my first fairytail

di yoon95
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Intro ***
Capitolo 2: *** spin-off: What to do ... ***



Capitolo 1
*** Intro ***


//Buonsalve lettori e lettrici di FF sul KPOP^^
questa è la mia prima FF! :3
Sono molto ansiosa, ma anche elettrizzata!
Da quando ho iniziato a leggere FF ho sempre voluto farne una!
E i malcapitati sono i miei amati BigBang (mi dispiace ragazzi ^^"")
Spero vi piaccia, e scusate se la mia sintassi lascia a desiderare,
ma sono un pò su di giri! prometto di migliorare xD
Buona lettura e grazie del vostro tempo :3 //


Intro
 
 “Io di certo non ero una principessa,anche se poteva sembrare …. E di certo non c’era nessun
Principe disposto a farmi diventare tale! Comunque, mi stava bene. Perché io non ho mai desiderato un principe …. Mia madre non mi leggeva le favole quand’ero piccola!Non sapevo neanche se si mangiasse un principe!Lei, mi cantava stonando le canzoni degli Shinwa, di kim joong kook dei Turbo di cui faceva parte,degli JINUSEAN  e altri che poco ricordo. Mi ricordo però, che la sua voce era carica di emozioni, quelle che ha trasmesso tutt’oggi a me.”

 
Mi chiamo Yoon Bi Yeol, il mio secondo nome è Marika (o Mari) sono metà italiana e metà coreana, ma poco ci ho preso di un’asiatica. I miei occhi sono allungati, ma non si possono definire a mandorla!
Mio padre incontrò mia madre mentre era in vacanza a Roma, e non ci volle molto perché mamma si trasferì in Corea con lui.
Nacqui là e passai i miei primi tre anni a Seoul, però poco dopo il mio compleanno andammo a vivere in Italia, il padre di mia madre era peggiorato drasticamente di salute e così mamma si prese cura di lui, ma purtroppo mio nonno non c’è la fece. Alla fine decisero di non tornare in Corea, erano già passati troppi anni e io ero già entrata a scuola e mi ero ambientata, ormai avevo quasi scordato il coreano, visto che in casa non lo si parlava più, non ho mai saputo il perché, ma sono stata cresciuta come un italiana, mia madre non preparava neanche più il cibo coreano, era come se mio padre avesse buttato via le sue origini, ero piccola per capirle all’epoca, le ragioni di quelle scelte.

 L’unico motivo per il quale io non scordai le mie origini fu grazie a mia madre, che la sera, prima di mandarmi a letto si accoccolava con me, cantandomi  le canzoni dei suoi idoli. Mia madre era una fan sfegatata degli Shinwa e del k-pop in generale, così rimasi attaccata con quelle melodie alla Corea.
 
Ormai avevo quasi raggiunto la maggior età, correva l’anno 2007.
E io non vedevo l’ora di chiedere il mio regalo di compleanno!
Sapevo benissimo cosa desiderare, nonostante comprendevo bene che sarei andata contro un mare in tempesta.
 Mia madre colta in flagrante da mio padre mentre mi cantava una canzone coreana, scoppiò su tutte le furie. E quel giorno, il giorno dei miei 12 anni, capì perché mio padre avesse reso tutto ciò che riguarda la Corea  un tabù.
Ma non mi sono arresa, anche se capisco bene che sia una pazzia e anche poco rispettoso nei suoi confronti, io voglio vederlo!
Quel posto che ogni sera mi cullava nei miei sogni, mi accompagnava giorno dopo giorno con le sue melodie, così lontane da qualsiasi altra musica!
Dovevo vedere con i miei occhi quel mondo, che nella mia infanzia era stata la mia unica favola, l’unica storia che conoscevo, e volevo vedere se come le favole che poi imparai dai libri, se anch’essa, se anch’io, potevo avere un Happy Ending.
 
 
Ero pronta ad affrontare mio padre.
Quella sera tornai a casa, che le gambe già mi tremavano, avevo appena lasciato la mia migliore amica davanti la porta di casa e la mia era quella di fronte. Aprì la porta e cercai di fermare la tremarella.
 
“sono tornata!”
Entrai in cucina, dove mia madre e mio padre stavano preparando la cena, mio padre si girò verso di me, alche un brivido mi percorse la schiena.
 
“Tesoro Bentornata, oggi hai fatto un po’ tardi eh? Vai pure a cambiarti qui è quasi pronto!”
 
Mia madre rafforzò l’affermazione
 
“ sbrigati a cambiarti, Ci sono le polpette che piacciono tanto a tuo padre, perciò ti conviene essere a tavola appena ho finito di cuocerle!”.
 
Asserì con il capo e mi fiondai in camera, mi cambiai, andai in bagno e mi lavai le mani e il viso.
 
