Cronache della Terra Spaccata

di Wozzugururu
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** prologo ***
Capitolo 2: *** Sten ***
Capitolo 3: *** Come può abbandonarmi? ***



Capitolo 1
*** prologo ***


Prologo

 

Il generale Per'Ang si spostò verso il margine dell'isola, sporgendosi appena quanto bastava per intravvedere il villaggio che si trovava sull' isola sotto di lui. Nel paese gli abitanti continuavano a ballare a bere, mangiando a volontà e concedendosi ai piaceri offerti da qualche donna di vita, totalmente ignari della sventura che stava per piombare sulle loro teste.

Durante la notte alcune nuvole avevano oscurato la luna e le stelle, rendendo il cielo più nero del carbone, eppurei festeggiamenti non avevano accennato a fermarsi, e gli uomini avevano continuato a lodare gli dei fra un sorso di birra e un boccone di arrosto.

Per'Ang fece un lieve gesto con la mano e dieci uomini, ciascuno munito di una lunga corda, di un grosso picchetto e di un pesante martello si fecero avanti, scostandosi dal gruppo di predoni. Ad un secondo cenno del generale, all'unisono gli uomini piantarono i picchetti con forza e srotolarono le corde oltre il bordo estremo dell'isola. Urlando selvaggiamente i predoni si lanciarono all'attacco calandosi dalle funi con le spade attaccate alla schiena o ad un fianco e una daga stretta fra i denti. Il sangue presto si mischiò al vino nella piazza, e i canti di gioia si tramutarono in urla di disperazione e dolore.

Per'Ang rimase per qualche momento da solo sull'isolotto, assaporando il massacro che tanto accuratamente aveva pianificato. Quanto aveva dovuto attendere per gustarsi quel momento, ma finalmente poteva cogliere i frutti della sua orrenda semina. Arrivare inosservati fino in quella posizione così vantaggiosa sfruttando gli stretti passaggi fra la isole volteggianti sarebbe stato impossibile se non fosse stato per la festa. Nessuno si sarebbe mai aspettato di venire attaccato durante la celebrazione della festa delle Acque Celesti, la più sacra delle festività, percui le poche sentinelle si erano concesse una nottata di riposo e piacere. Sfortunatamente per loro il generale era un inguaribile profano. Infine, sfuttare la possibiltà di un attacco verticale concesso dalla posizione delle grusse zolle volteggianti tramite delle funi si era rivelato un gioco da ragazzi.

Fu distolto dai suoi pensieri dallo schianto sordo di una casa che era crollata dopo che i pali portanti in legno erano stati divorati dalla furia delle fiamme che i suoi predoni stavano appiccando.

Con un agile balzo calò sul villaggio come un gigantesco rapace. A metà caduta afferrò una corda per rallentare la discesa, quindi atterrò nel centro della piazza sopra ad una grossa botte di birra scura, ammortizzando l'impatto col suolo con le lunghe zampe caprine.

Sguainò la spada lentamente, assaporando l'orrore sui volti di coloro che lo stavano guardando. “Che mi fissino pure” pensò, snudando le zanne in un terribile sogghigno “che mi riconoscano pure, che pensino di poter raccontare questa storia alle alte cariche del loro governo. Nessuno di questi luridi cani sopravviverà alla notte.” .

Con un urlo più terrorizzato che intimidatorio un vecchio soldato si avventò su di lui con un lungo coltello. Per'Ang fece un agile salto per evitare il fendente, ma la punta della lama riuscì comunque a tagliare un pezzo del vestito di satin rosso cupo indossato dal generale. Per non essere scoperto era stato costretto a non indossare la sua armatura completa, ma si era limitato a due lunghi bracciali d'acciaio laccati di rosso ed un elegante vestito di satin, rosso anche quello. Sul petto era stato cucito il suo stemma personale: un teschio cornuto che piangeva sangue.

Il soldato tornò all'attacco, ma il comandante dei predoni parò l'affondo muovendo la spada lunga finemente lavorata a compiere un arco scintillante. Schivò un secondo fendente portandosi alle spalle del proprio avversario e lo atterrò sferrandogli un poderoso calcio sulla schiena, spezzandogli diverse vertebre all'impatto col suo zoccolo ferrato, nonostante l'avesse coperto con della stoffa per attutirne il rumore mentre si avvicinava al villaggio. Prima ancora che l'uomo toccasse terra la lama di Per'Ang descrisse un nuovo arco, riflettendo i bagliori degli incendi, oramai incontrollabili, che imperversavano nel paese e recise gli recise la testa di netto, mandandola a rotolare vicino al cadavere sanguinolento di un giovane donna.

