Il Mitronio di Synt di fragolottina (/viewuser.php?uid=66427)
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** 0. Atom Day - 1. Asta ***
Capitolo 2: *** 2. Synt ***
Capitolo 3: *** 3. Benvenuta ***
Capitolo 4: *** 4/1. Zona gialla ***
Capitolo 5: *** 4/2. Zona gialla ***
Capitolo 6: *** 5. Centro ***
Capitolo 7: *** 6. Raccogli pensieri ***
Capitolo 8: *** 7. Sola ***
Capitolo 9: *** 8. Il Cappellaio Matto ***
Capitolo 10: *** 9. Il soldato perfetto ***
Capitolo 11: *** 10. Prima o poi ***
Capitolo 12: *** 11. Non andare ***
Capitolo 13: *** 12. Il nostro esercito ***
Capitolo 14: *** 13. Stanotte ***
Capitolo 15: *** 14. Ci servi ancora ***
Capitolo 16: *** 15. Fallimento ***
Capitolo 17: *** 16. Ricostruire ***
Capitolo 18: *** 17. Sono già scappato ***
Capitolo 19: *** 18. Tutto quello che ci serve ***
Capitolo 20: *** 19. Indiani e Cowboy ***
Capitolo 21: *** 20. Pari ***
Capitolo 22: *** 21. Un coltello e una pistola ***
Capitolo 23: *** 22. Tutto in una notte ***
Capitolo 24: *** 23. Nel caso domani mattina non ci svegliassimo ***
Capitolo 25: *** 24. Shannon Tyler ***
Capitolo 26: *** 25. Romeo ***
Capitolo 27: *** 26. L'ultima sigaretta ***
Capitolo 28: *** 27. Douquette ***
Capitolo 29: *** 28. La mela avvelenata ***
Capitolo 30: *** 29. Te lo prometto ***
Capitolo 31: *** 30. Epilogo ***
Capitolo 1 *** 0. Atom Day - 1. Asta ***
Mitrono
fragolottina's time
c'era una volta una giovane donna
che, persa in un romanzo a dir poco sublime ambientato in un futuro
imprecisato ed alternativo, voleva scrivere una grande saga con
ambientanzione cyber-punk - ma solo ambientazione -, un figo della
situazione pazzesco, una cheerleader bionda ma bassa ed un po' di
Veggenti random, perchè alla sopraccitata giovane donna
piacciono da morire...
dalle sue riflessioni è uscito fuori il Mitronio - si è
sentita molto figa per avergli dato un nome - ed una città
industriale, poco città e molto industria, Synt.
fu così che fece la conoscenza di Zach Douquette e decise di voler scrivere quello che aveva da raccontare...
0.
Atom
Day
L’esplosione
della centrale nucleare Vermont Yankee, situata a Vernon nella contea
di Windham, non fu più devastante di quella della centrale
nucleare di Chernobyl, in Ucraina, nel 1986, o più
contaminante della fusione dei tre noccioli dei reattori di Fukushima
nel 2011.
Sembra strano, quindi, che proprio quel disastro segni una
svolta nella storia dell’umanità.
Se non la devastazione o la propagazione radioattiva, quale
fattore fece la differenza?
Soltanto una donna, Selma Griffith, che non si sarebbe
scomodata più di tanto se suo figlio, Daniel Griffith, non
fosse stato in visita da un suo compagno di università
proprio nel Vernon. Fu l’amore per lui che la
portò a telefonare ad ogni ente governativo, del quale
riuscisse a trovare il numero, ripetendo sempre la stessa frase:
“Sono Selma Griffith, sono una Veggente, la Vermont Yankee
sta per esplodere”.
Si dice, che quando infine il disastro si
verificò, lei fosse proprio al telefono con l’Ente
Protezione Ambientale.
Quella telefonata venne resa pubblica, lei arrestata.
Venne interrogata mille e mille volte, non cambiò mai la sua
versione: sapeva perché aveva visto, aveva visto
perché era nata con quel dono. Travolta
dall’attenzione mediatica, non realizzò che quello
che voleva la ADP, la divisione dell’FBI appositamente creata
per gestire quel nuovo problema, non era soltanto stabilire la
verità delle sue ammissioni, ma sapere se di persone come
lei, “con il dono”, ce ne fossero altre.
La risposta che Selma Griffith diede fu semplice:
sì.
1.
Asta
“Tutto
questo non sta succedendo a me” mi ripetei ancora. Chiusi gli
occhi ed inspirai. Cercai di lasciare fuori le voci, le grida di
pianto, la mano che teneva il mio braccio per guidarmi e non lasciarmi
scappare. Aprii gli occhi ed espirai, dovevo mantenere la calma
necessaria a continuare ad illudermi: le mie capacità visive
mi stavano ingannando, quello che stavo attraversando non era un
corridoio tra due file di celle in vetro identiche. Io non potevo
essere ad un’Asta.
C’era un ragazzo che mi piaceva a scuola, un giocatore di
pallacanestro, due giorni prima avevamo pranzato insieme: il giorno
dopo saremmo dovuti uscire.
La mia migliore amica di allora, Taylor, avrebbe suonato in un locale
con il suo gruppo, i “Dancing Rabbits”, quel
sabato: le avevo promesso di esserci perché era la cantante
ed aveva bisogno di una faccia amica tra il pubblico, sulla quale
concentrarsi per non andare in panico.
Quel pomeriggio mi sarei dovuta esibire all’apertura della
partita di basket come sostituta cheerleader di una ragazza titolare
ammalata. Aspettavo un’occasione del genere dalla primo
giorno di liceo, quando per la prima volta avevo visto delle ragazze
con la divisa viola ed oro ed i pompon tra le mani.
Quindi, tutto quello non poteva accadere proprio a me.
Mi spinsero dentro una stanzetta con le pareti trasparenti,
larga circa due metri quadrati ed alta tre, e chiusero la porta alle
mie spalle. Non per intrappolarmi, no signore, l’ADP ti prelevava. Ogni sei
mesi tutti i ragazzi di tutte le scuole dello Stato, di età
compresa tra i diciassette ed i venti anni, venivano sottoposti ad un
test. Un semplice questionario a scelta multipla. Le domande potevano
essere di cultura generale, di materie particolari, nel mio
c’era stato perfino un quiz che aveva richiesto la scelta tra
tre fiori. Non c’era modo di sapere chi lo avrebbe superato e
chi no. Non c’era una risposta giusta ed una sbagliata.
C’eri soltanto tu.
Tutti i test erano spediti direttamente alla sede centrale
dell’ADP a Vernon, dove erano analizzati, smistati e valutati.
C’erano tre responsi possibili: il primo, ragazzo
normale, potevi continuare la tua vita come se niente fosse successo;
il secondo, potenziale Veggente, non eri arrestato – od
ucciso, come ebbi modo di scoprire in seguito – come un
Veggente attivo, ma ad ogni modo eri obbligato a sottoporti a test
clinici per valutare la tua resistenza al Mitronio, per calibrare una
cura su misura; il terzo, potenziale Vegliante, un soldato, una risorsa
del governo, da quel giorno la tua missione era quella di dare la
caccia ai Veggenti attivi.
A quanto pareva, io ero una potenziale Vegliante.
Ed era davvero ridicolo, insomma io ero una normale
diciassettenne, non credevo di avere particolari abilità,
non avevo modo di crederlo. Ero una cheerleader e neppure tanto brava,
visto che ero una riserva. Di norma i potenziali Veglianti si erano
distinti negli sport o in qualche materia scolastica, cervelloni o
fusti, non cheerleader con problemi con l’algebra.
Ad ogni modo, se eri una potenziale Vegliante, se eri me, ti
prelevavano da casa dopo le lezioni e, dopo aver fatto firmare un
consenso informato ai tuoi genitori, ti portavano a New York con un
treno esclusivo, controllata a vista da delle guardie. Ti guidavano in
un fabbricato grande quasi quanto la mia città e ti
chiudevano in una stanzetta di due metri per tre, in attesa che il
Responsabile di una squadra di Veglianti facesse la sua offerta e ti
comprasse. Non sapevo cosa accadesse ai potenziali Veglianti che non
venivano scelti, ma immaginavo che lo avrei scoperto presto.
Restai ferma a guardare le pareti di quello che sembrava
plexiglass, anche se sospettavo fosse di un materiale molto
più resistente. Qualche anno prima la scuola ci aveva
portati a visitare l’acquario, immaginavo che i pesci si
fossero sentiti proprio come me in quel momento. C’era
soltanto una sedia all’interno, una sedia ed una busta di
carta. La presi in mano per scrutarne il contenuto: cibo, un panino ed
una bottiglietta d’acqua. Mi sedetti e ne presi un sorso, non
avevo davvero sete, ma era un gesto così normale da
allontanarmi dai pensieri terribili che quella situazione non poteva
far altro che portare.
Ogni volta che moriva un Vegliante, a scuola si osservava un
minuto di silenzio per commemorarne la morte: quante volte mi ero
alzata in piedi ed ero rimasta a capo chino in religioso silenzio per
un minuto? Dieci? Venti?
C’erano altri due ragazzi accanto a me, ognuno
dentro la loro privata scatola trasparente. A destra c’era
una femmina dai lineamenti ispanici che continuava a singhiozzare
disperata, tremando. La guardai e mi trovai a pensare che da qualche
parte nel mio cuore avevo voglia di piangere. Fin da quando la guardia
aveva suonato alla nostra porta. Era come un formicolio dietro alla
nuca, a metà tra il panico e la paura, ma avevo promesso a
mia madre di non farlo. Aveva pianto lei, le mie lacrime insieme alle
sue, mentre aveva continuato a ripetermi di essere forte,
“piccola, ma agguerrita”, mi aveva incoraggiata con
un sorriso umido. Mio padre nell’altra stanza discuteva i
dettagli con i poliziotti che erano venuti a prendermi, pallido come
non lo avevo mai visto.
«Dille di stare zitta!»
Mi voltai bruscamente a sinistra per osservare il ragazzo che
aveva parlato, aveva l’aria corrucciata e lo sguardo fiero,
quasi minaccioso, accentuato dai capelli cortissimi.
«Sono ore che va avanti così, inizia ad
essere stancante.»
A differenza di me e dell’altra, lui stava in
piedi, rigido e rigoroso come un soldatino di piombo.
«Dovrebbe essere orgogliosa di essere stata
scelta.»
Sapevo che ce ne erano di fanatici come lui, gruppi di
ragazzi troppo aggressivi: ignoravano i test ed andavano in giro ad
intimidire anche i potenziali Veggenti, come se fosse una colpa nascere
con un gene diverso. Il governo, ovviamente, non autorizzava certe
rappresaglie, ma non le condannava neppure. Ma io credevo che ci fosse
una bella differenza tra chi non aveva mai conosciuto la propria
situazione ed accettava di buon grado la cura, e chi la rifiutava
cercando di sabotare le produzioni di Mitronio o aderendo alla loro
più orrenda legge: “un bambino vostro per ognuno
nostro”.
«Deve essere orgogliosa di avere la
possibilità di spazzare via quei manipolatori.»
Era questo il motivo di tanto astio, di quella guerra: se
conoscevi il futuro, se potevi vedere ogni conseguenza di ogni azione,
chi garantiva che tu non potessi anche sfruttare sette miliardi di
persone in tuo favore? Il motivo che aveva portato il
settantatré per cento della popolazione americana a votare
sì alla soluzione proposta dall’ADP, era stata
proprio la paura di un eventuale strumentalizzazione del proprio
“dono”: se conoscevi il futuro, sapevi anche come
cambiarlo.
Bisognava anche considerare che la campagna propagandistica
dell’ADP era stata a dir poco convincente: affliggere davanti
al Ground Zero un manifesto con l’immagine delle due Twins
Tower, inevitabilmente nella traiettoria di un aereo, e completare il
tutto con due frasi come “E se qualcuno avesse
saputo?” e di seguito come una condanna “E se Al
Qaeda avesse saputo?”, non poteva non garantire i risultati
sperati. Nemmeno se il sindaco di New York si dissociava dalla
strumentalizzazione politica di una tragedia. Nemmeno se non
c’erano prove che i terroristi fossero Veggenti: i Veggenti
esistevano, la loro esistenza creava un dubbio, il dubbio era stato
sufficiente a condannarli.
«Mio fratello non ha mai fatto male ad una
mosca!» gli gridò la ragazza tra le lacrime. Io la
fissai ad occhi sgranati comprendendo, infine, la sua disperazione:
come poteva combattere una guerra, quando suo fratello era dalla parte
opposta del campo di battaglia?
Il tipo alla mia destra colpì la parete di
plexiglass che avevamo in comune con ferocia facendomi sussultare, mi
trovai a sperare che fossero davvero molto resistenti. «Se
non si è fatto curare lo ucciderò.»
Lei singhiozzò più forte.
Sospirando girai la mia sedia in modo da dare le spalle a Mr.
Tatto e concentrarmi esclusivamente sulla ragazza. Era molto bella,
aveva i capelli scuri raccolti in una coda in cima alla testa e la
pelle color miele – una vera invidia per chi come me
è rinchiuso in un corpicino pallido – occhi enormi
e castani, scintillanti anche se affogati nelle lacrime.
«Non dargli ascolto.» cercai di
rassicurarla, anche se non ebbi coraggio di dire niente di
più convincente.
Lei tirò su con il naso e si tamponò
gli occhi con un fazzoletto stropicciato. «So che ha
sbagliato, anche se è mio fratello. Ma dovrebbero almeno
concedermi un esonero.»
Non risposi, continuavo a guardarla ed a chiedermi se
effettivamente l’ADP avesse così bisogno di lei.
Mi lanciai un’occhiata intorno. Non vedevo altro che file e
file di celle come quella dove eravamo noi. Vegliare era pericoloso, i
Veggenti attivi non avevano rimorsi di coscienza
nell’uccidere, ma ogni anno erano migliaia i ragazzi che
venivano mandati alle Aste da tutto lo Stato.
«Come ti chiami?» le domandai.
C’erano delle grate in alto, servivano per il sistema di
aereazione, ma ci permettevano anche di parlare.
Alzò gli occhi per osservarmi curiosa.
«Amanda, Amy, tu?»
Appoggiai il palmo aperto contro la parete che ci divideva.
«Io sono Becky.»
«Piacere di conoscerti.» fece un piccolo
sorriso mentre congiungeva la sua mano con la mia.
«Non
è che non si volesse curare.» confessò
dopo un po’. Era passata circa un’ora e mezza da
quando ero entrata lì dentro, starmene rannicchiata sulla
sedia a parlare mi aveva aiutata a non pensare ai Responsabili ed ai
Veglianti nelle loro giacche verde petrolio – verde Mitronio
– che ci sfilavano davanti, studiandoci ed andando oltre.
Ero più sollevata, ero arrivata alla conclusione
che nessun poteva volermi. Ero piccola, gracile, riserva cheerleader,
che se ne facevano? Davanti a me, troppo lontana perché
potessi fare qualcosa di più che guardarla, c’era
una ragazza alta più di due metri.
Amy era più a rischio, anche se non le dissi
niente: era alta e mi aveva rivelato di far parte della squadra di
atletica leggera della sua scuola. Anche lei aveva problemi con
l’algebra, ma nessuno pretendeva la perfezione.
«Allora, perché è
scappato?» domandai curiosa e decisa a mantenere quel clima
leggermente più sereno. Mi si era anche sciolto lo stomaco e
stavo addentando il mio panino, avrei avuto bisogno di andare in bagno,
ma non vedevo molte possibilità a parte resistere.
Come me, Amy si rannicchiò sulla sedia
stringendosi le ginocchia al petto ed avvolgendole con le braccia.
«Mi ha detto che il Mitronio l’avrebbe
ucciso.»
Mio padre mi aveva spiegato, quando avevo iniziato a fare
domande, che il loro “dono” era connesso alle
capacità cognitive. Una parte di cervello che di norma le
persone non usavano, nei loro casi era attiva e funzionante. Quindi la
cura interveniva sulle cellule neurologiche: il rischio di morte
celebrale era reale.
«L’hanno scoperto con il test?»
chiesi ancora. Non mi sembrava di aver mai conosciuto un vero Veggente,
in realtà nemmeno un Vegliante. Li avevo visti, venivano una
volta al mese a pattugliare nella mia città. Erano
lì per vigilare sulla sicurezza dei cittadini, per impedire
che quel bambino – per uno dei loro – non fossi tu,
ma mia madre mi aveva anche insegnato a star loro lontana. Un cucciolo
di lupo, anche se allevato come un cane, un giorno o l’altro
potrebbe rivoltarsi e azzannarti la mano con cui lo nutri.
Scosse la testa, poi scrollò le spalle.
«Da che ricordo io, Nick ha sempre visto. Probabilmente da
quando è nato, solo che prima non sapeva dirlo.»
fece un mezzo sorriso.
Non la guardai, mentre concludevo: «Non
l’avete denunciato.»
L’ADP l’aveva sempre definito un “impegno
sociale”, ma nessuna madre poteva essere così
spietata da consegnare alle autorità il proprio bambino.
Chiedermi se l’averla scelta e portata lì fosse
una punizione per il loro mancato “impegno
sociale”, era naturale.
«Come avremmo potuto?» domandò
lei fissandomi.
«Siete una famiglia di traditori!»
gridò l’altro ragazzo, che evidentemente aveva
ascoltato i nostri discorsi per fornirci un suo punto di vista
assolutamente non richiesto. «Meritate di morire tutti! Se
fossi a capo dell’ADP io…»
«Non sei a capo dell’ADP.» gli
ricordai interrompendolo, mentre gli scoccavo un’occhiata
arrabbiata. Mi sembrava quasi di vederlo, un ragazzino che magari aveva
già tanti problemi con la cura di Mitronio e tutto il resto,
venire importunato, infastidito, tormentato da lui e dai suoi
vaneggiamenti di sterminio.
Se io fossi stata a capo dell’ADP, avrei fatto in
modo che certa gente non diventasse mai Vegliante. Avrei istituito un
gruppo che sorvegliasse anche i potenziali Veggenti volenterosi di
adattarsi alla legge e che li proteggesse da gente come lui.
«Solo una traditrice può fraternizzare
con un’altra traditrice.»
Amy sollevò il capo infastidita. «Anche
tu avresti scelto un fratello. Lo rifarei mille volte.» e so
che era vero.
Lui fece una smorfia disgustata. «Sentirti chiamare
“fratello” uno sporco bastardo come lui mi
dà il voltastomaco.» scosse la testa.
«Se fossi già un Vegliante ed avessi una pistola,
ti sparerei.»
Io ridacchiai. «Solo un vigliacco vorrebbe
diventare un Vegliante per avere una pistola ed affrontare una
ragazza.» commentai divertita, perfino ad Amy
scappò una risatina. Ero andata a scuola in un liceo
pubblico ed ero davvero molto bassa, ero sopravvissuta imparando a
rispondere a tono ad ogni battutina. «E comunque, non sei
ancora un Vegliante. Nessuno ti vuole.» conclusi e sperai che
nessuno lo scegliesse.
Rosso di rabbia ed umiliato, diede un pugno al muro che ci
divideva, per poi scrollare la mano dolorante e scatenare
un’altra risata tra me e la mia fresca di conoscenza amica.
«Le donne non dovrebbero essere potenziali Veglianti con
tutti i vostri sentimentalismi.»
«Mm… non sono
d’accordo.»
Tutti e tre ci voltammo verso un donna davanti alla mia
cella, doveva aver assistito alla scena.
Era sulla trentina ed aveva lo sguardo alto e sprezzante di chi era
orgoglioso di essere l’unico padrone di sé stesso.
Aveva i capelli neri tagliati in un caschetto asimmetrico, il lato
sinistro le sfiorava il lobo dell’orecchio, quello destro
arrivava qualche centimetro sotto la mascella; le labbra erano tinte
con un rossetto cremisi, mentre gli occhi, neri quasi quanto i capelli,
erano contornati da una precisissima – ed assolutamente
invidiabile – riga di eye-liner a sottolinearne la forma
allungata.
Ma il dettaglio più importante era il suo cappotto
verde dei Veglianti con un stella argentata all’altezza del
petto: non era soltanto un soldato, era una Responsabile.
Il ragazzo, rendendosi conto di aver commesso una terribile
gaffe, si raddrizzò sull’attenti per cercare di
impressionarla. «Chiedo perdono, signora. Ovviamente non era
a lei che mi riferivo.» si scusò e ci
lanciò un’occhiataccia.
Sollevai gli occhi al cielo, ma evitai ulteriori commenti.
La Responsabile si spostò davanti alla cella di
Amy – proprio come avevo temuto – e
controllò il suo tablet, dove sapevo che c’era la
descrizione di ognuno di noi. «Amanda Martinez, diciassette
anni, seconda classificata alle olimpiadi studentesche di
quest’anno in salto in alto. Hai ragione, Zachy, sembra un
elemento promettente.» deglutii, preoccupata per lei.
Solo in quel momento però mi accorsi che non era
sola, ma accompagnata da un ragazzo un po’ più
grande di me. Un ragazzo bellissimo. Aveva gli occhi verdi, enormi, con
ciglia così folte da fare l’invidia di molte
donne, fu la prima cosa che vidi perché stavano fissando i
miei. Con il cuore che batteva, catturai ogni altro dettaglio del suo
viso, dagli zigomi alti, al naso deciso su una bocca morbida, quasi
troppo per un uomo. Come la linea della mascella precisa, ma non troppo
dura.
«Non lei.» la corresse.
Il corpo era perfetto come quello di tutti i Veglianti,
garantito da un’invidiabile predisposizione fisica e
salvaguardato da un esercizio rigoroso e costante. Non era troppo
muscoloso però, chiunque avesse calibrato
l’intensità del suo allenamento non aveva voluto
appesantire troppo il suo fisico.
Indossava la giacca verde, ma senza nessuna stella.
«Lei.»
disse e mi indicò con un cenno del capo.
Il cuore mi sprofondò nel terrore: non poteva
davvero volermi.
La Responsabile tornò di fronte a me e
piegò di lato la testa studiandomi, io rimasi ammutolita ed
immobile. Trattenni il fiato, mentre aspettavo che qualcuno dicesse che
era uno scherzo, o un errore. «Non mi sembra gran
ché…» commentò lei, prima di
consultare di nuovo il suo tablet. «Rebecca Farrel,
diciassette anni, riserva delle cheerleader.»
Il ragazzo bellissimo distolse gli occhi dai miei.
«E poi?» domandò.
«E poi niente, dolcezza.»
«Non importa, voglio lei.»
ribadì, si mordicchiò il labbro inferiore
distrattamente, i suoi denti erano bianchissimi.
«Puoi alzarti, cara?» mi
domandò la Responsabile ed io obbedii. Mi tirai su in piedi,
ma rimasi vicina alla sedia perché mi tremavano le
ginocchia. «Dimmi un po’,
Zachy…» cominciò, mentre incrociava le
braccia sul petto e gli lanciava un’occhiata di sbieco.
«Non è che hai problemi di autostima e ti serve
qualcuno che faccia il tifo, vero?» gli domandò
sarcastica.
Lui ignorò il suo commento ironico e si
avvicinò al mio plexiglass. Ci appoggiò una mano
sopra, come a volermi toccare attraverso la parete. Per alcuni secondi
rimase in silenzio, i suoi occhi incatenati ai miei, poi il suo palmo
scivolò via, lasciando soltanto l’alone della sua
impronta, e si avvicinò a quella che ormai supponevo essere
la sua
Responsabile. «Ti fidi di me, vero?»
La donna sospirò e scosse la testa. «La
mia fiducia in te mi porterà sul lastrico prima ed
all’inferno poi.» toccò qualcosa sul suo
tablet. «Vediamo se almeno il prezzo è
abbordabile.» acconsentì con poco entusiasmo.
«Volete davvero prendere lei?» chiese
sbalordito il fanatico della cella accanto. «Ma se
è solo una bambina.»
Il Vegliante Zachy lo osservò come se si fosse
appena accorto della sua esistenza, più precisamente come io
avrei guardato della spazzatura particolarmente puzzolente, e si
strinse nelle spalle. «Beh, di tipi come te se ne trovano ad
ogni Asta.»
«E di tipe come lei a frotte dietro ad ogni
giocatore di football.» ribatté.
«Ehi!» sbottai irritata. Non mi erano mai
piaciuti i giocatori di football… preferivo quelli di
pallacanestro, ma questo non lo dissi.
«Si è detta d’accordo con
quell’altra sua amichetta che non ha denunciato il fratello
Veggente.» ci accusò.
Stavo per ribattere qualcosa, ma la Responsabile
alzò una mano, facendomi cenno di tacere, e si
avvicinò a lui. «Il tuo nome.» disse.
Non era una domanda, era un ordine, una pretesa.
«Jonathan Kindley, signora.» rispose lui
pronto e recuperò la sua posizione da soldatino. Patetico.
Gli si fermò davanti e prese a studiarlo con gli occhi
fissi, enormi. Se avesse guardato me con quegli occhi, avrei iniziato a
tremare come un topolino spaventato. «Da Responsabile a
civile, perché è questo che sei, ti do un solo,
preciso ordine: smettila di parlare senza essere interrogato.»
«Ma…» provò.
«Shh!» intimò lei.
«Cosa ho detto?» gli chiese.
Finalmente tacque.
«Tornando a noi…»
iniziò guardandomi. «Costi una fortuna, mia
cara.»
«Davvero?» chiesi, davvero troppo stupita
per continuare a stare zitta. Di norma il prezzo iniziale, deciso
dall’ADP, era proporzionale al valore, non avevo mai creduto
di avere effettivo valore come Vegliante.
Lei si appoggiò le dita sulla labbra, pensierosa.
«È necessario chiedersi
perché.»
«Faresti meglio a chiederti se ci sono altri
potenziali acquirenti, Jean.»
Anche se ero chiusa nella mia cella e quindi al sicuro, mi trovai a
fare un passo indietro. L’uomo che aveva parlato era
esattamente il tipo di Responsabile al quale ero abituata. Nessun
taglio di capelli stravagante, nessun trucco impeccabile: grande,
muscoloso, minaccioso. Nei suoi occhi si leggeva la spavalderia di chi
non aveva mai chiesto niente, ma aveva afferrato tutto quello che aveva
voluto a mani nude, senza curarsi di chi fosse stato calpestato nel
farlo. Era anziano, sembrava avere l’età di mio
padre, cinquant’anni circa, ma avrebbe potuto averne di
più. Era scortato da due Veglianti che sarebbero andati
sicuramente d’accordo con il tipo fanatico. Niente a che
vedere con la Responsabile Jean e Zachy, che sembravano fratello e
sorella a spasso insieme: nel loro gruppo si vedeva fin troppo bene chi
era a comandare.
Afferrò un braccio del ragazzo bellissimo, quasi
gli appartenesse, e lo allungò studiandone la linea, prima
di dargli una pacca sulla schiena e sul torace. Lo trattava come se
fosse un animale ad una fiera di bestiame. Lessi nei suoi occhi verdi
la voglia di scrollarselo di dosso, colpirlo magari, ma nello sguardo
serio e fisso della sua Responsabile c’era un ordine
all’immobilità che non aveva bisogno di parole per
essere esplicato.
«Zach Douquette…» lui
deglutì. «È il tuo caposquadra ora che
Josh è venuto a mancare.» annuì, ma non
spostò neanche per un secondo lo sguardo da quello del suo
Vegliante. «Davvero, un ottimo elemento, mi congratulo con la
tua scelta.»
Lei chinò il capo in un gentile cenno di
ringraziamento. «Merito vostro e del vostro addestramento,
signore.»
«Troppo modesta, mia cara.»
lasciò stare Zach e guardò me. Io deglutii,
mentre pregavo in silenzio che, se proprio qualcuno dovesse portarmi a
casa, non fosse lui. «Sei interessata alla ragazzina,
Jean?» le domandò. «Non vedo niente
degno di nota in lei.» continuò senza darle il
tempo di rispondere.
«I Veggenti ci sta dando un bel po’ da
fare.» ammise con un sorriso. «Il mio stratega mi
ha suggerito un’idea rischiosa, ma intrigante.»
Per un attimo, il tempo di un battito di ciglia, tra Zach e
la sua Responsabile passò uno sguardo d’intesa.
«Spero che non sia un piano così segreto
da non poterne mettere al corrente il tuo vecchio
responsabile.»
«Certo che no.» sorrise ancora, ma era un
sorriso tirato, nervoso, che non impediva ai suoi occhi di rimanere
guardinghi. «Una trappola.» mi indicò.
«Un’esca.»
Sussultai sgranando gli occhi senza fiato.
Perfino lui sollevò le sopracciglia stupito, ma
poi annuì compiaciuto. «Il tuo stratega
è andato a sfogliare i rapporti del passato.»
sembrava quasi onorato.
«Il sacrificio di quei bambini è servito
allo scopo: ho ucciso io stessa uno dei Veggenti più
sfuggenti di San Francisco.»
Ero carne da macello. Mi coprii la bocca con la mano, mentre
il ragazzo bellissimo continuava a fissarmi. Avrei voluto urlargli
addosso “perché io tra miliardi di
persone?”. Mi morsi le labbra per impedirmi di mostrare
quanta voglia di piangere avessi. Perché io? Ero sicura che
i miei occhi glielo stessero chiedendo, perché ne sembrava
quasi dispiaciuto.
La Responsabile Jean gli accarezzò la schiena
orgogliosa. «Zach non sarà da meno.»
Grazie al mio sacrificio avrebbe ucciso un Veggente
pericoloso, sarebbe stato onorato, sarebbe diventato un eroe, contento?
«Non ne dubito.»
«E voi?» gli domandò lui,
senza guardarlo. «Avete posato gli occhi su qualche elemento
interessante?»
Accadde tutto troppo in fretta perché io riuscissi
ad afferrare ogni dinamica. Mi accorsi che uno dei Veglianti
dell’uomo minaccioso fece un passo avanti e tirò
indietro il pugno per colpire Zach. Ma ero in ritardo perché
Jean aveva già preso provvedimenti, mettendosi tra i due. Il
pugno si fermò ad un soffio dalla sua faccia, ma lei non
batté ciglio. Capii perché un momento dopo: a
differenza di quel Vegliante, il suo di pugno aveva raggiunto eccome il
suo stomaco, costringendolo a barcollare all’indietro.
«Quando io facevo parte della vostra squadra, non
avrei mai osato alzare il pugno su un Responsabile.»
sibilò fredda.
L’uomo rise di gusto. «Oh, Jean, sei uno
dei miei più grandi successi. Senza ombra di
dubbio.»
Io ero ancora a bocca aperta, ci si aspettava che fossi
più o meno al loro livello. Anzi no, in fondo ero solo carne
da macello.
«Scusa il mio ragazzo, è un
po’ troppo protettivo nei miei confronti, anche se il tuo
è senz’altro un po’ sfacciato.»
Zach gli lanciò un’occhiataccia che la
Responsabile spense con uno sguardo infuocato dal disappunto.
«Ad ogni modo, ha rischiato di colpirti ed un tale
affronto non rimarrà impunito.» scosse la testa,
poi guardò le celle accanto alle mie, sia quella di Amy che
quella del fanatico. «Credo, che io mi porterò a
casa questi due.»
Guardai la mia nuova amica impallidire e mi vergognai del
moto di sollievo che mi crebbe in petto, anche se la mia situazione non
era molto rosea: lei se ne sarebbe andata con quell’uomo
spaventoso, io sarei stata usata come esca.
«Una scelta accurata, signore.»
commentò lei con un sospiro.
Io sarei stata usata come esca. Rabbrividii e mi strinsi le
braccia addosso per impedirmi di tremare.
«Vuoi punire Lucas tu stessa?»
Il ragazzo che aveva tentato di aggredirla poco prima
deglutì, rigido con gli occhi bassi ed il capo chino, era
incredibile perché era un ragazzo alto, dall’aria
minacciosa, forte, ma aveva così paura, proprio come me.
Lei sospirò, deglutì ed infine scosse la testa.
«Ho piena fiducia nel vostro giudizio.» e non ne
sembrava affatto contenta.
«D’accordo.»
Il suo secondo Vegliante incastrò il tablet prima davanti
alla cella del fanatico, poi a quella di Amy, che mi lanciò
un’occhiata disperata non appena sentì la propria
porta aprirsi. Avrei voluto dirle qualcosa di confortante, ma non ci
riuscii. Come lei d’altronde non seppe dire niente di
rincuorante a me.
Il Responsabile minaccioso si allontanò mentre sventolava
una mano verso Jean. «Buona fortuna con il tuo
Veggente.» i due tipi tenevano stretti sia Amy che Jonathan
Kindley, ma lei si sforzò comunque di voltarsi e guardare
verso di me. La salutai con un cenno della mano ed un sorriso poco
convincente, mentre una lacrima mi rotolava sulla guancia.
«Grazie, signore.» rispose piano la
Responsabile.
Non appena lui non fu più a portata di orecchi, si
girò verso Zach, gli afferrò il viso con la mano
e lo strattonò con forza verso il basso, per portarlo
all’altezza dei suoi occhi. Lo fissò minacciosa.
«In sua presenza devi stare zitto.»
scandì piano, ma con autorità. «Quante
volte devo dirtelo?»
«Ma…» cercò di
difendersi, senza però tentare di liberarsi.
La donna gli schiaffeggiò al guancia,
interrompendolo. «Zitto.» e lui tacque. Jean
tornò a guardare me, prima di incastrare il suo tablet allo
schermo accanto e premerci il palmo aperto. «Prendiamo la
ragazzina e ce andiamo.»
Quando la porta della mia celletta si aprì, segno che il
pagamento era stato effettuato e che io appartenevo ufficialmente alla
Responsabile, stavo singhiozzando. Non riuscivo più a
ripetermi che quello non stesse succedendo a me: era me che avevano
preso; era me che avrebbero portato con loro; era me che avrebbero
usato come esca.
Non avrei mai più visto quel ragazzo che mi piaceva e con il
quale avevo contato di uscire il giorno dopo.
Non avrei ascoltato Taylor cantare “Venus” davanti
ad un vero pubblico, non sarei stata il viso amico che avrebbe in mezzo
al pubblico.
Non mi sarei esibita mai come ragazza pompon.
sempre la giovane donna di poco fa
non è sicura di essere in grado di scrivere una roba del genere,
perchè di norma pubblica e scribacchia storielline molto
più semplici... quindi ogni incoraggiamento è gradito!
se poi non vi piace, che vi dico? evidentemente non sono pronta ancora!
un bacione a tutti quelli che arriveranno fin qua giù perchè è lungo lungo!
a presto!
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Capitolo 2 *** 2. Synt ***
Mitrono
fragolottina's time
non avete idea di quanto mi avete fatto contenta!
mi rivolgo a tutte, sia quelle che hanno semplicemnte letto, che chi
è stato così coraggioso da mettermi nelle
seguite,
ricordate e preferite per tornare a leggermi...
non vi arrabbiate se mando un bacio a chi mi ha recensito, grazie per
aver perso cinque minuti a scrivermi!
ma procediamo signore e signori!
abbiamo un pubblico, la protagonista ed il figo della situazione...
sarà il caso di uscire da quella gabbia di due metri per
tre? ma
direi anche di sì...
2.
Synt
Non uscii da quella celletta
grazie alle suppliche o alle promesse di Zach di portarmi in bagno, a
mangiare qualcosa di buono, a recuperare le mie cose. «Non
sei impaziente di contattare il tuo fidanzato?» mi chiese con
la faccia più gentile del mondo, il ragazzo che aveva
condannato la mia giovane vita ad una morte prematura e probabilmente
violenta.
«E dirgli di prepararsi a fare due minuti di
silenzio per commemorarmi quando morirò?» ribattei
sarcastica, ma avevo ancora la voce tremante e troppo acuta, isterica
perfino alle mie orecchie.
Jean alzò gli occhi al cielo, stranita ed annoiata
per quella perdita di tempo, e mi lanciò
un’occhiata. «Zach, accidenti!» era
nervosa, l’incontro con il suo ex Responsabile
l’aveva resa impaziente di andarsene. «Non
peserà nemmeno cinquanta chili, prendila e portala
fuori.» gli ordinò pratica.
«Esco.» annunciai quando lo vidi fare un
passo per entrare. Poteva somigliare quasi ad un suicidio, ma era
comunque meno umiliante di farmi caricare in spalla e trascinare.
“Piccola, ma agguerrita”.
Non appena fui fuori, Jean mi prese il polso e mi mise in
mano un fazzoletto di carta, senza staccare gli occhi dai miei.
«Dignità.» mormorò.
«In treno avrai una cuccetta tutta tua e potrai consumarti di
lacrime e disperazione.» promise solenne.
La fissai, orgogliosa, decisa, e cercai di immaginarmela anni prima alla sua Asta. Mi
sembrava quasi impossibile che lei fosse stata me, preoccupata,
spaventata e con il viso bagnato di lacrime, non era il tipo.
«Ma adesso…» continuò con gli
occhi fissi nei miei cercando di essere persuasiva. «Ce ne
andiamo con dignità e senza pianti. Per quel che mi riguarda
abbiamo già attirato troppo
l’attenzione.» terminò dopo aver
scoccato un’occhiata velenosa a Zach.
Ci dirigemmo verso destra. Mentre camminavamo osservai tutte
le cellette che superavamo, alcune già vuote, altre ancora
piene. Davanti ad elementi particolarmente promettenti – come
un ragazzo con la circonferenza dei bicipiti praticamente uguale a
quella della mia vita – si era formata la folla e diversi
Responsabili si contendevano un ragazzo o una ragazza a suon di rialzi.
Zach camminava alla mia sinistra con le mani in tasca, meno interessato
di me a tutto quel mondo, del quale, fino a quel momento, avevo
soltanto sentito parlare. In fondo, quella non era la prima Asta a cui
partecipava a differenza di me.
«Non ho fatto niente.» si
schermì.
Io seguii il consiglio della sua Responsabile, della mia Responsabile,
e mi asciugai occhi e viso. Capivo a cosa si riferiva quando parlava di
dignità e trovavo che avesse ragione, non c’era
davvero alcun motivo di dare in pasto agli squali la propria
disperazione, quando mi aspettava la solitudine di una cuccetta.
«Hai disobbedito agli ordini.» gli
ricordò, lui alzò gli occhi al cielo, ma non
rispose.
«Come se
Wood non cercasse soltanto una scusa per farti sbriciolare da
qualcuno.»
«So difendermi, Jean, li avrei distrutti. Tutti e
due. Ed avrei dato un pugno in faccia a Wood, così avrebbe
avuto la prova che sono “davvero un ottimo
elemento”.» sbottò secco. Ce
l’avrebbe fatta davvero? Certo, i Veglianti erano molto
più forti e preparati dei normali cittadini – di
me in particolare – ma i due ragazzi che accompagnavano Wood,
erano Veglianti anche loro e mi erano sembrati piuttosto combattivi.
La donna si massaggiò la fronte esasperata e si
lasciò andare ad un lungo sospiro, senza allentare nemmeno
per un secondo la presa sul mio polso. Iniziavo a sentirmi un
po’ una bambina troppo vivace, più che una
potenziale Vegliante.
«Grazie tante, sarebbe stato proprio bello da parte tua,
costringermi a sedarti ed offrirti alla punizione che avrebbe
sicuramente ritenuto necessaria.» strinse di più
il mio braccio, ma non lo fece apposta, solo un riflesso involontario,
tutti i suoi muscoli si tesero. «Courtney non mi avrebbe
parlato per una settimana e…» si
bloccò. Inizialmente non capii per quale motivo, poi, oltre
il chiasso che regnava, oltre il brusio assordante di milioni di voci,
riconobbi il trillo acuto della suoneria standard di un cellulare,
evidentemente del cellulare di Jean. Lo recuperò da una
tasca e rispose. Non capii praticamente niente della conversazione, lei
disse davvero poche parole mentre guardava con rammarico Zach. Li
osservai con la coda dell’occhio, attenti entrambi, lei per
nascondere, lui per scoprire. Per qualche motivo, del quale ero
all’oscuro, non voleva che lui sentisse o capisse. La
telefonata si chiuse con un “Arrivo subito”.
«Che succede?» domandò Zach
fissandola.
«”Jean Roberts, il suo mentore, il signor
Wood, ci ha fatto notare che non è stato ancora consegnato
un rapporto dettagliato sulla morte di Joshua Lanter. Sarebbe
così gentile da venirci a ragguagliare di
persona?”» ripeté e sospirò
ancora. «La prossima volta porto Nate con me.»
afferrò il braccio di Zach, ma senza il possesso o la
presunzione dell’altro responsabile; mise la mia mano nella
sua e ci fissò alternativamente. «Non voglio che
stiate qui senza di me.» affermò decisa, poi
estrasse una schedina di plastica dalla tasca interna della sua giacca.
«Salite sul treno per casa il prima possibile.»
ordinò porgendogliela.
“Casa”, sicuramente avevamo due idee
diverse per quella parola.
Come se mi avesse letto nel pensiero, Jean mi
appoggiò le mani sulle spalle. «Lo so, che
è brutto.» disse sincera, i suoi occhi neri
sembravano dispiaciuti, comprensivi, quasi affettuosi. «Ci
sono passata io, ci è passato lui. Però credimi
se ti dico che non siamo il peggio che ti potesse capitare.»
Non risposi, non pensavo stesse mentendo. Una parte di me,
nonostante tutto, era ancora convinta che ad Amy fosse toccata la sorte
peggiore, ma quei due volevano fare di me un’esca, mentre
questo Wood mi avrebbe addestrata, sicuramente con metodi duri, ma la
mia dipartita sarebbe stata meno prevedibile.
«Lui si prenderà cura di te, se puoi
cerca di prenderti cura di lui.»
Quello fu il primo ordine che mi diede.
La
stazione era
dall’altra parte della strada rispetto al fabbricato
dell’Asta. Provai per tre volte a cercare di staccare la mia
mano dalla sua inutilmente, Zach non mi guardò neppure, non
sono neanche sicura che se ne accorse. La sua presa non era troppo
stretta o fastidiosa, ma era ferrea, anche perché la mia
manina stava tutta nella sua. Avrei dovuto tagliargli un braccio per
costringerlo a lasciarmi e non mi sembrava un’idea
praticabile. Mi sarebbe piaciuto fargli capire che non potevo avere
intenzione di scappare; avevo visto diverse guardie
all’entrata della stazione, ce ne sarebbero state altre sulla
banchina e controlli rigorosi sul treno: una Vegliante minorenne doveva
avere con sé il permesso della sua responsabile per
spostarsi. Mi avrebbero beccata e mi avrebbe riportata da Jean senza
particolari difficoltà. Quindi avrebbe anche potuto
lasciarmi.
Alla fine mi arresi, anche perché iniziai a notare, con
disagio crescente, come le persone si aprissero intorno a noi, quasi
avessero paura di toccarci. Sapevo che era a causa di Zach, del capotto
verde che portava, di quello che rappresentava. Quante volte mia madre,
incrociando un Vegliante per strada, mi aveva strattonata
più vicina a lei? Erano pericolosi, lavoravano per noi, per
proteggerci, ma erano pericolosi. Erano gli unici in grado di
catturare, o all’occorrenza uccidere un Veggente, volendo mi
avrebbe spezzata come un ramoscello.
Ero pericolosa?
Lanciai un’occhiata a lui, non sembrava accorgersi di niente:
teneva la testa alta e la mia mano stretta, tutto il resto non lo
vedeva. O forse fingeva di non vederlo. Come si sentiva un ragazzo
normale ad essere trattato come un mostro? Con rispetto certo, ma un
rispetto tanto carico di terrore non era un vero riconoscimento. Per me
era diverso, io mi sentivo come
le condannate a morte dei film in costume, trascinate attraverso la
folla sulla gogna. Chiunque, studiandomi, doveva intuire che non avrei
retto a lungo; non riuscivo a fare a meno di chiedermi se la mia morte
sarebbe davvero servita a migliorare le cose.
«Hai bisogno di qualcosa prima che saliamo sul
treno?» mi domandò abbassandosi su di me.
C’era chiasso, bambini che strillavano, persone che
parlavano, un altoparlante che ricordava l’arrivo o la
partenza di qualche treno. I suoi occhi erano davvero molto verdi e
molto grandi.
«Il bagno.» risposi, dopo qualche secondo di troppo
che probabilmente lui archiviò come timidezza.
Annuì e mi guidò attraverso gruppi di persone e
trolley custoditi con poca attenzione, fino alla toilette per signore.
Feci per entrare, ma non mi lasciò la mano, anzi mi
strattonò per farmi voltare verso di lui. «Non
fare scherzi. Sono veloce, se scappi ti prendo.»
Mi morsi la lingua per impedirmi di chiedergli dove credeva potessi
andare. Avevo già valutato le mie possibilità di
fuga, erano praticamente nulle. Se pensava che avrei iniziato a correre
come una pazza, senza una briciola di piano ed almeno una piccola
percentuale di riuscita, aveva capito decisamente male: non ero
stupida. Dignità.
Scrollai il braccio e lui mi lasciò entrare. Non
c’era la fila, solo una donna che si controllava davanti allo
specchio ed una signora con troppo profumo che liberò una
toilette al mio ingresso. Sentii i loro occhi seguire i miei movimenti,
io mi impegnai ad evitare di far capire loro che le vedevo.
«Povera piccola, ha visto che faccia? Deve venire
dall’Asta.»
«Mio Dio.» esclamò la signora sottovoce
– ma non abbastanza – chiusa la porta.
«Potrebbe essere mia nipote.»
«O mia figlia.» continuò la donna.
«Come si fa a dire ad una liceale “Cresci, prendi
un coltello e cattura più Veggenti che
puoi”?»
Mi lasciai scivolare con la schiena contro la porta della toilette. Se
mi avessero dato un coltello mi sarei tagliata un dito, prima ancora di
provare a colpire un Veggente.
Una delle due aprì l’acqua. «Dicono che
tra i diciassette ed i venti sette anni siano più portati,
hanno più probabilità di rimanere in
vita.»
«Lo spero per lei.»
Sospirai. Quante probabilità avevo di rimanere in vita?
Aspettai che se ne furono andate prima di uscire, il bagno era
piacevolmente deserto. Mi fermai davanti al lavandino ed aprii
l’acqua per darmi una rinfrescata, ma mi persi a studiare il
mio riflesso nello specchio. Quando ero piccola e piangevo per una
sgridata di mia madre o mio padre, mi rifugiavo nel mio riflesso. Stavo
lì, a fissarmi negli occhi ed a sussurrarmi mentalmente
parole di conforto. Perché ero una Vegliante? Quale problema
avrei potuto creare ad un qualsiasi Veggente? Possibile che fossi una
Vegliante solo per poter essere usata come esca e permettere a
“Zachy” di diventare un eroe?
«Non dovresti sprecare tutta quell’acqua.»
Spostai gli occhi dal mio riflesso a quello di Zach, appoggiato allo
stipite della porta, mi chiesi da quanto mi stesse guardando.
Non risposi, mi sciacquai velocemente le mani sotto il getto poi chiusi
il rubinetto. Strappai con fin troppo enfasi un paio di asciugamani di
carta riciclata dal dispensatore, mentre, lanciandomi di tanto in tanto
un’occhiata allo specchio, mi intimavo di stare zitta e buona.
«Perché io?» chiesi senza riuscire a
controllarmi.
Scrollò le spalle. «Non lo so.»
Feci una sorriso amaro scuotendo la testa.
«Però lo scopriremo, sta tranquilla.»
«Tranquilla?!» ribattei fulminandolo.
«Come faccio a stare tranquilla? Sono
un’esca!» esattamente come i vermetti che mio padre
teneva in un barattolo ed usava per le gare di pesca al lago.
Zach si lanciò un’occhiata alle spalle per
controllare che non ci fosse nessuno. «Se Wood avesse capito
che Jean voleva davvero te, avrebbe cercato di prenderti.»
iniziò a mormorare. «È molto
più ricco, potente ed influente di lei. In più
è…»
Lo guardai ridere pensandoci su, come ricordando un aneddoto
divertente. Come poteva esserci un aneddoto divertente legato ad un
uomo tanto spaventoso?
«Piuttosto
contrariato perché gli ha portato via Josh e
tre anni fa ha lottato con le unghie e con i denti per aggiudicarsi me
all’Asta.»
Continuai ad osservarlo senza dire niente.
«Lui
ti avrebbe usato come esca.» precisò.
«Jean mi ammazzerebbe anche solo se pensassi, che
varrebbe la pena sacrificare qualcuno per raggiungere un obbiettivo. A
Synt non lavoriamo così.»
Persi colore, parole, fiato, tutto insieme: forse era meglio fare
l’esca. «Synt.» sillabai senza voce. Mi
schiarii la gola «Siete la squadra stabile di
Synt?» domandai incredula e, questa volta, in modo udibile.
Lui annuì ed allungò una mano verso di me.
«Dobbiamo andare.»
Synt era il centro del mondo da quando l’emergenza Veggenti
era iniziata.
Fino a mezzo secolo prima non era nemmeno una città, solo un
distretto industriale popolato per la maggior parte da pendolari, che
vi si recavano a lavorare ogni mattina. Con il tempo però
gli impiegati e gli scienziati, che ogni sera tornavano dalle proprie
famiglie, avevano iniziato ad avere paura di essere seguiti.
Sicuramente paranoia, ma nessuno si era permesso di prendere alla
leggera le loro sensazioni, perché nelle fabbriche di Synt
non si producevano automobili, non si produceva nemmeno il plexiglass
delle celle delle Aste, si produceva Mitronio. I blindati che
rifornivano i Veglianti di tutto lo Stato partivano da lì.
C’erano ovvi motivi perché i Veggenti tentassero
ritorsioni verso chi vi lavorava.
L’ADP, per tranquillizzare i propri lavoratori, aveva fatto
costruire un complesso residenziale ad una ventina di chilometri dalle
fabbriche, dove chiunque fosse coinvolto nel progetto potesse vivere in
pace con la propria famiglia e dormire sonni sereni sotto il controllo
di una squadra di Veglianti permanenti appositamente scelta. Erano
sicuri di poter tenere una piccola città al sicuro, visto
che riuscivano a farlo con un enorme metropoli come Los Angeles.
Era stata una pessima idea.
Synt vantava un gruppo di Veggenti molto più organizzato e
motivato di quelli che si limitavano a sporadiche scorrazzate notturne
a Los Angeles. Erano molti i ricercatori che avanzavano
l’ipotesi che, proprio come il Mitronio, gli ordini che
organizzavano i Veggenti di tutto il paese partissero da lì.
Al telegiornale arrivavano continuamente notizie di attacchi,
rapimenti, rappresaglie, scontri, tutti a Synt.
La decisione più saggia da prendere sarebbe stata il
trasferimento di chiunque vivesse lì verso altri luoghi,
oppure lasciare che il lento abbandono la trasformasse in un
città fantasma. Il problema era che Synt cresceva,
costantemente.
Dopo i primi anni quasi tutte le famiglie degli impiegati se ne erano
andate e non erano più tornate, eppure Synt non era morta,
anzi la popolazione aumentava di anno in anno. Il numero di spostamenti
superava di gran lunga quello delle fughe.
Mi chiedevo perché vivere lì ogni volta che la
sentivo nominare. Io non avrei mai accettato di abitarci e di certo
avrei tenuto i miei figli il più lontano possibile da quelle
fabbriche. Perché andare a cercare guai?
Ancora non potevo sapere che, rispondere a quella domanda, avrebbe
significato cambiare il mondo e lasciare Zach ai Veggenti.
Ci
mettemmo in fila
davanti ad una biglietteria automatica, nonostante non rilasciassero
biglietti da più di dieci anni, tutti continuavano a
chiamarli allo stesso modo. Quando fu il nostro turno, Zach
infilò la scheda che gli aveva consegnato Jean
nell’apposita fessura ed attese alcuni secondi tamburellando
con le dita sul vetro dello schermo. Io lo studiai mentre era tutto
concentrato a spingere tasti per prenotare la nostra corsa,
chissà quanti anni aveva? Certo, era impossibile fare un
paragone tra me e lui, ma mi chiedevo per quanto fosse sopravvissuto.
Sbuffò. «Niente cuccette
libere.» si lamentò. «Dovremo
accontentarci di un compartimento.»
Da bambina, quando io ed i miei genitori partivamo per un
viaggio, mio padre mi prendeva in braccio e faceva prenotare me
indicandomi quali tasti premere. Li avrei rivisti?
«Ogni quanto si può tornare a
casa?» domandai.
Lui si voltò verso di me e mi guardò
per la prima volta come se capisse la mia inquietudine. Mi
studiò tutta per quella che ero: Rebecca Farrel, diciassette
anni, riserva delle cheerleader. Nessun potenziale, nessuna dote utile
alla sopravvivenza, piccola, bassa, bionda.
«Una settimana ogni tre mesi.» disse e
recuperò la scheda.
Mentre ci dirigevamo verso il vagone io contavo. Per rivedere
mia madre e mio padre dovevo rimanere viva per novantatré
giorni, non erano pochi, ma forse era possibile. Non ero più
un’esca, le mie probabilità di sopravvivenza erano
improvvisamente aumentate e, se quello che Zach diceva era vero, che la
sua Responsabile non voleva morti inutili, non mi avrebbero mandata
là fuori di notte appena arrivata a Synt; sarebbe stato un
omicidio bello e buono ed avrei potuto compromettere la sicurezza di
qualche altro componente della squadra. Dovevo sopravvivere per meno di
novantatré giorni. Forse in tre mesi mio padre avrebbe
trovato il modo di tenermi a casa, la mia vera casa.
Fece salire me per prima sul treno, probabilmente per paura
che con uno strattone ben assestato al momento giusto avrei potuto
liberarmi della sua presa e scappare, iniziavo a pensare che non avesse
affatto un’alta considerazione di me.
Una volta che le porte scorrevoli si furono chiuse alle nostre spalle
comunque, Zach mi lasciò finalmente la mano.
Lo guardai sorpresa della novità e lui si strinse nelle
spalle. «Sei in un tubo di acciaio sigillato, che tra pochi
secondi inizierà a correre ad una velocità media
di trecento chilometri orari.» ridacchiò.
«A meno che tu non sappia volare, non
c’è modo che possa scapparmi.» mi
spiegò.
«Perché prima potevo?» domandai
sarcastica.
Scrollò le spalle. «Non si può mai
sapere.» disse incamminandosi lungo il corridoio.
Per alcuni secondi rimasi a guardarlo da lontano, la sua camminata era
composta, come se fosse sempre stato abituato a marciare invece che
passeggiare. Mi morsi le labbra, incerta, poi iniziai a seguirlo. Non
c’era molto altro che potessi fare.
Si fermò davanti al compartimento numero
quarantatré, inserì la scheda
nell’apertura ed aprì la porta. I compartimenti
erano sicuramente meno comodi delle cuccette – due panche di
plastica, una di fronte all’altra ed uno smart table nel
mezzo – ma comunque più tranquilli dei posti
economici comuni.
Sfiorai con la punta delle dita il tavolo liscio che si
illuminò immediatamente. L’avevo anche nella mia
cameretta, avevo dovuto lottare tanto con i miei genitori per
convincerli a sostituirlo con la mia vecchia scrivania e ed il mio
computer. Alla fine ero riuscita a strapparlo loro come regalo di
compleanno per i miei quindici anni, promettendo solennemente di
tenerlo spento mentre facevo i compiti.
Era una schermo full touch con funzionalità praticamente
illimitate; di norma, con quelli sui mezzi pubblici per lunghi
tragitti, era possibile ascoltare la musica – attraverso
apposite cuffie monouso – guardare film ed approfittare di
una serie di mini-giochi per tutte le fasce di età. Tutto il
necessario per non farti annoiare, anche se finivi per annoiarti
comunque.
Zach si sfilò la giacca, sotto aveva soltanto una maglietta
a maniche corte nera, e si sdraiò sulla sua panca di
schiena. Nel farlo la maglia gli scoprì la cintura dei
pantaloni, dove era attaccato un coltello nel fodero. Un coltello
grande, un coltello con il quale io mi sarei ferita sicuramente,
sarebbe stato saggio non darmi qualcosa di così pericoloso.
Distolsi lo sguardo, perché sembrava che stessi guardando
lui e la strisciolina di pelle oltre il bordo dei pantaloni che si era
scoperta.
«Quindi ora mi porti a Synt, fra tre mesi posso tornare a
casa per una settimana…» lo guardai. «E
in questi tre mesi che succede?» mi sedetti
sull’altra panca, davanti a lui.
Era quasi completamente nascosto sotto il tavolo, riuscivo a vedere
soltanto la sua gamba destra perché era ripiegata.
«Diventi una Vegliante attiva. In tre mesi cambierai
molto.»
Mi guardai le mani, lo smalto viola come la divisa delle cheerleader,
chiusi il pugno per nasconderlo. «Tu sei cambiato?»
«Quanto chiacchieri…»
ridacchiò. «Non avrei dovuto dirti che non saresti
stata usata come esca, così saresti rimasta terrorizzata e
silenziosa.»
Arrossii. «Scusa.» rimasi zitta per appena un
istante. «Quanto dura il viaggio?» gli domandai.
«Sei ore, arriveremo che è già
notte.» sbadigliò. «Se mi addormento mi
svegli alle sei? Ordiniamo la cena.» questo era un ottimo
modo per ordinarmi di stare zitta.
Cercai sul mio tavolo la funzione “Sveglia” e la
programmai per le sei. Per alcuni secondi rimasi ferma, immobile,
indecisa su cosa fare per le prossime sei ore, se avessi recuperato il
mio cellulare, invece di scappare in fretta e furia come aveva ordinato
Jean, avrei potuto chiamare i miei o Taylor. Toccai l’icona
con l’elenco delle funzioni di base per scoprire se era
possibile effettuare telefonate tramite lo smart table e sospirai,
ovviamente no. Mi sorpresi però di trovare il portale
turistico di Synt, quale pazzo decideva di fare una vacanza a Synt?
Curiosa, spulciai l’elenco delle attività
consigliate: proponevano di intrattenersi nel centro sportivo,
l’esplorazione della riserva naturale nel bosco ai limiti
della città, la visita guidata alla fabbrica di Mitronio.
Storsi il naso, non era esattamente un’attività
alla quale avrei voluto partecipare.
Non c’era nessuna cartina della città, cercai
ovunque, ma niente. E come ci si aspettava che mi spostassi?
Per rimediare però, c’era una foto di gruppo dei
Veglianti di Synt. Sorridevano, incredibilmente sembrava quasi la foto
di una famiglia. “Dormite sonni tranquilli, con loro che
vegliano per la vostra sicurezza”. Nell’immagine
c’erano otto persone, cinque uomini e tre donne, tutte con il
cappotto verde, una era Jean, quindi i Veglianti effettivi erano sette:
una ragazza aveva i lineamenti asiatici, mentre l’altra
sembrava una reginetta di bellezza; c’era Zach, un tipo
biondo con il viso ricoperto di efelidi, un ragazzo altissimo e
robusto, un altro tipo biondo più uomo che ragazzo ed un
nerd occhialuto e magrissimo. Ricordai che la responsabile avrebbe
dovuto fare rapporto per un deceduto, Josh, mi chiesi quali di loro
fosse. Li studiai con cura uno per uno; non dovetti pensarci molto. Era
triste, ma il nerd con gli occhiali sembrava avere le mie stesse
probabilità di sopravvivenza. Josh doveva essere sicuramente
lui.
Lasciai che lo smart-table andasse in modalità stand-by e
scivolai sulla panca per avvicinarmi al finestrino del treno e guardare
fuori. Alberi, case e distese coltivate correvano davanti ai miei occhi
in una massa confusa ed appena riconoscibile. Se fossi stata normale a
quel punto sarei stata al telefono con Taylor, a ripeterle mille volte
quello che Logan, il ragazzo carino che giocava a pallacanestro, mi
aveva detto quando avevamo pranzato insieme; se fossi stata normale mia
madre mi avrebbe chiamata dal piano di sotto chiedendomi di fare
qualcosa per lei, io avrei sbuffato ed avrei promesso a Taylor di
richiamarla più tardi; se fossi stata normale in quel
momento non sarei stata nel compartimento di un treno, con un ragazzo
bellissimo ed armato addormentato, a calcolare la mie
possibilità di vita o di morte.
Mentre ero tutta presa da quelle riflessioni, Zach si
aggrappò al bordo dello smart-table come se ne andasse della
sua stessa vita e balzò a sedere. Io sussultai e mi
trattenni a malapena dall’urlare per lo spavento, con il
cuore che mi rimbalzava nel petto quasi a volermi sfondare la cassa
toracica. Lo schermo full touch impazzì in tutta una serie
di avvisi rossi lampeggianti per il corretto utilizzo del dispositivo
evitando pressioni eccessive, in effetti Zach stava stringendo il piano
così forte che aveva le punte delle dita bianche, ma non
sembrava accorgersene. Continuai a fissarlo ad occhi sgranati e con il
ritmo cardiaco accelerato: era ansante e pallidissimo, terrorizzato.
Come me, supposi.
Girò il viso verso di me e quasi sobbalzò quando
scoprì di non essere solo.
«Rebecca Farrel, diciassette anni…»
deglutii. «Riserva delle cheerleader.» gli
ricordai, perché mi guardava come un potenziale bersaglio ed
aveva un coltello alla cinta dei pantaloni.
Scosse forte la testa ad occhi chiusi, come a scacciare tutto quello
che gli riempiva la mente. «S-si, lo
so…» prese un profondo respiro, mentre io rimanevo
immobile a guardarlo. Lasciò la presa sul tavolo e si
tirò indietro i capelli, nel farlo si scoprì per
un attimo la fronte madida di sudore.
«Stai bene?» domandai incerta, quando il mio cuore
ebbe un po’ rallentato la sua folle corsa.
Annuì. «Brutti sogni.» spiegò
con voce roca per il brusco risveglio. «A che punto
siamo?» mi chiese dopo essersi schiarito la gola.
«Non sono nemmeno le sei.» continuai a fissarlo.
«A scuola ho fatto un corso di psicologia lo scorso
semestre.» gli raccontai senza un vero motivo, il silenzio mi
spaventava a volte, mi faceva sentire sola.
«Ah sì?» rise. «E che
significa quando sogni di precipitare da un grattacielo?» mi
chiese. Le sue dita intanto si muovevano veloci sullo schermo dello
smart-table – veloci, ma insicure, tremanti –
finché non si fermarono sulla mappa che indicava il tragitto
percorso dal treno e quello rimanente.
«Freud direbbe che temi…
ehm…» arrossii, scema, in quel discorso mi ci ero
ficcata da sola.
Zach scrollò le spalle, affatto in imbarazzo. «Non
credo che Freud immaginasse una vita come quella di un Vegliante, una
città come Synt ed un mondo come il nostro, quando spiegava
le sue teorie.»
Lo guardai senza rispondere: no, probabilmente no.
«Come…»
Alzò gli occhi su di me e per un attimo persi le parole.
Bellissimo… cosa stavo per chiedere? Ah,
sì… «Come è morto
Josh?» mi stupii di me stessa, da dove mi era uscita una
domanda del genere?
Rise senza calore, il tipo di risata che nasconde un grido. Se di
paura, di impotenza, di rabbia o di frustrazione ancora non potevo
saperlo. «Precipitato da un grattacielo.»
Trattenni il fiato.
«Direi che hai le tue risposte.»
commentò senza guardarmi.
«Mi dispiace non…» mi interruppi.
“Non volevo saperlo” mi avrebbe fatta apparire come
una sciocca ragazzina che avrebbe voluto nascondere la testa sotto un
cumolo di sabbia ed ignorare tutte le cose brutte che la circondavano.
“Piccola, ma agguerrita”. «Mi dispiace
per la vostra perdita.» ritrattai.
Lui mi studiò attento. «Sconvolta come sembravi
sei rimasta attenta, hai ricordato che qualcuno è morto, che
quel qualcuno si chiamava Josh, che c’era tensione quando ne
parlavamo… un sacco di informazioni per una cheerleader e
basta.» le sue dita accarezzarono ancora il tavolo, questa
volta con maggiore sicurezza. «Ed hai studiato tutto quello
che hai trovato su Synt.» constatò controllando
l’elenco di tutte le pagine visualizzate da quando eravamo
entrati.
Osservai tutto meravigliata. «Non credevo si potesse
fare.»
«Cos’hai? Una super memoria?» mi
domandò ironico, anche se probabilmente avrebbe voluto
sentirsi dire di sì.
Mi strinsi nelle spalle. «Non credo di avere niente di
super.»
Incrociò le braccia sul tavolo e ci appoggiò
sopra il mento. «A livello altamente strategico, anche se
forse poco realista e decisamente ottimista, eri l’elemento
migliore dell’Asta.» mi confidò.
«Un mio vecchio amico ti avrebbe definita
“un’incognita impazzita”. Un prezzo
decisamente elevato, ma un profilo sicuramente basso.»
Lo osservai. «Tu ci credi davvero, che io sappia fare
qualcosa di super, non è vero?»
Mi lanciò un’occhiata da sotto in su.
«Non ti avrei comprata altrimenti.»
«E se ti sbagli?» chiesi ad occhi bassi.
«Io muoio.» feci scorrere la pagina del tavolo fino
a trovare l’icona del menù del ristorante, anche
se in quel momento non avevo proprio appetito.
Quando tornai a guardarlo lui mi fissava. «Su certe
cose non sbaglio mai e mi impegnerò a non farti morire,
promesso.»
Arrossii.
Si raddrizzò. «Prendi della frutta, quella che ci
mandano a Synt fa schifo.» fece una smorfia disgustata.
«Approfittane, nei treni si mangia bene.»
in
realtà, tra un po' - ok, tra un po' tanto -
penserete a questi capitolo e direte "ah! eppure era ovvio, no?"...
quindi, non maltrattate i miei capitolo noiosi... dai, è
proprio
soporifero?! mi fate venire le crisi di coscienza...
cmq,
abbiate un pochina di pazienza... arrivati a Synt avremo troppo da fare
per pensare alla noia!
vogliate
bene a Josh, è un eroe... spero che più in
là sarò abbastanza brava da farvi piangere la sua
morte... che sembra una minaccia, ma non lo è!
spero
che a qualcuno verrà voglia di farmi sapere che ne pensa e
spero che non saranno tutti, tutti insulti, santo cielo!
baci
|
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Capitolo 3 *** 3. Benvenuta ***
Mitrono
fragolottina's
time
non guardate la
barretta... sta
mentendo! sono solo 3600 qualcosa parole, molto meno dell'altra
volta... sono tanti dialoghi è per questo che quella infida
è così piccola... dannata!
benvenute a Synt, care,
come promesso non ci annoiamo più... conosciamo un
personaggio importante...
leggete, va!
3.
Benvenuto
Iniziai
a sentirmi inquieta non appena lessi il cartello che dava il benvenuto
a Synt.
Era notte, proprio come aveva previsto
Zach, e tutto quello che riuscivo a vedere della città era
delimitato dai lampioni che ne illuminavano le strade, una serie di
macchie bianche circolari in mezzo al buio. Possibile che non ci fosse
un modo per rischiarare in modo più efficiente una zona
tanto a rischio? Non si vedeva assolutamente niente.
In giro non sembrava esserci nessuno, se
non avessi saputo di quale particolare centro cittadino si trattasse,
avrei pensato che fosse disabitata. Nel mio paese io uscivo la sera,
c’erano sempre gruppi di adulti da qualche parte, che
passeggiavano nei posti più frequentati dai ragazzi. I
Veglianti venivano in ricognizione una volta ogni due settimane e
quello era l’unico giorno in cui il coprifuoco passava dalle
undici e mezza alle otto e mezza. Il sindaco lo riteneva necessario, io
avevo sempre pensato che fosse uno spreco di denaro. In diciassette
anni quella squadra non aveva mai trovato nemmeno un Veggente. Non
c’erano Veggenti a Starlyfield.
Io e Zach fummo gli unici due a scendere
e la banchina era deserta come tutta la stazione. Il coprifuoco valeva
anche per i dipendenti?
Una strana sensazione iniziò
a farsi largo in me, tipo un prurito dietro la nuca. Qualcosa al
contempo estremamente familiare ed insolito, come un animale esotico.
«Sembra
tranquillo…» commentai, nervosa ed agitata da quel
senso di vuoto. Sobbalzai, quando il treno ripartì. Chi lo
guidava? E se fosse stato un Veggente?
Zach sbuffò una risata,
decisamente molto più a suo agio di me. «Esci un
paio di notti con me e vedrai che non ti annoi.»
scherzò mentre si infilava la sua giacca verde.
Sapevo che si riferiva alle ronde e non
ad un appuntamento, ma avvampai lo stesso. «Per colpa dei
Veggenti?» chiesi seguendolo verso l’uscita della
stazione. Incrociai le braccia sul petto, avevo i brividi e non era del
tutto dovuto alla temperatura. Il prurito si era spostato dalla nuca al
fondo dello stomaco, dove si era stretto in un nodo di panico. Due
ragazzi in una stazione, in una città deserta: un ottimo
soggetto per un film dell’orrore.
Sospirò.
«Più che altro per colpa di uno. Si chiama Romeo,
o almeno si fa chiamare così.» si strinse nelle
spalle. «Wood non da nomi ai Veggenti, non lo aiuta ad
illudere i suoi Veglianti che non siano persone e che quindi ucciderli
non è omicidio.»
Trovai quasi irresponsabile che Zach
fosse così tranquillo: non sentiva che c’era
qualcosa che non andava? Deglutii e presi un profondo respiro, forse
ero soltanto paranoica.
«Sono
persone.» disse deciso. «Sono fuorilegge, vanno
catturati e resi inoffensivi, ma sono persone.»
Il suo tono attirò la mia
attenzione per un attimo, vincendo sulla paura. Mi sembrava che
cercasse di essere troppo sicuro, dava l’impressione che
fosse lui stesso il primo da convincere di
quell’affermazione.
«N-ne hai mai ucciso
uno?» domandai titubante ed alzai gli occhi su di lui. Era
davvero così diverso da Wood quanto diceva di essere?
Sarebbe stato davvero orribile se si fosse rivelato altrettanto
arrogante e – da come me lo aveva descritto –
spietato.
«Più di
uno.»
Trattenni il fiato.
«Ma mai intenzionalmente.
Quasi tutti quelli là fuori non sono in grado di reggere il
Mitronio, li avvelena.» confessò ad occhi bassi,
nonostante tutto non sembrava qualcosa di cui andasse fiero.
Mi concessi di rimandare il suo giudizio
a quando avrei conosciuto meglio la situazione, Synt e lui stesso.
Finalmente trovò il cellulare
e compose un numero. «Ehi, Matt, ci vieni a prendere o mi fai
fare la strada a piedi?»
Ottimo, chiamare qualcuno per farci
venire a prendere era davvero un’ottima idea.
C’era così tanto
silenzio, che non ebbi difficoltà a riconoscere la risata
rumorosa che uscì dal microfono. «Arrivo,
capo.»
Quanto ci avrebbero messo ad arrivare?
Iniziai a torturarmi le pellicine sulle punte delle dita, cicatrici di
un passato da mangiatrice di unghie di cui non andavo fiera.
Non sarebbero mai arrivati in tempo. Era
un timore tanto intenso da sembrare appena una constatazione, non
troppo diverso dal guardare un cielo burrascoso e concludere che stia
per scoppiare un temporale. Ci sarebbe stato un temporale, e ci sarebbe
stato presto.
Mi morsi il labbro, mentre fissavo la
porta a vetri avvicinarsi ad ogni passo che facevo. Non volevo uscire,
non volevo essere al centro della luce creata dai lampioni, circondata
dall’oscurità. Ma quella del buio non era la
più infantile delle paure? Ero la Vegliante più
fifona del mondo. Sospirai, in fondo non ero ancora del tutto certa di
essere una Vegliante.
«Non credo che sarei in grado
di fare del male a qualcuno.» mormorai piano e deglutii,
quando infine Zach spinse la maniglia antipanico della porta.
Voltò il viso e mi sorrise.
«Faremo in modo che tu non ti trovi nella posizione di fare
del male a qualcuno.»
In quel momento fui certa che sarebbe
stato l’ultimo sorriso che avrei visto da viva.
Uscimmo fuori dalla stazione in una città tanto silenziosa
da sembrare irreale. Pensare di parlare mi metteva a disagio quanto
avrebbe potuto farlo urlare in una chiesa. Come si faceva a nascondersi
con tanto silenzio? A chiunque volesse prendermi sarebbe bastato
seguire il battito impazzito del mio cuore.
Guardai Zach entrare nella pozza bianca
del lampione; io non mi mossi, in balia di tutti i miei sensi
improvvisamente all’erta: mi urlavano nelle orecchie di non
avanzare, di fare dietrofront e di scappare il più lontano
possibile di lì, se non volevo rimetterci la pelle.
Feci un passo indietro, così
spaventata da non riuscire a pensare ad altro se non al buio, ad ogni
minuscolo brivido che mi percorreva. A qualcosa di rosso come il
sangue. Ad un respiro di troppo.
Zach si voltò a guardarmi.
«Che succede?»
«C’è
qualcuno.» sussurrai senza pensare. In realtà non
potevo sapere se ci fosse qualcuno, non lo vedevo, non vedevo niente al
di fuori di Zach che era sotto la luce.
Però c’era ed
uscire era stata una pessima idea. Perché non avevamo
aspettato dentro chi ci doveva venire a prendere? Era con tanta
leggerezza che guidava la sua squadra questo “ottimo
elemento”?
Lui si guardò intorno,
attento, recuperando il coltello alla cintura.
«Già.»
Qualcuno scoppiò in una
risata assordante, indifferente a quel silenzio sacro, che
frantumò senza tanti complimenti. «Wow!»
esclamò con finta enfasi. «Come siete
perspicaci.»
Un ragazzo alto quanto Zach fece un
passo in avanti lasciandosi illuminare dal lampione: non aveva
più bisogno di nascondersi. A differenza del Vegliante,
vestito di verde petrolio e nero, lui aveva una felpa di una azzurro
brillante e dei jeans consumati: non aveva mai avuto
intenzione di nascondersi. Aveva i capelli rossi come il sangue, ricci
quanto i miei, il naso dritto ed appuntito, la pelle pallidissima. Non
riuscivo a vedergli gli occhi, nascosti dall’ombra dei
capelli, ma sapevo che mi stava guardando perché lo sentivo.
«Benvenuta a Synt,
Becky.» mi salutò con un sorriso.
Trattenni il fiato perché
conosceva il mio nome, e perché io non avevo avuto dubbi in
proposito: anche io in fondo conoscevo il suo. E non si trattava
soltanto del nome, era familiare, un de-jà vu che camminava
parlava e si muoveva; dovevo averlo visto da qualche parte, o sognato,
perché ero sicura che se ci fossimo incrociati da qualche
parte avrei immediatamente capito chi fosse.
Sul momento Zach fece un istintivo passo
indietro, ma poi sollevò l’arma davanti a
sé.
Non sarebbe mai riuscito a colpirlo.
«Oh, dai, Zachy.» lo
riprese con tono canzonatorio. «Tanto lo sai che non mi
prendi.»
«Ma niente mi impedisce di
provarci.» ringhiò prima di balzargli addosso.
Chiusi gli occhi per non vedere ed
aspettai di sentire un urlo, anche se avevo paura di scoprire a chi
sarebbe appartenuto.
Nessuno dei due fiatò.
Provai a sbirciarli con un occhio solo:
il coltello era immobile ad una decina di centimetri dal suo collo,
quel ragazzo non solo non si era mosso, non aveva battuto ciglio, ma
aveva tenuto per tutto il tempo lo sguardo fisso su di me.
Era me che voleva, dovevo scappare. Mi
guardai intorno e costrinsi il mio cervello a farsi coraggio, superare
lo shock ed iniziare a pensare ad un piano. Sarei sopravvissuta se
fossi stata in grado di farmi venire un’idea.
Gli occhi di Zach osservavano
preoccupati quello che aveva tutta l’aria essere un
telecomando nella mano dell’ultimo arrivato.
Romeo, il capo dei Veggenti di Synt e
forse di tutto lo Stato, voltò il viso verso di lui,
l’aria annoiata. «In realtà,
sì.» rivelò. «Se mi colpisci
io premerò il pulsante, se premerò il pulsante la
macchina che trasporta Matt, Courtney e Nate farà
“bum”.»
Zach fu sul punto di ringhiare e strinse
il manico del coltello così forte, che la lama prese a
tremare. «Perché Nate è
uscito?»
Il Veggente si strinse nelle spalle.
«Stiamo parlando della tua squadra non la mia.»
fece una smorfia comprensiva. «Frustrante, lo so.»
la sua bocca si stirò in un largo sorriso, troppo affilato.
«Ma tranquillo, sono qui solo per accogliere la nostra nuova
concittadina.»
Tornò a guardarmi ed una
nuova serie di brividi mi scivolò sulla pelle.
«Dunque, piccina, siamo una comunità in continua
crescita, quindi ritengo un obbligo morale provare almeno ad essere
gentile.» allargò le braccia. «Che ne
dici di un abbraccio caloroso come quello del tuo bravo paparino, che
si sta disperando perché la figlia è in una
situazione difficile? Dovremmo essere alti all’incirca
uguali.»
Senza pensare, indietreggiai ancora e
finii contro la porta della stazione che cigolò. Lanciai una
cauta e discreta occhiata alla serratura, non c’era maniglia
all’esterno, probabilmente necessitava di una chiave, ma non
era chiusa, doveva essere difettosa. Guardai Zach: non potevo
abbandonarlo però.
«Non t’azzardare,
Romeo.» intimò Zach, furioso, impotente come
quando Wood lo trattava come un giocattolo.
Me lo indicò con un cenno del
capo. «Scommetto che il nostro eroe qui presente non
è stato gran ché caloroso.»
«Non. Toccarla.»
Il suo sguardo si indurì
improvvisamente e batté due volte con la punta del dito
sulla lama lucida, con al quale Zach non aveva smesso di minacciarlo.
«Tu preoccupati di non toccare me se non vuoi rimettere
insieme Court come un puzzle.» prese il metallo tra
l’indice ed il pollice, attento a non ferirsi. «Da
bravo, Zachy.»
Sapevo che mollare fu doloroso come un
calcio.
«Questo non è
tuo.» disse lanciando il coltello a distanza di sicurezza da
entrambi. «Stai buono mentre faccio amicizia.»
«Se le fai del male ti
ucciderò.»
«Oh, me lo ripeti
così spesso, “ottimo
elemento”.» sorrise e fece alcuni passi verso di
me. «Te l’ho detto, se riesci a colpirmi
un’altra volta ti concedo la rivincita: io, te e basta sulla
cima di un bel grattacielo.» si voltò a lanciargli
un ultimo sguardo provocatorio. «Il problema è che
non riesci più a colpirmi.»
Zach si voltò a seguire i
suoi movimenti con lo sguardo, mentre si avvicinava. Lo fissai aveva la
mascella tanto contratta che pensai di poter sentire le sue ossa
scricchiolare.
«Becky, Becky,
Becky…» cantilenò Romeo e si
portò le dita alla bocca, proprio come quando Jean mi
soppesava. «Un’altra cheerleader bionda, ma tu mi
sa che sei quella giusta.» rifletté.
«Sei anche davvero una cheerleader.»
«Riserva.» precisai,
perché se il suo obbiettivo era uccidere una cheerleader
bionda, forse non si trattava di me: era bene che sapesse che non ero
l’omicidio giusto.
Romeo rise, compiaciuto ed
arricciò il naso. «Solo perché sei un
po’ bassa.» mi tranquillizzò.
«Sono sicuro che sei magnifica quando fai capriole con i
pompon. Il viola e l’ora si abbinano bene ai tuoi
colori.»
Rimasi a bocca aperta, ma sapeva davvero
tutto quanto? Perfino i colori della squadra della mia
città? Essere un Veggente significava davvero tutto questo?
Cercai gli occhi di Zach, mentre tenevo
i palmi premuti contro il vetro della porta dietro di me, quella poteva
essere una via d’uscita, probabilmente l’unica. Lui
scosse impercettibilmente la testa, intuendo le mie intenzioni.
Tirai il blocco della serratura,
leggermente in rilievo rispetto al resto della porta, dischiudendola
appena, appena, uno spazio sufficiente a far scappare solo me.
Perché no?
«Non farlo.»
ordinò brusco. Fece un mezzo passo laterale verso il punto
in cui Romeo aveva lanciato il coltello. «I miei ordini non
si discutono, sono il tuo caposquadra.»
Romeo sventolò una mano
dietro di lui continuando a studiarmi, sembrava voler scoprire quello
che avrei fatto. Quello di cui ero capace. «Ti
dirò, secondo me te la cavavi meglio quando eri il
sottoposto di Lanter, eri vagamente pericoloso.»
Sgranai gli occhi, era il loro
caposquadra che era morto, Wood lo aveva detto, ora lo ricordavo, Zach
aveva preso il suo posto. Eppure era così logico:
perché uccidere un nerd occhialuto che non avrebbe mai
creato alcun problema? Molto meglio eliminare un ragazzo forte e capace
che si rivelava un pericolo.
Rise. «Io ti trovavo
incredibilmente divertente, da quando ti sei rammollito questa
città è diventata così
noiosa… sto addirittura pensando di mandare una spia
all’interno della vostra squadra per creare un po’
di scompiglio.»
Obbiettivamente, Romeo era un tipo
decisamente loquace.
Zach strinse i pugni, le nocche gli
diventarono bianche, ma fece un altro mezzo passo ignorando le sue
provocazioni. «Becky, fidati di me.» disse con voce
ferma. Si avvicinò ancora, ma con troppo impeto, reso
imprudente dal nervosismo. Perfino io sentii il passo troppo pesante.
Guardai il Veggente che sorrideva
davanti a me: non lo stava imbrogliando, non c’erano speranze
che potesse coglierlo di sorpresa. Se fossi rimasta, se avessero
combattuto per me, come sembrava intenzionato a fare Zach, non sarebbe
stato lui a perdere.
Tornai a fissarlo, se mi nascondevo
nella stazione avrei guadagnato tempo e forse gli avrei evitato uno
scontro. «Hai detto che mi avresti preso.»
Mi infilai dentro la stazione, prima che
potesse ribattere qualcosa che mi avrebbe scoraggiata, e tirai forte il
maniglione per richiudere la porta, terrorizzata all’idea che
Romeo me lo impedisse; ma non lo fece. Sentii Zach imprecare, gli occhi
verdi sgranati, e lo vidi scattare verso destra per raggiungermi.
Romeo non si mosse, non sembrava affatto
sorpreso o preoccupato dagli sviluppi della situazione,
continuò a guardarmi divertito. «Tu lo sai, vero,
Becky, che così siamo rimasti soli?»
Sbiancai spaventata e lui si
allontanò ridendo.
Deglutii: dovevo rimanere calma, dovevo
nascondermi.
Mi guardai intorno, la stazione deserta
era illuminata dalla luce artificiale, non c’era nemmeno un
punto d’ombra. Solo in quel momento capii
l’importanza delle zone buie fuori di lì: non
erano per far nascondere i Veggenti, ma i Veglianti in caso di
emergenza. Presi fiato, costringendomi ad evitare distrazioni; osservai
indecisa il cartello che indicava i bagni, ma, se mi avesse trovata,
chiusa lì dentro sarei stata in trappola. Volevo avere una
via d’uscita.
Tornai verso la banchina.
Sicuramente Zach sarebbe passato dai
binari. Non sapevo perché, ma ero certa che non ci fosse una
seconda entrata, o almeno, ero sicura che non sarebbe stata aperta. Se
fossi rimasta nei paraggi ci saremmo trovati prima; sì, ma
da che parte?
Improvvisamente tutte le luci della
banchina si spensero contemporaneamente. Di chi era stata
quell’idea? Mi lanciai un’occhiata alle spalle per
controllare che non ci fosse nessuno e decisi che io ne avrei
approfittato in ogni caso.
Mi inginocchiai e scivolai sotto una
panchina. Quando appoggiai la mano a terra qualcosa si mosse, un
insetto probabilmente, mi morsi le labbra per non lasciarmi sfuggire
nessun verso. Per un secondo non riuscii ad impedirmi, scioccamente, di
preoccuparmi che quell’animale mi si infilasse nei capelli,
come se non fosse mille volte meglio togliere un ragno dai miei ricci,
che rischiare di fare una brutta fine subito, appena arrivata.
Ed io che progettavo di sopravvivere per
novanta giorni circa, ero stata decisamente ottimista.
Dei passi che si avvicinavano svuotarono
la mia mente da ogni pensiero, appuntai le orecchie; non erano i passi
di Zach, erano strascicati, lenti. Mi rimpicciolii di più ed
iniziai a controllare ogni mio respiro per renderlo il più
silenzioso possibile, i capelli mi si appiccicavano al collo sudato.
Perché il mio cuore batteva così dannatamente
forte?
Chiusi gli occhi e mi intimai di stare
immobile e calma: ero solo un fagottino sotto una panchina al buio, chi
poteva vedermi?
«Toh! Si è
fulminata una lampadina…» commentò.
«La cosa simpatica è che è stato Zachy
a farlo.» rise. «Pensava di mettermi in
difficoltà.»
Chi non aveva bisogno degli occhi per
farlo.
Romeo si accovacciò davanti a
me, strisciai in avanti cercando di scappare, ma lui mi
afferrò una gamba per stanarmi; provai a scalciare, ma lui
aveva già pronta l’altra mano per bloccarmi. Come
si faceva a cogliere di sorpresa qualcuno che conosce già le
tue mosse?
Quando mi strattonò fuori dal
mio rifugio, mi rannicchiai e nascosi il viso dietro i pugni chiusi,
lasciando comunque in mostra tutta una serie di punti in cui sarei
potuta essere ferita mortalmente.
Ridacchiò sottovoce.
«Ne hai di strada da fare, piccina.»
lasciò le mie gambe per afferrarmi polsi e me li
scostò dal viso.
Provai ad urlare, ma, non appena aprii
la bocca, me la tappò con un palmo. Affatto scoraggiata,
anzi determinata a sfruttare il vantaggio di essere tenuta con una sola
mano, presi a dibattermi con più energia.
Sorrise, crudelmente divertito dai miei
sforzi inutili. «Piccola, ma agguerrita.»
Mi bloccai e lo fissai. Da quanto sapeva
che sarei arrivata?
Romeo mi studiò tutta e si
morse le labbra, sembrava combattuto. «Non so che
fare.»
Mugugnai mentre mi davo della stupida:
se mi fossi incamminata sui binari, Zach mi avrebbe già
trovata; se mi fossi nascosta nel bagno, avrei potuto opporre maggiore
resistenza da dietro una porta chiusa; se fossi rimasta dove ero Zach
almeno sarebbe stato lì. Se fossi sopravvissuta a quella
notte, avrei assolutamente dovuto imparare a fare scelte più
furbe, o il fatto che fossi agguerrita non sarebbe servito a gran
ché.
«Ryan mi ha suggerito di
ucciderti per non correre rischi, io sto pensando di farti un
regalo.» mi sorrise. «Sembri una tipetta molto
sveglia, chissà che non mi torni utile.»
Rimasi immobile, gli occhi fissi dove
sarebbero dovuti essere i suoi a supplicarlo di risparmiarmi. Lasciarmi
andare non poteva creare questa grande differenza, ci aveva messo
così poco a rendermi inoffensiva.
«Il problema è che
se scommetto su di te e ti riveli un errore, mi uccidi.»
mormorò.
Mugolai una protesta, come potevo
ucciderlo? Con la forza del pensiero? Nemmeno nei miei sogni.
«Regola numero uni di una
buona Vegliante: mai sottovalutarti.» si bloccò.
«Shh!» mi intimò.
Obbedii e riconobbi alcune voci chiamare
il mio nome. Zach aveva chiesto aiuto.
Cercai di dimenarmi con tutta me stessa,
mi fosse rimasta anche solo una briciola di energia l’avrei
usata per cercare di liberarmi.
«Ok, ho deciso.»
Restai ferma, anche il mio cuore si
fermò, in attesa di scoprire quale fosse il mio destino.
Chiusi gli occhi mentre promettevo a me stessa che, se mi fossi
salvata, non avrei mai più permesso a nessuno di decidere
della mia vita e della mia morte. Sarei diventata una brava Vegliante,
mi sarei impegnata… sapevo che non sarei riuscita a
diventare un pericolo per Romeo, ma almeno avrei protetto me stessa.
Spostò la mano sul mio viso
in modo da tapparmi il naso.
«Non soffocare da
sola.» ordinò prima di infilarmi un dito in bocca.
Sapeva di marcio, di acido, di morte e
putrefazione. Mi divincolai e lo spinsi via. Presi un profondo respiro,
ma anche l’aria sapeva di marcio, acido, putrefazione e
morte.
«Questo è per
Nate.» disse, ma non vidi cosa mi mise in tasca, impegnata a
girarmi carponi per non soffocare, mi sembrava che i miei polmoni non
riuscissero ad incamerare abbastanza ossigeno. «Ricordatelo,
è importante.» mi avvisò prima di
scomparire.
Finalmente sola, non riuscii ad
impedirmi di vomitare sulla banchina, tremante per i brividi.
Passarono anni, forse mesi, probabilmente non molti minuti.
Mi sentivo febbricitante, avevo i
brividi. Avrei scambiato tutto quello che avevo per essere nel mio
letto in quel momento, sotto strati di coperte, con mia madre che mi
porgeva qualcosa per far abbassare la febbre. Mi serviva assolutamente
qualcosa per la febbre. La testa sembrava volermi scoppiare.
Una figura si accucciò
accanto a me imprecando e fece per afferrarmi; urlai non appena sentii
la sua mano sul braccio, terrorizzata che fosse un altro Veggente.
Cercai di allontanarlo debolmente e ci riuscii. Mi sentivo stordita, ma
non ero stupida: se c’ero riuscita, non era un Veggente
«No, Becky, tranquilla! Sono
Nate, un amico.»
Quando vomitai di nuovo, mi tenne
indietro i capelli.
«Court, Matt! È
qui!» gridò e mi abbraccio forte. «Va
tutto bene.»
Singhiozzai in lacrime e sentii il suo
petto, contro il quale continuava a tenermi stretta, sollevarsi in un
sospiro.
«Starai bene.»
mormorò. «Vedrai, che starai bene.» mi
aiutò ad alzarmi, praticamente mi tirò su lui, e
mi guidò verso la panchina sotto la quale mi ero nascosta,
per farmi stendere. Mi sembrava di avere lo stomaco contorto, la vista
annebbiata. Riconobbi una paio di occhiali dalla montatura nera, gli
stessi del ragazzo che avevo creduto fosse Josh, ed una giacca verde
che usò per coprirmi.
Strinsi le braccia sulla pancia e cercai
di placare i conati. Il ragazzo che mi aveva soccorso, mi
girò su un fianco.
«Meglio?»
Aspettati immobile. Forse era per il
freddo della panchina sotto la mia guancia, incredibilmente piacevole,
o forse il mio stomaco si era svuotato del tutto, ma sì,
andava meglio.
Annuii e chiusi gli occhi. Mi sembrava
di avere un chiodo arroventato che spingeva per sfondarmi il cranio,
all’altezza della tempia.
«Nate, togliti.»
ordinò una voce femminile.
Nate.
“Ricordatelo, è
importante.”
Una mano incredibilmente fresca mi
accarezzò la fronte. «Accidenti, come
scotti!» o forse ero io che ero troppo calda.
Dischiusi le palpebre ed infilai una
mano nella tasca, dove avevo sentito frugare il Veggente. Strinsi
qualcosa nel palmo e lo allungai verso l’ombra con gli
occhiali.
«Ancora regali per te, eh?
Zachy diventerà geloso.» commentò una
voce maschile che non conoscevo.
«Sta zitto, Matt.»
intimò. Questa volta riconobbi il timbro, era Zach.
«Che le ha fatto?»
«Non lo so, l’ho
trovata così. Tu sei ferito?» chiese Nate.
Un sospiro. «Volevano solo
tenermi impegnato per non disturbare Romeo.»
«Jean era stata chiara: niente
missioni solitarie.» gli ricordò la voce
femminile.
«Ha avuto paura ed
è scappata, che facevo non cercavo di salvarla?»
Non era stata la paura, mi era sembrata
la cosa più logica da fare, ma mi sentivo troppo stanca per
parlare.
«Avresti dovuto
aspettarci!»
«E voi avreste dovuto
sbrigarvi!»
Mi sporsi oltre la panchina per vomitare
di nuovo, forse stavo sognando, ma sentivo ancora quell’odore
dolciastro e disgustoso.
«Cavolo!» si
lamentò la ragazza.
«Siamo stati
veloci.» sbottò… Matt, sì,
l’altra voce maschile si chiamava Matt. «Ho fatto
un tragitto di mezz’ora in dieci minuti, se vuoi che vada
più veloce dammi un jet.»
«Ok, basta.» li
interruppe di nuovo la ragazza. «Bisogna portarla a casa, sta
male.»
«Che potrebbe
essere?» chiese Zach.
Titubò prima di rispondere.
«Non lo so.»
Per alcuni secondi nessuno disse niente
o si mosse, come se tutti avessero riconosciuto la bugia nella sua
voce. Beh, in fondo l’avevo riconosciuta anche io. Poi
qualcuno mi prese in braccio. Appoggiai il viso contro il torace di chi
mi stava trasportando – Zach, mi sembrava di vederlo
– ed ignorai l’emicrania che si accentuava con i
battiti veloci, assordanti del suo cuore.
Ero salva, ero viva. Per il momento.
«Zach, questa la devi
vedere.» disse forse Nate.
«Cosa?»
«È una mappa, ci
sono bombe per tutta Synt.»
Sospirò. «Cerca un
tragitto da qui a casa che le eviti.»
«Non
c’è.»
«Quello in cui ci sono
meno?»
Ci fermammo.
«Minimo tre.»
«Cazzo.»
Nessuno fiatò.
«Hai detto che aveva un
telecomando.» gli ricordò Matt. «Una o
mille non fa la differenza, se vuole farci saltare ci farà
saltare.»
«Quindi che
proponi?» domandò Zach.
«Di andare a casa. Non vuole
ucciderci o l’avrebbe fatto.»
«Ci fidiamo di un
Veggente?!» sbottò a voce alta, indignato.
«Di Romeo, per la precisione?!»
Mugugnai una protesta perché
tenesse il tono più basso.
«Scusami.»
sussurrò.
«O ci fidiamo o ci accampiamo qui.»
Decisero di fidarsi.
non
mi ricordo con quale logica ho realizzato che in mezzo a tanti nomi
stranieri il cattivo si sarebbe dovuto chiamare Romeo... vi assicuro
che c'era però...
non so che dirvi, in realtà... boh... abbiamo l'eroe che non
"eroeggia"... il cattivo logorroico... Nate, voglio bene a Nate...
Courteney... e Matt...
nel prossimo capitolo, li conosciamo meglio... dio, il terzo capitolo e
stai già morendo... piccina, ne hai proprio tante di cose da
imparare!
baci
uh! dimenticavo una cosa importante!
grazie del sostegno che mi state dando, tutte quante in tutte le forme,
nonostante vi abbia detto che potrei essere una pippa a scrivere questa
storia!
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Capitolo 4 *** 4/1. Zona gialla ***
mitronio 2
fragolottina's
time
buongiorno, mie care...
c'è ancora qualcuno?
mi scuso per il ritardo,
ma vi risparmio tutta il discorsone sul perchè e per come...
ma ora eccoci!
dunque questo capitolo
è
più breve degli altri - perchè l'ho diviso,
ringraziatemi
o si sfioravano la mille mila parole - ma è denso!
entriamo un po' nel vivo
della situazione!
4.
Zona gialla
Non ero sveglia.
Ero cosciente. E lo ero perché la testa mi
faceva ancora male da impazzire, e loro continuavano a parlare.
«Courtney, dimmi cosa pensi
sia stato.»
Era Jean ed evidentemente
c’era anche la ragazza che mi aveva soccorso. Quanto tempo fa
era successo?
«Zach mi ha detto che fai la
vaga ed è preoccupato.»
«Beh, dovrebbe smetterla di
preoccuparsi. Dopotutto ci si è cacciata da sola in questa
situazione, no?»
«Courteny Williams!»
la rimproverò Jean brusca.
Un sospiro. «Intossicazione da
Mitronio.» esclamò risoluta. «Febbre
alta perché attacca le cellule neurali, vomito
perché tenta di rigettare l’antidoto.»
Silenzio. «Il Mitronio non
funziona con i Veglianti, te ne sei dimenticata?»
«No.»
sbottò, infastidita. «Ma i sintomi sono quelli, se
non è Mitronio è qualcosa che gli
somiglia…» si interruppe per quella che fu
un’eternità. «Un Mitronio per Veglianti,
magari.»
Ancora silenzio.
«Zach dovrebbe preoccuparsi
più di questo che di lei.»
«E se fosse una Veggente? Se
ci fosse stato un errore?» chiese ignorando il suo commento
poco carino.
«Non è
così sveglia e Romeo non avrebbe avuto motivo di
attaccarla.»
«L’ha risparmiata,
magari è d’accordo con lui.»
La ragazza titubò per un
istante. «Credi sia possibile?» domandò,
preoccupata dall’idea.
Una mezza risata. «No, ma
preferisco credere che lei sia una spia, piuttosto che tutti i Veggenti
là fuori abbiano armi in grado di abbatterci in un solo
colpo.»
«La terrò
d’occhio.»
Una sedia si spostò.
«D’accordo, per ora tieni le tue ipotesi per
te.»
Aprii gli
occhi.
Sul momento aspettati che il dolore invadesse di nuovo la testa, o che
lo stomaco desse cenno di instabilità, ma non accadde. Se mi
fosse stato concesso di sbilanciarmi, avrei detto di star bene. Seduta
accanto a me su una sedia, c’era la ragazza dai lineamenti
asiatici che avevo visto sulla foto dei Veglianti di Synt; leggeva un
libro di cucina, mi chiesi se non fosse la stessa che avevo sentito
parlare nella semi-coscienza. Fissai la copertina di quel volume senza
vederla davvero per quella che mi sembrò
un’eternità, prima che lei si accorgesse che ero
sveglia.
«Uh, bentornata!»
No, non era la stessa voce.
Sbattei le palpebre e mi guardai
intorno, era tutto bianco e c’era odore di disinfettante.
«Sono in ospedale?» domandai, avevo la voce
arrochita per essermi appena svegliata.
La ragazza scosse la testa, aveva i
capelli così neri da sembrare tinti con
l’inchiostro, lisci e lucidi come le penne di un corvo;
creavano un contrasto fin troppo netto con la sua pelle pallidissima.
«Gli ospedali non sono sicuri per noi, sei in
infermeria.»
Continuai a fissarla.
«A Synt, nella stazione dei
Veglianti.» da come mi guardava, immaginai di non avere
l’aria molto sveglia. «Ti ricordi, vero?»
Annuii, ricordavo tutto.
L’Asta, il viaggio in treno con Zach, gli occhi verdi di
Zach. Ricordavo anche cose che avrei preferito dimenticare, come i
capelli rossi di Romeo, o la sua voce.
«Tu sei una Vegliante?» chiesi.
Era magrissima, un pugno d’ossa spigolose, che in ogni caso
la rendevano carina, fragile, molto femminile. Soprattutto
perché aveva unghie e labbra colorate di un rosa baby,
decisamente poco minaccioso, e ciglia così folte e
così lunghe da poter essere solo finte.
«A-ah.» rispose
senza particolare attenzione, tornando a sfogliare il suo libro che,
ora che ero più sveglia e più attenta, mi accorsi
conteneva ricette giapponesi e cinesi. Bizzarro.
Si accorse che lo guardavo e fece un
mezzo sorriso. «Mia madre ha paura che dimentichi le mie
origini.» si giustificò.
«Oh, sei nata in
Giappone.»
Era alquanto strano, parlare delle
origini di una ragazza sconosciuta mentre ero stesa in un letto che non
conoscevo, in una città che si era dimostrata altamente
ostile nei miei confronti, a pochi secondi dal mio ritorno
dall’oblio. Nel quale non sapevo – tra
l’altro – per quanto tempo ero rimasta immersa.
Scosse la testa, anche i suoi occhi
erano molto scuri, si riusciva a stento a riconoscere la pupilla
dall’iride marrone. «Non ci sono mai
stata.» si strinse nelle spalle con noncuranza.
«Lasciare lo Stato è diventato un po’
impegnativo da quando si teme un’emigrazione di Veggenti
verso lidi più sicuri. Hanno tutti paura che se ne vadano a
riorganizzarsi in Australia.»
La osservai senza capire e lei dovette
immaginare la mia confusione.
«Niente squadre di Veglia
lì.» mi spiegò.
Per alcuni secondi rimasi a fissarla in
silenzio, poi deglutii. «Che mi è
successo?» la mia voce continuava ad essere roca e grattava
sulla mia gola irritata.
La ragazza si alzò e mi si
avvicinò, spinse un pulsante accanto al letto ed i cuscini
iniziarono a sollevarsi finché non mi trovai quasi seduta.
«Vado a chiamare Courtney.» mi sorrise
rassicurante. «Saprà spiegarti tutto.»
disse e si diresse verso la porta della stanza con passi
così silenziosi che, se avessi chiuso gli occhi, avrei
pensato che stesse volando.
Restai sola.
Provai a sollevare il busto senza
appoggiarmi al letto e mi tolsi le coperte di dosso. Ero vestita come
ero stata all’Asta, stessi jeans e stessa maglia blu,
mancavano soltanto le scarpe: non mi avrebbero lasciata con gli stessi
vestiti se fossero passati molti giorni, riflettei.
Mi bloccai: i miei genitori dovevano essere terribilmente preoccupati,
non avevano mie notizie… da quanto?
Dovevo trovare il mio cellulare.
Strinsi i pugni, poi le dita dei piedi
e, quando fui abbastanza sicura di tenermi dritta, scivolai
giù dal letto. Sul momento la mia testa fece un giro
così vorticoso, che dovetti sostenermi al materasso per non
cadere, poi però si stabilizzò. Forse dovevo
essere più cauta.
Seguii il bordo del letto, mantenendo
una mano sulle coperte, e mi chinai per vedere se i miei bagagli
fossero lì sotto. No. Mi guardai intorno sospirando, un
letto, due sedie ed un piccolo tavolo con sopra un bicchiere
d’acqua: non c’era nient’altro, nessun
posto dove nascondere qualcosa.
Spostai lo sguardo sulla porta chiusa
dalla quale era uscita la ragazza asiatica: ero rimasta chiusa in
quella stanza fin troppo. Tre passi mi dividevano dalla porta, ce la
potevo fare.
E ce l’avrei fatta se, proprio
quando stavo per appoggiarmi alla maniglia, qualcuno non avesse aperto
di botto facendomi prima sussultare, poi perdere
l’equilibrio.
Per fortuna fu abbastanza sveglio da
sorreggermi per un braccio, dandomi modo di scoprire che era lo stesso
dell’ultima volta che avevo chiuso gli occhi: evidentemente,
quel ragazzo aveva votato la sua vita alla mia sopravvivenza. Se non
ricordavo male si chiamava Nate.
«Ehi!»
esclamò sorpreso, tenendo un vassoio in equilibrio su una
mano ed il mio braccio saldo nell’altra. «Lynn
aveva detto che ti eri svegliata, ma non credevo fossi tanto sveglia.
Come stai?»
«Io…
ecco…»
Era davvero molto alto e dinoccolato,
gli occhi erano arrossati e scavati da profonde occhiaie, un peccato
perché erano di un bell’azzurro vivace anche
dietro le spesse lenti degli occhiali.
Avrei voluto dirgli miliardi di cose, ma
l’unica parola di senso compiuto che riuscii a formulare sul
momento fu un: «Grazie.»
Non mi rispose, arrossì
imbarazzato e mi indicò con un cenno del capo il letto ormai
vuoto. «Non dovresti stare di già in
piedi.» mi rimproverò con delicatezza.
«Courtney mi ha detto di farti mangiare e di farti stare a
letto.»
Sospirai, scontenta.
«Ti spiegherò tutto quello che vuoi
sapere.» si offrì.
La proposta era quanto mai allettante,
visto e considerato che avevo scoperto di essere –
probabilmente – una Vegliante e nemmeno ventiquattro ore dopo
avevo rischiato la vita. Il mezzo ricordo di Jean che si chiedeva se
potessi essere una Veggente mi punse la coscienza, ma lo cacciai via.
Stavano scherzando, giusto? Io non ero una Veggente. Già
avevo i miei guai ad essere una Vegliante.
Decisi che sapere era più
urgente che mettere di nuovo le mani sul mio cellulare, così
arretrai fino al letto e mi ci sedetti sopra. Nate si
sistemò sulla sedia accanto e mi mise il vassoio in grembo.
La mia cena consisteva in un piatto di carne stufata con i fagiolini,
una bottiglietta di acqua da mezzo litro, due fette di pane, una mela
ed una banana.
Mi attaccai immediatamente
all’acqua scoprendo solo in quel momento di avere una sete
pazzesca; me ne scolai una metà e lo guardai.
«Come sto?» chiesi affrontando subito il problema
più urgente, magari mentre mi apprestavo a mangiare lo
stufato – che aveva un’aria molto invitante
– all’interno stavo marcendo lentamente.
«Il medico ti ha fatto tutte
le analisi del caso e Jean gliele ha fatte ripetere per essere
sicura…» sorrise. «Fondamentalmente stai
benissimo.»
Mi bloccai. «Allora, cosa ho
avuto?»
Ricordavo fin troppo bene il malessere,
la nausea, quell’odore disgustoso.
Si appoggiò allo schienale
della sedia ed accavallò le gambe distogliendo lo sguardo
dal mio per pensare. «Ti dirò, tutti si affannano
e si preoccupano. Secondo me è stato un crollo nervoso,
troppi shock improvvisi ai quali non eri preparata.»
Presi un boccone di carne e lo portai
alla bocca, masticai lentamente mentre riflettevo. Sicuramente tutto
quello che era successo era stato inaspettato ed in una qualche misura
mi aveva terrorizzata e scioccata, ma non credevo abbastanza da farmi
venire la febbre, rigirarmi lo stomaco come un calzino e farmi stare
addormentata per…
«Quanto ho dormito?»
chiesi ad occhi bassi, riposai la forchetta accanto al piatto.
«Non tanto come credi. Sei
rimasta priva di sensi una decina di ore.» sorrise.
«Per un Vegliante è quasi normale, sai?»
Mi si prospettava proprio un bel futuro.
«Solo Zach era ansioso,
è rimasto qui ad aspettare che ti si abbassasse la febbre
per tutta la notte. Courtney ha dovuto chiedere aiuto a Jared per
convincerlo a farsi dare una medicata.»
Non chiesi di Jared, non mi interessava.
Per un attimo il mio essere prevalentemente una liceale prese il
sopravvento e mi fece scoprire contenta che fosse rimasto a controllare
che stessi bene; poi pensai che magari certe situazioni erano
romantiche solo sui telefilm e sui libri: lui era un caposquadra, in
fondo doveva
controllare che stessi bene.
Il mio appetito si allontanava ogni
secondo un po’ di più: non potevo più
permettermi di pensare da liceale.
«Com’è essere un Vegliante?»
gli domandai, fissandolo negli occhi per essere sicura che non mi
mentisse. Non sembrava proprio un tipo bravo a dire bugie, sembrava in
tutto e per tutto un nerd e di solito io ero simpatica ai nerd.
«Non lo so.» rise.
«Io non mi ci sento. Niente ronde notturne per me. Con quello
che so fare, sarei il primo che Romeo proverebbe a far fuori.»
Lo osservai curiosa. «Che sai
fare di tanto pericoloso?»
Estrasse un palmare dalla tasca dei
pantaloni. «Gestisco le telecomunicazione ed ho creato una
rete di videocamere che nemmeno Romeo è riuscito ad
hackerare.» annunciò orgoglioso.
Feci un sorrisetto: l’avevo
detto io.
«Cioè?»
lo incalzai sperando che avesse voglia di tradurre la sua meravigliosa
capacità anche nella mia lingua.
Mi allungò il palmare per
farmelo sbirciare, sullo schermo c’era una specie di
ciambella gialla. «Synt è divisa in luoghi diurni
e notturni.» mi indicò il buco della ciambella.
«Tutto quello che resta chiuso e disabitato durante la notte
è nella zona gialla, tutti gli abitanti sono dentro. La zona
gialla è completamente monitorata da un intrigo di
telecamere infallibili. Ci sono solo due punti ciechi e sono
così piccoli, che Romeo dovrebbe essere un topo
perché possa nascondercisi.»
Sfiorò il palmare e
l’immagine si modificò leggermente, la ciambella
si divise in vari settori nominati con i punti cardinali.
«Quando un Veggente si fa vivo parte un allarme e noi abbiamo
tre chilometri per rimandarlo indietro o…» si
bloccò.
«Ucciderlo.» dedussi
io mentre lui ritirava il palmare.
«Già, ma nessuno
vuole uccidere nessuno.»
Lo studiai frustrata. «Non ho
capito perché sei tanto importante.»
Fece un sorriso amaro. «Dovrei
parlare al passato.» borbottò più a
sé stesso che a me. «Sono l’unico ad
avere i codici per disattivare le telecamere, li cambio tutte le sere.
Ho lasciato solo un canale dove Romeo può
parlarmi.»
Sgranai gli occhi.
«Parlate?» chiesi incredula.
«Commentiamo le rispettive
strategie.» rispose tranquillo dondolandosi indietro sulla
sedia. «Credo che tutto sommato rispetti il mio lavoro. A
volte sembra quasi che voglia tirarmi dalla sua parte.»
Lo fissai vagamente allarmata.
Nate rise della mia espressione.
«Non preoccuparti, sono convinto che se uscissi di qui mi
farebbe fuori non appena mi trovassi a portata di proiettile,
ma… beh, è la persona più geniale che
conosca, sentirsi lodare da lui è piacevole.»
«Funziona?» domandai
riferendomi alla strategia “ciambella”.
«Funzionava.» si
strinse nelle spalle e sospirò ricadendo con tutte le gambe
della sedia a terra. «Ora la zona gialla è stata
ridotta, non siamo in grado di pattugliarla tutta, parte delle zone
diurne sono fuori dalla nostra protezione. Ci siamo trovati con la
centrale elettrica fuori dalla zona gialla. Io posso mettere tutti i
codici del mondo, ma se loro possono semplicemente staccare la spina
non è molto utile.» commentò
decisamente contrariato, poi però abbassò lo
sguardo, quasi si fosse pentito. «Non ascoltarmi, sono
arrabbiato perché sono diventato praticamente
inutile.» ritrattò. «Capisco bene
perché Zach si limita ad azioni difensive e
perché non intende scatenare una guerra per la riconquista
del territorio, è un rischio enorme!»
«Ma tu pensi che ne varrebbe la pena.» conclusi.
«Non lo penso, è così.»
precisò. «Se ci fosse ancora Josh, se Zach si
sentisse ancora tanto sicuro di sé da sfiorare la
strafottenza le cose sarebbero diverse. Dal punto di vista strategico
la morte di Josh è stata la cosa migliore capitata ai
Veggenti, hanno tolto la voglia di divertirsi a Zach.»
«Divertirsi?»
«A-ah.» sorrise.
«Sai, Zach credeva di essere invincibile ed io avevo imparato
a memoria tutte le strategie belliche usate dai Veggenti di tutto il
mondo.»
«Come diavolo hai fatto?» chiesi incredula, io
avevo problemi con le poesie.
Mi guardò furbo. «Memoria fotografica. Il succo
è che esistono degli schemi.» disegnò
un quadrato nell’aria con un dito. «E se disponi le
tue forze in un certo modo, probabilmente ti prepari a colpire un
determinato obbiettivo. Ovviamente c’è un margine
di errore, Romeo è imprevedibile, l’ho visto fare
cose incredibili. Ma se te la giochi prima o poi vinci, Zach era il
tipo di persona disposto a giocarsela per vincere.»
Pensai a come mi era apparso, terribilmente controllato, preciso, il
passo di marcia in treno; non riuscivo a sovrapporre il ritratto che
Nate gli stava dipingendo.
«Poi che è successo?»
Nate sospirò. «Josh è morto. Ha
scoperto di non essere invincibile. Ed io gioco con le mie telecamere
rotte.» guardò il mio vassoio, c’era
ancora una buona porzione di stufato sopra. «Ti ho tolto
l’appetito.» si rimproverò con un
sospiro.
Stavo per rispondere, ma proprio in quel momento entrò una
ragazza con una tuta da ginnastica azzurra, sudatissima. Aveva gli
occhi blu, i capelli biondi, le labbra morbide e le guance rosa. Era
alta e flessuosa, non magrissima come la ragazza asiatica –
Lynn, aveva detto Nate – ma decisamente snella. Se aveva
frequentato il liceo era stata sicuramente una reginetta del ballo,
nonché capo cheerleader, nonché sogno proibito di
tutti gli studenti dell’istituto.
«Ce l’ha fatta!» esclamò
decisamente scocciata nel guardarmi, come se mi fossi presentata
incredibilmente in ritardo ad un appuntamento importante.
«Come sta Zach?» chiese Nate.
«Contusioni, qualche graffio. Sta bene.» mi si
avvicinò e mi posò una mano sulla fronte.
«Anche tu stai bene, puoi iniziare a renderti
utile.» disse gelida. Beh, a differenza dei nerd di solito a
quelle come lei non andavo molto a genio.
«G-grazie.» mormorai mentre si voltava per dire
qualcosa a Nate.
Si bloccò e si voltò di nuovo, furiosa.
«Non ringraziarmi, mi occupo dell’infermeria,
è il mio lavoro, non l’ho fatto perché
volevo. Sei stata sciocca, avventata, hai messo in pericolo
Zach.»
Deglutii, non sapevo di avere tante colpe.
Lei prese fiato, se non l’avesse fatto probabilmente a quel
punto avrei avuto le sue cinque dita stampate sulla faccia.
«Non ringraziarmi, se non fosse che poi si sarebbe sentito in
colpa avrei preferito seppellirti.»
Simpatica.
«Non pensi di esagerare, Court?» la riprese Nate.
Si voltò bruscamente verso di lui schiaffeggiandomi con i
suoi capelli. «L’ultima cosa che voglio
è occuparmi di una ragazzina da salvare.»
Scosse la testa stralunando gli occhi. «Perché non
pensi ad altro? Me ne occupo io.» si offrì.
«Mi spieghi perché tutti l’avete presa
così a cuore?» chiese evidentemente infastidita
dalla cosa, forse le stavo rubando l’attenzione.
«Perché anche tu sei stata una ragazzina da
salvare!» la prese in giro. «Siamo ottimisti,
magari scopriamo che ha delle qualità come te.»
Beh, per essere un nerd aveva la lingua lunga.
Courtney lo fulminò con lo sguardo, ma poi rise, falsa e
rumorosa. «Non credo proprio. Comunque ora è un
tuo problema!» si congedò sbattendo la porta.
Continuai a guardare l’uscio
dal quale era uscita un po’ perplessa, mi aspettavo che
almeno un persona provasse a conoscermi prima di confinarmi nella
propria lista nera.
«Non prendertela, Court
è preoccupata.» cercò di giustificarla
Nate debolmente.
«Per me?» domandai
guardandolo di sbieco, non mi sembrava esattamente un’ipotesi
possibile, aveva confessato che avrebbe preferito seppellirmi.
«Per Zach.»
spiegò.
«Perché?»
Sospirò senza guardarmi.
«Perché sta andando in pezzi.»
Per alcuni secondi nessuno di noi due parlò.
«La vuoi vedere la tua stanza?» mi chiese dopo un
po’.
Fuori
dall’infermeria la stazione dei Veglianti di Synt era
simile ad un dormitorio. Prima di iscrivermi alla scuola pubblica della
mi città avevo visitato un liceo privato, aveva
possibilità di pernottamento come i college ed era molto
simile a quell’edificio.
Nate mi spiegò che al piano
inferiore c’erano la cucina e la mensa, mentre nel
seminterrato la palestra e tutto quello che serviva per allenamenti,
addestramenti, sfogare lo stress.
«C’è
anche una meravigliosa piattaforma di videogiochi.» mi
rivelò entusiasta.
L’infermeria era sullo stesso
piano delle camere da letto, un lungo corridoio di stanze una davanti
all’altra; otto in tutto, più il bagno. La mia
camera, nello specifico, si trovava davanti a quella di Nate
– c’era una targhetta sulla porta che indicava il
nome di ognuno – tra quella di Courtney e quella di Zach. Mi
chiesi se lui fosse dentro.
Nate entrò prima di me e
tolse dall’interno la chiave della porta. Me la porse,
c’era appeso un cartellino con scritto “Joshua
Lanter”. Strinsi la targhetta nel pugno, tutti parlavano di
quel ragazzo come se fosse speciale, come se ora si sentissero persi;
sperai che essere nella sua vecchia camera mi avrebbe portato fortuna,
ma anche che nessuno si aspettasse le sue stesse capacità da
me.
All’interno la stanza era semplice, non molto diversa
dall’infermeria: c’era un letto a due piazze, un
armadio, uno smart-table con una sedia davanti ed una cassettiera. Le
mie valigie erano accumulate accanto al letto, vicino c’erano
le mie scarpe. Sarei corsa a frugare alla ricerca del cellulare, se
qualcos’altro non avesse attirato la mia attenzione come una
stella in implosione.
C’era un poster proprio
davanti al letto, era in bianco e nero. Raffigurava un ragazzo che
scappava con un bambino stretto tra le braccia davanti ad una casa. La
zona gialla non aveva mai funzionato così bene,
perché quel ragazzo era palesemente Romeo.
Ma incredibilmente non era quello il
particolare più interessante. Quello che mi turbava era un
elemento estraneo, anche se non riuscivo a riconoscerlo; un dettaglio
che non sarebbe dovuto essere lì, qualcosa di fuori luogo,
che rendeva tutto quasi grottesco. Era come giocare ai giochi da
enigmistica, “Questa immagine contiene un errore, riesci ad
individuarlo?”. Sai che c’è, ma non lo
vedi.
«Cos’ha di strano
questa foto?»
Nate mi si avvicinò.
«Non lo so.» sospirò.
«È una delle poche foto chiare che abbiamo di
Romeo. Quando Josh è tornato passava le ore a fissarla, come
se ci vedesse qualcosa che noi proprio non riuscivamo a
cogliere.»
Come me.
Scrollò le spalle.
«Comunque immagino che, se chiedessi a Jean, ti permetterebbe
di toglierla.»
Ma io non volevo toglierla.
Non glielo dissi. «Dove era
andato Josh?»
«Romeo l’aveva
rapito.» disse senza guardarmi.
Mi voltai verso di lui, confusa.
«L’ha rapito, per poi lasciarlo andare, per poi
ucciderlo?» domandai, mi sembrava un logica un po’
distorta.
Nate mi guardò.
«Non l’ha ucciso lui.» rivelò.
«Josh si è suicidato.»
ci sarebbero proprio tante cose
da dirve... ma ovviamente non ve le dico!
che stiamo a fare qui
sennò!
vi preannuncio che nel
prossimo capitolo c'è Zach,
però... che è sempre un buon motivo per venire a
dare
un'occhiata secondo me... poi insomma vedete voi!
spero che ci sia ancora
qualcuno che abbia voglia di vedere cosa succede su questa storia!
baci
|
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Capitolo 5 *** 4/2. Zona gialla ***
mitronio 2
fragolottina's time
buongiorno, come vedete
non mi sono
suicidata, anzi, ho scritto anche la seconda parte del capitolo...
ditemi che sono brava! scherzo...
comunque, come promesso c'è Zach... e succederanno un sacco
di cose... preparate i fazzoletti!
no... tranqui, non per questo capitolo, ma per il futuro prossimo si!
buona lettura!
4\2.
Zona gialla
Non so perché ne rimasi così stupita,
sconcertata. Non conoscevo Joshua Lanter più di quanto
conoscessi il ragazzo che mi stava di fronte, avevo solo delle
impressioni, trasmessemi da Zach, impressioni di affetto, rispetto,
adorazione quasi. Ma un suicidio lo rendeva… diverso.
«Si è
suicidato?» chiesi in un sussurro. «Ma…
perché?»
Lo rendeva, fragile, sofferente in
contraddizione con il ragazzo speciale che lottava per Synt.
Nate scrollò le spalle e si
aggiustò gli occhiali sul naso. «Nessuno di noi lo
sa.» sembrava frustrato.
«C-come?» era una
domanda sciocca, conoscevo già la risposta, ma non riuscii a
fare a meno di chiederlo.
«Si è buttato dal
tetto.» sospirò. «Jean lo ha visto
saltare e quando si è affacciata per vedere se si fosse
salvato…» si interruppe e sorrise.
«Buffo come tutti vorremmo credere nei miracoli, perfino una
come lei.»
Lo studiai addolorata. «Mi
dispiace.» non c’era altro da dire,
nient’altro che potesse avere senso dire. Com’era
sapere che il proprio eroe si era suicidato? Com’era trovarsi
a chiedere perché il proprio eroe si era suicidato?
«C’era Romeo accanto
al suo cadavere.» disse senza ascoltarmi.
Deglutii. «Credi che gli abbia
detto qualcosa che…»
Voltò il viso verso di me,
gli occhi azzurri immobili nei miei. «Becky, se qualcuno
può vedere il futuro, sa anche cosa dire per farti saltare
da un palazzo. Josh era una brava persona.»
Tornai ad osservare il poster, anche se
era in bianco e nero i capelli di Romeo avevano l’aria
rossastra comunque: il mostro nella stanza della brava persona.
«Cheerleader!»
chiamò una voce per niente amichevole dalla porta.
C’era Zach alla porta, aveva
un braccio fasciato ed un occhio tumefatto che gli rendeva
l’iride ancora più verde.
«Ciao, Zach.»
salutò semplicemente Nate. «Il braccio?»
domandò.
Lui si studiò la benda
bianca, come se si fosse appena ricordato che fosse lì,
tranquillo. «Niente di che, ma Court ha iniziato la sua
arringa sui germi e le possibilità di infezioni,
così l’ho lasciata fare.»
scrollò le spalle evidentemente poco interessato alla cosa.
«Le bombe che mancano? Hai imparato a
disattivarle?»
«So come guidarvi,
sì.»
«Ottimo.»
annuì soddisfatto, poi tornò a me, né
tranquillo, né soddisfatto: sarei voluta rimpicciolire.
«Cheerleader, fuori, subito.»
«Mi chiamo Becky.»
borbottai mentre lui si scansava per farmi uscire.
«Dovrai meritartelo un nome,
cheerleader.» sbottò lui di rimando e mi spinse
per la schiena.
Sovrappensiero mi chiesi se Courtney
fosse stata tanto “carina” con me per qualcosa che
gli aveva detto lui; se lui fosse così
“simpatico” con me per qualcosa che gli aveva detto
lei; o se – e questo sarebbe stato davvero incredibile per
una ragazza incosciente per dieci ore – mi fossi conquistata
il loro fastidio separatamente. Ero brava.
Non appena fui in corridoio mi si
parò davanti costringendomi ad arretrare, fino a trovarmi
con la schiena al muro.
«Sarò gentile
perché ti sei appena svegliata.»
Avevo i miei dubbi, ma
«Ok.» risposi con gli occhi bassi.
«Non. Si. Scappa.»
disse una parola per volta, come se avessi problemi
dell’udito e dovesse scandire bene ogni lettera.
«Mai. Non sarai mai sola là fuori, il tuo compagno
conta su di te quanto tu conti su di lui. Quindi…»
mi spinse le spalle contro il muro, tenendomi ferma con le mani per
costringermi ad alzare lo sguardo. Era così vicino che
sentivo l’odore di menta del suo dentifricio. «Sei
stata una codarda ed una stupida. Credevi di arrivare qui ed essere in
grado di seminare Romeo o di riuscire a cavartela con lui da
sola?»
Non risposi.
«Allora?» mi
incalzò.
«No.» mormorai di
malavoglia. Aveva un occhio nero, un braccio fasciato ed era stato Nate
a salvarmi non lui: non è che avesse proprio fatto il suo
lavoro in modo impeccabile.
Mi lasciò, ma non aveva
finito, più parlava e più sembrava perdere la
calma. «Credevo che fossi sveglia.»
commentò ed annuì per rimarcare il concetto.
«Sembravi sveglia. Hai risposto a tono a
quell’idiota, non credevo che lo facessi solo
perché eri dentro una scatola chiusa.»
«Io…»
«Vorrei sapere che ti
è saltato in mente?» continuò
gesticolando, definitivamente fuori controllo.
Aveva paura. Aveva paura di cose a cui
non aveva ancora pensato, ma che gli venivano in mente a mano a mano
che ci si tormentava.
Una volta avevo dato fuoco ad un foglio
di carta a casa, avevo cinque anni ed anche l’orlo della mia
gonna si era annerito. Mia madre aveva gridato ed aveva usato una
tovaglia per soffocare il fuoco. Ero rimasta illesa, lei mi aveva
abbracciata fortissimo; ma il giorno dopo mi aveva dato uno schiaffo:
sul momento era stata troppo contenta che fossi sana e salva per
rendersi conto del rischio che avevo corso.
«Poteva uccidermi, ucciderti,
farti del male, farne poi agli altri che venivano a
prenderci.» mi indicò la porta chiusa della mia
stanza, dentro c’era ancora Nate. «Lui non dovrebbe
uscire e l’ha fatto per venire ad accoglierti. Non ti
avrebbero abbandonata, sarebbero rimasti a cercarti e sarebbero morti
uno per volta nella stazione, mentre tu te ne stavi nascosta come un
fottuto coniglio.» finì per gridare.
Lo capivo, erano troppe
responsabilità per un ragazzo.
«Zach…»
«Potevano morire e la colpa
sarebbe stata mia perché avevo portato a casa una recluta
fifona.»
Lo capivo, ma il suo monologo di insulti
stava durando troppo. Non li meritavo.
«Io
davvero…»
«TU NON GLI FAI
PAURA!» gridai più forte che potevo per sovrastare
la sua voce, con il risultato di trovarmi ansante subito dopo, il mio
cuore prese a galoppare. «Per questo l’ho fatto. Tu
cercavi il tuo cavolo di coltello e ti sembrava di poterci cambiare il
mondo e lui lo sapeva!» risi nervosa, isterica, strinsi i
pugni perché mi tremavano le mani al ricordo del ghigno
assolutamente impeccabile di Romeo, quando aveva sentito Zach fare quel
passo. «Lo sapevo io, non sei affatto furtivo come credi,
sai?»
Lui strinse gli occhi e vidi la sua mano
muoversi quasi impercettibilmente, un riflesso involontario che gli
suggeriva di armarsi e tagliarmi la testa. Stavo straparlando, ma era
come se la diga degli avvenimenti dell’ultimo giorno fosse
traboccata in un unico istante, non riuscivo a fermarmi. Non potevo,
non dopo aver cercato di rimanere tranquilla tanto a lungo. Avrei
voluto, perché, mentre la mia bocca continuava a blaterare,
il mio cervello evidenziava di colori brillanti tutte le cose a cui non
prestavo attenzione.
Zach era acquattato come se stesse per
balzarmi addosso, tutto il suo corpo gridava che io ero improvvisamente
diventata il bersaglio da colpire. I muscoli delle braccia –
gli unici che sbucavano dalla maglia a maniche corte – erano
tesi, i pugni chiusi, poteva fare a botte con me senza uccidermi.
Avrebbe cercato di colpirmi al viso, perché era il punto
più facile da mirare e perché ero una donna:
poteva farmi male, spaventarmi, senza farmi davvero male. Mi venne
quasi da ridere al pensiero: probabilmente sarei stata la prima
cheerleader ad azzuffarsi con un potenziale giocatore di football.
E quella considerazione mi
calmò.
Sospirai, esasperata. «Uff,
credevo che saremmo potuti essere amici, sembravi carino.» mi
lamentai come una bambina di dieci anni.
Per un attimo rimase troppo sorpreso dal
mio repentino cambio di tono per parlare. «Carino?»
domandò con una smorfia, come se avessi parlato in alfabeto
farfallino. Effettivamente, quando sembra pronto per darmi un cazzotto, carino non era
l’aggettivo più appropriato per descriverlo. Poi
però tornò al nocciolo del discorso.
«Tu credi di avermi salvato la vita?!» dedusse, il
sarcasmo era così denso che avrei potuto tagliarlo con il
coltello che aveva allacciato alla cintura.
Fu il modo in cui pronunciò
quel “tu” a farmi raddrizzare la schiena, offesa.
«Sarebbe così terribile se lo avessi
fatto?»
Mi fissò scettico.
«No.» rispose una
voce che non era la sua.
Mi voltai a guardare Jean che si
avvicinava lentamente a noi, non avevo dubbi sul fatto che avesse
assistito a tutta la scena.
«Perché noi
crediamo nella parità dei sessi e…»
lasciò la frase in sospeso ed accompagnò
l’ultima parte con uno sguardo molto eloquente che lo
invitava a terminare.
Lui sospirò alzando gli occhi
al cielo. «Non importa chi salvi chi, quel che conta
è che torniamo tutti a casa sani e salvi a fine
missione.» borbottò controvoglia.
Gli sorrise con gli occhi ridotti a due
fessure. «Non dimenticartene, Zachy. Perché non
vai ad aiutare Matt e Jared a scaricare i rifornimenti
vegetali?»
Mi lanciò un’ultima
occhiata provocatoria. «A dopo, cheerleader.»
Entrambe lo guardammo allontanarsi.
«Te lo devo dire, Becky, mi sei piaciuta. Temevo che
iniziassi ad agitare pompon tutte le volte che lui passava, ma invece
mi sei piaciuta.» rise. «Mi ricordi una giovane ed
audace Jean Roberts.»
Ne dubitavo, ma era sicuramente un
complimento, così la ringraziai lo stesso.
Si frugò in tasca e mi mise
in mano il mio cellulare celeste. «I tuoi hanno chiamato, ho
detto loro che avevi dimenticato il telefono all’Asta e che
te lo avrei consegnato appena arrivata a Synt.»
Feci scattare lo sportellino,
c’erano qualcosa come venti chiamate dei miei e trenta
messaggi di Taylor. Li scorsi velocemente, la sua ansia era
proporzionale al numero di punti esclamativi e faccine con gli occhi a
palla che mi aveva mandato.
«Grazie.»
«Non c’è
di che.» mi prese a braccetto, guidandomi verso la stanza
dove c’era la lavagnetta con scritto Jean. No, beh, la sua
non era una lavagnetta, era proprio una targhetta come quelle fuori
dagli uffici privati. Immaginavo che un Vegliante normale fosse
più precario di un Responsabile, un Vegliante aveva maggiori
possibilità di morire. Se fossi stata lei non mi sarei tanto
impegnata a scrivere il mio nome sulla lavagna, probabilmente avrebbero
dovuto sostituirlo in fretta.
«Da quello che posso vedere ti
sei ripresa.» commentò aprendomi la porta.
Annuii mentre digitavo un messaggio per
la mia amica, cercando di tranquillizzarla. «Oh, beh,
sì… sembra di sì.»
«Ottimo!»
esclamò contenta. «Dunque, domani Lynn ti
darà qualche lezione di autodifesa di base, in attesa di
scoprire se c’è un campo particolare verso il
quale concentrare le tue energie. Hai tirato i capelli a Court per
caso?»
Sbattei le palpebre e sollevai gli occhi
dallo schermo del cellulare. «No, di certo.»
Si strinse nelle spalle.
«Allora sarà solo un po’ gelosa. Niente
di cui preoccuparsi.»
Lo speravo.
«Ad ogni modo stalle lontana
per un po’.»
«D’accordo.»
La sua stanza era divisa in due parti.
Quella dove ci trovavamo era una specie di studio con uno smart-table e
due sedie, scaffali pieni di raccoglitori, cosa piuttosto strana visto
che tutti i documenti potevano essere digitalizzati per risparmiare
spazio. Li studiai con cura, erano divisi per anni.
«Fanno parte di una mia
ricerca.» mi spiegò.
«Cartacea?» chiesi.
Si avvicinò ed
accarezzò il dorso di un libro. «Sì,
finché non scopro dove mi condurrà.»
Continuai a studiarla dubbiosa.
«Ad ogni modo!»
disse riscuotendosi ed andandosi a sedere, la imitai.
«Ci sono solo quattro regole a
cui voglio che tu obbedisca: tre dettate da me, una
dall’ADP.»
«La ascolto.» e
chiusi lo sportellino del telefono per sottolineare la mia completa
attenzione nei suoi confronti.
«Non uscire mai da
sola.» iniziò contandole sulla punta delle dita.
«Fa tutto quello che puoi per rimanere in vita.»
La fissai sorpresa, lei aveva
già lo sguardo su di me, si allungò e mi
posò una mano sul braccio.
«Se devi scegliere tra la
missione e la tua vita, scegli te stessa e non temere una
sconfitta.»
Annuii nei suoi occhi.
«E non fare sesso senza
chiedermi il consenso.»
«Come?!» squittii,
per arrossire subito dopo. «Io… no…
insomma, non-non ho mai pensato…»
«Shh. Siete belli, siete
giovani. Di norma avete tanta adrenalina addosso da intossicare una
casa d’Asta, ma dovete chiedermi il permesso.» mi
zittì, poi mi scrutò attenta. «E mangia
almeno due terzi di tutto quello che ti viene servito. Il tuo vassoio
era quasi pieno e non avevi toccato la frutta, per oggi
chiuderò un occhio, ma l’ADP è molto
rigorosa sull’alimentazione e tu sembri già
gracilina.»
