo se è rimasto un fabbro da queste parti. Incontriamoci tra un’ora alla Cappella.”
 
1
 
  Usciti dalla taverna, ci separammo; Morrigan si diresse al mercato, mentre Alistair, Dogmeat ed io andammo alla ricerca di un armaiolo. Trovammo la sua bottega ancora aperta, ma quando gli chiedemmo di riparare le nostre armature danneggiate, ci disse che non ne aveva il tempo: di lì a poco avrebbe iniziato a preparare i bagagli per mettersi in viaggio verso Denerim, dove il suo Bann gli aveva ordinato di raggiungerlo. Tuttavia, accettò di vendercene di nuove e con un lauto sconto. In questo modo, ci procurammo due nuove cotte di maglia, abbinate a spallacci rinforzati e ad una giubba di cuoio bollito. Stavamo per dirigerci verso la Cappella, quando ci imbattemmo in una gabbia abbandonata sul limitare del villaggio, contenente un singolo prigioniero. Non era sorvegliata né sembrava che la gente vi badasse molto. L’uomo all’interno era forse l’individuo più strano che avessi mai visto, alto quasi due metri, massiccio, con muscoli allenati ed atletici, e la pelle di una carnagione grigio-olivastra. Il volto era squadrato, dai lineamenti duri, gli zigomi sporgenti e la mascella pronunciata. Aveva orecchie appuntite, anche se meno di quelle degli elfi, e occhi di un particolare colore viola, molto intensi. I lunghi capelli bianchi erano raccolti in una coda che gli ricadeva sulle spalle. Se ne stava in piedi con le braccia che sporgevano pigramente dalle sbarre di ferro, borbottando strane parole in una lingua che non conoscevo, ma che avevano tutta l'aria di essere preghiere. Sul suo volto era dipinta un'espressione sofferente e stanca, data probabilmente dalla mancanza di sonno. La gabbia era davvero troppo piccola perché lui potesse sdraiarvisi comodamente all'interno.
  Ci avvicinammo al prigioniero, osservandolo curiosi.
  “Vai via, umano…” ci apostrofò l’uomo, ancor prima che avessimo raggiunto la gabbia. Aveva una voce bassa e profonda, quasi atona. “Non sono qui per intrattenerti come un fenomeno da baraccone.”
  “Chi… cosa sei?” Chiese Alistair con un’espressione confusa.
  La creatura sbuffò. “Sono un Qunari.”
  “Qunari?” Domandai io curioso. “Siete un popolo?”
  L’essere mi scoccò un’occhiata scocciata. “Non spetta a me porre rimedio alla tua ignoranza. Se non ci conosci, è solo colpa tua.” La creatura si sedette sul fondo della gabbia, considerando chiusa la conversazione, mentre noi l’osservavamo sempre più confusi.
  “Che volete…?” Chiese infine, vedendo che non accennavamo ad andarcene.
  “Mi serve aiuto specializzato contro il Flagello. Sembri uno in grado di fornirmene.”
  Il Qunari levò lo sguardo su di me, improvvisamente interessato. Si alzò in piedi, afferrando le sbarre. “Il Flagello?” Chiese lui. “Allora devi essere un Custode Grigio!”
  Lo scrutai un attimo, chiedendomi se fosse saggio rivelare la mia appartenenza all’Ordine. “Sì” risposi infine. “Perché così interessato…?”
  Mi squadrò a lungo, meditabondo. “Il mio popolo ha udito leggende sui Custodi Grigi. Guerrieri e strateghi senza pari...” poi, con un grugnito, aggiunse: “Mhm… suppongo non tutte le leggende siano vere.”
  Rivolsi un sorriso sarcastico al Qunari, ma decisi di ignorare la provocazione. “Allora...” mi limitai a rispondere. “Che genere di aiuto potresti offrirmi?”
  “Io sono Sten dei Beresaad, l'avanguardia del popolo Qunari...” rispose lui con un profondo orgoglio negli occhi misto a... tristezza? Rammarico? Forse nostalgia. “Ho passato la vita sul campo di battaglia. So combattere. So uccidere. Sono addestrato.”
  Un soldato, insomma. E piuttosto formidabile, a giudicare dalle sue condizioni fisiche. Era il genere di persona che poteva davvero tornarmi utile.
  “Perché sei in quella gabbia?” Chiese Alistair, chiaramente sospettoso.
  Sten esitò solo un secondo, durante il quale ebbi modo di leggere nel suo sguardo... non saprei, vergogna, forse. Ma fu solo un attimo...
  “Ho ucciso una famiglia. Otto umani. Più i bambini.”
  “Cosa!?” Esclamò Alistair. “Ma è terribile!”
  “Sono d'accordo.” Rispose Sten senza fare una piega. Questo commento, così strano, ci spiazzò entrambi. Concordava con noi sull'atrocità del gesto, eppure dalla voce non traspariva alcuna emozione. Confesso che questo atteggiamento mi confuse. “Ma... sei colpevole, quindi?”  Domandai io
  Con una smorfia scocciata, Sten rispose: “Mi stai chiedendo se mi sento in colpa o se ho commesso l'atto?” Abbassò lo sguardo, forse imbarazzato, forse semplicemente pensieroso. “Qualunque cosa abbia fatto, comunque mi senta... sono condannato.”
  E forse era giusto così, pensai. Massacrare un'intera famiglia...
  “Se senti rimorso per ciò che hai fatto...” ribattei. “Perché, hai commesso questo crimine?”
  Sten mi fissò negli occhi alcuni secondi, senza dire niente. “Devi avere una pessima memoria o una vita miserabile per non conoscere il rimorso.” Era una risposta criptica, incomprensibile. Anzi, non era affatto una risposta! Stavo per controbattere, insistere affinché trovasse gli attributi per rispondere, quando un'ombra passò sul suo viso e lui si accasciò debolmente sul fondo della gabbia. Si teneva una mano sullo stomaco, ansimando, mentre lucide gocce di sudore gli imperlavano la fronte.
  “Da quanto tempo sei rinchiuso?” Domandò Alistair.
  Sten sollevò appena lo sguardo sul mio compare, digrignando i denti. “Venti giorni.” Disse infine.
“Non durerò ancora a lungo. Una settimana al massimo, se continuano a non darmi né pane né acqua...”
  “Venti giorni?!” Esclamai sbalordito. “Nessuno sopravvivrebbe tanto a lungo!”
  Sten mi guardò appena mentre si rialzava faticosamente. “Nessun umano, forse.”
  Lo fissai con la bocca aperta. Ammiravo la sua forza, la sua volontà, la sua tempra... Ma più di tutto il suo spirito che, a dispetto della sofferenza, ancora non era stato spezzato.
  “Deve essere stato difficile catturarti.” Commentò Alistair, anche lui impressionato.
  “Non c'è difficoltà nel catturare qualcuno che non oppone resistenza.”
  “Non...” Cominciai io, ancora più sorpreso. “Non ti sei difeso?”
  Sten mi fissò a lungo e poi scosse il capo. “Ho atteso alla fattoria per tre giorni che arrivassero i cavalieri. Quando mi hanno trovato ho deciso di non combattere.”
  “Perché?”
  “Perché non volevo.” Poi, con una punta di astio nella voce, aggiunse: “E' così difficile immaginare che un assassino voglia espiare le proprie colpe?” 
  “Non vuoi fare ammenda?” Replicai.
  “Lo farò morendo.”
  “Certo... Oppure potresti aiutarmi a combattere il Flagello...” Quell'uomo aveva qualcosa di strano, chiaramente c'erano molte cose di lui che non capivo, su tutte la ragione che lo aveva spinto a compiere un gesto così efferato, eppure... rimaneva un individuo formidabile e, a dispetto dell'atteggiamento chiuso ed introverso, percepivo chiaramente un forte senso di colpa. Lasciarlo lì a morire di fame non mi sembrava solamente crudele, mi sembrava... uno spreco.
  Sten mi scrutò serio con quei suoi occhi viola. Il suo sguardo raramente faceva trasparire emozioni chiare o definite, ma nessuno avrebbe potuto negare che era intenso, indagatore e... bello, in un modo tutto suo.
  “È... accettabile” sentenziò infine. “La Reverenda Madre ha la chiave. Forse se le spiegassi che ai Custodi Grigi serve il mio aiuto, accetterebbe di lasciarmi andare.”
 
