Inspiegabilmente sei tu

di miatersicore23
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Vergogna ***
Capitolo 2: *** Delusione. ***
Capitolo 3: *** Incredulità. ***
Capitolo 4: *** Rabbia. ***
Capitolo 5: *** Paura. ***
Capitolo 6: *** Illusione. ***
Capitolo 7: *** Male. ***
Capitolo 8: *** Dannazione. ***
Capitolo 9: *** Errori ***
Capitolo 10: *** Verità. ***
Capitolo 11: *** Sentimento. ***
Capitolo 12: *** Egoismo. ***
Capitolo 13: *** Pentimento. ***
Capitolo 14: *** Dolore. ***
Capitolo 15: *** Amore. ***
Capitolo 16: *** Ordinarietà. ***
Capitolo 17: *** Segreto. ***
Capitolo 18: *** Epilogo - Futuro. ***



Capitolo 1
*** Vergogna ***


1.
Vergogna.
(Elena)
“Non è possibile. Non può essere che sia capitato proprio a me!” continuo a ripetermi rinchiusa nel bagno. Mia madre che bussa ripetutamente alla porta e io in mano ho quella maledettissima stecca bianca e rosa che mostra le due lineette rosse.

“Dannazione! Che sia maledetta per ciò che faccio e per i miei continui errori!” Cammino avanti e indietro passando tra i sanitari del mio bagno, finché l’agitazione iniziale e la rabbia verso me stessa non finiscono e mi accascio, seduta con le spalle contro la porta bianca scorrevole.


- Elena tesoro, ti prego esci. – mi chiede ripetutamente mia madre mentre sente i miei singhiozzi che io non riesco più a reprime. Mi alzo lentamente e lascio entrare l’unica persona che adesso conosce il mio segreto. I suoi enormi occhi marroni si mostrano a me preoccupati e comprensivi. Tutto ciò che mi sembrano voler dire è “Tranquilla sistemeremo tutto.”

***


Mi sento male. Ultimamente sono sempre stanca e la mia testa adesso sta girando come se fossi appena scesa da una giostra. Ho le nausee, forse all’ora di pranzo non avrei dovuto mangiare quell’hot dog con la senape.

Mi sdraio sul divano, abbandonando la testa trai cuscini rossi e chiudo gli occhi con la speranza che tutti quei disturbi passino, ma non accade nulla di tutto ciò. Anche se, nonostante la continua voglia di gettare la testa nel gabinetto, il sonno e la stanchezza prendono il sopravvento.

Mi lascio svegliare da mia madre un paio di ore più tardi, quando lei rientra da lavoro. Gestisce una piccola biblioteca nel centro. Mi chiede preoccupata cosa c’è che non va e io le racconto tutti i sintomi. E solo nel dirli ad alta voce mi rendo conto di cosa potrebbe essere. Improvvisamente mi sento raggelare e mi rigetto sul divano nascondendo il viso su un cuscino. Anche la mamma lo ha capito ed è la prima ad ammetterlo ad alta voce.


- Elena non è per caso che sei incinta? – tremo solo all’idea e qualche lacrima è già scesa sulle guancie.

- Io non lo so. – singhiozzo.

- Ti sono venute le mestruazioni questo mese. – mi fermo mentre mia madre mi fa quella domanda e cerco di ragionare a mente lucida facendo un calcolo a mente.

- No. Mi sarebbero dovute venire una settimana fa … cielo mamma. Sono incinta. – quasi urlo tra le lacrime.
Per fortuna ne mio padre, ne mio fratello sono presenti in casa, perché davvero in questo momento non riuscirei a sopportare le risate di Jeremy accompagnate da un te l’avevo detto. Si, perché ogni volta che uscivo con Stefan per andare a casa sua, lui mi ripeteva sempre scherzando: “Mi raccomando sorellina state attenti, altrimenti potresti avere un pargoletto tra le braccia molto presto.” E come ogni volta io lo fulminavo con gli occhi. Non riuscirei a sopportare neanche lo sguardo di rimprovero da parte di papà. Ma infondo, avrebbe ragione. Incinta a diciassette anni, quasi diciotto. Una vera vergogna per la famiglia Gilbert.


- Calma piccola mia. Potrebbe essere solo un po’ di stress. Devi fare il test per renderti veramente conto.

***


E quel test l’ho fatto. Peccato che è uscito positivo. Peccato che aspetto un figlio. Guardo mia madre negli occhi e cerco di abbracciarla più che posso, con la speranza di cercare rifugio tra le mie braccia. Come posso avere un bambino se io mi sento ancora tale? Io ho ancora bisogno della mia mamma che mi accarezza e che mi consola. Ho ancora bisogno dei suoi consigli … come posso consigliare a mio figlio se sono ancora un’adolescente immatura?

- Ti va una cioccolata calda? – è l’unica cosa che mi chiede.
Ovviamente non c’era neanche bisogno di dirlo. Il test era positivo e le mie lacrime stanno parlato al posto delle parole. Annuisco lentamente mentre con la manica del maglione rosso asciugo gli occhi umidi.
Mi siedo sullo sgabello alto della penisola della cucina e intanto osservo mia madre che versa il latte nel pentolino, aggiungendo la polvere marroncina e mischiando lentamente con un cucchiaio di legno. L’odore entra nelle narici. È buono e dolce. Dolce come il sorriso della mamma in questo momento che cerca di rassicurarmi.

È sera. Mio fratello non è ancora rientrato. Probabilmente è in giro con gli amici o al riparo dal freddo nel Grill. Mio padre è ancora a lavoro e ha chiamato la mamma dicendole che sarebbe rientrato stanotte. Il lavoro del medico è parecchio impegnativo. Perciò siamo noi due sole con una notte che ci aspetta lunga e insonne per parlare e chiacchierare della “novità” e del nuovo membro che sta per arrivare in famiglia.
Il sapore della cioccolata resta sempre il migliore.

Ci sediamo sul divano e mi lascio accarezzare dalle sue mani che sanno ancora di protezione, che non sono pronte a lasciarmi andare e che presto le mie seguiranno le orme della sue. Faranno le stesse cose. Saranno le mani di una mamma. Incredibile come grazie alla presenza della mia più fedele amica, io mi stia già abituando all’idea, quando sono passate solo un paio di ore.


- Dovresti dirlo a Stefan. – mi sussurra, dopo lunghi attimi di silenzio.
Già Stefan. Il padre del bambino. Lui  dovrebbe essere il primo dopo di me a conoscere la verità. Dovrei andare da lui, a casa sua e dirgli che diventerà papà. Affrontare le sue reazioni. Prima incredulità, poi rabbia, rassegnazione e infine anche gioia. Perché Stefan è una persona buona e presto o tardi so che a lui in futuro sarebbe piaciuto diventare padre e quindi anche se questa cosa gli capita prima di certo non si farebbe tutti questi problemi.

Si, gli causerebbe alcuni ostacoli per lo studio, per l’università che vorrà intraprendere, per fare quello che ha sempre desiderato, il medico. Ma so che Stefan sogna anche una famiglia e so che lui mi ama, me lo ha sempre ripetuto anche mentre eravamo nel suo letto, nudi, dopo aver fatto l’amore. Dovrei andare ad aprire la porta di casa sua e raccontargli la verità. Se solo fossi sicura che il padre sia lui.

Non ho mai odiato così tanto le vacanze di Natale in vita mia come sto facendo adesso. Stefan, Matt e Tyler hanno deciso di farsi un viaggio a New York per le feste, senza includere noi ragazze. Amo il mio fidanzato, ma in questo momento vorrei ucciderlo. Mi ha lasciata da sola con Caroline e Bonnie, mentre il freddo congela tutta Mystic Falls.  “E' una cosa mia con i miei migliori amici.” Mi aveva ripetuto mille volte e io alla fine non avevo fatto più l’offesa nei suoi confronti. Soltanto che io e le mie amiche adesso siamo rinchiuse in casa dell’uragano biondo che mi ritrovo per migliore amica a guardarci un film durante un pigiama party.
“Pigiama” si fa per dire. Mentre io e Bonnie siamo in tenuta pantaloncini e canotta, Caroline non si è ancora andata a cambiare, anzi, quando è scomparsa qualche minuto in bagno, ho avuto l’impressione che si sia truccata un po’. I miei timori diventano reali quando sentiamo suonare il campanello alla porta.


- Chi è? – chiedo a Caroline.

- Ho … ecco … ho invitato Klaus e qualche amico per movimentare un po’ la serata.
Io la guardo in cagnesco perché potrei accettare Klaus che è il suo attuale ragazzo, ma i suoi amici non li sopporto proprio. E in particolare un suo amico. Quando Caroline va ad aprire la porta il primo ad entrare è il suo ragazzo che porta in braccio qualche lattina di birra sorridente, e viene seguito dal fratello più piccolo Kol, il suo migliore amico Marcel e i tre moschettieri. Perché Enzo, Alaric e Damon sono inseparabili.
Damon Salvatore. La persona che odio di più in tutto il mondo. È il fratello maggiore di Stefan, ma in comune hanno soltanto il cognome e niente di più. Stefan è buono, gentile, educato … mentre lui non sa essere nient’altro che maleducato e strafottente, con quel ghigno sempre stampato sul volto e la battuta pronta che a volte tende ad essere invadente.


- Piccola cognatina, che bel pigiama! – esclama, mentre appoggia sul tavolino accanto ai pop corn delle bottiglie di Bourbon.
Damon fa il penultimo anno di università. Studia lettere e si sta specializzando in letteratura straniera. Praticamente quello che voglio fare io. È molto più grande di me, circa otto anni, ma questo non mi ha mai impedito di rispondergli.

- Invece il tuo guardaroba è sempre lo stesso. Di la verità, non ti cambi mai e questo spiegherebbe l’incredibile puzza che si sente dal tuo arrivo. – ghigno soddisfatta, osservando il suo look total black.

- No. Quello in realtà è Ric che è già ubriaco marcio.

- Hey, non è vero! – sento gridare di rimando Alaric che si è posteggiato in cucina, troppo abituato ai miei dibattiti con l’amico per cercare di fermarci.

- E comunque … come siamo acide stasera. L’astinenza dal sesso con mio fratello ti ha già fatto invecchiare di cinquanta anni?

- Ripetilo se ne hai il coraggio. – mi avvicino di un passo a lui.

- Sei una vecchia acida. – mi ripete, avvicinandosi altrettanto.
Bene, l’ha voluto lui. Mi piego sul tavolino di vetro e prendo una bottiglia del suo prezioso liquore. E quando dico prezioso, intendo proprio prezioso! La apro e ne bevo un, due, tre sorsi, andandomene in cucina.

- Hey, no, che fai? Non toccare il mio Bourbon, è roba da veri uomini. – cerca di riprendersi la bottiglia, ma io lo scanso facilmente.

- Se tu sei un vero uomo, allora posso continuare a bere tranquillamente. – butto giù altro liquido forte. Ma come fa a sopportare una roba del genere?

Sento qualcosa prendermi per i fianchi e farmi fare qualche passo indietro. Mi ritrovo improvvisamente seduta sul divano, imbraccio a lui. Mentre una sua mano è ancora sulla mia vita, l’altra è sulla coscia nuda per poi andare a riprendersi il Bourbon.

- Questa è mia. – sussurra e io mi alzo di scatto da lui per allontanarmi quanto posso. – stammi lontano!

È passata qualche ora e le quattro bottiglie di Bourbon sono finite nei nostri stomaci accompagnate dalle birre. In poche parole, siamo ubriachi fradici.

- Giochiamo ad obbligo o verità?  - chiede Caroline.

Perché ho annuito? Mi sono scavata la fossa da sola, visto che la prima vittima che viene scelta sono proprio io.

- Elena! – mi chiama la mia amica. – cosa scegli?

- Obbligo. – non mi va di dire cose sconvenienti su me stessa.

- Bacia Damon. – mi sento morire. Io? Baciare Damon? È roba da pazzi!

- No. Insomma, è il fratello del mio ragazzo, non posso fare questo a Stefan.

-  Elena, se non lo fai dovrai ripulire tutta la casa da sola. E poi è un semplice gioco, Stefan non lo saprà neanche. – mi convince Bonnie, o forse e il troppo alcol a farmi cedere così facilmente.

- Su forza cognatina, togliamoci il pensiero. – è Damon ad avvicinarsi, ma so che sono io a dover fare il primo passo.

Avvicino lentamente la mia bocca alla sua e gli do un bacio a stampo appoggiando una mano sul suo volto. Il punto è che proprio non riesco a staccarmi in questo momento. All’inizio penso che sia il suo braccio sul mio fianco che mi blocca, ma io potrei benissimo allontanarmi, almeno con la testa, ma non ci riesco. Una nuova consapevolezza entra dentro di me. Sto veramente baciando Damon? Il sapore del liquore, misto ad uno sconosciuto, che penso sia quello suo naturale, entrano nella mia bocca e senza pensarci la apro per accogliere il suo invito a far entrare in contatto anche le nostre lingue. Lo faccio. Sento la sua saliva, il suo sapore, le sue mani che accarezzano calde la mia schiena, mentre un brivido di piacere l’attraversa e mi spinge con più forza contro di lui. Il mio respiro adesso è irregolare e inspiegabilmente continuo a baciarlo, mordendogli anche il labbro inferiore. E lui lascia fare.

- Elena. – la voce di Caroline mi ridesta dai miei pensieri. Sta ridendo. – avevo detto di baciarlo, ma non ci dovevi mettere per forza la lingua! – è ubriaca, sono tutti ubriachi.
La sua voce mi fa staccare da lui e mi porta a guardarla ridere, mentre appoggia la testa sulla spalla di Klaus. Non si sono accorti che se non fosse stato per la loro presenza, io e Damon molto probabilmente avremmo continuato a baciarci. Ma che vado a pensare? Deve essere l’alcol. Riporto gli occhi su di lui e sulle sue labbra, gonfie e rosse. Respira lentamente e mi osserva. Intensamente. Non riesco a reggere il suo sguardo.

Così mi alzo e salgo le scale per andarmi un attimo a sdraiare sul letto della mia amica. Chiudo gli occhi per qualche secondo, ma intanto mi sono già addormentata.

Mi risveglia una mano che mi scuote leggermente. Apro lentamente gli occhi e mi ritrovo davanti quelli celesti di Damon.


- Che c’è? – sussurro. Ho voglia di dormire, perché non mi lascia in pace a cercare di farmi passare la sbronza?

- Volevo solo sapere se stavi bene. Te ne sei andata da un’ora e ora che tutti se ne sono andati volevo avvisarti che Caroline e Bonnie si sono addormentate giù in salotto.

- Ok – borbotto – grazie per avermelo fatto sapere. – ma mentre si alza dal bordo del letto, io lo blocco, prendendogli un braccio. Lui si rigira. – mi avresti continuato a baciare, prima?

- Perché me lo chiedi?

- Perché sono curiosa.

- E cosa ti aspetti di sapere? Se ti voglio? Non sono mio fratello.

- Ma prima non mi hai fermato.

- Sei ubriaca, Elena.

- Lo sei anche tu. – alzo il busto e lo faccio sedere accanto a me. Siamo molto vicini. – perciò ogni cosa che dirai adesso, domani mattina molto probabilmente ce la dimenticheremo entrambi e non sarà più un problema.

- Vuoi sapere la verità? – sbuffa infastidito. – eccola.

Mi bacia, prendendo il mio volto tra le sue mani e spingendo il mio busto contro il materasso. Istintivamente chiudo gli occhi e apro completamente la bocca per accogliere la sua lingua, che calda, prima mi lecca le labbra. Le mie gambe sono bloccate dalle sue ginocchia, ma non mi spaventa stare sul letto con il fratello del mio ragazzo. Non in questo momento, almeno. Eppure, cosciente che quello davanti a me sia il Damon che tanto odio e disprezzo, le mie mani sono sotto la sua solita camicia nera e gli accarezzano l’addome senza fermarsi.

Quando si stacca da me, mi guarda negli occhi e per un attimo provo del dispiacere.


- Siamo completamente ubriachi. Perciò qualsiasi cosa facciamo, domani ce la dimenticheremo e sarà come se non fosse successo niente. – è lui a parlare. Mi fa capire che vuole continuare, come voglio continuare io

.
Senza parlare, incomincio di nuovo a baciarlo e trovo ironico il fatto che di solito io sia quella sempre attenta a fare la cosa giusta. Che giudicai Rebeckah perché mentre stava con Matt, lo aveva tradito con Marcel. Ma Stefan è lontano da ogni mio pensiero. Semplicemente non c’è. Nella testa ho solo Damon e il desiderio che c’è questa notte.

Gli sbottono la camicia impazientemente, mentre lui mi ha già tolto la canotta del pigiama e giocherella con l’elastico del pantaloncino. Mi bacia il collo e intanto con i piedi si è tolto le scarpe e in qualche modo i pantaloni. È rimasto in boxer. Io in intimo. Mentre mi sta ancora baciando delicatamente la gola scendendo piano verso il basso, le mie mani sono finite dietro la sua schiena e poi nelle sue mutande, ad accarezzargli il fondoschiena. Arrivato con la bocca sul seno, mi toglie i reggiseno e comincia a torturarmi con la lingua un capezzolo, mentre le mani sono scese per togliermi anche le mutandine come io ho fatto con le sue. In un attimo è dentro di me e per un secondo io mi dimentico di respirare. Forse è l’alcol ed è tutto amplificato, ma il piacere che provo in questo è estremamente più sconvolgente di quello che provo di solito con Stefan.

Risale con la bocca sulla mia e mi bacia. Oh, bacia tremendamente bene mentre inizia a spingere dentro di me. Tocca i miei punti giusti e mi eccita sempre di più, fino a quando non raggiungiamo quasi insieme il piacere.

Stremato si lascia andare sopra di me e riesco a sentire il suo respiro sul mio orecchio che mi procura ancora altri brividi di piacere.


- Chi lo avrebbe mai detto che una ragazzina come te, sia così brava a letto. – io invece di sentirmi uno schifo, rido alla sua battuta, mentre si alza e si riveste per poi andarsene e io mi riaddormento nuda nel letto di Caroline.

Mi sveglio con un forte mal di testa e la luce del sole che illumina perfettamente la mia nudità. Non mi dovrei ricordare di niente, ma le mani di Damon su di me sono ancora nella mia testa e stanno passeggiando a braccetto con un bel senso di colpa.

***


Non ho la più pallida idea di chi sia il padre. Se Damon o Stefan. Mi lascio coccolare ancora un po’ tra le braccia di mamma, mentre con disprezzo e vergogna verso me stessa cerco di scacciare dalla mia mente quella notte di due settimane prima.



 
Note finali:
lo so, lo so! Sto nel pieno di Amori Tormentati, ma l’idea di questa storia mi è partita al momento (in realtà durante l’ora di storia, mentre la prof spiegava la rivoluzione francese anche se non si era accorta che lo aveva già fatto la settimana precedente).
Non so ancora quanti capitoli di preciso avrà, ma non credo che sarà molto lunga. Non lo so, devo ancora vedere. Ovviamente se piacerà, continuerò a scriverla, ma sappiate che aggiornerò lentamente, al massimo una volta a settimana, perché attualmente Amori Tormentati è la mia priorità.
Credo che questo inizio non abbia bisogno di molta spiegazioni, perciò mi abbandono completamente ai vostri commenti.

Al prossimo, Mia <3

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Capitolo 2
*** Delusione. ***


2.
Delusione.
(Elena)
- Elena tu cosa?

- Ti prego dimmi che è uno scherzo.Le voci delle mi amiche mi assillano in continuazione. Era passata una settimana da quando avevo fatto il test di gravidanza ed era giunta la parte più tremenda. Dirlo al resto della mia famiglia.

***

Ho scoperto di essere incinta da un giorno, per ora va tutto bene e io e la mamma abbiamo passato l’intera giornata a decidere cosa fare. Prima di rendermi conto è già arrivata l’ora di cena e tutti e quattro sediamo al tavolo. La mamma è di fronte a me e continua a guardarmi per rassicurarmi, mentre papà e Jeremy, seduti ognuno al proprio lato, mangiano ignari della rivelazione che sto per dar loro. E solo che ho così tanta paura di ammetterlo ad alta voce.


- Caro … c’è una cosa che nostra figlia ti deve dire. – inizia cauta mia madre.

Papà alza spontaneamente lo sguardo verso di me. Mi chiede con i suoi occhi cosa succede e nota la mia preoccupazione nel dirglielo, adesso ho ottenuto anche l’attenzione di Jeremy che ha smesso di divorare la sua bistecca.


- Io … ecco … io …

- Elena tesoro, lo sai che puoi dirmi tutto quanto. – e lo fa. Allunga una mano verso la mia con fare rassicurante, ma io so che la notizia lo sconvolgerà parecchio. Però non posso ritardare non posso continuare a mantenere il segreto, almeno non con la mia famiglia.

- Sono incinta. – la mia voce è appena un sussurro, ma sono sicura che lui mi abbia sentito. Lo posso vedere dai suoi occhi che si sono spalancati, dal suo sorriso rassicurante che si è spento e dal braccio che si è ritratto. Irrigidisce tutti i muscoli e adesso la sua espressione e impassibile, fredda e mi sta guardando come se non mi riconoscesse. Come se non vedesse più sua figlia, ma una perfetta sconosciuta.Mio fratello ha iniziato a strozzarsi con il boccone di carne in bocca, ma cerca di darsi subito un po’ di contegno perché per fortuna riconosce la serietà della situazione.

- Tu … - inizia a parlare – non è possibile – si alza immediatamente da tavola per camminare avanti e indietro nella sala da pranzo, portandosi una mano sulla fronte e l’altra, che regge ancora il tovagliolo, in vita – non puoi essere veramente incinta, Elena.

Abbasso lo sguardo e sento gli angoli degli occhi pizzicare. Vorrei scoppiare a piangere, ma ho pianto fin troppo ieri sera. Basta piagnucolare e cercare riparo tra le braccia di mamma. Devo affrontare i miei errori e devo affrontare mio padre.

- Invece, lo sono. – gli confermo, alzando lo sguardo e mostrandogli gli occhi di una figlia che sicuramente si vergogna, ma non ha più paura.

 -Ma … ma come è potuto accadere? – e quella domanda mi spiazza perché non so come rispondere ad una domanda del genere. Mi immagino Jeremy pronto a rispondere sarcastico “sai papà, quando una ragazza ed un ragazzo si vogliono tanto bene, iniziano …” scaccio subito il pensiero delle ipotetiche parole di mio fratello che in una situazione diversa avrebbero potuto essere molto divertenti, ma non adesso. Non proprio adesso che mio padre mi guarda accigliato e che non si capacita che la sua bambina abbia fatto sesso. Poi si rende conto di aver formulato male la domanda – cioè, intendevo perché non siete stati attenti tu e Stefan?

Ed è proprio questo il punto, io con Stefan ero sempre stata attenta! Certo, c’è la possibilità che qualche volta si sia rotto il preservativo, ma era bastata una serata da ubriaca con il fratello a liberarmi da quello strato di rigidità di cui mi sono sempre ricoperta. Con Damon non avevo usato nessun tipo di protezione, anche se alcuni momenti di quella sera sono confusi, io ne sono sicura. C’è la possibilità che sia lui il padre. C’è la possibilità che anche se fosse stata solo una notte, con buona probabilità tra qualche mese avrei partorito il figlio di Damon Salvatore e non di Stefan.

- Siamo stati attenti. O almeno, abbiamo cercato di essere attenti. – mi limito a rispondere, per ora nessuno deve conoscere il mio dubbio su chi sia il padre.

E in un attimo i suoi occhi si fanno lucidi. Sta piangendo e io non me lo sarei mai aspettata. Mio padre che piange? È una cosa che non avevo mai visto. Che cosa vogliono dire quelle lacrime? Che sono stata una sprovveduta? Che è arrabbiato?

- Sei una delusione. – mi dice è questo è peggio di una pugnalata al cuore. Avrei preferito che mi urlasse contro, che mi sgridasse o che mi cacciasse di casa persino, ma almeno avrei capito il suo stato d’animo. Invece, lui continua ad essere freddo con quei occhi e con tutto il resto del corpo. “Sei una delusione. Sei una delusione. Sei una delusione.” Quelle tre parole continuano a rimbombarmi perché sono vere. Sono una completa delusione. Sono la figlia diametralmente opposta a quella che lui si sarebbe aspettato e non c’è modo per porre rimedio a questo casino, solo accettare i fatti e andare avanti.Ma lui per adesso sembra non volerlo fare. Abbandona la sala da pranzo e sale le scale per allontanarsi da me, dalla figlia che cerca il suo appoggio, dalla figlia che ha bisogno del suo affetto e dei suoi consigli, dalla figlia che spesso si è andata a riparare tra la sue braccia quando era bambina, non appena faceva arrabbiare la mamma e sperava che il suo papà, il suo supereroe, la proteggesse.

Mi alzo anche io a faccio per raggiungerlo, ma un No della mamma mi ferma seduta stante. Lei è l’unica che sa cos’è meglio in questo momento e io le do retta e mi risiedo a tavola, ma la voglia di mangiare mi è passata, almeno per stasera. Jeremy si alza dalla sedia e di posiziona dietro di me, portando le braccia attorno al mio collo e stringendomi forte in un abbraccio. Mi da un piccolo bacio sulla guancia e in quel momento mi rendo conto che sono veramente fortunata ad avere un fratellino come lui che mi faccia sentire meglio. Mi volto verso di lui e lo vedo sorridere, poi mi rigiro e appoggio la mia testa accanto alla sua.


- A quanto pare avevo ragione. Avrai veramente un pargoletto tra le braccia tra qualche mese. – come non detto. Speravo che almeno per adesso abbandonasse la sua vena ironica per consolarmi, ma Jeremy è così. Però in qualche modo ci riesce. Scoppio a ridere, perché per quanto possa essere assurdo, ha ragione. Ha sempre avuto ragione.

***

Caroline e Bonnie mi guardano stupite. Ho appena detto loro la verità e per poco le mie amiche non svengono tanta è la sorpresa. Siamo a casa delle mia amica bionda, nella sua camera e ne ho approfittato dell’assenza della madre per essere sincera con le mie due migliori amiche. Dopo una settimana non ho ancora detto niente a Stefan e anche se ho avuto un’occasione per dirglielo, mi sono tirata indietro.

***

La mamma ha continuato a ripetermi per tutta la mattinata di giustificarmi con il professore di educazione fisica perché sarebbe stato meglio se non mi fossi sforzata troppo. “I primi mesi della gravidanza sono i più critici.” Mi ha ripetuto mille e mille volte, ma io come al solito non le do retta e sto correndo attorno al campo da baseball come il prof Edge* ha preteso. Arrivata al quinto giro, non ce la faccio più. Mi manca il fiato e il cuore batte troppo forte. Mi fermo due secondi cercando di recuperare un po’ d’aria, piegandomi e reggendomi con le mani sulle ginocchia.


- Gilbert che fai? Continua a correre! – sono le intimazioni del coach ma le sue parole diventano sempre più ovattate mentre i suoni diventano silenzio, gli occhi non riescono più a focalizzare niente. Tutto diventa appannato e poi il buio.La prima cosa che vedo sono le luci al neon dell’infermeria. Roteo leggermente la testa e inquadro tutta la stanza per poi notare una testa con un ciuffo castano chiaro e i due occhi più belli che io abbia mai visto.

- Hey – mi sussurra prendendomi la mano. Io cerco di rialzarmi ma un forte giramento di testa mi costringe a ritornare a sdraiarmi. – piano, sta giù, devi riposare.

- Che cosa è successo? – gli chiedo. Non ricordo con esattezza quello che è successo.

- Hai avuto un calo di pressione per il troppo sforzo. – “e per la gravidanza” aggiungo mentalmente. Sono veramente tentata nel dirgli tutto, ma ho ancora paura della sua reazione e soprattutto non sono ancora pronta. Mio padre ancora non mi parla e ho paura che anche lui decida di allontanarsi da me. Per non parlare del fatto che il padre potrebbe essere Damon e non lui e già mi immagino la sua reazione, la sua rabbia e la sua delusione di fronte alla notizia che l’ho tradito e non con una persona qualunque, ma con suo fratello. L’unico che lo ha sempre aiutato, che lo ha cresciuto veramente e che gli ha insegnato tutto della vita. – durante la corsa di devi essere stancata molto e hai perso i sensi. Tua madre arriverà a momenti per portarti a casa.

E infatti mia madre arriva dopo qualche minuto. Mi rimprovera con lo sguardo perché mi aveva avvertita, perché il mio unico compito in questo momento è quello di stare attenta e di proteggere il bambino che cresce dentro di me. Ma invece di andare a casa, ci siamo fermate allo studio della mia ginecologa, la dottoressa Fell. Da quando ho scoperto di essere incinta non ho ancora fatto un’ecografia, ma la mamma si vuole accertare che vada tutto bene, che il bambino stia bene.

Meredith Fell è giovane, si è appena laureata in medicina e ha deciso poi di diventare ginecologa. Io e la mia famiglia ci fidiamo di lei perché anche il padre, prima della sua prematura scomparsa, era un eccellente medico. Lei è quella che mi ha fatto da baby-sitter, per racimolare qualche soldo quando era appena un’adolescente che già stava pensando al futuro. Praticamente lei mi ha cresciuta in parte e potete perfettamente immaginarvi la sua faccia quando le abbiamo detto che aspettavo un bambino. Si mette a piangere tanto è l’emozione e non mi giudica o non mi rimprovera. Anzi, mi fa gli auguri anche se non si rende conto che io sono ancora una diciassettenne che un futuro ben preciso in testa che adesso è ostacolato dall’arrivo di un’altra persona.

Mi fa accomodare su un lettino accanto alla macchina ecografica e mi alzo la maglietta della tuta, mentre lei inizia a spalmarmi il gel freddo con la sonda. Il macchinario si accende e mostra delle immagini in bianco e nero. È tutto molto confuso, io non ci ho mai capito un granché di ecografie e robe varie, ma vedo Meredith sorridere. Dopo qualche minuto di silenzio, si decide a parlare.


- Allora … il bambino sta benissimo. È di poche settimane, due per l’esattezza. – il sangue mi si gela. Due settimane fa non ho fatto sesso con Stefan. Lui era a New York, ma in compenso c’era Damon con me. – ma non ne sono sicura dovrei controllare in modo più approfondito, forse mi sbaglio di una settimana in meno. Forse questa è già le terza. – e la speranza ritorna a farsi spazio dentro di me.Dopodiché stampa le foto dell’ecografia e le dà a mia madre. Quando quest’ultima esce e io decido di parlare da sola con la mia amica barra ginecologa.

- Meredith ho un problema. – la guardo agitata mentre osservo la porta nel caso mia madre decide di ritornare. – non so chi è il padre del bambino.

- Come? Ma non è Stefan?

- Potrebbe non essere lui. – le dico a bassa voce.

- Elena, che hai combinato? – mi vengono le lacrime agli occhi e sbuffo frustrata dalla situazione.

- Ero ubriaca, eravamo ubriachi. Stefan non c’era e nella mia testa c’era solo lui e senza pensarci due volte ci sono andata a letto.

- Lui chi? – mi trattengo, prima di rispondere. Lei è la prima e forse l’unica persona a cui sto dicendo il mio segreto, ma so che mi posso fidare e che non lo andrà a dire a nessuno.

- Damon.Allarga gli occhi per la sorpresa e si lascia andare sulla poltrona della sua scrivania. L’ho lasciata senza parole, ma in fin dei conti non ha tutti i torti. Damon è otto anni più grande di me e io in confronto a lui ho poche esperienze di vita. Damon è quello che a venti anni prese un anno sabbatico per farsi il giro del mondo. Damon era quello che aveva avuto una breve relazione con Meredith anche se lui era tre anni più piccolo di lei. Damon è quel ragazzo che io non ho mai sopportato che quando ero piccola lui mi faceva i dispetti, dimostrandosi ancora più bambino di me. Damon era per tutti colui che io odiavo e che non riuscivo a reggere la sua vista per più di due minuti, che quando organizzavano i nostri genitori le cene tra i Salvatore e i Gilbert io cercavo ad ogni modo di ignorarlo e di dedicarmi completamente alle attenzioni del fratello. Eppure, come una pazza incosciente avevo ceduto come tutte le altre ragazze al suo fascino e al suo fisico e non avevo resistito anche grazie all’aiuto del suo maledettissimo Bourbon.

- Damon? – ripete sconcertata. – ma … ma è il fratello di … quel Damon?

- Si, quel Damon. Damon Salvatore e io abbiamo fatto sesso e adesso non so se il bambino sia di Stefan o sia suo e devo trovare un modo per scoprirlo.

- Per quello c’è il test del DNA.

- Perfetto …

- Ma devi essere maggiorenne o ti devi far accompagnare da un genitore.

- Che cosa? Meredith io compirò diciotto anni solo tra cinque mesi, non posso aspettare tutto questo tempo per conoscere la verità, sarebbe troppo tardi. Ti prego non è che potresti trovare un modo che io le faccia adesso? – la supplico e cerco di farle quel faccino che l’abbindolava così tanto quando ero piccola.

- Mi dispiace Elena, ma questo non lo posso fare. D’accordo a non dire nulla ai tuoi genitori su questo fatto, ma qui si tratta di una faccenda un po’ più grande. Dovrai aspettare che tu compia gli anni.

- Capisco. – le dico scoraggiata ed esco dal suo studio per raggiungere mia madre in macchina e avviarci verso casa.

***

- Ci sai dicendo che sei incinta? – mi chiede conferma Caroline – e chi è il padre?

- Sei un’idiota. È logico che il padre sia Stefan, giusto? – le guardo. Non posso dire loro che ho fatto sesso con Damon proprio su quel letto. Primo perché si alzerebbero disgustate all’istante, secondo perché soprattutto Caroline ne rimarrebbe disgustata. Lei è sempre stata in prima fila  per la mia campagna “odiamo Damon Salvatore” e non sono ancora emotivamente pronta ad affrontare il suo giudizio. Voi sicuramente vi direste: chi se ne frega! Ma non avete ancora incontrato la furia di Caroline e non vi siete mai scontrati con lei in un dibattito acceso. No, no, no … assolutamente no! Per adesso è meglio che loro rimangano all’oscuro di questa cosa.

Bonnie è sempre stata un po’ più pacata. È quella del trio che riesce a ragionare e  a dare il giusto peso alle cose. È in una posizione mediana tra me, che sono troppo riflessiva, e Care, che invece fa la maggior parte delle cose senza pensarci. Bonnie, invece mi farebbe già la solita ramanzina. Me la sta per fare adesso che le ho solo detto di essere incinta, figuriamoci se le dicessi che potrebbe essere di un altro.

- Certo, giusto. – emetto flebilmente. Ricevo due occhiatacce scettiche da parte di entrambe, ma lasciano perdere quasi subito.

- Senti, Elena … - inizia Bonnie e io so già cosa mi vuole dire. Come ho già detto, la solita ramanzina. – sbaglio o ti avevo avvertita del fatto che tu e Stefan dovevate usare precauzioni? – con gli occhi è severa e si è alzata dal letto per guardarmi dall’alto verso il basso – guarda cosa ti è successo? Sei incita, tra qualche mese diventerai mamma e … - all’improvviso si ferma, ha gli occhi lucidi e sta per scoppiare a piangere o meglio, si sta commuovendo – non ci posso credere che tu stia per diventare mamma! Anche se è presto è una cosa stupenda e … e … oddio Caroline ti rendi conto, vero? Diventeremo zie!

E io scoppio a ridere, un po’ perché non mi sarei mai aspettata una reazione del genere da parte della mia amica e un po’ perché nel dire “zie” cerco di mascherare anche la mia commozione. Ma alla fine è vero. Lei e Caroline non sono solamente le mie due migliori amiche, sono mie sorelle e le avrei sempre considerate come tali, non avrei mai rinunciato a loro due e sarei onorata se mio figlio le chiamasse veramente zie. Anche Care ride. Ride e mi abbraccia e sfiora la mia pancia. Mi dice che vuole sentire il bambino scalciare, senza rendersi conto che è troppo presto e dovrà aspettare il pancione prima.

- Vi posso chiedere di non dire nulla a Stefan? – chiedo loro dopo esserci calmate.

- Non glielo hai ancora detto? – mi domanda Caroline stranita.

- No, non ci sono ancora riuscita, ma lo farò il prima possibile. – affermo – vi chiedo solamente di mantenere il segreto fino a quando non gli avrò confessato tutto. Devo trovare le parole giuste e soprattutto devo trovare il momento giusto.

Mi giurano che Stefan non avrebbe scoperto nulla di questa faccenda, fino a quando non sarei stata io a deciderlo.


(qualche giorno dopo)
(Damon)
Lascio perdere i libri e tutto quanto. Li chiudo in una borsa e decido che questa settimana mi sarei dedicato completamente a mia madre, ad accudirla e a vegliarla, perché quel coglione di mio padre come al solito fugge da lei e per la troppa paura si distrae nel lavoro. Io invece no. Non ci riesco ad ignorarla e a trascurarla. Per me mia madre è tutto e da quando abbiamo scoperto del suo cancro, io cerco di trascorrere maggior tempo possibile con lei. Con l’unica donna che amo veramente. Quella che mi ha cresciuto e mi ha accudito, ma adesso è il mio turno. Stefan invece è come mio padre, si getta nello studio la maggior parte del tempo, anche se spesso la viene a trovare nella sua camera, ma quando lo fa, non riesce a trattenersi e piange, piange davanti a lei. Lui però non vuole mostrarsi debole davanti a nostra madre e quando lei le dice che sarebbe andato tutto bene, lui non ce la fa più e scappa via dalla stanza. Ma loro due non capiscono. Non riescono a comprendere che a lei non importa assolutamente nulla di che cosa fanno accanto a lei, purché rimangano accanto a lei. Lei vuole solo trascorrere più tempo possibile con la sua famiglia, prima della … prima della sua morte. Perché adesso ha deciso di lasciarsi andare, è stanca di combattere, lo ha fatto per tanti anni e ora si è arresa. Non vuole più. “Sono già pronta ad andarmene, Damon.” Mi ha ripetuto quella dannatissima frase milioni e milioni di volte. Frase che ha detto solo a me perché quello zotico di mio padre e quell’idiota di mio fratello non ne hanno avuto occasione troppo impegnati a non soffrire, senza rendersi conto che stanno facendo soffrire lei.
Busso alla sua porta socchiusa e la vedo, mentre è seduta tra le coperte del suo letto con la schiena appoggiata allo schienale in mogano, uno chignon disordinato che le regge i capelli e gli occhiali da lettura a montatura nera appoggiati sulla punta del suo naso, la vedo alzare la testa e guardarmi. Mi sorride contenta e io adoro il suo sorriso così splendente che brilla come quello di un bambino il giorno di Natale. Io intanto mi pregusto quella settimana completamente dedicata alla sua compagnia.


- Damon. – la sua voce è dolce  ancora ricordo quando da piccolo cantava a me e a Stefan per farci calmare.

-  Buongiorno Eléonore, vedo che oggi siete di buonumore. – e ride mentre entro teatralmente e mi inchino come un maggiordomo dandole del “voi”.

- Quando ti deciderai a crescere? – sbuffo a quella innocua domanda e so che sta cercando di riprendere un modo più amorevole il solito rimprovero di mio padre, ma io so come controbattere.

- Mai. – le rispondo – io sono l’eterno bambino, non lo sapevi? – prendo la sedia imbottita da vicino al camino e l’avvicino al letto.

- Allora resta a farmi compagnia, mio Peter Pan. – allunga entrambe le braccia verso di me e dopo essermi seduto mi sporgo in avanti per abbracciarla e sentire l’odore dei suoi capelli. C’è dell’aloe vera, ma i muscoli tesi mi distraggono e sento sotto i miei polpastrelli, che sfiorano la sua schiena, tutta la sua stanchezza, la sua tensione e in parte anche il sollievo di non rimanere sola. Quando ci sciogliamo, lei si toglie gli occhiali e posso osservare meglio il suo volto pallido e i suoi occhi così simili ai miei quasi del tutto spenti, con le occhiaie che ormai sono all’ordine de giorno. Perché so che non sta dormendo più, so che gli incubi vengo a farle visita ogni notte perché è sempre più sola. Perché quel bastardo mio padre l’ha fatta spostare in un’altra camera perché non riesce più a dormire con lei e lei è costretta a trovare una misera consolazione stringendo tra le braccia un semplice cuscino e solo qualche volta, io quando mi accorgo che è sveglia, sto con lei anche nelle ore più buie e smette di piangere.

- Come ti senti oggi? – le chiedo dolcemente.

- Bene. – e continua a sorridermi. – ho iniziato a leggere una nuova serie di romanzi fantasy! – e ci risiamo da quando ha scoperto della sua malattia ha deciso di cambiare alcune cose della sua vita. Si è fatta comprare un computer ultramoderno e ha deciso di leggersi le saghe fantasy proprio come fanno le ragazzine. Un po’ quel suo aspetto così bambinesco mi fa sorridere, perché alla fine anche io l’ho preso da lei.

- Da qua. Fammi leggere. – le prendo il libro di mano e leggo il titolo – Twilight? Sul serio donna, ti sei abbassata ai vampiri che luccicano come delle fatine?

- Hai detto così anche di Harry Potter lo scorso mese mi sembra, poi ti sei visto tutti i film con me.

- Harry Potter è diverso! – asserisco e scoppio a ridere perché discutere con mia madre è una battaglia persa fin dal principio. Lei è testarda e caparbia esattamente come me e in un qualsiasi tipo di dibattito si creerebbero fuoco e fiamme da parte di entrambi. – di che parla? Anzi no, non me lo dire, preferisco non saperlo.

- Ah che bel figlio che mi sono ritrovata! Non si degna di interessarsi a ciò che legge la madre.

- Ma che dici? – mi siedo sul letto accanto a lei e la abbraccio dandole un sonoro bacio sulla guancia e continuando a ridere – sai benissimo che mi interesserà sempre quello che fai: - poi sento vibrare il cellulare nella tasca una volta. – scusa un secondo.

Tiro fuori la scatoletta di metallo e trovo un messaggio da parte di Klaus: Hai deciso di uscire, si o no?

- Chi è? – mi chiede.

- È Klaus. Vogliono che io esca.

- E allora fallo.

- Non ti voglio lasciare sola.

- Damon! – mi rimprovera amorevolmente, accarezzandomi la guancia. – ti sei preso una settimana intera per stare con me. Cosa che non dovevi fare, non ti azzardare mai più a trascurare l’università! Almeno stasera esci e divertiti con i tuoi amici. Va e divertiti con Ric, Klaus e quel … oddio come si chiama, Vincenzo?

- Lorenzo mamma, o Enzo.

- Ecco, esci con quell’Enzo e ubriacatevi. Poi resterai con me domani. – le sorrido – ho i libri a farmi compagnia.- la scruto attentamente e decido di uscire, ma solo per questa sera.Aspetto Klaus che mi viene a prendere con la sua Ferrari nuova di zecca, ovviamente i Mikaelson non si fanno mancare mai niente, e quando arriva vengo accolto con uno strano appellativo che non mi sarei mai aspettato.

- Buonasera zietto. – lo guardo stupito e sorpreso. Ma che gli è preso?

- Buonasera anche a te … papà!

- Fai meno lo spiritoso. – mi ordina.

- Hai iniziato tu! – gli faccio notare.

- Ma io ho solo detto la verità. Non è Caroline quella incinta. – adesso è veramente strano.

- E sentiamo, vostra grazia, chi è che dovrebbe essere incinta?

- Oh, non lo so. Dimmelo tu, caro Zio. – sottolinea troppo quello zio e finalmente riesco a fare due più due.

- E … Elena? – chiedo tremante. Lui annuisce, dicendomi che Elena lo aveva detto a Caroline e che Caroline se l’era fatto sfuggire a lui, ma Stefan ancora non ne sapeva niente. Io intanto raggelo e mi sento sprofondare e allo stesso tempo morire. Ci mancava solo questa. Ci mancava solo il fatto che Elena fosse rimasta incinta e per di più che io e lei avessimo fatto sesso solamente poche settimane fa. Ergo, c’era la possibilità … oh Cristoforo Colombo**, c’era la possibilità che il padre sia io. Perché ricordavo perfettamente quella notte. Mio fratello a New York, tutti ubriachi e io e lei che sotterriamo l’ascia di guerra. Io che la bacio e che sono dentro di lei. Io che assaporo la sua pelle e lei che mi fa completamente e inspiegabilmente impazzire. Lei che, completamente brilla, forse non si ricorda di aver lasciato un bel segno viola sul mio petto che ho dovuto nascondere. Lei e le sue labbra che ancora ricordo perfettamente e le sue mani che desiderose viaggiavano sul mio corpo. Quella notte non avevo resistito. Avevo ceduto a quel fisico che fino a qualche mese prima non mi aveva per niente scalfito, ma l’alcol me l’aveva fatta guardare in una luce completamente diversa. Quando mi aveva baciato per quello stupido gioco, non ci avevo visto più. Ero in completa balìa delle sue labbra e delle sua lingua che lussuriosa mi leccava le labbra e lottava contro la mia. Era scappata nella camera di Caroline e io l’avevo seguita un’ora dopo, quanto tutti se ne erano andati e lì nella penombra non avevo resistito e l’avevo fatta mia e con mio grande stupore non l’avevo trovata inesperta come la credevo, anzi era stata grande. Era stata addirittura indimenticabile.Penso a lei durante il tragitto verso il Grill cerco a pensare ad  un modo per poterle parlare, perché praticamente non di vediamo da quelle notte. Lei totalmente presa dai sensi di colpa, come me in fin dei conti. Perché diavolo ero andato a letto con la ragazza di mio fratello? Che accidenti mi era preso? Solo al pensiero di Stefan che scopre tutto e io mi sento un verme schifoso.

Arriviamo al Mystic Grill e raggiungiamo Alaric e Enzo al bancone già completamente sbronzo. Mi guardo intorno prima di scolarmi in un sorso un intero bicchiere pieno zeppo di Bourbon e la vedo, seduta accanto a Bonnie che chiacchiera tranquillamente, fino a quando non si accorge che la sto osservando intensamente e le faccio cenno con il capo di andare verso il bagno. Dopo qualche minuto decide di seguirmi e chiudo la porta del bagno a chiave mentre le mi scruta silenziosa, ma con una nota interrogativa.


- Non ho molto tempo, che cosa vuoi, Damon? Stefan sta per arrivare.



*Il coach Edge è un personaggio della saga Gli Eroi dell’Olimpo (seconda serie di Percy Jackson e gli dei dell’Olimpo). Non mi guardate male, ma al momento sono priva di fantasia per quanto riguarda a nomi. xD
**Cristoforo Colombo: è l’imprecazione che Jo March del film Piccole Donne del 1948 (? La data deve essere più o meno quella) fa sempre. Mi sembrava carino metterla, tutto qui.

Note finali:
ed eccomi ritornata con il secondo capitolo di questa storia. Beh, non c’è molto da dire a parte il fatto che entrambi rimuginano molto sul fatto che hanno tradito Stefan. Povero Stefan! E dopo questo inizio di settimana che è stato eternamente lungo… vi giuro non voglio più sentir parlare di Pascal per il resto della mia vita, vi lascio questa cacchetta (sinceramente ditemi se è venuto bene il capito e ci vediamo alla prossima settimana).
Sempre con affetto, Mia <3 

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Capitolo 3
*** Incredulità. ***


3.
Incredulità.
(Damon)
- È vero?

- È vero cosa?

- È vero che sei incinta? – e la sua espressione è sorpresa perché non riesce a capire come sia possibile che io sappia tutto e allora le spiego il giro di voce che c’è stato e lei impreca a bassa voce la sua amica Barbie. Adesso mi sembra palese che abbia affermato alla mia domanda e decido di passare a quella successiva. – chi è il padre? – e mi guarda ancora, facendo finta di non capire.

- Che intendi, scusa?

- Ti riformulo la domanda. Qualche settimana fa noi abbiamo fatto sesso, sono io il padre del bambino? – inspira profondamente e si va a poggiare sul bordo del lavandino con una mano sul fianco mentre l’altra accarezza distrattamente la pancia. Non credo se si renda conto del gesto che sta facendo oppure non se ne ancora accorta, e quell’azione è un qualcosa di involontario che ormai ha iniziato a fare. Guarda verso il basso, su un punto indefinito del pavimento, poi alza il suo sguardo sul mio e adesso ho l’impressione che il suo volto sia diventato leggermente più pallido rispetto a qualche secondo fa.

- Non ne ho la più pallida idea. – mi gira la testa, non sento più il pavimento sotto i piedi e decido di andarmi ad appoggiare al lavandino accanto al suo.

- Che cosa intendi fare?

- Quando compirò diciotto anni farò il test del dna.

- Ma mancano ancora dei mesi, non c’è un altro modo? – la mano passa dalla pancia per strofinarsela sulla testa, come se si stesse scervellando per trovare un’altra soluzione.

- Devo raggiungere per forza quell’età, ho parlato con Meredith e mi ha detto che non c’è altra soluzione.

- Hai parlato con Meredith? – la scruto. Questa cosa dovrà rimanere un segreto per sempre. Verrà fuori solo se verremo a scoprire che il bambino che Elena porta in grembo è mio.

- Manterrà il segreto, me lo ha promesso, ma ha anche detto che non mi può far fare niente, almeno che non venga con me mia madre.

- Potrei accompagnarti io, infondo sono più che maggiorenne.

- Mi serve un tutore, Damon.

- Parlerò con Meredith, vedrò cosa posso fare.

Mi rimetto in piedi e la fisso per un’ultima volta prima di dirigermi verso la porta. Sto per sbloccare la serratura, quando sento la sua voce che mi richiama, che pronuncia il mio nome. Mi volto verso di lei con fare interrogativo e vedo che nella sua espressione c’è dell’esitazione. Ha paura di chiedermi qualcosa? Non si è mai fatta scrupoli nel dirmi niente. Non ci sono mai stati limiti tra noi due. Non ci eravamo mai sopportati molto e ciò, spesso ci aveva portato a discutere senza riserve.

***


- Sei un idiota, uno sbruffone, uno stronzo! Perché non ti fai mai i fatti tuoi? – siamo appena entrati in casa mia. Fosse stato per me non l’avrei mai fatta entrare, ma ormai sono quasi venti anni che Elena considera la villa Salvatore come una seconda casa e io ho perso tutti i diritti per vietarle l’accesso. È così abituata, che adesso appena entra getta giubbotto e borsa sul divano come se fosse a casa sua e accende da sola il camino.

- Su via, cognatina, che vuoi che sarà mai?

- Allora non ti rendi conto di quello che hai fatto? Ti ho appena sentito ridere con i tuoi amici perché hai sparlato di me e di tuo fratello con loro. Sei … sei … oh, insultarti non servirebbe a niente.

- Non farne un melodramma! – ironizzo come al solito. Davvero, non vedo cosa ci sia di male! Infondo, stavo solo scherzando.

- Non essere melodrammatica? Hai appena detto ai tuoi amici che hai beccato me e Stefan che facevamo sesso. Ma ti è dato rivolta il cervello? Perché ti devi inventare cazzate simili?

- In realtà io non mi sono inventato niente. – l’altra sera li avevo sorpresi veramente durante un amplesso, soltanto che loro non mi avevano sentito e sbadatamente, mio fratello aveva lasciato la porta aperta. C’era il lenzuolo che li copriva, ma io ai miei amici ho solo aggiunto il piccolo particolare che li avevo visti nudi e che Elena lanciava urli da cantante lirica. Ma mi stavo solo divertendo, che c’era di male? – ah proposito, bella perfomance! – ghigno e so che questo la farà infuriare ancora di più perché Elena odia essere messa al centro dell’attenzione. Odia e non sopporta che le si faccia notare qualcosa che ha fatto. Potresti farle il complimento più lusinghiero di questo mondo, ma lei arrossirà sempre per la vergogna e inizierà ad essere scontrosa. La sua carnagione passa da essere olivastra ad un bordeaux acceso che non le avevo mai visto addosso, a parte quando ad una recita di prima elementare che fecero lei e mio fratello, Elena si fece la pipì addosso e prima di scoppiare a piangere, si colorì di tutte le sfumature del rosso.

- Sei un …

- Forza avanti, dillo! Fremo alle tue parole. – Elena è una ragazza perbene non ha mai osato dire parole troppo volgari, nemmeno con me, perciò sono certo che le sue parole non mi scalfiranno minimamente. Almeno fino a questo momento.

- Sei uno stronzo, bastardo … figlio di puttana. – so che non voleva, ma quelle ultime tre parole le escono troppo fredde e io mi innervosisco, perché una cosa è insultare me, ma una cosa è insultare mia madre. Sembra troppo tardi quando si rende conto di ciò che ha detto, ma non le do’ il tempo di scusarsi e mi volto per salire al piano di sopra. – Damon, scusa io non volevo.

- Lascia perdere.

- Damon! – e a fermarmi non sono le sue parole, ma lo sono le sue mani che stringono adesso il mio polso destro e mi impongono di voltarmi per guardarla negli occhi.

Sta piangendo. Perché non voleva, perché Elena ama mia madre e lei è l’unica, come me, che riesce a darsi coraggio e a farle compagnia, perché è una delle poche persone che le fa tornare il buonumore e perché ha sempre trattato mia madre come una seconda mamma. Certo che non voleva! Non le è mai passato per la testa di insultarmi attraverso mia madre. Perché ha perso il controllo … perché io le ho fatto perdere il controllo ed è colpa mia se ho ricevuto quelle parole, come è colpa mia se adesso il suo volto è completamente bagnato dalle lacrime.

- Hey Elena. – mi avvicino a lei e con il pollice le sfioro la guancia per levarle qualche lacrima. La sua pelle è bollente e involontariamente mi sono avvicinato a lei, mentre sento il suo respiro farsi più regolare, mano a mano che le mie dita le sfiorano il volto. – non fa niente. Non è colpa tua se ti sono scappate quelle parole. Ti ho indotta io a insultarmi. Smettila di piangere!

La mia voce risulta troppo dolce rispetto al tono che vorrei avere. Volevo che fosse un ordine, ma mi sono uscite parole consolatorie, e un tono che io non avrei mai immaginato di usare proprio con la piccola e viziata Gilbert. Con l’altra mano le sto sfiorando un ciuffo castano che le si è spostato sugli occhi per riportarlo al suo posto e noto che i nostri corpi non sono poi così lontani. Fisso il mio sguardo nel suo e le sorrido per cercare di tranquillizzarla ancora di più. Mi sorride anche lei e, senza aspettarmelo, abbandona la sua testa sul mio petto. Il suo naso mi sfiora i pettorali, mentre le sue mani si aggrappano alla mia maglietta nera e la stropicciano. Ora capisco a cosa sta pensando. I suoi pensieri sono volati via ad altro, a mia madre, al fatto che sta morendo e che si sta lasciando portare passivamente alla sua fine. È affezionata a mia madre e quando le dicemmo che stavamo per perderla, Elena si rinchiuse nella sua camera per giorni e giorni. Un’altra sua caratteristica: quando sente troppo dolore, preferisce isolarsi per non guardare in faccia a nessuno e se per caso non si può rinchiudere in una stanza, chiude gli occhi e li nasconde tra le braccia di qualcuno cosicché il suo interlocutore non possa leggerle sul volto tutta la sua tristezza.

- Non voglio che lei se ne vada, Damon! – mi sussurra e io non so che dirle per consolarla perché non l’ho mai fatto, non è mai stato compito mio. Io sono colui che le provoca dolore, sono colui che si burla di lei e in tutti questi anni che ci conosciamo io sono sempre stato quello che l’ha fatta arrabbiare o piangere, non mi sono mai trovato ad interpretare il ruolo di mio fratello e non ho mai cercato di asciugarle le lacrime come oggi.Ricambio il suo abbraccio. Non mi interessa se questa situazione in questo momento mi è nuova, ma non ce la faccio, mentre lei mi chiede aiuto, a non risponderle e a deludere ciò che si aspetta. Ma portando le mia braccia sulla sua schiena, rimango sconvolto dal forte odore di rose dei suoi capelli e che mi intorpidisce senza alcun motivo, al suo naso umido che mi sfiora il collo e che mi provoca solletico emanando della scariche di energia che non riesco ad interpretare. Non riesco a fare più nessun movimento e questo mi lascia perplesso, ma decido di non pormi troppi interrogativi che mi porterebbero a chissà quale strana realtà, che sarebbe perfetta in un universo parallelo, forse.

- Perdonatemi, non vi volevo disturbare. – e sembra che quella voce ci separi immediatamente, come due mani che ci prendono per le spalle e che ci scostano bruscamente.

Mamma è appena scesa dalle scale e mentre si regge con entrambe le mani sul corrimano, sorride perché è contenta di rivedere Elena, almeno credo. In realtà sta fissando tutti e due e il suo sorriso sembra più che altro compiaciuto, e finalmente comprendo cosa le passa per quella sua testolina.

Fin da quando eravamo piccoli, la mamma ha sempre straveduto per me ed Elena. Non ho scoperto questa cosa fino a quando non si è ammalata e un giorno mi confidò che io e la ragazza in questione avremmo finito per innamorarci. Rimasi scandalizzato per quella sua affermazione, perché non avevo mai immaginato Elena sotto quel punto di vista …


- Eléonore, come stai? – Elena le va incontro e l’abbraccia per cercare di nascondere qualche lacrima rimasta sul visto.Osservo il fisico di Elena. È oggettivamente bella. Né troppo magra, né troppo grassa. Ha le curve ad ogni punto giusto e le lunghe gambe sono sempre fasciate da jeans che in realtà non la risaltano molto. Ama nascondersi in top semplici e d’inverno adora indossare maglioni che arrivano a coprirle anche le mani. Non è mai stata attenta all’aspetto esteriore, eppure la sua bellezza risalta comunque, eppure c’è qualcosa di lei che mi incanta.

Ripenso a questi ultimi mesi passati con mia madre a quante volte le ho chiesto di non esitare a chiedermi qualunque cosa volesse. Lei ha sempre negato, ha sempre sostenuto che tutto ciò di cui ha bisogno ce l’ha accanto, fino a quando non mi ha detto testuali parole: “Perché non ammetti che tra te ed Elena potrebbe esserci dell’amore?” e io a quella strana domanda, sono rimasto stupito e non per il fatto che io mi possa realmente innamorare, ma perché nella stessa frase c’eravamo io, Elena e l’amore. Questo è assolutamente impossibile. Io, Elena a malapena la sopporto? E inoltre lei è la ragazza di Stefan. Mi chiedo come si sia messa in testa questo pallino, come possa realmente formulare nella sua mente l’idea che la fidanzata del suo figlio più piccolo, dovesse appartenere al più grande. È praticamente assurdo. Elena è follemente innamorata di Stefan e io questo l’ho detto tantissime volte a mia madre, ma lei rispondeva sempre con un “Ne sei sicuro?” e come ogni volta, io rimanevo perplesso e interdetto.


- Io sto bene Elena. Invece che ti è successo? – le chiede dolcemente e la guarda protettiva con quegli occhi pieni di calore. – hai pianto, non è vero? Cosa ha combinato Damon questa volta?

Sbuffo, sbattendo le mani sui fianchi. Perché ogni cosa che accade ad Elena, deve essere colpa mia? Perché sono io quello che fin da piccoli le facevo i dispetti e ho continuato a fare così, e continuo a fare così.

- Damon non c’entra nulla. – e mi stupisco anche solo del fatto che mi stia difendendo – ho solo fatto un errore e mi ha aiutato a risolverlo.

- Allora è proprio vero! Ho sempre predetto questo momento! – so a cosa sta alludendo.

- Mamma, ti prego. – tronco la conversazioni sul nascere e decido di cambiare argomento – Perché sei uscita dal letto? Dovresti riposare, nelle tue condizioni …

- Nella mie condizioni? Damon ho un tumore, non sono mica incinta! – ironica, come sempre. E io ho preso proprio tutto da lei.

***

- Ecco … volevo sapere … che cosa faresti, se il bambino fosse tuo? – e quella domanda mi spiazza completamente perché in mezzora che ho appreso la verità non ho ancora pensato al futuro. O almeno ho pensato solo alle conseguenze negative. Se il bambino fosse mio, cosa avrei fatto? Ci penso un attimo su e mi lascio cullare da dei miei ipotetici futuri: io che prendo in braccio un neonato e gli sorrido, io che gli canto una ninna nanna sbagliando completamente le note, io che mi rendo conto che la creatura, che è davanti a me, l’ho effettivamente creata io. Mi viene da sorridere, perché è vero che ho venticinque anni e in teoria sarebbe ancora troppo presto, ma in realtà l’idea di un figlio … mi eccita.

- Mi prenderei cura di lui. – le rispondo – mi prenderei cura di te. – non le lascio il tempo di rispondere e esco da quel bagno, notando che al tavolo dove prima stava seduta Elena, adesso è arrivato anche mio fratello. Lo saluto con un cenno del capo e ritorno dai miei amici per bere qualche bicchiere di Bourbon. 

(Elena)

- Mi prenderei cura di lui. Mi prenderei cura di te. – sono dannatamente serie quelle parole. Io non ho mai visto in vita mia Damon così serio. Lui? Lui è il re dello scherzo, l’ironico di turno, colui che sgancia battutine sarcastiche anche quando non è un momento opportuno. Adesso, invece, è serio. I suoi occhi pieni di ilarità, mostrano un qualcosa che in lui non avevo mai visto, ma prima di riconoscere quel qualcosa, lui si volta e se ne va.Cerco di riprendermi, perché le sue parole mi hanno colpito tanto quanto il suo sguardo. Sorrido arresa a quella verità: se il bambino fosse stato di Damon, lui ci sarebbe stato. E non solo perciò che aveva detto, ma avevo compreso tutto quanto, appena dopo avergli fatto quella domanda. Si è lasciato scappare un sorriso e una fiamma nuova gli si è accesa viva, ma ancora troppo piccola, come se lui fosse felice di avere l’opportunità di essere padre.

Esco dal bagno, dopo essermi bagnata la fronte con dell’acqua gelata, e mi dirigo verso il tavolo. È arrivato Stefan. Mi siedo accanto a lui e gli do un leggero bacio a stampo, gli sorrido, ma il mio sguardo è leggermente voltato verso il fratello, che continua a bere e a scherzare con Klaus, Alaric e Enzo. Per fortuna lui non nota niente, nessuno dei due nota che sto ancora pensando a Damon e alle sue ultime parole. In qualche modo mi hanno colpito e in senso positivo.

Lascio che la serata scorri lenta al Grill mentre mi concedo di mangiare due o tre panini sotto gli sguardo sorpresi di Matt, Tyler e Stefan e quello divertito di Bonnie. Beh, che c’è? Io devo mangiare per due adesso! Caroline non c’è, si è presa l’influenza, ma infondo è meglio perché se questa sera ci fosse stata lei, Klaus si sarebbe unito a noi e con lui tutti i suoi amici, compreso Damon. No, meglio stare alla larga da lui, almeno per stasera.

Stefan mi riaccompagna fino a casa e ci fermiamo per un po’, seduti sul dondolo del portico. Ci baciamo e lui è incredibilmente dolce mentre mi cinge la vita con le mani e inizia a vezzeggiarmi il collo con le labbra. I baci diventano sempre più infuocati ed è proprio quando inizia a sfiorarmi da sotto il maglione grigio, con la mano la pancia e l’altra si avvicina pericolosamente vicino al seno, lo fermo.


- Stefan, me che fai? I miei genitori potrebbero uscire da un momento all’altro o potrebbe vederci un qualsiasi passante. – lo ammonisco.

- Lo so scusa, è che sei così bella! – sorrido a quel complimento e gli getto le braccia al collo per ritornare a baciarlo, ancora dolcemente.

Penso che questo momento sia semplicemente perfetto e tutto assume un senso. Io lo amo e lui ama me, questo è sicuro. So che il mio futuro sarà con lui e sono certa che questo bambino sia il suo. Perché noi siamo destinati a stare insieme e dannazione, è lui il padre! Mi abbandono ai suoi abbracci e mai come in questo momento, penso che sia il mio dovere dirgli la novità. Mi scosto delicatamente dalle sue braccia e alzo il volto per guardarlo negli occhi mettendogli una mano sulla guancia.

- Ti devo parlare di una cosa importante. – inizio – qualche giorno fa, ho scoperto una cosa e ho avuto paura nel dirtela subito, ma adesso sono pronta nel rivelarti la verità.

- Elena, mi stai preoccupando, che cosa è successo? – mi scruta pensieroso – insomma, avevo notato che c’era qualcosa che non andava in questi ultimi tempi … è qualcosa di brutto? Mi vuoi lasciare? – è diventato ansioso, il suo petto si alza e si abbassa ritmicamente, mentre le mani hanno ripreso a tremare.

- No, amore mio, non è niente di brutto e non ti voglio neanche lasciare. – entrambe le mie mani finiscono dietro la sua testa per accarezzargli  i capelli e appoggio la fronte sulla sua. Chiudo per qualche secondo gli occhi, lasciando che trovi il coraggio e le giuste parole, ma non ci sono mezzi termini, solo quelle undici lettere. – Sono incinta. – gli bisbiglio sulle sue labbra e lui si stacca bruscamente, spaventato da quelle parole.

La sua espressione è incredula. Si sta reggendo al bracciolo di legno ridipinto di bianco del dondolo e mi scruta come se fossi un’altra, come se non mi avesse mai conosciuto. Si alza immediatamente e si appoggia sulla ringhiera del portico con le braccia incrociate, iniziando a scrutare l’asfalto della strada. Rimane fermo  e immobile in un lungo silenzio. In realtà sarebbero solo pochi secondi, ma per me quella è un’attesa asfissiante.

- Parlami. – lo scongiuro e adesso mi sono alzata anche io per andargli vicino e per appoggiare una mano sulla sua spalla.

- Come è possibile? Credevo che noi … che noi due …

- Fossimo stati attenti? Lo credevo anche io, invece no. – gli dico dolcemente e gli afferro il volto per baciarlo sulla fronte e un po’ mi piace fare questo gesto un po’ materno, perché mi sembra che con Stefan che ha così paura di stare con la madre, io mi sento in dovere di prendere in parte il suo posto.
 Non lo biasimo. Se lui non riesce a stare accanto ad Eléonore avrà le sue ovvie ragioni. Una volta gliel’ho lette negli occhi, tutta la sua paura e tutta la sua tristezza. La vergogna di non riuscire a consolare la madre, quando era ancora in quella fase dove lui doveva essere consolato da lei. Quel senso di incompetenza. A Stefan non basta starle lì accanto, lui vorrebbe salvarla, lo so. Lui è così buono perché non si dà pace, perché vorrebbe trovarle una cura, ma sa che è troppo tardi e mentre io e Damon sfruttiamo gli ultimi mesi che le sono rimasta per farle compagnia e per renderla felice il più possibile, Stefan ha deciso di seguire l’esempio del padre cercando di ignorare il dolore che lo affligge. Damon si è incazzato così tante volte con lui, lo ha rimproverato ogni volta che ne ha avuto occasione, ma io non sono d’accordo. Ognuno gestisce il suo dolore come ci riesce, non sempre come vuole.

Torna a guardarmi e abbozza un sorriso che io ricambio prontamente.


- D’accordo. – dice – ci prenderemo cura di nostro figlio. – e mi abbraccia e mi bacia e io non potrei mai essere felice come in questo momento, mentre accetta di diventare padre. – Lui sarà nostro figlio. – mi sussurra.

- O Lei, sarà nostra figlia. – gli rispondo, sorridendo. Non sono felice. Di più. Sono euforica perché Stefan è con me. Stefan è la mia famiglia.

(Damon)
- Oh mio Dio! – la voce di mia madre è sconvolta. Ha praticamente buttato all’aria il libro che stava leggendo. Chissà perché ha abbandonato il fantasy ed è ritornata a leggersi Via col Vento? Non la biasimo, con i vampiri ha proprio esagerato.Ha cercato di voltarsi per guardarmi negli occhi, ma io le impedisco di muoversi. Mi sono sdraiato accanto a lei, sul letto, per lasciarla appoggiare sul mio petto. L’ho tenuta stretta tra le mie braccia e le ho detto la verità tutta d’un fiato: “Elena è incinta e forse sono io il padre!” Ok, avete presente quando ho detto che nessuno doveva sapere ciò che è accaduto realmente? Beh, le mie convinzioni sono andate a farsi fottere, non appena ho visto mia madre. Sto correndo un rischio nel dirle la verità, ma proprio non ci riesco a nasconderle niente e non perché io non sia bravo a mentire, ma perché lei è un’attrice nata quanto me e conoscendo tutti i trucchi, capisce quando sto recitando. Perciò prima di farle scoprire tutto quanto da sola, ho evitato i giri di parole e mi sono sfogato.

