The Illusion

di Lirah
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Prologo e Capitolo 1 ***
Capitolo 2: *** Salvataggio di fortuna ***
Capitolo 3: *** Il mio nome ***
Capitolo 4: *** Te ne occuperai tu ***
Capitolo 5: *** Ricordi ***
Capitolo 6: *** Il secondo tesoro di Flint ***
Capitolo 7: *** Nuove notizie e il sogno ***
Capitolo 8: *** Qualcosa inizia a muoversi ***
Capitolo 9: *** Sei ancora vivo ***
Capitolo 10: *** Partirò con te ***



Capitolo 1
*** Prologo e Capitolo 1 ***


Ciao a tutti. Ho pensato di scrivere un piccolo commento prima di rilasciare il prologo e il primo capitolo. La storia è scritta in prima persona, ma i punti di vista varieranno: a volte la storia verrà narrata da Erin, altre volte da Jim che sono entrambi i protagonisti del racconto.
Inutile dire che la storia è basata sul Pianeta del tesoro, anche se gli avvenimenti che leggerete riguardano Jim all'età di 22 anni (quindi è decisamente più grandino). Ritorneranno a farsi vivi vecchi personaggi, e ne incontreremo altrettanti di nuovi frutto della mia fantasia. Spero di non annoiarvi e di tenere vivo il vostro interesse. Eccoci allora con l'inizio della nostra avventura


PROLOGO Erin
 
A volte è difficile credere che in una vita piena di tristezza, dolore e rimpianti possa succedere qualcosa di bello, che finalmente la fortuna decida di sorriderti invece di voltarti le spalle e andarsene con un sorriso diabolico e divertito in volto.
Ero sopravvissuta a chissà quali avventure, avevo perso i genitori, la mia famiglia, la mia gente. Un intero mondo distrutto da chissà quale maledetto e spregevole mostro. Chiusa in un ‘oscurità soffocante , senza nemmeno una piccola luce che mi potesse indicare una via di fuga, una consolazione per quella morte tanto lenta e solitaria a cui ero stata destinata. Mi avevano saltava perché io potessi vivere, ma non ero riuscita a mantenere la mia promessa e ad andare avanti con le mie sole forze.
Perché le stelle non brillavano per me? Perché nessuna mappa poteva mostrarmi la via di casa? Perché nessuna nave passava per quella rotta e si accorgeva di quel punto di luce rosso-bluastra che ormai brillava a malapena?
Tante domande e nessuna risposta. Continuavo a restare lì, con le braccia strette intorno alle ginocchia premute contro al petto. Gli occhi chiusi, con la paura di riaprirli per vedere che quel buio era ancora li, pronto a darmi sconforto. Il cuore batteva così forte che  speravo potesse essere udito da qualcuno a chilometri di distanza; un disperato e silenzioso grido d’aiuto.
Ad un tratto però qualcosa, un suono continuo, assordante, iniziò ad entrarmi nelle orecchie. Prima lontano e poi sempre più vicino. Mi strinsi ancora di più , chiudendomi in me stessa. Avevo aspettato qualcosa per così tanto tempo che ora temevo di illudermi, oppure di finire in un luogo ancora più tremendo di quel Nulla.
-Non è una stella! Avvicinatevi forza, è una ragazza. Dobbiamo aiutarla!-
Una voce maschile urlava in mezzo a quel frastuono. Un rumore assordante e un odore di metallo caldo, di cenere e … fumo. Non capivo cosa significassero quelle parole dette una dopo l’altra. Quale lingua stava parlando, perché non capivo? Forse avevo dimenticato la lingua degli umani, ammesso che quella voce appartenesse ad un uomo e non a qualche altra forma di vita.
Di nuovo quella voce, ma stavolta più vicina, e un profumo dolce e allo stesso tempo amaro arrivò alle mie narici. Iniziai ad avvertire un calore tiepido all’altezza della spalla destra.
-Mi senti? Ei … Morph torna alla nave e attacca questo. Legalo ben stretto mi raccomando. Veloce-
Fu nel preciso istante in cui sentii quel calore toccare la mia pelle che scattai , uscendo da quel guscio che mi ero fatta, aprendo gli occhi.
Davanti a me un ragazzo dai capelli marroni  tagliati a caschetto e gli occhi dello stesso colore, mi guardava interrogativo e sofferente. Una mano era alzata, portata vicino al petto mentre l’altra teneva salda l’impugnatura di una vela. Indossava un uniforme bianca con orli e bottoni dorati e il colletto rosso, che quasi stonava con quel volto da ragazzo spavaldo e quel mezzo di trasporto tanto rudimentale.
-Non ti voglio fare del male. Devi venire con me, a meno che tu non voglia essere risucchiata da una supernova-
Indicò qualcosa dietro di me, mentre un esserino rosa dalla forma indefinita gli arrivava alle spalle, lanciando degli urletti e assumendo una strana forma. Una sottospecie di buco nero, che vorticava rapidamente.
Nel memento esatto in cui mi voltai , gli occhi mi si spalancarono. Ebbi appena il tempo di sentire nuovamente la mano calda del ragazzo afferrarmi il braccio, prima di essere trascinata via ad una velocità a dir poco strabiliante.
 
 
 
1° CAPITOLO

 
Jim
 
Per l’ennesima volta quel giorno mi ero ritrovato a cambiare nave senza riuscire però a prendere il largo. Odiavo  restarmene fermo ad aspettare senza che nessuno mi sapesse dire che cosa c’era che non andava. Come se non bastasse il capitano a cui ero stato assegnato si ostinava a tenermi lontano dal quadro comandi. Da quel che ero riuscito a capire c’era stato un cortocircuito al generatore di gravità, e senza quello non sarebbe stato facile caricare tutte le merci e mantenerle stabili; inoltre nemmeno l’equipaggio avrebbe potuto gestire al meglio la navigazione.
Sebbene fossero passati quattro anni dalla mia avventura alla ricerca del tesoro di Flint  , e fossi uscito a pieni voti dall’accademia nessuno si fidava delle mie esperienze.
Certo,  capivo che non mi fosse concesso di fare quello che volevo, ma potevano almeno lasciare che mi rendessi utile.
Passai quell’ora ad aspettare seduto su degli enormi barili, mentre Morph imitava il mio sbuffare e il mio aspetto abbattuto. Qualche volta gli davo dei piccoli colpi  sulla testa sorridendo e aspettando che qualcuno mi dicesse il da farsi.
Ad un tratto il capitano Straid mi passò davanti, e balzai letteralmente al suolo, correndogli dietro e rallentando proprio mentre si girava verso di me. Era un uomo sulla cinquantina, i capelli brizzolati e un  espressione in volto sempre corrucciata e rude. La divisa era sgualcita in alcuni punti e dai colori sbiaditi dal tempo.
-Capitano  chiedo il permesso di farvi una domanda-
Mi guardò seccato, per incrociare le mani al petto e guardarmi dal basso verso l’alto. Visto da fuori e messo a confronto con i suoi 2 metri di altezza, potevo sembrare un bambino.
-Mi dica Hawkins. Anche se so perfettamente che cosa mi sta per chiedere.-
-E’ stato risolto il guasto?-
-Non ancora. Gli esperti stanno provveden/-
-Se solo mi permettesse di darci un occhiata riuscirei a risolvere il tutto in un attimo-
Dissi tutto ad un fiato e, forse, con il senno di poi avrei potuto tenere la bocca chiusa e aspettare pazientemente come tutto il resto dell’equipaggio.
Vidi il volto del comandante farsi rosso fuoco, mentre lasciava scivolare le braccia lungo i fianchi e stringeva le mani a pugno.
Avevo imparato molto negli anni di accademia, ma la mia innata abilità nel cacciarmi nei guai e nel combinarli non era sparita nemmeno con l’aumentare degli anni.
-Signor Hawkins, sarà pure uno dei migliori della sua classe e avrà fatto chissà quali prodezze  ma sulla mia nave pretendo ubbidienza e lei si sta dimostrando fin troppo impiccione. Io do gli ordini, io so se un mio subordinato è in grado o meno di adempiere a certi compiti, e lei  non è in grado di sistemare quel guasto-
-Aspetto un secondo!-
Con un gesto secco del braccio indicò la strada che portava lontano dall’attracco e proprio davanti all’ufficio smistamenti. Curvai le spalle, mentre osservavo quell’omone e sbuffavo, portandomi una mano fra i capelli. Possibile che ogni volta che venivo assegnato a Straid il risultato fosse sempre quello?
Alzai le braccia al cielo, in segno di resta forzata e dopo aver messo le mani in tasca mi allontanai con Morph al mio seguito.
-Non lo sopporto. Davvero! Che ne sa di quello che so o non so fare-
Morph, come per consolarmi, si rannicchiò sulla spalla, iniziando a strusciarsi sulla guancia e a emettere dei suoni striduli e fingendo di piangere. Nemmeno lui, in fondo era cambiato in quegli anni. Di Silver non si erano avute più tracce, se non qualche sporadica apparizione in zone che non erano sotto la mia vigilanza. Molto probabilmente non voleva mettermi in qualche guaio o rischiare di farsi prendere.  Anche se in fondo stavo iniziando a rimpiangere la vita avventurosa di un tempo. Avevo 22 anni e mi ritrovavo imprigionato in una vita normale; certo, migliore di quella che avevo prima ma sempre fin troppo tranquilla e priva di colpi di scena.
Arrivai all’ufficio e spinsi la porta, entrando e presentandomi davanti alla segretaria che si mise a ridere.
-Ti ha cacciato di nuovo è ragazzo! Oggi però sei fortunato. Una nave sta per salvare al molo 5. Sembra che una supernova abbia deciso di creare dei problemi  e che un gruppo di stupidi stia tentando un esperimento azzardato nelle vicinanze. Devono cercarli e portarli indietro-
Non mi servì fiatare, visto che la segretaria, una simpatica donna sulla sessantina, mi stava già porgendo il permesso per poter entrare a far parte momentaneamente nell’equipaggio di quella nave.
La ringraziai e corsi velocemente verso il molo numero cinque. Finalmente la giornata iniziava a prendere la giusta piega.

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Capitolo 2
*** Salvataggio di fortuna ***


2° CAPITOLO: Salvataggio di fortuna
 
JIM
 
Arrivai appena in tempo al molo per vedere l’equipaggio iniziare a sciogliere i nodi che tenevano la nave ancorata. Guardai per un attimo Morph che continuava ad incitarmi, a dirmi di sbrigarmi prima che togliessero il pontile per salire.
Non ci volle molto prima che succedesse e così , prendendo la rincorsa, spiccai un salto sotto gli occhi increduli dei due uomini che si fermarono per un attimo. Scivolai quasi, tenendomi per un attimo ben saldo con le mani, per poi salire e tirare un respiro di sollievo, salutando quei due con un cenno del capo.
Quella nave era decisamente molto più grande di quella affidata al comandante Straid e per un attimo mi domandai come mai avessero deciso di usare un’imbarcazione di quel calibro solo per andare a recuperare delle persone disperse.  Di solito la procedura richiedeva mezzi più piccoli e veloci, che avrebbero dovuto ispezionare la zona per poi segnalare possibili superstiti, seguite da una più grande con il compito recuperare le persone e riportarle allo spazio porto.
Molto probabilmente il comandante non sapeva nemmeno della mia presenza li, visto che aveva deciso di partire. L’unica soluzione era andare a presentarsi direttamente nella cabina.
Feci lo slalom fra l’equipaggio intento negli ultimi preparativi, aiutando persino qualcuno a sistemare meglio le corde. Ogni volta che legavo un nodo non potevo fare a meno di pensare a quel vecchio saiborg  e al pianeta del tesoro. Chissà se qualche pezzo di quel tesoro si era salvata dopo quella tremenda esplosione.
A distrarmi da quei pensieri fu una mano, che si poggiò sulla mia spalla.
Mi voltai e vidi una ragazza dalla carnagione leggermente abbronzata e lunghi capelli color dell’ebano guardarmi  seccata con quegli occhi neri come la notte. Batteva il piede nervosamente a terra, mentre portava le mani sui fianchi.
-E tu chi saresti? Non mi pare di averti visto all’arruolamento-
-Sono James Hawkins e sono stato assegnato al Capitano Lexor pochi istanti fa-
Mi guardò storto, per poi porgermi la mano con fare di superiorità. A quanto potevo capire non aveva creduto ad una sola parola di quello che le avevo detto, sebbene avesse riconosciuto l’abbigliamento che indossavo. Presi la lettera che la vecchia donna mi aveva dato pochi istanti prima, appoggiandogliela delicatamente sulla mano e aspettando che leggesse con calma.
-Hawkins è … Il tuo nome non mi è nuovo.  Il tuo caratteraccio ti precede lo sai?-
-Caratteraccio?-
La guardai incredulo mentre riponeva il documento all’interno della busta e me la restituiva. Subito dopo si voltò, facendomi cenno di seguirla. Più i minuti passavano e più mi ricordava Amelia, quel capitano con cui avevo avuto il piacere di intraprendere il primo viaggio. Ammesso che di “piacere” si potesse parlare all’inizio. Le sensazioni erano esattamente le stesso.
Morph dal canto suo, come quella volta, ne  assunse le sembianze iniziando a ripetere continuamente la parola caratteraccio. Riuscii appena in tempo ad afferrarlo e chiuderlo fra le mani prima che la ragazza si voltasse.
-E quell’esserino? E’ con voi?-
-O .. Morph .. si . Mi accompagna sempre. Non darà problemi, è molto obbediente.-
-Nemmeno l’umorismo gli manca direi. Ad ogni modo, il nostro compito è di recuperare dei pazzi idioti che hanno deciso di cercare chissà che cosa nei pressi di una stella instabile. Non sappiamo la rotta precisa, abbiamo solo alcuni dati sull’ultimo punto in cui sono stati visti.-
-Ma scusate se non/-
-CI è stato ordinato questo. Venga, la porto dal capitano. Sta calcolando la rotta nella sua cabina … E cerchi di comportarsi in modo adeguato-
Mi spiazzò , interrompendomi così velocemente che rimasi a bocca aperta mentre Morph le faceva la linguaccia. A guardarla bene non doveva avere più di vent’anni, ma a volte l’apparenza ingannava.
Non appena arrivammo davanti alla cabina del comandate, posta proprio davanti al timone, si sistemò la giacca e i capelli, per poi bussare ed entrare solo una volta che una voce scura e leggermente graffiante le diede il permesse di farsi avanti.
Mi presentò a grandi linee , tralasciando l’idea che si era fatta in quei cinque minuti, ad un uomo brizzolato, dal viso paffuto e dalle forme abbondanti. La stanza era impregnata da un odore di tabacco a dir poco nauseante, tanto che dovetti portare una mano al naso, facendo finta di starnutire.
L’uomo aspettò un attimo prima di chiudere la cartina e alzarsi, arrivandomi a pochi centimetri dal viso e soffiarmi addosso il fumo del sigaro. Spostai di lato la testa per un attimo, mentre la ragazza si schiariva la voce, cosa che suonò molto più come un rimprovero che per un verso fine a se stesso.
-Signor Hawkins. Non sapevo che vi avessero assegnato a questa nave-
-Un ordine dell’ultimo minuto signore-
Dissi tutto impettito, tralasciando il fatto che mi avessero cacciato dal mio incarico precedente. Lo vidi poi allontanarsi, per avvicinarsi alla ragazza e indicarla con un gesto fiero della mano.
-Questa giovane ha la sua stessa età. Anche lei è uscita da poco dall’accademia , ma ha avuto l’opportunità di assistere molti capitani. In questo viaggio verrà considerata come la mia vice, quindi la prego di ascoltarla. Il nostro compito è semplice: andare vicino alla stella numero 25 e controllare se vi siano o meno superstiti, per poi riportarli indietro. Tutto questo nel minor tempo possibile. Come ben sapete quella stella è prossima alla distruzione e non vorrei trovarmi ad affrontare una supernova, o un buco nero … Vedetela come volete voi. Il viaggio durerà all’incirca un giorno e mezzo. In questo lasso di tempo , signor Hawkins la prego di non creare scompiglio-
Non lo diedi a vedere, ma questa cosa stava seriamente iniziando a darmi sui nervi. Avevo intrapreso la strada dell’accademia per far si che quelle accuse e maldicenze sul mio conto cessassero una volta per tutte, e invece mi ritrovavo a sentire tiritere sul come mi dovevo comportare, cosa non dovevo fare. Uscire con ottimi voti dal quel posto era stata una cosa tanto inutile sotto il punto di vista sociale?
-Bene, ora potete andare. Dobbiamo far partire questa nave-
Ci congedò così, affidandoci il compito di aiutare gli altri membri dell’equipaggio per salpare e allontanarci definitivamente dallo spazio porto. Devo ammettere che quella ragazza ci sapeva fare, eppure non mi ricordavo di averla vista alle lezioni, forse aveva frequentato chissà quale altra accademia.
 