«Ok…»
mormorai dubbiosa. Di norma non mangiavo molto, ma non amavo nemmeno
stare digiuna.
Si controllò il polso.
«La cena verrà servita tra un quarto
d’ora, ti conviene approfittarne anche se hai già
fatto uno spuntino. Così regolarizzerai i tuoi orari
pasto.»
Feci una smorfia, tra la carne ed i
fagiolini che avevo sbocconcellato e lo stomaco chiuso per la litigata
con Zach, non avevo molto appetito. Ma temevo di non potermi opporre.
«Sì.»
Sorrise. «Ti
servirà anche per fare amicizia, inserirti nella
squadra.» si morse il labbro incerta. «Non devi
temere di non legare con gli altri solo perché non hai fatto
colpo su Courtney e Zach. Matt parlerebbe anche con un mattone se
gliene presentassi uno.» mi confidò sventolando
una mano con noncuranza.
Annuii cercando di mostrarmi ottimista,
tutto sarebbe andato bene, Zach e Courtney non potevano tenermi il muso
per sempre, no?
«Questa non è proprio la mia idea di
famiglia!» si lamentò Lynn, dopo averci studiato a
lungo uno per uno.
Courteny e Zach si erano seduti al bordo
più estremo del tavolo, uno di fronte all’altro e
non parlavano con nessuno. Non parlavano nemmeno tra di loro, ma, da
come sembravano seri e concentrati, immaginavo che non si stessero
beando della gioia di avermi con loro. No, probabilmente no.
D’altro canto avevo conosciuto
ufficialmente gli ultimi due membri: Jared e Matt. Jared faceva paura,
era alto quasi due metri ed era proporzionato. Ne avevo visti di
ragazzi alti – come già detto avevo un debole per
i giocatori di pallacanestro – e di norma sembravano anche
magrissimi; Jared no, era un robusto giovane uomo di due metri. Faceva
paura.
Matt in confronto sembrava una pulce e
non è che fosse poi magrolino. Era alto più o
meno quanto Zach, ma aveva i capelli biondissimi e ondulati, gli
creavano strane punte su tutta la testa, ed aveva la pelle del viso
ricoperta di efelidi. Parlava un sacco, da quando mi ero seduta mi
aveva raccontato ogni dettaglio della sua vita che avrebbe potuto
interessarmi… anche cose che non mi interessavano in
realtà, ma almeno lui sembrava desideroso di fare amicizia.
«Insomma, che vi
prende?» continuò ad interrogare indispettita i
due asociali.
Courtney si strinse nelle spalle.
«Niente. Per una volta che non discutiamo dovresti essere
contenta, Lynn cara.»
Lei alzò gli occhi al cielo.
«Non c’è mai niente di cui essere
contenta quando mi chiami “Lynn cara”.»
Guardai il mio vassoio e mentalmente lo
divisi in terzi, non sarei mai riuscita a mangiare tutta quella roba.
Speravo che l’esonero di Jean valesse anche per la cena.
Certo, quella mela rossa, rossa sembrava invitante.
La presi in mano, scrutando con la coda
dell’occhio Nate sorridere a Lynn, probabilmente una cotta
per lei. «Dai, non arrabbiarti.» la
pregò conciliante. «Le cose si
aggiusteranno.»
Lei sospirò fissandolo ed
allungò una mano per prendere la sua.
Stavano insieme? Davvero?
Morsi la prima e l’ultima mela
che avrei mangiato in vita mia.
Era orribile, aveva un sapore
disgustoso. Lo stesso gusto terribile che mi ero sentita in bocca con
Romeo. Dovetti impegnarmi con tutta me stessa per domare i conati.
Doveva essere una cavolo di mela avvelenata! Recuperai il tovagliolo e
sputai il boccone lì; con discrezione sbirciai Zach
addentarne una, incredula, come faceva a resistere?
«Stai bene?» mi
chiese Matt dandomi un calcetto sotto il tavolo.
Deglutii. «S-sì.
Queste non sono esattamente le mele più buone che io abbia
mai mangiato.» spiegai.
Jared rise. «Sanno di
plastica, vero? È perché sono di
serra.»
No, non sapevano di plastica, sapevano
di decomposizione, marcio.
Guardai Nate tirare su la zip della giacca verde di Lynn, mentre lei
gli parlava senza fermarsi neanche un secondo. Mi chiesi cosa diceva,
sembrava nervosa. Nate la ascoltava senza guardarla, non negli occhi
almeno; le appuntò una ciocca di capelli dietro
l’orecchio, le sistemò meglio gli occhiali
protettivi con le lenti gialle. Poi la strinse forte, così
forte che sembrava quasi potergli entrare sotto la pelle, penetrare
nella carne e fare parte del suo corpo per sempre. Forse lo avrebbe
preferito.
Allungai un braccio sovrappensiero e mi
trovai ad afferrare quello di Zach, per un attimo ne rimasi
così stupita da essere in grado di arrossire e basta.
Lui mi fissò sorpreso e
vagamente seccato. «Cosa?»
Mi morsi il labbro.
«Lei… tornerà, vero?»
La sua espressione si distese e
tornò il ragazzo gentile e troppo controllato che era stato
sul treno. «Dobbiamo solo disattivare una decina di bombe,
è una missione stupida.» mi
tranquillizzò.
Lasciai il suo braccio e tornai a
guardarli; Nate e Lynn si scambiarono un bacio veloce e si sorrisero.
«A dopo,
cheerleader.» mi salutò Zach.
Era una missione stupida, ma io ero
preoccupata lo stesso.
Li osservai salire uno dopo
l’altro sull’ascensore, Lynn e Matt mi fecero
“ciao, ciao” con la mano, Jared un cenno del capo,
Courtney fece finta di non vedermi intestardendosi a tenere gli occhi
su un punto dietro di me.
Zach rimase con lo sguardo nel mio
finché le porte dell’ascensore non si richiusero.
Nate mi si avvicinò
ciondolante con le mani in tasca. «Siamo rimasti io e
te.»
«Come riesci a lasciarla
andare?» gli chiesi di impulso, io ero in ansia e sapevo
appena il loro nome.
Lui guardò le porte
d’acciaio, ormai completamente chiuse, per un lungo istante,
poi sospirò. «Cerco di crederle quando mi promette
di tornare.»
Non sapevo cosa dire, perché
immaginavo che qualsiasi cosa lo avrebbe depresso.
«Sei stanca?» mi
domandò di punto in bianco incrociando le mani dietro la
testa. «Se non hai sonno puoi stare con me ed aiutarmi a
prendere in giro Matt che si fa esplodere una bomba in
faccia.»
Un’intera parete della camera
di Nate era ricoperta di schermi ed ognuno di loro mostrava un
pezzettino di quella che doveva essere la zona gialla di Synt.
Recuperò un microfono wireless, che si infilò
intorno alla testa, ed il suo fedele palmare.
«Ci siete?» chiese
agli schermi. «Fate “ciao” a
Becky.»
Un coro di più o meno
svogliati “Ciao” riempì la stanza e solo
allora notai le piccole casse incastrate agli angoli del soffitto.
«Dunque…»
iniziò spingendo qualcosa sul palmare, mentre io mi andavo a
sedere sul suo letto. Nella parete alla mia destra venne proiettata una
piantina di Synt con la ciambella gialla come quella che mi aveva
mostrato in infermeria. Era leggermente diversa ora, sembrava che un
bambino ci avesse disegnato delle sveglie con un pennarello azzurro,
quelle dovevano essere le bombe.
«Bene, la prima è a
sud-est.»
«Non puoi essere
più preciso?» domandò Matt.
«Ricordi quel supermercato
dove abbiamo comprato una vaschetta di fragole vere?»
«Me lo ricordo io.»
fece Jared. «Gira a destra.»
Le cose continuarono così
tutta la sera, io rimasi a guardarlo fare su e giù per la
stanza mentre parlava con loro, era un po’ come essere
lì. Beh, forse per me non era proprio così, ma
per Nate sì. Non sembravano tesi, chiacchieravano, si
prendevano in giro, a volte discutevano. Mi chiesi se fosse
perché la missione era stupida o perché si erano
abituati a quella vita.
«Ma la cheerleader che fa?
Dorme?»
Era la voce di Zach, Nate si
voltò a guardarmi.
«No, è
sveglia.»
«Dovresti costruire un
microfono anche a lei, potrebbe intonare un inno.» questa
invece era Courtney, sempre più simpatica.
«Oh smettetela voi
due!» sbottò Lynn, la dolce, adorabile, gentile
Lynn. «State di guardia, io li accompagno dentro.»
Nate scosse la testa sorridendo.
«Taglio il filo
verde?» chiese Matt.
«Aspetta, non mi ricordo
nessun filo verde.» rifletté Nate scorrendo con le
dita sul suo palmare.
«Intanto scoperchio lo
schermo.»
«C’è uno
schermo? Non ci sono schermi.» disse correndo ad attivare lo
smart-table per confrontare i suoi grafici.
Mi tirai su, improvvisamente
all’erta; se Nate non ricordava ed aveva la memoria
fotografica, evidentemente c’era qualcosa di strano. Mi alzai
e mi avvicinai allo schermo, dove una telecamera alle loro spalle me li
mostrava all’interno di quello che sembrava un vecchio
magazzino. Il familiare, quanto spiacevole prurito dietro la nuca
tornò a farmi visita, mentre osservavo Lynn avvicinarsi a
Matt per dare un’occhiata, c’era qualcosa che non
andava.
Guardai le altre telecamere per vedere
se ci fosse qualcuno di cui non si erano accorti nel magazzino insieme
a loro, magari Romeo, ma era completamente vuoto.
«NO!» fu
l’unica cosa che riuscimmo ad urlare insieme, io e Nate,
prima che la bomba esplodesse.
sto
diventando una maga nei tagli ad effetto...
no, vi prego non chiedetemi ninete... cederei alla tentazione e vi
spiffererei qualcosa! non lo volete nemmeno voi, ve l'assicuro!
ad ogni modo fatemi sapere che ne pensate, vi va?
baci
|
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Capitolo 6 *** 5. Centro ***
mitronio 2
fragolottina's time
lettrucciole, pensavate che vi avessi abbandonate? davvero?
ma dove volete che vado?
dunque, vi faccio un riassunto delle vicende di fragolottina.
ho lavorato praticamente tutta l'estate, settembre compreso, che
è un'ottima cosa, ma visto che non era previsto che avessi un
giorno libero il tempo per scrivere era drammaticamente poco.
poi c'è stata la furbetta.
oh, voi non so se ne avete sentito parlare.
una baby stronzetta si è fregata le mie storie, le ha copiate
sulla pagina di facebook della sua amichetta del cuore e gli ha detto
che erano sue. tanto per chiarirvi come è attualmente la
questione: le odiamo, tanto la furbetta quanto l'altra. e vogliamo bene
a tutte le ragazze che hanno difeso me ed i miei diritti d'autore,
perchè voi sapete bene che l'autrice sono io, ed hanno segnalato
la pagina.
quindi, mie care lettrucciole, occhi aperti quando siete su facebook.
tutto questo ha portato al mio ritardo, ma come vedete ora sono qui.
e vi voglio bene, perchè voi mi coccolate e non avete mai rotto
il vincolo di fiducia che c'è tra lettore e scrittore qui su EFP.
5.
Centro
Avrei potuto contare i battiti del mio cuore, tanto erano forti e tanto
il silenzio era denso. Mi sembrava di avere la testa vuota ed allo
stesso tempo miliardi di pensieri vorticosi mi affollavano la mente.
Era facile superare i timori quando li sentivo parlare con Nate,
discutere e bisticciare tra di loro, più simili ad una famiglia
che ad una squadra. Ma i Veglianti non erano lì fuori a
passeggio, erano lì a rischiare di farsi esplodere ed a volte
– non volevo sapere quanto spesso – a farsi esplodere
davvero.
Per quelli che sembrarono anni, non ci fu un rumore,
non ci fu un fiato. Io e Nate rimanemmo immobili, quasi senza
respirare, gli occhi fissi sugli schermi velati dalla polvere o dal
fumo. Strizzai forte le palpebre con un sussulto, quando realizzai che
prima o poi avrei visto i corpi dilaniati di Lynn e Matt su quello
schermo. E Zach, Zach che era così bello! Chi avrei potuto
pregare perché mi risparmiasse di vedere il suo bel viso
martoriato.
L’entrata di Jean nella stanza fu così rumorosa da sembrare assordante.
«Che è successo?», chiese
agitata, indossava una maglietta ed un paio di pantaloni neri che non
somigliavano affatto ad un pigiama: evidentemente, ovunque fosse stata,
ci stava controllando ed era stata pronta ad intervenire.
La sua voce fu come un punto. Una pausa ed una spinta a ripartire.
Nate si riaccese. «Lynn?», chiamò esitante.
Qualcuno tossì. «Matt! Dannatissimo,
Matt!», imprecò una voce femminile, infuriata, ma viva,
vivissima. «Giuro che se non sei morto ti strozzo!»
Era Courtney. Dov’era Lynn?
Piano, piano iniziammo a riconoscere anche i suoni
di altri colpi di tosse, ragazzi che si lamentavano, mentre tra il fumo
sulle nelle telecamere cominciavano ad apparire delle figure che si
muovevano.
Poi finalmente un: «Nate!» quasi gridato. «Nate, sto bene.»
Lui non rispose subito, si lasciò cadere
sulla poltrona ergonomica davanti alla scrivania e trasse un profondo,
lunghissimo, sospiro di sollievo. «Ciao.», mormorò
dopo un po’, poi si tirò su, mentre Jean controllava ogni
telecamera, una per una. «Ci siete tutti? Feriti?»
«Il tifo della cheerleader non porta bene, mi pare evidente.», sbottò Zach con voce roca.
Nate lo ignorò di sana pianta. «Matt, cazzo! Si può sapere che hai fatto?»
Lui tossì ancora. «Beh, ho seguito l’istinto.»
«Il tuo istinto fa schifo, quante volte dovremo dirtelo!», ribatté Courtney.
«Ehi, Nate.», chiamò la voce di
Jared. «C’è qualcosa scritto sullo schermo della
bomba.»
Si alzò dalla poltrona e mosse le telecamere
tramite il palmare fino ad inquadrare lo schermo, che incredibilmente
era sopravvissuto all’esplosione. Un piccolo testo scorrevole
avvisava soltanto: “Cerca di fare più attenzione,
Matt”.
Jean recuperò un’altra auricolare dal
cassetto. «Rientrate subito, voglio avervi qui dentro tra un
quarto d’ora.» ci fu un coro di sì, prima che si
rivolgesse a Nate. «Le bombe sono state disattivate tutte?»
Annuì. «Hanno fatto un buon lavoro.»
«Becky, c’è un kit del pronto
soccorso in infermeria. Prendilo poi scendete all’ingresso,
prevedo che ci serviranno dei cerotti.», ordinò mentre si
dirigeva verso la porta.
«Ok.», mormorai, lieta di fare qualcosa
e distogliere gli occhi da quelle telecamere. Stare lì dentro ad
osservare come un occhio vigile, ma lontano, era terribile. Ed io che
avevo pensato che il compito di Nate fosse il migliore.
Aspettai che uscisse poi mi avvicinai alle sue spalle.
«Tutto bene?», gli chiesi mentre frugava
nel suo smart-table. Credevo si stesse appuntando qualche nuovo dato,
ma poi mi accorsi che in realtà aveva aperto una pagina di chat.
Il suo avatar era una piccola faccina rotonda con
gli occhiali. Scrisse velocemente un “Grazie”, al quale
prontamente una faccina altrettanto rotonda, senza occhiali, ma con un
ciuffo di capelli rossi, rossi sulla testa rispose con
“Figurati”.
Nate si voltò e mi guardò, non era difficile indovinare il mio stupore.
«Avrebbe potuto ucciderli, tutti
quanti.» recuperò un foglio e ricopiò una password
di otto cifre in un programma, su ogni schermo delle telecamere apparve
un messaggio che confermava l’inserimento di un nuovo codice di
accesso.
«Avrebbe potuto non mettere le bombe.»
Lui si alzò e si stiracchiò con uno
sbadiglio. «Lo so, Becky.» sorrise. «Ma sapeva che
Matt avrebbe fatto casino, sapeva che Lynn sarebbe stata così
vicina. Avrebbe potuto ucciderla, siamo nemici, probabilmente è
stato molto tentato dal farlo.» scrollò le spalle.
«Ma non l’ha fatto, ci ha solo spaventati un po’. Se
le persone fanno qualcosa per me le ringrazio.»
Non risposi, capivo il suo punto di vista, ma allo
stesso tempo era per me incomprensibile ringraziare uno come Romeo. Se
era davvero lui a dettare ordini a tutti i Veggenti del paese, allora
era ancora lui il principale responsabile di tutti quei dannati minuti
di silenzio che facevo a scuola. Anche se evidentemente era meno
spietato di quanto credessi.
L’ingresso di cui aveva parlato Jean era il garage. Io e Nate
eravamo scesi con l’ascensore e lui aveva premuto il pulsante -1,
quindi eravamo sotto terra; cercai di prendere nota di ogni dettagli,
per fare in modo che quel luogo mi risultasse familiare il prima
possibile. A quanto vedevo, non c’era spazio per le matricole a
Synt.
Riconobbi il profilo di alcune macchine e moto sotto
dei teli bianchi e mi chiesi se le usassero mai, perché allora
avrei anche dovuto fare un corso di guida, non avevo ancora preso la
patente.
Non appena la porta si fu sollevata abbastanza da
permetterle di passare, Lynn scivolò sotto e si buttò tra
le braccia di Nate. Lo abbracciò stretto e con trasporto, prima
di intrecciare le dita alle sue e dare l’impressione di non
volerlo lasciare per molto, molto tempo. Era sporca di terra, aveva un
graffio sulla guancia e il fondo della sua treccia sembrava
bruciacchiato, ma era sana e salva.
«Sono contenta che…», provai a
dire, ma poi mi bloccai: non credevo che fosse molto carino terminare
con qualcosa tipo “che tu non sia morta”. Ero stata
terrorizzata quando quella bomba era scoppiata e non ero lì,
forse non voleva che le ricordassi quanto vicina alla morte era stata.
«Che io non sia esplosa?», terminò lei tranquilla. «Ti ringrazio.»
La studiai sconcertata dalla serenità con cui ne parlava, no, io non sarei mai riuscita ad esserlo.
L’unico ferito era Matt, che comunque aveva
abrasioni superficiali alla mano sinistra, quella con cui aveva tolto
il coperchio, gli altri erano soltanto sporchi e più o meno
arrabbiati. Courtney continuava a lamentarsi per mille motivi diversi,
ma tutti la ignoravano; soltanto Jared sembrava essere tanto paziente
da avere la forza di volontà di sopportarla e cercare di
tranquillizzarla.
«E non pensare che ti ricucirò!», urlò in direzione di Matt.
Lui si avvicinò a noi, sospirando; si era
tolto gli occhiali e per colpa del fumo e della polvere gli era rimasta
l’impronta bianca intorno agli occhi.
«Vorrei che fosse morta.»,
annunciò. «Sicuro che non ti serva un sacrificio umano per
catturare Romeo? Sai il bene della squadra piuttosto che il bene
personale…»
Nate rise e Lynn lo aiutò a togliere quel che
restava di un guanto di pelle. «Non preoccuparti, te la do io una
rattoppata!»
Mi guardai intorno. «Dov’è Zach?» avrei voluto mordermi la lingua un secondo dopo.
«A godersi la sua sigaretta, credo.», mi
rispose Matt con un’alzata di spalla, fortunatamente senza
indagare il fatto che l’unica cosa che avessi domandato era una
scemenza da sciocca cheerleader.
«Spiegale.», lo incoraggiò Lynn,
poi mi sorrise, prendendo dalle mie mani il kit di pronto soccorso.
«A mano, a mano devi imparare a conoscere le dinamiche di questo
manicomio.», disse mentre lo apriva e ne estraeva disinfettante e
garze. «Secondo me non ti servono i punti.»
Nate sorrise accanto a lei, probabilmente fiero
della sua fidanzata; ne avrebbe avuto tutte le ragioni, per come la
vedevo io.
«Basta che non muoio per emorragia, fai
te.», acconsentì Matt e tornò a rivolgersi a me.
«Praticamente, piccoletta, quando era arrivato qui Zach fumava
come un turco molto arrabbiato. Né Josh né Jean erano
entusiasti della cosa, per un Vegliante la forma fisica è
importante. Così si sono impegnati a farlo smettere, ma stava
diventando un tantino ansioso senza nicotina…»
Nate rise interrompendolo. «”Un tantino
ansioso”? L’eufemismo del secolo.», commentò.
«Shh, è il capo dobbiamo fargli fare bella figura con le donne.»
Sollevai le sopracciglia scettica e lui continuò.
«Così ha fatto un patto con Jean: una sigaretta a sera, alla fine di ogni ronda.»
«Hanno provato a sostituire di nascosto le sue
sigarette con quelle sintetiche senza nicotina, ma se ne
accorgeva.», puntualizzò Nate.
Lynn sollevò l’indice e mi
lanciò un’occhiata. «Ricorda: mai interrompere Zach
quando fuma, per lui è un momento sacro.»
Sorrisi. «Me ne ricorderò.»
«Ehi, Jean!», chiamò Nate alle
nostre spalle. «Lynn dorme con me stanotte.», la
avvisò.
Mi voltai per guardare come avrebbe reagito la
donna, ma non mi sembrò molto interessata alla cosa,
probabilmente non era la prima volta che capitava. «Ok, ma non
fate casino.»
«Come nuovo.», esclamò pimpante Lynn.
Matt sollevò la mano studiandosi la mano
fasciata. «Grazie, ci ritiriamo a dormire?», chiese agli
altri due, che si guardarono intorno.
«Direi, gli altri sono già spariti.»
Non ricordavo che la mia stanza fosse tanto grande e tanto vuota,
né che la luce fosse tanto bianca, spietata nel rendere ancora
più enorme quello spazio e nel catalizzare ogni attenzione sul
poster ancora appeso davanti al mio letto.
Mi rigirai il cartellino della chiave tra le dita,
c’era ancora scritto Joshua Lanter nonostante probabilmente ci si
aspettasse che lo cambiassi. Non volevo, scrivere il mio nome avrebbe
significato accettare, pensare che una notte non molto lontana una
bomba sarebbe potuta esplodere a pochissimi metri dalla mia faccia.
Avrei dovuto scherzare con la morte per non impazzire, come Lynn;
credere nella speranza di un ritorno, come Nate; urlare, strepitare e
lamentarmi di cose stupide per sfogare la tensione, come Courtney.
O rimanere fuori, sola, con un sigaretta accesa in
bocca, sperando di non avere un cecchino puntato addosso, come Zach. Il
puntino rosso della cicca era visibile fin dalla mia finestra, sarebbe
bastato sparare lì per essere sicuri di colpire la sua testa. Ma
che gli diceva il cervello?
«Che fai?»
Mi voltai a guardare Matt, fermo sulla soglia della
porta che non avevo chiuso. La fasciatura che gli aveva fatto Lynn si
era macchiata di rosso in alcuni punti, ma sembrava resistere, e si era
lavato il viso, anche se rimanevano ancora delle macchie nere.
Mi strinsi nelle spalle. «Rifletto sull’idiozia di Zach.»
«Non sembra divertente… non hai
sonno?», mi chiese entrando nella mia camera e guardandosi
intorno; fissò le mie valigie e sorrise. «Ci ho messo tre
giorni prima di disfarle.», confessò. «Non credevo
di sopravvivere.»
«Non lo credo nemmeno io.»
«Jared ha ventitre anni.»
Lo guardai. «Sono molti.» mi allontanai
dalla finestra per sedermi sul letto, lui si accomodò vicino a
me. Puzzava di fumo e di qualcosa di pungente ed acre sotto,
probabilmente era l’esplosivo che aveva usato Romeo.
«Quando pensi di non farcela, pensa a lui.», mi consigliò.
Lo feci e ricordai che Jared era un gigante ed io la versione femminile e più sciocchina di Davide.
«Non vedo molto somiglianze.», confessai, sforzandomi di
sorridere: stava cercando di tirarmi su il morale in ogni caso.
Per un po’ rimanemmo in silenzio, tutti e due.
«Non riesci a dormire?», chiesi.
«Mai di notte.»
«C’è niente da fare non
da…», mi interruppi per un attimo. «beh, non da
Vegliante.»
Mi guardò e sorrise. «Si.»
Se quando ero stata lì, poche ore prima, non fossi stata tanto
preoccupata per la sopravvivenza dei ragazzi, avrei sicuramente notato
la porta in garage proprio davanti all’ascensore. In particolar
modo perché era verde prato.
Matt mi portò lì.
Era la palestra, c’erano praticamente tutti i
tipi di macchine per allenarsi e perfino una parte ricoperta di
materassini, dove Courtney e Jared stavano lottando. Non me ne
intendevo abbastanza di combattimenti corpo a corpo da riconoscere lo
stile, ma la cosa sorprendente era che, nonostante l’evidente
squilibrio fisico, Courtney teneva tranquillamente testa al ragazzo.
Sicuramente i suoi colpi non potevano essere altrettanto efficaci e
potenti, ma era agile e veloce. Avrei voluto vederla combattere contro
Romeo, mi chiesi se in effetti non fosse abbastanza veloce.
Zach correva su un tapis roulant ad occhi chiusi con
le cuffie di un i-pod infilate nelle orecchie. Meglio, non volevo che
mi vedesse e facesse commenti, ero lì per fare un pausa dal
pensiero di essere una Vegliante, sicuramente lui non me lo avrebbe
permesso. Mi fermai comunque un secondo di troppo ad osservarlo.
Indossava una t-shirt bianca e pantaloni da tuta blu scuro, le sue
labbra mimavano le parole che ascoltava nelle orecchie, le sue labbra
erano bellissime.
«Becky?»
Su una parete della stanza erano fissati dei
bersagli come quelli del tiro con l’arco e Matt si stava
dirigendo lì. Naturalmente io non sapevo tirare con l’arco
e stavo quasi per farglielo presente, ma lui mi precedette, tirando
fuori dal cassetto di un mobile lì accanto una scatola.
«Cos’è?», chiesi curiosa.
Tolse il coperchio e mi mostrò il contenuto.
Erano freccette, ordinatamente disposte in fila, alcune giallo
fosforescente ed altre rosa.
«Qualcosa con cui di norma Jean non vuole che roviniamo i suoi bellissimi bersagli.»
Mi morsi il labbro. «Allora, forse non dovremmo…»
Matt sbuffò. «Tutta questa roba qui ce
la manda l’ADP. E poi non è che possiamo chiamare Nate che
è con Lynn per i videogiochi, no?»
«Non si arrabbierà?», domandai
tentata, perché incredibilmente un po’ sapevo giocare con
le freccette. Voglio dire, non è che fossi proprio brava,
però di norma riuscivo a piantarla nel bersaglio, che già
mi sembrava un buon risultato.
«Certo, che si arrabbierà.» si
strinse nelle spalle. «Ma è Jean ed è una
responsabile: è sempre e comunque arrabbiata.»
Sorrisi, mentre lui me ne porgeva cinque con la mano
buona, poi recuperò le sue. «Sai, tu prendi tutto questo
molto alla leggera.»
Sospirò e si posizionò davanti al
bersaglio a gambe leggermente divaricate. «Che la io la prenda
alla leggera oppure no, sono un Vegliante. Domani dormirò tutto
il giorno, la notte sarò di nuovo in giro. Forse morirò,
forse la prossima bomba mi ucciderà davvero. Non credo che cambi
molto se ci penso di continuo come Zach.»
Mi voltai verso di lui e lo guardai correre senza
dare segni di voler smettere. «Fa sempre così?»
Matt lanciò la prima freccetta nella parte
rossa. «Dice che correre lo rilassa.», commentò
scrollando le spalle. «Dai cheerleader, fammi vedere come te la
cavi.»
Come lui mi misi davanti al bersaglio, tirai
indietro il braccio e la lanciai sotto quella di Matt, ancora
più lontana della sua. Non male ad ogni modo, ero comunque ad un
anello dal centro.
«Da quanto tempo sei qui?», gli chiesi,
mentre mi facevo da parte per lasciargli spazio per tirare.
«Un anno e mezzo.»
Questa volta il lancio fu troppo alto, veramente
troppo alto, tanto che la freccetta si piantò sulla riga dello
spazio blu più esterno. «Non puoi farmi chiacchierare per
distrarmi e farmi sbagliare.», si lamentò.
Ridacchiai e presi il suo posto. Trovai il tempo per
maledirmi, tra le altre cose, perché mi ero accorta che Zach non
stava più correndo ed ero molto più che sicura che mi
stesse studiando. Più o meno lo capivo, ero il suo nuovo
investimento, voleva scoprire se potessi fruttare qualcosa.
Neanche a dirlo, il colpo fu un fiasco. Ansia da palcoscenico, era evidente.
Matt mi lanciò un’occhiata sospettosa.
«Sei molto più brava di me, a distrarti.»
Il suo fu un ottimo punto, centro giallo, leggermente a destra, ma pur sempre un centro.
«Oh-oh.», gongolò. «Prova a battere questo!»
Feci una smorfia rigirandomi la freccia tra le dita, non sarebbe stato affatto semplice, proprio per niente.
«Sbagli postura, cheerleader.»
Alzai gli occhi al cielo scocciata, ma cercai di
avere un’espressione neutra quando mi voltai verso di lui.
«Dici?», domandai, incapace di nascondere del tutto il
fastidio. Era il mio momento di vita normale: lui correva sul tapis
roulant, Courtney e Jared si picchiavano, Nate e Lynn probabilmente
facevano l’amore, ed io volevo essere quella che giocava a
freccette con Matt. Perché non poteva lasciarmi un po’ in
pace? Avrebbe potuto guardare domani se ero stata o no un buon
investimento.
«Non puoi aiutarla, stavo vincendo!», protestò Matt.
Zach non rispose né a me né a lui, si
mise dietro di me e mi prese per le spalle, mettendomi dritta, dritta
davanti al bersaglio, poi infilò un ginocchio tra le mie gambe
per aprirle leggermente. Mio malgrado mi trovai ad arrossire.
«Trova il punto di equilibrio.»
«Il che?», chiesi girando appena la testa. Era molto, molto vicino a me.
Sospirò e mi riportò il viso in avanti. «Fissa il bersaglio.»
Obbedii.
«Inspira.»
Fatto.
«Espira.»
Ok.
«Quando ti senti pronta.»
Fissai il cerchio giallo al centro del bersaglio, sbattei le palpebre e presi altri due respiri.
Chiusi gli occhi, mentre contavo almeno tre punti in
cui i nostri corpi si sfioravano e sentivo il solletico che mi faceva
il suo respiro ogni volta che mi smuoveva i capelli sulla nuca.
E lanciai.
Quando riaprii gli occhi la mia freccetta era
drammaticamente nella parte più esterna di tutte, il nero,
appena prima del muro sottostante. Mi sa che avrebbe comunque vinto
Matt.
«Non hai una super mira.»,
commentò Zach, dandomi una pacca sulla spalla fin troppo
vigorosa.
Mi morsi il labbro, guardando la prova del mio
ultimo, tremendo tiro. Certo, così schifo non avevo mai fatto.
Matt mi diede una spallata giocosa per tirarmi su di
morale. «Ignoralo, ti ha messo in soggezione per questo hai
sbagliato.» mi circondò le spalle con il braccio fasciato
e fece la linguaccia nella sua direzione. «Non metterla in
soggezione, cattivo Zach!»
«Non puoi dare la colpa a me, non è capace.»
Lo guardai in cagnesco. «Lancia tu.», proposi in tono di sfida.
Zach ridacchiò divertito. «Io?»
nei suoi occhi verdi c’era la scintilla della competizione.
«Ah-ah.», annuii decisa. «Tu ce l’hai una super mira?»
«Già, Zach!» Matt incrociò
le braccia sul petto, spalleggiandomi. «Tu ce l’hai una
super mira?»
Rise ancora, però allungò la mano ed io gli porsi una freccetta.
Lo guardai giocherellarci per qualche secondo,
passandosela da una mano all’altra con gli occhi fissi sul
bersaglio, come se stesse disegnando la direzione che avrebbe seguito.
Piegò la testa da una parte all’altra e rilassò le
spalle, il suo sguardo era così fisso sul centro che ero sicura
avrebbe potuto incenerirlo.
Ci mise qualcosa come tre secondi a prepararsi e
fece centro, lasciando me e Matt soli con la nostra incompetenza.
«Si.», confermò pimpante. «Ce l’ho.»
Sospirammo in coro.
«Continuate a giocare, piccoletti.
L’esercizio rende perfetti.», ci prese in giro, tornando al
suo tapis roulant.
«Ricordiamoci di non invitarlo mai più
a giocare con noi.», commentò Matt, poi si infilò
una delle sue freccette in tasca e mi mostrò l’altra.
«Con questo ultimo tiro si decide il vincitore, ci stai?»
Annuii e lo guardai posizionarsi e tirare: un altro lancio borderline, tra il rosso ed il giallo.
«Ora non sembra più tanto sensazionale.», rifletté dispiaciuto.
«Non preoccuparti, sarà sicuramente sufficiente a battermi.», lo rincuorai.
Mi misi dritta davanti al bersaglio e raddrizzai le spalle.
Inspira, espira.
Ad un certo punto chiusi gli occhi, anche se non saprei dire quando esattamente.
Respirai profondamente e tirai indietro il braccio con la freccetta.
Aspettai, mentre ascoltavo i gemiti di fatica di
Courtney; aspettai, mentre i passi di Zach riprendevano a posarsi
pesanti e ritmici sul tappeto; aspettai di sentire quel piccolo suono
quasi impercettibile, senza sapere che rumore fosse.
Solo allora tirai, perché era il momento
giusto. Perché se volevo fare centro avevo quel solo, singolo,
irripetibile istante.
Tutto si fermò, Zach, Courtney e Jared.
Io riaprii gli occhi: il bersaglio era per terra. Al
centro, esattamente, geometricamente al centro c’era ancora la
mia freccetta piantata.
«Tira le freccette ad occhi chiusi!», gridò Courtney
spalancando la porta della stanza di Jean, ancora con il fiatone per la
corsa.
La responsabile non alzò lo sguardo dal
registro che stava consultando. «Nel senso che è molto
bravo?», domandò. «Posso chiederti di chi stiamo
parlando?»
«Quella nuova, la cheerleader. È una Veggente.»
Jean sollevò lo sguardo senza dire niente,
aspettando ulteriori informazioni. Seria, incredibilmente seria.
«Io l’ho vista: ha chiuso gli occhi, il
bersaglio si è staccato dalla parete, lei ha lanciato la
freccetta esattamente nel momento giusto perché facesse centro
al volo.» si appoggiò con le mani alla sua scrivania.
«Nessun Vegliante è mai stato in grado di fare una cosa
del genere.»
La responsabile osservò i dorsi di tutti i
fascicoli contenuti nella sua libreria. Nessun Vegliante era mai stato
in grado di fare una cosa del genere? Ricordava un nome, qualcuno che
aveva cercato, ma di cui aveva trovato solo rapporti superficiali e
scarsi. Probabilmente era morto dopo poco essere entrato in squadra,
povero ragazzo.
«Continua a tenerla d’occhio.», ordinò alzandosi e recuperando un registro.
«Tutto qui?», domandò Courtney incredula.
«Per ora si.»
Sfogliò le pagine fino a trovare quella
giusta, non c’era nemmeno una foto, non avevano fatto in tempo a
scattarla. Ma c’era il nome: Shannon Tyler.
ricordate Shannon Tyler è così importante che non immaginate nemmeno quanto!
poi i bersagli hanno fuori lo sfondo nero, poi i cerchi concentrici
sono blu, rossi e gialli... ve lo dico perchè io li sono andati
a cercare su internet: condivid le mie scoperte con voi!
oh, nel caso vi interessasse è stata aperta la fan page di Fragolottina.
ormai dovreste sapere che non sono una grande fan di facebook,
perciò no, non sono io a gestirla, ma l'amministratice la
conosco bene, quindi se le chiedete qualcosa vi sa rispondere!
vogliatele bene, si chiama Lamponella... si, il nome glielo ho
inventato io!
baci, alla prossima.
|
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Capitolo 7 *** 6. Raccogli pensieri ***
Mitrono
fragolottina's time
non avete idea di quanto è stato duro questo capitolo da scrivere!
c'era troppo roba... troppe informazioni... troppe cose da spiegare!
quindi, nel caso vi perdiate, non è colpa vostra, è mia e
me ne scuso... in mia discolpa posso dire che sto cercando di imparare!
cmq, credo che il capitolo sia interessante, perchè ci sono un
sacco di cose raccontate da Zach e perchè c'è tanto su
cui riflettere, anche fuori da EFP magari... oso sperare troppo!
"Le secche foglie delle mie parole potranno mai indurre qualcuno a
sostare, a respirare con avidità?"... a volte trovo ancora
incredibile che qualsiasi cosa voglia dire, Majakovskij l'abbia detta
prima di me e l'abbia detta meglio!
buona lettura!
6.
Raccogli pensieri
Scoprii che a Synt la colazione ed il pranzo erano stati compressi in
un unico pasto, consumato alle dodici e trenta circa; dopo una notte
passata a gironzolare per la città, i Veglianti non amavano le
alzatacce. Nemmeno io, infatti non avevo fatto i salti di gioia, quando
una pimpante e sveglissima Lynn in tuta mi era venuta a buttare
giù dal letto, nonostante non avessi dormito affatto.
La caffeina era bandita e questa, dopo una
disastrosa performance di autodifesa e mentre a tavola si stava
decidendo se ero un portento o solo fortunata, era una pessima notizia.
In compenso, però, mi era concesso tutto il pancake che
riuscissi ad ingurgitare, salsicce se fossi stata veramente molto
affamata, un brik di latte ed una temibilissima pesca che, dopo avere
assaggiato quella mela il giorno prima, non mi ispirava molta fiducia.
«Dio, Zach, perché devi essere
così ottuso!» lo rimproverò Matt.
«L’hai vista anche tu.»
Lui alzò gli occhi al cielo.
«L’ho vista anche mancarne uno facilissimo ad un passo da
lei, cos’è se sono fermi non li prende?»
Succhiai un sorso di latte con la cannuccia,
cercando di ignorare gli occhi che avevo addosso. Mi sembrava di essere
tornata all’Asta, dove mi soppesavano. Non sapevo spiegare come
era andata la cosa: avevo lanciato la freccetta per cercare di fare
centro… ed avevo fatto centro, la mia mente non riusciva a
ragionare su dettagli più complessi.
Solo Courtney non mi guardava chiedendosi quanto
valessi, più che altro le sue occhiate sembravano trasmettere
una sorta di offesa nei miei confronti per la mia esistenza.
«Perché tu stavi lì, addosso a
lei, sudato! È piccola, me l’hai fatta agitare e non
c’ha preso.» chiarì Matt ed io per poco non affogai
con il mio latte.
Zach si chinò sul tavolo per parlargli da
più vicino. «Fammi capire, con me in una palestra si agita
e vuoi che le dia un’arma da fuoco e la piazzi a cercare di
colpire Veggenti? Dici che non si agita?» il suo sarcasmo era
molto più concreto della cannuccia che avevo in bocca
Matt assottigliò lo sguardo, visualizzando
qualcosa ancora precluso a noi. «In realtà pensavo ad un
fucile carico di siringhe di Mitronio, tipo bracconiere.»
Zach sgranò gli occhi esplicativo e nella
mente di Matt suonò il campanellino dall’arme del
sarcasmo.
Sbuffò ed incrociò le braccia sul
petto indispettito. «È impossibile parlare con te.»
Nate non si era ancora espresso in proposito,
mangiava il suo pancake, con sopra quella che sembrava marmellata di
ciliegie, e stringeva una mano di Lynn, di nuovo seduta accanto a me,
di fronte a lui. Lei continuava a piacermi ed anche io credevo di
piacere a lei; quando ci eravamo allenate in autodifesa insieme,
nonostante la fatica ed i risultati scadenti, mi ero divertita. Mi
stupii di quanto mangiasse però, nel suo piatto facevano bella
mostra di sé una porzione di pancake più grande della mia
ricoperta di sciroppo d’acero e due salsicce: per una ragazza
tanto minuta era molto.
«Prepariamole un test.» disse infine
Nate dentro ad uno sbadiglio, aveva delle occhiaie profonde e scure,
anche più del solito, non sembrava aver dormito molto quella
notte.
Io gli lanciai un’occhiata, recuperai un coltello e presi a sbucciare la mia pesca.
«Ti costruisco un videogioco, che dici?» mi chiese.
Apprezzai moltissimo che si rivolgesse a me e non parlasse in mia presenza in terza persona come gli altri.
«Con obbiettivi mobili, fermi, intermittenti e
di varie grandezze. Matt, pensi di sapermi mettere insieme un sensore
di movimento?» ci rifletté. «Magari anche con un
pulsante per farla sparare?»
Lo guardai, per alcuni secondi rimase fermo,
immobile, soltanto le sue pupille si muovevano, scattavano a destra e
sinistra come se stessero leggendo un libro a super velocità. Il
suo boccone di pancake rimase a mezz’aria, finché non
scrollò le spalle disinvolto. «E che ci vuole?!»
bevve un sorso del suo latte. «Ti ci metto l’uscita USB
così ci puoi caricare il programma.»
«Guardate che bisogna andare a recuperare i rottami delle bombe.» ricordò loro Zach.
Matt sbuffò.
«Non piace nemmeno a me, ma bisogna farlo.»
Nate si strinse nelle spalle. «Tanto io non
posso uscire.» commentò incolore. «Almeno
avrò qualcosa da fare.»
Con la coda dell’occhio notai Lynn stringergli più forte la mano.
Matt mi guardò come se si fosse appena
ricordato di me. «Può venire lei al mio posto.»
«No, non può.» si affrettò
a rispondere Courtney, incoraggiante come sempre. «È qui
da due giorni, è una recluta e le reclute non possono uscire in
missione.»
Lui sospirò esasperato. «Dovete
recuperare i rottami.» puntualizzò. «Anche un civile
potrebbe farlo.»
«Se Romeo dovesse attac…»
«Di giorno?» la interruppe. «E poi che se ne fa Romeo di quella robaccia?»
Courtney assottigliò le sguardo, fissandolo
per alcuni secondi, poi incrociò le braccia sul petto fiera.
«La trovo una cosa irresponsabile.»
«”La trovo una cosa
irresponsabile”!» la scimmiottò Matt. Nascosi la mia
risata addentando la pesca – terribile, ma commestibile, non come
la mela – già non gli ero molto simpatica, non volevo che
avesse ulteriori motivi per odiarmi. «Non sei tu a dover
decidere.» si voltò verso Zach sbattendo le palpebre.
«L’ultima parola spetta al più forte, coraggioso e
bello di tutti noi. Zach, nostro eroe, non trovi che portare Becky a
fare un tour di Synt quando non fa paura sia una buona idea?»
Zach alzò gli occhi al cielo e scosse
sospirando la testa. «In realtà, si.» lo
fissò. «Ma non fare il gay con me!» minacciò.
«Idioti.» fu l’ultima parola che borbottò Courtney prima di alzarsi ed andarsene.
La guardai allontanarsi a passo svelto, era
possibile intuire tutto il suo fastidio da come la sua coda di cavallo
le oscillava sulla schiena: decisamente molto infastidita.
«Zach, devi parlarle.» fece Lynn piena di partecipazione femminile.
«Non sono io il problema.» mormorò lui abbassando gli occhi sulla sua colazione.
Questo non impedì a Lynn di continuare a
fissarlo con rimprovero. «Certo, che sei tu il problema e lo sai.
È depressa perché tu ti sei arreso.»
Deglutii e mi concentrai sulla mia pesca. Avrei
voluto fare un sacco di domande, chiedere se avevano avuto un
relazione, perché si era interrotta, avevano intenzione di
riprenderla? Ma ogni quesito sembrava superfluo, in più avevo
quella specie di tristezza addosso, quella sorta di brivido che
precedeva una delusione. Mi rendevo conto che la scema ero io, insomma,
dai! Zach era bellissimo e mi rivolgeva la parola solo perché
facevo parte della sua squadra, se ci fossimo incontrati al liceo non
mi avrebbe mai nemmeno vista perché ero troppo bassa.
«Lynn.» la supplicò lui alzando
lo sguardo. «Tu sai bene come sono andate le cose.»
Lei annuì e guardò Nate, che
però stava di nuovo ignorando tutti, perso in chissà
quale pensiero. Lo osservai, forse non sapeva semplicemente cosa dire.
Jared si alzò, era rimasto in silenzio per
tutto il tempo, diede una pacca sulla spalla di Zach, come a
rassicurarlo del fatto che c’erano responsabilità del
quale non poteva alleggerirlo, ma Courtney non era tra quelle.
«Vado io.»
Io avrei voluto sapere come erano andate le cose.
Più andavo avanti e più mi sembrava che la storia dei
Veglianti di Synt, della loro più o meno funzionale armonia,
fosse un tantino più complicata di un paio di acquisti ad
un’Asta.
Sotto due dei teloni in garage c’erano due fuoristrada neri,
blindati e con i vetri oscurati. Non certo macchine per fare una
passeggiata oppure la spesa.
Jean non era stata del tutto d’accordo sul
lasciarmi uscire, ma Matt le aveva raccontato dell’episodio in
palestra con le freccette e Zach aveva promesso di non allontanarsi da
me nemmeno per un secondo.
«Tre metri, Becky.» aveva ordinato la
Responsabile. «Non allontanarti mai di più di tre metri da
Zach.»
Oltre l’ordine c’era stata anche la
minaccia di Courtney, una minaccia sussurrata nella mia stanza mentre
mi mettevo le scarpe, non avevo nemmeno alzato gli occhi per guardarla:
sapevo perché era lì ed immaginavo anche cosa volesse
dirmi. «Se si mette in pericolo a causa tua ti ammazzo.»
Avrei voluto dirle una volta sola, una volta per
tutte, che se mi fosse stato permesso scegliere, io avrei continuato a
cercare di essere una cheerleader.
Zach mi indicò con un cenno del capo il
sedile del passeggero di uno dei due fuoristrada, mentre Jared, Lynn e
Courtney prendevano l’altro. Eravamo tutti rimasti in
borghese, niente giacche verdi: meglio, ancora non mi sentivo pronta.
Per salire dovetti praticamente arrampicarmi, tanto era grossa quell’auto.
Quando finalmente fui a bordo, chiusi lo sportello,
facendo scattare automaticamente la chiusura di sicurezza, e mi
allacciai la cintura.
«Avresti dovuto chiedere ad uno di loro di venire con te. Io non
ti sarò molto d’aiuto.» mormorai a Zach. Lui non
aveva la cintura e, anche se non l’avevo visto, ero sicura che
non avesse avuto i miei stessi problemi a salire.
Sospirò. «Jared e Lynn sono gli unici
due con cui lei parla, magari riescono a calmarla un po’.»
Non dissi più niente, mentre uscivamo dal
garage e ci immettevamo in un traffico praticamente inesistente. Anche
io parlavo con solo due persone: mamma e Taylor. Iniziai a pensare al
mio cellulare sul letto della mia cameretta, dimenticato di proposito
sul letto della mia cameretta. Mia madre continuava a telefonare, se
avessi risposto sarebbe scoppiata a piangere, avrei pianto anche io e
non sarebbe servito a niente se non a farmi stare male tutto il giorno.
Iniziavo a credere che avrei dovuto scriverle una mail, sarebbe stato
più comodo, lì non avrebbe pianto nessuno.
«Sei pensierosa.» commentò Zach.
Non volevo parlare di me, né del fatto che
non chiamavo mia madre per paura di piangere. «Come è
andata tra te e Courtney?» chiesi quindi, per evitare il
discorso, perché in ogni caso, per me, quello era un discorso
più gestibile.
Lui continuò a guardare la strada al di
là del parabrezza oscurato, rigido. «Sarebbe potuto
essere, ma non è stato.»
L’avevo detto, io, che non mi sarebbe piaciuto.
«Quindi lei ce l’ha con te perché l’hai respinta.»
«Io non l’ho respinta, lei non ha avuto il coraggio di tentare.»
Il fatto che lui era quello respinto era anche
peggio, magari era ancora innamorato. Scossi forte la testa, poi mi
passai le dita tra i ricci per riportarli al loro posto, dietro le
orecchie. «Perché?»
Lui irrigidì di più la mascella,
così forte da farmi male solo a guardarlo, e strinse il volante
finché le nocche non gli diventarono bianche. «In parole
povere, perché sono un morto che cammina.» riuscì
comunque a spiegarmi con un tono di voce tranquillo.
Quello che dissi poi fu inaspettato e folle,
ripensandoci ora, forse ero entrata in trance, forse era il sonno;
forse, semplicemente, lui aveva disperatamente bisogno di essere
consolato ed io volevo essere la persona che l’avrebbe fatto
sentire meglio.
«Non gli permetterò di
ucciderti.» con la coda dell’occhio lo vidi voltare il viso
verso di me, ma io non ricambiai il suo sguardo. Stavo fissando il
parabrezza, ma non guardavo di là, mi figuravo il momento in cui
loro due avrebbero lottato sulla cima di un grattacielo, come negli
incubi di Zach. «Io posso sparargli.» mi immaginai avere in
mano l’arma giusta e Romeo nel mirino.
Lo credevo davvero? Non saprei rispondere.
«Cheerleader, nessuno può sparare ad un
Veggente, altrimenti non useremmo i coltelli.» mi spiegò
sarcastico.
Quell’affermazione mi distolse dalla mia
immaginazione. «Perché?» chiesi senza capire.
«Veggenti.» sorrise scrollando le
spalle. «Sanno dove vanno a finire le pallottole e le
evitano.»
Quello poteva essere un problema per il mio brillante piano.
«E poi a livello molto teorico dobbiamo
catturarli, non ucciderli.» continuò Zach, spingendo il
pulsante di accensione di quella che a me era sembrata una radio, ma
che in realtà scoprii essere un dispositivo di comunicazione con
l’altro veicolo.
«Jared, noi andiamo nella Synt interna. Voi ve la cavate fuori?»
«Ma si, non preoccuparti, è giorno.»
Mi ero aspettata un centro abitato quasi normale, senza pensare che
Synt era stata praticamente costruita in una notte. Era troppo
perfetta, sembrava un modellino di città come quelli che facevo
io da piccola con i mattoncini colorati; cinque incastri tra una casa e
l’altra, otto tra i due lati di una via.
Le case erano tutte uguali, della stessa misura e
dello stesso bianco brillante. Portoni marroni, finestre con le
tapparelle marroni. Ero sicura che se fossi andata a controllare i
tappetini d’ingresso, avrei scoperto che erano tutti identici
anche quelli.
Forse inizialmente, nel cortile recintato di fronte
ad ogni abitazione, c’era stato del verde, ma ormai il prato
preciso e curato – sicuramente tagliato allo stesso livello in
tutta la città – aveva uno strano e triste color ocra,
come se fosse secco.
Appena Zach accostò la macchina, io scesi e
mi accucciai davanti al vialetto di quella che sembrava una casa
abbandonata.
«La bomba è qui dietro. Posso fare da me. Resta qui.» mi disse Zach.
Annuii e lo guardai allontanarsi, poi allungai una
mano per staccare un filo d’erba: nasceva verde, perché la
parte più vicina alla radice era viva, vera. Perdeva colore
piano, piano, crescendo.
Quando Zach tornò indietro con le braccia
piene di rottami, gli mostrai la mia scoperta, come una bambina che
mostra al fratello maggiore un insetto. «Perché?»
chiesi soltanto.
Lui aprì il bagagliaio e ci sistemò
tutto, poi mi indicò qualcosa alle mie spalle con sguardo cupo.
Mi voltai e mi trovai ad osservare un fumo denso, spesso, quasi
tangibile, che si levava dall’alto camino di una delle fabbriche
di Mitronio, ce ne erano almeno altri dieci.
«Ma alle persone non fa male?» chiesi, stringendo nel pugno il filo d’erba.
«L’ADP dice di no.»
Affermazione che non significava necessariamente “no”.
Il cielo era grigio quella mattina, avevo pensato
che fossero nuvole, ma ora mi trovai a chiedermi se non fosse invece la
cappa di inquinamento. Synt era un posto orribile dove vivere, non
importava cosa dicessero brochure e siti internet, per nessun motivo al
mondo, se avessi potuto scegliere, mi sarei avvicinata a quella
città infernale.
Abbassai lo sguardo, quando un movimento alla
finestra della casa dall’altra parte della strada attirò
la mia attenzione. C’era una donna che sbirciava dalla tenda
scostata, guardava noi, ci fissava. Da quella distanza l’unica
cosa che riuscivo a capire era che aveva i capelli lunghi e scuri ed
indossava qualcosa di bianco, una camicetta od una maglietta.
La fissai incerta: ero già stata in quella casa? Perché mi sembrava di averla già vista.
«Quella casa…»
Zach si tirò su dal bagagliaio e guardò, come me.
Scrollo le spalle. «La signora è curiosa, e allora?»
Non riuscivo a staccare gli occhi da quella finestra. «Non la trovi familiare?»
Annuì tranquillo. «Perché le
case sono tutte uguali.» archiviò il problema lui.
«Dai, andiamo.»
Mi avvicinai allo sportello del passeggero, ma prima
di salire di nuovo lanciai un’altra occhiata alla finestra: la
signora ci stava guardando ancora.
Facemmo un altro tragitto di strada in silenzio, di
tanto in tanto la radio ricetrasmittente di Zach gracchiava qualche
commento dagli altri, mentre io pensavo che, più che la casa,
era la signora affacciata alla finestra ad essere familiare. Mi chiesi
se non fosse stata su qualche foto della rappresentazione cibernetica
di Synt.
«Sei di nuovo pensierosa.» commentò ancora Zach.
Mi voltai verso di lui sospirando, era inutile
arrovellarmi su un problema del genere, di certo non avrei trovato la
soluzione in quel momento. Una volta tornata alla caserma avrei
consultato il mio smart-table ed avrei scoperto che la signora era
proprio lì.
«Non dovresti turbarti tanto perché la gente ti guarda male. Lo fanno sempre.»
«Perché? Dopo tutto tu li proteggi, no?»
Lui rise, amarissimo, ma rise. «È la
legge più antica dell’umanità: il diverso fa paura;
se il diverso è più forte, è una minaccia; se il
diverso è più forte e non obbedisce, va eliminato.»
Ci pensai su. «Quindi, secondo il tuo
ragionamento, l’unica differenza tra un Veggente ed un Vegliante
è che i Veglianti obbediscono.»
Sorrise. «Anche.» mi concesse con un’occhiata verde e divertita che mi fece arrossire.
Altro silenzio.
«Una volta io e Romeo ci stavamo accapigliando
come al solito, e come al solito lui mi aveva messo al tappeto.»
Lo osservai con più attenzione, in quel
momento sembrava meno sensibile all’idea che, per quanto potesse
impegnarsi, Romeo era sempre di un passo davanti a lui.
«Si era seduto sul mio torace, in modo che le
sue ginocchia mi tenessero ferme le braccia.» continuò.
«Potevo divincolarmi quanto volevo, non sarebbe servito a
niente.» si leccò le labbra. «Lui mi osservò
a lungo. Romeo ha questo strano modo di guardarti, come se fosse sempre
indeciso sull’ucciderti. Penso che, quando lo fa, riesca a vedere
tutti i sentieri che si srotolerebbero per ognuna delle due
scelte.»
Era stima quella che traspariva dalla sua voce?
Invidia? Anche con me era stato in quel modo, tentato allo stesso tempo
dal farmi fuori o tenermi in vita, ma non mi ero sentita né
invidiosa né estimatrice del suo talento. Sarà stato che
ero troppo terrorizzata.
«Non mi ha ucciso. Mi ha fissato e mi ha
detto: “Se ci uccidete tutti, poi, quando inizieranno a dare la
caccia a voi, chi vi aiuterà?”.»
Rimasi in silenzio, era un’idea terrificante,
ma anche terribilmente sensata. Quando questa guerra sotterranea tra
Veglianti e Veggenti sarebbe finita, che ne sarebbe stato della fazione
vincitrice? Come vivevano i Veglianti che sopravvivevano al periodo di
leva? Continuavano tutti a combattere come Jean, oppure riuscivano a
costruirsi una vita normale?
«Voleva solo confonderti.» dissi, mio
malgrado perché era la cosa più tranquillizzante da dire,
non perché ci credevo. Stavo lentamente entrando
nell’ottica che Romeo non mentisse, quasi mai.
Si strinse nelle spalle. «Probabile.» mi
guardò. «Non l’ho mai detto a nessuno.»
Arrossii. «E perché l’hai detto a
me?» cercai di dissimulare il mio imbarazzo, ignorandolo per
prima.
Colsi l’ombra di un sorriso nei suoi occhi, ma
non disse niente. Pensò alla mia domanda invece. «Non lo
so.» ammise. «Perché al momento sei inutile e magari
puoi almeno aiutarmi a tenere in ordine i miei pensieri?» mi
chiese sarcastico per alleggerire l’aria che, improvvisamente, si
era fatta dieci volte più pesante del solito.
«Simpatico.» commentai gelida e tornai a
fissare il parabrezza. «Tu e Courtney fate proprio una bella
coppia.»
Scoppiò a ridere e, guardandolo, mi dissi che
se tanto potevo solo quello, almeno lo avrei fatto ridere.
«Tu hai lasciato un fidanzato a casa?» mi chiese.
Non avevo realizzato che fosse una pessima domanda
finché non me la pose. Fu peggio di un pugno. Mi raggomitolai
sul sedile e mi abbracciai le gambe per poggiare la testa sulle
ginocchia, dall’altra parte rispetto a lui. «C’era un
tipo, eravamo tutti e due molto timidi, quindi ci sono stati mesi di
sguardi prima di un invito ad uscire.» chiusi gli occhi e mi
ingiunsi di non piangere. «Era per ieri sera.» magari Logan
era l’uomo della mia vita ed io non lo avrei mai saputo,
perché non facevo più parte della mia vita.
Sentii Zach sospirare, poi la sua mano si
posò piano sui miei capelli. Non disse niente e silenziosamente
lo ringraziai di questo. Nemmeno quando iniziai a tirare su con il naso.
La gita a Synt non mi distraeva abbastanza da tirarmi su il morale e
vedere il sole di minuto in minuto più in basso sulla linea
dell’orizzonte non aiutava. Me ne stavo zitta e buona,
accartocciata sul sedile del passeggero e mi limitavo a seguire gli
ordini di Zach quando mi diceva di aiutarlo. Erano cose elementari
“prendi quello”, “porta quest’altro” ed
ero sicura che lo facesse più per farmi sentire utile che per
vera necessità. Le bombe al centro di Synt dovevano essere state
semplici da disinnescare, perché intorno non c’erano danni
di nessun genere.
Se per gli abitanti di Synt sia i Veglianti che i
Veggenti erano diversi e quindi pericolosi, chi odiavano di più?
In fondo, non era forse vero, che mia madre mi aveva
sempre insegnato a scostarmi dalla strada quando incrociavo quelle
giacche verdi. Se fossi tornata a casa, Logan sarebbe ancora voluto
uscire con me?
Guardai Zach, era in tuta: una felpa nera col
cappuccio, un paio di pantaloni un po’ grandi che frusciavano
quando camminava e scarpe da ginnastica bianche con le righe nere.
Quella mattina di verde c’erano solo i suoi occhi. Forse mia
madre non si sarebbe spaventata se l’avesse visto così.
Sollevai il blocco del detonatore da sotto un
scivolo per bambini transennato, mentre Zach portava quella che mi
aveva spiegato essere la gabbia esterna dell’esplosivo. Qualsiasi
cosa avesse contenuto era stata svuotata la sera prima, quando
l’avevano disinnescata.
«Come l’hanno presa i tuoi quando Jean
ti ha preso?» gli chiesi, per non pensare al fatto che un bambino
disobbediente sarebbe potuto comunque salire su quello scivolo ed
esplodere. Mi guardai intorno, era un bel parco – se non si
considerava l’erba ocra – c’era anche un altro
scivolo, delle altalene, un girello, ma mancavano i bambini. A parte la
signora che ci spiava dalla finestra non avevo visto nessun abitante di
Synt.
«Male.» disse solo ed io dovetti
riscuotermi dai miei pensieri per ritornare all’argomento della
conversazione. «Mio padre era molto amico di Wood ed anche se
Jean era la sua figlioccia tutti sapevano che era più
magnanima.» posò con cura le sue parti nel bagagliaio e mi
aiutò con il detonatore. «Insomma, per una testa calda
come me, serviva il pugno di ferro di Wood.»
Lo guardai, Zach non era una testa calda, anzi, a volte era controllato fino a risultare innaturale.
«Eri molto indisciplinato da piccolo?»
chiesi quindi, immaginandomi un bambino vivace, un ragazzino un
po’ troppo scalmanato che pensava poco alla scuola e troppo a far
casino con gli amici.
Abbassò lo sportello del fuoristrada con
cautela, Matt e Nate volevano analizzare ogni pezzetto fino alla
psicosi, quindi si erano raccomandati di non rovinarli.
«Diciamo che io e mio padre abbiamo delle incomprensioni.» spiegò.
Lo osservai incerta. «Incomprensioni?»
Annuì ed arricciò il naso, mentre si
passava una mano tra i capelli imbarazzato. «Aver tentato di
ucciderlo non ha giovato al recupero del nostro rapporto.»
Sgranai gli occhi incredula. «Hai cercato di uccidere tuo padre?»
«Lo dice anche il tuo Freud, no? Che ad un certo punto bisogna uccidere i propri genitori.»
«In senso figurato!» obbiettai stridula.
Lui fece spallucce poi girò intorno all’auto per salire di nuovo, lo seguii.
«Quanti anni avevi?»
«Dodici.»
A dodici anni per me papà era la cosa più bella del mondo.
«Perché?» domandai senza capire,
perché dal mio punto di vista un discorso del genere era fuori
da ogni logica.
Lui sospirò. «Avevo un fratello che
sognava di diventare un ingegnere, era una specie di genio, tipo Nate.
Ma mio padre era stato un soldato e se aveva avuto due figli maschi era
stato solo per servire la nazione…»
«E se fossero state femmine?» domandai di getto, scusandomi subito dopo per averlo interrotto.
«Siamo stati concepiti in vitro, un team di
genetisti si è occupato di garantire il nostro cromosoma
Y.» mi spiegò comunque. «Ad ogni modo, Sean era
stufo di sentire questa solfa così fece l’addestramento e
morì in una delle guerre del Medio Oriente, non ricordo nemmeno
quale.»
Non ne sapevo molto della situazione politica
internazionale, a scuola ci insegnavano che, dopo anni di convivenza
forzata e carica di tensione tra pensieri diversi, lo scontro era stato
inevitabile e si era esteso a tutto il nord Africa.
«Io ero inconsolabile, piangevo e basta. Mio
fratello era morto per far contento mio padre, morto! Non l’avrei
più rivisto, non avremmo più giocato insieme, non mi
avrebbe mai mostrato lo schema perfetto del football di cui parlava
sempre.» disse distaccato come se non stesse parlando di
sé stesso.
Rimasi in silenzio, fissandolo.
«Mamma supplicò mio padre di dirmi
qualcosa, di consolarmi. Lui venne nella mia camera e mi disse
“Zach, sei uno stupido a piangere, perché tuo fratello
è un eroe.”» si fermò a riflettere, poi mi
guardò. «Sai, fondamentalmente la colpa è mia, sono
stato troppo ingenuo a chiedergli se non sarebbe stato più
contento se fosse rimasto lì e sopravvissuto. Perché lui
mi ha risposto qualcosa che somigliava a “La sua morte mi ha reso
fiero di lui e se tornasse in vita sarei orgoglioso solo se andasse a
morire di nuovo.” Non sono sicuro che fossero le esatte parole,
ma il senso era quello.»
Bel tipo, il padre di Zach.
«A quel tempo giocavo a baseball, gli sport mi
riuscivano ed anche se mi piaceva il football cambiavo di tanto in
tanto. Papà mi aveva regalato una mazza nuova di metallo,
bellissima. Io la recuperai al volo da sotto il letto e provai a
colpirlo.»
«E lui?» domandai spaventata.
«Avevo dodici anni, non ero una mente
assassina. Mi ha rotto un paio di costole a calci e mi ha chiuso in
accademia militare per mettermi in riga, o ottenere un’altra
medaglia dalla mia morte.» scosse la testa. «Non mi sono
mai venuti a trovare finché non mi hanno convocato per
l’Asta, mio padre era tutto eccitato, mi ha detto che mi
perdonava, perché un simile dono mi rendeva migliore. Sarebbe
stato orgoglioso del Vegliante che sarei diventato.»
«Quindi ora avete fatto pace?»
«No. Gli ho detto che io non lo perdonavo e
che non sarei mai diventato il Vegliante che lui avrebbe voluto.»
Abbassai lo sguardo cupa e triste per lui, per il
bambino che aveva avuto voglia di uccidere il padre, per il ragazzo che
si era trovato solo per essere addestrato alla guerra a soli dodici
anni, per il giovane uomo che aveva seguito controvoglia un destino che
non voleva.
«Dai, non fare quella faccia.» mi
riprese. «Poi le cose si sono aggiustate: Josh ha fatto a botte
con Wood per portarmi nella sua squadra, Jean mi ha promesso che
nessuno mi avrebbe più rasato i capelli se mi fossi comportato
bene e che avrei avuto tutto il tempo del mondo per sentirmi pronto ad
uscire.»
«Joshua Lanter, quello della mia camera?» chiesi anche se conoscevo la risposta.
«Ah-ah.» annuì. «Era la
persona più tranquilla e pacifica del mondo, solo quando
c’era Wood nei paraggi diventava violento. È per questo
che Jean ha iniziato a portare me alle Aste e non lui. Non si
controllava.»
Cercai di scrivere a fuoco tutte quelle informazioni
nel mio cervello, poi lo guardai incerta. «E così hai
trovato la tua vocazione.» terminai per lui.
«Qualcosa del genere.»
Distolsi lo sguardo, persa nel pensiero di Josh; per
come me ne avevano parlato, non sembrava affatto tipo da andare fuori
di testa. Non era un controsenso che l’uomo che aveva mantenuto
calmi gli animi di Synt per tutto quel tempo, perdesse le staffe?
«Sei un buon raccogli pensieri, cheerleader.»
apriamo una parentesi sulla guerra.
papà Douquette è un fanatico più fanatico, prima
di dire che è esagerato però, pensate un attimo al fatto
che in certe nazioni i genitori lasciano ed anzi sono orgogliosi che i
figli si mettano una bella maglietta alla nitroglicerina e si facciando
esplodere su un pullman, in funzione di ideali religiosi o politici
più o meno opinabili.
poi certo noi siamo in un paese libero e civilizzato. quindi, chi sono
io per dire che mnandare con orgoglio un figlio a morire nel paese
sopra citato, sempre per motivi che non sta a me giudicare, sia una
follia?
nessuno io sono solo una racconta favole, dopo tutto.
chiusa parentesi sulla guerra.
vi lascio il link di Lamponella, andatela a trovare se vi va, che è contenta!
fatemi sapere se vi piace!
baci
|
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Capitolo 8 *** 7. Sola ***
Mitrono
fragolottina's time
lo so, siamo sotto Natale e come minimo dovrei scrivere il racconto di Natale, ve'?
il problema è che questa storia sta decisamente prendendo
più me che voi, quindi ho deciso di seguire lamia ispirazione.
dunque, questo è un capitolo complesso, si parla di Becky, di
quello che fa e che potrebbe fare, ma soprattutto di quello che ha
nella testa. il suocco del discorso è che nella testa di Becky
c'è un bordello niente male, più che altro ci sono un
sacco di domande alle quali nona veva mai cercato di trovare risposta
perchè non se le era mai poste.
ma Synt, care lettrucciole, è come Silent Hill, ti costringe a
fare i conti con la parte più complessa e nascosta di te.
buona lettura...
7
Sola
«Signore e signori.» esordì Matt, camminando avanti
ed indietro davanti a noi. «Siamo qui riuniti, come ben sapete,
per metterci alla prova con il nostro nuovo prodotto video
ludico…»
Lynn mi diede di gomito. «Dove cavolo è
andato a pescare due parole come “video ludico”?!»
Nascosi la mia risata, voltando poco il viso di lato.
Dopo aver scaricato tutto il materiale recuperato
dalla città, Matt e Nate ci avevano riuniti in palestra, dove
avevano già montato un proiettare e sistemato alcune sedie.
Perfino Jean era scesa per controllare il loro lavoro, o forse il mio,
ma si era portata dietro alcuni fascicoli da esaminare. La Responsabile
ci aveva anche suggerito di prendere il nostro vassoio con la cena per
non perdere tempo; a quanto pareva eravamo già in ritardo sulla
tabella di marcia, anche se, per come la vedevo io, era presto, appena le
sei del pomeriggio. Jared però mi aveva spiegato che, se
riuscivano a cenare alle sei e mezza, per le nove, quando iniziava al
ronda, tutti avevano già digerito: “Corriamo, lottiamo.
Non possiamo permetterci di essere appesantiti dal cibo”.
Ero sicura che la notte prima avessi mangiato più tardi, ma forse il sonno sballato mi confondeva.
«Ma lasciate che vi descriva la nostra opera.» annunciò Matt. «Nate, attacca.»
Lui, seduto sopra l’attrezzo per i dorsali
– o almeno così mi sembrava – digitò qualcosa
sul computer portatile che aveva in equilibrio sulle gambe ed il
proiettore si accese. Alle sue spalle, sulla parete bianca, apparve un
immagine sbiadita, un pupazzetto biondo con una gonnellina ed un
canottiera con su stampata una B e quelli che sembravano due pompon
legati al fianco.
Oh mio Dio, ma ero io quella?!
Ma il dramma non era finito. Quelli che sembravano
una manciata di frutti stilizzati, con occhi, gambe e ciuffetti verdi
qui e lì, fecero il loro ingresso nella scena saltellando,
mentre la parte superiore dello schermo veniva occupata dal titolo del
videogioco: “Becky mangia-frutta”.
«È soltanto il primo episodio della
serie.» spiegò Nate ridendo. «Contiamo di sviluppare
altre avventure.»
Per qualche secondo la palestra rimase invasa dal gelo, il primo a trovare il coraggio di parlare fu Zach.
«Davvero?» domandò perplesso. «Questo è il suo test?»
«Non farti ingannare dallo stile
fumettoso!» lo rimproverò Nate. «Il design è
semplice, ma la difficoltà elevata.»
Jean sospirò e girò la pagina del suo
fascicolo senza degnarli di uno sguardo, probabilmente troppo abituata
alle loro follie per essere sconcertata.
«Zach, giacché sei il più
talentuoso di tutti noi, dovresti fare il primo turno per creare un
punteggio base.» gli spiegò Matt.
Lui sbuffò e si alzò, io seguii ogni
suo movimento, quando riuscii a staccargli gli occhi di dosso, vidi
Courtney fissarmi come se volesse saltarmi addosso da un momento
all’altro. Dopo averla vista lottare contro Jared, iniziavo a
pensare di dover essere più cauta: era una Vegliante, aggraziata
e bella, ma pur sempre letale. In più era una donna innamorata
che si sentiva minacciata da me – fattore che trovavo quanto mai
ridicolo, visto che Zach era in tutto e per tutto ancora preso da lei:
mi avrebbe uccisa, se ne avesse avuto l’opportunità.
«Che devo fare?» domandò Zach annoiato.
Matt gli porse quello che aveva tutta l’aria
di essere un telecomando dalla strana forma troppo allungata. Premette
un paio di volte l’unico pulsante rosa e, con una serie di
“tic” che lo facevano sembrare un accendi fuoco, un
piccolissimo laser rosso sbucò dalla punta fermandosi ad
oscillare sul soffitto.
«Ogni volta che premi, parte un impulso,
quando l’impulso si incrocia con il fotogramma di un obbiettivo a
Nate arriva un punto. Alcuni obbiettivi sono praticamente soltanto
flash, altri hanno tre secondi prima di scomparire.»
Zach annuì e guardò Nate ancora
incerto. «E tu dici che questo è un super test? Sembra
solo un giocattolo per bambini.»
Lui si strinse nelle spalle, sui suoi occhiali si
rifletteva lo schermo del pc, era impossibile indovinare il suo
sguardo. «Proviamo. Se non ne usciamo faremo una partita a
Bandiera Svizzera.»
«Ma state scherzando?» sbottò
Courtney, balzando su infuriata. «Volete dire che invece di
riposare, dovrò litigarmi con voi uno straccetto?! E solo
perché quella mocciosa forse non è un completo spreco di
ossigeno?! Scordatevelo!»
Guardai Zach fissarla con un misto di
rammarico, nostalgia ed affetto. Strinse i pugni e sapevo per certo che
avrebbe voluto stringere lei. Mi abbracciai più stretta le gambe
al petto.
«Eddai, Court.» la supplicò Nate. «Prendilo come un allenamento.»
«Un allenamento?!» chiese ironica. «Io mi alleno già, tutti i giorni.»
«Non per un trasporto.» precisò
Lynn. «Dai, giochiamo un po’, che sarà mai?!»
«Dovremmo riposarci per un trasporto, studiare
una strategia efficace che ci permetta di tornare tutti a casa sani e
salvi. Non indossare berretti con i pompon e fingere una
guerriglia!» nonostante il fastidio, notai che cercava di essere
più gentile quando parlava con Lynn.
«Faremo l’uno e l’altro.» promise Zach.
«Jean, pensi che sia necessario?»
domandò comunque Courtney fissandolo negli, in una muta sfida a
cercare di fermarla.
La Responsabile posò gli occhi su Courtney,
Zach, me ed infine su Nate. «Il nostro stratega crede che sia
necessario?» chiese soltanto, rimanendo diplomaticamente al di
fuori di ogni disputa personale.
«Dipende dal risultato del test.» concluse semplicemente Nate.
«Appunto. Smettetela di fare i bambini.» li rimproverò.
Courtney si zittì, ma tutto, in come si
sedette di nuovo a terra con le braccia incrociate sul petto, gridava
il suo dispetto. Mi avrebbe uccisa, prima o poi quella ragazza avrebbe
trovato il modo di farmi fuori e farlo sembrare un incidente, o un
terribile atto dei Veggenti: in ogni caso, lei ne sarebbe uscita pulita.
Matt alzò gli occhi al cielo. «E ancora
non le ho detto la parte peggiore.» mormorò.
Io mi sporsi verso Lynn. «Io non so giocare a Bandiera Svizzera.» confessai.
Lei mi guardò e sorrise. «È
semplice. Ci dividiamo in due squadre, blu e rossi, e ci dividiamo
anche un territorio. C’è una fabbrica in disuso, in genere
usiamo quella. La squadra blu protegge una piccola zona circoscritta
dove è nascosta la bandiera rossa, mentre la squadra rossa
sorveglia quella blu. Vince la prima squadra che riesce ad appropriarsi
della propria bandiera e portarla nel proprio territorio.» si
fece più vicina a me ed abbassò la voce prima di
proseguire. «In realtà è divertente, anche se
Courtney si lamenta.»
«Praticamente, punto e sparo.»
«Si.» confermò Matt a Zach. «Nate, stacca le luci.»
Distolsi l’attenzione da Lynn per osservare Zach.
La prima cosa che realizzai, quasi con stupore, era
la sua lentezza. Pensava troppo, alcuni bersagli non riusciva a
colpirli, non sembrava nemmeno vederli, altri li intercettava appena un
secondo prima che scomparissero ed il tempo per sparare c’era.
C’era, eccome. Mi dissi che, probabilmente, parlare da fuori era
troppo facile. Magari il puntatore era più complicato di quanto
credessi da utilizzare, o forse l’impulso visivo era più
facile da realizzare rispetto a quello che diceva alle mani
“Spara!”. Insomma, anche tirare un freccetta sembrava
facile, no? Ma non lo era.
Erano cinquanta bersagli, cinquanta frutti.
Cinquantuno se si contava anche una specie di mostriciattolo con il
ciuffo rosso – la stilizzazione di Romeo, supponevo – che
faceva capolino di tanto in tanto, come il big bad di qualsiasi
videogioco.
Sgranai gli occhi quando diventai consapevole della
magia: indipendentemente da tutto, Matt e Nate avevano costruito un
videogioco – semplice, ma pur sempre un videogioco – con
tanto di telecomando in tre ore circa: erano in gamba sul serio.
«Non male.» commentò Nate.
«Quaranta. Non hai preso Romeo, però.» lo prese in
giro con sguardo furbo.
Zach gli lanciò un’occhiata omicida
anche se divertita. «Non fai ridere, neanche un po’.»
«Vediamo cosa fa la nostra talentuosa e nuova
recluta?» ci invitò Jean. «State facendo tardi alla
ronda.» ricordò, studiando il proprio orologio.
«In bocca al lupo.» mi sussurrò Lynn incoraggiante, mentre mi alzavo.
Matt mi venne incontro con un paio di cuffie pelose
e me le sistemo sulla testa, tra i capelli, e tutto il mondo
diventò muto. Mosse le labbra, ma non sentii niente
finché non ne sollevai una. «Così non ti
deconcentri.» ripeté con un sorriso.
«Perché io niente cuffie?»
domandò Zach, sedendosi accanto a Courtney. Troppo vicino per
non leggerci un’intenzione ben precisa, ma non abbastanza da
farli sembrare a loro agio con il corpo dell’altro.
«Perché sono rosa!» rispose
esasperato Matt. «Non stavano bene coi tuoi capelli ed i tuoi
occhi.»
Lynn scoppiò a ridere, forse l’avrei
fatto anche io se non fossi stata nervosa. Incrociai lo sguardo di
Nate, lo schermo del pc scivolò via dai suoi occhiali per farle
spazio; era bello da vedere, la guardava come se la sua risata fosse la
cosa più meravigliosa sulla faccia della terra. Forse per lui lo
era davvero.
Lasciai che la cuffia aderisse di nuovo al mio
orecchio, schiacciò i miei capelli con un fruscio consolante,
era esattamente lo stesso rumore che sentivo quando posavo la testa sul
mio cuscino.
Matt mi porse il telecomando e mi mostrò il
pulsante da premere, era un po’ duro, ma era giusto. Adatto.
Quando si tolse da davanti la mia visuale rimasi sola. Io e lo schermo,
l’assenza di suoni mi confinava in mondo vuoto, dove
l’unico rumore era il mio respiro, interno e privato, lento e
regolare. Mi stupii della mia calma, per tutta la vita avevo avuto
paura di stare sola, di rimanere sola, era panico quel groppo che
mandavo giù ogni volta che Taylor mi parlava di altre compagne
di scuola che le erano simpatiche e con le quali temevo potesse
rimpiazzarmi; e non ero forse morta di spavento quando mi avevano
portata via, all’Asta, sola? Ma in quel momento, sola, con un
telecomando in mano ed un videogioco con il mio nome ad occupare tutta
la mia visuale, stavo bene, tranquilla, prendevo finalmente fiato, dopo
una vita di respiri mozzati ed interrotti.
Non ebbi nessuna reazione quando il videogioco
partì, ero pronta, ed il mio cervello correva veloce in due
direzioni diverse: una parte mi indicava quello che io avevo bisogno di
vedere – “la fragola in alto a destra, la mela che
lampeggia a sinistra, sta per comparire una specie di ananas, stai
attenta!” – l’altra mi ficcava in testa un concetto
semplice, ma innovativo: “ogni passo che hai percorso, ogni cosa
che hai fatto, ogni persona con cui hai parlato, ti hanno portata
qui”.
Guardai il mostriciattolo che era Romeo,
infastidita: non l’avevo preso, non riuscivo a prenderlo, era
troppo veloce, appariva e scompariva, a volte lampeggiava a volte
camminava qui e lì, si prendeva gioco di me. Deglutii un boccone
d’aria e lo fissai, “la prossima volta ti prendo”.
Sparai. Il “tic” del puntatore mi
ricordò di aprire gli occhi. Avevano già acceso la luce
ed aggrottai le sopracciglia sorpresa, come risvegliandomi da un sogno.
Che hai fatto, Becky?
Niente, non avevo fatto niente… giusto?
Non so perché iniziai a sentirmi braccata,
come se avessi commesso un errore fatale che avrebbe richiesto la mia
eliminazione per essere corretto. Che avrei detto quando mi avrebbero
interrogato? Quando avrei dovuto spiegare quello che avevo fatto o che
non avevo fatto? Mi girava la testa, feci un passo barcollante, sola
nel vuoto, non più calma, anzi spaventata, perché tutto
quel silenzio mi stava soffocando. Tutti mi guardavano, tutti si
facevano domande e trovavano risposte più o meno logiche. Avevo
bisogno di sedermi, avevo bisogno di nascondermi, sparire.
Nemmeno me lo avesse letto nel pensiero, Courtney mi
raggiunse e mi fissò negli occhi, i suoi, azzurri come il
ghiaccio, erano fermi, immobili e trasmettevano la loro calma a me. Mi
sfilò piano le cuffie e il mondo riprese una voce.
«Inspira.» ordinò, senza rabbia o
odio, pratica e professionale quasi. «Espira.»
Obbedii. Anche se mi odiava non era lei che mi avrebbe tradita.
«Ascolta il tuo respiro. Vuoi sederti?»
Annuii senza riuscire a ricordare come si faceva a parlare.
Mi prese la mano che non stringeva il telecomando e
si inginocchiò con me, mentre io scivolavo prima sulle
ginocchia, poi a sedere.
«Stenditi e solleva le ginocchia.»
Per alcuni secondi il mondo rimase un insieme
confuso di suoni mischiati, ero al centro di un vortice che mi girava
furioso intorno, non potevo scappare, ma non sapevo nemmeno correre
così veloce. Continuavo a fissare la luce al neon sopra di me,
in alto, lontanissima, come una stella.
Sola.
Riconobbi la voce di Lynn quando si sdraiò su
un fianco, per terra accanto a me e mi prese la mano. La sua era calda
e piccola e liscia, la mia mi sembrava un pezzetto di ghiaccio duro
nella sua.
«È tutto apposto, Becky.» mi
rassicurò. «Sto qui con te, tanto i maschi stanno facendo
tutti calcoli che io non capisco.»
Sorrisi piano.
«Quindi, io sto qui con te, finché non ti viene voglia di alzarti in piedi.»
Probabilmente non avrei mai voluto alzarmi in piedi, ma sentivo di potermi tirare a sedere. Con calma…
Il rumore intorno a me ricominciò ad avere un senso.
«Ha fatto schifo, ne ha presi trentacinque. Meno di me.» era Zach, era la sua voce.
«È un po’ più complicato di così e comunque ha preso Romeo.» era Matt.
«Beh? Trentasei.»
Nate mi stava fissando, non lo vedevo, ma lo
sentivo. «Romeo era un bersaglio un po’ più
complesso.» spiegò.
«Perché?» chiese Zach.
«Perché non aveva uno schema.»
Sapevo quello che stava per dire: Nate avrebbe potuto condannarmi.
«Ero io a muoverlo.»
Jean si avvicinò mentre mi stavo mettendo a
sedere. Mi studiò attenta, fermandosi qualche secondo di
più sulle mie dita che non avevano mai lasciato il telecomando,
e lanciò un’occhiata a Courtney.
«Un crisi di panico.» spiegò
semplicemente lei. «Non chiedermi cosa le ha fatto venire il
panico, ma di quello si tratta.»
Lei sospirò e mi passò una mano sulla
fronte, era fresca, io mi sentivo un po’ sudata, tipo
febbricitante. «D’accordo.» commentò.
«Adesso ti portiamo a letto e ti diamo qualcosa per riposare un
po’.»
«Non mi farai portare via, vero?»
domandai precipitosa, aggrappandomi al suo braccio. Non sapevo nemmeno
da dove mi fosse uscito quel timore. Non avevo fatto niente di
male… giusto?
Jean mi osservò, cercando di arrivare alla
parte del mio cervello che stava dando i numeri, ma poi mi sorrise
conciliante. «No, cara, non preoccuparti.» guardò il
gruppetto di maschi che continuavano a discutere agitati.
«Ehilà, bellezze! Non state dimenticando qualcosa?»
Tutti si voltarono verso di lei, ma nessuno sembrò capire il significato delle sue parole.
«Qualcosa che inizia per “ron” e
finisce per “da”?!» continuò ironica.
«Partiamo?» domandò Zach.
«Direi. Nate, tu aiutami ad accompagnarla nella sua stanza.»
Lynn mi strinse un’ultima volta la mano, prima
di allontanarsi insieme agli altri. Nate si accucciò accanto a
me e, piano, piano, mi filò via il telecomando.
Sbattei diverse volte le palpebre. «Non
dirlo!» non sapevo nemmeno a cosa mi riferissi. Oltre il terrore
cieco il mio cervello era troppo pieno, così pieno che tutti i
pensieri erano stati pressati insieme fino a mischiarsi e diventare
inestricabili.
Mi aiutò a sollevarmi, poi mi passò un
braccio dietro la schiena ed il mio intorno alle sue spalle, il tutto
senza guardarmi nemmeno un secondo negli occhi, come se avesse paura
che potessi leggerci qualcosa di segreto.
«Datele due pillole di valeriana. La faranno
dormire e domani sarà riposata e calma.» suggerì
Courtney lontana.
«Ti serve aiuto, Nate?» domandò Jean.
Lo sentii scuotere la testa, mentre aspettava
pazientemente che io camminassi piano, piano insieme a lui. Non parlava
ed era strano, perché Nate mi parlava sempre, mi raccontava.
Anche in quel momento se fossi stata brava probabilmente si sarebbe
complimentato con me, mentre in caso contrario avrebbe inventato una
scusa per non farmi intristire.
«Cosa c’è che non va?»
domandai dopo un po’, quello sembrava essere un concetto
abbastanza semplice da essere espresso.
Lui fece un mezzo sorriso, controllato e rigido.
«Ho paura che tu sia troppo brava.» commentò incerto
e deglutì. «Certo, che però abbiamo dei compagni di
squadra intelligenti.» riprese vita, cambiando repentinamente
argomento. «Barcolli e cosa fanno? Non è che ti vengono a
soccorrere, oh no!, si precipitano da me a vedere il tuo punteggio.
Almeno Courtney da la giusta importanza alle cose.»
Sapevo che mi stava nascondendo qualcosa, ma, in ogni caso, il suo discorso semplice mi aveva calmata.
No, lui non mi avrebbe mai tradita.
Forse avrei dovuto rispondere qualcosa tipo
“Meno male che c’è Courtney”, ma credo che
sarebbe ghiacciato l’inferno prima che io facessi un commento
simile.
Quando salimmo sull’ascensore, per alcuni
secondi il silenzio fu ancora più denso di qualsiasi cosa, ma
meno spaventoso; mi sembrava quasi di sentire il cervello di Nate
girare ed arrovellarsi, anche se non ero sicura di voler sapere quale
fosse il problema.
«Dov’è andata Jean?»
chiesi, sicura che ora la mia parte di cervello addetta al linguaggio
fosse di nuovo attiva e funzionante.
«A prendere le pillole che le ha detto Courtney.»
«Sicuri che non è veleno?»
Rise. «Quasi sicuri.»
Non appena accese la luce della mia camera, il
poster di Romeo si fissò nella mia mente come se mi fosse stato
marchiato a fuoco e per alcuni secondi mi fece ricadere nello stesso
terrore cieco di poco prima. Quella notte non riuscivo proprio a
trovare tregua: cosa mi sfuggiva? Cosa mi sfuggiva?
Scossi forte la testa e respirai profondamente come
mi aveva aiutato a fare Courtney, mentre Nate mi guidava verso il
letto. Scostò le coperte e si chinò a togliermi le
scarpe, prima di lasciarmi sdraiare. Incrociò le gambe e rimase
seduto per terra.
«Colpa del silenzio, vero?»
Mi strofinai gli occhi. «Credo di si.»
«Mi dispiace, con Matt avevamo pensato che
lasciarti in quel modo al buio e sola avrebbe potuto disturbarti, ma
era un test e non volevamo che ti facessi distrarre nel caso Courteny e
Zach avessero dato giudizi non richiesti ed inopportuni.»
Sorrisi tra me, questo era il vero Nate.
Mi tirai indietro un ricciolo dal viso.
«All’inizio è stato divertente.» cercai di
tranquillizzarlo.
«Dovremo organizzare una battuta di Bandiera Svizzera: loro litigano e tu fai il cecchino.»
Deglutii. «Di nuovo con le cuffie?»
Scosse la testa. «No, sarò con te, tranquilla.»
«Come stai, Becky?» chiese Jean entrando pimpante nella mia camera.
Sollevai poco la testa per guardarla, in una mano
teneva un bicchiere d’acqua, nell’altra una bottiglietta
piena di pillole bianche. Nate mi aiutò a sollevarmi e lei mi
porse il bicchiere, prima di versarsi due pasticche nel palmo.
«Un bel sorso ed è tutto apposto.» promise allungandomi la mano per farmele prendere.
Obbedii e le mandai giù con metà
bicchiere d’acqua, poi riappoggiai la testa sul cuscino. Jean mi
rimboccò le coperte fin sotto il mento, materna.
«Buonanotte, Becky.» mi augurò, prima di andarsene.
Nel poster c’era Romeo che teneva in braccio un bambino con lo
zainetto. Dietro di loro c’era la casa, la finestra aperta dove
probabilmente il piccolo stava dormendo.
Dalla finestra si riusciva a distinguere la cornice
di una porta, una donna, piccola, piccola, che osservava la scena in
silenzio, senza muoversi.
Sussultai e mi tirai su a sedere, tastando il muro finché non riuscii a premere l’interruttore della luce.
Quando la stanza si illuminò, una mano mi si
premette sulla bocca per impedirmi di urlare. «Sono io.»
sussurrò Zach seduto sul mio letto. La sua mano odorava di
nicotina.
Però non mi ero svegliata per colpa sua.
Fissai il poster, la donna era lì, era sempre stata lì.
Piccola, lontana, spettatrice di un orrore privato, scioccata dalla
paura? Non lo sapevo, ma era lei la signora che ci stava spiando,
mentre recuperavamo le bombe a Synt interna.
Afferrai il polso e le dita di Zach per allontanarle
e lo fissai. «Devi riaccompagnarmi in quella casa domani.»
affermai decisa.
Lui sollevò le sopracciglia scettico.
«Devo?!» chiese sarcastico. «Da quando hai iniziato a
dare ordini?!»
«Quella donna.» indicai la signora sul
poster con l’indice. «Devo parlarle.» in
realtà non avevo una vera idea di cosa dirle, ma immaginavo che
qualcosa mi sarebbe venuto in mente.
Zach si voltò a guardare quello che volevo
mostrargli e strinse gli occhi incerto. «Quella è una
donna?!» chiese incredulo. «Ma sei sicura?» in
effetti era un piccolo ammasso di pixel sgranati, ma se la si guardava
da lontano sembrava quasi una figura umana. Ed io sapevo che era lei.
Quindi, forse lei sapeva perché Josh si era suicidato.
Annuii decisa e lui scrollò le spalle. «Se proprio ci tieni.»
Lo studiai. Aveva una maglietta nera, pantaloni con
troppe tasche sempre neri e scarponi dall’aria pesante. Il
coltello era ancora infoderato alla cinta dei suoi pantaloni e la
giacca verde abbandonata ai piedi del mio letto: doveva essere venuto
nella mia camera appena tornato.
«Che fai qui?» chiesi, archiviato il problema poster.
Mi lanciò un’occhiata, distogliendo lo
sguardo dal poster. «Ero venuto a vedere come stavi.»
«Sto bene.» mentre pronunciavo quelle
parole cercavo di analizzare tutto il mio corpo: la mente era libera,
lo stomaco era a posto, respiravo bene e mi sembrava che il mio cuore
battesse con regolarità; segni vitali stabili. Trovai anche il
modo di chiedermi di cosa cavolo avessi avuto paura prima: ultimamente
capirmi stava diventando complicato.
Abbassai lo sguardo, sulle mie gambe c’era
ancora la mano di Zach che stavo stringendo per il polso e le dita.
Strinsi i pugni arrossendo. «Come è
andata la ronda?» chiesi mentre incrociavo le gambe sotto le
lenzuola.
Zach si lasciò cadere sul letto di schiena ed
infilò le mani nelle tasche dei pantaloni; lucidamente scelsi di
perdermi nella linea del suo braccio, nel segno ancora visibile di una
ferita in via di guarigione. Avrei voluto allungare una mano e toccarlo.
«Tutto sommato divertente.» rise. «Matt e Courteny hanno fatto a botte.»
Sgranai gli occhi. «Che cosa?!»
Sbuffò una risata più rumorosa.
«Oddio, lo so che non dovrei, ma mi fanno troppo ridere.»
si coprì gli occhi con una mano. «Dovresti vederli per
capire.»
Gli diedi un calcetto sulla spalla con la punta del
piede. «Sei un pessimo caposquadra! Non dovresti affatto
ridere!»
«Ma guarda che infatti sul momento sto
serio.» mi tranquillizzò lanciandomi un’occhiata.
«Rido adesso, con te.»
Rallentai e deglutii cercando di non arrossire, o
almeno di non arrossire troppo. «Perché litigavano?»
domandai alla ricerca di un terreno più comodo.
Zach si fece più serio, il suo petto si
alzò ed abbassò in un sospiro. «Fra due giorni
parte un carico di Mitronio. L’ADP ha convinto il governo a
mandarci trenta soldati semplici e dieci cecchini per permette ai tre
camion di uscire da Synt. Sarà un casino comunque.» si
strofinò il viso con entrambe le mani.
«Magari no.» cercai di rassicurarlo debolmente.
«Tu non sei uscita stanotte, cheerleader.
L’aria vibra, ha un odore particolare, si stanno
preparando...» mi guardò con i suoi occhi verdissimi.
«Romeo non scherza quando si tratta di Mitronio.»
Un brusio partito dal mio cervello attirò la
mia attenzione. «Zach…» iniziai.
«Perché Matt e Courtney litigavano?»
Lui si tirò su a sedere e si appoggiò
con i gomiti alle ginocchia, la linea della sua schiena era precisa e
dolce, la spina dorsale un solco leggero nella carne. «Sei qui da
tre giorni, hai rischiato di morire e mi pare evidente che sei ancora
un po’ instabile per tutti i cambiamenti…»
«Potrei aiutarvi?»
Rimase in silenzio a lungo. «Non lo so. Matt
dice di si, Courtney ha cercato di dargli un pugno appena ha proposto
la cosa.»
Mi morsi il labbro. Non sapevo che dire, non mi
veniva in mente niente di più spaventoso che uscire la notte in
cui Zach aveva previsto una guerra, ma se potevo aiutare, se avessero
avuto bisogno di me, volevo davvero essere quella troppo fifona per
uscire? Se ero una Vegliante non potevo più permettermi di avere
paura.
«Se posso aiutarvi…» cominciai.
«Io non ti voglio lì fuori.»
disse secco, la parola del caposquadra contro la quale non avrei potuto
ribattere. «Non ancora, non quella notte.»
Di nuovo la mia bocca diede voce ai miei pensieri
prima che riuscissi ad imbrigliarli. «Nemmeno se potessi salvarti
al vita?»
Mi guardò per alcuni secondi, poi
abbassò gli occhi sulle mie mani in grembo e fece un mezzo
sorriso, tornando al mio sguardo. «Non montarti troppo la testa,
cheerleader!» mi prese in giro, prima di dirigersi alla porta.
«Zach?» lo richiamai insicura.
Lui si voltò e mi osservò curioso.
«Secondo te ho fatto qualcosa di sbagliato?»
Ci rifletté per qualche secondo con le
sopracciglia aggrottate, apprezzai che stesse prendendo sul serio i
miei timori. Scosse la testa tranquillo. «Perché me lo
chiedi?»
Presi a giocherellare con l’orlo del lenzuolo. «Perché mi sembra di si.» spiegai.
Sentivo che Zach stava continuando a studiarmi,
attento. «Il tuo attacco di panico, avevi paura di aver fatto
qualcosa di male?»
Fissai il poster, gli occhi di Romeo, invisibili
perché nascosti sotto una matassa di riccioli rossi.
«Si.» dissi infine.
«Hai paura che qualcuno ti faccia del male per questo?»
Lo guardai ed annuii.
«Ti ho scelto io.» disse. «Sei
roba mia, nessuno alzerà un dito su di te senza il mio consenso.
Ed io non darei mai il mio consenso.»
«Grazie.» sussurrai.
Lui si strinse nelle spalle. «Tu sembri
così intenzionata a tenermi in vita, mi conviene, non
credi?»
Sorrisi mentre lui usciva dalla porta.
Osservai il mio cellulare sul comodino e lo
recuperai. Il padre di Zach era un folle, era un miracolo che lui fosse venuto così bene. Ma mia madre meritava qualcosa di più di essere ignorata, visto che era sempre stata fantastica e che se ero "piccola, ma agguerrita" era merito suo. Spinsi il pulsante di chiamata automatica e lo accostai
all’orecchio. Una voce assonnata borbottò un
“Pronto?” ed io sentii le lacrime pungermi agli angoli
degli occhi.
«Mamma, non piangere.» mormorai con voce rotta.
Quando Jean aprì la porta pensava di trovarsi di fronte
Courtney, per questo si stupì quando vide Nate fermo e
ciondolante davanti a lei. Tutto in lui mostrava indecisione, le spalle
curve, lo sguardo basso.
«Qualcosa non va?» gli domandò
preoccupata. La caserma era silenziosa, i Veglianti rientrati dalla
ronda erano già tutti addormentati.
«Devi promettermi che rimarrà una riflessione confidenziale.»
La Responsabile annuì e Nate la fissò.
«I bersagli che non ha preso…»
«Becky?» chiese per conferma.
«Si, Becky.» deglutì. «Non li ha mancati. Il punto era esatto, precisissimo.»
Jean aggrottò le sopracciglia senza capire. «Ma tu hai detto…»
«Era in anticipo.»
Rimase zitta.
«Di zero virgola trenta secondi.»
Continuò a fissarlo senza parole, Nate fece una smorfia quasi imbarazzata.
«È tutto, mi dispiace di averti svegliata.»
«Courtney crede che lei possa essere una
Veggente.» non riuscì ad impedirsi di dirgli. Da quando
Josh era morto, lui e Courtney erano gli unici con cui esprimeva i
propri timori. Sapeva che era sbagliato, erano ragazzini, ma a volte i
suoi pensieri prendevano pieghe talmente imprevedibile e sconvolgenti
da turbarla, da costringerla quasi, a cercare qualcuno con cui
confrontarsi. E comunque, nonostante la giovane età, loro due
erano i più stabile, razionali e lucidi. Quasi sempre.
Nate si fermò di schiena. «Tu cosa pensi?»
«Non lo so, sembra assurdo.»
«A me Becky piace.» commentò.
«Però a te piace anche Romeo.»
Nate non rispose e tornò nella propria
stanza, si sfilò i vestiti di troppo e si infilò sotto le
coperte. Lynn indietreggiò con la schiena fino a toccarlo, lui
la abbracciò, cercando di scacciare lontano l’idea di
avermi appena tradita.
«Dove sei stato?» chiese piano, piano.
«Dovevo a dire una cosa a Jean.»
«Su Becky?» continuò a chiedere.
«A-ah.»
«Nate…» Lynn si fermò per
sbadigliare. «Avrai bisogno di lei quando ti daranno la
caccia.»
La abbracciò più forte e le
baciò la spalla nuda. «Perché dovrebbero?»
Era già quasi addormentata di nuovo quando rispose. «Perché saprai troppo.»
donne ed eventualmente uomini - ma
chi? dove? ma non ci sono, Frogolottina, tu scrivi tutte robe da
signorine! - ma voi siete pronte per la tragedia?!
no, perchè le parole di Zach sono quasi sempre profetiche,
quindi la notte del trasporto sarà un casino, ma che tipo mi
toccherà dividere il capitolo in 15 parti!
cmq, il prossimo capitolo è ancora tranquillo... se di
tranquillità si può parlare: c'è Romeo e si gioca
a Bandiera Svizzera - folle Fragolottina!
perchè intanto non mi fate sapere che ne pensate di questo?
baci
ps. Buon Natale in ritardo.
pps. Lamponella
|
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Capitolo 9 *** 8. Il Cappellaio Matto ***
mitronio 2
fragolottina's time
shh... non sono io. sono incognito.
se fossi io dovrei spiegare ad alcune ragazze perchè pubblico
fedelmente ed puntualmente Il Mitronio di Synt, mentre Patisserie
Françaiese langue da un po'. oppure perchè la storia che
sarebbe dovuta finire per Natale è ancora in alto mare.
la realtà è che...
io amo questa storia.
mi è concesso dirlo? non saprei, aggiustando il tiro, amo scrivere questa storia.
quindi... SHH!!
a più giù...
nb. sono più di 6000 parole - i'm sorry - vi consiglio di
impostare una luminosità di schermo comoda, è una bella
maratona!
8.
Il Cappellaio Matto
La mattina dopo mi svegliai presto. Lo capii da come la luce entrava
non abbastanza obliqua nella mia camera. Almeno la crisi della sera
precedente ed i sedativi che ne erano risultati, mi avevano concesso
una notte intera di riposo. Rotolai nel letto e guardai le mie valigie
da disfare. Forse il pensiero di mia madre si infilò nella mia
mente perché ero sicura che fosse stata lei a prepararle,
riconoscevo il suo tocco.
La telefonata con lei era stata meno complicata di
quanto avevo temuto. Non aveva pianto, non si era lasciata sfuggire
nemmeno un gemito di nostalgia; io un po’ avevo frignato, ma lei
non me lo aveva fatto pesare. Mi aveva chiesto della squadra, della
Responsabile, dei miei nuovi compagni “Ci sono ragazze con le
quali puoi fare amicizia?”.
Le avevo risposto di si, omettendo il dettaglio
Courtney, e lei era passata a domandarmi della caserma e della
città. Non ero fiera di averle raccontato un sacco di frottole
sul posto caratteristico ed il bosco, ma sapevo che lei doveva aver
indovinato le mie bugie.
Osservai il poster, mettendomi seduta, e feci un
cenno con il capo a Romeo: decisi che quella mattina avrei preso
possesso della mia camera, che lui avesse intenzione di uccidermi
presto oppure no. Quindi mi alzai, recuperai biancheria ed un cambio di
vestiti puliti in cima al borsone e mi diressi in bagno. Una volta
lavata e profumata tornai nella mia camera ed aprii l’armadio.
Dentro c’erano già due stampelle appese ed un paio di
scarponi.
Staccai la giacca verde e la studiai, era un XS, non
credevo che facessero divise così piccole. Anche io mi sarei
vestita di verde a quanto pareva. Sotto c’erano anche un paio di
pantaloni neri, molto simili a quelli di Zach, ma, da come avevo visto
su Courtney e Lynn, le divise da donna erano più strette.
Nell’altra gruccia c’era un vestito
più elegante. Era un completo gonna e giacca verde con sotto una
camicetta bianca e scarpe classiche nere. Non avevo mai visto nessun
Vegliante indossarlo, forse era una tenuta per le occasioni ufficiali o
forse… mi incupii, non potevano certo seppellire un Vegliante in
giacca, scarponi e pantaloni con troppe tasche. Il mio stomaco si
rigirò per l’atrocità dell’idea, così
piegai il vestito con tanto di gruccia e lo nascosi nell’ultimo
cassetto in fondo: la giacca verde potevo sopportarla, l’abito da
funerale no.
Aprii la prima valigia ed iniziai a sistemare le mie
cose nei cassetti e negli appendi abiti. Mia madre mi aveva mandato
tutto, proprio tutto, anche vestiti che ovviamente non potevo indossare
a Synt, tipo un gonnellina corta con i bordi di strass; mi rigirai tra
le mani una felpa lilla, in realtà praticamente nessuno dei miei
abiti era più indossabile. Tutte cose colorate, anche un
po’ da bambina.
Qualcuno bussò alla mia porta ed urlai un
“avanti”, mordendomi la lingua subito dopo aver ricordato
che la mattina a Synt si dormiva.
«Ciao!» mi salutò Lynn facendo capolino nella mia stanza. «Come ti senti?»
«Ciao.» ero contenta di avere visite.
«Sto bene, non so proprio cosa mi fosse preso.» sperai che
non volesse allenarsi ancora. Non ero nata per difendermi, era una
triste quanto inevitabile realtà.
«Che fai?» chiese. Entrò nella
stanza e si chiuse la porta alle spalle, si lasciò cadere sul
mio letto ancora sfatto, pigra come un gattino. Quella mattina aveva i
lunghi capelli neri stretti in una treccia e le unghie verde
pistacchio, intonate all’ombretto sulle palpebre. Indossava una
maglia a maniche lunghe e jeans, come una ragazza normale.
«Mi ambiento.»
«Oh.» osservò la gonna che avevo
posato accanto a me, sul pavimento, indecisa se tenerla o se metterla
nel mucchio “Mai più”. «Carina quella.»
«Già.» e mi stava anche molto
bene. La piegai e la infilai in un cassetto: avrei trovato il modo di
metterla. Se Lynn poteva avere unghie verde pistacchio, io potevo avere
una gonna con gli strass. «Ma davvero Matt e Courtney hanno
litigato per me?» domandai, mentre passavo a riflettere che, se
avevo una gonna con gli strass, un felpa lilla non poteva far male.
«A-ah.» rispose distratta da altro,
anche se lì per lì non capii da cosa. «Chi te
l’ha… OH. MIO. DIO!» esclamò improvvisamente
sconvolta.
Mi voltai per vedere cosa l’avesse tanto
scioccata e la vidi allungarsi oltre il bordo del letto per raccogliere
in punta di dita una giacca verde dal mio pavimento.
«Questa è la giacca di Zachy!» mi
fissò ad occhi sgranati sorridendo. «Te la fai con
Zach!»
«No!» arrossii fino all’ultimo
ricciolo sulla mia testa. «Non me la faccio con nessuno. E
poi come fai a sapere che è la sua?»
Sollevò le sopracciglia e mi mostrò
l’etichetta interna dove con un pennarello nero era stato scritto
“Zach”. Rise. «Dio, Court ti ucciderà.»
«Era solo venuto a vedere come stavo.»
«Oh!» pigolò con partecipazione
rotolando a pancia in su. «Premuroso Zachy, che è venuto a
vedere come stavi e si è spogliato per farlo.»
esclamò sarcastica stringendosi la sua giacca addosso.
Le lanciai una canottiera appallottolata, colpendola
sul viso, che non servì comunque a farla smettere di
sghignazzare.
Nate si affacciò ed entrò nella mia
stanza, aveva gli occhi un po’ gonfi, dubitavo che fosse riuscito
a dormire bene quanto me. «Mi chiedevo dove fossi finita, poi ho
sentito la tua sguaiata risata da paperella.» la prese in giro.
«Penso che tu sia riuscita a svegliare anche Romeo.» si
chinò a darle un bacio. «Ciao, Becky.»
«Indovina chi fa Veglia-sesso con Zach?!»
«Non ho fatto Veglia-sesso con nessuno.» sbottai, alzandomi per sistemare due paia di jeans.
«Ma Court la ucciderà.»
commentò lui, si sedette sul bordo del letto ed esaminò
la giacca.
«Lo so!» esclamò convinta. «Ma non si aveva uno scoop così da Lindsey.»
«Chi è Lindsey?» chiesi senza capire.
«Solo la ex di Zach.»
«Zach aveva una fidanzata che non era
Courtney?» chiesi sorpresa, non era il loro mancato grande amore
il motivo per cui erano tanto isterici?
«Chi è che fa Veglia-sesso con
chi?» domandò Matt affacciandosi dalla mia porta. Se anche
lui fosse stanco, era bravo a non darlo a vedere; era tutto preso a
mangiare una merendina di contrabbando, visto che non ne avevo viste di
simili da nessuna parte. Lo fulminai con lo sguardo, era evidente che
fossi capitata nella squadra più ficcanaso di tutto lo Stato.
Poi però vidi il livido scuro che occupava la sua guancia e mi
sentii in colpa, lui mi aveva difesa da Court.
«La bionda Becky, con il tenebroso Zachy!» rispose lesta Lynn.
«No!» sbottò incredulo lui. «E chi lo dice a Courtney?!»
«Non è vero!» cercai di negare
ancora, inutilmente visto che nessuno sembrava volermi dare ascolto.
«Bello, bello. Contestualizza, Lynn.»
Lei si mise a sedere a gambe incrociate e si
tirò dietro le spalle la treccia. «Immagina il
momento.» cominciò.
Matt si avvicinò e si sedette con la schiena
appoggiata al letto, sotto le sue gambe ed accanto a quelle di Nate, e
gli occhi fissi su di me, che avevo finito per appoggiarmi ai cassetti
dentro all’armadio, troppo presa ad ascoltarli per rimanere
concentrata a riordinare. In caso di bisogno avrei potuto chiudere le
ante e rimanere sola lì dentro.
«Lei è dolcemente addormentata con un
pigiama troppo grande. Lui è di ritorno da una ronda, è
sporco, sudato e stanco. L’unica cosa che… mm…
brama…» mi lanciò un’occhiata. «Gran
bella parola, eh?, “brama”. Rende l’idea»
Scossi la testa senza sapere cosa risponderle.
«L’unica cosa che brama è lei ed il suo nido caldo. Quando entra getta…»
«Si, perché un uomo si sa che “getta”.» confermò Matt.
«Come no? Io getto sempre, qualsiasi cosa.
Prima o poi prenderò tutto l’impianto stereo della mia
stanza e lo getterò di sotto. Tanto l’hai costruito
tu.» ironizzò Nate, recuperando il suo palmare dalla
tasca. Risi del tutto d’accordo con lui.
«Getta la giacca su di lei.»
continuò Lynn inarrestabile, anzi, i commenti sembravano
incitarla a proseguire.
«In un chiaro segno di possesso.» precisò Matt. «Da maschio alfa, proprio.»
«La qual cosa la fa svegliare e tirare su. Te lo ricordi il pigiama troppo grande?» gli chiese.
«E certo.»
«Quando si solleva le scopre una candida
spalla innocente.» spiegò lei unendo le mani
all’altezza del petto.
«E quale maschio alfa può resistere ad una candida spalla innocente?»
«Nessuno! Ed infatti si getta su di lei.»
Nate sospirò. «Meglio del mio stereo, che hai fatto tu, di sotto.»
«Gran bel momento, Lynn, dovresti scrivere, hai proprio talento.»
Lei chinò il capo in un cenno di umile ringraziamento.
«Ma si può sapere di cosa state
blaterando?» chiese Zach, spalancando la porta della mia stanza e
facendomi sobbalzare dentro l’armadio. Sembrava essersi vestito
in tutta fretta, la felpa della tuta gli stava appesa sbilenca, la
maglietta sotto era mezza rimboccata e mezza no e non aveva le scarpe.
Il viso era ancora stropicciato per il sonno, gli occhi piccoli.
Nate sbadigliò. «Dei maschi alfa che si
gettano su candide spalle innocenti non appena ne vedono una.»
rimise il palmare in tasca. «Non hai una bella cera.»
commentò.
Lui fece una smorfia confusa. «Eh?» sbottò senza capire.
Si sistemò meglio gli occhiali sul naso.
«Il succo è: vuoi prendere Romeo? Regala a Court una
canottiera senza spalle e siamo a cavallo.»
«A-ah.» concordò. «Diglielo tu però.»
Raggiunse gli altri e si lasciò cadere sul
mio letto sfatto, sfregò il viso sul mio cuscino ad occhi
chiusi, il cuscino sul quale io avevo dormito. Arrossii e distolsi lo
sguardo, tirandomi i capelli dietro le orecchie per dissimulare
l’imbarazzo. Lynn e Matt fissarono il loro sguardo accusatore ed
insinuante su di me, io allungai un braccio per afferrare un’anta
dell’armadio e la chiusi per nascondermi a metà.
Zach sbadigliò rumorosamente. «Mi avete
svegliato.» si lamentò, rannicchiandosi sul mio letto.
Lo stesso letto nel quale avevo dormito e avrei dormito ancora la notte dopo.
«Sonno?» domandò Lynn con una punta intrigante nel tono.
«Certo che ho sonno.»
«Perché hai fatto le ore piccole?» proseguì Matt.
«Le abbiamo fatte tutti tranne lei.»
ricordò loro, sollevò il braccio per farmi un cenno e lo
lasciò ricadere subito dopo.
«Ma magari le tue ore sono state più
piccole delle mie, Zachy, pasticcino.» domandò con voce
sottile e flautata Lynn, sbattendo le folte ciglia irrigidite dal
troppo mascara.
Lui aprì un occhio solo per guardarla interrogativo. «Pasticcino?!»
«Abbiamo trovato la tua giacca sul suo pavimento…» insinuò piano.
Zach rise e chiuse di nuovo gli occhi. «Che
deficienti che siete. Nate, quando la tua ragazza mi chiama pasticcino
è il momento di darle qualcosa da leggere.»
«Lo so, ma ha detto che le storie che inventa
da sola le vengono meglio.» si giustificò lui.
«Lynn, hai bisogno di un diversivo.»
dichiarò. «Accompagna la cheerleader al mio posto a Synt
piccola, visto che dopo io devo andare a chiedere le autorizzazioni per
la Bandiera Svizzera.»
Lei mi guardò curiosa. «Che devi fare?» mi chiese.
Indicai alla mia destra con un cenno del capo verso
il poster di Romeo, ormai quel poster era diventato un personaggio in
tutto e per tutto, un coabitante della mia stanza. «Voglio
parlare con quella signora lì.»
«Un’indagine, forte!» sorrise
contenta, si tirò su e si stiracchiò. «Però
ci fermiamo anche a Synt esterna a comprare il mascara.»
La guardai interdetta per alcuni secondi, andare a
comprare il mascara era qualcosa di così normale e semplice da
sorprendermi incredibilmente.
«Voi volete venire?» invitò gli altri.
«Io sto dormendo, non svegliatemi.» fu la risposta di Zach.
Matt e Nate si fissarono come se fossero stati presi
in castagna. «Ecco, io e Nate dobbiamo…
dobbiamo…»
«Vogliamo!» si intromise lui
precipitoso. «Vogliamo costruire un’altra avventura di
Becky.»
Matt lo guardò ed annuì.
«Già, vogliamo proprio questo.» non ci voleva un
genio per capire che era una bugia inventata su due piedi, ma forse
stavano studiando una sorpresa per Lynn, quindi non indagai.
Lei li osservò entrambi scettica. «Se
lo dite voi.» si chinò su Nate a dargli un bacio.
«Ci vediamo dopo.»
«Prendiamo la macchina?» chiesi a Lynn saltando giù dall’armadio.
«Non ho la patente, ma non preoccuparti.»
Nate e Matt impallidirono, mentre lei si alzava con grazia.
«Dovresti mettere quella bella gonna e la maglia viola.»
«Lynn, dov’è Court?»
domandò Zach ad occhi chiusi. Lo guardai, sembrava meno
rilassato di poco prima, quasi teso.
Lei si strinse nelle spalle. «Non lo so.»
«Ma ha dormito nella sua stanza?» continuò a chiedere.
Matt e Nate guardarono Lynn, che sospirò.
«Zach, Courtney è mia amica.» gli ricordò.
«Se vuoi sapere qualcosa su di lei, devi chiederlo a lei.»
Lui non rispose, si strinse di più nel mio letto.
Lynn mi sorrise. «Ci vediamo tra un quarto d’ora in garage.»
Era palese che Lynn amasse i colori pastello, quindi non mi stupii
più di tanto del fatto che il suo scooter fosse viola. La cosa
che mi preoccupava era salirci e viaggiarci; uno scooter non era come
le immense auto blindate, che avevamo preso l’ultima volta per
andare a Synt. Era piccolo leggero, se ci avessero attaccate saremmo
cadute. E poi mi si sarebbe sollevata la gonna.
Avevo dovuto cambiarmi di nuovo in bagno,
perché mentre Nate e Matt, assimilata l’idea che avrei
dovuto svestirmi, erano tornati in camera loro, Zach si era
addormentato. E logicamente non mi guardava, ma l’idea di
cambiarmi con lui lì mi aveva messo a disagio quanto non
immaginavo possibile.
Lynn mi porse un casco integrale rosa shocking, il
suo era turchese e sembrava adattarsi perfettamente al suo trucco occhi.
«Mi sa che andiamo subito a trovare
Dawn.» nonostante il casco sentivo la sua voce limpida nelle mie
orecchie, forse c’era un microfono.
Aggrottai le sopracciglia. «Chi?»
Lei salì sullo scooter e girò la
chiave per mettere in moto, il motore tossicchiò; sembrava un
modello vecchio e riadattato ai tempi moderni, probabilmente il
carburante ecologico non lo faceva funzionare perfettamente. Sperai che
non ci lasciasse a piedi.
«La donna della foto si chiama Dawn
Dandley.» mi spiegò e mi fece un cenno del capo
perché mi sedessi dietro di lei.
«Come lo sai?» Zach non aveva dato segni di riconoscerla.
«Ho accompagnato io Josh a parlarle, quando
è uscito mi ha fatto giurare che nessuno l’avrebbe mai
saputo.»
«Perché?»
Spinse il pulsante di un telecomando appeso al
portachiavi e la porta del garage cominciò a sollevarsi.
«Per qualcosa che gli ha detto forse.» si strinse nelle
spalle. «Mi ha fatto aspettare fuori.»
Mi aggrappai alla sua vita quando diede gas. «Perché lo dici a me?»
«Perché tu hai chiesto di vederla.»
La guida di Lynn era sorprendentemente tranquilla, forse anche
perché, come il giorno prima, le strade erano praticamente
deserte. Chiacchierando e ridendo, cercando soprattutto di non pensare
a Josh e tutto il resto, raggiungemmo la casa di Dawn Dandley in
pochissimo tempo. Forse in troppo poco tempo, iniziavo a sospettare
che, per conoscere il percorso così bene, Lynn fosse andata a
trovarla più di una volta.
Dawn Dandley era seduta su una sedia di vimini in
veranda ed aveva tutta l’aria di aspettarci. Indossava una
camicia da notte color crema con sopra una vestaglia rosa antico, i
capelli scuri le scivolavano sulle spalle, striati di bianco in alcuni
punti. Sembrava piuttosto giovane, non più di trentacinque anni,
ma aveva gli occhi stanchi e torbidi, il tipo di sguardo che ti
aspetteresti da chi ha visto il mondo scorrergli davanti e non è
riuscito nemmeno una volta a farne parte. O forse aveva scelto di non
farne parte.
Era spaventosa e triste.
«Come stai, Lynn?» urlò alla mia
accompagnatrice, ma senza staccare nemmeno per un secondo gli occhi dai
miei.
Lei si tolse il casco ed io la imitai, per aiutarla
poi a sollevare lo scooter sul cavalletto. «Le dirò,
signora, tutte le volte che devo venire qui ho un po’
d’ansia.»
«Assolutamente normale.» sorrise.
«Mi dispiace, devo chiederti di aspettare di nuovo fuori.»
si scusò.
«Non si preoccupi, mi sono portata da
leggere.» sollevò il sellino ed estrasse il suo libro di
ricette giapponesi. «Urla se hai bisogno di me.»
mormorò ad occhi bassi.
La guardai e deglutii, perché ero voluta venire qui?
Per sapere. Sapere. Sapere.
Sapere ha ucciso Josh.
Chiusi gli occhi e feci alcuni passi sul vialetto
che attraversava il suo giardino. Era tagliato regolare come tutti gli
altri, ma era trascurato, in alcuni punti l’erba era così
rada da permettere di vedere il terreno sottostante.
Quando sollevai di nuovo lo sguardo su di lei, mi
fermai. Stava sorridendo, come un gatto davanti ad un topo, come chi
aspettava quel momento da tutta la vita, come se sapesse tutto di me,
anche cose che non avrei voluto sapere. Come Romeo.
«Pensaci bene, bambina, prima di buttarti a
capofitto in un buco.» cantilenò alzandosi. «Non
tutte le tane di coniglio nascondono paesi delle meraviglie.»
attraversò la porta delle propria casa, la soglia rimase aperta
come l’orrenda bocca di un mostro che voleva divorarmi, era mia
la decisione di farmi mangiare.
Lanciai un’occhiata alle mie spalle, a Lynn
seduta sullo scooter che sfogliava pagine di ricette orientali.
Perché ero venuta qui? Cosa speravo di scoprire?
“Piccola, ma agguerrita.”
Deglutii e raddrizzai le spalle: ero una Vegliante, niente paura.
La casa di Dawn Dandley era spettrale, sembrava
abbandonata. Era perfetta, ammobiliata con gusto, tappezzata, ma era
così trascurata che la polvere aveva creato un strato grigio e
leggero su ogni cosa. Superai un paio di stanze con le porte
spalancate, un salotto con le poltrone ed i divani nascosti sotto buste
trasparenti, una cucina nella quale probabilmente non si cucinava da
anni. Quella donna mangiava?
Mi fermai davanti ad uno specchio ed osservai il mio riflesso nel vetro macchiato. Che ci facevo lì?
«Sono qui.»
Seguii la voce e mi trovai in una stanza che
sembrava uscita da un altro mondo. Era una camera da letto nuova,
pulitissima; il divano e la poltrona erano di pelle nera, sotto la
finestra era sistemato uno smart-table di ultima generazione,
l’armadio ed il letto erano di un lucido materiale bianco.
L’unico dettaglio che la riportava alla trascuratezza del resto
della casa era una brandina, nascosta dietro la porta.
Dawn Dandely era seduta sulla poltrona, mi fece un cenno con la mano verso il divano. «Ti piace?»
Annuii.
«È per mio figlio.» spiegò. «Quando tornerà.»
Era una camera da uomo non da bambino.
«Il tuo nome è…»
«Becky. Mi chiamo Becky.» risposi e mi
sedetti, rimanendo comunque rigida con le ginocchia strette dal
nervosismo.
Lei mi soppesò tutta, forse avrei dovuto
mettere la divisa da Vegliante e non quella ridicola gonna con gli
strass, sembravo una liceale. «Becky.» sorrise e si
accomodò meglio sulla poltrona. «Cosa ti porta qui,
Becky?»
Presi fiato, era gentile, lo sarei stata anche io e
sarebbe filato tutto liscio. «Se lei è d’accordo
vorrei farle alcune domande.» mi ero preparata un specie di
scaletta: avrei iniziato chiedendole della notte del rapimento di suo
figlio, poi mi sarei lasciata ispirare dalle sue risposte. Ripensandoci
non era un gran piano.
«Sono d’accordo che tu mi faccia alcune domande, ma non ti garantisco le mie risposte.»
La osservai, sembrava divertita. Per alcuni secondi
pensai di riuscire a vedere la donna che era stata anni prima, giovane,
bella, viva, con un figlio tra le braccia ed il marito che
l’amava.
«Vive sola qui?»
Annuì. «Mio marito se ne è andato dopo Connor. Ce l’aveva con voi.»
«Capisco.» dissi solo. Potevo
biasimarlo? Il servizio di Veglia non era gratis, era incluso nelle
tasse, lui aveva pagato una protezione per la sua famiglia, ma suo
figlio era stato rapito, forse ucciso, lo stesso. Cosa c’eravamo
a fare noi, allora?
Lei rise, cristallina, brillante. «Oh, no,
bambina.» si protese in avanti verso di me. «Non puoi
capire, è molto peggio di ogni tua immaginazione, di ogni tuo
terribile incubo.» trattenni il fiato, ad ogni parola che
pronunciava i suoi occhi si sgranavano di più, la sua voce
diventava più stridula, la sua espressione più folle.
«Tu, Becky, sei all’interno di un incubo, un gioco
perverso, la terribile costruzione di una divinità malvagia, e
non lo sai.»
Faceva freddo. «Pe-perché lei è rimasta?»
Sprofondò di nuovo nella poltrona ed io
deglutii. «Per te.» disse piano, pianissimo, pensai quasi
di essermelo sognata. «Per Jean. Per Lynn e Nate. Per Matt. Per
Zach, Courtney, Jared. Per Josh, che ha cercato di salvare mio figlio e
mi ha chiesto scusa.»
Non avrei voluto chiederglielo. Non appena Lynn mi
aveva detto che Josh era stato lì, mi ero ripromessa di non
chiederle perché fosse venuto, ma se il mio destino sembrava
essere seguire le sue orme, forse era l’unica cosa sensata da
fare.
«Cosa le ha chiesto?»
Dawn Dandely si alzò e si avvicinò
alla finestra sopra il letto, incrociò le braccia sul petto. La
sua figura si stagliava netta alla luce del giorno, dignitosa e dritta;
aveva visto suo figlio strappato dal suo letto e portato via da quella
finestra, ma, inaspettatamente, questo non l’aveva piegata.
«La finestra è stata riparata?»
chiesi di getto, prima di realizzare che stavo ancora aspettando una
risposta alla domanda precedente.
Lei voltò appena il viso e sorrise. «No.»
E come aveva fatto Romeo ad entrare da una finestra chiusa? Forse aveva la chiave.
Il mio cervello si spense e nel centro della mia
mente rimase solo il poster, le mani del bambino, aggrappate al collo
di Romeo per non cadere. La finestra integra. Romeo che aveva il
braccio intorno al suo zainetto.
Riaprii gli occhi che non ricordavo aver chiuso.
Ma quale bambino, strappato via dal sonno e dal
proprio letto, poteva avere il tempo di prendere uno zainetto? E si
teneva al proprio rapitore?
Impallidii e mi alzai.
Dawn Dandley si voltò.
«Non ha detto a suo figlio che era cattivo,
non glielo ha insegnato.» feci un passo indietro. «Lui non
era spaventato.»
Lei sorrise. «Josh ha bussato alla mia porta.»
«Lei ha detto a Romeo di venirlo a
prendere.» aveva ragione, era molto peggio di come immaginassi.
Ma quale razza di madre degenere avevo davanti?
«Io sono andata ad aprire.» continuò imperterrita.
«Gli ha…» persi il fiato
nell’orrore e scossi la testa per scacciare via la nausea.
«È stata lei ad aprire la finestra.»
«Era terreo, sembrava sconvolto.»
Non facevo fatica ad immaginarlo, se si era trovato davanti una verità così folle.
«Lei ha fatto rapire suo figlio!» gridai.
«”Le ha messo la merenda nello
zainetto?” Josh mi ha chiesto questo.» concluse, ed io
seppi senza ombra di dubbio che era questo che stava aspettando.
Feci un altro passo indietro. «Lei è pazza.» non poteva essere altrimenti.
«Becky?» mi chiamò Lynn, evidentemente il mio grido l’aveva allarmata.
«C’è un paese in cui, per sopravvivere, bisogna essere matti come un cappellaio.»
Non volevo più ascoltarla, non volevo più sapere.
Feci dietrofront e scappai via. Da quella camera che
aspettava un padrone che non sarebbe tornato, da quella casa che
sembrava un sepolcro, da quella donna che si era dimenticata di essere
una madre.
Incrociai Lynn nel corridoio d’ingresso. «Che succede?» mi chiese preoccupata.
«Fuori.» dissi solo.
Quando uscimmo presi un respiro profondo, Lynn mi
osservava attenta ed apprensiva. «Becky, tutto bene?»
«No.» deglutii.
Non potevo dirle quello che avevo scoperto da Dawn
Dandley, nessuno avrebbe dovuto sapere. Come avrebbero preso una tale
rivelazione gli altri? Sapere che quella notte, mentre cercavano di
recuperare quel bambino e riportarlo al sicuro nel suo letto, venivano
ostacolati dalla madre. Forse erano rimasti feriti, forse avevano
lottato così duramente che poi, davanti al fallimento, si erano
sentiti vuoti e persi. E Dawn Dandley non voleva che portassero a
termine il loro lavoro. Tutto il loro lavoro, tutto il loro impegno,
inutili. Come l’avrebbe presa Zach?
L’unico con il qual ero disposta a condividere quel segreto era Joshua Lanter.
«Lynn, diremo che non mi ha detto niente di
strano, solo qualche dettaglio in più del rapimento.» la
guardai.
«O-okay.» si avvicinò e mi mise una mano sulla spalla. «Ma stai bene?»
Presi un altro respiro. «Ho paura.» miagolai e lei mi abbracciò forte.
«Vieni ti porto in un posto carino.»
Rispetto a Synt interna, la Zona Gialla era finalmente vera.
C’erano le persone, abitanti della città che si
affaccendavano in commissioni, negozi aperti; per qualche momento mi
diede la meravigliosa illusione di trovarmi in un centro cittadino
normale, una dolce boccata di aria fresca e confortante. Lasciai che la
regolarità di quel posto scacciasse via ogni cosa: Josh, Dawn
Dandley, Romeo, per il resto del pomeriggio – o finché non
saremmo dovute rientrare – volevo essere frivola, superficiale,
una liceale come tante altre alla ricerca di un mascara per la sua
amica.
C’era la notte per tutti i pensieri tetri. In
fondo era quella la mia tattica, fingere che non fosse successo niente
di strano; forse, se fossi stata abbastanza brava, sarei riuscita a
credere alla mia stessa finzione.
Lynn posteggiò lo scooter nell’apposito spazio e, di nuovo, la aiutai a metterlo sul cavalletto.
«Grazie.» i suoi occhi sorrisero dietro
la visiera del casco. Se lo sfilò e lo sistemò sul
sellino.
«Non hai paura che te lo rubino?» chiesi, mentre le porgevo il mio.
Si strinse nelle spalle e mi indicò un punto
alle mie spalle, c’era una telecamera dietro di me. «Nate
ci avvertirebbe.» spiegò. «Che dici di una colazione
vera?» mi domandò contenta.
Mi portò in una caffetteria e, ancora un
volta, la banale prevedibilità del posto mi diede quasi alla
testa. C’erano il bancone, le macchinette per il caffè,
tavolinetti sparpagliati ed una vetrina di dolci. Mi sembrò
così bella rispetto al solito vuoto, al solito aspetto grigio e
triste che fui quasi sul punto di piangere dal sollievo. Ce n’era
una molto simile a casa mia – immagino, che ce ne sia una simile
in tutte le città – ed io ci avevo passato buona parte
della mia vita, anche perché aveva una cotta stratosferica per
il figlio del proprietario, troppo grande per guardarmi, ma
assolutamente abbastanza giovane da venir guardato. Pensandoci, forse
Zach me lo ricordava un po’.
«Ti piace?»
Annuii. «Fantastica.» fu il mio unico commento.
«Tecnicamente dovremmo mangiare solo quello
che ci manda l’ADP, ma grazie al cielo Jean non è
paranoica come quei testoni dei pezzi grossi.» mi spiegò,
si avvicinò al bancone tirandomi con lei per una mano. Sorrise
alla cameriera dietro alla cassa, una ragazza carina con i capelli neri
e le sfumature viola. «Ci sediamo. Ci porterebbe due latte e
caffè, due ciambelle e tutti i biscotti che riesce a mettere in
un sacchetto?»
«Arrivano subito.»
«Scegli un tavolo.» mi invitò.
Mi guardai intorno e ne individuai uno vicino alla vetrina che dava sulla strada. «Quello.»
Sorrise. «È anche il mio tavolo preferito.»
Non avevo idea di quanto mi mancasse il caffè, finché non bevvi un sorso dalla mia tazza.
«Perché ce lo vietano?»
piagnucolai a Lynn, ero sicura che, dopo un bel po’ di
caffè i miei allenamenti di autodifesa sarebbero andati meglio.
Lei sospirò palesemente dispiaciuta.
«Perché è un eccitante e noi Veglianti dobbiamo
essere lucidi, ma attenti.»
Ci riflettei. «Forse questo è il lato peggiore del lavoro.»
Anche lei sembrò pensarci su. «Forse si.»
«E le ciambelle?» le chiesi osservando la mia mangiucchiata per metà.
Si strinse nelle spalle. «Quelle non lo so,
forse hanno paura che Romeo le avveleni.» sollevò la sua e
la studiò. «Però tu non sei avvelenata, vero,
ciambellina?»
Stavo per ridere, ma alle sue spalle vidi qualcosa che mi fece morire il sorriso sulle labbra.
Courtney indossava un maglioncino celeste chiaro ed
un paio di jeans, bella e sorridente come non l’avevo mai vista,
si girava verso il ragazzo che l’accompagnava e gli diceva
qualcosa. Lui rideva e scuoteva la testa, si chinava a darle un bacio,
poi insieme si fermavano davanti alla vetrina di un negozio di
abbigliamento mano nella mano.
Lui era Jared.
«Lynn?» chiamai senza avere il coraggio di dire altro.
Lei si voltò e, come avrei dovuto immaginare, non ne fu sorpresa quanto me. «Oh.»
«Jared e Courtney?» domandai incredula.
«Jared e Courtney.» convenne lei debolmente.
«E Zach lo sa?» continuai.
Lynn mi guardò eloquente. «Tu che dici?!»
«Ma…» la fissai, poi tornai con
gli su Courtney, così spensierata e serena, così in
contrasto con l’immagine familiare che avevo di lei, tesa e
nervosa, gelosa ed antipatica. «Perché?» le chiesi,
senza sapere bene neanche io di cosa stavo chiedendo spiegazioni.
Tenne gli occhi bassi, non era una cosa di cui
andava fiera. «Perché le voglio bene e mi ha chiesto di
mantenere il segreto.» mi guardò. «Le amiche lo
fanno, anche quando non sono del tutto d’accordo.»
«Qualcuno deve dirlo a Zach.»
