Il Mitronio di Synt

di fragolottina
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** 0. Atom Day - 1. Asta ***
Capitolo 2: *** 2. Synt ***
Capitolo 3: *** 3. Benvenuta ***
Capitolo 4: *** 4/1. Zona gialla ***
Capitolo 5: *** 4/2. Zona gialla ***
Capitolo 6: *** 5. Centro ***
Capitolo 7: *** 6. Raccogli pensieri ***
Capitolo 8: *** 7. Sola ***
Capitolo 9: *** 8. Il Cappellaio Matto ***
Capitolo 10: *** 9. Il soldato perfetto ***
Capitolo 11: *** 10. Prima o poi ***
Capitolo 12: *** 11. Non andare ***
Capitolo 13: *** 12. Il nostro esercito ***
Capitolo 14: *** 13. Stanotte ***
Capitolo 15: *** 14. Ci servi ancora ***
Capitolo 16: *** 15. Fallimento ***
Capitolo 17: *** 16. Ricostruire ***
Capitolo 18: *** 17. Sono già scappato ***
Capitolo 19: *** 18. Tutto quello che ci serve ***
Capitolo 20: *** 19. Indiani e Cowboy ***
Capitolo 21: *** 20. Pari ***
Capitolo 22: *** 21. Un coltello e una pistola ***
Capitolo 23: *** 22. Tutto in una notte ***
Capitolo 24: *** 23. Nel caso domani mattina non ci svegliassimo ***
Capitolo 25: *** 24. Shannon Tyler ***
Capitolo 26: *** 25. Romeo ***
Capitolo 27: *** 26. L'ultima sigaretta ***
Capitolo 28: *** 27. Douquette ***
Capitolo 29: *** 28. La mela avvelenata ***
Capitolo 30: *** 29. Te lo prometto ***
Capitolo 31: *** 30. Epilogo ***



Capitolo 1
*** 0. Atom Day - 1. Asta ***


Mitrono fragolottina's time
c'era una volta una giovane donna che, persa in un romanzo a dir poco sublime ambientato in un futuro imprecisato ed alternativo, voleva scrivere una grande saga con ambientanzione cyber-punk - ma solo ambientazione -, un figo della situazione pazzesco, una cheerleader bionda ma bassa ed un po' di Veggenti random, perchè alla sopraccitata giovane donna piacciono da morire...
dalle sue riflessioni è uscito fuori il Mitronio - si è sentita molto figa per avergli dato un nome - ed una città industriale, poco città e molto industria, Synt.
fu così che fece la conoscenza di Zach Douquette e decise di voler scrivere quello che aveva da raccontare...


0.
Atom Day

L’esplosione della centrale nucleare Vermont Yankee, situata a Vernon nella contea di Windham, non fu più devastante di quella della centrale nucleare di Chernobyl, in Ucraina, nel 1986, o più contaminante della fusione dei tre noccioli dei reattori di Fukushima nel 2011.
    Sembra strano, quindi, che proprio quel disastro segni una svolta nella storia dell’umanità.
    Se non la devastazione o la propagazione radioattiva, quale fattore fece la differenza?
    Soltanto una donna, Selma Griffith, che non si sarebbe scomodata più di tanto se suo figlio, Daniel Griffith, non fosse stato in visita da un suo compagno di università proprio nel Vernon. Fu l’amore per lui che la portò a telefonare ad ogni ente governativo, del quale riuscisse a trovare il numero, ripetendo sempre la stessa frase: “Sono Selma Griffith, sono una Veggente, la Vermont Yankee sta per esplodere”.
    Si dice, che quando infine il disastro si verificò, lei fosse proprio al telefono con l’Ente Protezione Ambientale.
    Quella telefonata venne resa pubblica, lei arrestata.
    Venne interrogata mille e mille volte, non cambiò mai la sua versione: sapeva perché aveva visto, aveva visto perché era nata con quel dono. Travolta dall’attenzione mediatica, non realizzò che quello che voleva la ADP, la divisione dell’FBI appositamente creata per gestire quel nuovo problema, non era soltanto stabilire la verità delle sue ammissioni, ma sapere se di persone come lei, “con il dono”, ce ne fossero altre.
    La risposta che Selma Griffith diede fu semplice: sì.


1.
Asta

“Tutto questo non sta succedendo a me” mi ripetei ancora. Chiusi gli occhi ed inspirai. Cercai di lasciare fuori le voci, le grida di pianto, la mano che teneva il mio braccio per guidarmi e non lasciarmi scappare. Aprii gli occhi ed espirai, dovevo mantenere la calma necessaria a continuare ad illudermi: le mie capacità visive mi stavano ingannando, quello che stavo attraversando non era un corridoio tra due file di celle in vetro identiche. Io non potevo essere ad un’Asta.
    C’era un ragazzo che mi piaceva a scuola, un giocatore di pallacanestro, due giorni prima avevamo pranzato insieme: il giorno dopo saremmo dovuti uscire.
    La mia migliore amica di allora, Taylor, avrebbe suonato in un locale con il suo gruppo, i “Dancing Rabbits”, quel sabato: le avevo promesso di esserci perché era la cantante ed aveva bisogno di una faccia amica tra il pubblico, sulla quale concentrarsi per non andare in panico.
    Quel pomeriggio mi sarei dovuta esibire all’apertura della partita di basket come sostituta cheerleader di una ragazza titolare ammalata. Aspettavo un’occasione del genere dalla primo giorno di liceo, quando per la prima volta avevo visto delle ragazze con la divisa viola ed oro ed i pompon tra le mani.
    Quindi, tutto quello non poteva accadere proprio a me.
    Mi spinsero dentro una stanzetta con le pareti trasparenti, larga circa due metri quadrati ed alta tre, e chiusero la porta alle mie spalle. Non per intrappolarmi, no signore, l’ADP ti prelevava. Ogni sei mesi tutti i ragazzi di tutte le scuole dello Stato, di età compresa tra i diciassette ed i venti anni, venivano sottoposti ad un test. Un semplice questionario a scelta multipla. Le domande potevano essere di cultura generale, di materie particolari, nel mio c’era stato perfino un quiz che aveva richiesto la scelta tra tre fiori. Non c’era modo di sapere chi lo avrebbe superato e chi no. Non c’era una risposta giusta ed una sbagliata. C’eri soltanto tu.
    Tutti i test erano spediti direttamente alla sede centrale dell’ADP a Vernon, dove erano analizzati, smistati e valutati.
    C’erano tre responsi possibili: il primo, ragazzo normale, potevi continuare la tua vita come se niente fosse successo; il secondo, potenziale Veggente, non eri arrestato – od ucciso, come ebbi modo di scoprire in seguito – come un Veggente attivo, ma ad ogni modo eri obbligato a sottoporti a test clinici per valutare la tua resistenza al Mitronio, per calibrare una cura su misura; il terzo, potenziale Vegliante, un soldato, una risorsa del governo, da quel giorno la tua missione era quella di dare la caccia ai Veggenti attivi.
    A quanto pareva, io ero una potenziale Vegliante.
    Ed era davvero ridicolo, insomma io ero una normale diciassettenne, non credevo di avere particolari abilità, non avevo modo di crederlo. Ero una cheerleader e neppure tanto brava, visto che ero una riserva. Di norma i potenziali Veglianti si erano distinti negli sport o in qualche materia scolastica, cervelloni o fusti, non cheerleader con problemi con l’algebra.
    Ad ogni modo, se eri una potenziale Vegliante, se eri me, ti prelevavano da casa dopo le lezioni e, dopo aver fatto firmare un consenso informato ai tuoi genitori, ti portavano a New York con un treno esclusivo, controllata a vista da delle guardie. Ti guidavano in un fabbricato grande quasi quanto la mia città e ti chiudevano in una stanzetta di due metri per tre, in attesa che il Responsabile di una squadra di Veglianti facesse la sua offerta e ti comprasse. Non sapevo cosa accadesse ai potenziali Veglianti che non venivano scelti, ma immaginavo che lo avrei scoperto presto.
    Restai ferma a guardare le pareti di quello che sembrava plexiglass, anche se sospettavo fosse di un materiale molto più resistente. Qualche anno prima la scuola ci aveva portati a visitare l’acquario, immaginavo che i pesci si fossero sentiti proprio come me in quel momento. C’era soltanto una sedia all’interno, una sedia ed una busta di carta. La presi in mano per scrutarne il contenuto: cibo, un panino ed una bottiglietta d’acqua. Mi sedetti e ne presi un sorso, non avevo davvero sete, ma era un gesto così normale da allontanarmi dai pensieri terribili che quella situazione non poteva far altro che portare.
    Ogni volta che moriva un Vegliante, a scuola si osservava un minuto di silenzio per commemorarne la morte: quante volte mi ero alzata in piedi ed ero rimasta a capo chino in religioso silenzio per un minuto? Dieci? Venti?
    C’erano altri due ragazzi accanto a me, ognuno dentro la loro privata scatola trasparente. A destra c’era una femmina dai lineamenti ispanici che continuava a singhiozzare disperata, tremando. La guardai e mi trovai a pensare che da qualche parte nel mio cuore avevo voglia di piangere. Fin da quando la guardia aveva suonato alla nostra porta. Era come un formicolio dietro alla nuca, a metà tra il panico e la paura, ma avevo promesso a mia madre di non farlo. Aveva pianto lei, le mie lacrime insieme alle sue, mentre aveva continuato a ripetermi di essere forte, “piccola, ma agguerrita”, mi aveva incoraggiata con un sorriso umido. Mio padre nell’altra stanza discuteva i dettagli con i poliziotti che erano venuti a prendermi, pallido come non lo avevo mai visto.
    «Dille di stare zitta!»
    Mi voltai bruscamente a sinistra per osservare il ragazzo che aveva parlato, aveva l’aria corrucciata e lo sguardo fiero, quasi minaccioso, accentuato dai capelli cortissimi.
    «Sono ore che va avanti così, inizia ad essere stancante.»
    A differenza di me e dell’altra, lui stava in piedi, rigido e rigoroso come un soldatino di piombo.
    «Dovrebbe essere orgogliosa di essere stata scelta.»
    Sapevo che ce ne erano di fanatici come lui, gruppi di ragazzi troppo aggressivi: ignoravano i test ed andavano in giro ad intimidire anche i potenziali Veggenti, come se fosse una colpa nascere con un gene diverso. Il governo, ovviamente, non autorizzava certe rappresaglie, ma non le condannava neppure. Ma io credevo che ci fosse una bella differenza tra chi non aveva mai conosciuto la propria situazione ed accettava di buon grado la cura, e chi la rifiutava cercando di sabotare le produzioni di Mitronio o aderendo alla loro più orrenda legge: “un bambino vostro per ognuno nostro”.
    «Deve essere orgogliosa di avere la possibilità di spazzare via quei manipolatori.»
    Era questo il motivo di tanto astio, di quella guerra: se conoscevi il futuro, se potevi vedere ogni conseguenza di ogni azione, chi garantiva che tu non potessi anche sfruttare sette miliardi di persone in tuo favore? Il motivo che aveva portato il settantatré per cento della popolazione americana a votare sì alla soluzione proposta dall’ADP, era stata proprio la paura di un eventuale strumentalizzazione del proprio “dono”: se conoscevi il futuro, sapevi anche come cambiarlo.
    Bisognava anche considerare che la campagna propagandistica dell’ADP era stata a dir poco convincente: affliggere davanti al Ground Zero un manifesto con l’immagine delle due Twins Tower, inevitabilmente nella traiettoria di un aereo, e completare il tutto con due frasi come “E se qualcuno avesse saputo?” e di seguito come una condanna “E se Al Qaeda avesse saputo?”, non poteva non garantire i risultati sperati. Nemmeno se il sindaco di New York si dissociava dalla strumentalizzazione politica di una tragedia. Nemmeno se non c’erano prove che i terroristi fossero Veggenti: i Veggenti esistevano, la loro esistenza creava un dubbio, il dubbio era stato sufficiente a condannarli.
    «Mio fratello non ha mai fatto male ad una mosca!» gli gridò la ragazza tra le lacrime. Io la fissai ad occhi sgranati comprendendo, infine, la sua disperazione: come poteva combattere una guerra, quando suo fratello era dalla parte opposta del campo di battaglia?
    Il tipo alla mia destra colpì la parete di plexiglass che avevamo in comune con ferocia facendomi sussultare, mi trovai a sperare che fossero davvero molto resistenti. «Se non si è fatto curare lo ucciderò.»
    Lei singhiozzò più forte.
    Sospirando girai la mia sedia in modo da dare le spalle a Mr. Tatto e concentrarmi esclusivamente sulla ragazza. Era molto bella, aveva i capelli scuri raccolti in una coda in cima alla testa e la pelle color miele – una vera invidia per chi come me è rinchiuso in un corpicino pallido – occhi enormi e castani, scintillanti anche se affogati nelle lacrime.
    «Non dargli ascolto.» cercai di rassicurarla, anche se non ebbi coraggio di dire niente di più convincente.
    Lei tirò su con il naso e si tamponò gli occhi con un fazzoletto stropicciato. «So che ha sbagliato, anche se è mio fratello. Ma dovrebbero almeno concedermi un esonero.»
    Non risposi, continuavo a guardarla ed a chiedermi se effettivamente l’ADP avesse così bisogno di lei. Mi lanciai un’occhiata intorno. Non vedevo altro che file e file di celle come quella dove eravamo noi. Vegliare era pericoloso, i Veggenti attivi non avevano rimorsi di coscienza nell’uccidere, ma ogni anno erano migliaia i ragazzi che venivano mandati alle Aste da tutto lo Stato.
    «Come ti chiami?» le domandai. C’erano delle grate in alto, servivano per il sistema di aereazione, ma ci permettevano anche di parlare.
    Alzò gli occhi per osservarmi curiosa. «Amanda, Amy, tu?»
    Appoggiai il palmo aperto contro la parete che ci divideva. «Io sono Becky.»
    «Piacere di conoscerti.» fece un piccolo sorriso mentre congiungeva la sua mano con la mia.

«Non è che non si volesse curare.» confessò dopo un po’. Era passata circa un’ora e mezza da quando ero entrata lì dentro, starmene rannicchiata sulla sedia a parlare mi aveva aiutata a non pensare ai Responsabili ed ai Veglianti nelle loro giacche verde petrolio – verde Mitronio – che ci sfilavano davanti, studiandoci ed andando oltre.
    Ero più sollevata, ero arrivata alla conclusione che nessun poteva volermi. Ero piccola, gracile, riserva cheerleader, che se ne facevano? Davanti a me, troppo lontana perché potessi fare qualcosa di più che guardarla, c’era una ragazza alta più di due metri.
    Amy era più a rischio, anche se non le dissi niente: era alta e mi aveva rivelato di far parte della squadra di atletica leggera della sua scuola. Anche lei aveva problemi con l’algebra, ma nessuno pretendeva la perfezione.
    «Allora, perché è scappato?» domandai curiosa e decisa a mantenere quel clima leggermente più sereno. Mi si era anche sciolto lo stomaco e stavo addentando il mio panino, avrei avuto bisogno di andare in bagno, ma non vedevo molte possibilità a parte resistere.
    Come me, Amy si rannicchiò sulla sedia stringendosi le ginocchia al petto ed avvolgendole con le braccia. «Mi ha detto che il Mitronio l’avrebbe ucciso.»
    Mio padre mi aveva spiegato, quando avevo iniziato a fare domande, che il loro “dono” era connesso alle capacità cognitive. Una parte di cervello che di norma le persone non usavano, nei loro casi era attiva e funzionante. Quindi la cura interveniva sulle cellule neurologiche: il rischio di morte celebrale era reale.
    «L’hanno scoperto con il test?» chiesi ancora. Non mi sembrava di aver mai conosciuto un vero Veggente, in realtà nemmeno un Vegliante. Li avevo visti, venivano una volta al mese a pattugliare nella mia città. Erano lì per vigilare sulla sicurezza dei cittadini, per impedire che quel bambino – per uno dei loro – non fossi tu, ma mia madre mi aveva anche insegnato a star loro lontana. Un cucciolo di lupo, anche se allevato come un cane, un giorno o l’altro potrebbe rivoltarsi e azzannarti la mano con cui lo nutri.
    Scosse la testa, poi scrollò le spalle. «Da che ricordo io, Nick ha sempre visto. Probabilmente da quando è nato, solo che prima non sapeva dirlo.» fece un mezzo sorriso.
    Non la guardai, mentre concludevo: «Non l’avete denunciato.»
    L’ADP l’aveva sempre definito un “impegno sociale”, ma nessuna madre poteva essere così spietata da consegnare alle autorità il proprio bambino. Chiedermi se l’averla scelta e portata lì fosse una punizione per il loro mancato “impegno sociale”, era naturale.
    «Come avremmo potuto?» domandò lei fissandomi.
    «Siete una famiglia di traditori!» gridò l’altro ragazzo, che evidentemente aveva ascoltato i nostri discorsi per fornirci un suo punto di vista assolutamente non richiesto. «Meritate di morire tutti! Se fossi a capo dell’ADP io…»
    «Non sei a capo dell’ADP.» gli ricordai interrompendolo, mentre gli scoccavo un’occhiata arrabbiata. Mi sembrava quasi di vederlo, un ragazzino che magari aveva già tanti problemi con la cura di Mitronio e tutto il resto, venire importunato, infastidito, tormentato da lui e dai suoi vaneggiamenti di sterminio.
    Se io fossi stata a capo dell’ADP, avrei fatto in modo che certa gente non diventasse mai Vegliante. Avrei istituito un gruppo che sorvegliasse anche i potenziali Veggenti volenterosi di adattarsi alla legge e che li proteggesse da gente come lui.
    «Solo una traditrice può fraternizzare con un’altra traditrice.»
    Amy sollevò il capo infastidita. «Anche tu avresti scelto un fratello. Lo rifarei mille volte.» e so che era vero.
    Lui fece una smorfia disgustata. «Sentirti chiamare “fratello” uno sporco bastardo come lui mi dà il voltastomaco.» scosse la testa. «Se fossi già un Vegliante ed avessi una pistola, ti sparerei.»
    Io ridacchiai. «Solo un vigliacco vorrebbe diventare un Vegliante per avere una pistola ed affrontare una ragazza.» commentai divertita, perfino ad Amy scappò una risatina. Ero andata a scuola in un liceo pubblico ed ero davvero molto bassa, ero sopravvissuta imparando a rispondere a tono ad ogni battutina. «E comunque, non sei ancora un Vegliante. Nessuno ti vuole.» conclusi e sperai che nessuno lo scegliesse.
    Rosso di rabbia ed umiliato, diede un pugno al muro che ci divideva, per poi scrollare la mano dolorante e scatenare un’altra risata tra me e la mia fresca di conoscenza amica. «Le donne non dovrebbero essere potenziali Veglianti con tutti i vostri sentimentalismi.»
    «Mm… non sono d’accordo.»
    Tutti e tre ci voltammo verso un donna davanti alla mia cella, doveva aver assistito alla scena.
    Era sulla trentina ed aveva lo sguardo alto e sprezzante di chi era orgoglioso di essere l’unico padrone di sé stesso. Aveva i capelli neri tagliati in un caschetto asimmetrico, il lato sinistro le sfiorava il lobo dell’orecchio, quello destro arrivava qualche centimetro sotto la mascella; le labbra erano tinte con un rossetto cremisi, mentre gli occhi, neri quasi quanto i capelli, erano contornati da una precisissima – ed assolutamente invidiabile – riga di eye-liner a sottolinearne la forma allungata.
    Ma il dettaglio più importante era il suo cappotto verde dei Veglianti con un stella argentata all’altezza del petto: non era soltanto un soldato, era una Responsabile.
    Il ragazzo, rendendosi conto di aver commesso una terribile gaffe, si raddrizzò sull’attenti per cercare di impressionarla. «Chiedo perdono, signora. Ovviamente non era a lei che mi riferivo.» si scusò e ci lanciò un’occhiataccia.
    Sollevai gli occhi al cielo, ma evitai ulteriori commenti.
    La Responsabile si spostò davanti alla cella di Amy – proprio come avevo temuto – e controllò il suo tablet, dove sapevo che c’era la descrizione di ognuno di noi. «Amanda Martinez, diciassette anni, seconda classificata alle olimpiadi studentesche di quest’anno in salto in alto. Hai ragione, Zachy, sembra un elemento promettente.» deglutii, preoccupata per lei.
    Solo in quel momento però mi accorsi che non era sola, ma accompagnata da un ragazzo un po’ più grande di me. Un ragazzo bellissimo. Aveva gli occhi verdi, enormi, con ciglia così folte da fare l’invidia di molte donne, fu la prima cosa che vidi perché stavano fissando i miei. Con il cuore che batteva, catturai ogni altro dettaglio del suo viso, dagli zigomi alti, al naso deciso su una bocca morbida, quasi troppo per un uomo. Come la linea della mascella precisa, ma non troppo dura.
    «Non lei.» la corresse.
    Il corpo era perfetto come quello di tutti i Veglianti, garantito da un’invidiabile predisposizione fisica e salvaguardato da un esercizio rigoroso e costante. Non era troppo muscoloso però, chiunque avesse calibrato l’intensità del suo allenamento non aveva voluto appesantire troppo il suo fisico.
    Indossava la giacca verde, ma senza nessuna stella.
    «Lei.» disse e mi indicò con un cenno del capo.
    Il cuore mi sprofondò nel terrore: non poteva davvero volermi.
    La Responsabile tornò di fronte a me e piegò di lato la testa studiandomi, io rimasi ammutolita ed immobile. Trattenni il fiato, mentre aspettavo che qualcuno dicesse che era uno scherzo, o un errore. «Non mi sembra gran ché…» commentò lei, prima di consultare di nuovo il suo tablet. «Rebecca Farrel, diciassette anni, riserva delle cheerleader.»
    Il ragazzo bellissimo distolse gli occhi dai miei. «E poi?» domandò.
    «E poi niente, dolcezza.»
    «Non importa, voglio lei.» ribadì, si mordicchiò il labbro inferiore distrattamente, i suoi denti erano bianchissimi.
    «Puoi alzarti, cara?» mi domandò la Responsabile ed io obbedii. Mi tirai su in piedi, ma rimasi vicina alla sedia perché mi tremavano le ginocchia. «Dimmi un po’, Zachy…» cominciò, mentre incrociava le braccia sul petto e gli lanciava un’occhiata di sbieco. «Non è che hai problemi di autostima e ti serve qualcuno che faccia il tifo, vero?» gli domandò sarcastica.
    Lui ignorò il suo commento ironico e si avvicinò al mio plexiglass. Ci appoggiò una mano sopra, come a volermi toccare attraverso la parete. Per alcuni secondi rimase in silenzio, i suoi occhi incatenati ai miei, poi il suo palmo scivolò via, lasciando soltanto l’alone della sua impronta, e si avvicinò a quella che ormai supponevo essere la sua Responsabile. «Ti fidi di me, vero?»
    La donna sospirò e scosse la testa. «La mia fiducia in te mi porterà sul lastrico prima ed all’inferno poi.» toccò qualcosa sul suo tablet. «Vediamo se almeno il prezzo è abbordabile.» acconsentì con poco entusiasmo.
    «Volete davvero prendere lei?» chiese sbalordito il fanatico della cella accanto. «Ma se è solo una bambina.»
    Il Vegliante Zachy lo osservò come se si fosse appena accorto della sua esistenza, più precisamente come io avrei guardato della spazzatura particolarmente puzzolente, e si strinse nelle spalle. «Beh, di tipi come te se ne trovano ad ogni Asta.»
    «E di tipe come lei a frotte dietro ad ogni giocatore di football.» ribatté.
    «Ehi!» sbottai irritata. Non mi erano mai piaciuti i giocatori di football… preferivo quelli di pallacanestro, ma questo non lo dissi.
    «Si è detta d’accordo con quell’altra sua amichetta che non ha denunciato il fratello Veggente.» ci accusò.
    Stavo per ribattere qualcosa, ma la Responsabile alzò una mano, facendomi cenno di tacere, e si avvicinò a lui. «Il tuo nome.» disse. Non era una domanda, era un ordine, una pretesa.
    «Jonathan Kindley, signora.» rispose lui pronto e recuperò la sua posizione da soldatino. Patetico.
    Gli si fermò davanti e prese a studiarlo con gli occhi fissi, enormi. Se avesse guardato me con quegli occhi, avrei iniziato a tremare come un topolino spaventato. «Da Responsabile a civile, perché è questo che sei, ti do un solo, preciso ordine: smettila di parlare senza essere interrogato.»
    «Ma…» provò.
    «Shh!» intimò lei. «Cosa ho detto?» gli chiese.
    Finalmente tacque.
    «Tornando a noi…» iniziò guardandomi. «Costi una fortuna, mia cara.»
    «Davvero?» chiesi, davvero troppo stupita per continuare a stare zitta. Di norma il prezzo iniziale, deciso dall’ADP, era proporzionale al valore, non avevo mai creduto di avere effettivo valore come Vegliante.
    Lei si appoggiò le dita sulla labbra, pensierosa. «È necessario chiedersi perché.»
    «Faresti meglio a chiederti se ci sono altri potenziali acquirenti, Jean.»
    Anche se ero chiusa nella mia cella e quindi al sicuro, mi trovai a fare un passo indietro. L’uomo che aveva parlato era esattamente il tipo di Responsabile al quale ero abituata. Nessun taglio di capelli stravagante, nessun trucco impeccabile: grande, muscoloso, minaccioso. Nei suoi occhi si leggeva la spavalderia di chi non aveva mai chiesto niente, ma aveva afferrato tutto quello che aveva voluto a mani nude, senza curarsi di chi fosse stato calpestato nel farlo. Era anziano, sembrava avere l’età di mio padre, cinquant’anni circa, ma avrebbe potuto averne di più. Era scortato da due Veglianti che sarebbero andati sicuramente d’accordo con il tipo fanatico. Niente a che vedere con la Responsabile Jean e Zachy, che sembravano fratello e sorella a spasso insieme: nel loro gruppo si vedeva fin troppo bene chi era a comandare.
    Afferrò un braccio del ragazzo bellissimo, quasi gli appartenesse, e lo allungò studiandone la linea, prima di dargli una pacca sulla schiena e sul torace. Lo trattava come se fosse un animale ad una fiera di bestiame. Lessi nei suoi occhi verdi la voglia di scrollarselo di dosso, colpirlo magari, ma nello sguardo serio e fisso della sua Responsabile c’era un ordine all’immobilità che non aveva bisogno di parole per essere esplicato.
    «Zach Douquette…» lui deglutì. «È il tuo caposquadra ora che Josh è venuto a mancare.» annuì, ma non spostò neanche per un secondo lo sguardo da quello del suo Vegliante. «Davvero, un ottimo elemento, mi congratulo con la tua scelta.»
    Lei chinò il capo in un gentile cenno di ringraziamento. «Merito vostro e del vostro addestramento, signore.»
    «Troppo modesta, mia cara.» lasciò stare Zach e guardò me. Io deglutii, mentre pregavo in silenzio che, se proprio qualcuno dovesse portarmi a casa, non fosse lui. «Sei interessata alla ragazzina, Jean?» le domandò. «Non vedo niente degno di nota in lei.» continuò senza darle il tempo di rispondere.
    «I Veggenti ci sta dando un bel po’ da fare.» ammise con un sorriso. «Il mio stratega mi ha suggerito un’idea rischiosa, ma intrigante.»
    Per un attimo, il tempo di un battito di ciglia, tra Zach e la sua Responsabile passò uno sguardo d’intesa.
    «Spero che non sia un piano così segreto da non poterne mettere al corrente il tuo vecchio responsabile.»
    «Certo che no.» sorrise ancora, ma era un sorriso tirato, nervoso, che non impediva ai suoi occhi di rimanere guardinghi. «Una trappola.» mi indicò. «Un’esca.»
    Sussultai sgranando gli occhi senza fiato.
    Perfino lui sollevò le sopracciglia stupito, ma poi annuì compiaciuto. «Il tuo stratega è andato a sfogliare i rapporti del passato.» sembrava quasi onorato.
    «Il sacrificio di quei bambini è servito allo scopo: ho ucciso io stessa uno dei Veggenti più sfuggenti di San Francisco.»
    Ero carne da macello. Mi coprii la bocca con la mano, mentre il ragazzo bellissimo continuava a fissarmi. Avrei voluto urlargli addosso “perché io tra miliardi di persone?”. Mi morsi le labbra per impedirmi di mostrare quanta voglia di piangere avessi. Perché io? Ero sicura che i miei occhi glielo stessero chiedendo, perché ne sembrava quasi dispiaciuto.
    La Responsabile Jean gli accarezzò la schiena orgogliosa. «Zach non sarà da meno.»
    Grazie al mio sacrificio avrebbe ucciso un Veggente pericoloso, sarebbe stato onorato, sarebbe diventato un eroe, contento?
    «Non ne dubito.»
    «E voi?» gli domandò lui, senza guardarlo. «Avete posato gli occhi su qualche elemento interessante?»
    Accadde tutto troppo in fretta perché io riuscissi ad afferrare ogni dinamica. Mi accorsi che uno dei Veglianti dell’uomo minaccioso fece un passo avanti e tirò indietro il pugno per colpire Zach. Ma ero in ritardo perché Jean aveva già preso provvedimenti, mettendosi tra i due. Il pugno si fermò ad un soffio dalla sua faccia, ma lei non batté ciglio. Capii perché un momento dopo: a differenza di quel Vegliante, il suo di pugno aveva raggiunto eccome il suo stomaco, costringendolo a barcollare all’indietro.
    «Quando io facevo parte della vostra squadra, non avrei mai osato alzare il pugno su un Responsabile.» sibilò fredda.
    L’uomo rise di gusto. «Oh, Jean, sei uno dei miei più grandi successi. Senza ombra di dubbio.»
    Io ero ancora a bocca aperta, ci si aspettava che fossi più o meno al loro livello. Anzi no, in fondo ero solo carne da macello.
    «Scusa il mio ragazzo, è un po’ troppo protettivo nei miei confronti, anche se il tuo è senz’altro un po’ sfacciato.»
    Zach gli lanciò un’occhiataccia che la Responsabile spense con uno sguardo infuocato dal disappunto.
    «Ad ogni modo, ha rischiato di colpirti ed un tale affronto non rimarrà impunito.» scosse la testa, poi guardò le celle accanto alle mie, sia quella di Amy che quella del fanatico. «Credo, che io mi porterò a casa questi due.»
    Guardai la mia nuova amica impallidire e mi vergognai del moto di sollievo che mi crebbe in petto, anche se la mia situazione non era molto rosea: lei se ne sarebbe andata con quell’uomo spaventoso, io sarei stata usata come esca.
    «Una scelta accurata, signore.» commentò lei con un sospiro.
    Io sarei stata usata come esca. Rabbrividii e mi strinsi le braccia addosso per impedirmi di tremare.
    «Vuoi punire Lucas tu stessa?»
    Il ragazzo che aveva tentato di aggredirla poco prima deglutì, rigido con gli occhi bassi ed il capo chino, era incredibile perché era un ragazzo alto, dall’aria minacciosa, forte, ma aveva così paura, proprio come me.
    Lei sospirò, deglutì ed infine scosse la testa. «Ho piena fiducia nel vostro giudizio.» e non ne sembrava affatto contenta.
    «D’accordo.»
    Il suo secondo Vegliante incastrò il tablet prima davanti alla cella del fanatico, poi a quella di Amy, che mi lanciò un’occhiata disperata non appena sentì la propria porta aprirsi. Avrei voluto dirle qualcosa di confortante, ma non ci riuscii. Come lei d’altronde non seppe dire niente di rincuorante a me.
    Il Responsabile minaccioso si allontanò mentre sventolava una mano verso Jean. «Buona fortuna con il tuo Veggente.» i due tipi tenevano stretti sia Amy che Jonathan Kindley, ma lei si sforzò comunque di voltarsi e guardare verso di me. La salutai con un cenno della mano ed un sorriso poco convincente, mentre una lacrima mi rotolava sulla guancia.
    «Grazie, signore.» rispose piano la Responsabile.
    Non appena lui non fu più a portata di orecchi, si girò verso Zach, gli afferrò il viso con la mano e lo strattonò con forza verso il basso, per portarlo all’altezza dei suoi occhi. Lo fissò minacciosa. «In sua presenza devi stare zitto.» scandì piano, ma con autorità. «Quante volte devo dirtelo?»
    «Ma…» cercò di difendersi, senza però tentare di liberarsi.
    La donna gli schiaffeggiò al guancia, interrompendolo. «Zitto.» e lui tacque. Jean tornò a guardare me, prima di incastrare il suo tablet allo schermo accanto e premerci il palmo aperto. «Prendiamo la ragazzina e ce andiamo.»
    Quando la porta della mia celletta si aprì, segno che il pagamento era stato effettuato e che io appartenevo ufficialmente alla Responsabile, stavo singhiozzando. Non riuscivo più a ripetermi che quello non stesse succedendo a me: era me che avevano preso; era me che avrebbero portato con loro; era me che avrebbero usato come esca.
    Non avrei mai più visto quel ragazzo che mi piaceva e con il quale avevo contato di uscire il giorno dopo.
    Non avrei ascoltato Taylor cantare “Venus” davanti ad un vero pubblico, non sarei stata il viso amico che avrebbe in mezzo al pubblico.
    Non mi sarei esibita mai come ragazza pompon.


sempre la giovane donna di poco fa non è sicura di essere in grado di scrivere una roba del genere, perchè di norma pubblica e scribacchia storielline molto più semplici... quindi ogni incoraggiamento è gradito!
se poi non vi piace, che vi dico? evidentemente non sono pronta ancora!
un bacione a tutti quelli che arriveranno fin qua giù perchè è lungo lungo!
a presto!

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Capitolo 2
*** 2. Synt ***


Mitrono
fragolottina's time
non avete idea di quanto mi avete fatto contenta!
mi rivolgo a tutte, sia quelle che hanno semplicemnte letto, che chi è stato così coraggioso da mettermi nelle seguite, ricordate e preferite per tornare a leggermi...
non vi arrabbiate se mando un bacio a chi mi ha recensito, grazie per aver perso cinque minuti a scrivermi!
ma procediamo signore e signori!
abbiamo un pubblico, la protagonista ed il figo della situazione... sarà il caso di uscire da quella gabbia di due metri per tre? ma direi anche di sì...
2.
Synt

    Non uscii da quella celletta grazie alle suppliche o alle promesse di Zach di portarmi in bagno, a mangiare qualcosa di buono, a recuperare le mie cose. «Non sei impaziente di contattare il tuo fidanzato?» mi chiese con la faccia più gentile del mondo, il ragazzo che aveva condannato la mia giovane vita ad una morte prematura e probabilmente violenta.
    «E dirgli di prepararsi a fare due minuti di silenzio per commemorarmi quando morirò?» ribattei sarcastica, ma avevo ancora la voce tremante e troppo acuta, isterica perfino alle mie orecchie.
    Jean alzò gli occhi al cielo, stranita ed annoiata per quella perdita di tempo, e mi lanciò un’occhiata. «Zach, accidenti!» era nervosa, l’incontro con il suo ex Responsabile l’aveva resa impaziente di andarsene. «Non peserà nemmeno cinquanta chili, prendila e portala fuori.» gli ordinò pratica.
    «Esco.» annunciai quando lo vidi fare un passo per entrare. Poteva somigliare quasi ad un suicidio, ma era comunque meno umiliante di farmi caricare in spalla e trascinare. “Piccola, ma agguerrita”.
    Non appena fui fuori, Jean mi prese il polso e mi mise in mano un fazzoletto di carta, senza staccare gli occhi dai miei. «Dignità.» mormorò. «In treno avrai una cuccetta tutta tua e potrai consumarti di lacrime e disperazione.» promise solenne.
    La fissai, orgogliosa, decisa, e cercai di immaginarmela anni prima alla sua Asta. Mi sembrava quasi impossibile che lei fosse stata me, preoccupata, spaventata e con il viso bagnato di lacrime, non era il tipo.
    «Ma adesso…» continuò con gli occhi fissi nei miei cercando di essere persuasiva. «Ce ne andiamo con dignità e senza pianti. Per quel che mi riguarda abbiamo già attirato troppo l’attenzione.» terminò dopo aver scoccato un’occhiata velenosa a Zach.
    Ci dirigemmo verso destra. Mentre camminavamo osservai tutte le cellette che superavamo, alcune già vuote, altre ancora piene. Davanti ad elementi particolarmente promettenti – come un ragazzo con la circonferenza dei bicipiti praticamente uguale a quella della mia vita – si era formata la folla e diversi Responsabili si contendevano un ragazzo o una ragazza a suon di rialzi. Zach camminava alla mia sinistra con le mani in tasca, meno interessato di me a tutto quel mondo, del quale, fino a quel momento, avevo soltanto sentito parlare. In fondo, quella non era la prima Asta a cui partecipava a differenza di me.
    «Non ho fatto niente.» si schermì.
    Io seguii il consiglio della sua Responsabile, della mia Responsabile, e mi asciugai occhi e viso. Capivo a cosa si riferiva quando parlava di dignità e trovavo che avesse ragione, non c’era davvero alcun motivo di dare in pasto agli squali la propria disperazione, quando mi aspettava la solitudine di una cuccetta.
    «Hai disobbedito agli ordini.» gli ricordò, lui alzò gli occhi al cielo, ma non rispose.
    «Come se Wood non cercasse soltanto una scusa per farti sbriciolare da qualcuno.»
    «So difendermi, Jean, li avrei distrutti. Tutti e due. Ed avrei dato un pugno in faccia a Wood, così avrebbe avuto la prova che sono “davvero un ottimo elemento”.» sbottò secco. Ce l’avrebbe fatta davvero? Certo, i Veglianti erano molto più forti e preparati dei normali cittadini – di me in particolare – ma i due ragazzi che accompagnavano Wood, erano Veglianti anche loro e mi erano sembrati piuttosto combattivi.
    La donna si massaggiò la fronte esasperata e si lasciò andare ad un lungo sospiro, senza allentare nemmeno per un secondo la presa sul mio polso. Iniziavo a sentirmi un po’ una bambina troppo vivace, più che una potenziale Vegliante.
    «Grazie tante, sarebbe stato proprio bello da parte tua, costringermi a sedarti ed offrirti alla punizione che avrebbe sicuramente ritenuto necessaria.» strinse di più il mio braccio, ma non lo fece apposta, solo un riflesso involontario, tutti i suoi muscoli si tesero. «Courtney non mi avrebbe parlato per una settimana e…» si bloccò. Inizialmente non capii per quale motivo, poi, oltre il chiasso che regnava, oltre il brusio assordante di milioni di voci, riconobbi il trillo acuto della suoneria standard di un cellulare, evidentemente del cellulare di Jean. Lo recuperò da una tasca e rispose. Non capii praticamente niente della conversazione, lei disse davvero poche parole mentre guardava con rammarico Zach. Li osservai con la coda dell’occhio, attenti entrambi, lei per nascondere, lui per scoprire. Per qualche motivo, del quale ero all’oscuro, non voleva che lui sentisse o capisse. La telefonata si chiuse con un “Arrivo subito”.
    «Che succede?» domandò Zach fissandola.
    «”Jean Roberts, il suo mentore, il signor Wood, ci ha fatto notare che non è stato ancora consegnato un rapporto dettagliato sulla morte di Joshua Lanter. Sarebbe così gentile da venirci a ragguagliare di persona?”» ripeté e sospirò ancora. «La prossima volta porto Nate con me.» afferrò il braccio di Zach, ma senza il possesso o la presunzione dell’altro responsabile; mise la mia mano nella sua e ci fissò alternativamente. «Non voglio che stiate qui senza di me.» affermò decisa, poi estrasse una schedina di plastica dalla tasca interna della sua giacca. «Salite sul treno per casa il prima possibile.» ordinò porgendogliela.
    “Casa”, sicuramente avevamo due idee diverse per quella parola.
    Come se mi avesse letto nel pensiero, Jean mi appoggiò le mani sulle spalle. «Lo so, che è brutto.» disse sincera, i suoi occhi neri sembravano dispiaciuti, comprensivi, quasi affettuosi. «Ci sono passata io, ci è passato lui. Però credimi se ti dico che non siamo il peggio che ti potesse capitare.»
    Non risposi, non pensavo stesse mentendo. Una parte di me, nonostante tutto, era ancora convinta che ad Amy fosse toccata la sorte peggiore, ma quei due volevano fare di me un’esca, mentre questo Wood mi avrebbe addestrata, sicuramente con metodi duri, ma la mia dipartita sarebbe stata meno prevedibile.
    «Lui si prenderà cura di te, se puoi cerca di prenderti cura di lui.»
Quello fu il primo ordine che mi diede.

La stazione era dall’altra parte della strada rispetto al fabbricato dell’Asta. Provai per tre volte a cercare di staccare la mia mano dalla sua inutilmente, Zach non mi guardò neppure, non sono neanche sicura che se ne accorse. La sua presa non era troppo stretta o fastidiosa, ma era ferrea, anche perché la mia manina stava tutta nella sua. Avrei dovuto tagliargli un braccio per costringerlo a lasciarmi e non mi sembrava un’idea praticabile. Mi sarebbe piaciuto fargli capire che non potevo avere intenzione di scappare; avevo visto diverse guardie all’entrata della stazione, ce ne sarebbero state altre sulla banchina e controlli rigorosi sul treno: una Vegliante minorenne doveva avere con sé il permesso della sua responsabile per spostarsi. Mi avrebbero beccata e mi avrebbe riportata da Jean senza particolari difficoltà. Quindi avrebbe anche potuto lasciarmi.
    Alla fine mi arresi, anche perché iniziai a notare, con disagio crescente, come le persone si aprissero intorno a noi, quasi avessero paura di toccarci. Sapevo che era a causa di Zach, del capotto verde che portava, di quello che rappresentava. Quante volte mia madre, incrociando un Vegliante per strada, mi aveva strattonata più vicina a lei? Erano pericolosi, lavoravano per noi, per proteggerci, ma erano pericolosi. Erano gli unici in grado di catturare, o all’occorrenza uccidere un Veggente, volendo mi avrebbe spezzata come un ramoscello.
    Ero pericolosa?
    Lanciai un’occhiata a lui, non sembrava accorgersi di niente: teneva la testa alta e la mia mano stretta, tutto il resto non lo vedeva. O forse fingeva di non vederlo. Come si sentiva un ragazzo normale ad essere trattato come un mostro? Con rispetto certo, ma un rispetto tanto carico di terrore non era un vero riconoscimento. Per me era diverso, io mi sentivo come le condannate a morte dei film in costume, trascinate attraverso la folla sulla gogna. Chiunque, studiandomi, doveva intuire che non avrei retto a lungo; non riuscivo a fare a meno di chiedermi se la mia morte sarebbe davvero servita a migliorare le cose.
    «Hai bisogno di qualcosa prima che saliamo sul treno?» mi domandò abbassandosi su di me. C’era chiasso, bambini che strillavano, persone che parlavano, un altoparlante che ricordava l’arrivo o la partenza di qualche treno. I suoi occhi erano davvero molto verdi e molto grandi.
    «Il bagno.» risposi, dopo qualche secondo di troppo che probabilmente lui archiviò come timidezza.
    Annuì e mi guidò attraverso gruppi di persone e trolley custoditi con poca attenzione, fino alla toilette per signore. Feci per entrare, ma non mi lasciò la mano, anzi mi strattonò per farmi voltare verso di lui. «Non fare scherzi. Sono veloce, se scappi ti prendo.»
    Mi morsi la lingua per impedirmi di chiedergli dove credeva potessi andare. Avevo già valutato le mie possibilità di fuga, erano praticamente nulle. Se pensava che avrei iniziato a correre come una pazza, senza una briciola di piano ed almeno una piccola percentuale di riuscita, aveva capito decisamente male: non ero stupida. Dignità.
    Scrollai il braccio e lui mi lasciò entrare. Non c’era la fila, solo una donna che si controllava davanti allo specchio ed una signora con troppo profumo che liberò una toilette al mio ingresso. Sentii i loro occhi seguire i miei movimenti, io mi impegnai ad evitare di far capire loro che le vedevo.
    «Povera piccola, ha visto che faccia? Deve venire dall’Asta.»
    «Mio Dio.» esclamò la signora sottovoce – ma non abbastanza – chiusa la porta. «Potrebbe essere mia nipote.»
    «O mia figlia.» continuò la donna. «Come si fa a dire ad una liceale “Cresci, prendi un coltello e cattura più Veggenti che puoi”?»
    Mi lasciai scivolare con la schiena contro la porta della toilette. Se mi avessero dato un coltello mi sarei tagliata un dito, prima ancora di provare a colpire un Veggente.
    Una delle due aprì l’acqua. «Dicono che tra i diciassette ed i venti sette anni siano più portati, hanno più probabilità di rimanere in vita.»
    «Lo spero per lei.»
    Sospirai. Quante probabilità avevo di rimanere in vita?
    Aspettai che se ne furono andate prima di uscire, il bagno era piacevolmente deserto. Mi fermai davanti al lavandino ed aprii l’acqua per darmi una rinfrescata, ma mi persi a studiare il mio riflesso nello specchio. Quando ero piccola e piangevo per una sgridata di mia madre o mio padre, mi rifugiavo nel mio riflesso. Stavo lì, a fissarmi negli occhi ed a sussurrarmi mentalmente parole di conforto. Perché ero una Vegliante? Quale problema avrei potuto creare ad un qualsiasi Veggente? Possibile che fossi una Vegliante solo per poter essere usata come esca e permettere a “Zachy” di diventare un eroe?
    «Non dovresti sprecare tutta quell’acqua.»
    Spostai gli occhi dal mio riflesso a quello di Zach, appoggiato allo stipite della porta, mi chiesi da quanto mi stesse guardando.
    Non risposi, mi sciacquai velocemente le mani sotto il getto poi chiusi il rubinetto. Strappai con fin troppo enfasi un paio di asciugamani di carta riciclata dal dispensatore, mentre, lanciandomi di tanto in tanto un’occhiata allo specchio, mi intimavo di stare zitta e buona.
    «Perché io?» chiesi senza riuscire a controllarmi.
    Scrollò le spalle. «Non lo so.»
    Feci una sorriso amaro scuotendo la testa.
    «Però lo scopriremo, sta tranquilla.»
    «Tranquilla?!» ribattei fulminandolo. «Come faccio a stare tranquilla? Sono un’esca!» esattamente come i vermetti che mio padre teneva in un barattolo ed usava per le gare di pesca al lago.
    Zach si lanciò un’occhiata alle spalle per controllare che non ci fosse nessuno. «Se Wood avesse capito che Jean voleva davvero te, avrebbe cercato di prenderti.» iniziò a mormorare. «È molto più ricco, potente ed influente di lei. In più è…»
    Lo guardai ridere pensandoci su, come ricordando un aneddoto divertente. Come poteva esserci un aneddoto divertente legato ad un uomo tanto spaventoso?
    «Piuttosto contrariato perché gli ha portato via Josh e tre anni fa ha lottato con le unghie e con i denti per aggiudicarsi me all’Asta.»
    Continuai ad osservarlo senza dire niente.
    «Lui ti avrebbe usato come esca.» precisò. «Jean mi ammazzerebbe anche solo se pensassi, che varrebbe la pena sacrificare qualcuno per raggiungere un obbiettivo. A Synt non lavoriamo così.»
    Persi colore, parole, fiato, tutto insieme: forse era meglio fare l’esca. «Synt.» sillabai senza voce. Mi schiarii la gola «Siete la squadra stabile di Synt?» domandai incredula e, questa volta, in modo udibile.
    Lui annuì ed allungò una mano verso di me. «Dobbiamo andare.»
    Synt era il centro del mondo da quando l’emergenza Veggenti era iniziata.
    Fino a mezzo secolo prima non era nemmeno una città, solo un distretto industriale popolato per la maggior parte da pendolari, che vi si recavano a lavorare ogni mattina. Con il tempo però gli impiegati e gli scienziati, che ogni sera tornavano dalle proprie famiglie, avevano iniziato ad avere paura di essere seguiti. Sicuramente paranoia, ma nessuno si era permesso di prendere alla leggera le loro sensazioni, perché nelle fabbriche di Synt non si producevano automobili, non si produceva nemmeno il plexiglass delle celle delle Aste, si produceva Mitronio. I blindati che rifornivano i Veglianti di tutto lo Stato partivano da lì.
    C’erano ovvi motivi perché i Veggenti tentassero ritorsioni verso chi vi lavorava.
    L’ADP, per tranquillizzare i propri lavoratori, aveva fatto costruire un complesso residenziale ad una ventina di chilometri dalle fabbriche, dove chiunque fosse coinvolto nel progetto potesse vivere in pace con la propria famiglia e dormire sonni sereni sotto il controllo di una squadra di Veglianti permanenti appositamente scelta. Erano sicuri di poter tenere una piccola città al sicuro, visto che riuscivano a farlo con un enorme metropoli come Los Angeles.
    Era stata una pessima idea.
    Synt vantava un gruppo di Veggenti molto più organizzato e motivato di quelli che si limitavano a sporadiche scorrazzate notturne a Los Angeles. Erano molti i ricercatori che avanzavano l’ipotesi che, proprio come il Mitronio, gli ordini che organizzavano i Veggenti di tutto il paese partissero da lì. Al telegiornale arrivavano continuamente notizie di attacchi, rapimenti, rappresaglie, scontri, tutti a Synt.
    La decisione più saggia da prendere sarebbe stata il trasferimento di chiunque vivesse lì verso altri luoghi, oppure lasciare che il lento abbandono la trasformasse in un città fantasma. Il problema era che Synt cresceva, costantemente.
    Dopo i primi anni quasi tutte le famiglie degli impiegati se ne erano andate e non erano più tornate, eppure Synt non era morta, anzi la popolazione aumentava di anno in anno. Il numero di spostamenti superava di gran lunga quello delle fughe.
    Mi chiedevo perché vivere lì ogni volta che la sentivo nominare. Io non avrei mai accettato di abitarci e di certo avrei tenuto i miei figli il più lontano possibile da quelle fabbriche. Perché andare a cercare guai?
    Ancora non potevo sapere che, rispondere a quella domanda, avrebbe significato cambiare il mondo e lasciare Zach ai Veggenti.

Ci mettemmo in fila davanti ad una biglietteria automatica, nonostante non rilasciassero biglietti da più di dieci anni, tutti continuavano a chiamarli allo stesso modo. Quando fu il nostro turno, Zach infilò la scheda che gli aveva consegnato Jean nell’apposita fessura ed attese alcuni secondi tamburellando con le dita sul vetro dello schermo. Io lo studiai mentre era tutto concentrato a spingere tasti per prenotare la nostra corsa, chissà quanti anni aveva? Certo, era impossibile fare un paragone tra me e lui, ma mi chiedevo per quanto fosse sopravvissuto.
    Sbuffò. «Niente cuccette libere.» si lamentò. «Dovremo accontentarci di un compartimento.»
    Da bambina, quando io ed i miei genitori partivamo per un viaggio, mio padre mi prendeva in braccio e faceva prenotare me indicandomi quali tasti premere. Li avrei rivisti?
    «Ogni quanto si può tornare a casa?» domandai.
    Lui si voltò verso di me e mi guardò per la prima volta come se capisse la mia inquietudine. Mi studiò tutta per quella che ero: Rebecca Farrel, diciassette anni, riserva delle cheerleader. Nessun potenziale, nessuna dote utile alla sopravvivenza, piccola, bassa, bionda.
    «Una settimana ogni tre mesi.» disse e recuperò la scheda.
    Mentre ci dirigevamo verso il vagone io contavo. Per rivedere mia madre e mio padre dovevo rimanere viva per novantatré giorni, non erano pochi, ma forse era possibile. Non ero più un’esca, le mie probabilità di sopravvivenza erano improvvisamente aumentate e, se quello che Zach diceva era vero, che la sua Responsabile non voleva morti inutili, non mi avrebbero mandata là fuori di notte appena arrivata a Synt; sarebbe stato un omicidio bello e buono ed avrei potuto compromettere la sicurezza di qualche altro componente della squadra. Dovevo sopravvivere per meno di novantatré giorni. Forse in tre mesi mio padre avrebbe trovato il modo di tenermi a casa, la mia vera casa.
    Fece salire me per prima sul treno, probabilmente per paura che con uno strattone ben assestato al momento giusto avrei potuto liberarmi della sua presa e scappare, iniziavo a pensare che non avesse affatto un’alta considerazione di me.
    Una volta che le porte scorrevoli si furono chiuse alle nostre spalle comunque, Zach mi lasciò finalmente la mano.
    Lo guardai sorpresa della novità e lui si strinse nelle spalle. «Sei in un tubo di acciaio sigillato, che tra pochi secondi inizierà a correre ad una velocità media di trecento chilometri orari.» ridacchiò. «A meno che tu non sappia volare, non c’è modo che possa scapparmi.» mi spiegò.
    «Perché prima potevo?» domandai sarcastica.
    Scrollò le spalle. «Non si può mai sapere.» disse incamminandosi lungo il corridoio.
    Per alcuni secondi rimasi a guardarlo da lontano, la sua camminata era composta, come se fosse sempre stato abituato a marciare invece che passeggiare. Mi morsi le labbra, incerta, poi iniziai a seguirlo. Non c’era molto altro che potessi fare.
    Si fermò davanti al compartimento numero quarantatré, inserì la scheda nell’apertura ed aprì la porta. I compartimenti erano sicuramente meno comodi delle cuccette – due panche di plastica, una di fronte all’altra ed uno smart table nel mezzo – ma comunque più tranquilli dei posti economici comuni.
    Sfiorai con la punta delle dita il tavolo liscio che si illuminò immediatamente. L’avevo anche nella mia cameretta, avevo dovuto lottare tanto con i miei genitori per convincerli a sostituirlo con la mia vecchia scrivania e ed il mio computer. Alla fine ero riuscita a strapparlo loro come regalo di compleanno per i miei quindici anni, promettendo solennemente di tenerlo spento mentre facevo i compiti.
    Era una schermo full touch con funzionalità praticamente illimitate; di norma, con quelli sui mezzi pubblici per lunghi tragitti, era possibile ascoltare la musica – attraverso apposite cuffie monouso – guardare film ed approfittare di una serie di mini-giochi per tutte le fasce di età. Tutto il necessario per non farti annoiare, anche se finivi per annoiarti comunque.
    Zach si sfilò la giacca, sotto aveva soltanto una maglietta a maniche corte nera, e si sdraiò sulla sua panca di schiena. Nel farlo la maglia gli scoprì la cintura dei pantaloni, dove era attaccato un coltello nel fodero. Un coltello grande, un coltello con il quale io mi sarei ferita sicuramente, sarebbe stato saggio non darmi qualcosa di così pericoloso. Distolsi lo sguardo, perché sembrava che stessi guardando lui e la strisciolina di pelle oltre il bordo dei pantaloni che si era scoperta.
    «Quindi ora mi porti a Synt, fra tre mesi posso tornare a casa per una settimana…» lo guardai. «E in questi tre mesi che succede?» mi sedetti sull’altra panca, davanti a lui.
    Era quasi completamente nascosto sotto il tavolo, riuscivo a vedere soltanto la sua gamba destra perché era ripiegata. «Diventi una Vegliante attiva. In tre mesi cambierai molto.»
    Mi guardai le mani, lo smalto viola come la divisa delle cheerleader, chiusi il pugno per nasconderlo. «Tu sei cambiato?»
    «Quanto chiacchieri…» ridacchiò. «Non avrei dovuto dirti che non saresti stata usata come esca, così saresti rimasta terrorizzata e silenziosa.»
    Arrossii. «Scusa.» rimasi zitta per appena un istante. «Quanto dura il viaggio?» gli domandai.
    «Sei ore, arriveremo che è già notte.» sbadigliò. «Se mi addormento mi svegli alle sei? Ordiniamo la cena.» questo era un ottimo modo per ordinarmi di stare zitta.
    Cercai sul mio tavolo la funzione “Sveglia” e la programmai per le sei. Per alcuni secondi rimasi ferma, immobile, indecisa su cosa fare per le prossime sei ore, se avessi recuperato il mio cellulare, invece di scappare in fretta e furia come aveva ordinato Jean, avrei potuto chiamare i miei o Taylor. Toccai l’icona con l’elenco delle funzioni di base per scoprire se era possibile effettuare telefonate tramite lo smart table e sospirai, ovviamente no. Mi sorpresi però di trovare il portale turistico di Synt, quale pazzo decideva di fare una vacanza a Synt?
    Curiosa, spulciai l’elenco delle attività consigliate: proponevano di intrattenersi nel centro sportivo, l’esplorazione della riserva naturale nel bosco ai limiti della città, la visita guidata alla fabbrica di Mitronio. Storsi il naso, non era esattamente un’attività alla quale avrei voluto partecipare.
    Non c’era nessuna cartina della città, cercai ovunque, ma niente. E come ci si aspettava che mi spostassi?
    Per rimediare però, c’era una foto di gruppo dei Veglianti di Synt. Sorridevano, incredibilmente sembrava quasi la foto di una famiglia. “Dormite sonni tranquilli, con loro che vegliano per la vostra sicurezza”. Nell’immagine c’erano otto persone, cinque uomini e tre donne, tutte con il cappotto verde, una era Jean, quindi i Veglianti effettivi erano sette: una ragazza aveva i lineamenti asiatici, mentre l’altra sembrava una reginetta di bellezza; c’era Zach, un tipo biondo con il viso ricoperto di efelidi, un ragazzo altissimo e robusto, un altro tipo biondo più uomo che ragazzo ed un nerd occhialuto e magrissimo. Ricordai che la responsabile avrebbe dovuto fare rapporto per un deceduto, Josh, mi chiesi quali di loro fosse. Li studiai con cura uno per uno; non dovetti pensarci molto. Era triste, ma il nerd con gli occhiali sembrava avere le mie stesse probabilità di sopravvivenza. Josh doveva essere sicuramente lui.
    Lasciai che lo smart-table andasse in modalità stand-by e scivolai sulla panca per avvicinarmi al finestrino del treno e guardare fuori. Alberi, case e distese coltivate correvano davanti ai miei occhi in una massa confusa ed appena riconoscibile. Se fossi stata normale a quel punto sarei stata al telefono con Taylor, a ripeterle mille volte quello che Logan, il ragazzo carino che giocava a pallacanestro, mi aveva detto quando avevamo pranzato insieme; se fossi stata normale mia madre mi avrebbe chiamata dal piano di sotto chiedendomi di fare qualcosa per lei, io avrei sbuffato ed avrei promesso a Taylor di richiamarla più tardi; se fossi stata normale in quel momento non sarei stata nel compartimento di un treno, con un ragazzo bellissimo ed armato addormentato, a calcolare la mie possibilità di vita o di morte.
    Mentre ero tutta presa da quelle riflessioni, Zach si aggrappò al bordo dello smart-table come se ne andasse della sua stessa vita e balzò a sedere. Io sussultai e mi trattenni a malapena dall’urlare per lo spavento, con il cuore che mi rimbalzava nel petto quasi a volermi sfondare la cassa toracica. Lo schermo full touch impazzì in tutta una serie di avvisi rossi lampeggianti per il corretto utilizzo del dispositivo evitando pressioni eccessive, in effetti Zach stava stringendo il piano così forte che aveva le punte delle dita bianche, ma non sembrava accorgersene. Continuai a fissarlo ad occhi sgranati e con il ritmo cardiaco accelerato: era ansante e pallidissimo, terrorizzato. Come me, supposi.
    Girò il viso verso di me e quasi sobbalzò quando scoprì di non essere solo.
    «Rebecca Farrel, diciassette anni…» deglutii. «Riserva delle cheerleader.» gli ricordai, perché mi guardava come un potenziale bersaglio ed aveva un coltello alla cinta dei pantaloni.
    Scosse forte la testa ad occhi chiusi, come a scacciare tutto quello che gli riempiva la mente. «S-si, lo so…» prese un profondo respiro, mentre io rimanevo immobile a guardarlo. Lasciò la presa sul tavolo e si tirò indietro i capelli, nel farlo si scoprì per un attimo la fronte madida di sudore.
    «Stai bene?» domandai incerta, quando il mio cuore ebbe un po’ rallentato la sua folle corsa.
    Annuì. «Brutti sogni.» spiegò con voce roca per il brusco risveglio. «A che punto siamo?» mi chiese dopo essersi schiarito la gola.
    «Non sono nemmeno le sei.» continuai a fissarlo. «A scuola ho fatto un corso di psicologia lo scorso semestre.» gli raccontai senza un vero motivo, il silenzio mi spaventava a volte, mi faceva sentire sola.
    «Ah sì?» rise. «E che significa quando sogni di precipitare da un grattacielo?» mi chiese. Le sue dita intanto si muovevano veloci sullo schermo dello smart-table – veloci, ma insicure, tremanti – finché non si fermarono sulla mappa che indicava il tragitto percorso dal treno e quello rimanente.
    «Freud direbbe che temi… ehm…» arrossii, scema, in quel discorso mi ci ero ficcata da sola.
    Zach scrollò le spalle, affatto in imbarazzo. «Non credo che Freud immaginasse una vita come quella di un Vegliante, una città come Synt ed un mondo come il nostro, quando spiegava le sue teorie.»
    Lo guardai senza rispondere: no, probabilmente no.
    «Come…»
    Alzò gli occhi su di me e per un attimo persi le parole. Bellissimo… cosa stavo per chiedere? Ah, sì… «Come è morto Josh?» mi stupii di me stessa, da dove mi era uscita una domanda del genere?
    Rise senza calore, il tipo di risata che nasconde un grido. Se di paura, di impotenza, di rabbia o di frustrazione ancora non potevo saperlo. «Precipitato da un grattacielo.»
    Trattenni il fiato.
    «Direi che hai le tue risposte.» commentò senza guardarmi.
    «Mi dispiace non…» mi interruppi. “Non volevo saperlo” mi avrebbe fatta apparire come una sciocca ragazzina che avrebbe voluto nascondere la testa sotto un cumolo di sabbia ed ignorare tutte le cose brutte che la circondavano. “Piccola, ma agguerrita”. «Mi dispiace per la vostra perdita.» ritrattai.
    Lui mi studiò attento. «Sconvolta come sembravi sei rimasta attenta, hai ricordato che qualcuno è morto, che quel qualcuno si chiamava Josh, che c’era tensione quando ne parlavamo… un sacco di informazioni per una cheerleader e basta.» le sue dita accarezzarono ancora il tavolo, questa volta con maggiore sicurezza. «Ed hai studiato tutto quello che hai trovato su Synt.» constatò controllando l’elenco di tutte le pagine visualizzate da quando eravamo entrati.
    Osservai tutto meravigliata. «Non credevo si potesse fare.»
    «Cos’hai? Una super memoria?» mi domandò ironico, anche se probabilmente avrebbe voluto sentirsi dire di sì.
    Mi strinsi nelle spalle. «Non credo di avere niente di super.»
    Incrociò le braccia sul tavolo e ci appoggiò sopra il mento. «A livello altamente strategico, anche se forse poco realista e decisamente ottimista, eri l’elemento migliore dell’Asta.» mi confidò. «Un mio vecchio amico ti avrebbe definita “un’incognita impazzita”. Un prezzo decisamente elevato, ma un profilo sicuramente basso.»
    Lo osservai. «Tu ci credi davvero, che io sappia fare qualcosa di super, non è vero?»
    Mi lanciò un’occhiata da sotto in su. «Non ti avrei comprata altrimenti.»
    «E se ti sbagli?» chiesi ad occhi bassi. «Io muoio.» feci scorrere la pagina del tavolo fino a trovare l’icona del menù del ristorante, anche se in quel momento non avevo proprio appetito.
    Quando tornai a guardarlo lui mi fissava. «Su certe cose non sbaglio mai e mi impegnerò a non farti morire, promesso.»
    Arrossii.
    Si raddrizzò. «Prendi della frutta, quella che ci mandano a Synt fa schifo.» fece una smorfia disgustata. «Approfittane, nei treni si mangia bene.»


in realtà, tra un po' - ok, tra un po' tanto - penserete a questi capitolo e direte "ah! eppure era ovvio, no?"... quindi, non maltrattate i miei capitolo noiosi... dai, è proprio soporifero?! mi fate venire le crisi di coscienza...
cmq, abbiate un pochina di pazienza... arrivati a Synt avremo troppo da fare per pensare alla noia!
vogliate bene a Josh, è un eroe... spero che più in là sarò abbastanza brava da farvi piangere la sua morte... che sembra una minaccia, ma non lo è!
spero che a qualcuno verrà voglia di farmi sapere che ne pensa e spero che non saranno tutti, tutti insulti, santo cielo!
baci


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Capitolo 3
*** 3. Benvenuta ***


Mitrono
fragolottina's time
non guardate la barretta... sta mentendo! sono solo 3600 qualcosa parole, molto meno dell'altra volta... sono tanti dialoghi è per questo che quella infida è così piccola... dannata!
benvenute a Synt, care, come promesso non ci annoiamo più... conosciamo un personaggio importante...
leggete, va!

3. Benvenuto
 

Iniziai a sentirmi inquieta non appena lessi il cartello che dava il benvenuto a Synt.
    Era notte, proprio come aveva previsto Zach, e tutto quello che riuscivo a vedere della città era delimitato dai lampioni che ne illuminavano le strade, una serie di macchie bianche circolari in mezzo al buio. Possibile che non ci fosse un modo per rischiarare in modo più efficiente una zona tanto a rischio? Non si vedeva assolutamente niente.
    In giro non sembrava esserci nessuno, se non avessi saputo di quale particolare centro cittadino si trattasse, avrei pensato che fosse disabitata. Nel mio paese io uscivo la sera, c’erano sempre gruppi di adulti da qualche parte, che passeggiavano nei posti più frequentati dai ragazzi. I Veglianti venivano in ricognizione una volta ogni due settimane e quello era l’unico giorno in cui il coprifuoco passava dalle undici e mezza alle otto e mezza. Il sindaco lo riteneva necessario, io avevo sempre pensato che fosse uno spreco di denaro. In diciassette anni quella squadra non aveva mai trovato nemmeno un Veggente. Non c’erano Veggenti a Starlyfield.
    Io e Zach fummo gli unici due a scendere e la banchina era deserta come tutta la stazione. Il coprifuoco valeva anche per i dipendenti?
    Una strana sensazione iniziò a farsi largo in me, tipo un prurito dietro la nuca. Qualcosa al contempo estremamente familiare ed insolito, come un animale esotico.
    «Sembra tranquillo…» commentai, nervosa ed agitata da quel senso di vuoto. Sobbalzai, quando il treno ripartì. Chi lo guidava? E se fosse stato un Veggente?
    Zach sbuffò una risata, decisamente molto più a suo agio di me. «Esci un paio di notti con me e vedrai che non ti annoi.» scherzò mentre si infilava la sua giacca verde.
    Sapevo che si riferiva alle ronde e non ad un appuntamento, ma avvampai lo stesso. «Per colpa dei Veggenti?» chiesi seguendolo verso l’uscita della stazione. Incrociai le braccia sul petto, avevo i brividi e non era del tutto dovuto alla temperatura. Il prurito si era spostato dalla nuca al fondo dello stomaco, dove si era stretto in un nodo di panico. Due ragazzi in una stazione, in una città deserta: un ottimo soggetto per un film dell’orrore.
    Sospirò. «Più che altro per colpa di uno. Si chiama Romeo, o almeno si fa chiamare così.» si strinse nelle spalle. «Wood non da nomi ai Veggenti, non lo aiuta ad illudere i suoi Veglianti che non siano persone e che quindi ucciderli non è omicidio.»
    Trovai quasi irresponsabile che Zach fosse così tranquillo: non sentiva che c’era qualcosa che non andava? Deglutii e presi un profondo respiro, forse ero soltanto paranoica.
    «Sono persone.» disse deciso. «Sono fuorilegge, vanno catturati e resi inoffensivi, ma sono persone.»
    Il suo tono attirò la mia attenzione per un attimo, vincendo sulla paura. Mi sembrava che cercasse di essere troppo sicuro, dava l’impressione che fosse lui stesso il primo da convincere di quell’affermazione.
    «N-ne hai mai ucciso uno?» domandai titubante ed alzai gli occhi su di lui. Era davvero così diverso da Wood quanto diceva di essere? Sarebbe stato davvero orribile se si fosse rivelato altrettanto arrogante e – da come me lo aveva descritto – spietato.
    «Più di uno.»
    Trattenni il fiato.
    «Ma mai intenzionalmente. Quasi tutti quelli là fuori non sono in grado di reggere il Mitronio, li avvelena.» confessò ad occhi bassi, nonostante tutto non sembrava qualcosa di cui andasse fiero.
    Mi concessi di rimandare il suo giudizio a quando avrei conosciuto meglio la situazione, Synt e lui stesso.
    Finalmente trovò il cellulare e compose un numero. «Ehi, Matt, ci vieni a prendere o mi fai fare la strada a piedi?»
    Ottimo, chiamare qualcuno per farci venire a prendere era davvero un’ottima idea.
    C’era così tanto silenzio, che non ebbi difficoltà a riconoscere la risata rumorosa che uscì dal microfono. «Arrivo, capo.»
    Quanto ci avrebbero messo ad arrivare? Iniziai a torturarmi le pellicine sulle punte delle dita, cicatrici di un passato da mangiatrice di unghie di cui non andavo fiera.
    Non sarebbero mai arrivati in tempo. Era un timore tanto intenso da sembrare appena una constatazione, non troppo diverso dal guardare un cielo burrascoso e concludere che stia per scoppiare un temporale. Ci sarebbe stato un temporale, e ci sarebbe stato presto.
    Mi morsi il labbro, mentre fissavo la porta a vetri avvicinarsi ad ogni passo che facevo. Non volevo uscire, non volevo essere al centro della luce creata dai lampioni, circondata dall’oscurità. Ma quella del buio non era la più infantile delle paure? Ero la Vegliante più fifona del mondo. Sospirai, in fondo non ero ancora del tutto certa di essere una Vegliante.
    «Non credo che sarei in grado di fare del male a qualcuno.» mormorai piano e deglutii, quando infine Zach spinse la maniglia antipanico della porta.    
    Voltò il viso e mi sorrise. «Faremo in modo che tu non ti trovi nella posizione di fare del male a qualcuno.»
    In quel momento fui certa che sarebbe stato l’ultimo sorriso che avrei visto da viva.

Uscimmo fuori dalla stazione in una città tanto silenziosa da sembrare irreale. Pensare di parlare mi metteva a disagio quanto avrebbe potuto farlo urlare in una chiesa. Come si faceva a nascondersi con tanto silenzio? A chiunque volesse prendermi sarebbe bastato seguire il battito impazzito del mio cuore.
    Guardai Zach entrare nella pozza bianca del lampione; io non mi mossi, in balia di tutti i miei sensi improvvisamente all’erta: mi urlavano nelle orecchie di non avanzare, di fare dietrofront e di scappare il più lontano possibile di lì, se non volevo rimetterci la pelle.
    Feci un passo indietro, così spaventata da non riuscire a pensare ad altro se non al buio, ad ogni minuscolo brivido che mi percorreva. A qualcosa di rosso come il sangue. Ad un respiro di troppo.
    Zach si voltò a guardarmi. «Che succede?»
    «C’è qualcuno.» sussurrai senza pensare. In realtà non potevo sapere se ci fosse qualcuno, non lo vedevo, non vedevo niente al di fuori di Zach che era sotto la luce.
    Però c’era ed uscire era stata una pessima idea. Perché non avevamo aspettato dentro chi ci doveva venire a prendere? Era con tanta leggerezza che guidava la sua squadra questo “ottimo elemento”?
    Lui si guardò intorno, attento, recuperando il coltello alla cintura. «Già.»
    Qualcuno scoppiò in una risata assordante, indifferente a quel silenzio sacro, che frantumò senza tanti complimenti. «Wow!» esclamò con finta enfasi. «Come siete perspicaci.»
    Un ragazzo alto quanto Zach fece un passo in avanti lasciandosi illuminare dal lampione: non aveva più bisogno di nascondersi. A differenza del Vegliante, vestito di verde petrolio e nero, lui aveva una felpa di una azzurro brillante e dei jeans consumati: non aveva mai avuto intenzione di nascondersi. Aveva i capelli rossi come il sangue, ricci quanto i miei, il naso dritto ed appuntito, la pelle pallidissima. Non riuscivo a vedergli gli occhi, nascosti dall’ombra dei capelli, ma sapevo che mi stava guardando perché lo sentivo.
    «Benvenuta a Synt, Becky.» mi salutò con un sorriso.
    Trattenni il fiato perché conosceva il mio nome, e perché io non avevo avuto dubbi in proposito: anche io in fondo conoscevo il suo. E non si trattava soltanto del nome, era familiare, un de-jà vu che camminava parlava e si muoveva; dovevo averlo visto da qualche parte, o sognato, perché ero sicura che se ci fossimo incrociati da qualche parte avrei immediatamente capito chi fosse.
    Sul momento Zach fece un istintivo passo indietro, ma poi sollevò l’arma davanti a sé.
    Non sarebbe mai riuscito a colpirlo.
    «Oh, dai, Zachy.» lo riprese con tono canzonatorio. «Tanto lo sai che non mi prendi.»
    «Ma niente mi impedisce di provarci.» ringhiò prima di balzargli addosso.
    Chiusi gli occhi per non vedere ed aspettai di sentire un urlo, anche se avevo paura di scoprire a chi sarebbe appartenuto.
    Nessuno dei due fiatò.
    Provai a sbirciarli con un occhio solo: il coltello era immobile ad una decina di centimetri dal suo collo, quel ragazzo non solo non si era mosso, non aveva battuto ciglio, ma aveva tenuto per tutto il tempo lo sguardo fisso su di me.
    Era me che voleva, dovevo scappare. Mi guardai intorno e costrinsi il mio cervello a farsi coraggio, superare lo shock ed iniziare a pensare ad un piano. Sarei sopravvissuta se fossi stata in grado di farmi venire un’idea.
    Gli occhi di Zach osservavano preoccupati quello che aveva tutta l’aria essere un telecomando nella mano dell’ultimo arrivato.
    Romeo, il capo dei Veggenti di Synt e forse di tutto lo Stato, voltò il viso verso di lui, l’aria annoiata. «In realtà, sì.» rivelò. «Se mi colpisci io premerò il pulsante, se premerò il pulsante la macchina che trasporta Matt, Courtney e Nate farà “bum”.»
    Zach fu sul punto di ringhiare e strinse il manico del coltello così forte, che la lama prese a tremare. «Perché Nate è uscito?»
    Il Veggente si strinse nelle spalle. «Stiamo parlando della tua squadra non la mia.» fece una smorfia comprensiva. «Frustrante, lo so.» la sua bocca si stirò in un largo sorriso, troppo affilato. «Ma tranquillo, sono qui solo per accogliere la nostra nuova concittadina.»
    Tornò a guardarmi ed una nuova serie di brividi mi scivolò sulla pelle. «Dunque, piccina, siamo una comunità in continua crescita, quindi ritengo un obbligo morale provare almeno ad essere gentile.» allargò le braccia. «Che ne dici di un abbraccio caloroso come quello del tuo bravo paparino, che si sta disperando perché la figlia è in una situazione difficile? Dovremmo essere alti all’incirca uguali.»
    Senza pensare, indietreggiai ancora e finii contro la porta della stazione che cigolò. Lanciai una cauta e discreta occhiata alla serratura, non c’era maniglia all’esterno, probabilmente necessitava di una chiave, ma non era chiusa, doveva essere difettosa. Guardai Zach: non potevo abbandonarlo però.
    «Non t’azzardare, Romeo.» intimò Zach, furioso, impotente come quando Wood lo trattava come un giocattolo.
    Me lo indicò con un cenno del capo. «Scommetto che il nostro eroe qui presente non è stato gran ché caloroso.»
    «Non. Toccarla.»
    Il suo sguardo si indurì improvvisamente e batté due volte con la punta del dito sulla lama lucida, con al quale Zach non aveva smesso di minacciarlo. «Tu preoccupati di non toccare me se non vuoi rimettere insieme Court come un puzzle.» prese il metallo tra l’indice ed il pollice, attento a non ferirsi. «Da bravo, Zachy.»
    Sapevo che mollare fu doloroso come un calcio.
    «Questo non è tuo.» disse lanciando il coltello a distanza di sicurezza da entrambi. «Stai buono mentre faccio amicizia.»
    «Se le fai del male ti ucciderò.»
    «Oh, me lo ripeti così spesso, “ottimo elemento”.» sorrise e fece alcuni passi verso di me. «Te l’ho detto, se riesci a colpirmi un’altra volta ti concedo la rivincita: io, te e basta sulla cima di un bel grattacielo.» si voltò a lanciargli un ultimo sguardo provocatorio. «Il problema è che non riesci più a colpirmi.»
    Zach si voltò a seguire i suoi movimenti con lo sguardo, mentre si avvicinava. Lo fissai aveva la mascella tanto contratta che pensai di poter sentire le sue ossa scricchiolare.
    «Becky, Becky, Becky…» cantilenò Romeo e si portò le dita alla bocca, proprio come quando Jean mi soppesava. «Un’altra cheerleader bionda, ma tu mi sa che sei quella giusta.» rifletté. «Sei anche davvero una cheerleader.»
    «Riserva.» precisai, perché se il suo obbiettivo era uccidere una cheerleader bionda, forse non si trattava di me: era bene che sapesse che non ero l’omicidio giusto.
    Romeo rise, compiaciuto ed arricciò il naso. «Solo perché sei un po’ bassa.» mi tranquillizzò. «Sono sicuro che sei magnifica quando fai capriole con i pompon. Il viola e l’ora si abbinano bene ai tuoi colori.»
    Rimasi a bocca aperta, ma sapeva davvero tutto quanto? Perfino i colori della squadra della mia città? Essere un Veggente significava davvero tutto questo?
    Cercai gli occhi di Zach, mentre tenevo i palmi premuti contro il vetro della porta dietro di me, quella poteva essere una via d’uscita, probabilmente l’unica. Lui scosse impercettibilmente la testa, intuendo le mie intenzioni.
    Tirai il blocco della serratura, leggermente in rilievo rispetto al resto della porta, dischiudendola appena, appena, uno spazio sufficiente a far scappare solo me. Perché no?
    «Non farlo.» ordinò brusco. Fece un mezzo passo laterale verso il punto in cui Romeo aveva lanciato il coltello. «I miei ordini non si discutono, sono il tuo caposquadra.»
    Romeo sventolò una mano dietro di lui continuando a studiarmi, sembrava voler scoprire quello che avrei fatto. Quello di cui ero capace. «Ti dirò, secondo me te la cavavi meglio quando eri il sottoposto di Lanter, eri vagamente pericoloso.»
    Sgranai gli occhi, era il loro caposquadra che era morto, Wood lo aveva detto, ora lo ricordavo, Zach aveva preso il suo posto. Eppure era così logico: perché uccidere un nerd occhialuto che non avrebbe mai creato alcun problema? Molto meglio eliminare un ragazzo forte e capace che si rivelava un pericolo.
    Rise. «Io ti trovavo incredibilmente divertente, da quando ti sei rammollito questa città è diventata così noiosa… sto addirittura pensando di mandare una spia all’interno della vostra squadra per creare un po’ di scompiglio.»
    Obbiettivamente, Romeo era un tipo decisamente loquace.
    Zach strinse i pugni, le nocche gli diventarono bianche, ma fece un altro mezzo passo ignorando le sue provocazioni. «Becky, fidati di me.» disse con voce ferma. Si avvicinò ancora, ma con troppo impeto, reso imprudente dal nervosismo. Perfino io sentii il passo troppo pesante.
    Guardai il Veggente che sorrideva davanti a me: non lo stava imbrogliando, non c’erano speranze che potesse coglierlo di sorpresa. Se fossi rimasta, se avessero combattuto per me, come sembrava intenzionato a fare Zach, non sarebbe stato lui a perdere.
    Tornai a fissarlo, se mi nascondevo nella stazione avrei guadagnato tempo e forse gli avrei evitato uno scontro. «Hai detto che mi avresti preso.»
    Mi infilai dentro la stazione, prima che potesse ribattere qualcosa che mi avrebbe scoraggiata, e tirai forte il maniglione per richiudere la porta, terrorizzata all’idea che Romeo me lo impedisse; ma non lo fece. Sentii Zach imprecare, gli occhi verdi sgranati, e lo vidi scattare verso destra per raggiungermi.
    Romeo non si mosse, non sembrava affatto sorpreso o preoccupato dagli sviluppi della situazione, continuò a guardarmi divertito. «Tu lo sai, vero, Becky, che così siamo rimasti soli?»
    Sbiancai spaventata e lui si allontanò ridendo.
    Deglutii: dovevo rimanere calma, dovevo nascondermi.
    Mi guardai intorno, la stazione deserta era illuminata dalla luce artificiale, non c’era nemmeno un punto d’ombra. Solo in quel momento capii l’importanza delle zone buie fuori di lì: non erano per far nascondere i Veggenti, ma i Veglianti in caso di emergenza. Presi fiato, costringendomi ad evitare distrazioni; osservai indecisa il cartello che indicava i bagni, ma, se mi avesse trovata, chiusa lì dentro sarei stata in trappola. Volevo avere una via d’uscita.
    Tornai verso la banchina.
    Sicuramente Zach sarebbe passato dai binari. Non sapevo perché, ma ero certa che non ci fosse una seconda entrata, o almeno, ero sicura che non sarebbe stata aperta. Se fossi rimasta nei paraggi ci saremmo trovati prima; sì, ma da che parte?
    Improvvisamente tutte le luci della banchina si spensero contemporaneamente. Di chi era stata quell’idea? Mi lanciai un’occhiata alle spalle per controllare che non ci fosse nessuno e decisi che io ne avrei approfittato in ogni caso.
    Mi inginocchiai e scivolai sotto una panchina. Quando appoggiai la mano a terra qualcosa si mosse, un insetto probabilmente, mi morsi le labbra per non lasciarmi sfuggire nessun verso. Per un secondo non riuscii ad impedirmi, scioccamente, di preoccuparmi che quell’animale mi si infilasse nei capelli, come se non fosse mille volte meglio togliere un ragno dai miei ricci, che rischiare di fare una brutta fine subito, appena arrivata.
    Ed io che progettavo di sopravvivere per novanta giorni circa, ero stata decisamente ottimista.
    Dei passi che si avvicinavano svuotarono la mia mente da ogni pensiero, appuntai le orecchie; non erano i passi di Zach, erano strascicati, lenti. Mi rimpicciolii di più ed iniziai a controllare ogni mio respiro per renderlo il più silenzioso possibile, i capelli mi si appiccicavano al collo sudato. Perché il mio cuore batteva così dannatamente forte?
    Chiusi gli occhi e mi intimai di stare immobile e calma: ero solo un fagottino sotto una panchina al buio, chi poteva vedermi?
    «Toh! Si è fulminata una lampadina…» commentò. «La cosa simpatica è che è stato Zachy a farlo.» rise. «Pensava di mettermi in difficoltà.»
    Chi non aveva bisogno degli occhi per farlo.
    Romeo si accovacciò davanti a me, strisciai in avanti cercando di scappare, ma lui mi afferrò una gamba per stanarmi; provai a scalciare, ma lui aveva già pronta l’altra mano per bloccarmi. Come si faceva a cogliere di sorpresa qualcuno che conosce già le tue mosse?
    Quando mi strattonò fuori dal mio rifugio, mi rannicchiai e nascosi il viso dietro i pugni chiusi, lasciando comunque in mostra tutta una serie di punti in cui sarei potuta essere ferita mortalmente.
    Ridacchiò sottovoce. «Ne hai di strada da fare, piccina.» lasciò le mie gambe per afferrarmi polsi e me li scostò dal viso.
    Provai ad urlare, ma, non appena aprii la bocca, me la tappò con un palmo. Affatto scoraggiata, anzi determinata a sfruttare il vantaggio di essere tenuta con una sola mano, presi a dibattermi con più energia.
    Sorrise, crudelmente divertito dai miei sforzi inutili. «Piccola, ma agguerrita.»
    Mi bloccai e lo fissai. Da quanto sapeva che sarei arrivata?
    Romeo mi studiò tutta e si morse le labbra, sembrava combattuto. «Non so che fare.»
    Mugugnai mentre mi davo della stupida: se mi fossi incamminata sui binari, Zach mi avrebbe già trovata; se mi fossi nascosta nel bagno, avrei potuto opporre maggiore resistenza da dietro una porta chiusa; se fossi rimasta dove ero Zach almeno sarebbe stato lì. Se fossi sopravvissuta a quella notte, avrei assolutamente dovuto imparare a fare scelte più furbe, o il fatto che fossi agguerrita non sarebbe servito a gran ché.
    «Ryan mi ha suggerito di ucciderti per non correre rischi, io sto pensando di farti un regalo.» mi sorrise. «Sembri una tipetta molto sveglia, chissà che non mi torni utile.»
    Rimasi immobile, gli occhi fissi dove sarebbero dovuti essere i suoi a supplicarlo di risparmiarmi. Lasciarmi andare non poteva creare questa grande differenza, ci aveva messo così poco a rendermi inoffensiva.
    «Il problema è che se scommetto su di te e ti riveli un errore, mi uccidi.» mormorò.
    Mugolai una protesta, come potevo ucciderlo? Con la forza del pensiero? Nemmeno nei miei sogni.
    «Regola numero uni di una buona Vegliante: mai sottovalutarti.» si bloccò. «Shh!» mi intimò.
    Obbedii e riconobbi alcune voci chiamare il mio nome. Zach aveva chiesto aiuto.
    Cercai di dimenarmi con tutta me stessa, mi fosse rimasta anche solo una briciola di energia l’avrei usata per cercare di liberarmi.
    «Ok, ho deciso.»
    Restai ferma, anche il mio cuore si fermò, in attesa di scoprire quale fosse il mio destino. Chiusi gli occhi mentre promettevo a me stessa che, se mi fossi salvata, non avrei mai più permesso a nessuno di decidere della mia vita e della mia morte. Sarei diventata una brava Vegliante, mi sarei impegnata… sapevo che non sarei riuscita a diventare un pericolo per Romeo, ma almeno avrei protetto me stessa.
    Spostò la mano sul mio viso in modo da tapparmi il naso.
    «Non soffocare da sola.» ordinò prima di infilarmi un dito in bocca.
    Sapeva di marcio, di acido, di morte e putrefazione. Mi divincolai e lo spinsi via. Presi un profondo respiro, ma anche l’aria sapeva di marcio, acido, putrefazione e morte.
    «Questo è per Nate.» disse, ma non vidi cosa mi mise in tasca, impegnata a girarmi carponi per non soffocare, mi sembrava che i miei polmoni non riuscissero ad incamerare abbastanza ossigeno. «Ricordatelo, è importante.» mi avvisò prima di scomparire.
    Finalmente sola, non riuscii ad impedirmi di vomitare sulla banchina, tremante per i brividi.

Passarono anni, forse mesi, probabilmente non molti minuti.
    Mi sentivo febbricitante, avevo i brividi. Avrei scambiato tutto quello che avevo per essere nel mio letto in quel momento, sotto strati di coperte, con mia madre che mi porgeva qualcosa per far abbassare la febbre. Mi serviva assolutamente qualcosa per la febbre. La testa sembrava volermi scoppiare.
    Una figura si accucciò accanto a me imprecando e fece per afferrarmi; urlai non appena sentii la sua mano sul braccio, terrorizzata che fosse un altro Veggente. Cercai di allontanarlo debolmente e ci riuscii. Mi sentivo stordita, ma non ero stupida: se c’ero riuscita, non era un Veggente
    «No, Becky, tranquilla! Sono Nate, un amico.»
    Quando vomitai di nuovo, mi tenne indietro i capelli.
    «Court, Matt! È qui!» gridò e mi abbraccio forte. «Va tutto bene.»
    Singhiozzai in lacrime e sentii il suo petto, contro il quale continuava a tenermi stretta, sollevarsi in un sospiro.
    «Starai bene.» mormorò. «Vedrai, che starai bene.» mi aiutò ad alzarmi, praticamente mi tirò su lui, e mi guidò verso la panchina sotto la quale mi ero nascosta, per farmi stendere. Mi sembrava di avere lo stomaco contorto, la vista annebbiata. Riconobbi una paio di occhiali dalla montatura nera, gli stessi del ragazzo che avevo creduto fosse Josh, ed una giacca verde che usò per coprirmi.
    Strinsi le braccia sulla pancia e cercai di placare i conati. Il ragazzo che mi aveva soccorso, mi girò su un fianco.
    «Meglio?»
    Aspettati immobile. Forse era per il freddo della panchina sotto la mia guancia, incredibilmente piacevole, o forse il mio stomaco si era svuotato del tutto, ma sì, andava meglio.
    Annuii e chiusi gli occhi. Mi sembrava di avere un chiodo arroventato che spingeva per sfondarmi il cranio, all’altezza della tempia.
    «Nate, togliti.» ordinò una voce femminile.
    Nate.
    “Ricordatelo, è importante.”
    Una mano incredibilmente fresca mi accarezzò la fronte. «Accidenti, come scotti!» o forse ero io che ero troppo calda.
    Dischiusi le palpebre ed infilai una mano nella tasca, dove avevo sentito frugare il Veggente. Strinsi qualcosa nel palmo e lo allungai verso l’ombra con gli occhiali.
    «Ancora regali per te, eh? Zachy diventerà geloso.» commentò una voce maschile che non conoscevo.
    «Sta zitto, Matt.» intimò. Questa volta riconobbi il timbro, era Zach. «Che le ha fatto?»
    «Non lo so, l’ho trovata così. Tu sei ferito?» chiese Nate.
    Un sospiro. «Volevano solo tenermi impegnato per non disturbare Romeo.»
    «Jean era stata chiara: niente missioni solitarie.» gli ricordò la voce femminile.
    «Ha avuto paura ed è scappata, che facevo non cercavo di salvarla?»
    Non era stata la paura, mi era sembrata la cosa più logica da fare, ma mi sentivo troppo stanca per parlare.
    «Avresti dovuto aspettarci!»
    «E voi avreste dovuto sbrigarvi!»
    Mi sporsi oltre la panchina per vomitare di nuovo, forse stavo sognando, ma sentivo ancora quell’odore dolciastro e disgustoso.
    «Cavolo!» si lamentò la ragazza.
    «Siamo stati veloci.» sbottò… Matt, sì, l’altra voce maschile si chiamava Matt. «Ho fatto un tragitto di mezz’ora in dieci minuti, se vuoi che vada più veloce dammi un jet.»
    «Ok, basta.» li interruppe di nuovo la ragazza. «Bisogna portarla a casa, sta male.»
    «Che potrebbe essere?» chiese Zach.
    Titubò prima di rispondere. «Non lo so.»
    Per alcuni secondi nessuno disse niente o si mosse, come se tutti avessero riconosciuto la bugia nella sua voce. Beh, in fondo l’avevo riconosciuta anche io. Poi qualcuno mi prese in braccio. Appoggiai il viso contro il torace di chi mi stava trasportando – Zach, mi sembrava di vederlo – ed ignorai l’emicrania che si accentuava con i battiti veloci, assordanti del suo cuore.
    Ero salva, ero viva. Per il momento.
    «Zach, questa la devi vedere.» disse forse Nate.
    «Cosa?»
    «È una mappa, ci sono bombe per tutta Synt.»
    Sospirò. «Cerca un tragitto da qui a casa che le eviti.»
    «Non c’è.»
    «Quello in cui ci sono meno?»
    Ci fermammo.
    «Minimo tre.»
    «Cazzo.»
    Nessuno fiatò.
    «Hai detto che aveva un telecomando.» gli ricordò Matt. «Una o mille non fa la differenza, se vuole farci saltare ci farà saltare.»
    «Quindi che proponi?» domandò Zach.
    «Di andare a casa. Non vuole ucciderci o l’avrebbe fatto.»
    «Ci fidiamo di un Veggente?!» sbottò a voce alta, indignato. «Di Romeo, per la precisione?!»
    Mugugnai una protesta perché tenesse il tono più basso.
    «Scusami.» sussurrò. «O ci fidiamo o ci accampiamo qui.»
    Decisero di fidarsi.



non mi ricordo con quale logica ho realizzato che in mezzo a tanti nomi stranieri il cattivo si sarebbe dovuto chiamare Romeo... vi assicuro che c'era però...
non so che dirvi, in realtà... boh... abbiamo l'eroe che non "eroeggia"... il cattivo logorroico... Nate, voglio bene a Nate... Courteney... e Matt...
nel prossimo capitolo, li conosciamo meglio... dio, il terzo capitolo e stai già morendo... piccina, ne hai proprio tante di cose da imparare!
baci
uh! dimenticavo una cosa importante!
grazie del sostegno che mi state dando, tutte quante in tutte le forme, nonostante vi abbia detto che potrei essere una pippa a scrivere questa storia!


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Capitolo 4
*** 4/1. Zona gialla ***


mitronio 2
fragolottina's time
buongiorno, mie care... c'è ancora qualcuno?
mi scuso per il ritardo, ma vi risparmio tutta il discorsone sul perchè e per come... ma ora eccoci!
dunque questo capitolo è più breve degli altri - perchè l'ho diviso, ringraziatemi o si sfioravano la mille mila parole - ma è denso!
entriamo un po' nel vivo della situazione!


4.
Zona gialla


Non ero sveglia. Ero cosciente. E lo ero perché la testa mi faceva ancora male da impazzire, e loro continuavano a parlare.
    «Courtney, dimmi cosa pensi sia stato.»
    Era Jean ed evidentemente c’era anche la ragazza che mi aveva soccorso. Quanto tempo fa era successo?
    «Zach mi ha detto che fai la vaga ed è preoccupato.»
    «Beh, dovrebbe smetterla di preoccuparsi. Dopotutto ci si è cacciata da sola in questa situazione, no?»
    «Courteny Williams!» la rimproverò Jean brusca.
    Un sospiro. «Intossicazione da Mitronio.» esclamò risoluta. «Febbre alta perché attacca le cellule neurali, vomito perché tenta di rigettare l’antidoto.»
    Silenzio. «Il Mitronio non funziona con i Veglianti, te ne sei dimenticata?»
    «No.» sbottò, infastidita. «Ma i sintomi sono quelli, se non è Mitronio è qualcosa che gli somiglia…» si interruppe per quella che fu un’eternità. «Un Mitronio per Veglianti, magari.»
    Ancora silenzio.
    «Zach dovrebbe preoccuparsi più di questo che di lei.»
    «E se fosse una Veggente? Se ci fosse stato un errore?» chiese ignorando il suo commento poco carino.
    «Non è così sveglia e Romeo non avrebbe avuto motivo di attaccarla.»
    «L’ha risparmiata, magari è d’accordo con lui.»
    La ragazza titubò per un istante. «Credi sia possibile?» domandò, preoccupata dall’idea.
    Una mezza risata. «No, ma preferisco credere che lei sia una spia, piuttosto che tutti i Veggenti là fuori abbiano armi in grado di abbatterci in un solo colpo.»
    «La terrò d’occhio.»
    Una sedia si spostò. «D’accordo, per ora tieni le tue ipotesi per te.»

Aprii gli occhi.
    Sul momento aspettati che il dolore invadesse di nuovo la testa, o che lo stomaco desse cenno di instabilità, ma non accadde. Se mi fosse stato concesso di sbilanciarmi, avrei detto di star bene. Seduta accanto a me su una sedia, c’era la ragazza dai lineamenti asiatici che avevo visto sulla foto dei Veglianti di Synt; leggeva un libro di cucina, mi chiesi se non fosse la stessa che avevo sentito parlare nella semi-coscienza. Fissai la copertina di quel volume senza vederla davvero per quella che mi sembrò un’eternità, prima che lei si accorgesse che ero sveglia.
    «Uh, bentornata!»
    No, non era la stessa voce.
    Sbattei le palpebre e mi guardai intorno, era tutto bianco e c’era odore di disinfettante. «Sono in ospedale?» domandai, avevo la voce arrochita per essermi appena svegliata.
    La ragazza scosse la testa, aveva i capelli così neri da sembrare tinti con l’inchiostro, lisci e lucidi come le penne di un corvo; creavano un contrasto fin troppo netto con la sua pelle pallidissima. «Gli ospedali non sono sicuri per noi, sei in infermeria.»
    Continuai a fissarla.
    «A Synt, nella stazione dei Veglianti.» da come mi guardava, immaginai di non avere l’aria molto sveglia. «Ti ricordi, vero?»
    Annuii, ricordavo tutto. L’Asta, il viaggio in treno con Zach, gli occhi verdi di Zach. Ricordavo anche cose che avrei preferito dimenticare, come i capelli rossi di Romeo, o la sua voce.
    «Tu sei una Vegliante?» chiesi.
    Era magrissima, un pugno d’ossa spigolose, che in ogni caso la rendevano carina, fragile, molto femminile. Soprattutto perché aveva unghie e labbra colorate di un rosa baby, decisamente poco minaccioso, e ciglia così folte e così lunghe da poter essere solo finte.
    «A-ah.» rispose senza particolare attenzione, tornando a sfogliare il suo libro che, ora che ero più sveglia e più attenta, mi accorsi conteneva ricette giapponesi e cinesi. Bizzarro.
    Si accorse che lo guardavo e fece un mezzo sorriso. «Mia madre ha paura che dimentichi le mie origini.» si giustificò.
    «Oh, sei nata in Giappone.»
    Era alquanto strano, parlare delle origini di una ragazza sconosciuta mentre ero stesa in un letto che non conoscevo, in una città che si era dimostrata altamente ostile nei miei confronti, a pochi secondi dal mio ritorno dall’oblio. Nel quale non sapevo – tra l’altro – per quanto tempo ero rimasta immersa.
    Scosse la testa, anche i suoi occhi erano molto scuri, si riusciva a stento a riconoscere la pupilla dall’iride marrone. «Non ci sono mai stata.» si strinse nelle spalle con noncuranza. «Lasciare lo Stato è diventato un po’ impegnativo da quando si teme un’emigrazione di Veggenti verso lidi più sicuri. Hanno tutti paura che se ne vadano a riorganizzarsi in Australia.»
    La osservai senza capire e lei dovette immaginare la mia confusione.
    «Niente squadre di Veglia lì.» mi spiegò.
    Per alcuni secondi rimasi a fissarla in silenzio, poi deglutii. «Che mi è successo?» la mia voce continuava ad essere roca e grattava sulla mia gola irritata.
    La ragazza si alzò e mi si avvicinò, spinse un pulsante accanto al letto ed i cuscini iniziarono a sollevarsi finché non mi trovai quasi seduta. «Vado a chiamare Courtney.» mi sorrise rassicurante. «Saprà spiegarti tutto.» disse e si diresse verso la porta della stanza con passi così silenziosi che, se avessi chiuso gli occhi, avrei pensato che stesse volando.
    Restai sola.
    Provai a sollevare il busto senza appoggiarmi al letto e mi tolsi le coperte di dosso. Ero vestita come ero stata all’Asta, stessi jeans e stessa maglia blu, mancavano soltanto le scarpe: non mi avrebbero lasciata con gli stessi vestiti se fossero passati molti giorni, riflettei.
    Mi bloccai: i miei genitori dovevano essere terribilmente preoccupati, non avevano mie notizie… da quanto?
    Dovevo trovare il mio cellulare.
    Strinsi i pugni, poi le dita dei piedi e, quando fui abbastanza sicura di tenermi dritta, scivolai giù dal letto. Sul momento la mia testa fece un giro così vorticoso, che dovetti sostenermi al materasso per non cadere, poi però si stabilizzò. Forse dovevo essere più cauta.
    Seguii il bordo del letto, mantenendo una mano sulle coperte, e mi chinai per vedere se i miei bagagli fossero lì sotto. No. Mi guardai intorno sospirando, un letto, due sedie ed un piccolo tavolo con sopra un bicchiere d’acqua: non c’era nient’altro, nessun posto dove nascondere qualcosa.
    Spostai lo sguardo sulla porta chiusa dalla quale era uscita la ragazza asiatica: ero rimasta chiusa in quella stanza fin troppo. Tre passi mi dividevano dalla porta, ce la potevo fare.
    E ce l’avrei fatta se, proprio quando stavo per appoggiarmi alla maniglia, qualcuno non avesse aperto di botto facendomi prima sussultare, poi perdere l’equilibrio.
    Per fortuna fu abbastanza sveglio da sorreggermi per un braccio, dandomi modo di scoprire che era lo stesso dell’ultima volta che avevo chiuso gli occhi: evidentemente, quel ragazzo aveva votato la sua vita alla mia sopravvivenza. Se non ricordavo male si chiamava Nate.
    «Ehi!» esclamò sorpreso, tenendo un vassoio in equilibrio su una mano ed il mio braccio saldo nell’altra. «Lynn aveva detto che ti eri svegliata, ma non credevo fossi tanto sveglia. Come stai?»
    «Io… ecco…»
    Era davvero molto alto e dinoccolato, gli occhi erano arrossati e scavati da profonde occhiaie, un peccato perché erano di un bell’azzurro vivace anche dietro le spesse lenti degli occhiali.
    Avrei voluto dirgli miliardi di cose, ma l’unica parola di senso compiuto che riuscii a formulare sul momento fu un: «Grazie.»
    Non mi rispose, arrossì imbarazzato e mi indicò con un cenno del capo il letto ormai vuoto. «Non dovresti stare di già in piedi.» mi rimproverò con delicatezza. «Courtney mi ha detto di farti mangiare e di farti stare a letto.»
    Sospirai, scontenta.
    «Ti spiegherò tutto quello che vuoi sapere.» si offrì.
    La proposta era quanto mai allettante, visto e considerato che avevo scoperto di essere – probabilmente – una Vegliante e nemmeno ventiquattro ore dopo avevo rischiato la vita. Il mezzo ricordo di Jean che si chiedeva se potessi essere una Veggente mi punse la coscienza, ma lo cacciai via. Stavano scherzando, giusto? Io non ero una Veggente. Già avevo i miei guai ad essere una Vegliante.
    Decisi che sapere era più urgente che mettere di nuovo le mani sul mio cellulare, così arretrai fino al letto e mi ci sedetti sopra. Nate si sistemò sulla sedia accanto e mi mise il vassoio in grembo. La mia cena consisteva in un piatto di carne stufata con i fagiolini, una bottiglietta di acqua da mezzo litro, due fette di pane, una mela ed una banana.
    Mi attaccai immediatamente all’acqua scoprendo solo in quel momento di avere una sete pazzesca; me ne scolai una metà e lo guardai. «Come sto?» chiesi affrontando subito il problema più urgente, magari mentre mi apprestavo a mangiare lo stufato – che aveva un’aria molto invitante – all’interno stavo marcendo lentamente.
    «Il medico ti ha fatto tutte le analisi del caso e Jean gliele ha fatte ripetere per essere sicura…» sorrise. «Fondamentalmente stai benissimo.»
    Mi bloccai. «Allora, cosa ho avuto?»
    Ricordavo fin troppo bene il malessere, la nausea, quell’odore disgustoso.
    Si appoggiò allo schienale della sedia ed accavallò le gambe distogliendo lo sguardo dal mio per pensare. «Ti dirò, tutti si affannano e si preoccupano. Secondo me è stato un crollo nervoso, troppi shock improvvisi ai quali non eri preparata.»
    Presi un boccone di carne e lo portai alla bocca, masticai lentamente mentre riflettevo. Sicuramente tutto quello che era successo era stato inaspettato ed in una qualche misura mi aveva terrorizzata e scioccata, ma non credevo abbastanza da farmi venire la febbre, rigirarmi lo stomaco come un calzino e farmi stare addormentata per…
    «Quanto ho dormito?» chiesi ad occhi bassi, riposai la forchetta accanto al piatto.
    «Non tanto come credi. Sei rimasta priva di sensi una decina di ore.» sorrise. «Per un Vegliante è quasi normale, sai?»
    Mi si prospettava proprio un bel futuro.
    «Solo Zach era ansioso, è rimasto qui ad aspettare che ti si abbassasse la febbre per tutta la notte. Courtney ha dovuto chiedere aiuto a Jared per convincerlo a farsi dare una medicata.»
    Non chiesi di Jared, non mi interessava. Per un attimo il mio essere prevalentemente una liceale prese il sopravvento e mi fece scoprire contenta che fosse rimasto a controllare che stessi bene; poi pensai che magari certe situazioni erano romantiche solo sui telefilm e sui libri: lui era un caposquadra, in fondo doveva controllare che stessi bene.
    Il mio appetito si allontanava ogni secondo un po’ di più: non potevo più permettermi di pensare da liceale. «Com’è essere un Vegliante?» gli domandai, fissandolo negli occhi per essere sicura che non mi mentisse. Non sembrava proprio un tipo bravo a dire bugie, sembrava in tutto e per tutto un nerd e di solito io ero simpatica ai nerd.
    «Non lo so.» rise. «Io non mi ci sento. Niente ronde notturne per me. Con quello che so fare, sarei il primo che Romeo proverebbe a far fuori.»
    Lo osservai curiosa. «Che sai fare di tanto pericoloso?»
    Estrasse un palmare dalla tasca dei pantaloni. «Gestisco le telecomunicazione ed ho creato una rete di videocamere che nemmeno Romeo è riuscito ad hackerare.» annunciò orgoglioso.
    Feci un sorrisetto: l’avevo detto io.
    «Cioè?» lo incalzai sperando che avesse voglia di tradurre la sua meravigliosa capacità anche nella mia lingua.
    Mi allungò il palmare per farmelo sbirciare, sullo schermo c’era una specie di ciambella gialla. «Synt è divisa in luoghi diurni e notturni.» mi indicò il buco della ciambella. «Tutto quello che resta chiuso e disabitato durante la notte è nella zona gialla, tutti gli abitanti sono dentro. La zona gialla è completamente monitorata da un intrigo di telecamere infallibili. Ci sono solo due punti ciechi e sono così piccoli, che Romeo dovrebbe essere un topo perché possa nascondercisi.»
    Sfiorò il palmare e l’immagine si modificò leggermente, la ciambella si divise in vari settori nominati con i punti cardinali. «Quando un Veggente si fa vivo parte un allarme e noi abbiamo tre chilometri per rimandarlo indietro o…» si bloccò.
    «Ucciderlo.» dedussi io mentre lui ritirava il palmare.
    «Già, ma nessuno vuole uccidere nessuno.»
    Lo studiai frustrata. «Non ho capito perché sei tanto importante.»
    Fece un sorriso amaro. «Dovrei parlare al passato.» borbottò più a sé stesso che a me. «Sono l’unico ad avere i codici per disattivare le telecamere, li cambio tutte le sere. Ho lasciato solo un canale dove Romeo può parlarmi.»
    Sgranai gli occhi. «Parlate?» chiesi incredula.
    «Commentiamo le rispettive strategie.» rispose tranquillo dondolandosi indietro sulla sedia. «Credo che tutto sommato rispetti il mio lavoro. A volte sembra quasi che voglia tirarmi dalla sua parte.»
    Lo fissai vagamente allarmata.
    Nate rise della mia espressione. «Non preoccuparti, sono convinto che se uscissi di qui mi farebbe fuori non appena mi trovassi a portata di proiettile, ma… beh, è la persona più geniale che conosca, sentirsi lodare da lui è piacevole.»
    «Funziona?» domandai riferendomi alla strategia “ciambella”.
    «Funzionava.» si strinse nelle spalle e sospirò ricadendo con tutte le gambe della sedia a terra. «Ora la zona gialla è stata ridotta, non siamo in grado di pattugliarla tutta, parte delle zone diurne sono fuori dalla nostra protezione. Ci siamo trovati con la centrale elettrica fuori dalla zona gialla. Io posso mettere tutti i codici del mondo, ma se loro possono semplicemente staccare la spina non è molto utile.» commentò decisamente contrariato, poi però abbassò lo sguardo, quasi si fosse pentito. «Non ascoltarmi, sono arrabbiato perché sono diventato praticamente inutile.» ritrattò. «Capisco bene perché Zach si limita ad azioni difensive e perché non intende scatenare una guerra per la riconquista del territorio, è un rischio enorme!»
    «Ma tu pensi che ne varrebbe la pena.» conclusi.
    «Non lo penso, è così.» precisò. «Se ci fosse ancora Josh, se Zach si sentisse ancora tanto sicuro di sé da sfiorare la strafottenza le cose sarebbero diverse. Dal punto di vista strategico la morte di Josh è stata la cosa migliore capitata ai Veggenti, hanno tolto la voglia di divertirsi a Zach.»
    «Divertirsi?»
    «A-ah.» sorrise. «Sai, Zach credeva di essere invincibile ed io avevo imparato a memoria tutte le strategie belliche usate dai Veggenti di tutto il mondo.»
    «Come diavolo hai fatto?» chiesi incredula, io avevo problemi con le poesie.
    Mi guardò furbo. «Memoria fotografica. Il succo è che esistono degli schemi.» disegnò un quadrato nell’aria con un dito. «E se disponi le tue forze in un certo modo, probabilmente ti prepari a colpire un determinato obbiettivo. Ovviamente c’è un margine di errore, Romeo è imprevedibile, l’ho visto fare cose incredibili. Ma se te la giochi prima o poi vinci, Zach era il tipo di persona disposto a giocarsela per vincere.»
    Pensai a come mi era apparso, terribilmente controllato, preciso, il passo di marcia in treno; non riuscivo a sovrapporre il ritratto che Nate gli stava dipingendo.
    «Poi che è successo?»
    Nate sospirò. «Josh è morto. Ha scoperto di non essere invincibile. Ed io gioco con le mie telecamere rotte.» guardò il mio vassoio, c’era ancora una buona porzione di stufato sopra. «Ti ho tolto l’appetito.» si rimproverò con un sospiro.
    Stavo per rispondere, ma proprio in quel momento entrò una ragazza con una tuta da ginnastica azzurra, sudatissima. Aveva gli occhi blu, i capelli biondi, le labbra morbide e le guance rosa. Era alta e flessuosa, non magrissima come la ragazza asiatica – Lynn, aveva detto Nate – ma decisamente snella. Se aveva frequentato il liceo era stata sicuramente una reginetta del ballo, nonché capo cheerleader, nonché sogno proibito di tutti gli studenti dell’istituto.
    «Ce l’ha fatta!» esclamò decisamente scocciata nel guardarmi, come se mi fossi presentata incredibilmente in ritardo ad un appuntamento importante.
    «Come sta Zach?» chiese Nate.
    «Contusioni, qualche graffio. Sta bene.» mi si avvicinò e mi posò una mano sulla fronte. «Anche tu stai bene, puoi iniziare a renderti utile.» disse gelida. Beh, a differenza dei nerd di solito a quelle come lei non andavo molto a genio.
    «G-grazie.» mormorai mentre si voltava per dire qualcosa a Nate.
    Si bloccò e si voltò di nuovo, furiosa. «Non ringraziarmi, mi occupo dell’infermeria, è il mio lavoro, non l’ho fatto perché volevo. Sei stata sciocca, avventata, hai messo in pericolo Zach.»
    Deglutii, non sapevo di avere tante colpe.
    Lei prese fiato, se non l’avesse fatto probabilmente a quel punto avrei avuto le sue cinque dita stampate sulla faccia. «Non ringraziarmi, se non fosse che poi si sarebbe sentito in colpa avrei preferito seppellirti.»
    Simpatica.
    «Non pensi di esagerare, Court?» la riprese Nate.
    Si voltò bruscamente verso di lui schiaffeggiandomi con i suoi capelli. «L’ultima cosa che voglio è occuparmi di una ragazzina da salvare.»
    Scosse la testa stralunando gli occhi. «Perché non pensi ad altro? Me ne occupo io.» si offrì.
    «Mi spieghi perché tutti l’avete presa così a cuore?» chiese evidentemente infastidita dalla cosa, forse le stavo rubando l’attenzione.
    «Perché anche tu sei stata una ragazzina da salvare!» la prese in giro. «Siamo ottimisti, magari scopriamo che ha delle qualità come te.»
    Beh, per essere un nerd aveva la lingua lunga.
    Courtney lo fulminò con lo sguardo, ma poi rise, falsa e rumorosa. «Non credo proprio. Comunque ora è un tuo problema!» si congedò sbattendo la porta.
    Continuai a guardare l’uscio dal quale era uscita un po’ perplessa, mi aspettavo che almeno un persona provasse a conoscermi prima di confinarmi nella propria lista nera.
    «Non prendertela, Court è preoccupata.» cercò di giustificarla Nate debolmente.
    «Per me?» domandai guardandolo di sbieco, non mi sembrava esattamente un’ipotesi possibile, aveva confessato che avrebbe preferito seppellirmi.
    «Per Zach.» spiegò.
    «Perché?»
    Sospirò senza guardarmi. «Perché sta andando in pezzi.»
    Per alcuni secondi nessuno di noi due parlò.
    «La vuoi vedere la tua stanza?» mi chiese dopo un po’.

Fuori dall’infermeria la stazione dei Veglianti di Synt era simile ad un dormitorio. Prima di iscrivermi alla scuola pubblica della mi città avevo visitato un liceo privato, aveva possibilità di pernottamento come i college ed era molto simile a quell’edificio.
    Nate mi spiegò che al piano inferiore c’erano la cucina e la mensa, mentre nel seminterrato la palestra e tutto quello che serviva per allenamenti, addestramenti, sfogare lo stress.
    «C’è anche una meravigliosa piattaforma di videogiochi.» mi rivelò entusiasta.
    L’infermeria era sullo stesso piano delle camere da letto, un lungo corridoio di stanze una davanti all’altra; otto in tutto, più il bagno. La mia camera, nello specifico, si trovava davanti a quella di Nate – c’era una targhetta sulla porta che indicava il nome di ognuno – tra quella di Courtney e quella di Zach. Mi chiesi se lui fosse dentro.
    Nate entrò prima di me e tolse dall’interno la chiave della porta. Me la porse, c’era appeso un cartellino con scritto “Joshua Lanter”. Strinsi la targhetta nel pugno, tutti parlavano di quel ragazzo come se fosse speciale, come se ora si sentissero persi; sperai che essere nella sua vecchia camera mi avrebbe portato fortuna, ma anche che nessuno si aspettasse le sue stesse capacità da me.
    All’interno la stanza era semplice, non molto diversa dall’infermeria: c’era un letto a due piazze, un armadio, uno smart-table con una sedia davanti ed una cassettiera. Le mie valigie erano accumulate accanto al letto, vicino c’erano le mie scarpe. Sarei corsa a frugare alla ricerca del cellulare, se qualcos’altro non avesse attirato la mia attenzione come una stella in implosione.
    C’era un poster proprio davanti al letto, era in bianco e nero. Raffigurava un ragazzo che scappava con un bambino stretto tra le braccia davanti ad una casa. La zona gialla non aveva mai funzionato così bene, perché quel ragazzo era palesemente Romeo.
    Ma incredibilmente non era quello il particolare più interessante. Quello che mi turbava era un elemento estraneo, anche se non riuscivo a riconoscerlo; un dettaglio che non sarebbe dovuto essere lì, qualcosa di fuori luogo, che rendeva tutto quasi grottesco. Era come giocare ai giochi da enigmistica, “Questa immagine contiene un errore, riesci ad individuarlo?”. Sai che c’è, ma non lo vedi.
    «Cos’ha di strano questa foto?»
    Nate mi si avvicinò. «Non lo so.» sospirò. «È una delle poche foto chiare che abbiamo di Romeo. Quando Josh è tornato passava le ore a fissarla, come se ci vedesse qualcosa che noi proprio non riuscivamo a cogliere.»
    Come me.
    Scrollò le spalle. «Comunque immagino che, se chiedessi a Jean, ti permetterebbe di toglierla.»
    Ma io non volevo toglierla.
    Non glielo dissi. «Dove era andato Josh?»
    «Romeo l’aveva rapito.» disse senza guardarmi.
    Mi voltai verso di lui, confusa. «L’ha rapito, per poi lasciarlo andare, per poi ucciderlo?» domandai, mi sembrava un logica un po’ distorta.
    Nate mi guardò. «Non l’ha ucciso lui.» rivelò. «Josh si è suicidato.»



ci sarebbero proprio tante cose da dirve... ma ovviamente non ve le dico!
che stiamo a fare qui sennò!
vi preannuncio che nel prossimo capitolo c'è Zach, però... che è sempre un buon motivo per venire a dare un'occhiata secondo me... poi insomma vedete voi!
spero che ci sia ancora qualcuno che abbia voglia di vedere cosa succede su questa storia!
baci

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Capitolo 5
*** 4/2. Zona gialla ***


mitronio 2 fragolottina's time
buongiorno, come vedete non mi sono suicidata, anzi, ho scritto anche la seconda parte del capitolo... ditemi che sono brava! scherzo...
comunque, come promesso c'è Zach... e succederanno un sacco di cose... preparate i fazzoletti!
no... tranqui, non per questo capitolo, ma per il futuro prossimo si!
buona lettura!


4\2.
Zona gialla


Non so perché ne rimasi così stupita, sconcertata. Non conoscevo Joshua Lanter più di quanto conoscessi il ragazzo che mi stava di fronte, avevo solo delle impressioni, trasmessemi da Zach, impressioni di affetto, rispetto, adorazione quasi. Ma un suicidio lo rendeva… diverso.
    «Si è suicidato?» chiesi in un sussurro. «Ma… perché?»
    Lo rendeva, fragile, sofferente in contraddizione con il ragazzo speciale che lottava per Synt.
    Nate scrollò le spalle e si aggiustò gli occhiali sul naso. «Nessuno di noi lo sa.» sembrava frustrato.
    «C-come?» era una domanda sciocca, conoscevo già la risposta, ma non riuscii a fare a meno di chiederlo.
    «Si è buttato dal tetto.» sospirò. «Jean lo ha visto saltare e quando si è affacciata per vedere se si fosse salvato…» si interruppe e sorrise. «Buffo come tutti vorremmo credere nei miracoli, perfino una come lei.»
    Lo studiai addolorata. «Mi dispiace.» non c’era altro da dire, nient’altro che potesse avere senso dire. Com’era sapere che il proprio eroe si era suicidato? Com’era trovarsi a chiedere perché il proprio eroe si era suicidato?
    «C’era Romeo accanto al suo cadavere.» disse senza ascoltarmi.
    Deglutii. «Credi che gli abbia detto qualcosa che…»
    Voltò il viso verso di me, gli occhi azzurri immobili nei miei. «Becky, se qualcuno può vedere il futuro, sa anche cosa dire per farti saltare da un palazzo. Josh era una brava persona.»
    Tornai ad osservare il poster, anche se era in bianco e nero i capelli di Romeo avevano l’aria rossastra comunque: il mostro nella stanza della brava persona.
    «Cheerleader!» chiamò una voce per niente amichevole dalla porta.
    C’era Zach alla porta, aveva un braccio fasciato ed un occhio tumefatto che gli rendeva l’iride ancora più verde.
    «Ciao, Zach.» salutò semplicemente Nate. «Il braccio?» domandò.
    Lui si studiò la benda bianca, come se si fosse appena ricordato che fosse lì, tranquillo. «Niente di che, ma Court ha iniziato la sua arringa sui germi e le possibilità di infezioni, così l’ho lasciata fare.» scrollò le spalle evidentemente poco interessato alla cosa. «Le bombe che mancano? Hai imparato a disattivarle?»
    «So come guidarvi, sì.»
    «Ottimo.» annuì soddisfatto, poi tornò a me, né tranquillo, né soddisfatto: sarei voluta rimpicciolire. «Cheerleader, fuori, subito.»
    «Mi chiamo Becky.» borbottai mentre lui si scansava per farmi uscire.
    «Dovrai meritartelo un nome, cheerleader.» sbottò lui di rimando e mi spinse per la schiena.
    Sovrappensiero mi chiesi se Courtney fosse stata tanto “carina” con me per qualcosa che gli aveva detto lui; se lui fosse così “simpatico” con me per qualcosa che gli aveva detto lei; o se – e questo sarebbe stato davvero incredibile per una ragazza incosciente per dieci ore – mi fossi conquistata il loro fastidio separatamente. Ero brava.
    Non appena fui in corridoio mi si parò davanti costringendomi ad arretrare, fino a trovarmi con la schiena al muro.
    «Sarò gentile perché ti sei appena svegliata.»
    Avevo i miei dubbi, ma «Ok.» risposi con gli occhi bassi.
    «Non. Si. Scappa.» disse una parola per volta, come se avessi problemi dell’udito e dovesse scandire bene ogni lettera. «Mai. Non sarai mai sola là fuori, il tuo compagno conta su di te quanto tu conti su di lui. Quindi…» mi spinse le spalle contro il muro, tenendomi ferma con le mani per costringermi ad alzare lo sguardo. Era così vicino che sentivo l’odore di menta del suo dentifricio. «Sei stata una codarda ed una stupida. Credevi di arrivare qui ed essere in grado di seminare Romeo o di riuscire a cavartela con lui da sola?»
    Non risposi.
    «Allora?» mi incalzò.
    «No.» mormorai di malavoglia. Aveva un occhio nero, un braccio fasciato ed era stato Nate a salvarmi non lui: non è che avesse proprio fatto il suo lavoro in modo impeccabile.
    Mi lasciò, ma non aveva finito, più parlava e più sembrava perdere la calma. «Credevo che fossi sveglia.» commentò ed annuì per rimarcare il concetto. «Sembravi sveglia. Hai risposto a tono a quell’idiota, non credevo che lo facessi solo perché eri dentro una scatola chiusa.»
    «Io…»
    «Vorrei sapere che ti è saltato in mente?» continuò gesticolando, definitivamente fuori controllo.
    Aveva paura. Aveva paura di cose a cui non aveva ancora pensato, ma che gli venivano in mente a mano a mano che ci si tormentava.
    Una volta avevo dato fuoco ad un foglio di carta a casa, avevo cinque anni ed anche l’orlo della mia gonna si era annerito. Mia madre aveva gridato ed aveva usato una tovaglia per soffocare il fuoco. Ero rimasta illesa, lei mi aveva abbracciata fortissimo; ma il giorno dopo mi aveva dato uno schiaffo: sul momento era stata troppo contenta che fossi sana e salva per rendersi conto del rischio che avevo corso.
    «Poteva uccidermi, ucciderti, farti del male, farne poi agli altri che venivano a prenderci.» mi indicò la porta chiusa della mia stanza, dentro c’era ancora Nate. «Lui non dovrebbe uscire e l’ha fatto per venire ad accoglierti. Non ti avrebbero abbandonata, sarebbero rimasti a cercarti e sarebbero morti uno per volta nella stazione, mentre tu te ne stavi nascosta come un fottuto coniglio.» finì per gridare.
    Lo capivo, erano troppe responsabilità per un ragazzo. «Zach…»
    «Potevano morire e la colpa sarebbe stata mia perché avevo portato a casa una recluta fifona.»
    Lo capivo, ma il suo monologo di insulti stava durando troppo. Non li meritavo.
    «Io davvero…»
    «TU NON GLI FAI PAURA!» gridai più forte che potevo per sovrastare la sua voce, con il risultato di trovarmi ansante subito dopo, il mio cuore prese a galoppare. «Per questo l’ho fatto. Tu cercavi il tuo cavolo di coltello e ti sembrava di poterci cambiare il mondo e lui lo sapeva!» risi nervosa, isterica, strinsi i pugni perché mi tremavano le mani al ricordo del ghigno assolutamente impeccabile di Romeo, quando aveva sentito Zach fare quel passo. «Lo sapevo io, non sei affatto furtivo come credi, sai?»
    Lui strinse gli occhi e vidi la sua mano muoversi quasi impercettibilmente, un riflesso involontario che gli suggeriva di armarsi e tagliarmi la testa. Stavo straparlando, ma era come se la diga degli avvenimenti dell’ultimo giorno fosse traboccata in un unico istante, non riuscivo a fermarmi. Non potevo, non dopo aver cercato di rimanere tranquilla tanto a lungo. Avrei voluto, perché, mentre la mia bocca continuava a blaterare, il mio cervello evidenziava di colori brillanti tutte le cose a cui non prestavo attenzione.
    Zach era acquattato come se stesse per balzarmi addosso, tutto il suo corpo gridava che io ero improvvisamente diventata il bersaglio da colpire. I muscoli delle braccia – gli unici che sbucavano dalla maglia a maniche corte – erano tesi, i pugni chiusi, poteva fare a botte con me senza uccidermi. Avrebbe cercato di colpirmi al viso, perché era il punto più facile da mirare e perché ero una donna: poteva farmi male, spaventarmi, senza farmi davvero male. Mi venne quasi da ridere al pensiero: probabilmente sarei stata la prima cheerleader ad azzuffarsi con un potenziale giocatore di football.
    E quella considerazione mi calmò.
    Sospirai, esasperata. «Uff, credevo che saremmo potuti essere amici, sembravi carino.» mi lamentai come una bambina di dieci anni.
    Per un attimo rimase troppo sorpreso dal mio repentino cambio di tono per parlare. «Carino?» domandò con una smorfia, come se avessi parlato in alfabeto farfallino. Effettivamente, quando sembra pronto per darmi un cazzotto, carino non era l’aggettivo più appropriato per descriverlo. Poi però tornò al nocciolo del discorso. «Tu credi di avermi salvato la vita?!» dedusse, il sarcasmo era così denso che avrei potuto tagliarlo con il coltello che aveva allacciato alla cintura.
    Fu il modo in cui pronunciò quel “tu” a farmi raddrizzare la schiena, offesa. «Sarebbe così terribile se lo avessi fatto?»
    Mi fissò scettico.
    «No.» rispose una voce che non era la sua.
    Mi voltai a guardare Jean che si avvicinava lentamente a noi, non avevo dubbi sul fatto che avesse assistito a tutta la scena.
    «Perché noi crediamo nella parità dei sessi e…» lasciò la frase in sospeso ed accompagnò l’ultima parte con uno sguardo molto eloquente che lo invitava a terminare.
    Lui sospirò alzando gli occhi al cielo. «Non importa chi salvi chi, quel che conta è che torniamo tutti a casa sani e salvi a fine missione.» borbottò controvoglia.
    Gli sorrise con gli occhi ridotti a due fessure. «Non dimenticartene, Zachy. Perché non vai ad aiutare Matt e Jared a scaricare i rifornimenti vegetali?»
    Mi lanciò un’ultima occhiata provocatoria. «A dopo, cheerleader.»
    Entrambe lo guardammo allontanarsi. «Te lo devo dire, Becky, mi sei piaciuta. Temevo che iniziassi ad agitare pompon tutte le volte che lui passava, ma invece mi sei piaciuta.» rise. «Mi ricordi una giovane ed audace Jean Roberts.»
    Ne dubitavo, ma era sicuramente un complimento, così la ringraziai lo stesso.
    Si frugò in tasca e mi mise in mano il mio cellulare celeste. «I tuoi hanno chiamato, ho detto loro che avevi dimenticato il telefono all’Asta e che te lo avrei consegnato appena arrivata a Synt.»
    Feci scattare lo sportellino, c’erano qualcosa come venti chiamate dei miei e trenta messaggi di Taylor. Li scorsi velocemente, la sua ansia era proporzionale al numero di punti esclamativi e faccine con gli occhi a palla che mi aveva mandato.
    «Grazie.»
    «Non c’è di che.» mi prese a braccetto, guidandomi verso la stanza dove c’era la lavagnetta con scritto Jean. No, beh, la sua non era una lavagnetta, era proprio una targhetta come quelle fuori dagli uffici privati. Immaginavo che un Vegliante normale fosse più precario di un Responsabile, un Vegliante aveva maggiori possibilità di morire. Se fossi stata lei non mi sarei tanto impegnata a scrivere il mio nome sulla lavagna, probabilmente avrebbero dovuto sostituirlo in fretta.
    «Da quello che posso vedere ti sei ripresa.» commentò aprendomi la porta.
    Annuii mentre digitavo un messaggio per la mia amica, cercando di tranquillizzarla. «Oh, beh, sì… sembra di sì.»
    «Ottimo!» esclamò contenta. «Dunque, domani Lynn ti darà qualche lezione di autodifesa di base, in attesa di scoprire se c’è un campo particolare verso il quale concentrare le tue energie. Hai tirato i capelli a Court per caso?»
    Sbattei le palpebre e sollevai gli occhi dallo schermo del cellulare. «No, di certo.»
    Si strinse nelle spalle. «Allora sarà solo un po’ gelosa. Niente di cui preoccuparsi.»
    Lo speravo.
    «Ad ogni modo stalle lontana per un po’.»
    «D’accordo.»
    La sua stanza era divisa in due parti. Quella dove ci trovavamo era una specie di studio con uno smart-table e due sedie, scaffali pieni di raccoglitori, cosa piuttosto strana visto che tutti i documenti potevano essere digitalizzati per risparmiare spazio. Li studiai con cura, erano divisi per anni.
    «Fanno parte di una mia ricerca.» mi spiegò.
    «Cartacea?» chiesi.
    Si avvicinò ed accarezzò il dorso di un libro. «Sì, finché non scopro dove mi condurrà.»
    Continuai a studiarla dubbiosa.
    «Ad ogni modo!» disse riscuotendosi ed andandosi a sedere, la imitai.
    «Ci sono solo quattro regole a cui voglio che tu obbedisca: tre dettate da me, una dall’ADP.»
    «La ascolto.» e chiusi lo sportellino del telefono per sottolineare la mia completa attenzione nei suoi confronti.
    «Non uscire mai da sola.» iniziò contandole sulla punta delle dita. «Fa tutto quello che puoi per rimanere in vita.»
    La fissai sorpresa, lei aveva già lo sguardo su di me, si allungò e mi posò una mano sul braccio.
    «Se devi scegliere tra la missione e la tua vita, scegli te stessa e non temere una sconfitta.»
    Annuii nei suoi occhi.
    «E non fare sesso senza chiedermi il consenso.»
    «Come?!» squittii, per arrossire subito dopo. «Io… no… insomma, non-non ho mai pensato…»
    «Shh. Siete belli, siete giovani. Di norma avete tanta adrenalina addosso da intossicare una casa d’Asta, ma dovete chiedermi il permesso.» mi zittì, poi mi scrutò attenta. «E mangia almeno due terzi di tutto quello che ti viene servito. Il tuo vassoio era quasi pieno e non avevi toccato la frutta, per oggi chiuderò un occhio, ma l’ADP è molto rigorosa sull’alimentazione e tu sembri già gracilina.»
    «Ok…» mormorai dubbiosa. Di norma non mangiavo molto, ma non amavo nemmeno stare digiuna.
    Si controllò il polso. «La cena verrà servita tra un quarto d’ora, ti conviene approfittarne anche se hai già fatto uno spuntino. Così regolarizzerai i tuoi orari pasto.»
    Feci una smorfia, tra la carne ed i fagiolini che avevo sbocconcellato e lo stomaco chiuso per la litigata con Zach, non avevo molto appetito. Ma temevo di non potermi opporre.
    «Sì.»
    Sorrise. «Ti servirà anche per fare amicizia, inserirti nella squadra.» si morse il labbro incerta. «Non devi temere di non legare con gli altri solo perché non hai fatto colpo su Courtney e Zach. Matt parlerebbe anche con un mattone se gliene presentassi uno.» mi confidò sventolando una mano con noncuranza.
    Annuii cercando di mostrarmi ottimista, tutto sarebbe andato bene, Zach e Courtney non potevano tenermi il muso per sempre, no?