Il generale si voltò e si incammino tranquillamente lungo la via principale, mentre ruggenti roghi distruggevano gli edifici tutto intorno a lui.

-Uccidete chiunque incontrate, siano essi soldati o donne, bambini, infermi e anziani. Non permettete a nessuno si scappare. Date alle fiamme il porto e qualunque veicolo vi sia ormeggiato. E se trovate il pemim di questo posto portatelo a me. Vivo.-

Dopo aver ruggito ai suoi uomini questi ordini il comandante si concesse al massacro più sfrenato, godendo immensamente per ogni vita che prendeva.

 

L'isola pareva ormai una gigantesca torcia volteggiante nell'oscurità della notte. Gli incendi cominciavano oramai a consumarsi, ma sulle isole vicine ancora riverberava la luce arancio-rosso del fuoco.

Oramai gli unici rimasti sull'isola erano i predoni di Per'Ang e gli inquieti spettri dei precedenti abitanti. E il pemim, il capo villaggio.

Il pemim era un uomo massiccio dai lineamenti duri e lunghi capelli d'argento. Nonostante la sua carica vestiva in modo sobrio, e l'unico simbolo della sua carica era il piccolo anello di bronzo che gli circondava la testa. L'uomo era molto alto, eppure sembrava un infante se paragonato al generale predone, che si ergeva per quasi due metri e mezzo, senza contare le gigantesche corna ricurve che gli spuntavano dalla fronte, che lo innalzavano fini all'altezza di tre metri. La sua carnagione era rosso scuro, e gli occhi, d'un vermiglio intenso, baluginavano nella luce delle fiamme.

-Hai visto cosa ho fatto al tuo villaggio, uomo?- disse Per'Ang con fare divertito, accarezzandosi distrattamente la l'ispida barba nera.

-Come potrei non vedere? Ma non ti preoccupare, mi sono assicurato personalmente che mezza dozzina dei tuoi scagnozzi andassero a scortarli dai divini!- il pemim sputò per terra saliva mischiata a sangue rappreso.

L'uomo si era battuto come un leone, nonostante fosse armato solo del falcetto di un contadino, e i predoni avevano dovuto attaccarlo in dieci per riuscire a domarlo.

-Divertente, forse mi avrebbe fatto piacere duellare con te...-

-Non dire assurdità, se mi avessi sorpreso alle spalle non ci avresti pensato due volte prima di trucidarmi. Non c'è un briciolo di onore nel tuo cuore nero, Alto Generale Per'Ang-

-Oh!- l'essere cornuto si finse sorpreso. -questo mi ha riconosciuto! Passerò dei seri guai con l'Imperatore!- l'intera banda scoppiò in una fragorosa risata

-Però non sono l'unico che dovresti biasimare. Come sai non sono io quello fissato con la strategia. Questo villaggio è solo l'inizio di qualcosa di molto più grande! Le senti gli ingranaggi di un piano colossale che ticchettano? Io sono solo il cane rabbioso, il sicario, l'emissario del vero grande stratega. Io sono solo il fanatico delle crudeltà della guerra.- Detto ciò calò la lama sul collo del capo villaggio.

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Capitolo 2
*** Sten ***


Ecco il primo vero capitolo della storia. Scusate se ci ho messo tanto a scriverlo, prometto che per i prossimi sarò più rapido!
Questo è un capitolo introduttivo, pieno di descrizioni e forse un po' lento... ma giuro che arriva anche l'azione!
Buona lettura!


Capitolo Primo



La donna scese velocemente le scale della torre ed entrò nella piccola cucina al pian terreno stringendo fra le dita callose della mano destra una piccola pietra liscia dal colore rosso acceso, sulla quale campeggiava una runa incisa.

La donna, a dover di cronaca, si chiamava Yleen ed era la contadina che abitava l'isolotto del Vecchio Mulino. Era una donna robusta dalle forti braccia e dal temperamento ostinato. Teneva i capelli ramati molto corti per una questione di praticità, delle piccole lentiggini macchiavano lievemente il piccolo naso perfettamente dritto e le guance spesso scottate dal sole cocente. I suoi occhi erano di un marroncino chiaro tendente al verde ed erano sormontati da due folte sopracciglia, rossastre come i capelli. Nonostante alcune rughe cominciassero a solcarle il volto e diversi ciuffi dei suoi capelli cominciassero a tendere verso l'argento, Yleen non cercava in alcun modo di nascondere quei segni dell'età e li portava come una medaglia, un premio per aver superato le innumerevoli prove che il fato e gli dei avevano posto sul suo cammino durante la sua vita.