Ripensai a come la guardava sempre, a come la
cercava sempre, al dubbio quando le aveva chiesto se aveva dormito
nella propria camera. Dubitava. Zach sospettava tutto. E Jared fingeva
di fargli un favore quando litigavano ed andava a consolarla. Come
poteva essere così falso?
Riuscivo a capire Lynn, che in fondo cercava
soltanto di essere corretta nei confronti di un’amica, ma Jared,
o peggio ancora Courtney, che era gelosa di me, che mi odiava e
trattava male. E lei stava con un altro. Voleva costruire il suo
personale harem maschile per caso? Forse Lynn avrebbe dovuto fare
più attenzione a Nate.
«Qualcuno deve dirlo a Zach.»
concordò. «Ma non io, né tu.» si voltò
verso di loro. «Lo farà lei, quando penserà che sia
la cosa giusta da fare.»
Li guardai anche io, ma non riuscii proprio a smettere di considerarli due egoisti.
Non potei fare molto per il mio umore, nonostante i miei buoni
propositi di tornare per un pomeriggio la leggera e spensierata Becky
Farrel che cercava di sedurre giocatori di basket, la visione di Jared
e Courtney che si baciavano mi aveva appesantito la mente con troppi
pensieri e lasciando uscire anche tutti gli altri. Era una catena,
tutto era collegato, una catena che si chiamava Synt, dove anche la
più perfetta illusione di realtà nascondeva una trappola
sconcertante e spaventosa.
Lynn rimase frizzante ed io mi impegnai al massimo
per non darle a vedere quanto quella scena mi avesse turbata, ma non
ero sicura di dargliela a bere. Non ero una brava attrice e
l’idea di essere, con mio enorme disappunto, la depositaria di un
segreto tanto scomodo non mi aiutava in quel compito.
Avevo già il mio di segreto orribile da tenere.
La cena fu una pena. La squadra, la mia squadra,
parlava intorno a me, era una serata piacevole, ma io non riuscivo a
farne parte. Non che loro non cercassero di coinvolgermi, Matt e Nate
cercavano di farmi stare lì, presente con loro in tutti i modi;
sul momento ci riuscivano, ma appena si distraevano la mia mente vagava
lontana e si perdeva in mondi inesplorati pieni di Courtney e Jared che
si baciavano, dove Zach rotolava nel mio letto e chiamava il suo nome,
dove Dawn Dandley rideva stridula e pazza, dove Josh si buttava mille e
mille volte da un grattacielo.
Andai comunque nella camera di Nate, perché
mi faceva male pensarlo solo lì dentro. Mi scavai una cuccia tra
le sue coperte, nelle quali riconoscevo l’odore di Lynn e rimasi
lì, con le voci dei Veglianti a firmare la colonna sonora dei
miei pensieri. Non volevo dormire, il mio inconscio quella sera
sembrava popolato da incubi anche con gli occhi aperti, incubi che mi
imponevano il silenzio, incubi segreti sui quali dovevo tacere.
Zach mi aveva rifatto il letto dopo aver riposato,
mi aveva anche lasciato un messaggio sulla bacheca della mia stanza per
dirmelo. Cercai di pensare solo a quello.
Zach prese la sua meritata sigaretta dal pacchetto ed uscì
fuori. Ormai Jean non le contava più, si fidava di lui e lui
cercava di non tradirla. I primi giorni era stato terribile, mal di
testa, nausea, ma poi il suo organismo aveva gestito la carenza di
nicotina e se ne era fatto una ragione.
Se la mise tra i denti ed iniziò a frugarsi addosso per cercare un accendino.
Fu in quel momento che riconobbe il rumore di una
pistola che veniva caricata. Era familiare, quando stava in accademia
era un suono praticamente onnipresente e sapeva che una pistola carica
lasciava ben poche strade aperte. Si bloccò e si guardò
intorno, non che avesse bisogno di vedere per sapere chi c’era
nel buio con lui.
Romeo era appena dietro di lui, appoggiato alla
colonna del cancello che aveva appena superato, oscurato dai pochi
centimetri di oscurità che lasciava il lampione posto lì
davanti.
Per alcuni secondi si fissarono e basta, poi Romeo
sollevò l’altra mano rivelando un accendino. Lo
allungò verso di lui e la fiamma scintillò così in
fretta ed inaspettata da stampare a Zach la sua impronta luminosa nella
pupilla. «L’hai perso insieme al coltello di Josh.»
Zach si chinò per accendere, poi si
tirò su di nuovo: qualsiasi cosa sarebbe successa di lì a
poco, non gli avrebbe impedito quell’unica, sola sigaretta.
«Verrò anche io domani.»
Imprecò tra i denti, non era stato semplice
ottenere tutti i permessi ed ora gli toccava mandare tutto a monte.
«No, non farlo. Voglio vedere che sa fare.» cercò di dissuaderlo.
«Già, ma la tua minaccia è abbastanza da farmi cambiare idea.»
«Minaccia?» chiese incredulo e con una
nota offesa nella voce. «Non ti sto minacciando.»
Lui sollevò le sopracciglia, scettico, ed
abbassò gli occhi sull’arma che non aveva smesso di
puntargli addosso.
«Se non l’avessi staresti cercando di uccidermi.» spiegò.
Forse era vero, rifletté Zach, ma «Tanto non ci riuscirei.» commentò arreso.
Per alcuni secondi Romeo rimase zitto, poi si mosse
e, prima che potesse pensare di difendersi, l’aveva tirato per le
braccia, l’aveva spinto con la schiena contro la colonna, dove
prima era appoggiato lui, e gli teneva l’avambraccio fermo sotto
il collo e la canna della pistola puntata sul fianco.
Sputò quello che rimaneva della sigaretta
tossicchiando e cercò di allontanare il braccio dal collo. Zach
aveva sempre trovato bizzarro l’istinto, avrebbe voluto far
capire al proprio inconscio che l’urgenza maggiore era la
pistola, ma per quanto un soldato potesse allenarsi ed avere
autocontrollo, ogni volta che qualcuno ti stringeva la gola, le tue
mani correvano a liberarla.
Il braccio di Romeo non si mosse, era come essere
bloccati al muro da una statua di marmo. Una statua di marmo, che in
ogni caso lo voleva fermo, ma non morto.
«Che vuoi?» domandò a fatica.
Romeo lo fissò negli occhi, era abbastanza
vicino da riuscire a vedere i suoi, erano di un verde pallidissimo,
impossibili, sembravano quasi gli occhi di un cieco. «Ho una
pillola che ti fa essere come me.»
Zach smise di respirare, ma non per colpa del
braccio. La sua testa suonò un allarme che lo costrinse ad
espirare ed inspirare subito dopo. Il pomo di Adamo iniziava a fargli
male, era il caso di concludere in fretta quella conversazione.
«Per quanto?»
Rise divertito. «Non abbastanza per farmi
fuori.» tornò serio. «Sarai veloce, potrai vedere.
Una mezz’ora di onnipotenza, prima di crollare.»
«Non mi interessa.» cercò ancora
di scansarlo, ancora inutilmente. Era la risposta sbagliata.
«Non spaventarti. Il tuo organismo la
dovrà espellere, ma per mezz’ora potremmo azzuffarci alla
pari. E se mentre siamo alla pari lei mi prende…»
Avrebbe saputo una volta per tutte se avesse o no
una super-mira. In fondo se Romeo avesse cercato di minacciarli avrebbe
potuto fermarlo. Sarebbe riuscito a colpirlo, come la prima volta che
si erano incontrati, quando aveva cercato di rubargli Court. Forse
aveva un cecchino vero e quello era l’unico modo per scoprirlo.
«Chi mi dice che non è veleno?» si impose di chiedere, anche se aveva già deciso.
Romeo si avvicinò ancora, fino a riuscire a
sussurrargli nell’orecchio. «Sei un bersaglio facile e Ryan
ce l’ha davvero una super-mira. Tu vivi perché io non
voglio che tu muoia.» gli ricordò.
Quanto avrebbe voluto potergli dare un pugno,
ricordare com’era piacevole sentire la sua carne presuntuosa
sotto le nocche, strappargli un gemito di dolore.
«Zach?» sentì chiamare alle sue spalle e Romeo aumentò la spinta sotto la sua gola.
«Si o no, Zachy.»
«Zach, tutto bene?» era Jean sapeva che
controllava quando entrava e quando usciva, evidentemente quella
sigaretta stava durando più del normale.
«Si.» sputò in faccia a Romeo.
Lui rise, gli infilò il coltello di Josh nella tasca dei pantaloni, lo lasciò e sparì.
Prese fiato. «Sono qui.» gridò a Jean per tranquillizzarla.
Accarezzò il profilo della lama nei
pantaloni. “Ho appena acconsentito al mio omicidio?”,
chiese al fantasma del proprio mentore, massaggiandosi la gola
indolenzita. La ragazzina voleva che vivesse, l’avrebbe fatta
rimanere male se fosse morto così, con una pillola.
Ma il fantasma di Josh era capriccioso e volubile come tutti i fantasmi e non rispose.
ciao, lettrucciole!
ma avete visto la citazione lettararia da Alice nel Paese delle
Meraviglie? abbiamo appena alzato il livello del prodotto, signori e
signore!
ovviamente so che l'avete vista.
cmq, vi faccio conoscere sempre persone matte, dio, Dawn Dandely,
povera stella, è matta come un pony... ma avete visto che
Courtney se la fa con Jared?!
c'era un sacco di roba in questo capitolo, è per questo che era
così lungo, anche se mi scuso cmq: leggere sul pc, non è
bello. leggere 6000 e rotta parole sul pc è anche peggio, ma
davvero, non sono riuscita a dividerlo, ho provato, ma mi perdeva
tantissimo!
ho anche pensato di tagliare la prima parte, però... dai, Lynn
è praticamente l'equivalente made in Synt di una ficwriter, io
volevo che lo sapeste.
oh, tornando a Courtney, se la trovate incoerente - io un po' ce la
trovo - voglio che pensiate che non abbiamo mai parlato con lei. mai.
quindi, forse qualche spiegazione in proposito ce la potrebbe dare e -
sempre forse - non è quella donna gelida e senza cuore che
sembra a noi.
tutta questa pippa per dirvi: concendetemi il beneficio del dubbio,
prima di dire "Fragolottina è uscita di testa e scrive cose a
casaccio".
non è così, abbiate fede.
in più voglio invitarvi a porvi la seguente domanda: ma dove vuole andare a parare, Fragolottina?
vi lascio, patatine, già vi bruceranno gli occhi!
spero che almeno vi sia piaciuto!
baci
ps. Lamponella
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Capitolo 10 *** 9. Il soldato perfetto ***
Mitrono
fragolottina's time
questo capitolo l'avrò
scritto e cancellato sulle millemila volte, quindi, inizio con il
pararmi il sederino: non sono molto brava nelle scene d'azione,
più che altro perchè non ho mai scritto storie che le
prevedevano, perciò cercate di essere comprensive e abbiate un
po' di pazienza, sono ancora in formazione.
poi, c'è davvero un sacco di roba in questo capitolo e mi tocca
dirvi che a me piace. magari il pezzo più movimentato non
è un esempio stratosferico di capacità narrative, ma per
come la vedo io funziona.
è di nuovo un capitolo LUNGO... dobbiamo arrivarci a patti con
questa cosa: sono capitoli lunghi c'è poco da fare. troppe cose
da dire per riuscire ad entrare nelle standard 3500 parole, mi dispiace!
a più giù!
9.
Il soldato perfetto
Zach era nervoso, lo capivo anche se era al di là del vetro che
divideva la parte anteriore della macchina da quella posteriore.
L’ennesima misura di sicurezza per Nate.
Invidiavo il suo sangue freddo o la sua stoicità, io non sarei riuscita a reggere tanta tensione.
Nate doveva sedere sul sedile dietro, al centro, per essere lontano dai
finestrini, e con un vetro antiproiettile, spesso quanto il mio polso,
tra lui e chi guidava. Una situazione del genere avrebbe mandato ai
pazzi chiunque, probabilmente. Chiunque, ma non lui, che continuava
semplicemente a digitare comandi sul suo portatile, diceva che un
aggeggino come il suo palmare non gli bastava più, ci voleva un
computer vero.
Forse era semplicemente abitudine, però mi
dispiaceva, doveva sentirsi un po’ isolato ad essere guardato
sempre come se fosse fragilissimo. Almeno aveva Lynn, che gli sedeva
accanto con una mano sul suo braccio, aveva un berretto rosso con due
punte e due pompon in testa; quando avremmo iniziato lo avrebbero avuto
tutti, per dividere le squadre.
Per evitare fraintendimenti, il fucile da paint ball
che mi aveva dato Matt era tutto completamente rosso, perfino i
proiettili di vernice erano rossi.
Da quello che avevo capito, c’era già
una “me” cibernetica; la macchina sarebbe stato il cecchino
della squadra blu, io sarei stato il cecchino della squadra rossa.
Incredibilmente non ero nervosa. D’altronde
non c’era niente di davvero pericoloso, era un gioco e quello che
avevo tra le mani era un giocattolo. Perché avrei dovuto
preoccuparmi? A quanto pareva, era anche un gioco in cui ero brava. Di
tanto in tanto ripensavo allo shock causato da “Becky a caccia di
frutti”, però, come aveva detto Nate, era stata colpa
dell’isolamento non di quello che avevo fatto, oggi non avrei
avuto nessuna cuffia.
Ma non riuscivo a capire cosa avesse Zach e la sua
tensione sussurrava inquietudine anche a me. Mi faceva sentire sul
ciglio di un baratro, del tutto ignara di quando mi avrebbero spinta
giù.
La fabbrica era al di fuori della Synt che
conoscevo, oltre quella interna e perfino oltre quella esterna. Ci
volle circa un quarto d’ora di macchina per raggiungerla e, da
come Jean intimava a Zach di rallentare, intuii che eravamo ad una
velocità sostenuta.
Quando, finalmente, la nostra Responsabile
bussò al vetro antiproiettile per annunciarci che eravamo
arrivati, mi trovai davanti un edificio enorme.
«Wow.» mormorai guardando in su. Tutta
la struttura era sovrastata da una cupola di vetro che luccicava al
sole, anche se in alcuni punti doveva essere stata rotta. Romeo
l’aveva rotta, me lo sentivo. Era incredibile pensare che ci
fosse bisogno di uno stabilimento così grande per creare
qualcosa di tanto piccolo, come una fiala di Mitronio.
Nate sbadigliò e si stiracchiò
all’aria aperta. «Ehi, è incredibile!»
esclamò. «Sono libero.»
Lynn non disse niente, si limitò a passargli
un braccio intorno alla vita. Quanta solitudine si nascondeva dietro
tanta autoironia?
Zach si guardò intorno ansioso e guardingo.
«Qualcosa non va?» chiesi incerta.
Lui mi fissò per alcuni secondi, poi scosse
la testa. «Far uscire Nate è pericoloso.»
Il diretto interessato sbuffò. «Sono un
Vegliante anche io, grande eroe.» posò un braccio sulle
spalle di Lynn e si diressero verso l’altro blindato che stava
parcheggiando.
«Rilassati, Zach.» lo supplicò Jean. «Diventi presuntuoso quando sei nervoso.»
Già, lo stavo scoprendo anche io.
Lui non rispose alle accuse e recuperò un
borsone con su scritto “Courtney” dal bagagliaio della
macchina.
L’interno della fabbrica era tutto acciaio,
polvere ed echi. Da quello che riuscivo a vedere sembrava una sala
unica, costellata di apparecchi enormi di cui non avrei mai potuto
immaginare l’utilizzo; sopra le nostre teste correva un
passerella di metallo, immaginai che quando l’industria era
ancora in funzione, chi ci lavorava non scendesse mai dove eravamo noi.
Effettivamente la scenografia del gioco mi rendeva abbastanza nervosa,
era tutto troppo vuoto, troppo abbandonato, troppo… mi fermai a
guardare un’impronta, in parte ricoperta di polvere, marrone
scuro: quell’impronta aveva cinque dita.
«Come si fa il Mitronio?» chiesi a Nate
sulla scia di un pensiero che non ricordavo, accelerando il passo per
raggiungere lui e Lynn.
Finsi di non vedere Courtney dietro di noi, con il
suo cappello blu infilato nella tasca della giacca, che mi studiava
critica.
Scrollò le spalle. «Sarà una specie di inibitore.»
Lo osservai, sorpresa che mi desse una spiegazione
così vaga, mi ero abituata ad un Nate che sapeva tutto.
«Tutto qui?»
«Non me l’hanno mai fatto studiare, beh,
in realtà nemmeno io mi sono mai dedicato davvero alla medicina.
Ma, ehi!, se mi prendi un po’ di sangue di Romeo penso di
riuscire ad imparare.» mi prese in giro.
Feci una smorfia e mi toccai la tracolla del mio
fucile da paint ball. «Temo di non avere l’arma
giusta.» commentai ironica.
«Dunque, dunque, dunque.» fece Jean per
attirare la nostra attenzione su di lei. «Non so se vi ricordate
che non siamo qui in gita.» iniziò. «Matt, il
cecchino automatico è lassù.» indicò con la
mano un punto sulla passerella alla nostra sinistra. «Cerca di
farlo partire. Nate e Becky, voi starete al lato opposto,
lassù.» indicò una scala a destra. «Da quelle
parti c’è anche l’impianto elettrico, circoscrivi un
area di azione e chiudi il resto, tanto per stare tranquilli.»
Nate diede un bacio a Lynn, poi mi fece strada verso il punto che ci aveva mostrato Jean.
«Lynn, Zach, Courtney e Jared, voi siete i bersagli.» la sentii proseguire.
«Evviva.» esclamò sarcastica Courtney.
Mi lanciai appena un’occhiata alle mie spalle
per guardarla, mentre mi aggrappavo ai pioli di metallo della scala,
lei sarebbe stata il mio primo obiettivo.
Una volta sulla passerella, Nate raggiunse una
colonnina e spostò un pannello, rivelando tutta una serie di
interruttori, cavi e prese di corrente. Spinse un paio di pulsanti,
allacciò un cavo dal suo pc alla colonna e, dopo aver digitato
alcuni comandi, un gracchiare agghiacciante mi perforò i
timpani. Una luce brillante circoscrisse un’arena nella quale
svolgere l’azione. Alzai gli occhi verso la cupola, non era solo
vetro, erano specchi: muovendo la loro inclinazione si poteva spostare
la luce, lasciando in ombra tutto il resto.
Si sedette a gambe incrociate e continuando a
dettare ordini cibernetici. «Accidenti, le grate non scendono
più. Deve esserci un guasto.»
«È una cosa grave?» chiesi.
Scrollò le spalle. «Non così
tanto.» aggirò il problema accendendo anche
l’illuminazione artificiale, per aumentare ancora di più
il contrasto tra la luce dell’area di gioco e ed il buio della
zona interdetta circostante. A chiunque sarebbe stato chiaro dove
poteva e non poteva andare. Era una buona idea, ma trovarmi in quel
modo, sospesa in aria e circondata dal buio, mi faceva paura.
«Nate?» chiamai, guardando il resto
della banda tra le costruzioni di acciaio. Lynn si arrampicò,
agile come un gatto, su quella che aveva tutta l’aria di essere
una cisterna, per nascondere la bandiera in cima; Courtney invece la
stava infilando dietro alcuni tubi di areazione: una puntava sulla
difficoltà di raggiungere l’obbiettivo, l’altra su
un buon nascondiglio.
«Lo so.»
«Non li vedremmo arrivare.»
«E non abbiamo armi vere.» concluse.
Lo guardai. «E se…?»
«Speriamo di no.» mi interruppe.
Ed io sperai, anche se iniziavo a credere che la tensione di Zach non fosse del tutto immotivata.
Era noioso. Era davvero troppo noioso perché era troppo facile,
molto più di “Becky a caccia di frutti”. Se i
giocatori fossero stati più numerosi forse sarebbe potuto essere
divertente o stimolante, ma in quel modo, con solo due bersagli in
campo, non c’era niente di interessante.
Avevo già colpito Jared ad una gamba, Zach
era stato centrato dietro la schiena dal cecchino automatico di Matt.
Ogni volta che qualcuno veniva preso, era obbligato a rimanere fermo
per cinque minuti. E come se non bastasse avevo scoperto che Courtney
era un bersaglio un po’ più complicato da colpire: era
brava a stare nascosta.
Perché Zach aveva organizzato quella
pagliacciata inutile? A questi livelli le lamentele di Courtney
acquistavano un altro rispetto, sarebbe stato molto più sensato
dormire.
«Dobbiamo rimanere ancora molto?» chiesi a Nate.
Lui si strinse nelle spalle e rise. «Ti giuro
che l’avevo pensata in modo diverso.» commentò.
«Io ti volevo, anzi, ci volevo laggiù con loro, non
quassù appostati come al tiro al piccione.»
«Fammi indovinare.» intuii
assottigliando lo sguardo. «Zach ha detto che era troppo
pericoloso?»
«Naturalmente.»
Feci una smorfia, appoggiai il fucile sul corrimano
di metallo della passerella – non avevo capito esattamente come
si dovesse tenere un fucile – e cercai Zach per sparargli. Lo
colpii sul collo e la vernice gli schizzò fino alla bocca. Mi
lanciò un’imprecazione fantasiosa, che sia io che Nate
ignorammo, e sputò vernice rossa mista a saliva accanto a
sé.
«Colpo niente male, sai? Era un bersaglio lontano.» si congratulò Nate.
«Non è me che devi colpire, cheerleader!» mi rimproverò invece Zach.
«Mi annoio.» gridai di rimando.
«Anche io.» rispose la voce di Matt
dall’altra parte dell’area di gioco. «Ho
un’idea, prova a prendere i proiettili che sparo io.»
Uno sbuffo rimbombò tra le pareti di acciaio
della fabbrica. «Ma siate realisti!» sbottò
Courtney, nascosta dietro un serbatoio, ignara del fatto che la
bandiera blu è proprio lì sopra. «È
impossibile che sappia fare una cosa del genere.»
Per alcuni secondi non parlò nessuno, poi
riconoscemmo il sibilo e lo sparo del cecchino automatico di Matt ed un
proiettile blu le imbrattò i capelli.
«Sei fastidiosa.» la accusò.
Risi godendomi la scena, solo una parte di me
lontana, lontana, si chiese se effettivamente fossi in grado di colpire
un altro proiettile; l’idea sembrava un po’ troppo
fantascientifica, anche se sarebbe stata un ottimo banco di prova per
testare la mia super mira.
Il suo grugnito di frustrazione fu meglio di qualsiasi lode.
Cercai Lynn, l’ultima volta che avevo
controllato si stava avvicinando alla bandiera rossa, se l’avesse
presa la partita sarebbe stata conclusa e ce ne saremmo potuti andare.
Il panico mi strinse lo stomaco: poco distante da
lei, che quatta, quatta superava il proprio territorio, c’era
un’altra ragazza vestita da Vegliante. Allontanai il fucile per
vedere meglio: aveva una maschera bianca che le copriva la faccia, la
faceva sembrare un fantasma, ed era immobile dietro di lei. Poteva
essere Jean, ma… no, non poteva essere Jean. Nessuno di noi
aveva la divisa di ordinanza, era stata proprio lei ad impedircelo per
non rovinarle con la vernice.
«Nate, c’è qualcuno.»
Lui sollevò il viso di botto, mentre io li
contavo Jared, Courtney, Lynn, Zach… cinque e sei. Ce
n’era uno anche dietro di Zach.
Con gli occhi fermi sulla maschera, allungò
una mano e recuperò un cellulare, compose un numero e se lo
portò all’orecchio.
«Matt, li vedi?»
«Si.» gracchiò la sua voce dal
microfono a volume troppo alto. «Di schiena… quello dietro
a Zach ha i capelli rossi.»
«Controlla Lynn, io e Becky andiamo a vedere
che combina Romeo.» sussurrò, prima di interrompere la
comunicazione.
Piano, per non fare rumore, scollegò tutti i
cavi del proprio computer uno ad uno e mi fece segno con la mano di
incamminarmi lentamente lungo la passerella verso Zach. Obbedii,
attenta a non allontanare troppo a lungo gli occhi dal Veggente dietro
di lui: a Romeo sarebbero bastati pochi secondi per far precipitare la
situazione, ormai stavo arrivando a patti con la triste realtà
che il suo cervello era troppo avanti rispetto ai nostri.
Mi bloccai quando vidi Zach indietreggiare fino a
lui. Romeo si sollevò la maschera lasciandosela sulla testa, si
abbassò leggermente per frugare in una delle tasche dei suoi
pantaloni e recuperare… non riuscii a vederlo, ma qualsiasi cosa
fosse Zach la inghiottì. L’estrema versione del “non
accettare caramelle dagli sconosciuti”.
Fu più forte di me, arrivò prima del
buonsenso – lo stesso che avrebbe dovuto suggerire a Zach di non
accettare niente da Romeo proprio perché era Romeo – e del
ricordo di Nate che mi suggeriva di non fare rumore.
Mi sporsi dalla passerella. «Courtney.» urlai.
Sollevò gli occhi su di me, sorpresa che mi stessi rivolgendo proprio a lei.
«C’è Romeo, ha avvelenato Zach.»
«Cosa?!» sbottò incredulo Nate alle mie spalle, scostandomi per vedere.
Lei mi fissò per alcuni secondi, ma ero
sicura che non mi stesse vedendo, stava calcolando, ragionando. Chiuse
gli occhi e li riaprì con un segno di intesa verso di me.
«Romeo ha avvelenato Zach?» mi
domandò ancora Nate, mentre prendevo a correre per raggiungerli,
senza più pensare al rumore.
«Gli ha dato qualcosa e lui l’ha mandata
giù.» ed io avevo imparato come ti facevano stare le cose
che ti infilava in bocca Romeo.
«Ma è impazzito?!»
Probabilmente, ma non lo dissi.
Intanto intorno a noi i Veggenti, vestiti da
Veglianti con le maschere bianche, iniziarono a muoversi per ostacolare
gli altri. Erano educati, non colpivano, si limitavano ad azioni di
contenimento: non volevano fare del male, volevano soltanto che non
disturbassero il loro capo.
Non mi sfuggì – e sono sicura nemmeno a
Nate – che nessuno cercò di ostacolare noi. Qualsiasi cosa
avesse in mente Romeo, voleva che io e Nate assistessimo.
Ci fermammo proprio sopra di loro, in linea
d’aria ero al massimo a quattro metri da Romeo e da Zach, che
recuperò una sigaretta storta da una tasca interna della giacca
e l’accese.
«Jean non sarà contenta.» commentò, quasi premuroso.
«Metti che è l’ultima.» biascicò.
Romeo rise. «Non è l’ultima.»
Si voltò e guardò me, non
l’avevo mai visto con il viso completamente scoperto, era…
un ragazzo. Aveva il naso a punta, occhi chiarissimi ed inquietanti, ma
era perfino piacevole da guardare. Era normale. Non riuscivo a
collocarlo esattamente in una fascia d’età, anche se
sembrava essere più o meno un coetaneo di Jean.
«Tranquilli, starà bene.»
«Che gli hai dato?» domandò Nate.
«E tu razza di idiota perché l’hai preso?!»
continuò stravolto.
Zach sembrava essersi spento, fissava confuso un
punto sul pavimento ed i suoi occhi si muovevano veloci, da sinistra a
destra, come se leggessero qualcosa che noi non vedevamo. Scosse la
testa e mi guardò, togliendosi la sigaretta dalla bocca per
scrollare la cenere. «Per vedere se riesci a colpire lui.»
Appoggiai la punta del fucile sul corrimano di
metallo e Romeo fece una smorfia. «Accidenti, Zachy, non le hai
insegnato come si tiene? Ma che razza di soldato sei?» gli
domandò schifato.
Sollevò il viso come se si fosse dimenticato dov’era. «Come?» domandò.
Romeo gli lanciò un’occhiata con le
sopracciglia sollevate e scoppiò a ridere. «Attento,
Zachy, si finisce per diventare ciechi.» lo ammonì, mentre
si abbassava la zip della giacca e la sfilava, lasciandola da una
parte. Sotto indossava una maglietta nera con un bersaglio giallo
disegnato sulla schiena. Simpatico…
Ma di che diavolo stavano parlando?
Non ebbi modo di chiederlo, perché Zach
realizzò che non doveva per forza sopportare le sue prese in
giro, sollevò lo sguardo, ora fermo ed immobile su Romeo,
sputò il mozzicone di sigaretta e gli balzò addosso.
Lui si voltò repentinamente e riuscì a
fare un passo indietro e bloccare il suo pugno con l’avambraccio,
ma era arrivato così vicino al suo viso. Provò a colpirlo
a sua volta, un gancio che avrebbe messo al tappeto chiunque, ma Zach
lo schivò. Pochi secondi prima. Come se nella sua mente avesse
già visto quella scena.
Sia io che Nate rimanemmo ad osservarli sconcertati:
Romeo era veloce, lo sapevamo tutti, lo sapevo anche io che ero
lì da poco, ma quel giorno lo era anche Zach, e questo era meno
prevedibile.
Intorno a noi, sentivamo ancora la nostra squadra
combattere contro i Veggenti presenti per cercare di raggiungerci;
immaginavo fosse frustrante per loro vederci lassù, vicini ed
immobili, ma loro non sapevano. Perché se in quel momento
avessero avuto sotto gli occhi quello che avevamo noi, non sarebbero
riusciti a staccare lo sguardo. Come noi.
Non videro Zach superare le difese di Romeo, arrivare prima delle difese di Romeo, e raggiungerlo con un pugno secco e preciso. Non lo videro poggiare le mani a terra, prima
di cadere, quando non riuscì ad evitare il calcio sul fianco.
Non lo videro rialzarsi, non lo videro schivare colpi, non lo videro
combattere da Veggente, proprio come lui.
Interrompere qualcosa di tanto armonico e perfetto sarebbe stato come pugnalare uno splendido dipinto.
Zach, in quel momento era il soldato perfetto.
Nate aveva posato a terra il pc, o forse
l’aveva lasciato cadere, non me ne ero accorta, ed ora li fissava
con le mani strette al corrimano, registrando nel suo cervello ogni
movimento. Nel suo sguardo c’era una meraviglia associabile
soltanto alla soluzione dei più grandi misteri
dell’universo.
Dei passi ci raggiunsero correndo. «Becky, svegliati!» mi gridò Jean.
Scossi la testa e la guardai. Mi strappò
dalle mani il fucile per cercare di aiutarlo, ma era in ritardo anche
lei; sospettavo che essere una Responsabile non l’avesse salvata
dallo stupore e me la immaginai, per pochi ma cruciali secondi, nella
stessa contemplazione di Nate.
Provò a sparare a Romeo, prendeva la mira e
premeva il grilletto, ma io vedevo anche lui evitare ogni colpo. Lo
vedevo prima del rumore del proiettile.
Jean non poteva colpirlo, né lui né nessun altro Veggente. Io però si.
Quando strinsi la canna nella mano, lei mi
lasciò recuperare la mia arma – che arma non era, poteva
essere al massimo un fastidio. Mi aiutò ad incastrare nel modo
giusto il calcio nella spalla, a schiacciare la guancia contro il
fucile e ad aiutarmi, con la mano non impegnata nel grilletto, a
prendere la mira.
Iniziai a seguire ogni movimento di Romeo ad essere il suo specchio.
«Ad occhi chiusi.» mi suggerì lui.
Gli obbedii, seguendo comunque la sua immagine nella
mia testa, il centro del bersaglio sulla sua schiena. Potevo sparargli,
potevo colpirlo, io potevo sparare ad un Veggente.
Zach si pulì bocca e naso dal sangue, stava
per attaccare di nuovo, ma si piegò in due con un gemito,
invece, cadendo in ginocchio.
Romeo si fermò, sorpreso, preoccupato.
«Di già?» si chinò accanto a lui, che si
sporgeva in avanti e vomitava. Gli tenne indietro i capelli e
cercò sul suo polso l’orologio, poi sollevò il viso
verso Jean. «Sta rallentando.»
Lei lo fissò e basta.
Io ce l’avevo ancora nel mirino e potevo
ancora colpirlo, ma Zach aveva bisogno di altro. Cambiai obbiettivo ed
andai a cercare Courtney, perché non era ancora lì?
Trovai lei e Jared alle prese con la Veggente che
avevo visto all’inizio, mentre Lynn si arrampicava dietro ad una
terza maschera bianca, ignota fino a quel momento, che le aveva rubato
il borsone. Matt stava cercando di pilotare il cecchino automatico per
ostacolargli la fuga con scarsi risultati.
Jean intanto corse alla scaletta più vicina
per raggiungere Zach, ma un quarto Veggente si mise tra lei e la
discesa, obbligandola ad indietreggiare per difendere Nate.
Zach aveva bisogno di Courtney.
La maschera bianca con il borsone salì sullo
stesso serbatoio dove era stata nascosta la bandiera blu, sapevo che da
lì sarebbe saltata per arrampicarsi sulla passerella. Aspettai
il momento giusto, non avevo un’arma, ma la vernice poteva essere
comunque un problema nella circostanza giusta. Sparai due colpi in
rapida successione proprio mentre il Veggente saltava, le sue dite si
aggrapparono e mantennero la presa sulla passerella per poco: i
proiettili rossi rendevano l’acciaio scivoloso.
Lynn approfittò della sua esitazione per
afferrarlo e tiralo giù, prima di strappargli il borsone di
dosso e lanciarlo verso Courtney che lo prese al volo. Non ci furono
bisogno di parole: non appena Courtney strinse la sacca tra le mani, io
e Matt usammo tutte le munizioni che ci rimanevano contro
l’ultimo Veggente che li ostacolava; con noi due a disturbarlo
per Jared non fu un grande problema costringerlo al tappeto.
Tornai a Zach rannicchiato a terra, il viso contratto ed il corpo scosso da uno spasmo dopo l’altro.
Romeo estrasse da una delle tasche dei suoi
pantaloni una siringa incartata. «Mi serve il tuo sangue.»
Lui aprì gli occhi e fendette l’aria con un pugno per allontanarlo.
All’inizio non capii perché sul
pavimento comparve una schizzata rossa, poi realizzai che stretto nel
pugno di Zach c’era stato il suo coltello.
Il Veggente che impediva a Jean di scendere si
voltò verso di lui come se l’avesse chiamato, pronto ad
abbandonare la sua missione per aiutare il proprio capo.
«A Nate serve il tuo.» grugnì.
Romeo lo fissò terreo ad occhi sgranati.
«Che hai fatto?» sussurrò quasi senza voce, prima di
balzare in piedi e correre via, seguito a ruota dai suoi.
«No!» esclamò Nate subito.
«No, no, no, no.» corse nella sua stessa direzione.
«Aspetta!» gli gridò dietro.
Romeo aspettò.
«Che gli hai dato?» chiese.
«Niente di impossibile.» furono le sue ultime parole prima di sparire.
Zach mugugnò cercando di sollevarsi quel
tanto che bastava per non vomitarsi addosso. Io e Nate scendemmo dalle
stesse scale di Jean per raggiungerlo. Courtney lo aiutò a
tenersi su ed a sdraiarsi di nuovo a terra, mentre con una mano si
infilava uno stetoscopio. Gli aprì la giacca e gli
sollevò la maglietta per cercare il suo cuore.
Io rimasi lontana quando vidi le loro mani strette
una nell’altra, così forte che pensai le stesse facendo un
male del diavolo. Lei non diede segno di fastidio, recuperò una
piccola torcia dal suo borsone e gliela puntò negli occhi. Era
preoccupata, ma c’era anche un leggero sollievo nel suo sguardo,
quindi non stava morendo. «Che ti è saltato in
mente?» chiese estraendo dalla borsa un mazzo di garze che
odoravano di disinfettante e gliele premette sul viso per fermare il
sangue.
Incredibilmente lui rise. «Lo rifarei mille
volte.» le allungò il coltello sporco del sangue di Romeo.
«Per Nate.»
Nate.
Lo cercai e lo vidi sollevare la giacca da Vegliante
che aveva indossato Romeo, pensieroso. Mi avvicinai a lui lentamente,
mentre controllava l’etichetta interna. «Che
c’è scritto?» domandai.
«Shane.» disse incolore.
Lynn mi saltò addosso sulla schiena,
impedendomi altre domande. «Dio, sei stata perfetta!» si
complimentò eccitata.
La guardai sbattendo le palpebre, resa perplessa
dalla sua totale mancanza di preoccupazione per Zach. Intuendo il mio
fastidio fece un gesto vago con la mano. «Pff…»
sbuffò. «Come se volesse davvero fargli del male! Romeo
è un tenerone e Zach uno stupido. Come sempre. Ma tu, carissima
Becky, sei straordinaria.»
«Non ho fatto niente.» borbottai poco convinta, in fondo, non avevo preso Romeo.
«Hai fatto ciò di cui c’era bisogno, è così che si lavora in squadra.»
Jared e Matt, che intanto ci aveva raggiunti,
aiutarono Zach a tirarsi in piedi, sembrava sfinito. Jean ci
cercò tutti con gli occhi, facendo un appello mentale. «A
casa. Tutti. Subito.»
Il viaggio di ritorno fu lunghissimo. L’automobile faceva sentire
peggio Zach e fummo costretti a fermarci cinque o sei volte. Quando
raggiungemmo la caserma era così stravolto che Jared dovette
caricarselo sulle spalle.
Perfino Courtney aveva perso un po’ della sua
lucidità professionale. «Ho provato a dargli della
morfina, non gli ha fatto niente.»
«Non hai qualcosa di più forte?» le chiese Jean.
«Più forte della morfina?»
domandò incredula. «No, se non voglio ammazzarlo.»
Si chiusero in camera di lui, mentre la Responsabile
spediva me, Nate, Lynn e Matt a mangiare. Niente ronda quella sera, era
stata una giornata fin troppo eccitante.
Jared ci raggiunse dopo poco e recuperò il vassoio con il suo nome.
«Come sta?» gli chiese Nate.
«Vomita.» fu la sua unica risposta.
Mi chiesi come facesse. Quando li avevo visti
insieme, quando avevo visto le loro mani strette per aggrapparsi
l’uno all’altro, lei così impegnata a prendersi cura
di lui, mi era sentita di troppo solo a pensare di potermi infilare nel
loro complicatissimo rapporto. Lui, che era a tutti gli effetti in quel
rapporto, come faceva a non impazzire di gelosia e sospetti?
«Credete che Romeo sia morto?»
domandò Matt dopo un po’. «Il coltello di Zach
è temprato nel Mitronio.»
«Non lo so.» commentò Lynn.
Nate sembrava preoccupato.
Una ragazza con una maschera bianca tirata sui capelli ed una giacca
verde suonò alla porta di Dawn Dandley, guardandosi intorno
tesa. La donna aprì immediatamente, quasi l’aspettasse.
«Ryan.» mormorò lei con apprensione.
«Mi manda lui.» le disse.
Dawn la fissò e basta.
«Mi manda a dirle che è vivo.»
Sorrise e tirò un sospiro di sollievo.
«Grazie.» si frugò nella tasca della vestaglia e le
porse una busta accartocciata. «Gli farà compagnia.»
Ryan annuì. «Altro, signora?»
Fece per scuotere la testa, ma ci ripensò. «Digli che lo vedo sempre.»
«Lo sa già.» sorrise lei prima di correre a nascondersi.
Mi fermai con una mano sulla maniglia della mia porta, incerta. Zach
era venuto a vedere come stavo, sempre. Magari la mia visita non poteva
essergli utile e non gli avrebbe fatto piacere quanto quella di
Courtney, però mi sembra carino fargli sapere che gli volevo
bene ed ero preoccupata per lui. Non era quello di cui, in fondo,
avevano bisogno tutti i malati?
Courtney uscì dalla sua porta e mi
guardò come se dall’interno della stanza mi avesse letto
nel pensiero. «Non puoi entrare, lascialo stare.»
La fissai ostile, se me lo avesse detto con maggiore
garbo forse le avrei dato retta, ma ero stufa che fosse gelosa di me,
visto che non ne aveva nessun diritto. «Ti ho vista.» dissi
solo, non c’era bisogno di aggiungere un quando od un con chi.
Lei rimase interdetta per qualche secondo ed io ne approfittai per avvicinarmi, aprire la porta ed entrare.
«Ne riparleremo.» promise in un sussurro.
Chiusi lei e tutto il resto dall’altra parte della soglia.
Il letto era vuoto, ma la lampada sul comodino
accesa. Mi guardai intorno e lo trovai rannicchiato in un fagotto di
coperte in un angolo, accanto a lui c’era un porta flebo con
appesa una sacca di liquido trasparente, un tubicino era fermato al
dorso della sua mano. Tutta la stanza aveva l’odore fastidioso ed
informale di disinfettante, dovevano aver pulito da poco.
Zach era immobile, mi chiesi se dormisse.
Camminai piano per non svegliarlo e mi sedetti a
gambe incrociate davanti alle sue coperte, vicina al suo viso. Aveva il
labbro ed il sopracciglio spaccati e medicati alla buona, ma con il
cicatrizzante accelerato il giorno dopo sarebbero stati come nuovi.
Pensai a cosa sarebbe successo se avesse ucciso
davvero Romeo, niente di quello che mi venne in mente era piacevole.
«Ehi.» mormorò piano, ancora ad occhi chiusi.
Lo guardai stupita. «Pensavo dormissi.»
«Non ci riesco.» disse solo.
«Stai un po’ meglio?» il collo,
parte del mento e la mascella erano macchiati di rosso per il mio colpo.
Si mosse poco, in quella che doveva essere
l’ombra di una stretta di spalle. «Non vomito da un quarto
d’ora. Court dice che è buon segno.»
«Allora, probabilmente lo è.»
E se fosse morto Zach?
«Ti ho vista.» disse dopo un po’.
«Non l’ho colpito.» lo precedetti,
immaginando che si riferisse all’azzuffata nella fabbrica. Mi
sentivo un po’ in colpa, se davvero lui aveva mandato giù
la robaccia di Romeo per vedere di cosa ero capace, forse non avrei
dovuto vanificare i suoi sforzi.
Scosse la testa. «No, ti ho vista nella mia testa, prima che cominciassimo.»
Lo osservai, ripensando a quando si era perso dietro
chissà quale fantasticheria. «Hai avuto una visione?»
«Forse. O forse era solo un’allucinazione.»
Deglutii spaventata dalla prossima domanda. «Com’è?»
Aprì gli occhi, era bello sapere che
nonostante tutto, erano ancora verde brillante, limpidi. «Strano.
Un specie di formicolio dietro la nuca.»
Come me.
Mi nascosi per qualche secondo nei miei pensieri e
ricordi. Io non ero una Veggente, mi proibii di pensare di esserlo.
Avevo fatto il test, ero stata selezionata, responso: Vegliante.
Quindi, non potevo proprio essere una Veggente, a meno che non lo
fossero tutti gli altri Veglianti ed il sistema di selezione avesse un
margine di errore grande come la Florida.
«E credo che sia più legato al sentire che al vedere.» continuò.
Io non ero una Veggente.
«Ti ho detto qualcosa?» mi allontanai da
quel timore il più possibile, preoccupata quasi che avere una
simile idea in mente avesse potuto insospettire anche lui.
«Non quel tipo di sentire.» si
leccò le labbra, erano screpolate. «Ti ho sentita sulla
lingua.»
Rimasi zitta contestualizzando una frase del genere,
sbuffai una risata imbarazzata. «Ehm… Zach?!»
domandai inquieta.
Lui rise. «No, ti assicuro che l’ho
pensata meno compromettente di così.» si girò sulla
schiena e fissò il soffitto. «Tu avevi le manette ed eri
con il tipo stronzo dell’Asta, te lo ricordi?»
Annuii piano e mi strinsi le ginocchia al petto.
«Le manette te le avevo messe io, per poterti
baciare…» aggrottò le sopracciglia confuso, mentre
io arrossivo. «Ero tipo preoccupato che ti facessero del male o
che tu ne facessi a me, non so. La mia giacca era tutta strappata e
rovinata e…» esitò. «Aveva un taglio, come
una pugnalata sotto le costole.»
Ci riflettei con attenzione. «Mi sembra una
situazione un po’ troppo strana per essere reale, non
credi?» commentai delicata, facendo appello a tutto
l’autocontrollo che avevo in corpo.
Annuì. «Già.» convenne,
prima di mugugnare un lamento. «Pessima idea, aiutami a girarmi
di nuovo sul fianco.»
Mi voltai di botto e lo tirai per un braccio ed una
spalla prima che ricominciasse a sentirsi male. Lo guardai respirare
piano, ad occhi chiusi, con la mano ancora stretta alla mia.
«Forse hai sbirciato un universo
parallelo.» cercai di inventarmi, per distrarlo dal malessere. Lo
sentivo vicino, ero nello spazio che si creava tra le sue gambe ed il
resto del suo copro quando si rannicchiava. «Magari da qualche
parte c’è un mondo in cui stiamo insieme e siamo felici. E
Nate è il presidente, e lui e Lynn hanno tre bambini.»
«E Courtney sta con Matt.» rise.
Lo feci anche io. «Forse serve più di un universo parallelo per una cosa del genere.»
«Niente Veggenti?» mi domandò speranzoso.
«Né Veglianti. Romeo è un attore, è ricco e non da fastidio a nessuno.»
Rimase in silenzio per qualche secondo, poi mi
strinse il fianco, sussultai. «Un attore, eh? Dimmi un po’,
cheerleader, ti sarai mica presa un cotta per lui?»
«Ma smettila.» sbottai.
«Si, si. Mi toccherà tenerti d’occhio, cambiassi bandiera all’improvviso.»
Sbuffai e per alcuni secondi rimanemmo zitti, tutti e due.
«Becky?»
Gli lanciai un’occhiata, era la prima volta che mi chiamava per nome. «Nh?»
«Se io fossi un Veggente non accetterei la
cura.» confessò. «È uno spettacolo, sei
forte, veloce. Non è innaturale o artificioso.
È…»
«Perfetto.» conclusi al suo posto,
cercando il poster di Romeo sul suo muro, ma ovviamente non
c’era. Però osservai il resto della sua stanza, le cose
preziose che conteneva. C’era una mazza di metallo su un mensola
sopra al letto, ero sicura che fosse quella regalata da suo padre; una
foto appesa al muro accanto all’armadio, lui un po’
più giovane ed allegro con un ragazzo che gli somigliava molto,
immaginavo fosse suo fratello. E c’era una giacca verde, era
dentro una teca come una reliquia, su un manichino, non riuscivo a
leggere l’etichetta, ma non c’era bisogno: era la giacca di
Josh.
Lynn aprì gli occhi trovandosi immersa in una luce
grigio-televisione in bianco e nero. Si tirò su e vide che tutti
gli schermi al muro erano accesi. Mostravano le scene del combattimento
tra Zach e Romeo, ognuna leggermente in ritardo rispetto alla
precedente: solo pensare di guardarle le faceva venire il mal di testa.
Nate era seduto in fondo al letto, con i gomiti appoggiati alle ginocchia e fissava ogni singolo schermo.
Lei gattonò sulle coperte e lo abbracciò da dietro.
«Le telecamere della fabbrica hanno ripreso
tutto.» spiegò colpevole. «Non volevo
svegliarti.»
«L’avevo capito.» indossava una
sua maglietta e sentiva di avere il sedere scoperto. Era sicura che se
Courtney l’avesse vista avrebbe avuto da ridire, le ripeteva
sempre che mettere i vestiti del proprio ragazzo la faceva diventare
una sua proprietà. Ma lei non poteva capire, tra lei e Nate non
c’erano mai stati isterismi, lotte di supremazia, orgoglio
tossico.
Nate le voleva bene, la rispettava, non le faceva
pesare di essere mille volte più intelligente e, soprattutto,
non aveva problemi a chiedere aiuto quando aveva bisogno di lei. La
loro era la più perfetta delle relazioni, più di quelle
che inventava nelle sue storie.
«Sto impazzendo.» disse con le mani tra i capelli.
Lynn scivolò giù dalla sua schiena per
sedersi accanto a lui. «Raccontami.» propose.
«Guardalo.» gli indicò uno degli schermi. «Ti pare possibile?»
Non rispose.
«Ci insegnano che i Veggenti sono più
svegli di noi perché una parte del loro cervello funziona,
mentre noi ce l’abbiamo spenta, giusto?»
«Si.»
«Allora, magari io di neurologia non me ne
intendo gran ché, ma ho gli occhi per vedere. Noi siamo lenti,
goffi ed inutili rispetto ad un Veggente, ma a livello scientifico
siamo lo Stato più avanzato e sono sicuro che da qualche parte i
cervelloni hanno provato a fare una cosa del genere, tipo super
soldati.» sospirò. «Eppure, noi ci stiamo ancora
arrovellando su come sparare ad un Veggente ed i soldati in guerra
continuano a morire come mosche.»
«Quindi?»
«Quindi, o Romeo ha nascosto da qualche parte
un istituto di ricerche neurologiche e superscienziati di cui non si sa
niente, ma non credo. Oppure…» si zittì guardando
di nuovo gli schermi.
«Oppure?» lo incalzò Lynn.
I suoi lineamenti si distesero, quasi si stesse
arrendendo all’inevitabile. «Oppure, quella parte del
cervello di Zach ha sempre funzionato e l’ADP lo tiene sotto
controllo con degli inibitori.»
«Come?» chiese sconvolta Lynn.
«Quello che mangiamo ci arriva in vassoi
sigillati con sopra scritto il nostro nome, va a capire che
c’è dentro.»
«Integratori per renderci più forti, no?»
La guardò. «O Mitronio per tenerlo buono.» ribatté.
Lynn rimase sospesa. «Lo credi davvero?»
Nate scosse la testa. «Però ha senso e
non è una soluzione impossibile.» si morse le labbra.
«Chiederò a Jean il permesso per studiare
neurologia.» concluse.
«Il sangue sul coltello di Zach?»
Sospirò. «Identico al mio, al tuo, a
quello di Zach. Facciamo finta che è stato guastato dal
Mitronio?»
Courtney abbassò la maniglia della porta di Jared, scoprendola bloccata. Aveva chiuso a chiave.
Non bussò, non lo chiamò. Tornò soltanto nel proprio letto.
avete il vostro fedele blocco degli appunti lì vicino?
brave, sottolineate: la giacca di Shane - diminutivo di Shannon (do you
remember?) - tutta la visione di Zach, e obviously le riflessioni di
Nate.
tipo che me le appunto anche io queste cose.
oh, oh, oh! Dawn Dandley, per carità non dimenticatevi di lei!
poi, la tragedia si sta avvicinando...
non vi dico altro!
se vi va di farmi sapere il vostro gradimento - o disgusto - per il capitolo, sapete come fare!
baci
ps. Lamponella
pps. e se il Veggente è Zach.
ppps. un pensiero ad Andrea: se Becky ha imparato a tenere un fucile in mano è merito suo!
|
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Capitolo 11 *** 10. Prima o poi ***
Mitrono
fragolottina's time
questo capitolo, soprannominato dai
più intimi - io e Lamponella - "La quiete prima della tempesta",
è pieno di cose tristi.
potrei parlarvi e spiegarvi e raccontarvi e filosofeggiare sul sentirsi
Veglianti inside per ore, quindi chiedete spiegazioni a vostro rischio
e pericolo, perchè potrei attaccarvi un pippone pazzesco...
scherzo! mica tanto...
ma comunque...
c'è Courtney, quindi se non riesco a farvi entrare nella sua
testolina potete andare a lamentarvi in giro perchè Frgolottina
è impazzita e scrive cose senza senso, però prima
promettetemi di darle un'opportunità. io ho scoperto di amarla
molto.
c'è Josh, un Josh diverso da quel al quale siamo abituate, ma è molto più reale.
ovviamente non vi do tutte le risposte - vi pare?! non sia mai... - ma
ci sono molti spunti su cui riflettere e su cui spero rifletterete.
ok, basta... a più giù?
10.
Prima o poi
Quando Courtney scese al piano di sotto, trovò Jared già
in palestra, ma non si stava allenando; era seduto su un tappetino,
fermo, stava pensando. Immaginò di non essere stata
l’unica a non riuscire a dormire quella notte.
Lo raggiunse lisciandosi il golfino, Jean
l’aveva buttata giù dal letto troppo presto perché
potesse pensare davvero al proprio look, voleva che lei e Nate la
accompagnassero in ospedale per Zach. Non si era mai fidata dei medici.
Gli aveva prescritto ogni analisi che era possibile
fargli: prelievo del sangue, urine, elettrocardiogramma,
elettroencefalogramma, prove sotto sforzo. Tutto il pacchetto. Era
un’idea sensata, chissà cosa gli aveva dato Romeo.
Si sedette accanto a lui. «Sono passata da te ieri notte.»
Jared non rispose, sapeva da come respirava che era
arrabbiato. Lui non era come Zach, non esplodeva in fiammate, Jared si
consumava lentamente ed intimamente, accumulando pensieri infelici.
Poteva quasi sentirli frusciare nelle proprie orecchie: Stai
permettendo ad una ragazzina di usarti. I pensieri di Jared avevano la
voce di un Josh delirante e gracchiante.
«Avevi chiuso.»
«Non mi andava molto di vederti.» le concesse.
Courtney si sentì tagliata in due: una parte
di lei sapeva di meritarlo, di non poter affliggere nessuno con una
situazione del genere; ma l’altra ricordava il sollievo e la pace
di trovarsi tra le braccia di Jared, la prima volta che l’aveva
baciato era stato davvero come lasciarsi alle spalle per qualche minuto
il mondo in cui vivevano. Era una persona così egoista se aveva
deciso di scegliere il sollievo al tormento?
«Dovevo aiutarlo, è il mio lavoro.»
«Lo so.» sospirò. «Ma non
puoi chiedermi di accoglierti nel mio letto dopo averti vista.»
«Sei geloso?» si stava già pentendo di averlo chiesto.
Jared la guardò infastidito. «Geloso,
Court?» sbottò. «Non è gelosia,
è…» chiuse gli occhi riacquistando un po’ di
controllo. «Mi hai detto che la cosa doveva stare nascosta
perché avevi paura che facesse qualche follia, ed ero anche
d’accordo perché a Zach serve solo una scusa per diventare
una bomba sucida. Ma allora perché non lasci che la ragazzina lo
consoli?» c’era frustrazione nella sua voce, non capiva,
non la capiva.
Courtney abbassò le palpebre, le
sfuggì una lacrima, pensò alla scia di mascara che le
aveva sicuramente lasciato sulla guancia.
Pensò a Zach, quasi un anno prima, appoggiato
alle sue ginocchia mentre lei era seduta sul tavolo della mensa. Si
trovavano lì ogni notte. Courtney aveva percorso con garze,
cotone e disinfettante ogni centimetro della sua pelle, le prime volte
lui era arrossiva e lei doveva mordersi la lingua per non prenderlo in
giro. Il grande eroe.
Quella notte l’aria intorno a loro vibrava più del solito.
“Stai con Lindsey”, gli aveva ricordato,
perché lui la guardava come se volesse mangiarla.
Lui l’aveva fissata ed aveva sorriso come non
lo avrebbe più visto sorridere, come se il mondo fosse
divertente anche all’inferno. Aveva scosso la testa ed aveva
posato piano le mani sulle sue ginocchia, non si sarebbero mosse senza
un suo invito. Lei aveva soltanto abbassato lo sguardo, per nascondere
un sorriso.
“Ci penserò”.
Aveva fatto per scendere, lui era indietreggiato di
un solo piccolissimo passo e quando aveva posato i piedi a terra erano
così vicini da sfiorarsi.
L’aveva baciato lei. Non se ne era mai
pentita, ma avrebbe voluto dimenticarlo, almeno per un po’.
Ricordava le labbra morbide e la lingua calda di Zach.
Ed il tonfo del corpo di Josh che raggiungeva il
suolo. Settantotto chili di carne, il sessanta per cento era sangue.
Era già morto quando l’avevano
raggiunto. Aveva marchiato a fuoco nella mente l’immagine della
sua gamba distorta in modo grottesco, se fosse stato vivo avrebbe
urlato.
Aveva saputo subito che lei e Zach non si sarebbero
mai più baciati. Zach, il suo Zach, era morto con lui.
«Perché…» non c’era
un perché, non uno che potesse andar bene per Jared. Tutte le
spiegazioni sembravano comprendere anche la frase “Perché
non riesco a lasciarlo andare”.
Pensò a Becky, una ragazzina sciocca che
piombava ingenuamente nel loro inferno personale e si metteva in testa
di riuscire dove lei aveva fallito, di ricominciare da dove lei aveva
mollato. Strinse di nuovo i pugni, furiosa.
«Court, tu sei meravigliosa.»
La rabbia le scivolò via tutta insieme,
riportandola lì, in quel momento, seduta accanto al ragazzo che
aveva scelto e che comunque avrebbe perso.
«La donna più bella che abbia mai
visto, la più fantastica con cui abbia avuto il lusso di fare
l’amore. Ed io penso davvero di amarti, quando sei mia, quando
parli con me, quando vedi me. Non puoi chiedermi di amarti anche quando
sei sua.»
Non c’era niente che potesse sembrare una
risposta accettabile. «Devo andare.» disse solo alzandosi,
rimandando per l’ennesima volta quella conversazione.
«Court?» la richiamò Jared.
Lei si fermò.
«Non cercarmi finché non decidi di andare avanti.»
Prima o poi l’avrebbe fatto.
All’ospedale di Synt la conoscevano fin troppo bene. Nessuno si
sarebbe azzardato a toccare uno dei Veglianti senza il suo permesso
né la sua supervisione.
Courtney era nata a Vernon, nel principio di tutta
quella follia. Era nata tra le macerie di una città che
continuava a morire anni dopo l’incidente. Quello che era rimasto
sarebbe dovuto essere spazzato via, sarebbe stato misericordioso:
l’economia era un disastro, la medicina un lusso per una
popolazione povera e malata, l’acqua non contaminata arrivava in
container e costava tanto, i bambini nascevano malformati. Aveva visto
orrori così sconvolgenti da rimanerle attaccati, popolavano i
suoi incubi, facendola quasi sentire in colpa per essere nata sana,
normale, bella.
Nei film in tv vedeva le cheerleader, avrebbe voluto
esserlo, ma a Vernon non c’erano più nemmeno i licei. Lei
studiava a casa con un insegnante privato perchè si usciva il
minimo indispensabile, nascosti sotto tute antiradiazioni.
L’istruzione non era qualcosa per cui valesse la pena rischiare
la vita.
Sua madre era un chirurgo generale, era abbiente,
lavorava in ospedale e la costringeva a cure decontaminanti continue,
le mandava pacchi di medicine anche a Synt. Suo padre era morto un
pezzo per volta per un tumore: gli avevano amputato il braccio per
primo, poi asportato parte dell’intestino e lo stomaco, una massa
dal cervello, un polmone. Aveva ringraziato in lacrime sua madre per
avergli iniettato la sostanza che l’aveva ucciso.
Aveva imparato il rigore e la pulizia di
un’operazione ben fatta sul tavolo della sua cucina, dalle mani
di sua madre che facevano gli straordinari per chi non si poteva
permettere un ricovero.
Non aveva studiato medicina, ma conosceva il corpo
umano più di tanti medici. Sapeva guardare il torace di un uomo
tagliato in due senza vomitare, e sapeva dove e come intervenire se
c’era qualcosa che non andava. Era una specie di scienza innata,
aveva sempre pensato che si trattasse di abitudine. Gli schemi che Nate
cercava ovunque, c’erano anche in medicina.
Quando Josh aveva fatto la sua offerta
all’Asta, non aveva saputo di essersi aggiudicato qualcosa che
andava ben oltre il suo valore. Le aveva chiesto di prendersi cura di
Zach, “Ha troppi fantasmi del passato con cui fare i
conti”, aveva parlato con la tranquillità persuasiva di un
buon leader, qualcuno di cui non hai paura di fidarti. Lei ancora non
sapeva chi era Zach, ma dal treno che la stava portando a Synt vedeva
il sole, un sfera luminosa dietro un velo quasi trasparente di nuvole.
Le aveva baciato la pelle quando era scesa e non doveva aver paura che
la sua guancia si aprisse in un piaga disgustosa e potenzialmente
degenerativa.
Synt le era sembrato il paradiso attraverso il quale
poteva camminare a viso scoperto, Josh un angelo e lei aveva annuito.
Nessuno l’avrebbe toccato senza il suo permesso.
Guardò Zach al di là del vetro,
correva su un tapis roulant con attaccati tutta una serie di sensori.
C’era davvero qualcosa che non andava, qualcosa di piccolo. Non
riusciva a spiegarlo, ma sentiva i “bip” dei sensori
cardiaci e il rumore dei passi sul tappetino…
Probabilmente aveva a che fare con quello che gli
aveva dato Romeo, forse aveva bisogno di smaltire qualsiasi porcheria
fossero quelle pillole. Forse no.
«Sei preoccupata.»
Guardò Nate, durante il viaggio aveva
scoperto che era sto lui ad insistere su Jean per venire e non il
contrario. «Il suo cuore ed i suoi passi sono scoordinati.»
più o meno, ma non avrebbe saputo spiegarglielo in modo migliore.
Lui fissò Zach. «Un sintomo di qualcosa?» continuò a chiedere.
Courtney scosse la testa. «Il novanta per
cento delle persone sono scoordinate.» rifletté.
«Anche tu lo sei.»
«Zach però no.»
Era indecisa, indecisa su dove iniziare a cercare;
il bello del corpo umano era che, quando qualcosa non funzionava come
avrebbe dovuto, mandava un’infinità di segnali. Solo che a
volte non era facile capire dove andare a guardare.
«Da quando ti interessa la medicina?» domandò sedendosi sul tavolo.
«Sto pensando di farmi una cultura da un po’.»
Jean era attaccata al vetro, intenta a mentire ai
dottori su quello che era successo il giorno prima. Confessare
“Improvvisamente si è trasformato in un Veggente”
avrebbe portato conseguenze poco piacevoli.
«Josh non era bravo come quando aveva
iniziato.» era bello avere qualcuno a cui esprimere i propri
dubbi e Nate era la persona migliore per quel ruolo: era razionale.
Si strinse nelle spalle. «Josh aveva ventisei anni era… beh, invecchiato.»
«Stronzate, il deterioramento cellulare inizia
a venticinque. È impossibile che fosse tanto rallentato in un
solo anno.» la sua mente percorreva sentieri sconosciuti a tutta
velocità, avrebbe voluto chiederle di aspettarla. Zach ne aveva
solo diciannove di anni, era giovane. Troppo giovane.
Nate la fissò finché lei non
spostò gli occhi su di lui. «Court, Josh aveva…
beh… anche un altro problemino.»
Beveva. Beveva e poi litigava con Jean, li aveva
sentiti, sospettava che tutti lo avessero fatto, ma c’era una
specie di tacito accordo per cui non se ne parlava. Come c’era
stato un tacito accordo per le circostanze della sua morte. I
funzionari dell’ADP li avevano interrogati separatamente, avevano
chiesto ad ognuno cosa credevano fosse successo. La risposta era stata
unanime: Romeo deve averlo plagiato ed indotto al suicidio. Era quello
che avrebbero dovuto credere tutti.
«Comunque, da qualche parte ci sarà una cartellina con il suo nome.»
Per questo aveva rubato i documenti
dell’autopsia di Joshua Lanter ed ogni sua altra documentazione
medica, nessuno avrebbe dovuto conoscere il tasso alcolico nel suo
sangue se non lei. Josh doveva essere un eroe e nessuno avrebbe potuto
fare niente per tirarle quella percentuale fuori dalla bocca. In un
modo o nell’altro era comunque stato Romeo ad ucciderlo.
Ma non ci sarebbe riuscito anche con Zach.
«Sotto il mio letto.» incastrata tra le doghe di legno e il materasso.
«Cosa?» domandò Nate senza capire.
Courtney lo fissò negli occhi, oltre il vetro
degli occhiali. «La cartellina con il suo nome, è sotto il
mio letto.»
Fu il rumore della porta che veniva aperta a svegliarmi. Socchiusi gli
occhi e guardai Zach sulla soglia, era ancora un po’ pallido, ma
era in piedi, mi sembrava un grande progresso rispetto alla sera prima.
«Scusa.» mormorò.
Avevo dormito nel suo letto, ma la cosa era stata
molto meno romantica di quanto sembrasse. Al decimo sbadiglio mi aveva
detto di andare a dormire, io non mi ero mossa, ma non avevo avuto
nemmeno il coraggio di dirgli che non volevo lasciarlo. Era così
bello stare buona, buona vicina a lui e parlare, non importava se
soltanto in amicizia. “Almeno va nel mio. Tanto io resto
qui”. Non mi aveva visto sorridere, ma io ero stata davvero
eccitata all’idea che non mi avesse cacciata con più
insistenza.
«Che ore sono?» chiesi dopo uno sbadiglio.
Lui raggiunse il letto e gattonò fino a
sedersi sul cuscino accanto al mio. «Le dieci e mezza, è
presto.»
Sbattei le palpebre e mi tirai a sedere, avevo fame
e voglia di caffè. Mi chiesi se Lynn sarebbe stata disposta ad
accompagnarmi di nuovo in quella caffetteria così carina, a
mangiare cappuccini e ciambelle. Per un attimo mi concessi di sognare
che mi ci portasse Zach… subito dopo cercai di pensare a come
raggiungerlo da sola.
«Come stai?» domandai.
«Ho una fame che mi mangerei anche
Romeo.» confessò dopo un po’ e mi guardò.
«Preparati, recuperiamo Lynn e Matt e andiamo a fare una
colazione vera.» si stiracchiò.
«Nate?»
Lui sollevò le sopracciglia e mi
lanciò un’occhiata insinuante. «Confabula con quella
di cui non chiedi mai.»
Arrossii ed abbassai lo sguardo. «Beh, se
fosse un po’ più carina con me…» lasciai la
frase in sospeso, mentre perfino io mi chiedevo se fosse vero. Avrei
sopportato la sua bugia a Zach ed il fatto che lui le volesse ancora
molto – moltissimo – bene? Avrei sopportato la gelosia?
Magari avrei cercato di riappacificarli?
Sospirai: no, probabilmente io e Courtney non saremmo andate d’accordo in questa vita.
«Non trattarla male.»
Stavolta fui io a regalargli un’occhiata sarcastica: io la trattavo male?!
«Lei non è cattiva.»
abbassò lo sguardo e scosse la testa. «Si sente
responsabile per me. Sono io il motivo per cui è tanto
isterica.»
Lasciai andare un altro lunghissimo sospiro,
l’ultima cosa che volevo era mettermi a discutere con Zach di
Courtney e magari nella foga della litigata – perché
sapevo che nel caso sarebbe stata un grande litigata –
spifferargli i suoi rendez-vous segreti con Jared. Forse se lo
meritava, ma iniziavo a sentirmi persuasa dal discorso di Lynn: Zach
non doveva sapere dalla mia bocca quello che stava succedendo.
«Non si parlava di caffè?» chiesi per cambiare argomento e mi alzai.
Mi guardò per un po’, poi annuì. «Si, parlavamo di caffè.»
Lynn sembrava non aver dormito molto la notte prima, ma non le chiesi
niente. Trattandosi di lei forse era soltanto rimasta più
sveglia del solito con Nate, la cosa strana però era che Matt
fosse silenzioso.
Matt silenzioso poteva essere preoccupante. Ero
seduta con lui sul sedile posteriore perciò gli diedi una
gomitata.
«Che hai?» domandai.
«Niente.» assicurò scuotendo la
testa, diede un calcio al sedile anteriore di Zach. «Passiamo
anche dal ferramenta?»
Lui cercò il suo sguardo nello specchietto retrovisore. «Che costruisci?» gli chiese.
Matt sbadigliò. «Un tostapane.»
«Jean ha detto di no.»
«Anche a Jean piace il pane tostato, come a tutti.»
Zach mugugnò. «Non si può, deve
avere diciotto anni, fare un corso, avere un autorizzazione.»
Li scrutai con attenzione, ero io l’unica che
non aveva ancora compiuto diciotto anni, di cosa stavano parlando?
«Quanto sei gay quando parli di autorizzazioni e corsi.» sbuffò Matt.
Lynn rise e si voltò a guardarlo.
«Zach, pasticcino, sii comprensivo.» supplicò con
un’occhiata eloquente al mio vicino di posto. «È
così tanto tempo che non vede la sua piccina.»
Continuarono a fissarsi per pochi secondi.
«Già, chi ti veniva a prendere a casa di Lindsey di
nascosto, quando dormivi da lei, ingrato Zachy?»
Zach tenne gli occhi fermi sulla strada per un bel
po’. «Che palle.» acconsentì con un sospiro,
svoltando a destra subito dopo.
La ferramenta di cui parlava Matt era nella Synt
esterna, un capannone molto spartano con davanti parcheggiate diverse
macchine. Dentro c’era odore di ferro e tutto aveva l’aria
di essere sporco e pesante. Sorprendentemente dall’altra parte
del bancone, che divideva la zona clienti da file e file di scaffali,
c’era una ragazza.
«Ciao, Rose!» fece Matt alzando la mano.
Lei arrossì. «M-Matt! Io…»
fece cadere il resto che stava consegnando ad un signore.
«Io… tu… scusi.» arrossì di
più. «Co-come mai sei qui?»
La studiai, rimanendo leggermente in disparte, e
lanciai un’occhiata interrogativa a Lynn. «Ti presento Rose
Kurtoskij, quindici anni, innamorata persa di Matt da due.»
Matt le si avvicinò come se non si fosse
nemmeno accorto di averla fatta arrossire, né che vederlo la
avesse fatta diventare tanto goffa. Era buffo perché lei era
molto più carina di lui: aveva gli occhi grandi e blu, un
adorabile nasino all’insù, i capelli castani raccolti in
una coda di cavallo e… la scrutai con più attenzione:
dov’era, che l’avevo già vista?
«La conosco?» chiesi a Lynn.
«No.» rispose Zach al suo posto. «Sta praticamente sempre qui.»
Tornai a guardarla, stava chiedendo a Matt, balbettando, cosa gli servisse.
«Devo costruire un tostapane.» spiegò.
Lei sollevò le sopracciglia scettica, come
era stato Zach e come ero sicura fosse anche Lynn, ma sorrise e si fece
indietro mentre Matt saltava dall’altra parte del bancone ed
insieme si addentravano tra gli scaffali. Mi sfuggì un sorriso
osservandola infilare le mani in tasca imbarazzata ed indovinando tutto
quello che poteva stargli raccontando Matt.
«Stanno insieme?» domandai ancora a Lynn.
Scosse la testa. «Aspettano che lei compia sedici anni.»
«Perché?»
Sbadigliò. «Perché Matt è
un bravo ragazzo ed ha un’idea molto precisa su cosa sia o non
sia opportuno per una ragazza…» guardò di sbieco
Zach. «A differenza di qualcun altro che non si fa problemi a
cogliere i fiori delle fanciulle ad appena quindici anni.»
Lui sbuffò. «A parte che
“cogliere fiori” è atroce.» commentò
sgranando gli occhi. «Quindici lei, diciassette io, Lynn, eravamo
praticamente coetanei.»
«Lynn, raccontami di questa Lindsey.» mi
arresi a chiedere. Non mi piaceva essere quella impicciona e non volevo
nemmeno dare l’idea di essere tanto interessata alle ex di Zach,
ma questa Lindsey veniva nominata spesso, ero curiosa.
Lei mi prese a braccetto guidandomi verso
l’esterno fino a farmi sedere su uno scalino all’ingresso,
il sole scaldava anche se era nascosto dietro i fumi di scarico.
Improvvisamente mi resi conto di quanto mi mancasse il sole vero,
quello dal quale cercavo di proteggermi con la crema solare:
quel’imitazione pallida ed evanescente non avrebbe mai potuto
scottarmi.
Zach ci seguì attento ed ero sicura che lo
facesse per sentire cosa mi avrebbe raccontato la mia amica.
«Oh, lei era un tesoro.» iniziò.
«Era carina, dolce, brava a scuola, cucinava. Un ragazza piena di
virtù. L’unico che poteva mandare tutto a monte con lei
era Zach.»
«Grazie tante, Lynn.» commentò
ironico. Rimase dietro di noi, appoggiato con una spalla al muro.
«È la verità.»
«Come vi siete conosciuti?» chiesi
sostenendomi sulle braccia e tirando indietro la testa,lo vedevo a
testa in giù.
«Mi sono infilato nella sua cameretta durante una ronda, per nascondermi.»
Sollevai le sopracciglia sorpresa.
«Wow.» immaginai me, se mi fossi trovata Zach in cameretta
prima di diventare una Vegliante: un bello shock.
Lui sorrise ai suoi ricordi. «È stata
forte: mi ha nascosto dai Veggenti, dai suoi genitori e mi ha fatto
uscire quando le acque si sono calmate.»
Lynn si strinse nelle spalle. «Te l’ho detto che era un tesoro.»
«Perché è finita?»
Lui mi guardò come se i propri ricordi lo
avessero appena abbandonato sul ciglio della strada della vita, solo.
«Courtney.» disse semplicemente. Assurdo come il suo solo
nome spiegasse tante cose, come lei avesse cambiato così
prepotentemente la sua esistenza. E come comunque non ci fosse traccia
di odio nella sua voce.
Beh, lui non sapeva di Jared.
«E allora, cosa sono quei musi lunghi?» ci domandò Matt raggiungendoci carico di pacchi.
Zach gli lanciò appena un’occhiata.
«”Mirino termico”.» lesse su una delle scatole.
«Sarà un super tostapane.»
Annuì convinto. «Voglio che sappia tirarci il pane tostato una volta cotto, problemi?»
«Anche al buio?» continuò sarcastico.
«Metti che ci va un toast di notte?»
Zach scosse la testa scoraggiato. «Muoviti, ti do una mano.»
«Che costruisce Matt?» domandai a Lynn con gli occhi su di loro ed i pezzi che trasportavano.
Rise e mi guardò divertita. «Un regalo per te.»
«Che ci fai qui?» domandò Dawn Dandley sorprendendo Romeo nella propria casa. «Di giorno poi.»
Era seduto sulla brandina nella stanza di Connor, i
capelli rossi nascosti sotto il cappuccio di una felpa troppo grande.
«Non so che fare.» disse semplicemente, come se fosse un
fattore irrilevante. «Il trasporto sarà una tragedia,
l’ho visto e speravo di smussare gli angoli, ma il deficiente mi
ha reso cieco. Dimmelo tu, cosa fare, li stermino? Li lascio stare?
Regaliamo all’ADP diecimila partite di Mitronio? Ce li affoghiamo
dentro? Chi sacrifichiamo, Dawn? Scegli tu.»
La donna sospirò e si sedette accanto a lui.
«Sarà così terribile?» domandò
paziente.
«Potrebbe mandare a monte anni di lavoro,
probabilmente uno di loro morirà.» spiegò pratico.
Fece per parlare, ma lui la precedette.
«Se stai per chiedermi chi, risparmiatelo, non lo so.»
Dawn Dandely gli scostò un braccio e gli
sollevò la felpa. Non era una ferita profonda, era stata pulita,
medicata e fasciata, se non fosse stato per il Mitronio si sarebbe
già rimarginata. «Stai bene?»
«È come tutti gli altri Veglianti.»
«Non lo pensi davvero.»
«Non capirà mai.»
«Gridaglielo più forte.»
Per alcuni secondi rimase zitto.
«Ryan piange.» borbottò.
«Ha paura.» posò una mano sul suo
braccio, mentre cercava sul suo viso una traccia del ragazzo che era
stato; ma si era perso tra i lineamenti del mostro di cui avevano
bisogno. Avrebbe potuto avere una vita normale, si sarebbe potuto
nascondere, aveva scelto di combattere.
«Vorrei fare qualcosa per lei.» si
infilò le mani tra i capelli. «Vorrei ucciderlo.»
mugugnò. «Seriamente, oggi vorrei davvero farlo
fuori.»
Dawn rise. «Hai fame?»
«Ti pare il momento?»
«Devi riprenderti, devi recuperare le forze. Si, mi sembra il momento.»
«Prima o poi potrò ucciderlo?» chiese speranzoso. «Ti prego, dimmi di si.»
Dawn rise ignorandolo.
Nate sfogliò le pagine del rapporto di autopsia di Josh
velocemente. Anche se era estraneo al mondo medico, ogni numero
esageratamente alto di valori lo colpì, incastrandosi in
profondità nella sua coscienza.
«Ma quanto aveva bevuto?!» chiese incredulo.
Courtney non rispose, rimase a braccia conserte a
guardare fuori dalla propria finestra senza balcone, con i vetri
antiproiettili. Ormai Synt non le sembrava più un paradiso da
tanto tempo.
Nate chiuse la cartellina e la posò sul suo
letto, studiandola come fosse una bomba. «Potrebbe essere
successo di tutto su quel tetto, Court. Potrebbe essere scivolato.
Potrebbe non essere colpa di Romeo.»
«Potrebbe.» concesse. «Ma Jean giura di averlo visto lasciarsi cadere.»
«Perché l’hai nascosto?»
Lo guardò. «Perché avrebbero
fatto della sua morte l’incidente di un alcolizzato.» fece
alcuni passi fino a sedersi accanto al rapporto, l’ultimo segreto
di Joshua Lanter, il segreto che l’avrebbe trasformato da eroe a
miserabile. «Nessuno si sarebbe chiesto perché un ragazzo
di ventisei anni si era ridotto in quel modo, nessuno avrebbe pensato
che c’era qualcosa di profondamente sbagliato se un ragazzo di
ventisei anni si riduceva in quel modo. L’unica cosa su cui
avrebbero indagato sarebbe stata la negligenza di una
Responsabile.» tornò con gli occhi su di lui
supplichevole. «Nate, Josh era quello che ci consolava quando
eravamo tristi, che sorrideva quando tornavamo a casa esausti, ma vivi.
Che si divertiva un mondo quando Jean rimproverava Zach per
l’ennesimo follia semisuicida.» si fermò e
deglutì, sopraffatta.
Nate la guardò con apprensione, Courtney era
una statua di ghiaccio, era controllata, razionale, ferma; si
sentì in colpa per non avere usato abbastanza tatto, quando la
vide strapparsi via una lacrima da sotto gli occhi, prima ancora che le
raggiungesse una guancia.
«Perché soffriva così tanto? Te
lo sei chiesto? Io si, sempre, tutte le volte che lo sentivo
inveire contro Jean.» tirò su con il naso.
«Nascondevo la testa sotto il cuscino, cercavo di non ascoltare,
ma era lì e tutte le volte c’era la stessa
frase…»
Non la disse, la conoscevano tutti, ma non la
dicevano mai: “Hai fatto di me un mostro!”. Se era vero,
Jean aveva fatto di tutti loro dei mostri.
Nate si sedette accanto a lei, avrebbe voluto farle
una carezza consolarla, ma Courtney non avrebbe apprezzato, si sarebbe
sentita debole e probabilmente l’avrebbe odiato per questo. Lui
le voleva bene, anche se spesso era cattiva: era soltanto il suo modo
per non cadere a pezzi. «Ti ricordi quando è
tornato?»
Courtney annuì, era un ricordo piacevole, dolce quasi quanto una carezza.
Josh era tornato dal rapimento di Romeo a piedi,
sano, sorridente. All’inizio li aveva ignorati, era andato ad
abbracciare Jean, ad occhi chiusi; lei lo aveva stretto a sua volta,
gli aveva baciato una guancia con affetto. “Bentornato a
casa”, aveva annunciato a tutti.
Per qualche tempo era andato tutto bene, Josh era
tornato tranquillo come sempre, anche più di prima. Passava
tantissimo tempo con Jean, sia di giorno che di notte; si meravigliava
della prodezza nelle arti marziali di Lynn, una bambolina zuccherosa
che aveva studiato Aikido per far contenta la mamma; provava le armi
che costruiva Matt, insegnava a Zach ad essere un caposquadra.
Poi era arrivato l’allarme da Los Angeles, da
Wood: delle intercettazioni davano per certo il rapimento di un bambino
di Synt, per pagare il debito di sangue con il Veggente ucciso da Zach
mesi prima.
C’erano state le avvisaglie di una ricaduta,
nessuno aveva voluto vederle, nemmeno quando Josh si era rifiutato di
partecipare alla missione di salvataggio. Era stata dura, ma ce
l’avevano fatta, lui però non si era complimentato con
nessuno, si era chiuso nella propria stanza: lui, il poster di Romeo e
bottiglie su bottiglie.
Finché alla fine…
Nate ora capiva perché Courtney avesse
nascosto quei documenti: paura. Paura che qualsiasi cosa potesse aver
spinto al suicidio Josh potesse farlo anche con lei. Paura che
inconsapevolmente stessero facendo qualcosa di terribilmente sbagliato.
Paura che il suicidio di Josh fosse giusto.
«Prima o poi dovremo scoprire cosa cercava di affogare nell’alcol, Court.»
«Prima o poi.» promise lei.
La ronda fu tranquilla e mi leccai le ferite – più
psicologiche che fisiche – di un allenamento con Lynn: essendo la
peggior allieva che ricordasse, stava cercando di insegnarmi almeno
come parare qualche colpo. Con risultati ancora meno incoraggianti dei
precedenti.
«La tua unica speranza è il tostapane
di Matt.» aveva commentato mentre ci alternavamo tra doccia e
phon.
Nate passò buona parte della serata in
religioso silenzio, chino sul pc a studiare. Io recuperai il file di
uno dei romanzi rosa di Lynn e lo lessi dal suo smart-table. Se tutte
le serate fossero state tanto piatte, forse avrei preferito uscire.
La noia mi aveva resa assonnata per questo al loro
rientro, mi limitai ad un saluto veloce e mi diressi nella mia stanza.
Feci un cenno di saluto al poster di Romeo, poi mi avvicinai alla
finestra curiosa. A Synt non c’erano stelle, i fumi di scarico
delle fabbriche non facevano passare la loro debolissima luce. Non
avevo mai pensato quanto potesse mancarmi il cielo di casa mia.
Abbassai lo sguardo e mi trovai a fissare il puntino
rosso della sigaretta di Zach: oh, che modo stupido di farsi ammazzare!
Uscii dalla mia camera e scesi di sotto risoluta, il
portello del garage era chiuso a metà e mi abbassai per passare
dall’altra parte.
Zach era appoggiato al muro, tranquillo.
Mi strinsi le braccia addosso, faceva un cavolo di
freddo, cosa che mi fece realizzare quanto pessima fosse stata
l’idea di essere risoluta in pigiama, senza giacca.
«Ciao.» mi salutò vagamente sorpreso.
«Sai, che quel puntino rosso sarebbe un ottimo bersaglio se qualcuno volesse spararti in testa?»
Zach rise, lasciando andare il fumo a sbuffi
irregolari, e si strinse nelle spalle. «Eppure ancora non
è successo.»
«Non c’è niente da ridere, Romeo vuole ucciderti.»
«Lo so.» disse semplicemente.
«Incentivarlo ti sembra una buona idea?» chiesi.
Mi afferrò il braccio e mi tirò
vicina, ma prima che potessi sognare o arrossire, mi posizionò
proprio davanti a lui; per qualche secondo pensai che volesse usarmi
come scudo umano, poi lo vidi, un altro puntino rosso lontano ed in
alto.
«Quello è…»
«Romeo.»
Lo fissai, mi vedeva?
«Fumiamo insieme, il momento della sigaretta
è sacro per entrambi. A volte lui lo viola, ma non credo che mi
ucciderebbe proprio in questo momento.»
Sbuffai. «Avete un sacco in comune, dovreste uscire insieme.» sbottai sarcastica.
Lui ridacchiò alle mie spalle e mi
appoggiò le mani alla base del collo, erano gelide e mi fecero
rabbrividire per vari motivi diversi. «Pizzichi stasera, è
successo qualcosa mentre eravamo fuori?» mi domandò
curioso.
«Voglio uscire.» affermai con decisione,
lanciandogli un’occhiata, prima ancora di realizzare cosa stavo
dicendo. Volevo uscire? Ma era una follia! E da quando poi? Solo
perché una serata era stata noiosa?
Le mani di Zach scivolarono verso le mie braccia e
le strofinarono piano. «Dopo il trasporto iniziamo a portarti
fuori, promesso.» mi tranquillizzò senza sorpresa, come se
si aspettasse che prima o poi me ne sarei uscita con quell’idea
folle. «Prima però lasciamo sfogare questa tempesta, che
ne dici?»
Mi voltai e lo guardai spegnere la sigaretta contro
il muro, ero molto vicina e, da come mi guardò quando si
girò di nuovo verso di me, immaginai che lo sapesse anche lui.
Zach odorava sempre di un sacco di cose, dalla nicotina al ferro del
proprio coltello, ma quello che io sentivo sempre più di tutti
era profumo di ragazzo.
«Andiamo a letto?»
Annuii e lui mi passò un braccio intorno alle
spalle, dandomi una strizzata. «La mia cheerleader
impaziente.»
Sorrisi arrossendo. «Sei di buon umore.» realizzai più serena.
«Potevo morire ieri e sono vivo, mi sembra un buon motivo per essere allegro.» mi spiegò.
Si avvicinò al garage per chiuderlo
definitivamente ed io guardai una foto appesa al muro che ancora non
avevo notato: tutti i Veglianti di Synt, rilassati, contenti. Zach era
dietro di Courtney, appoggiato a lei, che sorrideva carinissima e
dolce; Nate e Lynn erano lontani, ma lui la guardava comunque, forse
non stavano ancora insieme; Josh era a braccetto con Jean ed anche se
sapevo che guardava lobbiettivo, sembrava proprio che fissasse
me.
«Credi che gli sarei piaciuta?» domandai
a Zach. Avrei voluto conoscere Josh. Era un desiderio irrazionale e
sciocco, ma allo stesso tempo era un bisogno profondo.
Lui mi raggiunse e come me, guardò la foto.
«A Josh?» sorrise. «Una ragazza che sa sparare come
te l’avrebbe sovraeccitato, avresti dovuto esserci la prima volta
che Lynn l’ha mandato al tappeto.»
Lo guardai. «Una storia allegra?» chiesi, mentre ci incamminavamo verso l’ascensore.
«Si.»
«Me la racconti?»
Sbadigliò. «Sono stanchissimo.»
confidò dispiaciuto, mentre premeva il tasto per salire.
«Oh, scusa, non volevo.» sciocca
egocentrica, Becky. Mio malgrado, stavo diventando la ragazza con la
cotta più grande e difficile da gestire del mondo. Taylor
avrebbe puntualizzato e definito la mia fase con aggettivi e
spiegazioni, io sapevo solo che, quando gli ero vicina, soprattutto se
eravamo soli, mi era difficile, insopportabile, allontanarmi. Penoso.
«Dormi di nuovo da me.» propose.
Io sgranai gli occhi come un pesciolino rosso in
acquario, che vede la padrona cucinare tonno per cena. Immaginavo di
essere anche dello stesso colore.
«C’è un brandina sotto il mio
letto, la montiamo, io dormo lì, tu nel mio letto, e
finché non mi addormento ti racconto le cazzate di Josh.»
mi lanciò un’occhiata e mi tornò in mente ogni
descrizione del romanzo rosa di Lynn. Come lo avrei definito?
Provocante.
«Ti sembra un buon compromesso?» lui era tranquillo, per lui era una proposta innocua.
A me sembrava un compromesso imbarazzante, affatto
innocuo, che surriscaldava il mio povero cuoricino. «Dobbiamo
dirlo a Jean.» farfugliai.
«Dobbiamo dire a Jean se facciamo
sesso.» scrollò le spalle. «Che le importa dove
dormi?»
Non risposi, l’ascensore si aprì e ci
incamminammo per il corridoio, Zach si fermò davanti alla sua
porta e mi guardò. «Allora, che vuoi fare?»
aprì la porta ed aspettò.
Mi morsi il labbro tentata, lanciando occhiate
alternate alla porta della mia stanza e della sua. Cosa avrebbe fatto
Taylor? Sorrisi, poi mandai al diavolo ogni incertezza ed entrai.
tirate di nuovo fuori il blocco degli appunti.
no, aspettate, ditemi che Josh che precipita appena Courtney e Zach si
sono baciati è, tragicamente, una bella scena... ne sono davvero
molto orgogliosa. do il meglio di me nelle cose terribile, c'è
da pensarci.
comunque dicevamo... Lamponella, tira fuori il blocco degli appunti!
Zach che è scoordinato... fondamentale.
Rose Kurtoskij, per l'amore del cielo, non cedete alla tentazione di
pensare che sia solo una pucciottina messa lì! teneri
però lei e Matt, vero?
obviously, tutto quello che Nate e Courtney ricordano di Josh... la
storia è un po' diversa da come pensavate, vero? beh, non
è che una persona si butta da un grattacielo random, avrà
avuto delle buone ragioni.
ne aveva... si, ne aveva... prima o poi lo capirete anche voi.
avete notato che quella furbetta di Dawn Dandley non è così pazza
quando parla con Romeo... e ricordate che lui è un Veggente,
quindi ci sono ottime probabilità che qualcuno ci lasci le penne
o si faccia male.
ed anche se capisco il vostro tormento - e lo capisco profondamente,
intimamente, è anche il mio - Becky e Zach dormono in letti
separati, perchè sono cucciolosi, e tenerosi e per il resto ci
sarà tempo... uh! se ci sarà...
vi voglio preannunciare che se i miei calcoli sono esatti mi ci vorrà
un po' per scrivere il prossimo capitolo per 2 motivi fondamentali:
motivo numero 1, è il momento topico, un sacco di Veggenti
Veglianti e tragedie, quindi prima di scriverlo dovrò fare i
disegnini e costruire un palstico di Synt; motivo numero 2, il capitolo
11 sarà strettamente correlato al capitolo numero 12, sono
capitoli enormi che però vanno scritti insieme.
quindi, abbiate un po' di pazienza, mie care lettrucciole.
se vi va fatemi sapere che ne pensate!
baci
ps. si, quando ho iniziato la storia già sapevo che Josh beve e che Courtney era stronza per necessità.
pps. se volete seguire in diretta lo svolgimento dei Work in progress: Lamponella.
|
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Capitolo 12 *** 11. Non andare ***
Mitrono
fragolottina's time
buongiorno care lettrucciole.
dunque questo capitolo l'ho odiato, ma un odio vero, intenso ed
autentico, fino a tipo, due giorni fa, quando improvvisamente si
è trasformato da "capitolo insensato ed in basso nella
classifica dei capitoli - in testa c'è "Il soldato perfetto", ma
che ve lo dico a fare, lì Zach da il meglio di se - a capitolo
topico, perchè c'è una parte cruciale o per lo meno very
important nello sviluppo del rapporto tra Zach e Becky...
il bacio? ma no che dite, siamo lontane anni luce da ogni possibile
contatto intimo... beh, ok, un po' meno... ma questo non vuol dire che
non ci possiamo divertire.
è fondalmente un capitolo di aggiustamento, che mette le basi
per quello che succederà in futuro, mette un sacco di basi...
ci vediamo più giù!
11. Non andare
Jean si sedette sulla brandina dove dormiva Zach e lo scrollò
per una spalla. Lui mugugnò e si girò su un fianco,
cercando di escludere l’elemento di fastidio dal suo sonno. Come
se potesse essere così facile.
«Zach, svegliati!» bisbigliò.
«Che c’è?» biascicò senza rigirarsi.
Guardò il fagotto addormentato nel suo letto.
«Hai fatto sesso con la ragazzina senza dirmi niente?» gli
diede un pizzicotto e lui balzò a sedere, fissandola con odio e
massaggiandosi il braccio. «Allora?»
«Ma ti pare che ci scopo e poi dormo da
un’altra parte?!» sbottò indispettito, sempre a voce
ridicolmente bassa.
«Magari per paura di essere scoperti da me…» insinuò lei.
«A-ah. Ma che mi frega se lo sai! Nate e Lynn li sentiamo tutti, pensi che sia timido?!»
La Responsabile lo fissò in cerca di eventuali tracce di menzogna, ma non ce n’erano.
«Se mi hai svegliato solo per questo non
sarò di buon umore domani mattina.» la minacciò.
Lei scosse la testa annoiata. «È
già mattina.» sospirò. «Vestiti e svegliala,
in questo ordine, stanno arrivando i rinforzi!»
«Di già?»
Annuì. «Zach, ho bisogno di farti una domanda ed ho bisogno che tu risponda sinceramente.»
Lui la osservò più serio e fece di sì con la testa.
«La squadra che arriverà non ha mai
avuto contatti né con tuo padre né con tuo fratello, ho
parlato con il capo, sembra una persona apposto.» sospirò.
«Però sono comunque soldati. Riesci a lavorare con loro
come se fossero la tua squadra?»
«Posso provarci.» concesse.
«È già qualcosa.» fece per
alzarsi, ma si fermò. «Zach, tu ti sei accorto, vero, che
la ragazzina ha una cotta per te?»
Lui la guardò addormentata nel suo letto. «Si.» ammise.
«Cerca di tenerlo a mente, d’accordo?»
Lo stava già facendo.
La prima cosa che vidi aprendo gli occhi fu la schiena di Zach davanti
a me, sotto una t-shirt nera, scomparve in fretta sostituita dalla sua
giacca verde. Mi tirai su a sedere e mi lisciai i capelli dietro le
orecchie, sbadigliai. Lui si voltò e mi lanciò
un’occhiata, aveva anche i pantaloni neri.
Non era presto per la tenuta da battaglia? Non potevo aver dormito così tanto.
«Che succede?» chiesi con voce roca per poi schiarirmela subito dopo.
«Dobbiamo accogliere gli uomini dell’esercito, ricordi? Te ne avevo parlato.»
Ci pensai ed aggrottai le sopracciglia. «Nessuno mi aveva detto che sarebbero arrivati oggi.»
Scrollò le spalle e mi lanciò appena
un’occhiata, sembrava in difficoltà. «Dovevano
venire domani, il trasporto è domani, ma a quanto pare
preferivano essere qui con un giorno d’anticipo per impostare una
tattica precisa.»
«Oh.» commentai debolmente, non so
perché ma mi sembrava strano. Come riguardare un film e scoprire
che era completamente diverso da come lo ricordavo.
«Devi andarti a vestire anche tu.» mi
disse rigido. «Ed i capelli.» continuò studiandoli.
«Devi tirarli su, non devono coprire il colletto.»
Mi chiesi se mia madre fosse stata tanto previdente da mettermi in valigia anche forcine ed elastici.
«Se ti serve fatti aiutare da Court.»
Scivolai fuori dal letto ed infilai i piedi nelle
mie scarpe slacciate. «Ce la farò da me.»
Con la coda dell’occhio vidi un sorriso di scherno sulle sue labbra.
Attraversai la sua camera, ma mi fermai con una mano sul pomello della porta. «Zach?»
«Nh?»
«Andrà tutto bene, vero?»
Lui rimase in silenzio per alcuni secondi, fermo,
poi sospirò. «Ma si, non preoccuparti, cheerleader.»
rise. «Ma la caverò anche senza di te che mi salvi.»
«Ok.»
«Tu resta qui.» mi ordinò di
nuovo e capii che forse non era così sicuro che le cose
andassero bene.
Non ci misi tanto ad infilarmi la divisa, ma per trovare il coraggio di
uscire dalla mia camera vestita di tutto punto me ne servì
molto. Mi metteva a disagio farmi vedere dagli altri così, era
la prima volta che mi vestivo davvero da Vegliante e sarei stata
presentata come tale all’esercito… ed io non mi sentivo
proprio una Vegliante.
Così cercai di perdere più tempo
possibile alla ricerca di forcine che non c’erano, finché
infine fui costretta ad arrendermi; presi la giacca e mi avventurai in
bagno.
Dentro c’erano Courtney, Lynn e dieci beauty case che sospettavo essere dell’ultima.
«Ciao, Becky. Alzataccia, eh?»
Courtney mi studiò tutta, ero sicura che mi
trovasse ridicola, perché io ero la prima a sentirmi
così. Lei vestita da Vegliante sembrava la sexy protagonista di
un videogioco d’azione, io probabilmente soltanto una
“Becky a caccia di frutti”, dubitavo di essere in grado di
catturare qualcos’altro. Entrambe avevano i capelli raccolti.
«Già.»
«Serviti pure.» mi invitò Lynn,
abbracciando con un cenno della mano tutte le borsette da trucco sparse
in giro. Io avevo un mascara nella tasca interna della borsa e due
stick di burro cacao alla fragola, il mio make-up era tutto lì.
Courtney si spennellò una polverina rosa
antico sulle guancie. «Mascara, matita e rossetto rosa.» mi
disse. «E fard, se ti viene un attacco d’ansia davanti
all’esercito nessuno deve accorgersi che stai impallidendo.
Starò vicina a te, tu mi fai un cenno e ci congediamo con una
scusa che mi invento lì per lì, d’accordo?»
La osservai sorpresa che si stesse preoccupando per
me. «O-okay.» così sorpresa che mi sentii arrossire.
Ultimamente mi sa che arrossivo più spesso del solito, forse il
fard non mi serviva dopo tutto.
«Bene.» concluse. «Ti serve una mano con i capelli?»
Cincischiai mordendomi il labbro per qualche secondo. «Ancora non lo so.»
La vidi alzare gli occhi al cielo.
Lynn frugò in uno dei suoi beauty e mi
lasciò sul lavandino quello che aveva elencato Courtney.
«Divertitevi, vado a vedere se Nate ha fatto!» disse
frizzante, abbandonandomi con l’unica persona al mondo con la
quale sarei voluta rimanere sola.
Courtney non disse niente mentre prendevo il posto
di Lynn davanti allo specchio e recuperavo il mascara, nemmeno io avevo
molto di cui parlarle. Cioè volendo qualcosa avrei anche potuto
trovare, ma lei si era offerta di sistemarmi i capelli, quindi non
volevo essere io quella cattiva. Soprattutto perché Zach lo
avrebbe saputo.
Pescò una manciata di forcine dalla tasca e
si sistemò dietro di me iniziando a tirarmi indietro ciocca dopo
ciocca.
«Lo so che mi odi.» dissi ad occhi bassi.
Lei fece una mezza risata. «Oggi non è la giornata giusta per litigare.»
Cercai il suo sguardo sulle specchio, ma era troppo
concentrata sui miei capelli. «Perché?»
«L’esercito qui, vuol dire un rapporto
dettagliato al governo per raccontargli tutto quello che
facciamo.»
«Oh.» avrei dovuto arrivarci da me.
«Quindi niente svenimenti, niente attacchi di
panico, niente liti imbarazzanti e, davanti agli estranei, Jean si
chiama Responsabile Roberts e Zach ha sempre ragione. Domande?»
I miei capelli erano in ordine ora. Girai la testa a
destra e sinistra studiandomi la complicata crocchia che mi aveva
fissato sulla nuca.
«Grazie.»
«Non si sceglie la propria squadra.»
disse andando a lavarsi le mani, senza guardarmi. «Ma è la
propria squadra. È come la tua famiglia: la zia di tua madre non
la sopporti e tuo cugino è un poco di buono, ma li difendi da
chi non è dei vostri.»
Annuii.
«Avremo tempo per parlare.» concluse lasciando il bagno.
«I preparativi sono quasi finiti.»
Romeo si accese una sigaretta, aveva trovato
bizzarro che lui e Zach fumassero lo stesso tipo di tabacco. Il destino
era qualcosa di incomprensibile e potente, aveva disegni tutti suoi,
piano suoi, come il Dio che una volta veniva pregato in quella chiesa.
Nessuno andava nei boschi di Synt, le persone,
perfino i Veglianti, si sentivano al sicuro solo circondati da cemento.
Qualcuno in passato, una presentatrice forse, aveva ipotizzato che i
Veggenti, anzi, che il terribile capo dei Veggenti potesse nascondersi
sugli alberi nel bosco, come una scimmia.
Ma lui non era una scimmia ed ancora non era nemmeno il capo dei Veggenti.
Però gli avevano fatto venir voglia di fare
un giro e Dawn Dandley era stata pronta a consegnargli una torcia ed un
piede di porco. Quella donna lo sorprendeva sempre e sorprendere lui
non era affatto semplice.
Aveva trovato una chiesa diroccata.
Ryan l’aveva accompagnato, era nel suo momento
di infatuazione per il potere quindi lo seguiva ovunque. Aveva urlato
perché dentro c’era un serpente, che era scappato davanti
all’evidente inferiorità numerica, e Romeo aveva avuto il
presentimento che fossero troppo lontani dai sentieri, troppo inoltrati
nel fitto degli alberi, perché qualcuno sapesse
dell’esistenza di quel posto. Avevano controllato ogni
centimetro, avevano trovato una botola, sotto c’era tutta una
diramazione di cunicoli sotterranei.
Aveva avuto un’intuizione e si era documentato.
Tra gli architetti che avevano trasformato il
distretto industriale in una città, c’era stato qualcuno
che sposava la loro causa e che con anni di distanza, lo aveva visto
cercare un posto dove nascondersi, dove organizzarsi, dove diventare
l’unica e sola cura contro un’umanità spaventata da
un cambiamento inevitabile.
Paura, la più grande colpa dell’uomo.
Synt sarebbe diventata la sua città e quel
mondo apparteneva ai Veggenti, ché ne dicessero quelle stupide
autorità civili.
Percorsero ogni tunnel e scoprirono che scivolavano
sotto la città unendosi alle fogne, avrebbero portato un nuovo
ordine a Synt. Il suo. Gli altri lo avrebbero ascoltato. Lo aveva visto.
Anzi, lo aveva visto lei.
Era stata Dawn Dandley a dargli un nome nuovo, era
troppo presto per rivelare chi era veramente, non erano pronti.
«Chi è “Romeo”?» gli chiese quando glielo suggerì.
Lei sorrise. «Un eroe tragico, costretto a
diventare un assassino per amore.» gli aveva lanciato
un’occhiata, mentre imboccava il pranzo a Connor. «Ti calza
a pennello, non credi?»
Aveva fatto così tanto in quegli anni, vedere
andare tutto in malora per una bomba nel posto sbagliato sarebbe stato
insopportabile.
«Manca l’ultima cosa.»
Iago gli mise davanti due foto, Romeo non le
guardò nemmeno, sapeva cos’erano, ma non sapeva cosa
scegliere.
«Aspettiamo ancora un po’.»
Anche i Veglianti avevano un’etichetta.
L’esercito sarebbe stato accolto al piano
terra, Lynn mi aveva spiegato che era quello meno utilizzato
perché era il piano dedicato alla burocrazia, c’erano
altre stanze lì, dove venivano accolti eventuali visitatori o
controllori. Quel giorno gli aiuti mandati dal governo.
L’atrio della centrale era una sala enorme e
vuota, Jean ci fece disporre in fila dietro di lei e Zach, vicini ad un
passo davanti a noi.
L’esercito arrivò su due pullman grigio
scuro, intonato alle loro divise mimetiche sulla scala dei grigi. Ne
contai più di venti prima di confonderli. Erano piuttosto
giovani, non quanto noi, ma dubitavo che qualcuno di loro arrivasse ai
quarant’anni. Il capo era un uomo, era l’unico ad indossare
il completo borghese, come Jean, che figurava benissimo nel suo abito
da cerimonia, identico a quello che avevo anche io nell’armadio,
ma con una stella argentata fissata a sinistra sul cuore.
«Responsabile Roberts.» la salutò
il soldato, portandosi una mano alla fronte. «Io sono Martin
Jackson e questa è la mia squadra. Siamo ai vostri ordini.»
Non erano tutti soldati semplici, alcuni avevano a
tracolla dei fucili, c’erano una decina di cecchini.
Improvvisamente fui presa da una strana ansia e deglutii; Courtney,
rigida e perfetta accanto a me, allungò con discrezione una mano
e mi strinse il polso con due dita.
«I tuoi battiti stanno accelerando.» disse. «Vedi di calmarti.»
«Saremo lieti di lavorare con voi.» li salutò lei cortese, ma rigida.
«Lei è Sharon Sullivan, la mia
luogotenente.» presentò una ragazza dai capelli
così chiari da sembrare bianchi, se non le avessi visto gli
occhi marroni avrei pensato che fosse albina, ma evidentemente era
soltanto tinta.
Avrei dovuto prestarle attenzione probabilmente, ma
in quel momento notai che un ragazzo mi fissava. Uno di quelli con il
fucile a tracolla, come se mi conoscesse, aveva i capelli castano
chiaro e doveva avere sui venticinque anni, era uno dei più
giovani; mi fece un cenno con il capo e sorrise. Mi chiesi se in
qualche modo non fosse venuto a sapere cosa sapessi fare, perché
sembrava curioso di me.
«Lui è Zach Douquette e questa è la sua squadra.»
L’uomo in borghese ci studiò. «Sono tutti in servizio?» chiese.
Jean scosse la testa. «Soltanto cinque di cui uno non esce.»
Soffermò lo sguardo su ognuno di noi, prima
di tornare a lei. «Ho capito.» annuì attento, molto
concentrato.
«Seguiteci nel mio ufficio, vi mostro i dettagli dell’operazione.»
«Dopo di lei.»
Jean e Martin Jackson andarono avanti, mentre Zach e
Sharon Sullivan li seguivano parlottando. Per alcuni secondi Courtney
continuò a fissarli poi si rivolse a me.
«Ci sei, cheerleader?» mi chiese.
Io annuii.
«Quella bionda non mi piace.»
Lynn sospirò studiandosi con finta noncuranze
le unghie, quel giorno erano laccate di un viola lavanda.
«Strano.» osservò sarcastica. «Davvero
incredibile che non ti piaccia la donna che guardava Zach come se
volesse mangiarselo.»
Court sbatté le palpebre. «Non sei simpatica, Lynn, affatto.»
«Scommetti che se lo chiediamo a Becky risponde allo stesso modo? Vero, Becky?»
Il ragazzo che prima mi fissava stava ridendo con
alcuni suoi compagni, mi lanciò un’occhiata ed io spostai
di corsa lo sguardo. «Come?»
Lei sorrise intenerita studiandomi. «Carino.» commentò.
«Chi è carino?» chiese Matt curioso come sempre.
«Il ragazzo per cui Becky si sta prendendo una cotta.» le spiegò pratica.
«Ehi!» mi lamentai.
«Becky.» mi rimproverò Matt. «Pensavo che fossi innamorata di Zach.»
«Si!» sbottai esasperata, per mordermi
la lingua subito dopo. «Cioè… no! Non
c’è niente di vero in quello che dite.»
Nate strinse la mano di Lynn, mentre lei mi studiava
scettica, ma fu Courtney a parlare quasi annoiata dalla cosa.
«Qualcosa si.» disse solo.
«Già.» concordò Matt. «Fattelo dire da un’esperta.»
Alle sue spalle c’era Jared, ci ascoltava a
metà, ma sapevo che l’aveva sentito, lo capii da come
irrigidì la mascella. Se Courtney non avesse chiarito presto la
situazione sarebbe stato lui e non Romeo ad uccidere Zach.
Jean uscì dallo studio circa un’ora
dopo. Io e Matt avevamo finito per sederci appoggiati al muro e Nate ci
aveva prestato il suo palmare per giocare alla versione per Veglianti
di “Acchiappa la talpa”; invece del roditore, dai buchi
sullo schermo, sbucava la testa rossa e riccioluta di Romeo.
«Beh, quando uscirete di qui, potrete
dedicarvi al mercato dei videogame.» aveva commentato quando
l’avevo visto.
«Veglianti.» ci chiamò Jean e noi
ci alzammo. «Il signor Jackson ha chiesto che i propri uomini
potessero fare un giro della città prima di domani notte. Mi
sembra un’ottima idea, vi prego di accompagnarli mentre noi
rimaniamo qui.» spostò lo sguardo su Nate colpevole.
«Ok, avete bisogno di me.» concluse senza ascoltare altre spiegazioni.
«Lynn, Courtney, pensateci voi.»
«Si, Responsabile Roberts.» risposero in coro.
Lei le fissò stupita ed insieme turbata da
quella loro dimostrazione pubblica di obbedienza, ma non disse niente.
Aspettò che Nate la raggiungesse, poi si chiusero di nuovo nello
studio.
Sembravamo una classe di liceali in gita nella zona gialla di Synt.
Non tutti i soldati erano venuti, ma quelli presenti
erano rumorosi ed incredibilmente a loro agio. Non sapevo esattamente
perché, ma non sembravano spaventati. Forse essendosi arruolati
volontariamente nell’esercito, erano più disposti ad
accettare una morte prematura e con ogni probabilità violenta;
forse nel loro addestramento c’era uno speciale allenamento che
prevedeva il superamento della paura; forse erano soltanto più
grandi.
«Ehi.» richiamò la mia attenzione il ragazzo che mi aveva fissato quella mattina.
Lo guardai senza dire niente, aveva lasciato la
giacca, indossava solo una maglietta nera ed i pantaloni grigi
militari, ma aveva ancora il suo fucile a tracolla. Era così
tranquillo che non sembrava armato, camminava accanto a me con le mani
in tasca.
«Ehi.» decisi di ricambiare dopo un po’.
Mi sorrise. «Sembri piccolissima.» commentò. «Come ti chiami?»
Sospirai. «Non sono piccola come sembro e mi
chiamo Becky.» sbottai infastidita. Forse le persone – e
prima di tutto Zach –avrebbero dovuto smetterla di trattarmi come
una ragazzina. In una città dove venivano rapiti bambini io
potevo essere considerata un’anziana. «Ho diciassette
anni.»
Scoppiò ridere. «Sei una bambina.»
Incrociai le braccia sul petto piccata. «Se
fossi più alta non la penseresti così.» gli lanciai
un’occhiata di sbieco. «E comunque, tu non sei così
grande.»
Annuì. «No, hai ragione. Ho solo venticinque anni.»
Restai in silenzio a pensarci. Venticinque anni
nella mia situazione erano moltissimi. Non avevo idea di quanti
Veglianti riuscissero ad arrivare a quell’età ed era
disturbante pensare che quella che in esercito segnava più o
meno l’inizio della carriera militare, per i Veglianti
coincidesse con la fine. Venticinque anni, sopravvivi per altri due e
ti mandiamo a casa.
Come avrebbero fatto Jared o Zach ad andarsene lasciando Courtney qui?
«Comunque io mi chiamo Jamie.» mi disse porgendomi la mano.
Gliela strinsi debolmente, ancora presa dai miei pensieri.
«Ti faranno uscire domani?»
Scossi la testa. «Sono qui da troppo poco.»
Superammo un vicolo e mi fermai a guardarlo come se qualcuno mi avesse chiamato.
«Che c’è lì?» mi chiese.
Sbattei le palpebre stupita. «Non lo
so.» ammisi. Guardai verso il capo di quella squadra mista, Lynn
e Courtney spiegavano cose ad un gruppetto di soldati più
interessati degli altri alla missione, mentre Matt e Jared facevano
amicizia, anche se lui continuava a lanciare occhiate poco invitanti ai
soldati che parlavano con Courtney. Non volevo distogliere la loro
attenzione, soprattutto perché avrebbe significato attirare
quella di tutti su di me.
«Qualcosa non va?» mi domandò
Jamie, leggendo la mia inquietudine. Non doveva essere difficile.
Lo guardai, potevo fidarmi di lui?
Mi fissò per alcuni secondi. «Se vuoi
ti accompagno a controllare.» mi propose come se mi avesse letto
nel pensiero.
Lanciai di nuovo un’occhiata a Courtney, si
sarebbe arrabbiata da morire. «Grazie.» accettai.
Il vicolo era normale, sporco, con spazzatura
sfuggita al riciclo ammucchiata qui e lì, tetro, ma la strada
dall’altra parte era molto più agghiacciante: era deserta.
Non c’era niente, nessuno. Nemmeno un piccolo
rumore, come se fosse stata evacuata in gran fretta. I negozi che
sarebbero dovuti essere aperti avevano le grate abbassate, guardai
l’insegna della caffetteria dove ero stata, incredula: fino al
giorno prima quella via traboccava di persone, di vita. Era
impossibile, impensabile, che ora fosse così vuota.
Jamie si guardò intorno sempre con le mani in
tasca. «Il convoglio passerà di qui.» concluse, poi
rise. «Loro lo sanno prima di noi.»
Sentivo il cuore battermi nelle tempie, quei palazzi erano troppo alti, sembravano inghiottirmi.
«Ti senti bene?» mi domandò.
Annuii, ma non era vero. Sarebbe successo qualcosa
di brutto lì, qualcosa di molto brutto; appoggiai una mano al
muro ed un sudore gelido mi si addensò dietro la nuca, chiusi
gli occhi e respirai piano.
«Ragazzina, stai sbiancando!» esclamò Jamie raggiungendomi.
Aprii gli occhi sentendo nella testa la voce di
Courtney: “Niente svenimenti, niente attacchi di panico”.
Mi raddrizzai ed allontanai il braccio che mi stava porgendo. «Sto bene.» mentii.
Lui annuì, ma non cedette, prese la mia mano
e la passò sotto il suo braccio come un moderno gentleman,
vestito da soldato. «Chi?» mi domandò senza
guardarmi.
Lo guardai. «Come?»
Sorrise. «Per essere così turbata in
quella squadra deve esserci qualcuno a cui tieni molto.»
Mi morsi il labbro e deglutii ancora, in
realtà tenevo a tutti, ero sicura che una parte della mia
preoccupazione comprendeva perfino quella strega di Courtney, ma
c’era sempre e solo una persona che finiva per farsi più
male degli altri. «Zach.» confessai. Lo seguii di nuovo nel
vicolo, mi sentivo la testa leggera, il mondo era fuori di me e mi
coinvolgeva a metà.
«Lui ti piace?» mi chiese.
«Credo di si.» assurdo che non fossi in
grado di ammetterlo con nessuno se non con uno sconosciuto.
Sospirò. «Cercherò di badare a lui, ok?»
«Grazie.» lo guardai, era molto serio
ora, l’espressione del viso corrucciata.
«Perché?»
Lui scosse la testa cupo. «Perché sei così piccola.»
Jean si allontanò per rispondere al telefono, Zach e Nate la
osservarono bisbigliare di secondo in secondo meno tranquilla. Tanto
che quando tornò non fece nemmeno in tempo a sedersi.
«C’è qualche problema?» chiese Nate.
Sospirò e si passò una mano sulla
fronte, consapevole della reazione che avrebbero provocato le sue
parole. «Becky è sparita insieme ad un soldato.»
spiegò. «Lynn la sta cercando.»
«Becky cosa?!» sbottò Zach incredulo.
Sharon Sullivan scosse la testa annoiata. «Mi
faccia indovinare, è sparita con Jamie Ross?»
Jean la studiò. «Si.» rispose con circospezione.
Sharon Sullivan e Martin Jackson si guardarono, fu
l’uomo a parlare. «Sono davvero mortificato. Jamie è
molto giovane, certo, tutto questo è increscioso, ma le assicuro
che non è in pericolo.» spiegò, poi fece una
smorfia. «Tende a flirtare un po’ con le ragazze.»
«Becky ha diciassette anni!» ricordò loro Zach.
Sharon alzò gli occhi al cielo. «Oh, ti
prego, è una Vegliante. Non puoi considerarla come le ragazze
normali, i suoi diciassette anni sono almeno ventitre.»
Jean guardò Zach, si aspettava che ci
sarebbero stati problemi, ma quel tipo di problema non l’aveva
considerato. Insomma, quella ragazzina non era sembrata particolarmente
espansiva o audace, si, beh, aveva una cotta per Zach, ma era sempre
stata molto discreta. Impacciata come tutte le ragazzine, aveva dovuto
iniziare ad essere a suo agio con gli uomini proprio quel giorno?
Zach fissò Jean in attesa di
quell’ordine. Doveva darglielo, alla fine lei sospirò.
«Ok. Valla a cercare.»
«Aspetta, ti accompagno.» fece Sharon seguendolo.
«Zach, con calma!» gli gridò dietro, senza la minima speranza che la ascoltasse.
Nate si alzò tranquillo ed infilò il
palmare in tasca. «Vado a preparare il kit del pronto soccorso,
vero?» domandò alla Responsabile.
Lei si massaggiò le tempie. «Si, per favore.»
Io e Jamie ci eravamo fermati in un bar, sulla stessa via dalla quale
eravamo partiti e mi aveva comprato un succo di frutta; aveva insistito
che non c’era fretta e che sarebbe stato meglio che mi calmassi
prima che continuassimo il tour. Inizialmente ci eravamo seduti nel
locale, ma si era accorto di quanto fastidio mi dessero gli sguardi
delle persone così mi aveva portata via. Essere in mezzo agli
altri era diverso dall’essere una Vegliante, sola, in un bar: ero
quasi sicura che non sarei mai riuscita ad andarmene in giro tranquilla
senza che nessuno mi accompagnasse.
Avevamo finito per sederci sulle scale antincendio
di un palazzo in silenzio e tranquilli, finché Jamie non si
irrigidì, si alzò e si sfilò il fucile,
poggiandolo dietro di me.
«Non lasciarglielo prendere.» borbottò nervoso, ma in qualche modo divertito.
«Che succede?» chiesi allarmata.
Mi fece un cenno con il capo verso la strada. Seguii
la sua indicazione e mi trovai a fissare Zach rincorso da Sharon
Sullivan, evidentemente Courtney si era accorta che mi ero allontanata.
Mi aspettava una ramanzina niente male.
Sospirai e quando fu abbastanza vicino mi alzai. «Zach, sto bene.» lo tranquillizzai.
Lui però fissava il mio accompagnatore, poco
amichevole. «Tieni giù le mani dalla mia squadra se non
vuoi fare una brutta fine.» lo minacciò.
Jamie lanciò un’occhiata a Sharon che
ci aveva raggiunti con il fiatone, lo ricambiò colpevole.
«Ehm… gli abbiamo confessato il tuo vizio di
flirtare.» lo informò cercando di essere convincente.
Alzò gli occhi al cielo sconsolato e scosse
la testa, prima di tornare a lui. «Senti amico, non mi aveva
detto che steste insieme.»
«Non stiamo insieme.» puntualizzai.
«Zitta, tu.» mi ordinò Zach.
Lo fissai indispettita ed incrociai le braccia sul petto.
«Se lo avesse detto non mi sarei mai permesso di…»
«”Di” che cosa?» lo
interruppe Zach, in attesa che chiarisse la sua insinuazione. Il suo
umore era in caduta libera. «Ha diciassette anni, se l’hai
toccata…»
«Zach non è successo niente!» lo interruppi.
«Zachy, pasticcino.» richiamò un
voce familiare, mi voltai per accogliere Lynn con gratitudine.
«Stiamo per attaccare una rissa con l’esercito? Sai, che
non sta bene, no?» si avvicinò, mi prese per le spalle e
mi spinse davanti a lui. «Guardala: Becky sta bene, le hanno
anche pagato la merenda.»
«Perché sei sparita? Hai fatto preoccupare Courtney!» mi rimproverò.
Sbuffai, sapevo che la ramanzina sarebbe arrivata;
non era piacevole, ma era sempre meglio di una lite tra Zach ed un
soldato. «Dovevo vedere una cosa!» sbottai, ma poi abbassai
gli occhi. «E credo che dovresti vederla anche tu.» gli
dissi ignorando ogni altro suo discorso.
Non so se fu il mio tono o la mia espressione a
spostare la sua attenzione dalla mia scomparsa a quello che avevo
scoperto, ma quando mi guardò di nuovo era serio, più
calcolatore e meno infuriato. «Mostramela.»
Girò su sé stesso al centro della
strada, il vuoto mi scombinò di nuovo tutta come se avessi le
vertigini, ma questa volta Jamie rimase a distanza per non farlo
stranire. Zach intrecciò le dita dietro la nuca e rimase fermo.
Lynn mi strinse la mano, il mio cuore galoppava, ma
lei poteva tenermi ancorata lì dov’ero.
«Zach.» chiamò.
Lui si voltò e la guardò.
«Vado a prendere Nate.» lo informò.
«Non è sicuro.» rispose automaticamente.
Scosse la testa. «Sta con Becky.» disse soltanto.
Zach mi guardò e si avvicinò a me
lentamente, Sharon Sullivan e Jamie rimasero a distanza, da come
gesticolavano sembrava stessero litigando. Mi chiesi se fosse vero che
flirtava sempre con le ragazze, non mi sembrava che lo stesse facendo
con me, ma forse non essendo molto pratica non lo avevo capito. Mi
sedetti sullo scalino del marciapiede, riuscivo quasi ad immaginarmi la
voce di mia madre dirmi “Becky, è pericoloso lì,
passano le macchine!”, ma non sarebbe passata nessuna macchina,
quella parte di Synt era stata evacuata ed interdetta al traffico.
«Secondo te chi è stato?» chiesi a Zach, quando si fu seduto accanto a me.
Scrollò le spalle. «Veggenti.»
«Perché le persone hanno ubbidito?»
«Paura?» provò.
Mi strinsi le ginocchia al petto preoccupata.
«Zach…» mi bloccai, che potevo dirgli? Come potevo
dirglielo?
Mi guardò, mi guardò e basta, aspettando che continuassi.
Raddrizzai la schiena, fissando l’asfalto
davanti a me. «Non andate, sai anche tu che sarà un
disastro. È solo un carico, ce ne saranno altri. Rimanda.»
lo fissai. «Non andare.»
Zach mi osservò tutta come se potesse
guardarmi dentro, forse poteva. Si leccò le labbra e
spostò gli occhi più in là, sui due soldati che
discutevano tra loro. «Lui ti piace?»
Risi. «Che c’entra?»
Non incrociò il mio sguardo. «Se
ti piacesse saresti da controllare, capisci? Si fanno pazzie quando una
persona ti sta a cuore.» si interruppe per alcuni secondi.
«Voglio essere sicuro che se ci saranno problemi, che tu non
corra a cercare di salvarlo.»
Non riuscii a sostenerlo, non stavamo parlando di
Jamie. Restai muta e testardamente voltata da un’altra parte.
Mi sfiorò la mano e gli lanciai
un’occhiata, i suoi occhi erano fermi su di me. «Ti
metteresti in pericolo per niente.» mi spiegò. «Non
farlo né per lui né per…»
Strizzai gli occhi terrorizzata all’idea che potesse pronunciare quella sillaba.
Sospirò. «Né per nessun altro.»
Quanto potevo sembrargli patetica? Quanto ero
patetica? Sciocca ragazzina innamorata, mi vergognavo da morire. Se ci
fosse stato Romeo lì, avrei pregato perché mi facesse
fuori, ti scongiuro, uccidimi.
«Innamorati di un ragioniere, cheerleader, di
un banchiere, di un barista.» si alzò e si scrollò
i pantaloni. «Innamorati di qualcuno che la notte si mette a
letto con te.» mi guardò e sorrise dall’alto,
bellissimo ed irraggiungibile. «Innamorarsi di un Vegliante
è una follia.»
Si diresse verso i due soldati, io continuai ad osservarlo abbattuta: perché, si poteva scegliere?
Romeo sospirò mentre porgeva la foto a Iago. «Mettetela qui.»
«Sicuro?»
Lo guardò e scosse la testa.
ok, Zach è un po' tonto a
volte, però diciamoci la verità... ultimamente Becky era
troppo scoperta perché non se ne accorgesse... se ne erano
accorti tutti, doveva accorgersene anche lui, non credete!
ho deciso, che tutti i Veggenti, o almeno i Veggenti che fanno parte
del movimento di Romeo, avranno un nome Shakespeariano, grazie al cielo
ha scritto un botto, così possiamo sbizzarrirci quanto voglio...
ovviamente Ryan no, ma c'è un perchè...
voi abbiate fede in questo, un perchè c'è sempre...
magari non è proprio comprensibile però c'è.
ve lo siete appuntato, vero?, che c'è Connor...
dal prossimo capitolo iniziano i drammi veri, sia psicologici che
fisici, ci aspettano risse, lotte di supremazia, fughe rocambolesche,
doppio giochi... tutto il pacchetto insomma, più la tragedia...
se vi va di farmi sapere se vi è piaciuto sono qui...
ps. ma non è un sacco triste l'ultima parte?
pps. Lamponella
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Capitolo 13 *** 12. Il nostro esercito ***
Mitrono
fragolottina's time
so esattamente cosa avevo detto
tipo... ieri? ma questo capitolo era praticamente pronto e mi sembrava
davvero stupido farlo aspettare, quindi eccoci...
nelle puntate precedenti:
1) ci prepariamo al trasporto di Mitronio che ovviamente i Veggenti vorrebbero evitare;
2) è arrivato l'esercito a darci man forte (vedi momento magico tra Zach e Jamie Ross)
3) Zach è stato tanto dolce e coccoloso da dire a Becky qualcosa
che somigliava vagamente a "So che hai una cotta per me, vedi di
fartela passare, perchè non è che posso preoccuparmi che
fai qualche cazzata per salvarmi";
4) un po' tutti prospettano un lutto, quindi non siamo esattamente di buon umore.
nel caso vi foste perse qualcosa - o dimenticate, è passato un
mese dall'altro capitolo - questo è quello che vi serve al
momento.
ci vediamo più giù...
12.
Il nostro esercito
Nate aveva un giubbotto antiproiettili, ma niente giacca verde. Non
rimase di stucco come noi nel vedere la strada completamente vuota da
un giorno all’altro, sembrava quasi che se l’aspettasse,
più curioso che preoccupato. Si limitò ad osservare la
novità con attenzione e ad iniziare a prendere appunti sul suo
palmare.
«Romeo sarà qui.» disse a Zach.
Lui aveva finito per sedersi per terra in mezzo alla
strada, all’indietro e puntellato sulle braccia, tranquillo.
Avrei dato qualsiasi cosa per leggere in lui del turbamento,
perché quello che mi aveva detto non fosse stato soltanto
l’ennesima cosa da fare su una lista: uno, uccidere Romeo; due,
preparare un piano per il trasporto; tre, dire alla cheerleader che non
può innamorarsi di me.
Avevo continuato a guardarlo per tutto il tempo, lui
mi aveva ignorata per tutto il tempo. Era buffo, ma ero sicura che se
fossimo stati a scuola le cose sarebbero andate esattamente
così, con io che lo sbirciavo da lontana, spaventata anche solo
che mi vedesse, e lui che se ne fregava facendo il filo alla più
bella della scuola. Per un po’ non volevo vedere Courtney.
«Questo l’avevo capito anche io.» commentò Zach.
Perché io dovevo innamorarmi di lui? Pensai a
Logan a casa, che era un ragazzo normale e che una vita fa si aspettava
che uscissi con lui. Forse avremmo preso un gelato insieme, forse gli
sarebbe piaciuto fare una passeggiata, parlare delle mie
possibilità di diventare una cheerleader titolare il prossimo
anno, di quelle della sua squadra di pallacanestro di vincere il
campionato.
Come ero passata da questo a… Zach? Non c’erano due cose meno simili.
«Tu vuoi aspettarli qui, vero?» chiese Nate.
Zach annuì.
«Mettere i cecchini sul tetto ed i soldati in seconda linea.»
Fece di nuovo sì con la testa.
Nate scrollò le spalle. «Non
funzionerà.» concluse semplicemente. «Se l’ho
previsto io figurati Romeo.»
«Romeo è ferito.» gli ricordò Zach con un certo orgoglio.
Lui si fermò e gli lanciò
un’occhiataccia, capii la sua reazione: c’era poco da
essere orgogliosi, era quasi morto per colpirlo appena di striscio.
«È vivo, Zach, chiudilo in una bara e calalo sotto terra
prima di dormire sonni tranquilli.» lo rimproverò.
«Ed anche quel giorno fa la guardia alla sua tomba: per quelli
come lui la morte non è mai una fase definitiva.»
Alzò gli occhi al cielo e si mise in piedi.
«Nate, se la mettiamo così Romeo prevederà comunque
e sempre qualsiasi cosa. Dovremmo stare fermi.»
«Non sarebbe una cattiva idea.» concluse.
Evidentemente non ero l’unica a pensarla in quel modo.
Lynn mi raggiunse con calma e si sedette accanto a
me sul bordo del marciapiede, il suo lucidalabbra profumava talmente
tanto di ciliegia che riuscivo a sentirlo semplicemente standole vicina.
«Finiranno per litigare.»
rifletté fra sé, tesa e nervosa come probabilmente non
l’avevo mai vista.
Io li guardai. «Zach e Nate?»
Annuì. «Ci sono momenti in cui si
dovrebbe stare uniti.» spiegò. «Questo è uno
di quelli.»
Sospirai guardando Zach. «Non vuole che venga ad aiutarvi.»
Lynn si voltò verso di me seria, ma paziente,
come se capisse quanto quelle parole mi avessero ferita. «Tu
pensi di poterci aiutare?»
Ci riflettei, non lo sapevo, non potevo saperlo.
«Hai paura?» chiesi a Lynn.
Scosse la testa. «So che andrà tutto bene.» sorrise con gli occhi su Nate.
Come previsto la loro discussione animata si
trasformò in fretta in una litigata vera e propria, con tanto di
grida e offese personali. Nate fissò Zach in modo terribile
quando affermò che, visto che non usciva con loro la notte, non
sapeva come funzionava; e Zach fu sul punto di dargli un pugno, quando
Nate ribatté che non era per la sua testa che era diventato
caposquadra, ma solo perché una volta per sbaglio era riuscito a
dare un cazzotto a Romeo.
Courtney ed il resto della squadra di Synt,
più i soldati, ci raggiunsero quando la situazione era
già degenerata, lei si portò le mani al viso arresa.
«Perché tutte le volte che mi raccomando di fare i bravi
va a finire così?!» si lamentò sconsolata.
Jared sospirò e corse verso di loro, si mise in mezzo prima che si azzuffassero.
«Ci tiene Nate ad avere ragione.» commentai rivolta a Lynn.
Lei si strinse nelle spalle. «Una volta prima
di ogni missione lui e Zach passavano ore a discutere strategie. Non
litigavano, forse a volte ne parlavano in modo più animato, ma
mai così. Zach non avrebbe mosso un passo senza l’okay di
Nate.» si abbracciò le ginocchia. «Da quando
è caposquadra pensa di non poter più aver bisogno
d’aiuto ed immagino che Nate si senta messo da parte.»
Ripensai al primo giorno che l’avevo
incontrato, quando mi aveva spiegato della zona gialla, delle
telecamere difettose e della centrale elettrica fuori dal loro
territorio d’azione. Lo guardai, Nate non era forte e non era
particolarmente portato per lo scontro fisico, se Zach non lo
coinvolgeva nelle strategie era praticamente inutile.
Come me. Se avevo questa super mira, ma lui non voleva lasciarmi provare, non sarei servita a molto.
«Che stupidaggine!» esclamai toccata sul personale.
«Già.» Lynn si morse il labbro.
«Tutti abbiamo bisogno di aiuto, per questo siamo una
squadra.»
Anche Sharon Sullivan andò a dividerli prima
del precipizio inevitabile, prese una mano di Zach e lo
strattonò per un braccio. Io continuai a guardarla senza dire
niente; aveva ragione Lynn, quella bionda non piaceva nemmeno a me.
Fissai la schiena di Zach, mentre iniziava a
discutere con lei. Lui mi aveva voluta, all’Asta, era stato lui
ad insistere perché Jean mi portasse via. Zach era stato il
primo ad ammettere che gli servivo.
«Stai bene?» chiese Sharon Sullivan sedendosi accanto a Zach.
Si era eclissato dopo l’ennesima discussione
con Nate, in tutta la giornata non si erano rivolti parola se non per
urlarsi addosso, di continuo un grido dopo l’altro, un botta e
risposta tremendo e sfiancante. Aveva preso tutto il pacchetto delle
sigarette di Jean, quella era la seconda e, visto che era già a
metà, con ottime probabilità ce ne sarebbe stata una
terza.
Avrebbe voluto smettere di esistere, almeno per un
po’. Nate era la cosa più simile ad un migliore amico che
avesse mai avuto. Josh era stato un capo, un fratello maggiore, una
guida valida, irraggiungibile; Nate invece era un suo pari ed era
quello da cui correva ogni volta che aveva un’idea: Josh lo
avrebbe lasciato fare sempre e comunque, ma Nate gli serviva per
delimitare il limite di ogni sua follia. Era quello che quando lui era
troppo preso per vedere il precipizio nel quale sarebbe caduto, gli
costruiva un ponte.
«Si.» rispose monocorde e gracchiante.
Si schiarì la gola, non aveva più la voce, ma quanto
avevano urlato? E perché aveva urlato così tanto?
«Ne vuoi parlare?»
Scosse la testa.
Lei lo osservò scettica, con le sopracciglia
sollevate. Si era intrecciata i capelli ed ora le scivolavano
mollemente sulla spalla destra. Era seducente, in un modo tutto suo.
«Te lo hanno detto, vero, che non dovresti fumare.»
«Fino alla noia.» pensò ancora a
Josh che era un caposquadra e beveva, forse per sopportare tanto stress
un vizio era necessario; si chiese se ne avesse uno anche Jean a suo
tempo. «Anche io volevo fare il soldato, sai?»
lasciò andare una boccata di fumo. «Però non volevo
essere quello che voleva mio padre. È che… non lo
so… funzionavo come soldato, all’accademia ero il
più bravo del mio corso. Avere uno scopo, portare a termine
missioni, mi faceva sentire bene, utile.» si tirò indietro
e si puntellò sulle braccia tenendo la sigaretta incastrata tra
le dita.
Non le disse che ubbidire lo risparmiava dal
pensare, non le confessò quanto avrebbe preferito ricevere
ordini piuttosto che impartirli. Se ne vergognava, lo rendeva furioso:
Zach Douquette non ubbidiva. Aveva una testa prima di due braccia,
poteva essere un caposquadra, Josh ci aveva creduto davvero. Allora
perché qualsiasi pensiero o idea si sbriciolava ancora prima che
riuscisse a metterla a fuoco?