Durante il primo giorno di navigazione non parlai molto con il resto del gruppo. Tutti si conoscevano e molti avevano provato, durante l’ora di pranzo e cena, ad attaccare bottone con la ragazza dai capelli neri. Da quello che ero riuscito a capire si chiamava Charol e anche la sua famiglia sembrava far parte di quel mondo di navi spaziali e altro ancora. Non che la cosa mi interessasse particolarmente, ma in fondo era inevitabile ritrovarsi ad ascoltare i discorsi altrui quando non si aveva niente da fare.
Fu dopo il pranzo del secondo giorno che Charol mi si avvicinò. Stavo guardando il panorama, cercando qualche indizio che potesse farci capire se effettivamente qualcuno era passato di li.
-Signor Hawkins, il punto d’arrivo è ormai prossimo, si prepari in caso di necessità-
Non la sentii nemmeno, dovevo ammetterlo, ero troppo impegnato. Intravidi con la coda dell’occhio solo delle mani che si appoggiarono al bordo della nave.
-Mi ha sentito? Signor Hawkins!-
-Cosa? O , si . Ho capito-
-Ripeta quello che ho detto-
-Come?-
-Ripeta quello che ho detto. Pensa di essere di qualche aiuto se continua a fantasticare sulle stelle mentre navighiamo?-
Sbuffai, passando una mano fra i capelli e voltandomi a guardarla esasperato. Il mio limite di sopportazione in quel periodo era davvero basso e non era di certo il momento più adatto per sentirmi dire certe cose.
-Mi permetta di dirle una cosa. Prima di tutto non sto fantasticando ma osservando. Se davvero c’è stato un problema, di certo sarà possibile vedere qualche pezzo di nave fluttuare per l’universo, come quello per esempio. Sbaglio o è una parte dell’albero maestro di una nave appartenente allo spazio porto?-
Dissi indicandolo l’oggetto che fluttuava tranquillamente poco distante da noi, con uno sguardo a metà fra l’esasperato e l’orgoglioso. Certo, non potevo vantare di essere un grande ascoltatore e uno che rispettava in tutto e per tutto le regole, ma a volte uscire dai paletti imposti poteva rivelarsi la scelta migliore.
Mi guardò per un attimo, per poi correre verso il comandante che stava tenendo il timone della nave per informarlo di quello che avevamo visto. Quest’ultimo corresse di poco il tragitto della nave, e poco più di mezz’ora dopo ci ritrovammo vicino alla stella di cui tanto si parlava in quel periodo.
In giro però non vi era traccia di navi , velieri o chissà quale altra imbarcazione. Non c’erano tracce neanche di relitti o di corpi privi di vita.
Possibile che quegli uomini fossero scomparsi così, nel nulla, senza lasciare la minima traccia? Tutte le persone presenti in quella nave erano appostate , pronte a dar fiato alla bocca per ogni singolo movimento strano. Altri invece avevano il compito di tenersi pronti nel  caso in cui la stella avesse deciso di fare una piccola sorpresa fuori programma.
Non so per quanto tempo rimanemmo li a guardare, so solo che iniziarono a farmi davvero male gli occhi, non ce la facevo più. Poi ad un tratto uno strano bagliore attirò la mia attenzione: una luce rossastra e blu brillava proprio davanti alla stella.
Continuavo a fissarla, mi sembrava così strano vedere una cosa del genere, non avevo mai sentito parlare di astri che emanassero quel bagliore singolare. Fu quando osservai meglio che vidi  quello che era in realtà: una ragazza rannicchiata su se stessa. Era circondata da quella luce e non sembrava muoversi di un solo millimetro.
-CAPITANO C’è UNA GIOVANE LAGGIù-
Vidi il capitano Lexor correre verso di me e sporgersi, guardando nella direzione indicata dal mio dite. Anche sul suo volto si dipinse la stessa espressione che avevo fatto io un attimo prima. Di certo era strano, ma non potevamo lasciare quella ragazza in balia delle correnti spaziali.
-Presto, preparate una scialuppa e andate a/-
Venne interrotto da un brusco movimento della nave, che venne letteralmente spinta via. Cademmo tutti a gambe all’aria e quando mi rialzai, appoggiandomi all’orlo della nave, quello che vidi non fu affatto un bello spettacolo. Tutto era proprio come quella volta: la stessa era esplosa e  ora si stava pian piano trasformando in un buco nero.
Il mio sguardo corse inevitabilmente alla ragazza, che però non si era spostata di un solo millimetro dal punto in cui era prima. Ma com’era possibile, eppure l’onda d’urto ci aveva colpito in pieno.
-Presto, issate le vele, ci dobbiamo allontanare!-
-Che cosa!?-
Sia io che Charlot ci girammo verso il capitano, che ci guardò con un’espressione di panico nel volto. Non era possibile. Eravamo stati mandati in quel luogo proprio per salvare chi era sopravvissuto e ora voleva andarsene senza recuperare quella ragazza?
-Capitano, non possiamo lasciare quella giovane  in balia del buco nero-
-Signorina Charlot avevamo il compito di salvare i superstiti e ad uno primo sguardo quella ragazza è più morta che viva. Non ci sono altre soluzioni-
-Ma forse è svenuta signore. Dobbiamo tentare!-
-Non   abbiamo tempo! Se rimaniamo qui ancora per molto non riusciremo ad allontanarci prima di essere risucchiati. Le nostre scialuppe sono troppo lente. Preferisco sacrificare una vita piuttosto che perdere un intero equipaggio! E poi nessuno mi assicura che si tratti  di un essere umano-
Almeno su qualcosa io e Charlot eravamo d’accordo. La stella continuava a trasformarsi, ed effettivamente le scialuppe erano fin troppo lente per riuscire a percorrere tutto quel tragitto prima che succedesse qualcosa.
Nel momento in cui mi voltai verso quella ragazza però un rumore fortissimo mi arrivò alle orecchie, costringendomi a tapparli, curvandomi leggermente in avanti. Sembrava il battito accelerato di un cuore, unito ad un urlo straziante.  Sentii le mani di Charlot sulle spalle e mi sollevai.
-Che cosa succede Hawkins?-
-Dobbiamo salvarla!-
-Ma come? Non possiamo rischiare di-
-Avete un Solar Surfer?-
-Che cosa? … Si , ma … a … a cosa può servire?-
-Dov’è?-
-E’ nella stanza in cui teniamo le scialuppe-
-Bene, andiamo, mi serve il tuo aiuto-
La afferrai per la mano, trascinandola letteralmente via mentre il capitano Lexor  mi urlava di fermarmi e di tornare indietro, minacciandomi persino di accusarmi di ammutinamento.
Non sapevo il perché ma nel momento in cui avevo sentito quel rumore così forte e quell’urlo straziante, anche il  mio cuore aveva iniziato a battere all’impazzata e il cervello mi aveva detto che dovevo assolutamente raggiungere quella luce e portare la ragazza lontano dalla stella.
Arrivammo nella zona scialuppe e  afferrai il Solar Surfer, aprendo il carrello per poter volare via. Mi voltai verso Charlot , salendo sul veicolo.
-Passami una corda, la più lunga possibile-
-Hawkins ma si rende conto di quello che/-
-Lo so. Avanti sbrigati!-
Iniziò a rovistare e prese una corda abbastanza lunga e ma la tirò.
-Recupero la ragazza e poi mando Morph indietro con la cima. Legala sul ponte, cerca di fare un nodo ben stretto e di al capitano di prepararsi a partire. Per lo meno cerca di convincerli ad avvicinarsi un po’-
-Lo sai che non possiamo dare ordini al capitano. Potrebbe essere considerato ammutinamento!-
-Mi prenderò io le responsabilità. Ormai sono abituato a finire nei guai, o meglio ci ero abituato.-
-Vuoi mettere a repentaglio la tua carriera così?-
-Prendimi per stupido ma … se ora me ne andassi lasciando li quella ragazza … credo … che sentirei un peso al cuore per il resto dei miei giorni. Ti prego Charlot. Lo so che è difficile ma fidati ok? Per favore, non abbiamo più molto tempo-
La guardai fissa negli occhi, sperando di riuscire a convincerla almeno quella volta. Non ci conoscevamo e da quello che ero riuscito a capire non mi precedeva una buona reputazione , ma speravo che il suo buon senso le permettesse di comprendere meglio quello che stavo tentando di fare.
-E va bene. Però sbrigati, altrimenti lasceremo qui anche te-
-Si signora.-
Detto questo, con una forte spinta, mi lanciai nel vuoto, per poi aprire  la vela e sfrecciare a tutta velocità verso la ragazza. Speravo almeno che la corda che portavo sottobraccio fosse abbastanza  lunga da arrivare alla nave una volta raggiunta la destinazione, altrimenti avrei davvero dovuto trovare un piano b per uscirne vivo.
Guardai Morph che si teneva stretto alla mia spalla, e subito dopo, piegando bene le ginocchia diedi ancora più velocità a quel mezzo di trasporto che usavo fin da piccolo. Quanto tempo era passato dall’ultima volta che ne avevo usato uno? Ma per mia grande fortuna non ne avevo perso dimestichezza.
Arrivai da lei quando ormai la stella era diventata una supernova e il buco nero iniziava a crearsi. Quello che mi sorprese di vedere fu che, intorno a lei, non c’erano correnti , e persino le onde d’urto provocate dalla supernova non la toccavano. Era come stare al centro di un ciclone.
 -Non è una stella! Avvicinatevi forza, è una ragazza. Dobbiamo aiutarla!... Mi senti? Ei … Morph torna alla nave e attacca questo. Legalo ben stretto mi raccomando. Veloce-
Diedi la cima a Morph che immediatamente iniziò a correre verso la nave. Per lo meno, se non l’avesse fatto Charlot ci avrebbe pensato lui a legare la cima ben salda. In fatto di nodi anche quel piccoletto ci sapeva fare.
Ora, l’unico problema era quello di riuscire a portare via quella ragazza e , per fortuna, a giudicare dal movimento delle sue spalle, respirava.
Le portai una mano sulla spalla, per cercare di scuoterla, ma nel momento esatto in cui toccai la sua pelle la viti muoversi e scattare all’indietro, mentre sentii un forte dolore alla mano destra. La ritrassi immediatamente , portandola al petto, per poi guardarla subito dopo.
Spalancai gli occhi mentre vedevo il palmo e le dita ricoperte di ustioni. Certo, non erano gravi, ma com’era possibile che il solo toccarla mi avesse fatto quell’effetto? Che fosse un tipo di creatura che non conoscevo?
Sentii uno strattone alla corda, e mi voltai a guardare in direzione della nave. Charol era riuscita a convincere il capitano ad avvicinarsi.
Quando mi voltai nuovamente verso la ragazza, la stella si era completamente trasformata in una supernova.
-Non ti voglio fare del male. Devi venire con me, a meno che tu non voglia essere risucchiata da una supernova-
Non sembrava capirmi, potevo leggere nei suoi occhi lo spavento. Era come persa, sembrava si stesse chiedendo che cosa le stavo dicendo. Indicai così la stella dietro di lei, e nel momento esatto in cui si voltò, le afferrai il braccio.
Il tutto appena in tempo, poiché la corda si tese e iniziammo a essere trascinati via dalla nave.
Trascinai quella ragazza vicino a me, facendola passare sotto il braccio e stringendola al mio corpo in modo tale che non scivolasse via. Questa volta però non avvertii il senso di bruciore, forse era stata quella luce che l’avvolgeva.
Nel momento in cui l’avevo toccata infatti, aveva smesso di brillare, e la carnagione bianca come la neve si era fatta rosacea. Non portava abiti, ma non ci feci molto caso visto che in quel momento erano le nostre vite ad essere in pericolo. La sentii stringersi a me, aggrappandosi ai vestiti per tutto il tempo.
Quando fummo abbastanza lontani, slegai la corda, riprendendo pieno controllo del Solar Surfer e tornando alla nave, atterrando sul ponte.
Scesi a terra mentre vidi Charol avvicinarsi a noi. Guardai la ragazza, che mi fissava con degli occhi da togliere il fiato: di un colore azzurro intenso.
Scossi la testa e mi tolsi la giacca, mettendogliela sopra le spalle in modo tale che si coprisse.
-Stai bene?-
Aprì appena la bocca, per poi svenire un attimo dopo.

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Capitolo 3
*** Il mio nome ***


3°CAPITOLO
 
ERIN
 
A volte è difficile credere che in una vita piena di tristezza, dolore e rimpianti possa succedere qualcosa di bello, che finalmente la fortuna decida di sorriderti invece di voltarti le spalle e andarsene con un sorriso diabolico e divertito in volto.
Ero sopravvissuta a chissà quali avventure, avevo perso i genitori, la mia famiglia, la mia gente. Un intero mondo distrutto da chissà quale maledetto e spregevole mostro. Chiusa in un ‘oscurità soffocante , senza nemmeno una piccola luce che mi potesse indicare una via di fuga, una consolazione per quella morte tanto lenta e solitaria a cui ero stata destinata. Mi avevano saltava perché io potessi vivere, ma non ero riuscita a mantenere la mia promessa e ad andare avanti con le mie sole forze.
Perché le stelle non brillavano per me? Perché nessuna mappa poteva mostrarmi la via di casa? Perché nessuna nave passava per quella rotta e si accorgeva di quel punto di luce rosso-bluastra che ormai brillava a malapena?
Tante domande e nessuna risposta. Continuavo a restare lì, con le braccia strette intorno alle ginocchia premute contro al petto. Gli occhi chiusi, con la paura di riaprirli per vedere che quel buio era ancora li, pronto a darmi sconforto. Il cuore batteva così forte che  speravo potesse essere udito da qualcuno a chilometri di distanza; un disperato e silenzioso grido d’aiuto.
Ad un tratto però qualcosa, un suono continuo, assordante, iniziò ad entrarmi nelle orecchie. Prima lontano e poi sempre più vicino. Mi strinsi ancora di più , chiudendomi in me stessa. Avevo aspettato qualcosa per così tanto tempo che ora temevo di illudermi, oppure di finire in un luogo ancora più tremendo di quel Nulla.
-Non è una stella! Avvicinatevi forza, è una ragazza. Dobbiamo aiutarla!-
Una voce maschile urlava in mezzo a quel frastuono. Un rumore assordante e un odore di metallo caldo, di cenere e … fumo. Non capivo cosa significassero quelle parole dette una dopo l’altra. Quale lingua stava parlando, perché non capivo? Forse avevo dimenticato la lingua degli umani, ammesso che quella voce appartenesse ad un uomo e non a qualche altra forma di vita.
Di nuovo quella voce, ma stavolta più vicina, e un profumo dolce e allo stesso tempo amaro arrivò alle mie narici. Iniziai ad avvertire un calore tiepido all’altezza della spalla destra.
-Mi senti? Ei … Morph torna alla nave e attacca questo. Legalo ben stretto mi raccomando. Veloce-
Fu nel preciso istante in cui sentii quel calore toccare la mia pelle che scattai , uscendo da quel guscio che mi ero fatta, aprendo gli occhi.
Davanti a me un ragazzo dai capelli marroni  tagliati a caschetto e gli occhi dello stesso colore, mi guardava interrogativo e sofferente. Una mano era alzata, portata vicino al petto mentre l’altra teneva salda l’impugnatura di una vela. Indossava un uniforme bianca con orli e bottoni dorati e il colletto rosso, che quasi stonava con quel volto da ragazzo spavaldo e quel mezzo di trasporto tanto rudimentale.
-Non ti voglio fare del male. Devi venire con me, a meno che tu non voglia essere risucchiata da una supernova-
Indicò qualcosa dietro di me, mentre un esserino rosa dalla forma indefinita gli arrivava alle spalle, lanciando degli urletti e assumendo una strana forma. Una sottospecie di buco nero, che vorticava rapidamente.
Nel memento esatto in cui mi voltai , gli occhi mi si spalancarono. Ebbi appena il tempo di sentire nuovamente la mano calda del ragazzo afferrarmi il braccio, prima di essere trascinata via ad una velocità a dir poco strabiliante.

 
Mi svegliai di colpo, sentendo qualcosa di morbido accarezzarmi la pelle e subito dopo un gran freddo prendermi il busto, le braccia, e qualcosa che mi premeva sulla testa. Uno strano senso di smarrimento e quella sensazione tanto strana che non avevo mai provato. Era come se il mio corpo avesse acquisito peso, e cos’era quella cosa che mi sfiorava la pelle?
Intorno a me c’era solo un gran buio, nulla più, come era sempre stato, eppure era diverso. Quando mi trovavo nello spazio non avevo peso, non sentivo freddo.
Provai a spostarmi, toccando con le mano , passando da una superficie soffice e calda, ad una dura  e fredda, toccai qualcosa e un secondo dopo sentii un tonfo sordo. Ritrassi il braccio, ranicchiandomi, e quella sensazione  di freddo iniziò a circondarmi tutto il corpo.
Pian piano delle sagome iniziavano a delinearsi davanti ai miei occhi e guardando verso il basso, potei vedere qualcosa di bianco. Quella superficie su cui ero seduta, che cos’era?
Acquistando più sicurezza decisi di portare i piedi a terra, e per un attimo potei sentire un brivido percorrermi la schiena, mentre le mie dita sfioravano il pavimento. Li era tutto umido e non c’era traccia del caldo accogliente da cui ero sempre stata avvolta fino a quel momento.
Un po’ titubante mi alzai, arrivando fino ad un’una superficie piatta, su cui erano appoggiati degli oggetti. Provai a prenderne uno, era morbido e circolare, e man mano che lo tiravo sembrava allungarsi sempre di più, per poi fermarsi come ad una tensione massima.
Quando alzai il viso , per un attimo mi spaventai, indietreggiando e lanciando un leggero gridolino.
C’era una figura davanti a me, ma chi era?
Mi voltai di scatto , ma dietro di me non c’era nessuno. Mi voltai nuovamente verso la direzione in cui avevo guardato e mi avvicinai. Quella sagoma, pian piano, uscì dall’oscurità in perfetta sincronia con i miei movimenti, sotto una luce bianca e intensa.
Portai una mano al volto, passandola sulla guancia , sul mento e sulle labbra. Solo quando aprii leggermente la bocca capii che quell’immagine ero io. Ma quella era la prima volta che mi vedevo, e continuavo a domandarmi che cosa fosse quella strana cosa che mi permetteva di vedermi?
Afferrai una ciocca di capelli fra il pollice e l’indice , scivolando velocemente fino alle punte. Sebbene la luce fosse poca potevo vedere quelle lunghe ciocche rosse scendermi fino al sedere, solo alcuni ciuffi mi cadevano più corti sul viso, nascondendo qualcosa di bianco che mi avvolgeva la fronte.
Spostai poi una mano sugli occhi, color del cielo, di un azzurro intenso e le labbra, poco più scure della carnagione rosea della pelle.
Naso, bocca, mento, occhi, capelli, viso … tutte parole che fino a quel momento non avevo mai usato.
Stavo per avvicinarmi ancora di più, tentando di toccare quella superficie che mi rifletteva, quando una luce comparve davanti a me, accecandomi quasi.
Portai le mani davanti agli occhi, allontanandomi, e tornando impaurita sopra a quella superficie bianca e morbida, sotto quel sottile materiale leggero che mi teneva calda e mi impediva di vedere oltre.
-Ma allora ti sei svegliata? Mi sembrava di aver sentito dei rumori. Come stai?-
Sentivo una voce lieve, dolce, davanti a me, ma non avevo il coraggio di guardare. Era forse stata quella luce abbagliante a guardare?
Vidi un’ombra avvicinarsi sempre di più, fino a che qualcosa di caldo non mi sfiorò la mano che subito allontanai, lasciando che quella barriera bianca scivolasse nuovamente giù.
Per l’ennesima volta, come nel sogno da cui mi ero svegliata di soprassalto, delle parole mi corsero alla mente. Parole che descrivevano oggetti che indossava quella donna, come il ragazzo del mio sogno. Come il giovane che mi aveva afferrato per poi trascinarmi via.
Anche quella giovane dai capelli corvini indossava una sottospecie di uniforme di un bianco candido, forse persino più pulita di quella che avevo visto in sogno, con decorazioni dorate.
Si sedette di fianco a me, appoggiando qualcosa sulla superficie e guardando verso il basso.
-Hai fatto cadere la lampada dal comodino. Aspetta, raccolgo i pezzi altrimenti ti farai del male-
Si alzò, andando a prendere qualcosa che potesse raccogliere la lampada, come aveva detto lei. Allora quelle superfici su cui venivano appoggiate le cose si chiamavano comodino, o almeno era quello che ero riuscita a capire osservandola. Non capivo molto di quello che mi diceva, potevo solo tirare ad indovinare.
Subito dopo tornò a sedersi accanto a me, e mi porse qualcosa.
-Questi sono i miei vestiti. Mettili, starai più al caldo. Non vorrai mica andartene in giro nuda in una nave piena di ragazzi con gli ormoni alle stelle spero?-
Chinai di lato la testa, mentre prendevo quello che mi porgeva. Un profumo delicato e rassicurante arrivò alle mie narici , e quel tessuto così delicato scivolava sulle mie dita dolcemente.
-Vuoi che ti aiuti?-
Mi si avvicinò e io di tutta risposta mi allontanai. Sicuramente la paura che provavo in quel momento poteva essere facilmente letta in quel momento. La vidi esitare per un attimo, per poi sorridermi, per toccare un pezzo dei suoi abiti , indicare quello che tenevo fra le mani e poi nuovamente quello che indossava.
-Ti aiuto.-
Forse voleva aiutarmi a non sentire più quel freddo che mi colpiva la pelle. Le porsi gli abiti e pian piano, con delicatezza mi aiutò a vestirmi, per poi pettinarmi i capelli fin troppo scompigliati e farmi sedere su quello che aveva chiamato letto.
-Ok, aspettami qui. Vado a chiamare il Capitano e Hawkins. Sicuramente vorranno vederti. Arrivo subito-
La vidi uscire, per poi lasciarmi nuovamente sola, ma questa volta con quella luce che continuava a guizzare. Avevo lo sguardo perso nel vuoto, non riuscivo a capire più nulla.
Quello che mi diceva erano parole senza significato, sebbene io sapessi che quello che stava facendo era comunicare. Sentivo che la mia mente cercava di capire, di sforzarsi di parlare e man mano che gli occhi osservavano , l’intuizione associava quei suoni alle forme.
Eppure io ricordavo quelle sagome, quegli oggetti, io nella mia memoria li avevo già visti, ma perché non ne ricordavo il nome? Perché mi sentivo così persa? Perché non riuscivo a parlare? La mia bocca non si muoveva, eppure il suono usciva. Dei gemiti , fievoli e imprecisi.
Per la seconda volta la porta di quel luogo si aprì. Guardai in quella direzione e la ragazza di pochi istanti prima entrò, seguita da un uomo  dalle movenze pesanti. Uno strano odore seguì la sua entrata, qualcosa si fastidioso.
-Allora signorina Charol, le ha detto chi è?-
-No signore, vede … Non credo sappia … parlare-
-Assurdità, tutti sanno parlare … Allora ragazzina-
La voce rauca e tuonante di quell’uomo copriva quella della giovane fino ad azzerarla. Continuavo ad osservarli, cercano di capire. Volevo sapere che cosa si stavano dicendo. Mi sentivo così stupida, persa, una bambina appena nata, priva di ogni difesa.
-Comandante non penso che/-
-Fa silenzio. Abbiamo rischiato di morire per salvarla. Deve almeno dirci da dove viene. Non voglio persone sospette sulla mia nave-
Iniziò ad avvicinarsi a passo svelto, mentre del fumo usciva da qualcosa che teneva all’estremità sinistra della bocca.
Quando fu a pochi passi per raggiungermi non potei fare a meno che scattare in piedi e tentare di fuggire da quella sagoma così grande rispetto a me. Mi incuteva pura, sentivo che se le sue mani mi avessero toccato, sarebbe accaduto qualcosa di irrimediabile. Sentivo il corpo tremare e la gola chiudersi, evitando a qualsiasi suoni di uscire. Chiusi gli occhi, stringendoli e portando le braccia davanti al volto, per proteggermi
-Capita/-
-CAPITANO LUXOR …Capitano …-
Sentii una nuova voce coprire quella più chiara della ragazza, e  dei passi svelti venire verso di me. Subito dopo la luce debole della lampada che aveva portato la ragazza venne oscurata da qualcosa.
Lentamente abbassai le braccia, sentendo il silenzio che si era fatto. C’era una strana tensione nell’aria e quando riaprii gli occhi vidi una sagoma frapporsi fra me e quella più alta e massiccia dell’uomo dei capelli grigi.
Per un attimo un profumo di stelle e di sole mi investì in pieno. Non potei fare a meno di avvicinarmi a quella sagoma e afferrare la stoffa degli abiti, stringendo i pugni.
Sentii un minimo spostamento del corpo della persona che mi si era parata davanti e vidi le sue braccia abbassarsi.
-Capitano, mi scusi l’intrusione ma … Non credo sia questo il modo di approcciarsi con lei-
-Crede di saperne più di me signor Hawkins?-
-Non … non volevo dire questo signore, è solo che … Sa , dopo … dopo un trauma come quello che avrà subito non crede che sia il caso di andarci un po’ più leggero? La sua figura è così … importante e … fiera … che forse l’ha messa un po’ in soggezione-
Man mano che sentivo quel tono , la melodia di quella voce e la sensazione di caldo sulla guancia appoggiata alla schiena di quella persona, mi tornava in mente il giovane che nel mio sogno di aveva trascinato via, che mi aveva sfiorata, svegliata da quel sonno tanto lungo.
Un attimo dopo la voce più agitata della ragazza tornò a farsi sentire, questa volta più forte e decisa.
-Capitano, le chiedo il permesso di occuparmi, insieme al signor Hawkins dell’interrogatorio della giovane. Non appena sapremo qualcosa le faremo subito rapporto … Vero Hawkins?-
-E’? .. Si, si signore-
-E va bene. Ma vedete di non metterci tanto-
Sentii rumore di passi che si allontanavano e subito dopo la porta si chiuse con un gran tonfo e la tensione che si poteva sentire nell’aria scomparve immediatamente. Persino le spalle del ragazza che mi aveva aiutata si erano rilassate di colpo e pian piano si allontanarono.
Lasciai scivolare via dalle mani la stoffa, tenendo il volto rivolto verso il basso.
-Scusa il comandante ma …-
-E uno stupido cicciono/-
-Hawkins!-
-Che c’è? Ti è sembrato giusto il modo in cui le si è avvicinato? Sembrava volesse strapparle il cuore dal petto. Era terrorizzata!-
-Ammetto che il Capitano non è una persona con molto tatto ma /-
-Privo di tatto-
-MA lo fa solo perché teme che possa far parte di qualche banda di pirati-
Mi aiutò a sedermi nuovamente, mentre sentivo la voce del ragazzo scoppiare a ridere. Quella risata così cristallina e immediata mi fece sollevare il volto e non appena lo vidi i miei occhi si spalancarono letteralmente.
Il ragazzo che stava ridendo era lo stesso del mio sogno, lo stesso che mi aveva trascinata via , che aveva ascoltato il mio grido di aiuto.
D’istinto mi alzai e mi buttai letteralmente fra le sue braccia, abbracciandolo con tutta la forza che avevo nelle braccia, affondando il volto sul suo petto. Sentii la sua risata bloccarsi immediatamente e le braccia alzarsi. Molto probabilmente non si aspettava una reazione del genere ma  non avevo altro modo.
Non sapevo come fare per ringraziarlo per quello che aveva fatto. Per avermi sentita dopo così tanto tempo.
-E … ei ma … che cosa…-
Improvvisamente l’immagine della sua mano mi tornò alla mente e mi allontanai da lui, afferrandogli il polso e sollevandolo. Una fasciatura gli copriva il palmo della mano. Lo fissai negli occhi con sguardo dispiaciuto, sfiorando appena le dita con la fronte e chiudendo gli occhi.
-Penso ti stia … chiedendo scusa-
-Scusa? E di cosa?-
Non aveva allontanato la mano, nemmeno mi aveva cacciato o spinto via quando lo avevo abbracciato. Quel ragazzo sembrava gentile e di certo doveva esserlo se si era  preoccupato di venirmi a recuperare in una situazione tanto grave come quella in cui eravamo nel mio sogno. Forse però, a pensarci bene, se lui era reale, anche quello che ricordavo non poteva essere un sogno.
Sentii una sua mano appoggiarsi sulla mia testa, per poi spostarsi subito dopo.
-Non è niente, sto bene. Non è colpa tua. Guarda-
Mosse le dita , dandosi un piccola pacca sulla mano sinistra, che aveva liberato dalla mia stratta.  Mi sorrideva, e aveva la stessa espressione della prima volta in cui l’avevo visto.
Si chinò leggermente verso di me, per arrivare più facilmente all’altezza dei miei occhi. Ora che lo guardavo meglio gli arrivavo più o meno alle spalle.
-Non penso che tu mi capisca. Però sei un’umana come noi. Non appartieni di certo a qualche altra razza della galassia-
-Forse ha subito qualche trauma. Aveva un bel taglio sulla fronte quando è svenuta. Magari è una dei superstiti della nave di cui si parlava e , battendo la testa, ha perso la memoria-
Vidi il ragazzo sedersi pesantemente nel posto in cui mi ero risvegliata e sbuffare, scostandosi alcuni ciuffi dal volto e guardare la ragazza che sembrava pensierosa quanto lui. Io continuavo a rimanere li, ferma e imbambolata, cercando di capire qualcosa che mi potesse aiutare a comunicare con loro.
-Hai provato a chiederle come si chiama?-
-No … Appena si è svegliata sono venuta a chiamare te e il Capitano-
-Capisco … Ei-
Sentii una mano di lui sfiorare leggermente la mia e mi voltai completamente. Aveva appoggiato un gomito sul ginocchio e con il pollice e l’indice della mano sano si massaggiava la fronte. Forse c’era qualcosa che non andava? Avevo fatto qualcosa che non andava bene? Era di questo che stavano discutendo?
-Proviamo con calma. Allora …-
Si alzò di scatto, tanto che dovetti indietreggiare di qualche passo per evitare di sbattere la testa  contro la sua. Si portò una mano al petto e guardandomi negli occhi aprì la bacca sorridendomi.
-Sono Jim, tu?-
-Non penso ti capirà se gli dici tutte quelle parole-
-Vuoi provarci tu?-
Sposai gli occhi prima sulla ragazza e poi di nuovo su di lui. Non riuscivo a capire: un attimo prima il suo tono era tranquillo e dolce, per poi trasformarsi e diventare più duro e fastidioso nei confronti della giovane dai capelli neri.
Poi tornò a guardar darmi e raddrizzò le spalle, costringendo anche la ragazza ad alzarsi. Prima indicò lei :
-Charol-
Un secondo dopo indicò se stesso.
-Jim-
Corrugai la fronte e un istante dopo qualcosa scattò nella mia mente. Quelli dovevano essere i loro nomi. Sorrisi, aprendo la bocca per pronunciarli, parlargli , fargli capire che il messaggio che mi avevano mandato era arrivato senza alcun intoppo, ma mi bloccai.
Charol, vedendo il mio volto farsi buio mi si avvicinò.
-Hai capito vero? Cha-rol-
Ripetè più lentamente e subito dopo si scostò, avvicinandomi al ragazzo e ripetendo subito dopo il suo nome. Respirai a fondo  e strinsi i pugni, drizzando per bene la schiena.
Non sapevo il perché ma avevo una paura tremenda di sentire la mia voce, di pronunciare quelle parole. Fissai per l’ennesima volta i miei occhi in quelli marroni di lui e lasciai che le labbra si muovessero fino a formare quelle tre semplici lettere.
-Jim-
Un sorriso comparve sul volto del ragazzo , come nel mio. Avevo sempre udito la voce dei miei pensieri, mai la mia. Per lo meno da quello che  mi ricordavo.
Ad un tratto qualcosa iniziò a disegnarsi nella mia mente, forse delle lettere, seguite subito dopo da un suono familiare, qualcosa che sentivo mi appartenesse.
Afferrai le mani dei due ragazzi e con tutto il fiato che avevo in corpo urlai.
-ERIN-