-puoi farcela Yoon Bi Yeol! Devi dirglielo tutto d’un fiato!-
 
Dopo aver preso un po’ di coraggio mi diressi verso  la sala da pranzo e mi sedetti a tavola con sguardo deciso,e quasi senza tremare.
Ci volle poco perché mia madre e mio padre mi raggiunsero a tavola e iniziammo a cenare.
Parlammo un po’ della scuola, che poiché era l’ultimo anno avrei dovuto iscrivermi all’università, e mio padre parlottava di quanto gli sarebbe piaciuto che prendessi medicina per diventare un medico come lui, affermando però che non voleva per nulla costringermi a scegliere. Mia madre dal canto suo, era semplicemente contenta che questo percorso di studi fosse andato nel migliore dei modi, e continuava a elogiare la mia dedizione.
A parte i concetti principali seguì veramente poco dei loro discorsi, in quanto stavo preparando la mia mente, a fare il mio, di discorso.
Presi un respiro più profondo degli altri e finalmente mi decisi, mi alzai, e presi un respiro profondo.
 
“Mamma, grazie mille. Papà, lo so che vuoi che prenda la laurea in Medicina! E mi dispiace, ma non mi è mai interessata come percorso di studi! E ora vorrei dirvi una cosa. Tra poco è il mio compleanno …”
 
Entrambi sembravano scossi dalle mie parole e mi ascoltavano con attenzione un po’ irrigiditi. Mia madre iniziò ad assumere un’espressione preoccupata appena nominai il mio compleanno, penso sapesse bene il mio desiderio. Mentre mio padre mi fissava curioso delle mie prossime parole.
 
“ho un solo desiderio: P-perfavore, lasciatemi vivere in Corea!”
 
Mi chinai così di scatto e che sentì un dolore lancinante alla schiena, ma dopo mi accorsi che quel dolore veniva dall’esterno, una sofferenza più grande del semplice dolore fisico.
 
“Come osi! Vuoi deliberatamente insultarmi??! Perché Marika?! Nessuno della nostra famiglia metterà piede lì! MAI.”
 
Ormai sapevo bene di non poter tornare indietro, le valigie le avevo già fatte i soldi li avevo già messi da parte, ora mancava solo mettere da parte il mio cuore, quello che non sopportava di fare un torto a mamma e papa. Sapevo bene che in questo paese non mi sarei mai trovata del tutto bene, perché anche se ero cresciuta in Italia, il mio cuore apparteneva alla Corea.
Ormai avevo deciso di dare questo dispiacere ai miei, anche se non lo meritavano.
 
“Papa, mi dispiace. Partirò anche senza il tuo permesso. Tra una settimana compio 18 anni. Perdonami! Ma è quello che ho sempre voluto”
 
Mio padre mi fisso come se stesse guardando una sconosciuta, una che lo avesse insultato pesantemente l’attimo prima.
Deglutì e cercai di calmarmi, non potevo abbassarmi in quel momento. Sapevo cosa stesse per dire, anche se stava esitando.
 
Quello fu il peggior momento della mia vita. Penso che nessun dolore che ho mai subito sia paragonabile al dolore che ho dato a mio padre quel giorno.
 
Mia madre restò immobile a guardare la scena con le lacrime agli occhi, sapeva bene di non potermi difendere, che ero io nel torto, ma non mi attaccò neanche. Perché anche lei aveva tenuto nascosto lo stesso desiderio. Di tornare nel paese che per lei era la sua casa.
 
Mio padre continuava a fissarmi, cercando delle parole.
Chiusi gli occhi e mi preparai a quello che stava per dire.
 
“S-Se è così che la metti, esci da questa casa.”
 
Sentì una fitta al cuore, insostenibile.
 
“ Io non ho una figlia che accoltella i propri genitori alle spalle! Perciò vattene.”
 
Dette queste parole, se ne andò in camera sua, e vidi mentre seguivo mio padre con lo sguardo, l’espressione sofferente di mia madre, i suoi occhi che sembravano come cascate d’acqua.
 
“Mi dispiace …”
 
Sussurrai all’aria queste parole, tornai in camera mia e presi le mie cose. Mia madre mi corse dietro e chiuse la porta dietro di se, un po’ più calma di prima.
 
“cosa hai fatto? Perché ora? la ferita è ancora troppo viva in tuo padre. Ti ho detto che non era il momento!”
 
Chinai la testa e con la voce spezzata le risposi.
 
미한에요 옴마”  /mi dispiace, mamma/
 
Mi guardò consapevole del fatto che avessi deciso, e che col carattere che avevo non sarei tornata indietro, la sentì spezzare un ultimo singhiozzo di disperazione per poi inginocchiarsi e alzarmi la testa con le sue mani.
 