«Questa non è proprio la mia idea di famiglia!» si lamentò Lynn, dopo averci studiato a lungo uno per uno.
    Courteny e Zach si erano seduti al bordo più estremo del tavolo, uno di fronte all’altro e non parlavano con nessuno. Non parlavano nemmeno tra di loro, ma, da come sembravano seri e concentrati, immaginavo che non si stessero beando della gioia di avermi con loro. No, probabilmente no.
    D’altro canto avevo conosciuto ufficialmente gli ultimi due membri: Jared e Matt. Jared faceva paura, era alto quasi due metri ed era proporzionato. Ne avevo visti di ragazzi alti – come già detto avevo un debole per i giocatori di pallacanestro – e di norma sembravano anche magrissimi; Jared no, era un robusto giovane uomo di due metri. Faceva paura.
    Matt in confronto sembrava una pulce e non è che fosse poi magrolino. Era alto più o meno quanto Zach, ma aveva i capelli biondissimi e ondulati, gli creavano strane punte su tutta la testa, ed aveva la pelle del viso ricoperta di efelidi. Parlava un sacco, da quando mi ero seduta mi aveva raccontato ogni dettaglio della sua vita che avrebbe potuto interessarmi… anche cose che non mi interessavano in realtà, ma almeno lui sembrava desideroso di fare amicizia.
    «Insomma, che vi prende?» continuò ad interrogare indispettita i due asociali.
    Courtney si strinse nelle spalle. «Niente. Per una volta che non discutiamo dovresti essere contenta, Lynn cara.»
    Lei alzò gli occhi al cielo. «Non c’è mai niente di cui essere contenta quando mi chiami “Lynn cara”.»
    Guardai il mio vassoio e mentalmente lo divisi in terzi, non sarei mai riuscita a mangiare tutta quella roba. Speravo che l’esonero di Jean valesse anche per la cena. Certo, quella mela rossa, rossa sembrava invitante.
    La presi in mano, scrutando con la coda dell’occhio Nate sorridere a Lynn, probabilmente una cotta per lei. «Dai, non arrabbiarti.» la pregò conciliante. «Le cose si aggiusteranno.»
    Lei sospirò fissandolo ed allungò una mano per prendere la sua.
    Stavano insieme? Davvero?
    Morsi la prima e l’ultima mela che avrei mangiato in vita mia.
    Era orribile, aveva un sapore disgustoso. Lo stesso gusto terribile che mi ero sentita in bocca con Romeo. Dovetti impegnarmi con tutta me stessa per domare i conati. Doveva essere una cavolo di mela avvelenata! Recuperai il tovagliolo e sputai il boccone lì; con discrezione sbirciai Zach addentarne una, incredula, come faceva a resistere?
    «Stai bene?» mi chiese Matt dandomi un calcetto sotto il tavolo.
    Deglutii. «S-sì. Queste non sono esattamente le mele più buone che io abbia mai mangiato.» spiegai.
    Jared rise. «Sanno di plastica, vero? È perché sono di serra.»
    No, non sapevano di plastica, sapevano di decomposizione, marcio.

Guardai Nate tirare su la zip della giacca verde di Lynn, mentre lei gli parlava senza fermarsi neanche un secondo. Mi chiesi cosa diceva, sembrava nervosa. Nate la ascoltava senza guardarla, non negli occhi almeno; le appuntò una ciocca di capelli dietro l’orecchio, le sistemò meglio gli occhiali protettivi con le lenti gialle. Poi la strinse forte, così forte che sembrava quasi potergli entrare sotto la pelle, penetrare nella carne e fare parte del suo corpo per sempre. Forse lo avrebbe preferito.
    Allungai un braccio sovrappensiero e mi trovai ad afferrare quello di Zach, per un attimo ne rimasi così stupita da essere in grado di arrossire e basta.
    Lui mi fissò sorpreso e vagamente seccato. «Cosa?»
    Mi morsi il labbro. «Lei… tornerà, vero?»
    La sua espressione si distese e tornò il ragazzo gentile e troppo controllato che era stato sul treno. «Dobbiamo solo disattivare una decina di bombe, è una missione stupida.» mi tranquillizzò.
    Lasciai il suo braccio e tornai a guardarli; Nate e Lynn si scambiarono un bacio veloce e si sorrisero.
    «A dopo, cheerleader.» mi salutò Zach.
    Era una missione stupida, ma io ero preoccupata lo stesso.
    Li osservai salire uno dopo l’altro sull’ascensore, Lynn e Matt mi fecero “ciao, ciao” con la mano, Jared un cenno del capo, Courtney fece finta di non vedermi intestardendosi a tenere gli occhi su un punto dietro di me.
    Zach rimase con lo sguardo nel mio finché le porte dell’ascensore non si richiusero.
    Nate mi si avvicinò ciondolante con le mani in tasca. «Siamo rimasti io e te.»
    «Come riesci a lasciarla andare?» gli chiesi di impulso, io ero in ansia e sapevo appena il loro nome.
    Lui guardò le porte d’acciaio, ormai completamente chiuse, per un lungo istante, poi sospirò. «Cerco di crederle quando mi promette di tornare.»
    Non sapevo cosa dire, perché immaginavo che qualsiasi cosa lo avrebbe depresso.
    «Sei stanca?» mi domandò di punto in bianco incrociando le mani dietro la testa. «Se non hai sonno puoi stare con me ed aiutarmi a prendere in giro Matt che si fa esplodere una bomba in faccia.»
    Un’intera parete della camera di Nate era ricoperta di schermi ed ognuno di loro mostrava un pezzettino di quella che doveva essere la zona gialla di Synt. Recuperò un microfono wireless, che si infilò intorno alla testa, ed il suo fedele palmare.
    «Ci siete?» chiese agli schermi. «Fate “ciao” a Becky.»
    Un coro di più o meno svogliati “Ciao” riempì la stanza e solo allora notai le piccole casse incastrate agli angoli del soffitto.
    «Dunque…» iniziò spingendo qualcosa sul palmare, mentre io mi andavo a sedere sul suo letto. Nella parete alla mia destra venne proiettata una piantina di Synt con la ciambella gialla come quella che mi aveva mostrato in infermeria. Era leggermente diversa ora, sembrava che un bambino ci avesse disegnato delle sveglie con un pennarello azzurro, quelle dovevano essere le bombe.
    «Bene, la prima è a sud-est.»
    «Non puoi essere più preciso?» domandò Matt.
    «Ricordi quel supermercato dove abbiamo comprato una vaschetta di fragole vere?»
    «Me lo ricordo io.» fece Jared. «Gira a destra.»
    Le cose continuarono così tutta la sera, io rimasi a guardarlo fare su e giù per la stanza mentre parlava con loro, era un po’ come essere lì. Beh, forse per me non era proprio così, ma per Nate sì. Non sembravano tesi, chiacchieravano, si prendevano in giro, a volte discutevano. Mi chiesi se fosse perché la missione era stupida o perché si erano abituati a quella vita.
    «Ma la cheerleader che fa? Dorme?»
    Era la voce di Zach, Nate si voltò a guardarmi.
    «No, è sveglia.»
    «Dovresti costruire un microfono anche a lei, potrebbe intonare un inno.» questa invece era Courtney, sempre più simpatica.
    «Oh smettetela voi due!» sbottò Lynn, la dolce, adorabile, gentile Lynn. «State di guardia, io li accompagno dentro.»
    Nate scosse la testa sorridendo.
    «Taglio il filo verde?» chiese Matt.
    «Aspetta, non mi ricordo nessun filo verde.» rifletté Nate scorrendo con le dita sul suo palmare.
    «Intanto scoperchio lo schermo.»
    «C’è uno schermo? Non ci sono schermi.» disse correndo ad attivare lo smart-table per confrontare i suoi grafici.
    Mi tirai su, improvvisamente all’erta; se Nate non ricordava ed aveva la memoria fotografica, evidentemente c’era qualcosa di strano. Mi alzai e mi avvicinai allo schermo, dove una telecamera alle loro spalle me li mostrava all’interno di quello che sembrava un vecchio magazzino. Il familiare, quanto spiacevole prurito dietro la nuca tornò a farmi visita, mentre osservavo Lynn avvicinarsi a Matt per dare un’occhiata, c’era qualcosa che non andava.
    Guardai le altre telecamere per vedere se ci fosse qualcuno di cui non si erano accorti nel magazzino insieme a loro, magari Romeo, ma era completamente vuoto.
    «NO!» fu l’unica cosa che riuscimmo ad urlare insieme, io e Nate, prima che la bomba esplodesse.



sto diventando una maga nei tagli ad effetto...
no, vi prego non chiedetemi ninete... cederei alla tentazione e vi spiffererei qualcosa! non lo volete nemmeno voi, ve l'assicuro!
ad ogni modo fatemi sapere che ne pensate, vi va?
baci







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Capitolo 6
*** 5. Centro ***


mitronio 2 fragolottina's time
lettrucciole, pensavate che vi avessi abbandonate? davvero?
ma dove volete che vado?
dunque, vi faccio un riassunto delle vicende di fragolottina.
ho lavorato praticamente tutta l'estate, settembre compreso, che è un'ottima cosa, ma visto che non era previsto che avessi un giorno libero il tempo per scrivere era drammaticamente poco.
poi c'è stata la furbetta.
oh, voi non so se ne avete sentito parlare.
una baby stronzetta si è fregata le mie storie, le ha copiate sulla pagina di facebook della sua amichetta del cuore e gli ha detto che erano sue. tanto per chiarirvi come è attualmente la questione: le odiamo, tanto la furbetta quanto l'altra. e vogliamo bene a tutte le ragazze che hanno difeso me ed i miei diritti d'autore, perchè voi sapete bene che l'autrice sono io, ed hanno segnalato la pagina.
quindi, mie care lettrucciole, occhi aperti quando siete su facebook.
tutto questo ha portato al mio ritardo, ma come vedete ora sono qui.
e vi voglio bene, perchè voi mi coccolate e non avete mai rotto il vincolo di fiducia che c'è tra lettore e scrittore qui su EFP.


5.

Centro


Avrei potuto contare i battiti del mio cuore, tanto erano forti e tanto il silenzio era denso. Mi sembrava di avere la testa vuota ed allo stesso tempo miliardi di pensieri vorticosi mi affollavano la mente. Era facile superare i timori quando li sentivo parlare con Nate, discutere e bisticciare tra di loro, più simili ad una famiglia che ad una squadra. Ma i Veglianti non erano lì fuori a passeggio, erano lì a rischiare di farsi esplodere ed a volte – non volevo sapere quanto spesso – a farsi esplodere davvero.
    Per quelli che sembrarono anni, non ci fu un rumore, non ci fu un fiato. Io e Nate rimanemmo immobili, quasi senza respirare, gli occhi fissi sugli schermi velati dalla polvere o dal fumo. Strizzai forte le palpebre con un sussulto, quando realizzai che prima o poi avrei visto i corpi dilaniati di Lynn e Matt su quello schermo. E Zach, Zach che era così bello! Chi avrei potuto pregare perché mi risparmiasse di vedere il suo bel viso martoriato.
    L’entrata di Jean nella stanza fu così rumorosa da sembrare assordante.
    «Che è successo?», chiese agitata, indossava una maglietta ed un paio di pantaloni neri che non somigliavano affatto ad un pigiama: evidentemente, ovunque fosse stata, ci stava controllando ed era stata pronta ad intervenire.
    La sua voce fu come un punto. Una pausa ed una spinta a ripartire.
    Nate si riaccese. «Lynn?», chiamò esitante.
    Qualcuno tossì. «Matt! Dannatissimo, Matt!», imprecò una voce femminile, infuriata, ma viva, vivissima. «Giuro che se non sei morto ti strozzo!»
    Era Courtney. Dov’era Lynn?
    Piano, piano iniziammo a riconoscere anche i suoni di altri colpi di tosse, ragazzi che si lamentavano, mentre tra il fumo sulle nelle telecamere cominciavano ad apparire delle figure che si muovevano.
    Poi finalmente un: «Nate!» quasi gridato. «Nate, sto bene.»
    Lui non rispose subito, si lasciò cadere sulla poltrona ergonomica davanti alla scrivania e trasse un profondo, lunghissimo, sospiro di sollievo. «Ciao.», mormorò dopo un po’, poi si tirò su, mentre Jean controllava ogni telecamera, una per una. «Ci siete tutti? Feriti?»
    «Il tifo della cheerleader non porta bene, mi pare evidente.», sbottò Zach con voce roca.
    Nate lo ignorò di sana pianta. «Matt, cazzo! Si può sapere che hai fatto?»
    Lui tossì ancora. «Beh, ho seguito l’istinto.»
    «Il tuo istinto fa schifo, quante volte  dovremo dirtelo!», ribatté Courtney.
    «Ehi, Nate.», chiamò la voce di Jared. «C’è qualcosa scritto sullo schermo della bomba.»
    Si alzò dalla poltrona e mosse le telecamere tramite il palmare fino ad inquadrare lo schermo, che incredibilmente era sopravvissuto all’esplosione. Un piccolo testo scorrevole avvisava soltanto: “Cerca di fare più attenzione, Matt”.
    Jean recuperò un’altra auricolare dal cassetto. «Rientrate subito, voglio avervi qui dentro tra un quarto d’ora.» ci fu un coro di sì, prima che si rivolgesse a Nate. «Le bombe sono state disattivate tutte?»
    Annuì. «Hanno fatto un buon lavoro.»
    «Becky, c’è un kit del pronto soccorso in infermeria. Prendilo poi scendete all’ingresso, prevedo che ci serviranno dei cerotti.», ordinò mentre si dirigeva verso la porta.
    «Ok.», mormorai, lieta di fare qualcosa e distogliere gli occhi da quelle telecamere. Stare lì dentro ad osservare come un occhio vigile, ma lontano, era terribile. Ed io che avevo pensato che il compito di Nate fosse il migliore.
    Aspettai che uscisse poi mi avvicinai alle sue spalle.
    «Tutto bene?», gli chiesi mentre frugava nel suo smart-table. Credevo si stesse appuntando qualche nuovo dato, ma poi mi accorsi che in realtà aveva aperto una pagina di chat.
    Il suo avatar era una piccola faccina rotonda con gli occhiali. Scrisse velocemente un “Grazie”, al quale prontamente una faccina altrettanto rotonda, senza occhiali, ma con un ciuffo di capelli rossi, rossi sulla testa rispose con “Figurati”.
    Nate si voltò e mi guardò, non era difficile indovinare il mio stupore.
    «Avrebbe potuto ucciderli, tutti quanti.» recuperò un foglio e ricopiò una password di otto cifre in un programma, su ogni schermo delle telecamere apparve un messaggio che confermava l’inserimento di un nuovo codice di accesso.
    «Avrebbe potuto non mettere le bombe.»
    Lui si alzò e si stiracchiò con uno sbadiglio. «Lo so, Becky.» sorrise. «Ma sapeva che Matt avrebbe fatto casino, sapeva che Lynn sarebbe stata così vicina. Avrebbe potuto ucciderla, siamo nemici, probabilmente è stato molto tentato dal farlo.» scrollò le spalle. «Ma non l’ha fatto, ci ha solo spaventati un po’. Se le persone fanno qualcosa per me le ringrazio.»
    Non risposi, capivo il suo punto di vista, ma allo stesso tempo era per me incomprensibile ringraziare uno come Romeo. Se era davvero lui a dettare ordini a tutti i Veggenti del paese, allora era ancora lui il principale responsabile di tutti quei dannati minuti di silenzio che facevo a scuola. Anche se evidentemente era meno spietato di quanto credessi.

L’ingresso di cui aveva parlato Jean era il garage. Io e Nate eravamo scesi con l’ascensore e lui aveva premuto il pulsante -1, quindi eravamo sotto terra; cercai di prendere nota di ogni dettagli, per fare in modo che quel luogo mi risultasse familiare il prima possibile. A quanto vedevo, non c’era spazio per le matricole a Synt.
    Riconobbi il profilo di alcune macchine e moto sotto dei teli bianchi e mi chiesi se le usassero mai, perché allora avrei anche dovuto fare un corso di guida, non avevo ancora preso la patente.
    Non appena la porta si fu sollevata abbastanza da permetterle di passare, Lynn scivolò sotto e si buttò tra le braccia di Nate. Lo abbracciò stretto e con trasporto, prima di intrecciare le dita alle sue e dare l’impressione di non volerlo lasciare per molto, molto tempo. Era sporca di terra, aveva un graffio sulla guancia e il fondo della sua treccia sembrava bruciacchiato, ma era sana e salva.
    «Sono contenta che…», provai a dire, ma poi mi bloccai: non credevo che fosse molto carino terminare con qualcosa tipo “che tu non sia morta”. Ero stata terrorizzata quando quella bomba era scoppiata e non ero lì, forse non voleva che le ricordassi quanto vicina alla morte era stata.
    «Che io non sia esplosa?», terminò lei tranquilla. «Ti ringrazio.»
    La studiai sconcertata dalla serenità con cui ne parlava, no, io non sarei mai riuscita ad esserlo.
    L’unico ferito era Matt, che comunque aveva abrasioni superficiali alla mano sinistra, quella con cui aveva tolto il coperchio, gli altri erano soltanto sporchi e più o meno arrabbiati. Courtney continuava a lamentarsi per mille motivi diversi, ma tutti la ignoravano; soltanto Jared sembrava essere tanto paziente da avere la forza di volontà di sopportarla e cercare di tranquillizzarla.
    «E non pensare che ti ricucirò!», urlò in direzione di Matt.
    Lui si avvicinò a noi, sospirando; si era tolto gli occhiali e per colpa del fumo e della polvere gli era rimasta l’impronta bianca intorno agli occhi.
    «Vorrei che fosse morta.», annunciò. «Sicuro che non ti serva un sacrificio umano per catturare Romeo? Sai il bene della squadra piuttosto che il bene personale…»
    Nate rise e Lynn lo aiutò a togliere quel che restava di un guanto di pelle. «Non preoccuparti, te la do io una rattoppata!»
    Mi guardai intorno. «Dov’è Zach?» avrei voluto mordermi la lingua un secondo dopo.
    «A godersi la sua sigaretta, credo.», mi rispose Matt con un’alzata di spalla, fortunatamente senza indagare il fatto che l’unica cosa che avessi domandato era una scemenza da sciocca cheerleader.
    «Spiegale.», lo incoraggiò Lynn, poi mi sorrise, prendendo dalle mie mani il kit di pronto soccorso. «A mano, a mano devi imparare a conoscere le dinamiche di questo manicomio.», disse mentre lo apriva e ne estraeva disinfettante e garze. «Secondo me non ti servono i punti.»
    Nate sorrise accanto a lei, probabilmente fiero della sua fidanzata; ne avrebbe avuto tutte le ragioni, per come la vedevo io.
    «Basta che non muoio per emorragia, fai te.», acconsentì Matt e tornò a rivolgersi a me. «Praticamente, piccoletta, quando era arrivato qui Zach fumava come un turco molto arrabbiato. Né Josh né Jean erano entusiasti della cosa, per un Vegliante la forma fisica è importante. Così si sono impegnati a farlo smettere, ma stava diventando un tantino ansioso senza nicotina…»
    Nate rise interrompendolo. «”Un tantino ansioso”? L’eufemismo del secolo.», commentò.
    «Shh, è il capo dobbiamo fargli fare bella figura con le donne.»
    Sollevai le sopracciglia scettica e lui continuò.
    «Così ha fatto un patto con Jean: una sigaretta a sera, alla fine di ogni ronda.»
    «Hanno provato a sostituire di nascosto le sue sigarette con quelle sintetiche senza nicotina, ma se ne accorgeva.», puntualizzò Nate.
    Lynn sollevò l’indice e mi lanciò un’occhiata. «Ricorda: mai interrompere Zach quando fuma, per lui è un momento sacro.»
    Sorrisi. «Me ne ricorderò.»
    «Ehi, Jean!», chiamò Nate alle nostre spalle. «Lynn dorme con me stanotte.», la avvisò.
    Mi voltai per guardare come avrebbe reagito la donna, ma non mi sembrò molto interessata alla cosa, probabilmente non era la prima volta che capitava. «Ok, ma non fate casino.»
    «Come nuovo.», esclamò pimpante Lynn.
    Matt sollevò la mano studiandosi la mano fasciata. «Grazie, ci ritiriamo a dormire?», chiese agli altri due, che si guardarono intorno.
    «Direi, gli altri sono già spariti.»

Non ricordavo che la mia stanza fosse tanto grande e tanto vuota, né che la luce fosse tanto bianca, spietata nel rendere ancora più enorme quello spazio e nel catalizzare ogni attenzione sul poster ancora appeso davanti al mio letto.
    Mi rigirai il cartellino della chiave tra le dita, c’era ancora scritto Joshua Lanter nonostante probabilmente ci si aspettasse che lo cambiassi. Non volevo, scrivere il mio nome avrebbe significato accettare, pensare che una notte non molto lontana una bomba sarebbe potuta esplodere a pochissimi metri dalla mia faccia. Avrei dovuto scherzare con la morte per non impazzire, come Lynn; credere nella speranza di un ritorno, come Nate; urlare, strepitare e lamentarmi di cose stupide per sfogare la tensione, come Courtney.
    O rimanere fuori, sola, con un sigaretta accesa in bocca, sperando di non avere un cecchino puntato addosso, come Zach. Il puntino rosso della cicca era visibile fin dalla mia finestra, sarebbe bastato sparare lì per essere sicuri di colpire la sua testa. Ma che gli diceva il cervello?
    «Che fai?»
    Mi voltai a guardare Matt, fermo sulla soglia della porta che non avevo chiuso. La fasciatura che gli aveva fatto Lynn si era macchiata di rosso in alcuni punti, ma sembrava resistere, e si era lavato il viso, anche se rimanevano ancora delle macchie nere.
    Mi strinsi nelle spalle. «Rifletto sull’idiozia di Zach.»
    «Non sembra divertente… non hai sonno?», mi chiese entrando nella mia camera e guardandosi intorno; fissò le mie valigie e sorrise. «Ci ho messo tre giorni prima di disfarle.», confessò. «Non credevo di sopravvivere.»
    «Non lo credo nemmeno io.»
    «Jared ha ventitre anni.»
    Lo guardai. «Sono molti.» mi allontanai dalla finestra per sedermi sul letto, lui si accomodò vicino a me. Puzzava di fumo e di qualcosa di pungente ed acre sotto, probabilmente era l’esplosivo che aveva usato Romeo.
    «Quando pensi di non farcela, pensa a lui.», mi consigliò.
    Lo feci e ricordai che Jared era un gigante ed io la versione femminile e più sciocchina di Davide.
«Non vedo molto somiglianze.», confessai, sforzandomi di sorridere: stava cercando di tirarmi su il morale in ogni caso.
    Per un po’ rimanemmo in silenzio, tutti e due.
    «Non riesci a dormire?», chiesi.
    «Mai di notte.»
    «C’è niente da fare non da…», mi interruppi per un attimo. «beh, non da Vegliante.»
    Mi guardò e sorrise. «Si.»

Se quando ero stata lì, poche ore prima, non fossi stata tanto preoccupata per la sopravvivenza dei ragazzi, avrei sicuramente notato la porta in garage proprio davanti all’ascensore. In particolar modo perché era verde prato.
    Matt mi portò lì.
    Era la palestra, c’erano praticamente tutti i tipi di macchine per allenarsi e perfino una parte ricoperta di materassini, dove Courtney e Jared stavano lottando. Non me ne intendevo abbastanza di combattimenti corpo a corpo da riconoscere lo stile, ma la cosa sorprendente era che, nonostante l’evidente squilibrio fisico, Courtney teneva tranquillamente testa al ragazzo. Sicuramente i suoi colpi non potevano essere altrettanto efficaci e potenti, ma era agile e veloce. Avrei voluto vederla combattere contro Romeo, mi chiesi se in effetti non fosse abbastanza veloce.
    Zach correva su un tapis roulant ad occhi chiusi con le cuffie di un i-pod infilate nelle orecchie. Meglio, non volevo che mi vedesse e facesse commenti, ero lì per fare un pausa dal pensiero di essere una Vegliante, sicuramente lui non me lo avrebbe permesso. Mi fermai comunque un secondo di troppo ad osservarlo. Indossava una t-shirt bianca e pantaloni da tuta blu scuro, le sue labbra mimavano le parole che ascoltava nelle orecchie, le sue labbra erano bellissime.
    «Becky?»
    Su una parete della stanza erano fissati dei bersagli come quelli del tiro con l’arco e Matt si stava dirigendo lì. Naturalmente io non sapevo tirare con l’arco e stavo quasi per farglielo presente, ma lui mi precedette, tirando fuori dal cassetto di un mobile lì accanto una scatola.
    «Cos’è?», chiesi curiosa.
    Tolse il coperchio e mi mostrò il contenuto. Erano freccette, ordinatamente disposte in fila, alcune giallo fosforescente ed altre rosa.
    «Qualcosa con cui di norma Jean non vuole che roviniamo i suoi bellissimi bersagli.»
    Mi morsi il labbro. «Allora, forse non dovremmo…»
    Matt sbuffò. «Tutta questa roba qui ce la manda l’ADP. E poi non è che possiamo chiamare Nate che è con Lynn per i videogiochi, no?»
    «Non si arrabbierà?», domandai tentata, perché incredibilmente un po’ sapevo giocare con le freccette. Voglio dire, non è che fossi proprio brava, però di norma riuscivo a piantarla nel bersaglio, che già mi sembrava un buon risultato.
    «Certo, che si arrabbierà.» si strinse nelle spalle. «Ma è Jean ed è una responsabile: è sempre e comunque arrabbiata.»
    Sorrisi, mentre lui me ne porgeva cinque con la mano buona, poi recuperò le sue. «Sai, tu prendi tutto questo molto alla leggera.»
    Sospirò e si posizionò davanti al bersaglio a gambe leggermente divaricate. «Che la io la prenda alla leggera oppure no, sono un Vegliante. Domani dormirò tutto il giorno, la notte sarò di nuovo in giro. Forse morirò, forse la prossima bomba mi ucciderà davvero. Non credo che cambi molto se ci penso di continuo come Zach.»
    Mi voltai verso di lui e lo guardai correre senza dare segni di voler smettere. «Fa sempre così?»
    Matt lanciò la prima freccetta nella parte rossa. «Dice che correre lo rilassa.», commentò scrollando le spalle. «Dai cheerleader, fammi vedere come te la cavi.»
    Come lui mi misi davanti al bersaglio, tirai indietro il braccio e la lanciai sotto quella di Matt, ancora più lontana della sua. Non male ad ogni modo, ero comunque ad un anello dal centro.
    «Da quanto tempo sei qui?», gli chiesi, mentre mi facevo da parte per lasciargli spazio per tirare.
    «Un anno e mezzo.»
    Questa volta il lancio fu troppo alto, veramente troppo alto, tanto che la freccetta si piantò sulla riga dello spazio blu più esterno. «Non puoi farmi chiacchierare per distrarmi e farmi sbagliare.», si lamentò.
    Ridacchiai e presi il suo posto. Trovai il tempo per maledirmi, tra le altre cose, perché mi ero accorta che Zach non stava più correndo ed ero molto più che sicura che mi stesse studiando. Più o meno lo capivo, ero il suo nuovo investimento, voleva scoprire se potessi fruttare qualcosa.
    Neanche a dirlo, il colpo fu un fiasco. Ansia da palcoscenico, era evidente.
    Matt mi lanciò un’occhiata sospettosa. «Sei molto più brava di me, a distrarti.»
    Il suo fu un ottimo punto, centro giallo, leggermente a destra, ma pur sempre un centro.
    «Oh-oh.», gongolò. «Prova a battere questo!»
    Feci una smorfia rigirandomi la freccia tra le dita, non sarebbe stato affatto semplice, proprio per niente.
    «Sbagli postura, cheerleader.»
    Alzai gli occhi al cielo scocciata, ma cercai di avere un’espressione neutra quando mi voltai verso di lui.
«Dici?», domandai, incapace di nascondere del tutto il fastidio. Era il mio momento di vita normale: lui correva sul tapis roulant, Courtney e Jared si picchiavano, Nate e Lynn probabilmente facevano l’amore, ed io volevo essere quella che giocava a freccette con Matt. Perché non poteva lasciarmi un po’ in pace? Avrebbe potuto guardare domani se ero stata o no un buon investimento.
    «Non puoi aiutarla, stavo vincendo!», protestò Matt.
    Zach non rispose né a me né a lui, si mise dietro di me e mi prese per le spalle, mettendomi dritta, dritta davanti al bersaglio, poi infilò un ginocchio tra le mie gambe per aprirle leggermente. Mio malgrado mi trovai ad arrossire.
    «Trova il punto di equilibrio.»
    «Il che?», chiesi girando appena la testa. Era molto, molto vicino a me.
    Sospirò e mi riportò il viso in avanti. «Fissa il bersaglio.»
    Obbedii.
    «Inspira.»
    Fatto.
    «Espira.»
    Ok.
    «Quando ti senti pronta.»
    Fissai il cerchio giallo al centro del bersaglio, sbattei le palpebre e presi altri due respiri.
    Chiusi gli occhi, mentre contavo almeno tre punti in cui i nostri corpi si sfioravano e sentivo il solletico che mi faceva il suo respiro ogni volta che mi smuoveva i capelli sulla nuca.
    E lanciai.
    Quando riaprii gli occhi la mia freccetta era drammaticamente nella parte più esterna di tutte, il nero, appena prima del muro sottostante. Mi sa che avrebbe comunque vinto Matt.
    «Non hai una super mira.», commentò Zach, dandomi una pacca sulla spalla fin troppo vigorosa.
    Mi morsi il labbro, guardando la prova del mio ultimo, tremendo tiro. Certo, così schifo non avevo mai fatto.
    Matt mi diede una spallata giocosa per tirarmi su di morale. «Ignoralo, ti ha messo in soggezione per questo hai sbagliato.» mi circondò le spalle con il braccio fasciato e fece la linguaccia nella sua direzione. «Non metterla in soggezione, cattivo Zach!»
    «Non puoi dare la colpa a me, non è capace.»
    Lo guardai in cagnesco. «Lancia tu.», proposi in tono di sfida.
    Zach ridacchiò divertito. «Io?» nei suoi occhi verdi c’era la scintilla della competizione.
    «Ah-ah.», annuii decisa. «Tu ce l’hai una super mira?»
    «Già, Zach!» Matt incrociò le braccia sul petto, spalleggiandomi. «Tu ce l’hai una super mira?»
    Rise ancora, però allungò la mano ed io gli porsi una freccetta.
    Lo guardai giocherellarci per qualche secondo, passandosela da una mano all’altra con gli occhi fissi sul bersaglio, come se stesse disegnando la direzione che avrebbe seguito. Piegò la testa da una parte all’altra e rilassò le spalle, il suo sguardo era così fisso sul centro che ero sicura avrebbe potuto incenerirlo.
    Ci mise qualcosa come tre secondi a prepararsi e fece centro, lasciando me e Matt soli con la nostra incompetenza.
    «Si.», confermò pimpante. «Ce l’ho.»
    Sospirammo in coro.
    «Continuate a giocare, piccoletti. L’esercizio rende perfetti.», ci prese in giro, tornando al suo tapis roulant.
    «Ricordiamoci di non invitarlo mai più a giocare con noi.», commentò Matt, poi si infilò una delle sue freccette in tasca e mi mostrò l’altra. «Con questo ultimo tiro si decide il vincitore, ci stai?»
    Annuii e lo guardai posizionarsi e tirare: un altro lancio borderline, tra il rosso ed il giallo.
    «Ora non sembra più tanto sensazionale.», rifletté dispiaciuto.
    «Non preoccuparti, sarà sicuramente sufficiente a battermi.», lo rincuorai.
    Mi misi dritta davanti al bersaglio e raddrizzai le spalle.
    Inspira, espira.
    Ad un certo punto chiusi gli occhi, anche se non saprei dire quando esattamente.
    Respirai profondamente e tirai indietro il braccio con la freccetta.
    Aspettai, mentre ascoltavo i gemiti di fatica di Courtney; aspettai, mentre i passi di Zach riprendevano a posarsi pesanti e ritmici sul tappeto; aspettai di sentire quel piccolo suono quasi impercettibile, senza sapere che rumore fosse.
    Solo allora tirai, perché era il momento giusto. Perché se volevo fare centro avevo quel solo, singolo, irripetibile istante.
    Tutto si fermò, Zach, Courtney e Jared.
    Io riaprii gli occhi: il bersaglio era per terra. Al centro, esattamente, geometricamente al centro c’era ancora la mia freccetta piantata.

«Tira le freccette ad occhi chiusi!», gridò Courtney spalancando la porta della stanza di Jean, ancora con il fiatone per la corsa.
    La responsabile non alzò lo sguardo dal registro che stava consultando. «Nel senso che è molto bravo?», domandò. «Posso chiederti di chi stiamo parlando?»
    «Quella nuova, la cheerleader. È una Veggente.»
    Jean sollevò lo sguardo senza dire niente, aspettando ulteriori informazioni. Seria, incredibilmente seria.
    «Io l’ho vista: ha chiuso gli occhi, il bersaglio si è staccato dalla parete, lei ha lanciato la freccetta esattamente nel momento giusto perché facesse centro al volo.» si appoggiò con le mani alla sua scrivania. «Nessun Vegliante è mai stato in grado di fare una cosa del genere.»
    La responsabile osservò i dorsi di tutti i fascicoli contenuti nella sua libreria. Nessun Vegliante era mai stato in grado di fare una cosa del genere? Ricordava un nome, qualcuno che aveva cercato, ma di cui aveva trovato solo rapporti superficiali e scarsi. Probabilmente era morto dopo poco essere entrato in squadra, povero ragazzo.
    «Continua a tenerla d’occhio.», ordinò alzandosi e recuperando un registro.
    «Tutto qui?», domandò Courtney incredula.
    «Per ora si.»
    Sfogliò le pagine fino a trovare quella giusta, non c’era nemmeno una foto, non avevano fatto in tempo a scattarla. Ma c’era il nome: Shannon Tyler.


ricordate Shannon Tyler è così importante che non immaginate nemmeno quanto!
poi i bersagli hanno fuori lo sfondo nero, poi i cerchi concentrici sono blu, rossi e gialli... ve lo dico perchè io li sono andati a cercare su internet: condivid le mie scoperte con voi!
oh, nel caso vi interessasse è stata aperta la fan page di Fragolottina. ormai dovreste sapere che non sono una grande fan di facebook, perciò no, non sono io a gestirla, ma l'amministratice la conosco bene, quindi se le chiedete qualcosa vi sa rispondere! vogliatele bene, si chiama Lamponella... si, il nome glielo ho inventato io!
baci, alla prossima.

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Capitolo 7
*** 6. Raccogli pensieri ***


Mitrono
fragolottina's time
non avete idea di quanto è stato duro questo capitolo da scrivere!
c'era troppo roba... troppe informazioni... troppe cose da spiegare!
quindi, nel caso vi perdiate, non è colpa vostra, è mia e me ne scuso... in mia discolpa posso dire che sto cercando di imparare!
cmq, credo che il capitolo sia interessante, perchè ci sono un sacco di cose raccontate da Zach e perchè c'è tanto su cui riflettere, anche fuori da EFP magari... oso sperare troppo!
"Le secche foglie delle mie parole potranno mai indurre qualcuno a sostare, a respirare con avidità?"... a volte trovo ancora incredibile che qualsiasi cosa voglia dire, Majakovskij l'abbia detta prima di me e l'abbia detta meglio!
buona lettura!


6.
Raccogli pensieri

Scoprii che a Synt la colazione ed il pranzo erano stati compressi in un unico pasto, consumato alle dodici e trenta circa; dopo una notte passata a gironzolare per la città, i Veglianti non amavano le alzatacce. Nemmeno io, infatti non avevo fatto i salti di gioia, quando una pimpante e sveglissima Lynn in tuta mi era venuta a buttare giù dal letto, nonostante non avessi dormito affatto.
    La caffeina era bandita e questa, dopo una disastrosa performance di autodifesa e mentre a tavola si stava decidendo se ero un portento o solo fortunata, era una pessima notizia. In compenso, però, mi era concesso tutto il pancake che riuscissi ad ingurgitare, salsicce se fossi stata veramente molto affamata, un brik di latte ed una temibilissima pesca che, dopo avere assaggiato quella mela il giorno prima, non mi ispirava molta fiducia.
    «Dio, Zach, perché devi essere così ottuso!» lo rimproverò Matt. «L’hai vista anche tu.»
    Lui alzò gli occhi al cielo. «L’ho vista anche mancarne uno facilissimo ad un passo da lei, cos’è se sono fermi non li prende?»
    Succhiai un sorso di latte con la cannuccia, cercando di ignorare gli occhi che avevo addosso. Mi sembrava di essere tornata all’Asta, dove mi soppesavano. Non sapevo spiegare come era andata la cosa: avevo lanciato la freccetta per cercare di fare centro… ed avevo fatto centro, la mia mente non riusciva a ragionare su dettagli più complessi.
    Solo Courtney non mi guardava chiedendosi quanto valessi, più che altro le sue occhiate sembravano trasmettere una sorta di offesa nei miei confronti per la mia esistenza.
    «Perché tu stavi lì, addosso a lei, sudato! È piccola, me l’hai fatta agitare e non c’ha preso.» chiarì Matt ed io per poco non affogai con il mio latte.
    Zach si chinò sul tavolo per parlargli da più vicino. «Fammi capire, con me in una palestra si agita e vuoi che le dia un’arma da fuoco e la piazzi a cercare di colpire Veggenti? Dici che non si agita?» il suo sarcasmo era molto più concreto della cannuccia che avevo in bocca
    Matt assottigliò lo sguardo, visualizzando qualcosa ancora precluso a noi. «In realtà pensavo ad un fucile carico di siringhe di Mitronio, tipo bracconiere.»
    Zach sgranò gli occhi esplicativo e nella mente di Matt suonò il campanellino dall’arme del sarcasmo.
    Sbuffò ed incrociò le braccia sul petto indispettito. «È impossibile parlare con te.»
    Nate non si era ancora espresso in proposito, mangiava il suo pancake, con sopra quella che sembrava marmellata di ciliegie, e stringeva una mano di Lynn, di nuovo seduta accanto a me, di fronte a lui. Lei continuava a piacermi ed anche io credevo di piacere a lei; quando ci eravamo allenate in autodifesa insieme, nonostante la fatica ed i risultati scadenti, mi ero divertita. Mi stupii di quanto mangiasse però, nel suo piatto facevano bella mostra di sé una porzione di pancake più grande della mia ricoperta di sciroppo d’acero e due salsicce: per una ragazza tanto minuta era molto.
    «Prepariamole un test.» disse infine Nate dentro ad uno sbadiglio, aveva delle occhiaie profonde e scure, anche più del solito, non sembrava aver dormito molto quella notte.
    Io gli lanciai un’occhiata, recuperai un coltello e presi a sbucciare la mia pesca.
    «Ti costruisco un videogioco, che dici?» mi chiese.
    Apprezzai moltissimo che si rivolgesse a me e non parlasse in mia presenza in terza persona come gli altri.
    «Con obbiettivi mobili, fermi, intermittenti e di varie grandezze. Matt, pensi di sapermi mettere insieme un sensore di movimento?» ci rifletté. «Magari anche con un pulsante per farla sparare?»
    Lo guardai, per alcuni secondi rimase fermo, immobile, soltanto le sue pupille si muovevano, scattavano a destra e sinistra come se stessero leggendo un libro a super velocità. Il suo boccone di pancake rimase a mezz’aria, finché non scrollò le spalle disinvolto. «E che ci vuole?!» bevve un sorso del suo latte. «Ti ci metto l’uscita USB così ci puoi caricare il programma.»
    «Guardate che bisogna andare a recuperare i rottami delle bombe.» ricordò loro Zach.
    Matt sbuffò.
    «Non piace nemmeno a me, ma bisogna farlo.»
    Nate si strinse nelle spalle. «Tanto io non posso uscire.» commentò incolore. «Almeno avrò qualcosa da fare.»
    Con la coda dell’occhio notai Lynn stringergli più forte la mano.
    Matt mi guardò come se si fosse appena ricordato di me. «Può venire lei al mio posto.»
    «No, non può.» si affrettò a rispondere Courtney, incoraggiante come sempre. «È qui da due giorni, è una recluta e le reclute non possono uscire in missione.»
    Lui sospirò esasperato. «Dovete recuperare i rottami.» puntualizzò. «Anche un civile potrebbe farlo.»
    «Se Romeo dovesse attac…»
    «Di giorno?» la interruppe. «E poi che se ne fa Romeo di quella robaccia?»
    Courtney assottigliò le sguardo, fissandolo per alcuni secondi, poi incrociò le braccia sul petto fiera. «La trovo una cosa irresponsabile.»
    «”La trovo una cosa irresponsabile”!» la scimmiottò Matt. Nascosi la mia risata addentando la pesca – terribile, ma commestibile, non come la mela – già non gli ero molto simpatica, non volevo che avesse ulteriori motivi per odiarmi. «Non sei tu a dover decidere.» si voltò verso Zach sbattendo le palpebre. «L’ultima parola spetta al più forte, coraggioso e bello di tutti noi. Zach, nostro eroe, non trovi che portare Becky a fare un tour di Synt quando non fa paura sia una buona idea?»
    Zach alzò gli occhi al cielo e scosse sospirando la testa. «In realtà, si.» lo fissò. «Ma non fare il gay con me!» minacciò.
    «Idioti.» fu l’ultima parola che borbottò Courtney prima di alzarsi ed andarsene.
    La guardai allontanarsi a passo svelto, era possibile intuire tutto il suo fastidio da come la sua coda di cavallo le oscillava sulla schiena: decisamente molto infastidita.
    «Zach, devi parlarle.» fece Lynn piena di partecipazione femminile.
    «Non sono io il problema.» mormorò lui abbassando gli occhi sulla sua colazione.
    Questo non impedì a Lynn di continuare a fissarlo con rimprovero. «Certo, che sei tu il problema e lo sai. È depressa perché tu ti sei arreso.»
    Deglutii e mi concentrai sulla mia pesca. Avrei voluto fare un sacco di domande, chiedere se avevano avuto un relazione, perché si era interrotta, avevano intenzione di riprenderla? Ma ogni quesito sembrava superfluo, in più avevo quella specie di tristezza addosso, quella sorta di brivido che precedeva una delusione. Mi rendevo conto che la scema ero io, insomma, dai! Zach era bellissimo e mi rivolgeva la parola solo perché facevo parte della sua squadra, se ci fossimo incontrati al liceo non mi avrebbe mai nemmeno vista perché ero troppo bassa.
    «Lynn.» la supplicò lui alzando lo sguardo. «Tu sai bene come sono andate le cose.»
    Lei annuì e guardò Nate, che però stava di nuovo ignorando tutti, perso in chissà quale pensiero. Lo osservai, forse non sapeva semplicemente cosa dire.
    Jared si alzò, era rimasto in silenzio per tutto il tempo, diede una pacca sulla spalla di Zach, come a rassicurarlo del fatto che c’erano responsabilità del quale non poteva alleggerirlo, ma Courtney non era tra quelle. «Vado io.»
    Io avrei voluto sapere come erano andate le cose. Più andavo avanti e più mi sembrava che la storia dei Veglianti di Synt, della loro più o meno funzionale armonia, fosse un tantino più complicata di un paio di acquisti ad un’Asta.

Sotto due dei teloni in garage c’erano due fuoristrada neri, blindati e con i vetri oscurati. Non certo macchine per fare una passeggiata oppure la spesa.
    Jean non era stata del tutto d’accordo sul lasciarmi uscire, ma Matt le aveva raccontato dell’episodio in palestra con le freccette e Zach aveva promesso di non allontanarsi da me nemmeno per un secondo.
    «Tre metri, Becky.» aveva ordinato la Responsabile. «Non allontanarti mai di più di tre metri da Zach.»
    Oltre l’ordine c’era stata anche la minaccia di Courtney, una minaccia sussurrata nella mia stanza mentre mi mettevo le scarpe, non avevo nemmeno alzato gli occhi per guardarla: sapevo perché era lì ed immaginavo anche cosa volesse dirmi. «Se si mette in pericolo a causa tua ti ammazzo.»
    Avrei voluto dirle una volta sola, una volta per tutte, che se mi fosse stato permesso scegliere, io avrei continuato a cercare di essere una cheerleader.
    Zach mi indicò con un cenno del capo il sedile del passeggero di uno dei due fuoristrada, mentre Jared, Lynn e Courtney prendevano l’altro.  Eravamo tutti rimasti in borghese, niente giacche verdi: meglio, ancora non mi sentivo pronta.
    Per salire dovetti praticamente arrampicarmi, tanto era grossa quell’auto.
    Quando finalmente fui a bordo, chiusi lo sportello, facendo scattare automaticamente la chiusura di sicurezza, e mi allacciai la cintura.
«Avresti dovuto chiedere ad uno di loro di venire con te. Io non ti sarò molto d’aiuto.» mormorai a Zach. Lui non aveva la cintura e, anche se non l’avevo visto, ero sicura che non avesse avuto i miei stessi problemi a salire.
    Sospirò. «Jared e Lynn sono gli unici due con cui lei parla, magari riescono a calmarla un po’.»
    Non dissi più niente, mentre uscivamo dal garage e ci immettevamo in un traffico praticamente inesistente. Anche io parlavo con solo due persone: mamma e Taylor. Iniziai a pensare al mio cellulare sul letto della mia cameretta, dimenticato di proposito sul letto della mia cameretta. Mia madre continuava a telefonare, se avessi risposto sarebbe scoppiata a piangere, avrei pianto anche io e non sarebbe servito a niente se non a farmi stare male tutto il giorno. Iniziavo a credere che avrei dovuto scriverle una mail, sarebbe stato più comodo, lì non avrebbe pianto nessuno.
    «Sei pensierosa.» commentò Zach.
    Non volevo parlare di me, né del fatto che non chiamavo mia madre per paura di piangere. «Come è andata tra te e Courtney?» chiesi quindi, per evitare il discorso, perché in ogni caso, per me, quello era un discorso più gestibile.
    Lui continuò a guardare la strada al di là del parabrezza oscurato, rigido. «Sarebbe potuto essere, ma non è stato.»
    L’avevo detto, io, che non mi sarebbe piaciuto.
    «Quindi lei ce l’ha con te perché l’hai respinta.»
    «Io non l’ho respinta, lei non ha avuto il coraggio di tentare.»
    Il fatto che lui era quello respinto era anche peggio, magari era ancora innamorato. Scossi forte la testa, poi mi passai le dita tra i ricci per riportarli al loro posto, dietro le orecchie. «Perché?»
    Lui irrigidì di più la mascella, così forte da farmi male solo a guardarlo, e strinse il volante finché le nocche non gli diventarono bianche. «In parole povere, perché sono un morto che cammina.» riuscì comunque a spiegarmi con un tono di voce tranquillo.
    Quello che dissi poi fu inaspettato e folle, ripensandoci ora, forse ero entrata in trance, forse era il sonno; forse, semplicemente, lui aveva disperatamente bisogno di essere consolato ed io volevo essere la persona che l’avrebbe fatto sentire meglio.
    «Non gli permetterò di ucciderti.» con la coda dell’occhio lo vidi voltare il viso verso di me, ma io non ricambiai il suo sguardo. Stavo fissando il parabrezza, ma non guardavo di là, mi figuravo il momento in cui loro due avrebbero lottato sulla cima di un grattacielo, come negli incubi di Zach. «Io posso sparargli.» mi immaginai avere in mano l’arma giusta e Romeo nel mirino.
    Lo credevo davvero? Non saprei rispondere.
    «Cheerleader, nessuno può sparare ad un Veggente, altrimenti non useremmo i coltelli.» mi spiegò sarcastico.
    Quell’affermazione mi distolse dalla mia immaginazione. «Perché?» chiesi senza capire.
    «Veggenti.» sorrise scrollando le spalle. «Sanno dove vanno a finire le pallottole e le evitano.»   
    Quello poteva essere un problema per il mio brillante piano.
    «E poi a livello molto teorico dobbiamo catturarli, non ucciderli.» continuò Zach, spingendo il pulsante di accensione di quella che a me era sembrata una radio, ma che in realtà scoprii essere un dispositivo di comunicazione con l’altro veicolo.
    «Jared, noi andiamo nella Synt interna. Voi ve la cavate fuori?»
    «Ma si, non preoccuparti, è giorno.»
   
Mi ero aspettata un centro abitato quasi normale, senza pensare che Synt era stata praticamente costruita in una notte. Era troppo perfetta, sembrava un modellino di città come quelli che facevo io da piccola con i mattoncini colorati; cinque incastri tra una casa e l’altra, otto tra i due lati di una via.
    Le case erano tutte uguali, della stessa misura e dello stesso bianco brillante. Portoni marroni, finestre con le tapparelle marroni. Ero sicura che se fossi andata a controllare i tappetini d’ingresso, avrei scoperto che erano tutti identici anche quelli.
    Forse inizialmente, nel cortile recintato di fronte ad ogni abitazione, c’era stato del verde, ma ormai il prato preciso e curato – sicuramente tagliato allo stesso livello in tutta la città – aveva uno strano e triste color ocra, come se fosse secco.
    Appena Zach accostò la macchina, io scesi e mi accucciai davanti al vialetto di quella che sembrava una casa abbandonata.
    «La bomba è qui dietro. Posso fare da me. Resta qui.» mi disse Zach.
    Annuii e lo guardai allontanarsi, poi allungai una mano per staccare un filo d’erba: nasceva verde, perché la parte più vicina alla radice era viva, vera. Perdeva colore piano, piano, crescendo.
    Quando Zach tornò indietro con le braccia piene di rottami, gli mostrai la mia scoperta, come una bambina che mostra al fratello maggiore un insetto. «Perché?» chiesi soltanto.
    Lui aprì il bagagliaio e ci sistemò tutto, poi mi indicò qualcosa alle mie spalle con sguardo cupo. Mi voltai e mi trovai ad osservare un fumo denso, spesso, quasi tangibile, che si levava dall’alto camino di una delle fabbriche di Mitronio, ce ne erano almeno altri dieci.
    «Ma alle persone non fa male?» chiesi, stringendo nel pugno il filo d’erba.
    «L’ADP dice di no.»
    Affermazione che non significava necessariamente “no”.
    Il cielo era grigio quella mattina, avevo pensato che fossero nuvole, ma ora mi trovai a chiedermi se non fosse invece la cappa di inquinamento. Synt era un posto orribile dove vivere, non importava cosa dicessero brochure e siti internet, per nessun motivo al mondo, se avessi potuto scegliere, mi sarei avvicinata a quella città infernale.
    Abbassai lo sguardo, quando un movimento alla finestra della casa dall’altra parte della strada attirò la mia attenzione. C’era una donna che sbirciava dalla tenda scostata, guardava noi, ci fissava. Da quella distanza l’unica cosa che riuscivo a capire era che aveva i capelli lunghi e scuri ed indossava qualcosa di bianco, una camicetta od una maglietta.
    La fissai incerta: ero già stata in quella casa? Perché mi sembrava di averla già vista.
    «Quella casa…»
    Zach si tirò su dal bagagliaio e guardò, come me.
    Scrollo le spalle. «La signora è curiosa, e allora?»
    Non riuscivo a staccare gli occhi da quella finestra. «Non la trovi familiare?»
    Annuì tranquillo. «Perché le case sono tutte uguali.» archiviò il problema lui. «Dai, andiamo.»
    Mi avvicinai allo sportello del passeggero, ma prima di salire di nuovo lanciai un’altra occhiata alla finestra: la signora ci stava guardando ancora.
    Facemmo un altro tragitto di strada in silenzio, di tanto in tanto la radio ricetrasmittente di Zach gracchiava qualche commento dagli altri, mentre io pensavo che, più che la casa, era la signora affacciata alla finestra ad essere familiare. Mi chiesi se non fosse stata su qualche foto della rappresentazione cibernetica di Synt.
    «Sei di nuovo pensierosa.» commentò ancora Zach.
    Mi voltai verso di lui sospirando, era inutile arrovellarmi su un problema del genere, di certo non avrei trovato la soluzione in quel momento. Una volta tornata alla caserma avrei consultato il mio smart-table ed avrei scoperto che la signora era proprio lì.
    «Non dovresti turbarti tanto perché la gente ti guarda male. Lo fanno sempre.»
    «Perché? Dopo tutto tu li proteggi, no?»
    Lui rise, amarissimo, ma rise. «È la legge più antica dell’umanità: il diverso fa paura; se il diverso è più forte, è una minaccia; se il diverso è più forte e non obbedisce, va eliminato.»
    Ci pensai su. «Quindi, secondo il tuo ragionamento, l’unica differenza tra un Veggente ed un Vegliante è che i Veglianti obbediscono.»
    Sorrise. «Anche.» mi concesse con un’occhiata verde e divertita che mi fece arrossire.
    Altro silenzio.
    «Una volta io e Romeo ci stavamo accapigliando come al solito, e come al solito lui mi aveva messo al tappeto.»
    Lo osservai con più attenzione, in quel momento sembrava meno sensibile all’idea che, per quanto potesse impegnarsi, Romeo era sempre di un passo davanti a lui.
    «Si era seduto sul mio torace, in modo che le sue ginocchia mi tenessero ferme le braccia.» continuò. «Potevo divincolarmi quanto volevo, non sarebbe servito a niente.» si leccò le labbra. «Lui mi osservò a lungo. Romeo ha questo strano modo di guardarti, come se fosse sempre indeciso sull’ucciderti. Penso che, quando lo fa, riesca a vedere tutti i sentieri che si srotolerebbero per ognuna delle due scelte.»
    Era stima quella che traspariva dalla sua voce? Invidia? Anche con me era stato in quel modo, tentato allo stesso tempo dal farmi fuori o tenermi in vita, ma non mi ero sentita né invidiosa né estimatrice del suo talento. Sarà stato che ero troppo terrorizzata.
    «Non mi ha ucciso. Mi ha fissato e mi ha detto: “Se ci uccidete tutti, poi, quando inizieranno a dare la caccia a voi, chi vi aiuterà?”.»
    Rimasi in silenzio, era un’idea terrificante, ma anche terribilmente sensata. Quando questa guerra sotterranea tra Veglianti e Veggenti sarebbe finita, che ne sarebbe stato della fazione vincitrice? Come vivevano i Veglianti che sopravvivevano al periodo di leva? Continuavano tutti a combattere come Jean, oppure riuscivano a costruirsi una vita normale?
    «Voleva solo confonderti.» dissi, mio malgrado perché era la cosa più tranquillizzante da dire, non perché ci credevo. Stavo lentamente entrando nell’ottica che Romeo non mentisse, quasi mai.
    Si strinse nelle spalle. «Probabile.» mi guardò. «Non l’ho mai detto a nessuno.»
    Arrossii. «E perché l’hai detto a me?» cercai di dissimulare il mio imbarazzo, ignorandolo per prima.
    Colsi l’ombra di un sorriso nei suoi occhi, ma non disse niente. Pensò alla mia domanda invece. «Non lo so.» ammise. «Perché al momento sei inutile e magari puoi almeno aiutarmi a tenere in ordine i miei pensieri?» mi chiese sarcastico per alleggerire l’aria che, improvvisamente, si era fatta dieci volte più pesante del solito.
    «Simpatico.» commentai gelida e tornai a fissare il parabrezza. «Tu e Courtney fate proprio una bella coppia.»
    Scoppiò a ridere e, guardandolo, mi dissi che se tanto potevo solo quello, almeno lo avrei fatto ridere.
    «Tu hai lasciato un fidanzato a casa?» mi chiese.
    Non avevo realizzato che fosse una pessima domanda finché non me la pose. Fu peggio di un pugno. Mi raggomitolai sul sedile e mi abbracciai le gambe per poggiare la testa sulle ginocchia, dall’altra parte rispetto a lui. «C’era un tipo, eravamo tutti e due molto timidi, quindi ci sono stati mesi di sguardi prima di un invito ad uscire.» chiusi gli occhi e mi ingiunsi di non piangere. «Era per ieri sera.» magari Logan era l’uomo della mia vita ed io non lo avrei mai saputo, perché non facevo più parte della mia vita.
    Sentii Zach sospirare, poi la sua mano si posò piano sui miei capelli. Non disse niente e silenziosamente lo ringraziai di questo. Nemmeno quando iniziai a tirare su con il naso.

La gita a Synt non mi distraeva abbastanza da tirarmi su il morale e vedere il sole di minuto in minuto più in basso sulla linea dell’orizzonte non aiutava. Me ne stavo zitta e buona, accartocciata sul sedile del passeggero e mi limitavo a seguire gli ordini di Zach quando mi diceva di aiutarlo. Erano cose elementari “prendi quello”, “porta quest’altro” ed ero sicura che lo facesse più per farmi sentire utile che per vera necessità. Le bombe al centro di Synt dovevano essere state semplici da disinnescare, perché intorno non c’erano danni di nessun genere.
    Se per gli abitanti di Synt sia i Veglianti che i Veggenti erano diversi e quindi pericolosi, chi odiavano di più?
    In fondo, non era forse vero, che mia madre mi aveva sempre insegnato a scostarmi dalla strada quando incrociavo quelle giacche verdi. Se fossi tornata a casa, Logan sarebbe ancora voluto uscire con me?
    Guardai Zach, era in tuta: una felpa nera col cappuccio, un paio di pantaloni un po’ grandi che frusciavano quando camminava e scarpe da ginnastica bianche con le righe nere. Quella mattina di verde c’erano solo i suoi occhi. Forse mia madre non si sarebbe spaventata se l’avesse visto così.
    Sollevai il blocco del detonatore da sotto un scivolo per bambini transennato, mentre Zach portava quella che mi aveva spiegato essere la gabbia esterna dell’esplosivo. Qualsiasi cosa avesse contenuto era stata svuotata la sera prima, quando l’avevano disinnescata.
    «Come l’hanno presa i tuoi quando Jean ti ha preso?» gli chiesi, per non pensare al fatto che un bambino disobbediente sarebbe potuto comunque salire su quello scivolo ed esplodere. Mi guardai intorno, era un bel parco – se non si considerava l’erba ocra – c’era anche un altro scivolo, delle altalene, un girello, ma mancavano i bambini. A parte la signora che ci spiava dalla finestra non avevo visto nessun abitante di Synt.
    «Male.» disse solo ed io dovetti riscuotermi dai miei pensieri per ritornare all’argomento della conversazione. «Mio padre era molto amico di Wood ed anche se Jean era la sua figlioccia tutti sapevano che era più magnanima.» posò con cura le sue parti nel bagagliaio e mi aiutò con il detonatore. «Insomma, per una testa calda come me, serviva il pugno di ferro di Wood.»
    Lo guardai, Zach non era una testa calda, anzi, a volte era controllato fino a risultare innaturale.
    «Eri molto indisciplinato da piccolo?» chiesi quindi, immaginandomi un bambino vivace, un ragazzino un po’ troppo scalmanato che pensava poco alla scuola e troppo a far casino con gli amici.
    Abbassò lo sportello del fuoristrada con cautela, Matt e Nate volevano analizzare ogni pezzetto fino alla psicosi, quindi si erano raccomandati di non rovinarli.
    «Diciamo che io e mio padre abbiamo delle incomprensioni.» spiegò.
    Lo osservai incerta. «Incomprensioni?»
    Annuì ed arricciò il naso, mentre si passava una mano tra i capelli imbarazzato. «Aver tentato di ucciderlo non ha giovato al recupero del nostro rapporto.»
    Sgranai gli occhi incredula. «Hai cercato di uccidere tuo padre?»
    «Lo dice anche il tuo Freud, no? Che ad un certo punto bisogna uccidere i propri genitori.»
    «In senso figurato!» obbiettai stridula.
    Lui fece spallucce poi girò intorno all’auto per salire di nuovo, lo seguii.
    «Quanti anni avevi?»
    «Dodici.»
    A dodici anni per me papà era la cosa più bella del mondo.
    «Perché?» domandai senza capire, perché dal mio punto di vista un discorso del genere era fuori da ogni logica.
    Lui sospirò. «Avevo un fratello che sognava di diventare un ingegnere, era una specie di genio, tipo Nate. Ma mio padre era stato un soldato e se aveva avuto due figli maschi era stato solo per servire la nazione…»
    «E se fossero state femmine?» domandai di getto, scusandomi subito dopo per averlo interrotto.
    «Siamo stati concepiti in vitro, un team di genetisti si è occupato di garantire il nostro cromosoma Y.» mi spiegò comunque. «Ad ogni modo, Sean era stufo di sentire questa solfa così fece l’addestramento e morì in una delle guerre del Medio Oriente, non ricordo nemmeno quale.»
    Non ne sapevo molto della situazione politica internazionale, a scuola ci insegnavano che, dopo anni di convivenza forzata e carica di tensione tra pensieri diversi, lo scontro era stato inevitabile e si era esteso a tutto il nord Africa.
    «Io ero inconsolabile, piangevo e basta. Mio fratello era morto per far contento mio padre, morto! Non l’avrei più rivisto, non avremmo più giocato insieme, non mi avrebbe mai mostrato lo schema perfetto del football di cui parlava sempre.» disse distaccato come se non stesse parlando di sé stesso.
    Rimasi in silenzio, fissandolo.
    «Mamma supplicò mio padre di dirmi qualcosa, di consolarmi. Lui venne nella mia camera e mi disse “Zach, sei uno stupido a piangere, perché tuo fratello è un eroe.”» si fermò a riflettere, poi mi guardò. «Sai, fondamentalmente la colpa è mia, sono stato troppo ingenuo a chiedergli se non sarebbe stato più contento se fosse rimasto lì e sopravvissuto. Perché lui mi ha risposto qualcosa che somigliava a “La sua morte mi ha reso fiero di lui e se tornasse in vita sarei orgoglioso solo se andasse a morire di nuovo.” Non sono sicuro che fossero le esatte parole, ma il senso era quello.»
    Bel tipo, il padre di Zach.
    «A quel tempo giocavo a baseball, gli sport mi riuscivano ed anche se mi piaceva il football cambiavo di tanto in tanto. Papà mi aveva regalato una mazza nuova di metallo, bellissima. Io la recuperai al volo da sotto il letto e provai a colpirlo.»
    «E lui?» domandai spaventata.
    «Avevo dodici anni, non ero una mente assassina. Mi ha rotto un paio di costole a calci e mi ha chiuso in accademia militare per mettermi in riga, o ottenere un’altra medaglia dalla mia morte.» scosse la testa. «Non mi sono mai venuti a trovare finché non mi hanno convocato per l’Asta, mio padre era tutto eccitato, mi ha detto che mi perdonava, perché un simile dono mi rendeva migliore. Sarebbe stato orgoglioso del Vegliante che sarei diventato.»
    «Quindi ora avete fatto pace?»
    «No. Gli ho detto che io non lo perdonavo e che non sarei mai diventato il Vegliante che lui avrebbe voluto.»
    Abbassai lo sguardo cupa e triste per lui, per il bambino che aveva avuto voglia di uccidere il padre, per il ragazzo che si era trovato solo per essere addestrato alla guerra a soli dodici anni, per il giovane uomo che aveva seguito controvoglia un destino che non voleva.
    «Dai, non fare quella faccia.» mi riprese. «Poi le cose si sono aggiustate: Josh ha fatto a botte con Wood per portarmi nella sua squadra, Jean mi ha promesso che nessuno mi avrebbe più rasato i capelli se mi fossi comportato bene e che avrei avuto tutto il tempo del mondo per sentirmi pronto ad uscire.»
    «Joshua Lanter, quello della mia camera?» chiesi anche se conoscevo la risposta.
    «Ah-ah.» annuì. «Era la persona più tranquilla e pacifica del mondo, solo quando c’era Wood nei paraggi diventava violento. È per questo che Jean ha iniziato a portare me alle Aste e non lui. Non si controllava.»
    Cercai di scrivere a fuoco tutte quelle informazioni nel mio cervello, poi lo guardai incerta. «E così hai trovato la tua vocazione.» terminai per lui.
    «Qualcosa del genere.»
    Distolsi lo sguardo, persa nel pensiero di Josh; per come me ne avevano parlato, non sembrava affatto tipo da andare fuori di testa. Non era un controsenso che l’uomo che aveva mantenuto calmi gli animi di Synt per tutto quel tempo, perdesse le staffe?
    «Sei un buon raccogli pensieri, cheerleader.»


apriamo una parentesi sulla guerra.
papà Douquette è un fanatico più fanatico, prima di dire che è esagerato però, pensate un attimo al fatto che in certe nazioni i genitori lasciano ed anzi sono orgogliosi che i figli si mettano una bella maglietta alla nitroglicerina e si facciando esplodere su un pullman, in funzione di ideali religiosi o politici più o meno opinabili. 
poi certo noi siamo in un paese libero e civilizzato. quindi, chi sono io per dire che mnandare con orgoglio un figlio a morire nel paese sopra citato, sempre per motivi che non sta a me giudicare, sia una follia?
nessuno io sono solo una racconta favole, dopo tutto.
chiusa parentesi sulla guerra.

vi lascio il link di Lamponella, andatela a trovare se vi va, che è contenta!

fatemi sapere se vi piace!
baci

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Capitolo 8
*** 7. Sola ***


Mitrono
fragolottina's time
lo so, siamo sotto Natale e come minimo dovrei scrivere il racconto di Natale, ve'?
il problema è che questa storia sta decisamente prendendo più me che voi, quindi ho deciso di seguire lamia ispirazione.
dunque, questo è un capitolo complesso, si parla di Becky, di quello che fa e che potrebbe fare, ma soprattutto di quello che ha nella testa. il suocco del discorso è che nella testa di Becky c'è un bordello niente male, più che altro ci sono un sacco di domande alle quali nona veva mai cercato di trovare risposta perchè non se le era mai poste.
ma Synt, care lettrucciole, è come Silent Hill, ti costringe a fare i conti con la parte più complessa e nascosta di te.
buona lettura...

7

Sola

«Signore e signori.» esordì Matt, camminando avanti ed indietro davanti a noi. «Siamo qui riuniti, come ben sapete, per metterci alla prova con il nostro nuovo prodotto video ludico…»
    Lynn mi diede di gomito. «Dove cavolo è andato a pescare due parole come “video ludico”?!»
    Nascosi la mia risata, voltando poco il viso di lato.
    Dopo aver scaricato tutto il materiale recuperato dalla città, Matt e Nate ci avevano riuniti in palestra, dove avevano già montato un proiettare e sistemato alcune sedie. Perfino Jean era scesa per controllare il loro lavoro, o forse il mio, ma si era portata dietro alcuni fascicoli da esaminare. La Responsabile ci aveva anche suggerito di prendere il nostro vassoio con la cena per non perdere tempo; a quanto pareva eravamo già in ritardo sulla tabella di marcia, anche se, per come la vedevo io, era presto, appena le sei del pomeriggio. Jared però mi aveva spiegato che, se riuscivano a cenare alle sei e mezza, per le nove, quando iniziava al ronda, tutti avevano già digerito: “Corriamo, lottiamo. Non possiamo permetterci di essere appesantiti dal cibo”.
    Ero sicura che la notte prima avessi mangiato più tardi, ma forse il sonno sballato mi confondeva.
    «Ma lasciate che vi descriva la nostra opera.» annunciò Matt. «Nate, attacca.»
    Lui, seduto sopra l’attrezzo per i dorsali – o almeno così mi sembrava – digitò qualcosa sul computer portatile che aveva in equilibrio sulle gambe ed il proiettore si accese. Alle sue spalle, sulla parete bianca, apparve un immagine sbiadita, un pupazzetto biondo con una gonnellina ed un canottiera con su stampata una B e quelli che sembravano due pompon legati al fianco.
    Oh mio Dio, ma ero io quella?!
    Ma il dramma non era finito. Quelli che sembravano una manciata di frutti stilizzati, con occhi, gambe e ciuffetti verdi qui e lì, fecero il loro ingresso nella scena saltellando, mentre la parte superiore dello schermo veniva occupata dal titolo del videogioco: “Becky mangia-frutta”.
    «È soltanto il primo episodio della serie.» spiegò Nate ridendo. «Contiamo di sviluppare altre avventure.»
    Per qualche secondo la palestra rimase invasa dal gelo, il primo a trovare il coraggio di parlare fu Zach.
    «Davvero?» domandò perplesso. «Questo è il suo test?»
    «Non farti ingannare dallo stile fumettoso!» lo rimproverò Nate. «Il design è semplice, ma la difficoltà elevata.»
    Jean sospirò e girò la pagina del suo fascicolo senza degnarli di uno sguardo, probabilmente troppo abituata alle loro follie per essere sconcertata.
    «Zach, giacché sei il più talentuoso di tutti noi, dovresti fare il primo turno per creare un punteggio base.» gli spiegò Matt.
    Lui sbuffò e si alzò, io seguii ogni suo movimento, quando riuscii a staccargli gli occhi di dosso, vidi Courtney fissarmi come se volesse saltarmi addosso da un momento all’altro. Dopo averla vista lottare contro Jared, iniziavo a pensare di dover essere più cauta: era una Vegliante, aggraziata e bella, ma pur sempre letale. In più era una donna innamorata che si sentiva minacciata da me – fattore che trovavo quanto mai ridicolo, visto che Zach era in tutto e per tutto ancora preso da lei: mi avrebbe uccisa, se ne avesse avuto l’opportunità.
    «Che devo fare?» domandò Zach annoiato.
    Matt gli porse quello che aveva tutta l’aria di essere un telecomando dalla strana forma troppo allungata. Premette un paio di volte l’unico pulsante rosa e, con una serie di “tic” che lo facevano sembrare un accendi fuoco, un piccolissimo laser rosso sbucò dalla punta fermandosi ad oscillare sul soffitto.
    «Ogni volta che premi, parte un impulso, quando l’impulso si incrocia con il fotogramma di un obbiettivo a Nate arriva un punto. Alcuni obbiettivi sono praticamente soltanto flash, altri hanno tre secondi prima di scomparire.»
    Zach annuì e guardò Nate ancora incerto. «E tu dici che questo è un super test? Sembra solo un giocattolo per bambini.»
    Lui si strinse nelle spalle, sui suoi occhiali si rifletteva lo schermo del pc, era impossibile indovinare il suo sguardo. «Proviamo. Se non ne usciamo faremo una partita a Bandiera Svizzera.»
    «Ma state scherzando?» sbottò Courtney, balzando su infuriata. «Volete dire che invece di riposare, dovrò litigarmi con voi uno straccetto?! E solo perché quella mocciosa forse non è un completo spreco di ossigeno?! Scordatevelo!»
     Guardai Zach fissarla con un misto di rammarico, nostalgia ed affetto. Strinse i pugni e sapevo per certo che avrebbe voluto stringere lei. Mi abbracciai più stretta le gambe al petto.
    «Eddai, Court.» la supplicò Nate. «Prendilo come un allenamento.»
    «Un allenamento?!» chiese ironica. «Io mi alleno già, tutti i giorni.»
    «Non per un trasporto.» precisò Lynn. «Dai, giochiamo un po’, che sarà mai?!»
    «Dovremmo riposarci per un trasporto, studiare una strategia efficace che ci permetta di tornare tutti a casa sani e salvi. Non indossare berretti con i pompon e fingere una guerriglia!» nonostante il fastidio, notai che cercava di essere più gentile quando parlava con Lynn.
    «Faremo l’uno e l’altro.» promise Zach.
    «Jean, pensi che sia necessario?» domandò comunque Courtney fissandolo negli, in una muta sfida a cercare di fermarla.
    La Responsabile posò gli occhi su Courtney, Zach, me ed infine su Nate. «Il nostro stratega crede che sia necessario?» chiese soltanto, rimanendo diplomaticamente al di fuori di ogni disputa personale.
    «Dipende dal risultato del test.» concluse semplicemente Nate.
    «Appunto. Smettetela di fare i bambini.» li rimproverò.
    Courtney si zittì, ma tutto, in come si sedette di nuovo a terra con le braccia incrociate sul petto, gridava il suo dispetto. Mi avrebbe uccisa, prima o poi quella ragazza avrebbe trovato il modo di farmi fuori e farlo sembrare un incidente, o un terribile atto dei Veggenti: in ogni caso, lei ne sarebbe uscita pulita.
    Matt alzò gli occhi al cielo. «E ancora non le ho detto la parte peggiore.» mormorò.
    Io mi sporsi verso Lynn. «Io non so giocare a Bandiera Svizzera.» confessai.
    Lei mi guardò e sorrise. «È semplice. Ci dividiamo in due squadre, blu e rossi, e ci dividiamo anche un territorio. C’è una fabbrica in disuso, in genere usiamo quella. La squadra blu protegge una piccola zona circoscritta dove è nascosta la bandiera rossa, mentre la squadra rossa sorveglia quella blu. Vince la prima squadra che riesce ad appropriarsi della propria bandiera e portarla nel proprio territorio.» si fece più vicina a me ed abbassò la voce prima di proseguire. «In realtà è divertente, anche se Courtney si lamenta.»
    «Praticamente, punto e sparo.»
    «Si.» confermò Matt a Zach. «Nate, stacca le luci.»
    Distolsi l’attenzione da Lynn per osservare Zach.
    La prima cosa che realizzai, quasi con stupore, era la sua lentezza. Pensava troppo, alcuni bersagli non riusciva a colpirli, non sembrava nemmeno vederli, altri li intercettava appena un secondo prima che scomparissero ed il tempo per sparare c’era. C’era, eccome. Mi dissi che, probabilmente, parlare da fuori era troppo facile. Magari il puntatore era più complicato di quanto credessi da utilizzare, o forse l’impulso visivo era più facile da realizzare rispetto a quello che diceva alle mani “Spara!”. Insomma, anche tirare un freccetta sembrava facile, no? Ma non lo era.
    Erano cinquanta bersagli, cinquanta frutti. Cinquantuno se si contava anche una specie di mostriciattolo con il ciuffo rosso – la stilizzazione di Romeo, supponevo – che faceva capolino di tanto in tanto, come il big bad di qualsiasi videogioco.
    Sgranai gli occhi quando diventai consapevole della magia: indipendentemente da tutto, Matt e Nate avevano costruito un videogioco – semplice, ma pur sempre un videogioco – con tanto di telecomando in tre ore circa: erano in gamba sul serio.
    «Non male.» commentò Nate. «Quaranta. Non hai preso Romeo, però.» lo prese in giro con sguardo furbo.
    Zach gli lanciò un’occhiata omicida anche se divertita. «Non fai ridere, neanche un po’.»
    «Vediamo cosa fa la nostra talentuosa e nuova recluta?» ci invitò Jean. «State facendo tardi alla ronda.» ricordò, studiando il proprio orologio.
    «In bocca al lupo.» mi sussurrò Lynn incoraggiante, mentre mi alzavo.
    Matt mi venne incontro con un paio di cuffie pelose e me le sistemo sulla testa, tra i capelli, e tutto il mondo diventò muto. Mosse le labbra, ma non sentii niente finché non ne sollevai una. «Così non ti deconcentri.» ripeté con un sorriso.
    «Perché io niente cuffie?» domandò Zach, sedendosi accanto a Courtney. Troppo vicino per non leggerci un’intenzione ben precisa, ma non abbastanza da farli sembrare a loro agio con il corpo dell’altro.
    «Perché sono rosa!» rispose esasperato Matt. «Non stavano bene coi tuoi capelli ed i tuoi occhi.»
    Lynn scoppiò a ridere, forse l’avrei fatto anche io se non fossi stata nervosa. Incrociai lo sguardo di Nate, lo schermo del pc scivolò via dai suoi occhiali per farle spazio; era bello da vedere, la guardava come se la sua risata fosse la cosa più meravigliosa sulla faccia della terra. Forse per lui lo era davvero.
    Lasciai che la cuffia aderisse di nuovo al mio orecchio, schiacciò i miei capelli con un fruscio consolante, era esattamente lo stesso rumore che sentivo quando posavo la testa sul mio cuscino.
    Matt mi porse il telecomando e mi mostrò il pulsante da premere, era un po’ duro, ma era giusto. Adatto. Quando si tolse da davanti la mia visuale rimasi sola. Io e lo schermo, l’assenza di suoni mi confinava in mondo vuoto, dove l’unico rumore era il mio respiro, interno e privato, lento e regolare. Mi stupii della mia calma, per tutta la vita avevo avuto paura di stare sola, di rimanere sola, era panico quel groppo che mandavo giù ogni volta che Taylor mi parlava di altre compagne di scuola che le erano simpatiche e con le quali temevo potesse rimpiazzarmi; e non ero forse morta di spavento quando mi avevano portata via, all’Asta, sola? Ma in quel momento, sola, con un telecomando in mano ed un videogioco con il mio nome ad occupare tutta la mia visuale, stavo bene, tranquilla, prendevo finalmente fiato, dopo una vita di respiri mozzati ed interrotti.
    Non ebbi nessuna reazione quando il videogioco partì, ero pronta, ed il mio cervello correva veloce in due direzioni diverse: una parte mi indicava quello che io avevo bisogno di vedere – “la fragola in alto a destra, la mela che lampeggia a sinistra, sta per comparire una specie di ananas, stai attenta!” – l’altra mi ficcava in testa un concetto semplice, ma innovativo: “ogni passo che hai percorso, ogni cosa che hai fatto, ogni persona con cui hai parlato, ti hanno portata qui”.
    Guardai il mostriciattolo che era Romeo, infastidita: non l’avevo preso, non riuscivo a prenderlo, era troppo veloce, appariva e scompariva, a volte lampeggiava a volte camminava qui e lì, si prendeva gioco di me. Deglutii un boccone d’aria e lo fissai, “la prossima volta ti prendo”.
    Sparai. Il “tic” del puntatore mi ricordò di aprire gli occhi. Avevano già acceso la luce ed aggrottai le sopracciglia sorpresa, come risvegliandomi da un sogno.
    Che hai fatto, Becky?
    Niente, non avevo fatto niente… giusto?
    Non so perché iniziai a sentirmi braccata, come se avessi commesso un errore fatale che avrebbe richiesto la mia eliminazione per essere corretto. Che avrei detto quando mi avrebbero interrogato? Quando avrei dovuto spiegare quello che avevo fatto o che non avevo fatto? Mi girava la testa, feci un passo barcollante, sola nel vuoto, non più calma, anzi spaventata, perché tutto quel silenzio mi stava soffocando. Tutti mi guardavano, tutti si facevano domande e trovavano risposte più o meno logiche. Avevo bisogno di sedermi, avevo bisogno di nascondermi, sparire.
    Nemmeno me lo avesse letto nel pensiero, Courtney mi raggiunse e mi fissò negli occhi, i suoi, azzurri come il ghiaccio, erano fermi, immobili e trasmettevano la loro calma a me. Mi sfilò piano le cuffie e il mondo riprese una voce.
    «Inspira.» ordinò, senza rabbia o odio, pratica e professionale quasi. «Espira.»
    Obbedii. Anche se mi odiava non era lei che mi avrebbe tradita.
    «Ascolta il tuo respiro. Vuoi sederti?»
    Annuii senza riuscire a ricordare come si faceva a parlare.
    Mi prese la mano che non stringeva il telecomando e si inginocchiò con me, mentre io scivolavo prima sulle ginocchia, poi a sedere.
    «Stenditi e solleva le ginocchia.»
    Per alcuni secondi il mondo rimase un insieme confuso di suoni mischiati, ero al centro di un vortice che mi girava furioso intorno, non potevo scappare, ma non sapevo nemmeno correre così veloce. Continuavo a fissare la luce al neon sopra di me, in alto, lontanissima, come una stella.
    Sola.
    Riconobbi la voce di Lynn quando si sdraiò su un fianco, per terra accanto a me e mi prese la mano. La sua era calda e piccola e liscia, la mia mi sembrava un pezzetto di ghiaccio duro nella sua.
    «È tutto apposto, Becky.» mi rassicurò. «Sto qui con te, tanto i maschi stanno facendo tutti calcoli che io non capisco.»
    Sorrisi piano.
    «Quindi, io sto qui con te, finché non ti viene voglia di alzarti in piedi.»
    Probabilmente non avrei mai voluto alzarmi in piedi, ma sentivo di potermi tirare a sedere. Con calma…
    Il rumore intorno a me ricominciò ad avere un senso.
    «Ha fatto schifo, ne ha presi trentacinque. Meno di me.» era Zach, era la sua voce.
    «È un po’ più complicato di così e comunque ha preso Romeo.» era Matt.
    «Beh? Trentasei.»
    Nate mi stava fissando, non lo vedevo, ma lo sentivo. «Romeo era un bersaglio un po’ più complesso.» spiegò.
    «Perché?» chiese Zach.
    «Perché non aveva uno schema.»
    Sapevo quello che stava per dire: Nate avrebbe potuto condannarmi.
    «Ero io a muoverlo.»
    Jean si avvicinò mentre mi stavo mettendo a sedere. Mi studiò attenta, fermandosi qualche secondo di più sulle mie dita che non avevano mai lasciato il telecomando, e lanciò un’occhiata a Courtney.
    «Un crisi di panico.» spiegò semplicemente lei. «Non chiedermi cosa le ha fatto venire il panico, ma di quello si tratta.»
    Lei sospirò e mi passò una mano sulla fronte, era fresca, io mi sentivo un po’ sudata, tipo febbricitante. «D’accordo.» commentò. «Adesso ti portiamo a letto e ti diamo qualcosa per riposare un po’.»
    «Non mi farai portare via, vero?» domandai precipitosa, aggrappandomi al suo braccio. Non sapevo nemmeno da dove mi fosse uscito quel timore. Non avevo fatto niente di male… giusto?
    Jean mi osservò, cercando di arrivare alla parte del mio cervello che stava dando i numeri, ma poi mi sorrise conciliante. «No, cara, non preoccuparti.» guardò il gruppetto di maschi che continuavano a discutere agitati. «Ehilà, bellezze! Non state dimenticando qualcosa?»
    Tutti si voltarono verso di lei, ma nessuno sembrò capire il significato delle sue parole.
    «Qualcosa che inizia per “ron” e finisce per “da”?!» continuò ironica.
    «Partiamo?» domandò Zach.
    «Direi. Nate, tu aiutami ad accompagnarla nella sua stanza.»
    Lynn mi strinse un’ultima volta la mano, prima di allontanarsi insieme agli altri. Nate si accucciò accanto a me e, piano, piano, mi filò via il telecomando.
    Sbattei diverse volte le palpebre. «Non dirlo!» non sapevo nemmeno a cosa mi riferissi. Oltre il terrore cieco il mio cervello era troppo pieno, così pieno che tutti i pensieri erano stati pressati insieme fino a mischiarsi e diventare inestricabili.
    Mi aiutò a sollevarmi, poi mi passò un braccio dietro la schiena ed il mio intorno alle sue spalle, il tutto senza guardarmi nemmeno un secondo negli occhi, come se avesse paura che potessi leggerci qualcosa di segreto.
    «Datele due pillole di valeriana. La faranno dormire e domani sarà riposata e calma.» suggerì Courtney lontana.
    «Ti serve aiuto, Nate?» domandò Jean.
    Lo sentii scuotere la testa, mentre aspettava pazientemente che io camminassi piano, piano insieme a lui. Non parlava ed era strano, perché Nate mi parlava sempre, mi raccontava. Anche in quel momento se fossi stata brava probabilmente si sarebbe complimentato con me, mentre in caso contrario avrebbe inventato una scusa per non farmi intristire.
    «Cosa c’è che non va?» domandai dopo un po’, quello sembrava essere un concetto abbastanza semplice da essere espresso.
    Lui fece un mezzo sorriso, controllato e rigido. «Ho paura che tu sia troppo brava.» commentò incerto e deglutì. «Certo, che però abbiamo dei compagni di squadra intelligenti.» riprese vita, cambiando repentinamente argomento. «Barcolli e cosa fanno? Non è che ti vengono a soccorrere, oh no!, si precipitano da me a vedere il tuo punteggio. Almeno Courtney da la giusta importanza alle cose.»
    Sapevo che mi stava nascondendo qualcosa, ma, in ogni caso, il suo discorso semplice mi aveva calmata.
    No, lui non mi avrebbe mai tradita.
    Forse avrei dovuto rispondere qualcosa tipo “Meno male che c’è Courtney”, ma credo che sarebbe ghiacciato l’inferno prima che io facessi un commento simile.
    Quando salimmo sull’ascensore, per alcuni secondi il silenzio fu ancora più denso di qualsiasi cosa, ma meno spaventoso; mi sembrava quasi di sentire il cervello di Nate girare ed arrovellarsi, anche se non ero sicura di voler sapere quale fosse il problema.
    «Dov’è andata Jean?» chiesi, sicura che ora la mia parte di cervello addetta al linguaggio fosse di nuovo attiva e funzionante.
    «A prendere le pillole che le ha detto Courtney.»
    «Sicuri che non è veleno?»
    Rise. «Quasi sicuri.»
    Non appena accese la luce della mia camera, il poster di Romeo si fissò nella mia mente come se mi fosse stato marchiato a fuoco e per alcuni secondi mi fece ricadere nello stesso terrore cieco di poco prima. Quella notte non riuscivo proprio a trovare tregua: cosa mi sfuggiva? Cosa mi sfuggiva?
    Scossi forte la testa e respirai profondamente come mi aveva aiutato a fare Courtney, mentre Nate mi guidava verso il letto. Scostò le coperte e si chinò a togliermi le scarpe, prima di lasciarmi sdraiare. Incrociò le gambe e rimase seduto per terra. 
    «Colpa del silenzio, vero?»
    Mi strofinai gli occhi. «Credo di si.»
    «Mi dispiace, con Matt avevamo pensato che lasciarti in quel modo al buio e sola avrebbe potuto disturbarti, ma era un test e non volevamo che ti facessi distrarre nel caso Courteny e Zach avessero dato giudizi non richiesti ed inopportuni.»
    Sorrisi tra me, questo era il vero Nate.
    Mi tirai indietro un ricciolo dal viso. «All’inizio è stato divertente.» cercai di tranquillizzarlo.
    «Dovremo organizzare una battuta di Bandiera Svizzera: loro litigano e tu fai il cecchino.»
    Deglutii. «Di nuovo con le cuffie?»
    Scosse la testa. «No, sarò con te, tranquilla.»
    «Come stai, Becky?» chiese Jean entrando pimpante nella mia camera.
    Sollevai poco la testa per guardarla, in una mano teneva un bicchiere d’acqua, nell’altra una bottiglietta piena di pillole bianche. Nate mi aiutò a sollevarmi e lei mi porse il bicchiere, prima di versarsi due pasticche nel palmo.
    «Un bel sorso ed è tutto apposto.» promise allungandomi la mano per farmele prendere.
    Obbedii e le mandai giù con metà bicchiere d’acqua, poi riappoggiai la testa sul cuscino. Jean mi rimboccò le coperte fin sotto il mento, materna. «Buonanotte, Becky.» mi augurò, prima di andarsene.

Nel poster c’era Romeo che teneva in braccio un bambino con lo zainetto. Dietro di loro c’era la casa, la finestra aperta dove probabilmente il piccolo stava dormendo.
    Dalla finestra si riusciva a distinguere la cornice di una porta, una donna, piccola, piccola, che osservava la scena in silenzio, senza muoversi.

Sussultai e mi tirai su a sedere, tastando il muro finché non riuscii a premere l’interruttore della luce.
    Quando la stanza si illuminò, una mano mi si premette sulla bocca per impedirmi di urlare. «Sono io.» sussurrò Zach seduto sul mio letto. La sua mano odorava di nicotina.
    Però non mi ero svegliata per colpa sua. Fissai il poster, la donna era lì, era sempre stata lì. Piccola, lontana, spettatrice di un orrore privato, scioccata dalla paura? Non lo sapevo, ma era lei la signora che ci stava spiando, mentre recuperavamo le bombe a Synt interna.
    Afferrai il polso e le dita di Zach per allontanarle e lo fissai. «Devi riaccompagnarmi in quella casa domani.» affermai decisa.
    Lui sollevò le sopracciglia scettico. «Devo?!» chiese sarcastico. «Da quando hai iniziato a dare ordini?!»
    «Quella donna.» indicai la signora sul poster con l’indice. «Devo parlarle.» in realtà non avevo una vera idea di cosa dirle, ma immaginavo che qualcosa mi sarebbe venuto in mente.
    Zach si voltò a guardare quello che volevo mostrargli e strinse gli occhi incerto. «Quella è una donna?!» chiese incredulo. «Ma sei sicura?» in effetti era un piccolo ammasso di pixel sgranati, ma se la si guardava da lontano sembrava quasi una figura umana. Ed io sapevo che era lei. Quindi, forse lei sapeva perché Josh si era suicidato.
    Annuii decisa e lui scrollò le spalle. «Se proprio ci tieni.»
    Lo studiai. Aveva una maglietta nera, pantaloni con troppe tasche sempre neri e scarponi dall’aria pesante. Il coltello era ancora infoderato alla cinta dei suoi pantaloni e la giacca verde abbandonata ai piedi del mio letto: doveva essere venuto nella mia camera appena tornato.
    «Che fai qui?» chiesi, archiviato il problema poster.
    Mi lanciò un’occhiata, distogliendo lo sguardo dal poster. «Ero venuto a vedere come stavi.»
    «Sto bene.» mentre pronunciavo quelle parole cercavo di analizzare tutto il mio corpo: la mente era libera, lo stomaco era a posto, respiravo bene e mi sembrava che il mio cuore battesse con regolarità; segni vitali stabili. Trovai anche il modo di chiedermi di cosa cavolo avessi avuto paura prima: ultimamente capirmi stava diventando complicato.
    Abbassai lo sguardo, sulle mie gambe c’era ancora la mano di Zach che stavo stringendo per il polso e le dita.
    Strinsi i pugni arrossendo. «Come è andata la ronda?» chiesi mentre incrociavo le gambe sotto le lenzuola.
    Zach si lasciò cadere sul letto di schiena ed infilò le mani nelle tasche dei pantaloni; lucidamente scelsi di perdermi nella linea del suo braccio, nel segno ancora visibile di una ferita in via di guarigione. Avrei voluto allungare una mano e toccarlo.
    «Tutto sommato divertente.» rise. «Matt e Courteny hanno fatto a botte.»
    Sgranai gli occhi. «Che cosa?!»
    Sbuffò una risata più rumorosa. «Oddio, lo so che non dovrei, ma mi fanno troppo ridere.» si coprì gli occhi con una mano. «Dovresti vederli per capire.»
    Gli diedi un calcetto sulla spalla con la punta del piede. «Sei un pessimo caposquadra! Non dovresti affatto ridere!»
    «Ma guarda che infatti sul momento sto serio.» mi tranquillizzò lanciandomi un’occhiata. «Rido adesso, con te.»
    Rallentai e deglutii cercando di non arrossire, o almeno di non arrossire troppo. «Perché litigavano?» domandai alla ricerca di un terreno più comodo.
    Zach si fece più serio, il suo petto si alzò ed abbassò in un sospiro. «Fra due giorni parte un carico di Mitronio. L’ADP ha convinto il governo a mandarci trenta soldati semplici e dieci cecchini per permette ai tre camion di uscire da Synt. Sarà un casino comunque.» si strofinò il viso con entrambe le mani.
    «Magari no.» cercai di rassicurarlo debolmente.
    «Tu non sei uscita stanotte, cheerleader. L’aria vibra, ha un odore particolare, si stanno preparando...» mi guardò con i suoi occhi verdissimi. «Romeo non scherza quando si tratta di Mitronio.»
    Un brusio partito dal mio cervello attirò la mia attenzione. «Zach…» iniziai. «Perché Matt e Courtney litigavano?»
    Lui si tirò su a sedere e si appoggiò con i gomiti alle ginocchia, la linea della sua schiena era precisa e dolce, la spina dorsale un solco leggero nella carne. «Sei qui da tre giorni, hai rischiato di morire e mi pare evidente che sei ancora un po’ instabile per tutti i cambiamenti…»
    «Potrei aiutarvi?»
    Rimase in silenzio a lungo. «Non lo so. Matt dice di si, Courtney ha cercato di dargli un pugno appena ha proposto la cosa.»
    Mi morsi il labbro. Non sapevo che dire, non mi veniva in mente niente di più spaventoso che uscire la notte in cui Zach aveva previsto una guerra, ma se potevo aiutare, se avessero avuto bisogno di me, volevo davvero essere quella troppo fifona per uscire? Se ero una Vegliante non potevo più permettermi di avere paura.
    «Se posso aiutarvi…» cominciai.
    «Io non ti voglio lì fuori.» disse secco, la parola del caposquadra contro la quale non avrei potuto ribattere. «Non ancora, non quella notte.»
    Di nuovo la mia bocca diede voce ai miei pensieri prima che riuscissi ad imbrigliarli. «Nemmeno se potessi salvarti al vita?»
    Mi guardò per alcuni secondi, poi abbassò gli occhi sulle mie mani in grembo e fece un mezzo sorriso, tornando al mio sguardo. «Non montarti troppo la testa, cheerleader!» mi prese in giro, prima di dirigersi alla porta.
    «Zach?» lo richiamai insicura.
    Lui si voltò e mi osservò curioso.
    «Secondo te ho fatto qualcosa di sbagliato?»
    Ci rifletté per qualche secondo con le sopracciglia aggrottate, apprezzai che stesse prendendo sul serio i miei timori. Scosse la testa tranquillo. «Perché me lo chiedi?»
    Presi a giocherellare con l’orlo del lenzuolo. «Perché mi sembra di si.» spiegai.
    Sentivo che Zach stava continuando a studiarmi, attento. «Il tuo attacco di panico, avevi paura di aver fatto qualcosa di male?»
    Fissai il poster, gli occhi di Romeo, invisibili perché nascosti sotto una matassa di riccioli rossi. «Si.» dissi infine.
    «Hai paura che qualcuno ti faccia del male per questo?»
    Lo guardai ed annuii.
    «Ti ho scelto io.» disse. «Sei roba mia, nessuno alzerà un dito su di te senza il mio consenso. Ed io non darei mai il mio consenso.»
    «Grazie.» sussurrai.
    Lui si strinse nelle spalle. «Tu sembri così intenzionata a tenermi in vita, mi conviene, non credi?»
    Sorrisi mentre lui usciva dalla porta.
    Osservai il mio cellulare sul comodino e lo recuperai. Il padre di Zach era un folle, era un miracolo che lui fosse venuto così bene. Ma mia madre meritava qualcosa di più di essere ignorata, visto che era sempre stata fantastica e che se ero "piccola, ma agguerrita" era merito suo. Spinsi il pulsante di chiamata automatica e lo accostai all’orecchio. Una voce assonnata borbottò un “Pronto?” ed io sentii le lacrime pungermi agli angoli degli occhi.
    «Mamma, non piangere.» mormorai con voce rotta.

Quando Jean aprì la porta pensava di trovarsi di fronte Courtney, per questo si stupì quando vide Nate fermo e ciondolante davanti a lei. Tutto in lui mostrava indecisione, le spalle curve, lo sguardo basso.
    «Qualcosa non va?» gli domandò preoccupata. La caserma era silenziosa, i Veglianti rientrati dalla ronda erano già tutti addormentati.
    «Devi promettermi che rimarrà una riflessione confidenziale.»
    La Responsabile annuì e Nate la fissò.
    «I bersagli che non ha preso…»
    «Becky?» chiese per conferma.
    «Si, Becky.» deglutì. «Non li ha mancati. Il punto era esatto, precisissimo.»
    Jean aggrottò le sopracciglia senza capire. «Ma tu hai detto…»
    «Era in anticipo.»
    Rimase zitta.
    «Di zero virgola trenta secondi.»
    Continuò a fissarlo senza parole, Nate fece una smorfia quasi imbarazzata.
    «È tutto, mi dispiace di averti svegliata.»
    «Courtney crede che lei possa essere una Veggente.» non riuscì ad impedirsi di dirgli. Da quando Josh era morto, lui e Courtney erano gli unici con cui esprimeva i propri timori. Sapeva che era sbagliato, erano ragazzini, ma a volte i suoi pensieri prendevano pieghe talmente imprevedibile e sconvolgenti da turbarla, da costringerla quasi, a cercare qualcuno con cui confrontarsi. E comunque, nonostante la giovane età, loro due erano i più stabile, razionali e lucidi. Quasi sempre.
    Nate si fermò di schiena. «Tu cosa pensi?»
    «Non lo so, sembra assurdo.»
    «A me Becky piace.» commentò.
    «Però a te piace anche Romeo.»
    Nate non rispose e tornò nella propria stanza, si sfilò i vestiti di troppo e si infilò sotto le coperte. Lynn indietreggiò con la schiena fino a toccarlo, lui la abbracciò, cercando di scacciare lontano l’idea di avermi appena tradita.
    «Dove sei stato?» chiese piano, piano.
    «Dovevo a dire una cosa a Jean.»
    «Su Becky?» continuò a chiedere.
    «A-ah.»
    «Nate…» Lynn si fermò per sbadigliare. «Avrai bisogno di lei quando ti daranno la caccia.»
    La abbracciò più forte e le baciò la spalla nuda. «Perché dovrebbero?»
    Era già quasi addormentata di nuovo quando rispose. «Perché saprai troppo.»


donne ed eventualmente uomini - ma chi? dove? ma non ci sono, Frogolottina, tu scrivi tutte robe da signorine! - ma voi siete pronte per la tragedia?!
no, perchè le parole di Zach sono quasi sempre profetiche, quindi la notte del trasporto sarà un casino, ma che tipo mi toccherà dividere il capitolo in 15 parti!
cmq, il prossimo capitolo è ancora tranquillo... se di tranquillità si può parlare: c'è Romeo e si gioca a Bandiera Svizzera - folle Fragolottina!
perchè intanto non mi fate sapere che ne pensate di questo?
baci

ps. Buon Natale in ritardo.
pps. Lamponella

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Capitolo 9
*** 8. Il Cappellaio Matto ***


mitronio 2 fragolottina's time
shh... non sono io. sono incognito.
se fossi io dovrei spiegare ad alcune ragazze perchè pubblico fedelmente ed puntualmente Il Mitronio di Synt, mentre Patisserie Françaiese langue da un po'. oppure perchè la storia che sarebbe dovuta finire per Natale è ancora in alto mare.
la realtà è che...
io amo
questa storia.
mi è concesso dirlo? non saprei, aggiustando il tiro, amo
scrivere questa storia. 
quindi... SHH!!
a più giù...

nb. sono più di 6000 parole - i'm sorry - vi consiglio di impostare una luminosità di schermo comoda, è una bella maratona!

8.
Il Cappellaio Matto


La mattina dopo mi svegliai presto. Lo capii da come la luce entrava non abbastanza obliqua nella mia camera. Almeno la crisi della sera precedente ed i sedativi che ne erano risultati, mi avevano concesso una notte intera di riposo. Rotolai nel letto e guardai le mie valigie da disfare. Forse il pensiero di mia madre si infilò nella mia mente perché ero sicura che fosse stata lei a prepararle, riconoscevo il suo tocco.
    La telefonata con lei era stata meno complicata di quanto avevo temuto. Non aveva pianto, non si era lasciata sfuggire nemmeno un gemito di nostalgia; io un po’ avevo frignato, ma lei non me lo aveva fatto pesare. Mi aveva chiesto della squadra, della Responsabile, dei miei nuovi compagni “Ci sono ragazze con le quali puoi fare amicizia?”.
    Le avevo risposto di si, omettendo il dettaglio Courtney, e lei era passata a domandarmi della caserma e della città. Non ero fiera di averle raccontato un sacco di frottole sul posto caratteristico ed il bosco, ma sapevo che lei doveva aver indovinato le mie bugie.
    Osservai il poster, mettendomi seduta, e feci un cenno con il capo a Romeo: decisi che quella mattina avrei preso possesso della mia camera, che lui avesse intenzione di uccidermi presto oppure no. Quindi mi alzai, recuperai biancheria ed un cambio di vestiti puliti in cima al borsone e mi diressi in bagno. Una volta lavata e profumata tornai nella mia camera ed aprii l’armadio. Dentro c’erano già due stampelle appese ed un paio di scarponi.
    Staccai la giacca verde e la studiai, era un XS, non credevo che facessero divise così piccole. Anche io mi sarei vestita di verde a quanto pareva. Sotto c’erano anche un paio di pantaloni neri, molto simili a quelli di Zach, ma, da come avevo visto su Courtney e Lynn, le divise da donna erano più strette.
    Nell’altra gruccia c’era un vestito più elegante. Era un completo gonna e giacca verde con sotto una camicetta bianca e scarpe classiche nere. Non avevo mai visto nessun Vegliante indossarlo, forse era una tenuta per le occasioni ufficiali o forse… mi incupii, non potevano certo seppellire un Vegliante in giacca, scarponi e pantaloni con troppe tasche. Il mio stomaco si rigirò per l’atrocità dell’idea, così piegai il vestito con tanto di gruccia e lo nascosi nell’ultimo cassetto in fondo: la giacca verde potevo sopportarla, l’abito da funerale no.
    Aprii la prima valigia ed iniziai a sistemare le mie cose nei cassetti e negli appendi abiti. Mia madre mi aveva mandato tutto, proprio tutto, anche vestiti che ovviamente non potevo indossare a Synt, tipo un gonnellina corta con i bordi di strass; mi rigirai tra le mani una felpa lilla, in realtà praticamente nessuno dei miei abiti era più indossabile. Tutte cose colorate, anche un po’ da bambina.
    Qualcuno bussò alla mia porta ed urlai un “avanti”, mordendomi la lingua subito dopo aver ricordato che la mattina a Synt si dormiva.
    «Ciao!» mi salutò Lynn facendo capolino nella mia stanza. «Come ti senti?»
    «Ciao.» ero contenta di avere visite. «Sto bene, non so proprio cosa mi fosse preso.» sperai che non volesse allenarsi ancora. Non ero nata per difendermi, era una triste quanto inevitabile realtà.
    «Che fai?» chiese. Entrò nella stanza e si chiuse la porta alle spalle, si lasciò cadere sul mio letto ancora sfatto, pigra come un gattino. Quella mattina aveva i lunghi capelli neri stretti in una treccia e le unghie verde pistacchio, intonate all’ombretto sulle palpebre. Indossava una maglia a maniche lunghe e jeans, come una ragazza normale.
    «Mi ambiento.»
    «Oh.» osservò la gonna che avevo posato accanto a me, sul pavimento, indecisa se tenerla o se metterla nel mucchio “Mai più”. «Carina quella.»
    «Già.» e mi stava anche molto bene. La piegai e la infilai in un cassetto: avrei trovato il modo di metterla. Se Lynn poteva avere unghie verde pistacchio, io potevo avere una gonna con gli strass. «Ma davvero Matt e Courtney hanno litigato per me?» domandai, mentre passavo a riflettere che, se avevo una gonna con gli strass, un felpa lilla non poteva far male.
    «A-ah.» rispose distratta da altro, anche se lì per lì non capii da cosa. «Chi te l’ha… OH. MIO. DIO!» esclamò improvvisamente sconvolta.
    Mi voltai per vedere cosa l’avesse tanto scioccata e la vidi allungarsi oltre il bordo del letto per raccogliere in punta di dita una giacca verde dal mio pavimento.
    «Questa è la giacca di Zachy!» mi fissò ad occhi sgranati sorridendo. «Te la fai con Zach!»
    «No!» arrossii fino all’ultimo ricciolo sulla mia testa. «Non me la  faccio con nessuno. E poi come fai a sapere che è la sua?»
    Sollevò le sopracciglia e mi mostrò l’etichetta interna dove con un pennarello nero era stato scritto “Zach”. Rise. «Dio, Court ti ucciderà.»
    «Era solo venuto a vedere come stavo.»
    «Oh!» pigolò con partecipazione rotolando a pancia in su. «Premuroso Zachy, che è venuto a vedere come stavi e si è spogliato per farlo.» esclamò sarcastica stringendosi la sua giacca addosso.
    Le lanciai una canottiera appallottolata, colpendola sul viso, che non servì comunque a farla smettere di sghignazzare.
    Nate si affacciò ed entrò nella mia stanza, aveva gli occhi un po’ gonfi, dubitavo che fosse riuscito a dormire bene quanto me. «Mi chiedevo dove fossi finita, poi ho sentito la tua sguaiata risata da paperella.» la prese in giro. «Penso che tu sia riuscita a svegliare anche Romeo.» si chinò a darle un bacio. «Ciao, Becky.»
    «Indovina chi fa Veglia-sesso con Zach?!»
    «Non ho fatto Veglia-sesso con nessuno.» sbottai, alzandomi per sistemare due paia di jeans.
    «Ma Court la ucciderà.» commentò lui, si sedette sul bordo del letto ed esaminò la giacca.
    «Lo so!» esclamò convinta. «Ma non si aveva uno scoop così da Lindsey.»
    «Chi è Lindsey?» chiesi senza capire.
    «Solo la ex di Zach.»
    «Zach aveva una fidanzata che non era Courtney?» chiesi sorpresa, non era il loro mancato grande amore il motivo per cui erano tanto isterici?
    «Chi è che fa Veglia-sesso con chi?» domandò Matt affacciandosi dalla mia porta. Se anche lui fosse stanco, era bravo a non darlo a vedere; era tutto preso a mangiare una merendina di contrabbando, visto che non ne avevo viste di simili da nessuna parte. Lo fulminai con lo sguardo, era evidente che fossi capitata nella squadra più ficcanaso di tutto lo Stato. Poi però vidi il livido scuro che occupava la sua guancia e mi sentii in colpa, lui mi aveva difesa da Court.
    «La bionda Becky, con il tenebroso Zachy!» rispose lesta Lynn.
    «No!» sbottò incredulo lui. «E chi lo dice a Courtney?!»
    «Non è vero!» cercai di negare ancora, inutilmente visto che nessuno sembrava volermi dare ascolto.
    «Bello, bello. Contestualizza, Lynn.»
    Lei si mise a sedere a gambe incrociate e si tirò dietro le spalle la treccia. «Immagina il momento.» cominciò.
    Matt si avvicinò e si sedette con la schiena appoggiata al letto, sotto le sue gambe ed accanto a quelle di Nate, e gli occhi fissi su di me, che avevo finito per appoggiarmi ai cassetti dentro all’armadio, troppo presa ad ascoltarli per rimanere concentrata a riordinare. In caso di bisogno avrei potuto chiudere le ante e rimanere sola lì dentro.
    «Lei è dolcemente addormentata con un pigiama troppo grande. Lui è di ritorno da una ronda, è sporco, sudato e stanco. L’unica cosa che… mm… brama…» mi lanciò un’occhiata. «Gran bella parola, eh?, “brama”. Rende l’idea»
    Scossi la testa senza sapere cosa risponderle.
    «L’unica cosa che brama è lei ed il suo nido caldo. Quando entra getta…»
    «Si, perché un uomo si sa che “getta”.» confermò Matt.
    «Come no? Io getto sempre, qualsiasi cosa. Prima o poi prenderò tutto l’impianto stereo della mia stanza e lo getterò di sotto. Tanto l’hai costruito tu.» ironizzò Nate, recuperando il suo palmare dalla tasca. Risi del tutto d’accordo con lui.
    «Getta la giacca su di lei.» continuò Lynn inarrestabile, anzi, i commenti sembravano incitarla a proseguire.
    «In un chiaro segno di possesso.» precisò Matt. «Da maschio alfa, proprio.»
    «La qual cosa la fa svegliare e tirare su. Te lo ricordi il pigiama troppo grande?» gli chiese.
    «E certo.»
    «Quando si solleva le scopre una candida spalla innocente.» spiegò lei unendo le mani all’altezza del petto.
    «E quale maschio alfa può resistere ad una candida spalla innocente?»
    «Nessuno! Ed infatti si getta su di lei.»
    Nate sospirò. «Meglio del mio stereo, che hai fatto tu, di sotto.»
    «Gran bel momento, Lynn, dovresti scrivere, hai proprio talento.»
    Lei chinò il capo in un cenno di umile ringraziamento.
    «Ma si può sapere di cosa state blaterando?» chiese Zach, spalancando la porta della mia stanza e facendomi sobbalzare dentro l’armadio. Sembrava essersi vestito in tutta fretta, la felpa della tuta gli stava appesa sbilenca, la maglietta sotto era mezza rimboccata e mezza no e non aveva le scarpe. Il viso era ancora stropicciato per il sonno, gli occhi piccoli.
    Nate sbadigliò. «Dei maschi alfa che si gettano su candide spalle innocenti non appena ne vedono una.» rimise il palmare in tasca. «Non hai una bella cera.» commentò.
    Lui fece una smorfia confusa. «Eh?» sbottò senza capire.
    Si sistemò meglio gli occhiali sul naso. «Il succo è: vuoi prendere Romeo? Regala a Court una canottiera senza spalle e siamo a cavallo.»
    «A-ah.» concordò. «Diglielo tu però.»
    Raggiunse gli altri e si lasciò cadere sul mio letto sfatto, sfregò il viso sul mio cuscino ad occhi chiusi, il cuscino sul quale io avevo dormito. Arrossii e distolsi lo sguardo, tirandomi i capelli dietro le orecchie per dissimulare l’imbarazzo. Lynn e Matt fissarono il loro sguardo accusatore ed insinuante su di me, io allungai un braccio per afferrare un’anta dell’armadio e la chiusi per nascondermi a metà.
    Zach sbadigliò rumorosamente. «Mi avete svegliato.» si lamentò, rannicchiandosi sul mio letto.
    Lo stesso letto nel quale avevo dormito e avrei dormito ancora la notte dopo.
    «Sonno?» domandò Lynn con una punta intrigante nel tono.
    «Certo che ho sonno.»
    «Perché hai fatto le ore piccole?» proseguì Matt.
    «Le abbiamo fatte tutti tranne lei.» ricordò loro, sollevò il braccio per farmi un cenno e lo lasciò ricadere subito dopo.
    «Ma magari le tue ore sono state più piccole delle mie, Zachy, pasticcino.» domandò con voce sottile e flautata Lynn, sbattendo le folte ciglia irrigidite dal troppo mascara.
    Lui aprì un occhio solo per guardarla interrogativo. «Pasticcino?!»
    «Abbiamo trovato la tua giacca sul suo pavimento…» insinuò piano.
    Zach rise e chiuse di nuovo gli occhi. «Che deficienti che siete. Nate, quando la tua ragazza mi chiama pasticcino è il momento di darle qualcosa da leggere.»
    «Lo so, ma ha detto che le storie che inventa da sola le vengono meglio.» si giustificò lui.
    «Lynn, hai bisogno di un diversivo.» dichiarò. «Accompagna la cheerleader al mio posto a Synt piccola, visto che dopo io devo andare a chiedere le autorizzazioni per la Bandiera Svizzera.»
    Lei mi guardò curiosa. «Che devi fare?» mi chiese.
    Indicai alla mia destra con un cenno del capo verso il poster di Romeo, ormai quel poster era diventato un personaggio in tutto e per tutto, un coabitante della mia stanza. «Voglio parlare con quella signora lì.»
    «Un’indagine, forte!» sorrise contenta, si tirò su e si stiracchiò. «Però ci fermiamo anche a Synt esterna a comprare il mascara.»
    La guardai interdetta per alcuni secondi, andare a comprare il mascara era qualcosa di così normale e semplice da sorprendermi incredibilmente.
    «Voi volete venire?» invitò gli altri.
    «Io sto dormendo, non svegliatemi.» fu la risposta di Zach.
    Matt e Nate si fissarono come se fossero stati presi in castagna. «Ecco, io e Nate dobbiamo… dobbiamo…»
    «Vogliamo!» si intromise lui precipitoso. «Vogliamo costruire un’altra avventura di Becky.»
    Matt lo guardò ed annuì. «Già, vogliamo proprio questo.» non ci voleva un genio per capire che era una bugia inventata su due piedi, ma forse stavano studiando una sorpresa per Lynn, quindi non indagai.
    Lei li osservò entrambi scettica. «Se lo dite voi.» si chinò su Nate a dargli un bacio. «Ci vediamo dopo.»
    «Prendiamo la macchina?» chiesi a Lynn saltando giù dall’armadio.
    «Non ho la patente, ma non preoccuparti.»
    Nate e Matt impallidirono, mentre lei si alzava con grazia.
    «Dovresti mettere quella bella gonna e la maglia viola.»
    «Lynn, dov’è Court?» domandò Zach ad occhi chiusi. Lo guardai, sembrava meno rilassato di poco prima, quasi teso.
    Lei si strinse nelle spalle. «Non lo so.»
    «Ma ha dormito nella sua stanza?» continuò a chiedere.
    Matt e Nate guardarono Lynn, che sospirò. «Zach, Courtney è mia amica.» gli ricordò. «Se vuoi sapere qualcosa su di lei, devi chiederlo a lei.»
    Lui non rispose, si strinse di più nel mio letto.
    Lynn mi sorrise. «Ci vediamo tra un quarto d’ora in garage.»

Era palese che Lynn amasse i colori pastello, quindi non mi stupii più di tanto del fatto che il suo scooter fosse viola. La cosa che mi preoccupava era salirci e viaggiarci; uno scooter non era come le immense auto blindate, che avevamo preso l’ultima volta per andare a Synt. Era piccolo leggero, se ci avessero attaccate saremmo cadute. E poi mi si sarebbe sollevata la gonna.
    Avevo dovuto cambiarmi di nuovo in bagno, perché mentre Nate e Matt, assimilata l’idea che avrei dovuto svestirmi, erano tornati in camera loro, Zach si era addormentato. E logicamente non mi guardava, ma l’idea di cambiarmi con lui lì mi aveva messo a disagio quanto non immaginavo possibile.
    Lynn mi porse un casco integrale rosa shocking, il suo era turchese e sembrava adattarsi perfettamente al suo trucco occhi.
    «Mi sa che andiamo subito a trovare Dawn.» nonostante il casco sentivo la sua voce limpida nelle mie orecchie, forse c’era un microfono.
    Aggrottai le sopracciglia. «Chi?»
    Lei salì sullo scooter e girò la chiave per mettere in moto, il motore tossicchiò; sembrava un modello vecchio e riadattato ai tempi moderni, probabilmente il carburante ecologico non lo faceva funzionare perfettamente. Sperai che non ci lasciasse a piedi.
    «La donna della foto si chiama Dawn Dandley.» mi spiegò e mi fece un cenno del capo perché mi sedessi dietro di lei.
    «Come lo sai?» Zach non aveva dato segni di riconoscerla.
    «Ho accompagnato io Josh a parlarle, quando è uscito mi ha fatto giurare che nessuno l’avrebbe mai saputo.»
    «Perché?»
    Spinse il pulsante di un telecomando appeso al portachiavi e la porta del garage cominciò a sollevarsi. «Per qualcosa che gli ha detto forse.» si strinse nelle spalle. «Mi ha fatto aspettare fuori.»
    Mi aggrappai alla sua vita quando diede gas. «Perché lo dici a me?»
    «Perché tu hai chiesto di vederla.»

La guida di Lynn era sorprendentemente tranquilla, forse anche perché, come il giorno prima, le strade erano praticamente deserte. Chiacchierando e ridendo, cercando soprattutto di non pensare a Josh e tutto il resto, raggiungemmo la casa di Dawn Dandley in pochissimo tempo. Forse in troppo poco tempo, iniziavo a sospettare che, per conoscere il percorso così bene, Lynn fosse andata a trovarla più di una volta.
    Dawn Dandley era seduta su una sedia di vimini in veranda ed aveva tutta l’aria di aspettarci. Indossava una camicia da notte color crema con sopra una vestaglia rosa antico, i capelli scuri le scivolavano sulle spalle, striati di bianco in alcuni punti. Sembrava piuttosto giovane, non più di trentacinque anni, ma aveva gli occhi stanchi e torbidi, il tipo di sguardo che ti aspetteresti da chi ha visto il mondo scorrergli davanti e non è riuscito nemmeno una volta a farne parte. O forse aveva scelto di non farne parte.
    Era spaventosa e triste.
    «Come stai, Lynn?» urlò alla mia accompagnatrice, ma senza staccare nemmeno per un secondo gli occhi dai miei.
    Lei si tolse il casco ed io la imitai, per aiutarla poi a sollevare lo scooter sul cavalletto. «Le dirò, signora, tutte le volte che devo venire qui ho un po’ d’ansia.»
    «Assolutamente normale.» sorrise. «Mi dispiace, devo chiederti di aspettare di nuovo fuori.» si scusò.
    «Non si preoccupi, mi sono portata da leggere.» sollevò il sellino ed estrasse il suo libro di ricette giapponesi. «Urla se hai bisogno di me.» mormorò ad occhi bassi.
    La guardai e deglutii, perché ero voluta venire qui?
    Per sapere. Sapere. Sapere.
    Sapere ha ucciso Josh.
    Chiusi gli occhi e feci alcuni passi sul vialetto che attraversava il suo giardino. Era tagliato regolare come tutti gli altri, ma era trascurato, in alcuni punti l’erba era così rada da permettere di vedere il terreno sottostante.
    Quando sollevai di nuovo lo sguardo su di lei, mi fermai. Stava sorridendo, come un gatto davanti ad un topo, come chi aspettava quel momento da tutta la vita, come se sapesse tutto di me, anche cose che non avrei voluto sapere. Come Romeo.
    «Pensaci bene, bambina, prima di buttarti a capofitto in un buco.» cantilenò alzandosi. «Non tutte le tane di coniglio nascondono paesi delle meraviglie.» attraversò la porta delle propria casa, la soglia rimase aperta come l’orrenda bocca di un mostro che voleva divorarmi, era mia la decisione di farmi mangiare.
    Lanciai un’occhiata alle mie spalle, a Lynn seduta sullo scooter che sfogliava pagine di ricette orientali. Perché ero venuta qui? Cosa speravo di scoprire?
    “Piccola, ma agguerrita.”
    Deglutii e raddrizzai le spalle: ero una Vegliante, niente paura.
    La casa di Dawn Dandley era spettrale, sembrava abbandonata. Era perfetta, ammobiliata con gusto, tappezzata, ma era così trascurata che la polvere aveva creato un strato grigio e leggero su ogni cosa. Superai un paio di stanze con le porte spalancate, un salotto con le poltrone ed i divani nascosti sotto buste trasparenti, una cucina nella quale probabilmente non si cucinava da anni. Quella donna mangiava?
    Mi fermai davanti ad uno specchio ed osservai il mio riflesso nel vetro macchiato. Che ci facevo lì?
    «Sono qui.»
    Seguii la voce e mi trovai in una stanza che sembrava uscita da un altro mondo. Era una camera da letto nuova, pulitissima; il divano e la poltrona erano di pelle nera, sotto la finestra era sistemato uno smart-table di ultima generazione, l’armadio ed il letto erano di un lucido materiale bianco. L’unico dettaglio che la riportava alla trascuratezza del resto della casa era una brandina, nascosta dietro la porta.
    Dawn Dandely era seduta sulla poltrona, mi fece un cenno con la mano verso il divano. «Ti piace?»
    Annuii.
    «È per mio figlio.» spiegò. «Quando tornerà.»
    Era una camera da uomo non da bambino.
    «Il tuo nome è…»
    «Becky. Mi chiamo Becky.» risposi e mi sedetti, rimanendo comunque rigida con le ginocchia strette dal nervosismo.
    Lei mi soppesò tutta, forse avrei dovuto mettere la divisa da Vegliante e non quella ridicola gonna con gli strass, sembravo una liceale. «Becky.» sorrise e si accomodò meglio sulla poltrona. «Cosa ti porta qui, Becky?»
    Presi fiato, era gentile, lo sarei stata anche io e sarebbe filato tutto liscio. «Se lei è d’accordo vorrei farle alcune domande.» mi ero preparata un specie di scaletta: avrei iniziato chiedendole della notte del rapimento di suo figlio, poi mi sarei lasciata ispirare dalle sue risposte. Ripensandoci non era un gran piano.
    «Sono d’accordo che tu mi faccia alcune domande, ma non ti garantisco le mie risposte.»
    La osservai, sembrava divertita. Per alcuni secondi pensai di riuscire a vedere la donna che era stata anni prima, giovane, bella, viva, con un figlio tra le braccia ed il marito che l’amava.
    «Vive sola qui?»
    Annuì. «Mio marito se ne è andato dopo Connor. Ce l’aveva con voi.»
    «Capisco.» dissi solo. Potevo biasimarlo? Il servizio di Veglia non era gratis, era incluso nelle tasse, lui aveva pagato una protezione per la sua famiglia, ma suo figlio era stato rapito, forse ucciso, lo stesso. Cosa c’eravamo a fare noi, allora?
    Lei rise, cristallina, brillante. «Oh, no, bambina.» si protese in avanti verso di me. «Non puoi capire, è molto peggio di ogni tua immaginazione, di ogni tuo terribile incubo.» trattenni il fiato, ad ogni parola che pronunciava i suoi occhi si sgranavano di più, la sua voce diventava più stridula, la sua espressione più folle. «Tu, Becky, sei all’interno di un incubo, un gioco perverso, la terribile costruzione di una divinità malvagia, e non lo sai.»
    Faceva freddo. «Pe-perché lei è rimasta?»
    Sprofondò di nuovo nella poltrona ed io deglutii. «Per te.» disse piano, pianissimo, pensai quasi di essermelo sognata. «Per Jean. Per Lynn e Nate. Per Matt. Per Zach, Courtney, Jared. Per Josh, che ha cercato di salvare mio figlio e mi ha chiesto scusa.»
    Non avrei voluto chiederglielo. Non appena Lynn mi aveva detto che Josh era stato lì, mi ero ripromessa di non chiederle perché fosse venuto, ma se il mio destino sembrava essere seguire le sue orme, forse era l’unica cosa sensata da fare.
    «Cosa le ha chiesto?»
    Dawn Dandely si alzò e si avvicinò alla finestra sopra il letto, incrociò le braccia sul petto. La sua figura si stagliava netta alla luce del giorno, dignitosa e dritta; aveva visto suo figlio strappato dal suo letto e portato via da quella finestra, ma, inaspettatamente, questo non l’aveva piegata.
    «La finestra è stata riparata?» chiesi di getto, prima di realizzare che stavo ancora aspettando una risposta alla domanda precedente.
    Lei voltò appena il viso e sorrise. «No.»
    E come aveva fatto Romeo ad entrare da una finestra chiusa? Forse aveva la chiave.
    Il mio cervello si spense e nel centro della mia mente rimase solo il poster, le mani del bambino, aggrappate al collo di Romeo per non cadere. La finestra integra. Romeo che aveva il braccio intorno al suo zainetto.
    Riaprii gli occhi che non ricordavo aver chiuso.
    Ma quale bambino, strappato via dal sonno e dal proprio letto, poteva avere il tempo di prendere uno zainetto? E si teneva al proprio rapitore?
    Impallidii e mi alzai.
    Dawn Dandley si voltò.
    «Non ha detto a suo figlio che era cattivo, non glielo ha insegnato.» feci un passo indietro. «Lui non era spaventato.»
    Lei sorrise. «Josh ha bussato alla mia porta.»
    «Lei ha detto a Romeo di venirlo a prendere.» aveva ragione, era molto peggio di come immaginassi. Ma quale razza di madre degenere avevo davanti?
    «Io sono andata ad aprire.» continuò imperterrita.
    «Gli ha…» persi il fiato nell’orrore e scossi la testa per scacciare via la nausea. «È stata lei ad aprire la finestra.»
    «Era terreo, sembrava sconvolto.»
    Non facevo fatica ad immaginarlo, se si era trovato davanti una verità così folle.
    «Lei ha fatto rapire suo figlio!» gridai.
    «”Le ha messo la merenda nello zainetto?” Josh mi ha chiesto questo.» concluse, ed io seppi senza ombra di dubbio che era questo che stava aspettando.
    Feci un altro passo indietro. «Lei è pazza.» non poteva essere altrimenti.
    «Becky?» mi chiamò Lynn, evidentemente il mio grido l’aveva allarmata.
    «C’è un paese in cui, per sopravvivere, bisogna essere matti come un cappellaio.»
    Non volevo più ascoltarla, non volevo più sapere.
    Feci dietrofront e scappai via. Da quella camera che aspettava un padrone che non sarebbe tornato, da quella casa che sembrava un sepolcro, da quella donna che si era dimenticata di essere una madre.
    Incrociai Lynn nel corridoio d’ingresso. «Che succede?» mi chiese preoccupata.
    «Fuori.» dissi solo.
    Quando uscimmo presi un respiro profondo, Lynn mi osservava attenta ed apprensiva. «Becky, tutto bene?»
    «No.» deglutii.
    Non potevo dirle quello che avevo scoperto da Dawn Dandley, nessuno avrebbe dovuto sapere. Come avrebbero preso una tale rivelazione gli altri? Sapere che quella notte, mentre cercavano di recuperare quel bambino e riportarlo al sicuro nel suo letto, venivano ostacolati dalla madre. Forse erano rimasti feriti, forse avevano lottato così duramente che poi, davanti al fallimento, si erano sentiti vuoti e persi. E Dawn Dandley non voleva che portassero a termine il loro lavoro. Tutto il loro lavoro, tutto il loro impegno, inutili. Come l’avrebbe presa Zach?
    L’unico con il qual ero disposta a condividere quel segreto era Joshua Lanter.
    «Lynn, diremo che non mi ha detto niente di strano, solo qualche dettaglio in più del rapimento.» la guardai.
    «O-okay.» si avvicinò e mi mise una mano sulla spalla. «Ma stai bene?»
    Presi un altro respiro. «Ho paura.» miagolai e lei mi abbracciò forte.
    «Vieni ti porto in un posto carino.»

Rispetto a Synt interna, la Zona Gialla era finalmente vera. C’erano le persone, abitanti della città che si affaccendavano in commissioni, negozi aperti; per qualche momento mi diede la meravigliosa illusione di trovarmi in un centro cittadino normale, una dolce boccata di aria fresca e confortante. Lasciai che la regolarità di quel posto scacciasse via ogni cosa: Josh, Dawn Dandley, Romeo, per il resto del pomeriggio – o finché non saremmo dovute rientrare – volevo essere frivola, superficiale, una liceale come tante altre alla ricerca di un mascara per la sua amica.
    C’era la notte per tutti i pensieri tetri. In fondo era quella la mia tattica, fingere che non fosse successo niente di strano; forse, se fossi stata abbastanza brava, sarei riuscita a credere alla mia stessa finzione.
    Lynn posteggiò lo scooter nell’apposito spazio e, di nuovo, la aiutai a metterlo sul cavalletto.
    «Grazie.» i suoi occhi sorrisero dietro la visiera del casco. Se lo sfilò e lo sistemò sul sellino.
    «Non hai paura che te lo rubino?» chiesi, mentre le porgevo il mio.
    Si strinse nelle spalle e mi indicò un punto alle mie spalle, c’era una telecamera dietro di me. «Nate ci avvertirebbe.» spiegò. «Che dici di una colazione vera?» mi domandò contenta.
    Mi portò in una caffetteria e, ancora un volta, la banale prevedibilità del posto mi diede quasi alla testa. C’erano il bancone, le macchinette per il caffè, tavolinetti sparpagliati ed una vetrina di dolci. Mi sembrò così bella rispetto al solito vuoto, al solito aspetto grigio e triste che fui quasi sul punto di piangere dal sollievo. Ce n’era una molto simile a casa mia – immagino, che ce ne sia una simile in tutte le città – ed io ci avevo passato buona parte della mia vita, anche perché aveva una cotta stratosferica per il figlio del proprietario, troppo grande per guardarmi, ma assolutamente abbastanza giovane da venir guardato. Pensandoci, forse Zach me lo ricordava un po’.
    «Ti piace?»
    Annuii. «Fantastica.» fu il mio unico commento.
    «Tecnicamente dovremmo mangiare solo quello che ci manda l’ADP, ma grazie al cielo Jean non è paranoica come quei testoni dei pezzi grossi.» mi spiegò, si avvicinò al bancone tirandomi con lei per una mano. Sorrise alla cameriera dietro alla cassa, una ragazza carina con i capelli neri e le sfumature viola. «Ci sediamo. Ci porterebbe due latte e caffè, due ciambelle e tutti i biscotti che riesce a mettere in un sacchetto?»
    «Arrivano subito.»
    «Scegli un tavolo.» mi invitò.
    Mi guardai intorno e ne individuai uno vicino alla vetrina che dava sulla strada. «Quello.»
    Sorrise. «È anche il mio tavolo preferito.»
    Non avevo idea di quanto mi mancasse il caffè, finché non bevvi un sorso dalla mia tazza.
    «Perché ce lo vietano?» piagnucolai a Lynn, ero sicura che, dopo un bel po’ di caffè i miei allenamenti di autodifesa sarebbero andati meglio.
    Lei sospirò palesemente dispiaciuta. «Perché è un eccitante e noi Veglianti dobbiamo essere lucidi, ma attenti.»
    Ci riflettei. «Forse questo è il lato peggiore del lavoro.»
    Anche lei sembrò pensarci su. «Forse si.»
    «E le ciambelle?» le chiesi osservando la mia mangiucchiata per metà.
    Si strinse nelle spalle. «Quelle non lo so, forse hanno paura che Romeo le avveleni.» sollevò la sua e la studiò. «Però tu non sei avvelenata, vero, ciambellina?»
    Stavo per ridere, ma alle sue spalle vidi qualcosa che mi fece morire il sorriso sulle labbra.
    Courtney indossava un maglioncino celeste chiaro ed un paio di jeans, bella e sorridente come non l’avevo mai vista, si girava verso il ragazzo che l’accompagnava e gli diceva qualcosa. Lui rideva e scuoteva la testa, si chinava a darle un bacio, poi insieme si fermavano davanti alla vetrina di un negozio di abbigliamento mano nella mano.
    Lui era Jared.
    «Lynn?» chiamai senza avere il coraggio di dire altro.
    Lei si voltò e, come avrei dovuto immaginare, non ne fu sorpresa quanto me. «Oh.»
    «Jared e Courtney?» domandai incredula.
    «Jared e Courtney.» convenne lei debolmente.
    «E Zach lo sa?» continuai.
    Lynn mi guardò eloquente. «Tu che dici?!»
    «Ma…» la fissai, poi tornai con gli su Courtney, così spensierata e serena, così in contrasto con l’immagine familiare che avevo di lei, tesa e nervosa, gelosa ed antipatica. «Perché?» le chiesi, senza sapere bene neanche io di cosa stavo chiedendo spiegazioni.
    Tenne gli occhi bassi, non era una cosa di cui andava fiera. «Perché le voglio bene e mi ha chiesto di mantenere il segreto.» mi guardò. «Le amiche lo fanno, anche quando non sono del tutto d’accordo.»
    «Qualcuno deve dirlo a Zach.»
    Ripensai a come la guardava sempre, a come la cercava sempre, al dubbio quando le aveva chiesto se aveva dormito nella propria camera. Dubitava. Zach sospettava tutto. E Jared fingeva di fargli un favore quando litigavano ed andava a consolarla. Come poteva essere così falso?
    Riuscivo a capire Lynn, che in fondo cercava soltanto di essere corretta nei confronti di un’amica, ma Jared, o peggio ancora Courtney, che era gelosa di me, che mi odiava e trattava male. E lei stava con un altro. Voleva costruire il suo personale harem maschile per caso? Forse Lynn avrebbe dovuto fare più attenzione a Nate.
    «Qualcuno deve dirlo a Zach.» concordò. «Ma non io, né tu.» si voltò verso di loro. «Lo farà lei, quando penserà che sia la cosa giusta da fare.»
    Li guardai anche io, ma non riuscii proprio a smettere di considerarli due egoisti.