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Capitolo 4
*** Te ne occuperai tu ***


Ne approfitto per scrivere alcune righe. Intanto ringrazie per le recensioni e i commenti. Mi scuso per l'orario in cui aggiungo i capitoli ma purtroppo non ho molto tempo durante il giorno e  mi ritrovo a scrivere la sera. Inevitabilmente finisco a ore tarde.
Detto questo vi lascio al quarto capitolo ! GRAZIE ANCORA e buona lettura!


4° CAPITOLO

 
JIM
 
Restammo con Erin per non so quanto tempo. Continuavamo a parlare, indicare oggetti, cercando di farle ripetere le cose, per capire se quel suo mutismo fosse dovuto ad una perdita di memoria oppure al fatto che non conoscesse la nostra lingua.
Ad una prima occhiata non sembrava una persona pericolosa, mi chiedevo come aveva fatto il comandate anche solo a pensa che potesse far parte di una banda di pirati. Certo, usare lei come esca per trarci in inganno sarebbe stata una gran bella genialata ma fino a quel momento non c’erano stati problemi.
Dopo un po’ Charol le disse di riposarsi ancora un po’, facendola stendere sul letto e coprendola. La vidi guardarmi, prima di appoggiare la guancia sul cuscino e cadere in un sonno profondo fin da subito. Non potei fare a meno di sorridere, sembrava una bambina.
Uscimmo e chiudendo delicatamente la porta, non potei fare a meno che guardarmi la mano fasciata. Erin aveva fatto una faccia così dispiaciuta quando aveva visto quelle bende, come se quello che mi era successo fosse stata veramente colpa sua. Di una cosa però ero sicuro, non era una ragazza come tutte le altre … visto che era protetta da una sottospecie di barriera quando l’avevo trovata.
-Jim?-
Sobbalzai quando vidi il volto di Charlot a pochi centimetri dal mio. Scattai all’indietro, andando a sbattere con la testa contro il legno duro della nave.  La sentii ridere, mentre la guardavo passarsi la mano destra lungo il braccio opposto, guardando le stelle e avvicinandosi al bordo della nave.
-Quella ragazza è davvero strana. Pensi che sia amnesia o che non sappia semplicemente la nostra lingua?-
-L’abbiamo trovata nel bel mezzo dello spazio, senza abiti e con una ferita alla testa. Sono più propenso all’amnesia e , di logica, il fatto che non riesca a capirci avrebbe un senso-
Sbuffò, appoggiandosi al legno freddo e posando la fronte sulle braccia incrociate. Molto probabilmente era più preoccupata per Erin più di quanto non volesse dare a vedere. Quella , in fondo, era la prima volta che vedere Charol in veste di se stessa e non in quella della vice severa e acida con cui avevo iniziato a parlare poche ore prima.  Con un balzo andai a sedermi sul bordo della nave, aggrappandomi a delle corde tese.
-Siamo partiti così di fretta che non abbiamo nemmeno portato con noi un medico-
-Te lo dicevo io che Luxor era un cretino no?-
-JIM!-
-Che c’è? Lo sai benissimo che lo pensi anche tu .-
-Se è Capitano ci sarà un perché non credi? In fondo quando siamo partiti  non pensavamo di trovare superstiti-
-E allora perché siete partiti-
-Cosa?-
Sali giù, mettendo le mani in tasca e guardandola con la testa leggermente chinata in avanti, mentre davo dei calci ad un sasso immaginario. Mi capitava spesso di comportarmi così quando ero sovrappensiero, ma in quel momento stavo cercando di organizzare un discorso che non risultasse troppo offensivo nei suoi confronti e in quelli del Capitano. Non era poi così scemo da rischiare una denuncia per calunnie o chissà che altro. Avevo già rischiato abbastanza con quella sottospecie di ammutinamento.
-Vedi … Come posso dire … Perché siete partiti se credevate che non ci fossero superstiti? Da quello che so io avete fatto partire questa nave per cercare persone da salvare , o corpi da riportare alle famiglie no?-
-Bhe … si, ma/-
-Ma? Non mi sorprenderei nello scoprire che il capitano Luxor avesse deciso di fare marcia indietro non appena arrivato sul posto, senza nemmeno guardare. Assurdo-
Il tono mi cadde leggermente su una risata di scherno e di tutta risposta Charlot camminò a grandi passi verso di me, impuntandosi e fulminandomi letteralmente con lo sguardo. Sembrava furiosa, ma non riuscivo a capire bene per che cosa. Il respiro era veloce e solo dopo qualche istante aprì bocca, cercando di trattenere la voce che altrimenti sarebbe sfociata in delle vere e proprie urla.
-Per lo meno non  è così incosciente da prendere un Solar Surfer e avvicinarsi in modo tanto sconsiderato ad una cosa-
-Persona-
-Non sapevamo fosse una persona!-
-Io lo sapevo ok?-
-E come? Vuoi dirmi che sei riuscito a vederla bene da quella distanza?-
-No … Ma lo sapevo e basta va bene? Infatti non appena sono arrivato credi di avervi urlato che si trattasse di una ragazza-
-Cosa avresti fatto se si fosse trattato di qualche detrito o chissà cos’altro?-
-Sarei tornato indietro semplice-
-Aaaa , tu … sei …-
Ad un tratto vidi Morph arrivare a tutta velocità dietro di lei, per venirsi a coccolare sulla mia guancia. Stavo iniziando a domandarmi dove fosse finito quel piccoletto. Da quando eravamo tornati con il Surfer non l’avevo più visto, era come scomparso nel nulla. Forse si era imbucato di nascosto nella mensa per mangiare qualcosa. Di solito si comportava sempre così dopo aver preso un grande spavento.
Di positivo ci fu il fatto che bloccò sul nascere quella discussione. Sapevo benissimo che Charlot aveva ragione quando mi diceva che avrei anche potuto essermi sbagliato, e incappare in qualche mostro o animale dello spazio o, peggio ancora, in qualche asteroide contaminato da chissà quale malattia o radiazione. Ma quando mi ero voltato a guardare quella luce, avevo sentito come il bisogno di correre la e salvare quella ragazza. Dentro di me sapevo che si trattava di una persona, senza che gli occhi me ne dessero la conferma.
Ad ogni modo ero riuscito a salvarla, senza bisogno di sacrificare me stesso o causare danni alla nave e al suo equipaggio.
Passarono alcuni minuti di silenzio, fino a che Charol non si decise ad andare dal Capitano per fare rapporto su quello che Erin ci aveva detto, o meglio, su come si era comportata nei nostri confronti.
Non avevo  assolutamente voglia di vedere quel tipo, ed entrare in quella stanza piena di quell’odore soffocante. Potevo ancora sentire quella puzza di sigaro sui miei vestiti dopo una giornata intera.
Fu inevitabile però  ritrovarmi seduto sulla sedia della sua cabina, mentre Luxor continuava a camminare avanti e indietro per la stanza. Una mano stringeva il sigaro, tenendolo a pochi centimetri dalle labbra, mentre l’altro braccio era riposto dietro la schiena. Rispetto a prima aveva un comportamento del tutto diverso: pacato, calmo e riflessivo. Soffriva forse di problemi della personalità?
Dopo il primo raccontino di quello che Erin non ci aveva detto  e di quello che aveva fatto, anche Luxor si decise a sedersi, poggiando i gomiti sulla scrivania e unire le mani per poi appoggiarvi la fronte. Rimase in quella posizione per diversi minuti, poi scattò.
-Bene. La ragazza verrà affidata a uno di voi due. Avrete il compito di sorvegliarla-
-Che cosa?!-
Scattammo in piedi e dicemmo quelle parole all’unisono, per poi guardarci subito dopo. Io fui il primo a sedermi, in fondo era quasi scontata che la scelta giusta per Erin fosse Charol. Entrambe erano delle ragazze e una casa ampia e accoglienti avrebbe di certo fatto bene a quella ragazza. Di certo un luogo affollato e pieno di persone come il Bembow non avrebbe giovato al recupero della sua memoria in modo tranquillo e rilassato.
-Signor Hawkins sarà lei ad occuparsene-
-Sono pienamente d’accordo con lei Capitano, Charol sarà sic/ … COME!? IO?-
Mi accasciai sulla sedia, fissando il vuoto, mentre Charol mi dava dei piccoli colpetti sul braccio felice per non essere incappata in quella situazione.
Se prima era un dubbio, ora era certezza: quell’uomo era pazzo? Come poteva affidare una ragazza ad un ragazzo? Insomma avevo pur sempre vent’anni e da quello che avevo capito non avevano una buone opinione sul mio conto.  Non ero il tipo da approfittare di una persona in difficoltà, ma perché i pregiudizi comuni non saltavano mai fuori nei momenti giusti.
-Da quello che sono riuscito a vedere la ragazza si fida di lei.  Quando ho provato ad avvicinarmi si è aggrappata a lei per cercare protezione, non è corsa da Charol-
-Certo che no, ero la prima cosa a cui poteva aggrapparsi ! Le ero a un centimetro di distanza!-
-INOLTRE  è stato lei ad andare a salvarla e a portarla sulla mia nave. Quindi presumo che voglia assumersi la responsabilità del suo gesto-
-Ma non eravate voi che dovevate andare a recuperare superstiti?-
-Nell’equipaggio che dovevamo recuperare non c’erano donne. Dunque quella ragazza non fa parte del nostro compito-
Mi bloccai di colpo. Fino a quel momento mi ero agitato , non tanto perché non volessi aiutare Erin, ma perché non mi ritenevo la persona adatta per un compito del genere. Mi cacciavo dei guai e persino mia madre si preoccupava che non riuscissi a tornare indietro sano e salvo. Si fidava di me, ma non poteva fare a meno di preoccuparsi, me l’aveva sempre detto apertamente.
Ora però, le parole che avevo  gelato il sangue nelle vene. Allora quello che avevo supposto era vero, quando aveva detto di allontanarsi dalla stella non l’aveva fatto  per salvare esclusivamente i suoi uomini, ma anche perché Erin non era un suo compito. Salvare una persona che non rientrava nei suoi compiti non era una cosa necessaria.
Cercai di frenare la lingua, prima di dire qualcosa di troppo esagerato e tornai a sedermi composto, mentre Morph mi guardava preoccupato dalla spalla.
-E va bene. Mi occuperò io della ragazza. La porterò a Montressor. Abiterà con me e mia madre-
-Tengo a precisare che dovrà fornirmi tutti i dettagli dei suoi miglioramenti.-
-Si signore. Posso andarmene ora? Sono stanco, vorrei riposare-
Mi alzai in piedi, senza nemmeno aspettare che desse fiato a quella bocca.  Sarebbe bastato un altro singolo suono per far si che il mio pugno andasse ad incontrare quella brutta faccia che si ritrovava.
Sentii in lontananza la voce di Charol chiedere scusa e seguirmi subito dopo, scendendo a lunghi passi le scale che portavano al ponte.
Continuava a chiamarmi e a rimproverarmi, chiedendo che cosa mi fosse preso così all’improvviso. Non potevo comportarmi così con il Capitano, gli dovevo rispetto e  obbedienza, almeno fino a che mi fossi trovato su quelle nave.
Fu nel momento in cui sentii  la sua mano sulla mia mi voltai, scostandola delicatamente ma con decisione.
-Lascia che ti dica solo che non sono dell’umore adatto. Domani quando arriveremo porterò Erin da un medico e subito dopo partirò per tornare a Montressor. Se vorrai potrei venire a trovarla. Ora scusami, ma me ne vado.-
Detto questo mi voltai e scesi nelle mia cabina.
 
