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Nuvole nere
cominciavano ad addensarsi su quella che rischiava di essere l’ultimo campo di
battaglia dell’ultima resistenza.
Un giovane uomo, con il capo cinto
da una corona e rinchiuso in un’armatura d’argento, osservava dall’alto del crinale
l’esercito nemico che, di secondo in secondo, diventava sempre più grande,
inarrestabile. Aveva capelli neri abbastanza lunghi, ricadenti leggermente
all’indietro, un accenno di barba a contornargli il viso e grandi occhi blu
pieni di amarezza e ardore nello stesso tempo, come di chi è consapevole che
quello sarebbe stato, molto probabilmente, il suo ultimo giorno di vita.
Le poche migliaia di uomini che
aveva con sé erano dei disperati, uomini e donne che avevano già perso tutto a
parte la vita, e che a breve non avrebbero avuto più neppure quella. I più
grandi, i compagni di tante battaglie del giovane uomo, se n’erano già andati,
travolti dalla piaga che aveva devastato la loro terra, e che ormai, salvo un
vero miracolo, non poteva più essere fermata.
Un vento freddo e leggero, che
tagliava la pelle e screpolava le labbra, si sollevò d’un tratto, quasi un
presagio di morte.
Il giovane uomo prese da dentro
l’armatura un pendente d’oro che portava al collo, aprendolo ed osservandone a
lungo il contenuto, per poi abbozzare un leggero sorriso. Lo stava ancora
osservando quando un essere deforme ed inguardabile, con il corpo interamente
coperto da bende sfilaccianti e incrostate di sangue, gli si avvicinò; malgrado
le sue forme orribili, indossava un pregevole, per quanto disastrato, abito da
soldato, con tanto di mantello, edin
testa aveva ancora qualche capello arancio fuoco, ma la maggior parte del capo,
soprattutto sulla destra, era completamente bruciata, e coperta solo da una
leggera peluria.
Ciò nonostante, anche i suoi occhi,
che apparivano a stento tra le bende, trasudavano orgoglio e determinazione, lo
sguardo di qualcuno che non aspetta altro che di morire, ma che si riserva di
farlo solo dopo aver portato con sé quanti più nemici possibili.
«I nostri uomini sono pronti, vostra
maestà.» disse con una gracchiante e roca voce di donna.
Il giovane uomo chiuse rapidamente
il ciondolo, rinfilandolo nell’armatura e riacquistando lo stesso sguardo di
poco prima.
«E l’aviazione?»
«È in arrivo. Cinque navi.»
«Immagino ci dovremo accontentare.
Prepararsi alla battaglia.»
«Sì, maestà».
Un soldato venne a portare un
bell’unicorno bianco sporco, il giovane uomo vi salì e si diresse a passo lento
verso i suoi uomini, che attendevano dietro il crinale. Nei loro sguardi
c’erano amarezza e sconforto, alcuni piangevano, altri pregavano, altri
sembravano sul punto di usare le proprie spade per aprirsi la gola, così da
evitare inutili sofferenze in battaglia.
«Uomini!» disse il giovane uomo «In
questi due anni mi avete servito fedelmente e con valore! Comunque vada, voglio
che sappiate che è stato per me un onore, avervi comandato e accompagnato in
battaglia così tante volte!
Lo so che avete paura, e che pensate
sia inutile trovarci qui! Ma per ogni secondo che guadagneremo, per ogni nemico
che abbatteremo, sarà una possibilità di salvezza in più per coloro che, alle
nostre spalle, stanno preparando l’ultima difesa! E se questa sarà davvero la
nostra ultima battaglia, ebbene io dico, portiamone con noi il più possibile!».
I soldati, rincuorati ed infervorati
dalle parole del giovane uomo, alzarono le armi gridando a squarciagola, poi
corsero ognuno al proprio posto formando i ranghi e preparandosi alla battaglia
con rinnovato vigore.
Alle prime luci dell’alba, quando il
sole aveva già iniziato a comparire all’orizzonte, i due eserciti erano fermi
l’uno di fronte all’altro sulle due sponde della bassa vallata che sarebbe
stata il campo di battaglia.
La differenza di forze era più che
evidente; l’esercito avversario doveva essere composto come minimo da centomila
uomini, armati di cannoni, fucili, stregoni e velieri, mentre il giovane uomo
ne aveva ai propri ordini poco più di trentamila, male equipaggiati e stanchi.
I soldati nemici, poi, erano
spaventosi; sembravano un esercito di fantasmi, rinchiusi a tal punto nelle
loro armature scure che non una parte del corpo era visibile. Stesso dicasi per
gli stregoni, avvolti in lunghe tonache nere con i cappucci tirati e il viso
coperto da dei baveri.
Il giovane uomo fece un cenno, e
furono sparate le prime bordate; i nemici non fecero alcun tentativo di
evitarle, restando immobili e fermi come migliaia di statue, anche quando le
navi, finalmente sopraggiunte presero a volare sopra di loro bombardandoli con
tutto quello che avevano.
Poi, improvvisa, la risposta. Dopo
aver perso almeno mille elementi senza reagire l’esercito nemico di colpo
sembrò destarsi, i cannoni tuonarono, gli stregoni si svegliarono e i galeoni
presero ad ingaggiare la flotta avversaria con rapidità ed efficienza,
impedendo qualsiasi tentativo di supportare le unità di terra.
A quel punto, il giovane uomo
sguainò la spada, ed al suo comando gli uomini si lanciarono giù dalla collina,
imitati dai nemici, producendo un urto che si tradusse in un frastuono
assordante di spade, scudi e lance.
I soldati nemici combattevano come
tante macchine, senza lasciar trasparire stanchezza né emozioni; colpivano con
fredda e spietata precisione, uccidendo rapidamente un nemico per poi
concentrarsi subito su di un altro.
La battaglia fu tremenda, e durò
diversi, interminabili minuti.
In sella al suo unicorno, il giovane
uomo si batteva come un leone, mulinando la spada nell’aria e trafiggendo
chiunque gli si avvicinasse; poi, d’improvviso, un nemico riuscì ad afferrargli
il mantello, tirandolo giù da cavallo, ma rialzatosi velocemente quello
continuò a battersi con più foga di prima.
Venne ferito più volte, in varie
parti del corpo, ed in breve si ritrovò coperto di fango e sangue, non solo
suo.
L’essere bendato combatteva al suo
fianco, con una foga ed una furia incontrollabili; era stato trafitto e ferito
gravemente più e più volte, ma nonostante ciò continuava a battersi, fino a
che, sopraffatto da dieci nemici che lo infilzarono contemporaneamente, venne
travolto, urlando imprecazioni e maledizioni con la sua voce gracchiante e
spaventosa.
Il giovane uomo nel mentre aveva
ormai esaurito tutte le sue forze, cadendo in ginocchio e sorreggendosi sulla
spada. Ansimava, stringeva i denti per il dolore, e si aspettava di essere
finito da un momento all’altro.
Invece, di colpo, i nemici si
fermarono, allontanandosi dal giovane uomo, ormai rimasto il solo del suo
esercito ancora in vita, fino a formare attorno a lui un vasto piazzale. Dopo
poco si aprirono ulteriormente, lasciando che un altro giovane, questa volta
poco più di un ragazzo, raggiungesse il giovane uomo; era bellissimo, capelli
bianchi leggermente scompigliati, pelle candida e bel portamento, ma occhi
rosato che facevano gelare il sangue, da freddi che erano.
Il giovane uomo alzò lo sguardo,
incrociando quello del ragazzo, che sorrise malevolo.
«È passato un po’ di tempo,
altezza».
Vedendolo, il giovane uomo digrignò
i denti, e sforzandosi con tutto sé stesso riuscì infine a rimettersi in piedi,
alzando la spada in segno di sfida; il giovane sorrise in modo ancor più
evidente, poi a sua volta mise mano alla spada, gettandosi il mantello alle
spalle.
I due si scrutarono silenziosamente
a lungo, mentre il vento si faceva sempre più forte, poi il giovane uomo scattò
in avanti urlando con tutta la sua voce; il ragazzo lo attese, e tra i due
scoppiò un violento duello, che i soldati tutto attorno si limitarono ad
osservare senza voler apparentemente intervenire.
Anche il ragazzo si rivelò essere
uno spadaccino di talento, capace di resistere agli assalti del giovane uomo
senza particolari difficoltà e limitandosi a stare sulla difensiva; ma, forse,
non aveva fatto i conti con la furia ceca del suo nemico, che approfittando di
un istante favorevole prima lo sgambettò, facendogli perdere l’equilibrio,
quindi lo gettò a terra, buttandosi immediatamente sopra di lui e puntandogli
la spada alla gola.
Ancora una volta, i soldati tutto
attorno restarono immobili a guardare, senza cercare di fare nulla per salvare
il loro comandante. Questi, nonostante avesse la morte ad un tiro di sguardo,
continuava a sorridere, mentre al contrario il giovane uomo sembrava esitare;
ansimava per la fatica, e le sue mani tremavano, ed il tremore raggiungeva
anche la punta della spada, sospesa a pochi centimetri dal collo candido del
ragazzo.
«Cosa c’è? Non hai il coraggio di
farlo?»
«Hai idea…»
ringhiò il giovane uomo sgranando gli occhi «Hai idea di quanti siano morti a
causa tua?»
«E allora che stai aspettando? Colpisci».
Ma il giovane uomo continuò ad
esitare, nonostante avesse abbassato leggermente la punta della spada, che
ormai sfiorava la pelle del ragazzo.
«Io… io ti
uccido…»
«E allora fallo.» disse il ragazzo,
che poi distorse il suo bel viso in una terrificante espressione «Papà».
Quella parola rimbombò come un tuono
nelle orecchie del giovane uomo, che restò paralizzato. Il tempo di un istante,
e subito dopo aver sentito una fitta improvvisa si ritrovò con la spada del
giovane piantata nell’addome.
Il giovane uomo sgranò gli occhi,
mentre fiotti di sangue gli sgorgavano dalla bocca e dalla ferita, e come il
ragazzo ritrasse la spada tutto si fece improvvisamente nero.
NOTA DELL’AUTORE
Salve a tutti!^_^
Questa è la mia prima fanfic su Zero No Tsukaima, un
anime che ho conosciuto da poco ma del quale mi sono immediatamente innamorato.
Vorrei però fare una precisazione.
Questa fanfic
che (spero) leggerete, è una animezzazione, per così
dire, di un romanzo che sto scrivendo. Avevo iniziato a scriverlo già da
qualche tempo, e un bel giorno ho deciso di riadattarlo per farlo combaciare
con i personaggi e la storia dell’anime.
Se non avete ancora finito di vedere
la serie, mi raccomando, attenti agli spoiler!
Io vi ho avveriti!^_^
Grazie a tutti quelli che leggeranno
e (spero) commenteranno!
Saito si svegliò di soprassalto, i capelli
imperlati di sudore, l’espressione sconvolta e il respiro mozzato, mettendosi a
sedere sul letto.
Di colpo, mentre era immerso nel sonno,
aveva sentito qualcosa, come un presentimento, che lo aveva fatto trasalire, ma
che soprattutto lo aveva spaventato a morte.
Si passò una mano sulla fronte,
volgendosi poi a guardare la verso la finestra. La luna era ancora alta nel
cielo, e dovevano essere le due o le tre al massimo. Il tempo era stupendo, e
faceva anche un po’ caldo, infatti si era coricato seminudo.
Al suo fianco, Louise, ancora
immersa in un sonno pacifico. Come posò gli occhi sul suo volto, così dolce e
disteso, il giovane si calmò un poco, sorridendo leggermente per poi sfiorarle
una guancia, facendola un momento trasalire senza però svegliarla.
Se ci ripensava, gli sembrava
incredibile.
Due anni.
Già due anni erano trascorsi, da
quando si erano sposati.
Molte cose erano cambiate, nel
frattempo.
Louise aveva terminato gli studi
alla scuola di magia, e lui, dopo il titolo, le terre e la nomina a feudatario,
aveva ottenuto anche un seggio nella Camera dei Cavalieri, alla quale
presenziava regolarmente.
Anche la servitù che provvedeva alla
cura della casa si era notevolmente accresciuta, ma a differenza del passato
questa volta erano stati fissati i dovuti paletti.
Oltre a Siesta e a Marteu, anche altri inservienti che un tempo servivano alla
scuola ora lavoravano a De Ornielle; un segno di
ringraziamento da parte del vecchio Osmund per i
molti servigi offerti dai suoi due ragazzi preferiti all’accademia.
La servitù occupava l’ala
occidentale della villa, oltre la torre di guardia, mentre la parte centrale ed
orientale era riservata ad uso esclusivo dei padroni, e dei loro eventuali
ospiti.
Anche i sudditi erano soddisfatti.
Grazie alla pazienza di Saito e Louise, ma soprattutto grazie agli investimenti
della famiglia Valliere, Ornielle
stava gradualmente ritornando alla vita; i villaggi della regione, semideserti
fino a due anni prima, si stavano ripopolando, le prospettive di lavoro non
mancavano, ma soprattutto c’era tanta voglia da parte della gente comune di
mettersi al servizio di due padroni così benevoli e degni di rispetto e stima.
Ogni tanto, quando ci pensava, gli
sembrava ancora tutto così fantastico.
Se quel giorno ormai lontano la sua
vita non avesse avuto quella incredibile svolta, quell’esistenza che ora stava
vivendo se la sarebbe solo sognata; probabilmente avrebbe finito le scuole,
forse frequentato l’università, per poi farsi assumere in qualche ufficio dove
avrebbe speso il resto dei suoi giorni aspettando di morire.
Ora invece era un nobile, feudatario
di un dominio abbastanza vasto, sposato con una ragazza bellissima che amava
più della sua vita, in un mondo di draghi e stregoni.
Qualche volta però la sua vecchia
vita gli mancava, ma quando succedeva interveniva Louise, che in un attimo
apriva un portale per il suo mondo natale; Saito era
contento di questa opportunità, ma cercava di servirsene il meno possibile,
perché ora la sua vita era lì, in quel mondo.
Ricordava ancora la faccia che i
suoi genitori, che lo avevano addirittura creduto morto, visto che era
scomparso nel nulla da un momento all’altro, avevano fatto quando si era
presentato per la prima volta a casa, raccontando tutto quello che gli era
successo e presentando la ragazza che era assieme a lui come la sua neosposa.
Aveva provato a convincerli un paio di volte a venire con lui, ma dopo aver
provato per un po’ la vita di Tristein avevano deciso
di ritornare a quella vecchia, alla quale bene o male erano ancora affezionati,
nonostante la lontananza dal loro unico figlio.
Rinfrancato e sollevato dalla vista
di Louise, Saito si sentì svuotare di quella
sensazione che lo aveva svegliato e si rimise a dormire.
Il mattino dopo,
quando Louise, ancora mezza addormentata, scese in salone, Saito
era già sveglio, e stava finendo di fare colazione.
«Perché non mi hai svegliata?»
domandò stropicciandosi gli occhi
«Dormivi così bene, non ho voluto
svegliarti».
Lei si sedette, e dopo poco Siesta
venne a servire la colazione anche a lei, con la cortesia ed il rispetto
proprie di una vera domestica.
Da dopo il matrimonio Siesta si era
messa l’animo in pace; i sentimenti per Saito c’erano
ancora, e negarlo sarebbe stato stupido, ma il rispetto per quelli che ormai
erano i suoi padroni e per i propri doveri erano un’altra cosa.
Ogni tanto Saito
lanciava qualche sguardo luccicante alle forme della sua domestica preferita,
che per la verità non si sforzava in alcun modo di nasconderle, ma a differenza
del passato questo a Louise non importava più di tanto. Sapeva bene che Saito amava solo lei, e questo era più che sufficiente.
Certo, bisognava che il suo sposo si tenesse entro i limiti tollerati dal buon
senso; perché in caso contrario, il frustino era sempre a portata di mano.
«Oggi hai degli impegni?» domandò
Louise
«Nessuno.» rispose Saito alzando gli occhi dal libro che stava leggendo «Stavo
pensando che potevamo andare a trovare i miei genitori.»
«I tuoi genitori sono davvero dei
tipi strambi, lo sai?»
«Mai quanto le tue sorelle».
Louise rise, poi abbassò un momento
gli occhi, quasi avesse paura di incrociare quelli di Saito.
«Qualcosa non va’?»
«No, niente.» rispose lei girando
ancora di più lo sguardo.
Saito si
alzò dalla sedia, si avvicinò a lei e le sollevò il mento; entrambi
arrossirono.
«C’è qualcosa che devi dirmi?»
«N… niente
affatto.» rispose lei, ma non era mai stata brava a mentire.
Il ragazzo decise di non forzarla,
anche perché in certi casi era buona di farlo saltare per aria, ma non riuscì a
resistere, quando Siesta li lasciò soli, al desiderio di scambiarsi con lei un
dolce e timido bacio.
«Ti amo.» disse Saito
«Lo sai, vero?»
«Anche io, Saito.
Con tutta me stessa».
Siesta assisteva dalla porta
socchiusa; da una parte era sollevata dal vederli così felici ed innamorati, ma
dall’altra non riusciva a non pensare al fatto che forse, se avesse giocato
meglio le sue carte, avrebbe potuto esserci lei al posto di Louise.
Forse era anche per questo che non
era ancora riuscita a trovare l’amore.
I pretendenti certo non le
mancavano. Quando scendeva al villaggio per fare compere i giovani si mettevano
in fila anche solo per augurarle il buongiorno, ma lei aveva servito a tutti un
due di picche; alcuni li aveva trovati anche attraenti, gentili, ma poi, al
momento fatidico, quel sentimento mai sopito per Saito
l’aveva sempre spinta a tirarsi indietro.
Un paio di volte aveva addirittura
pensato di chiedere le dimissioni, così da allontanarsi da quella specie di
dolorosa prigione, ma poi si era sempre detta che vedere Saito
ogni giorno era meglio che non vederlo più, anche se era costretta ad
osservarlo mentre baciava e amava una donna che non era lei.
Purtroppo, sentiva di essere giunta
al limite; o prendeva una decisione al più presto, o quella situazione
l’avrebbe fatta impazzire.
Qualche ora dopo,
Louise e Saito erano pronti a partire.
Durante i suoi viaggi nell’altro
mondo Louise aveva aggiornato il proprio guardaroba; si sentiva troppo a
disagio quando andava nel mondo di Saito e tutti la
guardavano tra il meravigliato e l’incuriosito. All’inizio non era riuscita a
capire perché, ma poi si era reso conto che era colpa dei suoi vestiti, così
era corsa ai ripari. Quegli abbigliamenti non le piacevano particolarmente, ma
meglio quello che essere considerata una cosplayer.
Anche Saito
si era adeguato; la sua solita palandrana aveva iniziato a diventargli piccola,
ma ci si era affezionato troppo per buttarla, e con qualche rimaneggiamento da
parte di un sarto era riuscito a farsela riadattare.
«Siamo pronti?» domandò Louise
quando Saito la raggiunge nel cortile dinnanzi
all’ingresso
«Prontissimi.» rispose Saito mostrando il solito cesto di regali destinati a sua
madre «Procedi pure».
Louise prese dunque in mano la
bacchetta e cominciò a salmodiare.
Il varco comparve davanti ai due,
aprendosi su una stradina laterale non lontano dalla casa di Saito, ma di colpo, proprio quando Louise smise di recitare
l’incantesimo, la porta di colpo si richiuse.
«Che è successo?» domandò Saito
«Non… non
lo so.» rispose Louise «Non era mai successo».
Louise ci riprovò una seconda volta,
ma questa volta non riuscì neanche ad aprire del tutto il varco, che scomparve
prima ancora di raggiungere le sue solite dimensioni.
«Ma che sta succedendo?» disse la
ragazza sempre più colpita «L’incantesimo non funziona più.»
«Forse è solo una giornata storta.»
commentò Saito «Non sarebbe la prima volta.»
«Mi hai preso forse per una
principiante?» replicò lei indispettita «Avrò usato questo incantesimo almeno
un migliaio di volte.»
«E con questo?» rispose Saito malizioso «Dopotutto, ti chiamavano pur sempre Louise
la Zero».
Quest’ultima affermazione costò al
giovane una pedata tra le gambe, ma mentre Saito era
a terra a contorcersi per il dolore Louise notò qualcosa che le fece sbarrare
gli occhi.
«Saito! La
tua mano!».
Il ragazzo, riavutosi, si guardò la
mano: le rune che solitamente vi erano impresse, ora erano sparite.
«Le rune di Gandalfr…
non ci sono più?!»
«Ma cosa succede? La mia magia che
non funziona, e ora le rune magiche che sono sparite un’altra volta».
E purtroppo, le brutte notizie non
erano ancora finite.
D’improvviso, mentre i due giovani
stavano ancora interrogandosi su quello che poteva stare succedendo, un
messaggero raggiunse la magione arrivando all’ingresso sul retro, dove era di
servizio il vecchio maggiordomo, al quale comunicò una notizia che minacciò di
provocare all’anziano un infarto letale.
Questi, a sua volte, corse a
riferirla ai padroni di casa.
«Padrone!» esclamò correndogli
incontro
«Che succede?».
Quello dovette riprendere fiato,
prima di trovare la forza per rispondere.
«La… la
regina Henrietta!».
Nel sentire pronunciare quel nome, Saito e Louise sbiancarono; a guardare l’espressione, e a
sentire il tono del vecchio, doveva essere successo qualcosa di molto grave.
Due Giorni Prima
Dopo quasi due anni di
conclave, i cardinali riuniti ad Aquileia erano
finalmente riusciti ad accordarsi per la successione dell’ormai compianto
Vittorio Seravere. La scelta era ricaduta su tale
Antoine Necker, un cardinale Galliano
di quasi sessant’anni, appartenente all’ala conservatrice.
Il motivo di un conclave così
insensatamente lungo era stata proprio l’opposizione tra i progressisti, che
avrebbero voluto lo stesso Julio come nuovo vicario, e i conservatori, che
invece attribuivano alla politica del vecchio papa la ragione delle disgrazie
capitate a Romalia, e alla fine questi ultimi avevano
prevalso.
La nomina di Necker
non piaceva a nessuno, ma d’altra parte non si poteva fare altro che accettare
il fatto compiuto.
Come primo atto della nomina del
nuovo pontefice, tutti i regnanti e dignitari di tutte le nazioni vicine
dovevano recarsi a rendere omaggio e a dichiarare la loro sottomissione al
vicario della chiesa universale, e tra questi vi era, ovviamente, anche la
regina Henrietta.
La partenza era avvenuta in sordina,
senza troppa pubblicità, per ragioni di sicurezza.
Con tutto quello che era successo
negli ultimi anni, dalla guerra con Albion e la
Gallia e la rivolta dei draghi, anche il casato reale di Tristein
non se la passava troppo bene in termini di consenso popolare, e persino tra i
nobili c’era chi soffiava sulla fiamma del malcontento manifestando palesemente
la propria mancanza di rispetto, rifiutando ordini o prorogandone l’esecuzione
fino all’inverosimile.
Forse quel viaggio era proprio ciò
che ci voleva alla regina.
Per un po’ sarebbe stata lontana,
dando magari ai suoi irrispettosi sudditi il tempo di calmarsi un po’.
Con lei, come sempre, la fedele
Agnes.
Dopo un paio d’ore dalla partenza l’Ostland aveva ormai superato i confini di Tristein, e stava sorvolando le fertili pianure del nord di
Gallia. La regina era sul ponte, affacciata ad osservare il verde che si
stagliava sotto i suoi piedi.
«Mia regina.» disse Agnes
avvicinandosi «Temo non sia prudente restare all’esterno.»
«Non preoccuparti, Agnes. Cosa
potrebbe mai succedermi quassù?»
«Lo so. Però la prudenza non è mai
troppa, e questi, mi duole dirlo, sono tempi difficili.»
«Ne sono consapevole.» rispose lei
tornando a guardare le colline «In tutta onestà, non riesco a biasimare coloro
che mi accusano di aver fatto del male a Tristein.»
«Mia signora, non dovete dire così.
Voi avete sempre servito la nazione come una vera sovrana.»
«Ma la guerra con Albion, quella sfiorata con Gallia, e anche la venuta del
Drago Antico. Tutte le calamità che hanno colpito Tristein
negli ultimi anni, in parte sono dovute anche a causa mia.»
«E avrebbero spazzato via il nostro
regno, se voi non aveste fatto sfoggio del vostro coraggio e della vostra
determinazione».
Henrietta
si volse verso la sua fedele guardia, sorridendole.
«Ti ringrazio, Agnes. Sono felice di
poterti avere al mio fianco.»
«Se posso permettermi di darvi un
consiglio, mia regina. Provate a godervi questo momento di pausa. Stare lontana
dal palazzo vi farà bene, e vi aiuterà a radunare le energie. Senza dubbio,
quelli che verranno da ora in poi saranno mesi molto impegnativi.»
«Hai ragione.» rispose Henrietta rincuorata «Dopotutto, è in momenti come questo
che dovrei prendere esempio da Louise, ed essere un po’ più sicura di me.»
«Diciamo di sì.» rispose Agnes
accennando un sorriso «E non preoccupatevi. Io sarò sempre al vostro fianco,
qualsiasi cosa accada».
Purtroppo, le due giovani donne non
potevano sapere che i semi della congiura erano arrivati fin lì, fin nel luogo
che, dopo il palazzo reale, era ritenuto il più inviolabile di Tristein.
Tra i bagagli, le vettovaglie e il
materiale caricato prima della partenza qualcuno, in gran segreto, era riuscito
a caricare anche quattro grossi barili; sui registri di carico c’era scritto vino,
ma in realtà contenevano qualcosa di molto peggiore.
La guardia addetta alla sorveglianza
dei magazzini era annoiata a tal punto da stare per addormentarsi, quando un
suo compagno venne a portargli del caffè.
«Dura fare la guardia, eh?» commentò
il nuovo arrivato, un tipo sulla quarantina un po’ bruttino, con un mento
piuttosto pronunciato
«Puoi ben dirlo.»
«Svegliati con questo.»
«Grazie. Mi hai salvato la vita».
Tutto il contrario.
Come la guardia allungò la mano per
prendere la tazza, l’altro soldato, fulmineo, gli piantò un coltello nella
gola, e quel poveretto morì prima ancora di rendersi conto di quello che era
successo. A quel punto il soldato sfilò le chiavi alla guardia morta ed entrò
nella stiva portandosi dietro il cadavere.
All’interno era quasi buio, ma con
abbastanza luce da potersi orientare, permettendo al soldato di raggiungere i
barili che gli erano stati indicati prima della partenza; ad uno di questi
tolse il tappo di sughero, e dal buco uscì una strana sabbia nera, che il soldato
prese a far scivolare lungo la stanza fino a produrre una linea scura che dalla
porta d’ingresso arrivava fino ai barili.
«Così dovrebbe bastare.» disse,
quindi raccolse la torcia che ardeva accanto allo stipite.
Passarono cinque, forse sei minuti,
poi un pastore che stava pascolando il suo gregge non lontano da casa udì una
tremenda esplosione. Alzato lo sguardo, vide una enorme nave avvolta dalle
fiamme, che dopo aver continuato a navigare per un centinaio di metri venne
infine sventrata da una seconda, devastante esplosione, per poi precipitare in
tanti pezzi sulle pendici della vicina montagna.
Nota dell’Autore
Eccomi qua!^_^
Ve l’avevo detto che avrei aggiornato
presto!
In verità, credo che questo sia stato
il mio aggiornamento più rapido in tutta la mia carriera di scrittore. Il fatto
è che questa storia ce l’ho già tutta nella mia testa, essendo, come detto, la
rielaborazione del romanzo che sto scrivendo, quindi buttarla giù è molto
facile?
Visto che roba!?
Al primo capitolo è già successo
tutto questo. E state tranquilli che da qui in poi la situazione diventerà
anche più “incandescente”.
Una precisazione. Il titolo originale
di questa storia era Zero no Tsukaima – Il Simbolo
Segreto, ma dopo un breve ripensamento ho deciso di cambiarlo in Zero no Tsukaima
-Toki no OwariMade, ovvero “Zero
No Tsukaima – Fino alla Fine del Tempo”. Il
motivo di questa scelta, così come il significato del titolo, lo scoprirete
solo molto più avanti!^_^
Saputo quello che era successo, Saito e Louise
presero una delle loro carrozze e volarono veloci come il vento alla capitale,
dove era stata convocata una riunione d’emergenza della Camera dei Cavalieri.
Quando arrivarono in città,
regnava una calma agghiacciante.
Sembrava una giornata come tutte le altre; le
massaie facevano la spesa, gli uomini andavano al lavoro e i bambini a scuola,
come se niente fosse successo.
E in effetti, per la gente comune davvero non
era successo niente; l’incidente dell’Ostland era
stato mantenuto segreto per ordine della regina madre, anche in relazione al
fatto che, durante i primi sopralluoghi sul luogo della tragedia, il cadavere
di sua maestà non era ancora stato individuato.
Se si fosse saputo che la sovrana di Tristein era morta, Dio solo sapeva cosa sarebbe potuto
accadere; come minimo ci sarebbe stato il panico più totale, seguito magari da
incidenti e disordini che non avrebbero fatto altro che aggiungere drammaticità
ad una situazione già tragica.
Louise era talmente in ansia che prima ancora
di arrivare al castello non aveva più una sola unghia, e si era morsicata le
labbra fin quasi a sanguinare.
«Cerca di stare calma.» disse Saito
poggiandole una mano sulle ginocchia
«Come faccio a stare calma?!» replicò lei «La
regina potrebbe essere morta!»
«Posso capire quello che stai provando. Mi
sento così anch’io. Ma se ci lasciamo prendere dal panico in un momento simile,
rischiamo di peggiorare le cose».
Louise alzò gli occhi, incrociando quelli di
Saito.
«Lo sai.» disse abbozzando quasi un sorriso
«Parli proprio come un nobile.»
«Ho imparato dai migliori.» rispose lui
sorridendo ugualmente, per poi accarezzarle una guancia «Fatti coraggio. E poi,
l’hai sentito. Non hanno trovato il suo corpo tra le macerie dell’Ostland. Potrebbe anche essere ancora viva. Dobbiamo essere
forti e mantenere il sangue freddo, soprattutto per lei.»
«Hai ragione. Ti chiedo scusa».
Appena arrivarono al castello, Saito si recò
immediatamente nella stanza della Camera, mentre Louise, alla quale ovviamente
era negato l’accesso, andò invece verso gli alloggi della regina.
Avrebbe voluto toccare con mano e rivedere i
luoghi in cui aveva trascorso molte ore durante l’infanzia, giocando con Henrietta come se fosse stata una qualsiasi amica del
cuore, ma quando arrivò la zona era piena di guardie, giudici e membri della
polizia militare.
«Mi dispiace, signorina.» le disse una guardia
«Ma non può passare nessuno.»
«Che sta succedendo?»
«Non sono autorizzato a parlare, mi dispiace».
Louise a quel punto snudò gli artigli, e forte
della sua autorità esibì l’anello di famiglia.
«Io sono Louise de la Vallière, sorella
acquisita della regina Henrietta. Pretendo che tu mi
dica che cosa succede».
Il soldato a quel punto si risolse a mostrarsi
più collaborativo.
«Per ordine del tribunale, stiamo perquisendo
le stanze di sua maestà in cerca di prove.»
«Prove!?» replicò Louise «Che significa questa
storia?».
Nel
mentre, la seduta della Camera era già entrata nel vivo.
La stanza, lunga e stretta, era percorsa nei
due lati lunghi da due file di seggi, più altrettante balconate superiori,
mentre sul fondo, dirimpetto all’ingresso, vi era il seggio solitamente
occupato dalla regina, e subito davanti ad esso lo scranno dove sedeva il Magister, il sovrintendente della Camera, una sorta di
arbitro che veniva nominato dalla regina ogni cinque anni.
Infine, alle spalle del trono, due bandiere di
Tristein circondavano la scultura in oro raffigurante
il giglio reale, circondato da una coppia di unicorni rampanti.
Le due ali della Camera erano occupate
rispettivamente dalle fazioni dei Conservatori, fedeli alla regina e al suo
giudizio, dei quali faceva parte anche Saito, e dei Progressisti, che pur restando
sottoposti alla regina erano di vedute semi-repubblicane e popolari.
Inizialmente Saito aveva pensato di aderire ai
Progressisti, ma poi si era reso conto che il loro capo, lord Sauvegnechevalier Santin, conte
di Mormerié, era un nobile tronfio e arrogante più di
quelli che diceva di combattere per il bene del popolo, così si era schierato
coi polari, tra i quali, oltre al suocero, sedeva anche Lord Lucas de Marcin, il marito di Cattleya, la
sorella maggiore di Louise.
Lucas era come un fratello maggiore per Saito;
era un nobile di lungo corso, onesto ed ammirevole, che pur schierato coi
Conservatori dimostrava una mentalità aperta al cambiamento. Sua moglie lo
aveva pregato di tenere sempre d’occhio il giovane e ancora inesperto Lord Hiraga, per evitare che venisse fagocitato dal mondo
spietato della politica e dargli il proprio supporto fino a quando non fosse
stato abbastanza maturo per navigare da solo.
Era anche un uomo di bell’aspetto, con lunghi
capelli castano scuri, occhi neri e profondi e un viso gentile, oltre ad un
portamento da vero signore; non aveva mai frequentato le scuole di magia,
nonostante la sapesse usare, preferendo invece la strada del soldato,
infattiaveva un grado da ufficiale
nell’esercito reale, e il suo era uno degli eserciti privati più grandi e
meglio addestrati tra quelli di tutti i feudatari del regno.
La seduta era iniziata alla solita maniera,
con un membro della Camera, in quel caso un Conservatore, che aveva cercato di
aprire il dibattito, ma quasi subito si era scatenato un coro inascoltabile e
assordante di urla e improperi a obice.
Saito e Lucas erano tra i pochi a mantenere
l’autocontrollo e a non strillare, e si guardavano entrambi attorno
preoccupati.
«Qui succede un putiferio.» commentò Saito
«Putiferio è un eufemismo, temo».
Poi entrambi guardarono Santin, anche lui
apparentemente calmo e impassibile, seduto dirimpetto a loro.
«Quel maledetto cercherà di approfittarsi
della situazione, vedrai.» disse Lucas.
Intanto, il coro di voci non accennava a
diminuire.
«Ci serve un nuovo sovrano! – Dobbiamo pensare
ai confini! – Scoviamo gli assassini! – È stato un attentato! – Il regno è in
pericolo!».
Alla fine, il magister
dovette intervenire per calmare gli animi.
«Silenzio! Ordine!» esclamò, e come batté il
martelletto la situazione si acquietò almeno un poco «Lord Santin. Potete
parlare».
Il lord a quel punto scese dal suo seggio e si
portò al centro della sala per parlare.
«Questo fatto, indubbiamente grave, ci ha
tuttavia fatto aprire gli occhi su di una verità ormai innegabile. Che questa
famiglia reale sta perdendo sempre più il consenso del popolo.»
«Che ti avevo detto?» sussurrò Lucas
«Quello che ci vuole, è un cambio deciso e
immediato.»
«Ma non sappiamo neppure se sua maestà sia
morta!» sbraitò Saito alzandosi in piedi
«Se fosse viva sarebbe già tornata, non
credete lord Hiraga? O avremmo quantomeno ricevuto
sue notizie.»
«Tornata!?» replicò un altro conservatore «In
un Paese pieno di approfittatori pronti a pugnalarla alla prima occasione, come
probabilmente hanno già fatto?».
Minacciò di scoppiare un’altra volta il
finimondo, ma il Magister riportò subito l’ordine.
«Pensate quello che volete, onorevoli signori.
Ma io sono del parere che in questo momento Tristain non si può permettere di
restare senza un sovrano. E sono convinto di non essere il solo a pensarlo, o
mi sbaglio?».
Molti, anche tra i conservatori, abbassarono
gli sguardi.
«Preferite aspettare in eterno il ritorno di
una regina che probabilmente sarà bruciata fino alla cenere? E nel frattempo
magari, assistere alla rovina di questa nazione?» replicò Santin quasi
ghignando «Grazie tante, ma no».
Di colpo, Lucas si alzò in piedi.
«Se è della successione che vi preoccupate
tanto, lord Santin, non ne avete motivo. A quanto ne so, un successore c’è
già.»
«Davvero? E chi sarebbe?».
Seguì un momento si silenzio, poi tutti
volsero lo sguardo verso lo spaesato Saito.
«Spero stiate scherzando.» commentò Santin
«Louise de la Vallière ha ricevuto il titolo
di sorella acquisita di sua maestà tre anni fa. Inoltre, ha un legame di sangue
con la famiglia reale.» disse Lucas
«Un pezzo di stoffa portato sulle spalle e
qualche goccia di sangue blu non bastano a legittimare un erede al trono. Ci vuole
un’autenticazione reale firmata da sua maestà, e non mi risulta sia mai stata
prodotta.»
«Questo è solo un vizio di forma, e voi lo
sapete!» sbraitò un altro conservatore
«Quindi, per voi non è un problema.» replicò
malevolo Santin «Se Louise de la Vallière prendesse il posto della regina, per
poi andrebbe bene».
Di nuovo, molti abbassarono gli occhi.
«Non prendiamoci in giro.» incalzò Santin
«Tutti noi, e per primo lei, lord Hiraga, sappiamo
fin troppo bene che miss Vallière non possiede neanche lontanamente le
caratteristiche necessarie per sedere sul trono.»
«Perché voi forse pensate di esserlo, lord
Santin?» replicò pungente Lucas
«Se parliamo di legami di sangue, allora anche
il mio casato può vantare una lontana parentela con la famiglia reale. Come almeno
un’altra ventina di delegati qui presenti, incluso lei, lord Marcin.
E comunque, non eravate voi a dire che non
possiamo dare per certa la morte della regina? Adesso, tutto d’un tratto» e
Santin indicò lo scranno sul fondo «Avete tanta fretta di mettere qualcun altro
su quel trono?».
Per la terza volta ci fu silenzio, e Santin ne
approfittò per affondare ugualmente il coltello.
«Come se non bastasse, Miss de la Vallière non
è certo esente da colpe. Tralasciando le responsabilità di quella mezz’elfa che, Dio sia lodato, da tempo ormai se ne è tornata
nel suo Paese, a chi dovremmo imputare l’arrivo a Tristain di quel drago
maledetto?»
«E vorreste dare la colpa a Louise?» sbraitò
Saito inalberandosi
«E a chi, se no? Un mago del vuoto che siede
sul trono di Tristain. Mi vengono i brividi solo a pensarci. E, potrei metterci
la mano sul fuoco, non solo a me».
Saito strinse i denti, cercando di darsi un
contegno.
«E la guerra sfiorata con Gallia? E la crisi
diplomatica con Romalia?» incalzò Santin «Miss Vallière
non ha certo facilitato il buon corso di questa nazione. Per non parlare poi
dei suoi gusti discutibili in fatto di matrimonio. Un nobile per
raccomandazione, che in quattro anni ha creato più guai di quanti non ne abbia
risolti, non è certo un buon partito».
Quella era la goccia di troppo. Insultare e
provocare lui era un conto, ma non dovevano permettersi di mettere in mezzo
Louise, né tanto meno di criticarla.
Con quattro balzi Saito saltò giù dal suo
scranno, si avventò su Santin e gli assestò un pugno dritto allo zigomo, che
quasi lo buttò a terra.
«Dannato bifolco.» mugugnò lui pulendosi il
sangue, per poi rispondere a tono.
Così, quella che era iniziata come una seduta,
per quanto movimentata, si trasformò in una tremenda scazzottata tra le due
opposte fazioni, e stavolta neanche l’onorevole Magister
fu in grado di placare la situazione.
Alla
fine della riunione, il bilancio era di tre feriti, un ricoverato e un numero
imprecisato di contusi.
Saito e Lucas se la cavarono con qualche
livido sulla faccia, e lasciata la sala si diressero insieme verso i cancelli
per fare ritorno ognuno al proprio feudo.
Alla fine, seppur con molte remore, si era
deciso di affidare il controllo provvisorio di Tristania
e della regione circostante alla regina madre, mentre la gestione dei singoli
domini sarebbe stata di competenza dei feudatari, il tutto in attesa di
stabilire una più efficiente e duratura linea di condotta, anche al fine di
appurare se la regina fosse effettivamente deceduta o meno.
«Quel porco tronfio e arrogante.» mugugnò
Saito «Mi viene freddo se penso a quello che potrebbe fare.»
«E purtroppo, temo non sia solo di lui che
dobbiamo preoccuparci.»
«Che vuoi dire?».
Entrambi si fermarono, e Lucas si avvicinò il
più possibile per poter parlare a bassissima voce.
«La verità, Saito, è che metà dei cavalieri
che erano seduti in quella sala, inclusi i nostri alleati, non aspettavano
altro che un’occasione come questa.
Questa storia è di una gravità estrema, e
ognuno cercherà di tirare acqua al suo mulino per avere la propria fetta.»
«Potrebbero arrivare a fare qualcosa di
insensato?»
«Non lo so. Non ci siamo mai trovati in una
situazione simile. Ma ora che ogni feudatario potrà fare del proprio dominio
quello che vuole, questo significherà che potranno disporre appieno anche dei
soldati e degli eserciti che vi sono dislocati».
Saito, capendo, sgranò gli occhi.
«Non starai parlando di una guerra civile!?»
«Spero con tutto il cuore di sbagliarmi. Ma comunque
vada, fai attenzione. E soprattutto, tieni sempre d’occhio Louise.»
«Per quale motivo?»
«Santin ha voluto spaventare gli altri
cavalieri, e inventarsi scuse per minarne il prestigio, ma non vi è dubbio sul
fatto che Louise ad ora sia effettivamente la candidata principale a prendere
il posto di sua maestà, qualora venisse effettivamente confermata la sua morte.
Di conseguenza, qualcuno potrebbe finire per vederla come una minaccia».
Di colpo, Saito sentì un colpo al cuore.
Solo adesso realizzava quando Louise potesse
essere in pericolo. A due anni di distanza restava una ragazza testarda, un po’
superba, piena di sé, sempre pronta a spaccare il mondo, ma la minaccia che
avrebbe potuto pioverle addosso da un momento all’altro era forse più di quanto
lei stessa potesse affrontare, pur con tutte le sue forze.
Era suo dovere proteggerla. E lo avrebbe fatto,
con o senza il potere di Gandalfr.
«Non preoccuparti.» lo rincuorò Lucas
«Comunque vada, sappi che qui hai sempre un alleato».
Quindi, lord Marcin
consegnò a lord Hiraga una strana penna stilografica,
tutta bianca e coperta di rune.
«Che cos’è?»
«Un pennino di Athwani.
Se avrai bisogno di aiuto, non devi fare altro che scrivere il tuo messaggio
con questa penna, ed io lo riceverò in qualsiasi momento».
Saito strinse la penna e accennò un sorriso;
almeno, aveva qualcuno su cui poter contare, in quella situazione così
difficile.
«Ti ringrazio, Lucas.»
«Non c’è di che.» quindi, Lucas se ne andò per
primo «E mi raccomando, sta in campana».
Sul
fare del tramonto, Louise e Saito erano di nuovo in carrozza e stavano
rientrando ad Ornielle.
C’era uno strano silenzio tra di loro, carico
di ansia.
Saito non aveva detto nulla a Louise dell’avvertimento
di Lucas, perché non voleva preoccuparla o spaventarla inutilmente. Intanto però,
aveva già deciso che appena rientrati al palazzo avrebbe intensificato le
misure di sicurezza e rafforzato il corpo di guardia.
«Come ti sei procurato quei lividi?» domandò
ad un certo punto Louise
«Beh, sai.» rispose Saito cercando di
sdrammatizzare «La discussione alla Camera d’un tratto si è fatta piuttosto
accesa.»
«E cosa è stato deciso?»
«Per il momento, ogni feudatario amministrerà
da sé il proprio territorio, in attesa di vedere come si svilupperanno gli
eventi.»
«Capisco».
Saito restò un momento basito.
Non sembrava affatto la Louise che conosceva,
cocciuta ed egocentrica. Quando si erano rincontrati dopo la riunione lei gli
aveva detto quello che stava succedendo negli appartamenti della regina, ma
visto ciò di cui si era discusso alla Camera non c’era da stupirsi che si
stessero cercando le prove che Henrietta fosse caduta
vittima di un attentato.
Più che altro però, Louise sembrava non aver
minimamente considerato la prospettiva di poter essere lei la persona destinata
a prendere il posto della regina.
D’un tratto, Saito si avvide che Louise stava
piangendo, un pianto sommesso che cercava di nascondere. Capì subito quale ne
fosse il motivo.
«Louise…».
A quel punto, lei si lasciò andare, buttandosi
addosso a lui e piangendo tutte le lacrime che aveva.
Ma come si poteva biasimarla?
Lei conosceva Henrietta
meglio di chiunque altro; erano praticamente cresciute insieme, e salvo le
occasioni formali si erano sempre considerate più amiche che sovrana e suddita.
«Io ti proteggerò, Louise.» sussurrò Saito
stringendola a sé «Sempre».
Nel mentre, la carrozza stava percorrendo un
tratto di strada immersa nella foresta, con un alto costone roccioso appena
sulla sinistra. All’improvviso, alcuni massi piovvero dal cielo; il conducente
riuscì a frenare in tempo per evitarli, ma alcuni di essi, invece che
continuare a rotolare tra gli alberi, andarono ad ostruire il sentiero.
«Che sta succedendo?» disse Saito, che per la
brusca frenata era quasi volato a terra.
Non ci fu neanche il tempo di provare un’inversione
di marcia, che nello spazio di pochi secondi una ventina di uomini armati e
vestiti da contadini sbucarono sia da dietro gli alberi che da sopra il
costone, circondando la carrozza; uno di loro, uno stregone, lanciò
immediatamente una selva di punte di ghiaccio che trafissero più volte il
veicolo, ma Saito e Louise riuscirono fortunatamente a gettarsi fuori in tempo,
e così anche il conducente, che corse subito a nascondersi sotto le ruote.
«Chi siete?» domandò Saito sguainando la
spada.
Quelli non risposero, facendosi sempre più
minacciosi.
Di certo non si trattava di comuni briganti;
in quella zona non se n’erano mai visti, e comunque nessuno di loro sarebbe mai
stato tanto pazzo da attaccare una carrozza con impresse le insegne di un
feudatario, perché significava cucirsi addosso una condanna a morte.
Saito tornò subito con la mente all’avvertimento
di Lucas; a quanto pareva Santin non aveva davvero perso tempo nel mettere in
atto i suoi propositi.
«Chiunquevoi siate» disse Louise «Questo affronto vi costerà caro.
Istintivamente, fece per mettere mano alla sua
bacchetta, ma poi si accorse, sgomenta, di non averla portata con sé; nello
sconcerto del momento, quando erano partiti quella mattina, l’aveva lasciata a
casa.
La situazione era davvero seria; anche senza
le rune di Gandalfr, Saito era un buon spadaccino, ma
era difficile stabilire se sarebbe stato in grado di affrontare da solo tutti
quegl’avversari.
NOTA DELL’AUTORE
Salve a tutti!^_^
Come avevo detto, mi
ci è voluto un po’ di più per scrivere questo capitolo, soprattutto perché in
questi due giorni ho avuto un po’ di cose da fare, e mi sono preso indietro.
Ad ogni modo, questo
potremmo definirlo l’ultimo dei capitoli “di preambolo”. Dal prossimo, si
entrerà davvero nel vivo della storia, anche se per le prime rivelazioni si
dovrà aspettare di essere attorno al 15mo o giù di lì.
Grazie come sempre a Seldolceper la sua recensione, nonché a tutti
coloro che leggono.
I
briganti, i tagliagole, o chiunque essi fossero, presero ad avvicinarsi,
lentamente e da tutti i lati, circondando la carrozza e i due ragazzi.
Saito si manteneva vicino a Louise, perché era
quasi sicuro che fosse lei il loro bersaglio primario, quindi non poteva
permettersi di perderla d’occhio.
«Louise.» le disse «Entra nella carrozza e
chiuditi dentro.»
«Che cosa!?» replicò lei sorpresa
«È più sicuro che starai lì.»
«Che fai, mi mandi via?» disse risentita la
ragazza «Guarda che so difendermi molto bene!»
«Fallo!» rispose perentorio Saito.
Louise restò un momento basita, e due degli
assalitori immediatamente ne approfittarono per tentare di colpirla alle spalle;
Saito però fu più rapido di loro, e giratosi li mise fuori combattimento
entrambi, ma visto che uccidere non era nella sua natura si limitò a ferirli
quel tanto che bastava da renderli innocui.
Uno dei due, pur con un grosso taglio ad un
fianco, si ostinò a voler restare in piedi, ma Louise senza indugio raccolse da
terra un grosso pezzo di metallo staccatosi dalla carrozza e glielo spaccò
sulla testa, mettendolo inesorabilmente a dormire.
«Io non ti lascio solo, Saito!» disse decisa
«Non fare la stupida, Louise! Qui fuori sei in
pericolo!».
Purtroppo non ci fu il tempo di discutere
ulteriormente, perché i briganti a quel punto si gettarono all’attacco
praticamente tutti insieme.
Saito negli anni aveva migliorato
considerevolmente il proprio talento con la spada, al punto da potersi
confrontare, seppure solo per breve tempo, con avversari del calibro di Agnes e
Girche, che invece praticavano la scherma
praticamente da sempre, quindi ormai sapeva difendersi anche senza fare ricorso
ai suoi poteri di Gandalfr.
Ora, però, quei poteri non c’erano più,
un’altra volta, e solo in quel momento, soverchiato di nemici e con una persona
da dover difendere, gli venne da rendersi conto quanto il suo livello, a conti
fatti, fosse ancora piuttosto mediocre.
Più volte si era lamentato del fatto che, per
quanti progressi facesse, gli risultava sempre difficile riuscire a caprie se i
suddetti progressi fossero effettivamente farina del suo sacco, o se invece non
ci avesse messo lo zampino quella conoscenza “istintiva” che gli derivava dal
potere di Gandalfr.
Adesso lo stava capendo, e non era certo il
momento migliore.
Cercando sempre di tenersi il più vicino
possibile a Louise, Saito si batteva come un leone, menando fendenti a destra e
a sinistra; al solo scopo di proteggere la sua amata, era addirittura venuto
meno ai suoi principi, e un paio degli avversari che aveva affrontato non si
era limitato a ferirli.
Ma affrontare venti uomini senza il potere di Gandalfr non era una cosa da poco, soprattutto per uno
spadaccino di livello medio.
Gli assalitori riuscirono a ferirlo più volte,
ferite non gravi per fortuna, ma che minarono ulteriormente la sua resistenza,
e la sua capacità di porre rimedio ad una situazione che di secondo in secondo
stava diventando drammatica.
Di contro, i nemici, dopo aver seguito la
semplice tattica dello sfondamento, avevano iniziato a comportarsi in modo più
imprevedibile, e mentre alcuni tenevano impegnato Saito altri cercavano di
avventarsi su Louise, che si difendeva come poteva sventolando l’asta di ferro
che aveva in mano.
Mentre Louise cercava di difendersi, cercava
di pensare a come venir fuori da quella situazione.
Alla fine, non trovando niente di meglio da
tentare, approfittando di un momento di esitazione dei nemici si avventò su
Saito baciandolo; forse, si disse, in questo modo il contratto tra padrona e
famiglio eventualmente e inspiegabilmente spezzatosi sarebbe stato
ripristinato, e Saito avrebbe potuto contare di nuovo sui poteri di Gandalfr.
E invece, non accadde nulla, e anzi gli avversari
colsero l’occasione per rinnovare il loro assalto.
«Perché?» disse Louise con le lacrime agli
occhi «Perché sta succedendo tutto questo!»
Improvvisamente, mentre Saito era impegnato ad
affrontare uno scontro di forza, uno dei tagliagole si avventò su Louise
arrivandole alle spalle. Lei fece appena in tempo a girarsi, ma pur riuscendo a
mettere il bastone davanti a sé per difendersi dal fendente che le piovve
addosso il colpo fu così forte da farle volare via l’arma improvvisata dalle
mani.
L’assalitore a quel punto la spintonò
violentemente contro la carrozza, quindi la afferrò per il collo con una mano,
mentre con l’altra si preparò a vibrare il colpo di grazia.