«E poi pensavo che fosse un mio dovere,
c’erano soldati molto meno portati che sarebbe andati in guerra
con molte meno probabilità di me di sopravvivere.» la
guardò. «Non so se capisci, non sono sicuro che sia un
discorso sensato.»
Sharon Sullivan lo studiò tutto con un mezzo
sorriso sulle labbra. «Jamie Ross ragiona come te.»
Zach indurì la mascella per il disappunto. «Jamie Ross non mi piace.»
Lei rise di più. «Perché sei geloso della ragazzina.»
«Oh, ti prego. Ti sembro avere tempo per le
ragazze? Se così fosse probabilmente avrei avuto più
tempo per convincere Courtney!»
«Lei non devi convincerla.»
«Lei non sarebbe in grado di sopportare una
vita simile.» sbottò secco. «E non paragonarmi a
quello.»
Sollevò le mani in segno di resa.
«Ok.» concesse. «Ad ogni modo tutti quelli come noi
ragionano come te.»
Zach aggrottò le sopracciglia. «Come noi?» domandò senza capire.
Gli rubò la sigaretta dalle dita e se la
portò alle labbra. «Gli ottimi elementi.» sul filtro
rimase l’impronta del suo rossetto, quando Zach la riprese gli
sembrò di sentire il suo sapore.
Rise. «Ah, ecco.» fece una smorfia.
«Non era vero, la mia parabola delle prestazioni ha già
raggiunto il suo picco e sta inesorabilmente precipitando.»
«Questa città è malata, Zach,
tutto quello che ci vive è destinato a marcire.»
«Mi si prospetta un futuro niente male.»
commentò sarcastico per non lasciarsi andare a pensieri troppo
infausti. Era stata una giornata troppo pesante e quella seguente
avrebbe potuto soltanto peggiorare la situazione, era il suo istinto di
sopravvivenza a cedere alle lusinghe dell’ironia.
Sharon si girò verso di lui con il busto.
«Non è detto che non ti sia data un’altra
possibilità. Il tuo destino può cambiare, hai ancora una
scelta.»
Le lanciò un’occhiata scettica, senza dire niente.
«Cerca solo di non dimenticare che anche Nate è un ottimo elemento.»
Nate afferrò un cuscino, se lo schiacciò sul viso e ci
urlò dentro, aveva abbandonato gli occhiali sullo smart-table,
diceva che quelli che voleva vedere erano abbastanza vicini da stare
senza. Lynn scoppiò a ridere sdraiata a pancia in giù sul
suo letto mentre si faceva la manicure. Non so esattamente come era
successo, ma ci eravamo rifugiati tutti nella camera di Lynn, la camera
più da femmina che avessi mai visto: aveva una toletta con lo
specchio, una cesta con l’interno di stoffa a fiori con impilati
i suoi beauty case, un peluche azzurro sul letto. Sembrava essere stata
l’unica a far davvero sua la propria camera.
Io stavo aiutando Matt a dividere le viti per
grandezza, lavoro noioso, ma che richiedeva abbastanza concentrazione
da non farmi pensare a troppe cose.
Jared e Courtney mancavano all’appello ed
avevo una mezza idea sul cosa stessero facendo. Mi chiesi se davvero
Zach non si fosse accorto di niente o se si limitasse a fingere che
fosse così, a volte sembrava che facessero di tutto per farsi
scoprire. Insomma li avevo visti io, non erano esattamente campioni di
discrezione.
«Mi manda in bestia quando fa così.»
Lynn interruppe il suo lavoro per guardarlo. «Non sei sicuro di aver ragione.»
«Nemmeno lui se è per questo.»
sbottò. «Parliamone, no? Troviamo un compromesso, ma no!
Perché una vita fa io sono riuscito a dargli un pugno.
Stupidone! Perché non gli diamo una clava invece del coltello,
tanto si comporta come uno dell’età della pietra.»
«Nate.» lo rimproverò Matt.
«Concedigli almeno l’età del bronzo, no?»
«È un pochino sotto pressione.» cercò di giustificarlo Lynn.
«Tu sei troppo buona.» commentò
brusco, ma si sedette accanto a lei. «È troppo
presuntuoso, è stato scortese con me, con Becky…»
Sussultai al mio nome.
«E perfino con quel soldato, Jamie, che poi
non aveva fatto niente di male. Siamo tutti sotto pressione, ma non ci
comportiamo come lui.»
Si strinse nelle spalle. «Litigare non vi
porterà da nessuna parte e non ti piace.» commentò
senza dare o togliere la ragione a qualcuno. Ammirai il suo impegno a
non schierarsi.
«Non mi piace nemmeno obbedire solo
perché lui ha in mano lo scettro del potere.» si mise le
mani tra i capelli e scosse la testa sconsolato. «Josh era
un’altra cosa.»
«Non si dicono certe cose, Nate.» lo rimproverò Matt.
Sollevò il viso. «No, però
è vero.» rincarò. «Zach non è un buon
caposquadra.»
Io ero chiusa nel mio mutismo, non mi andava molto
di parlare e comunque non avevo idea di come fossero state le cose
quando era Josh il caposquadra. Starmene qui a dividere viti in base
alla forma, larghezza e lunghezza mi andava più che bene.
«Non potremmo cambiare argomento?» fece
Lynn controllando accuratamente che la mano sinistra fosse ben smaltata
di un celeste cielo.
«Ce l’ho io uno.» alzò la mano Matt.
«Un argomento leggero da rivista di gossip?» chiese con precisione.
«Si, anche se più che altro è un sondaggio.»
«Spara.» ordinò Nate.
«Credete che Zach andrà a letto con la sexy soldatessa bionda?»
Io deglutii.
«Matt, e che cavolo!» lo rimproverò Lynn indicandomi con un cenno del capo.
Anche lui mi guardò mentre continuavo a stare a testa bassa, facendo finta di niente.
«Becky, ma non devi pensare che sia per
sempre.» spiegò ulteriormente lui. «Un flirt, sai,
una cosa così. L’ultima cazzata prima di capire che sei la
donna della sua vita.»
Sospirai poi però feci un mezzo sorriso.
«Io credo che ci andrà a letto.» e, cosa ancora
più importante, non credevo di essere la donna della sua vita.
Lynn assottigliò lo sguardo e tornò al suo smalto. «Se lo becco lo picchio.»
«Sei in grado di farlo?» domandai.
Lei mi fissò complice. «Sono più brava di Courtney.»
«No.» disse Nate dopo un po’. «Non lo farà.»
Iago srotolò una cartina sul tavolo poi la proiettò alla
parete. Il proiettore l’aveva rubato Ryan dalla sua scuola, a
volte Romeo trovava ancora particolarmente folle che facesse parte del
loro esercito, andava ancora al liceo, ma se la cavava bene e le aveva
dato l’ordine di sopravvivere. E comunque non sarebbe stato molto
semplice escluderla da tutto.
«Zach e gli altri saranno qui e qui.» disse indicando i due tetti dei palazzi.
Romeo non partecipava, quell’operazione non
era sua e poi Iago era il suo secondo, era bravo quanto lui.
C’era ancora qualcosa che gli sfuggiva, due pezzi di puzzle che
si incastravano, ma non perfettamente, discordavano per pochi minuscoli
particolari; ma quando la tua vita è uno srotolarsi di dettagli
a cui devi fare attenzione per sopravvivere, non puoi permetterti di
incorniciare un puzzle con un incastro che funziona a metà.
«Nessuno dovrà farsi vedere prima
dell’esplosione, sfrutteremo il caos per allontanare le guardie
giurate dal camion e portarlo via.»
Ophelia alzò la mano tenendo gli occhi fissi
su Romeo, appoggiato ad una colonna, che con un cenno del capo la
riportò a Iago. «Quindi, qualcuno dovrà guidare il
camion?»
Anche Iago lo guardò e Romeo si fece avanti.
«Si, ci penserà Cassio. Gli altri ci forniranno una
copertura adeguata.»
«Che dobbiamo fare con i Veglianti?» chiese Ryan in tono di sfida, era ancora arrabbiata.
«Se possiamo evitiamo di fare del male.»
rispose con calma. «Ed evitiamo che si facciano male.
L’ultima cosa che voglio in giro sono un gruppo di Veglianti
rancorosi.»
Lei scosse la testa. «Tutti abbiamo visto che
qualcuno ci lascerà le penne.» gli ricordò.
«Contente i danni.» si fermò. «Io sarò lì.»
«Non serve tu…» iniziò Iago pronto a fermarlo.
Romeo gli lanciò un’occhiata
raggelante. «Io devo esserci, ma interverrò solo in caso
di bisogno.» odiava essere sempre e comunque il capo.
Sfilò un razzo dalla tasca della propria felpa, lo lanciò
in aria e lo riprese. «Al mio segnale, gli ordini torno a darli
io.»
Non riuscii a mangiare niente per tutto il giorno, mi limitai a
sbocconcellare pezzetti di pane. Il pensiero di tutto quello che
sarebbe potuto succedere quella notte bastava a bloccarmi lo stomaco e
farmelo sembrare pieno.
Jean mi lanciava occhiate di fuoco ogni volta che
notava il mio vassoio praticamente intonso, ma sembrò capire il
mio stato d’animo visto che non esternò il suo disappunto
in altro modo. Ero abbastanza sicura che il giorno seguente sarebbe
stata molto meno tollerante.
Chissà in che mondo mi sarei risvegliata, il giorno seguente?
Nate e Zach avevano più o meno fatto pace,
non gridavano più e sembravano essersi chiariti, anche se Nate
continuava a starsene imbronciato. Il piano era lo stesso, Nate si era
rifiutato di chiedere di dargli retta in ginocchio, probabilmente Zach
non avrebbe ceduto comunque, stupido testardo! Però avevano
raggiunto l’accordo del casco che li avrebbe protetti molto
più dei soliti occhiali con le lenti gialle e, a quanto pareva,
permetteva loro di dialogare su una linea più sicura ed
esclusiva.
Visto che io continuavo nonostante tutto ad essere
inutile, Matt mi aveva promossa sua assistente e mi obbligò
tutto il giorno a seguirlo per montare una ventina di passerelle tra un
palazzo e l’altro, così da permettere loro di muoversi in
libertà durante la notte. Il mio compito era passargli le viti
che chiedeva, lungimirante da parte sua aver passato tutta la sera
precedente a smistarle.
Il sole che calava inesorabilmente mi rendeva
ansiosa, più cercavo di non pensarci e più notavo il
cielo farsi di minuto in minuto leggermente più scuro. Non ero
l’unica a tenere il conto del tempo, l’orologio di Matt
mandava un “bip” ad ogni ora che passava.
Non ero l’unica ad aver paura.
Ero così preoccupata che mi sembrava di
galleggiare nel mare della mia agitazione, il mio mondo iniziava e
finiva nella mia mente, che quel giorno era un rifugio scostante, la
mia coscienza era cullata dalle onde. Nella mia memoria si affacciavano
cose viste e cose che mi spaventavano.
Zach che mi diceva di stare buona e Zach che baciava
Sharon Sullivan, il suo viso che probabilmente non sarebbe mai stato
tanto vicino al mio.
Lynn che agitava una boccetta di smalto e Lynn che gridava per il dolore.
Zach seduto a terra in mezzo alla strada e Zach in
ginocchio in mezzo alla stessa strada, con la canna di una pistola in
bocca.
Scossi forte la testa per cancellare quelle immagini
e deglutii. Matt mi osservò bloccandosi a metà con un
cacciavite in mano. «Stai bene?»
Annuii e mi scostai i capelli dalla fronte con il dorso della mano, mentre frugavo tra viti e bulloni.
«Sei un po’ pallida.»
Era l’ultima passerella, non aveva senso
lasciare il lavoro incompiuto per tanto poco, potevo resistere ancora
un po’.
«Ieri notte non sono riuscita a dormire, sono
un po’ stanca.» mi impegnai a stirare le labbra in un mezzo
sorriso. «Dai, abbiamo quasi finito.» lo incoraggiai.
Matt mi guardò ancora per qualche secondo, poi tornò a lavoro.
Zach ci venne a prendere poco dopo, mi arrampicai
sul sedile posteriore e vuoto del fuoristrada e mi sdraiai con le
ginocchia ripiegate senza salutarlo. Però lo vidi con la coda
dell’occhio spostare lo specchietto retrovisore, in modo da
potermi vedere; mi studiò con attenzione per alcuni minuti,
mentre guidava nel traffico praticamente inesistente di una Synt in
allerta.
«Cos’ha?» chiese a Matt.
«Dice di essere stanca.» spiegò lui, ma non sembrava che la mia bugia lo avesse convinto.
Quando arrivammo in caserma Matt recuperò la
cassetta degli attrezzi e la scatola con le viti prima di saltare
giù dalla macchina. «Aiutala.» ordinò a Zach.
Io avevo scoperto che quell’auto mi piaceva,
era piccola e calda, blindata e sicura, non avrei trovato un altro
posto tanto accogliente qui. Riconobbi il sospiro di Zach, poi lo vidi
scendere dal fuoristrada e salire dietro, si strinse nello spazio che
rimaneva oltre il mio corpo, poi mi sollevò i piedi per
infilarsi nel vuoto lasciato dalle mie gambe. Avevo il sedere contro la
sua coscia e le sue braccia appoggiate sulle ginocchia, chiusi gli
occhi per non pensarci.
«Cosa c’è che non va?»
Avrei voluto piangere, ma scoppiai a ridere,
isterica fino al limite più estremo della mia coscienza: lui non
mi voleva, forse ero una Veggente, quella notte sarebbe andato tutto a
scatafascio. La domanda era cosa andava bene.
«Sono stanca.» mentii. «Stanotte
ho dormito poco e non sono riuscita a mangiare gran ché. Mi gira
un po’ la testa.»
«Ok, aspettiamo che ti passa.»
Deglutii e respirai piano, stavo davvero cercando
una prova che non volevo? Cosa c’era che non andava in me?
«Hai baciato Sharon Sullivan?» chiesi
con tutto il coraggio che riuscii a trovare. Una risposta affermativa
sarebbe stata sgradita per molte ragioni.
Per alcuni secondi rimase in silenzio. «Si.» ammise.
Lo sapevo, pensai anche se non volevo, e poi subito dopo, devo parlare con Romeo.
Se fossero state parole che avevo pronunciato mi
sarei morsa la lingua, avrei addentato l’aria fino a
rimangiarmele tutte.
«E ci sei andato a letto?»
Lo guardai, lui scosse la testa, iniziò a
disegnare ghirigori immaginari con la punta delle dita sulle mie
ginocchia. «Stai passando troppo tempo con Matt e Lynn.»
scherzò debolmente, come se non ne avesse voglia.
Ci misi una vita a rispondere, mentre continuavo a
tenere gli occhi fissi sulle sue mani, in apnea. «Sono gli unici
normali.» mi puntellai sulle braccia per tirarmi su, la mia testa
fece una capriola, ma poi tornò al suo posto. «Penso di
riuscire a camminare.» annunciai, non era completamente vero, ma
le sue dita dovevano stare lontane da me.
Lui non si mosse, mi guardò, eravamo troppo
vicini. «Non c’è tempo per il mal di cuore a Synt,
Becky.»
Lo fissai arrabbiata. «No?!» chiese
sarcastica. «Quindi quando guardi Courteny come se tenesse il tuo
cuore in mano e lo stringesse ogni minuto un po’ di più,
di cosa si tratta? Un riflesso involontario?» suonai spietata
anche alle mie orecchie, ma era davvero stanca della sua aria
supponente, sapeva tutto? No, non sapeva niente, esattamente come me e,
se Nate aveva ragione, tutto sarebbe andato distrutto per il suo
“non ho bisogno di nessuno”. Non era un elemento
così ottimo dopo tutto.
Zach assottigliò lo sguardo, ammonendomi del territorio pericoloso in cui mi stavo addentrando.
«Hai detto queste cose anche a lei, non
è vero?» continuai ad insinuare. «Le avrai detto che
non potevi, non avevi tempo, non c’era posto a Synt. Hai pensato
per un secondo che se le avessi detto che l’amavi lei ti avrebbe
aspettato tutto il tempo necessario?»
Capii di aver parlato troppo quando mi
afferrò il viso con la mano, spingendomi giù contro il
sedile e tendendomi la bocca ben chiusa. Si fermò a pochi
centimetri dal mio viso, le sue gambe erano intricate alle mie; i
nostri corpi erano così schiacciati uno contro l’altro che
non riuscivo a capire dove iniziassi io e finisse lui. Non provai
nemmeno ad allontanarlo, forse non volevo.
«Romeo mi aveva detto “Il prossimo sei
tu”.» sbattei le palpebre. «Attenta a parlare
d’amore, cheerleader. Tu ci hai pensato che se avessi detto a
Courtney che l’amavo e fossi morto, avrei ucciso anche lei?»
La presa sul mio viso si allentò, quando
scossi la testa appoggiò la mano accanto al sedile. «Tu vuoi
essere il prossimo, Zach. Altrimenti proveresti a sopravvivere.»
mi tirai su sui gomiti, lui indietreggiò per mantenere la stessa
piccola distanza tra noi. Qualcuno doveva farlo. «Romeo non ti ha
ucciso.»
«Prima o poi lo farà.»
«Io. Posso. Impedirlo.» sillabai.
«È per questo che hai scelto me invece di Amanda
Martinez!»
La tensione scivolò via e lui si
allontanò, rimase sulle mie gambe, ma la bolla di sapone della
nostra lite era esplosa. «Salvami la vita, cheerleader, ed io
penserò a te.» mi sfidò, poi rise di più.
«Oh, aspetta, prima ti porta in camera giacché non ce la
fai da sola.» mi prese in giro e fece per prendermi il braccio.
Io lo scrollai furiosa.
«Non toccarmi.» lo ammonii cupa.
Lui spalancò lo sportello della macchina e saltò giù, io rimasi lì.
Avrei potuto salvargli la vita, se lui me lo avesse permesso.
Quando infine scesi dalla macchina la testa mi
girava ancora, avrei dovuto chiedere a Matt una delle sue merendine per
ricaricare gli zuccheri.
Jamie mi avvolse le spalle con un braccio e mi
strinse a lui, accompagnandomi e sorreggendomi fino
all’ascensore. Provai ad allontanarlo, lui non me lo permise.
«Non lo saprà mai.» disse soltanto.
Mi morsi il labbro e, senza poter fare niente per impedirlo, scoppiai a piangere.
Nate abbracciò forte Lynn e le diede una bacio sulle labbra, le
infilò il casco e baciò anche quello. La sentii
ridacchiare da dietro la visiera, prima che guardasse verso di me e
facesse “ciao, ciao” con la mano.
Jamie mi si avvicinò, aveva una cappello da
baseball sulla testa ed il sopra della sua tuta militare, il solito
fucile a tracolla che sbucava da dietro la sua schiena. Mi
studiò per qualche secondo, poi mi allungò la mano.
«In campana, ragazza.»
Sorrisi. «Anche tu.» sperai che potesse
tornare a casa sano e salvo, anche se quel saluto sapeva di addio.
Guardai Zach, lui lo stava già facendo, il
suo viso sparì sotto il casco, ma sapevo che stava continuando a
fissarmi.
«Vuoi un sedativo, così puoi
dormire?» mi offrì Courntey, siccome era quasi una
gentilezza da parte sua sorrisi mentre scuotevo la testa.
«Becky, quando torno proviamo il tostapane,
d’accordo?» mi propose Matt dandomi una pacca sulla spalla.
Annuii. «Ok, ti aspetto sveglia.»
Io e Nate li guardammo andarsene uno ad uno,
finché l’intero edificio non rimase completamente vuoto.
Mi guardai intorno spaesata, sembrava tutto così enorme dopo due
giorni circondati da estranei. Nate rimase immobile per sessanta
secondi precisi.
«Ok.» iniziò guardandomi.
«Mi serve qualcuno che mi dia retta, ci sei solo tu.»
Sbattei le palpebre guardandolo. «Dov’è Jean?»
«Non lo so.» scosse la testa. «Ha
ricevuto una telefonata.» mi posò le mani sulle spalle e
mi diede una scrollata. «Non importa. ”Se tu fossi un
Veggente e dovessi fermare un camion, come faresti?”, è il
quesito di oggi. Mi serve un confronto.» cercò di
spiegarmi. «Aiutami.»
«Ok.»
La sua stanza era stata stravolta in una notte, era
piena di fogli impilati su ogni superficie disponibile; sul pavimento,
su tutto il pavimento, c’era una mappa in scala del vicolo vuoto.
«Nate, quant’è che non dormi?» chiesi, perché il letto era sommerso di carta.
Lui mi lanciò un’occhiata eloquente. «E tu?»
Domanda lecita.
«Sgombrare quella strada è stato
stupido.» continuò a parlare, frugando fra fogli, conti,
appunti. Mi chiesi da quando era di nuovo passato al cartaceo.
«Non possono nascondersi, abbiamo un sacco di cecchini, anche con
una percentuale di errore altissima, qualcuno verrà colpito,
accidentalmente magari. Il calcolo delle probabilità non
è uno scherzo…»
«Forse non hanno trovato un’idea migliore.» provai.
«Romeo?» chiese scettico.
Sembrava strano perfino a me, ma mi strinsi nelle spalle. «Zach ha ragione, è ferito.»
«Romeo non è l’unico Veggente di
Synt, Becky, non fare come lui, che non ragiona perché è
più comodo aggiustare la realtà.» si guardò
intorno e crollò a sedere sulla sua poltrona, accartocciando
alcuni fogli appoggiati anche lì. «Sono così tanti
stanotte, come può correre un rischio del genere?»
«Zach?» domandai.
«Zach è un folle.» decretò. «Romeo.»
Tornai a guardare la cartina a terra. «Magari hanno in mente un diversivo.» suggerii.
Nate mi guardò improvvisamente interessato. «Continua.»
La strada ingrandita era larga come il mio piede
scalzo, la percorsi una pianta alla volta. «Se sapessero dove si
sistemeranno tutti e facessero crollare quei palazzi, avrebbero risolto
ogni problema.» li avrebbero anche sterminati probabilmente.
Per alcuni secondi continuò ad osservarmi
come per vedere quanto fossi convinta della mia idea. In realtà
non lo ero così tanto, pensavo soltanto che se il camion fosse
stato il mio piede e qualcuno ci avesse messo qualcosa davanti, non
avrei potuto proseguire e la strada era troppo stretta perché
fossi in grado di fare manovra.
Aprì il portatile. «Non so.» si
grattò la testa. «E loro come la fanno manovra? Non
possono mica lasciare il camion lì, sarebbe senza senso.»
Riportai il piede destro, davanti a me, dietro,
attenta a non calpestare le casette disegnate. «Fanno marcia
indietro.»
Fece una smorfia. «Ci vuole tempo. Non
è che una squadra di Veglianti e cinquanta soldati stanno a
guardare mentre gli soffiano un camion a marcia indietro: posso
intervenire.»
Aveva ragione, beh, io non ero la stratega.
«Siamo stranamente in superiorità
numerica ed abbiamo i cecchini.» sbuffò. «Essere
così in vantaggio mi disorienta.» si stravaccò con
la testa all’indietro, il pc in precario equilibrio sulle sue
gambe. «Abbiamo un esercito, possiamo fronteggiarli.»
«Forse non sono bravi come hanno detto a Jean.»
Suonò un allarme, tipo una sveglia; lo
guardai preoccupata, ma lui mi fece un cenno con la mano. «Vuol
dire che sono arrivati in quella via.» chiuse il netbook e lo
poggiò a terra. «Ho un nuovo quesito per te.»
iniziò appoggiandosi alle ginocchia. «In che modo il
nostro esercito può aiutare più loro che noi?»
«Vi rispondo io.» ci voltammo entrambi
verso Jean. Era sconvolta e pallidissima, non l’avevo mai vista
così. Pensai che il peggio fosse già accaduto, che tutto
fosse già finito mentre io e Nate ci perdevamo in supposizioni.
Pensai che qualcuno si fosse fatto molto male, ma non eravamo ancora a
quel punto. «Non è il nostro esercito.»
Io e Nate trattenemmo il fiato.
«Mi ha chiamata Wood. Mi ha chiesto come avevamo risolto la mancanza di rinforzi.»
Ripresi a respirare, ma la mia mente era vuota.
«La nostra richiesta di aiuti è stata respinta.»
«E…» Nate perse le parole. «Chi sono quelli?»
Riuscivo quasi a sentire i suoi pensieri: Lynn,
urlava ognuno dei suoi neuroni. Niente più schemi matematici,
niente più idee, niente più ragionamenti, soltanto un
unico, disperato Lynn.
Li sentivo perché erano i miei.
Zach.
Jean Roberts tacque e rimase immobile per alcuni
secondi, gli occhi rivolti al soffitto. Quando riportò lo
sguardo su di noi, sembrava più calma. «Ordina a Zach,
Courtney, Jared, Lynn e Matt di fuggire di lì e tornare
immediatamente in caserma. Se non è il nostro esercito significa
che è il loro.»
Nate spinse alcuni pulsanti, ma le telecamere non si
accesero. Un secondo dopo le luci di tutta Synt si spensero, la stanza
venne invasa dalla luce azzurrina delle lampade di emergenza.
Guardai Nate immobile e capii perché per lui
era tanto importante controllare la centrale elettrica. Prima che
potessimo anche immaginare le sue
mosse, lanciò il netbook chiuso contro gli schermi fissati alla
parete, che esplosero crepitando. Io sussultai, ma non seppi fare
né dire niente.
«I caschi, Nate.» gli suggerì Jean calmissima: qualcuno doveva esserlo.
Nate prese fiato, poi recuperò il palmare
dalla tasca dietro dei pantaloni e spinse il pulsante per attivare la
comunicazione.
Avrebbe dovuto farlo prima.
Non fece in tempo a parlare.
Il boato inghiottì ogni cosa.
vi avevo avvisate però, eh! non voglio ricriminazioni...
prometto che poi nel prossimo capitolo vi spiego in meglio anche questo
fatto del nostro/loro esercito... diciamo che c'è stato uno
scambio.
sarà un capitolo un po' pesante il prossimo quindi preparatevi
spiritualmente... beh, non è che questo sia andato a tarallucci
e vino, ma il prossimo sarà anche peggio...
tra l'altro, vi prego, ditemi qualcosa sulla litigata tra Becky e Zach
perchè, voi non lo sapete, ma ci ho messo cinque giorni a
scriverla e non saranno nemmeno mille parole!
beh, fatemi sapere se vi è piaciuto e per eventuali dubbi, perplessità e stati d'ansia non fatevi remore!
baci
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Capitolo 14 *** 13. Stanotte ***
Mitronio 3
fragolottina's time
questo capitolo l'ho scritto, riletto, ricancellato e riscritto fino ad avere il vomito!
capisco che non è una bella immagine, ma è vero!
vi giuro, che non so più dirvi se è bello o brutto, riuscito o no... mi ha proprio spompata!
quindi, signore, con la speranza che tutto il mio lavoro non abbia portato ad una stupidata immane, buona lettura!
13.
Stanotte
Non fu un taglio improvviso. La luce dei lampioni si affievolì,
poi si spense. Courtney, Lynn e Matt ebbero tutto il tempo per
guardarsi, per cercare ognuno negli occhi degli altri un
incoraggiamento, qualcosa di simile ad un “Non è niente,
andrà tutto bene”.
Ma erano tutti spaventati, come ogni volta che erano
usciti da quando Josh era morto. Lui era il confine che Romeo non
avrebbe potuto superare, lui li avrebbe sempre riportati a casa tutti
sani e salvi, lui avrebbe impedito che si facessero male; ma ora lui
non c’era e Zach non era pronto ad essere il suo sostituto.
«Ci siete tutti?» chiese Courtney nel
casco piano, attenta che le parole che stava pronunciando rimanessero
lì dentro. Riconosceva le ombre degli altri soldati intorno a
loro, niente più di aloni leggermente più scuri della
notte, ma a lei interessava sapere come stavano i suoi. Se a Sharon
Sullivan fosse capitato qualcosa di brutto non se ne sarebbe
dispiaciuta così tanto.
«Court.» la voce di Zach le
arrivò incredibilmente vicina, nonostante fosse dall’altra
parte della strada, sull’altro palazzo, ma era appena un
sussurro. Un sussurro inquieto anche se monocorde: non prometteva
niente di buono. «Jamie Ross ci sta puntando un fucile
contro.»
Courtney trattenne il fiato e si impedì di guardare il tetto dall’altra parte della strada.
«Voi siete più simpatici a Sharon Sullivan?» provò a scherzare.
«Vedo Lynn.» confermò
individuando un riflesso sul suo casco, si guardò intorno con
discrezione, come se tutto fosse normale. «Ma non trovo
Matt.»
«Ok.» concluse. «Prendila ed andatevene immediatamente.»
«Ma tu e…»
Jared, con lui su quel palazzo c’era Jared. Non poteva perdere anche lui.
«Sta tranquilla: ci liberiamo, cerchiamo Matt e torniamo in caserma. Ci vediamo lì, ok?»
Non avrebbe avuto senso ribattere ancora. «Ok.»
Cercò di rimanere calma esattamente come Lynn
davanti a lei. Doveva aver sentito tutto, i caschi non permettevano una
comunicazione esclusiva, erano poco più che ricetrasmittenti con
un grande raggio di ricezione, grazie alle modifiche apportate da Matt
e Nate, ma rimanevano elementari e semplici.
«Court.» questo era Jared.
Chiuse gli occhi e cercò il suo viso tra i proprio ricordi.
«Sta attenta.»
Avrebbe voluto rispondergli con qualcosa di
significativo, qualcosa che gli facesse capire quanto fosse preoccupata
di lasciarlo lì, quanto non avrebbe voluto, quanto lo amava in
definitiva. Ma c’era Zach in linea insieme a loro e questo non
era certamente il momento giusto per confessargli di essersi innamorata
di un altro.
«Lynn.» chiamò piano.
«Lo so.» rispose lei. La osservò
indietreggiare finché non fu abbastanza vicina da prenderle la
mano.
«Quando vuoi.» la incoraggiò.
«Problemi, signorine?» domandò
Sharon Sullivan avvicinandosi. Fece un passo, due. Courtney avrebbe
voluto prenderle a manciate quei capelli insopportabilmente chiari e
tirare fino a strapparli. E poi colpirla, darle così tanti
pugni, tumefarle la bocca in modo così orribile che nessuno,
figurarsi Zach, avrebbe più voluto baciarla.
Se l’alternativa era una traditrice tanto valeva che stesse con la ragazzina.
«Ora.» gridò Lynn.
Si sporse per darle un calcio abbastanza forte da
farla cadere indietro e far loro guadagnare tempo, poi si voltarono
insieme e corsero in direzione della passerella di Matt. Appena
sarebbero riuscite a mettere abbastanza distanza tra loro ed i soldati
si sarebbero fermate e ne avrebbero tolta una; era stato tanto
lungimirante da mostrare loro come fare.
Si, ma dov’era quel testone di Matt?
«Non fiatare. Abbassati.» ordinò qualcuno alle
spalle di Matt, premendogli la canna di una pistola al centro della
schiena. «Obbedisci o prima uccido te, poi le tue due
amichette.» continuò.
Matt fece come ordinava con gli occhi fissi sulla
schiena di Lynn e si chinò proprio mentre Courtney si voltava
per cercarlo.
«Ora voltati e seguimi.»
allontanò la pistola dalla sua schiena per permetterglielo.
«E non pensare che non mi accorgerò se provi a
scappare.»
Era una ragazza, no, peggio, era Ryan.
Matt aveva una predisposizione per lei, una specie
di ammirazione; un po’ tipo quella che Nate aveva per Romeo.
Insomma era parecchio in gamba ed aveva una mira che avrebbe fatto
impallidire perfino quella di Becky.
Questo però significava che l’unica
cosa sensata da fare fosse seguirla. Sperò soltanto che servisse
ad allontanarla il più possibile dalle ragazze.
Lo guidò fino ad una corda fissata alla scala
d’emergenza; con un cenno del capo lo invitò a scendere
prima di lei, per poi seguirlo dopo essersi infilata la pistola dietro
i pantaloni.
Fu sul punto di scappare quando toccò terra,
chiedendosi quanto ci avrebbe messo la Veggente a tornare su e rendere
reale la sua minaccia: avrebbe avuto tempo per avvertire Lynn e
Courtney?
Non si rispose mai, perché a pochi metri da
terra, la corda si allentò, la Veggente perse la presa e lui non
ebbe nemmeno il tempo di chiedersi cosa fare che la stava già
prendendo al volo. Un riflesso involontario, Veggente o non Veggente,
quella ragazza non sembrava molto più grande delle sue sorelle.
Caddero una sopra l’altro in un intrigo di
braccia e gambe, caschi e maschere. Ryan si ritrasse ed a Matt
sembrò quasi di vederla arrossire quando balbettò
adorabilmente: «L-La-Lasciami.» come era abituato a
sentirla fare così spesso da poterla riconoscere sempre in ogni
circostanza.
«Rose?!» la chiamò senza fiato.
«Finito?» gli chiese Jamie Ross eloquente.
Di certo Zach non aveva sperato che non se ne
accorgesse, ma doveva comunque avvertire le ragazze, non glielo aveva
chiesto, ma era sicuro che anche Jared fosse d’accordo.
«Ora via i caschi, da bravi.»
Guardò il fucile, puntato perfettamente tra
loro, pochi millimetri da una parte o dall’altra gli avrebbe
permesso di uccidere l’uno o l’altro. Romeo aveva avuto
delle armi da fuoco, gli sembrava ancora di ricordare la sensazione
della canna della pistola contro il proprio fianco, ma non le usava
spesso. Lasciava che lo facesse Ryan.
Si chiese che idee avesse quel Jamie Ross in proposito.
Sospirò poi sollevò le braccia e si
tirò via il casco, rimase temporaneamente abbagliato dal faretto
montato sulla canna. Jared lo imitò. Con la coda
dell’occhio lo vide guardare verso il palazzo dall’altra
parte della strada, sperò che stesse vedendo le sagome di Lynn e
Courtney scappare.
Il chiarore di una luce ancora lontana lo sorprese
quasi, prima di ricordarsi del camion, il trasporto, tutto quanto. In
quel momento il Mitronio era l’ultimo dei suoi pensieri.
«Qualcuno che li perquisisca, per favore?»
Due soldati fecero per avvicinarsi, Zach si
irrigidì e la sua mano corse alla cintura prima ancora che se ne
rendesse conto. Jamie Ross fece fuoco colpendolo di striscio al
braccio. Colpendolo intenzionalmente di striscio.
Il ragazzo guardò il taglio che si era aperto sulla sua giacca.
«Le ho detto che avrei badato a te.» gli
spiegò riferendosi a Becky. «Sarebbe spiacevole deludere
una ragazza tanto gentile.»
Jared lanciò ai piedi di Jamie due coltelli di grandezza diversa.
«Come vi hanno comprati?» chiese Zach seguendo il suo esempio.
Jamie Ross scoppiò a ridere. «Non ce
n’è stato bisogno, Vegliante, siamo della stessa
razza.»
Courtney si fermò allo sparo e guardò verso il palazzo. «Che è stato?»
Jared.
Lynn corse più avanti, poi tornò
indietro per afferrarle la mano e tirarla. «Niente, Court non
c’è tempo!»
Il boato ed il palazzo sotto di loro che tremava
sorpresero entrambe, la ragazza fece appena in tempo per vedere che i
soldati – se lo erano davvero – si erano fermati sul bordo
del tetto precedente.
Errore.
Courtney riuscì a saltare, Lynn non fu altrettanto pronta.
«Lynn?» chiamò piano Nate nel casco, nessuno gli rispose.
Io e Jean eravamo immobili.
«Lynn?»
Jamie Ross abbassò il fucile per una frazione di secondo, gli
occhi fissi sul palazzo appena crollato, tanto scioccato da sembrare
che nemmeno lui avesse idea di quello che sarebbe successo. «Oh,
no.» borbottò.
Jared vide Zach, vide come fissava il soldato
completamente dimentico di chi stava minacciando, concentrato a
guardare qualcosa a loro precluso. Probabilmente non avrebbero avuto
altre occasioni simili.
Si buttò addosso a Jamie Ross, atterrandolo
con una spallata; gli rubò il fucile e lo lanciò a Zach
che sparò dietro di loro alla cieca. Sapeva che non gli
importava né ferirli né ucciderli: voleva soltanto che
stessero abbastanza lontani per permettergli di raggiungerlo e scappare.
Passarono dall’interno dell’edificio pensando di ottenere una protezione maggiore.
«Sicuro, di averle viste scappare?» gli
chiese Zach, mentre saltavano una rampa di scale dopo l‘altra.
Jared ripensò alle due sagome: era sicuro, ci
sarebbe voluto molto più di un casco per impedirgli di
riconoscere Court e sapeva che per niente al mondo avrebbe lasciato
indietro Lynn. L’unica vera incognita era Matt, dov’era
sparito?
«Si.» rispose.
Si nascosero nella caffetteria che adorava Becky,
ora abbandonata, rimanendo bassi sotto il bancone. C’erano i
frigoriferi lì sotto, in caso di scontro a fuoco sarebbe stata
una buona mossa averli tra loro ed il nemico.
«Che facciamo?»
Jared lo guardò, non gli disse che il
caposquadra era lui ed a lui spettavano gli ordini, Zach non era un
caposquadra. Lui era stato Vegliante sotto Jean e sotto Josh sapeva
cosa significava. Capiva anche perché Josh avesse cercato di
insegnargli, Zach aveva davvero un grande potenziale e nei suoi giorni
migliori poteva anche essere abbastanza carismatico; il problema era
che non aveva un giorno buono da troppo tempo.
Aveva bisogno di qualcuno che gli dicesse “Tu
pensa ai Veggenti, io mi occupo del resto”, non era in grado di
fare entrambe le cose; per questo non stava più facendo
né l’uno né l’altro, si era bloccato.
Guardò il telefono fisso accanto alla cassa,
fece per prenderlo, ma poi sentì lo scalpiccio di un gruppo di
persone e si fermò.
«Per il momento stiamo buoni qui.» gli
disse, certo che tenere Zach nascosto fosse comunque una buona idea,
Romeo voleva lui. Silenziosamente pregò che Courtney stesse
bene, che Lynn stesse bene e Matt – ovunque fosse –
sperò che, come loro, stessero cercando un nascondiglio dal
quale chiedere aiuto in un secondo momento. «Al primo momento di
calma chiamiamo Nate.»
Nate sarebbe dovuto essere il caposquadra di Synt,
lui poteva occuparsi del resto mentre Zach cercava di prendere Romeo.
Courtney si sfilò il casco e corse ad affacciarsi, ignorando
Nate che le chiamava. Che avrebbe potuto dirgli? Non sarebbe stata in
grado di smentire il suo terrore, né di dargli voce. La polvere
del crollo le impediva di vedere qualsiasi cosa, deglutì e le
sembrò di avere mangiato una manciata di terra.
«LYNN!» gridò in preda al panico. «LYNN!»
Ricordava ancora quando terrorizzata aveva bussato
alla sua porta dopo aver fatto l’amore con Jared. Non erano
particolarmente amiche prima, Zach era come un buco nero che
inghiottiva tutto di lei. Quando c’era lui le era troppo
difficile stargli lontano per fare amicizia, non che lei fosse poi
così portata per familiarizzare con gli estranei. Ricordava
come, dopo averla vista tanto sconvolta, avesse cacciato Nate dal suo
letto per fare posto a lei. Non le aveva chiesto niente finché
non aveva iniziato a parlarle di sua iniziativa, ed anche dopo non
l’aveva giudicata.
Lynn era stata l’amica migliore che potesse capitarle, non era mai stata sicura di meritare tanto.
Doveva scendere giù, doveva andare a cercarla
ed in fretta. Nella sua mente scorrevano tutte le complicanze che
sarebbero potute derivare da una caduta del genere più
un’eventuale sindrome da schiacciamento: ossa rotte, fratture
esposte, emorragie interne, traumi cerebrali.
Poteva effettivamente morire.
Per un attimo il panico la rese così confusa da permetterle solo di pregare: no, ti prego, niente complicanze neurologiche, niente trauma cerebrale.
Non ne sapeva quasi niente di neurologia, solo un po’ di teoria
spicciola; sua madre aveva esaminato troppi pochi casi perché
potesse imparare.
Non voleva vederla e sapere che non avrebbe potuto
fare niente per lei. Non voleva guardarla immobile in un letto di
ospedale con la testa fasciata, pregando che si svegliasse. Non voleva
che perdesse la parola, o una parte dell’uso dei movimenti.
Voleva che saltasse e combattesse e mettesse al tappeto Zach in tre
mosse – il suo record – come aveva sempre fatto.
Perché Romeo aveva permesso che fosse proprio Lynn? Cosa avrebbe potuto ottenere da tutto quello?
Qualcosa, dall’anfratto più recondito
del suo inconscio, si fece strada tra i suoi impulsi nervosi in panne e
guidò il raziocinio fino a mostrarle quello che doveva vedere:
la scala d’emergenza del palazzo era rimasta miracolosamente in
piedi e si era appoggiata a quello su cui si era rifugiata lei. Si
disse che era un segno. Poteva scendere da lì e decise che
avrebbe scoperto di poterla salvare.
«Romeo, che cazzo stai facendo?!» domandò Jamie Ross
infuriato. «Sarà il caso che tu intervenga!» lo
rimproverò.
«Che è successo?» chiese lui senza capire.
«Che è successo?! Stai perdendo la tua
guerra, bello!» lo informò. «E riprenditi, davvero
siamo ancora a questo punto?»
Lui non rispose, era il primo a sapere quanto fosse
controproducente per lui non vedere, per questo aveva chiesto rinforzi.
Non era mica colpa sua se Zach non era stato ai patti e l’aveva
ferito; per riprendersi da una leggera intossicazione da Mitronio ci
voleva tempo. Erano già fortunati che non fosse uno di quelli
intolleranti alla cura.
«Lynn è sotto il palazzo che è
crollato.» gli spiegò. «Credi che Nate sarà
ancora felice di aiutarci?!» gli domandò sarcastico.
Romeo guardò il palazzo ad occhi sgranati:
non Lynn, andava bene tutto, ma non Lynn. Era di Nate, e Nate gli
serviva. Lui si era impegnato così tanto, perché fosse
sempre consapevole delle volte che avrebbe potuto ucciderli, ma che non
l’aveva fatto. Veggenti erano stati feriti ed erano morti per
dimostrare a lui i loro propositi non offensivi.
Se adesso Lynn moriva era la fine di tutto!
Perché Zach non aveva pensato ai suoi? Come
aveva fatto a non sentire almeno un odorino di quello che avrebbe
dovuto fare? Aveva una squadra, aveva Nate, Jean e, cavolo, c’era
la ragazzina bionda, Becky, che era fresca d’Asta! Perché
non li aveva consultati?
«Stavolta lo ammazzo.» promise.
«Nate.»
«Lynn?!»
Un mugolio, fragile come il miagolio di un micino appena nato.
«Cos’è successo? Stai bene?»
«Io… sono incastrata, no-non riesco a muovere le gambe.»
Gelai.
«Nemmeno il braccio.»
Vidi Nate chiudere gli occhi. «Ok, non
preoccuparti. Ora chiamo gli altri e ti faccio venire a prendere, tu
continua a parlare con me, d’accordo.»
Il respiro che prese dopo mi fece rabbrividire, era profondo e sibilante e gorgogliante. Le spalle di Nate si alzarono ed abbassarono come se avessero un carico di mille chili sulle spalle.
«D’accordo. Se non mi senti più non preoccuparti. Mi sono soltanto addormentata.»
«No.» si infilò le mani nei capelli. «Lynn, resta sveglia.» supplicò.
Courtney scese le scale d’emergenza di corsa, le suole delle
scarpe facevano un gran fracasso sui gradini di metallo, ma non
importava. Aveva portato dietro il casco per dire a Nate di chiamare
un’ambulanza quando l’avrebbe trovata, ma non si sarebbe
fatta problemi ad usarlo come arma se ce ne fosse stato bisogno.
L’ultima rampa di scale era rotta e mezza
seppellita dalle macerie, saltò giù dall’ultimo
pianerottolo; atterrò su un cumolo di cemento sdrucciolevole che
cedette sotto il suo peso. La caviglia le mandò un stilettata di
dolore, un storta. Imprecò tra i denti, beh, avrebbe dovuto
aspettare.
«LYNN!» chiamò ancora.
Niente solo cumoli di pietre, vetri rotti, con
sporadici mobili semi seppelliti. Non ricordava cos’era quel
palazzo, non riusciva a riconoscerlo, ma sarebbe stata l’ennesima
informazione inutile: lei doveva trovare Lynn.
«LYNN!»
Da qualche parte il suo cervello le suggerì
di smetterla di urlare come un’oca, tutto intorno a lei con ogni
probabilità c’erano soldati, Veggenti e diversi cecchini
pronti a fare fuoco su di lei.
Si voltò come se qualcuno l’avesse chiamata e vide una mano.
Rimase immobile, come davanti ad una belva feroce.
La mano aveva le unghie smaltate di celeste.
Non appena riuscì ad assimilare quel
dettaglio, si precipitò verso di lei. Posò il casco e si
inginocchiò scavando freneticamente con le mani. «Lynn,
sono Courteny, ora ti tiro fuori te lo giuro.» sollevò un
pannello di isolante, studiò il casco che c’era sotto e
per un attimo ebbe il cieco terrore che, se lo avesse sfilato, si
sarebbe staccato dal resto del corpo.
Scrollò forte la testa per snebbiare i
pensieri: non si toglieva mai il casco senza essere certi che non ci
fossero danni alla spina dorsale e lei non ne era affatto certa.
Fece scivolare indietro la visiera invece,
scoprendole gli occhi chiusi. «Lynn.» la chiamò
più piano, le spolverò il collo e le abbassò poco
la zip della giacca per poterla toccare, cercò la giugulare e si
intimò di calmarsi altrimenti non sarebbe riuscita sentire
nessun battito. Chiuse gli occhi: batti, ti prego, batti.
Spalancò gli occhi di botto. Viva, era viva.
Studiò il segno rosso che le aveva lasciato
sul collo, poi le sue unghie spezzettate. Immaginò la voce
severa, ma rassicurante di sua madre: sciocca, la tua amica è sotto un cumolo di macerie e tu pensi alle unghie rotte.
Le tolse tutto quello che poté dal torace,
cercò di non pensare alla lastra di pietra usata per il
parapetto che sollevò, abbastanza pesante da romperle le costole
e schiacciarle in una certa misura tutti gli organi vitali.
Spostò altri detriti di poco conto dal bacino, si fermò
quando vide il blocco di cemento sulle sue gambe: enorme, pesantissimo,
spaventoso. Non sarebbe mai riuscita a spostarlo da sola.
Provò a spingerlo e Lynn urlò
così forte da sconvolgerla, lasciò tutto e si
chinò sui suoi occhi.
«Lynn, sono io, va tutto bene!»
Lei la fissò e basta, gli occhi sgranati nei
suoi ed il fiato corto. Era spaventata, addolorata, avrebbe dato tutta
sé stessa per avere dei sedativi, o un anestetico.
«Devo spostarlo, Lynn, devo tirarti fuori.»
La sentì deglutire e muovere piano la testa in un gesto di assenso.
Le strinse la mano, poi tornò al blocco. Non
appena provò di nuovo a spingerlo, Lynn ricominciò ad
urlare come se le stesse strappando via la gamba a morsi; Courtney
scoppiò a piangere e si fermò, dov’erano tutti gli
altri? Dov’era la sua squadra? Non si era mai sentita tanto sola
in vita sua, tanto inesperta, tanto sperduta.
Si appoggiò con la schiena al blocco e si
lasciò scivolare giù, non ci riusciva se urlava in quel
modo, non poteva. Aveva ricucito Zach mille volte e lo aveva
rimproverato di stare zitto con cipiglio severo ogni volta che infilava
l’ago; ma in quei momenti sapeva perfettamente cosa stava
facendo, sapeva che quei punti gli servivano e che quel dolore gli
avrebbe fatto bene: era dolore buono, come alcol su una ferita infetta.
Ma il dolore di Lynn… Courtney non poteva essere certa che fosse davvero dolore buono.
Sentì dei passi, con quel disastro nemmeno i
Veggenti potevano essere abbastanza silenziosi. Si alzò e si
tolse le lacrime da sotto le guancie con le dita martoriate: sarebbe
morta prima di permettere a qualsiasi mostro di toccarla.
Romeo non era solo e tra le mani aveva un razzo
acceso, la luce rossa si rifletteva sulla polvere ancora
nell’aria. Guardò Lynn addolorato per un secondo, poi si
portò due dita alla bocca e fischiò: un nuovo pugno di
Veggenti lo raggiunse come se piovessero dal cielo.
«Veloci, c’è Lynn lì sotto.»
Non ebbe bisogno di dire altro, i Veggenti si avvicinarono.
«NO!» gridò Courtney ed incredibilmente loro si fermarono.
Si aprirono per lasciar passare Romeo che la
raggiunse, la afferrò per le spalle e la strattonò
fino a portarla tanto vicino a lui, che se si fosse sporto avrebbe
potuto morderla. «Con quale coraggio ci minacci, dopo che stiamo
cercando di correggere i vostri errori?» le ruggì in
faccia.
Courtney deglutì e lo fissò.
«Non è un nostro errore, tu hai permesso che
accadesse!»
Passò un secondo in cui Romeo la fissò
con tanto furia che Courtney fu seriamente convinta che l’avrebbe
picchiata, malmenata o uccisa. Non lo fece, ma poté indovinare
che gli costasse fatica controllarsi.
«Non sono io a dover pensare alla vostra
incolumità!» sibilò. «È compito di
Zach! Io dovrei volervi assassinare tutti e dovrei essere contento che
Lynn si sia massacrata! E invece mi trovo costretto a salvarvi il culo
al posto del vostro brillante quanto idiota caposquadra! Non posso
pensare a tutto io!»
Courtney cercò di divincolarsi, inutilmente.
«Voi ci date la caccia, cercate di ucciderci
ed avete anche il coraggio di aspettarvi che siamo leali e buoni. Voi
lo siete?» allontanò una mano per indicarle il camion dal
quale stavano scendendo le guardie giurate e stava salendo un Veggente.
«Per quanto Lynn mi stia personalmente simpatica ha rischiato di
morire per permettere ad altri mille Veglianti in tutto lo Stato di
avere l’arma giusta per sterminarci. Io dovrei permettere
incidenti del genere ogni giorno! Ma noi Veggenti siamo così
stupidi!» rifletté amaro. «In fondo siamo gli stessi
che cadono nelle trappole omicide di Wodd, giusto? Voi sacrifichereste
uno dei vostri pur di ammazzarci, noi ci facciamo ammazzare pur di
salvarvi.»
Courtney rimase in silenzio, con i battiti
accelerati ed il respiro frammentato. Romeo infuriato faceva davvero
paura, era più imprevedibile del solito.
«Quindi sai che c’è? Stanotte
avrete il tipo di mostri che meritate. Stanotte saremo come voi.
Stanotte, visto che mi serve, mi prenderò il sangue di
Zach.»
La ragazza impallidì
«E tu, mia cara, smettila di comportarti come
se fosse colpa mia ed inizia a pensare a cosa ti serve per impedire
danni permanenti! Non ve ne andrete di qui tanto presto!»
Lei lo fissò ancora senza parlare.
«A meno che tu non voglia lasciare solo
lei.» insinuò. «Sarebbe un comportamento molto da
Vegliante.» si guardò intorno. «Zach e Jared non
sono qui.»
Questa volta quando se lo scrollò di dosso la
lasciò. Si morse il labbro continuando a fissarlo, lui si
scostò per lasciarle abbastanza spazio per scappare.
«Allora?»
Courtney guardò Lynn, i suoi occhi dietro la
visiera sollevata. Nel suo sguardo c’era la comprensione di chi
l’avrebbe perdonata, ma non avrebbe mai potuto farlo, neanche se
significava farsi usare come esca. «La gamba.»
iniziò. «Mi serve qualcosa per steccarla.»
«Altro?» le chiese.
«Ancora non lo so.»
Le indicò Lynn con un cenno del capo. «Scoprilo.»
Lo guardò. «Non verrà.»
Romeo ricambiò il suo sguardo con aria di
sfida, mentre recuperava un’auricolare dalla tasca. «Ma
certo che verrà, mi basta dirgli che ci sei tu.» rise.
«È anche più stupido di noi Veggenti.»
La ragazza deglutì fin troppo consapevole della realtà. «Lo ucciderai?»
Romeo tentennò prima di rispondere.
«Non dovresti chiedere se ucciderò Jared?!» le
chiese di rimando, lei deglutì ed abbassò gli occhi.
«Proverò a resistere alla tentazione.»
Lynn urlò per l’ennesima volta. Le sue grida si
sovrapponevano a quelle che avevo immaginato e suggerivano alla mia
mente: lo sapevi, lo avevi visto, sei una Veggente.
Mi tappai le orecchie con le mani: no, non lo ero, non lo ero, non lo ero.
Però perché non avevo detto niente a
nessuno? Avrei potuto, Nate mi avrebbe dato retta e se l’avessi
fatto per Lynn non avrebbe fatto la spia. Mi ero comportata esattamente
come diceva Zach: ero stata una fifona, tanto egoista da lasciare che
Lynn venisse ferita pur di non attirare sospetti su di me.
Lynn era sempre stata tanto carina e gentile con me
ed io che forse avrei potuto fare qualcosa… che persona meschina
ero!
Nate era immobile al centro della stanza, ogni grido
era un suo sussulto, seguito da qualche parola di incoraggiamento
sempre meno credibile. Forse non era tra i loro scopi, ma la tortura di
Lynn stava massacrando anche lui.
«Basta.» sbottò Jean. «Spegni, non serve a niente.»
«NO!» gridò oltraggiato Nate. «Non posso lasciarla sola.»
Quando il telefono della caffetteria squillò, Zach e Jared si
scambiarono un’occhiata incerta. Dopo un lungo momento di
assoluta immobilità, Zach si alzò e recuperò la
cornetta portandosela all’orecchio, senza dire niente.
La prima cosa che sentì, furono le grida di
Lynn. Urla inumane, che gli fecero gelare il sangue nelle vene: cosa le
stavano facendo?
«La senti?» gli chiese Romeo.
«Lynn?» dopo poco se ne pentì, ma
pregò dentro di lui, pregò che fosse Lynn e non Courtney.
Jared si alzò e lo osservò aspettando che aggiungesse un soggetto.
«Stiamo approfittando della tua leggerezza.» rispose divertito. «Per ora torturiamo lei, poi
giochiamo un po’ con Courtney. È carina quando si
divincola.»
Zach rimase senza fiato e guardò il suo compagno deglutendo.
«Non oserete…» avanzò in
quella che sarebbe dovuta essere una minaccia, ma sembrava una supplica.
«Ho osato cose peggiori.» rifletté. «Ricordi quando l’ho baciata.»
Si, lo ricordava, era la prima notte che era uscito
e l’aveva fatto solo perché Courtney era nei guai. Aveva
pensato che la volesse, ora sapeva che la stava usando per provocarlo.
Gli era riuscito.
«Secondo me ci sta.» continuò.
Anche in quel momento voleva soltanto infastidirlo.
«Cosa vuoi per lasciarle?» chiese cercando di racimolare ogni briciolo di calma.
Quando perdi le staffe non ragioni e lui ti massacra.
Glielo aveva detto Josh, una sera che era più spezzettato del
solito: aveva rotto una finestra con la schiena e Courtney stava
cercando di togliergli tutti i frammenti di vetro. Josh stava lì
per cercare di distrarlo, non sapeva che le dita di lei che
percorrevano le sue spalle nude erano già abbastanza. Quindi cerca di tenere la mente calma.
Per la notte dopo Matt e Lynn gli avevano rinforzato
e riparato la giacca, promettendo di farlo presto anche con quelle di
tutta la squadra: la sua squadra pensava sempre a lui.
«Beh…» iniziò Romeo.
«Il Mitronio ce l’ho io, i soldati mi obbediscono, le donne
le ho già prese… oh, ci sono!» esclamò.
«Ricordarti quanto è fragile la tua misera vita e
com’è avere a che fare con Veggenti arrabbiati. Mostrarti
com’è quando non riesci a prenderti cura della tua
famiglia.» disse con un tono molto più serio e molto
più cupo. «Venite qui tutti e due, Jared prende Lynn e
Courtney e le porta via, tu resti.»
«Ok.»
«C’è qualcuno di speciale che vuoi salutare?» gli domandò ironico.
Zach pensò a Becky, per fortuna non l’aveva fatta uscire. «Sto bene così.»
«Ottimo.» convenne. «Tic, tac… Lynn non ha tutta la notte.»
Riappese la cornetta e guardò Jared, non
l’aveva mai visto tanto teso, ma lì per lì non
riuscì esattamente a focalizzare perché, pensò
semplicemente che fosse preoccupato per le ragazze: era una
giustificazione logica.
«Torniamo indietro. Credo che Lynn non possa
muoversi, dovrai portarla in braccio. Court dovrebbe stare bene.»
gli spiegò in fretta e con freddezza, una serie di ordini da
impartire.
«Zach?» lo chiamò lui leggendo inquietudine nei suoi occhi.
«Io resto lì. Penso che Romeo voglia darmi una lezione.»
Jared lo fissò. «Zach, c’è
una cosa che devi sapere.» confessò a capo chino.
Lo guardò circospetto.
«Quando non la trovi, Courtney è con me.»
Matt spalancò la porta della stanza di Nate e mi guardò. «Andiamo a salvare Zach?» mi propose.
Tutti e tre lo guardammo, sembrava vagamente sconvolto ed agitato, irrequieto.
«Zach è in pericolo?» si intromise Jean.
Matt alzò gli occhi al cielo. «Zach
è sempre in pericolo, non sorprenderti, Jean.» la
rimproverò. «Scambierà sé stesso con Lynn e
Court.» spiegò.
Sgranai gli occhi sconvolta. Non tutte le mie
profezie si erano avverate, c’era ancora una tragedia in attesa
di compiersi. Una parte di me cercò di riportarmi indietro: non sei una Veggente!
«Ma è impazzito?!» guardò
Nate. «Devi dirgli di non farlo, di tornare qui. Studieremo una
strategia e…»
«Non posso.» la interruppe lui in un sussurro. «Non chiedermelo.» sembrava sfinito.
Matt lo osservò turbato per alcuni secondi,
poi si rivolse a Jean. «Lynn ha bisogno di andare in un ospedale
al più presto, non c’è tempo né per farlo
tornare indietro né per inventare strategie.»
La Responsabile lo studiò. «Come lo sai?»
Lui le lanciò appena un’occhiata.
«Lo so. Non è il momento di chiedersi
perché.» tornò su di me. «Sei pronta?»
Lo ero?
«Si.»
Jamie Ross guardò Courtney con la felpa di Romeo, aveva usato la
propria maglietta per fissare la gamba di una sedia al ginocchio
martoriato di Lynn. Immaginò che, se Douquette avesse saputo che
una ventina di Veggenti aveva visto la ragazza più nuda di
quanto avesse fatto lui, avrebbe dato i numeri. Coprirla era stata una
buona idea.
Trattenne Romeo per una spalla. «Vatti a nascondere.» lo avvisò.
Lui lo guardò. «Non posso.»
«Devi.» precisò Jamie.
«Guarda che casino che è successo perché sei stato
tre giorni senza vedere: non possiamo permettercelo.»
Romeo tentennò con gli occhi su Lynn.
«Non costringermi ad ammanettarti.» lo
minacciò Jamie serio. «Hai scelto di essere il volto di
questa guerra: o diventi immortale o impari a delegare!»
Non gli disse di non aver scelto niente. Non gli disse che era stato Joshua Lanter a sceglierlo.
«Iago, ti va di strapazzare Zach Douquette al mio posto?»
perchè mi sono imbarcata in un progetto del genere?
spero davvero, davvero, davvero, che non sia troppo penoso... vi prego,
mettetevi una mano sul cuore ed abbiate pietà di me!
vi giuro, io ci ho messo tutta me stessa e continuerò a farlo!
baci
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Capitolo 15 *** 14. Ci servi ancora ***
Capitolo 14 MS
fragolottina's time
bentrovate lettrucciole,
vi faccio un riassunto delle puntate precedenti perchè è
un po' che non aggiorno e visto che si tratta di una storia con -
addirittura?! - una trama, non vorrei che faceste confusione.
nonostante gli avvertimenti di Nate e Becky, Zach decide comunque di
cercare di impedire che Romeo boicotti il convoglio che trasporta il
Mitronio, sicuro della loro superiorità numerica, visto che una
squadra dell'esercito è stata mandata ad assisterli.
in realtà Jean, in seguito ad una telefonata di Wood, scopre che
la squadra di soldati guidata da Sharon Sullivan e Jamie Ross è
lì per aiutare i Veggenti, non i Veglianti.
i Veggenti staccano la corrente per impedire a Nate di interromperli in
alcun modo, Matt viene sequestrato e portato via da Ryan, che altri non
è se non Rose Kurtovskij; il palazzo dal quale Courtney e Lynn
sorvegliavano il trasporto viene fatto demolire, mentre Zach e Jared
riescono a sfuggire da Jamie Ross.
Courtney riesce a salvarsi, Lynn no.
Romeo le trattiene e chiama Zach per proporre uno scambio: lui per le due ragazze.
Jared gli confessa la sua relazione con Courtney.
Matt riappare in caserma e propone a Becky di andarle a salvare Zach.
spero di avervi rinfrescato la memoria!
buona lettura...
14.
Ci servi ancora
Courtney era sdraiata di fianco a Lynn e lei aveva la testa voltata
verso di lei, per guardarla negli occhi. Aveva finito per sfilarle il
casco: la sua spina dorsale stava bene, lo sapeva e Romeo glielo aveva
confermato. Continuava a tenerle le dita strette intorno al polso per
essere sicura che il suo battito fosse costante; non aveva niente per
rianimarla, avrebbe potuto farle il massaggio cardiaco, e, dio,
avrebbero dovuto tagliarle le mani per fermarla o impedirglielo, ma
sarebbe stato troppo rischioso.
«Il fatto che la gamba ti faccia male è buon segno.» mormorò dopo un po’.
La vide deglutire, poi la sentì inspirare ed
espirare come se le costasse una fatica immensa. «Davvero?»
chiese in un soffio.
Annuì lentamente. «Significa che la tua spina dorsale è apposto, guarirai.»
La gamba era rotta, soltanto un osso che aveva
bisogno di essere riposizionato nel modo giusto per potersi riparare da
solo, quello che la preoccupava era il resto. Quello che la preoccupava
non era necessario che lo conoscesse anche lei.
«In fretta?» chiese speranzosa.
Courtney scosse la testa. «Però guarirai.»
Se Zach fosse venuto in fretta, se il suo cuore non
si fosse fermato mentre lo aspettavano, se Romeo e quel Jamie non
avessero deciso di essere stufi di aspettare. Da quanti
“se” dipendevano le loro vite.
«Courtney.» la chiamò Romeo.
«Si.» rispose senza staccare gli occhi
di Lynn, senza muoversi. Non voleva per nessuna ragione distogliere
l’attenzione da lei, ogni piccolo cambiamento sarebbe potuto
essere importante, se avesse avuto abbastanza cura forse avrebbe potuto
prevedere quando lo shock avrebbe preso il sopravvento sulla tenacia di
Lynn portandola al collasso.
Non riuscì ad impedirsi di pensarlo: un
Veggente in quel momento sarebbe stato molto più utile di lei.
Avrebbe saputo con precisione quando e cosa fare. Quella notte avrebbe
dato qualsiasi cosa per far parte degli uomini di Romeo.
«Devo parlarti.»
Non si mosse. «Non ora.»
Lui si accucciò accanto a loro e per un
attimo Court ebbe paura, la stessa paura di quando si era tolta la
giacca e tutti la guardavano, si era tolta la maglietta senza lasciare
che essere una ragazza prendesse il sopravvento. Aveva preso il
coltello da una tasca di Lynn, non aveva pensato nemmeno per un secondo
che avrebbe potuto servirle per difendersi, aveva tagliato la maglietta
in tanti lembi. Romeo si era avvicinato e lei si era sentita
così nuda da tremare, poi però si era accorta che non la
stava guardando, nessun Veggente lo stava facendo, a parte le donne.
Romeo si era sfilato la felpa e tenendo sempre lo sguardo basso gliela
aveva porta.
Rispetto, che strana parola da associargli.
«Quanto tempo?»
Scosse la testa. «Non lo so.»
Romeo rimase in silenzio per alcuni secondi,
l’aria vibrò come se fosse stata riempita di sussurri.
«Lo sai, Courtney.» disse solo. «Quanto tempo?»
Chiuse gli occhi per non vedere Lynn mentre ci
pensava, per quanto tempo il suo corpo sarebbe riuscito a tenere
insieme tutti i pezzi rotti? Per quanto tempo avrebbe lottato? Lynn era
una combattente, lo era sempre stata.
«Due ore.» riaprì gli occhi e guardò lei, avrebbe quasi voluto scusarsi.
«Da adesso o dal crollo?»
Avrebbe voluto che ci fosse Josh, da qualche parte,
ad aspettarli, a cercare il modo di salvarli. A dirle “Bel
lavoro, Court” quando sarebbero tornati a casa.
«Dal crollo.»
Zach chiuse gli occhi prima di attraversare il vicolo che lo avrebbe
portato, meno metaforicamente di quanto avrebbe voluto, nella bocca del
lupo.
In realtà sapere che non sarebbe tornato, che
tutto quello che era sarebbe finito in quella notte, era quasi
confortante. Come quando Courtney gli metteva i punti: gli diceva
quanti gli servivano, poi li contava uno per uno, in modo che sapesse
sempre quanto mancasse alla fine.
Era più semplice affrontare il dolore se si aveva la certezza che sarebbe finito presto.
Aveva cercato di accantonare quello che gli aveva
detto Jared e di restare lucido e imperturbabile come un vero
caposquadra, come Josh. Non era servito, pensare a Josh in quel momento
gli aveva soltanto ricordato che nemmeno lui era stato imperturbabile:
era un alcolista, bisognava essere almeno un po’ turbati per bere
tanto quanto faceva lui.
Chiuse gli occhi e prese fiato.
Sarebbe finito presto.
«Ok, andiamo.» incoraggiò Jared.
«Siamo proprio sicuri di volerlo salvare?» chiese ancora
Nate, gelido. Aveva gli occhi su una mappa di carta di Synt, il vicolo
dov’era Lynn era cerchiato in rosso. Per una volta aveva
abbandonato il suo palmare ed i suoi computer per tornare ad un
più affidabile carta e penna che non lo avrebbe abbandonato al
primo sbalzo di corrente.
Gli lanciai un’occhiata spaventata che dicesse
sul serio, ma il suo sguardo era indecifrabile: avrebbe davvero
abbandonato Zach al suo destino? Non ero sicura di volerlo sapere.
«Io devo farlo.» mormorai. Gli ordini di
Jean erano stati chiari: “Tu e Nate restate in caserma, mentre
Matt recupera Lynn ed io vado ad avvisare l’ospedale del loro
arrivo”. Mi chiedevo se si fosse illusa anche soltanto per un
secondo che l’avremmo ascoltata.
Lui mi guardò per pochi secondi, poi distolse
gli occhi dai miei. «Io non voglio che altre persone a me care si
facciano male per lui.» spiegò. «Josh non ci ha mai
messo in una situazione del genere.» ricordò fissando la
schiena di Matt che ci faceva strada verso il garage.
Si voltò esasperato. «Zach non è
Josh! Va bene, abbiamo capito. Ma siamo una squadra e nessuno viene
lasciato indietro.» premette un pulsante sul telecomando
dell’auto e lo sportello del portabagagli si dischiuse. Lo
fissò. «Pensi davvero che Lynn lo abbandonerebbe?»
Nate fu praticamente sul punto di ringhiare.
«La mandiamo lì senza un piano!» lo
rimproverò.
«La mandiamo lì con un fucile caricato
al Mitronio che è l’unica in grado di usare.»
Strinsi in una mano la canna, Matt era stato
costretto a mettere a punto gli ultimi dettagli di corsa: per i
proiettile aveva usato un paio di siringhe monouso rubate
dall’infermeria, svuotate del loro contenuto e riempite con
Mitronio rubato dall’armeria. Il fucile caricava due colpi per
volta, pochi, ma mi aveva dato anche un sacchettino con un paio di
munizioni di riserva, il problema era che dubitavo seriamente di poter
avere il tempo di ricaricare.
«E poi lì c’è Zach.»
Nate alzò gli occhi al cielo. «Come se
questa fosse una garanzia.» borbottò sarcastico
«Lo sappiamo tutti che è un pessimo
stratega, ma sotto pressione da sempre il meglio di sé.»
mi guardò. «Credo che con lei lì sarà
piuttosto sotto pressione.»
«Ah, quindi la mandiamo lì solo per stressarlo!»
Matt gli lanciò un’occhiata di
rimproverò. «La mandiamo lì perché Zach ha
bisogno di aiuto…» iniziò. «Ma non
necessariamente di un fucile!» si fermò e fissò gli
occhi su di lui. «La domanda è: tu hai intenzione di
aiutarci o no?»
«In ginocchio.» ordinò Iago.
Zach guardò Courtney ed obbedì, la
osservò fissarlo, mentre si metteva in ginocchio davanti ad un
Veggente.
«Via la giacca e mani dietro la nuca.»
Masticò un’imprecazione pensando al
coltello di emergenza cucito all’interno, in una tasca segreta,
ma obbedì ancora: vedeva Lynn immobile, il pugno stretto tanto
da farle tremare i muscoli del braccio. Quanto le faceva male e quanto
stava cercando di non darlo a vedere?
Non era il momento di fare gli splendidi, ma quando
Iago gli spinse la canna della pistola fra le labbra, indietreggiare e
girare il viso di lato fu più forte di lui. Il Veggente lo
afferrò per i capelli e gli tenne ferma la testa, forzando la
sua bocca ad aprirsi con poca grazia. «Tu non vuoi che ci sia lei
al tuo posto, non è vero?» domandò con un cenno del
capo in direzione di Court.
No, nemmeno se era di un altro.
«Jared, prendi la tua e quella di Nate.» ordinò sollevando lo sguardo.
Jared corse, Zach lo vide sfiorare il viso di
Courtney velocemente, tanto per accertarsi che fosse davvero lì,
prima di chinarsi e sollevare il più delicatamente possibile
Lynn, che nonostante la cura non poté impedirsi di lasciare
andare un gemito.
«Ofelia, prendi pure dal nostro eroe tutto quello di cui Romeo ha bisogno.»
Ed anche se sarebbe finito presto, anche se poteva
vedere con i suoi occhi la sua squadra mettersi in salvo, Zach
scoprì di avere paura.
Matt si fermò davanti al vicolo proprio mentre Jared e Courtney
ne uscivano portando Lynn, li sentii caricarla sul sedile posteriore,
li immaginai distenderla.
«Zach è nei guai.» annunciò lei decisa. «Dobbiamo fare qualcosa.»
Chiusi gli occhi e strinsi il fucile tra le mani,
inspirai profondamente, cercando di sussurrare parole di conforto al
mio cuore ed espirai, piano. Matt spinse il pulsante per aprire il
portabagagli ed io deglutii. C’era una leva all’interno, se
la avessi tirata il portellone si sarebbe aperto, io sarei potuta
uscire, sarei potuta andare ad aiutare Zach.
Però potevo anche rimanere immobile, potevo
restare lì, immaginavo che Matt mi avesse infilata nel
portabagagli anche per quel motivo: potevo scegliere di non
intervenire, scegliere di essere una vigliacca senza che qualcuno
avesse potuto incolparmi. Semplicemente nessuno avrebbe saputo che ero
lì.
Aprii gli occhi decisa: non volevo credere di non
poter essere più di quello, io ero più di quello.
Allungai la mano e tirai la leva.
Non guardai nessuno di loro, soprattutto evitai di
cercare Lynn, ero più che certa che avrebbe tentato di fermarmi
e non volevo farlo, non era per fermarmi sul più bello che ero
arrivata lì.
Incredibilmente, riconobbi la voce di Courtney urlare un «Aspetta!» che finsi di non sentire.
Lanciai soltanto un’occhiata a Matt che
annuì leggermente, prima di correre dentro al vicolo tenendo ben
stretta tra e le mani la mia arma.
Courtney sollevò la testa dalla macchina. «Dove sta andando?» chiese a Matt.
«Da Zach.»
«Da sola?» domandò incredula.
Spostò gli occhi dal parabrezza a lei. «Non necessariamente.»
Matt e Nate erano stati ottimisti, i Veggenti si accorsero di me molto
più in fretta di quanto avevamo sperato. Intimai a me stessa di
non prestare loro attenzione. Non mi serviva e di certo non mi aiutava.
Inizialmente mi seguirono dai tetti dei palazzi,
vedevo le loro ombre scorrermi sulla testa. Con grazia iniziarono a
scendere sempre più in basso, come se scivolassero semplicemente
sui muri, in realtà approfittavano di ogni piccolo appiglio per
appoggiarsi e darsi la spinta per saltare di nuovo: immaginavo fosse
semplice da fare, quando potevi sapere in precedenza dove e come
atterrare per non cadere.
Mi dissi che non avevo bisogno di troppo tempo per sparare, sicuramente meno di una trentina di secondi.
Trenta secondi, mi avrebbero concesso trenta secondi?
In quel momento trenta secondi mi sembravano un tempo interminabile.
Un Veggente mi si parò davanti alla fine del
vicolo, mi fermai di botto a pochi passi da lui registrando tutto
quello che vedevo al di là del suo corpo: Zach era inginocchiato
a terra con le braccia incrociate dietro alla nuca; il Veggente davanti
a lui non era Romeo, ma in ogni caso gli teneva la canna di una pistola
in bocca; sotto il gomito destro di Zach c’era una pozza di
sangue, non potevo né volevo vedere, ma sospettavo che il suo
braccio non se la passasse bene.
Ignorai sia lui, sia i gemiti di qualcuno che lottava dietro di me. C’era abbastanza tempo.
Non sei troppo lontana, Becky,
mi dissi. Non lo ero davvero… forse sì, ma se potevo
vedere il mio obbiettivo potevo anche colpirlo: mi sistemai il calcio
addosso e sollevai la canna. Sapevo che nel progetto originale
c’era anche un mirino termico, ma in fondo non mi serviva,
perché io potevo sparare ad un Veggente.
Il tipo di fronte a me si sistemò meglio, in
modo da precludermi ogni visuale ed essendo alto il doppio di me la
cosa non gli risultava difficile, ma non mi serviva vedere subito.
Puntai al Veggente che mi sbarrava la strada ed
appoggiai il dito sul grilletto, lui non si mosse ed ebbi il tempo di
chiedermi se non lo facesse perché dubitasse che avrei fatto
fuoco, o perché credesse che quella missione fosse più
importante della sua stessa vita. I Veggenti credevano in quella causa,
tutti, senza esclusione alcuna, con la stessa intensità e
determinazione di Romeo.
Anche io credevo così tanto nella mia?
In quel momento non importava, l’unica cosa
che avesse significato era Zach in ginocchio ed il suo braccio che
sanguinava.
Premetti il grilletto.
Il Veggente strizzò gli occhi.
Il colpo non partì.
Fissai il fucile nel panico, gocciolava una sostanza
verde e vischiosa, la canna ed il caricatore non dovevano essere ben
allineate perché la fiala ci si era infranta contro, sputando
fuori una cascata di schegge di vetro, taglienti, ma decisamente non
letali.
Il Veggente riaprì gli occhi e sorrise: l’aveva visto.
Quanto tempo avrebbe impiegato per raggiungermi?
Aprii il caricatore come mi aveva insegnato Matt,
una fiala era ancora lì integra; studiai al volo la canna, anche
in quel modo si vedeva che era storta, se Matt avesse avuto tempo se ne
sarebbe accorto. Dietro di me i passi erano sempre più vicini.
Non potevo lasciarmi spaventare.
«No! Fermala!» urlò Romeo, era lui che mi stava inseguendo.
Avevo bisogno ancora di tempo!
Strinsi calcio e canna tra le mani e cercai di
piegarlo, inutilmente, non ero così forte. Romeo riuscì a
raggiungermi, mi afferrò per i capelli e mi strattonò
all’indietro. Il fucile mi cadde di mano e volò a terra,
l’altro Veggente lo calpestò senza troppi complimenti,
pronto a dare man forte al suo capo.
Lo calpestò nel punto giusto.
Romeo lasciò la presa perché qualcuno
riuscì a colpirlo, mi voltai appena per vedere chi e riconobbi
Courtney. Mi lanciò solo un’occhiata.
«Muoviti!» mi gridò.
Mi accucciai per sfuggire al secondo Veggente
tenendo gli occhi ben fissi sul mio fucile, lo raggiunsi perché
lui era troppo occupato a cercare di liberare Romeo piuttosto che
fermare me; quando lo ebbi afferrato però, la sua presenza di
spirito gli permise comunque di afferrarmi un braccio e tirarmi
indietro.
Allungai il braccio armato davanti a me, non era il
modo di mirare, né di sparare, ma era l’unica
possibilità che avevo. Cercai di tenere il fucile il più
fermo possibile sul mio bersaglio e feci fuoco.
La siringa filò via dal mio fucile mezzo secondo prima che Romeo mi si buttasse addosso.
Sia lui che l’altro Veggente si fermarono guardando verso Zach e l’altro.
«No.» mormorò Romeo ancora aggrappato alle mie gambe.
Il braccio destro era rimasto schiacciato sotto il
mio corpo ed aggrappato al fucile, era un nodo pulsante di dolore. Mi
divincolai per liberare il braccio quando Romeo mi lasciò per
correre a soccorrere il suo amico.
Zach guardò il Veggente accasciarsi, poi Romeo raggiungerlo per
sostenerlo. All’inizio non capì, l’agitarsi che
aveva sentito dietro di loro non era stato reale quanto il sapore del
metallo e dell’olio lubrificante della pistola.
Il braccio di Iago ricadde lungo il suo fianco, il
pugno si aprì lasciando rotolare una fiala sporca di liquido
scuro verdastro, vischioso, niente a che vedere con la bella punta di
verde di cui erano cucite le loro giacche, ma pur sempre Mitronio:
Becky.
Fissò gli occhi su Romeo, scoprendoli ad
aspettarlo, a rivelargli tutto quello che aveva bisogno di sapere.
Becky era pericolosa.
Becky aveva ucciso un Veggente.
Becky un gradino sopra di lui tra le persone che Romeo avrebbe ucciso.
«Non ti permetterò di salvarla.»
Zach corse via.
«Lynn è con noi.» disse Matt non appena Nate rispose al cellulare. «Aiuta Becky.»
Nate uscì dalla caserma portando con
sé soltanto un cacciavite ed il suo pc, sapeva che nessuno
l’avrebbe ostacolato.
La centrale elettrica era la sua destinazione.
Il Veggente che aveva cercato di fermarmi riuscì a colpirmi
prima che Courtney si mettesse in mezzo per difendermi; crollai a terra
come una bambolina di pezza con la testa che pulsava per la botta.
Immagazzinai frammenti di tutto.
Zach che si buttava addosso al Veggente per
scansarlo; le sue mani decisamente indelicate e frettolose, strapparmi
il fucile e cercare di mettermi in piedi alla meglio.
«Dobbiamo portarla il più lontano
possibile di qui.» disse prima che lui e Courtney mi prendessero
per trascinarmi fuori dal vicolo.
Un gruppo di Veggenti ci aspettava, troppi per tre
Veglianti dei quali una ero io; per evitarli Zach e Courtney svoltarono
bruscamente verso sinistra rinfilandosi in un'altra stradina con una
stretta curva a gomito che passava dietro la mia caffetteria. Non
sapevo dov’ero, ma sapevo che i Veggenti ci stavano raggiungendo.
Proseguimmo ancora per qualche metro fino ad un
palazzo dall’aria fatiscente; Courtney diede un calcio alla porta
che cedette e mi spinse dentro, voltandosi subito dopo per aiutare Zach
a tenere a bada i Veggenti. «Va’ avanti!» mi
gridò un secondo prima che Romeo si parasse davanti
all’uscio.
Chiuse la porta, la inchiavò ed incastrò una sedia sotto la maniglia.
Indietreggiai piano fino ad un muro, terrorizzata e
dolorante. Lui mi raggiunse e mi prese per il collo tenendomi ferma,
immediatamente sollevai le mani, per afferrargli il braccio ed
allontanarlo, ma non appena lo strinsi capii che ogni mio tentativo
sarebbe stato inutile: il suo braccio era forte, duro e fermo come il
suo sguardo dalle iridi pallide.
«Ti daranno una medaglia.» mormorò. I suoi occhi erano cerchiati di rosso, aveva pianto.
Synt si illuminò, mentre alcuni colpi iniziarono a piovere sulla porta.
«Sarai un’eroina, nessuno ti dirà
la verità, quindi lo farò io.» mi strinse la gola
più forte, avvicinandosi al mio viso. Inaspettatamente il suo
odore mi portò lontano da lì, ma non da lui. Lo vidi
ridere, sorridermi, porgermi una balestra, mettersi tra me e qualcun
altro per impedirgli di farmi del male.
«Io e te diventeremo amici.» mormorai,
graffiandomi la gola per allontanare le sue dita, inutilmente.
Il suo sguardo si assottigliò e per un attimo
lo vidi titubare. Solo un attimo. «Non contarci troppo.»
intimò prima di tornare a stringere. «Sei
un’assassina, tu hai ucciso un uomo, non un Veggente.»
ringhiò velenoso.
Per un secondo lo shock prese il sopravvento:
l’avevo ucciso? Io non volevo, volevo soltanto liberare Zach.
«Avrebbe potuto avere una famiglia, una
moglie, un figlio, se tu non avessi deciso di mettere fine alla sua
vita.»
«Mi-mi dispiace.» sputai, mentre il collo iniziava a farmi davvero male.
«La sua pistola era scarica!» urlò dando un pugno al muro dietro di me.
Tremai.
«Non ha mai voluto ucciderlo, non ha mai
voluto uccidere nessuno di voi e non l’ha mai fatto. Zach
meritava di morire mille volte più di lui. Tu meriti di morire
più di lui.»
Scossi forte la testa. «Nemmeno io volevo.»
«Ma l’hai fatto.» mi
ricordò un capo d’accusa che pendeva, come una
ghigliottina, sopra la mia gola. «Tu l’hai ucciso.»
Avrei voluto rispondere di non aver mai saputo di poterlo fare, ma sarebbe stata una bugia e lui lo sapeva.
Romeo mi studiò ed allentò leggermente
la presa, interessato a quello che potevo avere da dire; lanciò
un’occhiata alle proprie spalle, alle porta che tremava sotto
quelle che dovevano essere spallate di Zach o altri calci di Courtney.
Sapevo cosa stava pensando perché lo pensavo anche io: aveva
poco tempo.
«Ucciderti o non ucciderti?» si chiese
con noncuranza. «Ogni volta scegliere è più
difficile.»
Zach guardò in su, a circa tre metri c’era un buco nel
muro, sembrava abbastanza grande perché Courtney riuscisse ad
entrarci e passare di là. Non ebbero nemmeno bisogno di
parlarsi: Zach si accucciò unendo le mani e Court ci
appoggiò il piede per spingersi su.
Saltò dall’altra parte e sbloccò la porta.
Zach si precipitò dentro, afferrò Romeo per le spalle e lo tirò via.
Scivolai a terra tossicchiando e recuperando
ossigeno, Courtney mi fu subito vicina, mi aiutò ad alzarmi e
guardò Zach troppo preso a trattenere Romeo.
«Portala via di qui, Court.»
«Ma tu…»
«SUBITO!» ruggì.
Courtney obbedì.
Romeo gli diede un pugno e lo sbatté a terra,
era più veloce e pratico ogni secondo che passava:
l’indebolimento da Mitronio era quasi finito.
Gli fu addosso immediatamente senza lasciargli tempo
per pensare o per cercare il modo di scappare. Lo colpì ancora
ed ancora. I pugni di Romeo quel giorno erano più dolorosi,
più duri, più cattivi e puntavano a fare danni: non
c’era modo né di pararli né di schivarli. Lo prese
a calci e Zach fu costretto a rannicchiarsi su sé stesso per
tenersi insieme prima che gli piantasse le dita nel braccio, dove
Ofelia lo aveva tagliato; non poté impedirsi di urlare, cercando
di strappare alla sua presa la carne martoriata.
Ne approfittò per sedersi su di lui, lo
afferrò per la maglia all’altezza delle clavicole, lo
sollevò di pochi centimetri e lo sbatté di nuovo a terra,
per alcuni secondi la botta alla nuca lo accecò per il dolore.
In qualche modo, divincolandosi, riuscì a
mettere le gambe tra i loro corpi e spingerlo via, indietreggiò
strisciando e rannicchiandosi con la mano a tenersi chiusa la ferita al
braccio.
«Tu sei come tutti gli altri Veglianti e anche lei.»
Zach deglutì senza avere il coraggio di
alzarsi, sentiva in bocca il sapore del sangue, ma non sapeva da dove
venisse. In genere quando si trovava in guai come quelli interveniva
Josh, Romeo non si era mai permesso di attaccarlo, lo rispettava
davvero.
«Josh aveva capito.» gli spiegò.
«Tardi, ma aveva capito. Tu non sei come lui.»
Lo sapeva, dio, se lo sapeva. Cosa credeva Romeo?
Che avesse mai pensato di essere alla sua altezza? Non lo aveva fatto,
nemmeno per un secondo, non sarebbe mai stato altrettanto forte,
altrettanto lungimirante, altrettanto attento, altrettanto pronto a
salvarli in modo efficiente. L’unica cosa che sapeva fare Zach,
era darsi a Romeo in cambio ad altri, ma non aveva mai pensato a cosa
sarebbe successo se ad un certo punto non lo avesse più voluto.
Cosa avrebbe fatto ora che Romeo era più interessato alla cheerleader che a lui?
Romeo fu pronto a farsi sotto di nuovo, molto prima di quando Zach sarebbe stato pronto a difendersi.
Sharon Sullivan lo tirò dietro di lei e si
prese il suo pugno, Jamie Ross gli trattenne le braccia per evitare che
colpisse ancora.
Fissò Zach negli occhi e sospirò. «Ci servi ancora, ragazzo.»
Romeo diede una gomitata allo stomaco di Jamie e lui
barcollò all’indietro per il dolore. «Non puoi
farlo.» gemette tra i denti.
Zach si tirò in piedi, pronto ad aiutarlo;
Veggente o non Veggente non sembrava avere in programma di ucciderlo,
quindi voleva considerarlo dalla sua parte, ma Sharon lo tirò
via per un braccio. «Non essere ridicolo, non puoi fare
niente.» lo rimproverò.
Li guardò combattere ad un livello che lui
non avrebbe mai raggiunto. Anzi, non era proprio così, lui aveva
saputo combattere in quel modo, da ragazzino, ed anche in quel momento
sapeva come avrebbe dovuto muoversi, quando schivare, come colpire,
però era anche consapevole che il suo corpo non sarebbe stato in
grado di seguire i suoi pensieri. Era lento, tristemente,
spaventosamente lento.
«Perché?»
Sharon lo fissò combattuta, lanciò
un’occhiata a Romeo, poi tornò a guardarlo più
determinata. «Perché le vostre mele fanno veramente troppo
schifo, per essere di serra.» gli diede una spinta. «Ora
fila via.»
Nate aveva ripreso il controllo delle luci ed i lampioni ci crearono un
percorso luminoso per indicarci quale strada seguire, non capimmo
perché finché la macchina di Matt non si fermò
davanti a noi, ma questa volta alla guida c’era Jean.
«Di corsa.» disse soltanto.
Noi obbedimmo infilandoci entrambe nel sedile
posteriore. Realizzai che Courtney mi stava tenendo per mano solo
quando fummo entrambe sedute. La strinsi a mia volta, per avere
qualcosa a cui aggrapparmi. Senza parlare né guardare,
recuperò un kit di pronto soccorso da sotto il sedile ed
iniziò ad avvolgermi il polso in una benda: quando se ne era
accorta?
«Sbaglio o qualcuno non ha obbedito agli
ordini?» mi rimproverò. Io rimasi zitta, rispettavo Jean,
era in gamba, ma non avrei potuto restarmene in caserma mentre tutti
gli altri si affaccendavano per salvare i nostri compagni.
«Come sta Lynn?» chiese senza prestare attenzione a quello che le sue mai facevano.
Jean partì sgommando. «La stanno operando. Dov’è Zach?»
Lei deglutì e sbatté le palpebre velocemente. «Possono salvarla?»
La Responsabile la osservò attentamente dallo
specchietto retrovisore, poi annuì. «È stata
portata in ospedale in tempo.» il suo sguardo si spostò su
di me. «Posso portarvi in caserma o deve vedere un medico anche
lei?»
Courtney mi prese il viso tra le mani e mi
studiò, poi mi tastò la testa trovandoci solo un
bernoccolo.
«Chi c’è in ospedale?»
«Jared è di guardia alla sala operatoria di Lynn.»
«Nate?»
Jean si morse il labbro. «L’ho perso.»
Io e Courtney la fissammo. «Portaci in
caserma, Zach avrà bisogno di punti quando tornerà e
antibiotici.»
Jean la studiò, ma non corresse il suo “quando” con un “se”.
Jamie e Romeo erano seduti sul parapetto di un palazzo, entrambi con un
fagotto di ghiaccio sul viso, entrambi in silenzio. Osservavano i
lavori degli altri che recuperavano il corpo di Iago e lo pulivano. Di
Ryan non c’era traccia, Romeo si appuntò di cercarla.
Nessuno dei due sapeva cosa dire, Iago era stato
accanto a loro per così tanto tempo. Romeo si chiese se avesse
visto la sua morte, se quando gli aveva proposto di strapazzare Zach al
suo posto ed aveva risposto di sì, come sempre, sapesse come
sarebbe andata a finire. Avrebbe potuto evitarlo?
Davvero la propria vita valeva più della sua?
Nessuno lo aveva incolpato della sua morte, quindi, probabilmente credevano tutti di sì.
«Mi hai quasi ammazzato.» si lamentò Jamie Ross.
Lui assottigliò lo sguardo. «Non era te che volevo uccidere.» precisò.
«Romeo, te ne saresti pentito, mille e mille volte.»
«Per ora mi sono soltanto pentito di non aver
fatto fuori la ragazzina quando potevo.» precisò.
Perché non l’aveva fatto? Speranza, follia, entrambe.
Diciassette anni, una bambina soldato, se avesse saputo la
verità avrebbe sparato? Quanto si poteva incolpare lei e quanto
la sua ignoranza?
«Cosa farai ora?»
Per alcuni secondi rimase in silenzio, riflettendo.
La sua mente era di nuovo affollata di possibilità, visioni,
strade; la vide sorridere, la vide piangere, la vide puntargli un
fucile contro senza sapere se avrebbe premuto il grilletto o no. La
vide accettare i suoi ordini, eventualmente.
«Non posso permettermi di lasciarla uccidere
Veggenti come se niente fosse.» spiegò. «Devo
renderla innocua.»
«Puoi farlo senza ucciderla?»
«Ancora non lo so.»
Si alzò in piedi e si voltò diretto chissà dove.
«Dove vai?»
«A parlare con il ragazzo.» rispose sventolando una mano in segno di saluto.
Nate sfilò tutti i cavi dal proprio portatile e li
sistemò di nuovo dentro la cassetta della centrale elettrica.
Quando sentì un tonfo alle proprie spalle non si lasciò
turbare: Lynn era in ospedale sotto mani esperte e la stretta
sorveglianza di Jared, Becky e Courtney avevano seguito le briciole di
pane fino ad incrociare Jean, Zach… non riuscì ad
arginare la rabbia e se ne vergognò perché non era da
lui: Zach per una volta si sarebbe arrangiato!
Se proprio ci tenevano, a quel punto i Veggenti potevano anche attaccarlo, era tutto in ordine.
Incrociò lo sguardo di Romeo contrito, era
immobile sulla passerella che portava ai comandi centrali della
costruzione. Nate lo fissò per alcuni secondi e lui
sollevò i palmi per mostrarsi disarmato.
«Sono qui per scusarmi.»
Nate continuò ad osservarlo senza dire niente.
«Non l’ho vista.» disse,
così sincero da disarmarlo di ogni intento bellicoso. «Non
l’abbiamo vista, non le avremmo mai fatto del male
intenzionalmente: Lynn piace a tutti.»
«Perché?» sussurrò con un groppo in gola.
«Cosa?»
«Perché vi piace?!» gridò
stravolto. «Non deve piacervi è una Vegliante, una
Vegliante brava.»
Romeo lo osservò togliersi gli occhiali ed
asciugarsi gli occhi senza fare commenti. «Però ci
piace.»
Nate scosse la testa con un sorriso amaro e si
infilò di nuovo gli occhiali. «Vuoi attaccarmi?»
Fece di no con la testa e si scansò per lasciarlo passare.
«Allora vado a vedere come sta la mia fidanzata.»
«C’è una macchina accesa qui fuori.»
Nate lo superò. «Non puoi comprarmi con un passaggio.» disse senza fermarsi.
«Lo so, ma, Nate?» lo chiamò.
Lui si fermò, ma senza voltarsi.
«Noi non abbiamo ucciso nessuno, di nuovo.»
Assimilò quel commento e rallentò. «Mi dispiace per la vostra perdita.»
Zach si fermò davanti ai cancelli della caserma tenendosi il
braccio, si era strappato un pezzo di t-shirt per fasciarlo e sembrava
che il sangue si fosse un po’ fermato.
Scoprì di non avere il coraggio di entrare,
non voleva che gli altri lo guardassero, lo vedessero; aveva fallito,
aveva fatto un casino: Lynn era ferita, Courtney era stata presa in
ostaggio, Becky aveva ucciso un uomo in pigiama. Aveva permesso che
Lynn venisse ferita, Nate non lo avrebbe mai perdonato.
Jared e Court stavano insieme.
Lo sentì dentro, il mondo che andava in
frantumi, un castello di sabbia costruito sul niente: niente di solido,
niente di vero. C’era stato un solo pilastro, si chiamava Joshua
Lanter, caduto lui non rimanevano che detriti.
Si rannicchiò su uno degli scalini
d’ingresso della caserma, il braccio ferito allungato sul suo
fianco.
Tutto il resto sarebbe potuto scivolare per un po’.
Si svegliò perché qualcosa lo punse.
Courtney era seduta sullo scalino sotto il suo,
teneva una torcia tra i denti ed aveva un kit per suture davanti a lei.
Le bende con le quali si era fasciato alla meglio erano accumulate
accanto a lui e puzzavano di qualcosa di familiare che però non
seppe individuare.
«Antibiotici.» spiegò
farfugliando buttando via la siringa con la quale lo aveva puntò.
La guardò, lei non si lasciò distrarre.
«Non dovresti stare qui, Jared non ne sarà contento.»
Lei non si mosse e quando provò a ritirare il
braccio gli piantò le unghie nella mano. Si tolse la torcia
dalla bocca e lo fissò, ferma e gelida. «Sei ferito, io mi
occupo dell’infermeria: Jared non potrà mai impedirmi di
fare il mio lavoro.» annunciò imperturbabile. Lei lo era
davvero. Per alcuni secondi continuò a fissarlo per vedere se
avrebbe ancora opposto resistenza, quando capì che sarebbe
rimasto immobile gli porse la torcia perché la tenesse al suo
posto.
Zach liberò l’altro braccio per farlo.
Courtney sospirò. «Non avrei voluto,
mai.» si morse le labbra. «Non ho scelto lui, io avevo
scelto te. Dopo che tu mi hai rifiutata…»
«Non ti ho rifiutata.» precisò Zach.
Lo guardò, ma senza accusa. «Si,
l’hai fatto. Avresti potuto affrontare tutto quanto con me al tuo
fianco, hai scelto l’unica strada che mi avrebbe esclusa.»
«Ho avuto paura.» confessò.
«Anche io. Non so dirti come è
successo, non so quando guardare Jared ha iniziato a farmi sentire
bene, non ti so spiegare perché essere guardata da lui mi
metteva di buonumore.»
Zach la studiò, era bella, bellissima come la
prima volta che l’aveva vista, perfetta. Di un altro. «Sei
innamorata di lui?» le chiese semplicemente.
Lei lo guardò e sospirò. «Non lo so, sto cercando di capirlo.»
«Sei innamorata di me?»
Courtney lo fissò e gli sembrò
così stanca. «Perché tu credi di essere innamorato
di me?»
Zach rimase in silenzio e lei riprese a lavorare sul suo braccio.
«Lei come sta?»
«Turbata.» gli lanciò un’occhiata. «Dovresti andare a ringraziarla.»
Matt scese dall’ospedale e si diresse alla macchina. Jean era
lì, Lynn al sicuro, voleva andare a vedere come se la passavano
in caserma, come stava Becky. Per cinque minuti si trovò ad
odiare di nuovo Zach, se l’avesse portata fuori prima del
trasporto per lei non sarebbe stato tutto così drammatico;
avrebbe collaborato con loro, sarebbe stata estremamente d’aiuto
perché era brava e magari quella notte le cose sarebbero andate
in modo diverso.
Guardò Rose, appoggiata con la schiena alla
macchina. Teneva il fucile che aveva costruito per Becky tra le mani ed
aveva la maschera bianca dei Veggenti di Romeo infilata nel braccio.
Matt si avvicinò, sarebbe dovuta essere molto
più di una Veggente per fargli avere paura di lei.
Lei allungò le mani e gli porse il fucile.
«L’ho trovato.» disse solo, senza balbettare.
Il ragazzo lo prese e lo guardò, era
appiccicoso di Mitronio, del colpo che Becky aveva sparato, ma non
aveva funzionato.
«Mi hai venduto il pezzo sbagliato, vero?» le chiese studiando la canna.
Annuì lentamente. «Avrebbe ucciso due dei miei.»
«Sarebbe potuta morire lei stessa.»
Rose lo guardò ad occhi sgranati. «No, non se si poteva evitare.»
Lui la studiò tutta, era sempre lei eppure
era completamente diversa; con Nate aveva passato notti intere a
pensare come catturarla, distrarla e… cristo, non voleva nemmeno
dirlo, ma sapeva che qualche volta la parola uccidere era venuta fuori.
Se l’avesse fatto? Se ci fosse riuscito?
«Sei una Veggente.»
Per un attimo sembrò sorpresa quanto lui
dalla cosa, poi strinse le labbra. «Lo dirai agli altri?»
Matt chiuse gli occhi e lasciò cadere la
testa all’indietro: lui veniva dalla campagna, la sua famiglia si
occupava di agricoltura, erano così lontani da quello schifo che
la frutta sapeva ancora di frutta; lui aggiustava i trattori, le sue
sorelline si davano il cambio sull’altalena. Non aveva mai
chiesto più di quello che aveva ed era per questo che Rose gli
piaceva tanto: una ragazzina timida che lavorava per suo padre, che non
c’entrava niente con tutta la merda di Synt. Avrebbe compiuto
ventisette anni, sarebbe stato congedato, avrebbe chiesto la sua mano a
suo padre e l’avrebbe portata via con lui e sarebbe stato tutto
perfetto.
«No.» la rassicurò. «Ma dovrò cambiare ferramenta.»
Rose annuì e si allontanò. Tutti e due
conoscevano il significato di quelle parole: non c’era più
tempo per loro.
Ero un’assassina.
Rimasi ferma sotto il getto della doccia e mi
guardai le mani. Sapevo che sarebbe morto? Non trovavo una risposta che
mi convincesse, la realtà era che non c’avevo nemmeno
pensato. Tutta la mia concentrazione era per Zach in ginocchio davanti
ad un Veggente che gli teneva una pistola in gola, tutto quello a cui
avevo pensato era stato: devo eliminarlo. La mia mente, però,
non mi forniva dati per sapere se avevo avuto intenzione di eliminarlo
in modo definitivo oppure no.
Volevo saperlo?
Sentii lo scatto della porta che veniva aperta
troppo bruscamente ed spalancai gli occhi spaventata: Romeo voleva in
una certa misura uccidermi, ero sicura che la sua capacità di
penetrare nella caserma e strangolarmi fosse direttamente proporzionale
a quella misura.
Afferrai l’asciugamano che Courtney mi aveva
lasciato appeso al gancio all’interno della cabina e mi ci
avvolsi passandomelo sotto le braccia.
Uscii e guardai verso l’entrata. Zach era lì, fermo.
Aveva lividi ovunque, sulle braccia, sul viso,
intorno al naso; sul labbro superiore gli si apriva un taglio, scuro
per la tumefazione.
Mi lanciò solo un’occhiata, poi
distolse lo sguardo realizzando che ero nuda. Coperta, ma comunque nuda.
«Scusami, Court non mi ha detto che eri sotto la doccia.»
«Mi ha salvato la vita.» dissi incerta,
per alcuni secondi quella rivelazione mi aveva piuttosto scioccata, ma
lo aveva fatto davvero. Anche se probabilmente mi odiava, anche se
l’avevo minacciata di spifferare a Zach il suo segreto; forse
avrei dovuto rivalutare la considerazione che avevo di lei.
Zach mi guardò solo il viso, senza malizia.
Lo vidi studiare il mio polso fasciato ed insacchettato in una busta di
plastica per non bagnarlo. «Tu hai salvato la mia.» fece un
passo verso di me e mi accorsi che zoppicava, però non mi mossi.
Nemmeno quando mi sollevò il mento con le dita e mi
studiò il collo. Avevo dei segni anche lì perché
Romeo era stato effettivamente intenzionato ad uccidermi, ne aveva
tutte le ragioni.
Si chinò per guardarmi più da vicino e
mi sfiorò la gola. Lontano, slegato da ogni triste pensiero, da
ogni tormento, da ogni senso di colpa mi trovai a desiderare le sue
labbra sulla mia pelle così ardentemente che potevo dare forma a
quel desiderio. Potevo dargli sapore, consistenza. Potevo vederlo.
Mi morsi il labbro inferiore e la voglia di piangere
fu più potente di qualsiasi cosa: non c’era conforto, non
avevo conforto e non lo avrei avuto in futuro.
Mi sfuggì una lacrima, Zach si sollevò e mi guardò. «Ti ho fatto male?»
Scossi la testa e mi asciugai gli occhi con la mano
che non stava tenendo l’asciugamano al suo posto. «Ho
ucciso un uomo.»
«Lo so.»
«Come me.» quell’ultima
affermazione mi costrinse ad un pianto a dirotto. Io non credevo in
quella causa, non la capivo. Era davvero necessario massacrarci tra di
noi? Davvero non c’era altra soluzione? Perché avere una
buona mira doveva trasformarmi in un’assassina?
Zach si sollevò un poco per arrivare a
poggiare la fronte contro la mia; poi scivolò più
giù, la mia guancia umida di pianto contro la sua leggermente
ruvida per la barba. «Grazie.» sussurrò al mio
orecchio.
che dire?!
in realtà ho un po' paura perchè - come sempre,
Fragolottina stai diventando noiosa - sono preoccupata di non riuscire
a rendere l'idea della scena d'azione... non sono ancora molto brava!
quindi, nel caso sia proprio un pasticcio, perdonatemi!
baci
ps. Lamponella
|
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Capitolo 16 *** 15. Fallimento ***
MDS capitolo 15
fragolottina's time
mie care lettrucciole, come state?
dunque per forza di cose, inevitabilmente, questo capitolo doveva
essere ed effettivamente è un capitolo di passaggio... non per
questo non usciranno fuori cose interessanti... anzi, ve ne segnalo
addirittura 2, quindi attenzione!
in realtà con questo capitolo si chiude una prima parte del
testo, dal prossimo ci sarà una netta differenza sia negli
intenti che nelle modalità di approccio dei Veglianti...
succederanno tante cose, ma proprio tantissime!
spero di essere al giro di boa, spero di cavarmela con 30 capitoli secchi, 31 con l'epilogo, toh!
lo spero, ma non ne sono sicura...
oh, ma non disperate... non è che una trama del genere si
può ridure solo ad un racconto... vi annuncio per la prima volta
che Il Mitronio di Synt è la prima puntata di una trilogia!
a più giù...
15.
Fallimento
Nate raggiunse Jean in ospedale e si sedette accanto a lei, su una
delle sedie di plastica fuori la stanza di Lynn. Jared era dentro
seduto in angolo e sfogliava con falsa attenzione una rivista, lo
conosceva bene e sapeva che per niente al mondo avrebbe rischiato di
addormentarsi e lasciare una compagna ferita indifesa.
«Mi hai spaventata.» lo rimproverò Jean.
«Dovevo aiutare Becky e Courtney.» spiegò incolore.
Jean sospirò, non ricordava di essersi mai
sentita tanto stanca in vita sua: il fallimento dei suoi Veglianti era
anche il suo fallimento. «Dobbiamo parlare di Lynn.»
Nate chiuse gli occhi e si appoggiò allo
schienale della sedia, la nuca contro il muro, prevedendo cattive
notizie. Per avergli introdotto la questione in modo tanto grave non
potevano essere buone. «Ti ascolto.»
«I danni interni sono stati riparati,
fortunatamente è arrivata in ospedale in tempo. Era ridotta
male.» fece una pausa a discrezione del suo ascoltatore. Non
aveva idea di come avrebbe potuto reagire Nate, ma sapeva come avrebbe
reagito lei. «Hanno dovuto intervenire anche sulla gamba, la
steccatura di Courtney è stata fondamentale, hanno potuto
salvarla, ma aveva comunque una frattura alla rotula e due al femore.
Avrà una convalescenza lunga e l’aspettano mesi di
fisioterapia.» concluse. «Nate, io intendo
congedarla.»
Il ragazzo prese fiato, come se senza di lei non fosse in grado nemmeno di respirare.
«Non mi piace che stia qui e non sia del tutto
in grado di difendersi. A casa sua sarà al sicuro e potrà
riprendersi con calma. Che ne pensi?»
Si sentiva onorato dal fatto che Jean stesse
chiedendo il suo parere, prima di prendere una decisione definitiva.
Forse ci stava soltanto sperando, forse l'avrebbe congedata in ogni
caso. «Mi sembra la soluzione più logica.» si sporse
in avanti fino a poggiare i gomiti alle ginocchia. «Ha bisogno di
riposo.»
Nessuno dei due parlò per un lungo momento,
poi Nate si infilò le mani nei capelli e scoppiò a
piangere. Singhiozzi enormi e rumorosi e spaventati. Jean
allungò una mano e gliela posò sulla schiena senza dire
niente.
«Gli uomini non piangono.» si rimproverò da solo.
Jean fece una smorfia. «Gli uomini non passano
la metà di quello che hai passato tu stanotte in tutta la
vita.» si morse il labbro e deglutì. «Josh piangeva
a volte.»
Jean aspettò che si riprendesse, un
po’, abbastanza per poter stare nella camera di Lynn senza
svegliarla; quella notte aveva bisogno di tutto il riposo del mondo.
Socchiuse la porta della sua stanza e subito Jared alzò gli
occhi su di lei, pronto ad eliminarla nel caso si fosse trattato di un
potenziale nemico: era stato addestrato bene. Meglio di Zach e gli
altri, in fondo, lui a Los Angeles c’era, sapeva cosa significava
essere un Vegliante di Wood.
Gli fece un cenno con la testa. «Torna in
caserma.» ordinò con gentilezza. «Qui resta
Nate.»
Si alzò silenzioso come un felino, proprio mentre Nate entrava.
Chiuse la porta e si sedette di nuovo su una delle
seggioline fuori. «Vuoi che resti?» le chiese Jared.
Lei scosse la testa con un sorriso. «Ci penso io.»
Annuì. «Chiama se hai bisogno di me, d’accordo?»
Un altro cenno d’assenso prima di rimanere completamente sola.
Josh che rideva sul tetto della caserma.
Josh che barcollava.
Josh che la insultava, legato al letto di un ospedale.
Josh che le si inginocchiava davanti supplicando il suo perdono per quello che le aveva detto.
Josh che puzzava di alcol e vomito e Mitronio.
Chiuse gli occhi e si concesse solo un minuto, uno soltanto, per ricordare Josh che le diceva di amarla.
Ryan era seduta sul tetto di un palazzo davanti alla caserma dei
Veglianti, continuava a rigirarsi tra le mani la sua maschera, a capo
chino. Romeo la raggiunse e si sedette accanto a lei osservandola; lei
non osò incrociare gli occhi con i suoi.
«Iago è morto per colpa mia.» mormorò.
Lui sospirò. «Forse. Ma credo che Iago
sia morto semplicemente perché gli hanno sparato.»
«Matt sarebbe morto se si fosse trovato sotto
il palazzo al posto di Lynn, l’ho visto.» spiegò, si
morse il labbro, poi trovò il coraggio di fissarlo. «Io lo
so che per te non è importante quanto Zach o Nate, ma lo
è per me. Ed io sono una Veggente quanto te.»
Romeo la guardò paziente, senza rabbia, senza
incolparla. La capiva, tutti loro cercavano di difendere le persone
alle quali volevano bene, cercavano di salvare il proprio futuro e Matt
faceva parte del futuro di Ryan, anche se in quel momento quello strada
era più tortuosa del solito. «Non ti sto rimproverando e
probabilmente la morte di Matt non avrebbe migliorato le cose. Almeno
Lynn è viva.»
«Iago però no.» concluse con voce sottile, ad un passo dal pianto.
Per alcuni secondi la guardò e basta, poi si
allungò per afferrarle un braccio e tirarsela vicina, la
abbracciò e le diede un bacio sulla testa. «Non fare
così.» cercò di calmarla. «Ora dimmi quanto
sei nei guai.» la incoraggiò.
«Matt mi ha riconosciuta.»
Questo non lo sorprendeva, si frequentavano troppo
perché così non fosse. L’unico dettaglio degno di
nota in quell’affermazione era che non se ne fosse accorto prima.
«Credi che farà la spia?» chiese preoccupata.
«Sai anche tu che non lo farà.» le ricordò.
Rimase zitta, Romeo sapeva già quello che
avrebbe detto e ne indovinò il sapore: aveva quindici anni, era
piacevole a volte sentirla parlare da quindicenne. Capitava troppo di
rado.
«Ha detto che cambierà
ferramenta.» iniziò. «Non mi vuole
più.» piagnucolò.
Lui sorrise e la abbracciò più forte.
«Dagli tempo per accettare l’idea, vedrai che le cose si
sistemeranno.»
Quando Lynn aprì gli occhi, Nate era steso al suo fianco. Per
una manciata di secondi pensò che fossero nel suo letto, in
caserma, una mattina come un’altra di un giorno come un altro;
poi iniziò a sentire il dolore.
Non un male terribile, appena un fastidio,
immaginò di essere ben rimpinzata di antidolorifici,
perché ricordava tutto quello che aveva sentito quando era
rimasta intrappolata e non poteva essere passato in una notte.
Si scostò piano il camice e studiò il
lungo cerotto che la copriva, lo staccò con attenzione, tirando
delicatamente la pelle con le dita; osservò la cicatrice che
andava dallo sterno all’ombelico, si morse il labbro, mentre Nate
allungava una mano per ricoprirla.
«Non è molto sexy.»
rifletté con voce flebile, poi lo guardò in attesa che
dissipasse i suoi dubbi.
«Sei bellissima, come sempre.» disse semplicemente, senza alcuna incertezza.
«Zach?» domandò ricordandolo in ginocchio con una pistola in bocca.
Scosse la testa. «Se sta anche solo un pochino meglio di te lo uccido.»
Lei aggrottò poco le sopracciglia. «Oh, smettetela di litigare!»
Nate non si mosse, non la guardò.
«Guarda come ti ha ridotta.» mormorò trattenendo la
vera furia tra i denti, per non turbarla.
«Non è stato lui, Nate.» lo rimproverò.
«Se poteva evitarti tutto questo e non l’ha fatto è stato lui.» precisò.
Lynn cercò i suoi occhi e lo fissò.
«Io sono una gran Vegliante, lo sai. Sono brava quanto lui e
Jared, se non un pochino di più e mi ha sempre tenuta in seconda
linea; ogni volta mi faceva stare vicino a Courtney, sai cosa
significa, vero?»
Non rispose, abbassò lo sguardo, ma lei non
lo mollò. «Ero sempre nel posto più semplice da
proteggere, vuol dire che lui mi teneva più al sicuro
possibile.»
«Lynn, lo so.» sbottò Nate, si
tirò su a sedere e la guardò. «Quando va alle Aste,
Zach sceglie buoni elementi seguendo una logica estremamente precisa:
prende quello che gli serve in una squadra. Ed è bravo in
questo! Il problema è che poi quella logica dovrebbe
applicarla!» sospirò esasperato. «Se hai una
campionessa di Aikido la metti in prima linea, se hai un cecchino le
dai un fucile, se hai una squadra devi fare lavoro di squadra: è
elementare! Noi così non funzioniamo.»
«Ci vuole bene, non vuole correre il rischio di perderci.» cercò di giustificarlo ancora.
«Ma non ci sarebbero stati rischi. Pensaci: se
avesse nascosto Becky con un fucile da qualche parte avrebbe sparato a
Sharon Sullivan ed hai Veggenti che erano con voi. Sareste scappate
più in fretta, non saresti caduta.»
Lynn aggrottò la fronte. «Come fai a
sapere tutte queste cose?» le aveva capite a mala pena lei mentre
succedevano.
L’espressione di Nate divenne incerta per un
istante. «Non lo so. Comunque, ci sceglie lui, ci chiama lui,
è lui che fa spendere soldi su soldi di Jean, poi deve fidarsi di noi.»
Lynn lo guardò. «Dovresti dirglielo.»
Nate si sdraiò di nuovo accanto a lei e sospirò. «Domani.»
«Domani io non sarò qui, vero?»
domandò con gli occhi fissi sulla propria gamba ingessata.
Lui deglutì e scosse la testa.
Per alcuni secondi la ragazza rimase in silenzio. «Aspetterai che torni?» domandò incerta.
Nate sorrise. «Cos’altro potrei fare?»
«Trovarti una nuova fidanzata, per esempio.»
«Già.» annuì con enfasi.
«C’è la fila dietro di me.» commentò
con sarcasmo.
Lynn raccolse la sua ironia. «Oh, quindi stai
con me solo perché non hai altra scelta. Proprio carino,
davvero!»
Risero entrambi, fu Nate a smettere per prima.
«Sei l’unica ragazza che io possa amare, Lynn.»
«Anche spezzettata?»
Nate sorrise e le diede un bacino sul naso. «Soprattutto spezzettata.»
Courtney era seduta davanti alla sua porta, Jared la guardò
sollevarsi non appena lo vide. Per alcuni secondi rimase ferma, ma lo
guardò tutto, ogni dettaglio, ogni particolare, lividi e graffi
che fino a qualche giorno prima non c’erano.
«Sto bene.» la rassicurò, la
scostò con delicatezza per aprire la porta. «Zach?»
Lei non rispose, si sollevò sulle punte e lo abbracciò.
Jared rimase interdetto, con i suoi capelli che
frusciavano contro la guancia, poi lasciò il pomello della porta
e le avvolse la vita con un braccio. «Tu stai bene?»
sussurrò.
Annuì ancora senza parlare.
«Hai avuto paura?»
«Per Matt all’inizio, perché non
sapevo dov’era. Poi per te e Zach, sarei morta pur di non
sentirmi dire che non ti avrei più rivisto. Finché Lynn
non è precipitata: ho passato tutto il tempo con lei,
terrorizzata di vedermela morire tra le braccia senza poter fare
niente.» si interruppe pochi secondi. «Poi per Becky,
talmente tanta paura da andare ad aiutarla.»
Jared rise. «Accidenti!»
Lei si scostò appena e lui sollevò una
mano per tirarle indietro i capelli, aveva l’ombra di un livido
sulla linea della mandibola, ma stava bene. «Deve essere stata
una scelta difficile per te.»
Lei si morse il labbro come pensandoci. «No, non lo è stata.»
La studiò. «Non sei arrabbiata perché ho detto tutto a Zach?»
Per alcuni secondi lei fissò un punto alle
sue spalle, poi scosse la testa e fece un piccolo sorriso. «In
realtà mi sento meglio, più leggera.» lo
abbracciò di nuovo e Jared colse il rumore ovattato di una porta
che si chiudeva furtivamente. «Posso dormire con te?»
Jared si scostò dalla porta per concederle la precedenza.
Zach richiuse la porta per non farsi vedere anche da Jared e
tornò nella sua stanza; scoprì un angolo del materasso,
aprì il sacco e frugò nell’imbottitura fino a
trovare il pacchetto di sigarette di scorta, legato stretto con il
nastro isolante ad un accendino.
Dischiuse una finestra. Appena arrivato aveva un
po’ di claustrofobia, Jean gli aveva chiesto se fosse una
condizione permanente; lui le aveva spiegato che era iniziato da quando
suo padre, dopo averlo picchiato, lo aveva portato in ospedale dentro
il portabagagli della macchina: le costole rotte gli avevano impedito
di respirare bene, ma il suo cervello si era intestardito che fosse lo
spazio troppo stretto. Quindi, quando era nervoso, avere troppe pareti
intorno gli causava qualche problema.
Jean era impallidita ed aveva dischiuso le labbra,
senza parole per alcuni secondi, poi lo aveva rassicurato che se ne
sarebbe occupata.
Josh non aveva detto niente. Lo aveva raggiunto
mentre stava disfacendo i bagagli quella stessa sera, si era fatto
prestare la mazza da baseball ed aveva sfondato la finestra; poi gliela
aveva data indietro: “Domani un tecnico verrà ad
installarne una apribile. Per stanotte andrà bene
così”, l’aveva indicato. “Se gli venisse in
mente di toccarti ancora, spaccherò la faccia a tuo padre”
aveva promesso.
Si sedette lì sotto ed accese la prima,
ripensò a quello che aveva detto Sharon Sullivan, che le loro
mele facevano troppo schifo per essere di serra e che era quello il
motivo per cui era rallentato in modo così drastico in poco
tempo.
Non ci credeva, da ché ricordasse le mele
avevano sempre lo stesso sapore: non erano buone, ma erano economiche,
perciò, che si trattasse di soldati semplici o Veggenti, erano
sempre la frutta favorita. Anche a casa ne avevano mangiate molte, suo
padre ne esaltava i valori nutritivi, anche se avevano sempre avuto un
sacco di soldi; sua madre però le zuccherava, cuoceva e condiva,
finché quel sapore stucchevole non scompariva.
Si chiese come stava, sua madre. In un modo o
nell’altro lui e Sean l’avevano lasciata sola con il signor
Douquette. Si chiese di nuovo, ancora, come avesse potuto sposarlo.
L’amore agiva in modi molto misteriosi.
Matt mi trovò seduta sul mio letto con gli occhi fissi sul
poster di Romeo, su quel bambino che lo stringeva, sullo zainetto che
la madre folle gli aveva preparato con la merenda. Premurosa, se non
fosse che si era accordata con un fuorilegge per farlo rapire. Mi
chiesi se Dawn Dandley fosse mai stata normale, una donna semplice, se
fosse stata Synt ad avvelenare la sua mente o viceversa.
«Tutto apposto?» mi chiese Matt
sedendosi accanto a me; la lampada sul mio comodino era accesa e
proiettava sul muro davanti a noi le nostre ombre.
«Sto bene.»
Si morse il labbro a disagio. «Il mio
fucile…» si interruppe. «Mi dispiace, non l’ho
ricontrollato, avrei dovuto.» strizzò gli occhi e scosse
la testa. «Quello di non ricontrollare è un vizio
terribile: non sono dio, a volte posso sbagliare…»
sospirò. «Ti saresti potuta fare davvero male, mi
dispiace.»
Mi voltai verso di lui. «Ci siamo dovuti
preparare in fretta.» ricordai. «Non avresti potuto fare di
meglio.» si era dimostrato letale a sufficienza per permettermi
di diventare un’assassina: Matt non avrebbe dovuto mortificarsi
così tanto.
«Ti giuro che lo aggiusterò e questa volta sarà perfetto.»
Per un secondo rimasi zitta e mi vidi impugnare lo
stesso fucile mille volte, uccidere mille Veggenti, assassina ancora e
ancora e ancora. Fui sul punto di vomitare.
«Non voglio.» dissi con voce tremante,
deglutii e deglutii ancora cercando di allontanare il pianto.
«Non voglio ucciderli, la nostra missione è catturarli,
vero?»
Matt mi guardò ed annuì.
«Allora, potremmo trovare il modo
perché io possa colpirli, senza ammazzarli.» proposi,
terrorizzata che non si potesse fare, che il mio destino sarebbe stato
guardare l’espressione incredula di un Veggente dopo
l’altro, ad un passo dalla morte. «Credi che Zach me lo
permetterà?» chiesi.
Lui sorrise e si strinse nelle spalle. «Anche
se ti dicesse di no, il grilletto lo premi tu. Sono sicuro che Nate
sappia calcolare la dose giusta di Mitronio da diluire per non far
fuori nessuno.»
Feci di sì con la testa lentamente. «Ok.»
«Nemmeno io voglio più ucciderli.» sussurrò.
Mi voltai verso di lui ed attesi che mi spiegasse.
«Prima che il palazzo crollasse, Ryan mi ha
puntato una pistola alla schiena e mi ha portato via. Ha detto che se
fossi rimasto avrebbe sparato a Courtney e Lynn.» deglutì.
«Poi però mi ha confessato che sarei morto se fossi
rimasto sotto le macerie al posto di Lynn.» sospirò.
«Però magari mentiva.»
«Secondo me no.» confessai. «Romeo dice tante cose, ma finora non mi ha mai mentito.»
Matt si puntellò all’indietro
sostenendosi con le braccia. «Romeo non mente, Nate dice che
è la sua più grande qualità.»
La diritta conseguenza di quell’affermazione
mi fiorì tra le labbra come se avesse vita propria.
«Quindi qualsiasi cosa ha detto a Josh era una cosa vera.»
Fece una smorfia. «A volte Josh era
strano.» concluse senza approfondire i dettagli, senza ammettere
o dare voce a quella verità: Romeo poteva non essere
direttamente responsabile con la morte di Josh.
«Che succederà ora?» chiesi.
Lui ridacchio. «Domani mattina Jean
convocherà Nate e Zach e darà loro una bella lavata di
capo. Dovranno cambiare qualcosa, Zach si è dimostrato
estremamente inefficace nel ruolo di caposquadra e Nate crede troppo
nella meritocrazia per accettarlo.»
Aggrottai le sopracciglia. «Non mi sembra affamato di potere.»
«Non lo è.» concordò.
«Ma lui può fare quello che non ha coraggio di fare
Zach.»
«Cosa?»
Mi lanciò un’occhiata derisoria. «Dimetterlo.»
Zach dimesso, mi chiesi come l’avrebbe presa.
Non bene, sicuramente, eppure anche io sentivo dentro di me che sarebbe
stata la decisione giusta; quello non era il suo ruolo, non era il suo
posto, né la strada che ce l’avrebbe portato. Cambiare
avrebbe portato benefici a tutti.
«Sei molto saggio e lungimirante stanotte.» commentai, che ne era del Matt giocoso?
Si chinò in avanti appoggiandosi alle proprie
ginocchia. «Mi sento invecchiato mille anni.»
Gli posai una mano sul braccio, sembrava davvero
sconvolto. «Stai bene?» chiesi preoccupata che avesse
trascurato un dolore, una caduta, una ferita.
Lui scosse la testa ad occhi bassi. «Sai mantenere un segreto?»
Sembravo destinata a farlo a Synt. «Si.»
Deglutì. «Ho visto Ryan in faccia.» iniziò. «È Rose.»
Per la mente mi passarono miliardi di possibili
risposte, di eventuali rassicurazioni a cui non avrei creduto nemmeno
io, perciò gli dissi l’unica cosa che dalla mia bocca
avesse un qualche valore. «Non premerò il grilletto.»
Dawn Dandley iniziò a sorridere ancor prima di aprire la porta,
dall’altra parte Jamie Ross la stava aspettando. «Come
stai, fratellino?»
«Affamato.» annuì precipitoso
attraversando la porta. «Quella merda che mangiano in caserma non
si può assaggiare, mi chiedo davvero come facciano a non
accorgersene!»
«Ti ho preparato dei sandwich.» rispose lei paziente. «Sono in cucina.»
«Perché vivi in questo schifo?»
chiese osservando con le sopracciglia aggrottate la polvere posata un
po’ ovunque.
Lei chiuse la porta alle loro spalle per
raggiungerlo. «Ufficialmente sono una donna abbandonata dal
marito alla quale è stato rapito il figlio.»
«Tu e Romeo non siete proprio riusciti ad
inventarvi una cazzata migliore?» domandò studiandola.
«Questa parte ti invecchia.»
«È bello averti a casa, Jamie.»
rispose sarcastica. Gli fece strada in cucina e tolse un tovagliolo dai
un piattino di sandwich. «Com’è andata?»
Jamie recuperò un panino e lo addentò.
«È andata. Solo un caduto, temevo di più.»
«Immagino lo temesse anche Romeo.» considerò. «E laggiù?»
Posò il sandwich e si strinse la mani.
«Si sta estendendo. Non riusciamo a fermarla, noi Veggenti ce la
caviamo, ma gli altri muoiono come mosche. Ne abbiamo provate tante,
alcune cure per un po’ sembrano funzionare, ma poi…»
«Romeo crede che Nate possa farlo.» gli spiegò Dawn.
«Romeo crede tante cose, ma Nate non sa
niente. Non sappiamo come la prenderà, né se starà
dalla nostra parte.»
«Ma tu credi che Nate possa farlo?» insistette lei.
Lui la guardò arreso. «Lo sai anche tu, Dawn: Nate può fare tutto.»
«Sapete tutti e due perché siete qui.» iniziò Jean.
Tutti e due la guardarono, Zach spaparanzato sulla
poltrona come se non gli importasse, Nate con le braccia strette al
petto, più composto, ma con l’aria offesa.
«Quello che è successo stanotte non
dovrà ripetersi mai più.» continuò dura.
«Voi dovete collaborare, è questo che si fa in una
squadra. Non saranno più accettate discussioni, liti, ripicche,
non vi permetterò mai più di mettere in pericolo la
squadra perché siete due ragazzini con troppo testosterone in
circolo.» si sedette esasperata. «Posso sapere da quando in
qua vi è venuta la sindrome del maschio alfa?»
«Sono il caposquadra.» disse controvoglia Zach. «Non è stata una mia scelta.»
«Un pessimo caposquadra.» precisò
Nate. «Ed una scelta opinabile per chiunque l’abbia presa
al tuo posto.»
Zach gli lanciò un’occhiata di fuoco. «È stato Josh.»
Nate si voltò a sostenere il suo sguardo. «Josh ha sbagliato.»
Zach fece per ribattere, ma lui lo precedette. «Si è
buttato da un grattacielo, era un tipo che a volte commetteva degli
errori.»
«Ma ti ascolti? È stato Romeo, lo sappiamo tutti.»
«No, invece. Lo sa soltanto lei.»
fissò con gli occhi ardenti Jean. «Una volta per tutte: Jean, che è
successo quella notte? Tu lo sai, vero, perché Josh si è
buttato?»
La donna li fissò entrambi, poi
sospirò. «Non è argomento di questa discussione:
Zach, ti sollevo dall'incarico di caposquadra; Nate, divertiti.»
Zach la guardò incredulo.
La Responsabile ricambiò il suo sguardo
dispiaciuta, ma si ricompose in fretta. «La prima volta che vi
vedo litigare, giuro che vi uso come esca.»
Fu la prima a lasciare la stanza, il secondo fu Nate, Zach rimase lì.
Lo raggiunsi appena dopo averlo saputo, avevo pensato di riposare un
po’, tutta la caserma sembrava ancora immersa in un sonno
profondo, ma ogni volta che tentavo rivedevo l’ultima espressione
del Veggente che avevo ucciso. C’era qualcosa nella sua totale
incredulità che faceva apparire il mio gesto ancora peggiore di
quello che era, un tradimento enorme, di proporzioni epiche, come una
sorella che uccidesse il proprio fratello.
Non sarei mai più riuscita a dormire.
«Come stai?» chiesi sedendomi sulla poltrona accanto alla sua.
Appoggiò la nuca al poggiatesta guardando in su. «Ho fatto ferire Lynn.»
«Sono sicura che lei non la vedrebbe così.» commentai.
«Courtney sta cercando di capire se ama Jared.» continuò ignorandomi.
«Significa che non è tua.»
Mi guardò indispettito. «Non sono più il caposquadra.»
Mi strinsi nelle spalle. «Una carica che ti
avrebbe portato alla morte più facilmente ti rendeva così
felice?»
«Mi spieghi perché cavolo ti sei messa in testa di consolarmi?» sbottò esasperato.
Abbassai lo sguardo sulle mie mani, giunte in
grembo. «Vorrei che qualcuno consolasse me.» confessai.
Rimase in silenzio per alcuni secondi, mentre i suoi
occhi indugiavano sui miei capelli, che coprivano quasi per intero il
mio viso; poi avvicinò la poltrona alla mia finché le sue
ginocchia non sbatterono contro l’imbottitura sulla quale ero
seduta, contenendo le mie. Si sporse in avanti e mi prese le mani, le
sue erano ruvide ed indurite. «A volte va tutto troppo in fretta
perché si possa pensare ad ogni dettaglio. Il mondo intero
diventa un’unica scelta tra chi vive e chi muore. Se non avessi
sparato quel Veggente mi avrebbe ucciso.»
Lo interruppi. «Ma Romeo ha detto…»
«Shh!» mi zittì. «Io non
sono così presuntuoso da credere di sapere che c’è
nella tua testa, va a capire nel tuo cuore! Voglio sperare,
però, che se fossi morto io saresti stata mille volte più
triste di così.»
Sarei stata inconsolabile, allungai le dita e
sfiorai la benda sul suo braccio, macchiata di sangue scuro. «Sei
più bravo di me.»
«A fare cosa?»
«A consolare.»
Fece un sospiro. «Ho anni di
pratica.» continuò a studiarmi per qualche secondo
pensieroso, giocherellando con le mie dita. «Sei una Vegliante,
se uccidi i Veggenti vuol dire che fai bene il tuo lavoro.»
«Non farmelo fare mai più.» lo supplicai.
«Devi parlarne con Nate, non dipende più da me.» spiegò paziente.
Ci pensai. «Credi che Nate riuscirà a non farmi uccidere da Romeo?»
«Becky.»
Lo guardai.
«È il caposquadra, ma io sono sempre qui.» mi rassicurò.
Quando Lynn aprì gli occhi la mattina dopo, la stanza era invasa
da una luce soffusa, ma chiara. Sicuramente più piacevole e
consolante della lampada sul suo comodino. La notte era passata, il
trasporto era passato e, anche se spezzettata, era viva. Lei era viva,
quando si riesce a sopravvivere è facile guarire.
Poi però i suoi occhi incontrarono quelli sbiaditi di Romeo.
Si immobilizzò, spaventata: davvero erano
arrivati a quel punto? Al colpire un nemico costretto in un letto
d’ospedale per finirlo? Davvero Romeo era caduto tanto in basso?
Sollevò le mani a palmi in su per farle
capire che era disarmato, ma avrebbe potuto ucciderla in tanti altri
modi diversi se avesse voluto.
«Come stai?» le chiese.
«Dov’è Nate?» ribatté lei.
«In caserma, tornerà presto non
preoccuparti, giusto il tempo di chiudere la discussione con
Zach.»
Si leccò le labbra e lanciò
un’occhiata all’asta porta flebo sistemata accanto al suo
letto: era abbastanza in forze da usarlo come arma? Sarebbe bastato?
Ovviamente no. «Cosa vuoi?»
Si sedette sulla stessa sedia dalla quale Jared
aveva vegliato su di lei. «Non hai risposto alla mia
domanda.» le fece notare.
Aveva senso, le sue condizioni non erano poi un gran
mistero. «Da come mi hanno detto, dentro hanno risolto. È
la gamba che è un casino.» disse indicandola con un cenno
del capo.
«Durata convalescenza?»
Lynn si arrotolò il lenzuolo ad un dito. «Ottimisticamente un anno.»
Romeo incrociò le braccia sul petto
riflettendoci su. «Mi servi prima, Lynn.» commentò.
«Non posso aspettarti per un anno.» si chinò per
appoggiarsi sui gomiti ed incrociò le mani una nell’altra,
sempre in vista, sempre per mostrarle le sue intenzioni pacifiche.
«Tua madre ha ancora parenti in Giappone?»
La ragazza aggrottò le sopracciglia.
«Cos’è vuoi sterminare tutta la mia
famiglia?!» chiese guardinga.
Romeo le lanciò un’occhiata di rimprovero. «Sai benissimo che non lo farei mai.»
No, aveva ragione, non era nel suo stile. Romeo
rapiva, o uccideva, o chissà cosa ne faceva, bambini, ma nessuno
dei loro parenti era stato in pericolo. Bizzarro, da Vegliante sapeva
che se avessero conosciuto un solo familiare di Romeo, gli avrebbero
appiccicato un bomba dietro la schiena e teso un’imboscata, in
attesa che venisse a salvarlo. Romeo era un nemico decisamente
più leale di loro. «Ha una sorella ed i miei nonni.»
«Dovresti andare lì a farti curare,
guadagneresti tanto tempo che nemmeno immagini.» le rivelò.
