Ecco
il primo vero capitolo della storia. Scusate se ci ho messo tanto a
scriverlo, prometto che per i prossimi sarò più
rapido!
Questo è un capitolo introduttivo, pieno di descrizioni e
forse un po' lento... ma giuro che arriva anche l'azione!
Buona lettura!
Capitolo Primo
La
donna scese velocemente le scale della torre ed entrò nella
piccola cucina al pian terreno stringendo fra le dita callose della
mano destra una piccola pietra liscia dal colore rosso acceso, sulla
quale campeggiava una runa incisa.
La
donna, a dover di cronaca, si chiamava Yleen ed era la contadina che
abitava l'isolotto del Vecchio Mulino. Era una donna robusta dalle
forti braccia e dal temperamento ostinato. Teneva i capelli ramati
molto corti per una questione di praticità, delle piccole
lentiggini macchiavano lievemente il piccolo naso perfettamente dritto
e le guance spesso scottate dal sole cocente. I suoi occhi erano di un
marroncino chiaro tendente al verde ed erano sormontati da due folte
sopracciglia, rossastre come i capelli. Nonostante alcune rughe
cominciassero a solcarle il volto e diversi ciuffi dei suoi capelli
cominciassero a tendere verso l'argento, Yleen non cercava in alcun
modo di nascondere quei segni dell'età e li portava come una
medaglia, un premio per aver superato le innumerevoli prove che il fato
e gli dei avevano posto sul suo cammino durante la sua vita.
Tutti
coloro che la conoscevano provavano un profondo rispetto per lei, in
quanto, nonostante abisse da sola coi suoi due figli e avesse
già superato da un pezzo la cinquantina, continuava
caparbiamente a mandare avanti il suo piccolo pezzo di terra e, sebbene
a volte riuscisse a malapena a raccogliere quel che le serviva per il
suo sostentamento, era troppo orgogliosa per accettare o richiedere
alcun tipo di aiuto.
Quel
giorno indossava una camicia bianca e sopra di esso un piccolo gilet di
cuoio consunto che si era confezionata lei stessa molti anni addietro,
e sul quale aveva attaccato i bottoni dorati che un tempo erano
appartenuti a sua madre. Le braghe che indossava erano di un grezzo
tessuto marrone che le pizzicava tutte le gambe, ed erano stretti in
vita da un cinturone di cuoio nero dalla grande fibbia d'argento, un
dono di suo padre.
Nel
complesso Yleen era una donna dai gusti sobri e pratici, eppure portava
sempre al collo una collana d'oro con incastonato un grosso ametista
intagliato con maestria. La gente del posto mormorava che fosse il
pegno d'amore dell'uomo con il quale aveva generato suo figlio, ma
sebbene normalmente fosse una persona gioviale, al solo nominare di
quell'argomento il volto di lei su oscurava con la stessa
velocità con cui le nuvole si raggrumano in cielo prima di
un temporale estivo, e le sue risposte si facevano improvvisamente
criptiche e fredde come il ghiaccio. Alcuni giuravano che, nei suoi
occhi, si potesse scorgere un velo di tristezza, anche se questo veniva
subito sustituito da un furore a stento contenuto.
La
donna si avvicinò al camino, vi dispose al centro la pietra
runica e la coprì con la legna per un fuoco. Fece qualche
passo indietro e fissando intensamente il legname, pronunciò
a voce bassa e decisa “likbal”. Quasi
immediatamente dal focolare si levò un filo di fumo e alcune
timide lingue di fuoco cominciarono a farsi vedere da sotto il cumulo.
Yleen si girò e fece per andare a prendere una pignatta di
rame nella quale cucinare la minestra per il pranzo quando dal camino
provenne un botto assordante. Pezzi di legno, di cui alcuni in fiamme,
volarono in tutta la cucina, ammaccando pentole e appiccando il fuoco
alla scopa di saggina che era stata appoggiata in un angolo. La
contadina si precipitò a soffocare i principi di incendio
con la tovaglia a quadri del grande tavolo al centro della sala e,
quando non ci fu più pericolo che il mulino prendesse fuoco
e si trasformasse nella sua pira funeraria, controllò
all'interno del camino quello che era successo. La legna era stata
completamente sbalzata via dalla deflagrazione e, dove prima era stata
posta la pietra, ora restava solo qualche piccolo frammento carminio e
una macchia nera dalla forma irregolare.