«Louise!» gridò disperatamente Saito cercando
di liberarsi dei suoi aggressori.
La ragazza era paralizzata dalla paura, ed
osservava, immobile ed inerme, ora la spada che la sovrastava, ora il volto
dell’uomo che di lì a poco l’avrebbe uccisa.
«Saito…» mormorava
con la poca voce che riusciva a trovare.
In un impeto di rabbia il ragazzo riuscì a
vincere il duello di forza, e nel momento stesso in cui fece per avventarsi sul
nemico questi alzò ancora di più la spada per colpire.
«Louise!»
«Saito!».
Passò un istante, o anche meno.
Louise chiuse gli occhi, terrorizzata,
immaginandosi che da un istante all’altro tutto sarebbe finito.
Invece, non accadde niente, e quando sentì la
stretta al collo allentarsi un pochino riuscì a trovare il coraggio di
risollevare le palpebre.
Il suo carnefice era immobile, gli occhi
sbarrati e la bocca spalancata, da cui usciva un filo di sangue.
Ma non era stato Saito, immobile a pochi
passi, ad ucciderlo.
Quando il brigante, ormai morto, cadde inerme
in avanti, Louise vide comparire alle sue spalle un giovane ragazzo che doveva
avere pressappoco la sua stessa età, capelli neri un po’ lunghi e scompigliati
e occhi di un blu chiaro, più chiaro di quelli di Saito, che invece erano di un
blu intensissimo.
Indossava abiti molto strani, simili a quelli
del mondo di Saito, con un paio di pantaloni azzurro scuro, una maglietta
bianca, probabilmente senza maniche, e una specie di giacca marrone scuro un
po’ trasandata, con un largo cappuccio di pelliccia.
La sua arma era una spada, una katana,
all’apparenza piuttosto vecchia, ma con una lama molto ben tenuta e
scintillante, coperta lungo il filo dal sangue dell’uomo che ora giaceva morto
a terra.
Quello che però colpì maggiormente, e per
certi versi spaventò Louise, erano le ferite, alcune piuttosto serie, che
ricoprivano le parti visibili del suo corpo, soprattutto le mani ed il viso;
doveva anche aver avuto a che fare con il fuoco, perché alcune parti dei suoi
vestiti erano nere di fuliggine o parzialmente bruciate.
Il nuovo venuto era comparso dal nulla, forse
dalla foresta, e nessuno, nella concitazione del momento, si era accorto del
suo arrivo.
Di sicuro gli assalitori non lo conoscevano,
perché furono sorpresi quanto Saito e Louise di vederlo comparire.
Infatti, dopo poco, si misero in guardia, e
uno di loro tentò anche l’attacco, ma quel ragazzo, senza con una grazia e una
scioltezza quasi disarmanti, scivolò fluidamente da un lato, si girò e aprì il
ventre di quello sventurato con un colpo di taglio talmente preciso da
lasciarlo a terra morto senza un lamento.
Approfittando della situazione, e appurato che
non era un nemico ma un alleato, anche Saito riprese a battersi, e la
situazione in breve cambiò a tal punto che non fu neanche più costretto ad
uccidere, anche perché a quello ci pensava il nuovo arrivato, che invece non si
faceva alcuno scrupolo nel tranciare arti e mozzare teste.
Alla fine, messi alle strette, i
briganti,o chiunque fossero, non ebbero
altra scelta che ritirarsi, inclusi i feriti, e rapidamente si dileguarono
scomparendo tra gli alberi.
Saito avrebbe voluto provare a prenderne
qualcuno, per interrogarlo e fargli confessare chi li avesse mandati, ma era
ancora preoccupato per Louise, e per prima cosa volle assicurarsi che stesse
bene.
La ragazza era ancora molto spaventata, ma
voleva anche ringraziare il ragazzo che l’aveva salvata, e che ora le dava le spalle,
rivolto nella direzione in cui l’ultimo suo avversario era scappato senza
neanche provare a combattere.
«Louise!»
«Saito.» disse lei volgendosi nella sua
direzione
«Sai bene? Ti hanno fatto del male?»
«No, tranquillo. Sto bene».
Tuttavia, passata la foga del momento, Saito
era ancora dubbioso circa l’identità del nuovo arrivato, e perciò si frappose
tra lui e Louise tenendo la spada alzata.
«Chi sei?».
Quello non rispose; era leggermente piegato in
avanti, come se faticasse a reggersi in piedi, e la mano che teneva la spada
tremava vistosamente.
Poi, lentamente, si girò nella loro direzione;
i suoi occhi erano quasi spenti, e sembrava riuscire a stare sveglio per
miracolo.
«Vorrei… saperlo
anch’io.» disse, quindi rantolò a terra svenuto.
Senza pensarci, Louise corse da lui per
aiutarlo.
«Aspetta, Louise.»
«Non l’hai visto, ci ha aiutati.» disse lei
cercando di accertarsi delle sue condizioni «Non c’è di che preoccuparsi.»
«Però…» tentò di
protestare il ragazzo.
Louise, che si intendeva un po’ di medicina,
gli tastò il polso.
«È solo svenuto, ma è molto provato.
Portiamolo a casa.» quindi si rivolse al conducente della carrozza, finalmente
decisosi ad uscire «Presto, tu e Saito caricatelo sulla carrozza.»
«Louise, aspetta un momento.» disse Saito
rinfoderando la spada «Non sappiamo neppure chi sia.»
«Vorresti abbandonarlo qui?» replicò lei quasi
ringhiando.
Saito, dapprima spiazzato, poi riuscì quasi a
sorridere: finalmente Louise era tornata la cocciuta testa di marmo che tanto
amava.
A quel punto, lui e il conducente caricarono
il ragazzo su quello che restava della carrozza, quindi risalirono a loro volta
per poi rimettersi in viaggio il più velocemente possibile verso il castello.
Il ragazzo, chiunque fosse, restava disteso ad
uno dei due sedili, mentre Saito e Louise erano seduti su quello dirimpetto,
ora guardando lui ora guardandosi tra di loro. La situazione alla quale erano
appena scampati era drammatica, e se i timori di Saito erano fondati
quell’attacco probabilmente non era destinato ad essere l’ultimo.
D’un tratto la carrozza urtò un sasso con la
ruota, sobbalzando leggermente, e la mano sinistra del ragazzo,da appoggiata lungo il fianco che era,
scivolò inerte sul pavimento; quello che videro Saito e Louise, li lasciò
entrambi senza parole.
«Ma…» esclamò Louise
«Sono le rune di Gandalfr!».
Saito, istintivamente, si avvicinò per
osservarle meglio.
Non c’era dubbio; quelle erano sicuramente le
rune che fino ad un giorno prima erano appartenute a lui. Ma che ci facevano
impresse sulla mano di quel ragazzo?
La situazione stava diventando sempre più
ingarbugliata.
Come
Saito e Louise rientrarono ad Ornielle, Saito ordinò
l’immediato dispiegamento del piccolo contingente di guardie donatogli
personalmente dalla principessa poco dopo il suo matrimonio, con l’ordine di
presidiare il palazzo e di non far passare nessuno.
Il ragazzo svenuto venne portato nella camera
degli ospiti, e Saito,sapendo che il
professor Colbert qualche giorno prima si era
spostato nel vicino villaggio per un periodo di vacanza, lo mandò a chiamare
perché visitasse quel poveretto e si accertasse delle sue condizioni.
Forse era per il fatto che l’aveva salvata,
forse perché, per chissà quale motivo, aveva “rubato” le rune di Gandalfr a Saito, diventando il suo nuovo famiglio, fatto
sta che Louise sembrava molto in ansia per quel ragazzo, e anche dopo che le
guardie lo ebbero disteso sul letto gli restò accanto.
Quando ebbe ricevuto dal capo delle guardie la
conferma che ora il palazzo era a prova di intrusione, anche Saito si recò
nella camera degli ospiti, dove nel frattempo era arrivata anche Siesta.
Il ragazzo dormiva ancora, e alcune delle sue
ferite, quelle più serie, erano state medicate e fasciate. Quando Siesta gli
aveva tolto la giacca e la maglietta ne erano comparse molte altre, quasi tutte
escoriazioni, come se quel giovane, prima che con gli aggressori, avesse
lottato furiosamente anche con qualcun altro, o fosse stato coinvolto in
qualche altro evento violento.
«Come sta?» domandò
«Credo bene.» rispose Siesta «Ha un po’ di
febbre, ma è colpa delle ferite».
Poi, tutti e tre volsero di nuovo i loro
sguardi alle rune sulla mano sinistra del ragazzo.
Che cosa poteva mai essere successo?
Com’era stato possibile che le rune, e quindi,
in un certo senso, anche il contratto tra padrone e famiglio, fosse
arbitrariamente passato da Saito a quel ragazzo?
E soprattutto, perché era successo?
Erano tutte domande alle quali Louise non
sapeva dare risposta, così come non riusciva a capire se tutto quello che stava
accadendo dalla mattina presto a quella parte avesse un senso, o fosse in
qualche modo correlato.
Saito, perplesso e confuso quanto se non più
di lei, si avvicinò alle rune per poterle guardare meglio, per accertarsi se
fossero veramente le sue, quando queste, di colpo, si illuminarono, e lui per
lo spavento cadde all’indietro, ritrovandosi seduto sul pavimento.
«Ehi, compare!».
Tutti spalancarono gli occhi.
«Questa voce…» disse
Siesta
«Derf!» esclamò
Saito
«Finalmente ci rivediamo. Temevo che senza di
me a darti manforte, avrei finito per ritrovarti cadavere.»
«Derf, ma che cosa
sta succedendo?» domandò Louise «Che ci fate tu e le rune di Gandalfr addosso a questo ragazzo?»
«Ah, non chiederlo a me, mia signora. Quello
che so è che fino a due giorni fa me ne stavo tranquillo e beato in compagnia
del mio compare, e da un momento all’altro mi sono ritrovato attaccato a sto
smemorato.»
«Smemorato!?» ripeté Siesta
«Sto tipo non ricorda niente. Quando l’ho
incontrato per la prima volta l’ho trovato mezzo morto sul bordo di un torrente.
Ho provato a chiedergli chi fosse, ma non me lo ha saputo dire.
L’unica cosa che dice di ricordare è il suo
nome: Kaoru.»
«Kaoru!?» ripeté
Saito
«Non è un nome del tuo mondo?» disse Louise
«Sì, è così.»
«Anche i suoi vestiti non mi paiono molto
normali, se capite cosa intendo.» proseguì Derf «È
molto debole, ma avverto una specie di affinità tra questo tipo e Saito.»
«Allora, forse anche lui viene dal mio mondo.»
ipotizzò il ragazzo «Ma perché si trova qui?»
«Questo non lo so».
In quella, entrò un’altra servitrice.
«Mi perdonino, padroni. Il professor Colbert è arrivato.»
«Splendido.» disse Saito «Fallo passare.»
«Come desiderano».
Poco dopo, il professor Colbert
si palesò davanti ai tre ragazzi; Saito e Siesta gli andarono incontro.
«È passato un po’ di tempo, Saito.»
«Professore. È un piacere rivederla.»
«Anche per me. Vi trovo tutti in buona
salute.»
«E lei, professore?» chiese Siesta
«Non mi lamento. Ma devo ammettere che, senza
voi e gli altri, l’accademia d’un tratto si è fatta terribilmente monotona».
I tre risero al commento, poi, anche dietro
insistenza di Louise, il professore visitò il ragazzo, usando anche la sua
magia per curare buona parte delle ferite.
«Tranquilli, non è in pericolo. Ha solo
bisogno di molto riposo.» poi commentò «Accidenti, i suoi muscoli sono tesi
allo spasimo. Deve aver camminato, o addirittura corso per giorni interi senza
mai fermarsi».
Poi, quando si accorse anche lui delle rune
sulla mano, Saito e Louise gli spiegarono per filo e per segno tutto quello che
era successo, e il professore trasse le proprie conclusioni.
«Capisco.» disse «Forse sono state proprio le
rune a guidarlo da voi. È risaputo che un famiglio può percepire la presenza
del suo padrone anche a grande distanza. Probabilmente l’avrà seguita dopo
essersi risvegliato».
D’un tratto, i quattro udirono un gemito, e
voltisi verso il letto videro che il ragazzo sembrava sul punto di svegliarsi.
Louise e Siesta gli si avvicinarono, ma prima
che Saito potesse farlo a sua volta il professore gli mise una mano sulla
spalla.
«Posso parlarti un momento?».
Nota dell’Autore
Salve a tutti!^_^
Questa volta ho
davvero superato me stesso!
Non solo ancora una
volta ho aggiornato in tempi piuttosto rapidi per i mie standard, ma
addirittura ho scritto tutto questo capitolo in sole 4 ore, dalle due alle sei
di oggi.
Il fatto è che negli
ultimi due giorni ho avuto un rognoso impegno di studio, e appena me ne sono
liberato ho voluto mettere subito il turbo e proseguire con la storia.
Il capitolo breve e
conciso è un’esperienza nuova per me, e devo ammettere che mi ci sto trovando
bene, ma è probabile che tra non molto tornerò ai miei soliti standard di
lunghezza.
Concludo ringraziando
come sempre seldolce
per la sua recensione e i miei lettori per aver letto.
Il
ragazzo, aperti gli occhi, si guardò attorno con aria spaesata.
Le prime persone che vide furono Siesta e
Louise, chine sopra di lui.
Notando la sua espressione, Siesta gli strinse
leggermente una mano.
«Stai tranquillo.» gli disse «Sei al sicuro,
qui. Ti abbiamo aiutato.»
«Dove…» balbettò lui
«Dove mi trovo?».
All’inizio Louise non ci aveva fatto troppo
caso, ma ora che la situazione era più tranquilla aveva realizzato che quel
ragazzo, nonostante sembrasse provenire a sua volta dal mondo di Saito,
sembrava in grado di parlare, e anche di comprendere, la loro lingua.
Forse era merito delle rune di Gandalfr, o
forse era anche lui un abitanti di quel mondo, ed il fatto che vestisse in quel
modo strano e che suoi tratti somigliassero a quelli di Saito erano solo
coincidenze.
«Sei nella nostra villa nel feudo di
Ornielle.» rispose Louise «Ti ci abbiamo portato noi.»
«Ornielle?».
Il ragazzo cercò di mettersi a sedere, ma
tutto il corpo doveva fargli un gran male, infatti come provò a sollevare la
schiena i suoi tratti si piegarono in una smorfia di dolore.
«Aspetta, devi fare attenzione.» disse Siesta
«O le tue ferite potrebbero riaprirsi».
Il ragazzo a quel punto rinunciò ad alzarsi,
ma non a restare seduto.
«Sembra che il tuo nome sia Kaoru.» disse
Louise «È vero?»
«Kaoru…» ripeté lui «Ricordo una donna…lei… mi chiamava così.»
«E non ricordi altro?» domandò Louise «Ad
esempio da dove vieni? Quanti anni hai?».
Lui chiuse gli occhi, e fece cenno di no.
«Te l’avevo detto, mia padrona.» disse Derf «Sto tipo ha un’amnesia con la A maiuscola».
Intanto, il professor Colbert
e Saito si erano appartati fuori dalla stanza; il professore sembrava
terribilmente serio e preoccupato, e per un po’ i due stettero a guardarsi
vicendevolmente negl’occhi senza proferire parola.
«Dunque è vero?» domandò lapidario Colbert «La principessa è davvero stata uccisa?»
«E lei come lo ha saputo!?»
«Le notizie girano più in fretta di quanto i
nobili possano pensare.»
«Per ora non si sa ancora niente. Il suo corpo
non è ancora stato trovato, ma i più sostengono che nessuno sarebbe potuto
sopravvivere ad un’esplosione del genere.»
«Non riesco a crederci. E dire che avevo
progettato l’Ostland perché risultasse inattaccabile.
Chiunque sia stato, doveva conoscere bene la nave e i suoi punti deboli.»
«Pensa che possa essere stata opera di una
spia? O che possa essersi trattato di un sabotaggio?»
«Non ne ho idea. Chiederò di poter visionare
il luogo dell’incidente. Qualsiasi cosa sia successa a bordo, dovrei poterlo
scoprire.»
«Confido in lei, allora. E all’accademia,
invece? È tutto a posto?»
«Non troppo. Questo pomeriggio ho sentito il
direttore. Come hanno iniziato a diffondersi le prime voci, gli studenti
stranieri sono stati fatti immediatamente rientrare ai propri Paesi. Per quanto
riguarda quelli dei nobili di qui, temo che non dovrà passare molto tempo prima
che comincino ad andarsene anche loro.»
«È comprensibile».
Entrambi abbassarono gli occhi, sconsolati e
preoccupati.
«Secondo lei cosa potrebbe succedere?»
«Difficile a dirsi. Come ha detto Lord Marcin, questa è una situazione nella quale il nostro regno
non si è mai trovato. Un Paese senza è un re è un Paese con un futuro incerto,
e dove le ambizioni personali possono esplodere in qualunque momento.»
«Spero vivamente che non accada nulla, e che
la principessa sia viva. Mi sembra di vivere un incubo».
Poi, il professore si accorse che le mani di
Saito tremavano, e glielo fece notare.
«Io… ho ucciso.»
disse Saito guardandosele «Non avrei voluto farlo, ma…»
«Non l’hai fatto perché hai voluto. Ma perché
era necessario.»
«Eppure, non era stato lei a dirmi che,
comunque la si veda, uccidere resta sempre un peccato?»
«Non quando le persone che uccidi mettono in
pericolo coloro che si ama».
Nel mentre, nella stanza da letto, Louise
cercava ancora di spronare Kaoru a ricordare chi fosse, o che cosa gli era
successo.
«Appena sveglio, ho sentito una presenza. Era
un richiamo irresistibile, come un fischio nella mia testa. L’ho seguito senza
sosta per almeno due giorni, fino a che non vi ho incontrato. E una volta lì,
quella sensazione è scomparsa.»
«Come immaginavo.» disse Derf
«Il potere del contratto ti ha attirato verso il tuo padrone.»
«Il mio padrone!?» ripeté Kaoru
«Le rune che hai sulla mano sono il simbolo di
un contratto che ti lega alla qui presente Louise. Tu sei diventato il suo
famiglio.»
«Il suo… famiglio!?»
«Una specie di servitore.» disse Siesta.
Louise, e ora se ne era accorta anche Siesta,
era strana; aveva un solito bagliore negl’occhi, e la sua espressione era quasi
di rabbia, o quantomeno di fredda determinazione. Evidentemente, riuscire a
scoprire chi fosse quel ragazzo doveva essere davvero importante per lei.
«Questa» disse la ragazza raccogliendo la
katana di Kaoru e mostrandogliela «L’avevi con te quando ci hai aiutati.»
«Posso garantire» intervenne Derf «Che non ha fatto alcun uso dei poteri di Gandalfr.
Quello che avete visto, era tutta farina del suo sacco.»
«Quindi è chiaro che, chiunque tu sia, sei una
persona abituata a combattere.» disse Louise «Dove hai imparato a combattere in
quel modo?».
Kaoru era ansioso quanto lei di trovare delle
risposte, ma per quanto ci provasse non riusciva a ricordare nulla; inoltre,
tutte quelle domande a raffica gli creavano una tremenda emicrania.
«Quanti anni hai? Come hai fatto a ferirti in
quel modo? Dove ti trovavi quando ti sei ripreso?»
«Miss Vallière…»
tentò di dire Siesta.
Alla fine Kaoru ebbe un mancamento e prese a
mugolare dal dolore tenendosi la testa; i gemiti richiamarono nella stanza Saito
e il professore.
«Louise, ora basta.» le disse severamente
Saito
«Non capisci, stupido? Lui potrebbe sapere
qualcosa! Possiede le tue rune! Potrebbe persino avere qualcosa a che fare con
l’attentato alla principessa!»
«Anch’io vorrei delle risposte, proprio come
te. Ma forzarlo a dirti cose che non si ricorda non ti porterà a nulla».
Louise si imbronciò, poi prese la bacchetta.
Nel mentre Kaoru era stato di nuovo colto da un mancamento, probabilmente a
causa dello stress, e Siesta lo aveva aiutato a distendersi nuovamente sul
letto.
«Quand’è così» disse Louise «Gli farò
l’incantesimo per ricordare. Lo conosco.»
«Io non lo farei, miss Vallière.» disse il
professor Colbert «L’incantesimo per estrapolare i
ricordi funziona solo sui defunti».
Alla fine, inevitabilmente, la ragazza dovette
arrendersi, ma questo non modificò né mitigò l’espressione di Saito. Essere
determinati e voler trovare delle risposte era un conto, e poteva capire Louise
per essere così tesa e determinata, ma la sua compagna stavolta aveva passato
il segno.
«Fate quello che volete!» sbraitò andandosene
via sbattendo la porta
«Il matrimonio non le ha certo addolcito il
carattere.» commentò Siesta un po’ velenosa.
Poco dopo Kaoru si riaddormentò, e i tre
uscirono a loro volta dalla stanza lasciandolo solo.
«Secondo lei.» disse Saito rivolto al
professore «È possibile fare in modo che riesca a ricordare?»
«Temo di no, Saito. Ad oggi non esistono
incantesimi efficaci per cancellare o curare l’amnesia. Tutto quello che si può
fare è aspettare, sperando che la memoria ritorni da sé.»
«Capisco».
Ormai si era fatta sera, ed un servitore venne
ad annunciare al padrone che la cena era in tavola.
«Immagino che ormai sia tardi per Lei per
rientrare al villaggio. Posso permettermi di ospitarla per la notte?».
Stranamente, Colbert
accettò quasi subito l’invito di Saito; il ragazzo, d’altra parte, era ancora
troppo confuso per accorgersi della stranezza della cosa, così come della
strana espressione negl’occhi del professore.
Louise
non volle cenare quella sera.
Quando Saito andò in camera da letto avrebbe
voluto parlarle, se non altro per scusarsi del tono severo che aveva usato, ma
al suo arrivo Louise stava già dormendo, e così rimandò tutto al giorno dopo.
In realtà Louise non stava affatto dormendo, e
dopo aver atteso che fosse il suo sposo ad addormentarsi si alzò e se ne andò.
Saito aveva avuto ragione quando, quella
mattina, le aveva chiesto se non stesse nascondendo qualcosa.
La verità era che si era accorta già da
qualche tempo che i suoi poteri stavano diminuendo.
All’inizio aveva cercato di non farci caso,
poi si era detta che forse era solo una cosa temporanea, ma quando quella
mattina si era resa conto di quanto la situazione si fosse fatta seria le era
caduto il mondo addosso.
Mentre erano a Tristania
aveva voluto mettersi alla prova, e nascostasi in un angolo appartato del
giardino aveva di nuovo provato ad aprire un portale.
Ci aveva provato con tutto sé stessa,
mettendoci tutta l’energia di cui era capace, ma non era successo nulla; tutto
quello che aveva guadagnato era di stancarsi da morire, per poi avvertire
subito dopo un tremendo dolore al ventre che, per fortuna, era durato solo
pochi minuti.
Che cosa le stava succedendo?
Forse che i suoi poteri stavano scomparendo
del tutto?
Non voleva neanche pensarci.
Non voleva ridiventare una Zero.
Scesa nell’atrio, recitò per l’ennesima volta
l’incantesimo per aprire i portali; voleva andare sul sicuro, perciò, piuttosto
che verso il mondi di Saito, si limitò a cercare di aprirne uno con la locanda
delle Fate Incantatrici.
All’inizio, come quella mattina, sembrò che
tutto stesse andando bene, ma poi, sul più bello, cominciò a sentire quella
perdita di forze, repentina e incontrollabile. Testarda e orgogliosa come era
non volle rinunciarci e continuò, cercando di ignorare anche quel dolore
lancinante stringendo, ma alla fine la sua volontà venne sconfitta.
Il portale scomparve, proprio un istante prima
che fosse sul punto di aprirsi, e lei si ritrovò inginocchiata sul freddo
marmo, con una mano sul ventre e i denti serrati sulle labbra per soffocare le
grida.
«È inutile.» sentì dire all’improvviso da una
foce famigliare.
Fulminea si girò, incrociando lo sguardo,
severo e compassionevole al tempo stesso, del professore.
«Professor Colbert!?
Da quanto tempo si trova qui?»
«Abbastanza per capire la vera ragione del tuo
essere così turbata.»
«Che intende dire col fatto che è tutto
inutile?»
«Dovresti averlo studiato. È piuttosto normale
che un mago a questa età veda ridursi momentaneamente i propri poteri. È una
tappa naturale della crescita.»
«Sì, lo sapevo. Però, una cosa del genere…»
«Infatti, nel tuo caso, ho l’impressione che
ci sia anche dell’altro».
Louise guardò in basso, affranta. Allora i
suoi timori erano veri.
«Quindi…» disse con
un filo di voce «Sto perdendo il mio potere?»
«Niente affatto. Se la mia teoria è vera, non
li stai perdendo. Li stai trasmettendo».
Quell’affermazione arrivò come un fulmine a
ciel sereno, e la ragazza sgranò gli occhi. Poi, di nuovo, si sfiorò il ventre,
con lo sguardo perso nel vuoto.
«Dunque…» balbettò
«Io sono…»
«Ancora no, per ora. Ma è probabile che lo
sarai presto. Per ora, il tuo corpo sta mettendo da parte l’energia che andrà a
costituire la fonte del potere magico sacrificando la propria. Per questo sei
così debole, anche più del normale. Nei prossimi giorni potrai sentirti debole,
avere dei mancamenti improvvisi, ma quando comincerà lo sviluppo vero e proprio
la tua magia dovrebbe ricaricarsi».
Seguì un lungo silenzio.
Louise sapeva che prima o poi sarebbe
successo; anzi, lo aveva sempre sognato. Ma ora che stava accadendo, provava
una strana sensazione.
Da una parte era contenta di sapere che il suo
potere non era perduto, dall’altro non era sicura di essere pronta per una cosa
del genere. Soprattutto, non in un momento simile.
Passarono
due giorni, durante i quali Kaoru si sentì sempre e comunque molto stanco.
Quando ci riusciva, mangiava qualcosa di
quello che Siesta o qualche altro servitore gli portava in camera, ma per la
maggior parte del tempo non faceva altro che dormire.
Colpa soprattutto dei decotti e delle tisane
che gli venivano date per alleviare il dolore delle ferite e distendere i
muscoli.
La mattina del terzo giorno, il ragazzo si
svegliò di mattina molto presto, quando quasi tutti, inclusa la servitù,
stavano ancora dormendo.
Si sentiva molto meglio, le ferite erano quasi
tutte guarite e anche le forze sembravano stare tornando.
Dalle tende chiuse entrava un tenue chiarore,
ma la radura e la foresta circostante erano immerse in una nebbia leggera.
Girato lo sguardo dall’altro lato il ragazzo
vide i propri vestiti, rattoppati e rimessi insieme in qualche modo.
Li indossò, e lasciata la stanza prese a
camminare senza meta per i corridoi del palazzo, venendo anche notato da una cameriera
che entrava in servizio in quel momento, raggiungendo infine il portone d’ingresso.
In testa aveva la solita, grande confusione. Tre
giorni di riposo quasi assoluto non gli erano serviti a recuperare la memoria,
e ancora non aveva idea di chi fosse o di come si fosse venuto a trovare in
quella situazione.
Forse, si disse, l’aria esterna gli avrebbe
giovato, e senza pensarci uscì, inconsapevole del fatto che i soldati che Saito
aveva disposto in difesa della sua sposa erano ancora lì, e che nessuno di loro
lo aveva mai visto o sapeva chi egli fosse.
Alcuni di loro, intenti a bivaccare vicino ad
un carretto, si accorsero di lui, e immediatamente gli si fecero incontro con
le picche in mano; non avevano cattive intenzioni, ma volevano semplicemente
accertarsi sulla sua identità.
«Ehi.» disse uno «Che ci fai tu qui?».
Kaoru li guardò, e fece quasi per rispondere,
ma poi ebbe come un sussulto, una specie di flash.
«Chi sei?» chiese ancora lo stesso, mentre lui
e gli altri due si avvicinavano cautamente.
Da un momento all’altro, ai suoi occhi, i tre
soldati davanti a lui si mutarono in esseri oscuri e spaventosi, coperti da
pesanti armature di ferro, e la tranquilla radura in cui si trovava una specie
di segreta, piena di prigionieri agonizzanti e con un tale frastuono di voci,
gemiti e urla disumane da farlo impazzire.
Visto che il ragazzo non dava segno di voler
rispondere né collaborare il capo dei soldati allungò una mano per
poggiargliela su di una spalla e poterlo perquisire.
All’improvviso però, gli occhi di Kaoru si
accesero come un braciere, ed afferrata la mano del soldato gli slogò il
braccio in tre punti. Quello urlò con tutta la sua voce, per poi venire
allontanato con un calcio, e a quel punto i suoi uomini lo attaccarono a loro
volta.
Kaoru sembrava diventato improvvisamente un'altra
persona, fredda e mortalmente efficace, la stessa che aveva soccorso Saito e
Louise qualche giorno prima, e senza quasi nessuna difficoltà riuscì a tenere
testa ai due soldati, oltre che a tutti gli altri che cominciarono ad arrivare
da ogni parte.
«Compare, fermati!» continuava a ripetere Derf, ma non c’era verso di fermare la furia del ragazzo.
Il baccano dello scontro svegliò Saito e
Louise, e Saito si affacciò alla finestra per vedere che succedeva.
Ma fu tutto inutile, perché nella foga della
battaglia nessuno lo sentiva, così, lasciato perdere tutto, corse immediatamente
fuori della stanza, seguito quasi subito da Louise.
Quando arrivarono finalmente in cortile, Kaoru aveva
già lasciato per terra una decina di uomini; per fortuna non ne aveva ancora
ucciso nessuno, visto anche che combatteva a mani nude, ma il suo metodo di
combattimento, oltre che aggraziato ed efficace, era anche terribilmente
brutale.
«Kaoru, smettila!» gridò Saito «Non sono
nemici!».
Dopo aver disarmato l’ultimo soldato che aveva
avuto il coraggio di sfidarlo, con un rapido scatto Kaoru gli storse il polso e
gli rubò la picca, quindi lo spinse con forza contro un albero ed alzò l’arma
per vibrare un affondo.
Louise aveva le lacrime agli occhi, e sembrava
terrorizzata.
«Fermati!» urlò con tutta la sua voce».
Il ragazzo ebbe come un sussulto, e di colpo
la luce nei suoi occhi, così come si era accesa, si spense, e quando vide ciò
che aveva attorno, con tutti quegli uomini feriti e doloranti riversi sull’erba,
non riuscì a credere ai propri occhi.
Per un attimo, una rabbia tremenda si era
impadronita di lui, spingendolo a scagliarsi contro quei soldati come se
fossero stati i suoi peggiori nemici.
Che cosa diavolo era, lui?
Dove aveva imparato a battersi in quel modo?
Non aveva niente a che fare con l’ipnosi, con
una doppia personalità, o con un qualche altro tipo di possessione.
Semplicemente, si era sentito minacciato, e
come una marionetta mossa dal proprio impeto aveva reagito con tutta la forza
che aveva, e avrebbe sicuramente finito per uccidere qualcuno se quella voce,
così forte e perentoria, non lo avesse riportato alla ragione.
Si guardò le mani, inorridito, poi si coprì il
volto.
Forse non sapeva chi era, ma ora sapeva di
sicuro che cosa era: era una macchina per uccidere.
Forse era stato un soldato, un mercenario, o
addirittura un assassino.
Una cosa era certa; la sua personalità stava
probabilmente risorgendo. E se quella personalità, qualunque essa fosse, era
capace di spingerlo a fare cose del genere, allora non poteva stare con
nessuno, perché avrebbe finito per mettere in pericolo chiunque avesse avuto
vicino.
Saito e Louise fecero per avvicinarsi.
«State lontani da me!» gridò con rabbia,
quindi saltò in groppa ad un cavallo lì vicino e corse via al galoppo.
«Aspetta!» tentò di dire Saito, ma nel tempo
che impiegò a montare asua volta in
sella Kaoru era già sparito.
Nota dell’Autore
Salve a tutti!^_^
Ancora una volta ci
sono voluti due giorni, ma ieri purtroppo ho avuto una giornata molto piena e
non mi sono quasi avvicinato al computer.
Questo è,
probabilmente, il mio ultimo capitolo breve. Già dal prossimo è probabile che
le pagine aumenteranno, passando da 6 a 7, o 8 al massimo.
Il motivo è che, da
ora in poi, le cose si faranno sempre più complesse ed articolate, cosa che
richiederà una descrizione più approfondita.
Soliti ringraziamenti
a Seldolcee ai miei lettori.
Kaoru
continuò a procedere, a procedere, e a procedere senza sosta, in ogni direzione.
Non importava dove andasse, ma doveva essere
il più lontano possibile da qualunque traccia di presenza umana.
Ora che il suo vero io stava emergendo,
chiunque attorno a lui sarebbe potuto essere in pericolo.
Quell’abilità nel combattere, quella capacità
di uccidere a sangue freddo con letale precisione; chi poteva essere stato
prima di perdere la memoria?
Si sentiva dentro un misto di rabbia e
amarezza, un turbinio di emozioni che non gli riusciva di tacitare, per tutte
le risposte che non gli riusciva di darsi.
A sera, quel povero cavallo crollò per la
fatica, costringendo Kaoru a fermarsi.
Aveva corso come un matto per tutto il giorno
senza una meta precisa, svoltando a destra e a sinistra ad ogni incrocio o
biforcazione. Aveva attraversato anche qualche villaggio, ma aveva sempre
tirato dritto, e in un’occasione per poco non aveva travolto un carretto di
fieno.
In qualche modo, era arrivato sulle rive del
mare.
Non lo vedeva, ma immerso tra gli alberi poteva
sentire abbastanza vicino il gorgoglio delle onde.
Doveva trovarsi in prossimità di una
scogliera, o di un promontorio.
Si fermò, respirando profondamente. Tutte le
ossa gli facevano male per la lunga cavalcata, aveva fame e sete, e anche il
dolore in alcune parti del corpo era tornato a farsi sentire.
«Ti sei calmato?» domandò Derf
«Sta zitto.» rispose secco lui
«Hai fatto una grande stupidaggine, se posso
permettermi. E non parlo dei soldati che hai spedito in infermeria.»
«Io sono una bestia.» disse guardandosi le
mani «Quando ho affrontato quegli uomini. E anche l’altro giorno, con quei briganti… io non ho provato niente.
Né dolore, né rimorso.
Solo, una fredda determinazione. E tutte
quelle cose che ho fatto. Il mio corpo si muoveva in modo istintivo; non capivo
che cosa stava succedendo, eppure…»
«È chiaro che, come diceva miss Louise, sei
una persona abituata a combattere. Queste abilità nella lotta sono ormai parte
di te, tanto che neppure l’amnesia è riuscita a fartele scordare.»
«Appunto. Quindi chi ero prima di perdere la
memoria? Chi o che cosa potevo essere, per possedere una tale capacità di
privare altri della vita?».
Kaoru batté violentemente il pugno su di un
tronco, mentre una lacrima gli rigava il viso.
«Senti, compare.» disse Derf
con un tono insolitamente compassionevole «Fino ad una settimana fa, io non
sapevo neanche della tua esistenza.
Queste abilità indubbiamente fanno parte di
te, ma non è detto che tu, chissà quando e chissà come, le abbia apprese allo
scopo di fare del male.
Allo stesso modo, non è detto che tu debba
servirtene solo per uccidere.»
«Parli bene, tu.» rispose acido Kaoru «Sei
solo un disegno sulla mia mano.»
«Un disegno!?» replicò Derf,
stavolta arrabbiato «Hai una qualche idea di quante persone io abbia ammazzato
nel corso dei secoli!?»
«Che cosa!?»
«Io ero una spada. Una spada magica. Sono
stato uno strumento di morte, su questo non c’è dubbio, ma chi mi ha costruito
non l’ha fatto perché potessi togliere la vita.»
«E allora, per cosa?»
«Per salvarne il più possibile. Chi impugnava Derflinger non lo faceva per uccidere, ma per proteggere.
Questo è l’unico scopo che il mio creatore mi aveva attribuito».
Kaoru abbassò lo sguardo.
«Doveva essere davvero una persona speciale.»
«Puoi ben dirlo. Lo stesso vale per le tue
capacità. Puoi usarle per uccidere, ma anche per proteggere. E nel tuo caso,
una persona che devi proteggere c’è già.»
«Parli di quella ragazza?»
«Tu sei il suo famiglio. Come e perché tu lo
sia diventato resta un mistero, ma il tuo scopo è proteggerla. Il tuo
predecessore, Saito, lo faceva con la sua forte volontà e i poteri di Gandalfr.
Tu lo farai col tuo talento».
Di nuovo, Kaoru si guardò le mani.
«Quindi, secondo te…
io potrei davvero proteggere qualcuno?!»
«Perché, non lo hai già fatto? Se non fossi
arrivato tu, né il mio compare né l’incantevole Louise sarebbero andati via da
quello sterrato. Che altre prove ti servono?».
D’un tratto Kaoru ebbe l’impressione di
sentire un rumore, come uno scricchiolio di passi, accompagnato da un vociare
indistinguibile.
«Hai sentito niente?» domandò
«Altroché. Non siamo soli, a quanto pare».
Il ragazzo si diresse verso la direzione da
cui sentiva giungere i rumori, tenendosi quanto più basso possibile e
nascondendosi tra la boscaglia. Alla fine, acquattatosi dietro una roccia,
giunse a scorgere il bordo di una scogliera; radunati attorno ad un bivacco
c’erano una decina di uomini, soldati all’apparenza, ma che al posto delle
armature indossavano una specie di casacca nera con al centro un simbolo a
forma di giglio.
«E quelli chi sono?» domandò sottovoce
«Sembrano guardie ducali.»
«Guardie che cosa?»
«Sono soldati che proteggono i membri più
importanti della corte reale, come i consiglieri o i dignitari».
Poi Kaoru parve riconoscere uno degli uomini
intenti a bivaccare, quello che sembrava il capo, un tipo alto e smilzo con una
barba leggera e l’occhio sinistro coperto da una benda.
Ci mise poco a riconoscerlo; per quanto i suoi
ricordi di quel momento fossero un po’ sfocati, gli sembrava essere l’unico
avversario che quel giorno, davanti alla carrozza, era stato in grado di
opporsi a lui, riuscendo a tenergli testa fino a quando aveva dato ai suoi
l’ordine di ritirarsi.
«Io quello l’ho già visto.» disse indicandolo
«Quello è Roland, uno dei comandanti delle
guardie ducali.» rispose Derf, che lo aveva conosciuto
insieme a Saito qualche tempo prima in una visita a palazzo «È un ottimo
spadaccino, ma anche un maledetto bastardo. Per lui, l’unico Dio che conta è il
denaro.»
«Ma che cosa ci fanno dei soldati in un posto
simile? E soprattutto, perché hanno attaccato Louise e Saito travestiti da
briganti?»
«Se vuoi sapere come la penso, temo che
abbiamo ficcato il naso in qualcosa di molto pericoloso».
Mai affermazione fu più vera.
Kaoru era così impegnato a cercare di capire
quello che stava succedendo, e cosa quegli uomini si stessero dicendo, da non
accorgersi di una presenza minacciosa che silenziosamente si avvicinava alle
sue spalle.
«Compare, attento!» esclamò Derf accorgendosi del pericolo.
Il ragazzo fece a malapena in tempo a girarsi,
e l’ultima cosa che vide fu uno di quegli uomini che gli si avventava contro
armato di bastone.
Le
previsioni del professor Colbert si stavano infine
avverando.
Giorno dopo giorno, l’accademia di magia si
svuotava di tutti i suoi studenti, anche di quelli originari di Tristain.
La situazione per il regno sembrava farsi ogni
giorno più tragica, con eserciti e corpi di guardia ammassati alle frontiere di
ogni feudo e il Paese sempre più vicino al collasso, perciò i nobili
preferivano tenere i propri figli il più vicino possibile a sé dove non
potevano essere vittime di complotti o tentativi di omicidio.
Il direttore Osmund,
dal suo ufficio, osservava impotente la sua amata scuola trasformarsi
lentamente in un deserto. Persino gli inservienti e i professori stavano cominciando
ad andarsene, troppo preoccupati per le proprie famiglie, senza contare poi che
senza studenti, e quindi senza lezioni, era anche inutile restare.
Aveva vissuto tanti anni, e aveva visto
numerose situazioni difficili, ma quello che stavano attraversando ora era
qualcosa di mai visto, che rischiava seriamente di condurre Tristain alla
rovina.
Che cosa sarebbe successo se il regno fosse
sprofondato nella guerra civile?
Battaglie, razzie, distruzione, omicidi e
complotti a non finire.
Una volta Saito gli aveva raccontato che anche
il suo Paese natale, nel mondo da cui veniva, era stato a lungo lacerato dalla
guerra civile, una guerra durata secoli, e il solo pensiero che potesse
succedere una cosa simile anche a Tristain faceva sudare le sue vecchie ossa.
Ma d’altra parte, lui non era nessuno.
Non aveva un feudo, non aveva un esercito; e,
almeno in quel momento, non aveva neanche nessun potere, nessun ascendente da
poter sfruttare.
Era inutile.
Tutto quello che poteva fare, era aspettare e
sperare.
Più di tutto, era preoccupato per i suoi
alunni; che avrebbero fatto se i loro potenti genitori avessero deciso di
andare in guerra, finendo magari per costringerli a rivolgere le armi contro
coloro che chiamavano amici?
In particolare, era in pensiero per quelli più
anziani, quelli già diplomati, alcuni dei quali ricoprivano importanti cariche
statali o feudali, e che quindi erano i più esposti alle conseguenze di una
guerra civile.
Il suo pensiero andò inevitabilmente a Saito e
Louise.
Aveva fiducia in quei ragazzi, così come
conosceva la loro caparbietà, la loro esperienza della vita e la loro capacità
di sapersi cavare d’impaccio in ogni situazione: ma temeva che questa fosse una
prova troppo grande, perfino per loro.
Confuso, decise di fare due passi per cercare
di pensare ad altro, e lasciato il suo ufficio si diresse nella cappella segreta
della scuola, situata sottoterra, nei sotterranei della torre principale.
All’centro della navata principale, in mezzo
tra le due file di panche, vi era un enorme mosaico raffigurante il pentacolo
della stregoneria, realizzato con tessere incantate che funzionavano come delle
antenne spirituali.
Ognuna delle cinque punte rifulgeva di un
diverso colore: rosso per il Fuoco, blu per l’Acqua, giallo per la Terra, verde
per l’Aria e rosa per il Vuoto. Fino a quando ci fosse stato un solo mago nel
mondo che faceva uso di una di queste cinque dottrine, il relativo simbolo
avrebbe continuato a brillare.
Il centro del pentacolo rappresentava l’universo,
la “scintilla della vita”, come era chiamata da stregoni e sacerdoti, da dove
si generava la magia.
Piegate le sue vecchie ginocchia, il direttore
cominciò a pregare, rivolgendo un pensiero soprattutto ai suoi studenti, che
non avrebbe sopportato di sapere deceduti su qualche squallido campo di
battaglia per le mire e l’ingordigia dei loro genitori.
D’un tratto, quasi per caso, gli cadde l’occhio
ai propri piedi, e quello che vide minacciò di togliergli il respiro.
Uno dei lati della punta del Vuoto sembrava
sfasato, come la linea storta di un disegno rimasta visibile anche dopo la
correzione, producendo una sottile discrepanza che ora brillava di una luce
tutta sua, di un colore bianco acceso, come la superficie di un diamante
illuminata dalla torcia del minatore.
Sgranò gli occhi, e per lo sconcerto cadde all’indietro,
puntellandosi sul suo bastone per riuscire a rialzarsi.
«Questo…» balbettò
«Questo è…».
Saito
e Louise fecero di tutto per riuscire a trovare Kaoru.
Gli esploratori e le guardie inviate dai due
ragazzi erano riuscite a localizzare le sue tracce, ma quando queste avevano
raggiunto i confini del feudo erano state costrette, a malincuore, a rientrare.
Visti i tempi che correvano, non era il caso di andare a mettere il naso in
casa d’altri senza permesso.
Erano entrambi molto preoccupai.
Non conoscevano Kaoru, ma lui li aveva
salvati, e Saito in particolare sentiva di capire come dovesse sentirsi.
AncheLouise però dal canto suo sembrava stare mettendocela tutta per dare
preoccupazioni al signore di Ornielle; da qualche giorno era molto silenziosa,
chiusa in sé stessa, e ogni volta che Saito aveva provato a parlarle non era
mai riuscito a venire a capo di nulla.
Sembrava che i guai e le preoccupazioni non
facessero che aumentare.
La mattina dopo la fuga di Kaoru, subito dopo
colazione, Louise si era ritirata in biblioteca.
Saito la raggiunse poco dopo, quando ebbe
terminato il suo giro settimanale nei possedimenti; questa volta, in un modo o
nell’altro, si sarebbe fatto dire cosa stava succedendo.
Come il ragazzo entrò, Louise alzò lo sguardo
dal libro che stava facendo finta di leggere, per poi riabbassarlo subito.
«È da qualche giorno che sembri evitarmi.»
esordì Saito «C’è qualcosa che non và?»
Negli anni però Saito aveva imparato fin
troppo bene a leggere le bugie della sua giovane moglie; in altri tempi avrebbe
lasciato perdere, preferendo dare tempo al tempo, ma stavolta voleva delle
risposte. Amava troppo Louise per saperla preoccupata e in angoscia, e se poteva
aiutarla anche solo un poco allora farlo era suo dovere.
Si avvicinò a lei e la guardò.
«Non mentire. Si vede lontano un miglio che
sei preoccupata».
Come al solito, messa alle strette, Louise replicò
col sarcasmo e la superbia.
«Quello che penso sono affari miei.» disse
indispettita girando la testa «Sono cose che non ti riguardano.»
«E invece sì! Perché tu sei mia moglie.»
«Sarò pure tua moglie, ma tu sei prima di
tutto il mio famiglio! E un famiglio non discute mai su quello che pensa la sua
padrona!»
«Dimentichi un particolare. E cioè che, in
teoria, io non sono più il tuo famiglio».
Colta in fallo, la ragazza spalancò gli occhi.
Accidenti, ma era vero!
Solo adesso ci aveva pensato seriamente.
Ora che le rune di Gandalfr erano
inspiegabilmente passate a Kaoru, Saito non era più il suo famiglio.
Come fosse stato possibile, era ancora un
mistero. Aveva già sentito di maghi che evocavano più famigli, ma mai che il
contratto passasse da un famiglio all’altro così, senza una ragione, e
soprattutto senza un intervento di qualche tipo dello stesso mago.
Ma questo era secondario, almeno per il
momento.
La verità era che Louise ci aveva già provato
in un paio di occasioni a dire a Saito quello che ormai aveva realizzato, e che
a breve si sarebbe sicuramente concretizzato.
Ma non sapeva come farlo, cosa dire. Non sapeva
come Saito l’avrebbe potuta prendere, cosa sarebbe stato del futuro, come
avrebbero fatto.
E poi, cosa avrebbero pensato i loro genitori?
Sicuramente, avrebbero detto che era troppo
presto, che forse sarebbe stato il caso di aspettare.
Ad una sola persona l’aveva confidato, l’ultima
alla quale si immaginava di poter dire un giorno una cosa del genere. La stessa
persona che ora, ogni volta che la vedeva, abbassava lo sguardo, quasi con
vergogna, o lo girava altrove.
Poteva capirla.
Fino a che si trattava di un matrimonio, una
promessa che poteva essere infranta in qualunque momento, era un conto, ma
quello dimostrava che il loro non era più solo un amore platonico, ma che si
era spinto oltre, fin lì dove non si poteva più tornare indietro.
Ormai, Saito era solo della sua sposa, e
questo Siesta ci avrebbe sicuramente messo molto ad accettarlo.
Ora bisognava dirlo allo stesso Saito, ma per
quanto ci provasse Louise non ci riusciva.
Forse, quella sarebbe stata la volta buona;
rincuorata da quegli occhi così amorevoli, la ragazza stava, un secondo per
volta, richiamando a sé tutto il coraggio del quale era capace.
Poi, arrivò l’imprevisto, nella forma di un
sommesso bussare alla porta.
«Padrone.» disse il vecchio maggiordomo
«Dovreste scendere subito in cortile».
Entrambi maledirono quell’interruzione inopportuna,
ma poi, richiamati dai loro doveri, scesero in cortile, dove dopo poco videro
comparire dalla strada, a passo lento ed in sella ognuna al proprio cavallo, il
plotone di moschettiere al servizio di sua maestà.
A guidarle, visto che Agnes era dispersa
assieme alla principessa nella sciagura dell’Ostland,
il capitano Jeanne Poisson, vice di Agnes fin da dopo
l’incidente degli anelli che aveva portato all’arresto di Michel.
Saito e Louise l’avevano incontrata solo in alcune
occasioni; era una ragazza integerrima, con lunghi capelli marrone chiaro ed
occhi azzurri, uno dei quali perennemente coperto da una ciocca. Alcune
malelingue, le stesse che discutevano e sentenziavano circa i presunti gusti
sessuali del capitano Agnes, insinuavano che Jeanne ne fosse l’amante. Che
fosse o meno la verità, Jeanne era una giovane davvero molto bella; inoltre, a
differenza delle altre sue compagne, sapeva usare la magia, e lo testimoniava
il fatto che la sua uniforme era leggermente diversa.
Il plotone di cinquanta soldatesse si fermò al
limitare del piazzale e scese da cavallo, disponendosi a piramide dinnanzi a
Saito e Louise, che assistevano senza proferire parola, e mentre i soldati
tutto attorno restavano fermi ad osservare, ma pronti ad intervenire in caso di
necessità.
Seguirono lunghi secondi di silenzio, durante
i quali Saito e Louise fissarono negli occhi la nuova arrivata; poi, ad un
cenno di Jeanne, tutte le moschettiere si inginocchiarono e chinarono il capo,
imitate infine dal loro capitano, che inoltre sguainò il proprio fioretto
poggiandolo a terra.
«Noi.» disse «Ordine sacro delle moschettiere
di sua maestà, qui e ora giuriamo fedeltà alla nuova e legittima famiglia reale
di Tristain».
Saito e Louise spalancarono gli occhi.
«Che significa questo!?» replicò Saito.
Jeanne allora alzò gli occhi.
«Per quello che riguarda me e le mie compagne,
i nobili e i preti possono pensare quello che vogliono, ma per noi la qui
presente Miss de la Vallière è l’unica e vera regina di questo Paese.
Sua maestà l’ha nominata sua sorella
acquisita, e visto che per noi la parola di sua maestà è legge, quella nomina è
del tutto legittima, anche senza un pezzo di carta o un editto a supportarla».
Ecco fatto, si disse Saito.
Adesso sì che la situazione diventava davvero
seria.
Come la notizia che la guardia personale della
principessa aveva giurato fedeltà a Louise fosse arrivata all’orecchio dei
nobili, quelli che cercavano da tutta quella storia di ottenere il loro proprio,
personale tornaconto avrebbero visto i propri interessi seriamente minacciati,
e sarebbero quindi passati alle vie di fatto.
Il senso di fedeltà e di devozione era una
gran bella cosa, ma in quell’occasione rischiava di diventare una lama a doppio
taglio.
Per questo, e anche perché temeva quello che
poteva accadere, oltre che a Louise, anche a quelle giovani donne, cercò di
convincere queste ultime ad andarsene, anche dietro la minaccia di farle
gettare tutte in prigione, o peggio ancora mandarle al patibolo, per aver
sconfinato in armi nelle sue terre, ma esse si mostrarono inamovibili.
«Noi abbiamo fatto un giuramento.» disse
fieramente Jeanne «Abbiamo giurato di proteggere la principessa di questo Paese
anche a costo della vita.
Non infrangeremo la nostra parola».
A quel punto, vista la situazione, non si
poteva fare altro che rassegnarsi.
Poi però, a ben pensarci, Saito si sentì quasi
sollevato. Con tutte quelle guerrieri così fedeli e capaci a proteggerla, di
sicuro Louise sarebbe stata molto più al sicuro, visto quello che andava
accadendo, e che ormai, se lo sentiva, era quasi inevitabile.
