Cantò solo per quell'estate

di Fear
(/viewuser.php?uid=212627)

Disclaimer: Questo testo proprietà del suo autore e degli aventi diritto. La stampa o il salvataggio del testo dà diritto ad un usufrutto personale a scopo di lettura ed esclude ogni forma di sfruttamento commerciale o altri usi improri.


Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Contatto ***
Capitolo 2: *** Infezione ***



Capitolo 1
*** Contatto ***


Cantò solo per quell'estate
__________________
Fase I: Contatto






 
Seduta sulla scomoda sedia cigolante della sala d'attesa di quel posto, Mana guardava attentamente l'immensa parete davanti a lei: era arrivata a milleduecentocinquantatré piastrelle colorate, e non riusciva ad andare avanti. Incominciò a contarle due ore prima, quando alle prime luci dell'alba un raggio di un sole pallido e cereo fece capolino dal vetro della piccola finestra alla fine del corridoio; era sufficiente per vedere le figure astratte davanti al suo corpo, carico di entusiasmo ed interesse. Non lo aveva mai detto a mamma e papà, ma anche lei era impaziente, ed anche se lo nascondeva dietro un sorriso da giovane donna, era da nove mesi che stava aspettando con un nodo alle tonsille.
La porta alla sua destra si chiudeva e si apriva di continuo, liberando nell'aria una strana essenza di innocenza e dolore; Kurosu s'intravedeva nella stanza, certe volte camminando verso il dottore con le mani tra i capelli, e certe volte con quelle stesse dita intrecciate dolcemente ai palmi di Saeko – che anche se non si vedevano, erano lì, tremanti e caldi, avvolti da una piacevole sofferenza. Mana sapeva benissimo che papà era un tipo ansioso; mamma era sbadata, ma sapeva che ce l'avrebbe fatta, con la stessa forza che sfumava ogni sua giornata con la figlia e il marito, ammorbidendo i problemi ed i contorni delle ombre di cui Mana aveva sempre avuto paura.
Milleduecentocinquantaquattro, Mana puntò con il ditino verso la piastrella azzurra, milleduecentocinquantacinque, quella rosa era la più bella di tutte quelle che aveva contato fino adesso: ormai quasi completamente illuminata dalla luce solare, risplendeva con quel colore così naturale, del corpo e dell'umanità. E mentre si stava per alzare, diretta verso il bagno – non perché ci dovesse andare, ma per ingannare il tempo e riflettere il suo candido viso nello specchio offuscato sopra il terzo lavandino dalla sinistra, quello a cui mancava l'angolo in alto, caduto dietro il rubinetto in acciaio –, Kurosu uscì dalla stanza destinata ad ospitare una nuova vita proprio quel giorno. Mana si girò di scatto, non mosse le labbra, trattenendo il fiato per paura di disturbare la quiete dell'ospedale in una mattina afosa; osservò per qualche secondo l'alta figura dell'uomo guardare il pavimento.
«Shu, proprio come desideravo io, come desideravi te, Mana». I quarzi liquidi delle espressive iridi di Mana fecero scivolare un velo di acqua salata che raggiunse le sue labbra in un movimento deciso e singolare, mentre le sue esili gambe si mossero velocemente verso Kurosu, che condivideva le lacrime della figlia, stringendola tra le sue braccia e sfiorandole i profumati capelli color pesca, del colore del tramonto che gli ricordava i paesi caldi e le foreste pluviali della Colombia, dove vi comprò il fermaglio che Mana non aveva mai tolto da quel giorno impreciso di un anno prima, uno di quei pochi regali fatti alla figlia – che si sarebbero senza dubbio potuti contare sulle dita delle mani. L'eucharis era l'unico fiore che gli ricordava la giovane primogenita dalle folte ciglia nere, le labbra rosee e delle piccole orecchie nascoste dai lunghi capelli: i suoi bulbi erano semplici e bianchi, ma allo stesso tempo recisi e forti, un fiore che donava ancora a distanza di un anno, freschezza assoluta e che coinvolgeva Mana in una danza di piroette sulle punte dei piedi. Nasceva all'inizio della stagione invernale, nascosto dai pizzi che la neve creava quando il terreno era ancora friabile al tocco, che riusciva a sopravvivere a lunghi periodi di siccità con quella sua corona dorata al centro dei petali color del sale – dello zucchero, di Mana. Nonostante lei avesse sempre preferito il rosa, esattamente come sua madre, perché ricordava loro un'infanzia colma d'amore ed abbracci.
Kurosu tenne stretta Mana, piangendo non solo per la felicità d'avere un nuovo dono nella famiglia, ma per tutto ciò che lo rese l'uomo più appagato del mondo in soli pochi anni: i migliori della sua vita, in cui aveva conosciuto Saeko, quella ragazza distratta, con un constante raffreddore e il naso rosso perennemente celato tra le pagine di un libro di medicina. Aveva provato a cambiare da allora, Saeko, anche Mana lo sapeva, ma tutto ciò che era riuscita a mutare dagli anni dell'adolescenza era stato il taglio di capelli. Rise, Kurosu rise tutte le volte che lo ricordava a Mana, e anche lei sorrideva – segretamente grata che la mamma non fosse cambiata, che non fosse stata capace di trasformare quello che era originariamente: una madre sognatrice ed occupata, ma presente, presente per un bacio scoccato sulla fronte prima di andare a dormire o per un aiuto alla figlia, insegnandole i numeri e le lettere, istruendo e seguendo la sua bambina in tutti i passi che compieva giorno per giorno.
Dei passi frettolosi si trasformarono in una breve corsa quando il dottore scorse padre e figlia, giungendo con il respiro affannato e con il sudore che gli rigava la fronte e le tempie, nonostante la stanza da dov'era giunto fosse a pochi metri. Mana alzò il volto per prima, la piccola bocca aperta e lo sguardo leggermente confuso, mentre con le braccia stringeva ancora la camicia blu di Kurosu. Il dottore abbassò il viso, stringendo le mani in due pugni, così tanto da ferirsi le nocche, diventate da bianche a rosse in due battiti persi dal cuore di Mana, ora intimorita dall'evidente tremore dell'uomo.
«Papà, che cosa sta succedendo?», con il suo piccolo palmo della mano tirò leggermente il tessuto della camicia di Kurosu, concentrato, ma allo stesso tempo disperso attraverso le fini lenti dei suoi occhiali, sul dottore, pensando di aver cancellato quella possibilità, quell'unica e maledetta possibilità di un peggioramento improvviso. Non poteva essere vero, anche lui era un medico, anche lui l'avrebbe potuto prevenire, l'avrebbe potuto quantomeno sapere; non capiva niente, non capiva.
«Signor Ouma, mi perdoni, la prego, non sappiamo come sia successo, no-», il dottore cadde sulle ginocchia, nascondendo il volto tra le mani, singhiozzando mortificato ed inconsapevole. «Quando il bambino è nato... non abbiamo riscontrato nulla di... anomalo. È successo tutto nei minuti in cui ha lasciato la sala parto...», Mana aveva ancora la mano serrata sulla camicia, osservando l'uomo dall'alto, senza che una lacrima le bagnasse le guance. «Ha iniziato a tossire violentemente, c'era del sangue... la paziente non è più riuscita a respirare, come se avesse ingerito delle sostanze, ma non c'era nulla, assolutamente nulla! In pochi secondi il petto smise di muoversi. Non abbiamo saputo salvarla, è tutta colpa mia», con un gesto fugace ed inaspettato, Kurosu sembrò quasi cadere, andando a sbattere e trovare nello stesso tempo supporto nel mosaico a parete, quello con le piastrelle colorate che a Mana piaceva tanto ammirare.
«Quella paziente era Saeko. Quella paziente era una parte di me. Quella paziente era mia moglie!» urlò Kurosu, e questa volta Mana poté chiaramente vedere la crepa negli occhi del padre; nei suoi... sentiva solamente il vuoto. Ed era proprio quel vuoto che le abbagliò la vista, vedendo un bianco accecante, un manto di capelli autunnali, della terra, e quel sorriso che mostrava i denti perfetti di Saeko. Si portò le mani alle labbra, incapace di vedere, incapace di muoversi o semplicemente di sentire il suo respiro dissonante rispetto a tutto intorno a lei. Gridò, gridò tutte quelle impressioni ricevute e trasformate in coscienza, gridò il suo corpo e la sua anima, la crudeltà umana di quel colore che tanto amava e i ricordi migliori, in modo che non lo avrebbe più rifatto, in modo da crescere velocemente e superare il dolore che solamente un urlo infinito può sminuire, subito succeduto da quella stessa calma, dallo stesso silenzio – da quella piccola perdita del ritmo, quella falsa illusione, quell'incondizionato e assoluto deterioramento di sé stessa.