Non potei fare molto per il mio umore, nonostante i miei buoni propositi di tornare per un pomeriggio la leggera e spensierata Becky Farrel che cercava di sedurre giocatori di basket, la visione di Jared e Courtney che si baciavano mi aveva appesantito la mente con troppi pensieri e lasciando uscire anche tutti gli altri. Era una catena, tutto era collegato, una catena che si chiamava Synt, dove anche la più perfetta illusione di realtà nascondeva una trappola sconcertante e spaventosa.
    Lynn rimase frizzante ed io mi impegnai al massimo per non darle a vedere quanto quella scena mi avesse turbata, ma non ero sicura di dargliela a bere. Non ero una brava attrice e l’idea di essere, con mio enorme disappunto, la depositaria di un segreto tanto scomodo non mi aiutava in quel compito.
    Avevo già il mio di segreto orribile da tenere.
    La cena fu una pena. La squadra, la mia squadra, parlava intorno a me, era una serata piacevole, ma io non riuscivo a farne parte. Non che loro non cercassero di coinvolgermi, Matt e Nate cercavano di farmi stare lì, presente con loro in tutti i modi; sul momento ci riuscivano, ma appena si distraevano la mia mente vagava lontana e si perdeva in mondi inesplorati pieni di Courtney e Jared che si baciavano, dove Zach rotolava nel mio letto e chiamava il suo nome, dove Dawn Dandley rideva stridula e pazza, dove Josh si buttava mille e mille volte da un grattacielo.
    Andai comunque nella camera di Nate, perché mi faceva male pensarlo solo lì dentro. Mi scavai una cuccia tra le sue coperte, nelle quali riconoscevo l’odore di Lynn e rimasi lì, con le voci dei Veglianti a firmare la colonna sonora dei miei pensieri. Non volevo dormire, il mio inconscio quella sera sembrava popolato da incubi anche con gli occhi aperti, incubi che mi imponevano il silenzio, incubi segreti sui quali dovevo tacere.
    Zach mi aveva rifatto il letto dopo aver riposato, mi aveva anche lasciato un messaggio sulla bacheca della mia stanza per dirmelo. Cercai di pensare solo a quello.

Zach prese la sua meritata sigaretta dal pacchetto ed uscì fuori. Ormai Jean non le contava più, si fidava di lui e lui cercava di non tradirla. I primi giorni era stato terribile, mal di testa, nausea, ma poi il suo organismo aveva gestito la carenza di nicotina e se ne era fatto una ragione.
    Se la mise tra i denti ed iniziò a frugarsi addosso per cercare un accendino.
    Fu in quel momento che riconobbe il rumore di una pistola che veniva caricata. Era familiare, quando stava in accademia era un suono praticamente onnipresente e sapeva che una pistola carica lasciava ben poche strade aperte. Si bloccò e si guardò intorno, non che avesse bisogno di vedere per sapere chi c’era nel buio con lui.
    Romeo era appena dietro di lui, appoggiato alla colonna del cancello che aveva appena superato, oscurato dai pochi centimetri di oscurità che lasciava il lampione posto lì davanti.
    Per alcuni secondi si fissarono e basta, poi Romeo sollevò l’altra mano rivelando un accendino. Lo allungò verso di lui e la fiamma scintillò così in fretta ed inaspettata da stampare a Zach la sua impronta luminosa nella pupilla. «L’hai perso insieme al coltello di Josh.»
    Zach si chinò per accendere, poi si tirò su di nuovo: qualsiasi cosa sarebbe successa di lì a poco, non gli avrebbe impedito quell’unica, sola sigaretta.
    «Verrò anche io domani.»
    Imprecò tra i denti, non era stato semplice ottenere tutti i permessi ed ora gli toccava mandare tutto a monte.
    «No, non farlo. Voglio vedere che sa fare.» cercò di dissuaderlo.
    «Già, ma la tua minaccia è abbastanza da farmi cambiare idea.»
    «Minaccia?» chiese incredulo e con una nota offesa nella voce. «Non ti sto minacciando.»
    Lui sollevò le sopracciglia, scettico, ed abbassò gli occhi sull’arma che non aveva smesso di puntargli addosso.
    «Se non l’avessi staresti cercando di uccidermi.» spiegò.
    Forse era vero, rifletté Zach, ma «Tanto non ci riuscirei.» commentò arreso.
    Per alcuni secondi Romeo rimase zitto, poi si mosse e, prima che potesse pensare di difendersi, l’aveva tirato per le braccia, l’aveva spinto con la schiena contro la colonna, dove prima era appoggiato lui, e gli teneva l’avambraccio fermo sotto il collo e la canna della pistola puntata sul fianco.
    Sputò quello che rimaneva della sigaretta tossicchiando e cercò di allontanare il braccio dal collo. Zach aveva sempre trovato bizzarro l’istinto, avrebbe voluto far capire al proprio inconscio che l’urgenza maggiore era la pistola, ma per quanto un soldato potesse allenarsi ed avere autocontrollo, ogni volta che qualcuno ti stringeva la gola, le tue mani correvano a liberarla.
    Il braccio di Romeo non si mosse, era come essere bloccati al muro da una statua di marmo. Una statua di marmo, che in ogni caso lo voleva fermo, ma non morto.
    «Che vuoi?» domandò a fatica.
    Romeo lo fissò negli occhi, era abbastanza vicino da riuscire a vedere i suoi, erano di un verde pallidissimo, impossibili, sembravano quasi gli occhi di un cieco. «Ho una pillola che ti fa essere come me.»
    Zach smise di respirare, ma non per colpa del braccio. La sua testa suonò un allarme che lo costrinse ad espirare ed inspirare subito dopo. Il pomo di Adamo iniziava a fargli male, era il caso di concludere in fretta quella conversazione. «Per quanto?»
    Rise divertito. «Non abbastanza per farmi fuori.» tornò serio. «Sarai veloce, potrai vedere. Una mezz’ora di onnipotenza, prima di crollare.»
    «Non mi interessa.» cercò ancora di scansarlo, ancora inutilmente. Era la risposta sbagliata.
    «Non spaventarti. Il tuo organismo la dovrà espellere, ma per mezz’ora potremmo azzuffarci alla pari. E se mentre siamo alla pari lei mi prende…»
    Avrebbe saputo una volta per tutte se avesse o no una super-mira. In fondo se Romeo avesse cercato di minacciarli avrebbe potuto fermarlo. Sarebbe riuscito a colpirlo, come la prima volta che si erano incontrati, quando aveva cercato di rubargli Court. Forse aveva un cecchino vero e quello era l’unico modo per scoprirlo.
    «Chi mi dice che non è veleno?» si impose di chiedere, anche se aveva già deciso.
    Romeo si avvicinò ancora, fino a riuscire a sussurrargli nell’orecchio. «Sei un bersaglio facile e Ryan ce l’ha davvero una super-mira. Tu vivi perché io non voglio che tu muoia.» gli ricordò.
    Quanto avrebbe voluto potergli dare un pugno, ricordare com’era piacevole sentire la sua carne presuntuosa sotto le nocche, strappargli un gemito di dolore.
    «Zach?» sentì chiamare alle sue spalle e Romeo aumentò la spinta sotto la sua gola.
    «Si o no, Zachy.»
    «Zach, tutto bene?» era Jean sapeva che controllava quando entrava e quando usciva, evidentemente quella sigaretta stava durando più del normale.
    «Si.» sputò in faccia a Romeo.
    Lui rise, gli infilò il coltello di Josh nella tasca dei pantaloni, lo lasciò e sparì.
    Prese fiato. «Sono qui.» gridò a Jean per tranquillizzarla.
    Accarezzò il profilo della lama nei pantaloni. “Ho appena acconsentito al mio omicidio?”, chiese al fantasma del proprio mentore, massaggiandosi la gola indolenzita. La ragazzina voleva che vivesse, l’avrebbe fatta rimanere male se fosse morto così, con una pillola.
    Ma il fantasma di Josh era capriccioso e volubile come tutti i fantasmi e non rispose.

ciao, lettrucciole!
ma avete visto la citazione lettararia da Alice nel Paese delle Meraviglie? abbiamo appena alzato il livello del prodotto, signori e signore!
ovviamente so che l'avete vista.

cmq, vi faccio conoscere sempre persone matte, dio, Dawn Dandely, povera stella, è matta come un pony... ma avete visto che Courtney se la fa con Jared?!
c'era un sacco di roba in questo capitolo, è per questo che era così lungo, anche se mi scuso cmq: leggere sul pc, non è bello. leggere 6000 e rotta parole sul pc è anche peggio, ma davvero, non sono riuscita a dividerlo, ho provato, ma mi perdeva tantissimo!
ho anche pensato di tagliare la prima parte, però... dai, Lynn è praticamente l'equivalente made in Synt di una ficwriter, io volevo che lo sapeste.
oh, tornando a Courtney, se la trovate incoerente - io un po' ce la trovo - voglio che pensiate che non abbiamo mai parlato con lei. mai. quindi, forse qualche spiegazione in proposito ce la potrebbe dare e - sempre forse - non è quella donna gelida e senza cuore che sembra a noi.
tutta questa pippa per dirvi: concendetemi il beneficio del dubbio, prima di dire "Fragolottina è uscita di testa e scrive cose a casaccio".
non è così, abbiate fede.

in più voglio invitarvi a porvi la seguente domanda: ma dove vuole andare a parare, Fragolottina?

vi lascio, patatine, già vi bruceranno gli occhi!
spero che almeno vi sia piaciuto!
baci

ps. Lamponella


   



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Capitolo 10
*** 9. Il soldato perfetto ***


Mitrono fragolottina's time
questo capitolo l'avrò scritto e cancellato sulle millemila volte, quindi, inizio con il pararmi il sederino: non sono molto brava nelle scene d'azione, più che altro perchè non ho mai scritto storie che le prevedevano, perciò cercate di essere comprensive e abbiate un po' di pazienza, sono ancora in formazione.
poi, c'è davvero un sacco di roba in questo capitolo e mi tocca dirvi che a me piace. magari il pezzo più movimentato non è un esempio stratosferico di capacità narrative, ma per come la vedo io funziona.
è di nuovo un capitolo LUNGO... dobbiamo arrivarci a patti con questa cosa: sono capitoli lunghi c'è poco da fare. troppe cose da dire per riuscire ad entrare nelle standard 3500 parole, mi dispiace!
a più giù!

9.
Il soldato perfetto


Zach era nervoso, lo capivo anche se era al di là del vetro che divideva la parte anteriore della macchina da quella posteriore. L’ennesima misura di sicurezza per Nate.
    Invidiavo il suo sangue freddo o la sua stoicità, io non sarei riuscita a reggere tanta tensione.
Nate doveva sedere sul sedile dietro, al centro, per essere lontano dai finestrini, e con un vetro antiproiettile, spesso quanto il mio polso, tra lui e chi guidava. Una situazione del genere avrebbe mandato ai pazzi chiunque, probabilmente. Chiunque, ma non lui, che continuava semplicemente a digitare comandi sul suo portatile, diceva che un aggeggino come il suo palmare non gli bastava più, ci voleva un computer vero.
    Forse era semplicemente abitudine, però mi dispiaceva, doveva sentirsi un po’ isolato ad essere guardato sempre come se fosse fragilissimo. Almeno aveva Lynn, che gli sedeva accanto con una mano sul suo braccio, aveva un berretto rosso con due punte e due pompon in testa; quando avremmo iniziato lo avrebbero avuto tutti, per dividere le squadre.
    Per evitare fraintendimenti, il fucile da paint ball che mi aveva dato Matt era tutto completamente rosso, perfino i proiettili di vernice erano rossi.
    Da quello che avevo capito, c’era già una “me” cibernetica; la macchina sarebbe stato il cecchino della squadra blu, io sarei stato il cecchino della squadra rossa.
    Incredibilmente non ero nervosa. D’altronde non c’era niente di davvero pericoloso, era un gioco e quello che avevo tra le mani era un giocattolo. Perché avrei dovuto preoccuparmi? A quanto pareva, era anche un gioco in cui ero brava. Di tanto in tanto ripensavo allo shock causato da “Becky a caccia di frutti”, però, come aveva detto Nate, era stata colpa dell’isolamento non di quello che avevo fatto, oggi non avrei avuto nessuna cuffia.
    Ma non riuscivo a capire cosa avesse Zach e la sua tensione sussurrava inquietudine anche a me. Mi faceva sentire sul ciglio di un baratro, del tutto ignara di quando mi avrebbero spinta giù.
    La fabbrica era al di fuori della Synt che conoscevo, oltre quella interna e perfino oltre quella esterna. Ci volle circa un quarto d’ora di macchina per raggiungerla e, da come Jean intimava a Zach di rallentare, intuii che eravamo ad una velocità sostenuta.
    Quando, finalmente, la nostra Responsabile bussò al vetro antiproiettile per annunciarci che eravamo arrivati, mi trovai davanti un edificio enorme.
    «Wow.» mormorai guardando in su. Tutta la struttura era sovrastata da una cupola di vetro che luccicava al sole, anche se in alcuni punti doveva essere stata rotta. Romeo l’aveva rotta, me lo sentivo. Era incredibile pensare che ci fosse bisogno di uno stabilimento così grande per creare qualcosa di tanto piccolo, come una fiala di Mitronio.
    Nate sbadigliò e si stiracchiò all’aria aperta. «Ehi, è incredibile!» esclamò. «Sono libero.»
    Lynn non disse niente, si limitò a passargli un braccio intorno alla vita. Quanta solitudine si nascondeva dietro tanta autoironia?
    Zach si guardò intorno ansioso e guardingo.
    «Qualcosa non va?» chiesi incerta.
    Lui mi fissò per alcuni secondi, poi scosse la testa. «Far uscire Nate è pericoloso.»
    Il diretto interessato sbuffò. «Sono un Vegliante anche io, grande eroe.» posò un braccio sulle spalle di Lynn e si diressero verso l’altro blindato che stava parcheggiando.
    «Rilassati, Zach.» lo supplicò Jean. «Diventi presuntuoso quando sei nervoso.»
    Già, lo stavo scoprendo anche io.
    Lui non rispose alle accuse e recuperò un borsone con su scritto “Courtney” dal bagagliaio della macchina.
    L’interno della fabbrica era tutto acciaio, polvere ed echi. Da quello che riuscivo a vedere sembrava una sala unica, costellata di apparecchi enormi di cui non avrei mai potuto immaginare l’utilizzo; sopra le nostre teste correva un passerella di metallo, immaginai che quando l’industria era ancora in funzione, chi ci lavorava non scendesse mai dove eravamo noi. Effettivamente la scenografia del gioco mi rendeva abbastanza nervosa, era tutto troppo vuoto, troppo abbandonato, troppo… mi fermai a guardare un’impronta, in parte ricoperta di polvere, marrone scuro: quell’impronta aveva cinque dita.
    «Come si fa il Mitronio?» chiesi a Nate sulla scia di un pensiero che non ricordavo, accelerando il passo per raggiungere lui e Lynn.
    Finsi di non vedere Courtney dietro di noi, con il suo cappello blu infilato nella tasca della giacca, che mi studiava critica.
    Scrollò le spalle. «Sarà una specie di inibitore.»
    Lo osservai, sorpresa che mi desse una spiegazione così vaga, mi ero abituata ad un Nate che sapeva tutto. «Tutto qui?»
    «Non me l’hanno mai fatto studiare, beh, in realtà nemmeno io mi sono mai dedicato davvero alla medicina. Ma, ehi!, se mi prendi un po’ di sangue di Romeo penso di riuscire ad imparare.» mi prese in giro.
    Feci una smorfia e mi toccai la tracolla del mio fucile da paint ball. «Temo di non avere l’arma giusta.» commentai ironica.
    «Dunque, dunque, dunque.» fece Jean per attirare la nostra attenzione su di lei. «Non so se vi ricordate che non siamo qui in gita.» iniziò. «Matt, il cecchino automatico è lassù.» indicò con la mano un punto sulla passerella alla nostra sinistra. «Cerca di farlo partire. Nate e Becky, voi starete al lato opposto, lassù.» indicò una scala a destra. «Da quelle parti c’è anche l’impianto elettrico, circoscrivi un area di azione e chiudi il resto, tanto per stare tranquilli.»
    Nate diede un bacio a Lynn, poi mi fece strada verso il punto che ci aveva mostrato Jean.
    «Lynn, Zach, Courtney e Jared, voi siete i bersagli.» la sentii proseguire.
    «Evviva.» esclamò sarcastica Courtney.
    Mi lanciai appena un’occhiata alle mie spalle per guardarla, mentre mi aggrappavo ai pioli di metallo della scala, lei sarebbe stata il mio primo obiettivo.
    Una volta sulla passerella, Nate raggiunse una colonnina e spostò un pannello, rivelando tutta una serie di interruttori, cavi e prese di corrente. Spinse un paio di pulsanti, allacciò un cavo dal suo pc alla colonna e, dopo aver digitato alcuni comandi, un gracchiare agghiacciante mi perforò i timpani. Una luce brillante circoscrisse un’arena nella quale svolgere l’azione. Alzai gli occhi verso la cupola, non era solo vetro, erano specchi: muovendo la loro inclinazione si poteva spostare la luce, lasciando in ombra tutto il resto.
    Si sedette a gambe incrociate e continuando a dettare ordini cibernetici. «Accidenti, le grate non scendono più. Deve esserci un guasto.»
    «È una cosa grave?» chiesi.
    Scrollò le spalle. «Non così tanto.» aggirò il problema accendendo anche l’illuminazione artificiale, per aumentare ancora di più il contrasto tra la luce dell’area di gioco e ed il buio della zona interdetta circostante. A chiunque sarebbe stato chiaro dove poteva e non poteva andare. Era una buona idea, ma trovarmi in quel modo, sospesa in aria e circondata dal buio, mi faceva paura.
    «Nate?» chiamai, guardando il resto della banda tra le costruzioni di acciaio. Lynn si arrampicò, agile come un gatto, su quella che aveva tutta l’aria di essere una cisterna, per nascondere la bandiera in cima; Courtney invece la stava infilando dietro alcuni tubi di areazione: una puntava sulla difficoltà di raggiungere l’obbiettivo, l’altra su un buon nascondiglio.
    «Lo so.»
    «Non li vedremmo arrivare.»
    «E non abbiamo armi vere.» concluse.
    Lo guardai. «E se…?»
    «Speriamo di no.» mi interruppe.
    Ed io sperai, anche se iniziavo a credere che la tensione di Zach non fosse del tutto immotivata.

Era noioso. Era davvero troppo noioso perché era troppo facile, molto più di “Becky a caccia di frutti”. Se i giocatori fossero stati più numerosi forse sarebbe potuto essere divertente o stimolante, ma in quel modo, con solo due bersagli in campo, non c’era niente di interessante.
    Avevo già colpito Jared ad una gamba, Zach era stato centrato dietro la schiena dal cecchino automatico di Matt. Ogni volta che qualcuno veniva preso, era obbligato a rimanere fermo per cinque minuti. E come se non bastasse avevo scoperto che Courtney era un bersaglio un po’ più complicato da colpire: era brava a stare nascosta.
    Perché Zach aveva organizzato quella pagliacciata inutile? A questi livelli le lamentele di Courtney acquistavano un altro rispetto, sarebbe stato molto più sensato dormire.
    «Dobbiamo rimanere ancora molto?» chiesi a Nate.
    Lui si strinse nelle spalle e rise. «Ti giuro che l’avevo pensata in modo diverso.» commentò. «Io ti volevo, anzi, ci volevo laggiù con loro, non quassù appostati come al tiro al piccione.»
    «Fammi indovinare.» intuii assottigliando lo sguardo. «Zach ha detto che era troppo pericoloso?»
    «Naturalmente.»
    Feci una smorfia, appoggiai il fucile sul corrimano di metallo della passerella – non avevo capito esattamente come si dovesse tenere un fucile – e cercai Zach per sparargli. Lo colpii sul collo e la vernice gli schizzò fino alla bocca. Mi lanciò un’imprecazione fantasiosa, che sia io che Nate ignorammo, e sputò vernice rossa mista a saliva accanto a sé.
    «Colpo niente male, sai? Era un bersaglio lontano.» si congratulò Nate.
    «Non è me che devi colpire, cheerleader!» mi rimproverò invece Zach.
    «Mi annoio.» gridai di rimando.
    «Anche io.» rispose la voce di Matt dall’altra parte dell’area di gioco. «Ho un’idea, prova a prendere i proiettili che sparo io.»
    Uno sbuffo rimbombò tra le pareti di acciaio della fabbrica. «Ma siate realisti!» sbottò Courtney, nascosta dietro un serbatoio, ignara del fatto che la bandiera blu è proprio lì sopra. «È impossibile che sappia fare una cosa del genere.»
    Per alcuni secondi non parlò nessuno, poi riconoscemmo il sibilo e lo sparo del cecchino automatico di Matt ed un proiettile blu le imbrattò i capelli.
    «Sei fastidiosa.» la accusò.
    Risi godendomi la scena, solo una parte di me lontana, lontana, si chiese se effettivamente fossi in grado di colpire un altro proiettile; l’idea sembrava un po’ troppo fantascientifica, anche se sarebbe stata un ottimo banco di prova per testare la mia super mira.
    Il suo grugnito di frustrazione fu meglio di qualsiasi lode.
    Cercai Lynn, l’ultima volta che avevo controllato si stava avvicinando alla bandiera rossa, se l’avesse presa la partita sarebbe stata conclusa e ce ne saremmo potuti andare.
    Il panico mi strinse lo stomaco: poco distante da lei, che quatta, quatta superava il proprio territorio, c’era un’altra ragazza vestita da Vegliante. Allontanai il fucile per vedere meglio: aveva una maschera bianca che le copriva la faccia, la faceva sembrare un fantasma, ed era immobile dietro di lei. Poteva essere Jean, ma… no, non poteva essere Jean. Nessuno di noi aveva la divisa di ordinanza, era stata proprio lei ad impedircelo per non rovinarle con la vernice.
    «Nate, c’è qualcuno.»
    Lui sollevò il viso di botto, mentre io li contavo Jared, Courtney, Lynn, Zach… cinque e sei. Ce n’era uno anche dietro di Zach.
    Con gli occhi fermi sulla maschera, allungò una mano e recuperò un cellulare, compose un numero e se lo portò all’orecchio.
    «Matt, li vedi?»
    «Si.» gracchiò la sua voce dal microfono a volume troppo alto. «Di schiena… quello dietro a Zach ha i capelli rossi.»
    «Controlla Lynn, io e Becky andiamo a vedere che combina Romeo.» sussurrò, prima di interrompere la comunicazione.
    Piano, per non fare rumore, scollegò tutti i cavi del proprio computer uno ad uno e mi fece segno con la mano di incamminarmi lentamente lungo la passerella verso Zach. Obbedii, attenta a non allontanare troppo a lungo gli occhi dal Veggente dietro di lui: a Romeo sarebbero bastati pochi secondi per far precipitare la situazione, ormai stavo arrivando a patti con la triste realtà che il suo cervello era troppo avanti rispetto ai nostri.
    Mi bloccai quando vidi Zach indietreggiare fino a lui. Romeo si sollevò la maschera lasciandosela sulla testa, si abbassò leggermente per frugare in una delle tasche dei suoi pantaloni e recuperare… non riuscii a vederlo, ma qualsiasi cosa fosse Zach la inghiottì. L’estrema versione del “non accettare caramelle dagli sconosciuti”.
    Fu più forte di me, arrivò prima del buonsenso – lo stesso che avrebbe dovuto suggerire a Zach di non accettare niente da Romeo proprio perché era Romeo – e del ricordo di Nate che mi suggeriva di non fare rumore.
    Mi sporsi dalla passerella. «Courtney.» urlai.
    Sollevò gli occhi su di me, sorpresa che mi stessi rivolgendo proprio a lei.
    «C’è Romeo, ha avvelenato Zach.»
    «Cosa?!» sbottò incredulo Nate alle mie spalle, scostandomi per vedere.
    Lei mi fissò per alcuni secondi, ma ero sicura che non mi stesse vedendo, stava calcolando, ragionando. Chiuse gli occhi e li riaprì con un segno di intesa verso di me.
    «Romeo ha avvelenato Zach?» mi domandò ancora Nate, mentre prendevo a correre per raggiungerli, senza più pensare al rumore.
    «Gli ha dato qualcosa e lui l’ha mandata giù.» ed io avevo imparato come ti facevano stare le cose che ti infilava in bocca Romeo.
    «Ma è impazzito?!»
    Probabilmente, ma non lo dissi.
    Intanto intorno a noi i Veggenti, vestiti da Veglianti con le maschere bianche, iniziarono a muoversi per ostacolare gli altri. Erano educati, non colpivano, si limitavano ad azioni di contenimento: non volevano fare del male, volevano soltanto che non disturbassero il loro capo.
    Non mi sfuggì – e sono sicura nemmeno a Nate – che nessuno cercò di ostacolare noi. Qualsiasi cosa avesse in mente Romeo, voleva che io e Nate assistessimo.
    Ci fermammo proprio sopra di loro, in linea d’aria ero al massimo a quattro metri da Romeo e da Zach, che recuperò una sigaretta storta da una tasca interna della giacca e l’accese.
    «Jean non sarà contenta.» commentò, quasi premuroso.
    «Metti che è l’ultima.» biascicò.
    Romeo rise. «Non è l’ultima.»
    Si voltò e guardò me, non l’avevo mai visto con il viso completamente scoperto, era… un ragazzo. Aveva il naso a punta, occhi chiarissimi ed inquietanti, ma era perfino piacevole da guardare. Era normale. Non riuscivo a collocarlo esattamente in una fascia d’età, anche se sembrava essere più o meno un coetaneo di Jean.
    «Tranquilli, starà bene.»
    «Che gli hai dato?» domandò Nate. «E tu razza di idiota perché l’hai preso?!» continuò stravolto.
    Zach sembrava essersi spento, fissava confuso un punto sul pavimento ed i suoi occhi si muovevano veloci, da sinistra a destra, come se leggessero qualcosa che noi non vedevamo. Scosse la testa e mi guardò, togliendosi la sigaretta dalla bocca per scrollare la cenere. «Per vedere se riesci a colpire lui.»
    Appoggiai la punta del fucile sul corrimano di metallo e Romeo fece una smorfia. «Accidenti, Zachy, non le hai insegnato come si tiene? Ma che razza di soldato sei?» gli domandò schifato.
    Sollevò il viso come se si fosse dimenticato dov’era. «Come?» domandò.
    Romeo gli lanciò un’occhiata con le sopracciglia sollevate e scoppiò a ridere. «Attento, Zachy, si finisce per diventare ciechi.» lo ammonì, mentre si abbassava la zip della giacca e la sfilava, lasciandola da una parte. Sotto indossava una maglietta nera con un bersaglio giallo disegnato sulla schiena. Simpatico…
    Ma di che diavolo stavano parlando?
    Non ebbi modo di chiederlo, perché Zach realizzò che non doveva per forza sopportare le sue prese in giro, sollevò lo sguardo, ora fermo ed immobile su Romeo, sputò il mozzicone di sigaretta e gli balzò addosso.
    Lui si voltò repentinamente e riuscì a fare un passo indietro e bloccare il suo pugno con l’avambraccio, ma era arrivato così vicino al suo viso. Provò a colpirlo a sua volta, un gancio che avrebbe messo al tappeto chiunque, ma Zach lo schivò. Pochi secondi prima. Come se nella sua mente avesse già visto quella scena.
    Sia io che Nate rimanemmo ad osservarli sconcertati: Romeo era veloce, lo sapevamo tutti, lo sapevo anche io che ero lì da poco, ma quel giorno lo era anche Zach, e questo era meno prevedibile.
    Intorno a noi, sentivamo ancora la nostra squadra combattere contro i Veggenti presenti per cercare di raggiungerci; immaginavo fosse frustrante per loro vederci lassù, vicini ed immobili, ma loro non sapevano. Perché se in quel momento avessero avuto sotto gli occhi quello che avevamo noi, non sarebbero riusciti a staccare lo sguardo. Come noi.
    Non videro Zach superare le difese di Romeo, arrivare prima delle difese di Romeo, e raggiungerlo con un pugno secco e preciso. Non lo videro poggiare le mani a terra, prima di cadere, quando non riuscì ad evitare il calcio sul fianco. Non lo videro rialzarsi, non lo videro schivare colpi, non lo videro combattere da Veggente, proprio come lui.
    Interrompere qualcosa di tanto armonico e perfetto sarebbe stato come pugnalare uno splendido dipinto.
    Zach, in quel momento era il soldato perfetto.
    Nate aveva posato a terra il pc, o forse l’aveva lasciato cadere, non me ne ero accorta, ed ora li fissava con le mani strette al corrimano, registrando nel suo cervello ogni movimento. Nel suo sguardo c’era una meraviglia associabile soltanto alla soluzione dei più grandi misteri dell’universo.
    Dei passi ci raggiunsero correndo. «Becky, svegliati!» mi gridò Jean.
    Scossi la testa e la guardai. Mi strappò dalle mani il fucile per cercare di aiutarlo, ma era in ritardo anche lei; sospettavo che essere una Responsabile non l’avesse salvata dallo stupore e me la immaginai, per pochi ma cruciali secondi, nella stessa contemplazione di Nate.
    Provò a sparare a Romeo, prendeva la mira e premeva il grilletto, ma io vedevo anche lui evitare ogni colpo. Lo vedevo prima del rumore del proiettile.
    Jean non poteva colpirlo, né lui né nessun altro Veggente. Io però si.
    Quando strinsi la canna nella mano, lei mi lasciò recuperare la mia arma – che arma non era, poteva essere al massimo un fastidio. Mi aiutò ad incastrare nel modo giusto il calcio nella spalla, a schiacciare la guancia contro il fucile e ad aiutarmi, con la mano non impegnata nel grilletto, a prendere la mira.
    Iniziai a seguire ogni movimento di Romeo ad essere il suo specchio.
    «Ad occhi chiusi.» mi suggerì lui.
    Gli obbedii, seguendo comunque la sua immagine nella mia testa, il centro del bersaglio sulla sua schiena. Potevo sparargli, potevo colpirlo, io potevo sparare ad un Veggente.
    Zach si pulì bocca e naso dal sangue, stava per attaccare di nuovo, ma si piegò in due con un gemito, invece, cadendo in ginocchio.
    Romeo si fermò, sorpreso, preoccupato. «Di già?» si chinò accanto a lui, che si sporgeva in avanti e vomitava. Gli tenne indietro i capelli e cercò sul suo polso l’orologio, poi sollevò il viso verso Jean. «Sta rallentando.»
    Lei lo fissò e basta.
    Io ce l’avevo ancora nel mirino e potevo ancora colpirlo, ma Zach aveva bisogno di altro. Cambiai obbiettivo ed andai a cercare Courtney, perché non era ancora lì?
    Trovai lei e Jared alle prese con la Veggente che avevo visto all’inizio, mentre Lynn si arrampicava dietro ad una terza maschera bianca, ignota fino a quel momento, che le aveva rubato il borsone. Matt stava cercando di pilotare il cecchino automatico per ostacolargli la fuga con scarsi risultati.
    Jean intanto corse alla scaletta più vicina per raggiungere Zach, ma un quarto Veggente si mise tra lei e la discesa, obbligandola ad indietreggiare per difendere Nate.
    Zach aveva bisogno di Courtney.
    La maschera bianca con il borsone salì sullo stesso serbatoio dove era stata nascosta la bandiera blu, sapevo che da lì sarebbe saltata per arrampicarsi sulla passerella. Aspettai il momento giusto, non avevo un’arma, ma la vernice poteva essere comunque un problema nella circostanza giusta. Sparai due colpi in rapida successione proprio mentre il Veggente saltava, le sue dite si aggrapparono e mantennero la presa sulla passerella per poco: i proiettili rossi rendevano l’acciaio scivoloso.
    Lynn approfittò della sua esitazione per afferrarlo e tiralo giù, prima di strappargli il borsone di dosso e lanciarlo verso Courtney che lo prese al volo. Non ci furono bisogno di parole: non appena Courtney strinse la sacca tra le mani, io e Matt usammo tutte le munizioni che ci rimanevano contro l’ultimo Veggente che li ostacolava; con noi due a disturbarlo per Jared non fu un grande problema costringerlo al tappeto.
    Tornai a Zach rannicchiato a terra, il viso contratto ed il corpo scosso da uno spasmo dopo l’altro.
    Romeo estrasse da una delle tasche dei suoi pantaloni una siringa incartata. «Mi serve il tuo sangue.»
    Lui aprì gli occhi e fendette l’aria con un pugno per allontanarlo.
    All’inizio non capii perché sul pavimento comparve una schizzata rossa, poi realizzai che stretto nel pugno di Zach c’era stato il suo coltello.
    Il Veggente che impediva a Jean di scendere si voltò verso di lui come se l’avesse chiamato, pronto ad abbandonare la sua missione per aiutare il proprio capo.
    «A Nate serve il tuo.» grugnì.
    Romeo lo fissò terreo ad occhi sgranati. «Che hai fatto?» sussurrò quasi senza voce, prima di balzare in piedi e correre via, seguito a ruota dai suoi.
    «No!» esclamò Nate subito. «No, no, no, no.» corse nella sua stessa direzione. «Aspetta!» gli gridò dietro.
    Romeo aspettò.
    «Che gli hai dato?» chiese.
    «Niente di impossibile.» furono le sue ultime parole prima di sparire.
    Zach mugugnò cercando di sollevarsi quel tanto che bastava per non vomitarsi addosso. Io e Nate scendemmo dalle stesse scale di Jean per raggiungerlo. Courtney lo aiutò a tenersi su ed a sdraiarsi di nuovo a terra, mentre con una mano si infilava uno stetoscopio. Gli aprì la giacca e gli sollevò la maglietta per cercare il suo cuore.
    Io rimasi lontana quando vidi le loro mani strette una nell’altra, così forte che pensai le stesse facendo un male del diavolo. Lei non diede segno di fastidio, recuperò una piccola torcia dal suo borsone e gliela puntò negli occhi. Era preoccupata, ma c’era anche un leggero sollievo nel suo sguardo, quindi non stava morendo. «Che ti è saltato in mente?» chiese estraendo dalla borsa un mazzo di garze che odoravano di disinfettante e gliele premette sul viso per fermare il sangue.
    Incredibilmente lui rise. «Lo rifarei mille volte.» le allungò il coltello sporco del sangue di Romeo. «Per Nate.»
    Nate.
    Lo cercai e lo vidi sollevare la giacca da Vegliante che aveva indossato Romeo, pensieroso. Mi avvicinai a lui lentamente, mentre controllava l’etichetta interna. «Che c’è scritto?» domandai.
    «Shane.» disse incolore.
    Lynn mi saltò addosso sulla schiena, impedendomi altre domande. «Dio, sei stata perfetta!» si complimentò eccitata.
    La guardai sbattendo le palpebre, resa perplessa dalla sua totale mancanza di preoccupazione per Zach. Intuendo il mio fastidio fece un gesto vago con la mano. «Pff…» sbuffò. «Come se volesse davvero fargli del male! Romeo è un tenerone e Zach uno stupido. Come sempre. Ma tu, carissima Becky, sei straordinaria.»
    «Non ho fatto niente.» borbottai poco convinta, in fondo, non avevo preso Romeo.
    «Hai fatto ciò di cui c’era bisogno, è così che si lavora in squadra.»
    Jared e Matt, che intanto ci aveva raggiunti, aiutarono Zach a tirarsi in piedi, sembrava sfinito. Jean ci cercò tutti con gli occhi, facendo un appello mentale. «A casa. Tutti. Subito.»

Il viaggio di ritorno fu lunghissimo. L’automobile faceva sentire peggio Zach e fummo costretti a fermarci cinque o sei volte. Quando raggiungemmo la caserma era così stravolto che Jared dovette caricarselo sulle spalle.
    Perfino Courtney aveva perso un po’ della sua lucidità professionale. «Ho provato a dargli della morfina, non gli ha fatto niente.»
    «Non hai qualcosa di più forte?» le chiese Jean.
    «Più forte della morfina?» domandò incredula. «No, se non voglio ammazzarlo.»
    Si chiusero in camera di lui, mentre la Responsabile spediva me, Nate, Lynn e Matt a mangiare. Niente ronda quella sera, era stata una giornata fin troppo eccitante.
    Jared ci raggiunse dopo poco e recuperò il vassoio con il suo nome.
    «Come sta?» gli chiese Nate.
    «Vomita.» fu la sua unica risposta.
    Mi chiesi come facesse. Quando li avevo visti insieme, quando avevo visto le loro mani strette per aggrapparsi l’uno all’altro, lei così impegnata a prendersi cura di lui, mi era sentita di troppo solo a pensare di potermi infilare nel loro complicatissimo rapporto. Lui, che era a tutti gli effetti in quel rapporto, come faceva a non impazzire di gelosia e sospetti?
    «Credete che Romeo sia morto?» domandò Matt dopo un po’. «Il coltello di Zach è temprato nel Mitronio.»
    «Non lo so.» commentò Lynn.
    Nate sembrava preoccupato.

Una ragazza con una maschera bianca tirata sui capelli ed una giacca verde suonò alla porta di Dawn Dandley, guardandosi intorno tesa. La donna aprì immediatamente, quasi l’aspettasse.
    «Ryan.» mormorò lei con apprensione.
    «Mi manda lui.» le disse.
    Dawn la fissò e basta.
    «Mi manda a dirle che è vivo.»
    Sorrise e tirò un sospiro di sollievo. «Grazie.» si frugò nella tasca della vestaglia e le porse una busta accartocciata. «Gli farà compagnia.»
    Ryan annuì. «Altro, signora?»
    Fece per scuotere la testa, ma ci ripensò. «Digli che lo vedo sempre.»
    «Lo sa già.» sorrise lei prima di correre a nascondersi.

Mi fermai con una mano sulla maniglia della mia porta, incerta. Zach era venuto a vedere come stavo, sempre. Magari la mia visita non poteva essergli utile e non gli avrebbe fatto piacere quanto quella di Courtney, però mi sembra carino fargli sapere che gli volevo bene ed ero preoccupata per lui. Non era quello di cui, in fondo, avevano bisogno tutti i malati?
    Courtney uscì dalla sua porta e mi guardò come se dall’interno della stanza mi avesse letto nel pensiero. «Non puoi entrare, lascialo stare.»
    La fissai ostile, se me lo avesse detto con maggiore garbo forse le avrei dato retta, ma ero stufa che fosse gelosa di me, visto che non ne aveva nessun diritto. «Ti ho vista.» dissi solo, non c’era bisogno di aggiungere un quando od un con chi.
    Lei rimase interdetta per qualche secondo ed io ne approfittai per avvicinarmi, aprire la porta ed entrare.
    «Ne riparleremo.» promise in un sussurro.
    Chiusi lei e tutto il resto dall’altra parte della soglia.
    Il letto era vuoto, ma la lampada sul comodino accesa. Mi guardai intorno e lo trovai rannicchiato in un fagotto di coperte in un angolo, accanto a lui c’era un porta flebo con appesa una sacca di liquido trasparente, un tubicino era fermato al dorso della sua mano. Tutta la stanza aveva l’odore fastidioso ed informale di disinfettante, dovevano aver pulito da poco.
    Zach era immobile, mi chiesi se dormisse.
    Camminai piano per non svegliarlo e mi sedetti a gambe incrociate davanti alle sue coperte, vicina al suo viso. Aveva il labbro ed il sopracciglio spaccati e medicati alla buona, ma con il cicatrizzante accelerato il giorno dopo sarebbero stati come nuovi.
    Pensai a cosa sarebbe successo se avesse ucciso davvero Romeo, niente di quello che mi venne in mente era piacevole.
    «Ehi.» mormorò piano, ancora ad occhi chiusi.
    Lo guardai stupita. «Pensavo dormissi.»
    «Non ci riesco.» disse solo.
    «Stai un po’ meglio?» il collo, parte del mento e la mascella erano macchiati di rosso per il mio colpo.
    Si mosse poco, in quella che doveva essere l’ombra di una stretta di spalle. «Non vomito da un quarto d’ora. Court dice che è buon segno.»
    «Allora, probabilmente lo è.»
    E se fosse morto Zach?
    «Ti ho vista.» disse dopo un po’.
    «Non l’ho colpito.» lo precedetti, immaginando che si riferisse all’azzuffata nella fabbrica. Mi sentivo un po’ in colpa, se davvero lui aveva mandato giù la robaccia di Romeo per vedere di cosa ero capace, forse non avrei dovuto vanificare i suoi sforzi.
    Scosse la testa. «No, ti ho vista nella mia testa, prima che cominciassimo.»
    Lo osservai, ripensando a quando si era perso dietro chissà quale fantasticheria. «Hai avuto una visione?»
    «Forse. O forse era solo un’allucinazione.»
    Deglutii spaventata dalla prossima domanda. «Com’è?»
    Aprì gli occhi, era bello sapere che nonostante tutto, erano ancora verde brillante, limpidi. «Strano. Un specie di formicolio dietro la nuca.»
    Come me.
    Mi nascosi per qualche secondo nei miei pensieri e ricordi. Io non ero una Veggente, mi proibii di pensare di esserlo. Avevo fatto il test, ero stata selezionata, responso: Vegliante. Quindi, non potevo proprio essere una Veggente, a meno che non lo fossero tutti gli altri Veglianti ed il sistema di selezione avesse un margine di errore grande come la Florida.
    «E credo che sia più legato al sentire che al vedere.» continuò.
    Io non ero una Veggente.
    «Ti ho detto qualcosa?» mi allontanai da quel timore il più possibile, preoccupata quasi che avere una simile idea in mente avesse potuto insospettire anche lui.
    «Non quel tipo di sentire.» si leccò le labbra, erano screpolate. «Ti ho sentita sulla lingua.»
    Rimasi zitta contestualizzando una frase del genere, sbuffai una risata imbarazzata. «Ehm… Zach?!» domandai inquieta.
    Lui rise. «No, ti assicuro che l’ho pensata meno compromettente di così.» si girò sulla schiena e fissò il soffitto. «Tu avevi le manette ed eri con il tipo stronzo dell’Asta, te lo ricordi?»
    Annuii piano e mi strinsi le ginocchia al petto.
    «Le manette te le avevo messe io, per poterti baciare…» aggrottò le sopracciglia confuso, mentre io arrossivo. «Ero tipo preoccupato che ti facessero del male o che tu ne facessi a me, non so. La mia giacca era tutta strappata e rovinata e…» esitò. «Aveva un taglio, come una pugnalata sotto le costole.»
    Ci riflettei con attenzione. «Mi sembra una situazione un po’ troppo strana per essere reale, non credi?» commentai delicata, facendo appello a tutto l’autocontrollo che avevo in corpo.
    Annuì. «Già.» convenne, prima di mugugnare un lamento. «Pessima idea, aiutami a girarmi di nuovo sul fianco.»
    Mi voltai di botto e lo tirai per un braccio ed una spalla prima che ricominciasse a sentirsi male. Lo guardai respirare piano, ad occhi chiusi, con la mano ancora stretta alla mia.
    «Forse hai sbirciato un universo parallelo.» cercai di inventarmi, per distrarlo dal malessere. Lo sentivo vicino, ero nello spazio che si creava tra le sue gambe ed il resto del suo copro quando si rannicchiava. «Magari da qualche parte c’è un mondo in cui stiamo insieme e siamo felici. E Nate è il presidente, e lui e Lynn hanno tre bambini.»
    «E Courtney sta con Matt.» rise.
    Lo feci anche io. «Forse serve più di un universo parallelo per una cosa del genere.»
    «Niente Veggenti?» mi domandò speranzoso.
    «Né Veglianti. Romeo è un attore, è ricco e non da fastidio a nessuno.»
    Rimase in silenzio per qualche secondo, poi mi strinse il fianco, sussultai. «Un attore, eh? Dimmi un po’, cheerleader, ti sarai mica presa un cotta per lui?»
    «Ma smettila.» sbottai.
    «Si, si. Mi toccherà tenerti d’occhio, cambiassi bandiera all’improvviso.»
    Sbuffai e per alcuni secondi rimanemmo zitti, tutti e due.
    «Becky?»
    Gli lanciai un’occhiata, era la prima volta che mi chiamava per nome. «Nh?»
    «Se io fossi un Veggente non accetterei la cura.» confessò. «È uno spettacolo, sei forte, veloce. Non è innaturale o artificioso. È…»
    «Perfetto.» conclusi al suo posto, cercando il poster di Romeo sul suo muro, ma ovviamente non c’era. Però osservai il resto della sua stanza, le cose preziose che conteneva. C’era una mazza di metallo su un mensola sopra al letto, ero sicura che fosse quella regalata da suo padre; una foto appesa al muro accanto all’armadio, lui un po’ più giovane ed allegro con un ragazzo che gli somigliava molto, immaginavo fosse suo fratello. E c’era una giacca verde, era dentro una teca come una reliquia, su un manichino, non riuscivo a leggere l’etichetta, ma non c’era bisogno: era la giacca di Josh.

Lynn aprì gli occhi trovandosi immersa in una luce grigio-televisione in bianco e nero. Si tirò su e vide che tutti gli schermi al muro erano accesi. Mostravano le scene del combattimento tra Zach e Romeo, ognuna leggermente in ritardo rispetto alla precedente: solo pensare di guardarle le faceva venire il mal di testa.
    Nate era seduto in fondo al letto, con i gomiti appoggiati alle ginocchia e fissava ogni singolo schermo.
    Lei gattonò sulle coperte e lo abbracciò da dietro.
    «Le telecamere della fabbrica hanno ripreso tutto.» spiegò colpevole. «Non volevo svegliarti.»
    «L’avevo capito.» indossava una sua maglietta e sentiva di avere il sedere scoperto. Era sicura che se Courtney l’avesse vista avrebbe avuto da ridire, le ripeteva sempre che mettere i vestiti del proprio ragazzo la faceva diventare una sua proprietà. Ma lei non poteva capire, tra lei e Nate non c’erano mai stati isterismi, lotte di supremazia, orgoglio tossico.
    Nate le voleva bene, la rispettava, non le faceva pesare di essere mille volte più intelligente e, soprattutto, non aveva problemi a chiedere aiuto quando aveva bisogno di lei. La loro era la più perfetta delle relazioni, più di quelle che inventava nelle sue storie.
    «Sto impazzendo.» disse con le mani tra i capelli.
    Lynn scivolò giù dalla sua schiena per sedersi accanto a lui. «Raccontami.» propose.
    «Guardalo.» gli indicò uno degli schermi. «Ti pare possibile?»
    Non rispose.
    «Ci insegnano che i Veggenti sono più svegli di noi perché una parte del loro cervello funziona, mentre noi ce l’abbiamo spenta, giusto?»
    «Si.»
    «Allora, magari io di neurologia non me ne intendo gran ché, ma ho gli occhi per vedere. Noi siamo lenti, goffi ed inutili rispetto ad un Veggente, ma a livello scientifico siamo lo Stato più avanzato e sono sicuro che da qualche parte i cervelloni hanno provato a fare una cosa del genere, tipo super soldati.» sospirò. «Eppure, noi ci stiamo ancora arrovellando su come sparare ad un Veggente ed i soldati in guerra continuano a morire come mosche.»
    «Quindi?»
    «Quindi, o Romeo ha nascosto da qualche parte un istituto di ricerche neurologiche e superscienziati di cui non si sa niente, ma non credo. Oppure…» si zittì guardando di nuovo gli schermi.
    «Oppure?» lo incalzò Lynn.
    I suoi lineamenti si distesero, quasi si stesse arrendendo all’inevitabile. «Oppure, quella parte del cervello di Zach ha sempre funzionato e l’ADP lo tiene sotto controllo con degli inibitori.»
    «Come?» chiese sconvolta Lynn.
    «Quello che mangiamo ci arriva in vassoi sigillati con sopra scritto il nostro nome, va a capire che c’è dentro.»
    «Integratori per renderci più forti, no?»
    La guardò. «O Mitronio per tenerlo buono.» ribatté.
    Lynn rimase sospesa. «Lo credi davvero?»
    Nate scosse la testa. «Però ha senso e non è una soluzione impossibile.» si morse le labbra. «Chiederò a Jean il permesso per studiare neurologia.» concluse.
    «Il sangue sul coltello di Zach?»
    Sospirò. «Identico al mio, al tuo, a quello di Zach. Facciamo finta che è stato guastato dal Mitronio?»

Courtney abbassò la maniglia della porta di Jared, scoprendola bloccata. Aveva chiuso a chiave.
    Non bussò, non lo chiamò. Tornò soltanto nel proprio letto.

avete il vostro fedele blocco degli appunti lì vicino?
brave, sottolineate: la giacca di Shane - diminutivo di Shannon (do you remember?) - tutta la visione di Zach, e obviously le riflessioni di Nate.
tipo che me le appunto anche io queste cose.
oh, oh, oh! Dawn Dandley, per carità non dimenticatevi di lei!
poi, la tragedia si sta avvicinando...
non vi dico altro!
se vi va di farmi sapere il vostro gradimento - o disgusto - per il capitolo, sapete come fare!
baci

ps. Lamponella
pps. e se il Veggente è Zach.
ppps. un pensiero ad Andrea: se Becky ha imparato a tenere un fucile in mano è merito suo!

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Capitolo 11
*** 10. Prima o poi ***


Mitrono fragolottina's time
questo capitolo, soprannominato dai più intimi - io e Lamponella - "La quiete prima della tempesta", è pieno di cose tristi.
potrei parlarvi e spiegarvi e raccontarvi e filosofeggiare sul sentirsi Veglianti inside per ore, quindi chiedete spiegazioni a vostro rischio e pericolo, perchè potrei attaccarvi un pippone pazzesco... scherzo! mica tanto...
ma comunque...
c'è Courtney, quindi se non riesco a farvi entrare nella sua testolina potete andare a lamentarvi in giro perchè Frgolottina è impazzita e scrive cose senza senso, però prima promettetemi di darle un'opportunità. io ho scoperto di amarla molto.
c'è Josh, un Josh diverso da quel al quale siamo abituate, ma è molto più reale.
ovviamente non vi do tutte le risposte - vi pare?! non sia mai... - ma ci sono molti spunti su cui riflettere e su cui spero rifletterete.
ok, basta... a più giù?

10.
Prima o poi



Quando Courtney scese al piano di sotto, trovò Jared già in palestra, ma non si stava allenando; era seduto su un tappetino, fermo, stava pensando. Immaginò di non essere stata l’unica a non riuscire a dormire quella notte.
    Lo raggiunse lisciandosi il golfino, Jean l’aveva buttata giù dal letto troppo presto perché potesse pensare davvero al proprio look, voleva che lei e Nate la accompagnassero in ospedale per Zach. Non si era mai fidata dei medici.
    Gli aveva prescritto ogni analisi che era possibile fargli: prelievo del sangue, urine, elettrocardiogramma, elettroencefalogramma, prove sotto sforzo. Tutto il pacchetto. Era un’idea sensata, chissà cosa gli aveva dato Romeo.
    Si sedette accanto a lui. «Sono passata da te ieri notte.»
    Jared non rispose, sapeva da come respirava che era arrabbiato. Lui non era come Zach, non esplodeva in fiammate, Jared si consumava lentamente ed intimamente, accumulando pensieri infelici. Poteva quasi sentirli frusciare nelle proprie orecchie: Stai permettendo ad una ragazzina di usarti. I pensieri di Jared avevano la voce di un Josh delirante e gracchiante.
    «Avevi chiuso.»
    «Non mi andava molto di vederti.» le concesse.
    Courtney si sentì tagliata in due: una parte di lei sapeva di meritarlo, di non poter affliggere nessuno con una situazione del genere; ma l’altra ricordava il sollievo e la pace di trovarsi tra le braccia di Jared, la prima volta che l’aveva baciato era stato davvero come lasciarsi alle spalle per qualche minuto il mondo in cui vivevano. Era una persona così egoista se aveva deciso di scegliere il sollievo al tormento?
    «Dovevo aiutarlo, è il mio lavoro.»
    «Lo so.» sospirò. «Ma non puoi chiedermi di accoglierti nel mio letto dopo averti vista.»
    «Sei geloso?» si stava già pentendo di averlo chiesto.
    Jared la guardò infastidito. «Geloso, Court?» sbottò. «Non è gelosia, è…» chiuse gli occhi riacquistando un po’ di controllo. «Mi hai detto che la cosa doveva stare nascosta perché avevi paura che facesse qualche follia, ed ero anche d’accordo perché a Zach serve solo una scusa per diventare una bomba sucida. Ma allora perché non lasci che la ragazzina lo consoli?» c’era frustrazione nella sua voce, non capiva, non la capiva.
    Courtney abbassò le palpebre, le sfuggì una lacrima, pensò alla scia di mascara che le aveva sicuramente lasciato sulla guancia.
    Pensò a Zach, quasi un anno prima, appoggiato alle sue ginocchia mentre lei era seduta sul tavolo della mensa. Si trovavano lì ogni notte. Courtney aveva percorso con garze, cotone e disinfettante ogni centimetro della sua pelle, le prime volte lui era arrossiva e lei doveva mordersi la lingua per non prenderlo in giro. Il grande eroe.
    Quella notte l’aria intorno a loro vibrava più del solito.
    “Stai con Lindsey”, gli aveva ricordato, perché lui la guardava come se volesse mangiarla.
    Lui l’aveva fissata ed aveva sorriso come non lo avrebbe più visto sorridere, come se il mondo fosse divertente anche all’inferno. Aveva scosso la testa ed aveva posato piano le mani sulle sue ginocchia, non si sarebbero mosse senza un suo invito. Lei aveva soltanto abbassato lo sguardo, per nascondere un sorriso.
    “Ci penserò”.
    Aveva fatto per scendere, lui era indietreggiato di un solo piccolissimo passo e quando aveva posato i piedi a terra erano così vicini da sfiorarsi.
    L’aveva baciato lei. Non se ne era mai pentita, ma avrebbe voluto dimenticarlo, almeno per un po’.
    Ricordava le labbra morbide e la lingua calda di Zach.
    Ed il tonfo del corpo di Josh che raggiungeva il suolo. Settantotto chili di carne, il sessanta per cento era sangue.
    Era già morto quando l’avevano raggiunto. Aveva marchiato a fuoco nella mente l’immagine della sua gamba distorta in modo grottesco, se fosse stato vivo avrebbe urlato.
    Aveva saputo subito che lei e Zach non si sarebbero mai più baciati. Zach, il suo Zach, era morto con lui.
    «Perché…» non c’era un perché, non uno che potesse andar bene per Jared. Tutte le spiegazioni sembravano comprendere anche la frase “Perché non riesco a lasciarlo andare”.
    Pensò a Becky, una ragazzina sciocca che piombava ingenuamente nel loro inferno personale e si metteva in testa di riuscire dove lei aveva fallito, di ricominciare da dove lei aveva mollato. Strinse di nuovo i pugni, furiosa.
    «Court, tu sei meravigliosa.»
    La rabbia le scivolò via tutta insieme, riportandola lì, in quel momento, seduta accanto al ragazzo che aveva scelto e che comunque avrebbe perso.
    «La donna più bella che abbia mai visto, la più fantastica con cui abbia avuto il lusso di fare l’amore. Ed io penso davvero di amarti, quando sei mia, quando parli con me, quando vedi me. Non puoi chiedermi di amarti anche quando sei sua.»
    Non c’era niente che potesse sembrare una risposta accettabile. «Devo andare.» disse solo alzandosi, rimandando per l’ennesima volta quella conversazione.
    «Court?» la richiamò Jared.
    Lei si fermò.
    «Non cercarmi finché non decidi di andare avanti.»
    Prima o poi l’avrebbe fatto.

All’ospedale di Synt la conoscevano fin troppo bene. Nessuno si sarebbe azzardato a toccare uno dei Veglianti senza il suo permesso né la sua supervisione.
    Courtney era nata a Vernon, nel principio di tutta quella follia. Era nata tra le macerie di una città che continuava a morire anni dopo l’incidente. Quello che era rimasto sarebbe dovuto essere spazzato via, sarebbe stato misericordioso: l’economia era un disastro, la medicina un lusso per una popolazione povera e malata, l’acqua non contaminata arrivava in container e costava tanto, i bambini nascevano malformati. Aveva visto orrori così sconvolgenti da rimanerle attaccati, popolavano i suoi incubi, facendola quasi sentire in colpa per essere nata sana, normale, bella.
    Nei film in tv vedeva le cheerleader, avrebbe voluto esserlo, ma a Vernon non c’erano più nemmeno i licei. Lei studiava a casa con un insegnante privato perchè si usciva il minimo indispensabile, nascosti sotto tute antiradiazioni. L’istruzione non era qualcosa per cui valesse la pena rischiare la vita.
    Sua madre era un chirurgo generale, era abbiente, lavorava in ospedale e la costringeva a cure decontaminanti continue, le mandava pacchi di medicine anche a Synt. Suo padre era morto un pezzo per volta per un tumore: gli avevano amputato il braccio per primo, poi asportato parte dell’intestino e lo stomaco, una massa dal cervello, un polmone. Aveva ringraziato in lacrime sua madre per avergli iniettato la sostanza che l’aveva ucciso.
    Aveva imparato il rigore e la pulizia di un’operazione ben fatta sul tavolo della sua cucina, dalle mani di sua madre che facevano gli straordinari per chi non si poteva permettere un ricovero.
    Non aveva studiato medicina, ma conosceva il corpo umano più di tanti medici. Sapeva guardare il torace di un uomo tagliato in due senza vomitare, e sapeva dove e come intervenire se c’era qualcosa che non andava. Era una specie di scienza innata, aveva sempre pensato che si trattasse di abitudine. Gli schemi che Nate cercava ovunque, c’erano anche in medicina.
    Quando Josh aveva fatto la sua offerta all’Asta, non aveva saputo di essersi aggiudicato qualcosa che andava ben oltre il suo valore. Le aveva chiesto di prendersi cura di Zach, “Ha troppi fantasmi del passato con cui fare i conti”, aveva parlato con la tranquillità persuasiva di un buon leader, qualcuno di cui non hai paura di fidarti. Lei ancora non sapeva chi era Zach, ma dal treno che la stava portando a Synt vedeva il sole, un sfera luminosa dietro un velo quasi trasparente di nuvole. Le aveva baciato la pelle quando era scesa e non doveva aver paura che la sua guancia si aprisse in un piaga disgustosa e potenzialmente degenerativa.
    Synt le era sembrato il paradiso attraverso il quale poteva camminare a viso scoperto, Josh un angelo e lei aveva annuito.
    Nessuno l’avrebbe toccato senza il suo permesso.
    Guardò Zach al di là del vetro, correva su un tapis roulant con attaccati tutta una serie di sensori. C’era davvero qualcosa che non andava, qualcosa di piccolo. Non riusciva a spiegarlo, ma sentiva i “bip” dei sensori cardiaci e il rumore dei passi sul tappetino…
    Probabilmente aveva a che fare con quello che gli aveva dato Romeo, forse aveva bisogno di smaltire qualsiasi porcheria fossero quelle pillole. Forse no.
    «Sei preoccupata.»
    Guardò Nate, durante il viaggio aveva scoperto che era sto lui ad insistere su Jean per venire e non il contrario. «Il suo cuore ed i suoi passi sono scoordinati.» più o meno, ma non avrebbe saputo spiegarglielo in modo migliore.
    Lui fissò Zach. «Un sintomo di qualcosa?» continuò a chiedere.
    Courtney scosse la testa. «Il novanta per cento delle persone sono scoordinate.» rifletté. «Anche tu lo sei.»
    «Zach però no.»
    Era indecisa, indecisa su dove iniziare a cercare; il bello del corpo umano era che, quando qualcosa non funzionava come avrebbe dovuto, mandava un’infinità di segnali. Solo che a volte non era facile capire dove andare a guardare.
    «Da quando ti interessa la medicina?» domandò sedendosi sul tavolo.
    «Sto pensando di farmi una cultura da un po’.»
    Jean era attaccata al vetro, intenta a mentire ai dottori su quello che era successo il giorno prima. Confessare “Improvvisamente si è trasformato in un Veggente” avrebbe portato conseguenze poco piacevoli.
    «Josh non era bravo come quando aveva iniziato.» era bello avere qualcuno a cui esprimere i propri dubbi e Nate era la persona migliore per quel ruolo: era razionale.
    Si strinse nelle spalle. «Josh aveva ventisei anni era… beh, invecchiato.»
    «Stronzate, il deterioramento cellulare inizia a venticinque. È impossibile che fosse tanto rallentato in un solo anno.» la sua mente percorreva sentieri sconosciuti a tutta velocità, avrebbe voluto chiederle di aspettarla. Zach ne aveva solo diciannove di anni, era giovane. Troppo giovane.
    Nate la fissò finché lei non spostò gli occhi su di lui. «Court, Josh aveva… beh… anche un altro problemino.»
    Beveva. Beveva e poi litigava con Jean, li aveva sentiti, sospettava che tutti lo avessero fatto, ma c’era una specie di tacito accordo per cui non se ne parlava. Come c’era stato un tacito accordo per le circostanze della sua morte. I funzionari dell’ADP li avevano interrogati separatamente, avevano chiesto ad ognuno cosa credevano fosse successo. La risposta era stata unanime: Romeo deve averlo plagiato ed indotto al suicidio. Era quello che avrebbero dovuto credere tutti.
    «Comunque, da qualche parte ci sarà una cartellina con il suo nome.»
    Per questo aveva rubato i documenti dell’autopsia di Joshua Lanter ed ogni sua altra documentazione medica, nessuno avrebbe dovuto conoscere il tasso alcolico nel suo sangue se non lei. Josh doveva essere un eroe e nessuno avrebbe potuto fare niente per tirarle quella percentuale fuori dalla bocca. In un modo o nell’altro era comunque stato Romeo ad ucciderlo.
    Ma non ci sarebbe riuscito anche con Zach.
    «Sotto il mio letto.» incastrata tra le doghe di legno e il materasso.
    «Cosa?» domandò Nate senza capire.
    Courtney lo fissò negli occhi, oltre il vetro degli occhiali. «La cartellina con il suo nome, è sotto il mio letto.»

Fu il rumore della porta che veniva aperta a svegliarmi. Socchiusi gli occhi e guardai Zach sulla soglia, era ancora un po’ pallido, ma era in piedi, mi sembrava un grande progresso rispetto alla sera prima.
    «Scusa.» mormorò.
    Avevo dormito nel suo letto, ma la cosa era stata molto meno romantica di quanto sembrasse. Al decimo sbadiglio mi aveva detto di andare a dormire, io non mi ero mossa, ma non avevo avuto nemmeno il coraggio di dirgli che non volevo lasciarlo. Era così bello stare buona, buona vicina a lui e parlare, non importava se soltanto in amicizia. “Almeno va nel mio. Tanto io resto qui”. Non mi aveva visto sorridere, ma io ero stata davvero eccitata all’idea che non mi avesse cacciata con più insistenza.
    «Che ore sono?» chiesi dopo uno sbadiglio.
    Lui raggiunse il letto e gattonò fino a sedersi sul cuscino accanto al mio. «Le dieci e mezza, è presto.»
    Sbattei le palpebre e mi tirai a sedere, avevo fame e voglia di caffè. Mi chiesi se Lynn sarebbe stata disposta ad accompagnarmi di nuovo in quella caffetteria così carina, a mangiare cappuccini e ciambelle. Per un attimo mi concessi di sognare che mi ci portasse Zach… subito dopo cercai di pensare a come raggiungerlo da sola.
    «Come stai?» domandai.
    «Ho una fame che mi mangerei anche Romeo.» confessò dopo un po’ e mi guardò. «Preparati, recuperiamo Lynn e Matt e andiamo a fare una colazione vera.» si stiracchiò.
    «Nate?»
    Lui sollevò le sopracciglia e mi lanciò un’occhiata insinuante. «Confabula con quella di cui non chiedi mai.»
    Arrossii ed abbassai lo sguardo. «Beh, se fosse un po’ più carina con me…» lasciai la frase in sospeso, mentre perfino io mi chiedevo se fosse vero. Avrei sopportato la sua bugia a Zach ed il fatto che lui le volesse ancora molto – moltissimo – bene? Avrei sopportato la gelosia? Magari avrei cercato di riappacificarli?
    Sospirai: no, probabilmente io e Courtney non saremmo andate d’accordo in questa vita.
    «Non trattarla male.»
    Stavolta fui io a regalargli un’occhiata sarcastica: io la trattavo male?!
    «Lei non è cattiva.» abbassò lo sguardo e scosse la testa. «Si sente responsabile per me. Sono io il motivo per cui è tanto isterica.»
    Lasciai andare un altro lunghissimo sospiro, l’ultima cosa che volevo era mettermi a discutere con Zach di Courtney e magari nella foga della litigata – perché sapevo che nel caso sarebbe stata un grande litigata – spifferargli i suoi rendez-vous segreti con Jared. Forse se lo meritava, ma iniziavo a sentirmi persuasa dal discorso di Lynn: Zach non doveva sapere dalla mia bocca quello che stava succedendo.
    «Non si parlava di caffè?» chiesi per cambiare argomento e mi alzai.
    Mi guardò per un po’, poi annuì. «Si, parlavamo di caffè.»

Lynn sembrava non aver dormito molto la notte prima, ma non le chiesi niente. Trattandosi di lei forse era soltanto rimasta più sveglia del solito con Nate, la cosa strana però era che Matt fosse silenzioso.
    Matt silenzioso poteva essere preoccupante. Ero seduta con lui sul sedile posteriore perciò gli diedi una gomitata.
    «Che hai?» domandai.
    «Niente.» assicurò scuotendo la testa, diede un calcio al sedile anteriore di Zach. «Passiamo anche dal ferramenta?»
    Lui cercò il suo sguardo nello specchietto retrovisore. «Che costruisci?» gli chiese.
    Matt sbadigliò. «Un tostapane.»
    «Jean ha detto di no.»
    «Anche a Jean piace il pane tostato, come a tutti.»
    Zach mugugnò. «Non si può, deve avere diciotto anni, fare un corso, avere un autorizzazione.»
    Li scrutai con attenzione, ero io l’unica che non aveva ancora compiuto diciotto anni, di cosa stavano parlando?
    «Quanto sei gay quando parli di autorizzazioni e corsi.» sbuffò Matt.
    Lynn rise e si voltò a guardarlo. «Zach, pasticcino, sii comprensivo.» supplicò con un’occhiata eloquente al mio vicino di posto. «È così tanto tempo che non vede la sua piccina.»
    Continuarono a fissarsi per pochi secondi. «Già, chi ti veniva a prendere a casa di Lindsey di nascosto, quando dormivi da lei, ingrato Zachy?»
    Zach tenne gli occhi fermi sulla strada per un bel po’. «Che palle.» acconsentì con un sospiro, svoltando a destra subito dopo.
    La ferramenta di cui parlava Matt era nella Synt esterna, un capannone molto spartano con davanti parcheggiate diverse macchine. Dentro c’era odore di ferro e tutto aveva l’aria di essere sporco e pesante. Sorprendentemente dall’altra parte del bancone, che divideva la zona clienti da file e file di scaffali, c’era una ragazza.
    «Ciao, Rose!» fece Matt alzando la mano.
    Lei arrossì. «M-Matt! Io…» fece cadere il resto che stava consegnando ad un signore. «Io… tu… scusi.» arrossì di più. «Co-come mai sei qui?»
    La studiai, rimanendo leggermente in disparte, e lanciai un’occhiata interrogativa a Lynn. «Ti presento Rose Kurtoskij, quindici anni, innamorata persa di Matt da due.»
    Matt le si avvicinò come se non si fosse nemmeno accorto di averla fatta arrossire, né che vederlo la avesse fatta diventare tanto goffa. Era buffo perché lei era molto più carina di lui: aveva gli occhi grandi e blu, un adorabile nasino all’insù, i capelli castani raccolti in una coda di cavallo e… la scrutai con più attenzione: dov’era, che l’avevo già vista?
    «La conosco?» chiesi a Lynn.
    «No.» rispose Zach al suo posto. «Sta praticamente sempre qui.»
    Tornai a guardarla, stava chiedendo a Matt, balbettando, cosa gli servisse.
    «Devo costruire un tostapane.» spiegò.
    Lei sollevò le sopracciglia scettica, come era stato Zach e come ero sicura fosse anche Lynn, ma sorrise e si fece indietro mentre Matt saltava dall’altra parte del bancone ed insieme si addentravano tra gli scaffali. Mi sfuggì un sorriso osservandola infilare le mani in tasca imbarazzata ed indovinando tutto quello che poteva stargli raccontando Matt.
    «Stanno insieme?» domandai ancora a Lynn.
    Scosse la testa. «Aspettano che lei compia sedici anni.»
    «Perché?»
    Sbadigliò. «Perché Matt è un bravo ragazzo ed ha un’idea molto precisa su cosa sia o non sia opportuno per una ragazza…» guardò di sbieco Zach. «A differenza di qualcun altro che non si fa problemi a cogliere i fiori delle fanciulle ad appena quindici anni.»
    Lui sbuffò. «A parte che “cogliere fiori” è atroce.» commentò sgranando gli occhi. «Quindici lei, diciassette io, Lynn, eravamo praticamente coetanei.»
    «Lynn, raccontami di questa Lindsey.» mi arresi a chiedere. Non mi piaceva essere quella impicciona e non volevo nemmeno dare l’idea di essere tanto interessata alle ex di Zach, ma questa Lindsey veniva nominata spesso, ero curiosa.
    Lei mi prese a braccetto guidandomi verso l’esterno fino a farmi sedere su uno scalino all’ingresso, il sole scaldava anche se era nascosto dietro i fumi di scarico. Improvvisamente mi resi conto di quanto mi mancasse il sole vero, quello dal quale cercavo di proteggermi con la crema solare: quel’imitazione pallida ed evanescente non avrebbe mai potuto scottarmi.
    Zach ci seguì attento ed ero sicura che lo facesse per sentire cosa mi avrebbe raccontato la mia amica.
    «Oh, lei era un tesoro.» iniziò. «Era carina, dolce, brava a scuola, cucinava. Un ragazza piena di virtù. L’unico che poteva mandare tutto a monte con lei era Zach.»
    «Grazie tante, Lynn.» commentò ironico. Rimase dietro di noi, appoggiato con una spalla al muro.
    «È la verità.»
    «Come vi siete conosciuti?» chiesi sostenendomi sulle braccia e tirando indietro la testa,lo vedevo a testa in giù.
    «Mi sono infilato nella sua cameretta durante una ronda, per nascondermi.»
    Sollevai le sopracciglia sorpresa. «Wow.» immaginai me, se mi fossi trovata Zach in cameretta prima di diventare una Vegliante: un bello shock.
    Lui sorrise ai suoi ricordi. «È stata forte: mi ha nascosto dai Veggenti, dai suoi genitori e mi ha fatto uscire quando le acque si sono calmate.»
    Lynn si strinse nelle spalle. «Te l’ho detto che era un tesoro.»
    «Perché è finita?»
    Lui mi guardò come se i propri ricordi lo avessero appena abbandonato sul ciglio della strada della vita, solo. «Courtney.» disse semplicemente. Assurdo come il suo solo nome spiegasse tante cose, come lei avesse cambiato così prepotentemente la sua esistenza. E come comunque non ci fosse traccia di odio nella sua voce.
    Beh, lui non sapeva di Jared.
    «E allora, cosa sono quei musi lunghi?» ci domandò Matt raggiungendoci carico di pacchi.
    Zach gli lanciò appena un’occhiata. «”Mirino termico”.» lesse su una delle scatole. «Sarà un super tostapane.»
    Annuì convinto. «Voglio che sappia tirarci il pane tostato una volta cotto, problemi?»
    «Anche al buio?» continuò sarcastico.
    «Metti che ci va un toast di notte?»
    Zach scosse la testa scoraggiato. «Muoviti, ti do una mano.»
    «Che costruisce Matt?» domandai a Lynn con gli occhi su di loro ed i pezzi che trasportavano.
    Rise e mi guardò divertita. «Un regalo per te.»

«Che ci fai qui?» domandò Dawn Dandley sorprendendo Romeo nella propria casa. «Di giorno poi.»
    Era seduto sulla brandina nella stanza di Connor, i capelli rossi nascosti sotto il cappuccio di una felpa troppo grande. «Non so che fare.» disse semplicemente, come se fosse un fattore irrilevante. «Il trasporto sarà una tragedia, l’ho visto e speravo di smussare gli angoli, ma il deficiente mi ha reso cieco. Dimmelo tu, cosa fare, li stermino? Li lascio stare? Regaliamo all’ADP diecimila partite di Mitronio? Ce li affoghiamo dentro? Chi sacrifichiamo, Dawn? Scegli tu.»
    La donna sospirò e si sedette accanto a lui. «Sarà così terribile?» domandò paziente.
    «Potrebbe mandare a monte anni di lavoro, probabilmente uno di loro morirà.» spiegò pratico.
    Fece per parlare, ma lui la precedette.
    «Se stai per chiedermi chi, risparmiatelo, non lo so.»
    Dawn Dandely gli scostò un braccio e gli sollevò la felpa. Non era una ferita profonda, era stata pulita, medicata e fasciata, se non fosse stato per il Mitronio si sarebbe già rimarginata. «Stai bene?»
    «È come tutti gli altri Veglianti.»
    «Non lo pensi davvero.»
    «Non capirà mai.»
    «Gridaglielo più forte.»
    Per alcuni secondi rimase zitto.
    «Ryan piange.» borbottò.
    «Ha paura.» posò una mano sul suo braccio, mentre cercava sul suo viso una traccia del ragazzo che era stato; ma si era perso tra i lineamenti del mostro di cui avevano bisogno. Avrebbe potuto avere una vita normale, si sarebbe potuto nascondere, aveva scelto di combattere.
    «Vorrei fare qualcosa per lei.» si infilò le mani tra i capelli. «Vorrei ucciderlo.» mugugnò. «Seriamente, oggi vorrei davvero farlo fuori.»
    Dawn rise. «Hai fame?»
    «Ti pare il momento?»
    «Devi riprenderti, devi recuperare le forze. Si, mi sembra il momento.»
    «Prima o poi potrò ucciderlo?» chiese speranzoso. «Ti prego, dimmi di si.»
    Dawn rise ignorandolo.

Nate sfogliò le pagine del rapporto di autopsia di Josh velocemente. Anche se era estraneo al mondo medico, ogni numero esageratamente alto di valori lo colpì, incastrandosi in profondità nella sua coscienza.
    «Ma quanto aveva bevuto?!» chiese incredulo.
    Courtney non rispose, rimase a braccia conserte a guardare fuori dalla propria finestra senza balcone, con i vetri antiproiettili. Ormai Synt non le sembrava più un paradiso da tanto tempo.
    Nate chiuse la cartellina e la posò sul suo letto, studiandola come fosse una bomba. «Potrebbe essere successo di tutto su quel tetto, Court. Potrebbe essere scivolato. Potrebbe non essere colpa di Romeo.»
    «Potrebbe.» concesse. «Ma Jean giura di averlo visto lasciarsi cadere.»
    «Perché l’hai nascosto?»
    Lo guardò. «Perché avrebbero fatto della sua morte l’incidente di un alcolizzato.» fece alcuni passi fino a sedersi accanto al rapporto, l’ultimo segreto di Joshua Lanter, il segreto che l’avrebbe trasformato da eroe a miserabile. «Nessuno si sarebbe chiesto perché un ragazzo di ventisei anni si era ridotto in quel modo, nessuno avrebbe pensato che c’era qualcosa di profondamente sbagliato se un ragazzo di ventisei anni si riduceva in quel modo. L’unica cosa su cui avrebbero indagato sarebbe stata la negligenza di una Responsabile.» tornò con gli occhi su di lui supplichevole. «Nate, Josh era quello che ci consolava quando eravamo tristi, che sorrideva quando tornavamo a casa esausti, ma vivi. Che si divertiva un mondo quando Jean rimproverava Zach per l’ennesimo follia semisuicida.» si fermò e deglutì, sopraffatta.
    Nate la guardò con apprensione, Courtney era una statua di ghiaccio, era controllata, razionale, ferma; si sentì in colpa per non avere usato abbastanza tatto, quando la vide strapparsi via una lacrima da sotto gli occhi, prima ancora che le raggiungesse una guancia.
    «Perché soffriva così tanto? Te lo sei chiesto? Io si, sempre, tutte le volte che lo sentivo inveire  contro Jean.» tirò su con il naso. «Nascondevo la testa sotto il cuscino, cercavo di non ascoltare, ma era lì e tutte le volte c’era la stessa frase…»
    Non la disse, la conoscevano tutti, ma non la dicevano mai: “Hai fatto di me un mostro!”. Se era vero, Jean aveva fatto di tutti loro dei mostri.
    Nate si sedette accanto a lei, avrebbe voluto farle una carezza consolarla, ma Courtney non avrebbe apprezzato, si sarebbe sentita debole e probabilmente l’avrebbe odiato per questo. Lui le voleva bene, anche se spesso era cattiva: era soltanto il suo modo per non cadere a pezzi. «Ti ricordi quando è tornato?»
    Courtney annuì, era un ricordo piacevole, dolce quasi quanto una carezza.
    Josh era tornato dal rapimento di Romeo a piedi, sano, sorridente. All’inizio li aveva ignorati, era andato ad abbracciare Jean, ad occhi chiusi; lei lo aveva stretto a sua volta, gli aveva baciato una guancia con affetto. “Bentornato a casa”, aveva annunciato a tutti.
    Per qualche tempo era andato tutto bene, Josh era tornato tranquillo come sempre, anche più di prima. Passava tantissimo tempo con Jean, sia di giorno che di notte; si meravigliava della prodezza nelle arti marziali di Lynn, una bambolina zuccherosa che aveva studiato Aikido per far contenta la mamma; provava le armi che costruiva Matt, insegnava a Zach ad essere un caposquadra.
    Poi era arrivato l’allarme da Los Angeles, da Wood: delle intercettazioni davano per certo il rapimento di un bambino di Synt, per pagare il debito di sangue con il Veggente ucciso da Zach mesi prima.
    C’erano state le avvisaglie di una ricaduta, nessuno aveva voluto vederle, nemmeno quando Josh si era rifiutato di partecipare alla missione di salvataggio. Era stata dura, ma ce l’avevano fatta, lui però non si era complimentato con nessuno, si era chiuso nella propria stanza: lui, il poster di Romeo e bottiglie su bottiglie.
    Finché alla fine…
    Nate ora capiva perché Courtney avesse nascosto quei documenti: paura. Paura che qualsiasi cosa potesse aver spinto al suicidio Josh potesse farlo anche con lei. Paura che inconsapevolmente stessero facendo qualcosa di terribilmente sbagliato. Paura che il suicidio di Josh fosse giusto.
    «Prima o poi dovremo scoprire cosa cercava di affogare nell’alcol, Court.» 
    «Prima o poi.» promise lei.

La ronda fu tranquilla e mi leccai le ferite – più psicologiche che fisiche – di un allenamento con Lynn: essendo la peggior allieva che ricordasse, stava cercando di insegnarmi almeno come parare qualche colpo. Con risultati ancora meno incoraggianti dei precedenti.
    «La tua unica speranza è il tostapane di Matt.» aveva commentato mentre ci alternavamo tra doccia e phon.
    Nate passò buona parte della serata in religioso silenzio, chino sul pc a studiare. Io recuperai il file di uno dei romanzi rosa di Lynn e lo lessi dal suo smart-table. Se tutte le serate fossero state tanto piatte, forse avrei preferito uscire.
    La noia mi aveva resa assonnata per questo al loro rientro, mi limitai ad un saluto veloce e mi diressi nella mia stanza. Feci un cenno di saluto al poster di Romeo, poi mi avvicinai alla finestra curiosa. A Synt non c’erano stelle, i fumi di scarico delle fabbriche non facevano passare la loro debolissima luce. Non avevo mai pensato quanto potesse mancarmi il cielo di casa mia.
    Abbassai lo sguardo e mi trovai a fissare il puntino rosso della sigaretta di Zach: oh, che modo stupido di farsi ammazzare!
    Uscii dalla mia camera e scesi di sotto risoluta, il portello del garage era chiuso a metà e mi abbassai per passare dall’altra parte.
    Zach era appoggiato al muro, tranquillo.
    Mi strinsi le braccia addosso, faceva un cavolo di freddo, cosa che mi fece realizzare quanto pessima fosse stata l’idea di essere risoluta in pigiama, senza giacca.
    «Ciao.» mi salutò vagamente sorpreso.
    «Sai, che quel puntino rosso sarebbe un ottimo bersaglio se qualcuno volesse spararti in testa?»
    Zach rise, lasciando andare il fumo a sbuffi irregolari, e si strinse nelle spalle. «Eppure ancora non è successo.»
    «Non c’è niente da ridere, Romeo vuole ucciderti.»
    «Lo so.» disse semplicemente.
    «Incentivarlo ti sembra una buona idea?» chiesi.
    Mi afferrò il braccio e mi tirò vicina, ma prima che potessi sognare o arrossire, mi posizionò proprio davanti a lui; per qualche secondo pensai che volesse usarmi come scudo umano, poi lo vidi, un altro puntino rosso lontano ed in alto.
    «Quello è…»
    «Romeo.»
    Lo fissai, mi vedeva?
    «Fumiamo insieme, il momento della sigaretta è sacro per entrambi. A volte lui lo viola, ma non credo che mi ucciderebbe proprio in questo momento.»
    Sbuffai. «Avete un sacco in comune, dovreste uscire insieme.» sbottai sarcastica.
    Lui ridacchiò alle mie spalle e mi appoggiò le mani alla base del collo, erano gelide e mi fecero rabbrividire per vari motivi diversi. «Pizzichi stasera, è successo qualcosa mentre eravamo fuori?» mi domandò curioso.
    «Voglio uscire.» affermai con decisione, lanciandogli un’occhiata, prima ancora di realizzare cosa stavo dicendo. Volevo uscire? Ma era una follia! E da quando poi? Solo perché una serata era stata noiosa?
    Le mani di Zach scivolarono verso le mie braccia e le strofinarono piano. «Dopo il trasporto iniziamo a portarti fuori, promesso.» mi tranquillizzò senza sorpresa, come se si aspettasse che prima o poi me ne sarei uscita con quell’idea folle. «Prima però lasciamo sfogare questa tempesta, che ne dici?»
    Mi voltai e lo guardai spegnere la sigaretta contro il muro, ero molto vicina e, da come mi guardò quando si girò di nuovo verso di me, immaginai che lo sapesse anche lui. Zach odorava sempre di un sacco di cose, dalla nicotina al ferro del proprio coltello, ma quello che io sentivo sempre più di tutti era profumo di ragazzo.
    «Andiamo a letto?»
    Annuii e lui mi passò un braccio intorno alle spalle, dandomi una strizzata. «La mia cheerleader impaziente.»
    Sorrisi arrossendo. «Sei di buon umore.» realizzai più serena.
    «Potevo morire ieri e sono vivo, mi sembra un buon motivo per essere allegro.» mi spiegò.
    Si avvicinò al garage per chiuderlo definitivamente ed io guardai una foto appesa al muro che ancora non avevo notato: tutti i Veglianti di Synt, rilassati, contenti. Zach era dietro di Courtney, appoggiato a lei, che sorrideva carinissima e dolce; Nate e Lynn erano lontani, ma lui la guardava comunque, forse non stavano ancora insieme; Josh era a braccetto con Jean ed anche se sapevo che guardava l’obbiettivo, sembrava proprio che fissasse me.
    «Credi che gli sarei piaciuta?» domandai a Zach. Avrei voluto conoscere Josh. Era un desiderio irrazionale e sciocco, ma allo stesso tempo era un bisogno profondo.
    Lui mi raggiunse e come me, guardò la foto. «A Josh?» sorrise. «Una ragazza che sa sparare come te l’avrebbe sovraeccitato, avresti dovuto esserci la prima volta che Lynn l’ha mandato al tappeto.»
    Lo guardai. «Una storia allegra?» chiesi, mentre ci incamminavamo verso l’ascensore.
    «Si.»
    «Me la racconti?»
    Sbadigliò. «Sono stanchissimo.» confidò dispiaciuto, mentre premeva il tasto per salire.
    «Oh, scusa, non volevo.» sciocca egocentrica, Becky. Mio malgrado, stavo diventando la ragazza con la cotta più grande e difficile da gestire del mondo. Taylor avrebbe puntualizzato e definito la mia fase con aggettivi e spiegazioni, io sapevo solo che, quando gli ero vicina, soprattutto se eravamo soli, mi era difficile, insopportabile, allontanarmi. Penoso.
    «Dormi di nuovo da me.» propose.
    Io sgranai gli occhi come un pesciolino rosso in acquario, che vede la padrona cucinare tonno per cena. Immaginavo di essere anche dello stesso colore.
    «C’è un brandina sotto il mio letto, la montiamo, io dormo lì, tu nel mio letto, e finché non mi addormento ti racconto le cazzate di Josh.» mi lanciò un’occhiata e mi tornò in mente ogni descrizione del romanzo rosa di Lynn. Come lo avrei definito? Provocante.
    «Ti sembra un buon compromesso?» lui era tranquillo, per lui era una proposta innocua.
    A me sembrava un compromesso imbarazzante, affatto innocuo, che surriscaldava il mio povero cuoricino. «Dobbiamo dirlo a Jean.» farfugliai.
    «Dobbiamo dire a Jean se facciamo sesso.» scrollò le spalle. «Che le importa dove dormi?»
    Non risposi, l’ascensore si aprì e ci incamminammo per il corridoio, Zach si fermò davanti alla sua porta e mi guardò. «Allora, che vuoi fare?» aprì la porta ed aspettò.
    Mi morsi il labbro tentata, lanciando occhiate alternate alla porta della mia stanza e della sua. Cosa avrebbe fatto Taylor? Sorrisi, poi mandai al diavolo ogni incertezza ed entrai.


tirate di nuovo fuori il blocco degli appunti.
no, aspettate, ditemi che Josh che precipita appena Courtney e Zach si sono baciati è, tragicamente, una bella scena... ne sono davvero molto orgogliosa. do il meglio di me nelle cose terribile, c'è da pensarci.
comunque dicevamo... Lamponella, tira fuori il blocco degli appunti!
Zach che è scoordinato... fondamentale.
Rose Kurtoskij, per l'amore del cielo, non cedete alla tentazione di pensare che sia solo una pucciottina messa lì! teneri però lei e Matt, vero?
obviously, tutto quello che Nate e Courtney ricordano di Josh... la storia è un po' diversa da come pensavate, vero? beh, non è che una persona si butta da un grattacielo random, avrà avuto delle buone ragioni.
ne aveva... si, ne aveva... prima o poi lo capirete anche voi.
avete notato che quella furbetta di Dawn Dandley non è così pazza quando parla con Romeo... e ricordate che lui è un Veggente, quindi ci sono ottime probabilità che qualcuno ci lasci le penne o si faccia male.
ed anche se capisco il vostro tormento - e lo capisco profondamente, intimamente, è anche il mio - Becky e Zach dormono in letti separati, perchè sono cucciolosi, e tenerosi e per il resto ci sarà tempo... uh! se ci sarà...

vi voglio preannunciare che se i miei calcoli sono esatti mi ci vorrà un po' per scrivere il prossimo capitolo per 2 motivi fondamentali: motivo numero 1, è il momento topico, un sacco di Veggenti Veglianti e tragedie, quindi prima di scriverlo dovrò fare i disegnini e costruire un palstico di Synt; motivo numero 2, il capitolo 11 sarà strettamente correlato al capitolo numero 12, sono capitoli enormi che però vanno scritti insieme.
quindi, abbiate un po' di pazienza, mie care lettrucciole.

se vi va fatemi sapere che ne pensate!
baci

ps. si, quando ho iniziato la storia già sapevo che Josh beve e che Courtney era stronza per necessità.

pps. se volete seguire in diretta lo svolgimento dei Work in progress: Lamponella.



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Capitolo 12
*** 11. Non andare ***


Mitrono fragolottina's time
buongiorno care lettrucciole.
dunque questo capitolo l'ho odiato, ma un odio vero, intenso ed autentico, fino a tipo, due giorni fa, quando improvvisamente si è trasformato da "capitolo insensato ed in basso nella classifica dei capitoli - in testa c'è "Il soldato perfetto", ma che ve lo dico a fare, lì Zach da il meglio di se - a capitolo topico, perchè c'è una parte cruciale o per lo meno very important nello sviluppo del rapporto tra Zach e Becky...
il bacio? ma no che dite, siamo lontane anni luce da ogni possibile contatto intimo... beh, ok, un po' meno... ma questo non vuol dire che non ci possiamo divertire.
è fondalmente un capitolo di aggiustamento, che mette le basi per quello che succederà in futuro, mette un sacco di basi...
ci vediamo più giù!


11. Non andare

Jean si sedette sulla brandina dove dormiva Zach e lo scrollò per una spalla. Lui mugugnò e si girò su un fianco, cercando di escludere l’elemento di fastidio dal suo sonno. Come se potesse essere così facile.
    «Zach, svegliati!» bisbigliò.
    «Che c’è?» biascicò senza rigirarsi.
    Guardò il fagotto addormentato nel suo letto. «Hai fatto sesso con la ragazzina senza dirmi niente?» gli diede un pizzicotto e lui balzò a sedere, fissandola con odio e massaggiandosi il braccio. «Allora?»
    «Ma ti pare che ci scopo e poi dormo da un’altra parte?!» sbottò indispettito, sempre a voce ridicolmente bassa.
    «Magari per paura di essere scoperti da me…» insinuò lei.
    «A-ah. Ma che mi frega se lo sai! Nate e Lynn li sentiamo tutti, pensi che sia timido?!»
    La Responsabile lo fissò in cerca di eventuali tracce di menzogna, ma non ce n’erano.
    «Se mi hai svegliato solo per questo non sarò di buon umore domani mattina.» la minacciò.
    Lei scosse la testa annoiata. «È già mattina.» sospirò. «Vestiti e svegliala, in questo ordine, stanno arrivando i rinforzi!»
    «Di già?»
    Annuì. «Zach, ho bisogno di farti una domanda ed ho bisogno che tu risponda sinceramente.»
    Lui la osservò più serio e fece di sì con la testa.
    «La squadra che arriverà non ha mai avuto contatti né con tuo padre né con tuo fratello, ho parlato con il capo, sembra una persona apposto.» sospirò. «Però sono comunque soldati. Riesci a lavorare con loro come se fossero la tua squadra?»
    «Posso provarci.» concesse.
    «È già qualcosa.» fece per alzarsi, ma si fermò. «Zach, tu ti sei accorto, vero, che la ragazzina ha una cotta per te?»
    Lui la guardò addormentata nel suo letto. «Si.» ammise.
    «Cerca di tenerlo a mente, d’accordo?»
    Lo stava già facendo.

La prima cosa che vidi aprendo gli occhi fu la schiena di Zach davanti a me, sotto una t-shirt nera, scomparve in fretta sostituita dalla sua giacca verde. Mi tirai su a sedere e mi lisciai i capelli dietro le orecchie, sbadigliai. Lui si voltò e mi lanciò un’occhiata, aveva anche i pantaloni neri.
    Non era presto per la tenuta da battaglia? Non potevo aver dormito così tanto.
    «Che succede?» chiesi con voce roca per poi schiarirmela subito dopo.
    «Dobbiamo accogliere gli uomini dell’esercito, ricordi? Te ne avevo parlato.»
    Ci pensai ed aggrottai le sopracciglia. «Nessuno mi aveva detto che sarebbero arrivati oggi.»
    Scrollò le spalle e mi lanciò appena un’occhiata, sembrava in difficoltà. «Dovevano venire domani, il trasporto è domani, ma a quanto pare preferivano essere qui con un giorno d’anticipo per impostare una tattica precisa.»
    «Oh.» commentai debolmente, non so perché ma mi sembrava strano. Come riguardare un film e scoprire che era completamente diverso da come lo ricordavo.
    «Devi andarti a vestire anche tu.» mi disse rigido. «Ed i capelli.» continuò studiandoli. «Devi tirarli su, non devono coprire il colletto.»
    Mi chiesi se mia madre fosse stata tanto previdente da mettermi in valigia anche forcine ed elastici.
    «Se ti serve fatti aiutare da Court.»
    Scivolai fuori dal letto ed infilai i piedi nelle mie scarpe slacciate. «Ce la farò da me.»
    Con la coda dell’occhio vidi un sorriso di scherno sulle sue labbra.
    Attraversai la sua camera, ma mi fermai con una mano sul pomello della porta. «Zach?»
    «Nh?»
    «Andrà tutto bene, vero?»
    Lui rimase in silenzio per alcuni secondi, fermo, poi sospirò. «Ma si, non preoccuparti, cheerleader.» rise. «Ma la caverò anche senza di te che mi salvi.»
    «Ok.»
    «Tu resta qui.» mi ordinò di nuovo e capii che forse non era così sicuro che le cose andassero bene.

Non ci misi tanto ad infilarmi la divisa, ma per trovare il coraggio di uscire dalla mia camera vestita di tutto punto me ne servì molto. Mi metteva a disagio farmi vedere dagli altri così, era la prima volta che mi vestivo davvero da Vegliante e sarei stata presentata come tale all’esercito… ed io non mi sentivo proprio una Vegliante.
    Così cercai di perdere più tempo possibile alla ricerca di forcine che non c’erano, finché infine fui costretta ad arrendermi; presi la giacca e mi avventurai in bagno.
    Dentro c’erano Courtney, Lynn e dieci beauty case che sospettavo essere dell’ultima.
    «Ciao, Becky. Alzataccia, eh?»
    Courtney mi studiò tutta, ero sicura che mi trovasse ridicola, perché io ero la prima a sentirmi così. Lei vestita da Vegliante sembrava la sexy protagonista di un videogioco d’azione, io probabilmente soltanto una “Becky a caccia di frutti”, dubitavo di essere in grado di catturare qualcos’altro. Entrambe avevano i capelli raccolti.
    «Già.»
    «Serviti pure.» mi invitò Lynn, abbracciando con un cenno della mano tutte le borsette da trucco sparse in giro. Io avevo un mascara nella tasca interna della borsa e due stick di burro cacao alla fragola, il mio make-up era tutto lì.
    Courtney si spennellò una polverina rosa antico sulle guancie. «Mascara, matita e rossetto rosa.» mi disse. «E fard, se ti viene un attacco d’ansia davanti all’esercito nessuno deve accorgersi che stai impallidendo. Starò vicina a te, tu mi fai un cenno e ci congediamo con una scusa che mi invento lì per lì, d’accordo?»
    La osservai sorpresa che si stesse preoccupando per me. «O-okay.» così sorpresa che mi sentii arrossire. Ultimamente mi sa che arrossivo più spesso del solito, forse il fard non mi serviva dopo tutto.
    «Bene.» concluse. «Ti serve una mano con i capelli?»
    Cincischiai mordendomi il labbro per qualche secondo. «Ancora non lo so.»
    La vidi alzare gli occhi al cielo.
    Lynn frugò in uno dei suoi beauty e mi lasciò sul lavandino quello che aveva elencato Courtney. «Divertitevi, vado a vedere se Nate ha fatto!» disse frizzante, abbandonandomi con l’unica persona al mondo con la quale sarei voluta rimanere sola.
    Courtney non disse niente mentre prendevo il posto di Lynn davanti allo specchio e recuperavo il mascara, nemmeno io avevo molto di cui parlarle. Cioè volendo qualcosa avrei anche potuto trovare, ma lei si era offerta di sistemarmi i capelli, quindi non volevo essere io quella cattiva. Soprattutto perché Zach lo avrebbe saputo.
    Pescò una manciata di forcine dalla tasca e si sistemò dietro di me iniziando a tirarmi indietro ciocca dopo ciocca.
    «Lo so che mi odi.» dissi ad occhi bassi.
    Lei fece una mezza risata. «Oggi non è la giornata giusta per litigare.»
    Cercai il suo sguardo sulle specchio, ma era troppo concentrata sui miei capelli. «Perché?»
    «L’esercito qui, vuol dire un rapporto dettagliato al governo per raccontargli tutto quello che facciamo.»
    «Oh.» avrei dovuto arrivarci da me.
    «Quindi niente svenimenti, niente attacchi di panico, niente liti imbarazzanti e, davanti agli estranei, Jean si chiama Responsabile Roberts e Zach ha sempre ragione. Domande?»
    I miei capelli erano in ordine ora. Girai la testa a destra e sinistra studiandomi la complicata crocchia che mi aveva fissato sulla nuca.
    «Grazie.»
    «Non si sceglie la propria squadra.» disse andando a lavarsi le mani, senza guardarmi. «Ma è la propria squadra. È come la tua famiglia: la zia di tua madre non la sopporti e tuo cugino è un poco di buono, ma li difendi da chi non è dei vostri.»
    Annuii.
    «Avremo tempo per parlare.» concluse lasciando il bagno.

«I preparativi sono quasi finiti.»
    Romeo si accese una sigaretta, aveva trovato bizzarro che lui e Zach fumassero lo stesso tipo di tabacco. Il destino era qualcosa di incomprensibile e potente, aveva disegni tutti suoi, piano suoi, come il Dio che una volta veniva pregato in quella chiesa.
    Nessuno andava nei boschi di Synt, le persone, perfino i Veglianti, si sentivano al sicuro solo circondati da cemento. Qualcuno in passato, una presentatrice forse, aveva ipotizzato che i Veggenti, anzi, che il terribile capo dei Veggenti potesse nascondersi sugli alberi nel bosco, come una scimmia.
    Ma lui non era una scimmia ed ancora non era nemmeno il capo dei Veggenti.
    Però gli avevano fatto venir voglia di fare un giro e Dawn Dandley era stata pronta a consegnargli una torcia ed un piede di porco. Quella donna lo sorprendeva sempre e sorprendere lui non era affatto semplice.
    Aveva trovato una chiesa diroccata.
    Ryan l’aveva accompagnato, era nel suo momento di infatuazione per il potere quindi lo seguiva ovunque. Aveva urlato perché dentro c’era un serpente, che era scappato davanti all’evidente inferiorità numerica, e Romeo aveva avuto il presentimento che fossero troppo lontani dai sentieri, troppo inoltrati nel fitto degli alberi, perché qualcuno sapesse dell’esistenza di quel posto. Avevano controllato ogni centimetro, avevano trovato una botola, sotto c’era tutta una diramazione di cunicoli sotterranei.
    Aveva avuto un’intuizione e si era documentato.
    Tra gli architetti che avevano trasformato il distretto industriale in una città, c’era stato qualcuno che sposava la loro causa e che con anni di distanza, lo aveva visto cercare un posto dove nascondersi, dove organizzarsi, dove diventare l’unica e sola cura contro un’umanità spaventata da un cambiamento inevitabile.
    Paura, la più grande colpa dell’uomo.
    Synt sarebbe diventata la sua città e quel mondo apparteneva ai Veggenti, ché ne dicessero quelle stupide autorità civili.
    Percorsero ogni tunnel e scoprirono che scivolavano sotto la città unendosi alle fogne, avrebbero portato un nuovo ordine a Synt. Il suo. Gli altri lo avrebbero ascoltato. Lo aveva visto.
    Anzi, lo aveva visto lei.
    Era stata Dawn Dandley a dargli un nome nuovo, era troppo presto per rivelare chi era veramente, non erano pronti.
    «Chi è “Romeo”?» gli chiese quando glielo suggerì.
    Lei sorrise. «Un eroe tragico, costretto a diventare un assassino per amore.» gli aveva lanciato un’occhiata, mentre imboccava il pranzo a Connor. «Ti calza a pennello, non credi?»
    Aveva fatto così tanto in quegli anni, vedere andare tutto in malora per una bomba nel posto sbagliato sarebbe stato insopportabile.
    «Manca l’ultima cosa.»
    Iago gli mise davanti due foto, Romeo non le guardò nemmeno, sapeva cos’erano, ma non sapeva cosa scegliere.
    «Aspettiamo ancora un po’.»

Anche i Veglianti avevano un’etichetta.
    L’esercito sarebbe stato accolto al piano terra, Lynn mi aveva spiegato che era quello meno utilizzato perché era il piano dedicato alla burocrazia, c’erano altre stanze lì, dove venivano accolti eventuali visitatori o controllori. Quel giorno gli aiuti mandati dal governo.
    L’atrio della centrale era una sala enorme e vuota, Jean ci fece disporre in fila dietro di lei e Zach, vicini ad un passo davanti a noi.
    L’esercito arrivò su due pullman grigio scuro, intonato alle loro divise mimetiche sulla scala dei grigi. Ne contai più di venti prima di confonderli. Erano piuttosto giovani, non quanto noi, ma dubitavo che qualcuno di loro arrivasse ai quarant’anni. Il capo era un uomo, era l’unico ad indossare il completo borghese, come Jean, che figurava benissimo nel suo abito da cerimonia, identico a quello che avevo anche io nell’armadio, ma con una stella argentata fissata a sinistra sul cuore.
    «Responsabile Roberts.» la salutò il soldato, portandosi una mano alla fronte. «Io sono Martin Jackson e questa è la mia squadra. Siamo ai vostri ordini.»
    Non erano tutti soldati semplici, alcuni avevano a tracolla dei fucili, c’erano una decina di cecchini. Improvvisamente fui presa da una strana ansia e deglutii; Courtney, rigida e perfetta accanto a me, allungò con discrezione una mano e mi strinse il polso con due dita.
    «I tuoi battiti stanno accelerando.» disse. «Vedi di calmarti.»
    «Saremo lieti di lavorare con voi.» li salutò lei cortese, ma rigida.
    «Lei è Sharon Sullivan, la mia luogotenente.» presentò una ragazza dai capelli così chiari da sembrare bianchi, se non le avessi visto gli occhi marroni avrei pensato che fosse albina, ma evidentemente era soltanto tinta.
    Avrei dovuto prestarle attenzione probabilmente, ma in quel momento notai che un ragazzo mi fissava. Uno di quelli con il fucile a tracolla, come se mi conoscesse, aveva i capelli castano chiaro e doveva avere sui venticinque anni, era uno dei più giovani; mi fece un cenno con il capo e sorrise. Mi chiesi se in qualche modo non fosse venuto a sapere cosa sapessi fare, perché sembrava curioso di me.
    «Lui è Zach Douquette e questa è la sua squadra.»
    L’uomo in borghese ci studiò. «Sono tutti in servizio?» chiese.
    Jean scosse la testa. «Soltanto cinque di cui uno non esce.»
    Soffermò lo sguardo su ognuno di noi, prima di tornare a lei. «Ho capito.» annuì attento, molto concentrato.
    «Seguiteci nel mio ufficio, vi mostro i dettagli dell’operazione.»
    «Dopo di lei.»
    Jean e Martin Jackson andarono avanti, mentre Zach e Sharon Sullivan li seguivano parlottando. Per alcuni secondi Courtney continuò a fissarli poi si rivolse a me.
    «Ci sei, cheerleader?» mi chiese.
    Io annuii.
    «Quella bionda non mi piace.»
    Lynn sospirò studiandosi con finta noncuranze le unghie, quel giorno erano laccate di un viola lavanda. «Strano.» osservò sarcastica. «Davvero incredibile che non ti piaccia la donna che guardava Zach come se volesse mangiarselo.»
    Court sbatté le palpebre. «Non sei simpatica, Lynn, affatto.»
    «Scommetti che se lo chiediamo a Becky risponde allo stesso modo? Vero, Becky?»
    Il ragazzo che prima mi fissava stava ridendo con alcuni suoi compagni, mi lanciò un’occhiata ed io spostai di corsa lo sguardo. «Come?»
    Lei sorrise intenerita studiandomi. «Carino.» commentò.
    «Chi è carino?» chiese Matt curioso come sempre.
    «Il ragazzo per cui Becky si sta prendendo una cotta.» le spiegò pratica.
    «Ehi!» mi lamentai.
    «Becky.» mi rimproverò Matt. «Pensavo che fossi innamorata di Zach.»
    «Si!» sbottai esasperata, per mordermi la lingua subito dopo. «Cioè… no! Non c’è niente di vero in quello che dite.»
    Nate strinse la mano di Lynn, mentre lei mi studiava scettica, ma fu Courtney a parlare quasi annoiata dalla cosa. «Qualcosa si.» disse solo.
    «Già.» concordò Matt. «Fattelo dire da un’esperta.»
    Alle sue spalle c’era Jared, ci ascoltava a metà, ma sapevo che l’aveva sentito, lo capii da come irrigidì la mascella. Se Courtney non avesse chiarito presto la situazione sarebbe stato lui e non Romeo ad uccidere Zach.
    Jean uscì dallo studio circa un’ora dopo. Io e Matt avevamo finito per sederci appoggiati al muro e Nate ci aveva prestato il suo palmare per giocare alla versione per Veglianti di “Acchiappa la talpa”; invece del roditore, dai buchi sullo schermo, sbucava la testa rossa e riccioluta di Romeo.
    «Beh, quando uscirete di qui, potrete dedicarvi al mercato dei videogame.» aveva commentato quando l’avevo visto.
    «Veglianti.» ci chiamò Jean e noi ci alzammo. «Il signor Jackson ha chiesto che i propri uomini potessero fare un giro della città prima di domani notte. Mi sembra un’ottima idea, vi prego di accompagnarli mentre noi rimaniamo qui.» spostò lo sguardo su Nate colpevole.
    «Ok, avete bisogno di me.» concluse senza ascoltare altre spiegazioni.
    «Lynn, Courtney, pensateci voi.»
    «Si, Responsabile Roberts.» risposero in coro.
    Lei le fissò stupita ed insieme turbata da quella loro dimostrazione pubblica di obbedienza, ma non disse niente. Aspettò che Nate la raggiungesse, poi si chiusero di nuovo nello studio.

Sembravamo una classe di liceali in gita nella zona gialla di Synt.
    Non tutti i soldati erano venuti, ma quelli presenti erano rumorosi ed incredibilmente a loro agio. Non sapevo esattamente perché, ma non sembravano spaventati. Forse essendosi arruolati volontariamente nell’esercito, erano più disposti ad accettare una morte prematura e con ogni probabilità violenta; forse nel loro addestramento c’era uno speciale allenamento che prevedeva il superamento della paura; forse erano soltanto più grandi.
    «Ehi.» richiamò la mia attenzione il ragazzo che mi aveva fissato quella mattina.
    Lo guardai senza dire niente, aveva lasciato la giacca, indossava solo una maglietta nera ed i pantaloni grigi militari, ma aveva ancora il suo fucile a tracolla. Era così tranquillo che non sembrava armato, camminava accanto a me con le mani in tasca.
    «Ehi.» decisi di ricambiare dopo un po’.
    Mi sorrise. «Sembri piccolissima.» commentò. «Come ti chiami?»
    Sospirai. «Non sono piccola come sembro e mi chiamo Becky.» sbottai infastidita. Forse le persone – e prima di tutto Zach –avrebbero dovuto smetterla di trattarmi come una ragazzina. In una città dove venivano rapiti bambini io potevo essere considerata un’anziana. «Ho diciassette anni.»
    Scoppiò ridere. «Sei una bambina.»
    Incrociai le braccia sul petto piccata. «Se fossi più alta non la penseresti così.» gli lanciai un’occhiata di sbieco. «E comunque, tu non sei così grande.»
    Annuì. «No, hai ragione. Ho solo venticinque anni.»
    Restai in silenzio a pensarci. Venticinque anni nella mia situazione erano moltissimi. Non avevo idea di quanti Veglianti riuscissero ad arrivare a quell’età ed era disturbante pensare che quella che in esercito segnava più o meno l’inizio della carriera militare, per i Veglianti coincidesse con la fine. Venticinque anni, sopravvivi per altri due e ti mandiamo a casa.
    Come avrebbero fatto Jared o Zach ad andarsene lasciando Courtney qui?
    «Comunque io mi chiamo Jamie.» mi disse porgendomi la mano.
    Gliela strinsi debolmente, ancora presa dai miei pensieri.
    «Ti faranno uscire domani?»
    Scossi la testa. «Sono qui da troppo poco.»
    Superammo un vicolo e mi fermai a guardarlo come se qualcuno mi avesse chiamato.
    «Che c’è lì?» mi chiese.
    Sbattei le palpebre stupita. «Non lo so.» ammisi. Guardai verso il capo di quella squadra mista, Lynn e Courtney spiegavano cose ad un gruppetto di soldati più interessati degli altri alla missione, mentre Matt e Jared facevano amicizia, anche se lui continuava a lanciare occhiate poco invitanti ai soldati che parlavano con Courtney. Non volevo distogliere la loro attenzione, soprattutto perché avrebbe significato attirare quella di tutti su di me.
    «Qualcosa non va?» mi domandò Jamie, leggendo la mia inquietudine. Non doveva essere difficile.
    Lo guardai, potevo fidarmi di lui?
    Mi fissò per alcuni secondi. «Se vuoi ti accompagno a controllare.» mi propose come se mi avesse letto nel pensiero.
    Lanciai di nuovo un’occhiata a Courtney, si sarebbe arrabbiata da morire. «Grazie.» accettai.
    Il vicolo era normale, sporco, con spazzatura sfuggita al riciclo ammucchiata qui e lì, tetro, ma la strada dall’altra parte era molto più agghiacciante: era deserta.
    Non c’era niente, nessuno. Nemmeno un piccolo rumore, come se fosse stata evacuata in gran fretta. I negozi che sarebbero dovuti essere aperti avevano le grate abbassate, guardai l’insegna della caffetteria dove ero stata, incredula: fino al giorno prima quella via traboccava di persone, di vita. Era impossibile, impensabile, che ora fosse così vuota.
    Jamie si guardò intorno sempre con le mani in tasca. «Il convoglio passerà di qui.» concluse, poi rise. «Loro lo sanno prima di noi.»
    Sentivo il cuore battermi nelle tempie, quei palazzi erano troppo alti, sembravano inghiottirmi.
    «Ti senti bene?» mi domandò.
    Annuii, ma non era vero. Sarebbe successo qualcosa di brutto lì, qualcosa di molto brutto; appoggiai una mano al muro ed un sudore gelido mi si addensò dietro la nuca, chiusi gli occhi e respirai piano.
    «Ragazzina, stai sbiancando!» esclamò Jamie raggiungendomi.
    Aprii gli occhi sentendo nella testa la voce di Courtney: “Niente svenimenti, niente attacchi di panico”.
    Mi raddrizzai ed allontanai il braccio che mi stava porgendo. «Sto bene.» mentii.
    Lui annuì, ma non cedette, prese la mia mano e la passò sotto il suo braccio come un moderno gentleman, vestito da soldato. «Chi?» mi domandò senza guardarmi.
    Lo guardai. «Come?»
    Sorrise. «Per essere così turbata in quella squadra deve esserci qualcuno a cui tieni molto.»
    Mi morsi il labbro e deglutii ancora, in realtà tenevo a tutti, ero sicura che una parte della mia preoccupazione comprendeva perfino quella strega di Courtney, ma c’era sempre e solo una persona che finiva per farsi più male degli altri. «Zach.» confessai. Lo seguii di nuovo nel vicolo, mi sentivo la testa leggera, il mondo era fuori di me e mi coinvolgeva a metà.
    «Lui ti piace?» mi chiese.
    «Credo di si.» assurdo che non fossi in grado di ammetterlo con nessuno se non con uno sconosciuto.
    Sospirò. «Cercherò di badare a lui, ok?»
    «Grazie.» lo guardai, era molto serio ora, l’espressione del viso corrucciata. «Perché?»
    Lui scosse la testa cupo. «Perché sei così piccola.»

Jean si allontanò per rispondere al telefono, Zach e Nate la osservarono bisbigliare di secondo in secondo meno tranquilla. Tanto che quando tornò non fece nemmeno in tempo a sedersi.
    «C’è qualche problema?» chiese Nate.
    Sospirò e si passò una mano sulla fronte, consapevole della reazione che avrebbero provocato le sue parole. «Becky è sparita insieme ad un soldato.» spiegò. «Lynn la sta cercando.»
    «Becky cosa?!» sbottò Zach incredulo.
    Sharon Sullivan scosse la testa annoiata. «Mi faccia indovinare, è sparita con Jamie Ross?»
    Jean la studiò. «Si.» rispose con circospezione.
    Sharon Sullivan e Martin Jackson si guardarono, fu l’uomo a parlare. «Sono davvero mortificato. Jamie è molto giovane, certo, tutto questo è increscioso, ma le assicuro che non è in pericolo.» spiegò, poi fece una smorfia. «Tende a flirtare un po’ con le ragazze.»
    «Becky ha diciassette anni!» ricordò loro Zach.
    Sharon alzò gli occhi al cielo. «Oh, ti prego, è una Vegliante. Non puoi considerarla come le ragazze normali, i suoi diciassette anni sono almeno ventitre.»
    Jean guardò Zach, si aspettava che ci sarebbero stati problemi, ma quel tipo di problema non l’aveva considerato. Insomma, quella ragazzina non era sembrata particolarmente espansiva o audace, si, beh, aveva una cotta per Zach, ma era sempre stata molto discreta. Impacciata come tutte le ragazzine, aveva dovuto iniziare ad essere a suo agio con gli uomini proprio quel giorno?
    Zach fissò Jean in attesa di quell’ordine. Doveva darglielo, alla fine lei sospirò. «Ok. Valla a cercare.»
    «Aspetta, ti accompagno.» fece Sharon seguendolo.
    «Zach, con calma!» gli gridò dietro, senza la minima speranza che la ascoltasse.
    Nate si alzò tranquillo ed infilò il palmare in tasca. «Vado a preparare il kit del pronto soccorso, vero?» domandò alla Responsabile.
    Lei si massaggiò le tempie. «Si, per favore.»

Io e Jamie ci eravamo fermati in un bar, sulla stessa via dalla quale eravamo partiti e mi aveva comprato un succo di frutta; aveva insistito che non c’era fretta e che sarebbe stato meglio che mi calmassi prima che continuassimo il tour. Inizialmente ci eravamo seduti nel locale, ma si era accorto di quanto fastidio mi dessero gli sguardi delle persone così mi aveva portata via. Essere in mezzo agli altri era diverso dall’essere una Vegliante, sola, in un bar: ero quasi sicura che non sarei mai riuscita ad andarmene in giro tranquilla senza che nessuno mi accompagnasse.
    Avevamo finito per sederci sulle scale antincendio di un palazzo in silenzio e tranquilli, finché Jamie non si irrigidì, si alzò e si sfilò il fucile, poggiandolo dietro di me.
    «Non lasciarglielo prendere.» borbottò nervoso, ma in qualche modo divertito.
    «Che succede?» chiesi allarmata.
    Mi fece un cenno con il capo verso la strada. Seguii la sua indicazione e mi trovai a fissare Zach rincorso da Sharon Sullivan, evidentemente Courtney si era accorta che mi ero allontanata. Mi aspettava una ramanzina niente male.
    Sospirai e quando fu abbastanza vicino mi alzai. «Zach, sto bene.» lo tranquillizzai.
    Lui però fissava il mio accompagnatore, poco amichevole. «Tieni giù le mani dalla mia squadra se non vuoi fare una brutta fine.» lo minacciò.
    Jamie lanciò un’occhiata a Sharon che ci aveva raggiunti con il fiatone, lo ricambiò colpevole. «Ehm… gli abbiamo confessato il tuo vizio di flirtare.» lo informò cercando di essere convincente.
    Alzò gli occhi al cielo sconsolato e scosse la testa, prima di tornare a lui. «Senti amico, non mi aveva detto che steste insieme.»
    «Non stiamo insieme.» puntualizzai.
    «Zitta, tu.» mi ordinò Zach.
    Lo fissai indispettita ed incrociai le braccia sul petto.
    «Se lo avesse detto non mi sarei mai permesso di…»
    «”Di” che cosa?» lo interruppe Zach, in attesa che chiarisse la sua insinuazione. Il suo umore era in caduta libera. «Ha diciassette anni, se l’hai toccata…»
    «Zach non è successo niente!» lo interruppi.
    «Zachy, pasticcino.» richiamò un voce familiare, mi voltai per accogliere Lynn con gratitudine. «Stiamo per attaccare una rissa con l’esercito? Sai, che non sta bene, no?» si avvicinò, mi prese per le spalle e mi spinse davanti a lui. «Guardala: Becky sta bene, le hanno anche pagato la merenda.»
    «Perché sei sparita? Hai fatto preoccupare Courtney!» mi rimproverò.
    Sbuffai, sapevo che la ramanzina sarebbe arrivata; non era piacevole, ma era sempre meglio di una lite tra Zach ed un soldato. «Dovevo vedere una cosa!» sbottai, ma poi abbassai gli occhi. «E credo che dovresti vederla anche tu.» gli dissi ignorando ogni altro suo discorso.
    Non so se fu il mio tono o la mia espressione a spostare la sua attenzione dalla mia scomparsa a quello che avevo scoperto, ma quando mi guardò di nuovo era serio, più calcolatore e meno infuriato. «Mostramela.»
    Girò su sé stesso al centro della strada, il vuoto mi scombinò di nuovo tutta come se avessi le vertigini, ma questa volta Jamie rimase a distanza per non farlo stranire. Zach intrecciò le dita dietro la nuca e rimase fermo.
    Lynn mi strinse la mano, il mio cuore galoppava, ma lei poteva tenermi ancorata lì dov’ero. «Zach.» chiamò.
    Lui si voltò e la guardò.
    «Vado a prendere Nate.» lo informò.
    «Non è sicuro.» rispose automaticamente.
    Scosse la testa. «Sta con Becky.» disse soltanto.
    Zach mi guardò e si avvicinò a me lentamente, Sharon Sullivan e Jamie rimasero a distanza, da come gesticolavano sembrava stessero litigando. Mi chiesi se fosse vero che flirtava sempre con le ragazze, non mi sembrava che lo stesse facendo con me, ma forse non essendo molto pratica non lo avevo capito. Mi sedetti sullo scalino del marciapiede, riuscivo quasi ad immaginarmi la voce di mia madre dirmi “Becky, è pericoloso lì, passano le macchine!”, ma non sarebbe passata nessuna macchina, quella parte di Synt era stata evacuata ed interdetta al traffico.
    «Secondo te chi è stato?» chiesi a Zach, quando si fu seduto accanto a me.
    Scrollò le spalle. «Veggenti.»
    «Perché le persone hanno ubbidito?»
    «Paura?» provò.
    Mi strinsi le ginocchia al petto preoccupata. «Zach…» mi bloccai, che potevo dirgli? Come potevo dirglielo?
    Mi guardò, mi guardò e basta, aspettando che continuassi.
    Raddrizzai la schiena, fissando l’asfalto davanti a me. «Non andate, sai anche tu che sarà un disastro. È solo un carico, ce ne saranno altri. Rimanda.» lo fissai. «Non andare.»
    Zach mi osservò tutta come se potesse guardarmi dentro, forse poteva. Si leccò le labbra e spostò gli occhi più in là, sui due soldati che discutevano tra loro. «Lui ti piace?»
    Risi. «Che c’entra?»
    Non incrociò il  mio sguardo. «Se ti piacesse saresti da controllare, capisci? Si fanno pazzie quando una persona ti sta a cuore.» si interruppe per alcuni secondi. «Voglio essere sicuro che se ci saranno problemi, che tu non corra a cercare di salvarlo.»
    Non riuscii a sostenerlo, non stavamo parlando di Jamie. Restai muta e testardamente voltata da un’altra parte.
    Mi sfiorò la mano e gli lanciai un’occhiata, i suoi occhi erano fermi su di me. «Ti metteresti in pericolo per niente.» mi spiegò. «Non farlo né per lui né per…»
    Strizzai gli occhi terrorizzata all’idea che potesse pronunciare quella sillaba.
    Sospirò. «Né per nessun altro.»
    Quanto potevo sembrargli patetica? Quanto ero patetica? Sciocca ragazzina innamorata, mi vergognavo da morire. Se ci fosse stato Romeo lì, avrei pregato perché mi facesse fuori, ti scongiuro, uccidimi.
    «Innamorati di un ragioniere, cheerleader, di un banchiere, di un barista.» si alzò e si scrollò i pantaloni. «Innamorati di qualcuno che la notte si mette a letto con te.» mi guardò e sorrise dall’alto, bellissimo ed irraggiungibile. «Innamorarsi di un Vegliante è una follia.»
    Si diresse verso i due soldati, io continuai ad osservarlo abbattuta: perché, si poteva scegliere?
   
Romeo sospirò mentre porgeva la foto a Iago. «Mettetela qui.»
    «Sicuro?»
    Lo guardò e scosse la testa.


ok, Zach è un po' tonto a volte, però diciamoci la verità... ultimamente Becky era troppo scoperta perché non se ne accorgesse... se ne erano accorti tutti, doveva accorgersene anche lui, non credete!
ho deciso, che tutti i Veggenti, o almeno i Veggenti che fanno parte del movimento di Romeo, avranno un nome Shakespeariano, grazie al cielo ha scritto un botto, così possiamo sbizzarrirci quanto voglio... ovviamente Ryan no, ma c'è un perchè...
voi abbiate fede in questo, un perchè c'è sempre... magari non è proprio comprensibile però c'è.
ve lo siete appuntato, vero?, che c'è Connor...
dal prossimo capitolo iniziano i drammi veri, sia psicologici che fisici, ci aspettano risse, lotte di supremazia, fughe rocambolesche, doppio giochi... tutto il pacchetto insomma, più la tragedia...
se vi va di farmi sapere se vi è piaciuto sono qui...

ps. ma non è un sacco triste l'ultima parte?
pps. Lamponella

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Capitolo 13
*** 12. Il nostro esercito ***


Mitrono fragolottina's time
so esattamente cosa avevo detto tipo... ieri? ma questo capitolo era praticamente pronto e mi sembrava davvero stupido farlo aspettare, quindi eccoci...
nelle puntate precedenti:
1) ci prepariamo al trasporto di Mitronio che ovviamente i Veggenti vorrebbero evitare;
2) è arrivato l'esercito a darci man forte (vedi momento magico tra Zach e Jamie Ross)
3) Zach è stato tanto dolce e coccoloso da dire a Becky qualcosa che somigliava vagamente a "So che hai una cotta per me, vedi di fartela passare, perchè non è che posso preoccuparmi che fai qualche cazzata per salvarmi";
4) un po' tutti prospettano un lutto, quindi non siamo esattamente di buon umore.
nel caso vi foste perse qualcosa - o dimenticate, è passato un mese dall'altro capitolo - questo è quello che vi serve al momento.
ci vediamo più giù...


12.
Il nostro esercito


Nate aveva un giubbotto antiproiettili, ma niente giacca verde. Non rimase di stucco come noi nel vedere la strada completamente vuota da un giorno all’altro, sembrava quasi che se l’aspettasse, più curioso che preoccupato. Si limitò ad osservare la novità con attenzione e ad iniziare a prendere appunti sul suo palmare.
    «Romeo sarà qui.» disse a Zach.
    Lui aveva finito per sedersi per terra in mezzo alla strada, all’indietro e puntellato sulle braccia, tranquillo. Avrei dato qualsiasi cosa per leggere in lui del turbamento, perché quello che mi aveva detto non fosse stato soltanto l’ennesima cosa da fare su una lista: uno, uccidere Romeo; due, preparare un piano per il trasporto; tre, dire alla cheerleader che non può innamorarsi di me.
    Avevo continuato a guardarlo per tutto il tempo, lui mi aveva ignorata per tutto il tempo. Era buffo, ma ero sicura che se fossimo stati a scuola le cose sarebbero andate esattamente così, con io che lo sbirciavo da lontana, spaventata anche solo che mi vedesse, e lui che se ne fregava facendo il filo alla più bella della scuola. Per un po’ non volevo vedere Courtney.
    «Questo l’avevo capito anche io.» commentò Zach.
    Perché io dovevo innamorarmi di lui? Pensai a Logan a casa, che era un ragazzo normale e che una vita fa si aspettava che uscissi con lui. Forse avremmo preso un gelato insieme, forse gli sarebbe piaciuto fare una passeggiata, parlare delle mie possibilità di diventare una cheerleader titolare il prossimo anno, di quelle della sua squadra di pallacanestro di vincere il campionato.
    Come ero passata da questo a… Zach? Non c’erano due cose meno simili.
    «Tu vuoi aspettarli qui, vero?» chiese Nate.
    Zach annuì.
    «Mettere i cecchini sul tetto ed i soldati in seconda linea.»
    Fece di nuovo sì con la testa.
    Nate scrollò le spalle. «Non funzionerà.» concluse semplicemente. «Se l’ho previsto io figurati Romeo.»
    «Romeo è ferito.» gli ricordò Zach con un certo orgoglio.
    Lui si fermò e gli lanciò un’occhiataccia, capii la sua reazione: c’era poco da essere orgogliosi, era quasi morto per colpirlo appena di striscio. «È vivo, Zach, chiudilo in una bara e calalo sotto terra prima di dormire sonni tranquilli.» lo rimproverò. «Ed anche quel giorno fa la guardia alla sua tomba: per quelli come lui la morte non è mai una fase definitiva.»
    Alzò gli occhi al cielo e si mise in piedi. «Nate, se la mettiamo così Romeo prevederà comunque e sempre qualsiasi cosa. Dovremmo stare fermi.»
    «Non sarebbe una cattiva idea.» concluse.
    Evidentemente non ero l’unica a pensarla in quel modo.
    Lynn mi raggiunse con calma e si sedette accanto a me sul bordo del marciapiede, il suo lucidalabbra profumava talmente tanto di ciliegia che riuscivo a sentirlo semplicemente standole vicina.
    «Finiranno per litigare.» rifletté fra sé, tesa e nervosa come probabilmente non l’avevo mai vista.
    Io li guardai. «Zach e Nate?»
    Annuì. «Ci sono momenti in cui si dovrebbe stare uniti.» spiegò. «Questo è uno di quelli.»
    Sospirai guardando Zach. «Non vuole che venga ad aiutarvi.»
    Lynn si voltò verso di me seria, ma paziente, come se capisse quanto quelle parole mi avessero ferita. «Tu pensi di poterci aiutare?»
    Ci riflettei, non lo sapevo, non potevo saperlo.
    «Hai paura?» chiesi a Lynn.
    Scosse la testa. «So che andrà tutto bene.» sorrise con gli occhi su Nate.
    Come previsto la loro discussione animata si trasformò in fretta in una litigata vera e propria, con tanto di grida e offese personali. Nate fissò Zach in modo terribile quando affermò che, visto che non usciva con loro la notte, non sapeva come funzionava; e Zach fu sul punto di dargli un pugno, quando Nate ribatté che non era per la sua testa che era diventato caposquadra, ma solo perché una volta per sbaglio era riuscito a dare un cazzotto a Romeo.
    Courtney ed il resto della squadra di Synt, più i soldati, ci raggiunsero quando la situazione era già degenerata, lei si portò le mani al viso arresa. «Perché tutte le volte che mi raccomando di fare i bravi va a finire così?!» si lamentò sconsolata.
    Jared sospirò e corse verso di loro, si mise in mezzo prima che si azzuffassero.
    «Ci tiene Nate ad avere ragione.» commentai rivolta a Lynn.
    Lei si strinse nelle spalle. «Una volta prima di ogni missione lui e Zach passavano ore a discutere strategie. Non litigavano, forse a volte ne parlavano in modo più animato, ma mai così. Zach non avrebbe mosso un passo senza l’okay di Nate.» si abbracciò le ginocchia. «Da quando è caposquadra pensa di non poter più aver bisogno d’aiuto ed immagino che Nate si senta messo da parte.»
    Ripensai al primo giorno che l’avevo incontrato, quando mi aveva spiegato della zona gialla, delle telecamere difettose e della centrale elettrica fuori dal loro territorio d’azione. Lo guardai, Nate non era forte e non era particolarmente portato per lo scontro fisico, se Zach non lo coinvolgeva nelle strategie era praticamente inutile.
    Come me. Se avevo questa super mira, ma lui non voleva lasciarmi provare, non sarei servita a molto.
    «Che stupidaggine!» esclamai toccata sul personale.
    «Già.» Lynn si morse il labbro. «Tutti abbiamo bisogno di aiuto, per questo siamo una squadra.»
    Anche Sharon Sullivan andò a dividerli prima del precipizio inevitabile, prese una mano di Zach e lo strattonò per un braccio. Io continuai a guardarla senza dire niente; aveva ragione Lynn, quella bionda non piaceva nemmeno a me.
    Fissai la schiena di Zach, mentre iniziava a discutere con lei. Lui mi aveva voluta, all’Asta, era stato lui ad insistere perché Jean mi portasse via. Zach era stato il primo ad ammettere che gli servivo.

«Stai bene?» chiese Sharon Sullivan sedendosi accanto a Zach.
    Si era eclissato dopo l’ennesima discussione con Nate, in tutta la giornata non si erano rivolti parola se non per urlarsi addosso, di continuo un grido dopo l’altro, un botta e risposta tremendo e sfiancante. Aveva preso tutto il pacchetto delle sigarette di Jean, quella era la seconda e, visto che era già a metà, con ottime probabilità ce ne sarebbe stata una terza.
    Avrebbe voluto smettere di esistere, almeno per un po’. Nate era la cosa più simile ad un migliore amico che avesse mai avuto. Josh era stato un capo, un fratello maggiore, una guida valida, irraggiungibile; Nate invece era un suo pari ed era quello da cui correva ogni volta che aveva un’idea: Josh lo avrebbe lasciato fare sempre e comunque, ma Nate gli serviva per delimitare il limite di ogni sua follia. Era quello che quando lui era troppo preso per vedere il precipizio nel quale sarebbe caduto, gli costruiva un ponte.
    «Si.» rispose monocorde e gracchiante. Si schiarì la gola, non aveva più la voce, ma quanto avevano urlato? E perché aveva urlato così tanto?
    «Ne vuoi parlare?»
    Scosse la testa.
    Lei lo osservò scettica, con le sopracciglia sollevate. Si era intrecciata i capelli ed ora le scivolavano mollemente sulla spalla destra. Era seducente, in un modo tutto suo. «Te lo hanno detto, vero, che non dovresti fumare.»
    «Fino alla noia.» pensò ancora a Josh che era un caposquadra e beveva, forse per sopportare tanto stress un vizio era necessario; si chiese se ne avesse uno anche Jean a suo tempo. «Anche io volevo fare il soldato, sai?» lasciò andare una boccata di fumo. «Però non volevo essere quello che voleva mio padre. È che… non lo so… funzionavo come soldato, all’accademia ero il più bravo del mio corso. Avere uno scopo, portare a termine missioni, mi faceva sentire bene, utile.» si tirò indietro e si puntellò sulle braccia tenendo la sigaretta incastrata tra le dita.
    Non le disse che ubbidire lo risparmiava dal pensare, non le confessò quanto avrebbe preferito ricevere ordini piuttosto che impartirli. Se ne vergognava, lo rendeva furioso: Zach Douquette non ubbidiva. Aveva una testa prima di due braccia, poteva essere un caposquadra, Josh ci aveva creduto davvero. Allora perché qualsiasi pensiero o idea si sbriciolava ancora prima che riuscisse a metterla a fuoco?
    «E poi pensavo che fosse un mio dovere, c’erano soldati molto meno portati che sarebbe andati in guerra con molte meno probabilità di me di sopravvivere.» la guardò. «Non so se capisci, non sono sicuro che sia un discorso sensato.»
    Sharon Sullivan lo studiò tutto con un mezzo sorriso sulle labbra. «Jamie Ross ragiona come te.»
    Zach indurì la mascella per il disappunto. «Jamie Ross non mi piace.»
    Lei rise di più. «Perché sei geloso della ragazzina.»
    «Oh, ti prego. Ti sembro avere tempo per le ragazze? Se così fosse probabilmente avrei avuto più tempo per convincere Courtney!»
    «Lei non devi convincerla.»
    «Lei non sarebbe in grado di sopportare una vita simile.» sbottò secco. «E non paragonarmi a quello.»
    Sollevò le mani in segno di resa. «Ok.» concesse. «Ad ogni modo tutti quelli come noi ragionano come te.»
    Zach aggrottò le sopracciglia. «Come noi?» domandò senza capire.
    Gli rubò la sigaretta dalle dita e se la portò alle labbra. «Gli ottimi elementi.» sul filtro rimase l’impronta del suo rossetto, quando Zach la riprese gli sembrò di sentire il suo sapore.
    Rise. «Ah, ecco.» fece una smorfia. «Non era vero, la mia parabola delle prestazioni ha già raggiunto il suo picco e sta inesorabilmente precipitando.»
    «Questa città è malata, Zach, tutto quello che ci vive è destinato a marcire.»
    «Mi si prospetta un futuro niente male.» commentò sarcastico per non lasciarsi andare a pensieri troppo infausti. Era stata una giornata troppo pesante e quella seguente avrebbe potuto soltanto peggiorare la situazione, era il suo istinto di sopravvivenza a cedere alle lusinghe dell’ironia.
    Sharon si girò verso di lui con il busto. «Non è detto che non ti sia data un’altra possibilità. Il tuo destino può cambiare, hai ancora una scelta.»
    Le lanciò un’occhiata scettica, senza dire niente.
    «Cerca solo di non dimenticare che anche Nate è un ottimo elemento.»