2
 
  La Cappella di Lothering non era né la più grande, né la più importante della nazione, eppure era molto conosciuta. La manciata di Templari che la sorvegliavano erano spesso ragazzi delle campagne circostanti, tuttavia non avevano ricevuto un addestramento inferiore a quello dei loro confratelli di Denerim o della Torre del Circolo. Anzi, Sir Bryant si era fatto un nome in questi anni, divenendo un papabile successore al ruolo di Comandante dei Templari del Ferelden. Dopotutto, il compito di questi uomini non era solo sorvegliare la piccola chiesa. Molti eretici che fuggivano dal Circolo dei Magi cercavano di raggiungere le Selve Korcari o la Foresta di Brecilian... e tutta la zona Sud del paese era sotto la giurisdizione dei Templari di Lothering.
  Un altro elemento degno di nota, era senz'altro la grande biblioteca presente all'interno del tempio, di cui sacerdotesse e cavalieri Templari andavano giustamente orgogliosi. Pare che contenesse un numero sorprendente di testi sacri, molti dei quali piuttosto rari. Tuttavia, al momento, non era la storia di Lothering o della sua Cappella ad impegnare i nostri pensieri, ma l'impressionante folla di profughi e rifugiati che ne affollavano le navate. Ovunque erano state allestite brande e giacigli di fortuna, mentre le panche di legno e i posti a sedere erano stati rimossi per fare spazio. Molti uomini erano assorti in preghiera con le loro famiglie e i sacerdoti.
  “Questo luogo si è decisamente riempito con l'avvicinarsi della sera...” commentò Alistair guardandosi intorno. Annuii distrattamente, un po' demoralizzato dalle condizioni in cui versava il villaggio. In quel momento, notai una figura che spiccava chiaramente tra la folla di poveri diavoli riunita all'interno della cappella. Era un giovane in armatura dai bei capelli ramati e la barba dello stesso colore. Indossava le insegne di Redcliffe e al fianco pendeva una bella spada lunga, l'arma che per eccellenza era associata alla cavalleria. Se ne stava appoggiato contro il muro della navata sinistra, assorto in pensieri profondi grattandosi la barba.
  Alistair gli si avvicinò subito. “Sir Donall? Siete voi?”
  L'uomo alzò lo sguardo sul Custode, scrutandolo per alcuni secondi. “Alistair...?” Lo riconobbe infine. “Per il Creatore, come state? Ero certo foste morto!”
  “Non ancora...” rispose. “Ma non certo grazie a Teyrn Loghain!”A quell'affermazione, strinsi le labbra. Non era saggio parlare in quel modo... Non biasimavo certo Alistair per la sua rabbia, ma la parola sbagliata all'uomo sbagliato poteva essere pericolosa. In ogni caso, fummo fortunati con Sir Donall. “Certo...” rispose. “Se solo Eamon non fosse così malato, ci penserebbe lui a rimettere in riga Loghain!” Fu un po' come ricevere un pugno in piena faccia.
  “Cosa?!” Esclamò il mio compagno. “Eamon è malato?”
  “Non avete sentito...?” Domandò il cavaliere, un po' imbarazzato. “Mi spiace dobbiate venirlo a sapere in questo modo, Alistair, ma... Pare che l'Arle sia sul punto di lasciarci...”
  Ma che coincidenza...! proprio quando ne avevamo più bisogno, saltava fuori che il nostro potenziale miglior alleato era su letto di morte. “Che c'entri Loghain...?” suggerii io.
  Il cavaliere si grattò distrattamente la guancia, sovrappensiero. “Non saprei... si è ammalato prima della battaglia, quindi direi di no... Ma se Loghain avesse organizzato tutto questo fin dall'inizio?” Ci rifletté alcuni secondi, poi scosse il capo con decisione. “Bah, queste elucubrazioni politiche non fanno proprio per me. Sono un cavaliere, dannazione! Io combatto!”
  “Che ci fate qui?” Domandò Alistair. Sembrava visibilmente scosso dalla notizia, ma immaginai che conoscendo l'Arle personalmente dovesse essere una reazione comprensibile.
  “L'Arlessa ha inviato molti di noi alla ricerca dell'urna delle Sacre Ceneri di Andraste, ma... con poco successo.”
  Ciò di cui il Sir Donall parlava era un'antica reliquia che si diceva avesse proprietà curative miracolose, ma secondo molti era solo una favola. “Personalmente...” sospirò il cavaliere. “Ho l'impressione di stare dando la caccia ad una leggenda. Sono venuto qui per cercare maggiori informazioni alla biblioteca, ma, come ho detto, io so fare bene una cosa sola: combattere.”
  Comprendevo la titubanza dell'uomo e, anzi, la condividevo appieno, però Arle Eamon era una tessera importante del nostro piano, senza di lui tutto si sarebbe complicato. Dovevamo raggiungere Redcliffe al più presto e farci un'idea della situazione. Non ricordavo se Lord Eamon avesse un figlio, ma ero certo che avesse un fratello minore, Bann Tegan. Se fosse accaduto il peggio, dovevo assicurarmi che il nuovo Arle stesse dalla mia parte.
  Ci congedammo dal cavaliere e cercammo la Reverenda Madre. Convincerla a liberare Sten non sarebbe stato facile, ma una volta ottenuta la chiave avremmo finalmente potuto lasciarci alle spalle Lothering e metterci in marcia verso Redcliffe.
  Con il permesso di Sir Bryant, ci recammo alla sacrestia, sul fondo della Cappella, dove trovammo la Reverenda Madre seduta alla sua scrivania, intenta a compilare alcuni documenti. Varcata la soglia, l'anziana donna, sollevò lo sguardo dal suo lavoro, osservandoci mentre attendevamo in piedi davanti a lei.
  “Buona sera, viaggiatori...” ci accolse con voce serena. “Siete qui per effettuare una donazione alla Chiesa?” La risposta più onesta alla domanda sarebbe stata “no”, ma, data la situazione, decisi che mi conveniva venirle incontro. “Beh... quale decima viene considerata accettabile?”
  “Potrei suggerirvi 30 monete d'argento?” Rispose lei con un sorriso educato. Avevamo accumulato qualche moneta, questo era vero, ma non avevo fretta di spenderle. Tuttavia, se questo mi avrebbe consentito di avere più probabilità di liberare Sten... avrei pagato. “Molto bene.” Risposi recuperando la borsa con le monete dalla cintura. Contai i soldi pattuiti e li depositai sulla superficie lignea della scrivania. Con un sorriso, la donna rispose: “Grazie. C'è altro che posso fare per voi?”
  Esitai un attimo, poi decisi di uscire allo scoperto. “Sono un Custode Grigio e ho bisogno del vostro aiuto.”
  L'espressione della donna si fece improvvisamente allarmata. “Un Custode Grigio?! Certamente saprete che Loghain vi ha dichiarato fuori legge. Non posso aiutarvi, non direttamente, ma se ve ne andrete subito, fingerò di non avervi mai visto.”
  Era la reazione che mi aspettavo di vedere. “Temo...” risposi, cercando di mantenere un tono diplomatico. “Di non poterlo fare. Il Flagello sta arrivando e presto inghiottirà ogni cosa. È una nostra responsabilità fermarlo.”
  “E io cosa dovrei fare?” Rispose lei, irrigidendosi sul suo scranno.
  “Vorrei parlare di Sten, il prigioniero Qunari...” risposi con un sospiro.
  Il volto della donna si indurì, assumendo un'espressione severa. “Capisco..." Non sembrava ansiosa di discutere dell'argomento, ma anzi piuttosto a disagio. "Sarebbe stato più misericordioso giustiziarlo subito, ma... ho deciso di lasciare il suo fato nelle mani del Creatore.”
  Digrignai i denti. “Non è vero e voi lo sapete. Lasciarlo chiuso in una gabbia senza cibo in attesa che l'orda invada Lothering può portare ad un solo fato: la morte. Che sia di fame o per mano dei prole oscura, sarà comunque una fine atroce e vana.”
  La donna scosse il capo. “Siamo noi gli artefici del nostro destino e siamo responsabili delle conseguenze delle nostre azioni. Sten ha commesso un atto talmente orrendo che... mi si accappona la pelle solo a pensarci.”
  “Dategli la possibilità di redimersi!” Insistetti io appoggiandomi alla scrivania con le braccia e piegandomi in avanti, in modo da avvicinare il mio volto al suo. “Abbiamo una missione estremamente difficile e ci serve tutto l'aiuto necessario. Se Sten venisse con noi, potrebbe fare la differenza ed è probabile che incontri comunque la sua morte sul campo di battaglia...”
  “No, non tornerò sulla mia decisione.” La donna si alzò in piedi e mi fissò negli occhi. “Ora devo chiedervi di andarvene.”
  Serrai la mascella e trapassai la donna con il mio sguardo più determinato. “Non vorrete costringermi a fare ricorso al diritto di Coscrizione, madre.”
  La donna non sembrò scomporsi minimamente. “Mi dispiace. Non posso acconsentire... Non costringetemi a chiamare i Templari.”
  “Vi prego, madre, questi uomini hanno ragione.” Una voce serafica alle nostre spalle ci spinse a voltarci: sulla soglia era comparsa una donna dai corti capelli rossi e gli occhi grigi. Era la stessa ragazza della locanda, solo che non indossava più le vesti della Chiesa. Portava un corpetto di cuoio senza maniche ed una leggera cotta di maglia; il braccio destro era rivestito da una lunga serie di placche di cuoio borchiato, mentre il sinistro era completamente scoperto, tranne che per un bracciale di metallo; infine calzava lunghi stivali di pelle che risalivano fin sopra al ginocchio. Alla cintura erano assicurati una coppia di pugnali da combattimento, più svariati da lancio, mentre da dietro la schiena faceva capolino una chioma di frecce con un arco. Nel complesso, si trattava di un'armatura piuttosto leggera, ma adatta al viaggio e comunque affidabile in battaglia
  “Leliana...!” si sorprese l'anziana sacerdotessa. “Conoscete questi uomini?”
  La ragazza si fece avanti sorridendo, affiancandosi a me. Le rivolsi uno sguardo seccato. “Siete dannatamente insistente...” sibilai tra i denti.
  Rivolta alla sacerdotessa, Leliana rispose: “Sì, li conosco, e vorrei andare con loro... se mi vorranno, naturalmente.” La ragazza mi scoccò un'occhiata eloquente ed un sorriso beffardo che mi spinse a serrare ulteriormente la mascella. Notai chiaramente Alistair ridacchiare divertito nell'osservare la scena. “Certo...” risposi con un sospiro. Se il prezzo da pagare per Sten era Leliana, beh... non era poi così alto. “Ma non mi considero responsabile per voi...” La ragazza ridacchiò divertita. “Non preoccupatevi, non ve l'ho chiesto...”
  “In questo caso...” rispose la Reverenda Madre, massaggiandosi le tempie, visibilmente provata dalla conversazione. “Accetto. Ecco, tenete la chiave della gabbia e quella del baule con gli averi del prigioniero. Ora andate.”
  Uscendo dalla Cappella, incrociammo Morrigan, di ritorno dal mercato. Immaginate la sua gioia nell'apprendere della nostra nuova compagna di viaggio. In ogni caso, non avevo tempo per discuterne, e mi diressi immediatamente da Sten. Questo apparve stupito di sapere che avevo avuto successo... e vista la determinazione della Reverenda Madre, non potevo certo dargli torto. Lo liberammo e recuperammo i suoi effetti personali dal baule posto a pochi passi dalla gabbia. Oltre a qualche provvista e ad un otre d'acqua, trovai l'armatura del Qunari. Il suo aspetto era particolare ed esotico, ma chiaramente si trattava di equipaggiamento piuttosto efficiente. Consisteva in un grosso pezzo principale, in metallo temprato, per la parte superiore del petto, unito con delle cinghie agli spallacci. Sotto di esso, andava indossata una comune corazza a bande, abbinata a rinforzi in metallo per ginocchia e stivali.
  “Non avevi con te una spada?” Chiese Alistair, notando l'assenza di qualunque arma. Dopo un attimo di esitazione, Sten rispose: “No” E abbassò lo sguardo meditabondo. “Non ce l'avevo.”

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Capitolo 7
*** Il Primo Passo ***


CAPITOLO 8: Il Primo Passo
 
  Mi risvegliai all'improvviso, ma non riuscii a liberarmi subito dalle spire del sogno in cui ero imbrigliato.
  Quando il gelo della notte mi ricondusse alla realtà, fissai con gli occhi sgranati il manto stellato sopra la mia testa, mentre il mio corpo tornava lentamente a rilassarsi. Con un sospiro cercai di calmarmi mettendomi a sedere sul giaciglio. Ripensavo terrorizzato alle terribili immagini che ancora danzavano davanti ai miei occhi, ma che già iniziavano a sfumare. Era stato come essere immerso in una sorta di nebbia. Tutto mi era apparso sfocato e confuso, fatta eccezione per una cosa: il male. Si trattava di qualcosa di terribile e oscuro, corrotto quasi fin dentro l'anima. Capii che probabilmente avevo appena sognato l'Arcidemone. Nei miei incubi, così strani e difficili da ricordare, appariva sempre allo stesso modo, ovvero come un enorme drago nero, una macchina di morte fatta di scaglie, zanne e artigli. Da quando questa mia avventura era iniziata, non avevo più ricevuto la benedizione un sonno tranquillo, ma quella sera si era trattato di qualcosa di davvero difficile da sopportare...
  "Brutti sogni, vero?" Commentò Alistair, seduto dall'altra parte del falò. Era già vestito in armi e fissava sereno la danza silenziosa delle fiamme. In quel momento invidiai la sua calma.
  "Deve essere qualcosa che ho mangiato" borbottai. Potrà apparirvi sciocco, ma non volevo che Alistair sapesse quanto mi sentissi frustrato da queste notti tormentate, né quanto alcune di queste visioni mi perseguitassero. Era un pensiero davvero stupido.
  Con un sorriso, il ragazzo rispose: "... o bevuto, più probabilmente! Il sangue di prole oscura, ricordate?" Difficile dimenticare una cosa del genere. Questa doveva essere una punizione per aver accettato la corruzione della bestia dentro di noi, ne ero certo. "Sapete..." continuò Alistair. "Dopo l'Unione ebbi degli incubi davvero terribili. Ma dopo un po',  molti di noi imparano a bloccarli."
  "Capisco" risposi. "È solo che sembrava così reale..."
  "Ciò che avete visto... era l'Arcidemone. Lo so, perché anche io l'ho sognato. Lui parla ai prole oscura... e noi Custodi riusciamo a sentirlo. È per questo che abbiamo la capacità di avvertire la loro presenza."
  L'Arcidemone... Duncan me ne aveva parlato, raccontandomi cosa queste creature fossero in realtà. Secondo quanto sosteneva la Chiesa, si trattava degli antichi dei del Tevinter, mostri terribili che sottraevano gli uomini al culto dell'unico vero dio, il quale, adirato, li rinchiuse in mistiche prigioni sotterrane. Tuttavia i maghi dell'Impero sfruttarono la magia del sangue appresa dalle loro deità per entrare nell'Oblio e dare la caccia alla Città d'Oro del Creatore. Per questo oltraggio, essi vennero maledetti e scacciati, diventando i primi prole oscura. La corruzione della loro anima e dei loro costumi li tramutò nelle bestie sanguinarie che sono oggi, il cui unico istinto è la distruzione. Si rifugiarono sotto terra e iniziarono a proliferare, fino a quando non trovarono una delle prigioni degli Dei del Tevinter. I prole oscura corruppero la sua essenza ed esso diede inizio al primo Flagello, diventando un Arcidemone. Ogni volta che un antico dio viene scoperto, la storia si ripete. Non saprei dire quanto di questo fosse vero, ma Duncan sembrava ritenere questa versione abbastanza attendibile, dunque io facevo altrettanto.
  "Non è che ricordi molto..." replicai.
  "È normale. Però, alcuni dei Custodi più anziani dicevano di riuscire a capire ciò che diceva... Io di certo non ci riesco. Comunque, già che siete sveglio, che ne dite di iniziare a smontare il campo? Manca poco all'alba e ieri non abbiamo percorso molta strada." Era vero. Avevano lasciato Lothering ormai sul far della sera e ci eravamo accampati subito dopo il tramonto, dunque non avevamo camminato che un paio d'ore.
  Svegliai gli altri mentre Alistair iniziava a preparare la colazione per il gruppo. Sten e Leliana avevano montato le loro tende a pochi passi dalle nostre, mentre Morrigan si era costruita una sorta di piccolo accampamento il più lontano possibile dal nostro... una stravaganza che mi aveva strappato più di un sorriso. In ogni caso, fummo in breve pronti per rimetterci in cammino verso Redcliffe.
 