ERIN
 
-Erin, Erin … svegliati. Siamo arrivati. E’ ora di andare-
Mi risvegliai, voltandomi verso la fonte della voce e aprendo pian piano gli occhi. Sapevo che avrei trovato davanti a me. Infatti eccolo li, i capelli marroni che cadevano verso di me, mentre mi rivolgeva un sorriso di buongiorno e mi porgeva una mano per farmi alzare.
Quella notte ero andata a dormire già vestita e quando mi alzai dovetti solo mettere delle scarpe che mi aveva portato lui.
Continuava a parlarmi, sperando forse che io riuscissi a capire quello che mi stava dicendo. Continuavo come una stupida a fissare le sue labbra, pronta a rispondergli all’occorrenza. Come se potessi davvero rispondergli.
Sentivo una rabbia crescermi dentro man mano che lui mi guardava e mi diceva quello che pensava. Perché anche io non potevo comportarmi così spontaneamente? Perché non mi ricordavo nulla? Le uniche cose che sentivo e che conoscevano erano le parole  famigliari, simili, mondo , distruzione e quelle poche che ero riuscita a capire parlando con Jim e Charol.
Finalmente sembravamo essere pronti per uscire da quella stanza. Vidi Jim aprire la porta e uscire, per poi voltarsi verso di me e tendermi la mano.
-Vieni forza.  Non vorrai restare rinchiusa li per sempre-
Mi avvicinai pian piano, mentre guardavo a terra. Il pavimento di legno  sulla soglia diventava più chiaro, come illuminato da una luce forte e intensa. Anche Jim era avvolto da una luce fortissima, come tutto quello che vedevo fuori da quella porta.
Nel momento in cui uscii completamente , dovetti aspettare qualche istante prima che gli occhi smettessero di farmi male, ma non appena potei osservare meglio quello che mi circondava non potei fare a meno di sorridere.
Quel buio che mi aveva sempre trattenuta, che mi aveva fatto tanta paura era sparito. Finalmente c’era luce ovunque, non ero più sola, c’erano così tante persone intorno a me , le une diverse dalle altre.
Iniziai a correre da una parte all’altra di quello strano mezzo, fino a che non mi affacciai su di un immensa città. Un continuo via vai di persone, che entravano e uscivano da delle case, altri salivano su mezzi simili a quelli su cui mi trovavo io.
Mi voltai a guardare Jim, che mi stava fissando con le braccia incrociate. Lo osservai meglio in volto, non era arrabbiato, era come se mi stesse concedendo del tempo per osservare tutte quelle nuove cose.
Corsi verso di lui, lo afferrai per un braccio e lo trascinai sul bordo della nave, iniziando ad indicare un sacco di cose. Man mano che lo strattonavo le mie dita scivolavano dal suo gomito, all’avambraccio. Solo quando finii sulla mano lo sentii gemere e guardandolo vidi un’espressione di dolore sul suo volto. Abbassai gli occhi sulla mano, gli stavo stringendo proprio quella fasciata. La lasciai andare immediatamente, rattristandomi. Mi ero fatta così prendere da quell’entusiasmo da fargli del male.
-Tranquilla , non ti preoccupare. Passerà presto vedrai. Allora vediamo un po’ … Mi avevi indicato quello giusto?-
Mi poggiò una mano sulla schiena per farmi voltare ed indicare  quell’insieme di travi su cui le persone continuavano ad andare avanti e indietro.
-Pontile …. Casa …. Gabbiano … Macchina-
Continuava a spostare il dito da un oggetto all’altro, da una persona all’altra, ripetendo chiaramente e lentamente delle parole che pian piano iniziai ad associare agli oggetti. La sua lingua non era poi così difficile. Forse finalmente sarei riuscita anche io a parlare e ad esprimermi come volevo.
Pian piano però la mia attenzione fu completamente catturata dalle bende che coprivano le ustioni che si era fatto quando mi aveva sfiorato la prima volta.
Lui era stato così gentile con me e io l’avevo ferito. Non sapevo come aveva fatto, ne come fosse successo, ma ero stata io.
Ad un tratto, senza ragione, gli afferrai la mano , tenendola stretta fra le mie. Lo sentivo parlarmi, con foce gentile, e molto probabilmente mi stava ripetendo le stesse parole di prima, ma ero troppo concentrata.
Sentivo uno strano pizzicore alle braccia, che pian piano scese fino ad arrivare sulla punta delle mie dita e un lieve bagliore verde iniziò a propagarsi per tutta la mano di Jim.
Non sembrò accorgersene e un attimo dopo , scuotendo la testa tornai a guardarlo.
-O guarda! Quello è il Dottor Delbert Doppler. Ci porterà a casa. Vieni-
Mi fece cenno di seguirlo e iniziò ad andare avanti, salutando con un cenno  uno strano tipo con un naso e delle orecchie ben diverse da quelle di Jim.
Mi affrettai a raggiungerlo, ma quando toccai una corda per scendere sul pontile, sentii la mano farmi un male terribile. La sollevai, guardandola e  spalancai gli occhi. Quelle ferite erano le stesse che avevo intravisto alla mano di Jim.
Nella mia mente si figurò rapidamente la risposta a quella domanda inespressa. Avevo curato le sue ferite che , inevitabilmente, si erano concentrate sul mio corpo.
Potevo davvero fare una cosa del genere?
-Erin! Erin dai!-
Venni riportata alla realtà dalla voce di Jim e portando il braccio dietro alla schiena scesi di corsa quel pontile, fermandomi solo per un secondo per guardare l’immenso spazio vuoto sotto di me. Chissà dove sarei finita cadendo da quell’altezza.
Arrivai fino al fianco di Jim, chinando leggermente la testa come aveva fatto pochi secondi prima lui. Forse quello era il modo giusto per salutare quello strano uomo vestito di tutto punto che mi guardava, come se mi volesse studiare.
Mi tese la mano e vedendomi ferma e imbambolata afferrò la mia, stringendola forte. Peccato che decise proprio quella su cui si erano trasferite le ustioni. Non potei fare a meno di trattenere un urlo e scivolai via dalla presa, mentre vedevo Jim avvicinarsi preoccupato.
-Che succede? Ti fa male la mano? Fai vedere-
Tentò di guardare, ma mi ritrassi, facendo segno di no con la testa. Non volevo che vedesse quello che avevo fatto, altrimenti sicuramente avrebbe pensato chissà cosa su di me.
Tutti i tentativi furono inutili , visto che un secondo dopo , eccolo guardare stupito quelle ustioni.
-Ma … come te le sei fatte-
Distolsi lo sguardo, stringendomi sulle spalle.
Non mi chiese altro e mi accompagnò da una donna in una delle case che mi aveva indicato prima. A quanto pare doveva chiamarsi dottore e ci mise non so quanto per visitarmi. Mi infilò nel braccio un tubicino sottile nel quale raccolsero il mio sangue. Controllò subito dopo la ferita che avevo alla testa e le ustioni alla mano, per poi medicarle. Visitò poi  gli occhi e mi fece vedere delle immagini e ripetere delle parole.
La gioia che provai nel sentire la via voce e nel vedere che capivano quello  che dicevo era  tanta.
 
Da quello che riuscii a capire passarono all’incirca due ore abbondanti prima di poter ricevere un pezzo di carta sul quale c’erano degli stranissimi segni che non riuscivo a capire. Continuavo a stare attaccata a Jim e indicare i punti scritti, chiedendogli indirettamente di leggere. Lui mi rispondeva, paziente e tranquillo, anche se credo che alla fine di quell’interrogatorio avrebbe tanto voluto vedermi dormire e smettere di fargli tutte quelle richieste.
Salimmo poi su una carrozza, trainata da uno stranissimo animale che a quanto pare doveva essere del Dottor Doppler, alla volta della casa di Jim.
Per un attimo mi domandai come mai per tutto quel tempo non avevo visto Charol e mi domandai se ci avrebbe mai raggiunto nel posto in cui stavamo andando.
Ero impaziente di vedere come sarebbe stato il luogo in cui avrei vissuto di li in poi. Man mano che il tempo passava il paesaggio perdeva il blu scuro dell’universo, per tingersi di marrone e grigio.
In lontananza si poteva vedere una casa a due piani, vicino alla quale era stato costruito un piccolo porto sul quale erano armeggiate delle navette.
-Siamo arrivati! Questa è casa mia. Bembow-
Mi guardò e contemporaneamente indicò quell’edificio. Dopodichè scese , tendendomi le braccia per aiutarmi a scendere.
Quando fui con i piedi a terra mi guardai intorno, per poi piegare la testa di lato vedendo delle strane creature uscire dalla porta principale.
-Bembow-
-Si!-
-Si!-
Ripetei quella piccola parola con la stessa intonazione felice di Jim. Quella parola doveva essere un segno di consenso a qualcosa che si diceva o si faceva.
Quando entrammo, una gran baraonda arrivò alle mie orecchi. Un sacco di gente seduta a dei tavoli conversava allegramente. Bambini che correvano da ogni parte, mentre uno strano robot portava del cibo su dei vassoi.
Non appena si voltò verso di noi, cambiò immediatamente traiettoria, e corse come un pazzo per abbracciare Jim. Riuscii appena in tempo a prendere al volo il vassoio prima che gli scappasse di mano.
-Jim! Sei tornato!-
-Ahah si, ciao B.E.N-
-Che felicità … vado subito a chiamare la signora. Sarah, Sarah …. JIM è TORNATOOOO-
Gridava e si muoveva così a scatti che per un attimo temetti potesse esplodere. Da una porta poco lontana uscì una donna. Indossava un grembiule bianco su cui stava pulendo le mani e una cuffietta dello stesso colore da cui uscivano dei capelli marrone scuro.
Non appena vide Jim le si illuminarono gli occhi e ci venne in contro con un sorriso tanto dolce da riscaldare il cuore.
-Ciao mamma-
-Jim , come stai? Come è andata?-
-Tutto bene.-
-Non hai combinato guai questa volta vero?-
-No … ma … c’è una persona che vorrei presentarti-
Si spostò dietro di me, poggiandomi le mani sulle spalle e costringendomi a fare pochi passi in avanti, fino ad arrivare vicino alla donna che prima guardò me e poi Jim. Mi indicò per un attimo per poi guardare lui interrogativa e forse speranzosa, ma non avrei saputo dire per cosa.
-Lei  è Erin. Purtroppo non capisce la nostra lingua e a quanto pare ha perso la memoria. L’ho salvata da un buco nero. I miei superiori mi hanno chiesto di tenerla con noi, almeno fino a che non si scoprirà qualcosa in più sul suo conto. E’ un problema?-
-Certo che no. Lo sai che qui ci sono sempre stanze libere. Forse però è meglio che venga a dormire nella stanza degli ospiti … Potrei insegnarle io qualche parola , o frase … che ne dici?-
-Sarebbe fantastico!-
-Bene allora. Benvenuta al Bembow Erin-
Mi guardò , per poi aprire le braccia e avvolgermi. Rimasi spiazzata per un secondo, ma subito dopo venni rapita da quella sensazione di protezione e calore tanto avvolgente. Non avevo mai provato una sensazione tanto bella.

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Capitolo 5
*** Ricordi ***


Ciao a tutti. Scusatemi per l'enorme ritardo del capitolo ma purtroppo in questi ultimi mesi sono stata davvero molto impegnata. Ho letto i vostri commenti e vi ringrazio moltissimo. Sono contenta che la storia vi piaccia e spero vivamente di poter sfornare il prossimo capitolo al più presto. Un bacione a tutti

5° CAPITOLO -Ricordi-

ERIN

Quella notte non riuscii a dormire molto. Continuavo a girarmi e girarmi su quella superficie morbida e rilassante. Una finestra davanti a me mostrava un cielo azzurro e una luna forte e intensa che , da quello che mi aveva detto Jim, altro non era che lo spazio porto da cui eravamo arrivati.
La donna che corrispondeva al nome di Sarah era sua madre. Per un attimo non avevo capito che cosa volesse dire quella parola e lui con calma mi spiegò che una mamma è la persona che si occupa di te, gentile e premurosa, una persona unica al mondo. Per un attimo avevo pensato che fosse lui quella sottospecie di madre per me , visto che tutto sommato si era dimostrato tanto gentile, ma quando lo indicai ripetendo quella parola scoppiò a ridere. Aveva detto che una mamma era una persona come me, una donna,mentre lui era un uomo. C’erano così tante cose che mi aveva detto in così pochi minuti che per un attimo la testa aveva iniziato a girare così velocemente che dovetti sedermi.
Avevamo passato la sera seduti a tavola a mangiare tantissime cose. Io guardavo in silenzio la scena davanti a me: Sarah, Jim e B.E.N erano una famiglia. Era così bello vederli così tutti insieme.
Mi tirai su, facendo sbadatamente perno sulla mano ustionata. Per riflesso ritrassi il braccio e mi ritrovai di nuovo stesa. Fissai la mano bendata e un attimo dopo la strinsi al petto. Quella sensazione, quel fastidio che provocava tante lacrime, io non l’avevo mai provato prima di quel giorno. Io era diversa da loro? Avevo una mamma? Una famiglia, qualcuno con cui poter vivere così?
Scesi dal letto e mi diressi verso la finestra, aprendola lentamente mentre il suo cigolava rompeva il silenzio di quella notte. Una dolce brezza mi investì in pieno, spostando alcune ciocche che erano finite lungo il petto, dietro la schiena. Quella sensazione di tranquillità e sicurezza era bellissima. Finalmente potevo provare quelle emozioni che mi erano state tolte, proibite per così tanto tempo.
Ad un tratto un tonfo mi fece sobbalzare e girare inevitabilmente verso la porta semichiusa. Solo quando ci feci caso vidi che dalla piccola fessura proveniva una luce fioca, rossastra e gialla. Mi avvicinai pian piano, cercando di fare meno rumore possibile.
Uscii dalla stanza ,voltando verso destra e guardando la seconda stanza del corridoio. La porta era aperta e la luce, molto probabilmente, proveniva da una lampada o da una candela accesa.
Pian piano vi avvicinai e quando mi affaccia lievemente vidi Jim, chino su dei libri e circondato da altrettanti , dormire. Il respiro pesante, le braccia sotto la nuca e una penna che rimaneva in bilico sull’orecchio. Guardando a terra vidi tre  libri che molto probabilmente dovevano essere caduti. Strano che lui non si fosse reso conto di niente.
Un po’ titubante mi feci avanti, arrivando fino alla scrivania di legno e raccogliendo i tomi caduti, riponendoli sopra ad una pila decisamente instabile. Il mio sguardo rimase fisso sul volto tranquillo di Jim per qualche minuto, per poi spostarsi a guardare quella stanza. Non vi era molto: un letto appoggiato alla parete alla sinistra e alla destra un intero muro con una libreria ormai satura di libri. La scrivania era davanti alla finestra che dava sull’entrata del Bembow. Per terra, vicino al letto, vi era una valigia aperta. Molto probabilmente doveva trattarsi del bagaglio che Jim si era portato via in quei giorni.  Poco più in la, vicino alla porta, vi era un piccolo armadio.
Mi avvicinai alla libreria iniziando a guardare quegli strani simboli. Sarah mi aveva fatto vedere qualcosa quelle sera, ma non ero riuscita ad imparare molto, solo poche parole molto semplici. Quanto mi sarebbe piaciuto afferrare uno di quei libri, aprirne una pagina a caso e iniziare a leggere quello che vi era narrato. Chissà quante storie avrei potuto vivere solo leggendo. Ad un tratto però una delle copertine attirò la mia attenzione. Un colore rosso acceso, con decorazioni d’oro e uno strano simbolo composta da un teschio e delle ossa.  Mi alzai sulla punta dei piedi per prenderlo , cercando di non farlo cadere. Man mano che il libro usciva dal posto in cui era potei vedere che i fogli al suo interno erano di color oro e sotto la fioca luce della lampada luccicavano, come diamanti.
Quando finalmente il libro stava iniziando a scivolarmi fra le mani barcollai, e il tomo cadde a terra con un tonfo, aprendosi. Mi sorpresi nel vedere delle figure materializzarsi e del suono uscire da quelle pagine.
 
“Nelle notti più limpide quando i venti …”
 
Mi chinai, inginocchiandomi e osservando quello spazio color viola e blu e i suoni del luogo in cui avevo vissuto fino a quando Jim non era arrivato per portarmi via. Ma in quelle figure tutto era più affasciante.
 -Erin!-
Alzai gli occhi e vidi Jim, sguardo un po’ assonnato e capelli scompigliati, girarsi verso di me e guardarmi con un punto interrogativo dipinto sul volto. Prima di qualsiasi mezzo di comunicazione verbale indicai il libro , chinando poi il capo per chiedergli scusa.
Lui fece spallucce e venne a sedersi vicino a me, guardando quelle immagini come se stesse guardando qualcosa di nostalgico.
-Quando ero bambino , prima di andare a dormire, chiedevo sempre a mia madre di leggermi questo libro. Mi piacevano le storie sui pirati, o meglio sui tesori che questi nascondevano-
Fece per chiudere il libro ma con delicatezza e velocità gli poggiai la mano sul braccio fermandolo. Volevo guardare e ascoltare ancora un po’. Anche se non capivo bene che cosa stesse dicendo quella voce, mi piaceva vedere quelle immagini, avventure. Inoltre volevo vedere l’altra faccia del mio vecchio mondo, quella bella , elegante, incantevole. Lo spazio non era poi così cupo e privo di luci, ma pieni di colori, stelle che brillavano più che mai, pianeti, navi. Rimasi attenta e vigile per tutto il tempo, con Jim che si era rassegnato a guardare con me quell’audio-video seduti sul pavimento.
 
JIM
 
Più o meno dopo venti minuti , senza nemmeno rendersene conto Erin era crollata dal sonno, finendo per appoggiarsi alla mia spalla. Quando il libro finì e le immagine smisero di essere proiettate lo richiusi, rimanendo per un attimo a guardarne la copertina. Quanto tempo era passato dall’ultima volta che aveva avuto l’opportunità di rivedere quel vecchio ricordo? Quel libro era l’unica cosa che mi ricordava del viaggio fatto con Silver , alla ricerca del tesoro di Flint. Sbuffai , voltandomi di nuovo a guardare Erin non appena la sentii mugugnare. Non accennava a svegliarsi , ma non potevo di certo lasciarla dormire sul pavimento.
Cercando di fare il più piano possibile, mi alzai per poi prenderla in braccio e , cercando di non sbattere da nessuna parte, la riportai nella sua stanza.
La finestra era aperta e lo coperte spostate da una parte. Molto probabilmente si era svegliata per qualche motivo, o forse non si era mai addormentata. Ora invece respirava profondamente e sul volto aveva un sorriso tranquillo e felice. Mi ero persino sorpreso nel sentire quanto era leggera, anche se in fondo stavo sollevando un peso morto.  La posai sul letto e la avvolsi nelle coperte, ma quando feci per spostarle mano, le sue dita si chiusero sulle mie.
Rimasi per un attimo spiazzato quando la vidi avvicinare le mani al viso, facendo si che il mio dorso toccasse la sua fronte. La pelle era calda e morbida.
Mi liberai pian piano da quella stretta , rimanendo per un attimo a guardarla.
-Troveremo in fretta la tua famiglia vedrai … Sono sicuro che gli manchi già molto-
Le scostai una ciocca di capelli dal viso e mi allontanai, ma quando arrivai alla parto non potei che girarmi verso di lei nuovamente quando la sentii pronunciare il mio nome.  Credevo si fosse svegliata , invece aveva semplicemente parlato nel sonno.
-Buonanotte-
Detto questo uscii dalla stanza. Forse era meglio che anche io mi decidessi ad andare a dormire.

