Zero No Tsukaima - Toki no owari made

di Carlos Olivera
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Prologo ***
Capitolo 2: *** 1 ***
Capitolo 3: *** 2 ***
Capitolo 4: *** 3 ***
Capitolo 5: *** 4 ***
Capitolo 6: *** 5 ***
Capitolo 7: *** 6 ***
Capitolo 8: *** 7 ***
Capitolo 9: *** MAPPA - 1 ***
Capitolo 10: *** 8 ***
Capitolo 11: *** 9 ***
Capitolo 12: *** 10 ***
Capitolo 13: *** 11 ***
Capitolo 14: *** 12 ***
Capitolo 15: *** 13 ***
Capitolo 16: *** 14 ***
Capitolo 17: *** 15 ***
Capitolo 18: *** 16 ***
Capitolo 19: *** 17 ***
Capitolo 20: *** 18 ***
Capitolo 21: *** 19 ***
Capitolo 22: *** 20 ***
Capitolo 23: *** 21 ***
Capitolo 24: *** MAPPA - 2 ***
Capitolo 25: *** 22 ***
Capitolo 26: *** 23 ***
Capitolo 27: *** 24 ***
Capitolo 28: *** 25 ***
Capitolo 29: *** 26 ***
Capitolo 30: *** 27 ***
Capitolo 31: *** 28 ***
Capitolo 32: *** 29 ***
Capitolo 33: *** 30 ***
Capitolo 34: *** 31 ***
Capitolo 35: *** 32 ***
Capitolo 36: *** 33 ***
Capitolo 37: *** 34 (PRIMA PARTE) ***
Capitolo 38: *** 34 (SECONDA PARTE) ***
Capitolo 39: *** 35 ***
Capitolo 40: *** 36 ***
Capitolo 41: *** 37 ***
Capitolo 42: *** 38 ***
Capitolo 43: *** 39 ***
Capitolo 44: *** 40 ***
Capitolo 45: *** 41 ***
Capitolo 46: *** 42 ***
Capitolo 47: *** 43 ***
Capitolo 48: *** 44 ***



Capitolo 1
*** Prologo ***


PROLOGO

 

 

Nuvole nere cominciavano ad addensarsi su quella che rischiava di essere l’ultimo campo di battaglia dell’ultima resistenza.

            Un giovane uomo, con il capo cinto da una corona e rinchiuso in un’armatura d’argento, osservava dall’alto del crinale l’esercito nemico che, di secondo in secondo, diventava sempre più grande, inarrestabile. Aveva capelli neri abbastanza lunghi, ricadenti leggermente all’indietro, un accenno di barba a contornargli il viso e grandi occhi blu pieni di amarezza e ardore nello stesso tempo, come di chi è consapevole che quello sarebbe stato, molto probabilmente, il suo ultimo giorno di vita.

            Le poche migliaia di uomini che aveva con sé erano dei disperati, uomini e donne che avevano già perso tutto a parte la vita, e che a breve non avrebbero avuto più neppure quella. I più grandi, i compagni di tante battaglie del giovane uomo, se n’erano già andati, travolti dalla piaga che aveva devastato la loro terra, e che ormai, salvo un vero miracolo, non poteva più essere fermata.

            Un vento freddo e leggero, che tagliava la pelle e screpolava le labbra, si sollevò d’un tratto, quasi un presagio di morte.

            Il giovane uomo prese da dentro l’armatura un pendente d’oro che portava al collo, aprendolo ed osservandone a lungo il contenuto, per poi abbozzare un leggero sorriso. Lo stava ancora osservando quando un essere deforme ed inguardabile, con il corpo interamente coperto da bende sfilaccianti e incrostate di sangue, gli si avvicinò; malgrado le sue forme orribili, indossava un pregevole, per quanto disastrato, abito da soldato, con tanto di mantello, ed  in testa aveva ancora qualche capello arancio fuoco, ma la maggior parte del capo, soprattutto sulla destra, era completamente bruciata, e coperta solo da una leggera peluria.

            Ciò nonostante, anche i suoi occhi, che apparivano a stento tra le bende, trasudavano orgoglio e determinazione, lo sguardo di qualcuno che non aspetta altro che di morire, ma che si riserva di farlo solo dopo aver portato con sé quanti più nemici possibili.

            «I nostri uomini sono pronti, vostra maestà.» disse con una gracchiante e roca voce di donna.

            Il giovane uomo chiuse rapidamente il ciondolo, rinfilandolo nell’armatura e riacquistando lo stesso sguardo di poco prima.

            «E l’aviazione?»

            «È in arrivo. Cinque navi.»

            «Immagino ci dovremo accontentare. Prepararsi alla battaglia.»

            «Sì, maestà».

            Un soldato venne a portare un bell’unicorno bianco sporco, il giovane uomo vi salì e si diresse a passo lento verso i suoi uomini, che attendevano dietro il crinale. Nei loro sguardi c’erano amarezza e sconforto, alcuni piangevano, altri pregavano, altri sembravano sul punto di usare le proprie spade per aprirsi la gola, così da evitare inutili sofferenze in battaglia.

            «Uomini!» disse il giovane uomo «In questi due anni mi avete servito fedelmente e con valore! Comunque vada, voglio che sappiate che è stato per me un onore, avervi comandato e accompagnato in battaglia così tante volte!

            Lo so che avete paura, e che pensate sia inutile trovarci qui! Ma per ogni secondo che guadagneremo, per ogni nemico che abbatteremo, sarà una possibilità di salvezza in più per coloro che, alle nostre spalle, stanno preparando l’ultima difesa! E se questa sarà davvero la nostra ultima battaglia, ebbene io dico, portiamone con noi il più possibile!».

            I soldati, rincuorati ed infervorati dalle parole del giovane uomo, alzarono le armi gridando a squarciagola, poi corsero ognuno al proprio posto formando i ranghi e preparandosi alla battaglia con rinnovato vigore.

            Alle prime luci dell’alba, quando il sole aveva già iniziato a comparire all’orizzonte, i due eserciti erano fermi l’uno di fronte all’altro sulle due sponde della bassa vallata che sarebbe stata il campo di battaglia.

            La differenza di forze era più che evidente; l’esercito avversario doveva essere composto come minimo da centomila uomini, armati di cannoni, fucili, stregoni e velieri, mentre il giovane uomo ne aveva ai propri ordini poco più di trentamila, male equipaggiati e stanchi.

            I soldati nemici, poi, erano spaventosi; sembravano un esercito di fantasmi, rinchiusi a tal punto nelle loro armature scure che non una parte del corpo era visibile. Stesso dicasi per gli stregoni, avvolti in lunghe tonache nere con i cappucci tirati e il viso coperto da dei baveri.

            Il giovane uomo fece un cenno, e furono sparate le prime bordate; i nemici non fecero alcun tentativo di evitarle, restando immobili e fermi come migliaia di statue, anche quando le navi, finalmente sopraggiunte presero a volare sopra di loro bombardandoli con tutto quello che avevano.

            Poi, improvvisa, la risposta. Dopo aver perso almeno mille elementi senza reagire l’esercito nemico di colpo sembrò destarsi, i cannoni tuonarono, gli stregoni si svegliarono e i galeoni presero ad ingaggiare la flotta avversaria con rapidità ed efficienza, impedendo qualsiasi tentativo di supportare le unità di terra.

            A quel punto, il giovane uomo sguainò la spada, ed al suo comando gli uomini si lanciarono giù dalla collina, imitati dai nemici, producendo un urto che si tradusse in un frastuono assordante di spade, scudi e lance.

            I soldati nemici combattevano come tante macchine, senza lasciar trasparire stanchezza né emozioni; colpivano con fredda e spietata precisione, uccidendo rapidamente un nemico per poi concentrarsi subito su di un altro.

            La battaglia fu tremenda, e durò diversi, interminabili minuti.

            In sella al suo unicorno, il giovane uomo si batteva come un leone, mulinando la spada nell’aria e trafiggendo chiunque gli si avvicinasse; poi, d’improvviso, un nemico riuscì ad afferrargli il mantello, tirandolo giù da cavallo, ma rialzatosi velocemente quello continuò a battersi con più foga di prima.

            Venne ferito più volte, in varie parti del corpo, ed in breve si ritrovò coperto di fango e sangue, non solo suo.

            L’essere bendato combatteva al suo fianco, con una foga ed una furia incontrollabili; era stato trafitto e ferito gravemente più e più volte, ma nonostante ciò continuava a battersi, fino a che, sopraffatto da dieci nemici che lo infilzarono contemporaneamente, venne travolto, urlando imprecazioni e maledizioni con la sua voce gracchiante e spaventosa.

            Il giovane uomo nel mentre aveva ormai esaurito tutte le sue forze, cadendo in ginocchio e sorreggendosi sulla spada. Ansimava, stringeva i denti per il dolore, e si aspettava di essere finito da un momento all’altro.

            Invece, di colpo, i nemici si fermarono, allontanandosi dal giovane uomo, ormai rimasto il solo del suo esercito ancora in vita, fino a formare attorno a lui un vasto piazzale. Dopo poco si aprirono ulteriormente, lasciando che un altro giovane, questa volta poco più di un ragazzo, raggiungesse il giovane uomo; era bellissimo, capelli bianchi leggermente scompigliati, pelle candida e bel portamento, ma occhi rosato che facevano gelare il sangue, da freddi che erano.

            Il giovane uomo alzò lo sguardo, incrociando quello del ragazzo, che sorrise malevolo.

            «È passato un po’ di tempo, altezza».

            Vedendolo, il giovane uomo digrignò i denti, e sforzandosi con tutto sé stesso riuscì infine a rimettersi in piedi, alzando la spada in segno di sfida; il giovane sorrise in modo ancor più evidente, poi a sua volta mise mano alla spada, gettandosi il mantello alle spalle.

            I due si scrutarono silenziosamente a lungo, mentre il vento si faceva sempre più forte, poi il giovane uomo scattò in avanti urlando con tutta la sua voce; il ragazzo lo attese, e tra i due scoppiò un violento duello, che i soldati tutto attorno si limitarono ad osservare senza voler apparentemente intervenire.

            Anche il ragazzo si rivelò essere uno spadaccino di talento, capace di resistere agli assalti del giovane uomo senza particolari difficoltà e limitandosi a stare sulla difensiva; ma, forse, non aveva fatto i conti con la furia ceca del suo nemico, che approfittando di un istante favorevole prima lo sgambettò, facendogli perdere l’equilibrio, quindi lo gettò a terra, buttandosi immediatamente sopra di lui e puntandogli la spada alla gola.

            Ancora una volta, i soldati tutto attorno restarono immobili a guardare, senza cercare di fare nulla per salvare il loro comandante. Questi, nonostante avesse la morte ad un tiro di sguardo, continuava a sorridere, mentre al contrario il giovane uomo sembrava esitare; ansimava per la fatica, e le sue mani tremavano, ed il tremore raggiungeva anche la punta della spada, sospesa a pochi centimetri dal collo candido del ragazzo.

            «Cosa c’è? Non hai il coraggio di farlo?»

            «Hai idea…» ringhiò il giovane uomo sgranando gli occhi «Hai idea di quanti siano morti a causa tua?»

            «E allora che stai aspettando? Colpisci».

            Ma il giovane uomo continuò ad esitare, nonostante avesse abbassato leggermente la punta della spada, che ormai sfiorava la pelle del ragazzo.

            «Io… io ti uccido…»

            «E allora fallo.» disse il ragazzo, che poi distorse il suo bel viso in una terrificante espressione «Papà».

            Quella parola rimbombò come un tuono nelle orecchie del giovane uomo, che restò paralizzato. Il tempo di un istante, e subito dopo aver sentito una fitta improvvisa si ritrovò con la spada del giovane piantata nell’addome.

            Il giovane uomo sgranò gli occhi, mentre fiotti di sangue gli sgorgavano dalla bocca e dalla ferita, e come il ragazzo ritrasse la spada tutto si fece improvvisamente nero.

 

NOTA DELL’AUTORE

Salve a tutti!^_^

Questa è la mia prima fanfic su Zero No Tsukaima, un anime che ho conosciuto da poco ma del quale mi sono immediatamente innamorato.

Vorrei però fare una precisazione.

Questa fanfic che (spero) leggerete, è una animezzazione, per così dire, di un romanzo che sto scrivendo. Avevo iniziato a scriverlo già da qualche tempo, e un bel giorno ho deciso di riadattarlo per farlo combaciare con i personaggi e la storia dell’anime.

Se non avete ancora finito di vedere la serie, mi raccomando, attenti agli spoiler!

Io vi ho avveriti!^_^

Grazie a tutti quelli che leggeranno e (spero) commenteranno!

A presto!^_^

Carlos Olivera

 

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Capitolo 2
*** 1 ***


1

 

 

Saito si svegliò di soprassalto, i capelli imperlati di sudore, l’espressione sconvolta e il respiro mozzato, mettendosi a sedere sul letto.

            Di colpo, mentre era immerso nel sonno, aveva sentito qualcosa, come un presentimento, che lo aveva fatto trasalire, ma che soprattutto lo aveva spaventato a morte.

            Si passò una mano sulla fronte, volgendosi poi a guardare la verso la finestra. La luna era ancora alta nel cielo, e dovevano essere le due o le tre al massimo. Il tempo era stupendo, e faceva anche un po’ caldo, infatti si era coricato seminudo.

            Al suo fianco, Louise, ancora immersa in un sonno pacifico. Come posò gli occhi sul suo volto, così dolce e disteso, il giovane si calmò un poco, sorridendo leggermente per poi sfiorarle una guancia, facendola un momento trasalire senza però svegliarla.

            Se ci ripensava, gli sembrava incredibile.

            Due anni.

            Già due anni erano trascorsi, da quando si erano sposati.

            Molte cose erano cambiate, nel frattempo.

            Louise aveva terminato gli studi alla scuola di magia, e lui, dopo il titolo, le terre e la nomina a feudatario, aveva ottenuto anche un seggio nella Camera dei Cavalieri, alla quale presenziava regolarmente.

            Anche la servitù che provvedeva alla cura della casa si era notevolmente accresciuta, ma a differenza del passato questa volta erano stati fissati i dovuti paletti.

            Oltre a Siesta e a Marteu, anche altri inservienti che un tempo servivano alla scuola ora lavoravano a De Ornielle; un segno di ringraziamento da parte del vecchio Osmund per i molti servigi offerti dai suoi due ragazzi preferiti all’accademia.

            La servitù occupava l’ala occidentale della villa, oltre la torre di guardia, mentre la parte centrale ed orientale era riservata ad uso esclusivo dei padroni, e dei loro eventuali ospiti.

            Anche i sudditi erano soddisfatti.

            Grazie alla pazienza di Saito e Louise, ma soprattutto grazie agli investimenti della famiglia Valliere, Ornielle stava gradualmente ritornando alla vita; i villaggi della regione, semideserti fino a due anni prima, si stavano ripopolando, le prospettive di lavoro non mancavano, ma soprattutto c’era tanta voglia da parte della gente comune di mettersi al servizio di due padroni così benevoli e degni di rispetto e stima.

            Ogni tanto, quando ci pensava, gli sembrava ancora tutto così fantastico.

            Se quel giorno ormai lontano la sua vita non avesse avuto quella incredibile svolta, quell’esistenza che ora stava vivendo se la sarebbe solo sognata; probabilmente avrebbe finito le scuole, forse frequentato l’università, per poi farsi assumere in qualche ufficio dove avrebbe speso il resto dei suoi giorni aspettando di morire.

            Ora invece era un nobile, feudatario di un dominio abbastanza vasto, sposato con una ragazza bellissima che amava più della sua vita, in un mondo di draghi e stregoni.

            Qualche volta però la sua vecchia vita gli mancava, ma quando succedeva interveniva Louise, che in un attimo apriva un portale per il suo mondo natale; Saito era contento di questa opportunità, ma cercava di servirsene il meno possibile, perché ora la sua vita era lì, in quel mondo.

            Ricordava ancora la faccia che i suoi genitori, che lo avevano addirittura creduto morto, visto che era scomparso nel nulla da un momento all’altro, avevano fatto quando si era presentato per la prima volta a casa, raccontando tutto quello che gli era successo e presentando la ragazza che era assieme a lui come la sua neosposa. Aveva provato a convincerli un paio di volte a venire con lui, ma dopo aver provato per un po’ la vita di Tristein avevano deciso di ritornare a quella vecchia, alla quale bene o male erano ancora affezionati, nonostante la lontananza dal loro unico figlio.

            Rinfrancato e sollevato dalla vista di Louise, Saito si sentì svuotare di quella sensazione che lo aveva svegliato e si rimise a dormire.

 

Il mattino dopo, quando Louise, ancora mezza addormentata, scese in salone, Saito era già sveglio, e stava finendo di fare colazione.

            «Perché non mi hai svegliata?» domandò stropicciandosi gli occhi

            «Dormivi così bene, non ho voluto svegliarti».

            Lei si sedette, e dopo poco Siesta venne a servire la colazione anche a lei, con la cortesia ed il rispetto proprie di una vera domestica.

            Da dopo il matrimonio Siesta si era messa l’animo in pace; i sentimenti per Saito c’erano ancora, e negarlo sarebbe stato stupido, ma il rispetto per quelli che ormai erano i suoi padroni e per i propri doveri erano un’altra cosa.

            Ogni tanto Saito lanciava qualche sguardo luccicante alle forme della sua domestica preferita, che per la verità non si sforzava in alcun modo di nasconderle, ma a differenza del passato questo a Louise non importava più di tanto. Sapeva bene che Saito amava solo lei, e questo era più che sufficiente. Certo, bisognava che il suo sposo si tenesse entro i limiti tollerati dal buon senso; perché in caso contrario, il frustino era sempre a portata di mano.

            «Oggi hai degli impegni?» domandò Louise

            «Nessuno.» rispose Saito alzando gli occhi dal libro che stava leggendo «Stavo pensando che potevamo andare a trovare i miei genitori.»

            «I tuoi genitori sono davvero dei tipi strambi, lo sai?»

            «Mai quanto le tue sorelle».

            Louise rise, poi abbassò un momento gli occhi, quasi avesse paura di incrociare quelli di Saito.

            «Qualcosa non va’?»

            «No, niente.» rispose lei girando ancora di più lo sguardo.

            Saito si alzò dalla sedia, si avvicinò a lei e le sollevò il mento; entrambi arrossirono.

            «C’è qualcosa che devi dirmi?»

            «N… niente affatto.» rispose lei, ma non era mai stata brava a mentire.

            Il ragazzo decise di non forzarla, anche perché in certi casi era buona di farlo saltare per aria, ma non riuscì a resistere, quando Siesta li lasciò soli, al desiderio di scambiarsi con lei un dolce e timido bacio.

            «Ti amo.» disse Saito «Lo sai, vero?»

            «Anche io, Saito. Con tutta me stessa».

            Siesta assisteva dalla porta socchiusa; da una parte era sollevata dal vederli così felici ed innamorati, ma dall’altra non riusciva a non pensare al fatto che forse, se avesse giocato meglio le sue carte, avrebbe potuto esserci lei al posto di Louise.

            Forse era anche per questo che non era ancora riuscita a trovare l’amore.

            I pretendenti certo non le mancavano. Quando scendeva al villaggio per fare compere i giovani si mettevano in fila anche solo per augurarle il buongiorno, ma lei aveva servito a tutti un due di picche; alcuni li aveva trovati anche attraenti, gentili, ma poi, al momento fatidico, quel sentimento mai sopito per Saito l’aveva sempre spinta a tirarsi indietro.

            Un paio di volte aveva addirittura pensato di chiedere le dimissioni, così da allontanarsi da quella specie di dolorosa prigione, ma poi si era sempre detta che vedere Saito ogni giorno era meglio che non vederlo più, anche se era costretta ad osservarlo mentre baciava e amava una donna che non era lei.

            Purtroppo, sentiva di essere giunta al limite; o prendeva una decisione al più presto, o quella situazione l’avrebbe fatta impazzire.

 

Qualche ora dopo, Louise e Saito erano pronti a partire.

            Durante i suoi viaggi nell’altro mondo Louise aveva aggiornato il proprio guardaroba; si sentiva troppo a disagio quando andava nel mondo di Saito e tutti la guardavano tra il meravigliato e l’incuriosito. All’inizio non era riuscita a capire perché, ma poi si era reso conto che era colpa dei suoi vestiti, così era corsa ai ripari. Quegli abbigliamenti non le piacevano particolarmente, ma meglio quello che essere considerata una cosplayer.

            Anche Saito si era adeguato; la sua solita palandrana aveva iniziato a diventargli piccola, ma ci si era affezionato troppo per buttarla, e con qualche rimaneggiamento da parte di un sarto era riuscito a farsela riadattare.

            «Siamo pronti?» domandò Louise quando Saito la raggiunge nel cortile dinnanzi all’ingresso

            «Prontissimi.» rispose Saito mostrando il solito cesto di regali destinati a sua madre «Procedi pure».

            Louise prese dunque in mano la bacchetta e cominciò a salmodiare.

            Il varco comparve davanti ai due, aprendosi su una stradina laterale non lontano dalla casa di Saito, ma di colpo, proprio quando Louise smise di recitare l’incantesimo, la porta di colpo si richiuse.

            «Che è successo?» domandò Saito

            «Non… non lo so.» rispose Louise «Non era mai successo».

            Louise ci riprovò una seconda volta, ma questa volta non riuscì neanche ad aprire del tutto il varco, che scomparve prima ancora di raggiungere le sue solite dimensioni.

            «Ma che sta succedendo?» disse la ragazza sempre più colpita «L’incantesimo non funziona più.»

            «Forse è solo una giornata storta.» commentò Saito «Non sarebbe la prima volta.»

            «Mi hai preso forse per una principiante?» replicò lei indispettita «Avrò usato questo incantesimo almeno un migliaio di volte.»

            «E con questo?» rispose Saito malizioso «Dopotutto, ti chiamavano pur sempre Louise la Zero».

            Quest’ultima affermazione costò al giovane una pedata tra le gambe, ma mentre Saito era a terra a contorcersi per il dolore Louise notò qualcosa che le fece sbarrare gli occhi.

            «Saito! La tua mano!».

            Il ragazzo, riavutosi, si guardò la mano: le rune che solitamente vi erano impresse, ora erano sparite.

            «Le rune di Gandalfr… non ci sono più?!»

            «Ma cosa succede? La mia magia che non funziona, e ora le rune magiche che sono sparite un’altra volta».

            E purtroppo, le brutte notizie non erano ancora finite.

            D’improvviso, mentre i due giovani stavano ancora interrogandosi su quello che poteva stare succedendo, un messaggero raggiunse la magione arrivando all’ingresso sul retro, dove era di servizio il vecchio maggiordomo, al quale comunicò una notizia che minacciò di provocare all’anziano un infarto letale.

            Questi, a sua volte, corse a riferirla ai padroni di casa.

            «Padrone!» esclamò correndogli incontro

            «Che succede?».

            Quello dovette riprendere fiato, prima di trovare la forza per rispondere.

            «La… la regina Henrietta!».

            Nel sentire pronunciare quel nome, Saito e Louise sbiancarono; a guardare l’espressione, e a sentire il tono del vecchio, doveva essere successo qualcosa di molto grave.

Due Giorni Prima

 

Dopo quasi due anni di conclave, i cardinali riuniti ad Aquileia erano finalmente riusciti ad accordarsi per la successione dell’ormai compianto Vittorio Seravere. La scelta era ricaduta su tale Antoine Necker, un cardinale Galliano di quasi sessant’anni, appartenente all’ala conservatrice.

            Il motivo di un conclave così insensatamente lungo era stata proprio l’opposizione tra i progressisti, che avrebbero voluto lo stesso Julio come nuovo vicario, e i conservatori, che invece attribuivano alla politica del vecchio papa la ragione delle disgrazie capitate a Romalia, e alla fine questi ultimi avevano prevalso.

            La nomina di Necker non piaceva a nessuno, ma d’altra parte non si poteva fare altro che accettare il fatto compiuto.

            Come primo atto della nomina del nuovo pontefice, tutti i regnanti e dignitari di tutte le nazioni vicine dovevano recarsi a rendere omaggio e a dichiarare la loro sottomissione al vicario della chiesa universale, e tra questi vi era, ovviamente, anche la regina Henrietta.

            La partenza era avvenuta in sordina, senza troppa pubblicità, per ragioni di sicurezza.

            Con tutto quello che era successo negli ultimi anni, dalla guerra con Albion e la Gallia e la rivolta dei draghi, anche il casato reale di Tristein non se la passava troppo bene in termini di consenso popolare, e persino tra i nobili c’era chi soffiava sulla fiamma del malcontento manifestando palesemente la propria mancanza di rispetto, rifiutando ordini o prorogandone l’esecuzione fino all’inverosimile.

            Forse quel viaggio era proprio ciò che ci voleva alla regina.

            Per un po’ sarebbe stata lontana, dando magari ai suoi irrispettosi sudditi il tempo di calmarsi un po’.

            Con lei, come sempre, la fedele Agnes.

            Dopo un paio d’ore dalla partenza l’Ostland aveva ormai superato i confini di Tristein, e stava sorvolando le fertili pianure del nord di Gallia. La regina era sul ponte, affacciata ad osservare il verde che si stagliava sotto i suoi piedi.

            «Mia regina.» disse Agnes avvicinandosi «Temo non sia prudente restare all’esterno.»

            «Non preoccuparti, Agnes. Cosa potrebbe mai succedermi quassù?»

            «Lo so. Però la prudenza non è mai troppa, e questi, mi duole dirlo, sono tempi difficili.»

            «Ne sono consapevole.» rispose lei tornando a guardare le colline «In tutta onestà, non riesco a biasimare coloro che mi accusano di aver fatto del male a Tristein

            «Mia signora, non dovete dire così. Voi avete sempre servito la nazione come una vera sovrana.»

            «Ma la guerra con Albion, quella sfiorata con Gallia, e anche la venuta del Drago Antico. Tutte le calamità che hanno colpito Tristein negli ultimi anni, in parte sono dovute anche a causa mia.»

            «E avrebbero spazzato via il nostro regno, se voi non aveste fatto sfoggio del vostro coraggio e della vostra determinazione».

            Henrietta si volse verso la sua fedele guardia, sorridendole.

            «Ti ringrazio, Agnes. Sono felice di poterti avere al mio fianco.»

            «Se posso permettermi di darvi un consiglio, mia regina. Provate a godervi questo momento di pausa. Stare lontana dal palazzo vi farà bene, e vi aiuterà a radunare le energie. Senza dubbio, quelli che verranno da ora in poi saranno mesi molto impegnativi.»

            «Hai ragione.» rispose Henrietta rincuorata «Dopotutto, è in momenti come questo che dovrei prendere esempio da Louise, ed essere un po’ più sicura di me.»

            «Diciamo di sì.» rispose Agnes accennando un sorriso «E non preoccupatevi. Io sarò sempre al vostro fianco, qualsiasi cosa accada».

            Purtroppo, le due giovani donne non potevano sapere che i semi della congiura erano arrivati fin lì, fin nel luogo che, dopo il palazzo reale, era ritenuto il più inviolabile di Tristein.

            Tra i bagagli, le vettovaglie e il materiale caricato prima della partenza qualcuno, in gran segreto, era riuscito a caricare anche quattro grossi barili; sui registri di carico c’era scritto vino, ma in realtà contenevano qualcosa di molto peggiore.

            La guardia addetta alla sorveglianza dei magazzini era annoiata a tal punto da stare per addormentarsi, quando un suo compagno venne a portargli del caffè.

            «Dura fare la guardia, eh?» commentò il nuovo arrivato, un tipo sulla quarantina un po’ bruttino, con un mento piuttosto pronunciato

            «Puoi ben dirlo.»

            «Svegliati con questo.»

            «Grazie. Mi hai salvato la vita».

            Tutto il contrario.

            Come la guardia allungò la mano per prendere la tazza, l’altro soldato, fulmineo, gli piantò un coltello nella gola, e quel poveretto morì prima ancora di rendersi conto di quello che era successo. A quel punto il soldato sfilò le chiavi alla guardia morta ed entrò nella stiva portandosi dietro il cadavere.

            All’interno era quasi buio, ma con abbastanza luce da potersi orientare, permettendo al soldato di raggiungere i barili che gli erano stati indicati prima della partenza; ad uno di questi tolse il tappo di sughero, e dal buco uscì una strana sabbia nera, che il soldato prese a far scivolare lungo la stanza fino a produrre una linea scura che dalla porta d’ingresso arrivava fino ai barili.

            «Così dovrebbe bastare.» disse, quindi raccolse la torcia che ardeva accanto allo stipite.

            Passarono cinque, forse sei minuti, poi un pastore che stava pascolando il suo gregge non lontano da casa udì una tremenda esplosione. Alzato lo sguardo, vide una enorme nave avvolta dalle fiamme, che dopo aver continuato a navigare per un centinaio di metri venne infine sventrata da una seconda, devastante esplosione, per poi precipitare in tanti pezzi sulle pendici della vicina montagna.

 

 

Nota dell’Autore

Eccomi qua!^_^

Ve l’avevo detto che avrei aggiornato presto!

In verità, credo che questo sia stato il mio aggiornamento più rapido in tutta la mia carriera di scrittore. Il fatto è che questa storia ce l’ho già tutta nella mia testa, essendo, come detto, la rielaborazione del romanzo che sto scrivendo, quindi buttarla giù è molto facile?

Visto che roba!?

Al primo capitolo è già successo tutto questo. E state tranquilli che da qui in poi la situazione diventerà anche più “incandescente”.

Una precisazione. Il titolo originale di questa storia era Zero no Tsukaima – Il Simbolo Segreto, ma dopo un breve ripensamento ho deciso di cambiarlo in Zero no Tsukaima - Toki no Owari Made, ovvero “Zero No Tsukaima – Fino alla Fine del Tempo”. Il motivo di questa scelta, così come il significato del titolo, lo scoprirete solo molto più avanti!^_^

Ringrazio Seldolce per la sua recensione.

A presto!^_^

Carlos Olivera

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Capitolo 3
*** 2 ***


2

 

 

Saputo quello che era successo, Saito e Louise presero una delle loro carrozze e volarono veloci come il vento alla capitale, dove era stata convocata una riunione d’emergenza della Camera dei Cavalieri.

                Quando arrivarono in città, regnava una calma agghiacciante.

Sembrava una giornata come tutte le altre; le massaie facevano la spesa, gli uomini andavano al lavoro e i bambini a scuola, come se niente fosse successo.

E in effetti, per la gente comune davvero non era successo niente; l’incidente dell’Ostland era stato mantenuto segreto per ordine della regina madre, anche in relazione al fatto che, durante i primi sopralluoghi sul luogo della tragedia, il cadavere di sua maestà non era ancora stato individuato.

Se si fosse saputo che la sovrana di Tristein era morta, Dio solo sapeva cosa sarebbe potuto accadere; come minimo ci sarebbe stato il panico più totale, seguito magari da incidenti e disordini che non avrebbero fatto altro che aggiungere drammaticità ad una situazione già tragica.

Louise era talmente in ansia che prima ancora di arrivare al castello non aveva più una sola unghia, e si era morsicata le labbra fin quasi a sanguinare.

«Cerca di stare calma.» disse Saito poggiandole una mano sulle ginocchia

«Come faccio a stare calma?!» replicò lei «La regina potrebbe essere morta!»

«Posso capire quello che stai provando. Mi sento così anch’io. Ma se ci lasciamo prendere dal panico in un momento simile, rischiamo di peggiorare le cose».

Louise alzò gli occhi, incrociando quelli di Saito.

«Lo sai.» disse abbozzando quasi un sorriso «Parli proprio come un nobile.»

«Ho imparato dai migliori.» rispose lui sorridendo ugualmente, per poi accarezzarle una guancia «Fatti coraggio. E poi, l’hai sentito. Non hanno trovato il suo corpo tra le macerie dell’Ostland. Potrebbe anche essere ancora viva. Dobbiamo essere forti e mantenere il sangue freddo, soprattutto per lei.»

«Hai ragione. Ti chiedo scusa».

Appena arrivarono al castello, Saito si recò immediatamente nella stanza della Camera, mentre Louise, alla quale ovviamente era negato l’accesso, andò invece verso gli alloggi della regina.

Avrebbe voluto toccare con mano e rivedere i luoghi in cui aveva trascorso molte ore durante l’infanzia, giocando con Henrietta come se fosse stata una qualsiasi amica del cuore, ma quando arrivò la zona era piena di guardie, giudici e membri della polizia militare.

«Mi dispiace, signorina.» le disse una guardia «Ma non può passare nessuno.»

«Che sta succedendo?»

«Non sono autorizzato a parlare, mi dispiace».

Louise a quel punto snudò gli artigli, e forte della sua autorità esibì l’anello di famiglia.

«Io sono Louise de la Vallière, sorella acquisita della regina Henrietta. Pretendo che tu mi dica che cosa succede».

Il soldato a quel punto si risolse a mostrarsi più collaborativo.

«Per ordine del tribunale, stiamo perquisendo le stanze di sua maestà in cerca di prove.»

«Prove!?» replicò Louise «Che significa questa storia?».

 

Nel mentre, la seduta della Camera era già entrata nel vivo.

La stanza, lunga e stretta, era percorsa nei due lati lunghi da due file di seggi, più altrettante balconate superiori, mentre sul fondo, dirimpetto all’ingresso, vi era il seggio solitamente occupato dalla regina, e subito davanti ad esso lo scranno dove sedeva il Magister, il sovrintendente della Camera, una sorta di arbitro che veniva nominato dalla regina ogni cinque anni.

Infine, alle spalle del trono, due bandiere di Tristein circondavano la scultura in oro raffigurante il giglio reale, circondato da una coppia di unicorni rampanti.

Le due ali della Camera erano occupate rispettivamente dalle fazioni dei Conservatori, fedeli alla regina e al suo giudizio, dei quali faceva parte anche Saito, e dei Progressisti, che pur restando sottoposti alla regina erano di vedute semi-repubblicane e popolari.

Inizialmente Saito aveva pensato di aderire ai Progressisti, ma poi si era reso conto che il loro capo, lord Sauvegne chevalier Santin, conte di Mormerié, era un nobile tronfio e arrogante più di quelli che diceva di combattere per il bene del popolo, così si era schierato coi polari, tra i quali, oltre al suocero, sedeva anche Lord Lucas de Marcin, il marito di Cattleya, la sorella maggiore di Louise.

Lucas era come un fratello maggiore per Saito; era un nobile di lungo corso, onesto ed ammirevole, che pur schierato coi Conservatori dimostrava una mentalità aperta al cambiamento. Sua moglie lo aveva pregato di tenere sempre d’occhio il giovane e ancora inesperto Lord Hiraga, per evitare che venisse fagocitato dal mondo spietato della politica e dargli il proprio supporto fino a quando non fosse stato abbastanza maturo per navigare da solo.

Era anche un uomo di bell’aspetto, con lunghi capelli castano scuri, occhi neri e profondi e un viso gentile, oltre ad un portamento da vero signore; non aveva mai frequentato le scuole di magia, nonostante la sapesse usare, preferendo invece la strada del soldato, infatti  aveva un grado da ufficiale nell’esercito reale, e il suo era uno degli eserciti privati più grandi e meglio addestrati tra quelli di tutti i feudatari del regno.

La seduta era iniziata alla solita maniera, con un membro della Camera, in quel caso un Conservatore, che aveva cercato di aprire il dibattito, ma quasi subito si era scatenato un coro inascoltabile e assordante di urla e improperi a obice.

Saito e Lucas erano tra i pochi a mantenere l’autocontrollo e a non strillare, e si guardavano entrambi attorno preoccupati.

«Qui succede un putiferio.» commentò Saito

«Putiferio è un eufemismo, temo».

Poi entrambi guardarono Santin, anche lui apparentemente calmo e impassibile, seduto dirimpetto a loro.

«Quel maledetto cercherà di approfittarsi della situazione, vedrai.» disse Lucas.

Intanto, il coro di voci non accennava a diminuire.

«Ci serve un nuovo sovrano! – Dobbiamo pensare ai confini! – Scoviamo gli assassini! – È stato un attentato! – Il regno è in pericolo!».

Alla fine, il magister dovette intervenire per calmare gli animi.

«Silenzio! Ordine!» esclamò, e come batté il martelletto la situazione si acquietò almeno un poco «Lord Santin. Potete parlare».

Il lord a quel punto scese dal suo seggio e si portò al centro della sala per parlare.

«Questo fatto, indubbiamente grave, ci ha tuttavia fatto aprire gli occhi su di una verità ormai innegabile. Che questa famiglia reale sta perdendo sempre più il consenso del popolo.»

«Che ti avevo detto?» sussurrò Lucas

«Quello che ci vuole, è un cambio deciso e immediato.»

«Ma non sappiamo neppure se sua maestà sia morta!» sbraitò Saito alzandosi in piedi

«Se fosse viva sarebbe già tornata, non credete lord Hiraga? O avremmo quantomeno ricevuto sue notizie.»

«Tornata!?» replicò un altro conservatore «In un Paese pieno di approfittatori pronti a pugnalarla alla prima occasione, come probabilmente hanno già fatto?».

Minacciò di scoppiare un’altra volta il finimondo, ma il Magister riportò subito l’ordine.

«Pensate quello che volete, onorevoli signori. Ma io sono del parere che in questo momento Tristain non si può permettere di restare senza un sovrano. E sono convinto di non essere il solo a pensarlo, o mi sbaglio?».

Molti, anche tra i conservatori, abbassarono gli sguardi.

«Preferite aspettare in eterno il ritorno di una regina che probabilmente sarà bruciata fino alla cenere? E nel frattempo magari, assistere alla rovina di questa nazione?» replicò Santin quasi ghignando «Grazie tante, ma no».

Di colpo, Lucas si alzò in piedi.

«Se è della successione che vi preoccupate tanto, lord Santin, non ne avete motivo. A quanto ne so, un successore c’è già.»

«Davvero? E chi sarebbe?».

Seguì un momento si silenzio, poi tutti volsero lo sguardo verso lo spaesato Saito.

«Spero stiate scherzando.» commentò Santin

«Louise de la Vallière ha ricevuto il titolo di sorella acquisita di sua maestà tre anni fa. Inoltre, ha un legame di sangue con la famiglia reale.» disse Lucas

«Un pezzo di stoffa portato sulle spalle e qualche goccia di sangue blu non bastano a legittimare un erede al trono. Ci vuole un’autenticazione reale firmata da sua maestà, e non mi risulta sia mai stata prodotta.»

«Questo è solo un vizio di forma, e voi lo sapete!» sbraitò un altro conservatore

«Quindi, per voi non è un problema.» replicò malevolo Santin «Se Louise de la Vallière prendesse il posto della regina, per poi andrebbe bene».

Di nuovo, molti abbassarono gli occhi.

«Non prendiamoci in giro.» incalzò Santin «Tutti noi, e per primo lei, lord Hiraga, sappiamo fin troppo bene che miss Vallière non possiede neanche lontanamente le caratteristiche necessarie per sedere sul trono.»

«Perché voi forse pensate di esserlo, lord Santin?» replicò pungente Lucas

«Se parliamo di legami di sangue, allora anche il mio casato può vantare una lontana parentela con la famiglia reale. Come almeno un’altra ventina di delegati qui presenti, incluso lei, lord Marcin.

E comunque, non eravate voi a dire che non possiamo dare per certa la morte della regina? Adesso, tutto d’un tratto» e Santin indicò lo scranno sul fondo «Avete tanta fretta di mettere qualcun altro su quel trono?».

Per la terza volta ci fu silenzio, e Santin ne approfittò per affondare ugualmente il coltello.

«Come se non bastasse, Miss de la Vallière non è certo esente da colpe. Tralasciando le responsabilità di quella mezz’elfa che, Dio sia lodato, da tempo ormai se ne è tornata nel suo Paese, a chi dovremmo imputare l’arrivo a Tristain di quel drago maledetto?»

«E vorreste dare la colpa a Louise?» sbraitò Saito inalberandosi

«E a chi, se no? Un mago del vuoto che siede sul trono di Tristain. Mi vengono i brividi solo a pensarci. E, potrei metterci la mano sul fuoco, non solo a me».

Saito strinse i denti, cercando di darsi un contegno.

«E la guerra sfiorata con Gallia? E la crisi diplomatica con Romalia?» incalzò Santin «Miss Vallière non ha certo facilitato il buon corso di questa nazione. Per non parlare poi dei suoi gusti discutibili in fatto di matrimonio. Un nobile per raccomandazione, che in quattro anni ha creato più guai di quanti non ne abbia risolti, non è certo un buon partito».

Quella era la goccia di troppo. Insultare e provocare lui era un conto, ma non dovevano permettersi di mettere in mezzo Louise, né tanto meno di criticarla.

Con quattro balzi Saito saltò giù dal suo scranno, si avventò su Santin e gli assestò un pugno dritto allo zigomo, che quasi lo buttò a terra.

«Dannato bifolco.» mugugnò lui pulendosi il sangue, per poi rispondere a tono.

Così, quella che era iniziata come una seduta, per quanto movimentata, si trasformò in una tremenda scazzottata tra le due opposte fazioni, e stavolta neanche l’onorevole Magister fu in grado di placare la situazione.

 

Alla fine della riunione, il bilancio era di tre feriti, un ricoverato e un numero imprecisato di contusi.

Saito e Lucas se la cavarono con qualche livido sulla faccia, e lasciata la sala si diressero insieme verso i cancelli per fare ritorno ognuno al proprio feudo.

Alla fine, seppur con molte remore, si era deciso di affidare il controllo provvisorio di Tristania e della regione circostante alla regina madre, mentre la gestione dei singoli domini sarebbe stata di competenza dei feudatari, il tutto in attesa di stabilire una più efficiente e duratura linea di condotta, anche al fine di appurare se la regina fosse effettivamente deceduta o meno.

«Quel porco tronfio e arrogante.» mugugnò Saito «Mi viene freddo se penso a quello che potrebbe fare.»

«E purtroppo, temo non sia solo di lui che dobbiamo preoccuparci.»

«Che vuoi dire?».

Entrambi si fermarono, e Lucas si avvicinò il più possibile per poter parlare a bassissima voce.

«La verità, Saito, è che metà dei cavalieri che erano seduti in quella sala, inclusi i nostri alleati, non aspettavano altro che un’occasione come questa.

Questa storia è di una gravità estrema, e ognuno cercherà di tirare acqua al suo mulino per avere la propria fetta.»

«Potrebbero arrivare a fare qualcosa di insensato?»

«Non lo so. Non ci siamo mai trovati in una situazione simile. Ma ora che ogni feudatario potrà fare del proprio dominio quello che vuole, questo significherà che potranno disporre appieno anche dei soldati e degli eserciti che vi sono dislocati».

Saito, capendo, sgranò gli occhi.

«Non starai parlando di una guerra civile!?»

«Spero con tutto il cuore di sbagliarmi. Ma comunque vada, fai attenzione. E soprattutto, tieni sempre d’occhio Louise.»

«Per quale motivo?»

«Santin ha voluto spaventare gli altri cavalieri, e inventarsi scuse per minarne il prestigio, ma non vi è dubbio sul fatto che Louise ad ora sia effettivamente la candidata principale a prendere il posto di sua maestà, qualora venisse effettivamente confermata la sua morte. Di conseguenza, qualcuno potrebbe finire per vederla come una minaccia».

Di colpo, Saito sentì un colpo al cuore.

Solo adesso realizzava quando Louise potesse essere in pericolo. A due anni di distanza restava una ragazza testarda, un po’ superba, piena di sé, sempre pronta a spaccare il mondo, ma la minaccia che avrebbe potuto pioverle addosso da un momento all’altro era forse più di quanto lei stessa potesse affrontare, pur con tutte le sue forze.

Era suo dovere proteggerla. E lo avrebbe fatto, con o senza il potere di Gandalfr.

«Non preoccuparti.» lo rincuorò Lucas «Comunque vada, sappi che qui hai sempre un alleato».

Quindi, lord Marcin consegnò a lord Hiraga una strana penna stilografica, tutta bianca e coperta di rune.

«Che cos’è?»

«Un pennino di Athwani. Se avrai bisogno di aiuto, non devi fare altro che scrivere il tuo messaggio con questa penna, ed io lo riceverò in qualsiasi momento».

Saito strinse la penna e accennò un sorriso; almeno, aveva qualcuno su cui poter contare, in quella situazione così difficile.

«Ti ringrazio, Lucas.»

«Non c’è di che.» quindi, Lucas se ne andò per primo «E mi raccomando, sta in campana».

 

Sul fare del tramonto, Louise e Saito erano di nuovo in carrozza e stavano rientrando ad Ornielle.

C’era uno strano silenzio tra di loro, carico di ansia.

Saito non aveva detto nulla a Louise dell’avvertimento di Lucas, perché non voleva preoccuparla o spaventarla inutilmente. Intanto però, aveva già deciso che appena rientrati al palazzo avrebbe intensificato le misure di sicurezza e rafforzato il corpo di guardia.

«Come ti sei procurato quei lividi?» domandò ad un certo punto Louise

«Beh, sai.» rispose Saito cercando di sdrammatizzare «La discussione alla Camera d’un tratto si è fatta piuttosto accesa.»

«E cosa è stato deciso?»

«Per il momento, ogni feudatario amministrerà da sé il proprio territorio, in attesa di vedere come si svilupperanno gli eventi.»

«Capisco».

Saito restò un momento basito.

Non sembrava affatto la Louise che conosceva, cocciuta ed egocentrica. Quando si erano rincontrati dopo la riunione lei gli aveva detto quello che stava succedendo negli appartamenti della regina, ma visto ciò di cui si era discusso alla Camera non c’era da stupirsi che si stessero cercando le prove che Henrietta fosse caduta vittima di un attentato.

Più che altro però, Louise sembrava non aver minimamente considerato la prospettiva di poter essere lei la persona destinata a prendere il posto della regina.

D’un tratto, Saito si avvide che Louise stava piangendo, un pianto sommesso che cercava di nascondere. Capì subito quale ne fosse il motivo.

«Louise…».

A quel punto, lei si lasciò andare, buttandosi addosso a lui e piangendo tutte le lacrime che aveva.

Ma come si poteva biasimarla?

Lei conosceva Henrietta meglio di chiunque altro; erano praticamente cresciute insieme, e salvo le occasioni formali si erano sempre considerate più amiche che sovrana e suddita.

«Io ti proteggerò, Louise.» sussurrò Saito stringendola a sé «Sempre».

Nel mentre, la carrozza stava percorrendo un tratto di strada immersa nella foresta, con un alto costone roccioso appena sulla sinistra. All’improvviso, alcuni massi piovvero dal cielo; il conducente riuscì a frenare in tempo per evitarli, ma alcuni di essi, invece che continuare a rotolare tra gli alberi, andarono ad ostruire il sentiero.

«Che sta succedendo?» disse Saito, che per la brusca frenata era quasi volato a terra.

Non ci fu neanche il tempo di provare un’inversione di marcia, che nello spazio di pochi secondi una ventina di uomini armati e vestiti da contadini sbucarono sia da dietro gli alberi che da sopra il costone, circondando la carrozza; uno di loro, uno stregone, lanciò immediatamente una selva di punte di ghiaccio che trafissero più volte il veicolo, ma Saito e Louise riuscirono fortunatamente a gettarsi fuori in tempo, e così anche il conducente, che corse subito a nascondersi sotto le ruote.

«Chi siete?» domandò Saito sguainando la spada.

Quelli non risposero, facendosi sempre più minacciosi.

Di certo non si trattava di comuni briganti; in quella zona non se n’erano mai visti, e comunque nessuno di loro sarebbe mai stato tanto pazzo da attaccare una carrozza con impresse le insegne di un feudatario, perché significava cucirsi addosso una condanna a morte.

Saito tornò subito con la mente all’avvertimento di Lucas; a quanto pareva Santin non aveva davvero perso tempo nel mettere in atto i suoi propositi.

«Chiunque  voi siate» disse Louise «Questo affronto vi costerà caro.

Istintivamente, fece per mettere mano alla sua bacchetta, ma poi si accorse, sgomenta, di non averla portata con sé; nello sconcerto del momento, quando erano partiti quella mattina, l’aveva lasciata a casa.

La situazione era davvero seria; anche senza le rune di Gandalfr, Saito era un buon spadaccino, ma era difficile stabilire se sarebbe stato in grado di affrontare da solo tutti quegl’avversari.

 

NOTA DELL’AUTORE

Salve a tutti!^_^

Come avevo detto, mi ci è voluto un po’ di più per scrivere questo capitolo, soprattutto perché in questi due giorni ho avuto un po’ di cose da fare, e mi sono preso indietro.

Ad ogni modo, questo potremmo definirlo l’ultimo dei capitoli “di preambolo”. Dal prossimo, si entrerà davvero nel vivo della storia, anche se per le prime rivelazioni si dovrà aspettare di essere attorno al 15mo o giù di lì.

Grazie come sempre a Seldolce per la sua recensione, nonché a tutti coloro che leggono.

A presto!^_^

Carlos Olivera

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Capitolo 4
*** 3 ***


3

 

 

I briganti, i tagliagole, o chiunque essi fossero, presero ad avvicinarsi, lentamente e da tutti i lati, circondando la carrozza e i due ragazzi.

Saito si manteneva vicino a Louise, perché era quasi sicuro che fosse lei il loro bersaglio primario, quindi non poteva permettersi di perderla d’occhio.

«Louise.» le disse «Entra nella carrozza e chiuditi dentro.»

«Che cosa!?» replicò lei sorpresa

«È più sicuro che starai lì.»

«Che fai, mi mandi via?» disse risentita la ragazza «Guarda che so difendermi molto bene!»

«Fallo!» rispose perentorio Saito.

Louise restò un momento basita, e due degli assalitori immediatamente ne approfittarono per tentare di colpirla alle spalle; Saito però fu più rapido di loro, e giratosi li mise fuori combattimento entrambi, ma visto che uccidere non era nella sua natura si limitò a ferirli quel tanto che bastava da renderli innocui.

Uno dei due, pur con un grosso taglio ad un fianco, si ostinò a voler restare in piedi, ma Louise senza indugio raccolse da terra un grosso pezzo di metallo staccatosi dalla carrozza e glielo spaccò sulla testa, mettendolo inesorabilmente a dormire.

«Io non ti lascio solo, Saito!» disse decisa

«Non fare la stupida, Louise! Qui fuori sei in pericolo!».

Purtroppo non ci fu il tempo di discutere ulteriormente, perché i briganti a quel punto si gettarono all’attacco praticamente tutti insieme.

Saito negli anni aveva migliorato considerevolmente il proprio talento con la spada, al punto da potersi confrontare, seppure solo per breve tempo, con avversari del calibro di Agnes e Girche, che invece praticavano la scherma praticamente da sempre, quindi ormai sapeva difendersi anche senza fare ricorso ai suoi poteri di Gandalfr.

Ora, però, quei poteri non c’erano più, un’altra volta, e solo in quel momento, soverchiato di nemici e con una persona da dover difendere, gli venne da rendersi conto quanto il suo livello, a conti fatti, fosse ancora piuttosto mediocre.

Più volte si era lamentato del fatto che, per quanti progressi facesse, gli risultava sempre difficile riuscire a caprie se i suddetti progressi fossero effettivamente farina del suo sacco, o se invece non ci avesse messo lo zampino quella conoscenza “istintiva” che gli derivava dal potere di Gandalfr.

Adesso lo stava capendo, e non era certo il momento migliore.

Cercando sempre di tenersi il più vicino possibile a Louise, Saito si batteva come un leone, menando fendenti a destra e a sinistra; al solo scopo di proteggere la sua amata, era addirittura venuto meno ai suoi principi, e un paio degli avversari che aveva affrontato non si era limitato a ferirli.

Ma affrontare venti uomini senza il potere di Gandalfr non era una cosa da poco, soprattutto per uno spadaccino di livello medio.

Gli assalitori riuscirono a ferirlo più volte, ferite non gravi per fortuna, ma che minarono ulteriormente la sua resistenza, e la sua capacità di porre rimedio ad una situazione che di secondo in secondo stava diventando drammatica.

Di contro, i nemici, dopo aver seguito la semplice tattica dello sfondamento, avevano iniziato a comportarsi in modo più imprevedibile, e mentre alcuni tenevano impegnato Saito altri cercavano di avventarsi su Louise, che si difendeva come poteva sventolando l’asta di ferro che aveva in mano.

Mentre Louise cercava di difendersi, cercava di pensare a come venir fuori da quella situazione.

Alla fine, non trovando niente di meglio da tentare, approfittando di un momento di esitazione dei nemici si avventò su Saito baciandolo; forse, si disse, in questo modo il contratto tra padrona e famiglio eventualmente e inspiegabilmente spezzatosi sarebbe stato ripristinato, e Saito avrebbe potuto contare di nuovo sui poteri di Gandalfr.

E invece, non accadde nulla, e anzi gli avversari colsero l’occasione per rinnovare il loro assalto.

«Perché?» disse Louise con le lacrime agli occhi «Perché sta succedendo tutto questo!»

Improvvisamente, mentre Saito era impegnato ad affrontare uno scontro di forza, uno dei tagliagole si avventò su Louise arrivandole alle spalle. Lei fece appena in tempo a girarsi, ma pur riuscendo a mettere il bastone davanti a sé per difendersi dal fendente che le piovve addosso il colpo fu così forte da farle volare via l’arma improvvisata dalle mani.

L’assalitore a quel punto la spintonò violentemente contro la carrozza, quindi la afferrò per il collo con una mano, mentre con l’altra si preparò a vibrare il colpo di grazia.

«Louise!» gridò disperatamente Saito cercando di liberarsi dei suoi aggressori.

La ragazza era paralizzata dalla paura, ed osservava, immobile ed inerme, ora la spada che la sovrastava, ora il volto dell’uomo che di lì a poco l’avrebbe uccisa.

«Saito…» mormorava con la poca voce che riusciva a trovare.

In un impeto di rabbia il ragazzo riuscì a vincere il duello di forza, e nel momento stesso in cui fece per avventarsi sul nemico questi alzò ancora di più la spada per colpire.

«Louise!»

«Saito!».

Passò un istante, o anche meno.

Louise chiuse gli occhi, terrorizzata, immaginandosi che da un istante all’altro tutto sarebbe finito.

Invece, non accadde niente, e quando sentì la stretta al collo allentarsi un pochino riuscì a trovare il coraggio di risollevare le palpebre.

Il suo carnefice era immobile, gli occhi sbarrati e la bocca spalancata, da cui usciva un filo di sangue.

Ma non era stato Saito, immobile a pochi passi, ad ucciderlo.

Quando il brigante, ormai morto, cadde inerme in avanti, Louise vide comparire alle sue spalle un giovane ragazzo che doveva avere pressappoco la sua stessa età, capelli neri un po’ lunghi e scompigliati e occhi di un blu chiaro, più chiaro di quelli di Saito, che invece erano di un blu intensissimo.

Indossava abiti molto strani, simili a quelli del mondo di Saito, con un paio di pantaloni azzurro scuro, una maglietta bianca, probabilmente senza maniche, e una specie di giacca marrone scuro un po’ trasandata, con un largo cappuccio di pelliccia.

La sua arma era una spada, una katana, all’apparenza piuttosto vecchia, ma con una lama molto ben tenuta e scintillante, coperta lungo il filo dal sangue dell’uomo che ora giaceva morto a terra.

Quello che però colpì maggiormente, e per certi versi spaventò Louise, erano le ferite, alcune piuttosto serie, che ricoprivano le parti visibili del suo corpo, soprattutto le mani ed il viso; doveva anche aver avuto a che fare con il fuoco, perché alcune parti dei suoi vestiti erano nere di fuliggine o parzialmente bruciate.

Il nuovo venuto era comparso dal nulla, forse dalla foresta, e nessuno, nella concitazione del momento, si era accorto del suo arrivo.

Di sicuro gli assalitori non lo conoscevano, perché furono sorpresi quanto Saito e Louise di vederlo comparire.

Infatti, dopo poco, si misero in guardia, e uno di loro tentò anche l’attacco, ma quel ragazzo, senza con una grazia e una scioltezza quasi disarmanti, scivolò fluidamente da un lato, si girò e aprì il ventre di quello sventurato con un colpo di taglio talmente preciso da lasciarlo a terra morto senza un lamento.

Approfittando della situazione, e appurato che non era un nemico ma un alleato, anche Saito riprese a battersi, e la situazione in breve cambiò a tal punto che non fu neanche più costretto ad uccidere, anche perché a quello ci pensava il nuovo arrivato, che invece non si faceva alcuno scrupolo nel tranciare arti e mozzare teste.

Alla fine, messi alle strette, i briganti,  o chiunque fossero, non ebbero altra scelta che ritirarsi, inclusi i feriti, e rapidamente si dileguarono scomparendo tra gli alberi.

Saito avrebbe voluto provare a prenderne qualcuno, per interrogarlo e fargli confessare chi li avesse mandati, ma era ancora preoccupato per Louise, e per prima cosa volle assicurarsi che stesse bene.

La ragazza era ancora molto spaventata, ma voleva anche ringraziare il ragazzo che l’aveva salvata, e che ora le dava le spalle, rivolto nella direzione in cui l’ultimo suo avversario era scappato senza neanche provare a combattere.

«Louise!»

«Saito.» disse lei volgendosi nella sua direzione

«Sai bene? Ti hanno fatto del male?»

«No, tranquillo. Sto bene».

Tuttavia, passata la foga del momento, Saito era ancora dubbioso circa l’identità del nuovo arrivato, e perciò si frappose tra lui e Louise tenendo la spada alzata.

«Chi sei?».

Quello non rispose; era leggermente piegato in avanti, come se faticasse a reggersi in piedi, e la mano che teneva la spada tremava vistosamente.

Poi, lentamente, si girò nella loro direzione; i suoi occhi erano quasi spenti, e sembrava riuscire a stare sveglio per miracolo.

«Vorrei… saperlo anch’io.» disse, quindi rantolò a terra svenuto.

Senza pensarci, Louise corse da lui per aiutarlo.

«Aspetta, Louise.»

«Non l’hai visto, ci ha aiutati.» disse lei cercando di accertarsi delle sue condizioni «Non c’è di che preoccuparsi.»

«Però…» tentò di protestare il ragazzo.

Louise, che si intendeva un po’ di medicina, gli tastò il polso.

«È solo svenuto, ma è molto provato. Portiamolo a casa.» quindi si rivolse al conducente della carrozza, finalmente decisosi ad uscire «Presto, tu e Saito caricatelo sulla carrozza.»

«Louise, aspetta un momento.» disse Saito rinfoderando la spada «Non sappiamo neppure chi sia.»

«Vorresti abbandonarlo qui?» replicò lei quasi ringhiando.

Saito, dapprima spiazzato, poi riuscì quasi a sorridere: finalmente Louise era tornata la cocciuta testa di marmo che tanto amava.

A quel punto, lui e il conducente caricarono il ragazzo su quello che restava della carrozza, quindi risalirono a loro volta per poi rimettersi in viaggio il più velocemente possibile verso il castello.

Il ragazzo, chiunque fosse, restava disteso ad uno dei due sedili, mentre Saito e Louise erano seduti su quello dirimpetto, ora guardando lui ora guardandosi tra di loro. La situazione alla quale erano appena scampati era drammatica, e se i timori di Saito erano fondati quell’attacco probabilmente non era destinato ad essere l’ultimo.

D’un tratto la carrozza urtò un sasso con la ruota, sobbalzando leggermente, e la mano sinistra del ragazzo,  da appoggiata lungo il fianco che era, scivolò inerte sul pavimento; quello che videro Saito e Louise, li lasciò entrambi senza parole.

«Ma…» esclamò Louise «Sono le rune di Gandalfr!».

Saito, istintivamente, si avvicinò per osservarle meglio.

Non c’era dubbio; quelle erano sicuramente le rune che fino ad un giorno prima erano appartenute a lui. Ma che ci facevano impresse sulla mano di quel ragazzo?

La situazione stava diventando sempre più ingarbugliata.

 

Come Saito e Louise rientrarono ad Ornielle, Saito ordinò l’immediato dispiegamento del piccolo contingente di guardie donatogli personalmente dalla principessa poco dopo il suo matrimonio, con l’ordine di presidiare il palazzo e di non far passare nessuno.

Il ragazzo svenuto venne portato nella camera degli ospiti, e Saito,  sapendo che il professor Colbert qualche giorno prima si era spostato nel vicino villaggio per un periodo di vacanza, lo mandò a chiamare perché visitasse quel poveretto e si accertasse delle sue condizioni.

Forse era per il fatto che l’aveva salvata, forse perché, per chissà quale motivo, aveva “rubato” le rune di Gandalfr a Saito, diventando il suo nuovo famiglio, fatto sta che Louise sembrava molto in ansia per quel ragazzo, e anche dopo che le guardie lo ebbero disteso sul letto gli restò accanto.

Quando ebbe ricevuto dal capo delle guardie la conferma che ora il palazzo era a prova di intrusione, anche Saito si recò nella camera degli ospiti, dove nel frattempo era arrivata anche Siesta.

Il ragazzo dormiva ancora, e alcune delle sue ferite, quelle più serie, erano state medicate e fasciate. Quando Siesta gli aveva tolto la giacca e la maglietta ne erano comparse molte altre, quasi tutte escoriazioni, come se quel giovane, prima che con gli aggressori, avesse lottato furiosamente anche con qualcun altro, o fosse stato coinvolto in qualche altro evento violento.

«Come sta?» domandò

«Credo bene.» rispose Siesta «Ha un po’ di febbre, ma è colpa delle ferite».

Poi, tutti e tre volsero di nuovo i loro sguardi alle rune sulla mano sinistra del ragazzo.

Che cosa poteva mai essere successo?

Com’era stato possibile che le rune, e quindi, in un certo senso, anche il contratto tra padrone e famiglio, fosse arbitrariamente passato da Saito a quel ragazzo?

E soprattutto, perché era successo?

Erano tutte domande alle quali Louise non sapeva dare risposta, così come non riusciva a capire se tutto quello che stava accadendo dalla mattina presto a quella parte avesse un senso, o fosse in qualche modo correlato.

Saito, perplesso e confuso quanto se non più di lei, si avvicinò alle rune per poterle guardare meglio, per accertarsi se fossero veramente le sue, quando queste, di colpo, si illuminarono, e lui per lo spavento cadde all’indietro, ritrovandosi seduto sul pavimento.

«Ehi, compare!».

Tutti spalancarono gli occhi.

«Questa voce…» disse Siesta

«Derf!» esclamò Saito

«Finalmente ci rivediamo. Temevo che senza di me a darti manforte, avrei finito per ritrovarti cadavere.»

«Derf, ma che cosa sta succedendo?» domandò Louise «Che ci fate tu e le rune di Gandalfr addosso a questo ragazzo?»

«Ah, non chiederlo a me, mia signora. Quello che so è che fino a due giorni fa me ne stavo tranquillo e beato in compagnia del mio compare, e da un momento all’altro mi sono ritrovato attaccato a sto smemorato.»

«Smemorato!?» ripeté Siesta

«Sto tipo non ricorda niente. Quando l’ho incontrato per la prima volta l’ho trovato mezzo morto sul bordo di un torrente. Ho provato a chiedergli chi fosse, ma non me lo ha saputo dire.

L’unica cosa che dice di ricordare è il suo nome: Kaoru

«Kaoru!?» ripeté Saito

«Non è un nome del tuo mondo?» disse Louise

«Sì, è così.»

«Anche i suoi vestiti non mi paiono molto normali, se capite cosa intendo.» proseguì Derf «È molto debole, ma avverto una specie di affinità tra questo tipo e Saito.»

«Allora, forse anche lui viene dal mio mondo.» ipotizzò il ragazzo «Ma perché si trova qui?»

«Questo non lo so».

In quella, entrò un’altra servitrice.

«Mi perdonino, padroni. Il professor Colbert è arrivato.»

«Splendido.» disse Saito «Fallo passare.»

«Come desiderano».

Poco dopo, il professor Colbert si palesò davanti ai tre ragazzi; Saito e Siesta gli andarono incontro.

«È passato un po’ di tempo, Saito.»

«Professore. È un piacere rivederla.»

«Anche per me. Vi trovo tutti in buona salute.»

«E lei, professore?» chiese Siesta

«Non mi lamento. Ma devo ammettere che, senza voi e gli altri, l’accademia d’un tratto si è fatta terribilmente monotona».

I tre risero al commento, poi, anche dietro insistenza di Louise, il professore visitò il ragazzo, usando anche la sua magia per curare buona parte delle ferite.

«Tranquilli, non è in pericolo. Ha solo bisogno di molto riposo.» poi commentò «Accidenti, i suoi muscoli sono tesi allo spasimo. Deve aver camminato, o addirittura corso per giorni interi senza mai fermarsi».

Poi, quando si accorse anche lui delle rune sulla mano, Saito e Louise gli spiegarono per filo e per segno tutto quello che era successo, e il professore trasse le proprie conclusioni.

«Capisco.» disse «Forse sono state proprio le rune a guidarlo da voi. È risaputo che un famiglio può percepire la presenza del suo padrone anche a grande distanza. Probabilmente l’avrà seguita dopo essersi risvegliato».

D’un tratto, i quattro udirono un gemito, e voltisi verso il letto videro che il ragazzo sembrava sul punto di svegliarsi.

Louise e Siesta gli si avvicinarono, ma prima che Saito potesse farlo a sua volta il professore gli mise una mano sulla spalla.

«Posso parlarti un momento?».

 

Nota dell’Autore

Salve a tutti!^_^

Questa volta ho davvero superato me stesso!

Non solo ancora una volta ho aggiornato in tempi piuttosto rapidi per i mie standard, ma addirittura ho scritto tutto questo capitolo in sole 4 ore, dalle due alle sei di oggi.

Il fatto è che negli ultimi due giorni ho avuto un rognoso impegno di studio, e appena me ne sono liberato ho voluto mettere subito il turbo e proseguire con la storia.

Il capitolo breve e conciso è un’esperienza nuova per me, e devo ammettere che mi ci sto trovando bene, ma è probabile che tra non molto tornerò ai miei soliti standard di lunghezza.

Concludo ringraziando come sempre seldolce per la sua recensione e i miei lettori per aver letto.

A presto!^_^

Carlos Olivera

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Capitolo 5
*** 4 ***


4

 

 

Il ragazzo, aperti gli occhi, si guardò attorno con aria spaesata.

Le prime persone che vide furono Siesta e Louise, chine sopra di lui.

Notando la sua espressione, Siesta gli strinse leggermente una mano.

«Stai tranquillo.» gli disse «Sei al sicuro, qui. Ti abbiamo aiutato.»

«Dove…» balbettò lui «Dove mi trovo?».

All’inizio Louise non ci aveva fatto troppo caso, ma ora che la situazione era più tranquilla aveva realizzato che quel ragazzo, nonostante sembrasse provenire a sua volta dal mondo di Saito, sembrava in grado di parlare, e anche di comprendere, la loro lingua.

Forse era merito delle rune di Gandalfr, o forse era anche lui un abitanti di quel mondo, ed il fatto che vestisse in quel modo strano e che suoi tratti somigliassero a quelli di Saito erano solo coincidenze.

«Sei nella nostra villa nel feudo di Ornielle.» rispose Louise «Ti ci abbiamo portato noi.»

«Ornielle?».

Il ragazzo cercò di mettersi a sedere, ma tutto il corpo doveva fargli un gran male, infatti come provò a sollevare la schiena i suoi tratti si piegarono in una smorfia di dolore.

«Aspetta, devi fare attenzione.» disse Siesta «O le tue ferite potrebbero riaprirsi».

Il ragazzo a quel punto rinunciò ad alzarsi, ma non a restare seduto.

«Sembra che il tuo nome sia Kaoru.» disse Louise «È vero?»

«Kaoru…» ripeté lui «Ricordo una donna… lei… mi chiamava così.»

«E non ricordi altro?» domandò Louise «Ad esempio da dove vieni? Quanti anni hai?».

Lui chiuse gli occhi, e fece cenno di no.

«Te l’avevo detto, mia padrona.» disse Derf «Sto tipo ha un’amnesia con la A maiuscola».

Intanto, il professor Colbert e Saito si erano appartati fuori dalla stanza; il professore sembrava terribilmente serio e preoccupato, e per un po’ i due stettero a guardarsi vicendevolmente negl’occhi senza proferire parola.

«Dunque è vero?» domandò lapidario Colbert «La principessa è davvero stata uccisa?»

«E lei come lo ha saputo!?»

«Le notizie girano più in fretta di quanto i nobili possano pensare.»

«Per ora non si sa ancora niente. Il suo corpo non è ancora stato trovato, ma i più sostengono che nessuno sarebbe potuto sopravvivere ad un’esplosione del genere.»

«Non riesco a crederci. E dire che avevo progettato l’Ostland perché risultasse inattaccabile. Chiunque sia stato, doveva conoscere bene la nave e i suoi punti deboli.»

«Pensa che possa essere stata opera di una spia? O che possa essersi trattato di un sabotaggio?»

«Non ne ho idea. Chiederò di poter visionare il luogo dell’incidente. Qualsiasi cosa sia successa a bordo, dovrei poterlo scoprire.»

«Confido in lei, allora. E all’accademia, invece? È tutto a posto?»

«Non troppo. Questo pomeriggio ho sentito il direttore. Come hanno iniziato a diffondersi le prime voci, gli studenti stranieri sono stati fatti immediatamente rientrare ai propri Paesi. Per quanto riguarda quelli dei nobili di qui, temo che non dovrà passare molto tempo prima che comincino ad andarsene anche loro.»

«È comprensibile».

Entrambi abbassarono gli occhi, sconsolati e preoccupati.

«Secondo lei cosa potrebbe succedere?»

«Difficile a dirsi. Come ha detto Lord Marcin, questa è una situazione nella quale il nostro regno non si è mai trovato. Un Paese senza è un re è un Paese con un futuro incerto, e dove le ambizioni personali possono esplodere in qualunque momento.»

«Spero vivamente che non accada nulla, e che la principessa sia viva. Mi sembra di vivere un incubo».

Poi, il professore si accorse che le mani di Saito tremavano, e glielo fece notare.

«Io… ho ucciso.» disse Saito guardandosele «Non avrei voluto farlo, ma…»

«Non l’hai fatto perché hai voluto. Ma perché era necessario.»

«Eppure, non era stato lei a dirmi che, comunque la si veda, uccidere resta sempre un peccato?»

«Non quando le persone che uccidi mettono in pericolo coloro che si ama».

Nel mentre, nella stanza da letto, Louise cercava ancora di spronare Kaoru a ricordare chi fosse, o che cosa gli era successo.

«Appena sveglio, ho sentito una presenza. Era un richiamo irresistibile, come un fischio nella mia testa. L’ho seguito senza sosta per almeno due giorni, fino a che non vi ho incontrato. E una volta lì, quella sensazione è scomparsa.»

«Come immaginavo.» disse Derf «Il potere del contratto ti ha attirato verso il tuo padrone.»

«Il mio padrone!?» ripeté Kaoru

«Le rune che hai sulla mano sono il simbolo di un contratto che ti lega alla qui presente Louise. Tu sei diventato il suo famiglio.»

«Il suo… famiglio!?»

«Una specie di servitore.» disse Siesta.

Louise, e ora se ne era accorta anche Siesta, era strana; aveva un solito bagliore negl’occhi, e la sua espressione era quasi di rabbia, o quantomeno di fredda determinazione. Evidentemente, riuscire a scoprire chi fosse quel ragazzo doveva essere davvero importante per lei.

«Questa» disse la ragazza raccogliendo la katana di Kaoru e mostrandogliela «L’avevi con te quando ci hai aiutati.»

«Posso garantire» intervenne Derf «Che non ha fatto alcun uso dei poteri di Gandalfr. Quello che avete visto, era tutta farina del suo sacco.»

«Quindi è chiaro che, chiunque tu sia, sei una persona abituata a combattere.» disse Louise «Dove hai imparato a combattere in quel modo?».

Kaoru era ansioso quanto lei di trovare delle risposte, ma per quanto ci provasse non riusciva a ricordare nulla; inoltre, tutte quelle domande a raffica gli creavano una tremenda emicrania.

«Quanti anni hai? Come hai fatto a ferirti in quel modo? Dove ti trovavi quando ti sei ripreso?»

«Miss Vallière…» tentò di dire Siesta.

Alla fine Kaoru ebbe un mancamento e prese a mugolare dal dolore tenendosi la testa; i gemiti richiamarono nella stanza Saito e il professore.

«Louise, ora basta.» le disse severamente Saito

«Non capisci, stupido? Lui potrebbe sapere qualcosa! Possiede le tue rune! Potrebbe persino avere qualcosa a che fare con l’attentato alla principessa!»

«Anch’io vorrei delle risposte, proprio come te. Ma forzarlo a dirti cose che non si ricorda non ti porterà a nulla».

Louise si imbronciò, poi prese la bacchetta. Nel mentre Kaoru era stato di nuovo colto da un mancamento, probabilmente a causa dello stress, e Siesta lo aveva aiutato a distendersi nuovamente sul letto.

«Quand’è così» disse Louise «Gli farò l’incantesimo per ricordare. Lo conosco.»

«Io non lo farei, miss Vallière.» disse il professor Colbert «L’incantesimo per estrapolare i ricordi funziona solo sui defunti».

Alla fine, inevitabilmente, la ragazza dovette arrendersi, ma questo non modificò né mitigò l’espressione di Saito. Essere determinati e voler trovare delle risposte era un conto, e poteva capire Louise per essere così tesa e determinata, ma la sua compagna stavolta aveva passato il segno.

«Fate quello che volete!» sbraitò andandosene via sbattendo la porta

«Il matrimonio non le ha certo addolcito il carattere.» commentò Siesta un po’ velenosa.

Poco dopo Kaoru si riaddormentò, e i tre uscirono a loro volta dalla stanza lasciandolo solo.

«Secondo lei.» disse Saito rivolto al professore «È possibile fare in modo che riesca a ricordare?»

«Temo di no, Saito. Ad oggi non esistono incantesimi efficaci per cancellare o curare l’amnesia. Tutto quello che si può fare è aspettare, sperando che la memoria ritorni da sé.»

«Capisco».

Ormai si era fatta sera, ed un servitore venne ad annunciare al padrone che la cena era in tavola.

«Immagino che ormai sia tardi per Lei per rientrare al villaggio. Posso permettermi di ospitarla per la notte?».

Stranamente, Colbert accettò quasi subito l’invito di Saito; il ragazzo, d’altra parte, era ancora troppo confuso per accorgersi della stranezza della cosa, così come della strana espressione negl’occhi del professore.

 

Louise non volle cenare quella sera.

Quando Saito andò in camera da letto avrebbe voluto parlarle, se non altro per scusarsi del tono severo che aveva usato, ma al suo arrivo Louise stava già dormendo, e così rimandò tutto al giorno dopo.

In realtà Louise non stava affatto dormendo, e dopo aver atteso che fosse il suo sposo ad addormentarsi si alzò e se ne andò.

Saito aveva avuto ragione quando, quella mattina, le aveva chiesto se non stesse nascondendo qualcosa.

La verità era che si era accorta già da qualche tempo che i suoi poteri stavano diminuendo.

All’inizio aveva cercato di non farci caso, poi si era detta che forse era solo una cosa temporanea, ma quando quella mattina si era resa conto di quanto la situazione si fosse fatta seria le era caduto il mondo addosso.

Mentre erano a Tristania aveva voluto mettersi alla prova, e nascostasi in un angolo appartato del giardino aveva di nuovo provato ad aprire un portale.

Ci aveva provato con tutto sé stessa, mettendoci tutta l’energia di cui era capace, ma non era successo nulla; tutto quello che aveva guadagnato era di stancarsi da morire, per poi avvertire subito dopo un tremendo dolore al ventre che, per fortuna, era durato solo pochi minuti.

Che cosa le stava succedendo?

Forse che i suoi poteri stavano scomparendo del tutto?

Non voleva neanche pensarci.

Non voleva ridiventare una Zero.

Scesa nell’atrio, recitò per l’ennesima volta l’incantesimo per aprire i portali; voleva andare sul sicuro, perciò, piuttosto che verso il mondi di Saito, si limitò a cercare di aprirne uno con la locanda delle Fate Incantatrici.

All’inizio, come quella mattina, sembrò che tutto stesse andando bene, ma poi, sul più bello, cominciò a sentire quella perdita di forze, repentina e incontrollabile. Testarda e orgogliosa come era non volle rinunciarci e continuò, cercando di ignorare anche quel dolore lancinante stringendo, ma alla fine la sua volontà venne sconfitta.

Il portale scomparve, proprio un istante prima che fosse sul punto di aprirsi, e lei si ritrovò inginocchiata sul freddo marmo, con una mano sul ventre e i denti serrati sulle labbra per soffocare le grida.

«È inutile.» sentì dire all’improvviso da una foce famigliare.

Fulminea si girò, incrociando lo sguardo, severo e compassionevole al tempo stesso, del professore.

«Professor Colbert!? Da quanto tempo si trova qui?»

«Abbastanza per capire la vera ragione del tuo essere così turbata.»

«Che intende dire col fatto che è tutto inutile?»

«Dovresti averlo studiato. È piuttosto normale che un mago a questa età veda ridursi momentaneamente i propri poteri. È una tappa naturale della crescita.»

«Sì, lo sapevo. Però, una cosa del genere…»

«Infatti, nel tuo caso, ho l’impressione che ci sia anche dell’altro».

Louise guardò in basso, affranta. Allora i suoi timori erano veri.

«Quindi…» disse con un filo di voce «Sto perdendo il mio potere?»

«Niente affatto. Se la mia teoria è vera, non li stai perdendo. Li stai trasmettendo».

Quell’affermazione arrivò come un fulmine a ciel sereno, e la ragazza sgranò gli occhi. Poi, di nuovo, si sfiorò il ventre, con lo sguardo perso nel vuoto.

«Dunque…» balbettò «Io sono…»

«Ancora no, per ora. Ma è probabile che lo sarai presto. Per ora, il tuo corpo sta mettendo da parte l’energia che andrà a costituire la fonte del potere magico sacrificando la propria. Per questo sei così debole, anche più del normale. Nei prossimi giorni potrai sentirti debole, avere dei mancamenti improvvisi, ma quando comincerà lo sviluppo vero e proprio la tua magia dovrebbe ricaricarsi».

Seguì un lungo silenzio.

Louise sapeva che prima o poi sarebbe successo; anzi, lo aveva sempre sognato. Ma ora che stava accadendo, provava una strana sensazione.

Da una parte era contenta di sapere che il suo potere non era perduto, dall’altro non era sicura di essere pronta per una cosa del genere. Soprattutto, non in un momento simile.

 

Passarono due giorni, durante i quali Kaoru si sentì sempre e comunque molto stanco.

Quando ci riusciva, mangiava qualcosa di quello che Siesta o qualche altro servitore gli portava in camera, ma per la maggior parte del tempo non faceva altro che dormire.

Colpa soprattutto dei decotti e delle tisane che gli venivano date per alleviare il dolore delle ferite e distendere i muscoli.

La mattina del terzo giorno, il ragazzo si svegliò di mattina molto presto, quando quasi tutti, inclusa la servitù, stavano ancora dormendo.

Si sentiva molto meglio, le ferite erano quasi tutte guarite e anche le forze sembravano stare tornando.

Dalle tende chiuse entrava un tenue chiarore, ma la radura e la foresta circostante erano immerse in una nebbia leggera.

Girato lo sguardo dall’altro lato il ragazzo vide i propri vestiti, rattoppati e rimessi insieme in qualche modo.

Li indossò, e lasciata la stanza prese a camminare senza meta per i corridoi del palazzo, venendo anche notato da una cameriera che entrava in servizio in quel momento, raggiungendo infine il portone d’ingresso.

In testa aveva la solita, grande confusione. Tre giorni di riposo quasi assoluto non gli erano serviti a recuperare la memoria, e ancora non aveva idea di chi fosse o di come si fosse venuto a trovare in quella situazione.

Forse, si disse, l’aria esterna gli avrebbe giovato, e senza pensarci uscì, inconsapevole del fatto che i soldati che Saito aveva disposto in difesa della sua sposa erano ancora lì, e che nessuno di loro lo aveva mai visto o sapeva chi egli fosse.

Alcuni di loro, intenti a bivaccare vicino ad un carretto, si accorsero di lui, e immediatamente gli si fecero incontro con le picche in mano; non avevano cattive intenzioni, ma volevano semplicemente accertarsi sulla sua identità.

«Ehi.» disse uno «Che ci fai tu qui?».

Kaoru li guardò, e fece quasi per rispondere, ma poi ebbe come un sussulto, una specie di flash.

«Chi sei?» chiese ancora lo stesso, mentre lui e gli altri due si avvicinavano cautamente.

Da un momento all’altro, ai suoi occhi, i tre soldati davanti a lui si mutarono in esseri oscuri e spaventosi, coperti da pesanti armature di ferro, e la tranquilla radura in cui si trovava una specie di segreta, piena di prigionieri agonizzanti e con un tale frastuono di voci, gemiti e urla disumane da farlo impazzire.

Visto che il ragazzo non dava segno di voler rispondere né collaborare il capo dei soldati allungò una mano per poggiargliela su di una spalla e poterlo perquisire.

All’improvviso però, gli occhi di Kaoru si accesero come un braciere, ed afferrata la mano del soldato gli slogò il braccio in tre punti. Quello urlò con tutta la sua voce, per poi venire allontanato con un calcio, e a quel punto i suoi uomini lo attaccarono a loro volta.

Kaoru sembrava diventato improvvisamente un'altra persona, fredda e mortalmente efficace, la stessa che aveva soccorso Saito e Louise qualche giorno prima, e senza quasi nessuna difficoltà riuscì a tenere testa ai due soldati, oltre che a tutti gli altri che cominciarono ad arrivare da ogni parte.

«Compare, fermati!» continuava a ripetere Derf, ma non c’era verso di fermare la furia del ragazzo.

Il baccano dello scontro svegliò Saito e Louise, e Saito si affacciò alla finestra per vedere che succedeva.

«Maledizione!» esclamò aprendo l’uscio «Fermatevi!».

Ma fu tutto inutile, perché nella foga della battaglia nessuno lo sentiva, così, lasciato perdere tutto, corse immediatamente fuori della stanza, seguito quasi subito da Louise.

Quando  arrivarono finalmente in cortile, Kaoru aveva già lasciato per terra una decina di uomini; per fortuna non ne aveva ancora ucciso nessuno, visto anche che combatteva a mani nude, ma il suo metodo di combattimento, oltre che aggraziato ed efficace, era anche terribilmente brutale.

«Kaoru, smettila!» gridò Saito «Non sono nemici!».

Dopo aver disarmato l’ultimo soldato che aveva avuto il coraggio di sfidarlo, con un rapido scatto Kaoru gli storse il polso e gli rubò la picca, quindi lo spinse con forza contro un albero ed alzò l’arma per vibrare un affondo.

Louise aveva le lacrime agli occhi, e sembrava terrorizzata.

«Fermati!» urlò con tutta la sua voce».

Il ragazzo ebbe come un sussulto, e di colpo la luce nei suoi occhi, così come si era accesa, si spense, e quando vide ciò che aveva attorno, con tutti quegli uomini feriti e doloranti riversi sull’erba, non riuscì a credere ai propri occhi.

Per un attimo, una rabbia tremenda si era impadronita di lui, spingendolo a scagliarsi contro quei soldati come se fossero stati i suoi peggiori nemici.

Che cosa diavolo era, lui?

Dove aveva imparato a battersi in quel modo?

Non aveva niente a che fare con l’ipnosi, con una doppia personalità, o con un qualche altro tipo di possessione.

Semplicemente, si era sentito minacciato, e come una marionetta mossa dal proprio impeto aveva reagito con tutta la forza che aveva, e avrebbe sicuramente finito per uccidere qualcuno se quella voce, così forte e perentoria, non lo avesse riportato alla ragione.

Si guardò le mani, inorridito, poi si coprì il volto.

Forse non sapeva chi era, ma ora sapeva di sicuro che cosa era: era una macchina per uccidere.

Forse era stato un soldato, un mercenario, o addirittura un assassino.

Una cosa era certa; la sua personalità stava probabilmente risorgendo. E se quella personalità, qualunque essa fosse, era capace di spingerlo a fare cose del genere, allora non poteva stare con nessuno, perché avrebbe finito per mettere in pericolo chiunque avesse avuto vicino.

Saito e Louise fecero per avvicinarsi.

«State lontani da me!» gridò con rabbia, quindi saltò in groppa ad un cavallo lì vicino e corse via al galoppo.

«Aspetta!» tentò di dire Saito, ma nel tempo che impiegò a montare a  sua volta in sella Kaoru era già sparito.

 

Nota dell’Autore

Salve a tutti!^_^

Ancora una volta ci sono voluti due giorni, ma ieri purtroppo ho avuto una giornata molto piena e non mi sono quasi avvicinato al computer.

Questo è, probabilmente, il mio ultimo capitolo breve. Già dal prossimo è probabile che le pagine aumenteranno, passando da 6 a 7, o 8 al massimo.

Il motivo è che, da ora in poi, le cose si faranno sempre più complesse ed articolate, cosa che richiederà una descrizione più approfondita.

Soliti ringraziamenti a Seldolce e ai miei lettori.

A presto!^_^

Carlos Olivera

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Capitolo 6
*** 5 ***


5

 

 

Kaoru continuò a procedere, a procedere, e a procedere senza sosta, in ogni direzione.

Non importava dove andasse, ma doveva essere il più lontano possibile da qualunque traccia di presenza umana.

Ora che il suo vero io stava emergendo, chiunque attorno a lui sarebbe potuto essere in pericolo.

Quell’abilità nel combattere, quella capacità di uccidere a sangue freddo con letale precisione; chi poteva essere stato prima di perdere la memoria?

Si sentiva dentro un misto di rabbia e amarezza, un turbinio di emozioni che non gli riusciva di tacitare, per tutte le risposte che non gli riusciva di darsi.

A sera, quel povero cavallo crollò per la fatica, costringendo Kaoru a fermarsi.

Aveva corso come un matto per tutto il giorno senza una meta precisa, svoltando a destra e a sinistra ad ogni incrocio o biforcazione. Aveva attraversato anche qualche villaggio, ma aveva sempre tirato dritto, e in un’occasione per poco non aveva travolto un carretto di fieno.

In qualche modo, era arrivato sulle rive del mare.

Non lo vedeva, ma immerso tra gli alberi poteva sentire abbastanza vicino il gorgoglio delle onde.

Doveva trovarsi in prossimità di una scogliera, o di un promontorio.

Si fermò, respirando profondamente. Tutte le ossa gli facevano male per la lunga cavalcata, aveva fame e sete, e anche il dolore in alcune parti del corpo era tornato a farsi sentire.

«Ti sei calmato?» domandò Derf

«Sta zitto.» rispose secco lui

«Hai fatto una grande stupidaggine, se posso permettermi. E non parlo dei soldati che hai spedito in infermeria.»

«Io sono una bestia.» disse guardandosi le mani «Quando ho affrontato quegli uomini. E anche l’altro giorno, con quei briganti… io non ho provato niente.

Né dolore, né rimorso.

Solo, una fredda determinazione. E tutte quelle cose che ho fatto. Il mio corpo si muoveva in modo istintivo; non capivo che cosa stava succedendo, eppure…»

«È chiaro che, come diceva miss Louise, sei una persona abituata a combattere. Queste abilità nella lotta sono ormai parte di te, tanto che neppure l’amnesia è riuscita a fartele scordare.»

«Appunto. Quindi chi ero prima di perdere la memoria? Chi o che cosa potevo essere, per possedere una tale capacità di privare altri della vita?».

Kaoru batté violentemente il pugno su di un tronco, mentre una lacrima gli rigava il viso.

«Senti, compare.» disse Derf con un tono insolitamente compassionevole «Fino ad una settimana fa, io non sapevo neanche della tua esistenza.

Queste abilità indubbiamente fanno parte di te, ma non è detto che tu, chissà quando e chissà come, le abbia apprese allo scopo di fare del male.

Allo stesso modo, non è detto che tu debba servirtene solo per uccidere.»

«Parli bene, tu.» rispose acido Kaoru «Sei solo un disegno sulla mia mano.»

«Un disegno!?» replicò Derf, stavolta arrabbiato «Hai una qualche idea di quante persone io abbia ammazzato nel corso dei secoli!?»

«Che cosa!?»

«Io ero una spada. Una spada magica. Sono stato uno strumento di morte, su questo non c’è dubbio, ma chi mi ha costruito non l’ha fatto perché potessi togliere la vita.»

«E allora, per cosa?»

«Per salvarne il più possibile. Chi impugnava Derflinger non lo faceva per uccidere, ma per proteggere. Questo è l’unico scopo che il mio creatore mi aveva attribuito».

Kaoru abbassò lo sguardo.

«Doveva essere davvero una persona speciale.»

«Puoi ben dirlo. Lo stesso vale per le tue capacità. Puoi usarle per uccidere, ma anche per proteggere. E nel tuo caso, una persona che devi proteggere c’è già.»

«Parli di quella ragazza?»

«Tu sei il suo famiglio. Come e perché tu lo sia diventato resta un mistero, ma il tuo scopo è proteggerla. Il tuo predecessore, Saito, lo faceva con la sua forte volontà e i poteri di Gandalfr. Tu lo farai col tuo talento».

Di nuovo, Kaoru si guardò le mani.

«Quindi, secondo te… io potrei davvero proteggere qualcuno?!»

«Perché, non lo hai già fatto? Se non fossi arrivato tu, né il mio compare né l’incantevole Louise sarebbero andati via da quello sterrato. Che altre prove ti servono?».

D’un tratto Kaoru ebbe l’impressione di sentire un rumore, come uno scricchiolio di passi, accompagnato da un vociare indistinguibile.

«Hai sentito niente?» domandò

«Altroché. Non siamo soli, a quanto pare».

Il ragazzo si diresse verso la direzione da cui sentiva giungere i rumori, tenendosi quanto più basso possibile e nascondendosi tra la boscaglia. Alla fine, acquattatosi dietro una roccia, giunse a scorgere il bordo di una scogliera; radunati attorno ad un bivacco c’erano una decina di uomini, soldati all’apparenza, ma che al posto delle armature indossavano una specie di casacca nera con al centro un simbolo a forma di giglio.

«E quelli chi sono?» domandò sottovoce

«Sembrano guardie ducali.»

«Guardie che cosa?»

«Sono soldati che proteggono i membri più importanti della corte reale, come i consiglieri o i dignitari».

Poi Kaoru parve riconoscere uno degli uomini intenti a bivaccare, quello che sembrava il capo, un tipo alto e smilzo con una barba leggera e l’occhio sinistro coperto da una benda.

Ci mise poco a riconoscerlo; per quanto i suoi ricordi di quel momento fossero un po’ sfocati, gli sembrava essere l’unico avversario che quel giorno, davanti alla carrozza, era stato in grado di opporsi a lui, riuscendo a tenergli testa fino a quando aveva dato ai suoi l’ordine di ritirarsi.

«Io quello l’ho già visto.» disse indicandolo

«Quello è Roland, uno dei comandanti delle guardie ducali.» rispose Derf, che lo aveva conosciuto insieme a Saito qualche tempo prima in una visita a palazzo «È un ottimo spadaccino, ma anche un maledetto bastardo. Per lui, l’unico Dio che conta è il denaro.»

«Ma che cosa ci fanno dei soldati in un posto simile? E soprattutto, perché hanno attaccato Louise e Saito travestiti da briganti?»

«Se vuoi sapere come la penso, temo che abbiamo ficcato il naso in qualcosa di molto pericoloso».

Mai affermazione fu più vera.

Kaoru era così impegnato a cercare di capire quello che stava succedendo, e cosa quegli uomini si stessero dicendo, da non accorgersi di una presenza minacciosa che silenziosamente si avvicinava alle sue spalle.

«Compare, attento!» esclamò Derf accorgendosi del pericolo.

Il ragazzo fece a malapena in tempo a girarsi, e l’ultima cosa che vide fu uno di quegli uomini che gli si avventava contro armato di bastone.

 

Le previsioni del professor Colbert si stavano infine avverando.

Giorno dopo giorno, l’accademia di magia si svuotava di tutti i suoi studenti, anche di quelli originari di Tristain.

La situazione per il regno sembrava farsi ogni giorno più tragica, con eserciti e corpi di guardia ammassati alle frontiere di ogni feudo e il Paese sempre più vicino al collasso, perciò i nobili preferivano tenere i propri figli il più vicino possibile a sé dove non potevano essere vittime di complotti o tentativi di omicidio.

Il direttore Osmund, dal suo ufficio, osservava impotente la sua amata scuola trasformarsi lentamente in un deserto. Persino gli inservienti e i professori stavano cominciando ad andarsene, troppo preoccupati per le proprie famiglie, senza contare poi che senza studenti, e quindi senza lezioni, era anche inutile restare.

Aveva vissuto tanti anni, e aveva visto numerose situazioni difficili, ma quello che stavano attraversando ora era qualcosa di mai visto, che rischiava seriamente di condurre Tristain alla rovina.

Che cosa sarebbe successo se il regno fosse sprofondato nella guerra civile?

Battaglie, razzie, distruzione, omicidi e complotti a non finire.

Una volta Saito gli aveva raccontato che anche il suo Paese natale, nel mondo da cui veniva, era stato a lungo lacerato dalla guerra civile, una guerra durata secoli, e il solo pensiero che potesse succedere una cosa simile anche a Tristain faceva sudare le sue vecchie ossa.

Ma d’altra parte, lui non era nessuno.

Non aveva un feudo, non aveva un esercito; e, almeno in quel momento, non aveva neanche nessun potere, nessun ascendente da poter sfruttare.

Era inutile.

Tutto quello che poteva fare, era aspettare e sperare.

Più di tutto, era preoccupato per i suoi alunni; che avrebbero fatto se i loro potenti genitori avessero deciso di andare in guerra, finendo magari per costringerli a rivolgere le armi contro coloro che chiamavano amici?

In particolare, era in pensiero per quelli più anziani, quelli già diplomati, alcuni dei quali ricoprivano importanti cariche statali o feudali, e che quindi erano i più esposti alle conseguenze di una guerra civile.

Il suo pensiero andò inevitabilmente a Saito e Louise.

Aveva fiducia in quei ragazzi, così come conosceva la loro caparbietà, la loro esperienza della vita e la loro capacità di sapersi cavare d’impaccio in ogni situazione: ma temeva che questa fosse una prova troppo grande, perfino per loro.

Confuso, decise di fare due passi per cercare di pensare ad altro, e lasciato il suo ufficio si diresse nella cappella segreta della scuola, situata sottoterra, nei sotterranei della torre principale.

All’centro della navata principale, in mezzo tra le due file di panche, vi era un enorme mosaico raffigurante il pentacolo della stregoneria, realizzato con tessere incantate che funzionavano come delle antenne spirituali.

Ognuna delle cinque punte rifulgeva di un diverso colore: rosso per il Fuoco, blu per l’Acqua, giallo per la Terra, verde per l’Aria e rosa per il Vuoto. Fino a quando ci fosse stato un solo mago nel mondo che faceva uso di una di queste cinque dottrine, il relativo simbolo avrebbe continuato a brillare.

Il centro del pentacolo rappresentava l’universo, la “scintilla della vita”, come era chiamata da stregoni e sacerdoti, da dove si generava la magia.

Piegate le sue vecchie ginocchia, il direttore cominciò a pregare, rivolgendo un pensiero soprattutto ai suoi studenti, che non avrebbe sopportato di sapere deceduti su qualche squallido campo di battaglia per le mire e l’ingordigia dei loro genitori.

D’un tratto, quasi per caso, gli cadde l’occhio ai propri piedi, e quello che vide minacciò di togliergli il respiro.

Uno dei lati della punta del Vuoto sembrava sfasato, come la linea storta di un disegno rimasta visibile anche dopo la correzione, producendo una sottile discrepanza che ora brillava di una luce tutta sua, di un colore bianco acceso, come la superficie di un diamante illuminata dalla torcia del minatore.

Sgranò gli occhi, e per lo sconcerto cadde all’indietro, puntellandosi sul suo bastone per riuscire a rialzarsi.

«Questo…» balbettò «Questo è…».

 

Saito e Louise fecero di tutto per riuscire a trovare Kaoru.

Gli esploratori e le guardie inviate dai due ragazzi erano riuscite a localizzare le sue tracce, ma quando queste avevano raggiunto i confini del feudo erano state costrette, a malincuore, a rientrare. Visti i tempi che correvano, non era il caso di andare a mettere il naso in casa d’altri senza permesso.

Erano entrambi molto preoccupai.

Non conoscevano Kaoru, ma lui li aveva salvati, e Saito in particolare sentiva di capire come dovesse sentirsi.

Anche  Louise però dal canto suo sembrava stare mettendocela tutta per dare preoccupazioni al signore di Ornielle; da qualche giorno era molto silenziosa, chiusa in sé stessa, e ogni volta che Saito aveva provato a parlarle non era mai riuscito a venire a capo di nulla.

Sembrava che i guai e le preoccupazioni non facessero che aumentare.

La mattina dopo la fuga di Kaoru, subito dopo colazione, Louise si era ritirata in biblioteca.

Saito la raggiunse poco dopo, quando ebbe terminato il suo giro settimanale nei possedimenti; questa volta, in un modo o nell’altro, si sarebbe fatto dire cosa stava succedendo.

Come il ragazzo entrò, Louise alzò lo sguardo dal libro che stava facendo finta di leggere, per poi riabbassarlo subito.

«È da qualche giorno che sembri evitarmi.» esordì Saito «C’è qualcosa che non và?»

«Niente. Assolutamente niente.» rispose rapidamente Louise.

Negli anni però Saito aveva imparato fin troppo bene a leggere le bugie della sua giovane moglie; in altri tempi avrebbe lasciato perdere, preferendo dare tempo al tempo, ma stavolta voleva delle risposte. Amava troppo Louise per saperla preoccupata e in angoscia, e se poteva aiutarla anche solo un poco allora farlo era suo dovere.

Si avvicinò a lei e la guardò.

«Non mentire. Si vede lontano un miglio che sei preoccupata».

Come al solito, messa alle strette, Louise replicò col sarcasmo e la superbia.

«Quello che penso sono affari miei.» disse indispettita girando la testa «Sono cose che non ti riguardano.»

«E invece sì! Perché tu sei mia moglie.»

«Sarò pure tua moglie, ma tu sei prima di tutto il mio famiglio! E un famiglio non discute mai su quello che pensa la sua padrona!»

«Dimentichi un particolare. E cioè che, in teoria, io non sono più il tuo famiglio».

Colta in fallo, la ragazza spalancò gli occhi.

Accidenti, ma era vero!

Solo adesso ci aveva pensato seriamente.

Ora che le rune di Gandalfr erano inspiegabilmente passate a Kaoru, Saito non era più il suo famiglio.

Come fosse stato possibile, era ancora un mistero. Aveva già sentito di maghi che evocavano più famigli, ma mai che il contratto passasse da un famiglio all’altro così, senza una ragione, e soprattutto senza un intervento di qualche tipo dello stesso mago.

Ma questo era secondario, almeno per il momento.

La verità era che Louise ci aveva già provato in un paio di occasioni a dire a Saito quello che ormai aveva realizzato, e che a breve si sarebbe sicuramente concretizzato.

Ma non sapeva come farlo, cosa dire. Non sapeva come Saito l’avrebbe potuta prendere, cosa sarebbe stato del futuro, come avrebbero fatto.

E poi, cosa avrebbero pensato i loro genitori?

Sicuramente, avrebbero detto che era troppo presto, che forse sarebbe stato il caso di aspettare.

Ad una sola persona l’aveva confidato, l’ultima alla quale si immaginava di poter dire un giorno una cosa del genere. La stessa persona che ora, ogni volta che la vedeva, abbassava lo sguardo, quasi con vergogna, o lo girava altrove.

Poteva capirla.

Fino a che si trattava di un matrimonio, una promessa che poteva essere infranta in qualunque momento, era un conto, ma quello dimostrava che il loro non era più solo un amore platonico, ma che si era spinto oltre, fin lì dove non si poteva più tornare indietro.

Ormai, Saito era solo della sua sposa, e questo Siesta ci avrebbe sicuramente messo molto ad accettarlo.

Ora bisognava dirlo allo stesso Saito, ma per quanto ci provasse Louise non ci riusciva.

Forse, quella sarebbe stata la volta buona; rincuorata da quegli occhi così amorevoli, la ragazza stava, un secondo per volta, richiamando a sé tutto il coraggio del quale era capace.

Poi, arrivò l’imprevisto, nella forma di un sommesso bussare alla porta.

«Padrone.» disse il vecchio maggiordomo «Dovreste scendere subito in cortile».

Entrambi maledirono quell’interruzione inopportuna, ma poi, richiamati dai loro doveri, scesero in cortile, dove dopo poco videro comparire dalla strada, a passo lento ed in sella ognuna al proprio cavallo, il plotone di moschettiere al servizio di sua maestà.

A guidarle, visto che Agnes era dispersa assieme alla principessa nella sciagura dell’Ostland, il capitano Jeanne Poisson, vice di Agnes fin da dopo l’incidente degli anelli che aveva portato all’arresto di Michel.

Saito e Louise l’avevano incontrata solo in alcune occasioni; era una ragazza integerrima, con lunghi capelli marrone chiaro ed occhi azzurri, uno dei quali perennemente coperto da una ciocca. Alcune malelingue, le stesse che discutevano e sentenziavano circa i presunti gusti sessuali del capitano Agnes, insinuavano che Jeanne ne fosse l’amante. Che fosse o meno la verità, Jeanne era una giovane davvero molto bella; inoltre, a differenza delle altre sue compagne, sapeva usare la magia, e lo testimoniava il fatto che la sua uniforme era leggermente diversa.

Il plotone di cinquanta soldatesse si fermò al limitare del piazzale e scese da cavallo, disponendosi a piramide dinnanzi a Saito e Louise, che assistevano senza proferire parola, e mentre i soldati tutto attorno restavano fermi ad osservare, ma pronti ad intervenire in caso di necessità.

Seguirono lunghi secondi di silenzio, durante i quali Saito e Louise fissarono negli occhi la nuova arrivata; poi, ad un cenno di Jeanne, tutte le moschettiere si inginocchiarono e chinarono il capo, imitate infine dal loro capitano, che inoltre sguainò il proprio fioretto poggiandolo a terra.

«Noi.» disse «Ordine sacro delle moschettiere di sua maestà, qui e ora giuriamo fedeltà alla nuova e legittima famiglia reale di Tristain».

Saito e Louise spalancarono gli occhi.

«Che significa questo!?» replicò Saito.

Jeanne allora alzò gli occhi.

«Per quello che riguarda me e le mie compagne, i nobili e i preti possono pensare quello che vogliono, ma per noi la qui presente Miss de la Vallière è l’unica e vera regina di questo Paese.

Sua maestà l’ha nominata sua sorella acquisita, e visto che per noi la parola di sua maestà è legge, quella nomina è del tutto legittima, anche senza un pezzo di carta o un editto a supportarla».

Ecco fatto, si disse Saito.

Adesso sì che la situazione diventava davvero seria.

Come la notizia che la guardia personale della principessa aveva giurato fedeltà a Louise fosse arrivata all’orecchio dei nobili, quelli che cercavano da tutta quella storia di ottenere il loro proprio, personale tornaconto avrebbero visto i propri interessi seriamente minacciati, e sarebbero quindi passati alle vie di fatto.

Il senso di fedeltà e di devozione era una gran bella cosa, ma in quell’occasione rischiava di diventare una lama a doppio taglio.

Per questo, e anche perché temeva quello che poteva accadere, oltre che a Louise, anche a quelle giovani donne, cercò di convincere queste ultime ad andarsene, anche dietro la minaccia di farle gettare tutte in prigione, o peggio ancora mandarle al patibolo, per aver sconfinato in armi nelle sue terre, ma esse si mostrarono inamovibili.

«Noi abbiamo fatto un giuramento.» disse fieramente Jeanne «Abbiamo giurato di proteggere la principessa di questo Paese anche a costo della vita.

Non infrangeremo la nostra parola».

A quel punto, vista la situazione, non si poteva fare altro che rassegnarsi.

Poi però, a ben pensarci, Saito si sentì quasi sollevato. Con tutte quelle guerrieri così fedeli e capaci a proteggerla, di sicuro Louise sarebbe stata molto più al sicuro, visto quello che andava accadendo, e che ormai, se lo sentiva, era quasi inevitabile.

 

Prima ancora che Kaoru riaprisse gli occhi, la prima cosa che gli riuscì di sentire fu un tremendo mal di testa, neanche paragonabile a quello che aveva provato quando si era svegliato giorni prima.

Era disteso su qualcosa di umido e puzzolente, forse un pagliericcio, e aveva un gran freddo.

Sentiva qualcuno vicino a sé, due persone, a giudicare dalle voci, ma anche dopo essersi ripreso tutto quello che vide per i primi secondi furono solo ombre, e immagini sfocate.

«È lui?»

«Sì, eminenza. Ha fatto a pezzi dieci dei nostri senza nessuno sforzo. Lo abbiamo sorpreso sulla scogliera a ovest, a Munolid

«Quindi è stato per causa sua se l’imboscata è andata male.»

«Purtroppo è così.»

«Qualcun altro vi ha seguiti?»

«No, eminenza. Abbiamo perlustrato attentamente tutta la zona. E non c’è neanche il rischio che qualcuno ci abbia riconosciuti.»

«Molto bene. Teniamo d’occhio questo ragazzo. Se è così potente come dite, potrebbe tornare utile».

Nel tempo che Kaoru impiegò a riprendersi completamente, i due uomini se ne erano già andati.

Messosi a sedere, e tenendosi la testa ancora dolorante, si guardò attorno.

Quella in cui si trovava aveva tutta l’aria di essere una segreta o una cella, stretta e umida, con niente altro che il letto di paglia sul quale era disteso, una lanterna vecchia e arrugginita che pendeva dal soffitto, una robusta porta di legno e una finestrella chiusa da delle sbarre, dal quale si vedeva il mare.

«Ben svegliato, compare.» disse Derf

«Hai idea di dove siamo finiti?»

«Bella domanda. Purtroppo io vedo e sento attraverso di te, quindi se tu svieni o vieni tramortito, è un po’ come se accadesse anche a me.»

«L’ultima cosa che ricordo è quel gruppo di guardie, poi ho sentito un tremendo colpo in testa e ho visto tutto nero.»

«Se solo potessimo capire dove ci troviamo».

Kaoru si arrampicò fin sulla finestra e provò a guardare fuori; data la ristrettezza del pertugio e l’andamento verticale del muro, era quasi impossibile riuscire a scorgere qualcosa, fatta eccezione per un’altra scogliera che procedeva verso nord e, in lontananza, quella che doveva essere una piccola città.

«Si direbbe un palazzo, o un castello.» disse «Riconosci qualche luogo famigliare?»

«No, purtroppo. Questo posto mi è del tutto nuovo».

Sconsolato, Kaoru si buttò a sedere sulla pietra.

Provava una grande rabbia, inoltre si dava dell’incapace per essersi fatto catturare con tanta facilità; forse erano anche quelli frammenti della sua personalità che stavano ritornando.

D’un tratto, mentre le due lune terminavano la loro ascesa nel cielo stellato, un gabbiano comparve alla finestra, e come si avvide della presenza, in un angolo della stanza, di quanto restava del pasto di qualche altro detenuto, ormai ridotto ad una poltiglia marcia e maleodorante, immediatamente ci si avventò contro.

Kaoru lo osservò distrattamente, mentre si sforzava di pensare ad un modo per tirarsi fuori da quella situazione, e quando il volatile, forse in cerca di altro cibo, gli si avvicinò, lui lo colpì con una mano.

«Vattene via! Non sono dell’umore».

Come lo colpì, tuttavia, si sprigionò inspiegabilmente una luce fortissima, tanto forte ed improvvisa da accecarlo momentaneamente. Il ragazzo chiuse gli occhi, e quando li riaprì il gabbiano era ancora di fronte a lui, immobile ad osservarlo.

«Ma che è successo?»

«Ehi, compare!».

Sentendo la voce di Derf Kaoru si guardò la mano sinistra, la stessa con la quale aveva colpito il gabbiano, ma vide che le rune non stavano brillando come succedeva di solito.

«Non lì, compare! Qui!».

Kaoru allora alzò gli occhi, restando interdetto; gli occhi del gabbiano, da neri che erano, si erano fatti di un azzurro quasi albino, e brillavano come le luci di un faro.

«Derf!?»

«Esatto. A quanto pare ti stai rivelando una fonte inesauribile di sorprese.»

«Ma che cosa è successo? Che ci fai li dentro!?»

«Sembra proprio che, legandomi a te, io abbia acquistato delle nuove capacità. Adesso, posso entrare nel corpo di qualunque essere vivente non umano tu tocchi e assumerne il controllo.»

«Un’abilità ben strana.» commentò Kaoru

«Ma potenzialmente molto utile».

Derf raggiunse con due balzi il bordo della finestrella, quindi dispiegò le ali e si mise a volare, spiegando bene il concetto della sua affermazione.

«Questo potrebbe essere utile.»

«Puoi ben dirlo. Aspetta. Vado ad avvisare il compare e Louise. Cercherò di metterci il meno possibile. Nel frattempo tu, mi raccomando, vedi di non farti ammazzare.»

«D’accordo. Allora vi aspetto».

A quel punto Derf si alzò nuovamente in volo, salendo il più in alto possibile per cercare di ottenere dei punti di riferimento, quindi, chiarito dove si trovava, si diresse in direzione sud-ovest.

Kaoru stette ad osservarlo fino a che non lo vide scomparire nel buio, poi si sedette sul pagliericcio e si mise in attesa.

 

Nota dell’Autore

Salve a tutti!^_^

La storia procede spedita, e potremmo dire che a questo punto è davvero iniziata la narrazione principale vera e propria.

Il preludio è finito, e da adesso in poi le cose si faranno sempre più serie, come avete già avuto modo di vedere.

Il prossimo capitolo, come è facilmente comprensibile, potrebbe richiedere qualche giorno, perché domani sarò via fino a sera e dopodomani avremo ospiti probabilmente per tutto il giorno, quindi prima di martedì non riuscirò a sedermi veramente al computer per lavorare.

In aggiunta, dalla settimana prossima, ogni mercoledì e venerdì dovrò recarmi a lezione, almeno per tre settimane, il che significa che in questi due giorni andrò via alle 7 per tornare non prima delle 17.

Comunque, non disperate. Mi sono innamorato molto di questa storia, e senz’altro la porterò avanti.

A presto!^_^

Carlos Olivera

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Capitolo 7
*** 6 ***


6

 

 

Saito e Louise quella sera cenarono insieme, per la prima volta da qualche giorno a quella parte.

Con loro, in sala da pranzo, c’era anche Joanne, che da quando era arrivava non aveva staccato gli occhi da Louise neanche per un istante.

Le sue guerriere pattugliavano senza sosta l’interno del palazzo, il piazzare e la zona circostante, e avevano già staccato gli attributi ad un paio di guardie che ci avevano provato con loro.

Louise era molto seccata per questa invadente presenza.

Adesso che aveva finalmente trovato il coraggio di dire la verità a Saito, non gli riusciva di stare da solo con lui.

Quello che la faceva stare peggio di tutto, però, era l’aver saputo che qualcuno la considerava la prossima erede al trono, un compito che non si sarebbe mai sognata di potersi un giorno assumere, per il quale non si sentiva portata, e del quale, a voler essere completamente sinceri, non le importava un bel niente.

Prima che arrivassero Joanne e le sue guardie era sul punto di confidarsi con Saito, in un momento nel quale si sentiva legata ed in sintonia a tal punto a lui come non accadeva da tempo, e invece avevano finito per litigare di brutto quando era venuto fuori che Saito sapeva già di questa storia dell’erede al trono, e che non glielo aveva detto preferendo tenerla all’oscuro.

Le aveva chiesto se la considerava ancora una bambina, se pensava di trattarla da lì in avanti come una moglie trofeo da tenersi accanto giusto per fare bella presenza; e lui, troppo orgoglioso e innamorato di lei per confessarle di aver agito in buona fede per non impensierirla o metterla in pericolo, aveva risposto con stizza che fino a prova contraria, affisso sull’architrave del portone d’ingresso, c’era il crisantemo scudato, quello che Saito aveva scelto come simbolo del suo casato, che quindi lì dentro comandava lui, e che perciò aveva tutto il diritto di scegliere cosa dire o non dire a sua moglie.

Il risultato fu che i due, per quella sera, si ritrovarono a cenare ai lati opposti del tavolo, senza guardarsi mai e lanciandosi delle occhiatacce ogni volta che lo facevano.

A rendere la situazione ancor più pesante c’erano le notizie portate dagli esploratori inviati a cercare Kaoru, che non erano riusciti a venire a capo di niente.

Di certo l’aria che si respirava in sala da pranzo non era delle migliori, e il fatto che Jeanne fosse lì con loro, semi-nascosta in un angolo della stanza, di certo non aiutava.

«Stupido cane.» mugugnò Louise infilandosi un pezzo di carne in bocca.

Era da parecchio tempo che non lo chiamava così.

Saito non sentì, ma immaginò che la sua consorte lo stesse prendendo a male parole dall’inizio della cena. Facendosi un esame di coscienza si rendeva conto che forse aveva esagerato un po’, sia tenendola all’oscuro delle decisioni della Camera sia dicendo quelle cose circa la sua potestà sulla famiglia, ma d’altra parte sentiva che Louise aveva bisogno di essere “messa a posto”, per così dire, o non avrebbe perso mai quel suo carattere infantile e ribelle.

L’atmosfera era davvero troppo tesa perché qualcuno di loro potesse accorgersi dell’arrivo, decisamente insolito per quel luogo, di un grosso gabbiano, che posatosi sul parapetto prese ad agitare furiosamente le ali come a volersi far notare.

«Ehi, compare! Louise!» urlava Derf dall’interno del gabbiano «Sono io, aprite!».

Ma sembrava che non lo sentissero.

In compenso dopo poco, finalmente, Saito lo notò.

«Che ci fa qui un gabbiano?»

«È piuttosto raro vederne da queste parti.» commentò Louise «Il mare da qui dista parecchie miglia».

Purtroppo ben presto i due giovani, così come Joanne, presero ad ignorarlo, e allora Derf non ebbe altra scelta che passare alle vie di fatto. Spiccato nuovamente il volo, e presa una bella rincorsa, si lanciò come un missile contro la finestra, riuscendo a romperla e rotolando finalmente sul pavimento della sala da pranzo.

«Che ti salta in mente, brutta bestiaccia?» ringhiò Joanne tentando di afferrarlo

«Aspettate, sono io!».

Derf non ebbe altra scelta che mettersi nuovamente a volare per tentare di sottrarsi ai tentativi di Joanne e Louise di acciuffarlo, ma Saito al contrario, dopo averle imitate per qualche momento, cominciò poi a mostrarsi sempre più sorpreso. Forse il suo legame con Derf gli faceva provare una strana sensazione verso quel volatile, forse era solo istinto.

Fatto sta che, ad un certo punto, cercò di far calmare le ragazze.

«Ferme, aspettate!» disse

«Lasciaci fare.» replicò Louise

«C’è qualcosa di strano in quel gabbiano. Aspettiamo e vediamo che cosa fa».

Le due ragazze si mostrarono molto scettiche, ma alla fine vollero concedere a Saito il beneficio del dubbio e lo assecondarono; a quel punto Derf, accertatosi che non c’era più pericolo, volò giù dall’alto ripiano dove aveva trovato rifugio e si portò sulla tavola, proprio di fronte a Saito.

«Compare!» disse «Kaoru sì è cacciato nei guai!».

Ma era tutto inutile, perché alle orecchie di Saito, Louise e Joanne, le parole di Derf non sembravano altro che un semplice starnazzare. Evidentemente, la capacità di Derf di poter comunicare con qualcuno mentre occupava un corpo altrui era propria solo di chi possedeva il potere di Gandalfr.

Derf a quel punto, non riuscendo a farsi capire, intinse la punta del becco in una ciotola di salsa di frutta per insaporire la carne e prese, non senza qualche fatica, a trascrivere il proprio nome sulla tovaglia bianca. Finalmente, il suo tentativo venne premiato.

«Non ci credo!» esclamò Louise leggendo la parola DERF

«Derf!?» disse Saito guardando il gabbiano «Sei davvero tu!?».

L’animale fece cenno di sì.

«Cosa è successo a Kaoru?» domandò allora Saito «Dove si trova?».

A quel punto Derf cercò di far capire la situazione agitando le ali e indicando verso la finestra, ma visto che non riusciva a farsi comprendere dovette di nuovo affidarsi ai disegni.

Scrisse solo due parole, ma più che sufficienti a spaventare a morte i due ragazzi.

 

KAORU PRIGIONE

 

Alla fine, non senza qualche difficoltà, Derf riuscì a grandi linee a spiegare la situazione, dicendo che Kaoru era stato catturato da un manipolo di guardie ducali e che ora si trovava rinchiuso all’interno di un palazzo arroccato su di una scogliera ad una ottantina di chilometri a nord-est da dove si trovavano, non lontano dalla città di Grasse.

Grasse e la regione circostante facevano parte del feudo omonimo, confinante con Ornielle, sul quale regnava il Generale Deville, già comandante in capo dell’esercito reale, ma che recentemente esautorato del suo ruolo si era ritirato a vita privata nei suoi possedimenti, ben protetto da un folto esercito personale.

«E adesso che cosa facciamo?» chiese Saito

«C’è bisogno di chiederlo!?» esclamò Louise «Lo tiriamo fuori da lì, ovviamente!»

«Però…».

Il rischio era molto alto. In una simile situazione, nessuno sapeva cosa sarebbe potuto accadere se lui o chiunque altro fossero stati sorpresi ad agire in un altro feudo.

Era chiaro ormai che Kaoru non era certo stato arrestato regolarmente, ma semplicemente lo avevano preso perché aveva visto qualcosa che non doveva vedere; probabilmente non lo avevano ucciso per via della sua abilità, e chi lo aveva catturato poteva avere interesse a cercare di tirarlo dalla propria parte.

Saito di norma non si tirava mai indietro davanti a sfide di questo genere, ma stavolta aveva un po’ paura. Ciò nonostante, alla fine, decise di dare detta a sua moglie, e di fare qualcosa; poi, quello che doveva accadere che accadesse, ma non poteva lasciare nei guai quello che, nonostante lo conoscesse a malapena, sentiva di poter considerare quasi un amico.

«Ci vogliono come minimo otto ore per arrivare a Grasse da qui.» disse guardando le lune «Non arriveremmo mai in tempo per poter agire col favore della notte.»

«Forse non è detto.» rispose Joanne

«Che intendi dire?» chiese Louise.

I tre uscirono in giardino, e ad un fischio di Joanne sì udì uno strano sibilo, come un fischio; poi, le fronde degli alberi a sud parvero aprirsi, qualcosa comparve da sotto di esse, e pochi secondi dopo una enorme volpe bianca con nove code e le zampe circondate da bagliori fiammeggianti raggiunse volando la villa, fermandosi dinnanzi a Joanne ed allungando il muso per farsi accarezzare.

Saito e Louise restarono di stucco.

«Questo…» disse Louise «È il tuo famiglio!? È una kitsune

«Si chiama Hotarubi. Grazie a lei, raggiungeremo Grasse in meno di due ore».

A quel punto Joanne salì a bordo, ma quando fece per farlo Louise Saito la trattenne.

«Non se ne parla nemmeno. Tu resti qui.»

«Che fai, mi lasci fuori? Non ci provare neanche!»

«Cerca di ragionare, la tua magia è debole!» replicò severo Saito «Se andassi, ti faresti sicuramente ammazzare!»

«E tu allora? Credi di potercela fare, senza le rune di Gandalfr? O hai già dimenticato quello che è successo l’altro giorno?».

Saito accusò il colpo.

Lo sapeva molto bene che senza i suoi poteri, sarebbe stata molto più dura. Ciò nonostante, non poteva permettere alla ragazza che amava di essere in pericolo; e poi, se avesse dovuto tenere d’occhio anche lei, il rischio di lasciarci la pelle entrambi sarebbe stato molto più alto.

Avrebbe voluto provare a spiegarlo a Louise, ma era sicuro che non avrebbe capito, così decise per la soluzione più sofferta.

Ad un suo cenno, due guardie si avvicinarono di soppiatto a Louise.

«Ci perdoni, padrona.» disse una, poi entrambe si avventarono su di lei

«Che state facendo? Vi ordino di lasciarmi!»

«È per il tuo bene, Louise.» disse Saito, fermamente ma dolcemente «Tornerò presto».

Joanne porse la mano a Saito, aiutandolo a salire, e dopo che anche Derf si fu accomodato ad un cenno della sua padrona Hotarubi spiccò il volo sotto lo sguardo impotente di Louise.

«Saito! Idiota!» urlò con le lacrime agl’occhi.

 

Il cardinale Masarini era un amante delle cose belle.

Malgrado fosse un uomo di chiesa i vizi non gli mancavano, e la sua devozione a Dio era pari solo a quella verso il suo Paese.

Era stato per molti anni il consigliere della regina, poi della principessa Henrietta, ed erano pochi a Tristain a piangerne la morte quanto lui.

Fin da quando aveva assunto, molto giovane, la carica di cardinale, si era adoperato per garantire a Tristain un futuro roseo e scintillante, fatto di rispetto, potere militare, devozione religiosa e pace. La disastrosa spedizione di Albion, che lui stesso aveva proposto alla Camera dei Cavalieri tramite il generale Deville, che era da sempre il suo uomo di fiducia, aveva molto minato la sua autorità, nonché la stima che molti fino a poco prima nutrivano per lui, ma la sua determinazione a proteggere Tristain era ancora forte più che mai.

Soprattutto ora, con lo spettro di una guerra civile ad aleggiare sul Paese, sentiva di essere l’unico in possesso di quanto era necessario per traghettare la barca fuori dalla tempesta, almeno fino al momento in cui non fosse stato trovato un nuovo e degno erede al trono al quale offrire umilmente e pienamente i propri servigi.

Quello che era necessario fare, per il momento, era creare un’alleanza il più solida possibile tra i più potenti signori di Tristain, soprattutto di quelli del nord, visto che al nord si concentrava la maggior parte del potere economico, militare e alimentare dello Stato.

Il primo passo era l’accordo con il generale Deville, il cui esercito privato sarebbe stato un aiuto prezioso nell’eventualità di dover difendere con una guerra la sovranità dello Stato.

Per questo, il cardinale aveva invitato Deville nella sua residenza, e durante la cena i due ospiti ebbero modo di parlare in tutta calma.

Nonostante avesse già i suoi anni, il generale era un uomo tutto sommato di bell’aspetto, anche se l’età si faceva vedere. Peccato che quei capelli paglierini, quegli occhi marroni, quei baffetti all’insù, non rispecchiassero affatto la personalità che vi era al di sotto.

«Quello che sta proponendo è molto pericoloso, signor cardinale.» disse Deville pulendosi delicatamente la bocca «In tempi normali si chiamerebbe tradimento.»

«In tempi normali, ha detto bene.» rispose il cardinale «Ma questi non lo sono. Nei prossimi mesi, l’unica cosa che conterà davvero sarà il potere militare di ogni signore o possiedente. È necessario fare qualcosa nel più breve tempo possibile, o questo Paese finirà per sgretolarsi, dilaniato dalle ambizioni di avidi sciacalli.»

«Insomma, lei propone di prendere il potere a Tristania

«È indispensabile. Possedere la capitale significa possedere la nazione, e poter reclamare maggiori diritti al trono, o quantomeno al controllo militare e politico sul resto di Tristain.»

«A questo proposito, mi risulta che un erede ci dovrebbe già essere. L’ultimogenita dei La Vallière, se non ricordo male.»

«Non metto in dubbio le capacità di Miss Vallière, su questo non vi è alcun dubbio.» replicò il cardinale incrociando le meni e poggiandovi sopra il mento «Ma resta pur sempre una maga del vuoto, e tutti noi sappiamo bene quanto questo potere sia pericoloso.

Sarete d’accordo con me, generale, che non possiamo permettere ad una stirpe di maghi del vuoto di regnare su Tristain. Non solo ci sarebbe il concreto pericolo di una rivolta popolare, ma anche le altre nazioni finirebbero per ridiscutere il loro rapporto con noi.

Dopo tanta fatica fatta per creare una così solida struttura di alleanze internazionali, sarebbe rischioso mandare tutto a monte».

Deville prese il calice di vino e ne sorseggiò un goccio, poi prese a tirarsi un baffo.

«La capitale è ben difesa. Non ci sono molte guardie, ma sono tutte molto ben addestrate, ed estremamente fedeli alla regina madre. Sarebbe impossibile prenderne il controllo senza una battaglia, e per quello che ne so non c’è mai stato nessuno che sia riuscito a conquistare Tristania, non senza grosse perdite.»

«Anche se la principessa è morta, io resto pur sempre il cardinale di Tristania, e il vicario di nostro signore in questo Paese. Basta una mia parola per convincere la gente di qualsiasi cosa.

In questo caso, io proclamerei, nel nome di sua santità il Papa, e con il suo benestare, la fine dell’approvazione della Santa Chiesa verso la famiglia reale, e l’istituzione di un vicariato temporaneo sotto il mio comando.

Certo, probabilmente questo non farà desistere la regina madre dal combattere per difendere la sua autorità e il diritto al trono del suo casato, ma certo causerà delle rivolte e delle sommosse popolari contro di lei, costringendola in breve alla capitolazione».

Deville sorrise beffardo.

«In altre parole, io ci metto i soldati, i morti, il sangue e tutto il resto, e lei ci mette la testa sulla quale porre la corona?

Scusi se glielo faccio notare, eminenza, ma non mi sembra una prospettiva molto allettante.»

«Forse.» replicò il cardinale con la solita freddezza e compostezza «Ma forse è una decisione più consona al comandante in capo delle forze armate».

Di colpo a Deville gli si accesero gli occhi, ed un nuovo ghigno gli comparve sul viso.

«Il comandante in capo delle forze armate?» ripeté

«Secondo soltanto a sua maestà.» replicò il cardinale.

Il generale posò il calice che aveva ancora in mano, e i due si guardarono a lungo negli occhi; quelli del cardinale erano freddi, senza emozioni, così come la sua espressione del resto, tutto il contrario di quelli di Deville, che invece scintillavano come diamanti.

«Forse potrebbe anche funzionare, pensandoci bene. Dopotutto, cosa sono due o tremila uomini in meno, per il bene del Paese?».

A quel punto, e solo a quel punto, il cardinale piegò le labbra in un leggero sorriso compiaciuto.

«Ero sicuro che avremmo trovato una soluzione».

 

Saito e Jeanne seguirono le indicazioni di Derf, che non potendo parlare cercava di comunicare a gesti, sventolando le ali o gracchiando qualche suono, poi, quando capirono che ormai non doveva mancare molto, scesero verso terra, atterrando in una radura isolata ben protetti dall’oscurità.

Una volta qui, Hotarubi rivelò un’altra sua curiosa e interessante caratteristica. Quando necessario, infatti, poteva assumere qualsiasi aspetto volesse, o gli venisse comandato dalla sua padrona, e infatti, come Saito e Jeanne furono scesi, prese le fattezze di una giovane donna molto bella, ma dallo sguardo quasi glaciale, con lunghi capelli bianchi e una sorta di kimono sempre bianco, con lunghe maniche larghe e una sorta di voluminoso cappuccio.

«Non ho mai visto un famiglio simile.» commentò Saito «È davvero stupefacente.»

«Da secoli le donne del mio casato hanno come famiglio una volpe a nove code.» rispose Jeanne.

Saito guardò un momento la giovane donna-volpe, che lo osservava senza proferire parola.

«Ma… sa parlare?».

Seguì un momento di silenzio.

«Sì.» rispose l’interpellata in modo quasi meccanico, senza emozioni.

Jeanne abbozzò quasi un sorriso, facendosi però nuovamente seria quando sentì il rumore di una carrozza che si avvicinava. Lei, Saito e Hotarubi corsero a nascondersi dietro ad una roccia, giusto in tempo per non essere notati dal convoglio in transito.

«Guarda.» disse Saito indicando le insegne «È il generale Deville

«Così sembrerebbe. Però non vedo guardie ducali al suo seguito».

Il loro primo proposito fu quello di seguire la carrozza, ma poi Derf fece loro segno che sarebbero andati nella direzione sbagliata, e che il castello o la fortezza dove Kaoru era tenuto prigioniero si trovava invece nella direzione opposta.

A quel punto non poterono fare altro che fidarsi del loro amico, ma quando, dopo qualche miglio di cammino, videro palesarsi un pregevole palazzo signorile arroccato sulla sommità di un’alta scogliera, quasi non riuscirono a credere ai loro occhi.

«Ma…» disse Saito «È la residenza del Cardinale Masarini!».

Durante il viaggio, e per la verità già da quando tutto era cominciato, Saito si era ripetuto più volte che quell’agguato nella foresta potesse essere opera solo di quell’arrivista di Santin, che dopo aver schernito pubblicamente Louise aveva cercato di ucciderla per non doversi preoccupare di lei.

Ma ora, tutte quelle certezze rischiavano di essere messe in discussione.

Saito non voleva crederci: il cardinale Masarini, un uomo così onesto e devoto, come poteva aver architettato qualcosa di così riprovevole come un omicidio, per di più nei confronti di una donna che già alcune volte aveva lodato e detto di ammirare?

«Dobbiamo trovare un modo per entrare.» disse Joanne interrompendo i pensieri del giovane

«Aspetta, che stai pensando di fare?»

«Siamo qui per liberare il vostro amico, o mi sbaglio?» rispose fredda la ragazza

«Però…»

«E poi, se è davvero stato il cardinale a tentare di assassinare miss Vallière, merita di pagare per il suo tradimento. Come si conviene ad un aspirante regicida.»

«Aspetta, forse stai esagerando.»

«Col dovuto rispetto, lord Hiraga, ma forse Voi avete dimenticato le mie parole. Io ora servo miss Vallière come se fosse la regina. Voi potete essere qui per salvare il vostro amico, ma io sono venuta a punire chi ha attentato alla vita del comandante di questa nazione.

Tutto qui. E ora, se volete scusarmi».

Di fronte ad una situazione così ingarbugliata Saito non riuscì a controbattere, e senza quasi rendersene conto si trovò a seguire Jeanne e Hotarubi nel loro avvicinarsi al palazzo.

La villa era circondata, dal lato dell’ingresso principale, da un muro di cinta abbastanza alto, e le finestre erano troppo alte per potersi arrampicare.

Assunte le sembianze di una guardia ducale, e atteggiandosi come se fosse stata un po’ brilla, Hotarubi si avvicinò barcollando al soldato che faceva la guardia al portone d’ingresso.

«Chi sei?» domandò la guardia «Identificati».

Prima che potesse rendersi conto di qualcosa, però, Hotarubi gli fu addosso, gli sfilò il pugnale dalla cintura e gli trapassò la gola, quindi fece dei cenni con la torcia ai suoi due compagni che aspettavano nascosti nel buio, i quali si avvicinarono.

Saito guardò il soldato morto quasi con compassione. Per lui, che uccideva solo se strettamente necessario, una morte del genere dava l’impressione di essere quasi inutile.

«Almeno non ha sofferto.» disse tra sé e sé

«Sbrighiamoci, prima che ci scoprano.» tagliò corto Jeanne.

Raccolte le chiavi dal cadavere Jeanne aprì il portone, e da lì i tre cercarono di dirigersi fino alla porta d’ingresso.

Quello che non potevano sapere, però, era che il piccolo giardino era provvisto di una serie di trappole magiche; inavvertitamente Hotarubi ne calpestò una, e nello spazio di un secondo una miriade di campanelle disseminate per tutta la villa presero a risuonare tutte insieme, trasformandosi in un vero e proprio allarme che mise in guardia tutte le guardie del palazzo.

«Maledizione!» esclamò Jeanne.

Due soldati di ronda attorno alla villa comparvero dall’uscio del portone ancora spalancato, scagliandosi subito contro gli intrusi.

Veloce come la folgore, Jeanne ne uccise una sfoderando velocissima la spada, mentre Saito ingaggiò un corpo a corpo non troppo impegnativo con la seconda; Hotarubi, che calpestando l’allarme aveva anche attivato una sorta di cesoia magica, era ancora impegnata a liberarsi, e non poteva prendere parte allo scontro.

Nuovamente, Saito esitò.

All’inizio non riuscì a capire il perché, ma poi si disse che forse il motivo era dovuto al fatto che quella volta, nella foresta, era stata Louise ad essere in pericolo, e che probabilmente era stato quello a spingerlo ad agire senza preoccuparsi troppo delle conseguenze, perfino se si trattava di uccidere.

Era sempre stato così. Louise, e l’amore che provava per lei, lo spingevano a fare le cose che avrebbe reputato più impensabili.

La guardia attaccò di nuovo, e Saito si mantenne sulla difensiva, incapace di trovare il coraggio per vibrare quel colpo mortale che solitamente, contro un avversario di così basso livello, non avrebbe avuto alcuna difficoltà a portare.

Alla fine fu Jeanne a cavarlo d’impiccio, trafiggendo la guardia alle spalle senza troppi problemi, nello stesso momento in cui Hotarubi riusciva finalmente a liberare la caviglia dalla trappola.

«Muoviamoci!» disse Hotarubi «Se ci sbrighiamo possiamo ancora farcela».

Lei e Hotarubi andarono avanti, ma Saito impiegò qualche istante a capacitarsi di quello che stava accadendo, e della vista dei due corpi senza vita che ora giacevano sull’erba, ma poi, cercando di farsi forza, si risolse a seguire le due ragazze all’interno del palazzo.

Nel mentre, la notizia della comparsa degli intrusi era arrivata alle orecchie del capitano Roland, che stava approfittando della tranquillità che aveva regnato fino a due minuti prima per concedersi una buona bevuta.

«Capitano, ci sono degli intrusi.» gli venne a dire un sottoposto «Tre persone.»

«Beh, che state aspettando? Fateli fuori.»

«Ecco… uno di loro sarebbe lord Hiraga. Almeno a quanto dicono le sentinelle.»

«A maggior ragione. C’è anche la figlia dei Vallière per caso?»

«Crediamo di no, signore. Ma ci sono comunque due donne con lui, di cui una maga.»

«Poco male. Vuol dire che finiremo metà del lavoro. Avvisa tutti. Che non escano vivi da qui.»

«Sissignore».

In quella arrivò anche il cardinale.

«Problemi, capitano?»

«Niente di che, eminenza. Solo una piccola distrazione.»

«Non commetta l’errore di sottovalutare Lord Hiraga, capitano. Lo ha visto anche lei quanto quel giovane possa rivelare sorprese e potenzialità quasi impensabili.»

«Col dovuto rispetto, eminenza, questo accresce solo il mio divertimento.»

«I suoi passatempi sadici non mi interessano, capitano. Provveda solo a sistemare questa questione.»

«Con vero piacere».

 

Nello stesso momento, nei sotterranei, Kaoru stava cercando di dormire, quando fu improvvisamente svegliato da un gran trambusto proveniente dal corridoio.

C’era una grande confusione, e le guardie erano chiaramente nervose, quasi nel panico.

«Che succede? – Intrusi! – Sono in tre! – Uno è un lord! – Lord Hiraga è qui!».

Kaoru pensò subito a Saito; aveva già sentito di sfuggita qualcuno chiamarlo Lord Hiraga quando era convalescente, quindi sapeva che doveva trattarsi per forza di lui. Come lo realizzò, si sentì quasi in colpa; sicuramente erano lì per aiutarlo, quindi significava che stavano rischiando la vita per salvare la sua, che se ne era andato in così malo modo senza neanche ringraziarli per averlo curato.

Aveva permesso a Derf di non fare pazzie, ma a questo punto non poteva permettere a Saito di combattere da solo.

Qualche istante dopo, la guardia assegnata alla sorveglianza della cella udì uno strano e inquietante rantolo, seguito da un rumore di oggetti ribaltati e da un tonfo secco. Voltatosi a guardare, vide attraverso lo spioncino la cella ridotta sottosopra, e il prigioniero riverso a terra con la bocca spalancata e gli occhi completamente bianchi.

«Maledizione!» esclamò.

Senza pensarci troppo su si affrettò ad aprire la porta per capire se il prigioniero fosse effettivamente morto, magari suicidandosi, per evitare l’interrogatorio o di essere messo a morte, ma come si inginocchiò per sentirgli il polso gli occhi ruotarono su sé stessi, rivelando due pupille ancora piene di vita.

«Ma che…».

La guardia ebbe a malapena il tempo di mettere la mano sul pomo della spada, che il taglio di una mano gli affondò come la punta di un coltello nella gola, mozzandogli il respiro e lasciandolo a terra svenuto.

Vedendo quello che aveva appena fatto, Kaoru quasi rise di sé stesso; chissà dove aveva imparato a fare cose del genere. Forse non era la prima volta che veniva rinchiuso in una cella e riusciva a scappare.

«Scusami, ma ho fretta.» disse all’uomo che aveva appena steso, e sfilatagli l’arma corse fuori dalla cella.

Senza sapere bene dove stava andando salì lungo la prima rampa di scale che incontrò, senza incontrare fortunatamente nessuna resistenza, ma quando aprì la porta che trovò sul fondo si ritrovò in una sorta di salotto, proprio a tu per tu con Roland, che stava dirigendosi verso l’ingresso per dare il proprio contributo al contrasto degli intrusi.

«Guarda chi si vede.» commentò «Non c’è dubbio, ti avevo decisamente sottovalutato».

Di colpo, i propositi e i suoi doveri svanirono; potersi misurare ancora una volta con quel ragazzo così in gamba era una prospettiva troppo allettante. Ghignando, mise mano alla spada.

«E questa volta, non credere che ti lascerò fuggire».

 

NOTA DELL’AUTORE

Eccomi qua!^_^

Dopo le vacanze, le abbuffate, e qualche problemino alla ripresa, eccoci di nuovo a scrivere.

Capitolo buttato giù di getto, quasi di riflesso, quindi non stupitevi se troverete qualche errorino, perché potrei non averli trovati tutti.

Credevo che questo sarebbe stato il primo dei capitoli maxi, ma poi mi sono detto che forse è ancora presto per questo, e che mi prenderò un altro po’ di tempo prima di passare a capitoli più lunghi.

All’inizio, devo essere sincero, pensavo di riuscire a tenermi sui 24 capitoli, ma ora sono sempre più convinto che arriverò a 48. Potete pensare a questa fanfic come ad una quinta serie anime da 24 episodi, in cui ogni capitolo costituisce circa metà di ogni episodio.

Infine, una piccola curiosità. Giusto per volermi (e volervi), fare altro male, sto cercando di creare due piccole opening per questa fanfic, visto che il mio essere mitomane mi porta a vederla nella mia testa proprio come una quinta stagione, che chiude l’anime così come sarebbe piaciuto a me.

Non sono sicuro di poterle realizzare, perché il mio Movie maker ultimamente fa molti capricci, ma se ci riuscissi senza dubbio ve lo farò sapere.

Ecco, ho detto tutto.

Ringrazio seldolce e il nuovo arrivato, shadowfrost, per le loro recensioni.

A presto!^_^

Carlos Olivera

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Capitolo 8
*** 7 ***


7

 

 

Kaoru e Roland si portarono l’uno di fronte all’altro, le spade sguainate e pronti allo scontro.

Questa volta Kaoru era determinato a non perdere il controllo, e a restare sempre padrone di sé stesso e delle proprie azioni; se davvero possedeva queste abilità di guerriero, le avrebbe usate spontaneamente, ed in modo coscienzioso.

«Sai.» disse Roland «Avrei potuto ucciderti su quel promontorio. Ma la tua bravura con la spada mi aveva colpito, e speravo di riuscire a convincerti a venire dalla mia parte.

Le Guardie Ducali sono pagate molto bene, e i piaceri di certo non ti mancherebbero».

Kaoru si guardò la mano sinistra; le rune brillavano leggermente, anche se Derf non era con lui.

«Mi dispiace, ma ho già una persona da servire.» fu la sua risposta «Una assai migliore di te.»

«Davvero un peccato.» rispose beffardo Roland.

I due avversari si studiarono qualche altro secondo, poi si corsero contro e incominciò il duello.

Roland utilizzava uno stile a fioretto, fatto di affondi rapidi e continui, facendo mulinare ogni tanto la spada per confondere l’avversario e ritirandosi al primo tentativo di reazione per poi tornare a colpire. Anche Kaoru però si difendeva bene, ma sembrava quasi che non riuscisse a maneggiare la spada come avrebbe voluto; forse, prima di perdere la memoria, si era così abituato a maneggiare quella katana, quella con la quale lo avevano trovato, da non riuscire a fare buon uso di nessun’altra arma.

«Che ti succede?» domandò Roland ad un certo punto, notando le difficoltà dell’avversario «Non mi dire che il tuo repertorio è tutto qui. Te la sei cavata molto meglio la prima volta».

Fu sufficiente qualche altro assalto perché Roland riuscisse infine a portare a segno qualche colpo, anche se fortunatamente si trattò di affondi superficiali, deviati in qualche modo da Kaoru lontano da organi vitali, ma che però facevano comunque male.

La situazione era davvero brutta. Kaoru non riusciva a combattere al meglio delle sue potenzialità, perché aveva timore che se lo avesse fatto la parte sanguinaria e violenta della sua personalità avrebbe potuto riemergere, e questo non lo voleva.

«Forse mi ero sbagliato sul tuo conto. Quand’è così, non ho ragione per lasciarti in vita».

Seguirono alcuni altri affondi, e Kaoru rimediò altre ferite, ritrovandosi infine inginocchiato a terra, con un taglio piuttosto serio alla spalla sinistra. O si inventava subito qualcosa, o quella sarebbe stata la sua ultima notte.

 

Nel mentre, Joanne, Hotarubi e Saito si erano addentrati nel castello, ma mentre Saito premeva per cercare di scoprire dove fosse Kaoru, Jeanne e il suo famiglio al contrario erano interessate prima di tutto a trovare il cardinale Masarini.

Quest’ultimo, come se niente fosse, era nel grande salone principale, dove, dinnanzi alla grande vetrata a semicerchio che dava verso il mare, era intento a suonare tranquillamente e magistralmente il pianoforte.

Ad un certo punto, dal portone d’ingresso della sala giunsero rumori di duello, accompagnati poco dopo dai gemiti morenti di due o più persone, poi l’uscio si spalancò e Joanne comparve nella stanza. Hotarubi e Saito erano rimasti indietro, impegnati a combattere contro un altro manipolo di soldati.

Per nulla turbato o preoccupato il cardinale smise di suonare e si alzò in piedi. Joanne fece qualche passo avanti.

«Capitano Joanne. A cosa devo questa visita?» domandò Masarini

«Cardinale Masarini. Vi dichiaro in arresto per cospirazione, alto tradimento e tentato omicidio nei confronti di sua maestà.

Non opponga resistenza, e non le sarà fatto alcun male. Avrà anche la possibilità di parlare in propria difesa.»

«Davvero? E davanti a quale tribunale? L’unica autorità che riconoscevo era quella di sua altezza Henrietta. Dopo di lei, l’unico signore che servo è questo Paese».

Joanne gli si avvicinò per metterlo agli arresti, pensando forse che il cardinale non avesse alcuna intenzione di opporre resistenza. E invece, d’improvviso, Masarini mosse un dito, e dal nulla comparvero una miriade di frecce infuocate che presero a piovere contro la ragazza, che riuscì ad evitarle e poi tentò una reazione.

A quel punto Masarini rivelò il bastone magico che portava sempre con sé, e che per la maggior parte del tempo teneva nascosto all’interno della tunica.

Ne seguì uno scontro breve ma molto violento, con Joanne che evitava di portare attacchi mortali perché voleva prendere il traditore vivo, e Masarini che invece non si faceva scrupolo a colpire in tutti i modi possibili, quasi fosse consapevole del fatto che a quel punto non era più possibile tornare indietro.

D’un tratto il cardinale diede l’impressione di cominciare ad essere stanco; in fin dei conti era pur sempre un uomo di una certa età, e usare la magia troppo a lungo poteva risultargli molto stancante, per non dire proibitivo.

Joanne immediatamente cercò di approfittarne con un assalto frontale, ma era solo una trappola; come si avvicinò, infatti, Masarini mosse di nuovo il solito dito, e da un momento all’altro la ragazza si ritrovò imprigionata all’interno di un cono di luce.

«Ma cosa…» disse cercando di liberarsi.

Passò qualche istante, e dentro quella specie di prigione si scatenò una vera tempesta elettrica, che investì in pieno Joanne. Non si trattava di una vera e propria scossa, quanto di un sortilegio in grado di svuotare una persona, e in special modo un mago, di tutte le sue energie, senza arrecare alcun danno fisico.

Joanne urlò con tutta la sua voce, e quando Masarini si decise a lasciarla andare rantolo sul pavimento quasi svenuta.

Nello stesso momento anche Hotarubi, ancora impegnata a combattere al fianco di Saito, sembrò stare improvvisamente male. I famigli del suo calibro necessitavano continuamente di grandi quantitativi di energia, e se il loro padrone era in fin di vita, o comunque perdeva la propria, anche loro subivano la stessa sorte.

«Che ti succede?» domandò Saito vedendola cadere in ginocchio

«Pa… padrona.» riuscì a mormorare lei, per poi venire circondata di luce ed assumere le forme di una comunissima volpe.

Saito capì che era successo qualcosa a Joanne e volle correre in suo aiuto. Tranciando la catena che sorreggeva un lampadario riuscì a creare un principio d’incendio che tenne a bada i soldati, quindi recuperò Hotarubi e corse nella direzione verso la quale aveva visto correre via Joanne poco prima.

La ragazza intanto cercava inutilmente di rimettersi in piedi, e nel frattempo Masarini si era avvicinato a lei fino a sovrastarla.

«M… maledetto.»

«Tutto quello che faccio, lo faccio per il mio Paese. Al punto in cui siamo, è l’unica cosa della quale mi importi.»