Batte le mani sul mio petto per cercare di liberarsi dalla presa e so quanto sia cocciuta, perciò dopo qualche secondo la lascio andare. Fa perno sulle mani e si gira per guardarmi. Il suo sguardo è decisamente criptico, non so cosa le sta passando per la testa e questo mi preoccupa. Potrebbe rimproverarmi da un momento all’altro, invece lei se ne sta in quella posizione, che tra l’altro richiede troppa fatica, invece continua a scrutarmi.


- Tu ed Elena avete fatto un figlio?

- Si, cioè no … cioè non lo so. – solo mia madre riesce a mandarmi in confusione in quel modo, anche solo con una semplice domanda. Poi fa qualcosa che non mi sarei mai aspettato. Ride, scoppia a ridere, portandosi le mani sulla pancia e affondando la testa nel cuscino. È proprio una bambina. Io mi alzo, oltraggiato dal suo comportamento e incredulo per una reazione esageratamente opposta a quella che mi  sarei aspettato. – Perché stai ridendo? Tu non dovresti ridere.

- Lo so, scusami. È che … me lo sentivo che prima o poi tu ed Elena avreste finito per amarvi!

- Mamma quante volte te lo devo dire. Io ed Elena non ci sopportiamo. Ci siamo ubriacati, è stata tutta colpa dell’alcol. – mi guarda ancora sorridente e si alza anche lei dal letto per poggiarmi una mano sulla spalla.

- Sai benissimo che gli effetti di una sbronza, qui non c’entrano niente.

- Possibile che tu non abbia capito il vero problema? Mamma Elena è la ragazza di Stefan e non si sa chi sia il padre, se io o lui.

- Fate il test del dna.

- Elena è ancora minorenne.

- Allora fatevi accompagnare da Miranda.

- Mamma nessuno sa che Elena ed io siamo stati a letto. Tu sei l’unica, non lo deve sapere nessun’altro. – si va a risedersi sul letto e io le faccio compagnia, mentre ripenso alla telefonata che ho fatto a Meredith per cercare di convincerla a tutti i costi di darci una mano.

***

“Pronto?”

“Meredih, sono Damon.”

“Oh ciao, che cosa vuoi?”

“Volevo … volevo parlarti della situazione di Elena.”

“Avete parlato?”

“Si … ecco io mi stavo chiedendo se cambierebbe qualcosa se io venissi al posto della madre, per accompagnarla a fare il test.”

“Non se ne parla.”

“Andiamo Mer.”

“Ho detto di no, Damon. Dovrai aspettare che Elena compia diciotto anni, per vedere se sarai padre.”

“Non c’è nessun’altra soluzione, non è vero?”

“No.” Un attimo di silenzio. Poi la sento ridere. “Ma lo sai che c’è? Che per quanto sia sbagliato che tu abbia fatto sesso con la ragazza i tuo fratello, spero che sia tu il padre del bambino.”

“Perché?”

“Perché un figlio ti farebbe bene, Damon. Riesco a vederlo.” Sospira “Tu che fai il papà. Ameresti tuo figlio più di qualsiasi altra cosa al  mondo e metteresti la testa a posto!” questa volta sono io che rido e non perché questa situazione è ridicola, ma perché credo che le parole di Meredith siano vere. Un figlio mi farebbe bene.

“Buonanotte, Meredith.”

“Buonanotte, paparino.”

***


- Credo che un figlio ti farebbe bene. – e ancora una volta quelle parole, questa volta dette da mia madre. Non riesco a capire come faccia ad essere così di parte, infondo anche Stefan è suo figlio, eppure lei, come Meredith, è convinta che questo bambino sarebbe la cosa migliore.

- Non è sicuro che sia io il padre.

- Io invece sono convita del contrario. Non trovi che sia una spaventosa coincidenza che Elena sia rimasta incinta proprio dopo che tu e lei vi siate finalmente concessi l’uno all’altra? – ok, va bene che sono grande, ma è comunque strano parlare di sesso con la propria madre. – Sono sicura che sei tu il padre.

- No, invece è solo una coincidenza. Sono sicuro che sia Stefan il padre e quando Elena avrà fatto il test la mia ipotesi verrà confermata. – per quanto mi farebbe piacere avere un figlio, però quel figlio non può essere anche di Elena, perché così perderei mio fratello. No, non posso essere io. Non devo essere io. 

Note finali:
Beh come commentare questo capitolo? Lo amo! Non riesco ancora a decidere quale sia la mia parte preferita. Il primo flashback di Damon? Quando parla con Elena in bagno? O meglio ancora la madre che tifa Delena? Non credo che sia un comportamento normale per mamma Salvatore, ma forse lei riesce a vedere meglio di chiunque altro la situazione, o no? E vediamo che anche Meredith spera che il figlio sia di Damon.
“Lui sarà nostro figlio. O lei sarà nostra figlia.”
Sono ufficialmente aperte le scommesse per il sesso del bambino! xD sono proprio curiosa di vedere chi azzeccherà … premio boh, non lo so. Lo metto nella storia? Sono capace, anche di affibbiarvi una piccola particina.
E dopo aver concluso, perché sinceramente credo di esser diventata pazza!

A presto e al prossimo capitolo, Mia <3

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Capitolo 4
*** Rabbia. ***


4.
Rabbia.
(Elena)
- Ora basta Grayson! Io non ne posso più dei tuoi continui sbalzi d’umore. Non ti sopporto! – sento le urla di mia madre che provengono dalla camera da letto dei miei genitori. Sta sgridando papà e la cosa mi sembra veramente strana, perché in diciannove anni di matrimonio i miei non avevano mai litigato in quel modo. Spinta da una certa somma di curiosità entro nel bagno per andare direttamente nella camera di mio fratello. La sua stanza è adiacente a quella loro perciò potrei sentire meglio la conversazione.Jeremy sta ascoltando della musica ad alto volume da delle cuffie rosse e non ha sentito ciò che sta accadendo. In un’altra occasione non gli avrei detto niente, ma in qualche modo gli devo spiegare la mia presenza in camera sua. Gli tolgo le cuffie dalle orecchie e gli faccio gesto di stare zitto per cercare di capire meglio. 

- Sbalzi d’umore? Ma andiamo, sei tu quella che ride e poi piange nello stesso minuto e inoltre stavamo discutendo di un altro argomento. Tu, Elena e Jeremy verrete con me, punto.

-Dio, ma ti senti. Vuoi che tutta la tua famiglia si trasferisca con te da un’altra parte, proprio mentre tua figlia scopre di essere incinta. Perché sei così egoista? Sapevi benissimo che io ti avrei comunque risposto di no per la situazione in cui ci troviamo, non possiamo abbandonare la vita che noi ci siamo costruiti qui a Mystic Falls. Perché metti sempre il lavoro al primo posto? La famiglia non è nulla per te? Io non verrò a New York!

- New York? Ma di che stanno parlando? – Jeremy me lo chiede a bassa voce. Ma quello che mi preoccupa di più non è tanto l’argomento, quanto il fatto che stanno litigando. Non avevano mai alzato la voce e ciò mi fa stare male. Male da morire, perché una grande paura che la mia famiglia si spezzi in quel modo mi attanaglia, più del dovuto.

- Non ne ho la più pallida idea.

- Credi che dovremmo andarcene? – mi chiede – insomma non sta bene origliare le conversazioni, anche se riguarda i nostri genitori e l’intera famiglia.Decido che alla fine ha ragione e quindi usciamo di casa per andare a pranzare al Grill, mandando un messaggio alla mamma. So che dopo non sarà in vena di cucinare e la mattinata si concluderà con la casa in fiamme, perciò è meglio lasciarli scaricare entrambi la tensione. Io e mio fratello camminiamo per le vie di Mystic Falls e ripenso alle parole dei miei. Mio padre si vuole trasferire a New York per lavoro e mia madre non vuole partire. Perfetto! Un altro problema grosso! Di certo neanche io mi voglio trasferire nella grande Mela. Qui ho le mie amicizie, le mie abitudini e adesso aspetto un bambino. Cielo, il bambino. Fino a ieri sera ero convinta che fosse di Stefan, ma finito il momento, finita la magia, ero ritornata alla cruda realtà. Non c’è nessuna conferma e nessuna prova che il padre sia del mio attuale ragazzo, ma ad ogni modo, lui (che sia Stefan o Damon) abita in questa cittadina e di certo non mi allontanerei mai da qui.

Perché diavolo non gli avevo confessato tutto? Ieri sera Stefan era lì davanti a me e io oltre a dirgli di essere incinta, avrei dovuto rivelargli anche di averlo tradito con il fratello maggiore. Ma non ne avevo avuto il coraggio. Era così felice e allegro che non mi sembrava giusto rovinare l’atmosfera. Ma non è nemmeno giusto, sempre nei suoi confronti, starmene zitta, facendo finta che le cose vadano bene, quando invece non è così.

I miei pensieri vengono interrotti dal clacson di una macchina che ci ferma e ci fa voltare verso la sua direzione. Un eccesso di azzurro si fa strada nei miei occhi e riconosco l’auto di Damon.


- Ciao fratelli Gilbert! – la sua voce è come al solito ironica e scherzosa anche solo per averci salutato. Tutto ciò non mi scalfisce, ormai mi sono abituata. – che ci fate tutti soli, all’ora di pranzo, di domenica? Di solito questo non è il momento più significativo della vostra famiglia?

- Ci sono state delle complicazioni. – gli risponde mio fratello e anche se non riesco a vedere il suo sguardo, coperto dagli occhiali da sole, Damon irrigidisce tutti i muscoli facciali e credo che lui abbia afferrato il vero concetto della frase di Jeremy. – stiamo andando a mangiare a Grill.

- Hamburger e altre schifezze di domenica? Che ne dite di venire a casa? La cuoca ha fatto il filetto alla Wellington.

E solo a sentire il nome di quel piatto mi è venuto appetito. Credo che la gravidanza mi stia giocando brutti scherzi  perché la carne non è mai stata la mia passione, ma adesso mi sta venendo l’acquolina in bocca e anche Jeremy si sta leccando letteralmente le labbra. È andata. Saliamo in macchina, mio fratello al posto del passeggero e io dietro. Damon parte, dando tutto gas e sfrecciando a grande velocità. Per caso si è dimenticato che sono incinta? Per non parlare del fatto che ha tolto il tettuccio e nonostante sia una bella mattinata soleggiata, è comunque inverno è l’aria è freddissima. Ma mi sto zitta, perché so che Damon ama il freddo. Gli piace sentire la pungente sensazione che gli provoca l’inverno e si rilassa fin troppo, ma non capisce che a non tutti piace l’idea di rimanere congelati nella sua auto. A lui però non gliene frega un bel niente, viaggerebbe con la sua Camaro in versione decappottabile anche durante una bufera di neve e nulla cambierebbe. Non si ammalerebbe comunque, non l’ho mai visto in vita mia con l’influenza o con la febbre, a parte quando io e Stefan gli mischiammo il morbillo.

Damon è così freddo e distaccato a volte. Ha capito che c’è un problema, ma non fa domande. Guida senza remore e lo fa sempre. Non esita mai in ogni cosa che fa, in ogni sua azione ed è questo che mi rassicura di più in tutta la situazione, perché anche se spero con tutto il cuore che mio figlio sia anche quello di Stefan, so che se per caso scoprissi che è il contrario, potrei fare ancora affidamento sulle sue parole. Su quello che mi ha detto ieri sera, che si prenderà cura di noi e questo mi rincuora. Mi tocco inavvertitamente la pancia e l’accarezzo dolcemente. In questi ultimi giorni ho imparato a fare questo gesto e devo dire che mi sta piacendo sempre di più. Sorrido involontariamente e guardo sul ventre, poi sollevo gli occhi e noto che lui mi sta scrutando dallo specchietto retrovisore.


- Che c’è? – bofonchio. Lui sorride  si toglie gli occhiali da sole, rivelando i suoi occhi.

- Hai un aspetto ridicolo. – si sta riferendo alla mia espressione, ma ancora non voglio che si vada a vedere che l’idea del bambino adesso mi metta allegria e perciò mento.

- Colpa tua. – gli faccio la linguaccia – se solo rimettessi il tettuccio alla macchina, adesso i miei capelli avrebbero una forma decente e non starei congelando dal freddo.

- Arrenditi. Lo sai benissimo che adoro questo tipo di giornate. – mi sporgo al centro dei due sedili anteriori e lui gira il capo leggermente per guardarmi. Prolungo il labbro inferiore, proprio come quando facevo da bambina e andavo dai miei per chiedere qualcosa.

- Ma non pensi nemmeno al bambino? – rendo la mia voce come quella che avevo a cinque anni e lui scoppia a ridere e io insieme a lui.

- Come? Gli hai detto che sei incinta? – mi irrigidisco alla domanda di Jeremy, di certo non so come spiegargli perché Damon sa già tutto, per fortuna lui mi salva da questo bel pasticcio.

- Ieri mio fratello è tornato a casa saltellando, dicendo a tutti che sei incinta. Potete immaginare le reazioni dei miei. La mamma è contentissima e già si immagina un futuro pieno di arcobaleni e unicorni. – la sua voce si incrina una poco – ma Stefan non si era ancora misurato con la rabbia di Giuseppe Salvatore. Papà è andato su tutte le furie e non vi nego che è stato molto divertente vederlo per la prima volta in balìa delle sue sgrida. Per una volta non sono io il disgraziato di famiglia.

Arriviamo nella villa dei Salvatore e intanto ripenso a quello che Damon mi ha appena raccontato. Entriamo in casa e subito mi scontro con Stefan che mi chiede il perché della nostra presenza. Io gli spiego velocemente la situazione e dopodiché ci dirigiamo direttamente verso la tavola da pranzo, dove ci aspettano un troppo pacato Giuseppe e una sorridente Eléonore.

- Elena, Jeremy! Che bello rivedervi. – la mamma di Damon e Stefan è sempre così gentile e grazie a lei il pranzo trascorre tranquillo.

Finito di mangiare, aiuto la cuoca a sparecchiare la tavola e anche Eléonore non esita ad aiutarci, mentre Damon e Jeremy si mettono a giocare all’ xbox e Stefan li guarda divertito ogni volta che bisticciano. Giuseppe è corso via. Cerco di far stare seduta Eléonore, ma lei si rifiuta categoricamente di andarsi a riposare e inizia a togliere i bicchieri dalla tavola.

- Anche tu in teoria ti dovresti riposare Elena. Nelle tue condizioni non si dovrebbe fare nessuno sforzo fisico, ma se lasciassimo tutto nelle mani degli uomini, questa casa diventerebbe un porcile. – rido alla sua battuta. – Forse Damon è il più casalingo, ma mio marito e Stefan butterebbero la testa in un libro o in un documento e non baderebbero a ciò che gli succede attorno. – continua a parlarmi mentre io mi piego per raccogliere dei tovaglioli caduti a terra. – Si, credo che Damon sarebbe un ottimo papà.

Mi alzo di scatto alla sua affermazione e la guardo spaventata. Lei si avvicina a me sorridendomi e mi accarezza amorevolmente una guancia. Come fa a sapere che … oh no ti prego, lei non può conoscere la verità. Non proprio lei!

- Mi ha raccontato tutto ieri sera. Tranquilla, il vostro segreto morirà con me. – e ride perché proprio in questo periodo parla sempre di morte e quelle sue solite battute che lancia non fanno ridere a nessuno tranne che a lei.

- Sembravi sicura prima, quando …

- Quando ho detto che Damon sarebbe un ottimo padre? E lo penso. Stefan è ancora troppo giovane per avere un figlio. Anche tu sei giovane, questo è vero, ma una donna  a qualsiasi età può diventare responsabile per il figlio. Per gli uomini è po’ diverso, a volte crescono in fretta e si prendono le loro responsabilità, ma spesso sono immaturi. Damon ha la stessa età che aveva Giuseppe quando rimasi incinta di lui, si prenderebbe cura di suo figlio. – lo so che si prenderebbe cura di suo figlio. Me lo ha già detto lui. Si prenderebbe cura anche di me. Mi volto verso i ragazzi e lo guardo mentre sconfigge Jeremy e non so quale gioco e lo deride spettinandogli i capelli.

- Questo non vuol dire perché sei  così convinta.

- Chiamalo sesto senso, io ho capacità quasi medianiche. Oppure ho un buon occhio e mi lascio convincere che tu e Damon sareste perfetti insieme.

- Che cosa? – la fisso stupita. Io e Damon? Insieme? Questo mai.

Io e lui litighiamo di continuo. Si, è vero, molto spesso scherziamo e ridiamo anche, ma questo non vuol dire che io provi qualcosa nei suoi confronti. Io amo Stefan, giusto? Osservo il mio ragazzo che continua ad essere spettatore degli spettacolini dei nostri fratelli. Ed è bello, incredibilmente bello. La sua carnagione scura, i capelli perfetti, gli occhi verdi e irresistibili. Sembra un principe, per non parlare del fatto che sia intelligente e bravissimo a scuola, gentile, ben educato e … e adesso mi sta fissando. Mi sorride e io sorrido con lui, ma Eléonore mi distrae ancora.

- Tu e Damon sareste perfetti insieme. – mi ripete.

- Forse in un’altra vita. – cerco di concludere, ma lei è caparbia.

- Davvero, Elena? Ne sei così convinta?

- Si, ne sono convinta. Io amo Stefan, ok? – se va in cucina per portare i piatti sporchi alla cuoca, lasciandomi con un grande punto interrogativo.Ho bisogno di stare da sola e quindi mi incammino verso il piano superiore. Il corridoio è buio ed è perfetto. Appoggio la schiena al muro e mi lascio cadere a terra. Io voglio che questo bambino sia di Stefan, ma se non fosse così, mi ritroverei con Damon tra i piedi a fare da papà a mio figlio. E per un momento lo immagino mentre tiene un bambino o una bambina tra le braccia e la culla, e osserva e contempla il suo volto.

- È un po’ deprimente non trovi? Stare qui al buio mentre noi ci stiamo divertendo giù. – alzo lo sguardo e incrocio i suoi occhi azzurri.

- Ti prenderesti veramente cura di noi, se il bambino fosse tuo? – mi guarda, sconcertato dalla mia domanda, ma subito dopo si siede accanto a me.

- Ovvio, io non vengo mai meno alle mie responsabilità, Elena. Se il bambino fosse mio figlio, cercherei di dargli tutto sia a lui che a te. – continua a guardare un punto indefinito avanti e a mormorarmi quelle parole. Io invece osservo e analizzo il suo profilo, la serietà con cui mi parla e non posso fare a meno di credergli perché Damon è così. Se sa che è suo dovere fare una cosa, è pur certo che lui non si ritirerà mai. Si volta verso di me e trovo qualcosa di diverso nei suoi occhi, qualcosa che non riesco completamente a leggere. Solo adesso mi accorgo che è troppo vicino, anche se una volta siamo stati molto più vicini di così. Si avvicina ancora di più e i nostro respiri si intrecciano. Sento la sua mano accarezzarmi la pancia attraverso la lana del maglioncino.

- Che fai? – gli chiedo incerta.

- Scusa, non dovevo. – fa per spostarla via da me, ma io la fermo e la riporto sul ventre, questa volta sotto gli indumenti. Sento il suo calore che mi riscalda stranamente, mentre il pollice si muove piano e mi provoca delle scariche lungo la schiena. Perché gli permetto di stare così e perché mi fa piacere? Scaccio via quelle stupide domande e mi concentro di più sui nostri movimenti. Si è messo di lato per stare più comodo con la mano, ma così facendo io mi sono ritrovata ad appoggiare la testa sulla sua spalla e il suo odore mi arriva alle narici, facendomi ricordare inevitabilmente quella sera. Al suo sapore, alle sue mani su di me e a quella strana sensazione che ancora non riesco bene ad interpretare. Probabilmente mi sento così perché so che Damon è, come lui ama definirsi, uno stallone. Cattura nel suo letto ogni tipo di ragazza, e tutte rimangono affascinate dai suoi modi di fare e al suo modo di fare sesso. Sorrido impercettibilmente a quel pensiero, perché anche io l’ho provato, so come è a letto Damon e nonostante io sia ancora pentita di averlo fatto, non posso non riconoscere che come serata quella fu veramente eccitante.

E se Eléonore avesse ragione? Forse sto lasciando che lui mi stia così vicino perché in realtà è lui il padre e inconsciamente l’ho già riconosciuto come tale. Mi lascia una piccolo bacio sui capelli e io chiudo gli occhi per un momento. Un quasi indomabile desiderio mi permette di avvicinare un po’ la mia bocca sulla pelle del suo collo. Non sto che mi stia prendendo, ma sicuramente non riesco a ragionare. Per fortuna la sua voce mi ridesta.

- Vedrai, andrà tutto bene. Sicuramente è Stefan il padre e tra qualche mese ci dimenticheremo questo brutto periodo.

- Già. – rispondo io. Mi alzo e senza più parlare riscendo dagli altri. Alla fine invece di restare da sola, mi sono ritrovata da sola con lui e questo non va bene.Adesso e Stefan che sta giocando con Jeremy e Eléonore li guarda al posto suo. Poco più tardi Damon ritorna, accompagnato da suo padre che vuole parlare con me e Stefan.

Due secondi dopo, siamo rinchiusi nel suo studio.

(Damon)
È da quasi venti minuti che mio fratello, Elena e papà si sono rinchiusi in quel dannato studio. So benissimo che lui vuole parlare loro del bambino, ma come informazione è un po’ troppo generica. Li vuole rimproverare? Probabile. Anche se non cambierebbe certamente la situazione, ma non credo che Giuseppe sia autorizzato a fare una ramanzina ad Elena. Osservo la porta dello studio. Ormai ho imparato a memoria tutti i particolari, tutti  i graffi e tutte le decorazioni che non la fanno più sembrare una porta, ma un pezzo di legno attaccato alla parete. Jeremy si è praticamente addormentato sul divano e la mamma si è messa a leggere, ma nel suo stato di quiete apparente, a volte alza lo sguardo verso la porta. È agitata pure lei, soltanto che riesce a mascherarlo alla perfezione, mentre io non mi do pace a cammino avanti e indietro passandomi in continuazione le mani trai capelli. Non dovrei essere agitato. Perché dovrei? Infondo è solo mio padre. Ma ho questa brutta sensazione che mi sta letteralmente lacerando da dentro e il rumore delle unghie di mia madre, che adesso stanno battendo velocemente sulla copertina rigida del libro, mi conferma che faccio bene ad essere preoccupato.

Poco dopo Elena esce dalla stanza piangendo, mentre sbatte violentemente la porta che viene subito riaperta da mio fratello che cerca di inseguirla, ma lei è più veloce ed esce da casa, senza prendersi il giubbotto. Si è fatta sera e fuori si congela.


- Che cosa sta succedendo? – chiedo a Stefan e noto con la coda dell’occhio che mio padre esce dallo studio che cattura completamente l’attenzione di mio fratello.

- Che cosa ti è preso? – gli chiede furibondo. – Quello che le hai chiesto di fare è orribile!

- Che cosa hai fatto, Giuseppe? – mi madre si alza dalla poltrona su cui era seduta e anche Jeremy si sveglia all’improvviso.

- Le ho chiesto di abortire. – è un attimo e lui è a terra con il labbro spaccato. Gli ho dato un pugno. E questo pugno non è soltanto per quell’abominevole richiesta, ma è per tutto quanto. Per tutte le volte in cui ignora la mamma, per la sua freddezza e per la sua stronzaggine e per il suo essere così malvagio.

“Mio figlio.” Penso irrimediabilmente. “Non ti azzardare a provare ad uccidere mio figlio.” Scaccio via quelle parole, prime che escano fuori dalla mia bocca. Ma vere o non vere, lui non deve neanche sfiorare l’idea di opzionare per l’aborto. Non permetterò mai e poi mai che Elena perda il bambino in questo modo.

- Mi fai schifo. – gli soffio violentemente prima di portarmi via Stefan e Jeremy e lasciare i miei genitori da soli a litigare. Perché anche mia madre adesso sarà furiosa.Usciamo di casa, ma non riusciamo a trovare Elena. Quasi sicuramente si è andata a rifugiare tra gli alberi, ma si deve calmare, tutta questa agitazione non le fa assolutamente bene.

Chiedo delucidazioni a mio fratello e lui mi dice che papà ha iniziato a ipotizzare un futuro con il bambino, sottolineando tutti gli aspetti negativi  e arrivando alla conclusione che non gli avrebbe fatto bene. Poi ha continuato con il parlare dei loro progetti e le loro ambizioni, fino a quando non è arrivato alla richiesta. Ovvero a quella di abortire.


- Ho fatto un casino. – mi dice. – Ho provato a contrastare papà, ma non ci sono riuscito. Lì Elena è scoppiata e se ne andata. Se solo fossi stato più duro, lei non sarebbe scappata in quel modo.

- Forse avresti dovuto tirargli un pugno come ha fatto Damon. – sospira Jeremy – ma così l’avresti fatto solo infuriare.

Ci separiamo nella boscaglia per cercarla, ma io so dove si trova. La beccai una volta in una piccola casetta (che più che altro è uno stanzino) di legno quando aveva dieci anni e io avevo la sua età. E infatti è lì, accovacciata a terra, che piange con la testa tra le mani sulle ginocchia. Non appena mi vede, scatta in piedi e mi abbraccia affondando la faccia nel mio petto. È troppo inaspettato come gesto. Come ho già detto, io ed Elena non ci sopportiamo e ogni volta che lei fa qualcosa del genere, mi sorprendo più del dovuto, soprattutto quando scopro che mi piace. Mi piace sentire l’odore dei suoi capelli, mi piace ricambiare l’abbraccio e provare a calmarla e mi piace semplicemente il fatto che lei in questo momento si sta fidando di me e si sta lasciando andare. Alzo una mano per accarezzarle la testa.

- Hey, Elena. Elena guardami. – alza il volto per rivelarmi i suoi occhi stracolmi di lacrime. Piccola. – ti prometto che non permetterò a mio padre di farti questo, ok?

- Ho paura, Damon. – mi dice e io riprendo a stringerla in modo protettivo. Nessuno li deve toccare, nessuno deve osare decidere sulla vita di qualcun altro altrimenti avrebbero dovuto affrontarsi con il mio lato peggiore, quello incazzato e incontrollabile, quello che tende ad esagerare e anche a fare del male pur di proteggere le persone a cui vuole bene. Perché è vero che io ed Elena non ci sopportiamo, ma la conosco praticamente da quando lei è nata e le voglio bene e se questo bambino sarà mio figlio, vorrò bene anche a lui, o a lei, più di quanto non gliene voglia già ora.

- Non devi avere paura. Io e Stefan non permetteremo mai che nostro padre ti faccia del male, hai capito? – annuisce strofinando il naso sul mio collo e sentendo il suo soffio sulla mia pelle come stava accadendo prima, su nel corridoio al buio. Aveva permesso che io toccassi la sua pancia nuda e la sensazione di essere entrato in contatto con il bambino mi aveva fatto stare bene, ma soprattutto di essere entrato in contatto con lei e con la sua pelle. La tentazione di farla sdraiare in una qualsiasi camera da letto della casa e di continuare ad accarezzare la sua pancia, mentre lei se ne stava tranquillamente appoggiata su di me, rilassandosi. È stato un desiderio sciocco e stupido, lo so, ma è appena un giorno eppure voglio ardentemente diventare padre. Elena mi sta dando l’opportunità di esserlo e non dovrei volerlo, perché se alla fine il bambino non fosse mio, crollerei e ne rimarrei deluso, ma voglio essere padre. Così sono egoista, perché Stefan non si merita tutto questo, ma ciò che vorrei e scoprire che lì dentro, nella pancia di Elena, ci sia mio figlio e vorrei gridarlo al mondo intero.

Cavolo, sono arrabbiato. Sono arrabbiato con mio padre e con la sua stupida richiesta, sono arrabbiato con me stesso per aver ceduto alla tentazione quella dannata sera, quando io ed Elena eravamo ubriachi e il suo corpo era diventato irresistibile, arrabbiato con me stesso perché l’avevo voluta, comportandomi come un vero egoista e senza pensare alle conseguenze e soprattutto sono arrabbiato per quello che provo in questo momento. Perché non voglio che finisca, non voglio che Elena smetta di piangere e che si stacchi da me, perché questo vorrebbe dire allontanarmi da mio figlio e ritornare a far finta che io non abbia nulla a che fare con lui.




Note finali:
buon salve a tutti voi che siete costretti a sopportarmi ( mi dispiace EFP è ormai una droga per me xD). Partiamo dall’inizio del capitolo.

La litigata tra Miranda e Grayson è aihmé molto importante. Purtroppo, già vi anticipo che ci saranno della conseguenze.

Per il resto vediamo che Eléonore fa capire ad Elena che anche lei vorrebbe che il bambino fosse di Damon e spiega in un certo senso le sue motivazioni. (Go El, go!)

Poi antagonista del capitolo è Giuseppe e io sono così cattiva che lo faccio sempre apparire come un bastardo senza cuore. (In realtà è il miglior cattivo per i miei gusti) Ma alla fine credo che la malattia della moglie lo stia semplicemente logorando e presto vedremo altri suoi comportamenti odiosi e/o contraddittori.

Poi arriviamo ai due momenti Delena del capito:

 
  1. La scena nel corridoio. Sarà schietta con voi, Elena si è lasciata coinvolgere dalla sua parte irrazionale e credo che mentre lei creda che il bambino/a sia di Steffy, una parte inconscia della sua mente spera che Damon sia il bambino.
  2. La seconda scena, quella nella casetta di legno, che si trova dal punto di vista di Damon, a parer mio è stupenda (o almeno io l’avevo immaginata stupenda, non so come sia agli occhi vostri, fatemi sapere xD) perché Damon è veramente un cuore di ragazzo, cioè di uomo. Ovviamente Damon dice , o meglio pensa “mio figlio” alla fine, ma non è ancora tutto sicuro per lui.
Al prossimo, Mia <3 (che sta rodendo perché mentre le sue sorelline sono fidanzate e hanno ricevuto cioccolatini e rose, lei continua a isolarsi e a non costruirsi una vita sociale xD)

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Capitolo 5
*** Paura. ***


5.
Paura.
(Elena)
Delle urla mi svegliano. Urla. No, non sono proprio urla. È più un pianto, qualcuno sta piangendo. Ho ancora gli occhi chiusi, ma percepisco la notte attorno a me. Percepisco anche le braccia del mio ragazzo che mi stringono forti e devo ammettere che sto comoda, calda e adoro sentire che la mia schiena combaci alla perfezione con il suo petto. Adoro sentire il suo respiro sui miei capelli e adoro poter sfiorare la mano del braccio che mi circonda, sul mio ventre. È bello dormire con lui, mi fa sentire protetta.
Il pianto continua e questo mi ridesta dai miei pensieri, perché mi accorgo che non è un sogno, ma è la realtà, e che quel pianto è di un bambino. Scatto seduta sul letto e cerco di focalizzare gli elementi nella stanza. Nulla. È troppo buio. Non riesco a scorgere nemmeno la figura che c’è accanto a me. Gli accarezzo una guancia per avere la certezza che lui ci sia veramente lì e mi piego per baciarlo sulle labbra. Mi piace tanto il suo odore di colonia.


A tentoni vado alla ricerca di una luce sul comodino, che non trovo. Allora mi alzo e provo a raggiungere l’uscita della stanza per poter andare nella sua cameretta. Lì c’è la luce, l’accendo e noto le pareti gialle. Io e lui non volevamo colori tipo il rosa o l’azzurro, avrebbero delineato troppo il suo sesso e questo non ci piaceva. Il resto dei mobili è bianco, compresa la culla con le api di peluche che fluttuano sospese nell’aria.
Sta piangendo. Forse ha fame, o forse c’è bisogno di cambiare pannolino o forse nello svegliarsi ha avuto solo paura, forse ha solo bisogno di stare con la sua mamma e il suo papà. Mi sporgo sulla culla e mi vede, mentre piange allunga le manine. È piccolissima la mia principessa, ormai ha qualche mese, ma è ancora un cucciolo e le voglio tanto bene. È diventata tutta la mia vita, la cosa più importante e la potrei fissare per ore, non mi stancherei mai.


La prendo in braccio e lei nasconde il suo volto nell’incavo del mio collo. Gli do un bacio sulla testolina ricoperta di capelli castani, proprio come i miei. È orgogliosa, la mia piccolina, perché nasconde i suoi occhietti color nocciola pieni di lacrime. Piange, eppure se ne vergogna. Strige forte, per quanto possa essere considerata forte una bambina, le braccia attorno al mio collo.


- Che c’è? Vuoi dormire con la mamma e il papà? – le chiedo dolcemente.

Credo che in un certo senso capisca quello che le dico perché le si sono illuminati gli occhi. Le sorrido ancora e le bacio la guancia paffuta che la fa calmare un po’.


Esco dalla sua stanzetta e ritorno nel buio del corridoio per entrare nella camera da letto.
Mi siedo pesantemente sul materasso e percepisco la sua mano che mi accarezza la coscia. Si è svegliato, comprensibile. Ma la mano risale sulla gamba e sfiora pericolosamente il bordo del pantaloncino. Mentre con una mano mantengo ancora in braccio la bambina, l’altra si posa sulla sua. Vorrei lasciarla lì. Continuargli a fargli fare quello che desiderava. Mi piace immensamente il suo tocco, lo sfiorarsi delle nostre pelli mi manda in fiamme anche in questo momento, ma non è il caso con una bambina, che si prodiga a mordicchiarmi la spalla nonostante sia senza dentini, quindi la scosto velocemente.


- Abbiamo una speciale spettatrice, non credo che sia il caso. – lo sento muoversi, si gira dal suo lato per accendere l’abatjour (che ingiustamente io non ho, ma lui sì), ma quando i miei occhi sono in grado di vedere ogni particolare, allora mi rendo conto che c’è qualcosa che non va.

Questa stanza non so di chi sia. Non è la mia, non è quella di Stefan. Mi è nuova … sa di nuovo. Ho l’impressione di aver appena comprato una casa, perché non l’ho mai vista in vita mia e anche il panorama che si scorge dalla finestra è diverso. Luci accese e vivaci che non sono tipiche di Mystic Falls. Questa non è Mystic Falls. Dove siamo finiti? Forse in una città perché ci sono dei palazzi molto alti, grattacieli. L’aria è più tiepida, non il tipico caldo estivo della Virginia.

Mi volto verso il mio uomo che è ancora voltato verso il comodino per controllare l’orario della sveglia. C’è qualcosa di strano è lui. È muscoloso, alto, ma la sua posizione assume un’aria sexy. Non che Stefan non sia sexy, sia chiaro, ma il corpo che c’è davanti a me è diversamente attraente. Inoltre, la pelle è più pallida e i capelli sono più scuri. Un dubbio mi si insinua nella mente, poi penso che devo solo essere stanca e assonnata. Soltanto che quando si gira, sono degli occhi celesti a fissarmi, non verdi.

Perché Damon è qui? Perché non c’è Stefan? Mi dovrei alzare immediatamente e chiedere spiegazioni, ma il mio corpo me lo impedisce. Anzi, mi sdraio accanto a lui, mettendo la bambina tra di noi. Credo di star sorridendo, sebbene io sia solo tentata di scappare. Damon sta guardando nostra figlia.


- Ciao principessina. – la saluta, dandole un lungo bacio e coccolandola con le mani.

Lei ride, contenta di stare tra le braccia del padre. E mentre la mia mente è completamente paralizzata dalla scena che mi si presenta davanti, il mio corpo si unisce a quei giochi di mezzanotte.

Coccoliamo e vezzeggiamo nostra figlia e qualche volta lui dedica dei baci unicamente a me. Sono belli, sono caldi e la mia bocca risponde con piacere al suo invito di far entrare in contatto le nostre lingue. Mi accorgo che porta solo dei boxer neri. Con una mano accarezza il mio braccio mentre l’altra  sfiora dolcemente la testa della bambina che si è addormentata.

- Ieri sera sei stata bravissima.

- Grazie. – gli dico, ma in realtà non so di cosa lui stia parlando, ma lo bacio un’ultima volta. – Ti amo, Damon.

- Anche io, amore mio e non sai quanto. – dopodiché spegne la luce e ci addormentiamo tutti e tre felici.

Mi sveglio di soprassalto e riaccendo immediatamente la luce. Sono tornata nella mia camera, nella mia casa, a Mystic Falls. È stato un sogno, solo uno stupido sogno. Ho appena sognato che diventavo madre di una bellissima bambina, ma che il padre era Damon, tutto qui, che c’è di male? Ah sì, forse c’è di male che Damon è il fratello del mio ragazzo e che io non posso anche solo pensare che sia lui il padre di mio figlio. Perché accidenti l’ho sognato? Mi strofino con le mani la pancia e guardo verso il mio ventre. Sto iniziando ad amare il bambino che aspetto, sono più felice. Ma credo che gli ormoni mi stiano facendo diventare pazza. Sono leggermente sudata, nonostante sia fine gennaio, e agitata, perché il sogno mi ha riportato alla mente parecchie preoccupazioni. Se scoprissi che Stefan non è il padre, mi ritroverei in un bel pasticcio. Io amo Stefan, ma lui non mi perdonerà mai e poi mai. Anche se fosse lui il padre, un giorno o l’altro scoprirà che sono andata a letto con suo fratello e tutto andrà a rotoli.

Non riesco a respirare. Forza Elena, inspira ed espira. Inspira ed espi … diamine, non funziona!

Ripenso alla serata precedente. Quando Giuseppe mi ha chiesto di dover abortire, mi sono sentita mancare, come se tutto il mondo si allontanasse da me. Io non ho mai pensato alla possibilità di abortire, di uccidere questo bambino. Va contro ogni mia convinzione. Invece, lui me lo ha chiesto e l’ha fatta sembrare la cosa più naturale di tutte. Ha considerato mio figlio come un problema, come una minaccia per la felicità futura mia e di suo figlio. È stato disumano. Io so che Giuseppe non è così. So che è accecato dal dolore per la malattia della moglie e so che sono passati anni dall’ultima volta che ha sorriso. Per questo non continuo a biasimarlo e non avrebbe senso continuare ad odiarlo per il resto della mia vita, ma in quel momento l’ho odiato e avrei voluto sputargli in faccia.

Invece sono scappata. Me ne sono andata lontano, uscendo di casa senza giubbotto in una sera invernale. La casetta era l’unico luogo che mi avrebbe fatto bene. Sono corsa lì e mi sono seduta a terra rannicchiandomi su me stessa per proteggermi dal freddo. Tirava un leggero vento e per un attimo mi sono sentita mancare il fiato. Poi ho scorto la figura di Damon, quando ha aperto la porta di legno sgangherata, e l’ho abbracciato. Da quando abbraccio Damon? Lui è il mio nemico, il mio incubo da quando ero piccola, eppure in quel momento solo le sue braccia hanno saputo come riscaldarmi. Solo il suo odore di colonia mi ha calmata e solo la sua risposta all’abbraccio mi ha fatto sentire protetta.

È questo il problema. Non mi è mai successa una cosa del genere. Io Damon non l’ho mai abbracciato, non l’ho mai cercato e non mi sono mai sentita così vicina a lui come in quel momento. Per questo motivo sono arrivata alla conclusione spaventosa. Che forse è lui il vero padre, che per quanto vorrei che fosse Stefan, lo vorrei con tutto il cuore, forse quella sensazione di benessere che ultimamente mi ritrovo ad avere solo con Damon è collegata al fatto che il bambino lo abbiamo concepito io e lui quella dannatissima notte a casa di Caroline.

Perché quella notte sono stata incredibilmente audace. Ho baciato Damon con una passione diversa da quella che ho di solito, gli ho chiesto se mi avrebbe continuato a baciare senza troppi scrupoli e ho fatto sesso con lui per la prima volta senza essere attenta. La mia mente era completamente andata e sicuramente il mio corpo non ha pensato, ha solo agito in preda ad un piacere nuovo, un piacere diverso da quello che mi ha mai dato Stefan. Perciò non ho impedito alla mia bocca di torturagli la pelle, lasciandogli un segno violaceo sul petto; non ho impedito alla sua lingua di assaporarmi ogni centimetro del corpo; non ho impedito che la sua erezione entrasse in me, sentendo quell’estasi proibita che mi rese più vogliosa di lui, sempre di più.

Sto male, sto terribilmente male. Perché sono pentita di ciò che ho fatto, ma non posso negare che quella notte è stata stupenda. Mi sento in colpa anche per questo, per non riuscire a negare che il corpo di Damon mi ha resa pazza di lui e io non ho saputo fare altro che cedere.

Inizio a piangere e a quanto pare non so fare altro. Inizio a piangere nonostante io non riesca a respirare. Sono gli ormoni … sono gli ormoni.


- Che mi combini piccolino? – gli sussurro.

E poi lo sento, come un ago che mi punta contro, il dolore più atroce che io abbia mai sentito. A stento riesco a respirare, ma cerco di calmarmi. Quando il dolore si placa, penso che sia tutto finito, ma riparte subito. Urlo perché è l’unica cosa che riesco a fare. Urlo con la speranza che qualcuno si svegli. Infatti mia madre dopo due secondi è lì che mi chiede cosa stia succedendo, ma io non le rispondo, troppo concentrata sul dolore. Jeremy si è fiondato in camera mia più tardi, arrivando attraverso il bagno trascinandosi rovinosamente la coperta che aveva addosso. Papà, invece, sta già chiamando il pronto soccorso e appena attacca la chiamata gli imploro di chiamare Stefan, di farlo venire da me.

L’ambulanza arriva, ma il dolore continua. Non so cosa fare, non so cosa mi stia succedendo e ho una terribile paura che stia accadendo qualcosa al bambino.

(Damon)
Ho il sonno molto pesante e molto tranquillo, nonostante la mia vita ultimamente fa acqua da tutte le parti. Mia madre sta per morire, mento spudoratamente a mio padre e ho fatto sesso con la ragazza di mio fratello lasciandola molto probabilmente incita, anche se quest’ultima cosa non è ancora sicura. Ma non mi lascio neanche scalfire da tutte queste preoccupazioni perché adoro riposarmi la notte e sono le uniche poche ore della giornata che mi allontanano dai vari problemi e dalle varie preoccupazione.

Giustamente, però, mio fratello mi viene a rompere anche nei momenti più rilassanti. Potrei continuare ad ignorare le sue mani che adesso mi stanno schiaffeggiando il viso, pur di farmi svegliare, ma in qualche modo mi devo vendicare del petulante ragazzino con cui condivido la casa.


- Cristo Stefan, che cosa vuoi alle tre del mattino? – mi metto a sedere sul letto e guardo mio fratello arrabbiato. Ma la rabbia si trasforma in preoccupazione quando vedo il suo volto spaventato. – Che cosa è successo? Alla mamma è accaduto qualcosa? – mi alzo del tutto e lo prendo per le spalle.

- Mi … mi ha appena … chiamato Grayson … - non c’è bisogno che continui.

Collego direttamente la chiamata con Elena. Deve esserle accaduto qualcosa, deve essere accaduto qualcosa al bambino. Una terribile ansia si prende possesso di me e abbasso per un attimo la testa per non far vedere a mio fratello la preoccupazione nei miei occhi, la voglia che ho di gridare perché ho un po’ paura. Non voglio che accada nulla di male al bambino. Infondo per adesso è al 50% mio figlio.

- Elena … io … devo andare all’ospedale. – dice alla fine.

- Ti accompagno. – dopo due secondi siamo già nella mia macchina diretti verso il Mystic Falls Hospital.

Le mie mani tremano. L’ultima volta che hanno tremato così è stato quando abbiamo scoperto che la mamma aveva il cancro.
Maschero il mio tremolio cercando di tamburellare le dita sul volante. Non mi voglio mostrare troppo debole e insicuro nei confronti di mio fratello. Così peggiorerei solo la situazione, lo farei diventare più nervoso e agitato e Stefan adesso ha bisogno di essere tranquillizzato e io ho il dovere di calmarlo. Sono il fratello maggiore, diamine! Devo essere sicuro di me e devo infondergli fiducia. Vorrei mostrarmi a lui per quello che sono, dirgli tutte le mie preoccupazioni, ma che razza di essere umano sarei? Peggiorerei solamente la sua situazione.
Non posso proprio sfogarmi con lui, mentre si sta uccidendo dalla preoccupazione.
Non posso digli che sto morendo dentro per Elena e per il bambino perché molto probabilmente sono io il padre e non lui.
Non posso mostrarmi nervoso e agitato, non posso mostrare la verità, quando di verità non ce ne sono, quando sono tutti se e tutti forse.

Mi blocco dal dire a Stefan “Hey fratellino, lo sai che qualche settimana fa mi sono ubriacato e mi sono portato a letto la tua ragazza? Quindi forse il padre sono io.” No, non ne sono capace.
Io, è vero che sono uno stronzo, ma non riesco ancora a dire a mio fratello tutto quanto, sebbene lui si meriti di sapere. E allora resto comunque uno stronzo perché se glielo direi si arrabbierebbe molto e questo gli farebbe male, ma sarei sempre stronzo se gli nascondessi ancora tutto, quando in realtà Stefan deve essere messo al corrente.

Ma ho troppa paura. Ho paura che lui si allontani. Ho paura perché questo dannato diciottenne che mi ritrovo per fratello sarà sempre la mia famiglia, anche quando la mamma non ci sarà più, anche quando papà inevitabilmente si allontanerà da noi perché avrà perso la donna della sua vita. Vorrei che Stefan rimanesse sempre. Non voglio perderlo. E quindi sono anche egoista, perché non voglio essere solo e perché non riuscirei a sopportare il suo sguardo arrabbiato quando gli dirò la verità. Prima o poi arriverà quel momento e so che più passa il tempo, più le cose peggioreranno, ma non ci riesco, ok?
Devo ancora metabolizzare il fatto che Elena sia incita, devo persino rendermi conto che effettivamente lei ha tradito mio fratello con me, che dopo diciotto anni di litigi stupidi e discussioni senza senso con quella ragazzina, io l’ho resa mia per qualche ora. E mi sto ancora chiedendo come mai quella sera io l’abbia voluta baciare.
Non mi voglio giustificare dicendo che è stato il terribile connubio di Bourbon e birra a far affondare la mia testa nel petto di lei, a baciare quelle labbra carnose e a strofinare le mie mani contro i suoi fianchi. No, l’alcol c’entra poco con il fatto che io ho sentito qualcosa, ma non qualcosa tipo dei sentimenti o amore. Io innamorato di Elena? Questo capita solo nella fervida immaginazione di mia madre che è convinta che sia io l’anima gemella di Elena e non mio fratello. Non è stato nessun sentimento, solo una profonda voglia di lei e del suo corpo. Quel corpo che prima di allora non ho mai notato, quel corpo che all’improvviso era diventato stupendo. Quel corpo che adesso ne sta creando un altro e sta male ed io sto male perché che io sia il padre o no, amo già questo bambino. Può essere mio figlio o mio nipote, ma gli vorrò sempre e comunque bene.

No, non posso perdere questo bambino.

***

Stefan entra nella camere dove Elena riposa, mentre Grayson e Miranda stanno parlando con Meredith Fell. Poi le chiederò cosa è successo, in privato.

Mi avvicino a Jeremy al bancone del bar dell’ospedale. Si sta prendendo un caffè, o forse questo è il quarto.


- Hey Damon. – si volta verso di me e mi fa un cenno con la testa.

Io gli rispondo con una veloce pacca sulla spalla e lui si rivolta tornando a fissare il vuoto davanti a sé.

- Novità?

- No, ma ha rischiato di perdere il bambino stanotte. – come immaginavo.

Bevo un sorso del caffè amaro che ho appena ordinato. Accidenti, è bollente! Ma almeno mi risveglia dal mio stato ipnotico che ho assunto negli ultimi secondi.


- Che cosa le è successo?

- Meredith dice che è per stress, che ci sono diverse cose che la preoccupano e che non riesce a stare tranquilla. Ma correrà sempre dei rischi fino a quando non riuscirà a sfogarsi con qualcuno.

- Lo ha fatto? – lo guardo preoccupato. Tra le cose che la stressano sicuramente ci sarà il fatto che abbiamo tradito mio fratello. Quindi se Elena non ha ancora parlato con i genitori, molto probabilmente lo starà facendo adesso con Stefan. – intendo dire: si è sfogata con qualcuno?

- No. Non vuole parlare. Si è chiusa in un silenzio e ha cacciato via dalla camera mamma e papà.

Non appena Jeremy pronuncia quelle parole, mio fratello esce dalla stanza numero 7. Sembra arrabbiato. Elena gli avrà detto tutto e questo segna definitivamente la mia fine come fratello maggiore per diventare uno stronzo di prima categoria. Getta il giubbotto che aveva tra le mani su una sedia della sala d’aspetto e tutti e quattro lo raggiungiamo per chiedergli qualcosa.

- Ti ha detto niente? – gli domanda Miranda ansiosa di avere notizie. Stefan mi guarda. Ha l’aria da “vorrei tirarti un cazzotto sul naso”, ma si trattiene.

- No! Non mi ha detto nulla. Ho provato a parlare con lei, ma mi ha cacciato via. Ho insistito, ma non c’è stato verso: vuole stare sola.

- Credo che forse dovrebbe riposare un po’. Quando si deciderà a dirvi cosa la preoccupa, allora lo farà. – interviene Meredith nella conversazione. 

Anche lei sta guardando me, ma il suo è più uno sguardo che mi sta avvisando di qualcosa. Elena ha parlato con lei, ne sono certo. Lo capisco dai suoi occhi. Sicuramente le ha detto qualcosa che centra con me, altrimenti non mi sentirei così sottoposto a qualche esame. Ho deciso. Parlerò con Elena. Devo parlare con lei e il più presto possibile, ma non posso farlo subito. Non posso di certo entrare nella stanza davanti agli altri.
Io sono l’ultima persona a cui di solito parlerebbe, ma in questo momento potrei essere la prima, visto che condividiamo un segreto troppo grande. Devo entrare quando non c’è nessuno, quindi aspetto.

Aspetto e più passa il tempo più le cose cambiano. Grayson se ne ritorna a casa riaccompagnando Jeremy. Lui e Miranda non hanno parlato molto. Sospetto che abbiano litigato e ho notato che tra i due i rapporti si sono molto raffreddati. Stefan è il primo che crolla sulla sedia blu, quella accanto al distributore di merendine e appoggia la testa sulla superficie fredda della parete della macchina mentre incrocia le braccia sul petto e stende le gambe.

Miranda ha sonno si vede, ma non vuole addormentarsi. Ha il volto stanco e sotto gli occhi due occhiaie che potrebbero fare paura. È intenzionata a non dormire, ma la sua stanchezza gioca a mio favore. Chiude gli occhi per due secondi, ma poi li riapre. Ad ogni modo, non si accorgerà di me.
Mi alzo e vado verso la porta con il numero 7. È socchiusa. La scosto leggermente per controllare se Elena sta dormendo, ma non è così. Ha acceso la televisione a basso volume e sta facendo zapping inutilmente. Non si accorge nemmeno della mia presenza.

È strana. Ha le sopracciglia corrucciate e il naso arricciato in una strana smorfia di fastidio. Nonostante il freddo, lei si è tolta le coperte e l’unica cosa che la copre è quella sottospecie di tunica che danno in ospedale. Le gambe sono stese lungo il materasso e la schiena è appoggiata sul cuscino messo in verticale. È bizzarra perché anche in ospedale si è portata insieme il suo adorato orsacchiotto di peluche per dormire. La solita.


- Sai dovresti riposarti. Non sei nelle condizioni di rimanere sveglia per tutta la notte.

Si volta immediatamente verso di me e sussulta quando mi vede, lascia cadere il telecomando facendolo rimbalzare sul letto.

- Damon!

- Prima di cacciarmi via come hai fatto con la tua famiglia e con mio fratello – inizio a parlarle – dobbiamo parlare.

Mi avvicino cautamente al letto e mi siedo sulla sedia accanto, ma è troppo bassa per poterla guardare in faccia e discutere con lei seriamente perciò decido di rialzarmi in piedi e di posizionarmi accanto a lei.
Siamo spalla contro spalla e le nostre mani si toccano. Un contatto da nulla se consideriamo la notte che abbiamo passato insieme qualche settimana fa o se consideriamo semplicemente quando ieri sera le ho accarezzato il ventre sentendomi come nuovo. Poiché, però, in questo ultimo periodo mi sto stupendo di troppe cose, rimando leggermente basito quando una sensazione calda attraversa tutto il mio braccio al suo tocco.


- Che cosa vuoi? – è scorbutica. Chi non lo sarebbe alle cinque del mattino dopo aver passato una notte da incubo? E poi stiamo parlando di Elena. Non mi dovrei stupire quando lei mi parla in quel modo. Alla fine siamo pur sempre io e lei. I due eterni litigiosi che non fanno altro che mandarsi frecciatine a vicenda.

- Parlare.

- Di che cosa?

- Di quello che ti è successo qualche ora fa.

- Non c’è alcun bisogno di parlare. – testarda. Eternamente testarda, ma io sono più cocciuto di lei.

Sollevo la mano e la porto sul suo mento. Non mi guarda negli occhi, perciò la costringo a voltarsi e per un attimo i suoi occhi arrabbiati mi fanno paura. Sembrano accusatori.

- Ce l’hai con me?

- No, non ce l’ho con te, Damon. È solo … è solo che mi sono molto spaventata e ho voglia di stare da sola per riflettere.

(Elena)
- No, non ce l’ho con te, Damon. È solo … è solo che mi sono molto spaventata e ho voglia di stare da sola per riflettere.

I suoi occhi celesti mi scrutano. Sembrano tristi e preoccupati, forse … forse impauriti, ma nonostante tutto Damon mantiene il suo carattere da duro. Lui vuole, anzi pretende di sapere che cosa mi passa per la testa. Lo so, perché è fatto così. Vuole tenere sottocontrollo ogni situazione.

- E su cosa ha riflettuto, sentiamo?

La sua mano ancora indugia sul mio mento. È salita un po’ più, sulla guancia e il pollice accarezza lentamente la mia pelle.
Perché ho solo voglia di dirgli tutto?
Perché ho cacciato Stefan, la mia mamma, invece non ho ancora chiesto a lui di andarsene?
È strano, è da pazzi ed è irragionevole voler continuare a guardarlo e sentirmi bene come ieri.
Come ieri, voglio che lui mi accarezzi il ventre. Voglio che consoli il mio bambino perché lui oggi rischiava di andarsene prima ancora di nascere, voglio che mi abbracci perché quello che ho provato nelle ore precedenti è stata la paura di soffrire. Non avevo programmato di avere un figlio, non così presto almeno, ma ormai il pensiero di diventare mamma mi si è insinuato nella mente e in un certo modo so che è capitata la stessa cosa a Damon. È capitata più a lui che a Stefan.

No, non c’entra il fatto che noi due condividiamo lo stesso segreto e in realtà non mi va di parlare di quello, visto che è stato “quello” a farmi questo. Non voglio pensare a tutti i problemi, voglio solo che Damon mi faccia sentire come ieri, che faccia bene al bambino.
Dio, sto ragionando come se fosse lui il padre, ma alla fine io ancora non so … no, basta! Mi sono promessa che per qualche ora mi devo dimenticare di quello che mi fa male.


- Mi abbracci?

Non rispondo alla sua domanda, ma gliene faccio un’altra e a due semplici parole i suoi occhi da impauriti si raddolciscono e la mano sulla guancia si protende verso la nuca e attira la mia testa verso il suo petto. Mi avvolge in un abbraccio diverso da quello di ieri, perché mentre ieri avevamo paura di perdere il bambino, questa notte abbiamo provato veramente l’emozione di perderlo concretamente e non voglio più provare una sensazione del genere.

- Ci abbracci?

Lo sento sorridere sui miei capelli.

- Certo.

Mi distacco leggermente da lui, vorrà sicuramente accarezzare la pancia come l’altra volta, invece fa qualcosa che non mi sarei mai aspettato. Mi fa stendere supina e lui fa la stessa cosa mettendosi di fianco più giù. Appoggia la testa sulla pancia mentre con l’altra accarezza la mia vita. Metto le mie mani trai suoi capelli neri e premo leggermente per farlo aderire di più.
È stupenda come sensazione, meglio dell’ultima volta! Damon ha questo potere calmante su di me che mi manda in estasi.

Sono reazioni inaspettate, i brividi che mi percorrono per tutto il corpo mentre mi tiene stretta, come è inaspettato il bacio che posa sulla pancia all’improvviso. Si irrigidisce non appena lo fa. Non si è aspettato nemmeno lui quel gesto. È qualcosa di nuovo carico di un’energia pulita che mi riscalda tutta.

Perché più passa il tempo e più penso che sia lui?
Ritorno al sogno che ho fatto prima di sentirmi male. Damon che mi ama e io che amo lui. Tecnicamente impossibile anche se Eléonore non è d’accordo. Lei dice che noi due saremmo perfetti come coppia, ma io non appena mia ha detto quelle parole ho provato ad immaginarci sempre a litigare e mai d’accordo per ogni cosa. Poi, il sogno mi ha dato un’ottica diversa. Mi ha mostrato un mondo parallelo dove io e Damon siamo innamorati e dove cresciamo nostro figlio, costruendoci la vita perfetta, fatta di amore e ancora amore.
Ma è stato un sogno per l’appunto. Nessuna rivelazione, nessuna verità svelata. Solo la mia fantasia che ha viaggiato parecchio durante la notte.

Sono uno schifo! Amo Stefan, lo amo con tutta me stessa. Ma gli ho detto che aspettiamo un bambino e intanto mi lascio consolare dal fratello.

Piango.

(Damon)
Sento Elena singhiozzare. Sta piangendo e non so perché, allora cerco di rialzarmi, ma le sue mani mi impongono di restare lì dove sono, sulla sua pancia accanto al mio bambino.
Ebbene sì, ho detto il mio bambino, perché mai come in questo momento sono convinto che lui sia mio figlio. Non ho mai sentito una legame così potente con Elena prima di adesso e l’unica spiegazione è quel piccolo esserino che lentamente sta crescendo. Deve essere per forza mio figlio, altrimenti non avrei mai lasciato mio fratello nella sala d’aspetto da solo con Miranda ed essere scappato qui per lei. Io per lei non ho mai fatto così tanto, eppure adesso lo sto facendo perché per una distrazione ho creato qualcuno. Sono sicuro, l’ho creato io.

 Altrimenti non mi sarei sdraiato sulla pancia di Elena, non appena le mi ha chiesto di abbracciarli entrambi. Non le avrei lasciato quel bacio così fulmineo senza pensarci due volte. E adesso ho una voglia così potente di accarezzare la pancia e parlare al fagiolino che c’è all’interno che potrei benissimo farlo, ma Elena inizia a piangere e mi blocco. Resto fermo su di lei e la sento scaricare tutta la tensione. Ne ha bisogno, per il suo bene e per il bene del bambino.

Solo quando ha finito sollevo la testa per provare a vedere il suo volto. Gli occhi color nocciola sono contornati di rosso come lo è il naso. Le guance sono bagnate e io allungo la mano che prima le sfiorava il fianco per asciugarle un po’ il viso.

Mi sorride. Io ricambio e non me ne accorgo, ma questo la fa stare meglio perché tira un sospiro di sollievo e ritorna ad accarezzarmi i capelli. Quelle maledette dita che quella notte mi toccarono e mi fecero andare di matto! Ogni cosa finisce sempre con il riportarmi lì, a quel momento. Quel momento che ho sempre un po’ odiato, ma ora ringrazio il cielo perché ci è stato e perché ha concepito mio figlio.

Dio, quanto vorrei urlarlo. Mio figlio! Perché non dovrebbe essere così? Perché dovrebbe essere di mio fratello che non è riuscito nemmeno a far tranquillizzare la ragazza? Mio figlio, mio figlio … mio figlio.
Elena, tu ed io abbiamo fatto almeno una cosa meravigliosa e nonostante la paura di questa terribile notte ora sono felice perché sono accanto a lui e non vedo l’ora che nasca, non vedo l’ora che questi nove mesi passino veloci, anche se ho l’impressione che saranno i più lunghi della mia vita, perché lo voglio vedere, lo voglio abbracciare, lo voglio cullare. Voglio mio figlio.

La tentazione è troppo forte. Ho il desiderio di riprovare la stessa famigliarità che ho provato prima. Ritorno a baciare la pancia. Un bacio lento dopo l’altro e Elena non dice niente, non protesta. Qualche volta trattiene il respiro perché è orribile lasciarsi toccare in questo modo dal fratello del proprio ragazzo, ma io in realtà non sto baciando Elena, sto baciando mio figlio, giusto?

Quindi in un certo senso, sono giustificato a starle così vicino. Non voglio fare nient’altro, quando in realtà mi basterebbe poco per sollevarle quella tunica che sa di medicine e disinfettanti e toglierle le mutandine e per assaggiare il suo sapore, ma non mi va. Non mi va di fare sesso con lei, mi va di cullare il mio bambino.

I miei baci vengono interrotti da una tosse che risulta abbastanza finta. Ci voltiamo entrambi e troviamo sia Meredith che Miranda osservarci stupite.

Mi rialzo immediatamente, cerco Stefan con gli occhi, ma per fortuna lui non c’è, lui non è qui. 

Note finali:
salve a tutti! Partiamo dall'inizio del capitolo ... 
Elena che sogna che Damon è il padre (in quel caso) di sua figlia. Per il resto del capitolo ho ovviamente mantenuto il maschile per rimanere genrica. Ancora non si sa il sesso!

Quando la ragazza si sveglia, il suo monologo interiore la porta sempre ai suoi soliti problemi e per un po' si lascia convincere che per un motivo o per un altro, Damon sia veramente il padre del bambino.
Poi ha dei dolori forti, ora io che non ci capisco nulla di medicina avrò ho cercato di essere generica per non sgarrare troppo.
Elena ha rischiato l'aborto spontaneo e fa chiamare Stefan (vosto che in teoria è lui che ama).

Poi c'è la preoccupazione per Damon durante il viaggio verso l'ospedale e quando ormai a notte fonda decide di andare a parlare con Elena, che per fortuna è  più che sveglia, ma credo che il pezzo migliore sia quello di Damon che adesso è convito che sia lui il padre. Perché sente quei sentimenti così particolari e speciali che sarebbe strano non esserlo.

Colpo di scena ... Miranda becca sua figlia e il fratello del suo ragazzo in una "posizione" moooooooolto intima.

A voi il giudizio, Mia <3
 

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Capitolo 6
*** Illusione. ***


6.
Illusione.
(Elena)
Ferma. È tutto quello che faccio: restare ferma. Mi limito a giocherellare con i suoi capelli come se fosse la cosa più normale al mondo, invece non lo è. Non è normale che Damon sia sdraiato accanto a me in un letto di ospedale, non è normale che Stefan sia lì, nella sala d’aspetto, mentre suo fratello è qui e soprattutto non è normale che lui mi stia baciando la pancia, anche se ho capito che tutte queste attenzioni sono rivolte al bambino.

Sto ferma e a quanto pare è tutto quello che so fare. Non mi muovo. Assorbo con incredibile lentezza i baci di Damon e quando li sento troppo intensi, mi manca l’aria e necessito inspirare profondamente prima che quel gesti mi porti nell’oblio.

Sto ferma e conto quanti baci mi sta dando. Uno … due … tre … e continuano ancora e dopo un po’ perdo il conto. Perdo il conto perché mi lascio distrarre dalla sua mano posata sul fianco, perché le mie mani si perdono nella sua chioma corvina e setosa, perché solo adesso mi accorgo che una sua gamba è intrecciata tra le mie.

E probabilmente non si è neanche accorto che lo ha fatto. Non si è accorto che si è avvinghiato a me come un koala e non è da lui tutto questo affetto, come non è da me calmarmi in sua presenza, quando prima Damon mi metteva solo in agitazione.

È strano che io stia qui ferma mentre mi posa dei lenti e lunghi baci così diversi da quelli di una notte che a me sembra ormai troppo lontana, ma non ancora sbiadita. Ci eravamo ripromessi che l’alcol avrebbe fatto il suo effetto che avremmo dovuto dimenticare tutto quanto. Invece ogni singola immagine è lì ferma che ritorna nella mia mente, perfetta e mai sfocata.

Sto ferma mentre so che è tutto sbagliato quello che stiamo facendo. Lui non dovrebbe essere qui a coccolare il bambino. Ci dovrebbe essere Stefan! Eppure ho questa strana sensazione che mi sta dicendo che tutto è al suo posto. Questa insolita sensazione che non fa altro che darmi un senso di adeguatezza. Questa sensazione, difficile da interpretare, che mi fa stare immobile, in balìa della sue braccia e delle sue labbra.

Ma io non voglio, non voglio … non voglio accidenti!

Non voglio sentirmi così bene e così tranquilla. Non con Damon. Non voglio che sia lui il padre perché questo vorrebbe dire che la mia vita cambierà del tutto. Stefan mi odierà e chissà cosa penseranno di me i miei genitori, la gente. Guardatela, la diciottenne che si è fatta mettere incinta dal fratello del suo ragazzo, che vergogna!

Non voglio tutto questo. Voglio solo questo bambino, per adesso. Voglio lui e voglio Stefan. Giusto? Allora perché è Damon il ragazzo che negli ultimi giorni mi sta facendo sentire bene? Perché proprio con lui ho pianto? Perché ho cacciato via mia madre, mio padre, Stefan e invece ho chiesto a lui di abbracciarmi? Che cosa c’è di sbagliato in me? Che cosa mi porta a stare ferma con le sue labbra incollate sulla mia pancia?

Per un attimo mi assale la paura che la cosa sfoci in qualcosa di più, che le sue mani si portino sotto la tunica dell’ospedale e che tocchino punti molto intimi. Ma non lo fa e a quanto pare non è sua intenzione andare oltre.
Lui vuole solo rimanere così e la cosa mi sorprende. Damon non è così … affettuoso. Non dona la sue attenzioni a nessuno tranne che a sua madre. Non si mostra per quello che è veramente. Damon è così … chiuso con il mondo, chiuso con gli altri. Non mi ha mai abbracciato, ma a quanto pare nell’ultimo periodo è diventata un’abitudine troppo frequente. Spero che non diventi un’abitudine anche questa storia dei baci sulla pancia perché sarebbe come aggiungere benzina sul fuoco. Non posso permettere che il mio star bene dipenda dai suoi gesti, non posso legarmi così a lui. Si, forse è il bambino, forse è lui che sente la vicinanza del suo “ipotetico” padre.

Allora non dovrei preoccuparmi, perché se nel caso scoprissi che questo è il figlio di Damon, dopo la sua nascita dovrebbe ritornare tutto come prima, no? Ma allo stesso tempo questo costituirebbe un bel guaio. È contorto, tutto troppo contorto, perché se il figlio invece è di Stefan allora quello che provo non è per niente giustificato e implicherebbe che tra me e Damon stia nascendo qualcos’altro. E questo mi spaventa, mi spaventa anche di più di diventare madre, perché ogni mio singolo progetto, ogni mio desiderio cambierebbe in funzione sua, in funzione dell’uomo che continua ad essere aggrappato a me.

Ho appena pianto. Perché mi sento male, perché mi sono appena ripromessa di non pensarci, almeno per stasera. Ma come al solito, tutti i miei piani vanno a farsi benedire. Allora decido di non vergognarmi, non con lui. Perché al contrario degli altri, lui è l’unico che sa tutto, l’unico che sta provando le stesse cose che provo io in prima persona.
Ho pianto e non me ne pento. Forse è questo il problema. Perché se Damon ultimamente ha preso l’abitudine di abbracciarmi, io ho preso l’abitudine di abbandonarmi a lui e di stare meglio.

Però tutto questo, tutta l’atmosfera che ci circonda viene smorzata da un colpo di tosse molto secca. Un colpo di tosse finta, mi sembra, che mi porta a roteare gli occhi verso la porta, come Damon che smette di baciarmi per voltarsi. E un po’ mi dispiace che le sue labbra si siano discostate dalla mia pancia, lo ammetto.

Ci sono Meredith e mamma e per un attimo il mio cuore non batte più. Meredith sa tutto e capisco che è stata lei a tossire per avvisarci, ma adesso guarda la punta delle sue scarpe, imbarazzata perché si ritrova in mezzo ad una situazione non sua. Mamma invece ha gli occhi sgranati. Non credo che lei abbia mai immaginato una scena del genere tra me e Damon.