Prima
ancora che Kaoru riaprisse gli occhi, la prima cosa che gli riuscì di sentire
fu un tremendo mal di testa, neanche paragonabile a quello che aveva provato
quando si era svegliato giorni prima.
Era disteso su qualcosa di umido e puzzolente,
forse un pagliericcio, e aveva un gran freddo.
Sentiva qualcuno vicino a sé, due persone, a
giudicare dalle voci, ma anche dopo essersi ripreso tutto quello che vide per i
primi secondi furono solo ombre, e immagini sfocate.
«È lui?»
«Sì, eminenza. Ha fatto a pezzi dieci dei
nostri senza nessuno sforzo. Lo abbiamo sorpreso sulla scogliera a ovest, a Munolid.»
«Quindi è stato per causa sua se l’imboscata è
andata male.»
«Purtroppo è così.»
«Qualcun altro vi ha seguiti?»
«No, eminenza. Abbiamo perlustrato
attentamente tutta la zona. E non c’è neanche il rischio che qualcuno ci abbia
riconosciuti.»
«Molto bene. Teniamo d’occhio questo ragazzo. Se
è così potente come dite, potrebbe tornare utile».
Nel tempo che Kaoru impiegò a riprendersi
completamente, i due uomini se ne erano già andati.
Messosi a sedere, e tenendosi la testa ancora
dolorante, si guardò attorno.
Quella in cui si trovava aveva tutta l’aria di
essere una segreta o una cella, stretta e umida, con niente altro che il letto
di paglia sul quale era disteso, una lanterna vecchia e arrugginita che pendeva
dal soffitto, una robusta porta di legno e una finestrella chiusa da delle sbarre,
dal quale si vedeva il mare.
«Ben svegliato, compare.» disse Derf
«Hai idea di dove siamo finiti?»
«Bella domanda. Purtroppo io vedo e sento
attraverso di te, quindi se tu svieni o vieni tramortito, è un po’ come se
accadesse anche a me.»
«L’ultima cosa che ricordo è quel gruppo di
guardie, poi ho sentito un tremendo colpo in testa e ho visto tutto nero.»
«Se solo potessimo capire dove ci troviamo».
Kaoru si arrampicò fin sulla finestra e provò
a guardare fuori; data la ristrettezza del pertugio e l’andamento verticale del
muro, era quasi impossibile riuscire a scorgere qualcosa, fatta eccezione per
un’altra scogliera che procedeva verso nord e, in lontananza, quella che doveva
essere una piccola città.
«Si direbbe un palazzo, o un castello.» disse
«Riconosci qualche luogo famigliare?»
«No, purtroppo. Questo posto mi è del tutto
nuovo».
Sconsolato, Kaoru si buttò a sedere sulla
pietra.
Provava una grande rabbia, inoltre si dava
dell’incapace per essersi fatto catturare con tanta facilità; forse erano anche
quelli frammenti della sua personalità che stavano ritornando.
D’un tratto, mentre le due lune terminavano la
loro ascesa nel cielo stellato, un gabbiano comparve alla finestra, e come si
avvide della presenza, in un angolo della stanza, di quanto restava del pasto
di qualche altro detenuto, ormai ridotto ad una poltiglia marcia e maleodorante,
immediatamente ci si avventò contro.
Kaoru lo osservò distrattamente, mentre si
sforzava di pensare ad un modo per tirarsi fuori da quella situazione, e quando
il volatile, forse in cerca di altro cibo, gli si avvicinò, lui lo colpì con
una mano.
«Vattene via! Non sono dell’umore».
Come lo colpì, tuttavia, si sprigionò
inspiegabilmente una luce fortissima, tanto forte ed improvvisa da accecarlo
momentaneamente. Il ragazzo chiuse gli occhi, e quando li riaprì il gabbiano
era ancora di fronte a lui, immobile ad osservarlo.
«Ma che è successo?»
«Ehi, compare!».
Sentendo la voce di Derf
Kaoru si guardò la mano sinistra, la stessa con la quale aveva colpito il
gabbiano, ma vide che le rune non stavano brillando come succedeva di solito.
«Non lì, compare! Qui!».
Kaoru allora alzò gli occhi, restando
interdetto; gli occhi del gabbiano, da neri che erano, si erano fatti di un
azzurro quasi albino, e brillavano come le luci di un faro.
«Derf!?»
«Esatto. A quanto pare ti stai rivelando una
fonte inesauribile di sorprese.»
«Ma che cosa è successo? Che ci fai li
dentro!?»
«Sembra proprio che, legandomi a te, io abbia
acquistato delle nuove capacità. Adesso, posso entrare nel corpo di qualunque
essere vivente non umano tu tocchi e assumerne il controllo.»
«Un’abilità ben strana.» commentò Kaoru
«Ma potenzialmente molto utile».
Derf raggiunse
con due balzi il bordo della finestrella, quindi dispiegò le ali e si mise a
volare, spiegando bene il concetto della sua affermazione.
«Questo potrebbe essere utile.»
«Puoi ben dirlo. Aspetta. Vado ad avvisare il
compare e Louise. Cercherò di metterci il meno possibile. Nel frattempo tu, mi
raccomando, vedi di non farti ammazzare.»
«D’accordo. Allora vi aspetto».
A quel punto Derf si
alzò nuovamente in volo, salendo il più in alto possibile per cercare di
ottenere dei punti di riferimento, quindi, chiarito dove si trovava, si diresse
in direzione sud-ovest.
Kaoru stette ad osservarlo fino a che non lo
vide scomparire nel buio, poi si sedette sul pagliericcio e si mise in attesa.
Nota dell’Autore
Salve a tutti!^_^
La storia procede
spedita, e potremmo dire che a questo punto è davvero iniziata la narrazione
principale vera e propria.
Il preludio è finito,
e da adesso in poi le cose si faranno sempre più serie, come avete già avuto
modo di vedere.
Il prossimo capitolo,
come è facilmente comprensibile, potrebbe richiedere qualche giorno, perché domani
sarò via fino a sera e dopodomani avremo ospiti probabilmente per tutto il
giorno, quindi prima di martedì non riuscirò a sedermi veramente al computer
per lavorare.
In aggiunta, dalla
settimana prossima, ogni mercoledì e venerdì dovrò recarmi a lezione, almeno
per tre settimane, il che significa che in questi due giorni andrò via alle 7
per tornare non prima delle 17.
Comunque, non
disperate. Mi sono innamorato molto di questa storia, e senz’altro la porterò
avanti.
Saito e
Louise quella sera cenarono insieme, per la prima volta da qualche giorno a
quella parte.
Con loro, in sala da pranzo, c’era anche
Joanne, che da quando era arrivava non aveva staccato gli occhi da Louise
neanche per un istante.
Le sue guerriere pattugliavano senza sosta
l’interno del palazzo, il piazzare e la zona circostante, e avevano già
staccato gli attributi ad un paio di guardie che ci avevano provato con loro.
Louise era molto seccata per questa invadente
presenza.
Adesso che aveva finalmente trovato il
coraggio di dire la verità a Saito, non gli riusciva di stare da solo con lui.
Quello che la faceva stare peggio di tutto,
però, era l’aver saputo che qualcuno la considerava la prossima erede al trono,
un compito che non si sarebbe mai sognata di potersi un giorno assumere, per il
quale non si sentiva portata, e del quale, a voler essere completamente
sinceri, non le importava un bel niente.
Prima che arrivassero Joanne e le sue guardie
era sul punto di confidarsi con Saito, in un momento nel quale si sentiva
legata ed in sintonia a tal punto a lui come non accadeva da tempo, e invece
avevano finito per litigare di brutto quando era venuto fuori che Saito sapeva
già di questa storia dell’erede al trono, e che non glielo aveva detto
preferendo tenerla all’oscuro.
Le aveva chiesto se la considerava ancora una
bambina, se pensava di trattarla da lì in avanti come una moglie trofeo da
tenersi accanto giusto per fare bella presenza; e lui, troppo orgoglioso e
innamorato di lei per confessarle di aver agito in buona fede per non
impensierirla o metterla in pericolo, aveva risposto con stizza che fino a
prova contraria, affisso sull’architrave del portone d’ingresso, c’era il
crisantemo scudato, quello che Saito aveva scelto come simbolo del suo casato,
che quindi lì dentro comandava lui, e che perciò aveva tutto il diritto di
scegliere cosa dire o non dire a sua moglie.
Il risultato fu che i due, per quella sera, si
ritrovarono a cenare ai lati opposti del tavolo, senza guardarsi mai e
lanciandosi delle occhiatacce ogni volta che lo facevano.
A rendere la situazione ancor più pesante
c’erano le notizie portate dagli esploratori inviati a cercare Kaoru, che non
erano riusciti a venire a capo di niente.
Di certo l’aria che si respirava in sala da
pranzo non era delle migliori, e il fatto che Jeanne fosse lì con loro,
semi-nascosta in un angolo della stanza, di certo non aiutava.
«Stupido cane.» mugugnò Louise infilandosi un
pezzo di carne in bocca.
Era da parecchio tempo che non lo chiamava
così.
Saito non sentì, ma immaginò che la sua
consorte lo stesse prendendo a male parole dall’inizio della cena. Facendosi un
esame di coscienza si rendeva conto che forse aveva esagerato un po’, sia
tenendola all’oscuro delle decisioni della Camera sia dicendo quelle cose circa
la sua potestà sulla famiglia, ma d’altra parte sentiva che Louise aveva
bisogno di essere “messa a posto”, per così dire, o non avrebbe perso mai quel
suo carattere infantile e ribelle.
L’atmosfera era davvero troppo tesa perché
qualcuno di loro potesse accorgersi dell’arrivo, decisamente insolito per quel
luogo, di un grosso gabbiano, che posatosi sul parapetto prese ad agitare
furiosamente le ali come a volersi far notare.
«È piuttosto raro vederne da queste parti.»
commentò Louise «Il mare da qui dista parecchie miglia».
Purtroppo ben presto i due giovani, così come
Joanne, presero ad ignorarlo, e allora Derf non ebbe
altra scelta che passare alle vie di fatto. Spiccato nuovamente il volo, e
presa una bella rincorsa, si lanciò come un missile contro la finestra,
riuscendo a romperla e rotolando finalmente sul pavimento della sala da pranzo.
«Che ti salta in mente, brutta bestiaccia?»
ringhiò Joanne tentando di afferrarlo
«Aspettate, sono io!».
Derf non ebbe
altra scelta che mettersi nuovamente a volare per tentare di sottrarsi ai
tentativi di Joanne e Louise di acciuffarlo, ma Saito al contrario, dopo averle
imitate per qualche momento, cominciò poi a mostrarsi sempre più sorpreso.
Forse il suo legame con Derf gli faceva provare una
strana sensazione verso quel volatile, forse era solo istinto.
Fatto sta che, ad un certo punto, cercò di far
calmare le ragazze.
«Ferme, aspettate!» disse
«Lasciaci fare.» replicò Louise
«C’è qualcosa di strano in quel gabbiano.
Aspettiamo e vediamo che cosa fa».
Le due ragazze si mostrarono molto scettiche, ma
alla fine vollero concedere a Saito il beneficio del dubbio e lo assecondarono;
a quel punto Derf, accertatosi che non c’era più
pericolo, volò giù dall’alto ripiano dove aveva trovato rifugio e si portò
sulla tavola, proprio di fronte a Saito.
«Compare!» disse «Kaoru sì è cacciato nei
guai!».
Ma era tutto inutile, perché alle orecchie di
Saito, Louise e Joanne, le parole di Derf non
sembravano altro che un semplice starnazzare. Evidentemente, la capacità di Derf di poter comunicare con qualcuno mentre occupava un
corpo altrui era propria solo di chi possedeva il potere di Gandalfr.
Derf a quel
punto, non riuscendo a farsi capire, intinse la punta del becco in una ciotola
di salsa di frutta per insaporire la carne e prese, non senza qualche fatica, a
trascrivere il proprio nome sulla tovaglia bianca. Finalmente, il suo tentativo
venne premiato.
«Non ci credo!» esclamò Louise leggendo la
parola DERF
«Derf!?» disse Saito
guardando il gabbiano «Sei davvero tu!?».
L’animale fece cenno di sì.
«Cosa è successo a Kaoru?» domandò allora
Saito «Dove si trova?».
A quel punto Derf
cercò di far capire la situazione agitando le ali e indicando verso la
finestra, ma visto che non riusciva a farsi comprendere dovette di nuovo
affidarsi ai disegni.
Scrisse solo due parole, ma più che
sufficienti a spaventare a morte i due ragazzi.
KAORU PRIGIONE
Alla
fine, non senza qualche difficoltà, Derf riuscì a
grandi linee a spiegare la situazione, dicendo che Kaoru era stato catturato da
un manipolo di guardie ducali e che ora si trovava rinchiuso all’interno di un
palazzo arroccato su di una scogliera ad una ottantina di chilometri a nord-est
da dove si trovavano, non lontano dalla città di Grasse.
Grasse e la regione circostante facevano parte
del feudo omonimo, confinante con Ornielle, sul quale regnava il Generale Deville, già comandante in capo dell’esercito reale, ma che
recentemente esautorato del suo ruolo si era ritirato a vita privata nei suoi
possedimenti, ben protetto da un folto esercito personale.
«E adesso che cosa facciamo?» chiese Saito
«C’è bisogno di chiederlo!?» esclamò Louise
«Lo tiriamo fuori da lì, ovviamente!»
«Però…».
Il rischio era molto alto. In una simile
situazione, nessuno sapeva cosa sarebbe potuto accadere se lui o chiunque altro
fossero stati sorpresi ad agire in un altro feudo.
Era chiaro ormai che Kaoru non era certo stato
arrestato regolarmente, ma semplicemente lo avevano preso perché aveva visto
qualcosa che non doveva vedere; probabilmente non lo avevano ucciso per via
della sua abilità, e chi lo aveva catturato poteva avere interesse a cercare di
tirarlo dalla propria parte.
Saito di norma non si tirava mai indietro
davanti a sfide di questo genere, ma stavolta aveva un po’ paura. Ciò
nonostante, alla fine, decise di dare detta a sua moglie, e di fare qualcosa;
poi, quello che doveva accadere che accadesse, ma non poteva lasciare nei guai
quello che, nonostante lo conoscesse a malapena, sentiva di poter considerare
quasi un amico.
«Ci vogliono come minimo otto ore per arrivare
a Grasse da qui.» disse guardando le lune «Non arriveremmo mai in tempo per
poter agire col favore della notte.»
«Forse non è detto.» rispose Joanne
«Che intendi dire?» chiese Louise.
I tre uscirono in giardino, e ad un fischio di
Joanne sì udì uno strano sibilo, come un fischio; poi, le fronde degli alberi a
sud parvero aprirsi, qualcosa comparve da sotto di esse, e pochi secondi dopo
una enorme volpe bianca con nove code e le zampe circondate da bagliori
fiammeggianti raggiunse volando la villa, fermandosi dinnanzi a Joanne ed
allungando il muso per farsi accarezzare.
Saito e Louise restarono di stucco.
«Questo…» disse
Louise «È il tuo famiglio!? È una kitsune!»
«Si chiama Hotarubi.
Grazie a lei, raggiungeremo Grasse in meno di due ore».
A quel punto Joanne salì a bordo, ma quando
fece per farlo Louise Saito la trattenne.
«Non se ne parla nemmeno. Tu resti qui.»
«Che fai, mi lasci fuori? Non ci provare
neanche!»
«Cerca di ragionare, la tua magia è debole!»
replicò severo Saito «Se andassi, ti faresti sicuramente ammazzare!»
«E tu allora? Credi di potercela fare, senza
le rune di Gandalfr? O hai già dimenticato quello che è successo l’altro
giorno?».
Saito accusò il colpo.
Lo sapeva molto bene che senza i suoi poteri,
sarebbe stata molto più dura. Ciò nonostante, non poteva permettere alla
ragazza che amava di essere in pericolo; e poi, se avesse dovuto tenere
d’occhio anche lei, il rischio di lasciarci la pelle entrambi sarebbe stato
molto più alto.
Avrebbe voluto provare a spiegarlo a Louise,
ma era sicuro che non avrebbe capito, così decise per la soluzione più
sofferta.
Ad un suo cenno, due guardie si avvicinarono
di soppiatto a Louise.
«Ci perdoni, padrona.» disse una, poi entrambe
si avventarono su di lei
«Che state facendo? Vi ordino di lasciarmi!»
«È per il tuo bene, Louise.» disse Saito,
fermamente ma dolcemente «Tornerò presto».
Joanne porse la mano a Saito, aiutandolo a
salire, e dopo che anche Derf si fu accomodato ad un
cenno della sua padrona Hotarubi spiccò il volo sotto
lo sguardo impotente di Louise.
«Saito! Idiota!» urlò con le lacrime
agl’occhi.
Il
cardinale Masarini era un amante delle cose belle.
Malgrado fosse un uomo di chiesa i vizi non
gli mancavano, e la sua devozione a Dio era pari solo a quella verso il suo Paese.
Era stato per molti anni il consigliere della
regina, poi della principessa Henrietta, ed erano
pochi a Tristain a piangerne la morte quanto lui.
Fin da quando aveva assunto, molto giovane, la
carica di cardinale, si era adoperato per garantire a Tristain un futuro roseo
e scintillante, fatto di rispetto, potere militare, devozione religiosa e pace.
La disastrosa spedizione di Albion, che lui stesso
aveva proposto alla Camera dei Cavalieri tramite il generale Deville, che era da sempre il suo uomo di fiducia, aveva
molto minato la sua autorità, nonché la stima che molti fino a poco prima
nutrivano per lui, ma la sua determinazione a proteggere Tristain era ancora
forte più che mai.
Soprattutto ora, con lo spettro di una guerra
civile ad aleggiare sul Paese, sentiva di essere l’unico in possesso di quanto
era necessario per traghettare la barca fuori dalla tempesta, almeno fino al
momento in cui non fosse stato trovato un nuovo e degno erede al trono al quale
offrire umilmente e pienamente i propri servigi.
Quello che era necessario fare, per il
momento, era creare un’alleanza il più solida possibile tra i più potenti
signori di Tristain, soprattutto di quelli del nord, visto che al nord si
concentrava la maggior parte del potere economico, militare e alimentare dello
Stato.
Il primo passo era l’accordo con il generale Deville, il cui esercito privato sarebbe stato un aiuto
prezioso nell’eventualità di dover difendere con una guerra la sovranità dello
Stato.
Per questo, il cardinale aveva invitato Deville nella sua residenza, e durante la cena i due ospiti
ebbero modo di parlare in tutta calma.
Nonostante avesse già i suoi anni, il generale
era un uomo tutto sommato di bell’aspetto, anche se l’età si faceva vedere.
Peccato che quei capelli paglierini, quegli occhi marroni, quei baffetti
all’insù, non rispecchiassero affatto la personalità che vi era al di sotto.
«Quello che sta proponendo è molto pericoloso,
signor cardinale.» disse Deville pulendosi
delicatamente la bocca «In tempi normali si chiamerebbe tradimento.»
«In tempi normali, ha detto bene.» rispose il
cardinale «Ma questi non lo sono. Nei prossimi mesi, l’unica cosa che conterà
davvero sarà il potere militare di ogni signore o possiedente.
È necessario fare qualcosa nel più breve tempo possibile, o questo Paese finirà
per sgretolarsi, dilaniato dalle ambizioni di avidi sciacalli.»
«Insomma, lei propone di prendere il potere a Tristania.»
«È indispensabile. Possedere la capitale
significa possedere la nazione, e poter reclamare maggiori diritti al trono, o
quantomeno al controllo militare e politico sul resto di Tristain.»
«A questo proposito, mi risulta che un erede
ci dovrebbe già essere. L’ultimogenita dei La Vallière, se non ricordo male.»
«Non metto in dubbio le capacità di Miss
Vallière, su questo non vi è alcun dubbio.» replicò il cardinale incrociando le
meni e poggiandovi sopra il mento «Ma resta pur sempre una maga del vuoto, e
tutti noi sappiamo bene quanto questo potere sia pericoloso.
Sarete d’accordo con me, generale, che non
possiamo permettere ad una stirpe di maghi del vuoto di regnare su Tristain.
Non solo ci sarebbe il concreto pericolo di una rivolta popolare, ma anche le
altre nazioni finirebbero per ridiscutere il loro rapporto con noi.
Dopo tanta fatica fatta per creare una così solida
struttura di alleanze internazionali, sarebbe rischioso mandare tutto a monte».
Deville prese il
calice di vino e ne sorseggiò un goccio, poi prese a tirarsi un baffo.
«La capitale è ben difesa. Non ci sono molte
guardie, ma sono tutte molto ben addestrate, ed estremamente fedeli alla regina
madre. Sarebbe impossibile prenderne il controllo senza una battaglia, e per
quello che ne so non c’è mai stato nessuno che sia riuscito a conquistare Tristania, non senza grosse perdite.»
«Anche se la principessa è morta, io resto pur
sempre il cardinale di Tristania, e il vicario di
nostro signore in questo Paese. Basta una mia parola per convincere la gente di
qualsiasi cosa.
In questo caso, io proclamerei, nel nome di
sua santità il Papa, e con il suo benestare, la fine dell’approvazione della
Santa Chiesa verso la famiglia reale, e l’istituzione di un vicariato
temporaneo sotto il mio comando.
Certo, probabilmente questo non farà desistere
la regina madre dal combattere per difendere la sua autorità e il diritto al
trono del suo casato, ma certo causerà delle rivolte e delle sommosse popolari
contro di lei, costringendola in breve alla capitolazione».
Deville sorrise
beffardo.
«In altre parole, io ci metto i soldati, i
morti, il sangue e tutto il resto, e lei ci mette la testa sulla quale porre la
corona?
Scusi se glielo faccio notare, eminenza, ma
non mi sembra una prospettiva molto allettante.»
«Forse.» replicò il cardinale con la solita
freddezza e compostezza «Ma forse è una decisione più consona al comandante in
capo delle forze armate».
Di colpo a Deville
gli si accesero gli occhi, ed un nuovo ghigno gli comparve sul viso.
«Il comandante in capo delle forze armate?»
ripeté
«Secondo soltanto a sua maestà.» replicò il
cardinale.
Il generale posò il calice che aveva ancora in
mano, e i due si guardarono a lungo negli occhi; quelli del cardinale erano
freddi, senza emozioni, così come la sua espressione del resto, tutto il
contrario di quelli di Deville, che invece
scintillavano come diamanti.
«Forse potrebbe anche funzionare, pensandoci
bene. Dopotutto, cosa sono due o tremila uomini in meno, per il bene del
Paese?».
A quel punto, e solo a quel punto, il
cardinale piegò le labbra in un leggero sorriso compiaciuto.
«Ero sicuro che avremmo trovato una
soluzione».
Saito
e Jeanne seguirono le indicazioni di Derf, che non
potendo parlare cercava di comunicare a gesti, sventolando le ali o gracchiando
qualche suono, poi, quando capirono che ormai non doveva mancare molto, scesero
verso terra, atterrando in una radura isolata ben protetti dall’oscurità.
Una volta qui, Hotarubi
rivelò un’altra sua curiosa e interessante caratteristica. Quando necessario,
infatti, poteva assumere qualsiasi aspetto volesse, o gli venisse comandato
dalla sua padrona, e infatti, come Saito e Jeanne furono scesi, prese le
fattezze di una giovane donna molto bella, ma dallo sguardo quasi glaciale, con
lunghi capelli bianchi e una sorta di kimono sempre bianco, con lunghe maniche
larghe e una sorta di voluminoso cappuccio.
«Non ho mai visto un famiglio simile.»
commentò Saito «È davvero stupefacente.»
«Da secoli le donne del mio casato hanno come
famiglio una volpe a nove code.» rispose Jeanne.
Saito guardò un momento la giovane
donna-volpe, che lo osservava senza proferire parola.
«Ma… sa parlare?».
Seguì un momento di silenzio.
«Sì.» rispose l’interpellata in modo quasi
meccanico, senza emozioni.
Jeanne abbozzò quasi un sorriso, facendosi
però nuovamente seria quando sentì il rumore di una carrozza che si avvicinava.
Lei, Saito e Hotarubi corsero a nascondersi dietro ad
una roccia, giusto in tempo per non essere notati dal convoglio in transito.
«Guarda.» disse Saito indicando le insegne «È
il generale Deville.»
«Così sembrerebbe. Però non vedo guardie
ducali al suo seguito».
Il loro primo proposito fu quello di seguire
la carrozza, ma poi Derf fece loro segno che
sarebbero andati nella direzione sbagliata, e che il castello o la fortezza
dove Kaoru era tenuto prigioniero si trovava invece nella direzione opposta.
A quel punto non poterono fare altro che
fidarsi del loro amico, ma quando, dopo qualche miglio di cammino, videro
palesarsi un pregevole palazzo signorile arroccato sulla sommità di un’alta
scogliera, quasi non riuscirono a credere ai loro occhi.
«Ma…» disse Saito «È
la residenza del Cardinale Masarini!».
Durante il viaggio, e per la verità già da
quando tutto era cominciato, Saito si era ripetuto più volte che quell’agguato
nella foresta potesse essere opera solo di quell’arrivista di Santin, che dopo
aver schernito pubblicamente Louise aveva cercato di ucciderla per non doversi
preoccupare di lei.
Ma ora, tutte quelle certezze rischiavano di
essere messe in discussione.
Saito non voleva crederci: il cardinale Masarini, un uomo così onesto e devoto, come poteva aver
architettato qualcosa di così riprovevole come un omicidio, per di più nei
confronti di una donna che già alcune volte aveva lodato e detto di ammirare?
«Dobbiamo trovare un modo per entrare.» disse
Joanne interrompendo i pensieri del giovane
«Aspetta, che stai pensando di fare?»
«Siamo qui per liberare il vostro amico, o mi
sbaglio?» rispose fredda la ragazza
«Però…»
«E poi, se è davvero stato il cardinale a
tentare di assassinare miss Vallière, merita di pagare per il suo tradimento.
Come si conviene ad un aspirante regicida.»
«Aspetta, forse stai esagerando.»
«Col dovuto rispetto, lord Hiraga,
ma forse Voi avete dimenticato le mie parole. Io ora servo miss Vallière come
se fosse la regina. Voi potete essere qui per salvare il vostro amico, ma io
sono venuta a punire chi ha attentato alla vita del comandante di questa
nazione.
Tutto qui. E ora, se volete scusarmi».
Di fronte ad una situazione così ingarbugliata
Saito non riuscì a controbattere, e senza quasi rendersene conto si trovò a
seguire Jeanne e Hotarubi nel loro avvicinarsi al
palazzo.
La villa era circondata, dal lato
dell’ingresso principale, da un muro di cinta abbastanza alto, e le finestre
erano troppo alte per potersi arrampicare.
Assunte le sembianze di una guardia ducale, e atteggiandosi
come se fosse stata un po’ brilla, Hotarubi si
avvicinò barcollando al soldato che faceva la guardia al portone d’ingresso.
«Chi sei?» domandò la guardia «Identificati».
Prima che potesse rendersi conto di qualcosa,
però, Hotarubi gli fu addosso, gli sfilò il pugnale
dalla cintura e gli trapassò la gola, quindi fece dei cenni con la torcia ai
suoi due compagni che aspettavano nascosti nel buio, i quali si avvicinarono.
Saito guardò il soldato morto quasi con
compassione. Per lui, che uccideva solo se strettamente necessario, una morte
del genere dava l’impressione di essere quasi inutile.
«Almeno non ha sofferto.» disse tra sé e sé
«Sbrighiamoci, prima che ci scoprano.» tagliò
corto Jeanne.
Raccolte le chiavi dal cadavere Jeanne aprì il
portone, e da lì i tre cercarono di dirigersi fino alla porta d’ingresso.
Quello che non potevano sapere, però, era che
il piccolo giardino era provvisto di una serie di trappole magiche;
inavvertitamente Hotarubi ne calpestò una, e nello
spazio di un secondo una miriade di campanelle disseminate per tutta la villa
presero a risuonare tutte insieme, trasformandosi in un vero e proprio allarme
che mise in guardia tutte le guardie del palazzo.
«Maledizione!» esclamò Jeanne.
Due soldati di ronda attorno alla villa comparvero
dall’uscio del portone ancora spalancato, scagliandosi subito contro gli
intrusi.
Veloce come la folgore, Jeanne ne uccise una
sfoderando velocissima la spada, mentre Saito ingaggiò un corpo a corpo non
troppo impegnativo con la seconda; Hotarubi, che
calpestando l’allarme aveva anche attivato una sorta di cesoia magica, era
ancora impegnata a liberarsi, e non poteva prendere parte allo scontro.
Nuovamente, Saito esitò.
All’inizio non riuscì a capire il perché, ma
poi si disse che forse il motivo era dovuto al fatto che quella volta, nella
foresta, era stata Louise ad essere in pericolo, e che probabilmente era stato
quello a spingerlo ad agire senza preoccuparsi troppo delle conseguenze,
perfino se si trattava di uccidere.
Era sempre stato così. Louise, e l’amore che
provava per lei, lo spingevano a fare le cose che avrebbe reputato più
impensabili.
La guardia attaccò di nuovo, e Saito si
mantenne sulla difensiva, incapace di trovare il coraggio per vibrare quel
colpo mortale che solitamente, contro un avversario di così basso livello, non
avrebbe avuto alcuna difficoltà a portare.
Alla fine fu Jeanne a cavarlo d’impiccio,
trafiggendo la guardia alle spalle senza troppi problemi, nello stesso momento
in cui Hotarubi riusciva finalmente a liberare la caviglia
dalla trappola.
«Muoviamoci!» disse Hotarubi
«Se ci sbrighiamo possiamo ancora farcela».
Lei e Hotarubi
andarono avanti, ma Saito impiegò qualche istante a capacitarsi di quello che
stava accadendo, e della vista dei due corpi senza vita che ora giacevano
sull’erba, ma poi, cercando di farsi forza, si risolse a seguire le due ragazze
all’interno del palazzo.
Nel mentre, la notizia della comparsa degli
intrusi era arrivata alle orecchie del capitano Roland, che stava approfittando
della tranquillità che aveva regnato fino a due minuti prima per concedersi una
buona bevuta.
«Capitano, ci sono degli intrusi.» gli venne a
dire un sottoposto «Tre persone.»
«Beh, che state aspettando? Fateli fuori.»
«Ecco… uno di loro
sarebbe lord Hiraga. Almeno a quanto dicono le
sentinelle.»
«A maggior ragione. C’è anche la figlia dei
Vallière per caso?»
«Crediamo di no, signore. Ma ci sono comunque
due donne con lui, di cui una maga.»
«Poco male. Vuol dire che finiremo metà del
lavoro. Avvisa tutti. Che non escano vivi da qui.»
«Sissignore».
In quella arrivò anche il cardinale.
«Problemi, capitano?»
«Niente di che, eminenza. Solo una piccola
distrazione.»
«Non commetta l’errore di sottovalutare Lord Hiraga, capitano. Lo ha visto anche lei quanto quel giovane
possa rivelare sorprese e potenzialità quasi impensabili.»
«Col dovuto rispetto, eminenza, questo
accresce solo il mio divertimento.»
«I suoi passatempi sadici non mi interessano,
capitano. Provveda solo a sistemare questa questione.»
«Con vero piacere».
Nello
stesso momento, nei sotterranei, Kaoru stava cercando di dormire, quando fu
improvvisamente svegliato da un gran trambusto proveniente dal corridoio.
C’era una grande confusione, e le guardie
erano chiaramente nervose, quasi nel panico.
«Che succede? – Intrusi! – Sono in tre! – Uno
è un lord! – Lord Hiraga è qui!».
Kaoru pensò subito a Saito; aveva già sentito
di sfuggita qualcuno chiamarlo Lord Hiraga quando era
convalescente, quindi sapeva che doveva trattarsi per forza di lui. Come lo
realizzò, si sentì quasi in colpa; sicuramente erano lì per aiutarlo, quindi
significava che stavano rischiando la vita per salvare la sua, che se ne era
andato in così malo modo senza neanche ringraziarli per averlo curato.
Aveva permesso a Derf
di non fare pazzie, ma a questo punto non poteva permettere a Saito di
combattere da solo.
Qualche istante dopo, la guardia assegnata
alla sorveglianza della cella udì uno strano e inquietante rantolo, seguito da
un rumore di oggetti ribaltati e da un tonfo secco. Voltatosi a guardare, vide
attraverso lo spioncino la cella ridotta sottosopra, e il prigioniero riverso a
terra con la bocca spalancata e gli occhi completamente bianchi.
«Maledizione!» esclamò.
Senza pensarci troppo su si affrettò ad aprire
la porta per capire se il prigioniero fosse effettivamente morto, magari
suicidandosi, per evitare l’interrogatorio o di essere messo a morte, ma come
si inginocchiò per sentirgli il polso gli occhi ruotarono su sé stessi,
rivelando due pupille ancora piene di vita.
«Ma che…».
La guardia ebbe a malapena il tempo di mettere
la mano sul pomo della spada, che il taglio di una mano gli affondò come la
punta di un coltello nella gola, mozzandogli il respiro e lasciandolo a terra
svenuto.
Vedendo quello che aveva appena fatto, Kaoru
quasi rise di sé stesso; chissà dove aveva imparato a fare cose del genere.
Forse non era la prima volta che veniva rinchiuso in una cella e riusciva a
scappare.
«Scusami, ma ho fretta.» disse all’uomo che
aveva appena steso, e sfilatagli l’arma corse fuori dalla cella.
Senza sapere bene dove stava andando salì
lungo la prima rampa di scale che incontrò, senza incontrare fortunatamente
nessuna resistenza, ma quando aprì la porta che trovò sul fondo si ritrovò in
una sorta di salotto, proprio a tu per tu con Roland, che stava dirigendosi
verso l’ingresso per dare il proprio contributo al contrasto degli intrusi.
«Guarda chi si vede.» commentò «Non c’è
dubbio, ti avevo decisamente sottovalutato».
Di colpo, i propositi e i suoi doveri
svanirono; potersi misurare ancora una volta con quel ragazzo così in gamba era
una prospettiva troppo allettante. Ghignando, mise mano alla spada.
«E questa volta, non credere che ti lascerò
fuggire».
NOTA DELL’AUTORE
Eccomi qua!^_^
Dopo le vacanze, le abbuffate,
e qualche problemino alla ripresa, eccoci di nuovo a scrivere.
Capitolo buttato giù
di getto, quasi di riflesso, quindi non stupitevi se troverete qualche errorino, perché potrei non averli trovati tutti.
Credevo che questo sarebbe
stato il primo dei capitoli maxi, ma poi mi sono detto che forse è ancora
presto per questo, e che mi prenderò un altro po’ di tempo prima di passare a
capitoli più lunghi.
All’inizio, devo
essere sincero, pensavo di riuscire a tenermi sui 24 capitoli, ma ora sono
sempre più convinto che arriverò a 48. Potete pensare a questa fanfic come ad una quinta serie anime da 24 episodi, in cui
ogni capitolo costituisce circa metà di ogni episodio.
Infine, una piccola
curiosità. Giusto per volermi (e volervi), fare altro male, sto cercando di
creare due piccole opening per questa fanfic, visto
che il mio essere mitomane mi porta a vederla nella mia testa proprio come una
quinta stagione, che chiude l’anime così come sarebbe piaciuto a me.
Non sono sicuro di poterle
realizzare, perché il mio Movie maker ultimamente fa molti capricci, ma se ci
riuscissi senza dubbio ve lo farò sapere.
Ecco, ho detto tutto.
Ringrazio seldolce e il
nuovo arrivato, shadowfrost,
per le loro recensioni.
Kaoru
e Roland si portarono l’uno di fronte all’altro, le spade sguainate e pronti
allo scontro.
Questa volta Kaoru era determinato a non
perdere il controllo, e a restare sempre padrone di sé stesso e delle proprie
azioni; se davvero possedeva queste abilità di guerriero, le avrebbe usate
spontaneamente, ed in modo coscienzioso.
«Sai.» disse Roland «Avrei potuto ucciderti su
quel promontorio. Ma la tua bravura con la spada mi aveva colpito, e speravo di
riuscire a convincerti a venire dalla mia parte.
Le Guardie Ducali sono pagate molto bene, e i
piaceri di certo non ti mancherebbero».
Kaoru si guardò la mano sinistra; le rune
brillavano leggermente, anche se Derf non era con
lui.
«Mi dispiace, ma ho già una persona da
servire.» fu la sua risposta «Una assai migliore di te.»
«Davvero un peccato.» rispose beffardo Roland.
I due avversari si studiarono qualche altro
secondo, poi si corsero contro e incominciò il duello.
Roland utilizzava uno stile a fioretto, fatto
di affondi rapidi e continui, facendo mulinare ogni tanto la spada per
confondere l’avversario e ritirandosi al primo tentativo di reazione per poi
tornare a colpire. Anche Kaoru però si difendeva bene, ma sembrava quasi che
non riuscisse a maneggiare la spada come avrebbe voluto; forse, prima di
perdere la memoria, si era così abituato a maneggiare quella katana, quella con
la quale lo avevano trovato, da non riuscire a fare buon uso di nessun’altra
arma.
«Che ti succede?» domandò Roland ad un certo
punto, notando le difficoltà dell’avversario «Non mi dire che il tuo repertorio
è tutto qui. Te la sei cavata molto meglio la prima volta».
Fu sufficiente qualche altro assalto perché Roland
riuscisse infine a portare a segno qualche colpo, anche se fortunatamente si
trattò di affondi superficiali, deviati in qualche modo da Kaoru lontano da
organi vitali, ma che però facevano comunque male.
La situazione era davvero brutta. Kaoru non riusciva
a combattere al meglio delle sue potenzialità, perché aveva timore che se lo
avesse fatto la parte sanguinaria e violenta della sua personalità avrebbe
potuto riemergere, e questo non lo voleva.
«Forse mi ero sbagliato sul tuo conto. Quand’è
così, non ho ragione per lasciarti in vita».
Seguirono alcuni altri affondi, e Kaoru
rimediò altre ferite, ritrovandosi infine inginocchiato a terra, con un taglio
piuttosto serio alla spalla sinistra. O si inventava subito qualcosa, o quella
sarebbe stata la sua ultima notte.
Nel
mentre, Joanne, Hotarubi e Saito si erano addentrati
nel castello, ma mentre Saito premeva per cercare di scoprire dove fosse Kaoru,
Jeanne e il suo famiglio al contrario erano interessate prima di tutto a
trovare il cardinale Masarini.
Quest’ultimo, come se niente fosse, era nel
grande salone principale, dove, dinnanzi alla grande vetrata a semicerchio che
dava verso il mare, era intento a suonare tranquillamente e magistralmente il
pianoforte.
Ad un certo punto, dal portone d’ingresso
della sala giunsero rumori di duello, accompagnati poco dopo dai gemiti morenti
di due o più persone, poi l’uscio si spalancò e Joanne comparve nella stanza. Hotarubi e Saito erano rimasti indietro, impegnati a
combattere contro un altro manipolo di soldati.
Per nulla turbato o preoccupato il cardinale
smise di suonare e si alzò in piedi. Joanne fece qualche passo avanti.
«Capitano Joanne. A cosa devo questa visita?»
domandò Masarini
«Cardinale Masarini.
Vi dichiaro in arresto per cospirazione, alto tradimento e tentato omicidio nei
confronti di sua maestà.
Non opponga resistenza, e non le sarà fatto
alcun male. Avrà anche la possibilità di parlare in propria difesa.»
«Davvero? E davanti a quale tribunale? L’unica
autorità che riconoscevo era quella di sua altezza Henrietta.
Dopo di lei, l’unico signore che servo è questo Paese».
Joanne gli si avvicinò per metterlo agli
arresti, pensando forse che il cardinale non avesse alcuna intenzione di
opporre resistenza. E invece, d’improvviso, Masarini
mosse un dito, e dal nulla comparvero una miriade di frecce infuocate che presero
a piovere contro la ragazza, che riuscì ad evitarle e poi tentò una reazione.
A quel punto Masarini
rivelò il bastone magico che portava sempre con sé, e che per la maggior parte
del tempo teneva nascosto all’interno della tunica.
Ne seguì uno scontro breve ma molto violento,
con Joanne che evitava di portare attacchi mortali perché voleva prendere il
traditore vivo, e Masarini che invece non si faceva
scrupolo a colpire in tutti i modi possibili, quasi fosse consapevole del fatto
che a quel punto non era più possibile tornare indietro.
D’un tratto il cardinale diede l’impressione
di cominciare ad essere stanco; in fin dei conti era pur sempre un uomo di una
certa età, e usare la magia troppo a lungo poteva risultargli molto stancante,
per non dire proibitivo.
Joanne immediatamente cercò di approfittarne
con un assalto frontale, ma era solo una trappola; come si avvicinò, infatti, Masarini mosse di nuovo il solito dito, e da un momento
all’altro la ragazza si ritrovò imprigionata all’interno di un cono di luce.
«Ma cosa…» disse
cercando di liberarsi.
Passò qualche istante, e dentro quella specie
di prigione si scatenò una vera tempesta elettrica, che investì in pieno
Joanne. Non si trattava di una vera e propria scossa, quanto di un sortilegio
in grado di svuotare una persona, e in special modo un mago, di tutte le sue
energie, senza arrecare alcun danno fisico.
Joanne urlò con tutta la sua voce, e quando Masarini si decise a lasciarla andare rantolo sul pavimento
quasi svenuta.
Nello stesso momento anche Hotarubi,
ancora impegnata a combattere al fianco di Saito, sembrò stare improvvisamente
male. I famigli del suo calibro necessitavano continuamente di grandi
quantitativi di energia, e se il loro padrone era in fin di vita, o comunque
perdeva la propria, anche loro subivano la stessa sorte.
«Che ti succede?» domandò Saito vedendola
cadere in ginocchio
«Pa… padrona.»
riuscì a mormorare lei, per poi venire circondata di luce ed assumere le forme
di una comunissima volpe.
Saito capì che era successo qualcosa a Joanne
e volle correre in suo aiuto. Tranciando la catena che sorreggeva un lampadario
riuscì a creare un principio d’incendio che tenne a bada i soldati, quindi
recuperò Hotarubi e corse nella direzione verso la
quale aveva visto correre via Joanne poco prima.
La ragazza intanto cercava inutilmente di
rimettersi in piedi, e nel frattempo Masarini si era
avvicinato a lei fino a sovrastarla.
«M… maledetto.»
«Tutto quello che faccio, lo faccio per il mio
Paese. Al punto in cui siamo, è l’unica cosa della quale mi importi.»
«È… è lo stesso per
me.»
«Ne sei sicura? Non è che forse cercavi solo
qualcuno da servire? Per non dover decidere tu stessa della tua vita?».
Joanne spalancò gli occhi, poi li distolse
guardando altrove e mordendosi le labbra.
Forse era vero.
Aveva passato tutta la vita obbedendo agli
ordini; di suo padre, della sua principessa, del suo comandante. Forse aveva
perso la capacità di prendere le decisioni da sola, finendo inconsciamente per
votarsi unicamente alle scelte di altri perché non era capace di decidere da sé.
«Io devo fare quello che ritengo giusto, per
il bene di questa nazione. Mi dispiace».
Masarini, quasi
piangendo, alzò il bastone, la cui punta era di freddo acciaio, per vibrare il
colpo decisivo, mentre Joanne assisteva impotente.
Il cardinale a quel punto desistette, rivolgendo
lo sguardo al nuovo venuto.
«Lord Hiraga. Ero sicuro
che, in un modo o nell’altro, sarebbe finita in questo modo. Solo, non mi
aspettavo così presto».
Saito posò a terra Hotarubi,
ancora molto debole, e fece qualche passo in avanti.
«Voglio sapere una cosa sola. Siete stato voi
a tentare di uccidere Louise?».
Masarini abbassò
gli occhi come mortificato.
«Perché? Perché lo avete fatto! Avevate sempre
detto che Louise era una persona perbene!»
«E lo credo ancora.» rispose lui seriamente
«Ma credo non possieda i requisiti necessari per essere una buona regina.»
«E solo per questo volevate ucciderla?»
«Credimi, speravo di non dover essere
costretto ad arrivare a tanto. Ma non c’era altra scelta. Anche nel caso in cui
fossi riuscito a convincere Louise a reclamare il trono, qualcun altro avrebbe
potuto servirsi a proprio vantaggio del suo status di erede.
Non potevo permettere che l’ingordigia e l’ambizione
di pochi minacciassero Tristain.»
«E allora avete ordinato la sua morte.»
replicò Saito a denti stretti «E non volevate che qualcuno sospettasse di voi! Volevate
farlo passare per una rapina finita male.»
«Come ho detto, è tutto nell’interesse del mio
Paese. Fin da quando ho preso l’abito, e sono stato nominato cardinale. O forse,
addirittura fin da quando ero bambino, non ho fatto altro che adoperarmi per il
bene della nazione che ho amato e amo tuttora più di qualsiasi altra cosa.
Questo è l’unico rimprovero che mi si può
fare. E non sono per niente pentito. Nel mio cuore, il benessere della Nazione
e la fede a Dio sono quasi la stessa cosa, e non rinnegherei nessuno dei due».
A quel punto, Saito alzò la spada.
Provava un odio senza fine per quell’uomo, ma
ciò nonostante non voleva ucciderlo.
«Giuro che pagherete per quello che avete
fatto!»
«È un vero peccato, Lord Hiraga.»
disse Masarini mettendosi a sua volta in posizione
«Che grande generale sareste stato».
Dopo qualche secondo Saito attaccò a spada
tratta, ma il cardinale si difese prima costruendosi una barriera, e poi
lanciando contro il ragazzo la stessa selva di frecce infuocate utilizzate
contro Joanne, che assisteva impotente allo scontro.
Servirono solo pochi secondi di battaglia perché
Saito cominciasse finalmente a rendersi conto di quanto il suo livello di
guerriero si fosse abbassato, ora che non possedeva più il potere di Gandalfr. Inoltre,
finché aveva Derf al proprio fianco, poteva contare
anche sulla capacità di difendersi dagli attacchi magici, ma ora quella
capacità era venuta meno, quindi quello che poteva fare per evitare i dardi era
solo scappare, e respingerne alcuni con la lama della spada.
D’improvviso, una delle saette che Saito
riuscì a respingere andò a centrare una tenda spessa e setosa, che subito prese
fuoco, generando un incendio che ben presto iniziò a diffondersi per tutta la
stanza.
Saito si ritrovò messo alle corde; già la
situazione era difficile, e ora ci si metteva pure il fuoco.
Forse Louise non aveva avuto tutti i torti
quando gli aveva detto che senza i suoi poteri avrebbe avuto vita breve, e
purtroppo solo adesso, troppo tardi, accettava di ammetterlo.
Kaoru
aveva subito più di una decina di affondi, tutti fortunatamente superficiali,
ma abbastanza seri da procurargli un dolore lancinante in tutto il corpo,
rendendolo incapace persino di ragionare lucidamente.
Roland al contrario era ancora illeso, e si
godeva con piacere quel duello che, a conti fatti, si stava rivelando molto più
semplice di quanto avesse immaginato all’inizio.
«Accidenti, che delusione.» disse beffardo «E
dire che nutrivo così tante speranze sul tuo conto. Devo dire però che sarebbe
la prima volta che mi sbaglio sul conto di un buon soldato.
Siamo sicuri che tu sia la stessa persona che
ho affrontato ad Ornielle?».
Malamente, e puntellandosi sulla spada, Kaoru
si rimise in piedi; da una ferita sulla fronte colava del sangue che gli rigava
il volto, aveva un occhio tumefatto per un colpo di pomo preso in pieno ed era
tutto sudato.
Quasi contemporaneamente, una porzione di
pavimento crollò sotto il peso delle fiamme che già avevano iniziato ad
avvolgere il piano superiore, ed in breve anche quella stanza cominciò a
riempirsi di fuoco e fumo.
«Direi che, a questo punto, possiamo anche
farla finita.» disse Roland.
Il capitano delle guardie assunse una posa d’attacco,
inarcando la mano armata all’indietro e piegando le ginocchia; quasi
sicuramente avrebbe eseguito un affondo al petto, rapido e mortale. Kaoru se lo
aspettava, ma non era sicuro di avere più la forza per cercare di opporsi.
L’attacco fu rapidissimo, quasi
indistinguibile, ma nonostante ciò il ragazzo riuscì, in qualche modo, a
fermarlo all’ultimo istante, facendo in modo che la punta della lama nemica si
infilasse proprio nell’anello del pomo della sua; non gli riuscì di evitare una
nuova ferita, ma riuscì se non altro ad impedire alla punta di penetrare
abbastanza da colpire qualche organo.
Purtroppo, ci voleva ben altro per farla a uno
come Roland; con un rapido gesto del polso il capitano ritirò la spada, quindi,
usando a proprio vantaggio il blocco creato da Kaoru, gli riuscì di sfilare la
spada di mano al suo avversario, raccogliendola e ritorcendola contro di lui.
Kaoru riuscì a schivare un altro paio di
affondi arretrando, ma poi ricevette l’ennesimo colpo, all’avambraccio, e di
nuovo cadde in ginocchio tenendosi la nuova ferita, probabilmente la più grave
che avesse ricevuto.
Era chiaro ormai che Roland stava
semplicemente giocando con lui, prendendosela comoda prima di infilare il colpo
decisivo.
Il ragazzo alzò gli occhi, incrociando quelli di
colui che molto probabilmente sarebbe stato il suo carnefice.
Si diede dell’idiota; per tutta la durata del
duello si era voluto trattenere, aveva voluto limitare quelle abilità che
sentiva di avere, e adesso avrebbe pagato questa sua leggerezza con la vita.
Roland si preparò al colpo di grazia, quando d’improvviso
un grosso gabbiano volò nella stanza da una delle finestre esplose per il
calore e gli piombò addosso, distraendolo e dando in questo modo a Kaoru il
tempo di cavarsi d’impiccio e rimettersi in piedi.
«Dannata bestiaccia!»
Il gabbiano prese a tormentare Roland,
riuscendo anche a fargli mollare una delle spade, e Kaoru a quel punto riconobbe
la natura dell’animale che lo aveva appena salvato.
Roland riuscì alla fine ad uccidere il
gabbiano trafiggendolo a mezz’aria, e il volatile, ormai morente, rantolò
vicino a Kaoru; una luce lo avvolse, tramutandosi in una piccola sfera che
entrò nella mano sinistra del ragazzo, illuminandone nuovamente le rune.
«Ehi, compare!»
«Sei tu!» disse Kaoru, che ancora non aveva
imparato a chiamarlo per nome.
«Felice di essere arrivato in tempo».
Assieme a Derf
parvero tornare almeno un poco anche le energie, abbastanza da permettere a
Kaoru di recuperare la spada e rimettersi in piedi.
C’era una nuova luce nei suoi occhi, e Roland
non mancò di notarla.
«Basta avere paura.» disse ansimando il
ragazzo «Non rinnegherò più quello che sono».
Il capitano delle guardie sorrise soddisfatto.
Eccolo, finalmente. Era quello il giovane che
aveva sfidato nella foresta. Finalmente, sarebbe stato un vero duello.
«Era ora che ti decidessi».
Entrambi assunsero la posa di guardia; sarebbe
stato uno scontro al primo colpo, e uno dei due sarebbe sicuramente morto.
Una cosa che Kaoru sentiva di aver capito, e
che faceva parte di lui, era la convinzione che, quando si combatte, di spazio
per la pietà ce n’è davvero poco. Tu puoi esseremisericordioso, ma non è detto che l’avversario
sarà dello stesso avviso, quindi comunque vada si deve essere sempre e comunque
pronti ad uccidere.
Era questo che lo rendeva diverso da Saito.
Adesso che la nebbia stava cominciando a diradarsi in merito ai suoi momenti di
follia, ricordava che quel giovane, nonostante i suoi nemici volessero
ucciderlo, si era volutamente trattenuto quel giorno nella foresta, proprio
come lui.
La volontà a risparmiare il nemico era un
comportamento onorevole, ma era anche una cosa dal quale il nemico stesso,
conoscendola, poteva trarre vantaggio; chissà per quale motivo, Kaoru sentiva
di averlo imparato a proprie spese.