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Capitolo 6
*** Il secondo tesoro di Flint ***


CAPITOLO 6
 
Erin

 
La mattina seguente mi svegliai con il suono di stoviglie e il chiacchiericcio della gente al piano di sotto. Un tripudio di odori diversi saliva su per le scale e si infilava nella mia stanza facendo brontolare lo stomaco dalla fame. Quando mi  misi a sedere mi sorpresi nel vedermi sul letto, in quella che sarebbe stata la mia camera fino a che fossi rimasta a casa Hawkins.
Con calma mi svegliai, indossando gli abiti del giorno precedente e, messe le scarpe, mi avviai per scendere di sotto. Mi fu inevitabile lanciare uno sguardo veloce alla stanza di Jim e affacciarmi per vedere se lui stesse ancora dormendo oppure no. Vidi il letto sistemato, i libri che erano sulla scrivania erano spariti lasciando posto solamente al libro illustrato olograficamente.  Dovevo ammettere che per qualche istante vedere quel racconto, ascoltare del Pianeta del Tesoro aveva risvegliato in me una strana reazione, come delle mani calde che mi tenevano stretta, un calore rassicurante, ma allo stesso tempo pieno di panico. O forse era più tranquillo? Non ero riuscita a capire bene quello che provavo in quel momento. Tutte quelle emozioni, sensazioni erano così strane e sconosciute che proprio non riuscivo a capire che cosa stesse succedendo al cuore.
-Erin! Dove sei?-
Sentii la voce di Sarah venire dal corridoio, molto probabilmente era venuta a cercarmi. Uscii dalla stanza di Jim nel momento esatto in cui lei uscì dalla mia. Le sorrisi un po’ imbarazzata per essere entrata senza permesso in una stanza che non era la mia.
-Eccoti. Non andartene in giro così , altrimenti non ti trovo più. Stavi cercando Jim?-
Scossi la testa in automatica, come se avessi capito quello che mi stava domandando. Le uniche parole che ero riuscita a capire erano Jim, così e non. Sbuffai per un attimo, scocciata di non riuscire a capire ancora nulla.
La vidi tendermi la mano, la afferrai e la seguii. Man mano che gli scalini diminuivano le voci della gente aumentava. Fu nel momento in cui oltrepassammo una porta che vidi il locale stracolmo di persone. Tutti erano seduti a tavoli diversi, alcuni di gruppi di 4 , altri di 2 o di 3. Vidi B.E.N passarmi davanti correndo come un fulmine con due vassoi stracolmi di piatti in mano. Non potei fare a meno di trattenere  una risata quando lo vidi quasi sbattere addosso al tavolo a cui era diretto , mentre i clienti lo guardavano storto.
-Ben è sempre sbadato-
Guardai Sarah che si era messa una mano sulla guancia e scuoteva la testa. Quando mi voltai di nuovo verso la sala i miei occhi incontrarono involontariamente quelli di Jim. Stava prendendo l’ordinazione con un grembiule legato in vita e sorridendomi, mi fece un cenno di saluto con la mano , per poi tornare ad ascoltare quello che avevano da dirgli gli strani personaggi seduti davanti a lui.
-Vieni- Con un tocco lieve sul mio braccio Sarah riuscì ad avere di nuovo la mia attenzione.
-Sarai affamata, in fondo ieri sera non hai mangiato molto. Ti ho preparato qualcosa.-
La seguii mentre continuava a parlare. Mi fece sedere ad un tavolino, lo stesso della sera prima, e mi mise davanti una tazza con dentro un liquido bianco , caldo e fumante.
-Latte …. Questi invece sono Biscotti-
Pronunciò l’ultima parola più lentamente , come per farmi capire bene che cosa fossero quelle cose a forma di cerchio che aveva messo accanto alla tazza.
Mangiai con calma, gustando ogni singola briciola di quello che mi aveva offerto. Mi sembrava di non aver mangiato nulla per anni, anche se in effetti non ricordavo l’ultima volta in cui avevo assaggiato qualcosa del genere.
Ad un tratto dalla stanza accanto entrò Jim, con una pila di piatti in una mano e un libricino nell’altra. Porse un foglio alla madre e mise i piatti dentro il lavandino.  Mi salutò con un cenno della mano e uscì subito dopo aver preso un profondo respiro.
Rimasi a fissare la porta, non l’avevo mai visto con quell’espressione sul volto; Sembrava stanco. Guardai Sarah che mi si avvicinò
-Jim mi aiuta sempre quando non deve andarsene in giro per lo spazio. Certo non è una cosa che adora fare, ma si lamenta poco. Anni fa non si sarebbe mai sognato di aiutarmi per più di dieci minuti. Si cacciava ogni giorno in un guaio diverso, nessuno avrebbe scommesso che sarebbe riuscito ad essere più di un semplice combina guai. Sono davvero felice per lui-
Negli occhi le si poteva leggere la felicità, l’orgoglio e il sollievo.
Tornò subito dopo vicino ai fornelli e quando finii di mangiare portai la tazza sul lavandino. Rimasi ferma un attimo.
-Sarah-
La chiamai un po’ titubante. Quando si voltò a guardarmi sembrava orgogliosa e felice. Forse il fatto che avessi pronunciato per la prima volta il suo nome poteva essere un passo avanti?
Cercai a gesti di farle capire che volevo aiutarla, rendermi utile in qualche modo, e in poco tempo imparai a lavare i piatti con dei guanti sulle mani.
Non so per quanto tempo continuai a lavare i piatti che portavano Jim e B.E.N dal salone, ma ad un certo  mi accorsi che quei gesti erano diventati meccanici.
Quando finalmente sia Jim che B.E.N rientrarono nella cucina e si sedettero, Sarah mi fermò facendo segno di accomodarmi.
-Finalmente è finita. Quello del cameriere non è un lavoro che fa per me-
-Avanti signorino Jim-
Jim si accasciò sul tavolo mentre io lo fissavo.
-Tesoro devo chiederti di fare un’ultima cosa-
-Come!? Ancora?! Mamma sono venuto a casa per riposarmi-
-Se non te ne sei reso conto Erin non ha nemmeno un abito di ricambio. Avevo pensato di andare a comprare qualcosa con lei-
-E … io che centro?-
-Tu verrai con noi. Lei si fida di te e di sicuro si sentirà più tranquilla-
Lo vidi mettermi le mani fra i capelli mugugnando qualcosa senza che però riuscissi a capire la minima parola. Certo, non comprendevo una parola, ma non era difficile capire che quello era solo un modo per lamentarsi.
-Sei ancora un giovanotto dovresti avere ancora tanta energia da vendere-
-Di energia ne ho ,ma speravo di stare in Vacanza …-
-Non ti sto mica portando a lavorare-
Lo vidi alzare il viso e guardare sua madre con un sopracciglio alzato e un espressione che poteva dire tutto e niente. Forse stavano battibeccando? Però non avevano i toni accesi che avevo avvertito nella cabina della nave.
Alla fine da quello che avevo capito aveva vinto Sarah e a Jim non era rimasto che andare in camera e tornare subito dopo con un abbigliamento diverso. Non aveva più la divisa dai toni scuri di prima, ma una maglia di color sabbia e un cappotto nero e dei pantaloni grigi e degli stivali ai piedi.
Per un attimo lo vidi sorpreso e ridere toccando gli indumenti.
-Ho cambiato scarpe e pantaloni, ma non pensavo che la giacca e la maglia mi stessero ancora bene-
-Ti sei allungato con il tempo, e in fondo ti stavano larghe persino anni fa. Forza andiamo. Oggi in paese c’è il mercato. Potremmo comprare anche altre cose-
Ci avviammo e salimmo sono un mezzo di trasporto molto simile  a quello che mi aveva portato al Bembow il giorno precedente.
Per tutto il tragitto mi guardai intorno, cercando di non perdere nemmeno un centimetri del paesaggio che mi passava davanti: distese interminabili di rocce dai colori che andavano dal rosso intenso al marrone più scuro. Qualche volta quella routine veniva rotta dai colori di qualche casa o taverna, ma era comunque uno spettacolo particolare. Rispetto allo spazioporto, pieno di case e gente, Montressor era un luogo in cui era raro vedere un segno di civiltà.
Arrivammo in una cittadina più o meno mezz’ora dopo la nostra partenza. Quando scesi dalla carrozza e mi guardai intorno, non potevo credere ai miei occhi. C’erano persone di tutti i tipi, negozi, bancarelle, ognuno di questi vendeva cose diverse, offriva qualcosa per gli altri.
Ascoltavo Sarah che mi spiegava tutto con tranquillità, mentre Jim ci seguiva sbuffando e tenendo le mani dentro le tasche.  Con quella postura mi sembrava tanto un bambino, che non aveva niente a che fare con la persona che avevo conosciuto sulla nave e che mi aveva afferrato la mano per portarmi in salvo.
Quando però entrammo in un negozio pieno zeppo di vestiti, raggiunse il culmine della pazienza e con qualche borbotto in più si accasciò su di una poltroncina vicino alla grande finestra che dava sulla piazza.
In quel momento avrei voluto sinceramente chiedergli scusa. Da quello che ero riuscita a capire, sua madre aveva deciso di recarsi in paese per comprarmi qualche nuovo vestito, in modo che non fossi costretta ad indossare sempre i soliti abiti. Cercai di provare tutto quello che mi consegnavano in fretta e furia, in modo da uscire da li il prima possibile. Qualche volta lanciavo un’occhiata a Jim, che però continuava a fissare qualcosa dall’altro lato della strada.
Fu nel momento in cui uscii dal camerino, finalmente libera da quello continuo andirivieni di vestiti, che lo vidi alzarsi, gli occhi semichiusi come se dovessero vedere più in la del possibile e si alzò di scatto.
-Mamma … io devo andare un attimo in un posto-
-Ma abbiamo finito, aspetta solo/-
-Torno presto-
La interruppe bruscamente , scappando fuori dal negozio senza nemmeno chiudere la porta dietro di se. Io rimasi li, ferma, con un gran punto interrogativo stampato sul volto. La mia attenzione fu catturata di nuovo da Sarah  e mi voltai perdendo completamente di vista Jim.
 
Jim
 
Per un attimo, quando avevo visto quel carrello ambulante passarmi davanti agli occhi, non avevo creduto a quello che avevo letto.  Il grande cartello-insegna un po’ sgangherato però riportava un titolo, un nome , che ormai era da tantissimo tempo che non sentivo più: “Il pianeta del tesoro: il tesoro di Flint in vendita”.
Quel titolo era talmente assurdo. Nessuno oltre me e Silver aveva creduto così tanto al fatto che il pianeta del tesoro esistesse davvero, che non fosse solo una favola, ed ora mi ritrovavo a leggere su di una bancarella che il tesoro del Capitano Flint era in vendita.  Ma com’era possibile una cosa del genere? L’intero pianeta era andato distrutto dopo la tremenda esplosione che avevamo innescato involontariamente, ed eravamo riusciti a scappare per un soffio al finale più disastroso.
Sapevo che correre in mezzo a tutta quella gente, scusandomi alla svelta quando urtavo qualcuno, era una cosa assurda. Eppure c’era qualcosa in quelle parole che mi attirava, era sempre stato così fin da bambino. Molto probabilmente se qualcuno dell’accademia mi avesse visto in quel momento mi avrebbe di certo deriso: “Stai inseguendo un sogno infranto”, “Ma dai, lo sai benissimo che ormai è tutto distrutto, l’hai detto tu no?”. Quelle erano le parole che mi  avrebbero ribadito per fermarmi.
Vidi il carrello girare in un vicolo e dopo qualche secondo vi svoltai anche io. Mi ritrovai a correre lungo un corridoio stretto , scuro e con odore  di fogna che saliva dai tombini che comparivano a scadenza regolare.
Ad un tratto una luce fievole e di un verde intenso mi fece rallentare. Quando il suono dei miei passi cessò, sentii in lontananza una voce gracchiante, stridula.
-Questa è solo una parte della mappa-
-Solo una parte? Che me ne faccio allora?-
La seconda voce era più cupa, profonda e tetra. Mi accucciai dietro a degli scatoloni, avvicinandomi ancora di più e arrivando a vedere le ombre dei due riflesse sul muro. L’uomo che aveva trascinato il carrello era nettamente più basso e mingherlino a confronto dell’ombra che raffigurava il suo cliente.
-Si dice che inneschi la mappa che il Capitano Flint aveva creato … nel caso la prima venisse distrutta-
-Una seconda mappa? Per quale pianeta. Non so se hai sentito , stupido umano, che il pianeta è andato distrutto. Silver, quell’idiota, è riuscito ad innescare le trappole-
Silver. Quei due come facevano a conoscerlo? Certo, molto probabilmente un cyborg non passava inosservato, ma da come ne parlavano sembravano conoscere molto sul suo conto. Inoltre sapevano che il pianeta era andato distrutto , e soprattutto come. Che fosse un membro della ciurma che avevano ingaggiato alla partenza anni prima? Impossibile, visto che quelli rimasti vivi erano stati messi in galera.
-Ad ogni modo. Dove si trova questa seconda mappa?-
-Purtroppo nessuno lo sa. Si dice che quando la prima mappa si troverà vicina alla seconda, quel pezzetto inizierà a brillare di luce intensa. Qualcuno dice che sarà la seconda mappa a reagire la prima … Ci sono tante teorie.-
-E di grazie CHI  formula queste teorie-
-Su questo diario. Era del capitano Flint. Vi ha annotato molte cose, ma sembra che abbia nascosto l’informazione sul suo … secondo tesoro … con un piccolo indovinello-
Non potevo credere a quello che stavo sentendo. Allora quello che avevamo scoperto noi era solo una minima parte di tutto quello che il Capitano aveva racimolato in anni e anni di scorribande.  Tentai di avvicinarmi ancora di più a loro , cercando di non fare rumore e di non farmi vedere. Dovevo assolutamente scoprire che cos’era il pezzo che l’uomo aveva in mano e soprattutto anche quel diario che avevano nominato.
Stavo quasi per sporgermi per guardarli in volto  quando sentii una mano tirarmi la giacca.
-Jim-
Tentai di mantenere il sangue freddo, irrigidendomi e voltandomi pian piano. Quando la vidi in faccia non potei fare a meno di rilassarmi. Mi aveva chiamato piano, come se si fosse accorta che di certo non ero li per piacere. Mi voltai, mettendole le mani sulle spalle e spingendola indietro parlando sottovoce.
-Che fai qui! E’ pericoloso. Dovevi restare con Sarah-
Mi guardava e sapevo benissimo che non stava capendo molto di quello che le dicevo.
-Allora quanto vuole per mappa e diario?-
Stavo per dirle qualcos’altro ma la voce dell’ombra più imponente tornò a farsi sentire. Feci segno ad Erin di restare ferma e muta e continua ad ascoltare. Dopo pochi secondi di trattativa accordarono il prezzo e riuscimmo appena in tempo a nasconderci dietro una pila di scatoloni ed evitare di essere visti.
Quando finalmente sembrò essere tutto apposto, uscii dal nascondiglio , aiutando Erin.
-C’è mancato poco. Forza vieni ,torniamo indietro-
Con un gesto le feci capire di seguirmi. La mia mente continuava a ripensare a quelle due figure e alla storia che avevo sentito. Se davvero  nell’universo c’era ancora una parte del tesoro dovevo scoprire dove si trovava. Sicuramente avrei ritrovato Silver sulla mia strada, dovevo solo organizzarmi, trovare una ciurma e partire.
Senza rendermene conto , al solo pensiero di partire di nuovo per lo spazio, sul mio volto comparve un sorriso.

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Capitolo 7
*** Nuove notizie e il sogno ***



 