Lynn sollevò le sopracciglia scettica.
«La medicina americana è buona quanto quella giapponese,
se non migliore.»
«Vedi, Lynn, il problema non è la
qualità della medicina; il problema è che qui ti curano
da Vegliante.»
Si strinse nelle spalle. «Perché lì da cosa mi curerebbero?»
Lui la fissò negli occhi. «Da Lynn.
Tre, quattro mesi al massimo e saresti come nuova. Anche se non ti
hanno mai permesso di scoprirlo hai grandi capacità
rigenerative.»
Lynn lo studiò assottigliando lo sguardo. «Perché mi stai dicendo questo?»
Romeo sorrise come sorrideva sempre, il sorriso di
chi si era già visto vincere. «Perché sei un ottimo
elemento ed il vostro cecchino è stato così gentile da
aprirmi la possibilità di nuovo assunzioni.»
La ragazza rise. «Io sono una Vegliante.»
Lui si strinse nelle spalle in un gesto di
noncuranza. «Dettagli, quando ho iniziato io non ero nemmeno
Romeo.»
«Non potrò mai sposare la vostra
causa.» ribatté incredula all’idea che stesse
davvero parlando sul serio.
«Mai.» ripeté con enfasi.
«Mai è una parola così complicata! Vai in Giappone,
guarisci, avremo modo di riparlarne. Ne sono sicuro.»
Lynn sospirò. «Come?»
Romeo sorrise, scanzonato. «Ti ho vista.»
dunque, ho scoperto che in effetti sono tre cose:
1) Josh amava Jean, fondamentale;
2) Zach non è più caposquadra, grazie al cielo, era penoso, non lo sopportavo più;
3) Romeo ha visto Lynn aderire alla causa dei Veggenti... è il
caso di chiedersi: ma quale cavolo è la causa dei Veggenti?
oh... e no, Romeo non si è dimenticato di Becky!
baci
ps. vorrei fare presente che io controllo la sezione soprannaturale e
spulcio ogni storia dalla trama sospetta, quindi a chiunque abbia
intenzioni poco nobili chiedo di fare attenzione.
pps. Lamponella
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Capitolo 17 *** 16. Ricostruire ***
MS capitolo 16
fragolottina's time
buongiorno lettrucciole, so che
pensavate che ero morta, ma non è così... diciamo che io
e Romeo abbiamo dovuto discutere dei dettagli... comunque, problema
risolto.
questo capitolo - che avrei potuto benissimo chiamare il dubbio visto
che è pieno di dubbi - è spolverato di Josh come un
pandoro con lo zucchero a velo - la similitudine natalizia non poteva
mancare. ma c'è anche dell'altro, molto altro... attenzione a
quello che si dice e attenzione soprattutto a quello che dicono i
Veggenti... ci sono anche loro, perchè pensavate di no?
e oh, c'è anche una mezza spiegazione - chiamarla spiegazione
è un parolone, diciamo il prologo di una spiegazione - per il
suicidio di Josh...
direi che vi ho detto tutto, andate a leggere, sono orgogliosa di questo capitolo, spero che lo meriti!
16.
Ricostruire
Matt fischiò guardando la distruzione nella stanza di Nate. «Cavolissimi.» esclamò.
Nate ciondolò sul posto, imbarazzato. Non era
da lui distruggere, dare furi di testa… erano più
comportamenti tipici di Zach, ma quando Lynn aveva gridato… non
voleva pensarci. E poi come gli era venuto in mente di proporsi a Jean
come Caposquadra? Non si sentiva capo di un bel niente, non aveva la
stoffa del leader; ma fare peggio di Zach sarebbe stato difficile,
prendere in mano la situazione era l’unico modo per tenerli al
sicuro
«Mi dispiace.» lo guardò
avvicinarsi allo schermo che aveva distrutto con il pc, nemmeno quello
vicino stava molto bene. «È stato stupido.»
commentò. Si sentiva in colpa, Matt aveva costruito praticamente
tutta la sua stanza a mano, ogni filo elettrico era stato accuratamente
studiato, fissato e collegato da lui. Gli aveva messo in mano un
sistema di sicurezza perfetto, l’identica copia di quello che
aveva immaginato e progettato; distruggere parte del suo lavoro, non
era stato affatto rispettoso nei suoi confronti. E lui Matt lo
rispettava davvero.
«Molto stupido.» afferrò con due
mani lo schermo rotto e lo tirò fino a staccarlo, poi lo
lasciò cadere a terra con un tonfo. «Ci vorrà un
po’ prima che tu sia di nuovo operativo, ti conviene chiedere a
Romeo un armistizio.» suggerì.
«Non credo ce lo concederà, Becky ha ucciso un Veggente.»
«Un pagherò?» propose allora, lanciandogli un’occhiata ironica.
Stavolta Nate lo ignorò, stava facendo una
lista mentale: punto primo, tenere al sicuro Becky e, al contempo,
sfruttare le sue capacità. Tenerla al sicuro dopo che aveva
ucciso il sottoposto di Romeo non sarebbe stato uno scherzo. «Hai
già trovato un nuovo fornitore?»
«Tu hai parlato con Zach?»
Il ragazzo si sistemò gli occhiali sul naso e
scosse la testa. «No.» punto secondo: trovare il coraggio
di affrontare Zach. E nemmeno quella sarebbe stata una passeggiata.
«Appunto.» concluse Matt, smontò
uno sportelletto dietro il televisore e studiò i cavi
all’interno. «Il mio verdetto è: riparabile.»
concluse. «Ma con calma, se volevi fare dei restauri questo
è il momento di dirlo.»
Punto terzo: scoprire come e quanto un Veggente ed
un Vegliante sono diversi. Aveva una bella lista di cose probabilmente
impossibili da rendere a tutti gli effetti praticabili ed era solo il
suo primo giorno: non male davvero.
«Voglio un laboratorio.» quello era un inizio.
Matt si voltò a guardarlo stupito. «Un laboratorio? Per farci che?»
«Sono stufo di farmi domande e non avere
risposte. E non mi piace nemmeno che i campioni da analizzare vengano
spediti in ospedale e poi riconsegnati: voglio farlo io.»
«Per richiedere attrezzature fuori
dall’ordinario ti servirà la firma di Jean.» gli
ricordò. «E poi sai davvero come funziona un laboratorio?
Tutta quella roba chimica.»
Nate ci penso su. «Mi basta imparare: studierò chimica.»
Matt si spostò per osservare lo schermo
vicino e controllare che fosse sano. «Stai già studiando
quei mattoni di neurologia.» gli ricordò. «Non puoi
fare tutto tu, delega.»
Gli lanciò un’occhiata scettica. «Vuoi studiare neurologia?» gli propose.
Lui rise, un’ombra delle sue solite risate.
«Anche no, ma scommetto che Courtney sarebbe perfetta. In fondo
ne sa già molto di medicina.»
Nate intrecciò le dita dietro la testa
riflettendoci su: era un’idea molto sensata, sua madre aveva
già fatto di Court un ottimo medico; lui avrebbe dovuto iniziare
dal niente, per lei sarebbe stato solo un incremento delle sue
capacità. «Le chiederò se ne ha voglia.»
«Dille che è per Zach.»
«Sta con Jared.»
Matt si fermò, per alcuni secondi rimase con
lo sguardo basso, dispiaciuto, poi lo spostò su di lui.
«Quello non è la sola forma d’amore. Se servisse a
Lynn, studierei tutti i libri che siano mai stati scritti.»
Nate fece un sorriso, piccolo e malinconico, ma a
tutti gli effetti un sorriso. «Sta bene, tornerà a
raccontarti le sue storie.»
«Non vedo l’ora, una noia a stare qui
senza di lei.» sdrammatizzò con un’alzata di spalle,
ma il suo conforto era arrivato.
Nate sospirò pensandola lontana, forse
già in volo per il Giappone. Si avvicinò alla porta.
«Vado a parlare con Courtney.» annunciò.
Jean entrò nella camera di Zach senza bussare, lo trovò
rannicchiato in un angolo della stanza con gli occhi fissi davanti a
sé. Era dietro la brandina che aveva montato per Becky, ci si
sedette sopra e lo guardò.
«Non l’ho fatto per punirti.» gli disse.
Zach non rispose, continuò a fissare lo stesso punto di prima, ma la sua mascella si indurì.
«So che non è quello che volevi, ma,
credimi, è quello di cui avevi bisogno.» sapeva di non
doversi giustificare con lui. Essere una Responsabile la metteva su uno
scalino più alto: nessuna delle sue decisioni era messa in
dubbio, mai, nemmeno la più discutibile: Wood era stato un
ottimo esempio da quel punto di vista. Forse sarebbe diventata identica
a lui, se Josh non le avesse chiesto che tipo di Responsabile volesse
essere.
«Perché non mi hai detto di Courtney e
Jared?» le chiese spostando gli occhi nei suoi. «Tu lo
sapevi, vero?»
Jean sospirò. «Io ti voglio bene, Zach.
Ma voglio bene a tutti voi.» si voltò completamente verso
di lui. «Ed anche se così non fosse, è mio dovere
di Responsabile prendermi cura di lei: dovevo accompagnarla dal medico,
fornirle la possibilità di proteggersi ed altre mille cose che
dovevano rimanere tra me, lei e Jared.»
Pensò a quando Wood l’aveva fatto per
lei, era stata talmente terrorizzata all’idea di doverlo dire al
suo Responsabile. Però, con sua immensa sorpresa, non era stato
spaventoso: Wood non aveva commentato, non l’aveva rimproverata;
si era solo raccomandato che la novità non influisse sul suo
lavoro e le aveva chiesto se stesse bene. “Puoi lasciarlo stare
sopra, nel letto” le aveva detto prima di permetterle di tornare
alle sue faccende. “Ma sei tu la Caposquadra. Lanter mi piace, ma
se ti rammollisce lo considererò un elemento di fastidio”.
Zach non rispose.
«L’ho fatto per Lynn e lo farò per Becky se ne avrà bisogno.»
«Per me non l’hai fatto.» commentò.
«L’ha fatto Josh.»
Zach le lanciò un’occhiata.
«Oh, non dirmi che non l’ha
fatto!» Jean alzò gli occhi al cielo. «Lanter,
quando verrò su ti prenderò a calci.»
Lui rise, ma poi tornò serio, anche se meno
cupo di prima. «Ho sempre pensato che avrebbe fatto l’amore
con me.»
Jean lo guardò paziente. «Sono cambiate
molte cose, Zach, sei cambiato anche tu.» gli disse piano.
«Non devi sentirti in colpa per questo.»
«La prima volta che l’ho vista…» iniziò.
La donna rise. «Zach, sei poco più
grande di un ragazzino! Ogni ragazza bella che vedi diventa il tuo
grande amore.» lo guardò conciliante. «Anche la
prima volta che avevi visto Lindsey eri rimasto folgorato.»
Finalmente Zach si decise a spostare gli occhi sui
suoi. «Non sono arrabbiato, sono solo un po’ triste.»
«Lo so.» annuì tranquilla.
«E Lynn mi manca già.» spiegò.
«Manca anche a Nate.» scosse la testa.
«Non è un buon momento per essere arrabbiati tra di
voi.»
Courtney non fu sorpresa di trovarsi Nate davanti, quando aprì
la porta della sua stanza. Dopo aver parlato tanto di Josh e di quello
che nascondeva la cartella della sua autopsia, sapeva che sarebbe
venuto da lei per ogni novità. Era come se avessero stipulato un
patto di condivisione.
«Ehi!»
«Ciao.» lo salutò lei. «Ho
saputo della tua promozione, congratulazioni.» si scostò
dalla porta per lasciarlo entrare.
«Non mi odi per aver rubato il posto a Zach?» le domandò senza pensarci.
Lei lo fissò senza sapere cosa dire. Quando
quello che c’era tra lei e Jared era nascosto, tutti davano per
scontato che sostenesse Zach sempre e comunque; ora non sapeva bene
come comportarsi, Jared si sarebbe arrabbiato se avesse continuato a
stare dalla sua parte? Avrebbe dubitato dei suoi sentimenti? Di certo
non poteva aspettarsi che rimanesse fuori da ogni decisione solo per
non contrariarlo.
«Avrei bisogno che tu faccia una cosa.»
Courtney riportò l’attenzione su di lui.
«Sempre se ne sei d’accordo.»
«Ti ascolto.» garantì.
«Vuoi studiare neurologia al mio posto?»
le chiese. «Per te non sarà difficile, hai già
tutte le nozioni di base nella tua testa. Io impiegherei il doppio del
tempo per capire la metà.»
Lei lo studiò scettica. «Nate, tu sei un genio.»
«E tu un medico.» ribatté.
«Ad ognuno il suo: io faccio chimica, tu neurologia.»
La ragazza sospirò e si tirò indietro
i capelli sedendosi sul proprio letto. «Non saprei…»
lo guardò. «A che ti serve?»
«Voglio sapere come funziona il cervello di Zach.»
Rise. «Beh, non è sempre brillante, ma
mi pare che le sue funzioni celebrali siano apposto.»
Nate ciondolava al centro della stanza, lo conosceva
abbastanza da sapere quanto fosse piena la sua testa quando lo faceva;
lasciò vagare il suo sguardo in giro, prima di tornare a lei.
«Okay, voglio sapere quanto
funziona.» la raggiunse risoluto e le si sedette accanto.
«Sei l’unica di cui mi posso fidare, tu non lo
tradiresti.»
Courtney lo fissò ad occhi sgranati, improvvisamente guardinga. «Nate?»
«Ti prego, i libri li ho già presi io!»
Per alcuni secondi lo fissò, mentre il suo
cervello correva da solo alla conseguenza di un suo rifiuto: consegnare
un segreto pericoloso per Zach a qualcuno di cui non si fidavano.
Scrollò le spalle, rassegnata. «Okay.»
Come sempre quando le cose non andavano bene, Zach era sul tapis
roulant. Una follia visto che zoppicava ancora, ma era tipico di lui.
Nate rimase a guardarlo: c’era il fuoco dentro Zach, c’era
sempre stato, lo si vedeva illuminargli gli occhi.
La prima volta che lo aveva incontrato, appena dopo
la sua Asta, Nate aveva pensato che fosse uno sbruffone. Uno di quelli
che lo avrebbe preso in giro, che gli avrebbe rotto l’i-pod per
dispetto. Ma Zach era tranquillo, votato al disastro, ma affatto
dispettoso. Non aveva mai considerato un difetto la sua costituzione
gracilina, per quel che ne sapeva Nate, non l’aveva mai vista.
Prese fiato, lo raggiunse e premette il pulsante per fermare il macchinario.
Zach si appoggiò pesantemente ai due
maniglioni, con il sudore che gli scivolava sulla pelle delle braccia,
inzuppando la benda che Courtney gli aveva messo.
«Cosa volevano?» era il momento della
verità, l’attimo in cui avrebbe scoperto se Zach aveva
intenzione di riconoscerlo come suo Caposquadra, o se stava pensando a
come ucciderlo.
Zach lo guardò con il fiato corto, prese
l’asciugamano e se lo premette sul viso. «Due fiale di
sangue.» rispose senza minaccia alcuna.
«Altro?» continuò a chiedere, incoraggiato dall’assenza di ostilità.
Scosse la testa. «Mi dispiace per Lynn.» si scusò.
«Lo so.» disse Nate fissandolo negli
occhi, non l’avrebbe mai potuto mettere in dubbio: sapeva che
Zach le voleva bene, come tutti. Erano una squadra. «Non è
per vendicarla che sono Caposquadra.»
Zach ci pensò. «Non penso che tu non ne
sia capace.» spiegò. «Sei sempre stato più
sveglio di me, ma Romeo ha uno strano ascendente su di te ed a volte ho
paura che tu ti fidi troppo di lui.» continuò tutto
d’un fiato.
«Non è che io mi fidi ciecamente di
lui, cerco solo di prendere in considerazione quello che dice.»
cercò di giustificarsi. «Non è intelligente
cestinare tutte le sue informazioni solo perché è il
nemico…» incrociò le braccia sul petto.
«Anche perché, ammettiamolo, Romeo è un nemico
sopra le righe.»
«Oh, sì di certo.» assentì
con enfasi Zach. «Ma non voglio che la tua follia ti contagi come
Josh.»
Nate lo guardò e si strinse nelle spalle.
«Tu me lo dirai.» disse sicuro. «Se inizierò a
dare segni di squilibrio, tu mi aiuterai.»
«Certo, che lo farò.»
Non gli aveva fatto una domanda, ma fu contento della sua risposta affermativa.
«Ho un problema.» disse dopo un po’.
«Ti ascolto.»
«Sto rallentando.» non l’aveva mai
detto ad alta voce, se lo sussurravano tra di loro come se fosse un
segreto. «Sharon Sullivan dice che è colpa delle
mele.»
«Smetti di mangiarle.» rispose di getto.
«Ci fidiamo di lei?» domandò scettico
Nate si strinse nelle spalle. «Proviamo, che
può succederti di tanto tragico? Una carenza di fibre?»
Zach si strinse nelle spalle. «Okay, proviamo. Ti serve che faccia qualcos’altro?»
Lui lo osservò con aria supplichevole. «Addestrala.»
«Chi?»
«Becky.»
Zach scoppiò a ridere. «Non c’è riuscita Lynn, che speranze ho io?!»
Nate alzò gli occhi al cielo, sconsolato.
«Non voglio che sappia combattere, non le serve, ma deve sapersi
difendere nel caso si trovi nei guai.»
«Ma è piccolissima.» commentò.
«Non è vero, ha diciassette anni, come
li abbiamo avuti tutti noi. È grande abbastanza, è forte
ed è in gamba.» Nate rise. «Ti ha salvato la vita,
caro il mio eroe. Non credi di doverle qualcosa?»
Sospirò. «Ci proverò.»
«Fantastico.» fece per allontanarsi, ma ci ripensò. «Ah, Zach?»
«Nh?»
«Posso avere due fiale del tuo sangue?»
Ero in tv.
I telegiornali nazionali parlavano di una coraggiosa
Vegliante di Synt – la sua Responsabile non ha acconsentito a
divulgare il suo nome – che era riuscita a sconfiggere un
Veggente che minacciava il suo Caposquadra. Veniva celebrato il mio
coraggio, osannata la mia immensa fedeltà alla causa ed alla mia
squadra; la classe dirigente dell’ADP prometteva di ricordarmi
come un’eroina.
A me rimase in testa solo una parola: sconfiggere, non uccidere.
Nessuna notizia sull’identità del
ragazzo a cui avevo sparato. Mi chiesi se Jean lo sapesse, mi chiesi se
io volessi saperlo.
Sapevo che c’era qualcuno in città che
lo sapeva, qualcuno che, se lo avessi chiesto, mi avrebbe risposto.
Mrs. Dandley avrebbe potuto rispondere a tutte quante le mie domande.
Però non avevo più Lynn disposta ad accompagnarmi e per
niente al mondo avrei voluto che uno degli altri Veggenti passasse
anche soltanto cinque minuti con lei. Sarei dovuta uscire da sola.
Aprii le ante dell’armadio studiandone il
contenuto, alla ricerca di vestiti discreti. Non era una buona idea,
non poteva esserlo: era una delle regole di Jean “Non uscire mai
da sola” ed era un suggerimento decisamente valido, visto e
considerato quello che era successo. Ma… c’era altro che
volevo chiedere a Mrs. Dandley, molto altro. Troppo da ignorare.
Mi infilai dei pantaloni da tuta neri ed una felpa
con cappuccio sempre nera, speravo di poterci nascondere sotto tutti i
miei capelli.
Passare dall’entrata principale era
impossibile, ma forse, se avessi fatto attenzione sarei riuscita a
filarmela dal garage.
Il corridoio delle camere era deserto, scivolai via
di lì tenendo gli scarponi in mano, per non fare rumore.
Una volta dentro l’ascensore premetti il
pulsante -1 in tutta fretta, cercando di schiacciarmi il più
possibile contro le pareti della cabina perché nessuno mi
vedesse. Tirai un sospiro di sollievo quando le porte si richiusero e
mi appoggiai con la schiena alle pareti per infilarmi gli scarponi. Il
mio piano avrebbe avuto un buon esito, se, quando le porte
dell’ascensore si riaprirono, non mi fossi trovata davanti Jean
con le braccia incrociate sul petto e l’aria sospettosa.
«E tu dove pensi di andare?»
Deglutii. «Io… ecco…»
Jean salì sull’ascensore e spinse il
pulsante per ripartire, guardai le porte richiudersi, affranta.
«Sto conducendo un’indagine, devo
interrogare una persona.» dissi decisa, quella era una cosa che
poteva andare, molto da Vegliante. «Se tu sei d’accordo
vorrei fare alcune domande alla signora Dandley.»
Lei non si scompose, mi lanciò appena un’occhiata. «Non sono d’accordo.»
Mugugnai frustrata e lei mi osservò.
«Becky, Dawn Dandley è in combutta con Romeo da sempre, lo
sappiamo tutti.» mi spiegò paziente. «Ora come ora,
non è saggio per te farle visita.»
Sospirai. «Se lo sapete tutti, perché nessuno fa niente?»
Jean iniziò a fissare i numeri in alto
accendersi e spegnersi in sequenza. «L’aiuto che ha dato al
governo e all’ADP le ha garantito l’immunità.
Nessuna forza dell’ordine, né speciale come noi né
civile come i poliziotti, può infastidirla.» scosse la
testa. «Questo significa che se tu vai a casa sua e lei non vuole
parlarti perché sta facendo la maionese, ha il diritto di
cacciarti. Semplicemente. È al di sopra delle legge.»
Ci pensai, questo significava che quando mi ero
fatta accompagnare da Lynn avrebbe potuto mandarmi via, se avesse
voluto: voleva parlarmi, voleva quell’incontro.
«Cosa ha fatto per avere tanti privilegi?»
Le porte scorrevoli si aprirono di nuovo ed uscimmo
entrambe. «Era, o forse è ancora, una genetista. Ha finito
di mappare il DNA umano e quello Veggente. Tutto quello che sappiamo,
lo sappiamo grazie a lei. Abbiamo il Mitronio grazie a lei. Possiamo
combattere questa guerra grazie a lei.»
Mi fermai in mezzo al corridoio e la guardai
pensierosa. Improvvisamente credevo di aver capito come mai fosse
impazzita, aveva una bella dose di responsabilità sulle spalle.
Ma c’era un domanda che mi premeva di più. «E il DNA
dei Veglianti?»
Jean scosse la testa. «Non le hanno permesso di finire, l’hanno mandata via prima.»
La fissai negli occhi. «Stava scoprendo troppo.» mormorai a me stessa, ma Jean mi sentì.
Si strinse nelle spalle. «Probabile. Altre domande?»
Ce n’era sempre stata soltanto una. «Perché Josh è morto?»
Lei mi osservò e sembrò decidere sul
momento se meritassi o no una risposta vera. «Perché,
Becky, la differenza tra essere un eroe e un assassino è
questione di punti di vista.»
«Ma era un Caposquadra, sapeva come
funzionavano le cose.» replicai. «Deve aver fatto qualcosa
di davvero molto brutto.»
«Abbiamo fatto.» mi corresse. «Abbiamo fatto qualcosa di molto brutto.»
«Non me lo dirai, vero?»
Lei sorrise. «Non vuoi saperlo, credimi.»
Sospirai. «Dovunque mi giri c’è un mistero…»
Per alcuni secondi Jean tacque. «Ricordi i Veglianti di Wood, all’Asta?»
Annuii.
«Farti domande è quello che ti rende
diversa da loro. È un grande privilegio, devi esserne sempre
grata.» mi spiegò saggia.
Io continuai a guardarla, non mi ero mai fermata a
pensare che Jean sarebbe potuta essere molto diversa. Più
fredda, meno paziente, meno esaustiva nelle sue risposte. Avrebbe
semplicemente potuto non dare risposte.
«Devo scrivere il rapporto, vieni ad
aiutarmi.» lo disse come se fosse un ordine, ma sospettavo fosse
solo un modo per tenermi occupata e non farmi più venire idee
come quelle di andarmene da sola da Mrs. Dandley.
«Okay.» risposi tranquilla seguendola nella sua stanza.
Jean mi mise davanti alla tastiera di un computer e
mi tenne con sé tutto il pomeriggio dettandomi il rapporto.
Nonostante non si permise mai di fare osservazioni, sospettai che ci
stessimo mettendo più di quanto avrebbe impiegato facendo da
sola. Raccontò tutto quello che era successo la notte prima con
chiarezza estrema, tanto che fui io a fermarmi per chiederle
delucidazioni e non viceversa. Alle sei circa si allontanò
qualche minuto e tornò con i nostri due vassoi per la cena.
Una volta che mi ebbe dettato tutto quanto, mi
chiese di rileggerlo, come una storia. E mi resi conto che quella
storia era la mia, così tanto mia, da lasciarmi completamente
senza parole alla fine, come se la mia parte fosse conclusa e non
avessi più battute da recitare. Però ero stata brava,
davvero.
Jean mi guardò, io non vedevo niente.
«Di qualsiasi cosa tu abbia bisogno, io sono qui.» promise.
«Hai fatto un buon lavoro, ma è un lavoro terribile.»
Spostai lo sguardo su di lei, senza annuire.
«Va’ a letto, gli altri dormono già.»
Mi fermai in corridoio sentendomi svuotata e mi resi conto che potevo
scegliere mille cose da non fare, non uccidere più Veggenti, non
premere il grilletto, ma sarebbe stato tutto completamente inutile
finché non avessi deciso cosa fare. Ero una Vegliante, avevo una
super mira: cosa avrei fatto di quello che ero?
Avevo sempre pensato alla mia vita come una scelta
di strade, un bivio per volta, fino ad arrivare al mio destino; non mi
ero mai fermata a riflettere che la mia strada potesse non essere stata
costruita, che avrei dovuto scavarla nella roccia, passare tante volte
per un campo fino a creare il mio sentiero.
Bussai alla porta di Zach e dischiusi piano l’uscio.
«Dormi?» chiesi all’oscurità.
Le coperte frusciarono. «No.» sussurrò piano.
«Posso dormire qui?»
Sentii il suono soffocato di quella che sembrava una mezza risata.
«Non posso?» domandai piccata.
«Sì, certo che puoi.» mi
assicurò. «Non ho smontato la brandina apposta.»
Scivolai dentro chiudendomi la porta alla spalle, mi stesi e mi raggomitolai nella brandina.
«Dove sei stata oggi?» mi chiese dopo un po’.
Mi morsi il labbro. «Ho aiutato Jean a
scrivere il rapporto.» ero indecisa se dirgli o no la
verità. «Sarei voluta andare da Dawn Dandley, ma me lo ha
impedito.» borbottai.
«Non puoi andarci da sola, è pericoloso.» mi rimproverò.
«Lei però ha le risposte!» mi lamentai.
Per alcuni secondi rimase in silenzio. «Pensi
davvero di conoscere le domande giuste da porle? Io non saprei cosa
dirle.» confessò.
La domanda che volevo porle mi rimbalzò nella mente prima che potessi contestualizzarla. Sono una Veggente? Sono pazza? Sono un’assassina? Che devo fare?
«Una volta Josh mi ha raccontato che avevano
fatto un patto: gli concedeva una domanda, una sola, lei giurava di
rispondere sinceramente.»
Le ha messo la merenda nello zainetto?
«So cosa le ha chiesto.» rivelai.
«Non dirmelo.» disse. «Se avesse voluto che lo sapessi, me lo avrebbe raccontato.»
Chiusi gli occhi, presi fiato. «Zach, cambiamo
argomento, ti prego.» ero così stanca di arrovellarmi su
problemi, che nascondevano altri problemi, che ne nascondevano altri
ancora… infinitamente stanca.
«Andiamo a correre domani mattina?»
Sgranai gli occhi nell’oscurità. «A correre?»
«Nate mi ha chiesto di irrobustirti un po’.»
«Avete fatto pace.» sussurrai contenta.
Sospirò. «In famiglia è
complicato tenere il muso troppo a lungo.» considerò.
«Allora? Sai correre?»
Sbadigliai. «Se è per questo so fare anche le capriole all’indietro.» scherzai.
Zach rise. «Brava, cheerleader!»
«Dawn, se non te ne sei accorta siamo vagamente sulle spine.» la rimproverò Romeo.
Mrs. Dandely era ai fornelli, indossava un
grembiulino con disegni di margheritine e papaveri e mescolava un
pentolone colmo di un intruglio poco invitante. «Vuoi che
controlli ogni dato accuratamente, sì o no?» gli
lanciò un’occhiata carica di sottintesi.
«Sorellina, fallo bene e fallo in
fretta.» sbottò Jamie. «Non so se hai realizzato
quanto velocemente stanno precipitando le cose. È difficile
impedire loro di farsi male, ora che Miss Pallottola, qui, si è
fatta scoprire.» disse con un cenno del capo diretto a Ryan.
«Se mi aveste ascoltata al momento giusto, non sarebbe successo.» sbottò indispettita.
«Shh!» li rimproverò Romeo.
Ryan si richiuse in sé stessa borbottando.
«Il ragazzo non è ancora irrecuperabile.» annunciò Dawn Dandley.
Tutti e tre tirarono un sospiro di sollievo.
«Ma lo sarà presto.» fissò
Romeo. «Le sue cellule, i suoi tessuti, sono stanchi. Lo stanno
bombardando di robaccia da quando è un bambino. Se vuoi che
funzioni, non puoi più aspettare.»
«Qualcuno deve avere una copia di quelle analisi, prima.» concluse con un sospiro.
Dawn tornò ai suoi inquietanti manicaretti. «Fai in modo che li veda Courtney.»
«Courtney sta con Jared.» ricordò loro Ryan.
«Non per molto.» insinuò Jamie.
Ryan lo guardò, stupita e curiosa. «Che vuol dire?»
«A-ah.» Jamie alzò le mani.
«Se non l’hai visto da te, niente spoiler.» rise.
«Non voglio rovinarti la sorpresa.»
«Piantala.» Romeo gli lanciò
un’occhiata di fuoco. «Non andrà in quel modo, non
lo permetterò.» promise.
Jamie scosse la testa, annoiato. «Come se tu potessi davvero farci qualcosa.»
Lo ignorò. «Chi consegna il pacco?» chiese alludendo ai fogli che Dawn porse loro.
«Vado io.» Jamie alzò la mano.
«Li becco domani al parco, quando andranno a correre.»
Zach sgranò gli occhi nell’oscurità, l’incubo
appena fatto ancora intrappolato tra le ciglia, vicino ma troppo
confuso da poterlo ricordare; anzi, lo ricordava eccome: c’era
suo padre con una pistola puntata alla tempia di Jean e lui era
lontano, lontanissimo e non poteva aiutarla.
Si tirò su a sedere, l’aria fresca
sulla schiena sudata era vagamente confortante. Chiuse gli occhi e fece
come gli aveva sempre suggerito suo fratello, iniziò a ragionare
sui propri incubi, in modo da capire quanto impossibili fossero: suo
padre non aveva alcun motivo per voler uccidere Jean. Lei era
un’ottima Responsabile ed era stata una straordinaria
Caposquadra, tutte cose che lui rispettava. Magari lo avrebbe preferito
nella squadra di Wood, ma questo non significava che era del tutto
scontento della sua sistemazione attuale.
Becky si rigirò nel letto, avvolta nelle lenzuola, gemette e gridò.
Zach si sorprese di quanto velocemente raggiunse la
sua brandina. Si sedette a un lato, la prese delicatamente per le
spalle e la scrollò piano. La ragazza spalancò gli occhi
di colpo e lui sussultò, le sue pupille erano immense, enormi,
quasi completamente nere anche alla fievole luce della lampada sul suo
comodino.
«Zach.» mormorò agitata.
Sollevò una mano e gliela posò sul viso. «Zach,
stai bene?» continuò più decisa.
Lui annuì senza scostare la sua mano, sicuro
che, una volta superata la confusione del risveglio brusco, avrebbe
fatto da sola. Ma Becky non si scostò, anzi con l’altra
mano cercò il bordo della sua maglietta e ci si infilò
sotto. Le sue dita salirono, sfiorandolo appena, fino a fermarsi in un
punto preciso sotto le costole, che premettero con delicatezza.
«Credevo ti avesse colpito.»
Zach le sorrise. «È stato solo un sogno, non preoccuparti.»
Lei lo fissò, lesse la paura nel suo sguardo
quando ritirò le dita, inconfondibilmente macchiate di scuro;
sangue o Mitronio, alla penombra sembravano identici. «Zach,
no!» gridò di nuovo.
«Becky, io sto bene.» le assicurò
scuotendo la testa. Non c’era dolore, nessuno lo aveva colpito;
guardò ancora le sue dita sporche: stava sognando, non si era
mai risvegliato e quella che aveva tra le mani era soltanto una
proiezione del suo inconscio.
La lasciò avvicinarsi, posare la fronte
contro la sua e chiudere gli occhi. «Starai bene, te lo
prometto.» gli assicurò. «Chiamerò Courtney e
lei saprà cosa fare.» stava piangendo. Gli prese il viso
con entrambi le mani e Zach sentì
il proprio sangue sulla guancia; Becky lo baciò piano e lui
avrebbe voluto partecipare con maggior presenza, ma si sentiva
scivolare via, ogni secondo più debole. Chiuse gli occhi e
quando li riaprì erano in un vicolo di Synt esterna.
«Tic, tac, Becky.» era Romeo alle sue
spalle. Zach lo guardò, lo fece anche la Becky del sogno.
Lo baciò ancora. «Starai bene.»
si alzò e prese la mano che lui gli porgeva, gli lanciò
un’ultima occhiata, dilaniata all’idea di doverlo lasciare
lì. «Tornerò.» promise prima di sparire con
Romeo.
Avrebbe voluto raggiungerla, fermarla, ma non poteva. Non poteva fare altro se non guardarla andarsene.
Stavo scrollando la spalla di Zach, seduta sul suo letto dietro di lui,
da un’eternità quando infine si riscosse. Sussultò
e mi guardò mettendomi a fuoco lentamente, poi si rigirò
sulla schiena e sospirò.
«Ho fatto casino.» realizzò osservando la mia faccia turbata.
Allontanai le mani da lui e me le posai in grembo.
«Un po’, non sembrava stessi facendo un bel sogno,
così ho pensato di svegliarti.» raccontai con una smorfia.
Lui sorrise e con una mano mi strinse per la vita,
piano, solo una carezza per ringraziarmi, anche se
l’intimità di quel gesto mi fece arrossire. «Ho
fatto un sogno strano.» confessò, si stiracchiò e
qualcosa dalle parti della sua spalle fece un schiocco secco poco
rassicurante. Si puntellò sulle braccia e si tirò su, mi
passò le dita tra i capelli. «Dalla piega imbarazzante dei
tuoi capelli direi che hai dormito abbastanza profondamente.»
Feci un mezzo sorriso cercando di abbassarli con
entrambi le mani, conoscevo abbastanza i miei ricci da sapere che
sarebbe stato inutile, avrei dovuto legarli. «Abbastanza.»
confermai, lo guardai, lui sembrava non aver mai smesso di farlo.
«C’era qualcosa di bello nel tuo sogno?» gli domandai.
Scrollò le spalle, il suo sguardo era indecifrabile. «C’eri tu.»
rieccomi
se avrete notato ci sono davvero molte sbirciate nel futuro, ma molte, molte...
non devo dirvi io quanto importante sia lo scoprire come funziona il
cervello di Zach. nei capitoli a venire i Veggenti saranno meno
amichevoli, ma tra poco vi assicuro che tutto sarà molto, molto
chiaro!
informazione random: anche se probabilmente non lo avrete notato sto,
con tutta la calma del caso, ricorreggendo i capitoli addietro,
perchè c'erano molte cose che non mi piacevano e che volevo
aggiustare.
nessun cambiamento sulla trama, è solo una questione stilistica!
spero che il capitolo vi sia piaciuto!
baci
ps. Buon Natale, anche se in ritardo.
pps. Lamponella
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Capitolo 18 *** 17. Sono già scappato ***
MS capitolo 16
fragolottina's time
ve lo giuro, lettrucciole, questo doveva essere una capitolo breve...
...
mi sono lasciata prendere la mano, mi spiace!
però succedono molte cose e vengono a galla diverse cose... ci
stiamo avvicinando al nocciolo della questione, con calma ci arriviamo!
era ora...
era anche ora di mettere vicini Zach e Becky e vedere che combinano,
meno male che Nate è lungimirante... ma Romeo di più,
perciò attenzione!
cmq, se vi stata chiedendo perchè ci ho messo così tanto
a finirlo, la colpa la potete benissimo affibbiare a Jamie Ross... per
scrivere la sua conversazione con Zach ci ho messo una vita!
maledetto...
ma ce l'abbiamo fatta e sarei ben lieta di avere un vostro parere a proposito!
17.
Sono già scappato
L’alba a Synt era uggiosa come in quasi tutte le città.
Zach mi aveva proposto di fare il giro del distretto
abitativo e poi dirigerci verso il parco di Synt esterna. Si era anche
raccomandato di non strafare e di avvertirmi quando fossi stata troppo
stanca, per terminare e tornare a casa camminando. Non mi ero sentita
offesa per essere trattata come una buona a nulla, molte persone
consideravano le cheerleader come delle scimmiette che saltellavano con
dei pompon; ma la realtà era che la mia capo cheerleader era
stata molto rigida negli allenamenti, costringendo anche noi riserve a
partecipare, in più ci faceva allenare canticchiando sempre gli
inni. Questo significava che avevo sviluppato un’ottima
resistenza polmonare.
A quell’ora Synt interna non era disabitata
come accadeva di solito, incrociammo altri abitanti che correvano,
genitori che accompagnavano i bambini alla fermata del bus che li
avrebbe portati a scuola, diverse auto, quasi si trattasse di una
città normale.
Zach non ne sembrava sorpreso quanto me, ma in fondo
lui abitava lì da più tempo. Sicuramente aveva avuto
già modo di notare la cosa. Era silenzioso, sembrava distratto.
«Tutto bene?» gli chiesi studiandolo. «La gamba ti fa male?»
Lui mi lanciò un’occhiata e sorrise.
«La gamba sta bene, io sto bene. Non preoccuparti.» anche
se piuttosto disattento, appariva molto più sereno di quanto era
stato negli ultimi giorni, in realtà da quando lo conoscevo
Continuai ad osservarlo. «Vuoi che rallentiamo?»
Mi fissò con le sopracciglia sollevate,
incredulo. «Ehi, non montarti la testa!» mi
rimproverò.
Arrossii e mi girai per correre all’indietro e
guardarlo allo stesso tempo, volevo vedere se zoppicava e, se lo
faceva, quanto.
Lui studiò i miei movimenti, attento.
«Sono un po’ acciaccato, ma posso ancora reggere un
po’ di jogging.»
«Facciamo una gara: il primo che arriva al parco di cui parlavi.» proposi.
«Da quando ti si è acceso lo spirito agonistico?» mi domandò divertito.
In realtà non lo sapevo, ma aveva passato la
giornata precedente chiusa dentro la caserma, nascosta in un limbo di
pensieri densi come il fumo delle fabbriche di Mitronio; ritrovarmi
improvvisamente di nuovo all’aria aperta a fare qualcosa di
normale come correre, mi faceva sentire bene, elettrica, viva: una
rinascita interna che ripercuoteva i suoi effetti sulle mie
attività esterne. Prendere una decisione come quella di non
uccidere più i Veggenti era stato catartico; era vero, avevo
fatto un grande errore, aveva creduto che non ci fosse altro modo se
non premere il grilletto, ma avrei trovato altri modi, avrei potuto
imparare da quell’errore.
Senza fermarsi, Zach si sfilò
l’orologio dal polso, spinse alcuni tasti al lato del display e
me lo porse. «Segui la freccetta, ti dirà la strada.»
Tornai a corre di fianco a lui mentre lo allacciavo.
«Ovviamente corriamo da Veglianti.»
Gli lanciai un’occhiata senza capire. «Che vuol dire?»
Lui rise mentre con la coda dell’occhio
controllava i cortili delle case che scorrevano alla mia sinistra.
All’improvviso mi spinse ed io rotolai sul prato paglierino
accanto a me, mi sollevai con le mani e mi voltai a guardarlo
sconvolta, lui stava ancora ridendo.
«Che possiamo darci fastidio.»
rivelò prima di riprendere a correre. «Ci vediamo al
traguardo, cheerleader.»
Ci misi pochi secondi a realizzare quello che era
successo, ma quando lo feci mi rialzai al volo. Corsi più in
fretta che potei, Zach non era particolarmente veloce, non sapevo se
fosse il suo passo abituale o se stesse aspettando che lo raggiungessi
di nuovo. Ero più propensa a credere nella seconda.
Lo affiancai e provai a buttarmi addosso a lui, di
certo spingerlo non sarebbe bastato a sbilanciarlo, ma lui
rallentò proprio mentre lo facevo e mi trattenne per un braccio
per evitare che finissi in mezzo alla strada. Una volta stabilizzata mi
girò attorno e proseguì ridendo. Riuscii a riprenderlo, o
almeno a raggiungerlo di nuovo, se anche non fossi riuscita a dargli
abbastanza fastidio, non sarebbe stato difficile superarlo, era lento.
O così credevo prima che raggiungessimo Synt esterna.
Quella parte di città era come sempre
affollata e viva, brulicava di persone, auto, negozi: era difficile
svolgere una competizione in quella situazione. A differenza di lui,
che proseguì senza nemmeno pensarci, io mi fermai un secondo
sentendomi tanto piccola, eppure ingombrante, dove cavolo sarei passata?
Zach rallentò e mi guardò. «Problemi?»
«Non so che strada fare.» ammise guardandomi intorno.
«Sei una Vegliante, Becks.» mi ricordò. «Le strade te le puoi costruire.»
Posai lo sguardo su di lui e sbattei diverse volte
le palpebre senza capire. Zach alzò gli occhi al cielo, poi
allungò il braccio nella mia direzione porgendomi la mano.
«Stavolta ti insegno io, ma la prossima volta fai da sola,
okay?»
Presi la sua mano, era ruvida e dura, ma calda e forte. «Becks?» chiesi.
Lui sorrise. «Ti sei meritata un nome.» disse nei miei occhi.
Synt esterna apparteneva a Zach. Non sapevo se anche
per gli altri Veglianti fosse lo stesso, ma era come se lui vedesse il
quartiere a più livelli, impilati uno sopra l’altro. Era
molto razionale nel muoversi, pensava un percorso nel primo livello, la
strada, se non c’era o la folla lo rallentava troppo, passava al
secondo, i palazzi intorno a noi. Non tutti gli appartamenti o gli
uffici erano occupati e lui ricordava a memoria ogni stanza con le
finestre aperte. Se per qualsiasi motivo il secondo livello lo
deludeva, c’era sempre il terzo, il più infallibile, ma
anche il più complicato, i tetti; mi chiesi se anche lui avesse
notato che i tetti di tutti i palazzi erano così vicini da
rendere semplice anche a me saltare da uno all’altro.
Certo Zach aveva poco da invidiare
all’agilità dei Veggenti, anzi la cosa che più mi
colpiva, non era che sapesse saltare da una finestra all’altra,
da un tetto all’altro, sapevo farlo anche io, era tutto il resto.
Come sceglieva? Come sapeva che in strada c’era traffico, o che
la fila davanti al panettiere fosse troppo ingombrante per poter essere
superata?
Quando raggiungemmo il parco fui io a scuotere la
mano per farmi lasciare, improvvisamente a disagio; lui mi
guardò, colsi con la cosa dell’occhio il suo sguardo fisso
su di me, sembrava anche vagamente divertito.
Finché non iniziò a guardare dietro di me.
C’erano parecchie persone in giro, molte delle
quali affollate intorno ad un chioschetto. Zach mi strinse di
più la mano mentre mi guardavo intorno, mi voltai pensando che
volesse dirmi qualcosa, ma era concentrato con gli occhi fissi e
lontani. Feci per seguire il suo sguardo e vedere cosa lo avesse
turbato, ma lui mi trattenne per una spalla.
Fece una smorfia. «Mi sa che abbiamo strapazzato troppo il ginocchio.»
«Ti fa male?» chiesi allarmata.
Si strinse nelle spalle e sollevò leggermente
la gamba sinistra. «Niente di grave, ma meglio che mi fermi un
po’.» commentò. «Potresti andare a chiedere se
lì hanno del ghiaccio? Ti aspetto su quella panchina.»
disse indicandomela con un cenno del mento.
«Okay.» lo accompagnai a sedersi, poi mi
diressi al chioschetto, sperando di trovare del ghiaccio.
Jamie Ross aspettò che Becky si fosse allontanata, prima di
sedersi accanto a Zach disinvolto, nessuno avrebbe sospettato che gli
stesse puntando una pistola al fianco. Il ragazzo non si mosse, gli
occhi fermi sulla figura di Becky passo dopo passo più lontana.
«L’hai allontanata da me.»
commentò Jamie divertito mentre si calava ancora un po’ il
cappello sulla testa. «Molto premuroso.»
Zach non si mosse, nonostante sentisse la canna
premergli sulle costole. Prese un respiro e si appoggiò con i
gomiti alla spalliera della panchina. «Mi prendo cura della mia
squadra.» commentò fingendosi calmo, pregando
interiormente che Becky non si girasse mai.
Jamie sollevò le sopracciglia con scetticismo
e gli lanciò un’occhiata sarcastica. «Magari fossi
così maturo, ragazzo mio, magari.»
«Che vorrebbe dire?» sbottò prima
di pensare a quanto folle potesse essere la cosa; una delle prime
regole che gli aveva insegnato, o che aveva provato ad insegnargli,
Josh era mai ribattere alle provocazioni di qualcuno armato: erano
passati due anni, ma quella lezione gli era ancora difficile.
«Non ti sparo solo perché parli,
tranquillo.» gli assicurò. «E non prendertela
troppo, l’obbedienza non ti appartiene.»
Una volta glielo aveva detto anche Romeo, ma quella
volta non era stato con il tono scanzonato di Jamie Ross, lui era
furioso. Era la prima notte che era uscito senza Josh per la sua scelta
di non partecipare alla missione, pochi giorni prima della fine. Non
sapeva come, ma era riuscito a soffiare il bambino che i Veggenti
stavano cercando di rapire e passarlo a Courtney e Lynn perché
lo portassero al sicuro. “L’obbedienza non ti è mai
appartenuta!” gli aveva urlato Romeo. “Davvero cinque anni
di accademia ti hanno cambiato così tanto?”
«Sei qui per una lezione sulla vita?»
gli domandò cacciando indietro quel ricordo, non sapeva nemmeno
perché continuasse a portarselo dietro.
«Sono qui per recapitare della posta.»
tirò fuori una busta chiusa dalla tasca interna della giacca.
«Romeo ha scritto una letterina d’amore a Courtney.»
spiegò e gliela porse.
Zach la prese soppesandola tra le mani. «Cos’è?»
Jamie si strinse nelle spalle. «Quello che le serve.»
Lo studiò con le sopracciglia sollevate, sospettoso.
«Sparirò per un po’.»
rivelò alzandosi. «Ti affido la ragazzina e ti do la
possibilità di tenertela.»
Lui gli lanciò un’occhiata sorpresa.
«Approfittane.» suggerì
cospiratore. «Perché se quando torno è libera me la
prendo io.»
Zach si disse che stava cercando di essere una
persona migliore: più controllata, più razionale,
responsabile per essere d’aiuto a Nate ed a tutti gli altri.
Basta con l’arroganza, basta essere impulsivi, basta litigare con
i Veggenti senza un ordine dedicato che lo permettesse.
Guardò Jamie Ross scrollarsi il retro dei
pantaloni, tranquillo, così dannatamente tranquillo, mentre loro
dovevano essere sempre così tesi, nervosi.
Prima ancora di riuscire a pensare di fermarsi gli
era addosso; gli afferrò la spalla sinistra costringendolo a
voltarsi. Strinse la stoffa della sua giacca tra le mani e se lo
tirò sotto. «Nate potrà anche fidarsi di voi, ma io
no.» sputò a tre centimetri del suo viso. «Se
Courtney sarà turbata dopo questa lettera, ti verrò a
cercare.» promise. «Se Nate romperà il suo voto di
astemia, andrò a cercare Romeo.» continuò.
«Se toccherai Rebecca Farrel con un dito, te lo taglio.» e
quella era la sua affermazione più solenne.
Jamie Ross lo lasciò finire poi
scoppiò a ridere e sollevò il braccio puntandogli di
nuovo la pistola al fianco, Zach quasi sussultò per la sorpresa:
se ne era dimenticato.
«Migliori, ragazzo, non dico di no, ma non sei
ancora nella posizione di poter dare ordini.» gli posò un
mano sul torace e lo spinse indietro.
Zach lo lasciò.
«Da bravo, torna sulla tua panchina.»
gli consigliò. «Non vorrai farti trovare moribondo da
Becky, no?»
Alcuni passanti li stavano studiando, Jamie li
rassicurò con un cenno della mano; Zach notò che nessuno
di loro sembrava particolarmente colpito dal fatto che fosse armato.
«Quanti Veggenti ci sono a Synt?»
chiese, improvvisamente gli sembrava di essere in un paese nemico,
ostile.
Jamie Ross non rispose. «A presto, Zach Douquette.» promise. «Salutamela.»
Zach si limitò a sedersi di nuovo ed aspettare Becky.
La commessa del chiosco non fece domande quando gli chiesi il ghiaccio,
non sapevo se fosse perché in un parco, dove quasi tutti si
muovevano o facevano esercizio, non fosse una richiesta tanto insolita
o perché semplicemente aveva capito chi o cosa fossi. A volte
sembrava che, più che guardarci con timore, gli abitanti di Synt
ci assecondassero.
Quando tornai da Zach lui era immerso in pensieri
decisamente cupi, non mi degnò di uno sguardo. Era frustrante
che, tutte le volte che qualcosa lo turbava, lui si chiudesse in
sé stesso, solo con quel pensiero. Avrebbe potuto rendermene
partecipe, no? Chiedermi un consiglio? Aveva insistito così
tanto per avermi, perché non coinvolgermi?
Concludendo che Zach era un idiota e con un sospiro
che lo confermasse, mi accucciai davanti al suo ginocchio malandato,
gli sollevai la gamba del pantalone e tirai il veltro della ginocchiera
per posarci sopra il ghiaccio. Il tutto senza arrossire: stavo facendo
passi da gigante.
«Potresti diventare l’aiutante di Courtney.» suggerì.
Feci una smorfia e mi sedetti accanto a lui. «Minaccerebbe il suicidio se lo proponessimo.»
Rise.
«Quando te la senti torniamo.» dissi. «Oppure possiamo chiamare Matt, se preferisci.»
Lui ci pensò per un po’. «Jamie
Ross ti piaceva davvero?» era una domanda molto seria.
Sospirai. «Siete sempre stati voi a
dirlo.» gli ricordai ad occhi bassi, non andavano mai a finire
bene le conversazione sul mio cuore. Mi piaceva? Di certo era un tipo
interessante, ma il fatto che fosse un Veggente minava la
possibilità di dare giudizi imparziali. Era un bel ragazzo, era
forte, era divertente, non mi aveva mai trattata da stupida. «Tu
mi tratti da matricola. Per lui ero in gamba.» spiegai.
«Anche per me sei in gamba.»
ribatté piccato, come se si trovasse in svantaggio ad una
competizione contro di lui.
Mi voltai a guardarlo e non potei proprio impedirmi
di apparire molto più che stupita; i suoi occhi quella mattina
erano più limpidi, il verde era meno marcato, ma più
vero, come se qualcuno avesse tolto la parte artificiale. Forse era
solo una mattinata più luminosa.
«Sì, ma tu non mi lascia fare
niente.» mi lamentai. «Sei un fratello decisamente troppo
apprensivo.»
«Mi preoccupo!» cercò di giustificarsi. «Dovresti esserne contenta.»
«Mi preoccupo anche io per te!» sbottai
fissandolo. «Soprattutto perché io faccio attenzione e tu
no. Come ti saresti sentito al mio posto l’altra notte?»
Mi fissò, era così intenso che pensai
potesse entrarmi nell’anima. «E tu che avresti fatto se
fossi stata me e se io fossi stato te?» mi domandò.
«Io…» provai ad iniziare, anche se non sapevo bene come proseguire.
«Mi avresti mandato in missione?» era
una domanda retorica, conosceva la risposta. «Posso credere che
Nate si sarebbe comportato in modo diverso, ma non tu.»
«È diverso.» borbottai.
Ma lui scosse la testa, affatto convinto. «No,
per niente. L’unica differenza è che in ogni caso io ho un
addestramento militare, perciò sarei stato sicuramente meno in
pericolo di te.»
Incrociai le braccia sul petto, esasperata.
«Perché continuiamo ad impelagarci in discorsi che ci
fanno litigare?» gli chiesi.
Zach sospirò, sembrava dispiaciuto,
evidentemente quando aveva iniziato a parlare non si era aspettato di
finire a quel punto; si strinse nelle spalle e fissò lo sguardo
sui miei capelli per evitare il mio. «Magari dobbiamo ancora
imparare a fare altro.» tirò via quelli che sospettavo
essere alcuni fili d’erba.
Io mi guardai intorno, lontano da noi, un ragazzo
con un cappello calato sul viso mi fece “ciao, ciao” con la
mano. Il mio cuore si strinse in una morsa. «Zach,
c’è Jamie Ross.» lo avvertii.
Lui non diede segno di interesse, rimase concentrato su di me. «Lo so, voleva parlarmi.»
Distolsi lo sguardo dal Veggente per puntarlo di
nuovo su di lui. «Aspetta, ma ti serviva davvero il
ghiaccio?» domandai insospettita.
Zach si bloccò e fece una smorfia. «Altro discorso che ci farà litigare.»
«Perché?» domandai con voce
stridula. «Nemmeno tu dovresti affrontare un Veggente da
solo!» lo rimproverai scrollandogli il braccio. Pensai a Jean,
dio, tenere al sicuro Zach era veramente una missione impossibile.
«Sta tranquilla, Becks.» cercò di calmarmi. «Lui vuole te non me.»
Tornai ad osservare il punto dov’era Jamie
Ross, ma si era volatilizzato. «Per portarmi da Romeo.»
aggiunsi.
Zach mi guardò. «Nah.» scosse la
testa con una smorfia. «Ti vuole per lui.» si alzò e
mi porse la mano. «Torniamo in caserma, che dici?»
Mi lasciai aiutare da lui ad alzarmi, turbata. Avevo
creduto che l’interesse nei miei confronti facesse parte della
sua copertura, non pensavo fosse autentico, non se aveva Sharon
Sullivan accanto, soprattutto. Zach mi strattonò vicina a lui e
mi passò un braccio intorno alle spalle; gli lanciai
un’occhiata di rimprovero, avrebbe potuto marchiarmi, sarebbe
stata la stessa cosa. «Hai qualcosa da dire?» gli chiesi.
«Sì.» affermò, mi
fissò. «Per uscire con un Veggente sono quasi sicuro che
tu debba chiedere il permesso a Jean.» mi spiegò
sarcastico.
Assottigliai lo sguardo. «A Jean o a te?» domandai mentre ci incamminavamo verso casa.
«A tutti e due è meglio.»
Sospirai. «Sei geloso.» lo accusai.
Lui scosse la testa. «Sono un fratello apprensivo, l’hai detto tu.»
Incrociai le braccia sul petto. «Sono libera, fratellino, posso uscire con chi voglio.»
«Non con i Veggenti.»
«Beh, ma a Synt non ci sono solo loro, no?» gli fece notare.
Lui mi fissò per un lungo momento, poi
distolse lo sguardo. «Ti stai avventurando in territorio che non
conosci.» borbottò, ma io stavo sorridendo lo stesso: non
capitava spesso di avere il lusso di vedere Zach arrossire.
Quando Courtney entrò nella sua stanza, trovò una busta
chiusa davanti alla porta. La sollevò, sul dorso c’era un
bigliettino scritto nella calligrafia frettolosa di Zach “Te la
manda Romeo”. Ignorò la preoccupazione inconscia che si
svegliava in tutti loro ogni volta che Zach confessava una sua
interazione con Romeo – o con un altro Veggente che faceva le sue
veci – e l’aprì. Dentro c’era un foglio
ripiegato in quattro parti, più di un foglio dal peso, ed un
cartoncino scritto da Romeo “Vuoi leggerlo da sola, Court”.
A volte trovava molto fastidioso quel modo invadente che aveva Romeo di
dar loro consigli, quel giorno però sentiva che aveva ragione.
Andò in bagno e si chiuse dentro. Abitare in
una grande famiglia come quella era divertente, ma lei era stata una
figlia unica per sedici anni, a volte sentiva ancora bisogno
d’intimità ed il bagno era l’unico posto dove
trovarla. Si sedette sulla tavoletta abbassata e scorse con gli occhi i
fogli, che poi erano tre, da cima a fondo. Rimase immobile fissando la
porta davanti a lei, cercando un senso che non c’era.
Ripeté sottovoce tutti i parametri che conosceva, quelli che
ricordava. Non lo faceva mai, ma quel giorno si chiese quali
particolari valori le facevano sostenere, quando aveva sotto gli occhi
le analisi di Zach, che andasse tutto bene. Li ripeté ancora.
Riaprì il foglio e rilesse tutto.
Si posò una mano sulla bocca e chiuse gli occhi.
E rimase lì, a cercare di capire.
Jared andò a cercarla dopo un paio
d’ore, bussò alla porta del gabinetto. «Court?»
La ragazza stropicciò un pugno di carta
igienica intriso delle proprie lacrime. «Sì?» quegli
indizi a metà erano così frustranti.
Jared provò ad aprire. «Che stai facendo là dentro? Jean ti cerca.»
«Ho bisogno di rimanere sola.» si
posò una mano sulla fronte e lanciò un’occhiata a
quei valori: da dove partire? A chi chiedere?
«In bagno?» chiese incredulo Jared. «Court, ma stai bene?» era preoccupato.
Mamma.
Sua madre avrebbe saputo cosa significava, sua madre
sapeva tutto. Ma se avesse telefonato dalla caserma qualcuno
l’avrebbe sentita, Nate aveva scoperto che li spiavano due mesi
dopo essere entrato in squadra. Non poteva correre un rischio del
genere.
Si raddrizzò, tirò l’acqua e si
infilò la busta chiusa dietro, nei pantaloni. Quando uscì
Jared era lì in attesa, lei si strinse nelle spalle. «Che
c’è?»
«Stai bene.» considerò osservandola.
«Certo che sto bene, ero solo in bagno!»
si morse le labbra quando lui distolse lo sguardo da lei. Non voleva
mentirgli, ma non voleva nemmeno parlare di quei dati finché non
avesse saputo esattamente di cosa si trattava. Si stiracchiò
mentre si dirigeva verso l’uscita. «Credo che
inizierò a studiare quei libri che mi ha dato Nate.» gli
disse. «Dalla fretta che aveva, sembrava una cosa che gli stava
molto a cuore.»
«Okay, ero venuto a dirti che accompagnerò Matt a cercare un nuovo fornitore.»
Lei scosse la testa sbuffando. «Questa storia
di Rose è ridicola.» commentò. «Povera
ragazza, ha fatto solo un errore!»
Jared rise. «Cercherò di farlo tornare sulla sua decisione.» promise.
Si fermarono davanti alla porta di Court, lei si
alzò sulle punte e gli diede un bacio, poi si nascose nella sua
stanza.
Appena lo fece si sfilò la busta da dietro la
schiena, recuperò una penna e, dopo essersi sollevata la manica
della maglia, iniziò a trascriversi tutti i valori che non
capiva sul braccio. Una volta fatto infilò la copia originale
sotto il materasso, accanto alla cartellina di Josh.
Corse da Jean visibilmente turbata ed entrò
senza nemmeno bussare. La Responsabile era china sui documenti che
aveva preso a raccogliere e classificare, Courtney si disse che prima o
poi avrebbe dovuto farsi spiegare cosa cercava, non quel giorno
però.
«Jean, devo parlare con mia madre.»
Lei la osservò senza capire. «Ci sono dodici telefoni in caserma.» le ricordò.
Court prese fiato. «Io e lei dobbiamo essere
le uniche ad ascoltare.» precisò. «C’è
in questa città un telefono sicuro?»
Per alcuni secondi Jean la osservò e basta.
«Sì, c’è.» rivelò infine.
Jean bussò alla porta di Dawn Dandley risoluta, mentre Courtney
continuava a guardarsi intorno guardinga tirando forte la manica della
maglia verso il basso.
La donna aprì, era più in ordine del
solito, notò la Responsabile, come se si fosse sistemata prima
che arrivassero. Si era chiesta spesso se fosse anche lei una Veggente,
dall’alto dicevano di no, ma dall’alto nessuno voleva
contraddirla. Temevano troppo un suo rifiuto, nel caso un giorno la sua
mente brillante servisse di nuovo. La guardò immediatamente,
come era stata l’unica a fissarla apertamente al funerale di
Josh. Non aveva pianto, eppure sembrava fosse quella che meglio
comprendeva l’enormità di quel lutto.
«Mrs. Lanter.» la accolse gioviale. «Ma che piacevole sorpresa!»
Jean assottigliò lo sguardò turbata.
«Ms. Roberts se non le dispiace.» la corresse.
«Per me sarà sempre Mrs. Lanter.»
Sovrappensiero si sfiorò l’anulare
vuoto, quando se ne accorse sospirò e strinse il pugno.
«Avere a che fare con lei è sempre straordinario. Le
spiace se entro?» chiese facendosi strada nell’ingresso,
prima ancora che le rispondesse.
«Per me è lo stesso.»
commentò senza opporre resistenza a quell’intrusione.
«Come posso esservi d’aiuto?»
Jean afferrò delicatamente Courtney per un
braccio e se la tirò dietro: avere a che fare con Dawn Dandley
richiedeva sangue freddo e poca diplomazia. «Court ha bisogno di
fare una telefonata strettamente confidenziale a sua madre, ha un
telefono, non è vero?» chiese fissandola, sfidandola a
dire di no.
«Ma certo.» richiuse la porta. «Il
telefono è nella stanza in fondo a sinistra, il bagno la porta
accanto.» guardò Courtney annuire e dirigersi da quella
parte. «C’è dell’alcol sotto il lavello.»
Courtney si voltò per lanciare
un’occhiata confusa prima a lei, poi a Jean che la
incoraggiò ad andare con un cenno del capo.
«Se ti dovesse servire.» le urlò
dietro Dawn Dandley, poi tornò a rivolgersi a Jean. «Mrs.
Lanter, posso offrirle un tè nel frattempo?» la
sentì chiedere.
«Un caffè sarebbe meglio.»
Lei la osservò con le sopracciglia sollevate.
«Mrs. Dandley, non mi dica che l’unica
regola dell’ADP che è disposta a seguire è
“Niente caffè per i Veglianti”.»
La donna sorrise ferina. «No, di certo.»
si avviò facendole strada verso la piccola cucina. «Spero
di fare in tempo.»
«In tempo?» ripeté Jean senza capire.
Courtney si buttò sul telefono, sistemato sulla scrivania, come
un gatto su un insetto: prima riusciva a parlare con sua madre e meglio
sarebbe stato per tutti.
Compose il numero in fretta, senza pensare nemmeno
alla possibilità che avrebbe potuto non rispondere. Sua madre
era una donna algida, molto severa e decisamente poco incline alle
manifestazioni d’affetto, ma non aveva mai avuto motivo di
dubitare dell’illimitato amore che provava per lei. Non
importava, come o quando, se avesse chiamato Vivien Williams avrebbe
risposto.
«Pronto?» si sentì infatti rispondere dopo pochi squilli.
«Mamma, è una questione urgente e credo
di avere poco tempo.» le spiegò in fretta. «Hai per
scrivere?»
«Sì.»
La ragazza si scoprì il braccio con i denti
ed iniziò a dettarle tutti i valori, diligentemente. Quando
finì, sua madre rimase in silenzio per un lungo momento.
«Di chi sono queste analisi?» la tensione nella sua voce
era palese.
«Di Zach. Che posso fare?»
«Gli servirebbero delle trasfusioni
particolari. Mi metterò in contatto con chi di dovere e
farò in modo di procurarti le sacche giuste, ma mi ci
vorrà del tempo.»
«Nel frattempo cosa posso dargli?»
sentì qualcuno suonare al campanello e si voltò verso la
porta.
«Correggi la sua dieta, Courtney, puoi
giustificarti dicendo che vorresti aiutarlo ad aumentare la sua massa
muscolare. Togli le verdure e la frutta ed aumenta la carne
rossa.» ordinò. «Fai il contrario con i pasti di
Jean, dì che ha una carenza di fibre, poi rimescolali.»
«Starà bene?»
«Sarà un ottimo palliativo.»
garantì. «Nel caso avesse una forte emorragia non dargli
le sacche di sangue per Veglianti, fa in modo che abbia quelle per
civili. Battiti perché abbia quelle.»
Dall’altra parte della casa sentiva persone parlare in modo animato.
«E chiamami, ti raggiungerò immediatamente.»
«Ti devo lasciare, mamma, ti voglio bene.»
Riappese la cornetta senza fare rumore e si
affacciò verso l’ingresso, dove Jean e Dawn Dandley
stavano cercando di trattenere due uomini, due agenti dell’ADP,
di quelli che controllavano i Veglianti, li riconosceva dalle giacche
nere e le cravatte verdi. Aveva un ricordo cupo di loro, avevano
indagato sulla morte di Josh: aveva iniziato a mentire loro da
lì.
In qualche modo dovevano aver saputo qualcosa.
Attraversare quel corridoio non sarebbe stata una buona idea, ma doveva
andare in bagno e lavarsi via quelle scritte sul braccio. Costrinse il
suo cervello a rimanere calmo e pensare.
Si avvicinò alla finestra della camera, la
spalancò e saltò giù. Fece il giro della casa
rimanendo bassa e pregando che anche la finestra del bagno fosse
aperta. Lo era: si aggrappò al davanzale e si issò oltre
il cornicione; una volta dentro corse ad inchiavare la porta con due
mandate, consapevole che, se qualcuno avesse davvero voluto buttarla
giù, la resistenza sarebbe stata minima.
Aprì l’acqua ed iniziò a strofinarsi il braccio con il sapone.
Romeo scivolò dentro passando dalla finestra
che aveva lasciato aperta, Courtney ebbe soltanto il tempo di guardarlo
mentre si chinava, tirava fuori l’alcol da sotto il lavello e
glielo versava sui segni della penna.
«Perché te lo sei scritto addosso?» gli domandò in un sussurro furioso.
Il cuore le batteva all’impazzata, era
lì per ucciderla? Però quei dati glieli aveva mandati
lui, perché farlo se non voleva che ne ricavasse qualche
conclusione?
«Dovevo tenere il foglio.» spiegò.
«Non l’hai distrutto?!» domandò incredulo.
«Certo che no.» rispose scioccata.
«L’anamnesi di un paziente è importante.»
Romeo alzò gli occhi al cielo e si
appoggiò alla porta con la schiena dieci secondi prima che
qualcuno bussasse con decisione. «Courtney Williams, sappiamo che
è lì. Esca subito, l’ADP deve porle delle
domande.»
Lei fece per rispondere, anche se non sapeva
esattamente cosa, ma Romeo si portò un dito alle labbra
intimandole di fare silenzio. Forse sarebbe stato saggio ascoltarlo,
forse nemmeno lui voleva che gli agenti dell’ADP vedessero. Con
un cenno del capo le invitò a mostrargli il braccio, le scritte
non erano più leggibili, ma i segni c’erano ancora,
l’avrebbero interrogata.
«Posso scappare.» propose con un cenno verso la finestra.
«Se scappi adesso dovrai farlo per
sempre.» la guardò contrito. «Che fai? Ti
trasferisci da noi?» chiese sarcastico.
Lei non rispose, lo guardò e basta,
sconcertata perché nel so sguardo, nella sua espressione,
c’era qualcosa che le fece credere che lui volesse che lei
scappasse e lo seguisse. «Sono una Vegliante non una
Veggente.» gli ricordò ferma.
Romeo rise. «Come ho già detto:
dettagli.» sospirò e lasciò la porta, andò
alle sue spalle e Courtney seguì i suoi movimenti rigida ed
agitata: l’ADP l’aspettava fuori, ma se rimaneva lì
era nelle mani di Romeo.
«È colpa tua se sono in questa situazione.» si lamentò.
«Per questo ti sto aiutando.» le fece
notare. «Con permesso.» se la strinse addosso e le
poggiò il palmo sulla bocca; intanto un colpo poco incoraggiante
dimostrò ad entrambi che stavano effettivamente buttando
giù la porta.
Romeo si portò un braccio dietro la schiena e
recuperò una pistola, Courtney si divincolò preoccupata.
«Shh.» sussurrò al suo orecchio, le labbra vicino al
suo viso, ma gli occhi fermi sulla porta. «È
scarica.» le puntò la canna sotto il mento. «In
fondo io sono già scappato.»
Quando gli agenti dell’ADP fecero irruzione
nel bagno, armati, dovette sembrare che Romeo l’avesse
sequestrata, probabilmente aveva intenzione di rapirla. Courtney
immaginò i loro pensieri, la spiegazione della sua mancata
risposta alla loro insistenti richieste di aprire, tutto
improvvisamente così chiaro: non era colpa della diligentissima
Vegliante Courtney Williams, ma del Veggente che la stava minacciando.
Ed in fondo quanto poteva valere qualsiasi informazione potesse fornire
loro, in confronto alla possibilità di catturare proprio Romeo?
«Ops.» fece lui ridendo. «Dobbiamo
rimandare il nostro momento di intimità ad un altro giorno,
tesoro.» continuò, la strinse forte e le leccò una
guancia, sporco e volgare come quando l’aveva baciata per fare ingelosire Zach, lei strizzò gli occhi cercando di ribellarsi.
«Scusa.» le sussurrò pianissimo,
prima di spingerla tra le braccia degli agenti e scappare dalla stessa
finestra dalla quale era entrato.
Uno dei due funzionari la sostenne, mentre
l’altro seguì Romeo. Le domande che le posero a quel punto
furono tutte concentrate sul capo dei Veggenti, piuttosto che sul
perché lei era lì: l’ADP aveva delle
priorità.
Courtney rispose in modo preciso, senza titubare
mai; a volte lanciava un’occhiata a Jean, la Responsabile la
stava fissando cercando in lei ogni possibile segno di ferita interiore
o esteriore.
Solo Dawn Dandley sospirò rumorosamente e
teatralmente, interrompendo tutti, affatto toccata dall'apparizione di
Romeo in casa sua. «Ed ora chi me la ripara la porta?»
Jean Roberts non le chiese niente durante il tragitto che fecero per
tornare in caserma, Courtney non disse niente. Gli agenti
dell’ADP le avrebbero fatto del male se Romeo non fosse
intervenuto? Faceva fatica a chiederselo, figurarsi se poteva
rispondersi.
«Sicura di non voler vedere un medico,
Court?» le domandò Jean solo quando furono davanti alla
porta del garage.
Lei annuì. «Sono un medico, se stessi male lo saprei.»
«Ho detto agli agenti dell’ADP che
volevi cercare un telefono perché temevi di essere incinta. Il
tuo fidanzato abita con te e tu non ti sentivi di parlare liberamente
con tua madre, spaventata di poter essere ascoltata.» si strinse
nelle spalle. «Hai chiamato tua madre, chi meglio di lei per un
confidenza del genere?»
Courtney annuì ancora. «Tu non mi chiedi niente?»
«Sai qual è il modo migliore per mentire?»
La guardò e scosse piano la testa.
«Non conoscere la verità.»
rivelò. «Per quel che mi riguarda hai avuto un ritardo, ti
sei spaventata, non eri pronta ad affrontare il discorso con Jared ed
hai voluto discuterne con tua madre prima.»
Courtney sorrise. «Tranquilla, Jean, era solo un falso allarme.»
«Meno male, non è il momento migliore per una gravidanza.»
Non fece nemmeno in tempo ad uscire
dall’ascensore del primo piano, che Jared le corse incontro e la
abbracciò. «Stai bene?» le chiese visibilmente
preoccupato. «Romeo ti ha aggredita?»
Lei lo fissò, avrebbe voluto raccontargli la
verità, che con ogni probabilità Romeo le aveva evitato
ore di interrogatorio, ma non ci riuscì. Non poteva caricarlo di
un peso del genere prima di aver trovato un senso alle sue azioni di
quel pomeriggio. «Sì, non mi ha fatto niente.» lo
tranquillizzò con un sorriso. Avrebbe voluto che Lynn fosse
lì, a lei avrebbe potuto raccontare.
Jared sospirò. «Vorrei ucciderlo.»
Ricambiò il suo abbracciò. «Non
ce n’è bisogno.» disse. «Prima o poi lo
cattureremo.» solo in quel momento si chiese, anche se era una
domanda senza senso, da dove fosse scappato Romeo.
Lui la allontanò e la fissò negli
occhi. «Eri lì per un ritardo, è vero?»
Che bugia stupida. «Sì.» confermò a malincuore.
«E?» la incalzò lui.
Lei sorrise e sgranò gli occhi. «E
niente, è tutto apposto. Sarà un po’ di
stress.» archiviò la cosa con un’alzata di spalle ed
un sorriso, leggera e naturale come tutte le ragazze che vedono i loro
dubbi dissipati.
Ma appena rimase sola inviò una richiesta per correggere la dieta di Zach e Jean.
«Cercheranno di riprendersi la centrale elettrica.»
spiegò Ofelia. «Sappiamo tutti che è
l’obbiettivo principale di Nate, lo è sempre stato.»
Romeo li ascoltò discutere passivamente,
stava guardando tutte le strade che poteva percorrere, infinite e
tortuose; alcune erano belle, altre eccitanti, alcune avrebbe preferito
non vederle, per certe non aveva tempo, anche se avrebbe voluto.
Avrebbe voluto molte cose, se avesse potuto scegliere. Al momento
però aveva un’unica strada percorribile che passava per
due punti precisi: Rebecca Farrel e Zach Douquette.
«Romeo, tu che suggerisci?»
Lasciò che il presente si ricomponesse davanti a lui. «Lasciamoli vincere.» propose.
Tutti lo guardarono in attesa che si spiegasse meglio.
«Nate non è stupido, giocherà in
difesa per testare la loro capacità, disegnare i loro
limiti.» spiegò. «Se li fermiamo serrerà di
più le fila. Sa cosa vogliamo e ce li nasconderà, non
è un caso che abbia chiesto a Zach di addestrare Rebecca.
Saranno insieme perché vuole essere pronto a metterli al sicuro
in fretta in caso di difficoltà.»
Incontrò lo sguardo di Jamie Ross, non sembrava convinto. «Vuoi imbrogliare Nate?»
Rise, sì, avrebbe funzionato benissimo.
«Voglio solo che si credano un pochino più forti di quello
che sono.» si alzò dirigendosi verso il centro del gruppo
di persone riunite. «E quando nella prossima missione
abbasseranno le difese per colpirci, noi mostreremo loro perché
non possono vincere questa guerra.»
Jamie Ross alzò la mano, Romeo fece una smorfia, sapeva cosa stava per chiedergli.
«Che intendi fare a Rebbecca Farrel?»
chiese e sapeva di non essersi immaginato la minaccia nella sua voce.
Sospirò. «Ancora non ho deciso.»
lo guardò indispettito. «Non avevi intenzione di
andartene?»
«Resto a fare le veci della tua coscienza, non
ti darò fastidio.» lo rassicurò. «Sarò
quello che ti ricorda che non si uccide Rebecca Farrel.»
«Fantastico.» borbottò Romeo.
«Ah, e ti cerca Madame Vivien Williams.»
Lo guardò stupito, mentre gli altri, finito
il discorso che li riguardava, se ne andavano. «E che
vuole?»
«Il tuo sangue.»
Romeo aggrottò le sopracciglia perplesso. «Nel senso che mi vuole morto?»
Jamie Ross parve pensarci. «No, credo che voglia proprio una sacca del tuo sangue.»
Evidentemente anche dopo una giornata buona, non eravamo ancora
abbastanza guariti da poter cenare tutti insieme senza sentirci in
imbarazzo. Sapevo che Zach cenava con Nate e sospettavo stessero anche
discutendo sulle mie performance giornaliere; io mi ero nascosta nella
stanza di Matt con il mio vassoio e sfogliavo pigramente il file di uno
dei libri di Lynn, lui aveva lo schermo di un televisore che stava
aggiustando accanto. Dopo il segreto che avevamo condiviso sembrava non
avessimo bisogno di dirci altro.
Sapevo che Courtney era stata aggredita da Romeo, ce
lo eravamo sussurrato uno all’altro come un succulento
pettegolezzo a scuola, ma lei non sembrava molto turbata; per quanto la
sua decisione di impegnarsi con Jared sembrasse autentica, Zach
continuava ad essere l’unico elemento a riuscire a smuovere il
ghiaccio che la circondava.
«Secondo te lo ama ancora?» chiesi a Matt, in un momento di masochismo estemporaneo.
Sollevò gli occhi dal suo apparecchio,
sorpreso quasi che gli avessi rivolto la parola. «Tu piaci a
Zach.»
Arrossii. «Sì, come no.»
Mi fissò e posò la sua mela tra me e
lui. «Mi gioco questa merda che se tu non vai a dormire da lui
stanotte, domani mattina te lo trovi nel letto.»
Arrossii di più. «Non essere
ridicolo.» sbottai imbarazzata. «Ed io non mangio mele,
sono schifose.»
«Ci giochiamo una colazione, allora.» propose stringendosi nelle spalle.
Sorrisi. «Colazione sia.»
Tornò al suo lavoro, lo studiai per un
po’ poi trovai il coraggio di chiedergli: «Con Rose?»
«Non ci siamo più parlati.» confessò.
«Dovresti.» gli consigliai.
«E se mi uccide?»
«Non l’ha mai fatto. Perché dovrebbe farlo ora?»
«Perché conosco la sua vera identità.» disse senza guardarmi.
Zach bussò alla porta di Courtney, lei aprì quasi subito.
«Mi accompagni a fumare?» ma i suoi
occhi le stavano dicendo altro: “Prima o poi dovremo parlare,
meglio prima che poi”.
Lo seguì fuori e si strinse il maglione che
aveva addosso per ripararsi dal freddo, anche se non era soltanto
quello a farla rabbrividire, si sentiva tesissima.
Per alcuni secondi rimasero fuori al freddo senza dirsi niente.
«Stai bene?»
Courtney sorrise. «Non mi ha fatto niente.»
I secondi passarono silenziosi, intervallati dalle nuvolette di fumo che galleggiavano nell’aria.
«Sei incinta?» fu una domanda incolore, si chiese quanto gli costasse.
«No.» sapeva che il problema non era che
potesse essere incinta, ma che quel dubbio era una prova lampante: lei
faceva sesso con Jared, regolarmente. Sarebbe stato meglio confessargli
tutto? Ripensò alle analisi, probabilmente no. E poi... beh, lei
faceva sesso con Jared regolarmente.
«Siamo amici in ogni caso.» disse dopo
un po’, prese fiato come se si preparasse ad un discorso molto
lungo e molte volte preparato in precedenza. «E ti voglio bene.
Mi dispiace se in passato ti ho ferita, non avrei mai voluto. E mi
dispiace non aver capito quello che c’era tra te e Jared ed
essere stato tanto invadente. Voglio bene anche a lui non voglio che mi
odi.»
«Non ti odia.» lo tranquillizzò.
Si voltò verso di lei e la guardò,
apertamente, senza rammarico, senza colpa, senza rancore o rimpianti.
«Senza Lynn non riusciamo a stare uniti se non facciamo
pace.» le fece notare. «Non possiamo permetterci tre mesi
di lutto per qualcosa che non è mai
stato.»
Court chiuse gli occhi a quel “mai”,
nonostante tutto lo sentiva ancora come una partita persa.
«Okay.» acconsentì.
Lui sospirò di sollievo. «Jared è in gamba, ti tratterà bene.»
«Lo so.» prese fiato, si disse che era
migliore di in quel modo, che il suo cuore non poteva essere fatto
soltanto di gelosia ed invidia. C’era l’amore,
l’affetto, il bene disinteressato di voler vedere le persone a
cui teneva felici: si concentrò su quello. «Zach, posso
dirti una cosa da amica?»
«Sì.»
«Ti ricordi cosa mi dicevi di Lindsey? Che per
quanto fosse fantastica a volte non poteva capirti?»
Annuì.
«Ricordatelo sempre.» deglutì.
«Anche Becky è una Vegliante e non potrà mai stare
con una persona normale. E piantala con questa puttanata del “Non
c’è tempo per l’amore a Synt”.»
continuò. «Guardati, Zach, lo stai trovando, il
tempo.» non gli disse quanto la feriva che per Becky trovasse
tempo, ma che non l’aveva mai fatto per lei. Si disse che era
così che doveva andare, che a volte il destino sceglie al tuo
posto e non è detto che porti solo disgrazie. Si disse che la
sua strada era un’altra ed anche se non era proprio sicura di
aver capito quale, per la prima volta credette che fosse vero.
Zach la studiò con le sopracciglia
aggrottate. «Certo che sei un’amica stronza.»
commentò.
«Ma saggia.» sorrise Courtney. «Sono un’amica saggia.»
Zach si affacciò alla mia porta quando ero già a letto da un pezzo.
«Becks.» mi chiamò. «Dormi?»
«No.» sussurrai.
«Perché sei qui?»
Ci pensai e mi tirai a sedere, non volevo accendere
la luce, se l’avessi fatto avrebbe letto sul mio viso la
delusione di essere uscita per andare in camera sua ed averlo visto
bussare alla porta di Courtney.
«Dove dovrei essere?»
«Nel mio…» si interruppe
rendendosi conto a metà frase di quanto potesse essere equivoco
dire “Nel mio letto”. Decisamente troppo equivoco.
«La tua brandina sta ancora nella mia stanza.»
Mi morsi il labbro e tirai indietro i capelli con un
sospiro, non sapevo bene cosa dire. «Eri con Courtney, non
sapevo…» se ci saresti andato a letto? Pessimo. «Non
ero sicura che mi volessi lì.»
Lo sentii entrare nella mia camere ed accostare la
porta, si sedette sul letto accanto alle mie ginocchia.
«Qualsiasi cosa ci sia mai stata con Courtney è finita con
Jared.» sbuffò. «Probabilmente era già finita
tanto tempo prima, ma eravamo troppo spaventati e delusi per
ammetterlo.»
Deglutii.
«Non andremo a letto insieme, Becky, smettila
di esserne così preoccupata.» disse conciliante.
«Non mi devi spiegazioni, Zach.» ammisi
sincera, non mi aveva promesso niente, mai. Passare una mattinata a
correre per Synt non ci rendeva certo intimi in quel modo, al massimo
poteva renderci amici più intimi.
«Lo so.» si avvicinò. «Ma
voglio dartele uguale, posso?» mi prese le mani, lasciandomi
parecchio sorpresa di averle trovate, era buio, non c’era luce,
cos’era un gatto che ci vedeva anche di notte?
«D’altronde sei la mia sorellina apprensiva, no?»
Sorrisi e mi chiese se mi vedesse.
allora, che ne pensate?
come vedete un po' si sono avvicinati... non voglio però che la
pensiate come Zach che rimpiazza Courtney, spero di non avervi dato
questa idea. qualsiasi cosa ci sia tra Zach e Becky era già
nell'aria, solo che avere una possibile situazione a metà,
precedente a lei, rendeva difficile concentrarsi su altro... non so
come spiegarvi! tipo come quando siete tanto innamorate di un ragazzo
ed uno super figo ci prova con voi... è obbiettivamente bello
come un dono del cielo, ma lascereste il vostro amore?
...
dopo questi paragoni molto intelligenti direi che è il caso di lasciarvi...
as always i vostri commenti, di tutti i generi, sono ben accetti.
baci
ps. Lamponella
|
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Capitolo 19 *** 18. Tutto quello che ci serve ***
mds 18
fragolottina's time
buonasera!
dunque, ve la spiego esattamente come l'ho spiegata a Lamponella: mi era rimasto incastrato Zach dentro la macchina e non riuscivo a tirarlo fuori.
cmq, ce l'ho fatta.
non vi dico niente, fatto sta che c'è un sacco di roba e sono
stata un paio di settimane a dire "Oddio, ma è cortissimo!", poi
ho scoperto che non era proprio così!
anche se sono l'autrice, mi concedo un momento di autoesaltazione:
adoro la fine di questo capitolo da morire. in realtà mi
piacciono anche altre parti, ma la fine è la mia preferita!
buona lettura...
18.
Tutto quello che ci serve
«La cosa che proprio non riesco a capire, è come abbia fatto a tenermelo nascosto per tutto questo tempo!»
Mugugnai
contrariata e mi voltai dall’altra parte rispetto a lui, sperando
che questo fosse un segnale abbastanza ovvio per Matt e che lo
convincesse a lasciarmi dormire in pace.
«Cioè, lei è tipo la…» si
interruppe per soli cinque secondi. «La terza persona non
Vegliante che ho conosciuto! Anche volendo, non sarei stato capace di
nasconderle qualcosa!» afferrò la mia spalla e mi
scrollò, piano, ma per la mia mente ancora mezza addormentata fu
una specie di terremoto. «Tu che ne pensi, Becky?»
Che avevo voglia di piangere…
«Non lo so.» biascicai.
«Dov’è Zach?» chiese ancora. «Mi aspettavo di trovarlo qui.»
«Non lo
so.» ripetei ignorando la sua supposizione. La notte precedente
era rimasto con me per un po’, poi però aveva chiamato mia
madre; mi aveva lasciata sola per parlarle e non era più
tornato. Deglutii ed aprii gli occhi, mamma era sconvolta per quello
che avevo fatto, temeva che sarei potuta diventare… sospirai
pensando a quanto fosse difficile anche per la mia famiglia tutta
quella situazione: sperare che sopravvivessi e che non mi succedesse
niente di male, ed al contempo temere che diventassi cattiva e
spietata. Volevo davvero sopravvivere e diventare insensibile a tutti
quelli che avrei colpito?
«C’è qualcosa che sai questa mattina?» si lamentò.
Mi rigirai
supina ed incrociai le braccia sul petto, indispettita dai miei
pensieri, quanto dai suoi. «No, ho appena aperto gli occhi,
quindi, no! Dai tempo al mio cervello di ricominciare a
funzionare.» sbottai, poi i miei occhi si fissarono sulla
finestra, il sole era stranamente ed infelicemente basso. «Ma che
diavolo di ore sono?»
«Le sette.» rispose lui candidamente.
«Le
sette?» ripetei incredula. «Che ne è stato dei
Veglianti dormiglioni? Mi piacevano…»
Scrollò
le spalle. «Hanno scoperto che la loro potenziale ragazza
è un assassina?» domandò sarcastico. «Non
siamo mai usciti insieme e già devo guardarmi le spalle,
accidenti!»
Gli lanciai
un’occhiata colpevole: scoprire che Rose, la sua candida ed
angelicata Rose, era una delle Veggenti più vicine a Romeo era
stato un duro colpo; dovevo cercare di essere più paziente,
dietro tutta quell’ironia si nascondeva parecchia delusione.
«Te le
copro io, le spalle.» gli dissi, anche se quella mattina era
sulla mia lista nera ed io ero la prima a volerlo strangolare.
Lui rise. «Tu mi copri le spalle?»
«Puoi sempre raccontare tutto a Zach.»
Sospirò.
«Me lo immagino già: partirebbe andrebbe all’emporio
e cercherebbe di infilarla in un sacco.»
«No, non credo lo farebbe.»
Ma lui
annuì. «Oh sì, invece! Poi la userebbe per
ricattare Romeo.» continuò.
«Zach non è così cattivo.» mi lamentai.
Si strinse nelle
spalle con noncuranza. «Non dico questo, nemmeno Jean è
cattiva, ma ha ucciso frotte e frotte di Veggenti.»
Mi tirai
indietro i capelli e decisi di non voler analizzare quel pensiero
ancora; era sciocco fingere di non vedere, ma dare dell’assassino
spietato e calcolatore a Zach non mi era di alcun beneficio.
«Beh, a qualcuno devi dirlo.»
«Lo sai tu.»
«Sì, ma io sono la Vegliante più sfigata di
tutta Synt!» gli feci notare, concedendomi il lusso di pensare
che nello Stato ci fosse qualcuno più imbranato di me. «Se
vuoi proteggerla e proteggerti, ti serve la complicità di uno
come Jared o Court.»
Si rigirò
sul mio letto e si appoggiò con il mento all’altro
cuscino, stringendolo tra le braccia. «Vorrei che Josh fosse qui,
lui avrebbe affrontato Rose a petto duro e le avrebbe chiesto
“Ragazzina, che intenzioni hai?”. Non le avrebbe fatto
male, però l’avrebbe spaventata abbastanza da tenerla
lontana da me ed al sicuro.»
Sospirai e mi
girai come lui. «Davvero vuoi che ti stia lontana, Matt?»
gli chiesi, insomma se le aveva voluto così tanto bene non
poteva essergli scivolato via così in fretta.
«Mi sembra l’unica cosa sensata.»
Per alcuni
secondi rimanemmo entrambi immersi nella sua tristezza. «Mi devi
una colazione.» gli ricordai.
Matt rise.
«Okay, ma penso che tu abbia barato.» si tirò su.
«Vestiti, ci vediamo di sotto.» lo guardai incamminarsi
verso la porta, ma fermarsi. «Ti servono due pistole.»
Aggrottai le sopracciglia.
«Penso che
esista un sonnifero utilizzabile anche sui Veggenti. Carichi una
pistola con quello e l’altra con il Mitronio.»
spiegò. «Così di volta in volta puoi decidere cosa
fare.»
Perché non ci avevo pensato io?
«Accidenti.» esclamai. «È un’ottima idea! Puoi costruirle?»
Matt mi fece l’occhiolino. «Già fatto! Stanotte non riuscivo a dormire.»
«Che ne pensi?»
Zach si
chinò in avanti appoggiando i gomiti alle ginocchia mentre
studiava la cartina che Nate aveva segnato ovunque: si era sentito molto
onorato quando gli aveva chiesto il suo parere, nonostante non avesse
mai dato prova di grande ingegno strategico; ma si era anche dovuto far spiegare il suo piano tre volte per trovare un senso a tutti quegli scarabocchi.
Aggrottò
le sopracciglia. «Perché non hai usato il computer?»
gli schemi che di solito Nate proiettava, preparati al computer, erano
chiari e bellissimi, come un dipinto.
Nate
scrollò le spalle mentre continuava a rigirarsi un pennarello
tra le mani. «Sono ancora offline. E poi non sono del tutto
sicuro che Romeo non sappia entrarci.»
«Romeo vede tutto.» gli ricordò.
«Romeo
vede quasi tutto: non aveva visto il tuo pugno due anni fa, non ha
visto Josh buttarsi, non ha visto Lynn cadere e non ha visto Becky
sparare.»
Zach ci pensò. «È per questo che vuoi lei là dentro?» gli domandò.
Nate
annuì. «E poi lei sa sparare ad un Veggente, ammettiamolo
è una dote che torna comoda.»
Sospirò e
lo guardò. «Preferirei essere lì con te: Matt e
Becky non sono le migliori guardie del corpo che puoi avere.»
rifletté. «E poi credevo che volessi tenerci
insieme.» gli fece notare.
Nate si sedette, si tolse gli occhiali e si passò le mani tra i capelli. «Romeo lo sa.»
«Cosa?»
«Che sono preoccupato per voi due, che voglio tenervi insieme. Lo sa, lo sento.»
«Lo
senti?» chiese Zach, scettico. Non era sicuro che fosse una buona
idea farsi guidare da sensazioni e sentimenti: avrebbero avuto molte
più possibilità se Nate avesse continuato ad essere
razionale.
Lui annuì
e si rinfilò le lenti. «E poi tu sei Zach Douquette! Sei
tipo la superstar dei Veglianti: Jean, Josh e Wood hanno litigato per
te, hai dato un cazzotto a Romeo, sai fare tutto.»
Zach aggrottò le sopracciglia stupito. «Non credi di esagerare?»
«No.» Nate scosse la testa senza alcun dubbio.
«Per niente. Penso che qualcuno da qualche parte stia scrivendo
la tua storia. È quasi scontato andare lì con te.»
«Perché è una buona idea.» lo rendeva
nostalgico pensare a tutte le cose che aveva fatto, che sapeva fare. Si
sentiva un palloncino, lo avevano gonfiato e gonfiato e gonfiato,
aspettandosi che quando sarebbe esploso, la sua eco si sarebbe estesa
ovunque; solo che lui si stava sgonfiando piano, piano, senza fare
alcun rumore. Dietro le quinte, senza scalpore, si sarebbe
semplicemente svuotato.
Nate scosse
ancora la testa, stavolta con più decisione. «No. Matt mi
serve perché sa fare quello che non so fare io, Becky mi serve
perché può tenerli lontani; tu, Courtney e Jared dovete
stare lì fuori per respingere il grosso.»
«Romeo
passerà.» ammise, per quanto potesse essere bravo, per
quanto potesse accorciare le distanze tra loro, Romeo sarebbe sempre
stato un passo avanti, quel poco che bastava per fare quello che voleva.
«Romeo non mi fa paura.»
«Dovrebbe.»
Nate non
rispose, continuò a guardare i suoi appunti, mentre Zach
lasciava vagare lo sguardo per la sua camera in ristrutturazione, un
angolo era stato completamente distrutto per far posto a
qualcos’altro. «Che ci fai lì?» domandò
curioso.
«Un laboratorio.»
«Per fare che?»
«Per
vedere come funzioni, se funzioni bene e se devi essere
aggiustato.» Nate alzò gli occhi. «Zach, io ti
aggiusterò, te lo prometto. Sarai quello che sei destinato ad
essere.»
Zach rise e si
alzò per andare a controllare. «Sean me lo diceva sempre,
che ero difettoso. Ha anche provato ad aggiustarmi.»
Nate
continuò a perfezionare i suoi schemi senza degnarlo di
particolare attenzione. «Fammi indovinare, ti ha preparato un
qualche mix di cose disgustose da bere o da mangiare?» chiese
immaginando forse un gioco tra bambini.
«Ha
mandato il mio cervello in crash, metà collasso, metà
attacco epilettico.» rise ancora. «Mio padre lo ha quasi
ammazzato di botte, hanno dovuto ricoverarmi in ospedale. A mia madre
è venuto un colpo.»
Il ragazzo lo guardò, sconvolto. «Quanti anni avevi?» gli chiese turbato.
Si infilò
le mani in tasca. «Cinque? Sei? Non mi ricordo, però mio
padre mi voleva ancora bene, perché ogni volta che mi svegliavo
lui era lì a coccolarmi come tutti i bambini malati.» se
lo ricordava bene, era uno dei quei ricordi che somigliavano ai
desideri. Suo padre sempre lì, che gli scostava i capelli dalla
fronte, che gli portava giocattoli, che gli prometteva che sarebbe
andato tutto bene, che discuteva con le infermiere. Anche sua madre
sembrava quasi contenta di averlo sposato.
«Perché?» continuò a chiedere incredulo.
I ricordi di
Zach fecero una corsa vorticosa fino al presente, scrollò e
spalle. «Diceva che ero strano.»
«Strano?»
«Mi diceva
che era come se indossassi vestiti pesantissimi, quindi qualsiasi cosa
facessi ero goffo.»
«Eri goffo?»
Scosse la testa. «No, giocavo a basket ed ero parecchio bravo.»
Nate si strinse nelle spalle. «Forse era tuo fratello ad essere strano.» considerò.
«Beh, di certo non era goffo. Lui a basket mi batteva sempre.»
Io e Matt ci fermammo ad una decina
di metri dalla ferramenta dove lavorava Rose, lui aveva ancora una
ciambella in mano. La caffetteria dove andavamo di solito era stata
distrutta la notte del trasporto, così me ne aveva mostrata
un’altra; non era carina come la prima, forse solo perché
non c’era Lynn.
«Intendi entrare?» gli chiesi lanciandogli un’occhiata.
Matt ci
pensò addentando la ciambella. «Sai che se ci hanno visti
arrivare, ci sarà un comitato di benvenuto là
dentro?» mi guardò. «Può essere
pericoloso.»
Feci una smorfia. «Penso che sia un rischio che possiamo correre.» annunciai sicura.
«Io no.»
Sbuffai. «Tu la vuoi uccidere?» gli domandai per convincerlo.
«No!» rispose precipitoso, non mi serviva una
risposta, ero quasi sicura che Matt non avesse mai voluto uccidere
nessuno.
«E allora perché dovrebbe volerlo fare lei?»
«Perché è una Veggente.» disse
lentamente, per far sì che il concetto penetrasse nel mio
cervello.
Alzai gli occhi
al cielo. «Okay, senti io entro.» gli dissi. «Puoi
accompagnarmi o rimanere qui.» mi incamminai verso
l’entrata della ferramenta senza voltarmi indietro, dopo pochi
passi lo sentii seguirmi.
Non appena
entrammo tutte le persone presenti si voltarono verso di noi,
palesemente ostili: forse l’idea del comitato di accoglienza di
Matt non era stata così sbagliata. In un secondo avevamo gli
occhi di tutti addosso, di tutti tranne che di un uomo con un cappuccio
sulla testa, di spalle a noi. Matt sbiancò e mi afferrò
un braccio tirandomi indietro.
L’uomo
davanti a noi sollevò un braccio in alto, attirando
l’attenzione di tutti, la nostra l'aveva già.
«Signori, non vale la pena agitarsi.»
Rose riemerse
dai suoi scaffali e scavalcò il bancone. «N-on si litiga
nella mia f-ferramenta.» venne dritta verso di noi e
guardò Matt negli occhi. «Vuoi parlarmi?»
Lui deglutì ed annuì.
«V-vieni.»
Matt mi strinse
di più il braccio. «Non la lascio qui con lui.»
disse riferendosi all’uomo in fondo, appoggiato al bancone. Solo
in quel momento si voltò sorridendo, nessuno di noi aveva avuto
dubbi sulla sua identità.
«Sì, invece.» lo corresse Romeo.
«Signori, potreste accompagnare, per favore, il nostro giovane
Casanova a discutere con la signorina ed accertarvi che non le faccia
del male?»
Due uomini lo presero per le braccia, tirandolo indietro.
«No!» gridò. «Becky!»
continuò cercando di divincolarsi dalla loro stretta.
«Matt!» mi mossi per raggiungerlo ed aiutarlo, ma
qualcuno mi afferrò per la vita trattenendomi.
«Lasciami!» intimai.
«Nah.» rispose annoiato Romeo, affatto in
difficoltà per la mia resistenza. Diede una pacca sulla spalla
all’ultimo dei suoi rimasto lì. «Vai con loro, qui
ci penso io!»
Mi
trascinò fino al bancone come se fossi una bambolina e mi ci
depose sopra, seduta. Appena mi trovai in condizione di poterlo fare,
mi sporsi verso uno scaffale e recuperai una chiave inglese, pronta a
colpirlo.
«Io non lo
farei.» mi ammonì, sollevò un avvitatore elettrico
munito di punta. «Fidati, saresti tu quella a farti più
male.»
Deglutii.
«Dì ai tuoi uomini di non fargli del male.» ordinai
cercando di dare l’idea di non essere spaventata, ma quella punta
continuava a girare ed io non riuscivo ad evitare di pensare a come
sarebbe stata se me l’avesse infilata nella carne.
Lui mi
osservò infastidito. «Mi hai sentito ordinare
“Tagliategli la gola”? Non mi sembra.» mi fece
notare. «Anche se potrei cambiare idea.» continuò.
Sospirai e posai
di nuovo la mia arma improvvisata, lui fece lo stesso con la sua.
«Brava, piccina, stai buona.»
Incrociai le braccia sul petto, ero appena diventata un ostaggio? Probabilmente sì.
Lui si
appoggiò con i gomiti al bancone, accanto a me.
«Rilassati, c’è Jamie là fuori, non posso
farti niente.» cercò di tranquillizzarmi iniziando a
sfogliare una rivista.
«Dove sono
i genitori di Rose?» chiesi. La prima volta che ero venuta qui
ricordavo un uomo, avevo pensato che fosse suo padre.
Romeo si strinse nelle spalle. «Morti.»
«Chi è stato?» chiesi.
Lui
scoppiò a ridere. «Ma sei seria, ragazzina?» mi
domandò. «Chi vuoi che li abbia uccisi? Uno come te,
è sempre la stessa storia. Noi cerchiamo di farvi capire la
nostra opinione, voi siete un branco di ragazzini violenti ed
ottusi!»
«Ottusi?» non potevo obbiettare sul violenti.
«Vediamo,
come posso farti capire…» sussurrò alzando gli
occhi al cielo e tamburellando con le dita sul seno nudo di
un’attrice. «Se non ti avessero trascinata qui, la tua
esibizione da cheerleader di ruolo sarebbe stata tanto buona da farti
meritare una promozione da riserva. Il prossimo anno saresti stata tu
la caposquadra.»
«Menti.»
Romeo
scrollò le spalle. «Perché dovrei? Ti hanno portato
via quello per cui avevi sudato, quando l’avevi quasi raggiunto.
Daranno il tuo posto ad un’altra, ma era il tuo posto, ed hai la
mia parola che la nuova ragazza non lo meriterà quanto te. Tutto
questo solo ed esclusivamente perché gli serviva che tu
ammazzassi Iago e ti facessi ammazzare.» mi lanciò
un’occhiata. «Se ti riesce far fuori anche qualcun altro
nel frattempo tanto meglio.»
Abbassai lo
sguardo e scossi la testa. «E allora?» ero una Vegliante,
no? Era il mio lavoro: servivo il governo e proteggevo le persone,
nessuno si aspettava che lo facessi giocando a badminton.
Mi guardò
con più attenzione. «Non ti dà fastidio, non avere
la possibilità di diventare quello che sei destinata ad essere?
Non ti senti come se ti avessero rubato la vita per usarla per i loro
scopi?» assottigliò lo sguardo, sembrava deluso dalla mia
mancata furia, deluso e curioso. «Sei sempre la stessa ragazza
che era in quella scatola di plexiglass, Rebecca Farrel? La stessa che
ha difeso Amanda Martinez da quel tizio? La stessa che si arrabbiava a
scuola quando un potenziale Veggente veniva preso di mira dagli altri?
Hai solo una giacca diversa e, credimi, quel colore non ti dona.»
Una freccetta
spuntò sulla spalla di Romeo, inizialmente rimasi troppo
sorpresa per capire, poi lui se la strappò dalla spalla e
guardò davanti a noi. «Ahi!» si lamentò.
«Sicuramente le sta meglio del rosso.»
Seguii il suo
sguardo, sorpresa di trovare Zach lì, ma lui non mi stava
guardando, aveva gli occhi fissi su Romeo.
«Sei in anticipo!» lo rimproverò.
«Non
volevo darvi il tempo di diventare troppo intimi.» disse ironico,
poi si guardò intorno. «Dov’è Matt?»
Romeo mi
fissò, il suo sguardo era così fermo da farmi
rabbrividire: una parola sbagliata e sarei morta, non importava chi
avrebbe assistito o chi si sarebbe arrabbiato, se avessi fatto la spia
su Rose la mia vita sarebbe finita lì.
«I suoi
l’hanno portato via.» lo accusai. «Eravamo venuti qui
perché gli servivano dei pezzi, ma ci hanno teso una
trappola.»
Romeo
sogghignò. «Hai talento.» mormorò studiando
la punta della freccetta di Zach, poi alzò di nuovo la voce
perché lui lo sentisse. «Sto sondando il terreno: prima
Courtney, poi Rebecca. Sai, ho un sogno ricorrente in cui le posseggo
entrambe tra cuscini di piume, dici che mi serve uno psicologo?»
Zach tirò
fuori un’altra freccetta. «Questa finisce tra le tue
gambe.» lo minacciò.
Fece una
smorfia, poi un cenno con il capo. «Va’ da lui, biondina,
non vorrei che si scaldasse troppo.»
Saltai
giù dal bancone e feci per correre verso Zach, ma Romeo ci
ripensò: mi afferrò un braccio e mi ritirò
indietro. Cozzai con la schiena contro il bancone e lasciai andare un
gemito, mentre Romeo mi teneva le braccia incastrandomi con il suo
corpo. Schioccò le dita e non ebbi bisogno di vedere per sapere
che qualcuno stava trattenendo Zach. Cercai di divincolarmi, ma era
inutile.
«Voglio
darti un argomento sul quale riflettere.» spiegò Romeo
fissandomi. «Tu eri destinata ad essere una meravigliosa
cheerleader, di quelle che vincono le gare, eccetera. Non lo sarai, ci
dispiacerà non vederti fare capriole con gonne striminzite, ma
sopravvivremo.» considerò. «Secondo te, cosa era
destinato ad essere Nate? Cosa avrebbe potuto fare? E Courtney, che
esegue suture al buio? Pensaci, piccina, sarebbero potuti essere in
grado di cambiare il mondo e nessuno gli permetterà di
farlo.»
Lo fissai e
basta, la pupilla dei suoi occhi era nera come il buio, ma brillava,
brillava di qualcosa di sconcertante: sincerità.
«Questo
mondo continuerà a fare schifo perché nessuno
permetterà a quelli come Nate di cambiarlo.» fece un passo
indietro e mi lasciò. «Vattene.»
Continuai a
tenere gli occhi su di lui, massaggiandomi i polsi, per qualche
momento; avrei voluto chiedergli di più, ma vinse lo spirito di
sopravvivenza e corsi da Zach.
Non appena fui a portata di mano, mi afferrò
e mi tirò dietro di lui bruscamente. «Poi facciamo i
conti.» mi minacciò a voce bassa aveva il fiato corto.
«Matt?» chiese.
Romeo
recuperò la rivista dal bancone, la arrotolò e la
usò come megafono. «Matthew Montgomery è desiderato
alla cassa.»
Fu riaccompagnato da noi in pochi secondi, si fermò davanti a me.
«Ora noi usciamo e voi non ci seguirete.» disse Zach, indietreggiando insieme a noi.
Romeo gli
lanciò un’occhiata carica di rimprovero.
«Cos’è? Hai paura che scopra dove abiti?»
A differenza di
me e Matt, ingenuamente usciti dalla caserma a piedi, Zach ci era
venuti a prendere con la sua super macchina blindata. Era tanto nervoso
da tremare, tanto che quando tirò fuori le chiavi della macchina
Matt si offrì di guidare al suo posto; glielo lasciò fare
e si voltò a guardare dov’ero: appena dietro di lui.
«Muoviti.» ordinò secco.
Lo superai alzando gli occhi al cielo e salii sul sedile dietro del fuoristrada.
Matt iniziò a guidare, mentre io guardava fuori dal finestrino preparandomi alla ramanzina di Zach.
«Certo,
che c’è sempre una bella atmosfera quando sono in macchina
con voi due.» osservò. «Lynn l’avrebbe
chiamata tensione sessuale.» continuò.
«Guida e sta zitto.» borbottò Zach.
«Li seguiamo?» chiese Rose a Romeo.
Lui
continuò a fissare l’uscita della ferramenta e sorrise.
«No, abbiamo tutto quello che ci serve.» considerò
infilandosi il cellulare di Becky nella tasca interna della giacca.
Quando Matt parcheggiò nel
garage della caserma, Zach fece per iniziare a parlare, ma lui lo
precedette e sollevò una mano per bloccarlo. «Come vi
è venuto in mente… bla, bla, bla… non sapevate che
era pericoloso… bla, bla, bla… cercate di fare più
attenzione… bla, bla, bla… non posso sempre essere
lì a salvarvi… bla, bla, bla…»
spalancò lo sportello. «Ho sentito questa storia milioni
di volte, raccontala a lei che è una novellina.» concluse
con un cenno del capo verso di me.
Zach
sospirò guardandolo allontanarsi, poi si voltò verso di
me, osservandomi attraverso lo spazio tra i due sedili anteriori.
«Becks, mi spieghi, per favore, perché ti è
così difficile tenerti al sicuro?»
Scrollai le
spalle senza guardarlo. «Evidentemente i Veglianti sono tutti
così, vocati all’autodistruzione.» gli lanciai
appena un’occhiata prima di distogliere di nuovo lo sguardo. Mi
massaggiai la schiena indolenzita, avevo preso una bella botta.
«Hai messo in pericolo anche Matt.» mi fece notare.
«Eravamo soltanto da Rose!»
Lui
grugnì esasperato. «Becks, non c’è un
soltanto quando Romeo è arrabbiato con te. Lui è ovunque,
questa città è sua!»
Tenni gli occhi
bassi, mediamente offesa; capivo il suo punto di vista, ma cosa si
aspettava che facessi? Che mi ne rimanessi tappata in caserma per
sempre?
«Come facevi a sapere dove eravamo?» chiesi.
Lui
sospirò e si rigirò rilassandosi contro il sedile;
spalancò lo sportello e tirò fuori un pacchetto di
sigarette. «Nate vi cercava e non vi trovava: quando non si
trova, Matt è sempre da Rose.» spinse il pulsante
dell’accendisigari della macchina.
«Zach.» dissi solo con rimprovero.
«Sì, sì, domani smetto.» mi zittì, mentre accendeva.
Guardai il suo
profilo infastidita e quando aprì lo sportello per fumare fuori
io uscii e mi posizionai davanti a lui. Quando stava seduto sul sedile,
ero più alta, afferrai la sigaretta stando attenta a non
scottarmi e la buttai via. «”Una alla fine di ogni
missione” è il patto che hai fatto con Jean.»
«In
realtà è il patto che ho fatto con Josh.» Zach mi
afferrò un braccio e si alzò con tutta calma; provai a
scrollare per liberarmi, ma l’unica cosa che ottenni fu che lui
mi prese anche l’altra mano. Me le portò dietro la schiena
avvicinandosi, nel suo sguardo c’era la superiorità di chi
veniva alle mani davvero troppo spesso per curarsi dell’altrui
fisicità. Non c’era imbarazzo nei suoi movimenti,
né tensione; non ero una ragazza in quel momento, ero solo
qualcosa da tenere fermo.
Per me era un ragazzo e lo era in ogni singolo punto in cui i nostri corpi si toccavano.
«Lasciami!» mi lamentai piano.
Cercai di
liberarmi infruttuosamente, la cosa più umiliante era che
immobilizzarmi non gli costava alcuna fatica. «Non riesci a
tenere a bada nemmeno a me.» mi fece notare. «Quindi non
puoi salvarti da sola da Romeo.»
Mi divincolai
ancora debolmente. «Mi stai facendo male.» non era del
tutto vero, se fossi rimasta ferma avrei appena sentito la pressione
delle sue dita: mi stavo facendo male da sola.
Si chinò
su di me per costringermi a restare concentrata su di lui. «E
nemmeno io posso farlo, Becks.»
Mi fermai, ma non ebbi il coraggio di guardarlo.
«Posso
provarci e ci proverò sempre, ma se lui vorrà tenerti
davvero non potrò fare niente.» mi spiegò arreso.
«Stai sempre a lamentarti che non mi impegno abbastanza a tenermi
vivo, andando avanti così sarai tu a farmi ammazzare.»
«Ma sei riuscito a colpirlo.» gli ricordai.
«Svegliati, cheerleader!» mi rimproverò con
rassegnazione. «Si è fatto colpire.»
«Come fai ad esserne sicuro?»
«Non sono
stato furtivo, speravo di distogliere la sua attenzione da te e
convincerlo a prendersela con me.» portò le nostre mani
tra di noi e con uno strattone mi girò di fianco, passò i
miei polsi in una sola delle sue mani e mi tirò su la maglietta
sulla schiena. «Ha deciso di ignorarmi perché era
più interessato a te.» mi lasciò completamente ed
andò a recuperare la sigaretta che gli avevo buttato. «Ti
serve del ghiaccio, vallo a chiedere a Court.» mi suggerì.
Mi studiò per alcuni secondi e la rimise con attenzione nel
pacchetto.
Alzai lo sguardo su di lui. «Mi dispiace.»
«Sì, lo so.» disse lui prima di lasciarmi lì ed andarsene.
Nate scese al piano della mensa
cercando di fare meno rumore possibile. L’aveva notato per
sbaglio, ma quel dettaglio non era riuscito ad uscirgli dalla testa: la
porzione di cibo di Zach era sigillata male sia a pranzo che a cena,
come se qualcuno avesse tolto o aggiunto qualcosa prima di servirlo.
La sua mente era
arrivata ovunque, da una penetrazione di Veggenti nella caserma, al
tradimento di qualcuno. Non si era aspettato certo il tradimento di
Courtney.
Accese la luce e la fissò, lei sussultò e si voltò a guardarlo.
«Court.»
Aveva gli occhi sgranati, stava pensando a cosa inventarsi.
«Che stai facendo?»
La ragazza
abbassò gli occhi sul vassoio di Zach non più sigillato e
su quello che Jean altrettanto violato. «Non è come
sembra.» disse precipitosa.
«Sembra
che tu li stia contaminando.» ma non ci credeva: era Courtney,
non era mai stato intenzionato a mettere in dubbio la sua
lealtà. Nate fece forza sulle braccia per sedersi su uno dei
tavoli della mensa. «Ti ascolto.»
Per alcuni
secondi Courtney rimase immobile, quasi potesse mimetizzarsi con
l’ambiente, poi richiuse diligentemente i vassoi di Zach e Jean
con la colla a caldo ed andò a sedersi accanto a Nate.
«Romeo ha fatto in modo che avessi delle analisi di Zach.»
«Il sangue che gli ha preso.» ricordò.
La ragazza
annuì. «Già. Erano strane, diverse da quelle che
vedo di solito, non le capivo, così ho chiamato mia
madre.» sospirò strofinandosi le mani sulle cosce, nervosa
in modo inequivocabile. «Mi ha detto di porre delle modifiche
alla sua dieta, di mescolare il suo cibo con quello di Jean, la verdura
e la frutta in particolare.»
«Non stai cercando di fargli aumentare massa muscolare.»
«No.»
«Lui lo sa?»
«No.»
«Chi altri lo sa?»
Lo guardò quasi con aria di sfida. «Romeo.»
«Non era lì per importunarti, vero?»
Scosse la testa.
«In realtà ha attirato l’attenzione degli agenti
dell’ADP su di lui perché non mi facessero troppe
domande.»
Per alcuni
secondi Nate rimase in silenzio, a volte trovava inspiegabilmente
nobile l’intento di Romeo di farsi carico di tutti i loro errori,
tutte le loro colpe; altre trovava naturale chiedersi quante, delle
colpe che tutti gli attribuivano, fossero vere.
«C’è altro che dovrei sapere?»
«Se Zach
avrà una forte emorragia non dobbiamo dargli le sacche di sangue
per i Veglianti e dobbiamo chiamare mia madre.» ripeté,
attenta e accurata come una bambina avrebbe ripetuto gli ordini della
maestra.
Nate la fissò, smarrito. «Ci sono apposite sacche di sangue per i Veglianti?»
«Evidentemente sì.» rispose Courtney.
«Le voglio.»
«Le ruberemo.»
«Court, ci pensi mai?»
La ragazza lo guardò interrogativa. «A cosa?»
«A quello che avresti potuto fare se non fossi incastrata qui.»
Per alcuni secondi lei non disse niente, poi sospirò. «Continuamente.»
Qualcuno bussò alla mia porta.
«Ti ho portato il ghiaccio.» annunciò Matt. «Una coccola e due pistole.»
Rotolai sul mio
letto e lo guardai, era rimasto sulla porta in attesa che gli dessi il
mio consenso per entrare, in mano aveva un sacchetto con il ghiaccio,
un piatto sigillato e due posate e il calcio delle due pistole gli
spuntava dalle tasche dei pantaloni.
«Puoi entrare.» accordai con un sorriso.
Lui chiuse la
porta e venne a sedersi accanto a me. Mi porse il ghiaccio, ma io lo
poggiai sul comodino; avevo preso una botta, era vero, ma era soltanto
un livido. Il mio polso era stato quasi rotto e praticamente era
già guarito! Ero stanca che tutti mi trattassero come se fossi
fatta di porcellana: ero come loro, mi ferivo, mi ricoprivo di lividi e
la notte dopo ricominciavo.
Matt mi porse il
piatto sigillato, avevo pensato che fosse il pasto che avevo saltato
– e che non rimpiangevo affatto – ma in realtà si
trattava di una mini torta.
«Grazie di avermi accompagnato.»
Sorrisi, togliendo il coperchio. «Sei riuscito a chiarire qualcosa?»
Scosse la testa
e si sdraiò sul letto con le braccia incrociate dietro la nuca.
«È troppo infuriata per riuscire a parlarle. Si è
arrabbiata quando gli ho detto che ero preoccupato, quando mi sono
arrabbiato perché mi ha tenuto tutto nascosto, quando gli ho
spiegato che siamo su due fronti diversi dello stesso campo di
battaglia.» sospirò. «Vorrei poter scegliere di non
combattere.» si sfilò le due pistole dalle tasche e lo
posò sul letto tra di noi. «Ho detto a Zach che Rose non
era in ferramenta, altrimenti avrebbe cercato di salvarla e…
beh, credo che ci siano cose che Zach ancora non deve sapere.»
«Okay.» la pensavo diversamente, ma visto che era il
suo segreto non potevo imporre la mia volontà.
«Becky?»
«Nh?»
«Ti prego, non ucciderla.»
Lo fissai e
scossi la testa. «Te lo prometto.» garantii. «Pensi
che farò ammazzare Zach?»
Matt fece una
smorfia annoiata. «Romeo non vuole ucciderlo. Perché non
pensa mai che potrebbe ucciderlo sempre, ma che, visto che non
l’ha mai fatto, forse non è quello il suo
obbiettivo.»
«Ha paura.»
«Con la
paura non ci si fa niente, anzi è scomoda.» mi
indicò le pistole con un cenno del capo. «Come fai a fare
centro con quelle se ti tremano le mani, se ogni battito di cuore di
scuote tutta?»
Risi. «Ottima filosofia, dovresti parlargliene!»
Scosse la testa.
«Se ti può tranquillizzare, pensa che Romeo è in
grado di rapirti e chiudere lui in un ripostiglio al tempo
stesso.»
Ci pensai. «Non è esattamente incoraggiante.» gli feci notare.
Si strinse nelle spalle. «È meglio di niente.»
Mi svegliai a tarda notte
perché le coperte erano pesantissime. Scrutai il buio con
attenzione ed accesi la lampada: Zach dormiva in fondo al mio letto, di
spalle rispetto a me. Mi strinsi le ginocchia tra le braccia osservando
la sua schiena, cullando ed al tempo stesso reprimendo la voglia di
toccarlo. Pensai di svegliarlo, poi pensai che non avevo niente da
dirgli e che forse, per quella notte, andava bene così.
avete presente il discorso di Romeo più su?
signore, il punto finale di tutta questa baraonda esistenziale è tutto lì!
sono disponibile per spiegazioni, coccole ed insulti cortesi!
baci
ps. ricordate che Romeo è un uomo inifnitamente lungimirante.
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Capitolo 20 *** 19. Indiani e Cowboy ***
MSC19
fragolottina's time
buonasera lettrucciole,
volete sapere quante volte ho cancellato e riscritto questo capitolo? esattamente quattro volte.
ogni volta che ero pronta a pubblicare, lo leggevo, mi dicevo "è
una merda!" e ricancellavo tutto. quattro volte, quattro settimane.
questo significa che l'ultima ardua sentenza spetta a voi, fatemi
sapere come lo trovate!
19.
Indiani o Cowboy
«Vieni ad aiutarmi?» sussurrò Courtney, accucciata accanto a Zach nella stanza di Becky.
Lui si voltò e la guardò. «A fare che?» le domandò in uno sbadiglio.
Courtney sollevò una bandana rossa.
Zach la studiò, sorrise ed allungò la mano per toccarla. «Indiani o cowboy?»
«Indiani.»
Tra le tante auto a disposizione dei Veglianti ce n’era anche una
borghese. Era una monovolume blu, fortemente desiderata da Josh, che
usavano soltanto per le missioni sotto copertura.
«Hai fatto?» le chiese Zach
parcheggiando in un vicolo abbastanza nascosto, vicino
all’ospedale statale di Synt.
Courtney stava colorando di nero la punta rossa di
alcune pistole giocattolo con il tappo del pennarello in bocca.
«Quasi.» biascicò. Aveva i capelli intrecciati quel
giorno e quasi niente trucco addosso, ma era bella anche con le
occhiaie.
Zach recuperò la bandana rossa e se la
annodò al collo, poi tornò ad osservarla.
«Perché non l’hai chiesto a Jared?»
cercò nel portaoggetti dell’auto due paia di occhiali da
sole.
Sputò via il tappo. «Non sa giocare agli indiani.» rispose tranquilla.
«Sì, ma magari non gli fa piacere che sei qui con me.»
Courtney lo guardò prima sorpresa, come se,
quando quella mattina si era alzata per andare a chiamarlo, non avesse
nemmeno preso in considerazione la possibilità che fosse
sconveniente; poi però il suo stupore si trasformò in
esasperazione. «Zach, non ti ho portato qui per sedurti o
circuirti. Sappiamo tutti che quando ci sono questo tipo di missioni si
chiama te.» lo fissò e lui pensò che erano milioni
di anni che non lo fissava indispettita. In genere lo guardava
addolorata, triste; gli piaceva che lo guardasse in quel modo, senza
lacrime incrostate.
«Non prenderò decisioni ridicole a lavoro solo perché ora c’è lui.»
Zach la lasciò parlare, poi alzò gli
occhi al cielo e si infilò gli occhiali, presto imitato da lei.
«D’accordo, ma glielo hai detto che sei qui almeno? Si
preoccuperà.»
Per alcuni secondi rimase zitta, palesemente presa
in castagna. «Tu l’hai detto a Becky?»
ribatté, aprendo lo sportello e scese dalla macchina per
interrompere quella conversazione.
Zach la seguì precipitosamente. «Ehi,
è diverso.» le urlò sopra il tettuccio
dell’auto.
Courtney sventolò una mano
all’indietro, scettica anche di spalle. «Perché?
Perché non fate sesso?»
Lui chiuse e la raggiunse. «Non facciamo anche tante altre cose.» commentò affiancandola.
«E fai male. Sono anni che non fai sesso, saresti molto più rilassato.»
Zach non rispose, le regalò soltanto
un’occhiataccia che lei ignorò completamente. «Beh,
ma l’avrai baciata!» sbottò. «Non credere che
baciare una ragazza sia tanto diverso da farci l’amore.»
«Ed infatti non ho fatto nemmeno
quello.» si schernì, contento di poter avere ragione con
lei: era difficilissimo discutere con Court e riuscire a portare a casa
la vittoria nel dibattito.
Courtney si fermò, completamente sconvolta. «Perché?!»
Zach fece un altro paio di passi, poi si
voltò a camminare all’indietro con le mani in tasca. Rise
della sua espressione stupita. «Non è detto che lo voglia
e non è detto che lo voglia lei.»
Courtney gli lanciò due pistole giocattolo, Zach le prese al volo, poi fece lo stesso con un cappello.
«Ti prego, lei ti vuole.»
«Non me l’ha mai detto.» disse lui scuotendo la testa.
Lei sgranò gli occhi, sconcertata. «Deve?!»
«Non sono un Veggente. E comunque non ho detto
che la voglio.» si fermò davanti alla porta
dell’ospedale. Non era la struttura principale, ma la parte con
l’accesso riservato soltanto ai medici; conteneva alcuni
laboratori e, cosa decisamente più importante, la banca del
sangue di Synt.
Zach si tirò la bandana sopra il naso, mentre
si appoggiava con la schiena alla porta per aprirla; lui e Courtney
entrarono quasi in contemporanea ed in contemporanea sollevarono le
pistole finte davanti a loro. «Sono sicura che la vuoi.»
borbottò.
L’intero staff all’interno si
fermò, poterono osservare il loro stupore trasformarsi
gradualmente in pietrificazione da panico.
«Signori, buongiorno.» li salutò
Zach, la voce ovattata dal fazzoletto. «Se ve lo state chiedendo:
no, non è la giornata giusta per fare gli eroi.»
puntò le pistole su tutti e si fermò su
un’infermiera che lo fissava. Zach deglutì osservandola,
in un attimo la percorse tutta e fu come se la stesse analizzando al
microscopio, eppure se glielo avessero chiesto non avrebbe saputo dire
nemmeno di che colore aveva i capelli. Stava bene, non le sarebbe
successo niente.
«Non se n’era andata?» bisbigliò Court.
«Mani ed occhi contro il muro.»
ordinò ignorandole entrambe, cosa che gli risultava piuttosto
difficile da tutta la vita.
Ubbidirono lentamente, qualcuno scoppiò a
piangere. L’infermiera sembrava indecisa, ma alla fine anche lei
si spostò dopo avere aiutato una sua anziana collega a fare lo
stesso.
Court e Zach percorsero il corridoio controllando che a nessuno venissero strane idee.
«Zach.» mormorò l’infermiera non appena le passarono dietro.
Lui la guardò, i suoi occhi erano fermi su di
lui. Coprì la distanza tra loro in pochi passi, le
afferrò i capelli legati in una coda e gli spinse di nuovo la
fronte contro il muro. «Non costringermi ad andare a salutarlo da
parte tua, ragazzina.» le puntò la pistola in mezzo alla
schiena. «Non ci è troppo simpatico.»
Lei deglutì e chiuse gli occhi.
«Brava così, dolcezza.» i suoi
occhi vennero attirati dal cartellino magnetico che aveva attaccato
alla divisa verde menta, allungò la mano e lo staccò.
L’infermiera sussultò.
«Lascia stare questa ragazza, mostro!»
si lamentò la collega che era stata aiutata
dall’infermiera poco prima.
Zach fece un paio di passi indietro tornando accanto a Court. «La tenga buona, signora.»
Si chiusero dentro la banca del sangue e si
sfilarono gli zaini dalle spalle, Court corse alle celle frigorifere
mentre Zach si infilava alcuni fumogeni nelle tasche dei pantaloni per
quando sarebbero usciti.
La ragazza ne aprì una e rimase immobile.
Zach la raggiunse senza capire e guardò insieme a lei dentro il
frigorifero: le sacche erano ordinatamente in fila, ognuna con sopra
scritto il loro nome. Zach ne prese una con sopra scritto il proprio,
poi anche una con scritto quello di Becky.
«Non dovrebbe essere così.»
mormorò Courtney senza capire mentre ne raccoglieva una.
«Il sangue si divide per gruppo sanguigno. Io e te siamo B
positivo, che senso ha scriverci il nome?»
Zach osservò l’etichetta studiando
alternativamente la sua e quella di Becky. «C’è
qualcos’altro dentro.» constatò. «Guarda
quella percentuale.»
Courtney fece come gli aveva suggerito. «Sì, ma che diavolo è?» chiese.
Zach scosse la testa. «Non lo so, ma la mia è quella più alta.»
Io e Matt eravamo gli addetti alla ricostruzione di Synt. Non era
proprio così, in realtà ci stavamo limitando a dare una
mano ai negozianti che durante il trasporto avevano visto la loro
attività commerciale distrutta. Eravamo un supporto, diciamo,
visto che la popolazione di Synt ci pagava, tanto valeva essere
d’aiuto.
Matt si occupava del grosso in sella ad un piccolo
scavatore e si stava divertendo un mondo, siccome io non potevo guidare
mezzi pesanti mi stavo limitando a sgombrare come meglio potevo la
caffetteria che piaceva tanto a Lynn, aiutata dalla proprietaria Viola.
Era una ragazza carina, mi aveva raccontato di essersi tinta i capelli
di recente perché il ragazzo che le piaceva sbagliava spesso il
suo nome. Mi aveva chiesto di Lynn, come stesse, di Zach, ancora se
stava bene.
Io le risposi come meglio potevo, non volevo darle
troppi dettagli, anche se quando le risposi che Zach stava alla grande,
lei mi lanciò un’occhiata scettica.
«Allora, come ti trovi a Synt?»
Stavo spazzando a terra e mi ero fermata a guardare
una macchia di sangue. Quando avevo scritto il rapporto con Jean, tutte
le dinamiche di quella notte mi ero state chiare e sapevo che quel
sangue era di Zach.
«Meglio.» le sorrisi. «I primi giorni sono stati complicati.»
Lei mi raggiunse con una spugna e si chinò a
strofinare quella macchia rossastra. «I primi giorni di un
trasferimento sono sempre complicati. Qui lo sono un po’ di
più.» disse lanciandomi un’occhiata complice.
«Ho pulito la macchinetta, vuoi un caffè?»
Annuii contenta e recuperai uno sgabello rovesciato
per sedermi al bancone. «Perché siete venuti qui?»
le chiesi. Ero uno dei miei grandi enigmi, il fatto che le persone
continuassero a trasferirsi lì.
Lei scrollò le spalle, di schiena rispetto a
me. «Ci siamo trasferiti per mio fratello.» iniziò.
Si guardò intorno alla ricerca di una tazza. Io mi chinai a
raccoglierne una da terra e la ripulii con un lembo della mia
maglietta, prima di porgergliela.
«Grazie.» si rimise a trafficare con le
macchinette. «Mio padre avrebbe voluto trasferirsi dopo, insomma
è un posto pericoloso, ma c’è così tanto da
fare. Non volevamo essere così egoisti.»
Mi mise la tazza davanti mentre io la guardavo confusa.
«Diciamo che oggi il servizio è un
po’ spartano.» commentò con un sorriso notando solo
in quel momento che il bordo della tazza era sbeccato. «Sta
attenta a non ferirti.» mi consigliò.
Stavo per chiederle di più sul fratello, ma
proprio in quel momento entrò Matt, ricoperto di polvere da capo
a piedi. Si sollevò gli occhiali protettivi sulla testa
rivelando ancora un lembo di pelle rosa e pulita intorno agli occhi.
«Oste, un cappuccino.» ordinò.
Viola si tirò su. «Solo se ti trovi una tazza.»
Matt ci pensò osservandomi. «Becky, bevi che poi riciclo la tua.»
«Okay.» dissi bevendo il mio caffè tutto d’un sorso.
«Come te la passi, Matt?» gli chiese,
poi gli lanciò un’occhiata. «E soprattutto,
perché hai litigato con Rose?»
Lui si appoggiò con i gomiti al bancone e si
rivolse a me. «Gli abitanti di Synt sono dei pettegoli
allucinanti.» tornò a guardarla. «Stiamo cercando di
gestire la situazione in modo discreto.»
«Discreto un cavolo!» sbottò
Viola voltandosi a prendere la mia tazza per riempirla con il suo
cappuccino e riconsegnargliela. Si fermò davanti a lui con le
mani appoggiate al bancone. «Hai visto quando è carina
quella ragazza? Hai idea di quanti abbiano cercato di corteggiarla?
Credimi, non sei il partito migliore che potrebbe avere.»
Matt sospirò. «Becky, ho l’onore
di presentarti la sempre sincera, impicciona e chiacchierona
Viola!» disse aggiungendo sarcasmo ad ogni aggettivo con cui la
introduceva.
«Sei sempre sincera?» le chiesi per
cercare di mettermi in mezzo, mi dispiaceva che Matt si trovasse in
quella situazione, soprattutto perché non aveva spiegazioni da
dare, non poteva.
«Ci provo.»
«Come Romeo.» osservai.
Viola rise. «C’è un bel dibattito in proposito.»
«Tu che ne pensi?» le chiesi. Era un
po’ che mi domandavo come vivessero quella situazione gli
abitanti di Synt e non mi sarebbe capitato tanto presto di poter
parlare di nuovo con una ragazza altrettanto socievole. In
realtà lei era il primo abitante di Synt né Vegliante
né Veggente con il quale parlavo: mi sentivo un po’
ghettizzata.
Viola mi osservò. «Penso che non
guadagna niente a stare qui.» spiegò. «Penso che
potrebbe andarsene, penso che non l’ha fatto. Penso che non
dovresti limitarti a quello che dicono gli altri e che dovresti crearti
un’opinione tutta sua su di lui.»
Annuii, la risposta più diplomatica
dell’anno, praticamente non mi aveva detto niente. Capivo la sua
volontà di non schierarsi, ma non mi soddisfaceva.
«Ehilà!»
Ci voltammo tutti e tre verso la porta ed
incrociammo lo sguardo di Jared. «Nate mi ha mandato a
cercarvi.»
Sospirando ci alzammo.
«Ciao, Viola.» salutammo a turno.
«Tornate a trovarmi!»
Zach lasciò cadere uno zaino pieno di sacche di sangue sul
tavolo di Nate, mentre Courtney si annusava schifata i vestiti.
«Bleah! Odio la puzza dei fumogeni.»
«Siamo stati bravi?» chiese Zach.
Nate chiuse il suo computer e si sporse a frugare
tra le varie sacche, si strinse nelle spalle. «Avete ucciso
qualcuno?» chiese.
«No.» rispose Courtney scuotendo la testa.
«Vi hanno riconosciuti?» si
aggiustò gli occhiali mentre osservava pensieroso una sacca con
il nome di Lynn.
Lei e Zach si guardarono. «Lindsey fa
l’infermiera lì ora.» iniziò.
«L’abbiamo fatta mettere faccia al muro, ma non posso
garantire che non mi abbia riconosciuto.»
«Ucciderla sarebbe stata la scelta più
sicura, ma Zach si è fatto venire i rimorsi di coscienza.»
commentò Court con una smorfia. «È solo una
ragazza, ha tutta la vita davanti, sono responsabile per lei… il
solito!»
Lui rise scuotendo la testa. «Ad ogni modo non credo che farebbe la spia.»