Tutti coloro che la conoscevano provavano un profondo rispetto per lei, in quanto, nonostante abisse da sola coi suoi due figli e avesse già superato da un pezzo la cinquantina, continuava caparbiamente a mandare avanti il suo piccolo pezzo di terra e, sebbene a volte riuscisse a malapena a raccogliere quel che le serviva per il suo sostentamento, era troppo orgogliosa per accettare o richiedere alcun tipo di aiuto.

Quel giorno indossava una camicia bianca e sopra di esso un piccolo gilet di cuoio consunto che si era confezionata lei stessa molti anni addietro, e sul quale aveva attaccato i bottoni dorati che un tempo erano appartenuti a sua madre. Le braghe che indossava erano di un grezzo tessuto marrone che le pizzicava tutte le gambe, ed erano stretti in vita da un cinturone di cuoio nero dalla grande fibbia d'argento, un dono di suo padre.

Nel complesso Yleen era una donna dai gusti sobri e pratici, eppure portava sempre al collo una collana d'oro con incastonato un grosso ametista intagliato con maestria. La gente del posto mormorava che fosse il pegno d'amore dell'uomo con il quale aveva generato suo figlio, ma sebbene normalmente fosse una persona gioviale, al solo nominare di quell'argomento il volto di lei su oscurava con la stessa velocità con cui le nuvole si raggrumano in cielo prima di un temporale estivo, e le sue risposte si facevano improvvisamente criptiche e fredde come il ghiaccio. Alcuni giuravano che, nei suoi occhi, si potesse scorgere un velo di tristezza, anche se questo veniva subito sustituito da un furore a stento contenuto.


La donna si avvicinò al camino, vi dispose al centro la pietra runica e la coprì con la legna per un fuoco. Fece qualche passo indietro e fissando intensamente il legname, pronunciò a voce bassa e decisa “likbal”. Quasi immediatamente dal focolare si levò un filo di fumo e alcune timide lingue di fuoco cominciarono a farsi vedere da sotto il cumulo. Yleen si girò e fece per andare a prendere una pignatta di rame nella quale cucinare la minestra per il pranzo quando dal camino provenne un botto assordante. Pezzi di legno, di cui alcuni in fiamme, volarono in tutta la cucina, ammaccando pentole e appiccando il fuoco alla scopa di saggina che era stata appoggiata in un angolo. La contadina si precipitò a soffocare i principi di incendio con la tovaglia a quadri del grande tavolo al centro della sala e, quando non ci fu più pericolo che il mulino prendesse fuoco e si trasformasse nella sua pira funeraria, controllò all'interno del camino quello che era successo. La legna era stata completamente sbalzata via dalla deflagrazione e, dove prima era stata posta la pietra, ora restava solo qualche piccolo frammento carminio e una macchia nera dalla forma irregolare.

-Ito!- chiamò Yleen. Subito si palesò sull'uscio un ragazzo dalla carnagione abbronzata dal sole cocente dell'estate e i capelli resi ispidi dal fango e dalla paglia. Indossava una camicia sudicia che usciva dai pantaloni di tela in più punti e dei guanti di cuoio che aveva usato fino a quel momento per lavorare nel piccolo orto sul retro della torre. Nel complesso nella figura di Ito i colori predominanti erano i bruni del fango e della terra, ma in tutto il marrone che pareva coprirlo dalla testa spettinata ai piedi scalzi spiccava il profondo azzurro degli occhi, sempre vispi e intenti a scrutare il mondo. Il figlio di Yleen era minuto per la sua età, quindici anni, ma il suo fisico asciutto nascondeva una forza di pochi suoi coetanei potevano fregiarsi, e non mancava di vantarsene con i suoi amici del villaggio dell'isola vicino.

-Cosa succede mamma? Ho sentito l'esplosione...-

-Era solo una runa di scarsa qualità. L'avrò usata appena un paio di volte prima che si esaurisse... se quel dannato nano mi ricapita fra le mani, giuro sugli dei che lo rado dalla testa ai piedi!- disse la donna cominciando a raccogliere i legnetti sparpagliati per la cucina. -Fammi un favore Ito, vai al villaggio e compra una pietra economica da Orund. Aspetteremo che arrivi qualche mercante da Gamla Sten per prenderne di migliori.-

Il ragazzino corse immediatamente in camera sua, dove prese un paio di calze di cotone spaiate e le scarpe, dopodichè si mise in tasca qualche moneta di rame e uscì di corsa di casa.