2
 
  La marcia attraverso la campagna non era difficile e procedeva spedita, ma io preferivo evitare di spronare troppo il gruppo. Dopo venti giorni passati in una gabbia, temevo che Sten potesse aver bisogno di riposo, quindi effettuammo pause frequenti. Giunti all'ora di pranzo, mi avvicinai al Qunari, vigile ed in disparte ai margini del nostro campo con le braccia conserte.
  "Allora..." dissi. "Com'è la tua nuova spada?"
  Quando avevamo lasciato Lothering, ci eravamo imbattuti quasi subito in una coppia di mercanti, due nani. Eravamo riusciti a salvarli da un branco di prole oscura intenti a saccheggiare le campagne. Non era raro che pochi esemplari isolati si separassero dal grosso dell'orda per compiere razzie e che riuscissero a superare indisturbati anche villaggi e insediamenti. Così, Bodahn Feddic, il più anziano dei due mercanti, ci aveva ricompensati regalandoci una grossa spada per il nostro nuovo compagno. Era un buon pezzo d'acciaio, per quanto non avesse nulla di particolarmente eccezionale. Semplice, pratica e abbastanza cattiva da fare il suo lavoro in battaglia, mi era sembrata l'arma perfetta per l'esotico soldato.
  "Andrà bene" rispose il Qunari senza scomporsi.
  Annuii silenzioso, non sapendo esattamente come attaccare discorso. "Senti..." cominciai. "Possiamo scambiare due parole?"
  Sten sbuffò infastidito, scoccandomi un'occhiata insofferente. "Tutte queste pause sono davvero necessarie? Stiamo perdendo tempo..."
  "Beh, sei stato un bel po' in quella gabbia."
  "Sei preoccupato?" Si sorprese il Qunari. "Non serve. Sono perfettamente in grado di combattere."
  "Impressionante." commentai sorpreso, ma senza scompormi. Se davvero dopo un periodo tanto lungo di privazione del cibo, Sten riusciva a conservare il suo vigore, beh... sicuramente sarebbe stata un'aggiunta preziosa. "Hai detto che eri nell'esercito, ma non perché sei stato mandato a Sud."
  "Per rispondere ad una domanda." Ancora una volta, Sten, credendo di essere stato esauriente, replicava ad un quesito con un tono di voce secco, tipico di chi non si aspetta che la conversazione debba continuare.
  "Sì... E qual era la domanda?"
  "L'Arishok ha chiesto cosa fosse il Flagello. Per la sua curiosità, ora mi trovo qui."
  Attesi che aggiungesse altro, ma il poderoso soldato rimase in silenzio diversi secondi, fissando assorto l'orizzonte davanti a sé.
  "E... non dovresti fare rapporto...?"
  Notai l'espressione di Sten mutare leggermente, quasi un barlume di rimorso o rimpianto gli avesse adombrato il viso. Per un attimo ebbi l'impressione che una grande tristezza lo stesse tormentando, ma forse era un sentimento più profondo.
  "Sì." Rispose infine.
  "Quando lo farai?" Domandai, sicuro che una persona con la sua disciplina avrebbe trovato il modo di portare a termine il suo compito prima o poi.
  "Non lo so..." abbassò lo sguardo pensieroso.
  Lo scrutai alcuni secondi, poi decisi di riprendere una questione lasciata irrisolta. "Ora mi dirai cosa ci facevi in quella gabbia?"
  Sten mi squadrò inarcando un sopraciglio e rispose: "Stavo seduto..."
  "Molto divertente..." ribattei sarcastico.
  "Grazie!" Rispose, sinceramente grato per quello che aveva percepito come un complimento... Non rilevai ironia. Mi sembrava impossibile che non avesse colto il mio sarcasmo, ma era ancora più strano pensare che un personaggio criptico come lui fosse in grado di simulare tanto bene sentimenti come la gratitudine. In ogni caso, non ottenni altre risposte e decisi di riprendere il cammino al più presto.
  Aumentammo il passo e riducemmo drasticamente le pause, in modo da percorrere quante più leghe possibili prima di doverci nuovamente fermare.
  Mentre Sten e Morrigan tendevano ad essere di natura piuttosto taciturni, trovai strano l'improvviso silenzio in cui Alistair si era ritirato. Camminava spesso in fondo al gruppo, rispondendo a monosillabi e solo quando interpellato. Giudicai che questo suo comportamento dovesse essere legato al recente lutto e, dal momento che potevo comprendere perfettamente il suo dolore, decisi di non infastidirlo. Tuttavia, una di quelle sere fu Leliana ad approcciarsi a me. Io e lei non avevamo parlato molto fino a quel momento, forse perché ero spesso impegnato a guidare il gruppo durante il viaggio e pianificare il tragitto del giorno successivo alla sera. O più semplicemente, nessuno dei due aveva sentito particolarmente il bisogno di dare confidenza all'altro, trattenuti dall'inevitabile timidezza che contraddistingue due persone che si sono appena incontrate.
  "Sapete, sono un po' preoccupata per Alistair..." mi disse mentre ero intento a preparare la cena, accovacciato accanto al fuoco.
  Alzai lo sguardo su di lei, incuriosito. "E perché mai, Leliana?"
  "Beh..." proseguì, acquattandosi a sua volta nei pressi del focolare. "Mi è subito sembrato un ragazzo solare e aperto, eppure di recente lo vedo spesso assorto nei suoi pensieri, silenzioso, triste... Temo che abbia il morale atterra. Voi lo conoscete da più tempo, magari saprete cosa fare o cosa gli passa per la testa."
  Sospirai, attizzando il fuoco con un pezzo di legno. "Vedete, non lo conosco affatto da molto tempo: siamo finiti assieme solo recentemente. Secondariamente... sapete cosa è successo ad Ostagar e che lì ha perso buona parte delle persone a lui care. Credo stia cercando di... elaborarlo, diciamo. In questi casi, una persona ha solo bisogno di tempo, fidatevi."
   La ragazza sorrise con fare rassicurante. "Sembra che parliate per esperienza personale... Posso chiedervi...?"
  "No" tagliai corto io, non avendo alcuna intenzione di discutere con lei del mio passato. Leliana mi guardò seria, ma comprensiva. Alla fine annuì e fece per andarsene. "Non alzatevi..." intervenni. "Non ce n'é bisogno." Sospirai, non volevo apparire scortese o scontroso. "Come avete intuito, sì, parlo per esperienza personale, ma è una questione che ancora non ho risolto. Magari un giorno ve ne parlerò, ma... non oggi." Per quanto cercassi di restare concentrato, il massacro della mia famiglia era una ferita ancora aperta e parlarne era come spargerci sopra del sale. Come Alistair, avevo fatto fatica ad accettare la cosa. Durante il viaggio verso Ostagar, avevo avuto Duncan con me, che, a dispetto del mio gelo nei suoi confronti, mi aveva spronato a superare il trauma. Ancora oggi uno dei miei più grandi rimpianti è non potermi sdebitare con quell'uomo. "Gli parlerò..." dissi infine. "Male non potrà fargli."
  "Vi ringrazio" sorrise lei.
  "Leliana..." proseguii, intercettandola prima che se ne andasse. "Credo che dovremmo parlare di quella vostra visione."
  La ragazza sospirò abbassando lo sguardo. "Sapevo che prima o poi sarebbe saltato fuori questo argomento." Non sembrava affatto ansiosa di raccontare di ciò che l'aveva spinta ad unirsi al mio gruppo. Rimase in silenzio diversi secondi, disegnando con il dito cerchi vaghi sul terriccio, forse cercando le parole giuste. "Da dove posso cominciare...? Diciamo che... ho avuto un incubo." Al sentire pronunciare quelle parole, subito levai lo sguardo su di lei, sorpreso. Con tutti quelli che avevo avuto, per un attimo fui portato a pensare che quella non potesse essere una semplice coincidenza, ma decisi che era il caso di ascoltare  cos'altro avesse da dire. "... ed in questo sogno c'era un'oscurità impenetrabile, così densa... così reale. E c'era un rumore, un rumore terribile. Io ero su un'altura e osservavo l'oscurità inghiottire ogni cosa, ma quando la tempesta ha travolto anche l'ultimo raggio di luce... sono caduta e l'oscurità mi ha avvolto..." Il volto della ragazza era incredibilmente serio mentre aggrottava le sopraciglia nello sforzo mnemonico. Nei suoi occhi, però, leggevo un sentimento familiare, un sentimento che mi afferrava il cuore ogni volta che mi svegliavo di soprassalto nel pieno della notte.
  "Quindi... Avete sognato il Flagello?"
   Leliana si strinse nelle spalle. "Immagino di sì. Quello era l'oscurità, no? E quando mi sono svegliata, mi sono precipitata nel giardino della Chiesa, come facevo ogni mattina, ma quel giorno notai che un cespuglio era fiorito. Tutti sapevano che quella pianta era morta. Era grigia e secca... la più brutta cosa che avessi mai visto, eppure quel giorno una singola rosa era apparsa fra i suoi rami, rossa e bellissima. È stato come se il Creatore avesse voluto dirmi che anche in queste ore oscure si può trovare la bellezza... la speranza."
  Il Creatore... Un dio nel quale ero stato educato a credere e che veneravo ormai solo per abitudine. Forse c'era effettivamente una vita dopo la morte o qualche divinità che ci riconoscesse come suoi figli... ma che si trattasse proprio del Creatore? O del Creatore così come lo vedeva la Chiesa? Difficile dirlo. Se effettivamente era proprio così... beh, non avrebbe forse dovuto trattarsi di un dio lontano e adirato che più nulla voleva avere a che fare con l'uomo? Questo predicava la Chiesa. Francamente a queste domande non avevo alcuna risposta. Forse il Creatore ci amava e aveva davvero inviato Leliana per aiutarci... o forse no. Forse Leliana era semplicemente una fanatica... o forse no. Forse era pazza. O forse no. Tutto ciò era davvero fuori dalla mia portata.
  "Capisco..." dissi. "Francamente non so se quelle fossero solo la rappresentazione delle vostre speranze o se davvero qualcuno abbia voluto che voi faceste parte di un piano più grande. Tuttavia... beh, ormai siete qui..."
  "Già, ci sono. Non avrei potuto starmene in disparte mentre il Flagello divorava tutto, no?"
  Mi limitai a sorriderle educatamente. "Certamente... Ora chiamate gli altri: direi che la cena è pronta."
  Dopo un paio di giorni, raggiungemmo finalmente le terre di Arle Eamon, ma io ancora non avevo parlato con Alistair. Speravo che fosse lui a confidarsi o che semplicemente riuscisse a lasciarsi tutto alle spalle per conto suo, ma invece era diventato ancora più silenzioso. Non sapevo bene cosa dirgli, come approcciare il discorso... Anche se comprendevo i suoi sentimenti, non mi sentivo la persona migliore per consolarlo. Tuttavia, una mattina, quando ormai il castello di Redcliffe, arroccato sulle sponde del lago Calenhad, si stagliava nitidamente all'orizzonte, mi avvicinai a lui.
  "Alistair..." dissi io. "State bene? Mi sembrate un po' strano da qualche giorno..."
  Il ragazzo mi fissò con i suoi occhi nocciola per alcuni secondi, aggrottando le sopracciglia, quasi fosse impegnato a prendere qualche decisione difficile. Alla fine sospirò. "Sentite, devo dirvi una cosa... un cosa che probabilmente avrei dovuto dirvi prima."
  Dirmi prima? Cos'era a turbarlo se non la morte di Duncan e di tutti i Custodi?
  "Perché ho la sensazione che non piacerà quello che sto per sentire...?" Domandai retoricamente con uno sguardo penetrante.
  "Io... non saprei..." Alistair distolse lo sguardo, visibilmente imbarazzato. Alla fine prese un lungo respiro e cominciò: "Vi ho detto che conoscevo Arle Eamon, ma non vi ho detto come. Beh, ecco... diciamo che... mia madre era una delle servette del castello... E... sì..."
  Inarcai un sopracciglio. "Che c'è? Volete dirmi che siete un bastardo di Eamon?" Volli tagliare corto. La notizia non mi avrebbe affatto sorpreso. I figli illegittimi erano molto comuni tra i nobili e spesso ricevevano un'ottima educazione e potevano diventare cavalieri... o Templari, appunto. Tuttavia, non capivo perché vergognarsene...
  "Non esattamente..." rispose, ancora più imbarazzato. "Il fatto è che, sì, sono un bastardo, ma... mio padre... Lui era Re Maric..." Ricevere un calcio nei denti sarebbe stato più piacevole.
  "Cooooosa?!" Esclamai io, interrompendolo. "Non vi è venuto in mente che forse era il caso di dirmelo prima, maledizione!?!"
  "Io... avete ragione... Ma... è solo che... per tutti doveva restare un segreto. Arle Eamon mi ha cresciuto come fossi suo figlio, ma mi ha sempre insegnato a tenerlo nascosto, poiché non voleva che fossi una minaccia per il trono di Cailan. Insomma, non mi è mai piaciuto parlarne ed in più non sapevo come dirvelo..."
  "Che ne dite di 'Ehi, è pronto lo stufato. E, oh, a proposito, sono il dannatissimo erede al trono!'"
Questo avrebbe potuto cambiare tutto. Tutto! Se lui era l'ultimo uomo rimasto con il sangue di Re Maric, beh... gli equilibri dello scacchiere su cui ci trovavamo venivano stravolti. Letteralmente!
  "Avete ragione, ma... Ah, non lo so..."
  Presi un profondo respiro e mi massaggiai le tempie cercando di calmarmi. Dovevo restare lucido, pensare razionalmente. Dopotutto, anche se tardiva, restava una bella notizia. "Loghain..." dissi infine. "Lui lo sa?"
  "Non ne sono sicuro, ma... immagino che sia possibile."
  Digrignai i denti: questo poteva complicare le cose. "Allora dovremmo stare più attenti..."
  "Mi dispiace, avrei dovuto dirvelo subito..."
  Sospirai e assestai al compagno una pacca sulla spalla. "Coraggio, non pensiamoci più per adesso... a meno che non abbiate altre rivelazioni dell'ultimo minuto da farmi. Che ne so, magari Duncan vi aveva consegnato un veleno-uccidi-arcidemone, o qualcosa del genere."
  "No... direi che a parte il mio sacrilego amore per il formaggio e l'ossessione pei i miei capelli, questo è tutto. Sapete... cose da principi." Mi sorrise timidamente, nella speranza di strappare anche a me un sorriso. In qualche modo ci riuscì. "Alistair..." dissi io, cercando di restare serio. "Vi rendete conto che ciò fa di voi l'erede al trono, vero?"
  "Oh, spero proprio di no. Sarei un pessimo re!" Rise lui. "Coraggio, andiamo... Se qualcuno deve succedere al trono, questo dovrebbe essere Arle Eamon. Era lo zio di Cailan, dopotutto, ed un uomo amato. Quindi, sbrighiamoci a salvarlo." E con un peso in meno sullo stomaco, il ragazzo continuò a camminare, lasciandomi indietro di qualche passo con i miei pensieri. Lui l'aveva buttata sul ridere, ma io ero serio. Lui era l'erede, ed in quanto tale aveva un dovere, una responsabilità. I Custodi fanno il loro dovere, sempre, non importa quanto sia alto il prezzo. Presto anche Alistair avrebbe dovuto rendersene conto.  
 