-Ito!-
chiamò Yleen. Subito si palesò sull'uscio un
ragazzo dalla carnagione abbronzata dal sole cocente dell'estate e i
capelli resi ispidi dal fango e dalla paglia. Indossava una camicia
sudicia che usciva dai pantaloni di tela in più punti e dei
guanti di cuoio che aveva usato fino a quel momento per lavorare nel
piccolo orto sul retro della torre. Nel complesso nella figura di Ito i
colori predominanti erano i bruni del fango e della terra, ma in tutto
il marrone che pareva coprirlo dalla testa spettinata ai piedi scalzi
spiccava il profondo azzurro degli occhi, sempre vispi e intenti a
scrutare il mondo. Il figlio di Yleen era minuto per la sua
età, quindici anni, ma il suo fisico asciutto nascondeva una
forza di pochi suoi coetanei potevano fregiarsi, e non mancava di
vantarsene con i suoi amici del villaggio dell'isola vicino.
-Cosa
succede mamma? Ho sentito l'esplosione...-
-Era
solo una runa di scarsa qualità. L'avrò usata
appena un paio di volte prima che si esaurisse... se quel dannato nano
mi ricapita fra le mani, giuro sugli dei che lo rado dalla testa ai
piedi!- disse la donna cominciando a raccogliere i legnetti
sparpagliati per la cucina. -Fammi un favore Ito, vai al villaggio e
compra una pietra economica da Orund. Aspetteremo che arrivi qualche
mercante da Gamla Sten per prenderne di migliori.-
Il
ragazzino corse immediatamente in camera sua, dove prese un paio di
calze di cotone spaiate e le scarpe, dopodichè si mise in
tasca qualche moneta di rame e uscì di corsa di casa.
Il
villaggio di Big Isle era chiamato così perché
sorgeva sull'isola più grande dell'Arcipelago del Tramonto
eppure, e tutti gli abitanti del paese erano concordi, non era che un
misero sassolino in un deserto di sabbia fine se confrontato con le
mastodontiche porzioni di terra su cui sorgevano le tre capitali,
perennemente in lotta fra di loro. Le Terre Spaccate non erano altro
infatti che un enorme arcipelago di isole e scogli volteggianti,
sorretti nella loro posizione dai venti carichi di Pulviscolo,
l'essenza della magia. Il gigantesco insieme di atolli era diviso in
tre grandi regni, le cui capitali sorgevano sulle tre isole maggiori,
grandi come continenti.
Nel
centro delle Terre Spaccate le porzioni di terra si erano disposte nei
secoli a creare una colonna della quale era impossibile scorgere la
fine o l'inizio e che, secondo alcuni, era la strada che gli dei
avevano dato ai mortali per raggiungerli, e che per questo era stata
chiamata Scalinata Celeste. Tutta l'acqua che riempiva i mari e i fiumi
proveniva da un punto imprecisato in cima alla scalinata, e poi
scendeva ruscellando e cadendo di isola in isola fino a perdersi oltre
la coltre di nubi perenni che avvolgevano la base della colonna.
Innumerevoli
erano stati gli avventurieri e gli esploratori affamati di fama che
avevano tentato la scalata e la discesa della Scalinata, eppure nessuno
aveva fatto ritorno, dando voce alle credenze secondo le quali la
Sorgente fosse il luogo della dimora degli dei, mentre che alla base
della colonna non ci fosse altro che il buio eterno degli inferi.
Il
cielo era limpido, ma diverse nuvole erano radunate sotto il villaggio,
riflettendo la luce del sole e accecando coloro che camminavano sugli
stretti ponti di collegamento. Ito procedeva tenendo le mani ai lati
degli occhi per proteggersi dal riverbero feroce, ma così
facendo limitava non poco la sua visione laterale e più di
una volta fu sul punto di rovesciare qualche carretto nel vuoto
sottostante.
Arrivato
al villaggio si fermò ad inspirare profondamente: amava gli
odori di Big Isle a quell'ora, quando centinaia di focolari si
accendevano per cominciare la preparazione della cena e in molti si
radunavano alle taverne per bere in compagnia. Un solitario violino
cominciò a suonare una ballata ritmata e subito si unirono a
lui diversi altri strumenti ed un coro di voci possenti.