Ma era ovvio che l'avrei fatto, come non potevo? Come? Mana è... è il mio tesoro più grande. E dopo aver visto e rivisto l'anime, raccogliendo ulteriori informazioni; utili e necessarie (modificate leggermente a modo mio, ma che non tramuteranno il vero corso della storia), sono giunta a proporvi questa raccolta di massimo otto one-shot/capitoli; quindi abbastanza corta per essere considerata una vera e propria long fiction. In questa storia vorrei approfondire di più la storia dell'infanzia di Mana, quell'immagine della sorella maggiore perfetta trasformata in un mostro che non è, che non sarà mai. Mana sarebbe l'antagonista della storia, della situazione, quando invece è questa dolce bambina dai lunghi capelli color pesca che non ha fatto altro che amare il fratello e la famiglia. Il virus l'ha cambiata drasticamente, ma proprio per questo lei non è malvagia; è stata solo una vittima. Non posso assolutamente pensare a lei come deceduta, ma come testimone dell'avere una seconda possibilità, e spero che l'avrà... lo spero con tutto il cuore. Questa non è una one-shot, cari miei, del fandom Guilty Crown (cioè, sono riuscita finalmente a farlo nascere ), questa è una long-fiction aka raccolta di one-shots che racconterà del passato di Mana. Perché io non mi accontento di dieci minuti di un episodio per immaginarmi il passato del mio personaggio preferito del mio anime preferito. Con questo primo capitolo: infettata, vi aspetto con il prossimo – le altre fasi di un'infezione fatale quale è l'Apocalypse Virus – che non so quando pubblicherò (ma del quale sono comunque mooolto eccitata di scrivere). Spero che ci sia qualche buon'anima su questo bellissimo fandom appena nato. Miku.