«È… è lo stesso per me.»

«Ne sei sicura? Non è che forse cercavi solo qualcuno da servire? Per non dover decidere tu stessa della tua vita?».

Joanne spalancò gli occhi, poi li distolse guardando altrove e mordendosi le labbra.

Forse era vero.

Aveva passato tutta la vita obbedendo agli ordini; di suo padre, della sua principessa, del suo comandante. Forse aveva perso la capacità di prendere le decisioni da sola, finendo inconsciamente per votarsi unicamente alle scelte di altri perché non era capace di decidere da sé.

«Io devo fare quello che ritengo giusto, per il bene di questa nazione. Mi dispiace».

Masarini, quasi piangendo, alzò il bastone, la cui punta era di freddo acciaio, per vibrare il colpo decisivo, mentre Joanne assisteva impotente.

«Fermatevi, cardinale!» esclamò Saito comparendo sull’uscio.

Il cardinale a quel punto desistette, rivolgendo lo sguardo al nuovo venuto.

«Lord Hiraga. Ero sicuro che, in un modo o nell’altro, sarebbe finita in questo modo. Solo, non mi aspettavo così presto».

Saito posò a terra Hotarubi, ancora molto debole, e fece qualche passo in avanti.

«Voglio sapere una cosa sola. Siete stato voi a tentare di uccidere Louise?».

Masarini abbassò gli occhi come mortificato.

«Perché? Perché lo avete fatto! Avevate sempre detto che Louise era una persona perbene!»

«E lo credo ancora.» rispose lui seriamente «Ma credo non possieda i requisiti necessari per essere una buona regina.»

«E solo per questo volevate ucciderla?»

«Credimi, speravo di non dover essere costretto ad arrivare a tanto. Ma non c’era altra scelta. Anche nel caso in cui fossi riuscito a convincere Louise a reclamare il trono, qualcun altro avrebbe potuto servirsi a proprio vantaggio del suo status di erede.

Non potevo permettere che l’ingordigia e l’ambizione di pochi minacciassero Tristain.»

«E allora avete ordinato la sua morte.» replicò Saito a denti stretti «E non volevate che qualcuno sospettasse di voi! Volevate farlo passare per una rapina finita male.»

«Come ho detto, è tutto nell’interesse del mio Paese. Fin da quando ho preso l’abito, e sono stato nominato cardinale. O forse, addirittura fin da quando ero bambino, non ho fatto altro che adoperarmi per il bene della nazione che ho amato e amo tuttora più di qualsiasi altra cosa.

Questo è l’unico rimprovero che mi si può fare. E non sono per niente pentito. Nel mio cuore, il benessere della Nazione e la fede a Dio sono quasi la stessa cosa, e non rinnegherei nessuno dei due».

A quel punto, Saito alzò la spada.

Provava un odio senza fine per quell’uomo, ma ciò nonostante non voleva ucciderlo.

«Giuro che pagherete per quello che avete fatto!»

«È un vero peccato, Lord Hiraga.» disse Masarini mettendosi a sua volta in posizione «Che grande generale sareste stato».

Dopo qualche secondo Saito attaccò a spada tratta, ma il cardinale si difese prima costruendosi una barriera, e poi lanciando contro il ragazzo la stessa selva di frecce infuocate utilizzate contro Joanne, che assisteva impotente allo scontro.

Servirono solo pochi secondi di battaglia perché Saito cominciasse finalmente a rendersi conto di quanto il suo livello di guerriero si fosse abbassato, ora che non possedeva più il potere di Gandalfr. Inoltre, finché aveva Derf al proprio fianco, poteva contare anche sulla capacità di difendersi dagli attacchi magici, ma ora quella capacità era venuta meno, quindi quello che poteva fare per evitare i dardi era solo scappare, e respingerne alcuni con la lama della spada.

D’improvviso, una delle saette che Saito riuscì a respingere andò a centrare una tenda spessa e setosa, che subito prese fuoco, generando un incendio che ben presto iniziò a diffondersi per tutta la stanza.

Saito si ritrovò messo alle corde; già la situazione era difficile, e ora ci si metteva pure il fuoco.

Forse Louise non aveva avuto tutti i torti quando gli aveva detto che senza i suoi poteri avrebbe avuto vita breve, e purtroppo solo adesso, troppo tardi, accettava di ammetterlo.

 

Kaoru aveva subito più di una decina di affondi, tutti fortunatamente superficiali, ma abbastanza seri da procurargli un dolore lancinante in tutto il corpo, rendendolo incapace persino di ragionare lucidamente.

Roland al contrario era ancora illeso, e si godeva con piacere quel duello che, a conti fatti, si stava rivelando molto più semplice di quanto avesse immaginato all’inizio.

«Accidenti, che delusione.» disse beffardo «E dire che nutrivo così tante speranze sul tuo conto. Devo dire però che sarebbe la prima volta che mi sbaglio sul conto di un buon soldato.

Siamo sicuri che tu sia la stessa persona che ho affrontato ad Ornielle?».

Malamente, e puntellandosi sulla spada, Kaoru si rimise in piedi; da una ferita sulla fronte colava del sangue che gli rigava il volto, aveva un occhio tumefatto per un colpo di pomo preso in pieno ed era tutto sudato.

Quasi contemporaneamente, una porzione di pavimento crollò sotto il peso delle fiamme che già avevano iniziato ad avvolgere il piano superiore, ed in breve anche quella stanza cominciò a riempirsi di fuoco e fumo.

«Direi che, a questo punto, possiamo anche farla finita.» disse Roland.

Il capitano delle guardie assunse una posa d’attacco, inarcando la mano armata all’indietro e piegando le ginocchia; quasi sicuramente avrebbe eseguito un affondo al petto, rapido e mortale. Kaoru se lo aspettava, ma non era sicuro di avere più la forza per cercare di opporsi.

L’attacco fu rapidissimo, quasi indistinguibile, ma nonostante ciò il ragazzo riuscì, in qualche modo, a fermarlo all’ultimo istante, facendo in modo che la punta della lama nemica si infilasse proprio nell’anello del pomo della sua; non gli riuscì di evitare una nuova ferita, ma riuscì se non altro ad impedire alla punta di penetrare abbastanza da colpire qualche organo.

Purtroppo, ci voleva ben altro per farla a uno come Roland; con un rapido gesto del polso il capitano ritirò la spada, quindi, usando a proprio vantaggio il blocco creato da Kaoru, gli riuscì di sfilare la spada di mano al suo avversario, raccogliendola e ritorcendola contro di lui.

Kaoru riuscì a schivare un altro paio di affondi arretrando, ma poi ricevette l’ennesimo colpo, all’avambraccio, e di nuovo cadde in ginocchio tenendosi la nuova ferita, probabilmente la più grave che avesse ricevuto.

Era chiaro ormai che Roland stava semplicemente giocando con lui, prendendosela comoda prima di infilare il colpo decisivo.

Il ragazzo alzò gli occhi, incrociando quelli di colui che molto probabilmente sarebbe stato il suo carnefice.

Si diede dell’idiota; per tutta la durata del duello si era voluto trattenere, aveva voluto limitare quelle abilità che sentiva di avere, e adesso avrebbe pagato questa sua leggerezza con la vita.

Roland si preparò al colpo di grazia, quando d’improvviso un grosso gabbiano volò nella stanza da una delle finestre esplose per il calore e gli piombò addosso, distraendolo e dando in questo modo a Kaoru il tempo di cavarsi d’impiccio e rimettersi in piedi.

«Dannata bestiaccia!»

Il gabbiano prese a tormentare Roland, riuscendo anche a fargli mollare una delle spade, e Kaoru a quel punto riconobbe la natura dell’animale che lo aveva appena salvato.

Roland riuscì alla fine ad uccidere il gabbiano trafiggendolo a mezz’aria, e il volatile, ormai morente, rantolò vicino a Kaoru; una luce lo avvolse, tramutandosi in una piccola sfera che entrò nella mano sinistra del ragazzo, illuminandone nuovamente le rune.

«Ehi, compare!»

«Sei tu!» disse Kaoru, che ancora non aveva imparato a chiamarlo per nome.

«Felice di essere arrivato in tempo».

Assieme a Derf parvero tornare almeno un poco anche le energie, abbastanza da permettere a Kaoru di recuperare la spada e rimettersi in piedi.

C’era una nuova luce nei suoi occhi, e Roland non mancò di notarla.

«Basta avere paura.» disse ansimando il ragazzo «Non rinnegherò più quello che sono».

Il capitano delle guardie sorrise soddisfatto.

Eccolo, finalmente. Era quello il giovane che aveva sfidato nella foresta. Finalmente, sarebbe stato un vero duello.

«Era ora che ti decidessi».

Entrambi assunsero la posa di guardia; sarebbe stato uno scontro al primo colpo, e uno dei due sarebbe sicuramente morto.

Una cosa che Kaoru sentiva di aver capito, e che faceva parte di lui, era la convinzione che, quando si combatte, di spazio per la pietà ce n’è davvero poco. Tu puoi essere  misericordioso, ma non è detto che l’avversario sarà dello stesso avviso, quindi comunque vada si deve essere sempre e comunque pronti ad uccidere.

Era questo che lo rendeva diverso da Saito. Adesso che la nebbia stava cominciando a diradarsi in merito ai suoi momenti di follia, ricordava che quel giovane, nonostante i suoi nemici volessero ucciderlo, si era volutamente trattenuto quel giorno nella foresta, proprio come lui.

La volontà a risparmiare il nemico era un comportamento onorevole, ma era anche una cosa dal quale il nemico stesso, conoscendola, poteva trarre vantaggio; chissà per quale motivo, Kaoru sentiva di averlo imparato a proprie spese.

I due avversari si fissarono, ed il tempo sembrò fermarsi. Tutto attorno la stanza bruciava, ed il calore si era fatto opprimente, ma neppure questo sembrava una distrazione sufficiente, tanto Roland e Kaoru parevano essersi estraniati dal mondo.

Poi, l’attacco, fulmineo. Senza quasi toccare terra, Kaoru e Roland si lanciarono uno verso l’altro, con le armi pronte a colpire.

Roland infilò un affondo, mentre Kaoru scelse un fendente orizzontale; Kaoru rimediò una ferita abbastanza seria ad un fianco, poco sotto l’ascella, mentre Roland si ritrovò uno squarcio tremendo subito sotto alla gabbia toracica, dal quale prese ad uscire un getto ininterrotto di sangue.

Il capitano delle guardie rise soddisfatto, felice di aver trovato per la prima volta in vita sua un vero sfidante, e di essere morto per sua mano, e subito dopo spirò, prima ancora di toccare terra con tutto il corpo.

Kaoru cadde nuovamente in ginocchio.

«Compare, sei ancora con noi?»

«Credo… credo di sì.» mugugnò lui stringendo i denti «E ora andiamo a cercare Saito».

 

Nel frattempo Saito stava cercando di contrastare gli incantesimi di Masarini, ma da quando la stanza, ed ormai un po’ tutto il castello, avevano preso fuoco, il suo potere era per lo meno raddoppiato, inoltre la minaccia portata dalle fiamme si era fatta ancor più tangibile.

«Perché fate questo, cardinale!» gridò Saito mentre cercava di schivare le fiamme

«Te l’ho già detto.» rispose calmo Masarini «È tutto unicamente nel nome di questo Paese.»

«Ma anche noi vogliamo salvare Tristain! Possiamo aiutarci a vicenda!»

«Avrei voluto che fosse così. Ma la verità, per quanto dolore mi costi ammetterlo, è che miss Vallière costituisce una delle minacce più serie alla speranza di poter salvare questa Nazione dalla distruzione.

Pertanto, non mi rimane altra scelta».

Saito in quella venne colpito da una fiamma, per fortuna solo marginalmente, ma riportò comunque una bruciatura piuttosto seria, attutita per fortuna dai vestiti e dal mantello che portava. Tuttavia, nonostante il dolore, la sua rabbia e determinazione non scomparirono.

Al contrario, trovarono nuovo vigore.

Se avesse perso, se fosse morto lì, era chiaro che il cardinale avrebbe portato avanti il suo scopo uccidendo anche Louise, quindi non poteva assolutamente permettersi di perdere.

La determinazione a proteggere Louise, unita alla rabbia che stava iniziando a montare dentro di lui, lo spinsero a tirare fuori tutte le forze che aveva. Di lui poteva essere qualsiasi cosa, ma, e poco importava che non fosse più il famiglio di Louise, avrebbe continuato a proteggere quello che gli era caro anche a costo della vita.

Bruciante di ardore Saito si rialzò, determinato a fare quello che andava fatto, e come un forsennato prese a correre contro il cardinale; questi, attonito per la reazione furiosa del ragazzo, tentò nuovamente di difendersi con il fuoco, ma stavolta tutti i colpi vennero respinti.

Nel mentre Joanne era ancora semi-svenuta; tuttavia, alzati gli occhi a fatica, si avvide che Masarini stava muovendo impercettibilmente le dita di una mano, come a pizzicare le corde di un’arpa invisibile.

Subito, capì. Glielo aveva visto fare anche poco prima, solo che nella furia dello scontro non ci aveva fatto caso, e sapeva cosa stava per succedere.

«Lord Hiraga, attento!» esclamò.

Da un momento all’altro Saito si ritrovò a sua volta imprigionato nel cono di luce; ma stavolta, prima che la barriera potesse venire completamente eretta, Joanne riuscì ad utilizzare le poche forze che le rimanevano per costruire una seconda barriera, più piccola, che gonfiandosi distrusse la prima, salvando Saito.

«Non… non può essere!» esclamò il cardinale.

Prima ancora di capire cosa fosse successo realmente il ragazzo riprese la sua corsa furiosa, stavolta senza più ostacoli a minacciarlo.

Masarini, ormai impotente, tentò una improvvisata reazione, ma Saito riuscì senza problemi a batterlo nel corpo a corpo, lo disarmò e gli procurò una piccola ferita, giusto il necessario per costringerlo alla resa. A quel punto il cardinale rantolò in ginocchio, e come rialzò gli occhi si trovò la spada di Saito dinnanzi al viso.

«È finita, cardinale. Arrendetevi adesso. Rinunciate a fare del male a Louise, e non vi farò alcun male».

Il cardinale abbassò nuovamente gli occhi, abbozzando un sorriso.

«Io volevo solo proteggere il mio Paese. Mi è stato insegnato che esso è sacro, e che la sua grandezza viene prima di qualsiasi altra cosa.»

«Il suo amore per Tristain le fa onore.» rispose severamente Saito «Ma non è sufficiente a giustificare un omicidio.»

«Come invidio la gioventù. Anch’io, una volta, ero convinto che i buoni sentimenti avessero la forza di creare un futuro migliore.

Ma purtroppo, con gli anni, ho capito quanto mi sbagliavo. E quanto fossi stato ingenuo.»

«Inseguire i propri sogni ed i propri obiettivi non è ingenuità, ma perseveranza. Ma se per farlo si è disposti a sacrificare vite innocenti, allora è solo follia.»

«Forse avete ragione. Ma, nonostante ciò, non vedo altra via».

Fu un attimo.

Il cardinale, infilata una mano nella veste, prese fuori un coltello, ed alzatosi di colpo si avventò su Saito, che spiazzato e colto alla sprovvista quasi non si accorse di nulla.

Altrettanto improvvisa, però, giunse una spada, che lanciata con la precisione di un cecchino trafisse Masarini in pieno torace da parte a parte, una ferita sicuramente mortale.

Attonito, Saito si girò alle proprie spalle, scorgendo Kaoru sull’uscio della porta, ansimante e con il braccio destro ancora proteso.

Masarini osservò la propria ferita, con gli occhi sbarrati e la bocca spalancata, e dopo qualche istante prese a barcollare all’indietro, mentre il coltello gli scivolava di mano.

«Cardinale!» esclamò Saito

«Forse… forse mi sbagliavo, dopo tutto. Sono proprio curioso… di vedere… cosa i vostri sogni… riusciranno a fare. Se saranno in grado… di proteggere… questo Paese…».

In quella, una porzione di soffitto cadde fragorosamente, circondando il cardinale senza lasciargli scampo.

«Cardinale Masarini!» gridò Saito cercando inutilmente di corrergli incontro

«Lunga vita… a Tristain…» disse il vecchio prima di scomparire tra le fiamme.

Saito tentò di aiutarlo, ma Joanne, ripresasi, lo trattenne.

«Lord Hiraga! Non possiamo fare niente».

Ormai l’intero castello era avvolto dalle fiamme, e tra non molto sarebbe collassato su sé stesso.

Hotarubi, ripresasi a sua volta assieme alla sua padrona, saltò fuori da una finestra, assumendo la sua forma gigante.

«Dobbiamo andarcene da qui, prima che crolli tutto!» disse.

Saito capì che non c’era più niente da fare per Masarini, e spronato dai suoi compagni alla fine salì per primo su Hotarubi, seguito da Kaoru e infine da Joanne.

Proprio mentre Joanne stava per montare a bordo il pavimento sotto di lei cedette, minacciando di farla sprofondare nel mare di fiamme sottostante, ma i due ragazzi riuscirono a prenderla al volo tenendola per un braccio ciascuno e ad issarla su Hotarubi, che si allontanò a tutta velocità giusto in tempo per evitare il crollo del palazzo.

Tutti e tre, allontanatisi abbastanza, poterono solo osservare il castello del cardinale Masarini accasciarsi su sé stesso divorato dal fuoco.

Le fiamme continuarono a bruciare per tutta la notte, e al sorgere del sole del  palazzo non restavano che macerie annerite.

Saito, Kaoru e Joanne sostavano dinnanzi a quello che rimaneva del cancello principale, ognuno coi propri pensieri.

Quello che avevano fatto, quello che era accaduto quella notte, avrebbe di sicuro avuto delle conseguenze. Molte guardie erano riuscite a scappare, e come la notizia che il cardinale stava progettando un colpo di stato, o che dietro la sua morte vi fosse il signore di Ornielle, la miccia della guerra civile sarebbe definitivamente ed inevitabilmente esplosa.

«Non avrei voluto che si arrivasse a questo.» disse Saito chinando il capo

«Alla fine, ha deciso di morire come aveva sempre vissuto.» commentò Joanne «Con onore e dignità».

Poi, la ragazza abbassò a sua volta gli occhi; le parole del cardinale bruciavano ancora dentro di lei, e lo avrebbero fatto per molto altro tempo.

I due si volsero poi verso Kaoru, che continuava ad osservare il castello in rovina. Non avevano idea di cosa fosse effettivamente accaduto, ma poterono notare una nuova luce dei suoi occhi.

«Kaoru…» disse Saito.

Lui li guardò.

«Ho smesso di avere paura.» furono le sue uniche parole, alle qual Saito e Joanne risposero con un sorriso.

Mentre i tre erano quasi sul punto di andarsene, udirono un rumore alle proprie spalle.

Fulminei si girarono, pronti a combattere ancora; non si trattava di nemici, ma di Louise, giunta lì in groppa ad un cavallo accompagnata da due moschettiere. Aveva cavalcato senza sosta tutta la notte, senza mai fermarsi, pur di arrivare fin lì.

Come vide Saito, il suo viso, pietrificato dall’angoscia fino a quel momento, parve distendersi, ma la rabbia era ben visibile nei suoi occhi.

Saito sapeva che molto probabilmente lo aspettava una punizione, ma visto che sentiva di meritarsela, come al solito, non avrebbe reagito.

Si avvicinò, mentre Louise scese da cavallo, e per lunghi secondi stessero a fissarsi senza proferire parola.

«Louise…» disse ad un certo punto Kaoru «Io…».

Lei d’improvviso gli corse incontro, le guance rosse e gli occhi inondati di pianto.

«Saito!» gridò buttandoglisi addosso con tale impeto da buttarlo a terra.

Saito sorrise, passandole una mano tra i capelli.

«Mi dispiace, Louise.»

«Stupido! Stupido! Stupido! Pensavo che saresti morto!»

«Scusami per quello che ho fatto.»

«Non fare mai più una cosa del genere, chiaro?».

Quando Louise si fu calmata, entrambi si alzarono in piedi. Kaoru si avvicinò a Saito, poggiandogli una mano sulla spalla.

«Voglio ringraziarvi per quello che avete fatto.»

«Ma ti pare.» rispose lui sorridendo «Dopotutto, è questo che si fa con gli amici».

Poi, Kaoru andò innanzi a Louise, quindi, chinato il capo, le si inginocchiò davanti tra lo stupore generale.

«Cosa…» fece per dire lei

«Io non so da dove vengo, chi sono, o perché mi trovi qui. Ma a quanto pare, il destino mi ha voluto al tuo servizio. E anche in riconoscimento a tutto ciò che avete fatto per me, io giuro da qui in avanti di servirti e proteggerti con tutto me stesso come tuo famiglio.

Perché questo è il mio dovere.»

«No… non ce n’è bisogno…» disse lei spaesata.

Saito restò ad osservare, ma chissà perché non provò alcun sentimento che non fossero felicità e serenità. Dopotutto, i tempi che sarebbero venuti da ora in poi non sarebbero stati molto lieti, ma almeno Louise avrebbe avuto attorno a sé una schiera di fedeli ed affidabili custodi pronti a difenderla, e questo bastava a farlo sentire tranquillo.

 

Il generale Deville venne informato di quello che era accaduto a Villa Masarini solo due giorni dopo, quando le prime guardie ducali sfuggite all’incendio arrivarono al suo castello.

Appena seppe del rogo saltò sul primo cavallo e raggiunse la villa assieme al suo seguito, ma come previsto non vi trovò altro che rovine e distruzione; assieme a quel maniero era bruciato anche il suo grande sogno.

Rosso in volto, sentì la bile salirgli al cervello come un fiume di lava, ed era talmente infuriato che quando un soldato gli chiese se non si sentisse male, per essere caduto in ginocchio come svuotato, rispose spaccandogli la mascella con un pugno.

«Preparate il mio esercito.» ringhiò al suo capitano «Quei bastardi si pentiranno, parola mia!».

 

Nota dell’Autore

Salve a tutti!^_^

Tempo supersonico, scrittura a razzo, ed eccoci con un nuovo capitolo.

Ora siamo davvero giunti alla fine del preambolo. Kaoru ha giurato lealtà a Louise, l’ultimo possibile candidato capace di evitare la guerra civile è morto e ora la situazione è davvero destinata ad esplodere.

Una precisazione che mi sono dimenticato di fare nell’ultima nota.

Il Cardinale Masarini, per chi non lo ricordasse, è il vecchio che nella seconda stagione convince la principessa Henrietta ad attaccare Albion. Me l’ero sempre immaginato come una sorta di Richelieu, e così ho voluto dargli questo piccolo ruolo nella mia storia.

Comunque, vi anticipo fin da subito che per il prossimo capitolo potrebbero volermici alcuni giorni. Dipende tutto dal fatto se lunedì sarò libero o meno, perché in quel caso, con un po’ di sano lavoro, potrei riuscire ad aggiornare di nuovo entro martedì. Altrimenti, temo che prima di giovedì non se ne farà niente.

Ecco, è tutto qui.

Grazie come sempre a Seldolce e Shawnforst per le loro recensioni

A presto!^_^

Carlos Olivera

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Capitolo 9
*** MAPPA - 1 ***


Questa è la prima di molte mappe che inserirò nel corso della storia.
Ogni volta che accadranno fatti di rilievo, che pregiudicheranno o modificheranno la conformazione politicia di Tristain, inserirò una nuova mappa che renda chiaro quello che sta succedendo. I feudi attualmente presenti, oltre a quelli già menzionati fino a questo momento, sono quelli che vedranno lo svolgersi di avvenimenti particolarmente importanti.
A presto!^_^
Carlos Olivera




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Capitolo 10
*** 8 ***


8

 

 

Appena la notizia che l’Ostland era precipitato nelle campagne di Gallia, poco a sud del confine con Tristain, il luogo dello schianto era diventato meta di curiosi provenienti da tutta la provincia.

La sorveglianza era continua, perché, anche se della nave non restava ormai praticamente nulla, parte del suo carico era ancora intatto: utensili, armi, e anche del cibo in scatola. Una manna per chi aveva l’ardire di compiere un furto, ma tutti possibili elementi di prova per capire cosa fosse successo, che venivano perciò raccolti con cura per poi venire esaminati.

A una settimana dall’incidente, però, la dinamica dei fatti era ancora sconosciuta, e anche l’arrivo del professor Colbert, che pure aveva progettato e costruito interamente quella nave, non era riuscito a portare qualche risultato.

Anche Tabitha, appena appresa la notizia, aveva voluto recarsi personalmente sul posto, e nonostante fosse brava a non lasciare trasparire emozioni si vedeva ad occhio nudo che anche lei era in ansia per la principessa.

Purtroppo, anche la sorveglianza più stretta non poteva niente contro l’ostinata perseveranza di chi vedeva in quell’incidente un’occasione per arricchirsi. Anche se di giorno avvicinarsi al luogo dello schianto era praticamente un suicidio, con tutte quelle guardie armate di Gallia che stavano di vedetta, nottetempo la sorveglianza era un po’ meno rigida, e molti ne approfittavano.

Una notte, come al solito, un gruppetto di contadini della zona scivolò tra i rottami dell’Ostland dopo essere riusciti a sfuggire alle guardie, molte delle quali stavano addirittura dormendo; tra di loro c’era anche un certo Denceny, un antiquario che trattava merce un po’ in tutto il Paese, e che aveva la sua casa in un vicino villaggio.

Subito tutti presero a rovistare tra la terra smossa, i detriti e i rottami alla ricerca di qualunque cosa preziosa, o che avesse un qualche valore, badando bene di fare meno rumore possibile e illuminati dalla sola luce della luna.

Denceny era già stato lì altre volte, e aveva trovato un buon posto dove cercare, ma quella notte, dopo qualche minuto di ricerca, non era ancora riuscito a trovare niente.

Alla fine, con la forza della perseveranza, riuscì a rivenire una strana e curiosa maschera di metallo, con l’espressione ghignante ed i fori per gli occhi, di quelle che venivano usate di solito come ornamento da appendere ai muri, e subito accanto un baule da viaggio con dentro dei vestiti.

Purtroppo, proprio in quel momento, un contadino che credeva di aver trovato delle posate d’argento si accorse di avere tra le mani del volgarissimo acciaio; stizzito le buttò via, ma cadendo le stoviglie fecero rumore svegliando le guardie.

«Ehi voi!» esclamò una recuperando la picca «Allarmi!».

Spaventati, i contadini presero a scappare in tutte le direzioni.

Molti di loro vennero catturati dai soldati apparsi da ogni dove, ma alcuni, tra i quali Denceny, riuscirono ad allontanarsi. Il giovane antiquario scappò a gambe levate portandosi dietro il suo baule, dove aveva messo anche la maschera e qualche altra cosa, caricò il tutto sul suo calesse che aveva lasciato lì vicino lungo la strada e partì a tutta velocità, scappando prima che le guardie potessero raggiungerlo.

«Accidenti, me la sono proprio vista brutta.» disse tra sé e sé quando fu certo di essersi salvato «Sarà meglio non tornare più».

Poco prima di mezzanotte Denceny era ritornato al suo villaggio.

Parcheggiato il calesse nel cortiletto attiguo all’ingresso entrò in casa portandosi dietro il baule, e trovando ad attenderlo la sua giovane moglie, che gli corse incontro per salutarlo e baciarlo.

«Allora, com’è andata?»

«Non benissimo.» rispose il giovane mostrando il baule «Le guardie ci hanno scoperti, e sono dovuto scappare. Questo è tutto quello che sono riuscito a portar via.»

«Non importa. Ciò che conta è che non ti abbiano preso.»

«Hai ragione».

A quel punto Denceny portò il suo bottino nella stanza che aveva adibito a bottega.

Lì dentro c’era un po’ di tutto; armi, mobili, statue e suppellettili di vario tipo. Denceny aveva ereditato il negozio da suo padre, ed era piuttosto conosciuto nel nord di Gallia, anche perché aveva fama di comprare e vendere qualsiasi cosa, senza troppo badare alla provenienza della merce, che talvolta acquistava da persone poco raccomandabili.

Il giovane posò il baule su di un tavolo, lo aprì e ne svuotò il contenuto, rimanendone alquanto deluso. C’erano solo una casacca ed un mantello neri, entrambi con un vistoso colletto, calzoni a gamba lunga e guanti di un blu molto scuro, un paio di stivali da cavaliere e un cappello.

Probabilmente si trattava del bagaglio di qualche nobile o cortigiano che era a bordo al momento dell’esplosione, al seguito della principessa.

«Devo dire che mi sarei aspettato di più».

Anche il resto della refurtiva non era niente di speciale, e tirando le somme era un bottino davvero misero, soprattutto in relazione al rischio corso.

«Poco male.» disse infine Denceny facendo per rimettere tutto apposto «Almeno una decina di denari dovrei poterceli fare».

D’improvviso, il giovane avvertì qualcosa di strano, come uno spiffero freddo, accompagnato da una sensazione sgradevole.

Girato lo sguardo si guardò attorno; la stanza era immersa in un’oscurità quasi totale, visto che l’unica luce era quella della candela che si era portato dietro dalla casa, e la miriade di oggetti affissi alle pareti o che pendevano dal soffitto gettavano tutto l’ambiente in un’atmosfera spettrale con le loro ombre. Denceny raccolse una delle tante spade che aveva in negozio e prese ad esplorare ogni angolo alla ricerca di un invisibile attentatore.

Ad una prima occhiata pareva non esserci nessuno, ma il giovane si sentiva comunque teso; anche la temperatura sembrava essersi fatta di colpo più fredda, e giungevano continuamente degli strani spifferi.

Denceny esplorò attentamente tutto il negozio senza trovare niente, poi la moglie aprì la porta che immetteva in casa.

«Amore. Ti ho preparato qualcosa da mangiare.»

«Sì, arrivo.» rispose lui, che dopo essersi guardato un’altra volta attorno alla fine se ne andò.

Rientrato in casa, e convintosi di aver avuto solo in impressione, dovuta forse allo spavento che si era preso dopo essere miracolosamente sfuggito alle guardie, Denceny si sedette a tavola e cominciò a mangiare il frugale pasto che sua moglie gli aveva cucinato.

Stava andando tutto per il meglio, quando d’un tratto entrambi udirono un rumore provenire dalla bottega, come se qualcosa di molto pesante fosse caduto.

«Che è stato?» disse la moglie.

A questo punto Denceny capì di non essersi sbagliato, e che quasi sicuramente qualche ladro era venuto ad allungare le mani sulla sua merce, o forse erano le guardie che lo avevano scoperto ed erano venute ad arrestarlo; in entrambi i casi, però, non si sarebbe lasciato prendere facilmente.

Recuperato lo schioppo che teneva in un cassetto, si diresse nuovamente verso la bottega.

«Caro, aspetta!»

«Tu resta qui e non muoverti. Potrebbe essere pericoloso».

La donna fece alcune storie, ma poi si lasciò convincere ad aspettare, e subito dopo Denceny scomparve dietro la porta della bottega.

Passarono alcuni secondi, forse una ventina, e all’improvviso la donna udì un grido di suo marito, e subito dopo uno sparo.

«Caro!».

Terrorizzata, e senza rifletterci, raggiunse la porta, e come la spalancò rimase paralizzata per la paura.

Un individuo spaventoso, vestito interamente di nero, uno stocco alla cintura e con indosso una inquietante maschera di metallo, stringeva Denceny per il collo con una sola mano tenendolo sollevato da terra; il povero giovane cercava in ogni modo di liberarsi, ma la stretta sembrava quella di un orso, benché quell’uomo non fosse poi così alto.

Alla fine, esanime, svenne, e allora l’uomo misterioso lo lasciò andare.

La moglie assistette impotente ed immobile, e quando l’assalitore volse lo sguardo verso di lei il terrore divenne pazzia.

«Stai lontano!» esclamò tentando di fuggire.

Ma fu un gesto inutile, perché prima che potesse raggiungere la porta o una finestra per chiedere aiuto quell’uomo le fu addosso, e un secondo dopo fu tutto nero.

 

Passò una settimana.

Saito, Joanne e Kaoru si ripresero velocemente dai postumi dello scontro a Palazzo Masarini. Dei tre, quello messo peggio era sicuramente Kaoru, ma la sua velocità di guarigione era qualcosa di incredibile; le ferite più serie, che in altre situazioni avrebbero richiesto una lunga convalescenza, iniziarono a guarire subito dopo i primi, semplici trattamenti, mentre quelle superficiali si rimarginarono praticamente da sole e nello spazio di poche ore.

A sette giorni esatti dall’impresa a Grasse, anche Kaoru si era completamente ripreso, e a garanzia di ciò volle esercitarsi con la spada nel cortile del palazzo.

Ora che aveva imparato a non avere paura delle sue abilità, e a tenere sotto controllo le sue emozioni, il talento che riusciva a dimostrare con in mano la sua katana poteva mostrarsi nella sua interezza.

Persino Joanne, che assisteva a sua volta all’allenamento, dovette riconoscere che quel ragazzo non era affatto male, e che probabilmente sarebbe stato in grado di affrontare ad armi pari alcuni dei migliori spadaccini del regno, se non addirittura il compianto capitano Agnes.

L’ultima parte dell’esercizio, condotto con la collaborazione di alcune guardie, fu uno scontro cinque contro uno usando delle spade di legno.

Al colpo di gong gli avversari circondarono Kaoru, che rimase immobile con la punta della spada rivolta a terra.

I primi due attaccarono frontalmente in rapida sequenza, ma il ragazzo disarmò e tramortì il primo e colpi ad un fianco il secondo, costringendo entrambi a capitolare quasi subito. Gli altri tre allora si mossero tutti insieme, cercando di accerchiare il bersaglio.

A quel punto Kaoru schivò l’assalto di uno spostandosi di lato, si girò e colpì al mento un alto con il palmo aperto della mano, sgambettò il primo e infine, dopo un paio di scambi, stese anche l’ultimo con un colpo di taglio dritto alla clavicola.

Era una sfida troppo allettante per Saito, che prima ancora di veder cadere l’ultimo dei suoi recuperò una spada e si lanciò a sua volta in battaglia, dando vita ad un’entusiasmante scontro corpo a corpo.

Louise era preoccupata per entrambi.

Da quando Kaoru aveva promesso di proteggerla aveva iniziato ad essere in pensiero anche per lui; dopotutto, anche se non capiva come né perché, era diventato ormai il suo famiglio, e preoccuparsi per la sua incolumità era una cosa naturale.

Saito e Kaoru lottarono per quasi un minuto, senza che nessuno dei due riuscisse effettivamente a prevalere sull’altro, poi, dopo un violento scambio, si ritrovarono in una situazione di parità, con la lama di Kaoru appoggiata al collo di Saito e la punta di Saito ferma davanti all’occhio sinistro di Kaoru.

Entrambi sorrisero, poi si allontanarono.

«A quanto pare, ti sei completamente ristabilito.» commentò Saito

«Così sembra.» replicò lui

«Lo sai, compare?» disse Derf parlando a Saito «Di colpo mi sento così inutile. Almeno, quando stavo con te, qualche volta il potere di Gandalfr o il mio li usavi. Sto tizio fa tutto da solo. Ma si può sapere che ci sto a fare qui?».

Anche il carattere di Kaoru era cambiato dopo quella sera alla villa. Era diventato più silenzioso, più serio, e aveva un’espressione severa perennemente piantata sul viso.

«Non potete trovare niente di meglio da fare voi due?» brontolò Louise quando entrambi tornarono verso di lei.

Kaoru, che era parecchio sudato, ricevette da Siesta un asciugamano.

«Grazie.» disse recuperandolo.

Per un istante le loro mani si sfiorarono, e Siesta, senza riuscire a capire perché, abbassò gli occhi. Per qualche motivo, non le riusciva proprio di sostenere lo sguardo di quel ragazzo, e non importava quanto di provasse.

Quando giorni prima lo aveva visto tornare sano e salvo aveva provato un certo sollievo, pari solo a quello che le venne dal vedere anche Saito fare ritorno tutto intero.

Forse era perché si era presa cura di lui.

Non senza un pizzico di cattiveria, volta a mettere quanto più spazio possibile tra la cameriera e suo marito, Louise aveva assegnato a Siesta la cura di Kaoru fin dal primo giorno; era stata lei a cambiargli le fasciature, applicargli le medicazioni, portargli da mangiare se non poteva alzarsi e così via.

Quando aveva visto per la prima volta il busto nudo del ragazzo, per un attimo era rimasta atterrita.

Oltre ad essere ben prestante e sviluppato, proprio di chi ha fatto dell’esercizio fisico uno stile di vita, il corpo di Kaoru era anche segnato da più di qualche cicatrice; una ulteriore testimonianza che, chiunque fosse quel ragazzo, doveva aver vissuto una esistenza difficile.

Nonostante tutto però Saito era ancora convinto che Kaoru provenisse dal suo stesso mondo.

Oltre al nome e ai suoi vestiti, c’era anche il fatto che fosse riuscito a leggere un testo in giapponese che Saito gli aveva mostrato.

Chissà, poteva essere in quel mondo da chissà quanto tempo, e forse solo adesso le loro strade si erano incontrate. Aiutarlo a ricordare chi fosse era quindi una priorità, e una volta che Louise avesse riacquistato i propri poteri magari lo si sarebbe anche potuto rimandare a casa.

Per fare in modo di sbloccare la sua memoria, quel giorno Saito portò Kaoru in biblioteca, indirizzandolo verso uno scaffale dove erano raccolti volumi che aveva portato dalla Terra, inclusi molti fumetti e anche qualche rivista che teneva ben nascosta per non farla trovare a Louise.

«Questi sono libri che provengono dalla Terra.» disse, quindi indicò una collana di otto volumi dalla copertina rossa.

Ne prese uno e lo diede a Kaoru.

«Che cos’è?»

«È un atlante storico. Vi è raccontata per sommi capi tutta la storia dell’umanità. Può darsi che leggendo tu riesca a ricordare qualcosa del tuo passato.»

«Sì, potrebbe anche essere.» rispose il ragazzo prendendolo.

Anche prima dell’incidente alla villa, Kaoru non era mai stato un tipo molto espansivo; ciò nonostante, in quell’occasione, abbozzò un sorriso e ringraziò l’amico per quello che stava facendo.

«Figurati.» gli disse Saito mettendogli una mano sulla spalla.

In quella arrivò il maggiordomo.

«Padrone. È l’ora della vostra visita settimanale ai vigneti.»

«Sì, arrivo subito.» disse, quindi si rivolse di nuovo a Kaoru «Io e Louise adesso dobbiamo assentarci per un po’, ma torneremo presto.»

«D’accordo.»

«Allora, ci vediamo stasera a cena».

A quel punto, Saito se ne andò, e Kaoru, sedutosi ad una delle poltrone, incominciò a leggere.

 

Saito e Louise rientrarono alla villa solo verso sera, trovando la cena già in tavola.

Tuttavia, anche dopo che i pasti furono serviti, il posto di Kaoru continuava a restare vuoto.

«Ma Kaoru dov’è?» chiese Louise

«È ancora in biblioteca.» rispose il maggiordomo «Se desiderate, posso andare a chiamarlo.»

«No, non sarà necessario.» disse Saito «Siesta?»

«S… sì?» disse lei, che aveva appena finito di servire

«Ti dispiace portare la cena a Kaoru in biblioteca?»

«Lo faccio subito.» rispose lei quasi con timore.

La ragazza caricò dunque il tutto su di un carrello e lasciò la sala da pranzo.

«Non ti sembra che Siesta sia un po’ strana in questi giorni?» chiese Louise quando i due sposi furono rimasti soli

«In effetti, l’ho notato anch’io.» rispose Saito, che poi disse divertito «Sarà l’effetto-simbiosi.»

«Effetto… simbiosi!?» replicò Louise quasi imbarazzata

«Anche Siesta dopotutto viene dalla Terra, in un certo senso. Forse lei e Kaoru si percepiscono come simili.»

«Una cosa che poteva essere frutto solo della tua mente bacata.» replicò Louise stizzita.

Siesta intanto era arrivata in biblioteca con il carrello della cena.

Kaoru era ancora lì, seduto alla solita poltrona, intento a leggere l’ennesimo libro alla luce di un candelabro. Sul tavolino lì accanto vi era una pila di altri volumi, alcuni semiaperti altri ammucchiati uno sopra l’altro.

Tutte quelle informazioni circa la Terra e la sua storia erano incredibili, eppure Kaoru aveva la sensazione che molte di esse facessero già parte di lui; talvolta, mentre leggeva, arrivava al punto da prevedere quello che avrebbe letto due o tre pagine dopo circa a date storiche, nomi di personaggi illustri o luoghi specifici.

Forse era una ulteriore prova che anche lui veniva dalla Terra, e proprio per questo non aveva smesso un momento di leggere, al punto da non rendersi più quasi conto del passare delle ore.

Siesta restò per quasi un minuto in silenzio ad osservarlo, di schiena, seduto a quella poltrona, e solo quando, involontariamente, fece rumore con il carrello, Kaoru si accorse di non essere più solo.

«Chiedo… chiedo scusa.» disse mortificata «Non volevo disturbare.»

«Ah, sei tu.» rispose calmo lui

«Ho portato la cena. Immagino avrai fame».

Il ragazzo allora si decise a guardare l’orologio da taschino che Louise gli aveva regalato, accorgendosi finalmente di che ora fosse.

Siesta posò il vassoio e il resto della cena sul tavolo.

«Ti ringrazio.» tagliò corto Kaoru per poi rimettersi a leggere.

Di nuovo, Siesta restò un po’ a guardarlo senza parlare.

«Qualcosa non va’?» chiese allora il ragazzo.

Lei divenne rossa come il peperoncino.

«No, no!» disse scuotendo le mani «Niente affatto.» poi si calmò un momento «Allora. Hai scoperto qualcosa?»

«Non lo so.» rispose Kaoru senza sollevare gli occhi dalla pagina.

A quel punto Siesta abbozzò un sorriso, quindi, chinata rispettosamente la testa, come se si stesse rivolgendo ai suoi padroni, lasciò la stanza. Come fu fuori, si appoggiò al muro, chiudendo gli occhi cercando di prendere fiato.

Perché il cuore le aveva iniziato di colpo a battere così forte? Cosa le stava succedendo?

Era davvero possibile che il suo cuore si fosse dimenticato di Saito tanto facilmente?

 

Poco dopo la mezzanotte, quasi tutti erano ormai andati a letto.

Saito e Louise si erano coricati piuttosto presto, anche prima del solito, e l’ultima cosa che Louise aveva pensato prima di addormentarsi era che anche quel giorno non era riuscita a dire la verità a Saito.

Il fatto che non avesse ancora avvertito i sintomi significava che non era ancora successo niente, quindi si era detta che per il momento non era il caso di rivelare a Saito una cosa che, a conti fatti, poteva accadere entro un giorno come entro sei mesi.

La gestazione di un mago era un po’ diversa da quella di una persona normale; una volta che la scintilla era stata generata, potevano passare anche diverse settimane prima che il feto iniziasse a formarsi nel vero senso della parola, ma la durata effettiva di questo processo intermedio dipendeva soprattutto dal caso.

A questo punto, tanto valeva aspettare di avere la conferma definitiva, e con questo pensiero la ragazza si era infine addormentata.

Anche Kaoru aveva preso sonno, e dormiva con la testa reclinata sulla poltrona e il libro che stava leggendo a terra dopo che gli era scivolato di mano.

Fuori, le guardie montavano di sorveglianza come sempre. Erano tutte piuttosto svogliate, ma del resto a nessuno piaceva fare il turno di notte, e sapere di dover stare svegli tutta la notte mentre il resto della villa ronfava della grossa.

Prima di andare a sua volta a dormire, Joanne volle fare il solito ultimo giro di controllo, sorprendendo come al solito le guardie al portone a sonnecchiare in piedi sorreggendosi alle picche.

«Avete intenzione di dormire ancora per molto?» disse severa

«Ci, ci scusi, capitano!» risposero i due uomini mettendosi sull’attenti.

D’un tratto la donna avvertì una brutta sensazione, come se avesse avuto qualcuno alle spalle, e velocissima si girò verso il cortile.

Ma non c’era nessuno; il giardino, così come la foresta circostante, erano immersi nel buio e nel silenzio più assoluti.

«Voi non avete sentito niente?» domandò alle guardie

«Ecco… veramente no, capitano.» rispose una dopo essersi consultata con lo sguardo col compagno.

Poteva essere stato un abbaglio dovuto al sonno, ma Joanne non volle rischiare. Fece chiamare il suo vice.

«Sì, capitano?»

«Cinque moschettiere a sorvegliare il perimetro della casa. Vigilanza stretta.»

«Sissignore».

Purtroppo, Joanne non si era affatto sbagliata.

Silenziosa ed invisibile, un’ombra nera era giunta sulla terrazza del secondo piano, ed approfittando di un momento di distrazione delle due moschettiere che la sorvegliavano si intrufolò all’interno passando da una finestra lasciata aperta per il caldo.

Anche la porta della biblioteca era socchiusa, e l’ombra ci passò accanto, senza rendersi conto che dentro c’era qualcuno, e che questo qualcuno, percepitane la presenza, aveva silenziosamente messo mano alla propria spada.

L’ombra continuò ad attraversare silenziosa i corridoi, beffando guardie e sorveglianza con la sua agilità e furtività, che le permettevano di appendersi ai muri, scivolare lungo le pareti e ancorarsi al soffitto senza essere mai notata.

Lungo il corridoio che l’ombra stava percorrendo vi era la stanza dei Padroni, guardata a vista da due moschettiere. L’ombra piombò su di loro nel più assoluto silenzio, stordendole entrambe, quindi fece per aprire la porta.

Non poteva immaginare che, proprio in quel momento, Siesta stesse dirigendosi alle sue stanze dopo aver fatto un ultimo giro per assicurarsi che fosse tutto in ordine.

Da un istante all’altro, l’ombra si ritrovò illuminata dalla luce di sei candele, e ciò che Siesta vide fu il ghigno spaventoso di una maschera di metallo sormontata da un vistoso cappello e circondata dall’alto collo di una mantella scura.

L’ombra, colta sul fatto, fece per avventarsi su Siesta, che lanciò un grido di terrore. Il suo urlo svegliò Saito e Louise, oltre a mettere in allarme tutte le guardie e la stessa Joanne.

Tuttavia, prima che l’ombra potesse assalirla, Siesta vide comparire davanti sé una seconda ombra, una molto più rassicurante e famigliare, che si frappose tra lei e l’aggressore.

Con un gesto acrobatico l’ombra riuscì ad evitare il fendente di Kaoru, spiccando un salto e volteggiando in aria per poi atterrare a distanza di sicurezza.

Siesta era ancora sotto shock per lo spavento, ma riuscì a mormorare un grazie.

Kaoru a quel punto poté vedere in faccia l’aggressore; anche se di faccia non si poteva parlare, visto che indossava una maschera metallica. Ad ogni modo i suoi abiti erano piuttosto nobiliari, per quanto inquietanti, con quella giubba nera, quel cappello a punta e quel mantello sinuoso.

Pochi istanti dopo Saito, a petto nudo, uscì dalla stanza brandendo la spada, mentre dal fondo del corridoio prese ad arrivare in tutta fretta Joanne alla guida di un manipolo di guardie.

L’aggressore, capendo di essere in svantaggio, optò per la fuga, gettandosi da un vicino finestrone e scomparendo nel buio così come era venuto.

«È scappato!» ringhiò Joanne, che poi disse alle guardie «Trovatelo subito!».

Mentre Joanne si accertava che Louise e Saito stessero bene, Kaoru rivolse invece le sue attenzioni a Siesta, seduta in terra tutta tremante e con lo sguardo pietrificato.

«È tutto a posto?» le chiese aiutandola a rialzarsi.

Lei era ancora scossa e fece per cadere, ma lui la trattenne, e come si ritrovò appoggiata al ragazzo Siesta arrossì di nuovo.

«G… grazie.» mormorò ancora.

Purtroppo, la ricerca non produsse alcun risultato, e quando era ormai quasi l’alba Joanne si presentò nel salone per fare il suo misero rapporto.

«Le mie scuse più profonde, maestà.» disse inginocchiandosi a Louise «Abbiamo cercato dappertutto, ma quell’individuo è riuscito a far perdere le sue tracce.»

«Ma chi poteva essere?» chiese Louise

«Forse un’omicida.» ipotizzò il capitano «Qualcuno inviato ad uccidere sua maestà.»

«Quante volte ti ho detto che non devi chiamarmi maestà?» replicò Louise a guance gonfie

«Al punto in cui siamo.» disse Saito quasi tra sé «La cosa non mi stupirebbe.»

«Farò controllare e setacciare tutto il feudo alla ricerca di indizi, e raddoppieremo la sorveglianza. Chiunque fosse l’assalitore, le giuro sul mio onore che riusciremo a prenderlo».

E purtroppo, la peggiore delle notizie non era ancora arrivata.

«Allarme!» esclamò d’improvviso un uomo entrando nella sala.

Era una delle spie che Joanne aveva preventivamente inviato a Grasse per sorvegliare i movimenti di Deville; era coperta di segni e sembrava sul punto di morire, tanto che Joanne dovette aiutarla a stare in piedi.

«Che c’è?» chiese Saito «Cos’è successo?»

«Grasse…» mormorò la giovane trovando a stento il fiato «Grasse ci sta attaccando!».

La notizia arrivò come un fulmine, e sembrò che un vento malefico fosse passato da un istante all’altro nella stanza pietrificando tutti i presenti.

Kaoru, arrivato in quel momento, vide Saito stringere i pugni, e Louise rivolgere verso terra due occhi che sembravano sul punto di piangere.

«Che è successo?» chiese.

 

Nota dell’Autore

Salve a tutti!^_^

Eccomi qua, con un nuovo capitolo. Stamattina, di getto, ho disegnato la mappa che potete trovare nel capitolo precedente, mentre oggi ho lavorato come un matto approfittando del giorno libero e buttando giù il capitolo a fiume dopo averlo iniziato ieri sera.

Che ne dite? Vi è piaciuto?

Ora la storia comincia a farsi davvero interessante, e posso garantirvi che lo diventerà ancora di più già a partire dal prossimo capitolo.

Purtroppo, per quel che mi riguarda, la pacchia è finita. Da domani dovrò recarmi all’università due volte a settimana, stando via dalle 7 alle 17 come niente, il che significa che in questi due giorni scrivere mi sarà quasi impossibile, soprattutto perché tornerò a casa talmente cotto da non avere neanche la forza di pensare. Se avrò tempo ed energie, proverò a buttare giù qualcosa in treno, ma si tratterà soprattutto di bozze che dovrò poi concretizzare.

Infine, un’ultima notizia.

Come i miei amatissimo recensori già sanno, oltre alla mappa ho creato anche, dopo una domenica di lavoro matto e disperatissimo, la prima fan opening dedicata a questa storia, che potete trovare al seguente indirizzo

 

http://www.youtube.com/watch?v=L9MMe-1Ckmc&list=LLBn9EKIwv4eZRKxEEFJuz9Q&feature=mh_lolz

 

Mi raccomando, guardatela e fatemi sapere che ne pensate!^_^

Grazie come sempre a Seldolce e Shawnfrost!

A presto!^_^

Carlos Olivera

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Capitolo 11
*** 9 ***


9

 

 

Fu indetta in tutta fretta una riunione per valutare il da farsi.

C’era grande tensione nell’aria, e molta paura. Saito sembrava molto teso, e Louise guardava continuamente ora lui ora il pavimento.

«Le forze nemiche contano circa ventimila uomini.» disse Joanne aprendo sul tavolo del salone una cartina della zona «E avanzano da nord-ovest a grande velocità diretti proprio qui.»

«Quanto tempo credi che abbiamo?» chiese Saito

«Se continueranno a procedere a marce forzate come stanno facendo adesso, saranno qui prima di domani sera».

Tutti abbassarono lo sguardo.

Era sicuramente una vendetta di Deville. Dopotutto, Saito e Joanne lo avevano visto allontanarsi dalla villa di Masarini subito prima che il cardinale trovasse la morte per mano solo, e solo il cielo sapeva cosa quei due stavano complottando subito prima di venire disturbati nei loro piani.

A pensarci bene, avrebbero dovuto aspettarsi che sarebbe successa una cosa del genere.

Alla fine, la guerra civile della quale fino ad ora si era semplicemente solo parlato, era infine scoppiata, e loro rischiavano di esserne le prime vittime.

«Noi che cosa possiamo fare?» chiese ancora Saito

«Non molto, temo.» rispose Joanne «Questo palazzo non è costruito come una fortezza, e non ce ne sono altri capaci di fungere allo scopo. Purtroppo, eccezion fatta per qualche ponte che possiamo abbattere e le foreste, non c’è quasi niente che blocchi l’avanzata nemica.

Di sicuro ora, mentre parliamo, le torri perimetrali ai confini del feudo saranno già state abbattute».

Tutti abbassarono gli occhi atterriti.

«Maestà.» disse infine Joanne «Tutto quello che mi sento di suggerirvi è di abbandonare subito questo posto.

Preparandoci adesso, e cercando in qualche  modo di ostacolare l’avanzata nemica, forse riusciremo anche ad evacuare buona parte degli abitanti del feudo.»

«Potremmo andare dalla mia famiglia.» disse mogia Louise «Il loro feudo non è lontano, e la nostra villa è ben difesa.»

«Non lo farò.» rispose Saito con un filo di voce e stringendo i pugni.

Tutti si voltarono a guardarlo.

«Come dici?»

«Queste sono le terre che mi sono state affidate dalla principessa Henrietta. Abbandonarle sarebbe come tradire la sua memoria.»

«Saito…» disse Siesta, anche lei presente

«Sei impazzito!?» esclamò Louise «Da quando in qua ti importa qualcosa di onore e dovere?»

«Maestà, comprendo il vostro orgoglio.» disse Joanne «Ma col dovuto rispetto, è una follia. Ne ricavereste solo di morire inutilmente.»

«Detesto ammetterlo, ma ha ragione.» disse Derf

«Un feudo perduto si può riconquistare, maestà.» disse Joanne «Ma se voi moriste oggi in una battaglia persa in partenza, chi resterebbe a proteggere Ornielle ed i suoi abitanti, e un domani, dio lo voglia, l’intera nazione?».

Saito dovette accettare il fatto compiuto.

Aveva già sfidato la sorte una volta in una battaglia impossibile da vincere, ma sperare di farcela di nuovo era pura utopia, senza contare poi che adesso non poteva contare sul potere di Gandalfr.

«Avete detto di voler arrestare l’avanzata nemica.» disse il ragazzo a capo chino e denti serrati «Come vorreste fare?»

«Ovviamente, affrontandoli.» rispose Joanne senza esitare «Un attacco martellante e logorante che li infastidisca e li rallenti. Non posso promettere niente, ma con un po’ di fortuna potremmo riuscire a guadagnare anche uno o due giorni.»

«Come hai detto!?» disse stavolta Louise

«In altre parole, ci stai chiedendo di lasciarvi qui a morire mentre noi scappiamo?!»

«Mi dispiace, ma stavolta non sono d’accordo neanch’io!»

«Noi siamo soldati, altezze, nonché le vostre guardie del corpo. E siamo pronte a dare la vita, se necessario, pur di garantire l’incolumità del nostro padrone.»

«Dacci un taglio col codice del samurai!» replicò Saito «Io vi ordinerò di morire, né vi permetterò di farlo.»

«Cercate di capire, questa è l’unica soluzione!».

Ne nacque un acceso dibattito, durante il quale Joanne quasi si dimenticò di stare rivolgendosi a coloro che considerava i legittimi sovrani di Tristain, mentre Kaoru invece continuava ad osservare la mappa aperta sul tavolo con sguardo pensieroso e indagatore.

Ad un certo punto, estrasse la spada e indicò il lago artificiale Moran, situato al confine meridionale di Ornielle, non lontano da Grasse; il ragazzo si ricordava quel posto perché ci era passato una settimana prima durante la fuga sconclusionata che lo aveva condotto infine a Villa Masarini.

«Il castello di Ueda.» disse quasi tra sé e sé.

Nessuno all’inizio riuscì a capirlo, ma poi Saito ebbe l’illuminazione.

«Ma certo, hai ragione!» esclamò «L’Assedio di Ueda

«Di che state parlando?» chiese Louise

«È un evento accaduto nel mio Paese quattrocento anni fa. Gli occupanti di un castello sotto attacco riuscirono a rompere l’assedio facendo esplodere una diga ed erigendo in un istante un muro d’acqua tra sé stessi ed il nemico, così da rendere l’assalto talmente difficile da risultare impossibile».

Saito a quel punto indicò a sua volta il lago.

«Il Fiume Serk attraversa tutto il feudo da sud a nord. In questo momento è in secca perché la diga che genera il lago è chiusa, ma se noi la aprissimo l’acqua tornerebbe ad inondare il letto del fiume, e le truppe di Grasse non avrebbero altra scelta che guadarlo, dandoci il tempo sufficiente per riuscire ad evacuare tutti.»

«È una strategia molto rischiosa.» disse Joanne «Il nemico sicuramente sarà ormai quasi arrivato sulle sponde del fiume. E se venissimo scoperti?»

«Purtroppo, non c’è altra scelta. Questo è tutto quello che possiamo fare per cercare di rallentarli».

Louise sentì un senso di malessere e di inquietudine attraversarle il corpo, infilandosi come un tarlo nella sua testa.

Aveva paura.

«D’accordo.» disse Saito «Lo farò io.»

«Saito!?» esclamò Louise

«Saito!?» disse anche Siesta

«La strada per arrivare alla diga è lunga e stretta. Impossibile percorrerla con il cavallo. Ma se parto subito, dovrei poter arrivare prima di notte. Sicuramente Deville per oggi terrà i suoi uomini a riposo, per poi farli dilagare nelle pianure nei prossimi giorni.

Tanto sa che non disponiamo di forze sufficienti a contrastarlo. Quindi, si dovrebbe fare a tempo.»

«Maestà, non credo sia prudente che andiate voi.» disse Agnes «Posso andarci io piuttosto.»

«Impossibile. Ti perderesti di sicuro.»

«Tuttavia, non posso accettare che andiate da solo. Verrò con voi.»

«No, Joanne. Tu devi occuparti dell’evacuazione. Se il piano avrà successo dovremmo comunque far fuggire gli abitanti il più velocemente possibile, perché anche nella migliore delle ipotesi guadagneremmo uno o due giorni al massimo. Quindi l’evacuazione deve iniziare subito, all’istante.»

«Però…»

«Non sarà da solo.» disse Kaoru rinfoderando la spada «Andrò anch’io con lui.»

«Grazie, Kaoru.» disse Saito «Effettivamente, mi sentirò più sicuro sapendoti con me.»

«Adesso basta!»  tuonò Louise «Non parlate d’altro che di dovere e di responsabilità! Non lascerò che Saito corra questo rischio! Mai e poi mai!»

«Louise…».

I due si guardarono, poi lei girò gli occhi seccata.

«Se davvero vuoi andare, allora dovrai lasciarmi venire con te.»

«Cosa!?» replicò lui inebetito

«E non illuderti di lasciarmi fuori, questa volta. O andiamo insieme, o non se ne fa niente».

In certi casi Louise aveva la testa più dura del cemento. Tuttavia, stavolta, Saito non se la sentì di ingannarla come aveva fatto l’ultima volta.

Fino a questo momento aveva sempre visto Louise come una bambina, da tenere fuori dai guai e proteggere anche e soprattutto perché era sua moglie e le voleva bene, ma volerle bene non voleva dire tenerla rinchiusa in una campana di vetro.

La verità era che Louise era molto cresciuta negli ultimi anni, molto più di quanto ci si sarebbe aspettato, e aveva imparato a conoscere sia i suoi limiti sia quello che poteva e non poteva fare.

Era giusto darle una possibilità.

«D’accordo.» le disse «Andremo insieme.»

«Ma… maestà…» tentò di protestare Joanne, ma Saito la zittì

«La decisione è questa. Io, Louise e Kaoru ci occuperemo di far saltare la diga per ripristinare il corso del fiume. Nel frattempo, tu Joanne assumerai la guida delle operazioni di evacuazione degli abitanti.

Questo è tutto».

Joanne digrignò i denti contrariata; ma purtroppo, sembrò quasi ricordarle Saito con quell’occhiataccia, aveva fatto un giuramento di fedeltà, e doveva rispettarlo in ogni senso.

«Come… come desiderate.» disse chinando il capo.

Poche ore dopo, stabiliti gli ultimi termini per far fuggire la popolazione, Saito, Louise e Kaoru si prepararono a partire, ognuno in sella al proprio cavallo.

Saito e Louise salirono per primi e si misero subito in viaggio; poi, quando Kaoru fece per seguirli, si sentì chiamare.

«Cosa c’è?» chiese rivolto a Siesta, che lo aveva raggiunto mentre saliva.

Lei esitò un momento.

«Ecco… l’ho già detto anche a loro, ma… fa attenzione, mi raccomando».

Kaoru replicò con un sorriso accennato, e anche Siesta fece altrettanto; poi Saito e Louise, che erano già lontani, lo chiamarono, e lui allora li raggiunse, lasciando Siesta da sola a guardare tutti e tre fino a che non li vide scomparire.

Per qualche ragione, non si sentiva tranquilla.

 

La diga del Lago Moran era stata costruita ancora dal precedente signore di Ornielle per soddisfare il bisogno di alcuni villaggi che sorgevano sulle sue sponde, e che ad ogni cambio di stagione si trovavano a fare i conti con la penuria d’acqua in estate e inverno.

Era un’imponente costruzione a triangolo rovesciato in legno e pietra posta al limitare di una valle stretta e ripida che il Serk, in realtà più un torrente che un fiume, aveva scavato nel corso dei millenni, subito prima dell’inizio delle pianure.

Durante le stagioni secche il passaggio di acqua era quasi nullo, ma in primavera e autunno, quando invece le piogge erano frequenti, le chiuse venivano aperte e il fiume riprendeva a scorrere in tutto il feudo.

Arrivando da sud si poteva giungere a cavallo sino alle sponde della valle, poi il sentiero si faceva ripido e stretto, praticamente a strapiombo, e diventava necessario proseguire a piedi, a meno di non fare una lunga deviazione.

Saito, Kaoru e Louise arrivarono ai piedi della montagna poco dopo le undici, inerpicandosi subito lungo il sentiero che saliva fin sulla cima. Già a metà strada, quando la parete accanto a loro era già diventata praticamente verticale, erano arrivati abbastanza in alto da poter vedere, in lontananza verso nord, le luci dell’accampamento del generale Deville, distante non più di sei o sette miglia.

«Dobbiamo fare presto.» continuava a ripetere Saito.

Poiché non si poteva escludere la presenza di spie o esploratori, e che in quel punto c’era il rischio concreto di poter essere visti anche a grande distanza, i tre ragazzi erano costretti a procedere senza l’ausilio di torce o luci di qualche tipo, ad eccezione di quella delle due lune.

Ad un certo punto Louise, poggiando male un piede, rischiò di cadere nel precipizio, ma fulmineo Saito la afferrò per un braccio riuscendo a trattenerla. Solo a quel punto la ragazza guardò in basso, accorgendosi di avere sotto di sé cento e più metri di salto terminante in un mortale tappeto di rocce levigate e appuntite.

Quello era il punto in cui, quando il fiume scorreva senza freni, si generava una delle cascate più belle e suggestive di tutta Tristain, detta la Cascata della Volpe, per via del particolare suono prodotto dall’acqua nel gettarsi di sotto, che richiamava appunto il fischio di una volpe.

«Stai bene.» chiese Saito

«S… sì.» rispose lei comprensibilmente spaventata

«Forse è il caso di fare una pausa. Abbiamo camminato molto.»

«No, non è necessario.» replicò Louise «Sbrighiamoci, piuttosto. Ormai è quasi l’alba».

Quello che i tre ragazzi non potevano sapere era che Joanne, venendo meno ai suoi principi più sacri ed inviolabili, o almeno così credeva, aveva deciso di fare di testa sua, e affidata l’evacuazione alla sua seconda si era messa al comando delle sue moschettiere con le quali aveva attraversato il fiume ridotto ad un rigagnolo, ma il cui letto ben testimoniava quali dimensioni fosse in grado di raggiungere a piena portata.

Il timore di Joanne era che qualche pattuglia di ricognizione potesse attraversare il fiume nottetempo anticipando il resto dell’esercito, e visto che in quelle condizioni anche cento uomini potevano costituire un problema era necessario secondo lei fare di tutto per assicurarsi che la manovra risultasse il più efficace possibile.

E poi, attaccando briga col nemico, avrebbero anche potuto distrarlo, evitando magari che qualcuno si accorgesse di quello che stava succedendo sulla montagna.

Sapeva di stare disubbidendo ad un ordine, ma era sempre meglio chiedere perdono che pentirsi di non aver dato retta ad un presentimento.

Il manipolo, composto da una cinquantina di guerriere, raggiunse l’altra sponda del fiume a dorso di cavallo, e come giunsero in vista di un piccolo accampamento di esploratori immediatamente ci si lanciarono contro travolgendo ogni cosa.

La notizia che uno dei campi esterni era stato attaccato arrivò ben presto alle altre postazioni, fino alle orecchie dello stesso generale Deville, chiuso nella tenda di comando al centro dell’accampamento principale a godere della compagnia e dei servigi di alcune popolane accondiscendenti.

«Generale, uno dei nostri campi esterni è stato attaccato!» disse una staffetta entrando nella tenda

«Quanti sono?»

«Una cinquantina, più o meno. Moschettiere reali di sua maestà.»

«Quel pazzo di un moccioso si illude forse di poter vincere? Inviate un distaccamento sul posto e spazzate via quelle sgualdrine.»

«Sissignore!».

Un distaccamento era composto da milleduecento uomini, e partendo dall’accampamento principale avrebbe impiegato circa venti minuti ad arrivare nel luogo dell’attacco.

Nel frattempo, gruppi più piccoli provenienti da altri campi perimetrali presero a convergere verso gli assalitori, che si difendevano con le unghie e con i denti cercando di guadagnare più tempo possibile.

«Ricordate, non dobbiamo arretrare per nessun motivo!» continuava a urlare Joanne mentre seminava cadaveri «Resistete fino al segnale!».

Intanto, Saito, Louise e Kaoru erano infine arrivati alla diga. Saito avrebbe voluto portare con sé della dinamite per farla saltare, ma Louise lo aveva convinto che ora la sua magia stava ritornando, e che avrebbe potuto fare ricorso senza problemi all’Explosion.

«Siamo sicuri che l’acqua non causerà danni nelle pianure?» chiese Louise notando le dimensioni imponenti del lago

«Il letto è molto largo e profondo, e la cascata assorbirà gran parte della forza dell’acqua.» disse Saito «Non dovrebbe succedere nulla».

Poi, Louise volse un momento lo sguardo a valle, notando le fiamme che si alzavano da uno degli accampamenti nemici.

«Che starà succedendo laggiù?».

Saito guardò con un binocolo, quello che aveva trovato a bordo dello Zero la prima volta che lo aveva pilotato, e pur non riuscendo a distinguere bene apparve chiaro che si trattava di una battaglia.

«Quella pazza incosciente e irresponsabile.» ringhiò «Dobbiamo sbrigarci!».

D’un tratto Kaoru, che sorvegliava i dintorni, avvertì un rumore in lontananza. Si era accorto che qualcuno li stava seguendo fin da quando avevano iniziato il percorso a piedi, ma aveva voluto tacere per non allarmare i suoi compagni.

Scrutando nel buio, come vide un’ombra aggirarsi tra le fronde le si lanciò contro a spada tratta. Per fortuna i suoi riflessi erano efficaci tanto quanto i suoi sensi, così riuscì a fermarsi subito prima di tagliare di netto la testa a Siesta, che per la paura si ritrovò seduta per terra.

«Ca… calma, sono io!» esclamò spaventata

«E tu che ci fai qui?» domandò Louise

«Ero preoccupata per voi, e così vi ho seguiti. Tutto qui.»

«Questo non è un gioco, accidenti a te!».

All’improvviso i quattro udirono un sibilo, e un secondo dopo un gruppo di golem di Deville comparvero dalla foresta circondandoli completamente.

«Dannazione!» esclamò Saito estraendo la spada «Kaoru, tu proteggi Louise! A questi ci penso io!»

«Saito!» tentò di dire Louise, ma intanto il ragazzo si era già gettato in battaglia.

Cercando di non pensarsi, e di estraniarsi il più possibile dal mondo che la circondava, Louise prese a recitare l’incantesimo, guardata a vista da Kaoru, che proteggeva sia lei che Siesta tenendo a bada i golem che cercavano eventualmente di attaccarla.

Di nuovo, dopo poco, sentì giungere fortissima quella fitta al ventre, mentre sentiva di stare perdendo il controllo della sua magia; ma non poteva deludere tutti, non adesso che c’era così tanto in gioco, e dopo aver promesso che ci sarebbe riuscita.

Strinse i denti, facendo di tutto per reprimere le grida.

HAGARU BEORU YIN

EXPLOSION!

 

L’intera zona fu attraversata da un violento ed improvviso vuoto d’aria, e subito dopo una tremenda esplosione sventrò completamente la diga, liberando un muro d’acqua che con la forza di un tornado prese a scendere verso valle a velocità impressionante.

Laggiù, intanto, la battaglia tra le moschettiere e le truppe di Deville ancora infuriava, e le attaccanti, terminato l’effetto sorpresa, nonostante la loro bravura stavano iniziando a subire seriamente la soverchiante superiorità numerica del nemico.

Poi, finalmente, si udì quel suono, il fischio della volpe, così forte da poter essere udito anche nel fragore della battaglia.

«Il segnale!» esclamò qualcuno

«Ritiriamoci, presto!» gridò Joanne.

Lei e le altre a quel punto rimontarono a cavallo e tornarono sui loro passi, giusto in tempo per evitare di venire accerchiati dai rinforzi, che tuttavia presero ad inseguirli.

Le moschettiere attraversarono il letto del fiume ancora momentaneamente asciutto, mettendosi in salvo sull’altra riva.

«Se tenete alla vita!» urlò Joanne rivolta alle truppe nemiche «Non andate altre questo punto!».

I soldati effettivamente esitarono, soprattutto perché spaventati da quel fischio che si faceva sempre più forte e vicino, ma alla fine furono costretti a procedere dai loro comandanti.

La morte arrivò sopra di loro nella forma di un terrificante muro d’acqua che procedeva ad una velocità impressionante, portandosi dietro rocce, detriti, alberi interi e ogni altra cosa l’onda avesse travolto sul suo cammino. Alcuni riuscirono a mettersi in salvo, ma la maggior parte trovò la morte sul letto del fiume, le cui pareti, rese viscide e scivolose dalla pioggia fangosa che aveva preceduto l’arrivo dell’onda, non permisero di risalire in tempo.

«A quanto pare ha funzionato.» commentò infine Joanne vedendo il fiume comparire da un momento all’altro dinnanzi a loro e tagliare la strada alle truppe nemiche, costringendole a ritirarsi.

A conti fatti, era andata anche meglio di quanto si fosse sperato; non solo avevano frenato l’avanzata delle truppe di Deville, ma ne avevano anche spazzata via una considerevole parte, il che sarebbe tornato molto utile al momento della riscossa.

Intanto, in cima alla valle, Louise, terminato di recitare l’incantesimo, era rovinata a terra quasi svenuta per il dolore e la fatica venendo immediatamente soccorsa da Saito, che nel frattempo si era liberato di tutti i golem nemici.

«Louise!» disse Siesta, tentando di soccorrerla a sua volta.

Nella fretta di raggiungerla poggiò male un piede, e da un istante all’altro la terra le mancò letteralmente da sotto i piedi, facendola precipitare nel fiume, che in quel punto rassomigliava più ad un pericoloso torrente di montagna, pieno di rapide e con una corrente impetuosa.

«Siesta!» gridò Saito.

Kaoru, che le stava più vicino, immediatamente si tuffò cercando di raggiungerla. Siesta non aveva mai imparato a nuotare, sapeva a malapena tenersi a galla, e con quella corrente impetuosa e quel vestito ingombrante si sentì subito affondare. Temeva che sarebbe morta, ma per fortuna Kaoru la raggiunse in tempo, riuscendo ad afferrarla subito prima che scomparisse sott’acqua.

«Ti tengo!» le disse.

Ora però il problema era la cascata, distante solo poche decine di metri. Kaoru aveva ancora con sé la spada, e cercò di salvare entrambi piantandola nel primo punto buono lungo la sponda che gli riuscì di infilzare. Per un attimo sembrò che fossero entrambi al sicuro, ma proprio sul più bello il ragazzo perse l’appiglio e i due ripresero a venire trascinati dalla corrente.

Saito e Louise cercavano in tutti i modi di stare dietro ai loro amici, ma per quanto ci provassero non riuscivano in nessun modo a tirarli fuori, e intanto la cascata diventava sempre più vicina.

Proprio sopra la cascata c’era un belvedere, dal quale si aveva una suggestiva veduta del salto e del panorama circostante. Saito e Louise riuscirono a raggiungerlo per primi, quindi il ragazzo staccò la corda che fungeva da parapetto e ne fece legare un capo ad un albero da Louise, giusto un istante prima che Siesta e Kaoru arrivassero nello stesso punto.

«Kaoru! Prendi!» gridò lanciandola in acqua.

Kaoru per fortuna riuscì ad afferrarla, e subito prima di precipitare nella cascata. Per la paura, e pensando che fosse finita, chiuse gli occhi, ma quando li riaprì lei e Kaoru stavano penzolando davanti alla colonna d’acqua. Kaoru teneva con una mano lei e con l’altra la corda ed il suo viso sembrava una maschera di dolore, tale era lo sforzo.

«Resisti!» disse Saito «Vi tiriamo su!».

Per fortuna Kaoru rivelò una resistenza fenomenale, riuscendo a tenere la presa sia con la corda che con Siesta fino a quando non furono entrambi al sicuro.

Siesta quasi non riuscì a crederci sentendo di nuovo la terra sotto i piedi, e silenziosamente ingraziò Dio per averla salvata mentre Louise la copriva amorevolmente con la sua mantella per proteggerla dal freddo che la faceva tremare.

Anche Kaoru era piuttosto malconcio; durante quella nuotata fuori programma erano andati a sbattere più volte contro rocce e massi sporgenti ma lui ogni volta le aveva fatto da scudo prendendo i colpi al suo posto, e ora se ne vedevano gli effetti.

«Mi… mi dispiace.» disse Siesta vedendo che il ragazzo perdeva sangue

«Sopravvivrò.» tagliò corto lui

«Grazie per aver aiutato Siesta.» disse Saito.

Il ragazzo replicò con il proprio silenzio, e poco dopo si alzò e prese a scendere dalla montagna, desideroso più che mai di togliersi di dosso quei vestiti fradici, perennemente seguito con lo sguardo da Siesta.

 

La notizia di quello che era successo arrivò presto alle orecchie di Deville.

«Generale, il nemico ha distrutto la diga che corre lungo il fiume Serk

«Che cos’hai detto!?» ringhiò il generale scattando in piedi

«È così, signore. Il nostro distaccamento è stato spazzato via quasi completamente!»

«Maledetto Hiraga! Date ordine ai genieri! Che inizino subito la costruzione di un ponte di barche! Voglio le teste di quei due mocciosi sulle picche prima di domani sera!»

«Sissignore!».

Deville era così di malumore che cacciò via tutti, anche le donne che gli avevano tenuto compagnia fino a quel momento, e rimasto solo prese a camminare avanti e indietro per la tenda masticando tutte le imprecazioni e le maledizioni che conosceva.

Improvvisamente, dall’esterno, giunsero dei gemiti, e subito dopo delle urla concitate.

«Che diavolo succede?» brontolò.

Come aprì la tenta, i suoi occhi e la sua espressione restarono di sasso; lo spiazzo davanti alla tenda era disseminato di corpi dei suoi soldati, e al centro c’era un uomo, vestito di scuro e con una maschera di metallo a coprirgli il volto. In mano teneva una spada, bagnata di sangue; alzò lo sguardo verso di lui.

«Come hai fatto ad entrare qui?» disse attonito «Guardie!».

Ma nessuno rispose, né avrebbe potuto.

Vanaglorioso e presuntuoso com’era, Deville aveva l’abitudine di far circondare la propria tenda con una palizzata di legno, che poteva essere aperta solo dall’interno, e visto che ormai all’interno non c’era più nessuno in vita, chi stava all’esterno e aveva sentito la sua richiesta di aiuto non poteva in alcun modo raggiungerlo.

L’uomo in nero alzò la spada insanguinata, prendendo a camminare lentamente in direzione di Deville.

«Chi sei? Chi diavolo sei…».

Poi, fulmineo, colpì. Il generale, istintivamente, si spostò di lato e fece per sguainare la spada, ma prima ancora che potesse mettere la mano sull’impugnatura la lama del nemico gli aveva già trapassato lo stomaco.

Dopo il primo affondo l’uomo in nero ritirò la lama, e Deville, tenendosi la ferita, ebbe appena il tempo di fare qualche passo indietro prima di cadere moribondo nel suo stesso sangue.

«Aspetta…» disse con le lacrime agli occhi, mentre l’aggressore gli si avvicinava «Ti prego… posso darti dei soldi. Quello che vuoi. Dimmi il tuo prezzo.

No, ti prego.

Non voglio morire… no!».

 

NOTA DELL’AUTORE

Eccomi qua!^_^

Come avevo promesso, questa volta siamo passati davvero alle cose serie!

Per stavolta non c’è ancora stata una vera battaglia, ma state tranquilli. Presto, molto presto, ce ne saranno così tante da venirvi a noia!

Non so cos’abbia questa sera la mia tastiera, probabilmente è a corto di batterie o è assatanata, quindi taglio corto.

Una serie di generosi imprevisti hanno aumentato considerevolmente il tempo libero che credevo di avere fino a venerdì prossimo, il che significa che questo periodo di estasi creativa acuta potrà durare ancora un po’.

Come sempre, grazie a Seldolce e Shawnfrost.

A presto!^_^

Carlos Olivera

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Capitolo 12
*** 10 ***


10

 

 

Una volta che tutti furono tornati al castello, Joanne dovette subirsi una sonora e meritata lavata di capo per il suo gesto sconsiderato, che per poco non era costato la vita a lei e alle sue moschettiere.

La giovane donna era inginocchiata al centro del salone, con il capo chino ed il pugno al cuore, mentre Saito e Louise la osservavano seduti sui rispettivi scranni; sembravano proprio il re e la regina.

C’era anche Kaoru, in piedi in un angolo della sala.

«Ti avevamo dato un ordine preciso, Joanne.» disse severamente Saito «Ti avevamo detto di coordinare l’evacuazione dei civili.

Ma tu hai agito di testa tua, e per poco non ci hai rimesso la vita.»

«Non ho giustificazioni, vostre maestà.

Anche se umilmente ritengo di aver voluto seguire la decisione più giusta, sono consapevole della gravità della mia scelta, e me ne assumo la piena responsabilità.

Accetterò qualsiasi punizione vogliate infliggermi».

Louise guardò Saito in modo enigmatico, quasi indagatore.

«Visto e considerato che nessuna di voi è stata uccisa, e che i civili sono tutti in salvo, per questa volta passeremo sopra a tutto.»

«Tuttavia.» aggiunse Louise «Se dovesse succedere ancora una cosa del genere, allora ci comporteremo davvero da Padroni, come tu sembri desiderare così tanto.»

«Vi ringrazio infinitamente. E vi prometto che non succederà più.»

«D’accordo, per ora basta così.» tagliò corto Saito «Ora parliamo piuttosto di quello che è successo all’accampamento di Deville

«Sì, mio signore.» rispose Joanne, e ad un suo cenno due moschettiere portarono dentro un soldato nemico che una spia era riuscita a catturare «Quest’uomo ha visto tutto.»

«La Maschera di Ferro.» disse quello con gli occhi sbarrati e la voce mozzata per la paura «È stata la Maschera di Ferro!»

«La Maschera di Ferro!?» ripeté Saito.

Il pensiero andò immediatamente all’ombra comparsa due giorni prima nel palazzo, quella che aveva tentato di entrare nella loro camera e che Kaoru aveva brevemente affrontato prima che fuggisse.

Quando il soldato si fu calmato, Saito e Louise riuscirono a farsi raccontare l’intera storia.

Poco dopo la battaglia sulle rive del fiume, un uomo in nero che indossava una maschera metallica era comparso dal nulla nel centro dell’accampamento di Deville, dove aveva fatto strage di guardie ed ufficiali prima di sgozzare lo stesso generale.

I soldati all’esterno avevano appena fatto in tempo a sfondare il portone del forte con un ariete, ma non avevano potuto fare altro che osservare impotenti l’assassino fuggire via dopo aver terminato la sua strage.

Privato dei propri comandanti l’esercito di Grasse era rapidamente andato nel caos, facendo ritorno in tutta fretta nel proprio territorio lasciandosi alle spalle un accampamento dismesso e deserto, lo stesso che le spie avevano trovato al sorgere del sole.

La cosa diventava sempre più ingarbugliata e complessa.

Perché la Maschera di Ferro, come l’aveva chiamata il soldato, aveva ucciso tutti i comandanti della forza d’invasione sancendo di fatto la vittoria degli assediati, se solo due giorni prima aveva tentato di fare irruzione nella villa di Ornielle?

«E adesso, cosa ne sarà di Grasse?» chiese Louise

«Ho mandato un esploratore a verificare la situazione.» rispose Joanne «Purtroppo, ora che tutti i suoi capi, nonché il suo signore, sono morti, il feudo è già in preda alla confusione. In circostanze normali le terre passerebbero allo Stato, ma nell’attuale situazione è chiaro che questo non potrà accadere».

Saito si passò una mano sul mento e si alzò dallo scranno.

A quanto pare aveva evitato che la popolazione del suo feudo rimanesse vittima della guerra civile, ma ora erano gli abitanti di Grasse ad essere in pericolo.

«Non c’è nulla che possiamo fare per quella gente?» chiese Louise

«Solo una cosa.» rispose Joanne non senza esitazioni «Che qualcuno reclami il feudo per sé e ne assuma il controllo».

Seguirono secondi di silenzio, durante i quali nessuno parve rendersi realmente conto di cosa significasse realmente la proposta di Joanne, poi sia Saito che Louise sgranarono gli occhi.

«Vorresti che prendessimo il controllo di Grasse!?» esclamò Saito

«È l’unica soluzione per evitare conseguenze peggiori.» disse Joanne

«Credo abbia ragione.» intervenne Kaoru «È chiaro che se qualcuno non prenderà al più presto il potere in quella regione, entro poco tempo Grasse sprofonderà nell’anarchia, con tutte le conseguenze facilmente prevedibili.»

«Anche se non è avvenuta per mano vostra, è chiaro che la morte del generale Deville ha sancito la vittoria delle vostre maestà nella guerra tra i due feudi. E quindi ora, in base alla legge, voi che siete i vincitori avete il diritto di pretendere il controllo dei territori dello sconfitto.»

«Quella è una vecchia legge dei tempi delle guerre feudali.» replicò Louise «Quei tempi ormai sono finiti.»

«Abbiamo sempre detto che non volevamo una guerra civile.» disse Saito «Non possiamo rimangiarci la nostra parola occupando un feudo che non ci appartiene.»

«Invece, secondo me, è esattamente quello che dovreste fare».

Tutti volsero lo sguardo verso la porta, dalla quale Lucas aveva appena fatto la propria comparsa con al seguito il vicecomandante del suo esercito, Kiriya, un ragazzo cresciuto per strada che era stato adottato dai genitori di Lucas e che quest’ultimo considerava quasi come un fratello minore.

Kiriya aveva anche una sorella, Seena, che da alcuni anni però serviva un altro signore.

«Lucas!?» disse Saito «Alla fine sei arrivato».

Saito lo aveva chiamato subito per informarlo dell’attacco di Deville usando la penna magica, e Lucas, abbandonata ogni altra cosa, lo aveva immediatamente raggiunto a bordo della sua aeronave ammiraglia. Si era anche portato dietro un piccolo manipolo di efficienti soldati, e la sua sorpresa era stata grande quando si era reso conto che il loro intervento non era più necessario.

«Cosa intendi dire con questo, Lucas?» chiese Louise «Che dovremmo occupare Grasse?»

«Se volete evitare un bagno di sangue, questa è l’unica soluzione. Ma ci sono anche altri motivi.»

«Per esempio?» domandò Saito

«Per esempio i soldati. Il generale Deville poteva contare su di un esercito numeroso, come avete avuto modo di vedere, e se voi occupaste Grasse quell’esercito diventerebbe vostro.

E c’è anche un’altra cosa.

Questo palazzo non è una fortezza in grado di reggere un assedio o garantire la dovuta sicurezza. La residenza del generale, invece, è molto più efficace sotto questo aspetto. Al suo interno sareste al sicuro.»

«Quindi ci stai dicendo che non dovremmo limitarci a prendere Grasse, ma che dovremmo addirittura stabilirci laggiù!?»

«Considerate un fatto. Questa volta siete stati molto fortunati. Se questa Maschera di Ferro non ci avesse messo del suo, eliminando il generale, nonostante i vostri sforzi Ornielle a quest’ora sarebbe già capitolata.

La verità è che ormai siamo in guerra. E in quella, la cosa più importante per un comandante è un luogo sicuro dove potersi trincerare in caso di necessità. E Ornielle, per quanto mi dispiaccia doverlo ammettere, non fa a questo scopo».

Sia Saito che Louise guardarono altrove, le facce scure e l’espressione affranta.

Purtroppo, era una verità ormai innegabile.

La guerra civile era ufficialmente iniziata, e fermarla non era, almeno per il momento, in loro potere. Tutto quello che potevano fare era cercare di porvi un freno, ma per riuscirci dovevano quantomeno riuscire ad essere competitivi, e avere i mezzi per difendersi e difendere quando necessario.

A ragione di tutto ciò, la scelta di reclamare Grasse sfruttando per altri fini quello che il generale Deville voleva usare per il proprio personale tornaconto sembrava l’unica scelta possibile.

«Non mi interessa cosa può succedere.» disse Saito a denti stretti «Non mi interessa quello che penseranno gli altri. Volevo bene alla principessa Henrietta, e a suo tempo le promisi di aiutarla in ogni cosa. Se permettessi al Paese che ha tanto amato di andare in rovina, non rispetterei certamente quella promessa».

Quindi, alzò gli occhi rossi di fuoco.

«E se per farlo dovrò combattere, così sia!»

«Saito…» disse Louise.

Per un attimo la ragazza tornò con la mente a quel giorno, nel Campo Vestri, quando per la prima volta Saito aveva dato prova di quella che era la sua forte volontà, e della sua determinazione a non indietreggiare mai, anche nelle situazioni più impossibili.

Era anche per questo che lo amava così tanto; per questa sua indole gentile e risoluta allo stesso tempo.

«Parli proprio come un vero Signore.» disse soddisfatto Lucas.

Dopo poco Saito chiese di poter stare da solo con il cognato, dando disposizione che si preparasse tutto per la partenza.

«Cosa intendevi dire, con il fatto che ormai siamo in guerra?» chiese Saito «Ci sono stati altri problemi oltre a questo?»

«Dunque, tu non ne sai niente.»

«Riguardo a cosa?»

«Il sud-est del paese è già in fiamme. Santin sta annettendo un feudo dopo l’altro, e altri lo stanno imitando. Ha iniziato a far rotolare teste subito dopo l’ultima riunione.»

«Quel maledetto. Non ha perso tempo.»

«Anche io presto temo che dovrò procedere. Il signore del feudo a sud del mio sta ammassando tutto il suo esercito lungo il confine, e io sono stato costretto a fare altrettanto. Ormai è solo una questione di tempo, temo.»

«Però, io credo che nessuno sarebbe tanto pazzo da attaccarti. Voglio dire, i tuoi Cavaleiri del Grifone sono i più conosciuti e temuti del Paese.»

«Purtroppo, il confine che separa l’ambizione dalla follia è fin troppo sottile. Io come te non vorrei una guerra, ma se mi ci dovessero trascinare non potrei far altro che rispondere.»

«Sì, capisco».

Intanto, nel corridoio, Siesta aveva già iniziato a radunare le sue cose in vista della partenza, e le stava portando all’ingresso perché fossero caricate su carri. Camminando, incontrò Kaoru, appoggiato al muro con le braccia conserte e gli occhi chiusi, come se stesse dormendo.

Gli si avvicinò, e lui dopo qualche attimo alzò lo sguardo.

«Non carichi le tue cose?» gli chiese «Entro stasera dovremo partire.»

«E che cosa dovrei caricare?» replicò il ragazzo «Tutto quello che possiedo ce l’ho proprio qui».

Siesta guardò altrove, poi fece una cosa che non avrebbe mai creduto possibile.

Gettati i sacchi, si avvicinò ancora di più a Kaoru, quasi mossa da una volontà altrui, toccandogli la guancia con le labbra; per il momento, questo era il massimo che il suo coraggio e il suo cuore le consentivano di fare.

Kaoru rimase basito, e non si mosse, e quando siesta lo guardò di nuovo negli occhi anche lui arrossì.

«Volevo dirti, che ho apprezzato quello che hai fatto per me in più di un’occasione».

Detto questo, raccolse le sue cose e scappò via senza voltarsi; rimasto solo, Kaoru si sfiorò la guancia restando in silenzio.

Allora, si disse, lui forse non era stato il solo ad avvertire qualcosa di strano nel momento in cui lui e Siesta si erano guardati negl’occhi per la prima volta.

 

Entro mezzogiorno, tutto quello che possibile e necessario portare via dalla villa venne caricato sui carri, ed il convoglio, con al centro la carrozza dei Padroni, si preparò a partire.

Gli esploratori inviati a Grasse riferivano che la popolazione non aspettava altro che l’arrivo di un buon reggente, qualcuno migliore del generale, in grado di evitare che la regione sprofondasse nel caos e di ripristinare la gerarchia all’interno dell’esercito.

Saito, uscito a sua volta, fece un ultimo controllo, per essere sicuro che fosse tutto a posto. Avrebbe lasciato alla villa una ventina di guardie, e una volta preso il controllo di Grasse vi avrebbe avviato un intero distaccamento; quanto alle difese, Joanne aveva già disposto l’inizio dei lavori di costruzione per una serie di forti e postazioni in tutti i valichi e i punti strategici.

«Dov’è Louise?» domandò Saito non vedendola

«La signora è ancora in biblioteca.» disse il vecchio maggiordomo.

Saito andò da lei.

«Louise.» disse aprendo la porta «Dobbiamo partire».

Lei era lì, in piedi davanti alle finestre, ad osservare il paesaggio con aria spaesata.

«Louise…».

Lei si girò, guardandolo.

«Non riesco a crederci che dobbiamo andarcene.»

«Ti capisco, Louise.» disse Saito carezzandole la guancia «Anch’io ho il cuore a pezzi per quello che dobbiamo fare. Ma ti prometto che sarà solo una cosa temporanea. Quando tutto questo sarà finito, ti prometto che ritorneremo».

Poi, Saito si accorse che Louise stava piangendo.

«Louise..»

«E pensare che avrei voluto dirtelo proprio qui. In questa stanza. Ma più avanti, quando fosse stato in momento.»

«Dirmi che cosa?».

Louise raccolse allora tutto il suo coraggio. A questo punto, non si poteva più tergiversare.

«Saito. Presto sarò incinta!».

Colto alla sprovvista, Saito minacciò di svenire lì dove si trovava, e pensò di aver sentito una cosa per un’altra.

«Come, scusa!?»

«Per ora non lo sono ancora, ma ne ho tutti i sintomi. Il motivo per cui non riesco ad usare come vorrei la mia magia, è perché il mio potere magico si sta separando, per generare quello del bambino. Quando i miei poteri torneranno del tutto, vorrà dire che sarò incinta per davvero».

A quel punto Saito realizzò di non stare sognando, e abbracciò Louise pazzo di gioia.

«Non mi stai prendendo in giro, vero? Avremo presto un bambino!»

«Sì, Saito!» gli rispose lei ritrovando il sorriso tra le lacrime «È la verità. Avrei voluto dirtelo da tempo, ma non ne ho mai trovato il coraggio!»

«Non avrei mai sperato di avere una notizia così bella!».

Poi, passato il comprensibile momento di gioia, entrambi si calmarono, tornando coi piedi per terra.

«Lo prometto.» disse Saito «Prometto che nostro figlio crescerà qui, in questo palazzo.»

«Davvero?»

«Davvero. Saremo la famiglia più felice che questo regno abbia mai visto, parola mia».

 

Poco dopo, purtroppo, venne il momento dell’addio.

Saito, fattosi improvvisamente più premuroso del solito, aiutò Louise a salire sulla carrozza, quindi salì a sua volta.

«Lascio tutto nelle tue mani.» disse Saito prima di salire al vecchio maggiordomo

«Non temete, padrone. Avrò cura di questo posto fino al vostro ritorno».

A quel punto, il convoglio si mise in marcia, con i carri a precedere e seguire la carrozza, scortata e protetta dalle moschettiere e da un manipolo di guardie. Kaoru e Siesta venivano subito dietro, lui in sella ad un cavallo lei assieme agli altri inservienti a bordo di un carretto, ma nessuno dei due aveva il coraggio di guardare l’altro.

Addio alle piacevoli passeggiate in giardini; addio ai pomeriggi spesi a leggere all’ombra di una tenda da sole; addio alle serate nella sorgente termale, ad abbracciarsi l’uno con l’altra; addio agli amorosi ed appassionati incontri sul letto di nozze.

Louise si voltò a guardare un’ultima volta quella villa dove aveva abitato per due anni con il suo sposo, e che, forse, non l’avrebbe vista dare alla luce il loro primo figlio.

Ma che razza di mondo avrebbe trovato alla sua nascita il bambino che presto avrebbe portato in grembo?

 

 

Nota dell’Autore

Salve a tutti!^_^

Questo capitolo è molto breve, come avete notato. Il fatto è che quasi tutta la carne era stata messa al fuoco già nel capitolo precedente, quindi non restava molto altro da dire.

Che dire? Saito e Louise hanno abbandonato la loro villa, e posso confermarvi già da ora che non vi faranno ritorno per un lungo, lungo periodo.

I prossimi capitoli saranno una specie di intermezzo, un po’ distaccati dal contesto visto finora, ma dai successivi si tornerà a parlare di guerra civile, annessione, complotti e affini.

A presto!^_^

Carlos Olivera

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Capitolo 13
*** 11 ***


11

 

 

Il castello del generale Deville non era altro che un immenso forte a stella a doppia cinta muraria ubicato su di un’isola che si trovava di fronte a Grasse.

Quest’ultima era una città molto bella e prospera, situata a picco sulla scogliera più alta della regione, ed era collegata al castello da un ponte che, tramite un ingegnoso sistema di carrucole ed ingranaggi, poteva letteralmente scomparire nel mare abbassandosi fin sotto la superficie.

Per quanto concerneva le difese, sia in città che nel castello ce n’erano in abbondanza: cannoni, balliste, bastioni, porte con enormi grate di ferro, ma anche pozzi e cisterne per l’acqua, e ogni altra cosa servisse a rendere l’isola in particolare virtualmente imprendibile.

Al loro arrivo in città, Saito e Louise erano stati accolti da una popolazione in festa.

Gli uomini rimasti uccisi nell’esplosione della diga erano mercenari, quindi nessuno piangeva la loro scomparsa, e l’arrivo di una nuova famiglia di padroni avrebbe garantito il mantenimento della pace.

Inoltre, il generale Deville non era certo un uomo al quale importasse di farsi voler bene dai suoi sudditi; al contrario, era corrotto fin dentro l’anima, e aveva spremuto il suo feudo con le tasse fino a prosciugarle del tutto, tenendo costantemente la capitale sotto il gioco del suo castello per evitare rivolte o insurrezioni.

La carrozza attraversò il viale principale di Grasse tra due ali di folla urlante, e tra di loro c’erano persino alcuni soldati.

«Sembra quasi che aspettassero il nostro arrivo.» commentò Louise

«E che ti aspettavi?» rispose Saito «Con uno come Deville a governarli».

Entrato nella corte del castello, il convoglio fu accolto da tutta la servitù che lo abitava, a capo della quale sembrava esservi un severo e composto maggiordomo sulla trentina, slanciato e di bell’aspetto, che stava davanti a tutti; come Saito e Louise scesero dalla carrozza, tutti chinarono subito il capo.

«Diamo il benvenuto ai nuovi sovrani di questa provincia.» disse il maggiordomo «Io sono Auguste,  mi occupo del castello».

Intanto anche Kaoru e Siesta erano smontati dalle loro cavalcature, e si stavano guardando intorno.

«Sorprendente.» osservò Kaoru parlando dei bastioni «Assediare questo posto sarebbe quasi impossibile.»

«Però, lo trovo un po’ lugubre.» commentò Siesta «Ci sarà un po’ di lavoro da fare».

Una cameriera del posto, vecchia e leggermente gobba, e dai modi particolarmente sgarbati, si avvicinò a lei.

«E tu che ci fai qui?» le disse con la sua voce gracchiante «Muoviti, sei assegnata alla cucina.»

«C… cosa!?» replicò lei interdetta

«Siesta non è una semplice cameriera.» replicò Kaoru «È la dama di compagnia della Signora.»

«Una cameriera che fa la dama di compagnia!?».

La vecchia fece parecchie storie, ma davanti alla ferma determinazione di Kaoru alla fine dovette cedere, e se ne andò portandosi dietro il resto della servitù arrivata da Ornielle.

«Ti ringrazio.» disse lei.

Come sempre, Kaoru non rispose, andandosene per i fatti suoi.

Mentre i servitori scaricavano i bagagli, Auguste condusse i nuovi padroni all’interno del castello.

Anche se da fuori poteva sembrare una comune fortezza, piuttosto minacciosa per quanto di bell’aspetto, all’interno era qualcosa di molto simile ad una reggia.

C’erano quadri, pareti e soffitti affrescati, lampadari di cristallo, grandi stanze, scaloni decorati, e ogni altro ben di Dio.

«Che lusso.» commentò Louise «Neanche la residenza della mia famiglia reggerebbe il confronto.»

«Di certo al generale piacevano gli eccessi.»

«Se volete seguire queste cameriere.» disse Auguste rivolto a Louise «Vi porteranno nelle vostre stanze.»

«Le… mie stanze!?» ripeté Louise «Che significa questo? Io e Saito siamo sposati.»

«Purtroppo, mia signora, le stanze del padrone sono separate dal resto del castello. È sempre stato così.»

«Beh, le cose cambieranno.» replicò lei fiera «Io e Saito siamo marito e moglie, e da che mondo è mondo marito e moglie dormono nello stesso letto. Inoltre, come se non bastasse, noi due presto…».

Fulmineo, Saito tacitò la moglie mettendole una mano sulla bocca, per poi trascinarsela in un punto più appartato.

«Ma si può sapere che ti prende, razza di stupido cane?»

«È meglio non dire ancora niente a nessuno.»

«E per quale motivo? Che c’è di male a dire che presto sarò incinta?»

«Ti rendi conto in quale situazione ci troviamo? Se si scoprisse che aspettiamo un figlio, vorrebbe dire che il casato del Crisantemo, e secondo alcuni la stessa famiglia reale, è nelle condizioni di poter avere un erede. Sia tu che il bambino potreste essere in grave pericolo».

Louise restò basita.

Presa com’era da tutti quegli eventi, non ci aveva neanche pensato. Era vero; se si fosse saputo che la presunta famiglia reale di Tristain aspettava un figlio, il figlio in questione sarebbe stato un bersaglio per tutti coloro che volevano impedire alla famiglia Hiraga di essere considerata la legittima erede al trono. Inoltre, a prescindere da questo, il fatto che Louise presto sarebbe stata incinta stava a significare che il Casato del Crisantemo avrebbe presto avuto un erede in grado di continuare la stirpe, e forse la guerra.

A ragione di tutto ciò, era molto meglio che nessuno sapesse nulla il più a lungo possibile.

A quel punto tornarono entrambi davanti ad Auguste, restando però fermi sulle loro posizioni.

«Io e Louise condivideremo le stesse stanze.» disse Saito.

Il maggiordomo non sembrava molto contento; d’altra parte però, era stato addestrato ad obbedire agli ordini.

«Se questo è il vostro volere.» disse chinando la testa.

Scortati dall’onnipresente Joanne, e con alcuni inservienti al seguito a trasportare le loro cose, Saito e Louise si fecero condurre da Auguste a quelle che, per un tempo indeterminato, sarebbero state le loro stanze.

Come entrarono, restarono di sasso.

Non si poteva neanche fare un paragone tra quello e la loro camera da letto ad Ornielle, che ora appariva così misera e insignificante.

Un gigantesco letto a baldacchino, quattro camere, un grande bagno, un enorme balcone affacciato sul mare aperto con tavoli, ombrelli e perfino una piscina, un salotto e così via.

«Davvero stupendo.» disse Saito

«Le stanze sono separate dal resto del palazzo dal corridoio che abbiamo appena percorso.» spiegò Auguste «Ci sono sette grate a scomparsa di solido acciaio, che vengono chiuse durante la notte, e l’intero ambiente è circondato da una barriera a prova di incantesimo. Guardie armate vigileranno costantemente all’esterno per garantire la sicurezza delle signorie vostre.»

«Non sarà necessario.» replicò Joanne «Alla sicurezza della famiglia regale provvederemo io e i miei soldati, come è sempre stato».

Di nuovo, Auguste serrò i denti, ma non poté sottrarsi e dovette ingoiare il boccone amaro.

«Come desiderate.»

«Ora sarà meglio lasciare da sole le loro maestà. Certamente saranno stanche per il lungo viaggio, e vorranno riposare».

A quel punto Auguste e Joanne se ne andarono, lasciando sa soli Saito e Louise.

I bagagli erano ancora tutti da smontare, ma ci avrebbero pensato i servitori il mattino dopo.

«Non sarà Ornielle.» disse Saito buttandosi sul letto «Ma sono sicuro che non ci troveremo poi così male».

Poi, il ragazzo si avvide che Louise non sembrava così di buonumore. Tremava, sembrava sul punto di piangere e si stringeva con forza le mani sul polpacci come se avesse avuto freddo. Si alzò e si avvicinò nuovamente a lei.

«Louise…»

«Io…» balbettò con la voce rotta dall’emozione «Non riesco ancora a credere a quello che ci sta succedendo.»

«Ti capisco.» rispose lui abbozzando un sorriso «È così anche per me.»

«E allora come fai? Come fai a restare così calmo?»

«Perché ci sono già passato. In un certo senso, mi sento come quattro anni fa, quando per la prima volta ho messo piede in questo mondo. Quindi, è un po’ come se mi ci fossi abituato».

Di fronte alla semplicità e alla fiducia del suo compagno, Louise sembrò ritrovare il sorriso.

Pochi minuti dopo, erano entrambi su quello che per un po’ sarebbe stato il loro letto, avvolti in un amorevole abbraccio. Di tempo per scoraggiarsi ed essere pessimisti, in futuro ce ne sarebbe stato anche troppo; per ora, quello era solo il tempo dell’amore e della speranza.

 

Quello che Louise e Saito non potevano sapere, era che non tutti a Grasse avevano gioito del loro arrivo.

Il colonnello Simoun LeClerc era stato l’uomo di fiducia del generale Deville; il pugnale con il manico e l’impugnatura d’avorio che portava alla cintura rappresentava il suo status di secondo in comando, e lo sfoggiava come il suo più importante trofeo.

Non aveva preso parte alla guerra contro Ornielle perché il generale lo aveva lasciato a Grasse per sorvegliare il castello e mantenere l’ordine, e così non aveva subito la furia omicida della Maschera di Ferro, che anzi gli aveva fatto un grande favore, lasciandolo senza potenziali avversari a contendergli la successione.

E invece, prima ancora che avesse avuto il tempo di riorganizzarsi o preparare in qualche modo la propria riscossa, da un istante all’altro era comparsa quella coppia di ragazzini, che battendolo sul tempo si erano presi il feudo senza perdere un solo uomo.

La cosa lo faceva arrabbiare oltre ogni misura; non solo aveva perso la possibilità di raccogliere i frutti degli anni spesi a cucinarsi e lavorarsi il generale, ma adesso doveva obbedienza alle persone davanti alle quale non aveva la benché minima voglia di abbassare la testa.

«È davvero incredibile.» ringhiò contrariato guardando verso il palazzotto centrale, cuore del castello «Grasse è nelle mani di una coppia di mocciosi.

Non ho lavorato tutti questi anni per una cosa del genere. Questo feudo è mio, e solo mio. Non permetterò a nessuno di portarmelo via».

Nello stesso momento Siesta stava cercando di ambientarsi nel nuovo ambiente, mentre Kaoru, guidato da un giovane sottufficiale di nome Kilyan, poco più di un ragazzo, stava facendo una visita guidata per il castello per conoscerne i meccanismi difensivi e le potenzialità.

Per la difesa in tutto c’erano oltre cento cannoni, puntati in ogni direzione, alcuni con un raggio di quasi due chilometri, oltre ad un gioiello in cima alla torre più alta in grado di generare una barriera di Classe A che avviluppava al suo interno tutto il castello; e poi c’era il ponte, che come detto poteva scomparire sotto il mare in ogni momento, e i due anelli di mura concentrici, ognuno provvisto di proprie guarnigioni, fortini e roccaforti, nonché di mezzi sufficienti per sostenere un assedio di anni.

«Di quanti soldati è composto l’esercito di questa regione?» domandò Kaoru mentre Kilyan lo portava a visitare i moli

«All’incirca settantamila, divisi tra coscritti e truppe regolari, queste ultime divise a loro volta in esercito, marina ed aviazione».

Tramite un passaggio quasi segreto i due raggiunsero una immensa grotta sottomarina che si trovava proprio sotto il palazzo, così imponente che guardando in alto era possibile distinguere le fondamenta della costruzione.

All’interno della caverna c’era una enorme darsena, collegata all’esterno da una grande apertura naturale che una barriera illusoria nascondeva abilmente alla vista di chi stava al di fuori.

Lì dentro c’erano come minimo una ventina di navi; in un Paese come Tristain la marina non contava poi molto, ma avere a propria disposizione una grande flotta era comunque un segno distintivo, che testimoniava potenza e autorità.

«In tutto sono ventidue navi.» disse Kilyan «Divisi in vascelli da trasporto, da carico e militari.»

«Mi sembra perfino eccessivo».

Ma il fiore all’occhiello dell’esercito privato del generale era senza dubbio l’aviazione.

Ventotto aeronavi da guerra, alcune di dimensioni che superavano i sessanta metri, armate all’inverosimile di cannoni, cannoncini e lanciafiamme.

La maggior parte di esse era depositata nei bacini di carenaggio sulla terraferma, visibili ad occhio nudo dai bastioni, ma alcune di esse, tra le quali l’ammiraglia White Dragon, si trovavano in un apposito campo di volo situato nel primo anello del palazzo, saldamente ancorate a terra per mezzo di gru e grosse cime.

«Una flotta di tutto rispetto.» commentò Kaoru

«Il generale Deville ha fornito quasi tutte le navi che tre anni fa presero parte alla guerra contro Albion.» disse Kilyan «Questa è senza dubbio una delle flotte più grandi che Tristain abbia mai visto.»

«Dio solo sa cosa  avrebbe potuto fare Deville, con in mano un simile arsenale».

Poi Kaoru si avvide dell’espressione enigmatica e preoccupata di Kylian, che alla richiesta del ragazzo di cosa avesse gli disse di seguirlo in un luogo appartato, dove nessuno potesse sentirli.

«Il fatto è che l’arrivo dei signori Hiraga non è piaciuto ad alcuni. Alcuni nobili minori hanno visto per un attimo nella morte del generale l’occasione per emergere, e anche in alcuni strati alti dell’esercito c’è molta insoddisfazione.»

«Credi che potrebbe succedere qualcosa?»

«Credo che forse sarebbe il caso di fare qualche domanda ad Auguste.»

«Il maggiordomo!?»

«Era un figlio illegittimo del generale. Se c’è qualcuno che può trarre vantaggio dalla sua morte, questi è proprio lui».

 

Auguste, espletati i propri obblighi, e constatato che i nuovi padroni non avevano alcuna voglia di venire disturbati, sul fare del tramonto stava dirigendosi alle cucine per controllare che tutto fosse pronto per la cena.

Quello che stava succedendo era molto strano, e per certi versi anche irritante.

Per più di dieci anni aveva servito un ufficiale di altissimo rango, nonché un soldato di comprovate esperienza e grandezza, nonché un arrogante misogino di mezza età con molte amanti ma nessuna moglie, e ora invece serviva due ragazzini più giovani di lui che avrebbero potuto essere i suoi fratelli, così spontanei e insopportabili, e anche così poco osservanti dell’etichetta che ci si aspetterebbe anche dal più umile dei nobili.

Sceso nell’atrio, trovò il colonnello LeClerc ad aspettarlo appoggiato ad una colonna.

«È davvero triste, non trovi?» esordì l’ufficiale «L’orgoglioso casato dei Deville, ora è nelle mani di un duo di patetici ragazzini.»

«Modera le parole.» replicò Auguste senza guardarlo «Sono pur sempre i tuoi padroni.»

«Avanti, non fare la commedia. Lo so benissimo che è quello che pensi anche tu».

Auguste strinse i pugni, ed una strana luce si accese nei suoi occhi.

«Non eri forse anche tu tra quelli che speravano di ottenere la propria parte una volta che il vecchio si fosse tolto di mezzo?»

«Niente affatto. La mia vita attuale mi và più che bene.»

«Quell’uomo ti ha trattato a pesci in faccia da quando sei nato. Eri suo figlio, eppure non ti considerava nulla di più che un semplice servo. Avrai sognato di fargliela pagare almeno un migliaio di volte, e a dirti la verità anche a me tremavano le mani ogni volta che lo vedevo. Il destino ha voluto che qualcuno ci abbia pensato per noi, e ora questo qualcuno è venuto qui a prendere tutto quello che abbiamo sempre sognato di poter ottenere».

D’improvviso Auguste si girò, afferrando LeClerk per il bavero.

«Non mettere bocca in cose che non ti riguardano! Io non sono come te!»

«Sbagli.» rispose tranquillo il generale «Tu hai il suo sangue nelle vene. La sua ambizione. Vuoi quello che sai che ti spetta, l’hai sempre voluto, e proprio adesso che ci eri vicino ti è stato portato via da due lattanti che si atteggiano a padroni del mondo.

Se proprio vuoi saperlo, questa cosa fa incazzare anche me».

Il giovane maggiordomo ringhiò come una belva in gabbia, poi però parve calmarsi, allentò la stretta e lasciò andare LeClerc.

«Io non ho intenzione di passare il resto dei miei giorni a soddisfare i capricci di una coppia di nobili per caso.» disse il colonnello sistemandosi il bavero «Il Paese è già in guerra, e ci vogliono persone forti per guidare il feudo e proteggerlo dai nostri nemici.» poi, piegò le labbra in un malefico sorriso «Come minimo servono un grande feudatario, e un capace generale».

Colto sul fatto, Auguste spalancò un momento gli occhi, poi si guardò le mani, che tremavano per la prima volta da che ne aveva memoria.

«Tu sei il capo della servitù. Hai accesso ovunque, cosa che non si può dire di me.» disse LeClerc, che subito dopo posò su quelle mani tremanti uno strano gioiello rosso a forma di insetto «Un regalo di una mia amica gitana. Contiene una potentissima tossina che uccide in pochi secondi chiunque la aspiri. Devi solo metterlo sotto il loro letto, o in qualsiasi altro posto. Si romperà entro poche ore. Nessuno sospetterà di nulla».

Le mani di Auguste tremarono ancora più forte, poi il giovane parve riprendere l’autocontrollo, e strinse il gioiello nel pugno.

«E come farete se dovesse scoppiare una nuova rivolta?»

«Tu non preoccuparti. Sono pur sempre il secondo in comando; se non addirittura il primo, visto che ufficialmente non è ancora stato nominato un nuovo generale di brigata. Se tu mi darai il tuo appoggio, io ti consegnerò l’esercito su di un piatto d’argento.

Alcuni sono già dalla mia parte. Appena quei due saranno morti, io e i miei prenderemo facilmente il controllo del castello, e con la scusa di aver favorito la morte dei padroni faremo impiccare tutti i capisquadra. Per il resto, sarà tutto molto facile; preso il castello, hai preso la provincia. E avremmo anche il regalino di De Ornielle».

Auguste strinse ancor di più i denti e il pugno.

«Pensaci, amico mio. Questo convoglio passa una volta sola».

Detto questo, il colonnello se ne andò, e dopo poco dopo anche Auguste fece altrettanto.

 

Quella notte, il castello era immerso nel sonno e nel buio.

Sui torrioni, e lungo le fortificazioni, i soldati montavano la guardie, mentre all’interno del palazzo la sorveglianza era affidata alle moschettiere di Joanne.

Louise e Saito dormivano profondamente e pacificamente nelle loro stanze, speranzosi nel fatto che al risveglio le incognite e i dubbi di quella lunga giornata sarebbero scomparsi, per fare posto ad un senso di speranza nel futuro.

Il colonnello LeClerc aveva allestito ogni cosa nei minimi dettagli.

I suoi uomini, una quarantina, erano già pronti, e nascosti assieme a lui in un ripostiglio del palazzo, pronti ad entrare in azione.

L’ora della rottura del contenitore del veleno era ormai quasi arrivata.

Dopo quel momento, avrebbero dovuto agire nel più breve tempo possibile. Prima ancora che la notizia della morte dei padroni potesse diffondersi, una parte dei soldati avrebbe arrestato tutti i capisquadra, mentre un’altra, al comando dello stesso LeClerc, avrebbe preso il controllo del palazzo, arrestando e facendo sommariamente giustiziare tutte le moschettiere come responsabili materiali dell’omicidio per conto di Albion per mettere le mani sul vasto arsenale di Grasse e avere a disposizione una testa di ponte a Tristain.

«Ricordate, tutto deve essere fatto senza indugi.» disse il colonnello ai suoi uomini, quando ormai mancavano pochi minuti «Per chi farà il proprio dovere, da qui in avanti ci saranno promozioni e denaro. Al contrario, chi esiterà andrà a far compagnia agli altri sulla forca.

Mi sono spiegato?».

Tutti, spaventati fecero cenno di sì.

Qualche minuto dopo, fu il momento di procedere. Ormai la capsula, se non si era già schiusa, era sul punto di farlo, e bisognava agire prima che qualcun altro si accorgesse di qualcosa e venisse dato l’allarme.

LeClerc, alla guida dei suoi uomini, raggiunse la piazza d’armi che stava tra il portone dell’ultima cinta muraria e l’ingresso del castello, dove le due parti avrebbero dovuto separarsi.

In giro non c’era nessuno, ma la cosa era abbastanza normale, visto la momentanea carenza di organico.

«Andate!» disse il colonnello, e la metà degli uomini si diresse ai casotti e ai bastioni.

Lui e gli altri, invece, fecero per correre al palazzo, ma da un secondo all’altro enormi lampioni magici si accesero sui camminamenti superiori illuminando il piazzale a giorno, e soldati presero ad uscire da tutte le direzioni; quando si capacitarono di quello che stava accadendo, LeClerc ed i suoi uomini si ritrovarono circondati da una divisione di soldati, quegli stessi soldati che il colonnello aveva qualche volta comandato in battaglia, e che ora tenevano le armi puntate contro di lui.

«Ma cosa…» disse con gli occhi sbarrati «Che sta succedendo!?».

Contemporaneamente, il plotone inviato sulle mura aveva trovato ad attenderli Joanne e le sue moschettiere, in realtà nascoste in un casotto vicino al cancello, ed i soldati, di fronte ai moschetti, si erano immediatamente arresi, gettando le armi.

Come ciliegina sulla torta comparve addirittura una nave, che raggiunto il castello si posizionò proprio sopra la piazza, tenendo i cospiratori sotto il tiro dei cannoni.

Comandava quella specie di operazione a tenaglia il giovane Kilyan, che fatto un passo avanti si ritrovò a tu per tu col colonnello.

«È finita, colonnello! Gettate le armi ed arrendetevi!»

«Dannati! Come avete fatto a scoprirci?».

La risposta alla domanda venne quando dal gruppo comparve anche Auguste, fiero ed impassibile come sempre. LeClerc sgranò gli occhi vedendolo. In mano teneva il gioiello velenoso, rotto sì, ma saldamente rinchiuso in una barriera creata da Joanne.

«Tu, lercio, sudicio, sporco plebeo!».

Il colonnello aveva in mano lo schioppo, e istintivamente lo alzò per cercare di portare con sé all’altro mondo almeno quel traditore buonista, ma prima che potesse farlo la lama di una katana comparve alle sue spalle appoggiandosi alla sua gola.

«Se fossi in te, non lo farei».

LeClerc digrignò i denti, poi scoppiò persino a piangere, e gettata la pistola a terra rovinò in ginocchio urlando di rabbia.

La sua ribellione era finita ancora prima di cominciare, e da quel momento in poi avrebbe avuto a disposizione molto tempo per commiserare la propria ambizione.

 

Il giorno dopo, nella sala delle udienze, tutti i capisquadra ed i sottufficiali di tutte le divisioni dell’esercito di Grasse, oltre al piccolo distaccamento di moschettiere e di soldati di Ornielle e ai consiglieri politici, si riunirono per salutare i nuovi sovrani della provincia, e giurare loro fedeltà.

Il gigantesco stemma dell’aquila sul fondo della sala, sopra il finestrone che dava sul mare, era stato sostituito nella notte dal Crisantemo Scudato, e sotto di esso, sul palco d’onore, gli scranni, da uno, erano diventati due.

Un paggio suonò la tromba, ed un altro disse solennemente.

«Lord Saito Chevalier de Hiraga, de Ornielle de Grasse, e la sua consorte, Lady Louise de Hiraga de la Vallière!».

Tutti rivolsero gli sguardi in una sola direzione, poi la porta laterale della sala si aprì ed entrarono i due coniugi; al loro seguito anche Siesta ed Auguste, quest’ultimo con in mano un cuscino con sopra il pugnale che fino ad una notte prima era appartenuto al colonnello LeClerc.

Guardandola, Auguste non riuscì a non pensare quanto il colonnello fosse stato stupido.

Era davvero convinto che la sua lealtà ed il suo senso del dovere valessero così poco, abbastanza da poterli comprare?

Saito e Louise si sedettero, e tutti abbassarono la testa, incluso Kaoru, in prima fila.

«Noi.» disse Kilyan, nominato ex novo capitano e nuovo secondo in comando «Ufficiali e soldati di questa provincia, oggi rendiamo omaggio ai nuovi padroni di Grasse, promettendo loro fedeltà e obbedienza assolute.»

«Vi prego, basta cerimonie.» tagliò corto Louise «Queste sono solo formalità.»

«Louise ha ragione.» disse Saito con lo stesso tono «Ad ogni modo, promettiamo a tutti voi, ed anche al popolo di Grasse, che non muoveremo guerra a nessuno se non strettamente necessarie, e che per nessun motivo porteremo o inizieremo guerre di aggressione, volte a reclamare o rivendicare un territorio altrui.

Quello che cercheremo di fare, e speriamo di riuscirci, sarà semplicemente provare a fermare quanto prima questa insana e stupida guerra civile, e di riportare al più presto Tristain alla pace».

Di nuovo, tutti chinarono il capo.

«Ora, però.» disse nuovamente Saito «È giunto il momento di scegliere il nuovo comandante dell’esercito».

Saito e Louise avevano scoperto quello che era successo solo al sorgere del sole; Auguste non aveva voluto informarli del tentativo di colpo di stato del colonnello, sia perché non voleva turbarli con quella che reputava una questione quasi personale sia perché non era sicuro del fatto che quei ragazzi, così ottimisti e di buon cuore, avrebbero operato con la dovuta serietà.

Così, si era invece rivolto a quell’altro giovane, a Kaoru, che gli era sembrata subito una persona più diretta e risoluta, e a Joanne, la cui fedeltà veniva prima di ogni altra cosa.

Ad un cenno di Saito, Auguste scese dal palco, fermandosi davanti a Kaoru e porgendogli il pugnale.

Il ragazzo alzò gli occhi, basito.

«Voi…» disse all’indirizzo di Louise e Kaoru

«Credo che non vi sia persona migliore di te per questo incarico.» disse Derf «Non credi, compare?»

«D’accordissimo.» replicò Saito «Allora, Kaoru? Vorresti prestarci la tua forza?».

Kaoru si guardò un momento attorno, poi guardò Louise, che gli sorrise, e Siesta, che gli fece un malizioso occhiolino.

Quant’era ironica la vita; lui, che non sapeva chi era, ora sarebbe diventato qualcuno. Qualcuno di importante.

Alla fine, pur se con qualche timore, il ragazzo raccolse il pugnale e lo mise alla cintura.

«Saluto al generale!» disse Kilyan, e tutti i soldati presenti si portarono subito la mano alla fronte.

Auguste osservò la scena senza aprire bocca, poi fissò non visto i suoi due nuovi padroni. Per il momento, non sapeva ancora bene cosa pensare di loro, ma con il tempo e un po’ di pazienza le risposte sarebbero arrivate; e anche se non riusciva ancora a spiegarsi perché, sentiva che non si sarebbe pentito del proprio atto di fedeltà.

 

Nota dell’Autore

Salve a tutti!^_^

Lo so, avevo promesso un capitolo più dinamico e adrenalinico, ma dopo averci pensato un momento ho deciso invece di prendermi un momento di pausa e di inserire questo capitolo di intermezzo.

Anche perché, a ben pensarci, non si poteva passare sopra ad un momento importante come questo senza dedicarci il giusto spazio.

Comunque, prometto che con il prossimo la narrazione riprenderà sul serio.

Grazie come sempre ai miei adoratissimi recensori, e a presto (forse giovedì) con il prossimo capitolo.

A presto!^_^

Carlos Olivera

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Capitolo 14
*** 12 ***


12

 

 

Il palazzo di Boulogne, che sorgeva al centro della piccola città omonima, era ormai perduto.

Le truppe regolari, guidate dal Duca Valat de Montpeyroux, secondo figlio dell’attuale governatore di Laguiole, avevano quasi sopraffatto lo sparuto numero di soldati rimasti fedeli al legittimo sovrano, che prima dell’alba avrebbero sicuramente capitolato.

Seena, guardia del corpo della duchessa Kiluka e capo delle guardie di palazzo, raggiunse l’ultimo piano della torre principale, dove si trovava lo studio di sua eccellenza, con l’espressione di chi viene ad annunciare una condanna a morte.

Era una giovane donna di bell’aspetto, con capelli rossi e occhi giallo ocra, ma a dispetto della sua parvenza angelica sapeva tirare di fioretto come pochi altri, e della protezione della duchessa in particolare aveva fatto una ragione di vita.

La duchessa Kiluka ne aveva superate di prove nel corso dei suoi tredici anni di vita; appena nata aveva perso la madre, mentre a nove le era stato strappato anche il padre. Si era sempre parlato di una sciagura, un incidente di caccia, ma per come si stavano mettendo le cose probabilmente non era mai stato così. Questo tuttavia non le impediva di essere solare e vivace, sempre pronta ad aiutare gli altri, anche se in quell’occasione c’erano ben pochi motivi per essere allegri.

La giovane entrò nello studio quasi sfondando la porta.

«Lord Charnizay!» disse «Abbiamo perso la prima cinta muraria. Entro poche ore le forze del duca entreranno nel castello.»

«Maledetto Valat!» imprecò il primo consigliere «Ma che cosa gli dice la testa!? Muovere guerra alla sua stessa famiglia!».

Il vecchio patriarca, rivolto verso la finestra, osservava impotente la sua città bruciare. Accanto a lui sua nipote, così bella con quei suoi capelli castani raccolti in una coppia di boccoli e quegli occhi azzurro mare. Come gli dispiaceva vedere quel volto privo del suo solito sorriso, e segnato invece dalla paura.

«La nostra ora è arrivata.» disse, quindi si volse verso la porta «Seena, ho un incarico da affidarti.»

«Comandate, mio signore.»

«Ho saputo che recentemente il feudo dei Deville è passato nelle mani della famiglia Hiraga. Vorrei che portassi mia nipote laggiù. Sarà al sicuro a Grasse».

Tirata in ballo, la duchessa sgranò gli occhi.

«No.» disse «Nonno, non puoi chiedermi di abbandonarti.»

«Kiluka.» le disse, amorevolmente ma con fermezza «Tuo padre mi ha incaricato di proteggerti. Tu sei l’unica che un domani potrà prendere il mio ed il suo posto alla guida di questa provincia.

Tu sarai la speranza di Laguiole

«Ma…» tentò di protestare Kiluka «Ma io…».

Il lord si rivolse di nuovo a Seena.

«Affido Kiluka nelle tue mani. Fai in modo che sia al sicuro.»

«La proteggerò con la vita, mio signore.» rispose lei chinando il capo.

Kiluka protestò ancora, dicendo che non poteva abbandonare il suo adorato nonno, ma alla fine, pur se con la morte nel cuore, dovette seguire la sua fedele ed unica amica, lasciando la stanza assieme a lei e fuggendo dalla torre per una scala secondaria.

Rimasto solo, lord Charnizay si avvicinò al muro e raccolse la sua spada.

«È giunto il nostro momento. Ma l’oltretomba non mi avrà così facilmente, parola mia.» e detto questo si diresse verso i cancelli per prendere parte all’ultima battaglia.

 

Nel mentre, all’interno del casotto che sovrastava il portone principale della prima cinta di mura, il duca Valat stava impartendo ai suoi generali le direttive per l’ultima battaglia.

Non era da solo. Con lui, un po’ in disparte, c’era una giovane donna, tra i trentacinque e i quarant’anni, gran parte del volto nascosta dietro al cappuccio di un mantello, la cui espressione trasudava malizia e malevolenza.

«Trovate il governatore e Kiluka.» ordinò il duca «Voglio le loro teste sulle picche entro domattina.»

«Sissignore!» dissero in coro i quattro ufficiali, che subito dopo se ne andarono.

«Davvero un ottimo lavoro, duca Valat.» disse la donna quando furono rimasti soli «Non avrei immaginato che avresti preso la città e il castello in così poco tempo.»

«Probabilmente, se non avessimo potuto contare sul vostro appoggio, non sarebbe stato così facile. Questo lo ammetto. Reconquista è davvero piena di risorse.»

«Eppure, sembra che ci sia qualche problema.»

«Non ha nulla di che preoccuparsi. Se conosco il vecchio, e mi creda, lo conosco bene, preferirà morire piuttosto che scappare. Quanto alla duchessa, sarà morta prima di arrivare alle porte della città».

 

Quello che Valat non poteva sapere era che il palazzo aveva tutta una serie di gallerie, passaggi segreti e uscite di emergenza delle quali neppure lui era a conoscenza; suo padre il governatore non si era mai fidato di lui, così non gliene aveva mai parlato, al contrario di quanto aveva fatto con Seena.

Senza lasciare mai la mano della duchessa, Seena condusse Kiluka fin nelle fogne, e da qui le due ragazze seguirono il tracciato insegnato a Seena dal governatore fino a sbucare fuori al centro di un parco pubblico alla periferia della città, proprio a ridosso dei bastioni.

«Fatti forza.» disse Seena aiutando Kiluka ad uscire «Tra non molto saremo fuori».

Appena furono all’esterno, la prima cosa che videro fu il palazzo reale avvolto dalle fiamme.

«Nonno…» disse Kiluka.

Avrebbe voluto urlare, ma quel poco di raziocinio che le era rimasto le suggeriva che se lo avesse fatto non sarebbero uscite vive da lì; e poi, si era ormai talmente abituata a vivere situazioni di quel tipo che il dolore provato, per quanto forte, non riusciva a scalfirla più di tanto, come ci si sarebbe aspettato al contrario da una ragazzina di tredici anni.

«Kiluka, dobbiamo andare.» disse Seena prendendole la mano.

Tutto attorno regnava uno strano ed inquietante silenzio. Il centro era stato un campo di battaglia per tutto il giorno, mentre in periferia tutti se ne restavano chiusi in casa, porte e finestre sprangate e luci spente.

Sembrava una città fantasma, se non fosse stato per le urla e i fragori che giungevano dalle parti più vicine al castello.

Seena e Kiluka fecero appena in tempo a percorrere un centinaio di metri, quando all’improvviso la terra prese a tremare sotto i loro piedi, e poco dopo un mostro gigantesco, una specie di enorme troll insolitamente coperto da un’armatura e armato di una mazza e di uno scudo rotondo comparve loro davanti sfondando letteralmente i bastioni.

«Un troll da combattimento!» esclamò Seena.

Combattere contro una bestia simile era perfettamente inutile, soprattutto per chi come Seena non sapeva usare la magia.

Purtroppo però, il troll non aveva agito da solo. Valat poteva non conoscere i passaggi segreti, con una bestia simile nel proprio esercito, e Dio solo sapeva come se la fosse procurata, non ne aveva bisogno; due secondi dopo la comparsa del troll, Seena e Kiluka si ritrovarono accerchiate anche da un piccolo distaccamento di guardie a cavallo guidate dal capitano Monray.

Era lui a comandare il troll, e poteva farlo da qualunque luogo e da qualsiasi distanza, semplicemente con la forza del pensiero. Gli era bastato ordinargli di rintracciare l’odore delle due ragazze, e lui aveva immediatamente obbedito.

«La vostra fuga finisce qui, duchessa.» disse il capitano «Uccidetele!».

I soldati armati di arco incoccarono le frecce e si prepararono a colpire, mentre le due ragazze potevano solo osservare impotenti; poi però, nell’istante in cui il capitano abbassava la mano per comandare il fuoco, un’ombra comparve dal nulla assalendo gli aggressori ed avventandosi su di loro armata di uno stocco lungo e stretto.

Kiluka e Seena restarono di sasso, ma nonostante la concitazione del momento riuscirono a scorgere abbastanza distintamente i tratti del loro insperato salvatore; vestiva di nero, portava un lungo mantello che ondeggiava al mento e aveva il volto celato da una maschera di ferro.

Seena non perse altro tempo; approfittando della distrazione dei soldati si avventò su di un soldato, lo gettò via con un calcio e gli rubò la cavalcatura, recuperando immediatamente la duchessa e scappando assieme a lei attraverso la breccia che il troll aveva gentilmente creato.

«Maledizione, stanno fuggendo!» esclamò Monray.

Nonostante l’inferiorità numerica Maschera di Ferro si difendeva bene, dando prova di grandi abilità di spadaccino, ma poi intervenne il troll; il misterioso guerriero da un istante all’altro si vide venire contro quella clava gigantesca, riuscendo ad evitarla per un soffio.

Forse capì che era inutile tentare di affrontare quella bestia, o forse gli bastava che Kiluka e Seena fossero riuscite a scappare, fatto sta che dopo poco rinfoderò l’arma e si diede alla fuga scomparendo tra i tetti della città vecchia.

«Non lasciatele scappare!» disse il capitano riferendosi alle fuggitive «Inseguiamole!».

 

Seena spinse il cavallo al massimo delle sue possibilità, sempre tenendo la duchessa ben stretta accanto a sé.

Superate le pianure e le colline che circondavano la capitale, riuscì a raggiungere senza problemi le foreste che si trovavano nella parte più vicina al confine con Grasse, ma qui il cavallo dovette per forza di cose ridurre di molto la sua velocità di andatura.

Seena non aveva idea di quanta strada avessero percorso, se fossero già o meno nel territorio di Grasse, ma certo era che non sarebbero state al sicuro fino a che non fossero entrate nella capitale. Nonostante ciò pensava di avercela fatta, di essere riuscita ad allontanarsi abbastanza, e invece all’improvviso la ragazza udì dei rumori inequivocabili alle proprie spalle, e nel tempo che impiegò a voltarsi gli inseguitori le stavano già addosso.

Dovendo portare due persone la velocità del cavallo ne risentiva, e così i nemici avevano avuto modo di colmare in fretta la distanza e di raggiungerli.

«Maledizione!» imprecò «Kiluka, reggiti forte!».

La fuga proseguì per diversi minuti, inoltrandosi sempre più nella foresta, e oltre a dover tenere le distanze Seena dovette ad un certo punto cominciare a preoccuparsi anche di tutte le frecce che piovevano loro addosso.

Una di queste, purtroppo, colpì ad un certo punto il cavallo ad un quarto posteriore; l’animale inchiodò per il dolore, perse l’equilibrio e rovinò a terra, disarcionando le sue padrone; Seena si raggomitolò su Seena riuscendo a proteggerla, ma quando le due ragazze si fermarono e rialzarono lo sguardo Monroy e i suoi soldati le avevano nuovamente circondate.

«Fine della corsa, signorine.» disse il capitano «E stavolta, non sperate in un aiuto dal cielo».

Seena strinse forte a sé la duchessa, che per la paura teneva gli occhi chiusi soffocando a stento le lacrime.

E invece, contrariamente alle parole del capitano, l’aiuto arrivò.

Da un istante all’altro una nuova pioggia di frecce, stavolta amiche, si abbatté sugli assalitori, uccidendone alcuni e disarcionandone altri.

«E adesso cosa…».

Passarono solo pochi secondi, e dalla boscaglia sbucarono una decina di soldati di Grasse, sicuramente guardie di confine o qualche pattuglia di passaggio, che si frapposero subito tra le ragazze e i loro aggressori, avventandosi contro questi ultimi.

Li guidava un giovane, un ragazzo sulla ventina con capelli neri e occhi blu che impugnava una spada ricurva, una katana.

Soverchiati di numero e presi di sorpresa, gli uomini di Monroy si diedero quasi subito alla fuga prima di venire massacrati.

«Inseguiteli!» ordinò il giovane «Non devono scappare!»

«Sì generale!» disse uno, e quelli immediatamente obbedirono.

Rimasto solo con le due ragazze il giovane scese da cavallo e si avvicinò a loro; Seena strinse più forte a sé Kiluka, ma per qualche motivo, e nonostante l’espressione leggermente truce del giovane sentiva di potersi fidare.

«Chi siete?»

«Costei è la duchessa Kiluka de Montpeyroux, legittima erede della provincia di Laguiole. Io sono Seena, la sua guardia del corpo.»

«Seena?» ripeté il giovane «La sorella di Kiriya, il secondo di Lucas de Marcin

«Conosci mio fratello!?» esclamò la ragazza sgranando gli occhi.

In quella i soldati inviati ad inseguire gli aggressori ritornarono.

«Li avete presi?»

«Mi spiace, generale. Hanno fatto ritorno a Laguiole

«Quindi, abbiamo passato il confine!?» disse Seena.

Il giovane le guardò di nuovo.

«Io sono Kaoru, generale dell’esercito di Grasse e De Ornielle».

Seena tirò un sospiro di sollievo; a quanto pare ce l’avevano fatta.

«Il cielo sia lodato.» disse, poi si fece nuovamente seria «Dobbiamo parlare urgentemente con i tuoi padroni. È una questione della massima importanza».

Kaoru guardò attentamente sia lei che Kiluka; la ragazzina era molto spaventata, e si strinse con forza alla sua fedele guardia, quando le cadde l’occhio sullo strano simbolo che il giovane aveva sulla mano sinistra.

«Tu…» disse ad occhi sbarrati «Tu sei un famiglio!?».

 

La mattina dopo, al sorgere del primo sole, una parte della guarnigione di confine, comandata dallo stesso Generale Kaoru, fece ritorno al castello di Grasse.

Né Seena né Kiluka avevano mai visto il palazzo di Grasse, ed entrambe restarono senza parole per l’imponenza e la maestosità della costruzione mentre ne varcavano i cancelli.

«Casa dolce casa.» disse Kaoru smontando da cavallo.

Ormai era più di una settimana che mancava da Grasse, da quando Saito lo aveva inviato a comandare una piccola roccaforte al confine con Laguiole appena erano cominciate a girare voci circa un conflitto scoppiato improvvisamente nella provincia vicina.

Pochi minuti dopo, Seena e Kiluka erano al cospetto di Saito nella sala delle udienze.

Il giovane era in quel momento impegnato in una discussione con i suoi consiglieri, quando venne interrotto da Kaoru.

«Ci sono visite.» gli disse educatamente.

Saito allora rivolse la sua attenzione alle nuove venute; Seena si inginocchiò, e anche Kiluka abbassò leggermente la testa.

«Nobile signore di Grasse. Umilmente ci rechiamo al tuo cospetto. Io mi chiamo Seena, e sono la guardia del corpo della qui presente duchessa Kiluka de Montpeyroux

«Via, non c’è bisogno di tutte queste cerimonie.» tagliò corto Saito «Alzati pure».

Seena, chiaramente colpita, obbedì, e Saito le andò a stringere la mano.

«Sei la sorella di Kiriya, vero?»

«Sì, è così, mio signore.»

«Il mio signore non è necessario. Chiamami semplicemente Saito.»

«D’… d’accordo.» disse lei sempre più sorpresa

«Allora, cosa ti porta a Grasse».

La ragazza spiegò dunque brevemente quello che era successo, il colpo di stato a Boulogne, la presa di potere di Valat e la loro fuga.

«Capisco.» commentò Saito al termine del racconto «È una faccenda molto seria.»

«Umilmente, lord Hiraga, richiedo asilo politico per la duchessa. Di me potete fare quello che volete, anche consegnarmi al duca, ma vi prego di essere clemente con sua altezza».

Saito le mise allora una mano sulla spalla.

«Non temere. Sarete nostre ospiti entrambe. E in qualche modo, sistemeremo la faccenda. Vi farò immediatamente preparare delle stanze.»

«La ringraziamo infinitamente per la sua generosità».

In quella, Louise entrò nella stanza seguita da Joanne; Kiluka, che era sempre stata in silenzio e con lo sguardo basso fino a quel momento, come la vide le si accesero gli occhi.

«Louise onee-sama!» esclamò gettandosi tra le sue braccia

«Che… che sta succedendo!?» ribatté Louise spiazzata

«Vi conoscete?» chiese Saito

«Certo che no! Non l’ho mai vista prima! Ma si può sapere chi è?»

«È la duchessa Kiluka, sovrana di Laguiole. Suo zio ha fatto un colpo di stato e ha preso il potere, così lei e la sua guardia del corpo sono fuggite qui per chiedere asilo.»

«Ho sempre sognato di incontrarti, Louise onee-sama.» disse Kiluka con gli occhi che trasudavano felicità «Ho sentito tanto parlare di te. Finalmente potremo stare insieme.»

«Che significa, stare insieme!?» disse Louise sempre più confusa

«Io sono il tuo famiglio, Louise onee-sama

«Che cosa!?».

Tutti sgranarono gli occhi restando di pietra.

«Come sarebbe a dire che sei il mio famiglio!?».

Kiluka allora si sollevò la camicetta, svelando una sequenza di rune trascritta sul suo ventre, poco sopra l’ombelico.

«Non ci credo.» disse attonita Joanne

«Io sono Maenegnir, il Ventre di Dio.»

«È incredibile.» disse Louise «Sono proprio le rune di un famiglio del Vuoto. Da quando le possiedi?»

«Dal giorno in cui sono nata.»

«Ma come è possibile!?» domandò Saito «Com’è possibile che nasca un famiglio senza il suo padrone?»

«Non ne ho proprio idea.» disse Louise «È la prima volta che sento una cosa simile.»

«Mi è sempre stato detto che un giorno avrei trovato il mio padrone. E ora so che il mio padrone siete voi, Louise onee-sama

«Aspetta, datti una calmata!» replicò Louise prima che Kiluka la abbracciasse di nuovo «Mi spiace darti una delusione, ma io ho già il mio famiglio.»

«Dite sul serio? E chi è?»

«Sono io.» risposero in coro Saito e Kaoru.

I due si guardarono un momento, per poi girare gli occhi in opposte direzioni.

«Comunque, ci sarà tempo per parlare di questo.» disse poi Saito «Ora immagino che sarete stanche. Andate pure a riposare. Parleremo con calma a pranzo».

Kiluka e Seena a quel punto vennero condotte da Joanne verso la zona delle camere, mentre Saito, Kaoru e Louise si appartarono in una stanza attigua per poter parlare.

«Che ne pensi?» domandò Saito rivolto a Kaoru

«Della questione delle rune, o di tutta questa storia?» replicò Kaoru con un pizzico di ironia

«Non è il momento di fare gli spiritosi.» tagliò corto Louise

«Penso che questa è una gran brutta faccenda.» disse Kaoru tornando ad essere il serio di sempre

«Ho sentito molte brutte storie sul Duca Valat.» disse Louise «In linea teorica avrebbe dovuto succedere a suo padre in quanto primogenito, ma lord Charnizay gli ha sempre preferito il figlio minore.»

«Avrà approfittato della guerra civile per prendersi quello che ritiene essere suo di diritto.» osservò Saito

«Ma fino a che Kiluka sarà viva, la sua posizione di governatore potrà essere messa in discussione.»

«Il che significa che quella ragazzina è una mina vagante.» disse francamente Kaoru

«D’altra parte però, non possiamo neanche abbandonarla al suo destino».

Saito chinò il capo, dubbioso e indeciso sul da farsi.

Era signore di Grasse da neanche due settimane, e già gli si presentava davanti una simile prova.

 

Come si fu accomodata nella stanza che Joanne le aveva assegnato, una cameretta piccola senza troppe pretese, Seena volle tornare subito a vedere come stava Kiluka.

Per ordine del capitano delle moschettiere, due guardie sostavano davanti alla stanza della duchessa; per come si stavano mettendo le cose non era da escludere che il duca potesse inviare qualcuno per attentare alla sua vita, ma in ogni caso si trattava pur sempre di un ospite illustre.

«Kiluka, ci sei?» domandò Seena entrando educatamente.

Kiluka era seduta sul letto, e le dava le spalle, gli occhi bassi e l’espressione sconfortata.

«Kiluka…».

Si sedette accanto a lei.

Non era difficile capire perché stesse facendo così; per quanto fosse forte, abituata alle sfide della vita, restava pur sempre una ragazzina di tredici anni, che aveva appena visto morire l’unico parente che le fosse rimasto.

Amorevolmente, come una dolce sorella maggiore, Seena le accarezzò la testa, e dopo qualche istante Kiluka le si buttò al petto piangendo a dirotto.

«Non temere.» le disse coccolandola «Ci sono io qui con te. Starò al tuo fianco e ti proteggerò, sempre».

Rinfrancata dalla tenerezza e dalle parole di Seena, la ragazzina alla fine si calmò, cadendo in un sonno profondo che fu interrotto solo verso le due, quando una cameriera venne a dire loro che i padroni avevano invitato entrambe alla loro tavola.

Kiluka si diede una sistemata, ma rifiutò di indossare l’abito messo a sua disposizione da Louise, preferendo invece tenere quel bel vestito bianco e rosso che il nonno le aveva regalato per il suo ultimo compleanno, quindi scese assieme a Seena in sala da pranzo, dove le attendevano Saito e Louise.

«Benvenuta.» disse Saito «Accomodati».

La ragazza obbedì, insistendo per sedersi accanto a Louise, che continuava a chiamare affettuosamente onee-sama; le era bastato guardarla per recuperare il sorriso.

«Quante volte te lo devo dire?» continuava a ripetere Louise «Tu non sei il mio famiglio!»

«Ma allora, se non voi, chi è il mio padrone?».

Saito e Louise si guardarono tra di loro.

Durante la mattinata avevano contattato il professor Colbert tramite un cristallo di comunicazione, spiegandogli la faccenda e chiedendo un suo parere; il professore, tuttavia, aveva risposto di aver avuto delle esperienze con maghi che evocavano inconsapevolmente il proprio famiglio per poi ritrovarlo solo in seguito, talvolta per puro caso, ma di non aver mai sentito parlare di una storia del genere, di qualcuno che veniva al mondo già come un famiglio.

«Parlando di questo.» disse allora Saito «Tutti i Famigli del Vuoto possiedono un potere particolare. Immagino sarà così anche per te.»

«Certamente.» rispose lei.

Kiluka si guardò un momento attorno, poi le cadde l’occhio sulla spada che Saito portava alla cintura. A quel punto chiuse gli occhi, mise le mani davanti a sé come in segno di offerta e prese un breve respiro. Qualche istante dopo, una copia esatta della spada le comparve davanti tra lo stupore generale.

«Davvero niente male.» commentò Kaoru, in piedi in un angolo della stanza

«Ecco il mio potere.» disse mostrando la copia «Si chiama Heavenly Smith.»

«Puoi copiare le armi altrui?» chiese Louise

«Non copiarle, crearle. Mi basta avere nella mente l’immagine di una qualsiasi arma, e posso crearla a mio piacimento.»

«È un potere molto particolare.» osservò Saito.

D’improvviso, proprio mentre l’atmosfera iniziava a farsi più rilassata, un soldato entrò in sala da pranzo tutto trafelato ed ansimante.

«Miei signori, perdonate l’interruzione! È cosa molto urgente!»

«Che c’è? Che succede?» chiese Louise

«È appena arrivato un messaggero. Una delegazione di Laguiole sta venendo a Grasse per un incontro con le signorie vostre».

Da un istante all’altro, un’aura minacciosa si addensò sopra tutti i presenti.

Saito e Louise si guardarono preoccupati tra di loro, Kaoru e Joanne aggrottarono le sopracciglia in un’espressione a metà tra l’arrabbiato e il minaccioso, e Kiluka prese a cercare con lo sguardo Seena, che si avvicinò e lei e la strinse a sé.

A quanto pare, non avevano aspettato molto per venire lì a reclamare i propri trofei.

 

Nota dell’Autore

Eccomi qua!^_^

Ho fatto flash, ho scritto di getto, e così sono riuscito ad aggiornare entro oggi.

Ha fatto quindi la sua comparsa un nuovo personaggio, che da qui in avanti diventerà una presenza fissa per quasi tutto il corso della storia.

Come avrete certamente notato, sto a poco a poco sostituendo i vecchi comprimari in favore di altri, ma non disperate perché presto alcuni della vecchia guardia faranno la loro ricomparsa (basta dare uno sguardo alla mappa per capire di chi stiamo parlando^_^).

Non aspettatevi però, stavolta, un altro miracolo. Venerdì sarò all’università tutto il giorno, e domani mi sa che dovrò dare spazio allo studio.