Lui si alza immediatamente, facendomi sentire al freddo. Muove la testa e gli occhi come a cercare qualcosa, o qualcuno. Per nostra fortuna quel qualcuno non c’è. Non voglio che Stefan sappia tutta la verità in questo modo.


- Mamma!

Il mio è appena un sussurro, eppure lei ha sentito la mia voce. Mi guarda sconcertata. Non disgustata, ma sicuramente non si è mai immaginata di avere davanti una cosa così.

Noto uno scambio di sguardi tra Damon e Meredith.


- Sarà meglio che io esca. – dice lui.

Entrambi escono richiudendosi alle spalle la porta, lasciandomi sola con mia madre che si sta avvicinando lentamente, passo dopo passo, al mio letto. Trovo nei suoi occhi marroni, come i miei, un guizzo di curiosità. Non mi sembra preoccupata, solo curiosa.

- Che cos’era quello?

E sono senza parole. Come faccio a spiegare a mia madre tutto questo casino?

- Siediti per piacere. Devo raccontarti una cosa.

Lei mi ascolta, fa quello che dico. Si siede ai piedi del mio letto e io allungo automaticamente una mano verso di lei che prende subito.

- Qualche settimana fa, quando Stefan era a New York, andai a casa di Caroline per un pigiama party. Soltanto che quel pigiama party divenne una piccola festa tra amici e ci ubriacammo.

- Avete fatto cosa? Elena!

- Si lo so è stata una sciocchezza, una grande stupidaggine, ma il punto è che a quella festa c’era anche Damon e aveva bevuto troppo anche lui e poi … l’ho abbiamo fatto. – le ultima parole mi escono flebili, mentre inclino la testa e mi perdo nel celeste della tunica.

- Oh mio Dio, Elena! E’ Damon il padre del bambino?

- No! Cioè non lo so. Devo fare ancora il test di paternità e …

- E che cosa accadrebbe se Damon fosse il padre?

Io … io non lo so, ok? Ma non glielo dico, perché le urlerei in faccia tutte le mie paure e tutta la mia rabbia scaturita dalle bugie che ho detto e che pian piano stanno venendo a galla. Non glielo dico perché veramente non so cosa succederebbe, ma io non mi voglio far cogliere impreparata.
Non ho mai veramente pensato a cosa accadrebbe se Damon fosse il padre. Ho intuito la reazione e l’abbandono di Stefan, del ragazzo che amo. Io non voglio che lui mi lasci.
Però mi sento meglio. Forse Meredith aveva ragione a dirmi che mi dovevo sfogare con qualcuno e se quel qualcuno è la mamma allora è meglio. Mi sento bene.

Poi mi rendo conto che ora che lei sa tutto, non c’è bisogno di aspettare tutti quei mesi per scoprire chi è il padre. Ora che lei lo sa, potrei fare il test anche adesso e togliermi finalmente questo terribile peso che mi ha fatto finire in un letto d’ospedale, con il rischio di perdere il bambino.
E allora viaggio con la fantasia, con la speranza che tutto questo forse sta per finire. Che forse io e Stefan potremmo vivere una vita normale, facendo i giovani genitori e lontani dai rimorsi di coscienza, dagli sbagli e dai segreti tenuti nascosti e … questo discorso è così ipocrita!

Che cosa dici, Elena? Anche se il bambino fosse di Stefan, ciò non toglie che tu lo hai tradito con Damon! Che hai sbagliato andando a letto con lui e continuerai a sbagliare perché non avrai mai il coraggio di confessare tutta quanta la verità al tuo ragazzo.

Parlo con mia madre. Le chiedo di fare il prima possibile il test e lei, anche se è ancora riluttante dopo che ovviamente le ho dato un enorme dispiacere, accetta. Infondo, lei mi vuole solo aiutare e non  so chi ringraziare per avere  una madre come la mia. Una madre che pensa prima di tutto a ciò che voglio, anche se so, che dopo che tutto questo sarà finito, o si sarà calmato, io mi dovrò aspettare un suo discorso moralista che penso di meritare.
Ed accade tutto in fretta, che mi sembra quasi surreale. Lei che chiama Meredith per darle il suo consenso, io che mi alzo ed esco fuori dalla camera.

Scruto Damon e Stefan parlare. Il mio ragazzo, non appena mi vede, si getta tra le mie braccia e mi posa un leggero bacio sulla bocca. Un bacio così effimero che dubito sia accaduto realmente.
Forse non lo noto perché adesso il mio scopo è un altro. È brutto cercare Damon mentre sto in compagnia del mio ragazzo, ma è una questione di vitale importanza.

Vedo con la coda dell’occhio Meredith che si avvicina a Damon e lo prende in disparte.

(Damon)
Elena esce dalla sua camera. Ma che diavolo non va in lei? Dovrebbe starsene sdraiata sul letto e riposare per far star bene il bambino, ma a volte lei mi sembra anche peggio di me. È testarda, ma il suo essere testarda la porta ad assumere un aspetto più bambinesco. Non fa quello che gli altri le consigliano e non capisce cos’è la cosa migliore per lei e in questo caso per mio figlio.

D’altro canto però, sono curioso di sapere di che cosa ha parlato con Miranda. Non rimarrei sorpreso se scoprissi che sua madre abbia conosciuto tutta la verità. Alla fine la scena in cui siamo stati beccati può essere spiegata solamente con due ragioni.

La prima, quella che risulterebbe la più ovvia, è che io ed Elena abbiamo una relazione segreta. Quindi, di conseguenza, io ero lì a consolare la mia ragazza e a farla tranquillizzare.
Per un attimo penso a me ed Elena, avvinghiati come quella notte, a sbaciucchiarci come due perfetti fidanzatini che aspettano un figlio. Mi disgusto di quell’immagine, perché anche se Elena ha un fisico niente male, non riesco a pensarla in questo modo. Io e lei innamorati senza limiti. Quella è una prerogativa di lei e di mio fratello. Loro due, l’amore epico. I due piccioncini destinati a stare insieme fin dalla notte dei tempi.
Dio, Caroline mi ha intasato il cervello con quelle frasi fin da quando era una ragazzina!

La seconda ragione, quella vera, è che in una notte di totale divertimento, io e lei siamo stati presi dall'euforia dell’alcol e ci siamo lasciati trasportare in una notte di passione. Una passione che ha raggiunto limiti che mai avrei potuto immaginare, una passione inaspettata, me senza dubbio ben voluta e …

… e perché adesso sono così eccitato?

Perché mi sento sormontare da un potente calore che mi incendia?

Non dovrei ritornare ai ricordi di quella volta perché mi fanno ricredere su cose che prima di allora erano impensabili.

Elena. Elena e le sue labbra che rendono la sua bocca invitante e gustosa. Elena e le sue mani curiose che indecentemente mi hanno portato a sentire qualcosa di nuovo. Elena e le sue gambe, artigliate alla mia vita come se io fossi l’unico appiglio. Elena e la sua pancia che porta mio figlio. La mia famiglia.

Cazzo … che cazzo mi sta succedendo? Non dovevamo essere solo io e mio figlio?
Eppure adesso che la guardo abbracciata a mio fratello, mi da un po’ fastidio il suo “far finta di niente”, perché fino a qualche minuto fa, sono stato io a stringerla e a consolarla, a sentire il suo odore di rose trai capelli.

È stata tutta una bugia. Io volevo e voglio ancora alzare quella tunica che, anche se è l’indumento più orribile al mondo, la rende dannatamente sensuale ora che è in piedi.
Voglio ancora infilare una mano nel punto del suo piacere e sentirle chiamare il mio nome.
Voglio prenderla in braccio, sentendo un’altra volta le sue gambe attorcigliate a me, e farla mia. Farla mia d’avanti a tutti. Sul bancone delle infermiere o su un letto. Il primo che troverei libero, in una stanza che intrappolerebbe le nostre urla, i nostri sospiri marcati che esprimono tutta la nostra eccitazione.

Elena, tu spera vivamente che tutta questa attrazione nei tuoi confronti sia causata dal bambino, altrimenti non saprei come spiegarmi tutto questo mio sconvolgimento interiore e inoltre ne andrebbe della nostra vita, di tutto ciò che fino ad ora abbiamo creduto reale, invece non deve essere così. Non posso rovinare i rapporti con mio fratello e con tutta la mia famiglia, ma a quanto pare questo sarà inevitabile. In un modo o nell’altro mi ritroverò con un pugno nell’occhio da parte di Stefan.

Si abbracciano, si parlano e si baciano. Lei qualche volta getta un occhio su di me. Le sue iridi scure a volte si soffermano nelle mie chiare, poi tutto è sfocato, dovuto dal brusco movimento che mi provoca Meredith. Mi sta tirando il braccio e mi conduce in un altro corridoio, lontani dagli altri.
Miranda si avvicina a noi e non oso pensare cosa voglia dirmi. Spero che non voglia lasciarsi sfuggire niente a papà o a suo marito, perché se fosse così, sarebbe la fine.


- Dammi un tuo capello. – mi ordina Meredith.

Solo adesso mi accorgo che tra le mani ha un fazzoletto, una pinzetta e una provetta.

- Che cosa vuoi farci?

- Mi serve un campione del tuo dna. E cerca di procurartene anche uno di Stefan.

- Volete fare il test di paternità? – guardo entrambe le due donne.

Sono sorpreso. In effetti, pensandoci ora che Miranda conosce tutto quanto può dare l’autorizzazione per fare quel dannatissimo esame e mi sento leggermente meglio nel non dover aspettare tutti quei mesi per scoprire la verità.

- Non ti basta solo il mio?

- Damon, tu e Stefan siete fratelli, sangue dello stesso sangue. Anche se tu non fossi il padre, risulterebbe comunque una percentuale di compatibilità con il bambino. Devo confrontarli prima di riconoscere il risultato finale.

- Ok, va bene. Cercherò nella sua stanza. Avrà qualche spazzola che raccolga i suoi perfetti capelli, no?

Meredith scuote la testa, alzando gli occhi al cielo, mentre io mi stacco un capello dalla testa e glielo porgo sul fazzoletto. Lo prende con la pinzetta e lo infila nella provetta.

- Cerca di portarmelo il prima possibile. Io intanto porto questo in laboratorio e il campione di dna di Elena.

Dopodiché se ne va, lasciandomi da solo con Miranda che mi sta guardando con aria severa. Intuisco che abbia parlato con Elena, ma dubito che con lei si sia arrabbiata. Piuttosto lo farà con me tra tre, due, uno …

- Che cosa avete combinato, Damon? – ecco, ci avrei scommesso. – ti rendi conto che avete fatto un bel casino? Tu e mia figlia … oddio, non ci posso ancora credere e spero che tu ti prenda tutte le tue responsabilità, signorino.

Fantastico! Quando Miranda si rivolge a Jeremy con un “signorino” finale, non è mai una buona cosa. E rivolto a me può essere anche peggio. Meglio assecondarla.

- Certo che mi prenderò le mie responsabilità, non sono un’idiota.

- Lo so che non sei un’idiota, Damon, ma ti conosco da quando avevi otto anni , quando io e tua madre aspettavamo Stefan ed Elena, e dopo la loro nascita tu hai adorato tuo fratello, lo hai amato. Mentre con lei un giorno ci litigavi e l’altro pure. Ci sono stati pochi momenti di riso tra voi due, bisticciavate sempre, quindi non biasimarmi nell’essere scettica quando vengo a scoprire che tu e lei avete tradito Stefan così facilmente. Voglio solo capire cosa è successo, le vostre motivazioni … io … è un segreto troppo grande da mantenere.

- Mamma sa tutto. – mi guarda incredula – Se vuoi sfogarti, puoi parlare con lei.

Mi mette le mani sulle spalle e con dei movimenti circolari cerca di fare qualcosa. Non ho ben capito se sta cercando di tranquillizzare me o se stessa, ma sembra regolarizzare il respiro mentre chiude gli occhi e inspira lentamente.

- Va bene, la andrò a trovare, ma ti prego … qualunque sia il risultato di questo test, fa il tuo dovere o sta vicino a mia figlia. A quanto pare sei l’unico che ultimamente la fa stare bene.

Annuisco in silenzio mentre la guardo andare via. È sconvolta e cammina incerta per ritornare dalla figlia. A volte mi sembra di intravedere una ragazzina il lei, come rivedere Elena in quegli stessi occhi.
Mi è sempre piaciuta Miranda, lei e il suo essere così buona. È sempre riuscita a compensare il carattere irruento della mamma. Con la sua calma, la sua insicurezza e la sua tranquillità … proprio come Elena. Io ed Elena siamo come le nostre madri.

(diciotto anni prima)
Oggi papà non c’è. È andato a lavorare anche se qualche giorno fa aveva promesso di accompagnare la mamma in ospedale. Invece, questa mattina si è alzato dal letto ed è uscito di casa prima che io e la mamma ci svegliassimo.

Mamma deve andare all’ospedale perché ormai manca veramente poco. Manca poco perché la sua pancia adesso è diventata grandissima e tra qualche giorno Stefan nascerà. Finalmente avrò un fratellino, quello che avevo sempre desiderato. Quando la mamma mi disse che stava per arrivare un nuovo arrivato in famiglia decisi già il nome.

Stefan. Sì, mi piace Stefan.

Deve andare all’ospedale perché deve fare gli ultimi controlli, farsi visitare dalla sua dottoressa, per accettarsi che entrambi stiano bene.

A me non va di andarci. Mi annoio ad aspettare che la mamma entri, ma soprattutto mi imbarazzo quando la mamma deve scoprire il pancione e la dottoressa gli passa sopra quello strano aggeggio unto di quella sostanza trasparente.

Però decido di andarci. Perché papà è andato a lavorare e non mi importa se non vado a scuola. Voglio fare compagnia alla mamma. Quindi insisto. Batto i piedi per terra perché voglio andare con lei, finché non si convince.

Arriviamo all’ospedale e ci sediamo sulle sedie di plastica blu. Non c’è nessuno, a parte un’altra signora che sfoglia una rivista durante l’attesa. La mamma cerca di osservarla più attentamente mentre prova a sporgersi in avanti, ma non ci riesce perché il pancione in questi ultimi mesi le impedisce di fare tutto, mentre continua a stringermi la manina.


- Miranda, sei proprio tu?

La donna seduta di fronte a noi alza finalmente gli occhi dal suo giornale che getta immediatamente sulla sedia affianco non appena riconosce mia madre. Anche lei ha la pancia grossa, non grossa come quella di mia mamma, ma evidentemente anche lei aspetta un bambino.

- Oh mio Dio, Eléonore!

A quanto pare si conoscono. La donna si alza e si viene a sedere accanto a noi. Le due donne si abbracciano mentre io le guardo ancora confuso. Non ho mai visto questa donna e mi sorprende che la mamma la conosca così tanto bene.

- Oh cielo. È impressionante vederci entrambe qui, dopo tanti anni che non ci vediamo … e aspettiamo tutte e due un bambino! – esclama la mamma.

- Già, ma questo a te è il secondo a quanto vedo. Invece la piccola Elena per me e Grayson è la prima.

Continuano a parlare della loro vita. Di come hanno conosciuto i loro mariti, poi parlano degli anni trascorsi trai banchi di scuola e infine parlano di bambini, finché l’attenzione non si rivolge completamente a me e devo ammettere che questo non mi dispiace, stare al centro dell’attenzione.

- Ti assomiglia molto. – afferma Miranda porgendomi una carezza sulla guancia.

- Si, lo dice anche Giuseppe e spera che il prossimo assomigli più a lui … sia d’aspetto che di carattere.

- Anche Grayson spera che Elena sia più simile a lui che a me, ma io non ne sono tanto sicura. Spero che lei abbia i miei stessi occhi e i miei stessi capelli, anche se in questo momento preferirei solo che scalciasse un pochino. Non lo ha ancora fatto. Mi devo preoccupare?

- No, ma che dici. Ogni gravidanza ha il suo tempo vedrai che prima o poi arriverà il momento in cui questa bambina si deciderà a muoversi.

Le accarezza leggermente la pancia.

- Mamma, mi sto annoiando. – mi getto tra le sue braccia e tocco la sua pancia mentre sento Stefan muoversi. Lei mi da un bacio sulla testa mentre mi dice di aspettare ancora e di cercare di stare calmo. Io intanto mi volto verso la sua vecchia amica che ci osserva intenerita. Chissà perché, ma ho l’impressione che vedrò spesso in futuro questa donna.
Guardo i suoi occhi marroni. Sono belli, luminosi e pieni di gioia, poi mi soffermo a guardare il suo piccolo pancione e mi allungo per sfiorarlo. Non so perché lo faccio, ma mi va e Miranda non replica.


- Damon ma che fai?

- Tranquilla Eléonore, non mi da fastidio.

Ed è in questo momento che lo sento. Un piccolo tremolio sotto le mie mani che non mi sorprende, perché ormai sono abituato agli scalci di mio fratello, ma la donna che mi sta accanto non è dello stesso parere.
Allarga i suoi occhi e socchiude la bocca stupita di quello che è appena successo. Inizia a emettere dei gridolini di gioia perché sente sua figlia per la prima volta. La bambina continua a muoversi, mentre mia madre sorride alla sua amica e si congratula con lei. Io sono rimasto ancora per qualche minuto con la mano sulla pancia e Miranda non si è per niente scomposta, visto che ci voleva un bambino di otto anni per far muovere la sua figlioletta.

(tempi attuali, tre giorni dopo)
Sono elettrizzato, sono troppo elettrizzato. Elena mi ha mandato un messaggio dicendomi che ha appena ricevuto i risultati del test e mi ha dato appuntamento al cimitero per parlare.
Il cimitero, il posto perfetto. Un posto tranquillo dove non c’è anima viva a disturbarti. Lì di solito ci vanno i gruppi di ragazzi che voglio fumarsi qualche canna. Oppure ci vanno le coppiette di sera per starsene un po’ tranquille.
Sono elettrizzato e … agitato e … ti prego, fa che sia mio figlio. È egoista, questo è vero, ma in pochi giorni mi sono innamorato di questo bambino e …


- Ehi!

... e il tempo è scaduto. Dopo oggi non ci saranno più scuse. Sono andato a prendere il campione di dna di Stefan non appena Meredith me lo ha chiesto e ho contato ogni singolo secondo di questi tre giorni, nell’attesa.

Elena è dietro di me con la verità tra le mani, scritta su un pezzo di carta, pronta a dirmela tutta. Lei non immagina quanto tutto questo per me è diventato importante.
Dopo oggi, nessun segreto, qualunque sia il caso. Se sono io il padre, dirò tutto a mio fratello, mi prenderò cura di mio figlio e mi assumerò tutte le responsabilità che mi spettano. Se il padre è Stefan, allora non ci sarà più alcun segreto da nascondere. Solo il ricordo sfocato di una notte piena di errori, che però non mi appare ancora sfocata. È lì, vivida nella mia mente e non accenna ad andarsene, come se prepotentemente volesse dirmi qualcosa, come se mi volesse dare una lezione. Ma io non so ancora che cosa sta cercando di farmi capire. Che ho sbagliato? Che vivrò per il resto della mia vita con i rimorsi di coscienza? Grazie tante, questo lo sapevo già.


- Ehi!

Per non parlare del fatto che Elena mi girerà intorno per il resto della sua vita con quel pargoletto che sarà mio figlio o mio nipote. Dio, ho bisogno di sapere!

- È inutile perdere tempo con silenzi imbarazzanti. Che ne dici di dirmi che cosa c’è scritto lì?

Mi volto verso di lei. Sposta il suo peso da un piede all’altro, continuamente. Guarda verso il basso mentre si morde il labbro inferiore e mentre con la mano sinistra rovina le unghie della destra.
Sembra piccolissima nel suo piumino grigio lungo che la ricopre fino a metà gamba. Un po’ vecchio e fuori moda, ma questo non le importa. Trema, nonostante il caldo che quell’indumento può portarle.


- Stai bene?

Le chiedo.
Mi avvicino a lei e le strofino sul braccio la mia mano.


- Allora?

Continua a non guardarmi e io vorrei tanto sollevarle il viso per il mento, verso di me, ma non lo faccio. Qualcosa mi tiene bloccato. Ancorato a questa posizione.

- Non sei tu.

È debole la sua voce, ma quelle tre parole continuano a vorticarmi nella testa potenti. Mi assordano e mi gelano il sangue, mi spezzano. Mi sento un bicchiere di vetro sotto la zampa di un elefante. Rotto, senza più una funzione nella vita.
“Non sono io … non sono io.” Mi ripeto nella mente per rendere tutto più vero. Ma non funziona.
“Non sono io.” Ogni volta è come una pugnalata al cuore e fa male, dannazione, fa male!
“Non sono io.” Certo che non sono io, ma che pretendevi, Damon?
“Non sono io.” Mi sento sprofondare in un vortice nero che mi annebbia la vista.
“Non sono io.” Ma voglio essere io, lo voglio con tutto me stesso. Voglio prendere in braccio questo bambino, riconoscere nel suo viso il mio, voglio farlo crescere, voglio educarlo io. Non voglio che sia mio fratello, non voglio che sia Stefan. Ma non è così.


- Oh! Va bene. – cerco di sembrare il più possibile indifferente perché Elena non deve vedermi nel mio vero stato. Deluso. Deluso e illuso. Sono un povero idiota. – È meglio così, no?

- Si, è meglio così.

Alza finalmente lo sguardo e noto qualcosa nelle sue iridi. Che cosa le sta succedendo? Non la comprendo.

- Elena. – un groppo in gola mi sale direttamente dal petto. Da quando è diventato così difficile pronunciare il suo nome? – Non c’è più bisogno di essere triste. È tutto finito.

Mi avvicino di più e l’abbraccio, facendo sprofondare le mani trai suo capelli e inspirando profondamente il suo dolce profumo che diventa sempre più familiare, ogni volta. Lei non mi abbraccia. Lei resta ferma e si abbandona alle mie braccia. Il suo naso che sfiora il mio collo e il suo respiro sulla pelle, in quel punto, troppo sensibile.
Forse è strano, ma mi rendo conto che diventa tutto sempre più bello. Che anche se non è mio figlio, con lei è sempre bello. È dannatamente bello stare qui, in mezzo a centinaia di tombe ricoperte di neve. Forse dovremmo entrare nella cappella dei Salvatore. Sicuramente lì si starà al caldo, al riparo dai fiocchi che stanno iniziando di nuovo a scendere dal cielo.

Sto pensando troppo.


- Dovremmo andare via. Ti prenderai un raffreddore.

Faccio per spostarmi, ma adesso è lei quella che mi stringe, circondando la mia vita con le sue esili braccia che improvvisamente diventano forti.
E non chiedo spiegazioni. Meglio così. Cercherò di godermi ancora per qualche minuto quel profumo di rose che si sposa perfettamente con un leggero odore di paura. Sì, percepisco qualcosa di simile alla paura ed è per questo che cedo alla sua richiesta di rimanere così ancora per un poco. Perché voglio calmarla e vorrei dirle che andrà tutto bene perché è tutto finito.


- Mi dispiace, Damon. Tutto quello che abbiamo fatto è stato un errore e abbiamo mantenuto dei segreti inutilmente facendoci soffrire. Mi dispiace per tutto quello che è successo.

(Elena)
“Mi dispiace, Damon. Tutto quello che abbiamo fatto è stato un errore e abbiamo mantenuto dei segreti inutilmente facendoci soffrire. Mi dispiace per tutto quello che è successo.”

 Sono la peggiore delle bugiarde. Sono un verme, un mostro che non dovrebbe più mostrare la sua faccia al resto della Terra. Dovrebbe seppellirsi viva finché non le mancherebbe l’aria per morire.
Perché ho percepito lo sguardo triste di Damon mentre mi al cimitero mi diceva che sarebbe andato tutto bene, mentre mi diceva che “finalmente è tutto finito”.
Ma sono una bugiarda e della peggior specie.

Rientro a casa e mi getto sul divano. C’è silenzio. È vuota, o forse c’è solo la mamma di sopra, ma non mi va di chiamarla.


- Elena sei tu?

Scende le scale e si ritrova in soggiorno davanti a me.

- Allora? Hai ricevuto i risultati?

Già, perché lei non sa niente. Non appena Meredith mi ha chiamato, la prima persona che ho voluto sentire è stata Damon. Lui che aveva il diritto di conoscere la verità e io che egoisticamente non gliel’ho concessa. Ho chiamato Damon perché in questo momento è la persona che riesce ad essermi così vicina. L’ho chiamato perché non lo so. Ormai non so più niente. Tranne che sono una bugiarda.

Annuisco e le faccio vedere il foglio. Lei si siede accanto a me e lo apro davanti a lei.
Test di paternità:

Compatibilità del feto con Salvatore Damon: 89 %
Compatibilità del feto con Salvatore Stefan: 45%

- Sono nei guai mamma!

- No, piccola mia, vedrai che si aggiusterà tutto. – mi abbraccia e adesso, se possibile, mi sento ancora più in colpa. – Stefan prima o poi lo capirà.

- No, non capisci. – nessuno potrà capire. – Ho detto a Damon che è Stefan il padre del bambino! 

Note finali:
si prego, linciatemi pure. Lo merito. Perché è da veri bastardi far mentire la protagonista in questo modo. Ma vedete ... io ho già immaginato la scena dove Damon scoprirà tutto e sono quasi sicura che ricompenserà la bugia di Elena. 
Allora ...
Damon confessa a se stesso che in realtà è attratto da Elena e sinceramente questo non mi stupisce, ma ancora non ha capito niente dei suoi sentimenti. Crede e dà la colpa al bambino, si giustifica in questo modo e bla, bla, bla ...
Il Flashback che c'è nel capitolo personalmente me lo immaginavo più lungo, ma ormai è venuto così (e dò a voi la critica di questo pezzettino).
E infine ... Elena, cara Elena, hai mentito (e questo ti farà fare la stessa fine di Katherine Pierce nella serie tv, muahahahaha. No, ovviamente scherzo.)

Al prossimo capitolo, con affetto, Mia <3

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Capitolo 7
*** Male. ***



 
A Grazia, Maria e Giorgia che anche se non leggono la mia storia
(perché le ho assilate così tanto con Vampire Diaries che non osano entrare nel sito di Efp xD)
mi sostengono in tutto quello che faccio e mi aiutano quando sono in difficoltà.

 
7.
Male.
(Elena)
Corro in bagno per l’ennesimo attacco di nausea. E vomito. Vomito tutto quello che ho mangiato a pranzo, vomito la mia anima stessa. Da quando sono ritornata dall’ospedale non faccio altro che vomitare. Penso che sia il perfetto connubio di gravidanza più stress da “ho – mentito – sul – padre – del – bambino” a farmi rigettare praticamente tutto. E forse questo è il karma che si sta vendicando delle mie continue bugie. Al cento per cento mi merito di stare così male fisicamente per tutto quello che ho fatto, ma ormai … l’ho fatto.
Il punto è che, nonostante sia pentita delle mie azioni, ancora non riesco a trovare una soluzione migliore a quella che ho attuato appena ieri.

Ho mentito a Damon, questo è vero. Gli ho detto che è Stefan il padre del bambino, quando in realtà è lui. Lui che io avevo intuito che gli sarebbe piaciuto diventare padre. Ci teneva, ci sperava, ma la sua speranza è andata a farsi benedire quando gli ho detto “Non sei tu.”

Quelle parole lo hanno terribilmente ferito. Anzi no, ferito è dire poco. Lo hanno devastato, distrutto. Gliel’ho letto nei suoi occhi celesti che non è stato ciò che si aspettava. Ma lui invece di dirmi quanto per lui tutto questo gli sia doloroso, mi ha consolata. Mi ha consolata, dannazione! E quando mi ha abbracciato, io non ho fatto altro che sentirmi più in colpa. Allora io ho ricambiato l’abbraccio, ma non perché ne avevo bisogno. Perché se mi sarei spostata da lui, mi sarei scontrata di nuovo con i suoi occhi e mentirgli così spudoratamente fa male. Fa così male.

Fa male anche a me. Mi ha fatto male scoprire che il padre era Damon e non Stefan. Mi ha fatto male prendere una decisione sbagliata per tutti, ma molto probabilmente giusta per me. Perché io ho bisogno di essere felice con Stefan. Ho fatto un errore e sto continuando a farne altri. Ma a me tutto questo va bene, giusto? No, non è giusto. Niente è più giusto nella mia vita. Soltanto e che se solo facessi finta che il padre sia Stefan, allora potrei riuscire ad ingannarmi che niente è cambiato. Che io e Stefan ci amiamo ancora. Cioè … questo è sicuro. Io amo lui e lui ha detto di amarmi, non abbiamo mai smesso e se lui scoprisse la verità, se entrambi scoprissero la verità, verrà provocata una rottura apocalittica. Stefan sarebbe capace di odiare Damon, di avercela con lui per sempre.
Ecco perché io devo mentire. Non solo per me, ma anche per loro. Perché quella famiglia sta già andando in rovina, se mi ci metto anche io in mezzo, finirà tutto male e io non voglio che accada. Ho creato quest’altra bugia per il bene di tutti. Per me, perché quella notte con Damon è stata un colossale errore, anche se non considererei mai uno sbaglio mio figlio, e voglio continuare a stare con Stefan. Per l’intera famiglia Salvatore, perché non voglio procurare loro dei problemi.


- Elena, va tutto bene, lì dentro?

Mi chiede dalla sua camera mio fratello con voce preoccupata. Sento il fruscio della sua felpa contro la porta che collega il bagno con la sua camera e bussa.

- Sì, sto bene. Dammi qualche minuto ed esco.

Gli urlo contro, ma non sento risposta. Sento i suoi passi allontanarsi e lasciarmi alla mia punizione e al mio senso di colpa che forse rimarrà con me per il resto dei miei giorni.

Mi calmo, mi rialzo da terra, perché nella foga di rigettare tutto quanto nel gabinetto mi sono accasciata a terra. Mi rialzo, ma in un primo momento perdo l’equilibrio e allora decido di restare ferma un altro po’, seduta sul pavimento a sentire il freddo del marmo attraverso i collant e la morbidezza del tappeto blu con la mano.
Sto sudando, nonostante è ancora inverno. Fisso il soffitto, in particolar modo la luce bianca che all’inizio mi acceca, ma poi mi abituo e osservo ogni dettaglio che crea la luce, ogni illusione che si inoltra nella mia mente e che mi confonde. Ogni cerchio d’ombra, ogni distorsione. Tutto pur di distrarmi dalla mia vita buia.

Quando mi rialzo, i miei occhi non ci vedono più tanto bene e mi fanno girare la testa. Appoggiandomi al lavandino cammino lentamente cercando di riacquistare la forse nei muscoli delle gambe. Raggiungo la mia camera e mi getto sul letto coprendomi con una copertina di lana rossa.
Sono stanca. Troppo stanca per fare i compiti e troppo stanca per affrontare i miei problemi. Penso che oggi pomeriggio dormirò e non perché ho sonno, ma perché voglio staccare la spina per un’oretta o due e forse chiudere gli occhi addentrandomi nella finzione dei sogni è un’ ottima scappatoia.

(Damon)
Esco dalle luci psichedeliche verdi che vorticano nel capannone bianco come se si stessero dando la caccia, come se si rincorressero come due bambini che giocano in un pomeriggio d’estate. Ma io le odio. Non sopporto quei puntini che si muovono senza freni. Preferisco altri puntini. Puntini bianchi che decorano la notte e la rendono meravigliosa.

Allora abbandono Enzo che si trova in mezzo alla pista e che sta ballando con una o più ragazze. Abbandono Klaus che ha appena chiesto a me e a Marcel di andare a cercare Kol, improvvisamente scomparso e abbandono Ric. Lascio il mio migliore amico perché lui mi conosce e se passerei con lui più di due minuti, lui capirebbe che c’è qualcosa che non va in me oggi. Mi si avvicinerebbe e prima me lo chiederebbe con gentilezza per poi farmelo dire con la forza. Quindi non appena si è voltato per chiedere da bere al barista, io mi sono completamente volatilizzato, approfittando della sua leggera distrazione.

Forse è meglio così. È meglio confidare tutto alle stelle che non giudicano e ti ascoltano zitte, piuttosto di sentire le probabili ramanzine che fa il mio amico.

“Che cazzo hai combinato, Damon?”

Questo è quello che mi direbbe, ma io sinceramente non sono in vena di ascoltare o dare giustificazioni. Voglio solo sfogarmi. Con le stelle, con la bottiglia di Bourbon e con l’erba che adesso mi fa da culla.

Culla. Una culla. Perfetto! Adesso tutto quello che penso mi porta alla memoria quel marmocchio che sta crescendo dentro Elena. Quel marmocchio che mi ha letteralmente conquistato. Quel marmocchio che non è mio.


- Dannazione, perché non sei mio figlio, bambino?

Mormoro tra me e me cercando di trovare l’Orsa Maggiore tra le costellazioni e perdendomi nella miriade di stelle che inaspettatamente, invece di tranquillizzarmi come fanno di solito, adesso mi confondono solamente.
È proprio questo il punto. Sono confuso. Confuso ancora da quel non sei tu  di Elena; confuso dal suo comportamento ambiguo; confuso dal suo abbraccio o forse solo confuso dall’alcol che sta amplificando ogni cosa.
Già, ma che cosa sta amplificando? La delusione che si è creata dopo che ho scoperto che quel bambino non è mio? Quella sottospecie di attrazione che provo per Elena?
Sì, perché ho ancora voglia di prenderla, farla sdraiare su un letto e guardarla negli occhi, scoprendo il suo sguardo carico di passione, e impossessarmi delle sue labbra. Non me lo spiego. Fino a ieri ero sicuro che questa mia improvvisa voglia fosse dovuta al fatto che lì dentro ci fosse mio figlio e che quindi ci fosse un legame che si era creato tra me ed Elena. Ma adesso non è più così. Adesso che ho scoperto di non essere il padre, mi chiedo che cosa sia tutto quello che sento.
Non lo so, non trovo nessuna possibile spiegazione. A parte una, ma la escludo a prescindere perché quella è impossibile. Tra me ed Elena non c’è assolutamente niente. Andrebbe contro ogni legge naturale l’essermi innamorato di lei.

Eppure … no, no, no, no. Sto andando di matto. Tutta questa situazione è da manicomio.


- Si può sapere che cosa ti prende, amico?

È la voce di Ric che mi arriva alle orecchie, forse in ritardo e in modo ovattato, ma il mio amico adesso è qui.

- Se te lo dicessi, dovrei sorbirmi una delle tue prediche moraliste.

- Questo implica che ne hai combinata una delle tue.

Si viene a sedere accanto a me appoggiando la testa su un albero che non riesco a riconoscere. Sospira lentamente prima di andare ad osservare le stelle come sto facendo io. Non ci siamo ancora guardati  negli occhi e questo la dice lunga. Prende un sorso dalla mia bottiglia di liquore.

- No. Ho fatto di peggio. – continua fisso ad ammirare la volta celeste, ma le sue orecchie sono ben attente a ciò che sto per dirgli. – Mi sono portato a letto Gilbert.

- Merda … sei fottuto. – mi dice – aspetta … non sei tu …

- Tranquillo tra novi mesi Elena partorirà un bel bambino con gli occhi verdi è i capelli già messi in ordine.

- Allora perché stai così?

Mi giro verso di lui e noto che lui ha fatto la stessa cosa. Ora mi sta scrutando, sta cercando di capirmi e io sopratutto vedo nei suoi occhi una particolare luce che lo fa anche sorridere e so quello che sa. So che lui ha capito ciò che io sto per ammettere.

- Perché forse sono fottuto in tutti i sensi, amico.

(Elena)
Piccola nota per il futuro: mai e sottolineo “Mai” cercare di scappare dai problemi perché poi, al risveglio di una lunga fuga, mi ritroverei ad affrontare non solo i vecchi problemi, ma anche quelli nuovi.


- Elena, svegliati. Ti devo parlare.Sento la voce di mia madre che mi sta accarezzando la spalla per attirare la mia attenzione.
- Mamma che c’è?
- Tu e Jeremy dovete sapere una cosa molto importante.

Vedo mio padre che adesso sta scendendo le scale con un paio di borsoni pieni zeppi di roba. Jeremy gli sta dietro, aiutandolo con altre valigie. La mamma è in cucina che beve una tazza di tè facendo finta che non stia succedendo niente di grave, che tutto nella nostra vita non stia cambiando radicalmente, più di quanto non stesse già succedendo.

Tutta la mia famiglia ha organizzato una riunione dell’ultimo minuto in camera mia e l’atmosfera è abbastanza tesa. Anche Jeremy sembra confuso quanto me, confuso dal comportamento criptico dei nostri genitori, confuso e spaventato perché entrambi sappiamo che sta per accadere qualcosa che ultimamente ci stiamo augurando che non accada.
Non voglio che lo dicano ad alta voce. Non voglio che lo dicano a noi. Perché rivelarcelo implicherebbe ufficializzare la loro rottura. Rivelarcelo metterebbe fine alla lo storia d’amore.


- Adesso cercate entrambi di mantenere la calma. – ci dice mamma, ma guarda soprattutto me, perché conosce quello che sto passando e non vorrebbe procurami altre motivazioni per sentirmi male.

Capisco che lei non vorrebbe dirmelo in questo momento, ma a quanto pare deve farlo. Deve perché forse non c’è altra via d’uscita, deve perché non c’è più rimedio a quello che è successo tra lei e papà.
E io che cerco di limitare i cambiamenti, adesso mi ritrovo a subirne altri, sempre più peggiori. L’avevo predetto. Trai miei le cose non vanno più bene. Le liti hanno continuato, di notte. Perché durante il giorno non si vedono più. La mattina si scontrano assonnati ancora nel loro letto matrimoniale e si salutano a malapena, poi lui parte per l’ospedale e ci resta lì per tutto il giorno, a volte anche la notte. E quando ritorna entrambi tentano di aggiustare quello che si è rotto, ma nulla ormai finisce come loro sperano. Una parola sbagliata, un’altra detta ad alta voce, a volte ci sono dei singhiozzi e di notte anche io, nel mio letto, consapevole che anche Jeremy sta ascoltando quello che si dicono cercando di coprirsi le orecchie con il cuscino, so che quelle liti non smetteranno mai più.

Ma mentre una parte di me preferirebbe che si lasciassero, perché quelle urla e quelle porte sbattute non fanno bene a nessuno, l’altra parte ha paura che questo accada. Per anni mi sono sempre vantata in segreto che la nostra è sempre stata una perfetta famiglia. I miei genitori anche solo con qualche discussione si sono sempre amati. Però forse quel sentimento finisce, si consuma, oppure si spezza solamente, si rompe come il vetro che protegge l’attestato di matrimonio.
Io nella mia stanza e mi rialzo dal letto per aprire la porte perché voglio tenere tutto sotto controllo, mia madre ogni volta la viene a richiudere, ma io voglio sentire quello che si dicono, anche se questo mi fa male.

Ho paura, una paura incontenibile che mi fa battere i denti da un freddo che non esiste, nonostante il caldo del piumone. Mi fa battere il cuore, mi fa venire la tachicardia. Un po’ come quando il giorno dopo si ha un compito di matematica e sai di non esserti esercitata a sufficienza. Soltanto che è peggio, e tutto più grande e le parole che si dicono i miei non le ascolto più, c’è solo il mio cuore che batte forte e senza ritegno, che ti ricorda che tutto questo fa male, non solo fisicamente.
E tutto cambia.

Mamma ha ripreso a fumare. Ormai non lo faceva da anni. Aveva smesso prima delle sue gravidanze, ma in definitiva subito dopo la nascita di Jeremy. Lascia in cucina il suo pacco da venti delle Merit e a volte – forse un po’ troppo – esce in veranda per farsi una sigaretta.

Papà invece è diventato più affettuoso. Si è quasi dimenticato della sua delusione per la mia gravidanza e trascorriamo i pomeriggi dei week – end  a guardare film vecchi, o tutti i film di Ip Man o di Bruce Lee*. Tutti quei film che mi hanno fatto avvicinare a quel mondo.
Sì, perché c’è stato un periodo che io volevo fare la regista, sognando di dirigere un film che avrebbe fatto la storia del cinema.
E mentre Jeremy adora stare con papà a guardare i personaggi che lottano con quelle mosse di Wing Chun**, io dopo un po’ mi alzo perché affronto in faccia la realtà e so che il bello di restare insieme esiste solo perché con qualcun altro si sta lasciando.


- Vi state lasciando, non è vero?

Jeremy dà voce ai miei pensieri e i miei genitori annuiscono entrambi, consapevoli che noi sappiamo tutto.

- Sto partendo per New York. – afferma papà.E io l’avevo immaginato.

- Per sempre? – gli chiedo.

- Per adesso devo solo cercare un buon appartamento, ma tra qualche mese sì, molto probabilmente starò lì per sempre. 

- ­Bene. Io adesso vado.

È fermo, in procinto di entrare in macchia e guarda da lontano mia madre, appoggiata sullo stipite della porta di casa che ha gli occhi persi nel vuoto. Io lo fermo dandogli un ultimo abbraccio e scoppiando a piangere quando lui mi stringe forte.

- Ehi, no Elena non piangere. Ascoltami. – mi supplica accarezzando con una mano i miei capelli. – io vi voglio bene … vi vorrò sempre bene, ma certe cose non vanno per il verso che ci siamo sempre aspettati. Io parto, ma resterò sempre al vostro fianco, ci sentiremo e ci vedremo sempre, non appena sarà possibile.Elena mi dispiace per non averti supportato quando hai avuto bisogno di me. Io non sono deluso, anzi sono fiero perché stai affrontando senza paura la tua vita e sono sicurissimo che sarai una mamma fantastica. Tuo figlio sarà fortunato ad averti.
Jeremy, ti prometto che ci sarò alla tua prima partita di football.

Sento mio fratello avvicinarsi e unirsi al nostro abbraccio. Appoggio la nuca sulla sua spalla e do un piccolo bacio sulla guancia di papà. Mi mancherà tanto.

Papà è partito e gli altri sono rientrati in casa. Io invece no. Mi sono abbandonata sul dondolo con la copertina rossa per riscaldarmi, ma niente in quel momento mi riscalda.
Non voglio entrare dentro, voglio stare sola. Sola e persa nei miei pensieri e a fissare le stelle. Sono così belle!

Poi il rumore di un auto che parcheggia, dei passi che si avvicinano a me e la figura di Damon che sta per bussare alla porta di casa. Non ha notato la mia presenza, raggomitolata. Prima di bussare credo che lui si senta osservato e si gira verso di me. Ora posso notare la bottiglia di Bourbon nell’altra mano, quasi completamente vuota. Sono certa che sia ubriaco.


- Volevo parlarti.

Mi dice avvicinandosi e sedendosi accanto a me.
Non lo vedo da quando gli ho detto quella bugia e scrutare i suoi occhi non fa altro che farmi star ancora male.
Fa per parlare, ma si accorge che c’è qualcosa che non va.


- Che ti succede?

E a quella domanda non riesco a trattenermi. Scoppio di nuovo a piangere senza vergognarmi di essere davanti a lui. Affondo nell’incavo del suo collo la mia testa e mi abbandono alle carezze che adesso mi sfiorano le braccia e la schiena.
Damon si ammutolisce per qualche secondo prima di chiedermi cosa è successo e io gli racconto tutto. Alterno le parole ai singhiozzi e a dei sospiri causati dalle sue mani che adesso si sono fermate. Una è sulla guancia e mi accarezza lentamente lo zigomo, asciugandomi le lacrime, l’altra mi circonda le spalle e mi stringe forte. Inspiro profondamente sentendo l’odore del sudore e dell’alcol sul suo collo. Sono odori forti, a questo punto dovrei avere delle nausee come tutta la giornata, ma invece sto bene.
Il suo mento appoggiato sulla mia testa strofina un poco e lascia il posto alle sue labbra che mi posano un bacio dolce trai capelli.
Ho dimenticato tutto. Con Damon, ho dimenticato tutto.

(Damon)

- Di cosa volevi parlarmi?
Mi chiede ad un tratto Elena.
Peccato. Mi piace questo stato silenzioso in cui ci siamo ritrovati entrambi. Soprattutto perché se iniziassimo a parlare, ci ritroveremmo sicuramente in una discussione e litigheremmo, come al solito.


- Non è importante.

Le rispondo.

- Sì che lo è. Altrimenti non saresti venuto a mezzanotte a casa mia, ubriaco.

- Ti ripeto che non è importante. Non ne vale la pena.

- Ma Damon non è giusto! Io ti ho appena raccontato tutto e tu cosa fai? Ti tiri indietro. Mi devi una confessione.

- Elena quando fai così sei proprio una bambina. – mi alzo, furioso da quella conversazione, passandomi una mano trai capelli. Lo avevo previsto che avremmo litigato.

- Almeno dimmi perché non me lo vuoi dire.

- Perché stai già male di tuo, non c’è bisogno che ti assilli anche con i miei pensieri.

- Tanto … uno più, uno meno che differenza farebbe?

- Perché lo vuoi sapere? Prima noi due non ci dicevamo niente. Non ci sopportavamo nemmeno.

- Perché siamo entrambi cambiati. Damon, è cambiato tutto da quella notte. Ci siamo avvicinati e … stiamo diventando amici.
Mi vado a risedere accanto a lei, prendendole il viso  con le mani, mettendole a coppa. La avvicino un po’ e la fisso negli occhi, fondendo quelli miei chiari con quelli suoi scuri.

- Già, amici … vuoi sapere la verità? Eccoti accontentata! – prendiamo entrambi un bel respiro, prima di affrontare quello che le sto per dire. – Io voglio che questo bambino sia mio figlio. L’ho voluto con tutto il mio cuore. L’ho voluto e lo voglio ancora. E sto male Elena, sto male perché non è così. Non ci saremmo mai dovuti avvicinare così tanto perché io mi sono innamorato di questo bambino. È vero, adesso che ho scoperto di essere solo suo zio, potrei amarlo in quel modo, ma non è la stessa cosa. Voglio che sia mio figlio e lo so che è da egoisti ma … poteva essere il mio appiglio. Dopo che la mamma sarà morta, io avrò bisogno di una persona su cui farmi forza e quella persona sarebbe potuta essere lui. – abbasso lo sguardo, toccando con una mano il ventre morbido. – lui … sarebbe potuto essere la mia ancora di salvezza.

È rimasta senza parole. Mi guarda confusa cercando un contatto con i miei occhi, ma io dopo la mia confessione non riesco ad affrontarla.

Mi basterebbe sollevare lo sguardo per scontrarmi con il suo marrone profondo che fino a qualche mese fa mi giudicava e mi detestava. Se sollevassi lo sguardo forse capirei i suoi pensieri. Però ho paura. Sì. Ho paura, ok? Non mi sono mai confidato con lei in questo modo e chissà cosa adesso pensa di me.

Poi lo sento. Il suo tocco. La sua mano che mi sfiora la guancia. La sfiora così lievemente che potrei non sentirla. O forse è solo una mia illusione, visto che sono ancora un po’ ubriaco.
Accidenti all’alcol!

Ogni volta mi ritrovo a fare o dire cose poco opportune. Tipo fare sesso con Elena e poi dirle ciò che sento, tutto il mio dolore. Ma l’alcol almeno mi aiuta ad affrontarle, le mie paure. Mi spinge a rivelare qualcosa che era nascosto dentro di me. E adesso sto iniziando a chiedermi perché l’altra volta io l’abbia effettivamente desiderata in quel modo; perché abbia voluto stare con lei, quando prima non mi sono mai reso conto di averla voluta.

Però la sua carezza è reale. Reale e calda. Io allora cedo. Non mi sono reso conto che ho ancora le mani sul suo volto. Faccio scontrare delicatamente le nostre fronti e adesso siamo vicinissimi. Respiro contro respiro. Labbra che potrebbero sfiorarsi, ma restano lì, immobili e a due millimetri di distanza. Millimetri che a me sembrano chilometri, perché ho voglia di annullare quella distanza e di baciarla, di colmare questo strazio di desiderio.


- Mi dispiace … per tutto quanto.

La sua voce trema e sempre tremante si infrange sulle mie labbra. Manca poco per cedere. Potrei farlo adesso, che improvvisamente siamo diventati intimi. Più intimi di quando lo abbiamo fatto. Ora che tutta la mia rabbia è scomparsa e che il mio dolore se ne andato per un po’, lasciando il posto alla sua presenza guaritrice.

Lascio scivolare una mano sulla nuca, intrecciando le dita con i suoi lunghi capelli, mentre l’altra rimane, bloccata da una sua. È così intenso questo momento, che non vorrei che finisse mai.
Sento ogni centimetro della mia pelle toccato da lei. E davvero non capisco che mi stia prendendo, o forse sì. Ma se sono veramente rimasto folgorato da lei, allora devo risvegliarmi subito da questo maledetto sogno, perché tutto quello che resta di noi è solo quella notte. Nessun bambino, nessun amore. Forse siamo veramente solo amici.

Amici che decidono di guardare le stelle, rimanendo seduti su quel dondolo di plastica bianca e coperti dalla fastidiosa lana rossa che invece a lei fa piacere.
Amici che rimasti incantati dello spettacolo più affascinante dell’universo, si addormentato vicini. Forse troppo.

(Elena)
Il mio sonno sarebbe dovuto essere agitato, pieno di incubi e pensieri e sensi di colpa.

Stavo per cedere.
Ieri sera – anzi, notte – quando Damon mi ha detto tutto quello che sentiva, mi sono sentita in colpa. Ancora più in colpa per avergli mentito. E ho avuto l’impulso di zittirlo, di tappargli la bocca con una mano, dicendogli la mia di verità. Confessando le mie colpe.
Per un momento ieri sera ho voluto prendermi le mie responsabilità, come sarebbe stato corretto fare e affrontarlo, dicendogli che non ci sarebbe stato nessun bisogno di trovare un’ancora perché questo bambino è suo, è mio … è nostro, e sarebbe potuto essere lui il suo appiglio. Che non ci sarebbe stato bisogno di qualcuno da amare, perché c’è già. È qui, dentro me, pronto a ricambiare quell’affetto, non appena uscirà fuori. Per essere cullato tra le forti braccia del suo vero papà.

E io invece sono una maledetta stronza. Perché ho avuto di nuovo paura. Paura anche di quella vicinanza, di quel suo respiro confuso con il mio, dei nostri nasi che si sfioravano dolcemente, delle nostre fronti appiccicate. Ho avuto paura di desiderarlo.
E ho avuto paura della sua reazione se gli avessi detto la verità. La sua rabbia dopo avergli mentito, sarebbe stata orribile da sopportare.

Così, mi sono stata zitta, ci siamo separati e abbiamo guardato le stelle, mentre sentivo un suo braccio passere attorno alle mie spalle e mentre io appoggiavo la mia testa sulla sue di spalle, volgendo gli occhi a quei puntini luminosi.
Soltanto che non mi sono accorta che piano, piano, ci siamo addormentati proteggendoci dal freddo.

Adesso sto con gli occhi chiusi, cercando di ricordare alla perfezione quello che è successo e i miei ricordi si fanno sempre più vivi … e sono belli, maledizione, sono belli!
Belli come quel sogno. Me, Damon e nostra figlia. Una vita perfetta, piena di amore e forse già nel subconscio sapevo che lui è il padre, ma … ma so che non sarà mai così.

Apro gli occhi, abituandomi lentamente alla luce del sole che ora copre le stelle che stavamo ammirando ieri notte.
Sono appoggiata sul suo petto, circondata dalle sue braccia e non mi sento a disagio. Anzi, mi sento forse un po’ troppo bene. Insomma … non dovrei stare così bene, così al sicuro e protetta quando sto con Damon. Invece è così. Forse è il bambino o non so … ma le sue braccia su di me hanno un effetto curativo, quasi calmante. Forse più di Stefan.
È terribile da pensare. Inoltre fare paragoni trai due fratelli non ha senso. Io amo Stefan, lo amerò per sempre, ma Damon, anche se c’è sempre stato nella mia vita, è entrato in un modo diverso ultimamente, come se io lo stessi guardando con occhi nuovi. È diverso.
Sento il suo respiro che si infrange sui miei capelli e so che se sollevassi appena il viso potrei ritrovarmi le sue labbra sulle mie e baciarlo … ma a che cosa pensi Elena? Non puoi pensare alle labbra del padre di tuo figlio al posto di quelle del tuo ragazzo. Oddio, è tutto così contorto! Poi sento il respiro cambiare farsi un po’ più irregolare per poi calmarsi. Si è svegliato. Ma non parla e non si muove.

Approfittando del mio viso nascosto nel suo petto, faccio finta di stare ancora a dormire. Grosso errore. Sento le sue mani muoversi sulle mie braccia, sotto la coperta e a scoprire leggermente la pancia per accarezzarla. Ma come fa? Gli ho detto che non è lui il padre, eppure continua a comportarsi come se fosse tale. Lui sente qualcosa, ne sono certa, altrimenti non farebbe così. Mi posa anche un bacio trai capelli, rimanendo bloccato in quella posizione.


- Sveglia, sveglia, dormigliona!

Mi canzona con tono allegro e io non posso più fingere. Opto per voltarmi verso di lui per capire qual è il suo vero umore, ma così commetto il secondo grosso errore della giornata. Ed è appena l’alba. Come avevo previsto prima, le nostre labbra si sfiorano quasi e il flashback di quella notte mi ritorna vivido come non mai, quando le nostre lingue si intrecciavano indecentemente.

- Ehi. – ma riesco ancora a controllarmi grazie alla mia parte razionale.

- Ehi … come stai? – mi chiede mentre le mani non accennano a togliersi da sotto la mia maglietta.

Mi arrendo a quel suo modo di fare e lo assecondo voltandomi di nuovo dall’altro lato, quindi poso le mie mani sulle sue, intrecciando qualche dita.
“D’accordo Elena, glielo devi! Gli stai mentendo, ma perlomeno gli concedi qualche gesto affettuoso da parte sua.” Tento di convincermi con questa frase, trasformandola nel mio mantra personale. Sì, credo che mi accompagnerà per tutta la vita. Se deciderò di mantenere il segreto. Di questo passo sarà molto difficile, quasi impossibile.


- Molto meglio. Forse chiamo papà più tardi. E tu?

- Io? Dipende.

- Da che cosa dipende?

Mi posa un altro bacio sulla testa distrattamente.

- Da alcune cose.

No, decido di non approfondire. Non voglio sapere da cosa dipenderebbe il suo umore.

- Elena, per caso sei …

Mia madre apre la porta d’ingresso, ma si blocca non appena vede me e Damon sdraiati e noi ci rialziamo all’istante.

È senza parole. Di certo non si aspettava di trovare Damon con me a farmi compagnia. Mi volto verso di lui e noto i suoi occhi un po’ assonnati e i capelli spettinati. Io invece mi copro completamente con la coperta perché altrimenti si vedrebbe il maglioncino alzato fin sotto il seno perché le mani di lui fino a qualche momento fa erano lì e hanno spostato l’indumento.


- Buongiorno. – dice Damon.Il suo tono di voce è strano. È tranquillo, forse un po’ imbarazzato, ma nel profondo nasconde anche un leggero velo di seccatura. Non … non voleva essere interrotto? Arrossisco al ricordo di noi due completamente abbracciati come due secondi fa. Anche se adesso siamo ancora troppo attaccati.

- Ti … ti stavo cercando. Sono le cinque del mattino e non ti ho vista nel letto. – poi cambia completamente tono della voce. Da sorpreso diventa calmo. – Vi va di fare colazione?

Accettiamo arresi da quella strana situazione. Una situazione nuova che sa di una familiarità diversa, ma altrettanto accogliente. Io e Damon così vicini … e non solo fisicamente. Ma pian piano in tutti i sensi. Adesso ci ritroviamo lui ed io che aspetto nostro figlio a fare colazione, seduti al tavolo della cucina.
Insomma non è strano? Non è strano come la mamma, dopo averle detto che il padre è Damon, si sia subito abituata?

La mamma fa dei pan cake ottimi, squisiti e adoro spruzzarci sopra tanto cioccolato, forse un po’ troppo.


- Non stai esagerando? Di questo passo diventerai una balena entro il giorno del parto. – questa sua constatazione mi innervosisce, ma in effetti sto già iniziando a ingrassare. Ha ragione, ma non gliela voglio dare vinta.

- Perché io sono Damon – cerco di imitare la sua voce, ma è praticamente impossibile – Ho il corpo da Dio greco e tutte le ragazze mi corrono dietro. Non potrei mai ingrassare.

- Allora è questo che pensi di me? Che sono un possibile sex symbol?

- Non fare il cretino, anche se ti riesce troppo bene.

- Ah ah ah. – ride sarcastico.

E poi lo fa ancora. Mi lascia una altro bacio divertito sulla guancia e io automaticamente sorrido perché mi fa piacere. Le sue labbra sulla mia pelle ultimamente mi provocano strani brividi proibiti.
Sta accadendo tutto troppo in fretta. Damon, il bambino, sono qui davanti e dentro di me. Mentre Stefan molto probabilmente dorme ancora nel suo letto, ignaro di tutto quello che mi sta succedendo. Di cosa sta cambiando, di quello che ormai provo inspiegabilmente.
In questi momenti del genere non so veramente che cosa fare. Tutte le mie decisioni prese vengono messe in discussione da fattori che non avevo previsto che ci fossero. E forse non oggi, non domani o nemmeno fra due mesi. Ma a Damon questa verità gliela devo. Gliela dirò un giorno. Perché lui se lo merita, perché si merita di trovare in suo figlio quell’appiglio di cui tanto mi ha parlato ieri notte. Ho visto accendersi un lui una strana passione infuocata che gli illuminava gli occhi. Come un fuoco ardente, bloccato del gelo dei suoi occhi. Un fuoco che ha il bisogno di uscire e di dare affetto a questo bambino. Questo bambino a cui sto privando suo padre, il suo vero papà, colui che può dargli un amore indescrivibile.
E solo adesso me ne rendo conto. È servito allontanarmi da mio padre per comprendere quanto io abbia bisogno di lui e delle sue coccole. Non priverò mio figlio del suo papà.


 
 * Ip man è una serie di film che narra la storia del maestro di Bruce Lee (noto vecchio attore).
** E' una disciplina del Kung fu.


Note finali: eccomi qui! Sono tornata! Prima di tutto --- happy TVD day? Pronte per il nuovo episodio? Io personalmente non sto più nella pelle.
Allora il primo argomento che voglio affrontare è la partenza di Grayson. Ovviamente questo è stato un fattore (come avete visto a fine capitolo) che sta inducendo Elena a cambiare idea. Forse dirà tutto a Damon, ma non sa quando. E' questo il punto quando? Vi anticipo già che ci sarà un "piccolo" salto temporale, ma i mesi mancanti verranno raccontati attraverso dei flashback ben specifici PIccolo anticipo ... ricordate quando Elena ha scalciato per la prima volta dentro la pancia di Miranda? Ecco, tenetelo ben in mente. (ok ... forse ho spoilerato qualcosa, ma io sono la regina degli spoiler).
POi c'è Damon che sente e non sente qualcosa per Elena, che è ancora troppo confuso ... e troppo ubriaco, che dice tutto a Ric (Ric era d'obbligo che dovesse saperlo) e anche MIranda non è più tanto sconvolta dal corso degli eventi. 
Aspetto con andia le vostre recensioni.

§Mia*
 

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Capitolo 8
*** Dannazione. ***


8.
Dannazione.
(nove mesi dopo)
(Elena)

- Papà! – corro verso mio padre che è appena entrato dalla porta d’ingresso.

Be’, non posso proprio dire di stare correndo visto che il mega pancione me lo impedisce.

È settembre, mi sono diplomata lo scorso giugno e inizierò il college con un anno di ritardo. Questo sarà totalmente di riposo. Più che riposo sarà dedicato al bambino, dovrò imparare ad accudirlo, a gestire la mia vita con lui. In realtà non vedo l’ora che esca fuori perché sono stufa di dover dormire sempre nella stessa posizione la notte, sono stufa di essere guardata da tutti i passanti come la ragazzina che è rimasta incinta troppo presto e soprattutto sono stufa di essere così ingombrante.

Mia madre non mi permette più di aiutarla in casa. Non vuole nemmeno una mano in biblioteca perché “la polvere ti farebbe troppo male, Elena”.

Sono stanca di stare ferma. Non vedo l’ora di partorire, anche se so che sarà l’esperienza più dolorosa della mia vita, ma adesso non sto più nella pelle. Voglio vedere il mio bambino, voglio abbracciarlo, cullarlo cantargli la ninna nanna. E anche Stefan lo vuole.
Sì, proprio Stefan.

Perché non sono ancora riuscita a dirlo a Damon. Non che non lo volessi, ma non c’è stata veramente occasione. Io all’inizio ero impegnata nello studio, volevo diplomarmi in tempo, con tutti gli altri, perciò mi sono messa da fare per raggiungere il mio obiettivo. Poi è arrivata l’estate e Damon è partito per farsi una vacanza con Alaric e Enzo. Un viaggio “on the road” per due mesi. Da Mystic Falls fino a Los Angeles. E caspita ci sono riusciti!

A volte Stefan riceveva delle cartoline da parte del fratello e me le faceva vedere tutte. Pheonix, Las Vegas, il Gran Canyon e anche una strana cittadina dove facevano zuppa di mais!

Avrei voluto fare anche io una bella vacanza con le mie amiche, questa estate. Infondo questa è stata l’ultima, prima della grande avventura, prima di prendere in mano il nostro futuro. E anche se diversamente, tutte lo stiamo facendo: Caroline andrà al Withmore College per seguire i corsi di giornalismo, Bonnie purtroppo non si può permettere di pagarlo, ma ha ereditato il negozio di cianfrusaglie dalla nonna e ha già qualche idea per migliorarlo. Io … io devo pensare prima di tutto a mio figlio.

Per adesso è solo lui l’unico punto fisso del mio futuro, né Stefan e né Damon. Perché quando racconterò loro la verità, sono certa che entrambi saranno così arrabbiati con me che non vorranno più rivolgermi la parola. Per adesso l’unico amore della mia vita è quello che sta dentro di me. E spero che anche lui mi amerà come lo sto amando io in questo momento. Spero di essere una buona madre, come la mia. Dolce, comprensiva, che sappia insegnare.

Per adesso questo bambino è la mia unica certezza.

È settembre. Jeremy è al terzo anno di liceo e finalmente è diventato titolare della sua squadra di football. Stasera ci sarà la prima partita di stagione del campionato. Papà quindi è riuscito a ritornare in città, glielo aveva promesso.
Mi è mancato tantissimo. Anche se era comunque ritornato a Mystic Falls per le prime settimane di agosto, io non lo vedo da quasi un mese e sono felicissima di rivederlo.


- Elena come stai? – mi chiede, lasciando perdere le due valigie che si è portato per ricambiare il mio abbraccio.

È riuscito a prendersi un lungo periodo di riposo visto che mancano poche settimane prima del parto. Vuole starmi vicino e io lo apprezzo. Sta mantenendo tutte le sue promesse e finché sarà così, la sua assenza si fa sentire di meno. Anche se è tutto cambiato.
Ma alla fine stiamo tutti bene. Siamo tutti più sereni, sopratutto i miei genitori. Mamma mi sembra più tranquilla e anche lui da New York quando lo chiamo mi pare che sia felice. Tra loro due c’è ancora dell’astio quando si incontrano, ma si sforzano comunque di convivere in pace per il nostro bene.
Non dico che non mi manca la mia vecchia vita, ma almeno l’aria adesso è più respirabile e anche se non siamo sempre tutti e quattro insieme, ci vogliamo ancora bene.

Io sto bene papà. Davvero, ora che ti vedo sto bene!

Ma non glielo dico. Sono così contenta che non riesco a parlare, che non riesco a fare a meno di abbracciarlo, per quanto ci possa riuscire.
Sono davvero grossa.


- E Jeremy, dov’è?

- È andato a correre, vuole tenersi in forma per la prima partita.

- Sì ma non si dovrebbe stancare molto, altrimenti stasera renderà poco.

La mattinata passa tranquilla. Chiacchieriamo, ci divertiamo e lui mi chiede com’è adesso la situazione. E non fa che chiedermi di Damon.

Quando gli dissi, qualche mese fa, che era lui il padre del bambino non ne fu molto contento. Non ha mai avuto molta considerazione di lui. Rispetto a Stefan lo ha sempre trovato più sconsiderato e fannullone, ma alla fine non mi ha giudicata e neanche la mamma lo ha fatto. Anche se entrambi mi hanno continuamente spronato a dire ai fratelli Salvatore la verità. Soltanto che non c’è ne è stata l’occasione.

Io e Damon siamo stati molto distanti dopo quella mattina. La cosa a dire la verità mi è sembrata molto strana, perché le cose mi sembravano quasi a posto. Lui mi aveva esternato i suoi desideri e io non ne avevo fatto una colpa.

Poi … è come se non fosse mai successo. Io sono ritornata per lui la piccola cognatina e lui il rompiscatole fratello maggiore del mio ragazzo. Anche se penso che sia stata una finzione continua. Anche se penso che alla fine stavamo recitando per gli altri. Perché Stefan non doveva sapere. Perché nessuno doveva sapere.

Alla fine non ci siamo più ritrovati e io in questi nove mesi non ho più saputo raccontargli la verità. Forse solo una volta ho avuto l’opportunità, ma era arrivata così all’improvviso che non ho saputo coglierla.

(quattro mesi prima)
È tardi. No è tardissimo. Non farò sicuramente in tempo per la visita ginecologica da Meredith.

È vero non dovrei guidare, ma la mamma è ancora a lavoro e io devo andare a casa di Stefan perché lui mi ha detto che ci sarebbe stato. A questo punto sarebbe potuto anche passarmi a prendere, ma a volte lui è più ritardatario di me, perciò devo sempre organizzare tutto da sola.

Entro dentro casa Salvatore. Tanto so che questa porta non è mai chiusa a chiave.

Chiamo Stefan a gran voce, ma lui non mi risponde. La casa mi sembra vuota.

Ma alla fine dalle scale sbucano fuori Eléonore e Damon.


- Elena cara, che ci fai qui? – mi chiede la madre del mio ragazzo sempre con gentilezza e venendomi ad abbracciare.

Mentre ricambio, stringendole le braccia attorno al collo, scorgo la figura di Damon che è rimasto sul penultimo gradino con le mani nelle tasche ad osservarsi i piedi.
Mi sta evitando. Lo percepisco dalla tensione che si è creata non appena i nostri sguardi si sono scontrati per soli due secondi. Diavolo perché deve essere sempre così?


- Sto cercando Stefan. Mi doveva accompagnare per un’ecografia. Oggi dovremmo scoprire il sesso. – le dico sorridente.

Sapevo che oggi Stefan sarebbe dovuto andare al college per un incontro di orientamento, ma mi aveva promesso che a questa ora del pomeriggio sarebbe riuscito ad arrivare.

- Oh tesoro, ho sentito Giuseppe poco fa e mi ha detto che sono appena partiti dal Withmore. Non penso che faranno in tempo.

- Oh. Allora andrò da sola allo studio di Meredith.

- Ma può sempre accompagnarti Damon.

- Cosa? – intervenne lui avvicinandosi ad entrambe. – mamma non ti voglio lasciare sola.

- Sciocchezze. Cosa vuoi che siano un paio d’ore o poco meno?

- Davvero, Eléonore, non fa niente.

- Elena non ti permetterò di andare da sola ad una visita così importante. – poi si rivolge al figlio – Damon va a prendere la tua giacca al piano di sopra.

Damon ubbidisce senza replicare, lasciando me e sua madre da sole. Lei mi inizia a scrutare, socchiudendo gli occhi. Mi studia come se fossi un esperimento da laboratorio.

- C’è qualcosa che devi dirmi, cara? – mi chiede criptica e io non ho la più pallida idea su cosa si riferisce. – Magari c’è qualcosa che non mi hai detto come, per esempio, la paternità del bambino?

Adesso parla sottovoce. Evidentemente non vuole farsi sentire dal figlio, ma io comunque mi spavento alla sua domanda e la fisso terrorizzata. Cosa … perché … come fa a saperlo?

- Te lo si legge in faccia. Sai, una persona che non conosce quello che è successo tra te e Damon, non farebbe caso a come lo fissi. Come se vorresti rivelargli un segreto importante. Ma io ti conosco Elena e vedo che c’è qualcosa che non va quando sei con lui. Credo che la risposta più plausibile sia che tu hai mentito a entrambi i miei figli e che in realtà Damon sia il vero padre di tuo figlio. – mi dice amorevolmente. Non mi sembra arrabbiata. Anzi … la vedo piuttosto felice e contenta. Ormai è da qualche mese che la signora Salvatore mi ha esternato il suo parere per quanto riguarda me e i suoi due figli. Lei ritiene che io dovrei stare con Damon semplicemente perché ci trova meglio insieme. Perché io e lui potremmo essere una bella coppia, se solo si desse la chance giusta. Se solo noi due ci dessimo una possibilità.