I due avversari si fissarono, ed il tempo
sembrò fermarsi. Tutto attorno la stanza bruciava, ed il calore si era fatto
opprimente, ma neppure questo sembrava una distrazione sufficiente, tanto
Roland e Kaoru parevano essersi estraniati dal mondo.
Poi, l’attacco, fulmineo. Senza quasi toccare
terra, Kaoru e Roland si lanciarono uno verso l’altro, con le armi pronte a
colpire.
Roland infilò un affondo, mentre Kaoru scelse
un fendente orizzontale; Kaoru rimediò una ferita abbastanza seria ad un
fianco, poco sotto l’ascella, mentre Roland si ritrovò uno squarcio tremendo
subito sotto alla gabbia toracica, dal quale prese ad uscire un getto ininterrotto
di sangue.
Il capitano delle guardie rise soddisfatto,
felice di aver trovato per la prima volta in vita sua un vero sfidante, e di
essere morto per sua mano, e subito dopo spirò, prima ancora di toccare terra
con tutto il corpo.
Kaoru cadde nuovamente in ginocchio.
«Compare, sei ancora con noi?»
«Credo… credo di
sì.» mugugnò lui stringendo i denti «E ora andiamo a cercare Saito».
Nel
frattempo Saito stava cercando di contrastare gli incantesimi di Masarini, ma da quando la stanza, ed ormai un po’ tutto il
castello, avevano preso fuoco, il suo potere era per lo meno raddoppiato,
inoltre la minaccia portata dalle fiamme si era fatta ancor più tangibile.
«Perché fate questo, cardinale!» gridò Saito
mentre cercava di schivare le fiamme
«Te l’ho già detto.» rispose calmo Masarini «È tutto unicamente nel nome di questo Paese.»
«Ma anche noi vogliamo salvare Tristain! Possiamo
aiutarci a vicenda!»
«Avrei voluto che fosse così. Ma la verità,
per quanto dolore mi costi ammetterlo, è che miss Vallière costituisce una delle
minacce più serie alla speranza di poter salvare questa Nazione dalla
distruzione.
Pertanto, non mi rimane altra scelta».
Saito in quella venne colpito da una fiamma,
per fortuna solo marginalmente, ma riportò comunque una bruciatura piuttosto
seria, attutita per fortuna dai vestiti e dal mantello che portava. Tuttavia,
nonostante il dolore, la sua rabbia e determinazione non scomparirono.
Al contrario, trovarono nuovo vigore.
Se avesse perso, se fosse morto lì, era chiaro
che il cardinale avrebbe portato avanti il suo scopo uccidendo anche Louise,
quindi non poteva assolutamente permettersi di perdere.
La determinazione a proteggere Louise, unita
alla rabbia che stava iniziando a montare dentro di lui, lo spinsero a tirare
fuori tutte le forze che aveva. Di lui poteva essere qualsiasi cosa, ma, e poco
importava che non fosse più il famiglio di Louise, avrebbe continuato a
proteggere quello che gli era caro anche a costo della vita.
Bruciante di ardore Saito si rialzò,
determinato a fare quello che andava fatto, e come un forsennato prese a
correre contro il cardinale; questi, attonito per la reazione furiosa del
ragazzo, tentò nuovamente di difendersi con il fuoco, ma stavolta tutti i colpi
vennero respinti.
Nel mentre Joanne era ancora semi-svenuta;
tuttavia, alzati gli occhi a fatica, si avvide che Masarini
stava muovendo impercettibilmente le dita di una mano, come a pizzicare le
corde di un’arpa invisibile.
Subito, capì. Glielo aveva visto fare anche
poco prima, solo che nella furia dello scontro non ci aveva fatto caso, e
sapeva cosa stava per succedere.
«Lord Hiraga,
attento!» esclamò.
Da un momento all’altro Saito si ritrovò a sua
volta imprigionato nel cono di luce; ma stavolta, prima che la barriera potesse
venire completamente eretta, Joanne riuscì ad utilizzare le poche forze che le
rimanevano per costruire una seconda barriera, più piccola, che gonfiandosi
distrusse la prima, salvando Saito.
«Non… non può
essere!» esclamò il cardinale.
Prima ancora di capire cosa fosse successo
realmente il ragazzo riprese la sua corsa furiosa, stavolta senza più ostacoli
a minacciarlo.
Masarini, ormai
impotente, tentò una improvvisata reazione, ma Saito riuscì senza problemi a
batterlo nel corpo a corpo, lo disarmò e gli procurò una piccola ferita, giusto
il necessario per costringerlo alla resa. A quel punto il cardinale rantolò in
ginocchio, e come rialzò gli occhi si trovò la spada di Saito dinnanzi al viso.
«È finita, cardinale. Arrendetevi adesso. Rinunciate
a fare del male a Louise, e non vi farò alcun male».
Il cardinale abbassò nuovamente gli occhi,
abbozzando un sorriso.
«Io volevo solo proteggere il mio Paese. Mi è
stato insegnato che esso è sacro, e che la sua grandezza viene prima di
qualsiasi altra cosa.»
«Il suo amore per Tristain le fa onore.»
rispose severamente Saito «Ma non è sufficiente a giustificare un omicidio.»
«Come invidio la gioventù. Anch’io, una volta,
ero convinto che i buoni sentimenti avessero la forza di creare un futuro
migliore.
Ma purtroppo, con gli anni, ho capito quanto
mi sbagliavo. E quanto fossi stato ingenuo.»
«Inseguire i propri sogni ed i propri
obiettivi non è ingenuità, ma perseveranza. Ma se per farlo si è disposti a
sacrificare vite innocenti, allora è solo follia.»
«Forse avete ragione. Ma, nonostante ciò, non
vedo altra via».
Fu un attimo.
Il cardinale, infilata una mano nella veste,
prese fuori un coltello, ed alzatosi di colpo si avventò su Saito, che
spiazzato e colto alla sprovvista quasi non si accorse di nulla.
Altrettanto improvvisa, però, giunse una
spada, che lanciata con la precisione di un cecchino trafisse Masarini in pieno torace da parte a parte, una ferita
sicuramente mortale.
Attonito, Saito si girò alle proprie spalle,
scorgendo Kaoru sull’uscio della porta, ansimante e con il braccio destro
ancora proteso.
Masarini osservò
la propria ferita, con gli occhi sbarrati e la bocca spalancata, e dopo qualche
istante prese a barcollare all’indietro, mentre il coltello gli scivolava di
mano.
«Cardinale!» esclamò Saito
«Forse… forse mi
sbagliavo, dopo tutto. Sono proprio curioso… di vedere… cosa i vostri sogni… riusciranno
a fare. Se saranno in grado… di proteggere…
questo Paese…».
In quella, una porzione di soffitto cadde
fragorosamente, circondando il cardinale senza lasciargli scampo.
«Cardinale Masarini!»
gridò Saito cercando inutilmente di corrergli incontro
«Lunga vita… a Tristain…» disse il vecchio prima di scomparire tra le
fiamme.
Saito tentò di aiutarlo, ma Joanne, ripresasi,
lo trattenne.
«Lord Hiraga! Non possiamo
fare niente».
Ormai l’intero castello era avvolto dalle
fiamme, e tra non molto sarebbe collassato su sé stesso.
Hotarubi, ripresasi
a sua volta assieme alla sua padrona, saltò fuori da una finestra, assumendo la
sua forma gigante.
«Dobbiamo andarcene da qui, prima che crolli
tutto!» disse.
Saito capì che non c’era più niente da fare
per Masarini, e spronato dai suoi compagni alla fine
salì per primo su Hotarubi, seguito da Kaoru e infine
da Joanne.
Proprio mentre Joanne stava per montare a
bordo il pavimento sotto di lei cedette, minacciando di farla sprofondare nel
mare di fiamme sottostante, ma i due ragazzi riuscirono a prenderla al volo
tenendola per un braccio ciascuno e ad issarla su Hotarubi,
che si allontanò a tutta velocità giusto in tempo per evitare il crollo del
palazzo.
Tutti e tre, allontanatisi abbastanza,
poterono solo osservare il castello del cardinale Masarini
accasciarsi su sé stesso divorato dal fuoco.
Le fiamme continuarono a bruciare per tutta la
notte, e al sorgere del sole delpalazzo
non restavano che macerie annerite.
Saito, Kaoru e Joanne sostavano dinnanzi a
quello che rimaneva del cancello principale, ognuno coi propri pensieri.
Quello che avevano fatto, quello che era
accaduto quella notte, avrebbe di sicuro avuto delle conseguenze. Molte guardie
erano riuscite a scappare, e come la notizia che il cardinale stava progettando
un colpo di stato, o che dietro la sua morte vi fosse il signore di Ornielle,
la miccia della guerra civile sarebbe definitivamente ed inevitabilmente
esplosa.
«Non avrei voluto che si arrivasse a questo.»
disse Saito chinando il capo
«Alla fine, ha deciso di morire come aveva
sempre vissuto.» commentò Joanne «Con onore e dignità».
Poi, la ragazza abbassò a sua volta gli occhi;
le parole del cardinale bruciavano ancora dentro di lei, e lo avrebbero fatto
per molto altro tempo.
I due si volsero poi verso Kaoru, che continuava
ad osservare il castello in rovina. Non avevano idea di cosa fosse
effettivamente accaduto, ma poterono notare una nuova luce dei suoi occhi.
«Kaoru…» disse Saito.
Lui li guardò.
«Ho smesso di avere paura.» furono le sue
uniche parole, alle qual Saito e Joanne risposero con un sorriso.
Mentre i tre erano quasi sul punto di
andarsene, udirono un rumore alle proprie spalle.
Fulminei si girarono, pronti a combattere
ancora; non si trattava di nemici, ma di Louise, giunta lì in groppa ad un
cavallo accompagnata da due moschettiere. Aveva cavalcato senza sosta tutta la
notte, senza mai fermarsi, pur di arrivare fin lì.
Come vide Saito, il suo viso, pietrificato
dall’angoscia fino a quel momento, parve distendersi, ma la rabbia era ben
visibile nei suoi occhi.
Saito sapeva che molto probabilmente lo aspettava
una punizione, ma visto che sentiva di meritarsela, come al solito, non avrebbe
reagito.
Si avvicinò, mentre Louise scese da cavallo, e
per lunghi secondi stessero a fissarsi senza proferire parola.
«Louise…» disse ad
un certo punto Kaoru «Io…».
Lei d’improvviso gli corse incontro, le guance
rosse e gli occhi inondati di pianto.
«Saito!» gridò buttandoglisi
addosso con tale impeto da buttarlo a terra.
Saito sorrise, passandole una mano tra i
capelli.
«Mi dispiace, Louise.»
«Stupido! Stupido! Stupido! Pensavo che
saresti morto!»
«Scusami per quello che ho fatto.»
«Non fare mai più una cosa del genere,
chiaro?».
Quando Louise si fu calmata, entrambi si
alzarono in piedi. Kaoru si avvicinò a Saito, poggiandogli una mano sulla
spalla.
«Voglio ringraziarvi per quello che avete
fatto.»
«Ma ti pare.» rispose lui sorridendo
«Dopotutto, è questo che si fa con gli amici».
Poi, Kaoru andò innanzi a Louise, quindi,
chinato il capo, le si inginocchiò davanti tra lo stupore generale.
«Cosa…» fece per
dire lei
«Io non so da dove vengo, chi sono, o perché mi
trovi qui. Ma a quanto pare, il destino mi ha voluto al tuo servizio. E anche
in riconoscimento a tutto ciò che avete fatto per me, io giuro da qui in avanti
di servirti e proteggerti con tutto me stesso come tuo famiglio.
Perché questo è il mio dovere.»
«No… non ce n’è bisogno…» disse lei spaesata.
Saito restò ad osservare, ma chissà perché non
provò alcun sentimento che non fossero felicità e serenità. Dopotutto, i tempi
che sarebbero venuti da ora in poi non sarebbero stati molto lieti, ma almeno
Louise avrebbe avuto attorno a sé una schiera di fedeli ed affidabili custodi
pronti a difenderla, e questo bastava a farlo sentire tranquillo.
Il
generale Deville venne informato di quello che era
accaduto a Villa Masarini solo due giorni dopo,
quando le prime guardie ducali sfuggite all’incendio arrivarono al suo
castello.
Appena seppe del rogo saltò sul primo cavallo
e raggiunse la villa assieme al suo seguito, ma come previsto non vi trovò
altro che rovine e distruzione; assieme a quel maniero era bruciato anche il
suo grande sogno.
Rosso in volto, sentì la bile salirgli al cervello
come un fiume di lava, ed era talmente infuriato che quando un soldato gli
chiese se non si sentisse male, per essere caduto in ginocchio come svuotato,
rispose spaccandogli la mascella con un pugno.
«Preparate il mio esercito.» ringhiò al suo
capitano «Quei bastardi si pentiranno, parola mia!».
Nota dell’Autore
Salve a tutti!^_^
Tempo supersonico,
scrittura a razzo, ed eccoci con un nuovo capitolo.
Ora siamo davvero
giunti alla fine del preambolo. Kaoru ha giurato lealtà a Louise, l’ultimo
possibile candidato capace di evitare la guerra civile è morto e ora la
situazione è davvero destinata ad esplodere.
Una precisazione che
mi sono dimenticato di fare nell’ultima nota.
Il Cardinale Masarini, per chi non lo ricordasse, è il vecchio che nella
seconda stagione convince la principessa Henrietta ad
attaccare Albion. Me l’ero sempre immaginato come una
sorta di Richelieu, e così ho voluto dargli questo piccolo ruolo nella mia
storia.
Comunque, vi anticipo
fin da subito che per il prossimo capitolo potrebbero volermici
alcuni giorni. Dipende tutto dal fatto se lunedì sarò libero o meno, perché in
quel caso, con un po’ di sano lavoro, potrei riuscire ad aggiornare di nuovo
entro martedì. Altrimenti, temo che prima di giovedì non se ne farà niente.
Ecco, è tutto qui.
Grazie come sempre a Seldolce e Shawnforstper le loro recensioni
Questa è la prima di molte mappe che inserirò nel corso della storia.
Ogni volta che accadranno fatti di rilievo, che pregiudicheranno o modificheranno la conformazione politicia di Tristain, inserirò una nuova mappa che renda chiaro quello che sta succedendo. I feudi attualmente presenti, oltre a quelli già menzionati fino a questo momento, sono quelli che vedranno lo svolgersi di avvenimenti particolarmente importanti.
A presto!^_^
Carlos Olivera
Appena
la notizia che l’Ostland era precipitato nelle
campagne di Gallia, poco a sud del confine con Tristain, il luogo dello
schianto era diventato meta di curiosi provenienti da tutta la provincia.
La sorveglianza era continua, perché, anche se
della nave non restava ormai praticamente nulla, parte del suo carico era
ancora intatto: utensili, armi, e anche del cibo in scatola. Una manna per chi
aveva l’ardire di compiere un furto, ma tutti possibili elementi di prova per
capire cosa fosse successo, che venivano perciò raccolti con cura per poi
venire esaminati.
A una settimana dall’incidente, però, la
dinamica dei fatti era ancora sconosciuta, e anche l’arrivo del professor Colbert, che pure aveva progettato e costruito interamente
quella nave, non era riuscito a portare qualche risultato.
Anche Tabitha,
appena appresa la notizia, aveva voluto recarsi personalmente sul posto, e
nonostante fosse brava a non lasciare trasparire emozioni si vedeva ad occhio
nudo che anche lei era in ansia per la principessa.
Purtroppo, anche la sorveglianza più stretta
non poteva niente contro l’ostinata perseveranza di chi vedeva in
quell’incidente un’occasione per arricchirsi. Anche se di giorno avvicinarsi al
luogo dello schianto era praticamente un suicidio, con tutte quelle guardie
armate di Gallia che stavano di vedetta, nottetempo la sorveglianza era un po’
meno rigida, e molti ne approfittavano.
Una notte, come al solito, un gruppetto di contadini
della zona scivolò tra i rottami dell’Ostland dopo
essere riusciti a sfuggire alle guardie, molte delle quali stavano addirittura
dormendo; tra di loro c’era anche un certo Denceny,
un antiquario che trattava merce un po’ in tutto il Paese, e che aveva la sua
casa in un vicino villaggio.
Subito tutti presero a rovistare tra la terra
smossa, i detriti e i rottami alla ricerca di qualunque cosa preziosa, o che
avesse un qualche valore, badando bene di fare meno rumore possibile e
illuminati dalla sola luce della luna.
Denceny era già
stato lì altre volte, e aveva trovato un buon posto dove cercare, ma quella
notte, dopo qualche minuto di ricerca, non era ancora riuscito a trovare
niente.
Alla fine, con la forza della perseveranza,
riuscì a rivenire una strana e curiosa maschera di metallo, con l’espressione
ghignante ed i fori per gli occhi, di quelle che venivano usate di solito come ornamento
da appendere ai muri, e subito accanto un baule da viaggio con dentro dei
vestiti.
Purtroppo, proprio in quel momento, un
contadino che credeva di aver trovato delle posate d’argento si accorse di
avere tra le mani del volgarissimo acciaio; stizzito le buttò via, ma cadendo
le stoviglie fecero rumore svegliando le guardie.
«Ehi voi!» esclamò una recuperando la picca
«Allarmi!».
Spaventati, i contadini presero a scappare in
tutte le direzioni.
Molti di loro vennero catturati dai soldati
apparsi da ogni dove, ma alcuni, tra i quali Denceny,
riuscirono ad allontanarsi. Il giovane antiquario scappò a gambe levate
portandosi dietro il suo baule, dove aveva messo anche la maschera e qualche
altra cosa, caricò il tutto sul suo calesse che aveva lasciato lì vicino lungo
la strada e partì a tutta velocità, scappando prima che le guardie potessero
raggiungerlo.
«Accidenti, me la sono proprio vista brutta.»
disse tra sé e sé quando fu certo di essersi salvato «Sarà meglio non tornare
più».
Poco prima di mezzanotte Denceny
era ritornato al suo villaggio.
Parcheggiato il calesse nel cortiletto attiguo
all’ingresso entrò in casa portandosi dietro il baule, e trovando ad attenderlo
la sua giovane moglie, che gli corse incontro per salutarlo e baciarlo.
«Allora, com’è andata?»
«Non benissimo.» rispose il giovane mostrando
il baule «Le guardie ci hanno scoperti, e sono dovuto scappare. Questo è tutto
quello che sono riuscito a portar via.»
«Non importa. Ciò che conta è che non ti
abbiano preso.»
«Hai ragione».
A quel punto Denceny
portò il suo bottino nella stanza che aveva adibito a bottega.
Lì dentro c’era un po’ di tutto; armi, mobili,
statue e suppellettili di vario tipo. Denceny aveva
ereditato il negozio da suo padre, ed era piuttosto conosciuto nel nord di
Gallia, anche perché aveva fama di comprare e vendere qualsiasi cosa, senza
troppo badare alla provenienza della merce, che talvolta acquistava da persone
poco raccomandabili.
Il giovane posò il baule su di un tavolo, lo
aprì e ne svuotò il contenuto, rimanendone alquanto deluso. C’erano solo una
casacca ed un mantello neri, entrambi con un vistoso colletto, calzoni a gamba
lunga e guanti di un blu molto scuro, un paio di stivali da cavaliere e un
cappello.
Probabilmente si trattava del bagaglio di
qualche nobile o cortigiano che era a bordo al momento dell’esplosione, al
seguito della principessa.
«Devo dire che mi sarei aspettato di più».
Anche il resto della refurtiva non era niente
di speciale, e tirando le somme era un bottino davvero misero, soprattutto in
relazione al rischio corso.
«Poco male.» disse infine Denceny
facendo per rimettere tutto apposto «Almeno una decina di denari dovrei
poterceli fare».
D’improvviso, il giovane avvertì qualcosa di
strano, come uno spiffero freddo, accompagnato da una sensazione sgradevole.
Girato lo sguardo si guardò attorno; la stanza
era immersa in un’oscurità quasi totale, visto che l’unica luce era quella
della candela che si era portato dietro dalla casa, e la miriade di oggetti
affissi alle pareti o che pendevano dal soffitto gettavano tutto l’ambiente in
un’atmosfera spettrale con le loro ombre. Denceny
raccolse una delle tante spade che aveva in negozio e prese ad esplorare ogni angolo
alla ricerca di un invisibile attentatore.
Ad una prima occhiata pareva non esserci
nessuno, ma il giovane si sentiva comunque teso; anche la temperatura sembrava
essersi fatta di colpo più fredda, e giungevano continuamente degli strani
spifferi.
Denceny esplorò
attentamente tutto il negozio senza trovare niente, poi la moglie aprì la porta
che immetteva in casa.
«Amore. Ti ho preparato qualcosa da mangiare.»
«Sì, arrivo.» rispose lui, che dopo essersi
guardato un’altra volta attorno alla fine se ne andò.
Rientrato in casa, e convintosi di aver avuto
solo in impressione, dovuta forse allo spavento che si era preso dopo essere
miracolosamente sfuggito alle guardie, Denceny si
sedette a tavola e cominciò a mangiare il frugale pasto che sua moglie gli aveva
cucinato.
Stava andando tutto per il meglio, quando d’un
tratto entrambi udirono un rumore provenire dalla bottega, come se qualcosa di
molto pesante fosse caduto.
«Che è stato?» disse la moglie.
A questo punto Denceny
capì di non essersi sbagliato, e che quasi sicuramente qualche ladro era venuto
ad allungare le mani sulla sua merce, o forse erano le guardie che lo avevano
scoperto ed erano venute ad arrestarlo; in entrambi i casi, però, non si
sarebbe lasciato prendere facilmente.
Recuperato lo schioppo che teneva in un
cassetto, si diresse nuovamente verso la bottega.
«Caro, aspetta!»
«Tu resta qui e non muoverti. Potrebbe essere
pericoloso».
La donna fece alcune storie, ma poi si lasciò
convincere ad aspettare, e subito dopo Denceny
scomparve dietro la porta della bottega.
Passarono alcuni secondi, forse una ventina, e
all’improvviso la donna udì un grido di suo marito, e subito dopo uno sparo.
«Caro!».
Terrorizzata, e senza rifletterci, raggiunse
la porta, e come la spalancò rimase paralizzata per la paura.
Un individuo spaventoso, vestito interamente
di nero, uno stocco alla cintura e con indosso una inquietante maschera di
metallo, stringeva Denceny per il collo con una sola
mano tenendolo sollevato da terra; il povero giovane cercava in ogni modo di
liberarsi, ma la stretta sembrava quella di un orso, benché quell’uomo non
fosse poi così alto.
Alla fine, esanime, svenne, e allora l’uomo
misterioso lo lasciò andare.
La moglie assistette impotente ed immobile, e
quando l’assalitore volse lo sguardo verso di lei il terrore divenne pazzia.
«Stai lontano!» esclamò tentando di fuggire.
Ma fu un gesto inutile, perché prima che
potesse raggiungere la porta o una finestra per chiedere aiuto quell’uomo le fu
addosso, e un secondo dopo fu tutto nero.
Passò
una settimana.
Saito, Joanne e Kaoru si ripresero velocemente
dai postumi dello scontro a Palazzo Masarini. Dei
tre, quello messo peggio era sicuramente Kaoru, ma la sua velocità di
guarigione era qualcosa di incredibile; le ferite più serie, che in altre situazioni
avrebbero richiesto una lunga convalescenza, iniziarono a guarire subito dopo i
primi, semplici trattamenti, mentre quelle superficiali si rimarginarono
praticamente da sole e nello spazio di poche ore.
A sette giorni esatti dall’impresa a Grasse, anche
Kaoru si era completamente ripreso, e a garanzia di ciò volle esercitarsi con
la spada nel cortile del palazzo.
Ora che aveva imparato a non avere paura delle
sue abilità, e a tenere sotto controllo le sue emozioni, il talento che
riusciva a dimostrare con in mano la sua katana poteva mostrarsi nella sua
interezza.
Persino Joanne, che assisteva a sua volta
all’allenamento, dovette riconoscere che quel ragazzo non era affatto male, e
che probabilmente sarebbe stato in grado di affrontare ad armi pari alcuni dei
migliori spadaccini del regno, se non addirittura il compianto capitano Agnes.
L’ultima parte dell’esercizio, condotto con la
collaborazione di alcune guardie, fu uno scontro cinque contro uno usando delle
spade di legno.
Al colpo di gong gli avversari circondarono
Kaoru, che rimase immobile con la punta della spada rivolta a terra.
I primi due attaccarono frontalmente in rapida
sequenza, ma il ragazzo disarmò e tramortì il primo e colpi ad un fianco il
secondo, costringendo entrambi a capitolare quasi subito. Gli altri tre allora
si mossero tutti insieme, cercando di accerchiare il bersaglio.
A quel punto Kaoru schivò l’assalto di uno
spostandosi di lato, si girò e colpì al mento un alto con il palmo aperto della
mano, sgambettò il primo e infine, dopo un paio di scambi, stese anche l’ultimo
con un colpo di taglio dritto alla clavicola.
Era una sfida troppo allettante per Saito, che
prima ancora di veder cadere l’ultimo dei suoi recuperò una spada e si lanciò a
sua volta in battaglia, dando vita ad un’entusiasmante scontro corpo a corpo.
Louise era preoccupata per entrambi.
Da quando Kaoru aveva promesso di proteggerla
aveva iniziato ad essere in pensiero anche per lui; dopotutto, anche se non
capiva come né perché, era diventato ormai il suo famiglio, e preoccuparsi per
la sua incolumità era una cosa naturale.
Saito e Kaoru lottarono per quasi un minuto,
senza che nessuno dei due riuscisse effettivamente a prevalere sull’altro, poi,
dopo un violento scambio, si ritrovarono in una situazione di parità, con la
lama di Kaoru appoggiata al collo di Saito e la punta di Saito ferma davanti
all’occhio sinistro di Kaoru.
Entrambi sorrisero, poi si allontanarono.
«A quanto pare, ti sei completamente
ristabilito.» commentò Saito
«Così sembra.» replicò lui
«Lo sai, compare?» disse Derf
parlando a Saito «Di colpo mi sento così inutile. Almeno, quando stavo con te,
qualche volta il potere di Gandalfr o il mio li usavi. Sto tizio fa tutto da
solo. Ma si può sapere che ci sto a fare qui?».
Anche il carattere di Kaoru era cambiato dopo
quella sera alla villa. Era diventato più silenzioso, più serio, e aveva
un’espressione severa perennemente piantata sul viso.
«Non potete trovare niente di meglio da fare
voi due?» brontolò Louise quando entrambi tornarono verso di lei.
Kaoru, che era parecchio sudato, ricevette da
Siesta un asciugamano.
«Grazie.» disse recuperandolo.
Per un istante le loro mani si sfiorarono, e
Siesta, senza riuscire a capire perché, abbassò gli occhi. Per qualche motivo,
non le riusciva proprio di sostenere lo sguardo di quel ragazzo, e non
importava quanto di provasse.
Quando giorni prima lo aveva visto tornare
sano e salvo aveva provato un certo sollievo, pari solo a quello che le venne
dal vedere anche Saito fare ritorno tutto intero.
Forse era perché si era presa cura di lui.
Non senza un pizzico di cattiveria, volta a
mettere quanto più spazio possibile tra la cameriera e suo marito, Louise aveva
assegnato a Siesta la cura di Kaoru fin dal primo giorno; era stata lei a
cambiargli le fasciature, applicargli le medicazioni, portargli da mangiare se
non poteva alzarsi e così via.
Quando aveva visto per la prima volta il busto
nudo del ragazzo, per un attimo era rimasta atterrita.
Oltre ad essere ben prestante e sviluppato,
proprio di chi ha fatto dell’esercizio fisico uno stile di vita, il corpo di
Kaoru era anche segnato da più di qualche cicatrice; una ulteriore
testimonianza che, chiunque fosse quel ragazzo, doveva aver vissuto una
esistenza difficile.
Nonostante tutto però Saito era ancora
convinto che Kaoru provenisse dal suo stesso mondo.
Oltre al nome e ai suoi vestiti, c’era anche il
fatto che fosse riuscito a leggere un testo in giapponese che Saito gli aveva
mostrato.
Chissà, poteva essere in quel mondo da chissà
quanto tempo, e forse solo adesso le loro strade si erano incontrate. Aiutarlo
a ricordare chi fosse era quindi una priorità, e una volta che Louise avesse
riacquistato i propri poteri magari lo si sarebbe anche potuto rimandare a
casa.
Per fare in modo di sbloccare la sua memoria,
quel giorno Saito portò Kaoru in biblioteca, indirizzandolo verso uno scaffale
dove erano raccolti volumi che aveva portato dalla Terra, inclusi molti fumetti
e anche qualche rivista che teneva ben nascosta per non farla trovare a Louise.
«Questi sono libri che provengono dalla
Terra.» disse, quindi indicò una collana di otto volumi dalla copertina rossa.
Ne prese uno e lo diede a Kaoru.
«Che cos’è?»
«È un atlante storico. Vi è raccontata per
sommi capi tutta la storia dell’umanità. Può darsi che leggendo tu riesca a
ricordare qualcosa del tuo passato.»
«Sì, potrebbe anche essere.» rispose il
ragazzo prendendolo.
Anche prima dell’incidente alla villa, Kaoru
non era mai stato un tipo molto espansivo; ciò nonostante, in quell’occasione,
abbozzò un sorriso e ringraziò l’amico per quello che stava facendo.
«Figurati.» gli disse Saito mettendogli una
mano sulla spalla.
In quella arrivò il maggiordomo.
«Padrone. È l’ora della vostra visita
settimanale ai vigneti.»
«Sì, arrivo subito.» disse, quindi si rivolse
di nuovo a Kaoru «Io e Louise adesso dobbiamo assentarci per un po’, ma
torneremo presto.»
«D’accordo.»
«Allora, ci vediamo stasera a cena».
A quel punto, Saito se ne andò, e Kaoru,
sedutosi ad una delle poltrone, incominciò a leggere.
Saito
e Louise rientrarono alla villa solo verso sera, trovando la cena già in
tavola.
Tuttavia, anche dopo che i pasti furono
serviti, il posto di Kaoru continuava a restare vuoto.
«Ma Kaoru dov’è?» chiese Louise
«È ancora in biblioteca.» rispose il
maggiordomo «Se desiderate, posso andare a chiamarlo.»
«No, non sarà necessario.» disse Saito
«Siesta?»
«S… sì?» disse lei,
che aveva appena finito di servire
«Ti dispiace portare la cena a Kaoru in
biblioteca?»
«Lo faccio subito.» rispose lei quasi con
timore.
La ragazza caricò dunque il tutto su di un
carrello e lasciò la sala da pranzo.
«Non ti sembra che Siesta sia un po’ strana in
questi giorni?» chiese Louise quando i due sposi furono rimasti soli
«In effetti, l’ho notato anch’io.» rispose
Saito, che poi disse divertito «Sarà l’effetto-simbiosi.»
«Effetto…
simbiosi!?» replicò Louise quasi imbarazzata
«Anche Siesta dopotutto viene dalla Terra, in
un certo senso. Forse lei e Kaoru si percepiscono come simili.»
«Una cosa che poteva essere frutto solo della
tua mente bacata.» replicò Louise stizzita.
Siesta intanto era arrivata in biblioteca con
il carrello della cena.
Kaoru era ancora lì, seduto alla solita
poltrona, intento a leggere l’ennesimo libro alla luce di un candelabro. Sul
tavolino lì accanto vi era una pila di altri volumi, alcuni semiaperti altri
ammucchiati uno sopra l’altro.
Tutte quelle informazioni circa la Terra e la
sua storia erano incredibili, eppure Kaoru aveva la sensazione che molte di
esse facessero già parte di lui; talvolta, mentre leggeva, arrivava al punto da
prevedere quello che avrebbe letto due o tre pagine dopo circa a date storiche,
nomi di personaggi illustri o luoghi specifici.
Forse era una ulteriore prova che anche lui
veniva dalla Terra, e proprio per questo non aveva smesso un momento di leggere,
al punto da non rendersi più quasi conto del passare delle ore.
Siesta restò per quasi un minuto in silenzio
ad osservarlo, di schiena, seduto a quella poltrona, e solo quando, involontariamente,
fece rumore con il carrello, Kaoru si accorse di non essere più solo.
«Chiedo… chiedo
scusa.» disse mortificata «Non volevo disturbare.»
«Ah, sei tu.» rispose calmo lui
«Ho portato la cena. Immagino avrai fame».
Il ragazzo allora si decise a guardare l’orologio
da taschino che Louise gli aveva regalato, accorgendosi finalmente di che ora
fosse.
Siesta posò il vassoio e il resto della cena
sul tavolo.
«Ti ringrazio.» tagliò corto Kaoru per poi
rimettersi a leggere.
Di nuovo, Siesta restò un po’ a guardarlo
senza parlare.
«Qualcosa non va’?» chiese allora il ragazzo.
Lei divenne rossa come il peperoncino.
«No, no!» disse scuotendo le mani «Niente
affatto.» poi si calmò un momento «Allora. Hai scoperto qualcosa?»
«Non lo so.» rispose Kaoru senza sollevare gli
occhi dalla pagina.
A quel punto Siesta abbozzò un sorriso,
quindi, chinata rispettosamente la testa, come se si stesse rivolgendo ai suoi
padroni, lasciò la stanza. Come fu fuori, si appoggiò al muro, chiudendo gli
occhi cercando di prendere fiato.
Perché il cuore le aveva iniziato di colpo a
battere così forte? Cosa le stava succedendo?
Era davvero possibile che il suo cuore si
fosse dimenticato di Saito tanto facilmente?
Poco
dopo la mezzanotte, quasi tutti erano ormai andati a letto.
Saito e Louise si erano coricati piuttosto
presto, anche prima del solito, e l’ultima cosa che Louise aveva pensato prima
di addormentarsi era che anche quel giorno non era riuscita a dire la verità a
Saito.
Il fatto che non avesse ancora avvertito i
sintomi significava che non era ancora successo niente, quindi si era detta che
per il momento non era il caso di rivelare a Saito una cosa che, a conti fatti,
poteva accadere entro un giorno come entro sei mesi.
La gestazione di un mago era un po’ diversa da
quella di una persona normale; una volta che la scintilla era stata generata,
potevano passare anche diverse settimane prima che il feto iniziasse a formarsi
nel vero senso della parola, ma la durata effettiva di questo processo
intermedio dipendeva soprattutto dal caso.
A questo punto, tanto valeva aspettare di
avere la conferma definitiva, e con questo pensiero la ragazza si era infine
addormentata.
Anche Kaoru aveva preso sonno, e dormiva con
la testa reclinata sulla poltrona e il libro che stava leggendo a terra dopo
che gli era scivolato di mano.
Fuori, le guardie montavano di sorveglianza
come sempre. Erano tutte piuttosto svogliate, ma del resto a nessuno piaceva
fare il turno di notte, e sapere di dover stare svegli tutta la notte mentre il
resto della villa ronfava della grossa.
Prima di andare a sua volta a dormire, Joanne
volle fare il solito ultimo giro di controllo, sorprendendo come al solito le
guardie al portone a sonnecchiare in piedi sorreggendosi alle picche.
«Avete intenzione di dormire ancora per
molto?» disse severa
«Ci, ci scusi, capitano!» risposero i due
uomini mettendosi sull’attenti.
D’un tratto la donna avvertì una brutta
sensazione, come se avesse avuto qualcuno alle spalle, e velocissima si girò
verso il cortile.
Ma non c’era nessuno; il giardino, così come
la foresta circostante, erano immersi nel buio e nel silenzio più assoluti.
«Voi non avete sentito niente?» domandò alle
guardie
«Ecco… veramente no,
capitano.» rispose una dopo essersi consultata con lo sguardo col compagno.
Poteva essere stato un abbaglio dovuto al
sonno, ma Joanne non volle rischiare. Fece chiamare il suo vice.
«Sì, capitano?»
«Cinque moschettiere a sorvegliare il
perimetro della casa. Vigilanza stretta.»
«Sissignore».
Purtroppo, Joanne non si era affatto
sbagliata.
Silenziosa ed invisibile, un’ombra nera era
giunta sulla terrazza del secondo piano, ed approfittando di un momento di
distrazione delle due moschettiere che la sorvegliavano si intrufolò all’interno
passando da una finestra lasciata aperta per il caldo.
Anche la porta della biblioteca era socchiusa,
e l’ombra ci passò accanto, senza rendersi conto che dentro c’era qualcuno, e
che questo qualcuno, percepitane la presenza, aveva silenziosamente messo mano
alla propria spada.
L’ombra continuò ad attraversare silenziosa i
corridoi, beffando guardie e sorveglianza con la sua agilità e furtività, che
le permettevano di appendersi ai muri, scivolare lungo le pareti e ancorarsi al
soffitto senza essere mai notata.
Lungo il corridoio che l’ombra stava
percorrendo vi era la stanza dei Padroni, guardata a vista da due moschettiere.
L’ombra piombò su di loro nel più assoluto silenzio, stordendole entrambe,
quindi fece per aprire la porta.
Non poteva immaginare che, proprio in quel
momento, Siesta stesse dirigendosi alle sue stanze dopo aver fatto un ultimo
giro per assicurarsi che fosse tutto in ordine.
Da un istante all’altro, l’ombra si ritrovò
illuminata dalla luce di sei candele, e ciò che Siesta vide fu il ghigno
spaventoso di una maschera di metallo sormontata da un vistoso cappello e
circondata dall’alto collo di una mantella scura.
L’ombra, colta sul fatto, fece per avventarsi
su Siesta, che lanciò un grido di terrore. Il suo urlo svegliò Saito e Louise,
oltre a mettere in allarme tutte le guardie e la stessa Joanne.
Tuttavia, prima che l’ombra potesse assalirla,
Siesta vide comparire davanti sé una seconda ombra, una molto più rassicurante
e famigliare, che si frappose tra lei e l’aggressore.
Con un gesto acrobatico l’ombra riuscì ad
evitare il fendente di Kaoru, spiccando un salto e volteggiando in aria per poi
atterrare a distanza di sicurezza.
Siesta era ancora sotto shock per lo spavento,
ma riuscì a mormorare un grazie.
Kaoru a quel punto poté vedere in faccia l’aggressore;
anche se di faccia non si poteva parlare, visto che indossava una maschera
metallica. Ad ogni modo i suoi abiti erano piuttosto nobiliari, per quanto
inquietanti, con quella giubba nera, quel cappello a punta e quel mantello
sinuoso.
Pochi istanti dopo Saito, a petto nudo, uscì
dalla stanza brandendo la spada, mentre dal fondo del corridoio prese ad
arrivare in tutta fretta Joanne alla guida di un manipolo di guardie.
L’aggressore, capendo di essere in svantaggio,
optò per la fuga, gettandosi da un vicino finestrone e scomparendo nel buio
così come era venuto.
«È scappato!» ringhiò Joanne, che poi disse
alle guardie «Trovatelo subito!».
Mentre Joanne si accertava che Louise e Saito
stessero bene, Kaoru rivolse invece le sue attenzioni a Siesta, seduta in terra
tutta tremante e con lo sguardo pietrificato.
«È tutto a posto?» le chiese aiutandola a
rialzarsi.
Lei era ancora scossa e fece per cadere, ma
lui la trattenne, e come si ritrovò appoggiata al ragazzo Siesta arrossì di
nuovo.
«G… grazie.» mormorò
ancora.
Purtroppo, la ricerca non produsse alcun
risultato, e quando era ormai quasi l’alba Joanne si presentò nel salone per
fare il suo misero rapporto.
«Le mie scuse più profonde, maestà.» disse
inginocchiandosi a Louise «Abbiamo cercato dappertutto, ma quell’individuo è
riuscito a far perdere le sue tracce.»
«Ma chi poteva essere?» chiese Louise
«Forse un’omicida.» ipotizzò il capitano «Qualcuno
inviato ad uccidere sua maestà.»
«Quante volte ti ho detto che non devi
chiamarmi maestà?» replicò Louise a guance gonfie
«Al punto in cui siamo.» disse Saito quasi tra
sé «La cosa non mi stupirebbe.»
«Farò controllare e setacciare tutto il feudo
alla ricerca di indizi, e raddoppieremo la sorveglianza. Chiunque fosse l’assalitore,
le giuro sul mio onore che riusciremo a prenderlo».
E purtroppo, la peggiore delle notizie non era
ancora arrivata.
«Allarme!» esclamò d’improvviso un uomo entrando
nella sala.
Era una delle spie che Joanne aveva
preventivamente inviato a Grasse per sorvegliare i movimenti di Deville; era coperta di segni e sembrava sul punto di
morire, tanto che Joanne dovette aiutarla a stare in piedi.
«Che c’è?» chiese Saito «Cos’è successo?»
«Grasse…» mormorò la
giovane trovando a stento il fiato «Grasse ci sta attaccando!».
La notizia arrivò come un fulmine, e sembrò
che un vento malefico fosse passato da un istante all’altro nella stanza
pietrificando tutti i presenti.
Kaoru, arrivato in quel momento, vide Saito
stringere i pugni, e Louise rivolgere verso terra due occhi che sembravano sul
punto di piangere.
«Che è successo?» chiese.
Nota dell’Autore
Salve a tutti!^_^
Eccomi qua, con un
nuovo capitolo. Stamattina, di getto, ho disegnato la mappa che potete trovare
nel capitolo precedente, mentre oggi ho lavorato come un matto approfittando
del giorno libero e buttando giù il capitolo a fiume dopo averlo iniziato ieri
sera.
Che ne dite? Vi è
piaciuto?
Ora la storia comincia
a farsi davvero interessante, e posso garantirvi che lo diventerà ancora di più
già a partire dal prossimo capitolo.
Purtroppo, per quel
che mi riguarda, la pacchia è finita. Da domani dovrò recarmi all’università
due volte a settimana, stando via dalle 7 alle 17 come niente, il che significa
che in questi due giorni scrivere mi sarà quasi impossibile, soprattutto perché
tornerò a casa talmente cotto da non avere neanche la forza di pensare. Se avrò
tempo ed energie, proverò a buttare giù qualcosa in treno, ma si tratterà
soprattutto di bozze che dovrò poi concretizzare.
Infine, un’ultima
notizia.
Come i miei amatissimo
recensori già sanno, oltre alla mappa ho creato anche, dopo una domenica di lavoro
matto e disperatissimo, la prima fan opening dedicata a questa storia, che
potete trovare al seguente indirizzo
Fu
indetta in tutta fretta una riunione per valutare il da farsi.
C’era grande tensione nell’aria, e molta
paura. Saito sembrava molto teso, e Louise guardava continuamente ora lui ora
il pavimento.
«Le forze nemiche contano circa ventimila
uomini.» disse Joanne aprendo sul tavolo del salone una cartina della zona «E
avanzano da nord-ovest a grande velocità diretti proprio qui.»
«Quanto tempo credi che abbiamo?» chiese Saito
«Se continueranno a procedere a marce forzate
come stanno facendo adesso, saranno qui prima di domani sera».
Tutti abbassarono lo sguardo.
Era sicuramente una vendetta di Deville. Dopotutto, Saito e Joanne lo avevano visto
allontanarsi dalla villa di Masarini subito prima che
il cardinale trovasse la morte per mano solo, e solo il cielo sapeva cosa quei
due stavano complottando subito prima di venire disturbati nei loro piani.
A pensarci bene, avrebbero dovuto aspettarsi
che sarebbe successa una cosa del genere.
Alla fine, la guerra civile della quale fino
ad ora si era semplicemente solo parlato, era infine scoppiata, e loro
rischiavano di esserne le prime vittime.
«Noi che cosa possiamo fare?» chiese ancora
Saito
«Non molto, temo.» rispose Joanne «Questo
palazzo non è costruito come una fortezza, e non ce ne sono altri capaci di
fungere allo scopo. Purtroppo, eccezion fatta per qualche ponte che possiamo
abbattere e le foreste, non c’è quasi niente che blocchi l’avanzata nemica.
Di sicuro ora, mentre parliamo, le torri
perimetrali ai confini del feudo saranno già state abbattute».
Tutti abbassarono gli occhi atterriti.
«Maestà.» disse infine Joanne «Tutto quello
che mi sento di suggerirvi è di abbandonare subito questo posto.
Preparandoci adesso, e cercando in
qualchemodo di ostacolare l’avanzata
nemica, forse riusciremo anche ad evacuare buona parte degli abitanti del
feudo.»
«Potremmo andare dalla mia famiglia.» disse
mogia Louise «Il loro feudo non è lontano, e la nostra villa è ben difesa.»
«Non lo farò.» rispose Saito con un filo di
voce e stringendo i pugni.
Tutti si voltarono a guardarlo.
«Come dici?»
«Queste sono le terre che mi sono state
affidate dalla principessa Henrietta. Abbandonarle
sarebbe come tradire la sua memoria.»
«Saito…» disse
Siesta, anche lei presente
«Sei impazzito!?» esclamò Louise «Da quando in
qua ti importa qualcosa di onore e dovere?»
«Maestà, comprendo il vostro orgoglio.» disse
Joanne «Ma col dovuto rispetto, è una follia. Ne ricavereste solo di morire
inutilmente.»
«Detesto ammetterlo, ma ha ragione.» disse Derf
«Un feudo perduto si può riconquistare,
maestà.» disse Joanne «Ma se voi moriste oggi in una battaglia persa in
partenza, chi resterebbe a proteggere Ornielle ed i suoi abitanti, e un domani,
dio lo voglia, l’intera nazione?».
Saito dovette accettare il fatto compiuto.
Aveva già sfidato la sorte una volta in una
battaglia impossibile da vincere, ma sperare di farcela di nuovo era pura
utopia, senza contare poi che adesso non poteva contare sul potere di Gandalfr.
«Avete detto di voler arrestare l’avanzata
nemica.» disse il ragazzo a capo chino e denti serrati «Come vorreste fare?»
«Ovviamente, affrontandoli.» rispose Joanne
senza esitare «Un attacco martellante e logorante che li infastidisca e li
rallenti. Non posso promettere niente, ma con un po’ di fortuna potremmo
riuscire a guadagnare anche uno o due giorni.»
«Come hai detto!?» disse stavolta Louise
«In altre parole, ci stai chiedendo di
lasciarvi qui a morire mentre noi scappiamo?!»
«Mi dispiace, ma stavolta non sono d’accordo
neanch’io!»
«Noi siamo soldati, altezze, nonché le vostre
guardie del corpo. E siamo pronte a dare la vita, se necessario, pur di
garantire l’incolumità del nostro padrone.»
«Dacci un taglio col codice del samurai!»
replicò Saito «Io vi ordinerò di morire, né vi permetterò di farlo.»
«Cercate di capire, questa è l’unica
soluzione!».
Ne nacque un acceso dibattito, durante il
quale Joanne quasi si dimenticò di stare rivolgendosi a coloro che considerava
i legittimi sovrani di Tristain, mentre Kaoru invece continuava ad osservare la
mappa aperta sul tavolo con sguardo pensieroso e indagatore.
Ad un certo punto, estrasse la spada e indicò
il lago artificiale Moran, situato al confine
meridionale di Ornielle, non lontano da Grasse; il ragazzo si ricordava quel
posto perché ci era passato una settimana prima durante la fuga sconclusionata
che lo aveva condotto infine a Villa Masarini.
«Il castello di Ueda.»
disse quasi tra sé e sé.
Nessuno all’inizio riuscì a capirlo, ma poi
Saito ebbe l’illuminazione.
«Ma certo, hai ragione!» esclamò «L’Assedio di
Ueda!»
«Di che state parlando?» chiese Louise
«È un evento accaduto nel mio Paese
quattrocento anni fa. Gli occupanti di un castello sotto attacco riuscirono a
rompere l’assedio facendo esplodere una diga ed erigendo in un istante un muro
d’acqua tra sé stessi ed il nemico, così da rendere l’assalto talmente
difficile da risultare impossibile».
Saito a quel punto indicò a sua volta il lago.
«Il Fiume Serk
attraversa tutto il feudo da sud a nord. In questo momento è in secca perché la
diga che genera il lago è chiusa, ma se noi la aprissimo l’acqua tornerebbe ad
inondare il letto del fiume, e le truppe di Grasse non avrebbero altra scelta
che guadarlo, dandoci il tempo sufficiente per riuscire ad evacuare tutti.»
«È una strategia molto rischiosa.» disse
Joanne «Il nemico sicuramente sarà ormai quasi arrivato sulle sponde del fiume.
E se venissimo scoperti?»
«Purtroppo, non c’è altra scelta. Questo è
tutto quello che possiamo fare per cercare di rallentarli».
Louise sentì un senso di malessere e di
inquietudine attraversarle il corpo, infilandosi come un tarlo nella sua testa.
Aveva paura.
«D’accordo.» disse Saito «Lo farò io.»
«Saito!?» esclamò Louise
«Saito!?» disse anche Siesta
«La strada per arrivare alla diga è lunga e
stretta. Impossibile percorrerla con il cavallo. Ma se parto subito, dovrei
poter arrivare prima di notte. Sicuramente Deville
per oggi terrà i suoi uomini a riposo, per poi farli dilagare nelle pianure nei
prossimi giorni.
Tanto sa che non disponiamo di forze
sufficienti a contrastarlo. Quindi, si dovrebbe fare a tempo.»
«Maestà, non credo sia prudente che andiate
voi.» disse Agnes «Posso andarci io piuttosto.»
«Impossibile. Ti perderesti di sicuro.»
«Tuttavia, non posso accettare che andiate da
solo. Verrò con voi.»
«No, Joanne. Tu devi occuparti
dell’evacuazione. Se il piano avrà successo dovremmo comunque far fuggire gli
abitanti il più velocemente possibile, perché anche nella migliore delle
ipotesi guadagneremmo uno o due giorni al massimo. Quindi l’evacuazione deve
iniziare subito, all’istante.»
«Però…»
«Non sarà da solo.» disse Kaoru rinfoderando
la spada «Andrò anch’io con lui.»
«Grazie, Kaoru.» disse Saito «Effettivamente,
mi sentirò più sicuro sapendoti con me.»
«Adesso basta!»tuonò Louise «Non parlate d’altro che di
dovere e di responsabilità! Non lascerò che Saito corra questo rischio! Mai e
poi mai!»
«Louise…».
I due si guardarono, poi lei girò gli occhi
seccata.
«Se davvero vuoi andare, allora dovrai
lasciarmi venire con te.»
«Cosa!?» replicò lui inebetito
«E non illuderti di lasciarmi fuori, questa
volta. O andiamo insieme, o non se ne fa niente».
In certi casi Louise aveva la testa più dura
del cemento. Tuttavia, stavolta, Saito non se la sentì di ingannarla come aveva
fatto l’ultima volta.
Fino a questo momento aveva sempre visto
Louise come una bambina, da tenere fuori dai guai e proteggere anche e
soprattutto perché era sua moglie e le voleva bene, ma volerle bene non voleva
dire tenerla rinchiusa in una campana di vetro.
La verità era che Louise era molto cresciuta
negli ultimi anni, molto più di quanto ci si sarebbe aspettato, e aveva
imparato a conoscere sia i suoi limiti sia quello che poteva e non poteva fare.
Era giusto darle una possibilità.
«D’accordo.» le disse «Andremo insieme.»
«Ma…maestà…» tentò di protestare Joanne, ma Saito la zittì
«La decisione è questa. Io, Louise e Kaoru ci
occuperemo di far saltare la diga per ripristinare il corso del fiume. Nel frattempo,
tu Joanne assumerai la guida delle operazioni di evacuazione degli abitanti.
Questo è tutto».
Joanne digrignò i denti contrariata; ma
purtroppo, sembrò quasi ricordarle Saito con quell’occhiataccia, aveva fatto un
giuramento di fedeltà, e doveva rispettarlo in ogni senso.
«Come… come
desiderate.» disse chinando il capo.
Poche ore dopo, stabiliti gli ultimi termini
per far fuggire la popolazione, Saito, Louise e Kaoru si prepararono a partire,
ognuno in sella al proprio cavallo.
Saito e Louise salirono per primi e si misero
subito in viaggio; poi, quando Kaoru fece per seguirli, si sentì chiamare.
«Cosa c’è?» chiese rivolto a Siesta, che lo
aveva raggiunto mentre saliva.
Lei esitò un momento.