Il villaggio di Big Isle era chiamato così perché sorgeva sull'isola più grande dell'Arcipelago del Tramonto eppure, e tutti gli abitanti del paese erano concordi, non era che un misero sassolino in un deserto di sabbia fine se confrontato con le mastodontiche porzioni di terra su cui sorgevano le tre capitali, perennemente in lotta fra di loro. Le Terre Spaccate non erano altro infatti che un enorme arcipelago di isole e scogli volteggianti, sorretti nella loro posizione dai venti carichi di Pulviscolo, l'essenza della magia. Il gigantesco insieme di atolli era diviso in tre grandi regni, le cui capitali sorgevano sulle tre isole maggiori, grandi come continenti.

Nel centro delle Terre Spaccate le porzioni di terra si erano disposte nei secoli a creare una colonna della quale era impossibile scorgere la fine o l'inizio e che, secondo alcuni, era la strada che gli dei avevano dato ai mortali per raggiungerli, e che per questo era stata chiamata Scalinata Celeste. Tutta l'acqua che riempiva i mari e i fiumi proveniva da un punto imprecisato in cima alla scalinata, e poi scendeva ruscellando e cadendo di isola in isola fino a perdersi oltre la coltre di nubi perenni che avvolgevano la base della colonna.

Innumerevoli erano stati gli avventurieri e gli esploratori affamati di fama che avevano tentato la scalata e la discesa della Scalinata, eppure nessuno aveva fatto ritorno, dando voce alle credenze secondo le quali la Sorgente fosse il luogo della dimora degli dei, mentre che alla base della colonna non ci fosse altro che il buio eterno degli inferi.


Il cielo era limpido, ma diverse nuvole erano radunate sotto il villaggio, riflettendo la luce del sole e accecando coloro che camminavano sugli stretti ponti di collegamento. Ito procedeva tenendo le mani ai lati degli occhi per proteggersi dal riverbero feroce, ma così facendo limitava non poco la sua visione laterale e più di una volta fu sul punto di rovesciare qualche carretto nel vuoto sottostante.

Arrivato al villaggio si fermò ad inspirare profondamente: amava gli odori di Big Isle a quell'ora, quando centinaia di focolari si accendevano per cominciare la preparazione della cena e in molti si radunavano alle taverne per bere in compagnia. Un solitario violino cominciò a suonare una ballata ritmata e subito si unirono a lui diversi altri strumenti ed un coro di voci possenti.

Per le strade non c'era quasi nessuno, eccezion fatta per qualche contadino che tornava a casa dopo aver venduto quello che poteva al mercato.

Attraversata la piazza principale il ragazzo si incamminò per una serie di vicoli, diretto alla bottega del venditore di rune.

Il villaggio era uno dei più antichi della regione ma, nonostante la piazza e molte case avessero subito diversi restauri, nessuno si era mai preoccupato di mettere a posto le abitazioni dei vicoli del Quartiere Stretto. La vernice delle case era spesso scrostata, tanto che in alcune si potevano vedere i mattoni o, in quelle più vecchie, lo strato di paglia e fango che ricopriva l'intelaiatura in legno. Dai comignoli in pietra s'innalzavano sottili spire di fumo, dalle finestre usciva la calda luce dei fuochi e delle lampade che ardevano all'interno. Il sole non arrivava quasi mai dentro quei vicoli, le case erano state costruite troppo vicine, e tutta la luce di cui Ito poteva usufruire era quella rubata alle abitazioni o quella di qualche lanterna.

Il silenzio, quasi assoluto, era rotto di tanto in tanto da qualche scoppio di risa o dalle sfuriate di qualche genitore portato all'esasperazione dai figli ribelli.

-Scuci il conio, nano, oppure ti squarto come un maiale-

L'intimazione proveniva da un vicolo alla destra di Ito. Il ragazzo si fermò di botto e tese l'orecchio per captare l'evolversi della vicenda.

-Vi prego di credermi, sono un povero vecchio che ha buttato tutti i suoi averi in bevute e divertimenti, non mi rimane più niente!-

-Forse è vero che non ha niente. E' meglio se lasciamo perdere prima che arrivi qualcuno- fece una voce diversa dalla prima

-Forse non ha monete, ma la verga che si stringe al petto deve valere un mucchio di soldi-

-Questa verga non l'avrete mai!- urlò il nano, facendo sobbalzare Ito

-Era di mio padre e di mio nonno prima di lui e ancora indietro fino

all'origine di tutto. Non ve la lascerò prendere, anche a costo della vita!