3
 
  Il borgo di Redcliffe era un piccolo insediamento di quasi settecento anime, nato nei dintorni del castello, lungo le rive del lago Calenhad. Il villaggio era piuttosto umile e viveva soprattutto di commerci e pesca, in quanto la terra brulla dei dintorni non era particolarmente fertile o adatta all'agricoltura. L'insediamento si sviluppava sulla scoscesa riva ovest e si arrampicava lungo la scogliera. La piazza principale sorgeva davanti alla Cappella e su di essa si affacciavano le principali botteghe e attività commerciali. Il grosso dell'abitato era stato edificato a ridosso dell'acqua tramite moli e palafitte, che davano vita ad un piccolo porto. Risalendo la stradina principale lungo la scarpata, ci si imbatteva nella tavernetta di paese, piccola ma accogliente. Ancora più in altro, era presente un mulino a vento, arroccato sulla cima del picco. Da lì, il sentiero conduceva alla strada principale e al Castello di Redcliffe, silenzioso e addormentato nell'aria del primo pomeriggio.
  Superato il ponte che segnava il confine del borgo, avevamo iniziato a scendere lungo il pendio, quando ci imbattemmo in un ragazzo che piantonava la strada. Doveva avere sui quindici, massimo sedici anni, molto magro, con il volto affilato ed i capelli lunghi. "Viaggiatori..." commentò con la bocca spalancata, come se non avesse mai visto estranei in vita sua. "Siete qui per aiutarci?"
  A quella domanda, ci fermammo, scambiandoci sguardi curiosi. "In un certo senso..." rispose Alistair. "...se è delle condizioni di salute di Arle Eamon ciò a cui vi riferite."
  Sul volto del ragazzo comparve un'espressione confusa. "Arle Eamon?" Ci chiese, quasi avesse solo una vaga idea di chi stessimo parlando. "Potrebbe essere morto per quanto ne sappiamo! Non riceviamo notizie dal castello da giorni, ormai."
  "Ma di che diavolo stai parlando?" Intervenni io.
  "Non... non ne sono sicuro! Ci sono delle cose... cose morte... Ogni notte scendono dal castello e vengono ad attaccarci, ma io... non..."
  "Calmati!" Lo interruppi. "Perché non siete andati a cercare aiuto?"
  "Ci abbiamo provato!" Rispose lui energicamente. "Abbiamo perfino provato ad evacuare il villaggio, ma... ogni volta che qualcuno prova ad andarsene... quelle cose attaccano! Anche se è giorno!"
  Ci guardammo tutti, sempre più confusi, non sapendo esattamente che pesci pigliare. "Morrigan..." dissi infine. "Hai idea di cosa stia succedendo?"
  La ragazza si strinse nelle spalle. "Sembrerebbe magia del sangue, ma senza saperne di più è difficile a dirsi..."
  Dovevo vederci più chiaro... e quel ragazzino spaventato non era certo la migliore fonte di informazioni. "Senti... chi è che comanda qui?"
  "Bann Tegan! Lui! Lui ci ha salvati!"
  Bann Tegan era il fratello minore di Arle Eamon e, per quanto ne sapevo, suo erede. Con le condizioni di Eamon sempre più incerte, era di importanza cruciale riuscire a parlargli e salvarlo. Non era né rispettato né potente quanto il fratello, ma era una persona giusta, a sentire mio padre, e si sarebbe ritrovato al comando di un esercito piuttosto ampio, se l'Arle non si fosse ripreso al più presto. Rimaneva comunque la nostra migliore possibilità. "Portaci da lui..."
  Il ragazzo annuì ed iniziò a farci strada. Mentre scendevamo lungo il sentiero, iniziai a chiedermi con preoccupazione cosa diavolo stesse succedendo. Era chiaro che qualche terribile maledizione affliggeva la brava gente di Redcliffe, ma io avevo una missione di importanza vitale: avrei fatto il possibile per aiutare i locali, ma nella mia testa il Flagello restava la priorità. Per quanto difficile fosse, dovevo compiere il mio dovere.
  In breve raggiungemmo il centro del villaggio. Da dietro le sconquassate porte di legno e le finestre sprangate, sguardi più spaventati che curiosi scrutavano il nostro incedere; un gruppo di bambini sporchi di fango ci squadrò per qualche secondo, prima di dileguarsi dietro le banchine, mentre per il resto silenzio e desolazione erano i sovrani indiscussi del posto. "C'è più allegria in un cimitero..." commentò Leliana, guardandosi attorno circospetta.
  Entrammo in chiesa. Era un piccolo ma solido edificio in pietra, che presentava tre navate e, sul fondo, uno spazio più ampio in concomitanza con l'altare. All'interno, vidi parecchie donne e bambini, con diversi anziani. La maggior parte di quelle persone avevano sguardi vacui e spenti, e nei loro occhi la speranza era solo un lontano ricordo. Sembravano già morte.
  Ci avvicinammo al fondo dell'edificio, dove notammo un uomo sui trent'anni che discuteva animatamente con un'anziana sacerdotessa. "...vi prego, Madre... Potrebbe davvero fare la differenza..." Stava dicendo, stringendo le mani della donna tra le sue.
  "Mi dispiace, Bann Tegan..." rispose lei con espressione contrita. "È qualcosa che semplicemente non posso fare. Sono davvero addolorata."
  Con un sospiro, Tegan annuì. "Capisco. Andate, non vi infastidirò oltre." L'uomo si sedette sui gradini dell'altare con aria stanca, reggendosi il volto tra le mani.
  "Chiedo scusa..." esordii, avvicinandomi. "Siete voi Bann Tegan?"
  L'uomo alzò appena lo sguardo su di me. Il volto era sciupato, con profonde occhiaie scure a cerchiargli lo sguardo, e i capelli rossi tipici della sua famiglia erano parecchio scompigliati. "Io... Sì. Chi siete voi?"
  Chinai leggermente il capo. "Velor, Mio Signore. Sono un Custode Grigio." Inutile mentire a riguardo.
  "Un Custode?" Si sorprese l'uomo. Sembrava che stentasse a seguire i nostri discorsi, evidentemente stremato dalla privazione di sonno.
  "Tegan, forse vi ricorderete di me..." intervenne Alistair. "Anche se l'ultima volta che mi avete visto ero decisamente più giovane e coperto di fango."
  "Coperto di fango...?" Tegan scrutò il mio compagno, confuso, poi il volto gli si illuminò. "Alistair! Siete voi, vero? Siete vivo! Che splendida notizia!"
  "Perdonate, Mio Signore" mi intromisi rispettosamente. "Di certo avrete udito le calugne che Loghain ha messo in giro su di noi."
  "Naturalmente. Io ero a Denerim quando è ritornato con il suo esercito. Vorrebbe farci credere che i Custodi hanno tradito il Re... È un peccato che però siano tutti morti con Cailan, mentre lui è riuscito a non perdere neppure un soldato! Come se non fosse abbastanza, si è dichiarato reggente in nome di sua figlia, la Regina Anora. Se continuerà a tirare così tanto la corda, scoppierà una guerra civile."
  Mi fece piacere sentirlo così profondamente schierato dalla nostra parte. Mi portava ad essere un po' più ottimista per il futuro. "Sono felice che la vediate così. Posso chiedervi come sta Arle Eamon? Sapevo che era malato."
  L'uomo si alzò in piedi faticosamente e con gli occhi lucidi. "Non riceviamo notizie dal castello da diversi giorni, ormai. Nessuna guardia pattuglia le mura e nessuno risponde alle mie grida. Poi... sono cominciati gli attacchi..." L'uomo sembrava scosso dal ricordo degli eventi che avevano tormentato il villaggio le notti precedenti. "Ogni notte, cose... malvagie sorgono dal castello e vengono a portare la morte su di noi. Fin'ora li abbiamo respinti, ma... abbiamo perso così tanti dei nostri! Non so se riusciremo a resistere ancora una notte."
  "Che genere di creature sono?" Chiese Morrigan con un punta di curiosità.
  "Alcuni di noi li chiamano... morti viventi." Rispose Bann Tegan inorridito. "Cadaveri macilenti in avanzato stato di decomposizione tornati in vita con una sacrilega fame di carne umana..." L'uomo ci fissò stremato. "Alistair, odio dovervelo chiedere, ma abbiamo disperato bisogno di aiuto. Potreste davvero fare la differenza qui."
  "Non riguarda solo me..." rispose Alistair, mordendosi il labbro. "Però senza Redcliffe non abbiamo molte speranze."
  Non era la nostra battaglia, certo, ma cosa potevamo fare? Senza il sostegno di Eamon o Tegan, non vedevo come poter vincere all'Incontro dei Popoli. Se un gruppo di paesani erano riusciti a resistere tanto a lungo, con il nostro supporto la vittoria forse era a portata...
  "Immagino non ci sia modo di entrare nel castello, vero?"
  Bann Tegan scosse il capo con decisione. "Non per il momento, non abbiamo i numeri per un attacco frontale. Tuttavia, se riuscissimo a resistere ancora una notte, potremmo tentare domani mattina."
  Sospirai, era come pensavo. "Molto bene, vi aiuteremo." 
 
4
 
  Si preannunciava una giornata di duro lavoro. Bann Tegan ci aveva ragguagliato velocemente sulla situazione, comunicandoci con precisione il numero di uomini a sua disposizione e le condizioni del villaggio. La Chiesa era di gran lunga l'edificio più solido ed era lì che si sarebbe radunata la popolazione al calare delle tenebre. Lui sarebbe rimasto con i cittadini per proteggerli ed organizzare un'eventuale ultima linea di difesa. Fui contento di sapere che Tegan non si sarebbe esposto durante lo scontro, in questo modo era più probabile che sopravvivesse. In ogni caso, Tegan ci aveva suggerito di parlare con Murdock, il sindaco della città, e Sir Perth, uno dei cavalieri mandati alla ricerca dell'Urna delle Sacre Ceneri, recentemente di ritorno.
  Usciti all'esterno, trovammo un uomo nel cortile, intento ad istruire alcuni paesani al tiro con l'arco. Era un individuo non molto alto, dai lunghi capelli bruni e i folti baffi. Camminava tra i pochi uomini disposti alla bella e meglio, con sguardo severo, dando loro ordini perentori con una voce profonda e ruvida, che risaltava terribilmente il feroce accento contadino.
  "Murdock, presumo..." dissi avvicinandomi all'individuo. L'uomo si voltò verso di me, squadrandomi con un sopraciglio inarcato, quasi avesse a che fare con chissà quale curioso ed eccentrico personaggio. "Aye..." rispose con voce graffiante. "E voi dovete essere gli stranieri di cui ho sentito parlare."
  "Sì, siamo Custodi Grigi..." intervenne Alistair alle mie spalle.
  "Custodi, eh? Avevo sentito che erano tutti morti con il Re a Ostagar dopo averlo tradito... ma voi non avete l'aria di fantasmi. Comunque sia, accetterò qualunque aiuto mi offrirete, non prendetemi per un ingrato o cose del genere."
  "Com'é il morale?" Domandò Leliana.
  Murdock la squadrò per qualche istante, confuso. "Non sapevo che accettassero anche donne tra i Custodi... Bah, di questi tempi se ne vedono di tutti i colori."
  "Non fa parte dei Custodi. Ci accompagna e basta." Tagliai corto io con impazienza. "Però rispondete alla sua domanda."
  Il sindaco indicò gli uomini che lo circondavano con un gesto ampio del braccio. "Il morale non è altissimo, ma potrebbe andare peggio. Questi sono bravi ragazzi ed imparano in fretta, ma non sono soldati. Tuttavia abbiamo retto fino a questo momento e con voi qui credo che potremmo avere qualche possibilità. Gli uomini sono nervosi e io posso solo provare a renderli meno incompetenti, purtroppo."
  "Come potremmo aiutare?"
  "Beh... Abbiamo costruito delle barricate e le disporremmo nel cortile a breve. Suppongo che qualcuno esperto di guerra saprebbe darci qualche buon consiglio. Ma il vero problema è un altro. Abbiamo ripulito di tutta la ferraglia di cui avevamo bisogno la bottega di Owen, il nostro fabbro,  ma ormai le armature si sono danneggiate e cadranno a pezzi se non si deciderà a ripararle."
  "E perché mai non dovrebbe?" Domandò Leliana.
  "Perché è un somaro testardo, ecco perché! Sua figlia era al castello quando tutto è cominciato e ora vuole che andiamo a riprenderla... Bah, come se fosse possibile entrare nel castello!"
  "Capisco." Risposi. "Vedrò se riesco a convincerlo."
  "Aye, chissà che voi non possiate mettergli un può di buon senso in quella zucca vuota che si ritrova..." concluse poi, allontanandosi.
  Mi voltai verso Sten. "Ascolta, voglio che tu dia una mano con quelle barricate. Vedi se riesci a migliorare un po' la situazione e aiuta a disporle, per piacere..."
  "Non ci sono prole oscura qui." Ribatté lui.
  "Questo lo vedo..." risposi, non del tutto convinto di cosa quel commento significasse.
  "E allora perché restiamo qui? È una perdita di tempo."
  "Concordo..." intervenne Morrigan. "Perché rischiare la vita per queste persone? C'è chiaramente una forza malvagia e potente al lavoro qui, non ha senso rischiare."
  "Questo non è degno di voi..." intervenne Leliana, con sguardo severo. "Non credete che quelle persone meritino di essere protette?"
  "No, se non sono capaci di proteggersi da sole." Ribatté Sten glaciale. "Ogni uomo, donna o bambino in grado di reggersi in piedi dovrebbe essere qui fuori. Chi non è in grado di combattere le proprie battaglie e si rifugia dietro gli altri non è poi così attaccato alla propria vita."
  Leliana sembrava molto contrariata. "Come potete pensarlo?! Voi Qunari non avete mai bisogno di aiuto?"
  "Basta!" Intervenni io. "Stiamo sprecando tempo. Sten, ci serve il supporto di Arle Eamon per combattere il Flagello, quindi difenderemo queste persone. Sono stato chiaro?" Fissai Sten negli occhi, il quale ricambiò il mio sguardo con un'espressione corrucciata. "Forse hai ragione." Concesse infine.
  "Bene..." sospirai. "Leliana, fate ciò che potete per la popolazione. Tutti voi, cercate di rendervi utili. Io sbrigherò alcune commissioni. Ci vediamo qui tra un paio d'ore, chiaro?"
  Con risposte di assenso più o meno soddisfatte, i membri del gruppo si dispersero nella piazza cittadina ed io mi diressi alla bottega del fabbro.
 