E io ci ho provato. Ho provato ad immaginare me e lui in una situazione romantica, con cene al lume di candela e lenti da ballare e … non mi ci vedo con Damon, ok?

Mi sembra tutto così assurdo, così finto. Il punto è che lui non è il tipo. Non riesco ad immaginarmelo mentre mi prepara da mangiare, più che altro mi porterebbe in uno squallido bar alle porte di Atlanta e ordinerebbe un doppio cheeseburger con tanto di birra da abbinarci. Damon non è il tipo che ritornerebbe a casa da lavoro con una rosa tra le mani per me e un nuovo giocattolo per il bambino. Lui ritornerebbe con una bottiglia nuova di Bourbon da aprire e … comunque amerebbe suo figlio. Lo riempirebbe di coccole, lo amerebbe all’infinito.

Accidenti, glielo devo dire assolutamente! È giusto che glielo dica, ma io e Damon non avremo più nessun altro tipo di incontro ravvicinato. Il concepimento del bambino è stata la prima e ultima volta.


- Credo che tu sappia come la penso.

Ma non ho il tempo di rispondere, perché Damon sta scendendo le scale e mi accompagna alla sua auto. Saluto velocemente sua madre e mi vado a sedere sul sedile del passeggero mentre lui si siede accanto, accendendo la macchina.
Siamo a metà maggio, le giornate sono già molto calde e la capotta della Camaro è abbassata, mentre sfrecciamo sulle vie della città ad una velocità moderata, ma che ci concede un venticello fresco.

Tra me e Damon c’è ancora silenzio, soltanto che io non lo sopporto più. Mi da fastidio questa mancanza di comunicazione, non mi va bene.


- Allora … un viaggio in macchina, eh? – gli domando.

- Come scusa?

- Questa estate. Tu, Enzo, Ric …

- Già. Sarà una bella avventura. Serve a tutti quanti, staccare la spina intendo. – mi dice. Oh quanto vorrei staccare la spina anche io. Smettere di essere .. incita solo per un giorno per poi ritornare alla mia vita. – E tu, programmi per questa estate?

- No. – mi metto ad accarezzare la pancia, guardando in basso. – Devo comprare le cose per il bambino. Sai, la culla, vestitini, il passeggino … quella roba lì.

Adesso anche lui ha iniziato a buttare un occhio sul mio pancione e mi sento troppo osservata.

- Ho capito.

Arriviamo allo studio di Meredith e subito ci accoglie una dottoressa che non ho mai visto. È bella, anche lei giovane, bionda con un delizioso naso a punta, gli occhi verde smeraldo e la carnagione chiara. Si chiama Serena * e per qualche giorno sta sostituendo la mia amica al suo studio.
Ci fa accomodare nella stanza con la macchina e  io mi vado a sdraiare sul lettino scoprendomi la pancia mentre Damon si va ad appoggiare sul davanzale della finestra. È strano. Lui non ha mai assistito ad una mia ecografia …


- Allora Elena, riesci a vedere tuo figlio? – fa indicandomi lo schermo e io ripenso a qualche mese fa’, quando non era che un fagiolino e adesso riesco a capire qual è la testa,quali sono le manine e i piedini.

Annuisco, sentendo Damon avvicinarsi curioso per vedere meglio l’immagine. Si ferma e si siede proprio sullo sgabello accanto al lettino, al mio capezzale. Mi volto un po’ per guardarlo e lui non fa la stessa cosa. Continua a fissare incantato il monitor bianco e nero. Non sta badando a me. Sta ammirando suo figlio.

(Damon)
Guardo la piccola creatura che si presenta nella pancia di Elena. È bellissimo! È lì, che se ne sta fermo o ferma e probabilmente dorme beato. Oh quanto vorrei prenderlo in  braccio. Quanto vorrei farlo. Quanto vorrei potergli dire che sono il suo papà, ma invece non è così.

Vedo Elena annuire alla domanda di Serena e io ho voglia di essere più partecipe a quella visita. Quindi annuisco anche io.


- Ok, ora vi faccio ascoltare il battito cardiaco.

E schiaccia qualche bottone. Io ascolto come un leggero tamburellare proveniente dal macchinario. Ed è il suo cuoricino. Forse quel rumore è anche il mio che sta scoppiando, è anche quello di Elena. Elena che adesso sta piangendo lacrime di gioia, che si sta emozionando, che è bellissima mentre sorride e piange allo stesso tempo. Che forse è ancora troppo piccola per affrontare emozioni di tale grandezza, ma  invece è pronta. Credo che lo sia sempre stata.

Le prendo la mano senza pensarci. Le voglio dire che sono con lei, anche se io non ho voce in capitolo, le sono vicino. Lei irrigidisce un po’ i muscoli della mano, ma poi si lascia andare e ricambia con vigore la stretta.

Grazie Elena. Grazie per non avermi allontanato. Grazie perché io ne ho bisogno. Perché in questi mesi, nonostante io qualche mese fa’ abbia detto che ho bisogno di questo bambino, mi sono messo in disparte. Perché ho cercato di fare la cosa giusta lasciando spazio a mio fratello. Lui ha il compito di stare vicino a te, non io. Ma io non ci riesco, va bene? Ho come bisogno di starti vicino, per stare vicino a tuo figlio. Che non è il mio. Sarà semplicemente mio nipote. Ma non fa più niente.

Grazie perché io vivo in una maniera così contorta che non riesco ad accettarlo. È così presto … eppure gli voglio già tanto bene.. grazie Elena, grazie davvero.


- Volete sapere che cos’è? – ci chiede. Non le chiede. Si rivolge ad entrambi, mi rende partecipe.

- Sì. – sussurra Elena con la voce rotta tra le lacrime.

- Bene, per adesso posso dirvi che è un bel maschietto sano e che in questo momento sta dormendo come un ghiro. Lo hai già sentito muoversi?

Elena nega mentre io cerco ancora di assorbire la notizia.

È un maschio! È un maschio! Avremo un maschio … no Damon! Ma che cosa dici? Avranno, non avremo. Perché non capisci che saranno Stefan ed Elena e non tu e lei. Perché il tuo subconscio si intestardisce? Non è tuo figlio, non lo è.

Ma io mi sento così bene, adesso.

Non mi rendo conto di star sorridendo come un cretino e ad aver avvicinato la mano di Elena alla mia bocca. Le sto baciando le nocche e non me ne sono nemmeno accorto, ma lei non sembra turbata.

Sorride invece. Mi sorride. Non lo ha mai fatto.


- È un maschietto. – mi dice dopo aver appena detto alla dottoressa che non ha ancora scalciato. 

Siamo in una pasticceria. Sulla via del ritorno ad Elena è venuta voglia di una fetta di torta al cioccolato e quindi l’ho accompagnata nel negozio più vicino. Sta mangiando la sua fetta al cioccolato e panna accompagnata da una buona tazza di tè fumante, mentre io mi limito a sorseggiare il caffè bollente e a fregarle qualche forchettata di quel dolce.


- Mmh. Questo sì che è un dolce. – esclama allegra.

- La torta al cioccolato che faccio io è più buona. – mormoro mentre prendo un lungo sorso dalla tazza del caffè. Non la sento parlare per troppo tempo, così quando ritorno con lo sguardo su di lei la sorprendo a fissarmi incredula e stupita. – che c’è adesso?

- Scusa e che io … tu … da … da quanto tempo sai cucinare?

- Praticamente da una vita intera, me lo ha insegnato mia madre.

- Non lo sapevo.

- Ci sono molte cose di me che tu non sai Elena. – le dico avvicinandomi un po’ al suo volto.

Noto un po’ di crema al cioccolato e qualche briciola del pandispagna marrone rimaste sull’angolo della sua bocca. Tolgo lo sporco con la mano che però rimane lì, ad accarezzare la sua guancia liscia.

Senza pensarci due volte porto la mano sulla sua pancia. Dio, non lo facevo da mesi. Avevo proprio la voglia di farlo. Elena non dice niente. Se ne sta ferma e chiude gli occhi, come a voler sentire meglio le mie carezze sul ventre. Chiude gli occhi, e sfiora la mia mano con le sue. Preme forte sulla pancia e mi lascia sfiorare suo figlio.

Lo sento scalciare.

Trattengo il respiro, forse per troppo tempo. Trattengo il respiro e mi emoziono. Anche Elena si sorprende, si porta una mano sulla bocca per evitare di urlare. So che vuole farlo, ma si trattiene. Fossimo stati a casa sua o a casa mia, avrebbe già spaccato i vetri con la sua voce, ma qui non lo fa. Si limita a sorridere, a far vedere i suoi denti bianchissimi.


- Damon, l’hai sentito?

Annuisco. Le sorrido anche io.

È la prima volta che il bambino si muove. Prima non lo aveva ancora fatto.

Ho un deja–vu. Io da piccolo in una sala d’aspetto con mia madre e Miranda che aspetta Elena. Io che le tocco la pancia ed Elena che si muove per la prima volta. Non è possibile. È tutto come diciotto anni fa.

Che cosa sono? Perché Elena o suo figlio si  muovono per la prima volta grazie a me? Che ruolo ho in tutto questo? Forse sono maledetto. È una maledizione questa. Essere così in un certo senso importante, ma non essere autorizzato su un bel niente.

Sai di che cosa ho voglia Elena? Di esternare veramente la mia gioia in questo momento. Non di limitarmi a sorridere e ad essere emozionato. Vorrei alzarmi e prenderti per mano e portarti … non so dove. In un qualsiasi posto. Un posto che conosciamo solo noi due. E ho voglia di baciarti, Elena. Voglio baciarti solo perché porti questo bambino in grembo anche se non è mio, anche se non è nostro. Voglio baciare te e questo bambino e … spera che quello che io sto provando adesso non sia amore. Non sia amore per te e per lui, perché altrimenti sarebbe la fine.

Eppure voglio stringerti ancora e fare con te sesso ancora. E questa maledetta attrazione che provo per te mi sta uccidendo. Perché lo sai che c’è? È che ti chiederei volentieri di venire come me questa estate, solo noi due. Al diavolo, Alaric, Enzo, Stefan, le nostre famiglie e l’intera Mystic Falls. Ma questo bambino Elena mi sta facendo provare qualcosa per te.

Non so ancora se è amore o affetto. Io non ho mai provato amore per nessuno. Non so cosa sia l’amore. Ok, forse tu me lo stai facendo sentire per la prima volta, ma … non ne sono sicuro. Non devo esserne sicuro.

Al diavolo anche tu, Elena. Vorrei che andaste tutti quanti a quel paese. Perché io in questo momento mi sento intrappolato, inerme di fronte a questo spettacolo. Vorrei solo prendere il bambino e scappare via. È egoista, è egoista all’ennesima potenza, ma non riesco a pensarla diversamente, perché se guardassi tutto quanto da un’ottica diversa, più semplice, più positiva, allora manderei tutto in mezzo ai casini e le nostre famiglie andranno dritte all’inferno per questo, Stefan soprattutto che l’unico errore che sta facendo è solo quello di non essersi accorto che tra te e me c’è qualcosa, ma allo stesso tempo non c’è un bel niente. O perlomeno siamo noi che non vogliamo ci sia un bel niente.

Ma forse basterebbe una sola parola, Elena, un solo tuo assenso e potresti considerare questo povero uomo ai tuoi piedi. Asservito a te senza una spiegazione logica, illogica, razionale o irrazionale.

Vedi cosa mi ha fatto quella notte di cinque mesi fa’? Vedi che cosa mi ha fatto tutto quell’alcol? Vedi che cosa mia hai fatto? Per non parlare del tuo bambino.

Parti con me. Lo so è una cavolata, piccola. È silenziosamente io te lo sto chiedendo. Con gli occhi, con la gioia di questo dannatissimo momento imprigionato tra un sì e un no. Ti prego, guardami. Capiscilo tu stessa. Guardami. Chiedimi se puoi venire con me questa estate e io ti giuro che ti dirò di sì. Partiremo senza dire niente agli altri.

Perché? Perché voglio capire che cosa ho dentro. Perché non ci riesco se resto in questa città a fingere. Perché non siamo più i due ragazzi che litigavano in continuazione. Perché ormai siamo legati da un qualcosa che nessuno di noi due ha ancora capito che cos’è. Perché se resto qui un minuto di più, fingendo agli occhi degli altri che siamo ancora il Damon e l’Elena di cinque mesi fa’ scoppio. Io scoppio! Ma non voglio scoppiare.

Voglio solamente restare con te tre fottuti mesi, da solo. Per capire. Niente di più. Niente di meno. Devo solo fare chiarezza. Devo solo capire se ti amo oppure no. Devo solo capire se questa voglia di farmi mia anche in questa pasticceria, sia solo semplice attrazione oppure amore.

Elena, Elena … Elena dannazione, ti prego. Questo è un inferno per me. Chiedimelo. E io ti porterò ovunque vorrai andare. A Nord? A Sud, Est o Ovest? Io ti ci porterò. Ti accompagnerò, basta che mi aiuti.
Perché basterebbe questo tempo per capire. Io credo che sarà abbastanza. Me lo farò bastare per tutta la vita se è questo che vuoi.

Ma chiedimelo. Io ne ho veramente bisogno.

(Elena)
Si è mosso. Il mio bambino si è mosso. E grazie a Damon, dannazione. È solo grazie a lui.

E sono così maledettamente felice che potrei urlare a squarciagola proprio in questo momento, mentre Damon alterna lo sguardo tra i miei occhi e la pancia. Mentre il bambino continua a scalciare. Il nostro bambino.

E questo, come prima, allo studio della ginecologa, sarebbe il momento perfetto.

Potrei dirlo adesso a Damon, che mio figlio sta finalmente scalciando in questo momento solo perché dopo tanto tempo il suo papà è tornato ad accarezzarlo. O forse è stata la torta e questa è una coincidenza. Ma io non credo alle coincidenze. Perché nel momento esatto in cui Damon ha abbassato la mano sulla mia pancia il bambino si è mosso.

 No, non può essere una coincidenza. Il bambino si è mosso grazie a lui. Il bambino già sa che Damon è il suo vero papà. E mi viene da piangere perché proprio adesso potrei dirgli “Damon, mi dispiace, mi dispiace così tanto. Scusami per non avertelo ancora detto, ma vedi … sei tu il padre di questo bambino. Questo e nostro figlio.”

Sono pronta ad ogni sua reazione, ma so che l’importante è quello di fargli sapere la verità, di dirgli tutto, ma qualcosa mi distrae. I suoi occhi.

I suoi occhi sono così pieni di vita in questo momento. I suoi occhi stanno cercando di dirmi qualcosa che ha parole non riesce a comunicarmi. Ma che cos’è? Spero che me lo dica con tutto il cuore. Spero che si liberi di quel peso che sento lui ha. Invece, si limita a sorridere come un bambino e a trattenere il fiato.

I suoi occhi mi distraggono. Vogliono comunicare con me. Ma io sono così ottusa che non capisco.

Che cosa vuole Damon da me? Sì, lui è suo figlio, ma mi sembra di fare un passo in avanti e due indietro. Mi manca ancora il coraggio. Come devo fare per raccontargli tutto, per dirgli che sono stata una codarda? Che non ho il coraggio necessario per fare la cosa giusta?

È inutile. Mi sembra di rimanere intrappolata in un limbo che non ha né un inizio né una fine.

Cerco di contenermi e dico a Damon che forse è meglio andare. Ci dirigiamo verso la cassa e vedo la vecchia signora consegnarci un pacchetto bianco.


- Ma noi non abbiamo ordinato nient’altro. – la informo.

- Non fa niente. È un piccolo regalo, siete una così bella coppia, che ve lo meritate.

Faccio per replicare, ma Damon mi precede e ringrazia la signora.
Sembriamo veramente due fidanzati?
 
Sono da sola in casa. Papà e mamma sono andati alla partita di Jeremy. Stefan è all’università e i miei amici sono tutti impegnati. Mi metto sul divano a guardare la televisione. Mi devo rilassare, il bambino stasera ha deciso di non smettere di scalciare. Non mi dà pace. Così prendo una vaschetta di gelato al cioccolato e mi godo un po’ di relax.

 Finché non sento suonare alla porta. E c’è Damon con mia sorpresa. Deve essere appena tornato dal suo viaggio estivo.


- Ciao. – è l’unica cosa che mi dice.

- Sei tornato. – non l’ho visto per un’intera estate e mi fa uno strano effetto rivederlo dopo tutti questi mesi.

- A quanto pare. – rimane taciturno. – sono venuto a salutare, posso entrare?

- Accomodati, ma non c’è nessuno. Sono tutti alla partita di mio fratello.

Fa un sorrisetto malizioso, almeno credo che sia così, entra in casa.

- Ah, il piccolo Gilbert è entrato ufficialmente nella squadra. E tu come mai non sei a fare il tifo per lui? Ti piace ancora il football, non è vero?

- Sì, ma sai, queste sono le ultime settimane … devo stare a riposo.

- Allora vuol dire che ti farà compagnia io.

Mi dice sarcastico mentre io allargo un sorriso. Mi è venuto spontaneo senza che io riuscissi a controllarlo.

- Spero che non ti dispiaccia. Uh, gelato …

- Ehi no! Quello era mio.

Mi avvento su di lui, ma il mio essere così ingombrante mi impedisce di recuperare la vaschetta di polistirolo. Lui ride divertito.

- Dimmi un tuo segreto e io te la ridarò.

Un mio segreto? Be’ … da dove posso iniziare. Ah già … sei tu il padre di mio figlio, Damon. Ma non so perché io continuo a ripetermelo nella testa invece di dirtelo ad alta voce. Che ci vuoi fare … è la vita.

- Dimmelo tu piuttosto. Ladro di gelato.

- Sei davvero pronta a scoprire i segreti più oscuri di Damon Salvatore?

Si siede sul divano pesantemente, facendosi rimbalzare automaticamente.

- Che cosa potresti mai nascondere?

- Tante cose. Ne ho parecchi sai?

- Spara.

- Allora … non ho mai frequentato il corso di letteratura al Withmore. Non sono mai andato all’università in vita mia. E questo non lo sa nessuno. Soprattutto mio padre non lo deve scoprire.Aspetta un attimo, cosa?

- E che cosa hai fatto in  tutti questi anni?

- Corsi di recitazione e direzione. Voglio fare il regista di teatro.

- Perché non lo hai detto a nessuno?

-  Perché quella che frequento è un’accademia vicino al Withmore, non un’università o un college. Papà mi taglierebbe i viveri se scoprisse che io vado alla Virginia Academy of Arts. Per lui non c’è futuro in quei campi. È già tanto se ha accettato che io studiassi materie umanistiche. Per lui avrei dovuto fare o il medico, o l’avvocato o il politico.

- Tu un medico? Allora io posso fare l’astronauta.

Rido a crepapelle mentre ingoio un altro cucchiaio di gelato.

- Sì ridi pure, ma intanto adesso tocca a te. Orsù madamigella, raccontatemi il vostro segreto più profondo.

Forse dovrei farlo. È Damon dannazione, uno più giocoso di lui non ci può essere. Ma lui sa essere altrettanto cattivo e stronzo se solo glielo dicessi. E il bambino continua a muoversi senza sosta e credo che stia andando a tempo con il mio cuore impazzito.
Perché Damon è così vicino e io gli potrei dire tutto quanto in un momento così intimo per noi come questo. O forse gli potrei dire che per tutta l’estate ho sentito la sua mancanza. Che il rapporto che ha lui con il mio pancione è diverso dal comportamento di Stefan.
Lui è … più imbarazzato. Accarezza la pancia solo dopo avermi chiesto il permesso, oppure devo essere io ad insistere affinché lui mi abbracci. Stefan non è spontaneo come fa lui. Be’ … forse io so il perché, ma il punto è proprio questo: solo io lo so. E mio padre, e mia madre, e la loro madre. Ormai siamo in tanti. Forse è arrivato il momento.


- Ecco … io … in realtà c’è una cosa che … che dovresti sapere.

Mi sistemo meglio sui cuscini del divano rosso e spengo la televisione, facendomi più seria.

Damon credo che abbia capito la situazione perché adesso il suo sorriso si è spento e io gli prendo le mani. Le avvicino a me le stringo forti. Sulla pancia. Sentendo tutti quei colpetti.
Per un momento prima dell’estate, pensai che lontano da lui, il bambino non si sarebbe più mosso. Invece l’ha continuato a fare per tutto il tempo. A volte pensavo che cercasse di muoversi verso il suo papà, che lo volesse vicino e io, ogni volta che ripensavo a queste cose, ripiombavo in un silenzio abissale.

Ci sono stati dei momenti in cui stavo per raccontare tutto a Stefan, ma poi ho subito pensato che era meglio se Damon fosse stato il primo. È meglio che scopra lui prima di tutti.

Questo non ha fatto altro che dirmelo Eléonore.


- Va bene ti ascolto.

Lei, mi ha sempre detto di chiamare Damon, e di dirgli anche al telefono che era lui il padre del bambino, rischiandogli di far fare un incidente con la sua adorata Camaro. Ma io ho aspettato. Non me la sono sentita. Ho cercato in tutto questo tempo il momento giusto. Ho aspirato a quell’attimo più dolce, più tenero che avrebbe attutito meglio il colpo.
So che non appena dirò la verità, le mani di Damon si allontaneranno dalla pancia che adesso sta accarezzando. Si alzerà in piedi, si passerà tutte e dieci le dita trai capelli e inizierà a camminare sconvolto per tutto il salotto. E forse lancerà in aria qualcosa. Forse il telecomando, forse un vaso di vetro e così farà incavolare nera mia madre … oh ma chi se ne frega di mia madre, io adesso devo sputare il rospo.

 Però non lo faccio più … e per un ovvia ragione.

Semplicemente perché adesso sto urlando dal dolore. Il bambino non scalcia più, fa male. Fa tanto male. Mi aggrappo alle braccia di Damon. Non riesco a sorreggermi anche da seduta.

Lo chiamo spaventato e lui mi fissa con occhi altrettanto terrorizzati.


- Damon, il bambino … sta nascendo.

Mi sta aiutando ad alzarmi. Mi fa camminare.

- Va bene, piccola. Adesso ti accompagno all’ospedale.



Note finali:
*lo avevo promezzo... chi avrebbe indovinato il sesso del bambino sarebbe finito nella storia. Lo so prendetela come un'idea stupida o altro, ma io l'ho fatto per suscitare interesse (e anche perché volevo trovare altri nomi per la storia xD). Quindi il primo personaggio dedicato a voi è la ginecologa Serena, da Sere 99 e il prossimo personaggio che inoltrerò sarà Giulietta, ovvero _Horse ;)

Quindi è un maschio. Lo so che alcune di voi sperassero in una femminuccia, ma per questa storia ci azzeccava un piccolo campione, fotocopia sputata di Damon.
Lo so che i pensieri sia di Elena, ma sopratutto di Damon sono un po' contorti e contraddittorii. Ma vi assicuro che non manca molto alla verità. No, la storia non è quasi finita ... ho ancora qualche ideuzza che mi passa per la testa.
Spero di non essere stata troppo banale e ripetitiva.
 
Ringrazio chi ha messo la storia tra le preferite/seguite/ricordate e sopratutto a chi recensisce. Ringrazio anche per tutti quelli che la leggono semplicemente.

xoxo Mia.

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Capitolo 9
*** Errori ***


9.
Errori.
(Damon)
Questo è senza dubbio il viaggio più lungo e allo stesso tempo il più corto di tutta la mia vita. Seriamente! È terribilmente difficile cercare di concentrarmi sulla strada mentre la ragazza che è seduta al mio fianco ha le contrazioni e sembra che abbia proprio voglia di partorire nella mia macchina. Non c’è problema, soltanto che le urla di Elena mi stanno facendo letteralmente impazzire!

Sapete quando si entra in quei momenti di completo panico? Quel panico che fa venire voglia di reagire, ma ci si blocca. Ci si blocca e non si capisce più niente. Be’ è così che mi sento in questo momento. Perché molto probabilmente lungo il tragitto starò investendo una decina di persone ogni cinquecento metri, ma a me in realtà non importa. L’essenziale adesso è che Elena arrivi sana e salva in ospedale, prima che le contrazioni si facciano più vicine e lei si mettesse a spingere.

Non mi sembra di arrivare mai alla meta, nonostante io abbia superato del doppio la velocità consentita. Non mi sembra di arrivare mai, mentre guido e quando la mia mano destra non è impegnata a cambiare le marce (questo credo che è stato l’unico momento della mia vita dove ho desiderato possedere un’auto che non sia questa, una con il cambio automatico) o a roteare il volante insieme all’altra, si avvicina a Elena per tranquillizzarla.

Ed è adesso che commetto il primo errore della serata. Quello che mi porta ad alcune rivelazioni.

Elena afferra la mano con forza insistente e non accenna a liberarmi da quella morsa per niente dolorosa se messa a confronto con quello che sta sentendo lei. Il punto è che neanche io voglio lasciarla andare. Voglio che lei tragga forza dalla mia presa, che si senta meglio o che sfoghi il suo dolore, stringendo la mia mano, conficcando le sue lunghe unghie nel palmo della mia. Io non sento più niente. Non posso sentire niente. Non mentre lei urla e mi prega di fare più veloce, perché l’unica cosa che desidera in questo momento è partorire.

Le mie orecchie e la mia mano trovano pace ogni volta che le contrazioni si placano, allentando la presa di Elena, facendole abbandonare la testa all’indietro e facendola respirare più affondo. Inspirando ed espirando lentamente. Tanto sa che tra qualche minuto, ripartirà tutto daccapo.


- Damon chiama la mamma, ti prego. – mi supplica.

Io ne approfitto per prendere il cellulare e scorrere sulla rubrica. Chiamo Miranda. Dannazione non prende! Ma al campo da football non prende mai, quindi anche se chiamassi a Grayson, succederebbe la stessa cosa. Valuto la possibilità di chiamare mio padre, ma non appena lui vedrebbe il mio nome sul display ignorerebbe automaticamente la chiamata. Stefan è al college, quindi se anche ora lo chiamassi, non farebbe in tempo. Lo farò con più calma quando saremo arrivati in ospedale. La mamma? Ha staccato il telefono di casa, starà riposando. Potrei chiamare un nostro qualsiasi amico o una nostra amica, ma a che servirebbe? Non avrebbero nessun effetto calmante su Elena.

Le contrazioni ripartono e forse si fanno anche più forti di prima. A Elena a volte manca pure il fiato per gridare, mentre sbatte i piedi facendoli risuonare nell’abitacolo e preme una mano sul pancione per voler acquietare il dolore, ma invano.

Sta piangendo. Lo posso vedere con la coda dell’occhio mentre si asciuga qualche lacrima con una mano.


- Ehi Lena, calmati! Vedrai tra poco sarà tutto finito.

Le accarezzo una spalla, andando a sfiorare una porzione del collo scoperta. Mamma mia quanto è sudata.

E mi sembra un tempo infinito quando arriviamo in ospedale e la prendo di peso dalla macchina. Lei abbandona la testa sulla mia spalla e sento il suo respiro sul mio collo. Oh, com’è dolce … Damon non pensare a queste cose in un momento del genere!

Entriamo nell’edificio e due infermieri ci soccorrono facendo sedere Elena su una sedia a rotelle. La trascinano ed io li seguo in pratica attaccato, fino a quando aprono la porta che dovrebbe condurre alla sala parto. Ed Elena lo fa. Blocca tutto, a prescindere da dolore o meno, ma mi afferra per la manica del giubbotto di pelle perché io mi sono fermato. Perché non sto entrando con lei. Quasi non le interessa che il bambino le sta effettivamente chiedendo di nascere, ma lei decide di ignorare il dolore per qualche secondo e implorarmi con i suoi enormi occhi da cerbiatta, mentre il respiro si blocca nella sua bocca, prima di uscire.


- Damon, vieni con me, io non voglio restare da sola! Ti prego, ho bisogno di te!

Esclama urlando mentre io sono tentato di andare con lei, di sorreggerla mentre magari impreca contro qualcosa o qualcuno, o meglio ancora contro il giorno in cui ha concepito suo figlio. Sono tentato, veramente tentato. Poi mi rendo conto che quello non è il mio posto. Che non ho nessun diritto di stare con lei, anche se me lo sta chiedendo. Che diritto ho di veder nascere il figlio di mio fratello al posto suo? No.

Questo è il mio secondo errore: rendermi conto che però vorrei essere lì con lei.


- Stai tranquilla. Vedrai che tua madre sarà qui a momenti.

Ma non ci credo a quello che le dico. Perché Miranda ancora non mi risponde. Non lo fa ancora nessuno.

Quando la vedo scomparire oltre la porta, riprendo il telefono in mano e scorro nella rubrica fino alla S e finalmente chiamo mio fratello.
Uno squillo, due squilli, tre squilli e grazie a Dio risponde.

“Ehi Dam, che si dice giù in città?”

Oh non ne hai la più pallida idea, vero fratellino? Non sei ancora pronto. Perché in pratica Elena sta partorendo con un paio di settimane in anticipo e tu ti stai ancora godendo la vita del college, magari facendo qualche bravata. Magari stai per andare a qualche festa oppure stai letteralmente cazzeggiando con i tuoi compagni di stanza, ma non hai la minima idea di che si dice giù in città.


- Niente di che. Sai, Grayson è tornato, Jeremy sta giocando la sua partita di football, Elena è appena entrata in travaglio … quella roba lì.Silenzio. Conto fino a dieci: il tempo che ci mette mio fratello per rendersi conto dell’ultima cosa che ho detto e per assimilarla del tutto.

“Che … chi c’è lì con te?”


- Nessuno. Tu sei l’unico che stasera si degna di rispondermi. Quindi muovi quel bel culetto che ti ritrovi e vieni a vedere tuo figlio che nasce.

Non mi lascia nemmeno il tempo di salutarci che riattacca. Mi chiude il telefono in faccia. Sorrido nel vedere quanto è ancora bambino, mio fratello, ma allo stesso tempo credo che sia pronto per crescerne uno suo di bambino. Un bambino che sta nascendo in questo esatto momento mentre la sua mamma urla dal dolore. Giurerei di sentirla anche da qua fuori.  Chissà come se la sta passando.

Ho voglia di entrare come non mai in questo momento. Sono tentato di farlo. Afferro la maniglia argentata della porta, ma rimango bloccato. Fermo. Nessun muscolo in movimento. Tutto si arresta, come quando si mette in pausa un film. Perché magari si è vista una scena che vuoi bestemmiare, perché ti stupisce. E si riflette. Ci si chiede perché è accaduto tutto questo. E allora … perché è accaduto? Che cosa mi ha spinto stasera ad andare a casa di Elena? Sono appena tornato da Mystic Falls e non appena ho messo piede in città, ho abbandonato Alaric ed Enzo e sono andato a salutare la mamma. Il tempo di scoprire che a casa sua questa sera non ci sarebbe stato nessuno e sono corso da lei. Senza nessuna spiegazione. Non ha letteralmente senso questo mio desiderio di rivederla, di stare con lei per guardarla semplicemente. Sto fermo, con la fronte appoggiata sulla porta, dondolandola lentamente, a cercare un perché. Un perché che non riesco ancora a trovare.

Apro la mano dal pezzo di ferro che stringo ancora, facendo scivolare via un dito alla volta. Con una lentezza angosciosa, amara. È così perché mentre una forte spinta mi preme lì dentro, da Elena, un’altra, penso causata dalla mia morale, mi sta insistentemente dicendo che non è affatto corretto, che non va fatto e mi spinge nel verso opposto. Sulle sedie di plastica del corridoio.

Quelle stesse sedie di plastica che mi riportano alla mente l’episodio di nove mesi fa, quando Elena stava per perdere il bambino. Quella fu senza dubbio una notte peggiore di questa. Le mie preoccupazioni erano enormi e … ed era quando io ancora speravo che potesse essere mio figlio. Quando quel bambino nella pancia di sua madre era ancora piccolissimo, ma per me allo stesso modo importante.

È tutto cambiato con questo bambino. Tutto ha assunto una luce diversa, più splendida. Anche se non è mio.

Vedo una donna uscire dalla porta dove è entrata Elena. Si dirige verso di me.


- Salve, lei è Damon?

- Sì.

- Io sono Giulietta*, l’ostetrica di Elena. Le dovrei chiedere di entrare in sala parto perché la paziente non si decide a calmarsi è ha chiesto esplicitamente la vostra presenza.

- Cosa? Ma io non …

- La prego. È fondamentale che la donna che sta per partorire si concentri solamente nello spingere, se si agita inutilmente potrebbe essere rischioso. Elena ha detto che si sarebbe calmata se ci fosse stato lei, Damon. Perciò venite con me per cortesia.

Annuisco silenzioso mentre l’ostetrica mi conduce nella sala parto, non prima di avermi fatto indossare un camice per l’igiene.

Questo è il mio terzo errore.

Quando entro, vedo che, in effetti, Elena si sta agitando inutilmente nel lettino e muove convulsamente i piedi nelle staffe. Forse Giulietta ha ragione. Non appena Elena nota la mia presenza, pare calmarsi. Mi allunga una mano ed io mi avvicino a lei timoroso. Sto realmente vedendo la ragazza di mio fratello partorire? Quasi non mi sembra vero.

Mi piego su di lei.


- Damon … sei qui. Sei qui!

- Sì, adesso calmati piccola, altrimenti resteremo qui delle ore. Come stai?

- Fa tanto male!

Mi scruta con quei suoi occhi da cerbiatto dolcissimi, lucidi per il pianto e adesso con una luce particolare dentro. Pieni di una grinta che non avevo mai visto in nessuna persona. Carichi di una fatica immensa che la fa stancare, ma la rende altrettanto bella.

Ed io sono qui, quasi pronto a prenderla completamente tra le mie braccia. Commettendo errori su errori, perché io qui non dovrei esserci, perché è tutto sbagliato. Perché io, Damon Salvatore sto guardando questa ragazzina, piccola, incredibilmente piccola, che compie un enorme sforzo, che cerca di far nascere un’altra vita ed io non posso fare a meno di pensare a quanto sia bella.

Elena è bellissima mentre i capelli si appiccicano sulla fronte e sulle tempie a causa del sudore ed io voglio solamente spostarle ogni singola ciocca e metterla al suo posto.

Elena è bellissima quando stringe i denti e strizza gli occhi, arricciando il naso mentre tenta di dare la prima spinta.

Questi due mesi di vacanza non sono bastati. Non sono bastati a dimenticarla, ad allontanarla da me a far si che io mi scordassi di lei. Questi due mesi, lontani da Mystic Falls, mi avrebbero dovuto togliere questa malsana voglia di desiderare che questo bambino sia mio figlio.
Invece, non è stato così.
Perché io sto guardando Elena e la trovo bellissima. E la vorrei mia.

C’è solo una spiegazione a tutto questo.

Compio il quarto errore della serata: ammetto di amarla.

Perché non può essere altro che amore.

Perché con quale scusa posso starmene qui, al posto di mio fratello? Mentre desidero baciarla su una tempia per darle forza, per dirle che non è sola. Che ci sono io. Ci sarò per il resto della sua vita.

Perché questo povero bastardo si è innamorato di te, Elena, e non sa neanche quando è successo.

Non sa se è stato mentre facevate l’amore quella volta. Quell’unica volta.

Mantengo quel ricordo come il più prezioso di tutti. Perché è stato quello in cui ho amato Elena a pieno. Perché non era solo sesso. Io e lei avevamo fatto l’amore e nemmeno ce ne eravamo accorti.

Elena. La amo, la amo tanto. Piccola. E adesso si spiegano tutte quelle volte che ho desiderato prenderla e proteggerla tra le mie braccia. Adesso capisco perché quel giorno che rischiò di perdere il bambino, io ero terribilmente preoccupato anche per lei. Sì, non può essere altro che amore.
Non può essere altro che amore …

E orgoglio. Orgoglio per lei mentre tenta ancora di spingere, di farsi forza da sola ma ancora niente. Sono comunque orgoglioso di lei.


- Elena dai, ce la puoi fare. Tra poco Stefan sarà qui e …

Tento di incoraggiarla, di dirle che il suo ragazzo sarà qui a momenti, perché probabilmente è l’unica cosa che si vuole sentir dire, nonostante io abbia appena avuto la voglia di dirle che io posso aiutarla anche senza gli altri. Perché ci sono anch’io e posso essere abbastanza per lei. Ma lei mi interrompe, lei mi ferma, non mi permette di concludere. Inizia a parlare lei. Con parole che non hanno senso. Oppure un senso l’hanno, ma io non le sto ascoltando, io non connetto quello che dice. Finché non mi decido ad aprire le orecchie.

- No … no … Stefan non potrà far niente! – piagnucola, voltandosi verso di me e guardandomi di nuovo negli occhi. – sei tu. – mi sussurra abbozzando un sorriso timido – sei tu.

E il mondo per un attimo si ferma, insieme con me. Il mondo per un po’ mi concede il tempo di apprendere che all’inizio quel “sei tu” non ha assolutamente senso. Poi come un lampo, mi sfreccia per la mente il ricordo di nove mesi fa, quando Elena fece il test del dna.

Non sei tu.

Sei tu.

Non sei tu.

Sei tu.

Non sei tu.

Sono … io. Sono veramente io? Sto per diventare papà, per davvero?

Mi accuccio ancora di più contro Elena, appoggiando la mia fronte sulla sua tempia, mentre mi sento rinascere. Mentre tutto si fa più vivo.

In questo momento non m’importa niente di nessuno. Non m’importa di sapere perché Elena mi abbia mentito in questi nove mesi. Non m’importa di sapere perché proprio adesso abbia deciso di rivelarmi la verità. Non m’importa più niente, né di Stefan, né di papà, di nessuno. Forse solo un po’ della mamma che in questi mesi mi guardava torva, mi diceva che tutto sarebbe andato per il verso giusto alla fine e poi liberava uno sguardo e un sorriso maliziosi che mi lasciavano perplesso.

Oh cielo, la mamma. La mamma ne era convinta sin da quando eravamo piccoli che alla fine saremmo capitati in questa situazione. Che alla fine io mi sarei innamorato di Elena, che presto non ci sarebbe stata nessun’altra nella mia vita. Solo lei e … mio figlio.

È davvero mio figlio! Non sto sognando. È vero! Nessuno scherzo, nessun pizzicotto mi sveglierebbe in questo momento.


- Non sai quanto sono felice adesso.

Mormoro.

Lei pare rilassarsi ed io continuo a incitarla a spingere, a farle coraggio a far nascere il nostro bambino. Le sussurro parole all’orecchio che mai mi sarei immaginato di dirle. Senza accorgermene, ammetto che è bella, glielo dico ad alta voce, le bacio una guancia e sono sull’orlo di un baratro. Ma so che nel fondo c’è come una enorme tappeto elastico, pronto a prendermi. Quindi mi butto. Mi avvicino di più a lei e la stringo a me.

L’ostetrica incita Elena.


- Forza cara, riesco a vedere la testa.

Mi manca l’aria, ma non m’importa. Elena continua a spingere e …

Sento piangere ed io automaticamente sorrido. Sorrido e le gambe mi cedono mentre la dottoressa e le infermiere tagliano il cordone, mentre una di loro si avvicina, in braccio un essere così piccolo, avvolto in una copertina bianca. È sporco di sangue e altro, ma lo trovo bellissimo. È mio figlio ed è proprio qui davanti a me, mentre è preso in braccio dalla sua mamma.

Li amo entrambi.

Non ho ancora spiaccicato parola. Sono rimasto estasiato, a bocca aperta, a quella vista. A quello spettacolo stupefacente.

Sono troppo felice, dopo sicuramente sarò anche un po’ arrabbiato con Elena, perché mi ha lasciato nove mesi all’oscuro, non mi ha detto niente e mi ha mentito. Aveva detto che non ero io il padre ma mio fratello. E quando le confessai che io non desideravo altro che essere il padre del suo bambino, lei non mi aveva detto niente.

Ma adesso, non me ne può fregar meno. Adesso voglio godermi il momento.

Elena sorride al bambino e lo fa smettere di piangere. Lo culla, gli accarezza la guancia con un dito, ma non posso fare a meno di notare che lei sta tremando, e non per l’emozione, ma perché effettivamente sente freddo.
Chiedo a un’infermiera di darle una coperta, mentre Meredith entra nella sala parto, sorridente.


- Elena, ho appena saputo che hai partorito. Sono venuta di corsa.

La nostra amica, si avvicina a Elena per abbracciarla e per vedere il bambino. Lo prende in braccio anche lei mentre l’ostetrica Giulietta si avvicina per dirci che tra poco lo porteranno via per fare le analisi di routine.
La guardo male.

Sono preoccupato, ok? Sono preoccupato mentre mio figlio è preso in braccio da una donna che non è sua madre, anche se stiamo parlando comunque di Meredith, e poi mi dicono che sarà portato lontano da miei occhi. Mi avvicino alla mia amica con fare protettivo. Che c’è? E va bene, ho paura che il bambino cada. Lo so, forse è stupido e immaturo da parte mia, ma è così che mi sento.

Lei sorride sotto i baffi, mentre getta un’occhiata eloquente a Elena.


- Forse il nostro papà ha bisogno di tenere suo figlio in braccio.

Come? Lei sapeva tutto? In realtà non c’è da stupirsi, avrà senza dubbio lei fatto fare il test.

Non mi sono reso conto che mi sta passando il bambino e adesso ho paura che io possa far cadere mio figlio. Le mie mani tremano, sono scivolose per il sudore, ma quando il bambino arriva tra le mie braccia, cerco di ritrovare la mia sicurezza. Lui agita un pochino il braccio quando io lo cullo e poi si calma subito. Si sta addormentando, accucciandosi con la testa vicino al mio petto. Mio figlio.


- Come lo chiamerete? – ci chiede Meredith.

Bella domanda.

Guardo Elena. Alla fine credo che lei debba decidere più di chiunque altro. Lei osserva nostro figlio in braccio a me e rimane in silenzio per qualche secondo.


- John ti piace?Lo sta chiedendo a me. Mi chiede una conferma. Mi chiede se mi va bene questo nome per nostro figlio.

- Sì, John mi piace. È corto ed è semplice.

Questo bambino avrà così tanti problemi. Per iniziare con mio fratello, che quando scoprirà che in realtà John è mio figlio, andrà su tutte le furie e anche noi avremo un sacco di problemi e ci porteremo il bambino in un turbinio di emozioni sconnesse e contrastanti, però lo proteggerò a costo della mia vita.

Oh, amo tanto anche lui.

(Elena)
Mi stendo di più sul lettino, anche se tra poco mi sposteranno nella mia camera. Mi stiracchio. Sono stanca. Infinitamente stanca.

Damon è accanto a me, ancora in piedi, e sta cullando John, ormai addormentato. Sorrido ogni volta che lui sorride quando guarda nostro figlio. Alla fine non è stato un male dichiarargli la verità, anche se so che il grosso lo dobbiamo ancora affrontare, che alla fine la discussione seria avverrà, ma io sono pronta. Almeno, per parlare con Damon. Con Stefan sarà sicuramente più dura.

A Stefan non posso andare da lui e guardarlo semplicemente negli occhi come ho fatto con Damon. Con lui mi è sembrato tutto più facile, anche partorire. Sì, perché con lui al mio fianco non mi sarei mai immaginata. Mi ha calmata, è stato con me mentre sentivo tanto dolore, mi ha detto che sono bella e questo mi ha fatto sentire bene. Così tanto, che non ho avuto il coraggio di andare avanti e starmene zitta.

Allora mi sono voltata e ho scrutato i suoi occhi celesti spaventati – oh non ho mai visto Damon così spaventato in tutta la mia vita – non appena ha nominato Stefan e gli ho detto che suo fratello in tutta questa storia centra poco, perché è lui. Tutto il contrario di quello che gli dissi quando feci il test.

È lui, è lui, è lui il padre di John. È lui ed ha tutto il diritto di fare il papà.

Non ho mai fatto una scelta tanto azzeccata in tutta la mia vita. Me ne rendo conto quando noto che Damon non ha distolto il suo sguardo dal bambino. Quel fagottino che lui tiene in braccio e gli accarezza una guancia. Quel fagottino che nel sonno agita una manina o tutte e due, e Damon pensa che si stia per svegliare e poi mettere a piangere e allora piega la testa e sussurra dolcemente delle parole così a bassa voce che io non riesco nemmeno a sentire. John subito si calma, ancora una volta tra le braccia del suo papà.

Mi rendo conto che ho fatto bene a dirglielo quando vedo quanto sia preoccupato mentre un’infermiera viene e lo porta via. Damon starà sicuramente provando quello che provo io in questo momento: sento che qualcuno mi stia strappando un arto, nonostante il bambino sia in buone mani, ma effettivamente è la prima volta che si allontana da me, cioè … da noi ed è comunque difficile.

Mi spostano della mia camera. Non so ancora per quanto tempo dovremmo restare in ospedale, spero per non tanti giorni. Non vedo l’ora di ritornare a casa con il bambino.


- Elena, ho ricevuto il messaggio di Dam …

Mia madre entra notando Damon seduto sulla sedia accanto a me. A volte, quando ci guarda, mi sembra come se si sorprendesse nel vederci tranquilli e vicini, poi credo che si renda conto che lui è il padre di mio figlio e allora sorride benevola davanti alla scena che si ritrova. Così come sta facendo ora: si avvicina a entrambi con un sorriso stampato sulla faccia.

- Damon mi ha lasciato un messaggio in segreteria, dicendomi che hai avuto le doglie. Nel campo da football non prendeva è l’ho sentito solo quando ce ne siamo andati. Mi dispiace tanto tesoro, avrei voluto essere con te.

Mi abbraccia piegandosi in avanti e mi lascia un bacio sulla tempia. Quando mi lascia, continua a sorridermi, guardandosi intorno.

- Allora? Dov’è il bambino?

- Lo stanno visitando. - Gli risponde Damon, mentre si alza – forse vorrete restare un po’ da sole.

- No, rimani!

Gli dico io fermandolo per la manica, di nuovo. Non so che mi stia accadendo stanotte, ma ho come il bisogno di stare accanto a lui. L’ho voluto prima di entrare in sala parto e mentre una parte di me diceva che lo volevo solo perché lui si meritasse di vedere suo figlio nascere, l’altra parte di me era ed è convinta di altro. “C’è qualcosa che non va Elena, ti devi solo rendere conto di che cos’è?” continuo a ripetere a me stessa.

Sì, Damon ha avuto tutto il diritto del mondo di entrare con me, così come ha avuto il diritto di sapere che John è suo figlio, ma non di certo perché mi sento in dovere. Credo che tutto questo sia dovuto da delle strane sensazioni che negli ultimi mesi hanno preso possesso di me. Sto bene, quando Damon mi accarezza una guancia e mi sorride. Stavo bene, quando mi baciava la pancia con una spontaneità unica. Sono stata bene quando era accanto a me mentre partorivo e mentre lui giocherellava con la manina di nostro figlio.

È diverso. Lo vedo più dolce, rispetto a qualche mese fa. È cambiato. O forse sono io che sono cambiata e neanche me ne sono resa conto. Che continuo a negare cosa mi è successo.


- Dove sono papà e Jeremy? – chiedo alla mamma.

Continuo a negare e anche se mi sono resa conto che con Damon sto bene, che so per certo che per John sarà un ottimo padre, non voglio accettare che è cambiata la considerazione che io ho di lui.

- Jeremy aveva bisogno di una doccia. Tra poco arrivano.

Dopo qualche minuto, mi riportano mio figlio. Lo prendo in braccio mentre mia madre mi si avvicina e si sporge oltre la spalla per contemplare il visino di John. È stupendo, mi sto ancora emozionando. Solo il pensiero che questo esserino l’ho creato io, mi fa essere orgogliosa di me stessa.
Non le voglio ancora dire il nome. Non lo so, ma c’è qualcosa che mi blocca: in teoria ho deciso John, ma ho comunque chiesto l’autorizzazione di Damon. Perché lui è suo padre e ha il diritto di scegliere ecc, ecc … sempre per le stesse ragioni.

Ma quando arriverà Stefan, io cosa farò? “Ehi scusami tanto tesoro, ma l’ho chiamato John.”

E lui cosa si chiederà? Che ho deciso il nome senza di lui. Va bene, farei meglio a dirgli la verità subito. Così, di getto, come ho fatto con suo fratello. Però è diverso. Per Damon, alla fine, questa notizia è una bella cosa. Indiscutibilmente, Stefan non avrà la stessa reazione e non ne sarà molto felice.

Lo so che è sbagliato. È dannatamente sbagliato! Ma mi vedo costretta a rinviare tutto quanto. Io e Damon dovremmo fingere ancora per un po’. Che poi, ho solo avuto un figlio con lui, giusto? Io amo ancora Stefan. Sarà sempre Stefan.

(due giorni dopo)
Poso John, che si è appena addormentato, nella culletta accanto al mio letto. Stefan ha insistito affinché io andassi a vivere in casa Salvatore, ma che senso avrebbe? Sia lui che Damon non vivono più lì. Ci sono solo Eléonore e Giuseppe, mi sentirei un po’ sola. Quindi mi sono ristabilita a casa mia, nonostante lo spazio non sia così vasto come quello della loro villa. Di certo lì John potrebbe avere una stanza tutta sua, ma forse non sono nemmeno pronta di lasciare mia madre e Jeremy. È già difficile stare senza papà, anche se ha ancora un paio di settimane, visto che ho partorito in anticipo.

Stefan alla fine non ha ribattuto sul nome (per fortuna gli è piaciuto) e per adesso non sospetta di nulla, almeno credo. Io e Damon siamo stati molto attenti, ma questo fa male a entrambi perché sia lui che io siamo legati con Stefan e non ce la sentiamo di ferirlo e non che la sentiamo anche di essere abbandonati da lui, soprattutto Damon che è suo fratello.

Scendo e vado in cucina, portandomi insieme il walkie talkie del bambino nel caso si svegliasse. Sono stanchissima. John nelle due notti appena trascorse ha dormito pochissimo ed io insieme con lui. Piangeva sempre e non mi ha dato pace. Pare calmarsi totalmente solo quando c’è Damon. È un po’ mi fa invidia perché alla fine io sono la sua mamma … ho bisogno di riposo, ma prima di tutto devo mangiare. Ho bisogno del delizioso pollo arrosto che mia madre ha preparato stasera.


- Dorme?

Mi chiede, mentre mi siedo nella penisola, al mio posto.
Getto la testa sulle mani e i gomiti sulla superficie di legno bianca.


- Per fortuna sì.

- Alleluia. – esclama scherzosamente mentre taglia delle fette di pane – Allora … quando hai intenzione di dirlo a Stefan?

Ecco che ci risiamo. Mamma so che glielo devo dire. Che lui si merita la verità e che è scorretto metterlo all’oscuro di tutto, ma pensi che sia facile?

- Perché sicuramente Damon non può continuare a venire di nascosto da te per vedere suo figlio. Pensi che sia comodo per lui, come quello che è successo l’altra notte? Ha dovuto aspettare che tutti se ne andassero per ritornare in ospedale, per giunta senza farsi beccare dalle infermiere oltre l’orario delle visite, e solo per stare con lui. Inoltre Damon è molto più presente a Mystic Falls, non è ancora ripartito per il college – o per l’accademia, ma non lo dico ad alta voce. Giusto! Un altro segreto che sto mantenendo con Damon. – mentre Stefan è già tornato al Withmore.

- Adesso ti metti a fare anche i paragoni trai fratelli Salvatore? – ribatto acida.

- No tesoro, è solo che gioverebbe a tutti quanti dire la verità.

- A tutti tranne che a me. – borbotto – mamma, io ho paura che Stefan mi lasci. Ho tanta paura.

Lei si avvicina e mi abbraccia.

- Lo so piccola. Vedrai che se Stefan ti ama veramente poi ritornerà da te.

- E se non dovesse farlo? Se non tornasse da me?

- Allora non varrà la pena soffrire. Fidati di me.

Rimango abbracciata a lei fino a quando non sento scendere le scale. Ci sono mio padre e Jeremy che hanno appena passato gli ultimi sessanta minuti a riguardare la partita di mio fratello nella sua camera.

Non appena ci notano, Jeremy si fionda anche lui nell’abbraccio e mio padre rimane in disparte a guardare sorridendo. Allora io gli allungo una mano e lo invito a unirsi a noi.


- Allora … - fa mio fratello – quando lo dirai a Stefan?

Sbuffo seccata da quella domanda che mi è stata fatta per l’ennesima volta, ma ormai mi devo arrendere. Me lo continueranno a chiedere fino a quando non l’avrò fatto.

Poi sento John piangere e capisco che la mia serata tranquilla è appena andata in fumo, allo stesso modo di come sta bruciando il pollo di mamma nel forno.

Salgo le scale, ma non appena arrivo davanti alla porta della mia camera, noto che c’è qualcosa che non va. Io non l’avevo chiusa prima. La apro cautamente, ma mi tranquillizzo subito, non appena vedo che Damon l’ha preso in braccio e cerca di farlo riaddormentare.


- Cosa … come …

- Mi sono arrampicato sull’albero di fronte alla tua finestra. Non volevo svegliarlo, lo giuro. Non ho avuto neanche il tempo di avvicinarmi.

Tenta di giustificarsi.
Mi avvicino a loro due e … davvero Damon come non hai fatto a non accorgerti della puzza?


- Tranquillo. Non sta piangendo perché lo hai disturbato.

- Eh?

- Ha solo bisogno di essere cambiato.

Cautamente, solleva suo figlio più in alto e porta il suo naso in prossimità del pannetto, allontanandosi poco dopo.

- Oh mio Dio. Elena, sei sicura che sia mio figlio? Perché questo mi sa che lo ha ereditato da Ric, non da me.

Gli tiro una gomitata sul braccio e rido un po’ alla sua battuta.

Lo portiamo in bagno e Damon sembra deciso a cambiarlo da solo. Dice che vuole imparare e chi sono io per impedirgli di pulire la cacca dal culetto di nostro figlio.

Non sembra contento della maggior parte del lavoro che deve fare, ma comunque non batte ciglio e dopo due o tre tentativi sbagliati nel mettere il pannolino, finalmente ci riesce. Davvero è così difficile?

Appena finisce, Damon lo riprende in braccio e continua a cullarselo e a posargli dei delicati baci sulle guancie.


- Allora, come va? Hai una brutta c’era Gilbert.

(Damon)
- Allora, come va? Hai una brutta c’era Gilbert.

Ma sei comunque bella. Credo che tu non sia mai stata così tanto bella in vita tua, nonostante mi stai guardando nervosa perché sai che io so che tu non dormi. Che John non la smette di piangere e che praticamente dal parto tu non ti sei ancora riposata.

- Una meraviglia.

Mi risponde sarcastica, mentre piega due tutine del bambino.

- Be’ è nostro figlio. Che ci vuoi fare? – è bello dire ad alta voce “nostro figlio”. È l’unica cosa che Elena ed io abbiamo in comune e me la voglio tenere stretta. – ha ereditato la mia abilità nel non lasciarti un minuto in pace e ovviamente la mia bellezza. Quando sarai grande, farai colpo su tutte le ragazze, vero campione?

Mi rivolgo direttamente a John adesso che è intento a giocherellare con i bottoni della mia camicia nera. Non è vero, è bellissimo come la mamma invece, nonostante i suoi occhi chiari dicano il contrario. Sono identici ai miei. A Stefan questa vaga somiglianza con me, non lo ha insospettito minimamente. Ritiene che abbia ereditato molto dallo “zio”, ma prima o poi io e Elena glielo diremo e tutto ritornerà al suo posto.

 Gli do’ un altro bacio e lo vado a riposare nella culletta. Non appena lo lascio, si mette a piangere e insieme a lui, Elena si lascia scappare un gemito infastidito.


- Lo vedi? Si calma solo se ci sei tu.

- Dovrei restare per tutta la notte.

Quella frase mi è sfuggita senza che io me ne accorgessi. Ci guardiamo tutti e due sorpresi. Elena ha capito che con il restare io intendo “dormire insieme” e quindi, di conseguenza, si viene a creare un’atmosfera imbarazzante nella camera.

- Ovviamente lui dormirebbe in mezzo a noi, così sentendo la mia vicinanza non si agiterebbe o comunque, anche se si svegliasse, me ne occuperei io, e tu potresti riposare tranquillamente almeno per questa notte.

Sembra restia alla mia proposta. Va bene, questa è una banale scusa solo per poter stare con lei per tutta la notte, ma che accidenti me ne importa? Tanto sto commettendo in continuazione errori. Uno più, uno meno.

- D’accordo fammi mettere il pigiama e andiamo a dormire … e girati!

Mi ordina.

Io riprendo John in braccio e mi volto dall’altro lato, ma riesco a cogliere un leggero riflesso si Elena sul vetro della finestra mentre si toglie la maglietta e i Jeans. Rimane in biancheria intima: dei semplici mutande e reggiseno bianchi, ma che a me fanno letteralmente impazzire. Come impazzisce il mio amico, lì sotto, non appena lei si toglie anche il reggiseno per poi infilarsi il pigiama e anche quest’ultimo lascia veramente poco all’immaginazione. L’ultima volta che ho visto Elena nuda è stato quando abbiamo concepito John.


- La tua mamma è così bella. – gli sussurro in modo che lei non mi possa sentire.

Il bambino, come se capisse tutto quanto, mugola divertito alla mia affermazione, attirando l’attenzione di Elena.

- Sono pronta.

Mi rigiro nella sua direzione e noto un certo imbarazzo nei suoi occhi.
Senza proferire parola, mi avvicino nel letto e stendo John al centro. Mi tolgo le scarpe e in realtà sarei tentato di levarmi anche la camicia, ma so che lei non approverebbe. Mi stendo sotto le coperte e mi imita ancora silenziosamente.


- Buonanotte.

Spenge la luce, lasciandoci nel buio più totale, mentre nostro figlio si avvicina a me e lei senza accorgersene si avvicina a lui e di conseguenza a me.

Rimango sveglio finché non sento entrambi dormire. Finché non mi rendo conto che questa è la mia famiglia.

*l'altra che ha azzeccato il sesso del bambino è stata Giulietta, ovvero Horse_ . Leggete le sue storie, sono bellissime *-*
Note finali: allora siente contenti? Finalmente ho fatto nascere il figlio di Damon ed Elena. Piccolo appunto: l'ho chiamato John perché mi piace come nome, non mi sono ispirata al John Gilbert della serie e ne ho approfittato visto che non l'avevo inserito come personaggio..
Scusate se non rimango a commentare il mio stesso capitolo, ma a mia sorella serve il pc.
xo Mia.
 

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Capitolo 10
*** Verità. ***


10.
Verità.
(Elena)
Apro lentamente gli occhi e gradualmente mi accorgo di trovarmi nella mia camera. Sono girata verso il muro. Con una mano che esce dal letto e l’altra sotto il cuscino. Ho dormito veramente bene, la notte è stata tranquilla e John non ha dato fastidio. Finalmente mi sento riposata.

Tutto grazie a Damon. Mi ricordo all’improvviso. Già, lui è rimasto tutta la notte con me e ha dormito nel mio letto con nostro figlio. Chissà se c’è ancora dietro di me. Dei movimenti del materasso mi fanno presumere di sì.

Mi giro e li trovo entrambi svegli. Damon sta accarezzando la pancia di John e quest’ultimo sorride alle carezze e ai baci del padre. Sono incredibilmente bellissimi. Lui neanche se ne rende conto di come e quanto è cambiato. Ha una strana luce negli occhi.

-Buongiorno.

Mi dice lui, mentre posa un altro bacio sulla testolina di John. Alza gli occhi a me e per un attimo ho la sensazione di non riuscire più a parlare. I suoi occhi. Che cos’hanno i suoi occhi che non va? Mi sembrano più luminosi rispetto a ieri. Eppure non è cambiato niente da due giorni fa. Lui sorride, lo fa guardando complice nostro figlio.

-A quanto pare la mamma è troppo assonnata per parlare.

Sussurra all’orecchio del bambino e la sua testa ha un piccolo scatto, allontana dosi da lui, ma subito dopo i suoi occhioni celesti ritornano a cercare quelli del padre.

-Buongiorno.

Ribatto io.

Dopodiché mi avvicino a loro due e mi metto a coccolare anche io un po’ John. Solo adesso, dopo una nottata passata insieme mi rendo conto di quanto sono vicina a Damon, fisicamente. Le nostre gambe si sfiorano e in particolare il suo piede ha preso ad accarezzare il mio. Io decido di ignorarlo. Non voglio ne chiedermi perché e nemmeno voglio rispondere. Non so perché lo sta facendo e sinceramente, preferisco non saperlo.

John gira la testa per guardarmi e allunga una mano verso di me. Io la prendo e le do’ un piccolo bacio.

-Stanotte è stato tranquillo.

Dico in un soffio.

Ma mentre la mia affermazione doveva essere del tutto seria, a quanto pare Damon ci ha trovato del divertente perché ha iniziato a ridere, o meglio a deridermi. Lo guardo dubbiosa e gli tiro un cuscino addosso quando vedo che non la smette.

-Piantala, cosa ho detto di strano?

-Nulla. – afferma lui – è solo che non è vero che è stato tranquillo. Ha pianto per circa un’ora e anche dopo essersi addormentato io non sono più riuscito a dormire. È stata una nottataccia.

Solo adesso mi accorgo che stamattina il suo volto non è più così perfetto. Ha delle occhiaie violacee e ha la camicia completamente sgualcita e macchiata di bava.

Questa volta sono io quella che si mette a ridere. Vedere Damon Salvatore in quello stato è un evento più unico che raro, ma chissà perché ho questa sensazione che da oggi in poi lo vedrò spesso così stanco e “provato” dopo una notte del genere, ma allo stesso tempo con un barlume di felicità che lo rende incredibilmente bello anche in questo caso.

Bello. Ma … ma cosa vai a pensare, Elena?

È vero, hai sempre sostenuto che lui fosse sempre stato molto attraente e … e … molto tutto. Però lo avevi sempre guardato con una luce più oggettiva.

Che cosa mi sta succedendo? Io amo ancora Stefan, giusto? Allora perché non allontano il piede di Damon dal mio e non gli impedisco che le nostre gambe si intreccino?

Il suo polpaccio contro il mio mi manda dei leggeri brividi, quei stessi brividi che fino a qualche tempo fa avevo con Stefan. Chissà quando è iniziato a cambiare tutto, ma … no. No. Non è possibile che io mi sia innamorata di lui. Lo rifiuto categoricamente. Sarà qualcos’altro a farmi questo effetto. Forse dell’attrazione.

-Ma tu dormivi così bene che non mi andava di svegliarti.

Lo guardo contraria. Infondo non è giusto che passi un’intera nottata alle prese con il bambino.

-Non dovevi. Ma mi ci potrei abituare. – faccio alzandomi dal letto per andare a sistemare le robe che avevo lasciato sul pavimento ieri sera. – Sai, tu che ti prendi cura di lui e io che mi riposo.

Non appena ho rotto il nostro contatto ho avuto delle forti scariche elettriche e sto ancora cercando di oppormi ad una spinta che mi sta dicendo di ritornare sul letto, da quei due.

Prendo il mio top blu e noto che è sporco del vomito di John. Vado in bagno e lo butto nella cesta delle robe da lavare. Al mio ritorno Damon è in piedi e sta mettendo John nella culla. Sento come uno strano verso di protesta da parte del bambino, ma per fortuna non si mette a piangere non appena il padre si allontana da lui.

-Non ti viziare. Tra qualche giorno devo tornare all’Accademia e sarò esattamente lontano, quanto lo è Stefan.

Oh. Cerco di non fargli vedere la mia delusione. Speravo che almeno lui rimanesse un po’ con me. Mi sento un po’ sola in questo periodo. Mi  volto verso lo specchio senza alcun motivo, forse voglio solo evitare il suo sguardo, ma scioccamente mi dimentico che posso vedere i suoi occhi anche attraverso il riflesso. Posso rimanerne colpita anche così.

Noto che si sta avvicinando a me, lentamente.

Allunga le sue braccia verso di me e mi prende per i fianchi. Indietreggio involontariamente alla sua leggera spinta di comando e ci ritroviamo schiena contro petto, orecchio contro bocca.
-Ma cercherò di tornare da te, ogni volta che lo vorrai, Elena. Te lo prometto.

Il suo soffio mi arriva caldo contro il mio padiglione auricolare e il lobo per poi scendere languido sul collo. Chiudo gli occhi di conseguenza, come di conseguenza prendo le sue mani e le faccio scivolare sulla mia pancia coperta dal top del pigiama.

Damon mi stringe da dietro sempre con più forza e mi posa un bacio sulla testa.

Mi rendo conto che non è quel genere di bacio che io voglio. Non voglio che sia così dolce e così … casto.

Come se lui stesse ascoltando la mia tacita richiesta, mi ritrovo con le sue labbra alla base del collo. Spaventata spalanco gli occhi e vedo il nostro riflesso sullo specchio. Lui mi sposta tutti i capelli su una spalla e dall’altro lato deposita una serie di baci così roventi che mi sembra che io mi stia sciogliendo. Ho anche l’impressione di non poter stare più in piedi, ma le braccia di Damon mi stanno sorreggendo.

Sfiora leggermente il naso sulla mia pelle e non appena vedo il suo sorriso attraverso lo specchio, crollo emotivamente. Mi libero della sua presa e mi giro verso di lui per baciarlo.

No, in questo momento non mi sento in colpa.

Sì, mi sento libera come non lo sono mai stata.

No, non mi sono nemmeno accorta a come ha reagito Damon al mio bacio, sto solo continuando a tenere le mia labbra impresse sulla sue.

Sì, mi piace da impazzire baciarlo.

È come qualcosa di strano. Percepisco tutti i brividi che mi attraversano la schiena e non so se sono a causa della paura, perché i miei genitori possono entrare qui dentro da un momento all’altro o perché sono veramente le mani di Damon a darmi questo piacere.

Il nome di Stefan sfreccia nella mia mente un paio di volte, ma io voglio ignorarlo. Ed è proprio questo volere che mi fa rendere conto di una cosa: io quella notte non sono andata a letto con Damon a causa dell’alcol. Ci sono andata perché lo volevo. Perché mi sento completamente in preda ad un legame tutto nostro che, però, non è amore. È un volerci, è uno sfiorarsi e desiderarsi che ci lascia completamente storditi.

Quello che siamo è proprio come questo momento. Strano, proibito e innegabile. Siamo due semplici persone che si stanno baciando perché vogliono farlo, senza un perché e senza un dopo. Solo adesso. Solo le mie mani nei suoi capelli setosi. Solo la sua bocca contro la mia che non vuole staccarsi da lui per nulla al mondo …

… a parte per i pianti di John. Mi allontano da lui di un centimetro o due. I nostri nasi si sfiorano e i nostri occhi non accennano a smettere di guardarsi. In un lampo noto ancora il suo sorriso. Luminoso.

Mi allontano da lui per andare dal bambino. John continua a piangere anche dopo averlo preso in braccio. Provo a calmarlo, ma non ci riesco. All’inizio optò per chiamare la mamma e chiederle cosa devo fare, poi mi rendo conto che sono appena le sei del mattino.

Come diavolo abbiamo fatto a svegliarci tutti e tre così presto?

Forse ha fame.

-Devo allattarlo.

Informo Damon, ma lui non si gira o non se ne va. Anzi, si avvicina a me ancora una volta e mi scruta malizioso. Davvero, anche in questo momento? Mi posa un bacio a fior di labbra e io non posso fare a meno di sentire qualcosa nel mio stomaco, ma allontano prontamente quella sensazione che mi confonde solamente le idee.

-Damon, sono seria.

-Fallo allora. Io non te lo sto impedendo.

Sorride, ancora. E mi lascia senza fiato, ancora. Questa notte non avrei dovuto dormire con lui, mi ha solo incasinato di più di quanto non lo ero prima. E se il tradimento di nove mesi fa lo potevo attribuire all’alcol, questi baci come li spiegherò a Stefan?

-Invece sì.

-E come?

Questa volta sono io a lanciargli uno sguardo criptico, come per dirgli che la situazione è abbastanza ovvia.

-Va bene.

Ribatto risoluta. Mi vado a sedere di nuovo sul letto e mi scopro il seno. Solo quando John inizia a bere si calma. Sì, aveva proprio fame.

Per mia disdetta, Damon si siede accanto a me e appoggia il suo mento sulla mia spalla. Osserva John mentre si  nutre e giuro di non averlo mai visto così incantato se non quando è nato nostro figlio.