«Per ora non l’ha fatto.» concluse
Nate. «Speriamo che continui così.» si alzò e
andò a frugare nel suo armadio, tirò fuori un giubbotto
antiproiettile decisamente più robusto delle protezione standard
che avevano nelle giacche verdi. Prese anche un casco e porse tutto a
Zach.
Lui osservò tutto quanto senza capire. «Che dovrei farci?»
«Non posso dirtelo.» Nate scrollò
le spalle. «Se te lo dico, tu lo farai e Romeo lo vedrà.
Se non te lo dico e ti viene in mente sul momento può darsi di
no.»
«Nate.» disse Zach. «Come diavolo fa a venirmi in mente, se non me lo dici?»
Lui annuì risoluto. «Ti do degli
indizi.» spiegò. «Primo: il giubbotto ed il casco.
Secondo: sono convinto che Court e Jared possano cavarsela se ti
allontanerai un pochino stanotte. Terzo e più importante: Becky
è una schiappa nel corpo a corpo.»
Zach lanciò un’occhiata di sbieco a
Courtney, poi tornò su di lui. «Vuoi che
l’alleni?»
«No.»
«Vuoi che alleni Court?»
La ragazza scoppiò a ridere. «Non farti umiliare, Zach.»
«Decisamente Court non ne ha bisogno.» osservò Nate.
«Cosa vuoi che faccia, allora?»
«Non pensarci troppo.» lo mise in
guardia Nate. «Se ti viene in mente prima di stanotte, Romeo lo
vedrà.»
Zach sospirò.
«Non è un’infermiera.» precisò Nate.
Lui lo guardò.
«I suoi genitori volevano andarsene, lei si
opposta. È una volontaria, Jean ha imposto al direttore
sanitario di tenerla al sicuro, per questo sta dalla parte dei
laboratori.»
«Quindi non corre nessuno pericolo?» chiese Zach.
Nate scosse la testa. «No, stai tranquillo.»
Stavamo provando le mie due pistole. Questa volta il mio personale
costruttore di armi non aveva lasciato niente al caso: aveva preparato
più munizioni di quante potessi usarne in una vita intera; aveva
fatto in modo che le mie pistole avessero un caricatore che si potesse
preparare prima, in modo che non dovessi mettermi a trafficare con le
siringhe e risparmiare tempo; aveva scelto ogni singolo pezzo con cura
maniacale controllando peso, calibratura, equilibrio, tutto quanto. Mi
aveva anche comprato due foderi gemelli.
Mi stava insegnando a caricare e sparare, a togliere
i caricatori vuoti – conservarli possibilmente, finché
Rose era off limit – e mettere quelli pieni.
Il tutto sotto lo sguardo vigile, per non dire
ossessivo, di Zach, che si era messo a fissarci, fissarmi, seduto sul
tappetino senza distrarsi un secondo.
«Ma secondo te che cos’ha?» chiesi a Matt dopo un po’.
Lui scosse la testa e si strinse nelle spalle. «Non saprei dirti.»
«Che facciamo glielo chiediamo?»
Matt si voltò e lo osservò attento.
«Magari non è una buona idea… metti che ci
risponde!»
Risi. «Okay, senti proviamo questo affare poi glielo chiediamo.»
«Affare.» ripeté lui critico.
«Ti ho costruito due armi professionali di altissima
precisione!»
Sospirai. «Okay, perdonami, Matt, per non sapere apprezzare il tuo grande lavoro.»
«Grazie.»
Le due pistole di Matt erano sensazionali.
Leggerissime, avevano un rinculo debole ed erano estremamente precise.
Se fossero state progettate da me non avrei saputo fare di meglio; era
come se guardandomi avesse capito tutto quello di cui avevo bisogno, ma
che nemmeno io sapevo. Non avevano mirino, ma non mi importava, in
realtà non mi era mai servito.
«Wow…» esclamai impressionata dopo la prova.
Matt sorrise soddisfatto. «Sono di tuo
gradimento?» chiese, anche se era evidente che non fosse
necessario.
«Sono perfette, sembrano fatte apposta per me.» spiegai studiandole.
«Beh, sarà perché sono fatte apposta per te, che dici?»
Risi e lanciai un’occhiata a Zach che era sempre lì, sempre fermo a fissarmi.
«Senti, vado a parlarci. Questa cosa sta diventando inquietante.»
Lui annuì. «D’accordo, vado a
preparare un po’ di munizioni extra per stasera.»
Lo guardai allontanarsi, poi mi voltai verso Zach.
Non fece una piega quando spostai lo sguardo su di lui, come se non
guardasse me, ma oltre me, dentro me. Lo raggiunsi e mi sedetti accanto
a lui sul tappetino, seguì tutti i miei movimenti. Per qualche
secondo rimasi in attesa che parlasse di sua spontanea volontà,
poi realizzai che evidentemente non voleva.
«Vuoi dirmi qualcosa?» provai.
Lui scosse la testa. «Nate sta impazzendo ed
al tempo stesso cercando di trascinarmi nella sua follia.»
Continuai ad osservarlo mentre speravo che
quell’affermazione terminasse con una spiegazione plausibile, ma
non accadde.
Zach sospirò davanti alla mia deludente
scarsa perspicacia. «Mi ha dato tre indizi per una missione extra
di stasera, nella speranza che io capisca solo all’ultimo momento
e che quindi Romeo non lo preveda.»
Ci riflettei, in effetti non era così
semplice. «Quali sono i tre indizi, magari posso aiutarti.»
Rise. «Primo: un casco ed un giubbotto
antiproiettile; secondo: il via libera per allontanarmi stanotte; e
terzo: tu.» mi studiò. «Che sei una schiappa.»
aggiunse.
«Mm…» riflettei. «Non mi viene in mente nulla.»
Zach sospirò, si lasciò cadere
all’indietro e grugnì. «Spero che stanotte Romeo sia
in vena di darmi fastidio, ho voglia di prendere a schiaffi
qualcuno.»
Feci una smorfia. «Non sarebbe meglio una corsetta sul tuo tapis roulant?» suggerii.
«Mi girando troppo per il tapis roulant, dovrei distruggerlo con un martello il tapis roulant.»
Mi strinsi le ginocchia al petto. «Dimmi perché ti girano, allora.» proposi.
Zach mi lanciò un’occhiata.
«Perché sono un Vegliante e mi sento stretto. Non posso
avere aspirazioni, non posso avere un futuro.» deglutì.
«Non ho potuto dare alle persone a cui tenevo quello che
desideravano e che io desideravo e…» sospirò ed
assottigliò lo sguardo. «Non vorrei che mi dimenticassero,
anche se è quello che io ho scelto per loro. È egoista,
non vorrei nemmeno questo.»
«Zach.» mormorai.
«Poi stiamo qui a chiederci perché Josh
si è buttato.» rise amaro. «Che c’è da
capire, guarda come cazzo viviamo!»
«Zach.» ripetei.
«Sì, lo so! Devo essere lucido, attento
e concentrato.» sospirò. «Un bravo soldatino.»
Lo osservai per un po’ senza sapere cosa dire,
così rimasi zitta. Accanto al desiderio struggente di
confortarlo, c’era la triste consapevolezza che non potevo; non
c’era una cura per quello che eravamo e per quello che saremmo
stati, non sarebbe passato presto, ci aspettavano anni in quel modo.
«Ci pensi che vivremo dieci anni
insieme?» gli chiesi stranamente divertita da
quell’affermazione.
«Otto.» precisò.
«Oh, è vero.»
«Voglio andarmene da qui.»
Sorrisi. «Vorrei che potessi farlo.»
Lui scosse la testa. «Non riuscirei comunque
ad abbandonarvi.» si tirò su e mi guardò.
«Che dici se domani sera mi accompagni a fare qualcosa di
normale?»
«Cosa?» sbottai ridendo. «Synt non è normale.»
«C’è una paninoteca a Synt
interna, due ristoranti, una pizzeria. Anche un cinema, ma gli schermi
molto grandi mi fanno venire l’insonnia e poi dobbiamo essere
raggiungibili.»
Lo guardai sorpresa. «Sai, che è la
prima volta che mi parli come se potessi arrivare a domani?»
Non mi rispose, mi guardò e basta.
«Dentro ci vado io. Faccio due chiacchiere con Nate e faccio
paura alla ragazzina. Mi servono una decina di voi fuori, tanto per non
farli sentire stupidi.» spiegò Romeo.
Molte più di dieci persone, compreso Jamie
Ross con grande disappunto di Romeo, alzarono la mano. Lo fece anche
Ryan, mentre puliva la canna di un fucile. L’immagine di quel
disastro mondiale era racchiuso nella visione di una ragazza di
quindici anni che puliva un fucile con l’abitudine di chi lo fa
ogni giorno; per un momento si chiese se non valesse la pena fare dei
manifesti con quella foto, poi si ricordò che le persone
vedevano solo quello che volevano vedere.
«Niente cazzate.» disse lentamente.
«Se qualcuno di voi ha visioni confuse in proposito, se teme di
poter essere ferito, sta a casa e basta. Deve essere una missione
pulita, dobbiamo farli vincere, ma questo non significa che noi
dobbiamo perdere.»
Si abbassarono tre mani.
«Ryan, perché non resti con Dawn?»
La mano alzata della ragazza si trasformò in
un dito medio alzato, decisamente poco collaborativa come tutti i
Veggenti. Romeo rise.
Grazie al cielo.
Matt lasciò la macchina davanti alla centrale elettrica. Io e
Nate scendemmo, ma solo io mi stavo guardando intorno. Lui aveva
cercato di essere il più rassicurante possibile, ma io ero
l’unica armata e se succedeva qualcosa ai miei compagni sarebbe
stata colpa mia. Inizialmente la cosa mi aveva reso tanto inquieta da
tremare, spaventata: non volevo quella responsabilità.
Poi però tutto il mio corpo si era disteso e
mi ero sentita improvvisamente calma, concentrata, completamente
padrona di me stessa e tranquillamente focalizzata su quelli che erano
i miei compiti. Era la stessa sensazione ambivalente che avevo prima
che, durante le prove delle cheerleader, qualcuno mi lanciasse in aria;
il lancio era spaventoso, ma quando ero in aria tutto il mondo
scivolava via, compresa la paura. Ed io atterravo in piedi,
perfettamente dritta. La capo cheerleader diceva che era la mia
più grande qualità.
Nate si caricò uno zaino in spalla e si strinse la giacca addosso, faceva freddo quella sera.
«Beh, non siamo timidi!» commentò notando la nostra immobilità.
Si incamminò in direzione di un cancello di
metallo, io e Matt lo seguimmo. Nate recuperò un mazzo di chiavi
dalla tasca, ne scelse una ed aprì. C’era un piccolo ponte
di metallo sospeso dall’altra parte, io guardai giù,
sembrava esserci dell’acqua in fondo. Puzzava.
«Era studiato per resistere ad un attacco come
nel Medioevo.» mi spiegò Nate. «Questi ponti si
possono ritirare.»
«Ma non hanno funzionato.» commentai.
Lui rise. «È stata una follia credere
che potessero farlo. In un mondo in cui puoi arrivare in qualsiasi
punto con computer basta un virus ben fatto per controllare una cosa
del genere.»
«Allora perché noi siamo qui?» domandai senza capire.
Nate si strinse nelle spalle. «Romeo non
è stupido come noi, la prima cosa che ha fatto una volta entrato
nel sistema è stato impedire ogni azione
dall’esterno.»
Attraversammo il ponte ed aprimmo la porta
successiva, mi guardai intorno, ma sapevo che non c’era nessuno.
Entrare si stava rivelando più facile del previsto, mi chiesi se
Romeo non ci avesse preparato qualche sorpresa poco carina
all’interno.
Nate si muoveva tranquillo tra i corridoi bui della
centrale elettrica armato soltanto di una torcia mentre io e Matt lo
seguivamo attenti. Per essere una centrale abbandonata era
insospettabilmente pulita, mi aspettavo ratti, anche qualche uccello,
tele di ragno enormi, ma non c’era niente di tutto questo, come
se chi l’avesse sequestrata la volesse in perfette condizioni.
Forse aveva un tarlo enorme da qualche parte, come Josh: anche se Romeo
l’aveva mandato indietro sano e salvo c’era stato qualcosa
di gigantesco che non andava nella sua testa. Qualcosa di spaventoso e
letale, probabilmente molto più di un qualsiasi ferita avrebbe
potuto infliggergli.
Nate si fermò davanti ad enorme porta di
metallo completamente sigillata. Tirò fuori un razzo segnalatore
e lo lanciò dalla parte opposta del corridoio per illuminare
l’intero ambiente.
«Matt, che ne pensi?» gli chiese.
Lui lasciò a terra la sua sacca e tirò
fuori un avvitatore elettrico. «Che mi serve un quarto
d’ora.»
«Non preoccuparti.»
Io e Nate ci voltammo precipitosamente verso la voce
che aveva parlato. Romeo era sul limite più esterno del cerchio
di luce disegnato dal razzo segnalatore, la nostra illuminazione
improvvisata lo sfiorava, ma non lo avvolgeva, riuscivamo a scorgere
solo dettagli del suo corpo.
«Fai con calma, li intrattengo io.»
continuò. «Oh, e permettermi di correggerti, Nate.»
Lo guardò, Rome sorrise. «Non è che io non sono stupido come voi: non sono stupido come loro.»
Zach prese la rincorsa e saltò più in alto possibile per
afferrare la scala di sicurezza ed abbassarla fino a terra. Non parava
molto, ma sperava che sarebbe stato sufficiente a creare qualche
difficoltà a quella maledettissima Ryan, appostata su un fottuto
palazzo, troppo lontana anche soltanto per pensare di ricambiare il
fuoco.
Stranamente per gli standard dei Veglianti di Synt,
quella sera se la stavano cavando decisamente bene, non stavano
vincendo e non avevano catturato o atterrato nessuno, ma per lo meno,
riuscivano a respingerli.
Romeo non si era visto, non aveva pensato nemmeno
per un secondo che fosse assente: se non era lì, era già
dentro.
Per un attimo si chiese se la missione misteriosa di
Nate non riguardasse proprio lui, ma non era mai entusiasta si mandarlo
ad azzuffarsi con Romeo.
Ryan gli colpì una spalla di striscio e Zach
masticò un imprecazione colorita; se solo per una volta
l’avesse avuta a portata di mano, dannata vigliacca perennemente
nascosta…
Si fermò e guardò di nuovo il tetto del palazzo dal quale gli sparava.
«Pensateci voi!» urlò a Jared e Court che subito si spostarono per coprirlo.
Recuperò il casco e si strinse le fibbie del giubbotto antiproiettile.
«Dove vai?» gli domandò Court vedendolo prepararsi.
Zach sollevò la visiera del casco. «A prendere Ryan.»
okay, sappiatelo: nel prossimo capitolo succederà qualcosa di sconvolgente, ma decisamente importante!
non fatemi domande o potrei cedere alla tentazione di dirvi altro...
come già detto: fatemi sapere cosa ne pensate!
baci
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Capitolo 21 *** 20. Pari ***
MSC19
fragolottina's time
questo capitolo rappresenta una
svolta decisiva all'interno della trama di questa incomprensibile
storia, questo capitolo - non di per sè, ma il significato che
ha - è il perchè io ho voluto scrivere questa storia.
perchè ho amato Becky e l'ho eletta a eroina, perchè ho
scelto che fosse lei, in tutte le sue incertezze a parlare per me: era
l'unica che l'avrebbe fatto ed io la amo per questo.
quindi buona lettura...
20.
Pari
Sollevai le due pistole davanti a me. Matt era stato molto chiaro in
proposito: “Sai quella storia che ti raccontano? Che le pistole
sono improvvise? Non lo sono, devi decidere di sparare prima di farlo,
perché se vuoi sparare, devi mettere il dito sul
grilletto”. Romeo non mi degnò di uno sguardo, era
completamente concentrato su Nate: non era un segnale incoraggiante,
evidentemente non si era visto colpire quella notte.
Nate mi osservò a lungo, prima di tornare a
guardare Matt alle prese con la porta della centrale elettrica.
«Qual è la missione di oggi, Becky?» mi
domandò.
Io deglutii, anche Nate era stato chiaro:
“Attenersi alla missione”, aveva detto, non
“Catturare Romeo”.
Erano stati tutti incredibilmente chiari, come se il
nostro nemico non fosse stato in grado di prendere tutte le nostre
carte accuratamente ordinate e scombinarle in un secondo, come se la
chiarezza ci avrebbe potuto tenere al sicuro da lui.
«Ero preoccupato che non ti fossi ancora fatto vedere.» commentò Nate.
Romeo si posò una mano sul petto fingendosi
offeso. «Ti prego, Nate, la tua prima missione come caposquadra,
non potevo mancare.» fece un passo in avanti, io spostai il dito
sul grilletto, solo quello della pistola con il sedativo però.
«Non ti avvicinare.» intimai.
Lui sollevò le mani. «Piccina, sono
disarmato.» mi fece notare, ma sapevo che quello non era un
deterrente per lui, ero sicura che, anche disarmato, se avesse voluto
avrebbe potuto metterci tutti KO.
«Che mi racconti di nuovo, Romeo?»
domandò Nate intromettendosi tra noi. Non voleva che sparassi,
era evidente, ma non ero sicura del perché: non voleva che Romeo
schivasse il colpo e poi contrattaccasse me o non voleva che lo
colpissi? Fino a che punto si spingeva la stima nei suoi confronti?
«Non ci capita spesso di incontrarci di persona.»
Lui non spostò gli occhi da me,
improvvisamente del tutto concentrato su di me. «Prima o poi
questa situazione doveva cambiare.» osservò. «Avete
organizzato una missione niente male, ragazzi. Ottima, direi.»
Nate annuì. «Ti ringrazio.»
Romeo aprì la bocca per dire
qualcos’altro, ma si fermò. Aveva gli occhi spalancati, il
viso leggermente voltato a sinistra, come se un fantasma gli stesse
sussurrando un segreto all’orecchio. «Dov’è
Zach?» chiese lentamente. Panico. Avevo visto Romeo arrabbiato,
quando avevo sparato a Iago, divertito, quasi ogni volta che ci
incontravamo, ma mai preso dal panico.
Dov’era Zach?
Mi voltai verso Nate.
«Ha una missione speciale.» rispose Nate
con fermezza e capii: non voleva che non sparassi perché lo
stimava, ma perché non voleva che scappasse, voleva trattenerlo
lì con noi. Io e Matt ci guardammo incerti, ma speranzosi: era
ovvio, Zach stava arrivando, in fondo “Catturare Romeo” era
sempre stata la missione di Zach.
Ma Nate continuò.
«C’è un perché Ryan è sempre nascosta.»
Matt lasciò cadere una chiave inglese che
fece un frastuono assordante. Spostai lo sguardo su Romeo ed ebbi il
lusso di vederlo spaventato, forse la cosa mi avrebbe dato qualche
soddisfazione se non lo fossi stata anche io.
Ryan era Rose, avrei voluto urlarlo, ma non potevo,
spettava a Matt quella rivelazione. Lo guardai, per quanto la luce del
razzo segnalatore fosse rossastra, lui appariva comunque pallido come
un lenzuolo, aveva le labbra dischiuse, l’espressione sconvolta.
Non avrebbe mai potuto, conoscevo quel genere di sensazione
pietrificante, non sarebbe riuscito a dire niente.
«Digli di no, Nate!» lo supplicai. «Ti prego!»
Lui mi osservò, stupito dalla mia reazione, lo capivo.
«Perché?» mi domandò senza capire.
Romeo mi fissò, fissò la pistola con
il Mitronio ed io deglutii, avrei voluto nasconderla. Era uno di quei
momenti in cui faceva davvero paura, uno di quelli in cui valutava il
modo più rapido ed efficace per farti fuori. Il mio cervello mi
suggerì al volo la cosa più saggia da fare: scappare. Ma
non lo avrei fatto.
Decisi che se volevo salvarmi tanto valeva giocare
d’anticipo: premetti entrambi i grilletti mentre lui mi balzava
addosso, con il risultato che le due siringhe andarono a sbattere sul
soffitto, mentre io cadevo a terra con Romeo sopra di me. Mi
sfilò dalle dita la pistola che gli interessava ed io colsi con
la coda dell’occhio Nate muoversi per aiutarmi; ma Romeo
puntò la canna della pistola al mio collo e lo guardò.
«Sicuro che non le fa niente?» lo sfidò.
Non minacciava di spararmi il sedativo, lo capii da
come Nate si fermò e fissò negli occhi alternativamente
Romeo e me. Deglutii e nel farlo la mia gola premette di più
contro la pistola, il mio caposquadra trattenne il respiro.
«Lasciala.» mormorò.
Romeo mi lanciò un’occhiata. «Solo perché ho fretta.»
Si alzò in piedi e corse via. Mi tirai su sui
gomiti e lo guardai allontanarsi. Era tutto sbagliato, tutto quello che
sarebbe successo era sbagliato: dovevo fare qualcosa!
«Court, sta arrivando Romeo.» disse Nate al telefono, si avvicinò porgendomi la mano.
Io mi alzai in fretta, mi rimaneva una sola pistola,
quella con il sonnifero. Guardai Matt ancora sconvolto e lessi nei suoi
occhi l’indecisione, non era quello il momento giusto per le sue
decisioni precipitose: era il momento delle mie.
Mi alzai e corsi nella stessa direzione dove si era allontanato Romeo.
Ryan osservò Zach stringersi il giubbotto antiproiettile, poi
infilarsi il casco e dire qualcosa Courtney prima di allontanarsi.
Lasciò la sua posizione accucciata e si alzò in piedi per
cercare di vedere meglio, ma era difficile avere una buona visuale con
quei palazzi squadrati ed alti; certo, per la fuga erano perfetti, ma
per un cecchino erano una maledizione.
Tirò fuori il suo cellulare dalla tasca ed
aprì la mappa di Synt, cercò la via dove si era infilato
Zach per capire dove stava cercando di andare, o per lo meno per capire
dove sportarsi per riuscire a tenerlo sott’occhio.
Si sfilò la maschera, ingombrante, tanto Matt
l’aveva scoperta, non aveva molto senso coprirsi. Quella
guerriglia urbana, celata e non celata secondo il volere di Romeo,
stava sfuggendo di mano a tutti. Si fermò a quattro passi di
distanza dal bordo del palazzo, si sistemò il fucile sulle
spalle e prese la rincorsa per saltare sul tetto vicino, tranquilla.
Mentre era in aria però, al paesaggio di Synt
si sovrappose l’immagine di qualcuno che la guardava dal basso,
qualcuno con un casco in testa.
Ryan rimase ferma per qualche secondo una volta
atterrata sull’altro tetto, con addosso la destabilizzante
sensazione che qualcosa le fosse sfuggito e, cosa più
preoccupante, fosse sfuggito a Romeo.
Si morse il labbro, poi si infilò di nuovo la
maschera, fece un paio di passi all’indietro e si sporse oltre il
bordo: Zach Douquette le fece “ciao, ciao” con la mano.
Aveva il casco, non poteva vedere il suo viso, ma sapeva che stava
sorridendo.
Lei continuò guardarlo valutando con calma la
situazione: aveva un casco, non aveva paura che potesse colpirlo alla
testa; aveva un giubbotto antiproiettile, quindi sapeva di avere tutti
gli organi vitali coperti. Ryan rabbrividì, non per il freddo, e
deglutì, ma non aveva la gola secca.
Il cellulare le vibrò tra le mani facendola sussultare, guardò lo schermo, era Romeo.
«Mi-mi sa che ho un proble…»
«Scappa!» ordinò.
«Come?» chiese.
«Scendi da quel palazzo e scappa più in
fretta che puoi.» spiegò più dettagliatamente.
«Ti prende. Non faccio in tempo, ma ci provo. Però tu
scappa.»
Riattaccò, lei si sporse di nuovo, ma Zach non c’era più… pessimo segno.
Tutta la situazione venne riassunta in cinque secondi nella sua mente.
Si tolse il fucile dalle spalle e lo lanciò
il più lontano che poteva, non aveva senso portarsi dietro un
peso inutile, non avrebbe avuto tempo per usarlo; saltò sul
tetto del palazzo vicino, proprio mentre Zach cercava di buttare
giù la porta che dava accesso a dove si trovava in quel momento.
Corse verso la scala antincendio ed iniziò a scendere, saltando
rampe intere di scale ogni volta che si sentiva abbastanza sicura.
Avere quindici anni ed essere una Veggente era un casino, la sua vita
era un insieme di metà: mezze visioni, mezza Veggente, mezza
sicurezza.
Da come la struttura di metallo iniziò a
tremare indovinò che Zach avesse appena preso la prima classe
per raggiungerla. Ne doveva fare di strada se voleva essere furtivo
come i Veggenti. Lo vide saltare giù dal terzo piano in modo da
incastrarla su quella scala e lo precedette: quattro piani di scale
erano troppi, perciò a malincuore si buttò dentro un
raccoglitore d’immondizia, per riemergere subito dopo sporca di
materiale compostabile, che le aveva comunque garantito un atterraggio
morbido.
Zach cadde una decina di secondi dopo, cosa che la
costrinse a riemergere dall’humus in fretta e correre.
Mai abbastanza in fretta.
Zach riuscì ad afferrarla per un gamba
trattenendola e facendola cadere. Ryan provò a strisciare in
avanti, ma Zach era abbastanza sveglio ed abbastanza testardo da non
lasciarla. Scalciò, ma con la testa coperta dal casco per lui
non fu un grande deterrente. Allungò le mani più avanti
che poté, tastando alla ricerca di un qualsiasi oggetto,
qualsiasi cosa avesse potuto usare come arma. Afferrò il
coperchio di un secchione dell’immondizia e si voltò per
sbatterlo sulla schiena del suo inseguitore, non era pesante né
robusto, ma era abbastanza grande da truffare le sue percezioni e
costringerlo a ripararsi.
Ryan non sprecò quella preziosa
opportunità: in un secondo fu di nuovo in piedi e scappò.
Ma non si illuse, lei era ancora in formazione, una specie di Veggente
part-time e Zach… era Zach.
Per un attimo si concesse di credere che Matt
sarebbe corso in suo aiuto, non avrebbe potuto mai permesso che le
facesse del male. Poi si ricordò che era un Vegliante, che lei
era una Veggente; l’unico che avrebbe potuto salvarla era Romeo e
le aveva già detto che non ci sarebbe riuscito.
L’avrebbero catturata di nuovo e stavolta non
le avrebbe dato alcuna scelta, l’ADP non era esattamente paziente
con chi creava tanti problemi quanto lei. Avrebbero testato
il Mitronio e sarebbe morta. Certo, ora il suggerimento di Romeo di
restare con Dawn le sembrò decisamente meno offensivo. Avrebbe
voluto averlo ascoltato.
Romeo sbucò fuori dall’uscita principale della centrale
elettrica, Courtney lo stava aspettando in posizione d’attacco.
La fissò tutta, poi lasciò andare un sospiro rammaricato.
«Fammi passare, non costringermi a farlo.» disse, a
metà tra un ordine ed una supplica cercando di proseguire.
Courtney si mosse insieme a lui e fece per dargli un
pugno. Romeo la schivò senza alcun problema,
l’aggirò; la ragazza fece per voltarsi, ma era in ritardo.
La gomitata di Romeo le arrivò alla schiena, improvvisa come una
coltellata ed anche altrettanto dolorosa. Per un attimo il dolore fu
tanto intenso da toglierle il fiato, cadde in ginocchio, poi a quattro
zampe appoggiandosi ai palmi.
Era la prima volta che la colpiva davvero, di solito
si limitava a disimpegnarsi da lei passivamente, senza mai fare sul
serio. Se ogni volta che si fossero scontrati l’avesse colpita
con tanta decisione, probabilmente avrebbe avuto molta più paura
di lui.
Romeo si fermò soltanto per schioccare le
dita, lo sentì distintamente nonostante il frastuono di Jared
che teneva impegnati i Veggenti, o forse viceversa. «Datele
cinque secondi.»
Chiuse gli occhi, quando li riaprì Jared le era accanto accucciato. «Court! Courtney!»
Lei lo guardò e basta.
«Stai bene?»
«D-devi inseguirlo… Zach…»
alzò lo sguardo, i Veggenti che fino a quel momento si era
illusa stessero intrattenendo, si rivelarono per quello che erano:
giochi da bambini, messi lì da Romeo solo e soltanto
perché si sentissero impegnati.
«Non credo che ci lasceranno passare.»
La cheerleader sbucò fuori dalla centrale
elettrica e guardò i Veggenti tentennando, sapeva che
l’avrebbe seguita. Courtney si alzò in piedi, facendosi un
breve check-up: stava bene, aveva solo preso una botta, se fossero
andati via abbastanza in fretta da lì e ci avesse messo il
ghiaccio non le sarebbe nemmeno rimasto il livido. Romeo sapeva come
fare male, ma anche come non procurare danni.
«Ti copriamo noi!» promise a Becky. «Vai!»
Non ricordavo l’ultima volta che avevo corso tanto a lungo e
tanto in fretta, forse non era mai successo. Anche i miei pensieri
correvano e non riuscivo ad interpretarli completamente: sapevo che in
quel momento stavo inseguendo Romeo per Zach, ma non ero del tutto
sicura che si trattasse dello stesso motivo per il quale mi ero alzata
da terra ed ero partita.
Continuavo a pensare a Rose, non volevo che Zach la
aggredisse: perché era una ragazzina; perché lui era
così più grosso di lei, da rendere il loro possibile
scontro impari e brutale come poteva esserlo quello tra un pesce rosso
ed una tigre; perché ricordavo molto bene il modo in cui mi
aveva guardata Romeo alla ferramenta, quando aveva temuto che potessi
spifferare l’alter ego di Rose. Le voleva bene e se Zach le
avesse fatto del male l’avrebbe ucciso.
L’unica cosa giusta da fare era sparare a
Romeo, imbottirlo di sedativi e permettere la sua cattura; la
situazione era perfetta e probabilmente irripetibile. Lo stavo
rincorrendo, ma il mio non era un inseguimento folle; avevamo un punto
d’arrivo, quando avremmo raggiunto Rose e Zach, Romeo si sarebbe
fermato ed io avrei avuto l’occasione di sparare.
Per un secondo riuscii perfino a sorridere: sarei
stata io a catturare Romeo. Niente male per una riserva delle
cheerleader bassa.
Forse se non fossi stata tanto distratta mi sarei
chiesta come facevo a sapere quale direzione seguire, visto che non lo
vedevo.
Non con gli occhi almeno.
Ryan strinse i denti e cercò di correre più veloce. Era
una Veggente, lo era davvero ed i Veggenti non si arrendevano. Quando
era arrivata lì era piccola e spaventata perché ricordava
tutte le volte che le avevano dato il Mitronio e si era sentita male.
Ricordava quando gli agenti erano venuti a casa sua, aveva una casa
così bella una cameretta tutta rosa, il suo coniglietto di
peluche… sporco di sangue.
Gli agenti dell’ADP non erano venuti per lei,
erano arrivati per i suoi genitori; ma loro non erano Veggenti della
stessa generazione di lei o Romeo, non erano pericolosi. Potevano avere
un intuito più sviluppato, ma non avrebbero mai fatto del male a
nessuno, non aveva senso catturarli.
Ma l’avevano fatto comunque, ignorandola
perché lei aveva soltanto undici anni… erano stati
sciocchi ed avventati: aveva undici anni, ma sapeva dove suo padre
teneva la pistola.
Avendo davanti due agenti dell’ADP feriti ed
una bambina di undici anni armata, non era stato difficile per chi era
accorso ad aiutarli, intuire che in quella ragazzina di undici anni
c’era molto altro.
Ero stata molto decisa finché le strade davanti a me si erano
rivelate vuote ad ogni svolta. Quale scusa migliore per non sparare
dell’assenza dell’obbiettivo? Per questo quando girai a
destra e vidi davanti a me Romeo rallentare lo feci anche io. Era
quello il momento in cui avrei dovuto premere il grilletto, lo sapevo,
ma… lo volevo davvero?
Romeo sollevò la mia pistola davanti a
sé, disegnando con il braccio la traiettoria che il proiettile
avrebbe seguito; dalla strada sulla quale si apriva il vicolo dove ci
trovavamo, Rose lanciò un grido d’aiuto.
Mi sembrò che i secondi iniziassero a
dilatarsi, il tempo si estendeva in quel silenzio rotto solo dai passi
di Rose e Zach che si inseguivano.
Puntai la mia pistola alla testa di Romeo. Avevo
capito il suo piano, avrebbe aspettato che Rose ci passasse davanti,
inseguita da Zach, ed avrebbe sparato a lui, che non si aspettava certo
quell’agguato. Quello era il mio momento, tutta me stessa, tutta
la mia essenza era dentro la canna dell’arma perfetta che mi
aveva costruito Matt.
Non avrei permesso che Zach fosse colpito dalla
stessa siringa di Mitronio che aveva già ucciso Iago. Anche se
Zach non correva alcun rischio, anche se non era un Veggente e non gli
avrebbe fatto niente, non volevo che quella porcheria entrasse nel suo
corpo. Potevo impedirlo.
Bastò quel lontano riferimento a Iago, a
farmi ricordare come mi avesse guardata con la mia siringa infilata:
deluso, arrabbiato, ferito.
C’era altro che potessi fare?
Rose sfilò davanti a noi, quasi si
buttò dall’altra parte della strada; come me, sapeva che
tutta la sua esistenza si decideva lì. Zach l’avrebbe
catturata e non se la sarebbe passata bene, era stata una delle
Veggenti più vicini a Romeo, l’ADP l’avrebbe
arrestata nonostante la sua giovane età.
Per non parlare di quello che sarebbe successo
proprio a lui, Romeo, il capo dei Veggenti. Questa volta me
l’avrebbero data davvero, una medaglia. Potevo anche scegliere di
non ucciderli io stessa, potevo scegliere il sedativo e non il
Mitronio, lasciare che se la vedessero con la giustizia, che fossero
processati; ma sapevo come sarebbe andata a finire: forse non avrei
avuto le mani sporche anche del loro sangue, ma avrei consegnato il
coltello al boia. L’unico modo per non essere responsabile della
loro vita o della loro morte era non essere una Vegliante… mi
venne quasi da ridere, ero un po’ in ritardo per quel treno.
Chiusi gli occhi e scossi la testa tornando a
dov’ero e, soprattutto, al perché c’ero: Romeo
avrebbe premuto il grilletto, quindi perché io non avrei dovuto
farlo?
Fui io la prima a rimanere sorpresa quando aprii gli occhi e sparai.
«Che vi è preso?» chiese Nate a Matt.
Lui lo guardò ancora sconvolto. «Hai mandato Zach a catturare Ryan?» gli chiese.
Nate annuì senza capire il suo turbamento,
milioni di volte avevano parlato di come fare, di come stanarla da quei
fantastici nascondigli nei quali Romeo la sistemava e
quell’occasione era perfetta: Jared e Courtney potevano
respingere la maggior parte dei Veggenti da fuori e quelli che
riuscivano a superarli avrebbero dovuto rischiare Becky, dopo la morte
di Iago ci avrebbero pensato un paio di volte prima di buttarsi a
capofitto contro di lei. Zach era libero di andare a cercare il
cecchino dei Veggenti, perché non approfittarne?
«Oddio…» mormorò Matt disperato posandosi una mano sugli occhi.
«Mi dici che succede?»
«È Rose!» sparò Matt senza più trattenersi.
«Chi?»
«Ryan è Rose.» cercò di spiegarsi meglio.
Nate rimase immobile ed in silenzio, stupito quando
lui. «Che cosa? Da quanto lo sai?» domandò
fissandolo: non l’aveva mai visto piangere e sapere che lo stava
facendo per colpa sua lo fece sentire in colpa.
Il suo compagno deglutì. «Dalla sera
del trasporto: è stata lei a tirarmi giù dal palazzo
prima che crollasse.»
Fece un passo indietro, quasi lo avesse colpito con
uno schiaffo. «Hai lasciato lì Lynn?» gli
domandò disgustato.
«No.» Matt scosse la testa in fretta e
deglutì. «Sai bene che non avrei mai potuto, Lynn era la
mia migliore amica, lo sapeva anche Ryan. Mi ha puntato una pistola
alla testa e mi ha detto che se non l’avessi seguita avrebbe
sparato a Lynn e Courtney, poi…» chiuse gli occhi.
«È caduta, l’ho presa al volo, ha balbettato…
ed era lei.»
Nate lo guardò: come caposquadra dei
Veglianti di Synt avrebbe dovuto sfruttare quella rivelazione a suo
vantaggio, presentarsi l’indomani alla ferramenta dove lavorava e
fare una retata; come amico di Matt avrebbe voluto proteggerla,
insabbiare tutto e trovarle un alibi, un motivo per farla uscire dal
paese sarebbe stato ancora meglio.
Sospirò. «Mettiamo a posto la centrale elettrica, poi pensiamo al resto.»
Matt annuì e si asciugò il viso con le
mani, ricominciando a svitare un bullone dopo l’altro.
«Avresti dovuto dirmelo.» lo
rimproverò Nate, sperando, per la prima volta da quando era a
Synt, che Zach fallisse.
Romeo si voltò verso di me, non l’avevo mai visto e non
l’avrei più visto tanto incredulo quanto in quel momento.
Io continuai a fissare Zach, che incespicò e cadde a terra svenuto.
Lasciai che il braccio mi ricadesse lungo il fianco,
la stupenda, leggerissima pistola costruita da Matt in quel momento mi
sembrava pesasse una tonnellata: che avevo fatto?
Ryan, Rose, lei
si sporse oltre il vicolo e si sollevò la maschera bianca sopra
i capelli, mi guardò curiosa, sorpresa… riconoscente.
«Perché lo hai fatto?» mi domandò Romeo stupito.
Spostai lo sguardo su di lui, ansante alla ricerca
di ossigeno, come se avessi potuto assaggiare la risposta
nell’aria intorno a me. Avevo sparato a Zach.
«Io…» scossi la testa e deglutii.
«Non lo so… io ho…» fissai lo sguardo su
Rose. «Ho avuto paura.» era vero, ma era sbagliato comunque.
Romeo indovinò subito il nocciolo della
questione, assottigliò lo sguardo studiandomi. «Per
chi?»
Guardai il corpo scomposto di Zach colpevole, poi
incrociai di nuovo gli occhi di Rose. «Per lei.» ammisi.
Come avevo potuto sparare a Zach? Per salvare una Veggente poi?
Romeo si avvicinò guardingo, non del tutto
sicuro della mia versione. Però mi porse la pistola con il
Mitronio ed il suo palmo vuoto. «Ho sparato io a Zach.»
disse, io deglutii e ci scambiammo le armi; la impugnò e
sparò un colpo a vuoto, contro il muro, poi la tirò
davanti a noi. «Spara lì.» disse indicandomi un
punto vicino al corpo fuori gioco di Zach, obbedii.
«Tu mi hai mancato.»
«Nate sa che pistola avevo.» dissi quasi
in trance, continuando a tenere gli occhi su Zach a terra, consapevole
che ero stata io ad atterrarlo. Colpevole. Traditrice.
«Nate non ti tradirà mai.»
Spostai lo sguardo su di lui. «Zach mi ha vista.» continuai.
«Non puoi saperlo.» disse Rose cercando di incoraggiarmi.
Ma capii di aver ragione da come Romeo mi
guardò, freddo. «Non posso aiutarti: ti ho dato le mie
impronte e ti lascio andare perché non mi hai sparato. Siamo
pari. Non farò altro per te.»
Deglutii. «Devo chiamare Courtney.»
mormorai, di certo io non sarei riuscita a portare Zach fino alla
centrale, mi serviva il telefono. «Non ho il cellulare.»
era un po’ che non ce lo avevo tra le mani: dov’era andato
a finire?
«Il suo è nella tasca interna della giacca.»
Si voltò e si incamminò verso Rose che lo aspettava all’imbocco del vicolo.
«Perché l’ho fatto?»
Romeo non si voltò, sventolò una mano
nell’aria. «Lo sai perché.» rispose soltanto
prima di rivolgersi a Rose. «Avverti gli altri, ce ne
andiamo.»
Rimasi immobile, stordita: cosa avevo fatto? Zach mi
avrebbe ucciso, denunciata all’ADP, per non parlare di quello che
mi avrebbe fatto Courtney… che mi era venuto in mente,
perché l’avevo fatto?
Raggiunsi Zach. Ero stata brava, ero riuscita a
sparargli esattamente nello spazio del collo lasciato libero dal casco
ed il giubbotto, brava come una Veggente. Gli sfilai via la fiala ormai
vuota, poi il casco, se non avessi saputo quello che avevo fatto
sarebbe sembrato addormentato.
Improvvisamente ebbi paura e gli avvicinai le dita
al naso, con il cuore in gola finché il suo fiato non mi
riscaldò i polpastrelli. Mi scivolò una lacrima sul viso
mentre realizzavo di essere tanto sciocca da deprimermi, perché
sospettavo che il giorno dopo Zach non avrebbe più avuto voglia
di fare qualcosa di normale con me.
Scossi la testa, forse aveva ragione quando mi aveva
detto che non c’era tempo per l’amore a Synt.
Gli sciolsi le fibbie del giubbotto antiproiettile
con calma, poi infilai le mani sotto per abbassargli la zip della
giacca. Non avevo voglia di pensare al presente, così mi nascosi
in una fantasia perdendomi ad immaginare a come sarebbe stato bello se
Zach fosse stato sveglio, se si fosse lasciato toccare e spogliare
così non perché era svenuto o malato, ma semplicemente
perché saremmo stati tanto intimi da rendere quei gesti normali
e naturali.
Le mia mani si strinsero intorno al suo cellulare, lo tirai fuori e cercai in rubrica il numero di Courtney.
Mi accostai il telefono all’orecchio ed aspettai.
«Zach?» rispose lei dopo un po’.
«Sono Becky.» la corressi tirando su con
il naso. «Romeo ha colpito Zach con la mia pistola, quella con il
sedativo.» spiegai.
«Sai, dirmi dove sei?» mi
domandò. Non sembrava troppo agitata, in fondo si trattava solo
di sedativo, doveva essersela passata molto peggio di così in
passato.
«No.» avrei dovuto imparare ad orientarmi.
«Okay, non preoccuparti.» mi tranquillizzò. «Ti troviamo con il GPS.»
Mi sorpresi di come fosse comprensiva, scossi la
testa mentre mi invitava a rimanere al telefono con lei, probabilmente
immaginava che fossi sconvolta ed era per quello che stavo
piagnucolando: se avesse saputo quello che avevo fatto sarebbe
già stata lì ad uccidermi.
Mi accovacciai a terra e strinsi le ginocchia al
petto, appoggiandoci sopra la testa mi misi a guardare Zach, come il
suo torace si alzasse ed abbassasse ad ogni respiro. Courtney
continuava a parlare, mi diceva che stavano tutti bene, che aveva
avvertito Jean, che stavano venendo a prendermi; io avrei voluto
evitare quel momento ancora a lungo, non ero pronta ad affrontarli, non
volevo.
Le dita di Zach tremarono, allungai la mano e le strinsi.
Mugugnò e quando guardai di nuovo il suo viso
le sue palpebre si mossero, si sollevarono appena, ma i suoi occhi
verdi mi fissarono anche da quella fessura. «Tu.»
mormorò piano.
Chiusi gli occhi.
«Sei stata tu.»
Non sapevo quanto il sedativo che era nelle mie
pistole fosse forte, evidentemente non li addormentava del tutto, ma so
che lui usò tutta la forza che aveva per allontanare la sua mano
dalla mia.
Ryan scrollò la mano e Romeo fu costretto a lasciarla. Non si
voltò, aveva visto quel momento, conosceva quella conversazione
e la cosa non lo eccitava particolarmente.
«N-non puoi uc-ucciderla.» disse risoluta.
«Eventualmente potrei decidere di non volerlo fare.» la corresse lui.
Ryan lo ignorò. «Mi ha salvato l-la
vita.» gli ricordò. «Non ti permetterò di
farlo.»
Questa volta Romeo si voltò a guardarla.
«Okay, senti, non ne siamo proprio sicuri. Magari ha
semplicemente mancato il bersaglio.»
La ragazza gli avvicinò affatto intimorita,
era una Veggente, il mondo era suo: lo rispettava, non gli ubbidiva.
«Io non manco il bersaglio.» disse chiara, senza
balbettare. «E lei è come me.»
Romeo la studiò senza dire niente, che
avrebbe potuto dire? Aveva ragione, sarebbe la stessa conclusione alla
quale sarebbe giunto lui, se Rebecca Farrel non avesse ucciso Iago.
Ryan sembrò leggergli nel pensiero.
«Ha-a sbagliato. Su-succede!» la difese. «C-ci sono
delle regole: se un Vegliante salva un Veggente, n-non importa quanto
gravi le sue colpe, v-viene salvato.»
Romeo sospirò fissandola, mandò una
maledizione telepatica a Jamie Ross, perché era sicuro che il
suo predicare continuamente la salvezza di Rebecca Farrel, solo
perché si era preso una cotta per lei, avesse in qualche modo
contagiato la sua fedelissima Ryan. Se lo immaginò ridere quando
avrebbero spiegato agli altri quel cambio di rotta repentino.
Non che spasimasse per fare fuori la ragazzina, per
carità, ma avrebbe voluto che la sua redenzione fosse più
sofferta: non sapendolo la cheerleader si era comprata
un’indulgenza.
«E va bene!» la indicò con il
dito. «Ma se Zach muore me la prenderò con voi!»
non voglio commentare...
spero di avervi sorprese abbastanza da voler leggere in fretta il
prossimo capitolo, perchè io vi giuro che non vedo l'ora di
scriverlo!
quindi, fatemi sapere che ne pensate...
baci
ps. vi prego, ditemi che avete notato l'aggiornamento più celere del solito!
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Capitolo 22 *** 21. Un coltello e una pistola ***
MSC19
fragolottina's time
lettrucciole, non so bene come
introdurvi questo capitolo, come giustificarvelo... così vi
dirò semplicemente come è stato per me: scriverlo
è stato bellissimo, mi ha fatto sentire così bene,
è stato piacevole, divertente e... oh insomma! non sono sicura
che vi piacerà e non sono sicura che capirete i loro
comportamenti, ma non lo cambierei per niente al mondo, mi piace e lo
so che le lettrici siete voi ed io la scrittrice, ma mi piace... che
devo dirvi?!
davvero, spero che piaccia anche a voi, anche solo la metà di me!
baci
ps. grazie per la calorosa risposta al capitolo precedente, a tutte.
quando si arriva al momento topico di una storia come questa è
difficile prevedere la risposta delle interlocutrici - Romeo lo
prevederebbe, ahimè - quindi il vostro entusiasmo è stato
una sorpresa bellissima!
21.
Un coltello ed una pistola
«Devo alzarmi.» biascicò Zach.
Courtney girò la pagina del libro che stava
leggendo senza prestargli particolare attenzione. «Il sedativo si
smaltisce in quattro ore, abbi pazienza.»
«Poi starò bene?» le domandò.
«Anche meglio di prima.»
Mugugnò e rabbrividì. Questa volta
Court gli lanciò un’occhiata, si allungò verso di
lui e gli tirò le coperte oltre la spalla. «Dormi, resto
sveglia io.»
Zach chiuse gli occhi per farla contenta. «A parte me, come è andata?»
«Nate si è ripreso la centrale
elettrica ed è parecchio soddisfatto. Quindi direi, missione
compiuta.»
«Court, mi devo alzare.» ripeté.
Lei sbuffò. «Hai così tanta fretta?»
«Devo andare in bagno.»
La ragazza lasciò il suo libro sulla sedia e
si alzò, lo aiutò a mettersi seduto. Per alcuni secondi
Zach rimase fermo, la testa aveva fatto un giro su sé stessa
decisamente vorticoso.
«Pensi di riuscire a stare in piedi davanti al
water o vuoi che chiami Jared?» gli chiese con tutta la
delicatezza del caso, ma a sopracciglia sollevate.
Lui assottigliò lo sguardo. «Sei molto
premurosa, Court, ma sento di essere ancora in grado di pisciare da
solo.»
«Okay, camminare ti farà bene.»
Lo aiutò a saltare giù dal lettino, si
passò il suo braccio sopra le spalle e gli cinse la vita, per
farlo appoggiare.
«Dov’è la mia maglietta?»
chiese Zach realizzando in quel momento di essere seminudo.
«Eri caduto di fianco, volevo essere sicura
che la spalla stesse bene. Era la stessa che ti eri rotto.»
spiegò pratica, mentre lo aiutava a camminare lentamente verso
il bagno.
Rimase in silenzio a lungo prima di porre la domanda
seguente. «La cheerleader?» non riusciva a togliersi dalla
mente l’immagine di lei che lo fissava, seria, e sparava.
«Silenziosa, penso si sia spaventata.»
Per un attimo fu sul punto di dirglielo, era furioso anche dietro gli strati nebulosi del sedativo: è colpa sua se sto così, se c’è qualcuna che deve aiutarmi a pisciare è lei.
Ma non lo fece: Court non avrebbe perdonato che qualcuno gli facesse
del male, sarebbe corsa da Jean ancora prima che finisse di raccontare.
Prima di metterla alla forca, voleva avere il tempo di farci due
chiacchiere.
Nate mi raggiunse in palestra. Zach era stato sistemato in infermeria
sotto l’attento controllo di Courtney, tutti avevano creduto alla
mia versione dei fatti senza problemi, chi mai avrebbe potuto pensare
che io, proprio io, quella che in definitiva sbavava quando Zach
passava, avrebbe potuto sparargli? Era folle. Solo Matt e Nate erano
rimasti in silenzio.
Matt si era avvicinato a me quando gli altri erano
distratti, mi aveva abbracciata fortissimo e “Grazie”,
aveva sussurrato al mio orecchio. Almeno per qualcuno avevo fatto
qualcosa di buono.
Nate si sedette accanto a me, sul tapis roulant di
Zach. «Matt mi ha raccontato tutto.» iniziò
aggiustandosi gli occhiali sul naso.
Non risposi, non avrei saputo cosa dire.
«Capisco perché l’hai fatto e non
so come mi sarei comportato al tuo posto.» si leccò le
labbra. «Non ti denuncerò all’ADP. Anzi ho scaricato
le registrazioni dalle telecamere e le ho distrutte. Ma se Zach nella
sua versione ti accuserà, non potrò fare molto in
proposito.»
Lo guardai, sembrava davvero dispiaciuto.
«Stai già facendo molto.» lo rassicurai. La
realtà era che quando avevo premuto il grilletto non avevo
pensato alle conseguenze. Anzi peggio, l’avevo fatto, era inutile
continuare ad illudermi del mio mancato giudizio; avevo analizzato
tutto attentamente ed avevo deciso che lui sedato era il male minore.
Non avevo pensato a me però, questo era vero. A quel punto io
ero al posto di Rose, sulla corsia preferenziale per “una brutta
fine”.
Nate si voltò verso di me. «Becky,
dovete parlarmi di certe cose. È vero che sono il Caposquadra,
ma se avessi saputo chi era Ryan stai certa che non avrei mandato Zach
a prenderla.» mi rimproverò.
Sospirai. «E cosa sarebbe cambiato,
Nate?» gli domandai. «Cos’è, li avremmo
catturati tutti tranne lei?» continuai a chiedere. «E se
avessimo scoperto… che ne so… che anche la Lindsey di
Zach è diventata una Veggente?» scossi la testa.
«Siamo Veglianti, il nostro scopo resta lo stesso. Se Zach parla
io sarò una traditrice, non interessa a nessuno perché
l’ho fatto o quanto Matt sia innamorato.»
Nate si infilò le mani nei capelli.
«Non so che fare.» confessò. «La realtà
è che non avrei davvero saputo cosa fare se tu non avessi
sparato a Zach.»
«Io non so fare ora
che ho sparato a Zach.» precisai, più seccata di quanto
avrei voluto apparire, ma ero nervosa. Per quanto Zach potesse volermi
bene, non era stupido: denunciarmi sarebbe stato lecito, poteva
tranquillamente pensare che volessi farlo fuori nel sonno.
«Parlagli.» mi suggerì. «Ti
vuole bene, non credo che sia particolarmente eccitato all’idea
di consegnarti all’ADP.» ipotizzò.
Parlare con Zach dopo avergli iniettato una siringa
di sedativo… mm… era già difficile quando
discutevamo il mio ruolo all’interno della squadra. Quella sera
avevo buttato all’aria la sua missione un attimo prima che
potesse compierla, sarebbe stato così furioso da sbattermi la
testa al muro fino a romperla e capire finalmente cosa c’era che
non funzionava là dentro.
«Perché hai avuto paura quando Romeo mi ha puntato contro la pistola con il Mitronio?»
Nate rimase in silenzio per parecchi secondi,
sospettavo che ci avesse riflettuto a lungo anche lui, ma che non
avesse trovato risposte soddisfacenti. «Becky, sei mai entrata in
contatto con il Mitronio?»
Scossi la testa, anche se una parte lontana della mia mente protestò.
«È un esperimento che possiamo fare.
Qui, sotto controllo, ad una densità ridotta; non durante una
missione, iniettato da Romeo, ad una densità che stende un
Veggente.»
Si alzò.
«Pensi che io sia una Veggente, Nate?» chiesi prima di poterci ripensare.
Lui lasciò andare una risata, si strinse
nelle spalle e mi lanciò un’occhiata divertita. «A
volte penso io stesso di esserlo!» scosse la testa. «Fino a
quanto l’intuito può definirsi tale e quando diventa
veggenza?» chiese, più a sé stesso che a me.
«Non lo so, Becky, non mi interessa.»
Sorrisi, era così ingenuo sperare che Zach
fosse altrettanto spensierato circa quello che avevo fatto?
Finché riuscii a crederci mi dissi di no.
«Parla con Zach.» ripeté.
Annuii, se mi avesse fatta parlare avrei cercato di spiegarmi.
Fece alcuni passi, ma ci ripensò e
tornò ad accucciarsi davanti a me. «Se per qualsiasi
motivo l’ADP lo scopre e minaccia di venire a catturarti, ti
farò scappare. Posso farlo e lo farò: è una
promessa.» sussurrò.
«Grazie.»
Mi sorrise. «Cerca di dormire un po’, ti farà bene.»
Decisi di accettare il suo consiglio, ma guardai il
tavolo sul quale avevo lasciato le due pistole, dopo aver recuperato
quella che Romeo aveva lanciato. Ero in guerra fredda domestica, non
sarebbe stato male dormire sicura.
«Becky.»
Sollevai lentamente le palpebre e guardai Zach
seduto sul mio letto. Avevo pensato di inchiavare la porta, avevo
ipotizzato che l’avrebbe buttata giù; mi ero suggerita di
andare a riscuotere un favore da Matt – visto, che me ne doveva
almeno uno – e dormire con lui, ma la parte meno vigliacca di me
mi aveva fatto notare che quel momento sarebbe arrivato comunque. Aveva
senso rimandare?
I miei occhi si abituarono in fretta alla penombra,
dovevano essere circa le prime ore del mattino, il cielo era chiaro.
Capii subito di cosa si trattava, quando fece dondolare un oggetto
davanti a me: le chiavi della mia stanza.
«Abbiamo bisogno di intimità,
cheerleader.» mi spiegò prima di infilarsele nella tasca
destra dei pantaloni. Cercai di concentrarmi su quello, perché
se fossi dovuta uscire quella chiave mi serviva.
Rimasi sdraiata immobile, ma infilai una mano sotto
il cuscino, indecisa su come comportarmi: se voleva spiegazioni gliele
avrei date, gli avrei raccontato tutto quello che era passato nel mio
cervello da quando Romeo aveva pronunciato la frase “Solo
perché ho fretta”; ma se non voleva, se era lì
soltanto per ripetere la mia colpa… beh, avrei cercato di
costringerlo ad ascoltarmi. Anche se combattuta, io sapevo di aver
fatto la cosa giusta ed ero sicura che, se si fosse fermato a pensarci,
l’avrebbe capito anche lui.
«Voglio spiegarti, Zach.» dissi
lentamente, ma il mio sguardo fu attirato da qualcosa che luccicava: la
lama del suo coltello che continuava a rigirarsi tra le dita. Deglutii
e sospirai, lui non voleva lasciarmi parlare.
La mia mente si affollò di immagini passate,
una specie di riassunto delle puntate precedenti a ipervelocità
e in HD: Romeo e Zach che discutevano, Romeo che prendeva la lama e la
tirava lontano, Romeo che mi inseguiva e mi ficcava un dito in bocca,
io che vomitavo.
Nel coltello di Zach c’è il Mitronio: sono una Veggente.
Strizzai gli occhi e scossi la testa: non era quello
il momento più opportuno per assentarsi dal presente.
Strinsi la mano intorno al calcio della mia pistola
sotto il cuscino, ma non feci in tempo a tirarla fuori. Zach si
allungò in fretta su di me e strinse le dita intorno al mio
polso, bloccando il mio braccio contro il cuscino. Era tanto vicino che
sentivo il suo peso addosso, quasi del tutto sdraiato su di me; lo
guardai, i suoi occhi sui miei, i nostri nasi si sfioravano.
Se ne accorse anche lui perché, quando mi
appoggiò la parte piana del coltello al collo, tirò poco
indietro il viso.
«Non ci provare.» sussurrò a voce
bassa. I suoi occhi corsero dai miei alla mia bocca, per poi tornare ad
incrociare il mio sguardo. Deglutii ed il freddo del metallo mi fece
rabbrividire.
La sua mano allentò leggermente la presa sul
mio polso, niente segni, ma non mi sarei potuta muovere comunque.
«Sei in combutta con Romeo?» domandò.
«No.» risposi semplicemente. «Sai che non lo sono.» precisai.
«So solo che hai sparato a me invece che a lui.»
Cercai di divincolarmi, dopotutto avevo la
metà inferiore del mio corpo libera. Senza lasciare i miei
occhi, Zach scivolò meglio su di me incastrando il mio bacino
tra le sue ginocchia, in modo da precludermi qualsiasi
possibilità di dargli fastidio. «Vedi, a passare la vita a
farsi sovrastare da Romeo si impara molto.»
Sbuffai e lui rise, cattivo. «Ricominciamo,
vuoi?» propose. «Perché mi hai sparato?»
Voltai il viso da una parte: non avrebbe mai creduto
che avessi sbagliato mira, dovevo trovare qualcos’altro.
«Romeo ti avrebbe ucciso.» dissi senza guardarlo.
Zach mi stava fissando, pensai che i suoi occhi
potessero vedere il sangue pulsare nelle mie vene. Infilò il
coltello nello scollo della maglia sopra la mia spalla e tirò;
la stoffa si aprì in due lembi come se fosse stata carta.
«La prossima volta sanguini, stai bene attenta a quello che dici.
Non sono esattamente di buonumore.» mi avvisò e scosse la
testa. «Potevi sparare a lui, si chiama gioco di squadra, Becky:
tu avresti catturato Romeo, io Ryan.»
«Io non volevo che tu catturassi Ryan.»
dissi sincera, lo osservai, trovavo improbabile che mi avrebbe tagliata
volontariamente, ma vista la situazione era meglio non rischiare.
Qualcosa nel suo sguardo si fece più attento,
riflessivo, stava prendendo in considerazione l’ipotesi che
dicessi la verità. «Perché?» chiese ancora.
«Perché era una ragazzina!»
«Era una Veggente!» precisò avvicinando di nuovo il viso.
Voltai la testa e chiusi gli occhi, era troppo
vicino perché il mio cervello non sfarfallasse. Avevo lo stomaco
così annodato da avere la nausea. «Piccola come me. Tu
saresti andato in bestia se Romeo se la fosse presa con me.» gli
feci notare sempre ad occhi chiusi. Con la mano libera raggiunsi il suo
fianco con l’intento di spingerlo via, ma quando fui lì,
quando le mie dita premettero la stoffa della sua maglietta fino a
sentire la consistenza della sua pelle tesa sui muscoli, riuscii solo a
stringerlo. E fu insoddisfacente lo stesso perché io volevo
baciarlo, avrei dato tutto quello che avevo per poter poggiare le mie
labbra lì. Mi vidi farlo mille e lo vidi sospirare altrettante.
Lasciai andare un gemito che sperai potesse sembrare
di fastidio. «Zach, togliti!» supplicai stringendogli di
più il fianco.
Per mezzo secondo trattenne il respiro e tese i
muscoli delle gambe, poi la presa sul mio polso: se anche mi stesse
facendo male non ero in condizioni di capirlo. Pensai che fosse per non
far muovere me, poi capii che era per non muoversi lui stesso. Lo vidi
chiudere gli occhi, respirare piano, riaprirli. Avrei voluto toccarlo
ovunque.
«Io sono andato in bestia quando Romeo se l’è presa con te. L’avrei ammazzato. Ed avrei ammazzato anche quella scimmietta di Ryan.»
Ripiegai le ginocchia, infastidita da quella forzata
immobilità e vicinanza, mi divincolai sotto di lui. «E
saresti stato tale e quale a lui: un mostro!»
Zach era ovunque. Sopra di me, contro di me,
stampato all’interno delle mie palpebre abbassate, il suo odore
mi riempiva le narici e mi annebbiava la mente. Guardò i miei
fianchi muoversi tra le sue cosce, poi si lanciò
un’occhiata alle spalle, per controllare che non mi fossero
venute strane idee, e tornò a me. Infilò la lama del
coltello sotto la spallina del mio reggiseno, lasciata scoperta dalla
maglietta tagliata, e lo lasciò lì, poi mi prese il mento
tra le dita e riportò il mio viso davanti al suo. Le sue mani
erano ruvide, ma i suoi movimenti no, c’era una delicatezza
studiata nei suoi polpastrelli; le sue dita seguirono la linea della
mia mascella sfiorandomi lo zigomo, scesero all’angolo delle mie
labbra.
Nella mia mente c’erano così tante
immagini che si affollavano che sarebbe stato impossibile decifrarle:
visioni? Sogni? Desideri? Difficile a dirsi, l’unica
sicurezza era Zach, la sua presenza era il perno attorno al quale
girava tutto.
«Quel mostro l’hai salvato!» la
sua voce arrivò alle mie orecchio come un ringhio basso,
c’era qualcosa nel suo respiro che mi fece rabbrividire, era
pesante, denso, umido. Non era come l’ultima volta che avevamo
discusso in garage, quando era stato controllato e freddo, in quel
momento lui sapeva che ero una ragazza. Ed era la prima volta che mi
toccava con quella consapevolezza.
Pensai di bruciare. Ero così calda che temetti di scottarlo dove le nostre pelli si strusciavano.
Eravamo così
vicini e l’idea che lo sapesse anche lui, che ne fosse
consapevole quanto me, mi dava alla testa. Sporsi il viso verso il suo,
fu inevitabile, mi sentivo febbricitante, sarei morta se non lo avessi
fatto. Zach sospirò, un suono che sembrò quasi doloroso,
una resa obbligata; le sue labbra si aprirono e richiusero sulle mie
con una lentezza esasperante. Assorbii la loro consistenza, il loro
sapore ed il loro odore come una spugna. Qualsiasi cosa ci fosse nella
mia pancia sparì, istantaneamente, e mi gridò a gran voce
che c’era spazio per lui dentro di me, c’era sempre stato.
Mi spinse di nuovo contro il materasso tenendomi
ferma per la base del collo e si leccò la bocca.
«Rispondi.» disse come se niente fosse successo.
Ma era successo tutto, mi morsi le labbra. «Zach.» miagolai.
«No! Parla!»
Presi fiato e chiusi gli occhi, la mia mente si
sgombrò, niente più immagini estranee. Deglutii.
«Allora?»
Riaprii gli occhi, determinata a restare presente e
lucida. Qualcosa si faceva strada attraversò
l’eccitazione, attraverso il desiderio che mi faceva fremere; non
erano parole, ma io capivo: Zach doveva credermi, doveva fidarsi di me,
o l’avrei perso. E non potevo, non volevo, fosse stata
l’ultima cosa che avrei fatto in vita mia, lui mi avrebbe
ascoltata ed avrebbe capito. «Che sia una Vegliante o una
Veggente, è sbagliato che un ragazzo grande e grosso come te
picchi una ragazzina che è la sua centesima parte. E non volevo
che fosse processata, accusata ed uccisa.» lasciai il suo fianco
per spostare la sua mano dalla base del mio collo, mi appoggiai al
gomito e mi tirai su, talmente sicura delle mie argomentazioni da
sentirmi più forte.
«Avrebbe potuto accettare il Mitronio.»
ribatté. Mi lanciò uno sguardo ammonitore, poi mi tolse
la pistola dalle dita e la tirò oltre il letto; io sfilai il
coltello dalla mia bretellina e lo lasciai cadere sul pavimento.
«E perché sarebbe qui, allora?»
domandai. «Sparare a te era l’unico modo per
salvarla.» senza staccare gli occhi dai suoi, cercai la tasca
destra dei suoi pantaloni e ci infilai le dita.
Zach trattenne il fiato, il suo sguardo divenne
ardente, mi afferrò la mano prima che potessi infilarla del
tutto. «Becks.» mi ammonì con urgenza.
Deglutì. «Salvare una Veggente è tradimento.
Sparare ad un Vegliante per farlo, lo è due volte.» mi
ricordò, ma non ero del tutto sicura che il suo primo
avvertimento si rifacesse a quel discorso.
«Allora perché non sei da Jean ad informarla?» gli domandai risoluta.
Strinse i pugni, ma non mi toccò. «Mi fai venire voglia di strozzarti.» sbottò.
Lo guardai, scossi la testa piano, piano e lo fissai, apertamente senza misteri. «Non ti credo.»
Zach mi afferrò le mani e con il peso del suo
corpo mi costrinse a sdraiarmi di nuovo, tenendo le mie braccia in alto
insieme alle sue. Le sue labbra sfiorarono le mie, umide e scivolose e,
prima che me ne rendessi, conto avevamo entrambi le bocche dischiuse ed
il respiro corto. Aprì le dita lasciando liberi i miei polsi,
avrei potuto spingerlo via, probabilmente si sarebbe lasciato
allontanare, ma scelsi di aggrapparmi alle sue spalle, di cercare la
sua pelle sotto la maglia, come stava già facendo lui. Non era
più a cavallo su di me, ma sdraiato e quando inarcai il corpo
lui rispose alla pressione del mio bacino, spostando la mano sul mio
fianco nudo. Sospirai, lui mi morse le labbra un’ultima volta e
mi guardò, puntellato sui gomiti.
«Certo che non mi credi.» mormorò
mentre con le dita sfiorava la linea della mia clavicola, mi diede un
altro bacio, poi si allontanò e i suoi occhi si congelarono
nella delusione. Quello sguardo fu peggio delle sue accuse, del
coltello, del suo interrogatorio. Mi sentii così nuda da correre
a sollevare il lembo della maglietta strappata, anche se non mi stava
guardando.
«E per questo ti odio.»
Mi toccai le labbra con l’altra mano, ancora umide di lui.
Lasciò andare una risata amara e scosse la
testa. «Stai qui a farmi discorsi morali su ciò che
è giusto e sbagliato, come se fosse tutto qui.» si tolse
da sopra di me e si risedette com’era stato all’inizio di
quella folle conversazione, accanto a me. «Non è tutto
qui, non è solo perché hai sparato ad un Vegliante,
Becks. È perché hai sparato a me.» mi lanciò
un’occhiata, disgustata e ferita. «Come hai potuto?»
Sarei voluta scoppiare a piangere, mi trattenni.
«Ho dovuto.» mormorai con voce rotta, perché non
c’era nient’altro che potessi dire.
«Hai. Dovuto.» ripeté scuotendo
la testa a mani giunte. «Io dovrei, non tu.» scrollò
le spalle e mi lanciò un’occhiata. «Io non ti ho
strozzato stanotte.»
Quando Jean aprì la porta della sua stanza trovò Zach
seduto per terra appoggiato al muro davanti a lei. Si guardarono, Jean
cercò nella sua mente un aggettivo per descriverlo,
l’unico che le venne in mente fu sgualcito.
«Stai bene?»
Annuì.
«Hai dormito un po’?»
«No.» si schiarì la voce e si
alzò, lentamente. «Devi scrivere il rapporto, ti serve la
mia versione.»
Jean fece un passo indietro e liberò
l’uscio in modo che lui potesse entrare, lo osservò
avvicinarsi e sedersi sulla sedia davanti allo smartable, rigido. Lei
si tirò indietro i capelli e lo raggiunse, si sedette davanti a
lui; aprì una pagina nuova e mise le dita sulla tastiera.
«Allora, raccontami che è successo.»
Zach prese fiato, aprì la bocca, ci
ripensò, aspettò. «Nate non mi aveva detto
esattamente cosa fare.»
«Sì, me lo ha spiegato.»
«Comunque poi ho capito che voleva il
cecchino, Jared e Court se la cavavano così li ho lasciati
lì. All’inizio andava bene, in realtà l’avevo
quasi raggiunta.»
«E poi?» gli chiese lanciandogli un’occhiata.
Sospirò. «Poi mi hanno sparato.»
«Chi?»
Zach rimase zitto.
Jean lasciò la tastiera e si appoggiò
alla scrivania a braccia conserte. «Zach, raccontami come
è andata.» lo incoraggiò, comprensiva e paziente.
Aprì gli occhi indeciso. «Che succede se dico che è stata una Vegliante?»
«L’ADP aprirà un’inchiesta. Faranno delle indagini, la interrogheranno.»
«L’arresteranno?» domandò.
«Solo se le sue motivazioni non risulteranno in linea con la nostra missione.»
«La uccideranno?»
«Non ufficialmente.»
Zach rimase zitto per un lungo momento, gli occhi
fissi in quelli di Jean. Si appoggiò allo schienale della
poltrona e lasciò andare un lungo sospiro. La situazione di
Becky non si limitava a quello, sulla pistola che aveva usato lei
c’erano le impronte di Romeo e sospettava che fossero un regalo;
se l’avesse accusata avrebbe dovuto dire anche che Romeo aveva
cercato di coprirla: sarebbe stata davvero una condanna a morte.
«Mi ha sparato Romeo.» si fermò,
prese fiato. «Lei ha provato a colpirlo, ma era Romeo.»
spiegò semplicemente ad occhi bassi. «Stavo per
raggiungere Ryan, non sapevo che era nel vicolo e quando gli sono
passato davanti... beh, lo sai, no?»
Jean annuì soddisfatta. «Altro?»
Zach non incontrò il suo sguardo quando scosse la testa.
Lei compilò tutto in silenzio e lo
stampò, gli diede una penna perché lo firmasse e lo vide
esitare. «Non c’è bisogno di chiamare in causa
l’ADP.» osservò
«Non se non me ne dai motivo tu.» disse.
«Certo, un peccato che Romeo non avesse la pistola con il
Mitronio, non ti avrebbe fatto niente.»
Zach stava per risponderle qualcosa, osservando che
Romeo non era tipo da prendere la pistola sbagliata a caso, quando
quella affermazione stupì anche lui: in fin dei conti Romeo
avrebbe voluto sparargli il Mitronio, c’era partito. Fissò
Jean. «Già.» concordò a bassa voce.
«Non c’è altro, suppongo.»
Chiuse gli occhi per un secondo, per un secondo si
diede dell'idiota: stava davvero coprendo la stessa ragazza che gli
aveva sparato? Sfogliò le pagine del rapporto e firmò.
Jamie Ross lasciò andare un lamento raggiungendo Romeo. «Diavolo, speravo di vedere un po’ di sesso.»
Lui gli lanciò un’occhiata e rise. «Tu hai dei problemi, problemi grossi!»
Jamie tirò fuori un pacchetto di sigarette
dalla tasca e se ne accese una, per poi passare il resto a Romeo.
«Tutto sommato è andata bene.» considerò.
«Insomma.» disse indecifrabile.
«Comunque ho deciso: va bene.» continuò, si accese
una sigaretta pensando che doveva smettere come faceva sempre. Poi rise
tra sé, che abitudine stupida, l’incidenza di tumore nei
Veggenti era talmente bassa da poter essere tranquillamente arrotondata
a zero.
«Cosa?» chiese Jamie.
«Becky ha salvato Ryan, si è comprata la sua vita.»
«Te lo avevo detto.»
«E tutti e due sappiamo quanto ti piace avere
ragione.» Romeo guardò lontano, più lontano di
quanto Jamie potesse immaginare. «Ma non è detto che io
riesca a convincerla. Sono nella traiettoria di un proiettile e lei ha
in mano la pistola: né Mitronio, né sedativo, una
pallottola vera e propria che si ficcherà nel mio
cervello.» si interruppe e lo fissò. «Se io muoio,
manda avanti la baracca.»
Jamie lasciò andare un lungo fischio.
«Però! Una città, un’eredità niente
male. Te lo dico subito, mi darò all’agricoltura: le
guerre mi hanno annoiato.» cercò di sdrammatizzare, ma lui
non raccolse la sua ironia, rimase serio e silenzioso.
«Oggi non ti ha sparato.» gli ricordò.
«Ma ha sparato a Iago perché ha avuto
paura per Zach.» si prese la testa tra le mani. «Oh, e tra
l’altro se lui non si fida di lei e non mi spara, penserà
che siamo in combutta davvero, sarà una tragedia…»
sbuffò. «Che casino.»
«Shane, cazzo, rilassati.» lo
tranquillizzò Jamie. Per un attimo Romeo rimase sorpreso, aveva
un nome, un nome vero; erano secoli che qualcuno non lo chiamava con il
suo nome, si chiese se lo avrebbe dimenticato un giorno. Se hai un nome
diverso per tanto tempo, diventi una persona diversa? Scosse la testa
ridendo, sembrava il tipo di ragionamento che avrebbe potuto fare Josh.
«Fuma una sigaretta, fatti una sega, fattela fare se vuoi…» insinuò Jamie.
«Sta zitto.» intimò lanciandogli un’occhiata ammonitrice.
«Ma perché? È bella, in gamba, forte. Ha un gran bel c…»
«Era una visione di contorno.» lo interruppe prima che potesse terminare.
Lui lo fissò scettico. «Non è vero, lo sai.»
«Non posso e basta, Jamie.»
«Non sei dio, non puoi decidere tutto. Puoi
intestardirti con te stesso, ma non potrai fare niente per lei.»
sbuffò. «Certo per avere tanta paura della
sessualità devi essere una pippa a letto…»
commentò.
Romeo gli lanciò un’occhiata provocatoria. «Chiedilo a tua sorella, no?»
Assottigliò lo sguardo. «Sapevi che
saremmo arrivati a questa conversazione, non è vero?»
disse scettico.
Lui rise furbo, i suoi denti bianchissimi che
riflettevano le prima luci dell’alba. «Sì.» si
stiracchiò, sbadigliò. «Iago è morto,
è tempo di riscuotere. Uno dei loro per ognuno dei nostri.»
Zach entrò nella sua stanza e si chiuse la porta alle spalle.
Fece un paio di passi e si fermò. Si massaggiò il collo,
il punto in cui si era infilata la siringa era un piccolo
rigonfiamento, come la puntura di un insetto, ma non era lì che
prudeva.
Tornò indietro e diede due mandate alla
serratura, avrebbe voluto vederla, a buttare giù una porta,
stupida cheerleader.
La brandina accanto al muro calamitò il suo
sguardo come un buco nero. Per un attimo le sembrò anche di
vederla lì, arrotolata come tutte le mattine; fu sul punto di
riandarla cercare e strapazzarla un altro po’, solo per impedirle
di smettere di pensarci, anche solo per un istante. Voleva che sapesse
che lui non avrebbe dimenticato mai. Voleva urlarglielo, infilarglielo
dentro la testa a forza.
Perciò tolse il cuscino dalla brandina e lo
mise sul letto, poi la smontò con calma e la infilò di
nuovo sotto il materasso.
Si lasciò cadere sul letto a pancia in
giù, meno stanco di quanto avrebbe voluto. Si mosse, qualcosa lo
punse. Con un smorfia si infilò una mano in tasca e tirò
fuori la chiave della stanza di Becky. Se la fece dondolare davanti
allo sguardo, pensieroso.
Per un po’ rimasi in camera mia, con la sciocca speranza che Zach
tornasse. Non lo fece, qualsiasi cosa fosse successa quella mattina,
qualsiasi significato potesse avere, non era un inizio, era la fine. Lo
capivo e lo accettavo, ma questo non significava che non fosse doloroso.
Mi nascosi nella camera di Matt perché mi
sentivo sperduta e spaventata, non volevo essere sola quando
l’ADP sarebbe arrivata per portarmi via. Volevo che qualcuno
cercasse di impedirlo e forse Matt sarebbe stato l’unico. Lo
trovai sveglio, ma non parlammo di niente, eravamo entrambi talmente
presi dalle nostre colpe e dai nostri problemi che non potevamo
condividere altro se non quel letto.
Quando fui stanca di tormentarmi e di starmene ad
occhi sbarrati, decisi che era tempo di sapere; dovevo sapere
cos’ero, cosa ci facevo lì e perché, non potevo
continuare a spaventarmi. Mi sentivo come se avessi sintomi di una
malattia mortale, ma non avessi la certezza di averla contratta: se
dovevo disperarmi tanto valeva farlo per un buon motivo.
C’era solo una persona dalla quale potessi andare ed era Nate.
Bussai alla sua porta, lui aprì subito, mi
chiesi se in tutta la caserma ci fosse almeno un Vegliante
addormentato. «Ciao.»
Avrei dovuto rispondere al suo saluto, ma non ci
riuscii, quello che volevo dirgli ingombrava la mia mente e la mia
bocca. «La prima notte…» iniziai. «Il coltello
di Zach è sempre inzuppato nel Mitronio, vero?»
Lui annuì. «Riempiamo il fodero, è stata un’idea di Josh.» spiegò.
«Già…» lo sapevo.
«Romeo aveva toccato la lama del coltello e mi ha messo un dito
in bocca, poi mi sono sentita male.»
Nate non disse niente, lasciò che fossi io a
giungere alle uniche conclusioni possibili. «Mi sono sentita male
per il Mitronio.» scrollai le spalle. «O l’ADP mente
a tutti ed il Mitronio fa male anche ai Veglianti, oppure sono davvero
una Veggente.»
just a minute
no, perchè mentre rileggevo qualcosa che somiglia ad una giustificazione mi è venuta.
voglio dire, okay che Zach è il fico della situazione, ma mica
è di marmo - scelta di parole riprovevole, I know - alla fine se
ha una ragazza sotto che gli si struscia la sente... ... ... qui
sforiamo il raiting con le note d'autore, scommettete?!
ad ogni modo, non lo so, mi è piaciuto troppo per non cambiarlo...
come sempre, a voi l'ardua sentenza!
baci
ps. Buona Pasqua, in ritardo!
|
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Capitolo 23 *** 22. Tutto in una notte ***
MSC19
fragolottina's time
dunque lettrucciole, devo farvi una
premessa a proposito di questo capitolo... sì, lo so,
annunciarvelo è inutile, faccio sempre premesse, ma questa
è un po' più seria.
dunque, questo capitolo è strettamente correlato a quelli
seguenti questo significa che il capitolo 22, 23 più
eventualmente il 24, non solo stanno vicini e si vogliono bene, ma si
influenzano tra loro. sicomme non ho ancora scritto del tutto il 23
potrei doverlo modificare se le cose non mi quadrano.
e voi vi direte "fragolottina, perchè l'hai pubblicato allora?"
facile: perchè altrimenti avrei dovuto farvi aspettare davvero
tanto, soprattutto se non riuscirò a mettere tutto quello che
devo nel capitolo 23.
comunque per ora c'è questo, nel caso lo modificassi vi
avviserò all'inizio del prossimo capitolo in modo che possiate
provvedere. lo so, vi sto chiedendo molto ed è probabilmente
sarà fastidioso per voi, mi scuso anticipatamente e vi ringrazio
moltissimo della collaborazione!
baci
22.
Tutto in una notte
Zach chiuse gli occhi e la
baciò ancora. Nella penombra della sua stanza Becky era un
insieme di pelle liscia, sospiri e mani, calda e morbida e accogliente.
C’erano le lenzuola attorno a loro, i loro vestiti ammucchiati in
un angolo. I riccioli dei suoi capelli gli si avvolgevano alle dita,
umidi per il sudore, ma soffici quanto i suoi gemiti.
Si sporse verso il
suo viso come aveva fatto poco prima, mentre con il bacino gli si
premeva contro chiedendo di più.
Qualcosa di freddo
gli sfiorò la schiena, Zach fece per girarsi, ma Becky gli
posò una mano sulla guancia e lui fu costretto a guardarla di
nuovo. «Devo.» disse prima di piantargli il suo stesso
coltello tra le scapole…
Zach balzò a sedere nel suo letto portandosi
una mano al centro del petto, dove secondo il suo sogno sarebbe dovuta
spuntare la lama del coltello, ma non c’era.
Lasciò andare un respiro rumoroso e
guardò le chiavi della stanza di Becky accanto al suo comodino.
Le prese in mano con un gesto nervoso e le lanciò contro il muro
al lato opposto della stanza. Si lasciò di nuovo cadere sul
cuscino mentre si scostava i capelli dalla fronte sudata.
Romeo era sdraiato sul letto a casa di Dawn Dandley con un ago infilato
nella vena del braccio ad occhi chiusi. Quando li riaprì alle
immagini sfocate con le quali conviveva, si sovrappose l’immagine
creata dalla sua mente: le facce di Jamie Ross, Dawn e Ryan che lo
fissavano con apprensione. «La state facendo sembrare una veglia
funebre.» li rimproverò.
«M-ma v-vuoi f-farlo d-davvero? T-tutto i-in
u-una n-notte?» gli domandò Ryan preoccupata.
Jamie alzò gli occhi al cielo.
«Ragazzina, cerca di stare calma o ci servirà un
interprete!» la rimproverò.
Lei gli lanciò un’occhiata di fuoco, ma
lo ignorò, però fece un respiro profondo cercando di
tenere bene a mente le parole che aveva intenzione di dire. «Non
è meglio aspettare che ti rimetta, sarei più debole
stanotte.» gli fece notare mentre osservava incerta la sacca che
si stava lentamente riempiendo. «E poi perché devi
dargliene tanto? Una fialetta non andava bene lo stesso?»
«Più gliene dà, meglio è.
Senza, il suo tempo di ripresa sarà facilmente arrotondabile a
infinito.» spiegò Dawn pratica. «Non sarà mai
più lo stesso, le sue cellule non sono molto brave a
rigenerarsi. Dopo dieci anni in cui gli è stato detto di
impigrirsi non si risveglieranno senza un bella scossa.»
Ryan la guardò. «E-e il suo sangue gli darà una scossa?»
«Dovrebbe.» rispose incolore.
«Se supera la notte.» fece presente
Jamie Ross tetro, ma pratico: non stavano parlando di una cosa pulita
fatta in sala ospedale, di fargli fare un giro di dialisi o una
trasfusione, l’avrebbero dissanguato. «E se muore?»
domandò alla sorella.
«Diavolo, non è mai morto deve farlo proprio stavolta?» sbottò seccata.
«Credo semplicemente che sarebbe meglio portarlo via e fare le cose per bene.» spiegò.
Romeo scosse la testa. «Non possiamo portarlo
via.» disse semplicemente. «Non c’è modo senza
che radano al suo tutto nel raggio di dieci chilometri, non
ancora.»
Jamie Ross si accese un sigaretta. «Questo sì, che è un ragazzo ben controllato.»
Dawn rise. «È un ragazzo costoso.» osservò.
Ryan spostò lo sguardo su Romeo pensierosa. «C-che hai visto?»
Per alcuni secondi rimase zitto, aveva visto molte
cose, molti finali negativi per quella storia, vie che non prevedevano
la sua sopravvivenza, altre che non necessitavano della propria.
Courtney in lacrime vestita di nero, come una vedova in lutto.
Lui e Rebecca Farrel che esplodevano.
Jean Roberts in piedi a testa alta davanti alla folla, dietro di lei un plotone d’esecuzione.
Nate che si infilava la canna di una pistola in bocca.
Il mondo in ginocchio, annientato da qualcosa che non avevano previsto.
Romeo si sistemò meglio sul letto,
aprì e chiuse il pugno per far affluire più sangue. Tra
tanto orrore, morte e disperazione, una sola visione gli aveva
stuzzicato il cervello, remota, solitaria; ma se una strada esisteva,
per quanto malridotta e stretta, si poteva percorrere.
Sorrise e guardò Dawn. «L’ho visto atterrarmi.»
Jamie Ross sospirò e gli lanciò
un’occhiata in tralice. «Dì la verità, la
vostra è tensione sessuale, vero?»
Nate non commentò, mi chiese solo di permettergli di capire.
Così gli raccontai tutto quanto, ogni dettaglio, ogni stranezza,
ogni prurito dietro la nuca sospetto; alcune cose le aveva capite da
sé, mi disse, mi spiegò qual era stato il mio vero
punteggio con “Becky a caccia di frutti”. Mi garantì
la sua discrezione e mi promise il suo silenzio, ma non ero sicura che
fosse giusto. Se ero davvero una Veggente non era lì che sarei
dovuta stare.
«Okay, presto avrò il laboratorio
nuovo.» iniziò. «Domani andrò in biblioteca a
comprarmi un libro di genetica e capirò bene come
funziona.»
Lo guardai pensierosa, domani mi sembrava un concetto impossibile.
«Chiedi a Dawn Dandley.» suggerii
comunque, poi però pensai a Lynn: non sapevo se sarebbe stata
contenta che Nate fosse andato a parlare con quella matta. «Ma
non da solo, mai da solo.» aggiustai.
Lui mi osservò. «Se ne intende?» mi chiese.
Io lo osservai stupita, davvero sapevo più
cose di lui in così poco tempo? «È la persona che
ha mappato il DNA umano e quello Veggente. Ha anche inventato il
Mitronio.»
Nate ci pensò. «E quello Vegliante?» chiese immediatamente.
Mi strinsi nelle spalle. «Sospetto che
l’ADP abbia deciso che non avrebbe dovuto interessarle.»
Sapevo che la sua mente stava frullando per molte
altre domande, come la mia d’altronde, ma si astenne dal porle.
Mi osservò con attenzione cercando di essere il più
rassicurante possibile. «Andrà tutto bene, Becky.»
Sospirai ricambiando il suo sguardo, affatto convinta che avesse ragione.
Quando Jean bussò alla porta io impallidii:
non sapevo se Zach le avesse detto la verità, poteva benissimo
essere lì per consegnarmi all’ADP come un elettrodomestico
difettoso.
Io e Nate ci scambiammo una lunga occhiata, che era
un sottointeso e per niente incoraggiante “Secondo
te…?”.
«Devo scappare.» dissi, in quel momento,
in quella situazione era l’unica soluzione possibile. La mia
mente mi costrinse ad un quesito necessario: quante possibilità
c’erano che potessi superare Jean e scappare? Molte poche. E poi
dove sarei andata? Synt era bipolare: Veggente o Vegliante. Con Romeo o
con Zach. Io mi trovavo in un limbo, non avevo un posto.
Lui fece una smorfia indecisa. «Non
ancora.» disse trattenendomi per un braccio. «È
aperto.» urlò in direzione di Jean chiudendo il quaderno
dove aveva preso appunti. Non lasciò la mia mano, anzi la
strinse di più, come se rendendo quel contatto abbastanza
intenso potesse crearmi un alibi.
«Buongiorno.» ci salutò la
Responsabile, spostò lo sguardo su di me. «Ciao,
Becky.» aggiunse sorpresa, io trattenni il fiato, in attesa che
quello stupore si trasformasse in un rimprovero.
Ma Jean tornò semplicemente a Nate.
«Avvisi dall’ADP, è richiesta la tua presenza.»
«Arriviamo.» promise Nate.
Lei fece per uscire, ma ci ripensò.
«Sta lontana da Zach.» mi consigliò con una smorfia.
«Hai compromesso l’esito della sua missione. Meglio
aspettare che sbolla.»
Non mi aveva tradita. «Okay.» annuii quasi in trance.
Non appena ci lasciò di nuovo soli, Nate mi
diede di gomito. «Te l’avevo detto.» osservò
con un sorriso.
Sospirai, ma il sollievo durò poco.
«Comunque, se sono una Veggente, dovrò andarmene.»
Nate mi studiò tutta. «Il Mitronio
è un veleno: potrebbe effettivamente essere nocivo per tutti; tu
sei decisamente in gamba: potresti essere una Vegliante, può
darsi che il test che ci fanno fare ha un almeno una percentuale di
errore. Non sono queste due ipotesi a turbarmi, è la
terza.»
Sollevai le sopracciglia. «Ce n’è una terza?»
Nate non rispose, per un lungo momento rimase in
silenzio, come se stesse cercando le parole giuste con cui spiegarmi.
«Sei in gamba.» ripeté e mi fissò. «Ma
non sei la più in gamba.»
Pensai a Lynn, come probabilmente stava facendo lui,
in confronto a me lei era mostruosamente brava e, se ero una Veggente
io, era difficile non sospettare anche di lei. Lo guardai, i suoi occhi
erano determinati e fermi, non c’era bisogno di essere Veggenti
per capire che avrebbe trovato la risposta ad ogni sua domanda, anche a
costo di inventarsela. Improvvisamente assottigliò lo sguardo,
turbato da un pensiero che evidentemente non coincideva con tutto il
resto. «Perché la donna che ha mappato il DNA umano e
quello Veggente se ne sta in una baracca a Synt? Le avranno dato
miliardi per la formula del Mitronio.»
Mi strinsi nelle spalle. «Aspetta suo figlio
Connor.» ripetei quello che mi aveva detto lei e mi puntai un
indice alla testa ruotandolo per fargli capire che la donna che aveva
mappato il DNA Veggente e umano aveva qualche problemino. «Quello
che è stato rapito da Romeo.» evitai di dire “Quello
che lei ha fatto rapire da Romeo”.
«Non era suo figlio.» disse Nate.
«Cosa?» domandai. «Come fai a saperlo?»
«Lo aveva adottato.» disse guardandomi. «Me lo ha detto Josh.»
Quando Nate raggiunse la stanza di Jean trovò Zach già
lì, non ricordava l’ultima volta in cui l’aveva
visto tanto scuro, ma pensò che fosse un bene: più era
irritato e più era lucido. Immaginava il perché.
«Dunque.» iniziò Jean voltando
verso di loro la foto di una ragazzina che stringeva tra le mani un
orsetto. «Lei è Martina, il prezzo da pagare per
Iago.»
Nate chiuse gli occhi, quello era il momento
più difficile, il momento in cui faceva i conti con il mostro
che davvero era Romeo: rapiva bambini in cambio di ogni Veggente morto
o catturato. Nessuno sapeva cosa ne facesse, ma, visto che non
tornavano, le ipotesi erano di volta in volta più catastrofiche.
Erano riusciti a salvarne alcuni, pochi, quando Romeo si metteva in
testa di portare via qualcuno non si risparmiava, non si discuteva, non
c’era prezzo che non sarebbe stato disposto a pagare.
Quelle erano diverse dalle solite missioni, come
potevano esserlo un gattino che giocherellava con una lucertola ed un
leone che cacciava una gazzella.
Lanciò un’occhiata rapida a Zach che
stava tamburellando con il piede, era nervoso, probabilmente
spaventato.
Sospirò. Non sarebbe voluto essere il
Caposquadra, non avrebbe voluto sapere che Zach era la guardia del
corpo più efficiente con la quale affiancare la bambina,
perché lo avevano addestrato a dimenticare sé stesso in
favore della missione. Suo padre glielo aveva infilato nel cervello a
forza ed anche se non era più lo stesso ragazzino che il padre
picchiava, certe abitudini erano dure a morire; aveva imparato a
considerare i suoi compagni di squadra al di sopra di lui ed era
già un miracolo, anche se sapeva che il merito di quello
spettava a Courtney.
Non avrebbe voluto sapere che metterlo in prima
linea, sarebbe sempre stata la scelta migliore, soprattutto
perché per Romeo era come un faro per falene: se avesse messo
una seconda persona con loro, Romeo si sarebbe intrattenuto sempre con
Zach lasciando che la piccolo si salvasse.
«Che sappiamo di questa bambina?» chiese Nate.
Jean si strinse nelle spalle. «Ha sei anni, i suoi si sono trasferiti qui un paio di anni fa.»
«Perché?» continuò a chiedere Nate.
Lei scosse la testa.
«Li teniamo lontani dalla casa? Possiamo dire
a Matt di preparare un perimetro esplosivo.» propose Zach.
Nate fece di no. «Per quanto li teniamo
lontani?» si lasciò cadere contro lo schienale della
poltrona, strofinandosi il viso. «Se riusciamo ad evitarlo
stanotte riproveranno domani e dopo domani ancora, finché non ci
sfiniranno e la prenderanno.» ci pensò. «Prendiamola
prima noi.» propose.
Zach lo osservò con una smorfia scettica.
«Ci fermeranno. E poi non sempre siamo stati noi i primi a
stancarci.»
Perché non c'era modo di tenerlo lontano dal centro del cicolne? Perché non c'era mai?
«Mandiamo qualcuno a prenderla e li
facciamo uscire da Synt. Noi gli forniamo copertura, possiamo riuscire
a trattenerli abbastanza da farli sparire.»
«Chi vuoi mandare?» chiese Zach.
«Deve essere qualcuno piuttosto folle, perché quando
tornerà a Synt Romeo lo ammazzerà.»
«O qualcuno che non voglia tornare a Synt,
possiamo fare in modo che il Governo li metta nel programma di
protezione.» spiegò.
«I suoi genitori?» suggerì Zach.
«Non vogliono lasciare Synt.» li interruppe Jean.
Nate la guardò spazientito da quelle storie,
non era la prima famiglia che si comportava in modo tanto inspiegabile
e soprattutto folle. «Perché? Si può sapere
perché con una bambina di sei anni sono venuti nel posto in cui
rapiscono bambini?» sbottò infuriato. Se l’erano
cercata, tutto lo Stato sapeva esattamente cosa succedeva a Synt e si
aspettava che ogni genitore con un minimo di cervello tenesse i suoi
figli il più lontano possibile. Quella era il tipo di
città in cui non venivi se non eri costretto a farlo.
Sia Jean che Zach rimasero in silenzio aspettando
che si ricomponesse. Poi lui prese fiato. «Qualcuno prende la
bambina, io li accompagno. Nel caso i Veggenti ci dessero fastidio
posso trattenerli…» fece una smorfia e si strinse nelle
spalle. «O almeno posso distrarli.»
Nate lo osservò, non avrebbe voluto, ma a
Synt Interna c’era l’ingresso per l’autostrada: se
fosse riuscito a metterlo su un’auto blindata ed avesse tenuto
lontani i Veggenti dalla sua rotta forse non l'attenzione di Romeo si
sarebbe spostata su loro.
«Becky la mettiamo sul tetto.» disse
dopo un po’. Sarebbe dovuta essere un’affermazione, ma il
tono che usò Nate la fece somigliare ad una domanda, anche se
era la persona migliore per tenere lontano i Veggenti dalla loro rotta.
Jean non rispose anche se la sua parola sarebbe
stata certo più vincolante di quella di Zach, si limitò
ad osservarlo aspettando il suo cenno di consenso poi guardò
Nate. Capire che non aveva completamente bevuto la sua versione dei
fatti per la notte precedente, fu elementare.
Ero in bagno a lavarmi i denti, quando mi accorsi che Zach era
appoggiato alla cornice della porta e mi guardava con le mani in tasca.
Come sempre, vederlo mi fece sobbalzare il cuore, ma mi imposi di
mostrarmi calma. Mi chinai sul lavandino per sciacquarmi la bocca, poi
mi asciugai alla meglio con il dorso della mano e mi voltai verso di
lui.
«Io volevo ringra…» iniziai, ma
lui si posò un dito sulle labbra per farmi segno di stare zitta.
Ubbidii.
Entrò in bagno e chiuse la porta, ricordavo
cosa aveva cercato di fare l’ultima volta che ci eravamo trovati
in una stanza chiusa, perciò mi guardai in giro alla ricerca di
un nascondiglio o una potenziale arma. Sospirai preoccupata, la cosa
più pericolosa che trovai fu il miscelatore della doccia. Quanto
avrei impiegato a chinarmi ed aprire la mia borsa con il cambio?
Zach mi guardò ed io sussultai, lui
studiò la mia espressione guardinga. «Cos’è,
non ti sei portata le pistole in bagno?» domandò
sarcastico.
Non dissi niente, la notte precedente mi aveva
minacciato con un coltello al Mitronio, mi sentivo autorizzata ad avere
paura e cercare di provvedere alla mia difesa personale. Anche se
dovevo ammettere che le conseguenze di quella discussione erano state
piacevoli quanto inaspettate.
«Cosa vuoi?» gli domandai obbligando il mio cervello a non fantasticare.
Lui fece alcuni passi all’interno con le
braccia incrociate sul petto. «Non so perché non ho
raccontato niente a Jean, non lo so davvero, ma non l’ho fatto e
quindi ormai è così.» si appoggiò al
lavandino al quale mi stavo lavando fino a poco prima. La mia mente si
sentì in dovere di farmi notare che, se avessi fatto un passo
verso di lui, poi un altro ancora, sarei stata tanto vicina da potergli
buttare le braccia al collo e baciarlo. Mi imposi, ancora, di
concentrarmi sulla sua espressione seria.
«Stanotte abbiamo una missione: primo, sarebbe
carino da parte tua dare una mano, ma se proprio va contro i tuoi saldi
principi sarebbe educato non ostacolarci. Secondo…»
«Che missione?» domandai
interrompendolo. Rabbrividii ed intrecciai le braccia sul petto
nervosa, avevo solo una canottierina addosso, mi sentivo
fastidiosamente svestita.
«Romeo ha intenzione di prendere una bambina
in cambio di Iago.» mi scrutò attentamente. «Sei
ancora convinta di quello che hai fatto ieri notte? Sicura che
addormentare me e non lui sia stata una buona idea? Perché se
stanotte non funziona, avrai una ragazzina di sei anni sulla
coscienza.»
«Zach…» iniziai, ma lui mi interruppe subito.
«Cosa? Credevi che il tuo straordinario gesto
di lealtà lo cambiasse per sempre e decidesse di schierarsi
dalla nostra parte?» domandò acido. «Bentornata nel
mondo reale, Becks.»
Chiusi gli occhi e contai fino a dieci tenendo a
bada la voglia di urlargli contro, anche perché in ogni caso non
guardarlo mi rendeva più lucida. «Altro?»
«Non metterti nei guai.»
Sollevai lo sguardo su di lui, sorpresa e speranzosa
di trovarci affetto o apprensione, ma in realtà c’era solo
determinazione e gelo. «Non verrò a salvarti, non ne
avrò tempo. Quindi sta attenta perché te la vedrai da
sola.»
Annuii tornando a fissare lo specchio.
«D’accordo.» gli lanciai un’occhiata.
«Vattene, per favore, devo vestirmi.»
Lui fece come chiesto e mi lasciò sola. Per
alcuni secondi, forse minuti, continuai a guardare il mio riflesso,
cercando disperatamente un dettaglio diverso, volevo potermi dire che
Synt mi aveva cambiato così tanto da spingermi a fare quello che
avevo fatto, ma la realtà era che io ero sempre la stessa:
Rebecca Farrel, diciassette anni, riserva cheerleader. Difendere Rose
da Zach non era stato poi tanto diverso da difendere Amanda Martinez da
Johnathan McKingley, anzi sicuramente Amanda aveva meno bisogno di
protezione di Rose.
Guardando Zach e gli altri avevo pensato che Synt
cambiasse le persone, ma stavo iniziando a realizzare che si limitasse
a tirare fuori la loro vera natura. Qualunque essa fosse.
Quando scesi per mangiare Nate si sistemò al mio fianco senza
dire niente, Zach lo studiò attentamente senza nemmeno un cenno
verso di me; sapevo cosa vedeva, nel gesto del mio compagno di squadra,
non solo c’era l’ammissione di sapere la verità, ma
anche la dichiarazione della sua opinione in proposito. Courtney ci
osservava senza capire, proprio come Jared e per un attimo mi chiesi
cosa avrebbe pensato se avesse saputo. Ero perfettamente cosciente
della sua lealtà incondizionata per Zach, ma forse avrebbe
capito.
Scossi la testa, non mi sembrava il caso di fare una prova.
Non avevo molta fame, in realtà non ne avevo
per niente. In più quella notte non volevo uscire, in me si era
insinuato il dubbio, inizialmente appena un pensiero fugace, ma
più passava il tempo e più mi divorava estendendosi a
tutto. Mi sentivo usata, dal Governo, dall’ADP, da Jean, da
Zach.
La Responsabile superò il tavolo studiandoci.
«La famiglia di Martina è stata trasferita in un hotel
della Zona Gialla per una fuga di gas.» ci annunciò. Non
lo disse apertamente, ma la sua voce era tesa. «Che belle
facce.» osservò. «Ma qualcuno di voi ha dormito ieri
notte?»
Nessuno rispose, io nemmeno la guardai, osservai il
mio piatto pieno pensando che dovevo mangiarne due terzi.
«Dopo pranzo vi voglio tutti a letto a
riposare. Non si affronta una missione così.» ci
rimproverò.
Alzai lo sguardo su di lei, il suo viso era pieno di
ombre: sotto gli occhi, sotto la frangia dei capelli. Lei dormiva? E se
lo faceva, come ci riusciva? Era stata una Veggente di Wood, era stata
una Responsabile, Josh si era suicidato, noi eravamo costretti tutte le
notti ad andare a farci picchiare. Come poteva?
«Ci sono hotel nella Zona Gialla?»
chiese Nate sorpreso, evidentemente la prima frase che aveva
pronunciato la Responsabile era arrivata a destinazione.
Jean si strinse nelle spalle. «Ce n’è almeno uno.»
«Folle.» sbottò Nate esasperato.
«Questa città è abitata da folli. Scusate.»
disse prima di alzarsi.
Courtney osservò i suoi movimenti. «Lo vedo provato.» rifletté.
«Ce la farà.» li rassicurò Zach.
Spiluccai il pranzo in silenzio come lui, gli altri
parlavano e noi no. Sembravamo entrambi chiusi in una bolla da dove non
potevamo sentire o vedere. Solitudine autoimposta, ma probabilmente
necessaria.
«Dov’è Matt?» chiesi dopo
un tempo infinito, realizzando con un ritardo imbarazzante che non era
con noi e che mi mancava, di solito era un buon compagno da avere
accanto nei momenti bui.
Courtney si strinse nelle spalle. «In camera
sua, si sentono strani rumori da questa mattina. Credo stia costruendo
qualcosa.»
Annuii senza aggiungere altro.
«Becky viene, giusto?» chiese Jared.
«Le sue pistole sono una bella garanzia sulla vita.»
Non lo guardai direttamente, ma sapevo che Zach aveva alzato gli occhi e mi stava fissando.
Feci di sì con la testa. «Ma non voglio
Mitronio, solo sedativo.» annunciai determinata nella mia
decisione. «Il nostro scopo è catturarli, non
ucciderli.» osservai. «Ci penserà l’ADP a
curarli.»
«Va bene lo stesso.» osservò
Jared noncurante. «L’importante è che tu prema il
grilletto quando devi.»
Zach non smise di fissarmi.
Mi alzai con il mio vassoio ancora a metà, da
quando ero diventata una Vegliante, non mangiavo un accidenti. Jean mi
lanciò un’occhiataccia in proposito, ma non disse niente,
sperai che pensasse che ero troppo nervosa per la nottata che ci
aspettava e non per il fatto che lo sguardo di Zach mi feriva troppo.
«Vado a dormire.» annunciai allontanandomi. Posai il mio vassoio.
«Nella mia stanza c’è un piccolo
frigorifero.» mi disse Jean. «Dai un’occhiata e vedi
se c’è qualcosa che ti va.» mi suggerì,
sembrava preoccupata. «Devi essere in forze.»
Sospirai. «Okay, grazie.»
Nella stanza di Jean c’era davvero un piccolo
frigo, studiai il suo contenuto individuando del formaggio spalmabile;
lo presi, avrei voluto dei cracker, ma decisi di non essere troppo
esigente. Mi sollevai e mi guardai intorno: la libreria colma di
raccoglitori e fogli, il letto rifatto in modo impeccabile. Non
resistetti, mi avvicinai al suo smart-table ed aprii il cassetto che
c’era sotto. Tirai fuori due plichi di fogli, non potevo portarli
via, ma volevo sapere a cosa pensasse Jean quando era chiusa là
dentro.
Il primo plico era un documento legale, una sentenza giuridica, una sentenza di divorzio.
Il secondo non era ufficiale, era un insieme di
ritagli, appunti, fogli stampati; sulla prima pagina c’era
soltanto un nome: Shannon Tayler. Sfiorai la scritta con le dita, poi
richiusi tutto e mi imposi di uscire di lì prima di essere
scoperta.
Nate ci mise poco ad entrare dentro il sistema informatico della
centrale di polizia e da lì a quello dei pompieri. Lesse i
verbali di quella mattina, quello della famiglia Timpton era
l’unico. La denuncia era stata anonima, ma la fuga di gas
c’era davvero; poco importante, non ci voleva poi molto a
manomettere un impianto.
La situazione era appena diventata più
difficile: si immaginò ancora Zach sulla macchina blindata di
prima, attraversare tutta la Zona Gialle, poi tutta Synt interno fino
ad arrivare all’autostrada. Non ce l’avrebbe fatta nemmeno
se Romeo fosse stato ubriaco.
Si immaginò anche Becky sul tetto aspettare
per coprire la loro fuga verso l’autostrada, se la
immaginò morta.
Probabilmente sarebbero morti entrambi.
Si alzò dalla sedia ed andò a bussare
alla stanza di Matt. Era il Caposquadra e non voleva che Zach e Becky
fossero lì a fare da esca a Romeo, quindi, semplicemente e
indiscutibilmente, non ce li avrebbe messi. Che Romeo scegliesse: Becky
e Zach oppure Martina. Non poteva essere in due posti
contemporaneamente ed aveva miliardi di telecamere per tenere a bada
tutti gli altri Veggenti.
Matt gli aprì con cacciavite tra le mani.
«Devi fare una cosa per me.»
Courtney si stiracchiò accanto a Jared e sorrise. «Andiamo a riposarci?» domandò languida.
Lui annuì con il capo e si alzarono insieme
per allontanarsi, proprio mentre Nate tornava alla mensa,
osservò Zach di spalle che sistemava il proprio vassoio, si
alzò e lo raggiunse.
«Chi li ha evacuati?» domandò Zach senza guardarlo.
Nate si strinse nelle spalle. «La polizia, a seguito di un allarme per una fuga di gas.»
Zach sospirò. «Ci ha visti.» concluse arreso.
«Già.»
«Perché?» chiese senza capire.
«Se ci ha visti, non gli conveniva andare ad acchiappare Viola
senza fare troppo rumore?»
«Non vuole solo la ragazzina.» si
guardò alle spalle, attirato da un rumore, Jean si alzò e
si diresse verso l’ascensore, probabilmente diretta nella propria
stanza. Tornò a Zach. «Vuole Becky e vuole te. Non sarai
tu ad accompagnare Viola, ci ho messo Courtney.» disse a bassa
voce.
«Ma non puoi metterci lei!» si lamentò.
«Certo che posso, è brava quanto te.
Nell’ultima missione se l’è cavata benissimo a
trattenere i Veggenti, ho visto le registrazioni.»
«Romeo l’ha colpita.» gli ricordò.
«Zach, Romeo massacra sempre anche te.
Possiamo puntare sul fatto che sarà meno violento con lei visto
che è una ragazza.»
Zach lo osservò contrariato. «Ed io che dovrei fare?»
Nate spostò lo sguardo, sui vassoi impilati
davanti a loro. «C’è un’auto sotto al palazzo
dove sistemerò Becky, le chiavi sono sotto il sedile del
guidatore.»
Lui scosse la testa ancora confuso. «Che devo
farci con un macchina? E perché parli come se si trattasse di
una cospirazione?»
Nate lo fissò. «Prendi Becky, prendi la macchina e andatevene.»
Zach si voltò di botto verso di lui. «Che cosa?!» domandò incredulo.
«Non la lascerà lì con il rischio che prema il grilletto.»
Lui scoppiò a ridere amaro. «Lei non preme il grilletto, non sui nemici comunque.»
«Okay, senti: forse non è il primo
motivo per cui l’ha fatto, ma è vero che se tu avessi
fatto del male a Ryan Romeo ti avrebbe fatto fuori
definitivamente.»
Gli lanciò un’occhiata. «Sappiamo
entrambi che non ha nemmeno pensato a questo: mi ha sparato
perché ha pensato fosse giusto.» si strinse nelle spalle.
«Falle fare da esca, se la vogliono che cerchino di prenderla,
no?»
«Va bene.» acconsentì Nate secco.
«Ma voglio un tuo foglio firmato e bollato in cui mi giuri che
non proverai ad andare ad aiutarla.» propose con tono di sfida.
Zach non rispose.
«Sei arrabbiato, ma tu non sei questa persona.»
Continuò a rimanere immobile.
«Pensaci.» suggerì Nate e fece per andarsene.
«Hai visto le registrazioni di ieri notte.» lo trattenne Zach. «Dove sono?»
Nate si strinse nelle spalle. «Un virus le ha distrutte.»
Zach salì e si affacciò nella camera di Becky, la porta
era socchiusa e sbirciò all’interno. Becky dormiva di
fianco in mezzo a caricatori e siringhe di Mitronio e sedativo. Rimase
ad osservarla, trovava che ci fosse qualcosa di seducente nella sua
vita sottile, nel modo in cui in quel momento creava una rientranza per
poi crescere sul suo fianco. Gli piaceva anche che fosse tutta
lì, gli piaceva che fosse piccina ed era strano perché di
solito aveva un debole per le ragazze alte, lo erano state sia Courtney
che Lindsey. Lei però era un’altra cosa, più tempo
passava con lei e più avrebbe voluto passarne.
Avrebbe voluto passare le dita tra i suoi capelli,
studiare ogni singolo ricciolo, dirle che non avrebbe dovuto
bistrattarli come faceva sempre, tirandoli, spostandoli, stringendoli,
non gli importava se non stavano al loro posto, erano come lei,
testardi.
Avrebbe voluto dirle che aveva la bocca di una
bambola, rosa, rosa, e rotonda, che sapeva di dolce, che se lo
ricordava.
Avrebbe voluto dirle che aveva il naso più
bello del mondo, sembrava il naso sempre carino e piccino delle bambine.
Non le disse niente di tutto quello:
entrò nella sua stanza e sgombrò una metà di
letto, poi, attento a non svegliarla, si stese accanto a lei.
Avrebbe voluto dirle che gli piaceva anche quando
gli sparava, ma che questo non doveva essere un incentivo per ripetere
la performance.
Continuò a tenere gli occhi su di lei,
finché non si sentì davvero troppo stanco per essere
sicuro di non addormentarsi nel suo letto e farsi sorprendere lì.
«Nate è in gamba.» constatò Jamie Ross.
«Ha sconvolto la tua visione, non si è montato la testa e
cerca di tenerli fuori dalla nostra portata: decisamente in
gamba.»
«Credevo che si distraesse di più,
invece continua ad essere ben concentrato su quello che
vogliamo.» Romeo rise e mugugnò assottigliando lo sguardo.
«Cosa non darei per averlo qui, pensa a quante cose potrebbe
fare!» gli lanciò un’occhiata. «Quasi quasi lo
scambio con te.» disse meno ironico di quanto avrebbe voluto.
«Possiamo prenderlo.»
Romeo scosse la testa. «Quello che deve fare,
deve farlo da Vegliante o sarà tutto inutile.»
spiegò.
Viola uscì nell’ingresso de “Il Gatto e la
Volpe”, l’hotel dove era stata trasferita la famiglia di
Martina, tenendo la ragazzina per mano. Courtney le aspettava fuori, si
raddrizzò e studiò tutto quello che c’era intorno a
lei, in particolar modo, nello spazio tra loro e l’auto.
Da qualche parte, nascosti
nell’oscurità c’erano Jared e Matt, pronti ad
intervenire nel caso qualcuno avrebbe cercato di fermarli; più
lontano ancora Zach e Nate controllavano le retrovie, tutti loro sotto
l’osservazione vigile di Becky. Guardò la cima dei
palazzi, però Becky era lontana, Nate l’aveva voluta su un
tetto dal quale avesse una vista perfetta e libera del primo rettilineo
di Synt Interna: sarebbe stato come un tiro a premi.
Se fossero arrivati fin lì.
L’idea di studiare una difesa a tre riprese le
era piaciuta, era intelligente, ma questo non significava
necessariamente che credesse funzionasse.
«Ma non c’è il signore con i
capelli rossi?» chiese la bambina mentre lei e Viola uscivano in
strada.
Courtney le lanciò un’occhiata.
«Speriamo che non si faccia vedere.» disse con un sorriso
per tranquillizzarla.
La ragazzina apparve corrucciata. «Peccato.» considerò.
Courtney lanciò un’occhiata a Viola con
le sopracciglia sollevate e lei si strinse nelle spalle. «Credo
che i genitori abbiano provato a rendere tutto meno spaventoso.»
spiegò.
Lei annuì.
Salirono in macchina in silenzio, Courtney al posto
del guidatore, Viola e la bambina dietro. Per un secondo soltanto
Courtney esitò, era la prima volta che la mettevano al centro di
una missione, di solito quel posto spettava a Zach e lei era
d’appoggio; avrebbe potuto vederlo come un riconoscimento alle
sue capacità, non aveva mai avuto niente di meno di Zach, anzi
trattandosi di una bambina le sue conoscenze mediche sarebbero potute
tornare utili. Ma in realtà aveva paura: per quanto folle,
sconsiderato e di solito inutile Zach sapeva sempre molto bene come
comportarsi, quando non ci pensava. C’erano tutta una serie di
reazione inconsce che, Court ne era sicura, facevano la differenza tra
la sua vita e la sua morte.
Nessuno aveva saputo come avesse fatto a salvare il
bambino l’ultima volta. Era sparito quando Romeo l’aveva
preso ed era sbucato fuori un paio d’ore dopo con un polso rotto,
ma il bambino in braccio.
Josh gli aveva dato un pugno, si erano tutti detti
che fosse perché era preoccupato, era la prima notte che Zach
usciva come sostituto Caposquadra. Nessuno si era aspettato che gli
lasciasse il cappello del comando tanto in fretta.
Viola le posò una mano sulla spalla e
Courtney sussultò, incontrò il suo sguardo nello
specchietto retrovisore e le sorrise.
«Sicura di sapere dove andare, ragazza?»
allora, come intuirete il prossimo
capitolo sarà d'azione... *sospiro*... forza e coraggio vi giuro
che mi sto impegnando al massimo!
o con tutto il discorso sopra ci tengo a precisare che questo capitolo
non è stato scritto con meno cura o attenzione del solito, sono
tipo tre settimane che ci sto sopra! semplicemente mi potrebbe essere
sfuggito qualche dettaglio a livello di trama che potrebbe dare
problemi nel prossimo...
cmq fatemi sapere cosa ne pensate e quali sono le vostre previsioni per il futuro!
baci e grazie ancora della pazienza
links time
lamponella (la Fan Page di facebook)
twitter (il mio account rispolverato ieri per accogliervi se lo vorrete)
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Capitolo 24 *** 23. Nel caso domani mattina non ci svegliassimo ***
MSC19
fragolottina's time
premessa obbligatoria: io ho scritto 22 capitoli di roba solo per arrivare a questo.
ora capirete anche voi che non è una cosa normale...
non posso nè voglio dirvi niente... leggete, ditemi se ho
scritto qualche assurdità, abbiate pazienza se da qualche parte
ho toppato alla grande... vogliatemi bene perchè io ve ne voglio!
23.
Nel caso domani mattina non ci svegliassimo
Nate si infilò di nuovo il cellulare in tasca e guardò
Zach. «Court, ha dei problemi.» disse sottintendendo il
“te l’avevo detto”.
«Romeo?»
Lui scosse la testa e Zach sospirò voltandosi
verso il palazzo sul quale era stata sistemata Becky. «Ve la
cavate davvero?»
Annuì. «Muoviti e sparite, Romeo sta andando là.»
Avevo imparato la mappa di Synt a memoria, Nate mi aveva dato
un’auricolare ed ordini precisi: “Non muoverti a meno che
non ci sia bisogno di te”. Quando la richiesta di aiuto di
Courtney arrivò alle mie orecchie, decisi che evidentemente
avevano bisogno di me; mi voltai in direzione est e mi incamminai verso
il bordo del palazzo. Non avevo più paura di saltare. Controllai
per scrupolo che le mie due pistole fossero cariche, ufficialmente
operative e pronte a fare il loro lavoro – ed io lo sono?
– sovrappensiero, finché non sentii un rumore provenire
dalla scala d’emergenza alle mie spalle. Voltai poco il viso,
spaventata da chi sarebbe potuto arrivare. Deglutii mentre decidevo
cosa fare: ero sola su quel palazzo. Sollevai le pistole davanti a me.
Potevo sparare, mettermi in salvo senza dire niente a nessuno e
lasciare che il Veggente si riprendesse in tutta tranquillità.
Io sarei stata salva, il Veggente non sarebbe morto. La mia nuova
politica non prevedeva morti per mano mia, nemmeno indirettamente.
Puntai la pistola nello spazio lasciato libero dai
sostegni di metallo della scala: chiunque fosse, sarebbe sbucato di
lì.
Proprio mentre ero concentrata sull’obbiettivo
qualcuno atterrò rumorosamente alle mie spalle. Sussultai e mi
voltai spaventata trovandomi praticamente tra le braccia di Zach.
«Che ci fai qui?» gli chiesi.
Lui tenne gli occhi fissi alle mie spalle, sulla
stessa scala d’emergenza che prima stavo tenendo sotto tiro io.
Spostò lo sguardo su di me e mi prese le braccia. «Vieni,
ti porto via.» disse iniziando a tirarmi verso il cornicione
opposto rispetto a quello dove mi stavo dirigendo io.
«Cosa? Dove?» domandai stupita,
opponendomi al suo rapimento; non poteva saltare su un palazzo e
portarmi via dopo tutto quello che mi aveva detto e che era successo. E
poi non era stato lui a venirmi ad informare che non aveva intenzione
di aiutarmi?
Mi scrollò. «Te lo spiego in macchina,
te lo giuro, però ora salta prima che quelli ce lo
impediscano.»
Erano davvero poche le cose alle quali sarei stata
in grado di oppormi se Zach mi guardava in quel modo. Saltai.
Passammo dalle scale d’emergenza
dell’altro palazzo, scendemmo più lentamente di quanto il
mio batticuore avrebbe voluto, fermandoci ogni volta che un rumore
leggermente più forte ci arrivava alle orecchie; esasperante, ma
fummo molto silenziosi. Zach non mi disse niente, continuò
semplicemente a tenermi la mano. Una volta in strada si diresse sicuro
verso l’unica auto parcheggiata. «Sali.»
sussurrò piano al mio orecchio.
Obbedii e chiusi piano la portiera, mentre lo
guardavo chinarsi a recuperare le chiavi sotto il sedile: qualcuno ci
aveva preparato quella macchina.
«Dove stiamo andando?» domandai ancora,
rendendomi lentamente contro che c’era un altro piano sotto
quello che mi aveva spiegato Nate, del quale io non ero assolutamente a
conoscenza.
Zach mise in moto, fece manovra.
«C’è una strada che passa per i boschi, non so
esattamente dove sbuca, ma di certo lontano da Synt.» disse senza
guardarmi.
Lo studiai sorpresa, ce ne stavamo davvero andando?
«Ma Courtney ha bisogno di noi! Che dirà Nate?»
«È stato Nate a chiedermi di portarti
via.» rivelò, poi mi lanciò un’occhiata.
«È sicuro che Romeo prenderà te e di conseguenza
prenderà anche me.»
Tornai a guardare davanti a noi e deglutii.
«Non gli hai detto che non mi avresti aiutata?» insinuai
incolore.
«Non mi ha creduto.» Zach
sospirò. «Sospettava che avrei cambiato idea sul
più bello, è difficile imbrogliarlo.»
Gli lanciai un’occhiata, ma lui non
ricambiò il mio sguardo. Spinse alcuni pulsanti alla radio della
macchina, anche quella come le altre era stata impostata
affinché potessimo sentire i discorsi dei nostri compagni, si
sovrapposero a quelli che sentivo già dall’auricolare,
come se la cavano, cosa succedeva. Era rumoroso, ma confortante, dava
l’illusione di essere abbastanza vicini da poter allungare una
mano verso chi aveva bisogno.
A quanto pareva, Court aveva scoperto che alcune
strade erano state chiuse con sbarramenti di fortuna; i Veggenti la
stavano spingendo in una direzione precisa, che non era quella decisa
da Nate. Zach era silenzioso, mi chiesi quanto gli stesse costando
essere lì con me piuttosto che ad aiutarli.
«Deve essere difficile per te.» osservai.
Ci mise molto a rispondere. «Tu non vuoi che
io combatta.» disse dopo un po’, senza guardarmi, quasi non
fosse importante. «E in un modo o nell’altro hai contagiato
Nate.»
Lo guardai. «Non è quello.»
sospirai, affranta dall’incapacità di farmi capire da lui.
«Nessuno mi aveva ordinato di sparare a Iago, l’ho fatto
perché ti stava minacciando. Penso che dovresti avere un motivo
tutto tuo per combattere, non soltanto l’ordine di
qualcuno.»
Si strinse nelle spalle. «Ho fiducia in Nate, è quello il mio motivo.»
«Davvero?» domandai poco convinta. «E ti basta per uccidere qualcuno?»
Non rispose.
«Nate non può sapere sempre cosa
è giusto e cosa è sbagliato, come tutti. Confrontarsi con
gli altri fa bene, mia madre diceva sempre che possiamo imparare
qualcosa anche dalle persone più inaspettate.»
Zach rimase in silenzio a lungo, poi sospirò
e mi lanciò un’occhiata. «Dillo.»
Deglutii e scossi la testa. «Mi fa paura.»
«Però lo pensi.»
Aprii la bocca, ci ripensai, provai di nuovo.
«Non è detto che non possiamo imparare qualcosa anche da
Romeo.» quando mi era venuto in testa quel pensiero? Non lo
sapevo, però tornai indietro con la mente, lontano, fino a
raggiungere un ricordo al quale non avevo dato importanza, mai. Romeo e
Zach dentro la fabbrica di Mitronio ed io con un fucile da paint-ball
in mano; Romeo che mi suggeriva di chiudere gli occhi ed io che
obbedivo. Sarebbe potuta essere una bugia, avrebbe potuto approfittare
della mia distrazione in mille modi diversi, perché gli avevo
creduto?
Perché sapevi che non ti saresti distratta.
La macchina di Zach rallentò e si
fermò, guardai davanti a me senza capire, poi Zach spostò
la leva ed alzò i fari. «Beh, hai qualcosa da
chiedergli?»
I fari illuminavano un ragazzo vestito normalmente
con un paio di jeans ed una felpa con il cappuccio sulla testa, se lo
abbassò ed i suoi cappelli si accesero di rosso. Entrambi
rimanemmo a guardarlo immobili, sicuri che ogni nostro movimento, ogni
nostra azione, avrebbe portato ad una reazione che non ci sarebbe
piaciuto vedere.
«Becks, nel caso domattina non ci svegliassimo
c’è qualcosa che vuoi che io sappia?» mi
domandò.
Continuai a tenere gli occhi fissi su Romeo davanti
a noi, avrei dovuto dirgli che mi ero innamorata di lui, ma avrebbe
avuto senso? Davvero sarebbe stata una rivelazione? Tutta Synt,
Veglianti, Veggenti e civili, lo sapeva. «Credo che tu lo sappia
già.» mi limitai a suggerire.
Mi lanciò un’occhiata. «Non mi
sono mai pentito di averti scelta all’Asta.» ci
pensò. «Anche se è una cosa molto egoista.»
Sollevò una mano, sapevo che avrebbe premuto
un pulsante all’auricolare, che avrebbe cercato di contattare
Nate. Gli sfiorai il braccio per fermarlo. «Vorrei baciarti
ancora.» sputai fuori precipitosa, come se non ci fosse
più tempo. Perché era vero: non c’era più
tempo. «E…» lanciai un’occhiata a Romeo, se ne
stava in attesa, rise e si batté un paio di volte l’indice
sul polso. No, ti prego, non dividerci ora, ancora un minuto.
L’ansia prese il sopravvento di me,
improvvisamente scoprii di avere mille cose da dirgli, che si
affollavano nella mia testa per uscire per prime. «E non ho mai
fatto l’amore con nessuno, ma penso che vorrei farlo.»
Zach mi guardò, per alcuni secondi la
sorpresa ebbe il sopravvento su tutto, unica padrona della sua mimica
facciale; nessuno di noi due aveva fatto riferimento a quello che era
successo la notte precedente, entrambi maggiormente a nostro agio nella
finta amnesia temporanea. Ma se la mattina successiva non ci fossimo
svegliati, volevo che sapesse che non avrei mai dimenticato quella
notte, la parte più piacevole soprattutto, nemmeno se fossi
morta e, a dieci metri sotto terra, chiusa in una bara, con il cuore
fermo per sempre, avrei continuato a volerlo.
«Con me?» domandò.
Ci pensai inizialmente senza capire. «Io…» sbuffai. «Certo, che con te.»
Zach rise, bello da morire se non avessi saputo,
senza ombra di dubbio, che non l’avrei rivisto ridere per molto,
moltissimo tempo. «Allora, sarà il caso di svegliarsi
domani mattina.»
Davanti a noi Romeo non si mosse, ma qualcuno gli si
affiancò interrompendo quel momento e qualsiasi significato
potesse avere per noi.
«Si mette male.» Zach sospirò
fissandoli e spinse il pulsante per chiamare Nate. «Nate, mi
senti? … sono con Becky, ma la cosa rischia di essere complicata
… no … due … lo so che sono pochi, ma non è
detto che non…» si interruppe ed io trattenni il fiato,
mentre l’altro Veggente si sollevava sulla spalla quello che
aveva tutta l’aria di essere un lanciarazzi.
«Dove cazzo l’hanno preso
quell’affare?!» esclamò Zach, per un attimo troppo
travolto dall’incredulità per mettere a fuoco tutti gli
eventi che si sarebbero consumati di lì a poco.
«Scendi!» ordinò subito dopo, spingendomi verso la
portiera.
Obbedii e barcollai fuori, lui fece lo stesso
proprio mentre il Veggente fece fuoco. L’auto esplose e la forza
d’urto ci sbalzò entrambi dentro un vicolo. Cademmo a
terra tossendo per il fumo. Zach si alzò prima di me, mi
tirò in piedi per le spalle, poi mi prese una mano e mi
trascinò dietro di lui finché non trovammo un incrocio
con un'altra strada. Ci nascondemmo dietro l’angolo e Zach
sbirciò oltre il muro per vedere se ci stavano seguendo.
«Zach, ascolta.» mormorai.
«Cosa?» mi domandò lui senza guardarmi.
«Niente.» dissi sorpresa. «Dove sono finiti Nate e gli altri?»
Zach mi guardò ad occhi sgranati, ma il verde
delle sue iridi fu un ricordo molto presto, perché la
città piombò nel buio. Buttò l’auricolare e
recuperò il telefono dalla tasca interna della sua giacca
studiando lo schermo. «Rotto.» sbottò lasciandolo
cadere per terra. «Con tutta la merda che mettono insieme Matt e
Nate non gli è venuto in mente di rendere il mio cellulare a
prova di bomba.» sbottò, poi mi guardò. «Il
tuo?» domandò.
Un senso di gelo mi si addensò nello stomaco,
mandando diramazioni in tutto il mio corpo, il formicolio dietro la
nuca, fu soltanto uno dei tanti sintomi. Se avessi seguito quello che
diceva il mio intuito o quel che era, sarei scoppiata a piangere
lì, mi sarei ripiegata su me stessa come un vecchio foglio di
carta consumato e mi sarei sciolta in lacrime, anche se non ne avevo un
motivo vero. Era come guardare una porta chiusa, sapere quanto orribile
fosse quello che c’era dall’altra a parte e di essere
obbligati ad attraversarla comunque.
Zach dovette accorgersi del mio turbamento,
perché mi posò una mano sulla guancia, accartocciandomi
addosso i capelli. «Becks, tranquilla. Non è un problema.
Facciamo senza.» mi rassicurò. «Quante munizioni
hai?»
Guardai le mie pistole, sei in ogni caricatore,
più due caricatori di riserva. «Ventiquattro.»
Annuì. «Ventiquattro è un buon numero.»
«Quanto è lontana la strada nel
bosco?» già mentre glielo chiedevo, realizzavo quanto
fosse folle. Forse con una macchina sarebbe stata possibile, ma a piedi
dove credevamo di poter andare? Inseguiti dai Veggenti, poi.
«Beh, Synt è una città e non un villaggio, ma ci possiamo provare.»
Mi prese per la mano e fece per allontanarsi ancora, ma non lo seguii. «Lasciami qui.»
«Scordatelo.»
«Zach, posso trattenerli per…»
Si voltò a guardarmi. «Ho detto
scordatelo. Non ti lascio, se ti sembra sensato rimanere entrambi qui,
bene, restiamo qui.»
Deglutii corrucciata. «Sei impossibile.»
«Sì, sì, chiacchiera di meno e cammina di più.»
Nate guardò con apprensione i lampioni spegnersi uno dopo l’altro. Chiuse gli occhi. Non ucciderli, ti prego, non ucciderli.
Raggiunse Jared. Prima che ogni possibilità
di consultare il GBS della macchina di Courtney andasse in fumo, era
riuscito a stimare un calcolo della loro direzione e del loro probabile
punto di arrivo; aveva constato che non aveva senso, se una cosa non ne
aveva era inutile inventarselo, ma era lì che si stavano
dirigendo in quel momento, in ogni caso: Courtney, Martina e Viola
sarebbero state abbastanza protette finché non sarebbero state
costretti a fermarsi, quando sarebbe successo dovevano essere
lì, che avesse senso oppure no.
«Dobbiamo disimpegnare Court.» gli disse.
Lui lo guardò con apprensione. «Credi che sia in pericolo.»
«No, ma probabilmente ci servirà che
corra da un’altra parte.» recuperò il cellulare e
provò di nuovo a chiamare Zach. Di nuovo l’operatore
telefonico gli disse che non era raggiungibile, come se dovesse
dirglielo una stupida voce registrata. Aveva Courtney su una macchina
con una bambina ed una civile ed il cervello continuava a dirgli che
non era per loro che doveva preoccuparsi.
Compose il numero dell’ospedale, avevano i
loro contatti registrati, non c’era bisogno che si presentasse.
«Voglio che ci sia un’ambulanza a nostra
disposizione, pronta a partire se qualcuno di noi chiama.»
Jared lo osservò preoccupato.
«Me ne sbatto il cazzo della sicurezza della
popolazione, siamo noi a garantirla. Voglio quell’ambulanza, non
credo che vogliate discutere con la Responsabile Roberts o peggio
ancora con la Vegliante Williams. Se qualcuno si rompe un braccio,
soccorretelo con l’auto di primo soccorso.»
«Che succede?» chiese Jared non appena Nate riagganciò.
«Non lo so, non riesco a parlare né con
Zach, né con Becky.» sospirò e deglutì.
«Però non mi sembra sciocco essere previdenti.»
«Forse dovresti andare da loro, noi qui possiamo cavarcela.»
Lui rise sconvolto e scosse la testa. «Non so dove andare, non so dove sono.»
«Dove siamo?» domandai piano a Zach. Anche senza i
lampioni, la luna mandava un debolissimo chiarore da dietro la cortina
di smog, ma non era sufficiente perché io mi orientassi.
Lui camminava piano, ogni passo era seguito da un
secondo di immobilità ed ascolto. «Dietro il parco dove
siamo stati a correre qualche mattina fa.» spiegò in un
sussurro, non aveva mai lasciato la mia mano. Il silenzio era talmente
denso ed assoluto che, anche se Zach faceva finta di niente, sapevo che
li sentiva; c’erano passi intorno a noi, c’erano occhi che
ci scrutavano dal buio. C’era Romeo, se mi concentravo abbastanza
riuscivo a riconoscere il suo respiro.
Un altro passo, mio e di Zach, quasi in simultanea,
seguito da altri meno attenti. Non volevano coglierci di sorpresa,
forse se la godevano a spaventarci.
Un passo e ci trovammo al centro di un incrocio,
aspettammo di sentire i passi che ci seguivano. Non arrivarono.
Rimanemmo fermi, non eravamo stupidi, era impossibile che avessero
smesso di seguirci.
«Zach?» mormorai.
«Shh!» disse assorto nell’ascolto di una città muta.
Muta, finché i rumorini di passetti che ci
seguivano a distanza e con rispetto, non diventarono il rumore
scoordinato e martellante di persone che correvano.
Verso.
Guardai a destra ed a sinistra senza vedere nessuno.
Di.
Zach strinse di più la mia mano.
Noi.
Mi strattonò il braccio di colpo, spingendomi
in avanti un attimo prima che tre Veggenti lo travolgessero e lo
buttassero a terra. Mi voltai giusto in tempo per vedere Romeo
avvicinarsi a loro, mentre due Veggenti lo sollevavano tenendolo fermo
per le braccia ed il terzo gli sfilava, rapido e professionale, il
coltello con il Mitronio, altri due piccoli ed una pistola.
«Quella lasciala.» ordinò Romeo
ed il Veggente la rimise al suo posto, infilata nella cintura di Zach.