In definitiva, prima di sabato non credo di poter fare qualcosa.

Grazie come sempre ai miei recensori!

A presto!^_^

Carlos Olivera

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Capitolo 15
*** 13 ***


13

 

 

La delegazione arrivata da Laguiole arrivò in pompa magna il mattino dopo, provocando lo stupore generale tra gli abitanti di Grasse, che si riversarono in strada per osservare coi loro occhi quella specie di parata.

Sette file di soldati in marcia divisi in due gruppi duecentodieci uomini ognuno precedevano e seguivano un gruppo di tre cavalieri, tra i quali il capitano Monroy, che sembrava osservare tutti dall’alto in basso in sella al suo purosangue nero fumo.

Il corteo attraversò la strada principale ed il ponte sul mare, quindi entrò nel castello, fermandosi dinnanzi alla grande scalinata d’ingresso.

«Niente male.» osservò uno dei due sottufficiali al seguito di Monroy scendendo da cavallo

«Ho visto di meglio.» osservò acido il capitano.

Dieci minuti dopo, i tre erano in udienza al cospetto dei sovrani di Grasse, che li osservavano dall’alto dei loro scranni, e di tutti i consiglieri e generali. Monroy notò che il ragazzo della foresta non era presente, ma si aspettava che sarebbe successo; sicuramente, comunque, era lì da qualche parte, magari nascosto dietro qualche tenda o colonna per origliare la conversazione senza essere notato.

Appena arrivati, il capitano e i suoi si inginocchiarono ed abbassarono la testa, un gesto che solo apparentemente testimoniava rispetto e sottomissione, ma che Saito e Louise non faticarono a notare come sfacciatamente provocatorio.

«Vi ringraziamo per averci voluto concedere udienza, nobili signori di Grasse.»

«A dire il vero, ci avete costretti a ricevervi.» puntualizzò Louise «Come scorta mi è sembrata un po’ eccessiva.»

«Solo un piccolo espediente per evitare problemi. Di questi tempi, purtroppo, non si è mai abbastanza sicuri quando si viaggia.»

«Ad ogni modo, a cosa dobbiamo questa vostra visita?» chiese Saito

«Umilmente, siamo venuti a porgervi le più sentite scuse del nostro signore, lord Valat di Montperieux, riguardo all’increscioso episodio avvenuto la notte scorsa lungo i nostri confini.»

«Forse dovremmo essere noi a farvi delle scuse.» replicò Louise con uno strano sorriso «Dopotutto, i corpi rimasti in quella foresta non erano quelli dei nostri soldati».

Monroy incassò il colpo e replicò.

«Direi che ce lo siamo meritato. Ma questa ormai è cosa dimenticata.»

«E allora, che cosa vi porta qui?» chiese Saito

«La questione in verità è della massima delicatezza. Il fatto è che ci sono alcuni, nel nostro feudo, che contestano le azioni del mio signore, legittimo e unico sovrano della provincia. Costoro si sono riuniti attorno alla nobile duchessa Kiluka e hanno organizzato un colpo di stato. Il loro capo era una giovane donna, molto bella, che per legittimare il proprio ruolo si è proclamata guarda del corpo della duchessa.

Anche se l’intervento del mio signore ha evitato il colpo di stato, sfortunatamente il nostro nobile, precedente signore, e padre del duca Valat, è rimasto ucciso. Siamo riusciti a catturare e giustiziare tutti i ribelli scampati alla battaglia, ma il loro capo è riuscita a fuggire, e ha portato con sé la duchessa. I nostri uomini l’hanno inseguita, per riportare sua eccellenza a casa sana e salva; il resto, lo sapete».

Louise stava per scoppiare a ridere.

Chi avrebbe mai creduto ad una simile vagonata di fandonie? Del resto però, in quanto nobile fin dalla nascita, aveva imparato che molto, troppo spesso in diplomazia e in politica la verità è un qualcosa che si può creare ad arte, adattandola come fa più comodo, e poco importa che ci si creda o meno; basta solo che sia verosimile.

Incredibilmente, Saito riuscì a prenderla in controtempo; più passava il tempo, e più il suo sposo sembrava comprendere sempre meglio il sottile gioco del potere, e i modi migliori per giocarlo.

«Loro hanno raccontato un’altra storia. Una assai diversa.»

«Parole mendaci di chi è destinato alla forca.» replicò Monroy senza tradire emozioni

«Forse. Ma perché dovremmo credere a voi, allora?»

«Perché il mio signore è il sovrano di Laguiole unico e legittimo.» poi, il capitano ghignò beffardo «Nonché comandante supremo dell’esercito della contea».

Saito e Louise strinsero entrambi le mani sui braccioli della poltrona. Anche Kaoru digrignò i denti, e chiamò un servo.

«Fa preparare un cavallo.»

«Subito.»

«Capisco.» disse Louise «Credo di comprendere il senso e la necessità delle vostre azioni.» poi anche lei piegò le sopracciglia in un’espressione enigmatica «Tuttavia, nel caso in cui queste ribelli fossero realmente qui, ed io mi rifiutassi di cederle in quanto avrebbero chiesto asilo presso questa provincia, voi che cosa fareste?»

«Noi.» rispose tranquillamente Monroy «Per conto del nostro signore e del popolo tutto, ci assicureremmo di garantire sempre e comunque il benessere di Laguiole».

Questa volta Kilyan, anche lui presente, a perdere le staffe; anche molti altri si inalberarono, ma lui fu l’unico che ebbe il coraggio di aprire bocca.

«Che cosa sarebbe questa!? Una minaccia!?»

«Capitano!» tuonò severo Saito azzittendolo, poi si calmò e riprese a parlare «Purtroppo, mi spiace darvi una brutta notizia. Le donne che cercate sono state effettivamente condotte al forte più vicino per essere interrogate, ma sono riuscite a scappare durante la notte. Il mio generale, che le aveva anche arrestate, mi ha già fatto rapporto».

Monroy non batté ciglio, anche se lasciò trasparire un certo disappunto.

«Capisco. E ditemi, sapreste dirmi dove potrebbero essersi dirette?»

«Purtroppo no. Le abbiamo perse quasi subito. Ma potrebbero essere ancora in questa provincia. Abbiamo molti problemi in questo momento e non ce ne siamo curati, ma se volete possiamo farle cercare.»

«No, non sarà necessario.»

«Come volete. Intanto, sarei felice di offrire in ricevimento in onore dei buoni rapporti che spero instaureremo tra le nostre due province.»

«Sfortunatamente, temo che dovremo declinare, anche se la vostra offerta di lusinga enormemente. Anche Laguiole, come potete facilmente attraversare, sta vivendo un periodo molto difficile. Occorre riportare l’ordine, e c’è bisogno di tutto l’aiuto possibile.»

«In questo caso, è stato un piacere.»

«Anche per me, nobili signori».

Nell’istante in cui Monroy si alzò in piedi i suoi occhi incrociarono quelli di Saito e Louise, che non faticarono a leggervi dentro un’espressione enigmatica, ma sicuramente molto minacciosa.

 

Poco dopo la delegazione di Laguiole se ne andò come era venuta, in pompa magna.

Saito, Louise e Kaoru stettero ad osservare dalla balconata quella specie di parata che si rimetteva in marcia, e dopo poco se ne tornarono dentro.

«Pensi che ci abbiano creduto?» domandò Louise mentre camminavano

«Assolutamente no.» rispose Saito «Sanno bene che loro sono qui. Questo incontro in realtà era un ultimatum.

Hanno detto, o ce le consegnate voi, o veniamo a prendercele. E quello che è peggio, hanno voluto dimostrarci che hanno i mezzi per poterlo fare.»

«Possono davvero farlo!? Possono prendere questo castello!?»

«L’hai sentita anche tu Seena. Hanno un troll da combattimento, e il cielo sa cos’altro. Possono spianare la città e questo castello come e quando vogliono, e ci hanno tenuto a farcelo capire.»

«E allora cosa dovremmo fare? Cedere al loro ricatto?».

Saito inchiodò di colpo, fermandosi e guardando a terra; era un’opzione che non voleva neppure prendere in considerazione.

«Kaoru, vorrei che tu tornassi immediatamente a Fort Segoile. Prendi con te anche alcuni soldati di rinforzo.»

«Sarà fatto».

Quindi Saito gli consegnò la penna magica.

«Se dovessero esserci problemi, avvisami con questa. Cercherò di venire in tuo aiuto il prima possibile».

Dieci minuti dopo Kaoru stava già percorrendo il ponte per tornare al confine alla testa di un paio di centinaia di uomini di rinforzo alla guarnigione di trecento soldati che stazionava a Fort Segoile. Anche Kilyan era con lui.

«Pensi che ci sarà un attacco?» domandò Louise mentre guardavano il loro amico allontanarsi

«Di certo le ambizioni del duca non si fermano solo a Laguiole, e finché Kiluka sarà viva il suo dominio potrà sempre essere messo in discussione.

Bisogna solamente vedere quanto aspetterà prima di mostrare le sue carte».

Per cercare di distrarsi un po’ e pensare ad altro Louise si diresse ai giardini, dove era solita trascorrere un po’ di tempo leggendo o semplicemente standosene seduta ad osservare le piante.

Quanto le mancava il giardino di Ornielle, quel giardino che lei stessa aveva in gran parte seminato e fatto crescere un poco per volta.

Chissà come stavano i suoi roseti, le sue azalee, i suoi rampicanti, e i suoi alberi da frutto.

Da quando si era sposata, il mondo aveva cominciato a cambiare ai suoi occhi; tutto aveva assunto un altro significato, un cambiamento dettato in larga parte dall’aver preso consapevolezza del proprio ruolo di moglie.

Tra lei e Saito le cose non erano poi cambiate così tanto; semplicemente, era cambiato il modo di intendere il loro rapporto insieme. Mettendo da parte il proprio egocentrismo e la propria vanagloria, Louise aveva imparato che, qualche volta, era necessario per lei farsi da parte, lasciando che fosse Saito a prendere le decisioni in quanto capofamiglia e governatore.

Privatamente tutto era come un tempo, ma in pubblico era necessario dare una immagine gerarchica del loro rapporto, se non altro per dare adito a malevoci o dicerie dalle conseguenze imprevedibili.

Louise si sedette all’ombra di un gazebo di marmo, ma quasi subito si rese conto di essere troppo distratta e preoccupata per riuscire a leggere.

Istintivamente si portò una mano sul ventre, e le venne quasi da sorridere.

Quella notte si era svegliata di soprassalto, e aveva sentito un po’ di nausea.

Forse era il segno che qualcosa si stava muovendo.

Cominciò a fantasticare di come sarebbe stato il loro figlio, o la loro figlia; avrebbe avuto sicuramente la schiettezza ed il valore del padre, e l’ottusità e l’orgoglio della madre. Una combinazione perfetta, che unita al sicuro bell’aspetto gli avrebbe permesso di fare strage di cuori.

Louise stava quasi per appisolarsi, quando avvertì un rumore e si accorse di non essere sola.

«Chi c’è?» domandò scattando in piedi.

Passò solo qualche secondo, e Kiluka comparve da dietro un cespuglio.

«Louise onee-sama

«Kiluka. Che ci fai qui?»

«Volevo stare un po’ da sola. Seena è molto gentile e protettiva, ma non mi lascia mai un secondo. Così, sono scappata».

Louise rise. Quella ragazzina le somigliava incredibilmente; la stessa voglia di sentirsi libera, ma con un peso tremendo a tarparle le ali.

Kiluka si sedette accanto a lei, e per lunghi minuti stettero insieme ad osservare la fioritura lussureggiante di un roseto lì vicino.

«Ho saputo quello che è successo.» disse ad un certo punto la duchessa «Tutto questo è per colpa  mia.»

«Non devi dirlo neanche per scherzo!» rispose severa Louise, guadagnandosi una occhiata perplessa «Tu non hai nessuna colpa.»

«Però… se mio zio dovesse attaccarci…»

«Se dovesse attaccarci, gli risponderemo per le rime. Credimi Kiluka, anche se tu tornassi da lui, questo non lo fermerebbe. Non ha conquistato i possedimenti di tuo nonno per tenersi solo quelli. Lui vuole di più, e che tu resti o meno non farebbe alcuna differenza.»

«Louise onee-sama».

Louise a quel punto si calmò e sorrise: le sembrava quasi di essere già diventata mamma.

«Lo sai. Io conoscevo tuo nonno.»

«Davvero!?»

«Quando ero piccola, prima ancora che tu nascessi, lui è venuto in visita da noi. Lui e mio padre erano grandi amici. L’ho sempre trovato una persona simpatica e generosa. Pensa, quella volta mi ha anche regalato delle caramelle alla liquirizia.»

«Le caramelle erano la sua passione.» osservò divertita Kiluka «Ne aveva sempre le tasche piene. Ricordo che la nonna le nascondeva perché non le mangiasse».

Il momento di serenità purtroppo passò presto, schiacciato dalla consapevolezza che quel vecchio signore così gentile ormai non c’era più. Kiluka minacciò di piangere nuovamente, ma Louise le asciugò delicatamente le lacrime con un dito; in quel  momento, se qualcuno l’avesse vista, avrebbe pensato di avere di fronte sua sorella Kattleya che l’acida ed egocentrica Louise la Zero.

«Tuo nonno ci ha chiesto di proteggerti, e noi la faremo. E quando verrà il momento, dovrai essere forte per poter prendere il suo posto.»

«Louise onee-sama…».

Quasi avesse avuto di fronte la propria mamma, quella mamma che non aveva mai visto né conosciuto, Kiluka si perse in un amorevole abbraccio; in quel momento, promise a sé stessa che non avrebbe pianto mai più, e che comunque fosse andata sarebbe sempre stata forte, sia per sé stessa che per i suoi cari.

 

Kaoru fece ritorno a Fort Segoile prima di sera, dando subito disposizione perché fossero potenziati i turni di guardia e aumentata la sorveglianza.

«Temete un attacco, generale?» gli chiese l’ufficiale che aveva tenuto il comando in sua assenza, un nerboruto sergente maggiore sulla quarantina di nome Potter

«Non lo temo, lo aspetto.» rispose secco Kaoru.

E invece, i giorni presero lentamente a passare, senza che succedesse nulla.

Spie ed esploratori sorvegliavano ininterrottamente la zona circostante, oltre ad alcune pattuglie che oltretutto si adoperavano a fornire protezione ai villaggi più vicini al confine.

Il forte era stato costruito solo in tempi recenti e godeva di un ottima posizione, in cima ad una collina brulla e con una vasta pianura erbosa a circondarlo per almeno un chilometro.

Il problema era la foresta che veniva subito dopo, molto fitta e sterminata, che se da una parte limitava i movimenti di eventuali eserciti nemici dall’altra impediva anche di poterli scorgere con largo anticipo. Kaoru avrebbe voluto farla abbattere, o quantomeno diradarla, ma quando gli avevano detto che i villaggi tutto attorno vivevano di legnamene e della caccia aveva deciso di ripensarci, optando invece per la costruzione di una serie di torri perimetrali e rifugi segreti per sentinelle, questi ultimi abilmente nascosti tra i rami e il fogliame per risultare quasi invisibili.

Le mura del forte non erano molto alte, ma erano possenti e leggermente oblique, ideali a sopportare e respingere le cannonate nemiche, e poteva contare su di una discreta batteria di cannoni di media potenza.

I giorni divennero una settimana, durante la quale tutto rimase calmo e tranquillo come sempre.

Una notte, Kaoru volle fare un ultimo giro d’ispezione prima di andare a dormire; ormai era sveglio da quasi quarantotto ore, e sentiva il bisogno di riposare un po’ gli occhi.

Si affacciò dal ballatoio a scrutare tutto intorno; assolutamente nulla, a parte il silenzio della notte.

«Sembra tutto calmo, compare.» disse Derf

«Così sembra.»

«Chissà. Forse il compare si è sbagliato».

Anche Kaoru cominciò a quel punto a pensare che fosse così, tanto che se ne andò a letto con l’animo leggermente più sollevato.

«Ti passo il comando.» disse a Kilyan, venuto ad assumere le consegne «Svegliami se succede qualcosa.»

«Sissignore.» rispose il ragazzo chiudendo la porta della stanza «Buonanotte».

Il giovane prese quindi il comando e uscì in cortile per fare il suo primo giro di controllo.

Fare la guardia notturna non era facile né piacevole, e infatti sorprese subito una sentinella a pisolare in una delle torri di sorveglianza, coperta dal suo compagno.

«Chiedo scusa, capitano!» disse quello mettendosi sull’attenti

«Niente da segnalare?»

«No signore. Tutto tranquillo.» rispose l’altro.

Una dopo l’altra Kilyan si passò tutte le postazioni lungo le mura a stella, incrociando di tanto in tanto coppie di soldati di pattuglia sui camminamenti alla luce di una torcia.

Sembrava non esserci davvero nulla di strano o di pericoloso, tanto che verso le due il capitano lasciò i camminamenti per fare ritorno al posto di comando, in un casotto nei pressi dell’edificio principale, dedicando la mezz’ora successiva alla stesura di una lettera da spedire alla sua fidanzata, una dama di compagnia di una nobile famiglia della Germania che aveva conosciuto qualche anno prima.

Era quasi sul punto di riuscire a trovare le parole giuste, quando un soldato spalancò la porta facendolo quasi saltare sulla sedia.

«Capitano. Alla torre dodici chiedono di voi.»

«Arrivo.» rispose lui dandosi una sistemata.

Con il soldato al seguito e armato di cannocchiale Kilyan raggiunse la torre indicata e vi salì, trovando ad attenderlo i due uomini di guardia.

«Che succede?»

«Ecco, ci è sembrato di vedere qualcosa.» rispose uno

«Dove?»

«Venti gradi a sinistra. Distanza, circa tremila metri. Per un attimo ci è parso di vedere come un bagliore».

Kilyan guardò nella direzione indicata, ma non vide niente di insolito.

Le fronde degli alberi erano mosse da un vento caldo e leggero, ma non si vedevano né luci né fuochi, né tantomeno segni della presenza di qualcuno. Kiriya stava quasi per convincersi di essere stato chiamato per nulla, quando, girando a destra e a sinistra alla ricerca di qualche traccia, gli parve di notare a sua volta un bagliore con la coda dell’occhio, senza tuttavia riuscire ad inquadrarlo.

A quel punto, cominciò a preoccuparsi.

Poteva trattarsi di cacciatori in giro la notte e avvicinatisi troppo al forte, non sarebbe stata la prima volta, ma non se la sentì di urlare il chi va là, perché a differenza del passato le cose erano diverse. E poi, anche il fatto che le sentinelle nei boschi non mandassero segnali cominciò ben presto a preoccuparlo, dato che erano state istruite a comunicare qualsiasi evento accadesse sotto i loro occhi, anche il più insignificante.

«Và a svegliare il generale.» disse al soldato che aveva chiamato lui

«Sì, capitano».

Kaoru arrivò a tempo di record, anche perché si era addormentato senza neanche togliersi i vestiti.

«Cosa c’è?».

Kilyan gli passò il binocolo.

«Due gradi a sinistra. Nella foresta. Le guardie dicono di aver visto qualcosa. E anche io ho avuto la stessa sensazione.»

«Cacciatori?»

«Non lo so. Ma le spie e le sentinelle non hanno inviato segnali».

Anche Kaoru guardò in ogni direzione, ma a differenza degli altri lui i bagliori li vide distintamente; e non uno, ma almeno una decina, in rapida successione e accompagnati da strani rumori.

«A terra!» urlò afferrando per il collo Kilyan e gettandolo con naso sul pavimento.

Per fortuna la bordata risultò bassa, colpendo i bastioni senza riuscire ad oltrepassarli, ma tutta quella sezione di mura tremò come durante un terremoto.

Subito dopo la prima scarica, un intero esercito nemico uscì dalla boscaglia lanciato verso il forte.

«Posto di combattimento! Posto di combattimento!» gridò Erik alzandosi in piedi «Allarme generale!».

Le trombe risuonarono in tutto il forte svegliando i soldati, che si catapultarono giù dalle brande e uscirono in cortile armi alla mano, mettendosi agli ordini dei propri comandanti.

L’esercito di Laguiole, perché di loro sicuramente si trattava, riuscì a percorrere più di metà della strada tra la foresta e le mura prima che i difensori potessero raggiungere la loro posizione.

«Cannoni fuori! Archibugieri sulle mura! Pronti al fuoco!».

Finalmente, l’esercito di Grasse riuscì ad opporsi all’assalto, mentre nel frattempo altre bordate si erano abbattute sulle mura, risultando fortunatamente sempre e comunque troppo basse e troppo potenti per poter essere pericolose.

A controllare l’andamento della battaglia, ben nascosto tra il fogliame, c’era il duca Valat in persona; al suo fianco, oltre al capitano Monroy, anche la misteriosa donna incappucciata.

«Sarà una cosa breve.» commentò soddisfatto Monroy «Prima dell’alba, li avremo stanati».

Sulle mura, Kaoru cercava di direzionare il corso della battaglia.

«Prendi il comando!» disse a Kilyan «Io torno subito!».

Rientrato nelle sue stanze, afferrò la penna di Saito e vergò poche righe su di un foglio spiegazzato.

 

Allarme prioritario.

Attacco in corso a Fort Segoile.

Forze nemiche stimate, sessantamila.

Richiedo urgenti rinforzi.

 

Fatto questo, tornò immediatamente al proprio posto sui bastioni, dove nel frattempo avevano iniziato a fare la loro comparsa persino i draghi.

«Fai decollare i nostri draghi, presto!»

«Sì, generale!».

Fort Segoile disponeva solo di quattro draghi del fuoco non troppo grandi, che furono fatti immediatamente alzare in volo; il loro scopo però non era tanto quello di abbattere i draghi nemici, in numero decisamente superiore per poter essere affrontati ad armi pari, quanto piuttosto di attuare una strategia mordi e fuggi che distraesse il nemico e distogliesse quanto più possibile la loro attenzione dal colpire il forte.

Nella prima ora di battaglia, gli assediati riuscirono a respingere due tentativi di assalto alle mura, costringendo i nemici a rifugiarsi dietro a delle palizzate mobili per non finire investiti da cannonate, proiettili e frecce. Tuttavia le bordate nemiche non cessarono in momento, diventando sempre più precise; colpivano sempre nello stesso punto, così da incrinare il più possibile mura, che prima o poi avrebbero finito per crollare.

Kaoru si sentiva come un topo in gabbia.

Quel forte era come una prigione, dove venivano attaccati senza sosta da tutte le direzioni, per terra e per aria; d’altra parte però, circondati e sottonumero com’erano, tentare una sortita era un vero suicidio.

«Compare, la situazione si fa brutta.» commentò ad un certo punto Derf.

L’unica cosa da fare era aspettare l’arrivo dei rinforzi, sperando di riuscire a resistere fino a quel momento e che il nemico non si accorgesse del loro arrivo.

Quello che seguì fu un lungo e snervante periodo di attesa.

Gli assedianti, ora che l’impeto iniziale era stato fermato, se ne stavano a distanza, protetti dalle loro barriere mobili, avanzando di tanto in tanto quando le bordate che arrivavano dalle retrovie costringevano i difensori a rintanarsi, mentre le due batterie si scambiavano colpi senza sosta nel tentativo di mettersi fuorigioco a vicenda.

In cielo, i draghi continuarono a darsi battaglia per alcune ore, e i cavalieri di Grasse riuscirono anche ad abbatterne alcuni, ma poi entrambe le parti dovettero ritirarsi perché ormai gli animali erano esausti, e senza più una briciola di energia da imprimere nelle loro fiammate.

Kaoru restava sui bastioni, gettando di tanto in tanto lo sguardo oltre le mura per scoprire i movimenti del nemico e agire di conseguenza, e intanto contava febbrilmente i minuti che mancavano all’arrivo dei rinforzi.

Quello che non poteva immaginare era che qualcuno fosse già penetrato nel forte, qualcuno non appartenente all’esercito nemico ma che, inspiegabilmente, sembrava volerlo morto.

All’improvviso, due soldati che facevano la ronda su di una parte di bastioni non soggetta ad attacchi vennero raggiunti e tramortiti da un’ombra nera, che subito dopo prese a correre verso la parte opposta del forte senza curarsi nemmeno di non essere vista e di agire furtivamente.

Un soldato che la vide diede immediatamente l’allarme.

«Nemici all’interno!» urlò, mettendo tutti sul chi vive.

Kaoru ordinò che tutti restassero al proprio posto e scese a controllare, e da un secondo all’altro si vide venire contro una vecchia conoscenza che da già da qualche tempo non vedeva più, ma che non aveva mai dimenticato.

Maschera di Ferro gli piombò addosso come un angelo della morte, ma il ragazzo evitò l’affondo rotolando sul selciato e sguainò la spada pronto a difendersi.

«Scusa, ma adesso non ho proprio tempo per te!».

Ciò nonostante lo scontro ebbe luogo comunque, e fu senza esclusione di colpi. Maschera di Ferro si rivelò ben presto un avversario formidabile, agile e veloce come un maestro spadaccino, e dotato della forza necessaria a portare colpi che avrebbero potuto trapassare anche un’armatura.

Kaoru riuscì ad evitare parecchi colpi, e alcuni li portò lui stesso, ma i due avversari erano sostanzialmente in parità, e nessuno dei due riusciva ad essere in grande vantaggio sull’altro.

Fiumi di soldati presero ad arrivare da tutte le parti per dare man forte al loro generale, ma Maschera di Ferro riusciva a difendersi senza troppi problemi anche in una situazione di dieci contro uno.

«No, fermi!» tentava di dire Kaoru «Non lasciate le posizioni!».

All’esterno, i soldati di Laguiole si erano accorti che doveva stare succedendo qualcosa all’interno del forte, perché da dentro giungevano schiamazzi, urla e rumori di spari.

Dapprincipio si pensò ad una rivolta, poi al fatto che qualche unità fosse riuscita a fare breccia, poi ancora all’intromissione di una terza forza, magari qualcuno di qualche altra provincia vicina che avendo constatato la situazione sperava di ricavarne un vantaggio personale.

Ciò nonostante, non si poteva certo ignorare questa opportunità.

«Attacco frontale!» disse il duca «Prendiamo quelle mura!».

A quel punto l’assalto riprese, e stavolta, essendo impegnati anche a contrastare l’insidiosa ed inspiegabile venuta di Maschera di Ferro, gli assediati opposero una resistenza molto inferiore, tanto che il nemico riuscì a raggiungere le mura senza quasi subire perdite.

Usando corde, scale e rampini, i soldati di Laguiole riuscirono ben presto a scalare i bastioni di Fort Segoile e a raggiungere i camminamenti, mentre una bordata ben piazzata riuscì ad abbattere i portoni, aprendo la strada agli assedianti che dilagarono all’interno del forte.

«Hanno fatto breccia!» urlò Kilyan «Soldati, pronti a respingere!».

Ebbe quindi inizio un sanguinoso e violento scontro corpo a corpo, e nonostante la loro superiore abilità le forze di Grasse si ritrovarono ben presto messe all’angolo dalla schiacciante differenza numerica.

Per nulla toccato da quello che succedeva intorno a lui, Maschera di Ferro continuò insistentemente a battersi contro Kaoru, eliminando nel contempo tutto quelli che si paravano sulla sua strada, fossero essi soldati di Grasse o di Laguiole.

Kaoru era sinceramente e positivamente colpito dall’abilità del suo avversario, e se avesse potuto avrebbe continuato a combattere lui anche per un giorno intero, ma non poteva certo permettersi di perdere tempo mentre tutto attorno a lui i suoi uomini venivano massacrati.

Sfortunatamente il nemico non aveva nessuna intenzione di lasciarlo in pace, e alla fine ci volle una connata giunta da chissà dove per convincerlo ad allontanarsi.

Kaoru e tutti gli altri alzarono agli occhi al cielo, solcato all’improvviso da una enorme flotta di navi dalle quali presero a calarsi ininterrottamente centinaia di uomini di Grasse giunti in aiuto dei loro compagni.

«I rinforzi! Sono arrivati i rinforzi!».

Guidava la flotta la nave ammiraglia di Grasse, la White Dragon, a bordo della quale c’erano anche Saito e Louise.

«Scusa il ritardo!» esclamò Louise sporgendosi dal parapetto «Abbiamo fatto il più in fretta possibile!»

«Fuoco!» disse Joanne «E attenti a dove sparate!».

Dalle navi presero a giungere bordate, frecce e incantesimi che piovvero sui nemici come una tempesta mortale, dando nuova linfa alla riscossa degli assediati.

Dal canto suo, Maschera di Ferro continuò ostinatamente a confrontarsi con Kaoru ancora per qualche minuto, fino a quando Saito non saltò giù dalla nave tenendosi ad una cima e raggiunse l’amico per dargli man forte nello scontro.

«Si può sapere chi diavolo sei tu?» chiese Saito al misterioso nemico.

Nei giorni che erano trascorsi, Kiluka e Seena avevano raccontato a lui e a Louise di come fossero riuscite a salvarsi grazie all’aiuto di Maschera di Ferro, ma quello che stava succedendo ora andava contro ogni logica; perché Maschera di Ferro stava attaccando Kaoru, impegnato a combattere contro coloro che lui stesso aveva combattuto solo fino a pochi giorni prima?

Possibile che fosse passato dalla loro parte?

La cosa era di un’assurdità pazzesca, e venirci a capo sembrava impossibile.

Quando sulla scena si presentarono anche Joanne e Louise, Maschera di Ferro probabilmente si rese conto che le forze in campo erano cambiare, e che pensare di vincere contro tutti quegli assi era una cosa impensabile; per questo, rinfoderata la spada, velocemente se ne andò, scomparendo nel mezzo della battaglia, e vani furono i tentativi di Saito e Kaoru di fermarlo.

Intanto, il bombardamento ininterrotto della flotta di Grasse, unito all’arrivo di una squadriglia di cavalieri dei draghi, aveva ormai sfiancato il morale dei nemici, che alle prime luci dell’alba presero a indietreggiare.

Nella boscaglia, Monroy assisteva attonito alla fuga dei suoi soldati, e aveva dentro di sé tanta di quella rabbia che si sarebbe mangiato le mani.

«Tornate a combattere, schifosi conigli!» urlava ai soldati in rotta, ma era tutto inutile

«Lasci stare, capitano.» rispose invece il duca, che al contrario si mostrava quieto e calmo come l’acqua di uno stagno «Basta così.»

«Signore, possiamo ancora farcela. Abbiamo i nostri troll.»

«Niente da fare. La loro flotta è arrivata, mentre la nostra è ancora lontana. Non intendo rischiare i miei assi nella manica in una situazione tanto incerta, e soprattutto contro un misero forte di confine.» quindi guardò un momento la donna, che gli fece come un cenno di assenso «Ritiriamoci».

Il capitano digrignò i denti per la rabbia, ma non poté fare altro che obbedire.

«Suonare la ritirata!» ordinò al trombettiere.

Il suono delle trombe di Laguiole salutò il sorgere del sole, e prima che la sua ascesa fosse del tutto completata le truppe nemiche si erano già date alla fuga, tra le grida di esultanza dei soldati e dei marinai di Grasse.

La prima, vera battaglia tra un esercito guidato da Saito e Louise e una forza nemica era dunque vinta.

Saito si avvicinò a Kaoru, che si sorreggeva sulla sua spada.

«Come stai? È tutto a posto?»

«Abbastanza.»

«Dunque…» disse Louise «Abbiamo vinto?»

«No maestà.» rispose cupa Joanne «Temo proprio di no.»

«Questo è stato solo un attacco dimostrativo, temo.» osservò Kaoru

«Già.» disse Saito «Un modo in più per farci capire che non stanno scherzando».

Tutti abbassarono gli occhi sconfortati.

«Quindi, adesso cosa succederà?» domandò Louise

«Atto dimostrativo o no» disse Saito «Mi sembra evidente che gli abbiamo inflitto una bella batosta. Con il colpo di stato ancora fresco di attuazione e questa offensiva mancata, di sicuro il duca Valat ci metterà un po’ a consolidare e stabilizzare il suo dominio.

Detto in altri termini, per un po’ credo che possiamo stare tranquilli.»

«Sì.» disse Joanne «Ma quanto durerà?».

Quella era la domanda a cui nessuno era in grado di rispondere.

E poi, c’era anche la questione di Maschera di Ferro.

Chi diavolo era quella specie di fantasma? Che cosa voleva? Quale era il senso delle sue azioni?

Tra tutti, quello a cui queste domande bruciavano di più era Kaoru. In entrambe le occasioni in cui si era battuto con Maschera di Ferro aveva avvertito qualcosa, qualcosa di strano, e per certi versi famigliare; inoltre, a differenza di quanto accaduto con molti altri suoi amici, non era stato capace di vedere nei suoi occhi, e non certo per colpa della maschera, cosa che lo inquietava ulteriormente.

Voleva assolutamente saperne di più sul suo conto. Doveva sapere.

 

Nota dell’Autore

Eccomi qua, di nuovo tra voi!^_^

Come vi avevo preannunciato, questa è stata una settimana tremenda, assolutamente da dimenticare, e pertanto non sono riuscito quasi mai a trovare il tempo per scrivere in santa pace.

Il tempo in questione ha cominciato ad arrivare seriamente solo ieri, e l’ho immediatamente sfruttato, anche perché sapevo che questo capitolo, oltre che lungo, sarebbe stato anche molto difficile da scrivere.

Vi preannuncio fin da ora che tutti i capitoli in cui appariranno delle battaglie saranno piuttosto prolissi, perché mi piace molto scrivere di queste cose, e anche se cerco di trattenermi poi puntualmente mi faccio sempre prendere la mano.

Ecco, ho detto tutto.

Grazie ai miei affezionati recensori.

Aspettatevi un nuovo capitolo scioccante e sconvolgente! (e anche in tempi brevi, spero e credo)

A presto!^_^

Carlos Olivera

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Capitolo 16
*** 14 ***


14

 

 

Passarono alcune settimane.

Laguiole tentò un altro paio di attacchi, tutti facilmente respinti, poi il conte Valat fu costretto a rinunciare a lanciare i suoi attacchi lampo per risistemare la sua disastrata provincia, rivolgendo anche le proprie ambizioni ad altre regioni più facilmente assoggettabili.

Per un po’, la vita a Grasse scorse sostanzialmente tranquilla, tanto che Saito fece richiamare Kaoru a palazzo, visto che per il momento la sua presenza al confine non sembrava necessaria.

Tuttavia, da qualche tempo, sembrava avere altro per la testa, e non era solo un’impressione.

Kaoru infatti non aveva mai smesso di interrogarsi sull’identità di Maschera di Ferro, e sul perché della strana sensazione che aveva provato entrambe le volte in cui si erano affrontati. Per questo, all’insaputa dei suoi stessi signori, aveva inviato una serie di staffette in giro per tutte le province vicine nella speranza di stanare quella specie di fantasma, che colpiva e spariva senza che nessuno riuscisse a prenderlo né a vederlo in volto.

A quanto sembrava, Maschera di Ferro non si era limitato solo al generale Deville; nell’ultima settimana in particolare, aveva fatto rotolare più di qualche testa, quasi sempre governatori di province o alti ufficiali dei loro eserciti, e le sue azioni stavano cominciando a renderlo un bersaglio per molti, oltre che un nome conosciuto ormai in tutta la nazione.

Inoltre, correva voce che facesse anche opere di bene, come difendere villaggi da razzie e battaglie spregiudicate o regalare denaro a destra e a sinistra a famiglie che avevano perso tutto a causa delle guerre, cosa che ne stava facendo un vero paladino tra la gente comune.

Se non altro, il clima che si respirava nel palazzo sembrava un po’ più calmo e rilassato del solito.

Louise e Saito avevano preso persino l’abitudine di invitare alla loro tavola, oltre a Kiluka, anche Joanne, Seena e Kaoru.

Sembrava di essere tornati ai tempi del loro primo periodo di convivenza a De Ornielle, quando in casa c’era sempre qualcuno, e non ci si sentiva mai soli.

L’atmosfera durante questi pranzi era molto rilassata e tranquilla, e prendervi parte era un vero piacere.

Un pomeriggio, i sei amici stavano mangiando insieme come al solito, nella grande sala da pranzo al pianterreno.

Era una situazione molto favorevole, così Louise ne approfittò per esporre a Saito un’idea che aveva iniziato a frullarle in testa già da un po’ di tempo.

«Una festa!?» disse Saito

«Sì. Una grande festa campestre. Stavo pensando di organizzarne una.»

«Ad essere sincero, non credo che questo sia il momento migliore.»

«Ti sbagli, è esattamente l’opposto. Ci sono molti nobili più o meno importanti qui a Grasse, come in qualsiasi altra provincia. La maggior parte di loro ci supporta e ci è amica, ma alcuni sono ancora scettici circa la nostra posizione di governatori.

Un ricevimento sarebbe l’occasione giusta per testimoniare a tutti la nostra buonafede, e dimostrare che intendiamo essere dei buoni reggenti.»

«Non sembra affatto una cattiva idea.» commentò Kiluka

«Stavo anche pensando che potremmo invitare anche i nobili di altre province limitrofe.»

«Maestà, potrebbe essere pericoloso.» disse Joanne «Far entrare gente che non conosciamo nel castello in questo modo.»

«Veramente, stavo pensando di organizzarla da un’altra parte.»

«E dove?» chiese Seena

«Il generale Deville aveva una villa di campagna non lontano da qui. Ci sono stata l’altro giorno. Ha un bel giardino e un grande salone da ballo, e so che anche lui ci dava spesso delle feste».

Saito posò la forchetta e si prese un momento per riflettere.

In fin dei conti, non era poi un’idea così malvagia. Invitando i nobili e i governatori delle province limitrofe, quelle non belligeranti e disposte al dialogo, si sarebbe dato loro un segnale di pacifica amicizia, che avrebbe permesso magari di stringere qualche alleanza.

Il ragazzo si girò verso Siesta, che stava ritirando i piatti ormai vuoti.

«Si può fare?»

«Credo di sì.» rispose lei «Ho visto anch’io il palazzo. Ha grandi cucine e molte stanze. L’ideale per cucinare per tante persone e ospitare gli invitati per la notte.»

«Inoltre, so che ha anche un muro di cinta, ed è facilmente difendibile.» disse Seena «Quindi, sarebbe anche sufficientemente sicura.»

«E tu Kaoru? Tu cosa ne dici?».

Il generale restò un momento in silenzio, quasi soprapensiero.

«Penso che di questi tempi, le amicizie sono un bene prezioso. Meglio averne quante più possibile.»

«Anche questo è vero.» disse Saito, che quindi sorrise e batté un momento le mani «D’accordo. Mi avete convinto. Daremo l’incarico ad Auguste di organizzare tutto. Sono certo che sarà perfetto.»

«Certo che sarà perfetto.» disse Louise baldanzosa «È stata una mia idea».

Quasi per un segno del destino, proprio in quel momento Auguste bussò alla porta.

«Chiedo scusa, signori. C’è un ospite che desidera incontrarvi.»

«Di chi si tratta?» chiese Louise

«Un tale signor Colbert

«Il professore è qui!?» disse Saito «Fatelo passare.»

«Subito, signore».

Il professore si presentò in sala da pranzo dopo qualche minuto; era sorridente come al solito, ma sembrava esserci un che di preoccupazione nel suo sguardo.

«Felice di rivedervi, ragazzi. A quanto vedo, vi siete sistemati bene.»

«È un piacere vederla qui, professore.» disse Louise.

Joanne, a differenza degli altri, guardò molto male il professore, che se ne accorse e distolse lo sguardo.

Anche lei, in quanto nuova seconda di Agnes, conosceva bene i trascorsi di quell’uomo, e sapeva di cosa fosse responsabile. A lei in particolare non aveva fatto nulla, ma essendo molto legata ad Agnes, e per il suo carattere votato sinceramente alla vera giustizia, non aveva mai potuto mandare giù il fatto che quell’uomo non avesse mai pagato per il crimine commesso.

In linea teorica c’erano addirittura gli estremi per la forca, ma ogni volta che Joanne aveva provato ad avviare un’indagine era stata ostacolata, incredibile a dirsi, proprio da Agnes, che nel tempo sembrava essersi lasciata alle spalle ogni sentimento di vendetta nei confronti di quell’uomo.

Inoltre, a ben pensarci, non c’era niente che potesse essere usato contro di lui; tutte le prove del suo coinvolgimento nel caso di Dungletale erano andate in fumo nella biblioteca dell’accademia o erano coperte da segreto di stato, e comunque si trattava di un caso vecchio di vent’anni, al quale non importava più niente a nessuno e che nessuno aveva interesse di andare a rivangare.

«La prego, professore. Si accomodi.» disse Saito indicandogli uno scranno «Il cibo è ottimo.»

«Ti ringrazio, ma sono qui in missione.» tagliò corto il professore, che poi si fece improvvisamente molto più serio

«Che è successo?» chiese allora Louise

«Mi manda il direttore Osmund. Chiede di vedervi con la massima urgenza.»

«Perché? Che è accaduto?» domandò Saito

«Ormai è chiaro che il Paese è in piena guerra civile. Credevamo di poter tenere l’accademia al riparo da tutto questo, ma la verità è che al momento nessuno è al sicuro.

Non chiedetemi di cosa voglia parlarvi nello specifico, perché non saprei rispondervi».

Saito e Louise si guardarono tra di loro, poi entrambi si alzarono dai loro scranni.

«D’accordo, partiamo subito.» disse Saito

«Mi fa piacere.» rispose il professore tornando a sorridere «Ho già preso accordi con Lord Venceny, della provincia di Surbein. Ci lascerà passare dalle sue terre senza problemi.»

«Faccio preparare subito una scorta.» disse Joanne

«Non sarà necessario.» rispose calma Louise «Lord Venceny è nostro amico, e il suo è l’unico feudo che dobbiamo attraversare per arrivare all’accademia. Non ci saranno problemi.»

«Però…»

«E comunque.» disse Saito «È opportuno che qualcuno resti qui per garantire la sicurezza e amministrare la provincia».

Alla fine, Joanne si arrese.

Mezz’ora dopo, Saito e Louise avevano fatto preparare il loro calesse ed erano pronti a partire; il professor Colbert li aveva raggiunti a cavallo, ma dietro insistenza dei suoi studenti preferiti accettò di salire in carrozza assieme a loro.

«Posso venire anch’io?» domandò Kiluka «Ho sempre sognato di visitare l’accademia.»

«È pericoloso per te uscire dal castello.» rispose dolcemente ma fermamente Louise «E comunque, non temere. Ci andrai presto. Appena questa guerra sarà finita.»

«Sempre ammesso che finisca.» mugolò Kaoru tra sé a voce bassissima.

A quel punto, Saito e Louise salirono in carrozza.

«Lascio tutto nelle vostre mani.» disse Saito a Joanne e Kaoru «Noi saremo di ritorno al massimo per domani pomeriggio.»

«Contate su di noi, mio signore.» rispose rispettosamente Joanne.

La carrozza dopo poco partì, ma Joanne e Kaoru non fecero neanche a tempo a rientrare nel palazzo che un soldato a cavallo li raggiunge tutto trafelato.

«Capitano!» disse a Joanne «La guardia cittadina è scesa in sciopero.»

«Che significa!? Il loro aiuto è indispensabile!»

«Dicono di non aver ricevuto il loro ultimo stipendio, e così hanno iniziato una protesta. Stanno cercando di convincere anche i soldati di forza sulle mura ad aderire.»

«Quella massa di stupidi. Eppure gliel’avevo spiegato che questo mese le paghe sarebbero arrivate in ritardo. Come se i nostri forzieri traboccassero in questo periodo».

Di solito in casi simili si ricorreva alla forza, ma Joanne decise che non era il caso di esasperare ulteriormente gli animi; chiamò un servo e si fece portare il proprio cavallo, e subito dopo due compagne la raggiunsero per farle da scorta.

«Io vado in città.» disse a Kaoru «Cercherò di far ragionare quegli esagitati. Pensa tu al castello per un po’.»

«D’accordo». Tagliò corto lui.

Anche Joanne a quel punto se ne andò, e Kaoru si ritrovò da solo. La giornata andava sempre meglio. Rimasto solo, il ragazzo volle spendere un po’ di tempo in biblioteca a leggere.

Erano giorni che gli impegni ufficiali lo tenevano occupato, e ora che la situazione sembrava abbastanza tranquilla voleva approfittarne.

Invece, proprio quando era riuscito a rilassarsi del tutto, un soldato si presentò in biblioteca.

«Mi perdoni, generale.»

«Che c’è?»

«Abbiamo appena ricevuto un messaggio da uno degli esploratori. Pare che Maschera di Ferro sia stato trovato».

Nel sentire quel nome, il ragazzo scattò in piedi.

«Dici sul serio!? E dove si trova?»

«Pare che sia stato visto aggirarsi tra le macerie del vecchio villaggio di Dungletale, a est di qui».

Senza perdere altro tempo Kaoru corse alle scuderie e montò in groppa al suo cavallo.

«Avvisa Joanne, e digli dove sto andando.» disse al soldato che lo aveva avvisato e che gli era andato dietro «Che mi raggiunga appena possibile. E avvisate anche il lord di quella provincia che transiterò dalle sue terre.»

«Sarà fatto, generale».

Siesta, intenta in quel momento a stendere il bucato, vide Kaoru correre via dal castello attraverso il ponte mobile come se avesse avuto un mostro alle calcagna.

«Kaoru…» disse.

Non sapeva perché, ma avvertiva una strana sensazione, accompagnata da un senso di minaccia incombente.

 

Durante il viaggio verso la scuola, l’argomento principale della discussione fu ovviamente l’attentato in cui era morta la principessa Henrietta, visto anche che il professor Colbert era appena tornato dalla Gallia dove aveva condotto una approfondita indagine per ordine di sua maestà la regina madre.

«Allora?» domandò ad un certo punto Saito, proprio mentre lasciavano il feudo di Surbein per entrare in quello amministrato dall’accademia «Ha scoperto qualcosa sull’attentato all’Ostland

«Non molto, purtroppo.» rispose Colbert a capo chino «Tutto quello che siamo riusciti a scoprire per ora è che ci sono state due distinte esplosioni.

La prima è avvenuta sul ponte, e in base alle testimonianze di chi ha assistito all’incidente non è stata particolarmente forte, infatti pare che la nave abbia continuato a navigare ancora per un po’; tuttavia deve aver dato fuoco a molto materiale infiammabile, e in poco tempo le fiamme devono aver raggiunto alcuni barili di polvere da sparo che si trovavano nella stiva.»

«Ma non ha senso.» disse Louise

«Infatti. L’Ostland non è stata concepita come una nave da guerra, e anche in base ai registri non risulta essere stata imbarcata polvere da sparo.»

«Questo avvalora l’ipotesi dell’attentato.» disse Saito

«Infatti. E c’è un’altra cosa che mi lascia perplesso.»

«Che cosa!?»

«Tra le macerie abbiamo ritrovato dei resti di armature che non appartengono al nostro esercito. Per essere sincero, non avevo mai visto niente dal genere. Avevano una forma e un disegno completamente sconosciuti.»

«Forse erano degli attentatori.»

«Probabile. E se così fosse, vuol dire che sono rimasti uccisi dal loro stesso attentato.»

«E della principessa ha qualche notizia?» domandò Louise preoccupata

«Abbiamo identificato alcuni corpi, quelli conservatisi meglio, ma per ora ne abbiamo trovati solo di maschili.»

«Quindi, forse la principessa è sopravvissuta!»

«Non saprei. Purtroppo, non siamo stati in grado di stabilire se e quante scialuppe manchino ancora all’appello. Tabitha ha ordinato delle ricerche al tappeto in tutta la regione. Se la principessa è viva, la troveranno di sicuro».

In quella, il calesse giunse alfine in vista della scuola di magia.

Vedendola, Saito e Louise quasi si commossero; quanto tempo era passato dall’ultima volta che ci avevano messo piede.

Sembrava solo ieri, quando Louise aveva partecipato alla consegna dei diplomi ottenendo la certificazione di maga alla presenza delle più alte cariche e della stessa principessa Henrietta.

Quando varcarono il cancello, però, si resero subito conto di quanto la situazione fosse diversa rispetto a un tempo; gli studenti e gli insegnanti erano stati rimpiazzati dai soldati, e l’atmosfera gioiosa di un tempo era del tutto scomparsa.

Come raggiunsero l’ingresso venne loro incontro un inserviente.

«Le mie scuse, signori.» disse «Il direttore in questo momento è impegnato in un’altra discussione. Vi riceverà il prima possibile.»

«Non fa niente.» disse Saito, che poi si rivolse a Louise «Che ne dici? Andiamo a fare un giro?»

«Sì.» rispose lei quasi con esitazione.

Inevitabilmente, il primo ed unico posto dove tornarono fu quella stanza letto dove avevano passato la maggior parte del loro tempo, e dove erano accadute tante di quelle cose da non poterne tenere il conto; sui muri, sul soffitto e sul pavimento erano ancora visibili i segni delle esplosioni che Louise aveva rifilato al suo stupido cane per ogni sgarro commesso.

«Quanti ricordi.» disse Saito poggiando la mano sul tavolo.

Il suo sguardo cadde poi su quell’angolino ai piedi del letto dove, all’inizio, si trovava la sua “cuccia”, e che la sua schiena non aveva ancora dimenticato.

Era un’atmosfera troppo malinconica ed onirica perché i due ragazzi non riuscissero a non ripensare a tutte le prove affrontate, a tutto il tempo trascorso, e all’illusione che ciò che stavano vivendo non fosse altro che un sogno, un incubo dal quale si sarebbero presto risvegliati, trovandosi immersi nel solito, amorevole abbraccio in quel letto soffice.

Si guardarono, stringendosi l’un l’altra.

«Saito…»

«Louise…».

Stavano quasi per baciarsi, quando il solito inserviente spalancò la porta, cogliendoli quasi sul fatto.

«Il direttore può ricevervi adesso.»

«D’accordo, arriviamo.» rispose Saito cercando di darsi un contegno.

Poco dopo, il direttore Osmund accolse i due ragazzi nel proprio ufficio.

«Benvenuti, ragazzi miei.» disse invitandoli ad accomodarsi

«È un piacere rivederla, direttore.» disse Louise

«Mai quanto per me. Ho saputo che avete avuto parecchie grane di recente.»

«Beh, sì.» rispose Saito «Abbastanza».

Osmund guardò in basso preoccupato.

«Credetemi. Non avrei voluto coinvolgervi in tutta questa faccenda. L’ultima cosa che voglio è dare problemi ai miei studenti.

Ma questa, purtroppo, è una situazione davvero difficile.»

«Ne siamo consapevoli.» disse Louise «Dica pure.»

«Ciò che più mi preoccupa, in questo momento, è Laguiole. Ogni giorno che passa, il duca Valat diventa sempre più forte, e molte delle province limitrofe sono già cadute sotto il suo controllo.

Ho saputo che state anche offrendo asilo alla duchessa Kiluka, e che per questo avete anche subito un attacco.»

«Non dipende dalla duchessa.» tagliò corto Saito «Anche se lei non ci fosse, ci avrebbero attaccati comunque. Come ha puntualizzato lei, Valat aspira solo e unicamente a ottenere il controllo della nazione.»

«È così. Come anche molti altri nobili di tutto il Paese. Nel sud, ad esempio, Lord Santin sta assoggettando una provincia dopo l’altra, e molti altri governatori per paura gli hanno già giurato obbedienza.

Io ho sperato fino all’ultimo di tenere l’accademia lontana da tutto questo, ma al punto in cui siamo temo sia ormai impossibile. Per questo ho voluto rivolgermi a voi.»

«Che cosa vuole che facciamo?» domandò Louise

«Sia inteso, non posso chiedere un’alleanza né altro. L’accademia deve restare il più possibile al di fuori di qualsiasi questione politica. Quello che vi propongo è un tacito accordo di reciproco supporto.

Tutto quello che vi chiedo è di darmi una mano se un domani qualcuno tentasse di profanare l’inviolabilità di questa scuola.»

«Perché lo sta chiedendo a noi?» chiese Saito

«Molti degli studenti più facoltosi provengono da province distanti e periferiche, mentre molti altri hanno dei genitori dei quali ho sempre diffidato. Non mi sentirei tranquillo ad affidare l’incolumità di questa scuola a gente del genere.

Voi d’altra parte risiedete qui vicino, e non c’è nessuno di cui mi fidi più di voi.

So bene che è una cosa riprovevole, ma vi prego di comprendere che agisco solo nel bene di questa scuola».

Louise e Saito si guardarono e sorrisero.

«Direttore, non c’era neanche bisogno che chiedesse.» disse Saito «Così come cerchiamo di proteggere Tristain dai suoi stessi governanti corrotti, e ovvio che proteggeremo anche quest’accademia.»

«Dunque, voi…» disse Osmund ad occhi sbarrati

«Può contare sul nostro aiuto.» disse Louise

«Vi ringrazio, ragazzi. Avete già fatto tanto per noi, e ora fate anche questo. L’accademia avrà un debito eterno nei vostri riguardi.»

«Non lo dica neanche per scherzo.» disse Saito «Anche a noi sta molto a cuore la sorte di questo posto.»

«Molto bene. Allora, in questo caso, permettetemi di offrirvi una cena come si deve. Non posso garantirvi i livelli di una volta, ma anche il nostro nuovo cuoco si difende bene».

 

Il vecchio villaggio di Dungletale si trovava nel feudo di Surbein, lo stesso che Louise e Saito avevano attraversato per andare all’accademia, ma un po’ fuorimano rispetto alle strade più frequentate.

Kaoru ci arrivò a metà pomeriggio, quando il sole aveva ormai cominciato a scendere sotto l’orizzonte. Il ragazzo sapeva già cosa fosse successo in passato in quel luogo, ci aveva letto alcuni libri, ma trovandosi di fronte quel macabro spettacolo un brivido lo attraversò in tutto il corpo.

Del vecchio agglomerato urbano non restavano ormai che cumoli di macerie annerite dal fumo e dalle fiamme, immersi in una bassa vallata; tutti gli edifici erano crollati, qualcuno del tutto qualcuno solo in parte, e il muschio e la boscaglia si erano ormai impadroniti dei ruderi, mentre sul terreno ancora si vedevano della cenere e della fuliggine, a riprova di quanto quell’incendio fosse stato spaventoso.

Kaoru provò subito una sensazione strana ed opprimente come mise piede nel villaggio; anche il suo cavallo sembrava nervoso, tanto che dovette abbandonarlo in periferia legandolo ad un albero per poi proseguire a piedi.

Regnava un silenzio spettrale e raggelante. L’unico rumore che si sentiva era il gracchiare dei corvi; probabilmente si erano ingozzati per così tanto tempo dei corpi carbonizzati degli abitanti che quel posto aveva lasciato loro un così bel ricordo da spingerli a tornarci di continuo, nella speranza una nuova abbuffata.

«Mio Dio.» disse aggirandosi tra i ruderi «Che uomo è uno che ha potuto fare una cosa simile?»

«Credimi, amico mio.» disse Derf, che invece conosceva la vera storia «A volte la verità è molto più complessa di quanto possa apparire.»

«Io di vero vedo solo quest’orrore».

Kaoru sentiva di aver sempre convissuto con la dura realtà della guerra, ma una cosa del genere era troppo perfino per lui. Sembrava quasi di sentire ancora le grida, i pianti, i lamenti, e l’insopportabile odore del fumo e della carne bruciata.

Quale scopo poteva giustificare un massacro del genere? Persino chiamarlo il Massacro di Dungletale sembrava riduttivo.

Improvvisamente, sentì un rumore, ricordandosi di colpo il motivo per il quale era venuto fin lì, e sguainata la spada si appiattì contro un muro, gettando uno sguardo dall’altra parte.

Maschera di Ferro era lì, proprio come gli era stato detto, seduto in terra con la schiena appoggiata quanto restava di un muro angolare, le gambe inarcate e le braccia buttate sulle ginocchia.

Sembrava quasi che dormisse, o che fosse soprapensiero.

Accanto a lui c’era un cavallo, nero come il carbone, il suo senza dubbio, che brucava la poca erba presente in quella distesa di fuliggine e cenere.

Perché Maschera di Ferro usava come covo un posto simile?

Che fosse un abitante scampato al massacro di venti anni prima? Poteva essere, e così si spiegava anche il motivo per il quale si accaniva contro i nobili.

Kaoru si perse a tal punto a fare congetture dal dimenticare di prestare attenzione a ciò che gli accadeva intorno; il muro al quale era appoggiato non era molto solido, piegato com’era dal tempo e dalla muffa, e quando non fu più in grado di sopportare il suo peso inevitabilmente crollò. Lui riuscì ad evitare di cadere, ma il suo nascondiglio scomparve d’un tratto, per non parlare del baccano assordante che fece scattare sull’attenti Maschera di Ferro.

I due avversari si ritrovarono così, per l’ennesima volta, l’uno di fronte all’altro, ma stavolta era Kaoru il primo a voler combattere. A prescindere dal fatto che potesse avere o meno qualcosa a che fare con la sua amnesia e la sua vera identità, e che avesse aiutato loro o Kiluka, Maschera di Ferro aveva pur sempre tentato di fare del male a Saito, Louise e Siesta, oltre che a lui personalmente, e quindi andava fermato.

Entrambi sguainarono le spade, e come il silenzio tutto attorno venne rotto dal rumore di un sasso che cadeva a terra corsero l’uno contro l’altro prendendo a duellare.

Come sempre Maschera di Ferro si rivelò un combattente eccezionale, tanto che Kaoru si trovò più volte messo in difficoltà; c’era poi anche il fatto che Kaoru non voleva uccidere il suo nemico, perché altrimenti addio risposte, mente al contrario Maschera di Ferro non sembrava volersi porre alcun limite.

Ma non era solo per quello.

Da quando aveva messo piede tra le macerie di Dungletale Kaoru aveva iniziato ad avvertire uno strano malessere, come una specie di formicolio accompagnato da un fischio nelle orecchie, e più il tempo passava più quella sensazione si faceva forte, al punto che gli pareva quasi di avvertire delle voci nella propria testa.

Inevitabilmente, Maschera di Ferro si portò ben presto in netto vantaggio, ma Kaoru non voleva saperne di arrendersi e continuava a combattere cercando di ignorare il fastidio, che stava diventando vero e proprio dolore.

Con la forza della disperazione Kaoru riuscì a tenere testa al suo nemico, e ad un certo punto, sfruttando una sua distrazione, persino a portarsi in vantaggio.

Poi, accadde una cosa incredibile.

Tentando di portare un fendente, Maschera di Ferro si sbilanciò eccessivamente in avanti, Kaoru schivò e rispose con un affondo alla spalla. Il nemico se ne avvide in tempo e riuscì a schivare, ma la punta della lama recise uno dei cordoncini della maschera.

Maschera di Ferro si allontanò spiccando un salto, e dando prova una volta di più delle sue abilità fuori dal comune, ma quando tornò a terra la maschera si staccò mettendone a nudo i lineamenti; subito si coprì il volto con una mano, ma nonostante ciò Kaoru riuscì comunque a riconoscerlo, restando letteralmente di sasso. Non aveva mai visto quella faccia prima d’ora, ma sapeva chi fosse.

«Tu… tu sei…» balbettò sconvolto

«Non ci credo.» disse Derf.

Improvvisamente, Maschera di Ferro sembrò perdere la testa. Lanciato un urlo di rabbia alzò la spada, che fu circondata da una specie di piccolo tornado che poi venne lanciato violentemente contro Kaoru, raddoppiando la propria potenza.

Kaoru riuscì ad evitare di essere spazzato via, ma gli finì parecchia cenere negl’occhi che lo accecò temporaneamente, e quando fu in grado di vedere di nuovo Maschera di Ferro, col volto nuovamente celato, era di nuovo in sella al suo cavallo e si era già dato alla fuga.

«Aspetta!» tentò di dire, ma fu inutile.

Rimasto solo, il ragazzo cadde sulle ginocchia.

«Compare, và tutto bene?».

In realtà non andava affatto bene. Quella sensazione si era ormai fatta autentico dolore, e ora che i suoi pensieri non erano più rivolti al combattimento Kaoru lo sentiva in tutta la sua violenta portata.

Strinse i denti, cercando di soffocare le grida.

Quel fischio era talmente insopportabile che avrebbe voluto strapparsi le orecchie, e la sua testa minacciava di scoppiare; gli sembrava di sentire delle voci all’interno di quel suono, voci indistinguibili e spaventose, che facevano gelare il sangue.

Anche l’atmosfera tutto intorno, tornato il silenzio, sembrava essersi fatta improvvisamente molto più spaventosa; i muri e le macerie sembravano tremare, e pareva quasi di vedere delle ombre scure muoversi in tutte le direzioni, scomparendo e riapparendo in continuazione.

«Che cos’è?» disse «Basta… Basta… Smettetela… Non ce la faccio più… Basta!».

Kaoru lanciò un urlo terrificante, tenendosi la testa con tale forza da dare l’idea che volesse staccarsela; i suoi occhi si erano fatti bianchi come quelli di un morto.

«Compare?» gridò Derf spaventato «Che ti succede? Compare?».

D’un tratto Derf ebbe come la sensazione di venire risucchiato via, come una presenza minacciosa sembrasse volerlo trascinare a fondo perché non potesse comunicare col ragazzo.

A terra, poco lontano, c’era un uccellino, rimasto rintronato a causa del vortice prodotto da Maschera di Ferro ma in procinto di riprendersi. Agitandosi e dimenandosi come un pazzo, Kaoru lo toccò, permettendo a Derf di entrarci e di spiccare il volo per correre in cerca di aiuto.

Kaoru, rimasto da solo, continuò a dimenarsi e ad urlare per quasi un minuto, per poi crollare apparentemente svenuto tra le macerie.

Qualche ora dopo, Joanne, alla guida di un manipolo di moschettiere, arrivò al villaggio di Dungletale, ma di Kaoru trovò soltanto il suo cavallo, legato ad un albero e apparentemente terrorizzato.

«Deve essere ancora qua attorno.» disse la giovane «Cercatelo!»

 

Verso mezzanotte notte, mentre quasi tutti dormivano, un’ombra nera prese ad aggirarsi come uno spettro per i corridoi della scuola, talmente silenzioso e sfuggente da essere passata inosservata a tutte le guardie e i soldati.

Camminava lentamente, quasi scivolando sul pavimento, con una postura leggermente ondeggiante.

Nello stesso momento, il professor Colbert era nel suo ufficio, e stava finendo di redigere il rapporto sull’indagine all’Ostland che l’indomani avrebbe portato personalmente al palazzo reale.

Da quando era stato nominato vicepreside aveva ottenuto un proprio studio, proprio vicino a quello del direttore Osmund, quello dove si trovava in quel momento, anche se ogni tanto gli piaceva tornare al suo vecchio seminterrato per dedicarsi ai suoi studi e alla sua alchimia.

In particolare, passava molto del suo tempo a studiare e analizzare alcuni oggetti che Saito gli aveva portato dal suo mondo, oggetti affascinanti e straordinari che funzionavano grazie ad un cosa che Saito aveva sempre chiamato elettricità, una specie di versione scientifica della magia, che tutti potevano usare.

Era anche per questo che il mondo di Saito lo affascinava tanto; perché non c’erano distinzioni, e perché tutti potevano imparare a usare e sfruttare qualsiasi cosa semplicemente con lo studio e l’esperienza. Il tipo di mondo che aveva sempre sognato.

Ad un certo punto, stanco e provato, si fermò un momento, dandosi una stiracchiata e strofinandosi un momento gli occhi, affaticati dal dover scrivere alla luce di poche candele.

Stava per rimettersi al lavoro quando udì la porta aprirsi, ed alzato lo sguardo vide Kaoru in piedi davanti all’uscio.

«Ah, Kaoru-kun.» disse alzandosi «Che cosa ci fai qui? Credevo fossi rimasto al castello».

Sorridendo come al suo solito si alzò, avvicinandosi a lui; quel ragazzo era sempre stato un tipo introverso, ma ora era anche più silenzioso del solito. Teneva perfino lo sguardo basso, quasi avesse paura.

«C’è qualcosa che non và?» chiese ancora il professore «Posso aiutarti?».

All’improvviso si udì un rumore, come un colpo secco, e il sorriso sul volto di Colbert si tramutò in una smorfia sofferente. Attonito, guardò in basso, scorgendo il pugnale del comando simbolo del comandante dell’esercito di Grasse piantato nel suo fianco fin quasi all’impugnatura.

«Ka… Kaoru… che cosa…».

A quel punto, il ragazzo alzò leggermente la testa, e Colbert rimase sconvolto da ciò che vide: i suoi occhi blu erano diventati rosso sangue, come rosse si erano fatte d’un tratto anche le rune sulla sua mano. Anche la sua espressione si era fatta piatta, priva di emozioni.

Il professore si guardò nuovamente la ferita, e come Kaoru ritrasse il pugnale riuscì a malapena a fare qualche passo indietro prima di cadere in ginocchio tenendosi il fianco.

Era dunque giunto il suo momento? La morte giustiziera alla quale già una volta era ingiustamente scappato, era infine venuta ad esigere il suo tributo?

 

 

Nota dell’Autore

Eccomi qua!^_^

Scusate l’aggiornamento flash, ma avevo troppa voglia di scrivere questo capitolo, e probabilmente “qualcuno” immagina anche il perché, e così mi ci sono messo per un giorno intero senza sosta riuscendo a finirlo rapidamente.

Che dire, questo era uno dei capitoli angolari, come chiamo quelli che creo nella mia mente fin da quando inizio a progettare la storia, e attorno ai quali poi creo poco per volta tutto il resto.

Per giovedì dovrei poter aggiornare ancora, ma non datelo per scontato.

Grazie come sempre ai miei recensori seldolce e shawnfrost.

A presto!^_^

Carlos Olivera

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Capitolo 17
*** 15 ***


15

 

 

Saito e Louise avevano ottenuto di poter passare la notte nella loro vecchia camera da letto.

Erano andati a dormire piuttosto presto, perché il giorno dopo volevano fare ritorno molto presto a Grasse per organizzare la festa campestre.

Durante la cena avevano parlato della loro idea anche al direttore, che l’aveva considerata una gran bella iniziativa per stringere amicizie importanti e aveva assicurato la presenza propria e del professor Colbert.

Era stata anche scelta la data, due domeniche avanti quel giorno, un tempo più che sufficiente per allestire ogni cosa.

Avrebbero voluto fare qualcosa di “speciale”, per celebrare quella circostanza così particolare, ma erano così stanchi per il lungo viaggio che avevano finito per addormentarsi quasi subito.

Avevano lasciato la finestra aperta, visto che il caldo di fine estate non accennava a diminuire, e fu da quella finestra che all’improvviso entrò un piccolo passero, che subito prese a cinguettare a tutto spiano girando attorno al letto senza come una scheggia impazzita.

«Che succede?» domandò Saito svegliandosi.

Louise tentò dapprima di coprirsi la testa con il cuscino, ma poi si accorse anche lei che quel passero si comportava in modo strano.

Come la prima volta Derf non fu in grado di farsi capire, ma prendendo a volare sopra la spada di Saito che il ragazzo aveva lasciata appoggiata ad una sedia riuscì finalmente a far capire chi fosse.

«Derf, che ci fai qui?» disse Saito tirandosi su dal letto «È successo qualcosa di grave».

Derf temeva di sì.

Voleva tanto sbagliarsi, ma per qualche motivo aveva una tremenda sensazione; proprio per quel motivo aveva voluto volare fino alla scuola, piuttosto che verso il castello di Grasse. Perché temeva che fosse proprio lì che il suo compare si trovasse. Era come se, ogni volta che erano separati, un filo energetico gli permettesse di capire in ogni istante dove si trovasse Kaoru.

Derf volò verso la porta, per far capire di voler uscire, e i due ragazzi, messisi qualcosa addosso, la spalancarono, prendendo a seguirlo. Seguendo quella specie di richiamo Derf li condusse nella torre principale, poi su per le scale,  fino alla porta aperta dello studio di Colbert.

Quando entrarono, ciò che videro li paralizzò dalla paura.

Il professore era in ginocchio, la mano sinistra sul fianco a stringere con forza una gran brutta ferita, l’espressione dolorante e contratta e i denti stretti; davanti a lui, di spalle, Kaoru, con in mano il suo pugnale coperto di sangue.

«Kaoru, che stai facendo?» gridò Saito

«Non avvicinatevi!» gridò il professore.

Saito però cercò subito di correre incontro a Kaoru, per capire cosa gli stesse succedendo, ma il ragazzo si voltò e lo colpì violentemente con un ceffone che lo buttò a terra.

Il professore capì che, in quelle condizioni, Kaoru sarebbe stato capace di attaccare chiunque, e visto che il suo obiettivo era proprio lui decise di provare a portarlo altrove, per evitare che ferisse qualcun altro.

Raccolto il suo bastone magico, Colbert si gettò contro la finestra e si gettò di sotto fracassando il vetro, usando successivamente la propria magia per atterrare incolume nel giardino; le guardie ed i soldati di ronda erano stati tutti stesi, e alcuni erano anche feriti.

Colbert cauterizzò sommariamente la propria ferita, poi cercò di prestare soccorso ad alcuni di loro.

Intanto, Kaoru sembrò abboccare all’esca; lasciati perdere Louise e Saito, infatti, saltò anche lui giù dalla finestra, scivolando placidamente ed elegantemente nell’aria come un bravo stregone avrebbe saputo fare.

Il problema era che lui non era uno stregone, e Colbert, che credeva di avere a disposizione qualche minuto, osservò la scena impietrito.

«Ma che sta succedendo!?» esclamò

«Presto, dobbiamo raggiungerlo!» disse Saito correndo fuori dall’ufficio

«Sì.» rispose Louise ancora molto scossa.

Nel giardino, il professore tentò di nuovo di portare Kaoru dove non potesse ferire nessun altro, ma stavolta il giovane fu molto più rapido di lui e gli fu addosso, sguainando la spada e menando un fendente con la chiara intenzione di uccidere.

C’era qualcosa di molto strano nei suoi movimenti; erano sì aggraziati e precisi, ma sembravano stranamente meccanici, come di chi non riesce a controllare del tutto i propri movimenti, o è mosso da una volontà altrui.

Colbert ne dedusse subito che Kaoru doveva essere sotto l’effetto di una qualche ipnosi, quindi prima di morire doveva fare qualcosa per liberarlo.

Non avrebbe mai voluto fare nuovamente ricorso alla sua magia offensiva; dopo lo scontro con Menbil che gli era quasi costato la vita, aveva promesso a sé stesso di non usare mai più la magia come un’arma. Ma ancora una volta, come già accaduto con Agnes, c’era di mezzo la vita di qualcun altro, qualcuno che non aveva colpa, e che doveva essere salvato.

«Non ho altra scelta.» disse impugnando il bastone.

Nel mentre, anche Saito e Louise erano arrivati in giardino.

«Kaoru, smettila!» continuava ad urlare Saito tentando di far ragionare l’amico.

Sfortunatamente, Colbert aveva bisogno di tempo per creare un attacco di fuoco forte abbastanza da essere efficace e sufficientemente moderato da non risultare letale, e a differenza di quel sadico di Menbil Kaoru, per quanto ipnotizzato, tutto era meno che uno sprovveduto.

Quasi accortosi di quello che l’avversario aveva in mente, gli corse incontro a spada tratta, talmente veloce che il professore quasi non lo vide arrivare. Tutto quello che poté fare fu creare uno scudo, che si sollevò appena in tempo per salvarlo dal fendente del ragazzo; l’urto fu molto violento, generando anche un’onda rovente che avrebbe costretto chiunque se non altro ad esitare.

Invece, Kaoru continuò ad insistere, riuscendo infine ad incrinare la barriera, che implose violentemente scaricando la sua energia su Colbert, il quale volò via come un fuscello rotolando a lungo sull’erba.

A quel punto Saito non ci vide più, e mise mano alla spada.

«Adesso basta, Kaoru!» urlò andandogli contro

«Saito!» gridò Louise.

Il suo intento non era uccidere, ma semplicemente cercare di calmare l’amico per capire cosa gli fosse preso. Purtroppo, non aveva fatto i conti con l’abisso che c’era tra loro in fatto di abilità; Kaoru si volse, schivò un paio di colpi e poi afferrò Saito per il collo, stringendolo con la forza di una morsa e sollevandolo di peso da terra.

Fu solo a quel punto che Saito, lottando per cercare di liberarsi, si accorse dell’espressione negli occhi dell’amico, fattisi color sangue; gli parve perfino di scorgervi dentro qualcosa, come un mare di facce urlanti che lo terrorizzarono a morte, ma doveva pur sempre cercare di liberarsi, perché altrimenti era sicuro che Kaoru lo avrebbe strangolato.

Non avrebbe mai voluto fare una cosa del genere, ma usando le poche forze che gli restavano sollevò la spada e la piantò di qualche centimetro nella gamba di Kaoru; il ragazzo esitò, allentando la presa quel tanto da permettere a Saito di liberarsi, ma il giovane Hiraga non era neanche tornato del tutto a terra che un calcio spaventoso lo scagliò via, lasciandolo a terra semisvenuto.

«Saito!» urlò Louise.

Per fortuna, l’iniziativa di Saito aveva dato al professore il tempo di preparare il proprio incantesimo, che ora era pronto ad essere lanciato. Colbert alzò il suo bastone, circondato da un alone azzurrognolo.

 

DIRK NATUARPH!

 

Subito, un mare di fiamme circondò Kaoru, che non poté fare niente per difendersi. Erano fiamme speciali; il loro effetti in termini di danni fisici era piuttosto irrisorio, ma avevano il potere di danneggiare chi controllava la mente di qualcun altro tramite il legame che questi instaurava con la sua vittima.

Chiunque stesse controllando Kaoru, non avrebbe potuto resistere ad un simile colpo alla propria forza vitale, e avrebbe dovuto per forza di cose cessare il controllo per non impazzire.

Kaoru non urlò né diede segno di subire in alcun modo l’attacco del professore, e quando le fiamme si spensero era ancora lì, la gambe piantate a terra e lo sguardo basso; i suoi abiti ed il suo corpo fumavano, ma non c’era segno di ustioni o altro.

A quel punto, e dopo aver speso tutte quelle energie per l’incantesimo, Colbert sentì nuovamente gli effetti della ferita, e cadde nuovamente in ginocchio tenendosi il fianco.

«Professore!» disse Louise correndo da lui.

Saito invece, con molta circospezione, prese ad avvicinarsi a Kaoru, che continuava a restare immobile e in silenzio come una statua.

«Fermo, aspetta!» gridò all’improvviso Colbert «Sta lontano da lui!»

«Perché, che succede?».

Il problema era che Kaoru, se fosse stato davvero liberato dall’influenza di chi lo controllava, sarebbe dovuto crollare a terra svenuto, invece era ancora apparentemente cosciente; probabilmente chi lo stava manovrando era stato indebolito, ma non sconfitto.

«Temo che la possessione non sia ancora stata spezzata» disse il direttore Osmund comparendo nel cortile da un momento all’altro «Ma adesso, forse, potremo scoprire di chi o cosa si tratta».

E infatti, d’improvviso, il corpo di Kaoru venne avvolto da un tenue alone color sangue, mentre strane voci presero a risuonare tutto intorno; sembravano provenire direttamente da dentro il ragazzo, ed erano così spaventose da far gelare il sangue nelle vene.

«Fa caldo – Ho paura – Brucia – Mamma – Aiuto».

Tutti sgranarono gli occhi, poi Kaoru lanciò un urlo, e il bagliore che lo circondava si tramutò in un gigantesco contorcersi di facce urlanti, volti demoniaci, mani e braccia sproporzionati, che si agitavano e si contorcevano emergendo dalla luce seguitando ad urlare e a lanciare i loro lamenti.

«Mio Dio!» esclamò Louise

«È spaventoso…» disse attonito Saito

«Questo…» balbettò Osmund «È un Sentimento Persistente!»

«E che cosa sarebbe?»

«Un Sentimento Persistente è un concentrato di emozioni ed energia che una persona lascia dietro di sé quando muore di morte violenta.» disse Louise

«Una specie di fantasma, quindi.»

«I sentimenti persistenti sopravvivono fino a quando l’energia che li ha generati non si esaurisce. Ma non ho mai sentito che potessero arrivare a possedere qualcuno».

Colbert era sconvolto, e guardava quella massa informe come lo spettro che era.

Ora tutto acquistava un senso.

Quello era senza dubbio il Sentimento Persistente degli antichi abitanti di Dungletale, gli stessi che lui aveva ucciso vent’anni prima, e che ora, brucianti di odio e rabbia, erano venuti a reclamare la loro vendetta.

Erano tutti talmente sconvolti che restarono immobili senza fare niente, fino a quando quelle facce vennero come risucchiate da un vortice e sparirono assieme all’alone luminoso; a quel punto, Kaoru riaprì gli occhi, nuovamente iniettati di sangue, e strinse forte l’impugnatura della spada.

«Che cosa possiamo fare per liberarlo?» domandò Saito

«Io… io non lo so.» rispose il professore con gli occhi ancora pietrificati.

Di nuovo, il ragazzo si scagliò contro Colbert, che venne difeso a spada tratta da Saito, che stavolta oppose una più fiera resistenza e riuscì anche a portare anche qualche buon affondo.

Ma fu tutto inutile, perché ben presto la bilancia tornò a pendere dalla parte opposta, e Kaoru minacciò di infliggere a Saito un colpo mortale; il ragazzo tentò di fermare un fendente dall’alto con la propria spada, ma Kaoru inflisse tanta di quella forza nel colpo che la lama di Saito si spaccò. Fortunatamente l’urto deviò la traiettoria dell’arma nemica, ma Saito ne uscì con una brutta ferita ad un braccio.

Vedendo il suo sposo cadere in ginocchio, inerme e indifeso, Louise non ci vide più.

«Kaoru, ora basta!» esclamò, e lanciò sul ragazzo l’incantesimo Explosion più potente che potesse permettersi, riuscendo nel contempo a circoscriverlo perché non danneggiasse anche Saito, che all’ultimo raccolse le sue poche forze per gettarsi all’indietro.

Passarono alcuni secondi, durante i quali vi fu il più totale ed agghiacciante silenzio, ma quando la polvere si posò Kaoru era ancora lì; i vestiti erano in parte la lacerati e aveva qualche ferita, ma era ancora sorprendentemente in piedi, e in grado di combattere.

«Non posso crederci.» disse Colbert «Un colpo del genere avrebbe abbattuto chiunque».

Purtroppo, l’attacco portato da Louise, e che le era costato quasi tutte le sue forze, ebbe l’ulteriore effetto di far dirottare su di lei l’attenzione di Kaoru, che assunta una posa minacciosa fece per correrle contro.

Il direttore Osmund però prese l’iniziativa, ed alzato il suo bastone generò una gabbia di vento tutto attorno al ragazzo per impedirgli di muoversi; nuovamente, Kaoru spostò la propria attenzione da un bersaglio all’altro, e liberatosi senza quasi nessuna fatica semplicemente agitando la spada volò letteralmente incontro al direttore e con una mano gli afferrò la faccia.

Osmund ebbe a malapena il tempo di sentire la stretta del ragazzo sulla sua pelle, che subito dopo si ritrovò come paralizzato; il bastone magico gli cadde dalle mani, e lui cominciò a sentirsi sempre più stanco ed impotente, come se la vita gli stesse venendo letteralmente risucchiata via.

Non… non riesco a muovermi.” pensò con gli occhi sbarrati “Allora… allora è vero. Non… non posso crederci. Se… se ne avessi le forze… riderei…».

Louise e Colbert, l’una affianco all’altro, assistevano impotenti, tanto provati ed esausti erano, e non capivano come mai il professore non cercasse in alcun modo di liberarsi da quella stretta all’apparenza così banale.

«Fermati, Kaoru!» urlò invece Saito tentando un ultimo, disperato attacco.

Colto di sorpresa, il ragazzo dovette lasciare la presa e allontanarsi; il direttore Osmund rantolò sull’erba esausto, tossendo con forza come se fosse stato sul punto di soffocare, e Saito si frappose tra lui e Kaoru.

«Direttore, sta bene?»

«No, Saito! Stagli lontano!»

«Che vuole dire!?».

Il direttore si morse la lingua; non voleva né poteva dire loro quello che ormai considerava una certezza, ma d’altra parte non poteva permettere ai suoi ragazzi di rischiare la vita.

Anche Colbert aveva capito, e voleva che la cosa finisse il prima possibile, prima che qualcuno si facesse male sul serio.

E poi, era lui la causa di quello che stava succedendo; lui aveva generato quel sentimento persistente traboccante di odio, e lui doveva esorcizzarlo.

«Miss Valliére.» disse ad un certo punto «Ha ancora la forza di usare la magia?»

«Che cosa vuole fare?» chiese lei preoccupata.

Colbert allora si alzò in piedi.

«Quando glielo dico, lanci l’incantesimo Dispel su Kaoru».

Intanto, Saito era stato nuovamente messo al tappeto, e stavolta Kaoru, raggiuntolo, aveva piantato la spada a terra e messo mano al pugnale. Il professore a quel punto si preparò; era giunto finalmente il momento di espiare i propri peccati e fare ammenda.

«Mi raccomando, abbiamo solo una possibilità!»

«Aspetti, che cosa vuole fare?».

A quel punto Colbert corse verso Kaoru gridando con tutta la sua voce; con un piccolo globo di fuoco catalizzò la sua attenzione, e prima che il ragazzo potesse fare qualcosa gli saltò addosso.

«Eccomi qua! Sono io colui che vi ha generato! Se è il mio sangue che volete, prendetevelo! Prendetevi la vostra vendetta, ma lasciate stare questi ragazzi! Il vostro nemico sono io!».

Detto questo, strinse forte la mano armata di Kaoru, rivolgendo il pugnale verso di sé e spingendo con forza in direzione del suo occhio destro; tutti assistettero impotenti alla vista del professor Colbert che, dopo essersi trafitto, lanciò un terrificante ed angosciante urlo di dolore, allontanando immediatamente la lama e portandosi entrambe le mani sul volto coperto di sangue.

«Professore!» esclamò Saito

«Professor Colbert!».

Di fronte a quella vista, le labbra di Kaoru si piegarono in un’espressione sgomenta, e una lacrima comparve nei suoi occhi insanguinati. Passarono pochi istanti, poi tutto attorno a lui tornò a comparire quell’alone sinistro, la manifestazione fisica del Sentimento Persistente.

«Miss Valliére, ora!».

Louise era ancora sconvolta da quello che aveva visto, ma raccolto tutto il proprio autocontrollo ed il proprio potere residuo lanciò l’incantesimo Dispel contro Kaoru; il ragazzo si ritrovò circondato da un nuovo bagliore, che rapidamente, mentre lui urlava dal dolore, si sostituì a quello color vermiglio, che di nuovo uscì violentemente fuori per poi dissolversi nel nulla.

A quel punto Kaoru, liberato dal Sentimento Persistente, cadde a terra svenuto, finalmente libero; era stanco e provato, ma stava bene.

«Sembra che ce l’abbiamo fatta.» disse il direttore.

Saito e Louise corsero immediatamente in soccorso del professor Colbert, ancora inginocchiato a terra con la mano sull’occhio che lui stesso si era trafitto e portato via per fare ammenda delle proprie colpe e spingere il Sentimento Persistente ad allentare la sua presa su Kaoru, permettendo a Louise di disperderlo.

«Dobbiamo trovare subito in medico!» disse Saito

«Direttore, c’è un mago dell’acqua?»

«Lasciate… lasciate stare.» rispose Colbert quasi sorridendo «Va bene così…»

«Ma, professore…»

«Per troppo tempo mi sono tenuto tutto dentro, illudendomi di poter cancellare quello che avevo fatto semplicemente cambiando vita. Questa ferita servirà a ricordarmi sempre la gravità del mio errore, e la vastità del mio peccato.

Ho generato io quel Sentimento Persistente, con la mia condotta scellerata, ed giusto che paghi per quello che ho fatto, se non con la morte almeno con un piccolo sacrificio.»

«Professore…» disse Louise.

Dopo poco, Kaoru riprese i sensi; era molto stanco e provato, nonché terribilmente scosso.

«Che… che cosa è successo?» disse strofinandosi la testa.

Accanto a lui c’era il direttore, che curò le sue ferite e lo aiutò a rimetterlo in piedi, ma che poi lo guardò in un modo terribilmente enigmatico, quasi minaccioso.

«Tranquillo, ragazzo. È tutto finito».

 

La mattina dopo, più presto di quanto preventivato, Louise e Saito si prepararono a fare rientro a Grasse.

Anche Kaoru era con loro, ed era già a bordo della carrozza, muto come un pesce e con l’espressione decisamente contrariata.

Non doveva essere facile per uno come lui accettare l’idea di essere stato manipolato come una specie di burattino, per non parlare del fatto che in quelle condizioni aveva finito per fare del male alle persone che teoricamente avrebbe dovuto proteggere.

«Dai, non fare quella faccia.» disse Saito dall’esterno della carrozza «Non hai niente di cui vergognarti.»

«Lasciatelo in pace.» disse il professor Colbert, venuto a salutare i due ragazzi all’ingresso della scuola.

Durante la notte il personale medico aveva curato la sua ferita, ed ora aveva due strati di bende a coprirgli l’occhio che ormai aveva perduto; ma nonostante ciò, sorrideva come sempre.

«È sicuro della sua scelta, professore?» chiese Louise

«Sicurissimo. Questa ferita sarà per me un monito costante a non commettere altri errori, e anche un modo per ricordarmi sempre cosa ho fatto.»

«Però…»

«Và bene così. State tranquilli.»

«Ancora non riesco a capire come sia stato possibile. Sapevo che i Sentimenti Persistenti possono manifestarsi attraverso gli esseri umani, però…»

«Non c’è niente di cui preoccuparsi.» rispose il direttore, guadagnandosi una occhiata perplessa da parte di Colbert «Probabilmente, il vostro amico è solo una persona molto sensibile. È già capitato che un sentimento persistente dalla grande forza arrivasse a possedere materialmente il proprio medium. Certo, il fatto che Kaoru non sia un mago è di per sé curioso, ma a parte questo non è poi un evento così sensazionale.»

«Allora.» disse Saito tentando di riportare il buonumore «Vi aspettiamo domenica prossima alla nostra festa campestre.»

«Ci saremo di sicuro.» rispose il direttore «Cibo e belle donne. Per quale motivo non dovrei esserci?».

Tutti risero alla battuta, e dopo poco i ragazzi se ne andarono.

Come furono rimasti soli, e mentre osservavano la carrozza che si allontanava, il direttore e Colbert smisero subito di sorridere, facendosi al contrario terribilmente cupi.

«Alla fine, non glielo ha detto.» disse il professore

«È naturale. Come potevo dire loro una cosa nella quale persino io mi rifiuto di credere?».

Nel frattempo, mentre viaggiavano verso casa, Kaoru e Louise cercarono di farsi raccontare da Kaoru cosa fosse successo, ma li attendeva una brutta sorpresa.

«Davvero non ricordi niente?» disse Saito

«È così. Tutto quello che mi ricordo è che sono andato a Dungletale perché laggiù era stata avvistata la Maschera di Ferro. So per certo che l’ho trovato, e che ci siamo anche battuti, ma di quello che è successo in quel villaggio non ricordo quasi nulla.»

«E tu Derf?» chiese Louise

«Idem come sopra. Come vi ho già spiegato, io e il mio compare siamo legati da una sorta di coscienza comune. Di conseguenza, la sua amnesia è anche la mia. Mi dispiace.»

«Capisco. Ad ogni modo, tutto si è risolto bene.» disse Saito

«Non proprio.» replicò Louise con finta severità «Hai detto di essere andato a Dungletale. Ma non ti avevamo forse ordinato di badare al castello?».

Kaoru abbassò gli occhi e strinse i denti.

«Aspetta che torniamo a Grasse. Forse qualche notte di ronda e un paio di frustate ti aiuteranno a ricordare il tuo posto».

Louise voleva fare la severa, ma la verità era che era molto felice di sapere che il suo nuovo stupido cane stava bene; proprio come era accaduto con Saito, anche Kaoru ormai era come se fosse una parte di lei, e saperlo in pericolo la faceva stare sempre in ansia.

Per una volta, invece, tutto era finito per il meglio.

Ora, tutto quello al quale bisognava pensare era la festa campestre.

 

Nota dell’Autore

Salve a tutti!^_^

Questo ritardo ha quasi dell’osceno.

E il peggio è che questa settimana non sono andato all’università neanche un giorno, mentre al contrario la prossima dovrò andarci per forza sia mercoledì che venerdì; che poi tradotto sarebbe, stavolta dovrei metterci per forza una settimana per aggiornare.

Tralasciando questo (e le tesina che ho fin sopra i capelli), questo capitolo, piuttosto breve, è stato invece molto difficile da scrivere, se non altro per la paura di risultare ripetitivo visto che si trattava di un capitolo tutto di combattimenti.

Col prossimo si torna a parlare di complotti e macchinazioni, e il povero Saito riscoprirà un “caro” amico del passato chiamato frusta!^_^

A presto!^_^

Carlos Olivera

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Capitolo 18
*** 16 ***


16

 

 

La residenza di campagna di Nancy era un palazzo a tre ali disposte a C immerso nella campagna del sud di Grasse.

Tutto attorno all’edificio sorgeva un vasto cortile, con fontane, viali alberati, comodi e piacevoli sentieri ed anche un piccolo laghetto, il tutto delimitato da un’alta e robusta cancellata in ferro con un solo ingresso.

L’orgoglio e il vanto del palazzo era il suo immenso salone da ballo, che occupava quasi per intero l’ala orientale, così grande da poter ospitare diverse centinaia di persone, con le pareti tappezzate di affreschi e quadri preziosi e una stupenda volta dalla quale pendevano lampadari di cristallo illuminati dalla magia.

Saito, vedendolo, disse che gli ricordava il palazzo del Louvre, dove era stata da piccolo coi suoi genitori durante un lungo viaggio attraverso l’Europa durato un’intera estate.

Erano passate ormai quasi due settimane dall’incidente alla scuola, e quasi tutto era ormai pronto per la grande festa campestre che si sarebbe tenuta il giorno successivo.

Saito e Louise, scortati come sempre da Joanne, erano andati a Nancy per supervisionare le ultime fasi dell’allestimento.

Il giardino pullulava di tavoli che al momento opportuno sarebbero stati riempiti con le migliori pietanze cucinate da cuochi arruolati appositamente per l’occasione, camere e stanze erano state rimesse a nuovo per ospitare gli invitati che si sarebbero fermati per la notte e il salone era limpido come uno specchio.

Anche per la musica non ci sarebbero stati problemi; Tabitha era stata invitata, ma pur non potendo essere presente per impegni di stato aveva inviato come segno di partecipazione la migliore orchestra di Gallia, che avrebbe allietato e fatto danzare gli ospiti per tutta la sera.

Come ciliegina sulla torta, in un magazzino del palazzo era stato trovato il necessario per costruire semplici ma molto divertenti giostre in legno, ideali per i bambini ma anche per gli adulti che avessero voluto divertirsi in modo particolare.

E poi fuochi d’artificio, camerieri, intrattenitori e figuranti.

Auguste e Siesta erano gli affidatari dell’allestimento, e già una settimana sostavano permanentemente a Nancy per occuparsi di ogni cosa.

Come Saito e Louise arrivarono, Auguste fece fare loro un rapido giro del castello, per far vedere che tutto era ormai pronto.

«Alla fine, ci siamo.» disse Saito al termine del giro

«Sarà davvero una festa stupenda.» disse Louise osservando come il giardino era stato superbamente preparato «Avete fatto davvero un ottimo lavoro.»

«Era mio dovere.» rispose rispettosamente Auguste «State tranquilla, mia signora. Tutto sarà svolto nel migliore dei modi.»

«E gli inviti?» chiese Saito rivolto a Joanne

«Sono già stati tutti spediti, e abbiamo già ricevuto le risposte. Quasi tutte le personalità invitate saranno presenti. Ci sarà anche una delegazione di cittadini selezionati tramite un sorteggio, come da Voi richiesto.»

«Non vogliamo che questa festa sia vista semplicemente come un modo per buttare soldi al vento sulle spalle della povera gente.» disse Louise «Per questo abbiamo invitato anche dei cittadini comuni. E dopodomani, a Grasse, organizzeremo un festino per la festa del patrono, al quale saranno tutti invitati.»

«Gli inviti sono segnati e numerati.» proseguì Joanne «Sarà impossibile per chiunque entrare con un invito falso, e i controlli al cancello saranno serrati. Inoltre, una divisione di uomini sorveglierà il perimetro esterno, mentre della sicurezza interna si occuperanno le mie moschettiere guidate dal generale Kaoru.»

«Alla fine la regina non verrà, vero?» commentò Saito

«Era scontato.» rispose Louise «Le abbiamo mandato l’invito per puro dovere di cortesia, ma sapevamo che non sarebbe venuta. Se avesse accettato e si fosse presentata, avrebbe dato adito a supposizioni e false accuse.

Ma ci ha inviato doni e alcuni dei suoi cuochi personali, quindi si può dire che, in un certo qual modo, ci ha dato la sua benedizione.»

«Lo credo anch’io».

Louise guardò poi verso il cielo, tinto di un bell’azzurro pastello e attraversato da qualche innocua nuvola bianca.

«Anche il tempo vuole esserci amico. Le previsioni dicono che domani dovrebbe essere una stupenda giornata.»

«Speriamo che sia così.» rispose Saito «Non credo che i nostri ospiti sarebbero felici di una festa campestre sotto la pioggia».

Quello che né Saito, né Louise, né nessun altro dei presenti potevano sapere era che qualcuno, nascosto come un’ombra tra gli alberi che stavano oltre la cancellata, con un rudimentale binocolo aveva assistito all’intera scena.

Si trattava di un esploratore, uno dei tanti che il duca Valat aveva inviato a spiare le mosse dei suoi vicini, il quale prima di sera fu nuovamente al cospetto del suo signore nel palazzo di Laguiole, proprio nell’ufficio che fino a poco tempo prima apparteneva al precedente signore, e che il duca invece aveva fatto suo.

Con lui, come sempre, anche la misteriosa donna incappucciata.

«Una festa, eh?» disse il duca quando gli fu spiegata ogni cosa «Ecco cosa stavano preparando quei due ragazzini. E io che mi preoccupavo di un eventuale attacco».

In altri tempi avrebbe approfittato subito della situazione per muovere guerra, ma le province del nord che aveva da poco sottomesso seguitavano a scalpitare, e prima di annetterne altre era necessario portare l’ordine. Però, era comunque un’occasione troppo ghiotta per lasciarsela sfuggire.

«È una bella opportunità.» disse la donna «Non credete anche voi, duca? Fuori da quel castello, Lord Hiraga e sua moglie sono una preda facile.»

«Forse.» rispose Valat dopo averci riflettuto un momento «Però c’è questa faccenda degli inviti. Inoltre la sorveglianza sarà molto stretta.»

«Di questo mi occuperò io. Ho già in mente un’idea.»

«D’accordo. Hai la mia autorizzazione. Agisci come meglio credi».

La donna piegò le labbra in un malevolo sorriso.

«Contate su di me, duca Valat».

 

Il giorno dopo, tutto era pronto per accogliere gli ospiti, e dare il via alla festa più sontuosa che Tristein avesse mai visto da molto tempo a quella parte.

Come previsto era una splendida giornata, c’era un bel sole non troppo caldo e tirava una piacevole brezza.

Saito per l’occasione aveva tirato fuori dalla naftalina il vestito del suo matrimonio, di sicuro il più bello e sontuoso che avesse; convinto da Louise, aveva persino messo alla cintura lo spadino cesellato e tempestato di pietre preziose, dono di nozze di Henrietta. Si trattava di un dono personale, fatto confidenzialmente e del quale nessuno sapeva nulla, quindi non c’era rischio di poter dare adito a dicerie e false accuse; per lo stesso, in tutto il palazzo e il giardino, nessuna traccia di stemmi, bandiere o stendardi di qualunque tipo, nemmeno quelli del crisantemo scudato; niente di quella festa avrebbe dovuto essere usato a pretesto dai detrattori per gettare fango sulla famiglia Hiraga.

Louise si presentò nel salone poco dopo il suo sposo, con indosso il suo abito bianco, i capelli elegantemente raccolti e un po’ di trucco ad ingentilirne i lineamenti. Vedendola, Saito arrossì violentemente, e non riuscì a non tornare con la memoria al giorno in cui l’aveva sposata; oggi come ieri, la sua bellezza era senza pari. Al suo fianco Siesta, anche lei rimessa a nuovo con un abito prestatole dalla sua padrona, alla quale, almeno per quel giorno, avrebbe fatto da personale dama di compagnia, invece che da semplice cameriera.

Verso le undici giunse la carrozza che trasportava dal castello Kaoru, rinchiuso di malavoglia in una uniforme da ufficiale, e Kiluka; ormai che la famiglia Hiraga avesse offerto asilo alla legittima erede di Laguiole era un fatto risaputo, e visto che il duca Valat non compariva tra gli invitati la posizione di Grasse era chiara, nonché simile a quella di molti altri governatori delle province vicine.

«Stai benissimo.» commentò Louise vedendo Kaoru

«Mi sento stupido.» rispose lui sistemandosi un po’ quella divisa grigio fumo con tanto di mostrine, spalline e ghirigori vari.

Vedendolo, Siesta arrossì visibilmente, e distolse lo sguardo per non darlo a vedere.

Saito e Louise volevano che Kaoru si godesse la festa come tutti gli altri, ma lui aveva insistito per occuparsi della sicurezza; una sorta di espiazione per quello che era successo alla scuola.

I primi ad arrivare, poco dopo, furono proprio il direttore Osmund e il professor Colbert; c’era anche la professoressa Chevreuse, con il suo solito cappellone da maga e la sua aria da bonacciona. Da qualche mese non insegnava più all’accademia, avendo preferito una vita da insegnante privata per stare più vicino ai figli. La ferita all’occhio di Colbert era ormai guarita, e il professore aveva sostituito le garze con una benda; per le occasioni speciali però, come quella ad esempio, preferiva indossare un occhio finto, per non impressionare o spaventare chi gli stava intorno.

«A quanto pare siamo arrivati per primi.» osservò Colbert.

Saito e Louise andarono ad accoglierli.

«Benvenuti a Nancy.» disse Saito

«Vi siete sistemati davvero molto bene, ragazzi.» disse Osmund «I miei più vivi complimenti per la scelta del posto.»

«Non esiste la tranquillità a Tristania.» osservò la professoressa «Non una tranquillità come questa.»

«È sorpresa?» rispose Colbert quasi con sarcasmo «Che si stia meglio lontani dalla capitale?»

«Nell’attesa che arrivino gli altri ospiti, accomodatevi pure.» disse Saito «Abbiamo fatto preparare camere private per tutti voi. E poi, naturalmente, ci sono cibo, vino e anche qualche sigaro, se volete favorire.»

«Non c’è dubbio.» disse il direttore, gettando nel contempo uno sguardo alla gonna di Louise «Questa sarà davvero una gran bella festa».

 

Tra gli invitati al ricevimento nella nuova residenza estiva degli Hiraga c’era la nobildonna Veronique Tallien, contessa di Shapré, uno dei tanti nobili che popolavano il feudo di Grasse e che con il cambio di potere avevano giurato fedeltà ai nuovi governatori.

Donna strana, questa Tallien; la sua fama di seduttrice era cosa assai nota, e nei suoi brevi ventinove anni si era già portata a letto alcuni degli uomini più potenti non solo di Tristain, ma di tutta Halkengina, tra i quali, dicevano certe malelingue, anche il compianto re. Di certo c’era che era ancora celibe, e che in casa sua era un continuo andirivieni di uomini nobili e non alla ricerca di un po’ di distrazione dalla solita vita matrimoniale.

Non era molto ricca, ma per quale motivo, forse per i doni generosi dei suoi molti amanti, il denaro non le mancava mai, abbastanza da potersi permettere una carrozza con rifiniture d’oro e una coppia di cavalli bianchi di Romalia da cinquecentomila fiorini l’uno.

Feste come quella erano il suo pane, ed era più che felice che finalmente ne fosse stata organizzata una dopo tutto quel tempo, tanto che non vedeva l’ora di arrivare.

Quando mancava poco per la villa di Nancy, la carrozza della contessa incontrò un imprevisto; un grosso carro si era ribaltato nel bel mezzo della strada bloccando il passaggio, e non sembrava esserci verso alcuno di riuscire a spostarlo.

«Avanti, datevi una mossa!» prese a sbraitare il cocchiere, che poi scese per dare a sua volta una mano a muovere il carro assieme al lacchè.

All’interno della carrozza, la contessa era intenta a farsi aria con il suo ventaglio per cercare di lenire il caldo opprimente. Fu tutta questione di un istante; sinuosa e velocissima, una figura ammantata di scuro entrò dal finestrino aperto, e in un secondo al contessa si ritrovò con una mano sulla bocca e un coltello alla gola.

«Non alzare la voce. Un fiato e sei morta».

Poco dopo, il carro venne finalmente spostato dalla strada, il cocchiere ed il lacchè risalirono a bordo e la carrozza riprese il suo viaggio, arrivando dopo una ventina di minuti ai cancelli di Nancy.

I soldati la fermarono, così come fermavano tutte le altre carrozze, ed una guardia si avvicinò al portello.

«Qualcosa non và, signora guardia?» chiese la bellissima donna all’interno

«Può mostrarmi il suo invito, per cortesia?»

«Ma certamente.» rispose lei esibendo porgendo un cartoncino tutto colorato e ben scritto.

La guardia lo prese e le lesse.

«È l’invito numero 460, a nome della Contessa Veronique de Shapré».

La guardia col registro confermò il numero e l’identità dell’invitata.

«Vi prego di scusarmi. Benvenuta, contessa.»

«Di nulla. Ha fatto solo il suo dovere».

Il cancello venne spalancato e la carrozza entrò nel giardino, che nel frattempo si era riempito di innumerevoli volti illustri. Gli ospiti, una volta messa a proprio agio, furono invitati a servirsi immediatamente al buffet allestito in cortile, non prima però di aver resto i propri omaggi ai gentili organizzatori della festa.

«Davvero una bella residenza.» disse lord Venceny, un simpatico e arzillo sessantenne ormai amico consolidato dei due ragazzi «Di un’epoca lontana e molto elegante. Davvero un’ottima scelta.»

«Troppo buono, lord Venceny.» disse Saito, che sapendolo una buona forchetta lo invitò a servirsi «Si serva pure. C’è tutto quello che può desiderare. Salsicce di campagna di Germania, arrosti e stufati di Albion e ottimo pesce di Romalia

«Non me lo faccio ripetere due volte».

Poi, nel mare di ospiti, Louise riconobbe qualcuno di famigliare.

«Catt nee-sama!» disse correndo incontro alla sorella

«Come stai, piccola Louise?».

Cattleya era accompagnata ovviamente da suo marito Lucas, che andò a stringere la mano a Saito.

«Devo ammetterlo, non ti avrei creduto capace di arrivare così lontano. Hai fatto davvero un ottimo lavoro.»

«Ti ringrazio, Lucas».

Al ricevimento era presente anche la famiglia Vallière al gran completo.

«Caro genero!» disse il padre, un uomo che nel tempo Saito aveva imparato a conoscere e dal quale farsi apprezzare «Hai superato tutte le mie più rosee aspettative.»

«Devo ammettere che all’inizio ero un po’ scettica sul tuo conto.» disse la madre «Ma ora ho la certezza di aver dato mia figlia in sposa all’uomo migliore che potesse trovare.»

«Le vostre parole mi rincuorano, e vi sono molto grado».

Elèonore sembrava un pesce fuor d’acqua, e non faceva che sbuffare; vedere entrambe le sue sorelle con i loro mariti sottobraccio era una pugnalata alla schiena.

«E così.» disse maliziosa Louise all’indirizzo della sorella «Alla fine tu sei l’unica di noi ad essere rimasta zitella.»

«Hai voglia di litigare, chibi-Louise!?».

Poi, alla presenza dei due ragazzi si presentò una giovane e bellissima donna coi capelli castani elegantemente raccolti, gli occhi verde brillante e un vestito bianco e rosso; Saito, davanti a tutto quel fascino, arrossì, mentre Louise al contrario distolse lo sguardo con evidente disappunto.

«Io sono la contessa Veronique de Shapré, miei signori.» disse chinando il capo «E voglio ringraziarvi per avermi gentilmente e cortesemente invitato a questo ricevimento.»

«Di… di niente…» balbettò Saito

«Ero ansiosa di fare la vostra conoscenza, Lord Hiraga.» disse allora la donna «Mi ero sempre domandata che aspetto aveste, dato che per anni si è parlato così tanto di lei e delle sue imprese.

Alquanto formale, devo ammettere.»

«Dite davvero!?» rispose lui sorridendo e passandosi una mano dietro la testa.

Louise era sempre più contrariata.

«Se volete scusarci, contessa.» disse afferrando letteralmente il sposo e trascinandolo via «Andiamo a controllare che tutto sia apposto».

La contessa non replicò, e stette ad osservare i due ragazzi che sparivano tra la folla.

«Ma che ti è preso, Louise?» chiese Saito mentre veniva tirato appresso dalla moglie

«Non sai chi è quella donna? Quella specie di pantera ha mandato all’aria il cielo sa quanti matrimoni. È una procacciatrice di uomini di prima categoria, e ha più amanti lei che tutte le altre donne di Tristain messe insieme.

Ti avverto, Saito. Se ti becco accanto a lei, tirerò fuori dal cassetto la frusta delle occasioni speciali, mi sono spiegata?»

«Però… è pur sempre un’ospite…»

«Mi sono spiegata?» ripeté lei mettendo mano alla bacchetta

«Sì, sì! Tutto chiaro! Chiarissimo!»

«Molto bene».

 

La festa trascorse tranquillamente fino al calare del sole.

Furono organizzati giochi all’aperto, cacce al tesoro e altre competizioni, tutte cose delle quale ricchi ed aristocratici non erano mai stanchi, mentre cibo e vino scorrevano a fiumi.

A sera, il salone delle feste si illuminò a giorno, l’orchestra prese a suonare e molti degli invitati si diedero al ballo con le rispettive consorti. Tra loro, anche Saito e Louise, che ballavano guardandosi vicendevolmente negli occhi e sorridendo felici.

Tutto stava andando nel migliore dei modi.

Durante la festa, avevano avuto modo di parlare coi signori di molti feudi vicini e lontani, ricevendo la garanzia di non nutrire alcun interesse espansionista, ma anzi di essere pronti a supportare la famiglia Hiraga in qualsiasi momento ce ne fosse stato bisogno, persino se si fosse trattato di aspirare al trono; era tutta gente fedele alla famiglia reale, quindi la loro amicizia, oltre che prevedibile, era anche molto importante.

All’esterno, gli altri ospiti continuavano ad assaporare le portate sempre nuove, concedendosi di tanto in tanto un piacevole e divertente giro in giostra o osservando i fuochi d’artificio che illuminavano il cielo senza sosta.

Su tutti vigilavano senza sosta le moschettiere e le altre guardie, e soprattutto Kaoru, che dall’inizio del ricevimento non aveva toccato né cibo né vino, e che ormai, dopo un’intera giornata, stava cominciando a sentire i morsi della fame.

Quindi, non fu del tutto dispiaciuto nel vedere Siesta raggiungerlo ad un certo punto con in mano un vassoio contenente un paio di panini e un bel bicchiere di acqua ghiacciata.

«Ho pensato che avresti potuto avere fame.»

«Ti ringrazio.» rispose lui senza fare troppe storie.

Il ragazzo prese a mangiare, e Siesta, come accadeva sempre, per un po’ non fu capace di aprire bocca.

«Và… và tutto bene?» riuscì a dire ad un certo punto

«Abbastanza. Con tutta questa confusione, è difficile essere vigili.»

«Ah… capisco…».

In realtà Siesta aveva fatto quella domanda perché negli ultimi giorni aveva visto Kaoru molto strano, più schivo e taciturno del solito; se avesse saputo quello che era successo alla scuola avrebbe capito, ma Saito e Louise avevano deciso di non parlarne a nessuno.

«Senti…» disse poi Siesta strusciandosi le mani e guardando altrove «Stavo pensando che… forse… forse potresti staccare per un po’».

Lui la guardò perplesso.

«Voglio dire… è tutto tranquillo. Le guardie stanno facendo un ottimo lavoro. Louise e Saito stanno ballando, e, ecco… visto che sono vestita così… mi domandavo se…» poi prese un bel fiato e si fece coraggio «Se potevamo farlo anche noi».

Kaoru continuò a guardarla senza dire nulla.

«Io non ho mai ballato… non credo di essere brava… però… mi piacerebbe provare.» poi arrossì violentemente «Ma d’altra parte, se non ti và, ti capisco! Il lavoro, e tutto il resto!».

A quel punto Kaoru si sollevò dal muro al quale era appoggiato, si volse e la guardò negl’occhi; anche lei lo guardò, e l’imbarazzo di colpo parve sparire.

Stettero così, immobili a guardarsi, per un tempo interminabile, poi i loro visi presero ad avvicinarsi l’uno all’altro.

D’improvviso, un urlo di donna squarciò la dimensione nella quale si erano isolati, sovrastando ogni altra cosa ed allarmando anche gli ospiti che lo avevano sentito.

«Che è stato?» domandò Kaoru, che senza pensarci sopra corse in quella direzione

«Kaoru…» disse Siesta, ma fu tutto inutile.

Insieme ad un altro paio di soldati, e cercando di non allarmare gli ospiti, Kaoru raggiunse una parte piuttosto isolata del giardino, trovando in una zona d’ombra una donna riversa a terra che faticava a rialzasi e tremava di paura.

«Che è successo?»

«Non lo so. Ero venuta qui alla ricerca di un anello che ho perso, quando qualcuno mi ha assalita alle spalle buttandomi a terra.»

«Ha visto chi è stato?»

«No. Ho visto solo un’ombra che correva via.»

«Fate perquisire tutto il cortile! Che non entra né esca nessuno!»

«Sì, generale.»

«E siate discreti».

Nel salone, Louise e Saito stavano ancora ballando, quando un servo, allertato da una guardia, si avvicinò e sussurrò qualcosa all’orecchio del giovane, che sgranò gli occhi.

«Arrivo subito.» disse «Scusa, Louise. Devo assentarmi un istante. Tu aspetta qui.»

«Cosa, ma Saito…».

Senza dire altro Saito corse via assieme alla guardia, raggiungendo la donna vittima dell’aggressione, che intanto era stata condotta nell’atrio del palazzo per riprendersi dallo shock.

«Contessa Veronique. State bene?»

«Abbastanza…» rispose lei con il fiato corto

«Avete trovato l’aggressore?»

«Lo stiamo cercando.» rispose Kaoru «Le guardie dicono di non avere visto né sentito niente, e nessuno ha varcato il cancello o scavalcato la recinzione.»

«Forse qualcuno degli invitati ha alzato un po’ troppo il gomito.»

«Controlleremo con cura.»

«Intanto portate la contessa nelle sue stanze. Deve riposare, dopo quello che è successo.»

«Se posso permettermi, lord Hiraga.» disse lei «Mi sentieri più sicura se mi ci accompagnaste voi personalmente.»

«Come!?».

Saito esitò, indeciso sul da farsi, ma di fronte agli occhi supplicanti della contessa un animo generoso come lui non riuscì a tirarsi indietro.

«D’accordo, ci penso io. Voi continuate a cercare.»

«Sissignore».

Saito prese per mano la contessa, conducendola su per le scale, lungo la balconata superiore e fino nella sua stanza, situata nell’ala settentrionale assieme a tutte le altre camere degli ospiti.

«Siamo arrivati.» disse aprendo la porta e accendendo il lampadario magico.

A quel punto aiutò la contessa anche a sedersi sul letto.

«Vogliate scusarmi per questo incidente.»

«Non fa niente.» rispose la donna, che da un momento all’altro sembrava stare molto meglio

«Bene. Allora, io torno nel salone».

Saito fece per andarsene, ma come si girò la contessa gli afferrò una mano.

«Vi prego, non lasciatemi da sola. Ho paura.»

«Non preoccupatevi. Ordinerò ad una guardia di stare di vedetta qui fuori».

Tutto si svolse in un istante. La contessa, con un rapido gesto, tirò Saito a sé, e da un momento all’altro il ragazzo si ritrovò disteso sul letto, con quella donna bellissima a sovrastarlo con l’abito mezzo sbottonato all’altezza del petto.

«C… contessa!? Che state facendo!?»

«Siete un uomo così invitante, lord Hiraga. Come invidio chi può avervi tutto il giorno tutti i giorni» e detto questo prese a slacciarsi il vestito, fissando nel contempo Saito con occhi di una pantera che si prepara a dilaniare il suo cervo

«Contessa…» disse Saito col poco raziocinio che gli rimaneva «Io sono sposato!»

«E allora? È normale che i nobili si concedano dei brevi passatempi, di tanto in tanto.»

«A… aspettate, che state facendo… dove toccate?!».

Nel mentre Louise, preoccupata perché Saito non tornava, decise di andare a cercarlo.

Uscita nell’atrio, vi incontrò Kaoru, appena rientrato da un nuovo giro di controllo, dal quale si fece raccontare quello che era successo.

«Crediamo ci sia un intruso nel palazzo. Le guardie lo stanno cercando.»

«E Saito dov’è?».

Kaoru esitò, perché sapeva cosa sarebbe successo se avesse parlato.

«Ecco… veramente…»

«Dov’è?» ringhiò la ragazza prendendo fuori la bacchetta magica

«Compare, è meglio se canti.» disse Derf «O ti farà cantare lei a forza di frustate, e non sarebbe piacevole».

Intanto in camera da letto, la contessa era quasi sul punto di sedurre Saito, che malgrado tutta la sua fedeltà a Louise non riusciva ad ignorare una tale visione.

«Avanti, lord Hiraga. Solo per stanotte. Per stanotte sarete il mio padrone, e io la vostra serva. Farò tutto quello che vorrete. Soddisferò ogni vostro desiderio più perverso.»

«No, aspettate…»

«Avanti, non siate timido. È chiaro che certe cose non potete chiederle a vostra moglie. Io invece non ho problemi a soddisfare un uomo, e credetemi sono brava a farlo».

La contessa si era ormai slacciata quasi del tutto il busto e la giarrettiera, inoltre aveva mezzi sfilati i calzoni di Saito.

Saito era quasi sul punto di cedere, quando un lampo, un volto, gli illuminò la mente; da imbarazzato che era, divenne risoluto, con una serietà nello sguardo che quasi non gli apparteneva. Afferrò la contessa per una spalla, allontanandola con tale forza da strapparle parte del vestito.

«Perché? Lord Hiraga…»

«Adesso basta, contessa. Ve l’ho già detto, io sono sposato. Inoltre, presto diventerò padre, quindi non ho tempo né voglia per simili scappatelle».

Sfortuna nera.

Proprio in quell’istante, Louise, come un toro infuriato, spalancò la porta della stanza.

«Saito, che stai facendo!?».

Ma quello che vide la paralizzò; si aspettava di trovare qualcosa, come ormai era abituata, ma quello che vide andava al di là del sopportabile e del concepibile. Suo marito a letto con una mangia-uomini incallita, lui in mutande disteso e lei a sovrastarlo con il vestito strappato e il petto praticamente nudo.

«L… Louise…».

Lei abbassò gli occhi, tremando tutta; Saito ricordò di averla vista così solo una volta, quando lo aveva sorpreso a baciare la principessa Henrietta.

«Louise, aspetta… è tutto… un equivoco…»

«Saito… stupido!» gridò correndo via in lacrime

«Louise, aspetta! Posso spiegare!» disse Saito cercando di correrle dietro, ma inciampando nei suoi stessi pantaloni e perdendo così del tempo prezioso.

Rimasta sola, la contessa rise di soddisfazione.

«Bene. La cosa si fa sempre più interessante.» disse, e aperta la finestra ci si lanciò con la grazia di un gatto.

 

Nel cortile e nel palazzo, le guardie erano ancora intente a cercare l’assalitore della contessa cercando di essere il più possibile discrete.

Nessuna zona era risparmiata, anche perché non si aveva la certezza che l’aggressore potesse veramente venire da fuori; poteva trattarsi, come ipotizzato da Saito, di un nobile un po’ alticcio, o anche di una guardia stessa che vedendo la contessa e approfittando del buio non aveva resistito alla tentazione di farci un pensierino.

Le ricerche vennero condotte persino nelle stalle e nelle scuderie, dove erano stoccate le dozzine di carrozze degli invitati.

Uno dei soldati era intento a controllarle, quando gli parve di sentire un rumore provenire dal baule di una di esse, una splendida carrozza bianca degna della principessa Henrietta.

«Ho sentito qualcosa.» disse al suo compagno.

I due si avvicinarono, scambiandosi un cenno di assenso, quindi uno di loro spalancò il baule, mentre l’altro teneva pronta la lancia.

Sbigottiti, si trovarono davanti una donna legata e imbavagliata, oltre che mezza nuda, che li guardava con occhi supplicanti e sollevati allo stesso tempo. La aiutarono ad uscire, la fecero sedere e la sbendarono.

«Finalmente, era ora!» sbraitò arrabbiata appena poté parlare «Avete idea di quanto tempo fosse che cercavo di farmi sentire?».

Nel mentre, era arrivato anche Kaoru, che vedendo di chi si trattava si sentì prendere un colpo.

«Non ci credo!? Contessa Veronique?!»

«Certo che sono la contessa Veronique! Veronique di Shapré! Mentre stavo venendo qui una donna mi ha assalita e drogata, e quando mi sono svegliata ero dentro il baule della mia stessa carrozza!».

Kaoru fece due più due, capendo subito.

«Dannazione!» esclamò correndo via «Trovate subito i padroni! Immediatamente!».

 

Alle spalle della villa, nella parte più lontana del giardino, c’era un fitto boschetto di pini e larici che a suo tempo il generale Deville era solito usare come luogo ameno dove andarsi a nascondere quando voleva starsene in pace.

Louise vi era corsa quasi istintivamente, appoggiandosi stremata e col cuore spezzato al tronco di un albero a piangere tutte le sue lacrime.

Perché? Perché doveva sempre finire così?

Neanche la notizia che presto sarebbe diventato padre era bastata a far perdere a quello stupido cane i suoi istinti animaleschi?

Forse era anche colpa sua. Forse non faceva abbastanza per soddisfarlo, come Siesta si divertiva spesso a puntualizzare sarcastica; per questo lui cercava soluzione nelle scappatelle.

Anche così, però, non poteva perdonarlo.

«Saito… stupido…».

Stava ancora piangendo, quando udì un movimento alle sue spalle.

Pensava fosse lui, e la cosa quasi le faceva piacere, perché significava che voleva scusarsi, e invece voltandosi incontrò lo sguardo dell’ultima persona che avrebbe voluto vedere in quel momento.

«Tu!»

«Vi prego, miss Vallière.» disse la contessa «Lasciate che vi spieghi ogni cosa».

Poco dopo, nel boschetto sopraggiunse anche Saito, alla ricerca della sua Louise.

Come poteva essere stato così stupido?, si domandava cercandola e chiamando il suo nome.

«Louise! Louise!».

Amava quella ragazza più della sua stessa vita, e aveva giurato a sé stesso che mai avrebbe anche solo pensato di tradirla, soprattutto dopo la notizia che presto sarebbe diventato padre. Il fatto che si fosse rifiutato di cedere alle avances della contessa non lo giustificava: avrebbe dovuto dire di no subito, per evitare sul nascere quella situazione.

Voleva trovarla, parlarle, e cercare di chiarire la situazione, anche se sapeva che probabilmente molto difficilmente sarebbe stato perdonato.

«Louise!».

D’improvviso il ragazzo sentì un rumore, quasi un presagio di minaccia, e si voltò con la mano già stretta attorno al suo spadino.

«Louise…» disse sgranando gli occhi.

Era proprio lei, in piedi davanti a lui, con il vestito leggermente strappato, forse a causa dei rami bassi, ma bella come sempre. Teneva lo sguardo basso e tremava ancora.

«Louise, ascolta… io posso… posso spiegarti… quelle erano solo le apparenze…»

«Saito…» mormorò, e subito dopo gli corse incontro, abbracciandolo forte e piangendo di gioia «Saito!»

«Louise!?»

«La contessa mi ha raccontato tutto. Saito, mi dispiace. Mi dispiace di non averti creduto».

Colpito, Saito sorrise, stringendola a sé.

«Sono io che devo chiederti scusa, Louise. Avrei dovuto essere più risoluto.»

«Non pensiamoci più, Saito. Ora è tutto sistemato».

 

Infine, anche Kaoru era arrivato a sua volta nel boschetto, ansioso come non mai di trovare Saito e Louise.

Temeva per la loro vita.

Ora era sicuro di aver capito come fossero andate le cose, e chiunque avesse messo su quella specie di commedia drammatica non aveva di sicuro buone intenzioni.

Se il nemico aveva dei piani per i due ragazzi, quello era sicuro il posto migliore per metterli in pratica; discreto e fuori mano.

«Louise! Saito! Rispondete!».

Ad un certo punto, Kaoru credette di scorgere qualcosa tra l’erba che ricopriva il terreno, ed alzata la torcia vide con terrore una cosa che per un attimo minacciò di fermargli il cuore.

Louise era lì, a terra, probabilmente nuda, con il vestito della contessa a coprirla malamente.

«Louise!» gridò correndole incontro.

Per fortuna era solo svenuta, e dopo poco si riprese. Aveva una strana ferita ad un dito, quasi sicuramente opera di una lama, e sembrava parecchio intontita, come se l’avessero drogata.

«Ka… Kaoru…»

«Louise, che è successo?»

«Non… non lo so. Mi ricordo che ero qui con la contessa… stavamo parlando, e poi…».

A quel punto, la ragazza spalancò gli occhi.

«Saito! Dov’è Saito!?»

«Non ne ho idea. Ma dobbiamo trovarlo subito. Temo che sia in pericolo».

Nel frattempo, poco lontano da lì, Saito e Louise erano ancora teneramente abbracciati, e dopo qualche altro attimo Louise baciò il suo sposo con tutta la passione della quale era capace, e dal canto suo Saito non si tirò indietro.

«Sono stata davvero una stupida a dubitare. Non succederà più.»

«Ne sono sicuro.» replicò Saito «Anche perché, tra noi non è successo niente».

Louise, colta alla sprovvista, spalancò gli occhi, ma un secondo dopo, prima che potesse reagire, si ritrovò la punta dello spadino appoggiata alla schiena.

«Chi sei tu realmente?»

«Saito… che stai dicendo? Guardami. Io sono io. Sono Louise.»

«Ti sbagli. Ho baciato tante volte Louise. E credimi se ti dico che non c’era amore nel tuo bacio. La vera Louise, quando mi baciava, mi trasmetteva emozioni così forti da poterle quasi toccare. Con questo tuo bacio, invece, non ho sentito niente, così come non ho sentito niente nell’abbracciarti.»

«Saito…»

«Che cos’hai fatto a Louise?».

Di colpo, l’espressione della ragazza mutò, facendosi di una maliziosità e di una perfidia quasi disarmanti.

«A quanto pare ti ho sottovalutato un’altra volta».

Saito non ebbe neppure il tempo di reagire, che in un attimo si ritrovò con una piccola ferita ad una mano provocata da un pugnale comparso misteriosamente nelle mani della falsa Louise, la quale con un salto si allontanò da lui.

Era una ferita da niente, eppure ciò nonostante il ragazzo si ritrovò in ginocchio, con tutte le ossa come paralizzate e i sensi bloccati.

«Sono sorpreso che tu riesca a stare in piedi. Grazie alla bava di basilisco che ricopre la lama di questo pugnale, di solito basterebbe un graffietto per crollare a terra svenuti.

È chiaro che sei una persona fuori dal comune sotto molti aspetti.»

«Tu… maledetta… chi diavolo sei?».

La falsa Louise ghignò.

«Forse, aprendoti la gola, riuscirò ad ucciderti. Vogliamo provare?».

Saito era impotente, ed esposto al colpo di grazia, ma proprio quando la falsa Louise stava per infliggerglielo un’esplosione terrificante la mancò di pochissimo, e la vera Louise comparve sulla scena bacchetta alla mano e con indosso una versione strappata e riadattata dell’abito della contessa.

«Tieni giù quelle tue manacce da lui, scherzo della natura!» sentenziò ringhiando di rabbia.

«L… Louise!».

La falsa Louise a quel punto si ritrovò circondata, anche perché come fece per scappare trovò Kaoru a sbarrarle la via di fuga.

«E adesso, facci vedere chi sei».

Louise lanciò allora l’incantesimo Dispel sulla sua alter ego, disperdendo l’incantesimo che aveva usato per assumere le sue sembianze. Il volto che apparve agli occhi dei tre, lasciò Saito e Louise di sasso; non lo vedevano da molto tempo, ma lo riconobbero subito.

«Fouquet!?» esclamò Louise

«È parecchio che non ci vediamo, Zero Louise. Vedo che anche tu hai fatto dei progressi.»

«Dopo quello che è accaduto quattro anni, ti credevo ad Albion, o Dio solo sa dove.» disse Louise

«Che… che ci fai tu qui?» disse Saito «Reconquista c’entra forse qualcosa con quello che sta accadendo a Tristain?».

Fouquet chiuse gli occhi e rise.

«Potrei anche dirvelo, ma non ne ho proprio voglia.»

«Quand’è così, ti faremo parlare noi.» disse Kaoru

«Non credo proprio».

Nessuno dei tre si era accorto del fatto che Fouquet avesse con sé la sua bacchetta magica, nascosta all’interno del vestito che aveva rubato a Louise dopo averne preso le sembianze; senza che la toccasse, la bacchetta generò una fitta nebbia di polvere che accecò temporaneamente i ragazzi.

Quando Saito, Louise e Kaoru poterono vederci di nuovo Fouquet era già scappata, lasciandosi dietro quel vestito per lei troppo piccolo, il suo pugnale e una strana boccetta viola.

«Essenza del Camaleonte.» disse Louise annusando il contenuto del flaconcino «Una goccia di questo preparato unita ad una goccia di sangue di una persona, e se ne assumono le sembianze.»

«A questo punto» disse Kaoru «Direi che sappiamo chi è stato il responsabile dell’attentato alla principessa.»

«Reconquista.» disse Saito «E… e io che speravo che fosse ormai una storia chiusa».

Poi, Louise andò da lui, mentre nel frattempo Saito era riuscito a rimettersi in piedi; per fortuna, il pugnale aveva prodotto poco più di un segno, e quindi il veleno non era riuscito a diffondersi, risultando molto meno efficace del normale.

«Louise, io…»

«Non dire niente.» replicò lei «Se lo facessi, campando le tue solite scuse, la voglia di perdonarti mi passerebbe subito».

Saito sorrise, e anche lei fece altrettanto.

Si amavano troppo per tradirsi, e adesso che avevano capito tutto veniva quasi da farsi una risata per quanto erano stati ingenui.

Insieme, fecero per tornare verso il palazzo, ma essendo a piedi nudi, proprio mentre stavano transitando nel cortile cercando di passare inosservati Louise fece per cadere.

«Attenta!» disse Saito, prendendola per il vestito.

Purtroppo, quel vestito era stato adattato alla meno peggio, e chiuso con un nodo di fortuna, un nodo che per lo strattone si sciolse; Louise evitò di cadere, ma quando rialzò gli occhi vide che il suo vestito ora era nella mano di Saito.

Kaoru arrossì e distolse subito gli occhi, mentre Saito non riuscì a fare altrettanto; viste tutte le volte che avevano fatto l’amore insieme ormai era abituato a vederla così, ma ogni volta era un’esperienza unica, ed un fiotto di sangue impossibile da fermare gli esplose dal naso.

«L… Louise…».

Louise, al contrario, era rossa come un peperoncino essiccato, e lo divenne ancora di più quando anche gli altri ospiti si accorsero di quello spettacolo girando gli occhi nella sua direzione.

«Tu… tu…»

«A… aspetta Louise… non l’ho fatto apposta…»

«Cane perverso!» strillò alzando la bacchetta

«Pietà!».

 

Messasi in salvo allontanandosi dalla villa, Fouquet prese da dentro il suo mantello un gioiello a forma di colonna, lo strinse forte e chiuse gli occhi.

Dopo pochi istanti, davanti a lei, comparve quello che sembrava un piccolo portale dimensionale, al cui interno regnava l’oscurità; tuttavia, si poteva intravedere in primo piano il mezzobusto di una persona, un elfo quasi sicuramente, con lunghi capelli e le classiche orecchie a punta.

«Mi dispiace, ho fallito. Mi hanno scoperta troppo presto.»

«Non ha importanza.» rispose calmo il suo interlocutore, una voce forte e risoluta «Quello che conta è che Louise non sia stata ferita. Sarebbe un grosso problema per noi e il nostro signore, se morisse.»

«Comunque, i nostri sospetti erano reali. Hiraga Saito ha perso il potere di Gandalfr. Ora lo possiede il generale del loro esercito, un certo Kaoru. Non l’ho affrontato, ma temo sia un osso molto duro.»

«Interessante. Manderemo qualcuno a tenerlo d’occhio.»

«Io farò immediatamente ritorno a Laguiole

«No, aspetta. Per il momento il duca può cavarsela da solo. Prima, c’è un’altra cosa che devi fare.»

«Abbiamo trovato un nuovo, possibile alleato. Ma avrà bisogno anche lui di un aiuto adeguato».

 

Nota dell’Autore

Salve a tutti!^_^

Eccomi qua, con il capitolo più lungo che abbia mai scritto, almeno per quanto riguarda questa fic.

Ammetto che all’inizio avevo intenzione di dividerlo in due parti, poi però mi sono reso conto che anche così ci sarebbe stata troppa disparità di lunghezza.

Spero che i miei lettori non siano scappati di fronte a queste dodici pagine, ma vi prometto che da ora in poi torneremo su livelli più accettabili.

Questo è tutto!^_^

Nel prossimo cap, in arrivo due vecchie conoscenze.

A presto!^_^

Carlos Olivera

 

PS. Questa notte ho fatto un sogno, e prima di dimenticarmelo sento il bisogno di esternarlo. Per questo, nei prossimi 4-5 giorni mi dedicherò ad una minific su Yugioh! (yugioh è stato tra i primi anime-manga in cui mi sia mai cimentato per la creazione di fanfic), il cui titolo sarà lo stesso di questa storia, ovvero Fino alla Fine del Tempo. Sarà una robetta da poco, due o tre capitoli al massimo, quindi non spaventatevi se per una settimana non mi vedrete. Anzi, se passate di là dateci un’occhiata!^_^

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Capitolo 19
*** 17 ***


17

 

 

Mancava qualche minuto a mezzanotte.

Montmorency sedeva in solitudine sulle sponde del Lago Biwa, ai margini del suo feudo, come in attesa di qualcuno, osservando le due lune che ormai erano quasi allo zenit, ovvero il momento in cui, ad esclusione delle eclissi, la distanza tra di loro raggiungeva i suoi minimi.

In mano Robin, il suo famiglio, che restava fermo a guardarla, gracidando di tanto in tanto.

Stormi di lucciole si agitavano poco sopra la superficie dell’acqua, sulla quale si rifletteva la luce delle stelle.

La ragazza sembrava preoccupata, e guardava ora il lago, ora il cielo ora Robin. D’improvviso si udì uno strano rumore, come di qualcosa che scavava, e un paio di secondi dopo nel terreno si aprì una piccola voragine dalla quale fece capolino il faccione simpatico e un po’ tonto di Verdandi.

«Salve, mia adorata.» disse Guiche sbucando alle spalle del mio famiglio

«È un’ora che ti aspetto.» esordì lei con finto risentimento

«Mi dispiace. Il tunnel è parzialmente crollato, e abbiamo dovuto farci strada tra i detriti».

Guiche uscì finalmente all’esterno, e Montomorency, passato il momento iniziale, gli corse incontro abbracciandolo e baciandolo.

«Avevo paura che fosse successo qualcosa.»

«Non temere. Mio padre non sospetta di niente. E il tuo invece.»

«Tranquillo. È tutto apposto. Ormai ho imparato alla perfezione come andarmene dal palazzo senza essere notata».

Si sedettero, e per lungo tempo stettero ad osservare le due lune stretti l’uno all’altra in un amorevole abbraccio.

Quante cose erano cambiate, in peggio purtroppo, da quando avevano lasciato la scuola.

I feudi dei De Gramont e dei Montomorency erano molto vicini tra di loro, separati soltanto dal feudo dei Touroc; tra le due famiglie non era mai corso buon sangue, e infatti il fidanzamento dei due ragazzi, deciso fin dalla nascita, doveva essere lo strumento tramite il quale mettere fine a quasi un secolo di inutili e futili dispute.

Lo scoppiare della guerra civile, però, aveva ridato improvviso vigore agli asti del passato, e ora solo la presenza di un dominio intermedio tratteneva i due casati dallo scannarsi l’un l’altro; e tutto questo, proprio quando Guiche e Montomorency, messa da parte l’infantilità e la goliardia del periodo accademico, avevano iniziato a nutrire un sincero ed affettuoso amore l’uno per l’altra, al punto da avere già iniziato a fare progetti per la loro futura vita insieme.

Ovviamente, Guiche non aveva perso la sua natura di playboy incallito, provandoci continuamente con tutte le cameriere e domestiche del suo palazzo, ma Montmorency alla fine ci si era abituata, perché aveva capito che in realtà lei era l’unica persona alla quale quel testone volesse un bene sincero.

Nonostante tutta la sua forza, ed il suo proverbiale spirito battagliero, ad un certo punto Montmorency, schiacciata dall’ansia e dalla paura per la piega inquietante che stavano prendendo gli eventi, pianse lacrime di sconforto e preoccupazione.

«Montmorency. Cosa succede?»

«Per quanto ancora dovremo andare avanti così? Le nostre famiglie ormai si odiano, e un giorno o l’altro potrebbero finire per…».

I singhiozzi le impedirono i concludere la frase, e la ragazza si lasciò andare al pianto stretta a Guiche, che dopo poco tuttavia le disse di guardarlo negl’occhi.

Com’era diverso rispetto ai tempi in cui frequentava l’accademia; sembrava diventato un vero uomo, con quel suo volto sereno e composto, e quello sguardo volenteroso.

«Non hai nulla da temere, Montmorency. Mia zia è dalla nostra parte, lo sai. Vedrai che presto riuscirà a mettere pace tra le nostre famiglie.»

«Sì, lo so. Però… però lo zio invece non fa sussurrare all’orecchio di mio padre.»

«Non dare peso a quell’arrivista incompetente. Andrà tutto bene. Te lo prometto. Ti prometto che prima che questo anno finisca, io ti porterò all’altare.»

«Guice…» disse lei arrossendo

«Montomorency…».

Si baciarono, un bacio soave e carico di amore, e anche le lune, liberandosi dalle nubi che le stavano ricoprendo, parvero dare la loro benedizione.

I due ragazzi avrebbero voluto spingersi oltre, come avevano già fatto in occasione di altri precedenti incontri, anche prima che la situazione precipitasse a quel modo, ma ormai si era fatto molto tardi, ed era giunto per entrambi, troppo presto come sempre, il momento di rientrare.

«Abbi ancora un po’ di pazienza, Montmorency. Tutto si sistemerà nel migliore dei modi, ne sono sicuro.»

«Guiche…» disse lei, per poi riacquistare almeno in parte la speranza «D’accordo. Anche io farò del mio meglio per smuovere mio padre. Visto che i nostri genitori sono troppo ottusi per cercare la pace, sta a noi riuscire a farli ragionare.»

«Ben detto».

A quel punto Guiche e Montomorency si separarono; Guiche si tuffò nel tunnel sotterraneo scavato da Verdandi, che come un lungo corridoio passava direttamente sotto il feudo dei Touroc, realizzato in quasi una settimana di duro lavoro da parte di quel povero Verdandi, Montmorency invece, balzata a cavallo, in poco più di un ora fece ritorno al palazzo della sua famiglia, situato non lontano dal confine meridionale del feudo, riuscendo come al solito a rientrare senza allarmare le numerose guardie che lo sorvegliavano.

La ragazza portò la sua adorata Rose nella stalla, ma mentre la legava e la foraggiava avvertì distintamente la sensazione di non essere sola.

«Koga.» disse scocciata «Puoi anche venire fuori. Tanto lo so che ci sei».

Un istante dopo, un’ombra piombò dal soffitto, palesandosi già inginocchiata ai piedi della sua padrona; era un ragazzo di forse diciotto anni, più o meno la stessa età di Montmorency, vestito completamente di nero, capelli corvini corti ed arruffati e carnagione piuttosto pallida, ma di bell’aspetto. Annotati tutto attorno ai polsi aveva una specie di fili, come crine di cavallo, che si protendevano fino a raggiungere la base delle dita, alle quali erano assicurati per mezzo di complicati e curiosi nodi.

Si trattava senza dubbio di uno shinobi, uno di quei guerrieri del lontano oriente che pur non sapendo usare la magia possedevano abilità e capacità che sfidavano qualsiasi raziocinio, e che potevano risultare molto pericolosi persino per il più dotato degli stregoni.

Per loro, onore e fedeltà venivano sopra ogni altra cosa.

«Quante volte ti ho detto che non devi spiarmi?»

«Margarita-sama. Non dovreste lasciare il palazzo in questo modo. Almeno, vi prego di avvisarmi.»

«Quello che faccio non ti deve riguardare. Tu sei la mia guardia, non il mio babysitter.»

«Margarita-sama, io comprendo i vostri sentimenti. Tuttavia, Guiche-sama resta pur sempre un nemico.»

«Non parlare di cose che non sai. Io e Guiche ci conosciamo da prima ancora che tu mettessi piede in questo Paese.»

«Vi chiedo perdono. Solo, ve ne prego. Non fatemi più preoccupare in questo modo.

Io ho giurato di proteggervi e di esservi fedele e di proteggervi, ma non posso farlo se voi fate di tutto per sfuggire alla mia vista.»

«Credi che non sia perfettamente in grado di proteggermi da sola?»

«No, ovviamente. Vi prego di non fraintendere. Ma la vostra sicurezza e la vostra salvezza sono le uniche cose che contano per me. Se vi succedesse qualcosa…»

«Scommetto che se ti dicessi anzitempo dei miei incontri con Guiche, tu correresti a dirlo a mio padre.»

«Niente affatto, Margarita-sama. Gilbert-sama potrà pure essere il mio padrone, ma è stata Margarita-sama ad accogliermi in questa casa, ed è a voi che và la mia più assoluta fedeltà.»

«Staremo a vedere».

Montomorency si avviò verso l’uscita, ma fatti pochi passi parve avere un capogiro, tanto che dovette appoggiarsi ad una trave per non perdere l’equilibrio.

«Margarita-sama!» disse Koga vedendola massaggiarsi la fronte «Vi sentite male?»

«Non è niente.» rispose freddamente lei ridandosi un contegno e sforzandosi di mantenerlo «Sono solo stanca per la lunga cavalcata. Vado a dormire».

Detto questo la ragazza scappò letteralmente via, e scivolando silenziosa lungo i corridoi del palazzo corse a rifugiarsi al sicuro nelle sue stanze, ma come ci fu dentro dovette appoggiarsi nuovamente alla porta.

In realtà era già da un paio di giorni che stava male, e solo prendendo dei calmanti era riuscita a far passare il dolore quel tanto che bastava da potersi permettere di andare incontro a Guiche. Sentiva nausea, mal di testa e le ossa peste, inoltre doveva avere la febbre.

«Che… che mi sta succedendo…».

Nel frattempo, molto lontano da lì, Guiche aveva fatto ritorno nel suo feudo sbucando fuori dall’ingresso del tunnel, situato in un piccolo villaggio di minatori suoi amici tutti d’accordo a non dire nulla a suo padre.

Stava quasi per andarsene, quando due uomini gli si fecero incontro nonostante l’ora tarda; sembravano sconvolti, tanto che i loro volti, alla luce della lanterna, mettevano quasi paura.

«Guiche-sama! Guiche-sama

«Che succede?»

«Venite a vedere, presto! Abbiamo trovato qualcosa di incredibile!»

«Non possiamo fare domattina? Sono stanco morto.»

«Col dovuto rispetto, Guiche-sama, ma sarebbe meglio che lo vedeste adesso».

Anche se di malavoglia, il ragazzo si lasciò convincere, e armatosi a sua volta di una lanterna seguì i due minatori all’interno delle gallerie.

«Stavamo facendo degli scavi all’altezza della superficie.» spiegava uno dei due minatori mentre attraversavano quell’intricato dedalo di cunicoli e passaggi stretti «Verso ovest, dove non ci eravamo ancora spinti massicciamente. All’improvviso, una parte della parete è crollata, e dietro di essa abbiamo trovato una specie di magazzino.»

«E allora? Cosa c’è di così strano?»

«Non era segnato sulle mappe, e l’unico ingresso era stato murato. Ma è stato quello che ci abbiamo trovato dentro a lasciarci sgomenti».

La camminata si fermò a metà di una galleria, davanti ad una pila di materiale che i minatori avevano accatastato per nascondere la fenditura nella parete, grande abbastanza da poterci passare, e una volta che venne nuovamente svelata i tre l’attraversarono.

L’interno era davvero molto vasto, e si notava la mano dell’uomo.

Probabilmente si trattava di un vecchio ingresso collegato alla superficie, anche se adesso l’entrata era ormai completamente ostruita dai detriti; facendo un rapido calcolo, Guiche calcolò che dovevano trovarsi pressappoco uno o due miglia a sud del confine con Touroc, in una zona di foreste dove il ragazzo ricordava di aver effettivamente notato una caverna con l’ingresso ostruito dalle pietre durante qualcuna delle sue battute di caccia a cavallo.

Il tunnel che si dipanava dall’ingresso, poi, era stato effettivamente murato, e anche le rotaie erano state distrutte, quasi a voler cercare di nascondere quanto più possibile l’esistenza di quel luogo.

Guiche si avventurò un po’ all’interno, sempre alla luce della lanterna, poi qualcosa, una specie di enorme massa di metallo, gli si parò dinnanzi sbarrandogli la strada.

Alzati gli occhi, lo sgomento che vi comparve all’interno era tale da non poterlo descrivere. Davanti a lui c’era una specie di carrozza, lunga almeno otto metri, ma completamente ricoperta di metallo; al posto delle ruote aveva dei cingoli, e sulla cima una specie di torretta provvista di un grosso cannone.

«Mio Dio.» disse.

I due minatori esitarono ad avvicinarsi; non avevano idea di cosa fosse, ma di certo non ispirava niente di buono.

«Ma… che cos’è?» domandò uno di loro «Voi lo sapete, Guiche-sama

«Non ne ho idea. Ma forse so chi potrebbe dircelo».

 

Saito e Louise non conoscevano ancora il motivo per il quale Guiche li aveva convocati, e quando la White Dragon approdò nel molo privato del palazzo signorile dei De Gramont non sapevano ancora bene per quale motivo si trovassero lì.

Come scesero dalla nave, il loro vecchio amico venne immediatamente a salutarli; con loro c’era anche Kaoru, che era voluto andare con loro per aiutarli in caso di bisogno, lasciando a Joanne l’amministrazione della provincia per qualche giorno.

«Benvenuti, amici miei.» disse il biondino andando loro incontro

«Guiche. Quanto tempo.» disse Saito stringendogli la mano

«Troppo, amico mio. Ma stando a quello che ho sentito, vi siete dati daffare.»

«Abbastanza.»

«Io non so con esattezza come sia la situazione laggiù da voi, ma qui ad oriente le cose non vanno granché bene. Felice di sapere che siete ancora tutti e due in buona salute.»

«Tuo padre non è in casa?» chiese Louise

«No, purtroppo. È andato in visita ad una delle nostre fattorie.»

«Veniamo alle cose serie.» disse Saito «Si può sapere perché ci hai convocati fin quaggiù con tutta questa urgenza?».

A quella domanda Guiche si fece di colpo molto più serio, forse anche più del normale, guardandosi un momento attorno come a voler essere sicuro che nessuno li stesse ascoltando.

«C’è una cosa che vorrei farti vedere, Saito. Conoscendoti, credo che tu sia l’unico in grado di capirci qualcosa.»

«D’accordo.» rispose lui un po’ stranito.

I quattro allora si misero a cavallo e lasciarono il castello, dirigendosi verso nord.

«Ma chi è lui?» chiese Guiche lungo la strada all’indirizzo di Kaoru, che li seguiva restando qualche passo indietro

«Tranquillo, è un amico.» rispose Louise «Puoi fidarti. È il comandante del nostro esercito.»

«Capisco. Certo però che la sua faccia non è molto rassicurante.»

«Come la tua, del resto.» puntualizzò ironicamente Saito

«Ma dimmi.» domandò Saito durante la strada «Come vanno le cose tra te e Montmorency?»

«Abbastanza bene.» mentì Guiche per non allarmare i suoi amici «Negli ultimi tempi facciamo un po’ fatica a vederci, ma ci teniamo sempre in contatto con dei piccioni viaggiatori».

Arrivarono nelle miniere, e mentre percorrevano le gallerie Guiche raccontò a sua volta ai tre ragazzi come fosse venuto alla luce il passaggio segreto, quindi li condusse dinnanzi a quella specie di carrozza di ferro, dinnanzi alla quale anche Saito e Louise rimasero di sasso.

«Questo…» disse Saito «Questo è un carro armato.»

«Ero sicuro che avresti saputo che cosa fosse.»

«Per essere più precisi» intervenne Kaoru «È un Panzer V Panther, uno dei fiori all’occhiello dell’esercito tedesco nella Seconda Guerra Mondiale.»

«Quindi, in poche parole, è un’arma.» disse Guiche

«Dannatamente pericolosa, anche.» disse Saito «Tu non hai neanche idea di cosa può arrivare a fare un apparecchio del genere.»

«Ora capisco perché si trova qui. Ho fatto qualche ricerca mentre aspettavo il vostro arrivo. Questa parte della miniera è stata chiusa una sessantina d’anni fa da mio nonno. Deve aver trovato questo coso, questo carro armato, come lo chiamate voi, da qualche parte nella foresta, e capendone la pericolosità deve aver deciso di nasconderlo qui e far cadere il segreto perché nessuno lo scoprisse.