-Che ti prende adesso?

Si rialza come se lo avessi svegliato da un sogno. Sgrana gli occhi un po’ spaventato e si passa una mano per i capelli prima di iniziare a parlare. Si sdraia sul letto e guarda il soffitto come se ci fosse qualcosa di interessante.

-Siamo in un bel casino. Come faremo a dirlo a Stefan?

Lo guardo per un nano secondo e poi ritorno a John. Non mi va di guardarlo in faccia.

-Non ne ho la più pallida idea. Non mi sembra mai il momento giusto, non credo che troverò mai le parole adatte e … è tutto così incasinato. Lo so, che è sbagliato non dirgli niente, ma è difficile anche per me, accidenti. E so anche che più passa il tempo, più la reazione di Stefan sarà orribile, ma non ci posso fare niente. Cosa devo fare? Andare da lui è dirgli che John non è suo figlio, che la notte di nove mesi fa, passata con te, è stata assolutamente un errore …

-Non dirlo mai più. – mi interrompe brusco e si risiede avvicinandosi a me – non dire così, perché in questo modo ammetteresti che anche John è stato uno sbaglio.

Ma non è questo che intendevo. Anzi è proprio l’opposto. Io non reputo quella notte un errore. Non posso e non voglio farlo. È soltanto che non so cosa dire a Stefan. Perché se non mi mostro pentita, lui cosa penserà di me?

Continuo  a sentirmi osservata. Mi volto e vedo che Damon si avvicinato di nuovo a me per guardare suo figlio. È di nuovo talmente così vicino che mi viene voglia di baciarlo ancora. Sì, credo che questo legame che si è creato tra noi due sia comunque dovuto da John. Perché un figlio ti lega per tutta la vita alla persona con cui l’hai fatto e deve essere normale in questo momento avere una certa intimità con lui. È l’unica spiegazione.

-Che cos’era quello prima?

Mi chiede ad un tratto.

-Quello cosa?

-Il bacio. Perché mi hai baciato?

-Tu perché hai risposto al bacio?

E spero che così capisca quello che sento. Perché lui sente le stesso cose che provo io, ne sono sicura.

-Credo che sia per lo stesso motivo.

Continuo.

-È vero, è per lo stesso motivo. Solo che tu non hai capito ancora qual è.

Mi dice.

Cos … cosa? Che cosa intende con questa frase? Damon … Damon mi rendi sempre tutto così difficile e io non capisco quando parli in un modo così criptico. Certo che so qual è il motivo del mio bacio e senza dubbio sarà per te lo stesso motivo. Ci siamo legati e John è stato una benedizione per noi. Perché ora non litighiamo più, non discutiamo come bambini, ma non c’è nient’altro. Nessun sentimento d’amore, nessun affetto esagerato. Stiamo bene così. Almeno, staremo bene fino a quando non lo diremo a Stefan. Poi chissà … forse dopo aver confessato ritorneremo ad essere quei Elena e Damon di prima.

Io la sua cognatina e lui il fratello rompiscatole del mio ragazzo, anzi no: il padre rompiscatole di mio figlio.

Damon si alza dal letto e si rimette le scarpe e la giacca di pelle.

-Te ne stai andando?

Gli chiedo. Spero che dica di no, va bene? Spero che mi dica “no, sto solo sentendo freddo e mi volevo coprire”, invece tutto quello che fa è annuire e dirigersi verso la finestra. Poi per un attimo ci ripensa e ritorna verso di me, che ho appena finito di allattare John e mi sono coperta.

Dà un bacio a suo figlio sulla testa e alza lo sguardo su di me. In un attimo i suoi occhi si chiudono nello stesso tempo dei miei e mi bacia, di nuovo. Lo so, prima l’ho baciato io, ma lui non si è tirato indietro. Va bene … ci stiamo baciando di nuovo e questa volta io sono seduta sul letto e niente ci vieta di sdraiarci e di iniziare a …

-Rifletti su quello che senti, Elena. Cerca di capirlo.

Dice quando si stacca da me e ritorna davanti alla finestra. Dopo qualche secondo è già uscito, è finito sull’albero. Mi alzo per andare a controllare che non rimanga ferito da un’azione così pericolosa. Penso che farò tagliare quell’albero.

No, non capisco ancora quello che mi ha detto. È rimasto ancora criptico e misterioso e le sue parole continuano a confondermi. Credo di aver riflettuto abbastanza su quello che provo e sento. La testa mi scoppia a furia di pensare e credo anche di essere arrivata ad una conclusione. So che questo discorso a molti potrebbe non apparire chiaro e sensato, per me invece appare un po’ più semplice.

Nuovo messaggio da Stefan:
Buongiorno a te, amore mio e a nostro figlio dagli un bacio da parte mia.

Va bene Stefan, bacerò John, ma lui non è tuo figlio, cavolo. Come te lo devo dire? Possibile che tu non abbia mai notato niente di strano in questi ultimi mesi? Non vedi quanto io sia agitata e non per gli ormoni della gravidanza?

Mi risiedo nel letto con John ancora in braccio e mi volto verso sinistra, sul lato dove ha dormito Damon. C’è ancora la forma del suo corpo e scommetto che se avvicinassi il cuscino al mio naso potrei sentire ancora il suo odore di muschio e colonia e anche il suo profumo naturale, che non so ancora di che cosa mi dà, ma che mi fa sentire al sicuro, mi dà la sensazione che adesso, attorno a me ci siano le sue braccia e mi sento bene. Molto bene.

Sollevo il bambino in modo che mi possa guardare negli occhi. E li osservo, i suoi di occhi. Grigi, a guardarli meglio sono grigi, ma sono sicura che con il passare dei mesi cambieranno colore e diventeranno celesti come quelli del suo papà.

John sarà bello come Damon. Avrà gli occhi del cielo, la pelle chiara con quelle guancie rosee, gli zigomi pronunciati, i capelli neri e sempre scompigliati – oh quanto mi faranno innervosire quei capelli. Io starò sempre a rimproverarlo perché saranno spettinati, senza mai ammettere che invece quello stile gli donerà moltissimo – lo sguardo furbo di chi avrà combinato qualcosa, perché sicuramente mi combinerà qualche scherzo e qualche guaio e sono sicura che mi guarderà con i suoi occhi vispi e storcerà la bocca, alzando le labbra leggermente da un lato.

Sarà un bambino e poi un adolescente. Crescerà e andrà al liceo dove tutte le ragazze gli andranno dietro e lui si comporterà da stronzo e le farà soffrire o forse si innamorerà e metterà i piedi a posto. Crescerà ancora e se ne andrà di casa e non si preoccuperà mai della madre, non la chiamerà mai e … e … Oddio sto piangendo! Sto veramente piangendo perché mio figlio tra diciotto anni se ne andrà di casa per vivere la vita da college? A meno che diventi padre a diciotto anni come ho fatto io e quindi mi ritroverei nonna a trentasei anni.

Perché. Diavolo. Sto. Facendo. Queste. Riflessioni. Del. Cavolo?

Che cosa mi sta prendendo?

-Che cosa devo fare, amore mio?

Gli domando con la speranza che almeno lui una risposta me la dia.

Invece, si limita a sorridere, mostrandomi la sua boccuccia senza denti e mi afferra con una mano il labbro inferiore e con l’altra si avvicina pericolosamente al mio naso per poi ficcare le sue dita dentro.

Faccio una pernacchia  per allontanarlo giocosamente e lui emette un verso divertito. Rido con lui, gli poso dei baci sulle guancie e capisco che nonostante Stefan, nonostante Damon, nonostante tutto e tutti, io avrò almeno John con me che mi farà stare bene.

(Damon)
Entro in casa lentamente per cercare di non farmi sentire né da mamma, né da papà. Ovviamente tutti i miei sforzi vengono resi vani da quel dannatissimo ultimo gradino delle scale che cigola lievemente, ma nel silenzio del mattino, il suo è il rumore più chiassoso e fastidioso di tutto il mondo.

Proprio come quando eravamo piccoli. Io e Stefan ogni anno volevamo preparare una sorpresa per la festa della mamma. Allora scendevo a preparare la colazione con mio fratello che mi saltellava attorno per convincermi a portare con se un suo disegno che aveva fatto per lei e facevamo tutto nel modo più silenzioso possibile, ma ogni benedetta volta quel gradino mandava in frantumi ogni nostro desiderio e la sorpresa non la facevamo più, perché la mamma avvertiva dei rumori e usciva dalla camera da letto, trovando un me quindicenne con la colazione in mano e mio fratello che si dispiaceva per  i nostri piani falliti.

Ed è la stessa cosa oggi. Non appena produco quel suono, la mamma esce dalla sua stanza e mi sorprende sul fatto. Adesso mi guarda come quando mi beccava che tornavo alla cinque di mattina da una festa.

-Damon Joseph* Salvatore, si può sapere che cosa ci fai a quest’ora del mattino fuori dal letto? Per giunta sei stato tutta la notte fuori di casa e mi devi una spiegazione caro mio.

Io suo tono è autorevole, ma evita comunque di alzare la voce per non farsi sentire da papà.

Rassegnato, la seguo nella sua camera e mi siedo sulla solita sedia mentre lei rimane in piedi davanti a me e mi osserva come se cercasse di capirmi. La stessa cosa sto facendo io.

-Allora?

-Allora cosa?

-Dove sei stato Damon? Sei cambiato, sei diverso. Sembri con la testa fra le nuvole e da quando è nato il bambino tu sei … oh no!

Sembra aver raggiunto una conclusione da sola. Forse ha solo delle supposizioni, ma credo che ci sia arrivata.

-Dove sei stato?

Mi chiede di nuovo. Mi alzo e mi avvicino a lei portando le mani sul suo volto, a coppa.

-Da Elena.

-E sei stato da Elena perché …

Lascia la frase in sospeso perché vuole che la concluda io, che sia io a dirle la verità e non vuole che sia proprio lei a sporgersi troppo. Credo che abbia un po’ paura di dire ad alta voce la sua ipotesi, perché ovviamente potrebbe rivelarsi sbagliata. Anche se a me sembra fin troppo evidente.

-Perché John è mio figlio, mamma. È mio figlio.

Gli occhi le si velano di lacrime, porta le mani sulla bocca per evitare di gridare e fa due passi indietro. Si siede ai piedi del letto e cerca di nascondere un sorriso.

Mi piego su di lei per capire se sta bene, ma in realtà non mi servono parole per capire che è felicissima.

-Il mio bambino … il mio bambino ha avuto un figlio tutto suo.

Dice commossa mentre sento tutte e due le gambe tremare come foglie. Sì, ho un figlio tutto mio, mamma. Sono diventato papà e ancora devo effettivamente rendermi conto che ho costruito una famiglia. Una famiglia parecchio incasinata, questo è vero, ma è mia. John è mio, Elena … oh Dio quanto vorrei che anche lei fosse mia.

-Sei diventato papà. Elena invece?

-Elena? – domando, anche se so a che cosa allude. Mi siedo accanto a lei. – Io …

-Su tesoro, non fartelo tirare con le pinze.

-Io la amo.

Concludo.

-E lei ama te?- mi chiede con un sorriso dolce.

-Lei ama Stefan. Almeno penso che lei crede di amarlo … ahi!

Mi ha appena tirato uno scappellotto sulla nuca in pieno stile Leroy Jethro Gibbs**.

-Che cosa aspetti per andartela a prendere?

-Perché vuoi così tanto che io mi prenda Elena? Perché non lasci perdere? Infondo anche Stefan è tuo figlio. Dovresti volere il bene per lui e lui è arrivato prima di me. Ha capito prima di me che persona bellissima e straordinaria è Elena.

-Oh tesoro, ma tu non vedi quello che ho sempre visto io. Io ho visto i tuoi occhi illuminarsi ogni volta che c’era lei, ho visto quel luccichio per anni e tu e Elena credevate che tra voi ci fosse una complicata rivalità, io ho sempre notato qualcosa di più. Damon, tu sei grande, hai ventisei anni mentre lei è ancora un’ingenua diciottenne costretta a diventare donna troppo presto per una gravidanza inaspettata, o forse sei tu che la stai facendo diventare donna.
Tutti guardano Stefan e Elena e li vedono come la più bella coppia di sempre, come quelli che formeranno una famiglia perfetta con lavoro e tutto il resto. Gli altri vedono l’esempio della famiglia felice dove non ci sono problemi e senza intoppi, anche Elena vedeva questo e questo è il povero sogno di una ragazzina adolescente. Ho sempre pensato che tu sei quello perfetto per lei perché l’hai svegliata, gli stai mostrando la realtà, gli hai fatto capire che di problemi ce ne saranno tanti e non finiranno mai, che non basterà nascondere tutto quanto e evitare i problemi. È sempre tutto difficile e complicato, tesoro mio, ma è la cosa più reale al mondo. È la vita. E non chiedermi come o perché ma ho sempre sentito un particolare legame tra voi due, nei vostri sguardi e nelle vostre parole. Tu non mi crederai mai se ti dicessi che il vostro potrebbe essere un amore incredibile, uno dei più belli e vissuti.

Sta parlando come se stesse leggendo un romanzo, o come se fosse lei l’autrice di una storia d’amore. Eppure mi ci ritrovo in quelle frasi troppo sdolcinate. Eppure sono convito che io e Elena potremmo cambiare le cose se veramente lo volessimo. Perché fino ad ora è stato tutto un caso. È stato quasi per caso che lei rimanesse incinta, se non ci fossimo ubriacati, quella notte non si sarebbe svegliata in me la voglia di lei. È stato un caso che lei mi abbia detto che John è mio figlio, perché se casualmente non avessi deciso di andare da lei quella sera, nella sala parto ci sarebbe stato qualcun altro e Elena non mi avrebbe mai detto la verità. Starei ancora a disperarmi e a desiderare John e lei. Quindi è stato anche casuale essermi accorto di amarla.

Ma adesso basta. Basta.

Basta lasciare che tutte le cose ci passino e ci scivolino addosso. Basta aspettare che arrivi il temporale. Questa volta la faccio venire io la pioggia.

Vado da Elena e le dico tutto.

Vado da Stefan e gli dico tutto.

Vado da Elena e mi dichiaro come il più rammollito degli innamorati. Vado da lei e la bacio. Questa volta un bacio serio, questa volta lei si deve rendere conto di quello che provo io e di quello che prova lei. Una volta per tutte.

Vado da Stefan e confesso ogni cosa. Gli confesso che anche se ho sbagliato, mesi fa l’ho tradito con la sua ragazza, che in parte non avrei voluto, ma d’altro canto ho come la sensazione di amare Elena da tanto tempo, più di quanto io me ne possa rendere conto. Gli dico che è stato un errore e che John è mio figlio, ma gli dico anche che non ne sono pentito.

Infine, vado da John. Vado a fare il papà, sul serio. Non entro più dalla finestra, questa volta spalanco la porta e mi prendo mio figlio e la piccola donna che io amo. Vado a prendermi la mia famiglia. Me la tengo stretta e non lascerò scappare mai. Dovessi accettare tutti i compromessi di questo mondo, dovessi sopportare ogni giorno dei litigi con Elena, ma io mi riprometto che ogni cosa la farò con lei, ogni suo problema lo affronterò anche io.

-Sei così silenzioso.

Mi sussurra mia madre.

Sto guardando il vuoto da troppi minuti. Alzo lo sguardo su di lei e l’abbraccio d’impeto.

-Grazie.

Le mormoro nell’orecchio.

-Per cosa?

Sorride. Quanto è bello il tuo sorriso mamma.

-Per tutto. Per credere in me e in lei. Per non farmi sentire così sbagliato e così nel torto.

Lei continua a sorridere ed è lei questa volta a prendermi il viso.

-Ricordati Damon, ricordati per sempre queste parole perché ti serviranno quando io non ci sarò più. Ricordatele perché avrà bisogno di sentire anche tuo fratello, perché lui starà per passare un periodo bruttissimo, avrà bisogno di sentirle anche quando sarà più grande e tu ci dovrai essere per lui. Queste parole sono sacre, figlio mio, le dovrà sentire un giorno anche John e sarai tu a dirgliele: l’amore è importante. Non importa che età si ha, non importa che essere si è, tutti hanno bisogno di essere circondati da persone che amano. Tu hai bisogno di persone che ti amano. Ci sono io, c’è Stefan, c’è tuo figlio, c’è Elena e a modo suo c’è anche tuo padre che ti vuole bene. Ogni persona è preziosa, Damon, non dimenticartelo.

L’abbraccio di nuovo e le bacio la fronte. Dio mamma, quanto mi mancherai. Mi mancherà il tuo sorriso e mi mancheranno le tue parole. Mi mancherà tutto di te.

-Ti voglio bene.

-Anche io tesoro, te ne voglio tanto. Sai … - inizia a dire e scioglie il mio abbraccio – quando io e tuo padre ci sposammo, per problemi miei, credevo di non poter avere figli. All’epoca eravamo molto giovani e non ci ponevamo il problema. Eravamo ancora così desiderosi di vivere e dei bambini non erano ancora nei nostri progetti. Quando ricevetti la notizia del tuo arrivo, non credevo di poter essere così felice, e poi sei nato e … e … ed è stato amore. La stessa cosa è valsa per tuo fratello. Siete stati la sorpresa e il regalo più bello della mia vita. Vi amerò per sempre.

Chiudo gli occhi. Credo di star per piangere, ma Damon Salvatore non piange e non lo farà di certo di fronte a sua madre. Poso un altro bacio sulla sua testa e mi trattengo a urlarle che mi mancherà, che vorrei che lei rimanesse qui con me a sostenermi e correggermi ogni volta che farò un passo falso con la mia famiglia e con Stefan.

-Non odiare tuo padre per quello che sta facendo.

Io so a che cosa si riferisce. Lei sa che io non sopporto il comportamento del vecchio, perché si è praticamente allontanato da lei, lasciandola sola.

-Lo fa perché è la sua reazione al dolore e poi, quando John sarà più grande, tu vorresti che si allontanasse così da te?

No, certo che no! Sto per rispondere, ma il campanello mi ferma.

(Elena)
No, non riesco ancora a capire perché. Perché a i miei genitori è venuta quest’idea, soprattutto perché è venuta a mio padre?

La mamma non si voleva immischiare in questa storia e fino ad ora stava rispettando le mie decisioni, ma a quanto pare papà l’ha convinta e sì, lui invece si vuole immischiare.

Non gli sta giù che io menta così spudoratamente alle persone perciò siamo qui, davanti alla porta di casa Salvatore. Affinché io racconti tutto alla famiglia di Stefan così quando lui tornerà stasera dal college non potrò far altro che confessargli i miei peccati. Così è riuscito a convincere mia madre, dicendogli che è la cosa migliore per tutti.

-Ma io che c’entro in questa storia? – brontola Jeremy – è domenica, voglio dormire e sinceramente a me non interessa con chi fa figli Elena. Damon, Stefan … è sempre un Salvatore a quanto pare.
Lo fulmino con un’occhiata e la stessa cosa fa mia madre mentre suona il campanello della villa. Papà invece non si scompone: rimane rigido e fermo, guardando il battiporta dorato davanti a lui.

-Jeremy siamo una famiglia. – dice solamente – e i problemi di famiglia vanno affrontati insieme, sebbene ad alcuni non possiamo porvi rimedio.

Sta alludendo a lui e alla mamma. Non ne sta facendo una colpa a nessuno. Alla fine lui è dovuto trasferirsi per lavoro e noi non ci siamo potuti spostare. La nostra famiglia si è rotta ma rimane comunque famiglia.

Sistemo John nella carrozzina, coprendolo bene mentre lui continua a giocherellare con il ciuccio in mano. Non ne vuole sapere di metterlo in bocca.

Ci viene ad aprire Giuseppe accogliendoci calorosamente.

Entriamo nel soggiorno della casa e io mi vado ad accomodare su un divano prendendo in braccio John. Da quello che ho capito non ama restare troppo a lungo nella carrozzina quando è sveglio, perciò prima che si metta a piangere lo prendo in braccio, con la speranza che nel guardare una creaturina così dolce e piccola, i coniugi Salvatore si addolciscano e ingoino la pillola amara che sto per dar loro, ma in particolar modo a Giuseppe.

Intanto sono scesi Damon e Eléonore.

-Oh, ma guarda chi c’è qui! – esclama avvicinandosi a John e prendendolo in braccio – il mio nipotino preferito.

-Mamma è il tuo unico nipote.

Sento sussurrare Damon che si avvicinato a me.

Dopo che Eléonore ha finito di sbaciucchiare mio figlio me lo porge e mi dice:

-Complimenti Elena – come se fosse tutta opera mia – sarà bello come il padre.

Mi fa l’occhiolino e poi guarda con evidenza Damon. Quest’ultimo dopo aver ascoltato le parole della madre, abbassa lo sguardo imbarazzato.

Glielo ha detto? Be’, meno uno per me.

Si siede accanto a me e prende lui John, facendo davanti al padre la parte dello zio giocherellone.

-Ciao campione.

Io li guardo incantata, come questa mattina. Mentre Damon lo bacia di continuo e mentre il bambino sorride divertito verso il papà. Ho voglia di unirmi a loro.

-A cosa dobbiamo la vostra visita?

Ci chiede Giuseppe. Ha già capito che c’è qualcosa che non va. Si vede dai suoi occhi che ci scrutano attenti e che con aria interrogativa indagano.

-Be’ … ecco … noi …

Provo a iniziare io, ma senza trovare le giuste parole che cerco. Come iniziare? Non è un argomento semplice su cui parlare e Giuseppe Salvatore è così severo di solito che non mi lascia avere tanto coraggio.

-In poche parole caro. Stefan non è figlio di John, ma di Damon.

È Eléonore quella che parla per prima. Quella che lascia di stucco il marito e che lascia di stucco anche noi perché lo ha detto con una semplicità così unica che in effetti solo la moglie di Giuseppe poteva avere. È stata schietta, decisa e senza paura. Si vede che Damon ha preso da lui.

È stata così spontanea e decisa che anche suo marito ha avuto un crollo. Si è praticamente abbandonato sulla poltrona del soggiorno guardando stupito prima la moglie e poi me e Damon, seduti vicini, con nostro figlio in braccio.

-Cosa?

Dice, ma non vedo le sue labbra muoversi.

Quel “cosa” è un urlo, ma non è la voce di Giuseppe a dirla. È più giovane e la conosco.

Quel “cosa”, urlato in quel modo, ha fatto piangere John che adesso nessuno ha il coraggio di consolare. Nessuno al coraggio di muoversi, come io che non ho la forza di voltare la testa verso l’ingresso per vedere Stefan che ci guarda. Stefan che ci fissa.

Me e Damon.

Siamo noi tre e basta. In mezzo a noi c’è solo John che piange in braccio a Damon e odio. Tanto odio da parte sua.

Siamo solo noi tre e nessun altro.

Poso lo sguardo su una mano di Stefan. Ha un regalo, forse per John e mi manca qualche battito perché probabilmente stava venendo felice verso casa sua.

Ma che ci fa qui? Non doveva arrivare stasera?

No.

Lo vedo l’odio nei suoi occhi. Lo vedo come in questo momento sta disprezzando me e suo fratello.

Mi alzo mentre tutti ci rendiamo conto dell’entità del danno. Mentre Eléonore capisce che cosa è successo.

-Stefan.

-È vero?

Mi chiede?

No, non posso più mentire. È giunto il momento ed è arrivato nel peggiore dei modi.

-Sì.

Sussurro mentre le lacrime mi escono copiose dal viso.

Lui indietreggia fino ad uscire completamente di casa. Se ne va, sbattendo la porta di casa e io non lo raggiungo. Non provo a fermarlo.



*Perché ho scelto questo secondo nome per Damon? A) mi serviva un secondo nome da far dire a Eléonore. B) Joseph è il secondo nome di Ian, quindi abbastanza azzeccato xD C) paradossalmente è anche il nome del Joseph Salvatore che lo ha tradito per spedirlo alla Augustine, ma che per fortuna è schiattato quasi subito (no, questa non è una vera giustificazione, ma mi piaceva mettere un punto C xD)


** Il grande, magnifico, cazzutissimo Leroy Jethro Gibbs di NCIS (praticamente il primo telefilm che io ho visto quando ero piccola).



Note finali:
eccomi qui, sono tornata anche con questa storia, in un capitolo abbastanza importante dove troviamo Elena ancora con le idee incasinate, ma ammettetelo, piano piano sta arrivando alla conclusione che le piace Damon. (xD) Credo che sia stato doveroso metterci qualche bacio dopo dieci capitoli, anche se per lei sono poco chiari, per lui invece sono importantissimi. 

Devo ammettere che mi sono divertita a scrivere la prima parte e in particolar modo quando Elena fa congetture sulla vita del figlio.

Invece è stato abbastanza difficile scrivere la parte di Damon e in particolar modo le parole della madre. La scena è piena di significato, eppure ho un’enorme paura che non vi abbia lasciato niente.
Poi, vabbè … c’è la scena finale dove i Gilbert decidono di dire tutto almeno ai coniugi Salvatore, ma sfortunatamente arriva Stefan e sente tutto.

Al prossimo, Mia.


p.s. vi ricordo dell'altra mia Long che ormai sta per essere conclusa http://www.efpfanfic.net/viewstory.php?sid=2377234&i=1 e una OneShot che ho scritto circa una settimana va Delena, per chi volesse andarla a leggere http://www.efpfanfic.net/viewstory.php?sid=2611388&i=1
 

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Capitolo 11
*** Sentimento. ***


11.
Sentimento.
(Elena)
-Da quanto tempo va avanti questa storia, eh? Da quanto tempo tu e mio fratello ve la spassate insieme?

-No … no, Stefan. Io e Damon abbiamo soltanto …

-Cosa? Fatto sesso? Ed è lui il padre di John e non io. Io questo non lo posso accettare Elena.

-Ascoltami, ti prego. Eravamo ubriachi e non ce ne siamo nemmeno accorti. Io amo te Stefan e nessun altro.

-Be’ forse avresti dovuto pensarci prima di portarti a letto mio fratello. Lo sai qual è la cosa che mi dà più fastidio? Che tu abbia aspettato così tanto per dirmelo. Anzi no, non l’hai nemmeno fatto. Hai sentito il bisogno di dirlo prima ai miei genitori piuttosto che dirlo a me. Scommetto che lo sapevano anche Caroline e Bonnie, non è vero? Mi hai riso alle spalle con le tue amiche mentre giocavi alla famiglia felice con Damon e adesso hai anche il coraggio di presentarti in casa mia, in camera mia a chiedere perdono. Scusami se non ce la faccio a perdonarti. Non voglio farlo. L’unica cosa che voglio è che tu esca da qui e te ne vada perché non voglio più vederti per il resto della mia vita, Elena. All’improvviso ho iniziato a odiarti.

Mi salgono le lacrime agli occhi quando sento dire da Stefan parole del genere, ma fa bene a odiarmi, perché in tutto questo tempo anch’io non mi sono mai odiata come mi sto odiando ora. Nei mesi passati tutto quello che provavo, è stato tristezza, pentimento, paura, ma mai odio. Non mi sono mai resa conto di quello che ho fatto. Ho perso tempo a cercare di capire cosa fare con il bambino, a cosa fare con Damon, a cercare di capire che cos’era o meglio, che cos’è l’attrazione che provo per lui.

Non ho mai riflettuto veramente sul fatto che Stefan avrebbe sofferto così tanto. Eppure è così. Egoisticamente ho pensato solo sulla paura di un abbandono da parte sua. Ma il suo dolore? Il suo odio? Perché non ci avevo pensato prima?

Adesso li vedo nei suoi occhi. Quegli occhi che fino a una settimana fa mi guardavano così pieni d’amore, quei occhi che una settimana fa credevano di essere diventati papà. Invece, quattro giorni fa hanno ricevuto il colpo di grazia. Ed io non volevo dirglielo così. Noi non volevamo dirglielo così.

Non volevo che lui entrasse tranquillamente a casa sua, in mano un regalo appena comprato per John, e sentirsi dire dalla madre, che ignorava completamente la sua presenza, che John non è figlio suo, ma del fratello. Del fratello, accidenti!

Ho avuto veramente il coraggio di andare a letto con Damon? Ho veramente fatto questo? Ho fatto un figlio con lui. Mi pento di quello che ho fatto, ma non mi pento di John. No, di lui non mi pentirò mai. Forse è l’unica persona che mi vuole veramente bene in questo mondo. Solo lui e nessun altro.

Vedo le fiamme che divampano negli occhi del mio ormai ex ragazzo, mentre nei miei c’è solo acqua. Acqua salata. Acqua in cui si potrebbe annegare. Acqua che mi appanna la vista e mi fa mancare l’aria. Acqua che scaccio prontamente con il dorso della mano mentre indietreggiò prontamente verso la porta della camera di Stefan per allontanarmi dagli occhi che adesso non fanno altro che odiarmi. Mi volto e apro la porta senza rigirarmi, perché so che se tentassi un’altra volta di guardarlo lui sarebbe capace di urlare. Urlare come non ha mai fatto. Perché l’ho ferito, perché l’ho tradito, perché non l’ho amato abbastanza o come lui si aspettava.

Richiudo la porta, appoggiando le spalle sul legno duro di essa. Sento un tonfo ovattato. Qualcosa è caduto a terra. Forse dei libri sul suo tappeto. Mi separo lentamente dalla superficie e ancora piangendo mi allontano da quella porta e poi dalle scale e dal corridoio. Arrivo in salotto e vedo Giuseppe che legge dei documenti ignorandomi bellamente e Eléonore che fa le linguacce a John.

Per fortuna lui è tranquillo. Almeno lui, ma in questo giorni non ha fatto altro che piangere. Percepiva tutte le onde negative che aleggiavano tra questa casa e casa mia. È stato malissimo pure lui in questi giorni. Tanto che neanche Damon è riuscito a calmarlo e alla fine lui è dovuto partire per l’Accademia. Se ne andato da due giorni e l’ho costretto io ad andarci perché tanto a casa sua non ci poteva stare. Sarebbe potuto stare a casa mia, ma egoisticamente non ho voluto. Per due ragioni.

Non voglio che stia con me perché ho terribilmente paura che stare accanto a lui mi faccia rendere conto di cose che ormai sono mesi che non ammetto. Non ammetto quello che provo per lui, perché così provocherebbe soltanto un’enorme frattura, un enorme cambiamento. Sarei costretta ad ammetterlo non solo a me stessa, ma anche a lui. Magari ottenendo anche un rifiuto. Ho paura anche di questo. Questa è la prima ragione.

La seconda, poi? È vero mi sono lasciata con Stefan, ma non voglio che lui sappia che il fratello, nonostante tutto stia da me. Lo faccio per non farlo soffrire ulteriormente. Lo faccio per non far soffrire nessun altro.

Eléonore si gira verso di me, quando mi nota e mi guarda con faccia triste. Lo so che sta cercando di compatirmi, di dirmi che le dispiace. Vuole farmi sentire meglio, ma sfortunatamente non ci riesce. Dubito che ci riuscirà qualcuno. Le sorrido mestamente e mi avvicino per riprendermi John che, non appena mi nota, avvicina le sue manine alla mia bocca per giocare con le mie labbra. Lo fa spesso. È un gioco che gli piace, ma io oggi non sono in vena di giocare.

Quindi non rido come faccio di solito. Non faccio le pernacchie sulle sue mani e tantomeno gli sorrido per rendere felici i suoi meravigliosi occhietti. Mi limito a prenderlo in braccio e a lasciargli un fugace bacio sulla tempia.

Saluto senza parlare i due coniugi. Tanto Giuseppe non è propenso a rispondermi. Lui forse è ancora più arrabbiato di Stefan. Damon ha dovuto subirsi un terribile discorso da parte del padre e ho sentito le dure parole che gli ha detto. Per giunta, poi ha ricevuto un bel pugno da Stefan senza che il padre si mettesse in mezzo per fermarli. Sono stati giorni molto duri.

Esco da quella casa, ma sento una mano che mi ferma per la spalle.

Per un attimo, uno soltanto, spero che sia Stefan. Per un folle e illuso attimo credo che sia lui. Lui che mi dice che mi ha perdonato, che non fa niente se ho fatto un figlio con il fratello, lui che è disposto a perdonarmi.

-Possiamo parlare, Elena?

Poi mi rendo conto che quella dolce e calda voce non è quella sua. È la voce di Eléonore.

Sposto solo la testa e la osservo con la coda nell’occhio. Lei mi supera e mi indica il giardino. La raggiungo e mi siedo sulla panchina di pietra accanto a lei. La temperatura è calda, ma la brezza che mi solleva leggermente i capelli raffredda l’aria.

John ha deciso di torturarmi la spalla con la sua bocca, ma io ci bado poco.

-Mi dispiace per quello che ti è successo, tesoro. Tu adesso dovresti essere a casa tua a riposarti dopo il parto e a ricevere le visite da parte di parenti e amici. Invece sei costretta ad affrontare tutti questi problemi. Mi dispiace che i miei figli ti abbiano messa in questo bel casino.

Le sorrido. Oh, quanto è dolce.

-Non sono i tuoi figli il mio problema. Il problema sono io che ho commesso troppi errori, che non faccio mai la cosa giusta e che non mi rendo conto che sto sbagliando tutto quanto. La mia vita è andata a rotoli da quando ho deciso di passare la notte con tuo figlio, cioè … con Damon. E da lì è stato solamente una discesa. Ho sbagliato a nascondere tutto a Stefan, come ho sbagliato a …

-A cosa, Elena?

-Niente lascia stare. Anche questo sarebbe un errore.

-Questi non sono errori, cara. Sono la vita. La vita è fatta di decisioni prese, che sbagliate o non, ti rendono una persona diversa dalle altre. Che ti rendono unica. Tu sei una bellissima ragazza e non solo fuori, ma anche dentro, e non hai colpe su tutto quello che ti è successo. Nemmeno è la colpa dei miei figli. È solo il percorso che deve compiere ogni persona. Sono degli ostacoli che tutti noi siamo obbligati ad affrontare e se li vuoi superare, l’unico modo è vivere. Non c’è nessun altro modo. L’importante è che tu sia forte perché in questo momento la vita ti sta offrendo l’opportunità di dirti chi sarà l’amore della tua vita e solo tu puoi decidere. Tesoro, ci sono tante persone che ti amano e John è il dono più prezioso che tu potresti ricevere. Amalo ogni giorno, costantemente, e ricordati che finché ci sarà lui tu potrai contare almeno su una persona.

Distolgo lo sguardo da lei per posare gli occhi su mio figlio. E’ tranquillissimo. Ha appoggiato la testa sul mio petto ed è in procinto di addormentarsi. Gli do’ un altro piccolo bacio prima di sentire una sua mano che mi sta accarezzando il braccio, o forse si è trovata casualmente lì. Ma quel contatto è dolce caldo e mi fa’ star bene. Piccolo mio.

-Che cosa devo fare?

-Nulla, Elena, nulla. Tu hai fatto tutto quello che potevi fare per rimediare, lo hai fatto, ma non devi più crucciartene. Non pentirti mai, a meno che tu non abbia fatto qualcosa di grave.

-Tradire non è grave?

-Sì che lo è, ma non ti puoi permettere di considerarlo un errore dopo aver creato una creaturina così piccola e speciale.

Accarezzo una sua guancia e lascio che si metta a giocherellare con il mio pollice che prontamente si mette in bocca. Glielo tolgo subito e lui emette un verso di protesta, che subito smette di fare, non appena gli do’ il suo adorato ciuccio.

Riappoggia la testa sul petto e si lascia andare. Stringe in una mano lo scollo della mia maglietta e questa volta, lentamente, si addormenta veramente.

Sia io che Eléonore lo guardiamo con dolcezza. Sorridiamo e sospiriamo assieme al venticello che mi manda qualche ciocca su viso.

-Devo andare a casa. – le dico mentre mi alzo e mi spazzolo con una sola mano i pantaloni. Poi mi  volto verso quella donna – Grazie Eléonore. Per tutto quello che dici.

Lei si limita a sorridere e a rientrare dentro casa, mentre io mi avvicino all’auto. Faccio stendere John nella culla, posizionata sul sedile del passeggero e solo dopo aver contemplato un altro po’ il suo viso così tremendamente piccolo, metto in moto e mi dirigo verso casa mia.

Quando rientro non c’è nessuno che mi viene incontro. Siamo nel bel mezzo della settimana e Jeremy è a scuola, mamma a lavoro e papà è stato richiamato urgentemente da New York per una questione di vitale importanza. È dovuto ritornare alla sua nuova casa. Quella casa che io non ho ancora visto. Penso che tra qualche mese, quando John sarà più grande, lo andrò a trovare e in effetti New York potrebbe essere un ottimo luogo per distrarsi dai problemi.

New York.

Io ho tradito Stefan con Damon, proprio quando lui partì per New York. Se solo fosse rimasto a Mystic Falls tutto questo non sarebbe successo.

Salgo al piano di sopra per posare mio figlio nella culla e riscendo per andarmi a sdraiare sul divano. Ovviamente, neanche il tempo di chiudere gli occhi per due secondi che sento il campanello suonare.

Mi dirigo verso la porta e vedo una Caroline e una Bonnie sorridenti con in mano alcuni regali per John, credo.

-Sorpresa!

Esclamano entusiaste tutte e due.

Loro sono felici. Sono ignare di tutto quello che mi è capitato. Forse ho sbagliato anche con loro. Forse avrei dovuto dir loro la verità, ma a che pro? Anche loro mi avrebbero consigliato di dire tutto a Stefan e io allo stesso modo non avrei trovato il coraggio. Sarei stata zitta lo stesso.

Sorrido forzatamente mentre le invito ad entrare e ad accomodarsi sul divano.

-Allora, come vanno le cosa qui? Non ci sentiamo da un bel po’ di giorni.

Mi dice Caroline.

-Già … io … ho avuto da fare. Sono molto occupata con John.

Bonnie intanto mi porge i due pacchi confezionati con una carta azzurra e degli orsacchiotti sopra.

-Su apri. Non vediamo l’ora di vedere la tua reazione. Sono stupendi.

Li scarto svogliatamente, ma in effetti mi rendo conto che sono dei splendidi regali: mi hanno regalato un paio di tutine color pastello per John e un set di piattini e cucchiaini per quando inizierà a mangiare la pappa.

-Sono da parte di tutti quanti. Me, Caroline, Tyler, Matt, Jeremy, April … abbiamo pensato che ti avrebbe fatto piacere avere qualcosa in più per il tuo bambino. A proposito, dov’è? Ho voglia di strapazzarlo di coccole.

-È di sopra che dorme. Comunque sono molto belli. Vi ringrazio tanto.

-Ok, cosa c’è che non va?

Mi fa Caroline. Sempre la solita intuitiva. Degna figlia di sua madre, lo sceriffo Forbes.

-Non c’è nulla.

Mento ignorando il suo sguardo inquisitore e mentre anche Bonnie adesso mi scruta interrogandosi su cosa non va.

-Non me la dai a bere, spara. Lena, tu sai che ci puoi dire tutto quanto, vero? Noi siamo le tue migliori amiche, ci siamo sempre dette tutto, ti puoi fidare di noi. Non diremo niente a nessuno.

Poi realizzo che non ha più senso continuare a nascondere le cose, perché se adesso Stefan sa tutto, la verità verrà a galla molto presto anche agli altri e tutti sapranno.

-Io e Stefan abbiano rotto.

Le informo secca e mi alzo per andare in cucina a sistemare il set di piattini, ma in realtà voglio solo ignorare le loro reazioni, i loro sguardi stupiti e anche per nascondere i miei occhi che stanno ritornando lucidi.

-Come scusa? – mi richiede la bionda – Non è possibile, avete appena avuto un figlio insieme, non potete permettervi di rompere di punto in bianco.

Mi volto verso di loro per vedere le loro facce che adesso mi guardano male. Almeno è così per Caroline. Bonnie non mi guarda. Fissa un punto fermo del pavimento e arriccia il naso e le sopracciglia. Sta ragionando, lo vedo. È la stessa reazione che fa quando fa un compito di matematica. Valuta tutti gli elementi e poi ragiona sulle varie opzioni. Riesco persino ad immaginare la sua testa come un sofisticato marchingegno, pieno di rotelle e bulloni, che lavora e elabora la situazione.

-C’è qualcos’altro che non ci hai detto?

Mi domanda.

Bingo. Hai fatto centro! Dritto al bersaglio: effettivamente c’è qualcosa che non vi ho detto, ragazze. Ve lo dico o non ve lo dico?

Al diavolo. Questo dubbio amletico me lo sto ponendo da mesi, devo iniziare ad agire seriamente.

-Non è lui il padre del bambino.

-Cos … cosa? Sei seria o è uno scherzo? Perché non è affatto divertente!

Urla la mia amica bionda.

Le faccio segno di abbassare la voce perché potrebbe svegliare John, ma è troppo tardi. Il suo riposino pomeridiano è appena saltato a causa dell’invasamento della zia.

Benché si trovi al piano di sopra, di solito si riesce sempre a sentire tutto, comprese i suoi strilli dovuti dal pianto.

Salgo le scale e lo vado a prendere dalla culla.

-Ehi … no, amore mio. È tutto apposto. Non è successo niente.

Gli sussurro dolcemente mentre gli do’ dei piccoli baci sulla tempia.

-Andrà tutto bene, piccolino. La mamma sarà sempre con te.

Riscendo con lui che ancora piange e mi vado a sedere sul divano, tenendolo in braccio, accanto alle mie due amiche.

-Mi dispiace. Non volevo svegliarlo. – mi dice Caroline mortificata. Io le faccio segno che non fa niente – ma devi capire che per noi è un po’ strano. Siete sempre stati tu e Stefan. Da praticamente una vita. Noi ci ricordiamo neanche quando vi siete messi insieme.

Sembrava che l’universo avesse deciso che dovesse stare insieme e facciamo abbastanza fatica a pensare che sia plausibile una cosa del genere. Che cosa è successo? Di chi è il bambino?

-Vi ricordate nelle scorse vacanze di Natale, quando Stefan partì per New York con Tyler e Matt? Organizzammo un pigiama party a causa tua, Care, ma alla festicciola si aggiunsero alcuni elementi.

-Intendi quella sera, quando ci ubriacammo tutti quanti? Ho un vago ricordo, anzi non mi ricordo proprio niente, a parte un’orribile nausea.

Be’, cara Bonnie, almeno tu non ricordi  nulla. Io ho tutto ben chiaro, stampato in testa.

-Non mi dire che è stato lì che hai tradito Stefan. Oh Dio è Marcel?

Chiede ingenuamente Caroline.

-Ti sembra che assomiglia a Marcel?

 Faccio, indicando il volto di John che non ha nulla a che fare con pelle color cioccolato e occhi marroni. È completamente l’opposto. Faccio notare a entrambe gli occhi azzurri e scorgo un lampo nei loro di occhi.

Giurerei di poter leggere il nome di Damon, con tanto di lampadine, sulle loro fronti.

-Ti prego, dimmi che non lo hai fatto? – esclama Bonnie – Dimmi che non hai fatto sesso con il fratello del tuo ragazzo?

Annuisco.

-Ho bisogno di un sorso d’acqua.

Caroline va verso la cucina e prende un bicchiere d’acqua, bevendolo in un solo sorso.

-Ma quando? Come? Dove? – continua a chiedermi la mora.

-Praticamente quando se ne andarono tutti e voi vi addormentaste in soggiorno. Nel letto di Caroline.

L’ultima frase la sussurro praticamente. Caroline sputacchia l’acqua che sta ancora bevendo.

-Cosa? Non ci posso credere! Devo andare a bruciare le mie lenzuola.

-Abbassa la voce, ti prego!

La mia amica ritorna a sedersi e mi guarda sconsolata.

Lo vedo che hanno ancora domande da farmi e sono tante. Ci vorrà molto tempo e tutta la mia buona volontà e tutto il mio autocontrollo per raccontare loro l’intera storia.

Racconto per filo e per segno le mie sensazioni di quella serata. Dell’effetto dell’alcol, dei miei sentimenti, e dell’effetto del corpo di Damon a contatto con il mio. Tutto sotto lo sguardo disgustato di Caroline.

Poi racconto delle settimane successive, della mia paura nel non sapere chi era il padre e poi delle menzogne che avevo raccontato anche a Damon. Ho parlato del rapporto complicato che ho avuto con lui. Dei miei perché, delle mie domande a cui non so ancora come rispondere. Tutti gli aneddoti passati con lui, come quando scoprimmo il sesso del bambino e la prima scalciata. Il giorno del parto, la mia confessione. È tutto ancora molto nitido e sembra non volersene andare.

-Poi qualche giorno fa stavo raccontando tutto a Giuseppe e poi l’avrei detto a Stefan, ma lui ha sentito tutto e non vuole più vedermi.

Ho iniziato di nuovo a piangere e mio figlio lo sta facendo con me. Percepisce tutte le cattive sensazioni e tutti i sentimenti negativi che provo in questo momento. Non riesco a farlo calmare, fa troppo male anche a me.

(Damon)
-Hai fatto una grande cazzata, amico.

Me lo dice chiaro e tondo Klaus con quella sua aria di insufficienza, mentre preme il piede sull’acceleratore e guarda non curante la strada dopo avermi fatto la ramanzina, manco fosse mia madre.

Non so perché nemmeno gli sto lasciando guidare la mia macchina. Forse perché ho ancora un occhio gonfio e non ci vedo molto bene. Stefan l’altro giorno mi ha tirato proprio un bel pugno. Ho provato a parlare con lui, ma a quanto pare nulla è servito. Lui non vuole vedermi più, ha espresso chiaramente il suo odio a parole … e anche a gesti. Ho sentito abbastanza chiaramente i suoi pugni che mi hanno spaccato il labbro e fatto nero l’occhio destro.

Sto sul sedile del passeggero, mentre dietro Alaric e Enzo, discutono a bassa voce della questione “Elena e John”.

-Mi dite che avete da confabulare voi due?

-Niente Salvatore, stavamo immaginando te alle prese con pappette e pannolini.

Ghigna Enzo mentre mi regala una forzuta pacca sulla spalla.

-Divertente, Lorenzo. – vado a sottolineare il suo nome completo. So che lo detesta.

Anche se loro due mi stanno deridendo, in realtà non mi dà per niente fastidio quell’immagine: io che mi prendo cura di mio figlio. E finalmente adesso lo posso fare liberamente senza sotterfugi. Lo posso fare alla luce del sole e questo mi piace. Posso dire a tutto il mondo che John è mio. Ecco perché non ho perso quasi tempo a dirlo ai miei amici. Ecco perché me ne sono fregato del loro giudizio e delle loro reazioni.

E poi è successo. Ric non ha perso tempo e mi ha incoraggiato con una pacca sulla spalla, tanto la paternale me l’aveva già fatta tempo fa. Enzo e Kol non si sono risparmiati dozzinali battutine sul mio conto, ma neanche ci ho badato a loro. Quello che mi ha stupito è stato Klaus. Lui sì che mi ha fatto un discorsetto con i fiocchi. Non ho ben capito il perché, ma mi ha praticamente assillato sul fatto che era amico di Stefan anche lui e che non era giusto che li avessi fatto un torto simile. Per fortuna non è andato oltre. Forse i miei lividi gli hanno fatto compassione.

Però sono voluti partire per Mystic Falls seduta stante.

-Mi spiegate perché avete deciso all’improvviso di ritornare a casa?

-Perché te lo si legge negli occhi, amico.

Mi canzona, Enzo.

-Mi si legge cosa?

-La voglia di andare da loro. – risponde Klaus. – mentre ci hai raccontato la verità, mentre ci parlavi di Elena e di John, abbiamo avvertito tutti è tre qualcosa. Uno strano luccichio che ha un qualcosa di nuovo. Damon noi non vediamo questa voglia di vivere in te da quando …

Si ferma, ma io completo la frase per lui.

-Da quando ho scoperto della malattia di mia madre.

Lui annuisce e continua a parlare.

-Nonostante tutto, nonostante il tuo carattere e le cazzate che hai fatto nel corso di questi anni, eri spento. Hai cercato di combattere questa tristezza ma non ci sei mai riuscito, invece è da un paio d’ore che non riesci a smettere di sorridere, te ne sei accorto?

-Sei fottuto, Damon. A causa di quella ragazzina e di quel marmocchio sei andato in tilt. – dice allegramente Enzo – ma che ti dice quel cervello. Hai ventisei anni, una vita davanti e sei ancora giovane. C’è tutto il tempo per fare figli, eppure l’unica cosa che ti ha riportato a vivere è proprio quel bambino. Fattelo dire: sei proprio un tipo strano.

-Non ascoltarlo. Non importa che età hai, ormai sei rimasto folgorato. Guarda che l’amore cambia tutto. Pensa a me e Jenna o a Klaus e Caroline.

-Con Caroline non è nulla di serio. Ci stiamo sono divertendo.

-Vallo a raccontare a qualcun altro. Tu sei pazzo di Blondie.

-Parla quello che non riesce a smettere di sbavare dietro a Maggie.

Intervengo io.

-Piantatela tutti quanti. Tanto ormai ci siamo innamorati ed è diventato irrimediabile.

Sorrido a quella frase. O forse allargo ancora di più il sorriso che già avevo prima.

Intanto siamo arrivati a Mystic Falls, davanti casa di Elena. Esco dalla macchina e mi dirigo verso la porta. Solo due secondi prima di suonare il campanello, mi rendo conto che quei tre mi stanno seguendo.

-Che ci fate voi ancora qui?

-Be’ mentre tu conquisti la ragazza, noi iniziamo tuo figlio. Lo facciamo entrare ufficialmente nella nostra combriccola.

Li fucilo con lo sguardo tutti e tre, mentre mi lanciano sorrisetti furbi.

-Siete dei cazzoni.

Esclamo prima di suonare il campanello.

Con mia sorpresa mi viene ad aprire proprio Barbie e Klaus ne sembra abbastanza felice. Dietro di lei ci sono Bonnie e Elena con in braccio John. Ha gli occhi lucidi e rossi. Che cosa diavolo le è successo? Purtroppo conosco già la risposta. Stefan.

-Ehi.

Non chiedo il permesso di entrare e non me ne frega nemmeno se le sue amiche sanno la verità o no. Entro e basta. La raggiungo e le accarezzo una guancia mentre John si accorge della mia presenza. Lei chiude gli occhi e la sua testa va incontro alla mia mano per sentire meglio il contatto. Dio, è bella anche quando è triste. Perché non me ne ero mai accorto prima? O forse lo sapevo, ma non me ne accorgevo. Diamine sono stato un coglione a non accorgermene.

-Ehi anche a te.

Sussurra. John strepita e scalcia con tutta la forza che ha e reclama la mia attenzione verso di lui.

-Ciao campione. Felice di rivedermi?

Lo prendo in braccio e lo sollevo un po’ in alto. Lui sorride, ma sfortunatamente gli scappa un rivolo di saliva che va a finire proprio sul mio naso. Emetto un verso di disgusto mentre Elena finalmente scoppia a ridere e va a prendere una un fazzoletto di carta per pulirmi.
Solo dopo esserci calmati, le chiedo come vanno le cose e lei non vuole rispondermi. Credo che non se la senta ancora.

 Non ci siamo resi conto che gli altri ci fissano. Ci fissano mentre io e Elena siamo così vicini, mentre ci confidiamo tutto come non abbiamo mai fatto. Che ci comportiamo come se fossimo buoni amici o poco più.

Io in effetti voglio di più.

Voglio che lei sia mia, così come lo è anche John. Voglio che lei mi ami come la amo io.

 Per fortuna Enzo riesce a smuovere l’atmosfera, a far distrarre gli altri da noi due.

John continua a sorridere e a sbattere le braccia. Fa segno che vuole essere coccolato ancora. Allora mi vado a sedere sul divano e lo guardo negli occhi. Come non hanno fatto le persone a capire che lui è mio figlio? Mi sembra che mi assomigli così tanto.

-Che c’è?

Gli chiedo teneramente. No, questo non è assolutamente il mio tono di voce. Non ho mai parlato ad una persona in questo modo, eppure non posso fare a meno di essere dolce con lui.

Lui che in questo momento si attacca con le mani al colletto della mia maglietta nera e la tira con tutta la forza che ha. Lui che continua a sorridermi e io non posso fare a meno di ricambiare, sfiorando il suo nasino con il mio. Lui che emette un verso inventato da lui stesso e gli sfugge ancora della saliva dalla bocca.

Allora Elena si sporge verso di noi e lo pulisce con la bavetta che ha in mano, sorridendo.

-Che cosa ti è successo?

Le provo a domandare di nuovo mentre Enzo e Alaric si intrattengono con Bonnie e mentre Klaus e Caroline si sono gettati su una poltrona a guardarsi con sguardi languidi e maliziosi. Ma non posso fare a meno di notare, quanto tutti quanti a volte ci stiano gettando delle occhiate curiose.

In fondo noi siamo la novità. Quelli che nessuno si sarebbe mai aspettato di vedere insieme, ma io e lei non stiamo insieme. Non ancora. Spero non per molto.

-Oggi ho provato a parlare con Stefan.

-E …?

-E niente, non ha voluto parlarmi. Mi ha mandata via aggressivamente e non mi ha concesso di parlargli. Lui mi odia.

-Crede di odiarti, ma non lo fa veramente. Adesso gli fa solo male la ferita che gli abbiamo inferto. Vedrai che passerà con il tempo.

Mio fratello non l’ha voluta. L’ha cacciata dicendole che la odia. Non ci credo. Non posso crederci che mio fratello sia così arrabbiato da odiare Elena. Non è possibile. Sono sicuro che dopo averci rimuginato sopra si pentirà di quello che ha detto. Anche se non lo ammetterà comunque.

Butto la testa all’indietro e l’appoggio sullo schienale del divano. Forse dovrei dirglielo.

-Ti devo parlare. – dice lei precedendomi – in privato.

Ci ritroviamo in camera sua con John nella culla che gioca con i pesci che gli fluttuano sulla testa e noi due in piedi uno di fronte all’altra.

Elena è un po’ nervosa. Muove tutte le dita delle mani in dei piccoli scatti e si morde il labbro inferiore.

-Allora?

-Volevo parlarti dell’altra mattina. Di … di quando ci siamo … ecco … di quando ci siamo baciati.

Sorrido al ricordo di quella mattina. Mi sorpresi perché Elena era stata la prima ad agire, era stata lei a baciarmi per prima.

-Hai ragione. Dobbiamo parlare di quel bacio. Di quei baci. Perché tu l’hai fatto, Elena?

-Io … non lo so.

Come “non lo so”? Che significa? Quando baci una persona lo fai per due motivi. O ne sei solo attratto, o l’ami. “Non lo so” non è ammesso tra le risposte.

-Io sentivo di farlo ed è stato bello, ma non ho mai riflettuto veramente su quello che provo per te.

Non sa quello che prova per me, davvero? Allora, oltre a John, che cosa sono stati tutti questi mesi di verità nascoste e incontri segreti? Ti prego Elena dimmelo perché sto impazzendo.

-Sentivi di farlo, è stato bello. Davvero non ti rendi conto a che cosa può portare tutto questo? A me sembra abbastanza ovvio.

Mi avvicino di un passo e lei ne fa uno indietro.

-No, non mi sembra ovvio. In questo periodo sono abbastanza confusa.

Annuisco, fingendo di capirla. Invece sta rendendo confuso anche me e questa non è una buona cosa.

-Quindi cosa speri di capire con questa chiacchierata? Che ti dica io quello che tu provi?

Faccio un altro passo, mentre lei ne fa un altro indietro. Non può più continuare a indietreggiare. C’è il letto che la blocca.

-No, voglio che facciamo chiarezza insieme.

Io ho le idee più che chiare. Le rispondo mentalmente.

-Invece lascia che ti aiuti io a chiarire.

Non resisto più: le prendo il viso e la bacio. E sento il mondo allontanarsi da noi due completamente. Sento ogni cosa dentro di me prendere vita, compresa lei, che senza rifletterci sta rispondendo al bacio e non si è accorta che nell’impeto di baciarla, l’ho spinta sul materasso.

È imprigionata sotto di me e non voglio farla scappare, soprattutto se sento le sue mani che si vanno a confondere con i miei capelli. Soprattutto quando mi accorgo che il suo sapore è il migliore di tutti e voglio baciarla e baciarla ancora, fino a quando non avrò più fiato. Fino a quando non perderò la sensibilità alle labbra e non sentirò più le sue. Voglio baciarla e continuare a farlo fino a morire su di lei. Lei che adesso mi morde il labbro e lo succhia come se fosse la cosa più normale al mondo. Lei che ancora non ha capito che cosa prova per me, ma intanto ci sono io che le riverso tutto l’amore che provo. Perché l’amo e mi sembra la cosa più ovvia.

Afferro le sue mani e le blocco con le mie sopra la sua testa. Stacco un po’ le nostre bocche perché voglio guardarla negli occhi. Ti prego dimmi che lo hai capito. Dimmi che mi ami. Dimmi che questo bacio è tutto per te. Dimmi che ti senti protetta tra le mie braccia. Dimmi che sai che questo non finirà mai. Dimmi che io, te e John saremo una famiglia al cento per cento.

Permettimi di adorarti, di amarti in modo totalizzante. Permettimi di farti capire quanto tu sia importante per me. Permettimi di farti la corte, perché quella fase l’abbiamo completamente saltata. Permettimi di dirti quanto sei bella. Permettimi di portarti a cena, mentre lasciamo nostro figlio a tua madre o alla mia. Permettimi di renderti mia.

E renditi conto della totale pazzia che sta passando la mia testa. Renditi conto di quello che sono diventato con te, per te. Renditi conto che non c’è nulla di più importante di voi due. D’ora in poi ci sarete solo voi due, non ci sarà nessun altro. Tu e nostro figlio.
Nostro figlio. La nostra famiglia.

Siamo una famiglia, Elena. Lo hai capito? Sai che vuol dire? Che non ci lasceremo mai e non perché siamo obbligati dal dovere di proteggere John. No. È perché io ti amo e siamo legati in questo modo ormai. Lo sento. Lo sento il filo invisibile che ci lega. Lo sento che siamo così vicini. Lo sento che, anche se tu non l’hai ancora ammesso, ora mi stai donando amore. Lo percepisco.

Così come percepisco il tuo respiro sul mio naso. I tuoi mugolii incontenibili mentre ti sfioro il seno. Ma non voglio andar oltre.

Non voglio finire con il portarti di nuovo a letto, anche se so che sarebbe bellissimo, senza farti capire che ti amo.

È troppo presto. Troppe cose ci dobbiamo ancora dire, ma per adesso io voglio solamente baciarti, sentire la tua bocca a contatto con la mia. Farti capire perché non è stato un caso se alla fine io e te abbiamo fatto un figlio insieme.

No, non è un caso. Non è nemmeno destino o universo. Siamo solo noi due che ci conosciamo da praticamente una vita e ci siamo amati inconsapevolmente e in modo inusuale da sempre. Ci siamo sempre amati e non lo sapevamo. Non ce ne siamo accorti.

Mamma probabilmente aveva ragione, ma noi non lo abbiamo mai capito. Non abbiamo mai capito, che i nostri sguardi, le nostre litigate, le nostre battute, il nostro essere l’uno contro l’altra, non ci ha portato altro che ha questo.

A fare una famiglia. Io che appartengo a te e tu che appartieni a me. come un’unica cosa. Come questo sentimento che mi sta portando via tutto, ma mi porta a te. E io ho perso una scommessa. Ho sempre creduto che un “noi” tra me e te non ci sarebbe mai stato. Eppure, eccoci qui, a reclamare il tuo respiro. A reclamare una possibile vita con te. Te che sei la mia salvezza. Te che mi potresti salvare dal baratro. Te che sei parte della mia ancora. Tu sei l’ancora. Mentre John è la catena che mi collega a te.

Siamo noi. E tu non mi permetti di andare alla deriva. Mi tieni fermo in questo molo e lo farai anche quando arriverà la tempesta, quando delle onde anomale arriveranno a scombussolarmi.

Non come mi hai scombussolato tu. Che sei arrivata quella notte come un uragano e mi hai trascinato in questo turbinio di emozioni. In questo ciclone che non si placa. È forte e molto forte. Mi spazza via il respiro, ma voglio che sia così. Voglio continuare ad essere trascinato, sbattuto e ferito, ma solo da te. Da nessun altro. Solo con te e con nessun altro.

Perché io non lo sapevo che c’eri, Elena. Sei spuntata fuori come una sorpresa e mi sei rimasta impressa dentro.

Ti prego continua a baciarmi. Perché inspiegabilmente sei tu quella che amo.



Note finali:
eccomi qui con questo nuovo capitolo. Che all’inizio è un po’ depressivo. Un bel po’. Elena è triste per tutto il tempo e con uno Stefan abbastanza incazzato. Poi per fortuna c’è la mia adorata Eléonore che ci lascia un’altra sua perla di saggezza.
Ha parlato con Damon, adesso parla con Elena.

Quest’ultima quando ritorna a casa si ritrova con Caroline e Bonnie e decide di raccontare a loro tutto. Soprattutto perché Barbie si è accorta che c’è qualcosa che non va.

A poi arriva Damon che ormai ama irrimediabilmente e nell’esatto momento in cui si trovano soli, a discutere della questione “quello che proviamo realmente” la bacia e si fionda con lei sul letto anche se non credo sia ancora giunto il momento di arrivare al passo successivo.

Spero che vi sia piaciuto questo capitolo ^.^


Mia. 

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Capitolo 12
*** Egoismo. ***


12.
Egoismo.
(Elena)
-Quindi cosa speri di capire con questa chiacchierata? Che ti dica io quello che tu provi?

-No, voglio che facciamo chiarezza insieme.

-Invece lascia che ti aiuti io a chiarire.

All’inizio non so che cosa vuol dire con quella frase e lo guardo titubante, ma l’attimo dopo mi rendo conto che le sue mani mi afferrano la faccia e che le sue labbra si scontrano violentemente con le mie.

Nonostante l’impatto forte e aggressivo, io non posso fare a meno di pensare a quanto sia dolce il sapore delle sue labbra e di quanto la mia ragione non riesca più a ritornare a dei livelli normali.

È dolce anche l’impatto con il letto e non perché il materasso sia morbido, ma perché Damon ha rallentato all’ultimo secondo.

Per un attimo mi dimentico anche di John che non capisce quello che stiamo facendo, come non lo sto capendo io.

Che cosa devo chiarire? Lui ha già capito tutto? Ho ancora troppe domande da fare e ogni giorno che passa aumentano sempre di più. Per adesso non ho ricevuto nessuna risposta a nessuna di queste.

Ignoro ancora una volta tutti i pensieri che mi dicono quali possono essere le varie conseguenze. Non ci riesco. Mi lascio distrarre da Damon che è troppo bravo in questo. Questo suo sfiorarmi con le dita su tutto il corpo, avvertire su ogni centimetro quadro della mia pelle, anche attraverso il tessuto dei vestiti, un fuoco che brucia, ma che non scotta. Un fuoco che non ti fa respirare, ma non tossisci.

E se io … no. L’amore qui ancora non c’entra niente. Su questo ne sono sicura, anche se non so ancora cosa c’è tra noi. Noi.

Da quanto tempo io e Damon siamo diventati un Noi?

Forse da quando ho iniziato a baciarlo così. Da sentirlo così vicino a me da confondere le sue labbra per le mie, e la sua pelle per la mia. Eravamo io e poi c’era lui, separatamente. All’improvviso siamo diventati noi. È come se ci fossimo fusi in un'unica cosa, anche se non sappiamo ancora che cos’è?

-Perché mi hai baciato?

-Tu perché hai risposto al bacio? Credo che sia per lo stesso motivo.

-È vero, è per lo stesso motivo. Solo che tu non hai capito ancora qual è.

Ripenso alle parole dell’altro giorno e mi rendo conto che forse lui ha capito che cosa c’è tra di noi, ma non me lo vuole dire. A quanto pare per lui le cose sono chiare e adesso, con questo bacio sta cercando di dirmelo. Non a voce. Forse a voce mi spaventerebbe di più, invece con i gesti. Be’ … è evidente quello che sta accadendo.

Lui mi ama? È davvero così? O forse ha mandato letteralmente a quel paese la ragione e ha deciso di ubbidire a istinti primordiali e carnali?

Uno spiraglio della mia razionalità tenta di sbucare fuori, quando Damon scende a baciare il mio collo. Quando le sue labbra non sono più sulle mie e, sebbene ogni suo tipo di tocco mi fa completamente ammutolire, i suoi occhi non si scontrano più con i miei, e l’incanto non svanisce, ma si affievolisce.

-Damon.

E questo sarebbe dovuta essere una richiesta ad andarsene, ma la mia voce è apparsa diversa. È sembrata più una supplica a rimanere con me, in questa posizione che non mi sono accorta, nella foga del bacio, delle mie gambe completamente aggrovigliate intorno alla sua vita.

Lo sento staccarsi, ma non allontanarsi. Le sento, le sue labbra che continuano a sfiorarmi la pelle supersensibile. Lo sento, il suo respiro irregolare quasi quanto il mio soffiare e infrangersi prima sul collo, poi vicino all’orecchio e poi sulla guancia. Lo sento, il suo sguardo che mi sta implorando non so ancora bene cosa.  Di non parlare? Di baciarlo ancora? Lo sento, quando casualmente, appoggio una mano sul suo petto, in prossimità del lato sinistro, il suo cuore che batte. Ci dà un ritmo incredibile e va in sincrono con il mio.

-Credo che non ci sia più bisogno di dirti quello che provo per te.

Mi sussurra chiudendo gli occhi e appoggiando la fronte sulla mia.

È successo davvero. Quello che ho temuto di più in questo periodo è successo e io non so come affrontarlo.

Non so come reagire al pollice di Damon che mi accarezza di continuo lo zigomo, non so come reagire, al suo respiro, a lui stesso. Sono così sorpresa di tutto quello che è successo che a malapena sento le risate di John che sta ancora giocando. Neanche quelle riescono a distrarmi.

Chiudo per un po’ gli occhi, ma la presenza di Damon si fa più intensa e più piacevole. Una parte di me non vuole che lui si allontani. Una parte di me mi sta dicendo che lui mi ama e che forse lo amo pure io.

L’altra parte, la più fredda e cinica, quella più razionale, mi sta chiedendo se ho perso il ben dell’intelletto. Ho appena rotto con suo fratello, dicendogli che tra me e lui non c’è assolutamente niente. Che quello tra me e Damon non mi ha portato nessuna conseguenza sentimentale.

Ci sono due possibilità: o ho mentito a Stefan stamattina, o sto mentendo con lui in questo momento. E non so qual è la vera opzione. Non so se andare da Stefan, correre da lui e scongiurarlo di perdonarmi e di ritornare insieme. O non so se andare da Stefan, correre da lui e dirgli che forse mi sono innamorata del fratello maggiore come lui si è innamorato di me.

In ogni caso il mio scopo è parlare con lui perché non posso vivere con il peso che lui mi odi per sempre.

-Ti prego, dimmi che è lo stesso. Dimmi che hai capito.

Lo sento supplicarmi ancora ad occhi chiusi.

Che cosa devo dirgli? Che lo amo anche io? Non so ancora cosa provo, io non so niente. Come faccio a rispondergli che è ancora troppo presto per me? Che non basta un bacio, che racchiude tutto l’amore del mondo, per farmi chiarire i pensieri oscurati che ho nella testa?

Sto per rispondergli per dire che ho bisogno un po’ di tempo e intanto mi accorgo che non ci siamo ancora mossi. Siamo vicini. Lui sopra di me con le mani che mi accarezzano i capelli e le guancie. Ormai tutta l’aria che respiro e impregnata di lui, della sua essenza, del suo essere.

Sto per rispondergli e so che continueremo a parlare fino a quando non saremo giunti ad una conclusione o fino a quando non saremo ritornati al punto di partenza con più problemi di prima.
Sto per rispondergli … ma Enzo entra nella nostra camera e quando ci vede così non sembra essere stupito.

-C’è Stefan giù.

È l’unica cosa che dice e io scatto in piedi ignorando bellamente Damon. Ignorando qualsiasi sua reazione, ogni sua espressione. Vedo Enzo girarsi e allontanarsi da noi.

Mi volto lentamente verso Damon e fatico un po’ a guardarlo negli occhi ma mi impongo di farlo.

Il suo sguardo non dice niente. È freddo e distaccato. In pratica l’opposto di quello che aveva fino a un minuto fa: caldo, dolce e felice. Credo che da oggi le cose si siano incasinate ancora di più.

-Va da lui. Penserò io a John.