Ritorna all'indice


Capitolo 2
*** Infezione ***


Cantò solo per quell'estate
__________________
Fase II: Infezione






 
«Guardami, Shu. Dimmi, vorresti che la tua sorellona ti raccontasse una storia?», Mana afferrò i bordi in legno d'abete bianco della culla; ormai non c'era più bisogno per lei di alzarsi in punta di piedi per poter accarezzare la guancia levigata del fratellino. E lui era così soave: un piccolo essere completamente rosa, i piccoli palmi che spesso dissimulavano le lacrime composte d'acqua ancora dolce, ed il visino pallido, così come gli occhi di quel colore assiduamente nebuloso ed impreciso. A Mana piaceva sfiorargli i piedi morbidi e la pelle vellutata, specialmente quando dormiva nella penombra della stanza tappezzata di un blu fiordaliso, nonostante Mana fosse sicura gli sarebbe piaciuto di più il rosso. Amava starsene seduta di fianco al giaciglio del neonato, soprattutto durante i piovosi pomeriggi di Novembre, leggendo favole perdute e oscurate dal passare dei giorni senza Saeko. Kurosu non apprezzava l'ambiente casalingo, ed in sei mesi, l'unica volta che aveva incontrato il calore di Shu, fu quando lui e Mana tornarono dall'ospedale in macchina, dopo che Saeko li abbandonò pronunciando come ultima parola semplicemente il nome del secondogenito – permettendo al marito di amare il suo tepore almeno per una volta. Rincasava dopo il tramonto, Kurosu, inseguendo la via più lunga, in modo da evitare lo sguardo preoccupato della figlia prima che andasse a letto, sfuggendo dalla sua voce flautata e gli occhi madidi di mestizia. Con ciò, si raggomitolava su di un letto ora fin troppo grande; senza nemmeno averle augurato la buonanotte, senza nemmeno un bacio regalato sulla fronte od un mezzo alzamento del lato della bocca – perché era colpa sua, non di Mana, e gli inutili autunni li avrebbe passati solamente lui davanti al calendario, decomponendosi adagio. Se il suo viso si fosse illuminato grazie a quella mezzaluna presente sulle sue labbra, avvolto dal marmoreo dell'eucharis che le ornava i capelli, si sarebbe sentito precipitare, e quasi certamente, un giorno, non avrebbe più posto resistenza; sarebbe marcito da solo nel suo ufficio, soffocando tra il profumo di foglie e di muschio della sua candida Saeko, lasciando Mana e Shu sbocciare solitari, come rose d'inverno, nel campo coperto di neve. 
Mana, spesso, durante la notte sbirciava dalla sua finestra, e senza una luce accesa, lei attendeva. Una volta, la strada dinanzi era stata un ampio viale ornato dall'erba lucente ed ordinatamente falciata, ospite di alberi ed arbusti di svariati tipi tra i suoi fili smeraldo, vivi con le risate di una famiglia distrutta, di bambini che avrebbero preferito lesionarsi un ginocchio piuttosto che il cuore. Ora quelle banche erbose erano un pasticcio di verde spettinato, fango e fronde morenti, mentre gli alberi venivano soffocati da un'edera prosperosa ed ingannatrice. Ogni tanto, Mana riusciva a resistere al Dio del sonno, stringendo ed affidandosi a quel Dio che le aveva portato la felicità, che lei si illudeva le volesse bene e che otteneva ogni notte una preghiera sussurrata da quell'angelo dagli occhi rossi che era, e che desiderava soltanto un leggero tocco, avvertire un mormorio d'amore da parte del suo papà. Alle volte, due fanali accecanti le dipingevano il volto di gioia, e se era anche così privilegiata da riuscire ad individuare l'ombra di Kurosu nel crepuscolo, con il camice bianco, gli occhi gonfi ed una camminata barcollante, Mana avrebbe sorriso ancora di più, riempendo interamente quella casa così vuota e mesta con polvere di stelle e raggi di sole.
Shu avrebbe continuato a dormire fino alle ultime ore del pomeriggio. Sogna, fanciullo mio, sorrideva Mana restando fedele alla sua famiglia ed al suo ambiente infantile – nonostante l'oscurità arrivasse anche per lei, con il suo manto azzurro, adornato di gioielli. Lei, celeste, con gli occhi chiusi, non si muoveva, e sognava di respirare tra le onde, per poi camminare su di un bagnasciuga caldo e brillante, fermandosi ogni dieci passi per raccogliere delle conchiglie misteriose. La spuma del mare le solleticava ancora la pelle quando alla brezza della mattina si risvegliava, con l'odore della salsedine rimasto nell'anima e la marea risuonante per tutta la stanza. Lo spirito non moriva mai, ma soffriva atrocemente, e sanguinava. Così ogni giorno l'alba giungeva, e così ogni volta