Sono andato in esplorazione, e tra gli alberi, ben nascoste, ho trovato anche quattro tombe.»

«Sicuramente appartenevano agli occupanti del carro.» disse Saito

«Quindi, questo coso appartiene al tuo mondo.» disse Louise

«E qui deve restare. In questi tempi di guerra, non voglio neanche pensare a cosa potrebbe fare un simile strumento di morte su un campo di battaglia di questo mondo».

Guiche non riuscì a non rivolgere un pensiero a Montmorency.

Sicuramente suo padre non sapeva dell’esistenza di quel carro armato, perché altrimenti lo avrebbe già fatto disseppellire da un pezzo, e doveva continuare ad essere così, perché conoscendolo se lo avesse trovato non avrebbe esitato ad usarlo contro il suo odiato nemico.

«Saito, Louise.» disse molto seriamente «Vi devo chiedere di non parlare mai a nessuno di questa storia.»

«Sta tranquillo.» lo tranquillizzò Saito «Anche noi abbiamo interessa a fare sì che questo coso non riveda mai più la luce.»

«Farò murare nuovamente la fenditura, e ordinerò di non proseguire gli scavi in questa direzione. I minatori di questo villaggio sono tutti miei amici, e sapranno mantenere il segreto».

Dopo poco i quattro ragazzi uscirono all’esterno, ma trovarono ad attenderli un tempo non molto promettente; nuvoloni grigi si erano addensati improvvisamente sopra le loro teste, e in lontananza già si avvertiva il rimbombare dei tuoni.

«Accidenti.» mugugnò Louise «Si preannuncia un gran brutto temporale.»

«Non possiamo volare in queste condizioni.» disse Kaoru «Sarebbe troppo pericoloso.»

«Non c’è problema.» disse Guiche «Sarete miei ospiti. Mio padre sa già del vostro arrivo. Gli avevo detto che era per una rimpatriata tra vecchi amici.

Potete stare tranquilli, non si accorgerà di nulla.»

«Se proprio insisti.» disse Saito «D’accordo. Tanto, non mi pare che abbiamo molta scelta».

 

Montmorency, dopo quella brutta esperienza, non si era più sentita male, il che la faceva sentire molto più sollevata.

Peccato che la situazione generale del castello non fosse altrettanto rosea.

Suo padre stava diventando sempre più ingestibile, e ormai sembrava davvero che fosse solo una questione di tempo prima che decidesse di muovere guerra ai De Gramont.

Quella mattina, di buon’ora, era arrivato al castello Maxime Touroc, il signore del feudo che sorgeva esattamente nel mezzo tra i domini dei Gramont e dei Montmorency.

Maxime era un parente alle lontana di Gilbet de Montmorency, il patriarca e padre di Margarita, e aveva sposato in seconde nozze Ludwika, una cugina del maresciallo Gramont, il padre di Guiche.

Per questo motivo, lui e il suo feudo avevano sempre funto da spartiacque tra i due casati, ponendosi come punto di convergenza tramite il quale concordare e pianificare una più efficace e duratura riappacificazione, sancita dal matrimonio tra l’unico erede diretto delle rispettive famiglie.

Ma la guerra civile aveva cambiato tutto, compreso l’atteggiamento di Lord Maxime, che invece favorire la riappacificazione sembrava cercare in tutti i modi il pretesto per scatenare una guerra.

A sentire Guiche, sua moglie Ludwika stava facendo di tutto per fare in modo che ciò non potesse accadere, ma essendo lei stessa un Gramont non c’era da stupirsi che cercasse di evitare il massacro.

Montmorency, che aveva sempre trovato amichevole e gentile suo zio, ora invece non lo poteva vedere, tale era l’ipocrisia che stava dimostrando.

Il più importante ostacolo a separare i due casati erano le divergenze politiche; infatti, mentre la famiglia Gramont era da sempre fedele alla famiglia reale, una fedeltà che aveva seguitato a preservare anche dopo la morte della regina, di riflesso i Montmorency erano più ribelli e ostici all’autorità di Henrietta, che avevano sempre palesemente sfidato.

Nonostante il cielo minacciasse pioggia, Montmorency volle attardarsi un altro po’ in giardino a leggere uno dei suoi libri, guardata a vista sia dalla sua dama di compagnia sia, nell’ombra, da Koga. Pur essendo seduta abbastanza lontano, era a distanza d’orecchio per poter origliare i discorsi di suo padre e di suo zio, accomodati sotto ad un elegante gazebo di pietra.

E quello che sentiva, non le piaceva per niente.

«Allora, cugino.» disse suo padre «Che mi consigli di fare?»

«La situazione è seria. Fino ad ora ti sei saggiamente tenuto lontano dai conflitti, ma ormai è tutto il Paese ad essere in guerra. A ovest, la famiglia Hiraga ha già ampliato considerevolmente sia i propri domini sia il livello di considerazione di molti potentati vicini; a sud, Lord Santin sta conquistando un feudo dopo l’altro.

È necessario per noi scendere in campo il prima possibile, o presto ci troveremo in una condizione di netta inferiorità, che ci costringerà ad una posizione di sudditanza nei confronti di qualcun altro piuttosto che alla possibilità di essere noi stessi dei potenziali aspiranti alla guida del Paese.»

«Io sono sempre stato contrario alla politica della precedente famiglia reale. Ma vedere Tristain dilaniata dalla guerra civile… non so, è una cosa che mi spaventa.»

«Appunto. È necessario far finire questa situazione il prima possibile. Ma non possiamo farlo se restiamo inerti.»

«Tu che cosa avresti in mente?»

«Ovviamente, la prima cosa da fare sarebbe ampliare la nostra sfera di influenza e conquistare nuove terre. Spingersi al nord potrebbe essere un rischio, visto che il feudo degli Asnegard non dista molto da qui e che la loro forza è considerevole, ma il sud è molto più abbordabile».

Sia Gilbert che sua figlia capirono subito dove Maxime volesse arrivare, e se non fosse stato per il proverbiale timore che Margarita nutriva nei confronti di suo padre si sarebbe alzata dalla panchina urlando tutta la sua contrarietà.

«Vuoi dire attaccare i de Gramont?»

«Esattamente».

In altri tempi Gilbert avrebbe trovato questa proposta irresistibile.

Tuttavia, qualcosa in lui sembrava essere cambiato negli ultimi giorni. Forse era stato il tempo, o forse il timore che dietro il malessere che sembrava affliggere sua figlia ci fosse il ritrovato astio tra i due casati, fatto sta che muovere guerra al suo odiato nemico Berzac De Gramont non lo entusiasmava più come in passato.

«Non lo so.» disse cercando di trovare una scusa «Le nostre forze e le sue si equivalgono. Il rischio di farsi a pezzi a vicenda è piuttosto alto. E poi, stava quasi per diventare mio genero.»

«La forza non sarà un problema se uniremo le nostre armate, o mi sbaglio? Il mio esercito è considerevole, e unendolo al suo non ci saranno problemi a schiacciare i Gramont. Per quanto riguarda la parentela, ci sono tanti partiti migliori di quel donnaiolo di Guiche per Margarita.»

«E che mi dici di tua moglie? Non credo sia così bendisposta a lasciarci fare.»

«Tu non preoccuparti. Lei fa tanto la voce grossa, ma fino a prova contraria in casa comando io. Non mi si opporrà. E se lo farà, farò in modo di metterla al suo posto».

Montmorency non ce la faceva più, ed era quasi sul punto di andare lì a dire quello che pensava. Come fece per alzarsi, però, quel malessere che l’aveva tormentata negli ultimi giorni tornò a farsi sentire, ma in modo terribilmente più forte rispetto a prima.

In particolare, sentiva un tremendo dolore all’altezza del ventre, tanto da dover stringere i denti per non urlare, e prima di rendersene conto si ritrovò a terra svenuta.

«Margarita-sama!» esclamò la sua dama di compagnia.

I due uomini, attratti dalle urla, si accorsero di quello che stava succedendo.

«Margarita!» esclamò suo padre correndo da lei.

Anche Koga, appollaiato su di un albero vicino, era spaventato e nervoso, e sfidando la regola che gli impediva di mostrarsi a chiunque a parte i suoi padroni uscì allo scoperto per prestare aiuto alla ragazza.

Un paio di ore dopo, al risveglio, Montomorency si ritrovò distesa sul suo letto, attorniata da volti amici.

C’erano i suoi genitori, la sua dama, e poi Koga e il vecchio dottor Sedgwick, il medico personale del castello; era stato Koga a portarla tra le braccia fino in camera da letto, anche se, passato il momento, aveva dovuto subire una severa punizione per aver contravvenuto agli ordini, punizione di cui portava ancora i segni, che cercava di nascondere per non allarmare la sua padrona.

Maxime, nel frattempo, se n’era andato, dicendo che sarebbe tornato in un momento più favorevole per continuare la discussione lasciata in sospeso.

«Non avete più di che preoccuparvi, signorina.» disse il dottore «Si è trattato solo di un principio di influenza. Un po’ di riposo, qualche medicina, e starete bene.»

«Vi ringrazio.» disse lei più sollevata.

Poi, stranamente, il dottore chiese a tutti di uscire.

«Per quale motivo?» domandò scontroso il patriarca

«Devo fare degli altri esami alla signorina, per accertarmi che non si sia fatta male cadendo in cortile. Dovrò chiederle di spogliarsi, e con tutto il rispetto non credo vorrà farlo in presenza d’altri.»

«Io sono suo padre. Che problema c’è?»

«Caro.» gli disse la moglie, donna severa ma molto più ragionevole, alla quale Montmorency assomigliava sia per aspetto che per carattere.

Alla fine, pur mugugnando, Gilbert si arrese, e al suo seguito tutti se ne andarono, lasciando soli Margarita e il dottore.

Montmorency si era accorta subito che c’era qualcosa di strano, e ne ebbe la certezza vedendo l’espressione enigmatica, quasi minacciosa, di quel dottore che l’aveva fatta nascere, aveva curato tutte le sue malattie e che, speravano entrambi, un giorno avrebbe fatto nascere anche suo figlio.

Il dottor Sedgwick era una persona solare e molto gentile, e proprio per questo quel volto ceruleo era una cosa che proprio non gli si addiceva.

«Che succede?» chiese Montmorency preoccupata

«Almeno in questo modo potremo parlare in tranquillità, senza rischio che altri possano sentire».

Sbagliava; ma nessuno dei due se n’era accorto.

«Per il momento vi ho dato dei calmanti e dei lenitivi. Dovrebbero prevenire l’insorgere delle crisi e mascherare gli effetti, almeno per un po’.»

«Non si tratta di un’influenza, vero?» capì la ragazza.

Il dottore la guardò ancor più severamente.

«Signorina. Voi siete incinta».

 

 

Nota dell’Autore

Eccomi qua!^_^

Sì, sono proprio io! Come l’araba fenice, sono risorto dalle mie stesse ceneri!

No, scherzo.

Come ho spiegato già in altre occasioni, mi sono concesso una pausa di riflessione, sia per rimettere apposto le idee per questa fiction sia per scriverne un’altra che mi era venuta in mente a seguito di un sogno.

Devo dire che questo periodo di stop mi è servito, perché sono riuscito a mettere insieme tante altre idee.

Prometto che da ora in poi non ci saranno altre interruzioni, nonostante gli esami che continueranno a perseguitarmi almeno fino al 25 di questo mese, e spero di non aver perso tutti i miei lettori e recensori.

In teoria questo momento dedicato a Guiche e Montmorency sarebbe dovuto durare 2 capitolo, ma rifatti i calcoli credo ne occuperà almeno 4. Spero non sia un problema.^_^

Grazie come sempre i miei affezionati recensori.

A presto!^_^

Carlos Olivera

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Capitolo 20
*** 18 ***


18

 

 

Montmorency si sentì improvvisamente mancare il respiro.

Voleva credere di aver sentito male, ma la parte più razionale di lei in verità aveva iniziato a nutrire questo dubbio già da diverso tempo; purtroppo, però, ora c’era la conferma, e a differenza di quanto si era sempre immaginata nei suoi sogni di adolescente la notizia, date le circostanze, non la faceva saltare di gioia.

«Ma… ma è sicuro!?» domandò pregando per una risposta  che sapeva non sarebbe venuta

«Sì, signorina. Non vi sono dubbi.

Il feto ha già iniziato a svilupparsi.»

«Ma non ho avvertito nessun calo dei miei poteri in questo periodo.»

«Probabilmente si è trattato di un evento fulmineo. Capita talvolta, che la trasmissione del potere avvenga in modo repentino ed improvviso, nello spazio anche di soli due o tre giorni.

Ad occhio e croce, siete tra il primo ed il secondo mese».

Montmorency si toccò il ventre, rendendosi conto personalmente di come sentisse qualcosa al suo interno, una vita che stava nascendo; a quel punto, voler credere che non fosse vero era inutile.

«E adesso cosa faccio?» disse con la voce rotta dalla paura «Se mio padre lo scopre…»

«Per quello che mi riguarda, signorina.» disse il medico «Io non ne so nulla. Potete stare tranquilla, non proferirò parola.

Purtroppo, non posso suggerirvi come agire. Per ora non c’è di che preoccuparsi, ma entro un paio di mesi i segni diverranno impossibili da nascondere. Voglia il cielo che per allora venga trovata una soluzione».

A quel punto, il dottore se ne andò, lasciando Montmorency da sola con i suoi dubbi.

Che cosa poteva fare?

Se suo padre lo avesse scoperto, impossibile stabilire come l’avrebbe presa; forse non l’avrebbe uccisa, ma Guiche di certo non sarebbe stato altrettanto al sicuro.

Si portò nuovamente la mano al ventre, poi al petto, per cercare di calmare i battiti del suo cuore.

In altri tempi, si sarebbe accorta immediatamente di un occhio estraneo che la sorvegliava da un minuscolo foro sulla volta del soffitto, e che aveva carpito ogni parola di quell’incontro.

Koga trovava spregevole il dover spiare la propria padrona, ma non poteva certo disobbedire ad un ordine del patriarca, che più furbo di quanto ci si potesse aspettare ed insospettito dall’atteggiamento del dottor Sedgewik gli aveva ordinato di scoprire cosa stessero realmente covando quei due, con la promessa che in questo modo il suo ultimo atto di disobbedienza sarebbe stato dimenticato.

Il giovane shinobi non aveva mai imparato cosa fossero la rabbia e la frustrazione, almeno fino a quel momento.

Ora, nonostante tutta la forza interiore che aveva sempre dimostrato, si sentiva dilaniato da sentimenti contrastanti; in particolare, provava un odio viscerale per quel damerino biondo, che aveva osato sporcare con la sua lascivia la sua adorata padrona, ed immaginava di fargliela pagare nei modi più dolorosi possibili.

Il dubbio lo divorava.

Che cosa doveva fare?

Quale dei due padroni doveva anteporre all’altro? Ma più di tutto, in quale modo avrebbe potuto mantenere intatto il proprio onore già compromesso, garantire il benessere della signorina e soddisfare quei desideri che non gli riusciva di combattere?

 

Il maresciallo Gramont tornò verso l’ora di pranzo, dicendosi subito molto felice e lusingato per la visita di Saito e Louise.

Per come la vedeva lui, era Louise la legittima sovrana di Tristain, quindi era come se fosse venuto a fargli visita l’erede al trono in persona, un onore che doveva essere ricambiato.

Alla fine il tanto temuto temporale non arrivò, ma l’ospitalità offerta dal maresciallo era tale che non poteva essere rifiutata, così i due ragazzi si offrirono di rimanere per la notte e furono invitati a cena dal patriarca e dalla sua famiglia.

Vedendo i suoi genitori, entrambi tanto seri e composti, Saito e Louise non si meravigliarono che Guiche, il loro unico figlio, fosse venuto fuori così. Non erano vanesi e primedonne come lui, ma sicuramente l’avevano viziato all’inverosimile, tenendo conto anche del fatto che era l’unico figlio che fossero riusciti ad avere.

Mentre Saito e Louise cenavano in compagnia dei padroni di casa, Kaoru sostava sul balcone della sala da pranzo, a distanza di sguardo, scambiandosi di tanto in tanto dei cenni ora con l’uno ora con l’altra.

«E come procedono le cose all’est?» domandò il maresciallo

«Abbastanza bene.» rispose Louise

«Qui purtroppo la situazione non è delle migliori. Lord Santin si sta espandendo velocemente, e ormai i suoi confini non distano molto da qui.

Scendere in guerra contro il mio stesso Paese è una cosa che mi atterrisce al solo pensiero, ma temo che se andrà avanti di questo passo non potremo restare neutrali ancora a lungo.

Di certo, non ho intenzione di cedere il mio feudo al conte di Mormerié. Se lo vuole, dovrà venirselo a prendere.»

«Caro.» disse la moglie «Non potremmo evitare di parlare di politica almeno per stasera?»

«Hai ragione, cara. Infondo, credo che i nostri ospiti non siano certo venuti qui per questo.»

«Non si preoccupi.» rispose Saito «Non è un problema».

In quella arrivò un servitore, che si accostò al patriarca per potergli parlare.

«Lady Ludwika è venuta a farvi visita, signore.»

«Ah, perfetto. Falla pure entrare.»

«Subito, signore.»

«Lady Ludwika è mia cugina.» spiegò il maresciallo mentre attendevano l’arrivo dell’ospite «Ha sposato in seconde nozze Maxime Touroc, un parente di quell’idiota del Duca Montmorency. È una brava donna, molto composta e risoluta.

Ed è anche grazie a lei se finora siamo riusciti ad evitare una guerra».

Lady Ludwika si presentò in sala da pranzo dopo qualche minuto, colpendo subito Saito e Louise, ma anche Kaoru.

Pur avendo ormai raggiunto la soglia dei cinquanta era una donna dall’indubbio fascino, dotata di una forza attrattiva quasi ipnotica; i capelli, marroni, erano raccolti alla maniera dei nobili, e il volto ingentilito sapientemente dal trucco.

Portava un abito blu, che si sposava con il colore dei suoi occhi, provvisto di una gonna molto larga, di quelle che ormai stavano iniziando a sparire, ma che alcune nobildonne più austere e rispettabili seguitavano a sfoggiare come simbolo del proprio status.

Saito quasi arrossì nel vederla, e anche Louise ne rimase colpita.

«Benvenuta, cugina.»

«Mi spiace di aver interrotto il tuo pranzo, cugino. Ma ho bisogno di parlarti.»

«Certo, non c’è problema. Prego, accomodati.»

«Veramente, sarebbe meglio discuterne in privato.»

«Non c’è problema. Le persone qui presenti sono i legittimi eredi al trono di Tristain. Possono sentire e conoscere ogni cosa, gli è dovuto.

Quanto a Guiche e Alexandra… sono la mia famiglia, dopotutto.»

«Come preferisci».

Un servo portò uno scranno, e la nobildonna si accomodò proprio accanto al cugino; le venne offerto anche del cibo, ma lei rifiutò, sostenendo che non avesse fame.

«Allora, Ludwika. Che cosa ti porta qui?»

«Maxime stamattina presto si è recato al palazzo dei Montmorency.

Non so cosa abbia fatto, o di cosa abbiano parlato, ma certo che ha detto ai domestici di non dirmi dove fosse andato. È stata la mia damigella a riferirmelo.»

«Dannato vecchio stupido. Che diceva la testa a mio zio quando ti ha convinta a sposarlo?».

Saito, Louise e Guiche si guardarono tra di loro, preoccupati.

«E adesso lui dov’è?»

«Non è ancora rientrato. Ho detto ai domestici di lasciargli detto che sono andata a fare visita ad una amica di un villaggio vicino alla nostra villa, ma non so se ci crederà. Sarebbe prudente farmi trovare lì al suo ritorno.»

«Ovviamente. Grazie di avermi avvisato.»

«Cerca di capire, cugino. Io non voglio una guerra. Ma mio marito temo di sì, e anche Gilbert. Come minimo, mi sento in obbligo di suggerirti di mettere il tuo esercito in allerta, e di ammassarlo ai confini del tuo feudo. Almeno, se dovesse accadere qualcosa, saresti pronto a reagire, e costituirebbe anche una ostentazione di autorità che potrebbe fungere da deterrente».

Il maresciallo si portò una mano al mento massaggiandosi il pizzetto; l’idea non era affatto male.

«Padre!» esclamò Guiche alzandosi dalla sedia «Non starai pensando di combattere!»

«Siediti, Guiche.» gli ordinò sua madre «Queste non sono cose delle quali puoi decidere tu.»

«Però…»

«Non si dovrebbe discutere di guerra con così tanta leggerezza, se posso permettermi.» intervenne Saito «Se ammassaste l’esercito alla frontiera, il Duca di Montmorency potrebbe pensare ad un attacco imminente e decidere di colpire per primo.»

«Un atteggiamento che vi fa onore, Lord Hiraga.» rispose Ludwika con una punta di acidità «Ma questa purtroppo non è Grasse, o de Ornielle. I casati dei Montmorency e dei Gramont sono nemici da sempre, e la situazione non è mai stata così tesa. La paura e la distanza sono gli unici deterrenti che fino ad ora hanno evitato un conflitto, ed ostentare la propria forza è l’unico modo per avere qualche sicurezza in più.»

«Ma se radunerete l’esercito al nord.» disse Louise «Il sud resterà vulnerabile. Avete appena detto che lord Marcin e le sue armate non distano molto da qui. Potrebbe decidere di attaccare».

Ludwika fece per rispondere, ma il maresciallo la colse incredibilmente in controtempo.

«Può essere. Ma in questo momento, è quella serpe infida di Gilbert a preoccuparmi di più. Farò come mi hai suggerito, Ludwika. Se quello stupido pensa che sarà così facile prendersi il feudo dei Gramont, troverà di che sorprendersi.»

«Scelta saggia, cugino. Dopotutto, io sono pur sempre una de Gramont, e prima che a mio marito sono devota alla mia famiglia».

Di nuovo, i tre ragazzi si guardarono preoccupati.

La faccenda si stava facendo di momento in momento sempre più ingarbugliata e pericolosa.

Un’oretta dopo, la contessa salì sulla propria carrozza per fare ritorno al feudo dei Touroc. Il maresciallo e tutta la sua famiglia, oltre a Saito e Louise, la accompagnarono in cortile, restando ad osservare la carrozza mentre si allontanava.

Kaoru assisteva dall’alto della solita terrazza, braccia conserte e sguardo preoccupato.

«A che pensi?» chiese Derf

«C’è qualcosa di strano. Ho percepito una strana sensazione.»

«Credi che ci sia qualcosa dietro a tutto questo?»

«Non lo so. Ma se fosse, è chiaro che è il caso di scoprirlo».

 

Alla fine, quasi come un automa senz’anima, giunse al cospetto del patriarca, che intanto si era accomodato a tavola, al quale raccontò, con la voce tremante e lo sguardo basso, tutto quello che aveva visto.

E sentito.

Il duca di Montmorency non voleva credere a ciò che sentiva, ma come gli riuscì di capacitarsi il suo volto si accese di rabbia come la sua stessa moglie non avrebbe mai creduto possibile.

Come un toro infuriato, e con la consorte che lo pregava di calmarsi, attraversò i corridoi del palazzo e piombò in camera della figlia quasi sfondando la porta.

«Razza di sgualdrina!» tuonò colpendola con il primo di molti ceffoni «Ti sei fatta sverginare da quell’azzimato incapace di Guiche!

Tra tutti, proprio da lui dovevi farti mettere incinta?

Sei un disonore per tutta la famiglia!»

«Caro, adesso basta!» lo supplicò la moglie dopo l’ennesimo schiaffo «Potresti fare del male al bambino se la colpisci ancora!»

«E sai che me ne importa? Giuro sul nome e la tomba di tutti i miei antenati che morirò piuttosto che farlo nascere!».

Alla fine di quel supplizio, quando il duca finalmente si calmò, il viso di Montmorency era tutto rosso e pieno di lividi, come pure le braccia che aveva usato per tentare di difendersi dalla furia bestiale del padre.

Il duca fece un paio di respiri profondi.

«Adesso non ho tempo da dedicarti. Ma sappi fin da ora che mai e poi mai ti lascerò tenere questo bambino. Te lo strapperò dal ventre io stesso, se dovesse rivelarsi necessario.

E comunque, è solo rimandata. Più tardi tu ed io faremo i conti sul serio. Per ora resterai chiusa qui dentro. Non uscirai neanche per mangiare. Poi, vedremo».

Margarita era inginocchiata a terra, raggomitolata su sé stessa, e come il padre le diede le spalle corse a nascondere la testa tra i cuscini del letto piangendo a dirotto. Vedendola così, privata di tutto il suo coraggio e determinazione, Koga si sentì ancora peggio di quanto già non lo avesse fatto sentire il rendersi conto di ciò che aveva fatto.

Per fortuna Gilbert era ancora troppo sconvolto per quello che era successo per accanirsi anche contro di lui, che in linea teorica poteva essere considerato in parte responsabile in quanto guardia del corpo di tutta la famiglia Montmorency.

«Tienila sempre d’occhio. Non perderla mai di vista.»

«S… sì, mio signore».

A quel punto tutti se ne andarono.

Rimase solo Koga, al quale il pianto ininterrotto di Montmorency sembrava un rumore assordante che gli lacerava un animo già duramente provato, e combattuto tra sentimenti opposti.

«Mia signora…» tentò di dire

«Và via!» urlò lei disperata.

Koga restò un momento basito, ma alla fine anche lui uscì. Rimasta sola, Margarita continuò a piangere senza sosta per diverse ore, domandandosi come si fosse giunti a quella situazione e cosa poteva accadere da quel momento in poi.

Poi, quando ormai il pianto le aveva tolto quasi tutte le forze, alzati gli occhi rossi per le innumerevoli lacrime le capitò dinnanzi agli occhi la gabbietta d’argento dove stava Sue, il piccione viaggiatore che da mesi costituiva l’unico mezzo con il quale lei e Guiche potessero riuscire a tenersi in contatto.

A quel punto, si disse, doveva fare una scelta.

O la sua famiglia, o il suo amore, e la creatura che portava in grembo.

Decise, una volta tanto, di imitare Louise; suo padre e la sua famiglia potevano anche andare all’inferno, ma lei non avrebbe rinunciato ai suoi sentimenti.

Ma non poteva certo scappare da sola.

Suo padre aveva costruito personalmente una spessa barriera tutto attorno alla stanza, e dall’interno era quasi impossibile riuscire a spezzarla; per non parlare del fatto che non era una guerriera, né la sua magia poteva permetterle di sfuggire ai soldati di suo padre che sicuramente le avrebbero dato la caccia se l’avessero sorpresa a scappare.

L’unica cosa da fare era rimettersi nelle mani di Guiche.

Alzatasi dal letto prese un bigliettino, vi scrisse l’essenziale e fece uscire Sue dalla gabbia, infilando il messaggio nel piccolo contenitore assicurato alla zampa, quindi si avvicinò alla finestra, oltre la quale era ben visibile la barriera magica.

Suo padre, ovviamente, le aveva tolto la bacchetta, ma ne aveva una di riserva; non poteva certo rompere il muro, ma poteva crearvi una piccola breccia, abbastanza da far uscire Sue.

Margarita spalancò i battenti, puntò la bacchetta al centro e si concentrò al meglio che poteva. Fu uno sforzo considerevole, ulteriormente accentuato dalla fatica e dalla spossatezza che il suo stato le provocava, ma alla fine riuscì ad aprire un piccolo spiraglio.

«Vai, presto!» disse sciogliendo Sue, che subito dispiegò le ali e spiccò il volo, in tempo per evitare che la barriera si richiudesse «Guiche. Sono nelle tue mani, ora».

Sue volò senza sosta per tutto il giorno, sorvolando il feudo dei Montmorency e quello dei Touroc per poi giungere, verso sera, in vista del palazzo dei Gramont.

La prima a scorgerla fu Siesta, che aveva seguito Saito, Louise e Kaoru e che fin dall’arrivo era rimasta a bordo della White Dragon per ripulirla ed occuparsi delle cabine in previsione del viaggio di ritorno.

Se ne accorse per caso, mentre rassettava il ponte principale, e mentre era ancora con il naso all’insù le cadde l’occhio anche su di una figura che, avvolta dal buio, lasciava il palazzo scavalcando il muro di cinta. Non le riuscì di scorgerla bene, al punto che non poté neanche dirsi sicura di averla realmente vista, però ebbe la netta impressione che fosse stato proprio Kaoru.

Intanto Sue era andata ad appollaiarsi sulla balaustra di una delle finestre di Guiche, che si trovava proprio in camera sua assieme a Saito, ma che solo dopo qualche minuto si accorse di lei.

«Sue.» disse aprendole e facendola entrare «Che cosa ci fai qui?»

«Chi è?» chiese Saito

«È la colomba di Montmorency. La usiamo per comunicare tra di noi senza che i nostri genitori lo sappiano».

Guiche prese il foglietto e lo aprì, ma come ne lesse il contenuto i suoi occhi si spalancarono, e si fece pallido come una salma.

«Problemi?» domandò Saito preoccupato.

Il ragazzo impiegò qualche secondo a riprendersi, sforzandosi subito di recuperare quanto più contegno possibile.

«No, niente di che. Si è ammalata, quindi non potremo vederci per un po’. Tutto qui.»

«Capisco.» disse Saito con uno sguardo strano.

Proprio in quel momento un servitore bussò alla porta annunciando che la cena era in tavola.

«Andiamo?»

«Vai pure. Vi raggiungo subito».

Saito, non senza qualche perplessità, se ne andò, lasciando da solo Guiche, che buttatosi con le braccia sulla scrivania strinse i denti per l’angoscia e la tensione.

Che cosa doveva fare?

Ci mise davvero poco a prendere la sua decisione. Fosse quello che fosse, prima di tutto era necessario salvare Montmorency. Tutto il resto era secondario, almeno per il momento; e poco importava quello che sarebbe stato di lui, o come avrebbe reagito suo padre.

 

Qualche ora dopo, quando ormai era calata la notte, Siesta ebbe nuovamente la sensazione di scorgere un’ombra che velocissima attraversava il giardino, e di nuovo non seppe stabilire se aveva visto giusto o se era stato solo uno scherzo degli occhi.

La risposta sembrò arrivare dopo pochi minuti,  quando Louise si presentò a bordo confusa e anche un po’ scocciata.

«Qualcosa non và, Miss Vallière?» domandò

«È inaudito! Mi giro un momento, e sia Saito che Kaoru spariscono. Saito poi, mi ha fatto fare una figura con il maresciallo e sua moglie non presentandosi a cena.»

«Saito e Kaoru sono spariti?»

«Così sembra. Le guardie dicono di aver visto Kaoru allontanarsi prima di cena. Come se non bastasse, non sono riuscita a trovare neanche Guiche.»

«Anche il signor Gramont!?»

«Questa storia non mi piace neanche un po’. Spero solo che quel trio di stupidi non si cacci nei guai».

Guiche era infatti l’ombra che Siesta non era sicura di aver visto sgattaiolare via di nascosto.

Le altre volte aveva sempre aspettato che tutti andassero a dormire per lasciare il palazzo, così da poter prendere il cavallo, ma quella era una questione della massima urgenza, e ogni secondo lontano da Montmorency di colpo gli sembrava una eternità.

In groppa a Verdandi il ragazzo raggiunse il solito villaggio, rimosse la copertura che nascondeva l’ingresso del foro e ci si calò dentro, rimettendosi immediatamente a correre. Anche correndo a perdifiato senza mai fermarsi, magari a cavallo di una delle sue valkyrie artificiali o della stessa Verdandi, erano necessarie almeno due ore per arrivare al Lago Biwa, e almeno un’altra per raggiungere il palazzo.

Guiche corse, corse come un matto senza concedersi un momento di riposo, pensando le cose più terribili e ripetendosi che doveva fare il prima possibile proprio per impedirle, ma alla fine, dopo svariati chilometri, dovette fermarsi per fare una pausa e riprendere fiato.

Fu una sosta molto lunga, più di quanto avesse voluto, ma come fece per rimettersi in marcia ebbe la netta sensazione di avere qualcuno alle proprie spalle.

«Chi c’è?» urlò voltandosi e mandando all’attacco la valkyria-cavallo che aveva creato per facilitarsi il resto del viaggio.

L’animale impennò, ma i suoi zoccoli metallici e appuntiti andarono a scontrarsi con la spada di Saito; come lo riconobbe, Guiche allontanò immediatamente il servitore.

«Non credevo fossi così veloce.» disse Saito rinfoderando la spada «Ti sarai allenato scappando da Montmorency ogni volta che lei ti sorprendeva a spiarla nel bagno.»

«Che ci fai tu qui?»

«Non sei mai stato bravo a mentire. L’ho capito subito che era successo qualcosa. Immaginavo che usassi un qualche passaggio segreto per raggiungere Montmorency nel suo feudo senza essere notato, e visto che in quel villaggio di minatori ti sono tutti amici ho pensato che doveva trovarsi lì.

Così ti ho preceduto e ho aspettato, e quando sei sceso ti ho seguito.

Allora? Qual è la verità?».

Guiche a quel punto non poté fare altro che confessare tutta la verità; Saito ascoltò scioccato e atterrito, ma non sembrò né compatire né voler mortificare l’amico per quello che, in un certo senso, lui stesso aveva provocato.

«Ecco, ora sai tutto.»

«Lo sai, vero, quello che rischi? Di sicuro la sorveglianza sarà strettissima. E poi, hai calcolato quello che potrebbe succedere quando scopriranno quello che vuoi fare?»

«Che mi importa. Devo aiutare Montmorency. Che uomo e che padre sarei, altrimenti?».

Saito non rispose, limitandosi a guardare Guiche in modo piuttosto severo.

«Ridi pure, se vuoi.» disse Guiche sorridendo di rassegnazione «Ti capisco, dopotutto. Io ho creato questa situazione, e ora pretendo di riuscire a risolverla.»

«Niente affatto, amico mio.» replicò Saito con un sorriso «Capisco benissimo. Perché anche io so cosa si sarebbe pronti a fare per la donna che si ama… e per il proprio figlio».

Guiche lo guardò perplesso.

«Quindi… anche tu…».

Saito rispose con un sorriso ed un ammiccamento.

«Avanti. Andiamo adesso.»

«Niente affatto. Non posso coinvolgerti.»

«Guiche.» rispose allora severamente Saito «Se non mi fai venire con te, andrò a raccontare tutto a tuo padre.»

«Che hai detto?» ringhiò il biondino rosso di rabbia afferrando Saito per il bavero.

Saito però rimase impassibile, mentre Guiche serrava i denti per la rabbia ed il senso di impotenza che lo tormentava da quando quella storia aveva avuto inizio. Poi, dopo poco, Guiche si calmò, lasciando andare l’amico.

«Fa come ti pare.» disse montando a cavallo, ed invocandone uno anche per Saito «Ma non restarmi tra i piedi.»

«Tu piuttosto, cerca di non frignare come tuo solito.» replicò ironico Saito balzando in sella.

 

Verso le due del mattino, Guiche e Saito erano appostati dietro una siepe, con davanti a loro l’alto muro di cinta del palazzo dei Montmorency.

La sorveglianza era strettissima, proprio come aveva ipotizzato Saito; tensione tra le due famiglie a parte, sicuramente anche la scoperta della gravidanza di Montmorency c’entrava qualcosa.

«Accidenti, quanti sono.» disse Guiche vedendo che c’era un soldato ogni cinque metri di muro «Sembra che dovremo aprirci la strada.»

«Aspetta, non essere impulsivo. Se danno l’allarme, diventerà tutto più difficile».

Alla fine si decise di scavare un nuovo tunnel con l’aiuto di Verdandi, per passare sotto al muro di cinta e sbucare fuori dall’altra parte.

La gigantesca talpa si mise immediatamente al lavoro, cercando di fare meno rumore possibile per non mettere in allarme le guardie, e come il buco fu abbastanza profondo i due ragazzi ci entrarono immediatamente, coprendo il foro con dell’erba per ridurre i rischi.

«Sei sicuro che funzionerà?» domandò Saito mentre avanzavano nel buio

«Fidati. Sono stato altre volte nel palazzo dei Montmorency, quando le nostre famiglie cercavano di fare pace, e mi ricordo bene come è fatto.»

«Speriamo bene. Certo che però è difficile orientarsi restando sottoterra».

Dopo poco Guiche, che in realtà non era del tutto sicuro di dove stessero andando, ordinò a Verdandi di fermarsi e di scavare l’uscita, che secondo i suoi calcoli li avrebbe fatti sbucare fuori nel bel mezzo dell’arboreto dietro alla casa, dove a rigor di logica non doveva esserci nessuno.

«E ora speriamo di non trovare sorprese.» disse il biondino incrociando le dita.

Invece, per fortuna, la sua intuizione si rivelò esatta, e i due ragazzi sbucarono fuori a pochi passi dall’ingresso posteriore della villa.

«Questo posto è enorme.» disse Saito alzando gli occhi «Dove sarà la stanza di Montmorency?»

«Dove vuoi che sia? Lassù.» replicò Guiche indicando un’ala del terzo piano completamente avvolta in una barriera «L’unico modo per infrangere quello scudo è agire sul punto focale.»

«E tu sai dove si trova?»

«A rigor di logica, dovrebbe essere la porta della stanza. Così la barriera può essere aperta e chiusa in qualsiasi momento.»

«Il che significa che dobbiamo entrare nella villa.»

«Non c’è altra scelta. Io non sono un esperto in questo genere di barriere. A meno di non agire sul punto focale, non c’è modo che riesca a distruggerla.»

«Ma come facciamo? Di sicuro sarà pieno di sorveglianza lì dentro».

Guiche ci pensò un momento, poi sorrise malevolo.

«Forse ho trovato».

Dieci minuti dopo, una decina di valkyrie appositamente create presero a creare scompiglio nel villaggio ai piedi della collina dove si trovava il palazzo, rovesciando carri, demolendo granai e spaccando finestre.

Le guardie che presidiavano in palazzo se ne accorsero subito; alcune di esse si diressero verso il villaggio per riportare la calma, altre invece, pur restando ai propri posti, si fecero distrarre, dando modo a Guiche e Saito di entrare e muoversi senza essere notati.

«Gran bella pensata!» osservò Saito mentre salivano le scale «Sei più furbo di quanto mi aspettassi.»

«È un complimento?» domandò provocatoriamente Guiche.

Raggiunto il terzo piano, però, i ragazzi si imbatterono in una coppia di guardie che pattugliavano il corridoio, ma prima che potessero dare l’allarme Saito piombò loro addosso e le stese entrambe con un paio di precisi colpi di piatto.

«Perdere le rune di Gandalfr non ti ha rammollito, a quanto pare.»

«È un complimento?» disse Saito facendogli il verso.

Montmorency, che si era accorta di quello che stava succedendo al villaggio, era ancora intenta a guardare preoccupata quello che succedeva fuori, quando magicamente vide la barriera cadere sotto i suoi occhi e sentì la serratura della porta scattare di colpo.

Per un attimo pensò che potesse essere suo padre, ma appena vide palesarsi Guiche gli corse incontro piangendo di gioia e buttandosi tra le sue braccia.

«Montmorency!»

«Guiche! Lo sapevo che alla fine saresti venuto!»

«Potevi dubitarne?»

«E tu cosa ci fai qui?» domandò poi la ragazza rivolta a Saito

«Sarebbe troppo lungo da spiegare. Ora andiamo prima che ci scoprano».

Quello che Saito, Guiche e Montmorency, unitasi a loro, non potevano immaginare, era che anche Koga si sarebbe recato al villaggio per reprimere i disordini.

Grazie alla sua abilità e alla sua esperienza, le valkyria di Guiche vennero eliminate in molto meno di tempo di quanto si fosse previsto, e poiché conosceva la tecnica magica del rampollo dei Gramont al giovane shinobi bastò fare due più due per capire quello che stava succedendo.

«Maledizione!» ringhiò, e girati i tacchi tornò di corsa verso il palazzo.

Nel frattempo i tre ragazzi erano ridiscesi in cortile, ma proprio quando erano sul punto di calarsi nel foro Koga raggiunse la camera di Montmorency arrampicandosi lungo il muro, trovando come si aspettava la barriera abbattuta e la stanza vuota.

«Allarme!» urlò a piena voce.

Tutto il giardino prese immediatamente a venire attraversato da urla, clangore di armi e pattuglie di ronda, e prima che Saito e gli altri potessero calarsi nel buco e cancellare ogni traccia un gruppetto di soldati si imbatté in loro.

«Voi andate!» disse Saito sguainando la spada «A questi ci penso io!»

«Saito, sono troppi!» gli disse Guiche «Non ce la farai mai! Ti aiuto anch’io!»

«Non dire idiozie! Abbiamo fatto tutto questo per fare in modo che tu e Montmorency poteste riunirvi. Se venissi preso sarebbe stata una fatica inutile.»

«Però…».

I soldati attaccarono, ma anche se Saito riuscì a tramortirli tutti ne stavano arrivando altri.

«Andate, presto! E se io non dovessi raggiungervi al lago entra un’ora, raggiungete subito Gramont».

Guiche si sentiva impotente; d’altra parte però, Saito si stava sacrificando per loro, e loro non potevano vanificare il suo sacrificio.

«Ti prego, non ucciderli!» disse Montmorency rassegnandosi all’idea

«Stai tranquilla, non lo farò.» le rispose Saito con un sorrido «Ora andate.»

«Mi raccomando, raggiungici il prima possibile.» disse Guiche

«Sta tranquillo».

Guiche e Montmorency a quel punto se ne andarono, lasciando Saito da solo ad affrontare le guardie del palazzo.

Per un po’ il ragazzo riuscì a difendersi bene, mettendo a frutto la sua esperienza a lungo affinata nel corso degli allenamenti con Kaoru, riuscendo nell’impresa di stendere quasi tutti gli aggressori che gli si presentavano senza per questo doverli uccidere.

Si era quasi convinto di poterne uscire senza problemi, quando all’improvviso un’ombra nera arrivò a sovrastarlo oscurando le lune, e una strana selva di fili sottilissimi gli piombò addosso.

«Maledetto! Dov’è Margarita-sama?» sbraitò Koga con occhi assatanati e pazzo di rabbia.

Saito riuscì ad evitare l’attacco spostandosi all’indietro, ma quei fili, a dispetto della loro apparente innocenza, si rivelarono così duri ed affilati da riuscire a sventrare il terreno. Come Koga tornò a terra Saito provò a contrattaccare, ma lo Shinobi lanciò nuovamente quei suoi fili che teneva annodati attorno ai polsi, e che come mossi da vita propria prima fermarono la spada di Saito e poi, avvinghiatala, gliela strapparono di mano, lasciandolo disarmato.

Il giovane Hiraga rimediò recuperando la spada di un soldato svenuto, ma ogni volta che provava a muovere un attacco quei fili infernali si ponevano in difesa del loro padrone, guizzando e volando in tutte le direzioni e colpendo come una selva di micidiali fruste.

Koga riusciva a controllare tutti quei fili, realizzati con la fibra ricavata da una speciale canapa unica nel suo genere, grazie ai suoi anelli, e alla straordinaria velocità con cui riusciva a muovere ed agitare le braccia, che gli permettevano di muoverli come se fossero stati una parte del suo corpo.

Saito tentò in ogni modo di difendersi, ma alla fine venne nuovamente disarmato, e prima che potesse pensare di fare qualcosa si ritrovò completamente avvinghiato. Se ne era già accorto quando lo avevano colpito in altre occasione, ma quei fili erano terribilmente taglienti, laceravano i vestiti e penetravano nella carne come un coltello nel burro.

Il ragazzo serrava i denti per contenere le grida, mentre Koga, con sguardo di chi è ormai fuori di sé, stringeva sempre più forte; gli bastava muovere un dito, anche di poco, e la stretta aumentava, improvvisa e dolorosissima.

«Parla, maledetto. Dov’è Margarita-sama? O parola mia, ti faccio a brandelli».

Saito però non parlò, guardando anzi Koga con occhi di sfida. Questo fece ulteriormente infuriare il giovane shinobi, che ringhiando di rabbia all’improvviso strinse fin quasi al punto di rottura; Saito sentì i fili penetrargli nel corpo quasi dappertutto, e a quel punto non riuscì a non urlare con tutta la sua voce.

Probabilmente Koga avrebbe protratto quella sofferenza inaudita per chissà quanto tempo, o addirittura si sarebbe spinto oltre, se all’improvviso una voce perentoria non lo avesse fermato.

«Basta così!» tuonò il duca comparendo nel giardino con la vestaglia da notte indosso e il suo bastone-scettro in mano.

Koga esitò, digrignando i denti, ma alla fine obbedì, ritirando i fili, e lasciando che Saito rovinasse al suolo, coperto si sangue e tagli profondi ma fortunatamente vivo.

«Portatelo nelle celle».

 

 

Nota dell’Autore

Eccomi qua!^_^

Di ritorno, come sempre.

Mi sento più soddisfatto. Un esame me lo sono lasciato alle spalle, e per i successivi non dovrei avere particolari problemi, senza contare che li avrò solo ai primi di luglio, quindi ho un po’ di tempo.

Nell’ultima nota ho dimenticato di fare una precisazione.

Il personaggio di Koga è ispirato a Yashamaru, dell’anime Basilisk, dal quale apprende anche la tecnica di lotta. Questo personaggio mi era piaciuto fin dall’inizio, e mi era dispiaciuto che fosse morto così presto, così ho voluto dargli un ultimo momento di gloria nella mia storia.

Visto che mi trovo io stesso in periodo di esami, posso capire perché Seldolce non si sia fatta viva dall’ultimo aggiornamento. Avanti, che tra poco sarà finita!

A presto!^_^

Carlos Olivera

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Capitolo 21
*** 19 ***


19

 

 

Al sorgere del sole, Louise non era ancora andata a dormire.

Troppa era la preoccupazione per Saito e Kaoru, spariti nel nulla senza lasciare tracce e di cui non aveva la minima idea di dove fossero o cosa fosse loro capitato.

Di certo, continuava a ripetersi, avrebbe dato loro una lezione di quelle che non si dimenticano, una volta che li avesse avuti tra le mani. Così imparavano a farla preoccupare a quel modo.

Come se non bastasse, si era sparsa la voce che anche Guiche fosse sparito, e ora il palazzo era nella più totale confusione.

Capitava spesso che il giovane e scapestrato erede se ne andasse in giro per i fatti suoi senza dire niente e mettendo tutti sul chi vive, ma quella era una situazione particolare, dove tutto poteva essere possibile.

Verso le otto un servo andò da Louise ad informarla che la colazione era in tavola; la ragazza aveva gli occhi pesti, sonno quanto bastava e un diavolo per capello, e quando scese in sala da pranzo si avvide che anche i padroni di casa non stavano poi tanto meglio.

«Dove si sarà cacciato quel buono a niente?» sbraitò il maresciallo mentre tutti e tre si sforzavano di mangiare

«Anche mio marito e il mio famiglio sono spariti.» disse Louise «Qualcuno ha detto di averli visti allontanarsi ieri sera, ma non ho idea di dove siano o perché se ne siano andati.

Vi prego umilmente di perdonarli.»

«Non fa niente, miss Vallière. Sono io anzi che dovrei chiederle scusa. Sicuramente è tutta opera di quello scapestrato combina guai di mio figlio. Li avrà trascinati a forza in qualcuna delle sue avventure strampalate.

Comunque, ho mandato vari esploratori a cercarli in giro per il feudo. Non temete, tra poco sono sicuro che saranno di ritorno, e potremo smettere di preoccuparci».

Quasi a farlo apposta, qualche minuto dopo lo stesso Guiche si palesò in sala da pranzo entrando dalla porta principale; teneva gli occhi bassi, era pallido e sembrava quasi mortificato.

«Guiche!» disse sua madre «Si può sapere dove sei stato? È tutta la notte che l’intero castello ti cerca!»

«Padre. Madre.» disse lui insolitamente serio «C’è una cosa che devo farvi vedere».

Passò un secondo, e ad un cenno di Guiche Montmorency comparve alla presenza dei padroni di casa, che saltarono sulla sedia per la sorpresa e lo sgomento; anche lei teneva gli occhi bassi per la paura e la vergogna, ed aveva un’espressione terribilmente affranta.

«Che cosa ci fa lei qui? Si può sapere che diavolo ti passa per la testa, razza di figlio degenere!»

«Padre. Lascia che ti spieghi, per favore».

Guiche a quel punto non poté fare altro che confessare tutto, aiutato di quando in quando dalla sua amata, che aggiungeva spiegazioni cercando di limare le responsabilità di Guiche e assumendosi la sua parte di colpe; dopotutto, come si scoprì, era stata sua l’idea del tunnel che passava sotto Touroc.

I genitori ascoltarono attoniti, e quando il racconto finì erano più sconvolti di quanto non fossero mai stati in tutta la loro vita.

«Ma cosa ho fatto di male per avere un figlio così stupido?»

«Hai così tante ragazze che ti girano intorno.» disse la madre «Tra tutte, proprio con la figlia dei Montmorency dovevi andare a letto?»

«Ti rendi conto del disastro che hai combinato?» disse il padre, che poi si alzò in piedi indicando Montmorency «Tu stasera te ne ritorni dritta a casa, con una lettera di scuse rivolta a tuo padre.»

«Non può tornare a casa, padre! La sua famiglia la ucciderebbe!»

«E vorresti tenerla qui? Ti rendi conto che è una mina vagante? Appena Gilbert scoprirà dove si trova sua figlia mi scatenerà contro un esercito, sempre ammesso che non l’abbia già fatto!»

«Saito!» irruppe di colpo Louise, che in tutto quel tempo aveva cercato di assimilare lo shock per quello che Guiche aveva raccontato a proposito del suo amato «Che ne è stato di Saito?»

«Lo abbiamo atteso per ore all’ingresso del tunnel, ma non è mai arrivato. Poi, all’improvviso, mentre lo aspettavamo, abbiamo visto una pattuglia di soldati avvicinarsi, e siamo stati costretti a scappare.

Non so cosa ne sia stato di lui, ma è molto probabile che l’abbiano catturato».

Louise non riuscì a non pensare al peggio, e un brivido le attraversò tutto il corpo.

«Mi dispiace, Louise.» disse Montmorency mortificata «È colpa mia.»

«No…» sussurrò

«Tranquilla, Louise.» la rassicurò tuttavia Guiche «Saito è un nobile e un feudatario. Il duca è un uomo vecchio tipo, che segue il codice della cavalleria. Non può uccidere un suo parigrado.»

«Questo non cambia la tua situazione.» intervenne nuovamente il maresciallo «Non possiamo tenere questa ragazza qui con noi!»

«Se Montmorency se ne và» disse Guiche con una risolutezza mai vista prima «Allora me ne vado anch’io.»

«Tu non vai da nessuna parte!»

«Io la amo, padre. E non mi farete cambiare idea. Se proprio non volete aiutarci, allora da adesso in poi andremo avanti da soli. La vostra approvazione non ci serve, dopotutto.»

«Dannato ragazzino ingrato.» replicò il patriarca a denti stretti «Quando avrò finito con te, rimpiangerai di esserti fatto uomo proprio adesso.»

«Invece, secondo me sarebbe una pessima idea!» disse una voce famigliare, che fece volgere tutti verso il portone sul lato opposto

«Ludwika!?» esclamò il maresciallo

«Prova a riflettere, cugino. Per anni abbiamo cercato di creare una pace duratura tra i casati di Gramont e Montmorency tramite questi due ragazzi. E cosa c’è di meglio di un erede per sancire questa pace?»

«Quale pace!? Mi stai chiedendo di fare pace con quella serpe?»

«Al punto in cui siamo, cugino, con Maxime dichiaratamente schierato contro di noi, solo la pace impedirà ai Gramont di andare incontro alla rovina. E tu lo sai».

Il maresciallo digrignò i denti per la rabbia.

«Però, quando Gilbert scoprirà che sua figlia è qui…»

«Gilbert lo sa benissimo che sua figlia è qui. Ma non può provarlo.»

«Che importanza ha? Ci dichiarerà guerra comunque.»

«È qui che ti sbagli, cugino. Non può farlo. Come il tuo intelligentissimo, per quanto avventato figlio ha fatto notare, quel vecchio orso di Gilbert venera il codice della cavalleria come il suo secondo dio. E in base al codice, un nobile non può muovere guerra ad un altro nobile senza che vi sia un valido motivo.

Pertanto, finché non potrà provare con assoluta certezza che sua figlia si trova qui, non potrà mai usare questo come pretesto per muovere guerra ai Gramont.

Per lo stesso motivo, inoltre, sarà costretto a riconoscere la fine delle ostilità, qualora il bambino dovesse nascere. Il Codice prescrive chiaramente che la nascita di un erede tra membri di famiglie avverse è da ritenersi essa stessa come accordo di pace. Se il bambino nascerà, la pace tra i nostri due casati sarà definitivamente sancita, e Gilbert non potrà farci niente».

Il maresciallo prese a camminare avanti e indietro per tutta la stanza, mentre Guiche e Montmorency lo guardavano speranzosi.

«Ma Lord Hiraga potrebbe parlare.»

«Saito non lo farebbe mai!» esclamò Louise «Voi non lo conoscete.»

«Per Lord Hiraga escogiteremo qualcosa. Proverò a convincere mio marito o Gilbert a lasciarlo andare. Se non dovesse bastare, al giorno d’oggi non è difficile reclutare dei buoni incursori.

Tutto quello che bisogna fare è tenere Margarita e Guiche al sicuro per questi nove mesi. Poi, sarà tutto finito».

Alla fine tutti convennero che quella era la soluzione migliore, facendo tirare un sospiro di sollievo ai due ragazzi, che intravidero finalmente un barlume di speranza per la loro tormentata storia insieme.

Ludwika dopo poco se ne andò dicendo che avrebbe fatto ritorno a Touroc per cercare di convincere Maxime a intercedere con Gilbert per far uscire quanto prima Saito di prigione.

Ma Saito non era il solo nodo che serrava lo stomaco di Louise mettendola in agitazione.

«Avete visto Kaoru?» chiese a Guiche quando furono da soli «Sapete dove sia?»

«Non ne ho idea. Con noi non è venuto.»

«Ma dove può essere finito?».

 

Saito si era risvegliato, tutto un dolore, in una delle celle nelle segrete della villa dei Montmorency, seduto in terra e con i polsi incatenati al muro.

Per tutta la notte era stato lasciato nelle mani di Koga, che nonostante la presenza del duca non si era certo risparmiato nel condurre il suo interrogatorio.

Saito aveva preso tante di quelle botte da bastargli per una vita intera, soprattutto a causa di quei fili infernali che Koga muoveva come delle fruste, procurandogli tagli e lividi in tutto il corpo che bruciavano più del fuoco.

Ma nonostante ciò, continuò a non aprire bocca, stringendo i denti per reprimere le grida. Sapeva che se avesse parlato del coinvolgimento di Guiche nel “rapimento” di Montmorency sarebbe stata subito guerra, e che se non lo avesse fatto Gilbert non avrebbe avuto alcun pretesto, quindi doveva assolutamente resistere, o sarebbe stato tutto inutile.

Ma era dura. Koga ci andava giù pesante, e a metà mattina Saito si sentiva come se intere parti del suo corpo fossero sul punto di staccarsi, tante erano le ferite di cui era riempito e il sangue che gli inzuppava i vestiti.

Il giovane shinobi si era sforzato a tal punto da avere ormai il fiatone, e intanto il duca osservava stando in disparte.

«Parla, maledetto!» gridò Koga «Dillo che è stato Guiche de Gramont e rapire Margarita-sama! Dillo!»

Saito lo guardò per l’ennesima volta con quegl’occhi sprezzanti, e allora Koga fece per mandare nuovamente i suoi fili all’attacco.

«Basta così!» disse invece il duca, e allora il ragazzo si fermò «Lord Hiraga. Io vi ammiro per la vostra perseveranza. Ma non ne ricavereste niente nel coprire quell’azzimato incompetente. Direi pure che non merita la vostra fedeltà, visto che vi ha lasciato qui a soffrire mentre lui scappava con mia figlia.

Io rivoglio solo Margarita. Ditemi dove si trova, e vi giuro sul mio onore che vi lascerò andare, e che tutta questa faccenda sarà dimenticata.»

«Perché possiate costringerla ad abortire?» replicò il giovane tossendo «Il vostro odio reciproco è così forte da spingervi a tanto?»

«Evidentemente voi non conoscete la storia dei nostri due casati.» rispose pacato il duca «Cinque secoli fa, c’era la pace tra i Gramont e i Montmorency. Servivamo entrambi fedelmente la famiglia reale, assicurando il mantenimento della pace e la gloria di Tristain.

A quell’epoca, i confini della nazione non erano molto distanti da qui, e vigeva uno stato di perenne tensione con Gallia e Germania. I Gramont erano vassalli dei Montmorency, ed i miei antenati avevano fiducia in loro.

Ma i Gramont, avidi di potere, complottarono per portare a Tristain le truppe di Germania. Prima tradirono la fiducia dei Montmorency lasciando che i loro eserciti venissero massacrati, poi discesero sul nemico con quale si erano alleati attaccandolo alle spalle e contribuendo a sterminarlo.

Mascherando la loro condotta meschina, loro ottennero fama e gloria, e i Montmorency caddero in rovina. Occorsero più di cento anni per risollevarci e riacquistare il prestigio perduto. Ma ormai il nostro buon nome agli occhi della famiglia reale era definitivamente compromesso.»

«E così.» rispose Saito con sguardo quasi di rabbia «Guiche e Montmorency dovrebbero pagare per le colpe e le ambizioni di uomini che a quest’ora saranno già divenuti polvere?»

«È evidente che voi non potete capire i sentimenti e le ragioni di un vero nobile. I Gramont hanno tradito la nostra fiducia e distrutto il nostro onore. Questi sono torti che non possono essere dimenticati.»

«Lo sa.» disse Saito facendo riferimento all’ultimo festival della cultura della sua scuola a cui aveva partecipato, solo pochi giorni prima che avesse inizio la sua incredibile avventura «Una volta mi è capitato di vedere una recita teatrale. Era un dramma.

Raccontava una storia molto simile a questa, con due ragazzi che si amavano, ma le cui famiglie si odiavano apertamente e facevano di tutto per distruggersi.

Lo sa come è andata a finire? Che entrambi i ragazzi sono morti, e solo allora i solo genitori si sono accorti di quanto la loro guerra gli fosse costata.

Vuole che accada la stessa cosa? Vuole che Guiche e sua figlia siano costretti a morire per poter vivere serenamente il loro amore?».

Il duca accusò il colpo, mostrandosi spiazzato e facendo dubitare che potesse trovare una risposta a quell’argomentazione. Fu salvato all’ultimo secondo dall’arrivo di una guardia, che gli annunciò l’arrivo di Maxime, che desiderava parlargli con estrema urgenza.

«Fallo accomodare in biblioteca.» disse, poi si rivolse a Koga «Cerca di farlo parlare. Ma non ucciderlo. È pur sempre un nobile, e il marito di miss Vallière.»

«Sì, mio signore».

Mentre il duca si allontanava poté sentire le urla in lontananza di Saito, e gli venne quasi da considerarle una sorta di ripicca per essere stato messo alle corde davanti ad un suo servitore; senza pensarci troppo, tuttavia, raggiunse la grande biblioteca del pianterreno dove lo attendeva Maxime, che nel frattempo si stava concedendo il piacere di una tazza di tè.

«Gilbert.» disse alzandosi in piedi «Ho saputo quello che è successo. Mi dispiace enormemente.»

«Ti ringrazio, Maxime. È bello sapere che posso contare su di te.»

«Questa volta i Gramont hanno passato la misura. Non solo hanno rapito l’unica erede del casato dei Montmorency, ma ne hanno pure sporcato la verginità con il loro seme immondo.

Una simile condotta non può essere perdonata. Devono assaggiare il ferro delle nostre spade.»

«Purtroppo, non ho prove che Margarita sia tenuta presso di loro. Sono pronto a scommettere che Lord Hiraga si farà uccidere piuttosto che parlare, e senza una confessione non posso giustificare un intervento armato contro Gramont.»

«Se è una confessione che ti serve, non c’è problema. Ho quella di mia moglie.»

«Che cosa!?» esclamò Gilbert sgomento

«Questa mattina Ludwika è uscita prestissimo, dicendo che sarebbe andata a far visita ad un nostro latifondo. L’ho fatta seguire, e ho scoperto che invece si è recata al palazzo dei Gramont. Quando è tornata, l’ho costretta a confessare a furia di botte, e lei ha ammesso di aver visto Margarita presso di loro.

Ecco fatto. Ora sai».

Il duca restò un momento basito.

Ora aveva tutto quello che gli serviva per fare guerra; eppure, dopo aver inconsciamente cercato quel traguardo per chissà quanto tempo, ora invece la paura e il dubbio lo facevano esitare.

Per un po’ camminò avanti e indietro per la stanza, sempre seguito con gli occhi da Maxime.

«Potrebbero fare del male a mia figlia, se attacchiamo. Potrebbero ucciderla.»

«Non lo faranno.» tagliò corto Maxime «Lei è un ostaggio, e nel Codice della Cavalleria gli ostaggi, se sono nobili, non si uccidono mai. Se Gramont violasse il codice, il voto di fedeltà alla famiglia reale del quale la sua famiglia và così tanto fiera diventerebbe carta straccia, ed è una cosa che non può permettersi».

Gilbert sembrava sul punto di convincersi, e allora Maxime volle portare il colpo finale.

«Questa è la nostra grande occasione. I Montmorency potrebbero finalmente arrivare a rivestire quel ruolo di primo piano di cui godevano nella loro epoca d’oro, e che i Gramont ci hanno strappato.

Le mie truppe si uniranno alle tue. Dai una voce, e i Gramont torneranno a pascolare le vacche e a dormire con i maiali».

A quel punto, l’odio e la voglia di vendetta prevalsero sul patriottismo e la ferra determinazione di mantenere la pace.

Il duca, con gli occhi che parevano scintillare, si volse verso il cugino.

«Dì ai tuoi uomini di prepararsi. Domattina, all’alba, attaccheremo.»

«Ottimo.» rispose Maxime ghignando soddisfatto «Erano secoli che aspettavamo questo momento».

 

Su ordine del maresciallo Gramont, Montmorency era stata posta sotto le cure di una domestica di fiducia, e le era stata assegnata una stanza nella parte più centrale del palazzo, guardata a vista da cinque guardie armate fino ai denti.

Tutto doveva scorrere liscio, almeno fino a quando non si fosse trovata una soluzione più consona.

Si stava già pensando di trasferirla altrove, in qualche altro feudo, dove non potesse essere trovata; era sufficiente che trascorressero quei nove mesi, a una volta nato il bambino i Montmorency sarebbero stati costretti, volenti o no, ad accettare la pace.

Non era la soluzione degli eventi che il maresciallo e la sua famiglia si aspettavano, ma con i Touroc alleati dei Montmorency una guerra era l’ultima cosa che si doveva cercare. Forse, un domani, i Gramont avrebbero conquistato un potere ed una influenza tali da permettere un cambio di direzione verso una condotta meno passiva, ma per il momento quella era l’unica soluzione possibile.

Come a Montmorency fu data la stanza, Guiche andò subito a trovarla.

Tutti e due erano ugualmente preoccupati e in ansia. Temevano per quello che sarebbe potuto succedere, ma anche per come sarebbe potuta andare a finire la loro storia d’amore.

Potevano essere comunque costretti a separarsi, o a vivere in ogni caso un amore fittizio con due famiglie che si odiavano a vicenda, e che sembravano avere perso ogni proposito di cercare una riappacificazione sincera, e non dettata unicamente dai dogmi di quel codice della cavalleria al quale erano tanto legati.

In una simile situazione, che futuro poteva esserci per loro, ma soprattutto per il loro bambino?

«Non temere, Montmorency.» le disse Guiche cercando di farle coraggio «Vedrai che tutto si aggiusterà. Lo hai visto, no? Mio padre è dalla nostra parte.»

«Ma per quanto durerà? Lo sappiamo tutti e due che un bambino non basterà a mettere fine a mezzo millennio di odio reciproco. E comunque, che futuro potremo mai dargli? Sballottato per tutta la vita tra due realtà in lotta tra di loro.»

«Abbi fiducia.» le disse Guiche stringendola «Ti prometto che, comunque vada, io farò tutto quello che è in mio potere per fare sì che tu e nostro figlio possiate avere tutta la felicità che meritate».

Montmorency dovette riconoscere definitivamente che Guiche non era più quello di una volta, e si abbandono al suo abbraccio; era diventato un uomo, un vero uomo, e voleva stare con lui per sempre.

La magia di quel momento fu violentemente e impietosamente guastata da un gran baccano che prese a provenire dall’esterno.

«Che succede?» chiese Montmorency.

Guiche andò ad affacciarsi alla finestra, che dava proprio sul cortile principale, e vide la carrozza della contessa Ludwika entrare a tutta velocità attraversando l’arco che immetteva nel giardino interno dove si trovava l’ingresso principale, temendo subito il peggio.

«Aspetta qui.» disse a Montmorency, e subito corse via.

Quando arrivò nel salone sua zia era già lì, seduta ad una delle poltroncine attorniata di servi con in mano cotone e disinfettante, e solo a vederla venivano i capelli bianchi; il suo viso così austero e gentile era tutto un livido, l’occhio sinistro era mezzo chiuso e il labbro inferiore spaccato.

C’era anche suo padre, che sembrava un morto vivente tanto appariva sconvolto e attonito.

«Mi dispiace, cugino.» disse Ludwika pulendosi il sangue con un fazzoletto «Ho cercato di resistere. Ma quel maledetto mi ha picchiato senza pietà.

Alla fine, non ce l’ho fatta più.»

«Giuro su quello che ho di più caro che pagherà per quello che ti ha fatto.»

«Che è successo, padre?»

«Maxime ha scoperto tutto. Ha scoperto che Margarita è qui, ed è andato immediatamente a dirlo a suo padre. Di sicuro, in questo momento, il suo esercito si sta già preparando ad attaccare».

Guiche sentì un brivido alla schiena.

Allora, era stato tutto inutile? Tutti i loro sforzi, incluso il sacrificio di Saito, non erano serviti a niente?

«Ormai è tardi per restituirgli la figlia e cercare un chiarimento. A questo punto, l’unica opzione restano le armi.»

«Non puoi farlo, cugino.» disse Ludwika «Maxime ha detto che intende promettere la propria alleanza a Gilbert. Con la forza combinata dei Touroc e dei Montmorency a minacciarci, non c’è niente che la sola armata dei Gramont possa fare per fermarli.»

«Che cosa me ne importa? Non intendo affondare senza combattere. Te l’avevo detto, no? Che non si sarebbero presi la mia provincia tanto facilmente.

E comunque, la situazione non è così drammatica come potrebbe sembrare. Gilbert non è un soldato, è uno scribacchino. Non ha nessuna esperienza di strategia e battaglie campali, e lo stesso si può dire di quell’animale di tuo marito.

Io ho anni di battaglie sulle spalle.»

«Ma sarà sufficiente questo, per sopperire all’inferiorità numerica?»

«Non lo so. Ma come ho detto, di certo non ho alcuna intenzione di restare inerte».

In quella, una spia inviata a Touroc fece ritorno al palazzo ferita e morente, tanto che dovette essere accompagnata a spalla alla presenza del maresciallo. Quel poveretto era ormai più da una parte che dall’altra, e si vedeva che non sarebbe sopravvissuto ancora a lungo.

«Mio signore!» disse il soldato che lo trasportava «È rientrato uno dei nostri esploratori inviati a Montmorency!»

«Ehi!» ringhiò il maresciallo afferrando la spia per la collottola «Che ti sei messo in testa? Non ti azzarderai mica a morire ora, vero? Vuoi forse coprirti di disonore? Porta a termine il tuo compito!».

Quello raccolse le poche forse che gli restavano per parlare. Vedendolo, Guiche si sentì quasi mancare; doveva avere la sua età o poco più, eppure stava già per morire.

«Montmorency… Montmorency ha attraversato i suoi confini. Stanno venendo qui. Sono… sono tantissimi. Tredicimila uomini… almeno…»

«Dove si trovano adesso?»

«A… a nord di Touroc. Saranno qui… entro domani sera…».

Il soldato tossì sangue, e dovette fermarsi.

«Lunga vita… a Gramont…» disse prima di morire, un’ultima dimostrazione di fedeltà.

Tutti, compresa Louise, anch’ella presente, non riuscirono a non piangere per il gesto eroico ed il sacrificio di quel giovane senza nome.

Tutti, tranne il maresciallo; nella sua carriera ne aveva visti tanti morire, così, anche più giovani, e ormai ci aveva fatto l’abitudine. L’unica cosa che poteva fare, se davvero voleva onorare il sacrificio di quel ragazzo, era fare di tutto per fare in modo che non fosse vano.

Ad un suo ordine, i suoi capitani e secondi lo raggiunsero nel salone per una rapida riunione tattica.

«Le loro forze sono in rapporto di due a uno rispetto a noi.» disse uno «E potrebbero diventare di cinque a uno, se l’esercito dei Touroc dovesse scendere in battaglia a sua volta. Questo palazzo non è progettato per resistere ad un assedio così imponente, e non c’è il tempo per spostarsi nella fortezza sulle montagne.»

«L’unica soluzione.» disse un altro indicando un punto della mappa che avevano davanti «È attraversare a nostra volta il confine e dare battaglia qui, in questa pianura.»

«Ma è un campo aperto.» disse un terzo «Lì la differenza di numeri diventerebbe ingestibile.»

«L’esercito dei Montmorency è formato soprattutto da arcieri e fanteria a piedi. Il nostro invece vanta un’ottima cavalleria. Ma sarebbe inefficace su terreni scoscesi o difficilmente praticabili, come boschi e scarpate. Una battaglia campale è l’unico modo per poterla sfruttare al meglio.»

«Di certo.» disse il maresciallo con il volto mantato da un’ombra scura «Al termine di questa battaglia sapremo se è vero che l’astuzia vince sul numero.

Faremo così. Ordinate alle truppe di prepararsi. Partiremo stanotte stessa».

 

Facendo finta che non fosse successo niente, Guiche tornò in camera di Montmorency, cercando in ogni modo di non far trapelare emozioni.

«Che succede?» chiese lei «Ho sentito degli strani rumori».

Non poteva saperlo, ma quei rumori erano prodotti dai carri che stavano trasportando fuori dai magazzini le macchine da guerra destinate ad essere usate in battaglia.

«Tranquilla, tesoro. Non è niente di che».

Poi, inaspettatamente, si avvicinò a lei, offrendole uno dei due calici di vino in argento cesellato che aveva portato con sé.

«Che significa?» domandò guardando ora il calice ora Guiche

«È probabile che comunque vada non potremo sposarci per un po’. Saito una volta mi ha raccontato che nel suo mondo è usanza per gli innamorati bere insieme per sancire la propria unione.

Non saranno nozze vere e proprie, ma per ora è meglio di niente».

Montmorency, passato lo stupore, guardò Guiche, sorridendo; anche lui le sorrise, e un attimo dopo le loro labbra si stavano sfiorando.

Si baciarono a lungo, un bacio pieno d’amore, poi, scambiatisi un nuovo sguardo, bevvero insieme dai calici.

Quello che Montmorency non poteva sapere era che Guiche, prima di tornare da lei, era passato dal capo-cuoco della villa, un tipo strambo che pur non essendo un mago si dilettava nella preparazione di pozioni ed estratti. In particolare, sapeva preparare un efficientissimo sonnifero, che una volta preparato era stato infilato in uno dei due calici.

Gli effetti si manifestarono subito. Montmorency prima sentì tutto il corpo irrigidirsi all’improvviso, poi una stanchezza impossibile da combattere; in altri tempi, da esperta quale era, si sarebbe accora subito del trucco, e proprio per questo Guiche l’aveva voluta distrarre richiamando alla memoria il trucco che Saito gli aveva raccontato di aver usato con Louise nei tempi che furono.

Il calice le cadde di mano e lei scivolò inerte sulle coperte del letto; non si era ancora addormentata, ma non riusciva a muoversi, e intanto la stanchezza stava avendo il sopravvento.

«Guiche…» mormorò prima di chiudere gli occhi «Io… ti… strozzo… con… le… mie… mani…».

Lui aspettò che si fosse addormentata, e con un gesto gentile le tolse i capelli dal viso per poi adagiarla dolcemente con la testa sul cuscino.

«Perdonami, Montmorency. Ma più al sicuro ti so, meglio mi sentirò.» e detto questo se ne andò chiudendo la porta a chiave.

A quel punto, approfittando della distrazione e della confusione che regnavano nella villa e nei giardini, il ragazzo sgattaiolò fuori per l’ennesima volta, dirigendosi verso l’ingresso del tunnel.

E per l’ennesima volta, nel momento di entrarci, avvertì una presenza alle proprie spalle; stavolta però si volse senza timore o ansia, perché sapeva bene di chi si trattava.

«Stai andando a liberare Saito?» chiese Louise

«È colpa mia se è finito in questa storia. Non posso lasciarlo lì a patire torture dopo quello che ha fatto per me e Montmorency.»

«In questo caso, portami con te.»

«Lo sai che può essere pericoloso, vero?»

«Saito è mio marito. E poi, questa volta temo rischierebbe di essere un po’ più difficile. Un aiuto ti servirà».

Guiche non obiettò, e svelato l’ingresso del tunnel ci si calò dentro seguito da Louise.

 

Il castello dei Touroc si trovava quasi al centro del feudo in questione, arroccato su di un’alta collina.

A differenza di molti palazzi nobiliari dell’epoca, arricchiti con un gusto spiccatamente contemporaneo, fatto di ampie vetrate, decorazioni floreali e ville signorili, il castello dei Touroc era una fortezza vecchio tipo, un castello possente e minaccioso che come un falco da sopra il suo nido dominava l’intera zona, rendendo impossibile per chiunque avvicinarsi senza essere notati e rappresentando un boccone molto duro da digerire per qualsiasi esercito nemico.

Non stupiva che in tanti secoli quella fortezza avesse rappresentato una sorta di spauracchio per i casati dei Gramont e dei Montmorency, troppo spaventati dall’idea di doverlo occupare o difendere dal potente di turno per potersi fare la guerra in santa pace, impresa tutt’altro che facile.

Un’ampia costruzione signorile rappresentava il cuore della struttura ed il luogo di residenza del feudatario, ed era circondata da due possenti cinte murarie provviste di torri, camminamenti, posti di guardia e casermette.

Durante la notte, poi, quel maniero assumeva un aspetto ancor più tetro, con quei fuochi e quelle torce che brillavano e ardevano in ogni dove, come gli echi evanescenti di centinaia di fantasmi.

Con il buio, però, diventava anche più facile accedervi, sempre che l’aspirante intruso non avesse paura di morire e fosse in grado di scalare da solo le sue mura orizzontali.

Un soldato che stava percorrendo il camminamento tra le torri della cinta esterna di sud e sud-ovest si ritrovò da un istante all’altro con una mano sulla bocca, e prima di capirci qualcosa un colpo preciso al collo lo lasciò a terra privo di sensi.

Kaoru, dopo aver raggiunto il castello, era rimasto nascosto per un giorno intero, mimetizzato tra il fogliame e l’erba alta della collina come un esploratore, nell’attesa che venisse il momento giusto per procedere.

La sorveglianza era sempre stata troppo stretta per poter sperare in un’azione a basso rischio, così aveva voluto aspettare, ma il continuo andirivieni di carrozze e piccoli contingenti che si era susseguito per tutto quel giorno lo avevano spinto ad agire.

Per riuscire a scalare la parete del castello aveva costruito una rudimentale fune ricavata con alcune ramaglie reperite qui e là, dimostrando un’abilità notevole che lo aveva spinto una volta di più a domandarsi dove mai si fosse procurato quell’esperienza che ora gli veniva quasi istintiva.

Accertatosi che il soldato era svenuto, Kaoru recuperò la corda, ne legò un capo ad una merlatura e usò il gancio sulla cima, ricavato anch’esso artigianalmente affilando e seghettando una grossa pietra con la katana, per farla roteare, lanciandola con precisione sul tetto di una torre del muro interno.

A quel punto, non dovette fare altro che attraversare a testa in giù il cortile perimetrale, e una volta arrivato ripetere l’operazione per arrivare fino sul tetto del palazzotto centrale.

Una volta, qui, recuperò per la terza volta la corda, così che nessuno potesse vederla, quindi camminò lentamente ed in silenzio fin sul bordo del tetto, proprio sopra alla grande terrazza delle stanze private dei padroni.

Due soldati montavano la guardia.

Kaoru piombò sul più vicino di loro buttandolo a terra e facendolo svenire con la sola forza dell’urto, e prima che il secondo potesse reagire o dare l’allarme fulminò anche questo lanciandogli la corda colpendolo in piena fronte con il gancio di pietra.

A quel punto, il ragazzo entrò.

Dentro non era eccessivamente sfarzoso; a parte il letto a baldacchino, stranamente sfatto, un tavolo circolare con poltroncine e un po’ di mobilio non c’era niente altro.

«Compare.» disse Derf «Di preciso, che cosa ci facciamo qui?»

«Ancora non lo so.» rispose Kaoru «Te lo dirò quando ne sarò sicuro».

Il ragazzo allora prese a frugare un po’ in giro alla ricerca di risposte.

L’atteggiamento di Ludwika, come pure la sua stessa persona, non lo avevano convinto del tutto, e per qualche strano motivo aveva la sensazione che quella donna sapesse molto di più di quello che voleva far intendere.

Kaoru aprì i cassetti, controllò sotto al letto, rovistò negli armadi, ma non trovò niente di insolito.

Tuttavia, ben presto si accorse di un’altra cosa, una che all’inizio non aveva notato.

In quella stanza c’erano degli strani odori. Da una parte, un olezzo come di bruciato, e dall’altro uno ferruginoso, stranamente famigliare, ma che il ragazzo non riusciva ad identificare.

D’improvviso, Kaoru ebbe come la sensazione di non essere solo, e prima ancora che potesse immagazzinarla appieno gli parve di sentire un urlo terrificante, accompagnato da rumori come di colluttazione.

Il tempo di rendersene conto, però, e tutto era sparito, e nella stanza era tornato a regnare un silenzio assoluto.

«Compare. È tutto a posto?»

«Sì.» taglio corto lui «Almeno credo».

In cerca di una soluzione, si avvicinò al grosso camino dirimpetto al letto, tanto grande ci si sarebbe potuto cuocere un maiale intero.

C’era un sacco di cenere, cosa strana per la stanza da letto di una coppia nobiliare, eppure non sembravano esservi residui di legna o carbonella.

Kaoru si inginocchiò, prese un po’ di quella cenere e se la passò tra le mani, avvicinandola anche al viso per poterla osservare meglio.

A quel punto, tutto gli fu chiaro; ecco spiegata la ragione di quell’odore di ferro, che finalmente era riuscito a riconoscere.

«Fa venire i brividi.» commentò Derf

«Ma chi c’è dietro tutto questo?».

In quella, il ragazzo udì il rumore del chiavistello del portone che veniva girato, e fulmineo corse a nascondersi dietro ad un tendaggio rosso, gettando comunque un occhio all’esterno per vedere che succedeva. Dopo qualche attimo, nella stanza entrò la contessa Ludwika, con il volto tutto tumefatto, ma stranamente sorridente.

La donna si chiuse la porta alle spalle, e un attimo dopo una luce la avvolse, facendo scomparire i suoi lineamenti, ai quali fecero seguito quelli di qualcun altro, qualcuno che ora anche Kaoru conosceva bene.

«Fouquet.» sussurrò tra sé e sé «Ancora lei».

Fouquet si guardò un momento attorno, quasi sospettasse la presenza di qualcuno, poi con un gesto si sfilò di dosso l’ingombrante vestito blu, coprendo immediatamente la propria nudità con un telo bianco.

A quel punto, dopo essersi guardata ancora attorno, rimosse una pietra del muro, rivelando uno scomparto segreto nel quale erano contenute una pietra luminosa e due boccette piene di uno strano liquido luminescente. La donna prese il cristallo, si avvicinò allo specchio accanto al letto e ve lo appoggiò sopra, e subito lo specchio si mutò in un portale dimensionale oltre il quale Kaoru riuscì a scorgere una figura misteriosa, troppo lontana però per poterla distinguere bene.

«È tutto pronto?» chiese la figura con una profonda voce maschile

«Alla perfezione. È stato persino più facile del previsto. Pensavo che sarebbe stato difficile convincere i Gramont e i Montmorency a dichiararsi guerra a vicenda, ma quei due inetti ragazzini mi hanno facilitato il lavoro.

I loro eserciti si scontreranno in una battaglia campale domani mattina, nella pianura di Cavaret. Ho fatto credere al duca di Montmorency che potrà contare sulle truppe di Touroc, ma al momento decisivo farò ritirare i miei soldati. A quel punto, finiranno per massacrarsi l’uno con l’altro, ed i loro feudi resteranno indifesi.»

«Sei sicura che non ci saranno problemi?»

«Assolutamente no. Però, ho incontrato Louise Vallière ed il suo famiglio. Erano a Gramont, ospiti di quello stupido di Guiche.»

«Pensi che abbiano scoperto la tua identità?»

«Ne dubito. In ogni caso, non saranno un problema. Zero Louise da sola non è in grado di fare nulla, quanto al suo famiglio è rinchiuso in una segreta di Montmorency.»

«Ricordati che a Louise Vallière non deve accadere nulla.»

«State tranquillo, me ne ricorderò».

Quell’ultima frase lasciò Kaoru, che ancora origliava, interdetto.

Perché il nemico non voleva che venisse fatto del male a Louise?

Dopo poco la misteriosa figura scomparve insieme al portale, e Fouquet, rimasta sola, andò a recuperare una di quelle due bottigliette, aprendola e bevendone un po’ del contenuto. Per un attimo la donna si raggomitolò su sé stessa mugugnando dal dolore, come se avesse appena bevuto del disinfettante, ma poi i suoi tratti parvero cambiare, fino a che al posto di Fouquet non comparve la figura del duca Maxime.

Questi andò a guardarsi allo specchio, ghignando soddisfatto, quindi si tolse il telo che lo copriva, indossò degli abiti recuperati da dentro un armadio ed uscì chiudendosi nuovamente la porta a chiave.

Rimasto solo, Kaoru uscì allo scoperto.

«Adesso è tutto chiaro.» disse Derf «Progettano di fare in modo che i Gramont e i Montmorency si distruggano a vicenda, così da lasciare i loro feudi senza una guida.»

«A questo punto.» disse Kaoru «È evidente che Reconquista non puntava solo a disgregare Tristain.

Sta cercando di conquistarlo.»

«E Dio ci salvi se ci riescono».

Ora però, la domanda era una sola. Cosa fare?

Dire la verità o cercare di spiegarla ai due sovrani probabilmente non sarebbe servito a nulla, visto come le cose sembravano essersi messe.

L’unica cosa da fare era smascherare Fouquet, perché solo in questo modo si sarebbe potuto dimostrare che era stata lei il grande burattinaio che aveva manovrato segretamente i fili dell’odio per spingere i Gramont e i Montmorency alla distruzione.

Ma come poteva fare?

Kaoru non era un mago, e a meno di non mostrare a tutti la vera faccia che si nascondeva dietro le fattezze di Maxime nessuno gli avrebbe creduto.

La soluzione, a quel punto, sembrò una sola; molti probabilmente sarebbero morti comunque, ma almeno si sarebbe evitata una strage.

 

 

Nota dell’Autore

Eccomi qua!^_^

A tempo di record, sono tornato con un nuovo capitolo.

Il fatto è che sono tremendamente impaziente di scrivere i capitoli che verranno al termine di questa vicenda, e quindi cerco di fare il prima possibile, anche perché il tempo vola e la storia sta procedendo a rilento.

Che dire? Questa vicenda si avvia ormai alla conclusione, ed il fatto che nel prossimo capitolo descriverò finalmente la mia prima, vera battaglia di questa fanfic mi elettrizza.

Grazie come sempre ai miei lettori e recensori!

A presto!^_^

Carlos Olivera

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Capitolo 22
*** 20 ***


20

 

 

Guiche e Louise raggiunsero nuovamente il palazzo dei Montmorency nel cuore della notte.

In giro non c’era molta sorveglianza, e riuscirono ad introdursi all’interno senza grossi problemi dopo aver tramortito un paio di guardie.

Probabilmente il grosso dell’esercito era già partito verso Gramont, e alla villa erano rimaste solo le guardie necessarie a garantirne la protezione.

«È tutto troppo tranquillo.» osservò Louise mentre attraversavano il cortile

«Che ti aspettavi? Il duca avrà messo insieme tutte le forze di cui era capace.»

«Vuole essere sicuro di vincere.»

«Intanto troviamo Saito. A quegli idioti dei nostri genitori penseremo poi. Ho già un’idea anche per quello».

Tutto stava andando veramente molto liscio. I due ragazzi, grazie ai ricordi di Guiche, raggiunsero facilmente la zona dove si trovava l’ingresso alle segrete; il palazzo aveva una sola cella, quindi trovare Saito non sarebbe stato molto difficile.

Il problema si presentò quando Guiche e Louise, ormai quasi sul punto di entrare nella stretta e angusta porticina che stava al termine di una scala che scendeva verso il basso in un angolo nascosto del giardino, vennero improvvisamente sovrastati da un’ombra oscura e minacciosa.

«Guiche!» urlò Koga scagliando i suoi fili affilatissimi.

Guiche diede uno spintone a Louise per poi buttarsi a sua volta, così entrambi ne uscirono indenni.

Visto che ormai si era ottenuta la prova necessaria a provocare la guerra, non era più necessario che Koga continuasse ad interrogare Saito, così gli era stato ordinato di smetterla e di unirsi all’esercito per la battaglia.

Il giovane però, che immaginava che Guiche avrebbe tentato di liberare il suo amico, segretamente lo aveva aspettato, e adesso era più determinato che mai ad ucciderlo.

«Ti ucciderò, Gramont bastardo!».

Guiche, consapevole di non poter reggere uno scontro diretto, invocò immediatamente un plotone di valchirie per assisterlo.

«Louise! Tu va da Saito!»

«Ma tu che cosa farai?»

«Non ti preoccupare, me la caverò. Sbrigati».

Anche se con molta incertezza, Louise, notando la determinazione negli occhi di Guiche, si decise a fare come diceva, e lasciatolo solo scese nelle segrete.

Guiche e Koga si osservarono da lontano per interminabili secondi, poi, ad un cenno di Guiche, due delle dieci valchirie che aveva invocato si mossero all’attacco; nonostante la loro rapidità, Koga riuscì ad evitarle saltando, e subito dopo una selva di fili ne colpirono una, smembrandola e afferrandone l’elmo, che venne scagliato contro l’altra, buttandola a terra, e prima che potesse rialzarsi il giovane shinobi le piombò addosso, distruggendola con un colpo della spada corta che portava dietro la schiena.

Le altre valchirie tentarono un attacco combinato, ma a Koga servirono solo pochi secondi per riuscire a distruggerle tutte, lasciando Guiche da solo e indifeso; il biondino cercò di invocare un nuovo stuolo di guerrieri, ma Koga lo batté sul tempo e gli si avventò contro, usando i lacci come una frusta e scagliandolo con forza addosso al muro.

Guiche accusò violentemente il colpo, uscendone molto malmesso, tanto che faticò a rialzarsi. Alla fine, però, ci riuscì, ma piuttosto che cercare di creare nuove valchirie, visto e considerato anche che Koga non gliene avrebbe dato il tempo, invocò invece una spada ed uno scudo da usare per sé.

Per troppo tempo si era tenuto lontano dai guai.

Una volta tanto, considerato anche quello che c’era in gioco, era giusto che si prendesse le sue responsabilità, combattendo in prima persona.

Purtroppo, pur essendo Guiche un bravo spadaccino, Koga restava pur sempre uno shinobi maledettamente abile, abbastanza da riuscire senza difficoltà a schivare i continui, e un po’ maldestri, assalti di Guiche; per qualche minuto si limitò a restare sulla difensiva, ma poi, d’improvviso, con un rapido scatto fece schizzare in avanti una decina di fili, con il chiaro intento di trafiggere Guiche.

Il biondino immediatamente mise lo scudo davanti a sé per proteggersi, ma i lacci, pur venendo fermati, riuscirono in parte a trapassare lo scudo, conficcandosi per almeno mezzo centimetro nel suo avambraccio. Come se non bastasse, l’impatto fu così violento che Guiche venne nuovamente scaraventato contro il muro, solo che stavolta, complici il dolore e le ferite al braccio, non sembrava proprio in grado di potersi rimettere in piedi.

«Rialzati, bastardo! Non ho ancora finito con te!».

 

Dopo ore nelle mani di Koga, il volto di Saito era ridotto ad una maschera di sangue e gonfiore.

Non una parola era uscita dalla sua bocca, ma il fatto che il suo aguzzino fosse stato improvvisamente richiamato non lasciava presagire nulla di buono; sicuramente, si era detto, erano riusciti comunque a scoprire dove fosse Montmorency, e si stavano già preparando per la guerra.

Si sentiva impotente; voleva fare qualcosa, ma chiuso lì dentro, ridotto in quello stato e con le mani incatenate, non poteva fare assolutamente nulla.

D’un tratto, mentre passava dal sonno alla veglia continuamente a causa del dolore, gli parve di sentire rumore di passi da corsa che si avvicinavano sempre di più.

Per un attimo temette che il supplizio fosse sul punto di ricominciare, ma poi sentì la guardia dare il chi va là e subito dopo mugugnare dal dolore cadendo svenuta; quando poi il chiavistello girò e la porta si aprì, il ragazzo vide entrare l’ultima persona che si aspettava di vedere.

«Louise!?»

«Saito!» disse lei correndogli incontro ed abbracciandolo stretto, troppo stretto

«Ahi!»

«Saito, che ti hanno fatto? Guarda come sei ridotto.»

«Non… non morirò di certo.» rispose lui stringendo i denti mentre veniva liberato «Come dico sempre… questo è niente, rispetto al venire frustato da te».

Louise lo guardò, poi piangendo gli si buttò al petto.

«Stupido! Quante volte ti ho detto che non devi farmi preoccupare?»

«Mi dispiace, Louise. Ma non volevo coinvolgerti».

Lei allora alzò gli occhi, fissandolo quasi risentita.

«Pensi forse che non possa esserti d’aiuto, solo perché aspetto un bambino? Che per questo tu debba proteggermi perché così sono inutile.»

«No, non voglio dire questo…»

«Ascoltami bene. Fino a quando non sarò talmente rotonda da non potermi neanche alzare dal letto, io rimarrò la solita Louise. Quindi, non farti più venire in mente strane idee, mi sono spiegata.»

«C… certo.» replicò lui, inizialmente inebetito, per poi però sorridere facendosi serio «Scusami. Non lo farò più.»

«Ora, andiamo. Guiche avrà bisogno di noi».

Quando tornarono in cortile, Guiche era ormai ridotto ad uno stato pietoso.

Koga aveva continuato ad infierire ancora e ancora senza un momento di tregua, cercando volutamente di evitare colpi mortali e limitandosi, per così dire, ad arrecare al suo avversario quanto più dolore possibile.

Era la rabbia a guidarlo.

Non se ne rendeva conto, ma era così. Per troppo tempo aveva soffocato i suoi sentimenti per la sua padrona, in nome di una barriera che li divideva e che lui stesso, in quanto silenzioso sicario, sapeva di non poter superare. A questo si aggiungeva lo sconforto, dato dalla consapevolezza che avrebbe trascorso il resto della sua esistenza solo come un’ombra, un guardiano invisibile costretto ad osservare l’oggetto del suo amore da lontano.

«Guiche!» gridò Saito vedendo il suo amico ormai stremato.

Senza esitazione, si lanciò contro Koga brandendo la spada che aveva tolto alla guardia della cella, e anche Louise si gettò nello scontro.

Ma neanche la loro forza combinata risultò in grado di impensierire lo shinobi, che schivò prima gli affondi di Saito e poi l’Explosion di Louise, per poi rispondere con una tremenda frustata che in un solo colpo gettò entrambi a terra.

Per fortuna si trattò di una cosa da poco, forse volutamente, tanto che entrambi riuscirono a rialzarsi senza troppa fatica.

«Non… non interferite.» disse Guiche rimettendosi in piedi «Lui è solo mio.»

«Guiche…» disse Saito.

Il biondino caricò per l’ennesima volta, urlando per darsi coraggio, ma anche Koga era chiaramente fuori di sé per la collera. I suoi lacci questa volta disintegrarono definitivamente lo scudo di Guiche, oltre a produrre ulteriori crepe anche nella spada, e si avvicinarono attorno al suo braccio per poi andare a conficcarcisi con forza.

A quel punto Guiche fu sollevato in aria di peso, agitato come una bambola di pezza per interminabili secondi, con i lacci che ad ogni movimento si agitavano e si dibattevano lacerandogli la pelle ancora di più, ed infine scagliato nuovamente contro una parete. Il ragazzo era stremato, pieno di ferite, e non sembrava più capace di rimettersi in piedi.

«Guiche!».

Senza pensarci su Kaoru e Siesta si frapposero tra Koga e il loro amico, pur consapevoli di non avere molte speranze contro di lui.

«Toglietevi di mezzo. Voi non m’interessate.»

«Non lo faremo.» rispose Louise

«Perché? Perché lo fate? Perché rischiate le vostre vite per quell’escremento?»

«Anche se te lo spiegassimo, non so se capiresti.» disse lapidario Saito «Si chiama amicizia.»

«Amicizia!?».

Era vero.

Per lui esisteva solo la fedeltà dettata dal rapporto servo-padrone. Anche con Margarita era la stessa cosa; l’amicizia era un concetto che gli era estraneo.

Saito e Louise erano sicuri di doversi misurare in una nuova battaglia persa con Koga, quando incredibilmente udirono un gemito alle proprie spalle.

«Vi… vi ho detto di non interferire».

Guiche era in ginocchio, puntellato sulla spada, il braccio sinistro sanguinante, e il volto a terra.

Stringendo i denti si rialzò, e barcollando si portò tra i suoi amici e Koga, che lo fissò interdetto; era ormai ridotto ad un morto vivente, eppure continuava a rialzarsi.

Dove la prendeva tutta quella perseveranza, e quella forza?

«Hai ragione a chiamarmi escremento. In effetti… questo è quello che probabilmente sono stato per molto tempo. E i miei amici qui presenti possono testimoniarlo.

Ero tronfio. Arrogante. Donnaiolo. Spocchioso.

Ero un vero nobile. Proprio uno di quei nobili ai quali da piccolo mi ripetevo di non voler un giorno assomigliare.

Poi… poi un giorno ho conosciuto un ragazzo.» e Guiche guardò un momento Saito «Uno scialbo, sciatto, sporco e rompiscatole plebeo che mi mise in ridicolo davanti a tutti.

Arrogante com’ero, ho persino cercato di giustificarmi, ma lui mi ha dato una lezione di quelle che si ricordano per tutta la vita.

Mi ha fatto capire quanto fossi stato stupido».

A quel punto, Guiche assunse nuovamente una posa di sfida, stringendo la spada con entrambe le mani.

«Quando ho conosciuto Montmorency da adulto, quando ho iniziato a flirtare con lei, la consideravo un passatempo come un altro. Ma dopo quel giorno, qualcosa dentro di me è cambiato.

Ricordando le emozioni che aveva suscitato in me da bambino, mi sono ripromesso di proteggerla, e di combattere per lei in ogni circostanza.» poi, guardò Koga con occhi di sfida «Per che cosa combatti tu, invece?».

Koga sgranò gli occhi, spiazzato e confuso da tanta determinazione, che mai avrebbe attribuito ad un tipo come Guiche.

In quella, la spada di Guiche prese a circondarsi di una luce evanescente, e di colpo la lama, scheggiata e prossima a spezzarsi, cominciò invece a diventare ancora più dura e tagliente, fino a farsi di vivo diamante.

«Mi sono sempre chiesto come Saito avesse fatto a vincere quella volta. Non poteva stato solo per le rune di Gandalfr, mi dicevo.

Poi, ho capito. La vera forza di Saito non viene dal suo potere… ma dalla volontà di non perdere! Ecco perché io non perderò! Non contro di te!».

La spada era ormai rinata, ed emanò una luce così forte da accecare tutti per un istante. Guiche sembrava completamente guarito, e nei suoi occhi splendeva un ardore che lo faceva somigliare incredibilmente a Saito.

Impugnata forte la spada, corse contro Koga, che pur basito digrignò i denti e cercò di rispondere.

«Dannato bastardo!» urlò lanciando tutti i suoi fili «Che scherzi sono questi?».

Ma Guiche non si fermò, né diede segno di voler cedere. Mulinando la spada, diventata durissima, riuscì a deviare o a distruggere tutti i fili, avvicinandosi a Koga molto più velocemente di quanto lo stesso shinobi avesse immaginato.

Messo alle strette, Koga cercò di sfoderare la spada, ma prima che potesse farlo Guiche gli piantò il pomo della spada dritto nello stomaco; il giovane shinobi si piegò in avanti, e un fiotto di saliva gli uscì dalla bocca spalancata.

«Da… nnato…» mugugnò prima di svenire.

«Mi dispiace che sia finita così.» disse Guiche guardandolo «Spero che in futuro, le cose tra noi migliorino. Sento che potremmo ricavare molto di più dall’essere amici, piuttosto che avversari».

Poi  però, sopraffatto dalla fatica e dallo sforzo portato dall’incantesimo di alchimia utilizzato per mutare l’acciaio in diamante usando il suo stesso sangue come canale per la trasmutazione, Guiche stramazzò a terra, venendo subito raggiunto dai suoi amici.

«Sei stato grande, Guiche.» disse Saito

«Certo che… potevo anche evitare di ridurmi così…».

In quella, il sole iniziò a fare capolino attraverso l’orizzonte.

«Ora non c’è tempo per questo.» disse Louise guardando il cielo che iniziava a rischiararsi «Dobbiamo sbrigarci. I due eserciti saranno ormai vicini allo scontro.»

«Hai ragione.» disse Guiche «Dobbiamo fare qualcosa, prima che quelle due teste di legno dei nostri genitori combinino qualcosa di irreparabile».

Detto questo i tre amici tornarono in tutta fretta al tunnel, ma quando fecero per iniziare a percorrerlo Guiche, al contrario, ordinò a Verdandi, che li aveva aspettati per tutto il tempo, di scavare un altro foro, verso un’altra direzione.

«Ho un piano.» si limitò a dire quando Saito e Louise gli chiesero spiegazioni.

 

La Piana di Cavaret era una vasta prateria erbosa che si trovava quasi al centro di Touroc, intervallata da basse colline rocciose e da leggeri pendii.

Due secoli prima vi si era svolta un’altra grande battaglia nell’ottica dell’Offensiva di Dicembre, atto finale dell’ultima guerra con Germania.

Al sorgere del sole, i tredicimila soldati di Montmorency sopraggiunsero dalla parte settentrionale della pianura, trovandosi tuttavia la strada sbarrata dai settemila soldati del feudo di Gramont, guidati dal maresciallo in persona.

Il duca era sicuro che il suo odiato nemico avrebbe cercato di arrestare la sua avanzata, ma si aspettava che accadesse più avanti, quando fossero già penetrati nella provincia di Gramont; tuttavia, Gilbert era tranquillo, perché sapeva di avere le spalle coperte.

Passò circa una mezz’ora, durante la quale nessuna delle due parti volle attaccare per timore di eventuali colpi di mano della fazione nemica, e questo diede alle truppe di Touroc il tempo di presentarsi a loro volta sul campo di battaglia, con lo stesso Maxime a guidarle.

La situazione era ora di ventiquattromila soldati per lo schieramento di Montmorency-Touroc. I due eserciti principali erano opposti l’uno all’altro, rispettivamente a nord e a sud della pianura; i Touroc stavano alla sinistra dei loro alleati, in cima alla collina più alta, dove si trovava una piccola postazione di sorveglianza che avevano eletto a loro campo base.

Maxime, scortato da due guardie del corpo, raggiunse a cavallo lo schieramento del duca, che lo accolse rinchiuso nella sua armatura d’argento, rimasta inutilizzata per così tanti anni da essergli diventata stretta.

«Benvenuto, amico mio.» disse accogliendo Maxime

«Giornata buona per una battaglia, sei d’accordo?» commentò Maxime osservando il cielo limpido, appena velato da qualche nuvola di passaggio

«Sono d’accordo».

Poi, venne il momento di passare a cose serie.

«Cerchiamo di fare in fretta.» disse Gilbert «Al momento opportuno, scendete dalla collina e travolgeteli. Li intrappoleremo tra le tue truppe e le mie.»

«Come vuoi. Sarà tutto pronto».

Il maresciallo, dal canto suo, sapeva che in quella situazione non poteva permettersi di fare errori.

D’accordo che i suoi uomini avevano l’esperienza, la tecnica ed erano quasi tutti veterani, ma aveva imparato nel corso di molte battaglie che spesso il numero, a lungo andare, finiva per vincere sulla forza, quindi la prudenza era d’obbligo.

Il problema principale erano gli arcieri, che potevano limare e pregiudicare seriamente le cariche della sua cavalleria. Occorreva portarli allo scoperto, e per questo aveva preparato un piano.

All’improvviso, il silenzio spaventoso venutosi a creare, mentre le due armate si fronteggiavano l’un l’altro, venne squarciato dal suono dei corni da guerra.

La prima linea dello schieramento dei Gramont avanzò improvvisamente e violentemente, con il chiaro obiettivo di cercare lo scontro fisico.

Gli arcieri dei Montmorency risposero con due raffiche di frecce, che fermarono gli assalitori già a metà strada, costringendoli a ripiegare; erano tutti pesantemente corazzati, ed armati di grossi scudi ovoidali, quindi le perdite in quella prima carica furono molto contenute.

Quello fu tuttavia interpretato dal duca come il segnale che lo scontro era iniziato, e perciò ordinò a sua volta di avanzare.

Entrambe le linee del suo schieramento presero ad avanzare, lentamente e al passo di marcia, rinchiusi dietro ad un muro di scudi e protetti dalle raffiche degli arcieri che stavano alle loro spalle. Avanzavano a tappe, guadagnando quattro o cinque metri per volta, pronti a chiudersi a riccio se iniziavano a piovere frecce o giavellotti, e perennemente coperti dalle proprie retrovie.

Vi erano circa quaranta metri a separare i due schieramenti, e dopo cinque minuti le linee dei Montmorency ne avevano percorso più di metà.

A quel punto, il maresciallo fece la sua mossa.

Segretamente, aveva spostato parte della sua cavalleria alla sinistra dello schieramento, nascosta dietro ad un crinale, che al suono del corno passò alla carica puntando dritta sugli arcieri, ormai quasi indifesi.

Le linee d’attacco se ne accorsero, ma i Gramont avevano segretamente trattato con un paio di capitani avversari, per la precisione quelli che comandarono la terza linea, i quali, fingendo di non aver sentito l’ordine di tornare indietro ad affrontare la cavalleria nemica, continuarono invece ad avanzare.

«Maledetti!» imprecò Gilbert, seduto ad uno sgabello al centro del suo campo, rivolto alla sua terza linea «Tornate indietro, per dio!».

Lui e il suo entourage erano abbastanza al sicuro, ma se avesse indirizzato la sua guardia a difendere gli arcieri nulla avrebbe impedito ad una parte della cavalleria di compiere una lunga deviazione curvilinea e piombare alle spalle o ai lati su di un campo lasciato indifeso.

In suo aiuto giunse Maxime, che da tempo aveva fatto ritorno al proprio accampamento.

Anche lui, infatti, aveva corrotto alcuni membri poco fedeli della cavalleria nemica, i quali si erano deliberatamente offerti di fare parte di quell’attacco a sorpresa, e che sul più bello, quando gli arcieri nemici, attoniti e indifesi, erano ormai ad un tiro di lancia, frenarono la loro carica, tornando sui propri passi e lasciando i loro compagni da soli.

La carica ebbe comunque luogo, ma in forma molto minore di quanto il maresciallo avesse previsto, abbastanza da permettere a Gilbert di inviare una parte della sua guardia a respingere gli assalitori lasciando comunque il campo ben difeso.

Gli arcieri, pur perdendo un battaglione su tre, si rischierarono sulla parte destra dello schieramento, lontano dalla battaglia tra la cavalleria e le guardie del duca, riprendendo a sputare frecce per coprire l’avanzata dei loro.

«Che siano maledetti!» ringhiò il maresciallo osservando parte della squadra d’imboscata che se ne andava tranquillamente scomparendo dietro ad un crinale.

A quel punto, non restava altro che la battaglia frontale, e nonostante la minaccia delle truppe di Touroc a pesare ancora su di lui il maresciallo ordinò comunque la carica di cavalleria, mettendovisi personalmente al comando e lanciando tutti i suoi uomini contro lo schieramento nemico.

Si ebbe a quel punto una manovra a tenaglia, con la fanteria di Gramont ad eseguire un attacco frontale, e la cavalleria distribuita tra il fianco destro e le spalle dello schieramento nemico; il fianco sinistro era libero, poiché era quello che dava verso il crinale dove si trovavano i Touroc, ed attaccarlo poteva voler dire trovarsi in trappola, schiacciati tra due fuochi.

Le truppe del duca, anche a causa dell’ostruzionismo dei soliti corrotti, alcuni dei quali cambiarono addirittura fronte colpendo i propri ex-compagni, non fecero in tempo a rischierarsi per sfuggire alla manovra a tenaglia, quanto ai loro arcieri dovettero smettere di scagliare dardi per non rischiare di colpire anche i propri uomini.

La battaglia si fece subito terribilmente cruenta, e almeno dapprincipio l’esperienza de Gramont sembrò poter prevalere sul numero dei Montmorency.

Il problema restavano ancora i Touroc. Per timore di un loro attacco il maresciallo, impegnato in prima persona nello scontro menando fendenti a destra e a sinistra, aveva tenuto una parte dei suoi in riserva, ordinando loro di prepararsi a rispondere ad un eventuale attacco laterale, ben sapendo tuttavia che anche questo non sarebbe servito a molto se tale attacco si fosse effettivamente verificato.

Durante la notte, il maresciallo aveva mandato una lettera a Maxime, informandolo che se avesse accettato di ritirarsi dal combattimento gli avrebbe concesso due terzi del denaro contenuto nelle casse del suo feudo, metà delle tasse raccolte nei due anni successivi e una parte di Gramont.

Meglio scendere a patti con quella serpe che perdere ogni cosa, si era detto sforzandosi di scrivere la lettera.

Ora, si trattava di capire se Maxime era o meno disposto ad anteporre il proprio borsello al proprio cognome, una decisione che avrebbe determinato il corso della battaglia.

 

 

Nota dell’Autore

Eccomi qua!^_^

Lo so, avevo detto che avrei concluso in questo capitolo l’avventura di Guiche e Montmorency.

Il fatto è che, mentre scrivevo, mi sono reso conto che solo a questo punto eravamo già arrivati a sette pagine, che poi è la lunghezza media dei miei capitoli, e visto che ne mancano almeno altrettante ho deciso che era meglio fermarsi qui e riservarsi un ultimo capitolo per la conclusione.

Comunque, non ci sarà da aspettare tanto.

Come detto sono già molto avanti, e forse già domani potrei inserire l’epilogo

Staremo a vedere.

Intanto, godetevi questo.

A presto!^_^

Carlos Olivera

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Capitolo 23
*** 21 ***


21

 

 

Louise e Saito non capivano cosa Guiche avesse in mente, e visto che orientarsi sottoterra era impossibile non avevano neanche idea di dove il loro amico li stesse portando.

Un sospetto, per la verità, Saito ce l’aveva, ma non voleva neanche prenderlo in considerazione. Purtroppo, il suo timore si tramutò in realtà quando Verdandi abbatté l’ultima porzione di terra dinnanzi a sé, aprendo un foro direttamente nel vecchio ingresso della miniera dove i tre ragazzi erano stati solo pochi giorni prima.

«Non se ne parla neanche!» disse Saito quando vide Guiche avvicinarsi al carro armato

«È l’unico modo per convincere quelle teste di legno a smetterla con questa guerra insulsa, e lo sai anche tu.» replicò Guiche con veemenza

«Mi pare di avertelo già spiegato. Questo è un dispensatore di morte. Chissà quante migliaia di anime ha sulla coscienza.»

«Non intendo usarlo per uccidere. Sarà sufficiente una bella dimostrazione. Anche qualora il piano del vostro amico dovesse fallire, la vista di cosa è capace di fare questo aggeggio sarà sufficiente per spingere quei due sconsiderati a considerare una riappacificazione».

Saito si passò una mano sul viso, a metà tra il rassegnato e l’esasperato.

«Ti prego, Saito. È l’unico modo per mettere fine a questa guerra insulsa.»

«Guiche. Anche volendo, non potrei pilotarlo.»

«Saito ha ragione.» disse Louise «Ora il potere di Gandalfr non c’è più. Non sarebbe mai in grado di farlo funzionare.»

«Ma è pur sempre una macchina del tuo mondo. In qualche modo, dovresti riuscire a capirci qualcosa.

Ti prego».

Saito si mostrò ancora scettico, camminando avanti e indietro come un’anima in pena, e allora Guiche perse la pazienza.

«E và bene.» disse arrampicandosi sulla torretta e prendendo ad armeggiare sul portello per cercare di aprirlo «Se non mi volete aiutare, allora farò da solo.

Non può essere così complicato.»

«Aspetta, aspetta!» gridò Saito vedendo il suo amico che cercava di far saltare i cardini, non capendo come fare per sbloccarlo «Hai vinto tu!»

«Saito, ma…» disse Louise

«Tanto ci proverebbe comunque. Molto meglio cercare di aiutarlo.» poi si rivolse severamente a Guiche «Ma devi giurarmi che non lo useremo contro nessuno. Solo per spaventare.»

«Te lo giuro. Sul mio onore.»

«D’accordo, vediamo di capirci qualcosa».

La prima cosa che Saito fece fu verificare che ci fosse ancora del gasolio nel serbatoio; non ce n’era molto, ma riposte in delle sacche esterne c’erano un paio di taniche ancora mezze piene che Saito usò per riempirlo nuovamente. Non sapeva quanta autonomia avesse quel bestione, quindi era meglio riempirlo fino all’orlo.

A quel punto, tutti e tre i ragazzi entrarono nel veicolo, chiudendosi dentro mentre Verdandi cercava di aprire un varco nelle rocce per poter uscire.

All’interno c’era spazio per cinque persone, tra pilota, operatore radio, fuciliere, comandante e caricatore.

Sotto la cloche, in uno scomparto, Saito trovò un grosso manuale di istruzioni; sfortunatamente, come si aspettava, era interamente in tedesco, e lui di tedesco non ci capiva un’acca.

«Accidenti a me e a quando ho rifiutato i corsi integrativi di lingue europee!» imprecò il ragazzo sfogliando le pagine nel tentativo di capirci qualcosa.

Per fortuna, oltre ai testi, c’erano anche delle figure e delle illustrazioni, ma arrabattarsi tra tutte quelle annotazioni, sottotesti e glosse scritte a mano dai precedenti proprietari era peggio che sostenere un esame senza aver studiato.

«Allora?» chiese Louise, seduta al posto del copilota «Sai farlo funzionare oppure no?»

«Dunque, vediamo.» disse Saito spingendo i pulsanti e tirando le cordicelle a caso «Questo forse è il motore, questa l’accensione…».

Effettivamente, come il ragazzo spinse uno stantuffo, si sentì un fracasso improvviso, e subito dopo il motore prese a girare, lanciando il suo classico rumore gracchiante; anche dopo più di cinquant’anni, cantava ancora come un tenore.

«Ecco, fin qui ci siamo.» disse Saito leggendo e riprendendo a toccare e spingere ovunque «Ora vediamo, qui si controllano i cingoli, qui la velocità, questo è il motore secondario, e qui c’è…».

Saito tirò una levetta, e subito dopo il boato assordante di uno sparo riempì la caverna; il rinculo fu talmente forte da far sobbalzare all’indietro l’intero veicolo, ed il proiettile, che oltretutto montava una testata esplosiva, andò a disintegrare letteralmente la copertura di rocce, terrorizzando il povero Verdandi che per poco non finì investito dalla pioggia di pietre, e inondando la caverna di luce.

«Beh…» disse Guiche sconvolto e attonito, proprio come Saito e Louise «Almeno adesso sappiamo che funziona ancora.»

«Ma chi ti ha detto di inserire il proiettile, razza di citrullo?» sbraitò Saito

«Ehi, non prendertela con me. Anch’io cercavo di capire come funzionasse.»

«D’accordo.» disse Saito afferrando la cloche «Ora cerchiamo di farlo muovere».

La cloche in realtà era più sensibile del previsto, tanto che bastò sfiorarla perché il carro cominciasse a ruotare su sé stesso. A Saito occorsero un paio di tentativi, ma alla fine riuscì ad ottenerne un rudimentale controllo.

«Accidenti.» mugugnò «Con Gandalfr era tutta un’altra cosa.»

«Ora andiamo.» disse Guiche «A quest’ora staranno già combattendo. Se non ci sbrighiamo, potrebbe essere troppo tardi».

Quello che Guiche non poteva sapere era che, al castello, contrariamente alle sue aspettative, Montmorency si era già risvegliata.

La dose di sonnifero che le aveva dato avrebbe dovuto tenerla a nanna per almeno un giorno intero, ma forse per la naturale immunità agli effetti delle pozioni magiche che la ragazza aveva iniziato a possedere a causa del suo maneggiarle di continuo l’effetto durò a malapena una decina di ore.

Montmorency, dapprincipio intontita, si ricordò quasi subito di quello che era successo, e come sentì due guardie nel cortile sotto la sua finestra discutere di quello che stava succedendo a Touroc si avventò sul portone nel tentativo di aprirlo, trovandolo però chiuso a chiave.

«Tu, brutto disgraziato!».

Per nulla rassegnata, anche se con un po’ di timore per quello che poteva succedere alla sua creatura, Montmorency aprì la finestra e si gettò sul ramo di un albero vicino, riuscendo ad afferrarlo per poi lasciarsi cadere a terra. A questo punto, afferrato il primo cavallo che le capitò davanti, corse via in direzione del campo di battaglia, saltando tutti i posti di blocco e le trincee costruite dai soldati e scomparendo nella foresta.

Siesta, che stava lavorando ancora una volta sul ponte della White Dragon, la vide, e ormai determinata ad impedire che Saito, Louise e Kaoru combattessero da sole andò a rivolgersi a Kiriya.

«Forse sarebbe il caso che andassimo anche noi.» disse

«Ma non possiamo interferire in uno scontro in questo modo. Rischiamo di farci coinvolgere.»

«Saito e gli altri stanno già combattendo. Non possiamo restarne fuori solo noi».

Kiriya temporeggiò, non sapendo cosa fare, poi però si rivolse al comandante della nave.

«Mollate gli ormeggi».

 

Intanto, sul campo di battaglia, la situazione appariva confusa e caotica.

Gli uomini di Montmorency, dopo aver ceduto inizialmente terreno, erano riusciti a recuperare le posizioni e a rompere in parte l’accerchiamento, ma la strategia toccata e fuga della cavalleria dei Gramont, con cariche continue a intermittenza, li stava mettendo comunque in difficoltà.

Era una situazione non più sostenibile per le truppe del duca, che infatti ad un certo punto, dopo aver costretto alla fuga i cavalieri che avevano tentato l’attacco a sorpresa, ordinò di lanciare un bengala, che come una freccia di fuoco volò alta sul campo spegnendosi nel cielo.

Quello era il segnale convenuto per le truppe di Maxime, il quale, messo mano allo scettro, calò giù dalla collina alla testa di tutti i suoi uomini, che si abbatterono sulle truppe di Gramont come uno tsunami su di una costa indifesa.

L’attacco dei Touroc diede immediatamente i suoi frutti, rappresentando un colpo violentissimo per i Gramont, che presero subito a cedere terreno, dopo che in un primo momento erano sembrati in grado di poter addirittura vincere.

«Maxime!» sbraitò il maresciallo togliendosi il sangue dalla faccia «Che tu sia maledetto!».

Le truppe dei Touroc erano composte principalmente da fanteria e stregoni, questi ultimi particolarmente insidiosi con i loro attacchi combinati di vento e di fuoco. Lo stesso Maxime faceva sfoggio di grandi abilità di mago, riuscendo a respingere i nemici prima ancora che riuscissero ad avvicinarsi a lui.

Lo stesso Gilbert si mostrò stupito, poiché non ricordava che il cugino fosse dotato di simili potenzialità. Certo, nessuno in quel campo di battaglia poteva immaginare che quello che stava dinnanzi a loro fosse in realtà solo un feticcio, una scorza esteriore.

Il piano di Fouquet era molto semplice; nel momento in cui le truppe del duca, forti della loro presunta superiorità, avessero iniziato ad abbassare la guardia, lei avrebbe immediatamente ordinato la ritirata, lasciando i due eserciti ad un livello di forza sostanzialmente alla pari.

Entrambi i comandanti a quel punto avrebbero potuto scegliere solo tra il continuare e distruggersi a vicenda o rinunciare a fare ritorno ognuno al proprio feudo; in ogni caso, i due eserciti ne sarebbero usciti distrutti, e con il supporto dei soldati di Touroc Reconquista li avrebbe occupati entrambi, accorpandoli ai suoi già considerevoli domini.

Ben presto, gli eventi precipitarono. I Gramont, soverchiati, erano ad un passo dalla fuga, e solo la dura disciplina al quale il loro comandante li aveva abituati impediva loro di voltarsi e fuggire. Dal canto loro, i Montmorency combattevano in modo molto più blando, certi di avere le spalle coperte, e Gilbert stesso, dopo essere rimasto in piedi per buona parte dello scontro, si concesse il piacere di sedere in tranquillità sul proprio sgabello.

Poi, accadde qualcosa, nel campo dei Touroc, dove era rimasto a presidio un piccolo e ristretto gruppo di soldati.

Qualcuno si palesò dinnanzi a loro, spingendo coloro che stavano sulla sua strada a cedere il passo e a chinare al testa; qualche istante dopo, un nuovo rombare di corno proveniente dalla collina riecheggiò nella pianura, così forte e cadenzato che per un interminabile istante la battaglia si arrestò completamente, facendo volgere tutti in quella direzione.

«Il segnale della ritirata!?» disse attonito Maxime

Passò un attimo, e non appena il suono si acquietò, e la battaglia fece per riprendere, le truppe dei Touroc si girarono, tornando sui propri passi come se avessero avuto i fantasmi alle calcagna.

«No, fermi!» urlò il loro comandante, ritrovatosi improvvisamente solo «Non ancora! Non adesso!».

I soldati non sapevano cosa fare, se obbedire al loro signore o ad un ordine che, teoricamente, poteva venire solo per sua bocca.

Poi, accadde qualcos’altro, qualcosa che lasciò tutti quanti sbigottiti, per non dire sconcertati.

Sulla cima del crinale, in sella ad un cavallo marrone lucente, si palesò il dica Maxime Touroc in persona, racchiuso nelle proprie vesti più pregiate, con la spada alla cintura e lo sudo con lo stemma del suo casato assicurato alle cinghie.

Il problema era che Maxime si trovava anche nel mezzo della battaglia, attorniato dai pochi che al suo ordine erano tornati indietro, e che ora osservavano la scena sbigottiti, come pure tutti gli altri presenti.

«Non è possibile!?» esclamò il Maxime in battaglia.

Come se un comando divino avesse ordinato improvvisamente di fermarsi, lo scontro cessò di colpo, e tutti, compresi i due comandanti, si immobilizzarono ad osservare quell’evento fuori dal comune, senza sapere cosa pensare.

Il nuovo Maxime spinse lentamente la propria cavalcatura giù per la collina, fermandosi dinnanzi al primo Maxime, che osservava la scena più sconvolto degli altri; a quel punto smontò da cavallo, e con passo lento ma deciso si portò viso a viso con il suo alter ego.

«Non ti aspettavi di rivedermi vivo, vero?» disse il secondo Maxime

«Co… cosa!?»

«Ascoltate tutti!» disse poi rivolto ai soldati e ai comandanti di tutti gli schieramenti «Voi tutti siete stati ingannati dalle macchinazioni e dalle trame ordite da questo impostore!» poi tornò a guardare il primo Maxime «Prima hai ucciso me e mia moglie, poi ti sei sostituito a noi per fomentare una guerra fra i Gramont e i Montmorency.

Infine, quando i due feudi fossero stati ormai allo stremo, li avresti occupati entrambi con il minimo sforzo.

Ma non potevi certo immaginare che da tempo ormai, io e Ludwika avessimo preso a farci sostituire da dei sosia.»

«S… sosia!?»

«Quelli che hai ucciso, e bruciato fino alla cenere nel camino della nostra camera da letto, erano degli attori ingaggiati per prendere il nostro posto. Di questi tempi, è sempre una buona idea avere qualcuno che si esponga al tuo posto».

Il primo Maxime si guardò attorno, e si accorse che quasi tutti ora guardavano lui.

A forza di spintoni, il maresciallo e Gilbert si portarono davanti a tutti; il primo aveva l’armatura sporca di sangue, il secondo invece era ancora lindo come uno specchio, ma entrambi erano ugualmente contrariati.

«Che significa questa storia?» chiese Gilbert

«Non date retta a questo millantatore!» rispose il primo Maxime «Cerca solo di seminare il sospetto! Sicuramente è al soldo dei Gramont!»

«No, sei tu che sei al soldo di qualcuno.» replicò acido e diretto il secondo Maxime «Qualcuno a cui progetti di consegnare tutte e tre queste province non appena le avrai assoggettate.»

«È falso! Sono io l’unico Maxime Touroc

«Se sei davvero Maxime Touroc, allora non dovresti avere problemi a dimostrarlo.»

«Di che cosa stai parlando?».

Il secondo Maxime prese dalla tasca un’ampolla contenente un liquido denso e violaceo; la aprì, avvicinandola al primo Maxime perché potesse vederne ed annusarne il contenuto, e questi, fattolo, sgranò gli occhi per lo sconcerto.

«La riconosci? Questa pozione serve ad annullare l’effetto dell’Essenza del Camaleonte. Se tu sei davvero chi sostieni di essere, e se quella che vediamo non è solo una scorza esteriore, allora non dovresti avere problemi a bere questo liquido».

Sia Gilbert che il maresciallo si girarono verso il primo Maxime, il quale guardava quella piccola ampolla, ora protesa verso di lui, come fosse stata la scure del boia.

«Avanti.» disse il maresciallo

«Che aspetti?» disse Gilbert quasi con tono di ordine.

Il primo Maxime digrignò i denti; sembrava terrorizzato, mentre il suo alter ego seguitava a tenere quella boccetta protesa verso di lui.

Alla fine, decise di passare al contrattacco.

«Perché non la bevi tu, invece?».

Il secondo Maxime lo guardò enigmatico.

«Invece di spacciare me per un impostore, perché non dimostri prima tu di non esserlo? Dimostra che sei il vero duca di Touroc!».

Tutti allora guardarono il secondo Maxime, che a sua volta si guardò un momento attorno, come indeciso sul da farsi, salvo poi ostentare lo sguardo più risoluto e sicuro possibile.

«D’accordo. Lo farò. Ma se non dovesse succedere niente, allora diverrà evidente in ogni caso che sei tu l’impostore».

Il primo Maxime sgranò gli occhi, a metà tra il sorpreso e lo sconcertato.

Fouquet cominciava a temere di essere stata davvero ingannata.

Da una parte era convinta che anche quello di fronte a lei fosse un falso, qualcuno che aveva scoperto il suo piano e che ora cercava di screditarla per salvarsi, dall’altra però non riusciva a non pensare che forse quella storia del sosia era vera, e che aveva davvero ucciso la persona sbagliata.

Il secondo Maxime rivolse l’ampolla verso di sé e rimosse il tappo, poi, lentamente, la avvicinò a sé, stringendola un poco più forte nella mano dopo averla sfregata sulla manica dell’altro braccio; infine, dopo un attimo di esitazione, se la portò alla bocca, bevendone un sorso, mentre tutto attorno calava un silenzio raggelante.

Subito si piegò in avanti, disgustato dal sapore immondo di quella roba, ma anche così non accadde nulla, e quando risollevò il volto i suoi lineamenti erano rimasti gli stessi.

Il primo Maxime assistette alla scena attonito, e più passavano gli attimi più la sua espressione si faceva sconvolta e terrorizzata.

«Soddisfatto?».

Di nuovo, tutti spostarono la loro attenzione dal secondo al primo Maxime, ma stavolta gli sguardi erano molto più minacciosi.

Persino Gilbert e il maresciallo, superato all’apparenza ogni astio l’uno per l’altro, ora fissavano il loro sedicente alleato l’uno affianco all’altro, con le mani strette con forza attorno all’impugnatura delle rispettive spade.

Il primo Maxime, rivelatosi essere un falso, ormai aveva perso l’apporto anche delle sue stesse truppe, e si guardava attorno digrignando i denti, apparentemente pazzo di rabbia.

«Non crediate che finisca così!» ringhiò furente.

Con un agitare di scettro provocò un enorme tornado tutto attorno a sé che scaraventò via tutti i presenti, e contemporaneamente un violento terremoto si generò improvvisamente sulla pianura sventrandone il terreno.

Quando il vento si placò, e la polvere si posò, Fouquet aveva riassunto le sue antiche sembianze, e svettava sicura di sé sulle spalle del gigantesco golem di pietra che aveva evocato.

«Maledetta!» ringhiò il maresciallo, che l’aveva conosciuta già quella volta nell’offensiva di Tarbes «Di nuovo tu!»

«Poco importa se mi avete scoperta! Mi sbarazzerò di voi in ogni caso!»

«Non contarci!» disse Gilbert «Soldati! Abbattete questo mucchio di terra!».

Si scatenò subito una pioggia di frecce, giavellotti e incantesimi contro il golem, che però non ne fu nemmeno scalfito.

«Pensate di farmi qualcosa, stupidi moscerini?».

Il golem rispose con un pugno spaventoso, che spazzò via più di una ventina di uomini in un colpo solo, seminando il panico tra le truppe, che presero a fuggire in ogni direzione.

«E adesso, mi occuperò di voi tre!».

Al secondo attacco, la creatura diresse il proprio pugno verso i tre sovrani, apparentemente indifesi, ma veloce come una folgore Maxime si portò davanti a tutti, ed infilata una mano nel mantello ne prese fuori una stupenda katana che mise davanti a sé, riuscendo incredibilmente a fermare il pugno del golem; l’urto tra la lama ed il pugno produsse un fragore assordante ed una fortissima luce, la stessa che si accese di colpo sulla sua mano sinistra, e che prese come a disintegrare il suo corpo.

Il mostro dopo poco dovette arrendersi e ripiegare, e quando tornò la quiete Maxime non c’era più.

«Ma tu…» disse il maresciallo riconoscendo il nuovo venuto.

«Ci è mancato poco.» disse Derf «Meno male che ti sei deciso a chiedere il mio aiuto».

Vedendo Kaoru, anche Fouquet sentì un diavolo per capello.

«Ma allora… tu non sei il duca di Touroc?!»

«Il duca è morto.» rispose Kaoru «Lo hai ucciso tu, insieme a sua moglie Ludwika. Io ho solo usato l’Essenza di Camaleonte che avevi preparato con il suo sangue.»

«Maledetto. Mi hai ingannata!»

«Il tuo gioco è alla fine, Fouquet. Ormai sei stata scoperta.»

«Non fare tanto il gradasso! Ti schiaccerò come l’insetto che sei!».

Il golem a quel punto fece per colpire di nuovo.

«Andatevene!» ordinò Kaoru ai due sovrani prima di scagliarsi contro il nemico a spada tratta.

Purtroppo, pur con tutta la sua abilità ed il potere di Gandalfr, Kaoru si trovò molto presto in seria difficoltà.

Negli anni Fouquet aveva migliorato di molto la sua abilità nell’invocazione dei golem, che ormai erano quasi perfetti dal punto di vista della resistenza e delle capacità difensive; a questo si aggiungevano poi le indubbie capacità magiche della donna, che unite al prezioso aiuto del suo animaletto domestico in poco tempo misero Kaoru in una bruttissima posizione.

Il ragazzo, dopo aver tentato di attaccare, venne alfine costretto ad una difesa disperata, subendo tuttavia un gran numero di attacchi, ai quali bene o male riusciva a sopravvivere grazie sia ai poteri di Gandalfr sia alla sua proverbiale resistenza alle ferite e al dolore.

Dopo soli cinque minuti, Kaoru era già in ginocchio, costretto ad appoggiarsi alla sua spada per non rovinare del tutto a terra.

«Allora, gradasso?» disse Fouquet ridendo di soddisfazione «Dove è finita tutta la tua tracotanza?».

Punto sul vivo per l’essersi trovato di fronte ad un avversario che non riusciva a fronteggiare, Kaoru tentò un contrattacco, ma come cercò di arrampicarsi lungo il braccio del golem venne steso da un tremendo ceffone, che stavolta sembrò togliergli tutte le ultime forze.

«Non sembri valere neanche la metà degli altri Gandalfr. Forse il Profeta ti ha sopravvalutato dopotutto.»

«Il… il Profeta?» mugugnò Kaoru lottando col dolore, quasi quel nome gli risultasse famigliare

«In ogni caso, non importa. Questo è il tuo funerale. Addio!».

Il golem alzò il piede, pronto a vibrare il colpo decisivo, e Kaoru pensò che per lui fosse davvero alla fine.

Se non che, all’improvviso, si udì un boato assordante, e subito dopo una specie di violentissima esplosione squarciò il petto del golem, provocandovi una vistosa crepa e facendolo sobbalzare all’indietro.

«Ma che…» esclamò Fouquet cercando di non cadere.

Tutti girarono gli occhi verso il punto da dove era giunto il boato.

A est della pianura, esattamente di fronte al mostro, era comparsa una cosa incredibile e spaventosa; sembrava un incrocio tra un grosso aratro per campi ed una carrozza, con cingoli al posto delle ruote, il corpo ricoperto di metallo ed un grosso cannone ancora fumante leggermente in obliquo rispetto al livello del terreno.

«Che… che ci fa qui?».

Dopo quel primo colpo il carro armato si avvicinò, seppure in modo un po’ incerto e traballante, come una carrozza trainata da cavalli reticenti, fermandosi proprio accanto a Kaoru; lo sportello a quel punto si aprì, e ne sbucarono fuori Guiche e Louise, mentre dallo spioncino frontale che fungeva da parabrezza si distinguevano i lineamenti di Saito.

«Guiche!?» esclamò suo padre

«Tutto bene, Kaoru?» chiese Saito

«Come avete fatto a farlo muovere?»

«È una lunga storia.»

«A quanto pare, abbiamo fatto in tempo.» disse Louise guardando Fouquet, ora più infuriata che mai «Non imparerai mai, vero?»

«Anche voi!? Non la smetterete mai di essere una seccatura, vero?».

Il suo golem, ripresosi, lanciò un ruggito assordante, battendosi i pugni sul petto come un gorilla.

Prima che potesse attaccare di nuovo, però, una nuova serie di colpi lo investì provenendo dall’alto, e tutti, alzati gli occhi, videro stupiti la White Dragon solcare il cielo.

«Ehilà, gente!» disse Siesta affacciandosi dal parapetto

«A quanto pare, abbiamo fatto in tempo.» disse Kiriya, che aveva direzionato e comandato la bordata.

Quello era il momento giusto.

«Tutti ai posti di combattimento!» disse Guiche rigettandosi dentro assieme a Louise.

Mentre Louise recuperava da una cassa situata sul pavimento del mezzo un pesane proiettile anticarro, inserendolo nel cannone con l’aiuto di Saito, Guiche, sempre seduto al posto di comando, direzionava il cannone con il mirino periscopico, indicando la mira.

«Alzate di più! Più a destra! No, troppo! Più a sinistra! Ecco, un po’ più giù!»

«Ma insomma, deciditi!» disse Saito armeggiando con i sistemi di puntamento.

Finalmente, il mostro comparve al centro del mirino.

«Fuoco!» disse Guiche, e Louise abbassò la leva.

Il nuovo sparò andò a centrare direttamente la crepa prodotta dal primo colpo, che ingrandendosi ulteriormente minò ancora di più la solidità del golem, il quale, dopo poco, finì irrimediabilmente in pezzi.

«Non è possibile!» urlò infuriata Fouquet precipitando assieme alle rocce del suo golem e finendone, apparentemente, schiacciata.

«Vai così, bada bum!» esclamò Saito.

I soldati non riuscirono a credere ai propri occhi, osservando la forza spaventosa di quella sconosciuta e straordinaria macchina da guerra.

Il maresciallo e Gilbert avevano già sentito parlare degli strani marchingegni che di quando in quando saltavano fuori dalle segrete di qualche nazione o potenza straniera, ma questa superava di gran lunga qualsiasi cosa anche solo immaginabile, e il solo pensiero di un’arma simile rivolta contro di loro bastò a fargli venire il latte alle ginocchia.

Il carro, dopo poco, smise di gracchiare, ed i tre ragazzi uscirono nuovamente allo scoperto, accolti come eroi e salvatori dai soldati di tutti gli schieramenti che corsero loro incontro dimentichi di aver combattuto ferocemente gli uni contro gli altri solo fino a pochi minuti prima.

Kaoru fortunatamente se la cavò con poco, tanto che riuscì a rimettersi in piedi con le sue sole forze, in tempo per ricevere un abbraccio sollevato di Siesta, sotto gli occhi un po’ maliziosi di Louise.

Anche la conta dei morti, alla luce dei fatti, fu abbastanza premurosa; in definitiva c’erano più feriti che vittime, che non superavano il centinaio, quanto ai feriti l’intervento tempestivo dei guaritori riuscì a salvarli quasi tutti.

«Meno male che il tuo piano ha funzionato.» disse Saito rivolto a Kaoru «Se Fouquet non fosse stata smascherata, non si sarebbe fatto in tempo ad evitare una strage.»

«Ma come hai fatto ad evitare di venire smascherato dalla pozione che annulla l’Essenza del Camaleonte?».

Kaoru rispose a quella domanda con uno strano sorriso beffardo, per poi mostrare, oltre al contenitore originale, già finito in pezzi durante lo scontro, una seconda ampolla, custodita in una tasca segreta all’interno dell’ampia manica della veste che aveva recuperato nell’armadio di Maxime; la diede a Louise, che la stappò e vi intinse il dito, portandosene poi una goccia alla bocca.

«Succo di rape.» disse sorridendo.

Era stato solo un abile gioco di prestigio; un attimo di bere l’essenza, che si era fatto preparare appositamente dallo stregone del castello spacciandosi per Maxime, aveva rapidamente e sinuosamente sostituito l’ampolla originale con un’altra, nascosta nella tasca segreta della manica, e contenente dell’innocuo succo di rape, dal colore e dalla consistenza simili all’essenza.

«Dove hai imparato a fare i giochi di prestigio?» domandò Saito

«Spendi qualche ora a fare da babysitter a Kiluka, e lo saprai. Ne sa una più del diavolo».

Saito e Louise risero, e dopo poco sul campo di battaglia giunse anche Montmorency, spaventatissima e con il cuore in gola per quello che temeva di trovare.

«Guiche!» disse vedendolo

«Montmorency!».

Si corsero incontro, abbracciandosi con tale forza da buttarsi a terra l’uno con l’altro

«Montmorency, che cosa ci fai qui?»

«E me lo chiedi?» rispose lei dandogli un finto ceffone «Razza di stupido! Ero preoccupata da morire! Temevo che ti avrei perso!»

«Questo non è possibile, Montmorency.» disse Guiche carezzandole una guancia «Perché te l’avevo promesso. Te l’avevo promesso che sarei tornato da te.»

«Guiche…» sussurrò Montmorency sull’orlo delle lacrime.

Si baciarono, ma dopo poco entrambi si accorsero che i loro genitori li sovrastavano, fissandoli pieni di severità; immediatamente si rialzarono, ma all’iniziale, abituale timore, fecero seguito degli sguardo altrettanto motivati e determinati, e invece che separarsi si strinsero ancora più forte l’uno all’altra.

«Noi ormai abbiamo preso la nostra decisione.» disse Guiche

«Non importa quello che potete pensare, noi non cambieremo idea. Staremo insieme, avremo questo bambino e lo cresceremo.»

«Potete benedire la nostra unione o lavarvene le mani. Non ci interessa. Ma comunque vada, non riuscirete a separarci. Se non vorrete la nostra unione, ce ne andremo in questo momento».

I due uomini si guardarono, poi guardarono il carro armato, che svettava a pochi passi con il suo minaccioso cannone.

«E suppongo che se cercassimo di fare qualcosa.» disse il maresciallo «Ci scateneresti contro quel mostro, vero?»

«Se cercherete di fermarci, sì.» disse Guiche, che in realtà non ne aveva alcuna intenzione «Ma preferiremmo che fosse la vostra coscienza a decidere».

Saito e gli altri avrebbero voluto restarne fuori, ma Louise non ce la fece a restare impassibile e fece qualche passo avanti.

«Louise…» tentò di dire Saito

«Voi eravate pronti a fare pace, prima che iniziasse tutto questo.» disse la ragazza «Il vostro orgoglio di nobili è così importante da spingervi a sacrificare i vostri figli?»

«Louise…» disse Montmorency

«Il bambino che Montmorency porta in grembo è anche vostro nipote. Se non per i vostri figli, almeno per lui cercate di mettere da parte le vostre rivalità. Se continuaste nonostante tutto a combattere, anche dopo aver scoperto quello che stava dietro a questo seminare zizzania tra di voi, allora Reconquista avrebbe comunque vinto.

Volete forse darla vinta a chi cerca di smembrare e conquistare con l’inganno questo Paese al quale tanto tenete?».

Di nuovo, i due capifamiglia si guardarono tra di loro; poi Gilbert, che teneva ancora la lancia in mano, chiuse gli occhi e guardò in basso.

«Ventitre anni fa, quando era appena nato, persi la mia prima figlia per colpa della scarlattina.» disse, e dopo qualche attimo lasciò cadere l’arma a terra e riaprì gli occhi, guardando i due ragazzi «Che sia dannato se ne perderò un’altra».

Guiche e Montmorency restarono basiti, e quando anche il maresciallo sorrise si abbracciarono nuovamente, sicuri ormai che, almeno loro, avevano vinto.

Quanto ai due genitori, prima si guardarono, poi si strinsero la mano, da veri soldati.

«Non significa che mi piaci.» disse Gilbert

«È naturale.» replicò il maresciallo.

Anche Louise e Saito sorrisero.

«Per fortuna, è finita bene.» disse Louise.

Tutto era perfetto.

Troppo perfetto, perché non succedesse qualcosa.

Mentre alcuni soldati scavavano tra i resti del golem alla ricerca di Fouquet, per accertare che fosse effettivamente morta, questa, ferita ma ancora in piena forma, sbucò fuori all’improvviso, e veloce come il fulmine si avventò su Montmorency, gettando via Guiche con un calcio.

«Fouquet!» gridò Saito

«Fermatela!» urlò il duca.

Subito tutti fecero per avventarsi sulla nemica, ma questa prese fuori il suo solito coltello, puntandolo alla gola della ragazza.

«Non muovetevi!» ordinò, e tutti furono costretti ad obbedirle

«Fouquet, ormai è finita!» disse Louise

«Sapete che cosa può fare questo pugnale avvelenato. Un graffietto si limita a tramortire, ma basta un taglio di un solo centimetro perché sia morta prima ancora di cadere a terra.»

«Continuare è del tutto inutile!» disse Saito «Sono già morte troppe persone in questa pianura!»

«Sei solo un illuso, ragazzino. Pensi davvero di poter fermare tutte queste guerre. Ogni giorno si consumano nuove battaglie in tutto questo maledetto Paese. Ogni giorno centinaia di persone muoiono.»

«Non importa. Anche impedirne una sola, servirà a salvare delle vite. E più ne fermeremo o ne impediremo, più vite salveremo. È così che si fanno finire le guerre.»

«Il tuo ingenuo idealismo sarà la tua condanna.

Per cominciare, prima di darvi alle celebrazioni, avreste dovuto assicurarvi che io fossi davvero morta.

E adesso sarà Montmorency a pagarne le conseguenze!».

Fouquet, improvvisa, mosse il coltello, la cui punta arrivò a sfiorare il collo bianco di Montmorency, che per la paura non riusciva neppure a gridare, ma solo a pensare con tutte le sue forze a Guiche, che tuttavia era a sua volta impotente.

Tutto accadde in un attimo.

Passò uno, forse due istanti, e nel silenzio più assoluto riecheggiò un suono metallico, dolcissimo e soave come un canto della natura, mentre una lama curvilinea scivolava gentile nell’aria con la delicatezza e la leggiadria di una piuma.

Quando il tempo sembrò riprendere a scorrere, Kaoru era in ginocchio, con la katana stretta tra le mani, dinnanzi a Fouquet, la quale vide passare dinnanzi ai propri occhi sbarrati e sgomenti la mano che stringeva il coltello, e che fluttuando nell’aria finì a rotolare sull’erba tingendola di rosso.

Il silenzio, di colpo, fu squarciato dall’urlo disumano della donna, che commettendo l’errore di allentare la presa su Montmorency venne da questa allontanata con una spinta.

Montmorency tornò tra le braccia di Guiche, mentre Fouquet prese a stringersi con forza il polso destro, al termine del quale vi era ora solo un orrendo moncone perfettamente levigato, che gettava sangue senza sosta. Non voleva crederci, e cercava di chiudere il pugno, o di muovere le dita, ma non ci riusciva, perché le dita non le aveva più.

Fouquet aveva il terrore e lo sgomento negl’occhi, e dopo aver urlato con tutta la sua voce cadde infine in ginocchio sopraffatta dal dolore. Nonostante vederla, e sentirla mugolare, spezzasse il cuore, nessuno aveva voglia di aiutarla, non dopo tutto quello che aveva fatto.

Sarebbe sicuramente morta dissanguata, se l’ultima persona che in teoria poteva volere il suo bene in quel momento non si fosse adoperata per salvarla.

«Montmorency, cosa…» disse Guiche vedendo la sua amata inginocchiarsi davanti a Fouquet

«C’è un mago del fuoco?» chiese la ragazza.

Un soldato dei Touroc si fece avanti; una volta cauterizzata la ferita, fu sufficiente un buon incantesimo curativo, che suturò le vene e fermò l’emorragia.

Ciò nonostante per via dello shock e del sangue perso, Fouquet perse comunque conoscenza, venendo immediatamente raccolta da un paio di soldati che la gettarono a bordo di un carro per condurla in prigione, dove al momento giusto avrebbe dovuto rispondere di parecchi crimini, primo fra tutti l’omicidio di Maxime e Ludwika.

E con quello, fu finita per davvero, seppur non del tutto nel modo in cui Saito e Louise avrebbero sperato.

Se non altro, una volta che Fouquet si fosse ripresa, interrogandola avrebbero potuto scoprire qualcosa di più sui piani di Reconquista, oltre che su questo misterioso Profeta del quale aveva parlato a Kaoru, il quale ricevette tutti i più sentiti ringraziamenti di Gilbert per aver salvato sua figlia.

Ora, però, era solo il momento della serenità, e della ritrovata pace.

Era il momento di Guiche e Montmorency.

 

Neanche una settimana dopo essere tornati a Grasse, Saito, Louise e Kaoru erano stati invitati all’imminente matrimonio tra Guiche e Montmorency, che si sarebbe tenuto entro due giorni nella basilica di Gareville, la città più grande d’oriente, e subito si erano dovuti rimettere in viaggio.

La cerimonia fu davvero sontuosa, e accomodatisi in prima fila all’interno della basilica i tre ragazzi poterono rendersi conto di quante personalità illustri fossero pervenute, tra le quali anche alcuni governatori di altre province.

A quanto sembrava, la notizia dell’avvenuta riappacificazione di due tra i più potenti casati orientali aveva suscitato un senso di positività tra gli altri feudatari, spingendoli a considerare l’idea, proposta dagli stessi signori di Gramont e Montmorency, di creare una grande confederazione che si occupasse di garantire la stabilità e la pace nell’est fino a quando la situazione generale di Tristain non si fosse nuovamente acquietata.

Purtroppo, l’arrivo a Gareville, dove erano stati accolti dai genitori degli sposi in persona, era stato per Saito e gli altri funestato da una brutta notizia.

Superato il momento e lo shock iniziali, infatti, dopo solo qualche giorno di detenzione Fouquet era riuscita a liberarsi e a scappare dopo aver ingannato ed ucciso la guardia che sorvegliava la sua cella. Senza dubbio una brutta novella, che spegneva le speranza dei ragazzi di capire qualcosa di più su quello che stava succedendo, ma che nulla doveva né riusciva a togliere alla felicità di quel momento.

Guiche vestiva un abito completamente bianco, fatto su misura, e sormontato da una mantella rosso porpora, aveva i capelli ben pettinati e lo spadino di famiglia alla cintura.

Saito, che gli faceva da testimone, si avvicinò a lui, mettendogli una mano sulla spalla quando lo vide strofinarsi le mani per l’emozione per tranquillizzarlo; impossibile per lord Hiraga non ripensare a quando si era trovato lui in quella situazione, un momento bellissimo che ricordava sempre con enorme piacere, e che ogni volta lo faceva arrossire.

Poi, al suono di uno stuolo di trombe, le porte della cattedrale si spalancarono, e Montmorency si palesò in tutta la sua bellezza, tenuta per mano dal padre, che sorrideva quanto lei.

Era stupenda; indossava lo stesso abito usato da sua madre più di vent’anni prima, decorato con eleganti merletti ed impreziosito da molte pietre preziose; al posto del velo aveva una coroncina, e in mano teneva un bouquet di rose bianche.

Vedendola, Guiche arrossì, pensando a quanti e quali anni di felicità lo attendevano assieme e lei nel castello di Touroc, che già dal giorno dopo sarebbe diventato il loro eremo personale.