Erin
 
Era passato più o meno un mese dall’ultima volta in cui mi ero ritrovata  a girare per le strade di quella cittadina lontana dal Bembow. Quella mattina , con il permesso di Sarah, ero andata da sola a comprare l’occorrente per rifornire la dispensa. Avevo imparato abbastanza in fretta il loro linguaggio e finalmente potevo parlare, farmi capire dagli altri. Inutile dire che quella mattinata fu , per me, l’avventura più incredibile ed eccitante che avessi vissuto fino a quel momento.
Certo passare le giornate fra i banconi della locanda insieme a B.E.N che girava pericolosamente fra i tavoli poteva considerarsi una delle “avventure” più pericolose che si potesse vivere, ma in fondo mi ero abituata a lui. Quel robot era davvero sbadato per essere un qualcosa costruito. Da quello che mi aveva raccontato Jim però, lui era ben diverso da un oggetto: pazzo più di un umano, emotivo al massimo del possibile, sbadato più di una persona priva di un equilibrio stabile. 
Vivere insieme alla famiglia Hawkins mi dava ogni giorno una nuova emozione e un calore che rassicurava, faceva sentire protetti.
Qualche volta Sarah e Jim litigavano e nella casa piombava un silenzio talmente forte da far sembrare vuoto l’intero edificio, ma bastava uno sguardo, una parola, e tutto tornava normale. A volte mi ritrovavo , senza volere, a guardarli e a sorridere per la loro felicità.  Inevitabilmente il pensiero si fermava su Jim e non potevo che ringraziarlo in segreto per avermi salvato da quella supernova.
Fra un pensiero e l’altro finii in rapidità le commissioni e senza indugiare oltre andai a prendere il mezzo che mi avrebbe riportato a casa.  Ora però , mentre aspettavo di arrivare a destinazione, il mio sguardo non si posava più sulle distese di rocce , ma bensì sul cielo.
Qualche volta Jim prendeva il Solar Surfer a iniziava a volare in quell’immensa distesa di azzurro. Lo spiavo di nascosto, sedendomi sui pontili davanti casa con le gambe a ciondoloni sul vuoto sottostante. Quante volte avevo pensato di chiedergli di insegnarmi, ma non ne avevo mai avuto il coraggio; non sapevo se per paura di  quell’oggetto che permetteva di volare così liberi, oppure nel timore di dargli fastidio,  disturbarlo.
Negli ultimi giorni però si era chiuso nella sua stanza , a tracciare su di una mappa chissà quale rotta. Aveva rivelato a sua madre di aver sentito qualcuno parlare nuovamente del pianeta del tesoro, di un secondo pianta, e di volersi informare a riguardo. Sarah era un po’ scettica all’inizio, ma poi visto l’impegno che il figlio metteva in quelle ricerche l’aveva assecondato.
Scesi alla mia fermata e mi ritrovai a camminare sul sentiero che portava al Bembow, lanciando un’occhiata alla finestra della camera di Jim: i balconi completamente spalancati volevano dire solo una cosa, ovvero che stava ancora chino sulla scrivania.
Arrivai davanti alla porta d’entrata tenendo la busta della spesa con entrambe le mani. Poco distante c’era il Solar Surfer accostato al muro, la vela chiusa, e in quell’esatto istante mi venne un idea.
Entrai a gran passi, salutando B.E.N  che come al solito era al lavoro, e dirigendomi in cucina , appoggiando la busta sul tavolo.
-Ecco qui la spesa. Ho comprato tutto-
-Bentornata. Grazie mille. Come è …. Erin!-
Scappai fuori dalla stanza prima che Sarah potesse finire di parlarmi e  corsi gli scalini a due a due. Rallentai solo quando mi trovai in prossimità della stanza di Jim. C’era la porta chiusa e dopo aver sistemato i vestiti bussai due volte , sentendo subito dopo la sua voce che diceva di entrare.
Mi feci avanti senza tante cerimonie, richiudendo dietro di me la porta.
-Ciao-
Fece un rapido cenno con la mano, senza distogliere lo sguardo dalla mappa ed emettendo un leggero lamento come saluto. Indossava degli abiti comodi, quelli che era solito mettersi quando girava per il Bembow senza dover svolgere alcuna mansione per la madre.
Dopo qualche minuto mi avvicinai alla scrivania, mi inginocchiai leggermente, incrociando le braccia sul legno scuro e appoggiando il mento ad esse.
-Jim è da due giorni che sei qui dentro. Dovresti fuori andare-
-Dovresti andare fuori-
-Come?-
-Si dice : dovresti andare fuori, hai invertito la posizione del verbo andare-
-O … Grazie. Comunque, quando pensi di alzarti da qui?-
-Mi manca poco-
Lo vidi allungare il braccio , e prendere un libro da una pila alta e barcollante: il fatto che non fosse ancora caduto nulla era un miracolo. Sbuffai, per spostare un ciuffo di capelli che continuava a cadermi sugli occhi e mi alzai, andando alla finestra e guardando fuori.
-Hai visto che bella giornata?-
-Si-
Una risposta distratta, quasi automatica. Mi voltai, appoggiandomi al  davanzale e incrociando le braccia. In quelle poche settimane avevo capito che quando James Hawkins si impuntava su qualcosa, non smetteva di lavorarci fino a che non aveva terminato il tutto, senza concedersi nemmeno un attimo di pausa. Era davvero un gran testone.
-Jim-
-Mm-
-Jiim-
-Va bene-
Trattenni una risata e mi avvicinai, prendendo un libro da un’altra pila e alzandolo sopra la sua testa china sulla mappa e con aria tranquilla continuai a parlare.
-Una domanda: posso tirarti in testa questo libro?-
-Si-
Ennesima risposta data a caso, e senza pensarci un attimo lasciai la presa sul libro che gli cadde dritto in testa. Di scatto lui lasciò andare la penna, portandosi le mani fra i capelli, proprio sul punto in cui l’avevo colpito. Si voltò a guardarmi.
-Aia! Ma che cosa….-
-Sei stato tu a dirmi che potevo farlo-
-E quando l’avrei detto?-
-Proprio due secondi fa-
Sbuffò e appoggiò svogliatamente i gomiti al tavolo mentre si stropicciava gli occhi. Vidi un sorriso comparire sul suo volto mentre tornavo vicino alla finestra e indicavo fuori.
-Devi uscire un po’. C’è un sole stupendo ed è un peccato sprecare una giornata così. Inoltre hai gli occhi rossissimi, dovresti dargli almeno mezza giornata di vacanza-
-Dovrei finire tutto entro fine mese, se non prima. La tempesta di asteroidi impedisce a qualsiasi nave di partire. Questo vuol dire che quelli che hanno la mappa sono ancora qui. Prima finisco di tracciare la rotta del pianeta del tesoro, e prima potrò partecipare alle ricerche-
-Ma il pianeta non era andato distrutto?-
-Si, ma sicuramente Flint avrà presto il primo pianeta come punto di partenza-
Scossi la testa scoraggiata e mi avvicinai nuovamente a lui, prendendogli la mano e tirandolo leggermente. Ormai persino il contatto che avevamo, seppur piccolo, non mi dava più quell’imbarazzo dei primi giorni, in cui non capivo se lui gradisse o meno la mia compagnia. Sapevo perché mi aveva portato a casa con se , e sapevo benissimo che stavano cercando informazioni sul mio passato, un passato che io non riuscivo ancora a ricordare.
-Avanti. Almeno un giro sul tuo Solar Surfer lo puoi fare. Ti porterà via solo qualche minuto. E poi sicuramente riuscirai a ragionare meglio se lasci passare un po’ di tempo-
Rimase un attimo a pensare e solo dopo qualche minuto e alcune proteste in più, riuscii a farlo alzare da quella sedia e uscire dalla stanza. Lo trascinai fuori dalla locanda quasi di peso, come per paura che decidesse di girarsi e tornare a scrivere chissà che cosa.  Lasciai la presa solo nel momento in cui ci ritrovammo davanti al Solar Surfer. Allargai le braccia come per mostrarglielo e poi gli sorrisi.
-E’ ora di divertirsi un po’. Non ti pare-
Non mi risposte nemmeno, salì direttamente sul mezzo e in un attimo mi ritrovai a guardarlo mentre si divertiva come un pazzo. Per quanto cercasse di dimostrarsi adulto in ogni singolo momento della giornata, quando si ritrovava a  volare nel cielo, in mezzo alle nuvole, sembrava un ragazzino. Come se vivere sulla terraferma fosse per lui una prigione, come se qualcuno gli avesse bloccato le ali.
Jim , molto probabilmente, era nato per vivere volando, verso chissà quali avventure nello spazio; Ecco perché cercava quel fantomatico tesoro di Flint di cui tanto parlava.
Io invece non avevo un sogno, non sapevo nemmeno se mi era permesso averne uno. Quando cercavo di immaginare me stessa in un futuro, inevitabilmente cercavo un passato, un’ancora di salvezza, qualcosa che mi potesse spiegare chi ero, che cosa potevo diventare, cosa volevo diventare. Avevo sognato la libertà per tanto tempo, e ora che l’avevo ottenuta, mi chiedevo che cosa ci fosse in quei ricordi nascosti nella mia mente.
Fra un pensiero e l’altro non mi accorsi nemmeno che Jim era tornato a terra, ma rimaneva ancora a mezz’aria, davanti a me. Quando tornai a dargli attenzione lo vidi tendermi la mano. Mi ritrassi per un attimo , mentre la mente realizzava quello che voleva dire quel gesto.
-Avanti, lo so benissimo che mi guardi sempre quando esco-
-Bhe … sei bravo … a usare questo coso-
Dissi un po’ imbarazzata. E io che per tutto il tempo avevo cercato di nascondermi, uscendo allo scoperto con vari pretesti per poi mettermi a sedere e guardarlo.
-Fidati, provare è molto più divertente che guardare e basta-
-Ma io non ci so andare-
-Lo guiderò io, tu devi solo tenerti stretta e fidarti di me. Forza vieni-
Un po’ titubante gli afferrai la mano e un attimo dopo mi ritrovai a mezz’aria insieme a lui, che  non aveva ancora accennato a partire. Non avevo la minima idea di che cosa fare. Certo, quella non era la prima volta che salivo su uno di quegli affari volanti, ma quel giorno non ero molto in me per capire cosa stava succedendo.
-Allora metti una mano qui, vicino alla mai, e l’altra un po’ più avanti. Tieni le ginocchia un po’ piegate e assicurati che i piedi siano ben aderenti alla tavola e allineati ai miei-
-Così va bene?-
Cercai di fare tutto quello che mi diceva, lasciando che mi spostasse braccia e gambe con un lieve tocco delle dita, guardando attentamente tutto quello che mi indicava. Da quello che mi stava dicendo il Solar Serfer funzionava grazie all’energia solare che era imbrigliata nella vela e che veniva trasferita ai motori sotto forma di energia. Chiudere quest’ultima avrebbe significato cadere in picchiata verso il suolo. Energia solare e spinta del vento: ecco quello che serviva per usare uno di quei mezzi.
-Perfetto. Partiamo. Tieni forte mi raccomando-
-Si-
Strinsi la presa e un attimo dopo mi ritrovai a volare  fra le nuvole. I raggi del sole riscaldavano la pelle, mentre l’aria fresca mi scompigliava i capelli. Potevo sentire il cuore battermi a mille dall’eccitazione. Volare era una delle cose più belle che potessi mai provare. Sembrava di essere liberi da tutto e tutti, senza nessuna costrizione, nessuno che ti dicesse chi dovevi essere, cosa dovevi fare,  chi dovevi diventare. In quegli istanti esistevi solo tu, il vento e quella distesa di cielo e nuvole davanti a te.
Girai il volto verso Jim, incontrando i suoi occhi. Anche lui stava provando le stesse cose che stavo provando io, e forse era proprio per quello che prendeva il Solar Surfer e passava ore e ore a fare acrobazie. Voleva sentirsi libero.
Ad un tratto sentii il suo corpo spostarsi e ci ritrovammo a salire di quota, sembrava quasi di poter toccare lo spazioporto, il sole e tutti gli altri pianeti che si intravedevano.
Sentii la sua bocca avvicinarsi al mio orecchio, spostando con una mano le ciocche di capelli che gli andavano addosso al viso.
-Girati e reggiti a me.-
-Che vuoi fare?-
-Avanti-
Un po’ titubante mi girai, avvolgendogli le braccia intorno al collo, guardandolo in faccia come per capire che cosa avesse intenzione di fare. Riconoscevo quello sguardo, stava pensando a qualcosa di pericoloso e , di sicuro, non si sarebbe fatto mettere i bastoni fra le ruote.
-Non ci provare nemmeno!-
-Come? Non ti sento!-
Un attimo dopo eccolo schiacciare il bottone che permetteva di ritrarre la vela, e ci ritrovammo a cadere in picchiata verso il vuoto. Sentii le sue braccia avvolgermi i fianchi. All’inizio mi sembrò di sentire il cuore in gola, ma poi qualcosa cambiò e sentii la stessa calma e fermezza del corpo di Jim.
Quando fummo a pochi metri di distanza da terra, con un rapido colpo del piede fece fuoriuscire la vela che ci riportò immediatamente  in quota.
Ci ritrovammo a ridere come dei bambini mentre tornavamo verso i pontili del Bembow.
-Hai visto che non era così male?-
Gli diedi un leggero pugno in testa, guardandolo con sguardo di rimprovero. Lo stavo facendo apposta, e lui di tutta risposta fece finta di svenire all’indietro, piegando il Solar e, sentendomi battergli sul petto, tornò a mettersi  nella giusta posizione.
Non so per quanto tempo rimanemmo ancora a volare nella zona, ma la vista da lassù era davvero spettacolare. Poter vedere tutto quell’enorme distesa di rosso, le persone e i mezzi che si spostavano sembravano  delle piccole formiche.
Quando raggiungemmo casa scesi per prima e subito dopo atterrò anche Jim, facendo rientrare la vela come fatto prima.  Mi ero fatta promettere che, una volta tornato da quel famoso viaggio che voleva intraprendere, mi avrebbe insegnato a pilotare uno di quei mezzi.
-Non è così difficile. Imparerai subito.-
-JAMES PLEIADI HAWKINS-
Ci voltammo entrambi, vedendo Sarah che si avvicinava a gran passi con aria di rimprovero e tenendo due leggere fra le mani. Per un attimo non potei evitare di avvicinarmi a Jim, afferrando un lembo della manica della sua giacca, mentre anche lui indietreggiava di qualche passo. Quando sua madre era arrabbiata, aveva il potere di spaventare chiunque. Inoltre quando lo chiamava con il nome di battesimo voleva dire che l’aveva combinata davvero grossa.
-Ti sembra il caso di portare Erin in giro su un Solar Surfer?-
-Ma mamma/-
-Non è omologato per due-
-Può sopportare il peso di entrambi. E poi lo sai che l’ho modificato-
-QUANDO AVEVI 15 ANNI.-
Lo zittì in un attimo, facendogli persino chiudere gli occhi. Strinsi i denti e mi feci avanti. In fondo era anche colma mia se ora si trovava in quella situazione.
-Sarah … è stata anche colpa mia. Volevo tanto sapere che cosa si provava e così ho chiesto a Jim/-
-Erin-
Continuai a parlare prima che lui riuscisse a dire qualcosa, tirandogli leggermente la manica per intimarlo a stare zitto
-Gli HO chiesto di farmi fare un giro. E’ colpa mia. Mi scusi-
Mi strinsi fra le spalle e subito dopo la vidi mettersi una mano sulla fronte , per poi passare a portarsi indietro i capelli. Molto probabilmente ci aveva sgridati solamente perché si era preoccupata.
Una volta tornata la calma, Jim rimise apposto il Solar Surfer dicendomi un grazie silenzioso muovendo solamente le braccia. Di tutta risposta alzai le spalle, sperando che Sarah non capisse nulla.
-Ad ogni modo … Non fatelo più. Jim è arrivata una lettere dal Capitano Lexor e una da parte di una certa Charlot-
-Dal Capitano?-
-E’ l’uomo che guidava la nave con cui mi hai trovato vero?- chiesi
-Si-
Prese le lettere dalle mani della madre e andò a sedersi su di una panchina vicina all’entrata della locanda. Mi sedetti accanto a lui aspettando qualcosa. Non sapevo nemmeno io perché ero così curiosa di sapere che cosa gli avessero scritto. Forse volevo solo sapere se erano riusciti a scoprire qualcosa sul mio conto, o  magari di sapere se Charlot era riuscita ad avere qualche informazione riguardo quei due tipi strani. Jim aveva fatto affidamento su di lei, chiedendole aiuto, proprio perché nell’ufficio del padre passavano sempre uomini alla ricerca di una nave o di un permesso di attracco; e con la tempesta che continuava a imperversare lo spazio porto era l’unico posto disponibile.
Per prima Jim aprì la lettera del capitano. All’interno vi doveva sicuramente essere qualcosa a mio riguardo
-Dice che purtroppo non hanno ancora trovato niente sul conto di Erin. Mi dispiace. In più ci richiede una lettera scritta dove avvisarlo di eventuali ricordi. Qualche … miglioramento?-
Gli sorrisi, scuotendo la testa. Purtroppo nessun ricordo si era fatto vivo nella mia mente. Sarah mi posò una mano sulla spalla, come per farmi forza. In fondo non potevo essere triste per qualcosa di sconosciuto. Aspettare ancora un po’ non mi avrebbe fatto del male.
Quando stavo per voltarmi nuovamente verso Jim, eccolo scattare in piedi fra urla di gioia, esultando, sprizzando energia da ogni singolo centimetro del corpo. Fra le mani stringeva la lettera di Charol.
Si avvicinò a noi due, che eravamo ancora ferme e sbalordite da quello scatto così improvviso.
-Tesoro che succede-
-Ce l’ha fatta! Ha scoperto qualcosa riguardo la mappa. Dovrò andare allo spazio porto per accertarmi che la mappa sia quella giusta-
Rilesse ancora e ancora quelle parole. Sapevo benissimo che c’era una piccola bugia in quelle parole. Charlot aveva il compito di trovare quelle persone poco raccomandabili, ma lui per evitare che la madre si preoccupasse, le aveva detto che stavano cercando un mercante e la mappa.
-Bene. Corro a preparare alcune cose. Domani mattina parto all’alba-
-Domani mattina? Così presto-
-Ogni minuto è prezioso mamma. Vado-
Le diede un rapido bacio sulla guancia e una lieve pacca sulla spalla a me, per poi correre di sopra a grandi falcate. Io e Sarah rimanemmo ferme a guardarlo entrare nella locanda. Quando mi voltai verso sua madre vidi una strana espressione sul suo viso. Sembrava tesa, spaventata, preoccupata. Forse non era poi così felice di sapere che il figlio si occupava nuovamente di quella faccenda..
Le accarezzai la spalla, prendendola sotto braccio, incitandola a rientrare e tornare ad occuparsi dei clienti. Se non altro i sarebbe distratta un po’
 
Quella sera a cena c’era una strana tensione nell’aria, nascosta malamente dai sorrisi un po’ spenti di Sarah.
Quando mi ritirai nelle mie stanze, dopo aver aiutato Sarah a pulire un po’ il locale, non potei fare a meno di prendere il libro  che narrava le avventure del Pianeta del Tesoro.
Jim me l’aveva regalato, visto che ogni volta che andavo in camera sua finivo inevitabilmente per  chiedendoglielo in prestito.
Sfogliai le pagine, fino a che non mi fermai su quella in cui era raffigurato il pianeta in cui erano nascosti i bottini dei  mille mondi.
-Il pianeta … Flint …-
Allungai le dita cercando di toccare quel flebile ologramma. Fu un attimo. Davanti agli occhi mi passarono davanti varie immagini: una massa inimmaginabile di tesori tenuti uniti da dei fasci di energia, uno scheletro con tre paia di occhi seduto su di un trono. Poi improvvisamente delle creature cadevano nel vuoto, urlando, due mani tese che cercavano di afferrarsi l’un l'altra, e poi  un’esplosione.
Le mani che fino a quel momento avevo tenuto fra i capelli , cercando di far cessare quel susseguirsi di immagini, scattarono a posarsi sul petto. Un dolore lancinante, fortissimo, come se qualcosa si fosse spezzato, fosse andato distrutto nel momento in cui nella mia mente era avvenuta quell’esplosione. Sentii mancarmi il fiato e le lacrime riempirmi gli occhi. Soffocai un urlo per evitare di spaventare Jim, sua madre e B.E.N.
Subito dopo  nella mia mente c’era solo l’oscurità e il freddo provato fino al momento in cui la mano di Jim mi aveva afferrato per portarmi via.
-Che … cosa …-
Scoppiai a piangere senza motivo. Avvertivo la paura, l’angoscia, un senso di perdita.
Solo quando il dolore diminuì e si fece fievole pensai  a quello che avevo visto. Chi erano quelle persone, che cos’era quel posto, e quell’esplosione così tremenda?
Afferrai con mani tremanti il libro che era rotolato giù dal letto. Lo richiusi e lo appoggiai sul comodino. Quella reazione era nata nel momento in cui mi ero concentrata a guardare quel pianeta. Il dolore era svanito, eppure la paura continuava a causarmi dei forti tremori.
Che quelle fossero delle immagini appartenenti al mio passato?

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Capitolo 8
*** Qualcosa inizia a muoversi ***



JIM
 
Dire che il tempo non passava mai, quella notte, era dir poco. Sebbene avessi chiuso i libri praticamente alle 2 di mattina, non riuscivo proprio a prendere sonno. Continuavo a girarmi e rigirarmi nel letto, mentre il piccolo Morph russava beato su di un piccolo cuscino sul comodino.
Mi ritrovai inevitabilmente seduto, a guardare quella piccola creaturina rosa. Quante ne avevo vissute con lui. Fin da quanto ero salito per la  prima volta sulla Legacy , Morph si era attaccato a me  iniziando a farmi dei piccoli scherzi per attirare l’attenzione. In una ciurma di pirati e ufficiali, lui era di certo  l’essere più simpatico con cui passare il tempo.
Poi c’era Silver. Mi aveva insegnato tanto, nascondendo il suo essere pirata dietro una faccia da padre. Si, perché era così che l’avevo visto ad un tratto: come il padre che non avevo mai avuto. Poter imparare da qualcuno, vivere quei piccoli gesti come qualcosa di prezioso che solo quella persona ti può insegnare. Mi ero sentito immensamente tradito quando avevo scoperto che il suo scopo era quello di usarci per trovare il tesoro.
Alla fine , però , mi aveva salvato la vita e io l’avevo lasciato fuggire. Erano passati anni, e non l’avevo più rivisto: nessuna lettera, nessun messaggio. Silver era sparito nel nulla, senza lasciare alcuna traccia. Lui però mi aveva salutato almeno, sapevo perché doveva andare via, sapevo di poterlo ritrovare in un modo o nell’altro.
Mi spostai indietro i capelli che cadevano spettinati sulla fronte e sbuffai, guardandomi intorno. Quanto era cambiata quella stanza. Giocattoli e libri di fiabe spariti per lasciare il posto ai tomi pesanti e pieni di informazioni sull’astronomia, i poster dei pianeti sostituiti da vere e proprie mappe dettagliate. L’unica cosa che era rimasta invariata era un piccolo angolino pieno di pezzi di ricambio. Fin da piccolo mi divertivo a modificare quello che mi interessava, come il solar surfer che ora riposava tranquillo in garage.
-Tutto sommato essere bambini non era così male-
Andai in quell’angolino frugando qua e la. Non era rimasto moltissimo ma se avessi voluto avrei potuto ricavarci qualcosa di utile.
Vidi pian piano sorgere il sole che oscurava leggermente la vista dello spazio porto. Di li a poco sarebbe arrivata Charlot per aiutarmi con le ricerche di quei loschi individui.
Avevo parlato anche a lei di quella scoperta durante un incontro in cui dovevamo discutere di Erin e , rifiutando la mia insistenza nel dirle che quella era una “missione” difficile, aveva deciso che mi avrebbe dato una mano. Quella ragazza non era certo una delle classiche signorine ben educate e composte. Per quanto cercasse di sembrare un tipo rigido e austero non poteva nascondere il fatto di voler vivere la vita in modo un po’ più movimentato.
Presi il borsone che avevo preparato il giorno prima e buttandolo in spalla uscii dalla stanza cercando di fare meno rumore possibile.
Avevo salutato tutti la sera prima , in modo tale che mamma e Erin non si scomodassero a svegliarsi ad ore assurde del mattino.
Scesi le scale il più piano possibile, per poi arrivare al salone principale. Le sedie erano tutte a gambe all’aria sopra i tavoli, prive delle solite tovaglie e dei piatti che mia madre posizionava con tanta attenzione.
Riuscire a recuperare il pezzo della prima mappa di Flint avrebbe segnato l’inizio di una nuova avventura e , molto probabilmente, anche un nuovo periodo segnato da una lunga assenza da casa.
Ripensai a tutto quello che mi era successo quando avevo 16 anni e tante emozioni iniziavano ad agitarsi nel cuore: tristezza, eccitazione, voglia di uscire di corsa da quella casa e scoprire cosa c’era in quell’enorme universo.
Dopo qualche istante sentii Morph avvicinarsi alla mia guancia e strusciarsi leggermente. Quando lo vidi davanti a me ed indicare un punto alla mia sinistra non potei fare a meno di girarmi.
-Erin. Che succede? Come mai sei sveglia?-
Sistemai lo stivale e mi alzai in piedi. Aveva una strana espressione sul volto e il colorito diafano, come se la notte non le avesse portato molto riposo.
Un po’ titubante scese gli ultimi scalini e mi si avvicinò giocherellando con una ciocca di capelli che le si spostava puntualmente sulle spalle quando si muoveva.
-Stai già .. partendo?-
Continuava a tenere lo sguardo basso, mentre le dita passavano fra i capelli. Lo faceva sempre quando  non sapeva come dire qualcosa oppure quando era estremamente imbarazzata. Dovendomi occupare di lei, mi era riuscito semplice imparare in poco tempo alcuni tic.  Mi abbassai leggermente per arrivare alla sua altezza e le sorrisi.
-Sei preoccupata per me?-
Scattò leggermente indietro, portando le braccia lungo i fianchi mantenendole sempre in tensione e iniziò a scuotere forte la testa a occhi chiusi . Non potei fare a meno di scoppiare in una piccola risata, mentre Morph mi guardava con occhioni di rimprovero e cinguettando in continuazione. In fondo però non potevo farci nulla, a volte Erin sembrava così tanto una bambina che mi faceva tenerezza.
-Volevo solo salutarti … e dirti di stare attento. Sarah era molto preoccupata per te.-
-Grazie allora. Ad ogni modo non vi dovete preoccupare. Tornerò molto prima di quanto non pensiate. Di certo trovare la mappa non sarà facile, da quello che so Charlot è riuscita solo a recuperare delle foto e delle indicazioni sul luogo in cui trovare  quell’energumeno. Prima di partire tornerò qui a salutare e a prendere alcune cose-
-Ma cercare quell’essere non è pericoloso. La sua voce era così … spaventosa-
-Andrà tutto bene, ti prometto che non mi caccerò nei guai va bene?-
Fece un lieve cenno con la testa, per poi sbuffare e alzare lo sguardo verso di me con un sorriso. Si mise a frugare in una delle tasche del pigiama fino a che non ne estrasse una catenina con un ciondolo a forma di pianeta.
-Questo l’ho preso per te. Chi me l’ha venduto mi ha detto che è un ciondolo che contiene molte mappe dell’universo. Ho pensato che ti sarebbe piaciuto. Vedilo come un portafortuna-
Lo lasciò ciondolare davanti ai miei occhi con le guance ricoperte di un lieve rossore e mordendosi piano il labbro inferiore.
-Così non ti potrai mai perdere … E magari ti potrà essere utile per trovare il tesoro di Flint-
Le sorrisi, prendendo la collana e mettendola al collo, per poi portarle una mano sulla testa e accarezzandole leggermente i capelli. Era passato poco più di un mese da quando mi era stata affidata quella ragazza di cui non sapevo nulla, eppure ormai era diventata come una sorella. In moltissime ore del giorno me la ritrovavo intorno, curiosa di imparare il più possibile e tentando in ogni modo di formulare frasi sempre più difficili. A volte si divertiva persino con i clienti del locale chiedendo loro di insegnarle qualcosa nella loro lingue. Non mi ero nemmeno reso conto di quanto fosse in grado di farsi amare facilmente dalle persone.
-Non mi perderò promesso.-
-Promesso?-
-Si-
-Bene. Allora puoi andare via … Ciao Jim … e ciao anche a te Morphy, mi raccomando sgridalo se non fa il bravo-
Il piccolo Morph le andò vicino e prendendo le sembianze di un bastone in miniatura iniziò ad agitarsi a destra e a manca. A volte guardandoli insieme tornavo indietro con la memoria, rivedendomi quand’ero più piccolo, sul ponte della nave, insieme a Silver.
Ad un tratto sentii qualcuno bussare alla porta della locanda e andai ad aprire trovandomi davanti Charlot vestita con abiti civili. Entrò senza fare tante cerimonie, andando immediatamente a salutare Erin. Non si vedevano da quando eravamo tornati a casa dallo spazioporto e in fondo, anche se non l’aveva mai ammesso, anche Charlot si era affezionata a quella ragazza dal passato sconosciuto.
Rimasi appoggiato ad un tavolo aspettando che la finissero con i vari convenevoli , sperando che prima o poi si accorgessero del fatto che io ero ancora li.
-Ad ogni modo Erin, tranquilla, riporterò Jim a casa nel giro di una settimana. Spero di trovare presto quello che sta cercando-
-Si-
-Bene. Hawkins andiamo!-
-Nemmeno mi saluti e già mi dici di andare?-
-Non eri tu quello che mi aveva messo fretta perché trovassi informazioni su quella mappa?-
-Va bene, va bene-
Nello stesso modo in cui era entrata eccola uscire. Una sottospecie di toccata e fuga. Andai a recuperare la borsa che era rimasta ai piedi di Erin e con un ultimo sorriso la salutai.
 