Non appena misi insieme quello che stava succedendo
le mie mani scesero da sole sulle mie pistole, ero armata dopotutto e
non avevo mai avuto bisogno di luce, qualche differenza doveva farla.
Non feci in tempo.
«Mi spiace, ragazzina, non stavolta.»
disse Jamie Ross afferrandomi le braccia e tenendole dietro la schiena.
«Lasciami!» protestai cercando di divincolarmi.
Zach mi guardò e lo fulminò prima di
tornare con lo sguardo su Romeo. «Lasciala. Hai me, non ti
darò problemi.»
Romeo si sporse verso di lui e si infilò una
mano dietro della schiena. «Spiacente, Zachy, è che
stasera lo show prevede due star.»
Jamie Ross mi tappò la bocca con una mano un
secondo prima che iniziassi a gridare, prima che succedesse tutto, non
appena vidi qualcosa mandare un leggero riflesso. Chiusi gli occhi con
le orecchie piene delle mie urla disperate, l’unica cosa che
sentii, che si fece largo fino alle mie orecchie fu un gemito, un
singhiozzo, io ero molto più rumorosa.
«E tu non puoi darmi ordini.»
Aprii gli occhi e fissai l’impugnatura del
coltello che sbucava da sopra la giacca di Zach, sotto le costole, a
sinistra. Anche lui la stava guardando con una sorta di sorpresa, senza
fiato, senza capire. La mia mente si spense, il mio cuore si
fermò, nelle mie orecchie vibrava un rumore acuto e frusciante.
Tutto era caos vuoto, dentro e fuori di me. Non capivo cos’era
quella cosa scura che si allargava sulla giacca di Zach e gocciolava,
non potevo, perché ogni volta che avevo dichiarato di essere
preoccupata per quello che gli sarebbe potuto succedere, non era mai
stato sul serio. Ero preoccupata, ma in modo dolce, come mia madre
quando mi gridava “Stai attenta” mentre uscivo: di certo
non si aspettava davvero che qualcuno mi facesse del male.
Il mio corpo reagì senza che la mia mente ne
prendesse nota. Mi divincolai tra le braccia di Jamie Ross mentre
fissavo lui: tutta la metà inferiore della giacca di Zach era
rossa, i pantaloni più lucidi e quello era sangue. Quanto sangue
poteva perdere?
Scattai con la testa all’indietro e colpii
Jamie Ross. Non appena mi lasciò, le mie mani corsero alle mie
pistole e le puntai davanti a me.
Nello stesso istante in cui Romeo allungò il
braccio per mostrarmi quello che aveva in mano: il mio cellulare.
«Lo fracasserò a terra prima che il
proiettile mi colpisca.» promise. «Le tue pistole per una
telefonata.» propose.
Courtney.
Per un momento vidi tutto quello che aveva visto
lui, le due strade davanti a me, le mie scelte. Lasciai cadere a terra
le pistole ad occhi sgranati.
«Sai già chi chiamare, vero?»
Guardai gli occhi di Zach, poi i suoi muscoli
rilassarsi piano, piano finché non rimase appeso in modo
grottesco ai due Veggenti che lo sostenevano.
Courtney.
Mi sembrava di non essere più lì. Di
stare per svenire. Non riuscivo a mettere a fuoco niente. Sembrava che
la mia vista fosse disturbata da scosse elettrostatiche.
Romeo guardò Zach e fece un cenno con il capo
ai suoi, lo avvicinarono ad un muro fino ad appoggiarcelo contro.
Mi trovai accanto a lui prima ancora di capire come ci ero arrivata.
Romeo si avvicinò e sollevò il viso di
Zach per cercare il suo sguardo ignorando del tutto me. «Io ti
perdono, tutti noi lo facciamo. Se sopravvivrai, se ti rimetterai,
sarai giudicato per le azioni che sceglierai in futuro. Finora non ti
hanno permesso di farlo e noi lo sappiamo.»
Lo guardai senza capire, ma lui non mi prestò attenzione. «Digli addio, Becky.»
Tornai a Zach, non volevo dirgli addio. Avvicinai le
mani all’impugnatura del coltello con l’intento di
toglierlo, ma tremavano così tanto che ne ebbi paura. Toccai la
sua giacca insanguinata, quasi ad accertarmi che fosse tutto vero, che
quello non fosse un incubo. Il sangue di Zach era caldo, tiepido, se
non fosse stato per la sensazione di viscido le mie dita non se ne
sarebbero accorte. Non appena lo sfiorai, Zach mosse le labbra, ma non
emise suono. Gli posai una mano sulla guancia capendo in ritardo che lo
avrei sporcato con il suo stesso sangue, consapevole che quel ricordo
mi avrebbe torturata per sempre. Non c’era niente che potessi
fare, io non sapevo aiutarlo, ne ero dolorosamente consapevole.
Però Courtney sì, lei poteva fare tutto, l’aveva
ricucito mille volte, poteva farlo ancora. Lei doveva farlo ancora.
Appoggiai la fronte contro quella di Zach e chiusi gli occhi. «Starai bene, te lo prometto.»
C’era qualcosa di definitivo nell’aria,
un addio o quasi, la fine di tutto era in un vicolo di Synt, tra il
sangue di Zach. Romeo mi avrebbe concesso quella telefonata, poi mi
avrebbe ucciso. Mi aveva disarmato senza nemmeno toccarmi e nel corpo a
corpo ero una schiappa, esattamente come Ryan. E lui lo sapeva,
l’aveva sempre saputo. Forse però non sapeva che se avesse
salvato Zach, se avesse permesso a Courtney di farlo, mi sarei arresa.
«Chiamerò Courtney, lei saprà
cosa fare.» lo baciai, pianissimo. Zach raggiunse la mano sulla
quale mi stavo sorreggendo a terra e mi strinse il polso in modo
ridicolmente debole; per me che lo avevo sentito stringermi più
o meno affettuosamente tante volte, fu come un pugno. Mosse le labbra
in una muta richiesta che non aveva bisogno di voce: era un
“no”.
Lo fissai negli occhi, anche se le mie lacrime rendevano tutto difficile. «Devo.» miagolai.
«Tic, tac, Becky. Quanto tempo pensi che possa avere?»
Mi alzai in piedi e mi tirai indietro i capelli
nervosa, tremavo ancora, avrei tremato per tutto il tempo che rimaneva
della mia vita. Romeo mi offrì la mano vuota, la guardai senza
capire.
«Ho ucciso Zach Douquette. Pensi davvero che
starò qui ad aspettare che arrivi Courtney a farmi il
culo?» rise. «Ti ho promesso una telefonata, ma non ti ho
detto dove.»
Deglutii disorientata e spaventata: una cosa era
farsi uccidere lì, questione di secondi; un’altra era
seguirlo dovunque volesse portarmi e farmi torturare magari. «Io
non vengo da nessuna parte con te.»
I tre Veggenti intorno a noi ridacchiarono, poi:
«Tic, tac. Tic, tac. Tic, tac.» continuarono a sussurrare.
Strizzai gli occhi furiosa, mi sarei strappata le orecchie pur di non sentirli.
Romeo si strinse nelle spalle. «Okay, aspetta
che ti muoia tra le braccia. È una scena molto tragica, ma
sempre d’effetto.» mi indicò un palazzo alle sue
spalle. «Noi ti guarderemo da lì. Potremmo fare un
filmino, in modo che tu possa rivivere l’ultimo respiro di Zach
Douquette ancora…» si avvicinò a me.
«Ancora…» un altro passo. «E
ancora…»
Mi chiesi quante possibilità avessi di
saltargli addosso e strangolarlo. «Tu non vuoi che Zach
muoia.» dissi cercando di convincermene per prima. «Non lo
lascerai morire.»
Romeo mi fissò. «E tu?»
Il cellulare di Courtney vibrò nella sua tasca, lo
recuperò al volo ed azionò il vivavoce mentre guidando
cercava di schivare un gruppo di Veggenti ed allo stesso tempo di non
finire addosso ad un muro.
«Court.» disse Becky.
«Non è un buon momento.» la
avvisò. Martina, spaventata dalla sua guida poco ortodossa, era
andata ad aggrapparsi a Viola, che l’aveva abbracciata ed aveva
continuato a rispondere con frasi dolci e rassicuranti ad ogni suo
piccolo lamento.
«Zach è stato ferito.»
mormorò Becky, sembrava troppo fredda. Di solito era sempre
sconvolta quando lo diceva.
«Ancora?» sbuffò. Zach si faceva
sempre male, ma ultimamente era una tragedia. «Okay, senti, resta
lì, vi raggiungo appena posso d’accordo?» propose.
«Non sono potuta restare con lui, non ha voluto.»
Courtney era incerta. «Zach non ha voluto.»
«Romeo.»
Il peso delle sue parole le precipitò addosso
in un solo, singolo istante. «Dove sei adesso, Becky?»
Non rispose. «Ha perso tanto sangue,
io… io non ho tolto il coltello, avrei dovuto?»
scoppiò a piangere. «Non ho avuto il coraggio di toccarlo,
ho avuto paura di fargli male o sbagliare qualcosa.»
La mente di Courtney si arrotolò su sé
stessa, guardò lo schermo del cellulare come se potesse guardare
in faccia la sua interlocutrice. «Di quanto sangue stiamo
parlando? Dove è stato colpito? Gli organi vitali?»
«Non lo so.»
«È cosciente?»
«Non lo so, ho dovuto lasciarlo lì
e… Romeo non ha lasciato nessuno con lui e io…» si
bloccò. «Devo attaccare. È dietro il parco. Ti
prego, non lasciarlo morire.» e riattaccò.
«Becky!»
Courtney inchiodò in mezzo alla strada, in
mezzo ai Veggenti. Sapeva che Nate la stava fissando senza capire, che
Jared era preoccupato che le fosse successo qualcosa, che Matt pensava
che in qualche modo fossero riusciti a spararle. Si voltò e
cercò gli occhi di Nate, in un secondo si dissero tutto,
ultimamente capitava spesso.
Lui annuì.
Fissò Viola nello specchietto retrovisore.
«Scendi.» ordinò. «Ci sono gli altri,
penseranno loro a te.»
E lei obbedì.
Courtney lo avrebbe realizzato solo molto tempo dopo, ma nessuno la ostacolò mentre raggiungeva Zach.
Parcheggiò dietro al parco insieme all’ambulanza che aveva
chiamato. Percorse i vicoli seguendo un istinto interno che la guidava,
determinata e sicura, armata soltanto di una torcia. Ma quando vide
Zach, abbandonato contro un muro, in mezzo ad una pozza di sangue come
un sacchetto della spazzatura, perfino lei vacillò. La sua mente
percorse tutte le cinque fasi del dolore in un battito di ciglia, poi
tornò indietro precipitosamente alla negazione, perché
anche se sembrava immobile non poteva essere morto.
Si avvicinò, guardò il coltello con
terrore cieco, mentre non riusciva ad impedirsi di pensare a quanti
organi potessero essere stati compromessi, avrebbe preferito non
saperlo. Andava aperto, operato, avrebbe perso altro sangue. Quanto ne
aveva perso? Molto. Il suo cuore doveva continuare a pompare e non
poteva farlo se non c’era niente da mandare in circolo.
«Sangue, mi serve una sacca di sangue.»
Un paramedico gli porse una sacca, la sua mente
lesse la percentuale prima dei suoi occhi. «Tieni quella merda
lontana da lui e dammi quello per civili!» ruggì furiosa.
«Non possiamo. Ci sono degli ordini.» si giustificarono i due addetti all’ambulanza.
Battiti perché abbia le sacche da civili.
Courtney recuperò la pistola dalla cintura di
Zach e la puntò ad uno dei due, quello che aveva davanti.
«Vegliante Williams, le devo ricordare che lei deve proteggere i civili.»
Courtney gli sparò ad un ginocchio, poi
puntò la canna ancora fumante all’altro ignorando le urla
come se non le sentisse. «Tira fuori quel sangue o giuro che gli
do il tuo.» lo minacciò. «Poi ti lascio
soccorrerlo.»
Il paramedico fu tanto gentile da sistemare lui
stesso la trasfusione a Zach prima di aiutare il suo collega. Courtney
prese fiato, poi afferrò con un mano il pugnale pronta al
peggio. Tirò e Zach lanciò un urlo straziante, come se
fosse stata lei a piantarglielo.
Fece finta di non sentirlo, ma una lacrima gli
rotolo tra le ciglia, la tolse con il dorso della mano prima che
raggiungesse lui.
Afferrò un pacco di garze e le premette sulla ferita.
Zach urlò ancora, la supplicò di fermarsi.
Gli prese il viso tra le mani e lo costrinse e
guardarla. «Ti sto salvando la vita, Zach, non t’azzardare
a chiedermi di fermarmi!» sapeva che era stupido, che Zach non
urlava con la testa, ma con tutto il resto, che non era logico, non era
lucido; non c’era nemmeno un briciolo di lui nei suoi occhi
sgranati e spaventati, era solo istinto di conservazione, il suo corpo
si ribellava al dolore.
Quando perse conoscenza di nuovo, supplicò qualunque dio ci fosse perché urlasse di nuovo.
Non c’era più nessuna missione, nessuna squadra, non
gliene fregava niente. Nate voleva soltanto portare quelli che era
rimasti lì in salvo. Ripiegarono per un ritirata il più
indolore possibile, portandosi dietro Viola e la ragazzina. Le avevano
distrutto il locale prima ed ora probabilmente l’avrebbero
uccisa: erano dei Veglianti imbarazzanti.
Però avevano Matt e c’era una macchina.
«Puoi farla esplodere?» urlò.
«Ci provo.»
«Jared, aiutami a spostarla.» spingendo
riuscirono a spostarla abbastanza perché fosse tra loro ed i
Veggenti, non era gran ché come sbarramento, anche lui avrebbe
potuto saltarla, ma sperò che esplodendo avesse fatto guadagnare
a Viola e alla ragazzina abbastanza tempo per scappare. Si voltò
verso i loro.
«Scappa, trova il modo da te. Non possiamo fare più di così.»
Lei annuì, si voltò e corse via con Martina tra le braccia.
Lui, Jared e Matt rimasero a guardare i Veggenti dall’altra parte del fuoco.
«È vero.» disse Romeo mentre guardavamo una Synt completamente buia.
Zach era vivo? Non lo sapevo.
Io lo ero? Non sapevo nemmeno quello.
«Josh Lanter si è buttato dal tetto di
un palazzo per colpa di quello che gli ho detto.» rivelò.
«Forse l’ho davvero istigato al suicidio, però io
gli ho detto la verità, non mi sono inventato niente.»
Non lo stavo ascoltando, non sapevo dov’ero,
non sapevo dov’era il mio corpo. La mia mente stava registrando
le parole di Romeo in automatico, mentre il mio cuore straziato
riusciva soltanto a farmi sentire l’odore ferroso del sangue di
Zach.
«Quello che nessuno sa, è che non volevo.»
Si spostò dietro di me e mi bendò gli
occhi, strinse forte il nodo sulla mia nuca, poi mi ammanettò le
mani dietro la schiena.
«Forse ti suiciderai anche tu, Rebecca Farrel,
o forse ti ucciderò.» rifletté. «Ma in
entrambi i casi, devi sapere che non è quello che voglio.»
Non avevo capito che la cosa dura che premeva contro
la mia schiena era una pistola, finché Romeo non sparò.
Viola smise di correre quando si sentì abbastanza lontana dai Veglianti. Mise Martina a terra e la prese per mano.
«Hai ancora paura?» le domandò. Lei ne aveva avuta, di paura.
Martina la guardò. «Ora andiamo dal signore con i capelli rossi?»
Viola annuì e si ripromise di non ascoltare
mai più quel folle di Jamie Ross quando gli diceva che sarebbe
andato tutto liscio come l’olio. L’aveva detto anche prima
che sulla sua caffetteria crollasse un palazzo: non voleva concedergli
una terza possibilità.
«Allora no.» rispose Martina stringendo la sua mano più forte.
Intorno a loro, un poco per volta, Synt si illuminò di nuovo.
dunque, salutate Becky? ciao, Becky.
allora, vi preannuncio che il prossimo, meraviglioso capitolo made in
Fragolottina, si intitolerà - pensate un po' - Shannon Tyler.
ed ora la vostra domanda sarà: ma quando lo pubblichi?
parliamone, sto cercando di impegnarmi a scrivere più
regolarmente e di conseguenza a pubblicare più regolarmente...
non vi faccio promesse! però voglio provare a darvi una mezza
indicazione: facciamo che pubblico ogni due settimane di venerdì.
ovviamente nel caso abbia problemi, ritardi, Romeo mi proponesse una
settimana di sesso-Veggente non-stop, vi avviserò ovunque...
perciò as always vi lascio: Lamponella on facebook e Fragolottina on twitter!
fatemi sapere che ve ne pare del capitolo, se vi va, mi renderete felice!
...
e fu così che Fragolottina venne insultata in codice html!
no, dai scherzo, siete sempre carinissime tutte quante!
baci
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Capitolo 25 *** 24. Shannon Tyler ***
MSC19
fragolottina's time
premessa
obbligatoria: io ho studiato lingue. questo significa che di medicina
non ne so niente, se qualche medico e/o aspirante medico notasse
inesattesse abominevoli in questo capitolo è invitato, anzi
incoraggiato, a farmelo notare. però dai se sono cosette
lasciate stare, anche perchè alla fine nessuno sa che tipo di
conseguenze può avere il Mitronio su un civile, un Vegliante o
un Veggente, stessa cosa per i rimedi più o meno ortodossi che
utilizzerà Vivien Williams - e lei è un medico con i
contro*bip*!
poi...
c'è Josh, in realtà il pianto originale prevedeva un paio
di capitoli esclusivamente per loro, ma ho optato per una nuova
soluzione che mi convince di più spero anche a voi!
e Becky? ma mica posso dirvi tutto nella note d'autore, no?
24.
Shannon Tyler
Jean Roberts rise guardando Josh Lanter. Erano nudi, lo erano spesso in camera di lui.
«Tu vuoi che io ti sposi?» chiese per conferma.
Lui si sporse e le diede un bacio che sapeva ancora del sesso che avevano fatto prima. «A-ah.»
«Perché?» chiese la ragazza senza capire.
«Perché fra due anni tu non sarai più una
Vegliante, voglio qualcosa che ci leghi anche fuori. E poi così
quando finirò il turno anche io potremmo… boh, costruire
una famiglia.»
Jean stava ancora
ridendo e Josh sbuffò. «Perché lo trovi così
strano?» arrossì.
«Non lo so,
non c’ho mai pensato.» fece una smorfia. «I Veglianti
non si sposano.»
«Perché no?» le chiese disinvolto.
«Dovremmo chiedere il permesso a Wood.» osservò.
Josh alzò
gli occhi al cielo. «Sono davvero poche le cose alle quali non
acconsentirebbe Wood, se sei tu a chiederlo. Al massimo ti dirà
che non sono degno di te.»
«Non è vero, anche tu gli piaci.»
«Non quanto
te, nessuno gli piace quanto te.» le si avvicinò e le
passò un braccio intorno alla vita. «Dammi un vero motivo
per cui non dovresti sposarmi.» disse fissandola con aria di
sfida.
Jean
assottigliò lo sguardo studiandolo. «Beh, non mi hai preso
un anello.» gli fece notare.
Josh rise come
rideva sempre, come se niente fosse più bello di quello che
avevano. Si allungò verso il suo comodino e recuperò una
scatolina che poi le porse, era verde come le loro giacche.
Lei la osservò stupita. «Aspetta, mi hai preso un anello?»
«Certo, che
ti ho preso un anello, che pensavi?!» la prese in giro.
«Altro, Caposquadra Roberts?»
Jean gli
lanciò un’occhiata furba. «C’è sempre
il problema che io sono la super Caposquadra Roberts, di Los Angeles, e
tu un Vegliantuncolo di poco conto.»
«Ma
sentitela!» sbottò prima di saltarle addosso ed iniziare
una lotta giocosa che lo fece finire sopra di lei. Jean non ci
provò nemmeno, a volte lottavano anche per davvero, durante gli
allenamenti: Josh non vinceva mai, però di solito poi facevano
sesso, quindi erano pari.
La guardò serio. «A meno che io non sia il vero motivo.» le disse.
Jean lo
osservò, tutto quello che avrebbe voluto vedere nel mondo era
nelle iridi azzurre di Josh, non le serviva altro. Lui la rendeva
felice, era la persona che prendeva parte delle sue
responsabilità quando era tutto troppo grande, il Vegliante che
le copriva le spalle quando non riusciva a badare a sé stessa.
Josh badava a lei.
«Non so
immaginarmi senza te, né donna né Vegliante, sarei solo
una cosa insignificante e inutile nel mondo.»
Josh rise insinuante. «È un sì?» le chiese.
Lei finse di pensarci. «Dipende…»
«Da cosa?»
Recuperò la scatolina frugando tra le coperte. «Non so ancora se l’anello mi piace.»
Courtney non avrebbe saputo descrivere quello che stava facendo, non a
parole, la sua mente e le sue mani facevano tutto da sole con la stessa
fredda abitudine di sua madre. A volte da bambina aveva pensato che
fosse sbagliato da parte sua permetterle di assistere a scene tanto
cruente, in quel momento la ringraziò: le aveva insegnato ad
essere una macchina da chirurgia, a chiudere ogni sentimento, dal
ribrezzo all’amore fuori dalla sala operatoria
Se non l’avesse fatto in quel momento non sarebbe riuscita nemmeno a respirare.
E Zach sarebbe morto.
Lei ed il chirurgo che aveva scelto, l’unico
di cui riusciva quasi a fidarsi – lo stesso che era intervenuto
sulla gamba di Lynn – operarono Zach con freddezza e
concentrazione. Era la prima volta che lo vedeva completamente nudo e
non se ne sarebbe mai ricordata, non l’aveva nemmeno guardato.
Per questo si accorse che Lindsey era entrata in
sala operatoria quando fu troppo tardi, quando prese un bisturi ed
incise la pelle di Zach da metà avambraccio al gomito.
«Che diavolo stai facendo, stupida
ragazzina?» le urlò, pronta ad assalirla con le pinze che
aveva tra le mani.
Lindsey non fece nemmeno caso a lei, frugò
tra la carne di Zach come se fosse rimasta a Synt esclusivamente per
fare quello, concentrata, precisa, determinata. Fece forza con il
bisturi, poi infilò le dita nel taglio estraendone un grumo
scuro che fece cadere in un contenitore. Il rumore squillante che
produsse informò tutta la sala che non si trattava di qualcosa
di organico.
Guardò Courtney, prima di prendere il kit per
suture e ricominciare a cucirgli il braccio. «Nate ha quattro ore
per crackarlo, o il padre di Zach verrà qui e non sarà
affatto contento di quello che stiamo facendo.»
«Stiamo salvando suo figlio.» protestò Courtney.
Lindsey annuì. «Appunto.»
«Non posso lasciare. Parlaci tu con Nate.»
Una volta finito con le suture, Lindsey recuperò la bacinella ed uscì.
«Se hai fatto un casino ti soffoco nel sonno
con un cuscino.» le urlò dietro Courtney. Grugnì e
tornò a lavoro, ci mancava soltanto Lindsey.
Uscì dalla sala operatoria quattro ore dopo,
le facevano male la schiena, la testa, le spalle, i piedi, le braccia.
Si tolse il camice che le avevano dato, i guanti e la mascherina per
scoprire che sotto era sporca del sangue di Zach. Deglutì
guardandosi le braccia striate di marrone scuro, i pantaloni quando si
era inginocchiata per aiutarlo. Tutto quello che avrebbe dovuto provare
prima e che era stata costretta a reprimere, la sopraffece in un
istante. Si accucciò a terra, prendendosi la testa tra le mani:
era così stanca che sarebbe voluta morire.
E Zach era a brandelli.
E Becky non c’era.
«Vegliante Williams.»
Courtney alzò lo sguardo sugli agenti
dell’ADP, fermi alla porta della stanza; erano quattro ed avevano
quattro pistole puntate su di lei.
«Deve seguirci in caserma.»
Jean assistette al suo interrogatorio da una stanza attigua, in
silenzio. Courtney si difese bene: fu chiara nella sua spiegazione, non
negò niente. I Veggenti l’avevano messa davanti ad una
scelta, lei aveva scelto la sua squadra; aveva perso la bambina ed un
civile, aveva sparato ad un paramedico. Era una colpa, ma non troppo
grave, si era dimostrata fedele agli altri Veglianti, erano cose delle
quali l’ADP teneva conto.
«Quanto avete intenzione di trattenerla?» chiese all’agente insieme a lei.
«Quanto sarà necessario.»
Jean non se ne intendeva molto di medicina, ma di
una cosa era sicura: Zach aveva appena subito un intervento
impegnativo, era stabile, ma i suoi segnali vitali deboli, se
l’avesse lasciato in mano a medici comuni sarebbe morto.
«Se non le spiace, signorina, dovremmo
consultarci con i nostri superiori.» dissero i due agenti che la
stavano interrogando. «Le mostreremo una stanza dove poter
passare la notte e le daremo vestiti puliti.»
«Una cella.» precisò Courtney.
Gli agenti non risposero.
«Ho bisogno di parlare con la mia Responsabile.»
«Puoi parlare, ti sente.»
La ragazza fissò il vetro a specchio davanti a lei. «Chiama mia madre.» disse.
Jean non se lo fece ripetere, recuperò il
proprio cellulare, ma si fermò a leggere un messaggio di Nate:
“Non l’abbiamo trovata”.
«Davvero darai l’esame per diventare Responsabile?» le chiese Josh mentre si radeva davanti allo specchio.
«Me lo ha
suggerito Wood, dice che è un peccato sprecare il mio talento e
che l’ADP ha bisogno di persone come me.»
«E vuoi fare la Responsabile?» domandò ancora, affatto convinto.
Lei si strinse nelle spalle. «Non lo so, dare l’esame non mi obbliga.»
«Non vorrei
che lo facessi, vorrei avere una vita normale dopo.» rimase in
silenzio per alcuni secondi. «Vorrei avere dei figli.»
Jean si
alzò dal letto e lo raggiunse, lo abbracciò da dietro e
gli posò un bacio dietro la schiena, proprio sulla spina
dorsale.
«Vorrei che nelle nostre vite ci fossero anche cose belle.»
«Ci sono, ci
siamo noi.» gli disse sporgendosi oltre lui per incontrare il suo
sguardo sullo specchio. «Wood mi darà il tormento se non
lo faccio, ci ha permesso di sposarci, che mi costa fare questo
benedetto esame se lo rende tanto felice.»
Josh la
osservò e sospirò. «Credo che insista tanto
perché è sicuro che un giorno ti stuferai di me.»
«Allora, non ha capito niente.» disse ridendo.
Vivienne Williams promise di raggiungerli al più presto in
compagnia di un avvocato per la figlia. Nate e Matt avevano avuto
intenzione di uscire di nuovo per cercare Becky, ma Lindsey li aveva
trattenuti mostrando loro un cosino di metallo estratto dal braccio di
Zach. Jared le aveva detto che sarebbe andato in caserma a riposare un
po’, poi da Courtney; un agente dell’ADP si era offerto di
passare la notte con lui per garantire la sua sicurezza.
Jean prese in considerazione l’idea di andare
lei stessa a cercare la ragazzina, ma Zach era solo e ferito in una
stanza e lei non voleva che rimanesse scoperto, probabilmente non lo
avrebbe voluto nemmeno Rebecca. Dentro con lui c’era Lindsey, non
era Courtney e non era una Vegliante, ma sapeva il fatto suo ed amava
Zach: a volte quello era sufficiente a salvare una vita.
A volte.
Quella notte Josh era ovunque: era nel corpo
sfiancato di Zach, nella paura per la ragazzina rapita,
nell’arresto di Courtney. Era come se avesse lasciato un
pezzettino di sé in ognuno di loro per torturarla con la sua
assenza. Come si poteva finire ad odiare tanto qualcuno che si aveva
tanto amato?
Scoppiò a piangere per la stanchezza. Non era
triste, lo era stata a lungo, era solo incredibilmente stanca: di
andare avanti, lottare, continuare sempre, alla ricerca di un senso che
le veniva rubato da sotto il naso ogni volta che si sentiva più
vicina.
Avrebbe voluto che lui fosse lì, che quando
aveva promesso di starle sempre accanto non avesse mentito. Lei senza
di lui era un fallimento. Non importava quanto celebre, brava,
efficiente fosse da giovane: ormai era solo una cosa insignificante ed
inutile nel mondo.
Dawn Dandley si sedette accanto a lei e le
posò una mano sul braccio. «Oh, Mrs. Lanter, no, non
ancora!» le disse conciliante cercando di tirarla su. «I
suoi ragazzi hanno bisogno di lei.»
Si scrollò le sue mani di dosso e la
guardò, si aspettava derisione, si sorprese nel trovarci dolore.
«I miei ragazzi stanno morendo, uno dopo
l’altro, prima Josh, poi Lynn, ora Zach e Rebecca!» la
fissò stravolta. «Perché mi odia così
tanto?! Cosa diavolo gli ho fatto?!» urlò prima di
lasciarsi di nuovo scivolare contro la poltroncina di plastica.
«Io gli ho salvato la vita.»
Di solito non si lasciava sfuggire una parola su di
lui, mai, nemmeno con Josh, però quella notte non riusciva ad
essere lucida. Aveva dato tutto, ogni singola cosa che gli era
appartenuta, perfino la sua vita era stata sacrificata per una causa
più grande. Una causa che non condivideva, ma che era
l’unico mezzo per tenere al sicuro le persone alle quali voleva
bene. Ed ora non era più nemmeno quello, lui non le permetteva
di tenerle al sicuro.
Dawn scosse la testa. «Non la odia, non può, Mrs. Lanter.»
Jean fece una smorfia, affranta, le sembrava di non
riuscire a respirare, quel “Mrs. Lanter” che era stata
tanto felice ed orgogliosa di portare, la soffocava. «Mrs.
Dandley, la scongiuro, sono Miss Roberts. È stato lui a
chiedermi il divorzio. Ho le carte nel cassetto della mia stanza,
firmate.»
«Firmate da lei soltanto.» le ricordò.
«Perché è morto.»
Fece di no con la testa. «Non le avrebbe mai firmate.»
«Non può saperlo.»
Dawn Dandley si frugò in tasca ed estrasse un
fazzoletto che le porse. «Sappiamo entrambe che sono in contatto
con persone che possono.» le ricordò.
Jean si asciugò gli occhi, poi si
soffiò il naso. «Mi spiega che diavolo ci fa lei a
Synt?»
La donna sospirò. «Cerco redenzione.»
«Da cosa?»
Sospirò. «Ho insegnato agli uomini come
combattere una guerra ingiusta, certo, al tempo ero molto giovane e non
sapevo esattamente quello che stavo facendo. Credevo di fare del
bene…» si fermò per sorridere, folle, lisciandosi
il vestito, o meglio la sottoveste, che indossava. «Come tutti
quelli che finiscono per fare cose mostruose, immagino.»
c’era qualcosa di controllato in lei, che sembrava nascondere una
bestia che si contorceva di disperazione ed odio. Cosa le aveva fatto
il Governo? E con cosa lei minacciava il Governo per essere ancora viva?
Jean avrebbe voluto chiedergli, ma quella notte era
sconvolta e quando lo era, era davvero difficile allontanare Josh.
«Perché lui non l’ha trovata?»
Dawn sospirò. Jean si rivide a quel funerale
con lo sguardo fisso, completamente vuota. Ricordava Zach e Courtney
mano nella mano accanto a lei, distanti, separati per sempre da
qualcosa che non sarebbero riusciti a spiegare, dalla realtà
più terribile di tutte: Josh, il loro eterno eroe, il loro
mentore, aveva perso la sua battaglia contro la vita che anche loro
stavano vivendo. Che possibilità avrebbero potuto avere?
Cercò dell’altro nella sua memoria,
cercò Lynn e Nate che la aiutava ad asciugarsi il viso,
cercò il loro abbraccio, il loro conforto l’uno nelle
braccia dell’altro. C’era speranza, solo non per loro.
«Quello che ha fatto…» Dawn si
interruppe, tutte e due sapevano che, se non fosse stato Josh,
avrebbero condannato le sue azioni senza possibilità di appello.
Perché non aveva trovato redenzione? Perché non
c’era.
«Lei ha salvato una vita quel giorno, lui ne
ha spezzate troppe. Vi trattano da soldati, ma non lo siete. Siete
ragazzi, c’è un limite anche per voi, lui l’ha
superato. La cosa peggiore di tutto questo non è la caccia ai
Veggenti, ma che a nessuno importa se vivete o morite. A nessuno
importa se vi rompete. Siete sacrificabili, sostituibili.» le
prese la mano. «Non ha mai odiato lei, così come Romeo non
la odia, ma la verità era atroce e vedere cosa aveva fatto di
Zach è stato troppo.»
«Qual è la verità?»
«La conosce benissimo, Mrs. Lanter.» le disse con un sorriso.
«Perché è qui?» le chiese ancora.
«Per lei.»
Jean la guardò. «Che ne sarà della ragazzina?»
Dawn non rispose.
«Caposquadra Roberts,
aspetti!» le urlò dietro la hostess che le era stato
affibbiata all’Asta. Era andata da sola a dare un’occhiata,
Wood le aveva consegnato il suo pass, tutti all’Asta la
trattavano come se fosse lui quindi decisamente meglio degli altri
Caposquadra. Le piaceva avere quell’influenza, essere tanto
potente.
Procedeva a passo
spedito, aveva sentito di quel ragazzo che aveva picchiato il suo
Responsabile ed era stato rimandato lì. La cosa l’aveva
parecchio incuriosita. Voleva vederlo, voleva prenderlo.
La hostess la
raggiunse. «Posso suggerirle altri elementi altrettanto validi,
ce ne sono molti che sono sicura incontrerebbero le sue
necessità.»
Jean la guardò. «Perché non vuole mostrarmelo?» chiese senza capire.
«Perché lei è Jean Roberts, se la picchiano mi licenzieranno.» piagnucolò.
«Mi scusi, ma non mi ha detto che è legato?»
La hostess la
osservò speranzosa. «Mi giura che non si avvicinerà
troppo e che non si metterà in pericolo?» le
domandò.
Jean sorrise affabile. «Stia serena, signorina.»
Lei sospirò arresa. «Bene, mi segua.»
La guidò
tra il labirinto di scatole di vetro con efficienza, il ragazzo era
insieme a tutti quelli che non si erano rivelati in grado di fare il
loro lavoro; Wood non mandava mai indietro Veglianti, al massimo li
usava come esche. Jean non condivideva, ma lui era il Responsabile, gli
ordini spettavano a lui.
Si fermò
davanti ad un scatola-acquario. Niente sedia e niente pranzo per i
reietti, solo acqua. Il ragazzo se ne stava accartocciato sul fondo,
ammanettato ad una catena; Jean lo osservò, non sembrava
particolarmente pericoloso. «Perché l’ha
picchiato?» domandò alla hostess.
Lei si strinse nelle spalle. «Nessuno lo sa.»
«Mi dia le chiavi.»
La hostess si oppose. «Me lo aveva promesso!» si lamentò.
Jean la
guardò. «Signorina, le assicuro che dirò a tutti di
avergliele dovute prendere con la forza, non mi obblighi a farlo
davvero.»
Dopo averla guardata a lungo, le porse le chiavi.
Jean fece
scivolare il pass di Wood sullo schermo davanti alla gabbia ed
entrò richiudendosi la porta alle spalle. Il ragazzo la
guardò.
«Ciao.» lo salutò, lui si voltò di nuovo.
Jean si
avvicinò, si accucciò accanto a lui e fece per prendergli
il braccio. Il ragazzo si ritrasse; lei studiò come si
rannicchiò su sé stesso, conosceva quei movimenti, tutti
i suoi Veglianti scattavano in quel modo dopo essersi fatti
mezz’ora di chiacchierata con Wood.
Inseguì il suo braccio e lo prese, lui non oppose ulteriore resistenza.
«È
stato il tuo Responsabile?» gli chiese mentre schiavava le sue
manette e studiava il livido che aveva sul braccio e quelli sul viso,
sul collo: avevano cercato di strangolarlo.
«Il Caposquadra.»
«Era più forte di te?»
Scosse la testa.
«La prima volta che hanno provato, ho aggredito il mio
Responsabile. La seconda non hanno voluto correre rischi, mi avevano
sedato.» si massaggiò i polsi.
«Quanto?»
«Non abbastanza.»
Jean si sedette di
fronte a lui. «Si chiacchiera molto di te, sai? Quella non era la
tua prima squadra.»
«La mia prima squadra non mi piaceva.»
«E la seconda sì?»
Scosse la testa. «Non mi piacciono i Veglianti.» la guardò. «Nemmeno lei.»
Jean si
alzò. «Ti porterò via con me che tu lo voglia o no,
ma ti concedo cinque minuti.» offrì. «Possiamo
litigare, puoi provare a colpirmi, ma a Los Angeles poi ti comporti
bene.»
«Questo
sarebbe il suo modo per comprare la mia fiducia?» il ragazzo
scosse la testa ridendo e le lanciò un’occhiata.
«Non picchio le donne.»
Jean gli diede un pugno, insospettabilmente il
ragazzo lo schivò. Per un attimo la guardò come se ad
animarlo ci fosse tutto l’odio del mondo e nient’altro. Si
alzò in piedi e fece per rispondere al suo colpo, Jean
però era pronta: gli afferrò il polso e lo spinse con la
schiena contro il vetro alle sue spalle, incrociandogli le braccia sul
busto in modo che non potesse muoversi. Era troppo arrabbiato per
essere davvero pericoloso, facile da tenere fermo anche se si
divincolava.
«Non sono una donna, sono la tua Caposquadra.»
«Io non
voglio fare il Vegliante, cercherò di ucciderti nel
sonno.» sputò infuriato, senza smettere di divincolarsi.
«Ti voglio
proprio vedere. Dormo con Josh, s’incazza parecchio se lo
svegliano di soprassalto.»
«Non ti obbedirò.» promise. «E chi diavolo sarebbe Josh?»
Jean lo fissò seria. «Ti farò prendere a calci il tuo vecchio Caposquadra.»
Il ragazzo la guardò stupito e smise di ribellarsi. «Non puoi.»
«Tutti quelli che l’hanno detto si sono ricreduti.»
Uscirono insieme,
Jean effettuò il pagamento, insignificante visto che si trattava
di un indesiderato. Aveva già chiesto in giro, conosceva il
Caposquadra del ragazzo, sapeva tutto di quel ragazzo. Si chiamava
Shannon Tyler, veniva da una cittadina polverosa del Texas, i suoi
genitori erano persone rispettabili; brave persone, stavano ancora
cercando il modo di riportarlo a casa.
Il suo Caposquadra
era stato Simon Locke. Nessun segno particolare se non che aveva tanta
presunzione e poco cervello. Quando lo videro il ragazzo si
irrigidì, Jean invece lo studiò e lanciò
un’occhiata alla hostess. «Credo che debba andarsene,
signorina.»
«Oh, Caposquadra Roberts!» si lamentò.
Lei sbuffò.
«Dica che l’ho mandata da qualche parte, che mi serviva un
modulo!» le suggerì.
«Non voglio mai più essere assegnata a lei.» disse allontanandosi.
«Non deve farlo per forza.» suggerì il ragazzo.
Jean lo
guardò. «Sedare un ragazzo per picchiarlo è da
vigliacchi.» disse semplicemente. «Non sedarlo abbastanza
in modo da farlo sentire inferiore è spregevole.»
continuò più cupa. «Vieni con me.»
Fianco a fianco si
avvicinarono piano, il Caposquadra era troppo preso dallo studio di un
ragazzo per prestare attenzione a quello che gli succedeva intorno.
Quando furono dietro di lui, Jean gli diede una spallata e
proseguì facendo finta di niente.
«Ehi, sta attenta a dove vai!» la rimproverò.
Lei gli lanciò appena un’occhiata da sopra la spalla. «E tu non starmi tra i piedi.»
«Ma se mi sei venuta addosso.»
Jean si
voltò e lo guardò. «Sei talmente insignificante che
non ti ho nemmeno visto.» spiegò con un’alzata di
spalle.
«Cosa?» il Caposquadra la raggiunse finché non la
sovrastò con la sua altezza, Jean odiava quelli come lui.
«Rimangiatelo subito, puttana!»
«Non mi rimangio mai la verità.»
Il Caposquadra le
diede uno schiaffo, Jean strinse i pugni, immaginò di colpirlo,
ma incassò piegando il viso da un parte e fissò Shane.
«Non fermarti finché non te lo dico io.» fu il primo
ordine che gli diede.
Jared ottenne il permesso di vedere Courtney da fuori le sbarre. Era
seduta su una brandina ed indossava una t-shirt da uomo ed un paio di
pantaloncini di tessuto sintetico e lucido, si stava strofinando le
braccia con uno straccio bagnato.
Il ragazzo si aggrappò alle sbarre e la
guardò. «Che hai combinato, Court?» la
rimproverò.
Lei sospirò. «Ho salvato Zach.»
disse secca e lo guardò. «Mi sembrava una cosa buona, ma
evidentemente nessuno la pensa così.»
«Hai lasciato Martina e Viola in mezzo ai Veggenti.» le spiegò.
«Contavo su di voi e…»
«Hai sparato ad un civile.»
rimarcò. «Qualcuno che era corso lì per
aiutarti.»
Alzò gli occhi al cielo. «Sta bene, non era una ferita grave.» si giustificò.
«Ma ti ascolti, Court?!» le
domandò alla ricerca del suo pentimento, rammarico, voleva che
gli dicesse che era stata leggera che lì per lì non era
riuscita a pensare alle conseguenza. Ma erano bugie, Jared lo sapeva,
Courtney era tutto fuorché leggera.
«Zach e Becky!» disse senza aggiungere
altro, come se fosse l’unica spiegazione che avrebbe potuto dare?
«Sono Veglianti. Il nostro scopo non è
proteggerci tra noi, è proteggere Synt, con qualunque mezzo.
È per questo che rischiamo la vita.»
Courtney si alzò dalla brandina e si
avvicinò alle sbarre. «Ho passato cinque ore in piedi con
le mani dentro il corpo squartato di Zach perché volevo
salvarlo, perché, anche se non è politicamente corretto o
in linea con i dettami dell’ADP, non mi importava né di
Viola, né di quella bambina, né di questa fottutissima
città quanto di lui.» lo fissò. «Non rischio
la vita là fuori per Synt o per i civili, lo faccio per voi,
perché siete i miei compagni e spesso avete bisogno di me. Per
come la vedo io, forse sarebbe meglio che Synt bruciasse.»
Jared la fissò scuotendo la testa, senza
parole. «Non so davvero cosa ti passa per la testa, Court.»
sospirò. «Pensavo che il tuo problema fosse Zach,
perché l’amavi ed era pazzo. Ma forse siete pazzi
entrambi.»
Jared se ne andò, lei non lo trattenne. Si
sedette di nuovo sulla brandina, recuperò lo straccio bagnato e
ricominciò a strofinare mentre piangeva.
«Che vuol dire che verrà usato come esca?» domandò Jean a Wood.
«Ce ne serve
una e lui è la perdita minore.» spiegò tranquillo,
come se si trattasse semplicemente di una pedina sacrificabile a
scacchi.
«Stai scherzando, spero! Shane è in gamba, è forte…»
«È pericoloso.» aggiunse il Responsabile.
Jean scosse la testa. «Non è vero, finora si è comportato in maniera impeccabile.»
«E vogliamo
aspettare che la cosa cambi?» le domandò ironico.
«Jean, sai che mi fido di te, sempre, ma l’ADP è
certa che si tratti di un elemento troppo imprevedibile per una squadra
di Veglianti. E se devo scegliere fra un buon Vegliante e lui, scelgo
un buon Vegliante.»
«È
perché non voglio andare a Synt, vero? Perché non voglio
essere una Responsabile.» ipotizzò incrociando le braccia
sul petto.
Wood scosse la
testa, ma Jean conosceva il sorriso che gli si allargò sul viso.
«Beh, se avessi la tua squadra, non potrei certo dirti come
gestirla. Saresti tu la Responsabile.»
«Un ricatto un po’ basso, Wood.» gli disse prima di andarsene sbattendo la porta.
Josh la aspettava
appoggiato al muro davanti alla porta dell’ufficio di Wood.
«Allora?» le chiese.
Jean sospirò. «Allora, mi uccide il ragazzo perché non voglio Synt.» sbottò.
Lui si
avvicinò e la abbracciò. «Ci inventeremo qualcosa,
appena ne sapremo di più ci inventeremo qualcosa.»
Lindsey fece nascondere Nate e Matt in uno dei laboratori sotterranei
dell’ospedale, ormai abbandonati. Nessuno dei tre riusciva a
mettere a fuoco la loro situazione; la testa di Nate era un insieme di
punti, come una folle lista, quasi che, mettendo ordine tra i disastri
accaduti quella notte, potessero sembrare meno spaventosi.
Avevano perso ogni contatto con Viola e Martina, e Romeo solo sapeva se stessero bene oppure no.
Zach era due piani sopra di loro, vivo per
definizione: il suo cuore batteva e sembrava che il suo cervello
rispondesse, anche se era off-line. Courtney gli aveva ricucito
l’intestino, aggiustato un pezzo di fegato e chissà
cos’altro. Nessuno aveva fatto previsioni sulla durata della sua
degenza. Nessuno aveva previsto che uscisse.
Becky forse era morta. L’avevano cercata, Synt
era sembrata completamente disabitata, più del solito. Una parte
di lui sperava che Zach non si svegliasse mai, che non dovesse mai
andare a spiegargli come aveva perso la ragazza alla quale voleva bene.
E pensare che gli aveva tanto rotto le scatole per Lynn, almeno lei era
stata in un letto d’ospedale, ferita, ma al sicuro, viva.
Courtney era stata arrestata dall’ADP.
Chiuse gli occhi.
Il sistema informatico della centrale elettrica, non
era stato hackerato. Era stato tutto molto più semplice: Romeo
conosceva la password. Questo significava che il suo sentirsi
importante, perché aveva inventato un sistema inviolabile, era
una bugia, lui era inutile, probabilmente a Romeo faceva tanta pena da
lasciargli credere quello che voleva.
C’era un fottuto microchip dentro il braccio di Zach.
«Come diavolo ha fatto Courtney a non
vederlo?» chiese Matt studiando la bacinella di sangue dentro il
quale l’avevano messo. Per fortuna Matt si stava dimostrando in
grado di fare da solo, perché quella sera non riusciva ad essere
d’aiuto.
Aveva costretto Becky a darsi in cambio di una
telefonata a Romeo: perché non avevano chiesto se avevano tutti
un cellulare? Perché non aveva fatto in modo che ne avessero
tutti uno? Perché non aveva studiato un modo per non far
dipendere le loro auricolare e microfoni dal sistema centrale di Synt?
Sarebbe stato così fottutamente semplice, cazzo.
«Non hanno voluto che lo sapesse.»
rispose Nate, non aveva più voglia di trovare scuse fantasiose.
«L’affarino qui dentro sembra
tranquillo.» osservò. «Di chi è questo
sangue?»
Nate scosse la testa. «Non lo so. È una delle sacche con su il nome di Zach.»
Avevano provato a metterlo in un cadavere, nel
sangue di Nate, a lasciarlo solo, Matt aveva notato che avvisava
anomalie tramite un programma che avevano messo insieme su due piedi,
una specie di registratore che parlava la lingua dell’affarino.
Nate sapeva qual era quella lingua, Matt come decodificarla.
L’idea di quella sacca era stata di Nate,
perché era banale: quella sacca, in qualche modo, era Zach.
«Hai capito cosa fa?»
Matt si strinse nelle spalle. «Registra. I
valori del sangue, la velocità di risposta degli impulsi
neurologici, il livello di qualcos’altro che non sono riuscito a
capire.» scosse la testa. «Ho bypassato gli impulsi
neurologici, ma credo sia l’ultimo dato a farlo impazzire.»
«Li manda a qualcuno?»
Scosse la testa. «Penso che faccia un backup,
di tanto in tanto.» per un po’ rimase zitto, come se avesse
paura ad avanzare quell’ipotesi. «Se l’ospedale non
voleva che Court sapesse… forse sono proprio loro ad
occuparsene.»
«Ma Lindsey ci ha detto di sbrigarci, dov’è la fretta?»
«Non invia niente a nessuno, ma non significa
che non sappia farlo.» spiegò. «Fuori dal corpo di
Zach…» ci ripensò. «Anzi, in assenza di
alcuni parametri esplode. Prima di farlo credo che avverta
qualcuno.»
Nate studiò la bacinella e quella specie di
ragnetto nero che ci nuotava dentro. In assenza di alcuni parametri
significava che qualcuno, lo stesso qualcuno che riceveva i backup,
voleva che Zach fosse standard, che mantenesse un livello approvato e
che non cambiasse, pena il suo braccio destro. Non sarebbe stato tanto
dubbioso, se non avesse saputo che anche migliorare era un cambiamento.
«Domani provo ad andare a parlare con
Ryan…» aggiunse Matt. «Per Becky, non può
essere morta.»
«Fammi capire: c’è
un camion che trasporta un’arma sconosciuta.» iniziò
Josh. «Domani la porteranno da A a B per usarla contro di noi.
Nota bene, che non ti sto chiedendo, perché è pericolosa
in B e non in A. La nostra missione è attaccare il dispositivo
qui presente…» continuò indicando un oggetto grande
come una scatola da scarpe, ma di forma esagonale. «Sul tetto del
camion, perché esploderà? Imploderà? In un modo
particolare che non ci ucciderà tutti.»
«Sembri dubbioso.» osservò Jean gelida.
«Perché lo sono, questo discorso non ha senso. Ma
comunque: Shane verrà messo lì con un giubbino al tritolo
perché i Veggenti si butteranno a salvarlo ad occhi
chiusi.»
«A quanto pare.» confermò.
«E non
dovrei essere dubbioso? Se quell’arma è tanto importante
perché dovrebbero rischiare tutto per un ragazzino dei
nostri?»
Jean non rispose, tremava di rabbia.
«Non
preoccuparti, non ho intenzione di correre quel rischio.» le
disse. «Io e cinque Veglianti andiamo a prendere il ragazzo, puoi
occuparti della scatola con il resto.»
Lei spostò lo sguardò su Josh. «Sarai tu ad occuparti della scatola.» gli disse.
Sollevò le sopracciglia scettico. «Ma la Caposquadra sei tu.» le fece notare.
«Esatto.» disse alzandosi. «E devo occuparmi dei miei Veglianti, compreso Shane.»
«Wood non
sarà gran ché contento.» osservò. «Sei
sicura? La mia disobbedienza non sarebbe deludente quanto la tua.»
Jean lo
guardò e scosse la testa seria. «Devo farlo io.» non
gli disse che non si sarebbe sentita altrettanto sicura, né che
preferiva giocarsi una stupida arma Veggente misteriosa piuttosto, che
lasciare che Wood facesse esplodere quel ragazzo. Non gli disse nemmeno
che voleva manifestare tutto il suo disaccordo, ribellandosi ai suoi
ordini: non gli avrebbe mai permesso di punirla per una sua scelta.
«Tu sistema
la scatola come ti ha detto Wood prima che arrivino in B.»
ordinò. Non avrebbe voluto, non le piaceva trattare Josh come un
sottoposto, era Josh, ma le era uscito naturale. Wood le aveva sempre
detto che aveva una predisposizione per il comando.
«Okay, mi
occupo io del magico oggetto del potere.» Josh si avvicinò
e la strinse fingendo di non avere più dubbi, affatto offeso dal
suo essersi comportata da Caposquadra. «Rilassati, Jean,
andrà tutto bene.»
Ma Jean sapeva che non era vero.
La mattina dopo Courtney fu svegliata da una guardia, qualcuno voleva
vederla. Sperava si trattasse di sua madre, sperava che fosse venuta a
tirarla fuori, invece era Lindsey.
La studiò tutta, aveva ancora la divisa da
infermiera e sembrava spaventata; lo sguardo di Courtney si
assottigliò ancora prima che potesse dirsi di stare calma.
«Che hai fatto?» le domandò riferendosi a Zach.
Prima di andarsene aveva lasciato istruzioni precise su cosa fare
quando si sarebbe svegliato, sarebbe stata piuttosto contrariata se non
le avesse seguite per fare di testa sua.
«Non si è svegliato.» disse soltanto.
Courtney continuò a guardarla e lei
continuò a parlare, anche se non gliene fregava assolutamente
niente di quello che stava dicendo; non la stava ascoltando né
vedendo, stava semplicemente riguardando, come in una registrazione,
tutto quello che era successo in sala operatoria: non era stato un
intervento problematico, impegnativo, ma nella norma, nessuna anomalia,
nessun imprevisto. Zach doveva essere molto debole, certo, ma cosciente.
«Hai continuato con le trasfusioni?» le
domandò interrompendola. Aveva perso molto sangue, poteva essere
ancora molto debole?
Lei annuì.
«Sangue per civili?»
Si guardò intorno per essere certa che
nessuno la spiasse prima di annuire di nuovo. «Credo che stia
anche sviluppando problemi respiratori.»
I polmoni non li avevano toccati né lei
né Romeo. «Perché?» cercò nella sua
mente qualcosa che avevesse senso. «Ossigenalo.»
sospirò arrendendosi. «Controlla che non ci siano
ostruzioni, non voglio intubarlo a meno che non sia davvero
necessario.»
Lindsey titubò prima di continuare. «Non ho mai tolto l’intubazione.»
Courtney la guardò. «Ma è vivo?»
Annuì. «Le sue onde celebrali dicono
che a volte sogna un pochino, il suo cervello funziona.»
La ragazza sospirò posandosi una mano sulla
fronte: se fosse stata una Veggente a quel punto avrebbe avuto la
soluzione. Scosse la testa, ce l’avrebbe fatta anche da
Vegliante. «Continua a mantenerlo stabile. È vivo e voglio
che ci resti, ho bisogno di vederlo per farmi un’idea della
questione, ma non posso: mi farò dare carta e penna, ti
farò inviare tutte le informazioni che mi servono. Voglio che
analizzi ogni cellula del suo corpo, d’accordo?»
Lindsey fece ancora di sì con la testa e la
guardò. «Così è questa.» disse piano.
«Cosa?» chiese senza capire.
«La differenza tra me e te.»
Courtney la guardò, Lindsey era una favola:
era alta, i suoi capelli sembravano fili di cioccolata, aveva gli occhi
blu come il cielo di mattina ed era ancora innamorata di Zach, lo era
sempre stata. E certi rancori erano difficili da seppellire. Riusciva a
capirla, anche lei appena arrivata, quando aveva scoperto che era la
sua ragazza, aveva pensato a modi fantasiosi per eliminarla. Si
avvicinò alle sbarre della sua cella e le strinse tra le mani.
«L’unica differenza tra me e te è
che io sono in una cella e tu no. Tu puoi aiutarlo ed io no. È
l’unica ad avere senso, l’unica che mi interessa.»
Lindsey non disse niente, continuò a guardarla e basta. «Lei com’è?»
Courtney sorrise e sospirò. «Bassa ed
insopportabile.» sbottò. «Ma carina.»
aggiustò.
«Gli vuole bene?»
Courtney annuì.
«Allora spero che torni.» fece per andarsene.
«Come sapevi di quel…» si
toccò il braccio senza sapere come finire, non sapeva
cos’era.
Lindsey lasciò vagare lo sguardo per la stanza. «Lo sapevo, non basta?»
Courtney non rispose e lei se ne andò.
Shannon Tyler non avrebbe dimenticato
mai quando Jean Roberts lo aveva abbracciato, prima che lo mettessero
sul furgone. Aveva già il giubbotto con l’esplosivo
addosso, gli altri avevano paura, perfino le guardie. Lei no, lo
abbracciò ad occhi aperti con la passione di un’amante e
l’affetto di una madre.
«Tu invecchierai, Shane. E questo è un ordine.»
Lui
incrociò lo sguardo di Josh, imbarazzato, ad un certo punto
aveva scoperto di essersi preso una cotta per la sua Caposquadra e
viveva nel terrore che Josh lo scoprisse e lo picchiasse, ma lui stava
sorridendo. Come poteva non essere altrimenti? Ogni cosa in Jean lo
amava, non poteva avere dubbi in proposito. Sperò di poterli
rivedere, perché, anche se erano Veglianti, loro due gli
piacevano. Jean si era comprata la sua fiducia prendendosi uno
schiaffo, Josh affermando davanti a Wood che se qualcuno avesse
schiaffeggiato Jean in sua presenza l’avrebbe ucciso.
Romeo non aveva ucciso il suo vecchio Caposquadra, Jean lo aveva fermato in tempo.
eccomi
signore è ufficiale: Shannon Tyler era un Vegliante, un tipo complicato, ma un Vegliante.
concedetemi un minuto di autoesaltazione perchè, voi non lo
sapete, arrivare al punto cruciale della questione senza perdermi
è un grande traguardo per me! Dai, cazzo...
ohi dottoresse, mi sono resa conto che potrei essere sembrata
presuntuosa di sopra: se qualcosa non vi torna fatemi sapere e basta,
okay?
quindi vi lascio: Twitter e Lamponella,
siamo disponibili per qualsivoglia problema... non sapete se è
il caso o no di portarsi dietro una felpa uscendo? vi aiuteremo anche
in quello.
Becky non c'è...
il prossimo capitolo si intitola... beh, dai è ovvio... "Romeo"!
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Capitolo 26 *** 25. Romeo ***
MSC19
fragolottina's time
voi non lo sapete, ma qui, dietro di
me, a mo' di avvoltoio sulla spalliera, c'è Cameron Wilde in
veste della mia coscienza che mi fa "Com'era, fra'? l'arte è
tutta completamente inutile?".
c'è della critica in questa storia? è tutta una critica.
ma capitemi, vivo in un mondo in cui mi sono laureata in letteratura
inglese e mi tocca sentirmi chiedere da persone di dubbia intelligenza,
ma comunque più affermate socialmente di me, se conosco "un
certo Orwell"... siate sincere, girerebbero anche a voi!
quindi, Cam, sta zitto!
e voi prendete da questa storia quello che vi piace, le motivazioni che
mi spingono a scriverla non dovrebbero condizionare la vostra lettura,
io non voglio che lo facciano...
e dopo questa bella introduzione fuori argomento, vi lascio al capitolo...
attenzione, c'è il "kleenex alert", l'autrice consiglia di leggerlo in presenza di fazzolettini.
25.
Romeo
«Lo so che è da vigliacchi.» disse Nate a Zach.
Gli risposero solo i vari bip dei macchinari intorno
a lui. «Ho perso Becky, stiamo continuando a cercarla ogni notte.
Siamo solo io, Matt e Jared perché tu sei qui e Courtney
è in prigione. Non c’è traccia di Veggenti da
nessuna parte.» sospirò. «Se tu fossi sveglio
probabilmente ora mi daresti un cazzotto, anche se non l’hai mai
fatto. Me lo meriterei, sono stato presuntuoso, per lo meno tu ci
tenevi al sicuro.» lo guardò, Zach era a tutti gli effetti
incosciente. «Scusa, in fondo saresti quello con più
diritto di dormire di tutti noi. È che abbiamo bisogno di
te.»
Il cellulare di Becky, recuperato vicino a Zach,
suonò. Nate lo osservò a lungo prima di portarselo
all’orecchio e rispondere. Una donna agitata gli gridò
nell’orecchio, arrabbiata perché la figlia non si faceva
sentire.
«Signora Farrel, mi chiamo Nate, sono il Caposquadra di Rebecca.»
Dall’altra parte della cornetta calò il silenzio.
«Vostra figlia è attualmente scomparsa.»
Cos’era successo?
Jean Roberts negava e piangeva.
Shane Tyler non lo
sapeva: Jean l’aveva salvato, qualcosa era esploso ed era
diventato cieco. Ad un certo punto aveva iniziato a tremare, sconvolto,
tanto da fermarsi in mezzo ad una guerra ed urlare fino a consumarsi la
gola. Ci mise sei mesi a capire che non era mai guarito, che non ci
vedeva, non con gli occhi almeno.
Josh Lanter non
parlò per sei mesi. Lui lo sapeva, cosa era successo: aveva
fissato il magico oggetto del potere sul camion ed aveva sentito Shane
urlare – Jean era in pericolo? Poi al suo grido si erano uniti
anche molti altri Veggenti. Aveva guardato il camion, che non stava
esplodendo, né implodendo. Aveva sentito la puzza. Poi pianti e
colpi di tosse, sottili, acuti. Bambini.
Veggenti, avrebbe detto Wood.
Bambini, avrebbe continuato a ripetere Josh ogni giorno nella sua mente.
Ci vollero tre giorni anche per l’abilissimo avvocato che aveva
seguito Vivien Williams a Synt, ma alla fine la Vegliante Courtney
Williams fu dichiarata emotivamente instabile, ma non pericolosa. Fu
difficile: complicato, ritenerla non pericolosa, dopo che aveva sparato
ad un uomo.
Nate era andato a trovarla e le aveva espresso
solidarietà. Courtney non ricordava di averlo mai visto tanto
abbattuto, forse nemmeno quando Lynn era rimasta ferita.
Anche Matt, per quanto litigassero sempre, era
andato a prometterle di farla evadere se non l’avessero
rilasciata entro una settimana. Le aveva mostrato le due palline di
esplosivo al plastico che aveva nascosto in tasca, Courtney aveva riso.
Jean divideva equamente la sua preoccupazione tra
lei, Zach e Becky. Veniva a trovarla due volte al giorno, ogni volta
discuteva con gli agenti che la tenevano lì. Era riuscita a
garantirle per lo meno un telefono.
Jared non si era più fatto vedere, ma
Courtney aveva deciso che non era proprio il momento migliore per fare
la ragazzina con il cuore spezzato. Che stesse alla larga, non avrebbe
avuto tempo da dedicargli comunque. Le venne da piangere quando
riconobbe la freddezza di Zach nelle sue parole.
Non appena fu fuori dalla cella si fece portare in
ospedale. Lindsey la chiamava ogni quattro ore, anche di notte. La
stava rivalutando, non doveva essere facile per un’infermiera
civile fare quello che stava facendo lei: una volta finita tutta quella
storia avrebbe dovuto offrirle da bere.
Sua madre aveva svegliato Zach il giorno esatto in
cui era arrivata a Synt: era entrata nella sua camera, aveva chiesto a
Lindsey di chiudere le tende ed a Jean di non fare entrare nessun
altro; aveva tirato fuori una siringa dalla borsa e l’aveva
iniettata a Zach. Non aveva detto a nessuno cos’era, si era
rinfilata il tubicino ormai vuoto in tasca, per gettarla in un secondo
momento.
Zach si era svegliato dopo pochi minuti. La prima
parola che aveva detto, dopo aver guardato le facce preoccupate intorno
a lui una ad una, era stata: «Becky?»
Lindsey le aveva raccontato che Nate era impallidito, poi gli aveva chiesto scusa e se ne era andato.
Courtney sospettava che non fosse stato semplice a
quel punto, continuare a tenerlo in quella stanza, su quel letto.
Nate era venuto a prenderla insieme a sua madre,
quando uscì dalla cella la abbracciò. Non lo avevano mai
fatto ed effettivamente Courtney non impazziva per i contatti fisici,
ma quella volta lo lasciò fare, serviva anche a lei un appoggio
e Nate era un buon appoggio. Per lo meno avevano gli stessi obbiettivi.
Si cambiò in macchina mentre sua madre le
teneva un asciugamano davanti in modo che lui, seduto sul sedile
anteriore, non sbirciasse. Le venne quasi da ridere, Nate non
l’avrebbe mai sbirciata, ma d’altronde quella era sempre
sua madre e lasciò stare.
«Notizie di Becky?» chiese mentre salivano in ascensore.
«Non ancora.»
Lei lo guardò, stupita che fosse ancora
attaccato alla speranza: se anche fosse tornata, Becky non sarebbe
più stata la stessa, come Josh.
«L’abbiamo cercata ovunque, abbiamo battuto la città a tappeto.»
«Vi serve una mano?» si offrì.
Nate le lanciò un’occhiata e scosse la testa. «Mi servi di più qui con Zach.»
«Non è colpa tua.» gli spiegò.
Lui non rispose, lasciò che scendesse al piano di Zach poi scese in laboratorio.
Jean si era fermata quanto
l’aveva fatto Shane. L’aveva tirato per un braccio e lui
aveva iniziato ad urlare. Non riusciva a capire, però aveva
detto ai suoi cinque Veglianti di formare un perimetro intorno a loro
per tenere i lontani i Veggenti.
Si era accucciata
accanto a lui e l’aveva scrollato finché alla fine non le
aveva prestato attenzione. Jean si era spaventata, i suoi occhi
sanguinavano, era per quello che urlava.
«Josh!» gli aveva gridato lui. «Non deve farlo!»
Le ruote del camion stridettero in lontananza per una frenata brusca.
Josh l’aveva già fatto.
Si alzò e
lo vide in piedi, immobile davanti al camion ormai fermo: aveva portato
a termine la sua missione.
Tutto divenne silenzioso, non avrebbe mai saputo se perché tutti tacessero, o lei non li sentisse.
Mentre lo guardava
avvicinarsi a quel camion ed aprire il portellone sul retro, su gli
occhi le calò l’immagine gemella di una notte senza
stelle, di Josh che compiva un passo fatale nel vuoto.
Hai fatto di me un mostro.
La prima volta che le disse quelle parole, furono soltanto nella sua testa.
Si guardò
intorno, Josh non stava dando ordini ed i Veglianti non sapevano cosa
fare, guardò i suoi cinque; erano solo cinque, ma erano i cinque
migliori, quelli di cui si fidava di più, quelli con più
esperienza. «La missione è stata portata a termine.
Aiutate a respingerli e ripiegate verso le caserme. Non lasciate
indietro nessuno. Io mi occupo di Josh.»
«Ma…?» tentennò uno di loro, a disagio a lasciarla sola con il ragazzo ferito.
«Segui gli ordini.» rispose brusca.
Il fatto che Zach fosse sveglio non significava obbligatoriamente che
fosse vivo. In quel momento dormiva, erano passati
dall’intubazione alle maschere di ossigeno: pessimo segno.
Entrò nella stanza e, quando lo fece, Lindsey
sussultò sulla sedia che aveva sistemato. «Ciao.» la
salutò.
Courtney non la guardò tenne gli occhi fissi
in quelli di Zach. «Perché l’ossigeno?» chiese
incerta.
La ragazza spostò gli occhi su Zach, sulle
gambe aveva una rivista poco impegnativa. Per un attimo la gelosia
punse ancora Courtney: parlavano? Erano tornati in confidenza? Quanto
tempo avevano passato insieme ed a fare cosa? La scacciò, quella
ragazza, per quanto non fosse la sua preferita a Synt, si stava dando
molto da fare per lui, non meritava di essere malvoluta.
«Riesce a stare senza per un massimo di tre ore.» sospirò Lindsey.
«Vatti a prendere un caffè.»
propose facendole un piccolo sorriso. «Ti do il cambio per tre
ore.»
Aspettò che si allontanasse, poi si
avvicinò al letto e, piano, scostò la maschera dal viso
di Zach. Lo studiò, non l’aveva mai visto tanto pallido in
vita sua ed i segni neri che gli contornavano gli occhi rendevano tutto
più accentuato. Si mise seduta sulla sedia di Lindsey ed
aspettò con gli occhi fissi sul suo torace, cominciò ad
alzarsi ed abbassarsi in modo sempre meno regolare e frettoloso.
Ansimante, come dopo una corsa, il suo fisico era affaticato da morire.
Iniziò a guardare alternativamente lui e
l’orologio: si svegliò due ore ed un quarto dopo. Gli
ricordò qualcuno che riemergeva in superfice dopo essere quasi
affogato.
Zach strinse le coperte tra le mani e sbarrò
gli occhi, fissandola, sembrava sorpreso. Courtney si allungò e
gli rimise sul viso l’ossigeno. «Come stai, Zach?»
Lui tossì. «Devi slegarmi, devo andare
a cercarla.» le disse strattonando il braccio destro, ammanettato
alle sbarre del letto dell’ospedale.
Courtney lo osservò con le sopracciglia
sollevate. «Hai tre ore di autonomia, non mi sembra il caso di
strafare.»
«In tre ore riesco a prendere Romeo.»
«Non ci sei riuscito in due anni.» gli
ricordò, mentre osservava il suo polso, era rosso e livido,
aveva cercato di rompere la manetta. Gli prese la mano. «Stringi
più forte che puoi.»
Lui strinse, probabilmente un tempo sarebbe stato in
grado di romperle un paio di dita, in quel momento seppe che lei, se
avesse voluto, avrebbe potuto spezzargli il polso. Courtney lo
fissò negli occhi, preoccupata e turbata. «Stai male
davvero.» confermò.
Zach la guardò, ma non disse niente.
«Cosa ti fa male?» gli chiese.
Lui deglutì e spostò lo sguardo su sé stesso. «Tutto.»
Il cervello di Josh Lanter smise di
mandare messaggi esattamente quando, all’interno del camion, vide
un numero indefinito di corpi morti ed ammassati su loro stessi. Corpi
piccoli, arti morbidi, paffutelli, acerbi. Dietro di lui si stava
ancora combattendo, ma tutto quello di cui aveva piene le orecchie era
un fischio sordo.
Quando aveva
aperto il portello la puzza era diventata più forte, sapeva di
marcio, di decomposizione, gli aveva fatto lacrimare gli occhi e
l’aveva costretto a sollevarsi il collo della divisa sopra il
naso per non respirare quello schifo: qualsiasi cosa fosse la scatola
che aveva fissato sul tetto, produceva gas tossico.
Ce l’aveva messa lui.
Era stato lui.
Percepì un
movimento, si voltò di botto con già la pistola in mano e
l’obbiettivo sotto tiro. Una manina. Lasciò cadere a terra
la pistola terrorizzato e gemette con affanno; era un mostro, avevano
fatto di lui un mostro, pronto a sparare senza mai chiedersi a cosa.
Perché non aveva chiesto cosa stava facendo?
Perché, anche se aveva dubbi, aveva fatto quello che gli era stato detto?
Perché se
Jean gli dava un ordine, lui non faceva domande. Era per quello che lo
consideravano un buon Vegliante, era ubbidiente.
Scostò gli
altri corpi da quella manina tremando e recuperò un bambino
svenuto, non del tutto sicuro che fosse vivo.
I Veggenti avevano
perso smalto: da guerra era diventata rivolta urbana, una specie di
manifestazione pacifica andata in malora.
Sarebbe scappato se dietro di lui non avesse trovato Jean.
Non si era mai
vergognato tanto di lei come in quel momento, con un bambino tra le
braccia, davanti ad una carneficina.
«Josh…» fece, i suoi occhi erano enormi e tondi,
pieni di esitazione. Sbirciò il massacro che c’era dietro
di lui, non glielo chiese, ma lo pensò: cosa hai fatto?
Il problema era
che nella mente di Josh c’era soltanto una risposta a
quell’interrogativo: “Quello che tu mi hai detto di
fare”.
I Veggenti avevano
venduto cara la vita quel giorno, quello che dovevano proteggere era
più importante di qualsiasi arma: stavano proteggendo il loro
futuro, i loro nipoti, i loro figli, i loro fratelli. Lui aveva messo
in atto sei anni di addestramento, esperienza, pianificazione per
uccidere bambini.
Veggenti.
Bambini.
Josh vide Shane
accucciato a terra, una mano sugli occhi l’altra stretta alla
gamba di Jean. Vide sé stesso in quella mano, la fiducia
infinita in lei, in quella donna che si batteva per te, disobbediva ad
ordini superiori per venirti a salvare. Probabilmente l’unico
Caposquadra che Shane Tyler avrebbe mai rispettato.
Un giorno avrebbe mandato anche lui ad intossicare un camion pieno di bambini?
«Josh.» ripeté Jean. Qualcuno le disse di prendere
il ragazzo ed allontanarsi, sorprendentemente un Veggente. Un Vegliante
lo aggredì, stavano approfittando dello shock dei loro nemici
per fare una strage. Violenti ed ottusi.
«Dobbiamo portare quel bambino in ospedale.» gli disse avanzando verso di lui.
«No!»
Josh se lo strinse addosso e sollevò un coltello verso di lei.
«Non ti permetterò di ucciderlo.»
Jean alzò
le mani e deglutì, si spostò in modo che Shane fosse
completamente coperto da lei. «Non voglio ucciderlo.» disse
ferma. E Josh riconosceva quel tono, era lo stesso che usava quando
dava gli ordini, quando ti convinceva a non fare domande. L’aveva
usato quando gli aveva ordinato di occuparsi della scatola? Non
riusciva a ricordarlo. Non ricordava niente prima di quei bambini.
Sentiva ancora la puzza.
«Ma lo farai, Wood lo farà.»
«Faremo in modo di proteggerlo.»
Josh la
guardò, il suo sguardo si addolcì. «Erano
bambini.» le disse scioccato, lentamente. «Non era
un’arma, erano bambini.»
Jean chiuse gli
occhi, respirò e si avvicinò piano a lui. «Josh, ti
prego, calmati.» gli prese piano la mano in cui stringeva il
coltello per disarmarlo. Dolce, eppure anche in fondo al suo sguardo
Josh riconosceva l’orrore, orrore per qualcosa che lei stessa gli
aveva ordinato di fare.
«Calmarmi?!» le chiese, respingendola con rabbia, nel farlo
le ferì il braccio. «Mi hai appena fatto uccidere un
camion pieno di bambini. Hai fatto di me un mostro!» urlò.
Jean provò
ad avvicinarsi ancora, lui buttò il coltello e la colpì a
mani nude. Ne fu così sorpresa che, per la prima volta in tutta
la sua vita, Josh riuscì ad atterrarla. Un paio di Veglianti
scattarono insieme per andare ad aiutarla, coprirla, difenderla, ma lei
alzò una mano per fermarli. «Andate ad aiutare gli
altri.» ordinò per evitare che facessero del male a Josh.
L’avrebbero fatto, tutti i Veglianti la pensavano allo stesso
modo: se qualcuno attaccava la Caposquadra, quel qualcuno andava reso
inoffensivo. Se non lo avessero fatto se la sarebbero vista con Wood.
Josh si
avvicinò e si abbassò davanti a Shane, rimasto indietro.
«Puoi camminare?» gli chiese.
Il ragazzo si
tolse l’altra mano da davanti agli occhi, sanguinavano, li
strizzò. «Non ci vedo.» disse.
«Ma puoi camminare?» continuò alzando il tono di voce.
«Josh,
è ferito.» gli gridò Jean, scrollando la testa per
allontanare la confusione ed il dolore della botta.
Shane annuì e Josh gli mise il bambino tra le mani insanguinate. «Salvalo.» ordinò.
Lui sollevò il viso per cercare il suo sguardo, forse un pochino ci vedeva.
«Portalo via
di qui, non fermarti finché non sarà al sicuro. Salvati,
perché se torni Wood continuerà a cercare di
ucciderti.»
Era una follia,
una parte di lui lo sapeva, ma la prospettiva di morire in quel modo,
sarebbe stato un ottimo stimolo per chiunque: Shane scappò. Un
direzione a caso.
Jean si alzò. «Shane, aspetta!» urlò prima di muoversi per seguirlo.
Josh la spinse
indietro e si posizionò davanti a lei per impedirle di seguirlo.
«Non ti permetterò di fermarlo.» la minacciò.
Jean alzò
gli occhi su di lui, addolorata dal fatto che avesse intenzione di
battersi con lei. «Josh, Shane è ferito!»
«Tu porterai quel bambino a Wood e lui lo ucciderà.»
Cercò di superarlo.
Josh provò
a colpirla di nuovo, ma stavolta Jean lo parò. «Che
diavolo ti prende? Moriranno tutti e due. Guarda cosa c’è
intorno a noi!» gli gridò contro.
Non riuscì
a spiegarle che lui non vedeva, che nei suoi occhi c’erano
soltanto quei corpi ammassati, nelle narici quella puzza, nel cuore
quel terrore.
«Io ti ho obbedito.» disse.
Jean sgranò
gli occhi. «Non lo sapevo.» sollevò una mano e gli
sfiorò il viso, lui continuò a fissarla come se non se ne
fosse accorto.
«Tu mi hai fatto uccidere quei bambini.»
«Josh…» provò ancora, interdetta e mortificata.
«Tu hai fatto di me un mostro!» ruggì prima di aggredirla di nuovo.
Quando una squadra
di soccorso andò a recuperarli scoprirono che Josh Lanter e Jean
Roberts si erano massacrati a vicenda.
Lei era in lacrime, lui svenuto. In fondo, era sempre lei a vincere.
Di Shane Tyler non
c’era traccia, Jean Roberts dichiarò di avergli sparato
quando si era rifiutato di fermarsi.
Matt provò a chiamare Ryan mille volte, il suo cellulare era
sempre spento. Nate non voleva che andasse da lei, per paura di
imboscate o ritorsioni, ma non avevano notizie di Becky da una
settimana ed era stufo di quel silenzio stampa da parte dei Veggenti.
Zach era stabile, l’affarino sotto l’attento controllo di
Nate, poteva allontanarsi un pochino. Prese la macchina ed andò
alla ferramenta da solo, senza dire niente a nessuno.
Rimase seduto sul sedile del guidatore a guardare le porte chiuse.
E se i Veggenti avessero lasciato Synt portandola via con loro?
Mandò un messaggio vocale a Nate, erano tutti
talmente paranoici in quel periodo che se gli avesse scritto un testo
avrebbero pensato ad un trucco dei Veggenti. «Sto bene.»
iniziò a registrare. «Ho da fare e forse tardo, ma non
preoccuparti, okay? Mi rifaccio sentire io.»
Shane Tyler camminò e
camminò ancora. Il bambino non si muoveva e non piangeva, per
quel che ne sapeva poteva essere morto, però era caldo.
Si fermò a
vomitare più volte, ogni volta che ricordava l’ultima cosa
che aveva visto nitidamente.
Teneva gli occhi
chiusi, quando li apriva avrebbe voluto strapparseli per non sentire il
dolore e comunque non ci vedeva. Il mondo era diventato un insieme di
immagini sfocate: a volte qualcosa lo faceva sentire in pericolo e si
nascondeva, a volte qualcuno gli indicava la strada da seguire, senza
che lui gliela chiedesse. Lo chiamavano Romeo e lui aveva paura di dire
il suo nome, di dire cos’era. Non sapeva dove andare, quindi
faceva come gli dicevano e rispondeva al nome di Romeo.
Sentì il
rombo di una macchina, si fermò. «Sei Romeo?» chiese
la voce di una donna. «Il Veggente.»
Se fosse stata una
Vegliante lo avrebbe ucciso. Se fosse stata una Veggente lo avrebbe
ucciso lo stesso, perché avrebbe saputo che mentiva.
Era un Vegliante e
non si chiamava Romeo, ma era stanco, gli occhi gli bruciavano e non
sapeva che fare con quel corpicino che aveva tra le braccia. Rimase
zitto e fermo sperando che la sconosciuta trovasse in lui qualcosa da
accudire e non da far fuori.
«Sali.» lo invitò.
Seguì il
suono della voce fino a scontrarsi con la carrozzeria, tastò
fino a trovare la maniglia, salì.
«Che hai fatto agli occhi?» domandò la donna.
Deglutì
riconoscendo la fastidiosa contrazione di un conato, deglutì
ancora. «Avevo un giubbotto imbottito con il tritolo.»
disse solo.
«Un miracolo che tu sia vivo.»
Jean l’aveva
slacciato, mani l’avevano afferrato, niente giacche verdi, era
stato un Veggente ad aiutarli. Jean l’aveva stretto per
proteggerlo, ma Shane aveva voluto guardare, aveva voluto vedere: il
Veggente si era arrotolato sul giubbotto per contenere
l’esplosione, per tenere al sicuro lui e Jean. L’ultima
cosa che aveva visto era stato il suo corpo andare in pezzi.
Vomitò sul tappetino della macchina, si scusò subito dopo, in lacrime.
«Non è niente.» lo liquidò lei. «Questa macchina l’ho rubata.»
«Non mi chiamo Romeo e…» deglutì. «Sono un Vegliante.»
La donna
sospirò. «Se mi dessero un dollaro ogni volta che ho
sentito questa frase…» commentò.
«Il bambino,
credo che sia morto.» pianse ancora perché non sapeva
cos’altro fare. Aveva visto più morte quel giorno di
quanta probabilmente vedeva una persona normale in tutta la sua vita;
era cieco, quindi quei ricordi erano le uniche immagini che avrebbe
portato con lui; ed era in macchina con una sconosciuta della quale non
conosceva le intenzioni.
«Calmati,
d’accordo?» lo incoraggiò. «Il bambino si
chiama Connor, sta bene e nel portaoggetti dell’auto ci sono i
certificati di adozione.»
«Come…?»
«Mi ha
chiamata mio fratello dalla Siria, mi ha detto di venirti a prendere.
Erano mesi che non mi parlava, ho pensato che fosse il caso di dargli
retta.»
«Tuo fratello è un…»
«Veggente,
sì. Ma stai tranquillo, non ti farò niente. E gli occhi
fra un paio di mesi non ti sarebbero più serviti in ogni
caso.»
«Chi sei tu?» chiese Shane sorprendendosi di non averlo fatto prima.
«Al momento la tua migliore amica, mi chiamo Dawn. Ti posso nascondere.»
«Ho bisogno di essere nascosto?»
«Perché pensi che Wood volesse farti passare a miglior vita?»
Per dare fastidio a Jean e Josh forse…
Jean e Josh.
«Quei bambini…» strinse di più quello che aveva tra le braccia.
La donna, Dawn,
rimase zitta così a lungo da fargli pensare di non averlo
sentito. Forse oltre che cieco era anche diventato muto.
«Speravamo
di riuscire a mandarli fuori dal paese, c’era una nave che li
aspettava, eravamo d’accordo con lo Stato che li avrebbe accolti.
Avevano preparato un centro di accoglienza, una squadra di pediatri,
maestre preparato sul loro caso.» disse piano, seria.
«Volevamo salvarli.»
Josh li aveva uccisi tutti.
«Dove stiamo andando?»
«A casa mia, a Synt.»
Quando sentì bussare alla porta e si voltò, Courtney si sorprese di trovare Jared sulla soglia.
Zach sollevò la mano che non era ammanettata al letto per fargli un cenno.
«Ehi, come stai?» lo salutò, lanciando appena un’occhiata a lei.
Zach si spostò la maschera da davanti al viso. «In via di guarigione.» disse piano.
Non c’era mai stato tanto lontano, ma Courtney
non lo contraddisse, un piccolo miracolo per volta: non era morto, non
era incosciente, aveva gli occhi aperti. Prima o poi sarebbe riuscita
anche a farlo respirare da solo.
«Posso rubarti la dottoressa per un
pochino?» gli chiese con un sorriso che non coinvolse
completamente gli occhi.
Fece di sì con la testa e ritornò a
respirare nella maschera. A Courtney si strinse il cuore: era Zach, era
testardo, disattento ed orgoglioso, probabilmente era ad un passo dal
soffocare per essersi risistemato l’ossigeno da solo.
Si alzò e gli sfiorò la mano.
«Chiamo Lindsey.» gli disse. «Se non stai bene, mia
madre è nei paraggi.» lo era sempre, ma rimaneva nelle
retrovie. Più che altro si batteva con il primario perché
continuassero ad essere lei e Lindsey ad occuparsi di Zach e non i
medici dell’ospedale. L’avvocato che si era portata dietro
era giovane, ma efficientissimo.
Lui annuì di nuovo.
Courtney seguì Jared nella caffetteria
dell’ospedale, era un po’ a disagio, doveva avere
l’aspetto di una profuga. Da una settimana viveva lì, si
lavava lì, si vestiva con quello che Jean portava a lei e Nate.
Entrambi si erano trasferiti in pianta stabile in ospedale: lei per
Zach, lui per l’affarino di Zach.
Jared ordinò due cappuccini decaffeinati e le
prese un dolcetto. «Sei sciupata.» commentò
porgendole un muffin con una glassa rosa.
Courtney non rispose. Certo che era sciupata, non si
ricordava l’ultima notte che aveva dormito senza rimanere
abbastanza cosciente da tenere sotto controllo i “bip” dei
macchinari attaccati a Zach. Lui dormiva invece, per uno che stava
sempre a letto dormiva troppo.
«Allora, come sta davvero?» le chiese sedendosi insieme a lei ad un tavolinetto.
Lo stomaco di Courtney si contorse per
l’ansia, un vero peccato perché quel muffin aveva un
ottimo aspetto. «Stazionario.» disse posandolo su un
piattino.
Jared attese qualche secondo che aggiungesse altro.
«Non è una cosa buona?» le chiese perplesso.
«Non peggiora, questa è la parte buona;
ma non migliora nemmeno.» precisò. «Vive
perché è attaccato ad una bombola d’ossigeno e
perché fa una trasfusione al giorno.»
Il sangue era la cosa che più la
impensieriva, era sempre sotto di qualche unità, sembrava che il
suo corpo bruciasse ogni goccia che gli davano. Non aveva emorragie, da
nessuna parte, Courtney l’aveva rivoltato come un calzino alla
ricerca di un taglio, un buco, qualcosa di spiegabile e curabile.
Niente.
Deglutì e prese un sorso di quel caffè
che non era caffè. «Senza muore in tre ore, Lindsey lo ha
cronometrato.»
Jared sospirò. «Mi dispiace per quello
che ti ho detto.» si scusò. «So che gli vuoi molto
bene, ma non dovresti mettere lui in testa alle tue priorità,
non dovresti metterci nessun Vegliante.»
Lo guardò. «Ci ho messo un
amico.» sorrise e scosse la testa. «Forse non credo
abbastanza nella nostra causa.»
«Forse ti sei un po’ arresa.» cercò di consolarla.
Courtney non disse niente: ammazzare persone
perché erano diverse, forse migliori di loro, perché non
volevano involvere al loro livello? Forse la loro causa era una merda e
basta, soprattutto per una che sarebbe voluta diventare un medico e
salvarle, le vite.
Si alzò dalla sedia e si diresse di nuovo al
bar. «Voglio un caffè vero.» disse a Jared.
Jean si dimise da Caposquadra, non
uscì dalla caserma di Los Angeles per sei mesi, Wood disse a
tutti che aveva riportato delle ferite. Lo disse con lo stesso sorriso
con cui annunciò che un camion carico di Veggenti era stato
fermato prima che lasciasse il paese. Aveva letto una lista di
Veglianti caduti in quella battaglia chiamandoli eroi, nominò
anche Shannon Tyler. L’unica cosa sulla quale si erano dichiarati
d’accordo lei e Josh era stato proclamare la sua morte.
Non era morto.
Josh aveva mandato
un avvocato a consegnarle i documenti per il divorzio, Jean li aveva
firmati senza leggerli. Aveva altro di cui occuparsi che l’odio
di Josh; vedeva come Wood lo guardava, li sentiva discutere, se al
Responsabile fosse piaciuto l’individualismo probabilmente non
sarebbe diventato tanto ricco e famoso. L’avrebbe mandato a
morire, forse rimesso all’Asta visto che Josh si rifiutava di
partecipare ad altre missioni.
Fu per quello che
un giorno bussò alla porta di Wood. Lui era seduto alla sua
scrivania, compilava verbali, scriveva discorsi. Era il Responsabile
più efficiente dello Stato, le persone adoravano sentirlo
parlare, le faceva sentire al sicuro e buone: presentava la missione
dei Veglianti come una cosa nobile, pulita, onorevole. Non lo era, per
questo tutti pregavano la notte che i loro figli, nipoti, parenti, non
fossero scelti.
«Occuperò il mio ruolo di Responsabile se mi lasci Josh.» propose.
Wood la
guardò. Era deluso da lei, avevano litigato molto dopo Los
Angeles: lei insisteva a dirgli che avrebbe dovuto spiegarle che non
c’era un’arma dentro quel camion; lui continuava a ripetere
che bambini Veggenti erano un’arma in attesa di diventarlo.
«Ti lascio Josh se prendi Synt.»
Jean chiuse gli
occhi, quell’uomo l’aveva accompagnata all’altare.
«Prendo Synt.» fece per uscire.
«Non ti
lascio iniziare da niente.» le disse. «Posso darti un altro
paio di ragazzi delle squadre itineranti, c’è quel
Vegliante, Jared Compton, che sembra promettente. Molto preciso. In
genere si occupano di città piccole, ma Synt è poco
più di un villaggio.»
Lo guardò,
deglutì. «Non credi che mi serva anche qualcuno più
grande, tanto per aiutarmi ad impostare il lavoro?»
«Ci sono
alcuni vicini al congedo, non sono più scattanti come a
diciassette anni, ma credo che possano costituire un buon nucleo
iniziale. Siediti.» la invitò. «Scegliamoli
insieme.»
Jean obbedì.
«Era la tua missione, Jean, non saresti impazzita.»
«Non puoi saperlo.»
Wood la fissò. «Non ti avrei mai dato più di quanto avresti potuto sopportare.»
«Ma sarei comunque stata un mostro.»
«Jean, sei
un grande Vegliante. Sai quali sono i tuoi compiti e sai farli bene.
Non lasciarti indebolire, dai farneticamenti di Josh Lanter.»
Lei non rispose, Wood continuò a guardarla. «Pensi di farcela?» le chiese.
Jean si leccò le labbra e prese fiato. «Sì.»
Ryan bussò al vetro del finestrino della macchina di Matt, lui
aprì gli occhi accartocciato contro il sedile e la
guardò. All’iniziò non capì, poi si
riscosse, sussultò ed abbassò precipitosamente il vetro.
«N-non sei una grande s-spia se ti addormenti sul l-lavoro.» lo prese in giro.
«Dov’è Becky?»
domandò Matt ignorandola, cercò di darsi un tono
minaccioso, ma non ne era esattamente capace. Lui non era bravo in
quelle cose, di solito se ne occupava Zach.
«Con Romeo.» disse semplicemente lei.
«Dove?» chiese ancora. «Digli di rimandarcela indietro o…»
«O?» lo spronò Ryan fissandolo, Matt non rispose.
«Non p-puoi minacciare Romeo.»
«Posso minacciare te.»
Lei scosse la testa, paziente, e sollevò un
sacchetto di carta. «Ti ho p-portato uno sp-spuntino.»
Matt frugò all’interno e
recuperò un pacchetto di patatine ed una bibita azzurra.
«Vuoi salire?» le chiese mettendosi in bocca una patatina.
Lei lo guardò stupita, anche con una punta di
paura; Matt realizzò che si stava chiedendo se fosse una
trappola e ne fu addolorato. Non lo era, non lo sarebbe mai stata, non
erano nemici: lui non la considerava sua nemica.
Dovette indovinarlo perché fece il giro della macchina e salì sul sedile del passeggero.
«Almeno sta bene?»
Ryan scosse ancora la testa. «N-non vedo Romeo
da quando tutta questa storia è c-cominciata.»
rivelò. «Abbiamo votato, io ho votato p-perché
vivesse, più della metà di noi vuole salvarla.
L’ultima parola sp-spetta a lui, ma t-tiene sempre conto delle
nostre opinioni.» cercò di tranquillizzarlo. «Se non
dirà qualcosa di d-davvero molto stupido la rimanderà
indietro.»
Matt la guardò preoccupato. «E se si uccide come Josh?»
Lei si strinse nelle spalle. «Non è che
p-possiamo intervenire su quello che deciderà di fare della sua
v-vita.» gli fece notare.
Matt sospirò e le allungò il pacchetto di patatine. «Mi sei mancata.»
Ryan lo guardò, masticò una patatina e
bevve un sorso di bibita, poi si allungò sul sedile lo
baciò.
«Josh, hai anticipato tutta la
tua pensione per prendere una ragazzino problematico?» chiese
Jean mentre osservava Zach Douquette, poco lontano da loro, parlare al
telefono con la sua famiglia. «Hai anche quasi fatto a botte con
Wood.» continuò massaggiandosi le tempie.
«Attivo in
tutti gli sport scolastici, addestramento militare, è un ottimo
elemento. Se Wood lo avesse preso, avrebbe fatto di lui quello che ha
fatto di me e di te.» osservò. «E poi quei soldi non
mi servivano comunque.» disse semplicemente.
Jean scosse la
testa. «Adesso dici così, ma avrai solo ventisette anni,
potresti costruirti tutta una vita.»
Josh non rispose, parlava poco, ma aveva ripreso a parlarle e non voleva essere troppo polemica.
«Provvederò perché tu abbia la metà dei miei
soldi quando lascerai Synt.» lo rassicurò.
«Non
lascerò Synt.» fece Josh, Jean lo guardò, sembrava
pensieroso. «Non ho niente, non voglio niente. Tu mi vuoi qui,
tanto vale che ci resti.»
Quella stessa
notte Josh bussò alla sua stanza e la baciò, Jean non
riuscì a ricambiare; sotto le sue labbra, dietro la sua lingua,
alla fine della sua gola c’era una belva che covava rancore.
L’aveva allontanato con delicatezza, ma decisione. «Non
devi farlo.» disse con gentilezza. «La nostra amicizia
può fondare le basi su altro, non ti serve questo per avere il
mio rispetto.»
«Io…» Josh si avvicinò, appoggiò la
fronte contro la sua, tremava. «Io non riesco a tenermi insieme,
la mia mente si sfalda, i miei pensieri vanno alla deriva. A volte
però mi sembra di essere tutto intero, per pochi istanti. In
quei momenti ti amo.»
Jean lo
abbracciò, avrebbe voluto avere la facoltà di tenerlo
insieme lei stessa, ma non poteva, non poteva guarirlo, anche se
evidentemente era stata brava a ferirlo.
Non pianse, non davanti a lui.
Lui sì e
Jean riconobbe uno strano odore, qualcosa di inusuale, ma che, suo
malgrado, avrebbe imparato ad associare a Josh: alcol. «Sento
ancora quella puzza.» le confessò.
Courtney lavorava a maglia, seduta accanto al letto di Zach, lui la
guardava. Non aveva la forza di fare molto altro, non le aveva detto
quanto si sentisse sempre le palpebre pesanti, non voleva farla
preoccupare. Voleva sapere cosa succedeva, se c’erano
novità di Becky, provare a liberarsi. Courtney non aveva il
coraggio di dirgli di non farlo, aveva finito per imbottirgli le
manette di cotone perché non si ferisse.
Si scostò la mascherina dal viso. «Court, mi serve una sigaretta.» disse.
Lei scoppiò a ridere senza guardarlo.
«Che cosa ridicola da dire.» lo prese in giro, ignorando
ogni sua pretesa di serietà.
«Davvero.»
«A parte l’ovvio, per fumare dovrei
staccarti l’ossigeno se non vuoi esplodere, hai tre ore,
ricordi?»
Lui sbuffò. «Non mi servono mica tre ore per fumare una sigaretta.»
Gli lanciò un’occhiata. «La risposta è no.»
«Promettimi che se morirò prima mi concederai un’ultima sigaretta.»
Courtney posò il lavoro a maglia e lo
guardò. Prese la maschera con l’ossigeno dalle sue mani e
la rimise davanti a bocca e naso con dolcezza. «Io non mi
arrendo, farò tutto quello che posso per tenerti vivo, te lo
giuro.» promise. «Ma nel caso mi uccidessero ed il mio
giuramento fosse quindi annullato, lascerò disposizioni
perché lo faccia Lindsey, d’accordo?»
La guardò e basta.
«È una follia!»
ripeté per la centesima volta Dawn Dandley, mentre Shane farciva
un paio di panini a Connor e lui li arrotolava in troppa carta, per poi
sistemarli nello zainetto.
«No, è un’idea geniale e tu lo sai.»
«Qui siete al sicuro entrambi.»
«Per
quanto?» le domandò fissandola. «Io forse, se Jean
continua a dire di avermi ucciso, ma prima o poi l’ADP si
ricorderà cos’è Connor e gli daranno il
Mitronio.»
«Aspettiamo, valutiamo varie opzioni…» gesticolò la donna.
«Già fatto.» la interruppe. «Questa è l’unica opzione.»
«Ti daranno la caccia.»
«Lasciamoglielo fare, saranno così concentrati su di me da
non vedere nient’altro, è la cosa migliore che potrebbe
capitarci.»
Dawn si sedette
accanto a lui. «Shane, tesoro, capisco che vuoi renderti utile,
ci sono tante cose che puoi fare. Parlane con Iago, lui potrà
trovare qualcosa con cui tenerti occupato, no?»
«Iago
è d’accordo con me.» rivelò. «Il trucco
sarà rapire bambini prima che “chi sai tu” riveli
che sono baby Veggenti. Penseranno che sono civili, che io sia un
mostro e daranno per scontato che abbia fatto fare loro una brutta
fine.»
Connor scoppiò a ridere.
«Visto? Lui è d’accordo.»
«Lui
è di parte perché butti le sue verdure quando non ti
vedo.» commentò Dawn.
Shane la
guardò serio. «Preferiscono prendere un Veggente che
salvare un bambino. Sta bene, ma è un errore. Sfruttiamo questa
follia a nostro vantaggio.» recuperò e le porse il
telefono. «Chiama la polizia, digli che un Veggente ha rapito tuo
figlio.»
«Scordatelo.»
«Dawn, devi farlo.»
«Perché?»
«Perché questo è il motivo per cui mi hai salvato.
Perché voglio che i genitori di tutto lo Stato sappiano che, se
sospettano che loro figlio sia un Veggente, possono portarlo qui ed io
li manderò via. Non deve più succedere quello che
è successo a Los Angeles.» si fermò e si
avvicinò a lei. La fissò e deglutì.
«Perché forse se faccio abbastanza casino Jean e Josh mi
ascolteranno, forse posso salvarli.»
Dawn lo
osservò in silenzio, non gli disse che non poteva, era
così giovane, troppo per perdere la speranza. Prese il telefono.
«Pronto, Connor?» chiese Shane.
Il bambino fece di
sì con la testa e Shane lo prese in braccio, raggiunse la
finestra già aperta e guardò fuori: era pronto ad essere
quella persona? Era pronto a rinunciare a qualsiasi altra vita? Aveva
mai avuto scelta?
«Dawn.»
«Sì?»
La guardò e sorrise. «Dì che mi chiamo Romeo.»
eccomi
ed anche stavolta ho rispettato la scandenza!
con questo capitolo dovrebbe quadrare tutto, o almeno spero, ma se ci sono cose che non vi tornano contattatemi su Facebook oppure Twitter.
poi, volete sapere come si chiama il prossimo capitolo? ok: l'ultima sigaretta.
baci
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Capitolo 27 *** 26. L'ultima sigaretta ***
MSC19
fragolottina's time
ieri sera ho incontrato Romeo.
ve lo giuro, era lui... se fossi stata più coraggiosa o
semplicemente un po' brilla l'avrei fotografato ed ora avrebbe un
volto, ma, ahimè, ha vinto la mia parte razionale.
cmq, questo temuto capitolo è ufficialmente on-line, ci sono un
paio di sorprese alla fine, ma non correte subito giù!
baci
26.
L’ultima sigaretta
Courtney capì di essersi addormentata con il lavoro a maglia tra
le mani, quando si svegliò la mattina dopo scrollata
energicamente dalla madre. «Court, devi aiutarmi.»
Aprì gli occhi e si tirò indietro i
capelli guardandola spaesata. «Che succede?» chiese dentro
ad uno sbadiglio.
«Devi aiutarmi a vestirlo.» disse sua
madre avvicinandosi al piccolo mobile nella stanza di Zach e tirando
fuori un paio di pantaloni ed una maglia a maniche lunghe.
«Sveglialo.»
Courtney non capiva, ma obbedì:
afferrò il braccio di Zach e lo scrollò.
«Ehi!» chiamò. A volte era difficile svegliarlo, le
prime mattine si era spaventata, poi però si era abituata al
fatto che ci volesse più tempo, semplicemente. «Zach, e
muoviti!» continuò.
Lui sollevò piano le palpebre e la
guardò togliergli le coperte di dosso. «Che
c’è?»
Non sapendo cosa rispondere guardò la madre.
«C’è tuo padre, Zach.» disse lei.
Lui sgranò gli occhi ed i sensori
registrarono un aumento del battito cardiaco. «Non può
dirle che sono morto?»
La signora Williams lo fulminò. «Anche
tua madre. Lindsey e Jean stanno cercando di trattenerlo.»
«Perché?» chiese Courtney, Zach
non aveva mai parlato molto del padre e quando lo faceva le raccontava
episodi in cui era molto piccolo; il padre di Zach sembrava essere un
uomo severo, però era una buona cosa che fosse lì. Erano
i suoi genitori gli volevano bene, sua madre era corsa quando
l’avevano arrestata, era strano che ci avessero messo così
tanto.
Zach si tirò su sui gomiti a fatica ed
iniziò a slacciarsi i lacci del camice. «A mio padre non
piacciono gli sprechi.» osservò senza essere troppo
esplicativo. La signora Williams gli lanciò i due capi che aveva
recuperato. «Mi aiuti, per favore?» chiese a Courtney.
Lei si avvicinò e gli diede una mano prima
con la maglia e poi con i pantaloni. In genere di quelle cose si
occupava Lindsey, Courtney ancora non aveva capito come facesse a non
sentirsi imbarazzata visto che avevano avuto una relazione. Court non
aveva problemi, quando vestiva i panni di un medico non ne aveva mai
avuti; erano gli altri a sentirsi strani perché una bella
ragazza, troppo giovane per fare il medico, li tastava.
Sua madre li guardò, studiò Zach.
«Pensi di riuscire a stare in piedi?» gli domandò.
Zach fissò la signora Williams e
lanciò uno sguardo veloce a Courtney. «Posso
provarci.» entrambe le donne pensarono che fosse chiaramente un
“no”.
La madre della ragazza sospirò. «Okay,
non importa.» commentò. «Se te lo chiede il padre,
dì che si sta rimettendo lentamente, Courtney. Descrivi un
intervento delicato, ferite importanti, fingi che le sue condizioni
attuali facciano parte dell’iter di convalescenza,
d’accordo?»
Annuì anche se era decisamente perplessa, nel
preciso istante in cui Jean entrò nella stanza di Zach, seguita
dai suoi genitori.
«Hai visite, Zach.» gli annunciò la Responsabile con un sorriso molto forzato.
Educatamente Courtney si allontanò dal letto,
per dar modo ai genitori di stargli vicino, lanciò
un’occhiata fuori dalla stanza: nel corridoio c’erano Nate
e Lindsey che seguivano la scena seri.
La madre di Zach, Courtney ricordava chiamarsi
Delia, corse ad abbracciarlo come ogni madre avrebbe fatto; lo strinse
piano, piano, delicatamente, quasi che il suo istinto materno le
suggerisse anche il rischio di fargli male. Lui si lasciò
coccolare, tranquillo, sollevò il braccio libero per posarlo
sulla schiena della madre.
«Mi si è fermato il cuore quando ho
saputo.» gli sussurrò, ma Courtney era abbastanza vicina
da sentire.
«Sto bene.» le rispose lui, le sue
parole rimbombarono nella maschera dell’ossigeno, ma
continuò a tenere gli occhi fissi sul padre, come se si
aspettasse di essere attaccato.
Courtney studiò il signor Douquette, si
sforzò di ricordare il suo nome, sua madre doveva averglielo
detto. Lei lo conosceva ed aveva una pessima opinione di lui, ma aveva
sempre pensato che fosse per il suo lavoro. Il padre di Zach possedeva
una casa farmaceutica ed in un modo o nell’altro questo lo aveva
sempre autorizzato ad influenzare il lavoro di qualsiasi medico; negli
ultimi anni il prodotto di punta della sua industria era un inibitore
neurologico, universalmente conosciuto come Mitronio.
La prima cosa che pensò Courtney guardandolo
fu che non somigliava molto al figlio, non sapeva perché si
fosse aspettata che fossero identici. Ma quando spostò lo
sguardo su di lei rabbrividì, perché i suoi erano davvero
gli occhi di Zach, trapiantati in un altro volto. Non era solo il
colore a renderli tanto simili, era la forma, il modo con cui si
incastravano sotto la fronte, come li atteggiava.
«Allora, ragazzo, che hai combinato?» chiese al figlio, tornando con lo sguardo su di lui.
Probabilmente voleva essere una domanda giocosa, ma
la sua espressione facciale rimase troppo rigida perché lo
sembrasse davvero.
Zach deglutì. «Mi sono fatto
prendere.» disse semplicemente, anche lui aveva cercato di essere
leggero, non c’era riuscito.
«Un errore tollerabile.» disse Jean con
un sorriso benevolo, era una maschera di perfezione ed autocontrollo,
sembrava una pubblicità sull’efficienza degli enti
partecipati dal Governo. «Zach è sempre stato un ottimo
Vegliante, un buon Caposquadra: è permesso a tutti commettere
degli errori.» lo giustificò.
L’uomo si avvicinò studiandolo,
sfiorò la manetta legata al letto. «Hanno paura che
scappi?» gli chiese.
Zach rimase immobile, la madre si sollevò
tenendo la mano nella sua. Passò uno sguardo tra lei ed il
marito che non comprese del tutto, una sorta di ammonimento da parte
della donna, ma non era il rimprovero di una moglie, era la minaccia di
una madre.
«Una nostra compagna di squadra è stata
rapita.» intervenne Courtney. «Zach è fatto
così.» continuò con una scrollata di spalle.
«Sei sempre lo stesso, eh, Zach?»
c’era il gelo nelle sue parole, lui non abbassò lo
sguardo, sostenne quello del padre fino alla fine. «Vorrei
proprio sapere cos’è che Sean ti ha infilato in quella
testolina.»
«Buonsenso.» scandì Zach lentamente.
Courtney vide la stretta della madre farsi più forte.
«Chi è lei, signorina?»
domandò improvvisamente il signor Douquette a Courtney, non la
guardò, come se tutto quello che aveva visto su di lei fosse
stato sufficiente. Lei ne fu così stupita da non trovare le
parole.
«Mia figlia.» rispose sua madre al suo
posto: suonò come una minaccia, lo era. «Ed il medico di
Zach.»
«Non si scaldi, Madame Williams.»
sorrise, finalmente guardò Courtney, ma non come avrebbe potuto
osservare una persona: le sembrava di essere all’Asta, era
tornata ad essere un pezzo di carne da comprare.
«Ha una madre troppo protettiva, ragazza mia.
Se è davvero il medico di mio figlio, avrei piacere di scambiare
alcune parole con lei.»
«Non vedo cosa non puoi dirle davanti a me.» si oppose Zach.
«Zitto, ragazzo.» ordinò senza degnarlo di uno sguardo.
Courtney guardò Jean stringersi nelle spalle:
sapeva che se avesse detto di no, la Responsabile si sarebbe battuta
per lei come al solito, ma trovava sciocco dire di no. Erano tutti
super tesi ed il padre di Zach era sicuramente una persona un po’
difficile, ma era suo padre, non trovava così irragionevole la
sua richiesta, era normale che volesse sincerarsi delle sue condizioni.
«Mi segua.» acconsentì quindi.
Non si era resa conto che stava per cacciarsi in un’imboscata
finché il signor Douquette non le indicò una stanza dove
poter parlare. In quella stanza erano già seduti il primario di
chirurgia dell’ospedale ed un agente dell’ADP. Dire che lei
ed il primario di chirurgia avevano dei trascorsi burrascosi, sarebbe
stato un modo molto poetico per dire che entrambi desideravano la
reciproca morte.
«Si sieda, Vegliante Williams.» propose l’agente indicandole una sedia davanti a loro.
Courtney si sedette guardinga, improvvisamente a
disagio in quella stanza piena di persone delle quali non aveva stima.
Le avrebbero fatto del male in un modo o nell’altro e lei era
disarmata. Deglutì e si impose di stare calma: era ridicolo, era
in un ospedale pieno di persone, sua madre era in una stanza
dall’altra parte del corridoio, non c’era niente di cui
avere paura.
Sentì la porta chiudersi alle sue spalle,
subito dopo qualcuno bussare e riaprirla. «Perdonatemi, ma vorrei
assistere.» riconobbe la voce di Nate.
«A quale titolo?» domandò il signor Douquette brusco.
«Beh, se proprio me ne serve uno scelgo Caposquadra.»
Il signor Douquette guardò l’agente
dell’ADP sorpreso, evidentemente non era stato informato del
cambio di ruolo di Zach. L’agente però annuì.
«È vero.» confermò. «La Responsabile
Roberts ci ha presentato tutta la documentazione.» spiegò.
«Suo figlio si è dimostrato inadeguato.»
«E non vi è venuto in mente di avvertirmi?» chiese furioso.
Né il medico né l’agente ebbero il coraggio di rispondere.
L’espressione del signor Douquette si distese
repentinamente, nascose il dispetto dietro al severità:
guardò Nate ed annuì. «Puoi assistere, non
c’è niente di segreto.» disse infine.
Nate si sedette accanto a Courtney, gomito a gomito, si propose di ringraziarlo più tardi.
«Dunque, signorina Williams, può aggiornarmi davvero sulle condizioni di mio figlio?»
La ragazza deglutì, quel signorina nascondeva
denti aguzzi. Cercò in sé stessa la parte razionale e
professionale, sua madre le aveva insegnato come parlare da medico ad
un familiare del paziente. Fu con un certo stupore che realizzò
all’improvviso che sua madre l’aveva preparata a Synt.
«I suoi parametri vitali sono ancora deboli,
di certo migliori rispetto ad una settimana fa. La ferita che ha
riportato era grave, sono dovuta intervenire sui suoi organi interni,
non ci si può aspettare una convalescenza breve.»
L’uomo congiunse le mani di fronte a lui.
«Riterrebbe le problematiche di mio figlio normali?»
«Sì.» mentì Courtney.
«Non le credo.» disse lui. «Dottor
Stone, la prego, completi la versione della signorina.»
Il chirurgo aprì una cartellina e lei sospirò.
«La situazione è decisamente più
grave di quella descritta dalla ragazza.» iniziò.
«La ripresa di suo figlio non è lenta, non
c’è.» concluse spietato.
«Non sono d’accordo.» obbiettò Courtney.
«No?» le fece eco il chirurgo con tono
di sfida. «Ci spieghi allora perché è attaccato
perennemente all’ossigeno e continua ad avere trasfusioni.»
«Ha perso molto sangue, stiamo semplicemente
aiutando il suo fisico a rimettersi in sesto.» rispose, composta
e ferma.
«E l’ossigeno?»
Courtney trattenne il respiro, quasi che negandosene
uno, potesse regalarne a Zach due; la verità era che non lo
sapeva, non aveva capito perché Zach aveva avuto problemi
respiratori, se era per quello non sapeva nemmeno come mai gli servisse
tanto sangue, ma per il sangue aveva una giustificazione, seppur
debole, per l’ossigeno no.
«Signor Douquette, io le assicuro che nessun
medico potrebbe avere tanto a cuore il caso di Zach quanto
Courtney.» la difese Nate.
«Oh, ma vedi, io non metterei mai in dubbio la
sua passione ed il suo impegno. Ma mi chiedo, è davvero la
persona più indicata ad occuparsi di mio figlio? Sarà
davvero in grado di fare quello che bisogna fare? Zach ha bisogno di un
dottore, non di una ragazzina con una cotta.»
Courtney aggrottò le sopracciglia senza
capire, ma improvvisamente all’erta. «Quello che bisogna
fare?» chiese ignorando tutto il resto, di solito smetteva di
ascoltare dopo che qualcuno l’aveva chiamata ragazzina.
«Vuole davvero che io guardi mio figlio
passare tutta la vita in un letto d’ospedale attaccato a dei
tubi?»
Courtney perse le parole, divenne muta
semplicemente. Sapeva cosa significava quella frase, tragicamente a
Vernon l’aveva pronunciata spesso, aveva costretto persone a
riflettere sulla qualità della vita dei propri cari. In quel
momento le sembrò un ordine di omicidio e basta.
«Signor Douquette.» intervenne Nate,
consapevole del suo stupore. «È passata poco più di
una settimana, Zach migliorerà, è forte, si è
sempre ripreso.»
Courtney deglutì, si fece forte: non era
più sé stessa che doveva difendere, ma Zach. «Sono
considerazioni premature.» osservò pratica, più
professionale possibile. «Queste ipotesi vengono vagliate dopo
anni ed in condizioni molto peggiori di quelle di Zach. Il paziente
è lucido, ricettivo, vivo in tutti i sensi. Non possiamo sapere
quanto migliorerà, ma ci vuole tempo.»
«Dottor Stone, lei che ne pensa?» chiese il signor Douquette al primario.
«Non vedo ampi margini di miglioramento.»
Lei aveva sempre odiato quel medico, era ottuso, i
suoi metodi erano superati, i suoi consigli inutili. «Non sono
d’accordo.» ripeté Courtney fulminando il dottore.
«Signorina Williams, a che titolo ci offre la sua opinione? Medico?» chiese il signor Douquette.
Lei annuì, ma le sembrò che il mondo
si offuscasse davanti ai suoi occhi, sapeva cosa stavano per chiederle.
«Ed è un medico, signorina Williams?»
Lei non rispose.
«Ha operato mio figlio senza avere le competenze adeguate…»
«Ho le competenze adeguate.» era la
figlia di Vivien Williams, tutto quello che doveva sapere le era stato
insegnato da sua madre. Aveva avuto l’insegnante migliore del
mondo.
«Potrei benissimo sospettare che abbia
sbagliato qualcosa e che per questo Zach stia
così…» continuò l’uomo come se non
l’avesse sentita.
«Nessuno in questa struttura avrebbe potuto
fare un lavoro migliore del mio.» si difese, perché era
vero.
«Lo vede, signor Douquette?»
osservò il dottore. «È di questo che parlo, quando
dico che i Veglianti della Responsabile Roberts sono fuori
controllo.»
Courtney si alzò in piedi furiosa.
«Fuori controllo!» ripeté oltraggiata. «Se lei
non fosse un tale incompetente non dovrei occuparmi di tutto io!»
gridò.
Il signor Douquette batté un pugno sul
tavolo. «Lei non è un medico!» urlò.
«Non la chiamano “signorina Williams” per mancarle di
rispetto, ma perché non c’è altro titolo con cui
chiamarla.»
Courtney riusciva a sentire il suo cuore galoppare,
veloce, insistente, vivo, era come se battesse per lei e per Zach.
«Non che sia stata una mia scelta.» ribatté.
«Siete stati voi ad impedirmi di acquisire il titolo di
dottoressa, mandandomi in questo buco.»
«Poteva studiare.» osservò il
dottore. «Essere una Vegliante la autorizza comunque a poter
completare i suoi studi, se la sua Responsabile è
d’accordo.»
Courtney lo guardò. «Se lo risparmi.» lo invitò.
«La Vegliante Williams ha presentato la
domanda, è stata respinta.» spiegò l’agente
dell’ADP.
«Perché?» chiese Nate stupito.
«Per lo stesso motivo per cui respingerebbero
la tua.» rispose Courtney. «Siamo troppo intelligenti,
hanno paura di quello che potremmo scoprire.» spostò lo
sguardo sul primario. «Di diventare improvvisamente
obsoleti.»
Il signor Douquette la studiava in silenzio.
«Sicura di essere una Vegliante, signorina Williams?
Perché parla come una Veggente.»
Courtney lo fulminò.
«Cos’è non siete più in grado nemmeno di
correggere quei benedetti test?» chiese sarcastica.
«Vegliante Williams, si dia una
calmata.» la rimproverò l’agente dell’ADP.
«Un’altra parola e non ci sarà avvocato in grado di
tirarla fuori di prigione.» la minacciò.
Nate le prese la mano e la strattonò in basso. «Lascia parlare me.»
«Voglio ucciderli.» borbottò senza smettere di fissarli.
«Lo so, per questo dovresti sederti e lasciare parlare me.» insistette.
Courtney si sedette.
«Signor Douquette, le chiedo scusa per conto
di tutti.» iniziò Nate, decisamente più controllato
di lei. «Vede, quello che dice ci tocca da vicino, vogliamo tutti
bene a Zach. Capiamo che le sue condizioni siano critiche e poco
incoraggianti, capiamo quanto possa essere tragico per lei vederlo
bloccato lì, lo è anche per noi. Ma non possiamo perdere
la speranza, non ancora.»
L’uomo lo guardò. «Mi spaventa
che quello che resterebbe di lui, non sarebbe più mio figlio.
Mia moglie non potrebbe sopportarlo, non dopo Sean.»
Courtney dovette mordersi la lingua per non insultarlo.
«È comprensibile, ma perfino lei deve
sperare che suo figlio si rimetta senza riportare danni
permanenti.» disse. «La prego, dia a Zach altro tempo,
può farcela.»
«È possibile?» chiese il signor Douquette al primario di chirurgia.
«Ne dubito fortemente.» rispose con gli
occhi fissi in quelli di Courtney, che riuscì a figurarsi la
precisa sensazione che avrebbe provato nel dargli un pugno: il suo
zigomo schiantarsi contro le sue nocche, se si impegnava poteva puntare
a romperglielo. Nate le strinse tanto forte il polso per impedirle di
alzarsi di nuovo, che fu sicura di avere il livido.
«Non sarebbe la prima volta che Zach fa cose impossibili.» osservò Nate.
Il signor Douquette si alzò in piedi. «Le do una settimana, signorina Williams.»
Courtney impallidì.
«Tra una settimana il signor Stone
toglierà l’ossigeno a Zach, impedirà ulteriori
trasfusioni. Se mio figlio è vivo, vivrà; se è
morto, morirà: non permetterò che la sua testardaggine lo
trattenga in questo limbo.»
Il signor Douquette uscì, subito seguito dal
medico e dall’agente dell’ADP come gli stupidi leccapiedi
che erano.
Courtney iniziò a tremare in lacrime
silenziose, il suo corpo era scosso da spasmi tanto violenti che si
strinse le braccia al corpo, perché ogni singhiozzo sembrava
spaccarla in due. Si sentiva un nodo di rabbia e frustrazione. Nate
rimase ad osservarla, spaventato per alcuni secondi, poi la
abbracciò.
«Ti prego, non crollare, non lasciarmi solo.»
Lei sgranò gli occhi e si coprì la
bocca con la mano. «Lo uccideranno.» mormorò in
sussurro agitato. «Fra una settimana lo uccideranno ed io non
potrò fare niente.» cercò di prendere fiato, non ne
aveva. «Dovrò guardarlo morire.» cercò ancora
di respirare, di nuovo non ci riuscì. Soffocò un urlo ed
iniziò ad ansimare.
Nate la allontanò. «Court!
Court!» corse alla porta e la spalancò.
«Aiuto!» lo sentì gridare.
Il resto fu confuso, infermiere corsero nella sua
stanza, pronte a darle un clamante. Lei si divincolò e quando
arrivò la madre le minacciò di ritorsioni se una di loro
avesse provato ad iniettare qualcosa a sua figlia; forse il signor
Douquette non andava molto d’accordo con sua madre, ma la parola
di Vivien Williams in campo medico aveva ancora il suo peso. Le
cacciò una dopo l’altra e le porse un sacchetto di carta
per respirarci dentro. Le accarezzò i capelli finché il
suo respiro non tornò normale. Non le disse niente, non poteva.
Nate rimase accanto a loro, seduto su una sedia con
la mano in quella di Courtney. Era l’unica cosa che riusciva a
sentire veramente, lui era l’unico che vedeva a colori, il resto
era soltanto un fruscio grigio.
Fu proprio lui a dare la notizia a Lindsey, non appena Matt gli diede
il cambio con l’affarino; era entrato nel laboratorio piuttosto
su di giri, quando Nate era uscito, dopo avergli spiegato cosa era
successo, era stato muto ed addolorato.
Raccontò tutto a Lindsey più
velocemente possibile, come se il vecchio adagio “Via il cerotto,
via il dolore” potesse funzionare anche in quella circostanza.
Guardò i suoi occhi blu liquefarsi in lacrime, vide la
disperazione, un dolore così autentico da essere inconsolabile.
Vide l’orrore e la pena.
La vide recuperare la giacca e fare per uscire, la
trattenne, spaventato che potesse fare qualche pazzia in quelle
condizioni. «Aspetta, dove vuoi andare?»
«A cercare Romeo.» rispose risoluta.
«Sei matta, ti ucciderà.»
Lei lo guardò, determinata, non era un colpo di testa. «Ve bene.» gli disse fissandolo.
Nate continuò ad osservarla interdetto, ma la
lasciò andare. C’erano milioni di motivi per trattenerla:
Zach non l’amava più come un tempo, Romeo era ben nascosto
e di certo non si sarebbe fatto trovare da lei, era soltanto una
civile. Ma non riuscì a dirle niente. La guardò
andarsene, sperò di rivederla.
Recuperò il suo cellulare e compose un
numero, un segnale acustico lo avvisò che stava per effettuare
una chiamata internazionale. «Lynn, il mondo sta andando in
pezzi.» disse non appena gli rispose.
Courtney aiutò Zach a sistemarsi sulla sedia a rotelle in
silenzio. Lo accompagnò al bar, c’era una tabaccheria; lui
scelse un pacchetto di sigarette, decisamente troppo forti per
qualsiasi medico, lei un accendino con disegnato un coniglietto con un
mazzo di fiori, decisamente troppo da femmina per lui.
Lo spinse fin dentro l’ascensore.
C’era un tetto, in tutte le costruzioni di
Synt c’era un tetto agibile, per i suicidi forse, per i
disperati. Lasciò la bombola d’ossigeno accanto alla
porta, incastrata in modo che non si richiudesse lasciandoli
intrappolati lì sopra. Respirò l’aria inquinata di
Synt, riconoscendo che era davvero troppo che non usciva. Guardò
la notte senza stelle, il cielo piatto e distante di Synt scoprendo che
in qualche modo una stella o due l’avrebbero consolata.
Zach aveva capito, forse sapeva già da quanto
era arrivato suo padre quella mattina. «Mi spiace per mio
padre.» le disse.
«Posso farti camminare. Sei debole, ma non hai
problemi alle gambe o alla spina dorsale, se ti do un paio di stampelle
dovresti farcela.» spiegò pratica, cercando di non
lasciarsi trascinare da altre considerazioni: non ci riuscì, non
riusciva a ragionare, era in balia delle sue paure. Cose che la
spaventavano e disgustavano e che cercava di non guardare da tutta la
vita erano di fronte a lei e le urlavano in faccia di affrontarle.
Chiuse gli occhi e deglutì. «Come ha fatto tua madre a fare te con lui?» chiese piano.
Lui si strinse nelle spalle. «Non lo so, me lo sono chiesto per tutta la vita.»
«Ti dispiacerebbe se gli strappassi braccia e gambe?» continuò a domandare.
Lui rise buttando fuori il fumo a sbuffi e per un attimo fu Zach.
La fece a pezzi: Courtney si sporse appena prima di
vomitarsi sulle scarpe, si pulì alla meglio con il dorso della
mano e quando sollevò lo sguardo su di lui, Zach la stava
fissando preoccupato. «Court.»
«Non dire niente, ce la faccio.» lo interruppe.
«Non è vero.»
Gli occhi le si riempirono di lacrime senza che
potesse impedirlo. «Io ho…» si interruppe
deglutì. «…ho bisogno che tu viva.» disse con
voce rotta.
Zach abbassò lo sguardo su sé stesso.
«Anche così?» le domandò. «Mio padre
non ha del tutto torto.»
«Zach.» disse con rimprovero. «Sei stato operato appena una settimana fa!»
«Posso chiederti di farmi un’altra promessa?» le chiese.
Lei annuì.
«Non smettete di cercarla.»
Courtney si avvicinò e si accucciò,
non gli piaceva guardarlo dall’alto. «Ed a chi lascerai
l’onore di dirle che sei morto?» domandò spietata.
Quando Courtney lo riaccompagnò in camera, Nate e Matt lo
stavano aspettando, insieme a Jared ed un paio di cartoni di pizza.
Zach rise, lei non li vedeva nemmeno, aveva finito le energie, ogni
speranza, aveva perso tutto.
Si mise in angolo ad ascoltarli parlare, lo stomaco
troppo attorcigliato per mangiare. Aveva gli occhi fissi su Zach, quasi
che continuando a guardarlo sempre, potesse impedire che gli succedesse
qualcosa. Deglutì un groppo di pianto, non voleva rovinare
quell’atmosfera, Matt e Nate si stavano impegnando a tenerli
tutti abbastanza lontani dai disastri in cui si trovavano.
«Sarò a fianco a te quando succederà.»
Courtney guardò Jared appoggiato accanto a
lei. La sua mente, il suo cuore, si ribellarono a quell’ipotesi;
voleva di più di qualcuno che le tenesse la mano mentre Zach
soffocava. Quel giorno avrebbero ucciso anche lei, perché non
avrebbe mai permesso che gli facessero del male e Jared le avrebbe
tenuto la mano, forse avrebbe aiutato a trattenerla.
Voleva qualcuno che gli avesse promesso la testa del
signor Douquette perché voleva uccidere Zach, del primario di
chirurgia perché l’aveva umiliata, dell’agente
dell’ADP perché l’aveva minacciata.
«Grazie.» sorrise. «Ma non credo
che vorrò vedere nessuno quel giorno.» rispose sincera.
«Se tu mi permettessi di consolarti lo farei.»
Lo aveva fatto quando Josh era morto, l’aveva
stretta, coccolata, le era stato accanto e l’aveva aiutata a
superarlo. Ma quella volta non avrebbe potuto, c’erano dolori dai
quali sarebbe stato impossibile per lei riprendersi. «Non
puoi.»
Salutò gli altri dicendo che era stanca,
andò da sua madre. «Puoi darmi qualcosa per
riposare?» le domandò, dietro di lei sentì
l’eco delle proprie parole, non era la prima volta che aveva
problemi a dormire.
Lei le sorrise e le porse una fiala, poi la chiave
della stanza dove era stata sistemata. «Penso io a Zach
stanotte.»
Courtney si svegliò un secolo dopo con la testa piena di cose
alle quali non riusciva a dare senso. Era ancora notte, era ancora
buio. Allungò una mano ricordando vagamente un comodino alla sua
destra ed un bicchiere d’acqua lì sopra. Tastò
varie volte, senza forze né entusiasmo, ad un passo
dall’arrendersi e rimanere assetata.
Qualcuno fece scorrere il bicchiere fino alle sue dita.
«Jared?» chiese.
Le rispose il silenzio, forse se l’era
sognato, la testa le girava tanto che perfino il letto si muoveva,
figurarsi un bicchiere. Si sollevò un pochino e bevve.
Rabbrividì e cercò di tirare le coperte, ma erano
intricate e lei non nelle giuste facoltà mentali per
districarle, le sembrava di dover muovere con la forza del pensiero le
mani e le gambe di qualcun altro.
Mani le spostarono con delicatezza le gambe e la coprirono fin sotto il mento.
«Mamma?» chiese rannicchiandosi sotto le coperte.
Un sospiro. Un respiro sul suo viso. Una mano sulla
sua bocca. «Sono io, ma non urlare. Abbiamo bisogno di parlare
Courtney Williams.»
Il cervello di Courtney mandò un debole
segnale d’allarme, che si perse in altri mille pensieri, tutti
stipati insieme in troppo poco spazio. Romeo le tolse la mano dalla
bocca, non urlò. «Se fossi un uomo saresti venuto quando
ero in condizioni di ucciderti.» brontolò.
Riconobbe il rumore di una sedia che veniva
spostata, poi uno sbuffo che somigliava ad una risata. «Non puoi
uccidermi.»
«L’unico che poteva, lo farai morire tra una settimana.» ricordò amara.
Romeo accese la lampada sul comodino e le
mostrò quella che aveva tutta l’aria di essere una
valigetta refrigerante. «Mi hai portato il cuore di Logan
Douquette? Perché sarebbe un regalo molto apprezzato.»
Lui incrociò le braccia sul letto ed
appoggiò il mento sopra di esse. «Tre litri del mio
sangue.» prese fiato. «Chiedimi cos’ha Zach.»
le disse.
«Che diavolo vuol dire?»
«Fallo.» ripeté.
Courtney borbottò e diede una tastata alle coperte, possibile che non avesse un’arma con lei?
«Cos’ha Zach?» si arrese a chiedere.
Sua madre avrebbe dovuto pensarci, anche lei forse,
erano sempre a Synt dopotutto, quella città apparteneva a Romeo.
«Ehi!» Romeo le prese il viso tra le
mani e la obbligò a fissarlo. «Snebbia il cervello ed
ascoltami.»
Lei sbatté le palpebre cercando di concentrarsi su di lui.
«A Zach danno il Mitronio da quando è bambino, per questo sta così.»
«I Veggenti lo prendono per tutta la vita e non sono così.»
Romeo alzò gli occhi al cielo. «Dio,
Court, perché hai preso quella roba?» si lamentò.
«Mi servi lucida.»
Lei scosse la testa ed aspettò che i pensieri
raggiungessero il suo cervello. «Zach non è un
Veggente.»
«Bravissima, ragazza. Non so
cos’è, ma ci sono solo tre tipi di Veggenti: quelli
ipersensibili al Mitronio che muoiono come Iago, quelli che lo
smaltiscono senza riportare danni a lungo termine e quelli che iniziano
a vedere in età adolescenziale e che, se presi in tempo e
curati, in dieci anni perdono la facoltà di vedere.»
«Magari lui è del terzo gruppo.» provò.
Romeo abbassò lo sguardo e si leccò le
labbra prima di tornare a lei. «Quelli del terzo gruppo di solito
passano la vita senza sapere di esserlo mai stati.»
Per alcuni secondi Courtney rimase zitta, sapeva che
c’era qualcosa di fondamentale da afferrare nelle parole di
Romeo, eppure non ci arrivava. «Va’ avanti.» si
arrese a dire dopo alcuni secondi.
«Il Mitronio nel tempo ha creato un deposito,
il deposito aumentava ogni giorno ad ogni somministrazione e lui
rallentava un po’ ogni giorno. Ad un certo punto sarebbe morto
intossicato.» concluse. «Dawn ha pensato che una forte
emorragia potesse fargli espellere anche parte di quel deposito, ma
c’è ancora. Il sangue civile non può funzionare,
cioè lo tiene vivo, ma noi non vogliamo solo che sia vivo,
giusto?»
Courtney abbassò le palpebre lentamente e le sollevò di nuovo. «Giusto.»
«Gli serve sangue Vegliante pulito, il mio,
nella speranza che smaltisca il suo deposito di Mitronio.»
indicò con un cenno del capo la valigetta refrigerante.
«Mezzo litro al giorno, se gliene dai di più si rompe e
l’unico che sa aggiustarlo è morto.» per alcuni
secondi la osservò scettico. «Pensi di riuscire a
ricordare tutto?»
«Scrivilo.»
«Dove?»
«Dove non posso ignorarlo e dove non possono strapparmelo.»
Romeo ci pensò su, poi le prese un polso e
gli arrotolò la manica della maglia; recuperò una penna
dalla tasca ed iniziò a scriverle tutte le indicazioni
indispensabili sull’avambraccio.
«Non fare niente.» le ordinò.
«Nh?» fece Courtney confusa.
«Non puoi uccidere Logan Douquette e farla
franca, ti condanneranno a morte.» le lanciò
un’occhiata. «Me ne occupo io.»
«Lo ucciderai?»
«Sì.»
Per alcuni secondi rimasero entrambi in silenzio,
Romeo era così concentrato che Courtney aveva paura di
infastidirlo con le sue parole, così si limitò ad
osservarlo. Inconsciamente pensò anche che avrebbe potuto
ucciderlo, sarebbe stata un’occasione perfetta.
«Lo faresti davvero?» le chiese Romeo,
senza guardarla; si rimise la penna in tasca e tirò giù
la manica della sua maglia.
«Cos’è mi leggi anche nel pensiero?» gli domandò.
«Le tue intenzioni non sono mai state particolarmente enigmatiche.» spiegò semplicemente.
«Dovresti farlo tu.» osservò con
un’onestà della quale probabilmente di giorno, alla luce
del sole, non sarebbe mai stata capace. «Dovresti ucciderci
tutti, siamo dei mostri.»
Romeo la guardò. «Ti sto dando il mio
sangue, Courtney Williams. Solo a te e solo perché la mia stima
nei tuoi confronti supera di gran lunga il mio giudizio. Tutti
commettiamo errori, tutti possiamo sbagliare.» rise. «Noi
Veggenti pensiamo che le persone vadano giudicate per come reagiscono
alla verità. Tu non la conosci, quindi noi non ti
giudichiamo.»
«Raccontami la verità, allora.» propose.
Lui fece una smorfia indecisa. «Forse stasera
mi crederesti, fatta come ti ritrovi, ma domani alla luce del sole,
splendente della tua straordinaria razionalità, ti diresti che
ho mentito.»
Courtney rimase zitta per un po’, poi annuì. «Ho capito.»
Romeo sospirò. «Okay.» si
alzò in piedi e la guardò. «Hai bisogno di
qualcosa?» guardò il bicchiere accanto al suo comodino,
ora mezzo vuoto. «Altra acqua?»
«Parlo come una Veggente?» gli domandò.
Lui scoppiò a ridere annuendo. Lo sconcerto
superò la confusione, non aveva mai visto Romeo ridere
sinceramente, di solito lo faceva in risposta ad un loro errore e c'era
più sarcasmo che ironia; ma in quel momento era autentico e
Courtney sapeva che, oltre la nebbia del sedativo, se lo sarebbe
ricordato.