Nate afferrò un cuscino, se lo schiacciò sul viso e ci urlò dentro, aveva abbandonato gli occhiali sullo smart-table, diceva che quelli che voleva vedere erano abbastanza vicini da stare senza. Lynn scoppiò a ridere sdraiata a pancia in giù sul suo letto mentre si faceva la manicure. Non so esattamente come era successo, ma ci eravamo rifugiati tutti nella camera di Lynn, la camera più da femmina che avessi mai visto: aveva una toletta con lo specchio, una cesta con l’interno di stoffa a fiori con impilati i suoi beauty case, un peluche azzurro sul letto. Sembrava essere stata l’unica a far davvero sua la propria camera.
    Io stavo aiutando Matt a dividere le viti per grandezza, lavoro noioso, ma che richiedeva abbastanza concentrazione da non farmi pensare a troppe cose.
    Jared e Courtney mancavano all’appello ed avevo una mezza idea sul cosa stessero facendo. Mi chiesi se davvero Zach non si fosse accorto di niente o se si limitasse a fingere che fosse così, a volte sembrava che facessero di tutto per farsi scoprire. Insomma li avevo visti io, non erano esattamente campioni di discrezione.
    «Mi manda in bestia quando fa così.»
    Lynn interruppe il suo lavoro per guardarlo. «Non sei sicuro di aver ragione.»
    «Nemmeno lui se è per questo.» sbottò. «Parliamone, no? Troviamo un compromesso, ma no! Perché una vita fa io sono riuscito a dargli un pugno. Stupidone! Perché non gli diamo una clava invece del coltello, tanto si comporta come uno dell’età della pietra.»
    «Nate.» lo rimproverò Matt. «Concedigli almeno l’età del bronzo, no?»
    «È un pochino sotto pressione.» cercò di giustificarlo Lynn.
    «Tu sei troppo buona.» commentò brusco, ma si sedette accanto a lei. «È troppo presuntuoso, è stato scortese con me, con Becky…»
    Sussultai al mio nome.
    «E perfino con quel soldato, Jamie, che poi non aveva fatto niente di male. Siamo tutti sotto pressione, ma non ci comportiamo come lui.»
    Si strinse nelle spalle. «Litigare non vi porterà da nessuna parte e non ti piace.» commentò senza dare o togliere la ragione a qualcuno. Ammirai il suo impegno a non schierarsi.
    «Non mi piace nemmeno obbedire solo perché lui ha in mano lo scettro del potere.» si mise le mani tra i capelli e scosse la testa sconsolato. «Josh era un’altra cosa.»
    «Non si dicono certe cose, Nate.» lo rimproverò Matt.
    Sollevò il viso. «No, però è vero.» rincarò. «Zach non è un buon caposquadra.»
    Io ero chiusa nel mio mutismo, non mi andava molto di parlare e comunque non avevo idea di come fossero state le cose quando era Josh il caposquadra. Starmene qui a dividere viti in base alla forma, larghezza e lunghezza mi andava più che bene.
    «Non potremmo cambiare argomento?» fece Lynn controllando accuratamente che la mano sinistra fosse ben smaltata di un celeste cielo.
    «Ce l’ho io uno.» alzò la mano Matt.
    «Un argomento leggero da rivista di gossip?» chiese con precisione.
    «Si, anche se più che altro è un sondaggio.»
    «Spara.» ordinò Nate.
    «Credete che Zach andrà a letto con la sexy soldatessa bionda?»
    Io deglutii.
    «Matt, e che cavolo!» lo rimproverò Lynn indicandomi con un cenno del capo.
    Anche lui mi guardò mentre continuavo a stare a testa bassa, facendo finta di niente.
    «Becky, ma non devi pensare che sia per sempre.» spiegò ulteriormente lui. «Un flirt, sai, una cosa così. L’ultima cazzata prima di capire che sei la donna della sua vita.»
    Sospirai poi però feci un mezzo sorriso. «Io credo che ci andrà a letto.» e, cosa ancora più importante, non credevo di essere la donna della sua vita.
    Lynn assottigliò lo sguardo e tornò al suo smalto. «Se lo becco lo picchio.»
    «Sei in grado di farlo?» domandai.
    Lei mi fissò complice. «Sono più brava di Courtney.»
    «No.» disse Nate dopo un po’. «Non lo farà.»

Iago srotolò una cartina sul tavolo poi la proiettò alla parete. Il proiettore l’aveva rubato Ryan dalla sua scuola, a volte Romeo trovava ancora particolarmente folle che facesse parte del loro esercito, andava ancora al liceo, ma se la cavava bene e le aveva dato l’ordine di sopravvivere. E comunque non sarebbe stato molto semplice escluderla da tutto.
    «Zach e gli altri saranno qui e qui.» disse indicando i due tetti dei palazzi.
    Romeo non partecipava, quell’operazione non era sua e poi Iago era il suo secondo, era bravo quanto lui. C’era ancora qualcosa che gli sfuggiva, due pezzi di puzzle che si incastravano, ma non perfettamente, discordavano per pochi minuscoli particolari; ma quando la tua vita è uno srotolarsi di dettagli a cui devi fare attenzione per sopravvivere, non puoi permetterti di incorniciare un puzzle con un incastro che funziona a metà.
    «Nessuno dovrà farsi vedere prima dell’esplosione, sfrutteremo il caos per allontanare le guardie giurate dal camion e portarlo via.»
    Ophelia alzò la mano tenendo gli occhi fissi su Romeo, appoggiato ad una colonna, che con un cenno del capo la riportò a Iago. «Quindi, qualcuno dovrà guidare il camion?»
    Anche Iago lo guardò e Romeo si fece avanti. «Si, ci penserà Cassio. Gli altri ci forniranno una copertura adeguata.»
    «Che dobbiamo fare con i Veglianti?» chiese Ryan in tono di sfida, era ancora arrabbiata.
    «Se possiamo evitiamo di fare del male.» rispose con calma. «Ed evitiamo che si facciano male. L’ultima cosa che voglio in giro sono un gruppo di Veglianti rancorosi.»
    Lei scosse la testa. «Tutti abbiamo visto che qualcuno ci lascerà le penne.» gli ricordò.
    «Contente i danni.» si fermò. «Io sarò lì.»
    «Non serve tu…» iniziò Iago pronto a fermarlo.
    Romeo gli lanciò un’occhiata raggelante. «Io devo esserci, ma interverrò solo in caso di bisogno.» odiava essere sempre e comunque il capo. Sfilò un razzo dalla tasca della propria felpa, lo lanciò in aria e lo riprese. «Al mio segnale, gli ordini torno a darli io.»

Non riuscii a mangiare niente per tutto il giorno, mi limitai a sbocconcellare pezzetti di pane. Il pensiero di tutto quello che sarebbe potuto succedere quella notte bastava a bloccarmi lo stomaco e farmelo sembrare pieno.
    Jean mi lanciava occhiate di fuoco ogni volta che notava il mio vassoio praticamente intonso, ma sembrò capire il mio stato d’animo visto che non esternò il suo disappunto in altro modo. Ero abbastanza sicura che il giorno seguente sarebbe stata molto meno tollerante.
    Chissà in che mondo mi sarei risvegliata, il giorno seguente?
    Nate e Zach avevano più o meno fatto pace, non gridavano più e sembravano essersi chiariti, anche se Nate continuava a starsene imbronciato. Il piano era lo stesso, Nate si era rifiutato di chiedere di dargli retta in ginocchio, probabilmente Zach non avrebbe ceduto comunque, stupido testardo! Però avevano raggiunto l’accordo del casco che li avrebbe protetti molto più dei soliti occhiali con le lenti gialle e, a quanto pareva, permetteva loro di dialogare su una linea più sicura ed esclusiva.
    Visto che io continuavo nonostante tutto ad essere inutile, Matt mi aveva promossa sua assistente e mi obbligò tutto il giorno a seguirlo per montare una ventina di passerelle tra un palazzo e l’altro, così da permettere loro di muoversi in libertà durante la notte. Il mio compito era passargli le viti che chiedeva, lungimirante da parte sua aver passato tutta la sera precedente a smistarle.
    Il sole che calava inesorabilmente mi rendeva ansiosa, più cercavo di non pensarci e più notavo il cielo farsi di minuto in minuto leggermente più scuro. Non ero l’unica a tenere il conto del tempo, l’orologio di Matt mandava un “bip” ad ogni ora che passava.
    Non ero l’unica ad aver paura.
    Ero così preoccupata che mi sembrava di galleggiare nel mare della mia agitazione, il mio mondo iniziava e finiva nella mia mente, che quel giorno era un rifugio scostante, la mia coscienza era cullata dalle onde. Nella mia memoria si affacciavano cose viste e cose che mi spaventavano.
    Zach che mi diceva di stare buona e Zach che baciava Sharon Sullivan, il suo viso che probabilmente non sarebbe mai stato tanto vicino al mio.
    Lynn che agitava una boccetta di smalto e Lynn che gridava per il dolore.
    Zach seduto a terra in mezzo alla strada e Zach in ginocchio in mezzo alla stessa strada, con la canna di una pistola in bocca.
    Scossi forte la testa per cancellare quelle immagini e deglutii. Matt mi osservò bloccandosi a metà con un cacciavite in mano. «Stai bene?»
    Annuii e mi scostai i capelli dalla fronte con il dorso della mano, mentre frugavo tra viti e bulloni.
    «Sei un po’ pallida.»
    Era l’ultima passerella, non aveva senso lasciare il lavoro incompiuto per tanto poco, potevo resistere ancora un po’.
    «Ieri notte non sono riuscita a dormire, sono un po’ stanca.» mi impegnai a stirare le labbra in un mezzo sorriso. «Dai, abbiamo quasi finito.» lo incoraggiai.
    Matt mi guardò ancora per qualche secondo, poi tornò a lavoro.
    Zach ci venne a prendere poco dopo, mi arrampicai sul sedile posteriore e vuoto del fuoristrada e mi sdraiai con le ginocchia ripiegate senza salutarlo. Però lo vidi con la coda dell’occhio spostare lo specchietto retrovisore, in modo da potermi vedere; mi studiò con attenzione per alcuni minuti, mentre guidava nel traffico praticamente inesistente di una Synt in allerta.
    «Cos’ha?» chiese a Matt.
    «Dice di essere stanca.» spiegò lui, ma non sembrava che la mia bugia lo avesse convinto.
    Quando arrivammo in caserma Matt recuperò la cassetta degli attrezzi e la scatola con le viti prima di saltare giù dalla macchina. «Aiutala.» ordinò a Zach.
    Io avevo scoperto che quell’auto mi piaceva, era piccola e calda, blindata e sicura, non avrei trovato un altro posto tanto accogliente qui. Riconobbi il sospiro di Zach, poi lo vidi scendere dal fuoristrada e salire dietro, si strinse nello spazio che rimaneva oltre il mio corpo, poi mi sollevò i piedi per infilarsi nel vuoto lasciato dalle mie gambe. Avevo il sedere contro la sua coscia e le sue braccia appoggiate sulle ginocchia, chiusi gli occhi per non pensarci.
    «Cosa c’è che non va?»
    Avrei voluto piangere, ma scoppiai a ridere, isterica fino al limite più estremo della mia coscienza: lui non mi voleva, forse ero una Veggente, quella notte sarebbe andato tutto a scatafascio. La domanda era cosa andava bene.
    «Sono stanca.» mentii. «Stanotte ho dormito poco e non sono riuscita a mangiare gran ché. Mi gira un po’ la testa.»
    «Ok, aspettiamo che ti passa.»
    Deglutii e respirai piano, stavo davvero cercando una prova che non volevo? Cosa c’era che non andava in me?
    «Hai baciato Sharon Sullivan?» chiesi con tutto il coraggio che riuscii a trovare. Una risposta affermativa sarebbe stata sgradita per molte ragioni.
    Per alcuni secondi rimase in silenzio. «Si.» ammise.
    Lo sapevo, pensai anche se non volevo, e poi subito dopo, devo parlare con Romeo.
    Se fossero state parole che avevo pronunciato mi sarei morsa la lingua, avrei addentato l’aria fino a rimangiarmele tutte.
    «E ci sei andato a letto?»
    Lo guardai, lui scosse la testa, iniziò a disegnare ghirigori immaginari con la punta delle dita sulle mie ginocchia. «Stai passando troppo tempo con Matt e Lynn.» scherzò debolmente, come se non ne avesse voglia.
    Ci misi una vita a rispondere, mentre continuavo a tenere gli occhi fissi sulle sue mani, in apnea. «Sono gli unici normali.» mi puntellai sulle braccia per tirarmi su, la mia testa fece una capriola, ma poi tornò al suo posto. «Penso di riuscire a camminare.» annunciai, non era completamente vero, ma le sue dita dovevano stare lontane da me.
    Lui non si mosse, mi guardò, eravamo troppo vicini. «Non c’è tempo per il mal di cuore a Synt, Becky.»
    Lo fissai arrabbiata. «No?!» chiese sarcastica. «Quindi quando guardi Courteny come se tenesse il tuo cuore in mano e lo stringesse ogni minuto un po’ di più, di cosa si tratta? Un riflesso involontario?» suonai spietata anche alle mie orecchie, ma era davvero stanca della sua aria supponente, sapeva tutto? No, non sapeva niente, esattamente come me e, se Nate aveva ragione, tutto sarebbe andato distrutto per il suo “non ho bisogno di nessuno”. Non era un elemento così ottimo dopo tutto.
    Zach assottigliò lo sguardo, ammonendomi del territorio pericoloso in cui mi stavo addentrando.
    «Hai detto queste cose anche a lei, non è vero?» continuai ad insinuare. «Le avrai detto che non potevi, non avevi tempo, non c’era posto a Synt. Hai pensato per un secondo che se le avessi detto che l’amavi lei ti avrebbe aspettato tutto il tempo necessario?»
    Capii di aver parlato troppo quando mi afferrò il viso con la mano, spingendomi giù contro il sedile e tendendomi la bocca ben chiusa. Si fermò a pochi centimetri dal mio viso, le sue gambe erano intricate alle mie; i nostri corpi erano così schiacciati uno contro l’altro che non riuscivo a capire dove iniziassi io e finisse lui. Non provai nemmeno ad allontanarlo, forse non volevo.
    «Romeo mi aveva detto “Il prossimo sei tu”.» sbattei le palpebre. «Attenta a parlare d’amore, cheerleader. Tu ci hai pensato che se avessi detto a Courtney che l’amavo e fossi morto, avrei ucciso anche lei?»
    La presa sul mio viso si allentò, quando scossi la testa appoggiò la mano accanto al sedile. «Tu vuoi essere il prossimo, Zach. Altrimenti proveresti a sopravvivere.» mi tirai su sui gomiti, lui indietreggiò per mantenere la stessa piccola distanza tra noi. Qualcuno doveva farlo. «Romeo non ti ha ucciso.»
    «Prima o poi lo farà.»
    «Io. Posso. Impedirlo.» sillabai. «È per questo che hai scelto me invece di Amanda Martinez!»
    La tensione scivolò via e lui si allontanò, rimase sulle mie gambe, ma la bolla di sapone della nostra lite era esplosa. «Salvami la vita, cheerleader, ed io penserò a te.» mi sfidò, poi rise di più. «Oh, aspetta, prima ti porta in camera giacché non ce la fai da sola.» mi prese in giro e fece per prendermi il braccio. Io lo scrollai furiosa.
    «Non toccarmi.» lo ammonii cupa.
    Lui spalancò lo sportello della macchina e saltò giù, io rimasi lì.
    Avrei potuto salvargli la vita, se lui me lo avesse permesso.
    Quando infine scesi dalla macchina la testa mi girava ancora, avrei dovuto chiedere a Matt una delle sue merendine per ricaricare gli zuccheri.
    Jamie mi avvolse le spalle con un braccio e mi strinse a lui, accompagnandomi e sorreggendomi fino all’ascensore. Provai ad allontanarlo, lui non me lo permise.
    «Non lo saprà mai.» disse soltanto.
    Mi morsi il labbro e, senza poter fare niente per impedirlo, scoppiai a piangere.

Nate abbracciò forte Lynn e le diede una bacio sulle labbra, le infilò il casco e baciò anche quello. La sentii ridacchiare da dietro la visiera, prima che guardasse verso di me e facesse “ciao, ciao” con la mano.
    Jamie mi si avvicinò, aveva una cappello da baseball sulla testa ed il sopra della sua tuta militare, il solito fucile a tracolla che sbucava da dietro la sua schiena. Mi studiò per qualche secondo, poi mi allungò la mano. «In campana, ragazza.»
    Sorrisi. «Anche tu.» sperai che potesse tornare a casa sano e salvo, anche se quel saluto sapeva di addio.
    Guardai Zach, lui lo stava già facendo, il suo viso sparì sotto il casco, ma sapevo che stava continuando a fissarmi.
    «Vuoi un sedativo, così puoi dormire?» mi offrì Courntey, siccome era quasi una gentilezza da parte sua sorrisi mentre scuotevo la testa.
    «Becky, quando torno proviamo il tostapane, d’accordo?» mi propose Matt dandomi una pacca sulla spalla.
    Annuii. «Ok, ti aspetto sveglia.»
    Io e Nate li guardammo andarsene uno ad uno, finché l’intero edificio non rimase completamente vuoto. Mi guardai intorno spaesata, sembrava tutto così enorme dopo due giorni circondati da estranei. Nate rimase immobile per sessanta secondi precisi.
    «Ok.» iniziò guardandomi. «Mi serve qualcuno che mi dia retta, ci sei solo tu.»
    Sbattei le palpebre guardandolo. «Dov’è Jean?»
    «Non lo so.» scosse la testa. «Ha ricevuto una telefonata.» mi posò le mani sulle spalle e mi diede una scrollata. «Non importa. ”Se tu fossi un Veggente e dovessi fermare un camion, come faresti?”, è il quesito di oggi. Mi serve un confronto.» cercò di spiegarmi. «Aiutami.»
    «Ok.»
    La sua stanza era stata stravolta in una notte, era piena di fogli impilati su ogni superficie disponibile; sul pavimento, su tutto il pavimento, c’era una mappa in scala del vicolo vuoto.
    «Nate, quant’è che non dormi?» chiesi, perché il letto era sommerso di carta.
    Lui mi lanciò un’occhiata eloquente. «E tu?»
    Domanda lecita.
    «Sgombrare quella strada è stato stupido.» continuò a parlare, frugando fra fogli, conti, appunti. Mi chiesi da quando era di nuovo passato al cartaceo. «Non possono nascondersi, abbiamo un sacco di cecchini, anche con una percentuale di errore altissima, qualcuno verrà colpito, accidentalmente magari. Il calcolo delle probabilità non è uno scherzo…»
    «Forse non hanno trovato un’idea migliore.» provai.
    «Romeo?» chiese scettico.
    Sembrava strano perfino a me, ma mi strinsi nelle spalle. «Zach ha ragione, è ferito.»
    «Romeo non è l’unico Veggente di Synt, Becky, non fare come lui, che non ragiona perché è più comodo aggiustare la realtà.» si guardò intorno e crollò a sedere sulla sua poltrona, accartocciando alcuni fogli appoggiati anche lì. «Sono così tanti stanotte, come può correre un rischio del genere?»
    «Zach?» domandai.
    «Zach è un folle.» decretò. «Romeo.»
    Tornai a guardare la cartina a terra. «Magari hanno in mente un diversivo.» suggerii.
    Nate mi guardò improvvisamente interessato. «Continua.»
    La strada ingrandita era larga come il mio piede scalzo, la percorsi una pianta alla volta. «Se sapessero dove si sistemeranno tutti e facessero crollare quei palazzi, avrebbero risolto ogni problema.» li avrebbero anche sterminati probabilmente.
    Per alcuni secondi continuò ad osservarmi come per vedere quanto fossi convinta della mia idea. In realtà non lo ero così tanto, pensavo soltanto che se il camion fosse stato il mio piede e qualcuno ci avesse messo qualcosa davanti, non avrei potuto proseguire e la strada era troppo stretta perché fossi in grado di fare manovra.
    Aprì il portatile. «Non so.» si grattò la testa. «E loro come la fanno manovra? Non possono mica lasciare il camion lì, sarebbe senza senso.»
    Riportai il piede destro, davanti a me, dietro, attenta a non calpestare le casette disegnate. «Fanno marcia indietro.»
    Fece una smorfia. «Ci vuole tempo. Non è che una squadra di Veglianti e cinquanta soldati stanno a guardare mentre gli soffiano un camion a marcia indietro: posso intervenire.»
    Aveva ragione, beh, io non ero la stratega.
    «Siamo stranamente in superiorità numerica ed abbiamo i cecchini.» sbuffò. «Essere così in vantaggio mi disorienta.» si stravaccò con la testa all’indietro, il pc in precario equilibrio sulle sue gambe. «Abbiamo un esercito, possiamo fronteggiarli.»
    «Forse non sono bravi come hanno detto a Jean.»
    Suonò un allarme, tipo una sveglia; lo guardai preoccupata, ma lui mi fece un cenno con la mano. «Vuol dire che sono arrivati in quella via.» chiuse il netbook e lo poggiò a terra. «Ho un nuovo quesito per te.» iniziò appoggiandosi alle ginocchia. «In che modo il nostro esercito può aiutare più loro che noi?»
    «Vi rispondo io.» ci voltammo entrambi verso Jean. Era sconvolta e pallidissima, non l’avevo mai vista così. Pensai che il peggio fosse già accaduto, che tutto fosse già finito mentre io e Nate ci perdevamo in supposizioni. Pensai che qualcuno si fosse fatto molto male, ma non eravamo ancora a quel punto. «Non è il nostro esercito.»
    Io e Nate trattenemmo il fiato.
    «Mi ha chiamata Wood. Mi ha chiesto come avevamo risolto la mancanza di rinforzi.»
    Ripresi a respirare, ma la mia mente era vuota.
    «La nostra richiesta di aiuti è stata respinta.»
    «E…» Nate perse le parole. «Chi sono quelli?»
    Riuscivo quasi a sentire i suoi pensieri: Lynn, urlava ognuno dei suoi neuroni. Niente più schemi matematici, niente più idee, niente più ragionamenti, soltanto un unico, disperato Lynn.
    Li sentivo perché erano i miei.
    Zach.
    Jean Roberts tacque e rimase immobile per alcuni secondi, gli occhi rivolti al soffitto. Quando riportò lo sguardo su di noi, sembrava più calma. «Ordina a Zach, Courtney, Jared, Lynn e Matt di fuggire di lì e tornare immediatamente in caserma. Se non è il nostro esercito significa che è il loro.»
    Nate spinse alcuni pulsanti, ma le telecamere non si accesero. Un secondo dopo le luci di tutta Synt si spensero, la stanza venne invasa dalla luce azzurrina delle lampade di emergenza.
    Guardai Nate immobile e capii perché per lui era tanto importante controllare la centrale elettrica. Prima che potessimo anche immaginare le sue
mosse, lanciò il netbook chiuso contro gli schermi fissati alla parete, che esplosero crepitando. Io sussultai, ma non seppi fare né dire niente.
    «I caschi, Nate.» gli suggerì Jean calmissima: qualcuno doveva esserlo.
    Nate prese fiato, poi recuperò il palmare dalla tasca dietro dei pantaloni e spinse il pulsante per attivare la comunicazione.
    Avrebbe dovuto farlo prima.
    Non fece in tempo a parlare.
    Il boato inghiottì ogni cosa. 


vi avevo avvisate però, eh! non voglio ricriminazioni...
prometto che poi nel prossimo capitolo vi spiego in meglio anche questo fatto del nostro/loro esercito... diciamo che c'è stato uno scambio.
sarà un capitolo un po' pesante il prossimo quindi preparatevi spiritualmente... beh, non è che questo sia andato a tarallucci e vino, ma il prossimo sarà anche peggio...
tra l'altro, vi prego, ditemi qualcosa sulla litigata tra Becky e Zach perchè, voi non lo sapete, ma ci ho messo cinque giorni a scriverla e non saranno nemmeno mille parole!
beh, fatemi sapere se vi è piaciuto e per eventuali dubbi, perplessità e stati d'ansia non fatevi remore!
baci

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Capitolo 14
*** 13. Stanotte ***


Mitronio 3 fragolottina's time
questo capitolo l'ho scritto, riletto, ricancellato e riscritto fino ad avere il vomito!
capisco che non è una bella immagine, ma è vero!
vi giuro, che non so più dirvi se è bello o brutto, riuscito o no... mi ha proprio spompata!
quindi, signore, con la speranza che tutto il mio lavoro non abbia portato ad una stupidata immane, buona lettura!



13.
Stanotte


Non fu un taglio improvviso. La luce dei lampioni si affievolì, poi si spense. Courtney, Lynn e Matt ebbero tutto il tempo per guardarsi, per cercare ognuno negli occhi degli altri un incoraggiamento, qualcosa di simile ad un “Non è niente, andrà tutto bene”.
    Ma erano tutti spaventati, come ogni volta che erano usciti da quando Josh era morto. Lui era il confine che Romeo non avrebbe potuto superare, lui li avrebbe sempre riportati a casa tutti sani e salvi, lui avrebbe impedito che si facessero male; ma ora lui non c’era e Zach non era pronto ad essere il suo sostituto.
    «Ci siete tutti?» chiese Courtney nel casco piano, attenta che le parole che stava pronunciando rimanessero lì dentro. Riconosceva le ombre degli altri soldati intorno a loro, niente più di aloni leggermente più scuri della notte, ma a lei interessava sapere come stavano i suoi. Se a Sharon Sullivan fosse capitato qualcosa di brutto non se ne sarebbe dispiaciuta così tanto.
    «Court.» la voce di Zach le arrivò incredibilmente vicina, nonostante fosse dall’altra parte della strada, sull’altro palazzo, ma era appena un sussurro. Un sussurro inquieto anche se monocorde: non prometteva niente di buono. «Jamie Ross ci sta puntando un fucile contro.»
    Courtney trattenne il fiato e si impedì di guardare il tetto dall’altra parte della strada.
    «Voi siete più simpatici a Sharon Sullivan?» provò a scherzare.
    «Vedo Lynn.» confermò individuando un riflesso sul suo casco, si guardò intorno con discrezione, come se tutto fosse normale. «Ma non trovo Matt.»
    «Ok.» concluse. «Prendila ed andatevene immediatamente.»
    «Ma tu e…»
    Jared, con lui su quel palazzo c’era Jared. Non poteva perdere anche lui.
    «Sta tranquilla: ci liberiamo, cerchiamo Matt e torniamo in caserma. Ci vediamo lì, ok?»
    Non avrebbe avuto senso ribattere ancora. «Ok.»
    Cercò di rimanere calma esattamente come Lynn davanti a lei. Doveva aver sentito tutto, i caschi non permettevano una comunicazione esclusiva, erano poco più che ricetrasmittenti con un grande raggio di ricezione, grazie alle modifiche apportate da Matt e Nate, ma rimanevano elementari e semplici.
    «Court.» questo era Jared.
    Chiuse gli occhi e cercò il suo viso tra i proprio ricordi.
    «Sta attenta.»
    Avrebbe voluto rispondergli con qualcosa di significativo, qualcosa che gli facesse capire quanto fosse preoccupata di lasciarlo lì, quanto non avrebbe voluto, quanto lo amava in definitiva. Ma c’era Zach in linea insieme a loro e questo non era certamente il momento giusto per confessargli di essersi innamorata di un altro.
    «Lynn.» chiamò piano.
    «Lo so.» rispose lei. La osservò indietreggiare finché non fu abbastanza vicina da prenderle la mano.
    «Quando vuoi.» la incoraggiò.
    «Problemi, signorine?» domandò Sharon Sullivan avvicinandosi. Fece un passo, due. Courtney avrebbe voluto prenderle a manciate quei capelli insopportabilmente chiari e tirare fino a strapparli. E poi colpirla, darle così tanti pugni, tumefarle la bocca in modo così orribile che nessuno, figurarsi Zach, avrebbe più voluto baciarla.
    Se l’alternativa era una traditrice tanto valeva che stesse con la ragazzina.
    «Ora.» gridò Lynn.
    Si sporse per darle un calcio abbastanza forte da farla cadere indietro e far loro guadagnare tempo, poi si voltarono insieme e corsero in direzione della passerella di Matt. Appena sarebbero riuscite a mettere abbastanza distanza tra loro ed i soldati si sarebbero fermate e ne avrebbero tolta una; era stato tanto lungimirante da mostrare loro come fare.
    Si, ma dov’era quel testone di Matt?

«Non fiatare. Abbassati.» ordinò qualcuno alle spalle di Matt, premendogli la canna di una pistola al centro della schiena. «Obbedisci o prima uccido te, poi le tue due amichette.» continuò.
    Matt fece come ordinava con gli occhi fissi sulla schiena di Lynn e si chinò proprio mentre Courtney si voltava per cercarlo.
    «Ora voltati e seguimi.» allontanò la pistola dalla sua schiena per permetterglielo. «E non pensare che non mi accorgerò se provi a scappare.»
    Era una ragazza, no, peggio, era Ryan.
    Matt aveva una predisposizione per lei, una specie di ammirazione; un po’ tipo quella che Nate aveva per Romeo. Insomma era parecchio in gamba ed aveva una mira che avrebbe fatto impallidire perfino quella di Becky.
    Questo però significava che l’unica cosa sensata da fare fosse seguirla. Sperò soltanto che servisse ad allontanarla il più possibile dalle ragazze.
    Lo guidò fino ad una corda fissata alla scala d’emergenza; con un cenno del capo lo invitò a scendere prima di lei, per poi seguirlo dopo essersi infilata la pistola dietro i pantaloni.
    Fu sul punto di scappare quando toccò terra, chiedendosi quanto ci avrebbe messo la Veggente a tornare su e rendere reale la sua minaccia: avrebbe avuto tempo per avvertire Lynn e Courtney?
    Non si rispose mai, perché a pochi metri da terra, la corda si allentò, la Veggente perse la presa e lui non ebbe nemmeno il tempo di chiedersi cosa fare che la stava già prendendo al volo. Un riflesso involontario, Veggente o non Veggente, quella ragazza non sembrava molto più grande delle sue sorelle.
    Caddero una sopra l’altro in un intrigo di braccia e gambe, caschi e maschere. Ryan si ritrasse ed a Matt sembrò quasi di vederla arrossire quando balbettò adorabilmente: «L-La-Lasciami.» come era abituato a sentirla fare così spesso da poterla riconoscere sempre in ogni circostanza.
    «Rose?!» la chiamò senza fiato.

«Finito?» gli chiese Jamie Ross eloquente.
    Di certo Zach non aveva sperato che non se ne accorgesse, ma doveva comunque avvertire le ragazze, non glielo aveva chiesto, ma era sicuro che anche Jared fosse d’accordo.
    «Ora via i caschi, da bravi.»
    Guardò il fucile, puntato perfettamente tra loro, pochi millimetri da una parte o dall’altra gli avrebbe permesso di uccidere l’uno o l’altro. Romeo aveva avuto delle armi da fuoco, gli sembrava ancora di ricordare la sensazione della canna della pistola contro il proprio fianco, ma non le usava spesso. Lasciava che lo facesse Ryan.
    Si chiese che idee avesse quel Jamie Ross in proposito.
    Sospirò poi sollevò le braccia e si tirò via il casco, rimase temporaneamente abbagliato dal faretto montato sulla canna. Jared lo imitò. Con la coda dell’occhio lo vide guardare verso il palazzo dall’altra parte della strada, sperò che stesse vedendo le sagome di Lynn e Courtney scappare.
    Il chiarore di una luce ancora lontana lo sorprese quasi, prima di ricordarsi del camion, il trasporto, tutto quanto. In quel momento il Mitronio era l’ultimo dei suoi pensieri.
    «Qualcuno che li perquisisca, per favore?»
    Due soldati fecero per avvicinarsi, Zach si irrigidì e la sua mano corse alla cintura prima ancora che se ne rendesse conto. Jamie Ross fece fuoco colpendolo di striscio al braccio. Colpendolo intenzionalmente di striscio.
    Il ragazzo guardò il taglio che si era aperto sulla sua giacca.
    «Le ho detto che avrei badato a te.» gli spiegò riferendosi a Becky. «Sarebbe spiacevole deludere una ragazza tanto gentile.»
    Jared lanciò ai piedi di Jamie due coltelli di grandezza diversa.
    «Come vi hanno comprati?» chiese Zach seguendo il suo esempio.
    Jamie Ross scoppiò a ridere. «Non ce n’è stato bisogno, Vegliante, siamo della stessa razza.»

Courtney si fermò allo sparo e guardò verso il palazzo. «Che è stato?»
    Jared.
    Lynn corse più avanti, poi tornò indietro per afferrarle la mano e tirarla. «Niente, Court non c’è tempo!»
    Il boato ed il palazzo sotto di loro che tremava sorpresero entrambe, la ragazza fece appena in tempo per vedere che i soldati – se lo erano davvero – si erano fermati sul bordo del tetto precedente.
    Errore.
    Courtney riuscì a saltare, Lynn non fu altrettanto pronta.

«Lynn?» chiamò piano Nate nel casco, nessuno gli rispose.
    Io e Jean eravamo immobili.
    «Lynn?»

Jamie Ross abbassò il fucile per una frazione di secondo, gli occhi fissi sul palazzo appena crollato, tanto scioccato da sembrare che nemmeno lui avesse idea di quello che sarebbe successo. «Oh, no.» borbottò.
    Jared vide Zach, vide come fissava il soldato completamente dimentico di chi stava minacciando, concentrato a guardare qualcosa a loro precluso. Probabilmente non avrebbero avuto altre occasioni simili.
    Si buttò addosso a Jamie Ross, atterrandolo con una spallata; gli rubò il fucile e lo lanciò a Zach che sparò dietro di loro alla cieca. Sapeva che non gli importava né ferirli né ucciderli: voleva soltanto che stessero abbastanza lontani per permettergli di raggiungerlo e scappare.
    Passarono dall’interno dell’edificio pensando di ottenere una protezione maggiore.
    «Sicuro, di averle viste scappare?» gli chiese Zach, mentre saltavano una rampa di scale dopo l‘altra.
    Jared ripensò alle due sagome: era sicuro, ci sarebbe voluto molto più di un casco per impedirgli di riconoscere Court e sapeva che per niente al mondo avrebbe lasciato indietro Lynn. L’unica vera incognita era Matt, dov’era sparito?
     «Si.» rispose.
    Si nascosero nella caffetteria che adorava Becky, ora abbandonata, rimanendo bassi sotto il bancone. C’erano i frigoriferi lì sotto, in caso di scontro a fuoco sarebbe stata una buona mossa averli tra loro ed il nemico.
    «Che facciamo?»
    Jared lo guardò, non gli disse che il caposquadra era lui ed a lui spettavano gli ordini, Zach non era un caposquadra. Lui era stato Vegliante sotto Jean e sotto Josh sapeva cosa significava. Capiva anche perché Josh avesse cercato di insegnargli, Zach aveva davvero un grande potenziale e nei suoi giorni migliori poteva anche essere abbastanza carismatico; il problema era che non aveva un giorno buono da troppo tempo.
    Aveva bisogno di qualcuno che gli dicesse “Tu pensa ai Veggenti, io mi occupo del resto”, non era in grado di fare entrambe le cose; per questo non stava più facendo né l’uno né l’altro, si era bloccato.
    Guardò il telefono fisso accanto alla cassa, fece per prenderlo, ma poi sentì lo scalpiccio di un gruppo di persone e si fermò.
    «Per il momento stiamo buoni qui.» gli disse, certo che tenere Zach nascosto fosse comunque una buona idea, Romeo voleva lui. Silenziosamente pregò che Courtney stesse bene, che Lynn stesse bene e Matt – ovunque fosse – sperò che, come loro, stessero cercando un nascondiglio dal quale chiedere aiuto in un secondo momento. «Al primo momento di calma chiamiamo Nate.»
    Nate sarebbe dovuto essere il caposquadra di Synt, lui poteva occuparsi del resto mentre Zach cercava di prendere Romeo.

Courtney si sfilò il casco e corse ad affacciarsi, ignorando Nate che le chiamava. Che avrebbe potuto dirgli? Non sarebbe stata in grado di smentire il suo terrore, né di dargli voce. La polvere del crollo le impediva di vedere qualsiasi cosa, deglutì e le sembrò di avere mangiato una manciata di terra.
    «LYNN!» gridò in preda al panico. «LYNN!»
    Ricordava ancora quando terrorizzata aveva bussato alla sua porta dopo aver fatto l’amore con Jared. Non erano particolarmente amiche prima, Zach era come un buco nero che inghiottiva tutto di lei. Quando c’era lui le era troppo difficile stargli lontano per fare amicizia, non che lei fosse poi così portata per familiarizzare con gli estranei. Ricordava come, dopo averla vista tanto sconvolta, avesse cacciato Nate dal suo letto per fare posto a lei. Non le aveva chiesto niente finché non aveva iniziato a parlarle di sua iniziativa, ed anche dopo non l’aveva giudicata.
    Lynn era stata l’amica migliore che potesse capitarle, non era mai stata sicura di meritare tanto.
    Doveva scendere giù, doveva andare a cercarla ed in fretta. Nella sua mente scorrevano tutte le complicanze che sarebbero potute derivare da una caduta del genere più un’eventuale sindrome da schiacciamento: ossa rotte, fratture esposte, emorragie interne, traumi cerebrali.
    Poteva effettivamente morire.
    Per un attimo il panico la rese così confusa da permetterle solo di pregare: no, ti prego, niente complicanze neurologiche, niente trauma cerebrale. Non ne sapeva quasi niente di neurologia, solo un po’ di teoria spicciola; sua madre aveva esaminato troppi pochi casi perché potesse imparare.
    Non voleva vederla e sapere che non avrebbe potuto fare niente per lei. Non voleva guardarla immobile in un letto di ospedale con la testa fasciata, pregando che si svegliasse. Non voleva che perdesse la parola, o una parte dell’uso dei movimenti. Voleva che saltasse e combattesse e mettesse al tappeto Zach in tre mosse – il suo record – come aveva sempre fatto.
    Perché Romeo aveva permesso che fosse proprio Lynn? Cosa avrebbe potuto ottenere da tutto quello?
    Qualcosa, dall’anfratto più recondito del suo inconscio, si fece strada tra i suoi impulsi nervosi in panne e guidò il raziocinio fino a mostrarle quello che doveva vedere: la scala d’emergenza del palazzo era rimasta miracolosamente in piedi e si era appoggiata a quello su cui si era rifugiata lei. Si disse che era un segno. Poteva scendere da lì e decise che avrebbe scoperto di poterla salvare.

«Romeo, che cazzo stai facendo?!» domandò Jamie Ross infuriato. «Sarà il caso che tu intervenga!» lo rimproverò.
    «Che è successo?» chiese lui senza capire.
    «Che è successo?! Stai perdendo la tua guerra, bello!» lo informò. «E riprenditi, davvero siamo ancora a questo punto?»
    Lui non rispose, era il primo a sapere quanto fosse controproducente per lui non vedere, per questo aveva chiesto rinforzi. Non era mica colpa sua se Zach non era stato ai patti e l’aveva ferito; per riprendersi da una leggera intossicazione da Mitronio ci voleva tempo. Erano già fortunati che non fosse uno di quelli intolleranti alla cura.
    «Lynn è sotto il palazzo che è crollato.» gli spiegò. «Credi che Nate sarà ancora felice di aiutarci?!» gli domandò sarcastico.
    Romeo guardò il palazzo ad occhi sgranati: non Lynn, andava bene tutto, ma non Lynn. Era di Nate, e Nate gli serviva. Lui si era impegnato così tanto, perché fosse sempre consapevole delle volte che avrebbe potuto ucciderli, ma che non l’aveva fatto. Veggenti erano stati feriti ed erano morti per dimostrare a lui i loro propositi non offensivi.
    Se adesso Lynn moriva era la fine di tutto!
    Perché Zach non aveva pensato ai suoi? Come aveva fatto a non sentire almeno un odorino di quello che avrebbe dovuto fare? Aveva una squadra, aveva Nate, Jean e, cavolo, c’era la ragazzina bionda, Becky, che era fresca d’Asta! Perché non li aveva consultati?
    «Stavolta lo ammazzo.» promise.

«Nate.»
    «Lynn?!»
    Un mugolio, fragile come il miagolio di un micino appena nato.
    «Cos’è successo? Stai bene?»
    «Io… sono incastrata, no-non riesco a muovere le gambe.»
    Gelai.
    «Nemmeno il braccio.»
    Vidi Nate chiudere gli occhi. «Ok, non preoccuparti. Ora chiamo gli altri e ti faccio venire a prendere, tu continua a parlare con me, d’accordo.»
    Il respiro che prese dopo mi fece rabbrividire, era profondo e sibilante e gorgogliante. Le spalle di Nate si alzarono ed abbassarono come se avessero un carico di mille chili sulle spalle.
    «D’accordo. Se non mi senti più non preoccuparti. Mi sono soltanto addormentata.»
    «No.» si infilò le mani nei capelli. «Lynn, resta sveglia.» supplicò.

Courtney scese le scale d’emergenza di corsa, le suole delle scarpe facevano un gran fracasso sui gradini di metallo, ma non importava. Aveva portato dietro il casco per dire a Nate di chiamare un’ambulanza quando l’avrebbe trovata, ma non si sarebbe fatta problemi ad usarlo come arma se ce ne fosse stato bisogno.
    L’ultima rampa di scale era rotta e mezza seppellita dalle macerie, saltò giù dall’ultimo pianerottolo; atterrò su un cumolo di cemento sdrucciolevole che cedette sotto il suo peso. La caviglia le mandò un stilettata di dolore, un storta. Imprecò tra i denti, beh, avrebbe dovuto aspettare.
    «LYNN!» chiamò ancora.
    Niente solo cumoli di pietre, vetri rotti, con sporadici mobili semi seppelliti. Non ricordava cos’era quel palazzo, non riusciva a riconoscerlo, ma sarebbe stata l’ennesima informazione inutile: lei doveva trovare Lynn.
    «LYNN!»
    Da qualche parte il suo cervello le suggerì di smetterla di urlare come un’oca, tutto intorno a lei con ogni probabilità c’erano soldati, Veggenti e diversi cecchini pronti a fare fuoco su di lei.
    Si voltò come se qualcuno l’avesse chiamata e vide una mano.
    Rimase immobile, come davanti ad una belva feroce.
    La mano aveva le unghie smaltate di celeste.
    Non appena riuscì ad assimilare quel dettaglio, si precipitò verso di lei. Posò il casco e si inginocchiò scavando freneticamente con le mani. «Lynn, sono Courteny, ora ti tiro fuori te lo giuro.» sollevò un pannello di isolante, studiò il casco che c’era sotto e per un attimo ebbe il cieco terrore che, se lo avesse sfilato, si sarebbe staccato dal resto del corpo.
    Scrollò forte la testa per snebbiare i pensieri: non si toglieva mai il casco senza essere certi che non ci fossero danni alla spina dorsale e lei non ne era affatto certa.
    Fece scivolare indietro la visiera invece, scoprendole gli occhi chiusi. «Lynn.» la chiamò più piano, le spolverò il collo e le abbassò poco la zip della giacca per poterla toccare, cercò la giugulare e si intimò di calmarsi altrimenti non sarebbe riuscita sentire nessun battito. Chiuse gli occhi: batti, ti prego, batti.
    Spalancò gli occhi di botto. Viva, era viva.
    Studiò il segno rosso che le aveva lasciato sul collo, poi le sue unghie spezzettate. Immaginò la voce severa, ma rassicurante di sua madre: sciocca, la tua amica è sotto un cumolo di macerie e tu pensi alle unghie rotte.
    Le tolse tutto quello che poté dal torace, cercò di non pensare alla lastra di pietra usata per il parapetto che sollevò, abbastanza pesante da romperle le costole e schiacciarle in una certa misura tutti gli organi vitali. Spostò altri detriti di poco conto dal bacino, si fermò quando vide il blocco di cemento sulle sue gambe: enorme, pesantissimo, spaventoso. Non sarebbe mai riuscita a spostarlo da sola.
    Provò a spingerlo e Lynn urlò così forte da sconvolgerla, lasciò tutto e si chinò sui suoi occhi.
    «Lynn, sono io, va tutto bene!»
    Lei la fissò e basta, gli occhi sgranati nei suoi ed il fiato corto. Era spaventata, addolorata, avrebbe dato tutta sé stessa per avere dei sedativi, o un anestetico.
    «Devo spostarlo, Lynn, devo tirarti fuori.»
    La sentì deglutire e muovere piano la testa in un gesto di assenso.
    Le strinse la mano, poi tornò al blocco. Non appena provò di nuovo a spingerlo, Lynn ricominciò ad urlare come se le stesse strappando via la gamba a morsi; Courtney scoppiò a piangere e si fermò, dov’erano tutti gli altri? Dov’era la sua squadra? Non si era mai sentita tanto sola in vita sua, tanto inesperta, tanto sperduta.
    Si appoggiò con la schiena al blocco e si lasciò scivolare giù, non ci riusciva se urlava in quel modo, non poteva. Aveva ricucito Zach mille volte e lo aveva rimproverato di stare zitto con cipiglio severo ogni volta che infilava l’ago; ma in quei momenti sapeva perfettamente cosa stava facendo, sapeva che quei punti gli servivano e che quel dolore gli avrebbe fatto bene: era dolore buono, come alcol su una ferita infetta.
    Ma il dolore di Lynn… Courtney non poteva essere certa che fosse davvero dolore buono.
    Sentì dei passi, con quel disastro nemmeno i Veggenti potevano essere abbastanza silenziosi. Si alzò e si tolse le lacrime da sotto le guancie con le dita martoriate: sarebbe morta prima di permettere a qualsiasi mostro di toccarla.
    Romeo non era solo e tra le mani aveva un razzo acceso, la luce rossa si rifletteva sulla polvere ancora nell’aria. Guardò Lynn addolorato per un secondo, poi si portò due dita alla bocca e fischiò: un nuovo pugno di Veggenti lo raggiunse come se piovessero dal cielo.
    «Veloci, c’è Lynn lì sotto.»
    Non ebbe bisogno di dire altro, i Veggenti si avvicinarono.
    «NO!» gridò Courtney ed incredibilmente loro si fermarono.
    Si aprirono per lasciar passare Romeo che la raggiunse, la  afferrò per le spalle e la strattonò fino a portarla tanto vicino a lui, che se si fosse sporto avrebbe potuto morderla. «Con quale coraggio ci minacci, dopo che stiamo cercando di correggere i vostri errori?» le ruggì in faccia.
    Courtney deglutì e lo fissò. «Non è un nostro errore, tu hai permesso che accadesse!»
    Passò un secondo in cui Romeo la fissò con tanto furia che Courtney fu seriamente convinta che l’avrebbe picchiata, malmenata o uccisa. Non lo fece, ma poté indovinare che gli costasse fatica controllarsi.
    «Non sono io a dover pensare alla vostra incolumità!» sibilò. «È compito di Zach! Io dovrei volervi assassinare tutti e dovrei essere contento che Lynn si sia massacrata! E invece mi trovo costretto a salvarvi il culo al posto del vostro brillante quanto idiota caposquadra! Non posso pensare a tutto io!»
    Courtney cercò di divincolarsi, inutilmente.
    «Voi ci date la caccia, cercate di ucciderci ed avete anche il coraggio di aspettarvi che siamo leali e buoni. Voi lo siete?» allontanò una mano per indicarle il camion dal quale stavano scendendo le guardie giurate e stava salendo un Veggente. «Per quanto Lynn mi stia personalmente simpatica ha rischiato di morire per permettere ad altri mille Veglianti in tutto lo Stato di avere l’arma giusta per sterminarci. Io dovrei permettere incidenti del genere ogni giorno! Ma noi Veggenti siamo così stupidi!» rifletté amaro. «In fondo siamo gli stessi che cadono nelle trappole omicide di Wodd, giusto? Voi sacrifichereste uno dei vostri pur di ammazzarci, noi ci facciamo ammazzare pur di salvarvi.»
    Courtney rimase in silenzio, con i battiti accelerati ed il respiro frammentato. Romeo infuriato faceva davvero paura, era più imprevedibile del solito.
    «Quindi sai che c’è? Stanotte avrete il tipo di mostri che meritate. Stanotte saremo come voi. Stanotte, visto che mi serve, mi prenderò il sangue di Zach.»
    La ragazza impallidì
    «E tu, mia cara, smettila di comportarti come se fosse colpa mia ed inizia a pensare a cosa ti serve per impedire danni permanenti! Non ve ne andrete di qui tanto presto!»
    Lei lo fissò ancora senza parlare.
    «A meno che tu non voglia lasciare solo lei.» insinuò. «Sarebbe un comportamento molto da Vegliante.» si guardò intorno. «Zach e Jared non sono qui.»
    Questa volta quando se lo scrollò di dosso la lasciò. Si morse il labbro continuando a fissarlo, lui si scostò per lasciarle abbastanza spazio per scappare. «Allora?»
    Courtney guardò Lynn, i suoi occhi dietro la visiera sollevata. Nel suo sguardo c’era la comprensione di chi l’avrebbe perdonata, ma non avrebbe mai potuto farlo, neanche se significava farsi usare come esca. «La gamba.» iniziò. «Mi serve qualcosa per steccarla.»
    «Altro?» le chiese.
    «Ancora non lo so.»
    Le indicò Lynn con un cenno del capo. «Scoprilo.»
    Lo guardò. «Non verrà.»
    Romeo ricambiò il suo sguardo con aria di sfida, mentre recuperava un’auricolare dalla tasca. «Ma certo che verrà, mi basta dirgli che ci sei tu.» rise. «È anche più stupido di noi Veggenti.»
    La ragazza deglutì fin troppo consapevole della realtà. «Lo ucciderai?»
    Romeo tentennò prima di rispondere. «Non dovresti chiedere se ucciderò Jared?!» le chiese di rimando, lei deglutì ed abbassò gli occhi. «Proverò a resistere alla tentazione.»

Lynn urlò per l’ennesima volta. Le sue grida si sovrapponevano a quelle che avevo immaginato e suggerivano alla mia mente: lo sapevi, lo avevi visto, sei una Veggente.
    Mi tappai le orecchie con le mani: no, non lo ero, non lo ero, non lo ero.
    Però perché non avevo detto niente a nessuno? Avrei potuto, Nate mi avrebbe dato retta e se l’avessi fatto per Lynn non avrebbe fatto la spia. Mi ero comportata esattamente come diceva Zach: ero stata una fifona, tanto egoista da lasciare che Lynn venisse ferita pur di non attirare sospetti su di me.
    Lynn era sempre stata tanto carina e gentile con me ed io che forse avrei potuto fare qualcosa… che persona meschina ero!
    Nate era immobile al centro della stanza, ogni grido era un suo sussulto, seguito da qualche parola di incoraggiamento sempre meno credibile. Forse non era tra i loro scopi, ma la tortura di Lynn stava massacrando anche lui.
    «Basta.» sbottò Jean. «Spegni, non serve a niente.»
    «NO!» gridò oltraggiato Nate. «Non posso lasciarla sola.»

Quando il telefono della caffetteria squillò, Zach e Jared si scambiarono un’occhiata incerta. Dopo un lungo momento di assoluta immobilità, Zach si alzò e recuperò la cornetta portandosela all’orecchio, senza dire niente.
    La prima cosa che sentì, furono le grida di Lynn. Urla inumane, che gli fecero gelare il sangue nelle vene: cosa le stavano facendo?
    «La senti?» gli chiese Romeo.
    «Lynn?» dopo poco se ne pentì, ma pregò dentro di lui, pregò che fosse Lynn e non Courtney.
    Jared si alzò e lo osservò aspettando che aggiungesse un soggetto.
    «Stiamo approfittando della tua leggerezza.» rispose divertito. «Per ora torturiamo lei, poi giochiamo un po’ con Courtney. È carina quando si divincola.»
    Zach rimase senza fiato e guardò il suo compagno deglutendo.
    «Non oserete…» avanzò in quella che sarebbe dovuta essere una minaccia, ma sembrava una supplica.
    «Ho osato cose peggiori.» rifletté. «Ricordi quando l’ho baciata.»
    Si, lo ricordava, era la prima notte che era uscito e l’aveva fatto solo perché Courtney era nei guai. Aveva pensato che la volesse, ora sapeva che la stava usando per provocarlo. Gli era riuscito.
    «Secondo me ci sta.» continuò.
    Anche in quel momento voleva soltanto infastidirlo.
    «Cosa vuoi per lasciarle?» chiese cercando di racimolare ogni briciolo di calma.
    Quando perdi le staffe non ragioni e lui ti massacra. Glielo aveva detto Josh, una sera che era più spezzettato del solito: aveva rotto una finestra con la schiena e Courtney stava cercando di togliergli tutti i frammenti di vetro. Josh stava lì per cercare di distrarlo, non sapeva che le dita di lei che percorrevano le sue spalle nude erano già abbastanza. Quindi cerca di tenere la mente calma.
    Per la notte dopo Matt e Lynn gli avevano rinforzato e riparato la giacca, promettendo di farlo presto anche con quelle di tutta la squadra: la sua squadra pensava sempre a lui.    
    «Beh…» iniziò Romeo. «Il Mitronio ce l’ho io, i soldati mi obbediscono, le donne le ho già prese… oh, ci sono!» esclamò. «Ricordarti quanto è fragile la tua misera vita e com’è avere a che fare con Veggenti arrabbiati. Mostrarti com’è quando non riesci a prenderti cura della tua famiglia.» disse con un tono molto più serio e molto più cupo. «Venite qui tutti e due, Jared prende Lynn e Courtney e le porta via, tu resti.»
    «Ok.»
    «C’è qualcuno di speciale che vuoi salutare?» gli domandò ironico.
    Zach pensò a Becky, per fortuna non l’aveva fatta uscire. «Sto bene così.»
    «Ottimo.» convenne. «Tic, tac… Lynn non ha tutta la notte.»
    Riappese la cornetta e guardò Jared, non l’aveva mai visto tanto teso, ma lì per lì non riuscì esattamente a focalizzare perché, pensò semplicemente che fosse preoccupato per le ragazze: era una giustificazione logica.
    «Torniamo indietro. Credo che Lynn non possa muoversi, dovrai portarla in braccio. Court dovrebbe stare bene.» gli spiegò in fretta e con freddezza, una serie di ordini da impartire.
    «Zach?» lo chiamò lui leggendo inquietudine nei suoi occhi.
    «Io resto lì. Penso che Romeo voglia darmi una lezione.»
    Jared lo fissò. «Zach, c’è una cosa che devi sapere.» confessò a capo chino.
    Lo guardò circospetto.
    «Quando non la trovi, Courtney è con me.»
    
Matt spalancò la porta della stanza di Nate e mi guardò. «Andiamo a salvare Zach?» mi propose.
    Tutti e tre lo guardammo, sembrava vagamente sconvolto ed agitato, irrequieto.
    «Zach è in pericolo?» si intromise Jean.
    Matt alzò gli occhi al cielo. «Zach è sempre in pericolo, non sorprenderti, Jean.» la rimproverò. «Scambierà sé stesso con Lynn e Court.» spiegò.
    Sgranai gli occhi sconvolta. Non tutte le mie profezie si erano avverate, c’era ancora una tragedia in attesa di compiersi. Una parte di me cercò di riportarmi indietro: non sei una Veggente!
    «Ma è impazzito?!» guardò Nate. «Devi dirgli di non farlo, di tornare qui. Studieremo una strategia e…»
    «Non posso.» la interruppe lui in un sussurro. «Non chiedermelo.» sembrava sfinito.
    Matt lo osservò turbato per alcuni secondi, poi si rivolse a Jean. «Lynn ha bisogno di andare in un ospedale al più presto, non c’è tempo né per farlo tornare indietro né per inventare strategie.»
    La Responsabile lo studiò. «Come lo sai?»
    Lui le lanciò appena un’occhiata. «Lo so. Non è il momento di chiedersi perché.» tornò su di me. «Sei pronta?»
    Lo ero?
    «Si.»

Jamie Ross guardò Courtney con la felpa di Romeo, aveva usato la propria maglietta per fissare la gamba di una sedia al ginocchio martoriato di Lynn. Immaginò che, se Douquette avesse saputo che una ventina di Veggenti aveva visto la ragazza più nuda di quanto avesse fatto lui, avrebbe dato i numeri. Coprirla era stata una buona idea.
    Trattenne Romeo per una spalla. «Vatti a nascondere.» lo avvisò.
    Lui lo guardò. «Non posso.»
    «Devi.» precisò Jamie. «Guarda che casino che è successo perché sei stato tre giorni senza vedere: non possiamo permettercelo.»
    Romeo tentennò con gli occhi su Lynn.
    «Non costringermi ad ammanettarti.» lo minacciò Jamie serio. «Hai scelto di essere il volto di questa guerra: o diventi immortale o impari a delegare!»
    Non gli disse di non aver scelto niente. Non gli disse che era stato Joshua Lanter a sceglierlo.
    «Iago, ti va di strapazzare Zach Douquette al mio posto?»


perchè mi sono imbarcata in un progetto del genere?
spero davvero, davvero, davvero, che non sia troppo penoso... vi prego, mettetevi una mano sul cuore ed abbiate pietà di me!
vi giuro, io ci ho messo tutta me stessa e continuerò a farlo!
baci

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Capitolo 15
*** 14. Ci servi ancora ***


Capitolo 14 MS fragolottina's time
bentrovate lettrucciole,
vi faccio un riassunto delle puntate precedenti perchè è un po' che non aggiorno e visto che si tratta di una storia con - addirittura?! - una trama, non vorrei che faceste confusione.

nonostante gli avvertimenti di Nate e Becky, Zach decide comunque di cercare di impedire che Romeo boicotti il convoglio che trasporta il Mitronio, sicuro della loro superiorità numerica, visto che una squadra dell'esercito è stata mandata ad assisterli.
in realtà Jean, in seguito ad una telefonata di Wood, scopre che la squadra di soldati guidata da Sharon Sullivan e Jamie Ross è lì per aiutare i Veggenti, non i Veglianti.
i Veggenti staccano la corrente per impedire a Nate di interromperli in alcun modo, Matt viene sequestrato e portato via da Ryan, che altri non è se non Rose Kurtovskij; il palazzo dal quale Courtney e Lynn sorvegliavano il trasporto viene fatto demolire, mentre Zach e Jared riescono a sfuggire da Jamie Ross.
Courtney riesce a salvarsi, Lynn no.
Romeo le trattiene e chiama Zach per proporre uno scambio: lui per le due ragazze.
Jared gli confessa la sua relazione con Courtney.
Matt riappare in caserma e propone a Becky di andarle a salvare Zach.

spero di avervi rinfrescato la memoria!
buona lettura...


14.
Ci servi ancora

Courtney era sdraiata di fianco a Lynn e lei aveva la testa voltata verso di lei, per guardarla negli occhi. Aveva finito per sfilarle il casco: la sua spina dorsale stava bene, lo sapeva e Romeo glielo aveva confermato. Continuava a tenerle le dita strette intorno al polso per essere sicura che il suo battito fosse costante; non aveva niente per rianimarla, avrebbe potuto farle il massaggio cardiaco, e, dio, avrebbero dovuto tagliarle le mani per fermarla o impedirglielo, ma sarebbe stato troppo rischioso.
    «Il fatto che la gamba ti faccia male è buon segno.» mormorò dopo un po’.
    La vide deglutire, poi la sentì inspirare ed espirare come se le costasse una fatica immensa. «Davvero?» chiese in un soffio.
    Annuì lentamente. «Significa che la tua spina dorsale è apposto, guarirai.»
    La gamba era rotta, soltanto un osso che aveva bisogno di essere riposizionato nel modo giusto per potersi riparare da solo, quello che la preoccupava era il resto. Quello che la preoccupava non era necessario che lo conoscesse anche lei.
    «In fretta?» chiese speranzosa.
    Courtney scosse la testa. «Però guarirai.»
    Se Zach fosse venuto in fretta, se il suo cuore non si fosse fermato mentre lo aspettavano, se Romeo e quel Jamie non avessero deciso di essere stufi di aspettare. Da quanti “se” dipendevano le loro vite.
    «Courtney.» la chiamò Romeo.
    «Si.» rispose senza staccare gli occhi di Lynn, senza muoversi. Non voleva per nessuna ragione distogliere l’attenzione da lei, ogni piccolo cambiamento sarebbe potuto essere importante, se avesse avuto abbastanza cura forse avrebbe potuto prevedere quando lo shock avrebbe preso il sopravvento sulla tenacia di Lynn portandola al collasso.
    Non riuscì ad impedirsi di pensarlo: un Veggente in quel momento sarebbe stato molto più utile di lei. Avrebbe saputo con precisione quando e cosa fare. Quella notte avrebbe dato qualsiasi cosa per far parte degli uomini di Romeo.
    «Devo parlarti.»
    Non si mosse. «Non ora.»
    Lui si accucciò accanto a loro e per un attimo Court ebbe paura, la stessa paura di quando si era tolta la giacca e tutti la guardavano, si era tolta la maglietta senza lasciare che essere una ragazza prendesse il sopravvento. Aveva preso il coltello da una tasca di Lynn, non aveva pensato nemmeno per un secondo che avrebbe potuto servirle per difendersi, aveva tagliato la maglietta in tanti lembi. Romeo si era avvicinato e lei si era sentita così nuda da tremare, poi però si era accorta che non la stava guardando, nessun Veggente lo stava facendo, a parte le donne. Romeo si era sfilato la felpa e tenendo sempre lo sguardo basso gliela aveva porta.
    Rispetto, che strana parola da associargli.
    «Quanto tempo?»
    Scosse la testa. «Non lo so.»
    Romeo rimase in silenzio per alcuni secondi, l’aria vibrò come se fosse stata riempita di sussurri. «Lo sai, Courtney.» disse solo. «Quanto tempo?»
    Chiuse gli occhi per non vedere Lynn mentre ci pensava, per quanto tempo il suo corpo sarebbe riuscito a tenere insieme tutti i pezzi rotti? Per quanto tempo avrebbe lottato? Lynn era una combattente, lo era sempre stata.
    «Due ore.» riaprì gli occhi e guardò lei, avrebbe quasi voluto scusarsi.
    «Da adesso o dal crollo?»
    Avrebbe voluto che ci fosse Josh, da qualche parte, ad aspettarli, a cercare il modo di salvarli. A dirle “Bel lavoro, Court” quando sarebbero tornati a casa.
    «Dal crollo.»

Zach chiuse gli occhi prima di attraversare il vicolo che lo avrebbe portato, meno metaforicamente di quanto avrebbe voluto, nella bocca del lupo.
    In realtà sapere che non sarebbe tornato, che tutto quello che era sarebbe finito in quella notte, era quasi confortante. Come quando Courtney gli metteva i punti: gli diceva quanti gli servivano, poi li contava uno per uno, in modo che sapesse sempre quanto mancasse alla fine.
    Era più semplice affrontare il dolore se si aveva la certezza che sarebbe finito presto.
    Aveva cercato di accantonare quello che gli aveva detto Jared e di restare lucido e imperturbabile come un vero caposquadra, come Josh. Non era servito, pensare a Josh in quel momento gli aveva soltanto ricordato che nemmeno lui era stato imperturbabile: era un alcolista, bisognava essere almeno un po’ turbati per bere tanto quanto faceva lui.
    Chiuse gli occhi e prese fiato.
    Sarebbe finito presto.
    «Ok, andiamo.» incoraggiò Jared.

«Siamo proprio sicuri di volerlo salvare?» chiese ancora Nate, gelido. Aveva gli occhi su una mappa di carta di Synt, il vicolo dov’era Lynn era cerchiato in rosso. Per una volta aveva abbandonato il suo palmare ed i suoi computer per tornare ad un più affidabile carta e penna che non lo avrebbe abbandonato al primo sbalzo di corrente.
    Gli lanciai un’occhiata spaventata che dicesse sul serio, ma il suo sguardo era indecifrabile: avrebbe davvero abbandonato Zach al suo destino? Non ero sicura di volerlo sapere.
    «Io devo farlo.» mormorai. Gli ordini di Jean erano stati chiari: “Tu e Nate restate in caserma, mentre Matt recupera Lynn ed io vado ad avvisare l’ospedale del loro arrivo”. Mi chiedevo se si fosse illusa anche soltanto per un secondo che l’avremmo ascoltata.
    Lui mi guardò per pochi secondi, poi distolse gli occhi dai miei. «Io non voglio che altre persone a me care si facciano male per lui.» spiegò. «Josh non ci ha mai messo in una situazione del genere.» ricordò fissando la schiena di Matt che ci faceva strada verso il garage.
    Si voltò esasperato. «Zach non è Josh! Va bene, abbiamo capito. Ma siamo una squadra e nessuno viene lasciato indietro.» premette un pulsante sul telecomando dell’auto e lo sportello del portabagagli si dischiuse. Lo fissò. «Pensi davvero che Lynn lo abbandonerebbe?»
    Nate fu praticamente sul punto di ringhiare. «La mandiamo lì senza un piano!» lo rimproverò.
    «La mandiamo lì con un fucile caricato al Mitronio che è l’unica in grado di usare.»
    Strinsi in una mano la canna, Matt era stato costretto a mettere a punto gli ultimi dettagli di corsa: per i proiettile aveva usato un paio di siringhe monouso rubate dall’infermeria, svuotate del loro contenuto e riempite con Mitronio rubato dall’armeria. Il fucile caricava due colpi per volta, pochi, ma mi aveva dato anche un sacchettino con un paio di munizioni di riserva, il problema era che dubitavo seriamente di poter avere il tempo di ricaricare.
    «E poi lì c’è Zach.»
    Nate alzò gli occhi al cielo. «Come se questa fosse una garanzia.» borbottò sarcastico
    «Lo sappiamo tutti che è un pessimo stratega, ma sotto pressione da sempre il meglio di sé.» mi guardò. «Credo che con lei lì sarà piuttosto sotto pressione.»
    «Ah, quindi la mandiamo lì solo per stressarlo!»
    Matt gli lanciò un’occhiata di rimproverò. «La mandiamo lì perché Zach ha bisogno di aiuto…» iniziò. «Ma non necessariamente di un fucile!» si fermò e fissò gli occhi su di lui. «La domanda è: tu hai intenzione di aiutarci o no?»

«In ginocchio.» ordinò Iago.
    Zach guardò Courtney ed obbedì, la osservò fissarlo, mentre si metteva in ginocchio davanti ad un Veggente.
    «Via la giacca e mani dietro la nuca.»
    Masticò un’imprecazione pensando al coltello di emergenza cucito all’interno, in una tasca segreta, ma obbedì ancora: vedeva Lynn immobile, il pugno stretto tanto da farle tremare i muscoli del braccio. Quanto le faceva male e quanto stava cercando di non darlo a vedere?
    Non era il momento di fare gli splendidi, ma quando Iago gli spinse la canna della pistola fra le labbra, indietreggiare e girare il viso di lato fu più forte di lui. Il Veggente lo afferrò per i capelli e gli tenne ferma la testa, forzando la sua bocca ad aprirsi con poca grazia. «Tu non vuoi che ci sia lei al tuo posto, non è vero?» domandò con un cenno del capo in direzione di Court.
    No, nemmeno se era di un altro.
    «Jared, prendi la tua e quella di Nate.» ordinò sollevando lo sguardo.
    Jared corse, Zach lo vide sfiorare il viso di Courtney velocemente, tanto per accertarsi che fosse davvero lì, prima di chinarsi e sollevare il più delicatamente possibile Lynn, che nonostante la cura non poté impedirsi di lasciare andare un gemito.
    «Ofelia, prendi pure dal nostro eroe tutto quello di cui Romeo ha bisogno.»
    Ed anche se sarebbe finito presto, anche se poteva vedere con i suoi occhi la sua squadra mettersi in salvo, Zach scoprì di avere paura.

Matt si fermò davanti al vicolo proprio mentre Jared e Courtney ne uscivano portando Lynn, li sentii caricarla sul sedile posteriore, li immaginai distenderla.
    «Zach è nei guai.» annunciò lei decisa. «Dobbiamo fare qualcosa.»
    Chiusi gli occhi e strinsi il fucile tra le mani, inspirai profondamente, cercando di sussurrare parole di conforto al mio cuore ed espirai, piano. Matt spinse il pulsante per aprire il portabagagli ed io deglutii. C’era una leva all’interno, se la avessi tirata il portellone si sarebbe aperto, io sarei potuta uscire, sarei potuta andare ad aiutare Zach.
    Però potevo anche rimanere immobile, potevo restare lì, immaginavo che Matt mi avesse infilata nel portabagagli anche per quel motivo: potevo scegliere di non intervenire, scegliere di essere una vigliacca senza che qualcuno avesse potuto incolparmi. Semplicemente nessuno avrebbe saputo che ero lì.
    Aprii gli occhi decisa: non volevo credere di non poter essere più di quello, io ero più di quello.
    Allungai la mano e tirai la leva.
    Non guardai nessuno di loro, soprattutto evitai di cercare Lynn, ero più che certa che avrebbe tentato di fermarmi e non volevo farlo, non era per fermarmi sul più bello che ero arrivata lì.
    Incredibilmente, riconobbi la voce di Courtney urlare un «Aspetta!» che finsi di non sentire.
    Lanciai soltanto un’occhiata a Matt che annuì leggermente, prima di correre dentro al vicolo tenendo ben stretta tra e le mani la mia arma.
    Courtney sollevò la testa dalla macchina. «Dove sta andando?» chiese a Matt.
    «Da Zach.»
    «Da sola?» domandò incredula.
    Spostò gli occhi dal parabrezza a lei. «Non necessariamente.»

Matt e Nate erano stati ottimisti, i Veggenti si accorsero di me molto più in fretta di quanto avevamo sperato. Intimai a me stessa di non prestare loro attenzione. Non mi serviva e di certo non mi aiutava.
    Inizialmente mi seguirono dai tetti dei palazzi, vedevo le loro ombre scorrermi sulla testa. Con grazia iniziarono a scendere sempre più in basso, come se scivolassero semplicemente sui muri, in realtà approfittavano di ogni piccolo appiglio per appoggiarsi e darsi la spinta per saltare di nuovo: immaginavo fosse semplice da fare, quando potevi sapere in precedenza dove e come atterrare per non cadere.
    Mi dissi che non avevo bisogno di troppo tempo per sparare, sicuramente meno di una trentina di secondi.
    Trenta secondi, mi avrebbero concesso trenta secondi?
    In quel momento trenta secondi mi sembravano un tempo interminabile.
    Un Veggente mi si parò davanti alla fine del vicolo, mi fermai di botto a pochi passi da lui registrando tutto quello che vedevo al di là del suo corpo: Zach era inginocchiato a terra con le braccia incrociate dietro alla nuca; il Veggente davanti a lui non era Romeo, ma in ogni caso gli teneva la canna di una pistola in bocca; sotto il gomito destro di Zach c’era una pozza di sangue, non potevo né volevo vedere, ma sospettavo che il suo braccio non se la passasse bene.
    Ignorai sia lui, sia i gemiti di qualcuno che lottava dietro di me. C’era abbastanza tempo.
    Non sei troppo lontana, Becky, mi dissi. Non lo ero davvero… forse sì, ma se potevo vedere il mio obbiettivo potevo anche colpirlo: mi sistemai il calcio addosso e sollevai la canna. Sapevo che nel progetto originale c’era anche un mirino termico, ma in fondo non mi serviva, perché io potevo sparare ad un Veggente.
    Il tipo di fronte a me si sistemò meglio, in modo da precludermi ogni visuale ed essendo alto il doppio di me la cosa non gli risultava difficile, ma non mi serviva vedere subito.
    Puntai al Veggente che mi sbarrava la strada ed appoggiai il dito sul grilletto, lui non si mosse ed ebbi il tempo di chiedermi se non lo facesse perché dubitasse che avrei fatto fuoco, o perché credesse che quella missione fosse più importante della sua stessa vita. I Veggenti credevano in quella causa, tutti, senza esclusione alcuna, con la stessa intensità e determinazione di Romeo.
    Anche io credevo così tanto nella mia?
    In quel momento non importava, l’unica cosa che avesse significato era Zach in ginocchio ed il suo braccio che sanguinava.
    Premetti il grilletto.
    Il Veggente strizzò gli occhi.
    Il colpo non partì.
    Fissai il fucile nel panico, gocciolava una sostanza verde e vischiosa, la canna ed il caricatore non dovevano essere ben allineate perché la fiala ci si era infranta contro, sputando fuori una cascata di schegge di vetro, taglienti, ma decisamente non letali.
    Il Veggente riaprì gli occhi e sorrise: l’aveva visto.
    Quanto tempo avrebbe impiegato per raggiungermi?
    Aprii il caricatore come mi aveva insegnato Matt, una fiala era ancora lì integra; studiai al volo la canna, anche in quel modo si vedeva che era storta, se Matt avesse avuto tempo se ne sarebbe accorto. Dietro di me i passi erano sempre più vicini.
    Non potevo lasciarmi spaventare.
    «No! Fermala!» urlò Romeo, era lui che mi stava inseguendo.
    Avevo bisogno ancora di tempo!
    Strinsi calcio e canna tra le mani e cercai di piegarlo, inutilmente, non ero così forte. Romeo riuscì a raggiungermi, mi afferrò per i capelli e mi strattonò all’indietro. Il fucile mi cadde di mano e volò a terra, l’altro Veggente lo calpestò senza troppi complimenti, pronto a dare man forte al suo capo.
    Lo calpestò nel punto giusto.
    Romeo lasciò la presa perché qualcuno riuscì a colpirlo, mi voltai appena per vedere chi e riconobbi Courtney. Mi lanciò solo un’occhiata. «Muoviti!» mi gridò.
    Mi accucciai per sfuggire al secondo Veggente tenendo gli occhi ben fissi sul mio fucile, lo raggiunsi perché lui era troppo occupato a cercare di liberare Romeo piuttosto che fermare me; quando lo ebbi afferrato però, la sua presenza di spirito gli permise comunque di afferrarmi un braccio e tirarmi indietro.
    Allungai il braccio armato davanti a me, non era il modo di mirare, né di sparare, ma era l’unica possibilità che avevo. Cercai di tenere il fucile il più fermo possibile sul mio bersaglio e feci fuoco.
    La siringa filò via dal mio fucile mezzo secondo prima che Romeo mi si buttasse addosso.
    Sia lui che l’altro Veggente si fermarono guardando verso Zach e l’altro.
    «No.» mormorò Romeo ancora aggrappato alle mie gambe.
    Il braccio destro era rimasto schiacciato sotto il mio corpo ed aggrappato al fucile, era un nodo pulsante di dolore. Mi divincolai per liberare il braccio quando Romeo mi lasciò per correre a soccorrere il suo amico.

Zach guardò il Veggente accasciarsi, poi Romeo raggiungerlo per sostenerlo. All’inizio non capì, l’agitarsi che aveva sentito dietro di loro non era stato reale quanto il sapore del metallo e dell’olio lubrificante della pistola.
    Il braccio di Iago ricadde lungo il suo fianco, il pugno si aprì lasciando rotolare una fiala sporca di liquido scuro verdastro, vischioso, niente a che vedere con la bella punta di verde di cui erano cucite le loro giacche, ma pur sempre Mitronio: Becky.
    Fissò gli occhi su Romeo, scoprendoli ad aspettarlo, a rivelargli tutto quello che aveva bisogno di sapere.
    Becky era pericolosa.
    Becky aveva ucciso un Veggente.
    Becky un gradino sopra di lui tra le persone che Romeo avrebbe ucciso.
    «Non ti permetterò di salvarla.»
    Zach corse via.

«Lynn è con noi.» disse Matt non appena Nate rispose al cellulare. «Aiuta Becky.»
    Nate uscì dalla caserma portando con sé soltanto un cacciavite ed il suo pc, sapeva che nessuno l’avrebbe ostacolato.
    La centrale elettrica era la sua destinazione.
    
Il Veggente che aveva cercato di fermarmi riuscì a colpirmi prima che Courtney si mettesse in mezzo per difendermi; crollai a terra come una bambolina di pezza con la testa che pulsava per la botta.
    Immagazzinai frammenti di tutto.
    Zach che si buttava addosso al Veggente per scansarlo; le sue mani decisamente indelicate e frettolose, strapparmi il fucile e cercare di mettermi in piedi alla meglio.
    «Dobbiamo portarla il più lontano possibile di qui.» disse prima che lui e Courtney mi prendessero per trascinarmi fuori dal vicolo.
    Un gruppo di Veggenti ci aspettava, troppi per tre Veglianti dei quali una ero io; per evitarli Zach e Courtney svoltarono bruscamente verso sinistra rinfilandosi in un'altra stradina con una stretta curva a gomito che passava dietro la mia caffetteria. Non sapevo dov’ero, ma sapevo che i Veggenti ci stavano raggiungendo.
    Proseguimmo ancora per qualche metro fino ad un palazzo dall’aria fatiscente; Courtney diede un calcio alla porta che cedette e mi spinse dentro, voltandosi subito dopo per aiutare Zach a tenere a bada i Veggenti. «Va’ avanti!» mi gridò un secondo prima che Romeo si parasse davanti all’uscio.
    Chiuse la porta, la inchiavò ed incastrò una sedia sotto la maniglia.
    Indietreggiai piano fino ad un muro, terrorizzata e dolorante. Lui mi raggiunse e mi prese per il collo tenendomi ferma, immediatamente sollevai le mani, per afferrargli il braccio ed allontanarlo, ma non appena lo strinsi capii che ogni mio tentativo sarebbe stato inutile: il suo braccio era forte, duro e fermo come il suo sguardo dalle iridi pallide.
    «Ti daranno una medaglia.» mormorò. I suoi occhi erano cerchiati di rosso, aveva pianto.
    Synt si illuminò, mentre alcuni colpi iniziarono a piovere sulla porta.
    «Sarai un’eroina, nessuno ti dirà la verità, quindi lo farò io.» mi strinse la gola più forte, avvicinandosi al mio viso. Inaspettatamente il suo odore mi portò lontano da lì, ma non da lui. Lo vidi ridere, sorridermi, porgermi una balestra, mettersi tra me e qualcun altro per impedirgli di farmi del male.
    «Io e te diventeremo amici.» mormorai, graffiandomi la gola per allontanare le sue dita, inutilmente.
    Il suo sguardo si assottigliò e per un attimo lo vidi titubare. Solo un attimo. «Non contarci troppo.» intimò prima di tornare a stringere. «Sei un’assassina, tu hai ucciso un uomo, non un Veggente.» ringhiò velenoso.
    Per un secondo lo shock prese il sopravvento: l’avevo ucciso? Io non volevo, volevo soltanto liberare Zach.
    «Avrebbe potuto avere una famiglia, una moglie, un figlio, se tu non avessi deciso di mettere fine alla sua vita.»
    «Mi-mi dispiace.» sputai, mentre il collo iniziava a farmi davvero male.
    «La sua pistola era scarica!» urlò dando un pugno al muro dietro di me.
    Tremai.
    «Non ha mai voluto ucciderlo, non ha mai voluto uccidere nessuno di voi e non l’ha mai fatto. Zach meritava di morire mille volte più di lui. Tu meriti di morire più di lui.»
    Scossi forte la testa. «Nemmeno io volevo.»
    «Ma l’hai fatto.» mi ricordò un capo d’accusa che pendeva, come una ghigliottina, sopra la mia gola. «Tu l’hai ucciso.»
    Avrei voluto rispondere di non aver mai saputo di poterlo fare, ma sarebbe stata una bugia e lui lo sapeva.
    Romeo mi studiò ed allentò leggermente la presa, interessato a quello che potevo avere da dire; lanciò un’occhiata alle proprie spalle, alle porta che tremava sotto quelle che dovevano essere spallate di Zach o altri calci di Courtney. Sapevo cosa stava pensando perché lo pensavo anche io: aveva poco tempo.
    «Ucciderti o non ucciderti?» si chiese con noncuranza. «Ogni volta scegliere è più difficile.»

Zach guardò in su, a circa tre metri c’era un buco nel muro, sembrava abbastanza grande perché Courtney riuscisse ad entrarci e passare di là. Non ebbero nemmeno bisogno di parlarsi: Zach si accucciò unendo le mani e Court ci appoggiò il piede per spingersi su.
    Saltò dall’altra parte e sbloccò la porta.
    Zach si precipitò dentro, afferrò Romeo per le spalle e lo tirò via.
    Scivolai a terra tossicchiando e recuperando ossigeno, Courtney mi fu subito vicina, mi aiutò ad alzarmi e guardò Zach troppo preso a trattenere Romeo.
    «Portala via di qui, Court.»
    «Ma tu…»
    «SUBITO!» ruggì.
    Courtney obbedì.
    Romeo gli diede un pugno e lo sbatté a terra, era più veloce e pratico ogni secondo che passava: l’indebolimento da Mitronio era quasi finito.
    Gli fu addosso immediatamente senza lasciargli tempo per pensare o per cercare il modo di scappare. Lo colpì ancora ed ancora. I pugni di Romeo quel giorno erano più dolorosi, più duri, più cattivi e puntavano a fare danni: non c’era modo né di pararli né di schivarli. Lo prese a calci e Zach fu costretto a rannicchiarsi su sé stesso per tenersi insieme prima che gli piantasse le dita nel braccio, dove Ofelia lo aveva tagliato; non poté impedirsi di urlare, cercando di strappare alla sua presa la carne martoriata.
    Ne approfittò per sedersi su di lui, lo afferrò per la maglia all’altezza delle clavicole, lo sollevò di pochi centimetri e lo sbatté di nuovo a terra, per alcuni secondi la botta alla nuca lo accecò per il dolore.
    In qualche modo, divincolandosi, riuscì a mettere le gambe tra i loro corpi e spingerlo via, indietreggiò strisciando e rannicchiandosi con la mano a tenersi chiusa la ferita al braccio.
    «Tu sei come tutti gli altri Veglianti e anche lei.»
    Zach deglutì senza avere il coraggio di alzarsi, sentiva in bocca il sapore del sangue, ma non sapeva da dove venisse. In genere quando si trovava in guai come quelli interveniva Josh, Romeo non si era mai permesso di attaccarlo, lo rispettava davvero.
    «Josh aveva capito.» gli spiegò. «Tardi, ma aveva capito. Tu non sei come lui.»
    Lo sapeva, dio, se lo sapeva. Cosa credeva Romeo? Che avesse mai pensato di essere alla sua altezza? Non lo aveva fatto, nemmeno per un secondo, non sarebbe mai stato altrettanto forte, altrettanto lungimirante, altrettanto attento, altrettanto pronto a salvarli in modo efficiente. L’unica cosa che sapeva fare Zach, era darsi a Romeo in cambio ad altri, ma non aveva mai pensato a cosa sarebbe successo se ad un certo punto non lo avesse più voluto.
    Cosa avrebbe fatto ora che Romeo era più interessato alla cheerleader che a lui?
    Romeo fu pronto a farsi sotto di nuovo, molto prima di quando Zach sarebbe stato pronto a difendersi.
    Sharon Sullivan lo tirò dietro di lei e si prese il suo pugno, Jamie Ross gli trattenne le braccia per evitare che colpisse ancora.
    Fissò Zach negli occhi e sospirò. «Ci servi ancora, ragazzo.»
    Romeo diede una gomitata allo stomaco di Jamie e lui barcollò all’indietro per il dolore. «Non puoi farlo.» gemette tra i denti.
    Zach si tirò in piedi, pronto ad aiutarlo; Veggente o non Veggente non sembrava avere in programma di ucciderlo, quindi voleva considerarlo dalla sua parte, ma Sharon lo tirò via per un braccio. «Non essere ridicolo, non puoi fare niente.» lo rimproverò.
    Li guardò combattere ad un livello che lui non avrebbe mai raggiunto. Anzi, non era proprio così, lui aveva saputo combattere in quel modo, da ragazzino, ed anche in quel momento sapeva come avrebbe dovuto muoversi, quando schivare, come colpire, però era anche consapevole che il suo corpo non sarebbe stato in grado di seguire i suoi pensieri. Era lento, tristemente, spaventosamente lento.
    «Perché?»
    Sharon lo fissò combattuta, lanciò un’occhiata a Romeo, poi tornò a guardarlo più determinata. «Perché le vostre mele fanno veramente troppo schifo, per essere di serra.» gli diede una spinta. «Ora fila via.»

Nate aveva ripreso il controllo delle luci ed i lampioni ci crearono un percorso luminoso per indicarci quale strada seguire, non capimmo perché finché la macchina di Matt non si fermò davanti a noi, ma questa volta alla guida c’era Jean.
    «Di corsa.» disse soltanto.    
    Noi obbedimmo infilandoci entrambe nel sedile posteriore. Realizzai che Courtney mi stava tenendo per mano solo quando fummo entrambe sedute. La strinsi a mia volta, per avere qualcosa a cui aggrapparmi. Senza parlare né guardare, recuperò un kit di pronto soccorso da sotto il sedile ed iniziò ad avvolgermi il polso in una benda: quando se ne era accorta?
    «Sbaglio o qualcuno non ha obbedito agli ordini?» mi rimproverò. Io rimasi zitta, rispettavo Jean, era in gamba, ma non avrei potuto restarmene in caserma mentre tutti gli altri si affaccendavano per salvare i nostri compagni.
    «Come sta Lynn?» chiese senza prestare attenzione a quello che le sue mai facevano.
    Jean partì sgommando. «La stanno operando. Dov’è Zach?»
    Lei deglutì e sbatté le palpebre velocemente. «Possono salvarla?»
    La Responsabile la osservò attentamente dallo specchietto retrovisore, poi annuì. «È stata portata in ospedale in tempo.» il suo sguardo si spostò su di me. «Posso portarvi in caserma o deve vedere un medico anche lei?»
    Courtney mi prese il viso tra le mani e mi studiò, poi mi tastò la testa trovandoci solo un bernoccolo.
    «Chi c’è in ospedale?»
    «Jared è di guardia alla sala operatoria di Lynn.»
    «Nate?»
    Jean si morse il labbro. «L’ho perso.»
    Io e Courtney la fissammo. «Portaci in caserma, Zach avrà bisogno di punti quando tornerà e antibiotici.»
    Jean la studiò, ma non corresse il suo “quando” con un “se”.

Jamie e Romeo erano seduti sul parapetto di un palazzo, entrambi con un fagotto di ghiaccio sul viso, entrambi in silenzio. Osservavano i lavori degli altri che recuperavano il corpo di Iago e lo pulivano. Di Ryan non c’era traccia, Romeo si appuntò di cercarla.
    Nessuno dei due sapeva cosa dire, Iago era stato accanto a loro per così tanto tempo. Romeo si chiese se avesse visto la sua morte, se quando gli aveva proposto di strapazzare Zach al suo posto ed aveva risposto di sì, come sempre, sapesse come sarebbe andata a finire. Avrebbe potuto evitarlo?
    Davvero la propria vita valeva più della sua?
    Nessuno lo aveva incolpato della sua morte, quindi, probabilmente credevano tutti di sì.
    «Mi hai quasi ammazzato.» si lamentò Jamie Ross.
    Lui assottigliò lo sguardo. «Non era te che volevo uccidere.» precisò.
    «Romeo, te ne saresti pentito, mille e mille volte.»
    «Per ora mi sono soltanto pentito di non aver fatto fuori la ragazzina quando potevo.» precisò. Perché non l’aveva fatto? Speranza, follia, entrambe. Diciassette anni, una bambina soldato, se avesse saputo la verità avrebbe sparato? Quanto si poteva incolpare lei e quanto la sua ignoranza?
    «Cosa farai ora?»
    Per alcuni secondi rimase in silenzio, riflettendo. La sua mente era di nuovo affollata di possibilità, visioni, strade; la vide sorridere, la vide piangere, la vide puntargli un fucile contro senza sapere se avrebbe premuto il grilletto o no. La vide accettare i suoi ordini, eventualmente.
    «Non posso permettermi di lasciarla uccidere Veggenti come se niente fosse.» spiegò. «Devo renderla innocua.»
    «Puoi farlo senza ucciderla?»
    «Ancora non lo so.»
    Si alzò in piedi e si voltò diretto chissà dove.
    «Dove vai?»
    «A parlare con il ragazzo.» rispose sventolando una mano in segno di saluto.

Nate sfilò tutti i cavi dal proprio portatile e li sistemò di nuovo dentro la cassetta della centrale elettrica. Quando sentì un tonfo alle proprie spalle non si lasciò turbare: Lynn era in ospedale sotto mani esperte e la stretta sorveglianza di Jared, Becky e Courtney avevano seguito le briciole di pane fino ad incrociare Jean, Zach… non riuscì ad arginare la rabbia e se ne vergognò perché non era da lui: Zach per una volta si sarebbe arrangiato!
    Se proprio ci tenevano, a quel punto i Veggenti potevano anche attaccarlo, era tutto in ordine.
    Incrociò lo sguardo di Romeo contrito, era immobile sulla passerella che portava ai comandi centrali della costruzione. Nate lo fissò per alcuni secondi e lui sollevò i palmi per mostrarsi disarmato.
    «Sono qui per scusarmi.»
    Nate continuò ad osservarlo senza dire niente.
    «Non l’ho vista.» disse, così sincero da disarmarlo di ogni intento bellicoso. «Non l’abbiamo vista, non le avremmo mai fatto del male intenzionalmente: Lynn piace a tutti.»
    «Perché?» sussurrò con un groppo in gola.
    «Cosa?»
    «Perché vi piace?!» gridò stravolto. «Non deve piacervi è una Vegliante, una Vegliante brava.»
    Romeo lo osservò togliersi gli occhiali ed asciugarsi gli occhi senza fare commenti. «Però ci piace.»
    Nate scosse la testa con un sorriso amaro e si infilò di nuovo gli occhiali. «Vuoi attaccarmi?»
    Fece di no con la testa e si scansò per lasciarlo passare.
    «Allora vado a vedere come sta la mia fidanzata.»
    «C’è una macchina accesa qui fuori.»
    Nate lo superò. «Non puoi comprarmi con un passaggio.» disse senza fermarsi.
    «Lo so, ma, Nate?» lo chiamò.
    Lui si fermò, ma senza voltarsi.
    «Noi non abbiamo ucciso nessuno, di nuovo.»
    Assimilò quel commento e rallentò. «Mi dispiace per la vostra perdita.»

Zach si fermò davanti ai cancelli della caserma tenendosi il braccio, si era strappato un pezzo di t-shirt per fasciarlo e sembrava che il sangue si fosse un po’ fermato.
    Scoprì di non avere il coraggio di entrare, non voleva che gli altri lo guardassero, lo vedessero; aveva fallito, aveva fatto un casino: Lynn era ferita, Courtney era stata presa in ostaggio, Becky aveva ucciso un uomo in pigiama. Aveva permesso che Lynn venisse ferita, Nate non lo avrebbe mai perdonato.
    Jared e Court stavano insieme.
    Lo sentì dentro, il mondo che andava in frantumi, un castello di sabbia costruito sul niente: niente di solido, niente di vero. C’era stato un solo pilastro, si chiamava Joshua Lanter, caduto lui non rimanevano che detriti.
    Si rannicchiò su uno degli scalini d’ingresso della caserma, il braccio ferito allungato sul suo fianco.
    Tutto il resto sarebbe potuto scivolare per un po’.
    Si svegliò perché qualcosa lo punse.
    Courtney era seduta sullo scalino sotto il suo, teneva una torcia tra i denti ed aveva un kit per suture davanti a lei. Le bende con le quali si era fasciato alla meglio erano accumulate accanto a lui e puzzavano di qualcosa di familiare che però non seppe individuare.
    «Antibiotici.» spiegò farfugliando buttando via la siringa con la quale lo aveva puntò.
    La guardò, lei non si lasciò distrarre.
    «Non dovresti stare qui, Jared non ne sarà contento.»
    Lei non si mosse e quando provò a ritirare il braccio gli piantò le unghie nella mano. Si tolse la torcia dalla bocca e lo fissò, ferma e gelida. «Sei ferito, io mi occupo dell’infermeria: Jared non potrà mai impedirmi di fare il mio lavoro.» annunciò imperturbabile. Lei lo era davvero. Per alcuni secondi continuò a fissarlo per vedere se avrebbe ancora opposto resistenza, quando capì che sarebbe rimasto immobile gli porse la torcia perché la tenesse al suo posto.
    Zach liberò l’altro braccio per farlo.
    Courtney sospirò. «Non avrei voluto, mai.» si morse le labbra. «Non ho scelto lui, io avevo scelto te. Dopo che tu mi hai rifiutata…»
    «Non ti ho rifiutata.» precisò Zach.
    Lo guardò, ma senza accusa. «Si, l’hai fatto. Avresti potuto affrontare tutto quanto con me al tuo fianco, hai scelto l’unica strada che mi avrebbe esclusa.»
    «Ho avuto paura.» confessò.
    «Anche io. Non so dirti come è successo, non so quando guardare Jared ha iniziato a farmi sentire bene, non ti so spiegare perché essere guardata da lui mi metteva di buonumore.»
    Zach la studiò, era bella, bellissima come la prima volta che l’aveva vista, perfetta. Di un altro. «Sei innamorata di lui?» le chiese semplicemente.
    Lei lo guardò e sospirò. «Non lo so, sto cercando di capirlo.»
    «Sei innamorata di me?»
    Courtney lo fissò e gli sembrò così stanca. «Perché tu credi di essere innamorato di me?»
    Zach rimase in silenzio e lei riprese a lavorare sul suo braccio.
    «Lei come sta?»
    «Turbata.» gli lanciò un’occhiata. «Dovresti andare a ringraziarla.»

Matt scese dall’ospedale e si diresse alla macchina. Jean era lì, Lynn al sicuro, voleva andare a vedere come se la passavano in caserma, come stava Becky. Per cinque minuti si trovò ad odiare di nuovo Zach, se l’avesse portata fuori prima del trasporto per lei non sarebbe stato tutto così drammatico; avrebbe collaborato con loro, sarebbe stata estremamente d’aiuto perché era brava e magari quella notte le cose sarebbero andate in modo diverso.
    Guardò Rose, appoggiata con la schiena alla macchina. Teneva il fucile che aveva costruito per Becky tra le mani ed aveva la maschera bianca dei Veggenti di Romeo infilata nel braccio.
    Matt si avvicinò, sarebbe dovuta essere molto più di una Veggente per fargli avere paura di lei.
    Lei allungò le mani e gli porse il fucile. «L’ho trovato.» disse solo, senza balbettare.
    Il ragazzo lo prese e lo guardò, era appiccicoso di Mitronio, del colpo che Becky aveva sparato, ma non aveva funzionato.
    «Mi hai venduto il pezzo sbagliato, vero?» le chiese studiando la canna.
    Annuì lentamente. «Avrebbe ucciso due dei miei.»
    «Sarebbe potuta morire lei stessa.»
    Rose lo guardò ad occhi sgranati. «No, non se si poteva evitare.»
    Lui la studiò tutta, era sempre lei eppure era completamente diversa; con Nate aveva passato notti intere a pensare come catturarla, distrarla e… cristo, non voleva nemmeno dirlo, ma sapeva che qualche volta la parola uccidere era venuta fuori. Se l’avesse fatto? Se ci fosse riuscito?
    «Sei una Veggente.»
    Per un attimo sembrò sorpresa quanto lui dalla cosa, poi strinse le labbra. «Lo dirai agli altri?»
    Matt chiuse gli occhi e lasciò cadere la testa all’indietro: lui veniva dalla campagna, la sua famiglia si occupava di agricoltura, erano così lontani da quello schifo che la frutta sapeva ancora di frutta; lui aggiustava i trattori, le sue sorelline si davano il cambio sull’altalena. Non aveva mai chiesto più di quello che aveva ed era per questo che Rose gli piaceva tanto: una ragazzina timida che lavorava per suo padre, che non c’entrava niente con tutta la merda di Synt. Avrebbe compiuto ventisette anni, sarebbe stato congedato, avrebbe chiesto la sua mano a suo padre e l’avrebbe portata via con lui e sarebbe stato tutto perfetto.
    «No.» la rassicurò. «Ma dovrò cambiare ferramenta.»
    Rose annuì e si allontanò. Tutti e due conoscevano il significato di quelle parole: non c’era più tempo per loro.

Ero un’assassina.
    Rimasi ferma sotto il getto della doccia e mi guardai le mani. Sapevo che sarebbe morto? Non trovavo una risposta che mi convincesse, la realtà era che non c’avevo nemmeno pensato. Tutta la mia concentrazione era per Zach in ginocchio davanti ad un Veggente che gli teneva una pistola in gola, tutto quello a cui avevo pensato era stato: devo eliminarlo. La mia mente, però, non mi forniva dati per sapere se avevo avuto intenzione di eliminarlo in modo definitivo oppure no.
    Volevo saperlo?
    Sentii lo scatto della porta che veniva aperta troppo bruscamente ed spalancai gli occhi spaventata: Romeo voleva in una certa misura uccidermi, ero sicura che la sua capacità di penetrare nella caserma e strangolarmi fosse direttamente proporzionale a quella misura.
    Afferrai l’asciugamano che Courtney mi aveva lasciato appeso al gancio all’interno della cabina e mi ci avvolsi passandomelo sotto le braccia.
    Uscii e guardai verso l’entrata. Zach era lì, fermo.
    Aveva lividi ovunque, sulle braccia, sul viso, intorno al naso; sul labbro superiore gli si apriva un taglio, scuro per la tumefazione.
    Mi lanciò solo un’occhiata, poi distolse lo sguardo realizzando che ero nuda. Coperta, ma comunque nuda.
    «Scusami, Court non mi ha detto che eri sotto la doccia.»
    «Mi ha salvato la vita.» dissi incerta, per alcuni secondi quella rivelazione mi aveva piuttosto scioccata, ma lo aveva fatto davvero. Anche se probabilmente mi odiava, anche se l’avevo minacciata di spifferare a Zach il suo segreto; forse avrei dovuto rivalutare la considerazione che avevo di lei.
    Zach mi guardò solo il viso, senza malizia. Lo vidi studiare il mio polso fasciato ed insacchettato in una busta di plastica per non bagnarlo. «Tu hai salvato la mia.» fece un passo verso di me e mi accorsi che zoppicava, però non mi mossi. Nemmeno quando mi sollevò il mento con le dita e mi studiò il collo. Avevo dei segni anche lì perché Romeo era stato effettivamente intenzionato ad uccidermi, ne aveva tutte le ragioni.
    Si chinò per guardarmi più da vicino e mi sfiorò la gola. Lontano, slegato da ogni triste pensiero, da ogni tormento, da ogni senso di colpa mi trovai a desiderare le sue labbra sulla mia pelle così ardentemente che potevo dare forma a quel desiderio. Potevo dargli sapore, consistenza. Potevo vederlo.
    Mi morsi il labbro inferiore e la voglia di piangere fu più potente di qualsiasi cosa: non c’era conforto, non avevo conforto e non lo avrei avuto in futuro.
    Mi sfuggì una lacrima, Zach si sollevò e mi guardò. «Ti ho fatto male?»
    Scossi la testa e mi asciugai gli occhi con la mano che non stava tenendo l’asciugamano al suo posto. «Ho ucciso un uomo.»
    «Lo so.»
    «Come me.» quell’ultima affermazione mi costrinse ad un pianto a dirotto. Io non credevo in quella causa, non la capivo. Era davvero necessario massacrarci tra di noi? Davvero non c’era altra soluzione? Perché avere una buona mira doveva trasformarmi in un’assassina?
    Zach si sollevò un poco per arrivare a poggiare la fronte contro la mia; poi scivolò più giù, la mia guancia umida di pianto contro la sua leggermente ruvida per la barba. «Grazie.» sussurrò al mio orecchio.


che dire?!
in realtà ho un po' paura perchè - come sempre, Fragolottina stai diventando noiosa - sono preoccupata di non riuscire a rendere l'idea della scena d'azione... non sono ancora molto brava!
quindi, nel caso sia proprio un pasticcio, perdonatemi!
baci

ps. Lamponella

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Capitolo 16
*** 15. Fallimento ***


MDS capitolo 15
fragolottina's time
mie care lettrucciole, come state?
dunque per forza di cose, inevitabilmente, questo capitolo doveva essere ed effettivamente è un capitolo di passaggio... non per questo non usciranno fuori cose interessanti... anzi, ve ne segnalo addirittura 2, quindi attenzione!
in realtà con questo capitolo si chiude una prima parte del testo, dal prossimo ci sarà una netta differenza sia negli intenti che nelle modalità di approccio dei Veglianti... succederanno tante cose, ma proprio tantissime!
spero di essere al giro di boa, spero di cavarmela con 30 capitoli secchi, 31 con l'epilogo, toh!
lo spero, ma non ne sono sicura...
oh, ma non disperate... non è che una trama del genere si può ridure solo ad un racconto... vi annuncio per la prima volta che Il Mitronio di Synt è la prima puntata di una trilogia!
a più giù...

15.

Fallimento

Nate raggiunse Jean in ospedale e si sedette accanto a lei, su una delle sedie di plastica fuori la stanza di Lynn. Jared era dentro seduto in angolo e sfogliava con falsa attenzione una rivista, lo conosceva bene e sapeva che per niente al mondo avrebbe rischiato di addormentarsi e lasciare una compagna ferita indifesa.
    «Mi hai spaventata.» lo rimproverò Jean.
    «Dovevo aiutare Becky e Courtney.» spiegò incolore.
    Jean sospirò, non ricordava di essersi mai sentita tanto stanca in vita sua: il fallimento dei suoi Veglianti era anche il suo fallimento. «Dobbiamo parlare di Lynn.»
    Nate chiuse gli occhi e si appoggiò allo schienale della sedia, la nuca contro il muro, prevedendo cattive notizie. Per avergli introdotto la questione in modo tanto grave non potevano essere buone. «Ti ascolto.»
    «I danni interni sono stati riparati, fortunatamente è arrivata in ospedale in tempo. Era ridotta male.» fece una pausa a discrezione del suo ascoltatore. Non aveva idea di come avrebbe potuto reagire Nate, ma sapeva come avrebbe reagito lei. «Hanno dovuto intervenire anche sulla gamba, la steccatura di Courtney è stata fondamentale, hanno potuto salvarla, ma aveva comunque una frattura alla rotula e due al femore. Avrà una convalescenza lunga e l’aspettano mesi di fisioterapia.» concluse. «Nate, io intendo congedarla.»
    Il ragazzo prese fiato, come se senza di lei non fosse in grado nemmeno di respirare.
    «Non mi piace che stia qui e non sia del tutto in grado di difendersi. A casa sua sarà al sicuro e potrà riprendersi con calma. Che ne pensi?»
    Si sentiva onorato dal fatto che Jean stesse chiedendo il suo parere, prima di prendere una decisione definitiva. Forse ci stava soltanto sperando, forse l'avrebbe congedata in ogni caso. «Mi sembra la soluzione più logica.» si sporse in avanti fino a poggiare i gomiti alle ginocchia. «Ha bisogno di riposo.»
    Nessuno dei due parlò per un lungo momento, poi Nate si infilò le mani nei capelli e scoppiò a piangere. Singhiozzi enormi e rumorosi e spaventati. Jean allungò una mano e gliela posò sulla schiena senza dire niente.
    «Gli uomini non piangono.» si rimproverò da solo.
    Jean fece una smorfia. «Gli uomini non passano la metà di quello che hai passato tu stanotte in tutta la vita.» si morse il labbro e deglutì. «Josh piangeva a volte.»
    Jean aspettò che si riprendesse, un po’, abbastanza per poter stare nella camera di Lynn senza svegliarla; quella notte aveva bisogno di tutto il riposo del mondo. Socchiuse la porta della sua stanza e subito Jared alzò gli occhi su di lei, pronto ad eliminarla nel caso si fosse trattato di un potenziale nemico: era stato addestrato bene. Meglio di Zach e gli altri, in fondo, lui a Los Angeles c’era, sapeva cosa significava essere un Vegliante di Wood.
    Gli fece un cenno con la testa. «Torna in caserma.» ordinò con gentilezza. «Qui resta Nate.»
    Si alzò silenzioso come un felino, proprio mentre Nate entrava.
    Chiuse la porta e si sedette di nuovo su una delle seggioline fuori. «Vuoi che resti?» le chiese Jared.
    Lei scosse la testa con un sorriso. «Ci penso io.»
    Annuì. «Chiama se hai bisogno di me, d’accordo?»
    Un altro cenno d’assenso prima di rimanere completamente sola.
    Josh che rideva sul tetto della caserma.
    Josh che barcollava.
    Josh che la insultava, legato al letto di un ospedale.
    Josh che le si inginocchiava davanti supplicando il suo perdono per quello che le aveva detto.
    Josh che puzzava di alcol e vomito e Mitronio.
    Chiuse gli occhi e si concesse solo un minuto, uno soltanto, per ricordare Josh che le diceva di amarla.

Ryan era seduta sul tetto di un palazzo davanti alla caserma dei Veglianti, continuava a rigirarsi tra le mani la sua maschera, a capo chino. Romeo la raggiunse e si sedette accanto a lei osservandola; lei non osò incrociare gli occhi con i suoi.
    «Iago è morto per colpa mia.» mormorò.
    Lui sospirò. «Forse. Ma credo che Iago sia morto semplicemente perché gli hanno sparato.»
    «Matt sarebbe morto se si fosse trovato sotto il palazzo al posto di Lynn, l’ho visto.» spiegò, si morse il labbro, poi trovò il coraggio di fissarlo. «Io lo so che per te non è importante quanto Zach o Nate, ma lo è per me. Ed io sono una Veggente quanto te.»
    Romeo la guardò paziente, senza rabbia, senza incolparla. La capiva, tutti loro cercavano di difendere le persone alle quali volevano bene, cercavano di salvare il proprio futuro e Matt faceva parte del futuro di Ryan, anche se in quel momento quello strada era più tortuosa del solito. «Non ti sto rimproverando e probabilmente la morte di Matt non avrebbe migliorato le cose. Almeno Lynn è viva.»
    «Iago però no.» concluse con voce sottile, ad un passo dal pianto.
    Per alcuni secondi la guardò e basta, poi si allungò per afferrarle un braccio e tirarsela vicina, la abbracciò e le diede un bacio sulla testa. «Non fare così.» cercò di calmarla. «Ora dimmi quanto sei nei guai.» la incoraggiò.
    «Matt mi ha riconosciuta.»
    Questo non lo sorprendeva, si frequentavano troppo perché così non fosse. L’unico dettaglio degno di nota in quell’affermazione era che non se ne fosse accorto prima.
    «Credi che farà la spia?» chiese preoccupata.
    «Sai anche tu che non lo farà.» le ricordò.
    Rimase zitta, Romeo sapeva già quello che avrebbe detto e ne indovinò il sapore: aveva quindici anni, era piacevole a volte sentirla parlare da quindicenne. Capitava troppo di rado.
    «Ha detto che cambierà ferramenta.» iniziò. «Non mi vuole più.» piagnucolò.
    Lui sorrise e la abbracciò più forte. «Dagli tempo per accettare l’idea, vedrai che le cose si sistemeranno.»  

Quando Lynn aprì gli occhi, Nate era steso al suo fianco. Per una manciata di secondi pensò che fossero nel suo letto, in caserma, una mattina come un’altra di un giorno come un altro; poi iniziò a sentire il dolore.
    Non un male terribile, appena un fastidio, immaginò di essere ben rimpinzata di antidolorifici, perché ricordava tutto quello che aveva sentito quando era rimasta intrappolata e non poteva essere passato in una notte.
    Si scostò piano il camice e studiò il lungo cerotto che la copriva, lo staccò con attenzione, tirando delicatamente la pelle con le dita; osservò la cicatrice che andava dallo sterno all’ombelico, si morse il labbro, mentre Nate allungava una mano per ricoprirla.
    «Non è molto sexy.» rifletté con voce flebile, poi lo guardò in attesa che dissipasse i suoi dubbi.
    «Sei bellissima, come sempre.» disse semplicemente, senza alcuna incertezza.
    «Zach?» domandò ricordandolo in ginocchio con una pistola in bocca.
    Scosse la testa. «Se sta anche solo un pochino meglio di te lo uccido.»
    Lei aggrottò poco le sopracciglia. «Oh, smettetela di litigare!»
    Nate non si mosse, non la guardò. «Guarda come ti ha ridotta.» mormorò trattenendo la vera furia tra i denti, per non turbarla.
    «Non è stato lui, Nate.» lo rimproverò.
    «Se poteva evitarti tutto questo e non l’ha fatto è stato lui.» precisò.
    Lynn cercò i suoi occhi e lo fissò. «Io sono una gran Vegliante, lo sai. Sono brava quanto lui e Jared, se non un pochino di più e mi ha sempre tenuta in seconda linea; ogni volta mi faceva stare vicino a Courtney, sai cosa significa, vero?»
    Non rispose, abbassò lo sguardo, ma lei non lo mollò. «Ero sempre nel posto più semplice da proteggere, vuol dire che lui mi teneva più al sicuro possibile.»
    «Lynn, lo so.» sbottò Nate, si tirò su a sedere e la guardò. «Quando va alle Aste, Zach sceglie buoni elementi seguendo una logica estremamente precisa: prende quello che gli serve in una squadra. Ed è bravo in questo! Il problema è che poi quella logica dovrebbe applicarla!» sospirò esasperato. «Se hai una campionessa di Aikido la metti in prima linea, se hai un cecchino le dai un fucile, se hai una squadra devi fare lavoro di squadra: è elementare! Noi così non funzioniamo.»
    «Ci vuole bene, non vuole correre il rischio di perderci.» cercò di giustificarlo ancora.
    «Ma non ci sarebbero stati rischi. Pensaci: se avesse nascosto Becky con un fucile da qualche parte avrebbe sparato a Sharon Sullivan ed hai Veggenti che erano con voi. Sareste scappate più in fretta, non saresti caduta.»
    Lynn aggrottò la fronte. «Come fai a sapere tutte queste cose?» le aveva capite a mala pena lei mentre succedevano.
    L’espressione di Nate divenne incerta per un istante. «Non lo so. Comunque, ci sceglie lui, ci chiama lui, è lui che fa spendere soldi su soldi di Jean, poi deve fidarsi di noi.»
    Lynn lo guardò. «Dovresti dirglielo.»
    Nate si sdraiò di nuovo accanto a lei e sospirò. «Domani.»
    «Domani io non sarò qui, vero?» domandò con gli occhi fissi sulla propria gamba ingessata.
    Lui deglutì e scosse la testa.
    Per alcuni secondi la ragazza rimase in silenzio. «Aspetterai che torni?» domandò incerta.
    Nate sorrise. «Cos’altro potrei fare?»
    «Trovarti una nuova fidanzata, per esempio.»
    «Già.» annuì con enfasi. «C’è la fila dietro di me.» commentò con sarcasmo.
    Lynn raccolse la sua ironia. «Oh, quindi stai con me solo perché non hai altra scelta. Proprio carino, davvero!»
    Risero entrambi, fu Nate a smettere per prima. «Sei l’unica ragazza che io possa amare, Lynn.»
    «Anche spezzettata?»
    Nate sorrise e le diede un bacino sul naso. «Soprattutto spezzettata.»

Courtney era seduta davanti alla sua porta, Jared la guardò sollevarsi non appena lo vide. Per alcuni secondi rimase ferma, ma lo guardò tutto, ogni dettaglio, ogni particolare, lividi e graffi che fino a qualche giorno prima non c’erano.
    «Sto bene.» la rassicurò, la scostò con delicatezza per aprire la porta. «Zach?»
    Lei non rispose, si sollevò sulle punte e lo abbracciò.
    Jared rimase interdetto, con i suoi capelli che frusciavano contro la guancia, poi lasciò il pomello della porta e le avvolse la vita con un braccio. «Tu stai bene?» sussurrò.
    Annuì ancora senza parlare.
    «Hai avuto paura?»
    «Per Matt all’inizio, perché non sapevo dov’era. Poi per te e Zach, sarei morta pur di non sentirmi dire che non ti avrei più rivisto. Finché Lynn non è precipitata: ho passato tutto il tempo con lei, terrorizzata di vedermela morire tra le braccia senza poter fare niente.» si interruppe pochi secondi. «Poi per Becky, talmente tanta paura da andare ad aiutarla.»
    Jared rise. «Accidenti!»
    Lei si scostò appena e lui sollevò una mano per tirarle indietro i capelli, aveva l’ombra di un livido sulla linea della mandibola, ma stava bene. «Deve essere stata una scelta difficile per te.»
    Lei si morse il labbro come pensandoci. «No, non lo è stata.»
    La studiò. «Non sei arrabbiata perché ho detto tutto a Zach?»
    Per alcuni secondi lei fissò un punto alle sue spalle, poi scosse la testa e fece un piccolo sorriso. «In realtà mi sento meglio, più leggera.» lo abbracciò di nuovo e Jared colse il rumore ovattato di una porta che si chiudeva furtivamente. «Posso dormire con te?»
    Jared si scostò dalla porta per concederle la precedenza.

Zach richiuse la porta per non farsi vedere anche da Jared e tornò nella sua stanza; scoprì un angolo del materasso, aprì il sacco e frugò nell’imbottitura fino a trovare il pacchetto di sigarette di scorta, legato stretto con il nastro isolante ad un accendino.
    Dischiuse una finestra. Appena arrivato aveva un po’ di claustrofobia, Jean gli aveva chiesto se fosse una condizione permanente; lui le aveva spiegato che era iniziato da quando suo padre, dopo averlo picchiato, lo aveva portato in ospedale dentro il portabagagli della macchina: le costole rotte gli avevano impedito di respirare bene, ma il suo cervello si era intestardito che fosse lo spazio troppo stretto. Quindi, quando era nervoso, avere troppe pareti intorno gli causava qualche problema.
    Jean era impallidita ed aveva dischiuso le labbra, senza parole per alcuni secondi, poi lo aveva rassicurato che se ne sarebbe occupata.
    Josh non aveva detto niente. Lo aveva raggiunto mentre stava disfacendo i bagagli quella stessa sera, si era fatto prestare la mazza da baseball ed aveva sfondato la finestra; poi gliela aveva data indietro: “Domani un tecnico verrà ad installarne una apribile. Per stanotte andrà bene così”, l’aveva indicato. “Se gli venisse in mente di toccarti ancora, spaccherò la faccia a tuo padre” aveva promesso.
    Si sedette lì sotto ed accese la prima, ripensò a quello che aveva detto Sharon Sullivan, che le loro mele facevano troppo schifo per essere di serra e che era quello il motivo per cui era rallentato in modo così drastico in poco tempo.
    Non ci credeva, da ché ricordasse le mele avevano sempre lo stesso sapore: non erano buone, ma erano economiche, perciò, che si trattasse di soldati semplici o Veggenti, erano sempre la frutta favorita. Anche a casa ne avevano mangiate molte, suo padre ne esaltava i valori nutritivi, anche se avevano sempre avuto un sacco di soldi; sua madre però le zuccherava, cuoceva e condiva, finché quel sapore stucchevole non scompariva.
    Si chiese come stava, sua madre. In un modo o nell’altro lui e Sean l’avevano lasciata sola con il signor Douquette. Si chiese di nuovo, ancora, come avesse potuto sposarlo. L’amore agiva in modi molto misteriosi.

Matt mi trovò seduta sul mio letto con gli occhi fissi sul poster di Romeo, su quel bambino che lo stringeva, sullo zainetto che la madre folle gli aveva preparato con la merenda. Premurosa, se non fosse che si era accordata con un fuorilegge per farlo rapire. Mi chiesi se Dawn Dandley fosse mai stata normale, una donna semplice, se fosse stata Synt ad avvelenare la sua mente o viceversa.
    «Tutto apposto?» mi chiese Matt sedendosi accanto a me; la lampada sul mio comodino era accesa e proiettava sul muro davanti a noi le nostre ombre.
    «Sto bene.»
    Si morse il labbro a disagio. «Il mio fucile…» si interruppe. «Mi dispiace, non l’ho ricontrollato, avrei dovuto.» strizzò gli occhi e scosse la testa. «Quello di non ricontrollare è un vizio terribile: non sono dio, a volte posso sbagliare…» sospirò. «Ti saresti potuta fare davvero male, mi dispiace.»
    Mi voltai verso di lui. «Ci siamo dovuti preparare in fretta.» ricordai. «Non avresti potuto fare di meglio.» si era dimostrato letale a sufficienza per permettermi di diventare un’assassina: Matt non avrebbe dovuto mortificarsi così tanto.
    «Ti giuro che lo aggiusterò e questa volta sarà perfetto.»
    Per un secondo rimasi zitta e mi vidi impugnare lo stesso fucile mille volte, uccidere mille Veggenti, assassina ancora e ancora e ancora. Fui sul punto di vomitare.
    «Non voglio.» dissi con voce tremante, deglutii e deglutii ancora cercando di allontanare il pianto. «Non voglio ucciderli, la nostra missione è catturarli, vero?»
    Matt mi guardò ed annuì.
    «Allora, potremmo trovare il modo perché io possa colpirli, senza ammazzarli.» proposi, terrorizzata che non si potesse fare, che il mio destino sarebbe stato guardare l’espressione incredula di un Veggente dopo l’altro, ad un passo dalla morte. «Credi che Zach me lo permetterà?» chiesi.
    Lui sorrise e si strinse nelle spalle. «Anche se ti dicesse di no, il grilletto lo premi tu. Sono sicuro che Nate sappia calcolare la dose giusta di Mitronio da diluire per non far fuori nessuno.»
    Feci di sì con la testa lentamente. «Ok.»
    «Nemmeno io voglio più ucciderli.» sussurrò.
    Mi voltai verso di lui ed attesi che mi spiegasse.
    «Prima che il palazzo crollasse, Ryan mi ha puntato una pistola alla schiena e mi ha portato via. Ha detto che se fossi rimasto avrebbe sparato a Courtney e Lynn.» deglutì. «Poi però mi ha confessato che sarei morto se fossi rimasto sotto le macerie al posto di Lynn.» sospirò. «Però magari mentiva.»
    «Secondo me no.» confessai. «Romeo dice tante cose, ma finora non mi ha mai mentito.»
    Matt si puntellò all’indietro sostenendosi con le braccia. «Romeo non mente, Nate dice che è la sua più grande qualità.»
    La diritta conseguenza di quell’affermazione mi fiorì tra le labbra come se avesse vita propria. «Quindi qualsiasi cosa ha detto a Josh era una cosa vera.»
    Fece una smorfia. «A volte Josh era strano.» concluse senza approfondire i dettagli, senza ammettere o dare voce a quella verità: Romeo poteva non essere direttamente responsabile con la morte di Josh.
    «Che succederà ora?» chiesi.
    Lui ridacchio. «Domani mattina Jean convocherà Nate e Zach e darà loro una bella lavata di capo. Dovranno cambiare qualcosa, Zach si è dimostrato estremamente inefficace nel ruolo di caposquadra e Nate crede troppo nella meritocrazia per accettarlo.»
    Aggrottai le sopracciglia. «Non mi sembra affamato di potere.»
    «Non lo è.» concordò. «Ma lui può fare quello che non ha coraggio di fare Zach.»
    «Cosa?»
    Mi lanciò un’occhiata derisoria. «Dimetterlo.»
    Zach dimesso, mi chiesi come l’avrebbe presa. Non bene, sicuramente, eppure anche io sentivo dentro di me che sarebbe stata la decisione giusta; quello non era il suo ruolo, non era il suo posto, né la strada che ce l’avrebbe portato. Cambiare avrebbe portato benefici a tutti.
    «Sei molto saggio e lungimirante stanotte.» commentai, che ne era del Matt giocoso?
    Si chinò in avanti appoggiandosi alle proprie ginocchia. «Mi sento invecchiato mille anni.»
    Gli posai una mano sul braccio, sembrava davvero sconvolto. «Stai bene?» chiesi preoccupata che avesse trascurato un dolore, una caduta, una ferita.
    Lui scosse la testa ad occhi bassi. «Sai mantenere un segreto?»
    Sembravo destinata a farlo a Synt. «Si.»
    Deglutì. «Ho visto Ryan in faccia.» iniziò. «È Rose.»
    Per la mente mi passarono miliardi di possibili risposte, di eventuali rassicurazioni a cui non avrei creduto nemmeno io, perciò gli dissi l’unica cosa che dalla mia bocca avesse un qualche valore. «Non premerò il grilletto.»

Dawn Dandley iniziò a sorridere ancor prima di aprire la porta, dall’altra parte Jamie Ross la stava aspettando. «Come stai, fratellino?»
    «Affamato.» annuì precipitoso attraversando la porta. «Quella merda che mangiano in caserma non si può assaggiare, mi chiedo davvero come facciano a non accorgersene!»
    «Ti ho preparato dei sandwich.» rispose lei paziente. «Sono in cucina.»
    «Perché vivi in questo schifo?» chiese osservando con le sopracciglia aggrottate la polvere posata un po’ ovunque.
    Lei chiuse la porta alle loro spalle per raggiungerlo. «Ufficialmente sono una donna abbandonata dal marito alla quale è stato rapito il figlio.»
    «Tu e Romeo non siete proprio riusciti ad inventarvi una cazzata migliore?» domandò studiandola. «Questa parte ti invecchia.»
    «È bello averti a casa, Jamie.» rispose sarcastica. Gli fece strada in cucina e tolse un tovagliolo dai un piattino di sandwich. «Com’è andata?»
    Jamie recuperò un panino e lo addentò. «È andata. Solo un caduto, temevo di più.»
    «Immagino lo temesse anche Romeo.» considerò. «E laggiù?»
    Posò il sandwich e si strinse la mani. «Si sta estendendo. Non riusciamo a fermarla, noi Veggenti ce la caviamo, ma gli altri muoiono come mosche. Ne abbiamo provate tante, alcune cure per un po’ sembrano funzionare, ma poi…»
    «Romeo crede che Nate possa farlo.» gli spiegò Dawn.
    «Romeo crede tante cose, ma Nate non sa niente. Non sappiamo come la prenderà, né se starà dalla nostra parte.»
    «Ma tu credi che Nate possa farlo?» insistette lei.
    Lui la guardò arreso. «Lo sai anche tu, Dawn: Nate può fare tutto.»

«Sapete tutti e due perché siete qui.» iniziò Jean.
    Tutti e due la guardarono, Zach spaparanzato sulla poltrona come se non gli importasse, Nate con le braccia strette al petto, più composto, ma con l’aria offesa.
    «Quello che è successo stanotte non dovrà ripetersi mai più.» continuò dura. «Voi dovete collaborare, è questo che si fa in una squadra. Non saranno più accettate discussioni, liti, ripicche, non vi permetterò mai più di mettere in pericolo la squadra perché siete due ragazzini con troppo testosterone in circolo.» si sedette esasperata. «Posso sapere da quando in qua vi è venuta la sindrome del maschio alfa?»
    «Sono il caposquadra.» disse controvoglia Zach. «Non è stata una mia scelta.»
    «Un pessimo caposquadra.» precisò Nate. «Ed una scelta opinabile per chiunque l’abbia presa al tuo posto.»
    Zach gli lanciò un’occhiata di fuoco. «È stato Josh.»
    Nate si voltò a sostenere il suo sguardo. «Josh ha sbagliato.»
Zach fece per ribattere, ma lui lo precedette. «Si è buttato da un grattacielo, era un tipo che a volte commetteva degli errori.»
    «Ma ti ascolti? È stato Romeo, lo sappiamo tutti.»
    «No, invece. Lo sa soltanto lei.» fissò con gli occhi ardenti Jean. «Una volta per tutte: Jean, che è successo quella notte? Tu lo sai, vero, perché Josh si è buttato?»
    La donna li fissò entrambi, poi sospirò. «Non è argomento di questa discussione: Zach, ti sollevo dall'incarico di caposquadra; Nate, divertiti.»
    Zach la guardò incredulo.
    La Responsabile ricambiò il suo sguardo dispiaciuta, ma si ricompose in fretta. «La prima volta che vi vedo litigare, giuro che vi uso come esca.»
    Fu la prima a lasciare la stanza, il secondo fu Nate, Zach rimase lì.

Lo raggiunsi appena dopo averlo saputo, avevo pensato di riposare un po’, tutta la caserma sembrava ancora immersa in un sonno profondo, ma ogni volta che tentavo rivedevo l’ultima espressione del Veggente che avevo ucciso. C’era qualcosa nella sua totale incredulità che faceva apparire il mio gesto ancora peggiore di quello che era, un tradimento enorme, di proporzioni epiche, come una sorella che uccidesse il proprio fratello.
    Non sarei mai più riuscita a dormire.
    «Come stai?» chiesi sedendomi sulla poltrona accanto alla sua.
    Appoggiò la nuca al poggiatesta guardando in su. «Ho fatto ferire Lynn.»
    «Sono sicura che lei non la vedrebbe così.» commentai.
    «Courtney sta cercando di capire se ama Jared.» continuò ignorandomi.
    «Significa che non è tua.»
    Mi guardò indispettito. «Non sono più il caposquadra.»
    Mi strinsi nelle spalle. «Una carica che ti avrebbe portato alla morte più facilmente ti rendeva così felice?»
    «Mi spieghi perché cavolo ti sei messa in testa di consolarmi?» sbottò esasperato.
    Abbassai lo sguardo sulle mie mani, giunte in grembo. «Vorrei che qualcuno consolasse me.» confessai.
    Rimase in silenzio per alcuni secondi, mentre i suoi occhi indugiavano sui miei capelli, che coprivano quasi per intero il mio viso; poi avvicinò la poltrona alla mia finché le sue ginocchia non sbatterono contro l’imbottitura sulla quale ero seduta, contenendo le mie. Si sporse in avanti e mi prese le mani, le sue erano ruvide ed indurite. «A volte va tutto troppo in fretta perché si possa pensare ad ogni dettaglio. Il mondo intero diventa un’unica scelta tra chi vive e chi muore. Se non avessi sparato quel Veggente mi avrebbe ucciso.»
    Lo interruppi. «Ma Romeo ha detto…»
    «Shh!» mi zittì. «Io non sono così presuntuoso da credere di sapere che c’è nella tua testa, va a capire nel tuo cuore! Voglio sperare, però, che se fossi morto io saresti stata mille volte più triste di così.»
    Sarei stata inconsolabile, allungai le dita e sfiorai la benda sul suo braccio, macchiata di sangue scuro. «Sei più bravo di me.»
    «A fare cosa?»
    «A consolare.»
    Fece un sospiro. «Ho anni di pratica.» continuò a studiarmi per qualche secondo pensieroso, giocherellando con le mie dita. «Sei una Vegliante, se uccidi i Veggenti vuol dire che fai bene il tuo lavoro.»
    «Non farmelo fare mai più.» lo supplicai.
    «Devi parlarne con Nate, non dipende più da me.» spiegò paziente.
    Ci pensai. «Credi che Nate riuscirà a non farmi uccidere da Romeo?»
    «Becky.»
    Lo guardai.
    «È il caposquadra, ma io sono sempre qui.» mi rassicurò.