la notte l'avrebbe succeduta, con l'oro negli occhi. Per questo quelli di Mana stridevano di alizarina, così come la sua bocca, che gocciolava storie da raccontare e segreti da rivelare alle farfalle, che un tempo erano apparse in mezzo ai viburni del viale, attorniate da aure inferme. Ma nell'algido vento di inizio Febbraio, quegli erranti colori non esistevano; tali anime senza peccato – fragili ed indifese, non avrebbero mai goduto un velo d'immortalità eterno. Qualcuno accanto, eppure siamo tutti soli, continuando a contornare il volto di Shu con lo sguardo, Mana si mise a sedere; premendo con le dita sulla lunga gonna indossata, desiderò vestire il suo corpo di farfalle e profumare di primavera. Eppure, le lacrime discendevano dritte sull'arso del volto, cadendo tra le tristi piume delle sue ali invisibili, celando l'impensabile – e tutto quello a cui Mana pensava si trasformò in scintille, mentre un esiguo volatile dal petto infiammato beccava briciole sul davanzale, donate a lui da Mana. Questo scrutava la campagna circostante, soffermandosi con uno strano scatto della piccola testa sull'orizzonte, riparandosi per un momento il rostro grigio e facilmente infreddolito con le sane ali da Icaro, mentre la sua ombra si placò per qualche istante. Mana la osservava, così come la sua, proiettata sul pavimento; inconsistente e leggermente oscillante. All'improvviso, il passero volteggiò nell'aria sbattendo un incalcolabile numero di volte le falde piumate delle sue ali; mentre la sua scura sagoma sfuggiva alla vista, e quella di Mana rimaneva ferma davanti a lei, perché incapace di volare.
«Tanto tempo fa, dei pettirossi birichini risiedevano in un bosco incantato, felici» iniziò a dettare Mana, aprendo di poco la finestra e respirando profondamente la brina svolazzante della terra circostante. Chiuse gli occhi e lasciò che le sue lacrime fossero condotte via dal vento, forse Dio avrebbe potuto sapere come confonderle con la rugiada. Prima di richiuderla, come parentesi, le sue ciglia si serrarono, arrestando il tremolio degli occhi e le lacrime acide e roventi dal tatuare ancora il suo volto. «Quanto lo erano quando mangiavano le bacche del grande Dio della foresta, scappando poi, con le pance piene», Mana sperò che, nonostante la tristezza che racchiudeva quel suo racconto, i sogni di Shu sarebbero stati pieni di giostre e risate, «un giorno, però, il Dio si arrabbiò quando vide loro saccheggiare un altro suo ramo, ed infuriato, fece crescere delle spine sulle sue fronde». Mana aveva vissuto nella città più dolce della Terra, che le avevo donato strade spianate e clementi, ora invece, spesso si smarriva in mezzo a quello stesso percorso, forse abbandonata dall'infanzia e tentata da ciò che dimorava oltre le montagne, e lo stesso mare. Avrebbe amato giocare nuovamente con le lucciole l'estate successiva, come faceva pochi anni prima, nelle ore più buie, mentre papà la cercava, senza mai farsi del male, risanando la mente e cancellando le guerre. «Disperati ed affamati, i passerotti piccini ed accaldati, andarono incontro alle mature bacche rosse adornate di spine. Volarono dritti ad ali spiegate, infilzandosi uno ad uno con gli aculei menzogneri, che attraversavano i loro addomi», salate erano le lacrime che sfociavano dalle iridi colpevoli d'aver infranto l'estivo coprifuoco, quando papà la sgridava e mamma poi la consolava, a differenza dell'amarezza del presente, in cui piangeva veleno. «Impalati ed ignari, sotto il caldo di un'estate cocente, loro, incapaci di muoversi, cantavano. Cinguettavano centinaia di scuse, pregando per tutta la stagione calda, mentre lentamente morivano nel bosco che tanto elogiavano e di fronte al loro Dio, a cui regalarono una delle più belle sinfonie mai sentite».
Come mai avrebbe potuto fermarle, le sue lacrime avvelenate da angelo nefasto, capaci di fuoco congelato e crudele bontà? Il bambino addormentato, il suo gracile corpo disteso in qualche modo sereno, anche se qualche volta scosso da impercettibili vibrazioni, e le sue mani aggrappate ad un mondo di sole imperituro, le sue piccole labbra si arcuavano in smorfie che parevano sorrisi. Mana lo guardò un altro momento, questa volta con occhi tristi e tuoni di lacrime improvvisi, che si trasformarono in un gusto metallico di labbra inconsciamente morse per contenere il dolore, mentre con i palmi sulle costole abbracciava sé stessa, inchinandosi e piangendo. 