«E sei straordinariamente sexy quando lo
fai!» Romeo si fece di nuovo serio, si avvicinò ed
appoggiò un braccio sul suo letto, per poi posarci sopra la
testa, la guardò paziente. «Senti, non lo so come parli,
sinceramente non ho idea di cosa sia oppure no adeguato per un Veggente
o un Vegliante. Ma se ti può essere di conforto ha il mio
consenso ed il mio supporto, anche se domani mattina vorrai uccidermi
di nuovo.»
«Portami via con te.»
Romeo sollevò le sopracciglia scettico.
«Tua madre deve averti dato sedativo per elefanti.»
«Se supporti il mio lavoro, hai la mia fedeltà.» promise.
Lui sospirò. «È la seconda volta
che me lo chiedi.» osservò e Courtney pensò a
quando erano nel bagno di Dawn Dandley e gli aveva detto che sarebbe
potuta scappare; lì per lì non ci aveva pensato, ma
scappare dai Veglianti a Synt significava rifugiarsi dai Veggenti.
Si avvicinò a lei fino a sussurrarle
nell’orecchio. «Smettila o ti dirò di
sì.»
Courtney chiuse gli occhi per quello che doveva
essere un secondo e la sua mente si scrollò. «Aspetta,
dov’è Becky?» chiese riaprendoli, ma Romeo non
c’era più ed era mattina. Si guardò il braccio,
c’erano le istruzioni del sangue ed un consiglio: “A testa
alta”.
Nate uscì dall’ospedale all’alba. Si guardò
intorno, era ancora presto perché Synt fosse leggermente
animata, a volte gli sembrava che quella città vivesse per due o
tre ore al giorno, mentre per il resto del tempo si limitasse a
rimanere sospesa.
La sua mente si mise in moto da sola,
calcolò, rivide il percorso che aveva suggerito a Zach per
portare Becky via da Synt: senza Veggenti sarebbe stato semplice.
Poteva scappare, poteva mettere chilometri tra lui e
quell’inferno, un oceano tra lui e la morte della quale era
impregnata Synt.
I suoi occhi si fermarono ad un lampione, seduta
accanto ad esso in modo piuttosto innaturale, c’era una ragazza
bionda. La sua posizione era innaturale perché aveva le mani
legate al palo di metallo. Era bendata e decisamente sporca, aveva le
labbra screpolate, ma non sembrava essere veramente ferita.
«Becky.» mormorò Nate.
Lei voltò il viso nella sua direzione, cercando di guardarlo, ma non poteva vederlo.
Non con gli occhi almeno.
dunque, vi preannuncio che non voglio
affrontare in questa sede un discoro complicato come l'eutanasia...
come dice la cara Lavis, Zach è un caso limite ed al signor
Logan Douquette non importa certo della qualità della vita di
Zach, ma direi che questo è palese...
la conversazione tra Courtney e gli altri lì, è
fondamentalissima, per carità ricordate tutto quello che dice
Courtney...
oh e è tornata Becky...
oh, un sacco di cose questo capitolo!
fatemi sapere che ne pensate, ci vediamo nel prossimo!
baci
ps. mi ero scordata i link: Fragolottina e Lamponella
|
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Capitolo 28 *** 27. Douquette ***
MSC19
fragolottina's time
mi scuso per le risposte lampo alle
vostre recensioni, vi prego, non prendetelo come scarso interesse da
parte mia. si tratta semplicemente e tragicamente di scarso tempo.
27.
Douquette
Jamie Ross fissò i polsi di Rebecca Farrel dall’altra parte del palo e la lasciò lì.
«Premerò il grilletto.» disse lei. «Non ho
cambiato idea, se si avvicina di nuovo a Zach ucciderò
Romeo.»
Lui rise. «Prima vedilo, ne riparliamo poi.»
Lindsey si era volatilizzata, meglio.
Courtney entrò nella stanza di Zach e chiese
sottovoce a sua madre di cercarle un’altra batteria per la
valigia refrigerante che le aveva dato Romeo. Una volta uscita si
chiuse dentro, abbassò le tendine e tirò fuori una delle
sacche di sangue. Zach sollevò le palpebre quando la
sentì sfiorargli l’ago della flebo.
«Cos’è?» domandò assonnato.
«Sangue.» rispose senza specificare il
sangue di chi, sospettava che se gli avesse detto “È il
sangue di Romeo” avrebbe trovato modi fantasiosi per uccidersi da
solo, piuttosto che accettarlo. «Puoi dormire ancora se vuoi,
è presto.»
Lui annuì piano e sprofondò con la testa nel cuscino.
Ricordava le indicazioni che le aveva dato, quindi
attese paziente che metà della sacca si svuotasse, poi la tolse,
consapevole che a quel punto qualsiasi cosa avesse contenuto stava
circolando, spensierata, nell’organismo di Zach. Per pochi
secondi riuscì perfino a colpevolizzarsi: doveva esserle andato
in pappa il cervello, avrebbe potuto far fare ai laboratori delle
analisi prima. Ma conosceva cosa l’aveva resa tanto precipitosa;
sospettava che dopo l’ultimatum di Logan Douquette tutti gli
occhi degli agenti dell’ADP fossero puntati su di lei ed i suoi
movimenti: sarebbe stato impossibile fare della analisi ed evitare che
terze parti mettessero gli occhi sui risultati.
Per questo quando sentì prima abbassare la
maniglia e poi bussare alla porta, sussultò. Nascose il sangue
di Romeo nell’armadietto di Zach ed aprì. Con suo grande
sollievo si trattava semplicemente di Nate e Lindsey.
«Dove ti eri cacciata?» le chiese
Courtney in un bisbiglio agitato, dura da ammettere, ma era quasi stata
in pensiero per lei.
«A cercare Romeo.» rispose guardandola.
Fu quasi sul punto di dirle “Era con me stanotte, ci ho parlato
io”, ricordando quasi troppo tardi perché non avrebbe mai
potuto dire una cosa del genere.
«Beh, non l’ha trovato.» si
intromise Nate precipitoso, prima che Courtney fosse sul punto di
raccontare tutta la verità, anche solo per avere qualcuno che le
dicesse di condividere la sua decisione.
O di fermarla, se fosse stata più convinta di lei che fosse una follia.
«Devi venire con me.» continuò Nate.
«Perché?» chiese lei,
lanciò un’occhiata all’interno della stanza verso il
letto di Zach, non voleva lasciarlo senza essere sicura che la
trasfusione che aveva ricevuto non fosse tossica.
«Devo parlarti, in privato.»
«Resto io con lui.» Lindsey fece per
entrare nella stanza di Zach, ma Courtney la trattenne per il braccio.
«C’è una cosa nel suo armadietto, una cosa che gli
ho iniettato per la quale probabilmente l’ADP ci arresterebbe per
tradimento.»
L’infermiera le lanciò
un’occhiata. «Sarà bene che non lo trovino,
allora.»
Jean mi era andata a prendere un tramezzino, una bibita colma di
zuccheri ed un barattolino di frutta già tagliata. Visto che io
tecnicamente ero ancora scomparsa, non c’erano vassoi sigillati
con il mio nome sopra.
Non avevo mangiato molto nelle ultime settimane, non
che non mi dessero cibo, avevo sempre avuto una colazione, un pranzo ed
una cena; ma non avevo mai molta fame e mangiare con gli occhi bendati
mi metteva ansia: per quel che ne avevo potuto sapere magari mi davano
insetti. Quindi mangiavo soltanto quando non ne potevo più di
stare digiuna.
«Starai qui con Matt e Nate.» mi
spiegò con calma. Era sempre stata infinitamente rassicurante da
quando ero tornata, anche nelle cattive notizie, come se temesse che
maneggiandomi con poca cautela avrebbe potuto farmi esplodere: mi aveva
accompagnata da una dottoressa che mi aveva visitata, poi mi aveva
portato nel bagno della sua stanza ed aveva aspettato che mi lavassi e
vestissi. Aveva cercato di spiegarmi perché non potevo vedere
Zach, avevo annuito fingendo di essere d’accordo.
«Io sono sempre nei paraggi, quindi se ti va di parlare, di raccontarmi qualcosa…»
«Ho un messaggio per te.» dissi. «Da parte di Romeo.»
Jean mi guardò ed annuì. «Ti ascolto.»
«Dice che il suo ordine è ancora
valido.» mi strinsi nelle spalle. «Che significa?»
«Non te l’ha spiegato?» mi domandò spassionata.
Scossi la testa e lei sospirò. «Romeo
era un Vegliante della mia squadra. Una volta gli ordinai di fermarsi
solo quando glielo avrei detto io.»
Mi aveva detto di essere stato un Vegliante anche
lui, non gli avevo creduto. Mi aveva parlato di molte cose ed io non
ero riuscita a credere a tutto. Voleva Zach, voleva che gli dessi il
permesso di portarlo via, come se avessi mai potuto acconsentire ad una
cosa del genere. Avevo detto di no, decisa e ferma, offesa dalla sua
speranza in un esito diverso di quella conversazione.
“Allora morirà”, si era limitato a dire Romeo.
«Gli dirai di fermarsi?» domandai a Jean.
Lei sembrò pensarci su, poi mi lanciò
un’occhiata. «Tu glielo diresti?» mi domandò a
sua volta.
Courtney si era aspettata che Nate la conducesse nello stanzino delle
infermiere o nel laboratorio dove lui e Matt si erano trasferiti, ma
invece la portò fuori dall’ospedale. Le indicò la
macchina e lei salì senza fare domande, anche se dentro il cuore
le si strinse in una morsa di panico: si stava allontanando troppo da
Zach e, per quanto devota, Lindsey non era lei stessa.
Ad ogni modo non oppose lamentele e Nate
guidò fino al parco dove secoli fa lei e Zach andavano a correre
di nascosto da Lindsey. Le sembrò di riconoscersi in ogni
ragazza in tenuta sportiva che passava, ogni volta si sentì
più invecchiata e più indurita.
«Ho trovato Becky.»
Courtney voltò di botto il viso verso Nate,
ci furono una manciata di secondi durante i quali non riuscì a
pronunciare parola, poi si fece coraggio e le sue corde vocali
trovarono una via attraverso la sua paura. «Lei o il suo
cadavere?» si arrischiò a chiedere.
«Lei.» disse Nate e Courtney non avrebbe
mai potuto immaginare che quella parola potesse darle un tale sollievo.
«Sembra un po’ smagrita, ma sta bene,
Romeo non le ha torto un capello. Non ha un segno, un livido, un
graffio.»
«Perché non me lo hai detto in ospedale?»
Nate la guardò. «È stata Jean a
chiedermelo. Vuole tenerla nascosta finché Logan Douquette non
se ne andrà da Synt.»
«Devo dirlo a Zach.» disse seria.
«No, non devi.» precisò.
«Aveva un microchip nel braccio che controllava ogni suo
dettaglio fisiologico, una cimice non mi stupirebbe.»
Courtney sospirò, l’osservazione di
Nate era giusta, la comprendeva e condivideva, ma Zach aveva ancora i
lividi al polso ed usava le pochi forze che metteva insieme per
continuare a strattonare quella dannata manetta, sapeva che niente lo
avrebbe reso più felice che sentirla dire “Abbiamo
trovato, Becky”. Nemmeno “So come curarti”.
«La terremo con noi nel laboratorio.»
«Non può rimanere chiusa lì per mesi.»
Nate le lanciò un’occhiata. «Zach
non ha mesi.» disse, spietato nella sua sincerità.
Courtney avrebbe raccontato a Nate del sangue di
Romeo, se in quel momento non avesse notato qualcosa che le interessava
di più. Una signora camminava svelta sul marciapiede, indossava
un vestito firmato color cipria e scarpe abbinate, un paio di occhiali
da sole sicuramente costosi e continuava a guardarsi intorno con aria
sospettosa. Non si era impegnata abbastanza a rendersi irriconoscibile.
«Non è Dhelia Doquette quella?» chiese anche se non aveva bisogno di nessuna risposta.
Nate la seguì con gli occhi, osservò i
suoi passi brevi e veloci. «Andiamo a vedere dove va.»
Scesero dalla macchina cercando di essere i
più silenziosi possibile ed iniziarono a seguire la madre di
Zach a distanza. Courtney ricordava quando Josh e Jean avevano
insegnato loro, tutti loro, come pedinare una persona senza dare
nell’occhio, come mantenere sempre il contatto visivo, senza
avvicinarsi troppo né andare nel panico se il soggetto si
allontanava. Becky non aveva avuto quegli insegnamenti, qualcuno
avrebbe dovuto passare il testimone anche a lei.
Quando fu chiara la destinazione della signora
Douquette, Nate e Courtney si fermarono a guardarla dirigersi verso il
vialetto di Dawn Dandley.
«Che va a fare da quella?» chiese Nate.
Courtney gli prese la mano e lo tirò verso il retro della casa. «Scopriamolo.»
Come l’ultima volta che era stata lì,
la finestra del bagno era aperta. La stanzetta era piena di vapore,
segno evidente che qualcuno si era recentemente fatto il bagno. Lo
ignorarono, febbrili nella paura di far tardi all’ascolto di
quell’incontro clandestino; Courtney abbassò la maniglia,
non si aprì. Nate schiavo la serratura, provò di nuovo.
Nonostante lei avesse voluto spalancarla e spostarsi
nel corridoio, Nate glielo impedì, costringendola a dischiudere
appena uno spiraglio.
Sbirciarono il corridoio e si trovarono ad osservare la schiena di Dawn Dandley.
«Fuori dalla mia proprietà.»
intimò la donna sollevando e puntando un fucile in direzione
della signora Doquette in piedi sulla veranda.
«Mi dica che sta facendo qualcosa per mio figlio.» ribatté lei senza fare una piega.
Dawn Dandley non abbassò la sua arma. «Credo di aver fatto troppo per suo figlio.»
«La prego.» supplicò. «Lei
sa cos’ha e come aiutarlo, è l’unica a poterlo
fare.»
Courtney e Nate si lanciarono un’occhiata turbata.
«Certo che so cos’ha: un padre folle ed
inadeguato, ma, ehi, chi sono io per dirlo? Mia figlia me l’hanno
tolta.»
«Mrs. Dandley, sono mortificata per tutto
quello che le hanno fatto. Ma come lei ha cercato una cura per sua
figlia, io ho detto di sì all’unico uomo che poteva curare
il mio. Smetta di rinfacciarmelo. Non siamo così diverse.»
«Non siamo così diverse!»
ripeté Dawn Dandley furiosa. «Hanno sterminato la mia
famiglia, rapito mia figlia e minacciato mio fratello per farmi fare
quello che ho fatto. Io non volevo iniziare un genocidio, volevo
soltanto curare mia figlia, nessuno di loro mi ha detto davvero cosa
stavo curando.» raccontò. «Tu però lo
sapevi.» sibilò. «Siamo molto diverse.»
ripeté, prima di voltarsi e tornare nella sua casa.
«Cosa stiamo ascoltando?» domandò
Nate in un sussurro. Courtney non rispose, non lo sapeva.
«Mio figlio stava morendo. Nessuno lo avrebbe
curato, in un mondo in cui si dà la caccia ai Veggenti a chi
importa se uno di loro muore per cause naturali?»
Courtney deglutì, abbassò lo sguardo e
chiuse la porta. Non voleva ascoltare di più, aveva paura ad
ascoltare di più. Nate non la fermò, entrambi avevano
riconosciuto nel tono di voce della madre di Zach, l’eco di
qualcos’altro, quella pretesa di avere sempre ragione,
così tipica dei Veggenti.
«Secondo te…» iniziò
titubante. «Zach lo sa che sua madre e suo fratello erano dei
Veggenti?» aveva paura anche di quella risposta, perché se
lo sapeva e continuava a portare avanti la missione dei Veglianti senza
scomporsi, era un mostro.
Nate rimase zitto per alcuni secondi guardandola,
poi il suo sguardo si spostò ed iniziò a fissare un punto
alle loro spalle. Courtney deglutì e voltò lentamente il
viso: c’era un’ombra dietro la tendina della doccia a
fiorellini. Entrambi rimasero immobili: doveva averli sentiti, avevano
parlato. Aveva schiavato la porta, come aveva potuto essere tanto
precipitosa ed ottusa da non pensare che una porta chiusa
dall’interno deve essere chiusa da qualcuno?
Romeo scostò la tenda della doccia ed
incrociò le braccia sul petto. «Direi di no.»
sbottò. «E se vi passa nel cervello anche solo
l’ipotesi di metterlo a conoscenza della cosa, giuro che vi
stacco la lingua.» li minacciò.
Courtney indietreggiò finché Nate non
le posò le mani sulla schiena per impedirle di finirgli addosso.
«Ma deve saperlo!» si lamentò lui.
«Per niente!» ribatté secco Romeo.
Courtney abbassò lo sguardo, mentre tutte le
informazione che aveva appena acquisito trovavano il loro posto,
accanto a quelle che aveva già. «Sean non l’ha
aggiustato, l’ha rotto.»
Nate la spostò di lato per guardarla. «Cosa?!» domandò incredulo.
Lei si scrollò le sue mani di dosso e si
voltò, attenta a mantenere Romeo nel suo campo visivo.
«Non capisci? Era un Veggente, avrà capito quanto sarebbe
diventato in gamba suo fratello ed avrà cercato di frenarlo un
po’. Forse aveva paura.»
«Paura?! Razza di stupida ragazzina
ingrata.» ruggì Romeo prima di fiondarsi su di lei, non
fece in tempo nemmeno ad urlare.
«Come puoi dire una cosa del genere?!»
La afferrò per le spalle, Nate cercò
di colpirlo, ma Romeo era sempre troppo veloce e gli diede un pugno.
Spalancò la porta del bagno e la spinse avanti, mostrando alle
due donne chi altri stava assistendo alla loro conversazione. Presa
alla sprovvista, dalla sorpresa e l’improvvisa paura, Courtney
cadde a terra.
«Sean è morto per cercare di aiutarlo!»
Si tirò su puntellandosi sui palmi, cercando
di fare mente locale e trovare una via d’uscita: doveva
difendersi, aiutare Nate. Poi improvvisamente tutta la sua mente fu
invasa dall’orrore: si era fidata di Romeo, gli stava dando il
suo sangue.
Dhelia Douquette si accucciò davanti a lei e
le sollevò il viso per fissarla negli occhi. «Sei la
figlia di Vivien, non puoi essere così stupida.»
osservò.
«Non lo è.» la difese a
metà Romeo. «Solo preferisce non farsi domande
scomode.» continuò spingendo Nate a terra accanto a lei.
Se non altro, erano insieme.
«Capisco.» commentò alzandosi, si
strinse nelle spalle, un movimento aggraziato e composto che la fece
infuriare.
«Non c’è così tanta
fretta.» continuò a dire, le lanciò
un’occhiata: avrebbe capito che era una Veggente anche soltanto
da come la guardava: con la consapevolezza di essere superiore.
«Se interrompi l’attuale cura di Zach, ti uccido.»
concluse semplicemente dirigendosi verso il portico della casa di Dawn
Dandley. Si fermò davanti all’altra donna e le fece un
cenno con il capo, i capelli freschi di parrucchiere. «Ossequi,
signora Dandley, avesse voglia di parlare, sa dove trovarmi.»
La padrona di casa tenne aperta la porta e
guardò i due Veglianti a terra. «Fuori di qui. E che non
vi venga in mente mai più di introdurvi abusivamente in casa
mia.»
Nate afferrò Courtney per un braccio, aiutandola ad alzarsi, poi ad uscire da quella casa.
«Che facciamo se smette di dare il tuo sangue a Zach?» chiese Dawn Dandley a Romeo.
Lui si avvicinò alla porta aperta e li
guardò allontanarsi, Nate la stava quasi tirando. Courtney si
voltò a lanciare un’ultima occhiata alla costruzione,
prima di fissare lo sguardo nel suo. C’era il fuoco in
quell’azzurro, se avesse potuto l’avrebbe incenerito.
«Speravo che arrivasse a conclusione diverse
una volta saputo di Sean.» sospirò. «Speravo
che…» capisse.
Non lo disse, era folle, lui lo era stato: lei era la Vegliante
Williams, lui il Veggente che aveva accoltellato una delle persone alle
quali teneva di più al mondo. Non poteva fidarsi di lui, nemmeno
se lo voleva.
«Non era ancora tempo, Romeo.» disse
Dawn Danadley voltandosi per tornare in casa. Le lanciò
un’occhiata, gli sembrò vecchissima e stanca, la
conversazione con la signora Doquette doveva averla provata. Quella
famiglia stressava tutti.
«Sei stato paziente fino adesso, perché questa fretta?»
Romeo non rispose. Li guardò scomparire
dietro una casa. Nelle ultime settimane Courtney era stata così
determinata, così fuori regola e schema, aveva accettato di buon
grado quello che le aveva raccontato la notte precedente: aveva sperato
che fosse pronta. Smettere di essere un mostro almeno per uno di loro,
anche solo per una persona, anche solo per una notte, era stato
così gratificante.
«Non diciamo a Jamie quello che ha detto lei.»
«No.» acconsentì la donna.
Sean Douquette era una leggenda: era quello che
più di tutti aveva difeso sé stesso dalla
mediocrità. Logan Douquette aveva pagato le sue cure nei
migliori ospedali, aperto un fondo fiduciario a suo nome per farlo
studiare, ricoperto lui e sua madre di soldi e benessere, in cambio
voleva che chiudessero gli occhi su Zach.
Sean Douquette aveva fatto l’equivalente di sputargli in faccia.
Tutti lo rispettavano e ricordavano, pochi
l’avevano conosciuto. Jamie l’aveva conosciuto, non si era
mai ripreso dalla sua morte, forse non l’avrebbe mai fatto. Romeo
l’aveva visto una mattina, ad occhi sbarrati, seduto sul letto,
come se il mondo fosse appena finito. Aveva chiuso gli occhi,
deglutito, poi si era alzato ed aveva fatto come se niente fosse
successo. La condanna di ogni Veggente era vedere.
Romeo conosceva la storia, gliela aveva raccontata
Dawn. Sean Douquette era stato mandato in Medio Oriente a forza da
Logan, Jamie Ross aveva scelto di seguirlo perché odiava sua
sorella e lui era il suo migliore amico; Sean aveva drogato Jamie prima
della missione che lo avrebbe ucciso, Jamie non l’aveva perdonato
nemmeno da morto.
Si poteva rispettare una persona per la sofferenza
che provoca la sua scomparsa su un’altra? Secondo Romeo,
sì.
«I vostri pugnali sono in lavastoviglie.»
Romeo le lanciò un’occhiata, poi
sbuffò una risata. «Però è vero che sei
matta, Dawn.»
Zach guardava Lindsey addormentata sulla sedia, ultimamente non gli
capitava spesso di essere sveglio e controllare il sonno di chi era
addetto a sorvegliarlo. Ma lei gli era sembrata sfinita da quando si
era svegliato quella mattina, era contento che potesse riposare un
po’.
Suo padre bussò piano alla sua porta. «Posso entrare?» chiese.
Zach annuì e si schiarì la voce prima
di parlare. «Ti spiace metterla a letto?» gli
domandò indicando con un cenno del capo la brandina accanto al
suo. Logan Douquette si avvicinò alla ragazza e la
sollevò con delicatezza, prima di trasferirla sul letto e
sedersi al suo posto.
«Come stai?» gli domandò.
Lui fece una smorfia. «Mi sento la testa
pesante, forse ho un po’ di febbre.» il giorno prima
Courtney l’aveva portato fuori, per i suoi standard di quel
periodo poteva essersi strapazzato troppo.
Suo padre allungò una mano e gli
scostò i capelli dalla fronte, aspettò qualche secondo.
«Sei un po’ caldo in effetti.» constatò.
«Vuoi che ti faccia portare qualcosa?»
C’erano stati pochi momenti come quelli, tra
lui e suo padre, dopo i suoi dodici/tredici anni. Di solito Logan
Douquette era il bastardo che tutti vedevano, ma a volte, raramente,
era un padre e Zach non avrebbe barattato quei momenti per niente al
mondo. «No, va bene così.»
«Ho una bella notizia per te.» lo informò.
«Davvero?» domandò Zach sorpreso.
Lui annuì e si appoggiò allo schienale
della sedia. «Hanno trovato la ragazzina che ti piace.»
Zach lo fissò senza parole. «Stai
scherzando?» domandò terrorizzato all’idea che lo
stesse facendo davvero.
Ma suo padre scosse la testa, sorridendo della sua
espressione. «No, l’ho vista. La tengono nascosta
perché sperano che non lo scopra, hanno paura che le faccia del
male.»
«E lo farai?» domandò lui preoccupato.
«Non ne ho motivo.» disse suo padre sincero.
«Vorrei vederla.» rifletté ad alta voce, dando uno strattone annoiato alla manetta.
«Vedrò cosa posso fare.»
lanciò un’occhiata alla manetta. «Ma tu smettila di
fare così. Finirai per romperti il polso e non servirebbe
niente.»
Zach sospirò e rilassò i muscoli del
braccio. «Va bene.» abbassò lo sguardo. «Ho
cercato di difenderla, se fossi stato solo probabilmente sarei riuscito
a scappare.»
Logan Douquette sorrise. «Lo so.»
allungò una mano e la posò sulla spalla del figlio.
«Darei la sua vita per la tua mille volte.» disse
fissandolo. «Sei migliore di me, Zach, sono molto orgoglioso di
te.»
«Anche se non sono più perfetto?»
chiese Zach. Quando era piccolo glielo diceva di continuo che era
perfetto, poi era cresciuto, era diventato un adolescente, aveva
iniziato a rivoltarsi, a dire di no. Suo padre dava la colpa a Sean,
diceva che era un cattivo esempio, che non poteva fare esperimenti sul
suo fratellino, che doveva essere pazzo. Zach non ne era tanto sicuro,
probabilmente si sarebbe rivoltato comunque: l’obbedienza non gli
apparteneva.
«Anche se Sean ti ha scombinato la testa,
sì.» lo rassicurò il padre. «Che ne dici di
riposare un po’? Magari la febbre ti passa.»
Zach annuì. «Tu resti?»
Logan Douquette si appoggiò di nuovo allo
schienale della sedia e fece di sì con la testa. «Tutto il
tempo che vuoi.»
Matt mi aveva aggiornata su tutto quello che mi ero persa, aveva
tentennato solo una volta, quando aveva dovuto dirmi che il padre di
Zach aveva intenzione di lasciarlo morire fra sei giorni.
Mi rimanevano sei giorni con Zach.
Giurai di uccidere Romeo per non avermi liberata prima.
Nate tornò nel tardo pomeriggio esibendo un
occhio nero ed un labbro spaccato e medicato. Non ci diede spiegazioni,
non disse niente, si limitò ad aiutarmi a sistemare delle
coperte accanto a loro.
«Sembra un pigiama party.» provò
a scherzare debolmente Matt, né io né Nate fummo in grado
di raccogliere la sua ironia.
Rimasi ad occhi aperti nell’oscurità,
facendo e disfacendo le trecce ai capelli per non arrendermi al sonno,
aspettando che i due incaricati di controllarmi si addormentassero.
Rubai una divisa da infermiera e mi cambiai in
bagno, lasciai i capelli intrecciati sperando di essere meno
riconoscibile. Non sapevo come trovare la stanza di Zach, così
salii sul primo ascensore libero che trovai ed iniziai a salire; mi
fermai ad ogni piano, mi affacciai e controllai. Era un Vegliante, non
potevano lasciarlo semplicemente in una camera come tutti, sicuramente
ci sarebbero stati degli agenti.
Che avrei detto se mi avessero fermata o riconosciuta?
Non ci fu bisogno di scoprirlo. Quando le porte
dell’ascensore si aprirono sul quarto piano, mi trovai davanti il
padre di Zach. Non lo avevo mai incontrato, nessuno me lo aveva mai
mostrato, eppure sapevo che era lui. Da come mi guardava. E poi aveva i
suoi occhi.
«La signorina Farrel, suppongo.» disse.
Io non risposi, non ero stupita che l’idea di
Jean di tenermi nascosta non avesse funzionato: era difficile disegnare
confini intorno a uomini tanto potenti.
«La camera di Zach è la 203.»
Lo fissai. «Jean mi ha messo in guardia da lei.» rivelai.
Lui attese che scendessi dall’ascensore, prima
di salire a sua volta, educato e galante come un gentiluomo
d’altri tempi. «Jean è una donna saggia.»
disse semplicemente.
Rimasi a guardarlo finché le porte
dell’ascensore non si chiusero, poi mi diressi verso la stanza
che mi aveva indicato.
Zach dormiva come se fosse morto.
Mi avvicinai al suo letto in punta di piedi e lo
guardai a lungo. Il suo torace si alzava e si abbassava, ma metà
del suo viso era distorta da una maschera trasparente attaccata ad una
bombola. Allungai una mano sul suo fianco e gli sollevai la maglia che
indossava: la coltellata di Romeo era una riga chiara e lucida,
leggermente rialzata sulla sua pelle, solo una cicatrice. Chiusi gli
occhi, io ero quella cicatrice, io avevo pregato notte e giorno che
quella cicatrice esistesse.
Continuai a guardarla con riconoscenza,
finché il mio sguardo non fu attirato da qualcos’altro. Mi
allungai fino al suo polso destro ammanettato al letto, il metallo
foderato di cotone: Courtney. Mi ero proposta una visita veloce, il
tempo di vedere che stava bene, ma ora che ero lì, non volevo
lasciarlo. Cercando di non svegliarlo salii piano, piano sul letto,
facendomi piccola, piccola per non disturbare il suo sonno.
Non ci riuscii.
Lo sentii muoversi ed il suo braccio mi
circondò la vita. Si scostò la mascherina, perché
si chinò a baciarmi la testa. La sua mano salì fino alle
mie trecce che iniziò a disfare con delicatezza. «Non
andartene mai più.» sussurrò vicino al mio orecchio.
Io mi appoggiai al suo torace e mi aggrappai alla
sua maglietta in lacrime: non credevo che avrei mai risentito la sua
voce. Il suo cuore batteva oltre i miei singhiozzi e scoprii che quel
suono era tutto quello di cui avevo avuto bisogno.
«Scotti.» gli dissi realizzando che era troppo caldo.
Ma lui si era già riaddormentato ed io l’avrei seguito in fretta.
Courtney tornò in caserma ad occhi bassi, sconfitta. Non si era
mai sentita tanto stupida in tutta la sua vita, mai. Bussò piano
alla stanza di Jared, l’unico rimasto lì, l’unico in
effetti a non avere niente da fare in ospedale. Le aprì e lei
decise di dimenticare tutti i motivi per cui era stata arrabbiata con
lui, si beò semplicemente della sua compostezza, la sua
stabilità; il suo sapere sempre e comunque cosa fare, chi era il
nemico verso il quale puntare la pistola.
«Court.» disse, sorpreso di trovarsi lì.
«Io…» si interruppe, le parole
rimasero strozzate nella sua gola. Tirò su con il naso.
«Io non so che mi è preso, ho sparato ad un uomo. Ho
abbandonato quella bambina… io…» si posò una
mano sulla fronte e si tirò indietro i capelli. «Mio dio,
sarà morta ormai. L’ho fatta uccidere.»
Jared la abbracciò. «Shh… è tutto apposto!»
«No, non lo è.»
«Ma certo, il paramedico è vivo e
quella missione stava comunque andando male.» la
rassicurò. «Non hai fatto niente di irreparabile.»
L’aveva fatto invece, aveva dato a Zach il
sangue di Romeo. Era sangue? Era di Romeo? Ma che senso poteva avere?
Si era lasciata imbrogliare dalla prospettiva di una soluzione facile:
non ce n’erano, non c’erano mai state.
«Oddio, ma come ho potuto? Perché non ti ho ascoltato?»
Lui la abbracciò e basta.
«Credevo fossi da Zach.» le disse Jared
dopo un po’. «Ho chiamato Nate per sapere come stavate e mi
ha detto che Zach ha la febbre.»
Courtney sgranò gli occhi: lo stava uccidendo.
Non ricordava di aver mai corso tanto. Arrivò in
prossimità della camera di Zach, completamente spompata e
trovò Lindsey in piedi, davanti alla porta. Inizialmente non
capì, poi vide che accanto a lei c’era il carrello per la
rianimazione.
Aveva fatto tardi, era morto.
Courtney si avvicinò alla porta senza dire
niente. Zach dormiva con Becky aggrappata a lui, la maschera con
l’ossigeno era per terra e lui ansimava con la bocca. Veloce,
irregolare, troppo denso.
Chiudi quella bocca, Zach.
Stava annaspando, presto si sarebbe svegliato ed
avrebbe chiesto aiuto o l’avrebbe fatto Becky per lui; ma in quel
momento dormivano, tranquilli come se non ci fosse niente di cui
preoccuparsi.
Lei e Lindsey erano una accanto all’altra in
quella veglia silenziosa, l’infermiera cercò la sua mano,
lei intrecciò le loro dita.
Zach smise di respirare.
Courtney si morse il labbro e Lindsey strizzò
gli occhi. Le loro mani si serrarono una nell’altro fino a far
male, un secondo prima di intervenire, rianimarlo, attaccarlo al
respiratore.
Zach sospirò.
Lo sentirono entrambe: Courtney trattenne il fiato e
Lindsey spalancò gli occhi. Lo guardarono aggiustarsi e
stringersi Becky addosso, che placida si adattò alla nuova
posizione del suo corpo.
E Zach respirava, un respiro vero, regolare e silenzioso.
Un istinto lontano la obbligò a distogliere
lo sguardo da lui e voltare il viso verso il corridoio: in fondo,
davanti all’ascensore, Romeo le fissava con le mani nelle tasche
dei pantaloni, scosse la testa e se ne andò.
sono di corsa, ma due cosine le devo dire:
1) lasciate stare che Mrs. Douquette ha due palle che non vi dico.
2) era impossibile che dopo tutto quello che c'era stato Courtney si
fidasse di Romeo così, alla buona, soprattutto su una cosa tanto
complicata, non si poteva, no.
3) Logan Douquette. mi piaceva che lo vedeste anche in veste di padre, è pessimo, ma è sempre il padre di Zach.
scusatemi ancora, ma devo fuggire!
baci
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Capitolo 29 *** 28. La mela avvelenata ***
MSC19
fragolottina's time
allora, in questo capitolo ho messo
in ordine molte cose, è uno dei motivi della sua lunghezza
infinita e del tempo che ho impiegato a scriverlo.
ci sono molte parti che mi piacciono, quasi tutte in realtà e...
raga', siamo agli sgoccioli per davvero, vedo un attimo, ma ci sono
ottime possibilità che io possa finire tutto in due capitoli...
vedremo!
buona lettura...
oh, e scusate il ritardo!
28.
La mela avvelenata
«Immagino che non ci sia più bisogno di me.»
osservò Lindsey mentre erano sedute fuori la porta della camera
di Zach.
Courtney sospirò, non credeva che avrebbe mai
potuto volerla consolare perché Zach amava un’altra, per
anni aveva pensato che l’altra sarebbe stata lei, ma in quel
momento capì che era oltre quella specie di dramma sentimentale
e si sentì fortunata.
Perciò prese la mano che Lindsey teneva in
grembo e la strinse. «Mi dispiace, nessuno di noi capisce
perché sia tanto preso da quello scricciolo.»
osservò cercando di consolarla. In realtà lo capiva
eccome, certo, Becky era piccina, ma carina da morire, sembrava una
bambola. Ed era letale con le armi, dettaglio che uno come Zach non
avrebbe mai potuto ignorare.
«Tu sei obbiettivamente molto più bella.» continuò a dirle.
Lindsey si leccò le labbra e la
guardò. «Ti ringrazio.» per alcuni secondi rimase
zitta. «È che voi non vi vedete.» sputò fuori
dopo un po’ in una risata. Courtney la osservò scettica.
«Guardati, tu splendi, anche quando sei
abbattuta o depressa. E la ragazzina là dentro, uguale. Siete
diversi da noi.» scosse la testa. «Non avrei mai dovuto
aspettarmi che Zach mi amasse, avrei dovuto capire da sola che non si
poteva fare.»
«Non dire così. Lui ti ha voluto bene
davvero, voglio dire, non è venuto a letto con me!»
Lindsey scoppiò a ridere. «Saremmo dovute diventare amiche molto prima.»
Courtney si strinse nelle spalle. «Sì, forse avremmo dovuto.»
La guardò. «Pensi di far pace con Jared?»
Lei sollevò i piedi fino a poggiarli sulla
sedia e sospirò. «Non lo so.» si strofinò il
viso, turbata, era la prima volta che pensava a cosa sarebbe successo
dopo la guarigione di Zach. Sarebbe tornata in caserma e poi?
«Ho visto cosa c’è nell’armadietto di Zach.» disse Lindsey.
«Sai, cos’è?»
«Funziona?» le chiese.
Courtney deglutì prima di rispondere. «A quanto pare sì.» osservò.
Lindsey ci pensò. «Non mi serve sapere altro.»
«Mezza sacca al giorno.» le
spiegò posandosi una mano sull’avambraccio dove la scritta
di Romeo stava sbiadendo. «Se mi arrestano, se l’avvocato
di mia madre non riesce a tirarmi fuori, se mi uccidono, fallo tu,
okay?»
Lindsey la guardò e sorrise scuotendo la testa. «Lui non lascerà che ti uccidano.»
Zach si svegliò la mattina dopo e si guardò intorno. Si
sentiva strano, come se il mondo fosse sempre stato in bianco e nero,
ma quella notte si fosse colorato. Tutto quello che vedeva era
più nitido, più definito, più vero. Osservò
lungamente la sacca di sangue appesa accanto a lui, solo metà,
non aveva etichetta, era solo una sacca trasparente piena di liquido
rosso. Per la prima volta si chiese cosa gli stesse iniettando
Courtney, non gli aveva mai spiegato, certo, lui non aveva chiesto,
ma… cosa gli stava iniettando Courtney?
Si tirò su a sedere. Aveva il polso libero
però Becky non c’era, si sporse sul cuscino e lo
annusò: non c’era, ma c’era stata.
«Ma che diavolo stai facendo?»
domandò Courtney stupita. «Sembri un maniaco.» lo
accusò.
Zach la guardò si perse in come ogni suo
singolo capello era intrecciato insieme agli altri fino a formare una
crocchia sulla sua nuca. Quando tornò a guardarla negli occhi,
lei aveva l’aria scettica. «Zach?» domandò
lentamente, guardinga come se potesse compiere gesti inconsulti.
Deglutì. «Sto bene.» la tranquillizzò.
«Lo vedo.» confermò, gli porse un
incarto ed una bottiglietta. «Ti abbiamo nutrito per endovena,
Lindsey diceva che non trattenevi niente.» scrollò le
spalle. «Ma se ti va stamattina puoi provare.»
Zach prese il fagotto, non aveva molta fame e poi a
dirla tutta aveva paura. Ricordava com’era stato quel delicato
“Non trattenevi niente”, ricordava la nausea e Lindsey che
lo aiutava e tutto il fianco che gli faceva male ad ogni conato
perché era stato operato da poco. Perciò no, non gli
andava esattamente di provare. Scartò per vedere cosa gli aveva
portato in ogni caso ed il suo stomaco protestò scuotendolo
tutto. Improvvisamente non aveva un languorino, ma fame, una fame
autentica. Mangiò il tramezzino in tre morsi e si scolò
metà bottiglietta di una bevanda zuccherosa in un sorso.
Courtney sbatté le palpebre perplessa.
«Beh, avresti anche potuto masticare.» lo
rimproverò. «Quando ti verrà la gastrite non
venirti a lamentare da me.»
«Dov’è Becky?» domandò.
«Con Nate e Matt. Sta bene, Jean e Jared le
hanno anche proposto di tornare in caserma, ma lei non ha voluto
allontanarsi da te.»
Zach sgranò gli occhi. «Ha detto così?»
Courtney si strinse nelle spalle. «No, ma per
quale altro motivo sarebbe dovuta rimanere?» si avvicinò e
gli staccò la sacca ormai vuota, la tenne tra le mani un secondo
di troppo, persa nei propri pensieri ed a Zach questo non sfuggì.
«Che c’è lì dentro?»
«Sangue.» rispose lei automaticamente.
«Ma pensa?!» osservò sarcastico.
Courtney infilò la sacca dentro la borsa per
buttarla in un secondo momento e gli si avvicinò. «Zach,
stai bene.» scandì. «Migliori di minuto in minuto,
questo significa che tra quattro giorni, quando tuo padre verrà
a tentare di ucciderti potrai prenderlo a calci da solo.»
spiegò. «Fidati di me.»
La guardò ed annuì. «Okay.»
«E fatti un doccia. Puzzi.»
Il bagno dell’ospedale era dall’altra
parte del corridoio, Courtney gli diede degli asciugamani, sapone ed
una pila di vestiti con cui cambiarsi. Non lo accompagnò, ma
sapeva che lo stava seguendo con lo sguardo mentre passava
dall’altra parte. Si infilò in bagno e chiuse la porta;
non c’era molto là dentro, ma Zach capì subito
perché Courtney non fosse preoccupata di lasciarlo solo,
nonostante fosse il primo giorno che si alzava: nella doccia
c’erano i maniglioni ed uno sgabello, era un bagno pensato anche
per chi non ce la faceva. Gli mancava una doccia vera, si sentiva bene,
voleva uscire. Ma non protestò, non poteva, non dopo tutto
quello che stava facendo Courtney.
Si guardò allo specchio, era la prima volta
che lo faceva da quando era stato operato e si vide sciupato, davvero
sciupato, nessuna sorpresa che si fosse sentito tanto affamato.
Sollevò la mano per toccarsi il viso – doveva anche
radersi – la manica della maglia si spostò e lo vide:
aveva l’avambraccio ricucito. Non si ricordava, immobile nel
letto e stordito com’era stato, non si era accorto gran
ché delle proprie condizioni. Si sfiorò la cicatrice
lucida e netta: si era ferito quando era caduto? Ma non era caduto, i
Veggenti l’avevano appoggiato al muro. Si tolse la maglia e si
guardò anche la cicatrice che aveva al fianco, per un secondo
ebbe lo strano desiderio, quasi un impulso, di vedere la propria giacca
da Vegliante, ma lo soffocò: se stava guarendo davvero,
l’avrebbe rivista presto e forse a quel punto non ne sarebbe
più stato tanto entusiasta. Si infilò nella doccia e
tirò la tenda.
All’inizio andò tutto bene:
l’acqua era calda, il sapone profumava, lui si sentiva bene,
Becky era di sotto. Era tutto perfetto. Poi quella tenda iniziò
a sembrargli un po’ stretta, ma si disse che conosceva la propria
claustrofobia, sapeva di chi era colpa e sapeva che non aveva senso.
Chiuse gli occhi ed immaginò ampi spazi intorno a lui, un prato
verde che non aveva mai visto, però non riuscì a
mantenere il controllo su quell’idea: la sua visione andò
a fuoco, il cielo diventò nero, il prato terra bruciata.
C’era qualcosa che camminava in lontananza,
non la vedeva perché era circondata da un tornado di detriti.
Era qualcosa che lo spaventava, perché se si fosse avvicinata
troppo, se lui fosse stato davanti al suo cammino l’avrebbe
ucciso, smembrato, smontato pezzo per pezzo.
Spalancò gli occhi e quella tenda era davvero
stretta, le orecchie iniziarono a frusciargli e la testa fece una
capriola.
Si aggrappò al maniglione e qualcuno tirò la tenda.
Zach guardò sua madre fissarlo, ferma,
controllata. Si allungò all’interno della doccia e chiuse
l’acqua, poi gli sfiorò la mano che stringeva il
maniglione. Lui fu quasi sul punto di lasciare il suo appiglio per
aggrapparsi a lei, ma scosse la testa. «Mamma, mi apri la
finestra?»
«Certo.»
Si allontanò e subito dopo percepì
l’aria fredda sulla sua pelle umida. Quando tornò aveva
tra le mani un accappatoio celeste che gli porse. Zach lo infilò
e si sedette a terra nella doccia, con la nuca contro le piastrelle
dietro di lui e gli occhi chiusi.
Sua madre sfilò le scarpe ed andò a
sedersi sul piccolo sgabello in un angolo della doccia, allungò
una mano ed anche ad occhi chiusi, Zach la trovò e la strinse.
«Raccontami quello che ti fa paura.»
propose, lo faceva sempre, di solito quando si svegliava in seguito ad
un incubo. Sua madre era sempre stata lì, seduta sul suo letto a
chiedergli di raccontarle. Ma stavolta non si era svegliato.
«Solo un capogiro.»
Non poteva credergli, era sua madre, sapeva quando mentiva, ma non gli chiese altre spiegazioni.
«D’accordo.» acconsentì lei.
«Mamma?» aprì gli occhi e le
lanciò un’occhiata. «Tu lo sai, cosa mi sta dando
Courtney e perché sta funzionando, vero?»
La donna annuì.
«E non hai intenzione di dirmelo.» dedusse.
Scosse la testa con un sorriso dolce, strinse di
più la sua mano. «Guarda te stesso, Zach. Quando hai dei
dubbi guarda sempre te stesso.»
Courtney rimase a lungo sul tetto del palazzo con la sacca di sangue
ormai vuota tra le mani. Aveva sbagliato, aveva pensato che Romeo
avesse ideato un modo per farle far fuori Zach senza sporcarsi troppo:
si era sbagliata. Zach respirava, mangiava, camminava e faceva la
doccia da solo: un miglioramento del genere in un solo giorno sembrava
un miracolo.
«Te lo avevo detto.»
La ragazza alzò gli occhi su Romeo ad una
discreta distanza da lei, sembrava guardingo, pronto a scappare. Dopo
l’ultima volta che era stata presa alla sprovvista, Courtney si
era messa una pistola nella tasca del camicie ed evidentemente lui lo
sapeva.
La tolse di lì e la posò accanto a lei sul muretto dove si era seduta, come segno di pace.
«Mi stai chiedendo troppo.» gli disse, sincera.
«Ti sto chiedendo di darmi retta, almeno
finché Zach non sarà fuori di qui.» precisò.
Courtney scosse la testa. «Non posso
farlo.» disse dispiaciuta. «Non posso dimenticare anni di
pensieri, di convinzioni, di…»
«Ma se tutto questo fosse sbagliato hai
intenzione di continuare a sbagliare?» le domandò
interrompendola.
C’era un mondo tra lo scalino sul quale era
seduta ed il punto in cui Romeo stava in piedi di fronte a lei; un
mondo pieno di diffidenza, bugie – dette da chi? – dolore.
Veglianti e Veggenti negli anni avevano avuto le loro perdite, i loro
lutti, continuando ad incolparsi a vicenda per l’uno o
l’altro dolore. Se si fossero trovati davanti un nemico comune,
sarebbero stati in grado di voltarsi, insieme, dallo stesso lato del
campo di battaglia.
Perché dovevano sempre combattere?
Non rispose sospirò, se avesse avuto delle
prove, qualcosa da studiare o con sui confrontarsi forse, ma in quel
modo… non poteva semplicemente fidarsi delle parole di qualcuno
che l’aveva sempre voluta morta.
«Lindsey dice che non mi lascerai
morire.» non aveva specificato il nome, ma era stato chiaro a chi
si riferiva.
«E ti sorprende?»
C’erano frammenti di ghiaccio nella sua voce.
«Perché?»
Romeo parve pensarci un po’, Courtney
osservò i suoi occhi pallidi, chiedendosi se la vedesse, se lo
stesse fissando o se semplicemente stesse osservando lo sguardo vacuo
di qualcuno che non poteva vedere. Scosse la testa.
«Effettivamente oggi non trovo motivi validi.»
Si voltò e Courtney pensò che sarebbe
volato via. Si alzò in piedi lasciando cadere la sacca di
sangue, allontanandosi incoscientemente dalla pistola.
«Aspetta.»
Lui si fermò.
«Se avessi bisogno di contattarti?»
«Per dirmi che?» le chiese brusco girandosi a metà.
«Se avessi qualcosa da dirti?» riprovò.
Si voltò completamente verso di lei,
c’era qualcosa nella sua espressione a metà tra lo
stupore, lo scetticismo e la consapevolezza. Si avvicinò
lentamente fino ad esserle di fronte, Courtney tremò, ma si
impose di non muoversi. Lui si infilò una mano in tasca e le
porse un cerca persone. «Ci sono un sacco di tetti agibili a
Synt, chiamami ed io ti aspetterò su quello della costruzione
dove ti trovi in quel momento.»
Lei annuì, ma lui chiuse le dita sulle sue e
la trattenne: non aveva finito di parlare, ma a Courtney sembrò
comunque di essere in trappola.
«Tu, tu e basta.» precisò.
«Okay.» deglutì. «Mi dispiace.» disse.
Romeo rise, ma sul suo viso infuriava una tempesta
che la stava spaventando a morte. Ripensò a quando aveva riso
con lei, quando era stato solo un ragazzo che rideva divertito dalle
sue domande da drogata: quel giorno non era quella persona.
«Hai salvato Zach ed io ti sono riconoscente per questo.»
Lui scosse la testa mordendosi il labbro. «Hai
paura.» disse. «Non sei riconoscente, sei
assecondante.» fissò i suoi occhi e stavolta Courtney
conobbe la risposta: stava fissando lui e per quanto evidentemente
rovinati gli occhi di Romeo erano tutto fuorché vacui.
Gli afferrò anche l’altro polso,
prima di avvicinarsi a sussurrarle all’orecchio. «Girami a
largo, per un po’ non avrò voglia di sentirmi nobile
perché sto cercando di salvare un gruppo di stupidi ragazzini
che mi vogliono morto. Ti ho dato fiducia, il mio sangue, tu hai
insultato me, la mia gente, le persone che mi hanno salvato e dato un
motivo per rimanere in piedi. Oggi penso che tu avessi ragione
l’altra notte: siete dei mostri, dovrei uccidervi tutti.»
«Devo avere paura di te?» gli
domandò fissandolo. Courtney aveva lo stomaco sotto sopra, come
ogni volta che aveva visto Romeo decidere per la vita di qualcuno di
loro. Mai la sua, ricordò distrattamente. Chiuse gli occhi e lei
non si mosse, lo osservò con attenzione, come se, studiandolo
con abbastanza impegno, avesse potuto vedere anche lei quello che si
nascondeva dentro le sue palpebre abbassate. Poi vide un livido e
provò una tenerezza istintiva, era familiare, anche loro erano
coperti di lividi dalla testa ai piedi; scrollò una mano e la
allungò per scostargli il collo della maglia dove si
perdeva…
E Romeo le afferrò il polso, trattenendola.
Aveva gli occhi aperti ora e la fissava. «Devo andarmene.» disse.
La sua pelle era pallidissima, qua e là
spruzzata di lentiggini. Vedeva il battito del suo cuore alla base del
suo collo.
«Che hai visto?» gli chiese.
«Come finirà questa discussione.»
In quel momento le sembrò tutto molto strano,
si sentiva la testa leggera, la mente lontana, come se fosse di nuovo
drogata. «E non ti piace?» disse alzando gli occhi sui
suoi, con un’audacia che non riconosceva come propria.
“Sicura di essere una Vegliante, signorina Williams? Perché parla come una Veggente”.
Le sembrò in difficoltà mentre rispondeva. «Ecco…»
«Non sei costretto a dirmelo.»
dichiarò Courtney decidendo sul momento che la sua fiducia
andava ricompensata con la propria e se lui era a disagio a risponderle
poteva decidere di non farlo, senza ripercussioni sulla fragile
alleanza temporanea che stavano creando. Fece un passo indietro, un
alito di vento le smosse i capelli portandole un soffio del suo
profumo, sapeva di disinfettante, sapone.
Romeo la guardò, Courtney pensò che
nella sua indecisione ci fosse qualcosa di molto umano e molto normale.
Romeo era normale, la stretta sui suoi polsi lo era stata, il tocco
della sua pelle, il colore dei suoi lividi.
«Ti perdonerò.»
«Perché?»
Si strinse nelle spalle. «Non lo so, ma
l’ho visto.» le lasciò le mani e Courtney
incrociò le braccia sul petto nervosa, c’era qualcosa che
la inquietava nell’aria.
«Che altro hai visto?»
Romeo non rispose, girò i tacchi.
«Continua a dargli il mio sangue.» disse prima di andarsene.
Nate mi aveva portata con lui nella Zona Gialla, aveva delle
commissioni da sbrigare tra le quali l’acquisto di un nuovo
cellulare per me. Aveva finito per comprarmene due ed aveva parlato con
l’operatore telefonico perché mi spostassero il mio
vecchio numero; non lo volevo, il mio vecchio numero, non volevo niente
della mia vecchia vita.
Mentre lui mi trascinava da una parte
all’altra, come un palloncino legato al polso di un bambino, io
guardavo Synt intorno a me, i suoi abitanti. La maggior parte di loro
erano Veggenti, gli altri simpatizzavano con Romeo; eravamo cuccioli,
ingenui e tonti, in un branco di lupi che aveva ben chiaro in mente chi
azzannare.
Se quello che Romeo mi aveva raccontato era vero, aveva ragione, ma credergli senza prove era folle.
«Romeo mi ha detto di andare a controllare una
cosa.» dissi a Nate, non c’era nessun altro al quale
potessi dirlo. Nessuno che avrebbe capito davvero.
Lui mi guardò sorpreso e comprensivo. «Ci vuoi andare? Non sei obbligata a…»
«Dobbiamo andarci.» precisai.
Nate guidò con attenzione fino alla fabbrica
in disuso dove avevamo organizzato la partita a Bandiera Svizzera.
Percorremmo la strada in silenzio, sapevo che si stava chiedendo se non
fosse una trappola, me lo stavo chiedendo anche io; ma sapevo anche che
Nate era affamato di risposte e spiegazioni.
Non ci sarebbe stato modo per entrare in una
fabbrica di Mitronio in uso, ne eravamo consapevoli, ma potevamo farci
un’idea osservando quello che era stato lasciato in quella
abbandonata.
Nate rallentò di fronte all’entrata, ma
io lo spronai a proseguire ed andare sul retro. Lì l’erba
pallida di Synt aveva preso il sopravvento rendendo difficile il
passaggio. Scesi dall’auto e feci il giro raggiungendo il mio
accompagnatore, aveva già gli occhi fissi su quello che eravamo
venuti a vedere. Poco lontano da dove ci trovavamo, c’erano delle
costruzioni di materiale trasparente, enormi scatole di plexiglass come
quelle delle Aste.
«Sono serre.» disse Nate.
Mi prese la mano e ci dirigemmo nella loro direzione.
Ci si sarebbe aspettato che l’interno fosse
invaso dalla vegetazione selvatica come l’esterno, invece quella
in cui entrammo era soltanto abbandonata, anche piuttosto pulita. Nate
studiò la terra sulla quale una volta crescevano delle piante,
ormai soltanto rami secchi, ed alzò lo sguardo
sull’impianto di irrigazione, cupo. Raggiunse una scatola a
terra, la centralina degli impianti, la scoperchiò ed
iniziò a frugare all’interno, mentre io percorrevo la
serra. L’aria era stantia e pesante, l’odore di
decomposizione pressante, anche se non sembrava esserci qualcosa di
davvero marcio.
Improvvisamente dall’alto arrivò un
boato, guardai le tubature dalle quali inizialmente sbuffò fuori
soltanto aria, poi arrivò il resto.
All’inizio mi sembrò acqua, forse un
tantino più scura, ma ero sicura che fosse per il disuso; poi i
miei capelli iniziarono ad assorbirla e fu difficile ignorare come i
miei riccioli sembrassero tanto verdi, sollevai una mano studiandomi
con orrore il palmo verde.
Raggiunsi Nate di corsa ed uscimmo di lì.
Salimmo in macchina in fretta dirigendoci, altrettanto in fretta, verso Synt.
Eravamo entrambi sconvolti e ricoperti di liquido verde.
Nate si fermò a metà strada,
dall’altra parte del parabrezza c’era Synt, nella sua
perfetta precisione geometrica; dietro di noi una fabbrica di veleno e
di piante avvelenate: verdure, frutta… a chi toccava la mela
avvelenata?
Nate scese dalla macchina sbattendo lo sportello, lo
guardai congiungere le mani dietro la nuca e ciondolare; lo vidi
piegarsi in due ed urlare la sua frustrazione. Rimase accovacciato a
terra.
Lo raggiunsi con le mani strette al corpo, non
sapevo se fosse la tensione o il fatto che fossi completamente bagnata,
ma mi sentivo intorpidita per il freddo. Mi rannicchiai di fronte a
lui, senza sapere cosa dire.
«Che ti ha detto Romeo?» mi chiese in un sussurro.
Aprii la bocca, ma ci ripensai, in qualche modo
timorosa del dover ripetere con la mia stessa voce le sue parole:
sarebbe stato un po’ come farle mie, un po’ come ammettere
che ci credevo. Ci credevo?
«Che ci danno il Mitronio per dieci anni.»
Sospirò, si sfilò gli occhiali e si
strofinò gli occhi lasciandosi strisce verdastre sul viso.
«Il periodo di leva.»
«Poi non serve più.» mi leccai le
labbra. «Ha detto che Zach non può più prenderne,
che non è come…» presi fiato. «Non è
come noi. Ma dice che
l’ADP, suo padre lo controllano troppo e che se anche stessimo
attenti al cibo prima o poi troverebbero un modo per…»
«Vuole che glielo consegniamo.» mi interruppe fissandomi.
Annuii piano. «Potrebbero essere tutte bugie.»
«Potrebbero.»
«Io non gli credo.» dichiarai.
Lui rise. «Ma siamo qui.»
«Lo diciamo agli altri?»
Sospirò pensandoci, ma poi scosse la testa.
«Ti immagini dire una cosa del genere a Courtney? Per
com’è nervosa in questo periodo farebbe una strage.»
«Che facciamo?»
«Sei innamorata di Zach?»
Lo fissai, gli occhi enormi nei suoi. Feci di sì con la testa.
«Dovresti passarci più tempo. Io gli credo.»
«Io posso sparargli.»
Rise amaro. «Non lo farai, sei arrivata quando
la situazione era già più stabile, non hai idea di quanto
sia stato male. Courtney era uscita di testa, se è vero che lo
ami non avresti retto mezz’ora.» sospirò. «Ti
saresti aggrappata a qualsiasi falsa speranza, lo farai.»
Deglutii. «Che facciamo?» domandai ancora.
Lui lanciò un’occhiata intensa a Synt
prima di tornare a rivolgersi a me. «Siamo ricoperti da capo a
piedi di Mitronio, ci facciamo una doccia.»
«Ehi.» Lindsey entrò nella stanza di Zach
sorridendo. Non era vestita da infermiera ed aveva con lei una borsa
molto capiente, il tipo di borsa che si preparava prima di
intraprendere un lungo viaggio.
Courtney, indaffarata nel suo lavoro a maglia di
copertura, lanciò un’occhiata di sbieco alla ragazza e si
alzò. «Vado a sgranchirmi un po’ le gambe.»
disse per togliersi dai piedi.
Lindsey aspettò che uscisse, prima di sedersi
al suo posto. «Si dice in giro che stai meglio.»
Zach non aveva smesso di guardarla neanche per un secondo. «Te ne stai andando.» concluse.
Abbassò lo sguardo e fece una smorfia. «Non posso restare, Zach, non chiedermelo.»
Scosse la testa. «Non lo sto facendo.»
«Perfetto.»
Zach si tirò su a sedere. «Grazie per tutto quello che hai fatto.»
Lei sorrise appena, poi si sciolse in lacrime, Zach
scese giù dal letto lentamente, si abbassò e la
abbracciò. Non poteva fare altro, era insopportabile farle tanto
male senza poter fare niente per impedirlo. L’ultima volta che
avevano litigato, quando poi tra loro era tutto finito, era stato
perché non era riuscito a portarla al ballo: ridicolo. Si era
rotto la spalla e se fossero state due persone normali, se il mondo
fosse stato diverso, ne avrebbero riso.
Però lui non era normale, per quanto volesse
esserlo per lei ed il mondo era orribile e con una spalla rotta non
poteva accompagnarla al ballo. Lindsey non era cattiva, né
egoista, era sempre stata la persona più paziente del mondo,
soprattutto con lui. Però voleva una vita normale, l’unica
cosa che lui non poteva dargli.
«Vattene, Liz, tu che puoi scappare, scappa.»
Lei si mosse, Zach non se l’aspettava e rimase
ad occhi spalancati quando, senza nessun preavviso, premette forte le
labbra sulle sue. La bocca di Lindsey era un insieme di nostalgia ed
affetto, Zach ricordava ogni cosa condivisa con una nitidezza
disarmante: ogni notte che si era intrufolato in camera sua passando
dalla finestra, ogni bacio che si erano dati all’uscita di
scuola, ogni risata, ogni coccola, ogni scenata di gelosia per
Courtney. Non c’era mai stata nessun’altra ragazza che Zach
avesse sentito tanto sua quanto Lindsey.
Si allontanò, lo allontanò e Zach
continuò ad osservarla in silenzio mentre si dirigeva verso la
porta, ogni passo che la portava un po’ più lontana dalla
sua vita.
Courtney venne a dirci che avrebbe passato la notte in caserma da
Jared, che possibilmente non voleva scocciature, ma che, comunque, il
suo cellulare sarebbe rimasto acceso tutta la notte.
«Torno domani per somministrargli la sua terapia, ha già mangiato…»
«Dobbiamo cambiargli il pannolino?»
chiese Matt sarcastico. «Sembra che tu stia parlando con una
baby-sitter.» spiegò.
Lei gli lanciò un’occhiataccia,
abbastanza rilassata da arrabbiarsi di nuovo con Matt, in modo un
po’ distorto quello era buon segno. «Non fate
casini.» ci rimproverò tutti secca.
«Ce l’hai una fiala di sangue sua?» domandò Nate.
Courtney lo osservò pensierosa poi scosse la
testa. «A cosa ti serve?» gli chiese preoccupata.
«Niente di importante.» cercò di
tranquillizzarla debolmente. «Te lo spiego domani. Può
essere pericoloso prenderla?»
«No.» disse semplicemente. «Se lui è d’accordo puoi prenderla.»
Io rimasi in silenzio. La notte prima era stato
molto semplice infilarsi abusivamente nel suo letto: dormiva, io ero
ancora emotivamente scossa dal dubbio di non sapere come stesse, mi era
mancato troppo per fermarmi a pensare a quello che stavo facendo.
Quella sera era diverso, volevo andare da lui, ma avevo anche paura.
Non era incosciente e tutte le cose non dette tra noi, non potevano
restarlo. E se non mi avesse voluta lì? In fondo la notte prima
non gli avevo esattamente chiesto il permesso.
«Oh, cheerleader, va’ da lui.»
sbuffò Courtney. «Non startene lì con quel punto
interrogativo stampato sulla fronte.» si lamentò.
Annuii. «Vi servo qui?» chiesi a Nate e Matt.
Entrambi mi guardarono scettici.
«Ti vogliamo bene, Becky, e mi piace proprio
tanto averti qui, ma non è che tu ci sia proprio utile.»
Li guardai fingendomi oltraggiata.
«Va’ da lui.» mi incoraggiò Nate. «Farò il prelievo domattina.»
«Preservativi ne hai?» mi domandò Matt.
«Ehi!» esclamai arrossendo.
«Matt, che diavolo c’è nel tuo
cervello?» chiese Courtney sconsolata. «Sua madre dorme
nella stanza accanto.»
«Non è che con Lindsey passassero la dogana.»
Lei scosse la testa scoraggiata. «Che ci parlo
a fare con te…» ci fece un cenno con la mano che comprese
tutti. «Buonanotte, piccini, mamma Courtney si prende una serata
libera.»
In camera di Zach c’era sua madre, rimasi incerta sulla soglia
senza sapere esattamente come comportarmi, prima di decidermi e bussare
alla porta già aperta. Entrambi si voltarono verso di me e nei
loro movimenti c’era la traccia genetica della loro
familiarità. La signora Douquette somigliava a suo figlio in
molti particolari, mi chiesi se anche caratterialmente fossero simili.
«Ciao.» mi salutò Zach. «Mamma, lei è Becky.»
«Oh, la famosa Becky.» sua madre mi
studiò da capo a piedi e da piedi a capo. «Come stai,
tesoro?»
«Bene.» annuii con un sorriso.
«È un piacere conoscerla, signora.» dolorosamente
riconobbi mia madre nelle mie parole. Sapevo che Jean le aveva detto
del mio ritorno, sotto mia richiesta le aveva anche chiesto di
lasciarmi del tempo, che li avrei chiamati io appena me la fossi
sentita.
«Anche per me.» ricambiò lei
prima di alzarsi. «Vado a controllare che tuo padre non tratti le
infermiere come cameriere.» si chinò a dargli un bacio e
mi fece una carezza sulla spalla mentre si allontanava.
Zach si tirò su, i suoi movimenti erano
precisi quel giorno, senza esitazioni, era palese che stesse meglio.
«Respiri da solo.» osservai facendo un
cenno del capo all’ossigeno che si trovava comunque accanto al
suo letto.
Lui seguì il mio sguardo. «Già, cammino anche, oggi ho fatto la doccia da solo.»
Risi e mi avvicinai sedendomi sulla sedia.
«Caspita, un paio di giorni e ti troverò a fare le
capriole.» ribattei sarcastica.
Zach mi osservò, seduta sulla sedia, ed
assottigliò lo sguardo, lasciando intendere che non era
lì che avrebbe voluto mi sedessi. Io però non sapevo
ancora esattamente come volevo gestire quella situazione e per il
momento quella distanza mi piaceva, anche se mi inquietava un
po’: la parte più intima di me scalpitava perché
gli mancava la sua pelle. Zach riusciva a parlare a parti di me che non
avevo saputo di avere.
«A cosa stai pensando?»
Scossi la testa. «È da quando sono
tornata che sto cercando di rimettere ordine in tutto, ma è
difficile.» sospirai. «Lo era già, gli ultimi giorni
passati in caserma sono stati un delirio: ti ho sparato, tu mi hai
aggredita di notte e Romeo e…»
«Ehi, calma, Becks.»
«Voglio spiegarti di Ryan.» dichiarai
improvvisamente. Lui batté un paio di colpetti sul letto accanto
a lui ed io lo raggiunsi. Non fu difficile come mi sarei aspettata,
Zach rimase in silenzio per tutto il tempo ed ascoltò tutto
quello che avevo da dire: come Matt avesse scoperto che Rose e Ryan
erano la stessa persona, come me lo avesse poi raccontato, come quella
notte mi fossi spaventata.
«Perché non me lo avete detto?» domandò Zach quando ebbi finito.
Sospirai. «Matt aveva paura che tu le facessi del male.»
Lui mi guardò sorpreso. «Matt aveva
paura di questo?!» mi domandò sconvolto. «Non
l’avrei mai fatto, è la sua Rose.»
Mi strinse nelle spalle. «Il nostro lavoro non
cambia, dobbiamo scegliere cosa fare con i Veggenti una volta per tutte
e portare avanti quella decisione con tutte le conseguenze.» gli
lanciai un’occhiata. «Avevi ragione nel dire che quello che
avevo fatto mi rendeva una traditrice, lo faceva davvero.»
Zach si avvicinò, ero nello spazio lasciato
libero dalle sue gambe ripiegate a metà sotto le lenzuola.
«Tu che ne pensi?» disse posandomi una mano alla base della
mia schiena.
Sospirai. «Penso che non avrei voluto mai
vederti fare una cosa del genere, sarebbe stato come vederti aggredire
me.»
«Non potrei mai farti del male.» osservò.
«Ci hai provato.» gli ricordai ad occhi
bassi, la sua mano che percorreva la sporgenza della mia spina dorsale
su e giù.
Si fermò, metà mano sul fondo della
mia maglietta e metà sulla mia pelle lasciata nuda.
«Già, ti ho tagliato una maglietta e baciata. Sono proprio
una mente malvagia.» ribatté ironico. Ripiegò di
più il ginocchio e ci si appoggiò sopra con il braccio
libero e la bocca, la mano sulla schiena si infilò sotto la mia
maglia.
Gli lanciai un’occhiata ed approfittai del
fatto che non mi stesse guardando per avvicinarmi fino a toccarlo. Lui
si raddrizzò scivolando con il braccio finché la sua mano non fu
sulla mia pancia nuda, in basso, sentivo le sue dita premere sulle ossa
del mio bacino, senza superare la barriera dei pantaloni però.
Chiusi gli occhi appoggiandomi a lui, sapevo di star respirando in modo
meno regolare, ma non sapevo se lui se ne fosse accorto.
Una parte di me voleva scappare e nascondersi in
posto sicuro dove poter riprendere fiato, l’altra immaginava le
sue mani percorrermi tutta.
Mi morsi le labbra e mi tirai indietro i capelli.
«Come è stata per te quella notte?» azzardai
un’occhiata, avevo l'orecchio sul suo cuore e lo sentivo battere
piano. Gli appoggiai una mano sul fianco e sentii i suoi muscoli
tendersi per un attimo quando li toccai. Avrei voluto baciarlo in
così tanti posti, che stavo seriamente prendendo in
considerazione l'idea di compilare una lista.
«Ambivalente.» si strinse nelle spalle e
mi baciò tra i capelli. «Guarda che ero davvero arrabbiato
ed ero davvero lì per scoprire se…» si fermò
ed abbassò lo sguardo su di me che ad un certo punto gli avevo
sollevato la maglia e stavo sfiorando piano la linea del suo fianco.
Non c'era una vera logica nel perché lo facessi: mi piaceva la
sua pelle, la consistenza, l'odore, il sapore. «In definitiva se
preferissi Romeo a me.»
Scossi la testa, quasi turbata da quel suo pensiero.
Premetti di più il viso contro la sua maglia e respirai il suo
odore.
«Ma poi tu non stavi ferma, tipo adesso, io
ti ero sopra, e tu non ne volevi proprio sapere di stare ferma…
e magari quella di starti sopra non è stata proprio la migliore
decisione tattica che io abbia mai preso e…»
sospirò ed alzò gli occhi al cielo. «Che sfinimento
che sei, Becks!» disse prima di ribaltarmi e spingermi sul letto
sotto di lui.
Rimasi senza fiato, mentre lui chinava il viso su di
me e mi sfiorava con il naso il collo; le coperte, sotto le quali lui
era stato infilato per metà, che ci avevano seguiti ed avvolti
in due bozzoli adiacenti. Lasciai andare un respiro così caldo
che me lo immaginai ardente, rosso.
«Eh.» fece Zach fermandosi e tirandosi
su, con il viso sopra di me. «Proprio in quel modo.»
Gli lanciai un’occhiata furiosa, poi cercai di spingerlo via.
Qualcuno bussò alla nostra porta.
«Rallentate. Zach, sei convalescente.» ci rimproverò
la voce di Jean. Entrambi ci voltammo verso di lei, ma era già
passata. Ridacchiammo ed io lo guardai, luminoso e bellissimo.
«Mi sei mancato.»
Zach mi guardò, quasi stupito, poi si
abbassò con delicatezza fino a premere le labbra contro lei mie.
«Anche tu.»
Lindsey uscì dalla porta dell’ospedale dopo aver
consegnato la sua lettera di dimissioni al direttore. C’erano
stati abbracci, lacrime da parte delle altre infermiere con le quali
aveva lavorato tanto a lungo. Non poteva dire di essere triste ad
andarsene, era rimasta solo per Zach ed era la cosa più dolorosa
che potesse fare, sapere che finalmente il suo compito era finito
l’aveva resa leggera come una piuma.
«Signorina Stuart.»
Impallidì e si fermò, immobile nel
parcheggio. Si lanciò una vaga occhiata intorno, tanto per
accertarsi che no, non c’era nessuno che potesse soccorrerla ed
anche in caso contrario chi avrebbe avuto il coraggio di accusare Logan
Douquette per aggressione.
Si voltò e lo guardò negli occhi, dolorosamente gli stessi di Zach.
«Cosa gli sta somministrando la signorina Williams?»
Lindsey deglutì, ma non vacillò.
«Sangue.» rispose con semplicità. «Quello che
gli abbiamo sempre dato.»
Logan Douquette assottigliò lo sguardo, ma
sorrise, un sorriso da squalo. Non si era mai sentito tanto piccola ed
insignificante.
«Il sangue di chi, allora?»
Non rispose e lui si avvicinò. «Vedi,
mia cara, la tua fedeltà nei suoi confronti è folle:
mentre tu sei qui fuori a rischiare la vita per lui, lui sta rotolando
nel letto con un’altra ragazzina.»
La vista di Lindsey si offuscò: rischiare la vita.
«Niente di nuovo, Zach è sempre stato
piuttosto volubile a livello affettivo, proprio come sua madre.»
scosse la testa. «Donna meravigliosa, una madre fantastica,
pessima moglie.»
Gli somigliava, pensò con dolore Lindsey,
Zach somigliava a suo padre, in come si muoveva, come gesticolava.
«Perciò la prego, signorina Stuart, mi racconti cosa sta succedendo.»
Lindsey lo guardò e cercò nei suoi
ricordi Zach, quello che si arrampicava sulla finestra, che mangiava i
tramezzini che preparava lei quando tornava dalle ronde, che si
svegliava con gli incubi nel cuore della notte e cercava il suo
abbraccio. Che chiamava suo padre nel sonno.
«No.»
«Ci sono foto che la ritraggono in compagnia
del Veggente con i capelli rossi, davvero vuole venire indagata?»
Lindsey si fece forza in sé stessa.
Raddrizzò la schiena e lo fissò. «Non importa con
cosa mi minaccia, non importa se mi uccide. Può torturarmi,
incarcerarmi, fare quello che vuole, ma lui vivrà, capirà
e non le permetterò mai più di indurlo a comportarsi come
il suo giocattolo.»
«Io ho fatto in modo che fosse così.» disse duro.
«È molto più di quello che voi
avete creduto, è tempo che lo sappia anche lui.»
Logan Douquette la studiò attentamente.
«È straordinario che tante donne bellissime vogliano
proteggerlo. Chissà cosa vi racconta?»
Lindsey non rispose.
«Ad ogni modo se lei non vuole collaborare…»
Accadde tutto troppo in fretta per gli occhi civili
di Lindsey: il signor Douquette barcollò all’indietro
coprendosi il viso con una mano e Jamie Ross si mise davanti a lei.
Bruciava di rabbia, tremava, Lindsey l’aveva incontrato qualche
volta, non l’aveva mai visto tanto furioso.
Logan Douquette lo osservò e sorrise. «Ma tu non sei l’amichetto di Sean?»
Jamie si avvicinò, afferrò
l’uomo per il colletto della camicia e se lo tirò sotto.
«Sa cos’è che ho visto quando ho seppellito
Sean?» gli chiese fissandolo. «Zach che le piantava una
pallottola nel cervello.»
«Non lo farebbe mai.»
Jamie Ross sorrise. «Non lo sottovaluti, lei
non è tipo da commettere errori tanto stupidi.»
«Perché non ti ha riconosciuto?»
«Perché gli date vagonate di Mitronio, ha causato danni.»
«Permanenti?»
Lo lasciò spingendolo via. «Conosce da
solo la risposta, altrimenti non avrebbe ucciso Sean.»
«È un caduto di guerra, improbabile credere che quella bomba fosse opera mia, non credi?»
Per un attimo Jamie vide tutto rosso e Lindsey
pensò che l’avrebbe ucciso, ma c’era un buon motivo
per cui dove rimanere vivo ancora per qualche mese. Gli afferrò
il braccio cercando di trattenerlo.
«Jamie, non puoi.» disse piano.
Il suo petto si alzava ed abbassava veloce.
«Sai di non poterlo fare, ti prego.»
Jamie le lanciò un’occhiata e
sbatté le palpebre diverse volte, come tornando al presente.
«Okay.» acconsentì. Le prese la borsa e le
passò un braccio intorno alle spalle. «Non sono venuto
solo, signor Douquette.» disse indicando con un gesto
l’intero parcheggio.
Lindsey si guardò di nuovo in giro ed ora c’erano persone, in piedi ed immobili come statue.
«Faccia il bravo.» gli consigliò
stringendo Lindsey più forte. «Ti porto al sicuro.»
le sussurrò.
cosa dire? sospetto che niente risulterebbe efficace come: anche io voglio rotolarmi nel letto con Zach...
quindi proseguiamo...
allora, Lindsey se ne va, non credo che la rivedremo, ma non
garantisco. d'altra parte i Douquette non sloggeranno ancora per un
po', quindi Logan Douquette bisogna sorbircelo per un altro po'... ve
lo dico, la parte della fabbrica con Nate, mi è piaciuta proprio
tanto. Nate sta percorrendo gli scalini del mio cuore a tre a tre, non
che non gli volessi già bene, ma è stupendo...
ma è normale fangirlare per i propri personaggi?! boh...
cmq, vi lascio i contatti: facebook e Twitter
ah, per l'aggiornamento: siccome la prossima settimana non ci sono
perché sto in vacanza - tre giorni soli, don't worry - direi che
il prossimo capitolo verrà postato venerdì 29, per
ulteriori modifiche sarete informate!
baci
|
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Capitolo 30 *** 29. Te lo prometto ***
MSC 29
fragolottina's time
ve lo devo dire, lettrucciole, per
essere la piccola personcina iperperfezionista e paranoica che sono, mi
ritengo piuttosto soddisfatta di questo capitolo.
l'ho temuto, ehi, se l'ho temuto, c'ho messo millemila anni a
scriverlo! ma penso che ne sia uscito qualcosa di discretamente buono...
perchè questo preambolo? vi chiederete voi.
perchè questo è l'ultimo capitolo de "Il Mitronio di
Synt"... buone, buone... stiamo, calmi. Ci sarà un Epilogo, ma
in realtà si tratterà più che altro, di
"anticipazioni sadiche e per niente anticipanti" sul prossimo capitolo
della saga... ve lo ricordate, vero? che è una saga?
ci vediamo più giù...
29.
Te lo prometto
Courtney si svegliò nel
letto di Jared e rimase ferma, con gli occhi aperti nella penombra
delle tapparelle abbassate. Era consapevole del suo respiro dietro di
lei, come lo era della pesantezza del suo corpo sul letto.
Percepì la propria nudità come una colpa e non per quello
che aveva fatto, ma come l’aveva fatto. Avevano abbozzato:
ignorato discussioni e disaccordi ed avevano fatto l’amore.
E Courtney si sentiva sporca e vigliacca.
Non aveva mai
pensato che qualsiasi cosa ci fosse tra lei e Jared non avrebbe
funzionato come in quel momento, nel suo letto, la mattina dopo aver
deciso che le sue motivazione non valevano quanto il suo abbraccio.
Perché lo aveva deciso, ma non ci credeva. Aveva sempre creduto
di essere nel giusto, ne era certa da quella mattina.
Il telefono
della caserma suonò, strappandola dalle sue riflessioni.
Courtney si alzò, mentre Jared apriva lentamente gli occhi ed
andò a rispondere avvolta nelle lenzuola.
«Vegliante Williams.» si annunciò con la cornetta all’orecchio.
«Salve, Vegliante, posso parlare con la sua Responsabile? È piuttosto urgente.»
«Sono
spiacente, la Responsabile Roberts non è in caserma in questo
momento. Posso farla richiamare, vuole lasciarmi i suoi contatti?»
Una risata.
«Le dica soltanto che Wood la cerca.» disse. «Sono
sicuro che troverà da sola il modo di contattarmi al più
presto.»
Dawn Dandley andò ad aprire
alla porta dopo essere stata bruscamente svegliata dal campanello
impazzito. Era appena l’alba ed anche se il mondo stesse andando
a rotoli, non le sembrava un buon motivo perché la svegliassero.
Quindi era
pronta a tirare fuori gli artigli e ricordare loro che il suo benestare
era negli interessi di tutti, ma non lo fece: guardò il ragazzo
davanti a lei, la pistola che le puntava contro. Non c’era
sedativo in canna, né Mitronio, ma piombo.
«Conosco
il patto che aveva fatto con Josh: una sola domanda e lei avrebbe
risposto sinceramente.» le ricordò Nate. «Josh
diceva sempre di non sapere cosa chiederle. Io però lo so, so
esattamente qual è la domanda da farle.»
Dawn Dandley annuì. «Se Rom…»
Lui scosse la
testa prima che lei potesse finire. «Romeo non verrà.
Courtney sta dando a Zach il doppio della dose della sua cura.
Qualsiasi cosa succederà, Romeo sarà lì.»
«Il
doppio?!» domandò lei facendo per correre in avanti, Nate
si spostò con lei per impedirle di allontanarsi.
«La mia domanda.» ripeté.
«È
una follia, è pericoloso. Per l’amor del cielo, è
con il suo cervello che state trafficando.» lo rimproverò.
«La mia. Domanda.» disse di nuovo, irremovibile.
Dawn Dandely lo
fissò indispettita e si sistemò la vestaglia addosso con
un gesto secco, prima di incrociare le braccia sul petto.
«Ebbene, Vegliante, qual è la tua domanda?» lo
sfidò.
«Cos’è Zach?»
Dawn Dandley
rimase in silenzio per una manciata di secondi, poi scoppiò a
ridere in modo così spontaneo ed autentico che Nate ne rimase
completamente spiazzato, la sua sicurezza vacillò ed ebbe un
attimo di esitazione nel vederla rientrare, ma poi la raggiunse e la
trattenne per un braccio.
«Aspetti, deve rispondere!» si lamentò.
«”Cos’è Zach”?!»
ripeté divertita. «Non è una domanda, sono almeno
venti!»
«Risponda come se fosse una.»
«Un
esperimento firmato da me.» disse pratica. «Nato
umanissimo, reso Veggente grazie ad una straordinaria manipolazione
genetica, con al suo interno un organo extra che produce una sostanza
tanto simile al Mitronio da produrre gli stessi effetti su di
lui.»
Nate le
lasciò il braccio, fece un passo indietro. Il suo viso era una
maschera di orrore. «Come?»
Per un attimo
Dawn si concesse di osservare la sua espressione sbalordita e goderne,
nemmeno lui, nonostante il suo cervello fosse estremamente vivace e
lucido, aveva pensato così in grande. Poi però si
incupì, le era capitato troppe volte di gioire per la riuscita
di un esperimento che avrebbe portato a conseguenze terribili.
C’erano vittorie che non andavano festeggiate, vittorie che non
valevano la battaglia. Entrò in casa, ma lasciò la porta
aperta sapendo che lui l’avrebbe seguita.
«Logan
Douquette sa essere convincente. Mi ha offerto soldi, protezione. Ha
avvelenato mio marito con il plutonio, mia figlia era già
rinchiusa in una gabbia.» gli lanciò un’occhiata.
«Un’offerta che non ho potuto rifiutare.»
«Ma si rende conto che lo ha reso…»
«Sì, me ne sono resa conto.» disse fissandolo,
decisa e furiosa. «Ma avevo un fratello ed era un Veggente.
Volevo salvare almeno lui.»
Tornò ad
incamminarsi in corridoio e Nate la seguì fin nella cucina.
«Signora Dandley.» la supplicò dalla soglia dopo
averla raggiunta. «La prego, mi spieghi.»
Dawn Dandely lo
guardò, provò ad immaginare la frustrazione, il tormento;
l’essere tanto rivoluzionari, sentirlo scorrere, ma non saperlo
mai del tutto. Pensò ad Helen che giocava nel suo salotto, a
come sorrideva, felice. Nessun Vegliante avrebbe mai potuto provare una
tale felicità e la colpa era sua.
«Perché gli avete dato il doppio della cura?» gli domandò.
Nate si
guardò intorno vago. «Abbiamo motivo di credere che Wood e
di suoi fantastici Veglianti stiano per venire a darci una mano.»
scosse la testa. «Jean è preoccupata e lo sono anche io,
è stato Logan Douquette a chiamarli. Zach non può stare
qui con loro.»
La donna sospirò. «Ti conviene sederti, è una lunga storia.»
Courtney mi guardò prima di
attaccare a Zach il secondo sacchetto di sangue, sembrava quasi che
volesse chiedermi il permesso. Mi aveva spiegato le sue motivazioni, le
avevo anche capite, ma non ero riuscita a dire né sì
né no.
«Fallo e basta, Court.» la incoraggiò Zach.
«Dopo aver inventato il
Mitronio diventai molto famosa, probabilmente troppo.»
iniziò Dawn Dandley mescolando un tè che non aveva
zuccherato. «Non ti sei fermato a pensare a quanto il mio lavoro
fosse buono, vero?» rise. «Il Mitronio non è un
veleno, è più simile ad un virus. L’ho costruito
partendo da un campione di quei famosi cosini che dicono al cervello di
un Veggente “Funziona di più”, li hanno solo loro,
sai? Il Mitronio li intercetta, li muta e li fa diventare come lui.
Intercettatori e cosini lottano finché nell’organismo non
ce ne sono abbastanza da vincere. Ci vuole un po’ di tempo
perché tutto avvenga senza che il paziente se ne accorga. Sai, i
proiettili della ragazzina? Lì il quantitativo e circa tre volte
superiore al limite consigliato: gli intercettatori entrano e li
sterminano, se il cervello è abbastanza forte da resistere a
quel cambiamento così repentino, lo smaltisce lentamente;
altrimenti…»
«Dieci anni.» ricordò Nate.
«Meno in
realtà, l’ADP vuole stare sicura, ma iniziando a
diciassette direi che a ventitré non ci sono più
pericoli.» scrollò le spalle con noncuranza. «Forse
può comparire della febbre.»
«E Zach?»
Dawn Dandley
rise. «Somministrare una sostanza ogni giorno per dieci anni ad
un gruppo di adolescenti è una buona soluzione, ma non è
la migliore. I Veggenti stavano iniziando ad organizzarsi in gruppi di
ribelli, avrebbero messo le mani sul Mitronio, l’avrebbero
studiato e combattuto – lo stanno facendo, con Zach c’hanno
provato, anche se gli avevo detto che non avrebbe funzionato.»
Nate
ripensò all’incidente della Bandiera Svizzera, alle
pillole che Zach aveva ingoiato senza tanti pensieri.
«La cura
prima o poi sarebbe diventata obsoleta, bisognava pensare in modo
diverso.» continuò, ma abbassò lo sguardo.
«Logan Douquette venne da me, mi disse che voleva
un’attenta analisi ed un’eventuale modifica del DNA di suo
figlio. Voleva che fosse un Veggente e voleva che non lo sapesse mai.
Vedi, ragazzo, la Veggenza non inizia a diciassette anni, come non lo
inizia la sessualità. Tu hai un pene da quando nasci, solo non
sai esattamente a cosa serve. Crescendo ne diventi consapevole,
capisci. Diciassette anni è una buona età per iniziare la
cura, ma questo non significa che non ci siano persone che inizino a
vedere prima.»
Nate
continuò a guardarla fisso, non riusciva capire tutto, ma stava
cercando di registrare ogni informazione nella sua mente per esaminarla
poi.
«Ci sono
bambini che iniziano a vedere precocissimi, sono quelli che poi
l’ADP cura come Veggenti appena dopo il test. Ad ogni modo, con
lui non c’era una donna gravida ed io gli dissi che non si poteva
fare, non sapevo fare un Veggente dal niente, non ero Dio. Mi serviva
un ovulo o un seme, o meglio ancora tutti e due. Lui annuì e se
ne andò, pensai che fosse finita lì.»
«E invece no.» suggerì Nate.
Dawn scosse la
testa. «Mesi dopo tornò da me con una Veggente, una
ragazza madre di un Veggente a sua volta. Logan me la presentò
come sua moglie e come la madre di suo figlio. Dissi di no. Dissi di no
così a lungo da sacrificare tutto per quel no. Poi Dhelia Gamley
in Douquette venne da me, avrà avuto vent’anni. “Non
ci riusciranno”, mi disse.» bevve un sorso di tè.
«Feci Zach esattamente come lo voleva Logan, maschio, alto, buon
metabolismo. Decise ogni cosa, colore di capelli, lunghezza del piede,
tutto. Poi mi chiese se avevo risolto il problema della
Veggenza.» rise. «L’avevo risolto la prima volta che
era stato lì.»
«Come?» chiese Nate, Dawn lo vide deglutire.
«Gli ho costruito una specie di tumore su misura.»
Nate aggrottò le sopracciglia senza parole.
«Ho preso
una manciata di cellule che sarebbero diventate ghiandole linfatiche e
ho detto loro di diventare qualcos’altro. Logan era stato chiaro,
voleva che suo figlio fosse un eroe, voleva che vedesse, ma che non lo
sapesse. Veggente a metà, in modo da dipendere per sempre dal
suo giudizio. Così feci in modo che il suo tumore rilasciasse
una sostanza, in risposta agli stimoli più forti, che lasciasse
inalterato un intuito più sviluppato ed inconscio.»
«Quindi dobbiamo asportare quel tumore?» domandò Nate.
«Quel
tumore non c’è più da tempo.» Dawn sorrise.
«Ci ha pensato Sean, per questo adesso il Mitronio ora lo prende
da fuori e per questo lo sta uccidendo. Quello che produceva il suo
corpo era armonizzato al suo organismo, per essere artificiale era
molto naturale.»
«Ma deve
essere stato curato per più di dieci anni, perché
continuare? Se anche in passato vedesse, non ci vede più.»
obbiettò.
Dawn rise.
«Ma l’ho fatto io e Logan voleva che il suo obbediente
soldatino durasse più di dieci anni. È durato quasi venti
se ci pensi.»
«E
perché non…» Nate si morse la lingua prima di
proseguire. «Perché non funziona più?» chiese
anche se si vergognava di parlare di Zach come di una cosa.
«Quando
gli intercettatori diventano troppi, quando sono più dei cosini
che vorrebbero attivare il tuo cervello, se continui ad assumere
Mitronio, iniziano ad andare in giro per tenersi occupati: rallentano
gli impulsi nervosi, i riflessi… Zach era già oltre il
limite quando hanno iniziato a darglielo. È forte, ma se tu
avessi preso tutto il
Mitronio che ha preso lui saresti un vegetale da qualche anno
ormai.»
«Io non sono un Veggente.» disse Nate.
Dawn Dandley
sorrise e si sporse sul tavolo. «Ma certo che lo sei.» si
strinse nelle spalle. «Lo siete tutti.»
Zach ascoltò il resoconto di
Matt con attenzione, seduto su una sedia, non sul letto. Forse avrei
dovuto ascoltare anche io, ma conoscevo quella storia e preferivo
guardare lui. Non era più malato e lui era il primo a saperlo,
si muoveva in modo diverso. Tutto il suo corpo era teso nello sforzo di
mantenersi immobile, sapevo che se i suoi muscoli avessero ceduto anche
soltanto per un minuto avrebbe distrutto quella stanza, forse tutto
l’ospedale.
«Lo voglio vedere.» disse cupo.
«Cosa?» chiese Matt.
«Quella cosa che avevo nel braccio.» spiegò fissando Matt negli occhi.
Lui mi
guardò, come se ci fosse bisogno del mio lasciapassare; mi
strinsi nelle spalle, non spettava a me quella decisione.
Matt prese
l’affarino dalla tasca e glielo porse, rimanemmo tutti in
silenzio mentre se lo rigirava tra le dita.
«Mi controllava.» disse.
«Sì.»
Lo lasciò
cadere per terra, il guscio di plastica nel quale l’aveva messo
Matt si ruppe e l’affarino rimbalzò contro la scarpa di
Zach, che sollevò il piede e lo spiaccicò a terra. Si
alzò in piedi. «Vado a cercare mio padre.»
annunciò.
«Non mi pare una buona idea.» osservò Matt.
Ma Zach lo
ignorò completamente e guardò me. «Tu resta con
Courtney.» disse prima di uscire dalla stanza.
Mi voltai verso
di lei in attesa che dicesse qualcosa, di solito era lei a farlo
ragionare, a spiegargli perché una cosa era folle; non sempre la
ascoltava, ma se non altro era l’unica a sapere cosa dirgli per
provarci.
«Dove sono le pistole di Becky?» chiese questa volta a Matt.
Zach raggiunse la stanza di suo
padre senza farsi domande, sua madre era lì con lui e lo
guardò con aspettativa e complicità, come aveva fatto per
tutta la sua vita. In diciannove anni era sempre stato sicuro di una
cosa: niente di tutto quello che aveva fatto per sua madre era mai
stato sbagliato.
«Però! Stai bene, Zach.» osservò suo padre.
Zach chiuse la
porta ad occhi bassi. «Avevo un microchip che ti diceva
dov’ero?» gli chiese direttamente. Sentiva Sean
nell’aria, se fosse stato vivo, sarebbe stato presente. E gli
avrebbe portato la sua mazza da baseball.
Suo padre fece
scorrere gli occhi su di lui ed il suo sguardo rivelava la domanda che
avrebbe posto se fosse stato molto più stupido: “Non ce
l’hai più?”.
Zach chiuse gli
occhi scuotendo la testa, amareggiato. Non avrebbe dovuto farlo, la sua
mente si riempì di immagini come dopo la morte di Sean, prima di
cercare di ucciderlo: non era mai stato bravo a gestire certi colpi
pesanti. Li riaprì e sbatté velocemente le palpebre per
scacciare tutto tranne il presente. Guardò sua madre in cerca di
aiuto e la vide mimare un respiro profondo.
«Zach, non
so se ti ricordi, ma sei stato un ragazzino piuttosto
problematico.» gli spiegò suo padre con una calma ed una
praticità che lo fecero infuriare ancora di più: facevano
apparire tutto normale. Era normale mettere un chip all’interno
del corpo del proprio figlio, era normale chiuderlo dentro il
portabagagli della propria auto con le costole rotte, era normale
spedirlo in accademia militare perché non obbediva.
«Ero
preoccupato. Prima di mandarti in accademia avevi provato a scappare di
casa e non mi piaceva saperti a zonzo chissà dove. Avevi dodici
anni!»
Non se lo
ricordava. Era scappato di casa? Quando? E per andare dove poi? Dalla
testa gli partì una fitta, si portò una mano alla tempia,
come per non far uscire quello che c’era dentro. Dentro
c’era troppa roba. Faceva caldo, un caldo infernale.
«Zach, dove sei? Stai guardando dove ti trovi?» gli chiese sua madre, un’eco lontana.
Era dentro la
sua giacca da Veggente, era così consumata che ce ne sarebbe
voluta una nuova, Jean non lo avrebbe mai mandato da nessuna parte con
quello straccio rattoppato. Guardò sé stesso come si
sarebbe guardato allo specchio, guardò il taglio che aveva la
giacca sotto le costole, sapeva che la cicatrice lasciata da Romeo era
lì. Si guardò negli occhi.
Lo sapevi, te lo ricordi? L’hai raccontato a Becky, gli disse sé stesso.
“Non
potevo saperlo”, pensò, ma ovviamente sé stesso
intercettò quel pensiero.
Non potevi, ma lo sapevi. Te lo ricordavi, lo sapevi.
Zach
sentì il duro del pavimento quando cadde a terra, poi uno spasmo
familiare al braccio, un muscolo che guizzava indipendentemente dalla
sua volontà: convulsioni.
Dhelia Doquette balzò in
piedi non appena il corpo del figlio toccò terra,
recuperò un portagioie dal proprio comodino e lo usò per
colpire il marito alla nuca. Preso alla sprovvista, Logan Douquette
finì a terra, mentre anni di gioielli e regali si sparpagliavano
sul pavimento e sotto i letti dell’ospedale.
Romeo e Jamie
entrarono nella stanza senza degnare l’uomo a terra di uno
sguardo, ma concentrandosi subito e solo su Zach. Jamie tirò
fuori un fazzoletto dalla tasca dei pantaloni e glielo legò tra
i denti per evitare che soffocasse con la sua stessa lingua, Romeo gli
passò le manette.
«Ehi.» obbiettò Dhelia Douquette.
«Signora,
di Jamie non si ricorda ed io non gli sto esattamente simpatico.»
le fece notare. «Prima o poi si svegliare e non sarà di
buonumore.»
Dhelia sospirò. «Abbiatene cura.» ma stavolta guardò Jamie mentre lo diceva.
Lui
ricambiò il suo sguardo e deglutì. «Sa che lo
farò, signora Douquette, l’ho promesso.»
«In bocca
al lupo con suo marito.» le augurò Romeo, prima di
afferrare Zach sotto le braccia e trascinarlo fuori. Jamie
salutò la donna con un cenno della testa, poi chiuse la porta
inchiavandoli dentro.
Fummo veloci, il tempo di prendere
le mie pistole, il tempo necessario a Courtney di legarsi i capelli e
recuperare un manganello che aveva nascosto chissà dove, il
tempo che Matt ci dicesse “Vado a rubare una macchina, ci vediamo
in garage”.
Non lo fummo abbastanza, la situazione era già precipitata.
In
prossimità della camera dei genitori di Zach ci trovammo
invischiati in una guerriglia tra i Veggenti, che avevano creato un
fronte compatto per non far passare nessuno, e gli agenti
dell’ADP, decisi a raggiungere e liberare il loro più
grande benefattore.
Io e Courtney
rimanemmo immobili a guardarli per una manciata di secondi, senza
capire. Eravamo lì per aiutare Zach a difendersi e liberarsi
definitivamente dal controllo ossessivo di suo padre, ma la
realtà era che forse, a quel punto, avremmo dovuto aiutare lui.
Perché i
Veggenti avevano attaccato Logan Douquette e sua moglie così, di
punto in bianco, proprio il giorno di Zach poi? Non aveva senso,
c’erano state altre mille occasioni migliori di quella da quando
era lì.
Un guizzo rosso
attirò la mia attenzione. Dietro il muro all’apparenza
inviolabile di Veggenti c’erano Romeo e Jamie che trasportavano
qualcosa… qualcuno…
Mi voltai prima
che il mio cervello mettesse insieme tutti i dettagli. C’era un
altro ascensore dall’altra parte e loro dovevano per forza
scendere per uscire di lì.
Jamie e Romeo raggiunsero
l’ascensore ed entrarono non appena le porte scorrevoli si
aprirono. Romeo premette il pulsante del parcheggio, mentre Jamie
appoggiava con delicatezza Zach alla parete, come un giocattolo rotto,
ma prezioso. Aveva smesso di avere le convulsioni da un po’, ma
era rimasto incosciente, ogni tanto il suo corpo era ancora scosso da
un tremito, ma sospettava che fosse per quello che stava vedendo dietro
le sue palpebre abbassate. Sapeva cosa stava vedendo: un mondo
spaventoso ancora lontano da loro, ma che presto li avrebbe raggiunti.
L’ascensore non si mosse.
«Siamo in ritardo.» lo informò Romeo. «Hanno bloccato gli ascensori.»
«Siamo
Veggenti, come facciamo ad essere in ritardo?» sbottò
Jamie facendosi aria. «Non poteva essere un po’ più
piccolo?»
«Che facciamo?»
Lui
continuò ad osservare Zach, somigliava a Sean. «Io resto,
li trattengo, tu prendi le scale. Chiama qualcuno perché ti
aiuti e…»
Smise di parlare
al suono di passi che si avvicinavano e si voltò metà
curioso e metà preoccupato, imitato da Romeo.
Jean Roberts si
avvicinò a loro. Entrò nell’ascensore e si
accucciò accanto a Zach, gli sfiorò il viso; Jamie e
Romeo rimasero immobili a guardarla, senza sapere bene come
comportarsi.
«Perché è svenuto?» domandò lei.
Romeo deglutì e prese fiato. «Sovraccarico.»
«Starà bene?» chiese guardandolo.
Fece di
sì con la testa, Jamie si sorprese di trovare nello sguardo di
Romeo una tale deferenza, come se si fosse trovato davanti un essere
mistico, una regina, qualcuno di intoccabile. Era solo una Responsabile.
«Okay.» Jean si alzò ed uscì
dall’ascensore, recuperò la propria tessera personale
– erano poche le porte che non si sarebbe aperte davanti a lei
con quella – aprì un piccolo sportello, sistemato sotto il
pulsante di chiamata dell’ascensore, ed il coperchio
rivelò una fessura.
«Jean, mi
dispiace per Josh. Non lo sapevo, io pensavo…»
borbottò Romeo fissandola, si sentiva in colpa e Jamie lo
sapeva. Aveva cercato di salvare Josh, si era impegnato, ma lui si era
buttato da quel palazzo comunque; non c’era motivo di
colpevolizzarsi, Josh era già distrutto per sempre, avevano
combattuto una battaglia già persa.
Jean tenne gli
occhi fissi su di lui, mentre infilava con delicatezza la propria
tessera nella fessura. «Non fermarti.» disse, poco prima
che le porte scorrevoli si chiudessero tra i loro due mondi. E Jamie si
disse che in fondo, dopo tutto, Jean Roberts non era soltanto una
Responsabile.
Il mio ascensore e quello che
trasportava Romeo, Zach e Jamie si aprirono contemporaneamente, in un
momento di simbiosi tecnologica che non sarebbe capitata mai più.
Sollevai le
pistole davanti a me, una puntata su Romeo, l’altra su Jamie, non
sapevo a chi sarebbe toccato il Mitronio, non mi interessava. Romeo mi
guardò i suoi occhi erano enormi e nel suo sguardo c’era
determinazione e sfida, perché lui lo sapeva, lo sapeva
dall’inizio, dalla prima volta che ci eravamo incontrati, che ci
saremmo trovati lì, che lui sarebbe stato all’interno del
mio raggio di tiro. Ci aveva pensato, si era preparato, lui aveva
deciso, aveva deciso di non tirarsi indietro; anche se potevo
sparargli, anche se mi ero vista farlo, lui era venuto lì e non
sarebbe scappato.
«Scegli, Rebecca Farrel, conosci le conseguenze di ogni tua azione: le hai viste.»
Zach
sollevò le palpebre, il suo sguardo vagò per il garage,
prima spaesato, cercando di raccogliere più dettagli possibili
del luogo dove si trovava, poi febbrile, mentre realizzava.
Trovò me, i suoi occhi si spalancarono di sorpresa e paura,
verdi come i prati che non esistevano a Synt. Mugugnò forte, ma
non sapevo se stava cercando di dirmi di scappare o di aiutarlo.
Mi sta chiedendo di aiutarlo ed io non so che fare…
Jamie
cercò di tenergli ferme le gambe, ma lui riuscì comunque
ad assestargli un calcio ben fatto. «Ahia! Maledetto marmocchio,
i calci li prendo sempre io.»
Lui non lo stava
ascoltando, guardava me. Non so cosa pensasse: mi odiava perché
ero immobile davanti a lui e non lo stavo aiutando? Era preoccupato
perché temeva mi facessero del male? Avrei avuto modo di
chiederglielo in futuro? Per terra, imbavagliato ed ammanettato, in
disordine e fradicio di sudore, non sembrava niente di più di
quello che era: un ragazzo di diciannove anni.
Un ragazzo che avevano avvelenato per diciannove anni.
«Devi
andare con loro.» dissi abbassando le pistole. «Io lo so
che non capisci e mi odierai per averti tradito, ma…»
deglutii, volevo essere ovunque tranne lì. «Loro ti
aiuteranno.»
Zach smise di
mugugnare, ma nel suo sguardo non c’era accettazione né
comprensione: era sconvolto, offeso, io lo stavo tradendo. Di nuovo.
«Mi
dispiace.» piansi. Ero armata, potevo salvarlo, ma avrebbe
significato condannarlo a qualcosa di peggio. Perché quella
decisione toccava me? Mi avrebbe odiata per sempre.
«Se non lo
faccio, ti consumerai.» deglutii. «Ti ho visto indebolirti,
i tuoi occhi si offuscheranno e diventeranno grigi, perderai i capelli
a manciate.»
Zach mi fissava e basta, immobile.
«Ti serve un alibi, ragazzina.» mi suggerì Romeo.
Distolsi lo
sguardo dal suo perché non riuscivo più a sostenerlo,
scossi la testa. «Vi siete fatti scudo con lui, mi sono lasciata
prendere dall’emotività e non ho avuto il coraggio di
sparare.»
Romeo ghignò. «Hai proprio talento.»
Matt mi trovò seduta per
terra, in mezzo al parcheggio con le ginocchia strette al petto e le
pistole accanto a me. Mi si fermò di fronte e si
accucciò. «Stai bene?»
Non risposi, deglutii. «Si sono nascosti dietro Zach, non ho avuto il coraggio di sparare.»
Lui mi
guardò ed io pensai distintamente che non poteva credermi, non
dopo tutto quello che avevamo fatto, non dopo tutto quello che ci
eravamo detti.
«Davvero?» domandò e si sedette accanto a me.
«Ho consegnato le chiavi del fuoristrada a Ryan perché
portasse Jamie Ross, Romeo e Zach imbavagliato via di qui.»
«Perché l’hai fatto?»
«Ryan mi
ha detto che li avevi lasciati andare.» si strinse nelle spalle.
«Se tu ti fidi, io mi fido.» disse offrendomi la mano.
Io la strinsi, grata di quel piccolo conforto.
Nate ci venne a
prendere circa un’ora dopo con uno dei fuoristrada che erano in
caserma, non ci chiese niente e non ci disse niente, ma tutti sapevamo
che era sparito per ore e tutti sapevamo dove era andato. Salii sul
sedile posteriore, Matt su quello del passeggero. «Dove
andiamo?» chiese.
«Torniamo
in caserma, non abbiamo più niente da fare qui.» ci disse,
mentre usciva dal parcheggio. «E le verdure.» aggiunse, ma
sembrò costargli una fatica immane. «Non si mangiano
verdure che non abbiamo comprato noi, niente di quello che ci arriva
dall’ADP. È un ordine da Caposquadra.»
incrociò il mio sguardo nello specchietto retrovisore, ma lo
distolse subito dopo.
Courtney saltò sul tetto
della caserma dei pompieri, ovviamente non poteva stare su quello della
caserma dei Veglianti, non si sentiva sicura anche se erano passate ore ed era notte.
L’ADP, sotto ordine di Wood, presidiava
la caserma fino al suo arrivo.
Ad un certo
punto i Veggenti in ospedale si erano arresi ed avevano sciolto le righe per
andarsene, Logan Douquette era stato liberato, aveva raccontato che il
Veggente dai capelli rossi lo aveva colpito ed aveva approfittato del
fatto che sua moglie avesse cercato di soccorrerlo per portare via Zach.
Tutte le forze
dell’ordine presenti in quel momento gli avevano giurato che
avrebbero ritrovato suo figlio ed alle orecchie di Courtney quella
dichiarazione era suonata come una sentenza di morte.
Romeo
sbucò fuori dopo quasi un’ora, un’ora durante la
quale Courtney aveva pensato che Becky gli avesse effettivamente
sparato – con quella ragazza non si poteva mai sapere. Solo in
quel momento però, si rese conto che una parte di sé
stessa era stata in pensiero per lui e si sentì sollevata nel
vederlo sano e salvo.
«Hai rapito Zach.» lo accusò.
«Sto cercando di aiutarlo.» ribatté lui.
Lei scosse la testa e si avvicinò. «Sta arrivando Wood.»
«Lo so.» rispose.
«Vi daranno la caccia.»
«Lo so.» ripeté.
«Batteranno tutta Synt a tappeto.»
«Lo so.» la guardò annoiato. «Dimmi qualcosa che non so.»
«Zach sta bene?»
Lui le
posò le mani sulle spalle. «Sta bene e starà bene,
hai la mia parola, Courtney.»
Strinse le labbra e deglutì. «Ti troveranno?»
Romeo scosse la testa con un sorriso divertito a piegargli le labbra.
«Dovrò darti la caccia.» continuò lei, fissandolo.
Lui rimase in
silenzio per qualche secondo, smise di guardarla e la sua espressione
divenne molto seria, poi: «Sì, dovrai.»
allontanò le mani da lei, come se quel paragrafo di vita finisse
lì e tutto, presto, sarebbe rientrato in schemi già
conosciuti, già affrontati.
Courtney prese
la mano che si stava allontanando da lei e si avvicinò. Romeo
non si mosse quando si avvicinò ancora, non era armata, non era
pericolosa, non voleva esserlo. Chinò il viso verso di lei
quando fu troppo vicina perché riuscissero a guardarsi negli
occhi.
«Promettimi di nasconderti, non farti trovare. Scappa quando sarò troppo vicina.»
Romeo
appoggiò la fronte contro la sua. «Ti prometto che mi
nasconderò.» mormorò, le loro labbra si sfioravano
quando parlava. «Ti prometto che non mi troverai, penserai che me
ne sia andato, crederai che io non sia mai stato qui.»
Courtney sapeva di doversi allontanare, ma semplicemente non voleva.
«Scapperò quando sarai troppo vicina, ma non mi piacerà.»
«È
una promessa?» chiese Courtney porgendogli il cercapersone
perché lo riprendesse.
Romeo lo guardò, poi le strinse le dita per farglielo tenere. «Te lo prometto.»
Courtney fece un passo indietro e chiuse gli occhi. «Uno…» iniziò a contare.
Arrivò a cento, quando li riaprì Romeo non c’era più.
dunque... beh, ammetto che tutta la parte che riguarda la genetica di
Zach ed il funzionamento del Mitronio è frutto di ore di
chiacchiere notturne tra me ed il mio ragazzo...
medico? biologo? chiederete voi.
no, ingegnere. ingegnere lui, linguista io, capirete che è tutto
molto teorico, quindi, no, se andate da un genetista, non vi fa Zach.
... era tanto per mettere in chiaro...
scherzi a parte, se tra voi ci sono genetisti, biologi, medici,
tuttolgi che troveranno degli errori, senza alcun rancore, ci sono, lo
ammetterò davanti ad ogni corte con ogni giudice e vi
vorrò bene come prima...
dunque, l'epilogo verrà pubblicato venerdì 12
vi lascio i nostri contatti: la fanpage e twitter
vi voglio bene! baci
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Capitolo 31 *** 30. Epilogo ***
MSC 29
fragolottina's time
non credevo di arrivare fin qui, ma, signori e signore, ce l'abbiamo fatta.
dichiaro "Il Mitronio di Synt" ufficialmente chiuso.
leggete che ci vediamo più giù!
30.
Epilogo
Zach
aspettò di essere sicuro che sua madre e suo padre dormissero
prima di saltare giù dal letto. Si infilò le scarpe da
ginnastica ed il giubbotto sopra il pigiama, poi, silenzioso,
uscì in corridoio. Scivolò fuori di casa e
scavalcò la staccionata che divideva il suo giardino da quello
dei vicini.
Jamie era già lì, seduto su una delle sdraio che
costeggiavano la piscina esterna. «Ciao, Zachy. È bello
sapere che funzioni ancora.» lo salutò con un mezzo
sorriso.
«Ciao.» Zach si sedette vicino a lui. «Papà
dice che Sean è morto.» disse deglutendo, si morse le
labbra prima di continuare. «Ma non può essere,
vero?» domandò speranzoso. Zach lo sentì trattenere
il fiato, poi lasciarlo lentamente andare; più che abbassarsi le
sua spalle sprofondarono.
«Sean è morto per davvero.»
Zach lo spinse. «Non è vero.»
Jamie incassò. «Sì.»
«No, sei un bugiardo.»
«L’ho seppellito.»
Zach rimase immobile, come aspettando che la terra improvvisamente
inghiottisse anche lui, poi strizzò gli occhi e si tolse le
lacrime dalle guance con un gesto furioso. «Perché tu non
hai fatto niente se eri con lui?» pianse spingendolo ancora.
«Perché quel figlio di puttana l’aveva visto e mi ha
drogato.» rispose con semplicità, si strinse nelle spalle.
«Pardon, è anche tua madre.»
Zach rimase in silenzio tanto a lungo che pensò di essersi
dimenticato come si facesse a parlare. «Come?»
domandò poi.
«Una bomba è esplosa.»
«Chi ce l’aveva messa?»
Jamie rimase in silenzio, parve pensarci; lo guardò.
«Eravamo in guerra, in guerra accadono cose brutte, le persone
muoiono, non c’è un colpevole, non cercarlo.»
ripeté come se stesse leggendo un discorso già scritto.
«Sono le stesse cose che ha detto la mamma.»
«Per questo te lo dico anche io.»
Zach gli afferrò il braccio scrollandolo, frustrato, arrabbiato,
furioso come solo la disperazione lo poteva rendere; ma finì per
appoggiarci la fronte e piangere.
«Devo portarti via di qui.» disse Jamie più a sé stesso che a Zach.
Nate si decise ad aprire la busta
gialla che era stata chiusa sulla sua scrivania tutto il giorno. Gliela
aveva consegnata Jean, era tra le poche lettere cartacee che ancora le
arrivavano; niente timbro postale, niente mittente, solo il suo nome,
scritto sopra con un segno frettoloso di pennarello nero.
La aprì piano e tirò fuori il contenuto.
Era un rapporto
sanitario dell’esercito, lesse la lista dei paesi interessati:
buona parte dell’Africa Mediterranea e Centrale veniva indicata
come zona rossa; Siria, Turchia ed Irak erano zona nera.
Nate
continuò a leggere senza capire di cosa si parlasse,
analizzò i numeri, si contavano migliaia di morti, nessun
guarito.
“I soggetti beta mostrano la completa immunità al virus”.
Virus? Era di un virus che si parlava? Perché non ne sapeva niente?
Il fascicolo che
seguiva era una collezione di macabre foto di cadaveri. Le vittime di
quel virus apparivano estremamente sciupate e sgonfiate in qualche
modo, come se fossero state consumate dall’interno. Erano coperti
da macchie nere e rosse sui bordi, come lividi, ma molto più
scuri e pronunciati.
Corse a leggere il fascicolo che descriveva quel virus e gli stadi del contagio.
Congestione delle vie respiratorie superiori.
Iniziava come un
raffreddore e rimaneva raffreddore per un tempo variabile che andava
dai cinque agli otto giorni. Poi l’infezione scendeva ed
interessava bronchi, polmoni, iniziando a penetrare le vie circolatorie
periferiche; si indebolivano e si rompevano facilmente, da lì le
macchie nere, accumuli di sangue. A mano a mano che la malattia
progrediva il virus si faceva strada sempre più in
profondità sfruttando la circolazione sanguigna. Nel frattempo
la vittima accusava emorragie, spossatezza, tosse con sangue, per non
parlare del fatto che il sangue raggrumato in macchie nere provocava
infezioni. Due erano le principali cause della morte: emorragia interna
o arresto cardiaco.
Il contagio avveniva maggiormente durante la prima fase, con le stesse modalità di un raffreddore.
Nate rimase a pensare per alcuni secondi: quanto avrebbe impiegato ad attraversare l’Atlantico?
Tra i vari
fascicoli c’era anche un’altra busta, quello però
era il rapporto di un medico specializzato in epidemie –
quella parola gli mise i brividi – e c’era una fiala di
sangue. Per un lungo momento, Nate non ebbe il coraggio di toccarla,
terrorizzato all’idea di potersi contagiare. Ma sopra la fiala
c’era un’etichetta: “Sei un soggetto beta”.
Tirò fuori la fiala, poi tutto il resto, compresa una lettera.
“Puoi fare niente?”.
Nate non lo sapeva.
Ero di nuovo seduta ad un tavolo
davanti agli agenti dell’ADP. Wood era dall’altra del vetro
insieme a Jean. Mi avevano già interrogata molte volte ed io
avevo dato la stessa versione dei fatti che avevo raccontato a Jean, al
cimitero, davanti alla tomba di Josh.
Da quando Wood era arrivato a Synt erano pochi i posti davvero sicuri.
«E quindi,
Vegliante Farrel, ci dica ancora una volta perché è scesa
nei garage dell’ospedale?»
Alzai gli occhi
al cielo, stanca di sentirmi porre sempre le stesse domande.
Aspettavano che mi contradicessi da sola per cogliermi in fallo, ma non
l’avrei mai fatto.
«Stavano
trascinando Zach, dovevano avere un’auto ad aspettarli, non
potevano fare molta strada tenendolo tra le braccia.» dissi
pratica.
«Perché non ha sparato?»
«C’era Zach, avevo paura di colpirlo.» ripetei
annoiata. «Esattamente come l’ultima volta che ve
l’ho detto.»
«Eppure le sue pistole erano cariche di sedativo o Mitronio, non pericolose per Zach.»
Sospirai. «Ma era stato molto male, avevo paura di peggiorare la sua situazione.»
«Capisco.» disse uno degli agenti. «Crede che i Veggenti gli faranno del male?»
Mi strinsi nelle spalle. «Non posso saperlo.»
«A lei non ne hanno fatto.» ricordò l’altro.
«No.»
«Perché dovrebbero farne a lui?»
«Ha ucciso
molti più Veggenti di me.» spiegai, poteva essere
un’ottima motivazione, in realtà lo era.
«Crede che
i Veggenti possano raccontare abbastanza bugie a Zach da convincerlo a
passare dalla loro parte.»
«No.» dissi.
«Sa come potremmo fermarlo in quel caso.»
Mi incupii. «Ho risposto di no.»
«Se si sbagliasse…» insinuarono.
«Non mi sbaglio.»
«Mattiamo
che Zach riuscisse a scappare dalla prigionia dei Veggenti.»
intervenne l’altro agente. «Se fosse in lui, dove si
nasconderebbe?»
Per alcuni
secondi rimasi zitta, pensai a Zach, a quello che era ed a quello che
sarebbe stato. Lanciai un’occhiata a Jean e la vidi stringere le
labbra in una linea severa, sapeva che le mie parole, seppur
pronunciate con leggerezza, avevano un peso enorme.
Una dichiarazione di guerra in pentametri giambici è se pur sempre una dichiarazione di guerra.
«Se io
fossi lui…» finsi di pensarci poi risi. «Se io fossi
lui non mi nasconderei.»
Zach aveva tirato per la stanza
tutto quello a cui arrivava. Aveva ribaltato il letto, ogni singolo
piatto che gli avevano portato, anche il secchio che gli avevano
indicato come bagno. Aveva pisciato in un angolo perché voleva
essere infantile e fastidioso. Non aveva buttato l’acqua
perché non era stupido.
Quella notte
però quando aprì gli occhi, accartocciato sul materasso
contro un angolo, la porta era aperta. Non sapeva che ore fossero,
aveva cercato di tenere regolarizzate le ore di sonno e di veglia, in
modo da poter essere sicuro dello scorrere del tempo, ma a volte,
nonostante fosse guarito, si sentiva ancora spossato e non riusciva a
rimanere sveglio fino all’ora della nanna.
Zach si
sollevò sui gomiti, osservandola come la trappola che doveva
essere: perché rapirlo se non volevano tenerselo?
Anche se non
sarebbe stato il primo con cui lo facevano: Becky era tornata, ma
evidentemente se l’erano tenuta abbastanza per plagiarla.
Si alzò
ed afferrò la bottiglia d’acqua, ne prese un lungo sorso,
non sapeva se gli sarebbe potuta servire come arma e non voleva stare
lì a rimuginarci in quel caso.
Dovunque si
trovasse sembrava una specie di ospedale in disuso, c’erano una
miriade di stanze, lui provò ad aprirle tutte, ma solo alcune
erano state lasciate aperte: c’era un posto preciso dove volevano
che andasse. Decise di seguire il percorso che gli avevano lasciato,
più veloce che poteva.
In qualche modo i corridoi lo portarono sotto terra, in una serie di cunicoli dall’aria intricata.
Attraversò varie gallerie prima di trovarsi all’interno
del pozzo di luce – forse un lampione – di un tombino. Si
aggrappò alla scala e spinse per sollevare il coperchio di
ferro, si issò nella strada deserta di una Synt sotto
coprifuoco. Era nella Zona Gialla e pensò con nostalgia a Nate,
si allontanò da loro non appena il ricordo di Becky
rischiò di affiorare nella superficie di delusione fangosa in
cui l’aveva seppellita.
Per un po’
rimase fermo in mezzo alla strada, era stato molto motivato nella fuga,
ma a quel punto non sapeva bene dove andare.
La caserma gli sembrò l’unica opzione possibile.
C’erano Veglianti ovunque, non ne conosceva nessuno.
Gli sembrava di
ricordarsi di alcuni, forse li aveva incontrati all’Asta, ma
erano ospiti. Erano goffi e rumorosi, Jean non li avrebbe mai portati a
casa. Si ricordava gli allenamenti che faceva con Courtney: uno dei due
si bendava e l’altro doveva avvicinarsi il più possibile
senza farsi sentire. Quelli sarebbero stati semplici da trovare anche
per una mezza cheerleader come Becky.
Per un po’
rimase nascosto ad osservarli, indeciso; si sentiva stranamente
disorientato: quella era la sua città e quelli, anche se non
facevano parte della sua squadra, erano Veglianti, dovevano essere
colleghi… no? Un paio di volte fu sul punto di fare un passo in
avanti, uscire dall’ombra, mostrarsi. Lo cercavano perché
erano preoccupati per lui.
Non ci
riuscì, ogni volta che si immaginava farlo i suoi battiti
acceleravano e sentiva il panico mordergli lo stomaco, la cicatrice
lasciata da Romeo pulsare come un avvertimento.
Alla fine si arrese a strisciare di soppiatto verso la caserma.
Scese
all’interno del palazzo di fronte perché gli sembrò
l’unico modo di sbirciare la situazione all’interno.
Ricordava a memoria tutti gli appartamenti vuoti. Si infilò in
una camera da letto abbandonata da tempo, rimaneva soltanto lo
scheletro di un letto, un materasso puzzolente e macchiato ed uno
specchio mezzo rotto.
Vedeva il corridoio del primo piano, le loro camere.
Vedeva Becky.
Camminava a
testa alta. Cercò nella propria mente la ragazzina che aveva
tenuto per mano il giorno dell’Asta e la stessa che rispondeva
male al soldatino dentro la scatola, straordinariamente due facce della
stessa medaglia; gli era piaciuta per quello, l’aveva fatto
ridere e… sì, se Jean avesse saputo che aveva portato a
casa una recluta perché lo aveva fatto ridere gli avrebbe dato
un cazzotto, ma Josh gli aveva sempre detto di prendere le cose che lo
colpivano.
Una ragazza
ispanica le si affiancò con aria determinata, aveva l’aria
familiare, ma non se la ricordava esattamente.
Becky si fermò e per un attimo gli sembrò turbata, ma poi si girò ad affrontarla.
La ragazza la
spinse, le disse qualcosa. All’inizio Becky gli sembrò
dispiaciuta, andò addosso al muro come una bambolina di pezza,
ma rimase in piedi. La ragazza continuò a parlare, Zach
poté leggere nella sua espressione il momento in cui disse
troppo: Becky strinse i pugni e sollevò il viso, il suo sguardo
conteneva la consapevolezza di poter vincere, sempre.
La ragazza
tirò indietro il pugno per darle un cazzotto, ma
all’ultimo Becky si abbassò e la ragazza colpì il
muro con abbastanza forza da rompersi qualcosa se non avesse stretto
bene. Becky non aveva finito: a terra si appoggiò sulle mani ed
allungò una gamba dietro le sue, indovinando che sarebbe
indietreggiata. La ragazza cadde goffamente sulla schiena.
Becky si
alzò e si guardò intorno tirandosi indietro i capelli,
assicurandosi che non l’avesse vista nessuno; poi si sporse a
guardare la sua avversaria a terra.
«”E
ringrazia che Wood mi fa consegnare le pistole”.» disse una
voce alle spalle di Zach.
Lui continuò a guardare Becky infilarsi nella sua camera, poi si voltò a fronteggiare Romeo.
«Era
Amanda Martinez, Iago era suo fratello.» spiegò
recuperando un pacchetto di sigarette dalla tasca, ne prese una, poi lo
lanciò verso Zach che lo prese al volo. «Becky l’ha
ucciso e lei ha detto che per vendetta avrebbe ucciso te.»
Zach rimase
guardingo per alcuni secondi, poi ne prese una a sua volta; se la porto
alle labbra leccando la parte posteriore del filtro come faceva sempre.
Tornò a guardare verso la caserma.
«Affascinante, vero?» indovinò Romeo. «Becky
al momento è tipo una lampadina a basso voltaggio: si sta
accendendo ed ogni momento che passa brilla un po’ di
più.»
Zach
continuò a pensarci, era stata brava, intelligente. Era sempre
la stessa Becky, non molto forte e poco portata al combattimento corpo
a corpo, ma era stata abbastanza sveglia da sfruttare l’impeto e
la rabbia cieca della sua avversaria a suo favore. Magari però
la prossima volta se ne sarebbe occupato lui…
«Non si fa
del male ai Veglianti.» Romeo irruppe nei suoi pensieri come se
avesse parlato a voce alta. Gli si avvicinò e continuò.
«Per quanto possibile, non ci piace nemmeno farci catturare o
bistrattare, ma… sono come noi e non lo sanno, sarebbe sleale
prendersela con loro. Non sono il nemico.»
«Io non sono il nemico?» chiese a Romeo, scettico mentre si voltava a guardarlo.
Lui scosse la testa.
«E chi è allora?»
Romeo ci
pensò. «È un po’ più complicato di
così, ma posso spiegartelo.» propose. «Però
ho bisogno di sapere che vuoi fare.»
«Che voglio fare?» domandò Zach confuso lanciandogli appena un’occhiata.
«Posso
farti andare via da qui, trasferirti in un posto dove nessuno ti
cercherà, farti sparire. Non sei obbligato a restare.»
Zach si
concentrò sulla caserma, appoggiò le braccia
all’intelaiatura, ormai vuota, della finestra e buttò
fuori una boccata di fumo che guardò salire in alto. Le luci
iniziavano a spegnersi, non li vedeva più, ma sapeva che dentro
c’erano i suoi amici, gli unici che avesse mai avuto; loro
sarebbero rimasti, avrebbero lottato. Guardò Romeo, sospettoso.
«Sai cosa ti risponderò, vero?»
Lui rise. «Posso dirti di no se la cosa ti fa sentire meglio.»
Zach alzò
gli occhi al cielo e scosse la testa, poi tornò a qualcosa che
Romeo gli aveva detto poco prima. «Sono come te?»
Romeo lo
guardò. «Quasi, mi somigli parecchio e sai fare quello che
faccio io.» indicò con un cenno del capo la caserma alle
sue spalle. «Loro sono esattamente come me.»
«Anche Becky?»
«Sì.»
Zach si sentiva
disorientato, non tanto per quello che Romeo gli stava dicendo, quanto
per il come: niente indovinelli, niente frasi a metà, niente
misteri; la verità, tutta la verità, era semplicemente
alla portata delle sue domande.
Lo guardò come se improvvisamente stesse ricordando qualcosa. «Io però non vedo.»
«Vedrai.» promise Romeo. «Anzi, credo che tu abbia
già iniziato a sognare qualcosina.»
Zach non si sbilanciò, non disse niente.
«Comunque, io torno a casa, ti ricordi la strada?» gli domandò.
«Non hai paura che scappi? Non vuoi riportarmi con te?»
Romeo si
stiracchiò. «Non stai scappando e non credo che lo
farai.» osservò prima di scuotere la testa con aria
stanca. «E poi fai casino se ti teniamo dentro. Oh, ti conviene
pulire il bordello che hai lasciato perché quella
continuerà ad essere la tua stanza.» lo rimproverò.
«Se resto.» puntualizzò.
Romeo lo
congedò con appena lo sventolio di una mano mentre si dirigeva
verso la porta. «Sì, sì, come ti pare.
L’ultima nave parte domani all’alba quindi sbrigati a
prendere una decisione ovvia.» si raccomandò. «Una
volta fatto passa a trovare Ryan, non si combattono i Veglianti armati
di Wood a mani nude.»
«E si mi prendono?»
Romeo rise.
«Prenderti? Tu non sei mai riuscito a prendermi.» gli
ricordò, poi fece una smorfia. «Solo, attento a non far
arrabbiare Becky perché lei ci spara davvero.»
«Sì, me lo ricordo.» borbottò Zach contrariato.
Due giorni dopo
che Jamie aveva cercato di farlo uscire dal paese con dei documenti
falsi, Logan Douquette salì le scale diretto in camera di suo
figlio. Dhelia era sul divano al piano di sotto, presente solo a
metà, troppo stordita dai calmanti per avere davvero coscienza
di sé: la morte di Sean e la successiva quasi scomparsa di Zach
le avevano causato un crollo nervoso.
Suo figlio era seduto per terra, con la schiena contro il letto.
«Zach?» lo chiamò osservandolo, aveva gli occhi
chiusi, ma gli sembrava piuttosto inusuale che si fosse addormentato in
quel modo.
«Zachy, stai bene?» chiese ancora.
Zach aprì gli occhi e lo fissò, Logan Douquette fece un
passo indietro con un brivido; erano i suoi occhi, ma Zach lo guardava
con lo stesso sguardo di sfida di Sean.
«Ce l’hai messa tu quella bomba.» disse, non aveva
l’intonazione di una domanda, anzi, da come venne posta, sembrava
che il primo sorpreso fosse lui.
«Cosa?»
«Sei stato tu ad uccidere Sean.»
Logan rimase zitto, poi aggrottò le sopracciglia.
«È stato Jamie a dirti una cosa simile?» gli chiese.
Zach si alzò in piedi, aveva il manico della mazza da baseball
che gli aveva regalato stretto in un pugno. Scosse la testa in lacrime.
«L’ho visto.»
Logan trascinò Zach al pronto soccorso e lo scaricò come
immondizia, sopra una brandina. Urlava ancora, aveva urlato per tutto
il tempo, tossendo e bussando sul portabagagli. Non si era fatto
impietosire, non era un bambino vero, era troppo pericoloso lasciarlo
diventare tanto consapevole di sé stesso. Sean aveva fatto un
casino.
«Rimettetelo apposto, dategli tutto il Mitronio che riesce a
reggere e chiamate Dawn Dandley: non voglio che ricordi niente di questa notte.»
ordinò ai medici che vennero a soccorrerlo.
«Anzi…» si corresse fissando gli occhi di suo figlio
spalancati ed impauriti. «Fate in modo che ricordi un pochino,
che sappia che non può fare di testa sua, che gli ordini li do
io.»
«Io non dimenticherò.» promise Zach, la voce arrochita per aver strillato tanto.
Logan si chinò su di lui. «Certo che lo farai. E nessuno
potrà ricordarti come sei: Sean è morto, Jamie non
può rientrare nello stato senza essere arrestato, tua madre sta
lentamente andando fuori di testa: sei solo. Chi ti
aiuterà?»
Lui deglutì e cercò
arrivando più lontano che poté, trovando aiuto nel futuro
visto che non poteva averne nel presente. Sorrise. «Un Vegliante
dai capelli rossi.»
eccomi...
oddio, ce l'ho fatta!!
e ad un prima occhiata mi pare che quadra tutto!!
dunque procediamo con i ringraziamenti.
come sempre ringrazio di cuore le prime recensitrici, quelle che hanno
preso la mia storia, sconosciuta, potenzialmente folle e decisamente
lunga - il primo capitolo conta 4642 parole, rendiamoci conto - e mi
hanno detto: Daje! grazie, siete state fondamentali!
poi un grazie a tutte quelle che in queste anni - no, dico, parliamo di
anni - mi hanno supportata, voluto bene, incoraggiata, aspettata. siete
state dolci, pazienti, educate e gentili quando sbagliavo, piene di
cose carine da dirmi anche quando qualcosa non vi convinceva.
spero di essere stata in grado di ricambiare tanto affetto. tirate
fuori il meglio di me, mi fate venir voglia di scrivere sempre meglio,
di offrirvi letture sempre più interessanti, perchè ve lo
meritate.
e, oh, nel caso io fossi stata poco gentile qualche volta, chiedo
scusa: ho anche io le mie giornate no ed anche io posso essere di
cattivo umore, ma sappiate che niente di quello che mi avete detto
è stato soffiato al vento.
progetti futuri.
allora, mi fermerò un pochino per due motivi: primo, devo
strutturare la trama del secondo capitolo della saga e se non vogliamo
impiccarci in buchi logici impossibili da sbrogliare, bisogna fare un
lavoro minuzioso; secondo, non ridete, voglio aggiustare il Mitronio e
mandarlo a qualche casa editrice, tanto per vedere che fa.
non ridete, c'ho pensato tanto. la prima a credere che non sia
abbastanza buono sono io, fidatevi, è che ho pensato che ci ho
lavorato tanto - e ci lavorerò tanto - e tutto sommato a
provarci non perdo niente, no?
se voleste incrociare le dita per me non sarebbe male!
le dolenti note.
furbette, dopo essermi fatta una cultura sul sito della SIAE ed aver
chiesto al mio avvocato tutto quello che potevo in merito, ho
scoperto questo: rendere on-line e fruibile una storia su un sito
pubblico, rappresenta già di per sè una dichiarazione di
proprietà. questa storia e tutte le altre sono legalemente mie.
risparmiatevi l'umiliazione di dire alle vostre lettrici "Mi fate i complimenti per una storia non scritta da me".
in questo, lettrucciole, vi chiedo aiuto. sono presente e lo
sarò nonostante il mio periodo di pausa, ma siccome non sono in
tutti i luoghi e in tutti i laghi, a differenza di Valerio Scanu, non posso esserlo, nel caso vediate
cose sospette, storie che vi puzzano, idee che non vi sembrano proprio
originali e soprattutto il copia/incolla, vi prego, segnalate a chi di
dovere ed avvertitemi, ve lo chiedo come favore personale.
anche perchè, come scritto sulla mia pagina personale, non
autorizzo riproduzioni della mia storia, in nessuna lingua ed in nessun
sito. le mie storie sono a mio nome e pubblicate su EFP, tutto quello
che trovere al di fuori non ha la mia autorizzazione.
vi lascio i miei contatti: Fragolottinasfanpage e Twitter
sappiate che potete cercarmi per ogni cosa, ispirazioni, consigli su
tutto quello che vi viene in mente di chiedermi consiglio - a vostro
richio e pericolo obviously!
vi voglio bene!
baci
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