«Ecco… l’ho già
detto anche a loro, ma… fa attenzione, mi
raccomando».
Kaoru replicò con un sorriso accennato, e
anche Siesta fece altrettanto; poi Saito e Louise, che erano già lontani, lo
chiamarono, e lui allora li raggiunse, lasciando Siesta da sola a guardare
tutti e tre fino a che non li vide scomparire.
Per qualche ragione, non si sentiva
tranquilla.
La
diga del Lago Moran era stata costruita ancora dal
precedente signore di Ornielle per soddisfare il bisogno di alcuni villaggi che
sorgevano sulle sue sponde, e che ad ogni cambio di stagione si trovavano a
fare i conti con la penuria d’acqua in estate e inverno.
Era un’imponente costruzione a triangolo
rovesciato in legno e pietra posta al limitare di una valle stretta e ripida
che il Serk, in realtà più un torrente che un fiume,
aveva scavato nel corso dei millenni, subito prima dell’inizio delle pianure.
Durante le stagioni secche il passaggio di
acqua era quasi nullo, ma in primavera e autunno, quando invece le piogge erano
frequenti, le chiuse venivano aperte e il fiume riprendeva a scorrere in tutto
il feudo.
Arrivando da sud si poteva giungere a cavallo
sino alle sponde della valle, poi il sentiero si faceva ripido e stretto,
praticamente a strapiombo, e diventava necessario proseguire a piedi, a meno di
non fare una lunga deviazione.
Saito, Kaoru e Louise arrivarono ai piedi
della montagna poco dopo le undici, inerpicandosi subito lungo il sentiero che
saliva fin sulla cima. Già a metà strada, quando la parete accanto a loro era
già diventata praticamente verticale, erano arrivati abbastanza in alto da
poter vedere, in lontananza verso nord, le luci dell’accampamento del generale Deville, distante non più di sei o sette miglia.
«Dobbiamo fare presto.» continuava a ripetere
Saito.
Poiché non si poteva escludere la presenza di
spie o esploratori, e che in quel punto c’era il rischio concreto di poter
essere visti anche a grande distanza, i tre ragazzi erano costretti a procedere
senza l’ausilio di torce o luci di qualche tipo, ad eccezione di quella delle
due lune.
Ad un certo punto Louise, poggiando male un
piede, rischiò di cadere nel precipizio, ma fulmineo Saito la afferrò per un
braccio riuscendo a trattenerla. Solo a quel punto la ragazza guardò in basso,
accorgendosi di avere sotto di sé cento e più metri di salto terminante in un mortale
tappeto di rocce levigate e appuntite.
Quello era il punto in cui, quando il fiume
scorreva senza freni, si generava una delle cascate più belle e suggestive di
tutta Tristain, detta la Cascata della Volpe, per via del particolare suono
prodotto dall’acqua nel gettarsi di sotto, che richiamava appunto il fischio di
una volpe.
«Stai bene.» chiese Saito
«S… sì.» rispose lei
comprensibilmente spaventata
«Forse è il caso di fare una pausa. Abbiamo camminato
molto.»
«No, non è necessario.» replicò Louise
«Sbrighiamoci, piuttosto. Ormai è quasi l’alba».
Quello che i tre ragazzi non potevano sapere
era che Joanne, venendo meno ai suoi principi più sacri ed inviolabili, o
almeno così credeva, aveva deciso di fare di testa sua, e affidata l’evacuazione
alla sua seconda si era messa al comando delle sue moschettiere con le quali
aveva attraversato il fiume ridotto ad un rigagnolo, ma il cui letto ben
testimoniava quali dimensioni fosse in grado di raggiungere a piena portata.
Il timore di Joanne era che qualche pattuglia
di ricognizione potesse attraversare il fiume nottetempo anticipando il resto
dell’esercito, e visto che in quelle condizioni anche cento uomini potevano
costituire un problema era necessario secondo lei fare di tutto per assicurarsi
che la manovra risultasse il più efficace possibile.
E poi, attaccando briga col nemico, avrebbero
anche potuto distrarlo, evitando magari che qualcuno si accorgesse di quello
che stava succedendo sulla montagna.
Sapeva di stare disubbidendo ad un ordine, ma
era sempre meglio chiedere perdono che pentirsi di non aver dato retta ad un
presentimento.
Il manipolo, composto da una cinquantina di
guerriere, raggiunse l’altra sponda del fiume a dorso di cavallo, e come
giunsero in vista di un piccolo accampamento di esploratori immediatamente ci
si lanciarono contro travolgendo ogni cosa.
La notizia che uno dei campi esterni era stato
attaccato arrivò ben presto alle altre postazioni, fino alle orecchie dello
stesso generale Deville, chiuso nella tenda di
comando al centro dell’accampamento principale a godere della compagnia e dei
servigi di alcune popolane accondiscendenti.
«Generale, uno dei nostri campi esterni è
stato attaccato!» disse una staffetta entrando nella tenda
«Quanti sono?»
«Una cinquantina, più o meno. Moschettiere reali
di sua maestà.»
«Quel pazzo di un moccioso si illude forse di
poter vincere? Inviate un distaccamento sul posto e spazzate via quelle
sgualdrine.»
«Sissignore!».
Un distaccamento era composto da milleduecento
uomini, e partendo dall’accampamento principale avrebbe impiegato circa venti
minuti ad arrivare nel luogo dell’attacco.
Nel frattempo, gruppi più piccoli provenienti
da altri campi perimetrali presero a convergere verso gli assalitori, che si
difendevano con le unghie e con i denti cercando di guadagnare più tempo
possibile.
«Ricordate, non dobbiamo arretrare per nessun
motivo!» continuava a urlare Joanne mentre seminava cadaveri «Resistete fino al
segnale!».
Intanto, Saito, Louise e Kaoru erano infine
arrivati alla diga. Saito avrebbe voluto portare con sé della dinamite per
farla saltare, ma Louise lo aveva convinto che ora la sua magia stava
ritornando, e che avrebbe potuto fare ricorso senza problemi all’Explosion.
«Siamo sicuri che l’acqua non causerà danni
nelle pianure?» chiese Louise notando le dimensioni imponenti del lago
«Il letto è molto largo e profondo, e la
cascata assorbirà gran parte della forza dell’acqua.» disse Saito «Non dovrebbe
succedere nulla».
Poi, Louise volse un momento lo sguardo a
valle, notando le fiamme che si alzavano da uno degli accampamenti nemici.
«Che starà succedendo laggiù?».
Saito guardò con un binocolo, quello che aveva
trovato a bordo dello Zero la prima volta che lo aveva pilotato, e pur non
riuscendo a distinguere bene apparve chiaro che si trattava di una battaglia.
«Quella pazza incosciente e irresponsabile.»
ringhiò «Dobbiamo sbrigarci!».
D’un tratto Kaoru, che sorvegliava i dintorni,
avvertì un rumore in lontananza. Si era accorto che qualcuno li stava seguendo
fin da quando avevano iniziato il percorso a piedi, ma aveva voluto tacere per
non allarmare i suoi compagni.
Scrutando nel buio, come vide un’ombra aggirarsi
tra le fronde le si lanciò contro a spada tratta. Per fortuna i suoi riflessi
erano efficaci tanto quanto i suoi sensi, così riuscì a fermarsi subito prima
di tagliare di netto la testa a Siesta, che per la paura si ritrovò seduta per
terra.
«Ca… calma, sono
io!» esclamò spaventata
«E tu che ci fai qui?» domandò Louise
«Ero preoccupata per voi, e così vi ho
seguiti. Tutto qui.»
«Questo non è un gioco, accidenti a te!».
All’improvviso i quattro udirono un sibilo, e
un secondo dopo un gruppo di golem di Deville
comparvero dalla foresta circondandoli completamente.
«Dannazione!» esclamò Saito estraendo la spada
«Kaoru, tu proteggi Louise! A questi ci penso io!»
«Saito!» tentò di dire Louise, ma intanto il
ragazzo si era già gettato in battaglia.
Cercando di non pensarsi, e di estraniarsi il
più possibile dal mondo che la circondava, Louise prese a recitare l’incantesimo,
guardata a vista da Kaoru, che proteggeva sia lei che Siesta tenendo a bada i
golem che cercavano eventualmente di attaccarla.
Di nuovo, dopo poco, sentì giungere fortissima
quella fitta al ventre, mentre sentiva di stare perdendo il controllo della sua
magia; ma non poteva deludere tutti, non adesso che c’era così tanto in gioco,
e dopo aver promesso che ci sarebbe riuscita.
Strinse i denti, facendo di tutto per
reprimere le grida.
HAGARU BEORU YIN
EXPLOSION!
L’intera
zona fu attraversata da un violento ed improvviso vuoto d’aria, e subito dopo
una tremenda esplosione sventrò completamente la diga, liberando un muro d’acqua
che con la forza di un tornado prese a scendere verso valle a velocità
impressionante.
Laggiù, intanto, la battaglia tra le
moschettiere e le truppe di Deville ancora infuriava,
e le attaccanti, terminato l’effetto sorpresa, nonostante la loro bravura
stavano iniziando a subire seriamente la soverchiante superiorità numerica del
nemico.
Poi, finalmente, si udì quel suono, il fischio
della volpe, così forte da poter essere udito anche nel fragore della
battaglia.
«Il segnale!» esclamò qualcuno
«Ritiriamoci, presto!» gridò Joanne.
Lei e le altre a quel punto rimontarono a
cavallo e tornarono sui loro passi, giusto in tempo per evitare di venire
accerchiati dai rinforzi, che tuttavia presero ad inseguirli.
Le moschettiere attraversarono il letto del
fiume ancora momentaneamente asciutto, mettendosi in salvo sull’altra riva.
«Se tenete alla vita!» urlò Joanne rivolta
alle truppe nemiche «Non andate altre questo punto!».
I soldati effettivamente esitarono,
soprattutto perché spaventati da quel fischio che si faceva sempre più forte e
vicino, ma alla fine furono costretti a procedere dai loro comandanti.
La morte arrivò sopra di loro nella forma di
un terrificante muro d’acqua che procedeva ad una velocità impressionante, portandosi
dietro rocce, detriti, alberi interi e ogni altra cosa l’onda avesse travolto
sul suo cammino. Alcuni riuscirono a mettersi in salvo, ma la maggior parte
trovò la morte sul letto del fiume, le cui pareti, rese viscide e scivolose
dalla pioggia fangosa che aveva preceduto l’arrivo dell’onda, non permisero di
risalire in tempo.
«A quanto pare ha funzionato.» commentò infine
Joanne vedendo il fiume comparire da un momento all’altro dinnanzi a loro e
tagliare la strada alle truppe nemiche, costringendole a ritirarsi.
A conti fatti, era andata anche meglio di
quanto si fosse sperato; non solo avevano frenato l’avanzata delle truppe di Deville, ma ne avevano anche spazzata via una considerevole
parte, il che sarebbe tornato molto utile al momento della riscossa.
Intanto, in cima alla valle, Louise, terminato
di recitare l’incantesimo, era rovinata a terra quasi svenuta per il dolore e
la fatica venendo immediatamente soccorsa da Saito, che nel frattempo si era
liberato di tutti i golem nemici.
«Louise!» disse Siesta, tentando di
soccorrerla a sua volta.
Nella fretta di raggiungerla poggiò male un
piede, e da un istante all’altro la terra le mancò letteralmente da sotto i
piedi, facendola precipitare nel fiume, che in quel punto rassomigliava più ad
un pericoloso torrente di montagna, pieno di rapide e con una corrente
impetuosa.
«Siesta!» gridò Saito.
Kaoru, che le stava più vicino, immediatamente
si tuffò cercando di raggiungerla. Siesta non aveva mai imparato a nuotare,
sapeva a malapena tenersi a galla, e con quella corrente impetuosa e quel
vestito ingombrante si sentì subito affondare. Temeva che sarebbe morta, ma per
fortuna Kaoru la raggiunse in tempo, riuscendo ad afferrarla subito prima che
scomparisse sott’acqua.
«Ti tengo!» le disse.
Ora però il problema era la cascata, distante
solo poche decine di metri. Kaoru aveva ancora con sé la spada, e cercò di
salvare entrambi piantandola nel primo punto buono lungo la sponda che gli
riuscì di infilzare. Per un attimo sembrò che fossero entrambi al sicuro, ma
proprio sul più bello il ragazzo perse l’appiglio e i due ripresero a venire
trascinati dalla corrente.
Saito e Louise cercavano in tutti i modi di
stare dietro ai loro amici, ma per quanto ci provassero non riuscivano in
nessun modo a tirarli fuori, e intanto la cascata diventava sempre più vicina.
Proprio sopra la cascata c’era un belvedere,
dal quale si aveva una suggestiva veduta del salto e del panorama circostante. Saito
e Louise riuscirono a raggiungerlo per primi, quindi il ragazzo staccò la corda
che fungeva da parapetto e ne fece legare un capo ad un albero da Louise,
giusto un istante prima che Siesta e Kaoru arrivassero nello stesso punto.
«Kaoru! Prendi!» gridò lanciandola in acqua.
Kaoru per fortuna riuscì ad afferrarla, e
subito prima di precipitare nella cascata. Per la paura, e pensando che fosse
finita, chiuse gli occhi, ma quando li riaprì lei e Kaoru stavano penzolando
davanti alla colonna d’acqua. Kaoru teneva con una mano lei e con l’altra la
corda ed il suo viso sembrava una maschera di dolore, tale era lo sforzo.
«Resisti!» disse Saito «Vi tiriamo su!».
Per fortuna Kaoru rivelò una resistenza
fenomenale, riuscendo a tenere la presa sia con la corda che con Siesta fino a
quando non furono entrambi al sicuro.
Siesta quasi non riuscì a crederci sentendo di
nuovo la terra sotto i piedi, e silenziosamente ingraziò Dio per averla salvata
mentre Louise la copriva amorevolmente con la sua mantella per proteggerla dal
freddo che la faceva tremare.
Anche Kaoru era piuttosto malconcio; durante
quella nuotata fuori programma erano andati a sbattere più volte contro rocce e
massi sporgenti ma lui ogni volta le aveva fatto da scudo prendendo i colpi al
suo posto, e ora se ne vedevano gli effetti.
«Mi… mi dispiace.»
disse Siesta vedendo che il ragazzo perdeva sangue
«Sopravvivrò.» tagliò corto lui
«Grazie per aver aiutato Siesta.» disse Saito.
Il ragazzo replicò con il proprio silenzio, e
poco dopo si alzò e prese a scendere dalla montagna, desideroso più che mai di
togliersi di dosso quei vestiti fradici, perennemente seguito con lo sguardo da
Siesta.
La
notizia di quello che era successo arrivò presto alle orecchie di Deville.
«Generale, il nemico ha distrutto la diga che
corre lungo il fiume Serk!»
«Che cos’hai detto!?» ringhiò il generale
scattando in piedi
«È così, signore. Il nostro distaccamento è
stato spazzato via quasi completamente!»
«Maledetto Hiraga! Date
ordine ai genieri! Che inizino subito la costruzione di un ponte di barche! Voglio
le teste di quei due mocciosi sulle picche prima di domani sera!»
«Sissignore!».
Deville era così
di malumore che cacciò via tutti, anche le donne che gli avevano tenuto
compagnia fino a quel momento, e rimasto solo prese a camminare avanti e
indietro per la tenda masticando tutte le imprecazioni e le maledizioni che
conosceva.
Improvvisamente, dall’esterno, giunsero dei
gemiti, e subito dopo delle urla concitate.
«Che diavolo succede?» brontolò.
Come aprì la tenta, i suoi occhi e la sua
espressione restarono di sasso; lo spiazzo davanti alla tenda era disseminato
di corpi dei suoi soldati, e al centro c’era un uomo, vestito di scuro e con
una maschera di metallo a coprirgli il volto. In mano teneva una spada, bagnata
di sangue; alzò lo sguardo verso di lui.
«Come hai fatto ad entrare qui?» disse
attonito «Guardie!».
Ma nessuno rispose, né avrebbe potuto.
Vanaglorioso e presuntuoso com’era, Deville aveva l’abitudine di far circondare la propria
tenda con una palizzata di legno, che poteva essere aperta solo dall’interno, e
visto che ormai all’interno non c’era più nessuno in vita, chi stava all’esterno
e aveva sentito la sua richiesta di aiuto non poteva in alcun modo raggiungerlo.
L’uomo in nero alzò la spada insanguinata,
prendendo a camminare lentamente in direzione di Deville.
«Chi sei? Chi diavolo sei…».
Poi, fulmineo, colpì. Il generale,
istintivamente, si spostò di lato e fece per sguainare la spada, ma prima
ancora che potesse mettere la mano sull’impugnatura la lama del nemico gli
aveva già trapassato lo stomaco.
Dopo il primo affondo l’uomo in nero ritirò la
lama, e Deville, tenendosi la ferita, ebbe appena il
tempo di fare qualche passo indietro prima di cadere moribondo nel suo stesso
sangue.
«Aspetta…» disse con
le lacrime agli occhi, mentre l’aggressore gli si avvicinava «Ti prego… posso darti dei soldi. Quello che vuoi. Dimmi il tuo
prezzo.
No, ti prego.
Non voglio morire…
no!».
NOTA DELL’AUTORE
Eccomi qua!^_^
Come avevo promesso,
questa volta siamo passati davvero alle cose serie!
Per stavolta non c’è
ancora stata una vera battaglia, ma state tranquilli. Presto, molto presto, ce
ne saranno così tante da venirvi a noia!
Non so cos’abbia
questa sera la mia tastiera, probabilmente è a corto di batterie o è assatanata,
quindi taglio corto.
Una serie di generosi
imprevisti hanno aumentato considerevolmente il tempo libero che credevo di
avere fino a venerdì prossimo, il che significa che questo periodo di estasi
creativa acuta potrà durare ancora un po’.
Una
volta che tutti furono tornati al castello, Joanne dovette subirsi una sonora e
meritata lavata di capo per il suo gesto sconsiderato, che per poco non era
costato la vita a lei e alle sue moschettiere.
La giovane donna era inginocchiata al centro
del salone, con il capo chino ed il pugno al cuore, mentre Saito e Louise la
osservavano seduti sui rispettivi scranni; sembravano proprio il re e la
regina.
C’era anche Kaoru, in piedi in un angolo della
sala.
«Ti avevamo dato un ordine preciso, Joanne.»
disse severamente Saito «Ti avevamo detto di coordinare l’evacuazione dei
civili.
Ma tu hai agito di testa tua, e per poco non
ci hai rimesso la vita.»
«Non ho giustificazioni, vostre maestà.
Anche se umilmente ritengo di aver voluto
seguire la decisione più giusta, sono consapevole della gravità della mia
scelta, e me ne assumo la piena responsabilità.
Louise guardò Saito in modo enigmatico, quasi
indagatore.
«Visto e considerato che nessuna di voi è
stata uccisa, e che i civili sono tutti in salvo, per questa volta passeremo
sopra a tutto.»
«Tuttavia.» aggiunse Louise «Se dovesse
succedere ancora una cosa del genere, allora ci comporteremo davvero da
Padroni, come tu sembri desiderare così tanto.»
«Vi ringrazio infinitamente. E vi prometto che
non succederà più.»
«D’accordo, per ora basta così.» tagliò corto
Saito «Ora parliamo piuttosto di quello che è successo all’accampamento di Deville.»
«Sì, mio signore.» rispose Joanne, e ad un suo
cenno due moschettiere portarono dentro un soldato nemico che una spia era
riuscita a catturare «Quest’uomo ha visto tutto.»
«La Maschera di Ferro.» disse quello con gli
occhi sbarrati e la voce mozzata per la paura «È stata la Maschera di Ferro!»
«La Maschera di Ferro!?» ripeté Saito.
Il pensiero andò immediatamente all’ombra
comparsa due giorni prima nel palazzo, quella che aveva tentato di entrare
nella loro camera e che Kaoru aveva brevemente affrontato prima che fuggisse.
Quando il soldato si fu calmato, Saito e
Louise riuscirono a farsi raccontare l’intera storia.
Poco dopo la battaglia sulle rive del fiume,
un uomo in nero che indossava una maschera metallica era comparso dal nulla nel
centro dell’accampamento di Deville, dove aveva fatto
strage di guardie ed ufficiali prima di sgozzare lo stesso generale.
I soldati all’esterno avevano appena fatto in
tempo a sfondare il portone del forte con un ariete, ma non avevano potuto fare
altro che osservare impotenti l’assassino fuggire via dopo aver terminato la
sua strage.
Privato dei propri comandanti l’esercito di
Grasse era rapidamente andato nel caos, facendo ritorno in tutta fretta nel
proprio territorio lasciandosi alle spalle un accampamento dismesso e deserto,
lo stesso che le spie avevano trovato al sorgere del sole.
La cosa diventava sempre più ingarbugliata e
complessa.
Perché la Maschera di Ferro, come l’aveva chiamata
il soldato, aveva ucciso tutti i comandanti della forza d’invasione sancendo di
fatto la vittoria degli assediati, se solo due giorni prima aveva tentato di
fare irruzione nella villa di Ornielle?
«E adesso, cosa ne sarà di Grasse?» chiese
Louise
«Ho mandato un esploratore a verificare la
situazione.» rispose Joanne «Purtroppo, ora che tutti i suoi capi, nonché il
suo signore, sono morti, il feudo è già in preda alla confusione. In
circostanze normali le terre passerebbero allo Stato, ma nell’attuale
situazione è chiaro che questo non potrà accadere».
Saito si passò una mano sul mento e si alzò
dallo scranno.
A quanto pare aveva evitato che la popolazione
del suo feudo rimanesse vittima della guerra civile, ma ora erano gli abitanti
di Grasse ad essere in pericolo.
«Non c’è nulla che possiamo fare per quella
gente?» chiese Louise
«Solo una cosa.» rispose Joanne non senza
esitazioni «Che qualcuno reclami il feudo per sé e ne assuma il controllo».
Seguirono secondi di silenzio, durante i quali
nessuno parve rendersi realmente conto di cosa significasse realmente la
proposta di Joanne, poi sia Saito che Louise sgranarono gli occhi.
«Vorresti che prendessimo il controllo di
Grasse!?» esclamò Saito
«È l’unica soluzione per evitare conseguenze
peggiori.» disse Joanne
«Credo abbia ragione.» intervenne Kaoru «È
chiaro che se qualcuno non prenderà al più presto il potere in quella regione,
entro poco tempo Grasse sprofonderà nell’anarchia, con tutte le conseguenze
facilmente prevedibili.»
«Anche se non è avvenuta per mano vostra, è
chiaro che la morte del generale Deville ha sancito
la vittoria delle vostre maestà nella guerra tra i due feudi. E quindi ora, in
base alla legge, voi che siete i vincitori avete il diritto di pretendere il
controllo dei territori dello sconfitto.»
«Quella è una vecchia legge dei tempi delle
guerre feudali.» replicò Louise «Quei tempi ormai sono finiti.»
«Abbiamo sempre detto che non volevamo una
guerra civile.» disse Saito «Non possiamo rimangiarci la nostra parola
occupando un feudo che non ci appartiene.»
«Invece, secondo me, è esattamente quello che
dovreste fare».
Tutti volsero lo sguardo verso la porta, dalla
quale Lucas aveva appena fatto la propria comparsa con al seguito il
vicecomandante del suo esercito, Kiriya, un ragazzo
cresciuto per strada che era stato adottato dai genitori di Lucas e che
quest’ultimo considerava quasi come un fratello minore.
Kiriya aveva
anche una sorella, Seena, che da alcuni anni però
serviva un altro signore.
«Lucas!?» disse Saito «Alla fine sei arrivato».
Saito lo aveva chiamato subito per informarlo
dell’attacco di Deville usando la penna magica, e
Lucas, abbandonata ogni altra cosa, lo aveva immediatamente raggiunto a bordo
della sua aeronave ammiraglia. Si era anche portato dietro un piccolo manipolo
di efficienti soldati, e la sua sorpresa era stata grande quando si era reso
conto che il loro intervento non era più necessario.
«Cosa intendi dire con questo, Lucas?» chiese
Louise «Che dovremmo occupare Grasse?»
«Se volete evitare un bagno di sangue, questa
è l’unica soluzione. Ma ci sono anche altri motivi.»
«Per esempio?» domandò Saito
«Per esempio i soldati. Il generale Deville poteva contare su di un esercito numeroso, come
avete avuto modo di vedere, e se voi occupaste Grasse quell’esercito diventerebbe
vostro.
E c’è anche un’altra cosa.
Questo palazzo non è una fortezza in grado di
reggere un assedio o garantire la dovuta sicurezza. La residenza del generale,
invece, è molto più efficace sotto questo aspetto. Al suo interno sareste al
sicuro.»
«Quindi ci stai dicendo che non dovremmo
limitarci a prendere Grasse, ma che dovremmo addirittura stabilirci laggiù!?»
«Considerate un fatto. Questa volta siete
stati molto fortunati. Se questa Maschera di Ferro non ci avesse messo del suo,
eliminando il generale, nonostante i vostri sforzi Ornielle a quest’ora sarebbe
già capitolata.
La verità è che ormai siamo in guerra. E in
quella, la cosa più importante per un comandante è un luogo sicuro dove potersi
trincerare in caso di necessità. E Ornielle, per quanto mi dispiaccia doverlo ammettere,
non fa a questo scopo».
Sia Saito che Louise guardarono altrove, le
facce scure e l’espressione affranta.
Purtroppo, era una verità ormai innegabile.
La guerra civile era ufficialmente iniziata, e
fermarla non era, almeno per il momento, in loro potere. Tutto quello che
potevano fare era cercare di porvi un freno, ma per riuscirci dovevano
quantomeno riuscire ad essere competitivi, e avere i mezzi per difendersi e
difendere quando necessario.
A ragione di tutto ciò, la scelta di reclamare
Grasse sfruttando per altri fini quello che il generale Deville
voleva usare per il proprio personale tornaconto sembrava l’unica scelta
possibile.
«Non mi interessa cosa può succedere.» disse
Saito a denti stretti «Non mi interessa quello che penseranno gli altri. Volevo
bene alla principessa Henrietta, e a suo tempo le
promisi di aiutarla in ogni cosa. Se permettessi al Paese che ha tanto amato di
andare in rovina, non rispetterei certamente quella promessa».
Quindi, alzò gli occhi rossi di fuoco.
«E se per farlo dovrò combattere, così sia!»
«Saito…» disse
Louise.
Per un attimo la ragazza tornò con la mente a
quel giorno, nel Campo Vestri, quando per la prima
volta Saito aveva dato prova di quella che era la sua forte volontà, e della sua
determinazione a non indietreggiare mai, anche nelle situazioni più
impossibili.
Era anche per questo che lo amava così tanto;
per questa sua indole gentile e risoluta allo stesso tempo.
«Parli proprio come un vero Signore.» disse
soddisfatto Lucas.
Dopo poco Saito chiese di poter stare da solo
con il cognato, dando disposizione che si preparasse tutto per la partenza.
«Cosa intendevi dire, con il fatto che ormai
siamo in guerra?» chiese Saito «Ci sono stati altri problemi oltre a questo?»
«Dunque, tu non ne sai niente.»
«Riguardo a cosa?»
«Il sud-est del paese è già in fiamme. Santin
sta annettendo un feudo dopo l’altro, e altri lo stanno imitando. Ha iniziato a
far rotolare teste subito dopo l’ultima riunione.»
«Quel maledetto. Non ha perso tempo.»
«Anche io presto temo che dovrò procedere. Il signore
del feudo a sud del mio sta ammassando tutto il suo esercito lungo il confine,
e io sono stato costretto a fare altrettanto. Ormai è solo una questione di
tempo, temo.»
«Però, io credo che nessuno sarebbe tanto
pazzo da attaccarti. Voglio dire, i tuoi Cavaleiri
del Grifone sono i più conosciuti e temuti del Paese.»
«Purtroppo, il confine che separa l’ambizione
dalla follia è fin troppo sottile. Io come te non vorrei una guerra, ma se mi
ci dovessero trascinare non potrei far altro che rispondere.»
«Sì, capisco».
Intanto, nel corridoio, Siesta aveva già
iniziato a radunare le sue cose in vista della partenza, e le stava portando
all’ingresso perché fossero caricate su carri. Camminando, incontrò Kaoru,
appoggiato al muro con le braccia conserte e gli occhi chiusi, come se stesse
dormendo.
Gli si avvicinò, e lui dopo qualche attimo
alzò lo sguardo.
«Non carichi le tue cose?» gli chiese «Entro
stasera dovremo partire.»
«E che cosa dovrei caricare?» replicò il
ragazzo «Tutto quello che possiedo ce l’ho proprio qui».
Siesta guardò altrove, poi fece una cosa che
non avrebbe mai creduto possibile.
Gettati i sacchi, si avvicinò ancora di più a
Kaoru, quasi mossa da una volontà altrui, toccandogli la guancia con le labbra;
per il momento, questo era il massimo che il suo coraggio e il suo cuore le
consentivano di fare.
Kaoru rimase basito, e non si mosse, e quando
siesta lo guardò di nuovo negli occhi anche lui arrossì.
«Volevo dirti, che ho apprezzato quello che
hai fatto per me in più di un’occasione».
Detto questo, raccolse le sue cose e scappò
via senza voltarsi; rimasto solo, Kaoru si sfiorò la guancia restando in
silenzio.
Allora, si disse, lui forse non era stato il
solo ad avvertire qualcosa di strano nel momento in cui lui e Siesta si erano
guardati negl’occhi per la prima volta.
Entro
mezzogiorno, tutto quello che possibile e necessario portare via dalla villa
venne caricato sui carri, ed il convoglio, con al centro la carrozza dei
Padroni, si preparò a partire.
Gli esploratori inviati a Grasse riferivano
che la popolazione non aspettava altro che l’arrivo di un buon reggente,
qualcuno migliore del generale, in grado di evitare che la regione sprofondasse
nel caos e di ripristinare la gerarchia all’interno dell’esercito.
Saito, uscito a sua volta, fece un ultimo
controllo, per essere sicuro che fosse tutto a posto. Avrebbe lasciato alla
villa una ventina di guardie, e una volta preso il controllo di Grasse vi
avrebbe avviato un intero distaccamento; quanto alle difese, Joanne aveva già
disposto l’inizio dei lavori di costruzione per una serie di forti e postazioni
in tutti i valichi e i punti strategici.
«Dov’è Louise?» domandò Saito non vedendola
«La signora è ancora in biblioteca.» disse il
vecchio maggiordomo.
Saito andò da lei.
«Louise.» disse aprendo la porta «Dobbiamo
partire».
Lei era lì, in piedi davanti alle finestre, ad
osservare il paesaggio con aria spaesata.
«Louise…».
Lei si girò, guardandolo.
«Non riesco a crederci che dobbiamo
andarcene.»
«Ti capisco, Louise.» disse Saito carezzandole
la guancia «Anch’io ho il cuore a pezzi per quello che dobbiamo fare. Ma ti
prometto che sarà solo una cosa temporanea. Quando tutto questo sarà finito, ti
prometto che ritorneremo».
Poi, Saito si accorse che Louise stava
piangendo.
«Louise..»
«E pensare che avrei voluto dirtelo proprio
qui. In questa stanza. Ma più avanti, quando fosse stato in momento.»
«Dirmi che cosa?».
Louise raccolse allora tutto il suo coraggio. A
questo punto, non si poteva più tergiversare.
«Saito. Presto sarò incinta!».
Colto alla sprovvista, Saito minacciò di
svenire lì dove si trovava, e pensò di aver sentito una cosa per un’altra.
«Come, scusa!?»
«Per ora non lo sono ancora, ma ne ho tutti i
sintomi. Il motivo per cui non riesco ad usare come vorrei la mia magia, è perché
il mio potere magico si sta separando, per generare quello del bambino. Quando
i miei poteri torneranno del tutto, vorrà dire che sarò incinta per davvero».
A quel punto Saito realizzò di non stare
sognando, e abbracciò Louise pazzo di gioia.
«Non mi stai prendendo in giro, vero? Avremo presto
un bambino!»
«Sì, Saito!» gli rispose lei ritrovando il
sorriso tra le lacrime «È la verità. Avrei voluto dirtelo da tempo, ma non ne
ho mai trovato il coraggio!»
«Non avrei mai sperato di avere una notizia
così bella!».
Poi, passato il comprensibile momento di
gioia, entrambi si calmarono, tornando coi piedi per terra.
«Lo prometto.» disse Saito «Prometto che
nostro figlio crescerà qui, in questo palazzo.»
«Davvero?»
«Davvero. Saremo la famiglia più felice che
questo regno abbia mai visto, parola mia».
Poco
dopo, purtroppo, venne il momento dell’addio.
Saito, fattosi improvvisamente più premuroso
del solito, aiutò Louise a salire sulla carrozza, quindi salì a sua volta.
«Lascio tutto nelle tue mani.» disse Saito
prima di salire al vecchio maggiordomo
«Non temete, padrone. Avrò cura di questo
posto fino al vostro ritorno».
A quel punto, il convoglio si mise in marcia,
con i carri a precedere e seguire la carrozza, scortata e protetta dalle
moschettiere e da un manipolo di guardie. Kaoru e Siesta venivano subito
dietro, lui in sella ad un cavallo lei assieme agli altri inservienti a bordo
di un carretto, ma nessuno dei due aveva il coraggio di guardare l’altro.
Addio alle piacevoli passeggiate in giardini;
addio ai pomeriggi spesi a leggere all’ombra di una tenda da sole; addio alle
serate nella sorgente termale, ad abbracciarsi l’uno con l’altra; addio agli
amorosi ed appassionati incontri sul letto di nozze.
Louise si voltò a guardare un’ultima volta
quella villa dove aveva abitato per due anni con il suo sposo, e che, forse,
non l’avrebbe vista dare alla luce il loro primo figlio.
Ma che razza di mondo avrebbe trovato alla sua
nascita il bambino che presto avrebbe portato in grembo?
Nota dell’Autore
Salve a tutti!^_^
Questo capitolo è
molto breve, come avete notato. Il fatto è che quasi tutta la carne era stata
messa al fuoco già nel capitolo precedente, quindi non restava molto altro da
dire.
Che dire? Saito e
Louise hanno abbandonato la loro villa, e posso confermarvi già da ora che non
vi faranno ritorno per un lungo, lungo periodo.
I prossimi capitoli
saranno una specie di intermezzo, un po’ distaccati dal contesto visto finora,
ma dai successivi si tornerà a parlare di guerra civile, annessione, complotti
e affini.
Il
castello del generale Deville non era altro che un
immenso forte a stella a doppia cinta muraria ubicato su di un’isola che si
trovava di fronte a Grasse.
Quest’ultima era una città molto bella e
prospera, situata a picco sulla scogliera più alta della regione, ed era
collegata al castello da un ponte che, tramite un ingegnoso sistema di
carrucole ed ingranaggi, poteva letteralmente scomparire nel mare abbassandosi
fin sotto la superficie.
Per quanto concerneva le difese, sia in città
che nel castello ce n’erano in abbondanza: cannoni, balliste, bastioni, porte
con enormi grate di ferro, ma anche pozzi e cisterne per l’acqua, e ogni altra
cosa servisse a rendere l’isola in particolare virtualmente imprendibile.
Al loro arrivo in città, Saito e Louise erano stati
accolti da una popolazione in festa.
Gli uomini rimasti uccisi nell’esplosione
della diga erano mercenari, quindi nessuno piangeva la loro scomparsa, e
l’arrivo di una nuova famiglia di padroni avrebbe garantito il mantenimento
della pace.
Inoltre, il generale Deville
non era certo un uomo al quale importasse di farsi voler bene dai suoi sudditi;
al contrario, era corrotto fin dentro l’anima, e aveva spremuto il suo feudo
con le tasse fino a prosciugarle del tutto, tenendo costantemente la capitale
sotto il gioco del suo castello per evitare rivolte o insurrezioni.
La carrozza attraversò il viale principale di
Grasse tra due ali di folla urlante, e tra di loro c’erano persino alcuni
soldati.
«Sembra quasi che aspettassero il nostro
arrivo.» commentò Louise
«E che ti aspettavi?» rispose Saito «Con uno
come Deville a governarli».
Entrato nella corte del castello, il convoglio
fu accolto da tutta la servitù che lo abitava, a capo della quale sembrava
esservi un severo e composto maggiordomo sulla trentina, slanciato e di
bell’aspetto, che stava davanti a tutti; come Saito e Louise scesero dalla
carrozza, tutti chinarono subito il capo.
«Diamo il benvenuto ai nuovi sovrani di questa
provincia.» disse il maggiordomo «Io sono Auguste,mi occupo del castello».
Intanto anche Kaoru e Siesta erano smontati
dalle loro cavalcature, e si stavano guardando intorno.
«Sorprendente.» osservò Kaoru parlando dei
bastioni «Assediare questo posto sarebbe quasi impossibile.»
«Però, lo trovo un po’ lugubre.» commentò
Siesta «Ci sarà un po’ di lavoro da fare».
Una cameriera del posto, vecchia e leggermente
gobba, e dai modi particolarmente sgarbati, si avvicinò a lei.
«E tu che ci fai qui?» le disse con la sua
voce gracchiante «Muoviti, sei assegnata alla cucina.»
«C… cosa!?» replicò
lei interdetta
«Siesta non è una semplice cameriera.» replicò
Kaoru «È la dama di compagnia della Signora.»
«Una cameriera che fa la dama di compagnia!?».
La vecchia fece parecchie storie, ma davanti
alla ferma determinazione di Kaoru alla fine dovette cedere, e se ne andò
portandosi dietro il resto della servitù arrivata da Ornielle.
«Ti ringrazio.» disse lei.
Come sempre, Kaoru non rispose, andandosene
per i fatti suoi.
Mentre i servitori scaricavano i bagagli,
Auguste condusse i nuovi padroni all’interno del castello.
Anche se da fuori poteva sembrare una comune
fortezza, piuttosto minacciosa per quanto di bell’aspetto, all’interno era
qualcosa di molto simile ad una reggia.
C’erano quadri, pareti e soffitti affrescati,
lampadari di cristallo, grandi stanze, scaloni decorati, e ogni altro ben di
Dio.
«Che lusso.» commentò Louise «Neanche la
residenza della mia famiglia reggerebbe il confronto.»
«Di certo al generale piacevano gli eccessi.»
«Se volete seguire queste cameriere.» disse
Auguste rivolto a Louise «Vi porteranno nelle vostre stanze.»
«Le… mie stanze!?»
ripeté Louise «Che significa questo? Io e Saito siamo sposati.»
«Purtroppo, mia signora, le stanze del padrone
sono separate dal resto del castello. È sempre stato così.»
«Beh, le cose cambieranno.» replicò lei fiera
«Io e Saito siamo marito e moglie, e da che mondo è mondo marito e moglie
dormono nello stesso letto. Inoltre, come se non bastasse, noi due presto…».
Fulmineo, Saito tacitò la moglie mettendole
una mano sulla bocca, per poi trascinarsela in un punto più appartato.
«Ma si può sapere che ti prende, razza di
stupido cane?»
«È meglio non dire ancora niente a nessuno.»
«E per quale motivo? Che c’è di male a dire
che presto sarò incinta?»
«Ti rendi conto in quale situazione ci
troviamo? Se si scoprisse che aspettiamo un figlio, vorrebbe dire che il casato
del Crisantemo, e secondo alcuni la stessa famiglia reale, è nelle condizioni
di poter avere un erede. Sia tu che il bambino potreste essere in grave
pericolo».
Louise restò basita.
Presa com’era da tutti quegli eventi, non ci
aveva neanche pensato. Era vero; se si fosse saputo che la presunta famiglia
reale di Tristain aspettava un figlio, il figlio in questione sarebbe stato un
bersaglio per tutti coloro che volevano impedire alla famiglia Hiraga di essere considerata la legittima erede al trono.
Inoltre, a prescindere da questo, il fatto che Louise presto sarebbe stata
incinta stava a significare che il Casato del Crisantemo avrebbe presto avuto
un erede in grado di continuare la stirpe, e forse la guerra.
A ragione di tutto ciò, era molto meglio che
nessuno sapesse nulla il più a lungo possibile.
A quel punto tornarono entrambi davanti ad
Auguste, restando però fermi sulle loro posizioni.
«Io e Louise condivideremo le stesse stanze.»
disse Saito.
Il maggiordomo non sembrava molto contento; d’altra
parte però, era stato addestrato ad obbedire agli ordini.
«Se questo è il vostro volere.» disse chinando
la testa.
Scortati dall’onnipresente Joanne, e con
alcuni inservienti al seguito a trasportare le loro cose, Saito e Louise si
fecero condurre da Auguste a quelle che, per un tempo indeterminato, sarebbero
state le loro stanze.
Come entrarono, restarono di sasso.
Non si poteva neanche fare un paragone tra
quello e la loro camera da letto ad Ornielle, che ora appariva così misera e
insignificante.
Un gigantesco letto a baldacchino, quattro
camere, un grande bagno, un enorme balcone affacciato sul mare aperto con
tavoli, ombrelli e perfino una piscina, un salotto e così via.
«Davvero stupendo.» disse Saito
«Le stanze sono separate dal resto del palazzo
dal corridoio che abbiamo appena percorso.» spiegò Auguste «Ci sono sette grate
a scomparsa di solido acciaio, che vengono chiuse durante la notte, e l’intero
ambiente è circondato da una barriera a prova di incantesimo. Guardie armate
vigileranno costantemente all’esterno per garantire la sicurezza delle signorie
vostre.»
«Non sarà necessario.» replicò Joanne «Alla
sicurezza della famiglia regale provvederemo io e i miei soldati, come è sempre
stato».
Di nuovo, Auguste serrò i denti, ma non poté
sottrarsi e dovette ingoiare il boccone amaro.
«Come desiderate.»
«Ora sarà meglio lasciare da sole le loro
maestà. Certamente saranno stanche per il lungo viaggio, e vorranno riposare».
A quel punto Auguste e Joanne se ne andarono,
lasciando sa soli Saito e Louise.
I bagagli erano ancora tutti da smontare, ma
ci avrebbero pensato i servitori il mattino dopo.
«Non sarà Ornielle.» disse Saito buttandosi
sul letto «Ma sono sicuro che non ci troveremo poi così male».
Poi, il ragazzo si avvide che Louise non
sembrava così di buonumore. Tremava, sembrava sul punto di piangere e si
stringeva con forza le mani sul polpacci come se avesse avuto freddo. Si alzò e
si avvicinò nuovamente a lei.
«Louise…»
«Io…» balbettò con
la voce rotta dall’emozione «Non riesco ancora a credere a quello che ci sta
succedendo.»
«Ti capisco.» rispose lui abbozzando un
sorriso «È così anche per me.»
«E allora come fai? Come fai a restare così
calmo?»
«Perché ci sono già passato. In un certo
senso, mi sento come quattro anni fa, quando per la prima volta ho messo piede
in questo mondo. Quindi, è un po’ come se mi ci fossi abituato».
Di fronte alla semplicità e alla fiducia del
suo compagno, Louise sembrò ritrovare il sorriso.
Pochi minuti dopo, erano entrambi su quello
che per un po’ sarebbe stato il loro letto, avvolti in un amorevole abbraccio. Di
tempo per scoraggiarsi ed essere pessimisti, in futuro ce ne sarebbe stato
anche troppo; per ora, quello era solo il tempo dell’amore e della speranza.
Quello
che Louise e Saito non potevano sapere, era che non tutti a Grasse avevano
gioito del loro arrivo.
Il colonnello SimounLeClerc era stato l’uomo di fiducia del generale Deville; il pugnale con il manico e l’impugnatura d’avorio
che portava alla cintura rappresentava il suo status di secondo in comando, e
lo sfoggiava come il suo più importante trofeo.
Non aveva preso parte alla guerra contro
Ornielle perché il generale lo aveva lasciato a Grasse per sorvegliare il
castello e mantenere l’ordine, e così non aveva subito la furia omicida della
Maschera di Ferro, che anzi gli aveva fatto un grande favore, lasciandolo senza
potenziali avversari a contendergli la successione.
E invece, prima ancora che avesse avuto il
tempo di riorganizzarsi o preparare in qualche modo la propria riscossa, da un
istante all’altro era comparsa quella coppia di ragazzini, che battendolo sul tempo
si erano presi il feudo senza perdere un solo uomo.
La cosa lo faceva arrabbiare oltre ogni
misura; non solo aveva perso la possibilità di raccogliere i frutti degli anni
spesi a cucinarsi e lavorarsi il generale, ma adesso doveva obbedienza alle
persone davanti alle quale non aveva la benché minima voglia di abbassare la
testa.
«È davvero incredibile.» ringhiò contrariato
guardando verso il palazzotto centrale, cuore del castello «Grasse è nelle mani
di una coppia di mocciosi.
Non ho lavorato tutti questi anni per una cosa
del genere. Questo feudo è mio, e solo mio. Non permetterò a nessuno di
portarmelo via».
Nello stesso momento Siesta stava cercando di
ambientarsi nel nuovo ambiente, mentre Kaoru, guidato da un giovane
sottufficiale di nome Kilyan, poco più di un ragazzo,
stava facendo una visita guidata per il castello per conoscerne i meccanismi
difensivi e le potenzialità.
Per la difesa in tutto c’erano oltre cento
cannoni, puntati in ogni direzione, alcuni con un raggio di quasi due
chilometri, oltre ad un gioiello in cima alla torre più alta in grado di
generare una barriera di Classe A che avviluppava al suo interno tutto il
castello; e poi c’era il ponte, che come detto poteva scomparire sotto il mare
in ogni momento, e i due anelli di mura concentrici, ognuno provvisto di
proprie guarnigioni, fortini e roccaforti, nonché di mezzi sufficienti per
sostenere un assedio di anni.
«Di quanti soldati è composto l’esercito di
questa regione?» domandò Kaoru mentre Kilyan lo
portava a visitare i moli
«All’incirca settantamila, divisi tra coscritti
e truppe regolari, queste ultime divise a loro volta in esercito, marina ed
aviazione».
Tramite un passaggio quasi segreto i due
raggiunsero una immensa grotta sottomarina che si trovava proprio sotto il
palazzo, così imponente che guardando in alto era possibile distinguere le
fondamenta della costruzione.
All’interno della caverna c’era una enorme
darsena, collegata all’esterno da una grande apertura naturale che una barriera
illusoria nascondeva abilmente alla vista di chi stava al di fuori.
Lì dentro c’erano come minimo una ventina di
navi; in un Paese come Tristain la marina non contava poi molto, ma avere a
propria disposizione una grande flotta era comunque un segno distintivo, che
testimoniava potenza e autorità.
«In tutto sono ventidue navi.» disse Kilyan «Divisi in vascelli da trasporto, da carico e
militari.»
«Mi sembra perfino eccessivo».
Ma il fiore all’occhiello dell’esercito
privato del generale era senza dubbio l’aviazione.
Ventotto aeronavi da guerra, alcune di
dimensioni che superavano i sessanta metri, armate all’inverosimile di cannoni,
cannoncini e lanciafiamme.
La maggior parte di esse era depositata nei
bacini di carenaggio sulla terraferma, visibili ad occhio nudo dai bastioni, ma
alcune di esse, tra le quali l’ammiraglia White Dragon, si trovavano in un
apposito campo di volo situato nel primo anello del palazzo, saldamente
ancorate a terra per mezzo di gru e grosse cime.
«Una flotta di tutto rispetto.» commentò Kaoru
«Il generale Deville
ha fornito quasi tutte le navi che tre anni fa presero parte alla guerra contro
Albion.» disse Kilyan
«Questa è senza dubbio una delle flotte più grandi che Tristain abbia mai
visto.»
«Dio solo sa cosaavrebbe potuto fare Deville,
con in mano un simile arsenale».
Poi Kaoru si avvide dell’espressione
enigmatica e preoccupata di Kylian, che alla
richiesta del ragazzo di cosa avesse gli disse di seguirlo in un luogo
appartato, dove nessuno potesse sentirli.
«Il fatto è che l’arrivo dei signori Hiraga non è piaciuto ad alcuni. Alcuni nobili minori hanno
visto per un attimo nella morte del generale l’occasione per emergere, e anche
in alcuni strati alti dell’esercito c’è molta insoddisfazione.»
«Credi che potrebbe succedere qualcosa?»
«Credo che forse sarebbe il caso di fare qualche
domanda ad Auguste.»
«Il maggiordomo!?»
«Era un figlio illegittimo del generale. Se c’è
qualcuno che può trarre vantaggio dalla sua morte, questi è proprio lui».
Auguste,
espletati i propri obblighi, e constatato che i nuovi padroni non avevano
alcuna voglia di venire disturbati, sul fare del tramonto stava dirigendosi
alle cucine per controllare che tutto fosse pronto per la cena.
Quello che stava succedendo era molto strano,
e per certi versi anche irritante.
Per più di dieci anni aveva servito un ufficiale
di altissimo rango, nonché un soldato di comprovate esperienza e grandezza, nonché
un arrogante misogino di mezza età con molte amanti ma nessuna moglie, e ora
invece serviva due ragazzini più giovani di lui che avrebbero potuto essere i
suoi fratelli, così spontanei e insopportabili, e anche così poco osservanti
dell’etichetta che ci si aspetterebbe anche dal più umile dei nobili.
Sceso nell’atrio, trovò il colonnello LeClerc ad aspettarlo appoggiato ad una colonna.
«È davvero triste, non trovi?» esordì l’ufficiale
«L’orgoglioso casato dei Deville, ora è nelle mani di
un duo di patetici ragazzini.»
«Modera le parole.» replicò Auguste senza
guardarlo «Sono pur sempre i tuoi padroni.»
«Avanti, non fare la commedia. Lo so benissimo
che è quello che pensi anche tu».
Auguste strinse i pugni, ed una strana luce si
accese nei suoi occhi.
«Non eri forse anche tu tra quelli che
speravano di ottenere la propria parte una volta che il vecchio si fosse tolto
di mezzo?»
«Niente affatto. La mia vita attuale mi và più
che bene.»
«Quell’uomo ti ha trattato a pesci in faccia da
quando sei nato. Eri suo figlio, eppure non ti considerava nulla di più che un
semplice servo. Avrai sognato di fargliela pagare almeno un migliaio di volte,
e a dirti la verità anche a me tremavano le mani ogni volta che lo vedevo. Il
destino ha voluto che qualcuno ci abbia pensato per noi, e ora questo qualcuno è
venuto qui a prendere tutto quello che abbiamo sempre sognato di poter
ottenere».
D’improvviso Auguste si girò, afferrando LeClerk per il bavero.
«Non mettere bocca in cose che non ti
riguardano! Io non sono come te!»
«Sbagli.» rispose tranquillo il generale «Tu
hai il suo sangue nelle vene. La sua ambizione. Vuoi quello che sai che ti
spetta, l’hai sempre voluto, e proprio adesso che ci eri vicino ti è stato
portato via da due lattanti che si atteggiano a padroni del mondo.
Se proprio vuoi saperlo, questa cosa fa
incazzare anche me».
Il giovane maggiordomo ringhiò come una belva
in gabbia, poi però parve calmarsi, allentò la stretta e lasciò andare LeClerc.
«Io non ho intenzione di passare il resto dei
miei giorni a soddisfare i capricci di una coppia di nobili per caso.» disse il
colonnello sistemandosi il bavero «Il Paese è già in guerra, e ci vogliono
persone forti per guidare il feudo e proteggerlo dai nostri nemici.» poi, piegò
le labbra in un malefico sorriso «Come minimo servono un grande feudatario, e
un capace generale».
Colto sul fatto, Auguste spalancò un momento
gli occhi, poi si guardò le mani, che tremavano per la prima volta da che ne
aveva memoria.
«Tu sei il capo della servitù. Hai accesso
ovunque, cosa che non si può dire di me.» disse LeClerc,
che subito dopo posò su quelle mani tremanti uno strano gioiello rosso a forma
di insetto «Un regalo di una mia amica gitana. Contiene una potentissima
tossina che uccide in pochi secondi chiunque la aspiri. Devi solo metterlo
sotto il loro letto, o in qualsiasi altro posto. Si romperà entro poche ore. Nessuno
sospetterà di nulla».
Le mani di Auguste tremarono ancora più forte,
poi il giovane parve riprendere l’autocontrollo, e strinse il gioiello nel
pugno.