Montmorency percorse, lentamente e a capo chino, tutta la navata, poi il duca, non senza qualche riserva, la lasciò andare, perché potesse avvicinarsi a Guiche, il quale, presala a sua volta, la condusse fino all’altare, dove il sacerdote li attendeva.

Dopo il sì, lo scambio degli anelli ed il bacio, i due ragazzi, ora novelli sposi, uscirono dalla basilica, dove gli invitati li accolsero, oltre che con acclamazioni ed auguri, anche con una pioggia di riso; una usanza del suo mondo, a detta di Saito, che portava bene e favoriva la buona vita della coppia.

Tra gli invitati c’era anche una giovane e bella ragazza, la figlia di un nobile della città.

Questa, nell’atto di lanciare il riso, inciampò sul terreno reso scivoloso dai chicchi, minacciando di cadere.

Guiche, che si trovava lì a due passi, immediatamente la afferrò.

«State bene, signorina?» le domandò con quella sua solita, inguaribile aria suadente.

«S… sì.» rispose arrossendo l’interessata

«Ne sono felice. Il mio cuore avrebbe pianto se una così candida pelle fosse stata funestata da volgari ferite, e questo viso così dolce sporcato dalle impurità della fredda terra.

Voi siete un fiore che non deve essere sporcato. Perché se voi vi sporcaste, il mondo intero ne soffrirebbe.»

«Guiche-sama…»

«Tutto suo padre.» disse fieramente il maresciallo, salvo beccarsi un’occhiataccia dalla moglie.

D’improvviso, Guiche udì un lugubre rumore alle proprie spalle; sembrava un colpo di frusta.

«Non è possibile.» ringhiò Montmorency brandeggiando il frustino che Louise le aveva regalato come personale dono di nozze, e sovrastando il proprio neo-marito con un volto che avrebbe spaventato perfino un drago «Persino il giorno del nostro matrimonio.»

«M… Montmorency!» disse lui lacrimando di paura «Aspetta, ti prego…»

«Razza di… razza di… razza di donnaiolo senza speranze!».

Il povero Guiche imparò a proprie spese cosa si provava ad essere frustati dalla propria padrona, mentre Saito, Kaoru e Louise assistevano impotenti.

«Credo di sapere che cosa sta provando.» disse Saito

«Decisamente.» disse Kaoru

«Senza dubbio.» disse Derf

«Volete essere picchiati, per caso?» mormorò Louise alzando la bacchetta.

Alla scena, che fece ridere tutti, assisteva anche un altro invitato, uno assai meno gradito.

Dall’alto della torre campanaria, Fouquet Saito, Louise e gli altri che ridevano e si divertivano nella piazza sottostante digrignando i denti, e con gli occhi, nascosti dietro alle solite lenti da vista, che scintillavano di rabbia.

La mano sinistra era chiusa in un pugno strettissimo, mentre il polso destro era ora avvolto in un cappuccio di cuoio chiuso con delle cinghie all’altezza del gomito.

«Non finisce qui. Vi do la mia parola che mi vendicherò.» disse prima di dileguarsi.

 

 

Nota dell’Autore

Eccomi qua!^_^

Come promesso, con questo capitolo si chiude il cerchio sulle avventure di Guiche e Montmorency.

Ma per Saito, Louise e Kaoru, le difficoltà sono appena all’inizio.

Nuove e più difficili battaglie li attendono nel breve termine, anche se potranno contare su di un “aiuto speciale” (non sto più nella pelle, sul serio).

Come immaginavo, forse dovevo aspettare a concludere il penultimo capitolo. In questo modo il precedente è stato di 7 pagine, mentre questo di 12.

Come al solito credevo di cavarmela con meno, ma alla fine sono risultato il solito prolisso.

Scuse sincere.

Ora datemi qualche giorno per finire queste stramaledette tesine, e poi finalmente l’estate inizierà anche per me, con l’inevitabile foga creativa.

A presto!^_^

Carlos Olivera

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Capitolo 24
*** MAPPA - 2 ***


Ecco la seconda mappa di Tristain, a 2 mesi dall'inizio degli avvenimenti.
Come avevo preannunciato compare un nuovo feudo, quello dei LeClerc. Il Vallo Orientale che appare al suo limitare è una enorme fortezza di frontiera costruita secoli addietro per difendere l'unico valico di un certo rilievo dalle incursioni di Germania. A breve ne conoscerete gli occupanti
Le province segnate la linee rosse appartengono a nobili e dignitari che hanno dichiarato il loro appoggio o alleanza a Saito e Louise, ma che comunque conservano ancora il dominio sui propri territori.
A presto!^_^
Carlos Olivera




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Capitolo 25
*** 22 ***


22

 

 

Passarono alcune settimane, e nulla di nuovo venne a turbare la serenità che sembrava essere finalmente ritornata a De Ornielle e a Grasse.

Saito e Louise stavano finalmente iniziando a fare progetti per la nascita del loro figlio; perché, ormai, era sicuro che Louise fosse incinta ormai da quasi un mese.

Anche i suoi poteri stavano ritornando gradualmente, e non sarebbe passato molto tempo prima che fosse ridiventata in grado di esprimere al meglio la forza della sua magia.

La minaccia più grande continuava ad essere costituita da Laguiole.

Nei giorni immediatamente seguenti al ritorno dal matrimonio di Guiche e Montmorency, Valat aveva lanciato un paio di offensive verso nord, che tuttavia erano state tutte respinte dalla forza congiunta di Joanne, Kilyan e Kaoru, quest’ultimo il quale stava dimostrando ad ogni battaglia le doti e l’esperienza proprie di un brillante stratega.

Questo rendeva necessario essere sempre pronti ad ogni evenienza. Pertanto, Joanne aveva ordinato tanto alle sue moschettiere quanto a tutti i soldati dell’esercito in generale di seguire corsi di addestramento a ciclo continuo, così da accrescere la loro esperienza e la loro preparazione in vista di nuove battaglie.

Stranamente, nonostante l’apparente tranquillità, sembrava essersi alzato una sorta di muro tra i padroni e gli attendenti, che negli ultimi giorni quasi non si rivolgevano la parola.

Kaoru, Joanne e Kilyan erano sempre impegnati con esercitazioni, seminari strategici e pattugliamenti a confine, Saito e Louise invece erano continuamente sballottati da un incontro politico all’altro per cercare di mantenere ben saldi i rapporti instauratisi con i governatori vicini.

Intanto si era ormai fatto autunno inoltrato; le giornate si stavano accorciando, aumentava il freddo, nonostante si fosse in riva al mare, e gli alberi cominciavano a spogliarsi delle loro foglie ingiallite.

Un pomeriggio, Kiluka stava passeggiando per i giardini del castello.

Ormai a quei luoghi ci aveva fatto l’abitudine, e ogni volta che poteva scansava il controllo di Seena per concedersi qualche minuto di tranquillità, anche perché l’autunno le era sempre piaciuto, con quei colori così caldi e quelle atmosfere surreali.

Ad un tratto, girovagando senza meta per il giardino, la ragazzina intravide Kaoru, immobile ai piedi di una grande quercia, le gambe divaricate e piantate a terra, la schiena leggermente inarcata, la mano sinistra stretta all’impugnatura della spada e gli occhi chiusi.

Sembrava una statua, tanto appariva immobile, e Kiluka si immobilizzò a sua volta, rimanendo ad osservarlo dietro ad un cespuglio di basse siepi.

I secondi trascorsero, senza che Kaoru non desse segno di essere vivo, quasi la sua anima si trovasse altrove, mentre Kiluka continuava ad osservarlo.

Tre foglie si staccarono quasi contemporaneamente dall’albero, prendendo a galleggiare nell’aria; d’improvviso, Kaoru spalancò gli occhi, e con un unico gesto sinuoso fece scivolare la spada fuori dal suo fodero, eseguendo un unico, fulmineo fendente.

Non un movimento inutile, non un muscolo mosso più di quelli necessari; e le tre foglie, passategli in quell’istante davanti agli occhi, finirono recise a metà, scivolando inerti fino a posarsi a terra.

Kiluka restò senza parole, e quando Kaoru rinfoderò la spada finalmente si accorse di lei. A quel punto la ragazzina si avvicinò, sorridendo e senza apparente timore; molti altri avrebbero trovato spaventosa quella dimostrazione di abilità, ma per lei sembrava quasi una cosa naturale.

«Sei molto bravo.» disse con quel misto di sincerità ed innocenza infantile «Neanche Seena riuscirebbe a fare una cosa simile».

Lui la guardò, ma non rispose, tornando ad assumere una posa normale.

«Senti, posso domandarti una cosa?»

Di nuovo, Kaoru non rispose, ma Kiluka, dopo qualche esitazione, decise di chiedere ugualmente.

«Tu… hai ucciso molti nemici?».

Questa volta, finalmente, Kaoru si decise.

«Perché lo vuoi sapere?».

Stavolta fu Kiluka a non rispondere, ed anzi abbassò gli occhi come mortificata. Kaoru guardò la lama della sua katana, che risplendeva come un gioiello.

«In effetti, ogni volta che uccidi qualcuno, è un po’ come se una parte di quella persona entrasse in te.»

«Cosa?»

«Non so se e quanti uomini io abbia ucciso prima del periodo che riesco a ricordare. Ma di sicuro, quelli che ho ucciso da allora è come se fossero diventati parte di questa spada. Ogni volta che la estraggo, mi sembra di sentirli».

Poi, Kaoru guardò Kiluka.

«Ti do un consiglio. Non uccidere se non devi. E se proprio ci sarai costretta, sii pronta ad affrontarne le conseguenze.

D’altra parte però, questa è pur sempre una guerra. E fino a quando non ci saranno più persone come Saito e Louise, questa» e indicò la spada «Avrà sempre del lavoro da fare, e persone come me ragione di esistere.»

«Secondo me.» rispose Kiluka dopo un momento di esitazione «Ti stai giudicando troppo duramente.

Tu sei buono.»

«Tu dici?» replicò Kaoru con uno strano sorriso

«O almeno, questo è quello che penso. Ho visto le persone malvagie. E tu non lo sei. I tuoi occhi somigliano tantissimo a quelli di Seena. E Seena non è certamente una persona cattiva.»

«Non fa una grinza.» disse Derf.

Kaoru non replicò, ma rinfoderò la spada, e assieme a Kiluka si avviò per fare ritorno al castello.

Erano arrivati in cortile, quando si avvidero che un’aeronave era da poco giunta a palazzo, ed era ora all’ancora in un angolo della darsena; a giudicare dai vessilli e dalla bandiera che sventolava sul pennone, non era difficile capire a chi appartenesse.

«Lord Marcin?».

Prima ancora che Kaoru potesse pensare di andare a scoprire cosa stesse succedendo, Kilyan lo raggiunse tutto trafelato.

«Generale! Lord Marcin è qui! Vuole proporre di sferrare un attacco alle isole Ty-Kern

«Che cosa!?» esclamò Kaoru, che assieme a Kilyan e Kiluka raggiunse di corsa la sala delle udienze.

Quando arrivarono, Lucas, Saito e Louise erano già raccolti attorno al grande tavolo centrale, sul quale erano buttate un po’ alla rinfusa mappe della costa nord-occidentale di Tristain, della quale Grasse costituiva il promontorio più esterno e pronunciato, e dove si affacciava, più a sud e vicino al confine con Gallia, anche il feudo dei Marcin.

Saito sembrava una maschera di cera, tanto i suoi occhi apparivano sbarrati, e anche Louise era chiaramente turbata.

«Ah, Kaoru.» disse Saito «Stavo giusto per farti chiamare.»

«So già tutto. Lord Marcin

«Generale.»

«Che cos’è questa storia di attaccare Ty-Kern?».

Le isole Ty-Kern erano un piccolo arcipelago ad una quarantina di miglia dalle coste di Tristain; per molto tempo era stata una nazione a sé stante, ma un paio di secoli prima Albion aveva occupato le isole, che una volta liberate nel corso dell’ultima guerra erano diventate una provincia di Tristain a tutti gli effetti.

Il feudo era gestito dal casato dei Floubert, discendenti dell’antica famiglia reale. Fino a quel momento si erano tenuti fuori dal conflitto sul continente, ma da qualche tempo a quella parte, come Saito era già stato informato, si erano improvvisamente scatenati, schierando la loro immensa flotta di navi ed aeronavi e conquistando in modo pressoché schiacciante i feudi costieri che stavano rispettivamente a nord e a sud dei domini dei Marcin.

«Ty-Kern è diventata una minaccia per tutti noi.» disse Lucas per giustificare la sua proposta «Chiunque abbia un dominio che si affaccia sul mare potrebbe diventare il suo bersaglio. Hanno già creato una testa di ponte nel sud del Paese, e se riusciranno a conquistarne un’altra potranno seriamente iniziare una vera campagna di conquista in tutta Tristain.

Devono essere fermati.»

«Proviamo ad inviare un ambasciatore.» disse Louise «Cerchiamo di negoziare.»

«Ci ho già provato. E la risposta di Lord Floubert è stata, testuali parole, che “questa è l’epoca in cui i forti devono prendere ciò che i deboli non meritano di possedere”. Direi che le sue intenzioni sono più che ovvie».

Saito guardò in basso, stringendo i pugni.

«Non posso farlo. Ho promesso che non avrei mosso guerra a nessuno se non attaccato.»

«Se dovessero attaccare, temo sarebbe troppo tardi.» rispose franco Lucas «La flotta di Floubert è immensa. Hanno fornito a Tristain quasi tutte le aeronavi che hanno preso parte alla spedizione ad Albion.

Se un simile dispiegamento di navi dovesse mettersi in moto tutto in una volta, arrestarlo sarebbe pura fantasia.»

«Però…»

«Io posso schierare una nutrita forza aerea. Ma mi occorre la flotta di Grasse per poter contare su di una buona copertura navale.

Credimi, amico mio. Ho riflettuto molto prima di venire qui a farti questa proposta, perché sapevo che per te non sarebbe stato facile accettare l’idea di dover dichiarare guerra a qualcuno.»

«Noi stiamo solo cercando di mantenere la pace a Tristain.» disse Louise «Noi non abbiamo ancora smesso di sperare che la principessa sia sopravissuta, e vogliamo che se e quando tornerà possa di nuovo poter sedere sul trono.»

«Vi comprendo. È la stessa cosa che voglio anch’io. Ma se non fermiamo Floubert, quando la principessa tornerà troverà qualcun altro ad occupare il palazzo reale. E se vogliamo fermare Floubert, dobbiamo farlo prima che sue flotte inizino seriamente a dilagare in tutta la nazione».

Nuovamente, Saito si guardò attorno confuso e preoccupato, guardando ora le carte sparpagliate sul tavolo ora chi gli stava intorno.

«Io… io non lo so…»

«D’altra parte» disse Kaoru guardandolo quasi con severità «Pensare di poter concludere una guerra senza combattere o uccidere non è fantasia, ma pura utopia.»

«Kaoru…» disse Louise sgranando gli occhi

«Questa è una guerra. Cercare di farla finire al più presto è ammirevole, ma d’altra parte ci sono momenti in cui bisogna tirare fuori gli artigli e attaccare, perché altrimenti l’unica alternativa è venire distrutti.

E questo, temo sia uno di quei momenti.»

«Parole sante.» disse Lucas «Kaoru ha ragione. Questo non è il momento delle indecisioni.

Vorrei poterti dire che sarà solo per questa volta, ma la verità è che nessuno può saperlo. Se vogliamo preservare Tristain fino al ritorno di Henrietta, dovremo essere pronti anche a fare cose di questo tipo».

Saito e Louise, ma anche Joanne e Kiluka, abbassarono gli sguardi, affranti e sconfortati. Solo Kaoru sembrava freddo come al solito, forse per via di quell’affinità con il campo di battaglia che aveva fin da prima di incontrarli, e che per ora non riusciva a ricordare.

«E sia.» disse alla fine Saito, dopo essersi consultato con lo sguardo con Louise «Ma devi promettermi che terremo i civili fuori da questo conflitto, e che ci ritireremo subito se non proveranno a resistere, o se avremo la prova di essere superiori.»

«Hai la mia parola. Lo giuro sulla mia vita, e sull’amore che provo per Cattleya

«D’accordo. Mobiliterò la flotta di Grasse.»

«Molto bene. il grosso della mia aviazione è già radunata al largo della costa, nascosta in una zona morta. Potremo partire già domani».

 

Quella notte, Saito non riuscì a chiudere occhio.

Durante il resto della giornata era stato tutta una frenesia per ultimare i preparativi in vista della partenza della flotta d’attacco, già schierata e pronta a salpare dai moli di Grasse, prevista per il tramonto successivo. In questo modo avrebbero navigato durante la notte, al sicuro dalle spie e dai ricognitori nemici che pattugliavano i dintorni delle isole a bordo di deltaplani, e sarebbero comparsi dinnanzi alle coste di Ty-Kenr al sorgere del sole, in tempo per iniziare il bombardamento.

Saito non riusciva ad accettarlo.

Una parte di lui era d’accordo con quello che aveva detto Lucas, ma l’altra continuava a dire che non era possibile professarsi conservatori della pace se poi si muoveva guerra ad un vicino che, per quanto minaccioso e pericoloso, non aveva ancora fatto niente di più e di meno di quasi tutti gli altri feudatari di Tristain.

Alla fine, non trovando principio di addormentarsi, e temendo di svegliare anche Louise, che invece era riuscita in qualche modo a prendere sonno, il ragazzo si alzò, si mise addosso qualcosa e volle fare quattro passi e cercare di distrarsi.

Come ogni notte, guardie e soldati presidiavano il castello, e chi incontrava lo salutava con il dovuto rispetto.

Giunto in cortile, si accorse che c’era qualcun altro oltre a lui, seduto su di una panchina e rivolto di spalle. Fece per avvicinarsi, ma calpestò inavvertitamente alcune foglie secche, facendo rumore e facendo volgere l’interessata.

«Kiluka.»

«Saito-san

«Che cosa ci fai qui?»

«Non riuscivo a dormire.»

«Neanch’io. A quanto pare siamo in due».

Anche lui si sedette, e i due stettero per un po’ l’uno affianco all’altra senza dire nulla, guardando le due lune in parte oscurate dalle nuvole; era una serata molto fredda, e anche se indossava una vestaglia Kiluka sentiva comunque freddo.

«Quindi… è guerra, vero?»

«Purtroppo sì.» rispose Saito «Anche io non avrei mai pensato che si sarebbe arrivati a tanto. Cercheremo di arrecare meno danno possibile».

Il ragazzo raccolse da terra una foglia arrossita, rigirandosela tra le mani.

«Purtroppo, Kaoru e Lucas hanno ragione. Avremmo dovuto mettere in conto fin da subito che si sarebbe potuti arrivare a qualcosa del genere.

Finora né io né Louise ce ne eravamo completamente resi conto, ma questa è pur sempre una guerra. E in guerra, come ha detto Kaoru, bisogna essere pronti ad uccidere.»

«Io le odio.» disse Kiluka con un filo di voce

«Cosa!?»

«Le armi. La guerra. La sofferenza. Odio tutte queste cose. Sia mio padre che mio nonno mi hanno fatto promettere che non avrei mai ucciso nessuno».

Poi, la ragazzina sorrise quasi rassegnata.

«Eppure» disse, e come sollevò le mani vi comparve deposta sopra una spada simile a quella che aveva visto usare a Kaoru quella mattina «Il mio potere consiste proprio nel creare strumenti di morte. Crearne senza sosta, senza fine. Quegli stessi strumenti che non vorrei mai vedere usare.

Che razza di famiglio potrei diventare, con un potere così spaventoso?».

Saito restò un momento basito, poi però, sorridendo, poggiò una mano sulla testa di Kiluka.

«Non esistono poteri buoni o cattivi. È il modo in cui si sceglie di usarli che determina questa differenza. Questo è quello che mi disse una volta il professor Colbert.»

«Saito-sama…»

«Anch’io, quando possedevo ancora il potere di Gandalfr, mi sono chiesto alcune volte che cosa avrei mai potuto farne, vista la mia indole pacifica e la mia naturale avversione alla violenza. È stato grazie al professore che ho capito che potevo far uso del mio potere per gli scopi giusti, e senza snaturare o annullare il mio pensiero.

Sarà così anche per te.»

«Voi… dite davvero!?»

«Puoi creare armi, e allora? Se troverai qualcuno che sa fare un uso saggio e virtuoso delle armi che costruisci, avrai trovato il modo di rendere costruttivo il tuo potere».

Di fronte ad una prospettiva così apparentemente conciliante, Kiluka sentì rinascere se non altro la speranza.

Ormai aveva accettato e riconosciuto il fatto che Louise non fosse destinata ad essere la sua padrona, ma si augurava che il suo padrone, chiunque fosse stato, l’avrebbe pensata come Saito.

Uno spiffero freddo le fece battere i denti, e si raggomitolò su sé stessa stringendo i denti.

«È meglio rientrare. Un altro po’ e ci buscheremo un malanno tutti e due».

Quello che nessuno dei due poteva sapere era che, qualche minuto prima, un’ombra nera si era introdotta nel castello, e fattasi strada tra i cortili schivando o tramortendo le guardie che incontrava era giunta fin nel giardino.

Saito e Kilula stavano quasi per rientrare dalla porta che dal giardino conduceva nel salone, quando il ragazzo avvertì distintamente una presenza minacciosa alle proprie spalle, che lo sovrastava minacciando di schiacciarlo.

«Attenta!» urlò, e spinta via Kiluka si gettò a terra a sua volta, giusto in tempo per evitare un tremendo affondo di punta che, mancatolo, perforò il terreno come un coltello con il burro.

«Maschera di Ferro!» esclamò Saito riconoscendo l’aggressore.

Il misterioso sicario, ritratta la spada dal terreno, si avventò immediatamente contro Saito, prendendo a lanciare un affondo dietro l’altro nel tentativo di trafiggerlo; il ragazzo era ovviamente disarmato, e tutto quello che poteva fare era schivare, ma senza il potere di Gandalfr e senza una spada era difficile riuscire a tenere a bada un assalto talmente veloce e furioso.

«Aspetta, ti prego!» disse Kiluka, che invece considerava quel sinistro individuo, se non un amico, almeno un benefattore «Saito-san non è cattivo! Lascialo in pace!».

Ma le sue parole restarono del tutto inascoltate.

Saito riuscì ad evitare di finire infilzato, ma dopo dieci secondi e più di schivate la sua velocità ed i suoi riflessi si affievolirono, ricevendo infine un colpo di striscio ad un fianco, non letale né particolarmente grave, ma molto doloroso.

Nel mentre Kiluka aveva fatto per andare a chiamare le guardie, ma quando si era accorta che Saito era in difficoltà aveva deciso, pur con esitazione, di tornare sui propri passi; guardandosi attorno alla ricerca di una soluzione, vide infine la spada che aveva creato poco prima, abbandonata accanto alla panchina dove si erano seduti.

Correndo, riuscì a raggiungerla, giusto in tempo per evitare che Saito ricevesse il colpo di grazia.

«Prendete!» urlò lanciandola.

Il ragazzo la recuperò al volo, sguainandola un attimo prima di venire trafitto nuovamente e riuscendo così a salvarsi la vita. Colto alla sprovvista, Maschera di Ferro indietreggiò, dando a Saito il tempo di mettersi in guardia.

Dopo solo pochi secondi lo scontro riprese, e ben presto Saito si rese conto che, anche con la spada in mano, Maschera di Ferro rischiava di essere un avversario al di là della sua portata.

Per fortuna, quando stava per venire messo nuovamente sotto, il ragazzo ricevette l’improvviso e provvidenziale aiuto di Kaoru, che all’ultimo momento comparve dal nulla frapponendosi tra Maschera di Ferro e Saito quando questi, messo un piede in fallo, era caduto, scoprendosi.

«Kaoru!»

«Lui lascialo a me. Noi due abbiamo un conto in sospeso».

Anche Maschera di Ferro sembrava pensarla così, tanto che lasciò perdere Saito e si concentrò sul nuovo venuto.

«Si può sapere che cosa vuoi da noi?» domandò Kaoru mentre camminavano lentamente in cerchio tenendosi viso a viso «Ti stai lasciando dietro cadaveri di feudatari per tutta la nazione. Hai forse deciso di far sprofondare questo Paese nell’anarchia?».

Maschera di Ferro non rispose e si lanciò all’attacco.

Nelle ultime settimane Kaoru si era allenato molto duramente, proprio in previsione di un nuovo scontro con quella che stava ormai diventando quasi la sua nemesi, e così il divario tra loro due si era fatto molto meno marcato rispetto al passato.

Addirittura, ad un certo punto Kaoru sembrò quasi riuscire a prevalere, costringendo Maschera di Ferro ad una difesa passiva e quasi disperata, tanto velocemente e fulmineamente si muoveva il suo avversario, una differenza che si fece ancor più marcata quando Kaoru decise di servirsi anche del potere di Gandalfr; ciò andava contro i suoi principi, ma se poteva servire a trovare quelle risposte che sentiva che Maschera di Ferro potesse portargli sulle sue origini e sulla sua identità allora era un sacrificio accettabile.

Saito e Kiluka assistevano senza interferire, Kiluka perché troppo spaventata e Saito perché, dentro di sé, sapeva che non poteva fare niente per aiutare o contrastare due guerrieri di tale bravura; oltretutto, aveva una sensazione che di dejà vu, quasi quello scontro gli riportasse alla memoria qualcosa che non gli riusciva di identificare.

Alla fine, incredibilmente, Kaoru fu ad un passo dalla vittoria; schivato l’ennesimo affondo, il ragazzo girò su sé stesso, si aprì un varco e partì di taglio menando un fendente che Maschera di Ferro riuscì ad evitare per un pelo, ma che comunque lo ferì all’avambraccio sinistro lacerando il camiciotto e la carne sottostante.

La cosa strana fu che, almeno in quel momento, non uscì sangue dalla ferita, ma non era quella la cosa importante per ora.

Approfittando dell’occasione, prima ancora di concludere l’assalto Kaoru sgambettò l’avversario, gli afferrò la faccia mascherata e lo sbatté violentemente a terra lasciandolo impotente.

Poi, successe qualcosa.

Kaoru fece per strappare via la maschera, così da poter finalmente scorgere quel volto che, adesso se lo ricordava, aveva già visto quella volta tra le rovine di Dungletale, ma i cui lineamenti non riusciva ancora a ricordare con chiarezza, quando qualcosa lo paralizzò.

Fu questione di un attimo.

Le pupille gli si dilatarono, la bocca si piegò in un’espressione di stupore, ed una specie d lampo gli si accese nella mente e davanti agli occhi, mostrandogli immagini confuse e incomprensibili; tutto quello che vedeva era fuoco, un mare di fuoco, che sembrava bruciargli la carne come se vi fosse stato davvero immerso, e che bruciava ogni cosa.

«Che cos’è?» disse ancora sconvolto «Ma chi diavolo sei tu?».

Un secondo di esitazione, che però fu sufficiente.

Kaoru venne improvvisamente riportato alla realtà da un altro tipo di dolore, un dolore dapprima leggero e quasi impercettibile, che però divenne autentico e devastante nel momento in cui vide la spada di Maschera di Ferro conficcata nel proprio addome, la lama e i vestiti tinti di rosso e le gocce di sangue che come un orologio ticchettavano a terra una alla volta.

Tutti i muscoli gli si paralizzarono, la spada gli cadde di mano, e come Maschera di Ferro ritrasse la lama il ragazzo ne prese il posto a terra, circondato di sangue, mentre lui al contrario si rimetteva in piedi.

Saito e Kiluka assistettero impotenti; Kiluka si copri la bocca con le mani e quasi pianse, Saito spalancò la bocca incredulo.

«Kaoru!».

Quasi accertatosi che il nemico non costituiva più una minaccia, Maschera di Ferro tornò tuttavia a rivolgere le sue attenzioni proprio su Saito, il quale, in larga parte ancora sconvolto per ciò che aveva visto, non riuscì quasi ad opporre resistenza, ritrovandosi in poco più di dieci secondi con le spalle appoggiate al muro del palazzo.

Maschera di Ferro avrebbe probabilmente infierito anche su di lui, se all’improvviso una freccia comparsa dal nulla non lo avesse costretto ad indietreggiare.

Se c’era un’abilità naturale nella quale Kiluka si era sempre mostrata ferrata, questa era senza dubbio il tiro con l’arco.

Grazie al suo potere, e vinta la timidezza, aveva quindi creato un bell’esemplare di arco intarsiato con tanto di faretra piena di frecce, una delle quali era stata immediatamente scoccata contro il nemico, e poco importava se Maschera di Ferro le aveva di fatto salvato la vita; in quel momento stava attentando alle persone che come lui l’avevano aiutata, e pertanto andava fermato.

«Ora basta, smettila!».

L’espediente si rivelò provvidenziale.

Mentre tutto ciò accadeva, infatti, Louise, svegliatasi, si era accorta dell’assenza di Saito, e come si era imbattuta nel cercarlo in una delle guardie che erano state stese da Maschera di Ferro aveva immediatamente dato l’allarme.

I soldati arrivarono improvvisamente nel cortile, cogliendo sul fallo Maschera di Ferro, che lasciato perdere tutto girò i tacchi e corse via, arrampicandosi come un ragno sui bastioni per poi tuffarsi direttamente in mare.

Joanne, alla guida dei soldati, salì a sua volta sulle mura per vedere se era ancora possibile cercare di prenderlo, ma nel buio della notte era difficile persino riuscire a scorgere la superficie del mare.

«Sarà morto?» domandò uno

«Nessuno sopravvivrebbe ad un volo del genere.» disse un altro

«Non contateci troppo.» replicò Joanne «Quello non è tipo da morire così facilmente».

Poi, Joanne sentì Saito invocare il nome di Kaoru, e solo allora si accorse di quello che era successo.

Kaoru era ancora lì, riverso sull’erba a pancia in giù, con una mano a tenersi l’addome e l’altra protesa in avanti, svenuto e coperto di sangue. Il sangue gli colava anche dalla bocca, che tossendo in modo involontario ne sputava dell’altro con terrificante frequenza.

«Kaoru!» gridò Saito inginocchiandosi accanto a lui e cercando di soccorrerlo.

Anche Louise e Kiluka si avvicinarono.

«Presto, un medico! Un medico!» gridò Louise

«Sì, subito!» disse Joanne.

Anche Siesta, svegliata ed attratta dal frastuono, uscì in giardino, e quando vide cosa era successo per un attimo che sembrò un secolo il cuore quasi le si fermò.

Saito continuò per interminabili minuti a scuotere Kaoru nel tentativo di svegliarlo, ma il ragazzo non dava alcun segno di vita, e dopo poco sembrò aver avesse smesso anche di respirare.

«Kaoru!».

 

 

Nota dell’Autore

Eccomi qua!

Come al solito, risorgo dalla tomba per aggiornare!^_^

Gli esami stanno finalmente finendo.

Ancora 3 (che poi in realtà sarebbero 1, visto che due sono solo tesine) e finalmente avrà inizio anche la mia estate.

Sono sommerso di cose da fare.

Un dramma teatrale per un concorso, una sceneggiatura che spero si trasformerà in un corto universitario, e poi ovviamente questa fic, che per settembre vorrei davvero aver se non altro portato alle battute finali.

Che altro dire?

Ovviamente, aspettatevi aggiornamenti più frequenti da ora in avanti.

Spero che vi farà piacere.

A presto!^_^

Carlos Olivera

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Capitolo 26
*** 23 ***


23

 

 

Kaoru si ritrovò a galleggiare in uno strano oceano, tetro e scuro come la notte, ma dove qui e là risplendevano confusamente come dei piccoli globi di luce, e all’interno di ognuno di questi globi gli pareva di scorgere delle immagini, dei brevi corti di un film più grande.

Erano forse i ricordi della sua vita?

Quella vita della quale ora non riusciva ad avere memoria?

Cercò di afferrarne alcuni, per poterli vedere, ma erano evanescenti e intangibili proprio come bolle d’aria in un mare sconfinato.

Poi, sentì una voce che lo chiamava.

«Chi sei?» domandò con il pensiero, visto che quella voce sembrava risuonargli direttamente nella testa

«Devi proteggerla, figlio mio. Continua a proteggere Louise. Non è ancora il tuo momento».

Era una voce femminile molto dolce, ma allo stesso tempo determinata, che risvegliava in Kaoru qualcosa di famigliare.

«Ti prego. Il nostro futuro dipende da questo!».

Poi, tutto divenne nero, e Kaoru si sentì come risucchiare all’indietro, dentro quel corpo che ora giaceva in un letto nell’infermeria del castello.

«Kaoru!» disse Siesta vedendo che si svegliava.

Aveva le lacrime agli occhi, e a giudicare dalle ombre nere non aveva dormito per tutta la notte. Fece per abbracciarlo, ma come strinse un po’ Kaoru mugolò per il dolore.

«Scusa.» disse lasciandolo, poi si rivolse ad un’infermiera «Presto, avvisa Saito e Louise! Digli che Kaoru si è svegliato!».

Saito e Louise arrivarono quasi subito, e solo allora a Kaoru venne in mente di guardare in che condizioni fosse ridotto. Il segno lasciatogli dalla lama di Maschera di Ferro era nascosto da una grossa benda, ma dal dolore che sentiva poteva capire che non era stata una cosa da poco.

«Quanto tempo è passato?»

«Giusto poche ore.» rispose Louise «Hai davvero una resistenza d’acciaio. Altri sarebbero rimasti svenuti giorni interi.»

«E Maschera di Ferro?»

«È scappato. Mi dispiace.»

«Per fortuna l’affondo non ha trafitto lo stomaco.» disse Saito «A dispetto di come poteva sembrare, te la sei cavata con poco. Il medico ha pulito la ferita e applicato dei punti».

Kaoru cercò di alzarsi, ma il dolore provocato dalla ferita era qualcosa di insopportabile, e dovette mettersi nuovamente disteso.

«Non strafare.» gli disse Louise «Se ti muovi troppo, rischi di strapparti i punti.»

«Ma dobbiamo salpare. La flotta d’invasione…»

«Non preoccuparti. Verrà Kilyan con me. Mi sta già aspettando a bordo dell’ammiraglia. Tu ora pensa a riprenderti.»

«Però…»

«Finiscila di protestare.» disse Louise alzando la voce «Sei già fortunato ad essere sopravvissuto. Ora restatene a letto, o dovrai preoccuparti più delle mie punizioni che della tua ferita».

Detto questo Louise se ne andò, seguita da Saito.

«Accidenti, che sfuriata.» commentò Derf

«Sicuramente la signorina Louise è in pensiero per Saito.» disse Siesta «Avrebbe voluto andare con lui, ma lui alla fine l’ha convinta a rinunciare».

Kaoru stette in silenzio un altro po’, poi batté con rabbia il pugno sul letto.

«Kaoru…» disse Siesta

«Dannazione! E dire che stavolta credevo di esserci riuscito. E invece, ancora una volta, quel maledetto mi è scappato.»

«Meno male che sei ancora vivo. Sarebbe potuta andarti molto peggio».

Kaoru alzò allora il braccio verso l’alto, guardandosi la mano.

«Nell’istante in cui l’ho toccato… per un attimo, ho avuto come l’impressione di poter vedere dentro la sua mente. Vedere tutti i suoi pensieri.»

«E che cosa hai visto?»

«Fuoco. Un oceano di fuoco senza fine.»

«Fuoco…».

Ad un certo punto, preda di un’emozione che non riusciva a controllare, Siesta abbracciò nuovamente Kaoru, un abbraccio dolce e gentile, mentre alcune lacrime comparivano nei suoi occhi chiusi.

«Non farmi mai più prendere uno spavento come quello di stanotte, hai capito?»

«Siesta…» disse il ragazzo confuso ed incredulo.

 

Al molo, intanto, tutto era pronto per la partenza.

Dodici navi da guerra, dalle corvette rapidi e veloci ai galeoni di linea  con trenta cannoni per lato, erano in procinto di salpare alla volta di Floubert.

In cielo, in mare aperto, si intravedeva la flotta di aeronavi di Lucas, già schierata e pronta alla partenza.

Louise venne a salutare Saito dinnanzi all’ammiraglia, il Seaborn Legend, e anche per cercare per l’ultima volta di convincerlo a portarla con sé.

Lui però, come era prevedibile, diede la stessa risposta del giorno prima, e sorridendo le carezzò la testa.

«Non volermene male, Louise. Ma potrebbe essere molto pericolo. Quindi, è meglio se resti qui.

Non temere, ci sarà Kilyan ad assistermi.»

«Allora, sarà meglio se fai attenzione.» mormorò lei a sguardo basso «Perché altrimenti, ti picchierò.»

«D’accordo.» rispose Saito sorridendo.

A quel punto, a malincuore, dovettero separarsi, e mentre la nave ed il resto della flotta spiegavano le vele tra i saluti e le esclamazioni della folla radunatasi al porto, Saito, affacciato dal ponte di poppa, continuava a guardare Louise, salutandola a piene braccia e continuandole a promettere che presto si sarebbero rivisti. C’era anche sua sorella Cattleya, che come lei salutava e pregava per il ritorno del proprio marito.

Anche Kaoru, dalla finestra della sua stanza, poté vedere le navi prendere il largo, e tanto lui come Siesta, nonostante tutta l’imponenza delle due flotte di Grasse e Marcin, non riuscivano a togliersi dalla testa uno strano presentimento, come un senso di pericolo incombente.

Ben presto, la flotta fu in mare aperto, diretta verso Floubert, e quando la terraferma era ormai lontano Lucas, a bordo di una piccola scialuppa alata, scese dalla sua nave ammiraglia fino sulla Seaborn Legend, per incontrarsi con Saito e definire gli ultimi dettagli.

«Le isole sono protette da un buon sistema di fortificazioni marine.» disse Lucas guardando una mappa dell’arcipelago «Hanno anche dei punti di osservazione mimetizzati sotto la superficie per avvistare eventuali nemici.»

«Non c’è modo di localizzarli?»

«Purtroppo no. È per questo che aspetteremo la notte per dare inizio all’avvicinamento vero e proprio. Comunque sia, non diamo per scontato che non sapranno del nostro arrivo.

Il problema principale sono i cannoni. Ce ne sono lungo tutto il perimetro di Gerion, l’isola principale, dove si trova la capitale, nelle isole circostanti e anche negli atolli che ci stanno intorno. Se ci avvicineremo troppo, finiremo nel fuoco incrociato, e allora quel posto si trasformerà in un inferno.»

«Che cosa suggerisci?»

«La mia flotta aprirà la strada. Bombarderemo simultaneamente tutti i fortini perimetrali e le postazioni più piccole.

Nel frattempo, tu e la sua flotta dovrete procedere a vele spiegate attraverso lo sbarramento. Portatevi a distanza di tiro dalle fortificazioni di Gerion, e prendete a sputargli addosso tutto quello che avete. I loro cannoni da difesa costiera hanno un calibro superiore ai nostri, ma non sono particolarmente precisi. Se riuscirete a buttarne giù anche solo cinque o sei, sarà fatta.»

«Sembra anche troppo facile.»

 «Del resto, Ty-Kern non è stata fortificata per resistere ad un attacco combinato da mare e da aria di questa portata.

Tra la tua flotta e la mia, si parla di almeno trentacinque-quaranta navi.»

«Speriamo vada tutto per il meglio. Ma ricordati il nostro patto.»

«Tranquillo, me lo ricordo. Niente attacchi su civili o nemici arresi. Se alzeranno bandiera bianca o chiederanno un cessate il fuoco per negoziare, li accontenteremo.

Anche io voglio limitare al massimo le perdite».

A quel punto, e dopo un pasto frugale, mentre il sole cominciava ormai a calare sotto l’orizzonte, Lucas fece ritorno alla propria ammiraglia, la Exellion.

Dopo poco, scese la notte, e da quel momento la flotta si fece silenziosa ed invisibile come un esercito di navi-fantasma.

 

L’ultimo patriarca della famiglia Floubert, Solomon, avrebbe disgustato i suoi stessi antenati.

Ricco, opulento, viziato, cresciuto nella bambagia e dominato dai suoi vizi, era il prototipo del regnante dal pugno di ferro.

Nelle sue isole, la gente a fatica tirava al domani, mentre lui viveva in un palazzo degno della regina che dall’alto di una collina dominava tutta Gerion e le isole vicine.

La città di Gerion, capitale del ducato e dell’isola omonima, era tutta raccolta e disposta lungo la principale insenatura dell’isola, che protendendosi verso l’esterno fungeva da foce al fiume Loto, principale corso d’acqua di Floubert.

Era davvero una bella cittadina, che trasudava secoli di storia e tradizione marinara, ma che negli anni, soprattutto per la minaccia costituita da Albion, era stata rinchiusa all’interno di un imponente sistema difensivo di mura marine e torri perimetrali che ne preservava i porti e le darsene, e che svettava come un gigante addormentato sull’intero arcipelago.

Durante l’ultima guerra tra Tristain ed Albion, data la vicinanza dell’isola volante ed il timore che vi potessero essere delle spie, era entrata in vigore la legge marziale, che tuttavia non era mai stata revocata; soldati armati giravano per le strade, autorizzati ad esercitare giustizia sommaria al primo accenno di problemi.

Tutti vivevano nel terrore di lord Floubert e dei suoi eccessi.

Di quando in quando, appena cominciava a stufarsi delle solite cameriere, servitrici ed accompagnatrici, spediva i suoi dignitari in giro per le isole a cercare nuove sostitute, e quelle che venivano scelte potevano decidere se obbedire o vedere sterminate le proprie famiglie.

La cosa che gli piaceva più di tutto era farsi pettinare.

In testa aveva una specie di nido di merli alto due spanne, e tutte le sere le sue servitrici avevano l’ingrato compito di metterlo a posto, riempiendolo di pomate e intrugli maleodoranti inventati dai suoi parrucchieri che gli impedivano di deformarsi durante la notte.

Quella sera, come al solito, era intento a far compiere alle sue donne questo insano rituale, quando una donna dai lunghi capelli verdi, occhialuta e senza una mano si presentò al suo cospetto.

«Oh, madame Fouquet. Benvenuta.»

«Mi sembrate anche troppo tranquillo, lord Floubert, per uno che sta per subire un attacco?»

«Un attacco?» replicò lui con la più assoluta noncuranza «E da parte di chi?»

«Di un’alleanza composta dai sovrani di Grasse e Marcin, proprio come vi avevamo predetto.»

«Non sarà un problema. Grazie alle nuove armi che Reconquista mi ha così gentilmente fornito, non sarà un problema schiacciare quella massa di insetti.

E quando avrò fatto a pezzi le loro flotte, e di riflesso completato la mia, rimpiangeranno il giorno in cui non mi si sono buttati ai piedi implorando la mia benevolenza.»

«Fareste meglio a non essere così sicuro de vostri mezzi, lord.

Prima di tutto, commettete un grave errore nel sottovalutare Saito e Lucas. Potrebbero sorprendervi.»

«Ne dubito».

Constatando la totale noncuranza e superficialità di quell’uomo, dopo poco Fouquet girò i tacchi seccata e se ne andò ringhiando tutte le ingiurie che conosceva.

Il fallito assassinio di Saito e il fiasco nella faida tra i Gramont e i Montmorency avevano seriamente ridimensionato la sua posizione all’interno dell’organizzazione, incrinatasi già all’epoca dell’incidente del Bastone della Distruzione, e ora più che mai il suo destino era appeso ad un filo.

Se qualcosa fosse andato storto un’altra volta poteva essere davvero la fine, e di rimettersi nelle mani di quel panzone presuntuoso non ne aveva nessuna voglia.

Purtroppo, però, gli ordini andavano rispettati.

Ma dopotutto, si trattava solo di pazientare.

L’attacco, bene o male, sarebbe stato respinto, e in poco più di una settimana l’asso nella manica di Floubert messo a disposizione del duca da Reconquista e in ultima fase di allestimento sarebbe stato pronto a stroncare le resistenze di Grasse e Marcin, di sicuro i principali ostacoli al controllo della zona occidentale del Paese e di tutte le sue coste.

Così, non la stupì più di tanto la notizia che una guardia venne a recapitarle poco dopo mezzanotte.

«Due flotte, una navale e una aerea, si stanno avvicinando alle nostre coste. Hanno già attaccato alcune postazioni periferiche, e ora stanno avanzando rapidamente verso Gerion

«Approntate le difese costiere. Avranno una bella sorpresa.»

«Sissignore».

 

Tutto stava procedendo come previsto.

Lucas e le sue aeronavi si erano avventati sulle postazioni più periferiche, neutralizzandole una ad una, e nel frattempo la flotta di Saito aveva potuto procedere indisturbata, mentre tutto attorno a loro la notte si accendeva con i vari fortini e torri di guardia trasformati in tanti falò.

Saito era molto turbato, e sperava che almeno per ora fosse morta quanta meno gente possibile.

Kilyan era al suo fianco, lo sguardo rivolto all’orizzonte dal ponte di comando.

Ormai le luci di Gerion erano ben visibili, e tra non molto sarebbero arrivati a distanza di sparo.

«Preparate i cannoni! Pronti a fare fuoco al mio ordine!».

I marinai e i soldati di marina corsero ognuno al proprio posto, e in pochi secondi tutte le navi erano pronte a sparare.

«Siamo pronti, signore.» disse Kilyan «Ancora poche centinaia di metri, e saremo a portata».

Sui bastioni, intanto, i soldati di Floubert, passata l’iniziale agitazione, si erano immediatamente organizzati; eppure, per quanto incredibile potesse essere, non si vedeva traccia alcuna di armamenti né batterie di difesa costiera, come ci si sarebbe aspettato.

Lucas, che osservava la situazione dall’alto, se ne era accorto, ed osservava preoccupato le mura marine con il cannocchiale.

«Questa storia non mi piace per niente».

Poi, accadde qualcosa.

Come mossi da corrente elettrica, sui bastioni si aprirono come dei grossi portelli, dai quali presero ad uscire quelli che sembravano quasi dei cannoni da nave; non erano molto grandi, anzi erano decisamente minuti, e collegati a torrette capaci di girare rapidamente su sé stesse.

All’interno di queste torrette vi era in realtà una sorta di cabina di fuoco, all’interno della quale trovavano posto tre uomini; uno maneggiava il cannone, servendosi di una coppia di manopole che regolavano altezza e direzione, un altro direzionava i colpi usando un innovativo mirino di grande precisione, un terzo azionava materialmente l’arma, che oltretutto sembrava possedere una sorta di caricatore sotto la culatta per sparare più colpi in rapida successione.

«E quelli cosa diavolo sono?» disse Saito guardando a sua volta col cannocchiale.

Quando vide Fouquet palesarsi sulle mura, salutata rispettosamente dai soldati, poi, la sua inquietudine si tramutò in paura.

Fu un attimo.

Ad un cenno della donna, uno dei cannoni sparò tre colpi in rapida successione, come neanche l’arma più veloce sarebbe stata capace di fare, e un secondo dopo la nave che stava proprio accanto alla Seaborn Legend saltò in aria sventrata dall’esplosione della sua santabarbara.

Saito assistette alla scena attonito e impotente.

«Ma cosa…».

Lui e Alexander non fecero neanche a comandare un cambio di ordini, che tutti i cannoni sulle mura marine spararono quasi all’unisono, polverizzando o danneggiando seriamente almeno una decina tra navi ed aeronavi.

Anche la loro rapidità nei movimenti era spaventosa; le torrette potevano ruotare su sé stesse o ricalibrare l’altezza nello spazio di pochi secondi, tenendo le navi nemiche sempre sotto un fuoco costante.

La trappola di Fouquet aveva funzionato.

Le correnti marine ed i forti venti che imperversavano tutto attorno alle isole, uniti alla sorpresa per un attacco talmente devastante ed improvviso, gettarono entrambe le flotte nel panico più totale, rendendole incapaci di muoversi agilmente o coordinare i movimenti intralciandosi a vicenda.

«Virare a sinistra!» continuava a ripetere Kylian «A sinistra! Rispondere al fuoco!».

In aria le cose non stavano andando meglio.

Anzi, erano proprio le aeronavi il bersaglio preferito delle batterie costiere, e una dopo l’altra stavano cadendo come mosche, precipitando in fiamme sulla flotta sottostante e aggiungendo caos al caos.

«Comandante, non resisteremo ancora a lungo!» disse il primo ufficiale di Lucas

«Non possiamo ritirarci così! Non dopo averci provato con tutte le nostre forze!».

Sia la flotta di Lucas che quella di Saito tentarono un’ultima avanzata, giusto per potersi portare a tiro dei propri cannoni e cercare di rispondere, sfruttando il fatto che dopo cinque o sei colpi i cannoni dovevano essere ricaricati, un’operazione che garantiva secondi preziosi.

Ma era perfettamente inutile.

A stroncare le poche speranze di riscossa rimaste ci pensò una seconda batteria di cannoni, meno potenti ma pur sempre terribilmente precisi e pericolosi, sbucati all’improvviso da feritoie nelle mura, che come le navi si avvicinarono ripresero a sputare bordate su di loro mentre in cima gli altri soldati ricaricavano in tutta calma.

L’attacco si trasformò in una carneficina.

I vascelli di mare e di terra cadevano uno dopo l’altro, e dopo meno di dieci minuti le due flotte erano già più che dimezzate.

«Maledizione!» ringhiò Lucas vedendo le sue navi cadere in successione «Dove si sono procurati armi così devastanti?»

«Comandante!» si sentì urlare all’improvviso «Attenzione!».

In quella, Saito era tutto preso a cercare di salvare quello che restava della sua flotta, quando una luce a dir poco accecante illuminò la notte a giorno, accompagnata da un boato che spaccava i timpani; il ragazzo alzò gli occhi, osservando attonito e paralizzato l’Excellion che precipitava in mare divorato dalle fiamme.

«Lucas!» urlò sporgendosi dal parapetto.

Kilyan dovette trattenerlo, perché sembrava proprio che volesse buttarsi in mare per nuotare incontro al relitto.

«Mio signore, è troppo tardi! Non possiamo fare niente!».

Saito si sentiva male come non ricordava di essere mai stato, oltre che inerme ed impotente.

Ma Kilyan, purtroppo, aveva ragione.

L’Exellion, o quello che ne restava, era ormai ridotta ad una massa contorta di legno infuocato, vele strappate e corpi senza vita.

Nessuno sembrava essere sopravvissuto; probabilmente quel colpo aveva centrato in pieno la santabarbara nella stiva, e ciò spiegava anche come mai da un momento all’altro la nave si fosse trasformata in un gigantesco fuoco d’artificio dopo aver subito un solo attacco.

Una dopo l’altra, anche le altre aeronavi precipitarono, e a quel punto le poche rimaste si diedero rapidamente alla fuga per tentare di salvarsi.

«Signore!» disse Kilyan rivolto a Saito, che continuava a guardare l’Excellion che bruciava «Se restiamo qui finiamo tutti arrostiti!».

A quel punto, non c’era proprio più niente da fare.

L’unica cosa che si poteva fare era salvare quante più vite possibili da quell’impresa insensata che mai avrebbe dovuto essere stata tentata.

«Tutta la barra a sinistra!» gridò «Andiamocene da qui!».

Fortunatamente le navi, avvisate dalle bandiere, obbedirono, e quasi all’unisono, e senza rompere la formazione, la flotta fece dietrofront dirigendosi verso il mare aperto, sotto gli occhi e le urla di vittoria dei soldati di Floubert, che non avevano neppure avuto bisogno di sfoderare le armi ed avevano concluso quella breve battaglia a zero perdite.

Al sorgere del sole, Solomon salì personalmente sulle mura accompagnato da Fouquet, ghignando soddisfatto nel vedere quanto restava della forza di invasione scagliata contro di lui, e che non era riuscita ad arrivare neanche ad un miglio dalle sue coste.

«Davvero magnifico.»

«E questo è solo l’inizio.» disse Fouquet

«Si pentiranno di avermi sfidato. Ora sapranno cosa significa avere paura.»

«Mio signore.» disse un soldato «Abbiamo ripescato dei sopravvissuti. Cosa ne facciamo di loro?»

«Uccideteli. E dateli in pasto agli squali.»

«Signore!?» disse il giovane sgomento

«Mi hai sentito, no?» gridò allora il sovrano «I nemici non si risparmiano, si uccidono! Sarà di lezione per tutti!»

«S… sì, signore».

Rimasti soli, Solomon e Fouquet rivolsero i loro sguardi verso l’isola di Roanoke, la seconda più grande dopo Gerion, da dove si innalzavano strani ed inquietanti fumaioli, quasi come se l’isola fosse stata un’unica, gigantesca fornace.

«I preparativi sono quasi ultimati.» disse Solomon «Molto presto, il mio potere si estenderà su tutta Tristain».

 

Kaoru era ancora nell’infermeria, convalescente per lo scontro con Maschera di Ferro.

Per ingannare il tempo leggeva, e quando poteva, o meglio, quando Siesta non lo guardava, cercava di riabituarsi a camminare, anche se per riuscirci era costretto ad usare il bastone.

Il medico gli aveva detto che la sua deambulazione non sarebbe stata compromessa, ma che a causa della recisione dei muscoli sarebbero dovuti passare alcuni giorni prima che fosse stato nuovamente in grado di camminare sul serio.

Ogni tanto volgeva l’occhio verso la finestra, verso il mare, sperando che tutto stesse andando bene, e che non succedesse qualche imprevisto.

Poi, quando qualcuno portò la notizia che la flotta stava rientrando, non ci voleva credere.

Come era possibile, dopo soli due giorni dalla partenza?

La spedizione sarebbe dovuta durare almeno una settimana.

Senza preoccuparsi del fatto che Siesta fosse lì con lui, gettò via le coperte ed afferrò il bastone per cercare di rimettersi in piedi.

«Aspetta, Kaoru! Non puoi ancora muoverti!»

«Ho un brutto presentimento.» replicò lui stringendo i denti «Devo andare».

La flotta rientrò direttamente nel bacino di carenaggio sotto al palazzo, il che non lasciava ben sperare.

Ma quando Kaoru, accompagnato da Siesta e Louise, vi discese, quello che vide andava al di là dell’immaginabile.

Solo sette navi avevano fatto rientro, e di queste sei erano in condizioni tra l’incredibile ed il pietoso, e a malapena si mantenevano a galla.

Della flotta di Lucas, poi, nessuna traccia.

«Saito!» gridò Louise vedendolo scendere a capo chino dalla passerella e correndo ad abbracciarlo.

Il suo sguardo cupo, però, era una ulteriore ombra che andava addensandosi su di una impresa che definire fallimentare era un eufemismo.

Mestamente, e trattenendo a stento le lacrime, Saito raccontò quello che era successo.

Cattleya era lì, e sentendo le parole del genero la colse un mancamento, tanto che dovette essere sorretta da Siesta per non svenire; quando poi realizzò a pieno quello che era accaduto, si lasciò andare ad un pianto senza fine, consolata timidamente dalla sorella.

Zoppicando, Kaoru si avvicinò a Saito, guardandolo tra il severamente ed il mestamente.

«Non avremmo mai dovuto farlo.» disse il giovane Hiraga

«Non potevi prevedere quello che sarebbe successo.»

«E ora Lucas è morto».

E invece, non era così.

D’improvviso, quando tutti stavano ancora cercando di capacitarsi di quello che era accaduto, un soldato portò la notizia che anche la flotta di Marcin stava rientrando, e che su una delle navi sventolava una versione grezza ed artigianale del gonfalone nobiliare.

Saito e gli altri non volevano crederci, e correndo più velocemente che potevano risalirono la lunga rampa di scale che dal bacino arrivava fino nei cortili del castello.

Quando uscirono di nuovo alla luce, le quattro navi sopravvissute alla battaglia stavano ormeggiando nella darsena dietro al palazzo.

I ragazzi corsero verso quella con il gonfalone, e tutti furono più che stupiti nel vedere Lucas palesarsi ai piedi della passerella, un po’ bruciacchiato e bendato ma incredibilmente vivo.

«Sono a casa.» disse sorridendo.

Cattleya era pazza di gioia, e gli corse incontro con il cuore che scoppiava di felicità

«Caro! Sei vivo!»

«Sono felice di rivederti, tesoro.»

«Credevo… credevo che fossi morto!»

«Come è possibile?» domandò Saito «Ho visto l’Exellion esplodere.»

«È stata una questione di secondi. Un attimo prima che la nave saltasse in aria, l’onda d’urto mi ha buttato in mare. Ero semisvenuto e ferito, ma sono riuscito ad aggrapparmi ad un detrito. La corrente mi ha trasportato sull’isola di Roanoke, e lì sono stato trovato da una squadra di salvataggio che cercava superstiti.»

«Questo è un miracolo.» disse Siesta «Un vero miracolo.»

«Sono felice che tu ce l’abbia fatta».

Lucas e Kaoru si guardarono per caso, e per un istante Kaoru avvertì come una sensazione, una specie di formicolio, portandosi istintivamente una mano sulla ferita.

«Che ti prende?» chiese Siesta

«Niente.» dissimulò lui «Niente».

Purtroppo, alla iniziale gioia fece seguito nello sguardo di Lucas una nuvola minacciosa, come un presagio di sventura.

Saito e gli altri lo notarono.

«Che succede?» chiese Kaoru

«Quando ero a Roanoke, ho visto delle cose.

L’isola è una specie di enorme cantiere.»

«Un cantiere?» ripeté Joanne

«Stanno costruendo navi. Aeronavi che non avevo mai visto. Qualcosa di neanche lontanamente paragonabile a quello che conosciamo.»

«Se sono stati capaci di creare quei cannoni, mi domando fin dove possano arrivare i mezzi di cui dispongono.»

«Mi sembra chiaro che c’è Reconquista dietro a tutta questa faccenda.» disse Kaoru «Altrimenti non si spiegherebbe una cosa del genere.»

«Già, e questo è niente.»

«Che vuoi dire?» chiese Cattleya

«Quelle navi sembravano ormai quasi pronte. Temo non ci vorrà molto perché possano prendere il largo».

 

 

Nota dell’Autore

Salve a tutti!^_^

Finalmente ce l’ho fatta! Finalmente gli esami, almeno per ora, sono finiti, e quindi potrò dedicarmi a pieno titolo alla fanfic e a tutti gli altri progetti lasciati in sospeso.

Non posso promettere un cap ogni due giorni, ma cercherò sicuramente di tenere una media di aggiornamento il più alta possibile, anche perché ora si sta entrando nel vivo della storia, e presto inizieranno ad arrivare le prime risposte

Nel prossimo cap, vi anticipo subito, in arrivo una bella sorpresina, che farà piacere agli appassionati di storia.

A presto!^_^

Carlos Olivera

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Capitolo 27
*** 24 ***


24

 

 

Tra le cose che Saito aveva portato dal suo mondo, piccolo souvenir usati soprattutto per stuzzicare l’immaginazione e la sete di conoscenza del professor Colbert, c’era anche la sua fotocamera digitale, un modello piuttosto vecchio ma dalle discrete prestazioni.

La fotocamera fu affidata ad alcune spie di Marcin, che con molta circospezione e discrezione approdarono sull’isola di Roanoke, fotografando quello che vi stava accadendo, e le navi che il nemico stava ormai finendo di assemblare.

Come detto da Lucas, non rassomigliavano neanche lontanamente a normali aeronavi umane.

Ricordavano piuttosto quelle degli elfi, leggermente più piccole ma armate in ogni ordine di posto, dalla forma leggermente bombata e spinte da potenti propulsori che, probabilmente, funzionavano grazie alla magia.

La maggior parte delle spie restarono sull’isola per continuare a dare notizie, mentre un’altra fece ritorno a Grasse con la fotocamera per mostrare a Saito e Lucas quello che avevano visto coi loro occhi.

Nel vedere quei vascelli giganteschi, i ragazzi si sentirono prendere dallo sconforto.

Cosa mai poteva essere fatto per fermare dei mostri del genere?

Sull’uso che Solomon intendesse farne, non vi erano sicuramente molti dubbi. Sicuramente, come prima cosa, avrebbe schiacciato chi gli si era opposto, per poi puntare diritto su Tristania e prendersi il trono, consegnando praticamente a Reconquista il controllo sul Paese.

Un’ombra di sconforto si addensò su tutti i partecipanti alla riunione per visionare le foto scattate dalle spie.

Saito sembrava un morto vivente, e Louise e Lucas con lui.

Kaoru guardava in basso, Joanne stringeva i pugni e digrignava i denti, Siesta non sembrava volerci credere.

«È un’impresa senza speranza.» disse Lucas «Abbiamo osato più di quello che potevamo.

Mi dispiace, Saito. Louise. È colpa mia se vi ho trascinati in questa situazione.»

«Non hai niente di cui scusarti, Lucas.» rispose Louise «Anzi, probabilmente se non avessimo sferrato questo attacco, non avremmo mai saputo che cosa stavano macchiando a Floubert».

Questo purtroppo non modificava la gravità della situazione.

«Navi del genere vanno ben oltre ciò che è possibile contrastare.» osservò mestamente Kaoru «Men che meno con una flotta disastrata come la nostra.»

«Quante navi si sono salvate della tua?» chiese Saito a Lucas

«Sette. Ma sono quasi tutte gravemente danneggiate. Ne ho altre ormeggiate in porto, ma sono modelli vecchi e poco affidabili.»

«Anche la nostra flotta non è messa meglio.» disse Louise «Quella marina è praticamente decimata, quella aerea, fatta eccezione per il White Dragon e poche altre, è composta da navi piuttosto datate.»

«In altre parole, siamo indifesi.» disse ringhiando Joanne

«Possiamo fare affidamento sulle potenti fortificazioni di Grasse.» disse Saito «Ma non sono certo che riuscirebbero a resistere ad un assalto prolungato o molto violento».

Sembrava davvero che non ci fosse alcuna soluzione.

L’unica cosa che potesse dare una speranza ai ragazzi sarebbe stata possedere anche loro navi potenti come quelle, ma anche avendo i mezzi per costruirle non ci sarebbe stato comunque il tempo di farlo.

La sconfitta pareva davvero inevitabile.

A quel punto, a Siesta venne in mente una cosa di cui aveva sentito parlare da sua cugina Jessica; era solo una vecchia leggenda popolare, ma data la situazione non si aveva niente da perdere.

«La Fortezza d’Acciaio.» disse allora.

Tutti si voltarono a guardarlo.

«Starai scherzando, spero.» disse Lucas «Non è questo il tempo di rivangare vecchie favole da marinai.»

«Di che stai parlando?» chiese Saito

«La Fortezza d’Acciaio è solo un mito.» disse Joanne

«Ma si può sapere cos’è questa Fortezza d’Acciaio!?»

«È una vecchia leggenda di mare.» rispose Louise «Si racconta che, quasi un secolo fa, una gigantesca roccaforte fatta interamente di metallo sia discesa del cielo e sia comparsa nel mare davanti alle coste di Tristain terrorizzando tutti coloro che vivevano nei paraggi.

Pare che avesse la forma e l’aspetto di una nave, ma che fosse talmente danneggiata da non poter neanche stare a galla.

Secondo il mito, quanto restava della nave fu raccolto dagli abitanti di un villaggio costiero e nascosto in una grotta sottomarina perché nessuno potesse trovarla.»

«Come dicevo, solo una favola.» tagliò corto Lucas «Chi crederebbe ad una storia del genere?»

«Al punto a cui siamo.» disse invece Kaoru «Ogni espediente è buono. Dopotutto, nelle leggende c’è sempre un fondo di verità. Forse non sarà una fortezza d’acciaio, ma potrebbe comunque essere qualcosa di utile.»

«Andiamo, starete scherzando spero. Non mi sembra questo il momento di fantasticare.»

«E perché no?» replicò Saito «A questo punto, sperare è l’unica cosa che ci resta. Io dico di provarci.»

«Anche se, nell’impossibile ipotesi che la leggenda fosse vera, voi riusciste a ritrovare questa Fortezza d’Acciaio, credete davvero che basterà per fermare la flotta di Floubert

«Chi può dirlo?» replicò Kaoru «Tutto è possibile, infondo. E comunque, provare non costa nulla.»

«Io sono d’accordo con lui.» disse Louise «Siesta, sai per caso quale sia il villaggio menzionato nella storia?»

«No, purtroppo. Ma sono stati zio Scarron e Jessica a raccontarmi questa storia. Forse loro lo sanno.»

«Quand’è così.» disse Saito «Forse è giunto il momento di fare una nuova visita alla Locanda delle Fate Incantatrici».

 

Erano passati quasi due mesi da quando Saito e Louise avevano messo piede a Tristania, e quasi un anno dalla loro ultima visita alla locanda gestita dal signor Scarron e da sua figlia Jessica.

Da quando era scoppiata la guerra civile, tutta la famiglia di Siesta si era spostata nella capitale, l’unico posto che sembrasse davvero sicuro in quei momenti così difficili, sistemandosi nella soffitta della locanda e dando una mano dove possibile nel mandare avanti il locale.

Saito e Louise, opportunamente mascherati e vestiti da popolani per non farsi riconoscere, arrivarono alla locanda sul fare della sera insieme a Siesta.

Avevano scelto non a caso il momento di maggiore affluenza, così da dare ancor meno nell’occhio.

A dispetto del momento difficile c’era davvero tanta gente, e le cameriere avevano il loro bel daffare, tanto che, come al solito, Saito e Louise finirono poco dopo il loro arrivo a fare lo sguattero e la cameriera per dare una mano.

Era una tradizione consolidata, così come era una tradizione consolidata che Scarron, vedendoli entrare, gli si buttasse addosso sommergendoli di baci e imbarazzanti carezze.

Solo dopo qualche ora, i due ragazzi riuscirono ad accomodarsi ad un tavolo assieme al proprietario e a sua figlia.

«La Fortezza d’Acciaio?» disse Jessica ascoltando la richiesta della cugina

«Tu sai dove si trova, vero?» chiese speranzosa Siesta

«Siesta, quella è solo una favola.» disse Scarron «Una storiella per i bambini.»

«Eppure, potrebbe essere la nostra ultima speranza.» disse Saito «Allora, sapete dove potrebbe trovarsi?»

«Beh.» rispose Jessica «Secondo i racconti, la Fortezza sarebbe rinchiusa in una grotta a due passi dal villaggio di Otisa».

Saito e Louise avevano già sentito nominare quel villaggio.

Si trovava proprio all’interno dei loro domini, non lontano da Grasse, nei pressi delle alte scogliere di gesso a nord della capitale. Ci erano anche stati una volta in visita, poco dopo aver preso il potere.

Gente strana gli abitanti di Otisa; molto espansivi ed amichevoli, erano conosciuti soprattutto per il fatto che parlassero un Tristeniano un po’ stentato, quasi sporcato da una lingua straniera che non erano ancora riusciti del tutto a dimenticare.

A Louise quasi cascarono le braccia, soprattutto pensando a quello che aveva dovuto sopportare per tutta la sera.

«Abbiamo fatto tutta questa strada per scoprire che la Fortezza si troverebbe a due passi da casa nostra!?»

«Effettivamente.» proseguì Jessica «Ho sentito dire che gli abitanti di Otisa si vantano di essere i discendenti di coloro che abitavano la Fortezza d’Acciaio.

Ma nessuno ci ha mai creduto, ovviamente.»

«Se davvero la Fortezza si trova lì, allora dobbiamo scoprire se è la verità.» disse Saito «Grazie delle informazioni».

 

Saito, Louise e Siesta fecero istantaneamente ritorno al palazzo, quindi, accompagnati anche da Kaoru, Siesta e Joanne, salirono su due carrozze che li portarono entro un giorno al villaggio di Otisa, lontano non più di una quarantina di chilometri da Grasse.

Kaoru per la verità avrebbe dovuto restare ancora per un po’ a riposo, ma ormai sentiva di essere in via di guarigione definitiva; doveva ancora appoggiarsi al bastone, ma per il resto riusciva a camminare da solo. Quanto a Joanne non era mai stata a Otisa, ma come scese dalla carrozza capì subito il motivo per il quale Saito e Louise, nel descriverne gli abitanti, avevano parlato di gente stramba.

Gli Otisani erano solari, estroversi, amanti del bello e con una passione spiccata per le cose frivole, ma dalle quali riuscivano a trarre diletto e spunti per trascorrere in serenità il tempo libero.

Cose come la musica, la poesia, la pittura, o semplicemente la conversazione; dicevano sempre che nella loro città, costruita e realizzata a loro immagine e somiglianza, non ci si annoiava mai. Amavano radunarsi nella piazza per cantare e ballare nelle notti estive, sedersi in riva alla scogliera ad osservare il mare, o riunirsi nelle loro taverne e locali all’aperto per dialogare, fare battute e raccontarsi barzellette.

Vivevano di pesca, ma si dedicavano anche alla raccolta delle perle e all’agricoltura.

Più di tutto, però, gli Otisani erano famosi in tutto il nord di Tristain per il loro essere degli inguaribili, spregiudicati donnaioli, che si vantavano a pieni polmoni di aver portato via donne e giovinette a duchi, baroni, marchesi e via dicendo con la sola arma del loro fascino inarrivabile.

Neanche il tempo di ambientarsi al villaggio, che subito Siesta, Louise e Joanne vennero letteralmente sommerse dai giovani di Otisa, che profondendosi in complimenti e moine cercavano di convincerle a bere qualcosa insieme, fare una passeggiata o anche solo scambiare due parole.

Siesta e Louise si sentivano molto a disagio, ma confidavano nella presenza di Kaoru e Saito per far capire che le attenzioni maschili non importavano loro neanche lontanamente.

Quanto a Joanne, lei una relazione con un uomo non sapeva neanche cosa fosse, e rifilava due di picche a ripetizione; non stupiva che le malevoci che accusavano la precedente leader delle moschettiere di omosessualità avessero sempre dipinto Joanne come la sua più “cara” amica.

L’unica persona un po’ più sana di mente sembrava essere il sindaco, che informato della visita del governatore e della sua giovane moglie venne ad accoglierli nella piazza del paese, conducendoli a casa sua perché potessero parlare in tranquillità.

«State cercando la Fortezza d’Acciaio!?» esclamò il primo cittadino sentendo il loro racconto

«Molti dicono che è una leggenda.» disse Louise «Ma altri invece sostengono che è reale, e che si troverebbe da qualche parte vicino a questo villaggio.»

«Certo che è reale. Quelli la fuori possono dire quello che vogliono, ma noi abitanti Otisa sappiamo bene che la Fortezza d’Acciaio esiste, ed è proprio sotto i nostri piedi.»

«Sotto i nostri piedi!?» ripeté Saito

«C’è una grotta sottomarina da qualche parte, vicino alle scogliere di gesso. E secondo le cronache redatte dai nostri antenati, è in questa grotta che è custodita la Fortezza d’Acciaio.»

«Quindi, possiamo vederla!?» disse Joanne.

A quella domanda, il sindaco si fece scuro in volto.

«Questo è impossibile, miei signori.»

«Per quale motivo?» chiese Kaoru

«La storia della Fortezza d’Acciaio è avvolta da un tabù che dura da quasi cento anni. Nessuno, neppure noi, ha il permesso di vederla. E poi, anche se volessimo, non lo potremmo fare.»

«Che intendete dire?» chiese Siesta

«L’ingresso della grotta è stato ostruito con la magia molto tempo fa. Neanche noi sappiamo con esattezza dove si trovi. L’unico modo per raggiungere la grotta è tramite un’antica galleria che parte da una pineta non lontano dal villaggio.»

«Allora, cosa ci vuole a raggiungerla da lì?» disse Louise

«I nostri antenati dovevano avere una paura tremenda della Fortezza d’Acciaio, e di quello che poteva fare. Per questo hanno scavato precipizi, costruito trappole e trabocchetti, e trasformato quella galleria in una tomba per chiunque vi si avventuri.

Sugli stessi abitanti di Otisa, che pure sono discendenti degli antichi occupanti della fortezza, vige il divieto assoluto di provare a raggiungere la caverna, o di avventurarsi nella galleria. E di quegli esploratori o cacciatori di tesori che ci hanno provato, nessuno è mai riemerso da lì dentro.»

«Purtroppo, non abbiamo altra scelta.» disse Saito «Signor sindaco, potrebbe mostrarci l’ingresso della caverna?».

 

Il sindaco, seppur con evidente preoccupazione, condusse la comitiva all’ingresso della grotta che, stando ai racconti, consentiva di arrivare al luogo dove riposava la Fortezza d’Acciaio, questa specie di nave-castello capace di contrastare e distruggere qualsiasi cosa sul suo cammino.

L’ingresso, come accennato dal Primo Cittadino, si trovava in una pineta, alle pendici di una collina rocciosa; sembrava l’entrata di una miniera, un tunnel che già dopo il limitare scompariva nel ventre della terra perdendosi nel buio, ed era chiuso da una pesante cancellata in ferro battuto a prova d’incantesimo.

«Vi prego di scusarmi.» disse il primo cittadino mentre cercava di girare la pesante chiave nel lucchetto arrugginito «Ma è passato parecchio tempo dall’ultima volta che abbiamo aperto».

Alla fine la serratura saltò, e la cancellata poté essere aperta.

«Mi dispiace, ma io non intendo andare oltre questo punto.» disse il sindaco vedendo che i ragazzi si preparavano a scendere «E mi sento in dovere di suggerirvi di fare altrettanto.

Ne ho visti parecchi scendere laggiù e mai più riemergere.»

«Anche se fosse.» rispose Saito «Ormai è una questione di vita o di morte».

Detto questo, e illuminati dalle luci magiche prodotte da Lousie e Joanne, Saito e gli altri iniziarono la discesa.

L’interno era davvero molto buio, tanto che non ci si vedeva niente, ma toccando le pareti era evidente la mano dell’uomo, che aveva intagliato e levigato la pietra per renderla più sicura e meno scivolosa; doveva essere stata una fatica da ercole, tenendo conto di quanto quella galleria pareva lunga.

Joanne e Louise stavano davanti a tutti, e tutti avevano i sensi al massimo per fiutare e schivare le trappole di cui il sindaco aveva parlato.

Purtroppo, neanche i sensi più acuti potevano scoprire una trappola ben mimetizzata.

A Louise bastò mettere un piede in fallo, che subito il terreno cedette sotto i suoi piedi come fosse stato di marzapane; per fortuna Joanne fu abbastanza rapida da afferrarla, evitandole di finire infilzata da una ventina di baionette metalliche conficcate sul fondo.

«Louise!» esclamò Saito

«Louise-sama. Vi tengo!»

«Meno male che hai i riflessi pronti, Joanne».

Joanne riuscì a sollevare Louise, riportandola con i piedi per terra, ma la ragazza era ancora comprensibilmente spaventata e ci mise un po’ a riprendersi.

Dopo poco la marcia riprese, ma molto più guardinga ed attenta rispetto a poco prima, anche perché non si sarebbe stati sempre così fortunati.

La trappola nella quale Louise per poco non era caduta aveva dato a tutti la certezza che non solo la Fortezza esisteva, ma anche che i suoi stessi, antichi occupanti avevano voluto fare di tutto per evitare che qualcun altro potesse trovarla.

Lungo la strada i ragazzi si imbatterono in altre trappole, tutte già scattate, e delle cui vittime erano rimaste soltanto le ossa. Dovevano essere stati a decine a cercare di raggiungere la Fortezza, tra avventurieri, cacciatori di tesori o semplici esploratori, ma il meccanismo di difesa eretto dai costruttori non ne aveva per nessuno.

All’improvviso, proprio quando tutto sembrava essersi acquietato, ed i ragazzi si erano un po’ tranquillizzati, Kaoru piantò i piedi a terra, alzando il suo bastone per bloccare anche tutti gli altri.

«Che succede?» chiese Siesta

«Qui c’è qualcosa che non mi convince. C’è una strana vibrazione».

Kaoru raccolse da terra una grossa pietra, lasciandola rotolare davanti a sé per vedere quello che succedeva.

Il sasso scivolò lentamente ed in silenzio per un paio di metri, e di colpo dalla parete di destra, tramite dei forellini facilmente scambiabili per ombre e rientranze, partì una raffica spaventosa di proiettili sparati da armi automatiche.

Tutti si buttarono a terra, assordati dal fracasso, ma per fortuna tutto finì con un nulla di fatto.

«Ma si può sapere che è stato?» chiese Louise rintontita.

Joanne, cercando di scoprirlo, spaccò la pietra nella direzione da cui erano venuti i colpi, mettendo a nudo una specie di complesso marchingegno di legno sul quale erano appoggiate cinque strane armi da fuoco, i cui grilletti erano collegati a fili sottilissimi che attraverso una serie di passaggi arrivavano fin sul pavimento del tunnel, e che appena toccati avevano subito fatto scattare la trappola.

«Che cosa sono?» domandò Siesta.

Saito ne prese uno e lo guardò, passandolo poi a Kaoru che lo controllò a sua volta.

«Seconda Guerra Mondiale?» chiese Saito

«Direi di sì.»

«A quanto pare, forse la Fortezza d’Acciaio non è poi così sovrannaturale come qualcuno la dipingeva.»

«Hai ragione. Credo che la spiegazione sia molto più semplice.»

«Del resto, la cosa non dovrebbe più sorprendermi così tanto.»

«Quindi.» ipotizzò Louise «Anche la Fortezza d’Acciaio potrebbe essere qualcosa proveniente dal tuo mondo?»

«È probabile. A questo punto, comincio ad immaginare di che cosa potrebbe trattarsi».

Grazie all’acume di tutti fu possibile evitare tutte le altre trappole, e dopo quasi due ore di discesa si aveva la sensazione che la meta non fosse così lontana.

Purtroppo, era in arrivo una brutta sorpresa.

Al termine del tunnel i ragazzi non trovarono, come si aspettavano, l’ingresso alla caverna dove si trovava la Fortezza, ma bensì un robusto portone di ferro e acciaio a due ante solitamente sprangato. Accanto ad esso, affisse all’interno di un incavo appositamente realizzato, quattro strisce metalliche verticali che formavano una specie di xilofono.

«E adesso che cosa facciamo?» chiese Siesta

«Probabilmente» disse Saito «Oltre questa porta c’è la caverna. Proviamo ad aprirla».

Mettendosi tutti insieme, Saito e gli altri provarono ad aprire, ma la porta era così dura e spessa che non riuscirono a spostarla neanche di un centimetro.

«Quand’è così!» disse Louise mettendo mano alla bacchetta «La farò saltare!»

«Louise-Sama, aspetti!» esclamò Joanne «Non credo sia una buona idea.»

«Temo abbia ragione.» disse Derf «Vi siete guardati attorno?».

Effettivamente, qualcosa era cambiato nell’ultimo tratto di galleria. Le pareti sembravano essersi fatte più porose e fragili, e colava acqua da tutte le parti.

«Scommetto che sopra di noi c’è il mare.» disse Derf «Se provochi anche solo una piccola esplosione, finiamo tutti affogati.»

«Dannazione.» mugugnò Louise «Mi sembrava che fosse troppo facile».

Kaoru guardò il rudimentale xilofono, passandosi una mano sul mento.

«Sono convinto che questo sia il meccanismo per aprirla.»

«Che cosa suggerisci di fare?» domandò Siesta

«Probabilmente è necessario suonarle nel giusto ordine, o suonare un motivo specifico».

Saito invece, osservando meglio la porta, notò che sui battenti qualcuno aveva inciso, usando probabilmente un coltello o una pietra, tre V in sequenza, e subito sotto la frase Io Sono Disonorato.

«Pensi che sia un indizio?» chiese a Kaoru

«Forse. Può darsi che chi ha costruito questo marchingegno volesse fare in modo che solo chi conosceva la storia della Fortezza o dei suoi occupanti potesse capire come entrare».

I ragazzi si presero del tempo per trovare una soluzione, ma per quanto si scervellassero non avevano idea di che cosa dovessero o potessero fare; nessuno di loro si fidava a tentare una combinazione a caso, perché visto quello da cui erano appena passati era impossibile stabilire cosa sarebbe potuto succedere se avessero sbagliato.

Ma la sfortuna, così come la fortuna, troppo spesso era ceca, e proprio in quel momento un sassolino, staccatosi dal soffitto, rimbalzando da una parte all’altra arrivò proprio a colpire uno dei tasti dello xilofono.

Tutti ammutolirono nel sentire quel suono metallico, restando come cristallizzati.

Passarono appena un paio di secondi, e tutto il tunnel prese a tremare paurosamente, ma era solo l’inizio; un enorme saracinesca comparve dal nulla bloccando la strada verso la superficie, e subito dopo sul soffitto si aprirono dei grossi fori, dai quali presero ad uscire centinaia di litri d’acqua di mare che saliva sempre di più.

«Dannazione!» gridò Joanne «Dobbiamo fare qualcosa, o annegheremo!».

Usare la magia era fuori questione. Se le pareti cedevano del tutto, anche i pochi minuti che restavano sarebbero svaniti del tutto, schiacciati da una massa d’acqua impossibile da contrastare. Se solo ci fosse stata Tabitha, con il suo potere del vento avrebbero subito potuto aprire un varco per la superficie, ma né Joanne né tantomeno Louise si intendevano di magia del vento.

L’unica speranza era trovare la soluzione.

Nuotando, e lottando col dolore derivatogli dal sale sulla ferita, Kaoru arrivò nuovamente fino allo xilofono, sforzandosi di trovare una soluzione guardando ora i tasti ora il messaggio criptico inciso sulla porta.

Doveva trovare una soluzione, e doveva trovarla subito.

D’un tratto, gli venne un’idea.

Forse si stava sbagliando, o forse no, ma dopo aver considerato le circostanze fu quasi certo di avere indovinato. Ecco spiegato il senso del messaggio.

Subito sguainò la katana, e usando la punta metallica eseguì una breve melodia in cinque suoni sforzandosi di ricordarsi l’ultima volta che l’aveva sentita, e pregando di non sbagliarsi.

E come d’incanto, proprio quando l’acqua stava ormai per riempire quella prigione mortale, ecco che gli sfiatatori si chiusero, e la porta di metallo lentamente si aprì, facendo defluire l’acqua che un poco alla volta scomparve, permettendo ai ragazzi di tornare all’asciutto, per così dire.

«Non so come, ma ce la siamo cavata.» disse Joanne tirando fiato

«Credevo di morire.» disse Siesta strizzandosi l’abito da cameriera

«Ma come hai fatto?» chiese Louise

«Vi ricordate le mitragliatrici che abbiamo visto prima? Erano dei modelli italiani, dei Beretta MAB38 usati nella Seconda Guerra Mondiale.

Così, ho pensato che le tre V incise sul portone fossero in realtà una W e una V, il che poteva essere l’acronimo di Viva Verdi, uno slogan usato dai patrioti italiani durante il Risorgimento.»

«E quella frase? Io sono disonorato?» chiese Saito

«Viene dall’Aida. Così, ho provato a imitare le prime cinque strofe della Marcia Trionfale, che poi è il brano più famoso dell’opera, usando lo xilofono. E a quanto pare, ci ho visto giusto.»

«Sei incredibile.»

«Davvero.» disse Siesta.

Solo a quel punto tutti pensarono di guardare dove fossero finiti.

A quanto pare erano capitati davvero in quella che aveva tutta l’aria di essere una enorme caverna, tanto grande che avrebbe potuto contenere al suo interno un castello intero.

Un’intera parete, probabilmente quella che dava verso la scogliera, era coperta di crepe e fenditure, dalle quali entrava quel poco di luce che serviva a rischiarare l’ambiente.

Tutto attorno alle altre pareti correva una sottile striscia di terraferma, ma per il resto il suolo era interamente ricoperto dall’acqua, che doveva anche essere piuttosto profonda.

Ed era ciò che si trovava nell’acqua che lasciò attoniti e sbigottiti i cinque ragazzi.

Dinnanzi a loro stava quello che, anche senza fantasia, poteva essere riconosciuto come il relitto di una enorme, gigantesca nave da guerra, un miscuglio di legno e metallo spezzato in due tronconi; la prua era parzialmente adagiata su di un fianco, la poppa invece era piantata a testa in giù come un tappo di sughero, e su tutto svettavano i resti di quella che doveva essere una specie di enorme torre.

E poi c’erano cannoni, tantissimi cannoni, simili alla Grande Lancia, ma alcuni molto più grossi, oltre a tante altre armi quante nessuna nave avrebbe mai potuto portarne. I cannoni più grossi, nove in tutto, erano raggruppati a gruppi di tre e montati su di una specie di torrette, probabilmente rotanti, ora saltate via dai loro alloggiamenti e abbandonate sulla roccia.

La ruggine, a quanto sembrava, non era riuscita ad averla vinta su tutto quel metallo, quasi come se gli antichi occupanti di quella specie di mostro marino fossero riusciti a fare un incantesimo per impedire che il loro tesoro, per quanto distrutto, non venisse almeno usurato dal tempo, nella speranza magari che qualcuno fosse un giorno in grado di ricomporlo.

«Non… non credo ai miei occhi.» disse Joanne

«La Fortezza d’Acciaio.» disse Louise

«È incredibile.» disse Siesta

«È… una corazzata.» disse Saito.

L’attenzione di tutti venne poi attratta, oltre che dalla nave, anche da una miriade di croci, una specie di rudimentale cimitero eretto a ricordo di chi non fosse sopravvissuto a ciò che avesse ridotto in quello stato quel gigante all’apparenza indistruttibile.

Quasi tutte erano prive di segno, ma alcune di esse recavano dei nomi strani, romalieggianti; più lontana dalle altre, e a svettare su tutte, stava una croce un po’ più grande, sopra la quale si trovava un vecchio e ormai decisamente rovinato cappello da ufficiale.

Anche lì era inciso un nome, che Louise lesse ad alta voce.

«Ammiraglio Carlo Bergamini

«Non l’ho mai sentito nominare.» disse Joanne

Kaoru a quel punto ebbe un dubbio, e accompagnato da Saito si avvicinò un po’ di più alla nave, girando tutto attorno alla prua per avvicinarsi al fianco piegato e poter scoprire il nome di quel veliero dimenticato.

Smaltate d’oro, e solo parzialmente oscurate dal tempo e dalla polvere, stavano quattro sole lettere, che ripulite alla meno peggio poterono finalmente tornare a brillare.

 

ROMA

 

 

Nota dell’Autore

Eccomi qua!^_^

Allora, piaciuta la sorpresa?

Avevo sognato fin dall’inizio di scrivere questo momento. Personalmente sono un grande appassionato di storia militare, e l’idea di far comparire l’orgoglio ed il vanto della Regia Marina mi eccitava al solo pensiero.

Guarda caso, neanche a farlo apposta, proprio in questi giorni il Roma, dopo quasi settant’anni dal suo affondamento il 9 settembre del 1943, è stato parzialmente ritrovato al largo della Sardegna, ma ho deciso nonostante tutto di preservare la mia idea originale, anche in ricordo di una delle più belle navi della storia (qui a Venezia c’è il modello in scala, al museo della marina).

Ho il terribile presentimento che otakuboy abbia lasciato EFP, poiché di lui è sparito tutto tranne il nickname. Se così fosse, pazienza! Questa storia continuerà comunque, fino alla fine. Ormai mi ci sono affezionato troppo.

A presto!^_^

Carlos Olivera

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Capitolo 28
*** 25 ***


25

 

 

«Roma!?» lesse Louise a sua volta, quando tutti furono raccolti attorno a prua

«Ricorda senza dubbio il termine Romalia.» disse Joanne «Ma mi sembra chiaro che non proviene da lì.»

«Infatti.» rispose Saito «Questa è l’ultima. L’ultima che ancora mancava.»

«L’ultima che mancava!?»

«Durante la Seconda Guerra Mondiale» spiegò Kaoru «Le tre potenze dell’Asse avevano ognuna la propria nave di rappresentanza, che racchiudeva in sé non solo il potere tecnologico, ma anche soprattutto lo spirito dei rispettivi popoli. L’impero giapponese aveva la Yamato, il Terzo Reich la Bismark, e il Regno d’Italia… il Regno d’Italia aveva il Roma.

Tutte e tre vennero affondate nel corso della guerra, ma di queste solo due, la Yamato e la Bismark, sono state in seguito ritrovate. Ma non il Roma.»

«Perché era finita qui.» disse Saito «In questo mondo».

Tutti guardarono di nuovo la nave.

«Allora.» disse Siesta «La leggenda era vera. La Fortezza esiste.»

«Già.» replicò sconfortato Kaoru «Peccato che, così ridotta, non sia di nessuna utilità.»

«Che vuoi dire?»

«Guardatela.» rispose Joanne «Che sia o meno una nave leggendaria, non vi è dubbio che ormai sia distrutta. Così conciata, non c’è niente che sia in grado di fare.»

«Vuol dire che è stato tutto inutile?» domandò Saito, un’ipotesi che non voleva neppure prendere in considerazione.

Dopo tutta la fatica fatta per arrivare fin lì, faceva comprensibilmente rabbia trovarsi di fronte a quello che, a conti fatti, non era altro che un relitto, un pallido ricordo di ciò che era stato in passato e che mai più sarebbe potuto risorgere.

O forse no.

«Aspettate!» disse Louise «Forse un modo c’è!»

«Dici sul serio!?» esclamò Saito sentendo riaffiorare la speranza

«Forse, non ne sono sicura. Dobbiamo parlare subito con il professor Colbert».

 

La risalita risultò indubbiamente molto più facile, e il giorno dopo il professore era a sua volta al cospetto della nave dimenticata, rimanendone ovviamente a propria volta sconvolto.

Sognava da sempre di conoscere quante più cose possibili del mondo di Saito, ma questa andava quasi al di là dell’accettabile.

Come era possibile che una civiltà, per quanto evoluta, riuscisse a raggiungere traguardi simili?

Quante vite era in grado di togliere con un solo colpo un simile strumento di morte? Era chiaro ormai perché gli stessi membri superstiti del suo equipaggio ne avessero avuto così tanta paura.

Probabilmente temevano che, date le infinite possibilità della magia propria di quel nuovo mondo nel quale erano giunti, la loro Fortezza, anche così ridotta, potesse un giorno tornare a dispensare morte e devastazione in tutto il mondo, e così avevano voluto deliberatamente cancellarne il ricordo, scegliendo essi stessi di dimenticare perché la verità sulla vera natura della Fortezza non venisse mai più alla luce.

Ma ormai, come Saito andava ripetendo, era una questione di vita o di morte, e la Fortezza, o meglio il Roma, era l’unica cosa che potesse dare una speranza.

«Ma… magnifico.» disse il professore trovandosi dinnanzi al relitto «Davvero magnifico.»

«D’accordo, lo ammetto.» disse Lucas, anch’egli presente «Forse non era proprio una leggenda.»

«Professore.» disse Louise «Se non sbaglio lei, una volta, ha parlato di un incantesimo in grado di riaggiustare le cose rotte o danneggiate, a patto che siano presenti tutti i pezzi necessari ad rimetterle insieme.»

«Parli del Constructio

«Sarebbe possibile usarlo per ricostruire questa nave?».

Il professore dovette prendersi qualche momento per rifletterci.

«Può darsi. Sì, penso che si potrebbe fare.»

«Perfetto!» esclamò Saito

«Aspetta, Saito-kun. Non è così semplice?»

«Per quale motivo?»

«L’incantesimo del Constructio può essere utilizzato solo conoscendo interamente la natura e la forma dell’oggetto che si vuole riparare, altrimenti sarebbe impossibile rimetterlo insieme».

Quell’affermazione arrivò come un fulmine a ciel sereno.

«Che sta dicendo!?»

«Sto dicendo che io non ho la minima idea di come sia fatta questa nave. E se non so come è fatta, non posso aggiustarla».

Ancora una volta, purtroppo, la determinazione e la volontà sembravano destinate ad andare a scontrarsi contro la spietata ineluttabilità.

Kaoru guardò verso la nave, in cerca di una risposta o di un barlume di speranza, quando un sospetto gli attraversò la mente.

Forse c’era una speranza; anzi, quasi sicuramente. Il problema era scoprire se, come la nave, avesse resistito altrettanto bene al passare del tempo.

Senza porre indugio si avvicinò agli uomini di Otisa, giunti lì per osservare coi loro occhi il tesoro dei loro antenati, chiedendo se avessero una corda. Uno di loro gliene porse una che aveva portato per ogni evenienza, e lui subito vi assicurò il proprio bastone, usandolo come un rampino che con un lancio preciso riuscì ad avvolgere attorno ad una sporgenza.

«Che stai facendo?» domandò Saito vedendolo che si accingeva a salire

«Questa era una nave da guerra. È probabile che tenessero dei progetti o degli schemi di costruzione, in caso di riparazioni in mare. Forse ci sono ancora.»

«Lo credi possibile?»

«C’è un solo modo per saperlo, non credi?».

Il modo in questione era ovviamente esplorare la nave, sperando di trovare il materiale in questione.

La torre centrale di comando, in qualche modo, era riuscita a restare attaccata al ponte principale, ma a giudicare dai tiranti tesi allo spasimo e dalle numerose crepe, era chiaro che si trattava di un equilibrio precario, tenuto conto anche della tremenda inclinazione che avrebbe potuto farla accasciare del tutto in qualsiasi momento.

Girando attorno alla torre, non senza qualche difficoltà, dal momento che Kaoru continuava ad avere bisogno del bastone per riuscire a camminare, i due ragazzi trovarono una porta che, a forza di spinte, riuscirono ad aprire.

«Ci proviamo?» chiese Kaoru

«Direi che non abbiamo molta scelta.» rispose Saito, che fece dunque un cenno agli operai perché gli passassero delle torce

«Che cosa pensate di fare voi due!?» sbraitò preoccupata Louise

«I progetti potrebbero essere qui dentro!» rispose Saito accendendo le fiamme «Voi aspettateci qui!» e detto questo scomparve oltre la porta assieme a Kaoru, mentre il cuore di Louise iniziava a battere a mille.

L’interno della torre era tutta una devastazione.

Il metallo era piegato, contorto, come bruciato, e scricchiolava ad ogni passo. Sembrava che qualcosa fosse bruciato al suo interno, perché parti delle pareti erano come parzialmente liquefatte, ma non si vedevano segni di incendi o altro; pareva piuttosto che lì dentro ci fosse stata una qualche esplosione di calore, così forte da far sciogliere l’acciaio e annerire il legno.

«Secondo i libri di storia.» spiegò Kaoru «Il Roma venne colpito da una bomba che fece esplodere il deposito munizioni. Ci fu una tremenda esplosione, e la temperatura aumentò violentemente, raggiungendo un livello tale da bruciare e liquefare ogni cosa, incluso il metallo.»

«Speriamo solo che non siano bruciati anche i progetti, o avremo fatto tutto questo lavoro per niente».

Riuscire ad orientarsi era ovviamente molto difficile.

A parte il fatto che tutte le indicazioni ed i cartelli erano in italiano, c’erano punti crollati, porte e scale ostruite, zone allagate o completamente irraggiungibili e, cosa più raccapricciante di tutte, parecchi resti umani.

Probabilmente, i superstiti al naufragio arrivati in quel mondo assieme alla nave avevano seppellito tutti i compagni che erano riusciti a trovare, ma avendo paura di avventurarsi nel relitto temendo che gli potesse crollare addosso avevano preferito non esplorarlo troppo a fondo.

Saito e Kaoru riuscirono a trovare una rampa di scale poco ostruita, e cominciarono a salirla non senza difficoltà, visto che un momento si sentivano schiacciati verso il muro e il momento dopo a penzolare sull’abisso.

In una simile situazione Kaoru non poteva fare ricorso al bastone, che ad un certo punto gli era persino caduto, e ogni passo gli sembrava un’agonia, perché più poggiava il peso sulla gamba sinistra più la ferita gli faceva male.

Per questo cercava di concentrare la maggior parte del suo peso sulla gamba destra, ma questo significava un minore equilibrio, che alla fine minacciò quasi di ucciderlo.

Mentre percorrevano l’ultimo tratto di rampa appoggiati al corrimano questo improvvisamente cedette, e Kaoru, che non fece in tempo a trovare un appiglio, minacciò di precipitare; per fortuna, all’ultimo secondo, venne afferrato al volo da Saito.

«Tranquillo! Ti ho preso!»

«Te ne devo una».

Fortunatamente, quello fu l’unico incidente di percorso degno di nota.

La rampa che i due ragazzi avevano imboccato infatti, per una coincidenza una volta tanto fortuita, era quella che dalla base della torre arrivava fino alla plancia di comando.

La porta d’ingresso era piegata dal calore ed incastrata, ma Kaoru riuscì a farla saltare rompendo i cardini con due precisi colpi di spada, così i due poterono entrare.

Se la torre in generale era ridotta male, la plancia era messa anche peggio.

Avendo preso in pieno la vampata di calore che si era sprigionata a seguito dell’esplosione, il ponte di comando era ridotto in uno stato pietoso; i vetri erano esplosi letteralmente, le pareti si erano annerite, e quasi ogni componente in legno era bruciata o carbonizzata.

Saito e Kaoru si guardarono attorno atterriti.

«Se i progetti erano qui, è davvero la fine.» disse Saito

«Proviamo a cercare. Forse troviamo qualcosa».

Come prima cosa Saito si affacciò alle vetrate agitando la torcia, che fu vista dall’esterno e tranquillizzò tutti.

«Per fortuna ce l’hanno fatta.» disse Colbert «A quanto pare è andato tutto bene.»

«Aspettiamo a gioire.» disse Joanne smorzando gli animi «Se non trovano quello che stiamo cercando, saremo comunque nei guai».

A quel punto, venne il momento di cercare.

Quasi tutto quello che si trovava allo scoperto era bruciato, ma il ponte disponeva di un gran numero di scomparti, cassetti e vani che, una volta aperti, rivelarono di essere stati in grado di proteggere ciò che contenevano, quindi con un po’ di fortuna anche i progetti si erano salvati.

Dentro quella specie di macchina del tempo Saito e Kaoru ritrovarono vecchi documenti, fotografie, carteggi e persino delle lettere.

Kaoru in particolare trovò copia di un vecchio messaggio cifrato, datato 8 settembre 1943, e proveniente dal comando generale della marina italiana, che annunciava l’armistizio con gli alleati e l’ordine di consegnarsi alla flotta inglese.

Purtroppo, di eventuali progetti o schermi di costruzione non sembrava esservi traccia. O non si trovavano lì, oppure erano bruciati.

Kaoru ricordò che il Roma era stato colpito due volte prima di affondare, e che il primo colpo aveva semplicemente danneggiato la nave senza pregiudicarne la navigazione; forse dopo il primo attacco i progetti erano stati tirati fuori per pianificare una riparazione, e al secondo colpo il calore li aveva inceneriti.

Ma la speranza era l’ultima a morire, e una volta tanto volle tener fede al suo nome.

«Kaoru!» esclamò d’improvviso Saito aprendo uno scomparto e trovandovi dentro un mare di enormi carte arrotolate «Credo di averli trovati!»

«Dici sul serio!?».

Recuperatone alcuni, li appoggiarono a terra e li srotolarono.

«Questi sono i motori!» disse Kaoru «È lo schema dei motori! E questo dell’impianto elettrico!».

Saito non ce la fece più, e andò ad affacciarsi nuovamente alle vetrate tenendo un rotolo stretto nella mano ed esibendolo come un trofeo.

«Li abbiamo trovati! I progetti sono qui!» e tutti esultarono

«Evvai!» disse Louise «Ci sono riusciti».

Anche Colbert non riuscì a fare a meno di nascondere il suo entusiasmo; già lo aveva lasciato di sasso vedere la nave ridotta in quello stato, e il solo pensiero di come potesse apparire una volta ricostruita lo eccitava da morire, tanto che non vedeva l’ora di mettersi al lavoro.

 

Servirono due viaggi per riportare indietro tutti i progetti dal ponte di comando, e una notte intera al professor Colbert per riuscire a decifrarli, chiuso in uno studio nella casa del sindaco.

Il fatto che fossero tutti scritti in italiano, in definitiva, non arrecò tutti questi problemi. L’italiano dopotutto derivava dal latino, che a sua volta presentava diverse assonanze con l’antico romaliano, una lingua che tutti i professori di arti magiche ben conoscevano in quanto molto usata nella stregoneria.

All’alba, il professore uscì nel corridoio, dove Saito e gli altri erano rimasti ad aspettare sue notizie fino ad addormentarsi.

«Ho finito.» disse soddisfatto «Ho decifrato tutti i documenti.»

«Vuol dire che può riparare la nave!?» esclamò Saito

«Sicuramente. Forza, torniamo alla caverna».

Nel frattempo, scoperto dove si trovava la caverna, ed il punto preciso dove poter scavare, gli abitanti di Otisa avevano praticato un grosso foro che dalla superficie, proprio a due passi dalle scogliere e a circa un chilometro dal villaggio, permetteva di scendere dritti nella caverna risparmiandosi la lunga strada attraverso il tunnel, e vi avevano calato una scala a corda.

Era un momento solenne, e tutti gli abitanti avevano voluto essere presenti. Avevano sempre saputo che la Fortezza d’Acciaio era reale, e ora che la vedevano coi loro occhi volevano vederla anche tornare alla vita, così come era all’epoca dei loro antenati; i ragazzi ovviamente non avevano rivelato loro quale fosse la reale origine della nave, ma anche così gli otisani erano al culmine della felicità, sentendosi in qualche modo speciali, per non dire quasi leggendari.

Il professor Colbert scese nella caverna assieme a Saito e agli altri portando con sé il necessario per disegnare, sia sulla roccia sotto i suoi piedi che su una fiancata della nave, un grande e complesso circolo magico, inoltre richiese la collaborazione sia di Joanne che di Louise.

Il circolo richiamava lontanamente l’aspetto del loro mondo, con il pianeta al centro e le due luna una accanto all’altra, a fare da satelliti; il professore si posizionò al centro, quindi chiese alle due ragazze di prendere posto sulle due lune.

«Date le dimensioni della nave, il mio potere non sarebbe sufficiente per ricostruirla.» disse battendo a terra il suo bastone «Quindi avrò bisogno anche del vostro.»

«Cosa dobbiamo fare?» chiese Joanne

«Concentratevi sulla punta del mio bastone. Convogliate lì il vostro potere magico. Al resto penserò io».

Nella caverna calò il silenzio, e tutti assistevano senza battere ciglio.

Louise, Joanne e Colbert chiusero gli occhi, e come il professore batté nuovamente a terra il suo bastone i due simboli, quello sotto di loro e quello sulla nave, si illuminarono violentemente, e tutta la caverna tremò leggermente; Joanne e Louise si concentrarono, e ben presto poterono sentire la loro energia risucchiata ed assorbita dall’incantesimo, per poi venire usata magistralmente da Colbert.

Di colpo, tutti i vari pezzi della nave presero a vibrare e a contorcersi, illuminati da quel bagliore azzurrognolo, quindi si sollevarono in aria, lentamente e silenziosamente, modellandosi e amalgamandosi come pezzi di creta uniti a formare un unico vaso.

Ed ecco che, come per incanto, il metallo si riplasmò, il legno si riaggiustò, e tutti i meccanismi e gli ingranaggi, anche quelli maggiormente danneggiati e apparentemente irrecuperabili, tornarono al proprio posto con rapidità sempre maggiore, quasi che ad ogni passaggio eseguito il professore diventasse più sicuro di sé, e più certo della buona riuscita del suo incantesimo.

Come se una macchina del tempo ne stesse riavvolgendo la storia, la vecchia nave sembrò ritornare sempre più alla vita, fino a quando, ormai prossima al completamento, il guscio di luce che la avvolgeva deflagrò violentemente, costringendo tutti a coprirsi gli occhi per non restare accecati.

Kaoru e Saito furono i primi che ebbero il coraggio di riaprirli, ma per un attimo pensarono che ciò che avevano davanti fosse solo un’allucinazione, uno scherzo della vista dettato dall’improvviso bagliore.

Il Roma, un relitto fino a poco prima, ora era lì, davanti a loro, perfettamente ricostruita.

La linea allungata e sinuosa, la maestosa torre corazzata, i due possenti fumaioli, le sue armi annichilenti e spaventose, la livrea mimetica verde pino che di notte ne nascondeva la presenza.

Non sembrava neanche più la stessa nave di prima.

Tutto era tornato come quel giorno lontano.

«È… è incredibile.» disse Saito

«Ci siamo riusciti.» disse Louise, che poi non riuscì a trattenere la gioia «Ce l’abbiamo fatta!».

A quel punto, esplose la festa, e mentre gli otisani si davano come al solito alla musica e alla danza, Saito e gli altri salirono in plancia.

«Non credo ai miei occhi.» disse Saito guardandosi attorno per poi andare ad affacciarsi ai vetri «È davvero tutto tornato come prima.»

«Professor Colbert.» disse Siesta «Lei è stato fantastico.»

«No, Siesta. Fantastico è chi è riuscito a realizzare qualcosa di simile.»

«Comunque, una nave da guerra senza armi non ha molto valore.» disse il sindaco di Otisa, anch’egli presente

«Per quello non c’è problema.» rispose Saito «Si possono creare, così sono state create anche le armi di scorta per lo Zero che pilotavo due anni fa. Stesso dicasi per il carburante, giusto?»

«Giusto.» rispose il professore

«Aspettate, frenate gli entusiasmi.» disse Lucas, cupo e preoccupato nonostante tutto «Credo che qui si stia dimenticando una cosa importante.»

«E sarebbe?» chiese Joanne quasi provocatoria

«Questa è una nave, giusto? Non è stata progettata per volare. Come sarà possibile usarla per contrastare una flotta di aeronavi?».

Una considerazione diretta e dolorosa come una freccia.

Nella foga del momento, se ne erano tutti dimenticati.

Il Roma era indubbiamente una nave di classe superiore, una corazzata alla quale probabilmente anche le potenti navi di Floubert potevano fare un baffo; ma non poteva volare, e di certi i suoi proiettili non potevano arrivare dalla superficie del mare fin nel cielo.

Quindi, di fatto, era quasi inutile.

«Non è detto che non si possa rimediare.» rispose invece Saito, più determinato e risoluto che mai «Se siamo riusciti a ripararla, possiamo trasformarla in una nave volante.» poi si rivolse a Louise «Come fanno le vostre aeronavi a volare?»

«Sfruttando il potere di una pietra fluttuante. Un cristallo magico caricato del potere del vento.»

«Sarebbe possibile installarne una anche su questa nave?».

Colbert ci pensò un momento.

«Effettivamente, credo sarebbe fattibile. Basterebbe fare qualche modifica, per fare in modo che il timone e gli altri sistemi di guida possano funzionare sia in acqua che fuori, e qualcosa per poter regolare l’altezza e l’elevazione anche operando da questo ponte di comando.»

«Allora si può fare.» disse Kaoru

«Però, c’è un problema.» disse il professore quasi a voler smorzare l’entusiasmo «Questa nave persa decine di migliaia di tonnellate. Anche mettendovi dentro la pietra fluttuante più grande che si riesca a trovare, dubito che sarebbe capace di tenerla in volo per più di una o due ore.»

«Anche così và bene.» rispose secco Saito «Sempre meglio di niente.»

«E per manovrarla?» chiese ancora Lucas «Non assomiglia neanche lontanamente alle nostre aeronavi, e nessuno di noi qui ha idea di come funzioni.»

«A quello ci posso pensare io.» rispose Kaoru mostrando il simbolo di Gandalfr

«Ben detto compare.»

«Tu da solo a manovrare tutta questa nave?» domandò Lucas quasi provocatorio

«Niente affatto. Io sarei solo l’insegnante.»

«L’insegnante!?»

«Se ci pensi è piuttosto semplice. Io uso il potere di Gandalfr per apprendere come funzioni questa nave, quindi istruisco i membri del suo equipaggio.»

«Sarà un lavoro mastodontico.»

«Allora, meglio mettersi al lavoro subito.» disse Saito

«E i marinai dove ce li procuriamo? Ne abbiamo a malapena per le nostre flotte.»

«Se posso permettermi, signori» intervenne il sindaco «I miei concittadini sarebbero ben felici, me incluso, sarebbero felici di prestarsi per questo incarico.»

«Ne siete sicuro, signor sindaco?» chiese Joanne

«Questa è la nave dei nostri antenati. Nelle nostre vene scorre il sangue di coloro che la abitarono e la fecero combattere nei tempi antichi. Sono sicuro che una volta imparato, farla muovere ci verrà quasi naturale.»

«Potrebbe essere pericoloso.» disse Saito «Davvero ve la sentite?»

«I nostri antenati erano pronti ad andarci a fondo, da quello che ho capito. Che discendenti saremmo se non contribuissimo a renderla nuovamente grande?».

Saito allora sorrise, stringendo la mano al sindaco.

«Grazie, signor sindaco.»

«Grazie a voi, lord Hiraga. Dopotutto, state facendo tutto questo per proteggerci, e proteggere questo Paese. Aiutarvi è il minimo che possiamo fare.»

«Quand’è così, mettiamoci subito al lavoro. C’è ancora tanto da fare, e il tempo scarseggia».

 

Saito aveva anche troppa ragione.

A Roanoke, e sotto l’occhio sempre attento ed occultato delle spie di Marcin, i lavori per la costruzione delle nuove navi procedevano a ritmi sostenuti.

Ne erano state completate già nove, mentre una decima, molto più grande, spaventosa e imponente delle altre, era ancora in fase di ultimazione.

Teoricamente, le nove navi già costruite sarebbero già state più che sufficienti a conquistare senza difficoltà il controllo di tutta la costa di Tristain, ma Solomon voleva a tutti i costi che alle battaglie prendesse parte anche quella destinata a diventare la sua ammiraglia, dalla quale osservare e godere la caduta di Grasse e Marcin, e in seguito dell’intera nazione.

Anni di vassallaggio e inchini forzati gli rodevano il fegato come neanche il suo lardo riusciva a fare, e voleva che il suo fosse un trionfo totale, con tutta la nazione che bruciava e implorava pietà e lui a guardare dall’alto, ebbro di grandezza e soddisfazione.

I lavori, però, stavano procedendo leggermente più lentamente del previsto, così quella sera il duca era voluto andare di persona a constatare come andassero le cose.

L’isola sembrava un cantiere a cielo aperto.

Dall’alto della collina, che come un cratere circondava il centro di quel lembo di terra, si poteva vedere tutto, dai centri di assemblaggio alle darsene; tutto veniva fatto all’aperto, senza riguardo né timore per eventuali spie, forse nella convinzione che il mare fosse già una difesa più che sufficiente.

Sul limitare della collina c’era una specie di palchetto sospeso nel vuoto, sul quale andò a posizionarsi il duca con il suo seguito; qui venne raggiunto dal direttore del cantiere.

«Perché la nave non è ancora finita?» domandò vedendo quel bestione ancora per metà immerso sottoterra, dove continuavano i lavori

«Mi… mi dispiace, mio signore.» balbettò quello tutto tremante «Il sistema di spinta si è rivelato difettoso, e abbiamo dovuto ricostruirlo. È solo questione di qualche altro giorno, davvero. Solo quattro, forse cinque giorni, e la nave sarà pronta a salpare».

Solomon lo guardò come un padrone guarda il suo schiavo, poi, senza dire una parola, sfoderò lo schioppo che aveva con sé e gli piantò una palla nello stomaco che lo uccise all’istante.

«Questo è l’ultimo ritardo che permetto.» disse, quindi fece un cenno alle sue guardie, che raccolsero il corpo e lo gettarono giù dalla scarpata.

Qualche minuto dopo, li raggiunse anche Fouquet.

«Buon modo per tagliare il personale.» osservò sarcastica la donna

«Ormai siamo in dirittura d’arrivo. Di lui non avevo più bisogno.»

«A quanto pare ci sono problemi in arrivo. Sembra che Saito e Louise abbiano messo le mani su una qualche supernave, o roba del genere.

Intendono usarla contro di noi.»

«Ne è sicura?»

«Per ora stanno ancora cercando di farla ripartire, ma conoscendoli credo che non si faranno trovare impreparati.»

«Se solo non ci fosse stato questo ritardo.» mugugnò il Floubert, che però subito si calmò, ridendo soddisfatto «Ma poco importa. Tanto ormai è quasi tutto pronto».

I suoi occhi si alzarono dunque verso l’alto, verso il cielo, dove il resto della flotta già torreggiava in tutta la sua imponenza, pronta a marciare sul continente.

«Quattro giorni ancora, e quei vermi rimpiangeranno di avermi sfidato».

 

 

Nota dell’Autore

Salve a tutti!^_^

Come avevo promesso, sto andando il più speditamente possibile, spinto a scrivere senza sosta sull’onda della tanto agognata estate, che mi ha procurato un sacco di tempo libero.

Questo è il classico capitolo di transizione.

Nel prossimo, ci lasceremo alle spalle le vicende legate a Floubert con una battaglia da antologia (probabilmente sarà un capitolo piuttosto lungo, ma cercherò di contenermi), per poi passare ad altre vicende.

A questo punto direi che siamo già piuttosto avanti con la trama, e che dopo questo arco narrativo, e quello che seguirà, avremo tranquillamente oltrepassato la metà (ma come si dice sempre, la metà migliore deve ancora cominciare).

A presto!^_^

Carlos Olivera

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Capitolo 29
*** 26 ***


26

 

 

I giorni che seguirono furono concitati e carichi insieme di attesa e di tensione.

Ognuno faceva il suo lavoro, consapevole che ogni secondo era prezioso.

Mentre il professor Colbert, assistito da tutti i maghi e i professori che era riuscito a mettere insieme, sintetizzava senza sosta gasolio per i motori e proiettili per cannoni e mitragliatrici, Kaoru, forte del potere di Gandalfr, istruiva gli abitanti di Otisa e vari soldati selezionati per far parte dell’equipaggio all’uso dei complicati, e per certi versi incredibili, meccanismi della nave.

Un’altra sorpresa era arrivata dall’esplorazione dei ponti più bassi, dove, tra lo stupore generale, furono trovati addirittura un aereo da battaglia e una coppia di idrovolanti, uno dei quali fu posizionato sulla catapulta di lancio a poppa, pronto per venire usato in caso di necessità.

Anche i lavori per modificare la struttura e la conformazione del vascello e permettergli di volare procedevano senza sosta.

Dal museo nazionale di Tristania fu fatto portare in gran segreto il più grosso monolito di pietra fluttuante mai estratto e lavorato nella storia di Halkengina, un gigantesco blocco di quasi cinque quintali.

Una volta trasportato fin sul bordo della grotta, tramite un argano venne calato dall’alto attraverso uno dei fumaioli nel ventre della nave, e una volta qui deposto in una camera di alimentazione appositamente realizzata.

Furono modificate anche le eliche, i sistemi di guida, aggiungendovi un altimetro e vari strumenti per l’ascensione e la discesa, e qualche altro accorgimento lungo la chiglia per renderla più aerodinamica, anche se a grandi linee l’aspetto esteriore rimase lo stesso.

Secondo le informazioni riportate indietro dalle spie, la flotta di supernavi di Floubert era ormai completamente pronta, ma sarebbero stati necessari almeno un altro paio di giorni perché potessero davvero decollare alla volta del continente.

Questo, bene o male, aveva tranquillizzato tutti, dando l’impressione di avere a disposizione ancora un po’ di tempo per preparare tutto.

E invece, la mattina del quarto giorno, una terribile notizia giunse a distruggere tutte le speranze.

Saito, Louise e Kaoru erano in piedi accanto alla nave, intenti ad osservarla finalmente ultimata, e pronta, almeno nelle intenzioni del professore, a solcare i cieli come una qualsiasi aeronave.

«Siamo sicuri che volerà?» chiese Saito

«Il blocco di pietra fluttuante che abbiamo installato nella stiva ha forza e potere sufficienti a sollevare oltre cinquantamila tonnellate.

Tuttavia, come tutti sanno, maggiore è lo sforzo subito da una pietra più velocemente il suo potere si esaurisce.

In base ai mie calcoli, la nave potrà restare in volo per non più di due ore, poi sarà necessario almeno un giorno perché la pietra si ricarichi.»

«Non è molto, ma ci dovremo accontentare.» disse Kaoru

«Comunque sarà meglio fare una prova di navigazione. Domattina presto pensavo di portarla in mare».

All’improvviso, Lucas arrivò nella grotta tutto trafelato e in preda all’agitazione.

«Saito! Louise! Le spie dicono che la flotta di Floubert salperà domattina!»

«Che cosa!?» esclamò Kaoru «Ma è troppo presto! Non doveva partire dopodomani?»

«Pare abbiano accelerato i tempi. L’ultima nave è stata completata giusto ieri sera. Il tempo di un rapido controllo, e la flotta si metterà in movimento.»

«Questo non và per niente bene.» ringhiò Saito.

 

I ragazzi tornarono in tutta fretta ad Otisa, dove fu indetta una riunione di emergenza nell’ufficio del sindaco.

C’erano anche Joanne, arrivata in tutta fretta da Grasse in sella ad Hotarubi, e Kiriya, che in quel momento si trovava al largo al comando di quanto restava dell’aeroflotta dei Marcin.

«Servono almeno altre ventiquattro ore per completare i lavori a bordo della nave ed avviare i motori.» disse mestamente il professore «Non faremmo mai in tempo a renderla operativa prima che la flotta di Floubert raggiunga la costa.»

«E visto che può mantenersi in volo solo per un tempo molto limitato.» disse Lucas «Combattere sulla terraferma è da escludere a priori.»

«Senza contare che, se riuscissero a raggiungere la costa» disse Joanne «Provocherebbero distruzione e morte a non finire prima di riuscire a fare qualcosa.»

«Che cosa possiamo fare?» chiese Louise «Non sarebbe possibile far salpare la nave subito?»

«Impossibile.» tagliò corto Colbert «Non abbiamo ancora finito di collegare tutte le strumentazioni necessarie per farla volare».

Nella stanza si levò un vento di sconforto e rassegnazione.

Allora, era davvero impossibile fermare quell’ennesima minaccia?

Forse, pensò Kaoru, un modo c’era. Anche se, a conti fatti, era quasi un suicidio.

«L’unica cosa da fare.» disse a braccia conserte «È cercare di guadagnare tempo.»

«E come, se è lecito chiedere?» chiese il sindaco

«Nell’unico modo possibile. Combattendo».

Lì per lì nessuno capì il senso di quella frase, ma quando ciò accadde tutti rimasero di sasso.

«Ti riferisci alle aeronavi convenzionali?» disse Saito

«Tra le forze di Grasse e quelle di Marcin, possiamo contare su circa trentacinque vascelli. Dispiegandoli tutti lungo la rotta tra le isole e la terraferma, dovrebbero essere sufficienti a tenere occupata la flotta nemica, almeno fino a quando la nave non sarà pronta a salpare.»

«Ci stai chiedendo di fare da cuscinetto!?» disse Kiriya, non senza un po’ di timore

«È l’unica soluzione che mi venga in mente.»

«Non se ne parla neanche!» urlò Lucas battendo violentemente il pugno sul tavolo, con un tono e uno sguardo che nessuno gli aveva mai visto «Avete visto tutti quelle aeronavi spaventose! Dio solo sa cosa sono capaci di fare! Non manderò i miei uomini alla morte in una battaglia persa in partenza!»

«Io lo farò.» disse improvvisamente Kilyan, guadagnandosi un’occhiata perplessa da parte di tutti i presenti «Quello che potrebbe accadere non ha importanza. È in gioco il futuro non solo dei nostri feudi, ma di tutta la nazione.

Abbiamo il dovere di fare tutto il possibile per difendere Tristain.

E sono sicuro che anche i miei uomini la pensano allo stesso modo.»

«Kilyan…» disse Siesta

«È una follia!» urlò Lucas «Una follia bella e buona! Non sappiamo neanche se la nave potrà volare! Cosa succederebbe se alla fine non riuscisse a raggiungervi? Ne otterreste solo di venire massacrati!»

«Se la flotta di Floubert raggiunge la terraferma, saremo tutti morti comunque. Dopo quello che è accaduto, Solomon di sicuro non si sentirà soddisfatto fino a quando non avrà raso al suolo la fortezza di Grasse.

Pertanto, per come la vedo io, molto meglio morire combattendo a bordo di una nave che rinchiuso in una fortezza aspettando la fine.»

«Sono d’accordo.» disse Joanne «Del resto, non ha senso essere pessimisti e rinunciatari fin da subito. Le navi di Grasse sono numerose e robuste, anche se un po’ vecchie. Per un po’ potranno sicuramente reggere.»

«Questa è pura follia.» disse Lucas «Vi farete massacrare per niente.»

«Da quando in qua sei così pessimista?» domandò provocatoriamente Kaoru

«Vorrei tanto che fosse solo pessimismo. Questa purtroppo è la realtà dei fatti.»

«Se non vuoi batterti, non ti costringeremo.» disse Louise visibilmente delusa e sconfortata da un simile atteggiamento da parte del cognato «Noi però abbiamo già deciso».

Lucas si guardò attorno, rendendosi conto di essere l’unico in quella stanza a pensarla alla sua maniera; persino sua moglie, presente a sua volta, lo guardava come se non lo riconoscesse, piena di amarezza e delusione.

«Mi perdonerete se cerco di proteggere le mie terre. Piuttosto che impegnare le poche forze che mi restano in una battaglia persa in partenza, preferisco di gran lunga difendere Marcin fino all’ultimo.

Vi auguro buona fortuna.

Cattleya, andiamo.»

«Ma, Lucas…» tentò di dire lei

«Niente storie!» ordinò invece lui rosso di rabbia.

Forse era la sensazione di impotenza, forse il fatto di essere scampato alla morte per un vero miracolo, fatto sta che Lucas de Marcin si comportò come nessuno avrebbe mai pensato possibile, e al termine di quel burrascoso incontro se ne andò portandosi dietro le poche navi che gli erano rimaste.

«Non importa.» tagliò corto Saito srotolando una carta nautica della costa settentrionale «Ce la caveremo anche senza di lui.

Allora, dobbiamo formare una linea difensiva che possa reggere fino a quando la nave non sarà pronta a salpare.

Joanne, Kilyan. Voi disporrete tutte le navi della nostra flotta in questo punto, venti miglia al largo delle coste di Tristain. Cercate di resistere il più a lungo possibile.»

«E se dopo un’ora dall’inizio della battaglia non ci vedete arrivare.» disse Kaoru «Allora mollate tutto e tornate indietro. A quel punto, restare per farsi massacrare sarebbe inutile.»

«Sissignore!» risposero in coro i due ragazzi

«E adesso.» disse Colbert «Sarà meglio rimettersi subito al lavoro».

 

La mattina dopo, al sorgere del sole, una inquietante parate di gigantesche navi da guerra veleggiava sopra il Mare Magnus diretta verso nord-est, verso le coste verdeggianti di Grasse.

A memoria d’uomo, non si era mai visto un tale assembramento di navi così tecnologicamente avanzate.

Dodici vascelli da guerra, ognuno dei quali grande almeno il doppio di un normale galeone umano, armati con almeno quaranta cannoni ognuno, fino anche ad ottanta per quelli più grossi.

Al centro, ben protetta dal resto della formazione, la Stiges, la nave ammiraglia, con il suo vasto ponte scoperto, al centro del quale Solomon aveva fatto piazzare uno sfavillante trono d’oro e pietre preziose, lo stesso che avrebbe fatto piazzare nella sala delle udienze nel momento in cui fosse entrato a bordo di quella nave direttamente nel cortile del palazzo reale di Tristania.

Al suo fianco, Fouquet, ugualmente fiera e sicura di sé.

«Una vista fantastica.» commentò il governatore guardandosi attorno «Devo riconoscere che avevo sottovalutato Reconquista.

Mi domando come sia stato possibile per voi raggiungere un simile livello tecnologico.»

«Lei pensi a svolgere la sua parte dell’incarico, Solomon, senza preoccuparsi di indagare il non necessario.»

«Come vuole. Non che mi importi, del resto. Ciò che conta, per me, è solo la vittoria.»

«Navi nemiche dritte di prora!» urlò d’un tratto la vedetta sul pennone.

E infatti, dapprima quasi invisibile, e via via sempre più nitida, comparve all’orizzonte una grande flotta di oltre trenta unità, tutte con la bandiera di Grasse a sventolare in cima all’albero maestro, piantate nel mezzo del cielo come un’ultima, disperata barriera difensiva.

A bordo della White Dragon, Kilyan e Joanne osservavano, fermi ma chiaramente increduli, quella massa di giganteschi vascelli che puntava dritta su di loro, e così anche il resto dell’equipaggio, tutti allibiti ma determinati in ogni caso a fare il loro dovere, anche se solo per l’ultima volta.

«Non arretreremo di un centimetro.» disse Joanne a denti stretti «Resteremo qui fino alla fine.»

«È tutto pronto.» disse Kilyan «Non passeranno tanto facilmente.»

«D’accordo. Cominciamo.» quindi Joanne si rivolse all’intera flotta «A tutte le navi! Prepararsi alla battaglia! Disporsi in formazione allargata!».

L’ordine fu trasmesso alle navi con l’ausilio delle bandiere, e subito queste si sparpagliarono, formando una difesa allargata su tre diverse linee da dieci navi ognuna.

Piuttosto che concentrare tutte le forze in un’unica linea, Joanne e Kilyan avevano preferito un sistema di fortificazioni in sequenza, di modo tale che se la prima linea cadeva un’altra era pronta a prenderne il posto.

Era l’unico modo per cercare di guadagnare più tempo possibile.

Le navi della prima linea, assunta la formazione, mostrarono il fianco, scoprendo i propri cannoni, che confrontati con quelli del nemico parevano quasi delle armi giocattolo, tale era la differenza per numero e dimensioni.

«Stolti.» disse Solomon sorridendo malefico «Se foste scappati, avreste guadagnato qualche giorno di vita in più.

D’accordo, allora. Morite tutti.

A tutte le navi! Fuoco a volontà!».

Anche la flotta di Floubert a quel punto assunse una formazione da battaglia, con la differenza che le sue navi non ebbero bisogno di esporre il fianco, visto il gran numero di cannoni che potevano sfruttare anche solo mantenendo la prua rivolta al nemico.

Le prime bordate furono di Grasse, ma come previsto i colpi praticamente rimbalzarono contro lo scafo delle navi nemiche, riuscendo a malapena ad incrinarle.

«È tutto qui?» disse Solomon, ben protetto dallo sbarramento dei suoi.

Il sovrano di Floubert era talmente sicuro di sé che lasciò che Grasse sparasse altre due bordate, senza che come immaginava ciò avesse il benché minimo effetto sulle sue supernavi.

«Adesso, tocca a me».

Il frastuono dei cannoni nemici fece tremare il fasciame e vibrare la superficie del mare sottostante, e senza neanche il tempo di capire chi o che cosa le avesse colpite tre delle dieci navi della prima linea esplosero o affondarono, sventrate fin nel profondo, mentre altre due furono seriamente danneggiate.

«In nome del cielo.» disse sconvolto Kilyan

«Non perdiamo la calma!» replicò Joanne, che cercava nonostante tutto di mantenere l’autocontrollo «Aumentare la potenza di fuoco e mirare basso! Saranno pure corazzate, ma la chiglia è da sempre il punto debole di qualsiasi nave».

Invece, anche la chiglia delle aeronavi nemiche era rinforzata, per la precisione poteva vantare una doppia rivestitura metallica, oltre ad una superficie estremamente liscia che faceva scivolare i proiettili rendendo loro difficile riuscire a sfondare.

Dopo quattro bordate, lanciate con una rapidità quasi sconvolgente, la prima linea di Grasse era già stata decimata.

«Saito, Louise, Kaoru.» disse sottovoce Joanne mentre la seconda linea si disponeva in formazione «Fate presto».

 

Ora era davvero tutto pronto.

Il Roma, ribattezzato Valliere, nome scelto da Saito in onore della sua Louise, dopo settant’anni di torpore era pronto a solcare nuovamente il mare.

Sul ponte, nella stiva, sui vari livelli, i soldati che Kaoru aveva personalmente addestrato, e che provenivano per buona parte da Otisa e dai villaggi vicini, si arrabattavano per farla tornare a ruggire, cercando di attingere a quelle conoscenze e a quel coraggio che scorrevano nel loro sangue in quanto discendenti del grande equipaggio che per primo aveva fatto muovere quel gigante di legno e acciaio.

Ancora una volta, Saito volle evitare che Louise si esponesse a rischi inutili, pertanto la affidò alle cure e alla sorveglianza del professor Colbert perché la tenesse al sicuro, e contrariamente al solito, forse consapevole che ulteriori pressioni e preoccupazioni erano l’ultima cosa di cui il suo sposo e il suo famiglio avessero bisogno in quel momento, la piccola Louise accettò di restare in disparte.

«Mi raccomando, fate attenzione.» disse stringendo la mano a Saito

«Io ho fatto del mio meglio.» disse il professor Colbert quasi a volersi discolpare anzitempo «Purtroppo, non aver avuto la possibilità di svolgere delle prove non mi permette di essere sicuro al 100% che tutto andrà per il verso giusto.»

«Non si preoccupi.» rispose Saito «Ci fidiamo del suo lavoro. Vedrà che andrà tutto bene.»

«Voglio sperarlo.» mormorò Kaoru tra sé e sé «O alla battaglia non ci arriveremo neppure».

In quella, Siesta gli si avvicinò, un po’ imbarazzata ma comunque ferma nella sua convinzione; con sé aveva una bambola di pezza, un giocattolo d’infanzia che aveva trovato per caso qualche tempo prima rovistando in un vecchio baule.

«Questo era il mio portafortuna.» disse porgendola a Kaoru «Portalo con te».

Lui la guardò un momento, poi, abbozzando un sorriso, accettò il regalo, prendendolo in mano e stringendolo forte.

«Ti ringrazio. Mi servirà sicuramente.» rispose, guadagnandosi un’espressione di gioia.

A quel punto, i due ragazzi lasciarono i loro amici, ed arrampicandosi su di una scala a corde raggiunsero il ponte, per poi portarsi entrambi in cabina di comando.

Anche qui, come nel resto della nave, i preparativi fervevano senza sosta, ed era quasi tutto pronto.

«Kaoru.» disse Saito

«Sì?»

«Tu sai meglio di chiunque altro come far muovere questa nave. Di conseguenza, credo che il comando debba spettare a te.

Portaci all’orizzonte.»

«Ne sei sicuro?»

«Sicurissimo. Non ho ragione, Derf

«Assolutamente. E poi, visto che il comandante deve andare a fondo con la sua nave, almeno in questo modo non ci giocheremo il governatore.»

«Grazie tante.» risposero in coro Kaoru e Saito, per poi scambiarsi un cenno d’intesa

«D’accordo.» disse Kaoru, che fatto un passo avanti batté un po’ più forte il piede a terra, guadagnandosi gli sguardi l’attenzione ed il saluto degli altri ufficiali di comando

«Prepararsi a salpare! Tutti ai vostri posti!»

«Sissignore!».

Il proprio, personale contributo a quell’avventura, Louise lo diede scagliando la sua Exlplosion contro il muro di sassi e rocce che bloccava l’ingresso alla caverna, inondando l’antro di luce e liberando la strada ai suoi compagni aprendo loro la via verso il mare.

«Motori a piena potenza!»

«Motori a piena potenza!»

«Macchine a tutta forza!»

«Macchine a tutta forza!».

Si udì un boato, una specie di lunghissimo tuono, e dal ventre della nave giunse un rumore simile ad un fischio ininterrotto; subito dopo, le eliche presero a girare.

Le due ancore furono sollevate, le turbine furono spinte al massimo, e sotto la spinta dei 130000 cavalli la Valliere si mise in moto, emergendo dall’interno della scogliera sotto gli occhi sbigottiti e speranzosi delle donne, dei vecchi e dei bambini di Otisa, venuti a salutare i loro soldati che partivano per la guerra.

Dopo più di mezzo secolo di immobilità e desolazione, il motore della nave cantava ancora come un usignolo, ed il fasciame che la ricopriva vibrava e risplendeva come il primo giorno.

«Rotta sud sud-ovest! Quindici gradi a babordo!»

«Quindici gradi, ricevuto!» disse il timoniere.

Saito e Kaoru si spinsero al largo per due o tre miglia, poi fu il momento della verità. Solo volando potevano sperare di arrivare in tempo per salvare i loro compagni da una sicura disfatta.

Tramite l’interfono, Kaoru e gli altri addetti al ponte di comando chiesero conferme ai vari settori per avere certezza che tutto fosse pronto.

«Ora sapremo se questa nave è valsa la fatica fatta per rimetterla in sesto.» disse Saito speranzoso

«Emanazioni magiche nella norma!»

«Strumenti di controllo e di manovra passati in modalità aerea!»

«Pressione delle turbine sotto i livelli di guardia!»

«Sistemi propulsivi pronti!»

«Energia della pietra fluttuante pronta per la sublimazione!»

«Condotte di alimentazione aperte!».

I due ragazzi si guardarono un momento, poi, Kaoru diede l’ordine.

«Valliere! Decollo!».

La sensazione, non nuova per Saito, fu quella di stare decollando a bordo di un grande aereo di linea, mentre per tutti gli altri, e un po’ forse anche per Kaoru, fu qualcosa di mai provato prima.

La pietra fluttuante nella stiva si illuminò, spandendo la sua energia per tutta la nave, e come per incanto la Valliere, sospinta dai suoi motori, si sollevò sempre di più dal pelo dell’acqua, fino a riemergere completamente, mettendo in mostra la sua chiglia mastodontica e puntando dritta verso l’alto.

Alle sue spalle, le potenti turboeliche sospingevano non più acqua, ma un misto di aria ed energia che come una propulsione a spinta permettevano di governare la nave come se non meglio che sulla superficie del mare, il tutto grazie al semplice utilizzo del timone.

La Valliere si portò fino a trecento metri, un’altezza da sempre considerata ottimale per una battaglia tra aeronavi, poiché andando più in alto c’era il rischio di imbattersi in violente correnti ascensionali, mentre più in basso aumentavano i rischi di impatto con il suolo per improvvisi cambiamenti di vento.

Entrambe cose che, a conti fatti, non spaventavano minimamente quel gigante dei cieli, che al posto del vento usava l’energia, e che vantava uno scudo tanto resistente che solo precipitando verticale si sarebbe danneggiato sul serio.

Nessuno era mai riuscito a far volare una cosa del genere; e loro ce l’avevano fatta al primo tentativo.

«Non credo ai miei occhi.» disse Saito affacciandosi da un vetro «Il professor Colbert è stato davvero eccezionale.»

«Rapporto, signori.» ordinò Kaoru

«Tutte le strumentazioni sono operative e funzionanti.

Alimentazione stabile. Sistemi in perfetto ordine. Altitudine e beccheggio stabili. Vento a poppa, due nodi.»

«Procedere verso rotta prestabilita. Sud sudovest. Massima velocità.»

«Sud sudovest! Massima velocità!»

«Resistete, amici.» disse Saito «Stiamo arrivando».

 

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Capitolo 30
*** 27 ***


27

 

 

Intanto, nei cieli sopra il piccolo arcipelago delle Sermillon, un agglomerato disabitato di scogli e isolotti, la battaglia tra Floubert e Grasse stava assumendo sempre più i contorni di un massacro.

Caduta anche la seconda linea, le poche navi rimase della flotta di Joanne e Kilyan si erano poste come ultimo baluardo contro le navi di Solomon, che tuttavia, sicuro della sua superiorità, piuttosto che affondarle immediatamente aveva preferito godersi lo spettacolo di una loro lenta ed inesorabile fine scagliandogli contro decine e decine di cavalieri dei draghi, altro gentile dono di Reconquista al suo esercito.

I draghi volavano attorno alle navi nemiche come uno stormo di gigantesche mosche, sputando palle di fuoco a destra e a sinistra e provocando incendi a non finire, oltre a morti e feriti che ormai non si contavano più.

Ormai era solo questione di minuti.

Appena Solomon avesse deciso che era sufficiente, con un paio di bordate avrebbe chiuso la questione; e il peggio era che poteva farlo quando e come voleva, perché non c’era né fretta né rischio di essere colti alla sprovvista.

Anche il White Dragon si batteva con tutte le sue forze, sparando senza sosta contro i draghi che arrivavano da ogni direzione, ma finora erano riusciti ad abbatterne solo un paio, e intanto mezza nave stava già andando a fuoco.

Ciliegina sulla torta, alcuni draghi, quelli più grandi, trasportavano stretti tra le zampe una specie di trasporti di legno, con all’interno una decina di soldati ciascuno, che al momento giusto venivano fatti cadere sui punti delle navi di Grasse, aprendosi al momento dell’impatto e permettendosi agli assalitori di dilagare impegnando gli stremati marinai di Grasse in un disperato corpo a corpo.

Un paio di queste casse erano state sganciate anche a bordo dell’ammiraglia, ma avevano trovato la ferma opposizione di Joanne e Kilyan, che si battevano come leoni messi all’angolo.

«Giù dalla mia nave, bastardi!» continuava a gridare Kilyan pazzo di rabbia scaraventando di sotto i nemici che gli capitavano a tiro o passandoli da parte a parte.

Joanne, notoriamente fiduciosa e determinata, era consapevole che, se non succedeva subito qualcosa, per loro non ci sarebbe stato alcun futuro.

«Per noi è la fine.» disse vedendo precipitare l’ennesima nave tra il fumo e le fiamme.

D’un tratto, un marinaio che sull’alto di un pennone era appena riuscito ad avere miracolosamente la meglio su di un nemico, alzato lo sguardo vide qualcosa di assolutamente incredibile; sembrava una specie di nave, ma non assomigliava a nulla che avesse mai visto: era fatta tutta di metallo, e sopra la chiglia, invece delle vele, aveva una specie di torre.

«Nave a dritta di babordo!» urlò.

Joanne e Kilyan sgranarono gli occhi, correndo a vedere nella direzione indicata.

«È lei!» esclamò la donna «È la Valliere!».

L’arrivo della nave fu salutato con un boato di esultanza da parte degli assediati, che ritrovarono così la voglia di combattere respingendo con forza i vari abbordaggi.

Sul ponte della Valliere, Saito e Kaoru assistevano alla difesa stremata dei loro compagni, per fortuna in parte ancora vivi.

«A quanto pare siamo arrivati in tempo.» disse Saito

«Non facciamoci prendere dall’entusiasmo.» tagliò corto Kaoru «La battaglia è appena cominciata».

Anche i floubertiani restarono senza parole nel veder comparire d’improvviso quella specie di gigante di metallo, così grande e così imponente da rivaleggiare con le navi degli elfi, che pure non avevano mai avuto rivali in quanto a dimensioni e dislocamento.

«E quello che diavolo è?» disse sgomento Solomon.

Anche Fouquet era preoccupata, e conoscendo i suoi avversari era certa che, qualsiasi cosa fosse quella nave, di sicuro affondarla non sarebbe stata una cosa da poco.

La Valliere perforò la sua stessa linea come il burro, piazzandosi tra i due schieramenti e iniziando a mostrare il fianco, segno evidente della sua intenzione di sparare.

«Non mi faccio sparare! Concentrate gli attacchi su quella nave! Abbattiamola e facciamola finita!».

Obbedendo all’ordine, tutte le navi nemiche lasciarono perdere il resto della flotta per concentrarsi sulla nuova arrivata, puntandovi contro tutti i propri cannoni; data la grande distanza, probabilmente una sola bordata non sarebbe stata comunque in grado di danneggiarla in modo significativo, ma in ogni caso si trattava pur sempre di cento e più cannoni, per di più estremamente potenti.

«I cannoni nemici sono puntati su di noi!» esclamò uno degli ufficiali «Prepariamo la manovra evasiva!»

«Niente affatto!» ordinò invece Kaoru «Restiamo immobili! Se ci spostiamo ora, le loro bordate distruggeranno le altre navi.»

«Ma signore…»

«Questo è un ordine!».

Pur terrorizzati dall’idea di prendere in pieno una simile bordata, i sottufficiali obbedirono all’ordine, dando ordine di fermare le macchine e avvisando l’equipaggio di prepararsi all’impatto.

Il boato prodotto dalle navi di Floubert pochi istanti dopo si udì per decine di miglia, e produsse un fumo tale da saturare completamente il campo di battaglia annebbiando la vista. La Vallier fu investita da una vera e propria pioggia di proiettili, talmente violenta da farla tremare fin nei profondo mandando alcuni gambe all’aria.

Anche Solomon, Floubert e gli altri ufficiali lì presenti si coprirono gli occhi un momento per il fumo, sicuri che quando li avrebbero riaperti quella nave gigantesca non ci sarebbe stata più, e lo stesso fecero ugualmente Joanne e Kilyan, terrorizzati invece dal pensiero che ciò potesse realmente accadere.

Invece, quando la il fumo prese a diradarsi, la Valliere era ancora lì, intatta e immacolata; non un colpo era riuscito a scalfirla, producendo al massimo qualche lieve ammaccatura.

«No!» esclamò Solomon «Non è possibile!»

Sul ponte di comando, gli stessi ufficiali erano senza parole.

«Nessun danno segnalato!» esclamò uno di loro chiedendo informazioni all’interfono «Lo scafo ha retto!»

«Molto bene.» disse Kaoru «Adesso tocca a noi! Ordine alle torrette! Puntare su 210!»

«210, ricevuto!».

All’unisono, tutte e tre le torrette trinate principali della Valliere si mossero a puntare una delle navi nemiche, che nonostante fosse la più vicina restava comunque ad una considerevole distanza, molto superiore a quella ricopribile da un normale cannone umano.

«Signore, non ci avviciniamo un po’ di più?» chiese un ufficiale

«Non ce ne sarà bisogno».

Il comandante della nave presa di mira, accortosi di essere al centro del mirino, non parve preoccuparsi più di tanto, sentendo di essere a distanza di sicurezza.

«Ma a che diavolo stanno giocando?» si domandò guardando con il suo cannocchiale.

Di colpo, un bagliore accecante gli portò via la vista, mentre un fumo mille volte più denso del precedente compariva all’improvviso davanti ai cannoni nemici, preceduto da un rombo talmente forte da sembrare un lamento infernale.

La nave in questione fu come sventrata, e sotto gli occhi sgomenti di nemici alleati esplose come un gigantesco pallone, lasciando dietro di sé solo rottami fumanti che precipitarono inerti sul mare.

Tra gli assalitori calò un silenzio raggelante, rotto dopo qualche istante da nuove, assordanti urla di gioia dell’esercito di Grasse, ammaliato da una tale dimostrazione di forza.

«Bersaglio annientato!» disse l’ufficiale col binocolo, e a quel punto anche sul ponte esplose la festa

«Non perdiamoci in bagordi.» sentenziò Saito «La battaglia è solo all’inizio!».

In realtà Saito sperava che questa dimostrazione di forza fosse sufficiente per convincere l’esercito di Floubert a fare dietrofront e rinunciare alla battaglia, ma Solomon, pur sconvolto per ciò che aveva visto, era troppo testardo ed orgoglioso per ammettere la propria sconfitta.

«Continuate ad attaccare! Non sognatevi nemmeno di arretrare!» urlò quando vide le navi della sua flotta accennare un ripiegamento

«Ma… signore…» si sforzò di protestare il suo secondo «Quella nave è invincibile!»

«Niente è invincibile in questo mondo! E poi sono da soli! Noi siamo molti di più! Colpi teli con tutto quello che abbiamo! Voglio vederli precipitare tra le fiamme!».

Stavolta, onde evitare rischi inutili, Kaoru diede ordine di avviare una manovra evasiva per schivare le successive bordate, anche perché ormai il resto della flotta alleata si era già portata a distanza di sicurezza e non necessitava più di venire protetta.

«Maledetti idioti.» ringhiò il ragazzo, deluso quanto Saito «Non capiscono che è tutto inutile? D’accordo, se è così che la mettono… ricaricare le torrette!»

«Riarmo in atto, signore!»

«Draghi nemici in arrivo!» gridò uno

«Tutte le unità alla contraerea! Teneteli lontani!».

A bordo della nave riecheggiò una sirena, e immediatamente tutti i soldati preposti alle armi contraeree si affrettarono a raggiungere le mitragliatrici e le torrette laterali, prendendo a sputare raffiche di fuoco e proiettili contro i draghi nemici abbattendoli come tanti insetti.

Alcuni draghi riuscirono a sputare qualche palla di fuoco, facilmente respinta dalla corazzatura esterna, altri prima di essere abbattuti fecero in tempo a sganciare i propri cassoni pieni di truppe, ma i soldati al loro interno trovarono ad attenderli una brutta sorpresa.

Nelle stive della nave, oltre ai tre aerei, alle munizioni e a varie altre cose, Saito e Kaoru avevano ritrovato anche un deposito munizioni ed armamenti ancora intatto, con abbastanza mitragliatrici, fucili e pistole da armare mezzo equipaggio.

I soldati di Floubert fecero appena in tempo a mettere piede sul ponte della nave, che vennero subito crivellati dai proiettili delle armi brandite dai marinai della Vallere, di gran lunga più potenti e pericolose dei rudimentali moschetti che circolavano ad Halkengina.

Intanto le altre navi della flotta, galvanizzate da una ritrovata superiorità, avevano deciso di riunirsi alla battaglia, dando il loro contributo, per quanto esiguo, alla sconfitta del nemico; c’era la sensazione che se fossero riusciti a respingere l’attacco dei draghi, la flotta di Floubert si sarebbe ritirata anche a costo di disobbedire agli ordini di Solomon.

Anche il White Dragon partecipava allo scontro, ma forse per caso, forse proprio per volontà degli aggressori, l’attacco nemico sull’ammiraglia era particolarmente pressante, al punto che si faticava a respingerlo.

All’improvviso, l’imprevedibile.

Un drago abbattuto e morente, subito prima di esalare l’ultimo respiro, fece in tempo a lanciare un’ultima palla di fuoco, che disgraziatamente andò a centrare proprio il timone della White Dragon distruggendolo completamente.

«Signore, il timone è in avaria!» gridò il timoniere tentando inutilmente di manovrare «Non governiamo più!».

La nave era inesorabilmente in balia delle correnti, e disgraziatamente le correnti la stavano sospingendo proprio in bocca al nemico, mentre l’assalto furioso dei cavalieri dei draghi non accennava a diminuire.

Dal ponte della Valliere, Saito si accorse che l’ammiraglia stava uscendo dalla formazione.

«Che stanno facendo laggiù?».

Kaoru, preoccupato, prese il binocolo per guardare meglio, accorgendosi con grande terrore del timone distrutto, e della bandiera di avaria issata sul pennone di poppa.

«Dannazione!» gridò, e senza dire altro corse fuori dalla plancia «Saito, prendi tu il comando!»