Quando Lynn aprì gli occhi la mattina dopo, la stanza era invasa da una luce soffusa, ma chiara. Sicuramente più piacevole e consolante della lampada sul suo comodino. La notte era passata, il trasporto era passato e, anche se spezzettata, era viva. Lei era viva, quando si riesce a sopravvivere è facile guarire.
    Poi però i suoi occhi incontrarono quelli sbiaditi di Romeo.
    Si immobilizzò, spaventata: davvero erano arrivati a quel punto? Al colpire un nemico costretto in un letto d’ospedale per finirlo? Davvero Romeo era caduto tanto in basso?
    Sollevò le mani a palmi in su per farle capire che era disarmato, ma avrebbe potuto ucciderla in tanti altri modi diversi se avesse voluto.
    «Come stai?» le chiese.
    «Dov’è Nate?» ribatté lei.
    «In caserma, tornerà presto non preoccuparti, giusto il tempo di chiudere la discussione con Zach.»
    Si leccò le labbra e lanciò un’occhiata all’asta porta flebo sistemata accanto al suo letto: era abbastanza in forze da usarlo come arma? Sarebbe bastato? Ovviamente no. «Cosa vuoi?»
    Si sedette sulla stessa sedia dalla quale Jared aveva vegliato su di lei. «Non hai risposto alla mia domanda.» le fece notare.
    Aveva senso, le sue condizioni non erano poi un gran mistero. «Da come mi hanno detto, dentro hanno risolto. È la gamba che è un casino.» disse indicandola con un cenno del capo.
    «Durata convalescenza?»
    Lynn si arrotolò il lenzuolo ad un dito. «Ottimisticamente un anno.»
    Romeo incrociò le braccia sul petto riflettendoci su. «Mi servi prima, Lynn.» commentò. «Non posso aspettarti per un anno.» si chinò per appoggiarsi sui gomiti ed incrociò le mani una nell’altra, sempre in vista, sempre per mostrarle le sue intenzioni pacifiche. «Tua madre ha ancora parenti in Giappone?»
    La ragazza aggrottò le sopracciglia. «Cos’è vuoi sterminare tutta la mia famiglia?!» chiese guardinga.
    Romeo le lanciò un’occhiata di rimprovero. «Sai benissimo che non lo farei mai.»
    No, aveva ragione, non era nel suo stile. Romeo rapiva, o uccideva, o chissà cosa ne faceva, bambini, ma nessuno dei loro parenti era stato in pericolo. Bizzarro, da Vegliante sapeva che se avessero conosciuto un solo familiare di Romeo, gli avrebbero appiccicato un bomba dietro la schiena e teso un’imboscata, in attesa che venisse a salvarlo. Romeo era un nemico decisamente più leale di loro. «Ha una sorella ed i miei nonni.»
    «Dovresti andare lì a farti curare, guadagneresti tanto tempo che nemmeno immagini.» le rivelò.
    Lynn sollevò le sopracciglia scettica. «La medicina americana è buona quanto quella giapponese, se non migliore.»
    «Vedi, Lynn, il problema non è la qualità della medicina; il problema è che qui ti curano da Vegliante.»
    Si strinse nelle spalle. «Perché lì da cosa mi curerebbero?»
    Lui la fissò negli occhi. «Da Lynn. Tre, quattro mesi al massimo e saresti come nuova. Anche se non ti hanno mai permesso di  scoprirlo hai grandi capacità rigenerative.»
    Lynn lo studiò assottigliando lo sguardo. «Perché mi stai dicendo questo?»
    Romeo sorrise come sorrideva sempre, il sorriso di chi si era già visto vincere. «Perché sei un ottimo elemento ed il vostro cecchino è stato così gentile da aprirmi la possibilità di nuovo assunzioni.»
    La ragazza rise. «Io sono una Vegliante.»
    Lui si strinse nelle spalle in un gesto di noncuranza. «Dettagli, quando ho iniziato io non ero nemmeno Romeo.»
    «Non potrò mai sposare la vostra causa.» ribatté incredula all’idea che stesse davvero parlando sul serio.
    «Mai.» ripeté con enfasi. «Mai è una parola così complicata! Vai in Giappone, guarisci, avremo modo di riparlarne. Ne sono sicuro.»
    Lynn sospirò. «Come?»
    Romeo sorrise, scanzonato. «Ti ho vista.»


dunque, ho scoperto che in effetti sono tre cose:
1) Josh amava Jean, fondamentale;
2) Zach non è più caposquadra, grazie al cielo, era penoso, non lo sopportavo più;
3) Romeo ha visto Lynn aderire alla causa dei Veggenti... è il caso di chiedersi: ma quale cavolo è la causa dei Veggenti?

oh... e no, Romeo non si è dimenticato di Becky!
baci

ps. vorrei fare presente che io controllo la sezione soprannaturale e spulcio ogni storia dalla trama sospetta, quindi a chiunque abbia intenzioni poco nobili chiedo di fare attenzione.

pps. Lamponella

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Capitolo 17
*** 16. Ricostruire ***


MS capitolo 16
fragolottina's time
buongiorno lettrucciole, so che pensavate che ero morta, ma non è così... diciamo che io e Romeo abbiamo dovuto discutere dei dettagli... comunque, problema risolto.
questo capitolo - che avrei potuto benissimo chiamare il dubbio visto che è pieno di dubbi - è spolverato di Josh come un pandoro con lo zucchero a velo - la similitudine natalizia non poteva mancare. ma c'è anche dell'altro, molto altro... attenzione a quello che si dice e attenzione soprattutto a quello che dicono i Veggenti... ci sono anche loro, perchè pensavate di no?
e oh, c'è anche una mezza spiegazione - chiamarla spiegazione è un parolone, diciamo il prologo di una spiegazione - per il suicidio di Josh...
direi che vi ho detto tutto, andate a leggere, sono orgogliosa di questo capitolo, spero che lo meriti!

16.

Ricostruire

Matt fischiò guardando la distruzione nella stanza di Nate. «Cavolissimi.» esclamò.
    Nate ciondolò sul posto, imbarazzato. Non era da lui distruggere, dare furi di testa… erano più comportamenti tipici di Zach, ma quando Lynn aveva gridato… non voleva pensarci. E poi come gli era venuto in mente di proporsi a Jean come Caposquadra? Non si sentiva capo di un bel niente, non aveva la stoffa del leader; ma fare peggio di Zach sarebbe stato difficile, prendere in mano la situazione era l’unico modo per tenerli al sicuro
    «Mi dispiace.» lo guardò avvicinarsi allo schermo che aveva distrutto con il pc, nemmeno quello vicino stava molto bene. «È stato stupido.» commentò. Si sentiva in colpa, Matt aveva costruito praticamente tutta la sua stanza a mano, ogni filo elettrico era stato accuratamente studiato, fissato e collegato da lui. Gli aveva messo in mano un sistema di sicurezza perfetto, l’identica copia di quello che aveva immaginato e progettato; distruggere parte del suo lavoro, non era stato affatto rispettoso nei suoi confronti. E lui Matt lo rispettava davvero.
    «Molto stupido.» afferrò con due mani lo schermo rotto e lo tirò fino a staccarlo, poi lo lasciò cadere a terra con un tonfo. «Ci vorrà un po’ prima che tu sia di nuovo operativo, ti conviene chiedere a Romeo un armistizio.» suggerì.
    «Non credo ce lo concederà, Becky ha ucciso un Veggente.»
    «Un pagherò?» propose allora, lanciandogli un’occhiata ironica.
    Stavolta Nate lo ignorò, stava facendo una lista mentale: punto primo, tenere al sicuro Becky e, al contempo, sfruttare le sue capacità. Tenerla al sicuro dopo che aveva ucciso il sottoposto di Romeo non sarebbe stato uno scherzo. «Hai già trovato un nuovo fornitore?»
    «Tu hai parlato con Zach?»
    Il ragazzo si sistemò gli occhiali sul naso e scosse la testa. «No.» punto secondo: trovare il coraggio di affrontare Zach. E nemmeno quella sarebbe stata una passeggiata.
    «Appunto.» concluse Matt, smontò uno sportelletto dietro il televisore e studiò i cavi all’interno. «Il mio verdetto è: riparabile.» concluse. «Ma con calma, se volevi fare dei restauri questo è il momento di dirlo.»
    Punto terzo: scoprire come e quanto un Veggente ed un Vegliante sono diversi. Aveva una bella lista di cose probabilmente impossibili da rendere a tutti gli effetti praticabili ed era solo il suo primo giorno: non male davvero.
    «Voglio un laboratorio.» quello era un inizio.
    Matt si voltò a guardarlo stupito. «Un laboratorio? Per farci che?»
    «Sono stufo di farmi domande e non avere risposte. E non mi piace nemmeno che i campioni da analizzare vengano spediti in ospedale e poi riconsegnati: voglio farlo io.»
    «Per richiedere attrezzature fuori dall’ordinario ti servirà la firma di Jean.» gli ricordò. «E poi sai davvero come funziona un laboratorio? Tutta quella roba chimica.»
    Nate ci penso su. «Mi basta imparare: studierò chimica.»
    Matt si spostò per osservare lo schermo vicino e controllare che fosse sano. «Stai già studiando quei mattoni di neurologia.» gli ricordò. «Non puoi fare tutto tu, delega.»
    Gli lanciò un’occhiata scettica. «Vuoi studiare neurologia?» gli propose.
    Lui rise, un’ombra delle sue solite risate. «Anche no, ma scommetto che Courtney sarebbe perfetta. In fondo ne sa già molto di medicina.»
    Nate intrecciò le dita dietro la testa riflettendoci su: era un’idea molto sensata, sua madre aveva già fatto di Court un ottimo medico; lui avrebbe dovuto iniziare dal niente, per lei sarebbe stato solo un incremento delle sue capacità. «Le chiederò se ne ha voglia.»
    «Dille che è per Zach.»
    «Sta con Jared.»
    Matt si fermò, per alcuni secondi rimase con lo sguardo basso, dispiaciuto, poi lo spostò su di lui. «Quello non è la sola forma d’amore. Se servisse a Lynn, studierei tutti i libri che siano mai stati scritti.»
    Nate fece un sorriso, piccolo e malinconico, ma a tutti gli effetti un sorriso. «Sta bene, tornerà a raccontarti le sue storie.»
    «Non vedo l’ora, una noia a stare qui senza di lei.» sdrammatizzò con un’alzata di spalle, ma il suo conforto era arrivato.
    Nate sospirò pensandola lontana, forse già in volo per il Giappone. Si avvicinò alla porta. «Vado a parlare con Courtney.» annunciò.

Jean entrò nella camera di Zach senza bussare, lo trovò rannicchiato in un angolo della stanza con gli occhi fissi davanti a sé. Era dietro la brandina che aveva montato per Becky, ci si sedette sopra e lo guardò.
    «Non l’ho fatto per punirti.» gli disse.
    Zach non rispose, continuò a fissare lo stesso punto di prima, ma la sua mascella si indurì.
    «So che non è quello che volevi, ma, credimi, è quello di cui avevi bisogno.» sapeva di non doversi giustificare con lui. Essere una Responsabile la metteva su uno scalino più alto: nessuna delle sue decisioni era messa in dubbio, mai, nemmeno la più discutibile: Wood era stato un ottimo esempio da quel punto di vista. Forse sarebbe diventata identica a lui, se Josh non le avesse chiesto che tipo di Responsabile volesse essere.
    «Perché non mi hai detto di Courtney e Jared?» le chiese spostando gli occhi nei suoi. «Tu lo sapevi, vero?»
    Jean sospirò. «Io ti voglio bene, Zach. Ma voglio bene a tutti voi.» si voltò completamente verso di lui. «Ed anche se così non fosse, è mio dovere di Responsabile prendermi cura di lei: dovevo accompagnarla dal medico, fornirle la possibilità di proteggersi ed altre mille cose che dovevano rimanere tra me, lei e Jared.»
    Pensò a quando Wood l’aveva fatto per lei, era stata talmente terrorizzata all’idea di doverlo dire al suo Responsabile. Però, con sua immensa sorpresa, non era stato spaventoso: Wood non aveva commentato, non l’aveva rimproverata; si era solo raccomandato che la novità non influisse sul suo lavoro e le aveva chiesto se stesse bene. “Puoi lasciarlo stare sopra, nel letto” le aveva detto prima di permetterle di tornare alle sue faccende. “Ma sei tu la Caposquadra. Lanter mi piace, ma se ti rammollisce lo considererò un elemento di fastidio”.
    Zach non rispose.
    «L’ho fatto per Lynn e lo farò per Becky se ne avrà bisogno.»
    «Per me non l’hai fatto.» commentò.
    «L’ha fatto Josh.»
    Zach le lanciò un’occhiata.
    «Oh, non dirmi che non l’ha fatto!» Jean alzò gli occhi al cielo. «Lanter, quando verrò su ti prenderò a calci.»
    Lui rise, ma poi tornò serio, anche se meno cupo di prima. «Ho sempre pensato che avrebbe fatto l’amore con me.»
    Jean lo guardò paziente. «Sono cambiate molte cose, Zach, sei cambiato anche tu.» gli disse piano. «Non devi sentirti in colpa per questo.»
    «La prima volta che l’ho vista…» iniziò.
    La donna rise. «Zach, sei poco più grande di un ragazzino! Ogni ragazza bella che vedi diventa il tuo grande amore.» lo guardò conciliante. «Anche la prima volta che avevi visto Lindsey eri rimasto folgorato.»
    Finalmente Zach si decise a spostare gli occhi sui suoi. «Non sono arrabbiato, sono solo un po’ triste.»
    «Lo so.» annuì tranquilla.
    «E Lynn mi manca già.» spiegò.
    «Manca anche a Nate.» scosse la testa. «Non è un buon momento per essere arrabbiati tra di voi.»    

Courtney non fu sorpresa di trovarsi Nate davanti, quando aprì la porta della sua stanza. Dopo aver parlato tanto di Josh e di quello che nascondeva la cartella della sua autopsia, sapeva che sarebbe venuto da lei per ogni novità. Era come se avessero stipulato un patto di condivisione.
    «Ehi!»
    «Ciao.» lo salutò lei. «Ho saputo della tua promozione, congratulazioni.» si scostò dalla porta per lasciarlo entrare.
    «Non mi odi per aver rubato il posto a Zach?» le domandò senza pensarci.
    Lei lo fissò senza sapere cosa dire. Quando quello che c’era tra lei e Jared era nascosto, tutti davano per scontato che sostenesse Zach sempre e comunque; ora non sapeva bene come comportarsi, Jared si sarebbe arrabbiato se avesse continuato a stare dalla sua parte? Avrebbe dubitato dei suoi sentimenti? Di certo non poteva aspettarsi che rimanesse fuori da ogni decisione solo per non contrariarlo.
    «Avrei bisogno che tu faccia una cosa.»
    Courtney riportò l’attenzione su di lui.
    «Sempre se ne sei d’accordo.»
    «Ti ascolto.» garantì.
    «Vuoi studiare neurologia al mio posto?» le chiese. «Per te non sarà difficile, hai già tutte le nozioni di base nella tua testa. Io impiegherei il doppio del tempo per capire la metà.»
    Lei lo studiò scettica. «Nate, tu sei un genio.»
    «E tu un medico.» ribatté. «Ad ognuno il suo: io faccio chimica, tu neurologia.»
    La ragazza sospirò e si tirò indietro i capelli sedendosi sul proprio letto. «Non saprei…» lo guardò. «A che ti serve?»
    «Voglio sapere come funziona il cervello di Zach.»
    Rise. «Beh, non è sempre brillante, ma mi pare che le sue funzioni celebrali siano apposto.»
    Nate ciondolava al centro della stanza, lo conosceva abbastanza da sapere quanto fosse piena la sua testa quando lo faceva; lasciò vagare il suo sguardo in giro, prima di tornare a lei. «Okay, voglio sapere quanto funziona.» la raggiunse risoluto e le si sedette accanto. «Sei l’unica di cui mi posso fidare, tu non lo tradiresti.»
    Courtney lo fissò ad occhi sgranati, improvvisamente guardinga. «Nate?»
    «Ti prego, i libri li ho già presi io!»
    Per alcuni secondi lo fissò, mentre il suo cervello correva da solo alla conseguenza di un suo rifiuto: consegnare un segreto pericoloso per Zach a qualcuno di cui non si fidavano. Scrollò le spalle, rassegnata. «Okay.»

Come sempre quando le cose non andavano bene, Zach era sul tapis roulant. Una follia visto che zoppicava ancora, ma era tipico di lui. Nate rimase a guardarlo: c’era il fuoco dentro Zach, c’era sempre stato, lo si vedeva illuminargli gli occhi.
    La prima volta che lo aveva incontrato, appena dopo la sua Asta, Nate aveva pensato che fosse uno sbruffone. Uno di quelli che lo avrebbe preso in giro, che gli avrebbe rotto l’i-pod per dispetto. Ma Zach era tranquillo, votato al disastro, ma affatto dispettoso. Non aveva mai considerato un difetto la sua costituzione gracilina, per quel che ne sapeva Nate, non l’aveva mai vista.
    Prese fiato, lo raggiunse e premette il pulsante per fermare il macchinario.
    Zach si appoggiò pesantemente ai due maniglioni, con il sudore che gli scivolava sulla pelle delle braccia, inzuppando la benda che Courtney gli aveva messo.
    «Cosa volevano?» era il momento della verità, l’attimo in cui avrebbe scoperto se Zach aveva intenzione di riconoscerlo come suo Caposquadra, o se stava pensando a come ucciderlo.
    Zach lo guardò con il fiato corto, prese l’asciugamano e se lo premette sul viso. «Due fiale di sangue.» rispose senza minaccia alcuna.
    «Altro?» continuò a chiedere, incoraggiato dall’assenza di ostilità.
    Scosse la testa. «Mi dispiace per Lynn.» si scusò.
    «Lo so.» disse Nate fissandolo negli occhi, non l’avrebbe mai potuto mettere in dubbio: sapeva che Zach le voleva bene, come tutti. Erano una squadra. «Non è per vendicarla che sono Caposquadra.»
    Zach ci pensò. «Non penso che tu non ne sia capace.» spiegò. «Sei sempre stato più sveglio di me, ma Romeo ha uno strano ascendente su di te ed a volte ho paura che tu ti fidi troppo di lui.» continuò tutto d’un fiato.
    «Non è che io mi fidi ciecamente di lui, cerco solo di prendere in considerazione quello che dice.» cercò di giustificarsi. «Non è intelligente cestinare tutte le sue informazioni solo perché è il nemico…» incrociò le braccia sul petto. «Anche perché, ammettiamolo, Romeo è un nemico sopra le righe.»
    «Oh, sì di certo.» assentì con enfasi Zach. «Ma non voglio che la tua follia ti contagi come Josh.»
    Nate lo guardò e si strinse nelle spalle. «Tu me lo dirai.» disse sicuro. «Se inizierò a dare segni di squilibrio, tu mi aiuterai.»
    «Certo, che lo farò.»
    Non gli aveva fatto una domanda, ma fu contento della sua risposta affermativa.
    «Ho un problema.» disse dopo un po’.
    «Ti ascolto.»
    «Sto rallentando.» non l’aveva mai detto ad alta voce, se lo sussurravano tra di loro come se fosse un segreto. «Sharon Sullivan dice che è colpa delle mele.»
    «Smetti di mangiarle.» rispose di getto.
    «Ci fidiamo di lei?» domandò scettico
    Nate si strinse nelle spalle. «Proviamo, che può succederti di tanto tragico? Una carenza di fibre?»
    Zach si strinse nelle spalle. «Okay, proviamo. Ti serve che faccia qualcos’altro?»
    Lui lo osservò con aria supplichevole. «Addestrala.»
    «Chi?»
    «Becky.»
    Zach scoppiò a ridere. «Non c’è riuscita Lynn, che speranze ho io?!»
    Nate alzò gli occhi al cielo, sconsolato. «Non voglio che sappia combattere, non le serve, ma deve sapersi difendere nel caso si trovi nei guai.»
    «Ma è piccolissima.» commentò.
    «Non è vero, ha diciassette anni, come li abbiamo avuti tutti noi. È grande abbastanza, è forte ed è in gamba.» Nate rise. «Ti ha salvato la vita, caro il mio eroe. Non credi di doverle qualcosa?»
    Sospirò. «Ci proverò.»
    «Fantastico.» fece per allontanarsi, ma ci ripensò. «Ah, Zach?»
    «Nh?»
    «Posso avere due fiale del tuo sangue?»

Ero in tv.
    I telegiornali nazionali parlavano di una coraggiosa Vegliante di Synt – la sua Responsabile non ha acconsentito a divulgare il suo nome – che era riuscita a sconfiggere un Veggente che minacciava il suo Caposquadra. Veniva celebrato il mio coraggio, osannata la mia immensa fedeltà alla causa ed alla mia squadra; la classe dirigente dell’ADP prometteva di ricordarmi come un’eroina.
    A me rimase in testa solo una parola: sconfiggere, non uccidere.
    Nessuna notizia sull’identità del ragazzo a cui avevo sparato. Mi chiesi se Jean lo sapesse, mi chiesi se io volessi saperlo.
    Sapevo che c’era qualcuno in città che lo sapeva, qualcuno che, se lo avessi chiesto, mi avrebbe risposto. Mrs. Dandley avrebbe potuto rispondere a tutte quante le mie domande. Però non avevo più Lynn disposta ad accompagnarmi e per niente al mondo avrei voluto che uno degli altri Veggenti passasse anche soltanto cinque minuti con lei. Sarei dovuta uscire da sola.
    Aprii le ante dell’armadio studiandone il contenuto, alla ricerca di vestiti discreti. Non era una buona idea, non poteva esserlo: era una delle regole di Jean “Non uscire mai da sola” ed era un suggerimento decisamente valido, visto e considerato quello che era successo. Ma… c’era altro che volevo chiedere a Mrs. Dandley, molto altro. Troppo da ignorare.
    Mi infilai dei pantaloni da tuta neri ed una felpa con cappuccio sempre nera, speravo di poterci nascondere sotto tutti i miei capelli.
    Passare dall’entrata principale era impossibile, ma forse, se avessi fatto attenzione sarei riuscita a filarmela dal garage.
    Il corridoio delle camere era deserto, scivolai via di lì tenendo gli scarponi in mano, per non fare rumore.
    Una volta dentro l’ascensore premetti il pulsante -1 in tutta fretta, cercando di schiacciarmi il più possibile contro le pareti della cabina perché nessuno mi vedesse. Tirai un sospiro di sollievo quando le porte si richiusero e mi appoggiai con la schiena alle pareti per infilarmi gli scarponi. Il mio piano avrebbe avuto un buon esito, se, quando le porte dell’ascensore si riaprirono, non mi fossi trovata davanti Jean con le braccia incrociate sul petto e l’aria sospettosa.
    «E tu dove pensi di andare?»
     Deglutii. «Io… ecco…»
    Jean salì sull’ascensore e spinse il pulsante per ripartire, guardai le porte richiudersi, affranta.
    «Sto conducendo un’indagine, devo interrogare una persona.» dissi decisa, quella era una cosa che poteva andare, molto da Vegliante. «Se tu sei d’accordo vorrei fare alcune domande alla signora Dandley.»
    Lei non si scompose, mi lanciò appena un’occhiata. «Non sono d’accordo.»
    Mugugnai frustrata e lei mi osservò. «Becky, Dawn Dandley è in combutta con Romeo da sempre, lo sappiamo tutti.» mi spiegò paziente. «Ora come ora, non è saggio per te farle visita.»
    Sospirai. «Se lo sapete tutti, perché nessuno fa niente?»
    Jean iniziò a fissare i numeri in alto accendersi e spegnersi in sequenza. «L’aiuto che ha dato al governo e all’ADP le ha garantito l’immunità. Nessuna forza dell’ordine, né speciale come noi né civile come i poliziotti, può infastidirla.» scosse la testa. «Questo significa che se tu vai a casa sua e lei non vuole parlarti perché sta facendo la maionese, ha il diritto di cacciarti. Semplicemente. È al di sopra delle legge.»
    Ci pensai, questo significava che quando mi ero fatta accompagnare da Lynn avrebbe potuto mandarmi via, se avesse voluto: voleva parlarmi, voleva quell’incontro.
    «Cosa ha fatto per avere tanti privilegi?»
    Le porte scorrevoli si aprirono di nuovo ed uscimmo entrambe. «Era, o forse è ancora, una genetista. Ha finito di mappare il DNA umano e quello Veggente. Tutto quello che sappiamo, lo sappiamo grazie a lei. Abbiamo il Mitronio grazie a lei. Possiamo combattere questa guerra grazie a lei.»
    Mi fermai in mezzo al corridoio e la guardai pensierosa. Improvvisamente credevo di aver capito come mai fosse impazzita, aveva una bella dose di responsabilità sulle spalle. Ma c’era un domanda che mi premeva di più. «E il DNA dei Veglianti?»
    Jean scosse la testa. «Non le hanno permesso di finire, l’hanno mandata via prima.»
    La fissai negli occhi. «Stava scoprendo troppo.» mormorai a me stessa, ma Jean mi sentì.
    Si strinse nelle spalle. «Probabile. Altre domande?»
    Ce n’era sempre stata soltanto una. «Perché Josh è morto?»
    Lei mi osservò e sembrò decidere sul momento se meritassi o no una risposta vera. «Perché, Becky, la differenza tra essere un eroe e un assassino è questione di punti di vista.»
    «Ma era un Caposquadra, sapeva come funzionavano le cose.» replicai. «Deve aver fatto qualcosa di davvero molto brutto.»
    «Abbiamo fatto.» mi corresse. «Abbiamo fatto qualcosa di molto brutto.»
    «Non me lo dirai, vero?»
    Lei sorrise. «Non vuoi saperlo, credimi.»
    Sospirai. «Dovunque mi giri c’è un mistero…»
    Per alcuni secondi Jean tacque. «Ricordi i Veglianti di Wood, all’Asta?»
    Annuii.
    «Farti domande è quello che ti rende diversa da loro. È un grande privilegio, devi esserne sempre grata.» mi spiegò saggia.
    Io continuai a guardarla, non mi ero mai fermata a pensare che Jean sarebbe potuta essere molto diversa. Più fredda, meno paziente, meno esaustiva nelle sue risposte. Avrebbe semplicemente potuto non dare risposte.
    «Devo scrivere il rapporto, vieni ad aiutarmi.» lo disse come se fosse un ordine, ma sospettavo fosse solo un modo per tenermi occupata e non farmi più venire idee come quelle di andarmene da sola da Mrs. Dandley.
    «Okay.» risposi tranquilla seguendola nella sua stanza.
    Jean mi mise davanti alla tastiera di un computer e mi tenne con sé tutto il pomeriggio dettandomi il rapporto. Nonostante non si permise mai di fare osservazioni, sospettai che ci stessimo mettendo più di quanto avrebbe impiegato facendo da sola. Raccontò tutto quello che era successo la notte prima con chiarezza estrema, tanto che fui io a fermarmi per chiederle delucidazioni e non viceversa. Alle sei circa si allontanò qualche minuto e tornò con i nostri due vassoi per la cena.
    Una volta che mi ebbe dettato tutto quanto, mi chiese di rileggerlo, come una storia. E mi resi conto che quella storia era la mia, così tanto mia, da lasciarmi completamente senza parole alla fine, come se la mia parte fosse conclusa e non avessi più battute da recitare. Però ero stata brava, davvero.
    Jean mi guardò, io non vedevo niente. «Di qualsiasi cosa tu abbia bisogno, io sono qui.» promise. «Hai fatto un buon lavoro, ma è un lavoro terribile.»
    Spostai lo sguardo su di lei, senza annuire.
    «Va’ a letto, gli altri dormono già.»
    
Mi fermai in corridoio sentendomi svuotata e mi resi conto che potevo scegliere mille cose da non fare, non uccidere più Veggenti, non premere il grilletto, ma sarebbe stato tutto completamente inutile finché non avessi deciso cosa fare. Ero una Vegliante, avevo una super mira: cosa avrei fatto di quello che ero?
    Avevo sempre pensato alla mia vita come una scelta di strade, un bivio per volta, fino ad arrivare al mio destino; non mi ero mai fermata a riflettere che la mia strada potesse non essere stata costruita, che avrei dovuto scavarla nella roccia, passare tante volte per un campo fino a creare il mio sentiero.
    Bussai alla porta di Zach e dischiusi piano l’uscio.
    «Dormi?» chiesi all’oscurità.
    Le coperte frusciarono. «No.» sussurrò piano.
    «Posso dormire qui?»
    Sentii il suono soffocato di quella che sembrava una mezza risata.
    «Non posso?» domandai piccata.
    «Sì, certo che puoi.» mi assicurò. «Non ho smontato la brandina apposta.»
    Scivolai dentro chiudendomi la porta alla spalle, mi stesi e mi raggomitolai nella brandina.
    «Dove sei stata oggi?» mi chiese dopo un po’.
    Mi morsi il labbro. «Ho aiutato Jean a scrivere il rapporto.» ero indecisa se dirgli o no la verità. «Sarei voluta andare da Dawn Dandley, ma me lo ha impedito.» borbottai.
    «Non puoi andarci da sola, è pericoloso.» mi rimproverò.
    «Lei però ha le risposte!» mi lamentai.
    Per alcuni secondi rimase in silenzio. «Pensi davvero di conoscere le domande giuste da porle? Io non saprei cosa dirle.» confessò.
    La domanda che volevo porle mi rimbalzò nella mente prima che potessi contestualizzarla. Sono una Veggente? Sono pazza? Sono un’assassina? Che devo fare?
    «Una volta Josh mi ha raccontato che avevano fatto un patto: gli concedeva una domanda, una sola, lei giurava di rispondere sinceramente.»
    Le ha messo la merenda nello zainetto?
    «So cosa le ha chiesto.» rivelai.
    «Non dirmelo.» disse. «Se avesse voluto che lo sapessi, me lo avrebbe raccontato.»
    Chiusi gli occhi, presi fiato. «Zach, cambiamo argomento, ti prego.» ero così stanca di arrovellarmi su problemi, che nascondevano altri problemi, che ne nascondevano altri ancora… infinitamente stanca.
    «Andiamo a correre domani mattina?»
    Sgranai gli occhi nell’oscurità. «A correre?»
    «Nate mi ha chiesto di irrobustirti un po’.»
    «Avete fatto pace.» sussurrai contenta.
    Sospirò. «In famiglia è complicato tenere il muso troppo a lungo.» considerò. «Allora? Sai correre?»
    Sbadigliai. «Se è per questo so fare anche le capriole all’indietro.» scherzai.
    Zach rise. «Brava, cheerleader!»

«Dawn, se non te ne sei accorta siamo vagamente sulle spine.» la rimproverò Romeo.
    Mrs. Dandely era ai fornelli, indossava un grembiulino con disegni di margheritine e papaveri e mescolava un pentolone colmo di un intruglio poco invitante. «Vuoi che controlli ogni dato accuratamente, sì o no?» gli lanciò un’occhiata carica di sottintesi.
    «Sorellina, fallo bene e fallo in fretta.» sbottò Jamie. «Non so se hai realizzato quanto velocemente stanno precipitando le cose. È difficile impedire loro di farsi male, ora che Miss Pallottola, qui, si è fatta scoprire.» disse con un cenno del capo diretto a Ryan.
    «Se mi aveste ascoltata al momento giusto, non sarebbe successo.» sbottò indispettita.
    «Shh!» li rimproverò Romeo.
    Ryan si richiuse in sé stessa borbottando.
    «Il ragazzo non è ancora irrecuperabile.» annunciò Dawn Dandley.
    Tutti e tre tirarono un sospiro di sollievo.
    «Ma lo sarà presto.» fissò Romeo. «Le sue cellule, i suoi tessuti, sono stanchi. Lo stanno bombardando di robaccia da quando è un bambino. Se vuoi che funzioni, non puoi più aspettare.»
    «Qualcuno deve avere una copia di quelle analisi, prima.» concluse con un sospiro.
    Dawn tornò ai suoi inquietanti manicaretti. «Fai in modo che li veda Courtney.»
    «Courtney sta con Jared.» ricordò loro Ryan.
    «Non per molto.» insinuò Jamie.
    Ryan lo guardò, stupita e curiosa. «Che vuol dire?»
    «A-ah.» Jamie alzò le mani. «Se non l’hai visto da te, niente spoiler.» rise. «Non voglio rovinarti la sorpresa.»
    «Piantala.» Romeo gli lanciò un’occhiata di fuoco. «Non andrà in quel modo, non lo permetterò.» promise.
    Jamie scosse la testa, annoiato. «Come se tu potessi davvero farci qualcosa.»
    Lo ignorò. «Chi consegna il pacco?» chiese alludendo ai fogli che Dawn porse loro.
    «Vado io.» Jamie alzò la mano. «Li becco domani al parco, quando andranno a correre.»

Zach sgranò gli occhi nell’oscurità, l’incubo appena fatto ancora intrappolato tra le ciglia, vicino ma troppo confuso da poterlo ricordare; anzi, lo ricordava eccome: c’era suo padre con una pistola puntata alla tempia di Jean e lui era lontano, lontanissimo e non poteva aiutarla.
    Si tirò su a sedere, l’aria fresca sulla schiena sudata era vagamente confortante. Chiuse gli occhi e fece come gli aveva sempre suggerito suo fratello, iniziò a ragionare sui propri incubi, in modo da capire quanto impossibili fossero: suo padre non aveva alcun motivo per voler uccidere Jean. Lei era un’ottima Responsabile ed era stata una straordinaria Caposquadra, tutte cose che lui rispettava. Magari lo avrebbe preferito nella squadra di Wood, ma questo non significava che era del tutto scontento della sua sistemazione attuale.
    Becky si rigirò nel letto, avvolta nelle lenzuola, gemette e gridò.
    Zach si sorprese di quanto velocemente raggiunse la sua brandina. Si sedette a un lato, la prese delicatamente per le spalle e la scrollò piano. La ragazza spalancò gli occhi di colpo e lui sussultò, le sue pupille erano immense, enormi, quasi completamente nere anche alla fievole luce della lampada sul suo comodino.
    «Zach.» mormorò agitata. Sollevò una mano e gliela posò sul viso. «Zach, stai bene?» continuò più decisa.
    Lui annuì senza scostare la sua mano, sicuro che, una volta superata la confusione del risveglio brusco, avrebbe fatto da sola. Ma Becky non si scostò, anzi con l’altra mano cercò il bordo della sua maglietta e ci si infilò sotto. Le sue dita salirono, sfiorandolo appena, fino a fermarsi in un punto preciso sotto le costole, che premettero con delicatezza. «Credevo ti avesse colpito.»
    Zach le sorrise. «È stato solo un sogno, non preoccuparti.»
    Lei lo fissò, lesse la paura nel suo sguardo quando ritirò le dita, inconfondibilmente macchiate di scuro; sangue o Mitronio, alla penombra sembravano identici. «Zach, no!» gridò di nuovo.
    «Becky, io sto bene.» le assicurò scuotendo la testa. Non c’era dolore, nessuno lo aveva colpito; guardò ancora le sue dita sporche: stava sognando, non si era mai risvegliato e quella che aveva tra le mani era soltanto una proiezione del suo inconscio.
    La lasciò avvicinarsi, posare la fronte contro la sua e chiudere gli occhi. «Starai bene, te lo prometto.» gli assicurò. «Chiamerò Courtney e lei saprà cosa fare.» stava piangendo. Gli prese il viso con entrambi le mani e Zach sentì il proprio sangue sulla guancia; Becky lo baciò piano e lui avrebbe voluto partecipare con maggior presenza, ma si sentiva scivolare via, ogni secondo più debole. Chiuse gli occhi e quando li riaprì erano in un vicolo di Synt esterna.
    «Tic, tac, Becky.» era Romeo alle sue spalle. Zach lo guardò, lo fece anche la Becky del sogno.
    Lo baciò ancora. «Starai bene.» si alzò e prese la mano che lui gli porgeva, gli lanciò un’ultima occhiata, dilaniata all’idea di doverlo lasciare lì. «Tornerò.» promise prima di sparire con Romeo.
    Avrebbe voluto raggiungerla, fermarla, ma non poteva. Non poteva fare altro se non guardarla andarsene.

Stavo scrollando la spalla di Zach, seduta sul suo letto dietro di lui, da un’eternità quando infine si riscosse. Sussultò e mi guardò mettendomi a fuoco lentamente, poi si rigirò sulla schiena e sospirò.
    «Ho fatto casino.» realizzò osservando la mia faccia turbata.
    Allontanai le mani da lui e me le posai in grembo. «Un po’, non sembrava stessi facendo un bel sogno, così ho pensato di svegliarti.» raccontai con una smorfia.
    Lui sorrise e con una mano mi strinse per la vita, piano, solo una carezza per ringraziarmi, anche se l’intimità di quel gesto mi fece arrossire. «Ho fatto un sogno strano.» confessò, si stiracchiò e qualcosa dalle parti della sua spalle fece un schiocco secco poco rassicurante. Si puntellò sulle braccia e si tirò su, mi passò le dita tra i capelli. «Dalla piega imbarazzante dei tuoi capelli direi che hai dormito abbastanza profondamente.»
    Feci un mezzo sorriso cercando di abbassarli con entrambi le mani, conoscevo abbastanza i miei ricci da sapere che sarebbe stato inutile, avrei dovuto legarli. «Abbastanza.» confermai, lo guardai, lui sembrava non aver mai smesso di farlo.
    «C’era qualcosa di bello nel tuo sogno?» gli domandai.
    Scrollò le spalle, il suo sguardo era indecifrabile. «C’eri tu.»


rieccomi
se avrete notato ci sono davvero molte sbirciate nel futuro, ma molte, molte...
non devo dirvi io quanto importante sia lo scoprire come funziona il cervello di Zach. nei capitoli a venire i Veggenti saranno meno amichevoli, ma tra poco vi assicuro che tutto sarà molto, molto chiaro!
informazione random: anche se probabilmente non lo avrete notato sto, con tutta la calma del caso, ricorreggendo i capitoli addietro, perchè c'erano molte cose che non mi piacevano e che volevo aggiustare.
nessun cambiamento sulla trama, è solo una questione stilistica!
spero che il capitolo vi sia piaciuto!
baci

ps. Buon Natale, anche se in ritardo.
pps. Lamponella

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Capitolo 18
*** 17. Sono già scappato ***


MS capitolo 16
fragolottina's time
ve lo giuro, lettrucciole, questo doveva essere una capitolo breve...
...
mi sono lasciata prendere la mano, mi spiace!
però succedono molte cose e vengono a galla diverse cose... ci stiamo avvicinando al nocciolo della questione, con calma ci arriviamo! era ora...
era anche ora di mettere vicini Zach e Becky e vedere che combinano, meno male che Nate è lungimirante... ma Romeo di più, perciò attenzione!
cmq, se vi stata chiedendo perchè ci ho messo così tanto a finirlo, la colpa la potete benissimo affibbiare a Jamie Ross... per scrivere la sua conversazione con Zach ci ho messo una vita! maledetto...
ma ce l'abbiamo fatta e sarei ben lieta di avere un vostro parere a proposito!


17.

Sono già scappato

L’alba a Synt era uggiosa come in quasi tutte le città.
    Zach mi aveva proposto di fare il giro del distretto abitativo e poi dirigerci verso il parco di Synt esterna. Si era anche raccomandato di non strafare e di avvertirmi quando fossi stata troppo stanca, per terminare e tornare a casa camminando. Non mi ero sentita offesa per essere trattata come una buona a nulla, molte persone consideravano le cheerleader come delle scimmiette che saltellavano con dei pompon; ma la realtà era che la mia capo cheerleader era stata molto rigida negli allenamenti, costringendo anche noi riserve a partecipare, in più ci faceva allenare canticchiando sempre gli inni. Questo significava che avevo sviluppato un’ottima resistenza polmonare.
    A quell’ora Synt interna non era disabitata come accadeva di solito, incrociammo altri abitanti che correvano, genitori che accompagnavano i bambini alla fermata del bus che li avrebbe portati a scuola, diverse auto, quasi si trattasse di una città normale.
    Zach non ne sembrava sorpreso quanto me, ma in fondo lui abitava lì da più tempo. Sicuramente aveva avuto già modo di notare la cosa. Era silenzioso, sembrava distratto.
    «Tutto bene?» gli chiesi studiandolo. «La gamba ti fa male?»
    Lui mi lanciò un’occhiata e sorrise. «La gamba sta bene, io sto bene. Non preoccuparti.» anche se piuttosto disattento, appariva molto più sereno di quanto era stato negli ultimi giorni, in realtà da quando lo conoscevo
    Continuai ad osservarlo. «Vuoi che rallentiamo?»
    Mi fissò con le sopracciglia sollevate, incredulo. «Ehi, non montarti la testa!» mi rimproverò.
    Arrossii e mi girai per correre all’indietro e guardarlo allo stesso tempo, volevo vedere se zoppicava e, se lo faceva, quanto.
    Lui studiò i miei movimenti, attento. «Sono un po’ acciaccato, ma posso ancora reggere un po’ di jogging.»
    «Facciamo una gara: il primo che arriva al parco di cui parlavi.» proposi.
    «Da quando ti si è acceso lo spirito agonistico?» mi domandò divertito.
    In realtà non lo sapevo, ma aveva passato la giornata precedente chiusa dentro la caserma, nascosta in un limbo di pensieri densi come il fumo delle fabbriche di Mitronio; ritrovarmi improvvisamente di nuovo all’aria aperta a fare qualcosa di normale come correre, mi faceva sentire bene, elettrica, viva: una rinascita interna che ripercuoteva i suoi effetti sulle mie attività esterne. Prendere una decisione come quella di non uccidere più i Veggenti era stato catartico; era vero, avevo fatto un grande errore, aveva creduto che non ci fosse altro modo se non premere il grilletto, ma avrei trovato altri modi, avrei potuto imparare da quell’errore.
    Senza fermarsi, Zach si sfilò l’orologio dal polso, spinse alcuni tasti al lato del display e me lo porse. «Segui la freccetta, ti dirà la strada.»
    Tornai a corre di fianco a lui mentre lo allacciavo.
    «Ovviamente corriamo da Veglianti.»
    Gli lanciai un’occhiata senza capire. «Che vuol dire?»
    Lui rise mentre con la coda dell’occhio controllava i cortili delle case che scorrevano alla mia sinistra. All’improvviso mi spinse ed io rotolai sul prato paglierino accanto a me, mi sollevai con le mani e mi voltai a guardarlo sconvolta, lui stava ancora ridendo.
    «Che possiamo darci fastidio.» rivelò prima di riprendere a correre. «Ci vediamo al traguardo, cheerleader.»
    Ci misi pochi secondi a realizzare quello che era successo, ma quando lo feci mi rialzai al volo. Corsi più in fretta che potei, Zach non era particolarmente veloce, non sapevo se fosse il suo passo abituale o se stesse aspettando che lo raggiungessi di nuovo. Ero più propensa a credere nella seconda.
    Lo affiancai e provai a buttarmi addosso a lui, di certo spingerlo non sarebbe bastato a sbilanciarlo, ma lui rallentò proprio mentre lo facevo e mi trattenne per un braccio per evitare che finissi in mezzo alla strada. Una volta stabilizzata mi girò attorno e proseguì ridendo. Riuscii a riprenderlo, o almeno a raggiungerlo di nuovo, se anche non fossi riuscita a dargli abbastanza fastidio, non sarebbe stato difficile superarlo, era lento.
    O così credevo prima che raggiungessimo Synt esterna.
    Quella parte di città era come sempre affollata e viva, brulicava di persone, auto, negozi: era difficile svolgere una competizione in quella situazione. A differenza di lui, che proseguì senza nemmeno pensarci, io mi fermai un secondo sentendomi tanto piccola, eppure ingombrante, dove cavolo sarei passata?
    Zach rallentò e mi guardò. «Problemi?»
    «Non so che strada fare.» ammise guardandomi intorno.
    «Sei una Vegliante, Becks.» mi ricordò. «Le strade te le puoi costruire.»
    Posai lo sguardo su di lui e sbattei diverse volte le palpebre senza capire. Zach alzò gli occhi al cielo, poi allungò il braccio nella mia direzione porgendomi la mano. «Stavolta ti insegno io, ma la prossima volta fai da sola, okay?»
    Presi la sua mano, era ruvida e dura, ma calda e forte. «Becks?» chiesi.
    Lui sorrise. «Ti sei meritata un nome.» disse nei miei occhi.
    Synt esterna apparteneva a Zach. Non sapevo se anche per gli altri Veglianti fosse lo stesso, ma era come se lui vedesse il quartiere a più livelli, impilati uno sopra l’altro. Era molto razionale nel muoversi, pensava un percorso nel primo livello, la strada, se non c’era o la folla lo rallentava troppo, passava al secondo, i palazzi intorno a noi. Non tutti gli appartamenti o gli uffici erano occupati e lui ricordava a memoria ogni stanza con le finestre aperte. Se per qualsiasi motivo il secondo livello lo deludeva, c’era sempre il terzo, il più infallibile, ma anche il più complicato, i tetti; mi chiesi se anche lui avesse notato che i tetti di tutti i palazzi erano così vicini da rendere semplice anche a me saltare da uno all’altro.
    Certo Zach aveva poco da invidiare all’agilità dei Veggenti, anzi la cosa che più mi colpiva, non era che sapesse saltare da una finestra all’altra, da un tetto all’altro, sapevo farlo anche io, era tutto il resto. Come sceglieva? Come sapeva che in strada c’era traffico, o che la fila davanti al panettiere fosse troppo ingombrante per poter essere superata?
    Quando raggiungemmo il parco fui io a scuotere la mano per farmi lasciare, improvvisamente a disagio; lui mi guardò, colsi con la cosa dell’occhio il suo sguardo fisso su di me, sembrava anche vagamente divertito.
    Finché non iniziò a guardare dietro di me.
    C’erano parecchie persone in giro, molte delle quali affollate intorno ad un chioschetto. Zach mi strinse di più la mano mentre mi guardavo intorno, mi voltai pensando che volesse dirmi qualcosa, ma era concentrato con gli occhi fissi e lontani. Feci per seguire il suo sguardo e vedere cosa lo avesse turbato, ma lui mi trattenne per una spalla.
    Fece una smorfia. «Mi sa che abbiamo strapazzato troppo il ginocchio.»
    «Ti fa male?» chiesi allarmata.
    Si strinse nelle spalle e sollevò leggermente la gamba sinistra. «Niente di grave, ma meglio che mi fermi un po’.» commentò. «Potresti andare a chiedere se lì hanno del ghiaccio? Ti aspetto su quella panchina.» disse indicandomela con un cenno del mento.
    «Okay.» lo accompagnai a sedersi, poi mi diressi al chioschetto, sperando di trovare del ghiaccio.

Jamie Ross aspettò che Becky si fosse allontanata, prima di sedersi accanto a Zach disinvolto, nessuno avrebbe sospettato che gli stesse puntando una pistola al fianco. Il ragazzo non si mosse, gli occhi fermi sulla figura di Becky passo dopo passo più lontana.
    «L’hai allontanata da me.» commentò Jamie divertito mentre si calava ancora un po’ il cappello sulla testa. «Molto premuroso.»
    Zach non si mosse, nonostante sentisse la canna premergli sulle costole. Prese un respiro e si appoggiò con i gomiti alla spalliera della panchina. «Mi prendo cura della mia squadra.» commentò fingendosi calmo, pregando interiormente che Becky non si girasse mai.
    Jamie sollevò le sopracciglia con scetticismo e gli lanciò un’occhiata sarcastica. «Magari fossi così maturo, ragazzo mio, magari.»
    «Che vorrebbe dire?» sbottò prima di pensare a quanto folle potesse essere la cosa; una delle prime regole che gli aveva insegnato, o che aveva provato ad insegnargli, Josh era mai ribattere alle provocazioni di qualcuno armato: erano passati due anni, ma quella lezione gli era ancora difficile.
    «Non ti sparo solo perché parli, tranquillo.» gli assicurò. «E non prendertela troppo, l’obbedienza non ti appartiene.»
    Una volta glielo aveva detto anche Romeo, ma quella volta non era stato con il tono scanzonato di Jamie Ross, lui era furioso. Era la prima notte che era uscito senza Josh per la sua scelta di non partecipare alla missione, pochi giorni prima della fine. Non sapeva come, ma era riuscito a soffiare il bambino che i Veggenti stavano cercando di rapire e passarlo a Courtney e Lynn perché lo portassero al sicuro. “L’obbedienza non ti è mai appartenuta!” gli aveva urlato Romeo. “Davvero cinque anni di accademia ti hanno cambiato così tanto?”
    «Sei qui per una lezione sulla vita?» gli domandò cacciando indietro quel ricordo, non sapeva nemmeno perché continuasse a portarselo dietro.
    «Sono qui per recapitare della posta.» tirò fuori una busta chiusa dalla tasca interna della giacca. «Romeo ha scritto una letterina d’amore a Courtney.» spiegò e gliela porse.
    Zach la prese soppesandola tra le mani. «Cos’è?»
    Jamie si strinse nelle spalle. «Quello che le serve.»
    Lo studiò con le sopracciglia sollevate, sospettoso.
    «Sparirò per un po’.» rivelò alzandosi. «Ti affido la ragazzina e ti do la possibilità di tenertela.»
    Lui gli lanciò un’occhiata sorpresa.
    «Approfittane.» suggerì cospiratore. «Perché se quando torno è libera me la prendo io.»
    Zach si disse che stava cercando di essere una persona migliore: più controllata, più razionale, responsabile per essere d’aiuto a Nate ed a tutti gli altri. Basta con l’arroganza, basta essere impulsivi, basta litigare con i Veggenti senza un ordine dedicato che lo permettesse.
    Guardò Jamie Ross scrollarsi il retro dei pantaloni, tranquillo, così dannatamente tranquillo, mentre loro dovevano essere sempre così tesi, nervosi.
    Prima ancora di riuscire a pensare di fermarsi gli era addosso; gli afferrò la spalla sinistra costringendolo a voltarsi. Strinse la stoffa della sua giacca tra le mani e se lo tirò sotto. «Nate potrà anche fidarsi di voi, ma io no.» sputò a tre centimetri del suo viso. «Se Courtney sarà turbata dopo questa lettera, ti verrò a cercare.» promise. «Se Nate romperà il suo voto di astemia, andrò a cercare Romeo.» continuò. «Se toccherai Rebecca Farrel con un dito, te lo taglio.» e quella era la sua affermazione più solenne.
    Jamie Ross lo lasciò finire poi scoppiò a ridere e sollevò il braccio puntandogli di nuovo la pistola al fianco, Zach quasi sussultò per la sorpresa: se ne era dimenticato.
    «Migliori, ragazzo, non dico di no, ma non sei ancora nella posizione di poter dare ordini.» gli posò un mano sul torace e lo spinse indietro.
    Zach lo lasciò.
    «Da bravo, torna sulla tua panchina.» gli consigliò. «Non vorrai farti trovare moribondo da Becky, no?»
    Alcuni passanti li stavano studiando, Jamie li rassicurò con un cenno della mano; Zach notò che nessuno di loro sembrava particolarmente colpito dal fatto che fosse armato.
    «Quanti Veggenti ci sono a Synt?» chiese, improvvisamente gli sembrava di essere in un paese nemico, ostile.
    Jamie Ross non rispose. «A presto, Zach Douquette.» promise. «Salutamela.»
    Zach si limitò a sedersi di nuovo ed aspettare Becky.

La commessa del chiosco non fece domande quando gli chiesi il ghiaccio, non sapevo se fosse perché in un parco, dove quasi tutti si muovevano o facevano esercizio, non fosse una richiesta tanto insolita o perché semplicemente aveva capito chi o cosa fossi. A volte sembrava che, più che guardarci con timore, gli abitanti di Synt ci assecondassero.
    Quando tornai da Zach lui era immerso in pensieri decisamente cupi, non mi degnò di uno sguardo. Era frustrante che, tutte le volte che qualcosa lo turbava, lui si chiudesse in sé stesso, solo con quel pensiero. Avrebbe potuto rendermene partecipe, no? Chiedermi un consiglio? Aveva insistito così tanto per avermi, perché non coinvolgermi?
    Concludendo che Zach era un idiota e con un sospiro che lo confermasse, mi accucciai davanti al suo ginocchio malandato, gli sollevai la gamba del pantalone e tirai il veltro della ginocchiera per posarci sopra il ghiaccio. Il tutto senza arrossire: stavo facendo passi da gigante.
    «Potresti diventare l’aiutante di Courtney.» suggerì.
    Feci una smorfia e mi sedetti accanto a lui. «Minaccerebbe il suicidio se lo proponessimo.»
    Rise.
    «Quando te la senti torniamo.» dissi. «Oppure possiamo chiamare Matt, se preferisci.»
    Lui ci pensò per un po’. «Jamie Ross ti piaceva davvero?» era una domanda molto seria.
    Sospirai. «Siete sempre stati voi a dirlo.» gli ricordai ad occhi bassi, non andavano mai a finire bene le conversazione sul mio cuore. Mi piaceva? Di certo era un tipo interessante, ma il fatto che fosse un Veggente minava la possibilità di dare giudizi imparziali. Era un bel ragazzo, era forte, era divertente, non mi aveva mai trattata da stupida. «Tu mi tratti da matricola. Per lui ero in gamba.» spiegai.
    «Anche per me sei in gamba.» ribatté piccato, come se si trovasse in svantaggio ad una competizione contro di lui.
    Mi voltai a guardarlo e non potei proprio impedirmi di apparire molto più che stupita; i suoi occhi quella mattina erano più limpidi, il verde era meno marcato, ma più vero, come se qualcuno avesse tolto la parte artificiale. Forse era solo una mattinata più luminosa.
    «Sì, ma tu non mi lascia fare niente.» mi lamentai. «Sei un fratello decisamente troppo apprensivo.»
    «Mi preoccupo!» cercò di giustificarsi. «Dovresti esserne contenta.»
    «Mi preoccupo anche io per te!» sbottai fissandolo. «Soprattutto perché io faccio attenzione e tu no. Come ti saresti sentito al mio posto l’altra notte?»
    Mi fissò, era così intenso che pensai potesse entrarmi nell’anima. «E tu che avresti fatto se fossi stata me e se io fossi stato te?» mi domandò.
    «Io…» provai ad iniziare, anche se non sapevo bene come proseguire.
    «Mi avresti mandato in missione?» era una domanda retorica, conosceva la risposta. «Posso credere che Nate si sarebbe comportato in modo diverso, ma non tu.»
    «È diverso.» borbottai.
    Ma lui scosse la testa, affatto convinto. «No, per niente. L’unica differenza è che in ogni caso io ho un addestramento militare, perciò sarei stato sicuramente meno in pericolo di te.»
    Incrociai le braccia sul petto, esasperata. «Perché continuiamo ad impelagarci in discorsi che ci fanno litigare?» gli chiesi.
    Zach sospirò, sembrava dispiaciuto, evidentemente quando aveva iniziato a parlare non si era aspettato di finire a quel punto; si strinse nelle spalle e fissò lo sguardo sui miei capelli per evitare il mio. «Magari dobbiamo ancora imparare a fare altro.» tirò via quelli che sospettavo essere alcuni fili d’erba.
    Io mi guardai intorno, lontano da noi, un ragazzo con un cappello calato sul viso mi fece “ciao, ciao” con la mano. Il mio cuore si strinse in una morsa. «Zach, c’è Jamie Ross.» lo avvertii.
    Lui non diede segno di interesse, rimase concentrato su di me. «Lo so, voleva parlarmi.»
    Distolsi lo sguardo dal Veggente per puntarlo di nuovo su di lui. «Aspetta, ma ti serviva davvero il ghiaccio?» domandai insospettita.
    Zach si bloccò e fece una smorfia. «Altro discorso che ci farà litigare.»
    «Perché?» domandai con voce stridula. «Nemmeno tu dovresti affrontare un Veggente da solo!» lo rimproverai scrollandogli il braccio. Pensai a Jean, dio, tenere al sicuro Zach era veramente una missione impossibile.
    «Sta tranquilla, Becks.» cercò di calmarmi. «Lui vuole te non me.»
    Tornai ad osservare il punto dov’era Jamie Ross, ma si era volatilizzato. «Per portarmi da Romeo.» aggiunsi.
    Zach mi guardò. «Nah.» scosse la testa con una smorfia. «Ti vuole per lui.» si alzò e mi porse la mano. «Torniamo in caserma, che dici?»
    Mi lasciai aiutare da lui ad alzarmi, turbata. Avevo creduto che l’interesse nei miei confronti facesse parte della sua copertura, non pensavo fosse autentico, non se aveva Sharon Sullivan accanto, soprattutto. Zach mi strattonò vicina a lui e mi passò un braccio intorno alle spalle; gli lanciai un’occhiata di rimprovero, avrebbe potuto marchiarmi, sarebbe stata la stessa cosa. «Hai qualcosa da dire?» gli chiesi.
    «Sì.» affermò, mi fissò. «Per uscire con un Veggente sono quasi sicuro che tu debba chiedere il permesso a Jean.» mi spiegò sarcastico.
    Assottigliai lo sguardo. «A Jean o a te?» domandai mentre ci incamminavamo verso casa.
    «A tutti e due è meglio.»
    Sospirai. «Sei geloso.» lo accusai.
    Lui scosse la testa. «Sono un fratello apprensivo, l’hai detto tu.»
    Incrociai le braccia sul petto. «Sono libera, fratellino, posso uscire con chi voglio.»
    «Non con i Veggenti.»
    «Beh, ma a Synt non ci sono solo loro, no?» gli fece notare.
    Lui mi fissò per un lungo momento, poi distolse lo sguardo. «Ti stai avventurando in territorio che non conosci.» borbottò, ma io stavo sorridendo lo stesso: non capitava spesso di avere il lusso di vedere Zach arrossire.

Quando Courtney entrò nella sua stanza, trovò una busta chiusa davanti alla porta. La sollevò, sul dorso c’era un bigliettino scritto nella calligrafia frettolosa di Zach “Te la manda Romeo”. Ignorò la preoccupazione inconscia che si svegliava in tutti loro ogni volta che Zach confessava una sua interazione con Romeo – o con un altro Veggente che faceva le sue veci – e l’aprì. Dentro c’era un foglio ripiegato in quattro parti, più di un foglio dal peso, ed un cartoncino scritto da Romeo “Vuoi leggerlo da sola, Court”. A volte trovava molto fastidioso quel modo invadente che aveva Romeo di dar loro consigli, quel giorno però sentiva che aveva ragione.
    Andò in bagno e si chiuse dentro. Abitare in una grande famiglia come quella era divertente, ma lei era stata una figlia unica per sedici anni, a volte sentiva ancora bisogno d’intimità ed il bagno era l’unico posto dove trovarla. Si sedette sulla tavoletta abbassata e scorse con gli occhi i fogli, che poi erano tre, da cima a fondo. Rimase immobile fissando la porta davanti a lei, cercando un senso che non c’era. Ripeté sottovoce tutti i parametri che conosceva, quelli che ricordava. Non lo faceva mai, ma quel giorno si chiese quali particolari valori le facevano sostenere, quando aveva sotto gli occhi le analisi di Zach, che andasse tutto bene. Li ripeté ancora.
    Riaprì il foglio e rilesse tutto.
    Si posò una mano sulla bocca e chiuse gli occhi.
    E rimase lì, a cercare di capire.
    Jared andò a cercarla dopo un paio d’ore, bussò alla porta del gabinetto. «Court?»
    La ragazza stropicciò un pugno di carta igienica intriso delle proprie lacrime. «Sì?» quegli indizi a metà erano così frustranti.
    Jared provò ad aprire. «Che stai facendo là dentro? Jean ti cerca.»
    «Ho bisogno di rimanere sola.» si posò una mano sulla fronte e lanciò un’occhiata a quei valori: da dove partire? A chi chiedere?
    «In bagno?» chiese incredulo Jared. «Court, ma stai bene?» era preoccupato.
    Mamma.
    Sua madre avrebbe saputo cosa significava, sua madre sapeva tutto. Ma se avesse telefonato dalla caserma qualcuno l’avrebbe sentita, Nate aveva scoperto che li spiavano due mesi dopo essere entrato in squadra. Non poteva correre un rischio del genere.
    Si raddrizzò, tirò l’acqua e si infilò la busta chiusa dietro, nei pantaloni. Quando uscì Jared era lì in attesa, lei si strinse nelle spalle. «Che c’è?»
    «Stai bene.» considerò osservandola.
    «Certo che sto bene, ero solo in bagno!» si morse le labbra quando lui distolse lo sguardo da lei. Non voleva mentirgli, ma non voleva nemmeno parlare di quei dati finché non avesse saputo esattamente di cosa si trattava. Si stiracchiò mentre si dirigeva verso l’uscita. «Credo che inizierò a studiare quei libri che mi ha dato Nate.» gli disse. «Dalla fretta che aveva, sembrava una cosa che gli stava molto a cuore.»
    «Okay, ero venuto a dirti che accompagnerò Matt a cercare un nuovo fornitore.»
    Lei scosse la testa sbuffando. «Questa storia di Rose è ridicola.» commentò. «Povera ragazza, ha fatto solo un errore!»
    Jared rise. «Cercherò di farlo tornare sulla sua decisione.» promise.
    Si fermarono davanti alla porta di Court, lei si alzò sulle punte e gli diede un bacio, poi si nascose nella sua stanza.
    Appena lo fece si sfilò la busta da dietro la schiena, recuperò una penna e, dopo essersi sollevata la manica della maglia, iniziò a trascriversi tutti i valori che non capiva sul braccio. Una volta fatto infilò la copia originale sotto il materasso, accanto alla cartellina di Josh.
    Corse da Jean visibilmente turbata ed entrò senza nemmeno bussare. La Responsabile era china sui documenti che aveva preso a raccogliere e classificare, Courtney si disse che prima o poi avrebbe dovuto farsi spiegare cosa cercava, non quel giorno però.
    «Jean, devo parlare con mia madre.»
    Lei la osservò senza capire. «Ci sono dodici telefoni in caserma.» le ricordò.
    Court prese fiato. «Io e lei dobbiamo essere le uniche ad ascoltare.» precisò. «C’è in questa città un telefono sicuro?»
    Per alcuni secondi Jean la osservò e basta. «Sì, c’è.» rivelò infine.

Jean bussò alla porta di Dawn Dandley risoluta, mentre Courtney continuava a guardarsi intorno guardinga tirando forte la manica della maglia verso il basso.
    La donna aprì, era più in ordine del solito, notò la Responsabile, come se si fosse sistemata prima che arrivassero. Si era chiesta spesso se fosse anche lei una Veggente, dall’alto dicevano di no, ma dall’alto nessuno voleva contraddirla. Temevano troppo un suo rifiuto, nel caso un giorno la sua mente brillante servisse di nuovo. La guardò immediatamente, come era stata l’unica a fissarla apertamente al funerale di Josh. Non aveva pianto, eppure sembrava fosse quella che meglio comprendeva l’enormità di quel lutto.
    «Mrs. Lanter.» la accolse gioviale. «Ma che piacevole sorpresa!»
    Jean assottigliò lo sguardò turbata. «Ms. Roberts se non le dispiace.» la corresse.
    «Per me sarà sempre Mrs. Lanter.»
    Sovrappensiero si sfiorò l’anulare vuoto, quando se ne accorse sospirò e strinse il pugno. «Avere a che fare con lei è sempre straordinario. Le spiace se entro?» chiese facendosi strada nell’ingresso, prima ancora che le rispondesse.
    «Per me è lo stesso.» commentò senza opporre resistenza a quell’intrusione. «Come posso esservi d’aiuto?»
    Jean afferrò delicatamente Courtney per un braccio e se la tirò dietro: avere a che fare con Dawn Dandley richiedeva sangue freddo e poca diplomazia. «Court ha bisogno di fare una telefonata strettamente confidenziale a sua madre, ha un telefono, non è vero?» chiese fissandola, sfidandola a dire di no.
    «Ma certo.» richiuse la porta. «Il telefono è nella stanza in fondo a sinistra, il bagno la porta accanto.» guardò Courtney annuire e dirigersi da quella parte. «C’è dell’alcol sotto il lavello.»
    Courtney si voltò per lanciare un’occhiata confusa prima a lei, poi a Jean che la incoraggiò ad andare con un cenno del capo.
    «Se ti dovesse servire.» le urlò dietro Dawn Dandley, poi tornò a rivolgersi a Jean. «Mrs. Lanter, posso offrirle un tè nel frattempo?» la sentì chiedere.
    «Un caffè sarebbe meglio.»
    Lei la osservò con le sopracciglia sollevate.
    «Mrs. Dandley, non mi dica che l’unica regola dell’ADP che è disposta a seguire è “Niente caffè per i Veglianti”.»
    La donna sorrise ferina. «No, di certo.» si avviò facendole strada verso la piccola cucina. «Spero di fare in tempo.»
    «In tempo?» ripeté Jean senza capire.

Courtney si buttò sul telefono, sistemato sulla scrivania, come un gatto su un insetto: prima riusciva a parlare con sua madre e meglio sarebbe stato per tutti.
    Compose il numero in fretta, senza pensare nemmeno alla possibilità che avrebbe potuto non rispondere. Sua madre era una donna algida, molto severa e decisamente poco incline alle manifestazioni d’affetto, ma non aveva mai avuto motivo di dubitare dell’illimitato amore che provava per lei. Non importava, come o quando, se avesse chiamato Vivien Williams avrebbe risposto.
    «Pronto?» si sentì infatti rispondere dopo pochi squilli.
    «Mamma, è una questione urgente e credo di avere poco tempo.» le spiegò in fretta. «Hai per scrivere?»
    «Sì.»
    La ragazza si scoprì il braccio con i denti ed iniziò a dettarle tutti i valori, diligentemente. Quando finì, sua madre rimase in silenzio per un lungo momento. «Di chi sono queste analisi?» la tensione nella sua voce era palese.
    «Di Zach. Che posso fare?»
    «Gli servirebbero delle trasfusioni particolari. Mi metterò in contatto con chi di dovere e farò in modo di procurarti le sacche giuste, ma mi ci vorrà del tempo.»
    «Nel frattempo cosa posso dargli?» sentì qualcuno suonare al campanello e si voltò verso la porta.
    «Correggi la sua dieta, Courtney, puoi giustificarti dicendo che vorresti aiutarlo ad aumentare la sua massa muscolare. Togli le verdure e la frutta ed aumenta la carne rossa.» ordinò. «Fai il contrario con i pasti di Jean, dì che ha una carenza di fibre, poi rimescolali.»
    «Starà bene?»
    «Sarà un ottimo palliativo.» garantì. «Nel caso avesse una forte emorragia non dargli le sacche di sangue per Veglianti, fa in modo che abbia quelle per civili. Battiti perché abbia quelle.»
    Dall’altra parte della casa sentiva persone parlare in modo animato.
    «E chiamami, ti raggiungerò immediatamente.»
    «Ti devo lasciare, mamma, ti voglio bene.»
    Riappese la cornetta senza fare rumore e si affacciò verso l’ingresso, dove Jean e Dawn Dandley stavano cercando di trattenere due uomini, due agenti dell’ADP, di quelli che controllavano i Veglianti, li riconosceva dalle giacche nere e le cravatte verdi. Aveva un ricordo cupo di loro, avevano indagato sulla morte di Josh: aveva iniziato a mentire loro da lì.
    In qualche modo dovevano aver saputo qualcosa. Attraversare quel corridoio non sarebbe stata una buona idea, ma doveva andare in bagno e lavarsi via quelle scritte sul braccio. Costrinse il suo cervello a rimanere calmo e pensare.
    Si avvicinò alla finestra della camera, la spalancò e saltò giù. Fece il giro della casa rimanendo bassa e pregando che anche la finestra del bagno fosse aperta. Lo era: si aggrappò al davanzale e si issò oltre il cornicione; una volta dentro corse ad inchiavare la porta con due mandate, consapevole che, se qualcuno avesse davvero voluto buttarla giù, la resistenza sarebbe stata minima.
    Aprì l’acqua ed iniziò a strofinarsi il braccio con il sapone.
    Romeo scivolò dentro passando dalla finestra che aveva lasciato aperta, Courtney ebbe soltanto il tempo di guardarlo mentre si chinava, tirava fuori l’alcol da sotto il lavello e glielo versava sui segni della penna.
    «Perché te lo sei scritto addosso?» gli domandò in un sussurro furioso.
    Il cuore le batteva all’impazzata, era lì per ucciderla? Però quei dati glieli aveva mandati lui, perché farlo se non voleva che ne ricavasse qualche conclusione?
    «Dovevo tenere il foglio.» spiegò.
    «Non l’hai distrutto?!» domandò incredulo.
    «Certo che no.» rispose scioccata. «L’anamnesi di un paziente è importante.»
    Romeo alzò gli occhi al cielo e si appoggiò alla porta con la schiena dieci secondi prima che qualcuno bussasse con decisione. «Courtney Williams, sappiamo che è lì. Esca subito, l’ADP deve porle delle domande.»
    Lei fece per rispondere, anche se non sapeva esattamente cosa, ma Romeo si portò un dito alle labbra intimandole di fare silenzio. Forse sarebbe stato saggio ascoltarlo, forse nemmeno lui voleva che gli agenti dell’ADP vedessero. Con un cenno del capo le invitò a mostrargli il braccio, le scritte non erano più leggibili, ma i segni c’erano ancora, l’avrebbero interrogata.
    «Posso scappare.» propose con un cenno verso la finestra.
    «Se scappi adesso dovrai farlo per sempre.» la guardò contrito. «Che fai? Ti trasferisci da noi?» chiese sarcastico.
    Lei non rispose, lo guardò e basta, sconcertata perché nel so sguardo, nella sua espressione, c’era qualcosa che le fece credere che lui volesse che lei scappasse e lo seguisse. «Sono una Vegliante non una Veggente.» gli ricordò ferma.
    Romeo rise. «Come ho già detto: dettagli.» sospirò e lasciò la porta, andò alle sue spalle e Courtney seguì i suoi movimenti rigida ed agitata: l’ADP l’aspettava fuori, ma se rimaneva lì era nelle mani di Romeo.
    «È colpa tua se sono in questa situazione.» si lamentò.
    «Per questo ti sto aiutando.» le fece notare. «Con permesso.» se la strinse addosso e le poggiò il palmo sulla bocca; intanto un colpo poco incoraggiante dimostrò ad entrambi che stavano effettivamente buttando giù la porta.
    Romeo si portò un braccio dietro la schiena e recuperò una pistola, Courtney si divincolò preoccupata. «Shh.» sussurrò al suo orecchio, le labbra vicino al suo viso, ma gli occhi fermi sulla porta. «È scarica.» le puntò la canna sotto il mento. «In fondo io sono già scappato.»
    Quando gli agenti dell’ADP fecero irruzione nel bagno, armati, dovette sembrare che Romeo l’avesse sequestrata, probabilmente aveva intenzione di rapirla. Courtney immaginò i loro pensieri, la spiegazione della sua mancata risposta alla loro insistenti richieste di aprire, tutto improvvisamente così chiaro: non era colpa della diligentissima Vegliante Courtney Williams, ma del Veggente che la stava minacciando. Ed in fondo quanto poteva valere qualsiasi informazione potesse fornire loro, in confronto alla possibilità di catturare proprio Romeo?
    «Ops.» fece lui ridendo. «Dobbiamo rimandare il nostro momento di intimità ad un altro giorno, tesoro.» continuò, la strinse forte e le leccò una guancia,
sporco e volgare come quando l’aveva baciata per fare ingelosire Zach, lei strizzò gli occhi cercando di ribellarsi.
    «Scusa.» le sussurrò pianissimo, prima di spingerla tra le braccia degli agenti e scappare dalla stessa finestra dalla quale era entrato.
    Uno dei due funzionari la sostenne, mentre l’altro seguì Romeo. Le domande che le posero a quel punto furono tutte concentrate sul capo dei Veggenti, piuttosto che sul perché lei era lì: l’ADP aveva delle priorità.
    Courtney rispose in modo preciso, senza titubare mai; a volte lanciava un’occhiata a Jean, la Responsabile la stava fissando cercando in lei ogni possibile segno di ferita interiore o esteriore.
    Solo Dawn Dandley sospirò rumorosamente e teatralmente, interrompendo tutti, affatto toccata dall'apparizione di Romeo in casa sua. «Ed ora chi me la ripara la porta?»

Jean Roberts non le chiese niente durante il tragitto che fecero per tornare in caserma, Courtney non disse niente. Gli agenti dell’ADP le avrebbero fatto del male se Romeo non fosse intervenuto? Faceva fatica a chiederselo, figurarsi se poteva rispondersi.
    «Sicura di non voler vedere un medico, Court?» le domandò Jean solo quando furono davanti alla porta del garage.
    Lei annuì. «Sono un medico, se stessi male lo saprei.»
    «Ho detto agli agenti dell’ADP che volevi cercare un telefono perché temevi di essere incinta. Il tuo fidanzato abita con te e tu non ti sentivi di parlare liberamente con tua madre, spaventata di poter essere ascoltata.» si strinse nelle spalle. «Hai chiamato tua madre, chi meglio di lei per un confidenza del genere?»
    Courtney annuì ancora. «Tu non mi chiedi niente?»
    «Sai qual è il modo migliore per mentire?»
    La guardò e scosse piano la testa.
    «Non conoscere la verità.» rivelò. «Per quel che mi riguarda hai avuto un ritardo, ti sei spaventata, non eri pronta ad affrontare il discorso con Jared ed hai voluto discuterne con tua madre prima.»
    Courtney sorrise. «Tranquilla, Jean, era solo un falso allarme.»
    «Meno male, non è il momento migliore per una gravidanza.»
    Non fece nemmeno in tempo ad uscire dall’ascensore del primo piano, che Jared le corse incontro e la abbracciò. «Stai bene?» le chiese visibilmente preoccupato. «Romeo ti ha aggredita?»
    Lei lo fissò, avrebbe voluto raccontargli la verità, che con ogni probabilità Romeo le aveva evitato ore di interrogatorio, ma non ci riuscì. Non poteva caricarlo di un peso del genere prima di aver trovato un senso alle sue azioni di quel pomeriggio. «Sì, non mi ha fatto niente.» lo tranquillizzò con un sorriso. Avrebbe voluto che Lynn fosse lì, a lei avrebbe potuto raccontare.
    Jared sospirò. «Vorrei ucciderlo.»
    Ricambiò il suo abbracciò. «Non ce n’è bisogno.» disse. «Prima o poi lo cattureremo.» solo in quel momento si chiese, anche se era una domanda senza senso, da dove fosse scappato Romeo.
    Lui la allontanò e la fissò negli occhi. «Eri lì per un ritardo, è vero?»
    Che bugia stupida. «Sì.» confermò a malincuore.
    «E?» la incalzò lui.
    Lei sorrise e sgranò gli occhi. «E niente, è tutto apposto. Sarà un po’ di stress.» archiviò la cosa con un’alzata di spalle ed un sorriso, leggera e naturale come tutte le ragazze che vedono i loro dubbi dissipati.
    Ma appena rimase sola inviò una richiesta per correggere la dieta di Zach e Jean.

«Cercheranno di riprendersi la centrale elettrica.» spiegò Ofelia. «Sappiamo tutti che è l’obbiettivo principale di Nate, lo è sempre stato.»
    Romeo li ascoltò discutere passivamente, stava guardando tutte le strade che poteva percorrere, infinite e tortuose; alcune erano belle, altre eccitanti, alcune avrebbe preferito non vederle, per certe non aveva tempo, anche se avrebbe voluto. Avrebbe voluto molte cose, se avesse potuto scegliere. Al momento però aveva un’unica strada percorribile che passava per due punti precisi: Rebecca Farrel e Zach Douquette.
    «Romeo, tu che suggerisci?»
    Lasciò che il presente si ricomponesse davanti a lui. «Lasciamoli vincere.» propose.
    Tutti lo guardarono in attesa che si spiegasse meglio.
    «Nate non è stupido, giocherà in difesa per testare la loro capacità, disegnare i loro limiti.» spiegò. «Se li fermiamo serrerà di più le fila. Sa cosa vogliamo e ce li nasconderà, non è un caso che abbia chiesto a Zach di addestrare Rebecca. Saranno insieme perché vuole essere pronto a metterli al sicuro in fretta in caso di difficoltà.»
    Incontrò lo sguardo di Jamie Ross, non sembrava convinto. «Vuoi imbrogliare Nate?»
    Rise, sì, avrebbe funzionato benissimo. «Voglio solo che si credano un pochino più forti di quello che sono.» si alzò dirigendosi verso il centro del gruppo di persone riunite. «E quando nella prossima missione abbasseranno le difese per colpirci, noi mostreremo loro perché non possono vincere questa guerra.»
    Jamie Ross alzò la mano, Romeo fece una smorfia, sapeva cosa stava per chiedergli.
    «Che intendi fare a Rebbecca Farrel?» chiese e sapeva di non essersi immaginato la minaccia nella sua voce.
    Sospirò. «Ancora non ho deciso.» lo guardò indispettito. «Non avevi intenzione di andartene?»
    «Resto a fare le veci della tua coscienza, non ti darò fastidio.» lo rassicurò. «Sarò quello che ti ricorda che non si uccide Rebecca Farrel.»
    «Fantastico.» borbottò Romeo.
    «Ah, e ti cerca Madame Vivien Williams.»
    Lo guardò stupito, mentre gli altri, finito il discorso che li riguardava, se ne andavano. «E che vuole?»
    «Il tuo sangue.»
    Romeo aggrottò le sopracciglia perplesso. «Nel senso che mi vuole morto?»
    Jamie Ross parve pensarci. «No, credo che voglia proprio una sacca del tuo sangue.»

Evidentemente anche dopo una giornata buona, non eravamo ancora abbastanza guariti da poter cenare tutti insieme senza sentirci in imbarazzo. Sapevo che Zach cenava con Nate e sospettavo stessero anche discutendo sulle mie performance giornaliere; io mi ero nascosta nella stanza di Matt con il mio vassoio e sfogliavo pigramente il file di uno dei libri di Lynn, lui aveva lo schermo di un televisore che stava aggiustando accanto. Dopo il segreto che avevamo condiviso sembrava non avessimo bisogno di dirci altro.
    Sapevo che Courtney era stata aggredita da Romeo, ce lo eravamo sussurrato uno all’altro come un succulento pettegolezzo a scuola, ma lei non sembrava molto turbata; per quanto la sua decisione di impegnarsi con Jared sembrasse autentica, Zach continuava ad essere l’unico elemento a riuscire a smuovere il ghiaccio che la circondava.
    «Secondo te lo ama ancora?» chiesi a Matt, in un momento di masochismo estemporaneo.
    Sollevò gli occhi dal suo apparecchio, sorpreso quasi che gli avessi rivolto la parola. «Tu piaci a Zach.»
    Arrossii. «Sì, come no.»
    Mi fissò e posò la sua mela tra me e lui. «Mi gioco questa merda che se tu non vai a dormire da lui stanotte, domani mattina te lo trovi nel letto.»
    Arrossii di più. «Non essere ridicolo.» sbottai imbarazzata. «Ed io non mangio mele, sono schifose.»
    «Ci giochiamo una colazione, allora.» propose stringendosi nelle spalle.
    Sorrisi. «Colazione sia.»
    Tornò al suo lavoro, lo studiai per un po’ poi trovai il coraggio di chiedergli: «Con Rose?»
    «Non ci siamo più parlati.» confessò.
    «Dovresti.» gli consigliai.
    «E se mi uccide?»
    «Non l’ha mai fatto. Perché dovrebbe farlo ora?»
    «Perché conosco la sua vera identità.» disse senza guardarmi.

Zach bussò alla porta di Courtney, lei aprì quasi subito.
    «Mi accompagni a fumare?» ma i suoi occhi le stavano dicendo altro: “Prima o poi dovremo parlare, meglio prima che poi”.
    Lo seguì fuori e si strinse il maglione che aveva addosso per ripararsi dal freddo, anche se non era soltanto quello a farla rabbrividire, si sentiva tesissima.
    Per alcuni secondi rimasero fuori al freddo senza dirsi niente.
    «Stai bene?»
    Courtney sorrise. «Non mi ha fatto niente.»
    I secondi passarono silenziosi, intervallati dalle nuvolette di fumo che galleggiavano nell’aria.
    «Sei incinta?» fu una domanda incolore, si chiese quanto gli costasse.
    «No.» sapeva che il problema non era che potesse essere incinta, ma che quel dubbio era una prova lampante: lei faceva sesso con Jared, regolarmente. Sarebbe stato meglio confessargli tutto? Ripensò alle analisi, probabilmente no. E poi... beh, lei faceva sesso con Jared regolarmente.
    «Siamo amici in ogni caso.» disse dopo un po’, prese fiato come se si preparasse ad un discorso molto lungo e molte volte preparato in precedenza. «E ti voglio bene. Mi dispiace se in passato ti ho ferita, non avrei mai voluto. E mi dispiace non aver capito quello che c’era tra te e Jared ed essere stato tanto invadente. Voglio bene anche a lui non voglio che mi odi.»
    «Non ti odia.» lo tranquillizzò.
    Si voltò verso di lei e la guardò, apertamente, senza rammarico, senza colpa, senza rancore o rimpianti. «Senza Lynn non riusciamo a stare uniti se non facciamo pace.» le fece notare. «Non possiamo permetterci tre mesi di lutto per qualcosa che non è mai stato.»   
    Court chiuse gli occhi a quel “mai”, nonostante tutto lo sentiva ancora come una partita persa. «Okay.» acconsentì.
    Lui sospirò di sollievo. «Jared è in gamba, ti tratterà bene.»
    «Lo so.» prese fiato, si disse che era migliore di in quel modo, che il suo cuore non poteva essere fatto soltanto di gelosia ed invidia. C’era l’amore, l’affetto, il bene disinteressato di voler vedere le persone a cui teneva felici: si concentrò su quello. «Zach, posso dirti una cosa da amica?»
    «Sì.»
    «Ti ricordi cosa mi dicevi di Lindsey? Che per quanto fosse fantastica a volte non poteva capirti?»
    Annuì.
    «Ricordatelo sempre.» deglutì. «Anche Becky è una Vegliante e non potrà mai stare con una persona normale. E piantala con questa puttanata del “Non c’è tempo per l’amore a Synt”.» continuò. «Guardati, Zach, lo stai trovando, il tempo.» non gli disse quanto la feriva che per Becky trovasse tempo, ma che non l’aveva mai fatto per lei. Si disse che era così che doveva andare, che a volte il destino sceglie al tuo posto e non è detto che porti solo disgrazie. Si disse che la sua strada era un’altra ed anche se non era proprio sicura di aver capito quale, per la prima volta credette che fosse vero.
    Zach la studiò con le sopracciglia aggrottate. «Certo che sei un’amica stronza.» commentò.
    «Ma saggia.» sorrise Courtney. «Sono un’amica saggia.»

Zach si affacciò alla mia porta quando ero già a letto da un pezzo.   
    «Becks.» mi chiamò. «Dormi?»
    «No.» sussurrai.
    «Perché sei qui?»
    Ci pensai e mi tirai a sedere, non volevo accendere la luce, se l’avessi fatto avrebbe letto sul mio viso la delusione di essere uscita per andare in camera sua ed averlo visto bussare alla porta di Courtney.
    «Dove dovrei essere?»
    «Nel mio…» si interruppe rendendosi conto a metà frase di quanto potesse essere equivoco dire “Nel mio letto”. Decisamente troppo equivoco. «La tua brandina sta ancora nella mia stanza.»
    Mi morsi il labbro e tirai indietro i capelli con un sospiro, non sapevo bene cosa dire. «Eri con Courtney, non sapevo…» se ci saresti andato a letto? Pessimo. «Non ero sicura che mi volessi lì.»
    Lo sentii entrare nella mia camere ed accostare la porta, si sedette sul letto accanto alle mie ginocchia. «Qualsiasi cosa ci sia mai stata con Courtney è finita con Jared.» sbuffò. «Probabilmente era già finita tanto tempo prima, ma eravamo troppo spaventati e delusi per ammetterlo.»
    Deglutii.
    «Non andremo a letto insieme, Becky, smettila di esserne così preoccupata.» disse conciliante.
    «Non mi devi spiegazioni, Zach.» ammisi sincera, non mi aveva promesso niente, mai. Passare una mattinata a correre per Synt non ci rendeva certo intimi in quel modo, al massimo poteva renderci amici più intimi.
    «Lo so.» si avvicinò. «Ma voglio dartele uguale, posso?» mi prese le mani, lasciandomi parecchio sorpresa di averle trovate, era buio, non c’era luce, cos’era un gatto che ci vedeva anche di notte?
    «D’altronde sei la mia sorellina apprensiva, no?»
    Sorrisi e mi chiese se mi vedesse.


allora, che ne pensate?
come vedete un po' si sono avvicinati... non voglio però che la pensiate come Zach che rimpiazza Courtney, spero di non avervi dato questa idea. qualsiasi cosa ci sia tra Zach e Becky era già nell'aria, solo che avere una possibile situazione a metà, precedente a lei, rendeva difficile concentrarsi su altro... non so come spiegarvi! tipo come quando siete tanto innamorate di un ragazzo ed uno super figo ci prova con voi... è obbiettivamente bello come un dono del cielo, ma lascereste il vostro amore?
...
dopo questi paragoni molto intelligenti direi che è il caso di lasciarvi...
as always i vostri commenti, di tutti i generi, sono ben accetti.
baci

ps. Lamponella

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Capitolo 19
*** 18. Tutto quello che ci serve ***


mds 18
fragolottina's time
buonasera!
dunque, ve la spiego esattamente come l'ho spiegata a Lamponella: mi era rimasto incastrato Zach dentro la macchina e non riuscivo a tirarlo fuori.
cmq, ce l'ho fatta.
non vi dico niente, fatto sta che c'è un sacco di roba e sono stata un paio di settimane a dire "Oddio, ma è cortissimo!", poi ho scoperto che non era proprio così!
anche se sono l'autrice, mi concedo un momento di autoesaltazione: adoro la fine di questo capitolo da morire. in realtà mi piacciono anche altre parti, ma la fine è la mia preferita!
buona lettura...

18.

Tutto quello che ci serve


«La cosa che proprio non riesco a capire, è come abbia fatto a tenermelo nascosto per tutto questo tempo!»
    Mugugnai contrariata e mi voltai dall’altra parte rispetto a lui, sperando che questo fosse un segnale abbastanza ovvio per Matt e che lo convincesse a lasciarmi dormire in pace.
    «Cioè, lei è tipo la…» si interruppe per soli cinque secondi. «La terza persona non Vegliante che ho conosciuto! Anche volendo, non sarei stato capace di nasconderle qualcosa!» afferrò la mia spalla e mi scrollò, piano, ma per la mia mente ancora mezza addormentata fu una specie di terremoto. «Tu che ne pensi, Becky?»
    Che avevo voglia di piangere…
    «Non lo so.» biascicai.
    «Dov’è Zach?» chiese ancora. «Mi aspettavo di trovarlo qui.»
    «Non lo so.» ripetei ignorando la sua supposizione. La notte precedente era rimasto con me per un po’, poi però aveva chiamato mia madre; mi aveva lasciata sola per parlarle e non era più tornato. Deglutii ed aprii gli occhi, mamma era sconvolta per quello che avevo fatto, temeva che sarei potuta diventare… sospirai pensando a quanto fosse difficile anche per la mia famiglia tutta quella situazione: sperare che sopravvivessi e che non mi succedesse niente di male, ed al contempo temere che diventassi cattiva e spietata. Volevo davvero sopravvivere e diventare insensibile a tutti quelli che avrei colpito?
    «C’è qualcosa che sai questa mattina?» si lamentò.
    Mi rigirai supina ed incrociai le braccia sul petto, indispettita dai miei pensieri, quanto dai suoi. «No, ho appena aperto gli occhi, quindi, no! Dai tempo al mio cervello di ricominciare a funzionare.» sbottai, poi i miei occhi si fissarono sulla finestra, il sole era stranamente ed infelicemente basso. «Ma che diavolo di ore sono?»
    «Le sette.» rispose lui candidamente.
    «Le sette?» ripetei incredula. «Che ne è stato dei Veglianti dormiglioni? Mi piacevano…»
    Scrollò le spalle. «Hanno scoperto che la loro potenziale ragazza è un assassina?» domandò sarcastico. «Non siamo mai usciti insieme e già devo guardarmi le spalle, accidenti!»
    Gli lanciai un’occhiata colpevole: scoprire che Rose, la sua candida ed angelicata Rose, era una delle Veggenti più vicine a Romeo era stato un duro colpo; dovevo cercare di essere più paziente, dietro tutta quell’ironia si nascondeva parecchia delusione.
    «Te le copro io, le spalle.» gli dissi, anche se quella mattina era sulla mia lista nera ed io ero la prima a volerlo strangolare.
    Lui rise. «Tu mi copri le spalle?»
    «Puoi sempre raccontare tutto a Zach.»
    Sospirò. «Me lo immagino già: partirebbe andrebbe all’emporio e cercherebbe di infilarla in un sacco.»
    «No, non credo lo farebbe.»    
    Ma lui annuì. «Oh sì, invece! Poi la userebbe per ricattare Romeo.» continuò.
    «Zach non è così cattivo.» mi lamentai.
    Si strinse nelle spalle con noncuranza. «Non dico questo, nemmeno Jean è cattiva, ma ha ucciso frotte e frotte di Veggenti.»
    Mi tirai indietro i capelli e decisi di non voler analizzare quel pensiero ancora; era sciocco fingere di non vedere, ma dare dell’assassino spietato e calcolatore a Zach non mi era di alcun beneficio. «Beh, a qualcuno devi dirlo.»
    «Lo sai tu.»
    «Sì, ma io sono la Vegliante più sfigata di tutta Synt!» gli feci notare, concedendomi il lusso di pensare che nello Stato ci fosse qualcuno più imbranato di me. «Se vuoi proteggerla e proteggerti, ti serve la complicità di uno come Jared o Court.»
    Si rigirò sul mio letto e si appoggiò con il mento all’altro cuscino, stringendolo tra le braccia. «Vorrei che Josh fosse qui, lui avrebbe affrontato Rose a petto duro e le avrebbe chiesto “Ragazzina, che intenzioni hai?”. Non le avrebbe fatto male, però l’avrebbe spaventata abbastanza da tenerla lontana da me ed al sicuro.»
    Sospirai e mi girai come lui. «Davvero vuoi che ti stia lontana, Matt?» gli chiesi, insomma se le aveva voluto così tanto bene non poteva essergli scivolato via così in fretta.
    «Mi sembra l’unica cosa sensata.»
    Per alcuni secondi rimanemmo entrambi immersi nella sua tristezza. «Mi devi una colazione.» gli ricordai.
    Matt rise. «Okay, ma penso che tu abbia barato.» si tirò su. «Vestiti, ci vediamo di sotto.» lo guardai incamminarsi verso la porta, ma fermarsi. «Ti servono due pistole.»
    Aggrottai le sopracciglia.
    «Penso che esista un sonnifero utilizzabile anche sui Veggenti. Carichi una pistola con quello e l’altra con il Mitronio.» spiegò. «Così di volta in volta puoi decidere cosa fare.»
    Perché non ci avevo pensato io?
    «Accidenti.» esclamai. «È un’ottima idea! Puoi costruirle?»
    Matt mi fece l’occhiolino. «Già fatto! Stanotte non riuscivo a dormire.»

    «Che ne pensi?»
    Zach si chinò in avanti appoggiando i gomiti alle ginocchia mentre studiava la cartina che Nate aveva segnato ovunque: si
era sentito molto onorato quando gli aveva chiesto il suo parere, nonostante non avesse mai dato prova di grande ingegno strategico; ma si era anche dovuto far spiegare il suo piano tre volte per trovare un senso a tutti quegli scarabocchi. 
    Aggrottò le sopracciglia. «Perché non hai usato il computer?» gli schemi che di solito Nate proiettava, preparati al computer, erano chiari e bellissimi, come un dipinto.
    Nate scrollò le spalle mentre continuava a rigirarsi un pennarello tra le mani. «Sono ancora offline. E poi non sono del tutto sicuro che Romeo non sappia entrarci.»
    «Romeo vede tutto.» gli ricordò.
    «Romeo vede quasi tutto: non aveva visto il tuo pugno due anni fa, non ha visto Josh buttarsi, non ha visto Lynn cadere e non ha visto Becky sparare.»
    Zach ci pensò. «È per questo che vuoi lei là dentro?» gli domandò.
    Nate annuì. «E poi lei sa sparare ad un Veggente, ammettiamolo è una dote che torna comoda.»
    Sospirò e lo guardò. «Preferirei essere lì con te: Matt e Becky non sono le migliori guardie del corpo che puoi avere.» rifletté. «E poi credevo che volessi tenerci insieme.» gli fece notare.
    Nate si sedette, si tolse gli occhiali e si passò le mani tra i capelli. «Romeo lo sa.»
    «Cosa?»
    «Che sono preoccupato per voi due, che voglio tenervi insieme. Lo sa, lo sento.»
    «Lo senti?» chiese Zach, scettico. Non era sicuro che fosse una buona idea farsi guidare da sensazioni e sentimenti: avrebbero avuto molte più possibilità se Nate avesse continuato ad essere razionale.
    Lui annuì e si rinfilò le lenti. «E poi tu sei Zach Douquette! Sei tipo la superstar dei Veglianti: Jean, Josh e Wood hanno litigato per te, hai dato un cazzotto a Romeo, sai fare tutto.»
    Zach aggrottò le sopracciglia stupito. «Non credi di esagerare?»
    «No.» Nate scosse la testa senza alcun dubbio. «Per niente. Penso che qualcuno da qualche parte stia scrivendo la tua storia. È quasi scontato andare lì con te.»
    «Perché è una buona idea.» lo rendeva nostalgico pensare a tutte le cose che aveva fatto, che sapeva fare. Si sentiva un palloncino, lo avevano gonfiato e gonfiato e gonfiato, aspettandosi che quando sarebbe esploso, la sua eco si sarebbe estesa ovunque; solo che lui si stava sgonfiando piano, piano, senza fare alcun rumore. Dietro le quinte, senza scalpore, si sarebbe semplicemente svuotato.
    Nate scosse ancora la testa, stavolta con più decisione. «No. Matt mi serve perché sa fare quello che non so fare io, Becky mi serve perché può tenerli lontani; tu, Courtney e Jared dovete stare lì fuori per respingere il grosso.»
    «Romeo passerà.» ammise, per quanto potesse essere bravo, per quanto potesse accorciare le distanze tra loro, Romeo sarebbe sempre stato un passo avanti, quel poco che bastava per fare quello che voleva.
    «Romeo non mi fa paura.»
    «Dovrebbe.»
    Nate non rispose, continuò a guardare i suoi appunti, mentre Zach lasciava vagare lo sguardo per la sua camera in ristrutturazione, un angolo era stato completamente distrutto per far posto a qualcos’altro. «Che ci fai lì?» domandò curioso.
    «Un laboratorio.»
    «Per fare che?»
    «Per vedere come funzioni, se funzioni bene e se devi essere aggiustato.» Nate alzò gli occhi. «Zach, io ti aggiusterò, te lo prometto. Sarai quello che sei destinato ad essere.»
    Zach rise e si alzò per andare a controllare. «Sean me lo diceva sempre, che ero difettoso. Ha anche provato ad aggiustarmi.»
    Nate continuò a perfezionare i suoi schemi senza degnarlo di particolare attenzione. «Fammi indovinare, ti ha preparato un qualche mix di cose disgustose da bere o da mangiare?» chiese immaginando forse un gioco tra bambini.
    «Ha mandato il mio cervello in crash, metà collasso, metà attacco epilettico.» rise ancora. «Mio padre lo ha quasi ammazzato di botte, hanno dovuto ricoverarmi in ospedale. A mia madre è venuto un colpo.»
    Il ragazzo lo guardò, sconvolto. «Quanti anni avevi?» gli chiese turbato.
    Si infilò le mani in tasca. «Cinque? Sei? Non mi ricordo, però mio padre mi voleva ancora bene, perché ogni volta che mi svegliavo lui era lì a coccolarmi come tutti i bambini malati.» se lo ricordava bene, era uno dei quei ricordi che somigliavano ai desideri. Suo padre sempre lì, che gli scostava i capelli dalla fronte, che gli portava giocattoli, che gli prometteva che sarebbe andato tutto bene, che discuteva con le infermiere. Anche sua madre sembrava quasi contenta di averlo sposato.
    «Perché?» continuò a chiedere incredulo.
    I ricordi di Zach fecero una corsa vorticosa fino al presente, scrollò e spalle. «Diceva che ero strano.»
    «Strano?»
    «Mi diceva che era come se indossassi vestiti pesantissimi, quindi qualsiasi cosa facessi ero goffo.»
    «Eri goffo?»
    Scosse la testa. «No, giocavo a basket ed ero parecchio bravo.»
    Nate si strinse nelle spalle. «Forse era tuo fratello ad essere strano.» considerò.
    «Beh, di certo non era goffo. Lui a basket mi batteva sempre.»

Io e Matt ci fermammo ad una decina di metri dalla ferramenta dove lavorava Rose, lui aveva ancora una ciambella in mano. La caffetteria dove andavamo di solito era stata distrutta la notte del trasporto, così me ne aveva mostrata un’altra; non era carina come la prima, forse solo perché non c’era Lynn.
    «Intendi entrare?» gli chiesi lanciandogli un’occhiata.
    Matt ci pensò addentando la ciambella. «Sai che se ci hanno visti arrivare, ci sarà un comitato di benvenuto là dentro?» mi guardò. «Può essere pericoloso.»
    Feci una smorfia. «Penso che sia un rischio che possiamo correre.» annunciai sicura.
    «Io no.»
    Sbuffai. «Tu la vuoi uccidere?» gli domandai per convincerlo.
    «No!» rispose precipitoso, non mi serviva una risposta, ero quasi sicura che Matt non avesse mai voluto uccidere nessuno.
    «E allora perché dovrebbe volerlo fare lei?»
    «Perché è una Veggente.» disse lentamente, per far sì che il concetto penetrasse nel mio cervello.
    Alzai gli occhi al cielo. «Okay, senti io entro.» gli dissi. «Puoi accompagnarmi o rimanere qui.» mi incamminai verso l’entrata della ferramenta senza voltarmi indietro, dopo pochi passi lo sentii seguirmi.
    Non appena entrammo tutte le persone presenti si voltarono verso di noi, palesemente ostili: forse l’idea del comitato di accoglienza di Matt non era stata così sbagliata. In un secondo avevamo gli occhi di tutti addosso, di tutti tranne che di un uomo con un cappuccio sulla testa, di spalle a noi. Matt sbiancò e mi afferrò un braccio tirandomi indietro.
    L’uomo davanti a noi sollevò un braccio in alto, attirando l’attenzione di tutti, la nostra l'aveva già. «Signori, non vale la pena agitarsi.»
    Rose riemerse dai suoi scaffali e scavalcò il bancone. «N-on si litiga nella mia f-ferramenta.» venne dritta verso di noi e guardò Matt negli occhi. «Vuoi parlarmi?»
    Lui deglutì ed annuì.
    «V-vieni.»
    Matt mi strinse di più il braccio. «Non la lascio qui con lui.» disse riferendosi all’uomo in fondo, appoggiato al bancone. Solo in quel momento si voltò sorridendo, nessuno di noi aveva avuto dubbi sulla sua identità.
    «Sì, invece.» lo corresse Romeo. «Signori, potreste accompagnare, per favore, il nostro giovane Casanova a discutere con la signorina ed accertarvi che non le faccia del male?»
    Due uomini lo presero per le braccia, tirandolo indietro.
    «No!» gridò. «Becky!» continuò cercando di divincolarsi dalla loro stretta.
    «Matt!» mi mossi per raggiungerlo ed aiutarlo, ma qualcuno mi afferrò per la vita trattenendomi. «Lasciami!» intimai.
    «Nah.» rispose annoiato Romeo, affatto in difficoltà per la mia resistenza. Diede una pacca sulla spalla all’ultimo dei suoi rimasto lì. «Vai con loro, qui ci penso io!»
    Mi trascinò fino al bancone come se fossi una bambolina e mi ci depose sopra, seduta. Appena mi trovai in condizione di poterlo fare, mi sporsi verso uno scaffale e recuperai una chiave inglese, pronta a colpirlo.
    «Io non lo farei.» mi ammonì, sollevò un avvitatore elettrico munito di punta. «Fidati, saresti tu quella a farti più male.»
    Deglutii. «Dì ai tuoi uomini di non fargli del male.» ordinai cercando di dare l’idea di non essere spaventata, ma quella punta continuava a girare ed io non riuscivo ad evitare di pensare a come sarebbe stata se me l’avesse infilata nella carne.
    Lui mi osservò infastidito. «Mi hai sentito ordinare “Tagliategli la gola”? Non mi sembra.» mi fece notare. «Anche se potrei cambiare idea.» continuò.
    Sospirai e posai di nuovo la mia arma improvvisata, lui fece lo stesso con la sua. «Brava, piccina, stai buona.»
    Incrociai le braccia sul petto, ero appena diventata un ostaggio? Probabilmente sì.
    Lui si appoggiò con i gomiti al bancone, accanto a me. «Rilassati, c’è Jamie là fuori, non posso farti niente.» cercò di tranquillizzarmi iniziando a sfogliare una rivista.
    «Dove sono i genitori di Rose?» chiesi. La prima volta che ero venuta qui ricordavo un uomo, avevo pensato che fosse suo padre.
    Romeo si strinse nelle spalle. «Morti.»
    «Chi è stato?» chiesi.
    Lui scoppiò a ridere. «Ma sei seria, ragazzina?» mi domandò. «Chi vuoi che li abbia uccisi? Uno come te, è sempre la stessa storia. Noi cerchiamo di farvi capire la nostra opinione, voi siete un branco di ragazzini violenti ed ottusi!»
    «Ottusi?» non potevo obbiettare sul violenti.
    «Vediamo, come posso farti capire…» sussurrò alzando gli occhi al cielo e tamburellando con le dita sul seno nudo di un’attrice. «Se non ti avessero trascinata qui, la tua esibizione da cheerleader di ruolo sarebbe stata tanto buona da farti meritare una promozione da riserva. Il prossimo anno saresti stata tu la caposquadra.»
    «Menti.»
    Romeo scrollò le spalle. «Perché dovrei? Ti hanno portato via quello per cui avevi sudato, quando l’avevi quasi raggiunto. Daranno il tuo posto ad un’altra, ma era il tuo posto, ed hai la mia parola che la nuova ragazza non lo meriterà quanto te. Tutto questo solo ed esclusivamente perché gli serviva che tu ammazzassi Iago e ti facessi ammazzare.» mi lanciò un’occhiata. «Se ti riesce far fuori anche qualcun altro nel frattempo tanto meglio.»
    Abbassai lo sguardo e scossi la testa. «E allora?» ero una Vegliante, no? Era il mio lavoro: servivo il governo e proteggevo le persone, nessuno si aspettava che lo facessi giocando a badminton.
    Mi guardò con più attenzione. «Non ti dà fastidio, non avere la possibilità di diventare quello che sei destinata ad essere? Non ti senti come se ti avessero rubato la vita per usarla per i loro scopi?» assottigliò lo sguardo, sembrava deluso dalla mia mancata furia, deluso e curioso. «Sei sempre la stessa ragazza che era in quella scatola di plexiglass, Rebecca Farrel? La stessa che ha difeso Amanda Martinez da quel tizio? La stessa che si arrabbiava a scuola quando un potenziale Veggente veniva preso di mira dagli altri? Hai solo una giacca diversa e, credimi, quel colore non ti dona.»
    Una freccetta spuntò sulla spalla di Romeo, inizialmente rimasi troppo sorpresa per capire, poi lui se la strappò dalla spalla e guardò davanti a noi. «Ahi!» si lamentò.
    «Sicuramente le sta meglio del rosso.»
    Seguii il suo sguardo, sorpresa di trovare Zach lì, ma lui non mi stava guardando, aveva gli occhi fissi su Romeo.
    «Sei in anticipo!» lo rimproverò.
    «Non volevo darvi il tempo di diventare troppo intimi.» disse ironico, poi si guardò intorno. «Dov’è Matt?»
    Romeo mi fissò, il suo sguardo era così fermo da farmi rabbrividire: una parola sbagliata e sarei morta, non importava chi avrebbe assistito o chi si sarebbe arrabbiato, se avessi fatto la spia su Rose la mia vita sarebbe finita lì.
    «I suoi l’hanno portato via.» lo accusai. «Eravamo venuti qui perché gli servivano dei pezzi, ma ci hanno teso una trappola.»
    Romeo sogghignò. «Hai talento.» mormorò studiando la punta della freccetta di Zach, poi alzò di nuovo la voce perché lui lo sentisse. «Sto sondando il terreno: prima Courtney, poi Rebecca. Sai, ho un sogno ricorrente in cui le posseggo entrambe tra cuscini di piume, dici che mi serve uno psicologo?»
    Zach tirò fuori un’altra freccetta. «Questa finisce tra le tue gambe.» lo minacciò.
    Fece una smorfia, poi un cenno con il capo. «Va’ da lui, biondina, non vorrei che si scaldasse troppo.»
    Saltai giù dal bancone e feci per correre verso Zach, ma Romeo ci ripensò: mi afferrò un braccio e mi ritirò indietro. Cozzai con la schiena contro il bancone e lasciai andare un gemito, mentre Romeo mi teneva le braccia incastrandomi con il suo corpo. Schioccò le dita e non ebbi bisogno di vedere per sapere che qualcuno stava trattenendo Zach. Cercai di divincolarmi, ma era inutile.
    «Voglio darti un argomento sul quale riflettere.» spiegò Romeo fissandomi. «Tu eri destinata ad essere una meravigliosa cheerleader, di quelle che vincono le gare, eccetera. Non lo sarai, ci dispiacerà non vederti fare capriole con gonne striminzite, ma sopravvivremo.» considerò. «Secondo te, cosa era destinato ad essere Nate? Cosa avrebbe potuto fare? E Courtney, che esegue suture al buio? Pensaci, piccina, sarebbero potuti essere in grado di cambiare il mondo e nessuno gli permetterà di farlo.»
    Lo fissai e basta, la pupilla dei suoi occhi era nera come il buio, ma brillava, brillava di qualcosa di sconcertante: sincerità.
    «Questo mondo continuerà a fare schifo perché nessuno permetterà a quelli come Nate di cambiarlo.» fece un passo indietro e mi lasciò. «Vattene.»
     Continuai a tenere gli occhi su di lui, massaggiandomi i polsi, per qualche momento; avrei voluto chiedergli di più, ma vinse lo spirito di sopravvivenza e corsi da Zach.
    Non appena fui a portata di mano, mi afferrò e mi tirò dietro di lui bruscamente. «Poi facciamo i conti.» mi minacciò a voce bassa aveva il fiato corto. «Matt?» chiese.

    Romeo recuperò la rivista dal bancone, la arrotolò e la usò come megafono. «Matthew Montgomery è desiderato alla cassa.»
    Fu riaccompagnato da noi in pochi secondi, si fermò davanti a me.
    «Ora noi usciamo e voi non ci seguirete.» disse Zach, indietreggiando insieme a noi.
    Romeo gli lanciò un’occhiata carica di rimprovero. «Cos’è? Hai paura che scopra dove abiti?»
    A differenza di me e Matt, ingenuamente usciti dalla caserma a piedi, Zach ci era venuti a prendere con la sua super macchina blindata. Era tanto nervoso da tremare, tanto che quando tirò fuori le chiavi della macchina Matt si offrì di guidare al suo posto; glielo lasciò fare e si voltò a guardare dov’ero: appena dietro di lui.
    «Muoviti.» ordinò secco.
    Lo superai alzando gli occhi al cielo e salii sul sedile dietro del fuoristrada.
    Matt iniziò a guidare, mentre io guardava fuori dal finestrino preparandomi alla ramanzina di Zach.
    «Certo, che c’è sempre una bella atmosfera quando sono in macchina con voi due.» osservò. «Lynn l’avrebbe chiamata tensione sessuale.» continuò.
    «Guida e sta zitto.» borbottò Zach.

«Li seguiamo?» chiese Rose a Romeo.
    Lui continuò a fissare l’uscita della ferramenta e sorrise. «No, abbiamo tutto quello che ci serve.» considerò infilandosi il cellulare di Becky nella tasca interna della giacca.

Quando Matt parcheggiò nel garage della caserma, Zach fece per iniziare a parlare, ma lui lo precedette e sollevò una mano per bloccarlo. «Come vi è venuto in mente… bla, bla, bla… non sapevate che era pericoloso… bla, bla, bla… cercate di fare più attenzione… bla, bla, bla… non posso sempre essere lì a salvarvi… bla, bla, bla…» spalancò lo sportello. «Ho sentito questa storia milioni di volte, raccontala a lei che è una novellina.» concluse con un cenno del capo verso di me.
    Zach sospirò guardandolo allontanarsi, poi si voltò verso di me, osservandomi attraverso lo spazio tra i due sedili anteriori. «Becks, mi spieghi, per favore, perché ti è così difficile tenerti al sicuro?»
    Scrollai le spalle senza guardarlo. «Evidentemente i Veglianti sono tutti così, vocati all’autodistruzione.» gli lanciai appena un’occhiata prima di distogliere di nuovo lo sguardo. Mi massaggiai la schiena indolenzita, avevo preso una bella botta.
    «Hai messo in pericolo anche Matt.» mi fece notare.
    «Eravamo soltanto da Rose!»
    Lui grugnì esasperato. «Becks, non c’è un soltanto quando Romeo è arrabbiato con te. Lui è ovunque, questa città è sua!»
    Tenni gli occhi bassi, mediamente offesa; capivo il suo punto di vista, ma cosa si aspettava che facessi? Che mi ne rimanessi tappata in caserma per sempre?
    «Come facevi a sapere dove eravamo?» chiesi.
    Lui sospirò e si rigirò rilassandosi contro il sedile; spalancò lo sportello e tirò fuori un pacchetto di sigarette. «Nate vi cercava e non vi trovava: quando non si trova, Matt è sempre da Rose.» spinse il pulsante dell’accendisigari della macchina.
    «Zach.» dissi solo con rimprovero.
    «Sì, sì, domani smetto.» mi zittì, mentre accendeva.
    Guardai il suo profilo infastidita e quando aprì lo sportello per fumare fuori io uscii e mi posizionai davanti a lui. Quando stava seduto sul sedile, ero più alta, afferrai la sigaretta stando attenta a non scottarmi e la buttai via. «”Una alla fine di ogni missione” è il patto che hai fatto con Jean.»
    «In realtà è il patto che ho fatto con Josh.» Zach mi afferrò un braccio e si alzò con tutta calma; provai a scrollare per liberarmi, ma l’unica cosa che ottenni fu che lui mi prese anche l’altra mano. Me le portò dietro la schiena avvicinandosi, nel suo sguardo c’era la superiorità di chi veniva alle mani davvero troppo spesso per curarsi dell’altrui fisicità. Non c’era imbarazzo nei suoi movimenti, né tensione; non ero una ragazza in quel momento, ero solo qualcosa da tenere fermo.
    Per me era un ragazzo e lo era in ogni singolo punto in cui i nostri corpi si toccavano.
    «Lasciami!» mi lamentai piano.
    Cercai di liberarmi infruttuosamente, la cosa più umiliante era che immobilizzarmi non gli costava alcuna fatica. «Non riesci a tenere a bada nemmeno a me.» mi fece notare. «Quindi non puoi salvarti da sola da Romeo.»
    Mi divincolai ancora debolmente. «Mi stai facendo male.» non era del tutto vero, se fossi rimasta ferma avrei appena sentito la pressione delle sue dita: mi stavo facendo male da sola.
    Si chinò su di me per costringermi a restare concentrata su di lui. «E nemmeno io posso farlo, Becks.»
    Mi fermai, ma non ebbi il coraggio di guardarlo.
    «Posso provarci e ci proverò sempre, ma se lui vorrà tenerti davvero non potrò fare niente.» mi spiegò arreso. «Stai sempre a lamentarti che non mi impegno abbastanza a tenermi vivo, andando avanti così sarai tu a farmi ammazzare.»
    «Ma sei riuscito a colpirlo.» gli ricordai.
    «Svegliati, cheerleader!» mi rimproverò con rassegnazione. «Si è fatto colpire.»
    «Come fai ad esserne sicuro?»
    «Non sono stato furtivo, speravo di distogliere la sua attenzione da te e convincerlo a prendersela con me.» portò le nostre mani tra di noi e con uno strattone mi girò di fianco, passò i miei polsi in una sola delle sue mani e mi tirò su la maglietta sulla schiena. «Ha deciso di ignorarmi perché era più interessato a te.» mi lasciò completamente ed andò a recuperare la sigaretta che gli avevo buttato. «Ti serve del ghiaccio, vallo a chiedere a Court.» mi suggerì. Mi studiò per alcuni secondi e la rimise con attenzione nel pacchetto.
    Alzai lo sguardo su di lui. «Mi dispiace.»
    «Sì, lo so.» disse lui prima di lasciarmi lì ed andarsene.    

Nate scese al piano della mensa cercando di fare meno rumore possibile. L’aveva notato per sbaglio, ma quel dettaglio non era riuscito ad uscirgli dalla testa: la porzione di cibo di Zach era sigillata male sia a pranzo che a cena, come se qualcuno avesse tolto o aggiunto qualcosa prima di servirlo.
    La sua mente era arrivata ovunque, da una penetrazione di Veggenti nella caserma, al tradimento di qualcuno. Non si era aspettato certo il tradimento di Courtney.
    Accese la luce e la fissò, lei sussultò e si voltò a guardarlo.
    «Court.»
    Aveva gli occhi sgranati, stava pensando a cosa inventarsi.
    «Che stai facendo?»
    La ragazza abbassò gli occhi sul vassoio di Zach non più sigillato e su quello che Jean altrettanto violato. «Non è come sembra.» disse precipitosa.
    «Sembra che tu li stia contaminando.» ma non ci credeva: era Courtney, non era mai stato intenzionato a mettere in dubbio la sua lealtà. Nate fece forza sulle braccia per sedersi su uno dei tavoli della mensa. «Ti ascolto.»
    Per alcuni secondi Courtney rimase immobile, quasi potesse mimetizzarsi con l’ambiente, poi richiuse diligentemente i vassoi di Zach e Jean con la colla a caldo ed andò a sedersi accanto a Nate.
    «Romeo ha fatto in modo che avessi delle analisi di Zach.»
    «Il sangue che gli ha preso.» ricordò.
    La ragazza annuì. «Già. Erano strane, diverse da quelle che vedo di solito, non le capivo, così ho chiamato mia madre.» sospirò strofinandosi le mani sulle cosce, nervosa in modo inequivocabile. «Mi ha detto di porre delle modifiche alla sua dieta, di mescolare il suo cibo con quello di Jean, la verdura e la frutta in particolare.»
    «Non stai cercando di fargli aumentare massa muscolare.»
    «No.»
    «Lui lo sa?»
    «No.»
    «Chi altri lo sa?»
    Lo guardò quasi con aria di sfida. «Romeo.»
    «Non era lì per importunarti, vero?»
    Scosse la testa. «In realtà ha attirato l’attenzione degli agenti dell’ADP su di lui perché non mi facessero troppe domande.»
    Per alcuni secondi Nate rimase in silenzio, a volte trovava inspiegabilmente nobile l’intento di Romeo di farsi carico di tutti i loro errori, tutte le loro colpe; altre trovava naturale chiedersi quante, delle colpe che tutti gli attribuivano, fossero vere.
    «C’è altro che dovrei sapere?»
    «Se Zach avrà una forte emorragia non dobbiamo dargli le sacche di sangue per i Veglianti e dobbiamo chiamare mia madre.» ripeté, attenta e accurata come una bambina avrebbe ripetuto gli ordini della maestra.
    Nate la fissò, smarrito. «Ci sono apposite sacche di sangue per i Veglianti?»
    «Evidentemente sì.» rispose Courtney.
    «Le voglio.»
    «Le ruberemo.»
    «Court, ci pensi mai?»
    La ragazza lo guardò interrogativa. «A cosa?»
    «A quello che avresti potuto fare se non fossi incastrata qui.»
    Per alcuni secondi lei non disse niente, poi sospirò. «Continuamente.»

Qualcuno bussò alla mia porta.
    «Ti ho portato il ghiaccio.» annunciò Matt. «Una coccola e due pistole.»
    Rotolai sul mio letto e lo guardai, era rimasto sulla porta in attesa che gli dessi il mio consenso per entrare, in mano aveva un sacchetto con il ghiaccio, un piatto sigillato e due posate e il calcio delle due pistole gli spuntava dalle tasche dei pantaloni.
    «Puoi entrare.» accordai con un sorriso.
    Lui chiuse la porta e venne a sedersi accanto a me. Mi porse il ghiaccio, ma io lo poggiai sul comodino; avevo preso una botta, era vero, ma era soltanto un livido. Il mio polso era stato quasi rotto e praticamente era già guarito! Ero stanca che tutti mi trattassero come se fossi fatta di porcellana: ero come loro, mi ferivo, mi ricoprivo di lividi e la notte dopo ricominciavo.
    Matt mi porse il piatto sigillato, avevo pensato che fosse il pasto che avevo saltato – e che non rimpiangevo affatto – ma in realtà si trattava di una mini torta.
    «Grazie di avermi accompagnato.»
    Sorrisi, togliendo il coperchio. «Sei riuscito a chiarire qualcosa?»
    Scosse la testa e si sdraiò sul letto con le braccia incrociate dietro la nuca. «È troppo infuriata per riuscire a parlarle. Si è arrabbiata quando gli ho detto che ero preoccupato, quando mi sono arrabbiato perché mi ha tenuto tutto nascosto, quando gli ho spiegato che siamo su due fronti diversi dello stesso campo di battaglia.» sospirò. «Vorrei poter scegliere di non combattere.» si sfilò le due pistole dalle tasche e lo posò sul letto tra di noi. «Ho detto a Zach che Rose non era in ferramenta, altrimenti avrebbe cercato di salvarla e… beh, credo che ci siano cose che Zach ancora non deve sapere.»
    «Okay.» la pensavo diversamente, ma visto che era il suo segreto non potevo imporre la mia volontà.
    «Becky?»
    «Nh?»
    «Ti prego, non ucciderla.»
    Lo fissai e scossi la testa. «Te lo prometto.» garantii. «Pensi che farò ammazzare Zach?»
    Matt fece una smorfia annoiata. «Romeo non vuole ucciderlo. Perché non pensa mai che potrebbe ucciderlo sempre, ma che, visto che non l’ha mai fatto, forse non è quello il suo obbiettivo.»
    «Ha paura.»
    «Con la paura non ci si fa niente, anzi è scomoda.» mi indicò le pistole con un cenno del capo. «Come fai a fare centro con quelle se ti tremano le mani, se ogni battito di cuore di scuote tutta?»
    Risi. «Ottima filosofia, dovresti parlargliene!»
    Scosse la testa. «Se ti può tranquillizzare, pensa che Romeo è in grado di rapirti e chiudere lui in un ripostiglio al tempo stesso.»
    Ci pensai. «Non è esattamente incoraggiante.» gli feci notare.
    Si strinse nelle spalle. «È meglio di niente.»

Mi svegliai a tarda notte perché le coperte erano pesantissime. Scrutai il buio con attenzione ed accesi la lampada: Zach dormiva in fondo al mio letto, di spalle rispetto a me. Mi strinsi le ginocchia tra le braccia osservando la sua schiena, cullando ed al tempo stesso reprimendo la voglia di toccarlo. Pensai di svegliarlo, poi pensai che non avevo niente da dirgli e che forse, per quella notte, andava bene così.


avete presente il discorso di Romeo più su?
signore, il punto finale di tutta questa baraonda esistenziale è tutto lì!
sono disponibile per spiegazioni, coccole ed insulti cortesi!
baci

ps. ricordate che Romeo è un uomo inifnitamente lungimirante.

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Capitolo 20
*** 19. Indiani e Cowboy ***


MSC19
fragolottina's time
buonasera lettrucciole,
volete sapere quante volte ho cancellato e riscritto questo capitolo? esattamente quattro volte.
ogni volta che ero pronta a pubblicare, lo leggevo, mi dicevo "è una merda!" e ricancellavo tutto. quattro volte, quattro settimane. questo significa che l'ultima ardua sentenza spetta a voi, fatemi sapere come lo trovate!


19.

Indiani o Cowboy


«Vieni ad aiutarmi?» sussurrò Courtney, accucciata accanto a Zach nella stanza di Becky.
    Lui si voltò e la guardò. «A fare che?» le domandò in uno sbadiglio.
    Courtney sollevò una bandana rossa.
    Zach la studiò, sorrise ed allungò la mano per toccarla. «Indiani o cowboy?»
    «Indiani.»

Tra le tante auto a disposizione dei Veglianti ce n’era anche una borghese. Era una monovolume blu, fortemente desiderata da Josh, che usavano soltanto per le missioni sotto copertura.
    «Hai fatto?» le chiese Zach parcheggiando in un vicolo abbastanza nascosto, vicino all’ospedale statale di Synt.
    Courtney stava colorando di nero la punta rossa di alcune pistole giocattolo con il tappo del pennarello in bocca. «Quasi.» biascicò. Aveva i capelli intrecciati quel giorno e quasi niente trucco addosso, ma era bella anche con le occhiaie.
    Zach recuperò la bandana rossa e se la annodò al collo, poi tornò ad osservarla. «Perché non l’hai chiesto a Jared?» cercò nel portaoggetti dell’auto due paia di occhiali da sole.
    Sputò via il tappo. «Non sa giocare agli indiani.» rispose tranquilla.
    «Sì, ma magari non gli fa piacere che sei qui con me.»
    Courtney lo guardò prima sorpresa, come se, quando quella mattina si era alzata per andare a chiamarlo, non avesse nemmeno preso in considerazione la possibilità che fosse sconveniente; poi però il suo stupore si trasformò in esasperazione. «Zach, non ti ho portato qui per sedurti o circuirti. Sappiamo tutti che quando ci sono questo tipo di missioni si chiama te.» lo fissò e lui pensò che erano milioni di anni che non lo fissava indispettita. In genere lo guardava addolorata, triste; gli piaceva che lo guardasse in quel modo, senza lacrime incrostate.
    «Non prenderò decisioni ridicole a lavoro solo perché ora c’è lui.»
    Zach la lasciò parlare, poi alzò gli occhi al cielo e si infilò gli occhiali, presto imitato da lei. «D’accordo, ma glielo hai detto che sei qui almeno? Si preoccuperà.»
    Per alcuni secondi rimase zitta, palesemente presa in castagna. «Tu l’hai detto a Becky?» ribatté, aprendo lo sportello e scese dalla macchina per interrompere quella conversazione.
    Zach la seguì precipitosamente. «Ehi, è diverso.» le urlò sopra il tettuccio dell’auto.
    Courtney sventolò una mano all’indietro, scettica anche di spalle. «Perché? Perché non fate sesso?»
    Lui chiuse e la raggiunse. «Non facciamo anche tante altre cose.» commentò affiancandola.
    «E fai male. Sono anni che non fai sesso, saresti molto più rilassato.»
    Zach non rispose, le regalò soltanto un’occhiataccia che lei ignorò completamente. «Beh, ma l’avrai baciata!» sbottò. «Non credere che baciare una ragazza sia tanto diverso da farci l’amore.»
    «Ed infatti non ho fatto nemmeno quello.» si schernì, contento di poter avere ragione con lei: era difficilissimo discutere con Court e riuscire a portare a casa la vittoria nel dibattito.
    Courtney si fermò, completamente sconvolta. «Perché?!»
    Zach fece un altro paio di passi, poi si voltò a camminare all’indietro con le mani in tasca. Rise della sua espressione stupita. «Non è detto che lo voglia e non è detto che lo voglia lei.»
    Courtney gli lanciò due pistole giocattolo, Zach le prese al volo, poi fece lo stesso con un cappello.
    «Ti prego, lei ti vuole.»
    «Non me l’ha mai detto.» disse lui scuotendo la testa.
    Lei sgranò gli occhi, sconcertata. «Deve?!»
    «Non sono un Veggente. E comunque non ho detto che la voglio.» si fermò davanti alla porta dell’ospedale. Non era la struttura principale, ma la parte con l’accesso riservato soltanto ai medici; conteneva alcuni laboratori e, cosa decisamente più importante, la banca del sangue di Synt.
    Zach si tirò la bandana sopra il naso, mentre si appoggiava con la schiena alla porta per aprirla; lui e Courtney entrarono quasi in contemporanea ed in contemporanea sollevarono le pistole finte davanti a loro. «Sono sicura che la vuoi.» borbottò.
    L’intero staff all’interno si fermò, poterono osservare il loro stupore trasformarsi gradualmente in pietrificazione da panico.
    «Signori, buongiorno.» li salutò Zach, la voce ovattata dal fazzoletto. «Se ve lo state chiedendo: no, non è la giornata giusta per fare gli eroi.» puntò le pistole su tutti e si fermò su un’infermiera che lo fissava. Zach deglutì osservandola, in un attimo la percorse tutta e fu come se la stesse analizzando al microscopio, eppure se glielo avessero chiesto non avrebbe saputo dire nemmeno di che colore aveva i capelli. Stava bene, non le sarebbe successo niente.
    «Non se n’era andata?» bisbigliò Court.
    «Mani ed occhi contro il muro.» ordinò ignorandole entrambe, cosa che gli risultava piuttosto difficile da tutta la vita.
    Ubbidirono lentamente, qualcuno scoppiò a piangere. L’infermiera sembrava indecisa, ma alla fine anche lei si spostò dopo avere aiutato una sua anziana collega a fare lo stesso.
    Court e Zach percorsero il corridoio controllando che a nessuno venissero strane idee.
    «Zach.» mormorò l’infermiera non appena le passarono dietro.
    Lui la guardò, i suoi occhi erano fermi su di lui. Coprì la distanza tra loro in pochi passi, le afferrò i capelli legati in una coda e gli spinse di nuovo la fronte contro il muro. «Non costringermi ad andare a salutarlo da parte tua, ragazzina.» le puntò la pistola in mezzo alla schiena. «Non ci è troppo simpatico.»
    Lei deglutì e chiuse gli occhi.
    «Brava così, dolcezza.» i suoi occhi vennero attirati dal cartellino magnetico che aveva attaccato alla divisa verde menta, allungò la mano e lo staccò. L’infermiera sussultò.
    «Lascia stare questa ragazza, mostro!» si lamentò la collega che era stata aiutata dall’infermiera poco prima.
    Zach fece un paio di passi indietro tornando accanto a Court. «La tenga buona, signora.»
    Si chiusero dentro la banca del sangue e si sfilarono gli zaini dalle spalle, Court corse alle celle frigorifere mentre Zach si infilava alcuni fumogeni nelle tasche dei pantaloni per quando sarebbero usciti.
    La ragazza ne aprì una e rimase immobile. Zach la raggiunse senza capire e guardò insieme a lei dentro il frigorifero: le sacche erano ordinatamente in fila, ognuna con sopra scritto il loro nome. Zach ne prese una con sopra scritto il proprio, poi anche una con scritto quello di Becky.
    «Non dovrebbe essere così.» mormorò Courtney senza capire mentre ne raccoglieva una. «Il sangue si divide per gruppo sanguigno. Io e te siamo B positivo, che senso ha scriverci il nome?»
    Zach osservò l’etichetta studiando alternativamente la sua e quella di Becky. «C’è qualcos’altro dentro.» constatò. «Guarda quella percentuale.»
    Courtney fece come gli aveva suggerito. «Sì, ma che diavolo è?» chiese.
    Zach scosse la testa. «Non lo so, ma la mia è quella più alta.»

Io e Matt eravamo gli addetti alla ricostruzione di Synt. Non era proprio così, in realtà ci stavamo limitando a dare una mano ai negozianti che durante il trasporto avevano visto la loro attività commerciale distrutta. Eravamo un supporto, diciamo, visto che la popolazione di Synt ci pagava, tanto valeva essere d’aiuto.
    Matt si occupava del grosso in sella ad un piccolo scavatore e si stava divertendo un mondo, siccome io non potevo guidare mezzi pesanti mi stavo limitando a sgombrare come meglio potevo la caffetteria che piaceva tanto a Lynn, aiutata dalla proprietaria Viola. Era una ragazza carina, mi aveva raccontato di essersi tinta i capelli di recente perché il ragazzo che le piaceva sbagliava spesso il suo nome. Mi aveva chiesto di Lynn, come stesse, di Zach, ancora se stava bene.
    Io le risposi come meglio potevo, non volevo darle troppi dettagli, anche se quando le risposi che Zach stava alla grande, lei mi lanciò un’occhiata scettica.
    «Allora, come ti trovi a Synt?»
    Stavo spazzando a terra e mi ero fermata a guardare una macchia di sangue. Quando avevo scritto il rapporto con Jean, tutte le dinamiche di quella notte mi ero state chiare e sapevo che quel sangue era di Zach.
    «Meglio.» le sorrisi. «I primi giorni sono stati complicati.»
    Lei mi raggiunse con una spugna e si chinò a strofinare quella macchia rossastra. «I primi giorni di un trasferimento sono sempre complicati. Qui lo sono un po’ di più.» disse lanciandomi un’occhiata complice. «Ho pulito la macchinetta, vuoi un caffè?»
    Annuii contenta e recuperai uno sgabello rovesciato per sedermi al bancone. «Perché siete venuti qui?» le chiesi. Ero uno dei miei grandi enigmi, il fatto che le persone continuassero a trasferirsi lì.
    Lei scrollò le spalle, di schiena rispetto a me. «Ci siamo trasferiti per mio fratello.» iniziò. Si guardò intorno alla ricerca di una tazza. Io mi chinai a raccoglierne una da terra e la ripulii con un lembo della mia maglietta, prima di porgergliela.
    «Grazie.» si rimise a trafficare con le macchinette. «Mio padre avrebbe voluto trasferirsi dopo, insomma è un posto pericoloso, ma c’è così tanto da fare. Non volevamo essere così egoisti.»
    Mi mise la tazza davanti mentre io la guardavo confusa.
    «Diciamo che oggi il servizio è un po’ spartano.» commentò con un sorriso notando solo in quel momento che il bordo della tazza era sbeccato. «Sta attenta a non ferirti.» mi consigliò.
    Stavo per chiederle di più sul fratello, ma proprio in quel momento entrò Matt, ricoperto di polvere da capo a piedi. Si sollevò gli occhiali protettivi sulla testa rivelando ancora un lembo di pelle rosa e pulita intorno agli occhi. «Oste, un cappuccino.» ordinò.
    Viola si tirò su. «Solo se ti trovi una tazza.»
    Matt ci pensò osservandomi. «Becky, bevi che poi riciclo la tua.»
    «Okay.» dissi bevendo il mio caffè tutto d’un sorso.
    «Come te la passi, Matt?» gli chiese, poi gli lanciò un’occhiata. «E soprattutto, perché hai litigato con Rose?»
    Lui si appoggiò con i gomiti al bancone e si rivolse a me. «Gli abitanti di Synt sono dei pettegoli allucinanti.» tornò a guardarla. «Stiamo cercando di gestire la situazione in modo discreto.»
    «Discreto un cavolo!» sbottò Viola voltandosi a prendere la mia tazza per riempirla con il suo cappuccino e riconsegnargliela. Si fermò davanti a lui con le mani appoggiate al bancone. «Hai visto quando è carina quella ragazza? Hai idea di quanti abbiano cercato di corteggiarla? Credimi, non sei il partito migliore che potrebbe avere.»
    Matt sospirò. «Becky, ho l’onore di presentarti la sempre sincera, impicciona e chiacchierona Viola!» disse aggiungendo sarcasmo ad ogni aggettivo con cui la introduceva.
    «Sei sempre sincera?» le chiesi per cercare di mettermi in mezzo, mi dispiaceva che Matt si trovasse in quella situazione, soprattutto perché non aveva spiegazioni da dare, non poteva.
    «Ci provo.»
    «Come Romeo.» osservai.
    Viola rise. «C’è un bel dibattito in proposito.»
    «Tu che ne pensi?» le chiesi. Era un po’ che mi domandavo come vivessero quella situazione gli abitanti di Synt e non mi sarebbe capitato tanto presto di poter parlare di nuovo con una ragazza altrettanto socievole. In realtà lei era il primo abitante di Synt né Vegliante né Veggente con il quale parlavo: mi sentivo un po’ ghettizzata.
    Viola mi osservò. «Penso che non guadagna niente a stare qui.» spiegò. «Penso che potrebbe andarsene, penso che non l’ha fatto. Penso che non dovresti limitarti a quello che dicono gli altri e che dovresti crearti un’opinione tutta sua su di lui.»
    Annuii, la risposta più diplomatica dell’anno, praticamente non mi aveva detto niente. Capivo la sua volontà di non schierarsi, ma non mi soddisfaceva.
    «Ehilà!»
    Ci voltammo tutti e tre verso la porta ed incrociammo lo sguardo di Jared. «Nate mi ha mandato a cercarvi.»
    Sospirando ci alzammo.
    «Ciao, Viola.» salutammo a turno.
    «Tornate a trovarmi!»