Annuisco silenziosamente mentre mi dirigo verso le scale. Nel soggiorno trovo un silenzio tombale e tutti quanti stanno guardando Stefan. In piedi e immobile sul ciglio della porta, ha appena alzato lo sguardo per guardarmi in faccia. Non dice una parola. Mi fa solo cenno con il capo di seguirlo fuori di casa.

Tutti gli altri mi stanno guardando curiosi per quello che succederà, ma anche io preferisco non parlare e mi allontano da loro.

Arriviamo nel giardino dietro casa mia e lui si è andato a sedere sotto l’albero. Il nostro albero. Quello dove andavamo a giocare ogni giorno d’estate, dove progettavamo una casa sull’albero, mai realizzata.

Proprio lì. Io vado a sedermi accanto a lui ma guardo verso l’alto. Osservo le nuvole che, spostate dal vento, a volte coprono il sole a volte lasciano che i suoi raggi illuminino tutto quello che ci circonda: l’erba, l’albero. Illuminano tutto, dovrebbero illuminare anche noi, ma io in questo momento mi sento come intrappolata in una coltre di nebbia oscura che mi fa pesare il cuore.

Lo sento circondato da un cerchio nero che lo intrappola e lo stringe sempre di più, ogni secondo che passa e mi sento schiacciare.

-Dopo che te ne sei andata ho parlato con mia madre. – inizia a parlare – lei mi ha detto che sapeva tutto fin dall’inizio, ma che non mi ha potuto dire niente perché era una confidenza di Damon. Io non la biasimo. Non mi voglio arrabbiare con lei. In effetti avrei preferito saperlo da te e da mio fratello, piuttosto che da mia madre. Mi ha fatto malissimo tutto questo, lo sai Elena? Mi sta facendo male e mi sto trattenendo dal non piangere perché ho deciso di affrontare la situazione da adulto e da persona matura, ma in ogni momento, ogni parte di me mi dice che vuole sfogarsi così come ho fatto quando ho preso a pugni Damon. Mi sto trattenendo perché non sono quel genere di persona, non lo sono mai stata, eppure adesso sento che sto cambiando.

-Stefan io …  - faccio per accarezzargli una guancia, ma si discosta da me bruscamente.

-No non farlo. Non riesco a fare a meno di pensare che quelle mani hanno toccato anche mio fratello.

Mi sale un groppo in gola che non mi permette di respirare. Però decido di andare avanti e di parlare.

-Non ho mentito quando ti ho detto che quello che ci è stato tra me e Damon, quando abbiamo concepito John, è stato dovuto semplicemente dall’alcol. Eravamo completamente andati e non ci abbiamo pensato due volte.

-A cosa non avete pensato due volte? A fare sesso o a fare l’amore? – è calmo, non c’è rabbia nelle sue parole – perché sai benissimo che c’è differenza nelle due cose. Se solo me lo avessi detto subito, forse avrei anche potuto perdonarti, per quanto brutto sia. Avrei dato anche io la colpa all’alcol, ma solo se è stato sesso e basta. Io però, dopo tutti questi mesi, non ci crederei se tu mi dicessi così. Durante tutta la gravidanza io ho notato un tuo allontanamento, non solo fisico, ma avevi sempre la testa fra le nuvole ed io come un idiota ho deciso di ignorare il tuo strano comportamento.

-Ma era la mia preoccupazione per la gravidanza, perché ti stavo nascondendo la verità e mi sentivo in colpa.

Che cosa c’entra la faccenda del sesso o dell’amore che provo per Damon? Io adesso voglio solamente parlare di lui e di me. Di nessun altro.

-Guardami negli occhi e dimmi che non lo ami. Dimmi che in questo momento ami me come mi amavi tanto tempo fa. Dimmi che nonostante Damon, nonostante John, provi gli stessi sentimenti di un tempo per me.

Mi volto completamente verso di lui ormai con gli occhi lucidi. Apro la bocca e provo ad emettere qualche suono, ma tutto ciò che ne esce fuori è l’aria che respiro. Il mio corpo non vuole obbedire ai comandi della mia mente. Come nel sogno che feci tanto tempo fa. Baciavo Damon senza che lo volessi. Ecco, lo vedi Elena? Lui sta in mezzo a te e Stefan anche quando non c’è fisicamente. Forse non se ne andrà mai.

-Io … io …

-Lo capisco. – mi interrompe lui. Tanto sa che non uscirà niente dalle mie labbra. – Damon è bello, furbo, intelligente, simpatico e ti ama. L’ho notato quando nei suoi occhi, l’altro giorno, mentre lo picchiavo, c’era qualcosa, una strana determinazione. Era pronto a difendere te e John contro chiunque. Lo ami anche tu, lo riesco a vedere e a quanto pare tu non riesci ad ammettere il contrario.

Mi fa male vederlo così, mentre abbassa lo sguardo triste verso il terreno.

-Mi dispiace per tutto quanto, Stefan.

-Dispiace anche a me. Ma che ci posso fare se ti sei innamorata di mio fratello …

-Io non ho detto di amarlo.

-Ma non hai neanche detto di non farlo.

Continuo a guardarlo confusa e spaventata. Non avrei mai creduto che proprio lui si mettesse a dirmi queste cose. Che fosse lui, prima di me, ad ammettere questa cosa. Ad ammettere i miei sentimenti. Ma è vero tutto questo? Sono veramente innamorata di Damon come dice lui? Non so come rispondere. Io continuo a non sapere niente e questo mi manda fuori di testa.

-Non volevo che accadesse. Io … quello che è successo, John, Damon … è successo tutto all’improvviso. Mi ha colto di sorpresa e non ho saputo come gestirlo. Non so come gestirlo.

-Vedrai che ci riuscirai, ma mi sarebbe piaciuto affrontare tutto questo con te, invece non riesco ancora a starti vicino. Ti ho perdonato, ma ho bisogno di stare un periodo lontano da Mystic Falls. Credo che farò una full immersion nello studio per passare subito i primi esami.

Si alza dal mio fianco e se ne va, guardandomi per un’ultima volta prima di  girare l’angolo.

Io rimango un altro po’ qui. Cercando di annullare quest’ultimo anno. Tutte le mie preoccupazione, quelle preoccupazione che io non mi sarei mai aspettata. Tutti gli errori e le bugie. Le cancello e questo vento, che mi passa attraverso, le porta via, ma so che poi ritorneranno perché alla fine questi ricordi sono incancellabili.

(Damon)
Ho lasciato John a gli altri. Non che mi senta al sicuro, lasciarlo da solo con loro, ma confido nella serietà di Ric e di Bonnie, altrimenti me lo sarei portato con me.

Voglio parlare con mio fratello, quindi sono uscito dalla casa di Elena e mi sono appoggiato sul cofano della sua auto rossa. Lo vedo ritornare chino, con le mani nelle tasche e rimane sorpreso quando alza lo sguardo e mi vede. Lascia la mano sospesa in aria, quando fa per prendere la chiave dell’auto dalla tasca della sua camicia. Io intanto mi raddrizzo.

-Fammi indovinare – dice lui sarcastico – vuoi parlare con me.

-Hai parlato con Elena, perché non dovresti parlare con me?

-Perché lei è la ragazza che amo.

-Ma io sono tuo fratello.

Emette uno sbuffo infastidito e guarda altrove per un po’, poi si avvicina a me sfidandomi con lo sguardo.

-Pensi che questo ti dia il diritto di venire da me e rinfacciarmi il fatto che mi hai rubato la ragazza?

-Io non ti ho rubato la ragazza, Stefan. Io e Elena abbiamo soltanto …

-So benissimo cosa avete fatto tu e Elena e so anche quali sono state le conseguenze. Ascoltami, ti dirò le stesse cose che ho detto a lei. Vi ho perdonato, è stata dura. È stato grazie alla mamma che ho deciso di perdonarvi, ma non riesco a stare con voi. Io la amo, Damon, dannazione, e tu me l’hai portata via.

Sento le sue parole rimbombarmi nella testa. Lui la ama. Lui la amo. Però pure io la amo.

-Anche io.

-Allora hai deciso di portartela a letto in un attimo di debolezza?

-No … io … in quel momento ancora non ero innamorato di lei.

Stefan si avvicina ancora di più e continua a guardarmi con quello sguardo che è un misto tra il ferito e l’arrabbiato. Come se volesse bruciarmi con i suoi occhi.

-Oh certo che lo eri. È solo che non lo sapevi. Sono stato uno stupido a non accorgermene prima. – sospirò – ma adesso che ci penso, mi rendo conto che tu e Elena non vi siete mai comportati da semplici amici. Se ci ripenso, mi ricordo di certi sguardi, di certi sfioramenti, di alcuni abbracci che neanche voi ci facevate caso. Eravate troppo presi dal vostro litigare. Eppure io sono stato un idiota perché ho sempre voluto ignorare tutto, come lo avete sempre voluto ignorare voi.

Purtroppo mio fratello ha ragione. Ho sempre ignorato quello che sento per Elena. Non so se sono sempre stato innamorato di lei, oppure è accaduto tutto quanto in questi mesi, ma mi sembra come se sia successo troppo tardi, che forse se io me ne fossi reso conto molto tempo prima, i guai in cui ci troviamo adesso non sarebbero esistiti.

Ma come si sarebbe potuto evitare? Prima Elena era così bambina rispetto a me. Anche in questo periodo la nostra differenza di età si fa sentire, ma prima lo era ancora di più. Io di certo a diciotto anni non avrei mai pensato di innamorarmi di una di dieci. Però è successo. Il tempo è passato e lei da bambina è diventata più donna, io da un ragazzo idiota e stronzo mi sono innamorato di lei e forse mi sono innamorato grazie a lei. Perché non ho mai provato mai prima d’ora questa sensazione.

-Vorrei ritornare indietro. Una parte di me dice che sarebbe meglio cancellare completamente quest’ultimo anno, ma poi mi rendo conto che non ci sarebbe John e io non ho il coraggio di rinunciare a lui. Stefan, io so che dovrei pentirmi di quello che ho fatto, ma non voglio, almeno in parte. Tutto questo è tremendamente egoistico da parte mia e ti capisco se non vorrai più vedermi per il resto della mia vita, ma non posso fare a meno di dirti queste cose perché è la verità.

Lo guardo negli occhi e lui per un attimo ha uno sguardo perplesso. Poi assume un’espressione impassibile più tipica di me che di lui. I ruoli si stanno lentamente invertendo. Prima ero io quello che guardava freddo tutti compreso il suo caro fratellino ed era lui quello che mostrava apertamente i suoi veri sentimenti. Si impuntava per dirmi una cosa e si metteva a nudo e faceva vedere la sua fragilità. Prima era lui quello bisognoso d’affetto. Quello più buono. Adesso è tutto il contrario.

Non che io sia così buono, sia chiaro, rimango lo stesso stronzo di sempre, ma non riesco a negare il bisogno di avere altre persone nella mia vita a parte mia madre. Ho bisogno di John, ho bisogno di Elena e ho bisogno anche di mio fratello.

E sono un egoista, egocentrico e chi più ne ha, più ne metta perché voglio tutti quanti e ho una paura matta di perderli. Mia madre potrebbe morire da un momento all’altro, mio fratello potrebbe decidere di non vedermi mai più per il resto della vita e Elena potrebbe non amarmi come la amo io.

Hanno ragione quando dicono che quando si ha qualcosa, si ha paura di perderla, ma io sto già perdendo tutto. Lentamente e me ne accorgo un po’ alla volta. Non voglio, dannazione. Voglio tutti qui accanto a me. voglio star bene con loro.

Stefan dice che mi ha perdonato ma che non vuole vedermi per un po’. Sono tutte balle che si racconta a se stesso. Lui non mi ha perdonato. Be’ … voglio che mi perdoni. Al diavolo cosa penseranno gli altri di me. Al diavolo tutti quanti.

Voglio solo la mia famiglia. Solo loro. Sono egoista? Non fa niente. Voglio stare bene per un po’ di tempo. Non voglio più fare sacrifici, non voglio più tenere segreti.

Cazzo, è possibile che io possa essere così almeno per una volta nella vita? So di non potermelo meritare, so che questo è scorretto nei confronti degli altri …

-Non puoi farlo. Non puoi ritornare indietro.

-Lo so.

-Devi solo aspettare e non puoi pretendere che tutto ritorni a come era prima. Tu sei mio fratello e ti voglio bene, ma adesso guardarti negli occhi e rendermi conto che con quegli stessi occhi hai guardato e desiderato la stessa ragazza che ho guardato e desiderato io … io … non ce la faccio.

Lo vedo avvicinarsi di più a me, ma è solo un modo per allontanarsi. Per prendere l’auto e scappare via, mentre io sono tentato di inseguirlo e di farmi realmente perdonare. Perché, è vero, ho mio figlio, ma niente vale se non c’è mio fratello.

Accidenti, non mi potevo innamorare di un’altra ragazza? Proprio la sua?

Scalcio contro qualche pietra nel giardino per la frustrazione, ignorando il dolore non appena colpisco un masso radicato completamente a terra. Non è quello a farmi male. A farmi male sono io stesso che mi sono comportato da egoista e che continuo a comportarmi da egoista.

-Ha detto che ci ha perdonato. Tu ci credi?

Sento una voce alle mie spalle e non ci vuole niente per farmi capire che è la sua. Mi volto verso di lei e la vedo con gli occhi arrossati. Ha pianto ancora. Si stringe i gomiti per abbracciare se stessa. Vorrei abbracciarla io.

-Lui ha detto che non vuole stare a Mystic Falls, ma ci ha perdonato. Io ci voglio credere, Damon.

-Io non lo faccio. Non ci credo semplicemente per il fatto che lui ha appena parlato con la mamma e lei sa farsi convincere, ma non appena ci rifletterà un po’ di più da solo, si renderà conto che ha fatto una cavolata e che è stato lui a subire un torto. Fidati Elena: lui non ci ha perdonati. Crede di averlo fatto, ma non è così.

La vedo mentre abbassa lo sguardo e deglutisce a fatica la poca saliva che ha in gola. Arretra di qualche passo e poi si mette a guardare la strada, il punto lontano dove mio fratello è scomparso con la sua macchina rossa.

-Non c’era bisogno che mi dicessi la verità. Volevo solo sentirmi dire il contrario per essere rassicurata.

La sua voce è rotta e spezzata. È priva di vitalità e lei non dovrebbe stare così in questo momento. A quest’ora dovrebbe stare dentro casa, con John, a fargli le coccole e a comportarsi da mamma. Invece sta soffrendo e non vuole fare niente per cambiare il suo stato.

È apatica. Ha scollegato la mente dal cuore e sembra che si stia imponendo di non provare più nessun sentimento. Non mi piace vederla così, vedere la sua lenta discesa. Non voglio farle raggiungere il fondo. Deve risalire adesso, in questo momento. Forse proprio per questo motivo che decido di essere egoista anche al posto suo.

-Ehi – mi avvicino all’improvviso e raccolgo il suo viso con le mie mani, prendendolo a coppa – vai a prendere John, andiamo a farci un giro. Ti devi distrarre.

-Non ho voglia di uscire adesso.

Mi dice scacciando con un dito una lacrima scappata dagli occhi e indietreggiando di nuovo.

-Ma sei già fuori di casa.

Constato allargando le braccia verso i miei lati e indicando con lo sguardo il cielo. Noto un piccolo accenno di un suo sorriso che le scappa, ma lo nasconde repentinamente prima che io me ne possa effettivamente accorgere. È un attimo, ma poi passa e non ho nessuna prova che l’abbia fatto realmente.

-Sono seria Damon. L’unica cosa che voglio fare in questo momento è …

- … è prenderti una bella cioccolata calda con panna e cannella.

Lei mi guarda stupita dal fatto che io conosca un particolare così piccolo della sua vita. È quasi rimasta senza parole e si limita ad annuire percettibilmente. Elena non hai ancora capito che io conosco tutto di te? Ti potrei stupire delle cose che so.

-Allora mandiamo via tutti quanti e rimaniamo io, te e John ad aspettare tua madre e tuo fratello. Concediti un attimo di tregua, piccola. Ti sei portata questo peso per tanto tempo e te ne sei finalmente liberata e so che adesso è la parte più dura da affrontare, perché con Stefan non saranno tutte rose e fiori portate da unicorni con la coda fatta di arcobaleno. Hai bisogno di staccare la spina per questa sera. Time out, ok?

-Ok.

Si limita a dirmi. Appena lo dice, io le circondo le spalle con un braccio e le do un piccolo bacio sulla tempia. La sento irrigidirsi, ma decido di ignorare quella reazione.

Quando entriamo, la situazione che mi si presenta mi lascia alquanto sorpreso.

Enzo ha preso in braccio John. Più che ha preso in braccio, lo ha sollevato in alto e lo sta facendo girare un po’ troppo velocemente per un bambino che ha sì e no due settimane di vita. Un moto d’apprensione nasce dentro di me non appena mi rendo conto che è pericoloso, ma cerco di non darlo a vedere. Anche Elena sembra essersi agitata alla vista di quella scena, soprattutto quando nota che la sua cara e fidata amica Caroline sembra approvare il comportamento del terrorista che soggiorna in casa sua.

-Amico, posa mio figlio. – mi avvicino a lui per prendere John – era questo che intendevi per iniziazione?

Gli sussurro per non farmi sentire da Elena.

-No, quella c’è stata prima: doveva bere un goccio di Bourbon in memoria del suo papà.

-Che cosa?

-Scherzo … scherzo. Damon sei diventato paranoico.

Lo fulmino con lo sguardo e dopo mi dirigo verso Elena con John. Gli altri notato che c’è ancora qualcosa che non va e lentamente senza dire niente decidono di andarsene.

Rimasti soli, io mi vado a sedere sul divano con John in braccio facendogli qualche linguaccia. Elena se ne va verso la cucina e prepara una cioccolata calda a tutti e due e quando si viene a sedere, noto che ha l’angolo della bocca sporco di panna. Lo pulisco con il pollice e posiziono meglio mio figlio per riuscire a prendere la tazza che lei mi porge.

-È buona.

-Ricetta segreta dei Gilbert, cioè … dei Sommers. È mia madre quella che fa sempre la cioccolata in casa. A lei riesce anche meglio.

-Almeno so che John crescerà a furia di bere cioccolata calda … perché so che in cucina non te la cavi molto bene.

Questa mi battuta mi costa un colpo sulla testa di un cuscino da parte sua.

-Non insultare il mio modo di cucinare.

-Ma se non sai fare nemmeno un uovo strapazzato.

-Questo vuol dire che cucinerai tu, in futuro, per nostro figlio.

-Non ci penso nemmeno. Visto che hai preso un anno sabbatico dallo studio, esercitati e impara cucinare come una perfetta donna di casa.

Ricevo un’altra cuscinata.

-Che ho fatto adesso?

-Sei un maschilista. Io non sarò una donna di casa e impara anche tu a cucinare, visto che ci sei.

- Gaah guuh.

-Lo vedi? Anche John è d’accordo con me.

-Ehi piccoletto, che fine ha fatto la solidarietà tra uomini?

-È andata farsi benedire quando ha visto un padre del genere.

Ma tu guarda di che razza di ragazza mi sono innamorato? Schietta, decisa, scherzosa anche nei momenti più tristi e bellissima. Dio, quanto ho bisogno di lei.
La riesco a sentire così vicina, ma allo stesso tempo anche così lontana.
Elena è qui, davanti a me, e io non posso fare a meno di pensare di non baciarla, di mettere una mano dietro la sua nuca e avvicinarla a me. ripenso a prima che arrivasse Stefan, al punto dove ci siamo fermati e mi viene voglia di riprendere tutto daccapo. Di mettere John nel suo passeggino e di ritornare a baciarla, facendola sdraiare sul divano, sotto di me.

Prima ho detto che non c’è più bisogno di dirle quello che provo per lei, ma forse lei non ha il bisogno di farlo, io sì. Io non vedo l’ora di dirlo e a questo punto non me ne frega delle sua reazione. Non me ne frega se pensa di aver appena perso l’amore della sua vita. Io credo che lei sia il mio e oggi ho detto che sono un egoista e …

-Ti amo.

Mi scappa. Mi è scappato e intanto mi sono rimangiato tutto quello che ho pensato. Non è vero che non me ne frega niente perché un poco probabile “anche io” mi renderebbe l’uomo più felice della terra, mentre un più scontato “io no” mi farebbe andare in bestia con me stesso, perché non ho tenuto la bocca chiusa e ho rovinato tutto.

Il suo sorriso, quello che ero appena riuscito a tirare fuori, scompare di nuovo e il suo silenzio mi lascia in apnea e in bilico.

L’unica cosa che mi serve è la sua mano. È in grado di tirarmi verso di lei per salvarmi dall’orlo del baratro, ma è anche capace di spingermi con forza e lasciarmi spappolato, facendomi fare la figura del pappamolla. Un idiota, ecco quello che sono.

-Damon, io …

-No, non c’è bisogno che tu mi risponda adesso. Volevo solo dirtelo.

Un idiota e un codardo … e un masochista, visto che ci siamo. Perché mi è mancato il coraggio di ascoltare la sua risposta e perché so che soffrirò per tutto il tempo in cui ci penserà. E conoscendo i tempi di Elena Gilbert, aspetterò a lungo.

Intanto non riesco a smettere di guardarla, di osservare ogni singolo particolare del suo volto, ogni sfumatura di marrone nei suoi occhi da cerbiatta, la lunghezza dei capelli, il tic delle mani che tremolano no appena si sente in imbarazzo.

Stefan le notava tutte queste cose? Perché quando mi parlava di lei, non faceva che ripetermi quanto fosse bella, ma mai qualcosa in più. Mai un complimento sulla sua intelligenza, sul suo carattere, su qualcosa di particolare.

Sono solo io che le noto queste cose?

-Oh Damon, ci sei tu!

La voce di Miranda arriva improvvisa alle nostre orecchie.

-Mamma. – esclama spaventata Elena. – Sei tornata. Dov’è … dov’è Jeremy?

-È andato a casa di un compagno di squadra. Ha detto che finisce di fare i compiti e che ritorna dopo cena. Tu rimani a dormire qui, Damon? Tanto ormai penso che sia un’abitudine.

Sta alludendo alla notte di qualche giorno fa. A quanto pare se ne accorta che io e Elena e nostro figlio abbiamo dormito nello stesso letto. Sento Elena tossire perché le è andata di traverso la cioccolata che stava bevendo. È arrossita. Se resto in casa Gilbert ancora un’altra notte, probabilmente mi verrà voglia di dormire nel suo stesso letto.

Come un lampo mi attraversa una domanda per la mente. Tanto ormai sono in gioco. Perché non conquistarla? Credo che un po’ già mia lo è. Perché non conquistarla e renderla mia completamente?

-Accetto volentieri.

John emette un altro verso gutturale e penso che anche lui sia felice che io resti con lui stanotte.

-Hai sentito, campione? Il papà resta con te.

Gli poso un bacio sulla guancia e lui inizia a maneggiare con la mia maglietta come se fosse un semplice straccio. Be’ … a parte che questa maglietta è una John Varvatos e non la si può proprio definire uno straccio.

(Elena)
Sono già sdraiata nel letto con il lenzuolo che mi copre fin sotto il naso e con Damon in camera di Jeremy mentre di fa prestare un suo pigiama. John per fortuna e già addormentato.

Lui prima mi ha detto che mi ama ed io per un attimo ho pensato di dirgli”anche io ti amo”. In realtà non l’ho nemmeno pensato. Mi stava scappando e forse mi sono bloccata perché non avevo idea di quello che stavo facendo. Mi sono fermata perché mi sono detta che non so ancora quello che provo per Damon Salvatore.

Damon entra in camera se fionda sul materasso accanto a me.

-Come? Non dormiamo come l’altra volta con John al centro?

-No sta già dormendo. È inutile spostarlo con il rischio di svegliarlo. Se questa notte piange, lo porto qui con noi.

Annuisco spaventata e agitata. In poche parole questa sarà la prima notte che dividerò interamente con lui. Senza nessun bambino in mezzo.

-Bene. Allora. Buonanotte.

Sono completamente impazzita. Sto parlando a scatti e forse ho alzato un po’ troppo la voce. Forse un po’ spero che mio figli si svegli, ma niente. Proprio oggi ha deciso di dormire come un ghiro. John quando non devi dormire, lo fai tranquillamente!

-Buonanotte.

Spengo la lampada e la stanza diventa improvvisamente buia, quando mi rigiro trovo ad aspettarmi le labbra di Damon, che calde mi accolgono in un turbinio di emozioni.

Sento la sua mano accarezzarmi un fianco mentre la mia ha infilato le dita trai i suoi capelli. Il mio cuore batte a mille. Questo bacio è più bello di quello di qualche ora fa. Lo sento dentro e mi sta sradicando da dentro al cuore una radice maligna che mi ha avvelenato, ma forse Damon è la giusta medicina.

Però si stacca da me.

-Volevo darti la buonanotte come si deve.

Mi sussurra con il fiatone e io lo guardo cercando di riacquistare un po’ della mia sana lucidità. Ho davvero baciato lui senza rimorsi?

Si sdraia accanto a me e mi circonda un fianco con il braccio e il suo respiro si infrange caldo sul mio collo.

Penso che John avrà un buon papà.




Note finali:
eccomi qui, finalmente. Con più di una settimana, quasi due di ritardo. Perdonatemi, lo so che vi faccio aspettare così tanto.
Allora … ammetto io stessa che questo capitolo è un po’ strano perché tipo ci sono pensieri di Damon, consecutivi, che sono contraddittori, come quando decide che non gliene frega niente della reazione di Elena al suo TI AMO, ma non appena glielo dice si pente e subito dopo ancora preferisce non sapere subito la risposta. Fidatevi, lo avrei voluto picchiare io stessa.
Io penso che la questione “Stefan” rimarrà in sospeso per un po’ di tempo, perché credo che adesso l’unica cosa che serve a tutti quanti sia del tempo per riflettere e per calmare le acque.
Vorrei far notare che nonostante la nostra cara Elena abbia mille pensieri per la testa e che fa di tutto per mandare via i suoi sentimenti per Damon all’inizio del capitolo lei pensa:
Sto per rispondergli … ma Enzo entra nella nostra camera e quando ci vede così non sembra essere stupito.

.

.

.

A voi le conclusione.
Un bacio e una rosa virtuale a ciascuna di voi per farmi perdonare del ritardo,

Mia.
 

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Capitolo 13
*** Pentimento. ***


Give a little time to me
We’ll burn this out
We’ll play hide and seek
To turn this around
And all I want is the taste
That your lips allow.

Dammi un po’ di tempo per me 
Distruggeremo tutto questo 
Giocheremo a nascondino 
Per capovolgere le cose 
E l’unica cosa che voglio è il sapore 
Che concedono le tue labbra 


Give me love – Ed Sheeran
13.
Pentimento.
(tre mesi dopo)

(Elena)
L’odore del mio cuscino è buonissimo. Strofino il naso sopra di esso per poter sentire meglio questo profumo. Mi piace ed è anche caldo. È accogliente e mi fa star bene. Sì, sto veramente bene.

-Buongiorno, raggio di sole.

Apro gli occhi al suono di quella voce e mi rendo conto che effettivamente non sono appoggiata su un cuscino, ma sul petto nudo di Damon. Non ancora cosciente di quello che sto facendo, sollevo lo sguardo sui suoi occhi che mi stanno guardando sognanti con il suo tipico sorriso strafottente. Adesso percepisco ogni singola fibra del mio corpo a contatto con la sua. Una mano è sul petto, come la mia testa, ed è avvolta da una sua mano che stringe dolcemente. La mia gamba destra si è intrecciata alle sue e così facendo mi sono ritrovata praticamente sopra di lui.

Ora capisco quel suo sorriso.

Tre mesi fa ha detto di amarmi, giusto? Quindi gli dovrebbe piacere il mio corpo completamente appiccicato al suo. Certo che gli piace, lo sento dalla sue erezione che sta sfiorando il mio ginocchio.

Oh mamma!

-Giorno.

Sussurro allontanandomi da lui e mettendomi a sedere. In queste ultime settimane partiva per l’accademia e ritornava il venerdì sera. La prima notte la passa con la sua famiglia. Con Eléonore in particolar modo, poi ogni sabato sera sta con me e con John, passa del tempo con suo figlio e qualche volta l’ho anche lasciato da solo con lui mentre Caroline e Bonnie mi chiedevano di uscire insieme. Poi però a fine giornata, lui si infila nel mio letto e dormiamo, facendo a turno per badare a nostro figlio. Non siamo mai andati oltre. Prima perché non potevo subito dopo il parto, dopo perché io non so ancora cosa pensare su noi due. Eppure il suo amore per me è qui, lo sento, lo percepisco benissimo. Soprattutto quando mi dona quei sorrisi dolcissimi che regala solo a John e a sua madre. E poi quei ti amo che mi sussurra prima di andare a dormire a volte riescono veramente a sciogliermi.

-Dormito bene?

Gli chiedo per distrarmi dai suoi pettorali.

-Io sì. Tu invece mi stavi sognando? Perché spiegherebbe la bava.

Sorride. Con quel sorriso che sbuca fuori dalla sua faccia ogniqualvolta lui tenta di incastrarmi. Quando tenta di farmi lasciare una frase in più, più intima o più qualsiasi – altra – cosa. O quando, di mattina, io sono assonnata, lui ne approfitta per imprigionarmi, mettendosi sopra di me, e mi bacia. Mi bacia e percepisco sulle mie labbra il suo sorriso strafottente e a volte io non capisco più niente. Mi lascio guidare da lui senza rendermi contro che stiamo andando oltre. Troppo oltre … allora io mi scanso, ma lui sembra non arrendersi e lo lascio con quel sorrisetto maligno sulle labbra. Lo stesso sorrisetto che ha ora.

-Smettila di fare l’idiota.

Gli do una pacca su un fianco e lui se ne approfitta per prendersi la mia mano tra le sue e tirarmi verso di lui, o forse farei meglio a dire sopra di lui. Sì, perché in qualche modo è riuscito a tirarmi per una gamba sul suo bacino e se prima speravo fosse stata solo un’impressione, adesso sono sicura che lui è eccitato. Lo percepisco chiaramente. Il sorriso si è spento non appena i suoi occhi hanno guardato i miei.

-O forse sono io quello che ti sognava.

E mi bacia però questo è uno dei momenti dove non sorride. Dove fa sul serio e so che parte della sua tattica arriverà adesso, mentre sento le sue mani che mi sfiorano la base della schiena, che non osano né andare più su per slacciarmi il reggiseno, né andare più giù per sfiorarmi il sedere.

-Ti amo, Elena.

Il mio cuore riprende a battere a mille e divento impotente sotto il tocco delle sue mani e delle sue labbra. Impazzisco e mi sembra di perdere i sensi.

-Ti prego, fa l’amore con me.

Questa richiesta mi spiazza. Damon non me lo ha mai chiesto. Più passa il tempo, più le sue mosse diventano più audaci e io lo ammetto. Lo desidero. Lo desidero da impazzire. Lo desidero, ma non riesco ancora a dire che lo amo. Forse è vero, forse tutto questo desiderio è frutto del mio amore per lui, però io a volte penso anche a Stefan e tutto si arresta.

Come in questo momento. Ho ripreso a pensare a lui che pensa alle mie mani e che dice che hanno sfiorato anche suo fratello, oltre che a lui. Questo mi fa staccare da Damon, un po’ a malincuore. Guardo i suoi occhi. Sono liquidi di piacere e sorrido per l’effetto che riesco a fargli, ma mi impongo che non è ancora il nostro momento. Che c’è ancora tempo per noi.

-Devo dare da mangiare a John.

Gli mormoro contro le labbra mentre i nostri nasi si sfiorano. Una volta lessi da qualche parte che gli eschimesi si baciano in quel modo, strofinandosi i nasi. Quindi in teoria anche in questo momento ci stiamo baciando. Ed è dolce pensarlo, soprattutto dopo che mi ha letteralmente pregato di fare l’amore con lui, ma no. Non ti fare abbindolare Elena.

Lui abbozza un sorriso e mi fa scendere dal letto. Arrivata al piano terra, mi preparo per riscaldare il latte e quando mi rendo conto che è abbastanza caldo ritorno su.

-Ti è arrivato un messaggio. – mi informa – Era Caroline. Ha detto: appuntamento alle dieci e mezza al Grill. Non fare tardi. A quanto pare è ritornata a fare la Barbie Dittatrice.

-Questo perché in teoria sono ritornata informa per uscire e stare con le mie amiche. Se vuoi tu puoi ritornare a casa tua, prima di partire per il colle … cioè per l’accademia. E comunque, chi ti da l’autorizzazione per sbirciare nel mio cellulare?

Prendo John in braccio delicatamente e cerco di svegliarlo senza farlo piangere. Quando per fortuna ci riesco, gli faccio bere il latte.

-Sei sicura?

-Sì, infondo è una bella giornata, nonostante sia dicembre. John viene con me. Non ti preoccupare.

-In realtà io non ho tutta questa fretta. Non ho nessun test in programma e l’accademia è molto più libertina di una normale università. Sono già in vacanza.

Questo vuol dire che se Damon non andrà in accademia, passerà più tempo qui a Mystic Falls, e se passerà più tempo a Mystic Falls, vorrà stare sia con la madre che con John e di conseguenza con me.

-Bene.

-Se vuoi, lasciami John, così potrai uscire tranquillamente con le tue amiche.

-No, va bene così. Passi tutto il tempo a studiare e quando non lo fai, stai con noi o con la tua famiglia. Dovresti prenderti un di tempo per te stesso. Esci anche tu con i tuoi amici, così ti rilassi.

Lui annuisce e mi osserva attentamente mentre io do da mangiare a John e quando glielo passo per andarmi a cambiare in bagno, la sua mano passa prima ad accarezzarmi la guancia, dolcemente.

***

-Io sono pronta, vado! – urlo a mia madre e Jeremy che sono al piano di sopra mentre metto John nel passeggino. Il Grill non è molto lontano da casa. Credo che mi farò una passeggiata. Guardo Damon prima di aprire la porta. – bene, allora … buona giornata!

Lui annuisce, ma non appena mi volto, mi attira a sé e dopo un veloce “aspetta”, mi fa scontrare contro le sue labbra. Dolci e forti allo stesso tempo. Mi sembrano come il cioccolato al peperoncino. Le mie mani tremano a quel contatto, finché non è proprio lui a decidere di staccarsi. Rimango confusa dal suo comportamento. Prima mi avvicina e poi mi allontana.

-Ogni volta che ho del tempo per me, decido di passarlo con te e con nostro figlio. – arrossisco a quelle parole. Sì, mi sento lusingata quando lui mi dice queste cose e forse non smetterò mai di farlo, come spero che lui non smetterà mai di dirmele. – Sto ancora aspettando la tua risposta, Elena e non mi arrenderò finché tu non mi dirai che mi ami tanto quanto io amo te.

Ed è lui ad uscire per primo. Scocca una bacio sulla guancia di John e quest’ultimo emette “da – da – da” divertito e poi se ne va. Mette in moto la sua Camaro e scompare. Come al solito. Ogni volta che decide di spiazzarmi con qualche frase sua.

Arrivata al Grill sono ancora sotto shock.

Lui sta ancora aspettando.

Certo che sta aspettando Elena. Lui ti ama e anche tu ami lui altrimenti non saresti in questo stato.

No, è ancora troppo presto per me. Stefan è ancora nel mio cuore e non credo che se ne andrà tanto facilmente.

Stefan sarà sempre nel tuo cuore.

Mi confida la mia vocina interiore.

Sarà sempre una parte di te e non se ne andrà mai, se è per questo. Hai sofferto per lui perché hai commesso diversi errori. Ma se Eléonore avesse ragione? Se tu e Damon aveste davvero quella scintilla in più che vi fa essere innamorati?

Questo renderebbe la mia relazione passata con Stefan, totalmente fasulla. Tutto quello che ho provato e provo per lui non sarebbe vero.

Non sto dicendo che non sarebbe vero, ma che …

Il mio dissidio interiore viene interrotto dall’arrivo di Bonnie e Caroline che si avvicinano al tavolo dove sono seduta. Mi sorridono raggianti e io cerco di ricambiare con la stessa quantità di verve. Per fortuna non notano nulla. Sono salva, per adesso.

-Ciao, piccolino.

Entrambe si rivolgono a John e io vengo ignorata bellamente, mentre mio figlio passa per l’attrazione degli ultimi tempi. Ma questo non succede solo con le mie amiche. Li sento addosso. Quegli sguardi accusatori delle altre persone che sono sedute al Grill. Sono tutti adolescenti, molte ragazze che frequentano ancora il liceo e mi guardano, accusandomi con il dito contro.

-Guardate, ma quella non è Elena Gilbert.

-Sì, è quella che stava con un ragazzo, però ha fatto un figlio con il fratello. Com’è che si chiamano? Ah sì, i Salvatore. Sono i fratelli Salvatore.

-Che vergogna! E pensare che io la invidiavo alle superiori perché era più grande, più popolare e faceva parte delle cheerleader.

-Ignorale, Elena. Sono solo oche starnazzanti che non sanno nulla.

Caroline lancia un’occhiata di fuoco alla ragazza biondina, con la coda alta seduta al tavolino dietro Bonnie. Quella torna a guardare la sua insalata, facendo finta che non stesse parlando male di me.

-Loro non sanno che una buona parte di loro rimarrà incinta al liceo. – continua Care con la sua lingua da serpe. La biondina spalanca bocca e occhi indignata. Forse è pronta a ribattere, ma non appena si gira verso di noi ha un attacco di calo dell’autostima. Caroline sa essere una vera donna Alfa e poche sanno tenerle testa. La ragazza in questione non è una di loro. – Sai, ho scoperto che anche Celia Sulez è rimasta incinta appena dopo il diploma. Però lei si è trasferita da una sua prozia nell’Indiana. Ecco perché non si vedeva più in giro.

-E il padre?

Chiedo io curiosa.

-Non lo so. A quanto pare non l’ha voluto dire nemmeno ai genitori.

-Caroline, basta. Adesso sei tu quella che sparla di altre persone. – la rimprovera Bonnie.

-Uffa, passo un’intera settimana a studiare al Withmore e quando ritorno qua non posso fare niente perché voi due sembrate delle vecchiette. E comunque non stavo sparlando. Non la giudico come fanno certe vipere.

-Da – da – da.

Esclama John, agitando le braccia.

-Vero che ho ragione, piccolino?

Caroline lo prende in braccio e inizia a riempirlo di baci. Lui sorride divertito, mostrando la sua bocca senza denti.

-E a te, invece? Come vanno che cose con Stefan e con Damon?

-Non vanno. – rispondo a Bonnie – Sembra che io sia rimasta a tre mesi fa, sempre allo stesso punto. Con Stefan non parlo più. Lui … lui non si fa tanto vedere nemmeno a casa sua. Quando l’ho incrociato una volta, mi ha deliberatamente ignorato andandosi a rifugiare in camera sua. Con Damon invece è peggio. Non so che fare con lui.

-Ma ha detto che ti ama, giusto?

-Sì, però io non … non so ancora cosa provo per lui. Quando viene a dormire a casa, lui mi spiazza di continuo. Stamattina mancava poco, stavamo per farlo, ma mi sono fermata.

-Volete qualcosa da mangiare? – ci chiede il cameriere con il taccuino in mano, pronto a prendere le ordinazioni.

-Io vorrei un tè verde con zucchero di canna. Bonnie, tu la solita crostata di mele? – la mia amica mora annuisce. – e tu Elena?

-Un doppio cheeseburger e coca, grazie.

Tutti quanti mi guardano male, in particolar modo Caroline che stupita non si lascia scappare un commentino dispettoso, non appena il cameriere se ne va. Ok, ammetto che è un po’ strano prendere queste cose alle undici di mattina, ma che ci posso fare? Mi vanno e basta.

-Ora capisco perché la tua libido è a terra. Hai deciso di sfogare tutte le tue frustrazioni nel cibo?

-Come scusa?

-Tesoro, dormi almeno una volta a settimana con il ragazzo che viene considerato il più sexy di tutta Mystic Falls, lui ci prova esplicitamente con te, dicendoti che ti ama, e anche tanto, per giunta sai com’è a letto perché altrimenti non avreste fatto un figlio insieme, e tu lo rifiuti.

-Non è solo questione di “libido” come la chiami tu. Io ogni volta che sto con Damon e lui prova a sfiorarmi o quando mi bacia, io impazzisco. A volte mi lascio andare, ma se lasciassi tutto lo spazio a la parte più … ninfomane di me, sarei di nuovo incinta adesso.

-Forse Caroline ha ragione, Elena. Forse tu sei in questa situazione di stallo, sei ferma allo stesso punto di prima, proprio perché non ti lasci andare completamente. Non dico che devi buttarti tra le braccia di Damon, ma gli devi dare almeno un’opportunità per capire meglio i tuoi sentimenti per lui. Provate ad uscire insieme o che ne so, organizzate una cenetta intima.

-Mi stai suggerendo di invitarlo per un appuntamento?

-Sì, dannazione sì.

Caroline si lascia andare un po’ troppo e alza la voce.

Un appuntamento? Non ci ho mai pensato, effettivamente. Io e Damon non siamo mai usciti. È da quasi un anno che i nostri incontri si limitano a luoghi chiusi, in particolar modo a casa mia e il massimo che c’è stato, è stato quando è nato John e siamo usciti per andare in ospedale.

Cerco di immaginarmi con un bel vestito elegante, seduta ad un tavolo di un ristorante lussuoso. Damon all’altro lato che mi tiene la mano e mi versa da bere. Poi mi chiede di ballare e a fine serata lui mi chiede ancora una volta di fare l’amore e io potrei anche acconsentire.

Un appuntamento … potrebbe aiutarmi a far chiarezza. Un appuntamento potrebbe aiutarmi a prendere una decisione o, almeno, mi farà fare un passo avanti. Tutto quello che devo fare è prendere il coraggio per invitarlo. Dovrebbe essere facile, no?

Infondo una cenetta dopo tutto quello che abbiamo passato non è niente.

-Tu, John che ne dici? La mamma e il papà possono prendersi una serata tutta per loro così tu potrai stare con la zia Caroline e la zia Bonnie?

Gli chiede Care, e anche se lui non avrà capito neanche una parola di quello che ha detto, lo vedo agitare le braccia con in mano il suo ciuccio blu. Lo prendo dalle mani della mia amica e lo avvicino alla mia faccia. Lui mi guarda divertito e continua a guardarmi con quei occhi celesti, come quelli di Damon, e avvicina le mani alla mia bocca. Io le bacio tutte e due e sorrido quando lui esclama con versi divertiti.

Lo faccio anche per lui, non solo per me. Perché merita che i suoi genitori provino a stare insieme e io, effettivamente, un ‘opportunità a Damon gliela darei.

(Damon)
-E dimmi come sta John?

Io e mamma siamo seduti sul dondolo del giardino e goderci questo leggero sole di inizio dicembre prima che inizi a fare freddo per davvero. Ci siamo avvolti con la coperta di lana colo lilla che lei ha fatto personalmente durante le sue ore di noia.

-Benone. Cresce a vista d’occhio. Oggi pomeriggio o domani potresti venire con me a casa di Elena per vederlo. Oppure li faccio venire a dormire per una notte qui, così anche tu e papà potete stare con lui e poi so che adori la compagnia di Elena.

-Non quanto l’adori tu.

Sorrido come un imbecille.

-Non è che adoro la sua compagnia, la amo proprio.

Mi posa una mano sulla guancia e avvicina la sua testa alla mia. Mi dà un bacio sulla fronte e io non riesco a capire il perché di quel gesto tanto dolce, ma che alla fine mi fa bene. Veramente tanto.

-Non è ancora cambiato nulla, non è vero?

Nego con la testa alla sua domanda. Io a volte provo a superare il suo territorio, cerco di cancellare i suoi limiti perché voglio togliere i paletti da lei messi, ma ogni volta mi sembra che ogni mio gesto, ogni mia parola, venga fatto tutto invano. Sono esasperato e non ce la faccio più. Ogni domenica mattina mi sveglio e la vedo così bella. Vorrei soltanto sentire il sapore delle sue labbra. E lo faccio e lei non fa niente, non si oppone, ma così mi illude. Perché spero che sia la volta buona e che finalmente lei abbia capito, ma non è così. Lei mi ferma e rialza il muro che io per un po’ ero riuscito ad abbattere. Ha ancora mio fratello per la testa e io intanto la voglio da morire.

-Stamattina mi sono lasciato un po’ andare.

-In che senso?

-L’ho praticamente implorata di fare l’amore con me e, come se non bastasse, le ho fatto notare che aspetto ancora una sua risposta. Per non parlare del fatto che le dico continuamente che la amo.

-Ouch – lei mima con le labbra un colpo basso – Che fine ha fatto mio figlio Damon? Non era quello che non si permetteva mai di esternare le proprie emozioni? Chi sei tu? Esci da questo corpo!

Sorride divertita mentre esclama esageratamente quelle parole.

-Dai smettila, sono serio.

-Mi spieghi qual è il problema? Non fa niente se dici quelle cose e se Elena molto spesso si lascia andare vuol dire che qualcosa per te la prova. Poi se si ferma è un altro fatto. Sta solo pensando agli errori che ha fatto in passato e non vuole farne altri, ma non si è resa conto che stare con te non è assolutamente uno sbaglio. È tutto il contrario di quello che lei crede.

Una folata di vento freddo ci fa rabbrividire e entrambi decidiamo di rientrare dentro casa. La mamma ha iniziato a tossire e sembra non voler smettere.

-E poi – tossisce – come pensi di conquistare una ragazza se l’unica cosa che fate è badare a vostro figlio? – tossisce ancora. – Portale una rosa o una scatola di cioccolatini. Portala a ballare o a fare una passeggiata, solo vuoi due. Non hanno inventato questi metodi per conquistare una ragazza senza un motivo logico.
Alle donne piace. Le fa sentire desiderate. A volte non servono solo le lusinghe o le proposte da parte dell’uomo. Così potresti sembrare per un cavernicolo ninfomane che pensa solo al sesso, o a fare l’amore. A volte un piccolo gesto nuovo o diverso dalla solita routine che si è creata fa la differenza, tesoro. E ti prego, sii originale. Credo che Elena si aspetta questo da te. Siete diversi dalle altre coppie.

Le sue parole però non hanno più senso quando vedo che la mamma continua a tossire appoggiandosi al tavolino degli alcolici. Sembra non smettere e questo mi preoccupa.

-Non ti preoccupare. È solo un po’ di tosse. Forse è meglio che io vada a riposare di sopra.

E se ne va. Lasciandomi con le sue parole che non mi bastano mai e che mi mancheranno per sempre.

Mi verso un goccio di Bourbon nel bicchiere e fisso, nel camino, le fiamme che danzano sensuale. Il fuoco ha il potere di incantarmi così tanto da farmi lacrimare gli occhi o forse non sto piangendo per questo motivo, ma per un altro.

-Mancherà anche a me, lo sai?

Mi volto confuso da quella voce, poi mi accorgo che c’è mio padre sulla soglia della porta. Per un attimo mi sembra di vedere me stesso. Con la spalla, è appoggiato sullo stipite e ha le gambe incrociate, come le braccia.

-Davvero? Non sembra.

No, davvero non sembra. Lui che è da anni ormai che la ignora. Lui che oltre a ignorare lei, ha ignorato anche me che mi sono sempre sentito di dover far qualcosa per lui, che mi sono sempre sentito in debito con lui. E spesso mi sono chiesto perché sono costretto a mentirgli su cosa studio e perché mi piace farlo.

-Damon, per favore. Io ho sempre cercato di fare tutto per tua madre. La amo.

-Tu l’hai lasciata sola. Invece di starle accanto, di confortarla e di vegliare su di lei. Tu ti sei allontanato da lei. Sei stato freddo e sembrava che te ne importasse solo quando aveva un problema. Notizia dell’ultimo minuto, papà: lei ha sempre un problema. È costretta ad affrontare la solitudine, giorno dopo giorno. Per intere settimane. Io le sto vicino più che posso perché sono suo figlio e perché le voglio bene. Ma tu sei suo marito, avresti dovuto essere la spalla su cui piangere, invece non ci sei stato. E lei ha sofferto più del solito, più del dovuto. La nostra famiglia si è spezzata non appena tu hai deciso di romperla. Io non farei mai una cosa del genere.

Lui sorride. Ma è uno di quei sorrisi amari, che sanno un po’ di pentimento e di vergogna e in parte sono felice che sia io a farlo sentire così. Perché un po’ se lo merita e non mi sono lasciato sfuggire quest’occasione.

-Hai ragione. Tu non faresti mai una cosa del genere. Tu, nonostante possa sembrare il contrario, sei buono. Proprio come tua madre. Tu e i tuoi sentimenti, siete totalizzanti. Tu ami e lo farai finché non avrai più forze per farlo. Tu proteggerai la donna che ami con gli artigli e con i denti. Tu le starai accanto in ogni suo problema. Tu non sei codardo come me. Sia tu che Stefan siete venuti meglio. Io ho commesso errori più brutti dei tuoi e mi dispiace tantissimo perché i miei sono irreparabili.

Entrambi i nostri sguardi sono infuocati. Mi stupisco di vedere quelli di mio padre. All’improvviso sono vivi. Non li ho mai visti così, eppure essi sono una piacevole sorpresa.

Ma la magia del momento si spezza non appena sentiamo rompersi qualcosa. Una vaso forse, dal piano di sopra. La mamma! Tutti e due corriamo verso la sua camera. E la troviamo lì, sul pavimento, proprio accanto al letto, il bicchiere che di solito ha sul suo comodino in mille pezzi al suo fianco, ma per fortuna non l’ha ferita. Papà, attento a non ferirsi anche lui, si avvicina, le solleva la testa, ma non lei non si sveglia.

-Andiamo all’ospedale.

Gli urlo praticamente mentre lui la prende in braccio e la porta nella mia auto.

Le mie mani tremano come non mai, nonostante io cerca di tenerle ferme e ben salde sul volante. Non mi accorgo di cosa accade dietro di me. Non ho la forza di girarmi per vedere come sta la mamma, per controllare se si sta riprendendo o è ancora priva di senso.
È velocissimo. L’arco di tempo che ci mettiamo per arrivare al pronto soccorso di un ospedale. È velocissimo mentre la mamma scompare davanti ai nostri occhi per passare in mano ai dottori.

Sento vibrare il telefono per un attimo. Lo prendo e vedo che c’è un messaggio da parte di Elena.

Hai impegni per stasera?

A Elena:

Scusa non posso parlare, sono al pronto soccorso. Non appena posso vengo a casa tua.

Lo spengo completamente, non voglio vedere nessuno a parte un cavolo di dottore, se si decidesse di raggiungerci e di dirci che cos’è successo. Papà tenta di chiamare Stefan, ma quell’imbecille di mio fratello ha deciso di ignorare suo adorato papà proprio oggi. Al diavolo! Mi sto sentendo male.
Un uomo sulla cinquantina esce da una porta e viene verso di noi.

-Salvatore?

-Sono io. – diciamo all’unisono io e mio padre.

Per un istante ci guardiamo negli occhi, ma tutto quanto passa in secondo piano. Voglio sapere come sta mia madre, cazzo!

-La paziente si è ripresa, adesso sta meglio, ma è opportuno che rimanga almeno per questa notte in ospedale.

-Che cosa le è successo?

-È svenuta. Nelle sue deboli condizioni, non si dovrebbe alzare dal letto, spreca soltanto energie. Sta diventando sempre più debole, in questo momento non può permettersi né di camminare, né di fare qualsiasi tipo di attività. Deve riposare.

Va bene, deve riposare. Quella donna non si alzerà mai più da un letto. Dovessi giurare su una qualsiasi entità presente lassù, ma non le permetterò mai più di peggiorare la sua situazione. Basta chiacchierate sul dondolo del giardino. Basta venire a trovare John a casa di Elena. basta scendere le scale per andare a bere un bicchiere d’acqua. Le porterò in camera tutto quello che le serve, non dovrà uscire di lì. Punto.

Annuiamo tutti e due.

-Possiamo vederla?

-Va bene, ma vi prego non state molto tempo. La paziente deve riposare.

Entriamo e la vediamo distesa sul letto supina con gli occhi chiusi. Non appena sente la porta cigolare, li socchiude e sorride nel vedere me e papà.

-Avete avvisato Stefan? – nego – Bene. Non ditegli nulla. Deve studiare.

-Come stai?

Le chiede papà dolcemente. E giuro di non aver mai visto un’espressione tanto dolce sul suo volto. Le bacia la fronte e le accarezza i capelli in un gesto molto intimo. Per un attimo mi sento fuori luogo. Vedere i miei genitori così vicini, con lui che la guarda con occhi da innamorato, mi mette i brividi e non per il disgusto, ma perché riesco a percepire il loro sentimento anche da qua. A un metro e mezzo di distanza.

-Sto bene.

Non è vero che sta bene, perché nel giro di due ore la sua pelle è diventata bianca da far paura. Tossisce ancora, ma lei ignora completamente quel sintomo.

-Mi scoppia la testa.

Dice invece.

-Dormi – è la risposta definitiva di mio padre. – così ti passerà. Io resterò con te tutta la notte.

-Damon che ci fai ancora qui?

Fa lei.

-Come prego? Mi sta forse cacciando?

-Sì. Sbaglio o dovevi invitare a una cena la donna che ami?

-Io … credevo che … con te che non …

-Oh al diavolo, io sto benissimo. Muovi quel bel fondoschiena e corri da lei.

Davvero dice sul serio questa donna? Non le importa assolutamente nulla di quello che le sta accadendo. Si è messa in testa che io devo andare da Elena per uscirci insieme e non la smetterà di tormentarmi finché non lo farò.
Mi avvicino a lei timoroso. Vorrei controbattere, ma tanto so che lei non me lo permetterà. Che lei ormai si è imputata su quella cosa e farà in modo che accada. Quindi mi limito a baciarla e a sussurrarle un “ti voglio bene mamma”.

Li lascio lì, da soli, dopo tanto tempo che non stavano insieme. Dopo che papà si è comportato da stronzo, lasciandola sola, e dopo che mamma si è comportata da orgogliosa, non chiedendogli di starle vicino. Li lascio da soli e un po’ provo invidia per loro, perché nonostante gli anni, nonostante il tempo passato che ha portato milioni e milioni di tempeste, loro alla fine sono arrivati qui, con il loro amore che è percepito anche dagli altri. Un amore che io sinceramente vorrei avere. Lo voglio avere con lei, Elena.

Prendo l’auto e mi dirigo verso casa sua, non prima di essermi fermato da una parte per prenderle un regalo di scuse. So che con il mio messaggio di risposta si sarà un po’ preoccupata. Praticamente le ho scritto una misera spiegazione e sono sicuro che non le sarà bastata.

Non appena mi apre la porta, io le mostro la rosa che le ho comprato. Una sola. Non sono tipo da un mazzo da una dozzina di rose. Preferisco una soltanto a volte così semplice che dovrebbe bastare. Ma lei non bada al fiore che le sto per dare. Lei, sulla soglia della porta, si getta sul mio petto allacciando le braccia al collo. Lei mi sorprende e mi lascia senza fiato così tanto da non poter riuscire a parlare. Lei che senza fare nulla di che, con solo un abbraccio, mi sta regalando tutto l’ossigeno di cui ho bisogno.

-Che ti è successo? Non appena ho letto il messaggio io mi sono preoccupata un casino. Io volevo raggiungerti, ma nel messaggio mi hai scritto che saresti venuto qua. Ho avuto paura, Damon.

Mi sussurra sul collo, mentre rispondo all’abbraccio, stringendo le braccia attorno la sua vita. La faccio entrare e chiudo la porta perché lei è rimasta con una semplice maglietta di cotone lunga che le ricopre a malapena le gambe. Cavolo, è un pomeriggio di inizio dicembre, fa freddo!

-La mamma non si è sentita bene. Adesso è in ospedale, ma non ti preoccupare, ora si sente meglio e non c’è niente che non va.

-Quindi tu stai bene?

-Sì. Vedi? Sono in gran forma.

-Bene. – mormora sciogliendo l’abbraccio e non appena lo fa, sento un dolore lancinante sulla guancia destra. Mi ha dato uno schiaffo. E anche forte. – Questo è per avermi fatto preoccupare. – e sfortunatamente non la smette. Continua a urlare come una bambina e non si decide a fermarsi. Mi tira dei piccoli pugni sul petto che teoricamente non mi fanno male, ma hanno comunque la forza di farmi arretrare per non sentire dolore. – E questi sono per avermi impedito di raggiungerti. Perché se solo fossi venuta da te, a quest’ora sarei più tranquilla. Invece sono agitata, ancora. E tu non hai fatto niente per farmi calmare, ancora. E adesso ti dovrei mandare a quel paese, ancora.

Sono così indietreggiato che sono finito sul suo divano e lei inconsapevolmente si è seduta sopra di me, aggrappandosi di nuovo al mio collo. Ha iniziato a piangere e riesco a sentirmi in colpa per questo.

-Mi dispiace.

Lei a quelle parole discosta la sua testa dal mio collo e mi guarda negli occhi. I suoi sono lucidi dal pianto e come mai l’unica cosa a cui riesco a pensare è il fatto che sia incredibilmente bella?

-Come sta Eléonore?

-Bene. Si riprenderà, credo. Domani ti accompagno per andarla a trovare.

Lei annuisce e mi perdo sul suo volto. È così bella. Solo con lei accanto a me, mi rendo conto che queste sono state delle ore durissime, che sono stato agitato per tutto il tempo e che ho provato dolore, troppo dolore.

La bacio, forse perché è l’unica cosa da fare in questo momento, perché un po’ di quel dolore scompare e il suo posto viene preso da lei, che per fortuna non si fa ripetere due volte per rispondere. Stringe i miei capelli in una presa ferrea che mi fa avvicinare ancora di più a lei, se è possibile. Io aggiungo più verve alla nostra passione e infilo le mani sotto la sua lunga maglietta. Le faccio salire fin su e … Dio, non porta il reggiseno! Questo sì che mi fa eccitare, e mi fa dimenticare. Praticamente sotto la maglietta ha solo le mutandine e niente mi vieta di toglierla e lasciarla mezza nuda sopra di me.

Però sono io stesso a fermarmi. Ricordandomi che devo fare una cosa e ponendomi allo stesso tempo una domanda.

-Perché mi hai chiesto se avevo impegni stasera?

Lei arrossisce ancora di più e cerca di evitare il mio sguardo. Dannata ragazzina. Fino ad esso non eri tanto timida da comportarti in questo modo.

-Perché … io … Be’ … volevo chiederti se ti andava di uscire, ma ovviamente non sei obbligato ad accetta …

-Va bene. - Le rispondo sorpreso che quest’idea ci sia venuta proprio nello stesso giorno. – Ma decido io dove dobbiamo andare. Vatti a vestire. – le do un piccola pacca sull’anca e lei si alza per allontanarsi e salire le scale – A proposito … dov’è John? – le chiedo prima che se ne vada completamente.
-In biblioteca con mia madre. Ho pensato che se saremmo dovuti uscire solo noi due, lui avrebbe avuto bisogno di una tata per stasera.

***

Siamo pronti per uscire. Intanto che lei si vestiva, io ho preparato una specie di picnic con gli ingredienti che ho trovato nella cucina di casa Gilbert. Lei indossa una gonna nera con una maglietta celeste e delle ballerine nere. I suoi capelli lunghi li ha fatti un po’ più mossi del solito. Sì, anche così mi piace.

-Perché hai preparato tu la cena?

-Perché non dobbiamo andare in un ristorante.

Mi segue nella mia macchina e partiamo.

 Adesso siamo davanti al Grill e la vedo un po’ delusa. Si aspettava qualcosa di originale, ma non appena si volta per dirigersi verso l’entrata del locale, le prendo la mano e ignorando le mille scariche elettriche che mi attraversano le vene, la conduco da un’altra parte. L’orologio.

La porta della torre dell’orologio non è mai stata chiusa a chiave e stranamente mi sorprendo del fatto che nessuno ne approfitti per andarci lì sopra.

-È bello qui.

Mi dice lei.

-Di solito ci vengo quando devo pensare. Quando ne ho bisogno. – addento un morso al panino che ho preparato e sorseggio la birra. – Oppure vengo qua dopo aver affrontato una strana giornata. Una di quelle giornate dove ti sembra di aver incontrato troppa gente per i tuoi gusti. Quando ti sembra che la tua vita sia troppo affollata. Io dopo vengo qui e assaporo questa tranquillità. Fa bene. Poi vedi il mondo da un’altra prospettiva. È come sentirsi far parte degli ingranaggi dell’orologio e guardare gli altri che vivono. Li guardi dall’alto e in un certo senso ti senti potente perché vedi tutto e tutti. Vedi l’intera città e loro non sanno che qui su ci sono io a vedere come va la vita. Una vita che non è la mia.

-Perché mi hai portata qui?

Mi chiede lei.

-Perché non sapevo in quale altro luogo portarti. Sei difficile da conquistare, Gilbert.

-Damon. – mi ammonisce. – Perché mi hai portata qui? – ripete.

Capisco che non posso mentirle, soprattutto se lei la verità la sa già.

-Perché ti amo, Elena. E perché voglio che tu sappia tutto di me. Voglio che tu mi conosca per quello che sono veramente e non per quello che faccio credere agli altri.

Sento il suo sguardo infuocarmi, mentre io osservo oltre l’orologio una coppia di ragazzini che litigano tra di loro. Lei gli urla contro e penso che lui abbia appena fatto una cazzata. Poi quei due perdono il loro significato. Con le dita, Elena mi riporta e lei. I miei occhi ritornano sui suoi.
Sono lì che mi guardano dolci. Sono lì, proprio per me.

-Credo di amarti anche io, Damon.

Sussurra. Per un attimo credo di non aver capito bene quello che ha detto, ma non appena mi rendo conto delle sue parole. Il mondo intorno a me cambia. Ora capisco il significato di tutto quanto. Mi sembra di comprendere il perché di ogni cosa. Mi sembra di poter volare, nonostante qualcuno mi abbia tarpato le ali.

La bacio. Questo bacio ha un sapote diverso. Questo bacio sa di due persone che si amano. Un amore reciproco, finalmente. Un bacio che non resta bacio.

La sento tremare sotto di me, quando la faccio stendere sulla coperta che ho portato con noi. Sento muoversi sotto di noi una tegola di legno, ma la ignoro. Ignoro tutto, tranne lei.

Ti amo, Elena. Finalmente te lo posso dimostrare come si deve. Mentre strofino il naso sul tuo collo per sentire il tuo odore di more.

Ti amo, Elena. Ti amo mentre sento che tu tremi, un po’ per il freddo, un po’ perché stiamo per fare l’amore.

Ti amo mentre sorridi, perché siamo nudi e la mia preoccupazione è quella di mettermi un preservativo, perché l’ultima volta che lo abbiamo fatto, beh … poi c’è stato John. Sei bellissima, mentre ridi e sorridi, lo sai?

Ti amo e me ne rendo conto anche ora che entro dentro di te. Mi rendo conto la sensazione di completezza che ho avuto quasi un anno esatto fa è la stessa di adesso. Quindi, ti amo, Elena. Ti amavo anche allora. È solo che non lo sapevo come non lo sapevi tu.

Ti amo e amo anche il tuo respiro affannato. Amo i tuoi baci caldi che sanno di fuoco. Amo i tuoi occhi che sanno di casa.

Amo te perché sei la mia vita.

(esterno)
Giuseppe Salvatore è incredibilmente preoccupato. Ama sua moglie e in questo momento si sta pentendo di tutte le azioni che ha fatto fino ad oggi.

Il dottore ha detto che sarebbe migliorata. Il dottore ha detto che sua moglie aveva bisogno di riposare e poi si sarebbe potuta riprendere. Ma perché cazzo il dottore ha mentito? Perché ha la sensazione che la sua adorata Eléonore si stia pian piano spegnendo?

Con il passare delle ore è sempre più debole e lui non sa se ce la farà a superare la notte.

Ora è notte a Mystic Falls. Suo figlio Stefan non le risponde e Damon dopo che se ne è andato sembra essere sparito dalla faccia della Terra. Lui vorrebbe che i suoi figli fossero lì, fossero al capezzale della madre per dirle addio.

Ora è notte a Mystic Falls e sembra la notte più fredda e più buia di tutta la sua vita.

E Giuseppe Salvatore si pente. Si pente di quello che non ha fatto mentre stringe tra la sue mani e le labbra una mano della moglie.

-Non stare a pensare troppo sul passato, amore mio. Io ti perdono.

-Mi sembra di non aver mai provato a salvarti.

-Non è un tuo compito. La vita per alcuni va avanti per altri no. E io sto morendo. Sto morendo definitivamente adesso e ho già accettato la cosa. Quelli che ancora non si danno pace, siete voi. – Eléonore si ferma per un attimo. Riprende fiato perché non ne ha più e ogni suo respiro diventa pesante è più difficile da fare. E poi le fa male tutto quanto e allo stesso tempo ogni parte del suo corpo si sta intorpidendo. L’unica cosa ancora viva è il suo cuore, che le batte nelle orecchie forte. Il grande salto prima della caduta. – Ti amo, lo sai.

Giuseppe a quelle parole piange. Non ce la fa più. Gli ultimi anni sono stati i più difficili e li affrontati come il peggiore dei codardi.

-E io amo te. – le sussurra – so di non avertelo dimostrato troppo negli ultimi tempi, ma tu sei la donna della mia vita e credo che morirò non appena tu te ne sarai andata.

-Non dire così. Hai bisogno di fare ancora tanto. Hai bisogno di far pace con Damon, hai bisogno di essere orgoglioso per i futuri successi di Stefan e hai bisogno di fare il nonno per tutti e due. Quando John sarà grande, digli che lo amato così tanto quel bambino. Poi c’è una lettere che voglio che leggiate tutti insieme. È per te, per Damon, per Stefan e per Elena. Per tutti quanti.

-Va bene, amore mio.

Una leggera brezza, più simile a quei venticelli che passano d’estate che a quelli freddi e pungenti di quasi inizio inverso si abbatte sulle finestre dell’ospedale. Eléonore non vuole morire in una camera d’ospedale, ma ormai si trova lì e non c’è più tempo.

Non appena il vento cessa di soffiare, Eléonore non c’è più.

Giuseppe Salvatore adesso si sente incredibilmente vuoto. Un gran freddo si è appena installato nel suo cuore mentre due infermiere e il medico di turno entrano nella camera di quel maledetto ospedale e ricoprono il volto della paziente con un lenzuolo. Per loro è una semplice paziente che non è riuscita a superare la malattia, per lui, per Giuseppe, quella è la donna più importante della sua vita e sa che una parte di lui adesso è morta per sempre con lei.



Note finali:
lo so, forse sono stata troppo cattiva e forse non merito neanche le belle parole che mi avete detto fino ad oggi. Purtroppo io sapevo come sarebbe andata a fine, quello che non avevo previsto è Eléonore si sarebbe fatta amare così tanto da voi, e anche da me, mi dispiace tantissimo, in tutti sensi, ma credo che questa perdita sia stata necessaria per un cambiamento dei vari personaggi. Da adesso vedremo le varie reazioni, in particolar modo quella di Damon. E sì, lo so che sono stata anche cattiva perché finalmente Damon ed Elena hanno appena fatto l’amore, ma questa è stata una terribile e sfortunata coincidenza. Come è stata una coincidenza il dialogo tra Damon e il padre Giuseppe, non a caso nell’ultima scena c’è un punto di vista in terza persona più da parte sua. Ho ritenuto opportuno che vicino a Eléonore ci fosse il marito e non un’altra persona, sebbene sarebbe stato bello anche avere i figli accanto, ma provandomi a immedesimarmi in lei, che ha un carattere forte e orgoglioso, ho immaginato che lei non avrebbe mai voluto farsi vedere così debole da Damon e Stefan.

Spero che possiate perdonarmi per questo finale triste,

Mia


Ps. Ovviamente la canzone all’inizio fa riferimento alla prima parte del capitolo.
 

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Capitolo 14
*** Dolore. ***


14.
Dolore.
 
(Damon)
-Ma che fai?

Mi chiede Elena giocosa, mentre io le mordicchio il lobo dell’orecchio.

È sdraiata di fianco e mi dà le spalle. È bella anche se non posso vedere il suo volto. Sposto i suoi capelli su una spalla e lascio scoperta la sua schiena. La sua lunga e sensuale schiena. La bacio sulla nuca e scendo sempre un po’ di più, vertebra dopo vertebra e a ogni bacio, il suo respiro diventa sempre più affannato. Mi fermo alla base della schiena e mi stacco ritornando su. Le bacio la spalla mentre il mio naso va alla ricerca del suo collo. È buono il suo odore. Mi fa impazzire, ma non quanto le sue labbra, le sue mani e il suo maledettissimo sguardo che non fa che imprigionarmi in una trappola quasi mortale.