«Aspetta, dove vai?».

Correndo il più velocemente possibile il ragazzo raggiunse la catapulta di lancio, infilandosi a bordo dell’idrovolante e ordinando agli addetti di aiutarlo a decollare.

«Presto, fate girare la piattaforma!».

Mentre alcuni marinai armeggiavano alla piattaforma per farla ruotare, un altro girava incessantemente l’elica per cercare di mettere in moto il veicolo, che forse a causa dell’età e del lunghissimo periodo di stop non voleva saperne di mettersi in moto.

«E parti, maledetto rottame italiano!» continuava a ripetere Kaoru spingendo l’accensione.

Al quinto tentativo, finalmente, il motore prese a cantare, e ad un cenno del ragazzo i marinai prima girarono la catapulta e poi spararono lanciando l’aereo nell’aria.

Nonostante gli anni sulle spalle il velivolo si lasciava pilotare abbastanza bene, e grazie al potere di Gandalfr Kaoru riusciva a maneggiarlo con una certa abilità.

«Posso sapere cos’hai in mente?» chiese Derf

«Tu che cosa dici?» replicò Kaoru puntando dritto verso il White Dragon.

L’idrovolante aveva due mitragliatrici, di cui una al posto di guida che sparava tra le pale dell’elica, caricate con proiettili ad alta penetrazione, adatti a trapassare la corazzatura dei mezzi blindati… o la pelle spessa di un drago.

Come prima cosa Kaoru fece in modo di farsi notare, disturbando i cavalieri nemici con azioni di interferenza, quindi, una volta attirata la loro attenzione, cercava di portarli lontano, sorprendendoli dall’alto con una manovra di avvitamento per poi abbatterli con alcuni colpi ben piazzati alle ali e alla testa.

«Certo che tu non ci vai leggero.» commentò Derf vedendo come il giovane colpisse senza porsi alcun tipo di freno.

Quella era una cosa che lui andava ripetendo spesso.

Lui non era come Saito e Louise; se c’era da uccidere, e se uccidere era l’unica soluzione, allora era più che pronto e disposto a farlo.

Grazie all’agilità e alla manovrabilità dell’idrovolante Kaoru riuscì ad abbattere un certo numero di draghi, ma il vero problema restavano le correnti, che sospingevano il White Dragon sempre più vicino alle navi nemiche.

La Valliere, una volta che Saito si era reso conto di cosa stava accadendo, aveva immediatamente acceso i motori per raggiungere la nave in avaria offrendole aiuto, ma era a quasi due miglia di distanza, e a motori fermi ne sarebbe servito di tempo per raggiungere la spinta propulsiva necessaria.

«Maledizione, non finiscono mai.» mugugnò Kaoru continuando a vedersi venire contro nugoli di draghi inferociti.

E alla fine, purtroppo, anche la sua fortuna si esaurì, quando un drago riuscì a colpire l’ala sinistra mandando l’aereo in fiamme e rendendolo ingovernabile.

Immediatamente il velivolo andò in stallo, nonostante i danni non fossero così grave da farlo precipitare di botto, iniziando subito a cadere come un meteorite verso il mare.

«E dai, riparti, stramaledetto!» continuava ad imprecare Kaoru tentando di rimetterlo in modo.

Joanne, Kilyan e Saito assistettero impotenti, pregando in cuor loro che non fosse vero, e che il loro amico sarebbe riuscito, come al solito, a cavarsela in qualche modo.

Joanne in particolare chiamò a se Hotarubi, che quando doveva starle accanto aveva imparato ad assumere, oltre ad un aspetto umano, anche quello di una normale volpe bianca, e balzatale in groppa come ebbe preso la sua vera forma assieme a lei si lanciò verso il basso, sperando di arrivare in tempo per aiutare Kaoru.

Nell’abitacolo, il ragazzo continuava senza sosta a spingere l’accensione di emergenza per far ripartire il motore; non si preoccupava dell’angolazione, o di cercare di raddrizzarlo: a quella velocità, se avesse anche solo sfiorato la superficie del mare sarebbe finito disintegrato in meno di un secondo.

Quando ormai era sceso al punto si riuscire a distinguere le pinne dei pesci, finalmente, il motore d’improvviso si rimise in moto, l’elica ricominciò a girare vorticosamente e lui riuscì a risalire un attimo prima di finire spiaccicato in acqua.

«Ci è andata davvero di lusso, stavolta.» disse Derf mentre risalivano

«In ogni caso» disse Kaoru guardando l’ala disastrata, ed accorgendosi di quanta fatica facesse a tenerlo «Non credo durerà ancora a lungo.»

«E allora che vuoi fare? Ritirarti?».

Il ragazzo guardò verso l’alto: proprio sotto di lui, circondata dalle altre sue navi, c’era l’ammiraglia di Floubert, ben riconoscibile dal gigantesco stemma delle isole impresso sulla fusoliera.

«No. Ho un’idea migliore. Facciamo finire questa dannata battaglia.»

«Lo sai, vero, che stavolta potresti crepare sul serio?» replicò Derf intuendo cosa il suo compare volesse fare

«Può darsi. Staremo a vedere».

In quella, Joanne gli si affiancò.

«Kaoru! Per fortuna sei ancora tutto intero!»

«Tempismo perfetto! Stai pronta a raccogliermi!»

«Raccoglierti!? Ma cosa…» ma il ragazzo se n’era già andato.

Avvicinare l’ammiraglia, come qualsiasi altra nave di quel tipo, con un aereo così piccolo e fragile dall’alto o dal fianco era un suicidio, ma dalla chiglia doveva essere ancora possibile.

Spingendo il motore fino a farlo scricchiolare e fumare, Kaoru viaggiò a tutta velocità verso l’alto, scivolando tra fumo, fuoco e proiettili fino a raggiungere e sovrastare l’ammiraglia.

«E quello che cos’è?» ringhiò Solomon vedendo quella specie di uccello gigantesco comparire dal nulla.

Poi, però, il governatore, Fouquet e tutti gli altri videro proprio quell’uccello volargli dritto contro, come se avesse deciso di schiantarsi sul ponte principale.

«Che diavolo vuole fare? Abbattetelo!».

I cannoncini e le altre armi da fuoco presenti sul ponte panoramico, oltre ai maghi lì presenti, cercarono di abbattere la minaccia scaricandole addosso tutto quello che avevano, ma pur riuscendo a colpirlo di striscio mentre si muoveva a destra e a sinistra non furono in grado di impedirne l’inarrestabile discesa.

Intanto nell’abitacolo, Kaoru stava finendo di bloccare la cloche usando i lacci delle proprie scarpe, e quando fu sicura sia di aver fatto sia di avere il ponte ancora al centro del mirino, senza timore abbandonò l’aereo e si gettò nel vuoto, sicuro che qualcuno lo avrebbe recuperato.

I generali di Solomon videro quella specie di mostro continuare a puntare dritto su di loro; ormai era vicinissimo, quindi, incuranti degli ordini e della rabbia del loro superiore, se la diedero a gambe accalcandosi attorno alla porta che conduceva sottocoperta.

«Dove andate vigliacchi?» gridò Solomon pazzo di rabbia.

Anche Fouquet, però, non aveva alcuna intenzione di restare lì un secondo di più, ma a differenza degli altri preferì essere assolutamente sicura di uscirne viva e si gettò di sotto, usando una serie di rudimentali materassi di vento in sequenza per riuscire ad atterrare in mare sostanzialmente incolume, aggrappandosi subito ad un rottame galleggiante.

Ormai, per Solomon era la fine.

«Maledetti!» ringhiò vedendo l’uccello gigante ormai sul punto di travolgerlo «Maledetti tristeniani!».

Un secondo dopo, l’aereo centrò in pieno il ponte della nave; fosse era colpa della costruzione affrettata, forse quelle navi erano meno solide di quanto ci si potesse aspettare, fatto sta che il velivolo riuscì a sfondare le assi del ponte penetrò nel cuore del vascello come il pungiglione di una zanzara, esplodendo al suo interno e sventrando letteralmente la nave dal suo interno.

L’ammiraglia fu come dilaniata da dentro, spaccandosi, incrinandosi e riempiendosi di squarci per poi precipitare avvolta dalle fiamme tra le esclamazioni di gioia dei soldati di Grasse.

Quanto a Kaoru, in qualche modo se l’era cavata; si era gettato dall’aereo prima che Joanne lo avesse raggiunto, ma Hotarubi era riuscita lo stesso a recuperarlo afferrandolo al volo con una delle sue code.

«Avevi ragione, Derf.» disse tirando un sospiro di sollievo «Questa volta ci siamo andati davvero vicini.»

«Già. Ma ti prego, non farlo più».

Con l’ammiraglia affondata, il loro comandante morto, e con quella gigantesca nave d’acciaio come avversario, il resto della flotta di Floubert non ebbe altra scelta che arrendersi, e una bandiera bianca fu presto issata sui pennoni delle navi restanti, dando il via a nuove, assordanti grida di gioia e di esultanza.

Anche Saito non riusciva a crederci.

In qualche modo, chissà come, avevano vinto. Ancora una volta, la fortuna e la speranza erano state dalla loro parte.

Quando poi Hotarubi riportò Kaoru a bordo della Valliere, il ragazzo fu salutato come un eroe; per merito suo era stata evitata una lunga ed inutile battaglia, che avrebbe significato sicuramente la perdita di molte altre vite.

Anche Saito venne a salutarlo e a ringraziarlo.

«Non c’è che dire.» disse stringendogli la mano «Hai sette vite come i gatti.»

«Così sembrerebbe».

Poco dopo la flotta vincitrice, ulteriormente arricchita dalle navi nemiche catturate, fece nuovamente vela verso la costa di Tristain, osservata dalla superficie del mare da Floubert, più contrariata e infuriata che mai.

«Aspettate e vedrete, maledetti.» disse a denti stretti «Prima o poi la vostra fortuna finirà».

 

 

Nota dell’Autore

Salve a tutti!^_^

L’altra volta mi sono dimenticato di mettere la nota, ma rimedio ora con questa.

Anzitutto sì, sono tornato. Come ho già scritto ai miei recensori, mi sono voluto prendere una certa pausa riflessiva, sia per radunare ed affinare le idee per questa fiction sia per dedicarmi ad un’altra, facente parte di un progetto più grande e questo destinata ad avere un po’ di precedenza.

Noterete che questi nuovi capitolo sono decisamente più brevi di quelli a cui vi avevo abituati.

Questa è la prima novità; ho deciso che bisogna essere più concisi. Più pagine significano più tempo per doverle leggere, cosa che alla lunga rischia di scoraggiare i lettori.

Le altre novità sono a livello di trama, ma verranno spiegate e raccontate più avanti.

A presto!^_^

Carlos Olivera

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Capitolo 31
*** 28 ***


28

 

 

A nord-est di Tristain c’era una costruzione, una fortezza, eretta nell’unico e più vasto valico dell’immensa catena montuosa che correva lungo il confine tra con Germania.

Si chiamava Château de Le Clerc, dal nome della locale famiglia di feudatari, ma tutti nella regione lo chiamavano semplicemente Il Vallo. Perché questo era; una enorme barricata che correva da sponda a sponda, come una specie di gigantesca diga, eretta a presidio della principale via di comunicazione tra le due nazioni, il cui scopo originario era quello di proteggere e sorvegliare gli scambi commerciali, ma che, ormai, era diventata l’unica barriera in grado di assicurare la difesa di Tristain, o di quanto restava di essa.

I rapporti tra Germania e Tristain non erano mai stati particolarmente idilliaci, anche se negli ultimi anni la situazione era un po’ migliorata, ma ora che il Paese era devastato dalla guerra civile, e che anche la casa reale teutonica stava faticando a mantenere il controllo sulle numerose province che costituivano il suo vasto territorio, era forte il timore che Germania potesse tentare di approfittare della situazione per cercare di assoggettare una nazione spaccata e vulnerabile.

Proprio per questo motivo, la famiglia Le Clerc era stata l’unica che, come in un tacito accordo tra tutti gli altri potenti di Tristain, era stata lasciata al di fuori del conflitto, perché potesse continuare a svolgere indisturbata il proprio dovere di protettrice della sovranità nazionale.

A Germania, però, la situazione di caos a Tristain era ormai cosa nota, così come in tutta Halkengina, e più volte il Vallo era stato oggetto di assalti da parti di gruppi di spie o incursori inviati da chissà quale kaiser tedesco per scoprire meglio cosa stava accadendo oltre il confine.

Ma non era facile avere ragione delle guardie di confine che abitavano la fortezza, uomini duri e aspri, temprati dal freddo e dall’acciaio, proprio come il loro comandante, il capitano di brigata granduchessa Angela LeClerc.

I suoi genitori non avrebbero potuto scegliere per lei un nome più sbagliato; è vero che, fisicamente, poteva apparire come una giovane di rara bellezza, con quei lunghi capelli biondo paglierino, quei profondi occhi viola nascosti da un paio di occhiali, quella pelle candida e quel viso austero ma grazioso, ma in realtà quella era una tigre travestita da gatto.

Due sole cose contavano per lei; la salvezza dello stato e quella dei suoi uomini. Tutto il resto era secondario; ma perché considerasse i suoi uomini veramente suoi, questi dovevano andare al di là dei comuni soldati di confine: dovevano essere dei combattenti nati, rudi e temprati dalle fatiche, mai soggetti a lamentela alcuna e fermamente motivati nel proprio dovere.

Gli uomini a guardia della fortezza che il fratello Pierre, legittimo capo della famiglia dopo la morte dei genitori, le aveva affidato, li aveva scelti tutti lei, personalmente, e questi ormai la consideravano più importante e degna di rispetto persino della loro madre.

E con un simile drappello di inflessibili ed efficientissime guardie di confine, chi o che cosa avrebbe mai potuto valicare l’inviolabile limite del Vallo?

Nel fitto dell’inverno, con tempeste di neve a spazzare impietosamente le montagne, il Vallo appariva in lontananza come una enorme ed inquietante costruzione nera, un muro oltre il quale era impossibile andare.

Sul tetto, e sulle numerose terrazze che si intervallavano ad altezze regolari, soldati amati e ben coperti da pesanti cappotti montavano la guardia archibugi alla mano, pronti a sparare al minimo segnale di pericolo.

Ma nelle notti come quella, era facile per delle spie e degli assaltatori ben addestrati riuscire a violare quella barriera altrimenti inespugnabile.

Erano passate da poco le dieci di sera, l’ora del cambio della guardia, quando uno dei soldati che pattugliavano la terrazza del livello tre ebbe l’impressione di scorgere qualcosa con la coda dell’occhio, mentre camminava lungo la terrazza che dava oltre il confine, verso le sterminate foreste di Germania.

Incuriosito, ma non troppo convinto di aver visto bene, si affacciò un momento, salvo tornare subito sui suoi passi una volta sicuro che non vi fosse niente di sospetto; se solo fosse stato un po’ più attento, e avesse rivolto lo sguardo anche in alto oltre che in basso, si sarebbe sicuramente accorto di tre figure avvolte in lunghi mantelli scuri e i volti nascosti dai cappucci che, come ragni sulla tela, restavano attaccati alle mura ghiacciate e scivolose del castello, perfettamente immobili.

Attesero che la guardia tornasse sui suoi passi, quindi uno dei tre fece un cenno ai suoi compagni, coi quali riprese a salire.

Una volta giunti in cima, si issarono non visti sulla balconata, e silenziosi come spettri si infilarono all’interno dell’edificio; avrebbero potuto tentare semplicemente di scendere dal lato opposto, affacciato sul territorio di Tristain, ma temendo forse il vento contro, che avrebbe reso problematica la discesa, preferirono invece tentare la sorte dentro, alla ricerca di un punto di uscita più abbordabile.

Purtroppo, la scelta si rivelò infelice.

Erano riusciti a scendere già di tre livelli, e stavano dirigendosi verso l’uscita, quando per puro caso un soldato si ritrovò senza volerlo faccia a faccia con loro uscendo dal gabinetto.

Lo stesero senza difficoltà, ma dal suo archibugio partì accidentalmente un colpo che fu sentito praticamente in tutto il castello, funzionando meglio di un allarme.

Guardie e soldati arrivarono da ogni dove, ma benché circondate le tre spie, stranamente, invece che combattere preferirono fuggire, scappando in varie direzioni e separandosi.

Una di loro, la più agile delle tre, camminando letteralmente sul soffitto, da far venire invidia ad un maestro di parkour, arrivò fino nel refettorio del secondo piano, ma una volta che vi fu arrivata le guardie ce la rinchiusero dentro sbarrando tutte le uscite, e lei a quel punto non ebbe altra scelta che arrendersi.

Un’altra, una vera furia scatenata, prese a correre per i corridoi agitando un bastone a destra e a manca, forte di un’abilità nel bojutsu quasi fuori dal comune, ma anche per lei giunse il momento di gettare la spugna quando, soverchiata e assalita da ogni parte, venne praticamente sommersa da una massa di guardie che dopo averla immobilizzata la legarono ben bene rendendola innocua.

La cosa incredibile fu che, togliendo loro il cappuccio, le guardie si ritrovarono davanti a due giovani ragazze, probabilmente appena ventenni; la prima aveva capelli color vino abbastanza corti, due occhi vispi come la sua agilità, e un atteggiamento un po’ infantile, la seconda invece era una specie di tigre in gabbia, occhi gialli sprezzanti a una lunga e fluente chioma blu, raccolta sopra la nuca in una setosa coda di cavallo che scendeva fino alle ginocchia.

Mentre veniva dato l’allarme, e in tutto il castello scattava la caccia agli intrusi, nella sua stanza il comandante LeClerc, da integerrima e sempre presente ufficiale quale era, pur venendo tirata giù dal letto si sistemò in fretta, rinchiudendosi nella sua divisa da ufficiale, recuperò la spada, quindi uscì all’esterno, dove l’attendeva il suo fedelissimo servitore, un vecchio maggiordomo sulla settantina di nome Victor, capelli laccati neri raccolti in un codino all’inglese, piccoli occhiali da vista e un viso scavato dalle rughe.

«Mi scusi per l’inconveniente, signorina.» le disse rispettosamente accodandosi a lei

«Che è successo?»

«Tre intrusi giunti da Germania. Due li abbiamo già catturati, il terzo è ancora latitante.»

«Non deve uscire per nessun motivo da questo castello. Trovatelo.»

«Sarà fatto».

L’ultimo fuggitivo infatti stava rivelandosi più coriaceo degli altri due; in particolare, a differenza delle sue compagne, quest’ultimo aveva dimostrato di essere uno stregone, cosa che lo rendeva difficilmente affrontabile dai comuni soldati, per quanto numerosi potessero essere.

Aprendosi la strada a forza di palle di fuoco e bombe di aria rovente, per fortuna o per precisa volontà senza provocare vittime o contusi particolarmente gravi, la terza spia arrivò fino all’androne principale del castello, con solo il portone ed il largo fossato a dividerla dalle verdeggianti campagne di Tristain.

Era quasi sul punto di averla vinta, quando d’improvviso un’ombra minacciosa la sovrastò saltando giù dalla grande balconata che dominava la sala; rotolando, si spostò appena in tempo per evitare un affondo di spada che altrimenti non le avrebbe lasciato scampo.

Angela poteva non essere uno stregone di talento, e infatti non aveva mai frequentato una scuola di magia per sua esplicita volontà, ma in tutta Tristain, per non dire in tutta Halkengina, non erano molti quelli che potevano dire di aver vinto un duello al fioretto contro di lei.

Forse capendo di avere di fronte un avversario di un altro livello rispetto a quelli incontrati finora, la spia si mise sull’attenti preparandosi al combattimento, mentre di contro Angela fece segno ai suoi soldati, che avrebbero voluto aiutarla, di stare indietro.

«Statene fuori. Non è cosa per voi».

La spia sfoderò la sua bacchetta magica, e per interminabili secondi i due avversari stettero a fissarsi mentre attorno a loro calava il silenzio.

Poi, l’assalto.

Angela colpì per prima, cercando subito l’affondo risolutivo, ma l’avversario si rivelò più agile del previsto e per lungo tempo riuscì a schivare bene tutti i colpi, senza tuttavia cercare in qualche modo di rispondere a tono, quasi avesse paura di fare del male al capitano.

Questo però fu solo per i primi secondi, perché dopo anche la spia, forse rendendosi conto che Angela aveva tutte le intenzioni di vincere, decise di fare sul serio, scagliando colpi di fuoco a ripetizione ogni volta che poteva; ma anche il capitano era agile, come ci si aspetterebbe da una maestra del fioretto, e anche quando non riusciva a schivare i globi incandescenti le bastava infilzarli o comunque colpirli con la sua spada, che in realtà era la sua personale bacchetta magica: non possedeva l’abilità di scagliare incantesimi, ma era fatta di un materiale speciale che di contro annullava quelli che le venivano scagliati contro, e che, oltretutto, se usata per ferire uno stregone, anche solo di striscio, poteva indebolirlo in modo non indifferente.

«Quindi.» disse la spia in una aggraziata e suadente voce femminile «È vero quello che si diceva, che lei era una campionessa di scherma.»

«Ero!?» replicò Angela «Lo sono ancora adesso!».

La spia si ritrovò ben presto in condizione di acceso svantaggio, perché al di fuori delle sue indubbie capacità nella magia del fuoco erano pochi gli assi che poteva calare per opporsi ad una maestra di spada come il capitano.

A quel punto, fu il momento di chiudere la partita.

Per ogni incantesimo che aveva disperso o parato, lo stocco del capitano LeClerc ne aveva assorbito una parte del potere, e questo gli aveva permesso di incamerare abbastanza energia da scagliare l’unico sortilegio che Angela conosceva.

La lama lunga e sottile prese a brillare di una luce biancastra, ed il capitano prese a lanciare un affondo dietro l’altro, ad una velocità quasi inconcepibile per un essere umano.

 

MIRAGE SLASH!

 

 Ad ogni colpo si generavano piccole frecce luminose, che come tante punte di freccia volarono in direzione della spia colpendola in più punti. Nessuna punta ferì il bersaglio, visto che Angela voleva prenderla viva, limitandosi a lacerare il mantello in più punti facendolo a brandelli. E ad ogni lembo che cadeva, agli occhi del capitano e dei suoi uomini andarono delineandosi i lineamenti di una bellezza quasi etnica, pelle scura d’ebano, occhi vispi color tramonto, labbra piccole e maliziose e, in ultimo, una lunga e fluente chioma rosso brillante, un vero spettacolo per gli occhi.

Messa a nudo, e comprendendo di essere in svantaggio, la spia piegò le labbra in un enigmatico sorriso, quindi alzò le braccia in segno di resa.

«D’accordo, mi arrendo».

Nonostante ciò, il capitano non era tranquillo; a ben guardare, quella ragazza era indubbiamente una strega di grande talento, e sconfiggerla era stato fin troppo facile. Come se farsi catturare fosse stato proprio il suo obiettivo.

«Che cosa vuoi?» le domandò perentoria

«Vedere una persona, col vostro permesso.» rispose lei facendo l’occhiolino.

 

Il White Dragon calò l’ancora ed approdò sull’eliporto sul tetto della fortezza.

La vista era bella da togliere il respiro. Ora che la tempesta era passata, e l’aria si era ripulita, le montagne tutto attorno svettavano in tutta la loro imponenza e magnificenza.

Saito e Louise si erano rinchiusi in pesanti cappotti foderati di pelo per combattere il freddo pungente, e come scesero dalla nave trovarono la duchessa Angela ed il suo attendente Victor ad attendere il loro arrivo.

«Lord Hiraga. Miss Valliere. Piacere di conoscervi.»

«Piacere nostro, capitano.» disse Saito stringendole la mano

«Beh… benvenuti a LeClerc. Questo è il confine del mondo.»

«Avevo sentito parlare tante volte di questo castello.» disse Louise meravigliata guardandosi intorno «Ma vederlo così da vicino lo fa sembrare ancora più incredibile.»

«Mi dispiace avervi fatto accorrere qui con così poco preavviso. Immagino che anche per voi le cose non vadano troppo bene.»

«Non c’è problema.» rispose Saito «Abbiamo lasciato tutto in mano al generale del nostro esercito. Con lui non c’è niente da temere.»

«Il fatto è che il prigioniero ha chiesto insistentemente di poter parlare con voi. Afferma di avere notizie molto importanti da Germania, ma di avere ordine preciso di comunicarle solo a voi.»

«D’accordo. Allora vediamolo».

Angela condusse allora Saito e Louise nelle celle sotterranee dove aveva fatto accomodare le sue tre inattese ospiti, una per ogni cella tanto per essere sicuri.

Quando arrivarono, la prigioniera era distesa sulla branda impegnata in uno scomodo riposino, ma sia a Saito che a Louise bastò vedere il provocante profilo del corpo e la lunga chioma rossa per capire di chi dovesse trattarsi.

«I tuoi ospiti sono arrivati.» disse Angela battendo sulle sbarre.

Un secondo dopo, Saito era stretto nella morsa letale di due braccia d’acciaio, con la fronte appoggiata alle sbarre e la faccia affondata tra due enormi seni.

«Darling! Quanto tempo è passato!»

«Ki… Kirche!?» disse lui cercando di liberarsi

«Lascialo andare subito, maniaca di una strega!» sbraitò inviperita Louise «Lui è mio marito.»

«Eddai chibi-Louise, non essere così egoista. Non ci vediamo da due anni, lasciami godere almeno un po’.»

«Ho detto lascialo!».

L’Explosion che seguì fu la prova che Louise aveva ormai del tutto recuperato i propri poteri, e dal canto suo Saito non avrebbe potuto esserne più infelice.

«Mi… mi mancava questa sensazione.» balbettò Kirche, che era stata sparata fino all’altro capo della cella.

Poi, fu il momento di farsi seri, e la prima a farlo fu, incredibilmente, la stessa Kirche.

«Ho bisogno di parlarvi. È molto urgente.»

«Che è successo?» domandò Louise, calmatasi anche lei

«Riguarda l’ambasciatore Orland

«L’ambasciatore?» disse Saito «Lo conosco. È anche imparentato alla lontana con Louise. È una bravissima persona.»

«È stato lui a mandarmi. Ha bisogno del vostro aiuto.»

«Il nostro aiuto!?».

Di fronte a quella rivelazione Kirche fu fatta uscire, e così anche le sue due amiche, la rossa Morea e la turchese Silvye, quindi tutti si spostarono in un salottino appartato dove avrebbero potuto conversare senza essere uditi da orecchie indiscrete.

C’era anche Angela, invitata speciale in quanto signora del castello e guardiana dei confini nazionali.

Prima ancora che iniziasse il discorso, però, Saito notò su di sé una strana atmosfera.

«Ma che cosa gli ho fatto?» si domandò un po’ spaventato vedendo le due amiche di Kirche che lo fissavano in modo assai minaccioso, ma a tratti quasi tragicomico.

«Perdonale.» minimizzò Kirche «Non farci caso. Sono le guardie del corpo della mia famiglia.»

«Come è possibile che Kirche-sama si sia innamorata di questo sgorbietto?» domandò Silvye

«Imperdonabile.» disse di rimando Morea

«Allora, Kirche.» tagliò corto invece Louise «Cosa intendevi prima parlando dell’ambasciatore?».

A quel punto allora anche la conturbante germanica si rifece seria.

«Ho saputo quello che sta accadendo attualmente a Tristain, e mi dispiace.» iniziò a spiegare «Ma anche a Germania in questo momento le cose non vanno troppo bene.

I conflitti interni del vostro Paese hanno iniziato a diffondersi anche nel mio. Da qualche tempo la capitale non è più sicura, e già da qualche mese l’ambasciatore Orland si è trasferito a vivere nella sua seconda residenza germanica a Wastulf, una trentina di miglia a est del confine con Tristain. Il Land di Wastulf confina con quello di Gloichenau, retto da lord Eichart, e tra i due non è mai corso buon sangue.

Recentemente, però, le cose sono anche peggiorate.»

«Che cosa vuoi dire?» domandò Saito

«Voi conoscete l’ambasciatore meglio di me. Sapete quanto sia inflessibile e dedito all’onestà. Diverso tempo fa ha scoperto che Eichart ha approfittato dell’instabilità politica per accumulare illegalmente ingenti ricchezze contrabbandando armi con Tristain e rubando sulle tasse del suo Land

«Ha scoperto che il lord è corrotto!?»

«Prima che avesse inizio tutto questo lord Eichart era stato pubblicamente accusato di vari atti criminali, e stava per essere processato. Ma poi al nord alcuni feudi hanno dato il via ad una ribellione e il kaiser è dovuto partire per sedarla.

L’ambasciatore non si è sentito al sicuro, così ha cercato di rientrare a Tristain fino a che le acque non si fossero calmate, ma appena arrivato a Wastulf il land è stato occupato dalle truppe di Eichart, e ora Orland è bloccato nella sua residenza in città.»

«Intelligente questo Eichart.» commentò Angela «Approfitta della situazione per sbarazzarsi del suo accusatore.»

«In queste ultime settimane Eichart è riuscito a rivolgere la situazione a proprio vantaggio, accusando Orland dei crimini da lui stesso commessi, e quello che è peggio è che la popolazione ha iniziato a credergli. Il signore di Wastulf è già scappato, e anche se per ora i soldati dell’ambasciatore continuano a difendere il suo palazzo non passerà molto prima che Eichart riesca a convincere la folla ad assaltarlo.»

«Ma noi che cosa dovremmo fare?» chiese Louise

«Tu sei una maestra del vuoto, Louise. Abbiamo visto tutti di che cosa sei capace. Non potresti aprire un portale per portare in salvo l’ambasciatore? Questo è l’unico modo che abbiamo per essere sicuri di poterlo salvare».

I due sposi abbassarono il capo, affranti e mortificati. Kirche si preoccupò non poco.

«Che succede.»

«Ecco… veramente…».

Louise non ebbe altra scelta che spiegare tutto; il fatto di essere incinta, la perdita dei poteri, e un ritorno al pieno potenziale che come tutti sapevano non si sarebbe verificato tanto presto.

Kirche restò di sasso.

«Non ci posso credere!» esclamò a racconto finito «Proprio in questo schifo di momento!»

«Ho recuperato buona parte dei miei poteri.» disse mortificata Louise «Ma solo dopo il parto torneranno al cento per cento, e mi serve tutta la mia magia per poter aprire un portale.»

«Maledizione.» mugugnò Morea «Dopo tutta la fatica fatta per arrivare fin qui.»

«Moera non ha torto, Kiche-sama.» disse Silvye «E ora che cosa facciamo?»

«Non ne ho idea.» rispose lei visibilmente provata.

La risposta a quella domanda, invece, Saito la conosceva già.

«Quanto ci si impiegherebbe da qui a raggiungere Wastulf?» domandò con convinzione.

Kirke lo guardò perplessa.

«Circa tre giorni, andando a passo spedito.»

«Che cos’hai in mente, Saito?» chiese Louise, che in realtà conosceva già la risposta.

Saito guardò tutti molto severamente, e per ultima Kirche, che restò allibita.

«L’ambasciatore è un mio amico, e anche non lo fosse non esiste che io lo abbandoni laggiù condannandolo a morte.» quindi disse risoluto «Andiamo a prenderlo. Lo porteremo fuori».

Tutti restarono di sasso. Fu Angela a spegnere per prima gli entusiasmi.

«Col dovuto rispetto, lord Hiraga, ma è un suicidio. Ci sono trenta miglia da qui a Wustalf, trenta miglia di foreste sterminate e piene di pericoli. Per non parlare del fatto che lord Eichart non starà certo a guardare, e che farà quanto è in suo potere per impedire all’ambasciatore Orland di lasciare vivo Germania.»

«Forse. Ma non sarà mai così folle da scagliarsi contro il Vallo. Questa muraglia impressionerebbe chiunque, e lui da solo non ha i mezzi per espugnarla. Se riusciamo a portare qui l’ambasciatore lo abbiamo salvato.»

«Ma Saito.» disse Kirche «Sono oltre sessanta miglia di viaggio. E Wustalf in questo momento non è in condizioni migliori di Tristain. Ci sono più tagliagole che contadini.»

«E voi vorreste lasciare l’ambasciatore Orland in balia dei suoi nemici?» domandò severamente il ragazzo.

Tutti abbassarono gli occhi timorosi e indecisi.

«Se non per l’amicizia.» disse Saito rivolgendosi in particolare a Louise e Angela «Almeno per quanto l’ambasciatore ha fatto per assicurare la pace e l’alleanza tra Tristain e Germania, abbiamo il dovere di fare qualcosa per tentare di salvarlo.»

«Saito ha ragione.» disse Louise riacquistando sicurezza «E poi l’ambasciatore è un mio parente. Ho il dovere di aiutarlo».

Di fronte alla determinazione dei due ragazzi, anche Kirche e le sue due amiche riacquistarono rapidamente la propria.

«Ben detto. Non sia mai che la dia vinta a quel porco corrotto di Eichart. E poi, non posso certo far mancare il mio aiuto al mio darling quando ne ha più bisogno.»

«Vi rendete conto di quanto possa essere pericoloso?» chiese Angela, che di tutti era sicuramente la più materialista «Voi da soli, in un territorio sterminato e ostile, contro un intero esercito.»

«Ne abbiamo passate di peggiori.» disse Saito sforzandosi di mostrarsi sicuro «E comunque, saremo in quattro.»

«In cinque, vorrai dire.» esclamò Louise scattando in piedi «Questa volta vengo anch’io con te.»

«Ma, Louise… potrebbe essere pericoloso.»

«Sono stufa di essere messa in disparte.» le disse la ragazza con la sincerità e la dedizione negl’occhi «Vederti andar via senza sapere che tornerai. Voglio essere al tuo fianco. Soprattutto ora che posso di nuovo essere d’aiuto.»

«Louise…».

La ragazza si toccò un momento il ventre.

«Non temere. Non ho dimenticato il peso che porto. Ma questo non mi impedisce di poter dare il mio contributo. Sono la stessa Louise di sempre».

Saito restò un attimo basito, poi sorridendo le sfiorò una guancia.

«Saito…»

«D’accordo, Louise. Ho fiducia in te. Se dici che puoi farcela, allora ti credo. Dopotutto, non sei più una bambina».

Anche lei a quel punto sorrise.

«Grazie».

Angela si passò una mano sulla fronte, sospirando preoccupata.

«Siete pazzi. Lo sapete, vero?».

 

Già qualche ora dopo, il gruppo era pronto a partire.

Angela aveva messo a disposizione dei cinque i migliori cavalli delle sue scuderie, e ora si apprestava a fare aprire il pesante, immenso portone che guardava nella direzione di Germania. Solo per aprire tutti e dodici i chiavistelli che lo ancoravano ai bastioni occorrevano quaranta minuti e la forza congiunta di quattro uomini, mentre per spalancarlo, da pesante che era, ne servivano almeno il doppio.

«Vi avviso, non ho alcuna intenzione di mettere a rischio la sicurezza del Paese per questa vostra impresa.» disse severamente il capitano LeClerc mentre i ragazzi montavano in sella «Tra quattro giorni farò riaprire il portone, e lo terrò aperto per altri tre, poi, che siate tornati a meno, lo farò nuovamente sprangare. È superfluo dire che gli uomini hanno comunque l’ordine di sparare a vista su qualunque intruso. Quando arriverete ad un miglio dal vallo fate il segnale convenuto, così capiremo che siete voi. Tutto chiaro?»

«Chiarissimo, capitano.» disse Saito

«Beh. Per quello che può valere… buona fortuna.»

«Grazie.» rispose Kirche «Ne servirà tanta».

Poi, quando finalmente il portone si aprì, i cinque ragazzi partirono al galoppo, scomparendo rapidamente lungo il sentiero che scendeva dalla montagna.

 

Nota dell’Autore

Salve a tutti!^_^

Dite la verità, non credevate che questa storia sarebbe mai continuata.

Il fatto è che, come spesso accade, mi sono fatto distrarre da altro, e così l’ho messa un po’ da parte, ma la volontà di proseguirla in realtà non si è mai affievolita, e vedere tutte le vostre recensioni mi ha dato lo stimolo definitivo.

Allora, che ve ne pare? Per Louise e gli altri inizia una nuova avventura. Riusciranno a portare in salvo l’ambasciatore?

Restate nei paraggi e lo scoprirete.

A presto!^_^

Carlos Olivera

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Capitolo 32
*** 29 ***


29

 

 

L’ambasciatore Orland poteva contare su di un piccolo gruppo di guardie personali a lui molto fedeli, ed era solo grazie a loro e alla guardia che montavano senza sosta se il suo palazzo nel cuore di Wastulf non era ancora stato assaltato dalla folla inferocita.

Rigirando le accuse e le prove a proprio piacimento, Eichart aveva convinto la popolazione che le ruberie degli ultimi mesi fossero da ricondurre ad uomini dell’ambasciatore, e quando la gente aveva la pancia vuota era molto facile convincerla a perdere la testa.

Da un istante all’altro il palazzo era stato completamente circondato, e solo il cordone di sicurezza con le armi puntate per tutti quei giorni aveva trattenuto la popolazione dal dare l’assalto all’edificio. La guardia cittadina, contro le previsioni di Eichart, salvo qualche elemento isolato aveva deciso di rimanere neutrale, senza arrecare danno all’ambasciatore ma anche senza sparare sui propri concittadini, e questo aveva dato origine ad un interminabile periodo di stasi.

Le urla impazzite dei rivoltosi non cessavano un momento, raggiungendo l’ambasciatore chiuso nel suo studio. Con lui Kiergesan, il suo fedele braccio destro, un bambino orfano che aveva tolto dalle strade anni prima e che per sdebitarsi era diventato la sua spada fedele.

Ormai era chiaro che la situazione non poteva durare ancora a lungo. Quello era il settimo giorno di assedio, e anche se Eichart, che come al solito si lasciava scorgere senza timore in sella al suo cavallo ai margini della piazza che stava dirimpetto al palazzo, aveva sempre sperato forse in una resa dell’ambasciatore, era evidente che la sua pazienza andava esaurendosi.

Il suo secondo, Cicero, sembrava però molto sicuro del fatto che quella dovesse essere la volta buona.

«Avremo la sua testa prima del tramonto.» disse vedendo la folla ormai in procinto di assaltare il palazzo «Non angustiatevi.»

«Ogni giorno in più che quel maledetto vive è un pugno nello stomaco per me.» mugugnò Eichart «Che sia dannato se gli permetterò di vedere una nuova alba».

 

Nel frattempo, procedendo a marce forzate attraverso le intricate foreste di Germania, Saito e il resto del gruppo avevano raggiunto le mura di Wastulf.

«La città è più blindata del caveau di una banca.» commentò Saitò osservando le porte con un cannocchiale, e facendo sfoggio come ogni volta del suo gergo terrestre «Entrare dagli ingressi principali è fuori discussione.»

«C’è l’ingresso via fiume.» ipotizzò Silvye prendendo da cavallo il suo cinturone di cuoio pieno di affilati coltelli da lancio «La grata è robusta, ma conosco dei fori da cui si può passare.»

«È fuori discussione.» tagliò corto Saito

«Perché?» rimbeccò la ragazza passandosi la mano sui lunghi capelli blu «Hai paura di bagnarti?»

«Saito ha ragione.» intervenne Louise «Non dobbiamo solo entrare in città, ma anche portare fuori l’ambasciatore. Orland è avanti con gli anni e di salute cagionevole, e di sicuro non può permettersi il lusso di immergersi in un’acqua ghiacciata per chissà quanti minuti.»

«Per ora, signorina Louise, la priorità è entrare in città se non sbaglio. A uscire ci penseremo dopo.»

«E comunque» puntualizzò Kirche «Se stanno facendo sorvegliare le porte, non c’è ragione di credere che non lo stiano facendo anche con la grata. Ci scoprirebbero prima ancora di averla attraversata.»

«Kirche-sama…»

«Ecco…» disse Morea «Se non sbaglio da queste parti dovrebbe esserci l’uscita di un condotto fognario.»

«Dici sul serio!?» chiese Louise

«Non ne sono del tutto sicura, ma credo che dovrebbe condurci dritti dentro la villa dell’ambasciatore.»

«È perfetto!» esclamò Saito «Troviamolo, presto!».

 

Fu una ricerca molto breve. L’uscita del condotto di scolo era giusto a poche centinaia di metri di distanza, lungo le sponde del fiume che tagliava in due la città, e per arrivarci i ragazzi non ebbero neppure bisogno di scendere in acqua, grazie ad una provvidenziale quanto inattesa bassa marea che aveva portato all’asciutto una vecchia passerella di servizio.

Kirche si disfò della grata sciogliendola con il fuoco ed accese una torcia, quindi il gruppo si avventurò all’interno della galleria.

Il puzzo era tremendo, non si vedeva ad un palmo dal naso e ratti grossi come procioni camminavano senza sosta sul terreno fangoso coperto di melma, ma date le circostanze quello era il minimo per riuscire nel proprio intento.

«Ma che schifezza!» sbottò Silvye sollevando lo stivale grondante fanghiglia

«Abbassa la voce, potrebbero sentirci.» la rimproverò Kirche facendo notare il rumore di passi che si avvertiva sopra le loro teste

«Solo Morea poteva conoscere e frequentare un postaccio simile. Lei è una spia e una ricognitrice. Io sono un cecchino. Sono fatta per gli spazi aperti, non per questa fogna puzzolente.»

«Ci siamo quasi.» disse Morea ignorando totalmente l’amica.

Alla fine raggiunsero la loro destinazione, arrampicandosi su per una scaletta in ferro in cima alla quale vi era una grossa grata per lo scolo dell’acqua piovana.

«Se ho calcolato bene la distanza percorsa.» disse ancora Morea «Dovremmo sbucare fuori proprio nel cortile retrostante il palazzo.»

«Prega il cielo di non sbagliare.» disse Kirche «Non sarebbe un grande affare ritrovarci nel mezzo di quella folla inferocita. Speriamo solo che non ci taglino la gola appena usciamo».

In realtà le poche guardie dell’ambasciatore erano talmente impegnate a presidiare il portone d’ingresso che i ragazzi, ritrovandosi effettivamente all’interno del giardino del palazzo dell’ambasciatore, non vi trovarono nessuno; anche le due torrette arroccate sull’alto muro di cinta, più una decorazione che dei punti d’osservazione veri e propri, erano sguarniti, così Saito e gli altri poterono tranquillamente uscire fuori dalla fognatura in tutta sicurezza.

«Alla fine è stato più facile del previsto.» disse Louise mentre Saito la aiutava a risalire

«In questo posto la sicurezza lascia molto a desiderare.» commentò Silvye «L’ambasciatore sarebbe già morto da un pezzo se qualcuno avesse scoperto l’esistenza di questo passaggio.»

«E adesso, prima che ci ammazzino.» disse Kirche «Sarà meglio fargli capire chi siamo e perché siamo qui».

Lentamente, e tenendo le mani alzate, i ragazzi si mostrarono alle prime guardie che incontrarono, rivelando la loro identità e venendo quindi ammessi per ordine di Kiergesan alla presenza dell’ambasciatore.

«Signor ambasciatore.» disse Louise andandogli incontro e stringendogli la mano

«Miss Valliere.» replicò lui attonito «Che cosa ci fate voi qui?»

«Ecco…» disse imbarazzata Kirche «A quanto pare c’è stato un piccolo imprevisto».

Con poche parole Kirche e Saito spiegarono la situazione, cercando però subito dopo di far capire che in ogni caso c’era ancora una via di salvezza per uscire da quell’impiccio.

«C’è un vecchio canale di scolo che dai giardini del palazzo conduce fin oltre le mura della città.» spiegò Saito «Noi siamo arrivati da lì. Ce ne andiamo ora, e con un po’ di fortuna saremo di nuovo a Tristain prima che Eichart si accorga di nulla.»

«Cosa ne dice, signor ambasciatore?» chiese Kirche

«Dico che non c’è altra scelta, o sbaglio?» replicò Orland dopo un momento di esitazione «Ma se quel maledetto si illude che possa finire qui si sbaglia. Appena la situazione si sarà calmata tornerò e gli farò scontare tutte le sue colpe, inclusa questa.»

«Sì, ma dovrà essere vivo per riuscirci.» puntualizzò Louise «Quindi è meglio andare via di qui subito, prima che quella massa incontrollabile faccia a pezzi questo posto.»

«D’accordo. Allora andiamo».

 

Purtroppo, proprio in quel momento, Eichart decise che la sua pazienza si era ormai esaurita, e che non aveva più alcuna intenzione di aspettare passivamente che le cose facessero il loro corso.

«Ne ho abbastanza!» sbottò «Voglio che quel maledetto non veda un’altra alba! Procedete!»

«Sì, signore.» disse Cicero.

L’attendente, non visto, fece dei cenni verso il palazzo, che furono immediatamente colti da una delle sentinelle affacciate ad una delle finestre.

Senza esitazioni la guardia imbracciò il suo archibugio puntandolo in direzione della folla, sollevò il cane e infilò la miccia.

Passò un istante, ed il rimbombo di uno sparo tacitò l’intera piazza, e un attimo dopo uno dei capi della protesta, quello che per tutto il tempo non aveva smesso un momento di sbraitare in cima alla statua equestre antistante il palazzo, precipitò morto al suolo colpito in pieno petto.

«Era uno sparo!» esclamò Louise

«Chi ha sparato?» urlò infuriato Orland «Avevo detto di non aprire il fuoco!».

Fu la miccia che scatenò la rivolta. I manifestanti infervorati caricarono impazziti, e quasi subito le guardie che presidiavano l’esterno dovettero ripiegare, riuscendo a chiudersi nel palazzo giusto un attimo prima che il cancello venisse sfondato.

A quel punto, più per paura che per altro, quasi tutti i soldati aprirono il fuoco contro i manifestanti, riuscendo tuttavia solo ad infervorarli ancora di più.

«Se la prendono la metteranno a gocciolare a testa in giù come un maiale sventrato.» disse Kirche senza tanti giri di parole buttando uno sguardo fuori «Suggerisco di andarcene di qui ora».

Purtroppo erano in arrivo brutte notizie.

Il cortile ed il giardino caddero in pochi secondi, e malgrado le porte sprangate e le inferriate alle finestre era solo una questione di minuti prima che quella folla inferocita riuscisse a fare irruzione nel palazzo.

«C’è gente in giardino!» disse Morea tornando da un rapido giro di controllo «Non possiamo usare la grata!»

«Non abbiamo scelta.» disse Silvye «Dovremo farci strada combattendo. È la nostra sola speranza di fuga.»

«Aspettate!» esclamò Saito «Non possiamo farlo! Questa gente è stata ingannata! Sono vittime tanto quanto noi!»

«Saito ha ragione.» obiettò Louise «Non possiamo ucciderli.»

«Preferiresti essere violentata, decapitata e lasciata a marcire nella piazza centrale appesa ad una corda?» la rimproverò duramente Kirche.

Purtroppo non era solo quello il problema, come Saito fece notare.

Anche nel caso in cui si fosse riusciti a fuggire attraverso la galleria, infatti, la strada da percorrere era tanta, e con il vecchio ambasciatore da dover scortare era quasi impossibile riuscire a correre abbastanza in fretta da seminare gli inseguitori, che certamente non ci avrebbero messo molto a trovare il passaggio ora che il palazzo era in mano loro.

«Lasciatemi qui.» disse a quel punto Orland «Sarei un solo un peso. Vi ringrazio per esservi presi tutti questi rischi per aiutare questo povero vecchio, ma ora è giusto che vi salviate.»

«Non se ne parla, noi non la abbandoniamo.» disse Louise «Troveremo una soluzione.»

«Sarà bene trovarla in fretta.» commentò Kirche osservando dalla finestra la folla che, procuratasi un ariete di fortuna, stava ora tentando di sfondare il portone principale.

Una possibile soluzione venne da Kiergesan, che al degenerare della situazione era subito andato alla ricerca di una nuova via di fuga.

«Il deposito sotterraneo e le stalle sono ancora liberi.» disse rientrando nell’ufficio «Possiamo scappare con la carrozza.»

«Non è fattibile.» sentenziò impietosa Kirche «Tutte le porte e i varchi della città sono presidiati. Sparerebbero a vista, e comunque non credo riusciremmo comunque ad arrivare alle mura ancora vivi».

Sembrava davvero una situazione senza via d’uscita, resa ancor più insopportabile dalla tensione che andava crescendo.

Saito si sforzò di mantenere calma e sangue freddo, e alla fine, come un fulmine a ciel sereno, ebbe quella che poteva essere la pensata vincente.

«Forse ci sono! Possiamo andarcene da qui!»

«Che cosa!?» disse Louise «Come?»

«Tutto quello che dobbiamo fare è riuscire a distrarre questa folla inferocita il tempo necessario per infilarci nel passaggio sotterraneo.»

«Fin qui ci eravamo arrivati.» disse Silvye «Ma come pensi di fare?»

«Dandogli un’esca da mordere.» ammiccò il ragazzo guardando lei e la sua compagna.

 

La folla aveva preso il giardino, e con la forza devastante di un ariete improvvisato era quasi sul punto di sfondare il pesante portone di quercia che chiudeva l’entrata principale, quando da un istante all’altro accadde qualcosa.

Dal nulla, come per incanto, una parte del suolo antistante le mura scivolò all’interno, rivelando una passerella segrete al termine della quale vi era l’ingresso ai sotterranei del palazzo.

Una carrozza vi si lanciò immediatamente fuori, guidata da una coppia di cocchieri, dirigendosi a tutta velocità verso la Porta di San Felice, il più vicino varco per lasciare la città.

«Guardate là!» indicò Cicero riconoscendo lo stemma dell’ambasciatore «È lui!»

«Sta cercando di fuggire!» urlò Eichart «Fermatelo! Non deve scappare! Voglio la sua testa su una picca!».

La folla, lasciato perdere il palazzo, si concentrò istintivamente e senza bisogno di ordinarglielo sulla carrozza, che quasi subito si trovò nell’impossibilità quasi totale di avanzare per l’enorme ressa e i detriti scagliati sul suo cammino nel tentativo di arrestarla.

In qualche modo i cocchieri riuscirono a condurla fino al Ponte di Grumman, il più imponente punto d’attraversata che correva lungo il fiume, ma proprio quando la folla sembrava ormai alle spalle si avvidero che gli abitanti avevano frettolosamente sbarrato la strada sulla sponda opposta erigendo una barricata.

Fuggire o evitarla era impossibile, così i due senza pensarci due volte abbandonarono il mezzo gettandosi nel fiume. La carrozza, privata della sua guida, sbandò ribaltandosi, e venne immediatamente accerchiata dalla calca ansiosa di prendere la testa dell’ambasciatore.

Qualcuno divelse la portiera, ma come fu possibile guardare all’interno le grida infervorate fecero posto ad un incredulo silenzio.

Eichart arrivò solo pochi minuti dopo, sbracciando come un dannato per farsi strada nella ressa, e quando si avvide che all’interno non vi era nessuno la sua reazione, invece che di incredulità, fu di rabbia sconfinata.

«Trovatelo!» ordinò furibondo.

 

«Sembra che abbia funzionato.» commentò Morea riemergendo dal fiume assieme alla compagna

«Così pare. Allora quello sgorbio di Hiraga ogni tanto ne pensa una giusta.»

«Forse dopotutto abbiamo sbagliato nel giudicarlo.»

«Avanti, torniamo indietro. Ho fretta di togliermi questi abiti infradiciati».

Nuotando a piene bracciate le due ragazze raggiunsero la riva, nascondendosi in un vicino canneto nell’attesa che le acque si calmassero.

Tornata la calma, e constatando l’apparente sparizione dei sostenitori di Eichart, cercarono di dileguarsi, ma non potevano immaginare che qualcuno le avesse notate.

Gli uomini di Eichart saltarono loro addosso allertate da alcuni pescatori, circondandole prima che potessero dileguarsi nei vicoli della città.

«Tanto meglio.» disse Silvye portandosi schiena a schiena con Morea «Avevo giusto voglia di sfogarmi un po’».

Entrambe partirono alla carica, armate rispettivamente dei propri coltelli da lancio e del bastone da combattimento, in realtà una lancia la cui punta emergeva a piacimento al semplice scattare di un fermo, e almeno inizialmente sembrò che potessero avere ragione di quei soldati mediocri senza alcuna difficoltà.

Tuttavia, l’arrivo di Cicero sul cambio di battaglia mutò drasticamente le cose. Morea se lo vide cavalcare contro all’ultimo momento, e quando cercò di colpirlo questi, afferrata la sommità del bastone, la sollevò in aria di peso per poi schiantarla violentemente al suolo, dando prova di una forza straordinaria e lasciando la poveretta a terra svenuta.

«Morea!».

Cicero scese da cavallo, e Silvye, disfattasi di due soldati, gli scagliò contro ben cinque pugnali tutti insieme, che tuttavia l’uomo parò senza problemi sfoderando la sua strana arma, una specie di grosso scudo rotondo da cui sporgevano quattro grosse lame ricurve. Seguì un breve corpo a corpo, ma alla fine la forza di Cicero ebbe la meglio sull’agilità di Silvye, che incassato un tremendo pugnò allo stomaco fece appena in tempo a mugugnare un gemito soffocato prima di svenire.

 

 

Nota dell’Autore

Eccomi qua!^_^

Sono risorto!

Credevate che fossi morto?

Effettivamente ho abbandonato questa storia per un bel po’ di tempo. Non a causa di una crisi di idee, intendiamoci, ma avendo una quantità esorbitante di progetti a cui dover stare dietro ho finito per sacrificare qualcosa, e questo qualcosa, vuoi per caso vuoi in parte per scelta volontaria, è stata la FF di ZNT.

Ma poi sono arrivate nuove recensioni, nuovi inviti a proseguire,  così ho deciso di farlo. E quindi eccomi qui.

Premetto fin da ora che la storia subirà una decisa accelerazione rispetto a quanto inizialmente ipotizzato. Evento marginali o di semplice intermezzo faranno spazio ad un ritmo più serrato, sì da rendere la vicenda più scorrevole e arrivare presto al dunque.

Non per fretta, per carità, ma perché con 240 pagine già scritte la cosa sta andando decisamente troppo per le lunghe

Ecco, ho detto tutto.

A presto!^_^

Carlos Olivera

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Capitolo 33
*** 30 ***


30

 

 

Approfittando della distrazione e del disordine causati dalla carrozza, Saito e il resto del gruppo avevano atteso che il giardino fosse sgombro per gettarsi nuovamente nel condotto e lasciare indisturbati la città.

Una volta al sicuro, in base gli accordi, si erano immediatamente rimessi in marcia per fare ritorno a Tristain, prevedendo di rincontrarsi con Morea e Silvye presso una fattoria a una decina di miglia dal vallo.

Kirche sembrava incredibilmente tranquilla, perfino troppo, considerando che aveva lasciato indietro le sue fedeli guardie senza sapere se la missione fosse andata bene e fossero ancora vive.

«Non dovete darvi pensiero.» disse ad un certo punto la ragazza vedendo Saito e Louise che seguitavano a guardarsi indietro «Stanno sicuramente bene.»

«Come fai ad esserne sicura?» chiese Saito.

A quella domanda Kirche prese da dentro la camicia una coppia di gioielli scintillanti a forma di sfera, uno rosso e l’altro azzurro.

«Vedete questi? Sono simili alle Eclair D’Amour. Fino a quando sono interi e splendenti, significa che Morea e Silvye sono ancora vive.»

«Interessante.» disse Louise, che cavalcava assieme a lei, prendendone una e guardandola con attenzione

«C’è stato un periodo, molto tempo fa, che Germania era proprio come Tristain oggi. Un groviglio di potentati e nazioni in continua lotta tra loro.

A quel tempo mercenari, spie e tagliagole la facevano da padroni, e i nobili, per assicurarsi la loro lealtà, legavano le loro vite a questi gioielli magici. Sarebbe bastato romperli, che la persona la cui vita risiedeva lì dentro sarebbe morta all’istante. In questo modo chi giurava aveva un motivo per non voler tradire il suo signore».

Uno strumento barbaro, pensò Saito, ma sicuramente efficace.

«Ora non è più tempo di guerre.» disse mesto l’ambasciatore, che negli anni ne aveva prevenute e fatte cessare parecchie «Tristain deve tornare ad essere al più presto una terra pacifica, come lo è stata fino ad ora. E io voglio fare la mia parte.»

«E la farà, signor ambasciatore.» rispose Saito, che però poi borbottò tra sé «Se torneremo vivi».

 

Morea e Silvye erano effettivamente vive, ma al risveglio si erano ritrovate rinchiuse in una sudicia cantina di una taverna vicino a dove erano state prese, in compagnia di Cicero e di una decina delle sue guardie.

C’era anche Eichart, infuriato come non mai, che di fronte alla tenacia delle due ragazze nel resistere ai tentativi di farle confessare andò ancora di più fuori di testa.

Furono ventiquattro ore terribili, e per quanto Silvye e Morea fossero state addestrate a resistere alla tortura riuscire a trovare la forza per non crollare fu una vera sfida.

Verso la sera del secondo giorno, però, ancora non si erano piegate, benché sui loro corpi fossero evidenti gli spaventosi segni lasciate dalle percosse, dalle frustate e persino dai ferri arroventati.

«Allora è vero quello che si dice sulle spie del nord.» disse Cicero mostrando quasi ammirazione per le due ragazze «Che crollano pur di non parlare.»

«Questo è niente.» mugugnò Silvye cercando di nascondere il dolore che le dilaniava il corpo «Fai pure quello che vuoi. Noi non ci piegheremo.»

«Mia sorella ha ragione.» disse Morea «Siamo state addestrate per anni a resistere a queste cose! Non ci caverete nulla!».

Eichart ormai aveva esaurito la pazienza, e accecato dalla rabbia afferrò una lancia sbattendo il manico in faccia a Silvye, che accusò pesantemente il colpo e per un momento sembrò perfino morta.

«Sorella!» gridò Morea in preda al terrore.

Il gesto incuriosì Cicero, cosicché quando Silvye, ferita ma per fortuna ancora viva, riprese i sensi dopo qualche attimo, il capitano aveva le idee chiare su cosa dovesse fare per venirne a capo.

«Adesso stammi a sentire.» disse a Morea «O tu ci dici che cosa ne è stato dell’ambasciatore, e dove possiamo trovarlo, o sarà tua sorella a pagarne le conseguenze.»

«Non dirgli niente, Morea!» gridò Silvye, che fu tuttavia messa subito a tacere da una guardia.

La ragazza tentennò, dando chiari segnali di esitazione, ma all’ultimo il suo addestramento e la lealtà alla sua padrone la trattennero.

«Come preferisci.» disse Cicero facendo un segno ai suoi soldati «È tutta vostra».

Morea si spaventò a morte. Per un attimo volle pensare che quell’uomo stesse bleffando, ma quando vide quegli uomini sudici e sovreccitati immobilizzare e tenere ferma Silvye mentre uno di loro si slacciava la cintura non riuscì più a trattenersi.

«Và bene, basta!»

«Non farlo Morea

«Non posso permettere che ti facciano questo, Silvye

«Molto bene. Allora forza, parla. Dov’è l’ambasciatore?».

La ragazza confessò tutto, nel timore che mentendo o mettendoli su una falsa pista le conseguenze potessero essere anche peggiori, anche se, con l’ultimo scampolo di raziocinio rimastole, riuscì a non rivelare, sostenendo di non conoscerlo, quale tragitto il gruppo intendesse percorrere, né l’esistenza del luogo concordato per l’incontro.

Pochi attimi dopo, Eichart e Cicero uscirono dalla cantina correndo verso le scuderie.

«Dobbiamo assolutamente riprenderli!» disse il governatore salendo a cavallo con al fianco il suo fidato braccio destro.

Prima di lasciare la città con un manipolo di guardie al seguito Eichart fece chiamare il capo del locale plotone di cavalieri dei draghi.

«Fai alzare in volo tutte le tue sentinelle. Che battano a tappeto ogni maledetto centimetro da qui al confine. Dobbiamo trovarli prima che rientrino a Tristain.» e detto questo lui e gli altri si lanciarono oltre i cancelli come avessero avuto il diavolo alle calcagna.

 

Saito e il suo gruppo avevano messo in conto che il ritorno sarebbe stato molto più lungo e complicato del viaggio di andata.

Tra il timore di essere scoperti e l’età non più floridissima dell’ambasciatore furono operate molte più deviazioni e soste del previsto, e a tratti sembrava quasi che il confine, invece di avvicinarsi, si allontanasse sempre di più.

Ma sapevano di non avere tempo. Sapevano di avere i giorni contati.

Come ci aveva tenuto a dire lei stessa, il generale LeClerc non avrebbe messo in pericolo la sicurezza di Tristain per mettere in salvo una sola persona, e una volta che le porte fossero state nuovamente sbarrate sarebbe stato impossibile per chiunque arrivare a trecento metri dal vallo senza rimediare una palla in fronte.

Dopo tre giorni di viaggio era stata percorsa poco più di metà strada, e se il generale, come sembrava, era determinata a tenere fede alla propria parola, ai ragazzi restavano poco meno di quarantotto ore per tornare indietro, pena restare intrappolati tra i confini di Tristain e le truppe del governatore.

Il continuo ed incomprensibile ritardo di Morea eSilvye iniziò a preoccupare Kirche, che tutte le sere, mentre il gruppo bivaccava attorno al fuoco, osservava per lungo tempo i suoi due gioielli, quasi nel timore di vederli sgretolarsi davanti ai suoi occhi in un funesto presagio.

«Rilassati.» le disse Saito notando, anche quella sera, la sua preoccupazione «Vedrai che torneranno. Sono tipe in gamba, dopotutto.»

«Forse hai ragione.» rispose lei cercando di essere ottimista.

Poi, durante una cena frugale, i ragazzi si ritrovarono attorno alla mappa della zona per fare il punto sul viaggio di ritorno.

«Non abbiamo scelta, dovremo accelerare i tempi.» disse Kirche «Se andiamo avanti di questo passo non arriveremo mai a Tristain in tempo, e la strada che stiamo seguendo è troppo lunga per sperare di arrivare al vallo in due giorni.»

«E allora che cosa suggerisci?» chiese Louise

«Di passare da qui.» rispose la ragazza indicando una stretta valle attraversata da un fiume, o un torrente «C’è un ponte che collega le due sponde di questa valle passando sopra il fiume. Se passiamo di qua nell’immediato allungheremo un po’ la marcia, ma una volta dall’altra parte il resto del viaggio sarà molto più veloce.»

«Ma il ponte sarà ancora praticabile?» domandò l’ambasciatore notando la posizione estremamente isolata del valico

«È stato costruito dai pastori del luogo per poter aggirare la valle, e viene usato solo in certi periodi dell’anno. Comunque credo che ci si possa passare.»

«D’altra parte, non mi pare che abbiamo molta scelta.» disse Saito «D’accordo. Ci muoveremo alle prime luci del sole. Ora però pensiamo a dormire».

A quel punto tutti si coricarono, cautelandosi di lasciare sul fuoco abbastanza legna e carbonella da farlo durare fino al mattino, ma nel cuore della notte Saito fu svegliato da uno strano rumore, come una serie di colpi di vento folate che si susseguivano a intervalli regolari.

Uno sbattere di ali. Un presentimento lo mise in allarme.

«Ehi, svegliatevi.» disse scotendo leggermente i suoi compagni «Lo sentite anche voi?».

Tutti tesero le orecchie, e fu Louise la prima a riconoscere quell’insolito rumore.

«Draghi.» disse sbarrando gli occhi.

A quello sbattere d’ali isolato se ne aggiunse un altro quasi subito, e immediatamente i quattro corsero a nascondersi sotto le fronde di un albero dopo aver gettato terra sul fuoco per spegnerlo senza fumi.

Due esploratori erano in caccia sopra le loro teste, ma ringraziando il cielo la notte era assai nuvolosa, e così, pur essendo abbastanza vicini, nessuno di loro aveva notato il fuoco, né il fumo che da esso si era sollevato fino a poco prima.

I draghi transitarono sopra al campo, non riuscendo a scorgerlo, volteggiando qualche attimo per poi allontanarsi in direzione del confine.

«Via libera.» disse Louise vedendoli andare via.

Tutti uscirono allora allo scoperto, ma quell’imprevisto rischiava di essere una seria minaccia per il loro viaggio già ricco di tribolazioni.

«Pattuglie da ricognizione.» disse preoccupata Kirche «Sanno che siamo da queste parti.»

«Non abbiamo altra scelta, dobbiamo affrettare i tempi.»

«Saito ha ragione, non c’è tempo per riposare. Forza, mettiamoci in marcia approfittando del buio».

 

Nulla di ciò che accadeva a meno di quaranta miglia dalle mura del Vallo passava inosservato ai suoi guardiani.

Negli anni, le sentinelle che presidiavano e proteggevano i confini di Tristain avevano imparato a leggere ed interpretare ogni cosa, ogni più piccolo segnale. Quello che agli occhi di un profano poteva sembrare un evento naturale e casuale, assumeva ai loro occhi una specifica valenza, un significato che solo loro sapevano attribuire.

Tutto ciò era necessario, quando ne andava del benessere della propria patria, se di benessere si poteva parlare in casi simili.

Due sentinelle in servizio notturno notarono uno stormo di uccelli comparire improvvisamente da nord-est, descrivendo nel cielo movimenti inconsulti in una inestricabile e maestosa nuvola che si contorceva e si muoveva con incredibile sinuosità nel cielo plumbeo.

Incerti nell’interpretazione, chiamarono la duchessa, che vestitasi e salita assieme a Victor in tutta fretta sul ballatoio osservò a sua volta le acrobazie dello stormo, traendo le loro stesse conclusioni.

«Draghi in volo.» disse pensierosa «Sono molti. E sono nella foresta.»

«Pensate siano diretti qui?» chiese Victor

«Non credo. Il loro movimento è irregolare. Stanno battendo al tappeto il territorio da qui a Wustalf

«Come se stessero cercando qualcosa.» azzardò l’attendente.

La giovane donna si incupì, presagendo il peggio. Era rischioso rimuovere i chiavistelli della porta prima del sorgere del sole, ma se le sue intuizioni erano giuste bisognava essere pronti a tutto.

«Fai aprire il cancello.» ordinò

«Sì, mia signora».

 

Saito e gli altri deviarono per il percorso stabilito, arrampicandosi attraverso una sfiancante pendice montuosa che conduceva al ponte.

Era quasi una gara di sopravvivenza. Non potevano usare i cavalli per il rischio di affaticarli, e il doverli tirare serviva solo ad aumentare la fatica di quella impervia salita.

Non volendo essere un peso più di quanto già non lo fosse, piuttosto che fare da carico ad uno dei tre cavalli l’ambasciatore insistette per camminare a sua volta, e anche se questo allungò sensibilmente i tempi di marcia servì se non altro a tenere i tre animali freschi e riposati in vista della cavalcata finale.

Per tutto il giorno successivo esploratori a cavallo e in sella ai draghi transitarono nella zona, ma il gruppo teneva occhi ed orecchie ben tesi, pronto a correre al riparo al minimo segnale di pericolo.

«Avanti, fatevi forza.» disse Kirche alla metà del terzo giorno di viaggio, aiutando Louise a superare una zona particolarmente ripida «Il ponte ormai dovrebbe essere a meno di un miglio. Poi sarà tutta discesa e terreni spianati fino al confine.»

«E io che mi lamentavo delle escursioni scolastiche sul Fuji.» borbottò Saito trovando a stento la forza per camminare «Forse non avrei dovuto trovare tutte quelle scuse coi miei per saltarle.»

«Mi dispiace, ragazzi.» disse l’ambasciatore Orland riprendendo fiato «È colpa mia se è accaduto tutto questo. Forse dovreste lasciarmi qui e scappare.»

«Non lo dica neanche, ambasciatore.» disse Louise «La colpa è solo di quel disonesto di Eichart. E Lei deve assolutamente vivere, per poterlo incriminare».

Poi, finalmente, in lontananza apparve il ponte, distante meno di cento metri e arroccato sulla cima di una piccola collinetta, ma purtroppo, in quello stesso momento, alle loro spalle comparve anche un’altra cosa.

In realtà non erano passati inosservati.

Gli esploratori li avevano individuati già quella prima sera, ma obbedendo agli ordini di Cicero avevano continuato nelle loro ricognizioni anche dopo averli localizzati e avere fatto rapporto. In questo modo, aveva pensato il capitano, le prede non si sarebbero accorte di nulla, e avrebbero proseguito nel loro viaggio convinte di essere al sicuro.

Il piano di Cicero era di attendere che passassero il ponte, in modo da tendere loro un’imboscata nella foresta e travolgerli approfittando del senso di sicurezza dato dalla vicinanza alla meta, ma ormai Eichart aveva perso la pazienza, e convinto dalla fatica che i quattro dovevano sicuramente aver fatto nel salire quel ripido pendio aveva ordinato al suo capitano di attaccare.

«Maledizione, ci hanno trovati!» gridò Saito vedendo un manipolo di cavalieri risalire il crinale a tutta velocità con Cicero alla testa.

Senza esitazioni il ragazzo sguaino la spada, frapponendosi fra gli assalitori e i nemici in arrivo.

«Saito, che cosa fai?» gridò Louise

«Io li tengo impegnati, voi andate al ponte.»

«D’accordo.» disse Kirche «Lancerò un segnale quando lo avremo passato.»

«Aspetta Kirke! Non possiamo lasciare Saito!»

«Tranquilla Louise, non ho intenzione di morire qui.» la rassicurò il marito «Vi raggiungerò appena avrete attraversato il ponte sani e salvi.»

«Saito…»

«Andiamo, Louise.» la ammonì Kirche «Saito sa quello che fa».

In realtà anche Kirche era preoccupata per il destino del giovane guerriero, ma confidando nella naturale abilità di Saito nel cavarsi d’impaccio in ogni situazione decise di dargli fiducia, e alla fine convinse anche Louise a fare altrettanto.

«Faremo il prima possibile!» disse montando a cavallo con Louise e l’ambasciatore «Tu tieni duro!».

Quasi nello stesso momento in cui le ragazze e l’ambasciatore ripresero la loro corsa i soldati arrivarono sul posto, trovando prontamente Saito a sbarrare loro la strada.

«Non farete un passo oltre questo punto!» esclamò il ragazzo mulinando la spada.

Convinti di poter superare senza troppe difficoltà quel ragazzino presuntuoso i soldati lo caricarono, ma Saito ne disarcionò due senza difficoltà e impegnò il terzo in un violento confronto a colpi di spada.

Cicero rimase spiazzato dalla sua abilità, e quando anche il tuo terzo uomo crollò tramortito da un colpo di piatto in pieno ventre scese da cavallo per occuparsi della faccenda di persona.

Forse peccando di superbia stavolta fu Saito a fare la prima mossa, rendendosi tuttavia immediatamente conto di quanto quel giovane non molto più grande di lui ci sapesse fare con la sua strana arma, che maneggiava con sorprendente agilità combinandola con precisi e micidiali attacchi di arti marziali.

«Non mettermi al livello di quella soldataglia.» lo rimproverò Cicero dopo avergli rifilato una gomitata sul naso «Io non sono così incapace».

Solo a quel punto Saito capì che con un avversario del genere era impossibile usare i guanti di velluto come aveva fatto con gli altri tre, ma sapendo che comunque era solo una questione di tempo si decise a tentare per quanto possibile di non portare colpi mortali.

Non c’era niente da fare, lui non era come Kaoru.

Non aveva la forza per uccidere a sangue freddo.

Intanto, poco più su, le ragazze e l’ambasciatore erano riuscite a raggiungere il ponte ed attraversarlo, malgrado le assi non più solidissime e l’altezza vertiginosa che faceva venire il mal di testa, e appena al sicuro sull’altro versante Kirche usò la sua magia per lanciare un fuoco d’artificio.

Vedendolo, Saito tirò un sospiro di sollievo, e approfittando di uno scontro di forza con l’avversario lo allontanò con un calcio per poi salire al volo su un cavallo e lanciarsi a sua volta verso l’alto.

«Non state lì impalati, inseguiamolo!» strillò Cicero ai suoi uomini ancora frastornati.

Saito galoppò il più velocemente possibile, spronando quella povera bestia fin quasi allo spasimo e attraversando il ponte alla velocità di una scheggia.

«Ce ne avete messo di tempo.» ironizzò quando fu dall’altra parte

«Ne parliamo dopo.» lo ammonì Kirche «Ora pensiamo ai nostri amici».

Bastò una scintilla, e quel miscuglio di corda e legno marcio prese fuoco come un gigantesco braciere, bloccando il passo agli inseguitori, che poterono solo osservare mestamente le loro prede allontanarsi dalla parte opposta del crinale, oltretutto dopo aver rivolto loro un ironico saluto con la mano.

Eichart arrivò pochi istanti dopo, e come era prevedibile la sua reazione fu di incontenibile rabbia.

«Maledizione!» ringhiò sbattendo i piedi a terra «Ve li siete fatti scappare, branco di incapaci.»

«Non disperate, governatore.» lo tranquillizzò Cicero «Se ho previsto con esattezza ciò che è destinato a succedere, abbiamo ancora una carta da giocare».

 

La cantina dove Morea e Silvye erano state rinchiuse aveva una sola, piccola feritoia quasi all’altezza del soffitto, ma che all’esterno era praticamente a livello della strada, da cui entrava un poco di sole solo verso mezzogiorno.

Per il resto, quel luogo era immerso nel buio più totale.

Prima di lasciare la città Eichart aveva dato ordine di non uccidere le prigioniere, nel timore che avessero mentito e che le loro informazioni fossero sbagliate, mentre Cicero, per chissà quale motivo, aveva tassativamente vietato ai soldati e ai suoi uomini di alzare le mani su di loro, pena la castrazione.

Era noto che Cicero avesse idee quasi monastiche riguardo ai propri appetiti sessuali, e cercasse di imporli anche a chi aveva sotto di lui, e solo i più colti erano arrivati ad ipotizzare che tale gesto derivasse in realtà da una sorta di ammirazione che aveva suscitato in lui la volontà d’acciaio delle due ragazze, piegatesi solo davanti all’affetto che nutrivano l’una verso l’altra.

Il capitano aveva ordinato perfino di tenerle in buona salute, con due pasti al giorno e acqua a sufficienza, e fu così che nel primo pomeriggio il soldato di guardia andò a recuperare due ciotole di zuppa da portare alle prigioniere.

Era sulla via del ritorno quando, passando accanto alla grata, gli cadde l’occhio all’interno, e ciò che vide lo impietrì.

Le due ragazze erano lì, al centro della stanza, l’una accanto all’altra, appese per il collo con degli stracci malamente annodati a formare un’unica corda, di cui avevano condiviso le estremità.

«Oh, merda!» imprecò gettando via i piatti.

Con un compagno tornò velocemente in cantina, aprì il robusto portone di legno ed entrò, trovando le prigioniere impiccate ai ganci per la carne, le mani dietro la schiena e gli occhi già chiusi. Non respiravano.

«È la fine! Il capitano ci farà a pezzi!»

«Forza, facciamole sparire. Diremo che sono scappate.»

«Infatti è quello che faremo».

Nessuno dei due poteva immaginare che in realtà le due ragazze avessero le mani dietro la schiena allo scopo di stringere la corda perché non tirasse troppo sul collo, uno sforzo non indifferente ma che l’addestramento speciale aveva reso possibile.

Prima che i soldati avessero il tempo di capacitarsene Silvye e Morea saltarono a terra e li tramortirono, lasciandoli riversi sui sacchi di farina sotto ai quali vennero nascosti.

«Non credevo che sarebbe stato così facile.» commentò Silvye recuperando i loro pugnali «Avanti ora, usciamo di qui».

Morea parve quasi esitare, come se qualcosa dentro di lei la trattenesse dal lasciare quella prigione.

Aveva paura.

Paura di affrontare le sue responsabilità. In quei due giorni quasi non aveva aperto bocca, e in un’occasione Silvye l’aveva sorpresa con in mano un grosso chiodo arrugginito, riuscendo fortunatamente a strapparglielo prima che avesse il tempo di commettere qualcosa di irreparabile.

«Ora non c’è tempo per i rimorsi di coscienza.» la ammonì Silvye intuendo il motivo dell’esitazione della sorella «Pensiamo prima di tutto ad accertarci che Kirke-sama e gli altri stiano bene».

In parte rinfrancata da quelle parole, e dalla speranza che portare a termine la missione potesse costituire un metodo per redimersi, Morea seguì la sorella fuori dalla stanza, inconscia del fatto che lo strano prurito che dal giorno prima la tormentava dietro la schiena non fosse il lascito di un insetto molesto.

 

 

Nota dell’Autore

Eccomi qua!^_^

Allora, che ne dite di questo “aggiornamento lampo”?

Lo so, avevo detto che con questo capitolo avremmo chiuso la vicenda relativa al viaggio a Germania, ma a conti fatti c’è un limite alla rapidità con cui si possono narrare gli eventi, e dopo sette pagine già scritte e almeno altre cinque che ne rimangono ho pensato fosse il caso di chiuderla qui e rimandare la conclusione al prossimo capitolo.

Poi, finalmente, si tornerà a tematiche più inerenti alla trama principale.

Grazie a tutti coloro che leggono e recensiscono. Con il vostro contributo avete impedito a questa storia di morire.

A presto!^_^

Carlos Olivera

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Capitolo 34
*** 31 ***


31

 

 

Lasciatisi alle spalle il ponte crollato i ragazzi e l’ambasciatore proseguirono nel loro cammino veloci come il vento.

Ora sapevano di non avere molto tempo, e di avere qualcuno alle spalle.

Speravano con tutto il cuore che Silvye e Morea non si facessero attendere troppo, altrimenti, per come si stavano mettendo le cose, il timore era che sarebbero stati costretti a raggiungere il vallo anzitempo, condannando le loro compagne a cavarsela da sole in quella terra maledetta.

La messa in salvo dell’ambasciatore veniva prima di tutto, e anche se con il cuore a pezzi Saito e Louise stavano comprendendo che c’erano delle cose, in quel momento così duro, che venivano necessariamente prima dei propri sentimenti e considerazioni personali.

Lasciate le praterie, i ragazzi si erano infine inoltrati nella fitta foresta che separava le pianure di Germania dal confine con Tristain. Una volta attraversatala, sarebbero servite solo poche altre miglia di cammino prima di arrivare al vallo.

«Ormai non manca molto, resistete!» continuava a ripetere Kirche cavalcando in testa al gruppo.

Per fortuna gli inseguitori avevano sicuramente perso molto tempo per aggirare la valle, e con un po’ di fortuna in quella foresta così fitta non sarebbe stato difficile far perdere le proprie tracce.

Al fine di rendere ancora più complicato ad Eichart e i suoi continuare l’inseguimento, ad un certo punto raggiunta una biforcazione nel sentiero Saito suggerì di mollare i cavalli, lasciandoli correre in una direzione mentre lui e gli altri avrebbero proseguito lungo l’altra, quella giusta, un’idea potenzialmente molto buona ma che avrebbe finito di sicuro per rallentare sensibilmente il passo di marcia.

«Molto meglio avere una garanzia in più che avere sul collo il fiato dei soldati ad ogni passo.» obiettò il ragazzo quando Louise gli fece notare la contraddizione del piano.

Alla fine le ragazze scelsero di dargli retta e fecero come suggerito, lasciando i cavalli liberi di correre lungo la strada più breve verso il Vallo per poi incamminarsi a piedi lungo quella più lunga, che invece conduceva al luogo dell’incontro.

Come previsto, il passo rallentò sensibilmente, anche a causa dell’età avanzata dell’ambasciatore, tanto che il gruppo dovette bivaccare una ulteriore notte scegliendo come rifugio una grotta naturale ai margini della strada, dove sarebbe stato possibile accendere un fuoco senza il rischio che questo venisse notato.

Tuttavia, la situazione non era comunque delle più favorevoli.

«Domani è l’ultimo giorno utile.» disse Kirche durante la loro povera cena

«Hai ragione.» disse Saito «O raggiungiamo il vallo per il tramonto, o non lo faremo più.»

«Speriamo solo che le ragazze non tardino troppo.» mormorò preoccupata Louise.

Calò un silenzio preoccupato, a cui Saito cercò di porre rimedio.

«Forza e coraggio. Sono sicuro che le troveremo già lì ad aspettarci. Quelle due esaltate non sono tipe da farsi spaventare, non ho ragione?»

«Ben detto.» rispose Kirche cercando di sfoggiare tutto l’ottimismo possibile «Per come le conosco io, non morirebbero neanche se dovesse venire la fine del mondo. Non sarà certo una cosa del genere a metterle in difficoltà.»

«Se solo penso ad Eichart, mi sale la rabbia.» disse l’ambasciatore «È colpa sua se siamo arrivati fino a questo punto. È colpa sua se avete dovuto rischiare così tanto.

E che dire di Cicero, poi. Mai mi sarei aspettato di vederlo al servizio di quel mostro.»

«Parlate del ragazzo sul ponte?» domando Saito «Lo conoscete?»

«Conoscevo suo padre. Era il governatore di Oldgar, un feudo minore asservito alla famiglia di Eichart. Il padre di Cicero era stato costretto a mandare il figlio come ostaggio al palazzo di Eichart come atto di fedeltà, e quando lui è morto Eichart deve aver preso il ragazzo con sé per farne il proprio braccio destro.»

«Anche nel Paese da cui provengo facevano una cosa simile. Il nobile grande costringeva quelli piccoli a inviare degli ostaggi al suo castello, così era sicuro che non lo avrebbero tradito.»

«Solo il cielo sa che menzogne deve avergli raccontato su suo padre per averlo spinto a servirlo in quel modo.»

«È orribile.» disse Louise «È una specie di lavaggio del cervello.»

«Purtroppo è così che funziona a Germania.» disse mestamente Kiche «Ora dormiamo un po’. Dobbiamo assolutamente arrivare alla fattoria prima che faccia sera».

 

Dopo solo qualche ora di sonno, ancora nel cuore della notte, il gruppo si rimise in movimento, cercando per quanto possibile di velocizzare il passo approfittando del buio.

Restavano ancora molte miglia di cammino per arrivare al punto d’incontro, e bisognava arrivarci ad ogni costo prima della quinta ora pomeridiana, altrimenti non ci sarebbe stato il tempo materiale per giungere al Vallo entro il tramonto.

Al sorgere del sole, Saito e gli altri lasciarono la foresta approdando nella vasta vallata di montagna che costituiva la tappa finale del loro viaggio di ritorno.

In lontananza, incuneata tra i picchi, si poteva già scorgere la fortezza, ma ci pensò Kiergesan a smorzare gli entusiasmi di chi legava a quella vista una fine imminente a quella pericolosa avventura.

«Non esaltatevi troppo.» disse la rossa «Sembra vicina per via dell’imponenza, ma in realtà serviranno almeno altre otto ore per arrivare laggiù.»

«E allora muoviamoci.» disse Saito «Dopotutto è impossibile sapere se e quanto Eichart e i suoi abbiano colmato la distanza».

Le ultime miglia furono senza dubbio le più difficili.

Le gambe erano pesanti, affaticate dalla lunga marcia, respirare veniva difficile, e il timore di essere seguiti spingeva i ragazzi a guardarsi continuamente alle spalle, nel terrore di veder comparire da un momento all’altro un’orda di cavalieri spade in pugno pronti a massacrarli.

Orland in particolare ormai era allo stremo, e doveva essere sovente aiutato, se non addirittura trasportato, da Kiergesan, a sua volta esausto e prossimo al collasso.

Lottando col dolore, l’intorpidimento alle e la fatica, finalmente i ragazzi giunsero, addirittura con qualche ora di anticipo rispetto a quanto previsto, alla vecchia fattoria abbandonata, null’altro che una vecchia casa diroccata, una stalla pericolante e qualche recinto di legno divorato dalle termiti, e qui ebbe inizio l’attesa.

Ormai il vallo appariva vicino, vicinissimo, al punto che quasi se ne potevano scorgere gli occupanti.

Sarebbero bastati venti minuti di cavalcata, forse anche meno, e tutto sarebbe finalmente finito.

Come concordato, Saito fece un segnale con la torcia, il quale venne notato dai soldati di guardia che avvertirono immediatamente la duchessa.

«Sembra che ce l’abbiano fatta.» disse Victor

«Così pare.»

«Gli andiamo incontro? Potrebbero aver bisogno di aiuto.»

«Niente affatto.» replicò la duchessa dopo un lungo, insolito momento di esitazione «Potrebbe venire interpretato come un atto di invasione. Noi non ci muoveremo da qui, e li aspetteremo. Dovranno arrivarci con le loro forze.»

«Come volete».

Saito e gli altri aspettarono, approfittando della pausa per recuperare le forze in vista della volata finale verso la salvezza.

Ogni secondo che passava sembrava una vita, e il suolo stesso di Germania cominciava ormai ad essergli indigesto. Prima avessero rimesso piede a Tristain, e meglio si sarebbero sentiti.

«Perché non arrivano?» domandò Louise vedendo il sole abbassarsi sempre di più, tingendo l’aria del rosso del tramonto

«A questo punto, dobbiamo cominciare a pensare al peggio.» disse schiettamente Kiergesan

«Questo è impossibile.» replicò con forza Kirche mostrando i suoi due gioielli «Se così fosse questi non sarebbero ancora in mano mia.»

«In ogni caso, potrebbero essere state catturate. O peggio, potrebbero anche aver deciso di tradirci.»

«Che cosa!?» ringhiò la rossa fumando di rabbia «Prova a ripeterlo!»

«Provate a pensarci. Come avranno fatto a scovarci al ponte? Le loro pattuglie non ci avevano avvistati, e solo chi conosce bene questa terra avrebbe potuto sapere dell’esistenza di quel passaggio.

Come delle spie professioniste, ad esempio».

Era la goccia di troppo. Kirche quasi saltò addosso al giovane per riempirlo di botte, ma per fortuna Saito fu svelto a trattenerla.

«Tu non le conosci, maledetto! Loro non mi tradirebbero mai!»

«In ogni caso, la priorità è portare al sicuro l’ambasciatore. Tutto il resto è secondario. Aspetteremo ancora dieci minuti, e se per allora non saranno arrivate torneremo indietro senza di loro».

Era una soluzione orribile e disumana, ma anche, a conti fatti, l’unica possibile.

Se fossero tutti morti, o se l’ambasciatore non fosse ritornato sano e salvo a Tristain, tutto rischiava di essere stato inutile, incluso il probabile, e a quel punto ipotizzabile, sacrificio delle due ragazze.

Invece, all’improvviso, Saito e gli altri si sentirono chiamare, e rivolti gli sguardi verso il bosco videro Silvye e Morea correre nella loro direzione in sella a dei cavalli rubati alla prima stazione di posta in cui si erano imbattute.

La gioia dei ragazzi fu incontenibile, e quella di Kirche in particolar modo, che corse incontro alle sue due servitrici abbracciandole strette.

«Meno male! Sapete quanto mi avete fatta preoccupare?»

«Ci perdoni, Kirche-sama.» disse Silvye «Siamo state trattenute».

Di fronte alla sua padrona, per fortuna sana e salva, Morea sentì riemergere tutta la vergogna ed il senso di disonore sopiti fino a quel momento, tanto che malgrado la felicità dell’averla ritrovata non riuscì a guardarla negli occhi.

«Che ti succede, Morea

«Kirche-sama, io…».

La ragazza si buttò in ginocchio, ai piedi della sua padrona.

«Vi prego, perdonatemi! È tutta colpa mia!»

«Ma di che cosa stai parlando?»

«Io… io vi ho tradito! Mi sono piegata, e ho rivelato quello che sapevo del nostro piano di fuga. Ho cercato di nascondere quanto più potevo per sviarli, ma ciò non toglie che abbia parlato».

Un’ombra si addensò sul volto di Kirche. Sembrava rabbia.

«Morea non ha colpa, mia signora.» disse Silvye «Sono io la sola responsabile. Lo ha fatto per salvare me. Se dovete punire qualcuno, punite me che non sono riuscita a dissuaderla».

Passarono lunghi, interminabili secondi, poi l’espressione contrita di Kirche si sciolse in un sorriso liberatorio.

«Sono così felice di avervi nuovamente vicine.» disse abbracciandole «Che tutto il resto non conta.

E comunque, come potrei definirmi la Strega della Passione se incolpassi di qualcosa chi ha preso una decisione facendosi guidare da essa per salvare una vita?».

Le due ragazze alzarono lo sguardo, incredule e meravigliate.

«Kirche-sama…»

«Avanti ora, torniamo indietro.»

«Mai stato più d’accordo.» commentò Saito «Dal mio punto di vista, questa gita oltre confine è durata anche troppo».

Fecero per rimontare a cavallo, ma per l’ennesima volta Morea fu tormentata da quella sensazione di prurito che non voleva saperne di lasciarla in pace.

«Dannazione, non ne posso più.» mugugnò dandosi una grattata.

Sentì qualcosa che staccava, e pensò dovesse trattarsi di una crosta, ma appena la guardò si avvide che invece era una specie di grossa pulce, con due fauci sproporzionate e chiazzate di sangue, e gli occhi che scintillavano di rosso.

Divenne pallida come la morte.

«Un insetto spia!» ebbe il tempo di esclamare, per poi evitare di un soffio un colpo di moschetto arrivato da sinistra.

I soldati di Eichart avevano proceduto a marce forzate, riuscendo a fatica a stare dietro al loro comandante, e prima che i ragazzi potessero raggiungere i cavalli calarono come una mandria impazzita sulla fattoria armi alla mano.

Persino il governatore, che di solito evitava di sporcarsi le mani, era in mezzo a loro.

«È un’imboscata!» urlò Kirche, che con una fiammata riscaldò a dovere l’assalitore più vicino scagliandolo via.

Non c’era l’intenzione di fare prigionieri, e ciò fu evidente nel  momento in cui Kiergesan, in un combattimento uno contro due, venne trafitto all’altezza dello stomaco da un affondo che solo grazie allo spesso camiciotto in cuoio che stava portando non gli risultò fatale.

Orland lo vide cadere a terra, e senza pensarci scivolò fuori dalla barriera che Morea e Silvye  avevano formato davanti a lui per correre in suo aiuto.

«Signor ambasciatore, no!» tentò di urlare Morea.

L’ambasciatore, raccolta la spada di Kiergesan, richiamò a sé quel poco di abilità schermistica che l’età gli aveva lasciato, ma tutto quello che riuscì a fare fu mulinare senza senso l’arma a destra e a sinistra senza impensierire minimamente i due soldati.

Dovette intervenire Sylvie per salvarlo, che eliminò i nemici prima che potessero uccidere anche l’ambasciatore scagliando una coppia di pugnali, mentre Morea invece corse a soccorrere Kiergesan portandolo velocemente al sicuro dietro ad un carretto.

La situazione però si fece ben presto disperata.

Saito combatteva come un leone, cercando per quanto possibile di mantenere il contatto visivo con Louise, che sapeva essere ancora chiusa dentro la nicchia formata da una pila di fascine in cui l’aveva costretta a nascondersi, e fu sorpreso quando, ad un certo punto, la vide intenta a recitare uno dei suoi incantesimi.

Non aveva idea di che cosa avesse in mente, e comunque non aveva il tempo per pensarci, occupato com’era.

Infatti Louise aveva in mente qualcosa, ma non aveva voluto dire niente per paura che Saito provasse a fermarla, e concentratasi aveva iniziato a salmodiare pregando di non venire interrotta sul più bello.

Nel fragore della battaglia, nessuno si era accorto che d’improvviso la luce del sole, già per buona parte coperta dalle nuvole, si era fatta di colpo un po’ più forte, così come nessuno aveva notato uno strano tremolio che aveva iniziato ad interessare le strutture fatiscenti minacciando di farle definitivamente crollare.

Solo all’ultimo momento, quando la battaglia appariva ormai irrimediabilmente perduta, a qualcuno venne da alzare gli occhi al cielo, e ciò che tutti videro era una enorme sfera pulsante che gravitava proprio sopra le loro teste.

Saito capì al volo.

«Chiudete gli occhi!» gridò ai suoi, che ubbidirono al volo.

«Explosion!».

Louise non aveva alcuna intenzione di uccidere, infatti il suo incantesimo si limitò a produrre una enorme esplosione di luce e vento, che buttò a terra alcuni ed accecò tutti gli altri, lasciandoli impotenti.

«Maledetti!» strillò Eichart, che come quasi tutti i suoi non aveva fatto a tempo a proteggersi gli occhi

«È il momento, presto!» disse Saito.

Quando il governatore e gli altri, esauritosi l’effetto dell’incantesimo, furono nuovamente in grado di vedere, i fuggiaschi se l’erano già data a gambe, usando oltretutto alcuni dei loro cavalli.

«Non devono scappare!» tuonò Eichart «Inseguiamoli!».

 

Approfittando del momento favorevole Saito e i suoi compagni si erano immediatamente dileguati, ma nonostante fossero riusciti a rubare alcuni dei cavalli degli uomini del ministro l’ultima tappa di quel viaggio fu comunque molto lenta.

Kiergesan era conciato molto male, e andando troppo veloce c’era il rischio di fargli perdere troppo sangue. Kirche aveva cauterizzato la ferita come meglio poteva, ma il danno agli organi interni c’era ancora ed era piuttosto serio, e a meno di non metterlo al più presto nelle mani di un mago dell’acqua o di un cerusico non sarebbe sopravvissuto a lungo.

Il vallo era sempre più vicino, distinguibile a malapena tra le basse fronde degli alberi.

«Ci siamo quasi!» continuava a ripetere Kirche «Passata questa foresta restano solo poche centinaia di metri!».

Purtroppo, con la salvezza ormai ad un passo, il gruppo sentì nuovamente giungere alle proprie spalle il baccano prodotto dall’approssimarsi degli inseguitori, che al contrario di loro non esitavano a lanciare i loro cavalli al massimo della velocità, nonostante il terreno accidentato che minacciava di azzoppare gli animali.

«Più veloci! Più veloci! Ormai sono nostri!».

Non dovettero trascorrere che pochi minuti perché il ragazzi, voltandosi, potessero scorgere Eichart e gli altri, giunti ormai ad un tiro di schioppo.

«Forza, non fermiamoci adesso!» disse Louise «Ormai ci siamo».

Mancavano solo poche decine di metri per essere ormai all’esterno, e per quanto folle nella sua determinazione Eichart non avrebbe mai rischiato di suicidarsi esponendosi in campo aperto al tiro dei cecchini appostati sui bastioni della fortezza.

O almeno, questo era ciò che Saito si augurava, così come si augurava che non sparassero anche a loro, visto che non avevano avuto il tempo di fare il segnale convenuto, ma purtroppo ormai quella era la loro unica speranza di salvezza.

Sfortunatamente, ormai Eichart e gli altri erano arrivati a distanza di tiro, approfittando anche di un crudele avvallamento che aveva costretto i fuggiaschi a scendere da cavallo e a proseguire a piedi, appesantiti dal fardello di Kiergesan e del ministro portati a spalla da Saito e da Kirche.

Quello era davvero l’ultimo ostacolo, e se non ne avessero approfittato subito era molto probabile che li avrebbero persi per sempre.

«Forza, sparagli!» ordinò il governatore all’unico uomo armato di moschetto.

Quello obbedì, mettendo il ministro al centro del suo mirino, attese qualche secondo per essere sicuro di non sbagliare, quindi fece forza sul grilletto.

Il fragore di uno sparo riempì il silenzio della foresta, rimbombando come un tuono, e Kirche, volgendosi alle proprie spalle, poté vedere uno dei soldati di Eichart rovinare a terra dal suo cavallo centrato in mezzo alla fronte.

Il governatore e i suoi restarono ammutoliti.

«Ma che…».

Cicero sembrava il più colpito di tutti, e volse lo sguardo nella direzione da cui era partito il colpo.

Oltre le foreste, oltre il verde pascolo, lassù, sui bastioni della fortezza, il capitano LeClerc teneva in mano il proprio moschetto, ancora fumante e rivolto verso il basso; al suo fianco il fedele Victor, con tra le mani un secondo schioppo pronto all’occorrenza, che però come al solito non si era rivelato necessario.

Anni passati a cacciare nelle sterminate e inospitali montagne orientali avevano trasformato gli occhi del capitano in quelli di un falco, ai quali nulla passava inosservato, e incapaci di inquadrare un bersaglio anche a diverse centinaia di metri di distanza, senza lasciargli via di scampo.

In parte inconsapevoli di quanto era appena successo, Saito e gli altri, superato l’ultimo ostacolo, uscirono dalla foresta, e le loro espressioni si caricarono di gioia nel momento in cui videro finalmente comparire davanti a loro il Vallo, con i suoi immensi portoni spalancati quasi a volerli risucchiare al suo interno.

Quanto ad Eichart, lui ed i suoi uomini si portarono a loro volta al limitare della foresta, ma quando vi giunsero ormai i fuggitivi avevano percorso metà della radura, ed erano ormai praticamente in salvo.

Eppure, nonostante tutto, il governatore non voleva saperne di arrendersi.

«Che aspettate? Inseguiteli!» ringhiò.

Stavolta, però, i suoi uomini non avevano alcuna intenzione di obbedirgli, perché a differenza di lui sapevano bene che mettere il naso oltre la linea degli alberi equivaleva a suicidarsi.

«Non mi avete sentito? Muovetevi! Se non vi muovete vi trucido con le mie mani!».

Ma  neanche le minacce servirono, e allora il governatore andò su tutte le furie.

«Massa di inutili, schifosi, putrescenti conigli! Ve la farò pagare!» quindi si rivolse in direzione della fortezza «Non sperate di cavarvela così! State a vedere! In una settimana al massimo porterò tutte le truppe di Germania su questa pianura, e sbriciolerò una volta per sempre il vostro dannatissimo muro! Mi hai sentito, Orland? Non mi sfuggirai! Dovessi seguirti fino all’inferno, avrò la tua testa!»

«È tutto inutile.» disse calmo Cicero vedendo i fuggitivi scomparire all’interno del vallo, le cui porte vennero poi immediatamente sprangate

«Cicero!?» lo guardò sconcertato Eichart

«Ormai è finita, governatore. Per tutti. E soprattutto per lei. Ha voluto giocare con la fortuna più di quanto fosse prudente fare in nome della sua avidità, e alla fine è stato punito. Che l’ambasciatore testimoni o meno, quello che è successo in città sarà più che sufficiente a segnare il suo destino quando il kaiser ne sarà informato.» quindi guardò Eichart con occhi sprezzanti e cupi, che mettevano paura «Al suo posto io mi suiciderei qui, piuttosto che subire l’umiliazione della pubblica gogna che tocca ai nobili accusati di malversazione».

Il governatore capì.

Era evidente.

Non c’erano prove che potessero incolparlo di nulla, nulla che non fosse stato distrutto. Nulla a parte chi lo aveva aiutato nelle sue malefatte, e che avrebbe testimoniato in cambio della salvezza.

«Tu…» ringhiò afferrandolo per il bavero «Schifoso traditore! Come osi? Tu sei mio! Io ti possiedo! Sei il mio schiavo! Il mio…».

Non ebbe il tempo di finire.

Un pugnale si conficcò nel suo costato.

«Tutto quello che era tuo, ora diventerà mio.» gli disse Cicero «Consideralo un risarcimento per quello che hai fatto a me e alla mia famiglia.

E ora, vattene a bruciare all’inferno.»

Eichart ebbe a malapena il tempo di rendersi conto di ciò che era successo, osservando sgomento i suoi uomini che restavano a guardare senza intervenire, e come Cicero ritirò la lama cadde da cavallo sprofondando morente nel fango.

«Per mio padre».

Rinfoderato il pugnale, Cicero guardò un’ultima volta in direzione del palazzo, indirizzando un cenno di saluto verso il capitano LeClerc, quindi, girato il cavallo, scomparve assieme ai suoi uomini nel fitto degli alberi.

 

Kiergesan per fortuna fu preso per tempo, e messo nelle mani esperte dei medici della fortezza recuperò quasi completamente nel giro di una nottata.

Al sorgere del sole, e considerando esauriti i propri obblighi, Saito e Louise decisero che era giunto il momento di fare rientro a Grasse.

«Grazie per tutto quello che avete fatto.» disse l’ambasciatore prima che Saito e Louise salissero a bordo del White Dragon «Vi prometto che non lo dimenticherò.»

«È stato un piacere, signor ambasciatore.» disse Saito «Adesso cosa farà?»

«Ho già avviato dei contatti con altri ministri fedeli al kaiser. Ho molte faccende lasciate in sospeso a Germania, e intendo tornarvi quanto prima.»

«Non sarà pericoloso?»

«È quello che gli ho detto anch’io.» commentò Kiergesan raggiungendo il campo di volo appoggiato ad una stampella «Ma ormai dovreste saperlo che l’ambasciatore ha una gran testa di legno».

Kirche, comparsa dal nulla, saltò addosso a Saito.

«Mi raccomando, Darling. Vieni a trovarmi presto. Ci sono così tante cose che voglio farti vedere a Germania. Cose interessanti.»

«K… Kirche… ti prego».

Purtroppo stavolta Saito dovette fare i conti non solo con Louise, ma anche con Silvye e Morea, che gli si palesarono davanti sprizzando scintille per la rabbia.

«Maniaco!»

«Pervertito!»

«Stupido cane!».

Angela assisteva in disparte, appoggiata sulla balaustra ai margini del campo, e quando Victor la vide sorridere gliene chiese il motivo.

«Ce ne fossero di più di feudatari come lui. Allora forse questo Paese non starebbe andando in rovina».

 

 

Nota dell’Autore

Salve a tutti!^_^

Io mi vergogno di me stesso.

Questo capitolo in realtà era pronto da un sacco di tempo. Mancava solo la parte finale, con la fuga dalla fattoria e il ritorno al Vallo, ma per una cosa o per l’altra non l’ho mai completato.

Me ne vergogno profondamente, perché in fin dei conti questa è una storia che mi ha dato e mi da ancora oggi enorme soddisfazione, e tenerla così in sospeso è quasi un crimine.

Se non altro, con questo si chiudono le vicende legate alla spedizione in Germania, e direi che a questo punto abbiamo superato la metà della storia.

Da ora in poi ci saranno molte battaglie e tanta azione, che andrà in crescendo fino alla battaglia finale, che vi preannuncio molto spettacolare.

Grazie a chi, nonostante tutto, mi segue e mi recensisce, seldolce, haruna-chan e il nuovo arrivato, yumi. Mamma mia, recensioni in spagnolo non ne avevo mai ricevute. È la prova che in fin dei conti è una buona fanfic, quindi devo assolutamente continuarla.

A presto!^_^

Carlos Olivera

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Capitolo 35
*** 32 ***


32

 

 

Dopo la prima battaglia contro Laguiole, Fort Segoile era stato riparato e pesantemente fortificato, e Kaoru vi aveva preso pianta stabile assicurandone la difesa.

Quello a nord era l’unico confine che guardasse verso un territorio nemico, e visto che la via verso De Ornielle era bloccata dal corso del fiume Serk, di cui avevano provveduto a distruggere le dighe, quello era l’unico punto da cui le forze del duca potevano attaccare.

E come previsto, passata qualche settimana, gli attacchi erano ripresi a ritmo incessante.

Se solo lo avessero voluto, le forze di Laguiole avrebbero potuto spianare il forte come e quando volevano, forti della superiorità numerica e dei propri equipaggiamenti d’avanguardia, ma ad un solo, devastante attacco avevano inspiegabilmente preferito una serie continua di piccoli assalti, con poche migliaia di uomini per volta, facili da respingere ma che, con l’andare del tempo, si erano fatti sempre più numerosi.

Per gli occupanti del forte non vi era neanche il tempo di riparare i danni causati dall’ultimo assalto che subito ne arrivava un altro, e all’interno si era sempre sul chi vive, con la tensione alle stelle che richiedeva continui cambi di guarnigione per evitare che a qualcuno saltassero i nervi.

Non si aveva mai un attimo di riposo, dormire era quasi una conquista, e la tromba dell’allarme squillava di continuo.

Persino Kaoru ormai iniziava a sentire il peso della fatica e delle molte ore di sonno perse, e se anche lui che era il generale iniziava ormai a perdere colpi allora voleva dire che quella era diventata una situazione davvero insostenibile.

Dopo l’ennesimo assalto, e con il morale dei suoi uomini ormai ridotto ai minimi storici, il generale non ebbe altra scelta che fare ritorno a Grasse per fare rapporto e comunicare le sue conclusioni.

Tirava un’aria tremendamente cupa nella sala delle udienze, mentre Kaoru faceva il punto della situazione con Laguiole, e tra tutti la più preoccupata sembrava Kiluka, presente a sua volta all’incontro.

«Potrebbero schiacciarci se lo volessero. Invece, hanno deciso di logorarci poco per volta.» disse mestamente il generale «Da venti giorni a questa parte, dodici attacchi consecutivi, la cui forza è andata aumentando da un assalto all’altro. Abbiamo centoundici morti, quasi duecento feriti, e i danni al forte richiedono sempre più tempo per essere riparati.

Scommetto la testa che anche ora mentre parliamo è in corso un attacco.»

«Quanto credi che potrà reggere il forte?» chiese Saito come se non volesse sapere la risposta

«Se gli attacchi continueranno ad aumentare di numero e di intensità, temo che nel giro di un mese Fort Segoile finirà per capitolare. Sempre che la guarnigione non si ribelli prima».

I due coniugi, sconsolati, chinarono la testa.

«E se questo dovesse succedere?» domandò Louise

«Fort Segoile è situato in una posizione chiave che garantisce protezione a tutti i nostri domini. Anche i nostri alleati del sud sono relativamente protetti dalla sua presenza, dal momento che da esso transitano tutte le strade dirette verso le zone meridionali. Se fossimo costretti ad abbandonare Fort Segoile, la nostra linea difensiva si sposterebbe irrimediabilmente verso Fort Oshna. Da lì potremmo ancora difendere Grasse, ma di contro tutto il resto, a cominciare da De Ornielle, andrebbe perduto».

Kiluka di colpo corse via, nascondendo il viso dietro le maniche del vestito per evitare che potessero scorgere le sue lacrime.

«Signorina!» disse Seena correndole dietro.

Anche Louise la inseguì, lasciando da soli Saito e Kaoru.

«Temo che si senta responsabile.» disse Saito

«Lei è solo il pretesto, questa è la verità. Nelle ultime settimane Valat ha conquistato quasi tutta la costa settentrionale, e qualche giorno fa le sue armate del nord hanno iniziato a muoversi anche verso l’interno.

Se non ha ancora marciato sulla capitale, è solo perché prima vuole sistemare i conti con noi. A quel punto, niente gli impedirebbe di entrare a Tristania e reclamare il potere.»

«Per quale motivo credi che esiti ad attaccarci con tutte le sue forze?»

«L’eco della nostra vittoria su Floubert si è già sparso in lungo e in largo per tutto il Paese. Probabilmente teme il potere della Valliere, e vuole prima spingerci a scoprire le nostre carte.»

«Immagino sia così. Comunque è un vero peccato che la Valliere richieda così tanti giorni per poter essere ricaricata.»

«E comunque, data la sua scarsa autonomia in volo, non è in grado di compiere lunghe spedizioni nell’entroterra, il che di fatto la renderebbe inutile in teatri di guerra troppo lontani dal mare.

Se dovessero cercare di assediare la città potremmo indubbiamente servircene, ma non esiste che possa offrire una protezione continua e sicura anche intorno a Fort Segoile, o in questo caso l’avrei già fatta muovere».

Saito chinò il capo come soprapensiero.

C’era un’idea che, intimamente, meditava da diverso tempo, ma che fino ad allora non aveva mai voluto prendere seriamente in considerazione. Ora, però, era chiaro che non si poteva più tergiversare.

«Tu…» balbettò «Credi sarebbe possibile attaccare Boulogne?».

 

Kiluka nel frattempo era corsa in giardini, fattisi una interminabile distesa bianca con tutta la neve che era caduta negli ultimi giorni a testimoniare, anche lì, l’arrivo dell’inverno.

Louise e Seena la trovarono raggomitolata sotto il suo gazebo preferito, il volto nascosto tra le ginocchia e i singhiozzi faticosamente repressi.

«Signorina…» disse Seena

«È tutta colpa mia. Se non fossi qui, nulla di tutto questo starebbe accadendo.»

«Non dire così, Kiluka. Tu non hai nessuna colpa.» disse Louise

«Tutti quei soldati. Tutte quelle persone innocenti. Sono tutti morti per proteggermi. Forse dovrei consegnarmi a mio zio, così almeno tanta gente innocente smetterebbe di morire.»

«Credi davvero che sia solo per te?» disse ancora Louise quasi con rimprovero «Non fare la bambina viziata, non sei così importante».

Sia Seena che Kiluka la guardarono perplesse e sgomente.

«Louise-sama…»

«Onee-sama…» disse Kiluka trattenendo a stento le lacrime

«Il conte Valat è un maledetto ambizioso affamato di conquista. Tutto quello che vuole è il potere, per ottenerlo deve schiacciare chiunque lo minacci, e tu, ragazza mia, sei solo uno dei tanti avversari di cui deve sbarazzarsi per potersi prendere il Paese.»

«Però…»

«È vero, forse lo fa anche per cercare di avere te, ma di certo non è questo l’unico motivo che lo spinge ad attaccarci. E se davvero lo credi, allora non sei diversa da tutte le aristocratiche viziate che ho conosciuto.»

«Luise-sama… così però…» tentò di protestare Seena

«Tu sei una duchessa. Un giorno le terre che tuo zio ha usurpato apparterranno a te. Sarai un feudatario. E in quanto tale, avrai a che fare quotidianamente con situazioni di questo tipo.

Dovrai prendere decisioni, decisioni spesso difficili, e dovrai portarne il peso.

Prendi esempio da Saito. Lui fa quello che ritiene giusto, assumendosene la responsabilità. Credi che non soffra per ogni soldato che muore? Che non desidererebbe scambiare la sua vita per uno solo di loro?

Purtroppo è questa la realtà del mondo in cui viviamo. Io e lui abbiamo dovuto farcene una ragione, ed è giunto il tempo che lo faccia anche tu. Altrimenti i tuoi servitori, e i cittadini che dipenderanno da te, avranno tutto da perdere ad averti come feudataria».

Louise sembrava diventata un’altra persona, tanto il suo volto si era fatto serio, contrito, quasi minaccioso.

Non mostrò alcuna esitazione, neanche di fronte agli occhi umidi di Kiluka, e concluso ciò che aveva da dire se ne andò lasciando la bambina da sola a piangere tutte le sue lacrime, inutilmente consolata da Seena.

«È incredibile.» mormorò tra sé sfiorandosi il ventre «Sono proprio come mio padre».

 

Passarono dei giorni, e stranamente, contro le previsioni di Kaoru, non accadde nulla.

Gli attacchi a Fort Segoile proseguirono, ma in misura minore rispetto a quanto il generale aveva preventivato, e tanto la frequenza quanto il numero di forze in campo subirono una graduale diminuzione, fino a trasformarsi in rapide e quasi improvvisate sortite che si esaurivano dopo appena qualche schermaglia.

Sembrava quasi che la potenza militare di Laguiole fosse in calando, o forse il duca sperava davvero di provocare una rivolta all’interno della fortezza optando per una strategia a corrente alternata, che alternasse momenti di continui attacchi ad altri di inspiegabile ed interminabile quiete.

In ogni caso Kaoru era stato trattenuto nella capitale, dove aveva potuto concentrarsi con Joanne sulla formazione delle nuove reclute, mentre di contro Kilyan era stato inviato a Fort Segoile con la nuova guarnigione.

Dopo quella specie di crudele rimprovero tra Louise e Kiluka era calato il gelo.

Le due non si guardavano né si parlavano, e cercavano per quanto possibile di evitare persino di incontrarsi.

Louise era consapevole di avere esagerato, ma temeva che liberando Kiluka dal dolore che sicuramente provava per le cose che le aveva detto scusandosi con lei avrebbe solo ottenuto di farla soffrire ancora di più quando la realtà fosse venuta a bussare alla sua porta.

Purtroppo, la realtà dei fatti era che Tristain non era più quella di un tempo, e fino a che le cose non si fossero sistemate, sempre ammesso che potesse accadere, era necessario che Kiluka fosse pronta ad affrontare ciò che l’aspettava.

Ma era destino che la quiete non durasse, e quando Saito e gli altri si accorsero di essere abboccati al tranello teso dal duca ormai era troppo tardi.

Una mattina, un messaggero arrivò al palazzo come se avesse avuto la morte alle calcagna, tanto che il suo cavallo stramazzò a terra morente subito dopo averlo fatto scendere.

«Fatemi passare!» urlò alle guardie al portone che tentarono di sbarrargli la strada «Vengo da Serk City! Devo parlare subito con lord Hiraga e il generale Kaoru!».

Il messaggero venne subito condotto alla presenza dei sovrani e del loro generale, ai quali si rivolse con il poco fiato che la paura sembrava avergli lasciato in corpo, e ciò che disse fece piombare il gelo sulla sala delle udienze.

«Serk City è sotto attacco!»

«Che cosa!?» sbraitò Kaoru

«È così, miei signori! L’esercito di Laguiole ha cinto d’assedio la città tre giorni fa! Ci hanno completamente tagliati fuori! Il tenente-colonnello Vannings ha assoluto bisogno di rinforzi, ma lo sbarramento nemico è tale che di dieci esploratori inviati contemporaneamente per cielo, per mare e per terra solo io sono riuscito ad attraversarlo.

Se non verranno inviate nuove truppe al più presto, la città capitolerà in meno di una settimana.»

«Maledetto bastardo.» imprecò Saito «Allora era questo il suo piano.

Ci ha tenuti sulle spine con Fort Segoile, e intanto preparava il vero attacco da tutt’altra parte.»

«E adesso cosa facciamo?» chiese Louise

«Mi pare ovvio.» rispose Kaoru «Serk City si affaccia sul mare. Porterò laggiù la Valliere e spianerò il loro esercito una volta per tutte.»

«Ma riuscirai ad arrivare in tempo?» domandò Saito

«Anche se la nave non si è ancora ripresa, può navigare senza problemi, anche se a regime leggermente ridotto. Do subito ordine di prepararsi per la partenza. Lavorando tutta la notte, potremo salpare già domattina».

Tra la confusione e lo sgomento portato dalla notizia, erano tutti troppo sconvolti e con la testa altrove per accorgersi dei portoni del salone lasciati imprudentemente socchiusi, e del fatto che qualcuno, appostato dietro, avesse udito ogni cosa.

 

Kaoru fu di parola. Raggiunta in tutta fretta Otisa, dove la Valliere era ormeggiata, aveva immediatamente messo al lavoro tutti, dagli ufficiali di plancia all’ultimo dei lavaponti, e al sorgere della successiva alba la nave era già affacciata dall’interno della caverna, pronta a salpare.

«È tutto pronto.» disse il generale ai due ragazzi mentre i rinforzi convocati dalla capitale al comando di Joanne percorrevano la scaletta costruita a ridosso della scogliera per imbarcarsi «Se tutto và per il meglio, per domani notte potremmo già essere a Serk City.»

«Mi raccomando Kaoru, fa attenzione.»

«Non preoccuparti, Louise-chan.» disse Derf «Lo terrò d’occhio io».

Saito gli strinse la mano, scambiandosi con lui uno sguardo di incoraggiamento, quindi Kaoru si avviò a sua volta giù per la scaletta, e pochi minuti dopo la Valliere mollò gli ormeggi facendo rotta verso est, verso la città assediata.

Saito e Louise restarono sulla scogliera, ad osservare la nave che si allontanava, quindi, scambiatisi uno sguardo di speranza, tornarono sui propri passi.

Stavano quasi per risalire in carrozza quando Seena, che avevano lasciato a guardia del castello, sopraggiunse a cavallo con l’espressione e gli occhi di chi ha il cuore in gola per la paura.

«Seena, che ci fai qui?» domandò Louise «Dovresti essere a Grasse.»

«Miei signori, Kiluka è qui con voi?».

I due coniugi si guardarono attoniti.

«No.» disse Saito

«Questa mattina sono andata a cercarla nella sua camera sua, ma non l’ho trovata.»

«Forse è andata in città.» ipotizzò Louise con la voce di chi vuole darsi false speranze «Non sarebbe la prima volta.»

«Ho provato a domandare, ma nessuno l’ha vista. Inoltre è scomparso un cavallo dalle scuderie.» poi, il tremendo sospetto «Temo sia andata a Laguiole per consegnarsi al duca».

Non servì molto perché il sospetto, agli occhi di tutti, si tramutasse in certezza, e fra tutti la persona che più si sentì mancare nel realizzare ciò che stava accadendo fu proprio Louise.

Avrebbe dovuto immaginare che la cosa sarebbe potuta degenerare in quel modo. Eppure aveva visto gli occhi di Kiluka, la sua frustrazione, e quel senso di impotenza che lei stessa più volte aveva provato prima di scoprire la magia del vuoto.

Doveva capirlo.

Adesso, era suo il compito di rimediare.

Non poteva permettere che quella ragazzina così onesta e gentile pagasse il prezzo dell’orrore e dell’oscurità che stavano divorando Tristain. Non lei, che un domani poteva diventare una luce capace di riportare la speranza.

Nel mentre Saito aveva già sbrigliato uno dei cavalli della carrozza per correre appresso alla duchessa, nella speranza di raggiungerla prima che arrivare a Boulogne, ma grande fu il suo stupore quando vide Louise fare altrettanto.

«Louise…»

«Non cercare di fermarmi, Saito. Se è successo è anche colpa mia. Non dovevo essere così crudele e disumana.

Se fossi stata un po’ più comprensiva, forse Kiluka non se ne sarebbe andata».

Saito si avvide che la mano di Louise tremava. La toccò con la propria, guadagnandosi un’occhiata sorpresa.

«Saito…»

«La riporteremo indietro, Louise. Insieme».

Louise sorrise.

«Grazie, Saito

«E ora forza, sbrighiamoci. Visto il tempo che è passato, è molto probabile che per riprenderla dovremo andare fin dentro Boulogne.

E chissà che in questo modo questa faccenda non si sistemi una volta per tutte».

 

Valat era talmente sicuro che Kiluka avrebbe abboccato all’amo che, su suggerimento della sua fidata consigliera, aveva posizionato sentinelle ed esploratori lungo ogni strada, sentiero e roccia che da Grasse portava a Boulogne.

Poco dopo il tramonto, Kiluka fu catturata, o per meglio dire si consegnò ai suoi nemici, appena messo piede a Laguiole e condotta alla presenza di suo zio, nella stessa stanza all’ultimo piano del castello che era stata di suo nonno, e dove l’aveva visto per l’ultima volta ormai quasi due mesi prima.

«Guarda, guarda.» disse Valat accomodandosi alla scrivania dirimpetto all’ingresso «Alla fine, la mia adorata nipotina è tornata dal suo amato zio. Finalmente.»

«Quel posto non ti appartiene.» ringhiò Kiluka, che se non avesse avuto le mani legate dietro la schiena gli sarebbe saltata addosso «È solo il nonno che ha il diritto di sedersi lì.»

«Non più, visto che è morto. Ma consolati. Ha pregato per te fino a che ha avuto un alito di vita.»

«Sei un mostro. Mi fai schifo.»

«Accidenti.» commentò Fouquet, in piedi accanto al duca «Che lingua tagliente ha la piccola.

Hai almeno idea della situazione in cui ti trovi?»

«Il vecchio si è scelto da solo quella fine. Se avesse mostrato un po’ più di ragionevolezza, dando a me quello che era mio di diritto, forse ora sarebbe ancora vivo.»

«Non sei degno del titolo di governatore, né tanto meno di re. Che razza di regno potrebbe mai creare uno come te? Sarebbe solo un regno di malvagità e terrore.»

«Non giudicarmi, ragazzina. Sto solo facendo quello che è necessario. Forse non te ne sei accorta, ma c’è una guerra là fuori. E personalmente, non ho alcuna voglia di trovarmi dalla parte sbagliata della barricata.»

«Non mi interessa quali siano le tue ragioni.

Io sono qui. Mi sono consegnata a te. Uccidimi se proprio devi, ma lascia stare Kaoru-kun e Louise-sama. Promettimi che non farai loro alcun male e ti consegnerò la mia testa.

Promettimelo!»

«Non farò loro del male!?» disse attonito il duca.

Sia lui che Fouquet scoppiarono in una fragorosa risata, che lasciò Kiluka di sasso.

«Sei davvero una bambina ingenua. Pensavi sul serio che fosse solo per causa tua che ho fatto la guerra a quei due!?

Tu eri il pretesto! Noi volevamo Grasse e la Maga del Vuoto molto più di quanto io volessi te. Il fatto di esserti rifugiata proprio lì ci ha solo facilitato le cose.

E tu credevi sul serio che consegnarti a me avrebbe fatto finire tutto!? Non ho parole!».

Solo a quel punto, Kiluka realizzò. Realizzò quanto tutto fosse stato inutile.

E allora, in lei montò la rabbia.

«Maledetto!».

Materializzato un pugnale nelle proprie mani tagliò fulminea le corde, e con la stessa arma fece per scagliarsi sullo zio, ma la guardia di palazzo che l’aveva portata lì, un giovane di nome Tiberius, fu più svelto e la trattenne forzatamente per la collottola, costringendola in ginocchio dopo averla disarmata.

«Ne ha di energie la piccola.» commentò Fouquet «È un peccato che debba morire. D’altra parte, meno famigli del vuoto ci sono in giro e meglio sarà.»

«Ritieniti fortunata.» disse Valat alzandosi in piedi «Se non altro, morirai per mano della stessa persona che ha ucciso il tuo adorato nonno.» quindi si rivolse alla guardia «Portami il suo cuore e infilza la sua testa su una lancia. Gli abitanti di Boulogne avranno una bella sorpresa al risveglio domani mattina.»

«Sarà fatto, mio signore.»

«Puoi uccidermi, ma non vincerai.» ringhiò Kiluka mentre veniva portata via

«Al contrario, tesoro. Tu sarai il mio lasciapassare per la vittoria finale. Scommetto tutto quello che possiedo che in questo preciso momento i tuoi preziosissimi amici stanno correndo qui veloci come il vento per tentare di salvarti».

Kiluka sgranò gli occhi.

Non ci aveva minimamente pensato, persa com’era nei suoi pensieri.

Aveva commesso quella specie di suicidio per evitare alle persone che l’avevano aiutata ulteriori sofferenze, ma se quel mostro aveva ragione le stava invece per consegnare alla morte.

«Non puoi farlo!» urlò mentre veniva portata via «Sei un mostro! Un animale! Che tu possa bruciare all’inferno!».

Nel momento in cui il soldato lasciò la stanza ne entrò un altro, con la seconda buona notizia che il duca sperava di ricevere.

«Le nostre spie a Grasse ci informano che la Fortezza d’Acciaio ha levato l’ancora diretta verso Serk City.»

«Molto bene.» sogghignò Valat «Anche meglio di quanto sperassi».

 

Kiluka venne portata nelle stalle attigue al palazzo, nuovamente legata e fatta inginocchiare sulla paglia umida, poco distante dal porcile dove i maiali, insaziabili come sempre, si affollavano grugnanti attorno alla mangiatoia.

Cercava di non piangere, di mostrarsi risoluta almeno nel momento della fine, ma la consapevolezza di aver condannato a morte i suoi amici era tale da non poter essere sopportata.

La guardia che aveva accompagnato Tiberius dopo che questi ebbe lasciato la sala delle udienze, senza esitazione o freno alcuno sguainò la spada per compiere il suo dovere.

«Lascia stare.» disse il giovane «È compito mio. Tu vai a recuperare una lancia. Il signore vuole che la testa venga esposta subito nella piazza centrale».

Bofonchiando contrariato il soldato se ne andò, dirigendosi verso l’armeria per svolgere il proprio ingrato compito e lasciando Tiberius da solo con la ragazzina.

Per tutto quel tempo Kiluka restò immobile, ma quando sentì alle proprie spalle il rumore sinistro di una spada che scivolava fuori dal suo fodero un brivido le attraversò la schiena.

Chiuse gli occhi più forte che poteva, cercando nuovamente di trattenere le lacrime.

«Mi dispiace, duchessina.» disse Tiberius «Non avrei mai voluto che la cosa degenerasse fino a questo punto.»

«Avete tradito la fiducia di mio padre e di mio nonno!» sbraitò Kiluka «Avete tradito il vostro giuramento!» quindi, sprezzante, mormorò «Se devi farlo, allora sbrigati. Non farmi attendere oltre».

Tiberius temporeggiò, come esitante, poi allargò le braccia, inarcò il busto ed alzò le braccia sopra di sé, stringendo forte entrambe le mani attorno all’impugnatura.

Di nuovo, Kiluka chiuse gli occhi e serrò i denti, assaporando il suo ultimo respiro.

La lama piombò fulminea, implacabile.

Un solo colpo. E tutto finì.

 

 

Nota dell’Autore

Rieccomi!^_^

Mi ci è voluto un po’, ma se non altro stavolta non vi ho fatto aspettare un’eternità.

Allora, che ve ne pare?

Niente male come colpo di scena. E vedrete che non è ancora finita.

Nel prossimo capitolo, che chiuderà le vicende legate alla successione al comando di Laguiole, ne vedrete delle belle, e succederanno molte altre cose che stravolgeranno gli equilibri della storia in modo determinante.

Poi, dal capitolo successivo, finalmente inizieranno ad arrivare le prime risposte, accompagnate però da nuovi momenti drammatici.

Ormai ci stiamo avviando a grandi passi verso il clou della vicenda. Tra breve tutti i pezzi saranno al loro posto, e la guerra civile a Tristain conoscerà il suo momento più drammatico.

A breve, inoltre, spero di poter pubblicare una nuova Opening immaginaria, visto che ormai la prima, per contenuti e tematiche, può già dirsi superata.

A presto!^_^

Carlos Olivera

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Capitolo 36
*** 33 ***


33

 

 

Meno di un’ora dopo che Kiluka era stata portata via, Tiberius fece ritorno nella stanza all’ultimo piano, dove il duca stava consumando la sua lauta cena, mettendo sul tavolo un panno insanguinato.

«La duchessa Kiluka».

Valat posò il calice, e aperto il panno prese in mano il cuore che vi era dentro, ancora caldo e gocciolante di sangue.

Sorrise.

«Farò felice il mio amico.» disse, e gettatolo ai propri piedi attese che il suo molosso ne facesse un solo boccone «Prepara gli uomini. È probabile che presto avremo altri ospiti. E quando accadrà, elimina anche l’ultimo traditore.» quindi riprese a cenare.

 

Kaoru avrebbe voluto spingere la Valliere al massimo delle sue possibilità, ma i motori, anche se potenziati grazie alle modifiche apportate da Colbert, subivano uno sforzo enorme ogni volta che la nave si alzava in volo, e anche se ciò non le impediva di navigare era comunque necessario non sovraccaricarli troppo.

Così, degli oltre trenta nodi che poteva raggiungere, il generale era stato costretto a ordinare di procedere ad una velocità di poco superiore alla metà, altrimenti c’era davvero il rischio che i motori finissero per scoppiare.

Ma quella missione sembrava essere accompagnata da quella che poteva definirsi una cattiva stella.

Solo tre ore dopo la partenza la Valliere aveva urtato una secca, un maledetto scoglio nascosto sbucato da chissà dove, giocandosi una delle pale dell’elica di dritta, e ciò aveva ulteriormente limitato la sua velocità.

Il giorno successivo, era stato percorso appena metà del tragitto.

Kaoru aveva preferito non navigare sottocosta, per non correre il rischio di venire avvistati da qualche spia o esploratore, e ad una rotta in linea retta ne aveva preferita una a cuneo, così quella mattina il generale, salendo sulla torre di guardia, vide attorno a sé null’altro che l’oceano, con le bianche spiagge di Grasse ridotte ad una tenue linea oltre l’orizzonte.

Era nervoso. Preoccupato.

«A che pensi?» domandò Derf leggendo il suo stato d’animo

«C’è qualcosa che non mi torna.»

«Parli dell’attacco a Serk City?»

«La vittoria su Floubert ha fatto il giro di Tristain e non solo. Da allora nessuno ha più tentato di attaccare noi o i nostri alleati, a parte Laguiole. Hanno tutti una paura maledetta di quella che chiamano la Fortezza d’Acciaio, senza contare che nonostante le ridotte dimensioni disponiamo di un esercito numeroso.

Quindi perché attaccare Serk City? Non è una città particolarmente fortificata, ma espugnare Fort Segoile sarebbe stato sicuramente più facile.»

«Forse il duca crede che i suoi troll sapranno reggere il confronto con la Valliere.» ipotizzò Joanne comparendo sul ponte

«Già. I troll. Mi domando perché finora non ce li abbia mai scagliati contro. Secondo Kiluka Valat ne ha al suo servizio almeno due, e uno solo sarebbe stato più che sufficiente per prendere Fort Segoile senza difficoltà.»

«Questa faccenda ha assunto dei toni decisamente strani.» sentenziò Derf «Sento una gran puzza di trappola.»

«Allora siamo in due.» disse Joanne

«No, in tre.» disse Kaoru «Sarà meglio fare la massima attenzione. Ad ogni modo, comunque vada, dobbiamo difendere Serk City ad ogni costo».

 

Saito e Louise seguirono le tracce di Kiluka oltre i confini di Grasse, e proprio come Saito aveva previsto queste li condussero dritti dritti fin sotto le mura di Boulogne.

Regnava una strana calma, e anche le postazioni di guardia erano stranamente poco guarnite.

O il duca era talmente sicuro di sé da non aspettarsi azioni ai suoi danni, o forse più semplicemente la grande maggioranza del suo esercito era impegnata nell’assedio di Serk City.

«Peccato essere solo noi tre.» commentò Saito appostato assieme alle ragazze dietro una siepe a ridosso delle mura «Con simili difese non sarebbe stato difficile prendere la città.»

«Non è il momento di pensare a certe cose.» lo ammonì Louise molto nervosa «Ora dobbiamo pensare solo a ritrovare Kiluka.» quindi si rivolse a Seena «C’è un modo per entrare senza essere visti?»

«C’è un canale di scolo che parte dal fossato e passa sotto le mura. Seguitemi.»

«Canali di scolo, sempre loro.» mugugnò Saito alzandosi in piedi e seguendo le ragazze «Mai una volta che si riesca ad entrare di nascosto in una città senza ricoprirsi di melma».

Fortunatamente il varco non era mai stato localizzato dalle truppe, e anche lo stesso duca non ne era a conoscenza, così i tre riuscirono a penetrare in città senza essere notati, pur con gli stivali e le scarpe insozzati all’inverosimile.

Regnava una calma assoluta, quasi irreale. Le finestre delle case erano tutte sprangate, con sole poche luci appese fuori delle porte a rischiarare le strade deserte.

In lontananza, arroccato sul suo colle, il palazzo, anch’esso stranamente poco illuminato.

«Kiluka deve essere di sicuro lì dentro.» disse Louise

«Entrare non sarà facile.» disse Seena «Ci sono due ingressi, e probabilmente saranno entrambi sorvegliati. Quello che passa dal giardino è più lungo, ma l’ingresso principale sarà di certo molto più presidiato.»

«Sarà molto più facile se ci divideremo.»

«Non se ne parla, Louise.» la ammonì Saito «Non ti lascerò andare in giro da sola.»

«Solo perché sono incinta non vuol dire che non possa cavarmela.» replicò lei «Creerò un diversivo al cancello secondario per attirare la loro attenzione, così voi potrete passare indisturbati da quello principale.»

«È un piano pericoloso, miss Valliere.» disse Seena «Forse sarebbe meglio che mi occupassi io di organizzare il diversivo

«È fuori discussione. Tu devi guidare Saito attraverso il palazzo. Sei l’unica a conoscerlo.»

«Mia signora, è troppo pericoloso. La guardia del castello è composta da soldati molto capaci, e voi sareste da sola.»

«Taci! Quello che conta è solo salvare Kiluka! Tutto il resto non hai importanza!».

Uno schiaffo si abbatté sulla guancia di Louise, riportandola alla realtà.

«Saito…» disse attonita

«Se ti fai ammazzare non avremo risolto niente. L’hai detto tu, siamo qui per salvare Kiluka, ma se vogliamo riuscirci dobbiamo essere lucidi. E questo non comprende l’attaccare a testa bassa lanciandoci in azioni suicide, non sei d’accordo?».

Louise capì che Saito aveva ragione, e cercò per quanto possibile di recuperare il sangue freddo e di calmarsi.

«Scusatemi. È solo che mi sento così in colpa. Se non mi fossi comportata a quel modo…»

«Lo hai fatto per il suo bene.» la rincuorò Saito

«So cosa vuol dire sentirsi inadeguati. Credere che tutto di sia contro senza poter fare niente per opporti.

Per questo avrei dovuto cercare di capirla, invece che rimproverarla e ferirla come ho fatto.»

«Credevi che fosse la cosa giusta da fare. Quando sarà tutto finito potrete chiarirvi. Quindi, sbrighiamoci. Io distrarrò le guardie al cancello sul retro. Appena avranno abboccato all’amo, trovate Kiluka e portiamola via da qui. Ci ritroviamo qui davanti alla grata per la fuga.»

«D’accordo.» dissero in coro le due ragazze, e a quel punto i tre si separarono.

 

Saito, ricevute le indicazioni per arrivare al giardino posteriore senza dare nell’occhio, si avviò lungo le stradine strette e tortuose di Boulogne.

«Accidenti.» mugugnò appiattendosi contro ogni angolo e sbirciando oltre alla ricerca di eventuali minacce «È stata proprio una gran bella idea».

Arrivato nella piazzetta circolare che stava proprio ai piedi delle mura del palazzo, e dalla quale si dipanava la stradina che saliva fino all’ingresso secondario, Saito fece per attraversarla in tutta fretta, quando un palo infilato in cima ad un piccolo ballatoio attirò la sua attenzione.

Venature rosse rigavano il legno, ed il silenzio tutto attorno era rotto da un incessante rumore di gocce che lentamente cadevano verso terra. Saito si bloccò, e qualcosa dentro di lui cercò di dissuaderlo dal guardare cosa vi fosse conficcato sulla punta della lancia acuminata legata sulla sommità dell’asta, soprattutto dopo aver letto la scritta sul cartello lasciato a pendere da una cordicella.

 

La Fin De Les Traîtres

La Fine dei Traditori

 

Non ascoltò quella voce, e nell’istante in cui i suoi occhi raggiunsero la cima qualcosa nel suo cuore si ruppe, paralizzandolo; gli occhi si fecero bianchi, il respiro mozzato, la bocca piegata in un gemito impossibile da far uscire.

Era impossibile. Non poteva essere successo.

Non a lei. Non ad una ragazzina.

Uno come lui non riusciva neppure a concepire una tale mostruosità.

Le gambe cedettero, fattesi deboli da non riuscire a reggerlo.

Allora era stato tutto inutile.

Ma questo era l’ultimo problema. Cosa avrebbe detto a Louise? Come avrebbe fatto a spiegarle una cosa del genere?

Ma anche lui si sentiva un miserabile. Quella bambina era venuta da lui a chiedere salvezza, e ora era morta. E quello che era peggio, era morta nel tentativo di aiutare loro.

Il suo urlo disumano squarciò il silenzio della notte, facendo tremare tutti quelli rinchiusi nelle loro case, molti dei quali non osarono affacciarsi dall’interno, e mentre ancora le lacrime inondavano il suo viso, piegato in un pianto disperato, Saito sentì montare dentro di sé un odio sconfinato.

Sentì la sua anima colorarsi di nero, divorata da una rabbia mai provata prima, e prima di rendersene conto stava correndo come un demonio verso la porta del castello con la spada in mano. Le guardie, poche, che presidiavano il varco se lo videro venire contro come un angelo dell’inferno, e prima  che potessero accorgersene era già in mezzo a loro.

Colpì senza remora, e senza alcuna pietà, uccidendo per la prima volta in vita sua senza provare alcun rimorso.

Erano animali. Animali che non meritavano alcuna misericordia.

«Morite!» urlò colpendo in ogni direzioni «Morite e basta!».

 

Louise e Seena restarono nei pressi dello stradone alberato che conduceva all’ingresso principale, e non dovettero aspettare molto perché dal retro del palazzo giungessero grida d’allarme ed il suono di una campana.

«Saito ce l’ha fatta.» disse Louise

«Forza, andiamo.» disse Seena «Lord Hiraga sarà anche forte, ma se combatte come al solito non resisterà a lungo contro la guarnigione del palazzo».

Le due ragazze a quel punto si avviarono lungo la strada, e raggiunto rapidamente l’ingresso Seena non dovette fare altro che mettere a nanna le poche guardie rimaste, tutte troppo inesperte per poterle reggere il confronto. Una tentò una resistenza più accanita, ma il colpo di grazia ci pensò Louise ad infliggerglielo con un blando incantesimo che sparò il poveretto contro il portone, facendoglielo sventrare.

«Ecco fatto.» disse Louise «Niente di che».

Seena, però, non era tranquilla.

Anche dando per buono il fatto che la maggior parte dei soldati fosse impegnata al fronte, la città sembrava fin troppo sguarnita, e anche la guarnigione del castello sembrava stranamente esigua, anche più di quello che si sarebbe aspettata.

Improvvisamente, realizzò.

«Miss Valliere, correte!» esclamò

«Cosa!?» disse lei cadendo dalle nuvole.

Ma non fecero in tempo.

Come le due ragazze misero piede nel viale che univa il portone d’ingresso col cancello principale, una ventina e più di soldati nascosti tutto attorno sbucarono alle loro spalle e corsero loro contro con le spade sguainate.

Li guidava Tiberius, la giovane e promettente guardia con cui Seena si era addestrata innumerevoli volte, e che con la sua fuga doveva aver preso il suo posto a capo della scorta personale del duca.

«Maledizione, lo sapevo!» esclamò Seena «Miss Valliere, voi proseguite! A loro ci penso io!»

«Sono troppi! Non ce la farai mai da sola!»

«Non temete, in qualche modo me la caverò! Voi proseguite e raggiungete il chiostro! Da lì potrete scendere nei sotterranei! Quasi sicuramente la duchessa è rinchiusa li!».

Louise non era convinta, ma vedendo Seena affrontare ed abbattere facilmente i primi due assalitori si convinse, e seppur con qualche esitazione la lasciò sola correndo via prima di poter essere fermata.

Pur se in netta inferiorità numerica Seena affrontò gli avversari a spada tratta, il che sarebbe stato quasi impossibile visto il rapporto di forze; stranamente però solo i soldati e le guardie cittadine caricarono a testa bassa, mentre di contro i membri della guardia ducale agli ordini di Tiberius, riconoscibili dai tricorni neri e dai lunghi abiti blu marino, inizialmente si tennero in disparte, limitandosi a qualche assalto sporadico per far deconcentrare la ragazza rendendo il lavoro più facile ai compagni.

Sicuramente c’era di mezzo la questione dell’orgoglio, che impediva a guerrieri degni di tale nome di assalire tutti insieme un singolo avversario per schiacciarlo con la forza del numero, ma d’altra parte se di onore si trattava agli occhi di Seena lo avevano già perso nel momento in cui, dopo la caduta di Lord Charnizay, si erano piegati al conte per avere salva la vita.

Uno dopo l’altro la soldataglia venne quasi annientata, e quando non ne rimasero che pochi elementi, pronti a dare il colpo di grazia ad una nemica ormai sfinita e in ginocchio, gli uomini della scorta ducale si decisero finalmente ad intervenire, circondando Seena e trattenendo di fatto i soldati superstiti dal massacrarla.

Tiberius si fece avanti, tenendo la sciabola ricurva puntata su di lei.

Eccolo, infine.

L’ultimo traditore menzionato dal duca. Morta lei sarebbe morto l’ultimo significativo scampolo di fedeltà al deposto signore di Laguiole e alla sua erede legittima, e a quel punto non sarebbe più rimasto nessuno a Boulogne o in nessun’altra zona della provincia in grado di ostacolare l’autorità di Valat.

«È stato stupido da parte tua tornare qui, Seena. Ma d’altra parte, in qualche modo eravamo sicuri che sarebbe accaduto.»

«Traditori.» ringhiò furente la ragazza «Avete tradito il vostro giuramento.»

«Per come la vedo io Seena.» rispose calmo Tiberius «Il traditore è un altro.» quindi le poggiò la spada sul collo «Credo sia giunto il momento di farla finita, non sei d’accordo?».

Lei lo guardò, e per un attimo non le parve di riconoscere più il ragazzo mite e gentile che aveva sempre conosciuto.

 

Al chiaro della luna, dopo una notte e due giorni di viaggio ininterrotto, la Valliere era finalmente giunta in vista delle verdeggianti foci del Serk, e con esse delle mura della città assediata.

Serk City era ben visibile, anche se ancora piuttosto lontana, illuminata dai fuochi tanto delle lanterne accese dalla guarnigione quanto degli incendi accesi dalle incessanti cannonate e barili pieni di pece scagliati coi trabocchi dalle truppe di Laguiole.

Kaoru fu sollevato nel vedere che la città non aveva ancora capitolato, ma lo fu molto meno quando si avvide che la cinta muraria più esterna ormai aveva ceduto, costringendo gli assedianti a ripiegare verso quella secondaria che cingeva i palazzi amministrativi in cima alla scogliera che sovrastava la grande cascata dalla quale il Serk si gettava nel mare.

L’arrivo della Valliere, un faro luminoso nella sconfinata oscurità dell’oceano, venne notato tanto dal tenente Aulas, nello stesso tempo sindaco e comandante di Serk City, quanto dagli occupanti del quartier generale delle truppe di Laguiole agli ordini di Monroy, posizionato nel cuore del boschetto antistante il cancello orientale della città; paradossalmente però, quello dei due che sembrò più soddisfatto nel veder comparire la fortezza d’acciaio fu Monroy, che a differenza della maggior parte dei suoi uomini non si prese neanche il disturbo di alzarsi dal suo sgabello, e che rivolto il proprio cannocchiale verso il largo sorrise malignamente nell’avvistare la prua della Fortezza d’Acciaio che faceva capolino da dietro il crinale alle spalle della città.

«È arrivata finalmente.» disse maligno «È tutto pronto?»

«Sì, generale.» rispose uno dei suoi

«Molto bene. Ora vedremo se quella nave è così invincibile come dicono».

Nel mentre, a bordo della nave, Kaoru aveva già dato ordine di prepararsi sia per l’attracco che per il bombardamento navale, che nei suoi piani sarebbe dovuto risultare più che sufficiente per convincere il nemico a darsela a gambe, e mentre Joanne supervisionava l’imbarco dei suoi uomini sulle scialuppe i marinai addetti agli armamenti della Valliere si affrettarono a raggiungere ognuno la propria posizione.

La nave affiancava la costa a tribordo, quindi le torrette vennero puntate tutte verso destra di circa quarantacinque gradi, proprio in direzione dell’esercito nemico. Il cuore della città molto probabilmente sarebbe andato perduto, ma almeno Serk City si sarebbe salvata.

«Tutto l’equipaggio in posizione, comandante.» disse il primo ufficiale Quintus, figlio maggiore del sindaco di Otisa, ricevendo conferme da ogni parte della nave tramite interfono «Torrette puntate e pronte al fuoco al suo comando».

Kaoru, al suo posto in plancia di comando, però non era tranquillo, e bastava guardare il suo sguardo pensieroso per capirlo.

«Qualcosa non và, signore?».

Il generale non rispose, dirigendosi senza un fiato sulla torre di osservazione seguito dal suo secondo per poi volgere uno dei potenti binocoli in direzione della città assediata.

La cinta esterna era ormai perduta, e senza neanche aguzzare troppo la vista era possibile scorgere uno di quei maledetti troll seduto in terra poco lontano dalla cinta, coperto da capo a piedi da ogni sorta di ferita e per questo circondato da maghi dell’acqua che lo stavano curando perché potesse quanto prima tornare a combattere.

L’esploratore aveva parlato chiaramente di almeno due troll schierati tra le fila dell’esercito che assediava Serk City, ma guardando ovunque nel suo campo visivo Kaoru continuò a vederne solo uno.

«Che fine ha fatto l’altro?» si domandò come tra sé.

In quella squillò l’interfono, e rispose Quintus.

«Signore. Alcuni marinai a prua chiedono di lei. Dicono di aver visto qualcosa di insolito».

Kaoru lo guardò come allarmato, quindi, senza neanche prendersi la briga di usare le scale, scese sul ponte saltando giù dalla torre e rapidamente raggiunse i due marinai che lo avevano mandato a chiamare, affacciati entrambi dal parapetto intenti a scrutare la superficie scura del mare.

«Che succede?»

«Comandante!?» disse uno sorpreso di vederlo comparire così in fretta «Ecco, non ne siamo sicuri. Ma ci è parso di vedere qualcosa sotto la superficie.»

«Siate più chiari. Di che cosa si tratta?»

«Veramente… non lo sappiamo. Forse era solo un riflesso.»

«O forse una balena.» ipotizzò l’altro poco convinto

«Così vicino alla costa?» replicò quasi beffardo Kaoru, che voltatosi fece un cenno alle vedette «Fari in acqua!».

Tutte le luci di avvistamento furono accese e puntate verso il mare, alla ricerca di qualsiasi minima traccia di pericolo. Sembrava tutto calmo, forse anche troppo calmo.

Non si vedevano quasi onde, tanto mancava il vento, e da ciò forse si spiegava anche il fatto che nessun dragone fosse ancora venuto a cercare di fermarli dalla riva.

Kaoru per un attimo si convinse di essersi sbagliato, e che i suoi timori erano infondati, ma poi, con la coda dell’occhio, intravide un’increspatura, una sorta di sfiato, ma quella che da un istante all’altro lui e gli altri videro materializzarsi come dal nulla sbucando da sotto la nave non era certo l’ombra di una balena.

«Attenti!» urlò.

Lui e i soldati fecero appena in tempo a buttarsi a terra; subito dopo, la superficie dell’oceano parve come esplodere, e un essere gigantesco balzò fuori dall’acqua atterrando direttamente sul ponte ligneo della Valliere, che per poco non cedette sotto il peso della sua enorme mole.