ERIN
 
Lasciarlo partire così mi faceva sentire strana. Avevo voglia di raccontargli quello che avevo sognato , quali brutte emozioni mi aveva suscitato vedere quelle immagini. Sicuramente se gli avessi detto che qualcosa nella mia memoria sembrava essersi sbloccato, avrebbe aspettato ancora un po’ per partire, magari solo mezza mattinata. Eppure, mentre lo vedevo discutere delle ultime cose con Charlot non avevo il coraggio di aprire bocca, nemmeno di avvicinarmi. Me ne rimanevo in piedi, ferma come una statua, appoggiata leggermente alla sedia su cui era seduto Jim pochi minuti prima.
Ad un tratto sentii Moph strusciarsi sulla guancia, come era solito fare con Jim quando lo vedeva assorto. Immediatamente mi scossi e portai le mani intorno al piccolo esserino rosa, che mi guardava con occhi preoccupati e tristi.
-Sto bene Morph . Sono solo un po’ stanca e preoccupata per lui-
Dissi a bassa voce, in modo che Jim non mi sentisse. Usavo spesso parlare con Morph; non sapevo come ma riuscivo a capirlo molto meglio di quanto non comprendessi la lingua degli umani. Quando Jim andava via di casa per qualche commissione per la madre o per puro piacere, quel piccolo amico mi rimaneva vicino riempiendo quei buchi silenziosi che andavano a formarsi nel corso delle giornate.
Era diventato una specie di amico e di confidente. Sapevo che non avrebbe mai detto a nessuno quello che gli rivelavo ogni volta. In fondo anche solo avere qualcuno con cui confidarsi poteva permetterti di tenere i nervi ben saldi.
-Morph andiamo!-
Ci voltammo entrambi verso Jim. Charlot era già uscita di gran fretta e in lontananza la vidi salire su di una navicella, mentre lui con la borsa in spalla aspettava che il suo amico gli corresse in spalla. Protesi le mani in avanti, come per intimare Morph di volare da lui, ma il piccolo cinguettò qualcosa verso Jim, per poi prendere le sue sembianze e stringermi un dito.
Gli stava chiedendo di rimanermi accanto, per vegliare su di me in sua assenza.
Guardai Jim che, scostatosi i capelli all’indietro, si avvicinò.
-Va bene. Rimarrai qui e baderai a Erin per mio conto. Mi raccomando, non combinate troppi guai voi due insieme-
-Si!-
Non potei fare a meno di sorridere e stringermi al viso il piccolo Morph che aveva ripreso le sue buffe sembianze.
Fu nel momento in cui vidi Jim voltarmi le spalle che mi mossi senza nemmeno accorgermene. Protesi il braccio verso di lui come per toccarlo, ma quando sfiorai a malapena la sua mano, la vista si fece buia. Lui non si era minimamente accorto del mio gesto e uscì dalla stanza chiudendosi la porta alle spalle. Io invece rimasi a fronteggiare immagini che non capivo e che, allo stesso tempo mi terrorizzavano. Fu un flesh veloce, ma tanto mi bastò per appoggiarmi al tavolo accanto a me. Una luce improvvisa e subito dopo Jim che cadeva a terra privo di respiro.
-Morph … Devi dirmi dove andranno a cercare la mappa. Tu lo sai non è così? Hai visto gli appunti che aveva l’altro giorno.-
 
JIM
 
Dal giorno in cui mi trasferii allo spazio porto per le ricerche della mappa , non avevo fatto altro che tenere sotto controllo i movimenti di quello strano energumeno e , in contemporanea, i movimenti degli asteroidi. Quella tempesta stava durando fin troppo, e di certo questo mi avrebbe permesso di avere più informazioni. Alcuni dei nostri uomini, se così potevamo chiamarli, si erano infiltrati in quella che avevamo scoperto essere una ciurma di pirati. Effettivamente alcune leggende ben celate nelle storie narravano di un possibile secondo mondo in cui il capitano Flint aveva nascosto altre ricchezze.
-Eccoti il caffè-
-Grazie-
Dissi appoggiando le carte sul tavolo e prendendo la tazza che Charlot aveva appoggiato poco distante dalle mie mani. Si era seduta sulla poltrona davanti alla mia, accasciandosi letteralmente. Sul volto iniziavano ad intravedersi i primi segni di nottate passate alzata. Non avevo mai capito che cosa la spingesse ad aiutarmi così tanto, in fondo lei non si era mai interessata alla caccia di tesori, si limitava a svolgere le missioni assegnate prima dall’accademia e poi dai vari comandati sotto cui era passata.
-Sei riuscito a ricavare qualcosa?-
-Le informazioni che sono riusciti a passarci gli infiltrati sono poche. L’unico modo per raggiungere il tesoro prima di loro è rubare il pazzo della mappa e il diario. Sicuramente li ci dev’essere scritto qualcosa.-
-Non si faranno rubare un oggetto così importante facilmente. Molto probabilmente lo terranno in un posto sicuro.-
-Già-
Mi appoggiai allo schienale della sedia, bevendo un altro sorso di caffè. Cinque giorni di continuo cercare per ritrovarsi con un pugno di mosche.
Persino l’argomento “Erin” sembrava dare ben pochi risultati. Qualche volta ricevevo delle lettere da Montressor con notizie su di lei, su come aiutasse alla locanda, e del fatto che non ricordasse ancora nulla. Le ferite e le ustioni che aveva subito erano ormai guarite, forse fin troppo in fretta per la loro gravità, ma era comunque una buona notizia. Senza rendermene conto iniziai a giocare con il ciondolo che mi aveva regalato. Lo facevo spesso quando mi ritrovavo a pensare a lei e a casa.
-Ti manca?-
-Cosa?-
-Erin . In fondo , da quello che dicevi nei rapporti, ti stava sempre vicino. Non ti manca la sua presenza? Sei preoccupato?-
Mi alzai, andando verso l’oblò e guardando il molo a cui eravamo attraccati. Durante le prime ore del mattino c’era sempre un continuo via vai di marinai che montavano i carichi nelle navi da trasporto merci. Sbuffai, scostando così un ciuffo di capelli.
-È curiosa, vuole imparare in fretta. Molto probabilmente sta cercando di ricordare qualcosa. Per quanto riguarda l’essere preoccupato, se la sa cavare da sola. È in gamba-
-Non temi che qualche bel ragazzo possa corteggiarla mentre sei via?-
Mi voltai verso Charlot che stava giocherellando un una penna. Non mi stava guardando e, stranamente, il suo atteggiamento sicuro e fiero aveva lasciato il posto a qualcos’altro.
-Bhe non ci vedrei nulla di male. È una ragazza carina, però non credo che mia madre permetterà che qualcuno la possa importunare. L’ha presa molto a cuore, ormai è diventata una sorella-
Tornai a sedermi al mio posto, riprendendo le carte in mano e ricominciando a tracciare delle possibili rotte. Il punto di partenza era il Pianeta del Tesoro, ma le vie nell’universo erano davvero infinite.
Ad un tratto qualcuno bussò alla porta, facendoci sobbalzare entrambi. Ci alzammo velocemente, dopodichè Charlot disse all’uomo di entrare.
Le notizie furono positive, finalmente le spie avevano scoperto il luogo in cui la mappa e il diario erano stati nascosti, ora bastava solamente andare li e rubarli.
-Perfetto! Va avanti e di agli altri di prepararsi!-
-Si signore-
L’uomo uscì dalla stanza in gran velocità lasciandoci nuovamente soli. Presi la giacca, infilandola e riponendo le carte in un cassetto che chiusi a chiave.
-Finalmente qualcosa si muove-
-Hawkins…-
-Mhm?-
-Dopo aver preso il pezzo di mappa … ti andrebbe … di uscire insieme?-
Mi bloccai sul posto, per poi voltarmi a guardarla.
 
ERIN
 
L’ennesima giornata di lavoro al BemBow era iniziata a pieno ritmo. Ormai avevo trovato tutte le carte che mi servivano per riuscire a capire che cosa stesse cercando Jim. Da quando l’avevo sfiorato, il giorno in cui se n’era andato, i sogni erano cambiati. All’inizio continuavo a vedere quel flash e Jim che cadeva a terra, ma pian piano tutto si era arricchito di altri particolari. Sebbene nel sogno fosse buio pesto, potevo distinguere delle sagome in lontananza, degli scatoloni. Potevo persino sentire delle urla, degli strani odori come di chiuso e qualcosa andato a male.
-Signorina un altro piatto di minestra per favore!-
-Arrivo subito-
 Presi posate e piatti dal tavolo cinque, per poi correre in cucina per ordinare un’altra minestra per il tavolo ventisette. Sarah e B.E.N erano impegnatissimi, l’una a lavare i piatti , e l’altro a preparare la disposizione dei piatti. Ogni minuto cambiavano mansione , velocissimi, e senza perdere nemmeno un attimo.
-Erin, tesoro, ho bisogno che tu vada in paese. Stiamo finendo le carote e frutti marziani. Ho messo i soldi sul tavolo e la lista, se corri riuscirai a prendere la navetta che ti porta in città-
-Vado subito-
Finalmente si era presentata l’occasione. Tolsi il grembiule e la cuffia, presi la lista e i soldi e corsi fuori dalla cucina. Intravidi Morph corrermi incontro mentre uscivo dalla taverna, per poi ritrovarmelo accanto. 
Avevamo trovato i fogli che riguardavano la mappa del Pianeta del Tesoro e le sue teorie sul secondo pianeta, i dettagli sui tipi loschi che avevo visto il giorno in cui eravamo andati insieme al mercato. Doveva trovare un pezzo della mappa precedente e un diario. Nel mio sogno ricorrente continuavo a vedere un edificio, la strada per arrivarvi, il paese. Se i miei sogni erano qualcosa di così reale, doveva esserci per forza un motivo.
Sentii Morph squittire e guardare la navetta passarci davanti. Io però mi stavo dirigendo verso il garage. Se volevo tornare all’ora giusta, dovevo per forzare trovare un mezzo di trasporto veloce e che mi permettesse di muovermi da sola, e il solar surfer faceva proprio a caso mia.
Lo tirai fuori da sotto un telo polveroso e dopo averlo portato all’aperto e lontano dalle possibili orecchie di Sarah, ripetei per filo e per segno quello che avevo visto fare molte  volte a Jim.
-Ok Morph, reggiti! Speriamo solo di imparare ad atterrare senza distruggere o uccidere qualcuno-
 
Arrivai al paese prima di quanto pensassi , atterrando in un vicolo poco frequentato. Nascosi il solar surfer  dietro un bidone della spazzatura e inizia a gironzolare. Dall’alto la zona era quella che avevo visto in sogno, ora dovevo solamente trovare un edificio vecchio, con finestre scure e un cortile pieni di fango e di motori di navette sparse qua e la. Morph continuava a stare appoggiato alla mia spalla, guardandosi in giro, tremando qualche volta. Dovevo ammetterlo, quel posto metteva i brividi persino a me.
Ad un tratto, una risata cupa  mi fece saltare e nascondere. Quando cercai con gli occhi la fonte di quel suono così fastidioso incontrai finalmente l’edificio che stavo cercando.
Un essere alto, con un abito simile a quello che avevo visto indossare dal Capitano Flint nel libro, rasato, con il volto che ricordava lontanamente quello di un pappagallo. Quello che doveva essere il becco però era più schiacciato e l’occhio sinistro era attraversato da una cicatrice che impediva di vederne bene il colore rosso che dominava nel destro.
-Mi raccomando, lascio qui diario e mappa. Finalmente abbiamo trovato qualcuno abbastanza intraprendente da partire con questa tempesta. Tornerò entro il pomeriggio-
L’uomo davanti a lui risposte affermativamente, per poi entrare nell’edificio, mentre l’energumeno si avviava verso il centro della città.
-Morph ce l’abbiamo fatta! Recupereremo tutto e lo spediremo a Jim, così non dovrà venire qui e rischiare di morire-
Morph squittì per poi  portarsi una zampina alla fronte e mettersi sull’attenti. Tornai a guardare l’edificio, sperando di trovare una via d’ingresso che non desse troppo nell’occhio. Per mia grande fortuna, una delle vetrate sul lato sinistro era rotta e poco più in la una pila di pezzi di ricambio creava una montagnola che dava al cornicione. Avrei potuto arrampicarmi, passare per il cornicione ed entrare all’interno.
-Ok , ascoltami bene. Tu stai qui, se vedi qualcuno arrivare avvisami. Riesci a riprodurre un fuoco d’artificio?-
Il piccolo esserino rosa simulò un piccolo fuoco per darmi conferma. Sorrisi e, subito dopo , mi ritrovai a percorrere quel poco tratto di strada che mi avrebbe permesso di entrare all’interno dell’edificio.


**********
 

Ciao a tutti!
Scusatemi per l'enorme ritardo nel mettere l'ottavo capitolo ma purtroppo ho avuto problemi in questo periodo e in più internet non mi ha permesso di navigare per un po'.
Eccoci comunque al continuo. Lo so, non è successo un gran che , ma spero comunque di avervi messo curiosità in alcuni punti. Erin inizia a farsi un po' pi indipendente e Charlot , a quanto pare non è poi così dura come persona.
Aspetto i vostri commenti, pareri, consigli per migliorare.
Un bacione! Lirah

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Capitolo 9
*** Sei ancora vivo ***


ERIN

Quando riuscii finalmente ad  arrivare alla finestra rotta, avevo il fiatone e un caldo incredibile. Sebbene il sole stesse via via scendendo, la temperatura non sembrava voler darmi tregua. Mi appoggiai per un attimo alla parete, guardando in direzione di Morph che continuava a girarsi e rigirarsi, tenendo d’occhio l’entrata dell’edificio. Quando voleva quel piccolino era più coraggioso di quanto non desse a vedere.
Respirai a fondo e dopo qualche istante , con un po’ di fatica, riuscii ad entrare all’interno. Riuscii a saltare giù senza farmi del male per puro miracolo e, tutto sommato, senza fare troppo rumare. Se li dentro c’era quella famosa mappa, era impossibile che i cattivi l’avessero lasciata incustodita: questa era una delle poche cose che avevo imparato leggendo i libri che Sarah mi prestava.
Sentivo il cuore battere all’impazzata e il sentimento che continuava a martellarvi dentro lo conoscevo piuttosto bene. La paura era una cosa di cui avevo sempre avuto conoscenza e memoria. Eppure, in mezzo a quella pelle d’oca e alla voglia di fuggire c’era qualcosa che mi teneva ferma sul posto, obbligandomi ad andare avanti. Non avevo mai avvertito nulla di simile.
Ad un tratto vidi un’ ombra e mi nascosi dietro uno scatolone, ascoltando più attentamente i passi che si allontanavano. Molto probabilmente quella era la direzione giusta da prendere.
Iniziai a seguire il suono regolare e calmo di uno di quegli scagnozzi, fino a che non arrivai in un punto in cui gli scatoloni si diradavano per lasciare un po’ di spazio ad un tavolino azzardato e quattro esseri che giocavano a carte. Uno di loro assomigliava ad un ragno, con chele appuntite al posto delle mani, con occhi rosso sangue e i capelli di uno strano verde marcio. Il secondo e il terzo avevano il corpo fatto ti lunghi tentacoli, le teste sproporzionate rispetto al corpo e delle corna su di esse. Gli occhi erano di un nero pece, privi di pupille. Il quarto aveva tutto l’aspetto di una mantide religiosa, solo che di colore nero.
Il quinto uomo, quello che avevo seguito, era un essere umano, ma non ne avevo mai visti di così: era altissimo e con muscoli decisamente molto marcati. I capelli erano brizzolati e gli occhi di un azzurro cielo.
-Avete finito di giocare brutti babbei? Siamo qui per controllare quegli oggetti-
-Ma signore , cosa vuole che succeda?- Disse uno dei due polipi con aria annoiata, per poi continuare.
-Sono giorni che siamo rinchiusi qui. Quella maledetta tempesta ci blocca-
-Il capitano ha avuto il tempo di studiare appunti e mappa , e forse abbiamo qualche indizio su cosa cercare e dove trovarlo. Inoltre, a quanto pare, stamattina qualcuno ha deciso di farci una visitina. Lo stanno portando qui-
-Qualcuno? Chi?- Disse sibilando il ragno con chele di granchio. Proprio in quel momento, come per rispondere alla domanda, degli altri tipi entrarono nel locale, portando con se un uomo grassoccio, alto , con una gamba di legno e un braccio meccanizzato. Portava una bandana rossa e quando alzò gli occhi per guardare l’uomo davanti a lui potei notare che aveva anche un occhio da cyborg.
-Silver! Ma che bello vederti qui!-
-Kronos , maledetto, lasciami andare-
-Avanti, vuoi lasciarci così presto? Non sei forse tu quello che ha deciso di entrare nelle stanze del nostro capitano senza permesso?-
L’uomo dai capelli brizzolati doveva essere il capo, non c’era dubbio. Lo vidi avvicinarsi al tavolo e prendere un coltello con cui iniziò a giocherellare.
-Ci hai dato non poche grane stupido Cyborg. Prima ci attacchi per impedirci di prendere la mappa del tesoro, poi permetti ad uno stupido ragazzino di distruggere l’immenso bottino del capitano Flint e ORA vorresti  appropriarti anche del diario. Mi dispiace per te, ma le cose non vanno così-
Si avvicinò di scatto, puntando il coltello alla gola del cyborg  legato come un salame.  Fu in quel momento che mi ricordai qualcosa. Spesso Jim aveva parlato di un certo Silver, un Cyborg che l’aveva aiutato , che gli aveva insegnato molte cose. Che fosse quello?
-Devo fare qualcosa … Pensa Erin, pensa-
Dovevo sbrigarmi se non volevo che quel poveretto finisse con la gola tagliata . Se davvero quella era la persona tanto cara a Jim, non potevo permettere la sua morte.
Un diversivo, ecco cosa mi serviva. Un modo per distrarre quei pirati quel tanto che mi avrebbe permesso di salvare Silver e prendere il  tesoro.
Senza perdere tempo tornai alla finestra, mi arrampicai a fatica e feci segno a Morph di correre da me. Il piccolo, dopo essersi ben guardato intorno, corse da me, iniziando subito a coccolarsi.
-Morpy non abbiamo tempo. Ascoltami, ho bisogno che tu mi distragga alcune persone fino a che non trovo la mappa e libero un uomo, ce la puoi fare?-
Un gesto secco dell’esserino mi fece capire che la risposta era si. Ci preparammo e quando arrivammo nel posto in cui erano radunati quei tipi Morph si allontanò, passò oltre loro e iniziò a fare trambusto. Come un branco di pecore cinque dei sei personaggi si avviarono, mentre uno dei polipi rimase a guardia di Silver e della scrivania.
Ora dovevo solamente trovare un modo per tramortirlo. Guardai verso l’alto e vidi un secchiello. Se riuscivo a farlo cadere in testa a quel coso , sicuramente sarebbe svenuto.
Mi arrampicai, senza fare troppo rumore, e quando fui sulla cima, sollevai il secchiello di metallo e lo lasciai cadere addosso alla testa del polipo. Inutile dire che l’essere svenne sul colpo. Avevo letto su di un libro che quella razza di creature era molto sensibile alle botte in testa.
Scesi velocemente  e mi avvicinai all’uomo che se ne stava ancora riverso al suolo.
-Sta bene signore?-
Lo vidi voltarsi verso di me e restare in silenzio per qualche secondo, sbattè l’occhio sano più e più volte, mentre quello robotico emetteva uno strano suono.
-Ma tu …. Ragazzina come ti chiami?-
-Sono Erin e sono qui per darle una mano. Da quello che ho capito sta cercando un diario, ma le devo chiedere di lasciarlo a me. C’è una persona a me cara che ne ha bisogno-
 
JIM
 
La domanda di Charlot rimase un punto interrogativo. Non avevo mai pensato all’uscire con qualcuna, oppure a cercarmi una ragazza fissa. Per tutti quegli anni non avevo fatto altro che studiare e lavorare sodo per poter riscattare la mia fama di fallito. Per un attimo ero rimasto sbigottito, incredulo, mentre Charlot era subito andata avanti per raggiungere il resto della ciurma. Avevo visto del rossore sulle sue guance, ma quando ero salito sul ponte tutto sembrava tornato come prima: il suo atteggiamento altezzoso, il suo modo di porsi e il suo colorito.
Quello però non era il momento giusto per pensare a certe cose. La navetta che avevamo preso per poterci dirigere nel luogo in cui era stata avvistata la mappa, ci aveva lasciato in uno degli isolati meno popolati della cittadina vicino alla taverna di mia madre.
Io e Charlot eravamo andati avanti da soli, mentre avevo mandato gli altri uomini a noi affidati, a perlustrare il perimetro del luogo. Se c’era qualcuno di pericoloso era sempre meglio saperlo.
Arrivammo giusti davanti all’entrata principale, e mi sorpresi nel vedere che un gruppo di uomini stavano trascinando nell’edificio una persona che conoscevo bene.
-Silver! Ma che cosa ci fa qui?!-
-Hawkins, che succede?-
-Dobbiamo entrare-
-Cosa?! Ma se non sappiamo nemmeno in quanti sono li dentro? Rischiami di farci ammazzare-
-Allora vado dentro io. Mi avvicino, trovo una via d’accesso, e quando ti faccio un segno entri anche tu-
-Come faccio a sapere che non ti sei cacciato nei guai-
-Se urlo mi sono cacciato nei guai-
-Certo! Se vuoi anche morire nel mentre … accomodati!-
Mi voltai a fulminarla, e solo dopo aver deciso cosa fare in caso di bisogno, mi permise di avvicinarmi senza disturbarmi oltre. Capivo come si sentiva, e dovevo ammettere che anche io mi sentivo titubante nell’entrare in quel posto senza avere i dovuti rinforzi pronti ad intervenire, ma dovevo assolutamente salvare Silver. Dal modo in cui l’avevano trascinato dentro, non si poteva avvertire nulla di buono.
 