«E come farete se dovesse scoppiare una nuova
rivolta?»
«Tu non preoccuparti. Sono pur sempre il
secondo in comando; se non addirittura il primo, visto che ufficialmente non è
ancora stato nominato un nuovo generale di brigata. Se tu mi darai il tuo
appoggio, io ti consegnerò l’esercito su di un piatto d’argento.
Alcuni sono già dalla mia parte. Appena quei
due saranno morti, io e i miei prenderemo facilmente il controllo del castello,
e con la scusa di aver favorito la morte dei padroni faremo impiccare tutti i
capisquadra. Per il resto, sarà tutto molto facile; preso il castello, hai
preso la provincia. E avremmo anche il regalino di De Ornielle».
Auguste strinse ancor di più i denti e il
pugno.
«Pensaci, amico mio. Questo convoglio passa
una volta sola».
Detto questo, il colonnello se ne andò, e dopo
poco dopo anche Auguste fece altrettanto.
Quella
notte, il castello era immerso nel sonno e nel buio.
Sui torrioni, e lungo le fortificazioni, i
soldati montavano la guardie, mentre all’interno del palazzo la sorveglianza
era affidata alle moschettiere di Joanne.
Louise e Saito dormivano profondamente e
pacificamente nelle loro stanze, speranzosi nel fatto che al risveglio le
incognite e i dubbi di quella lunga giornata sarebbero scomparsi, per fare
posto ad un senso di speranza nel futuro.
Il colonnello LeClerc
aveva allestito ogni cosa nei minimi dettagli.
I suoi uomini, una quarantina, erano già
pronti, e nascosti assieme a lui in un ripostiglio del palazzo, pronti ad
entrare in azione.
L’ora della rottura del contenitore del veleno
era ormai quasi arrivata.
Dopo quel momento, avrebbero dovuto agire nel
più breve tempo possibile. Prima ancora che la notizia della morte dei padroni
potesse diffondersi, una parte dei soldati avrebbe arrestato tutti i
capisquadra, mentre un’altra, al comando dello stesso LeClerc,
avrebbe preso il controllo del palazzo, arrestando e facendo sommariamente
giustiziare tutte le moschettiere come responsabili materiali dell’omicidio per
conto di Albion per mettere le mani sul vasto
arsenale di Grasse e avere a disposizione una testa di ponte a Tristain.
«Ricordate, tutto deve essere fatto senza
indugi.» disse il colonnello ai suoi uomini, quando ormai mancavano pochi
minuti «Per chi farà il proprio dovere, da qui in avanti ci saranno promozioni
e denaro. Al contrario, chi esiterà andrà a far compagnia agli altri sulla
forca.
Mi sono spiegato?».
Tutti, spaventati fecero cenno di sì.
Qualche minuto dopo, fu il momento di
procedere. Ormai la capsula, se non si era già schiusa, era sul punto di farlo,
e bisognava agire prima che qualcun altro si accorgesse di qualcosa e venisse
dato l’allarme.
LeClerc, alla
guida dei suoi uomini, raggiunse la piazza d’armi che stava tra il portone dell’ultima
cinta muraria e l’ingresso del castello, dove le due parti avrebbero dovuto
separarsi.
In giro non c’era nessuno, ma la cosa era
abbastanza normale, visto la momentanea carenza di organico.
«Andate!» disse il colonnello, e la metà degli
uomini si diresse ai casotti e ai bastioni.
Lui e gli altri, invece, fecero per correre al
palazzo, ma da un secondo all’altro enormi lampioni magici si accesero sui
camminamenti superiori illuminando il piazzale a giorno, e soldati presero ad
uscire da tutte le direzioni; quando si capacitarono di quello che stava
accadendo, LeClerc ed i suoi uomini si ritrovarono
circondati da una divisione di soldati, quegli stessi soldati che il colonnello
aveva qualche volta comandato in battaglia, e che ora tenevano le armi puntate
contro di lui.
«Ma cosa…» disse con
gli occhi sbarrati «Che sta succedendo!?».
Contemporaneamente, il plotone inviato sulle
mura aveva trovato ad attenderli Joanne e le sue moschettiere, in realtà
nascoste in un casotto vicino al cancello, ed i soldati, di fronte ai
moschetti, si erano immediatamente arresi, gettando le armi.
Come ciliegina sulla torta comparve
addirittura una nave, che raggiunto il castello si posizionò proprio sopra la
piazza, tenendo i cospiratori sotto il tiro dei cannoni.
Comandava quella specie di operazione a
tenaglia il giovane Kilyan, che fatto un passo avanti
si ritrovò a tu per tu col colonnello.
«È finita, colonnello! Gettate le armi ed
arrendetevi!»
«Dannati! Come avete fatto a scoprirci?».
La risposta alla domanda venne quando dal
gruppo comparve anche Auguste, fiero ed impassibile come sempre. LeClerc sgranò gli occhi vedendolo. In mano teneva il
gioiello velenoso, rotto sì, ma saldamente rinchiuso in una barriera creata da
Joanne.
«Tu, lercio, sudicio, sporco plebeo!».
Il colonnello aveva in mano lo schioppo, e
istintivamente lo alzò per cercare di portare con sé all’altro mondo almeno
quel traditore buonista, ma prima che potesse farlo la lama di una katana
comparve alle sue spalle appoggiandosi alla sua gola.
«Se fossi in te, non lo farei».
LeClerc digrignò
i denti, poi scoppiò persino a piangere, e gettata la pistola a terra rovinò in
ginocchio urlando di rabbia.
La sua ribellione era finita ancora prima di
cominciare, e da quel momento in poi avrebbe avuto a disposizione molto tempo
per commiserare la propria ambizione.
Il
giorno dopo, nella sala delle udienze, tutti i capisquadra ed i sottufficiali
di tutte le divisioni dell’esercito di Grasse, oltre al piccolo distaccamento
di moschettiere e di soldati di Ornielle e ai consiglieri politici, si
riunirono per salutare i nuovi sovrani della provincia, e giurare loro fedeltà.
Il gigantesco stemma dell’aquila sul fondo
della sala, sopra il finestrone che dava sul mare, era stato sostituito nella
notte dal Crisantemo Scudato, e sotto di esso, sul palco d’onore, gli scranni,
da uno, erano diventati due.
Un paggio suonò la tromba, ed un altro disse
solennemente.
«Lord Saito Chevalier
de Hiraga, de Ornielle de Grasse, e la sua consorte,
Lady Louise de Hiraga de la Vallière!».
Tutti rivolsero gli sguardi in una sola
direzione, poi la porta laterale della sala si aprì ed entrarono i due coniugi;
al loro seguito anche Siesta ed Auguste, quest’ultimo con in mano un cuscino
con sopra il pugnale che fino ad una notte prima era appartenuto al colonnello LeClerc.
Guardandola, Auguste non riuscì a non pensare
quanto il colonnello fosse stato stupido.
Era davvero convinto che la sua lealtà ed il
suo senso del dovere valessero così poco, abbastanza da poterli comprare?
Saito e Louise si sedettero, e tutti
abbassarono la testa, incluso Kaoru, in prima fila.
«Noi.» disse Kilyan,
nominato ex novo capitano e nuovo secondo in comando «Ufficiali e soldati di
questa provincia, oggi rendiamo omaggio ai nuovi padroni di Grasse, promettendo
loro fedeltà e obbedienza assolute.»
«Vi prego, basta cerimonie.» tagliò corto
Louise «Queste sono solo formalità.»
«Louise ha ragione.» disse Saito con lo stesso
tono «Ad ogni modo, promettiamo a tutti voi, ed anche al popolo di Grasse, che
non muoveremo guerra a nessuno se non strettamente necessarie, e che per nessun
motivo porteremo o inizieremo guerre di aggressione, volte a reclamare o
rivendicare un territorio altrui.
Quello che cercheremo di fare, e speriamo di
riuscirci, sarà semplicemente provare a fermare quanto prima questa insana e
stupida guerra civile, e di riportare al più presto Tristain alla pace».
Di nuovo, tutti chinarono il capo.
«Ora, però.» disse nuovamente Saito «È giunto
il momento di scegliere il nuovo comandante dell’esercito».
Saito e Louise avevano scoperto quello che era
successo solo al sorgere del sole; Auguste non aveva voluto informarli del
tentativo di colpo di stato del colonnello, sia perché non voleva turbarli con
quella che reputava una questione quasi personale sia perché non era sicuro del
fatto che quei ragazzi, così ottimisti e di buon cuore, avrebbero operato con
la dovuta serietà.
Così, si era invece rivolto a quell’altro
giovane, a Kaoru, che gli era sembrata subito una persona più diretta e
risoluta, e a Joanne, la cui fedeltà veniva prima di ogni altra cosa.
Ad un cenno di Saito, Auguste scese dal palco,
fermandosi davanti a Kaoru e porgendogli il pugnale.
Il ragazzo alzò gli occhi, basito.
«Voi…» disse all’indirizzo
di Louise e Kaoru
«Credo che non vi sia persona migliore di te
per questo incarico.» disse Derf «Non credi,
compare?»
«D’accordissimo.» replicò Saito «Allora,
Kaoru? Vorresti prestarci la tua forza?».
Kaoru si guardò un momento attorno, poi guardò
Louise, che gli sorrise, e Siesta, che gli fece un malizioso occhiolino.
Quant’era ironica la vita; lui, che non sapeva
chi era, ora sarebbe diventato qualcuno. Qualcuno di importante.
Alla fine, pur se con qualche timore, il
ragazzo raccolse il pugnale e lo mise alla cintura.
«Saluto al generale!» disse Kilyan, e tutti i soldati presenti si portarono subito la
mano alla fronte.
Auguste osservò la scena senza aprire bocca,
poi fissò non visto i suoi due nuovi padroni. Per il momento, non sapeva ancora
bene cosa pensare di loro, ma con il tempo e un po’ di pazienza le risposte
sarebbero arrivate; e anche se non riusciva ancora a spiegarsi perché, sentiva
che non si sarebbe pentito del proprio atto di fedeltà.
Nota dell’Autore
Salve a tutti!^_^
Lo so, avevo promesso
un capitolo più dinamico e adrenalinico, ma dopo averci pensato un momento ho
deciso invece di prendermi un momento di pausa e di inserire questo capitolo di
intermezzo.
Anche perché, a ben
pensarci, non si poteva passare sopra ad un momento importante come questo
senza dedicarci il giusto spazio.
Comunque, prometto che
con il prossimo la narrazione riprenderà sul serio.
Grazie come sempre ai
miei adoratissimi recensori, e a presto (forse
giovedì) con il prossimo capitolo.
Il
palazzo di Boulogne, che sorgeva al centro della
piccola città omonima, era ormai perduto.
Le truppe regolari, guidate dal Duca Valat de Montpeyroux, secondo
figlio dell’attuale governatore di Laguiole, avevano
quasi sopraffatto lo sparuto numero di soldati rimasti fedeli al legittimo
sovrano, che prima dell’alba avrebbero sicuramente capitolato.
Seena, guardia del corpo della duchessa Kiluka
e capo delle guardie di palazzo, raggiunse l’ultimo piano della torre
principale, dove si trovava lo studio di sua eccellenza, con l’espressione di
chi viene ad annunciare una condanna a morte.
Era una giovane donna di bell’aspetto, con
capelli rossi e occhi giallo ocra, ma a dispetto della sua parvenza angelica sapeva
tirare di fioretto come pochi altri, e della protezione della duchessa in
particolare aveva fatto una ragione di vita.
La duchessa Kiluka ne aveva superate di prove
nel corso dei suoi tredici anni di vita; appena nata aveva perso la madre,
mentre a nove le era stato strappato anche il padre. Si era sempre parlato di
una sciagura, un incidente di caccia, ma per come si stavano mettendo le cose
probabilmente non era mai stato così. Questo tuttavia non le impediva di essere
solare e vivace, sempre pronta ad aiutare gli altri, anche se in
quell’occasione c’erano ben pochi motivi per essere allegri.
La giovane entrò nello studio quasi sfondando
la porta.
«Lord Charnizay!»
disse «Abbiamo perso la prima cinta muraria. Entro poche ore le forze del duca
entreranno nel castello.»
«Maledetto Valat!»
imprecò il primo consigliere «Ma che cosa gli dice la testa!? Muovere guerra
alla sua stessa famiglia!».
Il vecchio patriarca, rivolto verso la
finestra, osservava impotente la sua città bruciare. Accanto a lui sua nipote,
così bella con quei suoi capelli castani raccolti in una coppia di boccoli e
quegli occhi azzurro mare. Come gli dispiaceva vedere quel volto privo del suo
solito sorriso, e segnato invece dalla paura.
«La nostra ora è arrivata.» disse, quindi si
volse verso la porta «Seena, ho un incarico da affidarti.»
«Comandate, mio signore.»
«Ho saputo che recentemente il feudo dei Deville è passato nelle mani della famiglia Hiraga. Vorrei che portassi mia nipote laggiù. Sarà al
sicuro a Grasse».
Tirata in ballo, la duchessa sgranò gli occhi.
«No.» disse «Nonno, non puoi chiedermi di
abbandonarti.»
«Kiluka.» le disse, amorevolmente ma con
fermezza «Tuo padre mi ha incaricato di proteggerti. Tu sei l’unica che un
domani potrà prendere il mio ed il suo posto alla guida di questa provincia.
Tu sarai la speranza di Laguiole.»
«Ma…» tentò di
protestare Kiluka «Ma io…».
Il lord si rivolse di nuovo a Seena.
«Affido Kiluka nelle tue mani. Fai in modo che
sia al sicuro.»
«La proteggerò con la vita, mio signore.»
rispose lei chinando il capo.
Kiluka protestò ancora, dicendo che non poteva
abbandonare il suo adorato nonno, ma alla fine, pur se con la morte nel cuore,
dovette seguire la sua fedele ed unica amica, lasciando la stanza assieme a lei
e fuggendo dalla torre per una scala secondaria.
Rimasto solo, lord Charnizay
si avvicinò al muro e raccolse la sua spada.
«È giunto il nostro momento. Ma l’oltretomba
non mi avrà così facilmente, parola mia.» e detto questo si diresse verso i
cancelli per prendere parte all’ultima battaglia.
Nel
mentre, all’interno del casotto che sovrastava il portone principale della
prima cinta di mura, il duca Valat stava impartendo
ai suoi generali le direttive per l’ultima battaglia.
Non era da solo. Con lui, un po’ in disparte,
c’era una giovane donna, tra i trentacinque e i quarant’anni, gran parte del
volto nascosta dietro al cappuccio di un mantello, la cui espressione trasudava
malizia e malevolenza.
«Trovate il governatore e Kiluka.» ordinò il
duca «Voglio le loro teste sulle picche entro domattina.»
«Sissignore!» dissero in coro i quattro
ufficiali, che subito dopo se ne andarono.
«Davvero un ottimo lavoro, duca Valat.» disse la donna quando furono rimasti soli «Non
avrei immaginato che avresti preso la città e il castello in così poco tempo.»
«Probabilmente, se non avessimo potuto contare
sul vostro appoggio, non sarebbe stato così facile. Questo lo ammetto. Reconquista è davvero piena di risorse.»
«Eppure, sembra che ci sia qualche problema.»
«Non ha nulla di che preoccuparsi. Se conosco
il vecchio, e mi creda, lo conosco bene, preferirà morire piuttosto che
scappare. Quanto alla duchessa, sarà morta prima di arrivare alle porte della
città».
Quello
che Valat non poteva sapere era che il palazzo aveva
tutta una serie di gallerie, passaggi segreti e uscite di emergenza delle quali
neppure lui era a conoscenza; suo padre il governatore non si era mai fidato di
lui, così non gliene aveva mai parlato, al contrario di quanto aveva fatto con
Seena.
Senza lasciare mai la mano della duchessa,
Seena condusse Kiluka fin nelle fogne, e da qui le due ragazze seguirono il
tracciato insegnato a Seena dal governatore fino a sbucare fuori al centro di
un parco pubblico alla periferia della città, proprio a ridosso dei bastioni.
«Fatti forza.» disse Seena aiutando Kiluka ad
uscire «Tra non molto saremo fuori».
Appena furono all’esterno, la prima cosa che
videro fu il palazzo reale avvolto dalle fiamme.
«Nonno…» disse
Kiluka.
Avrebbe voluto urlare, ma quel poco di
raziocinio che le era rimasto le suggeriva che se lo avesse fatto non sarebbero
uscite vive da lì; e poi, si era ormai talmente abituata a vivere situazioni di
quel tipo che il dolore provato, per quanto forte, non riusciva a scalfirla più
di tanto, come ci si sarebbe aspettato al contrario da una ragazzina di tredici
anni.
«Kiluka, dobbiamo andare.» disse Seena
prendendole la mano.
Tutto attorno regnava uno strano ed
inquietante silenzio. Il centro era stato un campo di battaglia per tutto il
giorno, mentre in periferia tutti se ne restavano chiusi in casa, porte e
finestre sprangate e luci spente.
Sembrava una città fantasma, se non fosse
stato per le urla e i fragori che giungevano dalle parti più vicine al
castello.
Seena e Kiluka fecero appena in tempo a
percorrere un centinaio di metri, quando all’improvviso la terra prese a
tremare sotto i loro piedi, e poco dopo un mostro gigantesco, una specie di
enorme troll insolitamente coperto da un’armatura e armato di una mazza e di
uno scudo rotondo comparve loro davanti sfondando letteralmente i bastioni.
«Un troll da combattimento!» esclamò Seena.
Combattere contro una bestia simile era
perfettamente inutile, soprattutto per chi come Seena non sapeva usare la
magia.
Purtroppo però, il troll non aveva agito da
solo. Valat poteva non conoscere i passaggi segreti, con
una bestia simile nel proprio esercito, e Dio solo sapeva come se la fosse
procurata, non ne aveva bisogno; due secondi dopo la comparsa del troll, Seena
e Kiluka si ritrovarono accerchiate anche da un piccolo distaccamento di
guardie a cavallo guidate dal capitano Monray.
Era lui a comandare il troll, e poteva farlo
da qualunque luogo e da qualsiasi distanza, semplicemente con la forza del
pensiero. Gli era bastato ordinargli di rintracciare l’odore delle due ragazze,
e lui aveva immediatamente obbedito.
«La vostra fuga finisce qui, duchessa.» disse
il capitano «Uccidetele!».
I soldati armati di arco incoccarono le frecce
e si prepararono a colpire, mentre le due ragazze potevano solo osservare
impotenti; poi però, nell’istante in cui il capitano abbassava la mano per
comandare il fuoco, un’ombra comparve dal nulla assalendo gli aggressori ed
avventandosi su di loro armata di uno stocco lungo e stretto.
Kiluka e Seena restarono di sasso, ma
nonostante la concitazione del momento riuscirono a scorgere abbastanza
distintamente i tratti del loro insperato salvatore; vestiva di nero, portava
un lungo mantello che ondeggiava al mento e aveva il volto celato da una
maschera di ferro.
Seena non perse altro tempo; approfittando
della distrazione dei soldati si avventò su di un soldato, lo gettò via con un
calcio e gli rubò la cavalcatura, recuperando immediatamente la duchessa e
scappando assieme a lei attraverso la breccia che il troll aveva gentilmente
creato.
«Maledizione, stanno fuggendo!» esclamò Monray.
Nonostante l’inferiorità numerica Maschera di
Ferro si difendeva bene, dando prova di grandi abilità di spadaccino, ma poi
intervenne il troll; il misterioso guerriero da un istante all’altro si vide
venire contro quella clava gigantesca, riuscendo ad evitarla per un soffio.
Forse capì che era inutile tentare di
affrontare quella bestia, o forse gli bastava che Kiluka e Seena fossero
riuscite a scappare, fatto sta che dopo poco rinfoderò l’arma e si diede alla
fuga scomparendo tra i tetti della città vecchia.
«Non lasciatele scappare!» disse il capitano
riferendosi alle fuggitive «Inseguiamole!».
Seena
spinse il cavallo al massimo delle sue possibilità, sempre tenendo la duchessa
ben stretta accanto a sé.
Superate le pianure e le colline che
circondavano la capitale, riuscì a raggiungere senza problemi le foreste che si
trovavano nella parte più vicina al confine con Grasse, ma qui il cavallo
dovette per forza di cose ridurre di molto la sua velocità di andatura.
Seena non aveva idea di quanta strada avessero
percorso, se fossero già o meno nel territorio di Grasse, ma certo era che non
sarebbero state al sicuro fino a che non fossero entrate nella capitale. Nonostante
ciò pensava di avercela fatta, di essere riuscita ad allontanarsi abbastanza, e
invece all’improvviso la ragazza udì dei rumori inequivocabili alle proprie
spalle, e nel tempo che impiegò a voltarsi gli inseguitori le stavano già
addosso.
Dovendo portare due persone la velocità del
cavallo ne risentiva, e così i nemici avevano avuto modo di colmare in fretta
la distanza e di raggiungerli.
«Maledizione!» imprecò «Kiluka, reggiti
forte!».
La fuga proseguì per diversi minuti,
inoltrandosi sempre più nella foresta, e oltre a dover tenere le distanze Seena
dovette ad un certo punto cominciare a preoccuparsi anche di tutte le frecce
che piovevano loro addosso.
Una di queste, purtroppo, colpì ad un certo
punto il cavallo ad un quarto posteriore; l’animale inchiodò per il dolore,
perse l’equilibrio e rovinò a terra, disarcionando le sue padrone; Seena si
raggomitolò su Seena riuscendo a proteggerla, ma quando le due ragazze si
fermarono e rialzarono lo sguardo Monroy e i suoi
soldati le avevano nuovamente circondate.
«Fine della corsa, signorine.» disse il
capitano «E stavolta, non sperate in un aiuto dal cielo».
Seena strinse forte a sé la duchessa, che per
la paura teneva gli occhi chiusi soffocando a stento le lacrime.
E invece, contrariamente alle parole del capitano,
l’aiuto arrivò.
Da un istante all’altro una nuova pioggia di
frecce, stavolta amiche, si abbatté sugli assalitori, uccidendone alcuni e
disarcionandone altri.
«E adesso cosa…».
Passarono solo pochi secondi, e dalla
boscaglia sbucarono una decina di soldati di Grasse, sicuramente guardie di
confine o qualche pattuglia di passaggio, che si frapposero subito tra le
ragazze e i loro aggressori, avventandosi contro questi ultimi.
Li guidava un giovane, un ragazzo sulla
ventina con capelli neri e occhi blu che impugnava una spada ricurva, una
katana.
Soverchiati di numero e presi di sorpresa, gli
uomini di Monroy si diedero quasi subito alla fuga
prima di venire massacrati.
«Inseguiteli!»
ordinò il giovane «Non devono scappare!»
«Sì generale!» disse uno, e quelli
immediatamente obbedirono.
Rimasto solo con le due ragazze il giovane
scese da cavallo e si avvicinò a loro; Seena strinse più forte a sé Kiluka, ma
per qualche motivo, e nonostante l’espressione leggermente truce del giovane
sentiva di potersi fidare.
«Chi siete?»
«Costei è la duchessa Kiluka de Montpeyroux, legittima erede della provincia di Laguiole. Io sono Seena, la sua guardia del corpo.»
«Seena?» ripeté il giovane «La sorella di Kiriya, il secondo di Lucas de Marcin?»
«Conosci mio fratello!?» esclamò la ragazza
sgranando gli occhi.
In quella i soldati inviati ad inseguire gli
aggressori ritornarono.
«Li avete presi?»
«Mi spiace, generale. Hanno fatto ritorno a Laguiole.»
«Quindi, abbiamo passato il confine!?» disse
Seena.
Il giovane le guardò di nuovo.
«Io sono Kaoru, generale dell’esercito di
Grasse e De Ornielle».
Seena tirò un sospiro di sollievo; a quanto
pare ce l’avevano fatta.
«Il cielo sia lodato.» disse, poi si fece
nuovamente seria «Dobbiamo parlare urgentemente con i tuoi padroni. È una
questione della massima importanza».
Kaoru guardò attentamente sia lei che Kiluka;
la ragazzina era molto spaventata, e si strinse con forza alla sua fedele
guardia, quando le cadde l’occhio sullo strano simbolo che il giovane aveva
sulla mano sinistra.
«Tu…» disse ad occhi
sbarrati «Tu sei un famiglio!?».
La
mattina dopo, al sorgere del primo sole, una parte della guarnigione di
confine, comandata dallo stesso Generale Kaoru, fece ritorno al castello di
Grasse.
Né Seena né Kiluka avevano mai visto il
palazzo di Grasse, ed entrambe restarono senza parole per l’imponenza e la maestosità
della costruzione mentre ne varcavano i cancelli.
«Casa dolce casa.» disse Kaoru smontando da
cavallo.
Ormai era più di una settimana che mancava da
Grasse, da quando Saito lo aveva inviato a comandare una piccola roccaforte al
confine con Laguiole appena erano cominciate a girare
voci circa un conflitto scoppiato improvvisamente nella provincia vicina.
Pochi minuti dopo, Seena e Kiluka erano al
cospetto di Saito nella sala delle udienze.
Il giovane era in quel momento impegnato in
una discussione con i suoi consiglieri, quando venne interrotto da Kaoru.
«Ci sono visite.» gli disse educatamente.
Saito allora rivolse la sua attenzione alle
nuove venute; Seena si inginocchiò, e anche Kiluka abbassò leggermente la
testa.
«Nobile signore di Grasse. Umilmente ci
rechiamo al tuo cospetto. Io mi chiamo Seena, e sono la guardia del corpo della
qui presente duchessa Kiluka de Montpeyroux.»
«Via, non c’è bisogno di tutte queste
cerimonie.» tagliò corto Saito «Alzati pure».
Seena, chiaramente colpita, obbedì, e Saito le
andò a stringere la mano.
«Sei la sorella di Kiriya,
vero?»
«Sì, è così, mio signore.»
«Il mio signore non è necessario. Chiamami semplicemente
Saito.»
«D’… d’accordo.» disse lei sempre più sorpresa
«Allora, cosa ti porta a Grasse».
La ragazza spiegò dunque brevemente quello che
era successo, il colpo di stato a Boulogne, la presa
di potere di Valat e la loro fuga.
«Capisco.» commentò Saito al termine del
racconto «È una faccenda molto seria.»
«Umilmente, lord Hiraga,
richiedo asilo politico per la duchessa. Di me potete fare quello che volete,
anche consegnarmi al duca, ma vi prego di essere clemente con sua altezza».
Saito le mise allora una mano sulla spalla.
«Non temere. Sarete nostre ospiti entrambe. E in
qualche modo, sistemeremo la faccenda. Vi farò immediatamente preparare delle
stanze.»
«La ringraziamo infinitamente per la sua
generosità».
In quella, Louise entrò nella stanza seguita
da Joanne; Kiluka, che era sempre stata in silenzio e con lo sguardo basso fino
a quel momento, come la vide le si accesero gli occhi.
«Louise onee-sama!»
esclamò gettandosi tra le sue braccia
«Che… che sta
succedendo!?» ribatté Louise spiazzata
«Vi conoscete?» chiese Saito
«Certo che no! Non l’ho mai vista prima! Ma si
può sapere chi è?»
«È la duchessa Kiluka, sovrana di Laguiole. Suo zio ha fatto un colpo di stato e ha preso il
potere, così lei e la sua guardia del corpo sono fuggite qui per chiedere
asilo.»
«Ho sempre sognato di incontrarti, Louise onee-sama.» disse Kiluka con gli occhi che trasudavano
felicità «Ho sentito tanto parlare di te. Finalmente potremo stare insieme.»
«Che significa, stare insieme!?» disse Louise
sempre più confusa
«Io sono il tuo famiglio, Louise onee-sama!»
«Che cosa!?».
Tutti sgranarono gli occhi restando di pietra.
«Come sarebbe a dire che sei il mio
famiglio!?».
Kiluka allora si sollevò la camicetta,
svelando una sequenza di rune trascritta sul suo ventre, poco sopra l’ombelico.
«Non ci credo.» disse attonita Joanne
«Io sono Maenegnir,
il Ventre di Dio.»
«È incredibile.» disse Louise «Sono proprio le
rune di un famiglio del Vuoto. Da quando le possiedi?»
«Dal giorno in cui sono nata.»
«Ma come è possibile!?» domandò Saito «Com’è
possibile che nasca un famiglio senza il suo padrone?»
«Non ne ho proprio idea.» disse Louise «È la
prima volta che sento una cosa simile.»
«Mi è sempre stato detto che un giorno avrei
trovato il mio padrone. E ora so che il mio padrone siete voi, Louise onee-sama!»
«Aspetta, datti una calmata!» replicò Louise
prima che Kiluka la abbracciasse di nuovo «Mi spiace darti una delusione, ma io
ho già il mio famiglio.»
«Dite sul serio? E chi è?»
«Sono io.» risposero in coro Saito e Kaoru.
I due si guardarono un momento, per poi girare
gli occhi in opposte direzioni.
«Comunque, ci sarà tempo per parlare di
questo.» disse poi Saito «Ora immagino che sarete stanche. Andate pure a
riposare. Parleremo con calma a pranzo».
Kiluka e Seena a quel punto vennero condotte
da Joanne verso la zona delle camere, mentre Saito, Kaoru e Louise si appartarono
in una stanza attigua per poter parlare.
«Che ne pensi?» domandò Saito rivolto a Kaoru
«Della questione delle rune, o di tutta questa
storia?» replicò Kaoru con un pizzico di ironia
«Non è il momento di fare gli spiritosi.»
tagliò corto Louise
«Penso che questa è una gran brutta faccenda.»
disse Kaoru tornando ad essere il serio di sempre
«Ho sentito molte brutte storie sul Duca Valat.» disse Louise «In linea teorica avrebbe dovuto
succedere a suo padre in quanto primogenito, ma lord Charnizay
gli ha sempre preferito il figlio minore.»
«Avrà approfittato della guerra civile per
prendersi quello che ritiene essere suo di diritto.» osservò Saito
«Ma fino a che Kiluka sarà viva, la sua
posizione di governatore potrà essere messa in discussione.»
«Il che significa che quella ragazzina è una
mina vagante.» disse francamente Kaoru
«D’altra parte però, non possiamo neanche abbandonarla
al suo destino».
Saito chinò il capo, dubbioso e indeciso sul
da farsi.
Era signore di Grasse da neanche due
settimane, e già gli si presentava davanti una simile prova.
Come
si fu accomodata nella stanza che Joanne le aveva assegnato, una cameretta
piccola senza troppe pretese, Seena volle tornare subito a vedere come stava Kiluka.
Per ordine del capitano delle moschettiere,
due guardie sostavano davanti alla stanza della duchessa; per come si stavano
mettendo le cose non era da escludere che il duca potesse inviare qualcuno per
attentare alla sua vita, ma in ogni caso si trattava pur sempre di un ospite
illustre.
«Kiluka, ci sei?» domandò Seena entrando
educatamente.
Kiluka era seduta sul letto, e le dava le
spalle, gli occhi bassi e l’espressione sconfortata.
«Kiluka…».
Si sedette accanto a lei.
Non era difficile capire perché stesse facendo
così; per quanto fosse forte, abituata alle sfide della vita, restava pur
sempre una ragazzina di tredici anni, che aveva appena visto morire l’unico
parente che le fosse rimasto.
Amorevolmente, come una dolce sorella
maggiore, Seena le accarezzò la testa, e dopo qualche istante Kiluka le si
buttò al petto piangendo a dirotto.
«Non temere.» le disse coccolandola «Ci sono
io qui con te. Starò al tuo fianco e ti proteggerò, sempre».
Rinfrancata dalla tenerezza e dalle parole di
Seena, la ragazzina alla fine si calmò, cadendo in un sonno profondo che fu
interrotto solo verso le due, quando una cameriera venne a dire loro che i
padroni avevano invitato entrambe alla loro tavola.
Kiluka si diede una sistemata, ma rifiutò di
indossare l’abito messo a sua disposizione da Louise, preferendo invece tenere
quel bel vestito bianco e rosso che il nonno le aveva regalato per il suo
ultimo compleanno, quindi scese assieme a Seena in sala da pranzo, dove le
attendevano Saito e Louise.
«Benvenuta.» disse Saito «Accomodati».
La ragazza obbedì, insistendo per sedersi
accanto a Louise, che continuava a chiamare affettuosamente onee-sama;
le era bastato guardarla per recuperare il sorriso.
«Quante volte te lo devo dire?» continuava a
ripetere Louise «Tu non sei il mio famiglio!»
«Ma allora, se non voi, chi è il mio
padrone?».
Saito e Louise si guardarono tra di loro.
Durante la mattinata avevano contattato il
professor Colbert tramite un cristallo di
comunicazione, spiegandogli la faccenda e chiedendo un suo parere; il
professore, tuttavia, aveva risposto di aver avuto delle esperienze con maghi
che evocavano inconsapevolmente il proprio famiglio per poi ritrovarlo solo in
seguito, talvolta per puro caso, ma di non aver mai sentito parlare di una
storia del genere, di qualcuno che veniva al mondo già come un famiglio.
«Parlando di questo.» disse allora Saito
«Tutti i Famigli del Vuoto possiedono un potere particolare. Immagino sarà così
anche per te.»
«Certamente.» rispose lei.
Kiluka si guardò un momento attorno, poi le
cadde l’occhio sulla spada che Saito portava alla cintura. A quel punto chiuse
gli occhi, mise le mani davanti a sé come in segno di offerta e prese un breve
respiro. Qualche istante dopo, una copia esatta della spada le comparve davanti
tra lo stupore generale.
«Davvero niente male.» commentò Kaoru, in
piedi in un angolo della stanza
«Ecco il mio potere.» disse mostrando la copia
«Si chiama Heavenly Smith.»
«Puoi copiare le armi altrui?» chiese Louise
«Non copiarle, crearle. Mi basta avere nella
mente l’immagine di una qualsiasi arma, e posso crearla a mio piacimento.»
«È un potere molto particolare.» osservò Saito.
D’improvviso, proprio mentre l’atmosfera
iniziava a farsi più rilassata, un soldato entrò in sala da pranzo tutto
trafelato ed ansimante.
«Miei signori, perdonate l’interruzione! È cosa
molto urgente!»
«Che c’è? Che succede?» chiese Louise
«È appena arrivato un messaggero. Una
delegazione di Laguiole sta venendo a Grasse per un
incontro con le signorie vostre».
Da un istante all’altro, un’aura minacciosa si
addensò sopra tutti i presenti.
Saito e Louise si guardarono preoccupati tra
di loro, Kaoru e Joanne aggrottarono le sopracciglia in un’espressione a metà
tra l’arrabbiato e il minaccioso, e Kiluka prese a cercare con lo sguardo
Seena, che si avvicinò e lei e la strinse a sé.
A quanto pare, non avevano aspettato molto per
venire lì a reclamare i propri trofei.
Nota dell’Autore
Eccomi qua!^_^
Ho fatto flash, ho
scritto di getto, e così sono riuscito ad aggiornare entro oggi.
Ha fatto quindi la sua
comparsa un nuovo personaggio, che da qui in avanti diventerà una presenza
fissa per quasi tutto il corso della storia.
Come avrete certamente
notato, sto a poco a poco sostituendo i vecchi comprimari in favore di altri,
ma non disperate perché presto alcuni della vecchia guardia faranno la loro
ricomparsa (basta dare uno sguardo alla mappa per capire di chi stiamo
parlando^_^).
Non aspettatevi però,
stavolta, un altro miracolo. Venerdì sarò all’università tutto il giorno, e
domani mi sa che dovrò dare spazio allo studio.
In definitiva, prima
di sabato non credo di poter fare qualcosa.
La
delegazione arrivata da Laguiole arrivò in pompa
magna il mattino dopo, provocando lo stupore generale tra gli abitanti di
Grasse, che si riversarono in strada per osservare coi loro occhi quella specie
di parata.
Sette file di soldati in marcia divisi in due
gruppi duecentodieci uomini ognuno precedevano e seguivano un gruppo di tre
cavalieri, tra i quali il capitano Monroy, che
sembrava osservare tutti dall’alto in basso in sella al suo purosangue nero
fumo.
Il corteo attraversò la strada principale ed
il ponte sul mare, quindi entrò nel castello, fermandosi dinnanzi alla grande
scalinata d’ingresso.
«Niente male.» osservò uno dei due
sottufficiali al seguito di Monroy scendendo da
cavallo
«Ho visto di meglio.» osservò acido il
capitano.
Dieci minuti dopo, i tre erano in udienza al
cospetto dei sovrani di Grasse, che li osservavano dall’alto dei loro scranni,
e di tutti i consiglieri e generali. Monroy notò che
il ragazzo della foresta non era presente, ma si aspettava che sarebbe
successo; sicuramente, comunque, era lì da qualche parte, magari nascosto
dietro qualche tenda o colonna per origliare la conversazione senza essere
notato.
Appena arrivati, il capitano e i suoi si
inginocchiarono ed abbassarono la testa, un gesto che solo apparentemente
testimoniava rispetto e sottomissione, ma che Saito e Louise non faticarono a
notare come sfacciatamente provocatorio.
«Vi ringraziamo per averci voluto concedere
udienza, nobili signori di Grasse.»
«A dire il vero, ci avete costretti a
ricevervi.» puntualizzò Louise «Come scorta mi è sembrata un po’ eccessiva.»
«Solo un piccolo espediente per evitare
problemi. Di questi tempi, purtroppo, non si è mai abbastanza sicuri quando si
viaggia.»
«Ad ogni modo, a cosa dobbiamo questa vostra
visita?» chiese Saito
«Umilmente, siamo venuti a porgervi le più
sentite scuse del nostro signore, lord Valat di Montperieux, riguardo all’increscioso episodio avvenuto la
notte scorsa lungo i nostri confini.»
«Forse dovremmo essere noi a farvi delle scuse.»
replicò Louise con uno strano sorriso «Dopotutto, i corpi rimasti in quella
foresta non erano quelli dei nostri soldati».
Monroy incassò
il colpo e replicò.
«Direi che ce lo siamo meritato. Ma questa
ormai è cosa dimenticata.»
«E allora, che cosa vi porta qui?» chiese
Saito
«La questione in verità è della massima
delicatezza. Il fatto è che ci sono alcuni, nel nostro feudo, che contestano le
azioni del mio signore, legittimo e unico sovrano della provincia. Costoro si
sono riuniti attorno alla nobile duchessa Kiluka e hanno organizzato un colpo
di stato. Il loro capo era una giovane donna, molto bella, che per legittimare
il proprio ruolo si è proclamata guarda del corpo della duchessa.
Anche se l’intervento del mio signore ha
evitato il colpo di stato, sfortunatamente il nostro nobile, precedente
signore, e padre del duca Valat, è rimasto ucciso.
Siamo riusciti a catturare e giustiziare tutti i ribelli scampati alla
battaglia, ma il loro capo è riuscita a fuggire, e ha portato con sé la
duchessa. I nostri uomini l’hanno inseguita, per riportare sua eccellenza a
casa sana e salva; il resto, lo sapete».
Louise stava per scoppiare a ridere.
Chi avrebbe mai creduto ad una simile vagonata
di fandonie? Del resto però, in quanto nobile fin dalla nascita, aveva imparato
che molto, troppo spesso in diplomazia e in politica la verità è un qualcosa
che si può creare ad arte, adattandola come fa più comodo, e poco importa che
ci si creda o meno; basta solo che sia verosimile.
Incredibilmente, Saito riuscì a prenderla in
controtempo; più passava il tempo, e più il suo sposo sembrava comprendere
sempre meglio il sottile gioco del potere, e i modi migliori per giocarlo.
«Loro hanno raccontato un’altra storia. Una
assai diversa.»
«Parole mendaci di chi è destinato alla forca.»
replicò Monroy senza tradire emozioni
«Forse. Ma perché dovremmo credere a voi,
allora?»
«Perché il mio signore è il sovrano di Laguiole unico e legittimo.» poi, il capitano ghignò
beffardo «Nonché comandante supremo dell’esercito della contea».
Saito e Louise strinsero entrambi le mani sui
braccioli della poltrona. Anche Kaoru digrignò i denti, e chiamò un servo.
«Fa preparare un cavallo.»
«Subito.»
«Capisco.» disse Louise «Credo di comprendere
il senso e la necessità delle vostre azioni.» poi anche lei piegò le
sopracciglia in un’espressione enigmatica «Tuttavia, nel caso in cui queste
ribelli fossero realmente qui, ed io mi rifiutassi di cederle in quanto
avrebbero chiesto asilo presso questa provincia, voi che cosa fareste?»
«Noi.» rispose tranquillamente Monroy «Per conto del nostro signore e del popolo tutto, ci
assicureremmo di garantire sempre e comunque il benessere di Laguiole».
Questa volta Kilyan,
anche lui presente, a perdere le staffe; anche molti altri si inalberarono, ma
lui fu l’unico che ebbe il coraggio di aprire bocca.
«Che cosa sarebbe questa!? Una minaccia!?»
«Capitano!» tuonò severo Saito azzittendolo,
poi si calmò e riprese a parlare «Purtroppo, mi spiace darvi una brutta
notizia. Le donne che cercate sono state effettivamente condotte al forte più
vicino per essere interrogate, ma sono riuscite a scappare durante la notte. Il
mio generale, che le aveva anche arrestate, mi ha già fatto rapporto».
Monroy non batté
ciglio, anche se lasciò trasparire un certo disappunto.
«Capisco. E ditemi, sapreste dirmi dove
potrebbero essersi dirette?»
«Purtroppo no. Le abbiamo perse quasi subito.
Ma potrebbero essere ancora in questa provincia. Abbiamo molti problemi in
questo momento e non ce ne siamo curati, ma se volete possiamo farle cercare.»
«No, non sarà necessario.»
«Come volete. Intanto, sarei felice di offrire
in ricevimento in onore dei buoni rapporti che spero instaureremo tra le nostre
due province.»
«Sfortunatamente, temo che dovremo declinare,
anche se la vostra offerta di lusinga enormemente. Anche Laguiole,
come potete facilmente attraversare, sta vivendo un periodo molto difficile.
Occorre riportare l’ordine, e c’è bisogno di tutto l’aiuto possibile.»
«In questo caso, è stato un piacere.»
«Anche per me, nobili signori».
Nell’istante in cui Monroy
si alzò in piedi i suoi occhi incrociarono quelli di Saito e Louise, che non
faticarono a leggervi dentro un’espressione enigmatica, ma sicuramente molto
minacciosa.
Poco
dopo la delegazione di Laguiole se ne andò come era
venuta, in pompa magna.
Saito, Louise e Kaoru stettero ad osservare
dalla balconata quella specie di parata che si rimetteva in marcia, e dopo poco
se ne tornarono dentro.
«Pensi che ci abbiano creduto?» domandò Louise
mentre camminavano
«Assolutamente no.» rispose Saito «Sanno bene
che loro sono qui. Questo incontro in realtà era un ultimatum.
Hanno detto, o ce le consegnate voi, o veniamo
a prendercele. E quello che è peggio, hanno voluto dimostrarci che hanno i
mezzi per poterlo fare.»
«Possono davvero farlo!? Possono prendere
questo castello!?»
«L’hai sentita anche tu Seena. Hanno un troll
da combattimento, e il cielo sa cos’altro. Possono spianare la città e questo
castello come e quando vogliono, e ci hanno tenuto a farcelo capire.»
«E allora cosa dovremmo fare? Cedere al loro
ricatto?».
Saito inchiodò di colpo, fermandosi e
guardando a terra; era un’opzione che non voleva neppure prendere in
considerazione.
«Kaoru, vorrei che tu tornassi immediatamente
a Fort Segoile. Prendi con te anche alcuni soldati di
rinforzo.»
«Sarà fatto».
Quindi Saito gli consegnò la penna magica.
«Se dovessero esserci problemi, avvisami con
questa. Cercherò di venire in tuo aiuto il prima possibile».
Dieci minuti dopo Kaoru stava già percorrendo
il ponte per tornare al confine alla testa di un paio di centinaia di uomini di
rinforzo alla guarnigione di trecento soldati che stazionava a Fort Segoile. Anche Kilyan era con
lui.
«Pensi che ci sarà un attacco?» domandò Louise
mentre guardavano il loro amico allontanarsi
«Di certo le ambizioni del duca non si fermano
solo a Laguiole, e finché Kiluka sarà viva il suo
dominio potrà sempre essere messo in discussione.
Bisogna solamente vedere quanto aspetterà
prima di mostrare le sue carte».
Per cercare di distrarsi un po’ e pensare ad
altro Louise si diresse ai giardini, dove era solita trascorrere un po’ di
tempo leggendo o semplicemente standosene seduta ad osservare le piante.
Quanto le mancava il giardino di Ornielle,
quel giardino che lei stessa aveva in gran parte seminato e fatto crescere un
poco per volta.
Chissà come stavano i suoi roseti, le sue
azalee, i suoi rampicanti, e i suoi alberi da frutto.
Da quando si era sposata, il mondo aveva
cominciato a cambiare ai suoi occhi; tutto aveva assunto un altro significato,
un cambiamento dettato in larga parte dall’aver preso consapevolezza del
proprio ruolo di moglie.
Tra lei e Saito le cose non erano poi cambiate
così tanto; semplicemente, era cambiato il modo di intendere il loro rapporto
insieme. Mettendo da parte il proprio egocentrismo e la propria vanagloria,
Louise aveva imparato che, qualche volta, era necessario per lei farsi da
parte, lasciando che fosse Saito a prendere le decisioni in quanto capofamiglia
e governatore.
Privatamente tutto era come un tempo, ma in
pubblico era necessario dare una immagine gerarchica del loro rapporto, se non
altro per dare adito a malevoci o dicerie dalle
conseguenze imprevedibili.
Louise si sedette all’ombra di un gazebo di
marmo, ma quasi subito si rese conto di essere troppo distratta e preoccupata
per riuscire a leggere.
Istintivamente si portò una mano sul ventre, e
le venne quasi da sorridere.
Quella notte si era svegliata di soprassalto,
e aveva sentito un po’ di nausea.
Forse era il segno che qualcosa si stava
muovendo.
Cominciò a fantasticare di come sarebbe stato
il loro figlio, o la loro figlia; avrebbe avuto sicuramente la schiettezza ed
il valore del padre, e l’ottusità e l’orgoglio della madre. Una combinazione
perfetta, che unita al sicuro bell’aspetto gli avrebbe permesso di fare strage
di cuori.
Louise stava quasi per appisolarsi, quando
avvertì un rumore e si accorse di non essere sola.
«Chi c’è?» domandò scattando in piedi.
Passò solo qualche secondo, e Kiluka comparve
da dietro un cespuglio.
«Louise onee-sama.»
«Kiluka. Che ci fai qui?»
«Volevo stare un po’ da sola. Seena è molto
gentile e protettiva, ma non mi lascia mai un secondo. Così, sono scappata».
Louise rise. Quella ragazzina le somigliava
incredibilmente; la stessa voglia di sentirsi libera, ma con un peso tremendo a
tarparle le ali.
Kiluka si sedette accanto a lei, e per lunghi
minuti stettero insieme ad osservare la fioritura lussureggiante di un roseto
lì vicino.
«Ho saputo quello che è successo.» disse ad un
certo punto la duchessa «Tutto questo è per colpamia.»
«Non devi dirlo neanche per scherzo!» rispose
severa Louise, guadagnandosi una occhiata perplessa «Tu non hai nessuna colpa.»
«Però… se mio zio
dovesse attaccarci…»
«Se dovesse attaccarci, gli risponderemo per
le rime. Credimi Kiluka, anche se tu tornassi da lui, questo non lo fermerebbe.
Non ha conquistato i possedimenti di tuo nonno per tenersi solo quelli. Lui vuole
di più, e che tu resti o meno non farebbe alcuna differenza.»
«Louise onee-sama».
Louise a quel punto si calmò e sorrise: le
sembrava quasi di essere già diventata mamma.
«Lo sai. Io conoscevo tuo nonno.»
«Davvero!?»
«Quando ero piccola, prima ancora che tu
nascessi, lui è venuto in visita da noi. Lui e mio padre erano grandi amici. L’ho
sempre trovato una persona simpatica e generosa. Pensa, quella volta mi ha
anche regalato delle caramelle alla liquirizia.»
«Le caramelle erano la sua passione.» osservò
divertita Kiluka «Ne aveva sempre le tasche piene. Ricordo che la nonna le
nascondeva perché non le mangiasse».
Il momento di serenità purtroppo passò presto,
schiacciato dalla consapevolezza che quel vecchio signore così gentile ormai
non c’era più. Kiluka minacciò di piangere nuovamente, ma Louise le asciugò
delicatamente le lacrime con un dito; in quelmomento, se qualcuno l’avesse vista, avrebbe pensato di avere di fronte
sua sorella Kattleya che l’acida ed egocentrica Louise
la Zero.
«Tuo nonno ci ha chiesto di proteggerti, e noi
la faremo. E quando verrà il momento, dovrai essere forte per poter prendere il
suo posto.»
«Louise onee-sama…».
Quasi avesse avuto di fronte la propria mamma,
quella mamma che non aveva mai visto né conosciuto, Kiluka si perse in un
amorevole abbraccio; in quel momento, promise a sé stessa che non avrebbe
pianto mai più, e che comunque fosse andata sarebbe sempre stata forte, sia per
sé stessa che per i suoi cari.
Kaoru
fece ritorno a Fort Segoile prima di sera, dando
subito disposizione perché fossero potenziati i turni di guardia e aumentata la
sorveglianza.
«Temete un attacco, generale?» gli chiese l’ufficiale
che aveva tenuto il comando in sua assenza, un nerboruto sergente maggiore sulla
quarantina di nome Potter
«Non lo temo, lo aspetto.» rispose secco Kaoru.
E invece, i giorni presero lentamente a
passare, senza che succedesse nulla.
Spie ed esploratori sorvegliavano
ininterrottamente la zona circostante, oltre ad alcune pattuglie che oltretutto
si adoperavano a fornire protezione ai villaggi più vicini al confine.
Il forte era stato costruito solo in tempi
recenti e godeva di un ottima posizione, in cima ad una collina brulla e con
una vasta pianura erbosa a circondarlo per almeno un chilometro.
Il problema era la foresta che veniva subito
dopo, molto fitta e sterminata, che se da una parte limitava i movimenti di
eventuali eserciti nemici dall’altra impediva anche di poterli scorgere con
largo anticipo. Kaoru avrebbe voluto farla abbattere, o quantomeno diradarla,
ma quando gli avevano detto che i villaggi tutto attorno vivevano di legnamene
e della caccia aveva deciso di ripensarci, optando invece per la costruzione di
una serie di torri perimetrali e rifugi segreti per sentinelle, questi ultimi
abilmente nascosti tra i rami e il fogliame per risultare quasi invisibili.
Le mura del forte non erano molto alte, ma
erano possenti e leggermente oblique, ideali a sopportare e respingere le
cannonate nemiche, e poteva contare su di una discreta batteria di cannoni di
media potenza.
I giorni divennero una settimana, durante la
quale tutto rimase calmo e tranquillo come sempre.
Una notte, Kaoru volle fare un ultimo giro d’ispezione
prima di andare a dormire; ormai era sveglio da quasi quarantotto ore, e
sentiva il bisogno di riposare un po’ gli occhi.
Si affacciò dal ballatoio a scrutare tutto
intorno; assolutamente nulla, a parte il silenzio della notte.
«Sembra tutto calmo, compare.» disse Derf
«Così sembra.»
«Chissà. Forse il compare si è sbagliato».
Anche Kaoru cominciò a quel punto a pensare
che fosse così, tanto che se ne andò a letto con l’animo leggermente più
sollevato.
«Ti passo il comando.» disse a Kilyan, venuto ad assumere le consegne «Svegliami se
succede qualcosa.»
«Sissignore.» rispose il ragazzo chiudendo la
porta della stanza «Buonanotte».
Il giovane prese quindi il comando e uscì in
cortile per fare il suo primo giro di controllo.
Fare la guardia notturna non era facile né piacevole,
e infatti sorprese subito una sentinella a pisolare in una delle torri di
sorveglianza, coperta dal suo compagno.
«Chiedo scusa, capitano!» disse quello
mettendosi sull’attenti
«Niente da segnalare?»
«No signore. Tutto tranquillo.» rispose l’altro.