Tutta la nave vibrò e sbandò tremendamente, inclinandosi di lato, e l’urto fu così violento che molte delle sue parti elettriche o meccaniche andarono in tilt o si ruppero, anche se fortunatamente il generatore di emergenza le permise di non sprofondare nelle tenebre.

Quintus, rientrato in plancia di comando, fu scaraventato a terra assieme a tutti i suoi uomini, e quando, faticosamente, riuscì ad alzarsi in piedi, ciò che vide lo sconvolse.

In piedi sul ponte, accanto alla torretta numero uno ormai scardinata dalla sua virola per il tremendo contraccolpo, il secondo troll torreggiava in tutta la sua imponenza, coperto sul petto, sui polsi e sulla testa da una pesante armatura, ed armato con una gigantesca clava che da sola doveva pesare diversi quintali.

Sgranò gli occhi, e anche Kaoru, ancora mezzo intontito dal terremoto che scatenandosi sotto i suoi piedi che lo aveva scaraventato al suolo, fece altrettanto.

«Oh, mio dio.» dissero in coro senza saperlo.  

 

 

Nota dell’Autore

Eccomi qua!^_^

Lo so avevo detto che avrei concluso le vicende di Laguiole nel giro due capitoli, ma il fatto è che restavano troppe cose da dire, quindi c’erano solo due scelte: o fare un capitolo da dieci pagine e più, oppure farne due di dimensioni ridotte, e alla fine come al solito ho optato per la seconda soluzione.

Perdonatemi!^_^

Lo so, sono inqualificabile.

Comunque con il prossimo (che, ve lo preannuncio, sarà pieno di sorprese) finirà di sicuro, anche perché quello che viene dopo è uno dei momenti che sono più ansioso di scrivere.

A presto!^_^

Carlos Olivera

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Capitolo 37
*** 34 (PRIMA PARTE) ***


34

(PRIMA PARTE)

 

 

Il troll cercò di stabilizzarsi, ma era evidente che il mare non faceva per lui, perché ad ogni passo sembrava sempre sul punto di cadere.

Oltretutto, proprio a causa sua, la Valliere barcollava paurosamente e senza sosta da una parte e dall’altra, per non parlare del fatto che col suo dolce peso quel bestione aveva danneggiato quasi tutte le strumentazioni elettriche della nave.

Tutto era andato in tilt, a cominciare dai comandi remoti per il brandeggio delle torrette, che ora erano immobilizzare in direzione della costa, ma impossibilitate a sparare per via dello sbilanciamento del peso che avrebbe sicuramente fatto ribaltare lo scafo per il rinculo. La torretta uno poi era completamente fuori asse, e come minimo sarebbe servito dare fondo in una darsena per poterla riparare.

Molti marinai, presi dal panico, cominciarono a scappare in ogni direzione, alcuni addirittura si buttarono in mare temendo che la Valliere potesse affondare da un momento all’altro; altri invece, quelli dal sangue più freddo, fucili d’assalto alla mano si portarono il più vicino possibile al mostro prendendo a bersagliarlo, se non altro per correre in aiuto del comandante e gli altri marinai che si trovavano ancora ai suoi piedi.

Purtroppo, c’era una ragione se Monroy aveva scafandrato la sua macchina da guerra biologica con quella enorme corazza, e per quanto potenti le armi avveniristiche dall’equipaggio della Valliere non ebbero il minimo effetto.

Al troll fu sufficiente pestare a terra uno dei suoi piedi ciclopici per provocare un rullio tale da buttare a terra quelli che stavano sparando contro di lui, e sollevata la clava ne spiaccicò senza pietà un gruppetto provocando oltretutto una enorme spaccatura nello scafo, fortunatamente senza sventrarlo, ma facendo di nuovo ondeggiare paurosamente la nave.

«Così finirà per farci capovolgere!» disse il timoniere cercando di stare in piedi

«Non è questo che mi spaventa!» disse Quintus «Là sotto c’è uno dei depositi munizioni! Un colpo di troppo e saltiamo tutti in aria!».

Le torrette laterali e quelle per la contraerea non erano in grado di puntare il bersaglio per via dell’angolazione. Quintus provò ad azionare i meccanismi di puntamento delle torrette, ma come era facile da prevedersi queste non si mossero, quindi sollevò l’interfono chiamando la sala macchine.

«Mi servono i sistemi di beccheggio e di sparo operativi, e mi servono ora!»

«È tutto inutile, signore!» si giustificò il meccanico dall’altro capo della linea «È tutto fuori uso! Stiamo provando a riparare i sistemi danneggiati, ma ci vorrà del tempo!».

Kaoru nel frattempo si era ripreso, e trovatosi di fronte quella montagna senza esitazione aveva estratto la spada, anche e soprattutto per proteggere gli uomini che erano con lui.

«Allontanatevi, io lo distraggo!» gridò lanciandosi contro il mostro.

Il piano sembrò funzionare, perché lasciati perdere gli altri marinai il troll si concentrò quasi subito su di lui, quasi fosse stato addestrato a prendere proprio il generale come bersaglio prestabilito.

E non si trattava affatto di un’impressione.

Valat e il generale non avevano sferrato tutti quegli assalti a Fort Segoile solo per guadagnare tempo o distrarre il nemico, né speso tutti quei soldi in spie ed informatori solo per tenersi aggiornati sui mutamenti politici nel resto del Paese.

In fin dei conti, Saito e Louise erano quanto di più lontano da dei signori della guerra si potesse immaginare, e se la guerra civile non li aveva ancora spazzati via il merito era per gran parte dell’acume tattico del loro generale e famiglio, nonché della presenza altamente simbolica del comandante delle moschettiere di sua maestà al loro fianco. Tolti di mezzo loro, con o senza la fortezza d’acciaio Grasse e De Ornielle sarebbero state un boccone molto meno duro da digerire.

Il troll alzò la clava menando un nuovo colpo, ma Kaoru evitò spostandosi all’ultimo istante, quindi con un salto arrivò in cima alla torretta uno, e da qui con un nuovo balzo direttamente sul braccio del mostro, che percorse interamente fino alla spalla; concluse il suo assalto piantando la spada con tutta la sua forza nell’unico punto della corazza vulnerabile, tra la scapola ed il collo, un colpo che il troll tuttavia parve quasi non sentire tanto era enorme.

Nonostante ciò prese a dimenarsi, nel tentativo di disarcionarlo, e ciò diede tempo ai soldati di Joanne di posizionarsi per tentare di soccorrere il generale.

«Mirate alla celata dell’elmo!» ordinò alle sue moschettiere.

Anche gli stregoni, pochi per la verità, imbarcati sulla Valliere fecero la loro parte, prendendo a bersagliare il golem con tutto l’arsenale che avevano, ma quella creatura era troppo corazzata, e comunque troppo insensibile al dolore, per accusare un qualche tipo di cedimento tale da renderla meno pericolosa.

Con un pauroso sventolio di clava scaraventò in mare i maghi che erano stati così avventati da avvicinarsi troppo, e con un altro tentò di colpire le moschettiere, che fortunatamente riuscirono a scansarsi in tempo. Sfortunatamente il colpo centrò in pieno una piccola riserva di proiettili per i cannoncini da contraerea accatastati alla base della torretta due, che immediatamente esplosero; non fu una deflagrazione troppo violenta, ma il ponte prese fuoco, generando un muro di fiamme che separò il troll, e di conseguenza anche Kaoru, dal resto dell’equipaggio.

«Kaoru!» urlò Joanne tentando inutilmente di farsi largo tra le fiamme.

Come se non fosse abbastanza, in quel momento il vento riprese a soffiare, e ciò permise all’esercito di Laguiole di far nuovamente decollare i propri draghi, che presero a scagliarsi in egual misura contro la Valliere e gli assediati di Serk City. La contraerea della nave si rivelò più che sufficiente a tenere lontani i nemici, seppur con qualche difficoltà, ma rappresentò per la guarnigione a difesa della città un ulteriore, durissimo colpo per la propria già stremata resistenza.

«Ma che stanno facendo?» ringhiò il sindaco generale rivolto verso il mare «Ci serve aiuto!».

Lui non poteva sapere che la Valliere era in una situazione non molto migliore della loro, ma se lui si sentiva morire dentro ad ogni respiro Monroy, al contrario, sorrideva di soddisfazione.

«Che vi avevo detto?» disse guardando col cannocchiale «Solo una nave come le altre. E ora chiudiamo questa storia».

Così, quando il sindaco-generale vide il secondo golem approssimarsi al cancello sotto assedio per spianarlo una volta per sempre, cominciò a temere che ormai non ci fosse davvero più speranza.

«Per noi è finita».

Il giovane generale nel mentre era ancora attaccato con la forza della disperazione alla spalla del mostro, ma come non dovette più curarsi delle moschettiere e dei marinai il troll tornò a concentrarsi su di lui.

Dopo essersi dimenato furiosamente per alcuni secondi, fino a girare su sé stesso arrivando a dare le spalle al resto della nave, riuscì ad afferrarlo, e da un istante all’altro Kaoru si ritrovò prigioniero di una mano ciclopica che prese a stritolarlo.

Kaoru gridò con tutta la sua voce, cercando in ogni modo di liberarsi quanto bastava per usare la spada che aveva ancora in mano, ma più si dimenava più il troll stringeva forte.

«Comandante!» gridava impotente Quintus dalla plancia prendendo a calci i sistemi di puntamento ancora inservibili «Maledizione! Maledetto rottame! Accenditi!»

Sentiva come se il suo corpo dovesse scoppiare dall’interno da un momento all’altro, tanta era la pressione che quel mostro stava esercitando, ma forse per via del tremendo dolore che stava provando quasi non si accorse dello strano calore accesosi d’un tratto dentro il suo petto, così come attribuì l’insopportabile fischio nelle orecchie ed il fastidio alla testa come naturali conseguenze dell’essere stritolato vivo. Se avesse potuto accorgersene, sarebbe rimasto colpito nel vedere i suoi occhi accendersi di uno strano bagliore rosso, che poco sembrava avere a che fare con ciò che stava passando.

Fatto sta che, d’improvviso, un qualcosa di misterioso attraversò come una folata di vento tutta la nave.

Una strana scarica elettrica si diffuse senza origine né spiegazione in ogni meandro della Valliere, facendo scottare e scintillare tutte le prese, i sistemi di alimentazione e le varie apparecchiature, accompagnata da un inspiegabile tremolio.

Quintus e gli altri occupanti della sala di comando videro la luce andare via nuovamente, anche se solo per pochi istante, e quando questa tornò assistettero increduli al riaccendersi, come per incanto, anche di tutte le apparecchiature.

«Ma cosa…» disse incredulo il primo ufficiale vedendo con i suoi occhi il timone, la radio, il goniometro di mira e tutto il resto tornare alla vita.

Prese l’interfono per chiedere spiegazioni, ma la risposta fu ancor più strabiliante.

«Non ho idea di che cosa stia succedendo, signore!» disse il capo-meccanico «Tutti i sistemi si sono riparati e ripristinati da sé!».

Ma ora non c’era tempo per domandarsi la ragione di quella specie di miracolo.

Accertatosi che tutti stessero bene Quintus si avventò sul sistema di puntamento, ed accertatosi che la torretta due fosse armata prese a girarla il più velocemente possibile a direzione zero, proprio dirimpetto alla prua.

«Comandante.» mugugnò mentre la torre girava «Spero che lei non sia più lì».

Kaoru, moribondo ma ancora lucido, si avvide di quello che stava succedendo, e capì che doveva levarsi da lì il prima possibile, perché obbedendo all’addestramento che aveva loro impartito sapeva che i marinai, e gli ufficiali in particolare, avrebbero anteposto l’incolumità della nave e della missione e quella della sua persona.

Fortunatamente, anche il troll, avvertì che stava accadendo qualcosa alle sue spalle, e la sua esitazione permise al giovane di liberarsi finalmente quanto bastava per piantare la spada nella mano del mostro. Quello, istintivamente, lo lasciò, e lui senza esitazione si tuffò direttamente in mare, giusto un secondo prima che il troll, giratosi a guardare dietro di sé, si ritrovasse faccia a faccia col cannone centrale della seconda torretta.

Il mostro sgranò gli occhi.

«Sorridi, stronzo.» disse Quintus premendo il grilletto.

Seguì un tremendo boato, e la testa del troll fu letteralmente spazzata via dal resto del corpo, assieme a buona parte delle spalle, e quanto stava del corpo, spinto all’indietro, precipitò direttamente in acqua tra le grida di gioia dell’equipaggio.

Nello stesso momento venne spento con gli idranti l’incendio che era scoppiato sul ponte, e Joanne corse immediatamente ad accertarsi delle condizioni di Kaoru; era tutto un dolore per la tremenda stritolata che aveva subito ma stava bene, e con una corda venne tirato fuori dall’acqua.

«I sistemi sono tornati operativi?» domandò scrollandosi i vestiti fradici

«Così sembra.» rispose la donna «Anche se non sappiamo come sia stato possibile».

«E allora muoviamoci. Abbiamo perso anche troppo tempo».

Nello stesso momento, in città, il troll superstite aveva preso a bersagliare con la sua gigantesca arma il cancello principale, e quando la spessa grata metallica, pur resistente, cedette, il mostro si palesò nel cortile della fortezza, incitato e spronato dai soldati che gli stavano intorno.

Il sindaco-generale e i suoi uomini si erano raggruppati, pronti per l’ultima quanto inutile resistenza, e i soldati di Laguiole pensarono bene di lasciare che fosse il loro gigantesco compagno d’armi a dare loro il colpo di grazia.

«In copertura!» ordinò il generale, e tutti i suoi uomini levarono immediatamente gli scudi erigendo un muro di lance.

La creatura fece qualche passo avanti, lanciando un ruggito assordante, quindi alzò la clava per colpire. In quell’istante la prima selva di tre cannonate lo centrò in pieno, spaccando e piegando la sua corazza senza tuttavia riuscire a ferirlo, ma la seconda non gli lasciò scampo e crollò a terra per i traumi interni riportati dai colpi.

Alla scena assistettero entrambi gli schieramenti, ma se gli assediati risposero alla caduta del troll con urla di giubilo i soldati di Laguiole rimasero paralizzati per il terrore, che divenne se possibile anche maggiore nel momento in cui, guardando con attenzione verso l’orizzonte, i più vicini alla scogliera videro la Fortezza d’Acciaio di nuovo in movimento, e con i suoi enormi cannoni puntati dritti su di loro.

I suoi uomini erano spaventati, ma Monroy era furioso.

«Ma che diavolo…» ringhiò cambiando totalmente espressione «Come hanno fatto a salvarsi!?»

La Valliere era riuscita a sparare con terrificante precisione, merito dei suoi avanzati sistemi di puntamento, ma non era ancora finita.

«Ricaricare!» ordinò Kaoru nuovamente al suo posto in plancia «Proiettili esplosivi alla prossima raffica!»

«Sì, comandante!» rispose Quintus.

Alla seconda bordata, esplosioni spaventose aprirono vuoti di centinaia di uomini nelle fila di Laguiole, e bastò la sola vista delle truppe di rinforzo che toccavano terra per la controffensiva perché i soldati nemici, persino nello stesso accampamento, mollassero tutto scappando via in preda al panico.

«Dove andate, branco di conigli!» tuonò Monroy vedendo i suoi fuggire in rotta.

Prima di rendersene conto era rimasto solo, ma non ebbe il tempo di scappare; alzati gli occhi, infatti, vide una specie di enorme cometa scintillante di rosso fuoco precipitare nella sua direzione come la folgore dal cielo.

«Maledetti… maledetti all’inferno!» urlò prima di scomparire in un mare di fuoco.

Alla fine, contro ogni previsione, Serk City aveva retto.

«Ce l’abbiamo fatta, signore!» disse euforico Quintus guardando verso la costa col binocolo «Il nemico è in rotta!» quindi ordinò lui stesso di cessare il bombardamento.

Kaoru, però, sembrava avere la testa altrove. Non riusciva a non pensare a quella strana energia che gli era parso di percepire dentro di sé un attimo prima che quella cannonata intervenisse a cavalo d’impaccio, domandandosi cosa potesse essere stato.

E per un attimo, ebbe quasi paura.

 

 

Nota dell’autore

Salve a tutti!^_^

Lo so, questa non è la conclusione che avevo auspicato, ma vi chiedo di non considerare questo come un vero capitolo  (potete vedere infatti che è ben al di sotto dei miei standard abituali di lunghezza). Consideratela piuttosto una Prima Parte, come ho scritto anche nel titolo, in modo da lasciare la seconda interamente alla narrazione degli eventi relativi a Saito e Louise.

La seconda e ultima parte seguirà a breve, e con essa le vere note dell’autore

A presto!^_^

Carlos Olivera

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Capitolo 38
*** 34 (SECONDA PARTE) ***


34

(SECONDA PARTE)

 

 

Il duca era calmo e tranquillo, e aspettava l’arrivo del suo avversario comodamente seduto alla sua poltrona, con la spada di famiglia appoggiata sulla scrivania.

Non lo preoccupava affatto quello che stava per accadere, così come non lo preoccupò sentire da un momento all’altro urla, strepiti e grida strazianti proprio fuori della stanza.

D’improvviso, qualcuno fu divelto da una guardia del castello che, moribonda, vi era stata violentemente scagliata contro, e Lord Hiraga fece la sua comparsa, il volto, gli abiti e la spada coperti di sangue e gli occhi iniettati di odio.

Il duca sorrise.

«Dovresti imparare a bussare».

Saito, però, non aveva alcuna voglia di scherzare, e lo si capiva dal suo sguardo.

«Perché?» ringhiò il ragazzo «Perché l’hai fatto?»

«Ho agito nel modo in cui ritenevo più giusto.»

«E non provi neppure un briciolo di rimorso?»

«Perché dovrei? Come ho detto, ho fatto quella che ritenevo la scelta giusta, e pertanto non sento alcun peso per le azioni che ho compito.»

«Era tua nipote! Era tuo padre!»

«Sei proprio uno stupido!» replicò il duca con un malefico sorriso «Al punto in cui siamo arrivati, pensi davvero che i legami famigliari abbiano ancora un qualche valore che non sia zero? Che tu non pugnaleresti alle spalle la tua stessa famiglia, se in palio ci fosse la più grande occasione della tua esistenza?»

«Non lo farei mai.» fu la risposta lapidaria di Saito «Perché, a differenza di te, io so perfettamente quali sono le cose importanti, e non ho alcuna intenzione di barattarle con una corona».

Valat chiuse gli occhi, passandosi come rassegnato una mano sulla fronte.

«E voi dovreste essere il futuro di questo mondo? Ancora mi domando come sia possibile.» quindi, alzatosi, sfilò elegantemente la spada dal fodero, roteandola nell’aria «È ora di chiudere questa storia, non sei d’accordo?».

Saito replicò con uno sguardo di sfida, e prima di un battere di ciglia i due contendenti corsero l’uno contro l’altro, facendo cozzare violentemente le proprie armi producendo uno stridio assordante e una tempesta di scintille.

«Non hai idea dei problemi che tu e quella mocciosa del vuoto che tu chiami moglie mi avete causato. Adesso pareggerò i conti.»

«Provaci!».

Grazie a Kaoru e Joanne Saito aveva alzato ancora di più la sua abilità con la spada, ma Valat era forse uno dei migliori schermidori del regno, e aveva partecipato anche a diversi tornei in tutta Halkengina mettendosi sempre in mostra con la sua abilità.

Ciò nonostante Saito riuscì a resistere, almeno inizialmente. La rabbia che lo stava divorando da dentro era tale da non fargli sentire né dolore, né fatica, ma se non altro gli aveva lasciato un briciolo di raziocinio, quanto bastava per impostare una qualche strategia invece di spingerlo ad attaccare a testa bassa incurante di tutto il resto.

Il ragazzo subì parecchie ferite, ma nonostante tutto continuò a battersi come un leone, alternando momenti di difesa ad oltranza ad altri di attacco continuo, forsennato.

Purtroppo, il problema fondamentale di quel tipo di strategia, se così la si poteva chiamare, venne alla luce. Per quanto ragionato, almeno in parte, l’assalto di Saito era furioso, molto violento, e non teneva minimamente conto del risparmio di energie, cosicché con largo anticipo rispetto al suo avversario il giovane Hiraga cominciò a sentire il peso della fatica.

Questo lo portò a scoprirsi, a diventare sempre più prevedibile, e alla fine segnò la sua condanna. All’ennesimo assalto forsennato Valat, ghignando, rispose con un rapido scarto, e appena Saito menò un fendente destinato comunque ad andare a vuoto ne menò uno a sua volta, dal basso verso l’alto. La spada di Saito, colpita con tremenda forza, gli volò via dalle mani, e il ragazzo si ritrovò scoperto.

L’affondo che seguì era diretto al cuore, ma per chissà quale miracolo Saito riuscì a spostarsi all’ultimo istante verso destra, di modo che la punta della spada di Valat, invece del cuore, si limitò a trafiggergli una spalla, ma ciò non rese meno evidente chi fosse a quel punto il vincitore dello scontro.

Saito trattenne a stendo le grida di dolore, barcollando all’indietro appena il duca ritirò la spada per poi cadere esanime in ginocchio.

«È tutta qui la forza del tuo odio? Della tua rabbia?» commentò sarcastico Valat «È stato anche più facile del previsto».

Il ragazzo lo guardò, furente, tenendosi nel contempo la ferita grondante sangue.

«Sei solo un patetico moccioso che non ha la minima idea di quello in cui è coinvolto. Proprio come quella ragazzina ingenua. Tutti e due a credere di avere sul serio i mezzi per impedire che questo Paese, se non l’intero continente, vadano incontro al loro inevitabile destino.»

«Ma di che diavolo stai parlando?» ringhiò Saito trattenendo a stento i gemiti di dolore.

Valat spalancò gli occhi.

«Davvero credi che tutto questo sia successo per caso?» esclamò ridendo «L’assassinio della regina, la guerra civile, persino ruolo tuo e di quella cagna di tua moglie! È tutto preordinato! Ogni cosa che sta accadendo da sei mesi a questa parte è stata prestabilita molto prima che te e io venissimo al mondo!»

«Allora, avevo ragione.» mugugnò ancora Saito «È stata… Reconquista a scatenare questa guerra civile.»

«Reconquista, sì… o forse qualcuno ancora più grande e potente di loro. Io ho scelto solo di stare dalla parte giusta.

Non puoi certo farmene una colpa».

Ferito ma non domato Saito, che nel mentre aveva recuperato la spada, vi si punto, cercando faticosamente di rialzarsi, ma al duca, avvicinatosi, bastò calciarla perché il ragazzo rantolasse nuovamente moribondo sul pavimento.

«A quanto pare, hai fallito anche tu. Come tutti i tuoi predecessori, del resto».

A quel punto Valat alzò la spada, pronto a finire il suo avversario.

«Salutami mio padre».

Poi, in un istante, tutto cambiò.

Un dardo scoccato da una mano misteriosa comparve da oltre le porte della stanza, ancora divelte, trafiggendo il duca nello stesso punto in cui lui aveva colpito Saito, e nello stesso istante un’altra mano, forse della stessa persona, gettò sul giovane Hiraga un incantesimo curativo che sanò in parte la sua ferita.

Il duca rimase di sasso, per poi essere violentemente riportato alla realtà dal dolore lancinante alla spalla, ma quando vide una figura a lui molto famigliare comparirgli davanti con l’arco puntato nella sua direzione, l’andatura fiera e lo sguardo impavido, pensò di avere le visioni.

«Non può essere!».

Anche Saito rimase di sasso.

«Ki… Kiluka!?»

«Sono tornata, zio.» disse lei «E questa volta la facciamo finita».

Da un momento all’altro, Saito si sentì rinascere, e non per via dell’incantesimo che lo aveva curato.

«Kiluka. Tu sei viva.»

«Già.» rispose lei sorridendogli spavalda «E non solo io».

Ed infatti, dopo qualche attimo, un altro individuo si palesò nella stanza, la persona che aveva curato Saito con la sua magia, fiero nell’orgoglio e nella ferma volontà di sistemare le cose una volta per sempre, e se all’arrivo di Kiluka Valat non era riuscito a crederci alla comparsa di questo secondo ospite inatteso pensò di essere già sprofondato nel mondo dei morti.

«Tu!?»

«Cosa ti turba, figliolo?» disse Lord Charnizay stringendo forte il suo bastone magico «Hai la faccia di chi ha appena visto un fantasma».

 

Louise stava incontrando più difficoltà del previsto nell’affrontare Fouquet e il suo golem.

In altri tempi le sarebbe bastato un Explosion neanche troppo potente per averne ragione, ma recitare l’incantesimo richiedeva tempo che la sua avversaria, ben sapendolo, non le concedeva, mentre le Explosion standard lanciabili a raffica non erano abbastanza efficaci.

«Che succede, Zero-Louise!» disse Fouquet, al sicuro sulla spalla del suo mostro «Non mi dire che sei già stanca!».

Purtroppo, era proprio così.

Anche se la sua magia era tornata quasi ai livelli di un tempo, Louise aveva visto calare di molto il suo margine di resistenza, oltre il quale iniziava a sentire seriamente il peso della fatica.

Sicuramente era colpa della gravidanza, e semmai fosse uscita viva da quella situazione era probabile che tale margine si sarebbe abbassato sempre di più, il che di fatto avrebbe mantenuto le sue capacità effettive praticamente allo stesso livello.

Per l’ennesima volta Louise cercò di lanciare un Explosion basilare mettendoci tutta l’energia possibile, ma l’incantesimo andò letteralmente ad infrangersi contro il corpo di pietra del mostro senza procurargli la più piccola crepa.

A quell’assalto disperato il golem rispose con una manata poderosa, che colpendo Louise l’avrebbe sicuramente uccisa. Fortunatamente la ragazza riuscì a spostarsi, ma lo spostamento d’aria fu più che sufficiente a scagliarla con forza contro una colonna, lasciandola dolorante sul selciato.

«Sei proprio tornata ad essere quella di una volta, una Zero!» rise Fouquet, per poi farsi terribilmente malevola «A questo punto, non mi importa più degli ordini. Ne ho dovute sopportare troppe a causa tua. E in fin dei conti, se sei davvero così debole, vuole dire che in fin dei conti non ci servi».

A quel punto il golem alzò il piede per infliggere il colpo di grazia a Louise, ma prima che potesse anche solo pensare di abbassarlo il frastuono di una cannonata riempì tutto il giardino, e il gigante di pietra, colpito in pieno, barcollò vistosamente all’indietro, riuscendo a fatica a mantenersi in piedi.

«Ma che…» disse incredula Fouquet.

Un attimo dopo, Seena e Tiberius comparvero da dietro il colonnato, accorrendo in difesa di Louise e frapponendosi tra lei ed il nemico. Tiberius aveva con sé un cannoncino, di quelli che potevano essere trasportati e usati a mano, e a giudicare dal rivolo di fumo che usciva dalla canna doveva essere stato lui a sparare.

«Scusate per il ritardo, mia signora!»

«Seena!» esclamò Louise incredula

«State bene, miss Valliere?» domandò il giovane porgendole la mano.

Lei lo guardo incredula, perché lo aveva visto con i suoi occhi tentare di uccidere Seena, ma poi, di fronte alla sincerità e gentilezza di quello sguardo, non riuscì a fare altro che fidarsi.

«Seena! Hanno ucciso Kiluka!»

«No, state tranquilla miss Valliere. Kiluka sta benissimo, e anche lord Charnizay.»

«Cosa!?»

«Ora non c’è tempo, le spiegherò tutto dopo».

Anche se in tre contro uno, Fouquet era ancora più che certa di essere in vantaggio, e riavutasi dallo stupore si scagliò nuovamente con rabbia contro i suoi avversari.

Tiberius aveva bisogno di tempo per ricaricare il cannone, così Seena si offrì di fare da esca, sfruttando la sua abilità di schermitrice e la lama magica del suo stocco per infliggere piccole ferite al golem, che grazie a questo iniziò ad agire sempre più di testa sua ignorando gli ordini della sua padrona.

«Che stai facendo, stupido ammasso di sassi?» sbraitò la maga vedendo che il mostro iniziava a non ascoltarla «Colpisci Zero-Louise!».

Ma Louise, nel frattempo, ne aveva approfittato per iniziare a preparare un nuovo Explosion; il problema era la poca energia che, tra una cosa e l’altra, sarebbe stata comunque capace di infondervi, ma se l’idea che le era venuta in mente avesse funzionato forse le sarebbe stato ancora possibile riuscire a prevalere.

«Hagaru… Beofu… Iru…».

In quel momento, Tiberius sparò un secondo colpo, dritto al petto del mostro, che pur non riuscendo ad abbatterlo gli provocò una grossa crepa. Era il bersaglio perfetto.

Raccolte tutte le sue forze, e gridando per darsi forza, Louise scagliò la sua bacchetta magica, già illuminata dall’incantesimo che aspettava solo di essere scagliato, che roteando nell’aria andò a conficcarsi dritta nell’incavo prodotto dalla cannonata di Tiberius.

«No!» esclamò Fouquet accorgendosi troppo tardi del pericolo.

 

EXPLOSION!

 

Amplificato dallo spazio ristretto e dalla pressione, l’Explosion, per quanto non al suo massimo livello, fu abbastanza potente da sventrare letteralmente il golem, facendolo esplodere dall’interno per poi crollare rovinosamente su sé stesso in mille pezzi.

Assieme al suo golem, Fouquet vide collassare anche le sue ultime speranze.

«No!» disse, coperta di polvere e sassi, cercando di rialzarsi «Non può essere successo di nuovo…».

Ma in ogni caso, non si sarebbe lasciata prendere. Non da Zero-Louise.

Seena cercò di saltarle addosso per bloccarla ma la donna fu più veloce di lei, e generate delle gabbie di roccia sufficientemente robuste a tenere imprigionati i tre ragazzi per il tempo necessario si diede subito alla fuga, scavalcando con la magia il muro di cinta per poi dileguarsi tra i vicoli del villaggio.

«Mando qualcuno ad inseguirla.» disse Tiberius appena lui e le ragazze si furono liberati

«D’accordo.» disse Seena «Noi invece dobbiamo sbrigarci a raggiungere la stanza del duca. Seena e Lord Charnizay sono sicuramente andati là».

 

Valat non voleva credere di avere davanti le persone di cui, solo poco tempo prima, gli erano state mostrate le teste.

«Non… non è possibile…» ringhiò stringendo la spada con una mano e la freccia conficcata nella spalla con l’altra «Voi… siete morti. Io vi ho visto.»

«Tu hai visto quello che volevi che ti fosse mostrato.» lo ammonì il padre.

In realtà, quelle che lui come tutti gli abitanti del villaggio avevano visto erano teste di maiale, che la mano sapiente ed astuta di un alchimista aveva provveduto a camuffare.

Tutto merito di Tiberius, e della Guardia Ducale della quale lo stesso Valat lo aveva messo a capo.

Nessuno di loro aveva mai tradito, non nel cuore almeno.

Tiberius ed i suoi, tuttavia, sapevano bene che opporsi da soli a tutti i soldati e le guardie che Valat aveva portato dalla sua parte sarebbe stato un suicidio, e piuttosto che sprecare le loro vite in una battaglia persa in partenza avevano preferito prendere tempo, riuscendo a convincere anche lord Charnizay a fare altrettanto.

Del resto, come avrebbe potuto sapere Valat dell’esistenza di un intero edificio che, silenzioso, esisteva proprio sotto i suoi piedi, silenziosa reliquia del castello che sorgeva in quello stesso punto secoli prima e che, con il passare del tempo, era stato progressivamente interrato per fare posto al nuovo edificio, scomparendo alla vista e alla memoria dei posteri?

Tiberius aveva scoperto il passaggio segreto per il sottosuolo, del quale neppure il suo signore era a conoscenza, quando era ancora piccolo, e non ne aveva mai fatto parola con nessuno, considerandolo una sorta di personale tesoro nascosto in cui esiliarsi all’occorrenza per restare un po’ da solo senza essere trovato.

Così, nel momento del bisogno, quel guscio vuoto senza più vita si era tramutato in uno scrigno, nel quale tenere nascosti i germogli della sola e unica dinastia regnante di Laguiole nell’attesa del momento propizio per tornare alla luce.

«Sbagliavi a pensare di poter ottenere tutto con il denaro.» disse lord Charnizay «L’onore e la lealtà di un uomo, di un vero uomo, non si possono semplicemente comprare».

Kiluka, dapprima arrabbiata, d’un tratto parve quasi impietosirsi, e distese la corda dell’arco.

«Perché, zio? Perché l’hai fatto?

Avevi tutto? Una famiglia. Dei legami. Non ti bastava?».

Ringhiando e serrando i denti per non urlare dal dolore Valat si sfilò la freccia dalla spalla, gettandola a terra con stizza.

«Piccolo mostro.

Proprio tu mi fai questa domanda? Tu, la futura erede.

Tu più di chiunque altro dovresti sapere cosa voglia dire sentirsi perennemente giudicati e disprezzati.

Il potere sarebbe dovuto essere mio! Per tutta la vita mi sono spaccato la schiena per dimostrare di esserne degno! Ho fatto tutto quello che mi veniva detto! Sono stato un principe serio e rispettabile! Come tuo vice ho portato ordine, legge e giustizia nel nostro feudo! Ma agli occhi della mia famiglia ero un eterno secondo!

Mio fratello veniva sempre prima, fin dal giorno in cui ha messo piede in questo mondo! E quando persino ciò che era mio diritto mi è stato portato via per darlo a lui, ho capito che l’unica scelta che mi restava era prendermi quello che mi spettava con la forza!

Se tu, padre, non avessi continuato a preferirmi il tuo secondogenito, nulla di tutto questo sarebbe mai successo! Io ero il primogenito! Io ero il tuo erede! Io!».

Lord Charnizay guardò il figlio quasi con amore, provando nel contempo una grande vergogna.

«Hai ragione. Forse non sono stato il miglior padre di questo mondo. Forse avrei dovuto cercare di starti più vicino.» poi, però, si rinvigorì nuovamente «Ma se c’è una cosa che ho cercato in ogni modo di insegnarti, è che potere, studio e caparbietà non bastano a formare un vero capo.

Quello che conta davvero è lo spirito. La forza di volontà che viene dal dedicarsi interamente al proprio popolo, senza esigere niente in cambio. Anche a costo di sacrificare ogni altra cosa, dalla propria posizione alla propria stessa vita.

E questo, figlio mio, è l’unico insegnamento che non sono mai riuscito a farti assimilare».

Valat spalancò la bocca, incredulo, poi, sopraffatto dalla fatica, cadde in ginocchio, lasciandosi sfuggire una risatina beffarda.

«Non è troppo tardi, Valat. Possiamo ricominciare. Può essere tutto come prima. Ho già perso un figlio, e non voglio perderne un altro».

Seguirono lunghissimi, interminabili attimi di silenzio, mentre dalla finestra, spalancatasi per l’incantesimo del vento usato da Lord Charnizay per curare Saito, giungevano freddi spifferi di aria notturna, messaggeri di un’alba ormai imminente.

«È troppo tardi».

Accadde tutto in un istante.

In quella, Louise e Seena comparvero dalla parte opposta del corridoio che collegava la stanza al resto del castello.

«Saito!» gridò Louise correndogli incontro.

La sua voce, improvvisa, riscosse il lord e Kiluka, distraendoli, e nel medesimo attimo il duca si scagliò come un dio della morte contro la duchessa, desideroso di portare con sé all’altro mondo almeno la persona che più di qualunque altra reputava responsabile per tutte le disgrazie capitategli.

Kiluka fece appena in tempo ad accorgersi della minaccia; nessuno fu abbastanza svelto da poterla aiutare, e per un istante che sembrò una vita lord Charnizay materializzò il pensiero di veder morire davanti ai suoi occhi quanto restava della sua discendenza.

Se non che, d’improvviso, una figura si mise in mezzo, e Valat, da un momento all’altro, si ritrovò immobile, piegato sopra una spada che, dopo averlo trafitto da parte a parte, spuntava ora quasi per intero da dietro la sua schiena.

Alzati faticosamente gli occhi, e con la bocca piegata in una esclamazione di dolore, si avvide che davanti a lui, al posto di Kiluka, vi era Saito, con entrambe le mani ben strette attorno all’impugnatura della spada.

Solo a quel punto sentì dolore, ma non così tanto come si sarebbe immaginato.

Al contrario, sembrava quasi piacevole.

Finalmente, quella sua esistenza miserabile era giunta alla fine.

Ben presto la risolutezza di Saito venne sopraffatta dallo sgomento, e quando il duca, faticosamente, si rialzò in piedi, lasciò che la spada gli scivolasse via dalle mani, per correre quasi subito tra le braccia di Louise.

Lord Charnizay non riuscì a trattenere le lacrime, nel vedere l’unico figlio rimastogli, il suo primogenitori, ricoperto di sangue e ormai prossimo alla morte.

«Figlio mio…»

«Questo… questo non cambia niente.» disse Valat barcollando all’indietro, verso la finestra «Non… non potete fermarlo.»

«Di chi stai parlando?» domandò Saito «Chi c’è dietro di te? Chi ti ha convinto a commettere un’azione tanto vile come tradire la propria famiglia».

Valat non rispose, ed intanto era ormai giunto sul bordo della finestra.

«Ormai… nessuno può. Non è mai… mai… mai stato possibile. Lui vincerà… e… questo Paese… tutto questo mondo… sprofonderà all’inferno.» e a quel punto, aperte le braccia, si lasciò cadere all’indietro, esalando l’ultimo respiro un attimo prima di precipitare nel vuoto.

La guerra per la successione alla guida di Laguiole era dunque finita.

 

Fouquet, seppur con qualche difficoltà, riuscì a lasciare la città riparando nella foresta.

Era finita.

Sapeva che quella che le avevano concesso era la sua ultima possibilità, e sapeva che non ci sarebbe stato perdono.

Non solo aveva fallito, ma aveva anche contravvenuto agli ordini.

Non sapeva se piangere per la consapevolezza di quello che sarebbe potuto accadere o fumare di rabbia per essere stata nuovamente messa in ridicola da quella incapace di Zero-Louise.

Però, forse, non tutto era perduto.

In fin dei conti, il fallimento non era in tutto opera sua.

La colpa era di Valat. Se fosse stato un po’ più attento a chi si stava mettendo in casa, invece di dare fiducia ad un giovane idealista pronto a tradirlo alla prima occasione, non si sarebbe arrivati a quella situazione.

Lei in fin dei conti era solo una pedina, e se il duca era stato così incapace da fallire nel compito che gli era stato affidato sarebbe stato lui il primo a doverne rispondere. Inoltre, era stata lei ad elaborare il piano che aveva portato alla cattura di Kiluka e che, secondo le sue previsioni, avrebbe consentito anche di mettere le mani su Louise, e ciò provava che, nonostante tutto, le sue abilità non erano per nulla in discussione.

Si convinse che c’era ancora speranza, e subito cominciò a pregustare la vendetta che, in un modo o nell’altro, avrebbe ottenuto.

«Non potete vincere sempre.» ringhiò in direzione del sole che nasceva «Verrà il mio momento, parola d’onore.»

«Non credo proprio.» sibilò una voce profonda e cupa alle sue spalle.

Fu un attimo, e Fouquet sentì qualcosa di duro e affilato trafiggerla alle spalle, ma solo quando vide la punta di un pugnale emergere dal centro del suo petto capì cosa era davvero accaduto.

Cercò di gridare, ma l’urlo le rimase strozzato in gola, e tutto quello che poté fare fu volgere all’indietro i propri occhi sbarrati in direzione del suo carnefice.

Tutto quello che riuscì a distinguere furono dei lunghi capelli bianchi, un viso ceruleo di sconvolgente bellezza, esaltato da penetranti occhi scuri, e un paio di orecchie appuntite, da elfo.

Non l’aveva mai visto di persona, ma ciò nonostante capì subito di chi doveva trattarsi.

«Lo… Lord Eruvere…» tossì sputando un fiotto di sangue

«Avevi dei compiti facili da svolgere, Fouquet, e non sei stata capace di portarli a termine. Le tue prestazioni sono a dir poco vergognose. Per questo, il nostro maestro ha deciso di fare a meno dei tuoi servigi».

Così, alla fine, quella era stata davvero la sua ultima chance.

Ora era davvero finita.

«No… vi prego…» cercò di dire

«Porta i miei saluti a Wardes.» sentenziò l’elfo, e come ritrasse il pugnale Fouquet rantolò al suolo, morta, intingendo l’erba di rosso.

Rimasto solo, Eruvere, come Fouquet lo aveva chiamato, ripulì malamente il pugnale sul lungo mantello che, eccezion fatta per la testa, lo avvolgeva interamente, quindi, agitato un dito nel vuoto, aprì una specie di piccolo portale, al centro del quale era visibile una figura misteriosa avvolta dal buio.

«Dimmi, Eruvere.» disse una voce roca e stentata

«Ho eseguito il vostro ordine finale, maestro. Purtroppo, mi dispiace doverle dire che Valat ha fallito. Laguiole è persa, e con lei l’intero nord.»

«Non importa.» replicò la figura «In ogni caso, abbiamo ancora molte carte da giocare. Sapevo dall’inizio che quel buono a nulla avrebbe potuto fare un buco nell’acqua, e mi sono premunito.»

«Quali sono i vostri ordini, maestro?»

«A questo punto, non possiamo più limitarci a muovere i fili dall’ombra. Dovremo agire di persona. Ma innanzitutto, dobbiamo essere certi che la Maga del Vuoto sia davvero pronta».

Eruvere inarcò gli occhi.

«Ho capito, maestro. Mi metto subito all’opera.»

«Molto bene. Aspetto tue notizie».

 

Al sorgere del sole, Laguiole era tornata in mano ai suoi legittimi proprietari.

Di ritorno dalla fallimentare impresa a Serk City, i soldati che fino al giorno prima avevano servito Valat si ritrovarono la strada bloccata da coloro che, nel cuore, erano rimasti fedeli al duca, e praticamente tutto loro, ricevuta la possibilità tra il cambiare schieramento o l’esecuzione sommaria in nome di un capo ormai morto scelsero la prima soluzione.

Kiluka si era finalmente ripresa ciò che era sua di diritto, ma questo era l’ultimo dei suoi pensieri.

Aveva ritrovato il suo adorato nonno, e questo era il tesoro più grande.

Non era più sola. E di conseguenza, non aveva più alcun motivo per ritornare a Grasse, ora che il suo dominio era tornato ad essere davvero suo.

Saito e Louise si presero un paio di giorni per aiutare lord Charnizay e i suoi seguaci e rimettere a posto lo scompiglio causato dal duca, e a pacificare i rapporti tra Laguiole e tutti quei feudi che erano stati assimilati o comunque attaccati dalle armate di Valat, ma poi venne per loro il momento di rientrare a Grasse.

Non erano tranquilli.

Ora avevano la prova che c’era qualcuno, qualcuno di molto potente, dietro quanto stava accadendo a Tristain. Qualcuno che si era servito di Valat per assoggettare l’intera nazione e che, Saito era pronto a scommetterci, stava servendo nello stesso momento anche di molti altri signori della guerra.

Se era davvero così, allora mettere fine a quella assurda follia non era più solo necessario, ma anche indispensabile.

Tristain non poteva restare ancora a lungo senza una guida, o il rischio era di vedere un domani qualcuno di Reconquista seduto sul trono.

A malincuore, per Kiluka era venuto il momento di salutare le persone che tanto avevano fatto per lei, e in quel momento l’aver ritrovato suo nonno sembrò perdere nel suo cuore molto del suo significato, se in cambio doveva separarsi da loro.

«Non potrò mai ringraziarvi abbastanza per quello che avete fatto per mia nipote.» disse il lord, venuto a salutare i due giovani ai cancelli della città assieme Kiluka e a Seena «Sono i nobili retti e virtuosi come voi la vera speranza per questo Paese.»

«È stato un piacere aiutarvi, eccellenza.» disse Saito «Ma d’altra parte, ci dispiace per suo figlio. In fin dei conti, lui era solo una pedina.»

«Valat si è scelto da sé la sua strada. E ne ha pagato le conseguenze. Come padre posso piangere la sua morte, ma allo stesso tempo non posso far altro che constatare come il suo destino se lo sia costruito con le sue mani.

Pregherò per lui».

Kiluka cercava di non piangere, ma era difficile, così nascondeva il volto tra le maniche del vestito per non darlo a vedere.

«Non piangere, Kiluka.» le sorrise Louise

«Io non sto piangendo.» bofonchiò lei distogliendo lo sguardo

«Non saremo separati per sempre.» la rassicurò Saito «Potrai venire a trovarci quando vorrai.»

«Davvero?»

«Davvero.» disse Louise, e nello stesso tempo le carezzò amorevolmente la testa, come una brava sorella maggiore.

A quel punto, a malincuore, venne davvero il momento di separarsi, e Kiluka, incapace di trattenere le lacrime, poté solo stare a guardare la carrozza dei suoi migliori amici allontanarsi lungo la strada.

 

Ma era destino che le vite dei due giovani sposi e di Kiluka fossero ormai inscindibili.

Solo pochi giorni dopo, in una fredda mattina d’inverno, mentre Saito e Louise facevano colazione, un piccolo ciclone entrò in sala da pranzo senza che nessuno riuscisse in alcun modo ad arrestarlo.

«Louise-sama!» gridò Kiluka buttandosi tra le braccia della sua sorellona acquisita

«Kiluka!?» esclamò Louise incredula, tentando inutilmente di scrollarsela di dosso «Che ci fai tu qui?»

«Il nonno ha detto che ho ancora molto da imparare su come si guida saggiamente una provincia, così mi ha mandata qui per fare ancora un po’ di esperienza. E poi, ha detto anche che sarebbe stato un segno di distensione e di fratellanza tra le nostre famiglie, non è bellissimo!?».

Ma Kiluka non sembrava la sola felice di essere tornata.

«A quanto pare.» disse Seena palesandosi a sua volta nel salone con uno strano ed amichevole sorriso «Sembra che sarò alla vostre dipendenze ancora per un po’, lord Hiraga».

Saito, dapprima perplesso, ben presto sorrise a sua volta.

«Beh. Allora, di nuovo, benvenuti a Grasse».

In disparte, nascosto dietro una tenda, Kaoru assisteva all’intera scena, ma a differenza degli altri lui non aveva alcuna voglia di sorridere, e abbassato lo sguardo strinse ancora di più la mano sinistra attorno alla destra, quasi avesse voluto staccarsela; oppure, nascondere qualcosa.

Qualcosa che non si spiegava.

 

 

Nota dell’Autore

Eccomi qua!^_^

E così, anche la vicenda di Kiluka e di Valat è giunta alla sua conclusione.

Ormai siamo ampiamente entrati nel clou della vicenda, e da qui in avanti cominceranno ad arrivare le prime risposte (anche se centellinate)

Grazie come sempre a chi legge, recensisce o anche solo scruta distrattamente questa storia.

Siete mitici!^_^

Infine, una piccola grande annotazione.

Finalmente, dopo averne rimandato all’infinito la creazione, ho finalmente realizzato la seconda fan opening per questa fan fiction, usando tra l’altro come base una delle mie opening preferite (Unripe Hero, seconda opening del mitico Blassreiter, che consiglio caldamente).

La potete trovare qui.

 

http://www.youtube.com/watch?v=AWZlOMMdTgo

 

Mi raccomando, fatemi sapere cosa ne pensate!

A presto!^_^

Carlos Olivera

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Capitolo 39
*** 35 ***


35

 

 

E venne l’inverno.

E con l’inverno, la neve.

E con la neve, il natale.

Ad Halkengina non esisteva qualcosa di simile al natale, ma Saito teneva troppo all’atmosfera natalizia per rinunciarvi, e grazie al fatto che il calendario terrestre era uguale a quello di Tristain in quanto a numero di giorni aveva localizzato la data che corrispondeva al natale della Terra.

Louise dapprincipio non aveva capito il perché di un tale comportamento, ma già dopo qualche anno l’atmosfera del natale aveva iniziato a contagiare anche lei, e con lei tutti i loro sudditi di De Ornielle.

Ora bisognava insegnare il natale anche alla gente di Grasse, e per l’occasione Saito aveva voluto fare le cose in grande. Da un giorno all’altro, gli abitanti della città avevano  visto le strade riempirsi di luci, festoni e ghirlande, e nella piazza centrale era stato preparato un enorme albero addobbato con centinaia di candele e stelle filanti. Anche nella piazza del castello ne era stato allestito uno, ancora più grande e maestoso, con la differenza che quello era stato donato ai signori dagli stessi cittadini; un segno di ringraziamento per quanto Saito e Louise stavano facendo per risparmiare alla propria gente gli orrori della guerra.

Il quindicesimo giorno dell’undicesimo mese, che corrispondeva alla vigilia di natale, fervevano i preparativi.

Il giorno dopo, il palazzo avrebbe ospitato un ricco ricevimento, presenti tutti i principali alleati e le autorità del feudo, e un altro simile si sarebbe svolto in piazza, aperto a chiunque volesse recarvisi.

A vederla così, festante e colorata, Grasse non sembrava neanche più una città situata in un Paese dove si combatteva senza sosta da quasi cinque mesi, ed era soprattutto per questo che Saito e Louise avevano voluto così strenuamente quelle celebrazioni.

Con quello che stava succedendo a Tristain, la gente aveva bisogno anzitutto di speranza. Dovevano credere che poteva esserci, che c’era un domani, e dovevano poter dimenticare, almeno per un po’, il tempo infelice in cui stavano vivendo.

Tutti bene o male si erano lasciati contagiare dall’atmosfera venutasi a creare, perfino Kaoru.

Negli ultimi tempi il generale stava facendo spesso avanti e indietro da Otisa per sovrintendere ad alcuni miglioramenti che, assieme al professor Colbert, stava apportando alla Valliere, anche alla luce dei danni riportati nel corso della battaglia a Serk City.

Anche quella mattina, di buon’ora, Kaoru montò a cavallo per raggiungere la darsena assieme ad un gruppo tra soldati di scorta e ingegneri navali; per l’occasione avevano caricato anche un carretto con alcune attrezzature, nonché vettovaglie e qualche bottiglia di vino, un piccolo segno di riconoscenza da parte dei signori per gli abitanti di Otisa che tanto avevano fatto e stavano ancora facendo per loro.

«Vai via anche oggi?» gli disse Louise raggiungendolo al cancello

«Il professor Colbert sta lavorando a delle migliorie, e vuole mostrarmele.»

«Però, domani è natale.» obiettò Saito

«Lo so. Saremo di ritorno al massimo per questa sera tardi».

Prima di andarsene, poi, Kaoru infilò una mano nel tascone interno del mantello, prendendone fuori una vecchia ricetrasmittente a batterie che consegnò a Saito.

«E questa?»

«L’abbiamo trovata in un armadietto nella zona cabine. Funziona ancora. Se servisse qualunque cosa, puoi usare quella per contattarmi. La frequenza è già impostata per la radio della Valliere».

Poco distante, Siesta assisteva nascosta dietro una colonna del porticato, il cuore che batteva all’impazzata ed il respiro che, addensandosi, produceva più vapore di un bagno termale.

In mano stringeva una scatolina blu avvolta in un nastro giallo, ma per quanto ci provasse non riusciva a trovare il coraggio per porgerla alla persona cui era destinata.

Aveva già fatto i regali a tutti, ma a farlo a lui non ce la faceva in nessun modo, e non importava quanto continuasse a ripetersi che era questione di un istante, e che poi tutto sarebbe finito.

Ogni volta che ci pensava arrossiva, così come arrossiva ogni volta che lui gli veniva in mente.

Solo un’altra persona l’aveva fatta sentire così.

Provò a calmare i battiti del suo cuore, chiuse gli occhi e si sforzò qualche respiro profondo, ma quando, finalmente, si decise ad agire, come mosse un passo davanti a sé vide Kaoru spronare il cavallo e varcare la soglia del castello.

Avrebbe potuto chiamarlo, raggiungerlo. Non era lontano, e gridando si sarebbe sicuramente fatta sentire.

Invece non fece nulla, a parte guardare, con quel pacchettino poggiato sul petto, il generale che si allontanava.

 

Rientrati nel castello, Saito e Louise ripresero ad occuparsi dei preparativi per il pranzo di natale.

La gravidanza di Louise nel mentre procedeva senza problemi, e già, sotto il profilo del vestito, cominciava ad intravedersi un accenno di pancia.

Saito era ansioso come non mai di conoscere suo figlio, e quando Louise gli aveva spiegato come la gestazione di uno stregone durasse mediamente uno o due mesi di più rispetto a quella di un essere umano si era sentito crollare un po’ il mondo sotto i piedi, ma poi si era detto che infondo si trattava solo di aspettare qualche settimana in più, nulla di drammatico.

Nel castello era tutto quasi pronto.

Come nelle strade pendevano dalle pareti rami di pino, sfere dorate, ghirlande e ogni altra sorta di decorazione, e a tutti i soldati e le guardie, ad eccezione di quelli strettamente indispensabili, erano stati concessi due giorni di permesso.

Qualcuno, a cominciare dalla stessa Louise, aveva inizialmente manifestato la propria perplessità di fronte all’eventualità di organizzare una festa con un nemico che, malgrado la disfatta del duca Valat, poteva dirsi ancora alle porte, nascosto chissà dove, ma Saito aveva replicato a queste critiche citando un evento accaduto decenni prima nel suo mondo, quando due eserciti in guerra avevano deciso spontaneamente di stabilire una tregua nel rispetto del giorno di natale.

L’unica che non sembrava godersi, nonostante tutto, i festeggiamenti era Seena, e il motivo fu presto rivelato.

«Miei signori, avete visto Kiluka per caso?» domandò incontrandoli nel salone «È sparita da questa mattina.»

«Quella ragazzina ha un talento naturale per creare problemi.» bofonchiò Louise

«Non ti preoccupare, Seena.» la rassicurò Saito «L’unico varco di uscita dal castello è sorvegliato, e anche se volesse non potrebbe in alcun modo andarsene. Vorrà solo giocare a farti stare in pena nascosta da qualche parte.

In fin dei conti è ancora una bambina».

Convinta ma non troppo, Seena si calmò, lasciando i due sposi nuovamente soli.

«Sarà una festa davvero bellissima.» disse Saito vedendo come tutti bene o male si fossero lasciati contagiare dall’atmosfera gioiosa, a cominciare dai servitori

«Hai ragione, Saito. Dopotutto, queste persone si meritano un po’ di felicità e spensieratezza».

Louise si toccò il ventre, avvertendo distintamente la vita che vi stava germogliando dentro.

«Spero con tutto il cuore che nostro figlio possa crescere in un mondo dove ci sia tutta questa felicità e gioia, invece che in uno simile a quello che abbiamo vissuto negli ultimi mesi.»

«E sarà così.» rispose con forza Saito «Te lo prometto. Il nostro bambino dovrà conoscere solo il bello di questo mondo. Per lui non dovranno esistere né odio né guerre».

Di fronte ad una tale veemenza la ragazza non poté che sentirsi felice. Anche lei voleva la stessa identica cosa in fin dei conti.

«A proposito.» disse sorridendo «E per il nome come la mettiamo?».

Su questo, Saito non aveva dubbi.

«C’è stato un grande eroe nella nostra famiglia. Ricordo che mio nonno mi parlava spesso di lui. Era un funzionario di polizia durante il Periodo Meiji. Si dice fosse un campione di virtù e di magnanimità, pronto a concedere a chiunque una seconda occasione».

Saito guardò fuori da una finestra, quasi a voler scorgere in lontananza le bianche mura di De Ornielle.

«Questa storia mi è tornata per caso alla mente il giorno in cui tutto questo ha avuto inizio. Il giorno in cui ci hanno informato di quello che era accaduto alla regina Henrietta. Suppongo fosse un segno del destino. Così mi sono detto, “voglio chiamare mio figlio con il nome di quel mio grande antenato”. Se davvero era la persona nobile e generosa che mio nonno descriveva, sarà di sicuro di buon auspicio.»

«E come si chiamava?»

«Purtroppo, non lo so. Non me lo ricordo. Mio nonno è morto che avevo tre anni, e da allora non ho più potuto sentire la storia. Quanto ai miei genitori, se la sono dimenticata tempo fa, presi com’erano dalla frenetica vita quotidiana del giapponese medio.

Ma sono sicuro che se mi sforzerò riuscirò a ricordarmene. Per questo continuo a pensarci da allora».

Louise sorrise, tornando a guardarsi e accarezzarsi il ventre.

«Non starai correndo troppo? Dopotutto, potrebbe essere anche una bambina. Una bambina bella, testarda e forte come sua madre.

E allora, le darò il nome della mia bisnonna. Lucille. Lucille de la Valliere de Hiraga de Ornielle. Suona bene, non trovi?»

«Sarà quello che sarà.» rispose Saito carezzandole i capelli «L’importante è che sia sano e forte, e soprattutto che possa vivere la più felice delle vite.»

«Hai ragione».

Erano quelli i momenti in cui sembrava fosse davvero possibile dimenticare tutto, anche se solo per un attimo, e ritrovare quell’utopia di felicità ed amore che aveva spinto i due ragazzi a scegliersi l’un l’altra come compagni per la vita.

Stavano per baciarsi, persi in quel sogno dentro un sogno, quando un rintoccare inopportuno di campane distrusse l’incanto riportandoli alla realtà.

Ma non erano campane qualunque. Erano un segnale di sventura. Un’ombra che si addensava minacciosa sopra il palazzo, senza alcuna pietà per la sacralità e l’importanza di quel giorno.

«L’allarme prioritario!?» disse Louise

«Deve esserci un intruso nel castello!».

Presto si diffuse la notizia che stava accadendo qualcosa nel cortile principale, ed i due ragazzi senza indugio vi si recarono nonostante i timidi tentativi da parte delle guardie di fermarli, trovandovi all’arrivo una piccola folla di soldati raccolti in cerchio e con le armi puntate tutte in una direzione.

«Miei signori, state lontani.» disse Joanne «Può essere pericoloso.»

«Che sta succedendo?» domandò Saito ignorando totalmente l’avvertimento.

Fattisi strada attraverso le lance e le spade, riuscirono infine a scorgere la sorgente di tutto quel trambusto, restandone comprensibilmente sorpresi: dal nulla, e senza un apparente perché, si era materializzato a poco meno di due metri da terra una sorta di piccolo ammasso fuligginoso, come una condensa di nebbia fitta e bianchissima, che pulsava come un cuore sprizzando di tanto in tanto innocenti scintille e scariche.

Louise non era nuova a quel genere di fenomeno, ed infatti lo riconobbe subito.

«Sembra magia del Vuoto.»

«Prudenza, mia signora.» disse Joanne facendo da scudo alla regina.

Dopo qualche attimo quello strano ammasso aumentò improvvisamente di grandezza, e la tensione crebbe; quindi, parve modellarsi da sé, fino a formare una specie di porta, in modo molto simile a quanto accadeva per l’incantesimo di apertura dei portali di Louise.

Capendo che poteva trattarsi davvero di un qualche varco dimensionale, destinato forse a permettere l’accesso a chissà quale nemico, tutti i soldati si fecero ancora più guardinghi, e gli animi si scaldarono a livelli molto preoccupanti.

Calò il silenzio, rotto solo dai respiri affannosi di qualcuno di quelli con meno sangue freddo; poi, oltre la coltre bianca, cominciò ad intravedersi una figura, intangibile, ma agli occhi di Saito e Louise stranamente famigliare.

Dapprima videro un volto fine, gentile, contornato di quelli che sembravano lunghi capelli fluenti. Poi lunghe gambe femminee. Poi, un seno enorme, quasi inumano, che fece dissanguare Saito e ringhiare di rabbia Louise.

Ce n’era solo una.

Solo una persona in tutta Halkengina poteva disporre di un simile balcone.

Quando, infine, Tifa si palesò davanti a tutti, la tensione calò di colpo. Persino i soldati non riuscirono a restare indifferenti alle forme generose della giovane elfa, che alcuni di loro, quei pochi che avevano fatto parte dell’esercito di De Ornielle, avevano già conosciuto.

«Vi chiedo scusa.» disse tenendo gli occhi bassi, con quella sua solita aria imbarazzata e smarrita «Non sono ancora molto brava a padroneggiare questo tipo di incantesimo».

Passò un istante, e Saito, stupito nel non sentirsi arrivare un calcio in mezzo alle gambe, corse incontro all’amica.

«Tiffania!» esclamò prendendole le mani.

Accertato che non vi era pericolo, Joanne fece disperdere i suoi uomini, che non senza qualche perplessità tornarono ognuno al proprio posto.

«È passato molto tempo, Saito-san. Sono felice di rivederti.»

«Lo siamo anche noi. Vero, Louise?»

«Certo, come no.» rispose la ragazza serrando i denti per nascondere le sue vere emozioni.

Subito dopo essersi diplomata all’accademia di magia, Tiffania era voluta tornare a Neftes assieme a Bidashal e Luctiana, approfittando del fatto che grazie alla vittoria ottenuta  contro il Drago Ancestrale la fazione favorevole agli esseri umani aveva acquistato prestigio ai danni di Eshmael e della sua cerchia di fanatici.

Da allora aveva fatto alcune visite sporadiche ai novelli sposi, raccontando ogni volta di come la lenta presa di coscienza da parte degli elfi li stesse portando ad accettarla come una di loro, ma dall’inizio della guerra non si era più fatta vedere.

Però, che avesse imparato ad usare la magia dei portali, questa era davvero una grande sorpresa.

«Da quando sei capace di aprire le porte?» domandò Louise notando quel varco così grezzo rispetto ai suoi, ma comunque funzionale

«Mi sono esercitata molto in questi mesi per imparare a controllare la Magia del Vuoto. Anche se non sono ancora brava come te, purtroppo.»

«Sei sempre troppo modesta, Tifa.» le disse Saito «È ovvio che hai fatto dei progressi.»

«Non esagerare con i complimenti. Ne ha di strada da fare.»

«Senti, senti. Sbaglio o qualcuno è geloso?».

Mai punta di scarpa negli stinchi fu più dolce per Saito; significava che Louise, nonostante tutto, era sempre la stessa, anche quando si arrabbiava.

Anche se faceva comunque un male cane.

«Dimenticavo.» disse ancora Tifa «Voglio presentarvi qualcuno».

La ragazza fece un cenno, e dal varco ancora aperto comparve una nuova figura.

Era un elfo, proprio come lei, e somigliava un po’ a Bidashal: capelli bianchi e lunghi, occhi blu scintillanti, portamento fiero ed il corpo nascosto da un largo mantello nero.

Metteva un po’ di inquietudine, ma non sembrava una cattiva persona; al contrario, quel suo sguardo fiero e sicuro di sé incuteva rispetto e ammirazione.

«Saito. Louise. Lui è Eruvere

«Piacere di conoscervi.» disse gentilmente l’elfo «Anche se, a dire la verità, la mia padrona parla così tanto di voi, che mi sembra quasi di avervi sempre conosciuti.»

«La tua padrona!?»

«Ecco, è questa la cosa curiosa.» disse Tifa quasi imbarazzata «Perché vedete, lui… ecco… lui è il mio nuovo famiglio».

Entrambi i ragazzi saltarono sul posto.

«Il tuo famiglio!?» esclamò Saito.

A riprova di ciò, Eruvere si abbassò leggermente l’alto collo del mantello, rivelando una sequenza di rune impressa sul suo collo all’altezza della gola.

«Non c’è dubbio, sono proprio Rune del Vuoto.» disse Louise «Ma Tiffania, il tuo famiglio non era Saito?»

«Il contratto si è spezzato quando il potere di Lifdrasil si è esaurito.» spiegò Tifa «Ma il preside diceva sempre che era comunque possibile per me evocare un nuovo famiglio, proprio come era accaduto tra te e Saito-san. Così, un giorno, ho provato un’altra volta l’incantesimo del Summon Servant.

Dapprincipio non è accaduto nulla, come la prima volta, ma solo qualche giorno dopo Eruvere è venuto da me dicendo che le rune erano comparse sul suo corpo nello stesso istante in cui io recitavo l’incantesimo.

Così, abbiamo suggellato il patto, e da quel giorno è diventato ufficialmente il mio famiglio.»

«Capisco.» disse Saito, che poi si rivolse a te «Beh, allora buon per te. Tifa sarà davvero un’ottima guida per te. Solo, fai attenzione, perché alle volte sa essere terribilmente sbadata.»

«Ne sono consapevole.» sorrise l’elfo.

Tiffania ebbe un momento di esitazione, sfregando le mani come timorosa, ed abbassò lo sguardo. Eruvere, forse credendo di non essere visto, le fece un cenno, che lei contraccambiò con uno sguardo quasi intimorito.

Quindi, l’elfa infilò una mano nella sacca che portava a tracolla, prendendone fuori due scatoline di legno chiuse alla meno peggio con una cordicella di seta rossa.

«Ecco… Saito-san mi diceva che in questa periodo dell’anno, nel suo mondo, si è solito scambiarsi dei regali. Così, ho pensato che…».

Saito e Louise spalancarono gli occhi.

«Tifa, non dovevi!» disse Saito felice come non mai.

Louise non lo era quanto lui, ma non poteva non apprezzare il bel gesto, ed accettò con gioia il proprio regalo, aprendolo subito assieme al suo consorte in barba alla tradizione.

Entrambe le scatole contenevano un pendente, non prezioso ma bello a vedersi, a forma di mezzaluna e coperto di iscrizioni elfiche.

«Sono pendenti di buona sorte.» spiegò Eruvere «Un segno di amicizia e di gratitudine da parte del popolo elfico per quanto avete fatto per noi.»

«È davvero un dono troppo generoso.» disse Louise «Non meritiamo tanto.»

«Però…» disse Tifa, ancora con quell’aria timorosa «Se volete, potete anche non accettarli… in fin dei conti, non è niente di speciale…»

«Stai scherzando!?» disse Saito «È un dono bellissimo».

Tifa sorrise, ma sembrava un sorriso un po’ stentato, quasi fasullo, anche se nell’euforia del momento né Saito né Louise parvero notarlo.

«Però ora basta parlare qui. Accomodatevi dentro. Abbiamo tante cose di cui parlare».

 

 

Nota dell’Autore

Eccomi qua!^_^

Sono tornato, e più presto del previsto, con un nuovo capitolo!

Oggi inizia l’Arco di Neftes, in assoluto quello che aspettavo di scrivere da più tempo.

Sarà un arco piuttosto lungo, forse non il più lungo di tutta la storia, ma di sicuro quello, almeno fino a qui, con il maggior numero di rivelazioni.

Sì, avete capito bene.

Finalmente la matassa inizierà a dipanarsi, e i primi interrogativi troveranno una loro risposta.

Aspettate fiduciosi, e vedrete che un po’ per volta tutti i misteri verranno sbrogliati, ma preparatevi anche ad una pirotecnica sequenza di battaglie.

A presto!^_^

Carlos Olivera

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Capitolo 40
*** 36 ***


36

 

 

Malgrado fosse la vigilia di natale, la darsena era in piena attività.

Il tempo non eccelso e i venti invernali alzavano il mare, ma grazie alla rete da pesca che proteggeva l’ingresso all’interno della grotta lo specchio d’acqua in cui riposava la Valliere era calmo come la superficie di uno stagno.

Nella stiva, i lavori di ammodernamento erano ormai completati.

La battaglia per la difesa di Serk City aveva dimostrato la potenza quasi incontrastabile della Valliere, ma allo stesso tempo ne aveva anche messo in luce gli inevitabili difetti, quali la scarsa velocità e autonomia di volo, nonché la facilità di avvistamento anche a notevole distanza.

Per questo era intervenuto il professor Colbert, che aveva messo a disposizione dell’equipaggio altre due pietre magiche provenienti dai laboratori della scuola di magia, e dopo un lungo processo di arrangiamento dei macchinari entrambe erano state montate con successo.

Per dimensioni non erano neanche paragonabili alla pietra di levitazione con cui condividevano la stanza, ma ciò nonostante il loro potere era indiscutibile.

Ora però, bisognava testarlo. Bisognava ancora collegare i sistemi di controllo alla plancia di comando, ma era inutile farlo se non si aveva la prova che le pietre potevano avere effetto su un vascello di quelle dimensioni.

Espletati gli ultimi controlli, il professore, Kaoru e molti dei marinai scesero a terra, lasciando a bordo solo il personale necessario.

«È tutto pronto?» chiese Kaoru

«Suppongo di sì. Speriamo solo che le pietre siano sufficientemente potenti».

Kaoru a quel punto fece un cenno, che venne intercettato da Quintus in plancia.

«Avviare i motori!» ordinò il comandante.

La nave prese a gracchiare, e nello spazio di pochi minuti i suoi motori erano pronti a condurla in mare; ma non era per questo che erano stati accesi.

«Sala delle pietre.» disse ancora Quintus parlando all’interfono «Dare inizio all’esperimento numero uno.»

«Sì, comandante.» rispose il marinaio dall’altra parte.

Questi, poggiata la cornetta, si avvicinò al presosi un momento per invocare la buona novella, abbassò la leva che faceva da interruttore.

Una specie di folgore si sprigionò dalla pietra, minacciando di mandare in frantumi la pietra in cui era rinchiusa, e propagandosi ai cavi che vi erano attaccati attraversò tutti i corridoi della nave, giungendo fino alla sala macchine.

Appena l’energia prese a fluire nei motori, questi rimbombarono come tuoni, producendo un suono ancora più forte.

Tutti gli indicatori andarono fuori scala, il che doveva essere a rigor di logica una cosa molto negativa, ma non accadde nulla, né vi fu segno alcuno di sovraccarico.

«Incredibile.» disse il capo-macchinista, che subito dopo prese l’interfono «Plancia, qui sala macchine. Caldaie attive e funzionanti. Tutti i valori sono oltre il massimo, ma le apparecchiature reggono senza problemi».

Lo sventolare delle mani di Quintus provocò le urla di gioia di tutti i presenti sia a bordo che ammassati sulla riva, ma era solo l’inizio.

«Meno male, è andata. Non che avessi qualche dubbio, bene inteso.»

«È presto per rilassarsi, professore. Siamo solo a metà del lavoro.»

«Sì, ma è comunque un buon risultato. La pietra triangolare permetterà alla nave di migliorare notevolmente le sue prestazioni sia in termini di velocità che di manovrabilità durante la navigazione in mare.»

«Sono d’accordo, ma la visibilità resta comunque un problema.»

«È a questo che serve l’altra pietra, la Pietra Specchio.»

«Allora, direi che è il caso di provarla, non crede?».

A quel punto venne il momento di azionare l’altra teca, quella che conteneva la pietra di colore bianco sfavillante, e anche questa, una volta liberata dei suoi sigilli, prese a sfavillare, ma invece che in dei tubi la sua energia, una volta fuoriuscita, si propagò a macchia d’olio come una specie di onda, attraversando le pareti, i ponti e la chiglia.

Fu un attimo, e la nave e tutti coloro che vi erano sopra scomparvero nel nulla, come non fossero mai esistiti, proprio sotto gli occhi di Kaoru, che sorrise soddisfatto assieme a Colbert.

Agli occhi di Tiberius e dei suoi uomini non era cambiato nulla, ma lo stupore di quelli che osservavano dalla riva fu più che sufficiente per fargli capire che aveva funzionato.

«Direi che è una prova da dieci e lode.» commentò soddisfatto Colbert mentre la nave ricompariva «Non sei d’accordo, amico mio.»

«Anche meglio delle aspettative.»

«Questa barriera invisibile non può passare inosservata agli occhi di un mago con elevata esperienza, ma a meno di non riuscire ad infrangerla è impossibile riuscire a scorgere quello che vi è all’interno.»

«Non ha importanza. Quello che conta, è arrivare abbastanza vicini senza essere notati. Poi ci penseranno i cannoni a fare il resto.»

«Ho anche migliorato la resa effettiva della pietra di levitazione. Ora la nave potrà spostarsi in volo più a lungo e più velocemente, mentre i tempi di ricarica rimarranno gli stessi.

L’unico difetto è che le tre pietre non possono agire in sintonia. L’utilizzo di una disattiva automaticamente l’altra. Il rischio è che la nave finisca per non sopportare l’eccessiva quantità di energia e collassi.»

«Capisco. Immagino non si possa avere tutto.

Poco male, ci accontenteremo».

Colbert per un attimo ebbe come l’impressione di scorgere un’ombra che furtiva si infilava dentro la nave, ma convintosi quasi subito che l’unico occhio rimastogli gli avesse giocato un brutto scherzo preferì concentrarsi nuovamente su Kaoru, che da un momento all’altro gli aveva dato le spalle e seguitava a tenersi la mano destra come dolorante.

«Tutto bene?»

«Sì.» tagliò corto lui fingendo che fosse passato «Non è niente.»

«Non si direbbe. Dai, fammi vedere».

Kaoru tergiversò, quasi spaventato, ma poi si rassegnò mostrando la mano.

Sul palmo, forte e robusto, erano comparsi due segni, come una specie di tatuaggi, che dal polso prendevano tutta la mano diramandosi lungo tutta la lunghezza dell’indice e del mignolo fino alle unghie.

Non sembrava trattarsi di tagli o cicatrici, perché al tatto apparivano morbidi e levigati, quasi si fossero trovati sotto la pelle che non in superficie.

«Che cos’è?» domandò sorpreso

«Non ne ho idea. È comparso poco dopo la battaglia a Serk City.»

«Ti fa male?»

«Brucia un po’ di tanto in tanto,  ma nel complesso è sopportabile.»

«Se possibile, vorrei farti qualche esame. Tanto per accertarsi che non sia niente di serio».

In quella, a Kaoru cadde l’occhio oltre il limite della caverna.

«Credo che per il momento abbiamo un problema un po’ più urgente».

Il professore guardò a sua volta.

Nuvole nere, cariche di tempesta, si erano addensate sopra l’oceano, e ora procedevano verso la costa a considerevole velocità.

«A quanto pare, sta per arrivare un gran brutto temporale. È probabile che vi sarà anche una tempesta di neve.» quindi si girò nuovamente verso Kaoru «Anche se Grasse è relativamente vicina, non credo sia consigliabile ritornarci stasera. La strada diventerà pericolosa per il ghiaccio, e potremmo perderci.»

«Capisco.» disse Kaoru «E dire che gli avevo promesso che saremmo tornati entro la fine del giorno. Beh, poco male. Per fortuna ad Otisa i posti per dormire non mancano».

 

Siesta si era finalmente decisa a fare quello per il quale aveva tanto lavorato in tutte quelle settimane.

Aveva sgobbato come una bestia da soma e accumulato montagne di straordinari per comprare quel regalo, e tenerselo in tasca, oltre che inutile, sarebbe stato anche stupido.

Tuttavia, avendo capito di non avere la forza per farlo di persona, aveva concluso che l’unica soluzione fosse lasciarlo nella camera della persona cui era destinato.

Probabilmente in questo modo non ne avrebbe mia conosciuto il mittente, ma non le importava. Le bastava sapere che l’avesse ricevuto.

Quatta quatta, e accertatasi di non avere nessuno intorno, la ragazza si infilò furtiva nella stanza senza essere vista, ma come si richiuse la porta alle proprie spalle si avvide, con suo grande stupore, che vi era un altro pacchetto appoggiato sul comodino accanto al letto.

Non era ben fatto come il suo, ma c’era. Era lì.

Rimase di stucco.

Chi poteva esserne il mittente? Impossibile saperlo, perché non c’erano biglietti né annotazioni.

Siesta sapeva che la lista era lunghissima; aveva visto più volte le altre camerieri e servitrici fargli gli occhi dolci, e la stessa Seena le aveva confidato di trovarlo carino.

Era stata proprio l’esternazione della rossa a spingerla ad agire con fermezza, ma ora tutte le sue certezze stavano venendo meno.

Qualcuno l’aveva battuta sul tempo.

No. Non poteva accettarlo.

Non poteva ricevere un regalo che non fosse da parte sua.

Sentì montare in sé la rabbia, e per una volta, dopo tanto tempo, decise che era giunto il momento di fare la cattiva.

Aveva perso con Saito, non voleva perdere anche con lui.

Fulminea, quasi avesse paura che un occhio invisibile potesse smascherarla, sostituì il regalo misterioso con il suo, e quando lo ebbe tra le mani non riuscì a resistere alla tentazione di aprirlo.

Sperava di trovarci un biglietto, se non altro per scoprire l’identità della misteriosa concorrente, invece non vi trovò niente, a parte un pendente a mezzaluna coperto di segni indecifrabili.

«Che cos’è?» si domandò.

Poco importava.

Ora non poteva più tornare indietro.

Non poteva commettere un’azione così abbietta e spietata come farlo sparire, ma era necessario rifare il pacco, visto che nell’aprirlo lo aveva praticamente squartato.

Così, fece sparire la scatola ormai in pezzi nella tasca del grembiule, mentre apertasi leggermente il vestito fece sparire il pendente nell’incavo sul petto, in assoluto il posto migliore per nascondere qualcosa.

Glielo avrebbe fatto trovare in qualche modo il mattino dopo, una volta accertatasi che avesse ricevuto il suo regalo per primo.

«Mi spiace, chiunque tu sia.» disse maliziosa «Ma c’ero prima io».

Nel mentre, Tifa ed Eruvere si stavano preparando per fare ritorno a Neftes, non senza qualche dispiacere da parte di Saito e Louise.

«Siete sicuri di volere andare via così presto?» domandò Saito «Domani è natale, e ci avrebbe fatto piacere se foste rimasti per il pranzo di festa.»

«Ci piacerebbe molto Saito-san, davvero.» disse Eruvere «Purtroppo abbiamo degli impegni a Neftes. Bidashal ha bisogno di noi per tenere buono il consiglio. Dico bene, mia signora?»

«Sì, certo.» rispose Tifa dopo un lungo silenzio «Ma torneremo di sicuro quanto prima. Sono certa che ci rivedremo molto presto.»

«Lo spero.»

«E mi raccomando.» disse ancora Eruvere «Fino a domani mattina dovete tenere quei pendenti sempre con voi. La tradizione dice che non facendolo ci si attira un sacco di sventure.»

«Lo faremo di sicuro. Mi dispiace solo che non abbiate potuto consegnare il regalo anche a Kaoru.»

«Non c’è problema. La mia signora lo ha già lasciato in camera sua. Lo troverà di sicuro al suo ritorno».

Louise si offrì di aprire un portale per Neftes, visto che ormai i suoi poteri si erano molto rafforzati, ma Tifa insistette per farlo lei stessa, aprendo una di quelle sue porte grezze.

«Quando sarà il momento, sarà il caso di fare un po’ di pratica.» disse Louise

«Ma sentila, la professoressa.» replicò sardonico Saito guadagnandosi la seconda pedata in poche ore.

Tifa si avvicinò a Louise, ma stentò a guardarla negli occhi.

«Senti, Louise. Volevo dirti che… semmai una volta ti abbia fatto qualcosa di male… ecco… spero che tu possa perdonarmi, in qualche modo.

Non era mia intenzione.»

«Ma che stai dicendo, Tifa?» rispose stupita Louise «Quando mai mi avresti fatto qualcosa di male?»

«Già… hai ragione.» disse Tifa sforzandosi di sorridere.

Poco dopo, sia lei che il suo famiglio scomparvero nella porta, che subito si richiuse.

 

La serata trascorse senza particolari intoppi.

Saito e Louise si tennero leggeri, perché sapevano che il giorno dopo avrebbero mangiato come capitava una volta sola in tutto l’anno, e per lo stesso motivo decisero di coricarsi presto.

Kiluka non era ancora saltata fuori, ma dalla città era giunta la notizia che un locandiere l’aveva incontrata e su sua richiesta le aveva offerto di passare la notte lì da loro, il che se non altro avrebbe permesso anche a Seena di dormire sonni tranquilli.

L’unica pecca era stato l’arrivo di una improvvisa tormenta, che aveva preso a scaricare su tutta la costa settentrionale di Tristain valanghe di neve, quindi non c’era da meravigliarsi se Kaoru e il professor Colbert non erano riusciti a tornare.

Saito buttò un altro ceppo nel camino della grande stanza da letto, mentre Louise osservava un po’ in pensiero oltre la finestra la tormenta che imperversava senza pietà ricoprendo Grasse di una coltre bianca ancora più spessa.

«Speriamo che finisca presto.»

«Non temere.» rispose Saito confidando nel suo barometro elettronico «Le previsioni dicono che domani sarà bel tempo. Vedrai, sarà un natale soleggiato e piacevole.»

«Lo spero. Altrimenti, con questo tempo non verrà nessuno».

Le rassicurazioni di Saito però tranquillizzarono presto Louise; d’altronde il suo apparecchio per prevedere il tempo non aveva fallito quasi mai.

«Cambiando discorso.» disse ancora togliendosi la vestaglia e correndo a nascondersi sotto le coperte «Oggi Tifa non ti è parsa strana?»

«È sempre stata con la testa un po’ tra le nuvole.» tagliò corto Saito mentre la raggiungeva «Anche se effettivamente, oggi lo era anche più del solito.

Ma del resto è comprensibile. Anche se gli elfi non sono più i fanatici di un tempo, è chiaro che per lei è dura riuscire a farci accettare.»

«E del suo famiglio che ne pensi?»

«Eruvere? Mi sembra una brava persona. Forte, risoluto e fedele. Sarà sicuramente un ottimo protettore per la nostra Tifa».

Si guardarono, stringendosi le mani sotto le coperte. Il discorso iniziato quella mattina, pur se interrotto sul più bello, era ancora ben presente nelle loro menti, e se non fosse stato per la gravidanza di Louise quella serata, tra la tormenta che fischiava all’esterno ed il calore del fuoco, avrebbe potuto finire in un solo modo.

Così, dovettero accontentarsi di recuperare quel bacio lasciato in sospeso, lungo e appassionato.

«Ti amo da morire.» le mormorò Saito

«Lo so. Anche io.» rispose Louise.

Poi, rapidamente, il sonno prese il sopravvento, e nel castello piombò il silenzio, rotto solo dall’imperversare della tormenta e dai passi, comunque discreti, delle guardie in servizio per la notte.

Saito dormì beatamente, ma fece uno strano sogno.

Sognò un uomo, austero e nobile, che con indosso un’armatura ed un lungo mantello blu lo fissava dall’alto di una collina, gli occhi fissi su di lui, i lunghi capelli neri agitati dal vento e la folta barba scura che celava solo in parte un’espressione come di ammonimento.

Provò a chiamarlo, a chiedergli chi fosse, ma quello inizialmente non rispose, e quando, dopo lunghi istanti, mosse le labbra come a volergli rispondere, lo vide venire trafitto alle spalle da una lama bianchissima, più scintillante della neve appena caduta.

Avrebbe voluto aiutarlo, ma una forza misteriosa lo teneva immobile, così non poté fare altro che osservare l’uomo rotolare senza vita giù dalla collina, fermandosi ai suoi piedi con gli occhi sbarrati e la bocca socchiusa, come in un’espressione di meraviglia.

Saito alzò gli occhi, cercando di capire chi fosse l’assassino, ma tutto quello che vide fu una figura bianchissima che svettava su ogni cosa, tenendo alta nel cielo la spada insanguinata e riempiendo l’aria con un agghiacciante urlo di vittoria.

Ne aveva abbastanza.

Presa coscienza che si trattava di un sogno, Saito richiamò a sé tutta la sua volontà, riuscendo infine ad abbandonare quel tetro paesaggio spettrale per fare ritorno nella tranquillità del suo letto, accanto alla sua Louise.

Quando aprì gli occhi Louise era lì, accanto a lui.

Anche lei era sveglia, girata su di un fianco, e lo guardava.

Una luce rosata avvolgeva entrambi, la stessa che ricopriva i simboli arcani incisi sui pendenti elfici che tutti e due portavano al collo.

Gli occhi di Louise dicevano tante cose, parole che dalla sua bocca non potevano uscire, ma che avevano tutte un comune denominatore: paura. E Saito non tardò a capirne il motivo. Provò a parlare, ma la voce non gli usciva; provò a muoversi, ma il suo corpo, ad eccezione degli occhi, rifiutò di obbedirgli.

Era come se entrambi si fossero tramutati in statue, fantocci senz’anima incapaci di qualsivoglia azione o movenza umane.

E allora, anche Saito si spaventò, non tanto per sé quanto per Louise, che lo guardava come ad implorare aiuto, pur consapevole di come lui fosse impotente tanto quanto lei.

“Che sta succedendo?” si domandò il ragazzo col pensiero.

Poi, una luce si materializzò anche sotto di loro, tra il materasso e i loro corpi, una luce famigliare che prese ad ingrandirsi sempre di più, fino a raggiungere dimensioni pari a quelle del letto.

Saito e Louise si videro scomparire l’uno con l’altro, affondando in quella specie di superficie luminosa stranamente famigliare come nell’acqua di un lago, ed il bagliore fu tale che dovettero entrambi chiudere gli occhi.

Li tennero chiusi a lungo, per tutto il tempo in cui percepirono quella luce, poi, d’improvviso, invece che di affondare ebbero l’impressione di cadere di botto, e dopo un istante entrambi rovinarono sopra quello che sembrava un duro pavimento di pietra, molto diverso alla morbida moquette della loro stanza.

Saito fu il primo che trovò la forza di aprire nuovamente gli occhi, e la prima cosa che vide volgendoli davanti a sé fu il volto di Tiffa, immobile ai suoi piedi con la bacchetta ancora luccicante tra le mani.

Sembrava trattenere a stento le lacrime.

Non era sola.

Con lei c’era Eruvere, che lo fissava a sua volta con un’espressione molto diversa da quella che gli aveva visto solo poche ore prima, fredda e asettica.

Ma c’era anche qualcun altro, qualcuno che nessuno dei due ebbe piacere di vedere, poiché la sua presenza era sinonimo di problemi. E la cosa più strana, fu vederlo proprio accanto a Tiffa.

«Chi non muore si rivede.» disse lord Eshamel osservando malevolo i due ragazzi «Ero oltremodo di regolare tutti i vecchi conti con voi due.» quindi mise una mano sulla testa di Tiffa «Alla fine questa mezz’elfa si è rivelata utile, dopotutto».

Saito e Louise la guardarono, e anche se non potevano muovere la bocca il loro sguardo era più che eloquente, tanto che Tiffa non fu in grado di sostenerlo.

«Mi dispiace.» singhiozzò con gli occhi gonfi di lacrime «Mi dispiace».

 

 

Nota dell’Autore

Eccomi qua!^_^

Nuovo capitolo a tempo di record!

In realtà c’è un motivo se questo aggiornamento è arrivato tanto in fretta. La prima parte di questo nuovo capitolo infatti era inizialmente compresa nel precedente, ma poi, volendo interrompere il successivo in questo punto, ho deciso di spostarla perché non risultasse un capitolo lunghissimo seguito da uno di sole 3 pagine.

Che dire, la storia ha preso una svolta decisamente inattesa.

Povera Tiffa, perché avrà fatto una cosa del genere? Ora la situazione per i due sposini si complica non poco.

Per il nuovo aggiornamento dovrete attendere qualcosina in più, ma vi prometto che arriverà quanto prima.

A presto!^_^

Carlos Olivera

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Capitolo 41
*** 37 ***


37

 

 

Alcune guardie elfiche sollevarono i ragazzi di peso, e solo a quel punto, quando entrambi furono saldamente nelle mani dei loro carcerieri, l’incantesimo che paralizzava i loro corpi cessò, ma a quel punto era troppo tardi per tentare una qualsiasi reazione.

«Che significa tutto questo?» strillò Saito tentando inutilmente di liberarsi

«Non occorre che tu lo sappia.» replicò freddo Eruvere.

In quel momento, Eshamel si avvide della presenza, nel punto in cui Saito e Louise erano caduti, di una strana scatola nera con una specie di lunga protuberanza e piena di strani pomelli apparentemente girevoli, ed incuriosito lo raccolse.

Per lui era solo un gingillo dall’aria incomprensibile, ma Saito la identificò subito come la loro migliore speranza per salvarsi da quella situazione.

In quel momento, Saito benedì la sua sbadataggine. Senza volerlo aveva lasciato la trasmittente appoggiata sul materasso nell’atto di mettersi a letto, e così per puro caso anch’essa era finita risucchiata all’interno del portale, ma servirsene non sarebbe stato comunque facile.

Pensare di riuscire ad accenderla e parlarci all’interno era improponibile in quella situazione, senza contare che vista l’ora probabilmente non ci sarebbe stato nessuno dall’altra parte a ricevere la richiesta di aiuto, ma era comunque l’unica possibilità. E il caso volle che, senza volerlo, Eshamel ci mettesse del suo per facilitargli le cose.

Nel tentativo di capire cosa fosse, infatti, l’elfo girò senza volerlo il pomello di accensione, producendo un assordante effetto nebbia che spaventò buona parte dei presenti.

Anche le guardie che trattenevano i due ragazzi si spaventarono, allentando imprudentemente la presa, e Saito, pur con le mani già legate dietro la schiena, ne approfittò.

«Maledetto!» gridò divincolandosi.

Con la scusa di voler aggredire Eshamel gli si gettò contro, dandogli una spallata, e come la trasmittente gli cadde di mano subito vi si gettò sopra, azionando senza essere visto la comunicazione ed innestando il blocco di sicurezza.

Le guardie, riavutesi, lo bloccarono di nuovo in pochi secondi, infliggendogli anche una robusta dose di bastonate.

«Dannato umano!» sbraitò Eshamel prendendolo a ceffoni «Come hai osato?»

«Basta, smettetela!» gridò piangendo Tiffa «Così lo ucciderete!»

«Basta così.» intervenne Eruvere.

Solo al suo ordine i soldati si fermarono, mentre Eruvere non rinunciò a tirargli un ultimo ceffone.

Saito era ridotto malissimo, tutta un’ecchimosi, e se i soldati non lo avessero sorretto di peso probabilmente sarebbe stramazzato svenuto al suolo.

Eppure, pur così conciato, il suo apparire sprezzante non era venuto meno.

«Sarebbe questa la civiltà superiore di cui voi elfi andate tanto fieri?» sibilò beffardo all’indirizzo di Eshamel.

L’elfo serrò i denti, ancor più arrabbiato, ma come fece per scaricare sul ragazzo una nuova tempesta di botte Eruvere lo guardò in modo molto severo, quasi minaccioso, e lui, pur fuori di sé per la collera, incredibilmente desistette.

«Portateli via».

I soldati a quel punto trascinarono via i due ragazzi, e inutili furono i tentativi da parte di Louise di capire il perché di tutto quello o di pretendere spiegazioni da parte di Tiffa, che di contro non riuscì neppure a trovare la forza per guardarla negl’occhi.

Nel momento in cui Saito e Louise venivano portati fuori dalla stanza, dalla medesima porta fece il suo ingresso Maddarf, scuro in volto come suo solito ma, se possibile, ancora più teso e funereo di quanto non fosse già di suo.

«Abbiamo un problema.» si limitò a dire.

 

Eruvere ed Eshamel erano stati informati della pericolosità del nuovo famiglio di Louise, e temevano che pur imprigionato dall’incantesimo costrittivo apposto sui pendenti sarebbe stato un osso duro da contrastare, quindi per lui avevano progettato qualcosa di speciale.

La stanza dove era previsto il suo arrivo era stata riempita all’inverosimile delle migliori guardie in servizio presso la capitale, che al momento giusto gli si sarebbero avventate addosso tutte insieme.

Invece, al loro arrivo nella stanza, Tiffa e i due elfi trovarono le guardie avvinghiate non sul generale Kaoru, ma su quella che aveva tutta l’aria di essere una comune servetta, in camicia da notte e spaventata come non mai.

«Siesta-san!?» disse Tiffa

«Tiffa!?».

Eshamel digrignò i denti.

«Si può sapere che sta succedendo?» ringhiò contrariato «Sarebbe questo il terribile famiglio della maga del fuoco che sconfigge interi eserciti!?».

Calmo come sempre, Eruvere si avvicinò a Siesta, strappandole la parte superiore della camicia da notte, e prendendone fuori il pendente magico destinato alla loro terza preda.

Esahamel si fece rosso come il diavolo, e voltatosi di scatto colpì Siesta con un terribile schiaffo, tanto forte da scaraventarla contro il muro.

«Che accidenti hai combinato, stupida mezz’elfa!? Le tue istruzioni erano chiare!»

«Ve lo giuro!» si giustificò lei piangendo «Io ho fatto come mi avete detto. Ho lasciato il medaglione in camera del famiglio di Louise, ne sono assolutamente sicura».

Eshamel era troppo fuori di sé per credere ad una sola parola di una creatura della quale non si era mai veramente fidato, e ancora una volta fu Eruvere a fermarlo.

«È inutile recriminare. È evidente che non tutto è andato come pensavamo. In ogni caso, gli imprevisti talvolta capitano».

Ciò nonostante, Eshamel ne aveva già abbastanza di avere a che fare con Tiffa.

«In ogni caso, ora abbiamo ciò che ci serviva.» disse mettendo mano alla spada «Quindi, questa bestia non ci serve più».

Tiffa si ritrasse spaventata, ben sapendo di cosa quel pazzo era capace. Aveva imparato a temerlo in tutte le settimane in cui era stata costretta a stare al suo gioco, e anche se la morte era forse l’unica punizione abbastanza severa da farle espirare le sue colpe la prospettiva di morire la terrorizzava, come era giusto che fosse.

«Lascia stare. Conosci gli ordini. Limitati a fare come ti è stato detto».

Di nuovo, l’autoproclamato capo della nazione elfica serrò i denti per la collera, ma alla fine non ebbe altra scelta che piegarsi. Sapeva bene a chi doveva la posizione che finalmente era tornato ad occupare, e non era saggio mordere la mano che lo nutriva; non ancora, almeno.

«Quando sarà il momento.» disse tuttavia a Tiffa «Sarà un vero piacere per me ucciderti.» quindi fece un cenno alle guardie, che trascinarono via sia Siesta che Tiffa lasciando da soli i due capi.

Nel rapido avvicendarsi negli eventi, e anche a causa della sfuriata per aver visto fallire una parte del piano, Eshamel non si era ancora accorto del fatto che Saito, prima di venire allontanato a forza da lui, aveva fatto in tempo ad infilargli la trasmittente nella tasca interna del mantello.

 

Saito temeva ci sarebbe voluto parecchio tempo, forse più di quello a disposizione della batteria, prima che qualcuno arrivasse ad ascoltare ciò che le voci che arrivavano attraverso la trasmittente.

Quello che né lui né Louise sapevano, però, era che i portali di Tiffa non erano obsoleti solo per via del lungo tempo che ci voleva nell’aprirli.

Al loro interno, per qualche motivo, il tempo scorreva molto più velocemente, cosicché la sensazione di spendere non più di pochi secondi per attraversarli corrispondeva in realtà a diverse ore effettive.

Così, se agli occhi di Saito e Louise era ancora notte fonda, tenendo conto anche del fatto che dal momento in cui erano stati catturati non erano riusciti a vedere neanche una volta oltre una finestra, in realtà in molte parti di Halkengina era già sorto il sole.

Kaoru si era svegliato molto presto, perché come Colbert non voleva venire meno alla promessa fatta a Saito e Louise di essere presente al pranzo di natale, così prima ancora che finisse di fare giorno lui e tutti gli altri avevano iniziato a prepararsi per fare ritorno a Grasse.

«Non è un po’ presto per partire?» domandò Quintus, anche lui invitato alla festa, mentre Kaoru finiva di sellare il suo cavallo

«Voglio essere a Grasse prima di mezzogiorno.» tagliò corto il ragazzo «Gliel’ho promesso.»

«E poi non c’è da preoccuparsi.» intervenne Colbert alzando gli occhi al cielo azzurro «Ormai la tempesta è passata, e oggi si annuncia una splendida giornata.»

«Speriamo sia davvero così.» sospirò Kaoru «Dopotutto si sono impegnati tanto per organizzare questa festa».

Speranza inutile, perché proprio nel momento in cui Kaoru e il professore stavano per mettersi in marcia con gli altri soldati giunsero dalla direzione opposta Kilyan e Seena, pallidi come la morte tanto apparivano spaventati.

«Generale!» disse Kilyan scendendo da cavallo prima ancora che questi si fosse fermato «Lord Hiraga e Lady Valliere sono scomparsi!»

«Che cosa!?»

«È così, generale. Lord Hiraga aveva chiesto di essere svegliato prima del tempo per fare una sorpresa a miss Valliere, ma quando i servitori sono entrati nella stanza da letto l’hanno trovata vuota. Li abbiamo cercati dappertutto, ma senza esito.»

«Anche Siesta e Lady Kiluka non si trovano.» incalzò Seena

«Che cosa può essere successo?» domandò preoccupato Colbert

«Non ne ho idea, ma non mi piace.» rispose Kaoru.

Proprio in quel momento, un marinaio della Valliere arrivò dalla scaletta che conduceva alla darsena.

«Mi scusi, comandante.» disse rivolgendosi a Quintus «C’è un problema alla radio, potrebbe venire per favore?»

«Arrivo subito.» rispose Quintus, che in realtà aveva tutt’altro in mente.

Anche Kaoru e gli altri lo seguirono, nella speranza se non altro che proprio tramite la radio fosse possibile per loro mettersi in contatto con Saito e Louise, visto che erano gli unici a potersene servire.

Quando arrivarono nel casotto di ricezione, il radiofonista era ancora al suo posto.

«Che succede?»

«Comandante.» disse cedendogli il posto «La radio ha iniziato a trasmettere alcuni minuti fa. Sento qualcosa, ma non capisco cosa dicono, e la linea è perennemente occupata».

Quintus prese le cuffie, alzando al massimo il volume perché tutti potessero sentire. Il segnale era un po’ disturbato, ma erano chiaramente riconoscibili due voci, mentre di contro ciò che stavano dicendo sembrava non avere alcun senso.

«Non sembra una lingua di Halkengina.» commentò Seena con una punta di preoccupazione.

Colbert si fece avanti.

«È un dialetto elfico.» capì, ed alzò il suo bastone magico «Aspettate».

Fu sufficiente un incantesimo gettato sulla radio, e immediatamente quell’incomprensibile accozzaglia di parole divenne chiara.

Ma erano parole che nessuno avrebbe voluto sentire.

«E adesso Eruvere, cosa dovremmo fare? Per colpa di quell’elfa incapace, una parte del piano è andata a monte.»

«Non credo sia il caso di vederla in modo tanto negativo.»

«Non credi sia il caso!? Dei tre quel maledetto famiglio era sicuramente l’osso più duro, e ci è scappato!»

«Può darsi, ma questo non cambia nulla. Non può sapere dove siano in questo momento i suoi padroni, né immagina la reale situazione.»

«E se arrivasse a scoprire come sono andate realmente le cose? Che quei due mocciosi e la servetta sono qui a Neftes

«Non ha alcuna importanza. E comunque, ne passerà di tempo prima che possa eventualmente scoprirlo.

Per ora … stabilito … maestro … scoprire … incantesimo …».

In quella la comunicazione saltò, e la radio rimase muta.

Dovevano essersi esaurite le batterie della trasmittente.

Nella stanza era piombato il silenzio più assoluto, e tutti si guardarono gli uni con gli altri in cerca di un inesistente filo di speranza; la speranza di aver sentito male, che fosse tutto un brutto sogno.

Il gracchiare della porta, aperta da un marinaio venuto alla ricerca del generale per avvisarlo che la scorta per il viaggio di ritorno chiedeva istruzioni, convinse tutti che quello, purtroppo, non era un incubo, riportandoli alla dura realtà.

«Signore…».

Gli occhi di Kaoru si accesero come quelli di una tigre.

«Macchine a tutta forza! Partiamo subito!».

I marinai furono letteralmente tirati giù dal letto, e meno di un’ora dopo la Valliere veleggiava a tutta velocità diretta verso Neftes.

Era una missione quasi senza speranza, e tutti lo sapevano; per questo l’atmosfera, anche dopo la partenza, era tanto cupa.

Kaoru, in plancia di comando, seguitò per ore a scrutare la carta nautica del nord di Halkengina in cerca di una soluzione, qualsiasi cosa che potesse in qualche modo accorciare il viaggio.

Kilyan sembrava anche più pessimista di lui, schiacciato dal peso della vergogna per aver permesso, proprio lui, il capo delle guardie di palazzo, che i suoi padroni venissero rapiti sotto i suoi occhi, e non smetteva un attimo di camminare avanti e indietro per la plancia contando i metri che lo separavano dal luogo in cui erano tenuti.

«È tutto inutile.» continuava a ripetere «Non faremo mai in tempo.»

«Smettila, Kilyan.» lo ammonì Seena «Non sei di nessun aiuto.»

«Purtroppo, temo che abbia ragione.» sentenziò pessimista Kaoru senza alzare gli occhi dalla mappa «Ci portiamo dietro quarantaquattromila tonnellate d’acciaio. Anche spingendo la nave al massimo delle sue possibilità e sfruttando tutta l’autonomia di volo a nostra disposizione ci vorrebbero almeno cinque giorni per raggiungere Neftes sfruttando le rotte marine attualmente conosciute, e dubito che Saito e Louise abbiano tutto questo tempo a loro disposizione».

Quintus seguitava a guardare il mare, come perso nei propri pensieri.

«Un modo forse c’è.» disse avvicinandosi al tavolo, e con mano sicura indicò un punto al centro della mappa, una sorta di grosso ammasso colorato di scuro che stava proprio lungo la linea retta che collegava Tristain a Neftes «Possiamo passare da qui».

Tutti guardarono, e benché Kaoru non ne capisse il senso intuì dai volti dei suoi compagni che la cosa non doveva essere così facile come appariva.

«Ma quello… è la Fossa delle Tempeste.» disse Colbert

«La maggior parte delle rotte che collegano Tristain e Germania a Neftes si muovono lungo la costa.» spiegò Quintus «Ma il nord di Halkengina altro non è che un gigantesco golfo, del quale Tristain e Neftes costituiscono le due estremità. Passando per il centro dello specchio d’acqua anziché lungo le coste, accorceremmo il viaggio di almeno due, forse addirittura tre giorni.»

«Sento che c’è un ma in arrivo.» commentò Derf

«Il ma è che la Fossa delle Tempeste è il braccio di mare più insidioso del mondo.» rispose Colbert «Da secoli e secoli vi infuria una tempesta che non si esaurisce mai, che solleva onde alte come montagne, innalza venti capaci di capovolgere anche il più solido dei galeoni, e genera piogge tali da affondare da sole le navi con il loro carico d’acqua.»

«La leggenda dice che l’artefice di tutto sia uno spirito del mare.» disse Kilyan

«Uno spirito al servizio degli elfi.» aggiunse Seena «Secondo le leggende si tratterebbe di un guardiano che gli stessi elfi avrebbero messo a protezione della via più breve tra i loro territori e quelli degli umani. Per impedirci di avere contatti troppo diretti.»

«Sono solo storielle da marinai.» tagliò corto Quintus, che in questi casi era l’incarnazione del pragmatismo «Anche se la tempesta è un dato di fatto. Nessun comandante ha mai osato avventurarsi al suo interno.» quindi inarcò le sopracciglia in un moto di orgoglio «Ma nessuno di loro aveva una nave come la Valliere».

Kaoru ci pensò a lungo, fissando soprapensiero la macchia scura.

«La Valliere può davvero farcela?» domandò con un filo di voce

«Beh…» disse Colbert «Con le modifiche apportate, e tenendo conto della sua resistenza, immagino sarebbe teoricamente possibile, anche se indubbiamente rischioso.»

«Mi basta questo.» quindi ordinò al timoniere «Timone a dritta, trenta gradi. Rotta nord-nordest.»

«Nord-nordest, ricevuto».

Prima ancora che la nave potesse completare la sua manovra, Kaoru lasciò la plancia di comando, lasciando i suoi compagni chiaramente perplessi.

Quintus, il professor Colbert e Kilyan si lasciarono tuttavia distrarre quasi subito dalle operazioni di manovra e dalle ovvie difficoltà che li attendevano, così fu Seena l’unica a seguirlo, andandogli dietro fin nei meandri della nave.

Dopo averlo perso brevemente di vista, lo ritrovò nella cambusa, intento a guardarsi attorno come alla ricerca di qualcosa.

Era preoccupata. E non solo per la missione.

«Sei sicuro che ce la faremo?»

«Non abbiamo altra scelta, mi pare.» rispose Kaoru senza distogliere gli occhi dal suo lavoro.

In realtà i suoi pensieri erano altri.

I due elfi che avevano sentito confabulare alla radio avevano parlato di aver catturato due mocciosi e una servetta. La servetta era quasi sicuramente Siesta, e i due mocciosi Saito e Louise, quindi significava che Kiluka probabilmente non era sparita per colpa loro.

Da una parte questo la rassicurava, ma dall’altra la inquietava, perché, a rifletterci a posteriori, ammesso e non concesso che Kiluka non fosse stata rapita a sua volta, voleva dire che la sua padrona era da qualche altra parte chissà dove.

«Che stai facendo?» si decise a domandare

«Do la caccia a un topolino.» rispose Kaoru quasi beffardo

«Un topo!? Credevo che la nave fosse disinfestata.»

«Già. Ma questo topolino è molto bravo a nascondersi».

Detto questo, Kaoru si avvicinò ad una cassa che, teoricamente, doveva essere vuota, e senza indugio la scoperchiò, rivelandone l’occupante abusivo.

«Malgrado sia bello grosso».

Colta in flagrante, la clandestina replicò con una linguaccia, a metà tra l’imbarazzo e la burla.

«Mi hai beccata».

Riconoscendo la voce, Seena si fiondò a sua volta sulla cassa.

«Kiluka!?».

Con tutto quello che era successo Kaoru non aveva più avuto occasione di ripensare a quell’ombra che credeva di aver visto il giorno prima intrufolarsi nella nave, ma alla prima occasione aveva fatto due più due e aveva capito di chi doveva trattarsi.

Come fosse stata un gattino, la afferrò per collottola tirandola fuori dal suo nascondiglio.

«Si può sapere che accidenti ci fai qui, piccola peste senza speranze?» sbraitò Kiluka dimenticando per un attimo la differenza di grado

«Mi avevano parlato così tanto di questa nave. Non stavo più nella pelle, e volevo vederla, così mi sono nascosta nel carretto che è partito ieri da Grasse e mi sono intrufolata a bordo. Mi dispiace».

Seena si passò una mano sulla fronte.

«Signorina, lo sapete che siamo salpati?» disse Derf

«Salpati!? E per andare dove?»

«Più tardi ti spiegheremo tutto.» replicò Kaoru «Tanto è chiaro che non abbiamo né tempo né modo di riportarti indietro e scaricarti a terra.» quindi, tirò un lungo sospiro di sollievo «Speriamo solo che il professor Colbert e Quintus abbiano sopravvalutato le capacità di questa nave. O tra l’equipaggiamento che possono vantare gli elfi e il dover attraversare la Fossa delle Tempeste, temo che questa missione potrebbe assumere i connotati di un suicidio».

 

Saito aveva preso tante di quelle botte da perdere conoscenza, ed al risveglio la prima cosa che vide fu una coppia di volti a lui famigliari.

Ed erano volti amici, cosa difficile da immaginare data la circostanza.

«Alla buon’ora.» disse una squillante voce femminile «Avevi intenzione di dormire ancora a lungo?»

«L… Luctiana?» disse il ragazzo riuscendo finalmente a mettere a fuoco «Bidashal

«Ti fa ancora male?» domandò l’elfo volendosi accertare di aver curato bene le sue ferite

«No… non mi sembra».

Faticosamente, Saito si mise a sedere, accorgendosi solo dopo qualche momento di trovarsi sopra uno scomodo pagliericcio all’interno di un’angusta cella di pochi metri quadri, probabilmente la stessa in cui era stato rinchiuso tempo prima assieme a Tiffa.

Oltre a Luctiana e Bidashal, con loro c’erano anche Ari, seduto in disparte in un angolino con un’espressione contrariata, e Siesta, che accortasi del risveglio del suo padrone si affrettò a sincerarsi delle sue condizioni.

«Dov’è Louise!?».

Non fecero in tempo a rispondergli, che una voce giunse da dietro una delle pareti.

«Saito!»

«Louise!».

Louise era stata rinchiusa, da sola, nella cella accanto, che invece di un pagliericcio poteva vantare una brandina non certo di lusso, ma comunque piuttosto comoda.

C’erano anche uno specchio, uno sgabello e un tavolo, e sul tavolo capeggiava un vassoio il cui contenuto, una cena piuttosto sostanziosa per un prigioniero, non era ancora stato toccato.

«Saito! Stai bene?»

«Non preoccuparti, sto bene. Bidashal mi ha curato con la sua magia.»

«Meno male.» disse lei tirando un sospiro di sollievo «Ma che ti è saltato in mente di agire in quel modo? Avrebbero potuto ucciderti.»

«Ho dovuto farlo. Era l’unico modo per tentare di avvertire Kaoru e gli altri di quello che ci era successo. Spero solo che qualcuno si sia accorto che ora la radio trasmette.»

«Credi che verranno a salvarci?» domandò Siesta

«Come ho detto, lo spero».

A quel punto Saito, decisamente contrariato, si rivolse ai suoi compagni di prigionia per avere delle doverose spiegazioni.

«Ora però, gradirei che ci spiegaste che diavolo sta succedendo? Che ci fa Eshamel qui nella capitale!? Non lo avevate esiliato?»

«È così.» rispose cupo Bidashal «Poco dopo la sconfitta del drago, il sentimento progressista e pacifista degli elfi moderati ha conquistato ampi consensi, e gli integralisti capeggiati da Eshamel si sono ritrovati in netta minoranza.»

«Non lo abbiamo esiliato noi.» spiegò Luctiana «Se n’è andato da solo. Per essere più precisi, ha dato vita ad un vero e proprio tentativo di colpo di stato, per riprendere il potere e poter nuovamente imporre la sua politica fondamentalista in seno al consiglio. Lui e i suoi uomini si erano ritirati in una fortezza di confine nel cuore del deserto, e non credevamo che potessero essere una minaccia.»

«Fino all’arrivo di quel maledetto famiglio.» borbottò Ari

«Come!?» disse Siesta

«Eruvere è sbucato dal nulla alcuni mesi fa.» rispose Luctiana «Diceva di essere il famiglio di Tiffa, e in principio gli abbiamo tutti creduto. Invece, si è rivelato tutto un trucco.

In realtà, lui era alleato di Eshamel. Prima ha indebolito il nostro esercito con sabotaggi e seminando zizzania tra i nostri comandanti, quindi ha permesso ai ribelli di organizzare un contrattacco fornendo loro armi ed equipaggiamenti.»

«Le nostre forze poste a difesa della capitale sono state spazzate via» e molte guarnigioni, vedendo il potere di Eshamel crescere nuovamente, hanno disertato passando dalla sua parte. In poco tempo ci siamo ritrovati nuovamente in minoranza, e prima che potessimo fare qualcosa la capitale era nuovamente nelle sue mani.»

«Non ci avete ancora spiegato che cosa vogliono da noi!» disse Louise, che nonostante il muro di mezzo era riuscita a sentire

«Questo non lo sappiamo. Non sappiamo neppure come abbia fatto Eshamel a mettere le mani su equipaggiamenti che superano persino quelli in dotazione al nostro popolo.»

«Probabilmente c’è di mezzo Reconquista.» disse Saito «Sono stati loro ad organizzare la congiura contro la regina Henrietta e a provocare la guerra civile».

Luctiana e Bidashal si guardarono tra di loro, preoccupati.

«Questo è grave.» disse Bidashal «Se è vero, vuol dire che Reconquista sta puntando a far divampare la guerra in tutta Halkengina.»

«Tu sei stato un loro alleato. Non hai idea di quali siano i loro scopi?»

«Purtroppo, non ho mai goduto della loro fiducia al punto di venire messo al corrente di tutti i loro piani. L’unica cosa che so, è che obbediscono ad una persona che sta al vertice della piramide.

Lo chiamano il Maestro.»

«Il Maestro.» ripeté Louise come soprapensiero.

Siesta, però, era triste e preoccupata soprattutto per un’altra cosa.

«Ancora non posso credere che Tiffa ci abbia fatto questo.»

«Non incolpate Tiffa.» disse Luctiana «Non ha avuto altra scelta che assecondarli.»

«Che vuoi dire?» chiese Saito

«Quando la capitale è caduta, io, Ari e il Maestro Bidashal siamo rimasti in retroguardia per permettere ad alcuni di noi di scappare e riorganizzarsi più a nord.

Con noi c’era anche Tiffa.

Avevamo già deciso di morire qui combattendo fino all’ultimo, ma invece siamo stati catturati, e a quel punto Tiffa è stata costretta a scegliere: la nostra salvezza in cambio della sua collaborazione.»

«Abbiamo cercato di dissuaderla.» disse Ari «Ma sapete com’è fatta. E così li ha aiutati. Ha imparato ad aprire i portali al solo scopo di organizzare questa trappola e riuscire a catturarvi.

Ma come ha già detto il maestro, non abbiamo la minima idea del perché l’abbia fatto».

Seguì un lungo, interminabile di sconforto, nel caso di Saito e Louise misto a vergogna.

Benché sicuri della bontà d’animo di Tiffa, tutti e due bene o male si erano convinti del fatto che li avesse comunque traditi, ma ora che ne scoprivano i motivi quasi si vergognavano di aver dubitato di lei.

D’un tratto, Louise sentì un rumore alle proprie spalle, e girato lo sguardo vide Maddarf entrare nella cella seguito da un paio di guardie.

«Prendetela.» ordinò puntando il dito verso di lei.

 

 

Nota dell’Autore

Eccomi qua^_^

Alla fine ci è voluto meno del previsto.

Grazie ad una fortunata combinazione di eventi il mio tempo libero è aumentato in questi ultimi giorni, così ho avuto modo di completare sia il capitolo del mio romanzo che questo.

Oltretutto, essendo un capitolo che ero molto ansioso di scrivere, realizzarlo è stato piacevole e per nulla faticoso.

Ecco, ora le cose si fanno davvero complicate per Saito e Louise.

Riusciranno Kaoru e gli alti ad arrivare in tempo per salvarli?

Ma soprattutto, che cosa vuole da loro Reconquista, al punto da organizzare un piano così complicato per poterli rapire?

Queste e altre domande avranno risposta già nel prossimo capitolo.

Nell’eventualità (spero non sia così), di non riuscire ad aggiornare ancora prima del 25 dicembre, vi faccio anticipatamente i migliori auguri per un felice natale.

Grazie a tutti quelli che recensiscono, leggono e taggano la storia, siete fantastici!^_^

A presto!^_^

Carlos Olivera

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Capitolo 42
*** 38 ***


38

 

 

Nonostante i tentativi di Louise di ribellarsi, i soldati la afferrarono, e legatele le mani dietro la schiena presero a trascinarla a forza fuori dalla cella.

«Fate piano.» li ammonì Maddarf «Ricordate, non dobbiamo essere violenti.»

«Saito!» continuava a chiamare Louise «Saito!».

Ma Saito, dall’altra, non poté far altro che ascoltare impotente le urla della sua amata che provenivano dalla parte opposta del muro, prendendo a pugni la parete fino a farsi sanguinare la mano.

«Louise! Lasciatela, bastardi!».

Spazientito dalle grida della ragazza Maddarf la tirò a sé.

«Stai calma. Non vogliamo farti niente di male. Ma d’altro canto, se non stai un po’ zitta, mi costringerai a diventare cattivo».

Louise si sforzò di obbedire, tanto la terrorizzarono gli occhi di ghiaccio ed il tono minaccioso dell’elfo, e senza fare ulteriori resistenze si lasciò portare via, con le urla di Saito ad accompagnarla lungo tutto il tragitto lungo il corridoio; quando passarono davanti alla loro cella Saito tentò di allungare un braccio attraverso la feritoia della porta, ma una delle guardie replicò colpendola violentemente con il suo guanto metallico, in modo talmente violento da rischiare, per fortuna senza riuscirci, di spezzargli le ossa.

«Maledetti!» gridò il ragazzo serrando i denti per non gridare «Quando esco di qui vi ammazzo, parola mia!

Lasciate andare Louise!»

Poco oltre il portone che sbarrava l’ingresso alla zona delle prigioni vi era un ampio montacarichi circolare, lo stesso che aveva condotto i ragazzi dallo studio di Eshamel fino alle loro celle, e servendosene i tre elfi portarono Louise fin nei sotterranei della struttura in cui erano prigionieri, che altro non era se non la gigantesca torre che sovrastava la capitale di Neftes.

Qui, in una grande sala circolare che somigliava ad un sanatorio, l’attendevano Eshamel ed Eruvere, ma anche Tiffa, rannicchiata in un angolo quasi fosse stata anche lei una prigioniera.

All’arrivo di Louise, Tiffa si avvide, nel momento in cui si guardarono, che non c’era odio o risentimento nei suoi occhi, ma ciò nonostante non riuscì a non distogliere lo sguardo per la vergogna, tanto la disgustava ciò che aveva fatto.

Louise fu fatta distendere su di un tavolo reclinabile al centro della stanza e le fu strappata la camicetta che indossava, lasciandole addosso solo il reggiseno; le due guardie quindi la immobilizzarono con delle cinghie, ed infine sollevarono il tavolo, mettendolo in posizione verticale, quindi, ad un cenno di Eruvere, se ne andarono.

Per tutto il tempo Louise non mosse un muscolo, seguitando però a guardare i due elfi con occhi di sfida; tuttavia, a ben osservarli, la paura al loro interno era evidente.

«Che cosa volete da me?» domandò cercando di ostentare sicurezza «Perché ci state facendo questo?».

Eruvere le si avvicinò, scrutandola a lungo, e alla fine fu lei la prima a dover distogliere lo sguardo.

«Tu forse non te ne rendi conto, giovane Louise, ma in te hai qualcosa di molto speciale.» le disse «Qualcosa che và ben oltre l’effimero potere della Magia del Vuoto. Ed è questo qualcosa che noi cerchiamo».

Senza aggiungere altro, l’elfo fece qualche passo indietro, e fatte emergere le mani dal suo voluminoso mantello unì gli indici e i pollici a formare una sorta di cornice, che posizionò di fronte al proprio occhio come una sorta di mirino.

Louise dapprincipio non capì che cosa quell’individuo così minaccioso ed il suo amico Eshamel, che se ne restava in disparte con espressione contrita, avessero in mente, ma dopo qualche istante la ragazza prese a sentire una fastidiosa sensazione al ventre.

Cercò di ignorarla serrando i denti, ma questa crebbe di intensità, fino a tramutarsi in vero e proprio dolore, e a quel non le fu più possibile trattenere le urla. Era come se qualcuno, o qualcosa, le stesse letteralmente aprendo la pancia, nel tentativo di scorgere ciò che vi era all’interno, e le guardie l’avevano legata così bene che le era impossibile perfino cercare di dimenarsi.

Per nulla deciso a fermarsi Eruvere continuò a fissarla attraverso quella specie di mirino, fino a che, come se tra loro due vi fosse stato uno schermo invisibile, agli occhi dell’elfo non apparve quello che vi era al di sotto della pelle, dei muscoli e degli organi. Dapprincipio non vide niente, a parte ombre sfocate, poi alle sue orecchie, sorde alle grida strazianti di Louise, giunse come un battito, i sussulti di un minuscolo cuore, e subito dopo le immagini presero a diventare più nitide, e più ciò avveniva più aumentava il dolore per Louise.

Tiffa si coprì le orecchie e chiuse gli occhi, e persino Eshamel non riuscì a restare indifferente, assistendo alla scena sempre più stupito, e a tratti persino sconvolto.

Poi, finalmente, le immagini si concentrarono lì dove Eruvere voleva, e dinnanzi al suo occhio comparve, ben rinchiuso all’interno della propria sacca protettiva, un piccolo feto appena distinguibile, ma più che sufficiente a far piegare le labbra dell’elfo in una esclamazione di stupore, seguita subito dopo da un sorriso soddisfatto.

Come allontanò le dita l’una dall’altra il dolore, finalmente, cessò, ma Louise era così provata che perse i sensi prima ancora di accorgersene, lasciando la testa a pendere in avanti contornata dai capelli sudati.

Anche Eruvere sembrava affaticato, ed ansimò per parecchi secondi prima di recuperare l’autocontrollo; quella prova doveva essere stata sfiancante anche per lui.

«Non c’è dubbio.» disse come tre sé «Il Maestro aveva ragione».

Eshamel, riavutosi, richiamò dentro Maddarf e le due guardie, ordinando a queste ultime di slegare Louise.

«Riportatela nella sua cella. E fate la massima attenzione. Non deve accaderle nulla, per nessun motivo».

I due soldati dovettero sorreggere la ragazza per portarla via, visto che il tormento era stato tale da lasciarla priva di sensi.

«E adesso che ne facciamo di tutti gli altri?» chiese Eshamel

«Non sono più di alcuna utilità. Bidashal e gli altri sono capi della resistenza, e il famiglio del vuoto ha ormai esaurito il proprio compito. Ce ne sbarazzeremo».

Nel sentire quelle parole Tiffa, che per tutto il tempo non era stata capace neppure di alzare gli occhi, ebbe un sussulto, e come una furia si avventò su Eruvere, ma nella sua natura mite non riuscì comunque ad aggredirlo, limitandosi a fissarlo con sguardo a metà tra la sorpresa e la supplica.

«Questo non era negli accordi! Avevi promesso che non avreste fatto loro del male!»

«Avevo promesso che non avrei fatto nulla alla maga del vuoto. Tutto qui. Sei tu che hai equivocato.»

«Mi hai mentito!».

A quel punto neppure Tiffa riuscì a trattenere la rabbia, ma come fece istintivamente per caricare uno schiaffo Eshamel, sbucato alle sue spalle, le afferrò il polso, sollevandola prima violentemente da terra e quindi scaraventandola contro il muro.

«Fossi in te mi preoccuperei più della tua incolumità che di quella dei tuoi amici umani.» disse assatanato «È evidente che ormai anche tu ormai sei diventata inutile».

Fece per mettere mano alla spada, mentre Tiffa istintivamente si coprì il volto per proteggersi, ma per l’ennesima volta Eruvere intervenne per fermare il proprio compagno.

«Aspetta. Lei può ancora tornare utile.»

«Ah sì? E per cosa?» disse Eshamel quasi sprezzante

«Potrebbe andare storto qualcosa. Meglio non lasciare nulla al caso. Conviene tenere una maga del vuoto di riserva per eventuali contrattempi.»

«Una maga senza famiglio non ha granché utilità.»

«A questo si può provvedere. Per ora teniamola in vita».

Come al solito Eshamel non mancò di rendere palese la propria disapprovazione, ma non poteva certo disobbedire agli ordini di colui che lo aveva aiutato a riottenere il potere; così, anche se di malavoglia, ordinò a Maddarf di occuparsi di Tiffa, che sollevata di peso venne trascinata via per essere a sua volta chiusa nelle prigioni.

Congedato anche Eshamel, Eruvere si mise in contatto con il suo signore tramite il solito sistema, materializzando un varco nel vuoto.

«Mio signore. Ora è sicuro. La Maga del Vuoto è incinta, e il piccolo è sano».

Il Maestro sospirò, ed Eruvere parve leggere un che di malinconico in quel suo sguardo avvolto dalle tenebre.

«Quanto ho atteso che arrivasse questo momento.»

«Quali sono i vostri ordini mio signore?»

«Di quanti mesi è il piccolo?»

«A occhio e croce direi tre mesi.»

«Troppo pochi. Deve arrivare almeno alla sedicesima settimana. Assicuratevi che non accada nulla alla maga del vuoto prima di quel momento. Deve restare protetta e al sicuro.»

«Sarà fatto, mio signore. Comunque, con il vostro permesso, ho preferito tenere in vita l’elfa che ci ha aiutato per ogni evenienza.»

«Hai fatto bene. Questa cosa è troppo importante per non prendere le dovute precauzioni.»

«E per i suoi compagni come mi devo comportare?»

«Sbarazzatene quanto prima. Ci hanno già creato abbastanza problemi.»

«Come desiderate».

 

Erano pochissimi gli esseri umani che erano stati nella capitale di Neftes, e quanto a Saito non aveva certo avuto occasione di visitarla approfonditamente quell’unica volta che vi era stato.

La fortuna però volle che tra i marinai in servizio sulla Valliere vi fosse un vecchio lupo di mare che aveva lavorato per anni lungo la rotta che collegava le terre degli uomini e quelle degli elfi, un po’ rimbambito ma tutto sommato ancora saldo nella memoria.

Grazie alle sue indicazioni fu possibile realizzare una mappa accurata della città e della baia in cui sorgeva, e sia Kaoru che Quintus spesero tutto il giorno a studiarla in cerca di una soluzione d’attacco ideale, mentre la nave si avvicinava a grandi passi verso la Fossa delle Tempeste.

«Ehi, tu.» disse Kaoru chiamando a sé il vecchio marinaio attorno al tavolo dove era appoggiata la mappa «Parlami ancora di questa città.»

«Il grosso della pianta è costruito come una sorta di isola galleggiante.» spiegò l’anziano «Al centro dell’isola vi è un’altissima torre, dove si trovano la sala del consiglio e gli alloggi del gran cancelliere, ma anche le prigioni cittadine. Scommetto la mia vecchia dentiera scalcinata che se i signori sono davvero prigionieri degli elfi sono tenuti proprio lì.

A prima vista può sembrare indifesa, ma è più corazzata del sedere di un granchio.»

«Difese costiere?» domandò Quintus

«Che si sprecano. Mi è capitato di vedere delle batterie di cannoni situate lungo tutto il perimetro prospiciente il mare aperto qui, qui e qui. Inoltre ci sono due torri d’avvistamento che sorvegliano l’accesso alla baia, una per ogni promontorio.»

«Flotte all’ancora?» chiese Kaoru

«Il grosso delle navi da crociera è concentrato principalmente in questo punto, fuori dal centro abitato. L’ultima volta che sono stato nella capitale ho notato che stavano costruendo un bacino di carenaggio per le aeronavi qui, appena dopo il ponte che collega l’isola alla terraferma, ma è probabile che non sia ancora completo.

La maggior parte della flotta si trova nell’entroterra, a circa mezz’ora di cammino dalla città.»

«Che mi dici di questi canali?» chiese ancora Kaoru indicando i vari specchi d’acqua che tagliavano le varie parti della città?»

«Gli elfi li usano per spostarsi velocemente da un luogo all’altro, ma non sono molto profondi. Dubito che questa nave possa passarci agilmente.»

«Temo che non sarà come a Ty Kern e Serk City.» disse cupo Quintus «Gli elfi hanno una tecnologia molto più avanzata di quella umana, e anche se questa nave è di classe superiore alla lunga il loro alto numero ci schiaccerebbe.»

«Questo è il problema minore.» mugugnò Kaoru «La vera difficoltà sarà avvicinarsi abbastanza da poter salvare Saito e gli altri.»

«Se le torri di guardia ci avvistano prima del tempo sarà la fine. Dovremmo poterle perforare agilmente, ma a tutto rischio dei padroni. Appena si accorgeranno di noi potrebbero tentare di spostarli, se non addirittura di ucciderli».

Kaoru ci pensò qualche istante.

«Certo è che non sarà una passeggiata. Possiamo usare la Pietra Specchio per avvicinarci quanto basta per usare i cannoni. Una volta arrivati a distanza di tiro prenderemo a scaricare su di loro tutto quello che abbiamo.

Mentre dalla nave terremo occupate le forze difensive, una piccola squadra d’assalto prenderà terra il più vicino possibile alla torre passando per i canali. Con lo scompiglio creato dall’attacco non dovrebbe essere difficile raggiungere le prigioni senza incontrare troppa resistenza. A quel punto, recuperati Saito, Louise e Siesta, la squadra tornerà a bordo e ce ne andremo come siamo venuti.»

«Il tutto in trenta minuti.» disse Quintus a metà tra il sarcasmo e la rassegnazione «Se il grosso della loro flotta ci raggiunge saremo fatti a pezzi».

Intanto, sulla torre di avvistamento, Kiluka scrutava l’orizzonte, l’aria annoiata e gli occhi stanchi, questo fino a che, dritto di prora, non iniziarono a comparire delle strane e molto inquietanti nuvole nere, cariche di pioggia, e che di quando in quando si accendevano delle luci di fortissimi tuoni, il cui eco, per quanto lontane fossero, arrivava fino alle orecchie della bambina.

«Guardate laggiù!» esclamò.

I marinai che sostavano sul ponte la sentirono, e ben presto gli occhi dell’intero equipaggio furono rivolte a quelle nubi temporalesche verso le quali si stavano avvicinando a gran velocità. Vedendole, furono in molti ad avere paura; per duemila anni nessuno si era mai neppure avvicinato a quel devastante uragano che non conosceva mai fine, e ora invece loro sarebbero dovuti passarci in mezzo, un’impresa epica che, se superata, avrebbe fornito a ciascuno di loro di che narrare ai propri discendenti per dieci generazioni.

Persino Kaoru non riuscì a non impressionarsi di fronte ad un tale spettacolo della natura.

«Caro professore.» disse rivolto a Colbert, sgomento quanto lui «Spero per il nostro bene che Lei non sopravvaluti questa nave».

 

Louise era stata talmente provata dal supplizio infertole che perse i sensi per parecchie ore, ritrovandosi, al risveglio, nuovamente nella sua cella.

Ma non era sola.

Accanto al suo letto, a prendersi cura di lei, vi era la stessa persona che aveva condotto lei e i suoi compagni in tutta quella situazione.

«Tiffa!?».

Per lo stupore balzò a sedere, ma il gesto fu talmente repentino da scatenarle una molto dolorosa fitta al ventre.

«Non agitarti troppo. Gli strascichi dell’incantesimo non sono ancora svaniti del tutto».

Sentendo la voce della sua amata Saito, che per tutto il tempo non aveva fatto altro che camminare avanti e indietro per la cella come un’anima in pena, sentì il cuore scoppiargli per la gioia.

«Louise! Stai bene?»

«Abbastanza.» replicò lei serrando i denti.

Seppur con qualche fatica, la ragazza riuscì a mettersi seduta, senza per questo avvertire dolore.

«Louise, che cosa ti hanno fatto?» domandò Saito

«Non ne ho idea. Ma di qualsiasi cosa si sia trattato, mi ha fatto molto male».

Poi, Louise vide Tiffa abbassare gli occhi; dapprincipio pensò che fosse solo per il rimorso dovuto all’averli trascinati in quella situazione, ma notando la sua esitazione capì che l’amica doveva sapere qualcosa.

«Perché l’hanno fatto, Tiffa? Che cosa vogliono da noi?».

Lei esitò, mordendosi le labbra per cercare di non piangere, ma alla fine le lacrime scesero comunque, impossibili da trattenere.

«Tiffa…»

«È per il tuo… per il vostro bambino, Louise.» singhiozzò l’elfa con la poca voce che riuscì a trovare.

Louise e Saito restarono impietriti, ed anche Bidashal, Ari e Luctiana ebbero un sussulto.

«Il mio bambino?» balbettò Louise passandosi istintivamente la mano sul ventre «Che vuoi dire?»

«Non so che cosa vogliano o perché, Louise. Ma di qualunque cosa si tratti, è legata al tuo bambino. È molto importante per loro, e vogliono assolutamente che viva.

Per questo ti hanno portata qui. Volevano essere certi che tu fossi incinta, e tenerti al sicuro perché non gli accada nulla».

A quel punto, di nuovo Tiffa distolse gli occhi, incapace di sostenere lo sguardo di Louise.

«Mi dispiace. È tutta colpa mia. Non volevo. Ma non mi hanno lasciato scelta. Avrebbero ucciso il professore…»

«E invece hai ottenuto di farci uccidere tutti.» replicò Ari dall’altro capo del muro «Complimenti davvero.»

«Smettila.» lo rimproverò Luctiana «Non sei di nessun aiuto. E poi non è detto che ci uccideranno».

Neanche a farlo apposta, proprio in quel momento dal corridoio giunse un minaccioso rumore di passi, molti passi, e dopo pochi attimi la porta della cella di Saito si spalancò, e diverse guardie entrarono nella stanza al seguito di Eshamel e Maddarf.

Saito e gli altri sapevano bene di cosa dovesse trattarsi; si capiva dai loro sguardi.

«Finalmente, è giunto il momento che mi tolga questo sasso dalla scarpa.» disse Eshamel felice come una pasqua «Ma visto che non posso uccidere la mezz’elfa, mi consolerò uccidendo voi».

Ari si alzò, come a voler tentare una inutile resistenza, ed istintivamente strinse a sé Luctiana, spaventata ma non meno risoluta; anche Saito strinse Siesta, che sembrava la più terrorizzata di tutti. Bidashal, invece, si alzò da terra, fulminando Eshamel con uno sguardo truce.

«Quanto sei caduto in basso, Eshamel?» lo rimproverò «Sei diventato il servo di Reconquista. Dov’è finito il tuo prezioso onore di elfo?

Quanto ti hanno dato per convincerti a farne stracci?».

Eshamel, offeso, digrignò i denti, e caricato il pugno lo abbatté con tutta la sua forza sul professore, che duramente provato cadde in ginocchio tenendosi lo stomaco.

«Vediamo se ti avanzerà ancora fiato per parlare appeso ad una corda.»

«Sei solo un vigliacco, Eshamel.» ringhiò Luctiana «È facile colpire chi non può difendersi. Non solo, hai venduto la tua patria e il tuo onore a quegli esseri umani che tanto detesti. Ti ricordo che in quanto membro del consiglio hai fatto un giuramento.»

«L’ho vomitato! Mi era diventato indigesto!» quindi fece un cenno alle guardie «Portateli nella piazza delle esecuzioni!»

«No, fermi!» tentò inutilmente di urlare Louise.

I soldati avanzarono, le corde già pronte, ma in quell’istante, dall’esterno, giunse il lontano e dolcissimo rintocco di una campana che paralizzò tutti, a cominciare dagli elfi.

Era un uomo bellissimo, melodioso, e nel sentirlo l’intera città alzò gli occhi in direzione del promontorio che sorgeva appena fuori del centro abitato, in cima al quale vi era arroccata una costruzione non molto grande, come una specie di tempio, con al centro una piccola torre campanaria.

Qualcuno chiuse gli occhi, e molti elfi, a cominciare dai più devoti, si inginocchiarono lì dove si trovavano, persino in strada, e di colpo a Neftes calò il silenzio.

Da parte sua, Eshamel rimase di sasso, per poi digrignare per l’ennesima volta i denti per la rabbia.

Era il colpo.

Di quasi quattrocento giorni all’anno che aveva a disposizione, proprio in quello la campana che annunciava l’inizio del periodo più sacro per il popolo elfico aveva deciso di mettersi a suonare.

D’altronde, non che potesse farci qualcosa.

La Campana della Vita suonava per conto proprio, mossa da una magia che trascendeva le decisioni degli esseri viventi. Al suo rintoccare, iniziava per gli elfi un periodo di preghiera e meditazione volto a celebrare il Vento Divino, lo stesso che si diceva la facesse suonare, e che secondo le credenze del popolo del deserto aveva permesso la nascita della vita nel mondo.

Fino a quando avesse suonato significava che il vento, nel suo incedere senza fine, era tornato a fare visita a quelle terre, e pertanto qualsivoglia atto di malvagità e di aggressione al prossimo, incluse le esecuzioni, era tassativamente proibito, pena la pubblica gogna e l’esilio.

«Lo senti, Eshamel?» borbottò Bidashal trovando a fatica il fiato per parlare «Riconosci questo suono?

Questa è la Campana della Vita. E lo sai cosa significa».

Apparentemente sordo a queste parole Eshamel mise mano alla spada, ma un attimo prima che potesse sguainarla si accorse che le sue stesse guardie, fino anche lo stesso Maddarf, lo stavano fissando con occhi meravigliati, ma anche velatamene minacciosi.

«Fallo pure.» lo provocò Ari «Uccidici. Di sicuro il popolo e il tuo esercito ti perdoneranno di aver violato una delle più sacre festività degli elfi spargendo sangue sul Vento Divino».

Era proprio destino che gli dèi volessero negargli il piacere della vendetta il più a lungo possibile.

D’altra parte, però, quei due maledetti avevano ragione.

Poteva controllare il Paese con la paura, ma di fronte ad un atto blasfemo di tale gravità il popolo si sarebbe sicuramente rivoltato, per non parlare del fatto che persino il suo stesso esercito non sarebbe rimasto indifferente ad un sacrilegio compiuto nei confronti della festa più sacra per un soldato.

«E và bene.» ringhiò cercando di calmarsi «La vita vi si è allungata di qualche giorno. Ma quella campana non suonerà per sempre.

Un secondo dopo il suo ultimo rintocco penzolerete tutti da una forca, vi ci dovessi appendere io stesso».

Così, alla fine, i soldati si ritirarono, e quasi tutti non vollero crederci al pensiero che in qualche modo erano riusciti, ancora una volta, a salvarsi.

«Questo è un miracolo.» sospirò Luctiana

«Sì.» disse cupo Bidashal «Ma solo finché quella campana continuerà a suonare».

Saito e Siesta, preoccupati, guardarono fuori dalla finestrella sbarrata. Ora era davvero tutto nelle mani di Kaoru e degl’altri.

 

Nota dell’Autore

Eccomi qua!^_^

Spero che abbiate passato tutti un buon natale, e che le vostre vacanze stiano procedendo nel migliore dei modi.

Io per par mio mi sto rilassando tra le montagne del Liechtenstein, ma complici le bufere di questi giorni molte delle ore che nelle mie fantasie avrei dovuto spendere sulle piste le ho trascorse invece al computer, e così sono riuscito a sfornare questo aggiornamento.

Ora però, comunque vada, dovrete essere un po’ pazienti. Tralasciando la questione tesi, ho lasciato anche troppo da parte la storia a cui sto lavorando, ed è il caso che mi decida a riprenderla in mano.

Comunque state tranquilli, perché le vicende relativa a questa ennesima avventura di Saito e Louise saranno comunque portate avanti quanto prima.

A presto!^_^

Carlos Olivera

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Capitolo 43
*** 39 ***


39

 

 

Subito dopo aver varcato la soglia della Fossa, la Valliere si ritrovò invischiata nella più violenta e spaventosa tempesta che si fosse potuta immaginare.

Onde alte decine di metri sferzavano la nave da ogni lato, tirava un vento di burrasca che avrebbe squarciato anche le vele più solide, cadeva pioggia mista a grandine, e i fulmini illuminavano senza sosta il cielo reso nero dalle nuvole.

Persino una nave solida come la Valliere si trovò in difficoltà, ma seppur con qualche intoppo sembrava comunque in grado di reggere la spinta della tempesta, seguitando imperterrita verso la sua destinazione.

Il rollio era tale che persino i marinai più navigati non riuscivano a non avere paura, né a trattenere i conati di vomito, e sulla plancia in cima al torrione questo rollio era se possibile ancora più forte.

«Addetto al radar, la nostra posizione?» domandò Kaoru tenendosi ben saldo sulla propria poltrona

«Tre miglia dal centro della tempesta, signore!»

«Ci sono problemi di tenuta?»

«Per ora nessuno, signore!» disse Quintus con la cornetta dell’interfono in mare «La nave regge!»

«Più ci avviciniamo al centro più le condizioni peggiorano.» disse preoccupato Colbert «Non ho mai visto una tempesta simile».

Dal canto suo, Kiluka iniziava a temere di aver fatto il passo più lungo della gamba.

Quel posto sembrava l’inferno, e l’avere Seena vicino riusciva solo in parte a mitigare la paura. Sballottata da una parte all’altra, si sentiva come una bambola di pezza in mano ad una bambina scatenata, e per quanto pregasse la situazione non voleva saperne di migliorare.

«Non temete, signorina.» continuava a rassicurarla la sua fedele guardia del corpo «Questa nave è solida. Vedrete che ce la faremo.»

«Ne sono sicura.» rispose lei fingendo di crederci veramente.

Tutti erano costretti a prove estreme di equilibrismo, e anche a costo di rallentare i lavori Kaoru aveva ordinato di non uscire sui ponti per non rischiare che qualcuno precipitasse fuoribordo.

Nonostante tutto la situazione sembrava abbastanza sotto controllo, e dopo parecchie ore in balia degli elementi la tempesta sembrò persino iniziare a calmarsi, forse perché la nave si stava avvicinando all’occhio del ciclone, dove le leggenda raccontavano si celasse il dio che ne era l’artefice.

La pioggia prese a scendere con un po’ meno forza, i tuoni smisero di rimbombare, e le onde parvero acquietarsi, dando finalmente un po’ di respiro alla Valliere e al suo equipaggio dopo ore di assoluta passione.

«Ora sembra che vada un po’ meglio.» disse Kilyan sentendo placarsi il beccheggio, oltre ai movimenti del suo stomaco.

Quintus, recuperato il binocolo, scrutò l’orizzonte per cercare di capire se avessero ormai raggiunto il centro della tempesta, guardando in ogni direzione alla ricerca di una stella, un bagliore, o una qualsiasi cosa potesse certificare un migliorare delle condizioni meteorologiche.

Ma ciò che vide fu ben altro.

Dapprima sembrò solo una increspatura, quasi una sporcatura sulle lenti, tanto che non seppe cosa pensare.

«Ma cosa…»

«Che succede?» chiese Kaoru

«Non ne ho idea.» replicò il suo secondo passandogli il binocolo

Sulle prime anche Kaoru non riuscì a capire se si trattasse di un illusione ottica o di una cosa reale, ma poi la vide crescere di dimensioni, e allora capì che ciò che stava guardando non era una comune onda.

«Reggetevi, si mette male.» mormorò

«Signore?» domandò Quintus.

Le mani di Kaoru tremavano mentre passava nuovamente il binocolo al suo secondo perché potesse vedere anche lui quello che li aspettava.

«Oh, mio dio!» esclamò Quintus impallidendo

«Tutta la barra a dritta, subito!» ordinò Kaoru.

Il timoniere girò il più velocemente possibile, e contemporaneamente i motori vennero invertiti per accelerare la virata. La Valliere ruotò in modo improvviso e abbastanza repentino, ma restava pur sempre una corazzata da cinquantamila tonnellate, così quando quel muro d’acqua di venti metri le piombò addosso non era riuscita a compiere nemmeno metà del tragitto, e lo tsunami la investì da destra lungo tutta la fiancata.

«Reggetevi!» strillò Quintus un attimo prima dell’impatto.

Se il colpo fosse stato preso completamente di lato la nave si sarebbe sicuramente ribaltata, ma quel poco di angolazione fu sufficiente a risparmiarle una tale sorte; ciò nonostante, l’equipaggio sperimentò una vera e propria esperienza da terremoto, scaraventato da una parte all’altra come sulla schiena di un toro da rodeo.

Sulla plancia, tutti riuscirono bene o male ad afferrare qualcosa; Kiluka si era stretta ad una maniglia, una presa abbastanza sicura, se non fosse stato per una vite allentata e mai rimessa a posto.

Nel momento di massima inclinazione, quando i piedi non volevano davvero saperne di stare attaccati al pavimento, la maniglia cedette, e Kiluka, urlando dal terrore, si ritrovò prima scaraventata contro una porta, poi, quando questa cedette, direttamente sul ballatoio esterno, scavalcandone senza volerlo il parapetto.

«Aiuto!»

«Kiluka!» urlò Seena.

Kaoru, che era il più vicino, non ci pensò due volte e corse ad afferrarla, anche se per riuscire a prenderla prima che precipitasse dovette buttarsi di sotto a sua volta, afferrando al volo la bambina con una mano e tenendosi contemporaneamente al parapetto con l’altra.

«Tranquilla, ti ho presa!».

Per interminabili secondi stettero così, penzolanti nel vuoto; Kaoru guardava Kiluka per spronarla a non arrendersi, e nei suoi occhi vedeva la paura. Purtroppo, il metallo era fradicio per la molta pioggia, e dopo soli pochi attimi il giovane fu sul punto di perdere la presa.

«Comandante!» urlò Quintus riuscendo finalmente a raggiungerli.

Sia lui che Seena che Kilyan si avventarono sul braccio di Kaoru cercando di afferrarlo, ma anche le loro mani si inzupparono quasi subito facendosi scivolose come la cera.

Kaoru si tenne aggrappato con la forza della disperazione, ma ogni secondo perdeva dei millimetri, e alla fine, nonostante tutti gli sforzi dei suoi compagni, la presa cedette, e sia lui che Kiluka precipitarono nel vuoto.

«Comandante!».

Con la forza della disperazione Kaoru riuscì a stringere a sé Kiluka, e rinchiusala all’interno della propria stretta rivolse la schiena verso l’alto; in questo modo, quando riuscirono fortunosamente a precipitare su di una terrazzetta alla base del torrione, fu in grado di farle da materasso evitando che si facesse male, ma in cambio ottenne di sentire l’urto con il doppio della forza, seppure attutito dal centimetro e oltre di acqua e dal parquet fradicio oltre ogni immaginazione.

Ci voleva ben altro per uno come lui, ma ciò nonostante, quando arrivarono in loro soccorso, Quintus e tutti gli altri trovarono entrambi privi di sensi.

Il professor Colbert fece un rapido controllo, constatando subito che fortunatamente Kaoru stava bene; quanto a Kiluka, era solo un po’ frastornata, anche se per tutto il tempo sembrava essersi mantenuta cosciente.

«Niente di serio.» disse il professore parlando di Kaoru «Solo un bel trauma dovuto alla caduta.»

«Portatelo in infermeria!» ordinò Quintus a due marinai, che subito recuperarono il giovane trasportandolo verso la poppa.

Kiluka, fradicia e ancora visibilmente scossa, fu avvolta amorevolmente in una coperta da Seena e portata a sua volta nella loro cabina per potersi riprendere; a conti fatti se l’era cavata solo con una ferita alla mano, il che era quasi un miracolo pensando a quello che aveva passato.

«Non temere. Ora sei al sicuro».

La bambina non rispose, forse ancora traumatizzata per l’esperienza subita, e seguitava a fissare il vuoto in modo quasi catatonico. Non vedendola reagire Seena iniziò a preoccuparsi, ma Colbert aveva rassicurato che la piccole stava bene, e quindi non c’era motivo per preoccuparsi.

«Ora riposa. Vado a vedere se hanno bisogno di me, ma tornerò appena possibile.» e detto questo se ne andò, non senza qualche indecisione, lasciando sola la sua protetta.