Sì, perché Elena a questo punto è la mia morte. Ogni parte di lei mi toglie il fiato.

Ed è quello che accade quando volta il viso illuminato dalle luci notturne della città che filtrano dal quadrante dell’orologio. È notte a Mystic Falls, abbiamo appena smesso di fare l’amore, ma io non posso fare a meno di lei, del suo corpo nudo e scoperto accanto al mio.
Ho appena smesso di fare l’amore con lei, eppure lo voglio fare di nuovo.

Lei è la mia droga.

-Forse dovremmo tornare a casa. – dice, scappando dal mio bacio che aveva tutta l’intenzione di essere appassionato. – John ha bisogno di noi.

-Mmh . – mugolo insoddisfatto. – Non potremmo aspettare fino a domani mattina? – mormoro lentamente sul suo collo, scandendo bene ogni parola affinché ogni mio respiro si infranga caldo sulla pelle. – Tanto c’è tua madre che si occupa di lui. Ti prego. Solo per una notte. Una notte e basta. È il nostro momento, Elena.

Le sfioro il naso con il mio e per fortuna il mio trucco riesce. La convinco. La vedo annuire sorridendo e girarsi completamente verso di me con una gamba che si attorciglia del tutto sul mio bacino.

Questo è il nostro momento. Il momento perfetto, il momento giusto. Il momento più bello della mia vita. E un po’ le capisco quelle coppie anziane che si incontrano nel parco. Mi sono sempre chiesto come una persona possa restare con un’altra per così tanti anni, per così tanto tempo. Invece, il tempo che ho a disposizione con lei mi sembra poco. Mi sembra che una vita intera non sia abbastanza per passarla con lei e con la nostra famiglia.

Vorrei poterne avere di più, di tempo. Vorrei cancellare tutti questi anni, impedire a Stefan di innamorarsi di Elena e cambiare le carte. Vorrei essere stato io il primo per lei. Vorrei essermi voluto rendere conto che Elena è una persona meravigliosa già da subito. Vorrei aver voluto essere con lei, essere parte di lei, sin dal primo momento che è diventata donna. Vorrei che tutto questo fosse accaduto prima. E abbiamo così tanti anni a disposizione, ma a me sembrano comunque pochi. Vorrei poter essere immortale e passare il resto della mia esistenza con lei.

Le stringo i glutei tra le mie mani e l’avvicino ancora di più a me, se è possibile. Lei non è da meno quando mi bacia entrando nella mia bocca con la sua lingua e mi prende per i capelli.

Sto per ridere ammiccante, per dirle che è una ragazzina maliziosa, ma che mi piace così, ma il suo maledettissimo cellulare squilla insistentemente e questo mi deconcentra parecchio.

-Ti prego, ignoralo.

Lei, all’inizio, sembra intenzionata ad ubbidire al mio comando e ritorna a baciarmi, poi però ci riflette su e si allontana da me per rovistare nella sua borsa. Io sono più veloce di lei: le strappo l’accessorio dalle mani e afferro la diabolica scatola meccanica sonora che deve essere stata inventata proprio per interrompere momenti del genere.

Senza vedere chi la sta chiamando, apro la chiamata.

-Telefono di Elena.

“Damon sei tu? Elena è con te?”

È Miranda. La sua voce non mi piace. Sembra spaventata triste e fa a fatica a pronunciare ogni singola sillaba.

-È successo qualcosa a John?

Mi allarmo mettendomi a sedere. Adesso anche Elena che stava tentando di riprendersi il telefono, ha smesso di agitarsi per prestare attenzione a quello che sta succedendo.

“Damon … forse è meglio che tu e mia figlia veniate in ospedale.”

Solo una parola, solo una persona è presente in questo momento nella mia mente e sembra non volersene andare, ma io sto praticamente morendo dalla preoccupazione che le sue condizioni siano peggiorate, che sia successo qualcosa di grave che non è più rimediabile. La mamma. Deve essere per forza successo qualcosa alla mamma, altrimenti perché Miranda mi avrebbe intimato a venire in ospedale? Se fosse stato John, me lo direbbe direttamente al telefono che c’è qualcosa che non va. Invece ha detto semplicemente: vieni in ospedale. Senza dire nomi, senza dire niente. È sicuramente la mamma e sarà sicuramente grave.

Riattacco la chiamata senza salutarla, senza nemmeno dirle nulla. Intimo Elena a vestirsi velocemente e a racimolare le carte dei nostri panini che si sono sparse. Corriamo verso la macchina e quest’ultima sfreccia verso l’ospedale. Mi irrigidisco al volante, le mani mi tremano. Per fortuna c’è Elena che quando poso la mano destra sul cambio, me la sfiora con la sua e il suo tocco mi stabilizza, non mi fa perdere il controllo totale. Gran parte del mio corpo si acquieta e io non vado nel panico.

Grazie.

È tutto quello che riesco a pensare, ma dirlo è un’altra cosa. Forse è dovuto dal fatto che ho la gola secca e ho la sensazione che ogni parola che uscirà dalla mia bocca mi graffierà tutto quello che c’è all’interno. Certo, vorrei dirle grazie, ma forse è troppo presto per ringraziare. Quando mi sarò reso conto che la mamma sta bene, allora ringrazierò la donna che amo per essermi stata vicino, e ringrazierò un Dio, se c’è lì, per aver salvato mia madre. Non posso fare a meno, però, di guidare con una mano soltanto e di afferrare con l’altra la sua. Piccoli segni circolari fatti dal suo pollice e un sorriso che mi dona dopo averla spiata con la coda dell’occhio e sento tutto farsi un po’ più leggero. Per fortuna c’è lei.

C’è lei quando parcheggio l’auto. C’è lei dietro di me quando corriamo verso la camera della mamma. C’è lei mentre trovo nel corridoio Miranda, Jeremy e papà. John dorme tranquillamente nel passeggino, ma lui è l’unico elemento calmo dell’immagine che ho di fronte.

Miranda piange e malapena sento Elena.

-Mamma che è successo?

No, non la sento. Sono concentrato sulla figura di mio padre, chino, seduto su una sedia, con la testa tra le mani e lo sguardo perso nel nulla.

Non vedo più niente tranne lui. Lui che sta così.

Un groppo in gola mi sale e non so come fare per trattenerlo. Mi avvicino e gli scrollo le spalle, inginocchiandomi davanti a lui. Non reagisce, è apatico. Cioè è sempre apatico, ma adesso mi preoccupa. Solo una cosa può averlo ridotto così.

-Ti prego dimmi che non è vero.

Gli sussurro, supplicandolo. Nega con la testa, nega e non mi guarda negli occhi. Sta piangendo cavolo. Mio padre sta piangendo! Non può essere vero.

-Papà, ti prego, dimmi che la mamma non se ne è andata. Papà!

Adesso urlo. Perché diavolo non mi risponde? Cazzo. Perché diavolo non mi dice che tutto questo è una bugia e che io non ho appena scoperto che mia madre è … è … morta? Perché continua a farmi stare così male?

-Damon.

Miranda si avvicina e mi tocca una spalla. Io l’allontano da me, quasi spingendola. Non bado a nessuno. C’è qualcuno che mi vuole dire che cosa le è successo?

-Dov’è?

Lui indica con uno sguardo una porta. Io percorro tutto il tragitto lentamente. Mi sembra di essere in un cazzo di film. Apro la porta e vedo un corpo, coperto totalmente da un lenzuolo. I lineamenti di un volto permettono un gioco di ombre sulla superficie bianca del lenzuolo con la luce al neon. Mi avvicino. No, lì non può esserci lei. Ora mi avvicino, scopro quel corpo e sono sicuro che lì non ci sarà lei, ma un’altra donna, un’altra persona. Per forza.

Anche se riesco a scorgere un naso a punta delicato e …

Invece, non è così. Perché quando tolgo quella dannata cosa dalla sua faccia e la scopro, vedo lei. Lei con gli occhi chiusi. Lei con il volto invecchiato non tanto dall’età, ma a causa della malattia. I capelli neri, alcuni grigi, sono raccolti nel suo solito chignon. Il volto sereno. Il celeste nascosto dalle sue palpebre abbassate.

Lei. Mi piego, le accarezzo il volto pallido. È fredda.

-Mamma. – mormoro supplichevole – Mamma sono io, Damon. Mamma ti prego rispondimi. Mamma non me ne vado, ma per favore ritorna. Per favore. – sussurro di nuovo, ma quel volto non mi risponde. Continua a tenere gli occhi chiusi. – rispondi, mamma. Dai, sono qui per te, non puoi essertene andata.

Non è vero. Non può essere. Sta solo dormendo, giusto? Lei non è morta.

Prendo il suo busto tra le mie braccia, la mia fronte si scontra con la sua adesso. Mia madre è morta. Questa frase sfreccia velocemente e ripetutamente nella mia testa, ma non riesco a renderla vera. Sembra come un qualcosa di irreale. Mia madre non c’è più e io non riesco a crederci. Non riesco a capire come farò senza di lei in futuro. Chi mi consiglierà? Chi mi dirà di fare la cosa giusta? Chi mi dirà che sto commettendo una gran cazzata? Adesso ogni cosa è andata perduta.

Delle persone entrano una alla volta e si fermano dietro di me.

-Damon.

È Stefan. Mio fratello è qui, dietro di me. Mi volto verso di lui. E giuro, vorrei piangere, ma c’è qualcosa che mi blocca, che neanche la presenza di una delle persone più importanti della mia vita, che per altro mi odia, fa scattare quella molla. Però lui scatta. Lui si avvicina a me e mi abbraccia. Non va nemmeno dalla mamma. Viene da me ed è come se mi stesse sorreggendo. Come se mi impedisse di cadere. Ma sento le sue gambe tremare. Forse è lui che si regge a me. Allora, com’è che ci reggiamo in piedi, se entrambi non abbiamo la forza di farlo? Infatti non lo stiamo facendo. Siamo tutti e due in ginocchio a terra e io nemmeno me ne sono accorto. Stefan mi stringe sempre di più e piange tra le mie braccia che intanto hanno ricambiato l’abbraccio. Stefan piange. Io non lo faccio. E non perché non lo voglio fare, non perché non sto soffrendo. Perché non ci riesco, perché mi sembra assurdo che lei se ne sia veramente andata. Mi limito a spalancare gli occhi confuso e ad affondare la testa sul collo di mio fratello.

I singhiozzi di Stefan non lo fanno respirare. Sembra in preda ad una crisi e vorrei allontanarmi per vedere come sta, ma non appena provo a farlo, lui mi riavvicina, come se io fossi un elemento essenziale per lui in questo momento. Siamo l’uno l’appiglio dell’altro.

-Lei non c’è più.

Mi sussurra mentre cerca di inspirare, anche se qualcosa glielo impedisce. Credo che sia quell’enorme nodo alla gola che ho anche io. Ma parla comunque. Mi dice parole che io sto già pensando e che forse dette ad alta voce fanno più male. Lui è il primo a fare un passo avanti. Stefan è più coraggioso di me ed è il primo ad ammettere apertamente che lei è morta. Morta.

-Sì, lei non c’è più.

Guardo il vuoto e tutto mi sembra indistinto. Mia madre non c’è più. La … la mia mamma.

Le figure indistinte diventano solo colori che si mischiano tra di loro, poi sono ombre e alla fine … è buio.

Mi sembra di risvegliarmi un attimo dopo, ma nel buio delle mie palpebre percepisco qualcosa di diverso. Un odore non di medicine e disinfettanti che è quello dell’ospedale. Un odore più familiare. Una mano che mi accarezza dolcemente la fronte, scostandomi le ciocche che si sono appiccicate ad essa per il sudore. È una carezza gentile, che è fatta con innocenza e con affetto.

Per un attimo penso che sia mia madre che si sta prendendo cura di me. Poi mi rendo conto – mi ricordo – che lei è morta e che non può essere lei la persona che in questo momento si sta prendendo cura di me.

Apro gli occhi e finalmente capisco cos’era quel buon odore. Un odore di casa, la mia casa. La mia camera. Sono nel mio letto. Che sia stato tutto un sogno? Eppure ogni momento mi sembra un ricordo così vivido nella mia mente e non se ne vuole andare.

Volto gli occhi soffermandomi troppi secondi sul soffitto, perdendomi per qualche breve istante nel vuoto più totale, distinguendo quella piccola macchia rossa che si creò quando io avevo sette anni e avevo fatto schizzare un tubetto di vernice verso il soffitto. Mamma aveva cercato di pulire la macchia prendendo una scala per non farla vedere a papà, ma non ci era riuscita e quindi eccola lì, dopo vent’anni c’è ancora. Presente in tutti i momenti più belli e felici. Testimone di lei, quando era ancora una persona piena di vita.

Ricevo un’altra carezza che indugia per un po’ sulla guancia. Mi volto e vedo che accanto a me, seduta su una sedia vicino al mio letto, c’è Elena. La mia Elena che sorride e mi accarezza, che ha gli occhi lucidi e sta piangendo.

-Ciao.

Mormora e la sua voce mi riscalda. La sua voce mi fa bene.

-Perché … perché sono qui?

-Eravamo in ospedale. Tu e Stefan eravate nella camera e a un certo punto lui è uscito per dirci che eri svenuto. Hai sbattuto la testa a terra, ma un medico ci ha detto che non hai nulla di rotto, ma ci ha consigliato di portarti a casa per farti riposare.

-Lei dov’è? Devo andare da lei.

Mi alzo di scatto, ma non appena mi muovo bruscamente una fitta lancinante mi penetra il cervello, per non parlare del formicolio che mi percorre tutto il corpo. Ho tutti i sensi intorpiditi. Sento a malapena le lenzuola sotto le dita, la vista a volte si appanna  e i suoi sembrano ovattati.

-La stanno portando qua. – mi dice facendomi sdraiare di nuovo – per favore, adesso riposa.

Mi ordina e io le prendo la mano. La stringo tra le mie.

-John?

Si sposta e posso vedere la carrozzina dietro di lei. Starà dormendo, sicuramente.

Ritorno a guardare il vuoto e non appena arriva esso, i miei pensieri ritornano a tormentarmi e a farmi del male.

Me. L’ospedale. Mamma. Stefan.

Fa male, tanto. Vorrei anche io chiudere gli occhi per sempre.

Elena mi accarezza ancora un po’ la fronte, poi mi lascia andare.

-Sarà meglio che io ti lasci da solo.

Annuisco mentre lei si avvicina a John per prenderlo in braccio e portarlo via.

-No, ti prego, lascialo qui.

(Elena)
Chiudo la porta della camera di Damon. L’ho lasciato solo. O perlomeno, dentro c’è John, ma solo perché me lo ha chiesto lui. Non so se ho fatto bene o no, perché Damon in questo momento non è in grado di fare niente. E se John si svegliasse? Chi baderà a lui?

“Voglio che sia mio figlio e lo so che è da egoisti ma … poteva essere il mio appiglio. Dopo che la mamma sarà morta, io avrò bisogno di una persona su cui farmi forza e quella persona sarebbe potuta essere lui.”

Ricordo le parole che mi disse Damon qualche tempo fa. Credo che sia arrivato quel momento. Quel momento in cui lui ha bisogno di John per non perdere la testa. E questo mi fa pensare che ho fatto la cosa giusta, che quello è il  posto dove devono stare entrambi.
Scendo le scale e mi accorgo che stanno arrivando gli altri con la salma di Eléonore. Non l’ho salutata. Non le ho detto addio. Avrei voluto ringraziarla di quello che ha fatto per me, di essere stata qualcuno a cui sorreggersi nei momenti di difficoltà. Non mi sono ancora avvicinata al suo corpo.

Quando io e Damon siamo arrivati in ospedale, lui è corso dalla madre e io sono rimasta fuori con la mia e con Jeremy. Poi è arrivato Stefan che ha raggiunto il fratello ed è uscito qualche minuto dopo, dicendoci che Damon era svenuto. Mi sono preoccupata tantissimo. Non ho mai visto Damon in queste condizioni. È come se ha ricevuto un colpo alla testa con una pietra, all’improvviso.

Lo sapevamo. Lo sapevamo che lei se ne sarebbe andata alla fine, ma fa comunque male. È lo stesso difficile.

Ricevo un messaggio. Papà sta prendendo l’aereo per ritornare a Mystic Falls. Intanto gli altri sono entrati dentro casa mentre alcune persone, amiche di famiglia dei Salvatore, stanno portando Eléonore nella sua camera da letto.

Giuseppe e Stefan sono dietro di loro e si lasciano andare tutti e due sul divano.

Mamma si offre di preparar loro un tè caldo, ma rifiutano. Io non posso fare a meno di sedermi accanto a Stefan. Lui è comunque una persona importante nella mia vita.

Gli accarezzo il dorso di una mano e quando si volta verso di me, io cerco di regalargli il sorriso più rassicurante che io abbia. Questo so che non lo aiuta a farlo stare meglio, ma credo che, anche se si sentirà più stremato di prima, dopo essersi sfogato starà un po’ meglio. Lo ha fatto con Damon in ospedale, sicuramente sarà stato vicino a Giuseppe prima e adesso ci sono io.

Io che, nonostante gli abbia fatto male, anzi malissimo, gli voglio ancora bene. Io che sento di essere ancora legata a Stefan esattamente come prima. Soltanto che prima pensavo che questo fosse amore, invece è un semplice e profondo affetto che si è andato un po’ ad amplificare negli anni. E Stefan non so se lo ha capito o pure no, ma adesso lui ha bisogno di stare vicino a una persona amica e sta accettando il mio aiuto. La mia offerta di pace e tregua.

E anche io ho bisogno dell’abbraccio che gli offro, perché la mia vita è passata da essere la più bella, perché finalmente mi sono resa conto di amare Damon, che l’ho sempre amato in un modo o nell’altro, ad essere la più triste, perché Eléonore era una seconda madre per me. Era un valido punto di riferimento a cui fare affidamento. Eléonore era la persona più buona che io avessi mai conosciuto. Era una valida confidente e sembrava avesse capito tutto di me, anche meglio di … me.

-Grazie.

È il sussurro soffocato di Stefan, che mi arriva facendomi rabbrividire.

Perché non lo capisco quel grazie. Grazie di cosa? Io … io non ho fatto nulla. Fa male quel grazie perché non è meritato e non so cosa fare per meritarlo. Fa rabbrividire perché non ha senso quel grazie. Io ho passato gli ultimi tempi a far del male a Stefan,eppure lui mi ringrazia, come se mi fossi prodigata a farlo stare meglio. Non è così. Stefan ha sofferto per causa mia e adesso soffre ancora. Non dovrei essere qui, la mia presenza dovrebbe provocargli disgusto. Invece, lui ricambia il mio abbraccio … e mi ringrazia.

Grazie.

Davvero hai bisogno di me Stefan? Mi dispiace tantissimo. Mi dispiace di averti fatto soffrire in questi ultimi mesi. Mi dispiace che io sia stata così stupida da non dirti la verità subito. Mi dispiace perché per un momento ho pensato solo a Damon quando Eléonore è morta. Siete tutti e due figli suoi, eppure per me ci sono stati solo Damon e la mia preoccupazione per lui, quando ho scoperto che la vostra mamma era morta.

Scusa, scusa, scusa …

E non merito questo grazie. Non merito di essere la tua spalla su cui piangere.

Qui ci dovrebbe essere Caroline che è tua amica da sempre, o Matt o Tyler. Loro sono le persone su cui di solito fai affidamento. Prima c’ero anche io, ma non lo sono più da tempo, la tua cara e migliore amica, la tua più cara confidente.
Tu avevi detto che volevi stare lontano da me e da tuo fratello, ma noi alla fine siamo le persone che più hai cercato.
Ti voglio tanto bene, Stefan, davvero.
Sto ancora male per quello che ti ho fatto, ma non l’ho fatto per farti soffrire. Ti giuro, non l’ho fatto apposta. Io credevo di amarti, credevo di poter avere un futuro con te, invece io sono cambiata. Il mondo è cambiato! Sembra che abbia deciso di girare dal verso opposto e abbia preteso che tutti quanti si abituassero a questo nuovo modo di fare. Io non ho avuto il coraggio di dirti subito che il mondo non aveva più posto per noi due, in quel senso. Che questa nuova rotta prevedesse un viaggio con tuo fratello, che è stato il primo a capire che il mondo adesso è cambiato, all’improvviso.

E subito dopo ci sei stato tu. Tu che l’hai scoperto come non lo dovevi scoprire e so che ha fatto male tantissimo, so che continua comunque a fare male. Io sono stata l’ultima. Ho capito che Damon è veramente la mia vita soltanto qualche ora fa, quando che credevo ancora che ci sia una ragione per amare un questa vita malinconica.

Forse  c’è ancora questo motivo, ma che senso ha amare le persone, se poi se costretto a perderle?

Ti prego Stefan, non ringraziarmi. Non amarmi in questo modo.  Così non soffrirai in futuro. Non voglio nemmeno che mi ami Damon, ma come faccio con lui? Come faccio con te? Come faccio se c’è anche John in mezzo a noi?

E sono molto egoista, Stefan. Perché sto così pensando a quello che ti ho fatto che non mi sono accorta che tu ti sei addormentato sulla mia spalla. Allora ti sveglio dolcemente, un po’ come faccio con John, e ti consiglio di andare a letto per riposarti, perché sei stremato e non voglio che tu svenga come Damon.

La mamma si siede al mio fianco. Ci abbracciamo anche noi senza guardarci negli occhi. È tutto quello di cui ho bisogno in questo momento. La mia mamma.

Non è giusto che proprio ora Eléonore se ne deve essere andata. Avrei voluto che rimanesse con noi un altro po’. Qualche anno ancora. Così John sarebbe cresciuto e l’avrebbe conosciuto.

Adesso lui crescerà e quando sarà grande le uniche cose che avrà come ricordo di sua nonna saranno un paio di foto fatte all’ospedale, appena nato.

Una da sola, con lui in braccio. E l’altra con un Damon scherzoso che era sbucato da dietro all’improvviso. In quest’ultima foto, Eléonore è voltata verso il figlio. Tra le braccia a John con gli occhioni spalancati, ma lei sta guardando il figlio e sorridono entrambi mentre Damon appoggia la sua fronte contro la tempia di sua madre. È una bella foto.

Damon lì era così felice. Felice di essere appena diventato papà, felice di avere le persone che amava lì vicino. Ma che diavolo sto facendo? Perché non sono con lui?

-Devo andare da Damon.

Le sussurro mentre lei annuisce comprensiva e mentre io mi do della stupida perché dovrei stare con lui. Perché ho visto il suo sguardo prima ed erano occhi persi che cercavano aiuto e io non ho fatto nulla. Ho solo accarezzato il suo volto per incoraggiarlo a stare meglio e l’ho lasciato da solo con nostro figlio. Ma che razza di ragazza sono? Poche ore fa gli ho detto di amarlo. E quello che provo è amore vero. Non lo avrei mai creduto possibile, ma ritrovarmi nella torre dell’orologio, su un pavimento impolverato di legno e con un paio di panini e birre su una coperta, con lui, mi ha fatto sentire bene, e amata e desiderata. Come ho desiderato e amato lui.

Ho trovato quella situazione romantica, nonostante tutto. Ho trovato negli occhi di Damon due luci bellissime. Le mie luci. E nel momento esatto in cui ho detto di amarlo, gli ho promesso che sarei stata con lui, in ogni caso.

Apro lentamente la porta per vedere se lui si è addormentato, ma non è così. Quello che vedo mi stupisce.

Non si è accorto di me, perché cammina verso la finestra con John in braccio. Anche lui non dorme e sembra intento ad osservare i lineamenti del viso del padre. Avvicina le manine e le schiaccia sulla bocca di Damon. Vuole giocare. Lui posa un bacio su entrambi i palmi e non dice nulla. Rimane in silenzio, così come rimango io. Improvvisamente ho deciso di non disturbarlo. Forse non ha bisogno di me, forse vuole solo John, ma rimango comunque lì ad osservarli, rapita dalla scena.

Poi il silenzio viene interrotto da un singhiozzo. Per un attimo penso che sia il bambino, ma il suono è più potente, più grave. È Damon. Lui ha appena iniziato a piangere. Non l’ha fatto con Stefan, non l’ha fatto con me, ma lo ha fatto con John. Suo figlio.

Damon piange ed è una reazione a catena. Perché da me le lacrime non possono fare a meno di uscire e anche John singhiozza per poi piangere.

È in questo momento che mi faccio avanti. Perché loro sono la mia famiglia e stanno piangendo. Così come sto facendo io, ma prima che io mi possa avvicinare lui si volta e smette subito. Si asciuga le lacrime con il dorso di una mano e mi si avvicina imbarazzato, porgendomi un John che non la smette di piangere dopo aver visto il padre così.

-Scusa. Io non volevo.

Mi dice, alludendo a nostro figlio.

Adesso sono vicina a lui e lo sto guardando negli occhi. Non l’ho mai visto in questo stato. Mi porge il bambino tra le braccia e io lo prendo anche se preferirei che lo continuasse a tenere lui. Perché gli stava facendo bene sfogarsi in quel modo una volta per tutte.
Non appena John passa tra le mie braccia e si va a posare con la testolina sul mio petto, lui si sdraia supino sul letto, ma non ho intenzione di smettere con la terapia. Testarda, mi avvicino all’altro lato del letto e mi stendo con John, mettendomi di lato.

-Non devi scusarti, è normale.

Lui, che fino ad ora ha guardato il soffitto, si gira verso di me.

-Lo so che è normale, ma io non ci riesco.

-Sì che ci riesci.

-Ci riesco con John che è un bambino piccolo, che non capisce ancora …

-Non è per questo che piangi con John. È perché è tuo figlio, perché in un modo o nell’altro speri che lui ti capisca, ma anche noi ti capiamo, Damon. Tutto quello che devi fare è fidarti di tuo fratello, di tuo padre e di me.

Lui solleva la schiena e avvicina il suo volto al mio, fino a quando le nostre fronti e i nostri nasi si sfiorano. Mi lascia un piccolo bacio sulle labbra e in qualche modo capisco che quello è il suo grazie silenzioso.

Lui spera che questo basti a farmi arrendere, ma non è così. Damon deve capire che di me si dovrà fidare completamente, per il resto della sua vita. Gli accarezzo insistentemente una guancia e lui si avvicina più a me, contando il fatto che c’è nostro figlio in mezzo. La sua testa è sulla mia spalla e io non posso fare a meno di sussurrargli qualcosa.

-Damon ti capisco. Hai perso tua madre, ma io sono con te.

Ed è lì che scoppia. Piange di nuovo, come piango anche io e piange anche John.

Non fa niente.

Adesso va tutto bene.



Note finali: e sono finalmente qui ... con più di un mese di ritardo. Forse è la fiacca estiva, è il caldo che io più detesto di ogni altra cosa al mondo è ... è tutto dell'estate che fa bloccare il mio cervello. Però sono qui, con un capitolo più corto rispetto agli altri, sopratutto a quello precedente, ma esiste comune ... e alla fine non è nemmeno tanto brutto, no? Ok, questo lo dovete decidere voi :P
Stanotte (sì, perchè è l'una) sono di poche parole.
Perciò vi lascio con un capitolo assolutamente triste.
Mille baci,
la vostra
Mia (che è l'unica persona al mondo a desiderare che l'estate finisca al più presto)
 

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Capitolo 15
*** Amore. ***


15.
Amore.
(Elena)
Damon si è addormentato. Insieme a John. Sembra anche lui un bambino ed è così bello mentre imbroncia le labbra, facendo sporgere quello inferiore. Il suo respiro per un po’ non è stato regolare nemmeno nel sonno e John ha continuato a singhiozzare anche dopo. Solo quando sono riuscita a calmare il piccolo, anche il grande ha smesso di lamentarsi.

È bella e serena l’immagine che ho davanti in questo momento. Le loro teste molto vicine con la mano di Damon appoggiata delicatamente sul corpicino di  nostro figlio. Lo so che in questo momento non dovrei pensarlo perché è una brutta giornata nonostante ci sia il sole là fuori, ma non posso fare a meno di pensare di avere una stupenda famiglia: un ragazzo che mi ama e un figlio appena nato. Loro sono la mia famiglia, il mio futuro. Sarebbe stato bello avere ancora con noi Eléonore. Lei è ancora un faro di speranza in entrambe le nostre famiglie e sarebbe stata una nonna fantastica per John. Sarebbe stata ancora una madre per Damon, per Stefan e anche per me.

Per un attimo sorrido al pensiero di Eléonore quando mi disse che io e Damon avremmo potuto essere una coppia meravigliosa­. E aveva ragione. Aveva perfettamente ragione. Eléonore aveva capito tutto di noi e in un certo senso le sarò eternamente debitrice perché è in parte, grazie a lei, che io adesso sono qui, sullo stesso letto di Damon, ad osservarlo mentre dorme con nostro figlio tra le braccia. Si è avverato tutto quanto. Senza rendermi conto, ho fatto tutto quello che aveva predetto.

Oh Eléonore, perché non ti ho ringraziato? Perché non ti ho salutato? Mi mancherai tanto e sarai sempre nel mio cuore.

Io ti prometto che John ti vorrà bene, nonostante lui adesso sia ancora così piccolo. Nonostante lui non si ricorderà di te. Lui ti amerà comunque, Eléonore.

Lascio un leggero bacio sulla fronte di entrambi, notando le lacrime secche che sono rimaste sulle guance di Damon. Sì, sembra proprio un bambino. Un bambino intrappolato nel corpo di un uomo. Un bambino … no: un ragazzino. Damon era solo un ragazzo quando scoprirono del cancro delle madre e la sua vita è rimasta in parte bloccata lì, a quell’età. In quel momento Damon attirato a sé le paure e la tristezza dell’intera famiglia, decidendo di prendersi cura di lei. Ha completamente bypassato quella fase per crescere e diventare un uomo, ma adesso il ragazzino che c’è in lui è appena tornato in vita, manifestandosi nel peggiore dei modi. Ma secondo Damon, lui è sempre stato solo.

So che lui se l’è sempre presa sia con il padre che con Stefan. Non me lo ha mai detto e ammetto che l’ho pensato anche io. Quando stavo con Stefan e lui passava tutto il tempo o con me o con un libro, mi chiedevo spesso che fine avesse fatto sua madre per lui. Era come se fosse già morta, nonostante sentissi che dentro di lui c’era ancora dell’amore per lei.

Ma a Damon questo non è mai andato giù. Gli ha sempre andato fastidio e non perché non si voleva prendere tutta la fatica nell’accudire la madre, ma perché sapeva che lei aveva veramente bisogno delle attenzioni del marito e del figlio minore.

Faccio il giro del letto per dirigermi verso l’uscita, ma la voce di Damon che mi chiama mi blocca prima che io prenda il pomello della porta.

-Elena.

È un sussurro il suo, ma ben chiaro e io non posso fare a meno di voltarmi e ritornare da lui. Ha gli occhi gonfi e socchiusi, ma si riesce comunque a scorgere la limpidezza delle sue iridi celesti, che stanno fissando John e le sue dita sfiorano lentamente le morbide guance.

Ho il forte impulso di abbracciarlo e lo faccio. Lo prendo da dietro, avvolgendo un braccio sul suo petto e l’altra mano che si infila tra i suoi capelli accarezzandogli la testa.

-Come ti senti?

Gli sussurro baciandolo su una tempia. Inspira profondamente prima di rispondere.

-È come se tutto il corpo abbia deciso di abbandonarmi. Riesco a sentire a malapena il corpo di John … e il tuo.

Sorride fiaccamente mentre mi prende la mano che è sul suo petto.

-Ti ho ringraziato per essermi accanto?

Sorrido anche io. No, non l’ha affatto, ma a me non importa. Lo faccio perché mi viene naturale farlo. Voglio stargli vicino in questo momento più di qualsiasi altra persona.

-Che ora è?

-È mattino inoltrato.

-Dovrei andare dagli altri.

-Prenditi un altro po’ di tempo, fatti una doccia. Io intanto faccio mangiare John.

Lo sento prendere un altro respiro profondo. Per un attimo penso che lui non abbia più voglia di fare niente. Anche di vivere. Sembra che sta anche obbligando se stesso a respirare, nonostante cerchi di non farmelo notare. Ma lo sento, percepisco quello che prova Damon, in questo momento.

All’improvviso John si sveglia e si mette a piangere. Povero piccolo! L’ho trascurato un po’  ed è anche tardi, avrebbe dovuto mangiare ore fa. Damon me lo passa e lo sento automaticamente avvicinarsi al mio seno. Sorrido, per la seconda volta in questa giornata. Intanto sia io che Damon ci siamo messi a sedere.

Mi scopro un seno e John si attacca letteralmente lì. Damon mi lascia un piccolo bacio sulla spalla, prima di alzarsi e togliersi la maglia per dirigersi verso la doccia. John continua a bere il latte materno e posa una manina proprio all’altezza del mio cuore. Io la prendo e la bacio. In realtà vorrei passare tutta la giornata a riempirlo di baci, a farlo sorridere e a distrarmi con lui. Tutto pur di non pensare a cosa c’è là fuori, ad aspettarci. Non vorrei uscire da questa stanza, ma devo farlo. Per Damon. Perché se non lo facessi io, non lo farebbe nemmeno lui. Devo essere io a fare i primi passi. Lui da solo non ce la farebbe mai.

Quando John smette di mangiare, Damon è ancora sotto la doccia. Mi allungo sul letto e mi sporgo per veder cosa sta facendo. È in piedi, fermo, con le mani lungo i fianchi, la testa piegata all’indietro e gli occhi chiusi. Lascia che l’acqua scivoli via sulla sua pelle e lo colpisca dolcemente.

Ritorna fuori un quarto d’ora dopo e si riveste velocemente. John nota la sua presenza e richiama la sua attenzione con versetti e gemiti.

“Da – da – daaa!”

Damon si avvicina a noi e lo prende in braccio tenendolo stretto a sé. Il bambino ride al sorriso leggero del padre. E per un attimo penso che il cuore di Damon si sia alleggerito da tutto il peso che si è depositato nel corso della notte scorsa. Ma subito dopo noto l’atmosfera che si spegne attorno a lui e rivedo la stessa scena che è avvenuta prima di addormentarci: rimane con nostro figlio in braccio e so che è sul punto di piangere, ma non lo fa, troppo orgoglioso per piangere più di una volta nell’arco di ventiquattro ore.

-Adesso dobbiamo proprio andare.

Fa lui, dirigendosi verso la porta con ancora John in braccio. Non penso che si staccherà tanto facilmente da lui, oggi.

Scendiamo le scale e ci ritroviamo in salotto. Lì c’è il corpo di Eléonore. Lo hanno spostato lì stamattina presto. Perché? Sento Damon irrigidirsi accanto a me per la sorpresa. Non se l’aspettava, come non me lo aspettavo io.
Accanto al corpo c’è Giuseppe e anche Stefan. Dall’altro lato ci sono la mamma e Jeremy … con papà. È tornato. Mi avvicino a lui e lo abbraccio calorosamente. Poi lui va da Damon e gli fa le sue condoglianze.

-C’è una cosa che dovete sapere. – inizia a parlare Giuseppe avvicinandosi a Damon, con Stefan. – Vostra madre, poco prima di morire, mi ha detto che ci ha lasciato una lettera. Evidentemente lei sape … lei sapeva già che il suo momento stava arrivando. Perciò questa notte sono andato nella sua camera e … e ho trovato questa in un cassetto. – Ci mostra un foglio ripiegato in due e lo apre lentamente. Ha intenzione di leggerlo proprio adesso. – Alla mia … alla mia fa- fa- scusate io non ce la faccio.

Abbassa il capo e si porta una mano sugli occhi mentre Stefan gli va vicino per abbracciarlo. È la mamma a prendere la lettera e a leggerla. Anche i suoi occhi sono gonfi come quelli di tutti quanti e hanno ripreso tutti a piangere, compresa me. Solo Damon è fermo e immobile e fissa il vuoto.

Io mi vado a sedere sul divano, passandomi una mano trai capelli. Mia madre si mette a leggere.

-Alla mia famiglia,
alla mia famiglia che soffrirà quando sarò via. Alla mia famiglia che deve farsi forza per andare avanti anche senza di me.
A mio marito Giuseppe. L’amore della mia vita. L’uomo che ho conosciuto quando ero ragazza. L’uomo che mi ha fatto sentire protetta e al sicuro, ma soprattutto che mi ha frenato quando l’istinto mi diceva di esagerare. A lui chiedo di farsi forza. A lui chiedo di amare costantemente i nostri figli, di riavvicinarsi a loro e di chiedere loro perdono. Loro non ti odiano, Giuseppe. Loro ti amano. Avete solo bisogno di passare un po’ di tempo insieme. Ti chiedo solo di essere una persona più presente. Ti amo, Giuseppe. Ti amo tanto. Mi sembra ieri la prima volta che ti ho incontrato… eri così buono, amore mio. E lo sei ancora. Ritorna ad essere quel ragazzo di tanti anni fa. Quello che amava la vita e che desiderava conquistare il mondo con un solo gesto. Tu hai fatto di me la regina del tuo, di mondo. E sono stata così felice. Continua ad essere un re, ma un re buono. Ama i tuoi figli, ama il piccolo John. Ti amo.
Al mio figlio più piccolo. Al mio adorato Stefan. Lo so che stai attraversando un periodo difficile, ma abbi fiducia nel mondo, nonostante esso ti abbia fatto un grandissimo torto e nonostante ti sembri che la vita sia uno schifo. Non provare rancore negli altri e non porti sempre mille domande. Non chiederti se sei stato tu, che c’è un problema in te per quello ce è successo. Perdona. Il perdono è un grande dono e so che tu ce l’hai. Allora perdona, figlio mio. Perdona tuo fratello, perdona Elena. Perdona, perdona. Ama e ricordati che tu sei amato più di quanto pensi. Che questo mondo alla fine non è così brutto. Siamo noi stessi a crearci il nostro futuro e sei vuoi essere amato, ama.
A Damon a cui la vita è cambiata all’improvviso. A Damon che si sente in colpa per le cose che ha fatto. A Damon che sarà quello che soffrirà di più. Anche se non piangi davanti a tutti, so che piangerai in silenzio, lontano dagli altri. So che ti farai forza da solo, ma che cercherai la forza anche in tuo figlio. Perché è lui il tuo mondo adesso e so che sarai un ottimo papà. Sarai un uomo che farà scelte giuste e andrai lontano, tesoro, ma andrai lontano solo se ti circonderai delle persone che ti amano. Ti conosco, Damon. E so che tu sei portato alla solitudine. Ti piace il silenzio e ti piace assorbire l’energia del vuoto che c’è intorno a te. Ma l’amore è l’energia più potente che ci sia mai stata.
È questo che chiedo a tutta la mia famiglia. Di amare e cercare di essere amati.
Dagli amici, dai parenti e in particolar modo dai Gilbert. Loro vi ameranno. Soprattutto Elena e John. Loro fanno parte della famiglia. Loro sono la vostra ancora di salvezza. Sono il vostro futuro. Amate gli altri e amatevi tra di voi. Siate la famiglia che eravamo un tempo. Felice.
Vi amo.
Eléonore.
 
Damon si è seduto accanto da me, appoggiandosi completamente allo schienale con la testa abbandonata all’indietro e lo sguardo che fissa l’alto. Allungo una mano verso la sua che tiene John per la schiena. Lui la afferra e la tiene stretta, continuando a sorreggere John, prima di lasciarla andare e alzarsi. Mi porge nostro figlio è va perso il corpo della madre. Le dà un piccolo bacio sulla fronte.

-Ti voglio bene anche io, mamma.

Sussurra e dopo di lui c’è Stefan e poi Giuseppe che fanno la stessa cosa. Lo facciamo tutti, in realtà.  Ci avviciniamo a quella meravigliosa donna che fortunatamente è entrata a far parte delle nostre vite.

Ti amerò per sempre, Eléonore.

(tre mesi dopo)
-Sei sicuro? Non vuoi che io resti anche stasera …

-No, Elena, ascoltami. Adesso tu ti prepari esci con le tue amiche e rimango a casa mia a badare a John con papà e Stefan.

-D’accordo.

-Elena? Elena hai ascoltato quello che ti ho detto?

Mi riprende Caroline. Ok, va bene mi sono distratta ma che ci posso fare? Dopo tre mesi questa è la prima sera che lascio John per un’intera serata da solo con Damon. Non che io sia preoccupata sulla sua sicurezza, anzi la presenza di Stefan e Giuseppe contribuisce a farmi stare tranquilla, perché John è al sicuro. Ma sono comunque passati tre mesi dalla morte di Eléonore e sebbene Damon abbia cercato di essere forte per tutti quanti a volte ho notato la sua anima vacillare, come se potesse scoppiare da un momento all’altro. Io ogni volta che me ne accorgevo, insistevo a rimanere con lui per consolarlo e, per fortuna, lui si è lasciato aiutare.

Di enorme aiuto è stato anche riallacciare i rapporti con il fratello e il padre, completamente. Ora Giuseppe passa molto tempo con John, Stefan e Damon sono quasi ritornati come prima. Ridono, scherzano insieme e ricordano bei momenti quando erano piccoli. È stato difficile e lo è tutt’ora, ma lo stanno facendo per la loro madre e anche io ho scacciato via quel brutto senso di colpa che mi attanagliava ogniqualvolta Stefan ed io eravamo vicini. Ci siamo riavvicinati tutti quanti e devo ammettere che sono rimasta sorpresa quando mi sono accorta che era proprio John il collante della nostra famiglia. Proprio lui. Proprio io.

Io che quando ero in attesa di lui rischiavo di far scoppiare una guerra mondiale. Eppure il sorriso di nostro figlio ha riportato la luce trai Gilbert e trai Salvatore.

-Scusami, mi sono distratta.

-Lo avevo notato. – Brontola. – A che stavi pensando?

Sollevo lo sguardo dalle mani che giocherellano con la cannuccia per far muovere il ghiaccio nel bicchiere di Coca Cola (“Niente bevande alcoliche.” ha detto la mamma. “Devi imparare ad essere più responsabile con un figlio a carico.”) al suo sguardo. Lei capisce subito.

-Oh andiamo, Elena. Avevi promesso. Non esci con noi quasi mai e quando lo fai pensi sempre a John e a Damon. Potresti evitare di pensare a loro per cinque minuti?

-Care, è normale loro sono a sua famiglia. – la rimprovera Bonnie.

-E chi se ne frega della famiglia. Quando si esce con le amiche, si pensa solo alle amiche. Sembrate un duo di vecchiette. Non ci si può divertire con voi.

Sia io che Bonnie scoppiamo a ridere. È buffo vederla in questo stato e sebbene io non possa fare a meno di pensare a mio figlio quando sono lontana da lui, la mia amica ha ragione. Sono uscita per passare un po’ di tempo con loro. Ormai mi sono estraniata dal mondo esterno e mi sembra di non conoscere più le mie amiche.

-Hai assolutamente ragione. È che proprio domani John compie sei mesi e … ok la smetto. Raccontatemi come ve la passate. Voglio sapere ogni particolare della vostra vita.

Questa richiesta non la dovevo assolutamente fare. La serata è passata velocemente con le chiacchiere infinite di Caroline, che non solo si è messa a raccontare anche della sua fantastica storia d’amore che sta vivendo con Klaus, del college, delle feste epiche, come le ha definite lei, che organizzano le confraternite, ma non ha dato tempo neanche a Bonnie di parlare.

Adesso siamo in macchina, a ridere perché Caroline ci ha appena raccontato della figuraccia fatta con il suo professore di macro biologia la scorsa settimana. Le mie due amiche sono un po’ brille e io le sto accompagnando alle loro case.

-Comunque ho assunto un aiutante in negozio. – Ci dice Bonnie all’improvviso tanto per parlare di se stessa. – Ed è molto carino. L’altra sera mi ha chiesto di uscire.

-Puoi veramente permetterti di assumere qualcuno in quel negozio di cianfrusaglie mistiche? – Questa è stata la prima reazione di Caroline. – Aspetta … Cosa? – Ecco. – Stai uscendo con un ragazzo e ce lo dici solo adesso?

Bonnie annuisce.

-Chi è?

Le chiedo curiosa distogliendo solo per un attimo l’attenzione dalla strada e mi fermo.

-Caroline siamo arrivate a casa tua.

-No aspetta, voglio sapere chi è il fortunato. Avanti Bennet, spara.

-È Kol.

-Kol Mikaelson? Perché un Mikaelson dovrebbe cercare lavoro? Quelli sono ricchi sfondati.

-Ne ha combinata una grossa al padre e lui per punizione gli ha tagliato la carta di credito. – Ci risponde.

Continuiamo per altri buoni dieci minuti a ridere e scherzare finché la nostra conversazione è interrotta dallo squillo insistente del mio cellulare. È Damon.

-Ehi. È successo qualcosa?

-Sì… io… ecco… ho sentito John particolarmente caldo e… ho deciso di chiamare Meredith. Non so a che ora tornerai quindi ti ho voluta chiamare.

­-Arrivo subito.

Spiego velocemente la situazione alle mie amiche e entrambe scendono immediatamente dall’auto.

Mi dirigo verso casa Salvatore. Molto tempo io e Damon lo passiamo lì e visto che stasera uscivo avevamo pensato di passare la notte anche così Stefan e Giuseppe avrebbero potuto aiutarlo.

Entro dentro casa e vedo Giuseppe e Stefan accostati sulla soglia della porta della camera di Damon. Lui è dentro, ha John in braccio e segue attentamente le istruzioni di Meredith. La conversazione si interrompe, non appena tutti i presenti si accorgono del mio arrivo.

-Che cos’ha?

-Semplice febbre. Non ti preoccupare. Con le giuste precauzioni, questo ometto guarirà entro qualche giorno.

Annuisco mentre mi avvicino a Damon. Solo adesso mi accorgo che John ha gli occhi lucidi. Deve aver pianto. Faccio per prenderlo in braccio, ma lui non accenna a volersene andare via dalle braccia del padre. È in buone mani. Allora accompagno Meredith fino alla porta d’ingresso ascoltando le ultime istruzione su come gestire la febbre di un bambino appena nato.

Ritorno in camera da letto. Damon ha ancora John in braccio con l’intento di farlo addormentare.

-Scusami. Sono stato disattento e non mi sono accorto subito che aveva la febbre. È colpa mia.

La sua voce è spaventata. Davvero si sta dando la colpa per la febbre di John? Non deve. Non è assolutamente colpa sua e io non potrei mai accusarlo di una cosa del genere. È stata solo una brutta coincidenza.

-Damon ma che stai dicendo? Tu sei un papà fantastico e sei stato bravo a chiamare Meredith non appena ti sei accorto che la fronte di John scottava.

-Sì, ma…

-Niente ma. Adesso noi due mettiamo a letto nostro figlio, lo copriamo per bene e andiamo a dormire anche noi due. Vedrai che John starà bene. E lo sai perché? Perché ha il papà migliore del mondo che si prenderà cura di lui.
Appoggio le mie labbra sulle sue e cerco di farmi più vicina a lui per quanto posso, visto che c’è nostro figlio in mezzo. Questo però non mi impedisce di far sfiorare la mia lingua con la sua. Mi sorride. Oh, quanto amo il suo sorriso.

-Metto John a letto.

Mi sussurra sensuale, mordicchiandomi il lobo dell’orecchio. Si allontana, posando un bacio sulla fronte di John per poi metterlo a dormire, coprendolo bene. Quando ritorna da me, mi butta letteralmente sul letto e si mette sopra di me. Le sue labbra stanno vezzeggiando ripetutamente la pelle del mio collo, sempre sullo stesso punto. Credo proprio che mi lascerà il segno, ma io, invece di lamentarmi, non posso fare a meno di sorridere silenziosamente per le attenzioni che mi sta dando. Però non fa nemmeno a tempo a sfilarmi la maglia, che sentiamo nostro figlio piangere. Lo discosto da me e lo vado a prendere. Forse non dovrei viziarlo così, ma come faccio a resistergli? Adoro baciargli la pelle morbida delle guance.

Ritorno sul letto sdraiandomi accanto a Damon e mettendo John tra di noi. Lui ci copre per bene e il bambino la smette almeno un po’ di piangere solo quando vede il suo papà. Non c’è storia.  È lui il suo preferito. Allunga le manine verso di lui.

-Che c’è, John, vuoi stare con il papà?

Ed è in quel momento che accade. Lo chiama.

-Pa… pap… papà.

Lo dice tra un singhiozzo e l’altro e per un attimo il tempo si ferma. Siamo tutti e due troppo increduli, per poter realmente reagire. Io perché in questo esatto momento John ha detto la sua prima parola e Damon è sorpreso perché in effetti John lo ha chiamato. E a me non dispiace che la sua prima parola sia stato proprio papà. Non dispiace affatto. Vedo Damon e noto che il suo sguardo stupito. È al settimo cielo, ma il nostro momento di estasi viene interrotto dallo stesso John che continua il suo pianto e continua ad allungare le mani verso Damon.

 Non lo richiama più, ma entrambi abbiamo sentito esattamente quello che ha detto.

(Damon)
-Pa… pap… papà.

John ha la febbre e alla fine abbiamo deciso che è meglio se lui viene a dormire con noi. Ma la febbre non gli dà pace. Lui continua a piangere senza smettere ed è nell’esatto momento in cui allunga le braccia verso di me, che sento dirgli quella parola. Mi chiama. Lui vuole me, ha appena detto “papà” porca miseria. Per un attimo io e Elena ci guardiamo negli occhi e costatiamo che non è stata un allucinazione.

John continua a piangere e io lo prendo in braccio, cercando di calmarlo. Lui si stringe a me. Amo troppo questo bambino.

-Shhh. No, non piangere. Shhh.

Lo cullo con le mie braccia e lo copro alla meglio con le coperte pesanti. Non mi sono dimenticato che ha la febbre e deve rimanere coperto il più tempo possibile. Elena si stringe a noi e mi sporgo per darle un altro bacio. Anche lei sembra felice per nostro figlio.

Copro anche lei perché è rimasta solo con il reggiseno nella parte di sopra. Le passo una mia maglietta dal comodino, così si può coprire. Anche lei abbraccia John da dietro e il bambino sentendo un tocco delicato dietro di lui volta la testa. Smette di piangere, completamente. Finalmente si è reso conto che la sua mamma e il suo papà sono con lui. Elena gli dà un piccolo bacio sulle guance e asciuga attentamente le lacrime che gli sono rimaste attorno agli occhi.

Siamo tutti e tre così vicini. Occupiamo solo metà del letto, ma a me non dispiace.

Questa è la mia famiglia e sebbene, la mamma mi manchi terribilmente, oggi ho appena raggiunto il culmine della mia felicità. Perché ho un figlio e ho una donna. E li amo terribilmente entrambi.

È con questo pensiero che mi addormento ed è sempre con questo pensiero che mi sveglio la mattina successiva, quando sento John piangere di nuovo. Elena sembra restìa a svegliarsi perciò lo prendo in braccio e lo coccolo un po’. Pensavo che fosse la febbre a farlo piangere, ma non appena mi alzo, un “fastidioso” odore mi fa ricredere. Ha solo bisogno di essere cambiato.

Perciò vado verso il bagno dove è pronto già tutto e a malincuore faccio tutto il lavoro che serve. Sto per mettergli il pannolino pulito, ma lui è figlio mio, no? Deve sempre combinarne qualcuna delle sue. Senza accorgermi inizia a farmi la pipì in faccia. Grazie tante, figliolo. Questa te la farò pagare quando sarai più grande.

-MA PORCA MHHH …

Impreco ad alta voce, mordendomi la lingua sull’ultima parola.

-Che succede?

Sento mugugnare Elena dalla stanza. Non appena entrerà qui lo vedrà.

-Vieni ad aiutarmi per favore.

Quando arriva mi perdo un po’ troppo nel percorrere con lo sguardo la lunga linea delle sue gambe nude. Risalgo sempre di più finché il mio cammino viene interrotto dalla mia stessa maglietta grigia che le ho prestato ieri sera per tenerla un po’ di più al caldo.

Dio, se è sexy. Ho la ragazza più sexy del mondo, non c’è che dire.

Lei rimane ferma e impietrita per lo spettacolo che vede per altre e ovvie ragione.

-Cos’hai combinato?

Chiede interrompendo la lunga pausa silenziosa che si era interposta tra di noi. Poi un piccolo sbuffo proviene dalle sue labbra, perché sta cercando di trattenere le risate.

-Non osare ridere di me.

-Non … non sto ridendo. Davvero è una tragedia quello che è successo. No, non ti avvicinare a me. Puzzi di pipì. Togliti i vestiti.

Si tappa immediatamente la bocca, resasi conto dell’ultima frase che ha detto. Sa che mi posso divertire adesso.

-Ci sono dei bambini presenti, ma va bene.

Mi spoglio dei pantaloni della tuta e della maglia per rimanere soltanto in boxer. Faccio per avvicinarmi a lei, ma me lo impedisce categoricamente, allungando le mani davanti a sé per bloccarmi il passaggio.

-Non ci provare. Sei ancora sporco in faccia. Fatti una doccia io penso a ripulire questo macello.

Si guarda attorno e nota le piccole pozzanghere di pipì che si sono create.

Quando esco dalla doccia, lei è già ritornata sul letto con John, sotto le coperte. Mi avvolgo la vita con un asciugamano e ritorno da loro. Mi sdraio supino e prendo mio figlio, appoggiandolo sul mio petto con una copertina. È a pancia in giù e sta un po’ sbavando. Tanto oggi ho capito che lui ha deciso di umiliarmi.

Vedo il bagliore di una luce accecarmi.  Dopo mi giro e vedo Elena con la sua macchina fotografica. Ultimamente ha la fissa di immortalare ogni momento della vita di John. Bagnetti, sorrisi, quando mangia … fotografa di tutto.

-Perché?

-Vi siete visti? Siete così belli insieme.

-In effetti lui in questa tutina celeste sta benissimo e io con il mio corpo favoloso sono ancora il classino stallone. Siamo un’immagine perfetta.

Lei cerca di nascondere un sorriso divertito e sussurra un “idiota” con finto rimprovero. Non mi lascio sfuggire quest’attimo di distrazione per rubarle la macchina fotografica dalla mano e scattare all’improvviso la sua espressione divertita. È bello il suo sorriso. Riesce persino a oscurare i raggi del sole che entrano dalla finestra. È bella Elena ed è mia.

-Ridammi la macchina.

Fa per riprendersela, ma io attentamente la allontano da lei facendo attenzione a non far cadere John dal mio petto.

-No, adesso tocca a te.

Le porgo nostro figlio e lei lo abbraccia donandogli un lunghissimo bacio sulla guancia facendolo ridere divertito. In quell’esatto istante scatto. Le due persone più importanti che sorridono. E io sono felice che facciano parte della mia vita. A volte penso se Elena quel giorno non mi avesse detto che ero io il padre di John. Probabilmente non starei così bene, dopo tre mesi dalla morte della mamma. Lei mi ha detto che avrei dovuto amare e essere amato.

E io l’ho fatto. L’ho ascoltata.

Sono andato da Stefan e gli ho chiesto di perdonarmi veramente e lui mi ha perdonato.  Come sono andato da mio padre e ho riallacciato i rapporti con lui, gli ho raccontato della mia vita e … non scorderò mai la sua faccia quando gli ho detto di non aver mai messo piede al Whitmore College!

-Hai visto cosa ha fatto papà, John?

Il bambino fissa la mamma riconoscendo solo una parola nella frase.

-Pa… pà. Papà!

-John. – Lo richiamo. – Prova a dire “mamma”. Mamma. Mamma. Dai. Ma… mamma.

Sembro un ossesso ripeto quella parola continuamente, non riuscendo a combinare niente e facendo solamente ridere Elena. Quando decido che è meglio non proseguire con la mia campagna “far parlare mio figlio” (non che mi dispiaccia che la sua prima parola sia stato papà, ma voglio far felice Elena in questo modo), lei  prende un’altra coperta e si mette dei pantaloni per scendere al piano di sotto e preparare la colazione a John.  

Rimango solo a rimuginare sulla mia vita. Lo so, può sembrare troppo filosofico, ma arriva qualche volta quel momento che ti gusti, assaporandone ogni parte. Allora, non mi importa se a qualcuno io possa sembrare scemo, perché io lo faccio lo stesso. Accavallo le gambe e mi stendo un’altra volta supino, mettendo le mani sotto la testa. Sospiro sognante. Sì, sono proprio un idiota, ma è così ormai la mia vita.

Fatta di risvegli la mattina che sanno un po’ di malinconia e di sofferenza e un po’ di giochi e di risate. Fatta dai ricordi di mia madre, di quando mi accudiva lei, di quando ero piccolo e c’ero solo io e si sentivano le sue risate risuonare in tutta la casa. Fatta adesso dalle risate di Elena e dai gridolini divertiti di John. Che non fanno altro che farmi stare bene. La mattina è fatta di dolci e allo stesso tempo tristi ricordi, di quando ero io il bambino di otto anni e c’era uno Stefan appena nato che rideva divertito per le facce buffe di mamma e quelle sorprese di papà. La mattina è fatta dai baci di fuoco che spesso sfociano in altro con Elena e di teneri baci che risvegliano John. La mattina è fatta di me, mamma, papà e Stefan, nel passato, e fatta di noi tre adesso. Le mie famiglie. I miei amori.

E sento questo bisogno. Di riparare agli errori fatti con la mia vecchia famiglia, per stare meglio con la nuova. E in passato sono stato troppo attaccato a mamma, troppo cattivo con papà ed egoista nei confronti di Stefan, rubandogli la ragazza, innamorandomi follemente di lei. Sono stato un membro di famiglia pessimo. Un pessimo figlio, un pessimo fratello maggiore, una pessima presenza. Ho fatto errori, tanti errori. Ho litigato, ho sbattuto porte e me ne sono andato diverse volte. Ho fatto soffrire volontariamente o senza pensarci due volte le persone intorno a me e non me ne sono mai sentito in colpa. Fino ad ora.

Ora è tutto diverso. Ora la mamma non c’è e nella sua lettera mi ha lasciato il suo ultimo e più importante insegnamento. Amare. E lo sto facendo il più possibile.

 Mi decido a raggiungerli di sotto. In cucina ci sono anche papà e Stefan. Il primo sta aiutando Elena a preparare la colazione, il secondo tiene John in braccio, coprendolo in più possibile.

-Giorno.

-Damon potresti anche metterti qualcosa addosso e non gironzolare per casa solamente in boxer.

-Scusa papà. – Lo canzono non badando molto al suo rimprovero e sorridendo leggermente. – Volevo vedere te alle prese con un bambino che ti fa la pipì mentre lo cambi.

Prendo un biscotto dal pacco e mi siedo noncurante sulla sedia accanto a Stefan.

-In realtà mi è successo e quel bambino eri proprio tu. – Sputacchio il biscotto che mi è andato di traverso e sento ridere Elena, ma soprattutto Stefan. – E non era solo pipì.

-Be’… tale padre, tale figlio.

Cerca di trattenersi Elena mentre ha preparato da mangiare a tutti quanti. Siamo tutti seduti a tavola e devo ammettere che devo ancora abituarmi a questa atmosfera. Al fatto che parlo tranquillamente con mio padre la mattina come se lo avessimo sempre fatto. Al fatto che Elena a volte mi sfiora il ginocchio, affettuosamente, davanti a Stefan e … sì, è imbarazzante un po’, ma più passa il tempo, più mi sembra la cosa normale.

Ed è tutto cambiato in tutti i sensi.

Dalla morte della mamma, papà adesso si porta gran parte del lavoro a casa, così da stare sia con me che con John quando io e Elena decidiamo di passare un paio di giorni a casa mia. Anche io e Stefan non siamo andati per un po’ al College e all’accademia, ma stiamo lentamente riprendendo, soprattutto io mi sto rimettendo in carreggiata perché è il mio ultimo anno.

È tutto un po’ strano, ma è anche bello.
 
***
 
Sono all’accademia. Ho appena lasciato l’aula di Storia del teatro dove ho dato proprio oggi l’ultimo esame. Ora non rimangono altre che i mesi spesi per lo spettacolo finale.

È una tradizione di quest’accademia d’arti.

-Damon. – sento qualcuno chiamarmi e quando mi giro, mi rendo conto che il signor Rossman, l’insegnante di recitazione, si sta avvicinando a me. – Ho bisogno di te.

-C’è qualcosa che non va?

-Se tu accetterai, non credo ci saranno problemi. Ti vogliamo proporre la direzione dello spettacolo di fine anno.

-La direzione?

-Certo Salvatore. Ti rendi conto di quello che ti sto dicendo?

-Certo.

Devo dirigere il saggio. È un bel lavoro e di solito allo spettacolo assistono personaggi che hanno una certa influenza sia a Hollywood che a Broadway. È un’opportunità molto importante per me.

-Allora, accetti?

-Sì… con piacere!

-Bene. – Tira fuori dalla sua borsa a tracolla marrone un plico di fogli. – Questo è il copione che abbiamo in mente di mettere in scena. Leggitelo e tra qualche giorno ne parliamo. Le tue idee spesso sono state interessanti nel corso di questi anni. Ti voglio vedere all’opera. Discuteremo anche sulle audizioni per gli aspiranti attori.

-La ringrazio, signore.

-Non ringraziare solo me. Ringrazia l’intero consiglio Salvatore. Ti sei fatto notare in questi anni.

Il signor Rossman mi lascia e io rimango fermo cercando di assorbire al meglio la notizia. Si prevedono dei lunghi mesi di duro lavoro.



Note finali: ben ritrovati, gente! Avrei dovuto pubblicare questo capitolo qualche giorno fa, ma una vacanza improvvisata all’ultimo momento non mi ha dato il tempo di revisionare per bene il capitolo per poi pubblicarlo. Perciò eccomi qui, con questo capitolo che è un po’ un azzardo.
Sì, perché è stato un azzardo creare un arco di tre mesi all’interno del capitolo. Ma ho voluto scrivere come sono cambiate le vite dei personaggi dopo un tot di mesi, grazie alla lettera lasciata da Eléonore. E le cose un po’ si capovolgono. Damon, Elena e John a volte dormono a casa Salvatore, lui ha riallacciato i rapporti con il padre e il fratello, creando un’atmosfera più pacifica. Ovviamente non mancheranno dei momenti di imbarazzo, soprattutto con Stefan, che credo che sia quello che ha avuto più problemi perché ha dovuto fare grandi sforzi e un po’ si vedrà.
La prima scena è una sorta di collegamento con il difficile capitolo precedente, in quanto vediamo Elena che continua a prendersi cura di un Damon troppo debole, tanto che le sembra che lui sia ritornato un ragazzino. Ovviamente questa parte è completamente OOC. Non ho saputo fare altrimenti, ma sapete una cosa? Ho provato apposta a scrivere di un Damon debole che ha bisogno per forza di qualcuno. Di un Damon che piange e si dispera, ma allo stesso tempo di un Damon che nel peggiore dei casi, non si butta  a capofitto in una stretta relazione con il Bourbon, o in pazzi e vendicativi omicidi,  ma che va avanti e continua la sua vita tranquillamente e lasciandosi un pizzico di malinconia alle spalle.
Ed è così che fa dopo tre mesi dalla morte della madre. Lo vediamo, all’inizio cedere, quando nel momento in cui deve prendersi solo cura lui di John, vede il bambino star male a causa della febbre, ma per fortuna c’è Elena e lo stesso John (la sua prima parola doveva essere per forza papà) che lo fanno sentire amato.
Mi è piaciuto molto scrivere quel breve stacchetto nella cucina dove vediamo Giuseppe Salvatore finalmente non più imbronciato e che scherza  e racconta fatti divertenti sulla famiglia. Un Giuseppe come non lo avete mai visto. Questo mi fa pensare che avrei voluto scrivere di Giuseppe così anche nella mia precedente storia (Amori Tormentati, che vi consiglio di leggere), creando un parallelismo con questa, descrivendo un po’ di più l’affetto che l’uomo nutre alla fine per la piccola nipotina Nadia, figlia di Stefan e Katherine. Che vi devo dire, quest’uomo ha le potenzialità per essere un gran nonno per me. xD
La scena finale, nonostante sia stata breve e fugace, avrà poi delle varie conseguenze alla fine. Infatti ci condurrà nel rush finale della storia.
Ok, queste sono state le Note finali più lunghe che ho scritto. (Forse perché ho avuto una settimana di tempo per scriverle…) quindi adesso non mi rimane che salutarvi e ringraziarvi se siete arrivati fin qui.
Un bacione,
Mia.

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Capitolo 16
*** Ordinarietà. ***


16.
Ordinarietà.
(Damon)
Io vorrei sapere qual è stata la parte di me che mi ha spinto ad accettare questo incarico. È un lavoraccio, dannazione e io a quest’ora potrei essere già arrivato a casa di Elena per godermi un po’ di tempo con mio figlio prima che lui si addormenti. Invece, no! Stasera ritornerò tardi, perché non ho nessuna intenzione di rimanere nel mio alloggio in accademia e troverò mio figlio che dorme di già e mi limiterò a dargli un piccolo bacio sulla fronte, quando vorrei passare un po’ di tempo con lui e vederlo sorridere non appena si accorge della mia presenza.

Inoltre, non potrò fare l’amore con Elena. Come non l’ho fatto ieri. E il giorno prima. E il giorno prima ancora. Perché anche lei è stanca. Perché è da un po’ di tempo che ha iniziato ad aiutare la madre in biblioteca il pomeriggio e la mattina si rimette in carreggiata con lo studio. Ha una voglia matta di andare al College e io di certo non posso impedirle di non mandarla l’anno prossimo, quando John potrà stare con una baby-sitter. Per fortuna i soldi in entrambe le nostre famiglie non mancano e tutti e due ci possiamo permettere di avere un figlio e continuare a studiare.

Quindi quando io ritorno a casa, mi devo accontentare di poche e semplici coccole sul letto. Qualche bacio e due carezze. Nulla di più. Perché alla fine sia io che Elena crolliamo nel letto abbracciati. A volte ci risvegliamo riposati e pronti per affrontare la giornata. Altre volte John piange la notte e non accenna a riaddormentarsi e tutto diventa un po’ faticoso il giorno dopo.

-No Jane, questo è il momento in cui Eliza Doolittle inizia a migliorare il suo modo di parlare. Per questo nella canzone devi cantare con una pronuncia inglese perfetta. Non voglio nessuna A pronunciata in E. Non mangiarti le vocali alla fine di ogni parola, per favore e…

-Sì, sì, sì. Damon nel mio programma di recitazione era previsto anche un corso di dizione, non ho bisogno che tu mi spieghi la differenza tra la O aperta e la O chiusa.

Ignoro l’aria da snob dell’attrice protagonista, maledicendomi mentalmente per non essere riuscito a trovare una che somigli almeno lontanamente al fascino di Audrey Hepburn. Ma la migliore è Jane e lei lo sa più che bene. Inoltre era l’unica che sembrava veramente entusiasta a voler partecipare ad un progetto del genere: il consiglio di docenti ha imposto di mettere in scena My Fair Lady* in chiave moderna. Così da mettere in difficoltà sia gli attori, sia  i due sceneggiatori, che me stesso, cioè il regista.

-Damon ascoltami, io e Sean abbiamo dei problemi con la scena della corsa dei cavalli. Non ti sembra un po’ troppo antiquato come evento della mondanità. Al giorno d’oggi le signore non vanno ad assistere alle corse. Forse un ricevimento pomeridiano dell’élite londinese può andare meglio.

Mi sussurra Jennifer, una dei due sceneggiatori, mentre i tre attori sul palco cantano “La rana in Spagna gracida in campagna.”  Jane può pure essere un’ottima attrice, ma deve migliorare il suo canto. Fa ancora un po’ pena.

-Jen, adesso sono troppo stanco per decidere cosa va meglio per lo spettacolo. Credo che stanotte sognerò Rex Harrison che balla con Audrey Hepburn sul divano del salotto del professor Higgins.

Prendiamoci un weekend di pausa e lunedì mattina mettiamo a punto questa scena. Adesso vorrei solo andare a casa e dormire.

Intanto la musica è finita e gli altri hanno smesso di cantare.

-Ok, ragazzi per oggi basta così. Riposateci e vediamoci lunedì. Ottimo lavoro.

Sento ogni membro del cast applaudire e pian piano la gente se ne va. Rimaniamo solo io e Jack, che si è offerto di fare l’aiutoregista.

-Va’ a casa, Damon. Rimango io a spegnere le luci e a chiudere il teatro.