Zach lasciò cadere uno zaino pieno di sacche di sangue sul tavolo di Nate, mentre Courtney si annusava schifata i vestiti.
    «Bleah! Odio la puzza dei fumogeni.»
    «Siamo stati bravi?» chiese Zach.
    Nate chiuse il suo computer e si sporse a frugare tra le varie sacche, si strinse nelle spalle. «Avete ucciso qualcuno?» chiese.
    «No.» rispose Courtney scuotendo la testa.
    «Vi hanno riconosciuti?» si aggiustò gli occhiali mentre osservava pensieroso una sacca con il nome di Lynn.
    Lei e Zach si guardarono. «Lindsey fa l’infermiera lì ora.» iniziò. «L’abbiamo fatta mettere faccia al muro, ma non posso garantire che non mi abbia riconosciuto.»
    «Ucciderla sarebbe stata la scelta più sicura, ma Zach si è fatto venire i rimorsi di coscienza.» commentò Court con una smorfia. «È solo una ragazza, ha tutta la vita davanti, sono responsabile per lei… il solito!»
    Lui rise scuotendo la testa. «Ad ogni modo non credo che farebbe la spia.»
    «Per ora non l’ha fatto.» concluse Nate. «Speriamo che continui così.» si alzò e andò a frugare nel suo armadio, tirò fuori un giubbotto antiproiettile decisamente più robusto delle protezione standard che avevano nelle giacche verdi. Prese anche un casco e porse tutto a Zach.
    Lui osservò tutto quanto senza capire. «Che dovrei farci?»
    «Non posso dirtelo.» Nate scrollò le spalle. «Se te lo dico, tu lo farai e Romeo lo vedrà. Se non te lo dico e ti viene in mente sul momento può darsi di no.»
    «Nate.» disse Zach. «Come diavolo fa a venirmi in mente, se non me lo dici?»
    Lui annuì risoluto. «Ti do degli indizi.» spiegò. «Primo: il giubbotto ed il casco. Secondo: sono convinto che Court e Jared possano cavarsela se ti allontanerai un pochino stanotte. Terzo e più importante: Becky è una schiappa nel corpo a corpo.»
    Zach lanciò un’occhiata di sbieco a Courtney, poi tornò su di lui. «Vuoi che l’alleni?»
    «No.»
    «Vuoi che alleni Court?»
    La ragazza scoppiò a ridere. «Non farti umiliare, Zach.»
    «Decisamente Court non ne ha bisogno.» osservò Nate.
    «Cosa vuoi che faccia, allora?»
    «Non pensarci troppo.» lo mise in guardia Nate. «Se ti viene in mente prima di stanotte, Romeo lo vedrà.»
    Zach sospirò.
    «Non è un’infermiera.» precisò Nate.
    Lui lo guardò.
    «I suoi genitori volevano andarsene, lei si opposta. È una volontaria, Jean ha imposto al direttore sanitario di tenerla al sicuro, per questo sta dalla parte dei laboratori.»
    «Quindi non corre nessuno pericolo?» chiese Zach.
    Nate scosse la testa. «No, stai tranquillo.»

Stavamo provando le mie due pistole. Questa volta il mio personale costruttore di armi non aveva lasciato niente al caso: aveva preparato più munizioni di quante potessi usarne in una vita intera; aveva fatto in modo che le mie pistole avessero un caricatore che si potesse preparare prima, in modo che non dovessi mettermi a trafficare con le siringhe e risparmiare tempo; aveva scelto ogni singolo pezzo con cura maniacale controllando peso, calibratura, equilibrio, tutto quanto. Mi aveva anche comprato due foderi gemelli.
    Mi stava insegnando a caricare e sparare, a togliere i caricatori vuoti – conservarli possibilmente, finché Rose era off limit – e mettere quelli pieni.
    Il tutto sotto lo sguardo vigile, per non dire ossessivo, di Zach, che si era messo a fissarci, fissarmi, seduto sul tappetino senza distrarsi un secondo.
    «Ma secondo te che cos’ha?» chiesi a Matt dopo un po’.
    Lui scosse la testa e si strinse nelle spalle. «Non saprei dirti.»
    «Che facciamo glielo chiediamo?»
    Matt si voltò e lo osservò attento. «Magari non è una buona idea… metti che ci risponde!»
    Risi. «Okay, senti proviamo questo affare poi glielo chiediamo.»
    «Affare.» ripeté lui critico. «Ti ho costruito due armi professionali di altissima precisione!»
    Sospirai. «Okay, perdonami, Matt, per non sapere apprezzare il tuo grande lavoro.»
    «Grazie.»
    Le due pistole di Matt erano sensazionali. Leggerissime, avevano un rinculo debole ed erano estremamente precise. Se fossero state progettate da me non avrei saputo fare di meglio; era come se guardandomi avesse capito tutto quello di cui avevo bisogno, ma che nemmeno io sapevo. Non avevano mirino, ma non mi importava, in realtà non mi era mai servito.
    «Wow…» esclamai impressionata dopo la prova.
    Matt sorrise soddisfatto. «Sono di tuo gradimento?» chiese, anche se era evidente che non fosse necessario.
    «Sono perfette, sembrano fatte apposta per me.» spiegai studiandole.
    «Beh, sarà perché sono fatte apposta per te, che dici?»
    Risi e lanciai un’occhiata a Zach che era sempre lì, sempre fermo a fissarmi.
    «Senti, vado a parlarci. Questa cosa sta diventando inquietante.»
    Lui annuì. «D’accordo, vado a preparare un po’ di munizioni extra per stasera.»
    Lo guardai allontanarsi, poi mi voltai verso Zach. Non fece una piega quando spostai lo sguardo su di lui, come se non guardasse me, ma oltre me, dentro me. Lo raggiunsi e mi sedetti accanto a lui sul tappetino, seguì tutti i miei movimenti. Per qualche secondo rimasi in attesa che parlasse di sua spontanea volontà, poi realizzai che evidentemente non voleva.
    «Vuoi dirmi qualcosa?» provai.
    Lui scosse la testa. «Nate sta impazzendo ed al tempo stesso cercando di trascinarmi nella sua follia.»
    Continuai ad osservarlo mentre speravo che quell’affermazione terminasse con una spiegazione plausibile, ma non accadde.
    Zach sospirò davanti alla mia deludente scarsa perspicacia. «Mi ha dato tre indizi per una missione extra di stasera, nella speranza che io capisca solo all’ultimo momento e che quindi Romeo non lo preveda.»
    Ci riflettei, in effetti non era così semplice. «Quali sono i tre indizi, magari posso aiutarti.»
    Rise. «Primo: un casco ed un giubbotto antiproiettile; secondo: il via libera per allontanarmi stanotte; e terzo: tu.» mi studiò. «Che sei una schiappa.» aggiunse.
    «Mm…» riflettei. «Non mi viene in mente nulla.»
    Zach sospirò, si lasciò cadere all’indietro e grugnì. «Spero che stanotte Romeo sia in vena di darmi fastidio, ho voglia di prendere a schiaffi qualcuno.»
    Feci una smorfia. «Non sarebbe meglio una corsetta sul tuo tapis roulant?» suggerii.
    «Mi girando troppo per il tapis roulant, dovrei distruggerlo con un martello il tapis roulant.»
    Mi strinsi le ginocchia al petto. «Dimmi perché ti girano, allora.» proposi.
    Zach mi lanciò un’occhiata. «Perché sono un Vegliante e mi sento stretto. Non posso avere aspirazioni, non posso avere un futuro.» deglutì. «Non ho potuto dare alle persone a cui tenevo quello che desideravano e che io desideravo e…» sospirò ed assottigliò lo sguardo. «Non vorrei che mi dimenticassero, anche se è quello che io ho scelto per loro. È egoista, non vorrei nemmeno questo.»
    «Zach.» mormorai.
    «Poi stiamo qui a chiederci perché Josh si è buttato.» rise amaro. «Che c’è da capire, guarda come cazzo viviamo!»
    «Zach.» ripetei.
    «Sì, lo so! Devo essere lucido, attento e concentrato.» sospirò. «Un bravo soldatino.»
    Lo osservai per un po’ senza sapere cosa dire, così rimasi zitta. Accanto al desiderio struggente di confortarlo, c’era la triste consapevolezza che non potevo; non c’era una cura per quello che eravamo e per quello che saremmo stati, non sarebbe passato presto, ci aspettavano anni in quel modo.
    «Ci pensi che vivremo dieci anni insieme?» gli chiesi stranamente divertita da quell’affermazione.
    «Otto.» precisò.
    «Oh, è vero.»
    «Voglio andarmene da qui.»
    Sorrisi. «Vorrei che potessi farlo.»
    Lui scosse la testa. «Non riuscirei comunque ad abbandonarvi.» si tirò su e mi guardò. «Che dici se domani sera mi accompagni a fare qualcosa di normale?»
    «Cosa?» sbottai ridendo. «Synt non è normale.»
    «C’è una paninoteca a Synt interna, due ristoranti, una pizzeria. Anche un cinema, ma gli schermi molto grandi mi fanno venire l’insonnia e poi dobbiamo essere raggiungibili.»
    Lo guardai sorpresa. «Sai, che è la prima volta che mi parli come se potessi arrivare a domani?»
    Non mi rispose, mi guardò e basta.

«Dentro ci vado io. Faccio due chiacchiere con Nate e faccio paura alla ragazzina. Mi servono una decina di voi fuori, tanto per non farli sentire stupidi.» spiegò Romeo.
    Molte più di dieci persone, compreso Jamie Ross con grande disappunto di Romeo, alzarono la mano. Lo fece anche Ryan, mentre puliva la canna di un fucile. L’immagine di quel disastro mondiale era racchiuso nella visione di una ragazza di quindici anni che puliva un fucile con l’abitudine di chi lo fa ogni giorno; per un momento si chiese se non valesse la pena fare dei manifesti con quella foto, poi si ricordò che le persone vedevano solo quello che volevano vedere.
    «Niente cazzate.» disse lentamente. «Se qualcuno di voi ha visioni confuse in proposito, se teme di poter essere ferito, sta a casa e basta. Deve essere una missione pulita, dobbiamo farli vincere, ma questo non significa che noi dobbiamo perdere.»
    Si abbassarono tre mani.
    «Ryan, perché non resti con Dawn?»
    La mano alzata della ragazza si trasformò in un dito medio alzato, decisamente poco collaborativa come tutti i Veggenti. Romeo rise.
    Grazie al cielo.

Matt lasciò la macchina davanti alla centrale elettrica. Io e Nate scendemmo, ma solo io mi stavo guardando intorno. Lui aveva cercato di essere il più rassicurante possibile, ma io ero l’unica armata e se succedeva qualcosa ai miei compagni sarebbe stata colpa mia. Inizialmente la cosa mi aveva reso tanto inquieta da tremare, spaventata: non volevo quella responsabilità.
    Poi però tutto il mio corpo si era disteso e mi ero sentita improvvisamente calma, concentrata, completamente padrona di me stessa e tranquillamente focalizzata su quelli che erano i miei compiti. Era la stessa sensazione ambivalente che avevo prima che, durante le prove delle cheerleader, qualcuno mi lanciasse in aria; il lancio era spaventoso, ma quando ero in aria tutto il mondo scivolava via, compresa la paura. Ed io atterravo in piedi, perfettamente dritta. La capo cheerleader diceva che era la mia più grande qualità.
    Nate si caricò uno zaino in spalla e si strinse la giacca addosso, faceva freddo quella sera.
    «Beh, non siamo timidi!» commentò notando la nostra immobilità.
    Si incamminò in direzione di un cancello di metallo, io e Matt lo seguimmo. Nate recuperò un mazzo di chiavi dalla tasca, ne scelse una ed aprì. C’era un piccolo ponte di metallo sospeso dall’altra parte, io guardai giù, sembrava esserci dell’acqua in fondo. Puzzava.
    «Era studiato per resistere ad un attacco come nel Medioevo.» mi spiegò Nate. «Questi ponti si possono ritirare.»
    «Ma non hanno funzionato.» commentai.
    Lui rise. «È stata una follia credere che potessero farlo. In un mondo in cui puoi arrivare in qualsiasi punto con computer basta un virus ben fatto per controllare una cosa del genere.»
    «Allora perché noi siamo qui?» domandai senza capire.
    Nate si strinse nelle spalle. «Romeo non è stupido come noi, la prima cosa che ha fatto una volta entrato nel sistema è stato impedire ogni azione dall’esterno.»
    Attraversammo il ponte ed aprimmo la porta successiva, mi guardai intorno, ma sapevo che non c’era nessuno. Entrare si stava rivelando più facile del previsto, mi chiesi se Romeo non ci avesse preparato qualche sorpresa poco carina all’interno.
    Nate si muoveva tranquillo tra i corridoi bui della centrale elettrica armato soltanto di una torcia mentre io e Matt lo seguivamo attenti. Per essere una centrale abbandonata era insospettabilmente pulita, mi aspettavo ratti, anche qualche uccello, tele di ragno enormi, ma non c’era niente di tutto questo, come se chi l’avesse sequestrata la volesse in perfette condizioni. Forse aveva un tarlo enorme da qualche parte, come Josh: anche se Romeo l’aveva mandato indietro sano e salvo c’era stato qualcosa di gigantesco che non andava nella sua testa. Qualcosa di spaventoso e letale, probabilmente molto più di un qualsiasi ferita avrebbe potuto infliggergli.
    Nate si fermò davanti ad enorme porta di metallo completamente sigillata. Tirò fuori un razzo segnalatore e lo lanciò dalla parte opposta del corridoio per illuminare l’intero ambiente.
    «Matt, che ne pensi?» gli chiese.
    Lui lasciò a terra la sua sacca e tirò fuori un avvitatore elettrico. «Che mi serve un quarto d’ora.»
    «Non preoccuparti.»
    Io e Nate ci voltammo precipitosamente verso la voce che aveva parlato. Romeo era sul limite più esterno del cerchio di luce disegnato dal razzo segnalatore, la nostra illuminazione improvvisata lo sfiorava, ma non lo avvolgeva, riuscivamo a scorgere solo dettagli del suo corpo.
    «Fai con calma, li intrattengo io.» continuò. «Oh, e permettermi di correggerti, Nate.»
    Lo guardò, Rome sorrise. «Non è che io non sono stupido come voi: non sono stupido come loro

Zach prese la rincorsa e saltò più in alto possibile per afferrare la scala di sicurezza ed abbassarla fino a terra. Non parava molto, ma sperava che sarebbe stato sufficiente a creare qualche difficoltà a quella maledettissima Ryan, appostata su un fottuto palazzo, troppo lontana anche soltanto per pensare di ricambiare il fuoco.
    Stranamente per gli standard dei Veglianti di Synt, quella sera se la stavano cavando decisamente bene, non stavano vincendo e non avevano catturato o atterrato nessuno, ma per lo meno, riuscivano a respingerli.
    Romeo non si era visto, non aveva pensato nemmeno per un secondo che fosse assente: se non era lì, era già dentro.
    Per un attimo si chiese se la missione misteriosa di Nate non riguardasse proprio lui, ma non era mai entusiasta si mandarlo ad azzuffarsi con Romeo.
    Ryan gli colpì una spalla di striscio e Zach masticò un imprecazione colorita; se solo per una volta l’avesse avuta a portata di mano, dannata vigliacca perennemente nascosta…
    Si fermò e guardò di nuovo il tetto del palazzo dal quale gli sparava.
    «Pensateci voi!» urlò a Jared e Court che subito si spostarono per coprirlo.
    Recuperò il casco e si strinse le fibbie del giubbotto antiproiettile.
    «Dove vai?» gli domandò Court vedendolo prepararsi.
    Zach sollevò la visiera del casco. «A prendere Ryan.»

okay, sappiatelo: nel prossimo capitolo succederà qualcosa di sconvolgente, ma decisamente importante!
non fatemi domande o potrei cedere alla tentazione di dirvi altro...
come già detto: fatemi sapere cosa ne pensate!
baci



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Capitolo 21
*** 20. Pari ***


MSC19 fragolottina's time
questo capitolo rappresenta una svolta decisiva all'interno della trama di questa incomprensibile storia, questo capitolo - non di per sè, ma il significato che ha - è il perchè io ho voluto scrivere questa storia. perchè ho amato Becky e l'ho eletta a eroina, perchè ho scelto che fosse lei, in tutte le sue incertezze a parlare per me: era l'unica che l'avrebbe fatto ed io la amo per questo.
quindi buona lettura...


20.
Pari


Sollevai le due pistole davanti a me. Matt era stato molto chiaro in proposito: “Sai quella storia che ti raccontano? Che le pistole sono improvvise? Non lo sono, devi decidere di sparare prima di farlo, perché se vuoi sparare, devi mettere il dito sul grilletto”. Romeo non mi degnò di uno sguardo, era completamente concentrato su Nate: non era un segnale incoraggiante, evidentemente non si era visto colpire quella notte.
    Nate mi osservò a lungo, prima di tornare a guardare Matt alle prese con la porta della centrale elettrica. «Qual è la missione di oggi, Becky?» mi domandò.
    Io deglutii, anche Nate era stato chiaro: “Attenersi alla missione”, aveva detto, non “Catturare Romeo”.
    Erano stati tutti incredibilmente chiari, come se il nostro nemico non fosse stato in grado di prendere tutte le nostre carte accuratamente ordinate e scombinarle in un secondo, come se la chiarezza ci avrebbe potuto tenere al sicuro da lui.
    «Ero preoccupato che non ti fossi ancora fatto vedere.» commentò Nate.
    Romeo si posò una mano sul petto fingendosi offeso. «Ti prego, Nate, la tua prima missione come caposquadra, non potevo mancare.» fece un passo in avanti, io spostai il dito sul grilletto, solo quello della pistola con il sedativo però.
    «Non ti avvicinare.» intimai.
    Lui sollevò le mani. «Piccina, sono disarmato.» mi fece notare, ma sapevo che quello non era un deterrente per lui, ero sicura che, anche disarmato, se avesse voluto avrebbe potuto metterci tutti KO.
    «Che mi racconti di nuovo, Romeo?» domandò Nate intromettendosi tra noi. Non voleva che sparassi, era evidente, ma non ero sicura del perché: non voleva che Romeo schivasse il colpo e poi contrattaccasse me o non voleva che lo colpissi? Fino a che punto si spingeva la stima nei suoi confronti?
    «Non ci capita spesso di incontrarci di persona.»
    Lui non spostò gli occhi da me, improvvisamente del tutto concentrato su di me. «Prima o poi questa situazione doveva cambiare.» osservò. «Avete organizzato una missione niente male, ragazzi. Ottima, direi.»
    Nate annuì. «Ti ringrazio.»
    Romeo aprì la bocca per dire qualcos’altro, ma si fermò. Aveva gli occhi spalancati, il viso leggermente voltato a sinistra, come se un fantasma gli stesse sussurrando un segreto all’orecchio. «Dov’è Zach?» chiese lentamente. Panico. Avevo visto Romeo arrabbiato, quando avevo sparato a Iago, divertito, quasi ogni volta che ci incontravamo, ma mai preso dal panico.
    Dov’era Zach?
    Mi voltai verso Nate.
    «Ha una missione speciale.» rispose Nate con fermezza e capii: non voleva che non sparassi perché lo stimava, ma perché non voleva che scappasse, voleva trattenerlo lì con noi. Io e Matt ci guardammo incerti, ma speranzosi: era ovvio, Zach stava arrivando, in fondo “Catturare Romeo” era sempre stata la missione di Zach.
    Ma Nate continuò.
    «C’è un perché Ryan è sempre nascosta.»
    Matt lasciò cadere una chiave inglese che fece un frastuono assordante. Spostai lo sguardo su Romeo ed ebbi il lusso di vederlo spaventato, forse la cosa mi avrebbe dato qualche soddisfazione se non lo fossi stata anche io.
    Ryan era Rose, avrei voluto urlarlo, ma non potevo, spettava a Matt quella rivelazione. Lo guardai, per quanto la luce del razzo segnalatore fosse rossastra, lui appariva comunque pallido come un lenzuolo, aveva le labbra dischiuse, l’espressione sconvolta. Non avrebbe mai potuto, conoscevo quel genere di sensazione pietrificante, non sarebbe riuscito a dire niente.
    «Digli di no, Nate!» lo supplicai. «Ti prego!»
    Lui mi osservò, stupito dalla mia reazione, lo capivo.
    «Perché?» mi domandò senza capire.
    Romeo mi fissò, fissò la pistola con il Mitronio ed io deglutii, avrei voluto nasconderla. Era uno di quei momenti in cui faceva davvero paura, uno di quelli in cui valutava il modo più rapido ed efficace per farti fuori. Il mio cervello mi suggerì al volo la cosa più saggia da fare: scappare. Ma non lo avrei fatto.
    Decisi che se volevo salvarmi tanto valeva giocare d’anticipo: premetti entrambi i grilletti mentre lui mi balzava addosso, con il risultato che le due siringhe andarono a sbattere sul soffitto, mentre io cadevo a terra con Romeo sopra di me. Mi sfilò dalle dita la pistola che gli interessava ed io colsi con la coda dell’occhio Nate muoversi per aiutarmi; ma Romeo puntò la canna della pistola al mio collo e lo guardò. «Sicuro che non le fa niente?» lo sfidò.
    Non minacciava di spararmi il sedativo, lo capii da come Nate si fermò e fissò negli occhi alternativamente Romeo e me. Deglutii e nel farlo la mia gola premette di più contro la pistola, il mio caposquadra trattenne il respiro. «Lasciala.» mormorò.
    Romeo mi lanciò un’occhiata. «Solo perché ho fretta.»
    Si alzò in piedi e corse via. Mi tirai su sui gomiti e lo guardai allontanarsi. Era tutto sbagliato, tutto quello che sarebbe successo era sbagliato: dovevo fare qualcosa!
    «Court, sta arrivando Romeo.» disse Nate al telefono, si avvicinò porgendomi la mano.
    Io mi alzai in fretta, mi rimaneva una sola pistola, quella con il sonnifero. Guardai Matt ancora sconvolto e lessi nei suoi occhi l’indecisione, non era quello il momento giusto per le sue decisioni precipitose: era il momento delle mie.
    Mi alzai e corsi nella stessa direzione dove si era allontanato Romeo.

Ryan osservò Zach stringersi il giubbotto antiproiettile, poi infilarsi il casco e dire qualcosa Courtney prima di allontanarsi. Lasciò la sua posizione accucciata e si alzò in piedi per cercare di vedere meglio, ma era difficile avere una buona visuale con quei palazzi squadrati ed alti; certo, per la fuga erano perfetti, ma per un cecchino erano una maledizione.
    Tirò fuori il suo cellulare dalla tasca ed aprì la mappa di Synt, cercò la via dove si era infilato Zach per capire dove stava cercando di andare, o per lo meno per capire dove sportarsi per riuscire a tenerlo sott’occhio.
    Si sfilò la maschera, ingombrante, tanto Matt l’aveva scoperta, non aveva molto senso coprirsi. Quella guerriglia urbana, celata e non celata secondo il volere di Romeo, stava sfuggendo di mano a tutti. Si fermò a quattro passi di distanza dal bordo del palazzo, si sistemò il fucile sulle spalle e prese la rincorsa per saltare sul tetto vicino, tranquilla.
    Mentre era in aria però, al paesaggio di Synt si sovrappose l’immagine di qualcuno che la guardava dal basso, qualcuno con un casco in testa.
    Ryan rimase ferma per qualche secondo una volta atterrata sull’altro tetto, con addosso la destabilizzante sensazione che qualcosa le fosse sfuggito e, cosa più preoccupante, fosse sfuggito a Romeo.
    Si morse il labbro, poi si infilò di nuovo la maschera, fece un paio di passi all’indietro e si sporse oltre il bordo: Zach Douquette le fece “ciao, ciao” con la mano. Aveva il casco, non poteva vedere il suo viso, ma sapeva che stava sorridendo.
    Lei continuò guardarlo valutando con calma la situazione: aveva un casco, non aveva paura che potesse colpirlo alla testa; aveva un giubbotto antiproiettile, quindi sapeva di avere tutti gli organi vitali coperti. Ryan rabbrividì, non per il freddo, e deglutì, ma non aveva la gola secca.
    Il cellulare le vibrò tra le mani facendola sussultare, guardò lo schermo, era Romeo.
    «Mi-mi sa che ho un proble…»
    «Scappa!» ordinò.
    «Come?» chiese.
    «Scendi da quel palazzo e scappa più in fretta che puoi.» spiegò più dettagliatamente. «Ti prende. Non faccio in tempo, ma ci provo. Però tu scappa.»
    Riattaccò, lei si sporse di nuovo, ma Zach non c’era più… pessimo segno.
    Tutta la situazione venne riassunta in cinque secondi nella sua mente.
    Si tolse il fucile dalle spalle e lo lanciò il più lontano che poteva, non aveva senso portarsi dietro un peso inutile, non avrebbe avuto tempo per usarlo; saltò sul tetto del palazzo vicino, proprio mentre Zach cercava di buttare giù la porta che dava accesso a dove si trovava in quel momento. Corse verso la scala antincendio ed iniziò a scendere, saltando rampe intere di scale ogni volta che si sentiva abbastanza sicura. Avere quindici anni ed essere una Veggente era un casino, la sua vita era un insieme di metà: mezze visioni, mezza Veggente, mezza sicurezza.
    Da come la struttura di metallo iniziò a tremare indovinò che Zach avesse appena preso la prima classe per raggiungerla. Ne doveva fare di strada se voleva essere furtivo come i Veggenti. Lo vide saltare giù dal terzo piano in modo da incastrarla su quella scala e lo precedette: quattro piani di scale erano troppi, perciò a malincuore si buttò dentro un raccoglitore d’immondizia, per riemergere subito dopo sporca di materiale compostabile, che le aveva comunque garantito un atterraggio morbido.
    Zach cadde una decina di secondi dopo, cosa che la costrinse a riemergere dall’humus in fretta e correre.
    Mai abbastanza in fretta.
    Zach riuscì ad afferrarla per un gamba trattenendola e facendola cadere. Ryan provò a strisciare in avanti, ma Zach era abbastanza sveglio ed abbastanza testardo da non lasciarla. Scalciò, ma con la testa coperta dal casco per lui non fu un grande deterrente. Allungò le mani più avanti che poté, tastando alla ricerca di un qualsiasi oggetto, qualsiasi cosa avesse potuto usare come arma. Afferrò il coperchio di un secchione dell’immondizia e si voltò per sbatterlo sulla schiena del suo inseguitore, non era pesante né robusto, ma era abbastanza grande da truffare le sue percezioni e costringerlo a ripararsi.
    Ryan non sprecò quella preziosa opportunità: in un secondo fu di nuovo in piedi e scappò. Ma non si illuse, lei era ancora in formazione, una specie di Veggente part-time e Zach… era Zach.
    Per un attimo si concesse di credere che Matt sarebbe corso in suo aiuto, non avrebbe potuto mai permesso che le facesse del male. Poi si ricordò che era un Vegliante, che lei era una Veggente; l’unico che avrebbe potuto salvarla era Romeo e le aveva già detto che non ci sarebbe riuscito.
    L’avrebbero catturata di nuovo e stavolta non le avrebbe dato alcuna scelta, l’ADP non era esattamente paziente con chi creava tanti problemi quanto lei. Avrebbero testato il Mitronio e sarebbe morta. Certo, ora il suggerimento di Romeo di restare con Dawn le sembrò decisamente meno offensivo. Avrebbe voluto averlo ascoltato.

Romeo sbucò fuori dall’uscita principale della centrale elettrica, Courtney lo stava aspettando in posizione d’attacco. La fissò tutta, poi lasciò andare un sospiro rammaricato. «Fammi passare, non costringermi a farlo.» disse, a metà tra un ordine ed una supplica cercando di proseguire.
    Courtney si mosse insieme a lui e fece per dargli un pugno. Romeo la schivò senza alcun problema, l’aggirò; la ragazza fece per voltarsi, ma era in ritardo. La gomitata di Romeo le arrivò alla schiena, improvvisa come una coltellata ed anche altrettanto dolorosa. Per un attimo il dolore fu tanto intenso da toglierle il fiato, cadde in ginocchio, poi a quattro zampe appoggiandosi ai palmi.
    Era la prima volta che la colpiva davvero, di solito si limitava a disimpegnarsi da lei passivamente, senza mai fare sul serio. Se ogni volta che si fossero scontrati l’avesse colpita con tanta decisione, probabilmente avrebbe avuto molta più paura di lui.
    Romeo si fermò soltanto per schioccare le dita, lo sentì distintamente nonostante il frastuono di Jared che teneva impegnati i Veggenti, o forse viceversa. «Datele cinque secondi.»
    Chiuse gli occhi, quando li riaprì Jared le era accanto accucciato. «Court! Courtney!»
    Lei lo guardò e basta.
    «Stai bene?»
    «D-devi inseguirlo… Zach…» alzò lo sguardo, i Veggenti che fino a quel momento si era illusa stessero intrattenendo, si rivelarono per quello che erano: giochi da bambini, messi lì da Romeo solo e soltanto perché si sentissero impegnati.
    «Non credo che ci lasceranno passare.»
    La cheerleader sbucò fuori dalla centrale elettrica e guardò i Veggenti tentennando, sapeva che l’avrebbe seguita. Courtney si alzò in piedi, facendosi un breve check-up: stava bene, aveva solo preso una botta, se fossero andati via abbastanza in fretta da lì e ci avesse messo il ghiaccio non le sarebbe nemmeno rimasto il livido. Romeo sapeva come fare male, ma anche come non procurare danni.
    «Ti copriamo noi!» promise a Becky. «Vai!»

Non ricordavo l’ultima volta che avevo corso tanto a lungo e tanto in fretta, forse non era mai successo. Anche i miei pensieri correvano e non riuscivo ad interpretarli completamente: sapevo che in quel momento stavo inseguendo Romeo per Zach, ma non ero del tutto sicura che si trattasse dello stesso motivo per il quale mi ero alzata da terra ed ero partita.
    Continuavo a pensare a Rose, non volevo che Zach la aggredisse: perché era una ragazzina; perché lui era così più grosso di lei, da rendere il loro possibile scontro impari e brutale come poteva esserlo quello tra un pesce rosso ed una tigre; perché ricordavo molto bene il modo in cui mi aveva guardata Romeo alla ferramenta, quando aveva temuto che potessi spifferare l’alter ego di Rose. Le voleva bene e se Zach le avesse fatto del male l’avrebbe ucciso.
    L’unica cosa giusta da fare era sparare a Romeo, imbottirlo di sedativi e permettere la sua cattura; la situazione era perfetta e probabilmente irripetibile. Lo stavo rincorrendo, ma il mio non era un inseguimento folle; avevamo un punto d’arrivo, quando avremmo raggiunto Rose e Zach, Romeo si sarebbe fermato ed io avrei avuto l’occasione di sparare.
    Per un secondo riuscii perfino a sorridere: sarei stata io a catturare Romeo. Niente male per una riserva delle cheerleader bassa.
    Forse se non fossi stata tanto distratta mi sarei chiesta come facevo a sapere quale direzione seguire, visto che non lo vedevo.
    Non con gli occhi almeno.

Ryan strinse i denti e cercò di correre più veloce. Era una Veggente, lo era davvero ed i Veggenti non si arrendevano. Quando era arrivata lì era piccola e spaventata perché ricordava tutte le volte che le avevano dato il Mitronio e si era sentita male. Ricordava quando gli agenti erano venuti a casa sua, aveva una casa così bella una cameretta tutta rosa, il suo coniglietto di peluche… sporco di sangue.
    Gli agenti dell’ADP non erano venuti per lei, erano arrivati per i suoi genitori; ma loro non erano Veggenti della stessa generazione di lei o Romeo, non erano pericolosi. Potevano avere un intuito più sviluppato, ma non avrebbero mai fatto del male a nessuno, non aveva senso catturarli.
    Ma l’avevano fatto comunque, ignorandola perché lei aveva soltanto undici anni… erano stati sciocchi ed avventati: aveva undici anni, ma sapeva dove suo padre teneva la pistola.
    Avendo davanti due agenti dell’ADP feriti ed una bambina di undici anni armata, non era stato difficile per chi era accorso ad aiutarli, intuire che in quella ragazzina di undici anni c’era molto altro.

Ero stata molto decisa finché le strade davanti a me si erano rivelate vuote ad ogni svolta. Quale scusa migliore per non sparare dell’assenza dell’obbiettivo? Per questo quando girai a destra e vidi davanti a me Romeo rallentare lo feci anche io. Era quello il momento in cui avrei dovuto premere il grilletto, lo sapevo, ma… lo volevo davvero?
    Romeo sollevò la mia pistola davanti a sé, disegnando con il braccio la traiettoria che il proiettile avrebbe seguito; dalla strada sulla quale si apriva il vicolo dove ci trovavamo, Rose lanciò un grido d’aiuto.
    Mi sembrò che i secondi iniziassero a dilatarsi, il tempo si estendeva in quel silenzio rotto solo dai passi di Rose e Zach che si inseguivano.
    Puntai la mia pistola alla testa di Romeo. Avevo capito il suo piano, avrebbe aspettato che Rose ci passasse davanti, inseguita da Zach, ed avrebbe sparato a lui, che non si aspettava certo quell’agguato. Quello era il mio momento, tutta me stessa, tutta la mia essenza era dentro la canna dell’arma perfetta che mi aveva costruito Matt.
    Non avrei permesso che Zach fosse colpito dalla stessa siringa di Mitronio che aveva già ucciso Iago. Anche se Zach non correva alcun rischio, anche se non era un Veggente e non gli avrebbe fatto niente, non volevo che quella porcheria entrasse nel suo corpo. Potevo impedirlo.
    Bastò quel lontano riferimento a Iago, a farmi ricordare come mi avesse guardata con la mia siringa infilata: deluso, arrabbiato, ferito.
    C’era altro che potessi fare?
    Rose sfilò davanti a noi, quasi si buttò dall’altra parte della strada; come me, sapeva che tutta la sua esistenza si decideva lì. Zach l’avrebbe catturata e non se la sarebbe passata bene, era stata una delle Veggenti più vicini a Romeo, l’ADP l’avrebbe arrestata nonostante la sua giovane età.
    Per non parlare di quello che sarebbe successo proprio a lui, Romeo, il capo dei Veggenti. Questa volta me l’avrebbero data davvero, una medaglia. Potevo anche scegliere di non ucciderli io stessa, potevo scegliere il sedativo e non il Mitronio, lasciare che se la vedessero con la giustizia, che fossero processati; ma sapevo come sarebbe andata a finire: forse non avrei avuto le mani sporche anche del loro sangue, ma avrei consegnato il coltello al boia. L’unico modo per non essere responsabile della loro vita o della loro morte era non essere una Vegliante… mi venne quasi da ridere, ero un po’ in ritardo per quel treno.
    Chiusi gli occhi e scossi la testa tornando a dov’ero e, soprattutto, al perché c’ero: Romeo avrebbe premuto il grilletto, quindi perché io non avrei dovuto farlo?
    Fui io la prima a rimanere sorpresa quando aprii gli occhi e sparai.

«Che vi è preso?» chiese Nate a Matt.
    Lui lo guardò ancora sconvolto. «Hai mandato Zach a catturare Ryan?» gli chiese.
    Nate annuì senza capire il suo turbamento, milioni di volte avevano parlato di come fare, di come stanarla da quei fantastici nascondigli nei quali Romeo la sistemava e quell’occasione era perfetta: Jared e Courtney potevano respingere la maggior parte dei Veggenti da fuori e quelli che riuscivano a superarli avrebbero dovuto rischiare Becky, dopo la morte di Iago ci avrebbero pensato un paio di volte prima di buttarsi a capofitto contro di lei. Zach era libero di andare a cercare il cecchino dei Veggenti, perché non approfittarne?
    «Oddio…» mormorò Matt disperato posandosi una mano sugli occhi.
    «Mi dici che succede?»
    «È Rose!» sparò Matt senza più trattenersi.
    «Chi?»
    «Ryan è Rose.» cercò di spiegarsi meglio.
    Nate rimase immobile ed in silenzio, stupito quando lui. «Che cosa? Da quanto lo sai?» domandò fissandolo: non l’aveva mai visto piangere e sapere che lo stava facendo per colpa sua lo fece sentire in colpa.
    Il suo compagno deglutì. «Dalla sera del trasporto: è stata lei a tirarmi giù dal palazzo prima che crollasse.»
    Fece un passo indietro, quasi lo avesse colpito con uno schiaffo. «Hai lasciato lì Lynn?» gli domandò disgustato.
    «No.» Matt scosse la testa in fretta e deglutì. «Sai bene che non avrei mai potuto, Lynn era la mia migliore amica, lo sapeva anche Ryan. Mi ha puntato una pistola alla testa e mi ha detto che se non l’avessi seguita avrebbe sparato a Lynn e Courtney, poi…» chiuse gli occhi. «È caduta, l’ho presa al volo, ha balbettato… ed era lei.»
    Nate lo guardò: come caposquadra dei Veglianti di Synt avrebbe dovuto sfruttare quella rivelazione a suo vantaggio, presentarsi l’indomani alla ferramenta dove lavorava e fare una retata; come amico di Matt avrebbe voluto proteggerla, insabbiare tutto e trovarle un alibi, un motivo per farla uscire dal paese sarebbe stato ancora meglio.
    Sospirò. «Mettiamo a posto la centrale elettrica, poi pensiamo al resto.»
    Matt annuì e si asciugò il viso con le mani, ricominciando a svitare un bullone dopo l’altro.
    «Avresti dovuto dirmelo.» lo rimproverò Nate, sperando, per la prima volta da quando era a Synt, che Zach fallisse.

Romeo si voltò verso di me, non l’avevo mai visto e non l’avrei più visto tanto incredulo quanto in quel momento.
    Io continuai a fissare Zach, che incespicò e cadde a terra svenuto.
    Lasciai che il braccio mi ricadesse lungo il fianco, la stupenda, leggerissima pistola costruita da Matt in quel momento mi sembrava pesasse una tonnellata: che avevo fatto?
    Ryan, Rose, lei si sporse oltre il vicolo e si sollevò la maschera bianca sopra i capelli, mi guardò curiosa, sorpresa… riconoscente.
    «Perché lo hai fatto?» mi domandò Romeo stupito.
    Spostai lo sguardo su di lui, ansante alla ricerca di ossigeno, come se avessi potuto assaggiare la risposta nell’aria intorno a me. Avevo sparato a Zach.
    «Io…» scossi la testa e deglutii. «Non lo so… io ho…» fissai lo sguardo su Rose. «Ho avuto paura.» era vero, ma era sbagliato comunque.
    Romeo indovinò subito il nocciolo della questione, assottigliò lo sguardo studiandomi. «Per chi?»
    Guardai il corpo scomposto di Zach colpevole, poi incrociai di nuovo gli occhi di Rose. «Per lei.» ammisi.
    Come avevo potuto sparare a Zach? Per salvare una Veggente poi?
    Romeo si avvicinò guardingo, non del tutto sicuro della mia versione. Però mi porse la pistola con il Mitronio ed il suo palmo vuoto. «Ho sparato io a Zach.» disse, io deglutii e ci scambiammo le armi; la impugnò e sparò un colpo a vuoto, contro il muro, poi la tirò davanti a noi. «Spara lì.» disse indicandomi un punto vicino al corpo fuori gioco di Zach, obbedii.
    «Tu mi hai mancato.»
    «Nate sa che pistola avevo.» dissi quasi in trance, continuando a tenere gli occhi su Zach a terra, consapevole che ero stata io ad atterrarlo. Colpevole. Traditrice.
    «Nate non ti tradirà mai.»
    Spostai lo sguardo su di lui. «Zach mi ha vista.» continuai.
    «Non puoi saperlo.» disse Rose cercando di incoraggiarmi.
    Ma capii di aver ragione da come Romeo mi guardò, freddo. «Non posso aiutarti: ti ho dato le mie impronte e ti lascio andare perché non mi hai sparato. Siamo pari. Non farò altro per te.»
    Deglutii. «Devo chiamare Courtney.» mormorai, di certo io non sarei riuscita a portare Zach fino alla centrale, mi serviva il telefono. «Non ho il cellulare.» era un po’ che non ce lo avevo tra le mani: dov’era andato a finire?
    «Il suo è nella tasca interna della giacca.»
    Si voltò e si incamminò verso Rose che lo aspettava all’imbocco del vicolo.
    «Perché l’ho fatto?»
    Romeo non si voltò, sventolò una mano nell’aria. «Lo sai perché.» rispose soltanto prima di rivolgersi a Rose. «Avverti gli altri, ce ne andiamo.»
    Rimasi immobile, stordita: cosa avevo fatto? Zach mi avrebbe ucciso, denunciata all’ADP, per non parlare di quello che mi avrebbe fatto Courtney… che mi era venuto in mente, perché l’avevo fatto?
    Raggiunsi Zach. Ero stata brava, ero riuscita a sparargli esattamente nello spazio del collo lasciato libero dal casco ed il giubbotto, brava come una Veggente. Gli sfilai via la fiala ormai vuota, poi il casco, se non avessi saputo quello che avevo fatto sarebbe sembrato addormentato.
    Improvvisamente ebbi paura e gli avvicinai le dita al naso, con il cuore in gola finché il suo fiato non mi riscaldò i polpastrelli. Mi scivolò una lacrima sul viso mentre realizzavo di essere tanto sciocca da deprimermi, perché sospettavo che il giorno dopo Zach non avrebbe più avuto voglia di fare qualcosa di normale con me.
    Scossi la testa, forse aveva ragione quando mi aveva detto che non c’era tempo per l’amore a Synt.
    Gli sciolsi le fibbie del giubbotto antiproiettile con calma, poi infilai le mani sotto per abbassargli la zip della giacca. Non avevo voglia di pensare al presente, così mi nascosi in una fantasia perdendomi ad immaginare a come sarebbe stato bello se Zach fosse stato sveglio, se si fosse lasciato toccare e spogliare così non perché era svenuto o malato, ma semplicemente perché saremmo stati tanto intimi da rendere quei gesti normali e naturali.
    Le mia mani si strinsero intorno al suo cellulare, lo tirai fuori e cercai in rubrica il numero di Courtney.
    Mi accostai il telefono all’orecchio ed aspettai.
    «Zach?» rispose lei dopo un po’.
    «Sono Becky.» la corressi tirando su con il naso. «Romeo ha colpito Zach con la mia pistola, quella con il sedativo.» spiegai.
    «Sai, dirmi dove sei?» mi domandò. Non sembrava troppo agitata, in fondo si trattava solo di sedativo, doveva essersela passata molto peggio di così in passato.
    «No.» avrei dovuto imparare ad orientarmi.
    «Okay, non preoccuparti.» mi tranquillizzò. «Ti troviamo con il GPS.»
    Mi sorpresi di come fosse comprensiva, scossi la testa mentre mi invitava a rimanere al telefono con lei, probabilmente immaginava che fossi sconvolta ed era per quello che stavo piagnucolando: se avesse saputo quello che avevo fatto sarebbe già stata lì ad uccidermi.
    Mi accovacciai a terra e strinsi le ginocchia al petto, appoggiandoci sopra la testa mi misi a guardare Zach, come il suo torace si alzasse ed abbassasse ad ogni respiro. Courtney continuava a parlare, mi diceva che stavano tutti bene, che aveva avvertito Jean, che stavano venendo a prendermi; io avrei voluto evitare quel momento ancora a lungo, non ero pronta ad affrontarli, non volevo.
    Le dita di Zach tremarono, allungai la mano e le strinsi.
    Mugugnò e quando guardai di nuovo il suo viso le sue palpebre si mossero, si sollevarono appena, ma i suoi occhi verdi mi fissarono anche da quella fessura. «Tu.» mormorò piano.
    Chiusi gli occhi.
    «Sei stata tu.»
    Non sapevo quanto il sedativo che era nelle mie pistole fosse forte, evidentemente non li addormentava del tutto, ma so che lui usò tutta la forza che aveva per allontanare la sua mano dalla mia.

Ryan scrollò la mano e Romeo fu costretto a lasciarla. Non si voltò, aveva visto quel momento, conosceva quella conversazione e la cosa non lo eccitava particolarmente.
    «N-non puoi uc-ucciderla.» disse risoluta.
    «Eventualmente potrei decidere di non volerlo fare.» la corresse lui.
    Ryan lo ignorò. «Mi ha salvato l-la vita.» gli ricordò. «Non ti permetterò di farlo.»
    Questa volta Romeo si voltò a guardarla. «Okay, senti, non ne siamo proprio sicuri. Magari ha semplicemente mancato il bersaglio.»
    La ragazza gli avvicinò affatto intimorita, era una Veggente, il mondo era suo: lo rispettava, non gli ubbidiva. «Io non manco il bersaglio.» disse chiara, senza balbettare. «E lei è come me.»
    Romeo la studiò senza dire niente, che avrebbe potuto dire? Aveva ragione, sarebbe la stessa conclusione alla quale sarebbe giunto lui, se Rebecca Farrel non avesse ucciso Iago.
    Ryan sembrò leggergli nel pensiero. «Ha-a sbagliato. Su-succede!» la difese. «C-ci sono delle regole: se un Vegliante salva un Veggente, n-non importa quanto gravi le sue colpe, v-viene salvato.»
    Romeo sospirò fissandola, mandò una maledizione telepatica a Jamie Ross, perché era sicuro che il suo predicare continuamente la salvezza di Rebecca Farrel, solo perché si era preso una cotta per lei, avesse in qualche modo contagiato la sua fedelissima Ryan. Se lo immaginò ridere quando avrebbero spiegato agli altri quel cambio di rotta repentino.
    Non che spasimasse per fare fuori la ragazzina, per carità, ma avrebbe voluto che la sua redenzione fosse più sofferta: non sapendolo la cheerleader si era comprata un’indulgenza.
    «E va bene!» la indicò con il dito. «Ma se Zach muore me la prenderò con voi!»


non voglio commentare...
spero di avervi sorprese abbastanza da voler leggere in fretta il prossimo capitolo, perchè io vi giuro che non vedo l'ora di scriverlo!
quindi, fatemi sapere che ne pensate...
baci

ps. vi prego, ditemi che avete notato l'aggiornamento più celere del solito!

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Capitolo 22
*** 21. Un coltello e una pistola ***


MSC19 fragolottina's time
lettrucciole, non so bene come introdurvi questo capitolo, come giustificarvelo... così vi dirò semplicemente come è stato per me: scriverlo è stato bellissimo, mi ha fatto sentire così bene, è stato piacevole, divertente e... oh insomma! non sono sicura che vi piacerà e non sono sicura che capirete i loro comportamenti, ma non lo cambierei per niente al mondo, mi piace e lo so che le lettrici siete voi ed io la scrittrice, ma mi piace... che devo dirvi?!
davvero, spero che piaccia anche a voi, anche solo la metà di me!
baci

ps. grazie per la calorosa risposta al capitolo precedente, a tutte. quando si arriva al momento topico di una storia come questa è difficile prevedere la risposta delle interlocutrici - Romeo lo prevederebbe, ahimè - quindi il vostro entusiasmo è stato una sorpresa bellissima!


21.
Un coltello ed una pistola


«Devo alzarmi.» biascicò Zach.
    Courtney girò la pagina del libro che stava leggendo senza prestargli particolare attenzione. «Il sedativo si smaltisce in quattro ore, abbi pazienza.»
    «Poi starò bene?» le domandò.
    «Anche meglio di prima.»
    Mugugnò e rabbrividì. Questa volta Court gli lanciò un’occhiata, si allungò verso di lui e gli tirò le coperte oltre la spalla. «Dormi, resto sveglia io.»
    Zach chiuse gli occhi per farla contenta. «A parte me, come è andata?»
    «Nate si è ripreso la centrale elettrica ed è parecchio soddisfatto. Quindi direi, missione compiuta.»
    «Court, mi devo alzare.» ripeté.
    Lei sbuffò. «Hai così tanta fretta?»
    «Devo andare in bagno.»
    La ragazza lasciò il suo libro sulla sedia e si alzò, lo aiutò a mettersi seduto. Per alcuni secondi Zach rimase fermo, la testa aveva fatto un giro su sé stessa decisamente vorticoso.
    «Pensi di riuscire a stare in piedi davanti al water o vuoi che chiami Jared?» gli chiese con tutta la delicatezza del caso, ma a sopracciglia sollevate.
    Lui assottigliò lo sguardo. «Sei molto premurosa, Court, ma sento di essere ancora in grado di pisciare da solo.»
    «Okay, camminare ti farà bene.»
    Lo aiutò a saltare giù dal lettino, si passò il suo braccio sopra le spalle e gli cinse la vita, per farlo appoggiare.
    «Dov’è la mia maglietta?» chiese Zach realizzando in quel momento di essere seminudo.
    «Eri caduto di fianco, volevo essere sicura che la spalla stesse bene. Era la stessa che ti eri rotto.» spiegò pratica, mentre lo aiutava a camminare lentamente verso il bagno.
    Rimase in silenzio a lungo prima di porre la domanda seguente. «La cheerleader?» non riusciva a togliersi dalla mente l’immagine di lei che lo fissava, seria, e sparava.
    «Silenziosa, penso si sia spaventata.»
    Per un attimo fu sul punto di dirglielo, era furioso anche dietro gli strati nebulosi del sedativo: è colpa sua se sto così, se c’è qualcuna che deve aiutarmi a pisciare è lei. Ma non lo fece: Court non avrebbe perdonato che qualcuno gli facesse del male, sarebbe corsa da Jean ancora prima che finisse di raccontare. Prima di metterla alla forca, voleva avere il tempo di farci due chiacchiere.

Nate mi raggiunse in palestra. Zach era stato sistemato in infermeria sotto l’attento controllo di Courtney, tutti avevano creduto alla mia versione dei fatti senza problemi, chi mai avrebbe potuto pensare che io, proprio io, quella che in definitiva sbavava quando Zach passava, avrebbe potuto sparargli? Era folle. Solo Matt e Nate erano rimasti in silenzio.
    Matt si era avvicinato a me quando gli altri erano distratti, mi aveva abbracciata fortissimo e “Grazie”, aveva sussurrato al mio orecchio. Almeno per qualcuno avevo fatto qualcosa di buono.
    Nate si sedette accanto a me, sul tapis roulant di Zach. «Matt mi ha raccontato tutto.» iniziò aggiustandosi gli occhiali sul naso.
    Non risposi, non avrei saputo cosa dire.
    «Capisco perché l’hai fatto e non so come mi sarei comportato al tuo posto.» si leccò le labbra. «Non ti denuncerò all’ADP. Anzi ho scaricato le registrazioni dalle telecamere e le ho distrutte. Ma se Zach nella sua versione ti accuserà, non potrò fare molto in proposito.»
    Lo guardai, sembrava davvero dispiaciuto. «Stai già facendo molto.» lo rassicurai. La realtà era che quando avevo premuto il grilletto non avevo pensato alle conseguenze. Anzi peggio, l’avevo fatto, era inutile continuare ad illudermi del mio mancato giudizio; avevo analizzato tutto attentamente ed avevo deciso che lui sedato era il male minore. Non avevo pensato a me però, questo era vero. A quel punto io ero al posto di Rose, sulla corsia preferenziale per “una brutta fine”.
    Nate si voltò verso di me. «Becky, dovete parlarmi di certe cose. È vero che sono il Caposquadra, ma se avessi saputo chi era Ryan stai certa che non avrei mandato Zach a prenderla.» mi rimproverò.
    Sospirai. «E cosa sarebbe cambiato, Nate?» gli domandai. «Cos’è, li avremmo catturati tutti tranne lei?» continuai a chiedere. «E se avessimo scoperto… che ne so… che anche la Lindsey di Zach è diventata una Veggente?» scossi la testa. «Siamo Veglianti, il nostro scopo resta lo stesso. Se Zach parla io sarò una traditrice, non interessa a nessuno perché l’ho fatto o quanto Matt sia innamorato.»
    Nate si infilò le mani nei capelli. «Non so che fare.» confessò. «La realtà è che non avrei davvero saputo cosa fare se tu non avessi sparato a Zach.»
    «Io non so fare ora che ho sparato a Zach.» precisai, più seccata di quanto avrei voluto apparire, ma ero nervosa. Per quanto Zach potesse volermi bene, non era stupido: denunciarmi sarebbe stato lecito, poteva tranquillamente pensare che volessi farlo fuori nel sonno.
    «Parlagli.» mi suggerì. «Ti vuole bene, non credo che sia particolarmente eccitato all’idea di consegnarti all’ADP.» ipotizzò.
    Parlare con Zach dopo avergli iniettato una siringa di sedativo… mm… era già difficile quando discutevamo il mio ruolo all’interno della squadra. Quella sera avevo buttato all’aria la sua missione un attimo prima che potesse compierla, sarebbe stato così furioso da sbattermi la testa al muro fino a romperla e capire finalmente cosa c’era che non funzionava là dentro.
    «Perché hai avuto paura quando Romeo mi ha puntato contro la pistola con il Mitronio?»
    Nate rimase in silenzio per parecchi secondi, sospettavo che ci avesse riflettuto a lungo anche lui, ma che non avesse trovato risposte soddisfacenti. «Becky, sei mai entrata in contatto con il Mitronio?»
    Scossi la testa, anche se una parte lontana della mia mente protestò.
    «È un esperimento che possiamo fare. Qui, sotto controllo, ad una densità ridotta; non durante una missione, iniettato da Romeo, ad una densità che stende un Veggente.»
    Si alzò.
    «Pensi che io sia una Veggente, Nate?» chiesi prima di poterci ripensare.
    Lui lasciò andare una risata, si strinse nelle spalle e mi lanciò un’occhiata divertita. «A volte penso io stesso di esserlo!» scosse la testa. «Fino a quanto l’intuito può definirsi tale e quando diventa veggenza?» chiese, più a sé stesso che a me. «Non lo so, Becky, non mi interessa.»
    Sorrisi, era così ingenuo sperare che Zach fosse altrettanto spensierato circa quello che avevo fatto? Finché riuscii a crederci mi dissi di no.
    «Parla con Zach.» ripeté.
    Annuii, se mi avesse fatta parlare avrei cercato di spiegarmi.
    Fece alcuni passi, ma ci ripensò e tornò ad accucciarsi davanti a me. «Se per qualsiasi motivo l’ADP lo scopre e minaccia di venire a catturarti, ti farò scappare. Posso farlo e lo farò: è una promessa.» sussurrò.
    «Grazie.»
    Mi sorrise. «Cerca di dormire un po’, ti farà bene.»
    Decisi di accettare il suo consiglio, ma guardai il tavolo sul quale avevo lasciato le due pistole, dopo aver recuperato quella che Romeo aveva lanciato. Ero in guerra fredda domestica, non sarebbe stato male dormire sicura.

«Becky.»
    Sollevai lentamente le palpebre e guardai Zach seduto sul mio letto. Avevo pensato di inchiavare la porta, avevo ipotizzato che l’avrebbe buttata giù; mi ero suggerita di andare a riscuotere un favore da Matt – visto, che me ne doveva almeno uno – e dormire con lui, ma la parte meno vigliacca di me mi aveva fatto notare che quel momento sarebbe arrivato comunque. Aveva senso rimandare?
    I miei occhi si abituarono in fretta alla penombra, dovevano essere circa le prime ore del mattino, il cielo era chiaro. Capii subito di cosa si trattava, quando fece dondolare un oggetto davanti a me: le chiavi della mia stanza.
    «Abbiamo bisogno di intimità, cheerleader.» mi spiegò prima di infilarsele nella tasca destra dei pantaloni. Cercai di concentrarmi su quello, perché se fossi dovuta uscire quella chiave mi serviva.
    Rimasi sdraiata immobile, ma infilai una mano sotto il cuscino, indecisa su come comportarmi: se voleva spiegazioni gliele avrei date, gli avrei raccontato tutto quello che era passato nel mio cervello da quando Romeo aveva pronunciato la frase “Solo perché ho fretta”; ma se non voleva, se era lì soltanto per ripetere la mia colpa… beh, avrei cercato di costringerlo ad ascoltarmi. Anche se combattuta, io sapevo di aver fatto la cosa giusta ed ero sicura che, se si fosse fermato a pensarci, l’avrebbe capito anche lui.
    «Voglio spiegarti, Zach.» dissi lentamente, ma il mio sguardo fu attirato da qualcosa che luccicava: la lama del suo coltello che continuava a rigirarsi tra le dita. Deglutii e sospirai, lui non voleva lasciarmi parlare.
    La mia mente si affollò di immagini passate, una specie di riassunto delle puntate precedenti a ipervelocità e in HD: Romeo e Zach che discutevano, Romeo che prendeva la lama e la tirava lontano, Romeo che mi inseguiva e mi ficcava un dito in bocca, io che vomitavo.
    Nel coltello di Zach c’è il Mitronio: sono una Veggente.
    Strizzai gli occhi e scossi la testa: non era quello il momento più opportuno per assentarsi dal presente.
    Strinsi la mano intorno al calcio della mia pistola sotto il cuscino, ma non feci in tempo a tirarla fuori. Zach si allungò in fretta su di me e strinse le dita intorno al mio polso, bloccando il mio braccio contro il cuscino. Era tanto vicino che sentivo il suo peso addosso, quasi del tutto sdraiato su di me; lo guardai, i suoi occhi sui miei, i nostri nasi si sfioravano.
    Se ne accorse anche lui perché, quando mi appoggiò la parte piana del coltello al collo, tirò poco indietro il viso.
    «Non ci provare.» sussurrò a voce bassa. I suoi occhi corsero dai miei alla mia bocca, per poi tornare ad incrociare il mio sguardo. Deglutii ed il freddo del metallo mi fece rabbrividire.
    La sua mano allentò leggermente la presa sul mio polso, niente segni, ma non mi sarei potuta muovere comunque.
    «Sei in combutta con Romeo?» domandò.
    «No.» risposi semplicemente. «Sai che non lo sono.» precisai.
    «So solo che hai sparato a me invece che a lui.»
    Cercai di divincolarmi, dopotutto avevo la metà inferiore del mio corpo libera. Senza lasciare i miei occhi, Zach scivolò meglio su di me incastrando il mio bacino tra le sue ginocchia, in modo da precludermi qualsiasi possibilità di dargli fastidio. «Vedi, a passare la vita a farsi sovrastare da Romeo si impara molto.»
    Sbuffai e lui rise, cattivo. «Ricominciamo, vuoi?» propose. «Perché mi hai sparato?»
    Voltai il viso da una parte: non avrebbe mai creduto che avessi sbagliato mira, dovevo trovare qualcos’altro. «Romeo ti avrebbe ucciso.» dissi senza guardarlo.
    Zach mi stava fissando, pensai che i suoi occhi potessero vedere il sangue pulsare nelle mie vene. Infilò il coltello nello scollo della maglia sopra la mia spalla e tirò; la stoffa si aprì in due lembi come se fosse stata carta. «La prossima volta sanguini, stai bene attenta a quello che dici. Non sono esattamente di buonumore.» mi avvisò e scosse la testa. «Potevi sparare a lui, si chiama gioco di squadra, Becky: tu avresti catturato Romeo, io Ryan.»
    «Io non volevo che tu catturassi Ryan.» dissi sincera, lo osservai, trovavo improbabile che mi avrebbe tagliata volontariamente, ma vista la situazione era meglio non rischiare.
    Qualcosa nel suo sguardo si fece più attento, riflessivo, stava prendendo in considerazione l’ipotesi che dicessi la verità. «Perché?» chiese ancora.
    «Perché era una ragazzina!»
    «Era una Veggente!» precisò avvicinando di nuovo il viso.
    Voltai la testa e chiusi gli occhi, era troppo vicino perché il mio cervello non sfarfallasse. Avevo lo stomaco così annodato da avere la nausea. «Piccola come me. Tu saresti andato in bestia se Romeo se la fosse presa con me.» gli feci notare sempre ad occhi chiusi. Con la mano libera raggiunsi il suo fianco con l’intento di spingerlo via, ma quando fui lì, quando le mie dita premettero la stoffa della sua maglietta fino a sentire la consistenza della sua pelle tesa sui muscoli, riuscii solo a stringerlo. E fu insoddisfacente lo stesso perché io volevo baciarlo, avrei dato tutto quello che avevo per poter poggiare le mie labbra lì. Mi vidi farlo mille e lo vidi sospirare altrettante.
    Lasciai andare un gemito che sperai potesse sembrare di fastidio. «Zach, togliti!» supplicai stringendogli di più il fianco.
    Per mezzo secondo trattenne il respiro e tese i muscoli delle gambe, poi la presa sul mio polso: se anche mi stesse facendo male non ero in condizioni di capirlo. Pensai che fosse per non far muovere me, poi capii che era per non muoversi lui stesso. Lo vidi chiudere gli occhi, respirare piano, riaprirli. Avrei voluto toccarlo ovunque.
    «Io sono andato in bestia quando Romeo se l’è presa con te. L’avrei ammazzato. Ed avrei ammazzato anche quella scimmietta di Ryan.»
    Ripiegai le ginocchia, infastidita da quella forzata immobilità e vicinanza, mi divincolai sotto di lui. «E saresti stato tale e quale a lui: un mostro!»
    Zach era ovunque. Sopra di me, contro di me, stampato all’interno delle mie palpebre abbassate, il suo odore mi riempiva le narici e mi annebbiava la mente. Guardò i miei fianchi muoversi tra le sue cosce, poi si lanciò un’occhiata alle spalle, per controllare che non mi fossero venute strane idee, e tornò a me. Infilò la lama del coltello sotto la spallina del mio reggiseno, lasciata scoperta dalla maglietta tagliata, e lo lasciò lì, poi mi prese il mento tra le dita e riportò il mio viso davanti al suo. Le sue mani erano ruvide, ma i suoi movimenti no, c’era una delicatezza studiata nei suoi polpastrelli; le sue dita seguirono la linea della mia mascella sfiorandomi lo zigomo, scesero all’angolo delle mie labbra.
    Nella mia mente c’erano così tante immagini che si affollavano che sarebbe stato impossibile decifrarle: visioni? Sogni? Desideri? Difficile a dirsi, l’unica sicurezza era Zach, la sua presenza era il perno attorno al quale girava tutto.
    «Quel mostro l’hai salvato!» la sua voce arrivò alle mie orecchio come un ringhio basso, c’era qualcosa nel suo respiro che mi fece rabbrividire, era pesante, denso, umido. Non era come l’ultima volta che avevamo discusso in garage, quando era stato controllato e freddo, in quel momento lui sapeva che ero una ragazza. Ed era la prima volta che mi toccava con quella consapevolezza.
    Pensai di bruciare. Ero così calda che temetti di scottarlo dove le nostre pelli si strusciavano.
    Eravamo così vicini e l’idea che lo sapesse anche lui, che ne fosse consapevole quanto me, mi dava alla testa. Sporsi il viso verso il suo, fu inevitabile, mi sentivo febbricitante, sarei morta se non lo avessi fatto. Zach sospirò, un suono che sembrò quasi doloroso, una resa obbligata; le sue labbra si aprirono e richiusero sulle mie con una lentezza esasperante. Assorbii la loro consistenza, il loro sapore ed il loro odore come una spugna. Qualsiasi cosa ci fosse nella mia pancia sparì, istantaneamente, e mi gridò a gran voce che c’era spazio per lui dentro di me, c’era sempre stato.
    Mi spinse di nuovo contro il materasso tenendomi ferma per la base del collo e si leccò la bocca. «Rispondi.» disse come se niente fosse successo.
    Ma era successo tutto, mi morsi le labbra. «Zach.» miagolai.
    «No! Parla!»
    Presi fiato e chiusi gli occhi, la mia mente si sgombrò, niente più immagini estranee. Deglutii.
    «Allora?»
    Riaprii gli occhi, determinata a restare presente e lucida. Qualcosa si faceva strada attraversò l’eccitazione, attraverso il desiderio che mi faceva fremere; non erano parole, ma io capivo: Zach doveva credermi, doveva fidarsi di me, o l’avrei perso. E non potevo, non volevo, fosse stata l’ultima cosa che avrei fatto in vita mia, lui mi avrebbe ascoltata ed avrebbe capito. «Che sia una Vegliante o una Veggente, è sbagliato che un ragazzo grande e grosso come te picchi una ragazzina che è la sua centesima parte. E non volevo che fosse processata, accusata ed uccisa.» lasciai il suo fianco per spostare la sua mano dalla base del mio collo, mi appoggiai al gomito e mi tirai su, talmente sicura delle mie argomentazioni da sentirmi più forte.
    «Avrebbe potuto accettare il Mitronio.» ribatté. Mi lanciò uno sguardo ammonitore, poi mi tolse la pistola dalle dita e la tirò oltre il letto; io sfilai il coltello dalla mia bretellina e lo lasciai cadere sul pavimento.
    «E perché sarebbe qui, allora?» domandai. «Sparare a te era l’unico modo per salvarla.» senza staccare gli occhi dai suoi, cercai la tasca destra dei suoi pantaloni e ci infilai le dita.
    Zach trattenne il fiato, il suo sguardo divenne ardente, mi afferrò la mano prima che potessi infilarla del tutto. «Becks.» mi ammonì con urgenza. Deglutì. «Salvare una Veggente è tradimento. Sparare ad un Vegliante per farlo, lo è due volte.» mi ricordò, ma non ero del tutto sicura che il suo primo avvertimento si rifacesse a quel discorso.
    «Allora perché non sei da Jean ad informarla?» gli domandai risoluta.
    Strinse i pugni, ma non mi toccò. «Mi fai venire voglia di strozzarti.» sbottò.
    Lo guardai, scossi la testa piano, piano e lo fissai, apertamente senza misteri. «Non ti credo.»
    Zach mi afferrò le mani e con il peso del suo corpo mi costrinse a sdraiarmi di nuovo, tenendo le mie braccia in alto insieme alle sue. Le sue labbra sfiorarono le mie, umide e scivolose e, prima che me ne rendessi, conto avevamo entrambi le bocche dischiuse ed il respiro corto. Aprì le dita lasciando liberi i miei polsi, avrei potuto spingerlo via, probabilmente si sarebbe lasciato allontanare, ma scelsi di aggrapparmi alle sue spalle, di cercare la sua pelle sotto la maglia, come stava già facendo lui. Non era più a cavallo su di me, ma sdraiato e quando inarcai il corpo lui rispose alla pressione del mio bacino, spostando la mano sul mio fianco nudo. Sospirai, lui mi morse le labbra un’ultima volta e mi guardò, puntellato sui gomiti.
    «Certo che non mi credi.» mormorò mentre con le dita sfiorava la linea della mia clavicola, mi diede un altro bacio, poi si allontanò e i suoi occhi si congelarono nella delusione. Quello sguardo fu peggio delle sue accuse, del coltello, del suo interrogatorio. Mi sentii così nuda da correre a sollevare il lembo della maglietta strappata, anche se non mi stava guardando.
    «E per questo ti odio.»
    Mi toccai le labbra con l’altra mano, ancora umide di lui.
    Lasciò andare una risata amara e scosse la testa. «Stai qui a farmi discorsi morali su ciò che è giusto e sbagliato, come se fosse tutto qui.» si tolse da sopra di me e si risedette com’era stato all’inizio di quella folle conversazione, accanto a me. «Non è tutto qui, non è solo perché hai sparato ad un Vegliante, Becks. È perché hai sparato a me.» mi lanciò un’occhiata, disgustata e ferita. «Come hai potuto?»
    Sarei voluta scoppiare a piangere, mi trattenni. «Ho dovuto.» mormorai con voce rotta, perché non c’era nient’altro che potessi dire.
    «Hai. Dovuto.» ripeté scuotendo la testa a mani giunte. «Io dovrei, non tu.» scrollò le spalle e mi lanciò un’occhiata. «Io non ti ho strozzato stanotte.»

Quando Jean aprì la porta della sua stanza trovò Zach seduto per terra appoggiato al muro davanti a lei. Si guardarono, Jean cercò nella sua mente un aggettivo per descriverlo, l’unico che le venne in mente fu sgualcito.
    «Stai bene?»
    Annuì.
    «Hai dormito un po’?»
    «No.» si schiarì la voce e si alzò, lentamente. «Devi scrivere il rapporto, ti serve la mia versione.»
    Jean fece un passo indietro e liberò l’uscio in modo che lui potesse entrare, lo osservò avvicinarsi e sedersi sulla sedia davanti allo smartable, rigido. Lei si tirò indietro i capelli e lo raggiunse, si sedette davanti a lui; aprì una pagina nuova e mise le dita sulla tastiera. «Allora, raccontami che è successo.»
    Zach prese fiato, aprì la bocca, ci ripensò, aspettò. «Nate non mi aveva detto esattamente cosa fare.»
    «Sì, me lo ha spiegato.»
    «Comunque poi ho capito che voleva il cecchino, Jared e Court se la cavavano così li ho lasciati lì. All’inizio andava bene, in realtà l’avevo quasi raggiunta.»
    «E poi?» gli chiese lanciandogli un’occhiata.
    Sospirò. «Poi mi hanno sparato.»
    «Chi?»
    Zach rimase zitto.
    Jean lasciò la tastiera e si appoggiò alla scrivania a braccia conserte. «Zach, raccontami come è andata.» lo incoraggiò, comprensiva e paziente.
    Aprì gli occhi indeciso. «Che succede se dico che è stata una Vegliante?»
    «L’ADP aprirà un’inchiesta. Faranno delle indagini, la interrogheranno.»
    «L’arresteranno?» domandò.
    «Solo se le sue motivazioni non risulteranno in linea con la nostra missione.»
    «La uccideranno?»
    «Non ufficialmente.»
    Zach rimase zitto per un lungo momento, gli occhi fissi in quelli di Jean. Si appoggiò allo schienale della poltrona e lasciò andare un lungo sospiro. La situazione di Becky non si limitava a quello, sulla pistola che aveva usato lei c’erano le impronte di Romeo e sospettava che fossero un regalo; se l’avesse accusata avrebbe dovuto dire anche che Romeo aveva cercato di coprirla: sarebbe stata davvero una condanna a morte.
    «Mi ha sparato Romeo.» si fermò, prese fiato. «Lei ha provato a colpirlo, ma era Romeo.» spiegò semplicemente ad occhi bassi. «Stavo per raggiungere Ryan, non sapevo che era nel vicolo e quando gli sono passato davanti... beh, lo sai, no?»
    Jean annuì soddisfatta. «Altro?»
    Zach non incontrò il suo sguardo quando scosse la testa.
    Lei compilò tutto in silenzio e lo stampò, gli diede una penna perché lo firmasse e lo vide esitare. «Non c’è bisogno di chiamare in causa l’ADP.» osservò
    «Non se non me ne dai motivo tu.» disse. «Certo, un peccato che Romeo non avesse la pistola con il Mitronio, non ti avrebbe fatto niente.»
    Zach stava per risponderle qualcosa, osservando che Romeo non era tipo da prendere la pistola sbagliata a caso, quando quella affermazione stupì anche lui: in fin dei conti Romeo avrebbe voluto sparargli il Mitronio, c’era partito. Fissò Jean. «Già.» concordò a bassa voce.
    «Non c’è altro, suppongo.»
    Chiuse gli occhi per un secondo, per un secondo si diede dell'idiota: stava davvero coprendo la stessa ragazza che gli aveva sparato? Sfogliò le pagine del rapporto e firmò.

Jamie Ross lasciò andare un lamento raggiungendo Romeo. «Diavolo, speravo di vedere un po’ di sesso.»
    Lui gli lanciò un’occhiata e rise. «Tu hai dei problemi, problemi grossi!»
    Jamie tirò fuori un pacchetto di sigarette dalla tasca e se ne accese una, per poi passare il resto a Romeo. «Tutto sommato è andata bene.» considerò.
    «Insomma.» disse indecifrabile. «Comunque ho deciso: va bene.» continuò, si accese una sigaretta pensando che doveva smettere come faceva sempre. Poi rise tra sé, che abitudine stupida, l’incidenza di tumore nei Veggenti era talmente bassa da poter essere tranquillamente arrotondata a zero.
    «Cosa?» chiese Jamie.
    «Becky ha salvato Ryan, si è comprata la sua vita.»
    «Te lo avevo detto.»
    «E tutti e due sappiamo quanto ti piace avere ragione.» Romeo guardò lontano, più lontano di quanto Jamie potesse immaginare. «Ma non è detto che io riesca a convincerla. Sono nella traiettoria di un proiettile e lei ha in mano la pistola: né Mitronio, né sedativo, una pallottola vera e propria che si ficcherà nel mio cervello.» si interruppe e lo fissò. «Se io muoio, manda avanti la baracca.»
    Jamie lasciò andare un lungo fischio. «Però! Una città, un’eredità niente male. Te lo dico subito, mi darò all’agricoltura: le guerre mi hanno annoiato.» cercò di sdrammatizzare, ma lui non raccolse la sua ironia, rimase serio e silenzioso.
    «Oggi non ti ha sparato.» gli ricordò.
    «Ma ha sparato a Iago perché ha avuto paura per Zach.» si prese la testa tra le mani. «Oh, e tra l’altro se lui non si fida di lei e non mi spara, penserà che siamo in combutta davvero, sarà una tragedia…» sbuffò. «Che casino.»
    «Shane, cazzo, rilassati.» lo tranquillizzò Jamie. Per un attimo Romeo rimase sorpreso, aveva un nome, un nome vero; erano secoli che qualcuno non lo chiamava con il suo nome, si chiese se lo avrebbe dimenticato un giorno. Se hai un nome diverso per tanto tempo, diventi una persona diversa? Scosse la testa ridendo, sembrava il tipo di ragionamento che avrebbe potuto fare Josh.
    «Fuma una sigaretta, fatti una sega, fattela fare se vuoi…» insinuò Jamie.
    «Sta zitto.» intimò lanciandogli un’occhiata ammonitrice.
    «Ma perché? È bella, in gamba, forte. Ha un gran bel c…»
    «Era una visione di contorno.» lo interruppe prima che potesse terminare.
    Lui lo fissò scettico. «Non è vero, lo sai.»
    «Non posso e basta, Jamie.»
    «Non sei dio, non puoi decidere tutto. Puoi intestardirti con te stesso, ma non potrai fare niente per lei.» sbuffò. «Certo per avere tanta paura della sessualità devi essere una pippa a letto…» commentò.
    Romeo gli lanciò un’occhiata provocatoria. «Chiedilo a tua sorella, no?»
    Assottigliò lo sguardo. «Sapevi che saremmo arrivati a questa conversazione, non è vero?» disse scettico.
    Lui rise furbo, i suoi denti bianchissimi che riflettevano le prima luci dell’alba. «Sì.» si stiracchiò, sbadigliò. «Iago è morto, è tempo di riscuotere. Uno dei loro per ognuno dei nostri.»

Zach entrò nella sua stanza e si chiuse la porta alle spalle. Fece un paio di passi e si fermò. Si massaggiò il collo, il punto in cui si era infilata la siringa era un piccolo rigonfiamento, come la puntura di un insetto, ma non era lì che prudeva.
    Tornò indietro e diede due mandate alla serratura, avrebbe voluto vederla, a buttare giù una porta, stupida cheerleader.
    La brandina accanto al muro calamitò il suo sguardo come un buco nero. Per un attimo le sembrò anche di vederla lì, arrotolata come tutte le mattine; fu sul punto di riandarla cercare e strapazzarla un altro po’, solo per impedirle di smettere di pensarci, anche solo per un istante. Voleva che sapesse che lui non avrebbe dimenticato mai. Voleva urlarglielo, infilarglielo dentro la testa a forza.
    Perciò tolse il cuscino dalla brandina e lo mise sul letto, poi la smontò con calma e la infilò di nuovo sotto il materasso.
    Si lasciò cadere sul letto a pancia in giù, meno stanco di quanto avrebbe voluto. Si mosse, qualcosa lo punse. Con un smorfia si infilò una mano in tasca e tirò fuori la chiave della stanza di Becky. Se la fece dondolare davanti allo sguardo, pensieroso.

Per un po’ rimasi in camera mia, con la sciocca speranza che Zach tornasse. Non lo fece, qualsiasi cosa fosse successa quella mattina, qualsiasi significato potesse avere, non era un inizio, era la fine. Lo capivo e lo accettavo, ma questo non significava che non fosse doloroso.
    Mi nascosi nella camera di Matt perché mi sentivo sperduta e spaventata, non volevo essere sola quando l’ADP sarebbe arrivata per portarmi via. Volevo che qualcuno cercasse di impedirlo e forse Matt sarebbe stato l’unico. Lo trovai sveglio, ma non parlammo di niente, eravamo entrambi talmente presi dalle nostre colpe e dai nostri problemi che non potevamo condividere altro se non quel letto.
    Quando fui stanca di tormentarmi e di starmene ad occhi sbarrati, decisi che era tempo di sapere; dovevo sapere cos’ero, cosa ci facevo lì e perché, non potevo continuare a spaventarmi. Mi sentivo come se avessi sintomi di una malattia mortale, ma non avessi la certezza di averla contratta: se dovevo disperarmi tanto valeva farlo per un buon motivo.
    C’era solo una persona dalla quale potessi andare ed era Nate.
    Bussai alla sua porta, lui aprì subito, mi chiesi se in tutta la caserma ci fosse almeno un Vegliante addormentato. «Ciao.»
    Avrei dovuto rispondere al suo saluto, ma non ci riuscii, quello che volevo dirgli ingombrava la mia mente e la mia bocca. «La prima notte…» iniziai. «Il coltello di Zach è sempre inzuppato nel Mitronio, vero?»
    Lui annuì. «Riempiamo il fodero, è stata un’idea di Josh.» spiegò.
    «Già…» lo sapevo. «Romeo aveva toccato la lama del coltello e mi ha messo un dito in bocca, poi mi sono sentita male.»
    Nate non disse niente, lasciò che fossi io a giungere alle uniche conclusioni possibili. «Mi sono sentita male per il Mitronio.» scrollai le spalle. «O l’ADP mente a tutti ed il Mitronio fa male anche ai Veglianti, oppure sono davvero una Veggente.»


just a minute
no, perchè mentre rileggevo qualcosa che somiglia ad una giustificazione mi è venuta.
voglio dire, okay che Zach è il fico della situazione, ma mica è di marmo - scelta di parole riprovevole, I know - alla fine se ha una ragazza sotto che gli si struscia la sente... ... ... qui sforiamo il raiting con le note d'autore, scommettete?!
ad ogni modo, non lo so, mi è piaciuto troppo per non cambiarlo...
come sempre, a voi l'ardua sentenza!
baci

ps. Buona Pasqua, in ritardo!


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Capitolo 23
*** 22. Tutto in una notte ***


MSC19 fragolottina's time
dunque lettrucciole, devo farvi una premessa a proposito di questo capitolo... sì, lo so, annunciarvelo è inutile, faccio sempre premesse, ma questa è un po' più seria.
dunque, questo capitolo è strettamente correlato a quelli seguenti questo significa che il capitolo 22, 23 più eventualmente il 24, non solo stanno vicini e si vogliono bene, ma si influenzano tra loro. sicomme non ho ancora scritto del tutto il 23 potrei doverlo modificare se le cose non mi quadrano.
e voi vi direte "fragolottina, perchè l'hai pubblicato allora?"
facile: perchè altrimenti avrei dovuto farvi aspettare davvero tanto, soprattutto se non riuscirò a mettere tutto quello che devo nel capitolo 23.
comunque per ora c'è questo, nel caso lo modificassi vi avviserò all'inizio del prossimo capitolo in modo che possiate provvedere. lo so, vi sto chiedendo molto ed è probabilmente sarà fastidioso per voi, mi scuso anticipatamente e vi ringrazio moltissimo della collaborazione!
baci


22.
Tutto in una notte


Zach chiuse gli occhi e la baciò ancora. Nella penombra della sua stanza Becky era un insieme di pelle liscia, sospiri e mani, calda e morbida e accogliente. C’erano le lenzuola attorno a loro, i loro vestiti ammucchiati in un angolo. I riccioli dei suoi capelli gli si avvolgevano alle dita, umidi per il sudore, ma soffici quanto i suoi gemiti.
    Si sporse verso il suo viso come aveva fatto poco prima, mentre con il bacino gli si premeva contro chiedendo di più.
    Qualcosa di freddo gli sfiorò la schiena, Zach fece per girarsi, ma Becky gli posò una mano sulla guancia e lui fu costretto a guardarla di nuovo. «Devo.» disse prima di piantargli il suo stesso coltello tra le scapole…
    Zach balzò a sedere nel suo letto portandosi una mano al centro del petto, dove secondo il suo sogno sarebbe dovuta spuntare la lama del coltello, ma non c’era.
    Lasciò andare un respiro rumoroso e guardò le chiavi della stanza di Becky accanto al suo comodino. Le prese in mano con un gesto nervoso e le lanciò contro il muro al lato opposto della stanza. Si lasciò di nuovo cadere sul cuscino mentre si scostava i capelli dalla fronte sudata.

Romeo era sdraiato sul letto a casa di Dawn Dandley con un ago infilato nella vena del braccio ad occhi chiusi. Quando li riaprì alle immagini sfocate con le quali conviveva, si sovrappose l’immagine creata dalla sua mente: le facce di Jamie Ross, Dawn e Ryan che lo fissavano con apprensione. «La state facendo sembrare una veglia funebre.» li rimproverò.
    «M-ma v-vuoi f-farlo d-davvero? T-tutto i-in u-una n-notte?» gli domandò Ryan preoccupata.
    Jamie alzò gli occhi al cielo. «Ragazzina, cerca di stare calma o ci servirà un interprete!» la rimproverò.
    Lei gli lanciò un’occhiata di fuoco, ma lo ignorò, però fece un respiro profondo cercando di tenere bene a mente le parole che aveva intenzione di dire. «Non è meglio aspettare che ti rimetta, sarei più debole stanotte.» gli fece notare mentre osservava incerta la sacca che si stava lentamente riempiendo. «E poi perché devi dargliene tanto? Una fialetta non andava bene lo stesso?»
    «Più gliene dà, meglio è. Senza, il suo tempo di ripresa sarà facilmente arrotondabile a infinito.» spiegò Dawn pratica. «Non sarà mai più lo stesso, le sue cellule non sono molto brave a rigenerarsi. Dopo dieci anni in cui gli è stato detto di impigrirsi non si risveglieranno senza un bella scossa.»
    Ryan la guardò. «E-e il suo sangue gli darà una scossa?»
    «Dovrebbe.» rispose incolore.
    «Se supera la notte.» fece presente Jamie Ross tetro, ma pratico: non stavano parlando di una cosa pulita fatta in sala ospedale, di fargli fare un giro di dialisi o una trasfusione, l’avrebbero dissanguato. «E se muore?» domandò alla sorella.
    «Diavolo, non è mai morto deve farlo proprio stavolta?» sbottò seccata.
    «Credo semplicemente che sarebbe meglio portarlo via e fare le cose per bene.» spiegò.
    Romeo scosse la testa. «Non possiamo portarlo via.» disse semplicemente. «Non c’è modo senza che radano al suo tutto nel raggio di dieci chilometri, non ancora.»
    Jamie Ross si accese un sigaretta. «Questo sì, che è un ragazzo ben controllato.»
    Dawn rise. «È un ragazzo costoso.» osservò.
    Ryan spostò lo sguardo su Romeo pensierosa. «C-che hai visto?»
    Per alcuni secondi rimase zitto, aveva visto molte cose, molti finali negativi per quella storia, vie che non prevedevano la sua sopravvivenza, altre che non necessitavano della propria.
    Courtney in lacrime vestita di nero, come una vedova in lutto.
    Lui e Rebecca Farrel che esplodevano.
    Jean Roberts in piedi a testa alta davanti alla folla, dietro di lei un plotone d’esecuzione.
    Nate che si infilava la canna di una pistola in bocca.
    Il mondo in ginocchio, annientato da qualcosa che non avevano previsto.
    Romeo si sistemò meglio sul letto, aprì e chiuse il pugno per far affluire più sangue. Tra tanto orrore, morte e disperazione, una sola visione gli aveva stuzzicato il cervello, remota, solitaria; ma se una strada esisteva, per quanto malridotta e stretta, si poteva percorrere.
    Sorrise e guardò Dawn. «L’ho visto atterrarmi.»
    Jamie Ross sospirò e gli lanciò un’occhiata in tralice. «Dì la verità, la vostra è tensione sessuale, vero?»   

Nate non commentò, mi chiese solo di permettergli di capire. Così gli raccontai tutto quanto, ogni dettaglio, ogni stranezza, ogni prurito dietro la nuca sospetto; alcune cose le aveva capite da sé, mi disse, mi spiegò qual era stato il mio vero punteggio con “Becky a caccia di frutti”. Mi garantì la sua discrezione e mi promise il suo silenzio, ma non ero sicura che fosse giusto. Se ero davvero una Veggente non era lì che sarei dovuta stare.
    «Okay, presto avrò il laboratorio nuovo.» iniziò. «Domani andrò in biblioteca a comprarmi un libro di genetica e capirò bene come funziona.»
    Lo guardai pensierosa, domani mi sembrava un concetto impossibile.
    «Chiedi a Dawn Dandley.» suggerii comunque, poi però pensai a Lynn: non sapevo se sarebbe stata contenta che Nate fosse andato a parlare con quella matta. «Ma non da solo, mai da solo.» aggiustai.
    Lui mi osservò. «Se ne intende?» mi chiese.
    Io lo osservai stupita, davvero sapevo più cose di lui in così poco tempo? «È la persona che ha mappato il DNA umano e quello Veggente. Ha anche inventato il Mitronio.»
    Nate ci pensò. «E quello Vegliante?» chiese immediatamente.
    Mi strinsi nelle spalle. «Sospetto che l’ADP abbia deciso che non avrebbe dovuto interessarle.»
    Sapevo che la sua mente stava frullando per molte altre domande, come la mia d’altronde, ma si astenne dal porle. Mi osservò con attenzione cercando di essere il più rassicurante possibile. «Andrà tutto bene, Becky.»
    Sospirai ricambiando il suo sguardo, affatto convinta che avesse ragione.
    Quando Jean bussò alla porta io impallidii: non sapevo se Zach le avesse detto la verità, poteva benissimo essere lì per consegnarmi all’ADP come un elettrodomestico difettoso.
    Io e Nate ci scambiammo una lunga occhiata, che era un sottointeso e per niente incoraggiante “Secondo te…?”.
    «Devo scappare.» dissi, in quel momento, in quella situazione era l’unica soluzione possibile. La mia mente mi costrinse ad un quesito necessario: quante possibilità c’erano che potessi superare Jean e scappare? Molte poche. E poi dove sarei andata? Synt era bipolare: Veggente o Vegliante. Con Romeo o con Zach. Io mi trovavo in un limbo, non avevo un posto.
    Lui fece una smorfia indecisa. «Non ancora.» disse trattenendomi per un braccio. «È aperto.» urlò in direzione di Jean chiudendo il quaderno dove aveva preso appunti. Non lasciò la mia mano, anzi la strinse di più, come se rendendo quel contatto abbastanza intenso potesse crearmi un alibi.
    «Buongiorno.» ci salutò la Responsabile, spostò lo sguardo su di me. «Ciao, Becky.» aggiunse sorpresa, io trattenni il fiato, in attesa che quello stupore si trasformasse in un rimprovero.
    Ma Jean tornò semplicemente a Nate. «Avvisi dall’ADP, è richiesta la tua presenza.»
    «Arriviamo.» promise Nate.
    Lei fece per uscire, ma ci ripensò. «Sta lontana da Zach.» mi consigliò con una smorfia. «Hai compromesso l’esito della sua missione. Meglio aspettare che sbolla.»
    Non mi aveva tradita. «Okay.» annuii quasi in trance.
    Non appena ci lasciò di nuovo soli, Nate mi diede di gomito. «Te l’avevo detto.» osservò con un sorriso.
    Sospirai, ma il sollievo durò poco. «Comunque, se sono una Veggente, dovrò andarmene.»
    Nate mi studiò tutta. «Il Mitronio è un veleno: potrebbe effettivamente essere nocivo per tutti; tu sei decisamente in gamba: potresti essere una Vegliante, può darsi che il test che ci fanno fare ha un almeno una percentuale di errore. Non sono queste due ipotesi a turbarmi, è la terza.»
    Sollevai le sopracciglia. «Ce n’è una terza?»
    Nate non rispose, per un lungo momento rimase in silenzio, come se stesse cercando le parole giuste con cui spiegarmi. «Sei in gamba.» ripeté e mi fissò. «Ma non sei la più in gamba.»
    Pensai a Lynn, come probabilmente stava facendo lui, in confronto a me lei era mostruosamente brava e, se ero una Veggente io, era difficile non sospettare anche di lei. Lo guardai, i suoi occhi erano determinati e fermi, non c’era bisogno di essere Veggenti per capire che avrebbe trovato la risposta ad ogni sua domanda, anche a costo di inventarsela. Improvvisamente assottigliò lo sguardo, turbato da un pensiero che evidentemente non coincideva con tutto il resto. «Perché la donna che ha mappato il DNA umano e quello Veggente se ne sta in una baracca a Synt? Le avranno dato miliardi per la formula del Mitronio.»
    Mi strinsi nelle spalle. «Aspetta suo figlio Connor.» ripetei quello che mi aveva detto lei e mi puntai un indice alla testa ruotandolo per fargli capire che la donna che aveva mappato il DNA Veggente e umano aveva qualche problemino. «Quello che è stato rapito da Romeo.» evitai di dire “Quello che lei ha fatto rapire da Romeo”.
    «Non era suo figlio.» disse Nate.
    «Cosa?» domandai. «Come fai a saperlo?»
    «Lo aveva adottato.» disse guardandomi. «Me lo ha detto Josh.»

Quando Nate raggiunse la stanza di Jean trovò Zach già lì, non ricordava l’ultima volta in cui l’aveva visto tanto scuro, ma pensò che fosse un bene: più era irritato e più era lucido. Immaginava il perché.
    «Dunque.» iniziò Jean voltando verso di loro la foto di una ragazzina che stringeva tra le mani un orsetto. «Lei è Martina, il prezzo da pagare per Iago.»
    Nate chiuse gli occhi, quello era il momento più difficile, il momento in cui faceva i conti con il mostro che davvero era Romeo: rapiva bambini in cambio di ogni Veggente morto o catturato. Nessuno sapeva cosa ne facesse, ma, visto che non tornavano, le ipotesi erano di volta in volta più catastrofiche. Erano riusciti a salvarne alcuni, pochi, quando Romeo si metteva in testa di portare via qualcuno non si risparmiava, non si discuteva, non c’era prezzo che non sarebbe stato disposto a pagare.
    Quelle erano diverse dalle solite missioni, come potevano esserlo un gattino che giocherellava con una lucertola ed un leone che cacciava una gazzella.
    Lanciò un’occhiata rapida a Zach che stava tamburellando con il piede, era nervoso, probabilmente spaventato.
    Sospirò. Non sarebbe voluto essere il Caposquadra, non avrebbe voluto sapere che Zach era la guardia del corpo più efficiente con la quale affiancare la bambina, perché lo avevano addestrato a dimenticare sé stesso in favore della missione. Suo padre glielo aveva infilato nel cervello a forza ed anche se non era più lo stesso ragazzino che il padre picchiava, certe abitudini erano dure a morire; aveva imparato a considerare i suoi compagni di squadra al di sopra di lui ed era già un miracolo, anche se sapeva che il merito di quello spettava a Courtney.
    Non avrebbe voluto sapere che metterlo in prima linea, sarebbe sempre stata la scelta migliore, soprattutto perché per Romeo era come un faro per falene: se avesse messo una seconda persona con loro, Romeo si sarebbe intrattenuto sempre con Zach lasciando che la piccolo si salvasse.
    «Che sappiamo di questa bambina?» chiese Nate.
    Jean si strinse nelle spalle. «Ha sei anni, i suoi si sono trasferiti qui un paio di anni fa.»
    «Perché?» continuò a chiedere Nate.
    Lei scosse la testa.
    «Li teniamo lontani dalla casa? Possiamo dire a Matt di preparare un perimetro esplosivo.» propose Zach.
    Nate fece di no. «Per quanto li teniamo lontani?» si lasciò cadere contro lo schienale della poltrona, strofinandosi il viso. «Se riusciamo ad evitarlo stanotte riproveranno domani e dopo domani ancora, finché non ci sfiniranno e la prenderanno.» ci pensò. «Prendiamola prima noi.» propose.
    Zach lo osservò con una smorfia scettica. «Ci fermeranno. E poi non sempre siamo stati noi i primi a stancarci.»
    Perché non c'era modo di tenerlo lontano dal centro del cicolne? Perché non c'era mai?
    «Mandiamo qualcuno a prenderla e li facciamo uscire da Synt. Noi gli forniamo copertura, possiamo riuscire a trattenerli abbastanza da farli sparire.»
    «Chi vuoi mandare?» chiese Zach. «Deve essere qualcuno piuttosto folle, perché quando tornerà a Synt Romeo lo ammazzerà.»
    «O qualcuno che non voglia tornare a Synt, possiamo fare in modo che il Governo li metta nel programma di protezione.» spiegò.
    «I suoi genitori?» suggerì Zach.
    «Non vogliono lasciare Synt.» li interruppe Jean.
    Nate la guardò spazientito da quelle storie, non era la prima famiglia che si comportava in modo tanto inspiegabile e soprattutto folle. «Perché? Si può sapere perché con una bambina di sei anni sono venuti nel posto in cui rapiscono bambini?» sbottò infuriato. Se l’erano cercata, tutto lo Stato sapeva esattamente cosa succedeva a Synt e si aspettava che ogni genitore con un minimo di cervello tenesse i suoi figli il più lontano possibile. Quella era il tipo di città in cui non venivi se non eri costretto a farlo.
    Sia Jean che Zach rimasero in silenzio aspettando che si ricomponesse. Poi lui prese fiato. «Qualcuno prende la bambina, io li accompagno. Nel caso i Veggenti ci dessero fastidio posso trattenerli…» fece una smorfia e si strinse nelle spalle. «O almeno posso distrarli.»
    Nate lo osservò, non avrebbe voluto, ma a Synt Interna c’era l’ingresso per l’autostrada: se fosse riuscito a metterlo su un’auto blindata ed avesse tenuto lontani i Veggenti dalla sua rotta forse non l'attenzione di Romeo si sarebbe spostata su loro.
    «Becky la mettiamo sul tetto.» disse dopo un po’. Sarebbe dovuta essere un’affermazione, ma il tono che usò Nate la fece somigliare ad una domanda, anche se era la persona migliore per tenere lontano i Veggenti dalla loro rotta.
    Jean non rispose anche se la sua parola sarebbe stata certo più vincolante di quella di Zach, si limitò ad osservarlo aspettando il suo cenno di consenso poi guardò Nate. Capire che non aveva completamente bevuto la sua versione dei fatti per la notte precedente, fu elementare.

Ero in bagno a lavarmi i denti, quando mi accorsi che Zach era appoggiato alla cornice della porta e mi guardava con le mani in tasca. Come sempre, vederlo mi fece sobbalzare il cuore, ma mi imposi di mostrarmi calma. Mi chinai sul lavandino per sciacquarmi la bocca, poi mi asciugai alla meglio con il dorso della mano e mi voltai verso di lui.
    «Io volevo ringra…» iniziai, ma lui si posò un dito sulle labbra per farmi segno di stare zitta. Ubbidii.
    Entrò in bagno e chiuse la porta, ricordavo cosa aveva cercato di fare l’ultima volta che ci eravamo trovati in una stanza chiusa, perciò mi guardai in giro alla ricerca di un nascondiglio o una potenziale arma. Sospirai preoccupata, la cosa più pericolosa che trovai fu il miscelatore della doccia. Quanto avrei impiegato a chinarmi ed aprire la mia borsa con il cambio?
    Zach mi guardò ed io sussultai, lui studiò la mia espressione guardinga. «Cos’è, non ti sei portata le pistole in bagno?» domandò sarcastico.
    Non dissi niente, la notte precedente mi aveva minacciato con un coltello al Mitronio, mi sentivo autorizzata ad avere paura e cercare di provvedere alla mia difesa personale. Anche se dovevo ammettere che le conseguenze di quella discussione erano state piacevoli quanto inaspettate.
    «Cosa vuoi?» gli domandai obbligando il mio cervello a non fantasticare.
    Lui fece alcuni passi all’interno con le braccia incrociate sul petto. «Non so perché non ho raccontato niente a Jean, non lo so davvero, ma non l’ho fatto e quindi ormai è così.» si appoggiò al lavandino al quale mi stavo lavando fino a poco prima. La mia mente si sentì in dovere di farmi notare che, se avessi fatto un passo verso di lui, poi un altro ancora, sarei stata tanto vicina da potergli buttare le braccia al collo e baciarlo. Mi imposi, ancora, di concentrarmi sulla sua espressione seria.
    «Stanotte abbiamo una missione: primo, sarebbe carino da parte tua dare una mano, ma se proprio va contro i tuoi saldi principi sarebbe educato non ostacolarci. Secondo…»
    «Che missione?» domandai interrompendolo. Rabbrividii ed intrecciai le braccia sul petto nervosa, avevo solo una canottierina addosso, mi sentivo fastidiosamente svestita.
    «Romeo ha intenzione di prendere una bambina in cambio di Iago.» mi scrutò attentamente. «Sei ancora convinta di quello che hai fatto ieri notte? Sicura che addormentare me e non lui sia stata una buona idea? Perché se stanotte non funziona, avrai una ragazzina di sei anni sulla coscienza.»
    «Zach…» iniziai, ma lui mi interruppe subito.
    «Cosa? Credevi che il tuo straordinario gesto di lealtà lo cambiasse per sempre e decidesse di schierarsi dalla nostra parte?» domandò acido. «Bentornata nel mondo reale, Becks.»
    Chiusi gli occhi e contai fino a dieci tenendo a bada la voglia di urlargli contro, anche perché in ogni caso non guardarlo mi rendeva più lucida. «Altro?»
    «Non metterti nei guai.»
    Sollevai lo sguardo su di lui, sorpresa e speranzosa di trovarci affetto o apprensione, ma in realtà c’era solo determinazione e gelo. «Non verrò a salvarti, non ne avrò tempo. Quindi sta attenta perché te la vedrai da sola.»
    Annuii tornando a fissare lo specchio. «D’accordo.» gli lanciai un’occhiata. «Vattene, per favore, devo vestirmi.»
    Lui fece come chiesto e mi lasciò sola. Per alcuni secondi, forse minuti, continuai a guardare il mio riflesso, cercando disperatamente un dettaglio diverso, volevo potermi dire che Synt mi aveva cambiato così tanto da spingermi a fare quello che avevo fatto, ma la realtà era che io ero sempre la stessa: Rebecca Farrel, diciassette anni, riserva cheerleader. Difendere Rose da Zach non era stato poi tanto diverso da difendere Amanda Martinez da Johnathan McKingley, anzi sicuramente Amanda aveva meno bisogno di protezione di Rose.
    Guardando Zach e gli altri avevo pensato che Synt cambiasse le persone, ma stavo iniziando a realizzare che si limitasse a tirare fuori la loro vera natura. Qualunque essa fosse.

Quando scesi per mangiare Nate si sistemò al mio fianco senza dire niente, Zach lo studiò attentamente senza nemmeno un cenno verso di me; sapevo cosa vedeva, nel gesto del mio compagno di squadra, non solo c’era l’ammissione di sapere la verità, ma anche la dichiarazione della sua opinione in proposito. Courtney ci osservava senza capire, proprio come Jared e per un attimo mi chiesi cosa avrebbe pensato se avesse saputo. Ero perfettamente cosciente della sua lealtà incondizionata per Zach, ma forse avrebbe capito.
    Scossi la testa, non mi sembrava il caso di fare una prova.
    Non avevo molta fame, in realtà non ne avevo per niente. In più quella notte non volevo uscire, in me si era insinuato il dubbio, inizialmente appena un pensiero fugace, ma più passava il tempo e più mi divorava estendendosi a tutto. Mi sentivo usata, dal Governo, dall’ADP, da Jean, da Zach. 
    La Responsabile superò il tavolo studiandoci. «La famiglia di Martina è stata trasferita in un hotel della Zona Gialla per una fuga di gas.» ci annunciò. Non lo disse apertamente, ma la sua voce era tesa. «Che belle facce.» osservò. «Ma qualcuno di voi ha dormito ieri notte?»
    Nessuno rispose, io nemmeno la guardai, osservai il mio piatto pieno pensando che dovevo mangiarne due terzi.
    «Dopo pranzo vi voglio tutti a letto a riposare. Non si affronta una missione così.» ci rimproverò.
    Alzai lo sguardo su di lei, il suo viso era pieno di ombre: sotto gli occhi, sotto la frangia dei capelli. Lei dormiva? E se lo faceva, come ci riusciva? Era stata una Veggente di Wood, era stata una Responsabile, Josh si era suicidato, noi eravamo costretti tutte le notti ad andare a farci picchiare. Come poteva?
    «Ci sono hotel nella Zona Gialla?» chiese Nate sorpreso, evidentemente la prima frase che aveva pronunciato la Responsabile era arrivata a destinazione.
    Jean si strinse nelle spalle. «Ce n’è almeno uno.»
    «Folle.» sbottò Nate esasperato. «Questa città è abitata da folli. Scusate.» disse prima di alzarsi.
    Courtney osservò i suoi movimenti. «Lo vedo provato.» rifletté.
    «Ce la farà.» li rassicurò Zach.
    Spiluccai il pranzo in silenzio come lui, gli altri parlavano e noi no. Sembravamo entrambi chiusi in una bolla da dove non potevamo sentire o vedere. Solitudine autoimposta, ma probabilmente necessaria.
    «Dov’è Matt?» chiesi dopo un tempo infinito, realizzando con un ritardo imbarazzante che non era con noi e che mi mancava, di solito era un buon compagno da avere accanto nei momenti bui.
    Courtney si strinse nelle spalle. «In camera sua, si sentono strani rumori da questa mattina. Credo stia costruendo qualcosa.»
    Annuii senza aggiungere altro.
    «Becky viene, giusto?» chiese Jared. «Le sue pistole sono una bella garanzia sulla vita.»
    Non lo guardai direttamente, ma sapevo che Zach aveva alzato gli occhi e mi stava fissando.
    Feci di sì con la testa. «Ma non voglio Mitronio, solo sedativo.» annunciai determinata nella mia decisione. «Il nostro scopo è catturarli, non ucciderli.» osservai. «Ci penserà l’ADP a curarli.»
    «Va bene lo stesso.» osservò Jared noncurante. «L’importante è che tu prema il grilletto quando devi.»
    Zach non smise di fissarmi.
    Mi alzai con il mio vassoio ancora a metà, da quando ero diventata una Vegliante, non mangiavo un accidenti. Jean mi lanciò un’occhiataccia in proposito, ma non disse niente, sperai che pensasse che ero troppo nervosa per la nottata che ci aspettava e non per il fatto che lo sguardo di Zach mi feriva troppo.
    «Vado a dormire.» annunciai allontanandomi. Posai il mio vassoio.
    «Nella mia stanza c’è un piccolo frigorifero.» mi disse Jean. «Dai un’occhiata e vedi se c’è qualcosa che ti va.» mi suggerì, sembrava preoccupata. «Devi essere in forze.»
    Sospirai. «Okay, grazie.»
    Nella stanza di Jean c’era davvero un piccolo frigo, studiai il suo contenuto individuando del formaggio spalmabile; lo presi, avrei voluto dei cracker, ma decisi di non essere troppo esigente. Mi sollevai e mi guardai intorno: la libreria colma di raccoglitori e fogli, il letto rifatto in modo impeccabile. Non resistetti, mi avvicinai al suo smart-table ed aprii il cassetto che c’era sotto. Tirai fuori due plichi di fogli, non potevo portarli via, ma volevo sapere a cosa pensasse Jean quando era chiusa là dentro.
    Il primo plico era un documento legale, una sentenza giuridica, una sentenza di divorzio.
    Il secondo non era ufficiale, era un insieme di ritagli, appunti, fogli stampati; sulla prima pagina c’era soltanto un nome: Shannon Tayler. Sfiorai la scritta con le dita, poi richiusi tutto e mi imposi di uscire di lì prima di essere scoperta.

Nate ci mise poco ad entrare dentro il sistema informatico della centrale di polizia e da lì a quello dei pompieri. Lesse i verbali di quella mattina, quello della famiglia Timpton era l’unico. La denuncia era stata anonima, ma la fuga di gas c’era davvero; poco importante, non ci voleva poi molto a manomettere un impianto.
    La situazione era appena diventata più difficile: si immaginò ancora Zach sulla macchina blindata di prima, attraversare tutta la Zona Gialle, poi tutta Synt interno fino ad arrivare all’autostrada. Non ce l’avrebbe fatta nemmeno se Romeo fosse stato ubriaco.
    Si immaginò anche Becky sul tetto aspettare per coprire la loro fuga verso l’autostrada, se la immaginò morta.
    Probabilmente sarebbero morti entrambi.
    Si alzò dalla sedia ed andò a bussare alla stanza di Matt. Era il Caposquadra e non voleva che Zach e Becky fossero lì a fare da esca a Romeo, quindi, semplicemente e indiscutibilmente, non ce li avrebbe messi. Che Romeo scegliesse: Becky e Zach oppure Martina. Non poteva essere in due posti contemporaneamente ed aveva miliardi di telecamere per tenere a bada tutti gli altri Veggenti.
    Matt gli aprì con cacciavite tra le mani.
    «Devi fare una cosa per me.»

Courtney si stiracchiò accanto a Jared e sorrise. «Andiamo a riposarci?» domandò languida.
    Lui annuì con il capo e si alzarono insieme per allontanarsi, proprio mentre Nate tornava alla mensa, osservò Zach di spalle che sistemava il proprio vassoio, si alzò e lo raggiunse.
    «Chi li ha evacuati?» domandò Zach senza guardarlo.
    Nate si strinse nelle spalle. «La polizia, a seguito di un allarme per una fuga di gas.»
    Zach sospirò. «Ci ha visti.» concluse arreso.
    «Già.»
    «Perché?» chiese senza capire. «Se ci ha visti, non gli conveniva andare ad acchiappare Viola senza fare troppo rumore?»
    «Non vuole solo la ragazzina.» si guardò alle spalle, attirato da un rumore, Jean si alzò e si diresse verso l’ascensore, probabilmente diretta nella propria stanza. Tornò a Zach. «Vuole Becky e vuole te. Non sarai tu ad accompagnare Viola, ci ho messo Courtney.» disse a bassa voce.
    «Ma non puoi metterci lei!» si lamentò.
    «Certo che posso, è brava quanto te. Nell’ultima missione se l’è cavata benissimo a trattenere i Veggenti, ho visto le registrazioni.»
    «Romeo l’ha colpita.» gli ricordò.
    «Zach, Romeo massacra sempre anche te. Possiamo puntare sul fatto che sarà meno violento con lei visto che è una ragazza.»
    Zach lo osservò contrariato. «Ed io che dovrei fare?»
    Nate spostò lo sguardo, sui vassoi impilati davanti a loro. «C’è un’auto sotto al palazzo dove sistemerò Becky, le chiavi sono sotto il sedile del guidatore.»
    Lui scosse la testa ancora confuso. «Che devo farci con un macchina? E perché parli come se si trattasse di una cospirazione?»
    Nate lo fissò. «Prendi Becky, prendi la macchina e andatevene.»
    Zach si voltò di botto verso di lui. «Che cosa?!» domandò incredulo.
    «Non la lascerà lì con il rischio che prema il grilletto.»
    Lui scoppiò a ridere amaro. «Lei non preme il grilletto, non sui nemici comunque.»
    «Okay, senti: forse non è il primo motivo per cui l’ha fatto, ma è vero che se tu avessi fatto del male a Ryan Romeo ti avrebbe fatto fuori definitivamente.»
    Gli lanciò un’occhiata. «Sappiamo entrambi che non ha nemmeno pensato a questo: mi ha sparato perché ha pensato fosse giusto.» si strinse nelle spalle. «Falle fare da esca, se la vogliono che cerchino di prenderla, no?»
    «Va bene.» acconsentì Nate secco. «Ma voglio un tuo foglio firmato e bollato in cui mi giuri che non proverai ad andare ad aiutarla.» propose con tono di sfida.
    Zach non rispose.
    «Sei arrabbiato, ma tu non sei questa persona.»
    Continuò a rimanere immobile.
    «Pensaci.» suggerì Nate e fece per andarsene.
    «Hai visto le registrazioni di ieri notte.» lo trattenne Zach. «Dove sono?»
    Nate si strinse nelle spalle. «Un virus le ha distrutte.»
 
Zach salì e si affacciò nella camera di Becky, la porta era socchiusa e sbirciò all’interno. Becky dormiva di fianco in mezzo a caricatori e siringhe di Mitronio e sedativo. Rimase ad osservarla, trovava che ci fosse qualcosa di seducente nella sua vita sottile, nel modo in cui in quel momento creava una rientranza per poi crescere sul suo fianco. Gli piaceva anche che fosse tutta lì, gli piaceva che fosse piccina ed era strano perché di solito aveva un debole per le ragazze alte, lo erano state sia Courtney che Lindsey. Lei però era un’altra cosa, più tempo passava con lei e più avrebbe voluto passarne.
    Avrebbe voluto passare le dita tra i suoi capelli, studiare ogni singolo ricciolo, dirle che non avrebbe dovuto bistrattarli come faceva sempre, tirandoli, spostandoli, stringendoli, non gli importava se non stavano al loro posto, erano come lei, testardi.
    Avrebbe voluto dirle che aveva la bocca di una bambola, rosa, rosa, e rotonda, che sapeva di dolce, che se lo ricordava.
    Avrebbe voluto dirle che aveva il naso più bello del mondo, sembrava il naso sempre carino e piccino delle bambine.
     Non le disse niente di tutto quello: entrò nella sua stanza e sgombrò una metà di letto, poi, attento a non svegliarla, si stese accanto a lei.
    Avrebbe voluto dirle che gli piaceva anche quando gli sparava, ma che questo non doveva essere un incentivo per ripetere la performance.
    Continuò a tenere gli occhi su di lei, finché non si sentì davvero troppo stanco per essere sicuro di non addormentarsi nel suo letto e farsi sorprendere lì.

«Nate è in gamba.» constatò Jamie Ross. «Ha sconvolto la tua visione, non si è montato la testa e cerca di tenerli fuori dalla nostra portata: decisamente in gamba.»
    «Credevo che si distraesse di più, invece continua ad essere ben concentrato su quello che vogliamo.» Romeo rise e mugugnò assottigliando lo sguardo. «Cosa non darei per averlo qui, pensa a quante cose potrebbe fare!» gli lanciò un’occhiata. «Quasi quasi lo scambio con te.» disse meno ironico di quanto avrebbe voluto.
    «Possiamo prenderlo.»
    Romeo scosse la testa. «Quello che deve fare, deve farlo da Vegliante o sarà tutto inutile.» spiegò.

Viola uscì nell’ingresso de “Il Gatto e la Volpe”, l’hotel dove era stata trasferita la famiglia di Martina, tenendo la ragazzina per mano. Courtney le aspettava fuori, si raddrizzò e studiò tutto quello che c’era intorno a lei, in particolar modo, nello spazio tra loro e l’auto.
    Da qualche parte, nascosti nell’oscurità c’erano Jared e Matt, pronti ad intervenire nel caso qualcuno avrebbe cercato di fermarli; più lontano ancora Zach e Nate controllavano le retrovie, tutti loro sotto l’osservazione vigile di Becky. Guardò la cima dei palazzi, però Becky era lontana, Nate l’aveva voluta su un tetto dal quale avesse una vista perfetta e libera del primo rettilineo di Synt Interna: sarebbe stato come un tiro a premi.
    Se fossero arrivati fin lì.
    L’idea di studiare una difesa a tre riprese le era piaciuta, era intelligente, ma questo non significava necessariamente che credesse funzionasse.
    «Ma non c’è il signore con i capelli rossi?» chiese la bambina mentre lei e Viola uscivano in strada.
    Courtney le lanciò un’occhiata. «Speriamo che non si faccia vedere.» disse con un sorriso per tranquillizzarla.
    La ragazzina apparve corrucciata. «Peccato.» considerò.
    Courtney lanciò un’occhiata a Viola con le sopracciglia sollevate e lei si strinse nelle spalle. «Credo che i genitori abbiano provato a rendere tutto meno spaventoso.» spiegò.
    Lei annuì.
    Salirono in macchina in silenzio, Courtney al posto del guidatore, Viola e la bambina dietro. Per un secondo soltanto Courtney esitò, era la prima volta che la mettevano al centro di una missione, di solito quel posto spettava a Zach e lei era d’appoggio; avrebbe potuto vederlo come un riconoscimento alle sue capacità, non aveva mai avuto niente di meno di Zach, anzi trattandosi di una bambina le sue conoscenze mediche sarebbero potute tornare utili. Ma in realtà aveva paura: per quanto folle, sconsiderato e di solito inutile Zach sapeva sempre molto bene come comportarsi, quando non ci pensava. C’erano tutta una serie di reazione inconsce che, Court ne era sicura, facevano la differenza tra la sua vita e la sua morte.
    Nessuno aveva saputo come avesse fatto a salvare il bambino l’ultima volta. Era sparito quando Romeo l’aveva preso ed era sbucato fuori un paio d’ore dopo con un polso rotto, ma il bambino in braccio.
    Josh gli aveva dato un pugno, si erano tutti detti che fosse perché era preoccupato, era la prima notte che Zach usciva come sostituto Caposquadra. Nessuno si era aspettato che gli lasciasse il cappello del comando tanto in fretta.
    Viola le posò una mano sulla spalla e Courtney sussultò, incontrò il suo sguardo nello specchietto retrovisore e le sorrise.
    «Sicura di sapere dove andare, ragazza?»


allora, come intuirete il prossimo capitolo sarà d'azione... *sospiro*... forza e coraggio vi giuro che mi sto impegnando al massimo!
o con tutto il discorso sopra ci tengo a precisare che questo capitolo non è stato scritto con meno cura o attenzione del solito, sono tipo tre settimane che ci sto sopra! semplicemente mi potrebbe essere sfuggito qualche dettaglio a livello di trama che potrebbe dare problemi nel prossimo...
cmq fatemi sapere cosa ne pensate e quali sono le vostre previsioni per il futuro!
baci e grazie ancora della pazienza

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Capitolo 24
*** 23. Nel caso domani mattina non ci svegliassimo ***


MSC19 fragolottina's time
premessa obbligatoria: io ho scritto 22 capitoli di roba solo per arrivare a questo.
ora capirete anche voi che non è una cosa normale...
non posso nè voglio dirvi niente... leggete, ditemi se ho scritto qualche assurdità, abbiate pazienza se da qualche parte ho toppato alla grande... vogliatemi bene perchè io ve ne voglio!

23.
Nel caso domani mattina non ci svegliassimo


Nate si infilò di nuovo il cellulare in tasca e guardò Zach. «Court, ha dei problemi.» disse sottintendendo il “te l’avevo detto”.
    «Romeo?»
    Lui scosse la testa e Zach sospirò voltandosi verso il palazzo sul quale era stata sistemata Becky. «Ve la cavate davvero?»
    Annuì. «Muoviti e sparite, Romeo sta andando là.»

Avevo imparato la mappa di Synt a memoria, Nate mi aveva dato un’auricolare ed ordini precisi: “Non muoverti a meno che non ci sia bisogno di te”. Quando la richiesta di aiuto di Courtney arrivò alle mie orecchie, decisi che evidentemente avevano bisogno di me; mi voltai in direzione est e mi incamminai verso il bordo del palazzo. Non avevo più paura di saltare. Controllai per scrupolo che le mie due pistole fossero cariche, ufficialmente operative e pronte a fare il loro lavoro – ed io lo sono? – sovrappensiero, finché non sentii un rumore provenire dalla scala d’emergenza alle mie spalle. Voltai poco il viso, spaventata da chi sarebbe potuto arrivare. Deglutii mentre decidevo cosa fare: ero sola su quel palazzo. Sollevai le pistole davanti a me. Potevo sparare, mettermi in salvo senza dire niente a nessuno e lasciare che il Veggente si riprendesse in tutta tranquillità. Io sarei stata salva, il Veggente non sarebbe morto. La mia nuova politica non prevedeva morti per mano mia, nemmeno indirettamente.
    Puntai la pistola nello spazio lasciato libero dai sostegni di metallo della scala: chiunque fosse, sarebbe sbucato di lì.
    Proprio mentre ero concentrata sull’obbiettivo qualcuno atterrò rumorosamente alle mie spalle. Sussultai e mi voltai spaventata trovandomi praticamente tra le braccia di Zach.
    «Che ci fai qui?» gli chiesi.
    Lui tenne gli occhi fissi alle mie spalle, sulla stessa scala d’emergenza che prima stavo tenendo sotto tiro io. Spostò lo sguardo su di me e mi prese le braccia. «Vieni, ti porto via.» disse iniziando a tirarmi verso il cornicione opposto rispetto a quello dove mi stavo dirigendo io.
    «Cosa? Dove?» domandai stupita, opponendomi al suo rapimento; non poteva saltare su un palazzo e portarmi via dopo tutto quello che mi aveva detto e che era successo. E poi non era stato lui a venirmi ad informare che non aveva intenzione di aiutarmi?
    Mi scrollò. «Te lo spiego in macchina, te lo giuro, però ora salta prima che quelli ce lo impediscano.»
    Erano davvero poche le cose alle quali sarei stata in grado di oppormi se Zach mi guardava in quel modo. Saltai.
    Passammo dalle scale d’emergenza dell’altro palazzo, scendemmo più lentamente di quanto il mio batticuore avrebbe voluto, fermandoci ogni volta che un rumore leggermente più forte ci arrivava alle orecchie; esasperante, ma fummo molto silenziosi. Zach non mi disse niente, continuò semplicemente a tenermi la mano. Una volta in strada si diresse sicuro verso l’unica auto parcheggiata. «Sali.» sussurrò piano al mio orecchio.
    Obbedii e chiusi piano la portiera, mentre lo guardavo chinarsi a recuperare le chiavi sotto il sedile: qualcuno ci aveva preparato quella macchina.
    «Dove stiamo andando?» domandai ancora, rendendomi lentamente contro che c’era un altro piano sotto quello che mi aveva spiegato Nate, del quale io non ero assolutamente a conoscenza.
    Zach mise in moto, fece manovra. «C’è una strada che passa per i boschi, non so esattamente dove sbuca, ma di certo lontano da Synt.» disse senza guardarmi.
    Lo studiai sorpresa, ce ne stavamo davvero andando? «Ma Courtney ha bisogno di noi! Che dirà Nate?»
    «È stato Nate a chiedermi di portarti via.» rivelò, poi mi lanciò un’occhiata. «È sicuro che Romeo prenderà te e di conseguenza prenderà anche me.»
    Tornai a guardare davanti a noi e deglutii. «Non gli hai detto che non mi avresti aiutata?» insinuai incolore.
    «Non mi ha creduto.» Zach sospirò. «Sospettava che avrei cambiato idea sul più bello, è difficile imbrogliarlo.»
    Gli lanciai un’occhiata, ma lui non ricambiò il mio sguardo. Spinse alcuni pulsanti alla radio della macchina, anche quella come le altre era stata impostata affinché potessimo sentire i discorsi dei nostri compagni, si sovrapposero a quelli che sentivo già dall’auricolare, come se la cavano, cosa succedeva. Era rumoroso, ma confortante, dava l’illusione di essere abbastanza vicini da poter allungare una mano verso chi aveva bisogno.
    A quanto pareva, Court aveva scoperto che alcune strade erano state chiuse con sbarramenti di fortuna; i Veggenti la stavano spingendo in una direzione precisa, che non era quella decisa da Nate. Zach era silenzioso, mi chiesi quanto gli stesse costando essere lì con me piuttosto che ad aiutarli.
    «Deve essere difficile per te.» osservai.
    Ci mise molto a rispondere. «Tu non vuoi che io combatta.» disse dopo un po’, senza guardarmi, quasi non fosse importante. «E in un modo o nell’altro hai contagiato Nate.»
    Lo guardai. «Non è quello.» sospirai, affranta dall’incapacità di farmi capire da lui. «Nessuno mi aveva ordinato di sparare a Iago, l’ho fatto perché ti stava minacciando. Penso che dovresti avere un motivo tutto tuo per combattere, non soltanto l’ordine di qualcuno.»
    Si strinse nelle spalle. «Ho fiducia in Nate, è quello il mio motivo.»
    «Davvero?» domandai poco convinta. «E ti basta per uccidere qualcuno?»
    Non rispose.
    «Nate non può sapere sempre cosa è giusto e cosa è sbagliato, come tutti. Confrontarsi con gli altri fa bene, mia madre diceva sempre che possiamo imparare qualcosa anche dalle persone più inaspettate.»
    Zach rimase in silenzio a lungo, poi sospirò e mi lanciò un’occhiata. «Dillo.»
    Deglutii e scossi la testa. «Mi fa paura.»
    «Però lo pensi.»
    Aprii la bocca, ci ripensai, provai di nuovo. «Non è detto che non possiamo imparare qualcosa anche da Romeo.» quando mi era venuto in testa quel pensiero? Non lo sapevo, però tornai indietro con la mente, lontano, fino a raggiungere un ricordo al quale non avevo dato importanza, mai. Romeo e Zach dentro la fabbrica di Mitronio ed io con un fucile da paint-ball in mano; Romeo che mi suggeriva di chiudere gli occhi ed io che obbedivo. Sarebbe potuta essere una bugia, avrebbe potuto approfittare della mia distrazione in mille modi diversi, perché gli avevo creduto?
    Perché sapevi che non ti saresti distratta.
    La macchina di Zach rallentò e si fermò, guardai davanti a me senza capire, poi Zach spostò la leva ed alzò i fari. «Beh, hai qualcosa da chiedergli?»
    I fari illuminavano un ragazzo vestito normalmente con un paio di jeans ed una felpa con il cappuccio sulla testa, se lo abbassò ed i suoi cappelli si accesero di rosso. Entrambi rimanemmo a guardarlo immobili, sicuri che ogni nostro movimento, ogni nostra azione, avrebbe portato ad una reazione che non ci sarebbe piaciuto vedere.
    «Becks, nel caso domattina non ci svegliassimo c’è qualcosa che vuoi che io sappia?» mi domandò.
    Continuai a tenere gli occhi fissi su Romeo davanti a noi, avrei dovuto dirgli che mi ero innamorata di lui, ma avrebbe avuto senso? Davvero sarebbe stata una rivelazione? Tutta Synt, Veglianti, Veggenti e civili, lo sapeva. «Credo che tu lo sappia già.» mi limitai a suggerire.
    Mi lanciò un’occhiata. «Non mi sono mai pentito di averti scelta all’Asta.» ci pensò. «Anche se è una cosa molto egoista.»
    Sollevò una mano, sapevo che avrebbe premuto un pulsante all’auricolare, che avrebbe cercato di contattare Nate. Gli sfiorai il braccio per fermarlo. «Vorrei baciarti ancora.» sputai fuori precipitosa, come se non ci fosse più tempo. Perché era vero: non c’era più tempo. «E…» lanciai un’occhiata a Romeo, se ne stava in attesa, rise e si batté un paio di volte l’indice sul polso. No, ti prego, non dividerci ora, ancora un minuto.
    L’ansia prese il sopravvento di me, improvvisamente scoprii di avere mille cose da dirgli, che si affollavano nella mia testa per uscire per prime. «E non ho mai fatto l’amore con nessuno, ma penso che vorrei farlo.»
    Zach mi guardò, per alcuni secondi la sorpresa ebbe il sopravvento su tutto, unica padrona della sua mimica facciale; nessuno di noi due aveva fatto riferimento a quello che era successo la notte precedente, entrambi maggiormente a nostro agio nella finta amnesia temporanea. Ma se la mattina successiva non ci fossimo svegliati, volevo che sapesse che non avrei mai dimenticato quella notte, la parte più piacevole soprattutto, nemmeno se fossi morta e, a dieci metri sotto terra, chiusa in una bara, con il cuore fermo per sempre, avrei continuato a volerlo.
    «Con me?» domandò.
    Ci pensai inizialmente senza capire. «Io…» sbuffai. «Certo, che con te.»
    Zach rise, bello da morire se non avessi saputo, senza ombra di dubbio, che non l’avrei rivisto ridere per molto, moltissimo tempo. «Allora, sarà il caso di svegliarsi domani mattina.»
    Davanti a noi Romeo non si mosse, ma qualcuno gli si affiancò interrompendo quel momento e qualsiasi significato potesse avere per noi.
    «Si mette male.» Zach sospirò fissandoli e spinse il pulsante per chiamare Nate. «Nate, mi senti? … sono con Becky, ma la cosa rischia di essere complicata … no … due … lo so che sono pochi, ma non è detto che non…» si interruppe ed io trattenni il fiato, mentre l’altro Veggente si sollevava sulla spalla quello che aveva tutta l’aria di essere un lanciarazzi.
    «Dove cazzo l’hanno preso quell’affare?!» esclamò Zach, per un attimo troppo travolto dall’incredulità per mettere a fuoco tutti gli eventi che si sarebbero consumati di lì a poco. «Scendi!» ordinò subito dopo, spingendomi verso la portiera.
    Obbedii e barcollai fuori, lui fece lo stesso proprio mentre il Veggente fece fuoco. L’auto esplose e la forza d’urto ci sbalzò entrambi dentro un vicolo. Cademmo a terra tossendo per il fumo. Zach si alzò prima di me, mi tirò in piedi per le spalle, poi mi prese una mano e mi trascinò dietro di lui finché non trovammo un incrocio con un'altra strada. Ci nascondemmo dietro l’angolo e Zach sbirciò oltre il muro per vedere se ci stavano seguendo.
    «Zach, ascolta.» mormorai.
    «Cosa?» mi domandò lui senza guardarmi.
    «Niente.» dissi sorpresa. «Dove sono finiti Nate e gli altri?»
    Zach mi guardò ad occhi sgranati, ma il verde delle sue iridi fu un ricordo molto presto, perché la città piombò nel buio. Buttò l’auricolare e recuperò il telefono dalla tasca interna della sua giacca studiando lo schermo. «Rotto.» sbottò lasciandolo cadere per terra. «Con tutta la merda che mettono insieme Matt e Nate non gli è venuto in mente di rendere il mio cellulare a prova di bomba.» sbottò, poi mi guardò. «Il tuo?» domandò.
    Un senso di gelo mi si addensò nello stomaco, mandando diramazioni in tutto il mio corpo, il formicolio dietro la nuca, fu soltanto uno dei tanti sintomi. Se avessi seguito quello che diceva il mio intuito o quel che era, sarei scoppiata a piangere lì, mi sarei ripiegata su me stessa come un vecchio foglio di carta consumato e mi sarei sciolta in lacrime, anche se non ne avevo un motivo vero. Era come guardare una porta chiusa, sapere quanto orribile fosse quello che c’era dall’altra a parte e di essere obbligati ad attraversarla comunque.
    Zach dovette accorgersi del mio turbamento, perché mi posò una mano sulla guancia, accartocciandomi addosso i capelli. «Becks, tranquilla. Non è un problema. Facciamo senza.» mi rassicurò. «Quante munizioni hai?»
    Guardai le mie pistole, sei in ogni caricatore, più due caricatori di riserva. «Ventiquattro.»
    Annuì. «Ventiquattro è un buon numero.»
    «Quanto è lontana la strada nel bosco?» già mentre glielo chiedevo, realizzavo quanto fosse folle. Forse con una macchina sarebbe stata possibile, ma a piedi dove credevamo di poter andare? Inseguiti dai Veggenti, poi.
    «Beh, Synt è una città e non un villaggio, ma ci possiamo provare.»
    Mi prese per la mano e fece per allontanarsi ancora, ma non lo seguii. «Lasciami qui.»
    «Scordatelo.»
    «Zach, posso trattenerli per…»
    Si voltò a guardarmi. «Ho detto scordatelo. Non ti lascio, se ti sembra sensato rimanere entrambi qui, bene, restiamo qui.»
    Deglutii corrucciata. «Sei impossibile.»
    «Sì, sì, chiacchiera di meno e cammina di più.»

Nate guardò con apprensione i lampioni spegnersi uno dopo l’altro. Chiuse gli occhi. Non ucciderli, ti prego, non ucciderli.
    Raggiunse Jared. Prima che ogni possibilità di consultare il GBS della macchina di Courtney andasse in fumo, era riuscito a stimare un calcolo della loro direzione e del loro probabile punto di arrivo; aveva constato che non aveva senso, se una cosa non ne aveva era inutile inventarselo, ma era lì che si stavano dirigendo in quel momento, in ogni caso: Courtney, Martina e Viola sarebbero state abbastanza protette finché non sarebbero state costretti a fermarsi, quando sarebbe successo dovevano essere lì, che avesse senso oppure no.
    «Dobbiamo disimpegnare Court.» gli disse.
    Lui lo guardò con apprensione. «Credi che sia in pericolo.»
    «No, ma probabilmente ci servirà che corra da un’altra parte.» recuperò il cellulare e provò di nuovo a chiamare Zach. Di nuovo l’operatore telefonico gli disse che non era raggiungibile, come se dovesse dirglielo una stupida voce registrata. Aveva Courtney su una macchina con una bambina ed una civile ed il cervello continuava a dirgli che non era per loro che doveva preoccuparsi.
    Compose il numero dell’ospedale, avevano i loro contatti registrati, non c’era bisogno che si presentasse.
    «Voglio che ci sia un’ambulanza a nostra disposizione, pronta a partire se qualcuno di noi chiama.»
    Jared lo osservò preoccupato.
    «Me ne sbatto il cazzo della sicurezza della popolazione, siamo noi a garantirla. Voglio quell’ambulanza, non credo che vogliate discutere con la Responsabile Roberts o peggio ancora con la Vegliante Williams. Se qualcuno si rompe un braccio, soccorretelo con l’auto di primo soccorso.»
    «Che succede?» chiese Jared non appena Nate riagganciò.
    «Non lo so, non riesco a parlare né con Zach, né con Becky.» sospirò e deglutì. «Però non mi sembra sciocco essere previdenti.»
    «Forse dovresti andare da loro, noi qui possiamo cavarcela.»
    Lui rise sconvolto e scosse la testa. «Non so dove andare, non so dove sono.»