 

Il primo posto che Seena visitò fu l’infermeria, dove nel frattempo a Kaoru erano già state somministrate le cure del caso.

La ferita alla testa che aveva riportato cadendo era stata medicata e bendata, e il guaritore aveva in ogni caso escluso lesioni interne, ma per qualche strano motivo Kaoru non riusciva a riprendersi, seguitando a rimanere privo di conoscenza.

«Come sta?»

«Non saprei dirti.» rispose Colbert «Non ha lesioni né danni cerebrali, e neppure è in coma, ma nonostante ciò continua a non riprendersi.»

«Anche le funzioni vitali sono stabili.» disse l’infermiera tastandogli il polso «Mai visto niente di simile.»

«Una cosa è certa, non è svenuto.» disse Derf «Altrimenti lo sarei anch’io. È come se la sua mente si fosse spenta.»

«Era mai accaduto niente del genere?» domandò Kilyan

«Sto tipo mi ha abituato ad ogni sorta di sorpresa, ma questa è la prima volta che accade una cosa così».

Regnava una comprensibile preoccupazione, poi d’improvviso la nave ebbe un ennesimo, inaspettato scossone, accompagnato da uno strano rumore gracchiante, insopportabile come le unghie sulla lavagna.

Non sembrava opera di un’onda.

«E adesso che altro c’è?» sbuffò Seena.

Tutti tornarono in plancia, trovando gli altri ufficiali intenti a cercare di capire cosa fosse successo.

«Abbiamo colpito qualcosa.» spiegò il timoniere

«Fermare le macchine e calare l’ancora.» ordinò Quintus applicando il protocollo del caso

«Potrebbe essere uno scoglio.» ipotizzò Kilyan

«Siamo in mezzo al mare.» disse Colbert «Dove li trovi degli scogli qui?»

«Queste acque non sono mai state esplorate.» rispose Quintus «Potremmo essere in una zona di bassa.»

«Impossibile.» disse ancora il timoniere «L’ultimo sondaggio dava oltre duecento metri di profondità.

Forse sono resti di qualche relitto».

Sembrava fosse stato solo un evento sporadico, ma poco dopo vi fu un nuovo scossone, e questa volta il rumore fu così forte che tutti sulla Valliere poterono sentirlo.

«Ma che diavolo…».

Nessuno poteva vederla, con il temporale ed il mare grosso, ma già da diversi minuti un’ombra nera si era materializzata sotto la nave, scivolando silenziosa a destra e a sinistra urtandola di quando in quando, e producendo così tanto il rumore quanto le scosse.

E quando questa sinistra figura decise infine di materializzarsi, sulla plancia i più si fecero bianchi per lo spavento.

L’acqua esplose di colpo, proprio davanti al muso della Valliere, e dagli abissi fece la sua comparsa un essere mostruoso, che nessuno aveva mai visto, e che incuteva terrore solo a guardarlo.

Il corpo era di un colore blu-grigiastro, come quello di uno squalo; la testa sembrava il corpo di una enorme piovra, con quattro occhi scintillanti di giallo e intere file di tentacoli a circondare una bocca da pescecane armata di tre file concentriche di denti triangolari; di tentacoli era fatto anche il braccio destro, avvolti e attorcigliati tra di loro e con le estremità che, dividendosi, andavano a formare una specie di mano; il braccio sinistro, invece, era un unico, grosso tentacolo carnoso, terminante in una serie di spuntoni come una mazza ferrata; dietro la schiena,  poi, aveva due ali membranose da pipistrello, anche se non era possibile che fossero in grado di sollevarlo: probabilmente le usava per nuotare.

Dalla cintola in su, che era il punto da cui emergeva, doveva essere alto più di duecento metri, e visto che, da come si atteggiava, i piedi doveva tenerli ben piantati nel fondale, significava che tra una cosa e l’altra la sua altezza complessiva superava abbondantemente i cinquecento metri.

Tutti rimasero impietriti, letteralmente paralizzati per il terrore.

Quella cosa era più grande di qualunque essere vivente si fosse mai visto.

«È lui.» disse un vecchio marinaio affacciato da un boccaporto «È il Dio delle Tempeste! Ci trascinerà negli abissi!».

In qualche modo gli ufficiali di guardia riuscirono ad evitare che scoppiasse il panico, ma anche loro erano terrorizzati; ma in ogni caso era niente rispetto a quello che stavano provando gli occupanti della plancia, che avevano quella creatura dritta davanti agli occhi.

Il mostro ringhiò e soffiò, come un animale messo alle strette intento a minacciare un potenziale aggressore, ma le sue intenzioni tutto sembravano fuorché pacifiche.

La situazione era a dir poco drammatica; la Valliere poteva essere la nave più avveniristica di Halkengina, ma di fronte a quell’essere era come una formica contro un elefante.

Provare a rispondere ad un eventuale attacco sembrava pura utopia; i proiettili dei cannoni, per quanto potenti, sicuramente non erano in grado di fare granché, mentre a quel mostro sarebbe bastato un colpo delle sue braccia tentacolari per fare a pezzi la nave come una barchetta di carta.

Le torrette di prua erano già puntate in direzione della creatura, così come tutte le altre armi abbastanza flessibili da poter essere ruotate in quella direzione, ma nessuno osava dare l’ordine di aprire fuoco, forse nella consapevolezza che sarebbe stato del tutto inutile.

Tutti i marinai della Valliere erano stati dovutamente addestrati negli ultimi mesi, ma contro una simile bestia i gesti istintivi dettati dalla paura erano più che comprensibili.

Uno degli addetti ai cannoni antiaerei, fattosi una statua di sale per il terrore, senza quasi volerlo spinse il dito sul grilletto, e di colpo un boato riempì l’aria assieme alla vampata di fuoco dello sparo. A quel punto, come in un letale effetto domino, spararono anche tutti gli altri, senza che né Quintus né nessun altro fossero in grado di fare qualcosa.

I proiettili colpirono a raffica il mostro, che si protesse la testa mettendovi davanti il braccio destro; alcuni tentacoli gli volarono via, ma nel complesso rimase quasi illeso, e come era prevedibile quella bordata ebbe l’unico effetto di farlo infuriare.

Il suo ruggito fu talmente forte da far scricchiolare l’acciaio e disintegrare alcune vetrate, ed alzato l’altro braccio lo abbatté con tutta la forza possibile appena di poco a destra rispetto alla nave, un urto tremendo che sollevò un gigantesco tsunami. Un’azione dimostrativa forse, o forse un caso fortuito, ma che dava l’idea di quello che attendeva ora la Valliere ed il suo equipaggio, perché al prossimo colpo, che prese a caricare subito dopo il primo, non sarebbe sicuramente andato a vuoto.

«Per noi è finita.» mormorò Colbert guardando in alto.

Poi, improvvisamente, il mostro si fermò; così, senza una ragione precisa, lasciando scivolare blandamente il lungo tentacolo sulla superficie del mare sollevando una nuova, anche se meno potente, onda anomala.

Tutti restarono basiti, domandandosi il perché di una tale azione, poi Kilyan notò una figura che, incurante del rollio, del vento e della pioggia, avanzava a piccoli passi sul ponte con i piedi come incollati al fasciame, tanto riusciva a tenersi in equilibrio.

Servirono solo pochi attimi per poterla riconoscere.

«Kiluka!» urlò teorizzata Seena, che istintivamente fece per correrle incontro, trattenuta a forza da Kilyan

«Aspetta! È pericoloso!»

«Lasciami, devo salvarla! Kiluka!»

«Ma che sta facendo?» chiese Colbert spaventato a sua volta, ma conservando un briciolo di raziocinio.

La bambina, con gli occhi apparentemente ancora spenti, e proprio per questo ancora più inquietanti, seguitò a camminare lungo il ponte verso prua, fermandosi quasi alla sommità del ponte; non sembrava neanche un essere umano, tale era l’apparente freddezza con cui seguitava a tenere il suo sguardo vitreo in direzione del mostro, che a sua volta la guardò, abbassandosi fino a che non furono quasi viso a viso, separati l’uno dall’altra solo da pochi metri.

Era come se i due si stessero parlando, un dialogo silenzioso che nessun altro poteva sentire.

I secondi scorsero interminabili, in un quadro talmente irreale che persino Seena, passato il momento di isteria, non riuscì a fare altro che restare immobile a guardare quella che considerava ormai come la sua sorellina immobile di fronte a quella creatura.

Il mostro, lo spirito, o qualunque cosa fosse, sbuffò, come incapace di distogliere lo sguardo da Kiluka, e neanche ruggendole in faccia con tale forza da assordare l’intera nave riuscì a farla indietreggiare; poi, apparentemente calmatosi, tra lo stupore generale prese a scivolare verso il basso, e rivolta un’ultima occhiata alla bambina scomparve silenzioso tra i flutti.

Lo stupore si materializzò negli occhi di chiunque avesse assistito alla scena, ma nel momento in cui Kiluka, come un pupazzo lasciato cadere dal burattinaio, cadde esanime sul pavimento bagnato come morta, tornò a dominare la ragione.

«Kiluka!» esclamò Seena correndo fuori, stavolta seguita da tutti i suoi compagni.

Al loro arrivo sul ponte Kiluka era ancora svenuta, ma dopo poco che Seena l’ebbe presa tra le braccia la bambina riaprì timidamente gli occhi, di nuovo accesi e pieni di vita, anche se confusi.

Incredibile a dirsi, confusione a parte sembrava stare assolutamente bene; persino il segno sulla mano che Seena le aveva visto poco prima pareva essere sparito.

«Kiluka…»

«Seena… cosa è successo?» domandò vedendo la sua espressione attonita.

Era la domanda alla quale tutti avrebbero voluto rispondere.

Era un fatto risaputo che alle volte i famigli perdevano il controllo dei loro stessi poteri, ma ciò a cui Colbert e gli altri avevano assistito aveva quasi del prodigioso, e lo divenne ancora di più quando, tutto attorno a loro, la tempesta, già acquietatasi parecchio dalla scomparsa del mostro, si dissolse completamente, calmando il mare, tacciando il vento e dissipando le nubi, oltre le quali si materializzò, tra lo stupore dell’intero equipaggio, il piacevolissimo spettacolo della volta stellata.

Neanche a farlo apposta, qualche istante dopo anche Kaoru, ancora nell’infermeria, riprese i sensi.

«Compare.» gli disse Derf «Bentornato tra noi.»

«Comandante, state bene?» gli chiese l’infermiera

«Così così.» rispose lui passandosi una mano dietro la nuca «Accidenti, che mal di testa. Che mi sono perso?».

 

Per due giorni e due notti, la Campana della Vita seguitò a suonare, salutata come una benedizione tanto dagli elfi quanto da Saito, Siesta e i loro compagni di sventura, che ad ogni rintocco sentivano la loro vita allungarsi un altro po’.

La loro sopravvivenza dipendeva da quella campana, e soprattutto dalla speranza che qualcuno venisse in loro aiuto prima che smettesse di suonare, ma per ogni giorno che passava il filo della speranza si faceva sempre più sottile.

Bidashal aveva raccontato che, stando alle cronache, c’erano stati periodi in cui la campana era andata avanti a suonare per quasi due mesi, contro la media abituate di una o due settimane al massimo, ma si trattava di eventi rari.

Le giornate trascorrevano lente, con quel dolcissimo rintocco ad allietarle. Per far spendere le ore i ragazzi parlavano tra di loro, con Saito che cercava, per quanto possibile, di tenere alto il morale, decantando continuamente le mille risorse di Kaoru e degli altri e della loro capacità innata di sbucare fuori ogni volta al momento giusto, ma più i giorni passavano più lui stesso si lasciava prendere dal pessimismo.

Il caldo non era terribile come l’ultima volta che Saito e Tiffa erano stati prigionieri, ma sopportarlo era comunque molto difficile, e rendeva il tutto ancor più angosciante. Tuttavia, mentre Saito e gli altri suoi compagni di cella venivano tenuti in vita a malapena con razioni di cibo ed acqua risibili, di contro Louise e Tiffa erano trattate come regine, e ora che il motivo del loro rapimento era venuto alla luce la cosa non doveva sorprendere più di tanto.

Louise aveva cercato di fare la dura rifiutandosi di mangiare, ma alla fine il timore che accadesse qualcosa al bambino l’aveva spinta a più miti consigli, proprio come i suoi carcerieri si aspettavano.

Una mattina, i ragazzi erano seduti sul pavimento come al solito, cercando di sfruttarne la temperatura fresca per combattere le ore più calde della giornata.

Il suono della campana era l’unica cosa che rompeva il silenzio spettrale di entrambe le celle, fino a che, a seguito dell’ennesimo rintocco, tutto tacque, e l’aria si fece priva di suoni.

Tutti si impietrirono. Speravano di sentire nuovamente quella flebile melodia, ma i secondi si aggiunsero ai secondi, e nulla si sentì.

«La campana…» balbettò Ari con gli occhi sbarrati

«… si è fermata.» sentenziò Luctiana.

Ed Eshamel fu più solerte nel mantenere la sua parola.

Neanche due minuti dopo che la campana aveva smesso di suonare, Maddarf si palesò nella cella con un manipolo di guardie.

«È ora.» disse schioccando le dita.

La resistenza dei cinque fu coriacea ma assolutamente inutile, e in pochi attimi vennero tutti sopraffatti e legati. Dall’altro capo del muro, Tiffa e Louise potevano sentire ogni cosa, ma tutto quello che gli era dato fare era ascoltare impotenti.

«Saito! Saito!» continuava ad urlare Louise in preda alle lacrime.

Fuori dalla cella li attendeva Eruvere, che vedendoli uscire in fila indiana con le mani dietro la schiena sentì quasi un moto di dispiacere. Fatta salva la cameriera, tutti gli altri si erano dimostrati avversari valorosi e degni di stima, e anche se non osava dubitare della volontà del suo Maestro un po’ gli dispiaceva doverli uccidere.

«Peccato. Poteva andare diversamente».

Sentendoli passare accanto alla sua porta Louise vi si avventò cercando vanamente di aprirla.

«Louise!» gridò Saito tentando di raggiungerla.

In sé sapeva che ormai era tutto finito, ma voleva toccarla ancora; un’ultima volta. Un piacere che gli fu negato con uno strattone di corta e due bastonate.

«Se siete uomini d’onore, affrontate questo momento con dignità.» lo rimproverò Maddarf.

Louise, pur nella disperazione, non aveva perso la speranza, e si giocò l’unica carta che aveva.

«Aspettate!» ordinò con tono perentorio.

Nel momento in cui Eruvere guardò all’interno la vide immobile, al centro della cella, i denti serrati, lo sguardo sprezzante e, soprattutto, un coltello puntato sul ventre.

«Lasciate andare subito Saito e gli altri, o giuro sul fondatore Brimir che mi ucciderò qui e subito!»

«Louise, non farlo!» le urlò Saito restando inascoltato.

«Se io mi uccido, insieme a me perderete anche il mio bambino! E sono sicura che non è questo che volete!».

Tiffa la guardò attonita, così come Eruvere, e per interminabili secondi non si sentì volare una mosca; poi, però, l’elfo piegò le labbra in un ironico sorriso, guadagnandosi un’occhiata perplessa.

«Stai bluffando.»

«Invece sono serissima!» replicò lei cercando di sembrare davvero tale «Lasciateli andare o mi uccido.»

«Non lo farai.»

«Invece lo farò!»

«Se in palio ci fosse solo la tua vita, potrei anche pensare che tu stia dicendo sul serio. Ma qui non ci sei solo tu. C’è anche il tuo bambino.

Puoi toglierti la vita con le tue stesse mani, ma non avrai mai il coraggio di fare la stessa cosa con il frutto del tuo amore per il tuo cavaliere».

Louise sgranò gli occhi, ed il coltello le scivolò di mano tintinnando sul pavimento.

«Ironico, non trovi? Quel bambino è la causa di tutto, e sai perfettamente quanto sia importante per noi. Sai che i nostri piani dipendono da lui. Probabilmente sai anche quale destino aspetta sia te che lui. Eppure, nonostante tutto, non puoi farci niente».

Detto questo, senza aggiungere altro, Eruvere e gli altri elfi se ne andarono con i prigionieri, e tutto ciò che Louise fu in grado di fare, passato lo sgomento, fu cadere in ginocchio piangendo tutte le lacrime che aveva.

 

Alla base della torre tutto era pronto per l’esecuzione.

Negli ultimi giorni era stato allestito un apposito palco dove erano state preparate cinque forche pronte all’uso.

Eshamel si era fatto costruire un seggio dalla parte opposta del piazzale, rialzato rispetto al suolo, e fin dall’istante in cui la campana aveva smesso di suonare vi si era immediatamente seduto.

Oltretutto, aveva già dato ordine all’intera città di presentarsi al luogo dell’esecuzione subito dopo la fine delle celebrazioni, così in pochi attimi la piazza si era riempita all’inverosimile di gente, uomini, donne e bambini venuti ad assistere alla morte di quelli che fino a poco prima erano stati le loro guide supreme.

Saito e gli altri furono portati all’esterno, ed in un silenzio generale, rotto solo da un confuso brusio, furono fatti salire sulle passerelle magiche invisibili, e quindi legati ognuno alla propria corda, che venne stretta saldamente attorno al collo.

Ringraziando al cielo, la guardia che aveva legato Saito non era stata particolarmente accorta nel fare il nodo, così il ragazzo era riuscito, non senza stringere i denti per il dolore, a sciogliere il nodo, e ora aspettava solo l’occasione giusta per scattare. Se proprio era destinato a morire, almeno sarebbe morto combattendo fino alla fine.

Quello che era peggio, era che Eshamel aveva volutamente scelto quel luogo perché, oltre ad essere sufficientemente grande, stava anche proprio sotto lo spioncino della cella di Tifa e Louise, così che potessero assistere in diretta alla morte dei loro amici.

Non c’era pericolo che lo shock fosse tale da costare la vita al bambino; grazie all’incantesimo che Eruvere vi aveva gettato sopra nell’atto di accertarne l’esistenza, neanche recidendo il cordone ombelicale il feto sarebbe potuto morire, poiché ormai la sua esistenza e sostentamento dipendevano unicamente dal potere magico della madre senza venire intaccati in alcun modo dal suo stato d’animo o dalle condizioni fisiche.

«Saito! Siesta!».

Tutti cercavano di ostentare fierezza e risolutezza, ma escluso Bidashal tutti gli altri in realtà avevano una tremenda paura; Siesta in particolare non riusciva a non piangere, pensando a tutti i suoi amici e ai genitori che non avrebbe rivisto mai più.

«Non piangere.» la ammonì Luctiana «Non dare soddisfazioni a quel bastardo.»

«Non… non ci riesco».

Eshamel pregustava di assaporare la loro paura, ma visto che nessuno di loro, fatta salva la cameriera di cui non gli importava niente, sembrava intenzionato ad implorare pietà, si accontentò di godere della vista dei loro cadaveri a penzolare dalle forche.

Come alzò una mano, nella piazza il silenzio si fece totale, ed il tamburo di morte prese a scandire la marcia del condannato. Contemporaneamente, lo stregone incaricato di far scomparire i piedistalli magici si portò davanti ai cinque prigionieri, mentre un sacerdote passò accanto ad ognuno di loro per impartire l’ultima benedizione.

Di colpo, dopo i tre rintocchi di chiusura, la marcia cessò, e tutto per un istante divenne silenzio.

Eshamel sorrise malefico.

«Giù!»

«Saito!».

 

 

Nota dell’Autore

Eccomi qua!^_^

Passate delle buone vacanze?

Le mie lo sono state, per fortuna, e anche se in questo periodo avrò molto daffare sono riuscito a pubblicare questo nuovo capitolo.

Lo so, è un po’ lungo, ma volevo che la storia si interrompesse proprio qui, giusto per farvi penare un pochettino.

E ora?

Cosa succederà?

Inutile dire che lo scoprirete subito. Infatti il prossimo è uno dei capitoli che da più tempo aspettavo di scrivere, quindi vi preannuncio che malgrado tutto non dovrete aspettare molto per vederlo.

Spero di poter aggiornare ancora entro una settimana.

Grazie a tutti quelli che leggono e recensiscono.

Questa storia mi sta dando una soddisfazione dietro l’altra, e scriverla è bellissimo.

A presto!^_^

Carlos Olivera

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Capitolo 44
*** 40 ***


40

 

 

Un boato assordante scosse nel profondo l’intera città, e subito dopo una potente esplosione si abbatté sulla parte bassa della torre, aprendo una voragine nel suo rivestimento e provocando una pioggia di detriti.

«Ma che diavolo…» esclamò attonito Eshamel.

A quell’esplosione ne seguirono altre, un vero e proprio cannoneggiamento che interessò tutta la zona attigua alla torre provocando il panico generale, senza che si avesse alcuna idea di chi stesse sparando.

Le guardie che sorvegliavano le due torri di accesso alla rada restarono basite, soprattutto nel constatare che i colpi non sembravano venire dal mare aperto, ma direttamente dall’interno della baia; si vedevano vampate di fuoco e si sentiva il rumore, ma di una nave neanche l’ombra.

Invece, non dovettero passare che pochi secondi perché, come per incanto, preceduta da una tempesta di fulmini, comparisse davanti ai loro occhi un gigantesco e spaventoso mostro d’acciaio, armato dei cannoni più grossi che si fossero mai visti e proprio al centro dello specchio d’acqua antistante la capitale.

Forte dell’invisibilità, la nave era scivolata davanti ai loro occhi senza che neppure se ne rendessero conto, mascherando con la magia la propria scia per celare qualsiasi traccia della sua presenza.

«È la Valliere!» esclamò Louise,  che dall’alto poteva vederla bene «Kaoru ce l’ha fatta!».

A bordo, l’attività era già frenetica, in una ordinata confusione nella quale ognuno conosceva il proprio posto e faceva ciò a cui era destinato.

Dalla plancia, Kaoru gestiva la situazione, ed i suoi ordini, per bocca di Quintus, arrivavano in ogni parte della nave a tutta velocità tramite l’interfono o i portaordini.

«Torrette trinate, concentrare il fuoco in direzione del molo!»

«Sissignore!» rispose il puntatore.

Bastò una sola bordata, e l’intera flotta navale di Neftes si tramutò in un unico, immenso oceano di fuoco.

Il boato fu tale da far tremare ogni cosa fino alla piazzetta, dove a quel punto la semplice paura si tramutò in panico incontrollato.

Subito Saito ne approfittò.

Liberatosi, stese con un pugno la guardia più vicina, e recuperata la sua spada la usò per liberare tutti i suoi compagni.

«Forza, è la nostra occasione!».

Bidashal ed Ari non avevano ancora potuto riottenere i loro poteri magici, bloccati dalle droghe che erano stati costretti ad ingerire assieme al cibo, ma come schermidori ci sapevano fare, e lo stesso Luctiana, così i tre elfi, armatisi a loro volta, riuscirono a respingere tutte le guardie che avevano attorno.

«Uccideteli!» ordinò adirato Eshamel scagliandogli contro tutti i soldati presenti.

I quattro, dispostisi a difesa di Siesta, si difesero egregiamente, al punto da mettere in difficoltà i loro assalitori, che in pochi minuti si videro decimati.

Eshamel, comprendendo l’aria che si stava mettendo, fece per darsi alla fuga, ma Saito non era determinato a permetterglielo.

«Dove credi di andare, codardo!».

Apertosi la strada a forza di fendenti, al punto da perdere la spada per averla roteata con troppo vigore, il giovane arrivò appresso all’elfo, e salito con un balzo sul palchetto assestò al nemico un tremendo diretto al volto che lo scaraventò a terra con la potenza di uno schioppo.

Nell’atto di cadere, Eshamel perse, senza neppure essere consapevole di averla mai avuta, la trasmittente che Saito gli aveva messo nel mantello, e che il ragazzo prontamente recuperò; era scarica, ma poteva ancora servire.

«Stammi… stammi lontano, sudicio umano!».

Saito era davvero tentato di far pagare a quell’essere immondo tutto quello che aveva dovuto passare in quei giorni interminabili, ma dovette desistere nel momento in cui Maddarf gli scagliò contro una selva di spade costringendolo ad indietreggiare.

«Saito, da questa parte!» gli urlò Bidashal «Abbiamo aperto un varco!».

Anche se di malavoglia Saito dovette resistere, e recuperata una nuova spada si aggregò ai suoi compagni aprendosi la strada tra soldati e cittadini in fuga fino all’ingresso della torre.

«Presto!» urlò Luctiana afferrando uno dei pesanti battenti di pietra.

Fortunatamente i cinque riuscirono a chiudere la porta in tempo, sprangandola subito con tutto quello che riuscirono a trovare per sbarrare il passo agli inseguitori; non era certamente l’unico ingresso che le guardie di Eshamel potevano usare, ma almeno questo li avrebbe tenuti indietro per un po’.

«Riesci a farla funzionare?» chiese Saito passando la trasmittente a Bidashal

«Ci provo».

L’elfo era ancora provato nella sua magia, ma per fortuna instillare un po’ di energia nelle batterie si rivelò un procedimento non particolarmente difficile.

«Prova ora.» disse rilanciandola al proprietario.

Saito la prese e la azionò, e nel sentirla gracchiare volle quasi gridare di gioia.

«Kaoru, mi ricevi?».

Il segnale arrivò, seppure un po’ sporcato, alla radio della Valliere, ed il radiofonista immediatamente la ritrasmise sull’interfono mettendo il giovane in comunicazione diretta con la plancia.

«Saito!» esclamò il comandante strappando la cornetta a Quintus

«Che gioia sentire la tua voce. Meno male che avete fatto in tempo.»

«Dove vi trovate?»

«All’interno della torre principale. Louise e Tiffa sono ancora prigioniere, stiamo andando a salvarle.»

«D’accordo. Quando le avrete trovate, restate lì ad aspettare. Manderemo una squadra armata per recuperarvi. Tieni aperto il canale e aspetta nuove istruzioni.»

«Ricevuto, vi aspettiamo».

Chiusa la conversazione, Saito e gli altri si avviarono nuovamente verso le prigioni, incontrando una resistenza numerosa ma piuttosto scarna, visto che le guardie più abili e pericolose erano ancora bloccate all’esterno.

All’esterno c’erano anche Eshamel e Maddarf, che portati in salvo da un manipolo di soldati al comando di Eruvere stavano correndo veloci come il fulmine verso la periferia a bordo di un calesse.

«Maledetti! Maledetti umani!» continuava a strillare l’elfo «Ma aspettate e vedrete! Non avete idea della sorpresa che abbiamo in serbo per voi! Quella baia sarà la vostra tomba!».

Intanto, la Valliere continuava imperterrita il suo bombardamento, senza che quasi si riuscisse a contrastarla.

Due bordate dei cannoni antiaerei di babordo polverizzarono le torri perimetrali, mentre di contro quelli di tribordo non smettevano un attimo di far piovere proiettili sulle batterie costiere facendone scempio.

«Segnala alle torrette. Tenete il fuoco lontano dalla torre. Saito e gli altri si trovano lì. Potremmo colpirli.»

«Sissignore.»

«Ordine alle truppe d’assalto. Prepararsi a sbarcare».

Le lance erano già state calate in acqua, e gli uomini al comando di Seena e Kylian erano pronti a scendere dalle scalette, quando, rivolto lo sguardo verso la città, Quintus notò un inspiegabile e minaccioso movimento appena oltre il ponte, in prossimità della zona dove doveva esserci il bacino di carenaggio in costruzione.

Quello che vide lo impietrì.

«Signore, laggiù!» esclamò.

Kaoru guardò con il binocolo, ed a sua volta si sentì mancare il respiro vedendo quattro corazzate sollevarsi lentamente da sotto la superficie della sabbia sbucando dalla enorme fossa coperta fino a pochi attimi prima da una barriera magica che generava una ingannevole illusione ottica.

«Oh, merda.» riuscì a dire.

Era chiaro.

Il bacino in realtà era già operativo, ma veniva da chiedersi come avevano fatto a completarlo in tempi così rapidi.

Sicuramente c’entravano ancora una volta Reconquista e le sue risorse illimitate.

La situazione di colpo parve capovolgersi.

«Allarme prioritario! Ordine alle torrette, puntare immediatamente su uno, tre zero! Fuoco a volontà!».

Le torrette si riposizionarono il più velocemente possibile, e dopo appena un minuti partì la prima bordata diretta contro la nave più vicina; si pensava che sarebbe stato abbastanza per affondarla, come accaduto nel caso delle navi di Ty-Kern, ma l’aeronave, pur venendo trapassata, incassò il colpo restando a galla.

«Non ci credo…» disse Quintus basito

«Le hanno potenziate.» disse Kaoru.

Le aeronavi elfiche si sollevarono fino ad un centinaio di metri, e prima di poter fare qualcosa la Valliere si ritrovò con una dozzina tra cannoncini e torrette binate e trinate puntati contro da una schiera di vascelli che le davano il fianco l’uno accanto all’altro.

Kaoru e Quintus sgranarono gli occhi.

«Prepararsi all’urto!».

Il boato che seguì fu così potente da frantumare vetri in tutta la città, producendo bagliori accecanti che fecero sembrare quello di Neftes un sole al tramonto.

Fortunatamente la maggior parte dei colpi andarono a vuoto, ma la Valliere venne comunque investita in più punti da una selva di proiettili; alcuni rimbalzarono, ma altri perforarono lo scafo, e due in particolare si abbatterono su altrettante torrette antiaeree facendone saltare una per aria.

Tra l’esplosione e i vari altri colpi, la Valliere tremò così paurosamente che quasi tutti finirono gambe all’aria, anche in plancia di comando.

«Manovra evasiva, manovra evasiva!» ordinò immediatamente Kaoru

«Rapporto danni?» chiese Quintus

«Abbiamo perso la caldaia numero due!» disse uno dei marinai agli interfoni «C’è una falla non grave a dritta di prua, sotto la linea di galleggiamento! Stiamo chiudendo le paratie stagne!»

«Torrette antiaeree di tribordo uno e quattro danneggiate!» disse un altro «La due è completamente distrutta!»

«Perdite?»

«Tre morti e quindici feriti, signore! Numero provvisorio!»

«Questa l’abbiamo sentita tutta.» commentò Quintus.

Ci voleva quasi un minuto per resettare il meccanismo di sparo, e in tutto quel tempo le navi elfiche ebbero modo di allargare ancora di più la loro formazione cercando di circondare la Valliere, che prese a zigzagare come meglio poteva in quello specchio d’acqua basso e stretto.

A questo punto, calare le scialuppe e inviare la squadra era fuori questione; avrebbero fatto la fine dei piccioni.

Alla ricerca spasmodica di una soluzione Kaoru notò la vasta piattaforma di atterraggio quasi in cima alla torre principale, più in alto di quanto si aspettasse dalla descrizione che ne aveva sentito, e iniziò a maturare un piano a dir poco avventato.

«Quintus.»

«Signore?»

«I sistemi di alimentazione delle pietre funzionano ancora?».

Quintus chiese conferma, ricevendo una risposta affermativa.

«Cos’ha in mente, comandante?»

«Mi è appena venuta un’idea folle».

Nel mentre Saito e gli altri si erano aperti la strada lungo i corridoi della torre fino a fare ritorno nella zona prigioni, e qui, sbarazzatisi delle ultime guardie, si erano appropriati delle chiavi delle celle.

A Louise quasi scoppiò il cuore per la gioia nel vedere Saito vivo e vegeto, e senza pensarci due volte gli si buttò al collo gettandolo a terra.

«Saito!»

«Stai bene Louise?» le disse carezzandole i capelli

«Avevo così tanta paura! Credevo sul serio che ti avrebbero ucciso!»

«Và tutto bene, Louise. Presto sarà tutto finito».

In quella, la trasmittente riprese a gracchiare.

«Saito, ci sei?»

«Kaoru. Abbiamo recuperato Louise e Tiffa.»

«Meglio così. Purtroppo c’è stato un contrattempo. Non sperate nell’arrivo della cavalleria. In questo momento siamo impegnati con una flotta di aeronavi elfiche, e mandare una squadra sarebbe un suicidio.»

«E allora cosa si fa?» domandò Luctiana, che come gli altri poteva sentire a sua volta

«Siete in grado di arrivare alla piattaforma in cima alla torre?»

«Credo di sì.» rispose Bidashal

«Tra pochi minuti faremo decollare la Valliere e passeremo sopra la città. Se riuscirete a trovarvi sulla piattaforma nel momento in cui la sorvoleremo, potremmo essere in grado di issarvi a bordo.»

«Si può fare davvero?» chiese Louise

«Non lo so, ma è l’unica alternativa che abbiamo. Voi cercate di arrivare laggiù il prima possibile, ma non fatevi vedere fino all’ultimo momento. Se scoprono quello che vogliamo fare ci taglieranno la strada e sarà la fine.

Caleremo una scialuppa per tirarvi su. Non c’è bisogno che vi dica che abbiamo a disposizione un solo tentativo.»

«Ricevuto, ci dirigiamo alla piattaforma.» disse Saito «Avete sentito? Sbrighiamoci. Se ci dice bene, ancora poco e saremo fuori da tutto questo».

 

Kaoru diede subito ordine di iniziare le manovre per mettere la prua della Valliere dritta in punta alla città, il che significava farle compiere un largo giro ad anello lungo tutta la baia, il tutto mentre le navi elfiche non smettevano un attimo di bombardarla, e anche se fortunatamente nessuna selva di colpi si rivelò tanto micidiale quanto la prima i danni continuavano ad aumentare.

Infine, per non farsi mancare niente, gli elfi fecero decollare tutti i draghi che avevano a disposizione, che tenuti faticosamente a bada dalla contraerea presero senza pietà a sputare fuoco contro la nave innescando piccoli incendi e ulteriori esplosioni.

Era una situazione ai limiti del dramma.

Tralasciando il fatto che spostare i sistemi di alimentazione da una pietra magica all’altra richiedeva comunque il suo tempo la maggior parte delle linee principali, nonché i sistemi di controllo in remoto, erano stati danneggiati, il che stava obbligando i tecnici, oltre a dover dirottare l’energia tramite canali alternativi, a dover fare tutto a mano.

Kaoru sentiva montare sempre più dentro di sé quella sgradevole sensazione di potenza che tanto gli risultava insopportabile, e che si traduceva in una rabbia che ad ogni secondo diveniva sempre più violenta, spingendolo a maturare nelle sua mente propositi e pensieri sempre più foschi.

«Quanto manca per avere energia alla pietra di levitazione?» domandò con un filo di voce quando l’ennesima fiammata di drago incenerì due marinai sul ponte principale davanti ai suoi occhi

«Sei o sette minuti, signore!»

«Fra sette minuti saremo già carne arrostita, si muovano!».

Ma il tempo passava, e dalla sala macchine non giungevano notizie.

«Tutta la barra! Massima velocità! Prua in direzione nord nord-est!»

«Ma signore, la pietra non è ancora caricata!» cercò di dire Quintus capendo dove conduceva quella rotta

«Non importa!» replicò Kaoru con occhi scintillanti iniettati di furia «Se proprio dobbiamo andarcene ne porteremo con noi il più possibile!

Obbedisci!».

Quintus non voleva credere che il comandante stesse davvero meditando una tattica suicida, ma da soldato quale era non aveva altra scelta che obbedire agli ordini del suo comandante, così come il resto dell’equipaggio.

Così, come una tigre messa alle strette che sferra l’assalto finale, la Valliere, concluso la propria virata, inserì il turbo puntando dritta contro la capitale, quasi avesse intenzione di speronarla.

Eshamel, Eruvere e Maddarf erano a bordo di una delle aeronavi elfiche, quella maggiormente e prudentemente discostata dal resto della squadriglia, e dapprincipio non riuscirono a capire il senso di quella manovra; immaginarono che la Valliere volesse tentare di decollare, ma i secondi passavano e la nave nemica non voleva saperne di alzarsi.

«Se continua così finirà per schiantarsi sulla città!» esclamò Maddarf terrorizzato

«Altro esempio lampante della bestialità umana.» commentò calmo Eshamel

«Dobbiamo fermarla!»

«Niente affatto. Lasciateli fare.»

«Ma, lord Eshamel…»

«Se ci saranno tante vittime, ogni singolo elfo di Neftes, inclusa la resistenza, verrà da me a supplicarmi di proteggerli dagli umani. Chissà, potrebbero persino arrivare a chiedermi di dichiarargli guerra.

Quegli stolti saranno il mio lasciapassare per il dominio completo di questo continente».

Anche Maddarf, come Quintus, non riuscì a credere che il suo superiore fosse davvero determinato a fare ciò che aveva in mente, ma anche lui alla fine antepose i suoi doveri alla coscienza e ordinò alle altre navi della flotta di non picchiare troppo forte, lasciando la nave libera di proseguire nella sua corsa senza far capire l’intenzionalità della cosa.

Sulla plancia, gli ufficiali e i marinai della Valliere videro la costa farsi vicina, sempre più vicina, e la chiglia della nave iniziare a sobbalzare e grattare sui dossi del fondale fattosi ormai bassissimo, senza che il loro comandante, i cui occhi sembravano quasi scintillare di rosso, mostrasse la benché minima intenzione di tornare sui suoi passi.

Dal canto loro, i tecnici addetti al funzionamento delle pietre erano ancora in alto mare, presi ad arrabattarsi tra cavi e comandi, ma sarebbero serviti minimo altri due minuti per poter rendere operativa la pietra di levitazione.

A quel punto, e avendo saputo cosa li aspettava se non avessero fatto a tempo, il capo macchinista ebbe un’idea a dir poco suicida. Visto che la pietra propulsiva funzionava ancora, ed era l’unica il cui apparato di alimentazione non fosse stato danneggiato, non ebbe altra scelta che afferrare saldamente il cavo collegato al dispositivo di attivazione, staccarlo manualmente con l’energia ancora inserita e reinserirlo nell’apparecchio che controllava la pietra di levitazione.

Fu solo per un vero miracolo se ne uscì vivo, perché nel momento in cui staccò il cavo l’energia magica mista a corrente elettrica al suo interno lo usò come una messa a terra minacciando di folgorarlo, ma grazie al cielo riuscì a ricollegare lo spinotto prima di rimetterci la vita, e finalmente la pietra di levitazione iniziò a risplendere.

«Avvisa la plancia, svelto!» ordinò al suo secondo prima di svenire.

Quello obbedì, e sentendo la sua voce Quintus sentì un colpo al cuore.

«Abbiamo l’energia, comandante!».

Solo in quell’istante, come svegliandosi da un brutto sogno, Kaoru parve ritrovare la ragione.

«Motori a piena potenza! Decolliamo, subito!».

Fulminea, la Valliere si sollevò dalla superficie, puntando verso l’alto con una inclinazione che le aeronavi classiche potevano solo sognarsi, a oltre quarantacinque gradi. Se fosse andato tutto bene, sarebbero passati pochi metri sopra la torre.

«Maledizione!» ringhiò Eshamel vedendo sfumare i suoi propositi «Lasciate perdere! Buttateli giù!».

Le navi elfiche però, proprio per le loro dimensioni, erano anche incredibilmente impacciate, ed impiegarono diversi secondi a girarsi; e visto che le torrette non erano in grado di tenere il bersaglio a tiro, la Valliere poté allontanarsi e prendere quota quasi indisturbata, passando in mezzo a loro senza venire colpita.

Nello stesso istante, Saito e gli altri arrivarono sulla piattaforma in cima alla torre, venendo immediatamente notati dalla plancia.

«Li vedo!» disse Quintus

«Calare la scialuppa, presto!» ordinò Kaoru.

I marinai nel mentre avevano già assicurato la lancia più lunga a disposizione alla gru utilizzata per il recupero degli aerei, e all’ordine dei superiori immediatamente presero a farla scendere verso il basso, proteggendola il più possibile con la contraerea.

«Arriva!» indicò Saito «State pronti!».

Il frastuono che la nave produsse passando sopra le loro teste fu assordante, e nel momento in cui videro la lancia scivolar loro accanto immediatamente ci saltarono dentro; tutti tranne Siesta, che si ritrovò la gonna della camicia da notte con cui era stata catturata sotto i piedi, incespicando e perdendo il momento, oltre a procurarsi una piccola storta.

«Siesta!».

Sembrava tutto perduto, ma Saito senza stare a pensarci scese nuovamente, e presa la ragazza tra le braccia cominciò a correre a perdifiato mentre la lancia si allontanava.

«Saito, fa presto!» continuava ad urlare Louise protendendosi verso di lui il più possibile.

La sporgenza intanto si avvicinava, e alla fine Saito dovette saltare, compiendo un lungo quanto avventato balzo nel vuoto che, per sua fortuna, si concluse a bordo della scialuppa.

I cavalieri draconiani, accortisi di quanto accaduto, tentarono di abbatterli, ma la contraerea riuscì a tenerli lontani abbastanza da permettere ai marinai di issare i fuggiaschi a bordo mettendoli finalmente al sicuro.

Quindi, con l’eccezione di Siesta, che fu portata in infermeria per un rapido controllo, Saito e gli altri si precipitarono in plancia.

«Ragazzi!»

«Louise-san! Saito-san!» disse Siesta «Che sollievo, siete sani e salvi.»

«Motori avanti tutta, togliamoci da qui!» si affrettò ad ordinare Kaoru.

Di nuovo la Valliere venne spinta al massimo delle sue possibilità, ma ormai nel frattempo le aeronavi nemiche si erano girate e avevano iniziato l’inseguimento, scaricando sulla nave dei fuggitivi tutto quello che avevano.

La nave, per quanto potente, non era invincibile, ma bene o male la sua spessa corazzatura riuscì a respingere la maggior parte dei colpi; questo almeno fino a che un proiettile non centrò in pieno la carlinga, trapassandola e portandosi via buona parte dei sistemi di alimentazione di riserva delle pietre magiche.

Gli effetti furono immediati, e la Valliere iniziò subito a rallentare e a perdere quota.

«Che sta succedendo?» tuonò Kaoru

«I cavi sono danneggiati signore, l’energia arriva ad intermittenza!».

Come se la situazione non fosse già abbastanza grave, la torretta poppiera, la sola che potesse rispondere al fuoco degli inseguitori, finì inevitabilmente per esaurire le munizioni, lasciando campo libero agli elfi e ai loro cannoni.

La nave di Eshamel era in prima fila, e il comandante in particolare si stava godendo con piacere quel momento; sapeva di non poterli abbattere perché né Louise né Tiffa dovevano assolutamente morire, ma voleva far durare la cosa il più possibile, e una volta tanto Eruvere lo lasciava fare.

«Peggio per loro. Ora faranno la fine del topo».

Per quanto fuggisse, la Valliere non riusciva in alcun modo a seminare i suoi inseguitori, e invece che cercare di raggiungere il mare vi si stava allontanando sempre di più.

«Niente da fare, non ci mollano.» disse Kilyan guardandosi indietro.

Nella plancia regnava lo scetticismo, e anche se nessuno aveva il coraggio di dirlo ad alta voce molti pensavano che forse arrendersi era l’unica speranza che avevano per cercare di uscirne vivi, ma era un’eventualità che nessuno voleva prendere in considerazione.

Louise un’idea ce l’aveva, ma era terribilmente azzardata, soprattutto per lei e per il suo bambino.

Ma d’altra parte, che altre soluzioni avevano?

Meglio quella sorte che fare da incubatrice vivente per quei miserabili.

«Professor Colbert.» disse con un filo di voce «Può prestarmi il suo bastone?».

Tutti si guardarono tra di loro un po’ perplessi, ma alla fine Colbert volle fidarsi e le lasciò il bastone; Louise lo prese con entrambe le mani, concentrandovi tutta l’energia a sua disposizione, e di colpo, un chilometro circa di fronte alla nave, prese a materializzarsi un portale dimensionale.

«Louise, che stai facendo?» esclamò Saito.

Più che un’idea era un vero azzardo, e gli effetti non tardarono a farsi sentire. Aprire una porta per viaggiare da una zona all’altra di Halkengina era sicuramente meno faticoso che aprirne una per la Terra, ma se doveva essere abbastanza grande per farci passare una nave intera allora era un bel problema.

Quasi subito la ragazza sentì il solito dolore al ventre, spasimi di un feto che cercava istintivamente di trattenere con le unghie e con i denti l’energia del quale egli stesso si nutriva, e ogni parola dell’incantesimo era un agonia.

«Louise, smettila! Così ti farai male!»

«È l’unica speranza che abbiamo…» mugolò lei a denti stretti

«Ma è impossibile riuscire ad aprire un varco così grosso! Non nelle tue condizioni almeno.»

«Ce la posso… ce la posso fare. Devo solo concentrarmi.»

«Louise!»

«Lasciala fare, Saito-kun

«Colbert-sensei…».

Ormai Louise aveva preso la sua decisione, ed era inutile cercare di farle cambiare idea. Tanto più che, tenendo conto di quello che la attendeva in caso di cattura, arrendersi era un’eventualità che lei per prima non voleva prendere in considerazione.

Così, alla fine Saito si rassegnò, ma senza rinunciare a stringerle la mano.

«Sono qui, Louise. Ti sono vicino. Ti siamo tutti vicino. Fai del tuo meglio».

Rinfrancata dalla vicinanza dei suoi compagni la ragazza cercò di dimenticare il dolore, e faticosamente continuò a recitare il suo incantesimo; ad ogni parola il varco si ingrandiva, senza che tuttavia se ne potesse scorgere la porta di uscita, e a quel punto anche Tiffa volle metterci del suo, cercando per quanto possibile di dare al sortilegio più stabilità possibile per evitare che collassasse richiudendosi.

Anche gli elfi si accorsero di quanto stava accadendo, ma non compresero appieno la vera natura del fenomeno fino a quando il portale, terminato l’incantesimo, non raggiunse dimensioni mastodontiche, grandi abbastanza perché la Valliere potesse attraversarlo.

«Ce avete fatta, miss Valliere!» esclamò Seena.

Tuttavia, si trattava di una porta troppo grande e troppo instabile per restare aperta a lungo, ed infatti prese subito a richiudersi.

«Motori avanti tutta! Entriamo lì dentro!»

«Sì, comandante!».

La nave accelerò fino alla velocità massima che le sue condizioni le consentivano, sempre bersagliata dalle aeronavi elfiche che, avendone capito i piani, intendevano fermarla a tutti i costi.

«Sparate, sparate!» continuava a strillare Eshamel «Non devono fuggire!».

Era una corsa contro il tempo, con il varco che si chiudeva sempre più davanti e i cannoni degli elfi alle spalle, ma per chissà quale miracolo la Valliere, alla fine, l’ebbe vinta, riuscendo a penetrare all’interno del portale un attimo prima che questo scomparisse, lasciando gli inseguitori con un palmo di naso.

Esame era talmente infuriato che sbriciolò il calice di vino che aveva tenuto in mano per tutto il tempo.

«Maledizione!» sbraitò lanciandone via i resti «Ci hanno beffati!»

«Non è ancora detta l’ultima parola.» rispose calmo Eruvere «Il varco non era molto solido, e in quelle condizioni non andranno comunque lontani.

Sono sicuro che se iniziamo subito a cercarli li troveremo presto».

 

 

Nota dell’Autore

Eccomi qua!^_^

L’avevo detto che stavolta ci avrei messo poco.

E così, alla fine l’ho scritto. Questo era uno dei momenti che aspettavo con più trepidazione, ed il fatto che abbia aggiornato in tempi molto rapidi è la conferma al fatto che non vedevo l’ora di scriverlo.

Mi ci voleva proprio una bella battaglia, di quelle con i controfiocchi, ma questo è stato solo l’antipasto. Quelle che verranno da ora in avanti saranno anche meglio.

Con il prossimo capitolo, che potrebbe essere piuttosto lungo, le vicende relative a questo ennesimo viaggio saranno finite, e la situazione da qui in avanti inizierà a precipitare velocemente. Tornerà in scena la compianta Maschera di Ferro, il cui mistero sarà finalmente svelato, e assieme a lui il caro vecchio Santin, che pericoloso come non mai si prepara a marciare su Tristania.

Come finirà?

Restate sintonizzati!

A presto!^_^

Carlos Olivera

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Capitolo 45
*** 41 ***


41

 

 

Più che uno dei soliti portali, quello aperto da Louise in quella particolare circostanza, complici le sue condizioni di salute precarie e l’averlo creato assieme a Tiffa, assunse caratteristiche anomale, e piuttosto che limitarsi a trasferire la Valliere e tutto il suo equipaggio in un altro luogo la sparò letteralmente fuori dopo averla risucchiata al proprio interno e averla lasciata, per un periodo di tempo indefinibile, prigioniera di una sorta di limbo dimensionale.

Dal punto di vista di Saito e degli altri non erano trascorsi che pochi istanti, giusto il tempo di rendersi conto di aver attraversato il varco, ma per quanto ne sapevano potevano essere trascorse anche diverse ore, e ripresa coscienza del fatto di essere riusciti in qualche modo a sopravvivere i ragazzi si avvidero di stare navigando sopra una sterminata distesa di sabbia.

E quello che era peggio, era chiaro come il sole che splendeva sopra le loro teste che la nave non in quelle condizioni non avrebbe volato ancora a lungo, infatti stava già iniziando a perdere quota.

«Ma che diavolo sta succedendo!?» sbraitò Quintus «Che ci facciamo nel bel mezzo del deserto!?»

«Non è possibile!» disse Louise «Io ho aperto il varco perché si riaprisse in mezzo al mare!»

«Probabilmente il varco non è stato creato con la giusta cura.» ipotizzò Colbert

«Ne parliamo dopo, ora cerchiamo di arrivare a terra vivi!» tagliò corto Kaoru «Iniziare manovre per atterraggio di emergenza!»

«Sì comandante!»

«Diminuire la velocità! Portiamoci al rodaggio minimo!».

La Valliere effettivamente iniziò quasi subito a perdere di spinta, ma nonostante ciò questo non le impedì di continuare imperterrita nella sua discesa verso il basso.

«Così non va, non riusciamo a rallentare!» ringhiò Quintus

«Se tocchiamo terra a questa velocità ci disintegreremo.» disse Kaoru «Alleggerire il carico! Gettate fuori bordo tutto quello che non ci serve! Convogliare tutta l’energia che ci resta nella pietra di levitazione, anche quella propulsiva! Se riesce anche solo a farci planare dovremmo farcela!».

Era un’operazione rischiosissima, far passare tutta quella magia in un sistema di alimentazione già di per sé non adatto a sopportare un simile carico, e che tenuto conto anche dei danni riportati rischiava di collassare polverizzando l’intera nave assieme a tutto il suo equipaggio.

Invece, per chissà quale miracolo, il sistema resse, e la pietra, ancora attiva, prese a risplendere ancora più forte, riuscendo da sola a sopportare le quarantamila e passa tonnellate della Valliere. La nave, a quel punto, seguitò per inerzia a procedere in avanti, ma la sua velocità di discesa calò sensibilmente.

Il problema però restava il suolo sottostante, costellato di dune e formazioni rocciose che, se colpite anche solo blandamente, rischiavano di fare a pezzi la nave.

«Laggiù!» indicò ad un certo punto Seena.

Tutti volsero lo sguardo in quella direzione; ad un paio di miglia a sinistra della nave, come un immenso lago asciutto, vi era una enorme dolina pianeggiante, ideale per un atterraggio di emergenza.

«Se riusciamo a scendere lì, la sabbia morbida attutirà l’urto!» esclamò Kaoru

«Ma come facciamo a virare?» chiese Quintus «Abbiamo tolto ogni energia anche ai sistemi di guida! Non possiamo virare!»

«Vuol dire che ricorreremo a sistemi poco ortodossi».

Era risaputo che un qualunque peso risultava meno difficoltoso da spostare se sospeso nell’aria.

C’erano cinque draghi imbarcati in quel momento a bordo della Valliere, che furono subito fatti decollare; guidati dai loro cavalieri, afferrarono saldamente la prua della nave con le zampe posteriori, per poi prendere a tirare con tutta la loro forza.

A loro si unì anche il professor Colbert, che invocò le raffiche di vento più forti che gli riuscì di creare, e alla fine, incredibilmente, la Valliere prese lentamente a virare, riuscendo infine a mutare la propria direzione proprio verso la dolina.

Come presero a sorvolare l’immensa distesa, abbassandosi sempre di più, quale ulteriore misura precauzionale Kaoru ordinò di inondare la sabbia con tutta l’acqua imbarcata sulla nave tramite le pompe antincendio per renderla ancora più soffice e attutirsi la caduta; rischiavano di restare senza riserve in un luogo in cui l’acqua valeva come l’oro, ma per il momento l’importante era restare vivi.

A quel punto, tutto era nelle mani del destino.

«Reggetevi!» urlò Kaoru quando ormai mancavano pochi metri al suolo.

Tutti sulla plancia fecero appena in tempo a buttarsi a terra, aggrappandosi a qualunque cosa avesse anche solo un aspetto solido, che la prua della nave toccò il suolo sprofondando violentemente nella sabbia assieme al resto della chiglia.

L’urto, pur alleggerito, fu davvero tremendo, abbastanza da far tremare e scricchiolare tutta la Valliere. I ragazzi furono sbalzati in ogni direzione, e qualcuno perse anche la presa sul proprio appiglio, fortunatamente senza conseguenze.

Per interminabili secondi, così lunghi da sembrare ore, la Valliere seguitò a strisciare sulla sabbia, fortunatamente senza prendere fuoco, o peggio ancora frantumarsi, lasciandosi alle spalle un solco profondissimo e vere e proprie eruzioni di polvere; poi finalmente, giunta quasi al centro della dolina, si fermò, ed era a tal punto sprofondata nella sabbia che rimase quasi immobile, inclinandosi solo leggermente verso sinistra.

Dopo molti attimo, la prima che ebbe il coraggio di aprire gli occhi fu Kiluka, la quale si meravigliò del fatto stesso di poterlo fare.

«Siamo… siamo vivi!?».

A quel punto, tra l’equipaggio esplose la gioia.

 

Passato il comprensibile momento dei festeggiamenti, venne quello di fare la conta dei danni.

I marinai si misero subito all’opera. Come prima cosa bisognava riparare i sistemi di alimentazione per permettere alla nave di alzarsi nuovamente in volo, e grazie al cielo i ricambi non mancavano;  oltretutto, come una rapida osservazione dei dintorni da parte di Bidashal e degli altri elfi aveva dimostrato, si trovavano in una zona di deserto ad una sessantina di miglia dalla capitale, e quindi relativamente vicini al mare.

Louise tra tutti era la più provata; evocare quel portale le era costato un’enorme fatica, ma tutto sommato stava abbastanza bene.

«Come stai?» continuava tuttavia a chiederle Saito

«Tranquillo. Ora è tutto a posto.» rispondeva ogni volta lei, mentre la debolezza scompariva poco a poco.

Kaoru e Quintus nel mentre erano ai piedi della nave, intenti ad ispezionarne i danni esterni.

«Alla fine di tutto, non è così grave come si potrebbe pensare.» disse il comandante «Sarà sufficiente qualche riparazione di fortuna e potrà reggere il mare senza problemi.»

«Sarà meglio fare in fretta.» disse Kaoru «Sicuramente quegli elfi ci staranno ancora cercando».

Improvvisamente, senza un apparente motivo, Quintus si mise dritto sull’attenti, portandosi la mano alla fronte.

«Signore!» disse solennemente «Mi scuso anzitempo per quello che sto per fare!»

«Come!?».

Un diretto da knock out si abbatté come una cannonata sullo zigomo del ragazzo, che colto alla sprovvista non riuscì in alcun modo a schivarlo o incassarlo e precipitò a sedere sulla sabbia dopo averlo preso in pieno.

Tutti coloro che avevano visto rimasero di stucco, e lo furono ancora di più quando si avvidero dell’espressione furente comparsa da un istante all’altro negl’occhi di Quintus.

«Si può sapere che ti è saltato in mente?» tuonò sovrastandolo

«Quintus, che succede?» disse Saito avvicinandosi di corsa con tutti gli altri

«Ti rendi conto che avresti potuto ucciderci tutti, assieme a molti altri innocenti? Si può sapere per quale motivo ti sei comportato così, prima?»

«Kaoru, ma di che sta parlando?» chiese Louise.

Nessuno dei due rispose, e anzi Kaoru chinò il capo, lo sguardo perso in una espressione confusa che nessuno gli aveva mai visto.

«Noi tutti abbiamo grande rispetto per voi, comandante.» disse ancora Quintus placando il tono della voce, quasi mortificato «Senza il vostro aiuto non saremmo mai stati in grado di cavarci dalle molte situazioni difficili che ci sono toccate in sorte. E proprio per questo risulta difficile a noi tutti, e a me in particolar modo, riuscire a capire il perché di un tale comportamento».

Di nuovo, Kaoru esitò prima di rispondere.

«Io non so che cosa mi sia preso.» disse guardandosi le mani «Ogni tanto mi sento come se ci fosse un’altra persona dentro di me, un essere sanguinario e violento, che a malapena riesco a controllare.»

«E sarebbe questo altro te stesso a farti agire in questo modo?» domandò Colbert, che aveva capito a sua volta

«Ci convivo dal primo giorno della mia vita di cui abbia memoria. Di solito riesco a contenerlo, ma alle volte viene fuori, e a quel punto neppure io mi rendo conto di quello che faccio».

Seguì un nuovo silenzio, poi Saito si fece avanti, porgendo la mano all’amico.

«Te l’ho già detto, se non sbaglio. Non sei da solo a combattere questo altro te stesso, o qualunque cosa sia.

Hai un sacco di compagni pronti ad aiutarti, quindi non esitare mai a chiedere il nostro sostegno.»

«Saito…».

Kaoru restò un attimo basito, poi, ritrovato il coraggio, accettò l’aiuto di Saito a rialzarsi.

Il lavoro riprese, alacremente e con ritrovata fiducia. Tutti sapevano che Eshamel e i suoi seguaci non si sarebbero arresi, ed era necessario andarsene quanto prima per evitare guai.

Gli elfi, però, sembravano inquieti, e Bidashal in particolare. Da che avevano toccato terra se ne era rimasto da solo, in disparte sulla cima di una duna, con gli occhi fissi sull’orizzonte e l’espressione preoccupata.

Luctiana lo raggiunse; anche lei sembrava avere qualcosa per la testa.

«È decisamente un segno del destino.» disse Bidashal sospirando

«Vorresti dirglielo?».

I due elfi si guardarono, quindi tornarono da Saito, impegnato assieme agli altri marinai a spalare la sabbia per liberare la Valliere e permetterle di decollare.

«C’è una cosa che vorremmo mostrarvi.» disse Bidashal «A te e a Louise.»

«Di che si tratta?»

«Lo vedrai quando saremo arrivati.» tagliò corto Luctiana «Fidati, è importante.»

«Non è molto lontano da qui. Camminando di buona lena, in poche ore potremmo arrivarci.»

«Come volete, ma non sarà facile muoversi in questo deserto. L’acqua è razionata, e i nostri draghi sono ancora esausti. L’unico che non lo era lo ha preso Ari per andare in perlustrazione.»

«Questo non sarà un problema.» disse Kaoru sopraggiungendo assieme al professor Colbert.

 

A bordo della nave, oltre alle armi e agli aerei, vi era anche un autoblindo abbastanza grande da portare otto persone, ed equipaggiato in modo da poter viaggiare tranquillamente anche nelle infide sabbie del deserto.

Così, Saito e Louise si misero in viaggio, accompagnati dai due elfi e da Kaoru, l’unico che sapesse come si guidava quell’affare; c’erano anche il professor Colbert, Tifa, e Kiluka, invitati su esplicita richiesta di Bidashal.

Anche Seena si sarebbe voluta unire al gruppo, se non altro per seguire la sua signorina, ma i posti erano quelli che erano.

«Tranquilla.» aveva detto Louise «La terremo d’occhio».

Viaggiarono per una trentina di minuti, seguendo le indicazioni di Bidashal, seduto al posto del passeggero, fino a che il lontananza non cominciò a comparire una costruzione, ma solo quando vi furono ai piedi i ragazzi poterono percepirne le reali dimensioni.

Doveva trattarsi di un tempio, o forse di un palazzo, ma in ogni caso era immenso, anche se erano evidenti i segni di un lungo e inevitabile declino.

Tramite un lungo viale lastricato si accedeva ad un edificio formato da un basamento rettangolare raggiungibile tramite un’altissima scalinata e sormontato da tre alte piramidi, con quella centrale a svettare sopra le altre, e un po’ ovunque dalla sabbia spuntavano guglie, minareti e un numero incalcolabile di statue; contornava il tutto un ampio colonnato formato da una selva di obelischi, molti dei quali ormai erano parzialmente crollati, che come sbarre di una gabbia cingevano l’edificio formando un cerchio perfetto.

Il tempo aveva fatto il suo dovere, e così il deserto, poiché era evidente anche ad occhio nudo che una parte più o meno grande della struttura doveva essere stata sepolta, per non parlare dell’aspetto diroccato e decadente, anche se tutto sommato le mura sembravano alla vista abbastanza solide e ben conservate.

«Questo posto è immenso.» disse incredulo Saito, rimasto come tutti gli altri a bocca aperta

«È uno dei luoghi più sacri del popolo elfico.» disse Luctiana «Lo chiamiamo Sanek Maktur

«La Culla del Sapere.» tradusse Colbert.

Bidashal evocò nelle mani una sfera di luce, palesando la su volontà di varcare il portone mezzo sfondato dell’edificio in cima alle scale.

«Il motivo dell’odio tra le nostre razze, e la ragione del terrore degli elfi per i maghi del vuoto, sono entrambe racchiuse in questo luogo.» disse aprendo il gruppo «Seguitemi».

Tutti a quel punto si accodarono, ma Kaoru rimase indietro, guardandosi attorno con aria spaesata.

Aveva una strana sensazione.

Avvertiva un qualcosa di insolito in quel luogo, quasi di famigliare, e nella sua mente era un susseguirsi di suoni, rumori, e pensieri evanescenti.

«Kaoru, cos’hai?» domandò Seena vedendo la sua espressione spaesata

«Niente.» dissimulò lui tornando in sé

«Sei sicuro?» disse Louise «Sei pallido.»

«È solo colpa del sole. Non ci sono abituato. Voi andate pure avanti, io vi raggiungo subito».

Saito e gli altri non erano del tutto convinti, ma alla fine vollero fidarsi del loro amico; dopotutto aveva passato un gran brutto momento, ed era naturale che volesse restare un po’ da solo. Così, lo lasciarono solo.

 

Ari sorvolava il cielo ormai da un paio d’ore, nella speranza che quanto prima lo chiamassero con quella strana scatolina nera per avvisarlo che tutto era pronto e che potevano ripartire.

Gli umani erano proprio degli incapaci. Era bastato un niente per sfinire i loro draghi, e come se non bastasse non erano neanche paragonabili come capacità e velocità a quelli usati dal suo popolo. Di sicuro gli addestratori di draghi umani avevano ancora molto da imparare.

Oltretutto il drago che stava cavalcando non sembrava averlo preso in simpatia, forse percependo l’astio nei suoi confronti, e ignorava bellamente la maggior parte dei comandi, oppure li eseguiva solo dopo ripetuti richiami.

«So che non ti sono simpatico.» mugugnò infine l’elfo «Ma per fortuna la nostra collaborazione non durerà ancora a lungo. Cerchiamo di andare d’accordo solo per un po’, poi ognuno per la sua strada».

L’animale sembrò capire, e infatti prese ad obbedire con più celerità, diventando maggiormente controllabile.

D’improvviso, in lontananza, i suoi occhi di elfo scorsero nitidamente qualcosa, e fortunatamente riuscì ad infilarsi in una nuvola giusto in tempo per non venire avvistato. Un attimo dopo, sotto i suoi occhi vide passare una grossa aeronave elfica da combattimento, e nonostante la vista annebbiata poté scorgere nitidamente Eshamel ed Eruvere in piedi sul ponte di comando, lo sguardo all’orizzonte e l’espressione tronfia, di chi sa di essere prossimo alla vittoria.

Attaccarli era un suicidio, e dovette attendere che si allontanassero per uscire dal suo nascondiglio.

«Maledizione, hanno fatto prima del previsto!» ringhiò.

Veloce come più non poteva fece ritorno alla nave, passando per un percorso alternativo per non rischiare di farsi localizzare, ma tornato indietro trovò con suo grande sgomento la Valliere già assaltata e sopraffatta da un nutrito schieramento di truppe ed aeronavi capeggiate da Maddarf.

Quintus e i suoi uomini erano stati colti di sorpresa, e prima che potessero abbozzare una qualche difesa erano stati immediatamente circondati, quindi non avevano avuto altra scelta che arrendersi.

Ora erano tutti ammassati sul ponte, inginocchiati e legati, e anche se gli elfi non avevano idea di come farla funzionare la Valliere era virtualmente persa.

Per fortuna Ari fu abbastanza accorto e scaltro da non farsi vedere, ma questo non migliorava la situazione.

«Dannati schifosi.» mugugnò serrando i denti «Sono passati per strade alternative».

Subito dopo, però, tenendo conto anche del fatto che non vedeva traccia del suo maestro e dei suoi amici umani tra i prigionieri, lo colse un atroce sospetto: se la Valliere era già stata presa, allora dov’era diretta quell’aeronave che aveva schivato per poco?

 

Invece che migliorare, il malessere provato da Kaoru fin dall’istante in cui aveva messo piede in quel complesso monumentale si stava facendo sempre più insistente.

Era come se qualcuno gli stesse sussurrando perennemente nell’orecchio, anche se tutto quello che gli giungeva era solamente un brusio confuso ed insopportabile, da fargli venire voglia di strapparsi i timpani.

«Che cosa ti succede, compare?» gli chiese Derf, senza però ottenere alcuna risposta.

Quella sensazione lo tormentava.

In qualche modo, era sicuro di esserci già stato in quei luoghi.

Ma quando? E perché?

Non era la prima volta che provava quella sensazione. Gli era capitato anche a Fort Segoile, a Tristania, e qualche volta gli capitava perfino a Grasse, ma ora era quasi insopportabile. Forse era per via dell’imponenza e della maestosità di quelle rovine, forse a causa del potere di cui erano sicuramente permeate, fatto sta che non riusciva a togliersi quel fastidio dalla testa.

Prese a camminare senza meta, estremo tentativo di non pensarci, ma ogni volta che alzava gli occhi dalla sabbia tutto ricominciava, diventando sempre più forte.

Ogni sasso, ogni colonna, ogni geroglifico che copriva i muri sembrava chiamarlo, e volergli raccontare qualcosa.

Continuò a ripetersi di non doverci pensare, se non che, da un istante all’altro, quel suono indistinto sembrò acquistare di colpo un po’ più di significato, tramutandosi in un coro di voci sovrapposte ma in qualche modo nitidamente percepibili.

Una luce invisibile lo accecò per un attimo, e quando riaprì gli occhi non era più solo.

Attorno a lui c’erano decine di persone, soldati di Tristain apparentemente, intenti a posizionare in ogni dove strani barilotti in legno, sotterrandone alcuni e lasciandone altri ai piedi dell’edificio principale.

Sembravano un esercito di fantasmi, tanto apparivano lontani e indistinguibili.

O forse il fantasma era proprio lui.

Difficile a dirsi.

Quale che fosse la verità quegli uomini non lo degnavano di uno sguardo, seguitando nel proprio lavoro come non si fossero neppure accorti della sua presenza.

Una voce lo scosse.

«Mi raccomando, piazzatele dappertutto! Questo posto deve essere ridotto in macerie!».

Voltatosi, i suoi occhi furono catturati da un individuo in piedi sopra ad una montagnola di sabbia che gli dava le spalle, rinchiuso all’interno di una scintillante corazza argentata e con un lungo mantello a coprirgli le spalle, nero e fluente come i suoi capelli.

Fece qualche passo avanti, verso quella figura dalla quale si sentì stranamente attratto, senza che però questa, come tutte le altre, si accorgesse di lui.

«Comandante, abbiamo finito.» disse un soldato avvicinandosi a lui «Possiamo far saltare in aria il tempio in qualunque momento.»

«Molto bene. Fai ritirare tutti e da ordine alla Valliere di preparare tutto per una rapida fuga. In fin dei conti, siamo in pieno territorio nemico».

Solo in quel momento Kaoru si accorse di avere la Valliere a levitare sopra la propria testa, intatta e scintillante come appena riparata, e senza alcun segno apparente dello scontro da cui invece era appena uscita.

Nell’istante in cui il giovane rivolse il proprio sguardo prima alla nave e poi nuovamente dinnanzi a sé l’uomo in armatura si volse, e nell’istante in cui furono occhi negli occhi Kaoru si sentì morire dentro.

«Ma cosa…» riuscì a balbettare con la bocca spalancata.

Poi, come quando ci si risveglia da un brutto sogno, tutto scomparve, interrotto da uno sgradevole suono di passi di corsa.

Pur sconvolto, Kaoru si fece forte del proprio addestramento da soldato, anche se come ritornò in sé, mettendo subito mano all’elsa della spada, si ritrovò immediatamente circondato da un piccolo esercito di elfi, tutti con le spade e le lance sguainate e puntate nella sua direzione.

Davanti a lui, Eshamel ed Eruvere, che lo fissavano sornioni.

«E questo sarebbe l’umano di cu avevate tutti paura?» pontificò Eshamel «A me sembra uguale a tutti gli altri. Forse anche persino più sprovveduto.»

«Che ti succede?» gli domandò Eruvere «Ti eri addormentato?».

Kaoru malgrado tutto non sembrava determinato ad arrendersi, malgrado fosse da solo contro una trentina di elfi.

«Compare, sei sicuro di volerlo fare?» gli domandò Derf

«Il tuo amico ha ragione.» disse Eshamel «Sarai anche forte, ma affrontare da solo tutti i miei uomini è un suicidio. Se ti lasci semplicemente uccidere ti risparmierai ulteriori sofferenze.»

«Mettimi alla prova.»

«Come vuoi».

Ad uno schioccare di dita gli elfi partirono all’attacco, e con la stessa rapidità Kaoru prese a farne scempio.

Ciò nonostante era una sfida impari, ed il ragazzo incassò più di un colpo, fortunatamente non letali, ma sufficienti ad indebolirlo.

Con la forza della disperazione Kaoru riuscì ad eliminare più di una decina di avversari, spaventando a tal punto i superstiti da spingerli a tenere le distanze.

Passato il momento di sicurezza persino Eshamel prese a spaventarsi, mentre di contro Eruvere rimaneva calmo ed impassibile.

Improvvisamente, Eruvere fece un passo avanti, puntando il dito contro Kaoru.

«Fermo!» annunciò come un editto.

Kaoru era molto provato, e tutto gli faceva male, ma in quell’istante si ritrovò come paralizzato, incapace di muoversi. Il suo corpo, già rigido, sembrò farsi di pietra, e per quanto si sforzasse non gli riusciva di far altro che tremare vistosamente, senza però poter muovere neppure un dito.

«Compare! Che ti succede?»

«Non… non riesco… a muovermi…»

Tutti, tra gli elfi stessi, restarono basiti.

«E ora…» sorrise Eruvere «Usa quella spada… su te stesso».

Di nuovo, Kaoru sentì di non avere il controllo del suo corpo, il quale, piantatosi a terra a gambe divaricate, afferrò saldamente la katana per la lama, rivolgendola verso di sé all’altezza del cuore. Il ragazzo combatteva con tutte le sue forze, ma non c’era niente da fare. Era come se qualcun altro lo stesse muovendo attraverso dei fili, quasi fosse stato una marionette.

«Compare!».

Un solo colpo, violentissimo. Kaoru quasi si trapassò da parte a parte, e come ritrasse la lama la sabbia si tinse del sangue che prese a sgorgare a fiotti sia dalla ferita che dalla bocca e dal naso, violentemente tossito all’esterno negli spasimi della morte.

Il ragazzo non riusciva a crederci, così come non riusciva a credere di essere giunto alla fine. Avvinto, rantolò nel suo sangue, finalmente libero dalle catene ma moribondo.

«Non temere.» riuscì a sentire mentre la vista gli si offuscava e gli occhi si chiudevano «Non sarai solo nella strada per l’oltretomba. Altri verranno presto a farti compagnia».

 

 

Nota dell’Autore

Eccomi qua!^_^

È passato un po’ di tempo, ma finalmente sono riuscito ad aggiornare.

Un capitolo interessante, che ne dite?

Il prossimo, ve lo garantisco, lo sarà ancora di più!

Comunque state tranquilli, stavolta non vi farò aspettare tanto. Dopotutto non sarei mai così fetente da far passare troppo tempo dopo aver concluso il capitolo in un modo simile.

Grazie a tutti quelli che leggono o recensiscono.

A presto!^_^

Carlos Olivera

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Capitolo 46
*** 42 ***


42

 

 

Le pareti interne del tempio erano tutte un’unica, immensa distesa di geroglifici e bassorilievi.

Quel posto era una vera macchina del tempo della storia elfica, ed era un peccato non riuscire a capire cosa quelle scritte millenarie avessero da dire, tanto antico e morto era l’alfabeto utilizzato.

Il professor Colbert era il più meravigliato di tutti, e sembrava un bambino in un negozio di giocattoli; avrebbe passato la vita a studiare quei simboli nella speranza di decifrarli, e anche Saito e gli altri erano senza parole.

«Non restate indietro.» li ammonì Bidashal vedendoli ammaliati dallo spettacolo che avevano intorno «In questo posto perdersi è molto facile».

Gli elfi condussero i ragazzi dapprima attraverso l’immenso atrio circolare prospiciente l’ingresso, quindi lungo l’intricato reticolo di scale, corridoi e rampe che scendevano verso il basso, a riprova del fatto che quel luogo era in realtà molto più grande e imponente di quanto apparisse in superficie.

Ogni singolo angolo, ogni muro, era decorato, e fu sorprendente notare come molti dei bassorilievi che coprivano le pareti raffigurassero apparecchiature apparentemente anacronistiche rispetto al periodo a cui quelle rovine dovevano risalire, quali aeronavi, armi da fuoco e varie altre tecnologie proprie dell’odierna Halkengina.

Ma la sorpresa più grande doveva ancora venire.

Nel punto più profondo di quella monumentale struttura sorgeva una stanza immensa, una vera cattedrale sotterranea perfettamente circolare, fatto salvo una specie di ampio altare rettangolare opposto all’ingresso posto su di una rampa leggermente rialzata, sul quale capeggiava un imponente trono di pietra; il soffitto, altissimo, era a volta, così alto che le torce non riuscivano ad illuminarlo, mentre sul pavimento era tracciato quello che aveva tutta l’aria di essere un pentacolo magico a cinque punte, simile a quelli usati dagli umani, con altrettanti troni poco più piccoli del primo ad ogni sommità a formare quasi una tavola rotonda.

E poi geroglifici, ovunque e di ogni dimensione, così tanti da far impallidire persino il più saggio degli studiosi.

«È incredibile.» disse Kiluka

«La Sala della Memoria.» disse Bidashal «In queste rovine è racchiusa tutta la nostra storia.»

«Mai visto niente di simile.» disse Colbert «Questi geroglifici sono antichissimi. E questi disegni, poi… che cosa raffigurano?»

«Ho trascorso tutta la vita a studiare questo luogo, e nonostante tutto sono riuscito a ricostruire solo una parte infinitesimale delle innumerevoli testimonianze trascritte su queste pareti.»

«Per centinaia d’anni, questo postò è stato tabù per la nostra gente.» disse Luctiana «E teoricamente lo è ancora oggi. Il professor Bidashal si è preso molti rischi per poterlo esplorare.»

«Ma ne è valsa la pena. Questi geroglifici raccontano la nostra storia più antica. Sono lo scrigno che custodisce le origini della nostra civiltà. Anzi, di tutto questo continente.» quindi Bidashal si incupì «Anche il lato più oscuro»

«Che intendi dire?» domandò Saito.

L’elfo iniziò così una lunga ed incredibile narrazione, illuminando di volta in volta con il suo globo magico le porzioni di muro che come una pellicola si dipanavano nel raccontare la più antica delle storie.

«Tutto ebbe inizio all’incirca ottomila anni fa. Un’epoca lontana, in cui tutti i popoli di Halkengina vivevano ancora da selvaggi, cacciando nei boschi e dormendo nelle grotte.

Un giorno, i saggi dèi che governano tutte le cose osservarono dall’alto questo mondo, e videro che gli elfi, malgrado tutto, erano degni di ricevere la loro conoscenza.

Così, discesero dal cielo, portando sulla terra la loro città celeste, e nel luogo in cui essi posarono i piedi sorse come d’incanto una valle rigogliosa, traboccante di vita.

Fecero dono della magia agli elfi, ed in cambio essi li adorarono, erigendo in loro nome questo grande tempio per celebrare la loro magnificenza.

Nell’arco di questi secoli questa giovane civiltà crebbe, perennemente illuminata dalla luce degli dèi, fino ad abbracciare tutta la parte orientale di Halkengina.

Come simbolo del loro amore per la razza degli elfi, i saggi dèi scelsero tra loro cinque dei più illustri sapienti, perché diventassero le guide del nostro popolo conducendolo alla grandezza, e facendo dono ad ognuno del controllo del controllo di un elemento, cosicché nessuno sarebbe potuto esistere senza gli altri al fine di preservare l’ordine del mondo.

In principio questi cinque guardiani regnarono in armonia, nel rispetto dei vincoli di lealtà e fratellanza. Ma poi, un brutto giorno, uno di loro iniziò ad ambire ad ottenere maggior potere.

Ciò che per volontà divina era stato creato per essere unito, venne diviso dai più bassi desideri mortali. Mosso dall’avidità, costui insegnò la magia anche agli uomini, primitivi e violenti, e ne fece il proprio esercito.

Forti del loro nuovo potere, gli umani attaccarono queste terre, e ne nacque una guerra apocalittica. I quattro guardiani rimasti fedeli al proprio credo tentarono a lungo di riportare il loro compagno alla ragione e porre fine al conflitto, ma più la guerra procedeva più loro stessi iniziarono a cadere preda della sete di potere.

Il male del mondo mortale aveva infine corrotto anche gli dèi, e quello che era iniziato come un conflitto tra due razze, così, divenne un devastante scontro fratricida senza veri schieramenti.

Gli uomini combattevano gli uomini, gli elfi combattevano gli elfi, e tutta Halkengina sprofondò in un bagno di sangue. Nel pieno di questo massacro, i cinque guardiani finirono per uccidersi a vicenda, e con la loro morte la guerra ebbe finalmente fine.

Ma di quella civiltà, e della sua grandezza, ormai non rimaneva più niente.

Una cosa però era certa. Umani ed elfi ormai non avrebbero più potuto vivere in armonia, giacché gli elfi accusavano gli umani di aver contribuito a far sorgere la apocalisse, mentre viceversa gli umani imputavano agli elfi di non aver voluto dividere dal principio con loro le conoscenze degli dèi lasciandoli nella loro barbarie preistorica.

Le due razze furono così divise da un’atavica rivalità, unita solo dal terrore comune per quel potere oscuro che era stato all’origine di tutto quel male, e separatamente ricostruirono ognuno la propria civiltà, mentre quella che le aveva precedute andò invece incontro all’oblio».

Negli sguardi di tutti, da Saito al professor Colbert, Bidashal e Luctiana lessero l’incredulità più assoluta; anche Tiffa era sconvolta, non avendo mai saputo niente di tutta quella storia, tanto era stata dimenticata e sepolta per secoli.

Gli occhi di tutti in particolare erano rivolti al bassorilievo che mostrava la discesa degli dèi sulla terra, in piedi sopra la loro città celeste che come un’astronave planava dalle stelle tra l’adorazione degli elfi prostrati sotto di essa.

«È una storia quasi inverosimile.» disse Louise

«In effetti, nei resoconti storici della nostra razza.» spiegò Colbert ugualmente atterrito «Non vi è alcuna menzione sull’uso o sulla conoscenza della stregoneria che risalga a prima di seimila anni fa.»

«Quindi, il dio che iniziò la guerra sarebbe stato colui che custodiva la magia del Vuoto.» disse Saito

«È così.» rispose Luctiana «Le iscrizioni parlano di un potere più grande di qualunque altro mai visto prima, in grado di manipolare lo spazio e il tempo equiparando da solo gli altri quattro elementi messi insieme.»

«Ora è chiaro.» disse ancora il professor «Ecco spiegato l’odio degli elfi. Odiano gli uomini per aver provocato il crollo della loro prima civiltà, e temono i maghi del vuoto perché incarnano il potere di colui che ha reso possibile questo crollo.»

«Seppur con alcune imprecisioni e le inevitabili sporcature proprie della tradizione orale.» spiegò Bidashal «Questa storia è nota a tutti sottoforma di leggenda. Per molto tempo ho creduto che non si trattasse d’altro che di questo, ma quando ho visto tutto questo le mie certezze sono crollate».

Una raffica di fasci luminosi irruppe alle spalle dei ragazzi interrompendo la discussione, e anche se nessuno rimase ferito quando i ragazzi si voltarono si videro la via di fuga sbarrata da un nutrito schieramento di guardie elfiche, al cui comando vi erano Eruvere ed Eshamel.

«La lezione di storia è finita, amici miei.» disse malevolo Eruvere.

 

All’esterno era rimasta solo una coppia di soldati al comando di Maddarf, che come la tradizione comandava avevano dato sepoltura ai loro compagni morti nello scontro con Kaoru e stavano ora sorvegliando l’entrata.

«Non dovremmo seppellire anche lui?» domandò una delle guardie buttando un occhio al corpo di Kaoru, riverso sulla pancia in un lago di sangue

«Un umano?» replicò l’altro disgustato «E dopo quello che ha fatto ai nostri compagni? Che se lo mangino gli sciacalli».

Maddarf si avvicinò al giovane umano, certamente morto, cercando di scorgere qualcosa in quel suo volto martoriato.

«Seppellitelo

«Come!?» disse il secondo, basito

«Ha combattuto con valore. Si merita una tomba decorosa.»

«Ma signore, è un Umano!»

«E noi siamo elfi. Migliori degli umani.

E ogni guerriero merita il medesimo rispetto, se ha combattuto con valore.

Fate come vi ho detto.

Io torno all’ingresso».

Seppur con evidente disappunto, soprattutto da parte del secondo, i due soldati si misero al lavoro, e mentre uno scavava una fossa abbastanza profonda l’altro, raccolta una pietra, prese ad intagliarla con la magia per darle le fattezze di una lapide da apporvi sopra.

Entrambi davano le spalle al corpo, ed entrambi, ad un certo punto, ebbero l’impressione di sentire qualcosa alle proprie spalle, come un rumore di sabbia smossa.

Si voltarono, e furono sorpresi nel vedersi l’un l’altro fare la stessa cosa, come lo furono nel rendersi conto che nessuno dei due era responsabile di quello strano rumore.

Il corpo era ancora lì, immobile, e da sotto di esso fece capolino uno scorpione, emergendo dalla sabbia con le sue chele e il pungiglione velenoso.

«Al diavolo.» brontolò uno, ed entrambi tornarono al loro lavoro.

Quello intento a scavare aveva ormai quasi completamente terminato il proprio lavoro; non che si fosse impegnato troppo, visto che per come la vedeva quel cane schifoso non meritava neppure di essere sepolto in una fossa comune.

Il suo compagno lo sentì improvvisamente rantolare, e nel momento in cui si girò il suo volto divenne una maschera di terrore.

Passò qualche istante, e un urlo straziante ruppe il silenzio del deserto, mettendo Maddarf sul chi vive.

«Che succede?» esclamò svoltando l’angolo dove aveva lasciato i suoi uomini, la spada già sguainata e pronta a colpire.

Niente e nessuno, neppure le divinità infernali, sarebbero state capaci di terrorizzarlo a tal punto.

Quello che vide, o che non vide, lo lasciò impietrito per la paura, a tremare come una foglia.

Non riuscì a parlare, né a muoversi. Poteva solo guardare quella… quella cosa che, accortasi di lui, emise un gemito, come una specie di roco ruggito, per poi scattare fulminea.

Un nuovo urlo, più tremendo del primo, riempì l’aria, e subito dopo fu di nuovo assoluto silenzio.

 

«Come avete fatto a trovarci?» ringhiò Bidashal mentre i soldati facevano cerchio attorno a loro mettendoli in trappola

«Sei sempre stato un tipo poco previdente, Bidashal.» rise Eshamel «L’onda d’urto magica creata da quel portale magico si sarà sentita in mezzo continente. Ci è bastato seguirla».

Era una situazione disperata, ma non si sarebbe mai detto che Saito e gli altri sarebbero caduti senza lottare.

Come vide Saito e Luctiana mettere mano alle spade, Eshamel puntò immediatamente il dito contro tutti loro.

«Fermi!» ordinò, e come già accaduto a Kaoru i ragazzi si ritrovarono impotenti e capaci di muoversi, totalmente alla mercé del loro nemico.

«Ma cosa…» mugugnò Luctiana «Che mi succede?».

Eruvere sorrise, e tutti videro comparire sulla sua gola le rune del Vuoto.

«Io sono Voxegnir. La Voce di Dio. Io parlo, voi obbedite. Una mia parola può farvi sprofondare nella disperazione.»

«Eruvere… ti prego…» tentò di dire Tiffa

«Non temere per la tua vita, giovane mezz’elfa. A te non sarà fatto nulla, e neanche alla Maga del Vuoto. Voi siete molto importanti per noi».

Uno dopo l’altro, Eruvere scrutò tutte le sue altre vittime, e quando i suoi occhi incontrarono quelli di Kiluka il suo sguardo si fece sorpreso.

Si avvicinò alla ragazzina, terrorizzandola con la sua figura minacciosa, e tutto quello che Kiluka poté fare fu rimanere immobile mentre lui la sollevava di peso tenendola per la gola.

«Lasciala, maledetto!» urlò Saito tentando inutilmente di muoversi.

L’elfo le scoprì la pancia, rivelando le rune che vi erano impresse.

«Sei anche tu un Famiglio del Vuoto.

E sei anche potente, da quello che vedo. Ma sembra che tu non abbia ancora trovato un signore da servire.

Il mio padrone è generoso, e molto potente. Sempre alla ricerca di valorosi compagni che possano mostrarsi degni del suo potere. Sono sicuro che sarebbe felice di accoglierti nelle sue fila».

Kiluka tergiversò, sembrava indecisa. Certo, l’ipotesi di avere finalmente un mago del vuoto da servire non doveva lasciarla indifferente.

«Kiluka, non ascoltarlo!» tentò di dire Colbert, salvo poi venire messo subito a tacere da un pomo di spada nello sterno

«Forza, piccola.» disse ancora Eruvere «Fai la cosa giusta».

Ma Kiluka non era certo una stupida, e la sua risposta fu uno sguardo che, da smarrito, si fece di colpo sprezzante.

«Io non servirò mai il tuo padrone. Non lo voglio un padrone malvagio come il tuo.» e concluse con uno sputo ben indirizzato che centrò l’elfo dritto in un occhio.

Per nulla contrariato, almeno in apparenza, Eruvere la mollò, lasciandola ricadere a terra.

«Hai fatto la tua scelta».

Fatti due passi, tornò verso i suoi compagni, e quasi contemporaneamente Eshamel, come un toro infuriato, caricò Saito, prendendo a tempestarlo di calci.

Schiumava rabbia, e per tutta la durata del viaggio non aveva pensato ad altro che a far pagare a quell’umano insolente di averlo quasi ucciso.

«Saito!» urlò Louise

«Ti piace? Ti piace, maledetto? Chi è che mangia la polvere adesso? Chi è a terra? Eh? Rispondimi!»

Saito era impotente, del tutto alla mercé di quel pazzo, che seguitò a colpirlo fino a che non ne poté più, dovendosi fermare per mancanza d’aria.

Ma non era ancora finita. Aveva qualcos’altro in mente.

«Voglio che sia lei ad ucciderlo.» disse sadicamente indicando Louise «Ordinaglielo, Eshamel!».

Louise e Saito si scambiarono uno sguardo atterrito.

«Non siamo qui per la tua vendetta personale, Eshamel.» tentò di spiegargli Eruvere

«Ho seguito tutti i tuoi ordini senza mai discutere. Questa volta me lo devi. Voglio che si sappia. Che si sappia cosa succede a chi osa provocarmi e mettermi in ridicolo.»

«Non serve che qualcuno ti metta in ridicolo, ci riesci benissimo da solo.» disse velenosa Luctiana

«Non avere fretta. Verrà anche il tuo momento».

Eshamel era visibilmente impazzito, ed Eruvere pensò che forse per il momento era meglio assecondarlo.

Quando si vide puntare contro il dito dell’Elfo, Louise si sentì morire dentro.

«Obbediscimi».

Fu sufficiente quell’unica parola, e Louise come una marionetta si mosse meccanicamente verso Saito, ancora agonizzante sul pavimento per tutti i colpi ricevuti da Eruvere.

«Ti… ti prego…» disse mentre veniva costretta a raccogliere la spada del compagno «No… ti prego…».

La ragazza tentò di ribellarsi, arrivando perfino a cercare di rivolgere la spada su di sé, ma ciò nonostante afferrò l’elsa con entrambe le mani, e divaricate leggermente le gambe alzò la spada sopra di sé, la punta rivolta verso la gola scoperta di Saito, che a sua volta la osservava senza potersi muovere.

Tutti assistevano impotenti, e per volontà di Eruvere non era loro concesso neppure di distogliere lo sguardo.

«Sa… Saito…»

«Louise…»

«Non voglio… non voglio…».

Eshamel ghignò come un demone.

«Fallo!»

«Saito!».

Per poter controllare le sue vittime, Eruvere era costretto a tenere lo sguardo costantemente fisso su di loro. Per questo momento, quando d’improvviso una katana lanciata con tutta la forza possibile lo trafisse ad una spalla, senza in realtà affondare più di tanto, Saito e gli altri si ritrovarono improvvisamente liberi.

L’elfo, chiaramente attonito, si piegò in avanti, ma pur avendo fatto il suo dovere la lama era penetrata così poco che scivolò fuori dalla ferita ricedendo a terra; stavolta, voltatisi alle proprie spalle, furono lui ed Eshamel a rimanere di sasso.

«Tu!?» ringhiarono in coro.

Kaoru era lì, accanto all’arco d’ingresso, traballante e provato, ma in piedi, i vestiti ancora rossi di sangue e una mano poggiata sulla ferita, ancora aperta ma visibilmente più piccola di quella che, per quanto ricordavano i due elfi, Eruvere lo aveva costretto ad infliggersi.

«Come fai ad essere ancora vivo?»

«A dire il vero… non lo so nemmeno io…».

Ritrovatisi liberi, i ragazzi colsero al volo l’occasione e si scagliarono contro le guardie, dando vita ad una violenta battaglia.

Benché ferito, Kaoru riuscì a recuperare la sua spada e a confrontarsi con Eruvere, che prese a schivare i suoi fendenti senza accennare una qualche resistenza. Il ragazzo evitava di guardarlo negli occhi nel timore di poter cadere nuovamente sotto la sua influenza, e in un certo senso fu sorpreso nel constatare che il suo avversario non sembrava intenzionato ad agire in tal senso.

«Che ti succede?» gli domandò con aria di sfida «Non ricorri più a quel trucco».

Eruvere non rispose, ma il suo sguardo diceva tutto; allora, Kaoru capì.

«Non sarà forse che ti è consentito usarlo solo una volta?».

Capendo che aria stava tirando, con le guardie messe sotto dall’abilità di Bidashal e Luctiana ed Eruvere che per tenere in pugno tutte quelle vittime si era stancato al punto di non riuscire a combattere contro un nemico ferito, Eshamel fece per battere in ritirata, ma con grande stupore di tutti da un momento all’altro il tempio cominciò a tremare, e dall’esterno giunsero violenti rombi di tuono.

Da là sotto non potevano vederlo, ma la Valliere era di nuovo in volo, malconcia ma nuovamente in mano ai suoi padroni, e stava cannoneggiando l’aeronave di Eshamel rimasta al confine del complesso.

Non era da sola; con lei c’erano cinque aeronavi elfiche, sulle quali sventolava una bandiera nera con all’interno un grande triangolo rosso.

Data la spaventosa inferiorità numerica, i soldati fedeli ad Eshamel si arresero quasi subito, mentre quelli all’interno del tempio, capendo che aria tirava, cercarono frettolosamente di darsi alla fuga, pur sapendo che così facendo sarebbero caduti tra le braccia dei loro nemici; ma erano troppo preoccupati del fatto che il tempio potesse crollare per stare a pensarci.

«Andiamocene da qui, prima di fare la fine dei topi in trappola!» strillò il capo elfico fuori di sé.

Eruvere sembrava conoscere bene quelle rovine, tanto che, invece che dirigersi verso l’uscita, accecati i ragazzi con un globo di luce corse insieme ad Eshamel verso un’altra sala vicina a quella dove avevano combattuto, al centro della quale vi era un pentacolo magico.

Saito e gli altri provarono a rincorrerli, ma quando li raggiunsero l’elfo aveva già attivato il pentacolo.

«Non finisce qui, ve lo garantisco.» disse Eruvere mentre lui ed Eshamel sparivano «Il nostro piano ormai è in atto! Non potete fermarlo!».

Colbert fece un ultimo tentativo di bloccare l’incantesimo disturbandolo con la sua magia, ma fu tutto inutile, e i due riuscirono infine a scappare.

«Maledizione, se ne sono andati.» ringhiò Bidashal.

A quel punto, sia Saito che Kaoru stramazzarono al suolo, il primo per i colpi di Eshamel il secondo per la ferita che ancora lo tormentava.

«Kaoru nii-san, che ti è successo?» chiese Kiluka cercando di aiutarlo

«Non ne ho idea… quel maledetto mi ha costretto a trafiggermi. Credevo di stare per morire, ma poi…»

«E Derflinger?» domandò Colbert.

Kaoru si incupì, guardandosi la mano.

«Temo sia morto».

Tutti si voltarono.

«Come, morto!?» esclamò Saito

«È così. Non sento più la sua presenza. La mia è solo un’ipotesi, ma credo si sia sacrificato per salvarmi. Altrimenti non mi spiego come abbia fatto a sopravvivere».

L’aria si riempì di tristezza. Saito e gli altri avevano visto Derf morire apparentemente già una volta, salvo poi ritornare in modo quasi miracoloso; stavolta, però, regnava il sospetto che non ci sarebbe stato spazio per improvvise resurrezioni.

Derf, da vera arma, aveva fatto quello che gli era dato di fare: proteggere il suo padrone.

 

Uscendo all’esterno, Saito e gli altri trovarono ad attenderli altre aeronavi e un nuovo, piccolo esercito di elfi, i quali però invece che con le armi li accolsero con abbracci e strette di mano.

«È la Resistenza.» disse Luctiana riconoscendo la bandiera che svettava sui velieri, un drappo nero con all’interno un grande triangolo rosso.

Nel riconoscerne il comandante, poi, Bidashal abbozzò un sorriso.

«Ride.»

«È da molto che non ci vediamo, professore. Felice di saperla sano e salvo.»

«Ringraziate il cielo che stavano transitando da queste parti.» disse Ari sbucando da dietro una colonna «O altrimenti non saremmo mai riusciti né a riprenderci la vostra nave né a venire qui ad aiutarvi».

Saito, benché dolorante, volle restare per ringraziare chi li aveva aiutati prima di fare rientro a Tristain, mentre Kaoru dovette venire portato immediatamente in infermeria per essere curato.

«Adesso cosa farete?» domandò Louise

«Mi sembra ovvio.» rispose Bidashal «Nonostante questa sconfitta, Eshamel controlla ancora quasi tutto il nostro Paese. Ci uniremo alla Resistenza.»

«Inoltre, quando si saprà della colossale bastonata che il nostro amico ha preso oggi.» disse Luctiana «In tanti accorreranno per unirsi a noi. Libereremo il nostro Paese molto presto, potete contarci!».

Saito guardò Tiffa, scambiandosi con lei un gentile sorriso.

«Allora, vuoi davvero restare qui?»

«Sono stata una sciocca a fidarmi di Eruvere. È anche colpa mia se è successo tutto questo. Voglio dare una mano.»

«Allora, abbi cura di te. E se dovessi avere bisogno di qualcosa, non farti scrupolo.»

«Grazie, Saito-san».

Nel mentre il professor Colbert stava ispezionando parte delle rovine, raccogliendo appunti e campioni da riesaminare una volta tornato all’accademia.

Era intento ad imbustare l’ennesimo reperto, che d’improvviso vide uno dei ribelli elfici svoltare un angolo pallido come se avesse visto la morte in faccia; quel poveretto sembrava trattenere a stento i conati di vomito, uno sforzo che alla fine risultò inefficace.

«Che è successo?» domandò Colbert cercando di aiutarlo

«È… è orribile…» riuscì a mormorare l’elfo.

Colbert alzò lo sguardo e ripercorse i passi dell’elfo, e fatti pochi passi si trovò di fronte ad una scena che riuscì a lasciare sgomento persino uno come lui, abituato in gioventù ad ogni sorta di orrore.

Non lo si poteva neanche chiamare massacro. Era riduttivo.

Era… abominevole.

Che cosa mai era successo in quel posto fattosi di colpo un piccolo angolo di inferno?

Ad assistere a quel macabro spettacolo vi erano altri due elfi, uno dei quali cercava di scuotere Maddarf, all’apparenza ferito solo lievemente, ma raggomitolato a terra come un pupo con i pantaloni fradici e gli occhi sbarrati, come morti.

«In nome del cielo, che è successo qui?»

«Sembra quasi che siano stati mangiati.» disse uno dei due «Forse è stato un animale. Da queste parti girano bestie pericolose.»

«Ma che razza di animale sarebbe in grado di fare una cosa del genere?».

Entrambi poi si avvicinarono a Maddarf, constatandone lo stato catatonico.

«Un mostro.» continuava a ripetere «Un mostro nero.»

«È completamente impazzito.»

«Maddarf era un soldato, e un valente guerriero.» disse il solito elfo «Mi domando cosa sia stato capace di ridurlo in questo stato».

Mentre uno dei due elfi dava sepoltura a quei poveri sventurati, o a quello che ne rimaneva, Colbert aiutò l’altro a sollevare Maddarf per poterlo portare via. Nel tornare verso le navi incrociarono Siesta e Quintus, intenti a trasportare Kaoru verso la Valliere. Maddarf, quasi per caso, sollevò leggermente lo sguardo, incrociando quello di Kaoru.

Passò un istante, e l’elfo prese ad urlare con tutta la sua voce, urla strazianti che attirarono l’attenzione di tutti.

«No! No! Vattene! Lasciami! Aiuto!».

Dimenandosi come un dannato Maddarf si liberò dalla presa del professore e dell’elfo, iniziando a correre delirante in tutte le direzioni senza smettere un momento di urlare. La sua corsa si concluse contro una colonna, e quando Colbert cercò di andarlo ad aiutare lo vide esalare l’ultimo respiro, la bocca impastata di saliva e gli occhi letteralmente fuori dalle orbite.

Non avrebbe mai creduto di assistere ad una morte per paura, né credeva fosse possibile per un essere vivente morire di paura nel senso letterale del termine.

Ma cosa poteva aver terrorizzato a tal punto un soldato abituato a convivere con la morte?

 

 

Nota dell’Autore

Eccomi qua!^_^

Come promesso ho cercato di andare un po’ più spedito del solito, anche se la velocità non era quella che mi ero immaginato.

Comunque, il capitolo è piuttosto lungo, ma ormai la stavo tirando decisamente troppo per le lunghe con questa vicenda relativa a Neftes e agli elfi e ho voluto concludere senza stare a girarci troppo attorno.

Tanto più che da qui in avanti le cose cambieranno velocemente; già a partire dai prossimi capitoli molti altri nodi verranno al pettine, e tutto inizierà a volgere verso un colpo di scena drammatico quanto inatteso.

Ormai siamo già a tre quarti della vicenda, e confido che entro una ventina di capitoli vedremo la fine di questa lunga avventura.

A presto!^_^

Carlos Olivera

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Capitolo 47
*** 43 ***


43

 

 

L’inverno insolitamente rigido aveva frenato la maggior parte dei combattimenti, ma con l’arrivo delle prime avvisaglie di primavera gli scontri irrimediabilmente ricominciarono in tutto il Paese.

Ormai, però, Tristain stava raggiungendo il suo limite: gli scontri a lungo andare avevano prosciugato sia le casse dei feudi, impoverite per finanziare le spese militari, sia le dispense ed i granai, svuotati dai rifornimenti alle truppe e da una guerra che non faceva altro che devastare campi e villaggi, per non parlare dei contadini coscritti o trucidati.

Ma se il nord del Paese era ancora abbastanza frammentato, con molti potentati più o meno sullo stesso livello che non riuscivano a prevalere l’uno sull’altro o semplicemente non prendevano parte alle ostilità, nel sud la situazione stava assumendo i toni di un dramma.

Santin non si era fermato neppure durante i mesi più freddi, e mordendo nelle province meridionali a grossi bocconi era arrivato pericolosamente vicino ai domini di molti degli amici di Saito e Louise.

Marcin era sicuramente il più esposto, e con la caduta della provincia di Laferre era destino che lui dovesse essere il prossimo, senza contare che con la conquista dei suoi domini Santin avrebbe finalmente ottenuto l’accesso al mare.

Ormai Saito e Louise si erano rassegnati all’idea che, se avessero voluto difendere Tristain, non avrebbero potuto esimersi dallo scendere personalmente in battaglia, perché qualsiasi prospettiva era migliore di quella che vedeva Santin e i suoi alleati alla guida del Paese.

Per questo, non li sorprese ricevere un giorno l’ennesima visita di Marcin, e già dal momento in cui lo videro scendere dalla carrozza i due sposi si resero conto che doveva essere accaduto qualcosa di molto serio.

«Santin sta ammassando le sue truppe al confine delle mie terre.» disse quando furono nella sala delle udienze, da soli «E sono state segnalate numerose spie sia nella capitale che in altre zone. Comincio a temere che si siano infiltrate anche nel castello.»

«Non sei riuscito a stanarli?» chiese Saito

«Ho accolto un gran numero di profughi e rifugiati delle province vicine fin da quando è iniziata la guerra. Potrebbe essere chiunque, e non ho modo di poterli controllare tutti.»

«E allora che cosa suggerisci?» chiese Louise

«Non posso permettergli di entrare nelle mie terre.

Montmiraye non è terra adatta alle battaglie. L’unica cosa fare è andargli incontro e affrontarlo nel suo territorio.»

«Sarebbe un suicidio.» rispose Saito «Santin ha almeno sei volte le tue forze. Non potresti mai riuscire a batterlo.»

«Sì, invece. Sei vuoi mi aiuterete.»

Saito e Louise restarono di stucco, guardandosi un attimo tra di loro.

«Ascoltatemi.» disse Lucas mostrando loro una mappa della regione «Le mie spie mi hanno confermato che attualmente Santin si trova nel nord di Laferre assieme ad una piccola parte del suo esercito. Il grosso dell’armata occidentale si trova più a sud, impegnata a contrastare le ultime sacche di resistenza.

Il che significa che ora quella serpe malefica è momentaneamente indifesa e alla nostra portata.

Non posso avere la certezza di batterlo con le mie sole forze, ma unendo il tuo esercito e il mio dovremmo farcela.

A quel punto, eliminato Santin, avremo buone possibilità di ottenere il controllo di tutto il sud.»

Di nuovo, i due ragazzi si fissarono tra di loro, e i loro sguardi non sembravano troppo convinti.

«Senza offesa, Lucas.» disse Saito «Ma l’ultima volta che abbiamo lanciato un attacco insieme basandoci su di una tua previsione, ne siamo usciti per miracolo.

La prima volta ci è andata bene, stavolta potremmo sul serio rimetterci la pelle.»

«So che non è facile fidarsi di me, e sono consapevole di quanto io abbia fatto per non meritare la vostra fiducia.

Ma quello che vi sto domandando non riguarda solo me, voi o Santin, ma tutta Tristain. Avete visto in che situazione si trova il Paese?

Nel nord ognuno pensa per sé, e molti feudi sono alla fame, nel sud Santin e i suoi tirapiedi stanno mettendo le campagne a ferro e fuoco portando carestia e pestilenze in ogni dove.

Siamo in guerra da quasi cinque mesi. Se non facciamo qualcosa quanto prima, questo Paese collasserà. Inoltre, per ogni giorno che passa, cresce la possibilità che qualche nazione straniera decida di invaderci.

Volete davvero che succeda?»

Saito e Louise chinarono la testa, ammettendo col pensiero che Lucas aveva ragione.

Grasse, De Ornielle e un ristretto numero di territori forse continuavano a prosperare, ma la realtà era che il resto del regno stava sprofondando nell’abisso sotto il peso di una guerra civile che rischiava di concludersi di male in peggio.

Dentro di loro erano sicuri che Santin, pur con tutta la potenza militare di cui disponeva, non sarebbe mai riuscito ad ottenere una superiorità così schiacciante in soli cinque mesi, non senza un considerevole aiuto dall’esterno. In giro per Tristain si vociferava disponesse di mezzi ed equipaggiamenti molto superiori agli standard, ed era difficile riuscire a negare che dietro di lui dovesse esservi Reconquista.

Bisognava fermarlo. In ogni modo. E con la morte di Valat, la situazione aveva preso una piega tale che era teoricamente possibile per i due ragazzi rivolgere le loro attenzioni sulle regioni del sud, anche perché era scontato che in caso di sconfitta di Lucas loro sarebbero stati sicuramente i prossimi.

Come se non bastasse, i danni riportati dalla Valliere si erano rivelati più gravi del previsto, e sarebbe servito un lungo lavoro di riparazione prima che la nave potesse tornare in piena operatività.

«E quale sarebbe il tuo piano?»

Lucas si lasciò sfuggire uno strano sorriso.

«Prima di parlarne, dov’è Kaoru? Di solito partecipa sempre a queste riunioni, se non sbaglio.»

I due ragazzi si guardarono nuovamente.

«Ecco… Kaoru ultimamente ha molti pensieri.» rispose Louise «Se possibile, vorremmo lasciarlo riposare.»

«Mi dispiace che accada in un momento simile. Purtroppo, temo che avremo bisogno della sua abilità e delle sue capacità come stratega per quello che ci aspetta.»

 

Dal giorno in cui erano tornati da Neftes, Kaoru non era più riuscito a recuperare la serenità.

Da una parte era felice di esserne uscito vivo, dall’altra non si spiegava come ciò fosse stato possibile, visto che, per quanto la sua memoria potesse dirsi affidabile in un momento simile, ricordava distintamente di essersi inflitto una ferita gravissima, quasi certamente mortale, del quale però non restava altro che una piccola cicatrice.

Forse era stato grazie a Derf, che aveva pagato la salvezza del proprio padrone con la vita, ma poi ci si erano messi anche degli angoscianti e spaventosi incubi, in cui rivedeva come un cupo film del terrore alcune creature, forse i suoi carnefici, attraverso gli occhi di un misterioso aggressore, che dopo averli letteralmente spaventati a morte ne faceva scempio dilaniandoli orribilmente.

Il fatto poi che fosse tornato in sé solamente un attimo prima di intervenire giusto in tempo per salvare Saito e gli altri, poi, gettava nuove ombre su ciò che doveva essere successo in quel tempio. Inoltre, lo strano segno sulla sua mano sembrava essere cresciuto di misura, e di tanto in tanto, con la coda dell’occhio, aveva come l’impressione di vederlo scintillare.

Negli ultimi giorni aveva mancato quasi completamente le udienze e altri eventi pubblici, inoltre aveva delegato a Jeanne e Kilyan i compiti di supervisione e addestramento delle truppe.

Siesta cercava di aiutarlo con piccole cose, seguendolo ora di nascosto ora alla luce del sole, e poco importava che non gli avesse mai visto portare al collo il ciondolo che gli aveva regalato. Quando, al ritorno da Neftes, lo aveva aperto, l’aveva ringraziata, e solo questo era stato sufficiente a scaldarle il cuore.

Pensandoci, le sembrava quasi incredibile: non riusciva a capire come o perché, ma più passava il tempo più i suoi pensieri indugiavano su Kaoru, accendendo in lei un calore che non aveva più sentito dai giorni più focosi della lotta con Miss Valliere per aggiudicarsi il cuore di Saito.

Eppure, qualcosa la frenava. Stavolta non sembravano esserci rivali a sbarrarle la strada, ma nonostante ciò non era mai riuscita ad esprimere onestamente quello che provava, né a lui né a nessun altro.

«Oggi come ti senti?» gli domandò quella mattina dopo averlo trovato, solo, ad esercitarsi in un piccolo chiostro nell’angolo più lontano del castello

«Abbastanza bene.» rispose lui rinfoderando la katana «Certo, fa uno strano effetto non avere più Derf a consigliarmi.»

Siesta chinò il capo e, lottando con la timidezza, gli sfiorò la mano.

«Mi dispiace. Era un buon amico.»

«Che si è sacrificato per salvarmi.»

La ragazza deglutì per ingoiare ancora una volta le sue paure, cercando di placare i battiti del cuore.

«Senti… io volevo ringraziarti. Lo so che non conta molto, viste tutte le volte che ci hai aiutati, ma voglio che tu sappia che io ti sono veramente grata.

Per tutto.»

Si guardarono negli occhi, ma quasi subito Kaoru distolse lo sguardo, appena sentì qualcosa di strano montare dentro di lui; era come se una voce interiore gli stesse dicendo di non andare oltre, una voce impossibile da ignorare.

Ma d’altra parte, anche gli occhi così belli e gentili di Siesta, per non parlare delle sue forme generose, erano pericolosi strumenti di tentazione, tali da provocare nell’animo del ragazzo un violento conflitto.

Per fortuna, la sorte venne in suo aiuto.

«Generale.» disse Kilyan comparendo nel colonnato «Mi dispiace disturbarla, ma è richiesta la nostra presenza nella sala delle udienze. Pare sia urgente.»

Stranamente stavolta Siesta non fu dispiaciuta nel vederlo andare via; forse, in qualche modo, il muro finalmente era stato incrinato. E per il momento era sufficiente.

 

«Secondo i miei esploratori» disse Lucas quando furono tutti riuniti attorno al tavolo «Attualmente le forze a protezione di Santin sono composte da circa seimila fanti e mille tra cavalleggeri e cavalleria pesante. Ha anche a disposizione un piccolo distaccamento di cavalieri del drago.»

«Mi sembra una forza decisamente risibile.» commentò Kilyan «Non dovrebbe esserne difficile averne ragione per il suo solo esercito.»

«Se fosse così, mi sarei già mosso. Ma non posso lasciare sguarnite le mie frontiere. Se Santin dovesse accorgersi delle mie manovre potrebbe attaccarmi alle spalle con il resto delle sue truppe o conquistare la capitale mentre noi siamo impegnati altrove.

Lo stesso del resto può dirsi per voi.»

«In buona sostanza» disse Kaoru «Proponete di usare una piccola parte ciascuno delle nostre forze lasciando il resto a protezione dei rispettivi domini?»

«Ha colto nel segno, Generale. Il trucco è saltare addosso al nemico prima che questi abbia tempo di scoprire le nostre mosse e riorganizzarsi.» quindi indicò un punto sulla mappa «Attualmente si trova qui, in questa bassa vallata, a poca distanza da un villaggio di pastori.

Se lo raggiungiamo prima che abbia il tempo di muovere, sarebbe il posto ideale per dare battaglia.

Le tue truppe lo affronteranno frontalmente, le mie si posizioneranno a loro insaputa dietro questa bassa collina a sinistra del tuo schieramento, mentre i miei grifoni terranno impegnati i draghi più a est per impedire loro di entrare in combattimento. E quando la battaglia sarà incominciata, lo intrappoleremo con un attacco a tenaglia che non gli lascerà scampo.»

Saito, Kilyan, Jeanne e Kaoru si consultarono con gli occhi; nessuno dei tre pareva convinto fino infondo.

«La velocità sarà essenziale.» disse infine Jeanne «Appena avranno sentore di quello che sta per accadere, Santin e la sua scorta chiederanno immediatamente rinforzi. E se tali rinforzi dovessero arrivare prima della nostra vittoria, allora saremmo noi a ritrovarci in trappola.»

«Suggerirei di posizionare un ulteriore rinforzo qui.» disse Kylian indicando la parte destra dello schieramento «Questa foresta domina tutta la vallata, e si trova proprio a metà strada tra le nostre linee e quelle di Santin.

L’esito della battaglia in fin dei conti ha poca importanza. Al momento la priorità è eliminare il conte di Mormerié. Nel mezzo dello scontro, quando il grosso delle truppe sarà convogliato nel centro, le nostre truppe nascoste qui potranno aggirare la battaglia e piombare sul campo nemico alle spalle.

Avuta prova della morte di Santin, non dovremo fare altro che disimpegnarci e ripiegare entro i nostri confini.»

«È un piano talmente folle che potrebbe perfino funzionare.» mormorò Saito «Kaoru, vuoi occupartene tu?»

Il Generale però pareva soprapensiero, e dapprincipio non rispose.

«Kaoru?»

«Sì, scusa… se è questo che desideri, lo farò.»

Saito trasse un respiro.

«Sarà una battaglia molto importante ed impegnativa. E visto che, da quello che ho capito, anche tu Lucas vi parteciperai, io non posso essere da meno.»

«Saito!?» disse Louise

«È mio dovere, Louise. Se io che sono il signore di queste terre non dovessi prendere parte alla battaglia, come posso chiedere ai miei soldati di fare altrettanto? Condurrò io stesso le mie truppe.» quindi la guardò con un sorriso «Ma stai tranquilla, non cercherò di fare l’eroe.»

«Vi ringrazio infinitamente a nome del mio popolo.» disse Lucas profondendosi in un rispettoso inchino «E vi prometto che questa sarà la mia ultima richiesta d’aiuto nei vostri confronti.»

Kaoru avvertì uno strano brivido, ma non riuscì a capirne la ragione, benché gli sembrasse una sensazione famigliare.

 

Con lo stato di perenne preallarme in cui il castello viveva da qualche tempo a quella parte, le truppe furono pronte a muovere già la mattina successiva, ed al sorgere del primo sole gli abitanti di Grasse poterono assistere coi loro occhi alla spettacolare parata militare che partendo dal castello e attraversando il lungo ponte sospeso si dirigeva a passo di marcia verso sud attraverso la porta meridionale.

Erano stati convocati tutti.

Jeanne comandava le sue valenti moschettiere, Seena la fanteria leggera, Kaoru la cavalleria, con Kylian a fargli da secondo; per una volta il comando generale delle truppe passava a Saito, che durante la battaglia avrebbe avuto in mano le sorti di tutti i suoi uomini.

Al castello sarebbe rimasta solo Louise, che insieme a Kiluka venne a dare l’ultimo saluto ai ragazzi prima della loro partenza.

«Vi prego, siate prudenti.» disse Louise visibilmente preoccupata

«Tranquilla, Louise. Torneremo presto. E per allora, se il cielo lo vorrà, questo incubo sarà un po’ più vicino alla sua fine.» e detto questo si separarono.

Le truppe di Grasse si unirono a quelle provenienti da Montmiraye subito prima di penetrare nel territorio di Laferre, e insieme le due armate si addentrarono sempre di più nei territori occupati dal conte di Mormerié fino a raggiungere, all’alba del quarto giorno di marcia, in vista della vallata dove stando alle spie Santin era ancora accampato assieme ad una piccola parte del suo sterminato esercito.

La valle di Grandeir era un importante crocevia la cui strada che correva sul fondo, a circa metà del suo percorso, si divideva in due, collegando le regioni costiere a occidente con le province orientali in una direzione e il con il confine con Gallia in un’altra.

A poca distanza dal punto in cui la strada si spezzava era stato costruito tempo addietro un piccolo villaggio omonimo, ed era attorno ad esso che le truppe di Santin avevano costruito il loro accampamento, forse nell’attesa di veder arrivare rinforzi da una delle due direttrici per poi marciare ancora verso ovest, verso i domini della famiglia Marcin.

Il fondo, pianeggiante e coperto di prati, si prestava a battaglie campali, mentre le alte pendici circostanti, brulle ed erbose sulla destra e coperte da una fitta foresta a sinistra, erano ideali a condurre imboscate e organizzare manovre di accerchiamento.

Poco prima di scendere nella valle, fu il momento di separarsi.

«Conto su di voi.» disse Saito nel momento in cui Kaoru e Kilyan si prepararono a lasciare lo schieramento con quasi tutta la cavalleria. «Cerchiamo di fare in fretta.»

Poco dopo lasciarono lo schieramento anche le truppe di Lucas, e fatte poche altre miglia le forze di Grasse discesero nella vallata.

Evidentemente alcune spie o esploratori dovevano averli avvistati lungo il tragitto, perché una volta giunti in vista del villaggio Saito e i suoi uomini trovarono le truppe di Santin già schierate e compatte poco davanti il centro abitato, disposte su due linee con un terzo, piccolo schieramento a protezione del lato destro e sinistro dell’accampamento nemico, costituito da un piccolo castrum ricavato da una torretta d’osservazione per il controllo del vicino torrente e relativo cortile.

Quando anche le forze dei Marcin si palesarono sul fianco sinistro della valle, fu chiaro che anche in questo modo la disparità di forze faceva pendere pesantemente la bilancia a favore degli attaccanti; ciò nonostante Santin, seduto al centro della sua piccola roccaforte su di un elegante sgabello di mogano, seguitava a conservare il suo collaudato ed invidiabile autocontrollo, mentre al contrario tanto i suoi generali quanto, soprattutto, i soldati del suo esercito sembravano maschere mortuarie tale era il terrore dipinto nei loro occhi.

Appena era stata confermata la notizia dell’arrivo dell’esercito nemico i generali di Mormerié, che già non si erano spiegati questa specie di mossa suicida da parte del loro signore di restare con la parte più piccola delle sue divisioni occidentali a così breve distanza dalle linee nemiche, avevano scongiurato Santin di rifiutare la battaglia e ripiegare più a est, ma questi in nessun modo aveva voluto recedere, dicendosi anzi convinto che le cose sarebbero andate per il meglio senza alcuna ombra di dubbio.

«Mio signore, vi scongiuro.» disse per l’ennesima volta il generale Satibarre, il primo stratega di Santin «Dobbiamo ripiegare finché possiamo.»

«Le truppe sono in formazione?» domandò invece il conte come se non lo avesse sentito

«Sì, mio signore.» rispose il generale Baxus, il solo che riuscisse a non far trasparire alcuna emozione, tale era la fiducia nel suo sovrano «Pronte ai vostri ordini.»

«Allora, procedete.»

«Ai suoi ordini.»

Al comando dei capitani, le truppe di Mormeriè serrarono i ranghi disponendosi in formazione chiusa, ideale per le battaglie di tipo difensivo, con la prima e la seconda linea che misero ulteriore distanza tra sé stesse e la terza, la quale rimase invece a protezione del campo.

Così serrati, però, gli uomini di Santin erano anche un bersaglio ghiotto per gli arcieri, e infatti Saito, compreso che il nemico sembrava determinato ad accettare lo scontro, ordinò di agire in tal senso.

Gli arcieri tirarono mentre le prime linee scendevano sempre più nella vallata, e furono anche sparati alcuni colpi dei pochi cannoncini antiuomo che le necessità di procedere spediti avevano concesso di portare, ma nonostante le perdite subite i nemici seguitarono a mantenersi in formazione chiusa.

Tuttavia, le truppe di Santin esitarono ad avanzare fino all’ultimo, lasciando avvicinare quelle di Grasse abbastanza da poterle bersagliare a loro volta con bordate d’artiglieria e tiri di archibugio, quindi, protette a loro volta dagli arcieri, si mossero incontro al nemico.

Lo scontro tra le due forze si verificò poco lontano dal baricentro, un po’ più a ridosso del campo di Santin, come Saito aveva preventivato, e malgrado la differenza di numero i soldati di Mormerié si difesero strenuamente.

Al centro dello schieramento, Jeanne e le sue moschettiere cercavano di rompere la formazione nemica, con il fianco sinistro a spingere ulteriormente sotto il comando di Seena nel tentativo di isolare una parte delle linee nemiche che, al momento opportuno, sarebbero state caricate e distrutte da Lucas.

Dal fitto della foresta, in cima ad una bassa montagnola con davanti a sé il meglio della cavalleria di Grasse, Kaoru e Kylian seguivano lo svolgersi della battaglia, che dopo un breve momento di equilibrio sembrò virare sempre più in loro favore.

«Li stanno mettendo alle corde!» disse Kylian sovreccitato «Se và avanti così, forse non ci sarà neppure bisogno del nostro intervento.

Non lo pensate anche voi?»

Ma Kaoru non sembrava dello stesso avviso.

Al contrario, era visibilmente teso e nervoso, e rispose all’ottimismo del suo secondo con un silenzio preoccupato.

«Generale?»

Qualcosa, ne era sicuro, non stava andando per il verso giusto.

Era tutto troppo facile.

Santin aveva conquistato un terzo di Tristain in meno di sei mesi, e gli sembrava impossibile che potesse aver commesso una così incredibile sequela di errori, fino al punto di mettersi in trappola con le sue stesse mani.

Un sospetto terrificante si accese di colpo nella mente di Kaoru. Era sempre stato lì, a sussurrargli nell’orecchio, per tutta la durata del viaggio, tornando a far sentire la sua voce ad ogni occhiata, oggi strano cenno, ogni sguardo rifuggito.

Ma non voleva crederci: non poteva crederci.

D’altra parte, però, se fosse stata la verità, allora non c’era tempo da perdere.

Ma se invece si fosse sbagliato? Se i suoi fossero stati solo pensieri privi di fondamento, dettati da paure che rischiavano di spingerlo a gettare alle ortiche l’occasione più ghiotta che il destino aveva voluto mettere loro davanti?

Dentro di lui voleva pensare che non fosse possibile; che un uomo non potesse cadere così in basso. Non un tale uomo. Ma c’erano anche tutti quei sospetti, e quegli indizi rivelatori.

Il destino dell’intera nazione rischiava di essere tutto nelle sue mani.

Nelle loro mani.

«Kilyan» mormorò con un filo di voce «Saresti disposto a rischiare la sorte di un’intera nazione sulla base di un sospetto?»

Il ragazzo lo guardo perplesso.

 

 

Nota dell’Autore

Eccomi qua!^_^

Pensavate fossi morto, vero?

E invece no, sono qui, vivo e vegeto!

Sono tornato! Letteralmente!

Infatti, sono rientrato ieri dalle vacanze, durante le quali ho avuto modo di riprendere finalmente in mano questa storia.

Anche perché ormai, visto e considerato che abbiamo abbondantemente passato la metà della narrazione, non esiste che la lasci in sospeso.

E ora? Cosa succederà?

Qual è questo dubbio che tormenta Kaoru?

Lo scoprirete presto, promesso!^_^

A presto!^_^

Carlos Olivera

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Capitolo 48
*** 44 ***


44

 

 

Nel cuore dell’accampamento, circondato dai propri soldati, Lucas sedeva in silenzio sul basso sgabello, gli occhi rivolti alla battaglia sotto i suoi piedi e il volto impietrito, quasi glaciale.

Al suo fianco, Kiriya, che di contro aveva l’ansia e lo sconforto dipinti sul viso, e guardava ora il suo signore ora, a propria volta, la battaglia, ben consapevole che la sua adorata sorella Seena era da qualche parte lì in mezzo.

«Mio signore…» mormorò senza tuttavia ottenere risposta.

Un messaggero a cavallo arrivò tutto trafelato dai piedi della collina aggirando la battaglia.

«Lord Marcin!» disse senza neanche scendere. «Lord Hiraga mi manda a dirvi che il Generale Kaoru non potrà partecipare alla battaglia.»

«Che cosa!?» esclamò il giovane nobile voltandosi di scatto. «Per quale motivo?»

«Ci sono stati disordini a Grasse. Pare che alcuni sostenitori del precedente signore abbiano approfittato dell’assenza di gran parte dell’esercito per tentare un colpo di stato. Il Generale è stato costretto a tornare in città con i suoi uomini per riportare l’ordine.»

Kiriya guardò con il cannocchiale in direzione del bosco dall’altra parte della vallata, e per quanto si sforzasse di cercare tra gli alberi non si vedeva traccia di cavalieri.

«È così, Mio Signore. Il Generale Kaoru ha lasciato la sua posizione.»

Lucas distolse gli occhi, tornando a rimuginare con sé stesso.

«Mandate un messaggero a fare rapporto. Chiedete disposizioni.»

Nel frattempo, sul campo di battaglia, le cose stavano andando per le lunghe.

Consapevoli di non avere altra alternativa se non quella di vincere o morire, gli uomini di Santin stavano resistendo con le unghie e con i denti, rintanati dietro la loro formazione chiusa con le spade e le punte di lancia a emergere dalle piccole fessure negli scudi.

Saito assisteva da lontano, e benché non si intendesse di battaglie campali come la maggior parte dei suoi generali era consapevole che la situazione rischiava di virare verso un punto morto; molto probabilmente la barriera avrebbe resistito abbastanza a lungo da sfinire i suoi soldati, e a quel punto l’esito dello scontro avrebbe anche potuto risultare più incerto.

«Così non và, stiamo perdendo tempo» mugugnò Saito. «Se non ci sbrighiamo ci salteranno addosso.

Ordinate a Kaoru di attaccare subito.»

Un soldato lanciò in aria un incantesimo luminoso di colore arancio brillante, che in accordo con quanto stabilito prima della battaglia avrebbe dovuto essere il segnale per la carica, ma a distanza di molti secondi non si vide sbucare dalla foresta nemmeno un cavallo.

«Che sta succedendo? Perché non attaccano!?»

«Mio signore!» esclamò un esploratore giungendo tutto trafelato. «Il Generale Kaoru ha abbandonato la sua posizione!»

«Che cosa!?» domandò Saito spalancando gli occhi

«Ma perché l’ha fatto?» disse Jeanne, sconvolta quanto lui

Ma non c’era tempo per domandarselo; a quel punto, restava un’unica alternativa.

«Presto, fate il segnale a Lucas!»

«Sì, mio signore!».

Questa volta fu di colore verde, e nel momento in cui scintillò nel cielo Lucas, intercettatala, abbassò nuovamente lo sguardo, lasciando intravedere una goccia di sudore che solcandogli le tempie discese fino al mento, scivolando infine sull’erba ai suoi piedi.

Un secondo messaggero, giunto pochi istanti prima, se n’era andato da poco, e da quel momento il giovane principe di Marcin non aveva più sollevato il capo da terra.

«Mio Signore…» mormorò Kiriya

«Prepararsi… ad attaccare…» disse stringendo forte le mani sulle ginocchia

 

Per i soldati che cercavano in ogni modo di avere ragione di una difesa che appariva insormontabile, il risuonare improvviso dei corni di guerra dei Marcin arrivò alle loro orecchie come un dolce canto di vittoria, e come Seena, impegnata in prima linea, vide gli alleati dilagare giù per la collina lance in pugno, si convinse dentro di sé che la battaglia fosse ormai finita.

I Marcin travolsero come un fiume in piena le truppe di Grasse, che colte alla sprovvista videro il loro fianco sinistro andare in pezzi come un guscio d’uovo.

«Ma cosa…» imprecò Seena con gli occhi sbarrati prima che un soldato di Marcin le saltasse addosso cercando incredibilmente di ucciderla.

Con la forza dei riflessi la ragazza riuscì a difendersi e ad abbattere l’incauto aggressore, ma i suoi uomini, sbigottiti e disorientati, iniziarono immediatamente ad andare nel panico, subendo l’immediato contrattacco da parte dei Santin che cominciarono a spingere.

Come lei, anche Saito e gli altri rimasero impietriti e senza parole, sconvolti da un tradimento che non credevano possibile.

«Non può essere! Non può farci questo!» disse Saito cadendo affranto sullo sgabello

Di contro, mentre nel campo degli Hiraga montavano sconforto e sorpresa, nel centro del suo accampamento Santin mosse improvvisamente le labbra in una espressione sicura, ben diversa da quella ugualmente sconvolta dei suoi generali.

«In guerra vince chi tiene le proprie carte nascoste fino all’ultimo.» quindi ordinò «Generale Organ

«Signore?»

«Scendete in battaglia con metà delle nostre riserve. Che circondino il nemico sul fianco sinistro e lo annientino.»

«Ma, la loro cavalleria…»

«La cavalleria non è più un problema. Circondate il nemico, ma lasciategli una via di fuga. Appena capiranno la situazione che si è venuta a creare cercheranno di scappare, e allora il loro destino sarà segnato.»

Saito non riusciva a spiegarselo, e mentre guardava i suoi uomini iniziare a cadere come mosche cedendo sempre più terreno si domandava come potesse essere possibile.

Quale motivo poteva aver avuto Lucas per tradirlo in quel modo? Cosa gli aveva offerto Santin per riuscire a spingerlo ad una cosa così apparentemente impossibile come tradire la sua famiglia, i suoi ideali, fin’anche il suo stesso Paese?

«Lord Hiraga, dobbiamo ritirarci!» lo esortò Jeanne appena si furono riavuti dallo sconcerto

«Perché? Perché, Lucas? Che cosa ti abbiamo fatto per meritarlo?»

La sua mente tornò indietro, cercando di trovare una risposta, una spiegazione, percorrendo a ritroso gli ultimi mesi della loro vita, perché non era possibile che quel tradimento avesse avuto origine prima dell’inizio della guerra.

L’istinto lo condusse alla fallita spedizione contro Ty-Kern, a quell’inferno di fuoco e fiamme cui Lucas era miracolosamente sopravvissuto, questo dopo che Saito lo aveva visto con i suoi occhi precipitare assieme alla sua nave e inabissandosi in mare.

Forse, dopotutto, non si era trattato di un miracolo.

Qualcuno aveva voluto salvargli la vita, esigendo in cambio un giuramento di fedeltà, oltre alla promessa di favorire in qualunque modo la marcia trionfale di Santin e dei suoi sostenitori.

Ecco spiegato l’atteggiamento rinunciatario assunto da Lucas al suo apparente ritorno dal regno dei morti; il suo scetticismo in merito al ritrovamento della Fortezza d’Acciaio, i numerosi pretesti per rifiutarsi di correre in aiuto del fratello in armi con tutte le sue forze. Ora tutto aveva un senso.

Eppure, in cuor suo, Saito sapeva che Lucas non avrebbe accettato mai di barattare il suo onore con la vita.

Doveva esserci qualcos’altro. Qualcosa di più profondo.

«Mio signore, dobbiamo ordinare la ritirata finché possiamo!» lo riscosse Jeanne

«Ma, i soldati in battaglia…»

«Se restiamo qui moriremo tutti! Quei soldati combattono per voi! Non potete permettere che il loro sacrificio risulti vano! Voi avete il dovere di sopravvivere!»

Ma Saito non se la sentiva; non gli sembrava giusto né giustificabile salvare la propria vita al prezzo di migliaia di altri sacrifici.

Nel mentre, pur attaccati da due lati, gli Hiraga superato lo sgomento iniziale avevano ripreso a combattere con fervore, pur in evidente difficoltà, incitati da Seena e dagli altri ufficiali che malgrado tutto seguitavano a stare in prima linea.

Di colpo, nel mare di facce, sangue e lame, la giovane vide emergere un volto famigliare, che da un momento all’altro le apparve innanzi accendendo un nuovo fuoco dentro di lei.

Mai avrebbe creduto possibile di trovarsi un giorno a dover guardare suo fratello Kiriya dal lato opposto della barricata.

Stettero a guardarsi per attimi interminabili, scrutando ognuno i pensieri dell’altro, lei con sconforto lui, quasi, con vergogna.

«Perché l’avete fatto, Kiriya? Che cosa vi hanno promesso per farvi tradire i vostri alleati?»

«Io sono un soldato, nee-san. Obbedisco agli ordini. È questo il mio compito.»

L’arrivo di un nemico costrinse Seena a distrarsi, e quando riuscì a risollevare gli occhi il fratello era sparito.

 

Lucas non aveva neanche il coraggio di guardare verso la vallata, e anche i pochi uomini rimasti a protezione del campo si sentivano tremare le gambe al pensiero di quello che il loro signore li aveva costretti a fare.

Nel gioco del potere tutto era concesso, come diceva un famoso proverbio di Tristain, ma nessuno tra i più navigati ufficiali e soldati di Marcin avrebbe mai ritenuto possibile un tradimento nei confronti proprio di colui che Lucas aveva sempre considerato quasi un fratello.

«Ordinate di spingere con forza.» mormorò «Cerchiamo di farla finire quanto prima. Al momento giusto, ordinate alla cavalleria nascosta nelle retrovie di caricare, ma senza esagerare. Non voglio troppi morti.»

«Sì, mio signore.» rispose un ufficiale alla medesima maniera.

Un rombo improvviso interruppe sul nascere l’invio del segnale; sembrava un tuono, benché in cielo non vi fossero nuvole, e invece di affievolirsi quel suono così minaccioso sembrò farsi sempre più vicino.

Lucas fu il primo a riconoscerlo, ed un brivido irrigidì immediatamente la schiena, lasciandogli a malapena la forza per girarsi alle proprie spalle assieme ai suoi comandanti.

Kaoru e Kilyan sbucavano in quel momento dalla macchia di vegetazione che ricopriva il crinale situato un po’ più in alto alla destra dell’accampamento Marcin, e al comando della cavalleria Hiraga si stavano già lanciando come indemoniati contro il nemico, sventrando la terra sotto il peso dei loro zoccoli.

«Formazione di difesa!» urlò il primo dei comandanti che riuscì a riacquistare la ragione.

Confusi, i soldati posti lungo il perimetro più esterno fecero non fecero neppure in tempo a raggrupparsi in linea a dovere, e la loro flebile resistenza venne facilmente travolta, anche se le poche forze che riuscirono a mettere nello scontro diedero il tempo ai pochi soldati rimasti di formare una seconda barriera a difesa del cuore del campo.

La scena non sfuggì agli occhi di chi stava al di sotto, nella valle, e stavolta lo stupore attraversò in egual misura sia le truppe di Grasse che quelle di Mormerié.

«Kaoru!» esclamò Saito, incapace di trattenere la gioia.

I soldati a protezione del campo riuscirono a reggere l’urto della cavalleria, ma era chiaramente solo una questione di tempo.

«Lanciate il segnale alla cavalleria! Saranno costretti a tornare indietro per proteggere il loro signore!»

Il razzo venne sparato, ma non accadde nulla.

Se Kaoru aveva previsto il tradimento di Lucas, Kilyan invece aveva ipotizzato la presenza di un battaglione pronto a tagliare la strada ai loro compagni non appena questi, colti dal precipitare degli eventi, avessero cercato di fuggire, e nell’attraversare il campo di battaglia da una parte all’altra nascosti nella foresta avevano cercato, stanato e scacciato la forza in questione nel giro di pochi.

Ora era Lucas a rischiare seriamente per la propria vita.

A quel punto, Kiriya non ebbe altra scelta, e scambiatosi un altro sguardo con Seena, sorpresa quanto lui ma palesemente sollevata, si rivolse ai suoi uomini.

«Ritirata! Ritirata! Proteggete il nostro signore!»

Obbedendo all’ordine i Marcin abbandonarono la battaglia per fare ritorno al proprio campo, ma tra il disimpegno, la fatica e la notevole pendenza, la loro risalita della collina risultò lenta e difficoltosa, anche se compiuta con tutta la forza di cui disponevano.

Teoricamente sarebbe bastato mandare contro di loro un piccolo distaccamento per sbaragliarli con facilità, ma ora contava solo riuscire a persuadere i Santin, nuovamente in minoranza, a desistere, e per accelerare le cose anche Jeanne scese in battaglia con parte della fanteria rimanente.

Di fronte all’ennesimo ribaltamento di fronte, e alla vista dei suoi uomini che di nuovo si sforzavano disperatamente di tenere la posizione, Santin non parve scomporsi; al contrario, sembrava persino felice.

«A quanto pare, abbiamo decisamente sottovalutato la Grassefuchs, la Volpe di Grasse.» quindi si alzò dal suo sgabello. «Date l’ordine di ripiegare. I reparti in battaglia coprano la ritirata delle restanti truppe. Il resto delle truppe e i rinforzi in arrivo da sud facciano ritorno oltre i confini di Malmoe

«Ma così facendo quei soldati saranno costretti ad arrendersi, o peggio ancora finiranno trucidati.» tentò di obiettare un generale «Perderemo anche questa regione.»

«Sono solo poche brigate, e questo pezzo di terra possiamo pure lasciarlo ai Marcin. Un sacrificio insignificante.

Da questo momento giochiamo a carte scoperte.»

Abbandonati a sé stessi, i comandanti delle divisioni impegnate in battaglia seguitarono a combattere fin quando fu loro possibile, quindi, avuta conferma dell’avvenuto ritiro del resto dell’esercito, ordinarono di gettare le armi.

Quanto alle truppe di Lucas, lottando con la disperazione riuscirono a risalire la collina spingendo la cavalleria Hiraga a ritirarsi, ma a quel punto ormai era troppo tardi: Santin era fuggito, l’attacco di sorpresa alle retrovie palesemente fallito.

Era finita.

Quindi, fino a che gli fu ancora possibile, il giovane capo dei Marcin ordinò a propria volta di ripiegare, non prima però che lui e Kaoru si fossero scambiati un’ultima, fulminante occhiata l’uno con l’altro mentre gli Hiraga facevano ritorno nelle proprie linee.

Sul fare di mezzogiorno, la vallata era nuovamente deserta.

Il bilancio era grave, ma non disastroso, e a conti fatti le perdite potevano considerarsi esigue se paragonate al rischio che si era corso.

«Grazie, Kaoru.» disse Saito quando furono faccia a faccia «Se non fosse stato per te… ma tu come avevi capito che Lucas ci aveva traditi?»

«Per la verità fin dall’inizio mi era sembrato tutto troppo facile, ma in realtà non ne ho avuto la certezza fino a che non ha scoperto le sue carte.

Gli ho lanciato un’esca e lui ha abboccato. Doveva credere che io e il resto della cavalleria ce ne fossimo andati. E dovevi crederlo anche tu, perché fosse tutto più credibile.»

«Avete contravvenuto agli ordini.» disse Jeanne quasi con rimprovero

«Lo sappiamo, e ci dispiace.» si giustificò Kilyan «Ma era l’unico modo per essere certi delle intenzioni di Lord Lucas.

Voglio aggiungere però che nessuno di noi è stato forzato ad agire in questo modo. Abbiamo accettato di fidarci spontaneamente del Generale, e lui ha anche offerto a chi non voleva disobbedire la possibilità di chiamarsi fuori.

Quindi, siamo tutti responsabili di eventuali manchevolezze.»

Saito invece, sorridendo quasi di rassegnazione, poggiò la mano sulla spalla di Kaoru.

«Se non fosse stato per la vostra intraprendenza, ora probabilmente saremmo tutti morti.

Non pensiamoci più. E grazie».

Seena era l’unica che, malgrado tutto, non riusciva a vedere positivo, restandosene in disparte seduta su di un ceppo, con in mano il pendente d’argento a forma di ala che mai una volta si era tolta dal giorno in cui lei e suo fratello avevano lasciato la loro casa.

Anche Kiriya ne aveva uno, uguale ed opposto, ed era sicura che anche lui in quel momento lo stesse guardando, domandandosi come lei come si fosse finiti a quella assurda situazione.

«Mi dispiace, Seena.» le disse Jeanne cercando di confortarla «So quanto deve essere duro per te.»

«Non l’avrei mai creduto possibile. Mio fratello. Kiriya. Mi rifiuto di credere che abbia fatto una cosa del genere.

Non ne sarebbe capace.»

«Purtroppo, decidere le sorti di questa guerra non è nelle nostre mani. Possiamo solo cercare di farla finire al più presto.» quindi Joanne guardò verso Saito e Kaoru, con il Generale impegnato ad ascoltare le notizie di un messaggero giunto in quel momento al campo «Anche se, in tutta onestà, sono sempre più convinta che persino coloro che ritengono di avere i mezzi per muovere i fili di questo Paese siano in realtà null’altro che pedine di un gioco molto più grande di tutti noi.»

Dopo qualche minuto Kaoru tornò indietro, funereo e grigio come Saito non ricordava di averlo mai visto.

«Che è successo?»

«Credo sia meglio ritornare subito a Grasse.»

«Per quale motivo?»

«Notizie da oriente. Le armate di Santin hanno iniziato a spingere verso nord lungo tutte le principali direttive, anche quelle che fino ad ora non erano state battute.

Sta sottomettendo un feudo dietro l’altro.

Temo si stia preparando per dare l’assalto finale.»

 

Cattleya aveva visto il suo sposo che tanto amava cambiare dal giorno alla notte.

Era come se l’essere scampato alla morte, invece che dargli nuovo vigore, lo avesse incupito, tramutandolo in un fantasma di sé stesso, svuotato della sua solita voglia di vivere e combattere e tormentato dagli incubi.

Mai avrebbe pensato che una cosa del genere sarebbe potuta accadere.

Quando aveva visto l’esercito fare ritorno a Montmiraye ridotto in quelle condizioni si era adoperata come al solito per assistere i feriti, ma quando, in mezzo ai feriti, aveva riconosciuto molti soldati dell’esercito di Santin, il mondo le era caduto addosso.

In barba all’etichetta, che le proibiva di entrare nella stanza di guerra, la giovane si era immediatamente precipitata dal marito per avere spiegazioni.

«Dimmi che non l’hai fatto, Lucas.» le disse sconvolta.

Lui, fatti uscire i suoi ufficiali, distolse lo sguardo, ed il suo silenzio risultò più eloquente di qualunque risposta.

«Perché? Saito è tuo amico. E Louise… lei è mia sorella. Non puoi averli traditi. Non puoi aver tradito me.»

Di nuovo, la risposta fu un cupo silenzio, rotto solo dal crepitio dei guanti in cuoio che si serravano a pugno con violenza.

«Che ti è preso, Lucas? Io non ti riconosco più.»

«Tu non puoi capire, Cattleya. Non possiamo vincere questa guerra. Lui… lui è troppo potente.»

«Lui chi? Parli di Santin? È stato lui a convincerti a tradire la tua famiglia? A tradire tua moglie?»

«Basta, zitta!» tuonò colpendo violentemente il tavolo.

Cattleya quasi svenne per lo spavento, e lo stesso Lucas parve stupito, per non dire disgustato, della sua stessa azione.

«Lui… lui non è umano, Cattleya. Mi ha tirato fuori dal fuoco. E nel momento in cui ho visto la sua potenza, ho capito che solo aiutandolo avrei impedito a Tristain di scomparire a sua volta in un mare di fiamme e distruzione. Lui ha promesso che se lo asseconderemo darà nuova pace e prosperità a questa nazione, a tutto questo mondo.

Non ci saranno più guerre.»

«E tu gli hai creduto. Come può esistere in questo mondo qualcuno di così potente e spaventoso da spingerti a rinnegare tutto ciò in cui hai sempre creduto con il mero strumento delle parole?»

«Io… io non lo so. Ma ho percepito distintamente quel potere. E credimi se ti dico che al confronto l’inferno mi farebbe meno paura.»

All’improvviso le porte della stanza si aprirono, e due soldati di Santin irruppero all’interno, circondando Cattleya e ponendola sotto la minaccia delle loro lance.

«Chi siete? Lasciate subito mia moglie!» esclamò iracondo sguainando la spada

«Fossi in te non lo farei!» comandò solennemente una voce.

Marito e moglie volsero lo sguardo verso l’uscita, vedendo giungere dal corridoio un tetro elfo vestito di scuro, la pelle di uno strano colore olivastro, i capelli argentei ed inquietanti occhi bianchi.

«Lord Eruvere. Che significa tutto questo?»

«Lo sapevi fin dall’inizio. Ti era stato detto se non sbaglio.»

«Mia moglie non ha nulla a che spartire con tutto questo. È una questione tra me e voi!»

«Tranquillo, è solo una forma di tutela. Una garanzia.

Lo facciamo con tutti.» quindi l’elfo ammiccò malevolo «Nel caso qualcuno avesse l’impulso di tornare sulle proprie decisioni e rimangiarsi la sua promessa di fedeltà.»

«Io ho fatto la mia parte. Ho eseguito gli ordini.»

«E hai fallito. Ti sei fatto imbrogliare come un soldatino alle prime armi, e per colpa tua non siamo stati in grado di sconfiggere quei guastafeste una volta per sempre.

E poi, non si era mai parlato di un incarico solo. Il tuo debito nei confronti del Mio Signore và ben al di là di una misera battaglia.

E l’ospitalità che offriremo alla tua giovane sposa da qui in avanti sarà un modo per ricordartelo.»

Uno dei soldati afferrò Cattleya per un polso, e a quel punto Lucas ci vide rosso.

«State lontani da lei! Non siete degni di toccarla!»

Il giovane era già pronto a scattare, ed Eruvere da par suo aveva già materializzato le rune sulla gola, ma un grido solenne spezzò sul nascere la tensione.

«Fermatevi!» disse la ragazza in lacrime «Verrò con voi. Ma lasciate stare mio marito.»

Di fronte ad una richiesta così supplichevole ma risoluta gli animi di acquietarono, ed anche Lucas, pur seguitando a ribollire dentro di sé, riuscì con la forza della ragione a calmare i bollori di spirito.

Cattleya gli si avvicinò, baciandolo amorevolmente sulla guancia, quindi si consegnò ai soldati, che messisi davanti e dietro di lei la condussero fuori in direzione delle stalle.

«Non le sarà fatto alcun male.» disse beffardo Eruvere «È solo una garanzia.

Del resto, non si può dire che il tradimento sia un concetto a te estraneo, o mi sbaglio?» e detto questo se ne andò.

Appoggiato sul tavolo c’era uno schioppo dimenticato da uno dei generali; in quel momento, Lucas sentiva una gran voglia di usarlo su sé stesso.

 

 

Nota dell’Autore

Eccomi qua!

Vi avevo promesso che stavolta non sarei sparito, ed eccomi qua a mantenere la promessa!

Ora le cose si stanno mettendo davvero male

Da questo momento in poi sarà un susseguirsi di colpi di scena, che condurranno piuttosto rapidamente al climax di questi eventi, cui farà seguito un deciso cambio di passo che ci avvierà verso la seconda parte della storia.

A presto!^_^

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