5
 
  "Andate via!" Urlò qualcuno dall'interno con voce lamentosa. Non un gran ché come inizio, mi dissi.
  Trovare la bottega del fabbro non si rivelò difficile, mi fu sufficiente chiedere a qualcuno del posto. Entrare sembrava un'impresa ben più ardua, però. Non avevo neppure bussato alla porta che qualcuno mi aveva intimato di andarmene, percependo, probabilmente i miei passi all'esterno.
  "Scusate, siete voi Owen?"
  "Io... Chi? Chi siete, voi? Vi manda Bann Tegan?"
  "Preferirei non parlare attraverso una porta, se non vi dispiace. " Risposi con gentilezza.
  "Io... Ehm... capisco. Va bene, entrate!" Rispose quello, iniziando ad armeggiare con la serratura. Quando la porta venne aperta, sulla soglia comparve un uomo anziano e con la pancia. Aveva una lunga barba grigia, unta e sporca, e capelli ugualmente poco curati.
  Si scostò per farmi passare con un sorriso un po' impacciato. Entrai nel negozio e subito un forte odore di chiuso e vinaccia aggredì le mie narici. Il posto puzzava come una distilleria e sembrava che nessuno pulisse da parecchi giorni. Il locale era piccolo e in disordine, ma rastrelliere e manichini erano del tutto spogli.
  "Bene" disse. "Volevate parlare? Ora parlate." La sua voce era stonata e acuta, storpiata probabilmente dall'ebbrezza alcolica del vino, di cui sembrava aver fatto eccessivo uso.
  "Sarò breve, non ho tempo da perdere." Risposi, piantandogli gli occhi addosso. "Ho bisogno che ripariate le armature della milizia e che lo facciate subito."
  L'uomo sbuffò contrariato. "Perché dovrei aiutare Bann Tegan o Murdock se loro non vogliono aiutare me?"
  "Perché se non lo farete, nessuno di noi vedrà il sole di domani. Ecco perché. Quindi che ne dite di mettervi al lavoro?"
  L'uomo scosse il capo. "Io voglio mia figlia, Valena!"
  "Mi spiace per vostra figlia" risposi. "Ma non vedo cosa potremmo farci!"
  "Voglio una promessa!" Insistette quello. "Voglio che la troviate..."
  Sospirai. "Sapete che al momento nessuno può entrare nel castello."
  "Lo so, ma Bann Tegan dice che presto dovrà provarci. Quando accadrà, voglio che mi giuriate che andrete con lui e che cercherete mia figlia."
  Lo squadrai per un attimo con sguardo indagatore. "Cosa mi impedisce di mentirvi?"
  "Il vostro dannato onore!" Abbaiò lui in risposta. "O la vostra coscienza, sempre che ne abbiate una!"
  Non mi sembrava una richiesta irragionevole. Era comunque mia intenzione entrare nel castello e nel farlo non mi costava niente tenere gli occhi aperti per cercare la figlia di Owen.
  "Molto bene. Avete la mia parola."
  L'uomo mi guardò con gli occhi lucidi, anche se non saprei dire se per la commozione o l'alcol. "Grazie. Per me è sufficiente. Grazie, di cuore! Dite a Murdock che mi porti le corazze danneggiate: mi metterò subito al lavoro."
  Mi avviai verso Chiesa. Mi ero occupato abbastanza velocemente della questione ed ero curioso di sapere se c'era altro che potessi fare. Nel cortile la milizia continuava ad allenarsi sotto lo sguardo vigile di Murdock. Mi avvicinai all'uomo e gli comunicai che avevo convinto Owen a riaprire i battenti della sua fucina.
  "Davvero?" Si sorprese lui. "Beh, che io sia dannato se questa non è una buona notizia! Gli porterò subito tutto l'equipaggiamento."
  Mentre Murdock si dirigeva verso la bottega del fabbro, notai Morrigan avvicinarsi a me con passo deciso e sguardo determinato. "Custode" iniziò lei. "Dobbiamo parlare."
  "Se siete venuta per insistere che dovremmo andarcene, risparmiate il fiato. Ho già preso la mia decisione."
  La donna sbuffò incrociando le braccia. "Se davvero dobbiamo compiere questa follia, almeno ascoltatemi!"
  Abbassai lo sguardo, sospirando. "Naturalmente." Risposi. "Parlate pure."
  "Non sono un'esperta di magia del sangue, ma credo di aver capito di che genere di nemici si tratta..."
  La guardai con improvviso interesse, grattandomi la barba. "Interessante. Proseguite."
  "Sono cadaveri rianimati con un rituale potente e pericoloso, questo è certo... come è certo che un cadavere non potrà mai diventare più morto di quello che è..."
  "Non sono certo di capire... Sono immortali?"
  "No. Sono morti. C'è una bella differenza." Rispose levando gli occhi al cielo con impazienza. "Sentite, una freccia nel cervello sarà del tutto inefficace. L'unica soluzione è ridurli talmente male da non essere più in grado di muoversi. Decapitazioni, smembramenti, ossa fracassate... tutti rimedi eccellenti. E data la difficoltà che queste creature hanno nel muoversi, non dovrebbe essere complicato riuscire ad inabilitarle."
  "Ha senso, suppongo..." commentai sovrappensiero.
  "Certo che ce l'ha!" Rispose lei, impaziente. "Ma c'è dell'altro. Questi cadaveri sono particolarmente vulnerabili al fuoco. Sarà questa la nostra carta vincente, capite?"
  "Morrigan..." risposi con un sorriso. "Siete brillante almeno quanto bella!" Era un commento come un altro, uscitomi fuori quasi spontaneamente, avendo passato 19 anni a rivolgermi in questo modo alle molte dame di corte.
  "Piantatela!" Rispose fulminandomi con lo guardo ed allontanandosi con fare seccato...
 
6
 
  Entrai nella cappella e subito notai un cavaliere intento in un'animata lite con un nano. Era un uomo alto e decisamente robusto che indossava una pesante armatura completa, mentre il nano... beh... era un nano. Basso per la media umana ma ben piazzato, portava una folta barba nera ed indossava un'armatura a scaglie nanica.
  "... e allora che siete venuto a fare qui?" Si stava scaldando il cavaliere.
  Il nano si strinse con noncuranza nelle spalle. "Davo solo un'occhiata. Non mi pare che sia vietato."
  "Siete un codardo!" Abbaiò l'uomo. "Sapete combattere meglio di chiunque nella milizia, siete un veterano, maledizione! E ogni notte vi chiudete nella vostra dannata casa lasciando che siano gli altri a morire."
  "Mi pare di ricordare che Bann Tegan abbia espressamente e chiaramente deliberato che avrebbe accettato solo volontari. Prendetevela con lui, non con me..."
  Il cavaliere sbiancò per l'offesa. Era davvero ad un passo dal mettere mano alla spada per infilzare il compare. "Lui... Lui... Come osate!?"
  La gente attorno a loro guardava la scena preoccupata e allarmata, come se già non avessero abbastanza preoccupazioni. Decisi che dovevo intervenire. "Calmiamoci tutti!" Dissi facendomi avanti. "Questa è una chiesa, non una taverna in cui scatenare risse. Spiegatemi qual è il problema."
  "Nessuno..." rispose il nano con tono pacato. "Il cavaliere sembra semplicemente duro di comprendonio e non riesce a farsi i fattacci suoi, un difetto che sembra piuttosto comune tra voi umani."
  Ignorai la provocazione. "Non volete combattere?"
  "Bravo ragazzo! Non era difficile da capire, vero?" Rispose sorridendo.
  "Razza di codardo!" Insistette il cavaliere.
  Con un gesto della mano gli intimai di calmarsi. "Eppure avete combattuto in passato. Perché non volete aiutare questo villaggio?"
  Il nano si strinse nelle spalle. "Un tempo ero un soldato, mi battevo per Orzammar, ma... Bah, non fa per me quella vita. Oggi sono un mercante... io parlo solo di affari."
  Un nano di superficie, dunque... Avevo sentito parlare del sistema di caste in vigore ad Orzammar, l'ultima e più grande città dei nani, e della politica di chiusura che il loro Re aveva deciso di adottare. Ogni nano nasceva in una casta che identificava la sua professione, ma i nani che venivano esiliati o decidevano di abbandonare la città, andando ad abitare in superficie, venivano considerati dei "senza casta" ed era per loro impossibile fare ritorno. Molti di loro diventavano mercenari o mercanti... e non era raro trovare tra loro gente interessata solamente al profitto.
  "Capisco... dunque non credete che ne avreste a guadagnarci a combattere per noi?"
  Il nano mi squadrò divertito. "Finalmente un umano che parla la mia lingua! Spiegami perché dovrei rischiare la mia vita per voi là fuori..."
  "Beh, se il villaggio cade, voi morirete comunque, tanto per cominciare. Inoltre, presumo che sappiate che Bann Tegan è un uomo potente. Se parlassi con lui, potrei fargli notare il ruolo importante giocato da voi in questa battaglia."
  "Certo, un Bann grato sarebbe positivo, ma... non credi c'abbia già pensato, ragazzo?" Il nano si concesse una grassa risata. "Nay, penso che il gioco non valga la candela..."
  Scossi il capo. "Non riesco a credere che un guerriero nanico non abbia lo stomaco per combattere. Dove sono finiti gli ideali di gloria e onore del vostro popolo?"
  L'uomo mi fissò con uno sguardo penetrante. "Onore? Gloria? Pensi che ne sia rimasto qualcosa ad Orzammar? No... Te lo spiego io cos'è rimasto in quel buco di città: solo un mucchio di vecchi con la barba bianca troppo impegnati a scannarsi a vicenda in attesa che i prole oscura li divorino. Uno dedica la propria vita a difenderli, a spargere sangue in loro nome e nel nome di antenati che ormai ci hanno dimenticato almeno quanto noi abbiamo dimenticato loro, per poi essere messo da parte come... come fosse una semplice arma troppo usurata per venire riparata. Nay, Custode, io ho smesso di combattere per gli ideali, sono concetti astratti in cui solo gli idioti e gli illusi credono davvero. L'oro, invece... l'oro è concreto. Ti conviene impararlo, ragazzo, prima che la vita ti riservi un pieno di calci in culo."
  Il mercante non mi lasciò neppure il tempo di rispondere che si voltò e si avviò verso l'uscita.
  "Vi ringrazio per il tentativo..." commentò mestamente il cavaliere alle mie spalle. "Ma niente riuscirà a convincere Dwyn ad unirsi allo scontro."
  "Siete uno dei cavalieri mandati a cercare l'Urna?" Domandai allora.
  "Sì" rispose. "Sir Perth, al vostro servizio. Voi dovete essere uno dei Custodi Grigi."
  "Sì, mi chiamo Velor. Siete qui da solo?"
  L'uomo scosse il capo e si sedette stancamente su una delle panche. "No, sono qui con altri cavalieri e mi coordino con Bann Tegan e Murdock per i preparativi dell'assedio."
  Mi sedetti al suo fianco, sospirando. "E come va?"
  "Meglio del previsto..." rispose con un mezzo sorriso, un po' troppo incerto per essere del tutto sincero. "I vostri compagni si sono messi al lavoro, sapete? Alistair e quella ragazza dai capelli rossi sono riusciti a convincere la Reverenda Madre a raccontare a questa brava gente che il Creatore li proteggerà. All'inizio non era d'accordo, sosteneva si trattasse di un inganno e neppure Bann Tegan era riuscito a convincerla, però i vostri compagni sono stati piuttosto persuasivi, devo ammetterlo."
  "Il morale è un'arma potente. Se gli abitanti saranno convinti che il Creatore li proteggerà fisicamente sarà tutto più facile, senza dubbio."
  "Già. Uh, e poi... c'è quel grosso... Ehm... Uomo?"
  "Parlate di Sten?" Domandai preoccupato. "Non ha creato problemi, spero..."
  "Oh, no!" Si affrettò Sir Perth. "Tutt'altro! Dopo aver aiutato con le barricate si è messo ad insegnare agli uomini come combattere. Conosce bene l'arte della guerra... anche meglio di me, temo. Ci sarà utile questa notte."
  "Sono d'accordo..."
  
NOTA DELL'AUTORE:


Finalmente ci siamo, un altro capitolo. Chiedo scusa per il ritardo, ma in questi giorni, con tutti i casini che sono successi qui a Genova, ho avuto parecchio da fare e la stesura della ff è crollata in fondo alla lista delle priorità. Non ho scritto quasi niente e sono stato costretto ad utilizzare una delle "ghiande messe da parte". In ogni caso, ci siamo.

Anche questo è un po' un capitolo di transizione, dove succedono poche cose, dunque ne ho approfittato per approfondire un minimo i rapporti tra i personaggi. Spero solo che tutto il processo non vi sia risultato troppo macchinoso nel complesso. Comunque, sto dando il massimo per caratterizzare i vari comprimari, ma diavolo se è difficile! Voglio dire, hanno tutti già un carattere e, senza trasportare proprio di peso i dialoghi, è una prova ardua riuscire a mantenerlo fedele.

Passiamo ad altro... lo so Bodahn Feddic è solo una comparsa, ma vi assicuro che dietro questa scelta ci sono ragioni importanti. Se ci fate caso, è un personaggio abbastanza trascurabile ai fini della trama (sto parlando del primo capitolo) ed anche molto difficile da gestire, in quanto come farei a giustificare la sua presenza o assenza in alcune parti della trama? No, già è difficile gestire il cane, figuriamoci inserire anche i due nani... Quindi, mi spiace, ma niente ENCHANTMENT per voi.
Mi è piaciuto di più concentrarmi su altri personaggi secondari, tra cui Dwyn... che non so perchè mi ispira simpatia in una maniera tutta sua xD Detto questo, rimane un dannato opportunista.