Come potrei spiegare il tutto? Dovrei incominciare con lo scusarmi, perché il ritardo c'è e non posso negarlo... però, ecco, non lo avevo promesso, non sapevo quando avrei aggiornato. E soprattutto, sono stata impegnata con l'inizio della scuola (ripetendo per la centesima volta che qua in Deutschland s'incomincia verso la seconda settimana d'agosto), e tutto il resto. Inoltre, per quanto riguarda EFP, ho pubblicato una one-shot sul Kagerou Project a cui ho lavorato veramente tantissimo e a cui tengo – essendo sulla mia OTP più Ayano-san. In poche parole: occupata, ma presente. Ringrazio tantissimissimo Amai per aver recensito lo scorso capitolo con una recensione carinissima e che mi ha incoraggiato ancora di più a portare avanti il progetto (oltre tutte le visite ricevute, ovviamente e chi ha inserito la storia tra le preferite/ricordate/seguite), anche se: cliccate qua ed osservate i miei skillsss. Questo capitolo è abbastanza triste, perché è così che ho voluto immaginare la relazione di Kurosu con Mana dopo la morte di Saeko: non voglio inquadrarlo come cattivo, ma come atrocemente segnato dalla morte della moglie. Si vede che Mana ama Shu, no? Ed io mi voglio anche concentrare su questa loro relazione nella storia (oltre che quella con Mana ed Inori alla fine). La "felicità" inizierà nel prossimo capitolo, promesso, quindi aspettatemi! Anche perché tra quattro giorni è il mio compleanno, aye, esattamente come Ami Mizuno, signori e signore. Miku.

Ritorna all'indice


Questa storia è archiviata su: EFP

/viewstory.php?sid=2695208