우리 아들 ..” /Bi Yeol, figlia mia…/
 
Mi strinse in un abbraccio.
Non sapevo che dirle oltre a quello. Era colpa mia se stava così, lo sapevo bene, che sarebbe stata così, eppure il mio egoismo l’ha fatta franca.
Come figlia, quel giorno ho miseramente fallito.

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Capitolo 2
*** spin-off: What to do ... ***


What to do…
 
Quando scesi dall’aereo, dissi senza accorgermene queste parole “Quindi è così che sembra una favola” e sentì le note di VENUS degli Shinwa, rimbombarmi nella testa “You’re my love Korea!”
 
Giravo per le strade di Seoul, come se stessi vedendo qualcosa d’irrealistico,
sentivo i miei occhi brillare e la pelle d’oca che mi era venuta, mi faceva rabbrividire, quasi sentissi freddo. 
Era vero, ero arrivata in Corea. Non penso di aver realizzato subito tutto quello che avrei dovuto affrontare,
per vivere indipendentemente in quella grande città, che nonostante fosse la mia prima casa, era estremamente estranea per me.

Decisi di non pensarci subito, e mettendo le cuffie all’orecchio ascoltai le canzoni dei miei idoli coreani.
Poco mi ci volle per capire che ero molto indietro con la musica e che gli artisti che ascoltavo erano quelli degli anni 90,
poiché mia madre mi cantava quelle quand’ero piccola.

Comunque decisi di dedicarmi prima a studiare il coreano, altrimenti sarei resistita poco in quella metropoli.
M’iscrissi all’università, per prendermi una mini laurea sulla cultura e lingua coreana. Non fu molto difficile,
visto che ero brava negli studi. Ma il fatto di essere straniera a volte mi demoralizzava, per quanto volessi,
non riuscivo a sentirmi coreana. Infatti, dopo un po’, lasciai stare la storia di essere per metà coreana,
e decisi di lasciar credere a tutti che fossi una perfetta straniera.

A quel punto era meglio così.  2 anni trascorsero in fretta e mi ambientai perfettamente a Seoul e ai suoi ritmi avevo anche trovato un part-time
dopo la scuola e grazie a quei soldi e quelli che mi spediva mia madre ogni mese, riuscì a vivere senza nessun problema.

Passò altro tempo e mi sentivo davvero un’altra persona, ma ancora non avevo trovato quello che cercavo, era come se mi mancasse qualcosa,
che ero sicura avrei trovato qui. Mi sarebbe piaciuto andare a trovare i miei nonni paterni, ma mi avrebbero trattato male sicuramente, visto i modi con cui si separarono con mio padre. Perciò cercai di trovare da altre parti ciò che mi mancava. Provai a frequentare un corso d’arte, poi uno di cucina,
poi provai a suonare il piano. Ne provai molte ma non trovavo il mio interesse principale. Ciò che volevo fare per continuare  a vivere a Seoul.
Ci furono giorni in cui pensai addirittura di tornare a casa. Giorni che mi sarebbe piaciuto ritornare tra le braccia dei miei,
ma sapevo che era solo il rimorso di averli fatti soffrire a spingermi quei pensieri.

Ormai erano passati 2 anni e mezzo da quando lasciai la casa dei miei genitori e mi trasferì in Corea.
All’inizio fu molto difficile per me adattarmi. Non sapevo il coreano e non conoscevo nessuno.
Così ora dovevo trovare in fretta lavoro. Se non volevo che mi rispedissero in Italia, poiché allo scadere del terzo anno,
il mio visto sarebbe stato revocato, a causa della mia cittadinanza italiana, e non coreana. Nessuno mi ha mai preso per una coreana, e non potevo certo biasimarli.

Ero disperata se non terrorizzata.
Avevo quasi finito il corso di specializzazione in lingua e cultura coreana, grazie alla quale avevo il visto da studente.
E ora dovevo proprio trovarmi un lavoro serio. Anche perché non volevo più ricevere soldi da mia madre per il mio sostentamento.
Ogni volta che ci pensavo lo stomaco, mi si svuotava.

Avevo lasciato la mia famiglia per un desiderio egoistico, Non era per niente giusto continuare a contare su di lei,
dopo che l’avevo tradita in quel modo.

Ma a parte qualche rimorso per la sofferenza che avevo causato, non mi ero mai pentita, né oggi, né in quel periodo.
Cercai invano un lavoro che mi piacesse, un qualcosa che mi realizzasse.
Ero venuta a Seoul in cerca della mia favola, ma nessun libro sembrava giusto.
Più ascoltavo le canzone che mi madre mi cantava dolcemente le sere della mia infanzia,
più sentivo la nostalgia del suo affetto e cominciai a sentirmi vuota. L’euforia e la felicità che si erano attenuate col passare del tempo,
mi lasciavano chiaro la ferita che avevo lasciato dietro le mie spalle. 

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