Fatemi sapere che ne pensate, commentate, criticate, insultate se ciò aumenta la vostra autostima, ma comunque sono ansioso di sapere che vi passa per la testa :)
 

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Capitolo 8
*** Notte Buia, Senza Stelle ***


CAPITOLO 9: Notte Buia, Senza Stelle
 
  La notte si avvicinava a grandi passi e Bann Tegan, Sir Perth, Murdock ed io ci ritirammo nella sacrestia per discutere le strategie. Murdock comandava la milizia e avrebbe tenuto il grosso dei suoi uomini nel cortile principale a difendere il villaggio. Erano state posizionate barricate ovunque in modo da fornire la giusta copertura ai miliziani. Inoltre, in accordo con l'idea di Morrigan, erano stati disposti dei bracieri in punti strategici, in modo da consentire agli arcieri di utilizzare frecce incendiarie.
  Sulla strada principale, davanti al mulino, Sir Perth e i suoi cavalieri avrebbero atteso il grosso dell'attacco con il nostro gruppo a sostenerlo. Ci saremmo disposti in modo da reggere al meglio la carica e avremmo usato alcuni tra i civili del villaggio per fare da staffetta tra i due gruppi di soldati.
  Dopo quasi un'ora di discussioni, finalmente il piano era stato delineato. "Credo che dovrebbe funzionare..." sospirò Bann Tegan chiaramente esausto.
  "Dovreste riposarvi un po'." Feci notare. Anche se durante la battaglia sarebbe rimasto all'interno della Cappella, preferivo che recuperasse un po' di energie.
  "Il Custode ha ragione." Concordò Sir Perth. "Mancano ancora alcune ore al tramonto. Ci servite in forze."
  Tegan sorrise e annuì stancamente. "Forse avete ragione. Ma riposate anche voi altri... Murdock, voi da quanto tempo non dormite?"
  "Da quando ogni volta che provo a chiudere i miei dannati occhi vedo quelle cose che divorano amici e parenti..." Rispose lui. "Ma immagino che un po' di riposo non guasterà..."
  Così ci congedammo. Mi diressi dal mio gruppo, radunato all'altare. Alistair accarezzava distrattamente il mio cane, con cui ormai aveva preso confidenza, mentre Sten affilava silenzioso la propria lama. Leliana era inginocchiata e mormorava preghiere al Creatore, al contrario di Morrigan, che invece sembrava ingannare il tempo giocando con una daga. Se la passava tra le mani continuamente, osservandola, poi ogni tanto chiudeva gli occhi e la lama brillava di luce.
  "Ascoltate..." dissi io. "Vi spiego cosa faremo questa notte."
  Esposi il piano nei dettagli, cercando di essere preciso e chiaro. Alistair seguiva i miei ragionamenti con attenzione, annuendo e approvando man mano che procedevo. Morrigan e Leliana erano più silenziose, ma alla fine anche loro annuirono. Sten rimase impassibile fino alla fine.
  "Allora..." dissi. "Che ne pensi, Sten?"
  "Questo villaggio è ben difendibile. Il piano è accettabile." Rispose senza scomporsi e senza smettere di affilare lo spadone.
  Sospirai. "Va bene... Direi che abbiamo qualche ora. Che ne dite di riposare un po'?"
  Detto questo, provammo tutti a dormire coricati sul pavimento, ma si trattava di un sonno privo di ristoro o piacere. Giacevamo al suolo con gli occhi chiusi e la mente sempre tormentata da molti pensieri, incapace di lasciarsi andare al riposo. Ogni volta che ci addormentavamo, ci risvegliavamo sempre poco dopo.
 
1
 
  Ormai erano venti minuti che fissavo l'alto soffitto senza dire una parola. Nella Cappella regnava il silenzio ed il buio, eppure in esso ormai percepivo le decine di persone che mi circondavano, immerse in sonni più o meno profondi, e non riuscivo a non chiedermi quanti di loro sarebbero morti quella notte. Alla fine mi alzai, raccolsi il cinturone con la spada e mi diressi all'esterno. Il sole sembrava essere calato già da qualche minuto, eppure c'era ancora del movimento per la piazza. Oltre ad alcuni miliziani troppo nervosi per dormire, notai degli anziani girovagare per il cortile senza meta apparente. Sembravano fantasmi, anime in pena destinate a viaggiare per il mondo senza uno scopo.
  Mi sedetti sui gradini d'ingresso della Chiesa e abbassai lo sguardo sulla mia spada. Ne ammirai ancora una volta le fini decorazioni su elsa e fodero. La estrassi e ne osservai rapito la perfezione della lama, di un acciaio chiarissimo, quasi bianco, leggero eppure incredibilmente solido. Era davvero un ottima arma. Era appartenuta ai Cousland per generazioni... ed era tutto ciò che restava di noi, era la nostra unica eredità.
  Con un sospiro piantai la punta al suolo, tenendo l'elsa tra le mani all'altezza del volto. Chiusi gli occhi.
  "Padre..." mormorai. "Non so se tu puoi sentirmi, ma... ovunque tu sia ora... ti prego, veglia su di me. Aiutami, dammi la forza. Non so come mi sono ritrovato qui, a portare avanti una missione suicida per la salvezza del mondo, ma... beh, ci sono. E sento di non potercela fare." Non saprei dire cosa mi spinse a quel gesto. Probabilmente era comprensibile trovare conforto nell'idea che qualcuno da qualche parte ci ascolta nei momenti difficili e di bisogno, o magari sentivo semplicemente la mancanza di quella vita che avevo perso, di quelle persone che mi avevano lasciato così solo in questo mondo spietato e brutale. "Aiutami... ti prego." Le ultime parole che mi sgusciarono fuori dalla bocca erano poco più che un bisbiglio nel vento.
  Levai gli occhi alla notte, così tetra e buia: nessuna stella illuminava la mia via, né la luna mi consolava, fredda ed indifferente alle mie paure, immersa in quel suo vago bagliore argentato.  
  Con un sospiro, rinfoderai la spada. Se mai mio padre mi aveva sentito, di certo non mi aveva risposto.
  "Neanche voi riuscite a dormire?" Mi voltai e vidi Alistair sulla soglia.
  Scossi il capo. "Troppi pensieri."
  L'amico mi si avvicinò. "È una sensazione familiare, non trovate?" Lo guardai senza capire. "Ad Ostagar, intendo. Mi sembra di provare le stesse emozioni..."
  Per me era lo stesso. C'era perfino la stessa... pace, la cosiddetta "calma prima della tempesta", tipica di ogni battaglia.
  "Avete paura?" Domandai.
  Alistair si strinse nelle spalle. "Cosa importa? Tanto tra breve non avrò tempo di pensare se ho paura oppure no. Sarò troppo impegnato a combattere per la mia vita. Una cosa è certa, però: al momento non riesco a non concentrarmi su ciò che accadrà tra pochi minuti."
  Lo capivo perfettamente. Forse avremmo potuto distrarci a vicenda. "Parlatemi di voi." Dissi. "Raccontatemi come siete diventato un Templare."
  Alistair mi guardò divertito. "Vi interessa davvero?"
  Questa volta fui io a stringermi nelle spalle. "Quando mi avete parlato di Arle Eamon avete accennato alla faccenda. Magari vi farà bene parlarne."
  Il mio compagno sospirò. "Che dire... Vi ho già spiegato che sono un bastardo reale, no? Beh, fu Eamon ad occuparsi di me. In nome del sangue che scorreva nelle mie vene, decise di crescermi come fossi figlio suo, anche se non aveva nessun obbligo nei miei confronti. Immagino che per me fosse un po' come un padre." Alistair abbassò lo sguardo con un sospiro. "Tuttavia l'Arlessa non era contenta. Lady Isolde era una donna devota e amava il marito, ma non sopportava le voci che iniziavano a circolare per il castello. Molti pensavano che fossi figlio di Eamon e non un semplice trovatello... e questo a lei non piaceva. Non so se ci credesse davvero anche lei oppure no, ma non riuscì mai ad accettarmi. Quando raggiunsi l'età di dieci anni, insistette affinché venissi spedito in un convento e studiassi per diventare Templare."
  "Non deve avervi fatto piacere..." commentai dispiaciuto.
  Alistair ridacchiò amaramente. "No... Ero furioso. Con Eamon più di tutti. Mi sentivo... rifiutato." Mi resi conto che la sua voce era rotta dall'emozione, mentre gli occhi iniziavano a brillare ed inumidirsi. "Avevo un amuleto. Era appartenuto a mia madre ed era l'unica cosa che mi restava di lei. Per la rabbia lo scagliai contro un muro del castello il giorno della partenza, rompendolo in mille pezzi." Due lacrime solitarie, una per guancia, rigarono il suo volto. "Che cosa stupida, stupida, stupida da fare/ Non l'ho più rivisto. Quando poi partii, Arle Eamon venne a trovarmi spesso, ma... io era sempre freddo con lui. Distaccato. Alla fine smise di venire."
  "Io... mi dispiace, Alistair." Provai a consolarlo goffamente stringendogli la spalla.
  Il ragazzo rimase con lo sguardo basso, a reprime i singhiozzi con tutte le sue forze. Poi levò lo sguardo al cielo, gli occhi ancora lucidi, ma asciutti. "Sì, beh... non pensiamoci più."
  Forse era il caso di cambiare argomento, pensai. "E com'é che siete diventato un Custode Grigio?"
  Intravidi un mezzo sorriso comparire sul volto di Alistair. "Beh... mi piaceva l'addestramento al monastero. Ero bravo. Ma a parte questo... ero estremamente infelice. I ragazzi più umili mi consideravano borioso e pieno di me, mentre i nobili non mi vedevano come loro pari. Ero isolato, capite? Ed io ero giovane, incazzato con il mondo... e avevo una certa testa calda. Mi cacciavo spesso nei guai e, beh, ammetto di non stravedere ancora adesso per la Chiesa, ma all'epoca ero davvero un piccolo dissidente. La Reverenda Madre di Denerim non faceva che punirmi e credo che non mi sopportasse. Alla fine, però... è arrivato Duncan. La sua forza, la sua... determinazione... Dannazione, non credo di aver mai conosciuto qualcuno come lui. Gli chiesi di reclutarmi, senza pensarci due volte. Non so cosa abbia visto in me, ma accettò, anche se la Reverenda Madre non era contenta. Pensate che quando Duncan fece ricorso al Diritto di Coscrizione, lei urlò, minacciò, e gridò... ma alla fine non ebbe scelta..."
  Annuii sorridendo, poi aprii la bocca per rispondere, ma al posto delle parole, udii solo il suono basso e grave di un corno: le sentinelle avevano dato l'allarme. Balzammo in piedi e ci guardammo negli occhi per meno di un secondo, prima di precipitarci all'interno. Camminavo con passo svelto, mentre mi allacciavo il cinturone in vita e mi facevo largo tra le panche della Chiesa. Questa, che fino ad attimo prima era stata silenziosa e tranquilla, ora era gremita da un via vai di gente intenta a prepararsi di gran fretta.
  "Il momento è giunto!" Dissi, raggiungendo il resto del mio gruppo sul fondo della Cappella. "Muoviamoci!"
  Io e Alistair indossammo rapidamente la cotta di maglia e la giubba di cuoio. Mentre mi stavo allacciando le ultime cinghie, vidi Morrigan raggiungermi. "Velor..." mi richiamò. "Estrai la tua spada."
  Le scoccai uno sguardo curioso, stringendo l'ultima fascia della mia giacca.
  "Presto!" Insistette lei.