Una dopo l’altra Kilyan
si passò tutte le postazioni lungo le mura a stella, incrociando di tanto in
tanto coppie di soldati di pattuglia sui camminamenti alla luce di una torcia.
Sembrava non esserci davvero nulla di strano o
di pericoloso, tanto che verso le due il capitano lasciò i camminamenti per
fare ritorno al posto di comando, in un casotto nei pressi dell’edificio
principale, dedicando la mezz’ora successiva alla stesura di una lettera da
spedire alla sua fidanzata, una dama di compagnia di una nobile famiglia della
Germania che aveva conosciuto qualche anno prima.
Era quasi sul punto di riuscire a trovare le
parole giuste, quando un soldato spalancò la porta facendolo quasi saltare
sulla sedia.
«Capitano. Alla torre dodici chiedono di voi.»
«Arrivo.» rispose lui dandosi una sistemata.
Con il soldato al seguito e armato di
cannocchiale Kilyan raggiunse la torre indicata e vi
salì, trovando ad attenderlo i due uomini di guardia.
«Che succede?»
«Ecco, ci è sembrato di vedere qualcosa.»
rispose uno
«Dove?»
«Venti gradi a sinistra. Distanza, circa
tremila metri. Per un attimo ci è parso di vedere come un bagliore».
Kilyan guardò
nella direzione indicata, ma non vide niente di insolito.
Le fronde degli alberi erano mosse da un vento
caldo e leggero, ma non si vedevano né luci né fuochi, né tantomeno segni della
presenza di qualcuno. Kiriya stava quasi per
convincersi di essere stato chiamato per nulla, quando, girando a destra e a
sinistra alla ricerca di qualche traccia, gli parve di notare a sua volta un
bagliore con la coda dell’occhio, senza tuttavia riuscire ad inquadrarlo.
A quel punto, cominciò a preoccuparsi.
Poteva trattarsi di cacciatori in giro la
notte e avvicinatisi troppo al forte, non sarebbe stata la prima volta, ma non
se la sentì di urlare il chi va là, perché a differenza del passato le cose erano
diverse. E poi, anche il fatto che le sentinelle nei boschi non mandassero
segnali cominciò ben presto a preoccuparlo, dato che erano state istruite a
comunicare qualsiasi evento accadesse sotto i loro occhi, anche il più
insignificante.
«Và a svegliare il generale.» disse al soldato
che aveva chiamato lui
«Sì, capitano».
Kaoru arrivò a tempo di record, anche perché si
era addormentato senza neanche togliersi i vestiti.
«Cosa c’è?».
Kilyan gli passò
il binocolo.
«Due gradi a sinistra. Nella foresta. Le guardie
dicono di aver visto qualcosa. E anche io ho avuto la stessa sensazione.»
«Cacciatori?»
«Non lo so. Ma le spie e le sentinelle non
hanno inviato segnali».
Anche Kaoru guardò in ogni direzione, ma a
differenza degli altri lui i bagliori li vide distintamente; e non uno, ma
almeno una decina, in rapida successione e accompagnati da strani rumori.
«A terra!» urlò afferrando per il collo Kilyan e gettandolo con naso sul pavimento.
Per fortuna la bordata risultò bassa, colpendo
i bastioni senza riuscire ad oltrepassarli, ma tutta quella sezione di mura tremò
come durante un terremoto.
Subito dopo la prima scarica, un intero
esercito nemico uscì dalla boscaglia lanciato verso il forte.
«Posto di combattimento! Posto di
combattimento!» gridò Erik alzandosi in piedi «Allarme generale!».
Le trombe risuonarono in tutto il forte
svegliando i soldati, che si catapultarono giù dalle brande e uscirono in
cortile armi alla mano, mettendosi agli ordini dei propri comandanti.
L’esercito di Laguiole,
perché di loro sicuramente si trattava, riuscì a percorrere più di metà della
strada tra la foresta e le mura prima che i difensori potessero raggiungere la
loro posizione.
«Cannoni fuori! Archibugieri sulle mura! Pronti
al fuoco!».
Finalmente, l’esercito di Grasse riuscì ad
opporsi all’assalto, mentre nel frattempo altre bordate si erano abbattute
sulle mura, risultando fortunatamente sempre e comunque troppo basse e troppo
potenti per poter essere pericolose.
A controllare l’andamento della battaglia, ben
nascosto tra il fogliame, c’era il duca Valat in
persona; al suo fianco, oltre al capitano Monroy,
anche la misteriosa donna incappucciata.
«Sarà una cosa breve.» commentò soddisfatto Monroy «Prima dell’alba, li avremo stanati».
Sulle mura, Kaoru cercava di direzionare il
corso della battaglia.
«Prendi il comando!» disse a Kilyan «Io torno subito!».
Rientrato nelle sue stanze, afferrò la penna
di Saito e vergò poche righe su di un foglio spiegazzato.
Allarme prioritario.
Attacco in corso a Fort Segoile.
Forze nemiche stimate, sessantamila.
Richiedo urgenti rinforzi.
Fatto
questo, tornò immediatamente al proprio posto sui bastioni, dove nel frattempo
avevano iniziato a fare la loro comparsa persino i draghi.
«Fai decollare i nostri draghi, presto!»
«Sì, generale!».
Fort Segoile
disponeva solo di quattro draghi del fuoco non troppo grandi, che furono fatti
immediatamente alzare in volo; il loro scopo però non era tanto quello di
abbattere i draghi nemici, in numero decisamente superiore per poter essere
affrontati ad armi pari, quanto piuttosto di attuare una strategia mordi e
fuggi che distraesse il nemico e distogliesse quanto più possibile la loro
attenzione dal colpire il forte.
Nella prima ora di battaglia, gli assediati
riuscirono a respingere due tentativi di assalto alle mura, costringendo i
nemici a rifugiarsi dietro a delle palizzate mobili per non finire investiti da
cannonate, proiettili e frecce. Tuttavia le bordate nemiche non cessarono in
momento, diventando sempre più precise; colpivano sempre nello stesso punto, così
da incrinare il più possibile mura, che prima o poi avrebbero finito per
crollare.
Kaoru si sentiva come un topo in gabbia.
Quel forte era come una prigione, dove
venivano attaccati senza sosta da tutte le direzioni, per terra e per aria; d’altra
parte però, circondati e sottonumero com’erano, tentare una sortita era un vero
suicidio.
«Compare, la situazione si fa brutta.»
commentò ad un certo punto Derf.
L’unica cosa da fare era aspettare l’arrivo
dei rinforzi, sperando di riuscire a resistere fino a quel momento e che il
nemico non si accorgesse del loro arrivo.
Quello che seguì fu un lungo e snervante
periodo di attesa.
Gli assedianti, ora che l’impeto iniziale era
stato fermato, se ne stavano a distanza, protetti dalle loro barriere mobili, avanzando
di tanto in tanto quando le bordate che arrivavano dalle retrovie costringevano
i difensori a rintanarsi, mentre le due batterie si scambiavano colpi senza
sosta nel tentativo di mettersi fuorigioco a vicenda.
In cielo, i draghi continuarono a darsi
battaglia per alcune ore, e i cavalieri di Grasse riuscirono anche ad
abbatterne alcuni, ma poi entrambe le parti dovettero ritirarsi perché ormai
gli animali erano esausti, e senza più una briciola di energia da imprimere
nelle loro fiammate.
Kaoru restava sui bastioni, gettando di tanto
in tanto lo sguardo oltre le mura per scoprire i movimenti del nemico e agire
di conseguenza, e intanto contava febbrilmente i minuti che mancavano all’arrivo
dei rinforzi.
Quello che non poteva immaginare era che
qualcuno fosse già penetrato nel forte, qualcuno non appartenente all’esercito
nemico ma che, inspiegabilmente, sembrava volerlo morto.
All’improvviso, due soldati che facevano la
ronda su di una parte di bastioni non soggetta ad attacchi vennero raggiunti e tramortiti
da un’ombra nera, che subito dopo prese a correre verso la parte opposta del
forte senza curarsi nemmeno di non essere vista e di agire furtivamente.
Un soldato che la vide diede immediatamente l’allarme.
«Nemici all’interno!» urlò, mettendo tutti sul
chi vive.
Kaoru ordinò che tutti restassero al proprio
posto e scese a controllare, e da un secondo all’altro si vide venire contro
una vecchia conoscenza che da già da qualche tempo non vedeva più, ma che non
aveva mai dimenticato.
Maschera di Ferro gli piombò addosso come un
angelo della morte, ma il ragazzo evitò l’affondo rotolando sul selciato e
sguainò la spada pronto a difendersi.
«Scusa, ma adesso non ho proprio tempo per
te!».
Ciò nonostante lo scontro ebbe luogo comunque,
e fu senza esclusione di colpi. Maschera di Ferro si rivelò ben presto un
avversario formidabile, agile e veloce come un maestro spadaccino, e dotato
della forza necessaria a portare colpi che avrebbero potuto trapassare anche un’armatura.
Kaoru riuscì ad evitare parecchi colpi, e
alcuni li portò lui stesso, ma i due avversari erano sostanzialmente in parità,
e nessuno dei due riusciva ad essere in grande vantaggio sull’altro.
Fiumi di soldati presero ad arrivare da tutte
le parti per dare man forte al loro generale, ma Maschera di Ferro riusciva a
difendersi senza troppi problemi anche in una situazione di dieci contro uno.
«No, fermi!» tentava di dire Kaoru «Non
lasciate le posizioni!».
All’esterno, i soldati di Laguiole
si erano accorti che doveva stare succedendo qualcosa all’interno del forte, perché
da dentro giungevano schiamazzi, urla e rumori di spari.
Dapprincipio si pensò ad una rivolta, poi al
fatto che qualche unità fosse riuscita a fare breccia, poi ancora all’intromissione
di una terza forza, magari qualcuno di qualche altra provincia vicina che
avendo constatato la situazione sperava di ricavarne un vantaggio personale.
Ciò nonostante, non si poteva certo ignorare
questa opportunità.
«Attacco frontale!» disse il duca «Prendiamo
quelle mura!».
A quel punto l’assalto riprese, e stavolta,
essendo impegnati anche a contrastare l’insidiosa ed inspiegabile venuta di
Maschera di Ferro, gli assediati opposero una resistenza molto inferiore, tanto
che il nemico riuscì a raggiungere le mura senza quasi subire perdite.
Usando corde, scale e rampini, i soldati di Laguiole riuscirono ben presto a scalare i bastioni di Fort
Segoile e a raggiungere i camminamenti, mentre una
bordata ben piazzata riuscì ad abbattere i portoni, aprendo la strada agli
assedianti che dilagarono all’interno del forte.
«Hanno fatto breccia!» urlò Kilyan «Soldati, pronti a respingere!».
Ebbe quindi inizio un sanguinoso e violento
scontro corpo a corpo, e nonostante la loro superiore abilità le forze di
Grasse si ritrovarono ben presto messe all’angolo dalla schiacciante differenza
numerica.
Per nulla toccato da quello che succedeva
intorno a lui, Maschera di Ferro continuò insistentemente a battersi contro
Kaoru, eliminando nel contempo tutto quelli che si paravano sulla sua strada,
fossero essi soldati di Grasse o di Laguiole.
Kaoru era sinceramente e positivamente colpito
dall’abilità del suo avversario, e se avesse potuto avrebbe continuato a
combattere lui anche per un giorno intero, ma non poteva certo permettersi di
perdere tempo mentre tutto attorno a lui i suoi uomini venivano massacrati.
Sfortunatamente il nemico non aveva nessuna
intenzione di lasciarlo in pace, e alla fine ci volle una connata giunta da
chissà dove per convincerlo ad allontanarsi.
Kaoru e tutti gli altri alzarono agli occhi al
cielo, solcato all’improvviso da una enorme flotta di navi dalle quali presero
a calarsi ininterrottamente centinaia di uomini di Grasse giunti in aiuto dei
loro compagni.
«I rinforzi! Sono arrivati i rinforzi!».
Guidava la flotta la nave ammiraglia di
Grasse, la White Dragon, a bordo della quale c’erano anche Saito e Louise.
«Scusa il ritardo!» esclamò Louise sporgendosi
dal parapetto «Abbiamo fatto il più in fretta possibile!»
«Fuoco!» disse Joanne «E attenti a dove
sparate!».
Dalle navi presero a giungere bordate, frecce
e incantesimi che piovvero sui nemici come una tempesta mortale, dando nuova
linfa alla riscossa degli assediati.
Dal canto suo, Maschera di Ferro continuò
ostinatamente a confrontarsi con Kaoru ancora per qualche minuto, fino a quando
Saito non saltò giù dalla nave tenendosi ad una cima e raggiunse l’amico per
dargli man forte nello scontro.
«Si può sapere chi diavolo sei tu?» chiese
Saito al misterioso nemico.
Nei giorni che erano trascorsi, Kiluka e Seena
avevano raccontato a lui e a Louise di come fossero riuscite a salvarsi grazie
all’aiuto di Maschera di Ferro, ma quello che stava succedendo ora andava
contro ogni logica; perché Maschera di Ferro stava attaccando Kaoru, impegnato
a combattere contro coloro che lui stesso aveva combattuto solo fino a pochi
giorni prima?
Possibile che fosse passato dalla loro parte?
La cosa era di un’assurdità pazzesca, e
venirci a capo sembrava impossibile.
Quando sulla scena si presentarono anche
Joanne e Louise, Maschera di Ferro probabilmente si rese conto che le forze in
campo erano cambiare, e che pensare di vincere contro tutti quegli assi era una
cosa impensabile; per questo, rinfoderata la spada, velocemente se ne andò,
scomparendo nel mezzo della battaglia, e vani furono i tentativi di Saito e
Kaoru di fermarlo.
Intanto, il bombardamento ininterrotto della
flotta di Grasse, unito all’arrivo di una squadriglia di cavalieri dei draghi,
aveva ormai sfiancato il morale dei nemici, che alle prime luci dell’alba
presero a indietreggiare.
Nella boscaglia, Monroy
assisteva attonito alla fuga dei suoi soldati, e aveva dentro di sé tanta di
quella rabbia che si sarebbe mangiato le mani.
«Tornate a combattere, schifosi conigli!»
urlava ai soldati in rotta, ma era tutto inutile
«Lasci stare, capitano.» rispose invece il
duca, che al contrario si mostrava quieto e calmo come l’acqua di uno stagno
«Basta così.»
«Signore, possiamo ancora farcela. Abbiamo i
nostri troll.»
«Niente da fare. La loro flotta è arrivata,
mentre la nostra è ancora lontana. Non intendo rischiare i miei assi nella
manica in una situazione tanto incerta, e soprattutto contro un misero forte di
confine.» quindi guardò un momento la donna, che gli fece come un cenno di
assenso «Ritiriamoci».
Il capitano digrignò i denti per la rabbia, ma
non poté fare altro che obbedire.
«Suonare la ritirata!» ordinò al trombettiere.
Il suono delle trombe di Laguiole
salutò il sorgere del sole, e prima che la sua ascesa fosse del tutto
completata le truppe nemiche si erano già date alla fuga, tra le grida di
esultanza dei soldati e dei marinai di Grasse.
La prima, vera battaglia tra un esercito
guidato da Saito e Louise e una forza nemica era dunque vinta.
Saito si avvicinò a Kaoru, che si sorreggeva
sulla sua spada.
«Come stai? È tutto a posto?»
«Abbastanza.»
«Dunque…» disse
Louise «Abbiamo vinto?»
«No maestà.» rispose cupa Joanne «Temo proprio
di no.»
«Questo è stato solo un attacco dimostrativo,
temo.» osservò Kaoru
«Già.» disse Saito «Un modo in più per farci
capire che non stanno scherzando».
Tutti abbassarono gli occhi sconfortati.
«Quindi, adesso cosa succederà?» domandò
Louise
«Atto dimostrativo o no» disse Saito «Mi
sembra evidente che gli abbiamo inflitto una bella batosta. Con il colpo di
stato ancora fresco di attuazione e questa offensiva mancata, di sicuro il duca
Valat ci metterà un po’ a consolidare e stabilizzare
il suo dominio.
Detto in altri termini, per un po’ credo che
possiamo stare tranquilli.»
«Sì.» disse Joanne «Ma quanto durerà?».
Quella era la domanda a cui nessuno era in
grado di rispondere.
E poi, c’era anche la questione di Maschera di
Ferro.
Chi diavolo era quella specie di fantasma? Che
cosa voleva? Quale era il senso delle sue azioni?
Tra tutti, quello a cui queste domande
bruciavano di più era Kaoru. In entrambe le occasioni in cui si era battuto con
Maschera di Ferro aveva avvertito qualcosa, qualcosa di strano, e per certi
versi famigliare; inoltre, a differenza di quanto accaduto con molti altri suoi
amici, non era stato capace di vedere nei suoi occhi, e non certo per colpa
della maschera, cosa che lo inquietava ulteriormente.
Voleva assolutamente saperne di più sul suo
conto. Doveva sapere.
Nota dell’Autore
Eccomi qua, di nuovo
tra voi!^_^
Come vi avevo
preannunciato, questa è stata una settimana tremenda, assolutamente da
dimenticare, e pertanto non sono riuscito quasi mai a trovare il tempo per
scrivere in santa pace.
Il tempo in questione
ha cominciato ad arrivare seriamente solo ieri, e l’ho immediatamente
sfruttato, anche perché sapevo che questo capitolo, oltre che lungo, sarebbe
stato anche molto difficile da scrivere.
Vi preannuncio fin da
ora che tutti i capitoli in cui appariranno delle battaglie saranno piuttosto
prolissi, perché mi piace molto scrivere di queste cose, e anche se cerco di
trattenermi poi puntualmente mi faccio sempre prendere la mano.
Ecco, ho detto tutto.
Grazie ai miei
affezionati recensori.
Aspettatevi un nuovo
capitolo scioccante e sconvolgente! (e anche in tempi brevi, spero e credo)
Laguiole tentò un
altro paio di attacchi, tutti facilmente respinti, poi il conte Valat fu costretto a rinunciare a lanciare i suoi attacchi
lampo per risistemare la sua disastrata provincia, rivolgendo anche le proprie
ambizioni ad altre regioni più facilmente assoggettabili.
Per un po’, la vita a Grasse scorse
sostanzialmente tranquilla, tanto che Saito fece richiamare Kaoru a palazzo,
visto che per il momento la sua presenza al confine non sembrava necessaria.
Tuttavia, da qualche tempo, sembrava avere
altro per la testa, e non era solo un’impressione.
Kaoru infatti non aveva mai smesso di
interrogarsi sull’identità di Maschera di Ferro, e sul perché della strana
sensazione che aveva provato entrambe le volte in cui si erano affrontati. Per
questo, all’insaputa dei suoi stessi signori, aveva inviato una serie di
staffette in giro per tutte le province vicine nella speranza di stanare quella
specie di fantasma, che colpiva e spariva senza che nessuno riuscisse a
prenderlo né a vederlo in volto.
A quanto sembrava, Maschera di Ferro non si
era limitato solo al generale Deville; nell’ultima
settimana in particolare, aveva fatto rotolare più di qualche testa, quasi
sempre governatori di province o alti ufficiali dei loro eserciti, e le sue
azioni stavano cominciando a renderlo un bersaglio per molti, oltre che un nome
conosciuto ormai in tutta la nazione.
Inoltre, correva voce che facesse anche opere
di bene, come difendere villaggi da razzie e battaglie spregiudicate o regalare
denaro a destra e a sinistra a famiglie che avevano perso tutto a causa delle
guerre, cosa che ne stava facendo un vero paladino tra la gente comune.
Se non altro, il clima che si respirava nel
palazzo sembrava un po’ più calmo e rilassato del solito.
Louise e Saito avevano preso persino
l’abitudine di invitare alla loro tavola, oltre a Kiluka, anche Joanne, Seena e
Kaoru.
Sembrava di essere tornati ai tempi del loro
primo periodo di convivenza a De Ornielle, quando in casa c’era sempre
qualcuno, e non ci si sentiva mai soli.
L’atmosfera durante questi pranzi era molto
rilassata e tranquilla, e prendervi parte era un vero piacere.
Un pomeriggio, i sei amici stavano mangiando
insieme come al solito, nella grande sala da pranzo al pianterreno.
Era una situazione molto favorevole, così
Louise ne approfittò per esporre a Saito un’idea che aveva iniziato a frullarle
in testa già da un po’ di tempo.
«Una festa!?» disse Saito
«Sì. Una grande festa campestre. Stavo
pensando di organizzarne una.»
«Ad essere sincero, non credo che questo sia
il momento migliore.»
«Ti sbagli, è esattamente l’opposto. Ci sono
molti nobili più o meno importanti qui a Grasse, come in qualsiasi altra
provincia. La maggior parte di loro ci supporta e ci è amica, ma alcuni sono
ancora scettici circa la nostra posizione di governatori.
Un ricevimento sarebbe l’occasione giusta per
testimoniare a tutti la nostra buonafede, e dimostrare che intendiamo essere
dei buoni reggenti.»
«Non sembra affatto una cattiva idea.»
commentò Kiluka
«Stavo anche pensando che potremmo invitare
anche i nobili di altre province limitrofe.»
«Maestà, potrebbe essere pericoloso.» disse
Joanne «Far entrare gente che non conosciamo nel castello in questo modo.»
«Veramente, stavo pensando di organizzarla da
un’altra parte.»
«E dove?» chiese Seena
«Il generale Deville
aveva una villa di campagna non lontano da qui. Ci sono stata l’altro giorno.
Ha un bel giardino e un grande salone da ballo, e so che anche lui ci dava
spesso delle feste».
Saito posò la forchetta e si prese un momento
per riflettere.
In fin dei conti, non era poi un’idea così
malvagia. Invitando i nobili e i governatori delle province limitrofe, quelle
non belligeranti e disposte al dialogo, si sarebbe dato loro un segnale di
pacifica amicizia, che avrebbe permesso magari di stringere qualche alleanza.
Il ragazzo si girò verso Siesta, che stava ritirando
i piatti ormai vuoti.
«Si può fare?»
«Credo di sì.» rispose lei «Ho visto anch’io
il palazzo. Ha grandi cucine e molte stanze. L’ideale per cucinare per tante
persone e ospitare gli invitati per la notte.»
«Inoltre, so che ha anche un muro di cinta, ed
è facilmente difendibile.» disse Seena «Quindi, sarebbe anche sufficientemente
sicura.»
«E tu Kaoru? Tu cosa ne dici?».
Il generale restò un momento in silenzio,
quasi soprapensiero.
«Penso che di questi tempi, le amicizie sono
un bene prezioso. Meglio averne quante più possibile.»
«Anche questo è vero.» disse Saito, che quindi
sorrise e batté un momento le mani «D’accordo. Mi avete convinto. Daremo
l’incarico ad Auguste di organizzare tutto. Sono certo che sarà perfetto.»
«Certo che sarà perfetto.» disse Louise
baldanzosa «È stata una mia idea».
Quasi per un segno del destino, proprio in
quel momento Auguste bussò alla porta.
«Chiedo scusa, signori. C’è un ospite che
desidera incontrarvi.»
«Di chi si tratta?» chiese Louise
«Un tale signor Colbert.»
«Il professore è qui!?» disse Saito «Fatelo
passare.»
«Subito, signore».
Il professore si presentò in sala da pranzo
dopo qualche minuto; era sorridente come al solito, ma sembrava esserci un che
di preoccupazione nel suo sguardo.
«Felice di rivedervi, ragazzi. A quanto vedo,
vi siete sistemati bene.»
«È un piacere vederla qui, professore.» disse
Louise.
Joanne, a differenza degli altri, guardò molto
male il professore, che se ne accorse e distolse lo sguardo.
Anche lei, in quanto nuova seconda di Agnes,
conosceva bene i trascorsi di quell’uomo, e sapeva di cosa fosse responsabile.
A lei in particolare non aveva fatto nulla, ma essendo molto legata ad Agnes, e
per il suo carattere votato sinceramente alla vera giustizia, non aveva mai
potuto mandare giù il fatto che quell’uomo non avesse mai pagato per il crimine
commesso.
In linea teorica c’erano addirittura gli
estremi per la forca, ma ogni volta che Joanne aveva provato ad avviare
un’indagine era stata ostacolata, incredibile a dirsi, proprio da Agnes, che nel
tempo sembrava essersi lasciata alle spalle ogni sentimento di vendetta nei
confronti di quell’uomo.
Inoltre, a ben pensarci, non c’era niente che
potesse essere usato contro di lui; tutte le prove del suo coinvolgimento nel
caso di Dungletale erano andate in fumo nella
biblioteca dell’accademia o erano coperte da segreto di stato, e comunque si
trattava di un caso vecchio di vent’anni, al quale non importava più niente a
nessuno e che nessuno aveva interesse di andare a rivangare.
«La prego, professore. Si accomodi.» disse
Saito indicandogli uno scranno «Il cibo è ottimo.»
«Ti ringrazio, ma sono qui in missione.»
tagliò corto il professore, che poi si fece improvvisamente molto più serio
«Che è successo?» chiese allora Louise
«Mi manda il direttore Osmund.
Chiede di vedervi con la massima urgenza.»
«Perché? Che è accaduto?» domandò Saito
«Ormai è chiaro che il Paese è in piena guerra
civile. Credevamo di poter tenere l’accademia al riparo da tutto questo, ma la
verità è che al momento nessuno è al sicuro.
Non chiedetemi di cosa voglia parlarvi nello
specifico, perché non saprei rispondervi».
Saito e Louise si guardarono tra di loro, poi
entrambi si alzarono dai loro scranni.
«D’accordo, partiamo subito.» disse Saito
«Mi fa piacere.» rispose il professore
tornando a sorridere «Ho già preso accordi con Lord Venceny,
della provincia di Surbein. Ci lascerà passare dalle
sue terre senza problemi.»
«Faccio preparare subito una scorta.» disse
Joanne
«Non sarà necessario.» rispose calma Louise
«Lord Venceny è nostro amico, e il suo è l’unico
feudo che dobbiamo attraversare per arrivare all’accademia. Non ci saranno
problemi.»
«Però…»
«E comunque.» disse Saito «È opportuno che
qualcuno resti qui per garantire la sicurezza e amministrare la provincia».
Alla fine, Joanne si arrese.
Mezz’ora dopo, Saito e Louise avevano fatto
preparare il loro calesse ed erano pronti a partire; il professor Colbert li aveva raggiunti a cavallo, ma dietro insistenza
dei suoi studenti preferiti accettò di salire in carrozza assieme a loro.
«Posso venire anch’io?» domandò Kiluka «Ho
sempre sognato di visitare l’accademia.»
«È pericoloso per te uscire dal castello.»
rispose dolcemente ma fermamente Louise «E comunque, non temere. Ci andrai
presto. Appena questa guerra sarà finita.»
«Sempre ammesso che finisca.» mugolò Kaoru tra
sé a voce bassissima.
A quel punto, Saito e Louise salirono in
carrozza.
«Lascio tutto nelle vostre mani.» disse Saito
a Joanne e Kaoru «Noi saremo di ritorno al massimo per domani pomeriggio.»
«Contate su di noi, mio signore.» rispose
rispettosamente Joanne.
La carrozza dopo poco partì, ma Joanne e Kaoru
non fecero neanche a tempo a rientrare nel palazzo che un soldato a cavallo li
raggiunge tutto trafelato.
«Capitano!» disse a Joanne «La guardia cittadina
è scesa in sciopero.»
«Che significa!? Il loro aiuto è
indispensabile!»
«Dicono di non aver ricevuto il loro ultimo
stipendio, e così hanno iniziato una protesta. Stanno cercando di convincere
anche i soldati di forza sulle mura ad aderire.»
«Quella massa di stupidi. Eppure gliel’avevo
spiegato che questo mese le paghe sarebbero arrivate in ritardo. Come se i
nostri forzieri traboccassero in questo periodo».
Di solito in casi simili si ricorreva alla
forza, ma Joanne decise che non era il caso di esasperare ulteriormente gli
animi; chiamò un servo e si fece portare il proprio cavallo, e subito dopo due
compagne la raggiunsero per farle da scorta.
«Io vado in città.» disse a Kaoru «Cercherò di
far ragionare quegli esagitati. Pensa tu al castello per un po’.»
«D’accordo». Tagliò corto lui.
Anche Joanne a quel punto se ne andò, e Kaoru
si ritrovò da solo. La giornata andava sempre meglio. Rimasto solo, il ragazzo
volle spendere un po’ di tempo in biblioteca a leggere.
Erano giorni che gli impegni ufficiali lo tenevano
occupato, e ora che la situazione sembrava abbastanza tranquilla voleva
approfittarne.
Invece, proprio quando era riuscito a
rilassarsi del tutto, un soldato si presentò in biblioteca.
«Mi perdoni, generale.»
«Che c’è?»
«Abbiamo appena ricevuto un messaggio da uno
degli esploratori. Pare che Maschera di Ferro sia stato trovato».
Nel sentire quel nome, il ragazzo scattò in
piedi.
«Dici sul serio!? E dove si trova?»
«Pare che sia stato visto aggirarsi tra le
macerie del vecchio villaggio di Dungletale, a est di
qui».
Senza perdere altro tempo Kaoru corse alle
scuderie e montò in groppa al suo cavallo.
«Avvisa Joanne, e digli dove sto andando.»
disse al soldato che lo aveva avvisato e che gli era andato dietro «Che mi
raggiunga appena possibile. E avvisate anche il lord di quella provincia che
transiterò dalle sue terre.»
«Sarà fatto, generale».
Siesta, intenta in quel momento a stendere il
bucato, vide Kaoru correre via dal castello attraverso il ponte mobile come se
avesse avuto un mostro alle calcagna.
«Kaoru…» disse.
Non sapeva perché, ma avvertiva una strana
sensazione, accompagnata da un senso di minaccia incombente.
Durante
il viaggio verso la scuola, l’argomento principale della discussione fu
ovviamente l’attentato in cui era morta la principessa Henrietta,
visto anche che il professor Colbert era appena
tornato dalla Gallia dove aveva condotto una approfondita indagine per ordine
di sua maestà la regina madre.
«Allora?» domandò ad un certo punto Saito,
proprio mentre lasciavano il feudo di Surbein per
entrare in quello amministrato dall’accademia «Ha scoperto qualcosa sull’attentato
all’Ostland?»
«Non molto, purtroppo.» rispose Colbert a capo chino «Tutto quello che siamo riusciti a
scoprire per ora è che ci sono state due distinte esplosioni.
La prima è avvenuta sul ponte, e in base alle
testimonianze di chi ha assistito all’incidente non è stata particolarmente
forte, infatti pare che la nave abbia continuato a navigare ancora per un po’;
tuttavia deve aver dato fuoco a molto materiale infiammabile, e in poco tempo
le fiamme devono aver raggiunto alcuni barili di polvere da sparo che si
trovavano nella stiva.»
«Ma non ha senso.» disse Louise
«Infatti. L’Ostland
non è stata concepita come una nave da guerra, e anche in base ai registri non
risulta essere stata imbarcata polvere da sparo.»
«Questo avvalora l’ipotesi dell’attentato.»
disse Saito
«Infatti. E c’è un’altra cosa che mi lascia
perplesso.»
«Che cosa!?»
«Tra le macerie abbiamo ritrovato dei resti di
armature che non appartengono al nostro esercito. Per essere sincero, non avevo
mai visto niente dal genere. Avevano una forma e un disegno completamente
sconosciuti.»
«Forse erano degli attentatori.»
«Probabile. E se così fosse, vuol dire che
sono rimasti uccisi dal loro stesso attentato.»
«E della principessa ha qualche notizia?»
domandò Louise preoccupata
«Abbiamo identificato alcuni corpi, quelli
conservatisi meglio, ma per ora ne abbiamo trovati solo di maschili.»
«Quindi, forse la principessa è
sopravvissuta!»
«Non saprei. Purtroppo, non siamo stati in
grado di stabilire se e quante scialuppe manchino ancora all’appello. Tabitha ha ordinato delle ricerche al tappeto in tutta la
regione. Se la principessa è viva, la troveranno di sicuro».
In quella, il calesse giunse alfine in vista
della scuola di magia.
Vedendola, Saito e Louise quasi si commossero;
quanto tempo era passato dall’ultima volta che ci avevano messo piede.
Sembrava solo ieri, quando Louise aveva
partecipato alla consegna dei diplomi ottenendo la certificazione di maga alla
presenza delle più alte cariche e della stessa principessa Henrietta.
Quando varcarono il cancello, però, si resero
subito conto di quanto la situazione fosse diversa rispetto a un tempo; gli
studenti e gli insegnanti erano stati rimpiazzati dai soldati, e l’atmosfera
gioiosa di un tempo era del tutto scomparsa.
Come raggiunsero l’ingresso venne loro
incontro un inserviente.
«Le mie scuse, signori.» disse «Il direttore
in questo momento è impegnato in un’altra discussione. Vi riceverà il prima
possibile.»
«Non fa niente.» disse Saito, che poi si
rivolse a Louise «Che ne dici? Andiamo a fare un giro?»
«Sì.» rispose lei quasi con esitazione.
Inevitabilmente, il primo ed unico posto dove
tornarono fu quella stanza letto dove avevano passato la maggior parte del loro
tempo, e dove erano accadute tante di quelle cose da non poterne tenere il
conto; sui muri, sul soffitto e sul pavimento erano ancora visibili i segni
delle esplosioni che Louise aveva rifilato al suo stupido cane per ogni sgarro
commesso.
«Quanti ricordi.» disse Saito poggiando la
mano sul tavolo.
Il suo sguardo cadde poi su quell’angolino ai
piedi del letto dove, all’inizio, si trovava la sua “cuccia”, e che la sua
schiena non aveva ancora dimenticato.
Era un’atmosfera troppo malinconica ed onirica
perché i due ragazzi non riuscissero a non ripensare a tutte le prove
affrontate, a tutto il tempo trascorso, e all’illusione che ciò che stavano
vivendo non fosse altro che un sogno, un incubo dal quale si sarebbero presto
risvegliati, trovandosi immersi nel solito, amorevole abbraccio in quel letto
soffice.
Si guardarono, stringendosi l’un l’altra.
«Saito…»
«Louise…».
Stavano quasi per baciarsi, quando il solito
inserviente spalancò la porta, cogliendoli quasi sul fatto.
«Il direttore può ricevervi adesso.»
«D’accordo, arriviamo.» rispose Saito cercando
di darsi un contegno.
Poco dopo, il direttore Osmund
accolse i due ragazzi nel proprio ufficio.
«Benvenuti, ragazzi miei.» disse invitandoli ad
accomodarsi
«È un piacere rivederla, direttore.» disse
Louise
«Mai quanto per me. Ho saputo che avete avuto
parecchie grane di recente.»
«Beh, sì.» rispose Saito «Abbastanza».
Osmund guardò in
basso preoccupato.
«Credetemi. Non avrei voluto coinvolgervi in
tutta questa faccenda. L’ultima cosa che voglio è dare problemi ai miei
studenti.
Ma questa, purtroppo, è una situazione davvero
difficile.»
«Ne siamo consapevoli.» disse Louise «Dica
pure.»
«Ciò che più mi preoccupa, in questo momento,
è Laguiole. Ogni giorno che passa, il duca Valat diventa sempre più forte, e molte delle province
limitrofe sono già cadute sotto il suo controllo.
Ho saputo che state anche offrendo asilo alla
duchessa Kiluka, e che per questo avete anche subito un attacco.»
«Non dipende dalla duchessa.» tagliò corto
Saito «Anche se lei non ci fosse, ci avrebbero attaccati comunque. Come ha
puntualizzato lei, Valat aspira solo e unicamente a
ottenere il controllo della nazione.»
«È così. Come anche molti altri nobili di
tutto il Paese. Nel sud, ad esempio, Lord Santin sta assoggettando una
provincia dopo l’altra, e molti altri governatori per paura gli hanno già
giurato obbedienza.
Io ho sperato fino all’ultimo di tenere l’accademia
lontana da tutto questo, ma al punto in cui siamo temo sia ormai impossibile. Per
questo ho voluto rivolgermi a voi.»
«Che cosa vuole che facciamo?» domandò Louise
«Sia inteso, non posso chiedere un’alleanza né
altro. L’accademia deve restare il più possibile al di fuori di qualsiasi
questione politica. Quello che vi propongo è un tacito accordo di reciproco
supporto.
Tutto quello che vi chiedo è di darmi una mano
se un domani qualcuno tentasse di profanare l’inviolabilità di questa scuola.»
«Perché lo sta chiedendo a noi?» chiese Saito
«Molti degli studenti più facoltosi provengono
da province distanti e periferiche, mentre molti altri hanno dei genitori dei
quali ho sempre diffidato. Non mi sentirei tranquillo ad affidare l’incolumità
di questa scuola a gente del genere.
Voi d’altra parte risiedete qui vicino, e non
c’è nessuno di cui mi fidi più di voi.
So bene che è una cosa riprovevole, ma vi
prego di comprendere che agisco solo nel bene di questa scuola».
Louise e Saito si guardarono e sorrisero.
«Direttore, non c’era neanche bisogno che
chiedesse.» disse Saito «Così come cerchiamo di proteggere Tristain dai suoi
stessi governanti corrotti, e ovvio che proteggeremo anche quest’accademia.»
«Dunque, voi…» disse
Osmund ad occhi sbarrati
«Può contare sul nostro aiuto.» disse Louise
«Vi ringrazio, ragazzi. Avete già fatto tanto
per noi, e ora fate anche questo. L’accademia avrà un debito eterno nei vostri
riguardi.»
«Non lo dica neanche per scherzo.» disse Saito
«Anche a noi sta molto a cuore la sorte di questo posto.»
«Molto bene. Allora, in questo caso,
permettetemi di offrirvi una cena come si deve. Non posso garantirvi i livelli
di una volta, ma anche il nostro nuovo cuoco si difende bene».
Il
vecchio villaggio di Dungletale si trovava nel feudo
di Surbein, lo stesso che Louise e Saito avevano
attraversato per andare all’accademia, ma un po’ fuorimano rispetto alle strade
più frequentate.
Kaoru ci arrivò a metà pomeriggio, quando il
sole aveva ormai cominciato a scendere sotto l’orizzonte. Il ragazzo sapeva già
cosa fosse successo in passato in quel luogo, ci aveva letto alcuni libri, ma trovandosi
di fronte quel macabro spettacolo un brivido lo attraversò in tutto il corpo.
Del vecchio agglomerato urbano non restavano
ormai che cumoli di macerie annerite dal fumo e dalle fiamme, immersi in una
bassa vallata; tutti gli edifici erano crollati, qualcuno del tutto qualcuno
solo in parte, e il muschio e la boscaglia si erano ormai impadroniti dei
ruderi, mentre sul terreno ancora si vedevano della cenere e della fuliggine, a
riprova di quanto quell’incendio fosse stato spaventoso.
Kaoru provò subito una sensazione strana ed
opprimente come mise piede nel villaggio; anche il suo cavallo sembrava
nervoso, tanto che dovette abbandonarlo in periferia legandolo ad un albero per
poi proseguire a piedi.
Regnava un silenzio spettrale e raggelante. L’unico
rumore che si sentiva era il gracchiare dei corvi; probabilmente si erano
ingozzati per così tanto tempo dei corpi carbonizzati degli abitanti che quel
posto aveva lasciato loro un così bel ricordo da spingerli a tornarci di continuo,
nella speranza una nuova abbuffata.
«Mio Dio.» disse aggirandosi tra i ruderi «Che
uomo è uno che ha potuto fare una cosa simile?»
«Credimi, amico mio.» disse Derf, che invece conosceva la vera storia «A volte la
verità è molto più complessa di quanto possa apparire.»
«Io di vero vedo solo quest’orrore».
Kaoru sentiva di aver sempre convissuto con la
dura realtà della guerra, ma una cosa del genere era troppo perfino per lui. Sembrava
quasi di sentire ancora le grida, i pianti, i lamenti, e l’insopportabile odore
del fumo e della carne bruciata.
Quale scopo poteva giustificare un massacro
del genere? Persino chiamarlo il Massacro di Dungletale
sembrava riduttivo.
Improvvisamente, sentì un rumore, ricordandosi
di colpo il motivo per il quale era venuto fin lì, e sguainata la spada si
appiattì contro un muro, gettando uno sguardo dall’altra parte.
Maschera di Ferro era lì, proprio come gli era
stato detto, seduto in terra con la schiena appoggiata quanto restava di un
muro angolare, le gambe inarcate e le braccia buttate sulle ginocchia.
Sembrava quasi che dormisse, o che fosse
soprapensiero.
Accanto a lui c’era un cavallo, nero come il
carbone, il suo senza dubbio, che brucava la poca erba presente in quella
distesa di fuliggine e cenere.
Perché Maschera di Ferro usava come covo un
posto simile?
Che fosse un abitante scampato al massacro di
venti anni prima? Poteva essere, e così si spiegava anche il motivo per il
quale si accaniva contro i nobili.
Kaoru si perse a tal punto a fare congetture
dal dimenticare di prestare attenzione a ciò che gli accadeva intorno; il muro
al quale era appoggiato non era molto solido, piegato com’era dal tempo e dalla
muffa, e quando non fu più in grado di sopportare il suo peso inevitabilmente
crollò. Lui riuscì ad evitare di cadere, ma il suo nascondiglio scomparve d’un
tratto, per non parlare del baccano assordante che fece scattare sull’attenti
Maschera di Ferro.
I due avversari si ritrovarono così, per l’ennesima
volta, l’uno di fronte all’altro, ma stavolta era Kaoru il primo a voler combattere.
A prescindere dal fatto che potesse avere o meno qualcosa a che fare con la sua
amnesia e la sua vera identità, e che avesse aiutato loro o Kiluka, Maschera di
Ferro aveva pur sempre tentato di fare del male a Saito, Louise e Siesta, oltre
che a lui personalmente, e quindi andava fermato.
Entrambi sguainarono le spade, e come il
silenzio tutto attorno venne rotto dal rumore di un sasso che cadeva a terra
corsero l’uno contro l’altro prendendo a duellare.
Come sempre Maschera di Ferro si rivelò un combattente
eccezionale, tanto che Kaoru si trovò più volte messo in difficoltà; c’era poi
anche il fatto che Kaoru non voleva uccidere il suo nemico, perché altrimenti
addio risposte, mente al contrario Maschera di Ferro non sembrava volersi porre
alcun limite.
Ma non era solo per quello.
Da quando aveva messo piede tra le macerie di Dungletale Kaoru aveva iniziato ad avvertire uno strano
malessere, come una specie di formicolio accompagnato da un fischio nelle
orecchie, e più il tempo passava più quella sensazione si faceva forte, al
punto che gli pareva quasi di avvertire delle voci nella propria testa.
Inevitabilmente, Maschera di Ferro si portò
ben presto in netto vantaggio, ma Kaoru non voleva saperne di arrendersi e
continuava a combattere cercando di ignorare il fastidio, che stava diventando
vero e proprio dolore.
Con la forza della disperazione Kaoru riuscì a
tenere testa al suo nemico, e ad un certo punto, sfruttando una sua
distrazione, persino a portarsi in vantaggio.
Poi, accadde una cosa incredibile.
Tentando di portare un fendente, Maschera di
Ferro si sbilanciò eccessivamente in avanti, Kaoru schivò e rispose con un
affondo alla spalla. Il nemico se ne avvide in tempo e riuscì a schivare, ma la
punta della lama recise uno dei cordoncini della maschera.
Maschera di Ferro si allontanò spiccando un
salto, e dando prova una volta di più delle sue abilità fuori dal comune, ma
quando tornò a terra la maschera si staccò mettendone a nudo i lineamenti;
subito si coprì il volto con una mano, ma nonostante ciò Kaoru riuscì comunque
a riconoscerlo, restando letteralmente di sasso. Non aveva mai visto quella
faccia prima d’ora, ma sapeva chi fosse.
«Tu… tu sei…» balbettò sconvolto
«Non ci credo.» disse Derf.
Improvvisamente, Maschera di Ferro sembrò
perdere la testa. Lanciato un urlo di rabbia alzò la spada, che fu circondata
da una specie di piccolo tornado che poi venne lanciato violentemente contro
Kaoru, raddoppiando la propria potenza.
Kaoru riuscì ad evitare di essere spazzato
via, ma gli finì parecchia cenere negl’occhi che lo accecò temporaneamente, e
quando fu in grado di vedere di nuovo Maschera di Ferro, col volto nuovamente
celato, era di nuovo in sella al suo cavallo e si era già dato alla fuga.
«Aspetta!» tentò di dire, ma fu inutile.
Rimasto solo, il ragazzo cadde sulle
ginocchia.
«Compare, và tutto bene?».
In realtà non andava affatto bene. Quella
sensazione si era ormai fatta autentico dolore, e ora che i suoi pensieri non
erano più rivolti al combattimento Kaoru lo sentiva in tutta la sua violenta
portata.
Strinse i denti, cercando di soffocare le
grida.
Quel fischio era talmente insopportabile che
avrebbe voluto strapparsi le orecchie, e la sua testa minacciava di scoppiare;
gli sembrava di sentire delle voci all’interno di quel suono, voci indistinguibili
e spaventose, che facevano gelare il sangue.
Anche l’atmosfera tutto intorno, tornato il
silenzio, sembrava essersi fatta improvvisamente molto più spaventosa; i muri e
le macerie sembravano tremare, e pareva quasi di vedere delle ombre scure
muoversi in tutte le direzioni, scomparendo e riapparendo in continuazione.
«Che cos’è?» disse «Basta…Basta…Smettetela… Non ce
la faccio più… Basta!».
Kaoru lanciò un urlo terrificante, tenendosi
la testa con tale forza da dare l’idea che volesse staccarsela; i suoi occhi si
erano fatti bianchi come quelli di un morto.
«Compare?» gridò Derf
spaventato «Che ti succede? Compare?».
D’un tratto Derf
ebbe come la sensazione di venire risucchiato via, come una presenza minacciosa
sembrasse volerlo trascinare a fondo perché non potesse comunicare col ragazzo.
A terra, poco lontano, c’era un uccellino,
rimasto rintronato a causa del vortice prodotto da Maschera di Ferro ma in
procinto di riprendersi. Agitandosi e dimenandosi come un pazzo, Kaoru lo
toccò, permettendo a Derf di entrarci e di spiccare
il volo per correre in cerca di aiuto.
Kaoru, rimasto da solo, continuò a dimenarsi e
ad urlare per quasi un minuto, per poi crollare apparentemente svenuto tra le
macerie.
Qualche ora dopo, Joanne, alla guida di un
manipolo di moschettiere, arrivò al villaggio di Dungletale,
ma di Kaoru trovò soltanto il suo cavallo, legato ad un albero e apparentemente
terrorizzato.
«Deve essere ancora qua attorno.» disse la
giovane «Cercatelo!»
Verso
mezzanotte notte, mentre quasi tutti dormivano, un’ombra nera prese ad
aggirarsi come uno spettro per i corridoi della scuola, talmente silenzioso e
sfuggente da essere passata inosservata a tutte le guardie e i soldati.
Camminava lentamente, quasi scivolando sul
pavimento, con una postura leggermente ondeggiante.
Nello stesso momento, il professor Colbert era nel suo ufficio, e stava finendo di redigere il
rapporto sull’indagine all’Ostland che l’indomani
avrebbe portato personalmente al palazzo reale.
Da quando era stato nominato vicepreside aveva
ottenuto un proprio studio, proprio vicino a quello del direttore Osmund, quello dove si trovava in quel momento, anche se ogni
tanto gli piaceva tornare al suo vecchio seminterrato per dedicarsi ai suoi
studi e alla sua alchimia.
In particolare, passava molto del suo tempo a
studiare e analizzare alcuni oggetti che Saito gli aveva portato dal suo mondo,
oggetti affascinanti e straordinari che funzionavano grazie ad un cosa che
Saito aveva sempre chiamato elettricità, una specie di versione scientifica
della magia, che tutti potevano usare.
Era anche per questo che il mondo di Saito lo
affascinava tanto; perché non c’erano distinzioni, e perché tutti potevano
imparare a usare e sfruttare qualsiasi cosa semplicemente con lo studio e l’esperienza.
Il tipo di mondo che aveva sempre sognato.
Ad un certo punto, stanco e provato, si fermò
un momento, dandosi una stiracchiata e strofinandosi un momento gli occhi,
affaticati dal dover scrivere alla luce di poche candele.
Stava per rimettersi al lavoro quando udì la
porta aprirsi, ed alzato lo sguardo vide Kaoru in piedi davanti all’uscio.
«Ah, Kaoru-kun.»
disse alzandosi «Che cosa ci fai qui? Credevo fossi rimasto al castello».
Sorridendo come al suo solito si alzò,
avvicinandosi a lui; quel ragazzo era sempre stato un tipo introverso, ma ora
era anche più silenzioso del solito. Teneva perfino lo sguardo basso, quasi
avesse paura.
«C’è qualcosa che non và?» chiese ancora il
professore «Posso aiutarti?».
All’improvviso si udì un rumore, come un colpo
secco, e il sorriso sul volto di Colbert si tramutò
in una smorfia sofferente. Attonito, guardò in basso, scorgendo il pugnale del
comando simbolo del comandante dell’esercito di Grasse piantato nel suo fianco
fin quasi all’impugnatura.
«Ka… Kaoru… che cosa…».
A quel punto, il ragazzo alzò leggermente la
testa, e Colbert rimase sconvolto da ciò che vide: i
suoi occhi blu erano diventati rosso sangue, come rosse si erano fatte d’un
tratto anche le rune sulla sua mano. Anche la sua espressione si era fatta
piatta, priva di emozioni.
Il professore si guardò nuovamente la ferita,
e come Kaoru ritrasse il pugnale riuscì a malapena a fare qualche passo
indietro prima di cadere in ginocchio tenendosi il fianco.
Era dunque giunto il suo momento? La morte giustiziera
alla quale già una volta era ingiustamente scappato, era infine venuta ad
esigere il suo tributo?
Nota dell’Autore
Eccomi qua!^_^
Scusate l’aggiornamento
flash, ma avevo troppa voglia di scrivere questo capitolo, e probabilmente “qualcuno”
immagina anche il perché, e così mi ci sono messo per un giorno intero senza
sosta riuscendo a finirlo rapidamente.
Che dire, questo era
uno dei capitoli angolari, come chiamo quelli che creo nella mia mente fin da quando
inizio a progettare la storia, e attorno ai quali poi creo poco per volta tutto
il resto.
Per giovedì dovrei
poter aggiornare ancora, ma non datelo per scontato.
Grazie come sempre ai
miei recensori seldolce
e shawnfrost.
Saito
e Louise avevano ottenuto di poter passare la notte nella loro vecchia camera
da letto.
Erano andati a dormire piuttosto presto,
perché il giorno dopo volevano fare ritorno molto presto a Grasse per
organizzare la festa campestre.
Durante la cena avevano parlato della loro
idea anche al direttore, che l’aveva considerata una gran bella iniziativa per
stringere amicizie importanti e aveva assicurato la presenza propria e del
professor Colbert.
Era stata anche scelta la data, due domeniche
avanti quel giorno, un tempo più che sufficiente per allestire ogni cosa.
Avrebbero voluto fare qualcosa di “speciale”,
per celebrare quella circostanza così particolare, ma erano così stanchi per il
lungo viaggio che avevano finito per addormentarsi quasi subito.
Avevano lasciato la finestra aperta, visto che
il caldo di fine estate non accennava a diminuire, e fu da quella finestra che
all’improvviso entrò un piccolo passero, che subito prese a cinguettare a tutto
spiano girando attorno al letto senza come una scheggia impazzita.
«Che succede?» domandò Saito svegliandosi.
Louise tentò dapprima di coprirsi la testa con
il cuscino, ma poi si accorse anche lei che quel passero si comportava in modo
strano.
Come la prima volta Derf
non fu in grado di farsi capire, ma prendendo a volare sopra la spada di Saito
che il ragazzo aveva lasciata appoggiata ad una sedia riuscì finalmente a far
capire chi fosse.
«Derf, che ci fai
qui?» disse Saito tirandosi su dal letto «È successo qualcosa di grave».
Derf temeva di
sì.