«Dove siamo?» domandai piano a Zach. Anche senza i lampioni, la luna mandava un debolissimo chiarore da dietro la cortina di smog, ma non era sufficiente perché io mi orientassi.
    Lui camminava piano, ogni passo era seguito da un secondo di immobilità ed ascolto. «Dietro il parco dove siamo stati a correre qualche mattina fa.» spiegò in un sussurro, non aveva mai lasciato la mia mano. Il silenzio era talmente denso ed assoluto che, anche se Zach faceva finta di niente, sapevo che li sentiva; c’erano passi intorno a noi, c’erano occhi che ci scrutavano dal buio. C’era Romeo, se mi concentravo abbastanza riuscivo a riconoscere il suo respiro.
    Un altro passo, mio e di Zach, quasi in simultanea, seguito da altri meno attenti. Non volevano coglierci di sorpresa, forse se la godevano a spaventarci.
    Un passo e ci trovammo al centro di un incrocio, aspettammo di sentire i passi che ci seguivano. Non arrivarono. Rimanemmo fermi, non eravamo stupidi, era impossibile che avessero smesso di seguirci.
    «Zach?» mormorai.
    «Shh!» disse assorto nell’ascolto di una città muta.
    Muta, finché i rumorini di passetti che ci seguivano a distanza e con rispetto, non diventarono il rumore scoordinato e martellante di persone che correvano.
    Verso.
    Guardai a destra ed a sinistra senza vedere nessuno.
    Di.
    Zach strinse di più la mia mano.
    Noi.
    Mi strattonò il braccio di colpo, spingendomi in avanti un attimo prima che tre Veggenti lo travolgessero e lo buttassero a terra. Mi voltai giusto in tempo per vedere Romeo avvicinarsi a loro, mentre due Veggenti lo sollevavano tenendolo fermo per le braccia ed il terzo gli sfilava, rapido e professionale, il coltello con il Mitronio, altri due piccoli ed una pistola.
    «Quella lasciala.» ordinò Romeo ed il Veggente la rimise al suo posto, infilata nella cintura di Zach.
    Non appena misi insieme quello che stava succedendo le mie mani scesero da sole sulle mie pistole, ero armata dopotutto e non avevo mai avuto bisogno di luce, qualche differenza doveva farla.
    Non feci in tempo.
    «Mi spiace, ragazzina, non stavolta.» disse Jamie Ross afferrandomi le braccia e tenendole dietro la schiena.
    «Lasciami!» protestai cercando di divincolarmi.
    Zach mi guardò e lo fulminò prima di tornare con lo sguardo su Romeo. «Lasciala. Hai me, non ti darò problemi.»
    Romeo si sporse verso di lui e si infilò una mano dietro della schiena. «Spiacente, Zachy, è che stasera lo show prevede due star.»
    Jamie Ross mi tappò la bocca con una mano un secondo prima che iniziassi a gridare, prima che succedesse tutto, non appena vidi qualcosa mandare un leggero riflesso. Chiusi gli occhi con le orecchie piene delle mie urla disperate, l’unica cosa che sentii, che si fece largo fino alle mie orecchie fu un gemito, un singhiozzo, io ero molto più rumorosa.
    «E tu non puoi darmi ordini.»
    Aprii gli occhi e fissai l’impugnatura del coltello che sbucava da sopra la giacca di Zach, sotto le costole, a sinistra. Anche lui la stava guardando con una sorta di sorpresa, senza fiato, senza capire. La mia mente si spense, il mio cuore si fermò, nelle mie orecchie vibrava un rumore acuto e frusciante. Tutto era caos vuoto, dentro e fuori di me. Non capivo cos’era quella cosa scura che si allargava sulla giacca di Zach e gocciolava, non potevo, perché ogni volta che avevo dichiarato di essere preoccupata per quello che gli sarebbe potuto succedere, non era mai stato sul serio. Ero preoccupata, ma in modo dolce, come mia madre quando mi gridava “Stai attenta” mentre uscivo: di certo non si aspettava davvero che qualcuno mi facesse del male.
    Il mio corpo reagì senza che la mia mente ne prendesse nota. Mi divincolai tra le braccia di Jamie Ross mentre fissavo lui: tutta la metà inferiore della giacca di Zach era rossa, i pantaloni più lucidi e quello era sangue. Quanto sangue poteva perdere?
    Scattai con la testa all’indietro e colpii Jamie Ross. Non appena mi lasciò, le mie mani corsero alle mie pistole e le puntai davanti a me.
    Nello stesso istante in cui Romeo allungò il braccio per mostrarmi quello che aveva in mano: il mio cellulare.
    «Lo fracasserò a terra prima che il proiettile mi colpisca.» promise. «Le tue pistole per una telefonata.» propose.
    Courtney.
    Per un momento vidi tutto quello che aveva visto lui, le due strade davanti a me, le mie scelte. Lasciai cadere a terra le pistole ad occhi sgranati.
    «Sai già chi chiamare, vero?»
    Guardai gli occhi di Zach, poi i suoi muscoli rilassarsi piano, piano finché non rimase appeso in modo grottesco ai due Veggenti che lo sostenevano.
    Courtney.
    Mi sembrava di non essere più lì. Di stare per svenire. Non riuscivo a mettere a fuoco niente. Sembrava che la mia vista fosse disturbata da scosse elettrostatiche.
    Romeo guardò Zach e fece un cenno con il capo ai suoi, lo avvicinarono ad un muro fino ad appoggiarcelo contro.
    Mi trovai accanto a lui prima ancora di capire come ci ero arrivata.
    Romeo si avvicinò e sollevò il viso di Zach per cercare il suo sguardo ignorando del tutto me. «Io ti perdono, tutti noi lo facciamo. Se sopravvivrai, se ti rimetterai, sarai giudicato per le azioni che sceglierai in futuro. Finora non ti hanno permesso di farlo e noi lo sappiamo.»
    Lo guardai senza capire, ma lui non mi prestò attenzione. «Digli addio, Becky.»
    Tornai a Zach, non volevo dirgli addio. Avvicinai le mani all’impugnatura del coltello con l’intento di toglierlo, ma tremavano così tanto che ne ebbi paura. Toccai la sua giacca insanguinata, quasi ad accertarmi che fosse tutto vero, che quello non fosse un incubo. Il sangue di Zach era caldo, tiepido, se non fosse stato per la sensazione di viscido le mie dita non se ne sarebbero accorte. Non appena lo sfiorai, Zach mosse le labbra, ma non emise suono. Gli posai una mano sulla guancia capendo in ritardo che lo avrei sporcato con il suo stesso sangue, consapevole che quel ricordo mi avrebbe torturata per sempre. Non c’era niente che potessi fare, io non sapevo aiutarlo, ne ero dolorosamente consapevole. Però Courtney sì, lei poteva fare tutto, l’aveva ricucito mille volte, poteva farlo ancora. Lei doveva farlo ancora.
    Appoggiai la fronte contro quella di Zach e chiusi gli occhi. «Starai bene, te lo prometto.»
    C’era qualcosa di definitivo nell’aria, un addio o quasi, la fine di tutto era in un vicolo di Synt, tra il sangue di Zach. Romeo mi avrebbe concesso quella telefonata, poi mi avrebbe ucciso. Mi aveva disarmato senza nemmeno toccarmi e nel corpo a corpo ero una schiappa, esattamente come Ryan. E lui lo sapeva, l’aveva sempre saputo. Forse però non sapeva che se avesse salvato Zach, se avesse permesso a Courtney di farlo, mi sarei arresa.
    «Chiamerò Courtney, lei saprà cosa fare.» lo baciai, pianissimo. Zach raggiunse la mano sulla quale mi stavo sorreggendo a terra e mi strinse il polso in modo ridicolmente debole; per me che lo avevo sentito stringermi più o meno affettuosamente tante volte, fu come un pugno. Mosse le labbra in una muta richiesta che non aveva bisogno di voce: era un “no”.
    Lo fissai negli occhi, anche se le mie lacrime rendevano tutto difficile. «Devo.» miagolai.
    «Tic, tac, Becky. Quanto tempo pensi che possa avere?»
    Mi alzai in piedi e mi tirai indietro i capelli nervosa, tremavo ancora, avrei tremato per tutto il tempo che rimaneva della mia vita. Romeo mi offrì la mano vuota, la guardai senza capire.
    «Ho ucciso Zach Douquette. Pensi davvero che starò qui ad aspettare che arrivi Courtney a farmi il culo?» rise. «Ti ho promesso una telefonata, ma non ti ho detto dove.»
    Deglutii disorientata e spaventata: una cosa era farsi uccidere lì, questione di secondi; un’altra era seguirlo dovunque volesse portarmi e farmi torturare magari. «Io non vengo da nessuna parte con te.»
    I tre Veggenti intorno a noi ridacchiarono, poi: «Tic, tac. Tic, tac. Tic, tac.» continuarono a sussurrare.
    Strizzai gli occhi furiosa, mi sarei strappata le orecchie pur di non sentirli.
    Romeo si strinse nelle spalle. «Okay, aspetta che ti muoia tra le braccia. È una scena molto tragica, ma sempre d’effetto.» mi indicò un palazzo alle sue spalle. «Noi ti guarderemo da lì. Potremmo fare un filmino, in modo che tu possa rivivere l’ultimo respiro di Zach Douquette ancora…» si avvicinò a me. «Ancora…» un altro passo. «E ancora…»
    Mi chiesi quante possibilità avessi di saltargli addosso e strangolarlo. «Tu non vuoi che Zach muoia.» dissi cercando di convincermene per prima. «Non lo lascerai morire.»
    Romeo mi fissò. «E tu?»

Il cellulare di Courtney vibrò nella sua tasca, lo recuperò al volo ed azionò il vivavoce mentre guidando cercava di schivare un gruppo di Veggenti ed allo stesso tempo di non finire addosso ad un muro.
    «Court.» disse Becky.
    «Non è un buon momento.» la avvisò. Martina, spaventata dalla sua guida poco ortodossa, era andata ad aggrapparsi a Viola, che l’aveva abbracciata ed aveva continuato a rispondere con frasi dolci e rassicuranti ad ogni suo piccolo lamento.
    «Zach è stato ferito.» mormorò Becky, sembrava troppo fredda. Di solito era sempre sconvolta quando lo diceva.
    «Ancora?» sbuffò. Zach si faceva sempre male, ma ultimamente era una tragedia. «Okay, senti, resta lì, vi raggiungo appena posso d’accordo?» propose.
    «Non sono potuta restare con lui, non ha voluto.»
    Courtney era incerta. «Zach non ha voluto.»
    «Romeo.»
    Il peso delle sue parole le precipitò addosso in un solo, singolo istante. «Dove sei adesso, Becky?»
    Non rispose. «Ha perso tanto sangue, io… io non ho tolto il coltello, avrei dovuto?» scoppiò a piangere. «Non ho avuto il coraggio di toccarlo, ho avuto paura di fargli male o sbagliare qualcosa.»
    La mente di Courtney si arrotolò su sé stessa, guardò lo schermo del cellulare come se potesse guardare in faccia la sua interlocutrice. «Di quanto sangue stiamo parlando? Dove è stato colpito? Gli organi vitali?»
    «Non lo so.»
    «È cosciente?»
    «Non lo so, ho dovuto lasciarlo lì e… Romeo non ha lasciato nessuno con lui e io…» si bloccò. «Devo attaccare. È dietro il parco. Ti prego, non lasciarlo morire.» e riattaccò.
    «Becky!»
    Courtney inchiodò in mezzo alla strada, in mezzo ai Veggenti. Sapeva che Nate la stava fissando senza capire, che Jared era preoccupato che le fosse successo qualcosa, che Matt pensava che in qualche modo fossero riusciti a spararle. Si voltò e cercò gli occhi di Nate, in un secondo si dissero tutto, ultimamente capitava spesso.
    Lui annuì.
    Fissò Viola nello specchietto retrovisore. «Scendi.» ordinò. «Ci sono gli altri, penseranno loro a te.»
    E lei obbedì.
    Courtney lo avrebbe realizzato solo molto tempo dopo, ma nessuno la ostacolò mentre raggiungeva Zach.

Parcheggiò dietro al parco insieme all’ambulanza che aveva chiamato. Percorse i vicoli seguendo un istinto interno che la guidava, determinata e sicura, armata soltanto di una torcia. Ma quando vide Zach, abbandonato contro un muro, in mezzo ad una pozza di sangue come un sacchetto della spazzatura, perfino lei vacillò. La sua mente percorse tutte le cinque fasi del dolore in un battito di ciglia, poi tornò indietro precipitosamente alla negazione, perché anche se sembrava immobile non poteva essere morto.
    Si avvicinò, guardò il coltello con terrore cieco, mentre non riusciva ad impedirsi di pensare a quanti organi potessero essere stati compromessi, avrebbe preferito non saperlo. Andava aperto, operato, avrebbe perso altro sangue. Quanto ne aveva perso? Molto. Il suo cuore doveva continuare a pompare e non poteva farlo se non c’era niente da mandare in circolo.
    «Sangue, mi serve una sacca di sangue.»
    Un paramedico gli porse una sacca, la sua mente lesse la percentuale prima dei suoi occhi. «Tieni quella merda lontana da lui e dammi quello per civili!» ruggì furiosa.
    «Non possiamo. Ci sono degli ordini.» si giustificarono i due addetti all’ambulanza.
    Battiti perché abbia le sacche da civili.
    Courtney recuperò la pistola dalla cintura di Zach e la puntò ad uno dei due, quello che aveva davanti.
    «Vegliante Williams, le devo ricordare che lei deve proteggere i civili.»
    Courtney gli sparò ad un ginocchio, poi puntò la canna ancora fumante all’altro ignorando le urla come se non le sentisse. «Tira fuori quel sangue o giuro che gli do il tuo.» lo minacciò. «Poi ti lascio soccorrerlo.»
    Il paramedico fu tanto gentile da sistemare lui stesso la trasfusione a Zach prima di aiutare il suo collega. Courtney prese fiato, poi afferrò con un mano il pugnale pronta al peggio. Tirò e Zach lanciò un urlo straziante, come se fosse stata lei a piantarglielo.
    Fece finta di non sentirlo, ma una lacrima gli rotolo tra le ciglia, la tolse con il dorso della mano prima che raggiungesse lui.
    Afferrò un pacco di garze e le premette sulla ferita.
    Zach urlò ancora, la supplicò di fermarsi.
    Gli prese il viso tra le mani e lo costrinse e guardarla. «Ti sto salvando la vita, Zach, non t’azzardare a chiedermi di fermarmi!» sapeva che era stupido, che Zach non urlava con la testa, ma con tutto il resto, che non era logico, non era lucido; non c’era nemmeno un briciolo di lui nei suoi occhi sgranati e spaventati, era solo istinto di conservazione, il suo corpo si ribellava al dolore.
    Quando perse conoscenza di nuovo, supplicò qualunque dio ci fosse perché urlasse di nuovo.

Non c’era più nessuna missione, nessuna squadra, non gliene fregava niente. Nate voleva soltanto portare quelli che era rimasti lì in salvo. Ripiegarono per un ritirata il più indolore possibile, portandosi dietro Viola e la ragazzina. Le avevano distrutto il locale prima ed ora probabilmente l’avrebbero uccisa: erano dei Veglianti imbarazzanti.
    Però avevano Matt e c’era una macchina.
    «Puoi farla esplodere?» urlò.
    «Ci provo.»
    «Jared, aiutami a spostarla.» spingendo riuscirono a spostarla abbastanza perché fosse tra loro ed i Veggenti, non era gran ché come sbarramento, anche lui avrebbe potuto saltarla, ma sperò che esplodendo avesse fatto guadagnare a Viola e alla ragazzina abbastanza tempo per scappare. Si voltò verso i loro.
    «Scappa, trova il modo da te. Non possiamo fare più di così.»
    Lei annuì, si voltò e corse via con Martina tra le braccia.
    Lui, Jared e Matt rimasero a guardare i Veggenti dall’altra parte del fuoco.

«È vero.» disse Romeo mentre guardavamo una Synt completamente buia.
    Zach era vivo? Non lo sapevo.
    Io lo ero? Non sapevo nemmeno quello.
    «Josh Lanter si è buttato dal tetto di un palazzo per colpa di quello che gli ho detto.» rivelò. «Forse l’ho davvero istigato al suicidio, però io gli ho detto la verità, non mi sono inventato niente.»
    Non lo stavo ascoltando, non sapevo dov’ero, non sapevo dov’era il mio corpo. La mia mente stava registrando le parole di Romeo in automatico, mentre il mio cuore straziato riusciva soltanto a farmi sentire l’odore ferroso del sangue di Zach.
    «Quello che nessuno sa, è che non volevo.»
    Si spostò dietro di me e mi bendò gli occhi, strinse forte il nodo sulla mia nuca, poi mi ammanettò le mani dietro la schiena.
    «Forse ti suiciderai anche tu, Rebecca Farrel, o forse ti ucciderò.» rifletté. «Ma in entrambi i casi, devi sapere che non è quello che voglio.»
    Non avevo capito che la cosa dura che premeva contro la mia schiena era una pistola, finché Romeo non sparò.

Viola smise di correre quando si sentì abbastanza lontana dai Veglianti. Mise Martina a terra e la prese per mano.
    «Hai ancora paura?» le domandò. Lei ne aveva avuta, di paura.
    Martina la guardò. «Ora andiamo dal signore con i capelli rossi?»
    Viola annuì e si ripromise di non ascoltare mai più quel folle di Jamie Ross quando gli diceva che sarebbe andato tutto liscio come l’olio. L’aveva detto anche prima che sulla sua caffetteria crollasse un palazzo: non voleva concedergli una terza possibilità.
    «Allora no.» rispose Martina stringendo la sua mano più forte.
    Intorno a loro, un poco per volta, Synt si illuminò di nuovo.


dunque, salutate Becky? ciao, Becky.
allora, vi preannuncio che il prossimo, meraviglioso capitolo made in Fragolottina, si intitolerà - pensate un po' - Shannon Tyler.
ed ora la vostra domanda sarà: ma quando lo pubblichi? parliamone, sto cercando di impegnarmi a scrivere più regolarmente e di conseguenza a pubblicare più regolarmente... non vi faccio promesse! però voglio provare a darvi una mezza indicazione: facciamo che pubblico ogni due settimane di venerdì.
ovviamente nel caso abbia problemi, ritardi, Romeo mi proponesse una settimana di sesso-Veggente non-stop, vi avviserò ovunque...
perciò as always vi lascio: Lamponella on facebook e Fragolottina on twitter!
fatemi sapere che ve ne pare del capitolo, se vi va, mi renderete felice!

...

e fu così che Fragolottina venne insultata in codice html!
no, dai scherzo, siete sempre carinissime tutte quante!
baci

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Capitolo 25
*** 24. Shannon Tyler ***


MSC19 fragolottina's time
premessa obbligatoria: io ho studiato lingue. questo significa che di medicina non ne so niente, se qualche medico e/o aspirante medico notasse inesattesse abominevoli in questo capitolo è invitato, anzi incoraggiato, a farmelo notare. però dai se sono cosette lasciate stare, anche perchè alla fine nessuno sa che tipo di conseguenze può avere il Mitronio su un civile, un Vegliante o un Veggente, stessa cosa per i rimedi più o meno ortodossi che utilizzerà Vivien Williams - e lei è un medico con i contro*bip*!
poi...
c'è Josh, in realtà il pianto originale prevedeva un paio di capitoli esclusivamente per loro, ma ho optato per una nuova soluzione che mi convince di più spero anche a voi!
e Becky? ma mica posso dirvi tutto nella note d'autore, no?

24.
Shannon Tyler

Jean Roberts rise guardando Josh Lanter. Erano nudi, lo erano spesso in camera di lui.
    «Tu vuoi che io ti sposi?» chiese per conferma.
    Lui si sporse e le diede un bacio che sapeva ancora del sesso che avevano fatto prima. «A-ah.»
    «Perché?» chiese la ragazza senza capire.
    «Perché fra due anni tu non sarai più una Vegliante, voglio qualcosa che ci leghi anche fuori. E poi così quando finirò il turno anche io potremmo… boh, costruire una famiglia.»
    Jean stava ancora ridendo e Josh sbuffò. «Perché lo trovi così strano?» arrossì.
    «Non lo so, non c’ho mai pensato.» fece una smorfia. «I Veglianti non si sposano.»
    «Perché no?» le chiese disinvolto.
    «Dovremmo chiedere il permesso a Wood.» osservò.
    Josh alzò gli occhi al cielo. «Sono davvero poche le cose alle quali non acconsentirebbe Wood, se sei tu a chiederlo. Al massimo ti dirà che non sono degno di te.»
    «Non è vero, anche tu gli piaci.»
    «Non quanto te, nessuno gli piace quanto te.» le si avvicinò e le passò un braccio intorno alla vita. «Dammi un vero motivo per cui non dovresti sposarmi.» disse fissandola con aria di sfida.
    Jean assottigliò lo sguardo studiandolo. «Beh, non mi hai preso un anello.» gli fece notare.
    Josh rise come rideva sempre, come se niente fosse più bello di quello che avevano. Si allungò verso il suo comodino e recuperò una scatolina che poi le porse, era verde come le loro giacche.
    Lei la osservò stupita. «Aspetta, mi hai preso un anello?»
    «Certo, che ti ho preso un anello, che pensavi?!» la prese in giro. «Altro, Caposquadra Roberts?»
    Jean gli lanciò un’occhiata furba. «C’è sempre il problema che io sono la super Caposquadra Roberts, di Los Angeles, e tu un Vegliantuncolo di poco conto.»
    «Ma sentitela!» sbottò prima di saltarle addosso ed iniziare una lotta giocosa che lo fece finire sopra di lei. Jean non ci provò nemmeno, a volte lottavano anche per davvero, durante gli allenamenti: Josh non vinceva mai, però di solito poi facevano sesso, quindi erano pari.
    La guardò serio. «A meno che io non sia il vero motivo.» le disse.
    Jean lo osservò, tutto quello che avrebbe voluto vedere nel mondo era nelle iridi azzurre di Josh, non le serviva altro. Lui la rendeva felice, era la persona che prendeva parte delle sue responsabilità quando era tutto troppo grande, il Vegliante che le copriva le spalle quando non riusciva a badare a sé stessa. Josh badava a lei.
    «Non so immaginarmi senza te, né donna né Vegliante, sarei solo una cosa insignificante e inutile nel mondo.»
    Josh rise insinuante. «È un sì?» le chiese.
    Lei finse di pensarci. «Dipende…»
    «Da cosa?»
    Recuperò la scatolina frugando tra le coperte. «Non so ancora se l’anello mi piace.»

Courtney non avrebbe saputo descrivere quello che stava facendo, non a parole, la sua mente e le sue mani facevano tutto da sole con la stessa fredda abitudine di sua madre. A volte da bambina aveva pensato che fosse sbagliato da parte sua permetterle di assistere a scene tanto cruente, in quel momento la ringraziò: le aveva insegnato ad essere una macchina da chirurgia, a chiudere ogni sentimento, dal ribrezzo all’amore fuori dalla sala operatoria
    Se non l’avesse fatto in quel momento non sarebbe riuscita nemmeno a respirare.
    E Zach sarebbe morto.
    Lei ed il chirurgo che aveva scelto, l’unico di cui riusciva quasi a fidarsi – lo stesso che era intervenuto sulla gamba di Lynn – operarono Zach con freddezza e concentrazione. Era la prima volta che lo vedeva completamente nudo e non se ne sarebbe mai ricordata, non l’aveva nemmeno guardato.
    Per questo si accorse che Lindsey era entrata in sala operatoria quando fu troppo tardi, quando prese un bisturi ed incise la pelle di Zach da metà avambraccio al gomito.
    «Che diavolo stai facendo, stupida ragazzina?» le urlò, pronta ad assalirla con le pinze che aveva tra le mani.
    Lindsey non fece nemmeno caso a lei, frugò tra la carne di Zach come se fosse rimasta a Synt esclusivamente per fare quello, concentrata, precisa, determinata. Fece forza con il bisturi, poi infilò le dita nel taglio estraendone un grumo scuro che fece cadere in un contenitore. Il rumore squillante che produsse informò tutta la sala che non si trattava di qualcosa di organico.
    Guardò Courtney, prima di prendere il kit per suture e ricominciare a cucirgli il braccio. «Nate ha quattro ore per crackarlo, o il padre di Zach verrà qui e non sarà affatto contento di quello che stiamo facendo.»
    «Stiamo salvando suo figlio.» protestò Courtney.
    Lindsey annuì. «Appunto.»
    «Non posso lasciare. Parlaci tu con Nate.»
    Una volta finito con le suture, Lindsey recuperò la bacinella ed uscì.
    «Se hai fatto un casino ti soffoco nel sonno con un cuscino.» le urlò dietro Courtney. Grugnì e tornò a lavoro, ci mancava soltanto Lindsey.
    Uscì dalla sala operatoria quattro ore dopo, le facevano male la schiena, la testa, le spalle, i piedi, le braccia. Si tolse il camice che le avevano dato, i guanti e la mascherina per scoprire che sotto era sporca del sangue di Zach. Deglutì guardandosi le braccia striate di marrone scuro, i pantaloni quando si era inginocchiata per aiutarlo. Tutto quello che avrebbe dovuto provare prima e che era stata costretta a reprimere, la sopraffece in un istante. Si accucciò a terra, prendendosi la testa tra le mani: era così stanca che sarebbe voluta morire.
    E Zach era a brandelli.
    E Becky non c’era.
    «Vegliante Williams.»
    Courtney alzò lo sguardo sugli agenti dell’ADP, fermi alla porta della stanza; erano quattro ed avevano quattro pistole puntate su di lei.
    «Deve seguirci in caserma.»

Jean assistette al suo interrogatorio da una stanza attigua, in silenzio. Courtney si difese bene: fu chiara nella sua spiegazione, non negò niente. I Veggenti l’avevano messa davanti ad una scelta, lei aveva scelto la sua squadra; aveva perso la bambina ed un civile, aveva sparato ad un paramedico. Era una colpa, ma non troppo grave, si era dimostrata fedele agli altri Veglianti, erano cose delle quali l’ADP teneva conto.
    «Quanto avete intenzione di trattenerla?» chiese all’agente insieme a lei.
    «Quanto sarà necessario.»
    Jean non se ne intendeva molto di medicina, ma di una cosa era sicura: Zach aveva appena subito un intervento impegnativo, era stabile, ma i suoi segnali vitali deboli, se l’avesse lasciato in mano a medici comuni sarebbe morto.
    «Se non le spiace, signorina, dovremmo consultarci con i nostri superiori.» dissero i due agenti che la stavano interrogando. «Le mostreremo una stanza dove poter passare la notte e le daremo vestiti puliti.»
    «Una cella.» precisò Courtney.
    Gli agenti non risposero.
    «Ho bisogno di parlare con la mia Responsabile.»
    «Puoi parlare, ti sente.»
    La ragazza fissò il vetro a specchio davanti a lei. «Chiama mia madre.» disse.
    Jean non se lo fece ripetere, recuperò il proprio cellulare, ma si fermò a leggere un messaggio di Nate: “Non l’abbiamo trovata”.

«Davvero darai l’esame per diventare Responsabile?» le chiese Josh mentre si radeva davanti allo specchio.
    «Me lo ha suggerito Wood, dice che è un peccato sprecare il mio talento e che l’ADP ha bisogno di persone come me.»
    «E vuoi fare la Responsabile?» domandò ancora, affatto convinto.
    Lei si strinse nelle spalle. «Non lo so, dare l’esame non mi obbliga.»
    «Non vorrei che lo facessi, vorrei avere una vita normale dopo.» rimase in silenzio per alcuni secondi. «Vorrei avere dei figli.»
    Jean si alzò dal letto e lo raggiunse, lo abbracciò da dietro e gli posò un bacio dietro la schiena, proprio sulla spina dorsale.
    «Vorrei che nelle nostre vite ci fossero anche cose belle.»
    «Ci sono, ci siamo noi.» gli disse sporgendosi oltre lui per incontrare il suo sguardo sullo specchio. «Wood mi darà il tormento se non lo faccio, ci ha permesso di sposarci, che mi costa fare questo benedetto esame se lo rende tanto felice.»
    Josh la osservò e sospirò. «Credo che insista tanto perché è sicuro che un giorno ti stuferai di me.»
    «Allora, non ha capito niente.» disse ridendo.

Vivienne Williams promise di raggiungerli al più presto in compagnia di un avvocato per la figlia. Nate e Matt avevano avuto intenzione di uscire di nuovo per cercare Becky, ma Lindsey li aveva trattenuti mostrando loro un cosino di metallo estratto dal braccio di Zach. Jared le aveva detto che sarebbe andato in caserma a riposare un po’, poi da Courtney; un agente dell’ADP si era offerto di passare la notte con lui per garantire la sua sicurezza.
    Jean prese in considerazione l’idea di andare lei stessa a cercare la ragazzina, ma Zach era solo e ferito in una stanza e lei non voleva che rimanesse scoperto, probabilmente non lo avrebbe voluto nemmeno Rebecca. Dentro con lui c’era Lindsey, non era Courtney e non era una Vegliante, ma sapeva il fatto suo ed amava Zach: a volte quello era sufficiente a salvare una vita.
    A volte.
    Quella notte Josh era ovunque: era nel corpo sfiancato di Zach, nella paura per la ragazzina rapita, nell’arresto di Courtney. Era come se avesse lasciato un pezzettino di sé in ognuno di loro per torturarla con la sua assenza. Come si poteva finire ad odiare tanto qualcuno che si aveva tanto amato?
    Scoppiò a piangere per la stanchezza. Non era triste, lo era stata a lungo, era solo incredibilmente stanca: di andare avanti, lottare, continuare sempre, alla ricerca di un senso che le veniva rubato da sotto il naso ogni volta che si sentiva più vicina.
    Avrebbe voluto che lui fosse lì, che quando aveva promesso di starle sempre accanto non avesse mentito. Lei senza di lui era un fallimento. Non importava quanto celebre, brava, efficiente fosse da giovane: ormai era solo una cosa insignificante ed inutile nel mondo.
    Dawn Dandley si sedette accanto a lei e le posò una mano sul braccio. «Oh, Mrs. Lanter, no, non ancora!» le disse conciliante cercando di tirarla su. «I suoi ragazzi hanno bisogno di lei.»
    Si scrollò le sue mani di dosso e la guardò, si aspettava derisione, si sorprese nel trovarci dolore.
    «I miei ragazzi stanno morendo, uno dopo l’altro, prima Josh, poi Lynn, ora Zach e Rebecca!» la fissò stravolta. «Perché mi odia così tanto?! Cosa diavolo gli ho fatto?!» urlò prima di lasciarsi di nuovo scivolare contro la poltroncina di plastica. «Io gli ho salvato la vita.»
    Di solito non si lasciava sfuggire una parola su di lui, mai, nemmeno con Josh, però quella notte non riusciva ad essere lucida. Aveva dato tutto, ogni singola cosa che gli era appartenuta, perfino la sua vita era stata sacrificata per una causa più grande. Una causa che non condivideva, ma che era l’unico mezzo per tenere al sicuro le persone alle quali voleva bene. Ed ora non era più nemmeno quello, lui non le permetteva di tenerle al sicuro.
    Dawn scosse la testa. «Non la odia, non può, Mrs. Lanter.»
    Jean fece una smorfia, affranta, le sembrava di non riuscire a respirare, quel “Mrs. Lanter” che era stata tanto felice ed orgogliosa di portare, la soffocava. «Mrs. Dandley, la scongiuro, sono Miss Roberts. È stato lui a chiedermi il divorzio. Ho le carte nel cassetto della mia stanza, firmate.»
    «Firmate da lei soltanto.» le ricordò.
    «Perché è morto.»
    Fece di no con la testa. «Non le avrebbe mai firmate.»
    «Non può saperlo.»
    Dawn Dandley si frugò in tasca ed estrasse un fazzoletto che le porse. «Sappiamo entrambe che sono in contatto con persone che possono.» le ricordò.
    Jean si asciugò gli occhi, poi si soffiò il naso. «Mi spiega che diavolo ci fa lei a Synt?»
    La donna sospirò. «Cerco redenzione.»
    «Da cosa?»
    Sospirò. «Ho insegnato agli uomini come combattere una guerra ingiusta, certo, al tempo ero molto giovane e non sapevo esattamente quello che stavo facendo. Credevo di fare del bene…» si fermò per sorridere, folle, lisciandosi il vestito, o meglio la sottoveste, che indossava. «Come tutti quelli che finiscono per fare cose mostruose, immagino.» c’era qualcosa di controllato in lei, che sembrava nascondere una bestia che si contorceva di disperazione ed odio. Cosa le aveva fatto il Governo? E con cosa lei minacciava il Governo per essere ancora viva?
    Jean avrebbe voluto chiedergli, ma quella notte era sconvolta e quando lo era, era davvero difficile allontanare Josh. «Perché lui non l’ha trovata?»
    Dawn sospirò. Jean si rivide a quel funerale con lo sguardo fisso, completamente vuota. Ricordava Zach e Courtney mano nella mano accanto a lei, distanti, separati per sempre da qualcosa che non sarebbero riusciti a spiegare, dalla realtà più terribile di tutte: Josh, il loro eterno eroe, il loro mentore, aveva perso la sua battaglia contro la vita che anche loro stavano vivendo. Che possibilità avrebbero potuto avere?
    Cercò dell’altro nella sua memoria, cercò Lynn e Nate che la aiutava ad asciugarsi il viso, cercò il loro abbraccio, il loro conforto l’uno nelle braccia dell’altro. C’era speranza, solo non per loro.
    «Quello che ha fatto…» Dawn si interruppe, tutte e due sapevano che, se non fosse stato Josh, avrebbero condannato le sue azioni senza possibilità di appello. Perché non aveva trovato redenzione? Perché non c’era.
    «Lei ha salvato una vita quel giorno, lui ne ha spezzate troppe. Vi trattano da soldati, ma non lo siete. Siete ragazzi, c’è un limite anche per voi, lui l’ha superato. La cosa peggiore di tutto questo non è la caccia ai Veggenti, ma che a nessuno importa se vivete o morite. A nessuno importa se vi rompete. Siete sacrificabili, sostituibili.» le prese la mano. «Non ha mai odiato lei, così come Romeo non la odia, ma la verità era atroce e vedere cosa aveva fatto di Zach è stato troppo.»
    «Qual è la verità?»
    «La conosce benissimo, Mrs. Lanter.» le disse con un sorriso.
    «Perché è qui?» le chiese ancora.
    «Per lei.»
    Jean la guardò. «Che ne sarà della ragazzina?»
    Dawn non rispose.

«Caposquadra Roberts, aspetti!» le urlò dietro la hostess che le era stato affibbiata all’Asta. Era andata da sola a dare un’occhiata, Wood le aveva consegnato il suo pass, tutti all’Asta la trattavano come se fosse lui quindi decisamente meglio degli altri Caposquadra. Le piaceva avere quell’influenza, essere tanto potente.
    Procedeva a passo spedito, aveva sentito di quel ragazzo che aveva picchiato il suo Responsabile ed era stato rimandato lì. La cosa l’aveva parecchio incuriosita. Voleva vederlo, voleva prenderlo.
    La hostess la raggiunse. «Posso suggerirle altri elementi altrettanto validi, ce ne sono molti che sono sicura incontrerebbero le sue necessità.»
    Jean la guardò. «Perché non vuole mostrarmelo?» chiese senza capire.
    «Perché lei è Jean Roberts, se la picchiano mi licenzieranno.» piagnucolò.
    «Mi scusi, ma non mi ha detto che è legato?»
    La hostess la osservò speranzosa. «Mi giura che non si avvicinerà troppo e che non si metterà in pericolo?» le domandò.
    Jean sorrise affabile. «Stia serena, signorina.»
    Lei sospirò arresa. «Bene, mi segua.»
    La guidò tra il labirinto di scatole di vetro con efficienza, il ragazzo era insieme a tutti quelli che non si erano rivelati in grado di fare il loro lavoro; Wood non mandava mai indietro Veglianti, al massimo li usava come esche. Jean non condivideva, ma lui era il Responsabile, gli ordini spettavano a lui.
    Si fermò davanti ad un scatola-acquario. Niente sedia e niente pranzo per i reietti, solo acqua. Il ragazzo se ne stava accartocciato sul fondo, ammanettato ad una catena; Jean lo osservò, non sembrava particolarmente pericoloso. «Perché l’ha picchiato?» domandò alla hostess.
    Lei si strinse nelle spalle. «Nessuno lo sa.»
    «Mi dia le chiavi.»
    La hostess si oppose. «Me lo aveva promesso!» si lamentò.
    Jean la guardò. «Signorina, le assicuro che dirò a tutti di avergliele dovute prendere con la forza, non mi obblighi a farlo davvero.»
    Dopo averla guardata a lungo, le porse le chiavi.
    Jean fece scivolare il pass di Wood sullo schermo davanti alla gabbia ed entrò richiudendosi la porta alle spalle. Il ragazzo la guardò.
    «Ciao.» lo salutò, lui si voltò di nuovo.
    Jean si avvicinò, si accucciò accanto a lui e fece per prendergli il braccio. Il ragazzo si ritrasse; lei studiò come si rannicchiò su sé stesso, conosceva quei movimenti, tutti i suoi Veglianti scattavano in quel modo dopo essersi fatti mezz’ora di chiacchierata con Wood.
    Inseguì il suo braccio e lo prese, lui non oppose ulteriore resistenza.
    «È stato il tuo Responsabile?» gli chiese mentre schiavava le sue manette e studiava il livido che aveva sul braccio e quelli sul viso, sul collo: avevano cercato di strangolarlo.
    «Il Caposquadra.»
    «Era più forte di te?»
    Scosse la testa. «La prima volta che hanno provato, ho aggredito il mio Responsabile. La seconda non hanno voluto correre rischi, mi avevano sedato.» si massaggiò i polsi.
    «Quanto?»
    «Non abbastanza.»
    Jean si sedette di fronte a lui. «Si chiacchiera molto di te, sai? Quella non era la tua prima squadra.»
    «La mia prima squadra non mi piaceva.»
    «E la seconda sì?»
    Scosse la testa. «Non mi piacciono i Veglianti.» la guardò. «Nemmeno lei.»
    Jean si alzò. «Ti porterò via con me che tu lo voglia o no, ma ti concedo cinque minuti.» offrì. «Possiamo litigare, puoi provare a colpirmi, ma a Los Angeles poi ti comporti bene.»
    «Questo sarebbe il suo modo per comprare la mia fiducia?» il ragazzo scosse la testa ridendo e le lanciò un’occhiata. «Non picchio le donne.»   
    Jean gli diede un pugno, insospettabilmente il ragazzo lo schivò. Per un attimo la guardò come se ad animarlo ci fosse tutto l’odio del mondo e nient’altro. Si alzò in piedi e fece per rispondere al suo colpo, Jean però era pronta: gli afferrò il polso e lo spinse con la schiena contro il vetro alle sue spalle, incrociandogli le braccia sul busto in modo che non potesse muoversi. Era troppo arrabbiato per essere davvero pericoloso, facile da tenere fermo anche se si divincolava.

    «Non sono una donna, sono la tua Caposquadra.»
    «Io non voglio fare il Vegliante, cercherò di ucciderti nel sonno.» sputò infuriato, senza smettere di divincolarsi.
    «Ti voglio proprio vedere. Dormo con Josh, s’incazza parecchio se lo svegliano di soprassalto.»
    «Non ti obbedirò.» promise. «E chi diavolo sarebbe Josh?»
    Jean lo fissò seria. «Ti farò prendere a calci il tuo vecchio Caposquadra.»
    Il ragazzo la guardò stupito e smise di ribellarsi. «Non puoi.»
    «Tutti quelli che l’hanno detto si sono ricreduti.»
    Uscirono insieme, Jean effettuò il pagamento, insignificante visto che si trattava di un indesiderato. Aveva già chiesto in giro, conosceva il Caposquadra del ragazzo, sapeva tutto di quel ragazzo. Si chiamava Shannon Tyler, veniva da una cittadina polverosa del Texas, i suoi genitori erano persone rispettabili; brave persone, stavano ancora cercando il modo di riportarlo a casa.
    Il suo Caposquadra era stato Simon Locke. Nessun segno particolare se non che aveva tanta presunzione e poco cervello. Quando lo videro il ragazzo si irrigidì, Jean invece lo studiò e lanciò un’occhiata alla hostess. «Credo che debba andarsene, signorina.»
    «Oh, Caposquadra Roberts!» si lamentò.
    Lei sbuffò. «Dica che l’ho mandata da qualche parte, che mi serviva un modulo!» le suggerì.
    «Non voglio mai più essere assegnata a lei.» disse allontanandosi.
    «Non deve farlo per forza.» suggerì il ragazzo.
    Jean lo guardò. «Sedare un ragazzo per picchiarlo è da vigliacchi.» disse semplicemente. «Non sedarlo abbastanza in modo da farlo sentire inferiore è spregevole.» continuò più cupa. «Vieni con me.»
    Fianco a fianco si avvicinarono piano, il Caposquadra era troppo preso dallo studio di un ragazzo per prestare attenzione a quello che gli succedeva intorno. Quando furono dietro di lui, Jean gli diede una spallata e proseguì facendo finta di niente.
    «Ehi, sta attenta a dove vai!» la rimproverò.
    Lei gli lanciò appena un’occhiata da sopra la spalla. «E tu non starmi tra i piedi.»
    «Ma se mi sei venuta addosso.»
    Jean si voltò e lo guardò. «Sei talmente insignificante che non ti ho nemmeno visto.» spiegò con un’alzata di spalle.
    «Cosa?» il Caposquadra la raggiunse finché non la sovrastò con la sua altezza, Jean odiava quelli come lui. «Rimangiatelo subito, puttana!»
    «Non mi rimangio mai la verità.»
    Il Caposquadra le diede uno schiaffo, Jean strinse i pugni, immaginò di colpirlo, ma incassò piegando il viso da un parte e fissò Shane. «Non fermarti finché non te lo dico io.» fu il primo ordine che gli diede.

Jared ottenne il permesso di vedere Courtney da fuori le sbarre. Era seduta su una brandina ed indossava una t-shirt da uomo ed un paio di pantaloncini di tessuto sintetico e lucido, si stava strofinando le braccia con uno straccio bagnato.
    Il ragazzo si aggrappò alle sbarre e la guardò. «Che hai combinato, Court?» la rimproverò.
    Lei sospirò. «Ho salvato Zach.» disse secca e lo guardò. «Mi sembrava una cosa buona, ma evidentemente nessuno la pensa così.»
    «Hai lasciato Martina e Viola in mezzo ai Veggenti.» le spiegò.
    «Contavo su di voi e…»
    «Hai sparato ad un civile.» rimarcò. «Qualcuno che era corso lì per aiutarti.»
    Alzò gli occhi al cielo. «Sta bene, non era una ferita grave.» si giustificò.
    «Ma ti ascolti, Court?!» le domandò alla ricerca del suo pentimento, rammarico, voleva che gli dicesse che era stata leggera che lì per lì non era riuscita a pensare alle conseguenza. Ma erano bugie, Jared lo sapeva, Courtney era tutto fuorché leggera.
    «Zach e Becky!» disse senza aggiungere altro, come se fosse l’unica spiegazione che avrebbe potuto dare?
    «Sono Veglianti. Il nostro scopo non è proteggerci tra noi, è proteggere Synt, con qualunque mezzo. È per questo che rischiamo la vita.»
    Courtney si alzò dalla brandina e si avvicinò alle sbarre. «Ho passato cinque ore in piedi con le mani dentro il corpo squartato di Zach perché volevo salvarlo, perché, anche se non è politicamente corretto o in linea con i dettami dell’ADP, non mi importava né di Viola, né di quella bambina, né di questa fottutissima città quanto di lui.» lo fissò. «Non rischio la vita là fuori per Synt o per i civili, lo faccio per voi, perché siete i miei compagni e spesso avete bisogno di me. Per come la vedo io, forse sarebbe meglio che Synt bruciasse.»
    Jared la fissò scuotendo la testa, senza parole. «Non so davvero cosa ti passa per la testa, Court.» sospirò. «Pensavo che il tuo problema fosse Zach, perché l’amavi ed era pazzo. Ma forse siete pazzi entrambi.»
    Jared se ne andò, lei non lo trattenne. Si sedette di nuovo sulla brandina, recuperò lo straccio bagnato e ricominciò a strofinare mentre piangeva.

    «Che vuol dire che verrà usato come esca?» domandò Jean a Wood.
    «Ce ne serve una e lui è la perdita minore.» spiegò tranquillo, come se si trattasse semplicemente di una pedina sacrificabile a scacchi.
    «Stai scherzando, spero! Shane è in gamba, è forte…»
    «È pericoloso.» aggiunse il Responsabile.
    Jean scosse la testa. «Non è vero, finora si è comportato in maniera impeccabile.»
    «E vogliamo aspettare che la cosa cambi?» le domandò ironico. «Jean, sai che mi fido di te, sempre, ma l’ADP è certa che si tratti di un elemento troppo imprevedibile per una squadra di Veglianti. E se devo scegliere fra un buon Vegliante e lui, scelgo un buon Vegliante.»
    «È perché non voglio andare a Synt, vero? Perché non voglio essere una Responsabile.» ipotizzò incrociando le braccia sul petto.
    Wood scosse la testa, ma Jean conosceva il sorriso che gli si allargò sul viso. «Beh, se avessi la tua squadra, non potrei certo dirti come gestirla. Saresti tu la Responsabile.»
    «Un ricatto un po’ basso, Wood.» gli disse prima di andarsene sbattendo la porta.
    Josh la aspettava appoggiato al muro davanti alla porta dell’ufficio di Wood. «Allora?» le chiese.
    Jean sospirò. «Allora, mi uccide il ragazzo perché non voglio Synt.» sbottò.
    Lui si avvicinò e la abbracciò. «Ci inventeremo qualcosa, appena ne sapremo di più ci inventeremo qualcosa.»

Lindsey fece nascondere Nate e Matt in uno dei laboratori sotterranei dell’ospedale, ormai abbandonati. Nessuno dei tre riusciva a mettere a fuoco la loro situazione; la testa di Nate era un insieme di punti, come una folle lista, quasi che, mettendo ordine tra i disastri accaduti quella notte, potessero sembrare meno spaventosi.
    Avevano perso ogni contatto con Viola e Martina, e Romeo solo sapeva se stessero bene oppure no.
    Zach era due piani sopra di loro, vivo per definizione: il suo cuore batteva e sembrava che il suo cervello rispondesse, anche se era off-line. Courtney gli aveva ricucito l’intestino, aggiustato un pezzo di fegato e chissà cos’altro. Nessuno aveva fatto previsioni sulla durata della sua degenza. Nessuno aveva previsto che uscisse.
    Becky forse era morta. L’avevano cercata, Synt era sembrata completamente disabitata, più del solito. Una parte di lui sperava che Zach non si svegliasse mai, che non dovesse mai andare a spiegargli come aveva perso la ragazza alla quale voleva bene. E pensare che gli aveva tanto rotto le scatole per Lynn, almeno lei era stata in un letto d’ospedale, ferita, ma al sicuro, viva.
    Courtney era stata arrestata dall’ADP.
    Chiuse gli occhi.
    Il sistema informatico della centrale elettrica, non era stato hackerato. Era stato tutto molto più semplice: Romeo conosceva la password. Questo significava che il suo sentirsi importante, perché aveva inventato un sistema inviolabile, era una bugia, lui era inutile, probabilmente a Romeo faceva tanta pena da lasciargli credere quello che voleva.
    C’era un fottuto microchip dentro il braccio di Zach.
    «Come diavolo ha fatto Courtney a non vederlo?» chiese Matt studiando la bacinella di sangue dentro il quale l’avevano messo. Per fortuna Matt si stava dimostrando in grado di fare da solo, perché quella sera non riusciva ad essere d’aiuto.
    Aveva costretto Becky a darsi in cambio di una telefonata a Romeo: perché non avevano chiesto se avevano tutti un cellulare? Perché non aveva fatto in modo che ne avessero tutti uno? Perché non aveva studiato un modo per non far dipendere le loro auricolare e microfoni dal sistema centrale di Synt? Sarebbe stato così fottutamente semplice, cazzo.
    «Non hanno voluto che lo sapesse.» rispose Nate, non aveva più voglia di trovare scuse fantasiose.
    «L’affarino qui dentro sembra tranquillo.» osservò. «Di chi è questo sangue?»
    Nate scosse la testa. «Non lo so. È una delle sacche con su il nome di Zach.»
    Avevano provato a metterlo in un cadavere, nel sangue di Nate, a lasciarlo solo, Matt aveva notato che avvisava anomalie tramite un programma che avevano messo insieme su due piedi, una specie di registratore che parlava la lingua dell’affarino. Nate sapeva qual era quella lingua, Matt come decodificarla.
    L’idea di quella sacca era stata di Nate, perché era banale: quella sacca, in qualche modo, era Zach.
    «Hai capito cosa fa?»
    Matt si strinse nelle spalle. «Registra. I valori del sangue, la velocità di risposta degli impulsi neurologici, il livello di qualcos’altro che non sono riuscito a capire.» scosse la testa. «Ho bypassato gli impulsi neurologici, ma credo sia l’ultimo dato a farlo impazzire.»
    «Li manda a qualcuno?»
    Scosse la testa. «Penso che faccia un backup, di tanto in tanto.» per un po’ rimase zitto, come se avesse paura ad avanzare quell’ipotesi. «Se l’ospedale non voleva che Court sapesse… forse sono proprio loro ad occuparsene.»
    «Ma Lindsey ci ha detto di sbrigarci, dov’è la fretta?»
    «Non invia niente a nessuno, ma non significa che non sappia farlo.» spiegò. «Fuori dal corpo di Zach…» ci ripensò. «Anzi, in assenza di alcuni parametri esplode. Prima di farlo credo che avverta qualcuno.»
    Nate studiò la bacinella e quella specie di ragnetto nero che ci nuotava dentro. In assenza di alcuni parametri significava che qualcuno, lo stesso qualcuno che riceveva i backup, voleva che Zach fosse standard, che mantenesse un livello approvato e che non cambiasse, pena il suo braccio destro. Non sarebbe stato tanto dubbioso, se non avesse saputo che anche migliorare era un cambiamento.
    «Domani provo ad andare a parlare con Ryan…» aggiunse Matt. «Per Becky, non può essere morta.»
   
«Fammi capire: c’è un camion che trasporta un’arma sconosciuta.» iniziò Josh. «Domani la porteranno da A a B per usarla contro di noi. Nota bene, che non ti sto chiedendo, perché è pericolosa in B e non in A. La nostra missione è attaccare il dispositivo qui presente…» continuò indicando un oggetto grande come una scatola da scarpe, ma di forma esagonale. «Sul tetto del camion, perché esploderà? Imploderà? In un modo particolare che non ci ucciderà tutti.»
    «Sembri dubbioso.» osservò Jean gelida.
    «Perché lo sono, questo discorso non ha senso. Ma comunque: Shane verrà messo lì con un giubbino al tritolo perché i Veggenti si butteranno a salvarlo ad occhi chiusi.»
    «A quanto pare.» confermò.
    «E non dovrei essere dubbioso? Se quell’arma è tanto importante perché dovrebbero rischiare tutto per un ragazzino dei nostri?»
    Jean non rispose, tremava di rabbia.
    «Non preoccuparti, non ho intenzione di correre quel rischio.» le disse. «Io e cinque Veglianti andiamo a prendere il ragazzo, puoi occuparti della scatola con il resto.»
    Lei spostò lo sguardò su Josh. «Sarai tu ad occuparti della scatola.» gli disse.
    Sollevò le sopracciglia scettico. «Ma la Caposquadra sei tu.» le fece notare.
    «Esatto.» disse alzandosi. «E devo occuparmi dei miei Veglianti, compreso Shane.»
    «Wood non sarà gran ché contento.» osservò. «Sei sicura? La mia disobbedienza non sarebbe deludente quanto la tua.»
    Jean lo guardò e scosse la testa seria. «Devo farlo io.» non gli disse che non si sarebbe sentita altrettanto sicura, né che preferiva giocarsi una stupida arma Veggente misteriosa piuttosto, che lasciare che Wood facesse esplodere quel ragazzo. Non gli disse nemmeno che voleva manifestare tutto il suo disaccordo, ribellandosi ai suoi ordini: non gli avrebbe mai permesso di punirla per una sua scelta.
    «Tu sistema la scatola come ti ha detto Wood prima che arrivino in B.» ordinò. Non avrebbe voluto, non le piaceva trattare Josh come un sottoposto, era Josh, ma le era uscito naturale. Wood le aveva sempre detto che aveva una predisposizione per il comando.
    «Okay, mi occupo io del magico oggetto del potere.» Josh si avvicinò e la strinse fingendo di non avere più dubbi, affatto offeso dal suo essersi comportata da Caposquadra. «Rilassati, Jean, andrà tutto bene.»
    Ma Jean sapeva che non era vero.

La mattina dopo Courtney fu svegliata da una guardia, qualcuno voleva vederla. Sperava si trattasse di sua madre, sperava che fosse venuta a tirarla fuori, invece era Lindsey.
    La studiò tutta, aveva ancora la divisa da infermiera e sembrava spaventata; lo sguardo di Courtney si assottigliò ancora prima che potesse dirsi di stare calma. «Che hai fatto?» le domandò riferendosi a Zach. Prima di andarsene aveva lasciato istruzioni precise su cosa fare quando si sarebbe svegliato, sarebbe stata piuttosto contrariata se non le avesse seguite per fare di testa sua.
    «Non si è svegliato.» disse soltanto.
    Courtney continuò a guardarla e lei continuò a parlare, anche se non gliene fregava assolutamente niente di quello che stava dicendo; non la stava ascoltando né vedendo, stava semplicemente riguardando, come in una registrazione, tutto quello che era successo in sala operatoria: non era stato un intervento problematico, impegnativo, ma nella norma, nessuna anomalia, nessun imprevisto. Zach doveva essere molto debole, certo, ma cosciente.
    «Hai continuato con le trasfusioni?» le domandò interrompendola. Aveva perso molto sangue, poteva essere ancora molto debole?
    Lei annuì.
    «Sangue per civili?»
    Si guardò intorno per essere certa che nessuno la spiasse prima di annuire di nuovo. «Credo che stia anche sviluppando problemi respiratori.»
    I polmoni non li avevano toccati né lei né Romeo. «Perché?» cercò nella sua mente qualcosa che avevesse senso. «Ossigenalo.» sospirò arrendendosi. «Controlla che non ci siano ostruzioni, non voglio intubarlo a meno che non sia davvero necessario.»
    Lindsey titubò prima di continuare. «Non ho mai tolto l’intubazione.»
    Courtney la guardò. «Ma è vivo?»
    Annuì. «Le sue onde celebrali dicono che a volte sogna un pochino, il suo cervello funziona.»
    La ragazza sospirò posandosi una mano sulla fronte: se fosse stata una Veggente a quel punto avrebbe avuto la soluzione. Scosse la testa, ce l’avrebbe fatta anche da Vegliante. «Continua a mantenerlo stabile. È vivo e voglio che ci resti, ho bisogno di vederlo per farmi un’idea della questione, ma non posso: mi farò dare carta e penna, ti farò inviare tutte le informazioni che mi servono. Voglio che analizzi ogni cellula del suo corpo, d’accordo?»
    Lindsey fece ancora di sì con la testa e la guardò. «Così è questa.» disse piano.
    «Cosa?» chiese senza capire.
    «La differenza tra me e te.»
    Courtney la guardò, Lindsey era una favola: era alta, i suoi capelli sembravano fili di cioccolata, aveva gli occhi blu come il cielo di mattina ed era ancora innamorata di Zach, lo era sempre stata. E certi rancori erano difficili da seppellire. Riusciva a capirla, anche lei appena arrivata, quando aveva scoperto che era la sua ragazza, aveva pensato a modi fantasiosi per eliminarla. Si avvicinò alle sbarre della sua cella e le strinse tra le mani.
    «L’unica differenza tra me e te è che io sono in una cella e tu no. Tu puoi aiutarlo ed io no. È l’unica ad avere senso, l’unica che mi interessa.»
    Lindsey non disse niente, continuò a guardarla e basta. «Lei com’è?»
    Courtney sorrise e sospirò. «Bassa ed insopportabile.» sbottò. «Ma carina.» aggiustò.
    «Gli vuole bene?»
    Courtney annuì.
    «Allora spero che torni.» fece per andarsene.
    «Come sapevi di quel…» si toccò il braccio senza sapere come finire, non sapeva cos’era.
    Lindsey lasciò vagare lo sguardo per la stanza. «Lo sapevo, non basta?»
    Courtney non rispose e lei se ne andò.

Shannon Tyler non avrebbe dimenticato mai quando Jean Roberts lo aveva abbracciato, prima che lo mettessero sul furgone. Aveva già il giubbotto con l’esplosivo addosso, gli altri avevano paura, perfino le guardie. Lei no, lo abbracciò ad occhi aperti con la passione di un’amante e l’affetto di una madre.
    «Tu invecchierai, Shane. E questo è un ordine.»
    Lui incrociò lo sguardo di Josh, imbarazzato, ad un certo punto aveva scoperto di essersi preso una cotta per la sua Caposquadra e viveva nel terrore che Josh lo scoprisse e lo picchiasse, ma lui stava sorridendo. Come poteva non essere altrimenti? Ogni cosa in Jean lo amava, non poteva avere dubbi in proposito. Sperò di poterli rivedere, perché, anche se erano Veglianti, loro due gli piacevano. Jean si era comprata la sua fiducia prendendosi uno schiaffo, Josh affermando davanti a Wood che se qualcuno avesse schiaffeggiato Jean in sua presenza l’avrebbe ucciso.
    Romeo non aveva ucciso il suo vecchio Caposquadra, Jean lo aveva fermato in tempo.


eccomi
signore è ufficiale: Shannon Tyler era un Vegliante, un tipo complicato, ma un Vegliante.
concedetemi un minuto di autoesaltazione perchè, voi non lo sapete, arrivare al punto cruciale della questione senza perdermi è un grande traguardo per me! Dai, cazzo...
ohi dottoresse, mi sono resa conto che potrei essere sembrata presuntuosa di sopra: se qualcosa non vi torna fatemi sapere e basta, okay?
quindi vi lascio: Twitter e Lamponella, siamo disponibili per qualsivoglia problema... non sapete se è il caso o no di portarsi dietro una felpa uscendo? vi aiuteremo anche in quello.

Becky non c'è...

il prossimo capitolo si intitola... beh, dai è ovvio... "Romeo"!


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Capitolo 26
*** 25. Romeo ***


MSC19 fragolottina's time
voi non lo sapete, ma qui, dietro di me, a mo' di avvoltoio sulla spalliera, c'è Cameron Wilde in veste della mia coscienza che mi fa "Com'era, fra'? l'arte è tutta completamente inutile?".
c'è della critica in questa storia? è tutta una critica.
ma capitemi, vivo in un mondo in cui mi sono laureata in letteratura inglese e mi tocca sentirmi chiedere da persone di dubbia intelligenza, ma comunque più affermate socialmente di me, se conosco "un certo Orwell"... siate sincere, girerebbero anche a voi!
quindi, Cam, sta zitto!
e voi prendete da questa storia quello che vi piace, le motivazioni che mi spingono a scriverla non dovrebbero condizionare la vostra lettura, io non voglio che lo facciano...
e dopo questa bella introduzione fuori argomento, vi lascio al capitolo...
attenzione, c'è il "kleenex alert", l'autrice consiglia di leggerlo in presenza di fazzolettini.


25.
Romeo


«Lo so che è da vigliacchi.» disse Nate a Zach.
    Gli risposero solo i vari bip dei macchinari intorno a lui. «Ho perso Becky, stiamo continuando a cercarla ogni notte. Siamo solo io, Matt e Jared perché tu sei qui e Courtney è in prigione. Non c’è traccia di Veggenti da nessuna parte.» sospirò. «Se tu fossi sveglio probabilmente ora mi daresti un cazzotto, anche se non l’hai mai fatto. Me lo meriterei, sono stato presuntuoso, per lo meno tu ci tenevi al sicuro.» lo guardò, Zach era a tutti gli effetti incosciente. «Scusa, in fondo saresti quello con più diritto di dormire di tutti noi. È che abbiamo bisogno di te.»
    Il cellulare di Becky, recuperato vicino a Zach, suonò. Nate lo osservò a lungo prima di portarselo all’orecchio e rispondere. Una donna agitata gli gridò nell’orecchio, arrabbiata perché la figlia non si faceva sentire.
    «Signora Farrel, mi chiamo Nate, sono il Caposquadra di Rebecca.»
    Dall’altra parte della cornetta calò il silenzio.
    «Vostra figlia è attualmente scomparsa.»

Cos’era successo?
    Jean Roberts negava e piangeva.
    Shane Tyler non lo sapeva: Jean l’aveva salvato, qualcosa era esploso ed era diventato cieco. Ad un certo punto aveva iniziato a tremare, sconvolto, tanto da fermarsi in mezzo ad una guerra ed urlare fino a consumarsi la gola. Ci mise sei mesi a capire che non era mai guarito, che non ci vedeva, non con gli occhi almeno.
    Josh Lanter non parlò per sei mesi. Lui lo sapeva, cosa era successo: aveva fissato il magico oggetto del potere sul camion ed aveva sentito Shane urlare – Jean era in pericolo? Poi al suo grido si erano uniti anche molti altri Veggenti. Aveva guardato il camion, che non stava esplodendo, né implodendo. Aveva sentito la puzza. Poi pianti e colpi di tosse, sottili, acuti. Bambini.
    Veggenti, avrebbe detto Wood.
    Bambini, avrebbe continuato a ripetere Josh ogni giorno nella sua mente.

Ci vollero tre giorni anche per l’abilissimo avvocato che aveva seguito Vivien Williams a Synt, ma alla fine la Vegliante Courtney Williams fu dichiarata emotivamente instabile, ma non pericolosa. Fu difficile: complicato, ritenerla non pericolosa, dopo che aveva sparato ad un uomo.
    Nate era andato a trovarla e le aveva espresso solidarietà. Courtney non ricordava di averlo mai visto tanto abbattuto, forse nemmeno quando Lynn era rimasta ferita.
    Anche Matt, per quanto litigassero sempre, era andato a prometterle di farla evadere se non l’avessero rilasciata entro una settimana. Le aveva mostrato le due palline di esplosivo al plastico che aveva nascosto in tasca, Courtney aveva riso.
    Jean divideva equamente la sua preoccupazione tra lei, Zach e Becky. Veniva a trovarla due volte al giorno, ogni volta discuteva con gli agenti che la tenevano lì. Era riuscita a garantirle per lo meno un telefono.
    Jared non si era più fatto vedere, ma Courtney aveva deciso che non era proprio il momento migliore per fare la ragazzina con il cuore spezzato. Che stesse alla larga, non avrebbe avuto tempo da dedicargli comunque. Le venne da piangere quando riconobbe la freddezza di Zach nelle sue parole.
    Non appena fu fuori dalla cella si fece portare in ospedale. Lindsey la chiamava ogni quattro ore, anche di notte. La stava rivalutando, non doveva essere facile per un’infermiera civile fare quello che stava facendo lei: una volta finita tutta quella storia avrebbe dovuto offrirle da bere.
    Sua madre aveva svegliato Zach il giorno esatto in cui era arrivata a Synt: era entrata nella sua camera, aveva chiesto a Lindsey di chiudere le tende ed a Jean di non fare entrare nessun altro; aveva tirato fuori una siringa dalla borsa e l’aveva iniettata a Zach. Non aveva detto a nessuno cos’era, si era rinfilata il tubicino ormai vuoto in tasca, per gettarla in un secondo momento.
    Zach si era svegliato dopo pochi minuti. La prima parola che aveva detto, dopo aver guardato le facce preoccupate intorno a lui una ad una, era stata: «Becky?»
    Lindsey le aveva raccontato che Nate era impallidito, poi gli aveva chiesto scusa e se ne era andato.
    Courtney sospettava che non fosse stato semplice a quel punto, continuare a tenerlo in quella stanza, su quel letto.
    Nate era venuto a prenderla insieme a sua madre, quando uscì dalla cella la abbracciò. Non lo avevano mai fatto ed effettivamente Courtney non impazziva per i contatti fisici, ma quella volta lo lasciò fare, serviva anche a lei un appoggio e Nate era un buon appoggio. Per lo meno avevano gli stessi obbiettivi.
    Si cambiò in macchina mentre sua madre le teneva un asciugamano davanti in modo che lui, seduto sul sedile anteriore, non sbirciasse. Le venne quasi da ridere, Nate non l’avrebbe mai sbirciata, ma d’altronde quella era sempre sua madre e lasciò stare.
    «Notizie di Becky?» chiese mentre salivano in ascensore.
    «Non ancora.»
    Lei lo guardò, stupita che fosse ancora attaccato alla speranza: se anche fosse tornata, Becky non sarebbe più stata la stessa, come Josh.
    «L’abbiamo cercata ovunque, abbiamo battuto la città a tappeto.»
    «Vi serve una mano?» si offrì.
    Nate le lanciò un’occhiata e scosse la testa. «Mi servi di più qui con Zach.»
    «Non è colpa tua.» gli spiegò.
    Lui non rispose, lasciò che scendesse al piano di Zach poi scese in laboratorio.

Jean si era fermata quanto l’aveva fatto Shane. L’aveva tirato per un braccio e lui aveva iniziato ad urlare. Non riusciva a capire, però aveva detto ai suoi cinque Veglianti di formare un perimetro intorno a loro per tenere i lontani i Veggenti.
    Si era accucciata accanto a lui e l’aveva scrollato finché alla fine non le aveva prestato attenzione. Jean si era spaventata, i suoi occhi sanguinavano, era per quello che urlava.
    «Josh!» gli aveva gridato lui. «Non deve farlo!»
    Le ruote del camion stridettero in lontananza per una frenata brusca.
    Josh l’aveva già fatto.
    Si alzò e lo vide in piedi, immobile davanti al camion ormai fermo: aveva portato a termine la sua missione.
    Tutto divenne silenzioso, non avrebbe mai saputo se perché tutti tacessero, o lei non li sentisse.
    Mentre lo guardava avvicinarsi a quel camion ed aprire il portellone sul retro, su gli occhi le calò l’immagine gemella di una notte senza stelle, di Josh che compiva un passo fatale nel vuoto.
    Hai fatto di me un mostro.
    La prima volta che le disse quelle parole, furono soltanto nella sua testa.
    Si guardò intorno, Josh non stava dando ordini ed i Veglianti non sapevano cosa fare, guardò i suoi cinque; erano solo cinque, ma erano i cinque migliori, quelli di cui si fidava di più, quelli con più esperienza. «La missione è stata portata a termine. Aiutate a respingerli e ripiegate verso le caserme. Non lasciate indietro nessuno. Io mi occupo di Josh.»
    «Ma…?» tentennò uno di loro, a disagio a lasciarla sola con il ragazzo ferito.
    «Segui gli ordini.» rispose brusca.

Il fatto che Zach fosse sveglio non significava obbligatoriamente che fosse vivo. In quel momento dormiva, erano passati dall’intubazione alle maschere di ossigeno: pessimo segno.
    Entrò nella stanza e, quando lo fece, Lindsey sussultò sulla sedia che aveva sistemato. «Ciao.» la salutò.
    Courtney non la guardò tenne gli occhi fissi in quelli di Zach. «Perché l’ossigeno?» chiese incerta.
    La ragazza spostò gli occhi su Zach, sulle gambe aveva una rivista poco impegnativa. Per un attimo la gelosia punse ancora Courtney: parlavano? Erano tornati in confidenza? Quanto tempo avevano passato insieme ed a fare cosa? La scacciò, quella ragazza, per quanto non fosse la sua preferita a Synt, si stava dando molto da fare per lui, non meritava di essere malvoluta.
    «Riesce a stare senza per un massimo di tre ore.» sospirò Lindsey.
    «Vatti a prendere un caffè.» propose facendole un piccolo sorriso. «Ti do il cambio per tre ore.»
    Aspettò che si allontanasse, poi si avvicinò al letto e, piano, scostò la maschera dal viso di Zach. Lo studiò, non l’aveva mai visto tanto pallido in vita sua ed i segni neri che gli contornavano gli occhi rendevano tutto più accentuato. Si mise seduta sulla sedia di Lindsey ed aspettò con gli occhi fissi sul suo torace, cominciò ad alzarsi ed abbassarsi in modo sempre meno regolare e frettoloso. Ansimante, come dopo una corsa, il suo fisico era affaticato da morire.
    Iniziò a guardare alternativamente lui e l’orologio: si svegliò due ore ed un quarto dopo. Gli ricordò qualcuno che riemergeva in superfice dopo essere quasi affogato.
    Zach strinse le coperte tra le mani e sbarrò gli occhi, fissandola, sembrava sorpreso. Courtney si allungò e gli rimise sul viso l’ossigeno. «Come stai, Zach?»
    Lui tossì. «Devi slegarmi, devo andare a cercarla.» le disse strattonando il braccio destro, ammanettato alle sbarre del letto dell’ospedale.
    Courtney lo osservò con le sopracciglia sollevate. «Hai tre ore di autonomia, non mi sembra il caso di strafare.»
    «In tre ore riesco a prendere Romeo.»
    «Non ci sei riuscito in due anni.» gli ricordò, mentre osservava il suo polso, era rosso e livido, aveva cercato di rompere la manetta. Gli prese la mano. «Stringi più forte che puoi.»
    Lui strinse, probabilmente un tempo sarebbe stato in grado di romperle un paio di dita, in quel momento seppe che lei, se avesse voluto, avrebbe potuto spezzargli il polso. Courtney lo fissò negli occhi, preoccupata e turbata. «Stai male davvero.» confermò.
    Zach la guardò, ma non disse niente.
    «Cosa ti fa male?» gli chiese.
    Lui deglutì e spostò lo sguardo su sé stesso. «Tutto.»
   
Il cervello di Josh Lanter smise di mandare messaggi esattamente quando, all’interno del camion, vide un numero indefinito di corpi morti ed ammassati su loro stessi. Corpi piccoli, arti morbidi, paffutelli, acerbi. Dietro di lui si stava ancora combattendo, ma tutto quello di cui aveva piene le orecchie era un fischio sordo.
    Quando aveva aperto il portello la puzza era diventata più forte, sapeva di marcio, di decomposizione, gli aveva fatto lacrimare gli occhi e l’aveva costretto a sollevarsi il collo della divisa sopra il naso per non respirare quello schifo: qualsiasi cosa fosse la scatola che aveva fissato sul tetto, produceva gas tossico.
    Ce l’aveva messa lui.
    Era stato lui.
    Percepì un movimento, si voltò di botto con già la pistola in mano e l’obbiettivo sotto tiro. Una manina. Lasciò cadere a terra la pistola terrorizzato e gemette con affanno; era un mostro, avevano fatto di lui un mostro, pronto a sparare senza mai chiedersi a cosa.
    Perché non aveva chiesto cosa stava facendo?
    Perché, anche se aveva dubbi, aveva fatto quello che gli era stato detto?
    Perché se Jean gli dava un ordine, lui non faceva domande. Era per quello che lo consideravano un buon Vegliante, era ubbidiente.
    Scostò gli altri corpi da quella manina tremando e recuperò un bambino svenuto, non del tutto sicuro che fosse vivo.
    I Veggenti avevano perso smalto: da guerra era diventata rivolta urbana, una specie di manifestazione pacifica andata in malora.
    Sarebbe scappato se dietro di lui non avesse trovato Jean.
    Non si era mai vergognato tanto di lei come in quel momento, con un bambino tra le braccia, davanti ad una carneficina.
    «Josh…» fece, i suoi occhi erano enormi e tondi, pieni di esitazione. Sbirciò il massacro che c’era dietro di lui, non glielo chiese, ma lo pensò: cosa hai fatto?
    Il problema era che nella mente di Josh c’era soltanto una risposta a quell’interrogativo: “Quello che tu mi hai detto di fare”.
    I Veggenti avevano venduto cara la vita quel giorno, quello che dovevano proteggere era più importante di qualsiasi arma: stavano proteggendo il loro futuro, i loro nipoti, i loro figli, i loro fratelli. Lui aveva messo in atto sei anni di addestramento, esperienza, pianificazione per uccidere bambini.
    Veggenti.
    Bambini.
    Josh vide Shane accucciato a terra, una mano sugli occhi l’altra stretta alla gamba di Jean. Vide sé stesso in quella mano, la fiducia infinita in lei, in quella donna che si batteva per te, disobbediva ad ordini superiori per venirti a salvare. Probabilmente l’unico Caposquadra che Shane Tyler avrebbe mai rispettato.
    Un giorno avrebbe mandato anche lui ad intossicare un camion pieno di bambini?
    «Josh.» ripeté Jean. Qualcuno le disse di prendere il ragazzo ed allontanarsi, sorprendentemente un Veggente. Un Vegliante lo aggredì, stavano approfittando dello shock dei loro nemici per fare una strage. Violenti ed ottusi.
    «Dobbiamo portare quel bambino in ospedale.» gli disse avanzando verso di lui.
    «No!» Josh se lo strinse addosso e sollevò un coltello verso di lei. «Non ti permetterò di ucciderlo.»
    Jean alzò le mani e deglutì, si spostò in modo che Shane fosse completamente coperto da lei. «Non voglio ucciderlo.» disse ferma. E Josh riconosceva quel tono, era lo stesso che usava quando dava gli ordini, quando ti convinceva a non fare domande. L’aveva usato quando gli aveva ordinato di occuparsi della scatola? Non riusciva a ricordarlo. Non ricordava niente prima di quei bambini.
    Sentiva ancora la puzza.
    «Ma lo farai, Wood lo farà.»
    «Faremo in modo di proteggerlo.»
    Josh la guardò, il suo sguardo si addolcì. «Erano bambini.» le disse scioccato, lentamente. «Non era un’arma, erano bambini.»
    Jean chiuse gli occhi, respirò e si avvicinò piano a lui. «Josh, ti prego, calmati.» gli prese piano la mano in cui stringeva il coltello per disarmarlo. Dolce, eppure anche in fondo al suo sguardo Josh riconosceva l’orrore, orrore per qualcosa che lei stessa gli aveva ordinato di fare.
    «Calmarmi?!» le chiese, respingendola con rabbia, nel farlo le ferì il braccio. «Mi hai appena fatto uccidere un camion pieno di bambini. Hai fatto di me un mostro!» urlò.
    Jean provò ad avvicinarsi ancora, lui buttò il coltello e la colpì a mani nude. Ne fu così sorpresa che, per la prima volta in tutta la sua vita, Josh riuscì ad atterrarla. Un paio di Veglianti scattarono insieme per andare ad aiutarla, coprirla, difenderla, ma lei alzò una mano per fermarli. «Andate ad aiutare gli altri.» ordinò per evitare che facessero del male a Josh. L’avrebbero fatto, tutti i Veglianti la pensavano allo stesso modo: se qualcuno attaccava la Caposquadra, quel qualcuno andava reso inoffensivo. Se non lo avessero fatto se la sarebbero vista con Wood.
    Josh si avvicinò e si abbassò davanti a Shane, rimasto indietro. «Puoi camminare?» gli chiese.
    Il ragazzo si tolse l’altra mano da davanti agli occhi, sanguinavano, li strizzò. «Non ci vedo.» disse.
    «Ma puoi camminare?» continuò alzando il tono di voce.
    «Josh, è ferito.» gli gridò Jean, scrollando la testa per allontanare la confusione ed il dolore della botta.
    Shane annuì e Josh gli mise il bambino tra le mani insanguinate. «Salvalo.» ordinò.
    Lui sollevò il viso per cercare il suo sguardo, forse un pochino ci vedeva.
    «Portalo via di qui, non fermarti finché non sarà al sicuro. Salvati, perché se torni Wood continuerà a cercare di ucciderti.»
    Era una follia, una parte di lui lo sapeva, ma la prospettiva di morire in quel modo, sarebbe stato un ottimo stimolo per chiunque: Shane scappò. Un direzione a caso.
    Jean si alzò. «Shane, aspetta!» urlò prima di muoversi per seguirlo.
    Josh la spinse indietro e si posizionò davanti a lei per impedirle di seguirlo. «Non ti permetterò di fermarlo.» la minacciò.
    Jean alzò gli occhi su di lui, addolorata dal fatto che avesse intenzione di battersi con lei. «Josh, Shane è ferito!»
    «Tu porterai quel bambino a Wood e lui lo ucciderà.»
    Cercò di superarlo.
    Josh provò a colpirla di nuovo, ma stavolta Jean lo parò. «Che diavolo ti prende? Moriranno tutti e due. Guarda cosa c’è intorno a noi!» gli gridò contro.
    Non riuscì a spiegarle che lui non vedeva, che nei suoi occhi c’erano soltanto quei corpi ammassati, nelle narici quella puzza, nel cuore quel terrore.
    «Io ti ho obbedito.» disse.
    Jean sgranò gli occhi. «Non lo sapevo.» sollevò una mano e gli sfiorò il viso, lui continuò a fissarla come se non se ne fosse accorto.
    «Tu mi hai fatto uccidere quei bambini.»
    «Josh…» provò ancora, interdetta e mortificata.
    «Tu hai fatto di me un mostro!» ruggì prima di aggredirla di nuovo.
    Quando una squadra di soccorso andò a recuperarli scoprirono che Josh Lanter e Jean Roberts si erano massacrati a vicenda.
    Lei era in lacrime, lui svenuto. In fondo, era sempre lei a vincere.
    Di Shane Tyler non c’era traccia, Jean Roberts dichiarò di avergli sparato quando si era rifiutato di fermarsi.

Matt provò a chiamare Ryan mille volte, il suo cellulare era sempre spento. Nate non voleva che andasse da lei, per paura di imboscate o ritorsioni, ma non avevano notizie di Becky da una settimana ed era stufo di quel silenzio stampa da parte dei Veggenti. Zach era stabile, l’affarino sotto l’attento controllo di Nate, poteva allontanarsi un pochino. Prese la macchina ed andò alla ferramenta da solo, senza dire niente a nessuno.
    Rimase seduto sul sedile del guidatore a guardare le porte chiuse.
    E se i Veggenti avessero lasciato Synt portandola via con loro?
    Mandò un messaggio vocale a Nate, erano tutti talmente paranoici in quel periodo che se gli avesse scritto un testo avrebbero pensato ad un trucco dei Veggenti. «Sto bene.» iniziò a registrare. «Ho da fare e forse tardo, ma non preoccuparti, okay? Mi rifaccio sentire io.»

Shane Tyler camminò e camminò ancora. Il bambino non si muoveva e non piangeva, per quel che ne sapeva poteva essere morto, però era caldo.
    Si fermò a vomitare più volte, ogni volta che ricordava l’ultima cosa che aveva visto nitidamente.
    Teneva gli occhi chiusi, quando li apriva avrebbe voluto strapparseli per non sentire il dolore e comunque non ci vedeva. Il mondo era diventato un insieme di immagini sfocate: a volte qualcosa lo faceva sentire in pericolo e si nascondeva, a volte qualcuno gli indicava la strada da seguire, senza che lui gliela chiedesse. Lo chiamavano Romeo e lui aveva paura di dire il suo nome, di dire cos’era. Non sapeva dove andare, quindi faceva come gli dicevano e rispondeva al nome di Romeo.
    Sentì il rombo di una macchina, si fermò. «Sei Romeo?» chiese la voce di una donna. «Il Veggente.»
    Se fosse stata una Vegliante lo avrebbe ucciso. Se fosse stata una Veggente lo avrebbe ucciso lo stesso, perché avrebbe saputo che mentiva.
    Era un Vegliante e non si chiamava Romeo, ma era stanco, gli occhi gli bruciavano e non sapeva che fare con quel corpicino che aveva tra le braccia. Rimase zitto e fermo sperando che la sconosciuta trovasse in lui qualcosa da accudire e non da far fuori.
    «Sali.» lo invitò.
    Seguì il suono della voce fino a scontrarsi con la carrozzeria, tastò fino a trovare la maniglia, salì.
    «Che hai fatto agli occhi?» domandò la donna.
    Deglutì riconoscendo la fastidiosa contrazione di un conato, deglutì ancora. «Avevo un giubbotto imbottito con il tritolo.» disse solo.
    «Un miracolo che tu sia vivo.»
    Jean l’aveva slacciato, mani l’avevano afferrato, niente giacche verdi, era stato un Veggente ad aiutarli. Jean l’aveva stretto per proteggerlo, ma Shane aveva voluto guardare, aveva voluto vedere: il Veggente si era arrotolato sul giubbotto per contenere l’esplosione, per tenere al sicuro lui e Jean. L’ultima cosa che aveva visto era stato il suo corpo andare in pezzi.
    Vomitò sul tappetino della macchina, si scusò subito dopo, in lacrime.
    «Non è niente.» lo liquidò lei. «Questa macchina l’ho rubata.»
    «Non mi chiamo Romeo e…» deglutì. «Sono un Vegliante.»
    La donna sospirò. «Se mi dessero un dollaro ogni volta che ho sentito questa frase…» commentò.
    «Il bambino, credo che sia morto.» pianse ancora perché non sapeva cos’altro fare. Aveva visto più morte quel giorno di quanta probabilmente vedeva una persona normale in tutta la sua vita; era cieco, quindi quei ricordi erano le uniche immagini che avrebbe portato con lui; ed era in macchina con una sconosciuta della quale non conosceva le intenzioni.
    «Calmati, d’accordo?» lo incoraggiò. «Il bambino si chiama Connor, sta bene e nel portaoggetti dell’auto ci sono i certificati di adozione.»
    «Come…?»
    «Mi ha chiamata mio fratello dalla Siria, mi ha detto di venirti a prendere. Erano mesi che non mi parlava, ho pensato che fosse il caso di dargli retta.»
    «Tuo fratello è un…»
    «Veggente, sì. Ma stai tranquillo, non ti farò niente. E gli occhi fra un paio di mesi non ti sarebbero più serviti in ogni caso.»
    «Chi sei tu?» chiese Shane sorprendendosi di non averlo fatto prima.
    «Al momento la tua migliore amica, mi chiamo Dawn. Ti posso nascondere.»
    «Ho bisogno di essere nascosto?»
    «Perché pensi che Wood volesse farti passare a miglior vita?»
    Per dare fastidio a Jean e Josh forse…
    Jean e Josh.
    «Quei bambini…» strinse di più quello che aveva tra le braccia.
    La donna, Dawn, rimase zitta così a lungo da fargli pensare di non averlo sentito. Forse oltre che cieco era anche diventato muto.
    «Speravamo di riuscire a mandarli fuori dal paese, c’era una nave che li aspettava, eravamo d’accordo con lo Stato che li avrebbe accolti. Avevano preparato un centro di accoglienza, una squadra di pediatri, maestre preparato sul loro caso.» disse piano, seria. «Volevamo salvarli.»
    Josh li aveva uccisi tutti.
    «Dove stiamo andando?»
    «A casa mia, a Synt.»
   
Quando sentì bussare alla porta e si voltò, Courtney si sorprese di trovare Jared sulla soglia.
    Zach sollevò la mano che non era ammanettata al letto per fargli un cenno.
    «Ehi, come stai?» lo salutò, lanciando appena un’occhiata a lei.
    Zach si spostò la maschera da davanti al viso. «In via di guarigione.» disse piano.
    Non c’era mai stato tanto lontano, ma Courtney non lo contraddisse, un piccolo miracolo per volta: non era morto, non era incosciente, aveva gli occhi aperti. Prima o poi sarebbe riuscita anche a farlo respirare da solo.
    «Posso rubarti la dottoressa per un pochino?» gli chiese con un sorriso che non coinvolse completamente gli occhi.
    Fece di sì con la testa e ritornò a respirare nella maschera. A Courtney si strinse il cuore: era Zach, era testardo, disattento ed orgoglioso, probabilmente era ad un passo dal soffocare per essersi risistemato l’ossigeno da solo.
    Si alzò e gli sfiorò la mano. «Chiamo Lindsey.» gli disse. «Se non stai bene, mia madre è nei paraggi.» lo era sempre, ma rimaneva nelle retrovie. Più che altro si batteva con il primario perché continuassero ad essere lei e Lindsey ad occuparsi di Zach e non i medici dell’ospedale. L’avvocato che si era portata dietro era giovane, ma efficientissimo.
    Lui annuì di nuovo.
    Courtney seguì Jared nella caffetteria dell’ospedale, era un po’ a disagio, doveva avere l’aspetto di una profuga. Da una settimana viveva lì, si lavava lì, si vestiva con quello che Jean portava a lei e Nate. Entrambi si erano trasferiti in pianta stabile in ospedale: lei per Zach, lui per l’affarino di Zach.
    Jared ordinò due cappuccini decaffeinati e le prese un dolcetto. «Sei sciupata.» commentò porgendole un muffin con una glassa rosa.
    Courtney non rispose. Certo che era sciupata, non si ricordava l’ultima notte che aveva dormito senza rimanere abbastanza cosciente da tenere sotto controllo i “bip” dei macchinari attaccati a Zach. Lui dormiva invece, per uno che stava sempre a letto dormiva troppo.
    «Allora, come sta davvero?» le chiese sedendosi insieme a lei ad un tavolinetto.
    Lo stomaco di Courtney si contorse per l’ansia, un vero peccato perché quel muffin aveva un ottimo aspetto. «Stazionario.» disse posandolo su un piattino.
    Jared attese qualche secondo che aggiungesse altro. «Non è una cosa buona?» le chiese perplesso.
    «Non peggiora, questa è la parte buona; ma non migliora nemmeno.» precisò. «Vive perché è attaccato ad una bombola d’ossigeno e perché fa una trasfusione al giorno.»
    Il sangue era la cosa che più la impensieriva, era sempre sotto di qualche unità, sembrava che il suo corpo bruciasse ogni goccia che gli davano. Non aveva emorragie, da nessuna parte, Courtney l’aveva rivoltato come un calzino alla ricerca di un taglio, un buco, qualcosa di spiegabile e curabile. Niente.
    Deglutì e prese un sorso di quel caffè che non era caffè. «Senza muore in tre ore, Lindsey lo ha cronometrato.»
    Jared sospirò. «Mi dispiace per quello che ti ho detto.» si scusò. «So che gli vuoi molto bene, ma non dovresti mettere lui in testa alle tue priorità, non dovresti metterci nessun Vegliante.»
    Lo guardò. «Ci ho messo un amico.» sorrise e scosse la testa. «Forse non credo abbastanza nella nostra causa.»
    «Forse ti sei un po’ arresa.» cercò di consolarla.
    Courtney non disse niente: ammazzare persone perché erano diverse, forse migliori di loro, perché non volevano involvere al loro livello? Forse la loro causa era una merda e basta, soprattutto per una che sarebbe voluta diventare un medico e salvarle, le vite.
    Si alzò dalla sedia e si diresse di nuovo al bar. «Voglio un caffè vero.» disse a Jared.

Jean si dimise da Caposquadra, non uscì dalla caserma di Los Angeles per sei mesi, Wood disse a tutti che aveva riportato delle ferite. Lo disse con lo stesso sorriso con cui annunciò che un camion carico di Veggenti era stato fermato prima che lasciasse il paese. Aveva letto una lista di Veglianti caduti in quella battaglia chiamandoli eroi, nominò anche Shannon Tyler. L’unica cosa sulla quale si erano dichiarati d’accordo lei e Josh era stato proclamare la sua morte.
    Non era morto.
    Josh aveva mandato un avvocato a consegnarle i documenti per il divorzio, Jean li aveva firmati senza leggerli. Aveva altro di cui occuparsi che l’odio di Josh; vedeva come Wood lo guardava, li sentiva discutere, se al Responsabile fosse piaciuto l’individualismo probabilmente non sarebbe diventato tanto ricco e famoso. L’avrebbe mandato a morire, forse rimesso all’Asta visto che Josh si rifiutava di partecipare ad altre missioni.
    Fu per quello che un giorno bussò alla porta di Wood. Lui era seduto alla sua scrivania, compilava verbali, scriveva discorsi. Era il Responsabile più efficiente dello Stato, le persone adoravano sentirlo parlare, le faceva sentire al sicuro e buone: presentava la missione dei Veglianti come una cosa nobile, pulita, onorevole. Non lo era, per questo tutti pregavano la notte che i loro figli, nipoti, parenti, non fossero scelti.
    «Occuperò il mio ruolo di Responsabile se mi lasci Josh.» propose.
    Wood la guardò. Era deluso da lei, avevano litigato molto dopo Los Angeles: lei insisteva a dirgli che avrebbe dovuto spiegarle che non c’era un’arma dentro quel camion; lui continuava a ripetere che bambini Veggenti erano un’arma in attesa di diventarlo.
    «Ti lascio Josh se prendi Synt.»
    Jean chiuse gli occhi, quell’uomo l’aveva accompagnata all’altare. «Prendo Synt.» fece per uscire.
    «Non ti lascio iniziare da niente.» le disse. «Posso darti un altro paio di ragazzi delle squadre itineranti, c’è quel Vegliante, Jared Compton, che sembra promettente. Molto preciso. In genere si occupano di città piccole, ma Synt è poco più di un villaggio.»
    Lo guardò, deglutì. «Non credi che mi serva anche qualcuno più grande, tanto per aiutarmi ad impostare il lavoro?»
    «Ci sono alcuni vicini al congedo, non sono più scattanti come a diciassette anni, ma credo che possano costituire un buon nucleo iniziale. Siediti.» la invitò. «Scegliamoli insieme.»
    Jean obbedì.
    «Era la tua missione, Jean, non saresti impazzita.»
    «Non puoi saperlo.»
    Wood la fissò. «Non ti avrei mai dato più di quanto avresti potuto sopportare.»
    «Ma sarei comunque stata un mostro.»
    «Jean, sei un grande Vegliante. Sai quali sono i tuoi compiti e sai farli bene. Non lasciarti indebolire, dai farneticamenti di Josh Lanter.»
    Lei non rispose, Wood continuò a guardarla. «Pensi di farcela?» le chiese.
    Jean si leccò le labbra e prese fiato. «Sì.»

Ryan bussò al vetro del finestrino della macchina di Matt, lui aprì gli occhi accartocciato contro il sedile e la guardò. All’iniziò non capì, poi si riscosse, sussultò ed abbassò precipitosamente il vetro.
    «N-non sei una grande s-spia se ti addormenti sul l-lavoro.» lo prese in giro.
    «Dov’è Becky?» domandò Matt ignorandola, cercò di darsi un tono minaccioso, ma non ne era esattamente capace. Lui non era bravo in quelle cose, di solito se ne occupava Zach.
    «Con Romeo.» disse semplicemente lei.
    «Dove?» chiese ancora. «Digli di rimandarcela indietro o…»
    «O?» lo spronò Ryan fissandolo, Matt non rispose.
    «Non p-puoi minacciare Romeo.»
    «Posso minacciare te.»
    Lei scosse la testa, paziente, e sollevò un sacchetto di carta. «Ti ho p-portato uno sp-spuntino.»
    Matt frugò all’interno e recuperò un pacchetto di patatine ed una bibita azzurra. «Vuoi salire?» le chiese mettendosi in bocca una patatina.
    Lei lo guardò stupita, anche con una punta di paura; Matt realizzò che si stava chiedendo se fosse una trappola e ne fu addolorato. Non lo era, non lo sarebbe mai stata, non erano nemici: lui non la considerava sua nemica.
    Dovette indovinarlo perché fece il giro della macchina e salì sul sedile del passeggero.
    «Almeno sta bene?»
    Ryan scosse ancora la testa. «N-non vedo Romeo da quando tutta questa storia è c-cominciata.» rivelò. «Abbiamo votato, io ho votato p-perché vivesse, più della metà di noi vuole salvarla. L’ultima parola sp-spetta a lui, ma t-tiene sempre conto delle nostre opinioni.» cercò di tranquillizzarlo. «Se non dirà qualcosa di d-davvero molto stupido la rimanderà indietro.»
    Matt la guardò preoccupato. «E se si uccide come Josh?»
    Lei si strinse nelle spalle. «Non è che p-possiamo intervenire su quello che deciderà di fare della sua v-vita.» gli fece notare.
    Matt sospirò e le allungò il pacchetto di patatine. «Mi sei mancata.»
    Ryan lo guardò, masticò una patatina e bevve un sorso di bibita, poi si allungò sul sedile lo baciò.

«Josh, hai anticipato tutta la tua pensione per prendere una ragazzino problematico?» chiese Jean mentre osservava Zach Douquette, poco lontano da loro, parlare al telefono con la sua famiglia. «Hai anche quasi fatto a botte con Wood.» continuò massaggiandosi le tempie.
    «Attivo in tutti gli sport scolastici, addestramento militare, è un ottimo elemento. Se Wood lo avesse preso, avrebbe fatto di lui quello che ha fatto di me e di te.» osservò. «E poi quei soldi non mi servivano comunque.» disse semplicemente.
    Jean scosse la testa. «Adesso dici così, ma avrai solo ventisette anni, potresti costruirti tutta una vita.»
    Josh non rispose, parlava poco, ma aveva ripreso a parlarle e non voleva essere troppo polemica.
    «Provvederò perché tu abbia la metà dei miei soldi quando lascerai Synt.» lo rassicurò.
    «Non lascerò Synt.» fece Josh, Jean lo guardò, sembrava pensieroso. «Non ho niente, non voglio niente. Tu mi vuoi qui, tanto vale che ci resti.»
    Quella stessa notte Josh bussò alla sua stanza e la baciò, Jean non riuscì a ricambiare; sotto le sue labbra, dietro la sua lingua, alla fine della sua gola c’era una belva che covava rancore. L’aveva allontanato con delicatezza, ma decisione. «Non devi farlo.» disse con gentilezza. «La nostra amicizia può fondare le basi su altro, non ti serve questo per avere il mio rispetto.»
    «Io…» Josh si avvicinò, appoggiò la fronte contro la sua, tremava. «Io non riesco a tenermi insieme, la mia mente si sfalda, i miei pensieri vanno alla deriva. A volte però mi sembra di essere tutto intero, per pochi istanti. In quei momenti ti amo.»
    Jean lo abbracciò, avrebbe voluto avere la facoltà di tenerlo insieme lei stessa, ma non poteva, non poteva guarirlo, anche se evidentemente era stata brava a ferirlo.
    Non pianse, non davanti a lui.
    Lui sì e Jean riconobbe uno strano odore, qualcosa di inusuale, ma che, suo malgrado, avrebbe imparato ad associare a Josh: alcol. «Sento ancora quella puzza.» le confessò.

Courtney lavorava a maglia, seduta accanto al letto di Zach, lui la guardava. Non aveva la forza di fare molto altro, non le aveva detto quanto si sentisse sempre le palpebre pesanti, non voleva farla preoccupare. Voleva sapere cosa succedeva, se c’erano novità di Becky, provare a liberarsi. Courtney non aveva il coraggio di dirgli di non farlo, aveva finito per imbottirgli le manette di cotone perché non si ferisse.
    Si scostò la mascherina dal viso. «Court, mi serve una sigaretta.» disse.
    Lei scoppiò a ridere senza guardarlo. «Che cosa ridicola da dire.» lo prese in giro, ignorando ogni sua pretesa di serietà.
    «Davvero.»
    «A parte l’ovvio, per fumare dovrei staccarti l’ossigeno se non vuoi esplodere, hai tre ore, ricordi?»
    Lui sbuffò. «Non mi servono mica tre ore per fumare una sigaretta.»
    Gli lanciò un’occhiata. «La risposta è no.»
    «Promettimi che se morirò prima mi concederai un’ultima sigaretta.»
    Courtney posò il lavoro a maglia e lo guardò. Prese la maschera con l’ossigeno dalle sue mani e la rimise davanti a bocca e naso con dolcezza. «Io non mi arrendo, farò tutto quello che posso per tenerti vivo, te lo giuro.» promise. «Ma nel caso mi uccidessero ed il mio giuramento fosse quindi annullato, lascerò disposizioni perché lo faccia Lindsey, d’accordo?»
    La guardò e basta.

«È una follia!» ripeté per la centesima volta Dawn Dandley, mentre Shane farciva un paio di panini a Connor e lui li arrotolava in troppa carta, per poi sistemarli nello zainetto.
    «No, è un’idea geniale e tu lo sai.»
    «Qui siete al sicuro entrambi.»
    «Per quanto?» le domandò fissandola. «Io forse, se Jean continua a dire di avermi ucciso, ma prima o poi l’ADP si ricorderà cos’è Connor e gli daranno il Mitronio.»
    «Aspettiamo, valutiamo varie opzioni…» gesticolò la donna.
    «Già fatto.» la interruppe. «Questa è l’unica opzione.»
    «Ti daranno la caccia.»
    «Lasciamoglielo fare, saranno così concentrati su di me da non vedere nient’altro, è la cosa migliore che potrebbe capitarci.»
    Dawn si sedette accanto a lui. «Shane, tesoro, capisco che vuoi renderti utile, ci sono tante cose che puoi fare. Parlane con Iago, lui potrà trovare qualcosa con cui tenerti occupato, no?»
    «Iago è d’accordo con me.» rivelò. «Il trucco sarà rapire bambini prima che “chi sai tu” riveli che sono baby Veggenti. Penseranno che sono civili, che io sia un mostro e daranno per scontato che abbia fatto fare loro una brutta fine.»
    Connor scoppiò a ridere.
    «Visto? Lui è d’accordo.»
    «Lui è di parte perché butti le sue verdure quando non ti vedo.» commentò Dawn.
    Shane la guardò serio. «Preferiscono prendere un Veggente che salvare un bambino. Sta bene, ma è un errore. Sfruttiamo questa follia a nostro vantaggio.» recuperò e le porse il telefono. «Chiama la polizia, digli che un Veggente ha rapito tuo figlio.»
    «Scordatelo.»
    «Dawn, devi farlo.»
    «Perché?»
    «Perché questo è il motivo per cui mi hai salvato. Perché voglio che i genitori di tutto lo Stato sappiano che, se sospettano che loro figlio sia un Veggente, possono portarlo qui ed io li manderò via. Non deve più succedere quello che è successo a Los Angeles.» si fermò e si avvicinò a lei. La fissò e deglutì. «Perché forse se faccio abbastanza casino Jean e Josh mi ascolteranno, forse posso salvarli.»
    Dawn lo osservò in silenzio, non gli disse che non poteva, era così giovane, troppo per perdere la speranza. Prese il telefono.
    «Pronto, Connor?» chiese Shane.
    Il bambino fece di sì con la testa e Shane lo prese in braccio, raggiunse la finestra già aperta e guardò fuori: era pronto ad essere quella persona? Era pronto a rinunciare a qualsiasi altra vita? Aveva mai avuto scelta?
    «Dawn.»
    «Sì?»
    La guardò e sorrise. «Dì che mi chiamo Romeo.»


eccomi
ed anche stavolta ho rispettato la scandenza!
con questo capitolo dovrebbe quadrare tutto, o almeno spero, ma se ci sono cose che non vi tornano contattatemi su Facebook oppure Twitter.

poi, volete sapere come si chiama il prossimo capitolo? ok: l'ultima sigaretta.

baci

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Capitolo 27
*** 26. L'ultima sigaretta ***


MSC19 fragolottina's time
ieri sera ho incontrato Romeo.
ve lo giuro, era lui... se fossi stata più coraggiosa o semplicemente un po' brilla l'avrei fotografato ed ora avrebbe un volto, ma, ahimè, ha vinto la mia parte razionale.
cmq, questo temuto capitolo è ufficialmente on-line, ci sono un paio di sorprese alla fine, ma non correte subito giù!
baci


26.
L’ultima sigaretta


Courtney capì di essersi addormentata con il lavoro a maglia tra le mani, quando si svegliò la mattina dopo scrollata energicamente dalla madre. «Court, devi aiutarmi.»
    Aprì gli occhi e si tirò indietro i capelli guardandola spaesata. «Che succede?» chiese dentro ad uno sbadiglio.
    «Devi aiutarmi a vestirlo.» disse sua madre avvicinandosi al piccolo mobile nella stanza di Zach e tirando fuori un paio di pantaloni ed una maglia a maniche lunghe. «Sveglialo.»
    Courtney non capiva, ma obbedì: afferrò il braccio di Zach e lo scrollò. «Ehi!» chiamò. A volte era difficile svegliarlo, le prime mattine si era spaventata, poi però si era abituata al fatto che ci volesse più tempo, semplicemente. «Zach, e muoviti!» continuò.
    Lui sollevò piano le palpebre e la guardò togliergli le coperte di dosso. «Che c’è?»
    Non sapendo cosa rispondere guardò la madre.
    «C’è tuo padre, Zach.» disse lei.
    Lui sgranò gli occhi ed i sensori registrarono un aumento del battito cardiaco. «Non può dirle che sono morto?»
    La signora Williams lo fulminò. «Anche tua madre. Lindsey e Jean stanno cercando di trattenerlo.»
    «Perché?» chiese Courtney, Zach non aveva mai parlato molto del padre e quando lo faceva le raccontava episodi in cui era molto piccolo; il padre di Zach sembrava essere un uomo severo, però era una buona cosa che fosse lì. Erano i suoi genitori gli volevano bene, sua madre era corsa quando l’avevano arrestata, era strano che ci avessero messo così tanto.
    Zach si tirò su sui gomiti a fatica ed iniziò a slacciarsi i lacci del camice. «A mio padre non piacciono gli sprechi.» osservò senza essere troppo esplicativo. La signora Williams gli lanciò i due capi che aveva recuperato. «Mi aiuti, per favore?» chiese a Courtney.
    Lei si avvicinò e gli diede una mano prima con la maglia e poi con i pantaloni. In genere di quelle cose si occupava Lindsey, Courtney ancora non aveva capito come facesse a non sentirsi imbarazzata visto che avevano avuto una relazione. Court non aveva problemi, quando vestiva i panni di un medico non ne aveva mai avuti; erano gli altri a sentirsi strani perché una bella ragazza, troppo giovane per fare il medico, li tastava.
    Sua madre li guardò, studiò Zach. «Pensi di riuscire a stare in piedi?» gli domandò.
    Zach fissò la signora Williams e lanciò uno sguardo veloce a Courtney. «Posso provarci.» entrambe le donne pensarono che fosse chiaramente un “no”.
    La madre della ragazza sospirò. «Okay, non importa.» commentò. «Se te lo chiede il padre, dì che si sta rimettendo lentamente, Courtney. Descrivi un intervento delicato, ferite importanti, fingi che le sue condizioni attuali facciano parte dell’iter di convalescenza, d’accordo?»
    Annuì anche se era decisamente perplessa, nel preciso istante in cui Jean entrò nella stanza di Zach, seguita dai suoi genitori.
    «Hai visite, Zach.» gli annunciò la Responsabile con un sorriso molto forzato.
    Educatamente Courtney si allontanò dal letto, per dar modo ai genitori di stargli vicino, lanciò un’occhiata fuori dalla stanza: nel corridoio c’erano Nate e Lindsey che seguivano la scena seri.
    La madre di Zach, Courtney ricordava chiamarsi Delia, corse ad abbracciarlo come ogni madre avrebbe fatto; lo strinse piano, piano, delicatamente, quasi che il suo istinto materno le suggerisse anche il rischio di fargli male. Lui si lasciò coccolare, tranquillo, sollevò il braccio libero per posarlo sulla schiena della madre.
    «Mi si è fermato il cuore quando ho saputo.» gli sussurrò, ma Courtney era abbastanza vicina da sentire.
    «Sto bene.» le rispose lui, le sue parole rimbombarono nella maschera dell’ossigeno, ma continuò a tenere gli occhi fissi sul padre, come se si aspettasse di essere attaccato.
    Courtney studiò il signor Douquette, si sforzò di ricordare il suo nome, sua madre doveva averglielo detto. Lei lo conosceva ed aveva una pessima opinione di lui, ma aveva sempre pensato che fosse per il suo lavoro. Il padre di Zach possedeva una casa farmaceutica ed in un modo o nell’altro questo lo aveva sempre autorizzato ad influenzare il lavoro di qualsiasi medico; negli ultimi anni il prodotto di punta della sua industria era un inibitore neurologico, universalmente conosciuto come Mitronio.
    La prima cosa che pensò Courtney guardandolo fu che non somigliava molto al figlio, non sapeva perché si fosse aspettata che fossero identici. Ma quando spostò lo sguardo su di lei rabbrividì, perché i suoi erano davvero gli occhi di Zach, trapiantati in un altro volto. Non era solo il colore a renderli tanto simili, era la forma, il modo con cui si incastravano sotto la fronte, come li atteggiava.
    «Allora, ragazzo, che hai combinato?» chiese al figlio, tornando con lo sguardo su di lui.
    Probabilmente voleva essere una domanda giocosa, ma la sua espressione facciale rimase troppo rigida perché lo sembrasse davvero.
    Zach deglutì. «Mi sono fatto prendere.» disse semplicemente, anche lui aveva cercato di essere leggero, non c’era riuscito.
    «Un errore tollerabile.» disse Jean con un sorriso benevolo, era una maschera di perfezione ed autocontrollo, sembrava una pubblicità sull’efficienza degli enti partecipati dal Governo. «Zach è sempre stato un ottimo Vegliante, un buon Caposquadra: è permesso a tutti commettere degli errori.» lo giustificò.
    L’uomo si avvicinò studiandolo, sfiorò la manetta legata al letto. «Hanno paura che scappi?» gli chiese.
    Zach rimase immobile, la madre si sollevò tenendo la mano nella sua. Passò uno sguardo tra lei ed il marito che non comprese del tutto, una sorta di ammonimento da parte della donna, ma non era il rimprovero di una moglie, era la minaccia di una madre.
    «Una nostra compagna di squadra è stata rapita.» intervenne Courtney. «Zach è fatto così.» continuò con una scrollata di spalle.
    «Sei sempre lo stesso, eh, Zach?» c’era il gelo nelle sue parole, lui non abbassò lo sguardo, sostenne quello del padre fino alla fine. «Vorrei proprio sapere cos’è che Sean ti ha infilato in quella testolina.»
    «Buonsenso.» scandì Zach lentamente.
    Courtney vide la stretta della madre farsi più forte.
    «Chi è lei, signorina?» domandò improvvisamente il signor Douquette a Courtney, non la guardò, come se tutto quello che aveva visto su di lei fosse stato sufficiente. Lei ne fu così stupita da non trovare le parole.
    «Mia figlia.» rispose sua madre al suo posto: suonò come una minaccia, lo era. «Ed il medico di Zach.»
    «Non si scaldi, Madame Williams.» sorrise, finalmente guardò Courtney, ma non come avrebbe potuto osservare una persona: le sembrava di essere all’Asta, era tornata ad essere un pezzo di carne da comprare.
    «Ha una madre troppo protettiva, ragazza mia. Se è davvero il medico di mio figlio, avrei piacere di scambiare alcune parole con lei.»
    «Non vedo cosa non puoi dirle davanti a me.» si oppose Zach.
    «Zitto, ragazzo.» ordinò senza degnarlo di uno sguardo.
    Courtney guardò Jean stringersi nelle spalle: sapeva che se avesse detto di no, la Responsabile si sarebbe battuta per lei come al solito, ma trovava sciocco dire di no. Erano tutti super tesi ed il padre di Zach era sicuramente una persona un po’ difficile, ma era suo padre, non trovava così irragionevole la sua richiesta, era normale che volesse sincerarsi delle sue condizioni.
    «Mi segua.» acconsentì quindi.

Non si era resa conto che stava per cacciarsi in un’imboscata finché il signor Douquette non le indicò una stanza dove poter parlare. In quella stanza erano già seduti il primario di chirurgia dell’ospedale ed un agente dell’ADP. Dire che lei ed il primario di chirurgia avevano dei trascorsi burrascosi, sarebbe stato un modo molto poetico per dire che entrambi desideravano la reciproca morte.
    «Si sieda, Vegliante Williams.» propose l’agente indicandole una sedia davanti a loro.
    Courtney si sedette guardinga, improvvisamente a disagio in quella stanza piena di persone delle quali non aveva stima. Le avrebbero fatto del male in un modo o nell’altro e lei era disarmata. Deglutì e si impose di stare calma: era ridicolo, era in un ospedale pieno di persone, sua madre era in una stanza dall’altra parte del corridoio, non c’era niente di cui avere paura.
    Sentì la porta chiudersi alle sue spalle, subito dopo qualcuno bussare e riaprirla. «Perdonatemi, ma vorrei assistere.» riconobbe la voce di Nate.
    «A quale titolo?» domandò il signor Douquette brusco.
    «Beh, se proprio me ne serve uno scelgo Caposquadra.»
    Il signor Douquette guardò l’agente dell’ADP sorpreso, evidentemente non era stato informato del cambio di ruolo di Zach. L’agente però annuì. «È vero.» confermò. «La Responsabile Roberts ci ha presentato tutta la documentazione.» spiegò. «Suo figlio si è dimostrato inadeguato.»
    «E non vi è venuto in mente di avvertirmi?» chiese furioso.
    Né il medico né l’agente ebbero il coraggio di rispondere.
    L’espressione del signor Douquette si distese repentinamente, nascose il dispetto dietro al severità: guardò Nate ed annuì. «Puoi assistere, non c’è niente di segreto.» disse infine.
    Nate si sedette accanto a Courtney, gomito a gomito, si propose di ringraziarlo più tardi.
    «Dunque, signorina Williams, può aggiornarmi davvero sulle condizioni di mio figlio?»
    La ragazza deglutì, quel signorina nascondeva denti aguzzi. Cercò in sé stessa la parte razionale e professionale, sua madre le aveva insegnato come parlare da medico ad un familiare del paziente. Fu con un certo stupore che realizzò all’improvviso che sua madre l’aveva preparata a Synt.
    «I suoi parametri vitali sono ancora deboli, di certo migliori rispetto ad una settimana fa. La ferita che ha riportato era grave, sono dovuta intervenire sui suoi organi interni, non ci si può aspettare una convalescenza breve.»
    L’uomo congiunse le mani di fronte a lui. «Riterrebbe le problematiche di mio figlio normali?»
    «Sì.» mentì Courtney.
    «Non le credo.» disse lui. «Dottor Stone, la prego, completi la versione della signorina.»
    Il chirurgo aprì una cartellina e lei sospirò.
    «La situazione è decisamente più grave di quella descritta dalla ragazza.» iniziò. «La ripresa di suo figlio non è lenta, non c’è.» concluse spietato.
    «Non sono d’accordo.» obbiettò Courtney.
    «No?» le fece eco il chirurgo con tono di sfida. «Ci spieghi allora perché è attaccato perennemente all’ossigeno e continua ad avere trasfusioni.»
    «Ha perso molto sangue, stiamo semplicemente aiutando il suo fisico a rimettersi in sesto.» rispose, composta e ferma.
    «E l’ossigeno?»
    Courtney trattenne il respiro, quasi che negandosene uno, potesse regalarne a Zach due; la verità era che non lo sapeva, non aveva capito perché Zach aveva avuto problemi respiratori, se era per quello non sapeva nemmeno come mai gli servisse tanto sangue, ma per il sangue aveva una giustificazione, seppur debole, per l’ossigeno no.
    «Signor Douquette, io le assicuro che nessun medico potrebbe avere tanto a cuore il caso di Zach quanto Courtney.» la difese Nate.
    «Oh, ma vedi, io non metterei mai in dubbio la sua passione ed il suo impegno. Ma mi chiedo, è davvero la persona più indicata ad occuparsi di mio figlio? Sarà davvero in grado di fare quello che bisogna fare? Zach ha bisogno di un dottore, non di una ragazzina con una cotta.»
    Courtney aggrottò le sopracciglia senza capire, ma improvvisamente all’erta. «Quello che bisogna fare?» chiese ignorando tutto il resto, di solito smetteva di ascoltare dopo che qualcuno l’aveva chiamata ragazzina.
    «Vuole davvero che io guardi mio figlio passare tutta la vita in un letto d’ospedale attaccato a dei tubi?»
    Courtney perse le parole, divenne muta semplicemente. Sapeva cosa significava quella frase, tragicamente a Vernon l’aveva pronunciata spesso, aveva costretto persone a riflettere sulla qualità della vita dei propri cari. In quel momento le sembrò un ordine di omicidio e basta.
    «Signor Douquette.» intervenne Nate, consapevole del suo stupore. «È passata poco più di una settimana, Zach migliorerà, è forte, si è sempre ripreso.»
    Courtney deglutì, si fece forte: non era più sé stessa che doveva difendere, ma Zach. «Sono considerazioni premature.» osservò pratica, più professionale possibile. «Queste ipotesi vengono vagliate dopo anni ed in condizioni molto peggiori di quelle di Zach. Il paziente è lucido, ricettivo, vivo in tutti i sensi. Non possiamo sapere quanto migliorerà, ma ci vuole tempo.»
    «Dottor Stone, lei che ne pensa?» chiese il signor Douquette al primario.
    «Non vedo ampi margini di miglioramento.»
    Lei aveva sempre odiato quel medico, era ottuso, i suoi metodi erano superati, i suoi consigli inutili. «Non sono d’accordo.» ripeté Courtney fulminando il dottore.
    «Signorina Williams, a che titolo ci offre la sua opinione? Medico?» chiese il signor Douquette.
    Lei annuì, ma le sembrò che il mondo si offuscasse davanti ai suoi occhi, sapeva cosa stavano per chiederle.
    «Ed è un medico, signorina Williams?»
    Lei non rispose.
    «Ha operato mio figlio senza avere le competenze adeguate…»
    «Ho le competenze adeguate.» era la figlia di Vivien Williams, tutto quello che doveva sapere le era stato insegnato da sua madre. Aveva avuto l’insegnante migliore del mondo.
    «Potrei benissimo sospettare che abbia sbagliato qualcosa e che per questo Zach stia così…» continuò l’uomo come se non l’avesse sentita.
    «Nessuno in questa struttura avrebbe potuto fare un lavoro migliore del mio.» si difese, perché era vero.
    «Lo vede, signor Douquette?» osservò il dottore. «È di questo che parlo, quando dico che i Veglianti della Responsabile Roberts sono fuori controllo.»
    Courtney si alzò in piedi furiosa. «Fuori controllo!» ripeté oltraggiata. «Se lei non fosse un tale incompetente non dovrei occuparmi di tutto io!» gridò.
    Il signor Douquette batté un pugno sul tavolo. «Lei non è un medico!» urlò. «Non la chiamano “signorina Williams” per mancarle di rispetto, ma perché non c’è altro titolo con cui chiamarla.»
    Courtney riusciva a sentire il suo cuore galoppare, veloce, insistente, vivo, era come se battesse per lei e per Zach. «Non che sia stata una mia scelta.» ribatté. «Siete stati voi ad impedirmi di acquisire il titolo di dottoressa, mandandomi in questo buco.»
    «Poteva studiare.» osservò il dottore. «Essere una Vegliante la autorizza comunque a poter completare i suoi studi, se la sua Responsabile è d’accordo.»
    Courtney lo guardò. «Se lo risparmi.» lo invitò.
    «La Vegliante Williams ha presentato la domanda, è stata respinta.» spiegò l’agente dell’ADP.
    «Perché?» chiese Nate stupito.
    «Per lo stesso motivo per cui respingerebbero la tua.» rispose Courtney. «Siamo troppo intelligenti, hanno paura di quello che potremmo scoprire.» spostò lo sguardo sul primario. «Di diventare improvvisamente obsoleti.»
    Il signor Douquette la studiava in silenzio. «Sicura di essere una Vegliante, signorina Williams? Perché parla come una Veggente.»
    Courtney lo fulminò. «Cos’è non siete più in grado nemmeno di correggere quei benedetti test?» chiese sarcastica.
    «Vegliante Williams, si dia una calmata.» la rimproverò l’agente dell’ADP. «Un’altra parola e non ci sarà avvocato in grado di tirarla fuori di prigione.» la minacciò.
    Nate le prese la mano e la strattonò in basso. «Lascia parlare me.»
    «Voglio ucciderli.» borbottò senza smettere di fissarli.
    «Lo so, per questo dovresti sederti e lasciare parlare me.» insistette.
    Courtney si sedette.
    «Signor Douquette, le chiedo scusa per conto di tutti.» iniziò Nate, decisamente più controllato di lei. «Vede, quello che dice ci tocca da vicino, vogliamo tutti bene a Zach. Capiamo che le sue condizioni siano critiche e poco incoraggianti, capiamo quanto possa essere tragico per lei vederlo bloccato lì, lo è anche per noi. Ma non possiamo perdere la speranza, non ancora.»
    L’uomo lo guardò. «Mi spaventa che quello che resterebbe di lui, non sarebbe più mio figlio. Mia moglie non potrebbe sopportarlo, non dopo Sean.»
    Courtney dovette mordersi la lingua per non insultarlo.
    «È comprensibile, ma perfino lei deve sperare che suo figlio si rimetta senza riportare danni permanenti.» disse. «La prego, dia a Zach altro tempo, può farcela.»
    «È possibile?» chiese il signor Douquette al primario di chirurgia.
    «Ne dubito fortemente.» rispose con gli occhi fissi in quelli di Courtney, che riuscì a figurarsi la precisa sensazione che avrebbe provato nel dargli un pugno: il suo zigomo schiantarsi contro le sue nocche, se si impegnava poteva puntare a romperglielo. Nate le strinse tanto forte il polso per impedirle di alzarsi di nuovo, che fu sicura di avere il livido.
    «Non sarebbe la prima volta che Zach fa cose impossibili.» osservò Nate.
    Il signor Douquette si alzò in piedi. «Le do una settimana, signorina Williams.»
    Courtney impallidì.
    «Tra una settimana il signor Stone toglierà l’ossigeno a Zach, impedirà ulteriori trasfusioni. Se mio figlio è vivo, vivrà; se è morto, morirà: non permetterò che la sua testardaggine lo trattenga in questo limbo.»
    Il signor Douquette uscì, subito seguito dal medico e dall’agente dell’ADP come gli stupidi leccapiedi che erano.
    Courtney iniziò a tremare in lacrime silenziose, il suo corpo era scosso da spasmi tanto violenti che si strinse le braccia al corpo, perché ogni singhiozzo sembrava spaccarla in due. Si sentiva un nodo di rabbia e frustrazione. Nate rimase ad osservarla, spaventato per alcuni secondi, poi la abbracciò.
    «Ti prego, non crollare, non lasciarmi solo.»
    Lei sgranò gli occhi e si coprì la bocca con la mano. «Lo uccideranno.» mormorò in sussurro agitato. «Fra una settimana lo uccideranno ed io non potrò fare niente.» cercò di prendere fiato, non ne aveva. «Dovrò guardarlo morire.» cercò ancora di respirare, di nuovo non ci riuscì. Soffocò un urlo ed iniziò ad ansimare.
    Nate la allontanò. «Court! Court!» corse alla porta e la spalancò. «Aiuto!» lo sentì gridare.
    Il resto fu confuso, infermiere corsero nella sua stanza, pronte a darle un clamante. Lei si divincolò e quando arrivò la madre le minacciò di ritorsioni se una di loro avesse provato ad iniettare qualcosa a sua figlia; forse il signor Douquette non andava molto d’accordo con sua madre, ma la parola di Vivien Williams in campo medico aveva ancora il suo peso. Le cacciò una dopo l’altra e le porse un sacchetto di carta per respirarci dentro. Le accarezzò i capelli finché il suo respiro non tornò normale. Non le disse niente, non poteva.
    Nate rimase accanto a loro, seduto su una sedia con la mano in quella di Courtney. Era l’unica cosa che riusciva a sentire veramente, lui era l’unico che vedeva a colori, il resto era soltanto un fruscio grigio.

Fu proprio lui a dare la notizia a Lindsey, non appena Matt gli diede il cambio con l’affarino; era entrato nel laboratorio piuttosto su di giri, quando Nate era uscito, dopo avergli spiegato cosa era successo, era stato muto ed addolorato.
    Raccontò tutto a Lindsey più velocemente possibile, come se il vecchio adagio “Via il cerotto, via il dolore” potesse funzionare anche in quella circostanza. Guardò i suoi occhi blu liquefarsi in lacrime, vide la disperazione, un dolore così autentico da essere inconsolabile. Vide l’orrore e la pena.
    La vide recuperare la giacca e fare per uscire, la trattenne, spaventato che potesse fare qualche pazzia in quelle condizioni. «Aspetta, dove vuoi andare?»
    «A cercare Romeo.» rispose risoluta.
    «Sei matta, ti ucciderà.»
    Lei lo guardò, determinata, non era un colpo di testa. «Ve bene.» gli disse fissandolo.
    Nate continuò ad osservarla interdetto, ma la lasciò andare. C’erano milioni di motivi per trattenerla: Zach non l’amava più come un tempo, Romeo era ben nascosto e di certo non si sarebbe fatto trovare da lei, era soltanto una civile. Ma non riuscì a dirle niente. La guardò andarsene, sperò di rivederla.
    Recuperò il suo cellulare e compose un numero, un segnale acustico lo avvisò che stava per effettuare una chiamata internazionale. «Lynn, il mondo sta andando in pezzi.» disse non appena gli rispose.

Courtney aiutò Zach a sistemarsi sulla sedia a rotelle in silenzio. Lo accompagnò al bar, c’era una tabaccheria; lui scelse un pacchetto di sigarette, decisamente troppo forti per qualsiasi medico, lei un accendino con disegnato un coniglietto con un mazzo di fiori, decisamente troppo da femmina per lui.
    Lo spinse fin dentro l’ascensore.
    C’era un tetto, in tutte le costruzioni di Synt c’era un tetto agibile, per i suicidi forse, per i disperati. Lasciò la bombola d’ossigeno accanto alla porta, incastrata in modo che non si richiudesse lasciandoli intrappolati lì sopra. Respirò l’aria inquinata di Synt, riconoscendo che era davvero troppo che non usciva. Guardò la notte senza stelle, il cielo piatto e distante di Synt scoprendo che in qualche modo una stella o due l’avrebbero consolata.
    Zach aveva capito, forse sapeva già da quanto era arrivato suo padre quella mattina. «Mi spiace per mio padre.» le disse.
    «Posso farti camminare. Sei debole, ma non hai problemi alle gambe o alla spina dorsale, se ti do un paio di stampelle dovresti farcela.» spiegò pratica, cercando di non lasciarsi trascinare da altre considerazioni: non ci riuscì, non riusciva a ragionare, era in balia delle sue paure. Cose che la spaventavano e disgustavano e che cercava di non guardare da tutta la vita erano di fronte a lei e le urlavano in faccia di affrontarle.
    Chiuse gli occhi e deglutì. «Come ha fatto tua madre a fare te con lui?» chiese piano.
    Lui si strinse nelle spalle. «Non lo so, me lo sono chiesto per tutta la vita.»
    «Ti dispiacerebbe se gli strappassi braccia e gambe?» continuò a domandare.
    Lui rise buttando fuori il fumo a sbuffi e per un attimo fu Zach.
    La fece a pezzi: Courtney si sporse appena prima di vomitarsi sulle scarpe, si pulì alla meglio con il dorso della mano e quando sollevò lo sguardo su di lui, Zach la stava fissando preoccupato. «Court.»
    «Non dire niente, ce la faccio.» lo interruppe.
    «Non è vero.»
    Gli occhi le si riempirono di lacrime senza che potesse impedirlo. «Io ho…» si interruppe deglutì. «…ho bisogno che tu viva.» disse con voce rotta.
    Zach abbassò lo sguardo su sé stesso. «Anche così?» le domandò. «Mio padre non ha del tutto torto.»
    «Zach.» disse con rimprovero. «Sei stato operato appena una settimana fa!»
    «Posso chiederti di farmi un’altra promessa?» le chiese.
    Lei annuì.
    «Non smettete di cercarla.»
    Courtney si avvicinò e si accucciò, non gli piaceva guardarlo dall’alto. «Ed a chi lascerai l’onore di dirle che sei morto?» domandò spietata.

Quando Courtney lo riaccompagnò in camera, Nate e Matt lo stavano aspettando, insieme a Jared ed un paio di cartoni di pizza. Zach rise, lei non li vedeva nemmeno, aveva finito le energie, ogni speranza, aveva perso tutto.
    Si mise in angolo ad ascoltarli parlare, lo stomaco troppo attorcigliato per mangiare. Aveva gli occhi fissi su Zach, quasi che continuando a guardarlo sempre, potesse impedire che gli succedesse qualcosa. Deglutì un groppo di pianto, non voleva rovinare quell’atmosfera, Matt e Nate si stavano impegnando a tenerli tutti abbastanza lontani dai disastri in cui si trovavano.
    «Sarò a fianco a te quando succederà.»
    Courtney guardò Jared appoggiato accanto a lei. La sua mente, il suo cuore, si ribellarono a quell’ipotesi; voleva di più di qualcuno che le tenesse la mano mentre Zach soffocava. Quel giorno avrebbero ucciso anche lei, perché non avrebbe mai permesso che gli facessero del male e Jared le avrebbe tenuto la mano, forse avrebbe aiutato a trattenerla.
    Voleva qualcuno che gli avesse promesso la testa del signor Douquette perché voleva uccidere Zach, del primario di chirurgia perché l’aveva umiliata, dell’agente dell’ADP perché l’aveva minacciata.
    «Grazie.» sorrise. «Ma non credo che vorrò vedere nessuno quel giorno.» rispose sincera.
    «Se tu mi permettessi di consolarti lo farei.»
    Lo aveva fatto quando Josh era morto, l’aveva stretta, coccolata, le era stato accanto e l’aveva aiutata a superarlo. Ma quella volta non avrebbe potuto, c’erano dolori dai quali sarebbe stato impossibile per lei riprendersi. «Non puoi.»
    Salutò gli altri dicendo che era stanca, andò da sua madre. «Puoi darmi qualcosa per riposare?» le domandò, dietro di lei sentì l’eco delle proprie parole, non era la prima volta che aveva problemi a dormire.
    Lei le sorrise e le porse una fiala, poi la chiave della stanza dove era stata sistemata. «Penso io a Zach stanotte.»

Courtney si svegliò un secolo dopo con la testa piena di cose alle quali non riusciva a dare senso. Era ancora notte, era ancora buio. Allungò una mano ricordando vagamente un comodino alla sua destra ed un bicchiere d’acqua lì sopra. Tastò varie volte, senza forze né entusiasmo, ad un passo dall’arrendersi e rimanere assetata.
    Qualcuno fece scorrere il bicchiere fino alle sue dita.
    «Jared?» chiese.
    Le rispose il silenzio, forse se l’era sognato, la testa le girava tanto che perfino il letto si muoveva, figurarsi un bicchiere. Si sollevò un pochino e bevve. Rabbrividì e cercò di tirare le coperte, ma erano intricate e lei non nelle giuste facoltà mentali per districarle, le sembrava di dover muovere con la forza del pensiero le mani e le gambe di qualcun altro.
    Mani le spostarono con delicatezza le gambe e la coprirono fin sotto il mento.
    «Mamma?» chiese rannicchiandosi sotto le coperte.
    Un sospiro. Un respiro sul suo viso. Una mano sulla sua bocca. «Sono io, ma non urlare. Abbiamo bisogno di parlare Courtney Williams.»
    Il cervello di Courtney mandò un debole segnale d’allarme, che si perse in altri mille pensieri, tutti stipati insieme in troppo poco spazio. Romeo le tolse la mano dalla bocca, non urlò. «Se fossi un uomo saresti venuto quando ero in condizioni di ucciderti.» brontolò.
    Riconobbe il rumore di una sedia che veniva spostata, poi uno sbuffo che somigliava ad una risata. «Non puoi uccidermi.»
    «L’unico che poteva, lo farai morire tra una settimana.» ricordò amara.
    Romeo accese la lampada sul comodino e le mostrò quella che aveva tutta l’aria di essere una valigetta refrigerante. «Mi hai portato il cuore di Logan Douquette? Perché sarebbe un regalo molto apprezzato.»
    Lui incrociò le braccia sul letto ed appoggiò il mento sopra di esse. «Tre litri del mio sangue.» prese fiato. «Chiedimi cos’ha Zach.» le disse.
    «Che diavolo vuol dire?»
    «Fallo.» ripeté.
    Courtney borbottò e diede una tastata alle coperte, possibile che non avesse un’arma con lei?
    «Cos’ha Zach?» si arrese a chiedere.
    Sua madre avrebbe dovuto pensarci, anche lei forse, erano sempre a Synt dopotutto, quella città apparteneva a Romeo.
    «Ehi!» Romeo le prese il viso tra le mani e la obbligò a fissarlo. «Snebbia il cervello ed ascoltami.»
    Lei sbatté le palpebre cercando di concentrarsi su di lui.
    «A Zach danno il Mitronio da quando è bambino, per questo sta così.»
    «I Veggenti lo prendono per tutta la vita e non sono così.»
    Romeo alzò gli occhi al cielo. «Dio, Court, perché hai preso quella roba?» si lamentò. «Mi servi lucida.»
    Lei scosse la testa ed aspettò che i pensieri raggiungessero il suo cervello. «Zach non è un Veggente.»
    «Bravissima, ragazza. Non so cos’è, ma ci sono solo tre tipi di Veggenti: quelli ipersensibili al Mitronio che muoiono come Iago, quelli che lo smaltiscono senza riportare danni a lungo termine e quelli che iniziano a vedere in età adolescenziale e che, se presi in tempo e curati, in dieci anni perdono la facoltà di vedere.»
    «Magari lui è del terzo gruppo.» provò.
    Romeo abbassò lo sguardo e si leccò le labbra prima di tornare a lei. «Quelli del terzo gruppo di solito passano la vita senza sapere di esserlo mai stati.»
    Per alcuni secondi Courtney rimase zitta, sapeva che c’era qualcosa di fondamentale da afferrare nelle parole di Romeo, eppure non ci arrivava. «Va’ avanti.» si arrese a dire dopo alcuni secondi.
    «Il Mitronio nel tempo ha creato un deposito, il deposito aumentava ogni giorno ad ogni somministrazione e lui rallentava un po’ ogni giorno. Ad un certo punto sarebbe morto intossicato.» concluse. «Dawn ha pensato che una forte emorragia potesse fargli espellere anche parte di quel deposito, ma c’è ancora. Il sangue civile non può funzionare, cioè lo tiene vivo, ma noi non vogliamo solo che sia vivo, giusto?»
    Courtney abbassò le palpebre lentamente e le sollevò di nuovo. «Giusto.»
    «Gli serve sangue Vegliante pulito, il mio, nella speranza che smaltisca il suo deposito di Mitronio.» indicò con un cenno del capo la valigetta refrigerante. «Mezzo litro al giorno, se gliene dai di più si rompe e l’unico che sa aggiustarlo è morto.» per alcuni secondi la osservò scettico. «Pensi di riuscire a ricordare tutto?»
    «Scrivilo.»
    «Dove?»
    «Dove non posso ignorarlo e dove non possono strapparmelo.»
    Romeo ci pensò su, poi le prese un polso e gli arrotolò la manica della maglia; recuperò una penna dalla tasca ed iniziò a scriverle tutte le indicazioni indispensabili sull’avambraccio.
    «Non fare niente.» le ordinò.
    «Nh?» fece Courtney confusa.
    «Non puoi uccidere Logan Douquette e farla franca, ti condanneranno a morte.» le lanciò un’occhiata. «Me ne occupo io.»
    «Lo ucciderai?»
    «Sì.»
    Per alcuni secondi rimasero entrambi in silenzio, Romeo era così concentrato che Courtney aveva paura di infastidirlo con le sue parole, così si limitò ad osservarlo. Inconsciamente pensò anche che avrebbe potuto ucciderlo, sarebbe stata un’occasione perfetta.
    «Lo faresti davvero?» le chiese Romeo, senza guardarla; si rimise la penna in tasca e tirò giù la manica della sua maglia.
    «Cos’è mi leggi anche nel pensiero?» gli domandò.
    «Le tue intenzioni non sono mai state particolarmente enigmatiche.» spiegò semplicemente.
    «Dovresti farlo tu.» osservò con un’onestà della quale probabilmente di giorno, alla luce del sole, non sarebbe mai stata capace. «Dovresti ucciderci tutti, siamo dei mostri.»
    Romeo la guardò. «Ti sto dando il mio sangue, Courtney Williams. Solo a te e solo perché la mia stima nei tuoi confronti supera di gran lunga il mio giudizio. Tutti commettiamo errori, tutti possiamo sbagliare.» rise. «Noi Veggenti pensiamo che le persone vadano giudicate per come reagiscono alla verità. Tu non la conosci, quindi noi non ti giudichiamo.»
    «Raccontami la verità, allora.» propose.
    Lui fece una smorfia indecisa. «Forse stasera mi crederesti, fatta come ti ritrovi, ma domani alla luce del sole, splendente della tua straordinaria razionalità, ti diresti che ho mentito.»
    Courtney rimase zitta per un po’, poi annuì. «Ho capito.»
    Romeo sospirò. «Okay.» si alzò in piedi e la guardò. «Hai bisogno di qualcosa?» guardò il bicchiere accanto al suo comodino, ora mezzo vuoto. «Altra acqua?»
    «Parlo come una Veggente?» gli domandò.
    Lui scoppiò a ridere annuendo. Lo sconcerto superò la confusione, non aveva mai visto Romeo ridere sinceramente, di solito lo faceva in risposta ad un loro errore e c'era più sarcasmo che ironia; ma in quel momento era autentico e Courtney sapeva che, oltre la nebbia del sedativo, se lo sarebbe ricordato.
    «E sei straordinariamente sexy quando lo fai!» Romeo si fece di nuovo serio, si avvicinò ed appoggiò un braccio sul suo letto, per poi posarci sopra la testa, la guardò paziente. «Senti, non lo so come parli, sinceramente non ho idea di cosa sia oppure no adeguato per un Veggente o un Vegliante. Ma se ti può essere di conforto ha il mio consenso ed il mio supporto, anche se domani mattina vorrai uccidermi di nuovo.»
    «Portami via con te.»
    Romeo sollevò le sopracciglia scettico. «Tua madre deve averti dato sedativo per elefanti.»
    «Se supporti il mio lavoro, hai la mia fedeltà.» promise.
    Lui sospirò. «È la seconda volta che me lo chiedi.» osservò e Courtney pensò a quando erano nel bagno di Dawn Dandley e gli aveva detto che sarebbe potuta scappare; lì per lì non ci aveva pensato, ma scappare dai Veglianti a Synt significava rifugiarsi dai Veggenti.
    Si avvicinò a lei fino a sussurrarle nell’orecchio. «Smettila o ti dirò di sì.»
    Courtney chiuse gli occhi per quello che doveva essere un secondo e la sua mente si scrollò. «Aspetta, dov’è Becky?» chiese riaprendoli, ma Romeo non c’era più ed era mattina. Si guardò il braccio, c’erano le istruzioni del sangue ed un consiglio: “A testa alta”.