Lo ascolto. Mi stiracchio sulla poltroncina rossa, esattamente uguale alle altre della platea e recupero la mia giacca di pelle. Con un cenno della mano saluto Jack e esco per dirigermi verso l’auto. Metto in moto e l’unica cosa che vorrei fare è ritornare al più presto dalla mia famiglia.

Dopo l’interminabile viaggio che mi sembra essere durato un’eternità, sono finalmente arrivato a casa di Elena. Sono le dieci passate ed oltre ad avere un gran sonno, ho anche una fame da lupo. Recupero dal mazzo la chiave della porta d’ingresso (Miranda me ne ha fatto fare una copia un paio di mesi fa) ed entro. A quest’ora mi aspetto di vedere sul divano Elena che mi aspetta e sua madre che le fa compagnia. È una specie di rituale che si è venuto a creare da tre settimane a questa parte. Quando ho incominciato ad organizzare lo spettacolo ed arrivo tardi. Loro due sono lì che mi aspettano un po’ assonnate, mentre Jeremy si fa sciogliere il cervello dalla X-box. Di solito è così, ma oggi è un po’ diverso.

Elena è seduta sul divano, ma oggi c’è solo lei. Be’, non è proprio sola. C’è John in braccio a lei e lui a quest’ora dovrebbe essere già a letto. Il bambino sta piangendo ed Elena lo stringe a sé cercando di coccolarlo o consolarlo, mentre lui urla “mamma”. Sembra terrorizzato. Sì, in quest’ultimo periodo ha imparato a dire anche questa parola.

-Che sta succedendo?

Domando un po’ preoccupato da quella situazione. È raro che Elena non riesca a calmare John.

-Non la smette di piangere. Forse gli stanno iniziando a crescere i dentini e gli fanno male. Spero solo che si addormenti stremato.

Mi accomodo accanto a lei, mentre noto Miranda che sta in cucina e pulisce il piano cottura. Provo a prenderlo in braccio e lui non oppone resistenza, ma continua lo stesso a piangere. Sento il suo visino che si appoggia nell’incavo del mio collo e una piacevole sensazione mi pervade, nonostante tutto. È così piccolo e vorrei fare di tutto per proteggerlo. L’unica cosa che posso fare adesso è circondarlo con le mie braccia e stringerlo a me, sussurrandogli di stare tranquillo. Non che lui capisca, ma in qualche modo spero che il suono della mia voce lo calmi. Per un po’ le urla si fanno meno forti, ma subito dopo
ricominciano proprio come prima.

-Hai fame?

Mi chiede Elena mentre si alza e si liscia i pantaloni.

-Da morire. Che c’è da mangiare?

-No abbiamo preparato niente. Ma ti ho ordinato un delizioso panino al tacchino dal Grill.

Quest’ultima frase la dice avvicinandosi a me e sussurrandomela all’orecchio sensuale. Ci dimentichiamo di tutto il resto… cavolo, da quanto tempo che non facciamo l’amore? Probabilmente da quando ho iniziato a lavorare per quello spettacolo.

-Sembra molto buono.

Le dico contro le labbra, mi sporgo per darle un bacio a stampo, che vorrei andasse oltre, ma nostro figlio ce lo impedisce.

-Te lo porto subito.

E a malincuore si allontana, andando verso la cucina per prendermi il panino. Quando ritorna, io cerco di prendere il panino, nonostante John, ma lei ritira la mano per  poi avvicinarmelo alla bocca. Sul serio? Vuole imboccarmi? Ma che cosa le è preso? Proprio mentre nostro figlio piange vuole giocare? Va bene, io ci sto, ma per adesso devo resistere. Non appena John si sarà addormentato le farò vedere io cosa vuol dire sedurre. Io sono il maestro della seduzione.

Tiro qualche morso dal panino e subito dopo ogni morso lei mi da un bacio. Pian piano  John si calma tra le mie braccia mentre Elena  gli accarezza la testa. Non si è addormentato però è bello poter stare un po’ con lui questa sera. Gli regalo qualche bacio che lo fa sorridere, così come fa sorridere me ed Elena.

-Si sta addormentando.

Mi dice.

-Mmh. Tra poco mi addormenterò anche io.

Ridiamo silenziosamente entrambi e lei si accoccola sula spalla opposta.

-Sei stanco?

Annuisco e mi volto per darle un altro bacio. A me però basta così. Forse è questo che fa l’amore. A me basta stare seduto su un divano con Elena mentre aspettiamo che nostro figlio si addormenti. Mi basta un suo bacio leggero sulle labbra e una carezza trai capelli. Un sorriso da parte di John e una sua risata divertita. Mi bastano semplici gesti, a volte per farmi stare bene. Mi bastano adesso, in questo esatto momento, mentre sento questo calore pervadermi.  

John ha chiuso gli occhi e io mi alzo per portarlo nel box, accanto al divano. Spengo un paio di luci e rendo l’atmosfera più buia per John e più romantica per me ed Elena.

Lei è lì che mi aspetta sul divano on quella felpa un po’ larga che mi ha rubato e che coprono i pantaloncini del suo pigiama. Gli altri, Miranda e Jeremy, intanto sono andati a dormire, ignorando gli occhi dolci che io e lei ci siamo fatti. Forse si sono un po’ abituati.

La bacio, questa volta come se non la baciassi da anni e mando automaticamente al diavolo il mio pensiero di prima. Sì, l’amore in certi momenti mi fa bastare dei semplici gesti, ma in altri non posso fare a meno di pensare di aver bisogno di Elena, in tutti i sensi.

Di poter guardare il suo volto, scrutarle gli occhi e leggere l’amore che prova per me. Vedo anche il cioccolato che dentro si scioglie per il piacere. Per quel calore che ci riscalda.  Non posso fare a meno di pensare alla sue mani, alla sua bocca, ai suoi capelli.

La mano destra blocca la sua sinistra sopra la testa, sul bracciolo, dopo averla fatta sdraiare. Quella sinistra si è già intrufolata sotto la felpa alla ricerca della sua pelle. Sale sempre di più e slaccia il reggiseno. Sento la consistenza della sua pelle, attraverso i polpastrelli. Scendo con la bocca sul suo collo, solleticandolo e vezzeggiandolo con la lingua. Mi godo un po’ l’odore della sua pelle. Percependo dapprima quello infantile di John, l’odore di latte e di borotalco mischiati insieme. Poi c’è il suo profumo originale che mi fa letteralmente impazzire, che mi manda in estasi, che mi fa rabbrividire e che mi fa sentire a casa. Il dolce profumo di Elena. La mia Elena.

Adesso ci sono tutti e due le mie mani sotto la felpa, vicinissime al bordo, che lentamente la portano via. Essa scompare e posso ammirare i suoi seni lasciati scoperti dal reggiseno abbassato. Dio, come è possibile che una ragazza possa mandarmi nel pallone con la sua bellezza? Scendo sulla bocca sui suoi seni e sento il suo respiro farsi sempre più cadenzato.

-Damon.

-Sì. Di’ il mio nome. Ti prego.

Amo lei. Amo la sua voce che sussurra il mio nome mentre facciamo l’amore. Quindi Elena, di’ il mio nome. Sussurralo, urlalo, fa’ il modo che risulti una dolce melodia alle mie orecchie. Il mio nome dalla tua bocca è la cosa più bella al mondo, Elena.

-Damon – dice un’altra volta, e questa risulta più come una supplica. – ti voglio.

Le tolgo i pantaloncini e poi le mutande. È nuda ed è sotto di me. Avvicino il mio bacino al suo e la sento tremare tra le mie braccia, mentre mi bacia ancora sorridente. Il suo sorriso luminoso!

Le sue mani tremano ancora e tentano di sfilarmi via la maglietta. La prova a tirare dal colletto, ma ci mette così verve che sta per strangolarmi. Alla fine decide di strapparmela di dosso letteralmente. Crea un enorme squarcio e si avventa sul mio petto soffermandosi su un punto in particolare. Io intanto, mi tolgo i pantaloni e sento la mia eccitazione essere costretta solo dai boxer.

-Ti voglio.

Mi ripete ancora e io non mi faccio ripetere un’altra volta la sua supplica. Mi tolgo i boxer e entro in lei. Il più dolcemente possibile e per un attimo, per un solo piccolo istante, il mondo si ferma. Non c’è nessun suono. I nostri respiri si bloccano e persino gli orologi sembrano fermarsi. Io sono fermo dentro di lei e chiudo gli occhi. Appoggio la fronte sulla sua e ogni nostro contatto sembra amplificarsi.

-Ti amo, lo sai?

Le chiedo quando finalmente riapro gli occhi. Una lacrima solitaria le esce e scende dal viso, lasciando una scia umida sulla sua guancia. Perché adesso sta piangendo? Le ho detto di amarla, non di volerla uccidere.

-Dio, ti amo così tanto anche io.

Soffia velocemente, prendendomi il viso tra le sue mani messe a coppa e baciandomi con una passione che raramente ho percepito. È quelle poche volte a cui ho assistito a questa passione, è stato con Elena. Sempre con Elena. Solo con Elena. Mi muovo dentro di lei e le sue mani scendono sul mio petto, poi ancora un po’ più giù e alla fine dietro la mia schiena, a scavare nella mie pelle con le sue unghie.
Fa un po’ male, il dolore c’è, ma non mi importa. Il piacere scavalca ogni cosa.

Quando raggiungiamo il culmine, mi accascio su di lei e inspiro profondamente ancora una volta quell’odore di lei, di noi, e mi stendo accanto, mettendomi di lato, facendo aderire il mio petto alla sua schiena. Solo adesso mi rendo conto che siamo nudi nel soggiorno di casa sua e c’è il rischio che sua madre scenda giù per prendere un bicchiere d’acqua e ci veda, qui, così.

-Dovremmo salire.

-Shhh. Non rovinare questo momento.

Mormora, voltando la testa verso di me e lasciando un bacio sull’angolo della mia bocca.

Giusto, non rovinare niente, Damon! Tu sei molto bravo a rovinare le cose belle della tua vita, perciò resta il dolce e amorevole ragazzo della tua fidanzata e sii un buon padre per tuo figlio. Tutti qui? Non devo fare nient’altro? Eppure mi sembra una lunga salita e difficile, anche.

No, non rovino questo momento e non voglio rovinare nemmeno la mia vita. Quella che ho adesso è bellissima. Ho un futuro con loro e non me lo voglio far scappare.

-Va bene.

Ma comunque dobbiamo andare nella nostra camera. Per questo mi alzo e la prendo tra le mie braccia, sollevandola e incamminandomi verso la nostra – sì, perché adesso è nostra – stanza. Lei ride, incastra la sua testa sul mio collo e si lascia cullare dai miei passi. La poso sul letto e la lascio da sola, giusto il tempo di andare a prendere John di sotto e metterlo nella sua culla.

-Domani è sabato. – Inizio a dirle, accogliendola tra le mie braccia. – Possiamo passare tutto il tempo insieme, finalmente.

-Possiamo uscire. Fare una passeggiatina nel parco. Domani è prevista una bella giornata. La possiamo passare fuori così anche John si diverte.

Ed è in questo istante che mi rendo conto che la mia vita sta scadendo nella banalità e nella normalità. Io che vado a “lavoro”, lei che aiuta sua madre e che si prende cura di nostro figlio. Io che ritorno e passo un po’ di tempo con loro per poi passare a fare l’amore. I weekend in famiglia. Stiamo davvero diventando così? Eppure non mi dà fastidio. Non mi dispiace. E se più di un anno fa, la mia vita era dedita al divertimento e al far incazzare mio padre in tutti i modi possibili. Adesso è tutto cambiato. Ma non dà fastidio. È una piacevole sensazione e non avrei mai immaginato che mi facesse così bene.

-Jen ti avevo detto che ne avremmo parlato lunedì.

Sono al telefono, mentre entriamo in casa di mio padre. Io, Elena e John siamo appena andati al piccolo parco di Mystic Falls e ci siamo goduti un po’ di pace e tranquillità. Se questa è la vita del genitore, allora mollo tutto e mi metto a fare il papà a tempo pieno. Soprattutto se considero il fatto che da quando sto dirigendo il musical, nessuno mi lascia in pace, nemmeno per due giorni di riposo.

“Lo so, Damon. Scusami. Scusami davvero tanto, ma non riesco a porre rimedio. Questa scena è difficile e credo di avere il blocco dello scrittore.”

-È la scena in cui Eliza si innamora di Higgins, devi solo metterci un po’ di sano romanticismo per rendere perfetta la storia e poi metà del lavoro è già fatto dalla canzone, quindi tu non devi preoccuparti di niente.

“Se lo dici tu.”

-Vedrai che andrà tutto bene. Tu butta giù qualcosa e lunedì mattina, prima che arrivino gli attori, supervisioniamo i dialoghi con Sean.

“A proposito di Sean… lui ha avuto un’idea geniale sul finale. Invece di…”

-Passa un buon weekend Jennifer.

La saluto velocemente e riattacco il telefono. Sono rimasto sullo stipite della porta, mentre tutti gli altri sono già entrati. John è sul tappeto di gomma al centro del salotto e cerca di gattonare verso un giocattolo di plastica tutto colorato di arancione che ha mio padre in mano, seduto sulla poltrona. Lo agita con le mani e sorride a mio figlio. Jeremy si è steso sul divano e sta giocando con il suo nuovo Smartphone e Miranda, Elena e Stefan stanno apparecchiando la tavola.

Osservo attentamente ciò che ho avanti e potrei andare così per tutto il giorno. È tutto così banale e ordinario…

I miei pensieri vengono interrotti dal campanello che suona. Visto che sono il più vicino alla porta, la vado ad aprire e davanti a me si presenta una ragazza.

(Elena)
Una ragazza entra in casa, aggirandosi timida. Giuseppe le va incontro e l’accoglie in casa e quando Stefan la nota, vedo il suo sguardo illuminarsi, anche se tenta di non farlo notare. Allora è lei Hayley. Me ne ha parlato circa una settimana fa, quando finalmente abbiamo messo fine alla nostra relazione… in pace.

Damon è fuori, non c’è. Questa faccenda del musical lo sta impegnando parecchio. Ritorna a casa stanco, ma io sono molto contenta per lui e anche io desidero e non vedo l’ora di provvedere al mio futuro. Voglio andare al college e voglio studiare, maledizione. Ecco perché sto ripassando un po’ dei vari programmi del liceo. Alle superiori andavo abbastanza bene e togliendo quest’anno sabbatico che mi sono presa per John, non vedo perché non dovrei ritornare a studiare. Di certo non mi metterò a fare la vita pazza che fanno gli universitari, soprattutto le matricole, sono una mamma responsabile, ma voglio fare qualcosa da grande e di certo non me ne starò con le  mani in mano, a pulire la casa, crescendo i figli miei e di Damon, mentre lui è fuori a organizzare chissà quale spettacolo in teatro.

Woah... un momento ho davvero detto figli… al plurale?

Non so se il mio subconscio stia tentando di dirmi qualcosa, ma devo ammettere, adesso che ci penso, che mi riscalda l’idea di avere una famiglia con Damon. E con famiglia non intendo solo John, ma uno o due marmocchi in più.

All’improvviso mi sono messa a programmare la mia intera vita. College, lavoro, famiglia. Questo non mi fa bene. Soprattutto mentre guido. Sto ritornando a casa Salvatore. Come abbiamo potuto ieri, io e Damon, aver dimenticato il preziosissimo giocattolo di John? Lui non riesce ormai a vivere senza e ieri, quando siamo venuti a trovare il nonno paterno, ce ne siamo completamente dimenticati. Per fortuna si è ricordato di quell’aggeggino che fa rumore quando lo muovi solo oggi pomeriggio.

Alla porta, chi mi apre è proprio Stefan.

-Ciao. Non sapevo che fossi rimasto a Mystic Falls.

-Sto finendo di prepararmi per un esame e sono più concentrato se resto qui.

Entro dentro casa. Quando ci siamo solo noi due, ci comportiamo ancora in maniera impacciata, come se ci conoscessimo per la prima volta. Il punto è che tra noi due le cose non sono esattamente andate bene nell’ultimo hanno e non abbiamo ancora avuto l’occasione di risolverle del tutto. Mentre tra lui è Damon la faccenda è stata diversa. Dopo la morte di Eléonore hanno parlato fra di loro e si sono chiariti. Invece, con me si è limitato a sopportarmi, non dicendomi mai cosa realmente pensa.

-Ho dimenticato il giocattolo di John. Ti dispiace se do un occhiata in giro?

-No, fa’ pure.

Mi aggiro nel soggiorno della casa alla ricerca dell’aggeggio apparentemente innocuo, ma alla fine si è rivelato avere dei poteri magici per mio figlio. Non lo trovo, dannazione! Sarà meglio cercarlo nella camera di Damon. E infatti, eccolo lì, nel lettone, sotto il mio cuscino. Deve essere finito lì sotto dopo i movimenti della notte.

Quando riscendo, Stefan è seduto sul divano e non si è ancora accorto della mia presenza.

-Pensi che potremmo mai essere veramente amici?

Gli chiedo all’improvviso e sentendomi coraggiosa. Sto per iniziare una conversazione molto dura, ma credo che sia a favore sia mio che suo, che di tutta la famiglia. Lui si gira e io mi avvicino lentamente a lui, appoggiandomi al tavolino dei liquori.

-Pensi che le cose tra di noi si potrebbero mai veramente aggiustare? Intendo tra me e te.

-Perché? Non abbiamo già risolto tutto? Pensavo fosse così.

-Sai che non è così. Noi… noi dobbiamo ancora parlare.

Si alza dal divano e si avvicina a me.

-Che cosa vuoi, Elena?

-Vorrei che fossimo amici.

-Noi siamo amici. Fidati, non c’è niente che non va. Io ti voglio ancora bene. Te ne vorrò sempre e devo ammettere che più passa il tempo, più quello che provavo o provo per te non è un amore vero. Non è un amore totalizzante, di quelli che ti spiazza. Credevo che fosse così, ma più osservo mio fratello e più mi rendo conto che lui ti ama come meriti di essere amata.

Sono dolci quelle parole, dolci come lo è la sua voce e penso di credergli.

-Quindi non mi odi più?

-Elena! – Mi ammonisce. –Io non ti ho mai odiato. C’è stato un po’ di risentimento, questo è vero, ma arrivare all’odio…

-Allora provi ancora del risentimento per me?

-No. Io… io ti voglio bene, Elena e… - Fa una piccola pausa. – Questo l’ho detto solo a mio padre, ma sto uscendo con un’altra ragazza in questo momento. Non è nulla di importante per adesso, ma lei è molto carina.

Davvero, Stefan non mi avrebbe mai fatta più felice in questo momento. Sta frequentando un’altra e, un po’ egoisticamente, devo ammettere di sentirmi meglio. Una parte di me, molto profonda, mi sta dicendo:
“Ok, Elena, anche questa è fatta. Un altro tassello della tua vita è andato al posto giusto.”


-Sono… sono contenta per te. Chi è? La conosco?

-No. L’ho conosciuta al college ed  è di Richmond. Si chiama Hayley.

-Allora Hayley, che cosa studi?

Le domanda Giuseppe, subito dopo aver bevuto un sorso di vino. Siamo tutti seduti a tavola e abbiamo quasi concluso il lungo pranzo. John, dopo aver mangiato, si è addormentato tra le mie braccia. Dovrei metterlo nel passeggino, ma la realtà è che non mi stanca tenerlo con me. Ad un certo punto si è anche offerto Damon di tenerlo in braccio per non farmi stancare. Ma so che anche per lui questa è una scusa. Vuole tenerlo in braccio tanto quanto me.

-Scienze della comunicazione. Vorrei diventare una giornalista televisiva.

Hayley è molto simpatica e Stefan al contrario di quello che mi ha detto, sembra che non abbia occhi se non per lei. Lo abbiamo notato tutti in famiglia e questo ci fa piacere, perché alla fine tutti i dissidi, tutte le liti… è stato tutto dimenticato.

(Qualche tempo più tardi.)
Mi trovo nell’accademia dove studia Damon con mia madre. Stasera è la sera dello spettacolo e sono molto curiosa di scoprire com’è il lavoro del io fidanzato. Sono stati i tre mesi più veloci della mia vita. John intanto è cresciuto ancora di più e ha imparato altre piccole paroline, ma le sue preferite restano sempre mamma e papà, anche se è particolarmente affezionato a Damon. Il bambino è rimasto a casa, con Bonnie, che ha dimostrato di essere un’ottima baby-sitter. Lui mi aspetta seduto in prima fila. È bello quando si veste così elegantemente. A quanto pare considerano questa cosa de saggio di fine anno piuttosto seriamente.

Mi fa accomodare accanto a lui, mentre mia madre raggiunge Stefan, Hayley e Giuseppe, seduti qualche fila più dietro. Prima dell’inizio dello spettacolo, lui scompare solo una volta dietro le quinte per controllare se è tutto apposto. Sembra molto teso, ma non si dimentica di chiedermi di continuo notizie su John.

-Ho appena chiamato Bonnie. Ha detto che si è addormentato venti minuti fa.

-Perfetto.

Sussurra poco prima che le luci si spengano. In quello stesso istante si sente suonare una specie di campanella che avvisa l’inizio dello spettacolo per tre volte e i sipari si aprono mostrando una bellissima scenografia. È una piazza.

Damon stringe la mia mano. So quanto sia importante per lui questo saggio. È la dimostrazione di quanto si sia impegnato. E non lo fa solo per gli esperti che sono venuti sia da Hollywood che da Broadway, ma lo fa anche per suo padre. Perché gli ha mentito negli ultimi tre anni e vuole dimostrarsi all’altezza di ciò che ha appreso.

Lascio scorrere davanti a me tutte le scene una dopo l’altra. Le canzoni, le parole. Lo spettacolo è bello e anche divertente in certe scene. Gli attori sono fenomenali, e solo il pensiero che gran parte del lavoro è stato di Damon, mi rende orgogliosa di lui. Mi volto un attimo per controllare come se la passano gli altri in terza fila. Sembrano molto rilassati. La testa di Hayley è appoggiata sulla spalla di Stefan, mia madre sembra felice, ma l’immagine più bella è quella di Giuseppe. Anche nel buio quasi totale riesco a scorgere il suo sorriso, pieno d’orgoglio e di felicità.

-Sta andando tutto bene.

Mormoro all’orecchio di Damon, prima di ritornare a seguire il musical.

Lo spettacolo finisce e tutti quelli che hanno partecipato alla realizzazione di esso salgono sul palco, soprattutto Damon che viene messo al centro dell’attenzione. Molti ancora applaudono.
Cerco di uscire dalla orda di gente che si è creata poiché tutti gli amici e i parenti degli attori si sono avvicinati al palco. Quando trovo un angolino più silenzioso, richiamo Bonnie per sapere se va tutto bene. L’ha raggiunta anche Caroline per non restare da sola.

Chiudo la chiamata e mi volto. Da lontano, in mezzo a tanta gente, vedo Damon che mi sorride.

(Damon)
Vedo in lontananza Elena che parla al telefono. Probabilmente per sapere se John sta bene. Quando si rigira io le sorrido. La serata è andata incredibilmente bene e io in questo momento vorrei averla al mio fianco per poi gridare davanti a tutta quella gente che lei è la mia donna e che la amo. La amo. La amo, accidenti. Anche lei ricambia il sorriso.
I nostri sguardi vengono interrotti dal signor Rossman che sta cercando di attirare la mia attenzione.

-Salvatore, questo è il signor Smith.

Mi presenta un uomo baffuto e pelato. È vestito di tutto punto e forse è il più elegante in sala.

-Davvero complimenti. – Mi dice. – Il riadattamento moderno è riuscito più che bene e io e un mio collega ci stavamo chiedendo se fosse interessato ad  uno spettacolo a Broadway. Dovremmo iniziare ad organizzarlo dopo l’estate. Lei sarebbe interessato?

Mi guarda sorridente, ma io non so veramente che fare. Da un lato sono felicissimo perché è davvero un’occasione lavorare già a Broadway, ma dall’altro lato questo mi spaventa.

Mi guardo attorno spaesato per cercare Elena. Lei è con Miranda e mio padre. Poi l’attenzione si focalizza su Miranda. Lei è Grayson si sono separati perché lui è volato a New York. Broadway è a New York.

Sono fottuto.
 




*My Fair Lady: Musical che debuttò a teatro nel 1956 e nel cinema nel 1964 e che ebbe come attrice protagonista Audrey Hepburn.
Note finali:
dovete perdonarmi, ma vi devo lasciare subito. Vi dico solo che questo è un capitolo di passaggio, come avete potuto notare no accade nulla di che, a parte l'arrivo di un nuovo personaggio che è quello di Hayley, e del nuovo piccolo (ma non tanto piccolo) problema di Damon. E adesso che si fa? 
Spero che voi possiate essere tanto pazienti da attendere il prossimo capitolo,

Mia.





 

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Capitolo 17
*** Segreto. ***


17.
Segreto.
(Damon)
Sono giorni che ripenso alla proposta che mi hanno offerto e ancora non ho preso una decisone. Una parte di me mi sta dicendo che dovrei andare perché è una grandissima opportunità e non me la dovrei lasciar scappare. Non ricapiterà mai più un’occasione come questa. Insomma, Broadway e New York sono la cosa migliore che potesse capitarmi, ma non quanto Elena e John.  Non ci sarà mai un altro signor Smith che mi verrà a proporre di fare l’aiutoregista per uno spettacolino e che da quello spettacolino potrei iniziare a fare carriera, facendomi conoscere sempre di più.

È vero, non ci sarà mai un altro signor Smith, ma non ci saranno mai più un’altra Elena e nemmeno un altro John. Il mio John. Dovrei allontanarmi da loro per tanto tempo, forse per mesi o per sempre. E che senso avrebbe allora? Stare senza di loro… io non riesco nemmeno a pensarci, dannazione!

Non riesco neanche a dormire la notte. Mi limito ad osservarli dormire e a cercare di prendere una decisione, così come sto facendo adesso. Semi seduto sul letto mentre Elena è accucciata contro di me. Si è rannicchiata e io qualche volta le accarezzo la testa, ancora indeciso sul da fare. E non le ho detto niente. Non le ho detto che ho ricevuto una proposta di lavoro molto interessante. Non l’ho detto a nessuno in verità.

Ai piedi del letto c’è il box di John e all’improvviso noto che la retina bianca di sta muovendo. Lentamente, facendo attenzione che Elena non si svegli, mi avvicino e vedo che il bambino si è svegliato e tenta di gattonare sul materassino. Non sta piangendo, in effetti, si è solamente svegliato alle cinque di mattino ed è stato fortunato, visto che anche io sono sveglio.

-Ciao, campione!

Sussurro, prendendolo in braccio. Credo che sia meglio uscire per non svegliare Elena. Quando siamo giù mi siedo sul divano e lo guardo negli occhi. Per quanto lui capisca quello che provo io. Gli sorrido, perché quando guardi un bambino, non puoi fare a meno di sorridere e ti accorgi di essere speciale, se quel bambino è capace di ricambiare quel sorriso per te. Allora io come posso lasciarlo a Mystic Falls?
È vero, c’è anche la possibilità di portarli con me. Dovrei parlarne con Elena, ma se lei non se ne volesse andare? E se comunque mi chiedesse di andarmene e di sfruttare al massimo quest’occasione? Non voglio andare perché costretto da lei, mi piacerebbe andare a New York con lei, con lui.

-Cosa devo fare, John?

Gli chiedo con la speranza che lui mi dica qualcosa. Con un gesto, una risata, un indizio. Qualsiasi cosa. L’unica cosa che fa è stringere le braccia attorno al mio collo in un specie di abbraccio. In questo momento mi rendo conto di una cosa.

Il calore di questo abbraccio mi fa terribilmente bene e non voglio rinunciare alla normalità che solo John ed Elena mi sanno dare. Non lo farò mai. Per questo, qualsiasi decisione prenderò, loro due staranno con me. Rinuncerò, forse, a New York.

(Elena)
Mi risveglio e mi accorgo che nella stanza sono sola. Il posto accanto a me nel letto è vuoto e lo è anche il box di John. Questa momentanea solitudine mi permetta finalmente di pensare.

Non avrei mai creduto a quello che mi ha fatto papà, ma lo ha... be’, fatto. Ieri sera mi ha chiamato dicendomi che aveva letto la mia domanda di ammissione per il college e mi ha detto che era veramente ottima, per questo oltre ad averla mandata al Withmore, ne ha fatto un’altra copia e l’ha mandata alla Columbia.

-Ti hanno preso in entrambe, Elena. – Mi ha detto infine, ieri sera al telefono. – Adesso non rimane che scegliere, ma se vuoi il mio parere, la Columbia è la tua migliore opportunità. Ti garantisce un futuro migliore e non sarai limitata, come lo saresti in Virginia.

-Non lo so, papà. New York? Io ci devo pensare bene. Dovrei dirlo alla mamma e soprattutto a Damon, poi c’è John. Un trasferimento del genere può essere molto stressante.

-Va bene tu pensaci, ma tieni conto che entro la fine del mese dovrai dare la risposta e registrarti. Poi sarà troppo tardi. E tieni conto che per i primi tempi potresti venire a vivere da me, nel mio appartamento. In realtà, potreste tutti e tre. Tu, Damon e John.

Non mi sembra vero. Ho una buona occasione questa volta. E potrei accettare. Potrei andare a New York e studiare. Potrei andarci con Damon e… ma lui dovrebbe rinunciare alla sua famiglia. Al padre e al fratello appena ritrovati. Come potrei mai fargli una cosa del genere? E a mia madre che dico? Ehi, mamma scusa, ma vado a New York da papà. Rimarrete solo tu e Jeremy, qui.

No, sento che andrebbe tutto a rotoli se solo provassi a dirlo. Damon non deve sapere, perché se sapesse mi direbbe di accettare. Mi direbbe di fare la cosa migliore per me. Ma siamo una famiglia, accidenti. Siamo terribilmente giovani ed è troppo presto per formare una famiglia per una ragazza di circa diciannove anni, ma ormai siamo qui. Damon e John sono la mia famiglia e io devo pensare alla cosa migliore per la mia famiglia. Non so se New York sarebbe un bene per loro. Non lo so ancora e io non ci capisco più niente. 

Mugolo indispettita dai raggi del sole che mi colpiscono dritti sul viso e nascondo la testa sotto il mio cuscino, cercando di scacciare via tutti i miei pensieri e le mie preoccupazioni, ma ciò non avviene, perché ovviamente, per il troppo sonno, non mi sono accorta di aver preso il cuscino di Damon e questo mi fa pensare ancora a lui e a come la prederà quando glielo dirò… o quando lo scoprirà.

Continuò, però, a respirare a fondo il suo profumo, che allo stesso tempo mi tranquillizza.

-Ehi tu.

Sento la mano di Damon, che è appena entrato, accarezzarmi la schiena e non nego che anche in questo momento un brivido viaggia lungo la mia spina dorsale.

-Mmh.

-Elenaaa.

-Mamma.

C’è anche John che è sveglio e probabilmente è in braccio a Damon. Mi toglie in cuscino da addosso e subito dopo sento il faccino di mio figlio accanto al mio. La sua pelle morbida è a contatto con la mia e sento anche i suoi versetti divertiti. Socchiudo gli occhi e mi ritrovo davanti il suo sorriso.

-Buongiorno, amore mio.

Dico teneramente dandogli un bacino. Damon lo tiene fermo per non farlo cadere a terra, mentre io lo continuo a baciare e a farlo ridere. Mi metto seduta e lo prendo in braccio, facendolo sedere sulle mie gambe. Anche Damon si avvicina e finalmente mi bacia, lo fa dolcemente, come ogni mattina. Con un sorriso che illumina più del sole e riscalda più del fuoco.

-Buongiorno anche a te.

Si siede accanto a me, dal suo lato del letto ed è arrivato, uno di quei magici momenti. Uno di quei momenti in cui io e lui ci mettiamo ad osservarlo e rimaniamo rapiti da ogni cosa che fa. Ogni movimento, ogni sorriso, ogni dentino in più. C’è sempre un particolare diverso che riusciamo a cogliere. Quando sorride, arriccia teneramente il naso. Quando si accorge che nessuno gli va dietro, si lamenta perché vuole stare al centro dell’attenzione. È uno di quei momenti in cui mi sento in una bolla di sapone e mi bastano solo loro due. Non c’è nessun altro che vorrei avere accanto a me, se non Damon.

Damon che si sdraia e si stiracchia e sotto la sua maglia grigia tutti i muscoli sono ben visibili. Damon che mi costringe ad appoggiarmi su di lui e io respiro il suo profumo. Damon che riesce ad avvicinare ancora di più John che giocherella con la sua piccola maracas celeste, facendo rumore. Damon che mi bacia. Damon che con i suoi occhi si mette ad adorare nostro figlio. Damon che mi sembra abbia qualcosa di strano. Perché Damon oggi è affettuoso, ma non proprio come sempre.

-Va tutto bene?

Annuisce, ma sembra ancora assorto nei suoi pensieri e questa volta non mi permette di entrare. Mi stringe tra le sue braccia e non mi permette di guardarlo negli occhi. Non mi lascia guardarlo. Non mi lascia capirlo. Mi preoccupo perché Damon non è così. Damon quando ha qualcosa che non va si arrabbia, butta all’aria tutto quello che c’è intorno a lui e poi se ne va. Potrebbe sparire per ore, ecco perché ci sono io a riportarlo indietro. Ecco perché ci sono anche i suoi famigliari.

No, non va tutto bene. C’è qualcosa che lo tormenta, che lo rende cupo e pensieroso. Però decido di lasciarlo un po’ in pace. Magari deciderà da solo dirmi che cos’ha…

-Mamma.

John stringe trai alcuni suoi dentini un lembo del mio pigiama. Sorrido nel vederlo sorridere e lui gioisce quando gli faccio le pernacchie sulla pancia. Ridacchia ancora e quella bolla che ha eliminato via i cattivi pensieri rimane ancora.

-Che dici, andiamo a fare un bel bagnetto, John?

Lui, non capendo una parola, continua ad agitare la sua piccola maracas e poi viene distratto da Damon che si solleva e lo prende ancora una volta in braccio. Si alza dal letto e mi porge una mano. Ho già detto che è strano questa mattina? È silenzioso ed è riservato. Mi guarda a malapena negli occhi e non parla per dirmi che cos’ha. Non ha il coraggio di parlare e io non ho il coraggio di chiedergli nulla. Forse perché in parte so che qualsiasi argomento affronteremo, poi io arriverò a dirgli la verità e lui la sua, qualunque essa sia.

Perciò evitiamo entrambi di parlare, ci lasciamo degli sguardi fugaci e dei baci, ma parliamo poco. Eppure non sento angoscia, non c’è pesantezza tra di noi. In alcuni momenti penso che non c’è nulla che non va perché sembra così. Sento ancora tanto amore tra di noi. È tutto un po’ strano e non capisco il perché.

Non capisco questo silenzio, non capisco che succede. E tutto passa in fretta. La mattinata scorre veloce e poi Damon esce di casa. Dice che deve incontrarsi con Alaric e io non replico. Non mi lamento e non gli dico che vorrei passare un po’ di tempo con lui e con John. Rimango a casa con mia madre e Jeremy e mi prendo cura del bambino. Lo faccio giocare sul tappetino di polistirolo, lo attiro verso di me per farlo muovere e gattonare. Sono felice con mio figlio. E pensare che un anno fa non avrei mai immaginato che sarebbe stato proprio lui a farmi sentire così bene…

Ignoro le occhiatacce che gli altri ragazzi mi stanno lanciando in questo momento. Sono una che si sta andando a diplomare con il  pancione, che c’è di male? Ho la toga rossa e per giunta ne ho dovuta prenotare una extra large a causa di mio figlio. Quante cose cambieranno d’ora in poi?

Siamo seduti mentre il preside fa il suo solito discorso e continuo a sentirmi addosso le occhiate non solo dei miei compagni di scuola, ma anche dei loro genitori e delle loro nonne. Le vecchiacce di Mystic Falls. Un gruppo di bisbetiche sempre pronte a criticare il comportamento dei giovani. Be’… ho dato pane per i loro denti. Una ragazza di circa di diciotto anni, con un futuro davanti a sé, che è rimasta incinta. Sarò per loro la sgualdrinella del paese e per fortuna nessuno sa ancora di Damon, altrimenti potrei passare l’inferno.

Nessuno sa ancora di Damon, ma credo che presto tutti sapranno. Non prima dell’estate perlomeno. Damon sta partendo con Alaric ed Enzo. Nessun problema è una sua scelta e io non ho nessuna voce in capitolo, ma qualcosa in me si sta chiedendo cosa farò io in questi mesi estivi senza di lui.

Senza rendermene conto, io e Damon ci siamo avvicinati. Lui c’è stato nei momenti più difficili e nei momenti più emozionanti della gravidanza e io glielo ho permesso. Ecografie, malori, crisi isteriche… in qualche modo quando avevo bisogno di qualcuno, mi ritrovavo davanti un paio di occhi celesti che mi guardavano preoccupati e un paio di mani pronte a sorreggermi.

Damon ha detto che avrebbe considerato questo bambino come sue figlio, cosa vera per giunta, ma questo lo sappiamo solo io e mia madre. Tutti gli altri sanno che è di Stefan. Come potrebbero pensare il contrario? Nessuno sa quello che è successo tra me e Damon. È un segreto mio e suo e ci siamo ritrovati a condividere alcuni momenti, non proprio intimi, ma particolari, soprattutto speciali.

La cerimonia va avanti. Stefan è al mio fianco e mi tiene per mano e qualche volta si gira per sorridermi e per accarezzarmi il pancione che sta diventando sempre più grande.

Il preside inizia a fare i nomi di ognuno di noi e quando arriva il mio turno sono costretta a salire sul soppalco e raggiungere la lunga fila di professori. Mi sento al centro dell’attenzione. Fino a sei mesi fa non avrei protestato, mi sarei sentita meglio e soprattutto felice. Adesso l’aria è pregna dei chiacchiericci della gente che continua ad osservare la mia pancia. Sorrido comunque e stringo la mano al preside che mi ha consegnato il certificato di diploma.

Sapete che c’è? Non mi importa degli altri e di ciò che pensano. Guardo il pubblico a testa alta, ma questo si svela il mio ennesimo errore. Perché infondo, dietro i posti del campo da football, appoggiato a uno dei pali d’acciaio, c’è Damon. Nascosto da tutti per tutto questo tempo. Sarà uscito fuori proprio adesso e potrei giurarci, adesso che mi sono accorta della sua presenza, lui abbia tirato fuori il suo magico sorriso storto.

Abbasso lo sguardo e abbozzo un sorriso diverso da quello di prima. È particolare ed è intimo. Non lo nota nessuno. Damon è lì per me, lo sento, anche se mi rende confusa.

Quando finisce, mi dileguo dagli amici e dai parenti per qualche attimo. La calca, le voci, il chiasso, mi rendono stanca e allora mi vado a riparare sotto le scale, togliendomi le scarpe e sedendomi sull’erba fresca.

-Lo sai che dopo ci vorrà una gru per sollevarti da terra? – Damon mi si avvicina e si siede accanto a me. – Congratulazioni per il diploma, piccola.

-Simpatico Salvatore. Grazie, comunque. Finalmente posso riposarmi. Con il bambino non potrà andare subito al college. Come minimo mi prenderò un anno di pausa dallo studio, poi si vedrà.

-Stai bene?

Mi chiede sorridente e il suo sguardo è sorprendentemente illuminato e non è il sole di fine primavera a renderli così. È lui stesso. È la sua luce.

-Sto bene.

-E il mio nipotino come sta?

Si piega in avanti e dà un bacio sul mio pancione. Ormai mi sono abituata a questi gesti pieni d’attenzione. Sono inopportuni, soprattutto se ci sono un centinaio di persone non molto lontane da qui. Questa cosa non la fa nemmeno Stefan. Un gesto propriamente suo. Di Damon e forse (sottolineo forse) sarebbe strano se lo facesse qualcun altro.

-Sta bene anche lui. Si è mosso un paio di volte dalla visita dalla ginecologa.

E come a evocare quel ricordo, non appena Damon posa un altro bacio, lui si muove. Entrambi sorridiamo.

-Ciao campione. – No Damon, non farlo. Non metterti a parlare con lui. Così renderai tutto più difficile. Come faccio a nasconderti la verità? Ti ho detto che il padre è Stefan proprio per impedirti di comportarti in questo modo e tu, non fai altro che comportarti ancora in questo modo. Non farlo, ti prego. – Sono tuo zio. In realtà ne avrai un altro, di zio, ma io sarò quello più figo. Quello che ti insegnerà a giocare a football e ti insegnerà a rimorchiare le ragazze quando sarai più grande. Solo che quando verrà il momento, ti dirò anche quali saranno i metodi migliori per evitare di mettere incinta una donna.

-Ehi! – Gli tiro uno schiaffetto sulla spalla. – Non sei affatto divertente.

Mi fa la linguaccia e si rialza. La sua espressione si fa più seria e il suo viso si alza all’altezza del mio.

-Sono venuto per salutarti. Domani mattina parto con Alaric ed Enzo… ma questo lo sapevi già. Mancavi solo tu. Gli altri li ho salutati già.

-Oh. – Lo abbraccio. – Allora, ciao.

-Ciao.

Ricambia il mio abbraccio, solo che quando ci sciogliamo, lui mi impedisce di staccarmi completamente da lui. Lo sapete perché? Perché mi bacia. Un semplice contatto. Labbra contro labbra. Dura solo un secondo. Ma c’è. È un bacio in piena regola. Non va oltre e finisce subito. Si stacca con la stessa velocità con cui si è avvicinato. Non mi ha dato il tempo di pensarci. Il bastardo, idiota senza cervello.

-Ma che…

-Scusami. Io volevo capire cosa provavo. Cosa provo.

-Che cosa provi?

-Non lo so ancora.

-Non vorrai ribaciarmi.

-No, sarebbe troppo.

Mi accarezza la guancia e mi saluta, dicendomi di provare a dimenticare gli ultimi due minuti. Ma come posso dimenticarlo? Mi ha baciato. Cavolo, Damon mi ha baciato! Non lo faceva da quella volta. Da quella sera. E mentre se ne va, mentre lo vedo allontanarsi, dentro di me sorge la stessa domanda che si sta ponendo lui. Che cosa provo?

Accarezzo il ventre e sento un’altra volta il bambino muoversi. Quanti problemi mi stai causando?

Adesso, invece, è tutto il contrario. Questo piccolo, piccolissimo, scricciolo è il toccasana per ogni mio problema. Sì John, mi hai causato tanti tantissimi problemi, ma cosa farei adesso senza di te? Tu sei la mia vita, John.

-Ti sei incantata.

È la voce di Jeremy questa. Si siede accanto a me, sul tappetino di plastica. Mi viene in mente quella foto che c’è sulla mensola del camino. Io e Jeremy che giochiamo con dei pupazzi e siamo incuranti della macchina fotografica tenuta da mio padre.

-Stavo solo pensando.

-Problemi in paradiso?

-Quando il nostro è stato un paradiso?

-Hai ragione. Facciamo schifo come famiglia… quindi con Damon va tutto bene?

-Sì. No. Non lo so. – Gli confesso confusa. – Sento che c’è qualcosa che non mi dice.

-Stamattina papà ha chiamato la mamma. – Mi avverte. Io sollevo lo sguardo verso di lui e lo guardo sorpresa. – Le ha parlato della tua opportunità alla Columbia. Dovete parlare, altrimenti non andrete avanti.

Devo parlare. Devo dire a Damon dell’opportunità che ho. Non dovrei rinunciarci, alla Columbia.

-Non puoi rinunciare alla Columbia, Elena.

Mia madre interrompe i miei  pensieri, ripetendoli ad alta voce. Adesso anche lei vuole che io vada a New York? Ma io pensavo che lei…

-Tu vuoi che io…

-Certo tesoro. Per te e Jeremy ho sempre voluto il massimo e so benissimo che le migliori università sono lontane da Mystic Falls. Non ho accettato il trasferimento di vostro padre perché gran parte della sua vita lui l’ha vissuta qui. Qui c’erano i suoi amici, i suoi parenti, la sua famiglia. Era tutto a Mystic Falls, ma ha preferito abbandonare quello che ha costruito, per una semplice promozione. Tu, invece hai ancora tanti anni d’avanti a te. Hai un’opportunità che non puoi lasciarti scappare e non preoccuparti per me e per tuo fratello. Ce la caveremo.

Le sorrido, ma non è così semplice come dice lei. Ci sono altre cose, altre persone che mi tengono ancorata a questa città. C’è Damon che non so ancora cosa penserà di questa faccenda. E insieme a Damon c’è John. Se vado andassi a New York, lui verrebbe con me, ma se Damon decidesse di rimanere, anche in questo caso nostro figlio dovrebbe rimanere.

-Stai pensando a Damon, non è vero? – Mi chiede mia madre. Io annuisco. – Secondo me ti stai facendo troppi problemi. Vedrai, amore mio, che Damon sarà contento di quello che ti sta capitando.

Parlatene. Decidetelo insieme il vostro futuro. Non rimanere chiusa in te stessa senza dirgli niente. Poi te ne pentirai.

-E poi te lo immagini, Damon rinchiuso a vita a Mystic Falls? Per quello che vuole fare lui, questa città è troppo piccola. A New York avrà sicuramente qualche opportunità pure lui. La mamma a ragione, vagli a parlare.

Ci penso su per qualche minuto. Forse loro hanno ragione, forse l’unica cosa che devo fare e dirglielo. Almeno mi sentirei meglio e non proverei questa sottospecie di senso di colpa che mi attanaglia. Al diavolo, Elena. Vagli a dire la verità! Basta segreti, basta bugie. Quante volte dovrai sbagliare prima di imparare che va detto tutto e subito. Con John mi è andata bene, ma non posso continuare a vita a ripetere gli stessi errori. Non voglio più farli. E poi cosa può accadermi di male? Se Damon accetta è un bene. Partiremo tutti e tre per New York. Se non accetterà, non fa niente. Andrò al Whitmore e chissenefrega dell’università prestigiosa. Ma almeno una volta devo provarci.

Lascio John a Jeremy e a mia madre ed esco subito di casa. So che Damon si sarebbe dovuto incontrare con Alaric al Grill e so che finiranno per farsi una bevuta delle loro. infatti, quando arrivo, li vedo seduti al bancone e sembra che parlino di un argomento abbastanza serio, a giudicare dalle loro facce.

Mi avvicino a loro, che non si sono accorti della mia presenza, e credo che sia meglio così. Altrimenti non avrei mai scoperto una cosa.

-Non lo so , New York? Come faccio con Elena e John?

-Amico questa è un’occasione d’oro, non puoi rinunciarci.

-Qualche occasione d’oro?

Gli chiedo sorpresa.

(Damon)
Sono venuto al Grill con Alaric perché sentivo proprio il bisogno di sfogarmi, di dire ad almeno una persona cosa è successo. Chi di meglio del mio migliore amico? Ma, come previsto, il biondino accanto a me, si è messo a fare il filosofo e non ha fatto altro che dirmi che è molto importante per il mio lavoro andare a New York e che non posso fare nessun altro lavoro se non quello che mi piace. Perché fai un lavoro che ti piace e non dovrai lavorare mai. No, non era così. Sì, vabbè… chi se ne frega.

-Amico questa è un’occasione d’oro, non puoi rinunciarci.

Ed ecco che ci risiamo con l’ennesima frase per invogliarmi a fare la cosa giusta. Che poi sarebbe la cosa giusta solo per me. Non saprei se sarebbe la cosa giusta per gli altri. Ora come ora non so niente.

-Qualche occasione d’oro?

Sento questa voce famigliare e per un attimo chiudo gli occhi, con la speranza di essermi immaginato tutto, perché non ci può essere dietro di me proprio lei ad aver sentito l’ultimo squarcio di conversazione. Invece è proprio Elena.

Qualche occasione d’oro?

Nulla di che, piccola. Io e Ric abbiamo ricevuto un premio qui al Grill come migliori clienti dell’anno e stavamo valutando se ordinare dell’ottimo Bourbon gratis o fare il papà responsabile che non si ubriaca mai.

-Damon cos’è questa storia di New York?

Mi richiede. Cazzo, ha sentito pure questo! Adesso non ho proprio scampo. Allora mi alzo e mi posiziono difronte a lei. Faccio la faccia da cucciolo? No, Damon, niente sotterfugi. Affronta la tua donna che per qualche sconosciuta ragione è uscita di casa con un paio di pantaloni sgualciti e con la tua felpa grigia. Non è minimamente truccata e non si è nemmeno sciolta la crocchia disordinata che ha in testa.

-Ecco… io … - Dio, non ho pensato alle parole da dirle, come faccio adesso? – Mi hanno chiesto di lavorare come aiutoregista ad uno spettacolo di Broadway.

Osservo ogni lineamento del suo viso tramutarsi in diverse espressioni. Prima stupore, poi gioia e infine incredulità.

-Da quanto tempo sai questa cosa?

-Dal giorno dello spettacolo.

-E me lo dici solo adesso? Dio… - adesso si arrabbierà, lo so. – Siamo due completi idioti.

Dice invece, sorprendendomi. Mi sorprende anche quel suo gettarsi su di me il secondo dopo e baciarmi con foga. Sì, sono sorpreso. Sono troppo sorpreso di questa reazione. A giudicare da questo comportamento, Elena è felice! Perché è felice? Le ho tenuta nascosta una cosa molto importante. 

Quando si stacca da me, ha un sorriso che le illumina il mondo e non c’è niente di più bello, se non lei.

-Non sei arrabbiata?

-Certo che no. Ero venuta qui proprio per dirti che sono stata ammessa alla Columbia.

Un momento. Anche la Columbia è a New York. Vi prego qualcuno mi dica che è uno scherzo perché è impossibile. New York. Tutti e due andremo a New York.

Mi fiondo sulle sue labbra. Questa volta assaporo lentamente ogni particolare del suo sapore. La sollevo in braccio e la sento ridacchiare sulle mie labbra, guadagnandoci le occhiatacce degli altri clienti.

-Quindi si parte? – mi fa lei con il fiato corto. – New York?

-Sì, New York.

Sì, si parte. Cavolo glielo dovevo dire subito e così non mi sarei fatto tutti quei problemi. Avrei dovuto dirglielo subito. Abbiamo tutti e due l’opportunità di andare a New York e credo che questa sia stata la coincidenza più bella di tutta la mia vita.

New York, Elena. New York.

New York, lei, io e nostro figlio.

Una nuova vita, un nuovo futuro. Possiamo ricominciare da capo e dimenticarci dei casini che abbiamo fatto qui, a Mystic Falls. Possiamo costruire tutto quello che abbiamo sempre desiderato, possiamo essere chi vogliamo essere. Insieme, a New York.

-Sarà difficile, però. Ripartire da zero, intendo.

-Lo faremo insieme. Ti prometto che andrà tutto bene.

-Va bene piccioncini, ma adesso toglietevi davanti ai miei occhi che mi state facendo venire il diabete!

La magia viene interrotta da Ric che ha assistito, come penso tutti quanti i presenti, alla scena. Si rigira fintamente disgustato per riprendere a bere il suo bicchiere di liquore mentre io ed Elena ce ne andiamo.

Cavolo. New York!

(qualche settimana dopo)
È tutto pronto. La mia valigia e quella di Elena sono state sistemate nel bagagliaio, il passeggino è bloccato sui sedili posteriori ed io e lei siamo pronti a partire. Non ci stiamo ancora trasferendo. Andremo a New York per una settimana lei per imparare ad orientarsi nella sua università e io per firmare il contratto di lavoro con la compagnia teatrale. È una compagnia piccola, ma ho fatto qualche ricerca e gli attori che ne fanno parte sembrano essere molto bravi e promettenti. Quindi li vado a conoscere. John viene con noi, perché una settimana lontani sarebbe troppo. Sia per lui che per Elena e me. Soprattutto per me.

Elena mi porge John tra le braccia, dopo che ho salutato tutti. Stefan è ritornato stamattina presto al college e ieri sera ci siamo concessi una cena con mio padre solo noi tre. È stato bello ed è stato sorprendentemente rilassante. Questa mattina invece tocca alla mia ragazza salutare i suoi famigliari, anche se comunque andremo a vivere a casa di Grayson per i primi tempi.
Allaccio John nel passeggino e gli faccio una pernacchia sulla guancia per farlo sorridere. Sarà un lungo viaggio e lui sicuramente si annoierà, intrappolato nella complicata rete di cinture di sicurezza. Sinceramente non so nemmeno come sono riuscito a far mettere tutto al posto giusto.

Vedo Elena abbracciare Jeremy e Miranda e alla fine lo faccio anche io. Saluto quella donna che può essere considerata come una seconda madre per me. E anche quel fratello acquisito un po’ rompiscatole. Accidenti! Mi sono affezionato troppo a loro.

Partiamo. Partiamo per New York.






 
Note finali:
buonasera a tutti voi, cari lettori. Vi saluto con questo capitolo conclusivo. Sì, avete capito bene. È l’ultimo capitolo e se per caso la storia vi sembra incompleta, non preoccupatevi perché ci sarà un Epilogo e spero che quello sarà appagante.
Mi rendo conto se questo capitolo abbia fatto un po’ schifo, ma in realtà mi sono resa conto che dedicare tipo anche due capitoli al problema Damon e New York sarebbe stato abbastanza noioso. Ecco perché Elena va alla Columbia. Ecco perché vivranno a New York costruendo una nuova vita. Ma per chiudere completamente la storia ho pensato di inserire un flashback per rievocare i cari vecchi drammi della prima parte della storia e sbuca fuori di un bacio di cui non ho mai parlato. È un bacio veloce, un bacio che Damon chiede di dimenticare e in un certo senso così è stato fatto.
Spero che il capitolo non sia stato noioso.
Perdonatemi per non aver risposto alle recensioni dello scorso capitolo ed è per questo che vi ringrazio adesso.
Davvero, grazie. Grazie a tutti voi che avete letto la mia storia.
Grazie a chi la recensita, grazie a chi l’ha messa tra le preferite, chi tra le seguite e chi tra quelle da ricordare. Grazie di cuore.

Un bacio enorme,
la vostra Mia.

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Capitolo 18
*** Epilogo - Futuro. ***


18.
Epilogo
  Futuro.


 
(Damon-Sei anni dopo)
È fatta. Finalmente le prove generali del mio primo spettacolo sono concluse. Il mio primo spettacolo. Non ci posso ancora credere! Sì, va bene, non è nulla di che, ma è comunque il mio primo spettacolo a Broadway. Dopo aver lavorato come un mulo per sei anni, se tra due giorni tutto andrà bene, un po’ di meriti andranno finalmente a me.

-Ok, ragazzi siete stati grandi. Mi raccomando per dopodomani, vi voglio carichi. Andatevi a riposare.

Tutta la crew applaude entusiasta e carica di aspettative come lo sono io.

-Papà?

Mi volto verso John. Oggi voleva stare con me e quindi dopo l’asilo sono andato a prenderlo e l’ho portato nel piccolo teatro dove facciamo le prove. Ha giocato per tutto il pomeriggio e alla fine si è stancato, addormentandosi. In fin dei conti sono le dieci di sera e a quest’ora dovrebbe stare nel suo letto.

Si stropiccia gli occhi con una sua mano e si accuccia sulla poltroncina rossa della platea, sotto il mio giubbotto di pelle per farlo riscaldare. Per un attimo mi è sembrato vedere Elena… o forse è Elena che sembra costantemente una bambina piccola. Ad ogni modo, nonostante fisicamente sia così simile a me, ha ereditato dalla sua mamma il carattere forte, ma allo stesso tempo tenace.

-Andiamo a casa dalla mamma?

Mi chiede con voce assonnata.

-Certo, campione.

Lo prendo in braccio e saluto gli altri, dicendo a Bob, l’inserviente, di chiudere tutto. John si appoggia sulla mia spalla, dormiente, e intanto io mi dirigo verso l’auto.

È incredibile il traffico che c’è a quest’ora!

Ritorno a casa mezz’ora più tardi e trovo nel nostro appartamento un’Elena inviperita perché non riesce a far addormentare la piccola Katherine. È lì, sul divano, con la classica felpa a ricoprirle ogni curva e con la bambina in mano.

Sì, sì, sì. So benissimo cosa state pensando. Io Elena abbiamo fatto un altro figlio, ma neanche lei è stata programmata. Elena è rimasta incinta subito dopo essersi laureata e per fortuna, negli ultimi mesi ha trovato un lavoro in un piccolo giornale. Inizierà dalla gavetta, ma a lei non importa. Vuole solo guadagnare qualcosa per la famiglia. E intanto è arrivata Katherine. Bellissima e così piccola. Uguale alla madre. Mi sono innamorato anche di lei. Come non avrei potuto? La bambina domani compirà un anno e tutta la famiglia arriverà a casa per festeggiare. La casa non è molto grande (dopo aver vissuto per tanto tempo nell’appartamento di Grayson, non ci siamo potuti permettere di più), ma siamo comunque in grado di accogliere un po’ di gente.

-Grazie al cielo siete tornati, aiutami ti prego!

Le do John e lei mi dà Kath.

-Ciao principessina. Cos’è, non riesci a dormire?

La bambina mi guarda con quei suoi occhioni color cioccolato e sorride nel vedermi. La coccolo un po’ e raggiungo Elena in camera di John. Lo sta mettendo a letto. Mi avvicino anche io e vedo che stanno giocando e ridendo. Meno male che prima aveva sonno!

-Ti sei divertito oggi con il papà?

-Sì! – Risponde lui, accucciandosi sotto le coperte. – Buonanotte, mamma. Posso dare un bacino a Katherine?

Io mi avvicino e mi piego in avanti per fargli dare un bacio alla sorellina. Lei si accorge delle attenzioni del fratello e si sporge verso di lui, abbracciandolo.

-Buonanotte anche a te papà. Ti voglio bene.

-Ti voglio bene anche io, campione.

John ride divertito dall’allegria della sorella che continua a giocare con la maglietta del suo pigiama e alla fine Katherine finisce con l’essere sdraiata accanto al fratellino. Io rimango accanto a loro, osservando ammirato tutti e due. Solo lo spettacolo più bello che io abbia mai visto, insieme ad Elena. Miracolosamente si addormentano insieme. Dovrei dire anche per fortuna visto che la piccola a volte tende ad addormentarsi tardi.

Adesso è arrivato il momento mio e di Elena. Questo è l’unico momento della giornata in cui siamo veramente soli, senza marmocchi che ti tormentano e senza lavoro a cui pensare. Dopo aver messo anche Katherine a letto, faccio scattare il nostro solito rituale: noi, sul letto con un bicchiere di vino rosso in mano, prima di fare l’amore. Forse qualche volta è anche più di un bicchiere. Finiamo per essere un po’ brilli e ridiamo silenziosamente a delle cavolate che ci diciamo. Poi le risate smettono e iniziamo a baciarci. Passa tutto velocemente. Sono passati sei anni eppure mi sembra ancora fare l’amore per la prima volta con lei.

Appoggio il bicchiere sul comodino e la stessa cosa fa lei. Il mio corpo è sopra il suo e inizio a baciarle il collo. Da quando è nata Katherine il suo odore è ritornato ad essere quello di un bambino misto al proprio. Addosso a lei quell’odore è buonissimo. Mi manda fuori di testa e non mi interessa se indossa una felpa o un capo di lingerie sexy. Per me lei è bellissima. Soprattutto se ha quest’odore con sè.

-Facciamo un altro bambino?

Le chiedo innocentemente, baciandole la mandibola e notando la faccia sorpresa di Elena.

-Un… un altro?

-Mmh mmh.

-Damon. – mi ammonisce. – L’ultima volta non mi hai dato neanche il tempo di laurearmi. Ho bisogno di lavorare un poco e non di stare sempre dietro a dei bambini.

-Ehi stavo scherzando. Anche io vorrei aspettare ancora qualche anno prima di avere un terzo figlio.

-Quindi vuoi davvero un altro figlio?

Mi chiede sorpresa e io annuisco ancora una volta dicendole che però non adesso. Chi l’avrebbe mai detto. Damon Salvatore che fa il papà. Damon Salvatore che desidera avere tanti figli. Assurdo, eppure è così.

-E comunque ti sei laureata, ma abbiamo fatto sesso in uno sgabuzzino dell’università dopo… lì abbiamo concepito Katherine.

-John nel letto di Caroline, Katherine nella Columbia… dobbiamo trovare un altro luogo strano per il prossimo.

-Smettiamola di parlare. Facciamo l’amore.

Mi avvicino ancora di più a lei e la tengo premuta contro di me, baciandola ancora. Sfilandole i vestiti e sfiorandole ogni centimetro del corpo. È bello. Ed è bello anche quando finiamo. Siamo stanchi, sia per via del sesso che per via del lavoro e a volte ci addormentiamo. Invece adesso rimaniamo abbracciati e soprattutto nudi con la speranza che John non si svegli perché ha avuto un incubo.

-Dovresti dormire. Domani sarà una giornata molto impegnativa per te.

Le dico e subito dopo ricevo uno scappellotto sulla nuca.

-Non devo essere l’unica che deve organizzare la festa di tua figlia domani. Un aiuto sarebbe gradito.

-Va bene, va bene. Tanto domani non ci sono prove, con la compagnia ci vediamo direttamente il giorno dello spettacolo.

-John mi ha detto che si è divertito a vedere gli attori recitare. Mi ha detto anche che da grande vuole essere un attore.

-Be’ se continuerà a vedere le prove dei miei spettacoli, crescerà in quell’ambiente. Non vedo perché no.

-Però voglio che uno dei due vada al college. Che erediti la mia passione per lo scrivere e… Dio, ti rendi conto che stiamo già programmando la vita dei nostri figli?

Mi chiede sorridente. È bellissima mentre sorride e scorgo ancora quel barlume di infanzia nei suoi occhi, nonostante i suoi venticinque anni. Sarà sempre la mia piccola Elena e io la amo. La amo! La amo quando fa ogni cosa. Quando sorride, quando parla dei nostri figli con quella luce negli occhi e persino quando l’altro giorno stava parlando con Caroline al telefono per organizzare la festa per il primo compleanno di Katherine. È bella sempre. In ogni caso.

 In un batter d’occhio ci addormentiamo anche noi due. Non lo facciamo a posta. È solo che io ed Elena non stiamo mai un attimo fermi e quando arriviamo a casa crolliamo totalmente.

Il giorno dopo passa in fretta e lascia il posto alla sera. La casa è addobbata con palloncini colorati, John è vestito con dei semplicissimi pantaloni e una camicia, mentre io sono rimasto fedele alla mia t-shirt nera. Elena si è messa un semplice vestitino marrone per accogliere gli ospiti. Più che altro è molto comodo visto che farà avanti e indietro tra la cucina è il soggiorno.

Caroline e Bonnie sono già arrivate da Mystic Falls e la stanno aiutando a sistemare le ultime cose e intanto che gli altri invitati arrivano, io cerco di vestire la piccola Katherine. Non è un lavoro da uomini, ma almeno lei non mi ha fatto la pipì addosso come qualcun altro.

-Papà!

Esclama lei, afferrando la gonna rossa del suo vestino. Io sto cercando di allacciare tutti i micro bottoni che stanno dietro (una cerniera, no?), ma è davvero difficile.

-Ancora un attimo di pazienza, amore mio, e sarai libera di giocare con qualsiasi cosa tu voglia.

Le sussurro dolcemente. Al suono della mia voce, la sua testolina, che prima era impegnata a cercare un qualsiasi oggetto per distrarla, si gira verso di me e sorride, prendendomi il labbro inferiore e stritolandomelo. La prendo in braccio e la sollevo in alto, sopra la mia testa. Lei ride, divertita. Faccio finta di farla cadere e poi la riporto su.

Esco dalla camera da letto e noto la tavola imbandita da differenti tipi di patatine e bevande.

-Barbie, quando arriveranno Klaus e Kol? Io mi sto annoiando.

Ah proposito, Kol e Bonnie si sono messi insieme. Ormai sono più di quattro anni che si frequentano mentre Klaus ha chiesto a Caroline di sposarlo e ora la bionda si vanta sempre del grosso diamante che ha all’anulare sinistro. Ogni volta che ci incontriamo me lo mostra con la speranza che io mi convinca a chiederlo ad Elena. Non che io non voglia sposarla, ma adesso stiamo bene così e quando sentirò di voler legarmi ancora di più, allora le farò la proposta.

-Dovrebbero arrivare a momento… oh ma quanto sei carina. – Dice, notando Katherine e prendendola in braccio. – Ma che fine ha fatto il vestito rosa che le avevo scelto io.

Oh, me lo ricordo bene quel vestito. Un pugno in un occhio.

-Caroline, è una bambina, non un confetto.

Lei mi fa la linguaccia e si porta via mia figlia, guardandola adorante. Scommetto che non appena si sposerà con Klaus, rimarrà incinta. Credo che voglia un bambino.

Sento suonare alla porta e vedo John correre ad aprire. Kol, Klaus, Alaric, Enzo, Maggie (la ragazza di quest’ultimo), Stefan, Hayley, papà, Miranda e Jeremy, sono appena arrivati. Ci sono tutti. Manca solo Grayson, ma lui arriverà un po’ più tardi a causa di un turno di lavoro.

Siamo tutti riuniti ed è raro incontrarci. L’ultima volta è stato proprio alla nascita di Katherine. Esattamente un anno fa. Purtroppo da quando ci siamo trasferiti a New York ci siamo un po’ distaccati dagli altri, ma è normale, no? New York da Mystic Falls è molto lontana e devo ammettere che a volte sento molto la mancanza di papà e Stefan. Per fortuna, Grayson agli inizi ci ha accolto in casa sua. Poi abbiamo comprato questa che permette di far vivere tranquillamente i nostri figli. Cielo, ho trentatré anni e già ho un figlio di sei anni e una figlia di uno.

-Nonno!

Esclama John andando incontro a mio padre.

-Ehi come sta il mio nipote maschio preferito? – Banale. Lo prende in braccio. – Sono diventato troppo vecchio per sorreggere dei pesi.

Tutti si buttano sui bambini. Le donne si fanno abbindolare dal faccino di Katherine, mentre gli uomini ridono e scherzano con John. In particolar modo Enzo. Mio figlio lo adora ed è forse l’unico, che insieme ad Alaric, mi viene a trovare spesso. Gli altri li vedo sporadiche volte.

Quando arriviamo a fine serata, e c’è anche Grayson, Caroline ci mostra la torta rosa che ha fatto lei. È il momento delle foto. Elena con in braccio la piccola si avvicina alla torta e io mi porto dietro di lei, cercando di sollevare John. Ci immortalano mentre do un bacio sulla guancia ad Elena. Questo è un momento incredibilmente dolcissimo, ma non noto che mio figlio ha preso con la mano un’abbondante porzione di panna e me l’ha spalmata sul viso e sulla maglietta.

-No! La mia Varvatos!

Mi lamento scherzosamente. La serata finisce tra risate e scherzi, con io che faccio il solletico a John per  vendicarmi del suo scherzo e con Elena che tenta nuovamente di far addormentare Katherine. Ma oggi c’è gente e l’adrenalina è alle stelle.

Mi guardo un attimo intorno e adesso mi rendo conto che ho una vera famiglia. E devo ringraziare molto quella donna che è ritratta nella foto sulla mensola del camino. Quella donna che sorride all’obiettivo  e che mi ha amato più di qualsiasi altra cosa al mondo.

“Ti voglio bene, mamma.”

Fine

Note finali: È   F  I  N  I  T  A  !
Sveglia ragazze è finita. Solo io non riesco a capacitarmi di questo. Mi viene da piangere. Cavoli, sto piangendo e davvero non so come esprimere la mia gioia a tutti voi che avete recensito questa storia (abbiamo superato le cento recensioni! Per me è un gran traguardo) e chi l’ha messa tra le preferite, seguite e ricordate. Grazie a tutti i visitatori silenziosi che hanno seguito la mia storia e grazie al mio dentista, perché se non fosse stato per quel dente del giudizio tolto di pomeriggio, la mattina successiva sarei andata a scuola e allora mi sarei dimenticata di scrivere il primo capitolo.
Sono passati nove mesi. È stato letteralmente un parto (rimaniamo in tema xD)
Un bacio a tutte voi. Vorrei chiedervi, per chi non l’ha ancora letta, se poteste andare a visitare la mia nuova long.
Vero o Falso ( sempre Delena, AU). Sarei molto felice si sentire le vostre opinioni. Spero che sia all'altezza di questa storia e solo voi potete dirmi se devo continuarla o no.
Con immensa gratitudine,
la vostra Mia Tersicore.

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