Per
le strade non c'era quasi nessuno, eccezion fatta per qualche contadino
che tornava a casa dopo aver venduto quello che poteva al mercato.
Attraversata
la piazza principale il ragazzo si incamminò per una serie
di vicoli, diretto alla bottega del venditore di rune.
Il
villaggio era uno dei più antichi della regione ma,
nonostante la piazza e molte case avessero subito diversi restauri,
nessuno si era mai preoccupato di mettere a posto le abitazioni dei
vicoli del Quartiere Stretto. La vernice delle case era spesso
scrostata, tanto che in alcune si potevano vedere i mattoni o, in
quelle più vecchie, lo strato di paglia e fango che
ricopriva l'intelaiatura in legno. Dai comignoli in pietra s'innalzavano sottili spire di fumo, dalle finestre usciva la calda luce
dei fuochi e delle lampade che ardevano all'interno. Il sole non
arrivava quasi mai dentro quei vicoli, le case erano state costruite
troppo vicine, e tutta la luce di cui Ito poteva usufruire era quella
rubata alle abitazioni o quella di qualche lanterna.
Il
silenzio, quasi assoluto, era rotto di tanto in tanto da qualche
scoppio di risa o dalle sfuriate di qualche genitore portato
all'esasperazione dai figli ribelli.
-Scuci
il conio, nano, oppure ti squarto come un maiale-
L'intimazione
proveniva da un vicolo alla destra di Ito. Il ragazzo si
fermò di botto e tese l'orecchio per captare l'evolversi
della vicenda.
-Vi
prego di credermi, sono un povero vecchio che ha buttato tutti i suoi
averi in bevute e divertimenti, non mi rimane più niente!-
-Forse
è vero che non ha niente. E' meglio se lasciamo perdere
prima che arrivi qualcuno- fece una voce diversa dalla prima
-Forse
non ha monete, ma la verga che si stringe al petto deve valere un
mucchio di soldi-
-Questa
verga non l'avrete mai!- urlò il nano, facendo sobbalzare Ito
-Era
di mio padre e di mio nonno prima di lui e ancora indietro fino
all'origine
di tutto. Non ve la lascerò prendere, anche a costo della
vita!
-E
allora ci prenderemo sia la tua vita che il tuo bastone!-
Si
udì uno schiocco, seguito da un tonfo sordo. Poi ci fu solo
silenzio e il rumore di passi che si allontanavano velocemente, come di qualcuno che se la da a gambe.
Solo
quando anche l'eco dei passi fu scomparso il ragazzo osò
entrare nel vicolo per sapere cos'era successo.
Un
nano robusto dalla lunga barba nera era seduto su un cumulo di paglia,
accanto ad una bottiglia vuota. Nelle grosse mani stringeva un bastone
di legno scuro, finemente intarsiato secondo lo stile nanico.
Dall'
altra parte del vicolo un uomo pelato era riverso a terra, svenuto.
-Grazie
agli dei c'è qualcuno!- disse il nano -ti prego, aiutami. La
gamba mi fa un male da morire.- Solo allora Ito si rese conto che il
nano stava perdendo molto sangue da una ferita profonda aperta nella
coscia. Il liquido vermiglio stava gocciolando sulla paglia che lo
assorbiva avidamente, quasi fosse una fiera mossa da un'incontrollabile
sete.
Bussarono
alla porta. Yleen andò ad aprire. Pregò che fosse
suo figlio, era tantissimo tempo che era andato a prendere la runa e il
sole era ormai calato da un pezzo.
A
quanto pare gli dei avevano accolto la sua supplica, ma il ragazzo non
era solo come la donna aveva immaginato.
-Sten!
Cosa diavolo...-
-Yleen?
Sei proprio tu? Dei, questa dev'essere proprio la mia giornata
fortunata-
Grazie
per aver letto, o anche solo per essere passati. Se voleste essere
davvero speciali potreste lasciare una recensione
positiva/negativa/insulti a caso e se volete sapere di più
su Sten, Yleen e Ito seguite la storia. Ho in mente tantissime cose,
così tante che vuoi umani neanche potete immaginare (cit.)!
Ci
tengo inoltre a ringraziare Defy che ha recensito la storia
su Pandora.
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