  Con un sospiro l'accontentai, sguainando il mio acciaio. La ragazza lo fissò per alcuni secondi, per poi chiudere gli occhi. Improvvisamente fiamme smeraldine divamparono per tutta la lunghezza della lama. Imprecando, lasciai cadere Vendetta Grigia. "Ma che...?!"
  "Prima, non stavo solo giocando con un coltello. Stavo provando ad imparare un incantesimo che avevo letto una volta sul grimorio di mia madre... Consente di infiammare le armi."
  La fissai a bocca aperta. Poi raccolsi la mia spada, che ancora non aveva smesso di ardere. Non sembrava danneggiata in alcun modo. "Bene." Risposi. "Se ciò può aiutarci, ottimo lavoro!"
  Uscimmo di tutta fretta, accompagnati da un gran numero di uomini che si stavano radunando nel cortile. Lì Murdock era già impegnato ad abbaiare ordini e ad impartire indicazioni. Nel vederci passare, ci rivolse un gesto di saluto con la mano, che ricambiai con un cenno del capo. Subito iniziammo a correre lungo la stradina, inerpicandoci per la scogliera. Sorpassammo la tavernetta, per giungere poi allo spiazzo del mulino. Trovammo Sir Perth con cinque cavalieri e un nugolo di arcieri già disposti. "Sir Perth!" Lo salutai. "Siete pronti?"
  L'uomo annuì. "Naturalmente."
  "Bene, tutti in posizione!"
  Ci disponemmo in formazione davanti alla strada principale, formando una sorta di V assieme ai cavalieri. Morrigan e Leliana ci coprivano le spalle, dietro di noi di qualche passo.
  "La vostra amica non sembra armata..." notò Sir Perth, accennando alla strega delle selve con un gesto del capo.
  "È una maga. E prima che lo chiediate, no, non è un'eretica. Fa parte anche lei dei Custodi."
  Era una bugia, ma la ritenni necessaria. L'uomo parve crederci, poiché mi rispose con un gesto di assenso.
  Mentre su di noi calava il silenzio, stringemmo i ranghi, preparandoci ad uno scontro frontale, ma la strada davanti a noi rimaneva deserta e nebbiosa. Ci scambiammo sguardi incerti, respirando l'aria gelida della notte e chiedendoci quando i primi nemici sarebbero giunti. Ma ancora la strada appariva sgombra. Digrignai i denti e borbottai tra me e me: "Coraggio... Fatevi avanti..."
  Stringevo con forza l'impugnatura di Vendetta grigia, con la mascella serrata e gli occhi vigili. Poi, dalla nebbia davanti a noi emerse una figura che camminava con passo incerto. Non era lenta, ma barcollava vistosamente, quasi fosse stato un ubriaco. Indossava vesti logore e macchiate di sangue, strappate in diversi punti. Non riuscivo a vederlo in volto, data l'oscurità, ma dalla puzza intuii che il corpo doveva essere ormai in avanzato stato di decomposizione.
  Una freccia infuocata sibilò da dietro le nostre spalle, superandoci e piantandosi con precisione nella fronte della creatura. Questa si fermò di colpo, mentre una buona metà della faccia prendeva fuoco velocemente, troppo velocemente perché si trattasse di una reazione naturale: Morrigan aveva avuto ragione. Il non morto iniziò ad agitarsi come in preda ad una feroce agonia, quando da dietro di lui spuntarono altre quattro creature, che lo superarono con passo deciso. Ad esse, ne seguirono altre, e altre ancora. Infine, a decine vennero rigurgitate dal mantello di nebbia.
  Quando il primo mi raggiunse, mossi con rapidità la mia spada, che Morrigan aveva nuovamente incantato, e decapitai di netto il mostro. Questo cadde riverso ai miei piedi, ardendo all'improvviso come uno stoppino intriso d'olio. Alla mia destra e alla mia sinistra, una moltitudine di lame si mosse in scioltezza, abbattendo altre creature, mentre un fiume in piena di corpi in putrefazione si infrangeva su di noi come onde contro gli scogli. Tranciai di netto la gamba ad un cadavere, per poi abbatterne un altro subito dopo. Ed un altro. Ed un altro ancora. In breve, però, la pressione sulla nostra linea iniziò ad aumentare, fino a che un'ondata particolarmente violenta esplose sul nostro fronte. Fu una carica di quasi cinquanta morti viventi che ci correvano incontro incuranti dei dardi che li falciavano spietati.
  Ci furono addosso, graffiando e mordendo. Fummo costretti ad arretrare, allargando le maglie della nostra difesa. Questo fu un errore. Mi ritrovai subito circondato da tre di quei mostri. Mi si erano avvinghiati addosso con determinazione, uno mi morse la giubba, lacerandola. Sferrai al cadavere un pugno al costato, in modo da togliermelo di dosso. Allontanatolo, lo trafissi al petto, incendiandolo all'istante. Immediatamente, fui costretto ad evitare gli attacchi degli altri che cercavano di graffiarmi con artigli lunghi e affilati. Con un guizzo del polso, mozzai agilmente il braccio di uno dei due, per poi decapitarlo subito dopo. L'ultimo, però, mi saltò addosso, facendomi perdere l'equilibrio. Rovinai atterra, lasciandomi sfuggire Vendetta Grigia dalle dita. Immediatamente, cercai di raggiungere la daga infilata nella mia cintura con la mano sinistra, mentre con il braccio destro premuto contro la sua gola del mostro, tentavo di tenere le sue voraci fauci a distanza. In quel momento, Dogmeat emerse dalla nebbia con un balzo agile, calando sul mio nemico. Morse freneticamente le carni della creatura, aprendo grossi squarci sul corpo putrefatto. Io rotolai di fianco, cercando a tentoni la mia spada sul terreno. Le mie dita si strinsero attorno a qualcosa di duro e quando finalmente fui certo che si trattasse dell'elsa della mia lama, tornai in piedi, ma Dogmeat si era già dileguato nel combattimento, sfuggendo alla mia vista. Le creature erano ovunque sul campo. Non ebbi tempo per pensare a cosa fare. Impugnai saldamente la mia lama, che ancora ardeva di vivaci fiamme verdi, e mi misi in guardia. Intercettai facilmente il colpo di un non morto, afferrandogli il braccio a mezz'aria e sbilanciandolo subito dopo in avanti. Questo barcollò all'indietro ed io gli aprii uno squarcio all'altezza del ventre con un'esplosione di sangue. Budella marce e organi interni fuoriuscirono come pus da una ferita, mentre le carni del cadavere prendevano fuoco come vecchia pergamena. Con un calcio sprezzante, mi tolsi di torno il nemico. In quel momento, vidi Sten a pochi passi da me mulinare la sua spada con una furia impressionante. Era circondato da almeno una quindicina di nemici, i quali venivano mutilati a ruota libera in una pioggia di arti recisi e teste mozzate. Tuttavia il numero di avversari non faceva che crescere ed il Qunari sembrava in difficoltà. Alistair era con lui, che cercava di guardargli le spalle con lo scudo sollevato. A differenza del Qunari che stava scaricando tutta la sua furia combattiva sul nemico, il Custode era più sulla difensiva.
  Istintivamente accorsi nella loro direzione. Correndo verso di loro, mi occupai rapidamente di un paio di cadaveri che provarono a mettersi sulla mia strada, colpendoli senza difficoltà con la mia spada. Quando raggiunsi i miei compagni, i nemici li stavano letteralmente soverchiando. Sembrava quasi che il grosso dei mostri avesse deciso di concentrarsi esclusivamente su di loro. Calai la mia spada su quello più vicino a me, smembrandolo di un braccio, ma prima che potessi soccorrere i miei amici, altri due si avventarono su Sten. Questo mulinò la spada di lato, sventrandoli quasi contemporaneamente. Subito dopo, roteò la lama in avanti, aprendo in due uno dei mostri che lo stava caricando frontalmente... Tuttavia, non ebbe il tempo di evitare che un altro gli saltasse addosso, mordendolo. Il Qunari barcollò di lato con un grugnito e subito Alistair si ritrovò a sua volta in difficoltà. Provò a schermarsi con lo scudo, ma un nemico lo sorprese dal fianco. Tentai di farmi avanti per aiutarli, ma tre creature mi tenevano bloccato in combattimento. Ruggii furioso, facendo danzare la mia lama con tutte le mie energie, fino a quando questa non si piantò nel costato di una di quelle belve senza che riuscissi più ad estrarla. Temetti di essere finito. Quelle cose mi afferrarono, trascinandomi atterra. Mentre mi dibattevo disperatamente per liberarmi dalle loro spire, intravidi Sten in ginocchio che lottava a mani nude contro cinque cadaveri viventi, menando pugni con ferocia.
  Un'ombra volò sopra la mia testa con un balzo aggraziato. Subito pensai che fosse di nuovo Dogmeat, ma... non poteva essere: era troppo grande. Un attimo dopo, qualcosa afferrò con forza sovrumana i miei aggressori, trascinandoli lontano ed io potei vedere di cosa si trattava: con una grazia terribile quanto affascinante, un ragno di taglia mastodontica faceva strage di nemici con una furia ferale. Mi alzai in piedi e recuperai la mia spada, osservando la scena sbalordito.
  "Velor!" Leliana mi raggiunse ansimando. Era coperta di sangue e con la faretra completamente vuota; in mano teneva i suoi coltelli, incrostati di materia organica fino all'impugnatura. "State bene?!"
  Non risposi subito, guardandomi intorno. Improvvisamente, sembrava che la battaglia fosse finita... non c'erano più molti nemici... fatta eccezione per quelli che l'enorme creatura stava massacrando.
  Anche Sir Perth ci raggiunse. "Custode, abbiamo provato a raggiungervi, ma... eravate isolati, tagliati fuori. Era come se il grosso dei morti si stesse concentrando su di voi, mentre gli altri creavano un muro per non farci intervenire!"
  Forse quegli esseri possedevano una qualche sorta di primordiale intelligenza perversa. Ma com'era possibile?
  "Magia del sangue..." sibilai con disprezzo. "Qualcuno mi spiega cosa diavolo ci fa un ragno gigante sul campo di battaglia?"
  "Ma... è la vostra compagna..." spiegò Sir Perth. "Non sapevate fosse in grado di farlo?"
  Squartato un ultimo morto vivente, il ragno si illuminò di un bagliore arcano ed un attimo dopo una giovane ragazza apparve al suo posto. Morrigan si ergeva tra i cadaveri ammucchiati sul terreno con fare tronfio ed un sorriso soddisfatto sul volto.
  "Quando vi abbiamo visti così in difficoltà..." disse Leliana. "Abbiamo fatto di tutto per raggiungervi e Morrigan si è... beh, trasformata."
  Incredibile. Non avevo mai sentito di una magia del genere...
  In mezzo a quel massacro, vidi Sten, ansimante e appoggiato al suo spadone, e Alistair in ginocchio. "Beh..." commentò il Templare. "Ammetto che avete anche voi una certa utilità, Morrigan... A parte la cucina, intendo."
  La ragazza non lo degnò di uno sguardo e mi si avvicinò con fare ammiccante. "Potrai ringraziarmi più tardi, Custode..." Mi disse con un sorriso soddisfatto. Non potei che chinare il capo in segno di assenso: per questa volta, la vittoria le apparteneva di diritto.
 