ERIN
 
Avevamo messo a soqquadro tutta la scrivania , ma del diario e del pezzo di mappa non c’era nessuna traccia. Le uniche cose che eravamo riusciti a trovare erano dei fogli scarabocchiati  , delle monete bucate, alcuni vetri rotti. In lontananza potevo sentire il trambusto che Morph stava generando per poter attirare l’attenzione di quei pirati, ma il tutto non avrebbe funzionato a lungo. Inoltre il polipo che avevo tramortito aveva già dato i primi segni di ripresa, ed era solo stato grazie a quel Cyborg che l’aveva fatto svenire di nuovo se eravamo riusciti a ispezionare tutta la scrivania.
-Dove può essere. Devo trovarla … devo aiutare Jim-
Mi appoggiai al legno freddo, tentando di passare a rassegna tutte le opzioni. Persino l’idea di un cassetto nascosto si era sciolta come neve sotto al sole.
-Hai detto Jim?-
-S … si … E’ un mio caro amico e sta cercando questo diario. Non so perché , ma gli serve-
-Jim Hawkins?-
-Si! Lo conosce?-
-Per tutti i fulmini, certo che conosco quel ragazzo! Sapevo che sarebbe arrivato anche lui-
-Lei è il signor Silver vero? Jim mi ha parlato di lei-
Il Cyborg stava quasi per aprire di nuovo bocca , quando con uno scatto mi si parò davanti puntando il suo braccio meccanico, ora diventato pistola, davanti a noi.
Un attimo dopo però abbassò le sue difese e quando sentii la voce chiara e cristallina di Jim, la prima reazione fu quella di nascondermi. Sapevo come avrebbe reagito nel vedermi li.
Non feci in tempo a muovere un posso che Silver si spostò e mi ritrovai Jim a pochi passi di distanza. Gli sorrisi, vedendolo furente in viso, e agitai la mano per salutarlo.
-Che ci fai … tu … qui! Non dovresti essere al Bembow?-
-Jim … scusami . Io volevo solo aiutarti. Vedi io …-
-Basta così, adesso andiamocene di qui prima che arrivi qualcuno? Anche tu Silver, vieni-
-Ma Jim, la mappa!-
Dissi , cercando di liberarmi dalla sua stretta. Mi aveva afferrato per il polso e mi stava dolcemente tirando per avviarsi verso l’uscita. Ma io dovevo assolutamente trovare quella mappa se non volevo ritrovarmi ad assistere alla scena in cui Jim perdeva la vita. Non sapevo perché, ma sentivo che quell’avvenimento si sarebbe avverato se avessi lasciato che i fatti prendessero il loro corso.
Tirando riuscii a liberarmi, ma proprio in quel momento, l’uomo dai capelli Brizzolati sbucò dal nulla tenendo però prigioniera Charlot.
Vidi Jim pararsi davanti a me e guardare quell’uomo con sguardo adirato. Io invece ero preoccupata nel vedere Charlot priva di sensi e con un coltello al collo.
-Benvenuti miei cari. Immaginavo che Silver non fosse venuto da solo-
-Loro non stanno con me, lasciali andare-
-Sono entrati qui e , sicuramente non per fare una gita di piacere-
Quando anche Silver mi si parò davanti, scivolai leggermente verso il basso, andando a gattoni all’indietro fino a sorpassare la scrivania. Sicuramente quel tipo non mi aveva ancora vista. C’era qualcosa che mi spingeva a controllare ancora, la mappa doveva per forza trovarsi li. Stavo quasi per aprire l’ennesimo cassetto quando sentii qualcuno afferrarmi i capelli e tirare con forza. Non riuscii a trattenere un urlo di dolore mentre dei tentatoli mi avvolgevano braccia e busto e mi alzavano verso l’alto.
Jim si voltò immediatamente, mentre Silver rimase a fissare l’uomo davanti a se. La situazione stava prendendo una brutta piega.
-Bene, a quanto vedo la vostra amica stava cercando di fare la furbetta. Portala qui Lurs-
Il polipo a cui avevo fatto cadere lo scatolone in testa strisciò verso il suo capo, portandomi vicino a lui. Intravidi Silver bloccare Jim, e quando mi trovai a faccia a faccia con quell’uomo brizzolato potei sentire l’odore acre di sudore e di sigaro. Quasi mi diede il voltastomaco quando sentii la sua mano stringermi il mento e spostarmi il volta da destra a sinistra.
-Potremmo venderle entrambe. Sono due ragazze molto belle-
-Voi non /-
Jim si bloccò all’istante nel momento in cui Kronos gli puntò la pistola addosso. Sbarrai gli occhi nel momento esatto in cui il mio sguardo si posò su quella scena. Tutto stava accadendo esattamente come nel mio sogno. Possibile che per tentare di evitare tutto quello , avessi fatto la mossa sbagliata? Forse se non mi fossi trovata li non avrei causato tutto quello. Se io non ci fossi stata Jim sarebbe uscito subito.
Sentii gli occhi riempirsi di lacrime e una sensazione di calore investirmi il cuore. Faceva male, tanto male.
-James Hawkins. Ho sentito parlare di te! Stupido ragazzo, cosa credi di fare? Sapevo che eri sulle nostre tracce, sapevo che ti saresti interessato al diario e alla mappa ancor prima che tu scoprissi della loro esistenza. Questa volta però non commetterò l’errore di farti uscire da qui vivo. Saluta i tuoi amici, questo è il tuo ultimo istante da vivo.-
Quello che successe dopo avvenne in un attimo. Vidi il dito di Kronos scendere sul grilletto come se fosse rallentato. Il calore che sentivo al cuore divampò come una fiamma e mi sentii nuovamente libera. L’odore di bruciato, l’urlo di colui che mi teneva prigioniera, i piedi nuovamente per terra. Poi il rumore delle sparo.
Non pensai a nulla, solamente a correre verso Jim. Nel momento esatto in cui gli buttai le braccia al collo, sentii qualcosa colpirli la spalla destra. Sentivo qualcosa percorrermi dentro, bruciare, tagliare. Fissai gli occhi di Jim, che si aprirono improvvisamente.
Non sapevo cosa stesse succedendo, ma lui era salvo, non era caduto, avevo visto il flash e lui era ancora in piedi, era fra le mie braccia e respirava.


***********************

Eccomi qui con il nuovo capitolo. Mi scuso per l'enorme attesa, ma gli impegni personali mi distraggono dal riuscire a scrivere ... perdonatemi davvero. Ringrazio tutti coloro che leggono la storia e un ringraziamento speciale anche a chi recensisce. Davvero siete gentilissimi.
Che dire, è successo qualcosa di irreparabile alla fine di questo capitolo. Erin è riuscita a salvare Jim, ma a che prezzo?!
Se volete sapere che succederà poi, vi aspetto nel prossimo capito, che spero vivamente di postare a breve.
Un bacione e grazie ancora. Lirah

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Capitolo 10
*** Partirò con te ***


Salve a tutti. Lo so, è passata un eternità da quando ho aggiornato l'ultima volta ma sono succese così tante cose che non saprei davvero da dove iniziare. Torno con un nuovo capitolo che darà il via a quello che sarà il viaggio per arrivare alla fine della nostra storia. Ringrazio tutti quelli che hanno commentato, letto  o anche solo spulciato fra le righe di questa mia FF. Avviso che , con molta provabilità aggiornerò con cadenza settimanale (sabato o domenica) in modo tale da poter fare quello che devo nella mia vita quotidiana senza però sacrificare la scrittura. Mi impegnerò al massimo.
Detto questo vi lascio alla nostra storia con questo capitolo che ci dice tutto ma anche niente!
Un bacione Lirah

ERIN
Mi sentivo così leggera, rilassata, prima di ogni preoccupazione. Intorno a me continuavano a fluttuare milioni di stelle, ma non avevo paura. Non c’era quell’oscurità che mi avvolgeva come allora. Mi stringevo fra le braccia, ma non  perché avevo freddo o perché mi sentivo sola, solamente perché mi andava di farlo.
Ad un tratto una voce, qualcuno aveva chiamato il mio nome. Aprii gli occhi, mi voltai, ma dietro di me non c’era qualcuno. Fu  quando mi sentii chiamare la seconda volta che riconobbi quella voce  e il panico mi montò dentro come se fossi tornata, improvvisamente, alla realtà. Che ci facevo li, nel nulla, non ero fra le sue braccia? Non lo avevo salvato?
-Jim-
Sussurrai in un primo momento, cominciando a voltarmi in tutte le direzioni, sentendo il corpo pesante, come avvolto da qualcosa che mi impediva di spostarmi come velevo.
-Jim!-
Urlai questa volta, più forte che potevo, sentendo la gola bruciare e le lacrime rigarmi le guance. Era successo qualcosa?
Se mi avevano uccisa, andava bene, ma volevo saperlo al sicuro, a casa con Sarah. Dovevo sapere dove si trovava lui. Ma se avevo sentito la sua voce, significava che era li, da qualche parte, ma io non lo potevo vedere.
Pian piano il suo nome si perse fra i singhiozzi, il respiro accelerato, un forte dolore al petto. Mi portai le mani al viso, cercando di reprimere quelle lacrime, di capire che cosa stesse succedendo intorno a me.
Poi, improvvisamente delle voci e quando alzai di nuovo gli occhi vidi davanti a me delle immagini. Erano sfocate, come proiettate da qualcosa. Quando riuscii a mettere a fuoco il tutto vidi una bambina, a terra, con un vestitino azzurro che piangeva tenendo in mano una bambola di pezza. Chiamava la madre, ma nessuno le rispondeva. Nel momento in cui tentai di avvicinarmi però ,qualcuno irruppe sulla scena. Non potevo vederlo in volto, ma sembrava vestito come il personaggi del libro che Jim leggeva da piccolo, quello che mi aveva prestato.
Sentii quell’uomo parlare con la bambina, e subito dopo con qualcun altro. Il tutto durò lo spazio di un secondo e proprio quando stavo per voltarmi venni risucchiata da quella realtà. Mi ritrovai a guardare con gli occhi della piccola, che tendeva le mani verso qualcosa.
Spalancai gli occhi nel momento esatto in cui vidi B.E.N prendermi in braccio , permettendomi così di vedere cosa c’era nella stanza.
-Capitano è sicuro?-
-Ha reagito con lei, non con la madre. Portiamo via la bambina-
-Ma è piccola-
-B.E.N!-
-Si Capitano-
Tentai di parlare, ma dalla mia bocca uscirono solo suoni senza alcun significato.
Fu un forte dolore a riportarmi indietro, pochi istanti dopo tutto era tornato completamente buio.
 
JIM
 
-La crisi è passata, puoi lasciarla andare-
Sospirai, lasciando le spalle di Erin e accasciandomi nuovamente sulla sedia accanto al letto. Era passata ormai quasi una settimana dall’episodio del ritrovamento della mappa. Per pura fortuna l’esplosione che era avvenuta così improvvisamente, aveva permesso a me e a Silver di prendere le ragazze e scappare.
Una volta ripresa Charlot aveva fatto subito rapporto alla capitaneria di porto e il Bem Bow era stato messo sotto protezione dei migliori agenti.
Tutto sembrava essersi assestato e sistemato, tranne Erin. La pallottola che era destinata a me l’aveva colpita, ma improvvisamente il pezzo di mappa le era volato addosso. Ora si trovava incastonato nella sua carne, all’altezza del cuore. La pallottola era stata inspiegabilmente sbalzata fuori.
I dottori che l’avevano visitata non erano riusciti a capire come fosse possibile, e tutti i tentativi di togliere la placca di metallo dal suo petto erano stati vani.  Quando qualcuno tentava di fare qualcosa, quel pezzo di metallo diventava incandescente, provocandole convulsioni.
L’unico responso era stato quello di aspettare, somministrandole nel frattempo il necessario perché non si disidratasse e medicine per placare quei violenti attacchi.
-Jim, tesoro, vatti a riposare un po’. Se succede qualcosa ti chiamo-
Alzai gli occhi a mia madre che , intanto, stava passando sul volto di Erin un panno bagnato con acqua fredda. Mi tirai su, passandomi le mani fra i capelli come per spostarli. In un attimo però tornarono al loro posto. La situazione stava iniziando a diventarmi insostenibile. Starmene fermo, seduto su una sedia, in attesa che qualcosa accadesse. Ero completamente impotente e man mano che gli attacchi di Erin si ripresentavano mi sentivo sempre più frustrato ed arrabbiato.
Mi ero talmente abituato ad averla intorno che sentire la tranquillità fra i corridoi del Bem Bow e di quella stanza era quasi una cosa estranea.  In più se si trovava in quella situazione era principalmente colpa mia. La pallottola era destinata a me, non a lei.
-No , tranquilla. Anzi, vai tu a riposarti un pochino. Dammi faccio io-
Tesi la mano a mia madre che mi passò il panno freddo e , dopo avermi poggiato una mano sulla spalla, uscì dalla stanza socchiudendo leggermente la porta.
Mi ritrovai nuovamente nella penombra, come molte sere in quei pochi giorni, in attesa di una risposta. Le asciugai la fronte, riponendo poi il fazzoletto e aspettando, con le braccia conserte e la schiena poggiata sulla sedia.
Stavo quasi per appisolarmi quando, con la coda dell’occhio percepii un movimento. Abbassai lo sguardo e la vidi stringere la coperta con la mano.
 
ERIN
 
Fra quelli che erano sogni, incubi e molto probabilmente ricordi, mi ritrovai a percorrere una strada composta da tanti fasci di luce.  Mi bastò allungare una mano e mi ritrovai ad aprire gli occhi.
Riconobbi i contorni sbiaditi di quella che era la mia stanza al Bem Bow e, nell’istante in cui misi a fuoco Jim gli saltai al collo.
Lo abbracciai, stringendo più forte che potevo iniziando a piangere, ma questa volta per la felicità. L’avevo davvero salvato allora, stava bene, era vivo.
Lo sentii avvolgermi a sua volta, mentre respirava a fondo. Quel momento mi sembrò durare attimi infiniti, ma quando ci allontanammo, invece di trovare uno sguardo sollevato notai tanta preoccupazione nei suoi occhi.
Lo guardai stranita mentre mi faceva segno di stendermi, di non muovermi troppo per non aggravare le mie condizioni.
-Ma io sto bene, davvero! -
Dissi sorridendo. Nulla in quel momento poteva farmi sentire male. Il solo averlo lì, davanti a me, era come una ventata di aria nei polmoni dopo minuti di apnea.
-Avanti non prendermi in giro. Sta ferma-
-Jim, aspetta … Jim, sul serio-
Tentai più volte di alzarmi ma non c’era modo di convincerlo. Quando finalmente mi arresi al suo continuo preoccuparsi lo vidi fissarmi il petto, all’altezza del cuore. Indicò con un gesto veloce della mano mentre si sedeva e poggiava poi i gomiti sulle ginocchia.
-Questo ha dell’irreale-
Abbassai lo sguardo e fu in quell’istante che i sogni avuti durante lo svenimento iniziarono ad assumere un senso. La bambina che piangeva ero io e B.E.N mi aveva già incontrato in passato. Eppure non mi aveva riconosciuta, oppure aveva fatto solo finta.
Ma quello che mi lasciò più sbigottita fu il fatto che, se avevo conosciuto il capitano Flint, allora dovevo avere molti più anni di quanti veramente dimostrassi.
-Jim-
Dissi ad un tratto scura in viso, mentre lo vedevo tornare a fissarmi interrogativo. In quegli attimi eravamo passati attraverso tantissimi sentimenti e mi scoprii sorpresa persino nella consapevolezza di quello che provavo e che capivo.
-Penso di aver ricordato qualcosa. Questa mappa ed io … in qualche modo siamo collegate-
-Collegate? Vorrai dire unite. Dobbiamo trovare un modo per togliertela dal petto. Abbiamo tentato ma sembra che /-
-E’ parte di me-
-Cosa? -
-Non so spiegartelo ma credo che, se sono viva, lo devo a questo pezzo di metallo. Durante la mia convalescenza ho sognato, o forse devo dire che quelli erano pezzi di ricordi sbiaditi. Ho visto B.E.N, parlare con il capitano Flint e mi teneva in braccio, quando ero solo una bambina piccola-
-Che stai dicendo! Se fosse così’ allora dovresti avere non so quanti anni. Non è umano-
Sorrisi, mentre portavo le dita sul pezzo di metallo freddo, percependone ogni scanalatura, ogni linea retta come se fosse una parte integrande del mio stesso corpo. Averla con me, in qualche modo, mi faceva sentire completa.
-Mi hai trovata fluttuare nel bel mezzo del nulla, avvolta da chissà quale strana aura e … mi reputi un essere umano. Ci sono così tante specie nell’universo, perché non potrei essere una di esse? -
-Perché nessuno di essi  ha fattezze umane. In tutto l’universo non c’è una razza uguale all’altra-
-Forse faccio parte di qualche altro pianeta-
Lo vidi passarsi la mano sulla fronte più volte, sbuffando, cercando di fare mente locale su quello che gli stavo dicendo.
-Se davvero conoscevi B.E.N, perché non ti ha riconosciuta? -
-Non lo so. Ci sono ancora cose che non mi sono molto chiare-
-Quando l’ho trovato il capitano l’aveva privato della sua memoria centrale, forse c’è ancora qualche dato nascosto fra quei cip-
-Probabilmente-
Quella che era partita con l’essere la seconda ricerca del tesoro di Flint iniziava a diventare molto più mia di quanto credessi. Se volevo scoprire qualcosa di più sul mio passato e sul mio vero io dovevo avvicinarmi a quello che apparteneva al capitano.
-Partirò con te-
Dissi perentoria. Per un secondo vidi il volto di Jim tingersi di mille domande, per arrivare ad un'unica risposta. Si alzò in piedi, quasi spostando la sedia e facendola cadere.
-Non se ne parla-
Fece per uscire dalla stanza, ma io mi alzai, buttando le coperte in fondo al letto. Per un attimo la testa girò, ma non ci volle molto prima che l’equilibrio mi permettesse di drizzarmi in piedi, fresca e riposata all’inverosimile.
-Ho io la mappa, senza di essa non puoi raggiungere il secondo pianeta. Perché è sicuro che ci sia un secondo pianeta su cui atterrare-
-Troverò un alternativa-
Si bloccò sulla porta girandosi di scatto e fissando i suoi occhi nei miei. Non l’avevo mai visto così furente da quando l’avevo conosciuto.
-Non puoi impedirmi di seguirti-
-Sei sotto la mia protezione, certo che posso-
-Troverò un modo per imbarcarmi di nascosto-
-Erin ti prego-
-Voglio scoprire di più su tutta questa assurda storia. E B.E.N verrà con noi-

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