-E allora ci prenderemo sia la tua vita che il tuo bastone!-

Si udì uno schiocco, seguito da un tonfo sordo. Poi ci fu solo silenzio e il rumore di passi che si allontanavano velocemente, come di qualcuno che se la da a gambe.

Solo quando anche l'eco dei passi fu scomparso il ragazzo osò entrare nel vicolo per sapere cos'era successo.

Un nano robusto dalla lunga barba nera era seduto su un cumulo di paglia, accanto ad una bottiglia vuota. Nelle grosse mani stringeva un bastone di legno scuro, finemente intarsiato secondo lo stile nanico.

Dall' altra parte del vicolo un uomo pelato era riverso a terra, svenuto.

-Grazie agli dei c'è qualcuno!- disse il nano -ti prego, aiutami. La gamba mi fa un male da morire.- Solo allora Ito si rese conto che il nano stava perdendo molto sangue da una ferita profonda aperta nella coscia. Il liquido vermiglio stava gocciolando sulla paglia che lo assorbiva avidamente, quasi fosse una fiera mossa da un'incontrollabile sete.


Bussarono alla porta. Yleen andò ad aprire. Pregò che fosse suo figlio, era tantissimo tempo che era andato a prendere la runa e il sole era ormai calato da un pezzo.

A quanto pare gli dei avevano accolto la sua supplica, ma il ragazzo non era solo come la donna aveva immaginato.

-Sten! Cosa diavolo...-

-Yleen? Sei proprio tu? Dei, questa dev'essere proprio la mia giornata fortunata-  

Grazie per aver letto, o anche solo per essere passati. Se voleste essere davvero speciali potreste lasciare una recensione positiva/negativa/insulti a caso e se volete sapere di più su Sten, Yleen e Ito seguite la storia. Ho in mente tantissime cose, così tante che vuoi umani neanche potete immaginare (cit.)!

Ci tengo inoltre a ringraziare  Defy che ha recensito la storia su Pandora.

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Capitolo 3
*** Come può abbandonarmi? ***


Incredibilmente pubblico un nuovo capitolo nel giro di un giorno. Mi sentivo un po' in colpa per non aver pubblicato niente (o quasi) durante l'estate, quindi cerco di farmi perdonare. Ringrazio davvero tantissimo Vyolet che segue questa storia che sta prendendo forma pian piano, e ringrazio anche tutti quelli che hanno letto i primi due capitoli. Vi invito (se vi aggrada) a lasciare una recensione o una serie di insulti, a farmi domande ma soprattutto a dirmi cosa c'è da migliorare (perché sono sicuro che nel vostro intimo, accanto a cilly, ci stanno tutte le critiche che vorreste farmi). buona lettura, vi lascio al...

Capitolo terzo


Centinaia di stelle brillavano nel cielo notturno, e la luce della luna si rifletteva sulle nuvole basse e sul vecchio mulino di Yleen.

Ito era carponi sul pavimento in legno della sua camera, un orecchio appoggiato per terra, cercando di captare la conversazione che stava avvenendo al piano di sotto.

Il nano, o Sten, aveva acceso un fuoco nel caminetto per rischiarare la stanza e scaldare la zuppa, poi Yleen gli aveva imposto di non muoversi dalla sedia e gli aveva medicato con cura la gamba con delle bende pulite e con degli impacchi di erbe perchè le ferita non si infettasse.

Avevano mangiato in silenzio, accompagnando la minestra con qualche fetta di pane scuro, poi il ragazzo era stato mandato a letto. Eppure, nonostante il tono della madre gli avesse fatto capire con estrema chiarezza che doveva star fuori dalla faccenda, Ito non riusciva a contenere la curiosità. Aveva fatto come la madre gli aveva detto e si era messo a letto, ma una volta spento il lume mille domande avevano cominciato ad affollargli la testa, urlando e picchiando contro le pareti del cranio: “chi è quel nano?” “da dove viene” “come ha fatto a sbaragliare que due teppisti nonostante fosse solo e ferito?” “come conosce mia madre?”. Così dopo poco, per placare le voci nella sua testa, aveva cominciato ad origliare.

-Qualunque sia la storia tu non dovresti essere qui!- questa era sua madre. Malgrado il tono quasi sussurrato si poteva benissimo intuire il furore che la donna stava provando.