2
 
  Sperare che avessimo tempo di riposare fu piuttosto ingenuo da parte nostra. Mentre osservavamo mesti i cadaveri che affollavano ogni angolo del terreno, accatastati l'uno sull'altro e ridotti a fantocci senza arti, un ragazzino ci raggiunse correndo e ansimando. Era lo stesso che avevamo incontrato al nostro arrivo a Redcliffe, offertosi come volontario per fare da staffetta. "Ci attaccano dal lago! Ci attaccano dal lago!" Gridava agitando le braccia freneticamente.
  Ansimando per la fatica e con le mani appoggiate sulle ginocchia, osservai Sir Perth avvicinarsi a me allarmato. "Dobbiamo andare subito!" Esclamò.
  "No." Risposi mentre mi raddrizzavo faticosamente. "Voi restate qui. Se è vero che queste creature, o chi le comanda, sono in grado di pensare, è meglio che voi restiate: non devono attaccarci alle spalle."
  Il cavaliere mi guardò incerto. "Siete sicuro? Mi sembrate provato."
  Scossi con decisione il capo. "Sono in grado di combattere. Restate qui."
  Con un cenno del capo, intimai ai miei compagni di seguirmi e ci affrettammo lungo il sentiero. Mentre scendevamo per la scarpata, potemmo osservare cosa stava accadendo in basso, nel centro del villaggio: dalla sponda del lago frontale rispetto alla Cappella, una vasta schiera di cadaveri stava emergendo barcollando, diretta verso la piazza. "Merda!" Imprecai. "Muoviamoci!"
  Raggiungemmo la milizia che lo scontro era già iniziato. Il piazzale, a dispetto delle barricate, era stato invaso da una miriade di cadaveri ambulanti, ma gli uomini erano riusciti a mantenere una formazione serrata, tenendo gli arcieri riparati alle loro spalle. Tuttavia, nella zona centrale dello schieramento, lo scontro si faceva sempre più intenso e confuso: fu lì che concentrammo la nostra carica. Correvamo gridando con impulso animalesco e più il nostro urlo di guerra era forte, più ci sembrava che la paura venisse anestetizzata. Imbracciando le armi saldamente, ci lanciammo nella mischia, con un vorticare di lame e spade.
 Con Sten alla mia destra ed Alistair alla mia sinistra, non ebbi difficoltà a fronteggiare tutti i morti che ci venivano incontro. Intercettavo prontamente ogni attacco, mozzando arti e teste, e contrattaccavo sempre con rapidità.
  La nostra carica sembrò alleggerire parecchio la pressione e l'orda nemica ci apparve per pochi istanti un po' meno folta. Decisi di farmi avanti per guadagnare più metri possibili, incalzando laddove lo scontro era più frenetico. Nella furia del combattimento, persi momentaneamente di vista i miei due mie compagni, ma mi ritrovai affiancato ad un individuo che mai mi sarei aspettato di ritrovare sul campo.
  "Dwyn!" Esclamai sorpreso nel vedere il nano roteare la sua ascia nanica tra i nemici. Indossava la sua corazza a scaglie, ora ricoperta di sangue, ed un elmetto dall'aria vissuta ed ammaccato sul lato sinistro. A coprirgli le spalle, c'erano due grossi energumeni. Erano uomini alti e abbronzati, dai capelli lunghi e la barba incolta: barbari Chasind, a giudicare dai marchi tribali sui loro volti. Erano le sue guardie del corpo, come ebbi modo di apprendere in seguito, due combattenti silenziosi e brutali che pagava per proteggerlo durante i viaggi d'affari. "Non credevo di vedervi qui!" Dissi sorridendo. Il nano non mi degnò di uno sguardo, incalzando un cadavere vivente davanti a lui. "Sì, beh..." rispose senza troppa convinzione. "Tutte quelle storie d'onore... Bah, mi hai fatto venire un attacco di nostalgia, Custode! E poi, Tegan mi dovrà un favore dopo questa notte!"
  "Dwyn... Non rischierte di diventare un uomo buono?" Lo pungolai io divertito.
  Il mercante, mi scoccò un'occhiata seccata. "Bah! Quando si combatte si combatte, non si parla!" E si rituffò nella mischia, anche se ormai la battaglia  sembrava volgere in nostro favore.
  Fu proprio mentre guadagnavamo terreno verso la sponda davanti a noi che scoppiò l'inferno. Improvvisamente dalle rive sul nostro fianco destro emersero con un velocità e violenza sorprendenti quasi il doppio dei mostri appena abbattuti. Corsero verso di noi come un fiume in piena e quando ci raggiunsero spezzarono completamente la nostra linea di difesa. Ancora una volta, mi ritrovai circondato ovunque da cadaveri che gridavano e strepitavano in ogni direzione. Cercando disperatamente di tenere d'occhio la situazione a 360 gradi, mi agitavo con la spada dritta davanti  me, cercando di restare sulla difensiva. Arretrai velocemente, spingendo qualunque alleato nelle mie vicinanze ad imitarmi: dovevamo ristabilire un fronte comune, altrimenti eravamo spacciati. Cercai Sten con lo sguardo... avevo bisogno di lui per riuscirci. Lo notai quasi subito svettare dall'alto dei suoi due metri, agitando lo spadone sulle file di nemici. Mi spostai rapidamente, evitando il più possibile lo scontro. Sfortunatamente era quasi impossibile. Due non morti mi si avvinghiarono addosso da dietro, mentre ero intento a respingere l'offensiva di uno che mi stava attaccando da davanti. Lottando ed agitandomi, tentai di restare in piedi mentre le loro fauci si stringevano sul mio corpo. Il primo morso, lo sentii appena, non potendo in alcun modo penetrare attraverso gli anelli di maglia, ma il secondo mi serrò proprio sul collo con uno schizzo di sangue. Gridando per il dolore, mi contorsi e mi agitai, tentando di liberarmi di loro. Con un ruggito dolorante, riuscii ad assestare ai miei assalitori una feroce gomitata in pieno volto, scrollandomeli di dosso. Subito mi voltai e infierii su di loro menando la mia spada sulle loro membra come fosse stata una mazza. Frantumai le ossa e macellai la carne urlando di rabbia e dolore. Infine crollai in ginocchio, premendomi una mano sulla ferita che pulsava come un tamburo. Sentivo il sangue colarmi dallo squarcio attraverso le dita ed imbrattarmi tutto il collo, mentre mi puntellavo sulla spada per rimettermi in piedi.
  Mi guardai attorno frastornato. Non capivo dove fossi, la battaglia era sempre più una bolgia confusa. Cercai Sten con lo sguardo, ma ovunque i miei occhi si posassero non riuscivano a scorgere i capelli argentati del Qunari danzare al ritmo dei suoi fendenti.
  In quel momento mi sentii scuotere per un braccio. Subito mi girai, levando la spada per colpire chiunque mi si fosse affiancato. Fui ad un passo dal piantare la punta di Vendetta Grigia tra la spalla e il collo di Alistair, quando i nostri occhi si incrociarono. Dopo un attimo di esitazione, trasformai la mia smorfia bellicosa in un mezzo sorriso, mentre abbassavo la spada.
  "Velor!!!" Gridò. "Cosa facciamo!?!"
  Lo guardai senza capire.
  "Cosa facciamo!?" Mi incalzò lui. Per qualche ragione, non capivo la domanda e continuavo a fissarlo come un idiota. Lo sguardo mi si abbassò per una frazione di secondo sulla lama della spada: non ardeva più. "Morrigan!" Esclamai. "Dobbiamo trovare Morrigan!" Ed iniziai a guardarmi attorno. Mi mossi sul campo di battaglia mentre lentamente la mia mente tornava lucida. Con Alistair a seguirmi, coprirci a vicenda non fu così difficile. Tuttavia Morrigan non si trovava. Fu una grossa fiammata che divampò nel mezzo del campo ad attirare la mia attenzione. La strega delle selve era completamente circondata. Con un ginocchio a terra, si teneva la mano destra sul fianco ferito e sanguinante, il volto contratto in un'espressione sofferente. L'altra era protesa in avanti e da essa divampavano fiamme vermiglie.
  Subito ci lanciammo verso di lei. "Alistair! Sorreggila!" Gridai, sopraggiungendo trafelato. Subito, il Custode raggiunse la maga, cingendole il fianco con un braccio e riparandola con lo scudo. Io coprivo loro le spalle, menando fendenti tra i nemici. "Portala via!"
  "Ma..." Balbettò Alistair mentre aiutava la ragazza a rimettersi in piedi. "La battaglia! Non dovremmo...?"
  "Sono ancora in grado di lanciare incantesimi." Abbaiò Morrigan a denti stretti.
  "Portala alla Cappella."
  "Custode! Posso fare la differenza qui!" Replicò, cercando di divincolarsi dalla presa di Alistair.
  "Alla Cappella, ho detto! Ora!"
  Alistair mi guardò incerto, ma poi annuì, avviandosi verso l'edificio, mentre Morrigan continuava a fissarmi con uno sguardo a metà tra il sorpreso e il risentito.
  La ragazza era ferita, ma non era così grave da non poter più combattere. Stando al nostro fianco e protetta da Alistair avrebbe potuto dare un contributo fondamentale alla battaglia... Ma non ero disposto a mettere così a repentaglio la sua vita. Era troppo preziosa per poterla perdere.
  Mentre indietreggiavo anche io, difendendomi dai numerosi attacchi che ero costretto a subire, finalmente Sten comparve alle mie spalle. Perdeva sangue da un grosso squarcio sulla fronte e il volto era ridotto ad una maschera livida e tumefatta, ma sembrava ancora in grado di combattere egregiamente.
  "Sten!" Esclamai. "Dobbiamo riuscire ad organizzare le nostre difese."
  Notai appena il cenno d'assenso nella furia dello scontro. "Concordo. Ti aiuterò. Cerca il sindaco e rimetti in riga questi uomini. Io farò lo stesso."
  Riprendemmo ad indietreggiare, ma con ordine... o quanto meno cercando di evitare una ritirata completa. Ad ogni uomo che ci passasse affianco, abbaiavamo ordini ed intimavamo di restarci appresso. Finalmente, incrociai Murdock. Il sindaco era ferito. Se ne stava in ginocchio, con uno squarcio aperto sulla schiena e lo sguardo vacuo. I suoi occhi, vitrei e spenti, guardavano ogni cosa davanti a lui, senza però vedere niente, mentre lui ansima con la bocca aperta.
  "Murdock!" Mi avvicinai all'uomo, con Sten a coprirmi. "In piedi, dovete aiutarci a radunare i soldati!" Ma egli sembrò percepirmi appena. Spostò lo sguardo su di me, confuso, come se non mi avesse mai visto. "Coraggio!" Insistetti, tirandolo in piedi di forza.
  L'uomo, stremato dallo scontro e probabilmente sotto shock, non rispose ai miei incitamenti. Gli assestai un paio di decisi ceffoni. "Dannazione, tornate in voi!"
  L'uomo sembrò riprendersi un po'. Annuì debolmente e raccolse la sua ascia da taglialegna da terra. "Sì..."
  In qualche modo, chiamammo a raccolta i pochi superstiti attorno a noi, organizzando l'ultima resistenza davanti all'ingresso della Cappella. La parola d'ordine era: "ranghi serrati". Ci stringemmo tra noi, coprendoci i fianchi a vicenda, e affrontammo l'orda a viso aperto. Eravamo tutti esausti e spaventati, ma queste creature non sembravano neppure conoscere il significato di stanchezza e paura. Incuranti della loro incolumità continuavano ad incalzarci e a spingere e a mordere in quello che ci appariva come un flusso senza fine. Quando ormai l'operazione di smembramento si era ridotta quasi ad un mero automatismo per i nostri corpi, privati di ogni singola energia, l'ultimo morto si accasciò atterra, mentre i raggi del sole baciavano un nuovo giorno. Mai vidi un'alba tanto bella in tutta la mia vita: la battaglia era vinta.
 
3
 
  Osservavo con gli occhi sgranati il campo di battaglia, disseminato ovunque di cadaveri. La scena era quella di un massacro e già i corvi avevano iniziato il loro necrofilo banchetto, nutrendosi dei caduti di entrambe le parti.
  I pochi superstiti della milizia, però, avevano già iniziato a raccogliere le salme dei loro cari e ad allestire le pire funebri.
  Seduto esausto su un gradino, mi tenevo una mano premuta sul collo, che pulsava terribilmente, mentre guardavo due degli uomini adagiati su pire di legna pronte per essere bruciate. Erano i  barbari al servizio di Dwyn.
  "Tieni, Custode, ti farà bene..." Il nano era comparso al mio fianco, offrendomi un otre di quello che doveva essere un qualche tipo di alcolico. La parte sinistra del volto era ricoperta di sangue, ormai rappreso, ma sembrava non aver riportato grandi ferite. "È nanico." Spiegò, continuando ad porgermi da bere. Con un sorriso, accettai l'offerta e mi portai l'otre alla bocca. Trangugiai avidamente diversi sorsi di una forte sostanza liquorosa e calda, che iniziò a bruciarmi in gola... facendomi sentire subito meglio.
  "Grazie, Dwyn... è stato uno scontro dannatamente duro." Risposi. Poi, indicando i due cadaveri con un cenno del capo, aggiunsi: "Mi dispiace per loro."
  Il nano sospirò, tenendo lo sguardo fisso sull'orizzonte, pensieroso. "Già, erano bravi ragazzi, quei due. Mi hanno guardato bene le spalle in questi anni... Ma immagino che si tratti di due buste paga in meno di cui occuparmi."
  Il tono del nano, però, tradiva una certa malinconia, testimoniando che non era l'avido bastardo attaccato al denaro che sosteneva di essere. "Bah!" Tagliò corto alla fine, riprendendosi l'otre. "Ricordati che devi parlare di me a Bann Tegan. Non sono passato in mezzo a questo massacro per niente!"
  Annuii. "Non mancherò, Dwyn, statene certo."
  
4
 
  "Caduti, oggi brindiamo a voi!" Bann Tegan, dall'alto della pedana dell'altare, levò il suo boccale.
  "A voi!" Rispondemmo tutti, radunati tra le navate della Cappella, bevendo sorsate generose dal nostro boccale. Tegan aveva insistito perché ci fosse una celebrazione per coloro che non erano riusciti a superare la notte. Il proprietario della tavernetta aveva addirittura messo a disposizione una delle sue botti di birra perché tutti potessimo festeggiare la vittoria.
  Subito, quando il Bann ebbe concluso di parlare, si sollevò un brusio dalla brava gente di Redcliffe che discuteva della battaglia appena trascorsa. Iniziai ad aggirarmi tra la folla, accompagnando ogni serie di due o tre passi con un sorso di birra dal mio boccale.
  Incrociai Morrigan e Alistair seduti in disparte. La maga aveva curato magicamente le proprie ferite e quelle del compagno, il quale sembrava ridere divertito per aver pronunciato qualche divertentissima battuta che Morrigan, invece, ignorava con silenzioso e composto disinteresse. "Suvvia, Morrigan! Fatevi una risata una volta ogni tanto! Non siate così frigida..." Insistette il Custode con allegria.
  "Frigida?!" Si indignò la ragazza. "FRIGIDA?! Sapete, ha quasi dell'incredibile che, per quanto Velor abbia un cane sempre con sé, tu rimanga comunque il più fesso del gruppo."
  "Ehi!" Rispose lui con voce lamentosa.
  "Immagino..." intervenni io con un sorriso divertito sulle labbra. "Che voi due abbiate già ripreso a divertirvi, eh?"
  Morrigan grugnì indifferente con una scrollata di spalle. "È lui che è un idiota."
  "Ah sì...? Scommetto che questo è lo sconcertante momento in cui scopriamo che non avete avuto mai un amico in vita vostra!" Ribatté il ragazzo con fare soddisfatto.
  "Sapete, Alistair..." La strega sorrise sarcastica. "Io posso essere più amichevole se lo desidero. Invece, voi... non potete diventare meno scemo a comando, purtroppo. Fate i vostri conti."
  "Bah!" Disse alzandosi. "Qualcuno mi ricorda perché la portiamo sempre in giro con noi? No? Va bene." E si avviò verso la navata centrale, lasciandosi alle spalle Morrigan e il suo cinismo. Questa sbuffò scocciata. "Vi siete goduto lo spettacolo?" Borbottò.
  "In effetti sì."
  "Beh, spero che sia stato di vostro gradimento, Custode. Ora, non avete una vittoria da festeggiare? Voglio dire, già che avete tanto insistito per combattere quest'inutile battaglia, almeno assaporatevi appieno questa birra annacquata."
  "Anche voi avete combattuto." Le feci notare. "Non volete festeggiare con noi?"
  Morrigan levò gli occhi al cielo. "Ho di meglio da fare che sentire le stupide barzellette di Alistair sul formaggio."
  "Come volete."
  Feci per andarmene, quando la ragazza aggiunse qualcosa: "Comunque grazie..."
  Mi voltai verso di lei con uno sguardo interrogativo. "Per cosa?"
  Infastidita per la domanda, Morrigan mi scoccò un'occhiata ostile. "Lo sapete per cosa. Mi avete salvata durante la battaglia."
  Scossi il capo. "E voi avete salvato me. Funziona così quando si combatte: ci si copre le spalle gli uni gli altri, tra compagni. Non si può stare a valutare chi è in debito con chi. Ci si limita a salvarsi la pellaccia a vicenda, nella speranza di tornare insieme a casa."
  La ragazza mi guardò a lungo, cercando di capire se credevo davvero in ciò che dicevo, oppure se fosse stata solo retorica. "In ogni caso, grazie."
  "Prego, allora. E grazie anche a voi."
  Una voce alle mie spalle, attirò la mia attenzione: "Velor!"
  Mi voltai verso Bann Tegan che mi si avvicinava con passo deciso. "Tegan! Passato una bella nottata?" Lo salutai divertito
  "Dobbiamo parlare." Affermò, avvicinandosi a me con circospezione.
  "Naturalmente." Risposi facendomi più serio.
  "No, no qui. Riposatevi qualche ora, poi raggiungetemi al mulino con i vostri compagni, presto avrò nuovamente bisogno di voi."
  "Molte bene."

NOTA DELL'AUTORE:
Ecco, la battaglia di Redcliffe! Lo so che mi ci vuole sempre un po' di tempo per pubblicare i capitoli, ma credetemi se vi dico che non ho davvero il tempo di velocizzare il tutto. Non siamo più in estate, questo è l'anno della maturità ed io non sono esattamente il migliore della classe, dunque il poco tempo libero devo dividerlo equamente tra attività fisica, sociale e "creativa". Comunque, ecco un paio di considerazioni sul capitolo odierno :)

Che dire, i nostri eroi se la sono vista brutta, non trovate anche voi? Intanto, ho modificato il concetto di non morto di Dragon Age in uno simile ad una via di mezzo tra D&D e Sine Requie, cercando di dare loro anche una parvenza di "credibilità scientifica".

Qui ognuno ha giocato un ruolo importante e abbiamo anche potuto assistere alla prima trasformazione di Morrigan, un deus ex machina che ancora non so se limitare o incentivare... dovrò rifletterci. Nel frattempo spero vivamente vi siate goduti le scene di sangue e gore con cui ho condito tutta la battaglia, in perfetto stile DA:O

Ringrazio vivamente Eri, una mia amica, che si è gentilmente offerta di collaborare con me per la realizzazione di alcune tavole per la mia ff. E' una ragazza molto talentuosa e vi suggerisco di dare un'occhiata alla sua pagina facebook, Erii Illustration ;)
 
 

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