Nate uscì dall’ospedale all’alba. Si guardò intorno, era ancora presto perché Synt fosse leggermente animata, a volte gli sembrava che quella città vivesse per due o tre ore al giorno, mentre per il resto del tempo si limitasse a rimanere sospesa.
    La sua mente si mise in moto da sola, calcolò, rivide il percorso che aveva suggerito a Zach per portare Becky via da Synt: senza Veggenti sarebbe stato semplice. Poteva scappare, poteva mettere chilometri tra lui e quell’inferno, un oceano tra lui e la morte della quale era impregnata Synt.
    I suoi occhi si fermarono ad un lampione, seduta accanto ad esso in modo piuttosto innaturale, c’era una ragazza bionda. La sua posizione era innaturale perché aveva le mani legate al palo di metallo. Era bendata e decisamente sporca, aveva le labbra screpolate, ma non sembrava essere veramente ferita.
    «Becky.» mormorò Nate.
    Lei voltò il viso nella sua direzione, cercando di guardarlo, ma non poteva vederlo.
    Non con gli occhi almeno.


dunque, vi preannuncio che non voglio affrontare in questa sede un discoro complicato come l'eutanasia... come dice la cara Lavis, Zach è un caso limite ed al signor Logan Douquette non importa certo della qualità della vita di Zach, ma direi che questo è palese...
la conversazione tra Courtney e gli altri lì, è fondamentalissima, per carità ricordate tutto quello che dice Courtney...
oh e è tornata Becky...
oh, un sacco di cose questo capitolo!
fatemi sapere che ne pensate, ci vediamo nel prossimo!
baci

ps. mi ero scordata i link: Fragolottina e Lamponella

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Capitolo 28
*** 27. Douquette ***


MSC19
fragolottina's time
mi scuso per le risposte lampo alle vostre recensioni, vi prego, non prendetelo come scarso interesse da parte mia. si tratta semplicemente e tragicamente di scarso tempo.


27.
Douquette

Jamie Ross fissò i polsi di Rebecca Farrel dall’altra parte del palo e la lasciò lì.
    «Premerò il grilletto.» disse lei. «Non ho cambiato idea, se si avvicina di nuovo a Zach ucciderò Romeo.»
    Lui rise. «Prima vedilo, ne riparliamo poi.»

Lindsey si era volatilizzata, meglio.
    Courtney entrò nella stanza di Zach e chiese sottovoce a sua madre di cercarle un’altra batteria per la valigia refrigerante che le aveva dato Romeo. Una volta uscita si chiuse dentro, abbassò le tendine e tirò fuori una delle sacche di sangue. Zach sollevò le palpebre quando la sentì sfiorargli l’ago della flebo.
    «Cos’è?» domandò assonnato.
    «Sangue.» rispose senza specificare il sangue di chi, sospettava che se gli avesse detto “È il sangue di Romeo” avrebbe trovato modi fantasiosi per uccidersi da solo, piuttosto che accettarlo. «Puoi dormire ancora se vuoi, è presto.»
    Lui annuì piano e sprofondò con la testa nel cuscino.
    Ricordava le indicazioni che le aveva dato, quindi attese paziente che metà della sacca si svuotasse, poi la tolse, consapevole che a quel punto qualsiasi cosa avesse contenuto stava circolando, spensierata, nell’organismo di Zach. Per pochi secondi riuscì perfino a colpevolizzarsi: doveva esserle andato in pappa il cervello, avrebbe potuto far fare ai laboratori delle analisi prima. Ma conosceva cosa l’aveva resa tanto precipitosa; sospettava che dopo l’ultimatum di Logan Douquette tutti gli occhi degli agenti dell’ADP fossero puntati su di lei ed i suoi movimenti: sarebbe stato impossibile fare della analisi ed evitare che terze parti mettessero gli occhi sui risultati.
    Per questo quando sentì prima abbassare la maniglia e poi bussare alla porta, sussultò. Nascose il sangue di Romeo nell’armadietto di Zach ed aprì. Con suo grande sollievo si trattava semplicemente di Nate e Lindsey.
    «Dove ti eri cacciata?» le chiese Courtney in un bisbiglio agitato, dura da ammettere, ma era quasi stata in pensiero per lei.
    «A cercare Romeo.» rispose guardandola. Fu quasi sul punto di dirle “Era con me stanotte, ci ho parlato io”, ricordando quasi troppo tardi perché non avrebbe mai potuto dire una cosa del genere.
    «Beh, non l’ha trovato.» si intromise Nate precipitoso, prima che Courtney fosse sul punto di raccontare tutta la verità, anche solo per avere qualcuno che le dicesse di condividere la sua decisione.
    O di fermarla, se fosse stata più convinta di lei che fosse una follia.
    «Devi venire con me.» continuò Nate.
    «Perché?» chiese lei, lanciò un’occhiata all’interno della stanza verso il letto di Zach, non voleva lasciarlo senza essere sicura che la trasfusione che aveva ricevuto non fosse tossica.
    «Devo parlarti, in privato.»
    «Resto io con lui.» Lindsey fece per entrare nella stanza di Zach, ma Courtney la trattenne per il braccio. «C’è una cosa nel suo armadietto, una cosa che gli ho iniettato per la quale probabilmente l’ADP ci arresterebbe per tradimento.»
    L’infermiera le lanciò un’occhiata. «Sarà bene che non lo trovino, allora.»

Jean mi era andata a prendere un tramezzino, una bibita colma di zuccheri ed un barattolino di frutta già tagliata. Visto che io tecnicamente ero ancora scomparsa, non c’erano vassoi sigillati con il mio nome sopra.
    Non avevo mangiato molto nelle ultime settimane, non che non mi dessero cibo, avevo sempre avuto una colazione, un pranzo ed una cena; ma non avevo mai molta fame e mangiare con gli occhi bendati mi metteva ansia: per quel che ne avevo potuto sapere magari mi davano insetti. Quindi mangiavo soltanto quando non ne potevo più di stare digiuna.
    «Starai qui con Matt e Nate.» mi spiegò con calma. Era sempre stata infinitamente rassicurante da quando ero tornata, anche nelle cattive notizie, come se temesse che maneggiandomi con poca cautela avrebbe potuto farmi esplodere: mi aveva accompagnata da una dottoressa che mi aveva visitata, poi mi aveva portato nel bagno della sua stanza ed aveva aspettato che mi lavassi e vestissi. Aveva cercato di spiegarmi perché non potevo vedere Zach, avevo annuito fingendo di essere d’accordo.
    «Io sono sempre nei paraggi, quindi se ti va di parlare, di raccontarmi qualcosa…»
    «Ho un messaggio per te.» dissi. «Da parte di Romeo.»
    Jean mi guardò ed annuì. «Ti ascolto.»
    «Dice che il suo ordine è ancora valido.» mi strinsi nelle spalle. «Che significa?»
    «Non te l’ha spiegato?» mi domandò spassionata.
    Scossi la testa e lei sospirò. «Romeo era un Vegliante della mia squadra. Una volta gli ordinai di fermarsi solo quando glielo avrei detto io.»
    Mi aveva detto di essere stato un Vegliante anche lui, non gli avevo creduto. Mi aveva parlato di molte cose ed io non ero riuscita a credere a tutto. Voleva Zach, voleva che gli dessi il permesso di portarlo via, come se avessi mai potuto acconsentire ad una cosa del genere. Avevo detto di no, decisa e ferma, offesa dalla sua speranza in un esito diverso di quella conversazione.
    “Allora morirà”, si era limitato a dire Romeo.
    «Gli dirai di fermarsi?» domandai a Jean.
    Lei sembrò pensarci su, poi mi lanciò un’occhiata. «Tu glielo diresti?» mi domandò a sua volta.

Courtney si era aspettata che Nate la conducesse nello stanzino delle infermiere o nel laboratorio dove lui e Matt si erano trasferiti, ma invece la portò fuori dall’ospedale. Le indicò la macchina e lei salì senza fare domande, anche se dentro il cuore le si strinse in una morsa di panico: si stava allontanando troppo da Zach e, per quanto devota, Lindsey non era lei stessa.
    Ad ogni modo non oppose lamentele e Nate guidò fino al parco dove secoli fa lei e Zach andavano a correre di nascosto da Lindsey. Le sembrò di riconoscersi in ogni ragazza in tenuta sportiva che passava, ogni volta si sentì più invecchiata e più indurita.
    «Ho trovato Becky.»
    Courtney voltò di botto il viso verso Nate, ci furono una manciata di secondi durante i quali non riuscì a pronunciare parola, poi si fece coraggio e le sue corde vocali trovarono una via attraverso la sua paura. «Lei o il suo cadavere?» si arrischiò a chiedere.
    «Lei.» disse Nate e Courtney non avrebbe mai potuto immaginare che quella parola potesse darle un tale sollievo.
    «Sembra un po’ smagrita, ma sta bene, Romeo non le ha torto un capello. Non ha un segno, un livido, un graffio.»
    «Perché non me lo hai detto in ospedale?»
    Nate la guardò. «È stata Jean a chiedermelo. Vuole tenerla nascosta finché Logan Douquette non se ne andrà da Synt.»
    «Devo dirlo a Zach.» disse seria.
    «No, non devi.» precisò. «Aveva un microchip nel braccio che controllava ogni suo dettaglio fisiologico, una cimice non mi stupirebbe.»
    Courtney sospirò, l’osservazione di Nate era giusta, la comprendeva e condivideva, ma Zach aveva ancora i lividi al polso ed usava le pochi forze che metteva insieme per continuare a strattonare quella dannata manetta, sapeva che niente lo avrebbe reso più felice che sentirla dire “Abbiamo trovato, Becky”. Nemmeno “So come curarti”.
    «La terremo con noi nel laboratorio.»
    «Non può rimanere chiusa lì per mesi.»
    Nate le lanciò un’occhiata. «Zach non ha mesi.» disse, spietato nella sua sincerità.
    Courtney avrebbe raccontato a Nate del sangue di Romeo, se in quel momento non avesse notato qualcosa che le interessava di più. Una signora camminava svelta sul marciapiede, indossava un vestito firmato color cipria e scarpe abbinate, un paio di occhiali da sole sicuramente costosi e continuava a guardarsi intorno con aria sospettosa. Non si era impegnata abbastanza a rendersi irriconoscibile.
    «Non è Dhelia Doquette quella?» chiese anche se non aveva bisogno di nessuna risposta.
    Nate la seguì con gli occhi, osservò i suoi passi brevi e veloci. «Andiamo a vedere dove va.»
    Scesero dalla macchina cercando di essere i più silenziosi possibile ed iniziarono a seguire la madre di Zach a distanza. Courtney ricordava quando Josh e Jean avevano insegnato loro, tutti loro, come pedinare una persona senza dare nell’occhio, come mantenere sempre il contatto visivo, senza avvicinarsi troppo né andare nel panico se il soggetto si allontanava. Becky non aveva avuto quegli insegnamenti, qualcuno avrebbe dovuto passare il testimone anche a lei.
    Quando fu chiara la destinazione della signora Douquette, Nate e Courtney si fermarono a guardarla dirigersi verso il vialetto di Dawn Dandley.
    «Che va a fare da quella?» chiese Nate.
    Courtney gli prese la mano e lo tirò verso il retro della casa. «Scopriamolo.»
    Come l’ultima volta che era stata lì, la finestra del bagno era aperta. La stanzetta era piena di vapore, segno evidente che qualcuno si era recentemente fatto il bagno. Lo ignorarono, febbrili nella paura di far tardi all’ascolto di quell’incontro clandestino; Courtney abbassò la maniglia, non si aprì. Nate schiavo la serratura, provò di nuovo.
    Nonostante lei avesse voluto spalancarla e spostarsi nel corridoio, Nate glielo impedì, costringendola a dischiudere appena uno spiraglio.
    Sbirciarono il corridoio e si trovarono ad osservare la schiena di Dawn Dandley.
    «Fuori dalla mia proprietà.» intimò la donna sollevando e puntando un fucile in direzione della signora Doquette in piedi sulla veranda.
    «Mi dica che sta facendo qualcosa per mio figlio.» ribatté lei senza fare una piega.
    Dawn Dandley non abbassò la sua arma. «Credo di aver fatto troppo per suo figlio.»
    «La prego.» supplicò. «Lei sa cos’ha e come aiutarlo, è l’unica a poterlo fare.»
    Courtney e Nate si lanciarono un’occhiata turbata.
    «Certo che so cos’ha: un padre folle ed inadeguato, ma, ehi, chi sono io per dirlo? Mia figlia me l’hanno tolta.»
    «Mrs. Dandley, sono mortificata per tutto quello che le hanno fatto. Ma come lei ha cercato una cura per sua figlia, io ho detto di sì all’unico uomo che poteva curare il mio. Smetta di rinfacciarmelo. Non siamo così diverse.»
    «Non siamo così diverse!» ripeté Dawn Dandley furiosa. «Hanno sterminato la mia famiglia, rapito mia figlia e minacciato mio fratello per farmi fare quello che ho fatto. Io non volevo iniziare un genocidio, volevo soltanto curare mia figlia, nessuno di loro mi ha detto davvero cosa stavo curando.» raccontò. «Tu però lo sapevi.» sibilò. «Siamo molto diverse.» ripeté, prima di voltarsi e tornare nella sua casa.
    «Cosa stiamo ascoltando?» domandò Nate in un sussurro. Courtney non rispose, non lo sapeva.
    «Mio figlio stava morendo. Nessuno lo avrebbe curato, in un mondo in cui si dà la caccia ai Veggenti a chi importa se uno di loro muore per cause naturali?»
    Courtney deglutì, abbassò lo sguardo e chiuse la porta. Non voleva ascoltare di più, aveva paura ad ascoltare di più. Nate non la fermò, entrambi avevano riconosciuto nel tono di voce della madre di Zach, l’eco di qualcos’altro, quella pretesa di avere sempre ragione, così tipica dei Veggenti.
    «Secondo te…» iniziò titubante. «Zach lo sa che sua madre e suo fratello erano dei Veggenti?» aveva paura anche di quella risposta, perché se lo sapeva e continuava a portare avanti la missione dei Veglianti senza scomporsi, era un mostro.
    Nate rimase zitto per alcuni secondi guardandola, poi il suo sguardo si spostò ed iniziò a fissare un punto alle loro spalle. Courtney deglutì e voltò lentamente il viso: c’era un’ombra dietro la tendina della doccia a fiorellini. Entrambi rimasero immobili: doveva averli sentiti, avevano parlato. Aveva schiavato la porta, come aveva potuto essere tanto precipitosa ed ottusa da non pensare che una porta chiusa dall’interno deve essere chiusa da qualcuno?
    Romeo scostò la tenda della doccia ed incrociò le braccia sul petto. «Direi di no.» sbottò. «E se vi passa nel cervello anche solo l’ipotesi di metterlo a conoscenza della cosa, giuro che vi stacco la lingua.» li minacciò.
    Courtney indietreggiò finché Nate non le posò le mani sulla schiena per impedirle di finirgli addosso. «Ma deve saperlo!» si lamentò lui.
    «Per niente!» ribatté secco Romeo.
    Courtney abbassò lo sguardo, mentre tutte le informazione che aveva appena acquisito trovavano il loro posto, accanto a quelle che aveva già. «Sean non l’ha aggiustato, l’ha rotto.»
    Nate la spostò di lato per guardarla. «Cosa?!» domandò incredulo.
    Lei si scrollò le sue mani di dosso e si voltò, attenta a mantenere Romeo nel suo campo visivo. «Non capisci? Era un Veggente, avrà capito quanto sarebbe diventato in gamba suo fratello ed avrà cercato di frenarlo un po’. Forse aveva paura.»
    «Paura?! Razza di stupida ragazzina ingrata.» ruggì Romeo prima di fiondarsi su di lei, non fece in tempo nemmeno ad urlare.
    «Come puoi dire una cosa del genere?!»
    La afferrò per le spalle, Nate cercò di colpirlo, ma Romeo era sempre troppo veloce e gli diede un pugno. Spalancò la porta del bagno e la spinse avanti, mostrando alle due donne chi altri stava assistendo alla loro conversazione. Presa alla sprovvista, dalla sorpresa e l’improvvisa paura, Courtney cadde a terra.
    «Sean è morto per cercare di aiutarlo!»
    Si tirò su puntellandosi sui palmi, cercando di fare mente locale e trovare una via d’uscita: doveva difendersi, aiutare Nate. Poi improvvisamente tutta la sua mente fu invasa dall’orrore: si era fidata di Romeo, gli stava dando il suo sangue.
    Dhelia Douquette si accucciò davanti a lei e le sollevò il viso per fissarla negli occhi. «Sei la figlia di Vivien, non puoi essere così stupida.» osservò.
    «Non lo è.» la difese a metà Romeo. «Solo preferisce non farsi domande scomode.» continuò spingendo Nate a terra accanto a lei. Se non altro, erano insieme.
    «Capisco.» commentò alzandosi, si strinse nelle spalle, un movimento aggraziato e composto che la fece infuriare.
    «Non c’è così tanta fretta.» continuò a dire, le lanciò un’occhiata: avrebbe capito che era una Veggente anche soltanto da come la guardava: con la consapevolezza di essere superiore. «Se interrompi l’attuale cura di Zach, ti uccido.» concluse semplicemente dirigendosi verso il portico della casa di Dawn Dandley. Si fermò davanti all’altra donna e le fece un cenno con il capo, i capelli freschi di parrucchiere. «Ossequi, signora Dandley, avesse voglia di parlare, sa dove trovarmi.»
    La padrona di casa tenne aperta la porta e guardò i due Veglianti a terra. «Fuori di qui. E che non vi venga in mente mai più di introdurvi abusivamente in casa mia.»
    Nate afferrò Courtney per un braccio, aiutandola ad alzarsi, poi ad uscire da quella casa.

«Che facciamo se smette di dare il tuo sangue a Zach?» chiese Dawn Dandley a Romeo.
    Lui si avvicinò alla porta aperta e li guardò allontanarsi, Nate la stava quasi tirando. Courtney si voltò a lanciare un’ultima occhiata alla costruzione, prima di fissare lo sguardo nel suo. C’era il fuoco in quell’azzurro, se avesse potuto l’avrebbe incenerito.
    «Speravo che arrivasse a conclusione diverse una volta saputo di Sean.» sospirò. «Speravo che…» capisse. Non lo disse, era folle, lui lo era stato: lei era la Vegliante Williams, lui il Veggente che aveva accoltellato una delle persone alle quali teneva di più al mondo. Non poteva fidarsi di lui, nemmeno se lo voleva.
    «Non era ancora tempo, Romeo.» disse Dawn Danadley voltandosi per tornare in casa. Le lanciò un’occhiata, gli sembrò vecchissima e stanca, la conversazione con la signora Doquette doveva averla provata. Quella famiglia stressava tutti.
    «Sei stato paziente fino adesso, perché questa fretta?»
    Romeo non rispose. Li guardò scomparire dietro una casa. Nelle ultime settimane Courtney era stata così determinata, così fuori regola e schema, aveva accettato di buon grado quello che le aveva raccontato la notte precedente: aveva sperato che fosse pronta. Smettere di essere un mostro almeno per uno di loro, anche solo per una persona, anche solo per una notte, era stato così gratificante.
    «Non diciamo a Jamie quello che ha detto lei.»
    «No.» acconsentì la donna.
    Sean Douquette era una leggenda: era quello che più di tutti aveva difeso sé stesso dalla mediocrità. Logan Douquette aveva pagato le sue cure nei migliori ospedali, aperto un fondo fiduciario a suo nome per farlo studiare, ricoperto lui e sua madre di soldi e benessere, in cambio voleva che chiudessero gli occhi su Zach.
    Sean Douquette aveva fatto l’equivalente di sputargli in faccia.
    Tutti lo rispettavano e ricordavano, pochi l’avevano conosciuto. Jamie l’aveva conosciuto, non si era mai ripreso dalla sua morte, forse non l’avrebbe mai fatto. Romeo l’aveva visto una mattina, ad occhi sbarrati, seduto sul letto, come se il mondo fosse appena finito. Aveva chiuso gli occhi, deglutito, poi si era alzato ed aveva fatto come se niente fosse successo. La condanna di ogni Veggente era vedere.
    Romeo conosceva la storia, gliela aveva raccontata Dawn. Sean Douquette era stato mandato in Medio Oriente a forza da Logan, Jamie Ross aveva scelto di seguirlo perché odiava sua sorella e lui era il suo migliore amico; Sean aveva drogato Jamie prima della missione che lo avrebbe ucciso, Jamie non l’aveva perdonato nemmeno da morto.
    Si poteva rispettare una persona per la sofferenza che provoca la sua scomparsa su un’altra? Secondo Romeo, sì.
    «I vostri pugnali sono in lavastoviglie.»
    Romeo le lanciò un’occhiata, poi sbuffò una risata. «Però è vero che sei matta, Dawn.»

Zach guardava Lindsey addormentata sulla sedia, ultimamente non gli capitava spesso di essere sveglio e controllare il sonno di chi era addetto a sorvegliarlo. Ma lei gli era sembrata sfinita da quando si era svegliato quella mattina, era contento che potesse riposare un po’.
    Suo padre bussò piano alla sua porta. «Posso entrare?» chiese.
    Zach annuì e si schiarì la voce prima di parlare. «Ti spiace metterla a letto?» gli domandò indicando con un cenno del capo la brandina accanto al suo. Logan Douquette si avvicinò alla ragazza e la sollevò con delicatezza, prima di trasferirla sul letto e sedersi al suo posto.
    «Come stai?» gli domandò.
    Lui fece una smorfia. «Mi sento la testa pesante, forse ho un po’ di febbre.» il giorno prima Courtney l’aveva portato fuori, per i suoi standard di quel periodo poteva essersi strapazzato troppo.
    Suo padre allungò una mano e gli scostò i capelli dalla fronte, aspettò qualche secondo. «Sei un po’ caldo in effetti.» constatò. «Vuoi che ti faccia portare qualcosa?»
    C’erano stati pochi momenti come quelli, tra lui e suo padre, dopo i suoi dodici/tredici anni. Di solito Logan Douquette era il bastardo che tutti vedevano, ma a volte, raramente, era un padre e Zach non avrebbe barattato quei momenti per niente al mondo. «No, va bene così.»
    «Ho una bella notizia per te.» lo informò.
    «Davvero?» domandò Zach sorpreso.
    Lui annuì e si appoggiò allo schienale della sedia. «Hanno trovato la ragazzina che ti piace.»
    Zach lo fissò senza parole. «Stai scherzando?» domandò terrorizzato all’idea che lo stesse facendo davvero.
    Ma suo padre scosse la testa, sorridendo della sua espressione. «No, l’ho vista. La tengono nascosta perché sperano che non lo scopra, hanno paura che le faccia del male.»
    «E lo farai?» domandò lui preoccupato.
    «Non ne ho motivo.» disse suo padre sincero.
    «Vorrei vederla.» rifletté ad alta voce, dando uno strattone annoiato alla manetta.
    «Vedrò cosa posso fare.» lanciò un’occhiata alla manetta. «Ma tu smettila di fare così. Finirai per romperti il polso e non servirebbe niente.»
    Zach sospirò e rilassò i muscoli del braccio. «Va bene.» abbassò lo sguardo. «Ho cercato di difenderla, se fossi stato solo probabilmente sarei riuscito a scappare.»
    Logan Douquette sorrise. «Lo so.» allungò una mano e la posò sulla spalla del figlio. «Darei la sua vita per la tua mille volte.» disse fissandolo. «Sei migliore di me, Zach, sono molto orgoglioso di te.»
    «Anche se non sono più perfetto?» chiese Zach. Quando era piccolo glielo diceva di continuo che era perfetto, poi era cresciuto, era diventato un adolescente, aveva iniziato a rivoltarsi, a dire di no. Suo padre dava la colpa a Sean, diceva che era un cattivo esempio, che non poteva fare esperimenti sul suo fratellino, che doveva essere pazzo. Zach non ne era tanto sicuro, probabilmente si sarebbe rivoltato comunque: l’obbedienza non gli apparteneva.
    «Anche se Sean ti ha scombinato la testa, sì.» lo rassicurò il padre. «Che ne dici di riposare un po’? Magari la febbre ti passa.»
    Zach annuì. «Tu resti?»
    Logan Douquette si appoggiò di nuovo allo schienale della sedia e fece di sì con la testa. «Tutto il tempo che vuoi.»

Matt mi aveva aggiornata su tutto quello che mi ero persa, aveva tentennato solo una volta, quando aveva dovuto dirmi che il padre di Zach aveva intenzione di lasciarlo morire fra sei giorni.
    Mi rimanevano sei giorni con Zach.
    Giurai di uccidere Romeo per non avermi liberata prima.
    Nate tornò nel tardo pomeriggio esibendo un occhio nero ed un labbro spaccato e medicato. Non ci diede spiegazioni, non disse niente, si limitò ad aiutarmi a sistemare delle coperte accanto a loro.
    «Sembra un pigiama party.» provò a scherzare debolmente Matt, né io né Nate fummo in grado di raccogliere la sua ironia.
    Rimasi ad occhi aperti nell’oscurità, facendo e disfacendo le trecce ai capelli per non arrendermi al sonno, aspettando che i due incaricati di controllarmi si addormentassero.
    Rubai una divisa da infermiera e mi cambiai in bagno, lasciai i capelli intrecciati sperando di essere meno riconoscibile. Non sapevo come trovare la stanza di Zach, così salii sul primo ascensore libero che trovai ed iniziai a salire; mi fermai ad ogni piano, mi affacciai e controllai. Era un Vegliante, non potevano lasciarlo semplicemente in una camera come tutti, sicuramente ci sarebbero stati degli agenti.
    Che avrei detto se mi avessero fermata o riconosciuta?
    Non ci fu bisogno di scoprirlo. Quando le porte dell’ascensore si aprirono sul quarto piano, mi trovai davanti il padre di Zach. Non lo avevo mai incontrato, nessuno me lo aveva mai mostrato, eppure sapevo che era lui. Da come mi guardava. E poi aveva i suoi occhi.
    «La signorina Farrel, suppongo.» disse.
    Io non risposi, non ero stupita che l’idea di Jean di tenermi nascosta non avesse funzionato: era difficile disegnare confini intorno a uomini tanto potenti.
    «La camera di Zach è la 203.»
    Lo fissai. «Jean mi ha messo in guardia da lei.» rivelai.
    Lui attese che scendessi dall’ascensore, prima di salire a sua volta, educato e galante come un gentiluomo d’altri tempi. «Jean è una donna saggia.» disse semplicemente.
    Rimasi a guardarlo finché le porte dell’ascensore non si chiusero, poi mi diressi verso la stanza che mi aveva indicato.
    Zach dormiva come se fosse morto.
    Mi avvicinai al suo letto in punta di piedi e lo guardai a lungo. Il suo torace si alzava e si abbassava, ma metà del suo viso era distorta da una maschera trasparente attaccata ad una bombola. Allungai una mano sul suo fianco e gli sollevai la maglia che indossava: la coltellata di Romeo era una riga chiara e lucida, leggermente rialzata sulla sua pelle, solo una cicatrice. Chiusi gli occhi, io ero quella cicatrice, io avevo pregato notte e giorno che quella cicatrice esistesse.
    Continuai a guardarla con riconoscenza, finché il mio sguardo non fu attirato da qualcos’altro. Mi allungai fino al suo polso destro ammanettato al letto, il metallo foderato di cotone: Courtney. Mi ero proposta una visita veloce, il tempo di vedere che stava bene, ma ora che ero lì, non volevo lasciarlo. Cercando di non svegliarlo salii piano, piano sul letto, facendomi piccola, piccola per non disturbare il suo sonno.
    Non ci riuscii.
    Lo sentii muoversi ed il suo braccio mi circondò la vita. Si scostò la mascherina, perché si chinò a baciarmi la testa. La sua mano salì fino alle mie trecce che iniziò a disfare con delicatezza. «Non andartene mai più.» sussurrò vicino al mio orecchio.
    Io mi appoggiai al suo torace e mi aggrappai alla sua maglietta in lacrime: non credevo che avrei mai risentito la sua voce. Il suo cuore batteva oltre i miei singhiozzi e scoprii che quel suono era tutto quello di cui avevo avuto bisogno.
    «Scotti.» gli dissi realizzando che era troppo caldo.
    Ma lui si era già riaddormentato ed io l’avrei seguito in fretta.

Courtney tornò in caserma ad occhi bassi, sconfitta. Non si era mai sentita tanto stupida in tutta la sua vita, mai. Bussò piano alla stanza di Jared, l’unico rimasto lì, l’unico in effetti a non avere niente da fare in ospedale. Le aprì e lei decise di dimenticare tutti i motivi per cui era stata arrabbiata con lui, si beò semplicemente della sua compostezza, la sua stabilità; il suo sapere sempre e comunque cosa fare, chi era il nemico verso il quale puntare la pistola.
    «Court.» disse, sorpreso di trovarsi lì.
    «Io…» si interruppe, le parole rimasero strozzate nella sua gola. Tirò su con il naso. «Io non so che mi è preso, ho sparato ad un uomo. Ho abbandonato quella bambina… io…» si posò una mano sulla fronte e si tirò indietro i capelli. «Mio dio, sarà morta ormai. L’ho fatta uccidere.»
    Jared la abbracciò. «Shh… è tutto apposto!»
    «No, non lo è.»
    «Ma certo, il paramedico è vivo e quella missione stava comunque andando male.» la rassicurò. «Non hai fatto niente di irreparabile.»
    L’aveva fatto invece, aveva dato a Zach il sangue di Romeo. Era sangue? Era di Romeo? Ma che senso poteva avere? Si era lasciata imbrogliare dalla prospettiva di una soluzione facile: non ce n’erano, non c’erano mai state.
    «Oddio, ma come ho potuto? Perché non ti ho ascoltato?»
    Lui la abbracciò e basta.
    «Credevo fossi da Zach.» le disse Jared dopo un po’. «Ho chiamato Nate per sapere come stavate e mi ha detto che Zach ha la febbre.»
    Courtney sgranò gli occhi: lo stava uccidendo.

Non ricordava di aver mai corso tanto. Arrivò in prossimità della camera di Zach, completamente spompata e trovò Lindsey in piedi, davanti alla porta. Inizialmente non capì, poi vide che accanto a lei c’era il carrello per la rianimazione.
    Aveva fatto tardi, era morto.
    Courtney si avvicinò alla porta senza dire niente. Zach dormiva con Becky aggrappata a lui, la maschera con l’ossigeno era per terra e lui ansimava con la bocca. Veloce, irregolare, troppo denso.
    Chiudi quella bocca, Zach.
    Stava annaspando, presto si sarebbe svegliato ed avrebbe chiesto aiuto o l’avrebbe fatto Becky per lui; ma in quel momento dormivano, tranquilli come se non ci fosse niente di cui preoccuparsi.
    Lei e Lindsey erano una accanto all’altra in quella veglia silenziosa, l’infermiera cercò la sua mano, lei intrecciò le loro dita.
    Zach smise di respirare.
    Courtney si morse il labbro e Lindsey strizzò gli occhi. Le loro mani si serrarono una nell’altro fino a far male, un secondo prima di intervenire, rianimarlo, attaccarlo al respiratore.
    Zach sospirò.
    Lo sentirono entrambe: Courtney trattenne il fiato e Lindsey spalancò gli occhi. Lo guardarono aggiustarsi e stringersi Becky addosso, che placida si adattò alla nuova posizione del suo corpo.
    E Zach respirava, un respiro vero, regolare e silenzioso.
    Un istinto lontano la obbligò a distogliere lo sguardo da lui e voltare il viso verso il corridoio: in fondo, davanti all’ascensore, Romeo le fissava con le mani nelle tasche dei pantaloni, scosse la testa e se ne andò.


sono di corsa, ma due cosine le devo dire:
1) lasciate stare che Mrs. Douquette ha due palle che non vi dico.
2) era impossibile che dopo tutto quello che c'era stato Courtney si fidasse di Romeo così, alla buona, soprattutto su una cosa tanto complicata, non si poteva, no.
3) Logan Douquette. mi piaceva che lo vedeste anche in veste di padre, è pessimo, ma è sempre il padre di Zach.
scusatemi ancora, ma devo fuggire!
baci


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Capitolo 29
*** 28. La mela avvelenata ***


MSC19 fragolottina's time
allora, in questo capitolo ho messo in ordine molte cose, è uno dei motivi della sua lunghezza infinita e del tempo che ho impiegato a scriverlo.
ci sono molte parti che mi piacciono, quasi tutte in realtà e... raga', siamo agli sgoccioli per davvero, vedo un attimo, ma ci sono ottime possibilità che io possa finire tutto in due capitoli... vedremo!
buona lettura...
oh, e scusate il ritardo!

28.
La mela avvelenata


«Immagino che non ci sia più bisogno di me.» osservò Lindsey mentre erano sedute fuori la porta della camera di Zach.
    Courtney sospirò, non credeva che avrebbe mai potuto volerla consolare perché Zach amava un’altra, per anni aveva pensato che l’altra sarebbe stata lei, ma in quel momento capì che era oltre quella specie di dramma sentimentale e si sentì fortunata.
    Perciò prese la mano che Lindsey teneva in grembo e la strinse. «Mi dispiace, nessuno di noi capisce perché sia tanto preso da quello scricciolo.» osservò cercando di consolarla. In realtà lo capiva eccome, certo, Becky era piccina, ma carina da morire, sembrava una bambola. Ed era letale con le armi, dettaglio che uno come Zach non avrebbe mai potuto ignorare.
    «Tu sei obbiettivamente molto più bella.» continuò a dirle.
    Lindsey si leccò le labbra e la guardò. «Ti ringrazio.» per alcuni secondi rimase zitta. «È che voi non vi vedete.» sputò fuori dopo un po’ in una risata. Courtney la osservò scettica.
    «Guardati, tu splendi, anche quando sei abbattuta o depressa. E la ragazzina là dentro, uguale. Siete diversi da noi.» scosse la testa. «Non avrei mai dovuto aspettarmi che Zach mi amasse, avrei dovuto capire da sola che non si poteva fare.»
    «Non dire così. Lui ti ha voluto bene davvero, voglio dire, non è venuto a letto con me!»
    Lindsey scoppiò a ridere. «Saremmo dovute diventare amiche molto prima.»
    Courtney si strinse nelle spalle. «Sì, forse avremmo dovuto.»
    La guardò. «Pensi di far pace con Jared?»
    Lei sollevò i piedi fino a poggiarli sulla sedia e sospirò. «Non lo so.» si strofinò il viso, turbata, era la prima volta che pensava a cosa sarebbe successo dopo la guarigione di Zach. Sarebbe tornata in caserma e poi?
    «Ho visto cosa c’è nell’armadietto di Zach.» disse Lindsey.
    «Sai, cos’è?»
    «Funziona?» le chiese.
    Courtney deglutì prima di rispondere. «A quanto pare sì.» osservò.
    Lindsey ci pensò. «Non mi serve sapere altro.»
    «Mezza sacca al giorno.» le spiegò posandosi una mano sull’avambraccio dove la scritta di Romeo stava sbiadendo. «Se mi arrestano, se l’avvocato di mia madre non riesce a tirarmi fuori, se mi uccidono, fallo tu, okay?»
    Lindsey la guardò e sorrise scuotendo la testa. «Lui non lascerà che ti uccidano.»

Zach si svegliò la mattina dopo e si guardò intorno. Si sentiva strano, come se il mondo fosse sempre stato in bianco e nero, ma quella notte si fosse colorato. Tutto quello che vedeva era più nitido, più definito, più vero. Osservò lungamente la sacca di sangue appesa accanto a lui, solo metà, non aveva etichetta, era solo una sacca trasparente piena di liquido rosso. Per la prima volta si chiese cosa gli stesse iniettando Courtney, non gli aveva mai spiegato, certo, lui non aveva chiesto, ma… cosa gli stava iniettando Courtney?
    Si tirò su a sedere. Aveva il polso libero però Becky non c’era, si sporse sul cuscino e lo annusò: non c’era, ma c’era stata.
    «Ma che diavolo stai facendo?» domandò Courtney stupita. «Sembri un maniaco.» lo accusò.
    Zach la guardò si perse in come ogni suo singolo capello era intrecciato insieme agli altri fino a formare una crocchia sulla sua nuca. Quando tornò a guardarla negli occhi, lei aveva l’aria scettica. «Zach?» domandò lentamente, guardinga come se potesse compiere gesti inconsulti.
    Deglutì. «Sto bene.» la tranquillizzò.
    «Lo vedo.» confermò, gli porse un incarto ed una bottiglietta. «Ti abbiamo nutrito per endovena, Lindsey diceva che non trattenevi niente.» scrollò le spalle. «Ma se ti va stamattina puoi provare.»
    Zach prese il fagotto, non aveva molta fame e poi a dirla tutta aveva paura. Ricordava com’era stato quel delicato “Non trattenevi niente”, ricordava la nausea e Lindsey che lo aiutava e tutto il fianco che gli faceva male ad ogni conato perché era stato operato da poco. Perciò no, non gli andava esattamente di provare. Scartò per vedere cosa gli aveva portato in ogni caso ed il suo stomaco protestò scuotendolo tutto. Improvvisamente non aveva un languorino, ma fame, una fame autentica. Mangiò il tramezzino in tre morsi e si scolò metà bottiglietta di una bevanda zuccherosa in un sorso.
    Courtney sbatté le palpebre perplessa. «Beh, avresti anche potuto masticare.» lo rimproverò. «Quando ti verrà la gastrite non venirti a lamentare da me.»
    «Dov’è Becky?» domandò.
    «Con Nate e Matt. Sta bene, Jean e Jared le hanno anche proposto di tornare in caserma, ma lei non ha voluto allontanarsi da te.»
    Zach sgranò gli occhi. «Ha detto così?»
    Courtney si strinse nelle spalle. «No, ma per quale altro motivo sarebbe dovuta rimanere?» si avvicinò e gli staccò la sacca ormai vuota, la tenne tra le mani un secondo di troppo, persa nei propri pensieri ed a Zach questo non sfuggì.
    «Che c’è lì dentro?»
    «Sangue.» rispose lei automaticamente.
    «Ma pensa?!» osservò sarcastico.
    Courtney infilò la sacca dentro la borsa per buttarla in un secondo momento e gli si avvicinò. «Zach, stai bene.» scandì. «Migliori di minuto in minuto, questo significa che tra quattro giorni, quando tuo padre verrà a tentare di ucciderti potrai prenderlo a calci da solo.» spiegò. «Fidati di me.»
    La guardò ed annuì. «Okay.»
    «E fatti un doccia. Puzzi.»
    Il bagno dell’ospedale era dall’altra parte del corridoio, Courtney gli diede degli asciugamani, sapone ed una pila di vestiti con cui cambiarsi. Non lo accompagnò, ma sapeva che lo stava seguendo con lo sguardo mentre passava dall’altra parte. Si infilò in bagno e chiuse la porta; non c’era molto là dentro, ma Zach capì subito perché Courtney non fosse preoccupata di lasciarlo solo, nonostante fosse il primo giorno che si alzava: nella doccia c’erano i maniglioni ed uno sgabello, era un bagno pensato anche per chi non ce la faceva. Gli mancava una doccia vera, si sentiva bene, voleva uscire. Ma non protestò, non poteva, non dopo tutto quello che stava facendo Courtney.
    Si guardò allo specchio, era la prima volta che lo faceva da quando era stato operato e si vide sciupato, davvero sciupato, nessuna sorpresa che si fosse sentito tanto affamato. Sollevò la mano per toccarsi il viso – doveva anche radersi – la manica della maglia si spostò e lo vide: aveva l’avambraccio ricucito. Non si ricordava, immobile nel letto e stordito com’era stato, non si era accorto gran ché delle proprie condizioni. Si sfiorò la cicatrice lucida e netta: si era ferito quando era caduto? Ma non era caduto, i Veggenti l’avevano appoggiato al muro. Si tolse la maglia e si guardò anche la cicatrice che aveva al fianco, per un secondo ebbe lo strano desiderio, quasi un impulso, di vedere la propria giacca da Vegliante, ma lo soffocò: se stava guarendo davvero, l’avrebbe rivista presto e forse a quel punto non ne sarebbe più stato tanto entusiasta. Si infilò nella doccia e tirò la tenda.
    All’inizio andò tutto bene: l’acqua era calda, il sapone profumava, lui si sentiva bene, Becky era di sotto. Era tutto perfetto. Poi quella tenda iniziò a sembrargli un po’ stretta, ma si disse che conosceva la propria claustrofobia, sapeva di chi era colpa e sapeva che non aveva senso. Chiuse gli occhi ed immaginò ampi spazi intorno a lui, un prato verde che non aveva mai visto, però non riuscì a mantenere il controllo su quell’idea: la sua visione andò a fuoco, il cielo diventò nero, il prato terra bruciata.
    C’era qualcosa che camminava in lontananza, non la vedeva perché era circondata da un tornado di detriti. Era qualcosa che lo spaventava, perché se si fosse avvicinata troppo, se lui fosse stato davanti al suo cammino l’avrebbe ucciso, smembrato, smontato pezzo per pezzo.
    Spalancò gli occhi e quella tenda era davvero stretta, le orecchie iniziarono a frusciargli e la testa fece una capriola.
    Si aggrappò al maniglione e qualcuno tirò la tenda.
    Zach guardò sua madre fissarlo, ferma, controllata. Si allungò all’interno della doccia e chiuse l’acqua, poi gli sfiorò la mano che stringeva il maniglione. Lui fu quasi sul punto di lasciare il suo appiglio per aggrapparsi a lei, ma scosse la testa. «Mamma, mi apri la finestra?»
    «Certo.»
    Si allontanò e subito dopo percepì l’aria fredda sulla sua pelle umida. Quando tornò aveva tra le mani un accappatoio celeste che gli porse. Zach lo infilò e si sedette a terra nella doccia, con la nuca contro le piastrelle dietro di lui e gli occhi chiusi.
    Sua madre sfilò le scarpe ed andò a sedersi sul piccolo sgabello in un angolo della doccia, allungò una mano ed anche ad occhi chiusi, Zach la trovò e la strinse.
    «Raccontami quello che ti fa paura.» propose, lo faceva sempre, di solito quando si svegliava in seguito ad un incubo. Sua madre era sempre stata lì, seduta sul suo letto a chiedergli di raccontarle. Ma stavolta non si era svegliato.
    «Solo un capogiro.»
    Non poteva credergli, era sua madre, sapeva quando mentiva, ma non gli chiese altre spiegazioni.
    «D’accordo.» acconsentì lei.
    «Mamma?» aprì gli occhi e le lanciò un’occhiata. «Tu lo sai, cosa mi sta dando Courtney e perché sta funzionando, vero?»
    La donna annuì.
    «E non hai intenzione di dirmelo.» dedusse.
    Scosse la testa con un sorriso dolce, strinse di più la sua mano. «Guarda te stesso, Zach. Quando hai dei dubbi guarda sempre te stesso.»

Courtney rimase a lungo sul tetto del palazzo con la sacca di sangue ormai vuota tra le mani. Aveva sbagliato, aveva pensato che Romeo avesse ideato un modo per farle far fuori Zach senza sporcarsi troppo: si era sbagliata. Zach respirava, mangiava, camminava e faceva la doccia da solo: un miglioramento del genere in un solo giorno sembrava un miracolo.
    «Te lo avevo detto.»
    La ragazza alzò gli occhi su Romeo ad una discreta distanza da lei, sembrava guardingo, pronto a scappare. Dopo l’ultima volta che era stata presa alla sprovvista, Courtney si era messa una pistola nella tasca del camicie ed evidentemente lui lo sapeva.
    La tolse di lì e la posò accanto a lei sul muretto dove si era seduta, come segno di pace.
    «Mi stai chiedendo troppo.» gli disse, sincera.
    «Ti sto chiedendo di darmi retta, almeno finché Zach non sarà fuori di qui.» precisò.
    Courtney scosse la testa. «Non posso farlo.» disse dispiaciuta. «Non posso dimenticare anni di pensieri, di convinzioni, di…»
    «Ma se tutto questo fosse sbagliato hai intenzione di continuare a sbagliare?» le domandò interrompendola.
    C’era un mondo tra lo scalino sul quale era seduta ed il punto in cui Romeo stava in piedi di fronte a lei; un mondo pieno di diffidenza, bugie – dette da chi? – dolore. Veglianti e Veggenti negli anni avevano avuto le loro perdite, i loro lutti, continuando ad incolparsi a vicenda per l’uno o l’altro dolore. Se si fossero trovati davanti un nemico comune, sarebbero stati in grado di voltarsi, insieme, dallo stesso lato del campo di battaglia.
    Perché dovevano sempre combattere?
    Non rispose sospirò, se avesse avuto delle prove, qualcosa da studiare o con sui confrontarsi forse, ma in quel modo… non poteva semplicemente fidarsi delle parole di qualcuno che l’aveva sempre voluta morta.
    «Lindsey dice che non mi lascerai morire.» non aveva specificato il nome, ma era stato chiaro a chi si riferiva.
    «E ti sorprende?»
    C’erano frammenti di ghiaccio nella sua voce.
    «Perché?»
    Romeo parve pensarci un po’, Courtney osservò i suoi occhi pallidi, chiedendosi se la vedesse, se lo stesse fissando o se semplicemente stesse osservando lo sguardo vacuo di qualcuno che non poteva vedere. Scosse la testa. «Effettivamente oggi non trovo motivi validi.»
    Si voltò e Courtney pensò che sarebbe volato via. Si alzò in piedi lasciando cadere la sacca di sangue, allontanandosi incoscientemente dalla pistola. «Aspetta.»
    Lui si fermò.
    «Se avessi bisogno di contattarti?»
    «Per dirmi che?» le chiese brusco girandosi a metà.
    «Se avessi qualcosa da dirti?» riprovò.
    Si voltò completamente verso di lei, c’era qualcosa nella sua espressione a metà tra lo stupore, lo scetticismo e la consapevolezza. Si avvicinò lentamente fino ad esserle di fronte, Courtney tremò, ma si impose di non muoversi. Lui si infilò una mano in tasca e le porse un cerca persone. «Ci sono un sacco di tetti agibili a Synt, chiamami ed io ti aspetterò su quello della costruzione dove ti trovi in quel momento.»
    Lei annuì, ma lui chiuse le dita sulle sue e la trattenne: non aveva finito di parlare, ma a Courtney sembrò comunque di essere in trappola.
    «Tu, tu e basta.» precisò.
    «Okay.» deglutì. «Mi dispiace.» disse.
    Romeo rise, ma sul suo viso infuriava una tempesta che la stava spaventando a morte. Ripensò a quando aveva riso con lei, quando era stato solo un ragazzo che rideva divertito dalle sue domande da drogata: quel giorno non era quella persona.
    «Hai salvato Zach ed io ti sono riconoscente per questo.»
    Lui scosse la testa mordendosi il labbro. «Hai paura.» disse. «Non sei riconoscente, sei assecondante.» fissò i suoi occhi e stavolta Courtney conobbe la risposta: stava fissando lui e per quanto evidentemente rovinati gli occhi di Romeo erano tutto fuorché vacui.
     Gli afferrò anche l’altro polso, prima di avvicinarsi a sussurrarle all’orecchio. «Girami a largo, per un po’ non avrò voglia di sentirmi nobile perché sto cercando di salvare un gruppo di stupidi ragazzini che mi vogliono morto. Ti ho dato fiducia, il mio sangue, tu hai insultato me, la mia gente, le persone che mi hanno salvato e dato un motivo per rimanere in piedi. Oggi penso che tu avessi ragione l’altra notte: siete dei mostri, dovrei uccidervi tutti.»
    «Devo avere paura di te?» gli domandò fissandolo. Courtney aveva lo stomaco sotto sopra, come ogni volta che aveva visto Romeo decidere per la vita di qualcuno di loro. Mai la sua, ricordò distrattamente. Chiuse gli occhi e lei non si mosse, lo osservò con attenzione, come se, studiandolo con abbastanza impegno, avesse potuto vedere anche lei quello che si nascondeva dentro le sue palpebre abbassate. Poi vide un livido e provò una tenerezza istintiva, era familiare, anche loro erano coperti di lividi dalla testa ai piedi; scrollò una mano e la allungò per scostargli il collo della maglia dove si perdeva…
    E Romeo le afferrò il polso, trattenendola.
    Aveva gli occhi aperti ora e la fissava. «Devo andarmene.» disse.
    La sua pelle era pallidissima, qua e là spruzzata di lentiggini. Vedeva il battito del suo cuore alla base del suo collo.
    «Che hai visto?» gli chiese.
    «Come finirà questa discussione.»
    In quel momento le sembrò tutto molto strano, si sentiva la testa leggera, la mente lontana, come se fosse di nuovo drogata. «E non ti piace?» disse alzando gli occhi sui suoi, con un’audacia che non riconosceva come propria.
    “Sicura di essere una Vegliante, signorina Williams? Perché parla come una Veggente”.
    Le sembrò in difficoltà mentre rispondeva. «Ecco…»
    «Non sei costretto a dirmelo.» dichiarò Courtney decidendo sul momento che la sua fiducia andava ricompensata con la propria e se lui era a disagio a risponderle poteva decidere di non farlo, senza ripercussioni sulla fragile alleanza temporanea che stavano creando. Fece un passo indietro, un alito di vento le smosse i capelli portandole un soffio del suo profumo, sapeva di disinfettante, sapone.
    Romeo la guardò, Courtney pensò che nella sua indecisione ci fosse qualcosa di molto umano e molto normale. Romeo era normale, la stretta sui suoi polsi lo era stata, il tocco della sua pelle, il colore dei suoi lividi.
    «Ti perdonerò.»
    «Perché?»
    Si strinse nelle spalle. «Non lo so, ma l’ho visto.» le lasciò le mani e Courtney incrociò le braccia sul petto nervosa, c’era qualcosa che la inquietava nell’aria.
    «Che altro hai visto?»
    Romeo non rispose, girò i tacchi. «Continua a dargli il mio sangue.» disse prima di andarsene.

Nate mi aveva portata con lui nella Zona Gialla, aveva delle commissioni da sbrigare tra le quali l’acquisto di un nuovo cellulare per me. Aveva finito per comprarmene due ed aveva parlato con l’operatore telefonico perché mi spostassero il mio vecchio numero; non lo volevo, il mio vecchio numero, non volevo niente della mia vecchia vita.
    Mentre lui mi trascinava da una parte all’altra, come un palloncino legato al polso di un bambino, io guardavo Synt intorno a me, i suoi abitanti. La maggior parte di loro erano Veggenti, gli altri simpatizzavano con Romeo; eravamo cuccioli, ingenui e tonti, in un branco di lupi che aveva ben chiaro in mente chi azzannare.
    Se quello che Romeo mi aveva raccontato era vero, aveva ragione, ma credergli senza prove era folle.
    «Romeo mi ha detto di andare a controllare una cosa.» dissi a Nate, non c’era nessun altro al quale potessi dirlo. Nessuno che avrebbe capito davvero.
    Lui mi guardò sorpreso e comprensivo. «Ci vuoi andare? Non sei obbligata a…»
    «Dobbiamo andarci.» precisai.
    Nate guidò con attenzione fino alla fabbrica in disuso dove avevamo organizzato la partita a Bandiera Svizzera. Percorremmo la strada in silenzio, sapevo che si stava chiedendo se non fosse una trappola, me lo stavo chiedendo anche io; ma sapevo anche che Nate era affamato di risposte e spiegazioni.
    Non ci sarebbe stato modo per entrare in una fabbrica di Mitronio in uso, ne eravamo consapevoli, ma potevamo farci un’idea osservando quello che era stato lasciato in quella abbandonata.
    Nate rallentò di fronte all’entrata, ma io lo spronai a proseguire ed andare sul retro. Lì l’erba pallida di Synt aveva preso il sopravvento rendendo difficile il passaggio. Scesi dall’auto e feci il giro raggiungendo il mio accompagnatore, aveva già gli occhi fissi su quello che eravamo venuti a vedere. Poco lontano da dove ci trovavamo, c’erano delle costruzioni di materiale trasparente, enormi scatole di plexiglass come quelle delle Aste.
    «Sono serre.» disse Nate.
    Mi prese la mano e ci dirigemmo nella loro direzione.
    Ci si sarebbe aspettato che l’interno fosse invaso dalla vegetazione selvatica come l’esterno, invece quella in cui entrammo era soltanto abbandonata, anche piuttosto pulita. Nate studiò la terra sulla quale una volta crescevano delle piante, ormai soltanto rami secchi, ed alzò lo sguardo sull’impianto di irrigazione, cupo. Raggiunse una scatola a terra, la centralina degli impianti, la scoperchiò ed iniziò a frugare all’interno, mentre io percorrevo la serra. L’aria era stantia e pesante, l’odore di decomposizione pressante, anche se non sembrava esserci qualcosa di davvero marcio.
    Improvvisamente dall’alto arrivò un boato, guardai le tubature dalle quali inizialmente sbuffò fuori soltanto aria, poi arrivò il resto.
    All’inizio mi sembrò acqua, forse un tantino più scura, ma ero sicura che fosse per il disuso; poi i miei capelli iniziarono ad assorbirla e fu difficile ignorare come i miei riccioli sembrassero tanto verdi, sollevai una mano studiandomi con orrore il palmo verde.
    Raggiunsi Nate di corsa ed uscimmo di lì.
    Salimmo in macchina in fretta dirigendoci, altrettanto in fretta, verso Synt.
    Eravamo entrambi sconvolti e ricoperti di liquido verde.
    Nate si fermò a metà strada, dall’altra parte del parabrezza c’era Synt, nella sua perfetta precisione geometrica; dietro di noi una fabbrica di veleno e di piante avvelenate: verdure, frutta… a chi toccava la mela avvelenata?
    Nate scese dalla macchina sbattendo lo sportello, lo guardai congiungere le mani dietro la nuca e ciondolare; lo vidi piegarsi in due ed urlare la sua frustrazione. Rimase accovacciato a terra.
    Lo raggiunsi con le mani strette al corpo, non sapevo se fosse la tensione o il fatto che fossi completamente bagnata, ma mi sentivo intorpidita per il freddo. Mi rannicchiai di fronte a lui, senza sapere cosa dire.
    «Che ti ha detto Romeo?» mi chiese in un sussurro.
    Aprii la bocca, ma ci ripensai, in qualche modo timorosa del dover ripetere con la mia stessa voce le sue parole: sarebbe stato un po’ come farle mie, un po’ come ammettere che ci credevo. Ci credevo?
    «Che ci danno il Mitronio per dieci anni.»
    Sospirò, si sfilò gli occhiali e si strofinò gli occhi lasciandosi strisce verdastre sul viso. «Il periodo di leva.»
    «Poi non serve più.» mi leccai le labbra. «Ha detto che Zach non può più prenderne, che non è come…» presi fiato. «Non è come noi. Ma dice che l’ADP, suo padre lo controllano troppo e che se anche stessimo attenti al cibo prima o poi troverebbero un modo per…»
    «Vuole che glielo consegniamo.» mi interruppe fissandomi.
    Annuii piano. «Potrebbero essere tutte bugie.»
    «Potrebbero.»
    «Io non gli credo.» dichiarai.
    Lui rise. «Ma siamo qui.»
    «Lo diciamo agli altri?»
    Sospirò pensandoci, ma poi scosse la testa. «Ti immagini dire una cosa del genere a Courtney? Per com’è nervosa in questo periodo farebbe una strage.»
    «Che facciamo?»
    «Sei innamorata di Zach?»
    Lo fissai, gli occhi enormi nei suoi. Feci di sì con la testa.
    «Dovresti passarci più tempo. Io gli credo.»
    «Io posso sparargli.»
    Rise amaro. «Non lo farai, sei arrivata quando la situazione era già più stabile, non hai idea di quanto sia stato male. Courtney era uscita di testa, se è vero che lo ami non avresti retto mezz’ora.» sospirò. «Ti saresti aggrappata a qualsiasi falsa speranza, lo farai.»
    Deglutii. «Che facciamo?» domandai ancora.
    Lui lanciò un’occhiata intensa a Synt prima di tornare a rivolgersi a me. «Siamo ricoperti da capo a piedi di Mitronio, ci facciamo una doccia.»

«Ehi.» Lindsey entrò nella stanza di Zach sorridendo. Non era vestita da infermiera ed aveva con lei una borsa molto capiente, il tipo di borsa che si preparava prima di intraprendere un lungo viaggio.
    Courtney, indaffarata nel suo lavoro a maglia di copertura, lanciò un’occhiata di sbieco alla ragazza e si alzò. «Vado a sgranchirmi un po’ le gambe.» disse per togliersi dai piedi.
    Lindsey aspettò che uscisse, prima di sedersi al suo posto. «Si dice in giro che stai meglio.»
    Zach non aveva smesso di guardarla neanche per un secondo. «Te ne stai andando.» concluse.
    Abbassò lo sguardo e fece una smorfia. «Non posso restare, Zach, non chiedermelo.»
    Scosse la testa. «Non lo sto facendo.»
    «Perfetto.»
    Zach si tirò su a sedere. «Grazie per tutto quello che hai fatto.»
    Lei sorrise appena, poi si sciolse in lacrime, Zach scese giù dal letto lentamente, si abbassò e la abbracciò. Non poteva fare altro, era insopportabile farle tanto male senza poter fare niente per impedirlo. L’ultima volta che avevano litigato, quando poi tra loro era tutto finito, era stato perché non era riuscito a portarla al ballo: ridicolo. Si era rotto la spalla e se fossero state due persone normali, se il mondo fosse stato diverso, ne avrebbero riso.
    Però lui non era normale, per quanto volesse esserlo per lei ed il mondo era orribile e con una spalla rotta non poteva accompagnarla al ballo. Lindsey non era cattiva, né egoista, era sempre stata la persona più paziente del mondo, soprattutto con lui. Però voleva una vita normale, l’unica cosa che lui non poteva dargli.
    «Vattene, Liz, tu che puoi scappare, scappa.»
    Lei si mosse, Zach non se l’aspettava e rimase ad occhi spalancati quando, senza nessun preavviso, premette forte le labbra sulle sue. La bocca di Lindsey era un insieme di nostalgia ed affetto, Zach ricordava ogni cosa condivisa con una nitidezza disarmante: ogni notte che si era intrufolato in camera sua passando dalla finestra, ogni bacio che si erano dati all’uscita di scuola, ogni risata, ogni coccola, ogni scenata di gelosia per Courtney. Non c’era mai stata nessun’altra ragazza che Zach avesse sentito tanto sua quanto Lindsey.
    Si allontanò, lo allontanò e Zach continuò ad osservarla in silenzio mentre si dirigeva verso la porta, ogni passo che la portava un po’ più lontana dalla sua vita.

Courtney venne a dirci che avrebbe passato la notte in caserma da Jared, che possibilmente non voleva scocciature, ma che, comunque, il suo cellulare sarebbe rimasto acceso tutta la notte.
    «Torno domani per somministrargli la sua terapia, ha già mangiato…»
    «Dobbiamo cambiargli il pannolino?» chiese Matt sarcastico. «Sembra che tu stia parlando con una baby-sitter.» spiegò.
    Lei gli lanciò un’occhiataccia, abbastanza rilassata da arrabbiarsi di nuovo con Matt, in modo un po’ distorto quello era buon segno. «Non fate casini.» ci rimproverò tutti secca.
    «Ce l’hai una fiala di sangue sua?» domandò Nate.
    Courtney lo osservò pensierosa poi scosse la testa. «A cosa ti serve?» gli chiese preoccupata.
    «Niente di importante.» cercò di tranquillizzarla debolmente. «Te lo spiego domani. Può essere pericoloso prenderla?»
    «No.» disse semplicemente. «Se lui è d’accordo puoi prenderla.»
    Io rimasi in silenzio. La notte prima era stato molto semplice infilarsi abusivamente nel suo letto: dormiva, io ero ancora emotivamente scossa dal dubbio di non sapere come stesse, mi era mancato troppo per fermarmi a pensare a quello che stavo facendo. Quella sera era diverso, volevo andare da lui, ma avevo anche paura. Non era incosciente e tutte le cose non dette tra noi, non potevano restarlo. E se non mi avesse voluta lì? In fondo la notte prima non gli avevo esattamente chiesto il permesso.
    «Oh, cheerleader, va’ da lui.» sbuffò Courtney. «Non startene lì con quel punto interrogativo stampato sulla fronte.» si lamentò.
    Annuii. «Vi servo qui?» chiesi a Nate e Matt.
    Entrambi mi guardarono scettici.
    «Ti vogliamo bene, Becky, e mi piace proprio tanto averti qui, ma non è che tu ci sia proprio utile.»
    Li guardai fingendomi oltraggiata.
    «Va’ da lui.» mi incoraggiò Nate. «Farò il prelievo domattina.»
    «Preservativi ne hai?» mi domandò Matt.
    «Ehi!» esclamai arrossendo.
    «Matt, che diavolo c’è nel tuo cervello?» chiese Courtney sconsolata. «Sua madre dorme nella stanza accanto.»
    «Non è che con Lindsey passassero la dogana.»
    Lei scosse la testa scoraggiata. «Che ci parlo a fare con te…» ci fece un cenno con la mano che comprese tutti. «Buonanotte, piccini, mamma Courtney si prende una serata libera.»

In camera di Zach c’era sua madre, rimasi incerta sulla soglia senza sapere esattamente come comportarmi, prima di decidermi e bussare alla porta già aperta. Entrambi si voltarono verso di me e nei loro movimenti c’era la traccia genetica della loro familiarità. La signora Douquette somigliava a suo figlio in molti particolari, mi chiesi se anche caratterialmente fossero simili.
    «Ciao.» mi salutò Zach. «Mamma, lei è Becky.»
    «Oh, la famosa Becky.» sua madre mi studiò da capo a piedi e da piedi a capo. «Come stai, tesoro?»
    «Bene.» annuii con un sorriso. «È un piacere conoscerla, signora.» dolorosamente riconobbi mia madre nelle mie parole. Sapevo che Jean le aveva detto del mio ritorno, sotto mia richiesta le aveva anche chiesto di lasciarmi del tempo, che li avrei chiamati io appena me la fossi sentita.
    «Anche per me.» ricambiò lei prima di alzarsi. «Vado a controllare che tuo padre non tratti le infermiere come cameriere.» si chinò a dargli un bacio e mi fece una carezza sulla spalla mentre si allontanava.
    Zach si tirò su, i suoi movimenti erano precisi quel giorno, senza esitazioni, era palese che stesse meglio.
    «Respiri da solo.» osservai facendo un cenno del capo all’ossigeno che si trovava comunque accanto al suo letto.
    Lui seguì il mio sguardo. «Già, cammino anche, oggi ho fatto la doccia da solo.»
    Risi e mi avvicinai sedendomi sulla sedia. «Caspita, un paio di giorni e ti troverò a fare le capriole.» ribattei sarcastica.
    Zach mi osservò, seduta sulla sedia, ed assottigliò lo sguardo, lasciando intendere che non era lì che avrebbe voluto mi sedessi. Io però non sapevo ancora esattamente come volevo gestire quella situazione e per il momento quella distanza mi piaceva, anche se mi inquietava un po’: la parte più intima di me scalpitava perché gli mancava la sua pelle. Zach riusciva a parlare a parti di me che non avevo saputo di avere.
    «A cosa stai pensando?»
    Scossi la testa. «È da quando sono tornata che sto cercando di rimettere ordine in tutto, ma è difficile.» sospirai. «Lo era già, gli ultimi giorni passati in caserma sono stati un delirio: ti ho sparato, tu mi hai aggredita di notte e Romeo e…»
    «Ehi, calma, Becks.»
    «Voglio spiegarti di Ryan.» dichiarai improvvisamente. Lui batté un paio di colpetti sul letto accanto a lui ed io lo raggiunsi. Non fu difficile come mi sarei aspettata, Zach rimase in silenzio per tutto il tempo ed ascoltò tutto quello che avevo da dire: come Matt avesse scoperto che Rose e Ryan erano la stessa persona, come me lo avesse poi raccontato, come quella notte mi fossi spaventata.
    «Perché non me lo avete detto?» domandò Zach quando ebbi finito.
    Sospirai. «Matt aveva paura che tu le facessi del male.»
    Lui mi guardò sorpreso. «Matt aveva paura di questo?!» mi domandò sconvolto. «Non l’avrei mai fatto, è la sua Rose.»
    Mi strinse nelle spalle. «Il nostro lavoro non cambia, dobbiamo scegliere cosa fare con i Veggenti una volta per tutte e portare avanti quella decisione con tutte le conseguenze.» gli lanciai un’occhiata. «Avevi ragione nel dire che quello che avevo fatto mi rendeva una traditrice, lo faceva davvero.»
    Zach si avvicinò, ero nello spazio lasciato libero dalle sue gambe ripiegate a metà sotto le lenzuola. «Tu che ne pensi?» disse posandomi una mano alla base della mia schiena.
    Sospirai. «Penso che non avrei voluto mai vederti fare una cosa del genere, sarebbe stato come vederti aggredire me.»
    «Non potrei mai farti del male.» osservò.
    «Ci hai provato.» gli ricordai ad occhi bassi, la sua mano che percorreva la sporgenza della mia spina dorsale su e giù.
    Si fermò, metà mano sul fondo della mia maglietta e metà sulla mia pelle lasciata nuda. «Già, ti ho tagliato una maglietta e baciata. Sono proprio una mente malvagia.» ribatté ironico. Ripiegò di più il ginocchio e ci si appoggiò sopra con il braccio libero e la bocca, la mano sulla schiena si infilò sotto la mia maglia.
    Gli lanciai un’occhiata ed approfittai del fatto che non mi stesse guardando per avvicinarmi fino a toccarlo. Lui si raddrizzò scivolando con il braccio finché la sua mano non fu sulla mia pancia nuda, in basso, sentivo le sue dita premere sulle ossa del mio bacino, senza superare la barriera dei pantaloni però. Chiusi gli occhi appoggiandomi a lui, sapevo di star respirando in modo meno regolare, ma non sapevo se lui se ne fosse accorto.
    Una parte di me voleva scappare e nascondersi in posto sicuro dove poter riprendere fiato, l’altra immaginava le sue mani percorrermi tutta.
    Mi morsi le labbra e mi tirai indietro i capelli. «Come è stata per te quella notte?» azzardai un’occhiata, avevo l'orecchio sul suo cuore e lo sentivo battere piano. Gli appoggiai una mano sul fianco e sentii i suoi muscoli tendersi per un attimo quando li toccai. Avrei voluto baciarlo in così tanti posti, che stavo seriamente prendendo in considerazione l'idea di compilare una lista.
    «Ambivalente.» si strinse nelle spalle e mi baciò tra i capelli. «Guarda che ero davvero arrabbiato ed ero davvero lì per scoprire se…» si fermò ed abbassò lo sguardo su di me che ad un certo punto gli avevo sollevato la maglia e stavo sfiorando piano la linea del suo fianco. Non c'era una vera logica nel perché lo facessi: mi piaceva la sua pelle, la consistenza, l'odore, il sapore. «In definitiva se preferissi Romeo a me.»
    Scossi la testa, quasi turbata da quel suo pensiero. Premetti di più il viso contro la sua maglia e respirai il suo odore.
    «Ma poi tu non stavi ferma, tipo adesso, io ti ero sopra, e tu non ne volevi proprio sapere di stare ferma… e magari quella di starti sopra non è stata proprio la migliore decisione tattica che io abbia mai preso e…» sospirò ed alzò gli occhi al cielo. «Che sfinimento che sei, Becks!» disse prima di ribaltarmi e spingermi sul letto sotto di lui.
    Rimasi senza fiato, mentre lui chinava il viso su di me e mi sfiorava con il naso il collo; le coperte, sotto le quali lui era stato infilato per metà, che ci avevano seguiti ed avvolti in due bozzoli adiacenti. Lasciai andare un respiro così caldo che me lo immaginai ardente, rosso.
    «Eh.» fece Zach fermandosi e tirandosi su, con il viso sopra di me. «Proprio in quel modo.»
    Gli lanciai un’occhiata furiosa, poi cercai di spingerlo via.
    Qualcuno bussò alla nostra porta. «Rallentate. Zach, sei convalescente.» ci rimproverò la voce di Jean. Entrambi ci voltammo verso di lei, ma era già passata. Ridacchiammo ed io lo guardai, luminoso e bellissimo.
    «Mi sei mancato.»
    Zach mi guardò, quasi stupito, poi si abbassò con delicatezza fino a premere le labbra contro lei mie. «Anche tu.»

Lindsey uscì dalla porta dell’ospedale dopo aver consegnato la sua lettera di dimissioni al direttore. C’erano stati abbracci, lacrime da parte delle altre infermiere con le quali aveva lavorato tanto a lungo. Non poteva dire di essere triste ad andarsene, era rimasta solo per Zach ed era la cosa più dolorosa che potesse fare, sapere che finalmente il suo compito era finito l’aveva resa leggera come una piuma.
    «Signorina Stuart.»
    Impallidì e si fermò, immobile nel parcheggio. Si lanciò una vaga occhiata intorno, tanto per accertarsi che no, non c’era nessuno che potesse soccorrerla ed anche in caso contrario chi avrebbe avuto il coraggio di accusare Logan Douquette per aggressione.
    Si voltò e lo guardò negli occhi, dolorosamente gli stessi di Zach.
    «Cosa gli sta somministrando la signorina Williams?»
    Lindsey deglutì, ma non vacillò. «Sangue.» rispose con semplicità. «Quello che gli abbiamo sempre dato.»
    Logan Douquette assottigliò lo sguardo, ma sorrise, un sorriso da squalo. Non si era mai sentito tanto piccola ed insignificante.
    «Il sangue di chi, allora?»
    Non rispose e lui si avvicinò. «Vedi, mia cara, la tua fedeltà nei suoi confronti è folle: mentre tu sei qui fuori a rischiare la vita per lui, lui sta rotolando nel letto con un’altra ragazzina.»
    La vista di Lindsey si offuscò: rischiare la vita.
    «Niente di nuovo, Zach è sempre stato piuttosto volubile a livello affettivo, proprio come sua madre.» scosse la testa. «Donna meravigliosa, una madre fantastica, pessima moglie.»
    Gli somigliava, pensò con dolore Lindsey, Zach somigliava a suo padre, in come si muoveva, come gesticolava.
    «Perciò la prego, signorina Stuart, mi racconti cosa sta succedendo.»
    Lindsey lo guardò e cercò nei suoi ricordi Zach, quello che si arrampicava sulla finestra, che mangiava i tramezzini che preparava lei quando tornava dalle ronde, che si svegliava con gli incubi nel cuore della notte e cercava il suo abbraccio. Che chiamava suo padre nel sonno.
    «No.»
    «Ci sono foto che la ritraggono in compagnia del Veggente con i capelli rossi, davvero vuole venire indagata?»
    Lindsey si fece forza in sé stessa. Raddrizzò la schiena e lo fissò. «Non importa con cosa mi minaccia, non importa se mi uccide. Può torturarmi, incarcerarmi, fare quello che vuole, ma lui vivrà, capirà e non le permetterò mai più di indurlo a comportarsi come il suo giocattolo.»
    «Io ho fatto in modo che fosse così.» disse duro.
    «È molto più di quello che voi avete creduto, è tempo che lo sappia anche lui.»
    Logan Douquette la studiò attentamente. «È straordinario che tante donne bellissime vogliano proteggerlo. Chissà cosa vi racconta?»
    Lindsey non rispose.
    «Ad ogni modo se lei non vuole collaborare…»
    Accadde tutto troppo in fretta per gli occhi civili di Lindsey: il signor Douquette barcollò all’indietro coprendosi il viso con una mano e Jamie Ross si mise davanti a lei. Bruciava di rabbia, tremava, Lindsey l’aveva incontrato qualche volta, non l’aveva mai visto tanto furioso.
    Logan Douquette lo osservò e sorrise. «Ma tu non sei l’amichetto di Sean?»
    Jamie si avvicinò, afferrò l’uomo per il colletto della camicia e se lo tirò sotto. «Sa cos’è che ho visto quando ho seppellito Sean?» gli chiese fissandolo. «Zach che le piantava una pallottola nel cervello.»
    «Non lo farebbe mai.»
    Jamie Ross sorrise. «Non lo sottovaluti, lei non è tipo da commettere errori tanto stupidi.»
    «Perché non ti ha riconosciuto?»
    «Perché gli date vagonate di Mitronio, ha causato danni.»
    «Permanenti?»
    Lo lasciò spingendolo via. «Conosce da solo la risposta, altrimenti non avrebbe ucciso Sean.»
    «È un caduto di guerra, improbabile credere che quella bomba fosse opera mia, non credi?»
    Per un attimo Jamie vide tutto rosso e Lindsey pensò che l’avrebbe ucciso, ma c’era un buon motivo per cui dove rimanere vivo ancora per qualche mese. Gli afferrò il braccio cercando di trattenerlo.
    «Jamie, non puoi.» disse piano.
    Il suo petto si alzava ed abbassava veloce.
    «Sai di non poterlo fare, ti prego.»
    Jamie le lanciò un’occhiata e sbatté le palpebre diverse volte, come tornando al presente. «Okay.» acconsentì. Le prese la borsa e le passò un braccio intorno alle spalle. «Non sono venuto solo, signor Douquette.» disse indicando con un gesto l’intero parcheggio.
    Lindsey si guardò di nuovo in giro ed ora c’erano persone, in piedi ed immobili come statue.
    «Faccia il bravo.» gli consigliò stringendo Lindsey più forte. «Ti porto al sicuro.» le sussurrò.


cosa dire? sospetto che niente risulterebbe efficace come: anche io voglio rotolarmi nel letto con Zach...
quindi proseguiamo...
allora, Lindsey se ne va, non credo che la rivedremo, ma non garantisco. d'altra parte i Douquette non sloggeranno ancora per un po', quindi Logan Douquette bisogna sorbircelo per un altro po'... ve lo dico, la parte della fabbrica con Nate, mi è piaciuta proprio tanto. Nate sta percorrendo gli scalini del mio cuore a tre a tre, non che non gli volessi già bene, ma è stupendo...
ma è normale fangirlare per i propri personaggi?! boh...
cmq, vi lascio i contatti: facebook e Twitter
ah, per l'aggiornamento: siccome la prossima settimana non ci sono perché sto in vacanza - tre giorni soli, don't worry - direi che il prossimo capitolo verrà postato venerdì 29, per ulteriori modifiche sarete informate!
baci
   

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Capitolo 30
*** 29. Te lo prometto ***


MSC 29 fragolottina's time
ve lo devo dire, lettrucciole, per essere la piccola personcina iperperfezionista e paranoica che sono, mi ritengo piuttosto soddisfatta di questo capitolo.
l'ho temuto, ehi, se l'ho temuto, c'ho messo millemila anni a scriverlo! ma penso che ne sia uscito qualcosa di discretamente buono...
perchè questo preambolo? vi chiederete voi.
perchè questo è l'ultimo capitolo de "Il Mitronio di Synt"... buone, buone... stiamo, calmi. Ci sarà un Epilogo, ma in realtà si tratterà più che altro, di "anticipazioni sadiche e per niente anticipanti" sul prossimo capitolo della saga... ve lo ricordate, vero? che è una saga?
ci vediamo più giù...

29.
Te lo prometto


Courtney si svegliò nel letto di Jared e rimase ferma, con gli occhi aperti nella penombra delle tapparelle abbassate. Era consapevole del suo respiro dietro di lei, come lo era della pesantezza del suo corpo sul letto. Percepì la propria nudità come una colpa e non per quello che aveva fatto, ma come l’aveva fatto. Avevano abbozzato: ignorato discussioni e disaccordi ed avevano fatto l’amore.
    E Courtney si sentiva sporca e vigliacca.
    Non aveva mai pensato che qualsiasi cosa ci fosse tra lei e Jared non avrebbe funzionato come in quel momento, nel suo letto, la mattina dopo aver deciso che le sue motivazione non valevano quanto il suo abbraccio. Perché lo aveva deciso, ma non ci credeva. Aveva sempre creduto di essere nel giusto, ne era certa da quella mattina.
    Il telefono della caserma suonò, strappandola dalle sue riflessioni. Courtney si alzò, mentre Jared apriva lentamente gli occhi ed andò a rispondere avvolta nelle lenzuola.
    «Vegliante Williams.» si annunciò con la cornetta all’orecchio.
    «Salve, Vegliante, posso parlare con la sua Responsabile? È piuttosto urgente.»
    «Sono spiacente, la Responsabile Roberts non è in caserma in questo momento. Posso farla richiamare, vuole lasciarmi i suoi contatti?»
    Una risata. «Le dica soltanto che Wood la cerca.» disse. «Sono sicuro che troverà da sola il modo di contattarmi al più presto.»

Dawn Dandley andò ad aprire alla porta dopo essere stata bruscamente svegliata dal campanello impazzito. Era appena l’alba ed anche se il mondo stesse andando a rotoli, non le sembrava un buon motivo perché la svegliassero.
    Quindi era pronta a tirare fuori gli artigli e ricordare loro che il suo benestare era negli interessi di tutti, ma non lo fece: guardò il ragazzo davanti a lei, la pistola che le puntava contro. Non c’era sedativo in canna, né Mitronio, ma piombo.
    «Conosco il patto che aveva fatto con Josh: una sola domanda e lei avrebbe risposto sinceramente.» le ricordò Nate. «Josh diceva sempre di non sapere cosa chiederle. Io però lo so, so esattamente qual è la domanda da farle.»
    Dawn Dandley annuì. «Se Rom…»
    Lui scosse la testa prima che lei potesse finire. «Romeo non verrà. Courtney sta dando a Zach il doppio della dose della sua cura. Qualsiasi cosa succederà, Romeo sarà lì.»
    «Il doppio?!» domandò lei facendo per correre in avanti, Nate si spostò con lei per impedirle di allontanarsi.
    «La mia domanda.» ripeté.
    «È una follia, è pericoloso. Per l’amor del cielo, è con il suo cervello che state trafficando.» lo rimproverò.
    «La mia. Domanda.» disse di nuovo, irremovibile.
    Dawn Dandely lo fissò indispettita e si sistemò la vestaglia addosso con un gesto secco, prima di incrociare le braccia sul petto. «Ebbene, Vegliante, qual è la tua domanda?» lo sfidò.
    «Cos’è Zach?»
    Dawn Dandley rimase in silenzio per una manciata di secondi, poi scoppiò a ridere in modo così spontaneo ed autentico che Nate ne rimase completamente spiazzato, la sua sicurezza vacillò ed ebbe un attimo di esitazione nel vederla rientrare, ma poi la raggiunse e la trattenne per un braccio.
    «Aspetti, deve rispondere!» si lamentò.
    «”Cos’è Zach”?!» ripeté divertita. «Non è una domanda, sono almeno venti!»
    «Risponda come se fosse una.»
    «Un esperimento firmato da me.» disse pratica. «Nato umanissimo, reso Veggente grazie ad una straordinaria manipolazione genetica, con al suo interno un organo extra che produce una sostanza tanto simile al Mitronio da produrre gli stessi effetti su di lui.»
    Nate le lasciò il braccio, fece un passo indietro. Il suo viso era una maschera di orrore. «Come?»
    Per un attimo Dawn si concesse di osservare la sua espressione sbalordita e goderne, nemmeno lui, nonostante il suo cervello fosse estremamente vivace e lucido, aveva pensato così in grande. Poi però si incupì, le era capitato troppe volte di gioire per la riuscita di un esperimento che avrebbe portato a conseguenze terribili. C’erano vittorie che non andavano festeggiate, vittorie che non valevano la battaglia. Entrò in casa, ma lasciò la porta aperta sapendo che lui l’avrebbe seguita.
    «Logan Douquette sa essere convincente. Mi ha offerto soldi, protezione. Ha avvelenato mio marito con il plutonio, mia figlia era già rinchiusa in una gabbia.» gli lanciò un’occhiata. «Un’offerta che non ho potuto rifiutare.»
    «Ma si rende conto che lo ha reso…»
    «Sì, me ne sono resa conto.» disse fissandolo, decisa e furiosa. «Ma avevo un fratello ed era un Veggente. Volevo salvare almeno lui.»
    Tornò ad incamminarsi in corridoio e Nate la seguì fin nella cucina. «Signora Dandley.» la supplicò dalla soglia dopo averla raggiunta. «La prego, mi spieghi.»
    Dawn Dandely lo guardò, provò ad immaginare la frustrazione, il tormento; l’essere tanto rivoluzionari, sentirlo scorrere, ma non saperlo mai del tutto. Pensò ad Helen che giocava nel suo salotto, a come sorrideva, felice. Nessun Vegliante avrebbe mai potuto provare una tale felicità e la colpa era sua.
    «Perché gli avete dato il doppio della cura?» gli domandò.
    Nate si guardò intorno vago. «Abbiamo motivo di credere che Wood e di suoi fantastici Veglianti stiano per venire a darci una mano.» scosse la testa. «Jean è preoccupata e lo sono anche io, è stato Logan Douquette a chiamarli. Zach non può stare qui con loro.»
    La donna sospirò. «Ti conviene sederti, è una lunga storia.»

Courtney mi guardò prima di attaccare a Zach il secondo sacchetto di sangue, sembrava quasi che volesse chiedermi il permesso. Mi aveva spiegato le sue motivazioni, le avevo anche capite, ma non ero riuscita a dire né sì né no.
    «Fallo e basta, Court.» la incoraggiò Zach.

«Dopo aver inventato il Mitronio diventai molto famosa, probabilmente troppo.» iniziò Dawn Dandley mescolando un tè che non aveva zuccherato. «Non ti sei fermato a pensare a quanto il mio lavoro fosse buono, vero?» rise. «Il Mitronio non è un veleno, è più simile ad un virus. L’ho costruito partendo da un campione di quei famosi cosini che dicono al cervello di un Veggente “Funziona di più”, li hanno solo loro, sai? Il Mitronio li intercetta, li muta e li fa diventare come lui. Intercettatori e cosini lottano finché nell’organismo non ce ne sono abbastanza da vincere. Ci vuole un po’ di tempo perché tutto avvenga senza che il paziente se ne accorga. Sai, i proiettili della ragazzina? Lì il quantitativo e circa tre volte superiore al limite consigliato: gli intercettatori entrano e li sterminano, se il cervello è abbastanza forte da resistere a quel cambiamento così repentino, lo smaltisce lentamente; altrimenti…»
    «Dieci anni.» ricordò Nate.
    «Meno in realtà, l’ADP vuole stare sicura, ma iniziando a diciassette direi che a ventitré non ci sono più pericoli.» scrollò le spalle con noncuranza. «Forse può comparire della febbre.»
    «E Zach?»
    Dawn Dandley rise. «Somministrare una sostanza ogni giorno per dieci anni ad un gruppo di adolescenti è una buona soluzione, ma non è la migliore. I Veggenti stavano iniziando ad organizzarsi in gruppi di ribelli, avrebbero messo le mani sul Mitronio, l’avrebbero studiato e combattuto – lo stanno facendo, con Zach c’hanno provato, anche se gli avevo detto che non avrebbe funzionato.»
    Nate ripensò all’incidente della Bandiera Svizzera, alle pillole che Zach aveva ingoiato senza tanti pensieri.
    «La cura prima o poi sarebbe diventata obsoleta, bisognava pensare in modo diverso.» continuò, ma abbassò lo sguardo. «Logan Douquette venne da me, mi disse che voleva un’attenta analisi ed un’eventuale modifica del DNA di suo figlio. Voleva che fosse un Veggente e voleva che non lo sapesse mai. Vedi, ragazzo, la Veggenza non inizia a diciassette anni, come non lo inizia la sessualità. Tu hai un pene da quando nasci, solo non sai esattamente a cosa serve. Crescendo ne diventi consapevole, capisci. Diciassette anni è una buona età per iniziare la cura, ma questo non significa che non ci siano persone che inizino a vedere prima.»
    Nate continuò a guardarla fisso, non riusciva capire tutto, ma stava cercando di registrare ogni informazione nella sua mente per esaminarla poi.
    «Ci sono bambini che iniziano a vedere precocissimi, sono quelli che poi l’ADP cura come Veggenti appena dopo il test. Ad ogni modo, con lui non c’era una donna gravida ed io gli dissi che non si poteva fare, non sapevo fare un Veggente dal niente, non ero Dio. Mi serviva un ovulo o un seme, o meglio ancora tutti e due. Lui annuì e se ne andò, pensai che fosse finita lì.»
    «E invece no.» suggerì Nate.
    Dawn scosse la testa. «Mesi dopo tornò da me con una Veggente, una ragazza madre di un Veggente a sua volta. Logan me la presentò come sua moglie e come la madre di suo figlio. Dissi di no. Dissi di no così a lungo da sacrificare tutto per quel no. Poi Dhelia Gamley in Douquette venne da me, avrà avuto vent’anni. “Non ci riusciranno”, mi disse.» bevve un sorso di tè. «Feci Zach esattamente come lo voleva Logan, maschio, alto, buon metabolismo. Decise ogni cosa, colore di capelli, lunghezza del piede, tutto. Poi mi chiese se avevo risolto il problema della Veggenza.» rise. «L’avevo risolto la prima volta che era stato lì.»
    «Come?» chiese Nate, Dawn lo vide deglutire.
    «Gli ho costruito una specie di tumore su misura.»
    Nate aggrottò le sopracciglia senza parole.
    «Ho preso una manciata di cellule che sarebbero diventate ghiandole linfatiche e ho detto loro di diventare qualcos’altro. Logan era stato chiaro, voleva che suo figlio fosse un eroe, voleva che vedesse, ma che non lo sapesse. Veggente a metà, in modo da dipendere per sempre dal suo giudizio. Così feci in modo che il suo tumore rilasciasse una sostanza, in risposta agli stimoli più forti, che lasciasse inalterato un intuito più sviluppato ed inconscio.»
    «Quindi dobbiamo asportare quel tumore?» domandò Nate.
    «Quel tumore non c’è più da tempo.» Dawn sorrise. «Ci ha pensato Sean, per questo adesso il Mitronio ora lo prende da fuori e per questo lo sta uccidendo. Quello che produceva il suo corpo era armonizzato al suo organismo, per essere artificiale era molto naturale.»
    «Ma deve essere stato curato per più di dieci anni, perché continuare? Se anche in passato vedesse, non ci vede più.» obbiettò.
    Dawn rise. «Ma l’ho fatto io e Logan voleva che il suo obbediente soldatino durasse più di dieci anni. È durato quasi venti se ci pensi.»
    «E perché non…» Nate si morse la lingua prima di proseguire. «Perché non funziona più?» chiese anche se si vergognava di parlare di Zach come di una cosa.
    «Quando gli intercettatori diventano troppi, quando sono più dei cosini che vorrebbero attivare il tuo cervello, se continui ad assumere Mitronio, iniziano ad andare in giro per tenersi occupati: rallentano gli impulsi nervosi, i riflessi… Zach era già oltre il limite quando hanno iniziato a darglielo. È forte, ma se tu avessi preso tutto il Mitronio che ha preso lui saresti un vegetale da qualche anno ormai.»
    «Io non sono un Veggente.» disse Nate.
    Dawn Dandley sorrise e si sporse sul tavolo. «Ma certo che lo sei.» si strinse nelle spalle. «Lo siete tutti.»

Zach ascoltò il resoconto di Matt con attenzione, seduto su una sedia, non sul letto. Forse avrei dovuto ascoltare anche io, ma conoscevo quella storia e preferivo guardare lui. Non era più malato e lui era il primo a saperlo, si muoveva in modo diverso. Tutto il suo corpo era teso nello sforzo di mantenersi immobile, sapevo che se i suoi muscoli avessero ceduto anche soltanto per un minuto avrebbe distrutto quella stanza, forse tutto l’ospedale.
    «Lo voglio vedere.» disse cupo.
    «Cosa?» chiese Matt.
    «Quella cosa che avevo nel braccio.» spiegò fissando Matt negli occhi.
    Lui mi guardò, come se ci fosse bisogno del mio lasciapassare; mi strinsi nelle spalle, non spettava a me quella decisione.
    Matt prese l’affarino dalla tasca e glielo porse, rimanemmo tutti in silenzio mentre se lo rigirava tra le dita.
    «Mi controllava.» disse.
    «Sì.»
    Lo lasciò cadere per terra, il guscio di plastica nel quale l’aveva messo Matt si ruppe e l’affarino rimbalzò contro la scarpa di Zach, che sollevò il piede e lo spiaccicò a terra. Si alzò in piedi. «Vado a cercare mio padre.» annunciò.
    «Non mi pare una buona idea.» osservò Matt.
    Ma Zach lo ignorò completamente e guardò me. «Tu resta con Courtney.» disse prima di uscire dalla stanza.
    Mi voltai verso di lei in attesa che dicesse qualcosa, di solito era lei a farlo ragionare, a spiegargli perché una cosa era folle; non sempre la ascoltava, ma se non altro era l’unica a sapere cosa dirgli per provarci.
    «Dove sono le pistole di Becky?» chiese questa volta a Matt.

Zach raggiunse la stanza di suo padre senza farsi domande, sua madre era lì con lui e lo guardò con aspettativa e complicità, come aveva fatto per tutta la sua vita. In diciannove anni era sempre stato sicuro di una cosa: niente di tutto quello che aveva fatto per sua madre era mai stato sbagliato.
    «Però! Stai bene, Zach.» osservò suo padre.
    Zach chiuse la porta ad occhi bassi. «Avevo un microchip che ti diceva dov’ero?» gli chiese direttamente. Sentiva Sean nell’aria, se fosse stato vivo, sarebbe stato presente. E gli avrebbe portato la sua mazza da baseball.
    Suo padre fece scorrere gli occhi su di lui ed il suo sguardo rivelava la domanda che avrebbe posto se fosse stato molto più stupido: “Non ce l’hai più?”.
    Zach chiuse gli occhi scuotendo la testa, amareggiato. Non avrebbe dovuto farlo, la sua mente si riempì di immagini come dopo la morte di Sean, prima di cercare di ucciderlo: non era mai stato bravo a gestire certi colpi pesanti. Li riaprì e sbatté velocemente le palpebre per scacciare tutto tranne il presente. Guardò sua madre in cerca di aiuto e la vide mimare un respiro profondo.
    «Zach, non so se ti ricordi, ma sei stato un ragazzino piuttosto problematico.» gli spiegò suo padre con una calma ed una praticità che lo fecero infuriare ancora di più: facevano apparire tutto normale. Era normale mettere un chip all’interno del corpo del proprio figlio, era normale chiuderlo dentro il portabagagli della propria auto con le costole rotte, era normale spedirlo in accademia militare perché non obbediva.
    «Ero preoccupato. Prima di mandarti in accademia avevi provato a scappare di casa e non mi piaceva saperti a zonzo chissà dove. Avevi dodici anni!»
    Non se lo ricordava. Era scappato di casa? Quando? E per andare dove poi? Dalla testa gli partì una fitta, si portò una mano alla tempia, come per non far uscire quello che c’era dentro. Dentro c’era troppa roba. Faceva caldo, un caldo infernale.
    «Zach, dove sei? Stai guardando dove ti trovi?» gli chiese sua madre, un’eco lontana.
    Era dentro la sua giacca da Veggente, era così consumata che ce ne sarebbe voluta una nuova, Jean non lo avrebbe mai mandato da nessuna parte con quello straccio rattoppato. Guardò sé stesso come si sarebbe guardato allo specchio, guardò il taglio che aveva la giacca sotto le costole, sapeva che la cicatrice lasciata da Romeo era lì. Si guardò negli occhi.
    Lo sapevi, te lo ricordi? L’hai raccontato a Becky, gli disse sé stesso.
    “Non potevo saperlo”, pensò, ma ovviamente sé stesso intercettò quel pensiero.
    Non potevi, ma lo sapevi. Te lo ricordavi, lo sapevi.
    Zach sentì il duro del pavimento quando cadde a terra, poi uno spasmo familiare al braccio, un muscolo che guizzava indipendentemente dalla sua volontà: convulsioni.

Dhelia Doquette balzò in piedi non appena il corpo del figlio toccò terra, recuperò un portagioie dal proprio comodino e lo usò per colpire il marito alla nuca. Preso alla sprovvista, Logan Douquette finì a terra, mentre anni di gioielli e regali si sparpagliavano sul pavimento e sotto i letti dell’ospedale.
    Romeo e Jamie entrarono nella stanza senza degnare l’uomo a terra di uno sguardo, ma concentrandosi subito e solo su Zach. Jamie tirò fuori un fazzoletto dalla tasca dei pantaloni e glielo legò tra i denti per evitare che soffocasse con la sua stessa lingua, Romeo gli passò le manette.
    «Ehi.» obbiettò Dhelia Douquette.
    «Signora, di Jamie non si ricorda ed io non gli sto esattamente simpatico.» le fece notare. «Prima o poi si svegliare e non sarà di buonumore.»
    Dhelia sospirò. «Abbiatene cura.» ma stavolta guardò Jamie mentre lo diceva.
    Lui ricambiò il suo sguardo e deglutì. «Sa che lo farò, signora Douquette, l’ho promesso.»
    «In bocca al lupo con suo marito.» le augurò Romeo, prima di afferrare Zach sotto le braccia e trascinarlo fuori. Jamie salutò la donna con un cenno della testa, poi chiuse la porta inchiavandoli dentro.

Fummo veloci, il tempo di prendere le mie pistole, il tempo necessario a Courtney di legarsi i capelli e recuperare un manganello che aveva nascosto chissà dove, il tempo che Matt ci dicesse “Vado a rubare una macchina, ci vediamo in garage”.
    Non lo fummo abbastanza, la situazione era già precipitata.
    In prossimità della camera dei genitori di Zach ci trovammo invischiati in una guerriglia tra i Veggenti, che avevano creato un fronte compatto per non far passare nessuno, e gli agenti dell’ADP, decisi a raggiungere e liberare il loro più grande benefattore.
    Io e Courtney rimanemmo immobili a guardarli per una manciata di secondi, senza capire. Eravamo lì per aiutare Zach a difendersi e liberarsi definitivamente dal controllo ossessivo di suo padre, ma la realtà era che forse, a quel punto, avremmo dovuto aiutare lui.
    Perché i Veggenti avevano attaccato Logan Douquette e sua moglie così, di punto in bianco, proprio il giorno di Zach poi? Non aveva senso, c’erano state altre mille occasioni migliori di quella da quando era lì.
    Un guizzo rosso attirò la mia attenzione. Dietro il muro all’apparenza inviolabile di Veggenti c’erano Romeo e Jamie che trasportavano qualcosa… qualcuno…
    Mi voltai prima che il mio cervello mettesse insieme tutti i dettagli. C’era un altro ascensore dall’altra parte e loro dovevano per forza scendere per uscire di lì.

Jamie e Romeo raggiunsero l’ascensore ed entrarono non appena le porte scorrevoli si aprirono. Romeo premette il pulsante del parcheggio, mentre Jamie appoggiava con delicatezza Zach alla parete, come un giocattolo rotto, ma prezioso. Aveva smesso di avere le convulsioni da un po’, ma era rimasto incosciente, ogni tanto il suo corpo era ancora scosso da un tremito, ma sospettava che fosse per quello che stava vedendo dietro le sue palpebre abbassate. Sapeva cosa stava vedendo: un mondo spaventoso ancora lontano da loro, ma che presto li avrebbe raggiunti.
    L’ascensore non si mosse.
    «Siamo in ritardo.» lo informò Romeo. «Hanno bloccato gli ascensori.»
    «Siamo Veggenti, come facciamo ad essere in ritardo?» sbottò Jamie facendosi aria. «Non poteva essere un po’ più piccolo?»
    «Che facciamo?»
    Lui continuò ad osservare Zach, somigliava a Sean. «Io resto, li trattengo, tu prendi le scale. Chiama qualcuno perché ti aiuti e…»
    Smise di parlare al suono di passi che si avvicinavano e si voltò metà curioso e metà preoccupato, imitato da Romeo.
    Jean Roberts si avvicinò a loro. Entrò nell’ascensore e si accucciò accanto a Zach, gli sfiorò il viso; Jamie e Romeo rimasero immobili a guardarla, senza sapere bene come comportarsi.
    «Perché è svenuto?» domandò lei.
    Romeo deglutì e prese fiato. «Sovraccarico.»
    «Starà bene?» chiese guardandolo.
    Fece di sì con la testa, Jamie si sorprese di trovare nello sguardo di Romeo una tale deferenza, come se si fosse trovato davanti un essere mistico, una regina, qualcuno di intoccabile. Era solo una Responsabile.
    «Okay.» Jean si alzò ed uscì dall’ascensore, recuperò la propria tessera personale – erano poche le porte che non si sarebbe aperte davanti a lei con quella – aprì un piccolo sportello, sistemato sotto il pulsante di chiamata dell’ascensore, ed il coperchio rivelò una fessura.
    «Jean, mi dispiace per Josh. Non lo sapevo, io pensavo…» borbottò Romeo fissandola, si sentiva in colpa e Jamie lo sapeva. Aveva cercato di salvare Josh, si era impegnato, ma lui si era buttato da quel palazzo comunque; non c’era motivo di colpevolizzarsi, Josh era già distrutto per sempre, avevano combattuto una battaglia già persa.
    Jean tenne gli occhi fissi su di lui, mentre infilava con delicatezza la propria tessera nella fessura. «Non fermarti.» disse, poco prima che le porte scorrevoli si chiudessero tra i loro due mondi. E Jamie si disse che in fondo, dopo tutto, Jean Roberts non era soltanto una Responsabile.

Il mio ascensore e quello che trasportava Romeo, Zach e Jamie si aprirono contemporaneamente, in un momento di simbiosi tecnologica che non sarebbe capitata mai più.
    Sollevai le pistole davanti a me, una puntata su Romeo, l’altra su Jamie, non sapevo a chi sarebbe toccato il Mitronio, non mi interessava. Romeo mi guardò i suoi occhi erano enormi e nel suo sguardo c’era determinazione e sfida, perché lui lo sapeva, lo sapeva dall’inizio, dalla prima volta che ci eravamo incontrati, che ci saremmo trovati lì, che lui sarebbe stato all’interno del mio raggio di tiro. Ci aveva pensato, si era preparato, lui aveva deciso, aveva deciso di non tirarsi indietro; anche se potevo sparargli, anche se mi ero vista farlo, lui era venuto lì e non sarebbe scappato.
    «Scegli, Rebecca Farrel, conosci le conseguenze di ogni tua azione: le hai viste.»
    Zach sollevò le palpebre, il suo sguardo vagò per il garage, prima spaesato, cercando di raccogliere più dettagli possibili del luogo dove si trovava, poi febbrile, mentre realizzava. Trovò me, i suoi occhi si spalancarono di sorpresa e paura, verdi come i prati che non esistevano a Synt. Mugugnò forte, ma non sapevo se stava cercando di dirmi di scappare o di aiutarlo.
    Mi sta chiedendo di aiutarlo ed io non so che fare…
    Jamie cercò di tenergli ferme le gambe, ma lui riuscì comunque ad assestargli un calcio ben fatto. «Ahia! Maledetto marmocchio, i calci li prendo sempre io.»
    Lui non lo stava ascoltando, guardava me. Non so cosa pensasse: mi odiava perché ero immobile davanti a lui e non lo stavo aiutando? Era preoccupato perché temeva mi facessero del male? Avrei avuto modo di chiederglielo in futuro? Per terra, imbavagliato ed ammanettato, in disordine e fradicio di sudore, non sembrava niente di più di quello che era: un ragazzo di diciannove anni.
    Un ragazzo che avevano avvelenato per diciannove anni.
    «Devi andare con loro.» dissi abbassando le pistole. «Io lo so che non capisci e mi odierai per averti tradito, ma…» deglutii, volevo essere ovunque tranne lì. «Loro ti aiuteranno.»
    Zach smise di mugugnare, ma nel suo sguardo non c’era accettazione né comprensione: era sconvolto, offeso, io lo stavo tradendo. Di nuovo.
    «Mi dispiace.» piansi. Ero armata, potevo salvarlo, ma avrebbe significato condannarlo a qualcosa di peggio. Perché quella decisione toccava me? Mi avrebbe odiata per sempre.
    «Se non lo faccio, ti consumerai.» deglutii. «Ti ho visto indebolirti, i tuoi occhi si offuscheranno e diventeranno grigi, perderai i capelli a manciate.»
    Zach mi fissava e basta, immobile.
    «Ti serve un alibi, ragazzina.» mi suggerì Romeo.
    Distolsi lo sguardo dal suo perché non riuscivo più a sostenerlo, scossi la testa. «Vi siete fatti scudo con lui, mi sono lasciata prendere dall’emotività e non ho avuto il coraggio di sparare.»
    Romeo ghignò. «Hai proprio talento.»

Matt mi trovò seduta per terra, in mezzo al parcheggio con le ginocchia strette al petto e le pistole accanto a me. Mi si fermò di fronte e si accucciò. «Stai bene?»
    Non risposi, deglutii. «Si sono nascosti dietro Zach, non ho avuto il coraggio di sparare.»
    Lui mi guardò ed io pensai distintamente che non poteva credermi, non dopo tutto quello che avevamo fatto, non dopo tutto quello che ci eravamo detti.
    «Davvero?» domandò e si sedette accanto a me. «Ho consegnato le chiavi del fuoristrada a Ryan perché portasse Jamie Ross, Romeo e Zach imbavagliato via di qui.»
    «Perché l’hai fatto?»
    «Ryan mi ha detto che li avevi lasciati andare.» si strinse nelle spalle. «Se tu ti fidi, io mi fido.» disse offrendomi la mano.
    Io la strinsi, grata di quel piccolo conforto.
    Nate ci venne a prendere circa un’ora dopo con uno dei fuoristrada che erano in caserma, non ci chiese niente e non ci disse niente, ma tutti sapevamo che era sparito per ore e tutti sapevamo dove era andato. Salii sul sedile posteriore, Matt su quello del passeggero. «Dove andiamo?» chiese.
    «Torniamo in caserma, non abbiamo più niente da fare qui.» ci disse, mentre usciva dal parcheggio. «E le verdure.» aggiunse, ma sembrò costargli una fatica immane. «Non si mangiano verdure che non abbiamo comprato noi, niente di quello che ci arriva dall’ADP. È un ordine da Caposquadra.» incrociò il mio sguardo nello specchietto retrovisore, ma lo distolse subito dopo.

Courtney saltò sul tetto della caserma dei pompieri, ovviamente non poteva stare su quello della caserma dei Veglianti, non si sentiva sicura anche se erano passate ore ed era notte. L’ADP, sotto ordine di Wood, presidiava la caserma fino al suo arrivo.
    Ad un certo punto i Veggenti in ospedale si erano arresi ed avevano sciolto le righe per andarsene, Logan Douquette era stato liberato, aveva raccontato che il Veggente dai capelli rossi lo aveva colpito ed aveva approfittato del fatto che sua moglie avesse cercato di soccorrerlo per portare via Zach.
    Tutte le forze dell’ordine presenti in quel momento gli avevano giurato che avrebbero ritrovato suo figlio ed alle orecchie di Courtney quella dichiarazione era suonata come una sentenza di morte.
    Romeo sbucò fuori dopo quasi un’ora, un’ora durante la quale Courtney aveva pensato che Becky gli avesse effettivamente sparato – con quella ragazza non si poteva mai sapere. Solo in quel momento però, si rese conto che una parte di sé stessa era stata in pensiero per lui e si sentì sollevata nel vederlo sano e salvo.
    «Hai rapito Zach.» lo accusò.
    «Sto cercando di aiutarlo.» ribatté lui.
    Lei scosse la testa e si avvicinò. «Sta arrivando Wood.»
    «Lo so.» rispose.
    «Vi daranno la caccia.»
    «Lo so.» ripeté.    
    «Batteranno tutta Synt a tappeto.»
    «Lo so.» la guardò annoiato. «Dimmi qualcosa che non so.»
    «Zach sta bene?»
    Lui le posò le mani sulle spalle. «Sta bene e starà bene, hai la mia parola, Courtney.»
    Strinse le labbra e deglutì. «Ti troveranno?»
    Romeo scosse la testa con un sorriso divertito a piegargli le labbra.
    «Dovrò darti la caccia.» continuò lei, fissandolo.
    Lui rimase in silenzio per qualche secondo, smise di guardarla e la sua espressione divenne molto seria, poi: «Sì, dovrai.» allontanò le mani da lei, come se quel paragrafo di vita finisse lì e tutto, presto, sarebbe rientrato in schemi già conosciuti, già affrontati.
    Courtney prese la mano che si stava allontanando da lei e si avvicinò. Romeo non si mosse quando si avvicinò ancora, non era armata, non era pericolosa, non voleva esserlo. Chinò il viso verso di lei quando fu troppo vicina perché riuscissero a guardarsi negli occhi.
    «Promettimi di nasconderti, non farti trovare. Scappa quando sarò troppo vicina.»
    Romeo appoggiò la fronte contro la sua. «Ti prometto che mi nasconderò.» mormorò, le loro labbra si sfioravano quando parlava. «Ti prometto che non mi troverai, penserai che me ne sia andato, crederai che io non sia mai stato qui.»
    Courtney sapeva di doversi allontanare, ma semplicemente non voleva.
    «Scapperò quando sarai troppo vicina, ma non mi piacerà.»
    «È una promessa?» chiese Courtney porgendogli il cercapersone perché lo riprendesse.
    Romeo lo guardò, poi le strinse le dita per farglielo tenere. «Te lo prometto.»
    Courtney fece un passo indietro e chiuse gli occhi. «Uno…» iniziò a contare.
    Arrivò a cento, quando li riaprì Romeo non c’era più.


dunque... beh, ammetto che tutta la parte che riguarda la genetica di Zach ed il funzionamento del Mitronio è frutto di ore di chiacchiere notturne tra me ed il mio ragazzo...
medico? biologo? chiederete voi.
no, ingegnere. ingegnere lui, linguista io, capirete che è tutto molto teorico, quindi, no, se andate da un genetista, non vi fa Zach.
... era tanto per mettere in chiaro...
scherzi a parte, se tra voi ci sono genetisti, biologi, medici, tuttolgi che troveranno degli errori, senza alcun rancore, ci sono, lo ammetterò davanti ad ogni corte con ogni giudice e vi vorrò bene come prima...

dunque, l'epilogo verrà pubblicato venerdì 12

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Capitolo 31
*** 30. Epilogo ***


MSC 29 fragolottina's time
non credevo di arrivare fin qui, ma, signori e signore, ce l'abbiamo fatta.
dichiaro "Il Mitronio di Synt" ufficialmente chiuso.
leggete che ci vediamo più giù!


30.
Epilogo


Zach aspettò di essere sicuro che sua madre e suo padre dormissero prima di saltare giù dal letto. Si infilò le scarpe da ginnastica ed il giubbotto sopra il pigiama, poi, silenzioso, uscì in corridoio. Scivolò fuori di casa e scavalcò la staccionata che divideva il suo giardino da quello dei vicini.
    Jamie era già lì, seduto su una delle sdraio che costeggiavano la piscina esterna. «Ciao, Zachy. È bello sapere che funzioni ancora.» lo salutò con un mezzo sorriso.
    «Ciao.» Zach si sedette vicino a lui. «Papà dice che Sean è morto.» disse deglutendo, si morse le labbra prima di continuare. «Ma non può essere, vero?» domandò speranzoso. Zach lo sentì trattenere il fiato, poi lasciarlo lentamente andare; più che abbassarsi le sua spalle sprofondarono.
    «Sean è morto per davvero.»
    Zach lo spinse. «Non è vero.»
    Jamie incassò. «Sì.»
    «No, sei un bugiardo.»
    «L’ho seppellito.»
    Zach rimase immobile, come aspettando che la terra improvvisamente inghiottisse anche lui, poi strizzò gli occhi e si tolse le lacrime dalle guance con un gesto furioso. «Perché tu non hai fatto niente se eri con lui?» pianse spingendolo ancora.
    «Perché quel figlio di puttana l’aveva visto e mi ha drogato.» rispose con semplicità, si strinse nelle spalle. «Pardon, è anche tua madre.»
    Zach rimase in silenzio tanto a lungo che pensò di essersi dimenticato come si facesse a parlare. «Come?» domandò poi.
    «Una bomba è esplosa.»
    «Chi ce l’aveva messa?»
    Jamie rimase in silenzio, parve pensarci; lo guardò. «Eravamo in guerra, in guerra accadono cose brutte, le persone muoiono, non c’è un colpevole, non cercarlo.» ripeté come se stesse leggendo un discorso già scritto.
    «Sono le stesse cose che ha detto la mamma.»
    «Per questo te lo dico anche io.»
    Zach gli afferrò il braccio scrollandolo, frustrato, arrabbiato, furioso come solo la disperazione lo poteva rendere; ma finì per appoggiarci la fronte e piangere.
    «Devo portarti via di qui.» disse Jamie più a sé stesso che a Zach.

Nate si decise ad aprire la busta gialla che era stata chiusa sulla sua scrivania tutto il giorno. Gliela aveva consegnata Jean, era tra le poche lettere cartacee che ancora le arrivavano; niente timbro postale, niente mittente, solo il suo nome, scritto sopra con un segno frettoloso di pennarello nero.
    La aprì piano e tirò fuori il contenuto.
    Era un rapporto sanitario dell’esercito, lesse la lista dei paesi interessati: buona parte dell’Africa Mediterranea e Centrale veniva indicata come zona rossa; Siria, Turchia ed Irak erano zona nera.
    Nate continuò a leggere senza capire di cosa si parlasse, analizzò i numeri, si contavano migliaia di morti, nessun guarito.
    “I soggetti beta mostrano la completa immunità al virus”.
    Virus? Era di un virus che si parlava? Perché non ne sapeva niente?
    Il fascicolo che seguiva era una collezione di macabre foto di cadaveri. Le vittime di quel virus apparivano estremamente sciupate e sgonfiate in qualche modo, come se fossero state consumate dall’interno. Erano coperti da macchie nere e rosse sui bordi, come lividi, ma molto più scuri e pronunciati.
    Corse a leggere il fascicolo che descriveva quel virus e gli stadi del contagio.
    Congestione delle vie respiratorie superiori.
    Iniziava come un raffreddore e rimaneva raffreddore per un tempo variabile che andava dai cinque agli otto giorni. Poi l’infezione scendeva ed interessava bronchi, polmoni, iniziando a penetrare le vie circolatorie periferiche; si indebolivano e si rompevano facilmente, da lì le macchie nere, accumuli di sangue. A mano a mano che la malattia progrediva il virus si faceva strada sempre più in profondità sfruttando la circolazione sanguigna. Nel frattempo la vittima accusava emorragie, spossatezza, tosse con sangue, per non parlare del fatto che il sangue raggrumato in macchie nere provocava infezioni. Due erano le principali cause della morte: emorragia interna o arresto cardiaco.
    Il contagio avveniva maggiormente durante la prima fase, con le stesse modalità di un raffreddore.
    Nate rimase a pensare per alcuni secondi: quanto avrebbe impiegato ad attraversare l’Atlantico?
    Tra i vari fascicoli c’era anche un’altra busta, quello però era il rapporto di un medico specializzato in epidemie – quella parola gli mise i brividi – e c’era una fiala di sangue. Per un lungo momento, Nate non ebbe il coraggio di toccarla, terrorizzato all’idea di potersi contagiare. Ma sopra la fiala c’era un’etichetta: “Sei un soggetto beta”.
    Tirò fuori la fiala, poi tutto il resto, compresa una lettera.
    “Puoi fare niente?”.
    Nate non lo sapeva.

Ero di nuovo seduta ad un tavolo davanti agli agenti dell’ADP. Wood era dall’altra del vetro insieme a Jean. Mi avevano già interrogata molte volte ed io avevo dato la stessa versione dei fatti che avevo raccontato a Jean, al cimitero, davanti alla tomba di Josh.
    Da quando Wood era arrivato a Synt erano pochi i posti davvero sicuri.
    «E quindi, Vegliante Farrel, ci dica ancora una volta perché è scesa nei garage dell’ospedale?»
    Alzai gli occhi al cielo, stanca di sentirmi porre sempre le stesse domande. Aspettavano che mi contradicessi da sola per cogliermi in fallo, ma non l’avrei mai fatto.
    «Stavano trascinando Zach, dovevano avere un’auto ad aspettarli, non potevano fare molta strada tenendolo tra le braccia.» dissi pratica.
    «Perché non ha sparato?»
    «C’era Zach, avevo paura di colpirlo.» ripetei annoiata. «Esattamente come l’ultima volta che ve l’ho detto.»
    «Eppure le sue pistole erano cariche di sedativo o Mitronio, non pericolose per Zach.»
    Sospirai. «Ma era stato molto male, avevo paura di peggiorare la sua situazione.»
    «Capisco.» disse uno degli agenti. «Crede che i Veggenti gli faranno del male?»
    Mi strinsi nelle spalle. «Non posso saperlo.»
    «A lei non ne hanno fatto.» ricordò l’altro.
    «No.»
    «Perché dovrebbero farne a lui?»
    «Ha ucciso molti più Veggenti di me.» spiegai, poteva essere un’ottima motivazione, in realtà lo era.
    «Crede che i Veggenti possano raccontare abbastanza bugie a Zach da convincerlo a passare dalla loro parte.»
    «No.» dissi.
    «Sa come potremmo fermarlo in quel caso.»
    Mi incupii. «Ho risposto di no.»
    «Se si sbagliasse…» insinuarono.
    «Non mi sbaglio.»
    «Mattiamo che Zach riuscisse a scappare dalla prigionia dei Veggenti.» intervenne l’altro agente. «Se fosse in lui, dove si nasconderebbe?»
    Per alcuni secondi rimasi zitta, pensai a Zach, a quello che era ed a quello che sarebbe stato. Lanciai un’occhiata a Jean e la vidi stringere le labbra in una linea severa, sapeva che le mie parole, seppur pronunciate con leggerezza, avevano un peso enorme.
    Una dichiarazione di guerra in pentametri giambici è se pur sempre una dichiarazione di guerra.
    «Se io fossi lui…» finsi di pensarci poi risi. «Se io fossi lui non mi nasconderei.»

Zach aveva tirato per la stanza tutto quello a cui arrivava. Aveva ribaltato il letto, ogni singolo piatto che gli avevano portato, anche il secchio che gli avevano indicato come bagno. Aveva pisciato in un angolo perché voleva essere infantile e fastidioso. Non aveva buttato l’acqua perché non era stupido.
    Quella notte però quando aprì gli occhi, accartocciato sul materasso contro un angolo, la porta era aperta. Non sapeva che ore fossero, aveva cercato di tenere regolarizzate le ore di sonno e di veglia, in modo da poter essere sicuro dello scorrere del tempo, ma a volte, nonostante fosse guarito, si sentiva ancora spossato e non riusciva a rimanere sveglio fino all’ora della nanna.
    Zach si sollevò sui gomiti, osservandola come la trappola che doveva essere: perché rapirlo se non volevano tenerselo?
    Anche se non sarebbe stato il primo con cui lo facevano: Becky era tornata, ma evidentemente se l’erano tenuta abbastanza per plagiarla.
    Si alzò ed afferrò la bottiglia d’acqua, ne prese un lungo sorso, non sapeva se gli sarebbe potuta servire come arma e non voleva stare lì a rimuginarci in quel caso.
    Dovunque si trovasse sembrava una specie di ospedale in disuso, c’erano una miriade di stanze, lui provò ad aprirle tutte, ma solo alcune erano state lasciate aperte: c’era un posto preciso dove volevano che andasse. Decise di seguire il percorso che gli avevano lasciato, più veloce che poteva.
    In qualche modo i corridoi lo portarono sotto terra, in una serie di cunicoli dall’aria intricata.
    Attraversò varie gallerie prima di trovarsi all’interno del pozzo di luce – forse un lampione – di un tombino. Si aggrappò alla scala e spinse per sollevare il coperchio di ferro, si issò nella strada deserta di una Synt sotto coprifuoco. Era nella Zona Gialla e pensò con nostalgia a Nate, si allontanò da loro non appena il ricordo di Becky rischiò di affiorare nella superficie di delusione fangosa in cui l’aveva seppellita.
    Per un po’ rimase fermo in mezzo alla strada, era stato molto motivato nella fuga, ma a quel punto non sapeva bene dove andare.
    La caserma gli sembrò l’unica opzione possibile.
    C’erano Veglianti ovunque, non ne conosceva nessuno.
    Gli sembrava di ricordarsi di alcuni, forse li aveva incontrati all’Asta, ma erano ospiti. Erano goffi e rumorosi, Jean non li avrebbe mai portati a casa. Si ricordava gli allenamenti che faceva con Courtney: uno dei due si bendava e l’altro doveva avvicinarsi il più possibile senza farsi sentire. Quelli sarebbero stati semplici da trovare anche per una mezza cheerleader come Becky.
    Per un po’ rimase nascosto ad osservarli, indeciso; si sentiva stranamente disorientato: quella era la sua città e quelli, anche se non facevano parte della sua squadra, erano Veglianti, dovevano essere colleghi… no? Un paio di volte fu sul punto di fare un passo in avanti, uscire dall’ombra, mostrarsi. Lo cercavano perché erano preoccupati per lui.
    Non ci riuscì, ogni volta che si immaginava farlo i suoi battiti acceleravano e sentiva il panico mordergli lo stomaco, la cicatrice lasciata da Romeo pulsare come un avvertimento.
    Alla fine si arrese a strisciare di soppiatto verso la caserma.
    Scese all’interno del palazzo di fronte perché gli sembrò l’unico modo di sbirciare la situazione all’interno. Ricordava a memoria tutti gli appartamenti vuoti. Si infilò in una camera da letto abbandonata da tempo, rimaneva soltanto lo scheletro di un letto, un materasso puzzolente e macchiato ed uno specchio mezzo rotto.
    Vedeva il corridoio del primo piano, le loro camere.
    Vedeva Becky.
    Camminava a testa alta. Cercò nella propria mente la ragazzina che aveva tenuto per mano il giorno dell’Asta e la stessa che rispondeva male al soldatino dentro la scatola, straordinariamente due facce della stessa medaglia; gli era piaciuta per quello, l’aveva fatto ridere e… sì, se Jean avesse saputo che aveva portato a casa una recluta perché lo aveva fatto ridere gli avrebbe dato un cazzotto, ma Josh gli aveva sempre detto di prendere le cose che lo colpivano.
    Una ragazza ispanica le si affiancò con aria determinata, aveva l’aria familiare, ma non se la ricordava esattamente.
    Becky si fermò e per un attimo gli sembrò turbata, ma poi si girò ad affrontarla.
    La ragazza la spinse, le disse qualcosa. All’inizio Becky gli sembrò dispiaciuta, andò addosso al muro come una bambolina di pezza, ma rimase in piedi. La ragazza continuò a parlare, Zach poté leggere nella sua espressione il momento in cui disse troppo: Becky strinse i pugni e sollevò il viso, il suo sguardo conteneva la consapevolezza di poter vincere, sempre.
    La ragazza tirò indietro il pugno per darle un cazzotto, ma all’ultimo Becky si abbassò e la ragazza colpì il muro con abbastanza forza da rompersi qualcosa se non avesse stretto bene. Becky non aveva finito: a terra si appoggiò sulle mani ed allungò una gamba dietro le sue, indovinando che sarebbe indietreggiata. La ragazza cadde goffamente sulla schiena.
    Becky si alzò e si guardò intorno tirandosi indietro i capelli, assicurandosi che non l’avesse vista nessuno; poi si sporse a guardare la sua avversaria a terra.
    «”E ringrazia che Wood mi fa consegnare le pistole”.» disse una voce alle spalle di Zach.
    Lui continuò a guardare Becky infilarsi nella sua camera, poi si voltò a fronteggiare Romeo.
    «Era Amanda Martinez, Iago era suo fratello.» spiegò recuperando un pacchetto di sigarette dalla tasca, ne prese una, poi lo lanciò verso Zach che lo prese al volo. «Becky l’ha ucciso e lei ha detto che per vendetta avrebbe ucciso te.»
    Zach rimase guardingo per alcuni secondi, poi ne prese una a sua volta; se la porto alle labbra leccando la parte posteriore del filtro come faceva sempre. Tornò a guardare verso la caserma.
    «Affascinante, vero?» indovinò Romeo. «Becky al momento è tipo una lampadina a basso voltaggio: si sta accendendo ed ogni momento che passa brilla un po’ di più.»
    Zach continuò a pensarci, era stata brava, intelligente. Era sempre la stessa Becky, non molto forte e poco portata al combattimento corpo a corpo, ma era stata abbastanza sveglia da sfruttare l’impeto e la rabbia cieca della sua avversaria a suo favore. Magari però la prossima volta se ne sarebbe occupato lui…
    «Non si fa del male ai Veglianti.» Romeo irruppe nei suoi pensieri come se avesse parlato a voce alta. Gli si avvicinò e continuò. «Per quanto possibile, non ci piace nemmeno farci catturare o bistrattare, ma… sono come noi e non lo sanno, sarebbe sleale prendersela con loro. Non sono il nemico.»
    «Io non sono il nemico?» chiese a Romeo, scettico mentre si voltava a guardarlo.
    Lui scosse la testa.
    «E chi è allora?»
    Romeo ci pensò. «È un po’ più complicato di così, ma posso spiegartelo.» propose. «Però ho bisogno di sapere che vuoi fare.»
    «Che voglio fare?» domandò Zach confuso lanciandogli appena un’occhiata.
    «Posso farti andare via da qui, trasferirti in un posto dove nessuno ti cercherà, farti sparire. Non sei obbligato a restare.»
    Zach si concentrò sulla caserma, appoggiò le braccia all’intelaiatura, ormai vuota, della finestra e buttò fuori una boccata di fumo che guardò salire in alto. Le luci iniziavano a spegnersi, non li vedeva più, ma sapeva che dentro c’erano i suoi amici, gli unici che avesse mai avuto; loro sarebbero rimasti, avrebbero lottato. Guardò Romeo, sospettoso.
    «Sai cosa ti risponderò, vero?»
    Lui rise. «Posso dirti di no se la cosa ti fa sentire meglio.»
    Zach alzò gli occhi al cielo e scosse la testa, poi tornò a qualcosa che Romeo gli aveva detto poco prima. «Sono come te?»
    Romeo lo guardò. «Quasi, mi somigli parecchio e sai fare quello che faccio io.» indicò con un cenno del capo la caserma alle sue spalle. «Loro sono esattamente come me.»
    «Anche Becky?»
    «Sì.»
    Zach si sentiva disorientato, non tanto per quello che Romeo gli stava dicendo, quanto per il come: niente indovinelli, niente frasi a metà, niente misteri; la verità, tutta la verità, era semplicemente alla portata delle sue domande.
    Lo guardò come se improvvisamente stesse ricordando qualcosa. «Io però non vedo.»
    «Vedrai.» promise Romeo. «Anzi, credo che tu abbia già iniziato a sognare qualcosina.»
    Zach non si sbilanciò, non disse niente.
    «Comunque, io torno a casa, ti ricordi la strada?» gli domandò.
    «Non hai paura che scappi? Non vuoi riportarmi con te?»
    Romeo si stiracchiò. «Non stai scappando e non credo che lo farai.» osservò prima di scuotere la testa con aria stanca. «E poi fai casino se ti teniamo dentro. Oh, ti conviene pulire il bordello che hai lasciato perché quella continuerà ad essere la tua stanza.» lo rimproverò.
    «Se resto.» puntualizzò.
    Romeo lo congedò con appena lo sventolio di una mano mentre si dirigeva verso la porta. «Sì, sì, come ti pare. L’ultima nave parte domani all’alba quindi sbrigati a prendere una decisione ovvia.» si raccomandò. «Una volta fatto passa a trovare Ryan, non si combattono i Veglianti armati di Wood a mani nude.»
    «E si mi prendono?»
    Romeo rise. «Prenderti? Tu non sei mai riuscito a prendermi.» gli ricordò, poi fece una smorfia. «Solo, attento a non far arrabbiare Becky perché lei ci spara davvero.»
    «Sì, me lo ricordo.» borbottò Zach contrariato.

Due giorni dopo che Jamie aveva cercato di farlo uscire dal paese con dei documenti falsi, Logan Douquette salì le scale diretto in camera di suo figlio. Dhelia era sul divano al piano di sotto, presente solo a metà, troppo stordita dai calmanti per avere davvero coscienza di sé: la morte di Sean e la successiva quasi scomparsa di Zach le avevano causato un crollo nervoso.
    Suo figlio era seduto per terra, con la schiena contro il letto.
    «Zach?» lo chiamò osservandolo, aveva gli occhi chiusi, ma gli sembrava piuttosto inusuale che si fosse addormentato in quel modo.
    «Zachy, stai bene?» chiese ancora.
    Zach aprì gli occhi e lo fissò, Logan Douquette fece un passo indietro con un brivido; erano i suoi occhi, ma Zach lo guardava con lo stesso sguardo di sfida di Sean.
    «Ce l’hai messa tu quella bomba.» disse, non aveva l’intonazione di una domanda, anzi, da come venne posta, sembrava che il primo sorpreso fosse lui.
    «Cosa?»
    «Sei stato tu ad uccidere Sean.»
    Logan rimase zitto, poi aggrottò le sopracciglia. «È stato Jamie a dirti una cosa simile?» gli chiese.
    Zach si alzò in piedi, aveva il manico della mazza da baseball che gli aveva regalato stretto in un pugno. Scosse la testa in lacrime. «L’ho visto.»
    Logan trascinò Zach al pronto soccorso e lo scaricò come immondizia, sopra una brandina. Urlava ancora, aveva urlato per tutto il tempo, tossendo e bussando sul portabagagli. Non si era fatto impietosire, non era un bambino vero, era troppo pericoloso lasciarlo diventare tanto consapevole di sé stesso. Sean aveva fatto un casino.
    «Rimettetelo apposto, dategli tutto il Mitronio che riesce a reggere e chiamate Dawn Dandley: non voglio che ricordi niente di questa notte.» ordinò ai medici che vennero a soccorrerlo. «Anzi…» si corresse fissando gli occhi di suo figlio spalancati ed impauriti. «Fate in modo che ricordi un pochino, che sappia che non può fare di testa sua, che gli ordini li do io.»
    «Io non dimenticherò.» promise Zach, la voce arrochita per aver strillato tanto.
    Logan si chinò su di lui. «Certo che lo farai. E nessuno potrà ricordarti come sei: Sean è morto, Jamie non può rientrare nello stato senza essere arrestato, tua madre sta lentamente andando fuori di testa: sei solo. Chi ti aiuterà?»
    Lui deglutì e cercò arrivando più lontano che poté, trovando aiuto nel futuro visto che non poteva averne nel presente. Sorrise. «Un Vegliante dai capelli rossi.»


eccomi...
oddio, ce l'ho fatta!!
e ad un prima occhiata mi pare che quadra tutto!!

dunque procediamo con i ringraziamenti.
come sempre ringrazio di cuore le prime recensitrici, quelle che hanno preso la mia storia, sconosciuta, potenzialmente folle e decisamente lunga - il primo capitolo conta 4642 parole, rendiamoci conto - e mi hanno detto: Daje! grazie, siete state fondamentali!
poi un grazie a tutte quelle che in queste anni - no, dico, parliamo di anni - mi hanno supportata, voluto bene, incoraggiata, aspettata. siete state dolci, pazienti, educate e gentili quando sbagliavo, piene di cose carine da dirmi anche quando qualcosa non vi convinceva.
spero di essere stata in grado di ricambiare tanto affetto. tirate fuori il meglio di me, mi fate venir voglia di scrivere sempre meglio, di offrirvi letture sempre più interessanti, perchè ve lo meritate.
e, oh, nel caso io fossi stata poco gentile qualche volta, chiedo scusa: ho anche io le mie giornate no ed anche io posso essere di cattivo umore, ma sappiate che niente di quello che mi avete detto è stato soffiato al vento.

progetti futuri.
allora, mi fermerò un pochino per due motivi: primo, devo strutturare la trama del secondo capitolo della saga e se non vogliamo impiccarci in buchi logici impossibili da sbrogliare, bisogna fare un lavoro minuzioso; secondo, non ridete, voglio aggiustare il Mitronio e mandarlo a qualche casa editrice, tanto per vedere che fa.
non ridete, c'ho pensato tanto. la prima a credere che non sia abbastanza buono sono io, fidatevi, è che ho pensato che ci ho lavorato tanto - e ci lavorerò tanto - e tutto sommato a provarci non perdo niente, no?
se voleste incrociare le dita per me non sarebbe male!

le dolenti note.
furbette, dopo essermi fatta una cultura sul sito della SIAE ed aver chiesto al mio avvocato tutto quello che potevo in merito, ho scoperto questo: rendere on-line e fruibile una storia su un sito pubblico, rappresenta già di per sè una dichiarazione di proprietà. questa storia e tutte le altre sono legalemente mie.
risparmiatevi l'umiliazione di dire alle vostre lettrici "Mi fate i complimenti per una storia non scritta da me".
in questo, lettrucciole, vi chiedo aiuto. sono presente e lo sarò nonostante il mio periodo di pausa, ma siccome non sono in tutti i luoghi e in tutti i laghi, a differenza di Valerio Scanu, non posso esserlo, nel caso vediate cose sospette, storie che vi puzzano, idee che non vi sembrano proprio originali e soprattutto il copia/incolla, vi prego, segnalate a chi di dovere ed avvertitemi, ve lo chiedo come favore personale.
anche perchè, come scritto sulla mia pagina personale, non autorizzo riproduzioni della mia storia, in nessuna lingua ed in nessun sito. le mie storie sono a mio nome e pubblicate su EFP, tutto quello che trovere al di fuori non ha la mia autorizzazione.

vi lascio i miei contatti: Fragolottinasfanpage e Twitter sappiate che potete cercarmi per ogni cosa, ispirazioni, consigli su tutto quello che vi viene in mente di chiedermi consiglio - a vostro richio e pericolo obviously!
vi voglio bene!
baci


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