-Tu dovresti ascoltarmi con maggiore attenzione- ribattè Sten pacatamente -ti ho detto che, qualunque cosa accada, comunque le nostre nazioni vadano, gli agenti del Triumvirato ti stanno cercando, te e il ragazzo. Non avete più un posto sicuro-

-Se tu non fossi venuto fin qui non avremmo alcun problema! L'Arcipelago del Tramonto si trova sul confine estremo delle Terre!

-Sono venuto fin qui per trovarti e avvisarti- ci fu un momento di silenzio carico di tensione, poi il nano rincominciò a parlare: -Tu sai cosa è succeso Zana qualche giorno fa?-

-Zana si trova a centinaia di leghe di distanza, ovvio che non so cos'è successo-

-Qualcuno ha bruciato l'intero villaggio nella notte. Io stesso sono andato a controllare le macerie in cerca di sopravvissuti, in vano. Zana non esiste più, come non esiste più nessuno che vi vivesse. Il pemim del villaggio è stato trovato decapitato nel mezzo della piazza...-

-Sono affranta per la sorte degli abitanti del villaggio, ma siamo in guerra da anni, non è il primo villaggio che viene attaccato e raso al suolo, o il primo scempio perpetrato in nome dell'onore del proprio sovrano. Come mai questa notizia dovrebbe essere collegata con me?-

-Nella piazza hanno disegnato una civetta con i corpi smembrati degli abitanti-

Di nuovo silenzio.

-Non posso credere che Askert abbia commesso una simile atrocità... non può essere vero.- la voce di Yleen era rotta da una tristezza profonda, Ito lo capiva benissimo.

-Infatti non è vero! Askert non farebbe mai un atto così deliberatamente crudele!- Sten inspirò profondamente, svuotò i polmoni, riprese, ma a voce più bassa. -Pensiamo che sia opera dei Generali. Ho notato delle impronte quanto mai sospette, come di uno zoccolo caprino, e nella piazza ho trovato un pezzo di tessuto color rosso sangue... potrebbe non significare nulla, ma tutti e due sappiamo benissimo a chi potrebbero appartenere quelle tracce. Se la situazione è come penso tu e il ragazzo non sarete al sicuro finchè non sarete usciti dallo Stato.-

Ito aveva il cuore in gola. Aveva cominciato ad ascoltare la conversazione attraverso il pavimento perché sentiva di aver bisogno di risposte, ma ora aveva solo una nuova sequela di interrogativi, primo fra tutti chi fosse Askert. “Dove andremo se non possiamo stare qui?” si chiese il ragazzo “non possiamo abbandonare tutto, il mulino, il villaggio, gli altri ragazzi... mia madre troverà una soluzione migliore... ne sono certo... e non dovremo andarcene”

Intanto la discussione di sotto proseguiva.

-Io non penso che Ito debba venire... è ancora un ragazzo e non voglio che si mischi alla gentaglia di Askert. Dovrei avere ancora dei parenti all'Arcipelago dell'Orso, lo affiderò a loro. E' brava gente, e gli farà comodo avere un paio di braccia in più per il lavoro nei campi.-

Ito trasalì: sua madre non poteva abbandonarlo, se anche lei se ne fosse andata, cosa gli sarebbe rimasto?

-Non c'è bisogno che tu faccia una deviazione così lunga. Posso tenere io il ragazzino, se la cosa ti compiace. Ho degli affari da sbrigare a Gamla Sten, e mi servirebbe un apprendista. Immagino che per te debba essere straziante, ma così il giovane potrà aspirare a qualcosa di più che fare il contadino.-

-E sia, Sten, ti ringrazio di cuore. Io...non so proprio cosa farei senza di te.-

-Figurati, lo faccio in memoria dei vecchi tempi. Lo crescerò come fosse mio figlio.-

Il ragazzo staccò l'orecchio dal pavimento tremando. Amare lacrime gli rigavano il viso, ruscellandogli in bocca e sotto al mento. Singhiozzando si rimise a letto, stringendo forte il cuscino con le mai ossute. E così sua madre aveva deciso di abbandonare tutto, lui compreso, per lasciarlo solo con un perfetto sconosciuto, per dirigersi verso una destinazione ignota. Come aveva potuto?

Continuò a piangere piano finchè il sonno non lo prese nel suo abbraccio consolatore, ma neppure dormendo Ito trovò pace, e sognò che il nano lo buttava giù dal borbo di un'isola, mentre sua madre guardava e rideva, accanto ad una figura in ombra.

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