Voleva tanto sbagliarsi, ma per qualche motivo
aveva una tremenda sensazione; proprio per quel motivo aveva voluto volare fino
alla scuola, piuttosto che verso il castello di Grasse. Perché temeva che fosse
proprio lì che il suo compare si trovasse. Era come se, ogni volta che erano
separati, un filo energetico gli permettesse di capire in ogni istante dove si
trovasse Kaoru.
Derf volò
verso la porta, per far capire di voler uscire, e i due ragazzi, messisi
qualcosa addosso, la spalancarono, prendendo a seguirlo. Seguendo quella specie
di richiamo Derf li condusse nella torre principale,
poi su per le scale,fino alla porta
aperta dello studio di Colbert.
Quando entrarono, ciò che videro li paralizzò
dalla paura.
Il professore era in ginocchio, la mano
sinistra sul fianco a stringere con forza una gran brutta ferita, l’espressione
dolorante e contratta e i denti stretti; davanti a lui, di spalle, Kaoru, con
in mano il suo pugnale coperto di sangue.
«Kaoru, che stai facendo?» gridò Saito
«Non avvicinatevi!» gridò il professore.
Saito però cercò subito di correre incontro a
Kaoru, per capire cosa gli stesse succedendo, ma il ragazzo si voltò e lo colpì
violentemente con un ceffone che lo buttò a terra.
Il professore capì che, in quelle condizioni,
Kaoru sarebbe stato capace di attaccare chiunque, e visto che il suo obiettivo
era proprio lui decise di provare a portarlo altrove, per evitare che ferisse
qualcun altro.
Raccolto il suo bastone magico, Colbert si
gettò contro la finestra e si gettò di sotto fracassando il vetro, usando
successivamente la propria magia per atterrare incolume nel giardino; le
guardie ed i soldati di ronda erano stati tutti stesi, e alcuni erano anche
feriti.
Colbert cauterizzò sommariamente la propria
ferita, poi cercò di prestare soccorso ad alcuni di loro.
Intanto, Kaoru sembrò abboccare all’esca;
lasciati perdere Louise e Saito, infatti, saltò anche lui giù dalla finestra,
scivolando placidamente ed elegantemente nell’aria come un bravo stregone
avrebbe saputo fare.
Il problema era che lui non era uno stregone,
e Colbert, che credeva di avere a disposizione qualche minuto, osservò la scena
impietrito.
«Ma che sta succedendo!?» esclamò
«Presto, dobbiamo raggiungerlo!» disse Saito
correndo fuori dall’ufficio
«Sì.» rispose Louise ancora molto scossa.
Nel giardino, il professore tentò di nuovo di
portare Kaoru dove non potesse ferire nessun altro, ma stavolta il giovane fu
molto più rapido di lui e gli fu addosso, sguainando la spada e menando un
fendente con la chiara intenzione di uccidere.
C’era qualcosa di molto strano nei suoi
movimenti; erano sì aggraziati e precisi, ma sembravano stranamente meccanici,
come di chi non riesce a controllare del tutto i propri movimenti, o è mosso da
una volontà altrui.
Colbert ne dedusse subito che Kaoru doveva
essere sotto l’effetto di una qualche ipnosi, quindi prima di morire doveva
fare qualcosa per liberarlo.
Non avrebbe mai voluto fare nuovamente ricorso
alla sua magia offensiva; dopo lo scontro con Menbil
che gli era quasi costato la vita, aveva promesso a sé stesso di non usare mai
più la magia come un’arma. Ma ancora una volta, come già accaduto con Agnes,
c’era di mezzo la vita di qualcun altro, qualcuno che non aveva colpa, e che
doveva essere salvato.
«Non ho altra scelta.» disse impugnando il
bastone.
Nel mentre, anche Saito e Louise erano
arrivati in giardino.
«Kaoru, smettila!» continuava ad urlare Saito
tentando di far ragionare l’amico.
Sfortunatamente, Colbert aveva bisogno di
tempo per creare un attacco di fuoco forte abbastanza da essere efficace e
sufficientemente moderato da non risultare letale, e a differenza di quel
sadico di Menbil Kaoru, per quanto ipnotizzato, tutto
era meno che uno sprovveduto.
Quasi accortosi di quello che l’avversario
aveva in mente, gli corse incontro a spada tratta, talmente veloce che il
professore quasi non lo vide arrivare. Tutto quello che poté fare fu creare uno
scudo, che si sollevò appena in tempo per salvarlo dal fendente del ragazzo;
l’urto fu molto violento, generando anche un’onda rovente che avrebbe costretto
chiunque se non altro ad esitare.
Invece, Kaoru continuò ad insistere, riuscendo
infine ad incrinare la barriera, che implose violentemente scaricando la sua
energia su Colbert, il quale volò via come un fuscello rotolando a lungo
sull’erba.
A quel punto Saito non ci vide più, e mise
mano alla spada.
«Adesso basta, Kaoru!» urlò andandogli contro
«Saito!» gridò Louise.
Il suo intento non era uccidere, ma
semplicemente cercare di calmare l’amico per capire cosa gli fosse preso.
Purtroppo, non aveva fatto i conti con l’abisso che c’era tra loro in fatto di
abilità; Kaoru si volse, schivò un paio di colpi e poi afferrò Saito per il
collo, stringendolo con la forza di una morsa e sollevandolo di peso da terra.
Fu solo a quel punto che Saito, lottando per
cercare di liberarsi, si accorse dell’espressione negli occhi dell’amico,
fattisi color sangue; gli parve perfino di scorgervi dentro qualcosa, come un
mare di facce urlanti che lo terrorizzarono a morte, ma doveva pur sempre cercare
di liberarsi, perché altrimenti era sicuro che Kaoru lo avrebbe strangolato.
Non avrebbe mai voluto fare una cosa del
genere, ma usando le poche forze che gli restavano sollevò la spada e la piantò
di qualche centimetro nella gamba di Kaoru; il ragazzo esitò, allentando la
presa quel tanto da permettere a Saito di liberarsi, ma il giovane Hiraga non era neanche tornato del tutto a terra che un
calcio spaventoso lo scagliò via, lasciandolo a terra semisvenuto.
«Saito!» urlò Louise.
Per fortuna, l’iniziativa di Saito aveva dato
al professore il tempo di preparare il proprio incantesimo, che ora era pronto
ad essere lanciato. Colbert alzò il suo bastone, circondato da un alone
azzurrognolo.
DIRK NATUARPH!
Subito,
un mare di fiamme circondò Kaoru, che non poté fare niente per difendersi.
Erano fiamme speciali; il loro effetti in termini di danni fisici era piuttosto
irrisorio, ma avevano il potere di danneggiare chi controllava la mente di
qualcun altro tramite il legame che questi instaurava con la sua vittima.
Chiunque stesse controllando Kaoru, non
avrebbe potuto resistere ad un simile colpo alla propria forza vitale, e
avrebbe dovuto per forza di cose cessare il controllo per non impazzire.
Kaoru non urlò né diede segno di subire in
alcun modo l’attacco del professore, e quando le fiamme si spensero era ancora
lì, la gambe piantate a terra e lo sguardo basso; i suoi abiti ed il suo corpo
fumavano, ma non c’era segno di ustioni o altro.
A quel punto, e dopo aver speso tutte quelle
energie per l’incantesimo, Colbert sentì nuovamente gli effetti della ferita, e
cadde nuovamente in ginocchio tenendosi il fianco.
«Professore!» disse Louise correndo da lui.
Saito invece, con molta circospezione, prese
ad avvicinarsi a Kaoru, che continuava a restare immobile e in silenzio come
una statua.
«Fermo, aspetta!» gridò all’improvviso Colbert
«Sta lontano da lui!»
«Perché, che succede?».
Il problema era che Kaoru, se fosse stato
davvero liberato dall’influenza di chi lo controllava, sarebbe dovuto crollare
a terra svenuto, invece era ancora apparentemente cosciente; probabilmente chi
lo stava manovrando era stato indebolito, ma non sconfitto.
«Temo che la possessione non sia ancora stata
spezzata» disse il direttore Osmund comparendo nel
cortile da un momento all’altro «Ma adesso, forse, potremo scoprire di chi o
cosa si tratta».
E infatti, d’improvviso, il corpo di Kaoru
venne avvolto da un tenue alone color sangue, mentre strane voci presero a
risuonare tutto intorno; sembravano provenire direttamente da dentro il ragazzo,
ed erano così spaventose da far gelare il sangue nelle vene.
«Fa caldo – Ho paura – Brucia – Mamma –
Aiuto».
Tutti sgranarono gli occhi, poi Kaoru lanciò
un urlo, e il bagliore che lo circondava si tramutò in un gigantesco
contorcersi di facce urlanti, volti demoniaci, mani e braccia sproporzionati,
che si agitavano e si contorcevano emergendo dalla luce seguitando ad urlare e
a lanciare i loro lamenti.
«Mio Dio!» esclamò Louise
«È spaventoso…»
disse attonito Saito
«Questo…» balbettò Osmund «È un Sentimento Persistente!»
«E che cosa sarebbe?»
«Un Sentimento Persistente è un concentrato di
emozioni ed energia che una persona lascia dietro di sé quando muore di morte
violenta.» disse Louise
«Una specie di fantasma, quindi.»
«I sentimenti persistenti sopravvivono fino a
quando l’energia che li ha generati non si esaurisce. Ma non ho mai sentito che
potessero arrivare a possedere qualcuno».
Colbert era sconvolto, e guardava quella massa
informe come lo spettro che era.
Ora tutto acquistava un senso.
Quello era senza dubbio il Sentimento
Persistente degli antichi abitanti di Dungletale, gli
stessi che lui aveva ucciso vent’anni prima, e che ora, brucianti di odio e
rabbia, erano venuti a reclamare la loro vendetta.
Erano tutti talmente sconvolti che restarono immobili
senza fare niente, fino a quando quelle facce vennero come risucchiate da un
vortice e sparirono assieme all’alone luminoso; a quel punto, Kaoru riaprì gli
occhi, nuovamente iniettati di sangue, e strinse forte l’impugnatura della
spada.
«Che cosa possiamo fare per liberarlo?»
domandò Saito
«Io… io non lo so.»
rispose il professore con gli occhi ancora pietrificati.
Di nuovo, il ragazzo si scagliò contro
Colbert, che venne difeso a spada tratta da Saito, che stavolta oppose una più
fiera resistenza e riuscì anche a portare anche qualche buon affondo.
Ma fu tutto inutile, perché ben presto la
bilancia tornò a pendere dalla parte opposta, e Kaoru minacciò di infliggere a
Saito un colpo mortale; il ragazzo tentò di fermare un fendente dall’alto con
la propria spada, ma Kaoru inflisse tanta di quella forza nel colpo che la lama
di Saito si spaccò. Fortunatamente l’urto deviò la traiettoria dell’arma
nemica, ma Saito ne uscì con una brutta ferita ad un braccio.
Vedendo il suo sposo cadere in ginocchio, inerme
e indifeso, Louise non ci vide più.
«Kaoru, ora basta!» esclamò, e lanciò sul
ragazzo l’incantesimo Explosion più potente che
potesse permettersi, riuscendo nel contempo a circoscriverlo perché non
danneggiasse anche Saito, che all’ultimo raccolse le sue poche forze per
gettarsi all’indietro.
Passarono alcuni secondi, durante i quali vi
fu il più totale ed agghiacciante silenzio, ma quando la polvere si posò Kaoru
era ancora lì; i vestiti erano in parte la lacerati e aveva qualche ferita, ma
era ancora sorprendentemente in piedi, e in grado di combattere.
«Non posso crederci.» disse Colbert «Un colpo
del genere avrebbe abbattuto chiunque».
Purtroppo, l’attacco portato da Louise, e che
le era costato quasi tutte le sue forze, ebbe l’ulteriore effetto di far
dirottare su di lei l’attenzione di Kaoru, che assunta una posa minacciosa fece
per correrle contro.
Il direttore Osmund
però prese l’iniziativa, ed alzato il suo bastone generò una gabbia di vento
tutto attorno al ragazzo per impedirgli di muoversi; nuovamente, Kaoru spostò
la propria attenzione da un bersaglio all’altro, e liberatosi senza quasi
nessuna fatica semplicemente agitando la spada volò letteralmente incontro al
direttore e con una mano gli afferrò la faccia.
Osmund ebbe a
malapena il tempo di sentire la stretta del ragazzo sulla sua pelle, che subito
dopo si ritrovò come paralizzato; il bastone magico gli cadde dalle mani, e lui
cominciò a sentirsi sempre più stanco ed impotente, come se la vita gli stesse
venendo letteralmente risucchiata via.
“Non… non riesco a
muovermi.” pensò con gli occhi sbarrati “Allora…
allora è vero. Non… non posso crederci. Se… se ne avessi le forze…riderei…».
Louise e Colbert, l’una affianco all’altro,
assistevano impotenti, tanto provati ed esausti erano, e non capivano come mai
il professore non cercasse in alcun modo di liberarsi da quella stretta
all’apparenza così banale.
«Fermati, Kaoru!» urlò invece Saito tentando
un ultimo, disperato attacco.
Colto di sorpresa, il ragazzo dovette lasciare
la presa e allontanarsi; il direttore Osmund rantolò
sull’erba esausto, tossendo con forza come se fosse stato sul punto di
soffocare, e Saito si frappose tra lui e Kaoru.
«Direttore, sta bene?»
«No, Saito! Stagli lontano!»
«Che vuole dire!?».
Il direttore si morse la lingua; non voleva né
poteva dire loro quello che ormai considerava una certezza, ma d’altra parte
non poteva permettere ai suoi ragazzi di rischiare la vita.
Anche Colbert aveva capito, e voleva che la
cosa finisse il prima possibile, prima che qualcuno si facesse male sul serio.
E poi, era lui la causa di quello che stava
succedendo; lui aveva generato quel sentimento persistente traboccante di odio,
e lui doveva esorcizzarlo.
«Miss Valliére.»
disse ad un certo punto «Ha ancora la forza di usare la magia?»
«Che cosa vuole fare?» chiese lei preoccupata.
Colbert allora si alzò in piedi.
«Quando glielo dico, lanci l’incantesimo Dispel su Kaoru».
Intanto, Saito era stato nuovamente messo al
tappeto, e stavolta Kaoru, raggiuntolo, aveva piantato la spada a terra e messo
mano al pugnale. Il professore a quel punto si preparò; era giunto finalmente
il momento di espiare i propri peccati e fare ammenda.
«Mi raccomando, abbiamo solo una possibilità!»
«Aspetti, che cosa vuole fare?».
A quel punto Colbert corse verso Kaoru
gridando con tutta la sua voce; con un piccolo globo di fuoco catalizzò la sua
attenzione, e prima che il ragazzo potesse fare qualcosa gli saltò addosso.
«Eccomi qua! Sono io colui che vi ha generato!
Se è il mio sangue che volete, prendetevelo! Prendetevi la vostra vendetta, ma
lasciate stare questi ragazzi! Il vostro nemico sono io!».
Detto questo, strinse forte la mano armata di
Kaoru, rivolgendo il pugnale verso di sé e spingendo con forza in direzione del
suo occhio destro; tutti assistettero impotenti alla vista del professor
Colbert che, dopo essersi trafitto, lanciò un terrificante ed angosciante urlo
di dolore, allontanando immediatamente la lama e portandosi entrambe le mani
sul volto coperto di sangue.
«Professore!» esclamò Saito
«Professor Colbert!».
Di fronte a quella vista, le labbra di Kaoru
si piegarono in un’espressione sgomenta, e una lacrima comparve nei suoi occhi
insanguinati. Passarono pochi istanti, poi tutto attorno a lui tornò a
comparire quell’alone sinistro, la manifestazione fisica del Sentimento
Persistente.
«Miss Valliére,
ora!».
Louise era ancora sconvolta da quello che
aveva visto, ma raccolto tutto il proprio autocontrollo ed il proprio potere
residuo lanciò l’incantesimo Dispel contro Kaoru; il
ragazzo si ritrovò circondato da un nuovo bagliore, che rapidamente, mentre lui
urlava dal dolore, si sostituì a quello color vermiglio, che di nuovo uscì
violentemente fuori per poi dissolversi nel nulla.
A quel punto Kaoru, liberato dal Sentimento
Persistente, cadde a terra svenuto, finalmente libero; era stanco e provato, ma
stava bene.
«Sembra che ce l’abbiamo fatta.» disse il
direttore.
Saito e Louise corsero immediatamente in
soccorso del professor Colbert, ancora inginocchiato a terra con la mano sull’occhio
che lui stesso si era trafitto e portato via per fare ammenda delle proprie
colpe e spingere il Sentimento Persistente ad allentare la sua presa su Kaoru,
permettendo a Louise di disperderlo.
«Dobbiamo trovare subito in medico!» disse
Saito
«Direttore, c’è un mago dell’acqua?»
«Lasciate… lasciate
stare.» rispose Colbert quasi sorridendo «Va bene così…»
«Ma, professore…»
«Per troppo tempo mi sono tenuto tutto dentro,
illudendomi di poter cancellare quello che avevo fatto semplicemente cambiando
vita. Questa ferita servirà a ricordarmi sempre la gravità del mio errore, e la
vastità del mio peccato.
Ho generato io quel Sentimento Persistente,
con la mia condotta scellerata, ed giusto che paghi per quello che ho fatto, se
non con la morte almeno con un piccolo sacrificio.»
«Professore…» disse
Louise.
Dopo poco, Kaoru riprese i sensi; era molto
stanco e provato, nonché terribilmente scosso.
«Che… che cosa è
successo?» disse strofinandosi la testa.
Accanto a lui c’era il direttore, che curò le
sue ferite e lo aiutò a rimetterlo in piedi, ma che poi lo guardò in un modo
terribilmente enigmatico, quasi minaccioso.
«Tranquillo, ragazzo. È tutto finito».
La
mattina dopo, più presto di quanto preventivato, Louise e Saito si prepararono
a fare rientro a Grasse.
Anche Kaoru era con loro, ed era già a bordo
della carrozza, muto come un pesce e con l’espressione decisamente contrariata.
Non doveva essere facile per uno come lui
accettare l’idea di essere stato manipolato come una specie di burattino, per
non parlare del fatto che in quelle condizioni aveva finito per fare del male
alle persone che teoricamente avrebbe dovuto proteggere.
«Dai, non fare quella faccia.» disse Saito
dall’esterno della carrozza «Non hai niente di cui vergognarti.»
«Lasciatelo in pace.» disse il professor
Colbert, venuto a salutare i due ragazzi all’ingresso della scuola.
Durante la notte il personale medico aveva
curato la sua ferita, ed ora aveva due strati di bende a coprirgli l’occhio che
ormai aveva perduto; ma nonostante ciò, sorrideva come sempre.
«È sicuro della sua scelta, professore?»
chiese Louise
«Sicurissimo. Questa ferita sarà per me un
monito costante a non commettere altri errori, e anche un modo per ricordarmi
sempre cosa ho fatto.»
«Però…»
«Và bene così. State tranquilli.»
«Ancora non riesco a capire come sia stato
possibile. Sapevo che i Sentimenti Persistenti possono manifestarsi attraverso
gli esseri umani, però…»
«Non c’è niente di cui preoccuparsi.» rispose
il direttore, guadagnandosi una occhiata perplessa da parte di Colbert
«Probabilmente, il vostro amico è solo una persona molto sensibile. È già
capitato che un sentimento persistente dalla grande forza arrivasse a possedere
materialmente il proprio medium. Certo, il fatto che Kaoru non sia un mago è di
per sé curioso, ma a parte questo non è poi un evento così sensazionale.»
«Allora.» disse Saito tentando di riportare il
buonumore «Vi aspettiamo domenica prossima alla nostra festa campestre.»
«Ci saremo di sicuro.» rispose il direttore
«Cibo e belle donne. Per quale motivo non dovrei esserci?».
Tutti risero alla battuta, e dopo poco i
ragazzi se ne andarono.
Come furono rimasti soli, e mentre osservavano
la carrozza che si allontanava, il direttore e Colbert smisero subito di
sorridere, facendosi al contrario terribilmente cupi.
«Alla fine, non glielo ha detto.» disse il
professore
«È naturale. Come potevo dire loro una cosa
nella quale persino io mi rifiuto di credere?».
Nel frattempo, mentre viaggiavano verso casa,
Kaoru e Louise cercarono di farsi raccontare da Kaoru cosa fosse successo, ma
li attendeva una brutta sorpresa.
«Davvero non ricordi niente?» disse Saito
«È così. Tutto quello che mi ricordo è che sono
andato a Dungletale perché laggiù era stata avvistata
la Maschera di Ferro. So per certo che l’ho trovato, e che ci siamo anche
battuti, ma di quello che è successo in quel villaggio non ricordo quasi
nulla.»
«E tu Derf?» chiese
Louise
«Idem come sopra. Come vi ho già spiegato, io
e il mio compare siamo legati da una sorta di coscienza comune. Di conseguenza,
la sua amnesia è anche la mia. Mi dispiace.»
«Capisco. Ad ogni modo, tutto si è risolto
bene.» disse Saito
«Non proprio.» replicò Louise con finta
severità «Hai detto di essere andato a Dungletale. Ma
non ti avevamo forse ordinato di badare al castello?».
Kaoru abbassò gli occhi e strinse i denti.
«Aspetta che torniamo a Grasse. Forse qualche
notte di ronda e un paio di frustate ti aiuteranno a ricordare il tuo posto».
Louise voleva fare la severa, ma la verità era
che era molto felice di sapere che il suo nuovo stupido cane stava bene;
proprio come era accaduto con Saito, anche Kaoru ormai era come se fosse una
parte di lei, e saperlo in pericolo la faceva stare sempre in ansia.
Per una volta, invece, tutto era finito per il
meglio.
Ora, tutto quello al quale bisognava pensare
era la festa campestre.
Nota dell’Autore
Salve a tutti!^_^
Questo ritardo ha
quasi dell’osceno.
E il peggio è che
questa settimana non sono andato all’università neanche un giorno, mentre al
contrario la prossima dovrò andarci per forza sia mercoledì che venerdì; che
poi tradotto sarebbe, stavolta dovrei metterci per forza una settimana per
aggiornare.
Tralasciando questo (e
le tesina che ho fin sopra i capelli), questo capitolo, piuttosto breve, è
stato invece molto difficile da scrivere, se non altro per la paura di risultare
ripetitivo visto che si trattava di un capitolo tutto di combattimenti.
Col prossimo si torna
a parlare di complotti e macchinazioni, e il povero Saito riscoprirà un “caro”
amico del passato chiamato frusta!^_^
La
residenza di campagna di Nancy era un palazzo a tre ali disposte a C immerso
nella campagna del sud di Grasse.
Tutto attorno all’edificio sorgeva un vasto
cortile, con fontane, viali alberati, comodi e piacevoli sentieri ed anche un piccolo
laghetto, il tutto delimitato da un’alta e robusta cancellata in ferro con un
solo ingresso.
L’orgoglio e il vanto del palazzo era il suo
immenso salone da ballo, che occupava quasi per intero l’ala orientale, così
grande da poter ospitare diverse centinaia di persone, con le pareti tappezzate
di affreschi e quadri preziosi e una stupenda volta dalla quale pendevano
lampadari di cristallo illuminati dalla magia.
Saito, vedendolo, disse che gli ricordava il
palazzo del Louvre, dove era stata da piccolo coi suoi genitori durante un
lungo viaggio attraverso l’Europa durato un’intera estate.
Erano passate ormai quasi due settimane
dall’incidente alla scuola, e quasi tutto era ormai pronto per la grande festa
campestre che si sarebbe tenuta il giorno successivo.
Saito e Louise, scortati come sempre da
Joanne, erano andati a Nancy per supervisionare le ultime fasi
dell’allestimento.
Il giardino pullulava di tavoli che al momento
opportuno sarebbero stati riempiti con le migliori pietanze cucinate da cuochi arruolati
appositamente per l’occasione, camere e stanze erano state rimesse a nuovo per
ospitare gli invitati che si sarebbero fermati per la notte e il salone era
limpido come uno specchio.
Anche per la musica non ci sarebbero stati
problemi; Tabitha era stata invitata, ma pur non
potendo essere presente per impegni di stato aveva inviato come segno di
partecipazione la migliore orchestra di Gallia, che avrebbe allietato e fatto
danzare gli ospiti per tutta la sera.
Come ciliegina sulla torta, in un magazzino
del palazzo era stato trovato il necessario per costruire semplici ma molto
divertenti giostre in legno, ideali per i bambini ma anche per gli adulti che
avessero voluto divertirsi in modo particolare.
E poi fuochi d’artificio, camerieri,
intrattenitori e figuranti.
Auguste e Siesta erano gli affidatari
dell’allestimento, e già una settimana sostavano permanentemente a Nancy per
occuparsi di ogni cosa.
Come Saito e Louise arrivarono, Auguste fece
fare loro un rapido giro del castello, per far vedere che tutto era ormai
pronto.
«Alla fine, ci siamo.» disse Saito al termine
del giro
«Sarà davvero una festa stupenda.» disse
Louise osservando come il giardino era stato superbamente preparato «Avete
fatto davvero un ottimo lavoro.»
«Era mio dovere.» rispose rispettosamente
Auguste «State tranquilla, mia signora. Tutto sarà svolto nel migliore dei
modi.»
«E gli inviti?» chiese Saito rivolto a Joanne
«Sono già stati tutti spediti, e abbiamo già
ricevuto le risposte. Quasi tutte le personalità invitate saranno presenti. Ci
sarà anche una delegazione di cittadini selezionati tramite un sorteggio, come
da Voi richiesto.»
«Non vogliamo che questa festa sia vista
semplicemente come un modo per buttare soldi al vento sulle spalle della povera
gente.» disse Louise «Per questo abbiamo invitato anche dei cittadini comuni. E
dopodomani, a Grasse, organizzeremo un festino per la festa del patrono, al
quale saranno tutti invitati.»
«Gli inviti sono segnati e numerati.» proseguì
Joanne «Sarà impossibile per chiunque entrare con un invito falso, e i
controlli al cancello saranno serrati. Inoltre, una divisione di uomini
sorveglierà il perimetro esterno, mentre della sicurezza interna si occuperanno
le mie moschettiere guidate dal generale Kaoru.»
«Alla fine la regina non verrà, vero?»
commentò Saito
«Era scontato.» rispose Louise «Le abbiamo
mandato l’invito per puro dovere di cortesia, ma sapevamo che non sarebbe
venuta. Se avesse accettato e si fosse presentata, avrebbe dato adito a
supposizioni e false accuse.
Ma ci ha inviato doni e alcuni dei suoi cuochi
personali, quindi si può dire che, in un certo qual modo, ci ha dato la sua
benedizione.»
«Lo credo anch’io».
Louise guardò poi verso il cielo, tinto di un
bell’azzurro pastello e attraversato da qualche innocua nuvola bianca.
«Anche il tempo vuole esserci amico. Le
previsioni dicono che domani dovrebbe essere una stupenda giornata.»
«Speriamo che sia così.» rispose Saito «Non
credo che i nostri ospiti sarebbero felici di una festa campestre sotto la
pioggia».
Quello che né Saito, né Louise, né nessun
altro dei presenti potevano sapere era che qualcuno, nascosto come un’ombra tra
gli alberi che stavano oltre la cancellata, con un rudimentale binocolo aveva
assistito all’intera scena.
Si trattava di un esploratore, uno dei tanti
che il duca Valat aveva inviato a spiare le mosse dei
suoi vicini, il quale prima di sera fu nuovamente al cospetto del suo signore
nel palazzo di Laguiole, proprio nell’ufficio che
fino a poco tempo prima apparteneva al precedente signore, e che il duca invece
aveva fatto suo.
Con lui, come sempre, anche la misteriosa
donna incappucciata.
«Una festa, eh?» disse il duca quando gli fu
spiegata ogni cosa «Ecco cosa stavano preparando quei due ragazzini. E io che
mi preoccupavo di un eventuale attacco».
In altri tempi avrebbe approfittato subito
della situazione per muovere guerra, ma le province del nord che aveva da poco
sottomesso seguitavano a scalpitare, e prima di annetterne altre era necessario
portare l’ordine. Però, era comunque un’occasione troppo ghiotta per
lasciarsela sfuggire.
«È una bella opportunità.» disse la donna «Non
credete anche voi, duca? Fuori da quel castello, Lord Hiraga
e sua moglie sono una preda facile.»
«Forse.» rispose Valat
dopo averci riflettuto un momento «Però c’è questa faccenda degli inviti.
Inoltre la sorveglianza sarà molto stretta.»
«Di questo mi occuperò io. Ho già in mente
un’idea.»
«D’accordo. Hai la mia autorizzazione. Agisci
come meglio credi».
La donna piegò le labbra in un malevolo
sorriso.
«Contate su di me, duca Valat».
Il
giorno dopo, tutto era pronto per accogliere gli ospiti, e dare il via alla
festa più sontuosa che Tristein avesse mai visto da
molto tempo a quella parte.
Come previsto era una splendida giornata,
c’era un bel sole non troppo caldo e tirava una piacevole brezza.
Saito per l’occasione aveva tirato fuori dalla
naftalina il vestito del suo matrimonio, di sicuro il più bello e sontuoso che
avesse; convinto da Louise, aveva persino messo alla cintura lo spadino
cesellato e tempestato di pietre preziose, dono di nozze di Henrietta.
Si trattava di un dono personale, fatto confidenzialmente e del quale nessuno
sapeva nulla, quindi non c’era rischio di poter dare adito a dicerie e false
accuse; per lo stesso, in tutto il palazzo e il giardino, nessuna traccia di
stemmi, bandiere o stendardi di qualunque tipo, nemmeno quelli del crisantemo
scudato; niente di quella festa avrebbe dovuto essere usato a pretesto dai
detrattori per gettare fango sulla famiglia Hiraga.
Louise si presentò nel salone poco dopo il suo
sposo, con indosso il suo abito bianco, i capelli elegantemente raccolti e un
po’ di trucco ad ingentilirne i lineamenti. Vedendola, Saito arrossì
violentemente, e non riuscì a non tornare con la memoria al giorno in cui
l’aveva sposata; oggi come ieri, la sua bellezza era senza pari. Al suo fianco
Siesta, anche lei rimessa a nuovo con un abito prestatole dalla sua padrona,
alla quale, almeno per quel giorno, avrebbe fatto da personale dama di
compagnia, invece che da semplice cameriera.
Verso le undici giunse la carrozza che
trasportava dal castello Kaoru, rinchiuso di malavoglia in una uniforme da
ufficiale, e Kiluka; ormai che la famiglia Hiraga
avesse offerto asilo alla legittima erede di Laguiole
era un fatto risaputo, e visto che il duca Valat non
compariva tra gli invitati la posizione di Grasse era chiara, nonché simile a
quella di molti altri governatori delle province vicine.
«Stai benissimo.» commentò Louise vedendo
Kaoru
«Mi sento stupido.» rispose lui sistemandosi
un po’ quella divisa grigio fumo con tanto di mostrine, spalline e ghirigori
vari.
Vedendolo, Siesta arrossì visibilmente, e
distolse lo sguardo per non darlo a vedere.
Saito e Louise volevano che Kaoru si godesse
la festa come tutti gli altri, ma lui aveva insistito per occuparsi della
sicurezza; una sorta di espiazione per quello che era successo alla scuola.
I primi ad arrivare, poco dopo, furono proprio
il direttore Osmund e il professor Colbert; c’era
anche la professoressa Chevreuse, con il suo solito
cappellone da maga e la sua aria da bonacciona. Da qualche mese non insegnava
più all’accademia, avendo preferito una vita da insegnante privata per stare
più vicino ai figli. La ferita all’occhio di Colbert era ormai guarita, e il
professore aveva sostituito le garze con una benda; per le occasioni speciali
però, come quella ad esempio, preferiva indossare un occhio finto, per non
impressionare o spaventare chi gli stava intorno.
«A quanto pare siamo arrivati per primi.»
osservò Colbert.
Saito e Louise andarono ad accoglierli.
«Benvenuti a Nancy.» disse Saito
«Vi siete sistemati davvero molto bene,
ragazzi.» disse Osmund «I miei più vivi complimenti
per la scelta del posto.»
«Non esiste la tranquillità a Tristania.» osservò la professoressa «Non una tranquillità
come questa.»
«È sorpresa?» rispose Colbert quasi con
sarcasmo «Che si stia meglio lontani dalla capitale?»
«Nell’attesa che arrivino gli altri ospiti,
accomodatevi pure.» disse Saito «Abbiamo fatto preparare camere private per
tutti voi. E poi, naturalmente, ci sono cibo, vino e anche qualche sigaro, se
volete favorire.»
«Non c’è dubbio.» disse il direttore, gettando
nel contempo uno sguardo alla gonna di Louise «Questa sarà davvero una gran
bella festa».
Tra
gli invitati al ricevimento nella nuova residenza estiva degli Hiraga c’era la nobildonna VeroniqueTallien, contessa di Shapré,
uno dei tanti nobili che popolavano il feudo di Grasse e che con il cambio di
potere avevano giurato fedeltà ai nuovi governatori.
Donna strana, questa Tallien;
la sua fama di seduttrice era cosa assai nota, e nei suoi brevi ventinove anni
si era già portata a letto alcuni degli uomini più potenti non solo di
Tristain, ma di tutta Halkengina, tra i quali,
dicevano certe malelingue, anche il compianto re. Di certo c’era che era ancora
celibe, e che in casa sua era un continuo andirivieni di uomini nobili e non
alla ricerca di un po’ di distrazione dalla solita vita matrimoniale.
Non era molto ricca, ma per quale motivo,
forse per i doni generosi dei suoi molti amanti, il denaro non le mancava mai,
abbastanza da potersi permettere una carrozza con rifiniture d’oro e una coppia
di cavalli bianchi di Romalia da cinquecentomila
fiorini l’uno.
Feste come quella erano il suo pane, ed era
più che felice che finalmente ne fosse stata organizzata una dopo tutto quel
tempo, tanto che non vedeva l’ora di arrivare.
Quando mancava poco per la villa di Nancy, la
carrozza della contessa incontrò un imprevisto; un grosso carro si era
ribaltato nel bel mezzo della strada bloccando il passaggio, e non sembrava
esserci verso alcuno di riuscire a spostarlo.
«Avanti, datevi una mossa!» prese a sbraitare
il cocchiere, che poi scese per dare a sua volta una mano a muovere il carro
assieme al lacchè.
All’interno della carrozza, la contessa era
intenta a farsi aria con il suo ventaglio per cercare di lenire il caldo
opprimente. Fu tutta questione di un istante; sinuosa e velocissima, una figura
ammantata di scuro entrò dal finestrino aperto, e in un secondo al contessa si
ritrovò con una mano sulla bocca e un coltello alla gola.
«Non alzare la voce. Un fiato e sei morta».
Poco dopo, il carro venne finalmente spostato
dalla strada, il cocchiere ed il lacchè risalirono a bordo e la carrozza
riprese il suo viaggio, arrivando dopo una ventina di minuti ai cancelli di
Nancy.
I soldati la fermarono, così come fermavano
tutte le altre carrozze, ed una guardia si avvicinò al portello.
«Qualcosa non và, signora guardia?» chiese la
bellissima donna all’interno
«Può mostrarmi il suo invito, per cortesia?»
«Ma certamente.» rispose lei esibendo porgendo
un cartoncino tutto colorato e ben scritto.
La guardia lo prese e le lesse.
«È l’invito numero 460, a nome della Contessa Veronique de Shapré».
La guardia col registro confermò il numero e
l’identità dell’invitata.
«Vi prego di scusarmi. Benvenuta, contessa.»
«Di nulla. Ha fatto solo il suo dovere».
Il cancello venne spalancato e la carrozza
entrò nel giardino, che nel frattempo si era riempito di innumerevoli volti
illustri. Gli ospiti, una volta messa a proprio agio, furono invitati a servirsi
immediatamente al buffet allestito in cortile, non prima però di aver resto i
propri omaggi ai gentili organizzatori della festa.
«Davvero una bella residenza.» disse lord Venceny, un simpatico e arzillo sessantenne ormai amico
consolidato dei due ragazzi «Di un’epoca lontana e molto elegante. Davvero
un’ottima scelta.»
«Troppo buono, lord Venceny.»
disse Saito, che sapendolo una buona forchetta lo invitò a servirsi «Si serva
pure. C’è tutto quello che può desiderare. Salsicce di campagna di Germania, arrosti
e stufati di Albion e ottimo pesce di Romalia.»
«Non me lo faccio ripetere due volte».
Poi, nel mare di ospiti, Louise riconobbe
qualcuno di famigliare.
«Cattnee-sama!» disse correndo incontro alla sorella
«Come stai, piccola Louise?».
Cattleya era accompagnata
ovviamente da suo marito Lucas, che andò a stringere la mano a Saito.
«Devo ammetterlo, non ti avrei creduto capace
di arrivare così lontano. Hai fatto davvero un ottimo lavoro.»
«Ti ringrazio, Lucas».
Al ricevimento era presente anche la famiglia
Vallière al gran completo.
«Caro genero!» disse il padre, un uomo che nel
tempo Saito aveva imparato a conoscere e dal quale farsi apprezzare «Hai
superato tutte le mie più rosee aspettative.»
«Devo ammettere che all’inizio ero un po’
scettica sul tuo conto.» disse la madre «Ma ora ho la certezza di aver dato mia
figlia in sposa all’uomo migliore che potesse trovare.»
«Le vostre parole mi rincuorano, e vi sono
molto grado».
Elèonore sembrava
un pesce fuor d’acqua, e non faceva che sbuffare; vedere entrambe le sue
sorelle con i loro mariti sottobraccio era una pugnalata alla schiena.
«E così.» disse maliziosa Louise all’indirizzo
della sorella «Alla fine tu sei l’unica di noi ad essere rimasta zitella.»
«Hai voglia di litigare, chibi-Louise!?».
Poi, alla presenza dei due ragazzi si presentò
una giovane e bellissima donna coi capelli castani elegantemente raccolti, gli
occhi verde brillante e un vestito bianco e rosso; Saito, davanti a tutto quel
fascino, arrossì, mentre Louise al contrario distolse lo sguardo con evidente
disappunto.
«Io sono la contessa Veronique
de Shapré, miei signori.» disse chinando il capo «E
voglio ringraziarvi per avermi gentilmente e cortesemente invitato a questo
ricevimento.»
«Di… di niente…» balbettò Saito
«Ero ansiosa di fare la vostra conoscenza,
Lord Hiraga.» disse allora la donna «Mi ero sempre
domandata che aspetto aveste, dato che per anni si è parlato così tanto di lei
e delle sue imprese.
Alquanto formale, devo ammettere.»
«Dite davvero!?» rispose lui sorridendo e
passandosi una mano dietro la testa.
Louise era sempre più contrariata.
«Se volete scusarci, contessa.» disse
afferrando letteralmente il sposo e trascinandolo via «Andiamo a controllare
che tutto sia apposto».
La contessa non replicò, e stette ad osservare
i due ragazzi che sparivano tra la folla.
«Ma che ti è preso, Louise?» chiese Saito
mentre veniva tirato appresso dalla moglie
«Non sai chi è quella donna? Quella specie di
pantera ha mandato all’aria il cielo sa quanti matrimoni. È una procacciatrice
di uomini di prima categoria, e ha più amanti lei che tutte le altre donne di
Tristain messe insieme.
Ti avverto, Saito. Se ti becco accanto a lei,
tirerò fuori dal cassetto la frusta delle occasioni speciali, mi sono
spiegata?»
«Però… è pur sempre
un’ospite…»
«Mi sono spiegata?» ripeté lei mettendo mano
alla bacchetta
«Sì, sì! Tutto chiaro! Chiarissimo!»
«Molto bene».
La
festa trascorse tranquillamente fino al calare del sole.
Furono organizzati giochi all’aperto, cacce al
tesoro e altre competizioni, tutte cose delle quale ricchi ed aristocratici non
erano mai stanchi, mentre cibo e vino scorrevano a fiumi.
A sera, il salone delle feste si illuminò a
giorno, l’orchestra prese a suonare e molti degli invitati si diedero al ballo
con le rispettive consorti. Tra loro, anche Saito e Louise, che ballavano
guardandosi vicendevolmente negli occhi e sorridendo felici.
Tutto stava andando nel migliore dei modi.
Durante la festa, avevano avuto modo di
parlare coi signori di molti feudi vicini e lontani, ricevendo la garanzia di
non nutrire alcun interesse espansionista, ma anzi di essere pronti a
supportare la famiglia Hiraga in qualsiasi momento ce
ne fosse stato bisogno, persino se si fosse trattato di aspirare al trono; era
tutta gente fedele alla famiglia reale, quindi la loro amicizia, oltre che
prevedibile, era anche molto importante.
All’esterno, gli altri ospiti continuavano ad
assaporare le portate sempre nuove, concedendosi di tanto in tanto un piacevole
e divertente giro in giostra o osservando i fuochi d’artificio che illuminavano
il cielo senza sosta.
Su tutti vigilavano senza sosta le
moschettiere e le altre guardie, e soprattutto Kaoru, che dall’inizio del
ricevimento non aveva toccato né cibo né vino, e che ormai, dopo un’intera
giornata, stava cominciando a sentire i morsi della fame.
Quindi, non fu del tutto dispiaciuto nel
vedere Siesta raggiungerlo ad un certo punto con in mano un vassoio contenente
un paio di panini e un bel bicchiere di acqua ghiacciata.
«Ho pensato che avresti potuto avere fame.»
«Ti ringrazio.» rispose lui senza fare troppe
storie.
Il ragazzo prese a mangiare, e Siesta, come
accadeva sempre, per un po’ non fu capace di aprire bocca.
«Và… và tutto bene?»
riuscì a dire ad un certo punto
«Abbastanza. Con tutta questa confusione, è
difficile essere vigili.»
«Ah…capisco…».
In realtà Siesta aveva fatto quella domanda
perché negli ultimi giorni aveva visto Kaoru molto strano, più schivo e
taciturno del solito; se avesse saputo quello che era successo alla scuola
avrebbe capito, ma Saito e Louise avevano deciso di non parlarne a nessuno.
«Senti…» disse poi
Siesta strusciandosi le mani e guardando altrove «Stavo pensando che…forse… forse potresti staccare
per un po’».
Lui la guardò perplesso.
«Voglio dire… è
tutto tranquillo. Le guardie stanno facendo un ottimo lavoro. Louise e Saito
stanno ballando, e, ecco… visto che sono vestita così… mi domandavo se…» poi prese
un bel fiato e si fece coraggio «Se potevamo farlo anche noi».
Kaoru continuò a guardarla senza dire nulla.
«Io non ho mai ballato…
non credo di essere brava…però…
mi piacerebbe provare.» poi arrossì violentemente «Ma d’altra parte, se non ti
và, ti capisco! Il lavoro, e tutto il resto!».
A quel punto Kaoru si sollevò dal muro al
quale era appoggiato, si volse e la guardò negl’occhi; anche lei lo guardò, e l’imbarazzo
di colpo parve sparire.
Stettero così, immobili a guardarsi, per un
tempo interminabile, poi i loro visi presero ad avvicinarsi l’uno all’altro.
D’improvviso, un urlo di donna squarciò la
dimensione nella quale si erano isolati, sovrastando ogni altra cosa ed
allarmando anche gli ospiti che lo avevano sentito.
«Che è stato?» domandò Kaoru, che senza
pensarci sopra corse in quella direzione
«Kaoru…» disse Siesta, ma fu tutto inutile.
Insieme ad un altro paio di soldati, e
cercando di non allarmare gli ospiti, Kaoru raggiunse una parte piuttosto
isolata del giardino, trovando in una zona d’ombra una donna riversa a terra
che faticava a rialzasi e tremava di paura.
«Che è successo?»
«Non lo so. Ero venuta qui alla ricerca di un
anello che ho perso, quando qualcuno mi ha assalita alle spalle buttandomi a
terra.»
«Ha visto chi è stato?»
«No. Ho visto solo un’ombra che correva via.»
«Fate perquisire tutto il cortile! Che non
entra né esca nessuno!»
«Sì, generale.»
«E siate discreti».
Nel salone, Louise e Saito stavano ancora ballando,
quando un servo, allertato da una guardia, si avvicinò e sussurrò qualcosa all’orecchio
del giovane, che sgranò gli occhi.
«Arrivo subito.» disse «Scusa, Louise. Devo assentarmi
un istante. Tu aspetta qui.»
«Cosa, ma Saito…».
Senza dire altro Saito corse via assieme alla
guardia, raggiungendo la donna vittima dell’aggressione, che intanto era stata
condotta nell’atrio del palazzo per riprendersi dallo shock.
«Contessa Veronique.
State bene?»
«Abbastanza…»
rispose lei con il fiato corto
«Avete trovato l’aggressore?»
«Lo stiamo cercando.» rispose Kaoru «Le
guardie dicono di non avere visto né sentito niente, e nessuno ha varcato il
cancello o scavalcato la recinzione.»
«Forse qualcuno degli invitati ha alzato un po’
troppo il gomito.»
«Controlleremo con cura.»
«Intanto portate la contessa nelle sue stanze.
Deve riposare, dopo quello che è successo.»
«Se posso permettermi, lord Hiraga.» disse lei «Mi sentieri più sicura se mi ci
accompagnaste voi personalmente.»
«Come!?».
Saito esitò, indeciso sul da farsi, ma di
fronte agli occhi supplicanti della contessa un animo generoso come lui non
riuscì a tirarsi indietro.
«D’accordo, ci penso io. Voi continuate a
cercare.»
«Sissignore».
Saito prese per mano la contessa, conducendola
su per le scale, lungo la balconata superiore e fino nella sua stanza, situata
nell’ala settentrionale assieme a tutte le altre camere degli ospiti.
«Siamo arrivati.» disse aprendo la porta e
accendendo il lampadario magico.
A quel punto aiutò la contessa anche a sedersi
sul letto.
«Vogliate scusarmi per questo incidente.»
«Non fa niente.» rispose la donna, che da un
momento all’altro sembrava stare molto meglio
«Bene. Allora, io torno nel salone».
Saito fece per andarsene, ma come si girò la
contessa gli afferrò una mano.
«Vi prego, non lasciatemi da sola. Ho paura.»
«Non preoccupatevi. Ordinerò ad una guardia di
stare di vedetta qui fuori».
Tutto si svolse in un istante. La contessa,
con un rapido gesto, tirò Saito a sé, e da un momento all’altro il ragazzo si
ritrovò disteso sul letto, con quella donna bellissima a sovrastarlo con l’abito
mezzo sbottonato all’altezza del petto.
«C… contessa!? Che state
facendo!?»
«Siete un uomo così invitante, lord Hiraga. Come invidio chi può avervi tutto il giorno tutti i
giorni» e detto questo prese a slacciarsi il vestito, fissando nel contempo
Saito con occhi di una pantera che si prepara a dilaniare il suo cervo
«Contessa…» disse
Saito col poco raziocinio che gli rimaneva «Io sono sposato!»
«E allora? È normale che i nobili si concedano
dei brevi passatempi, di tanto in tanto.»
«A… aspettate, che
state facendo… dove toccate?!».
Nel mentre Louise, preoccupata perché Saito
non tornava, decise di andare a cercarlo.
Uscita nell’atrio, vi incontrò Kaoru, appena
rientrato da un nuovo giro di controllo, dal quale si fece raccontare quello
che era successo.
«Crediamo ci sia un intruso nel palazzo. Le guardie
lo stanno cercando.»
«E Saito dov’è?».
Kaoru esitò, perché sapeva cosa sarebbe
successo se avesse parlato.
«Ecco…veramente…»
«Dov’è?» ringhiò la ragazza prendendo fuori la
bacchetta magica
«Compare, è meglio se canti.» disse Derf «O ti farà cantare lei a forza di frustate, e non
sarebbe piacevole».
Intanto in camera da letto, la contessa era
quasi sul punto di sedurre Saito, che malgrado tutta la sua fedeltà a Louise
non riusciva ad ignorare una tale visione.
«Avanti, lord Hiraga.
Solo per stanotte. Per stanotte sarete il mio padrone, e io la vostra serva. Farò
tutto quello che vorrete. Soddisferò ogni vostro desiderio più perverso.»
«No, aspettate…»
«Avanti, non siate timido. È chiaro che certe
cose non potete chiederle a vostra moglie. Io invece non ho problemi a
soddisfare un uomo, e credetemi sono brava a farlo».
La contessa si era ormai slacciata quasi del
tutto il busto e la giarrettiera, inoltre aveva mezzi sfilati i calzoni di
Saito.
Saito era quasi sul punto di cedere, quando un
lampo, un volto, gli illuminò la mente; da imbarazzato che era, divenne
risoluto, con una serietà nello sguardo che quasi non gli apparteneva. Afferrò la
contessa per una spalla, allontanandola con tale forza da strapparle parte del
vestito.
«Perché? Lord Hiraga…»
«Adesso basta, contessa. Ve l’ho già detto, io
sono sposato. Inoltre, presto diventerò padre, quindi non ho tempo né voglia
per simili scappatelle».
Sfortuna nera.
Proprio in quell’istante, Louise, come un toro
infuriato, spalancò la porta della stanza.
«Saito, che stai facendo!?».
Ma quello che vide la paralizzò; si aspettava
di trovare qualcosa, come ormai era abituata, ma quello che vide andava al di
là del sopportabile e del concepibile. Suo marito a letto con una mangia-uomini incallita, lui in mutande disteso e lei a
sovrastarlo con il vestito strappato e il petto praticamente nudo.
«L…Louise…».
Lei abbassò gli occhi, tremando tutta; Saito
ricordò di averla vista così solo una volta, quando lo aveva sorpreso a baciare
la principessa Henrietta.
«Louise, aspetta… è tutto… un equivoco…»
«Saito… stupido!»
gridò correndo via in lacrime
«Louise, aspetta! Posso spiegare!» disse Saito
cercando di correrle dietro, ma inciampando nei suoi stessi pantaloni e
perdendo così del tempo prezioso.
Rimasta sola, la contessa rise di
soddisfazione.
«Bene. La cosa si fa sempre più interessante.»
disse, e aperta la finestra ci si lanciò con la grazia di un gatto.
Nel
cortile e nel palazzo, le guardie erano ancora intente a cercare l’assalitore
della contessa cercando di essere il più possibile discrete.
Nessuna zona era risparmiata, anche perché non
si aveva la certezza che l’aggressore potesse veramente venire da fuori; poteva
trattarsi, come ipotizzato da Saito, di un nobile un po’ alticcio, o anche di
una guardia stessa che vedendo la contessa e approfittando del buio non aveva
resistito alla tentazione di farci un pensierino.
Le ricerche vennero condotte persino nelle
stalle e nelle scuderie, dove erano stoccate le dozzine di carrozze degli
invitati.
Uno dei soldati era intento a controllarle,
quando gli parve di sentire un rumore provenire dal baule di una di esse, una
splendida carrozza bianca degna della principessa Henrietta.
«Ho sentito qualcosa.» disse al suo compagno.
I due si avvicinarono, scambiandosi un cenno
di assenso, quindi uno di loro spalancò il baule, mentre l’altro teneva pronta
la lancia.
Sbigottiti, si trovarono davanti una donna
legata e imbavagliata, oltre che mezza nuda, che li guardava con occhi
supplicanti e sollevati allo stesso tempo. La aiutarono ad uscire, la fecero
sedere e la sbendarono.
«Finalmente, era ora!» sbraitò arrabbiata
appena poté parlare «Avete idea di quanto tempo fosse che cercavo di farmi
sentire?».
Nel mentre, era arrivato anche Kaoru, che
vedendo di chi si trattava si sentì prendere un colpo.
«Non ci credo!? Contessa Veronique?!»
«Certo che sono la contessa Veronique! Veronique di Shapré! Mentre stavo venendo qui una donna mi ha assalita e
drogata, e quando mi sono svegliata ero dentro il baule della mia stessa
carrozza!».
Kaoru fece due più due, capendo subito.
«Dannazione!» esclamò correndo via «Trovate
subito i padroni! Immediatamente!».
Alle
spalle della villa, nella parte più lontana del giardino, c’era un fitto
boschetto di pini e larici che a suo tempo il generale Deville
era solito usare come luogo ameno dove andarsi a nascondere quando voleva
starsene in pace.
Louise vi era corsa quasi istintivamente,
appoggiandosi stremata e col cuore spezzato al tronco di un albero a piangere
tutte le sue lacrime.
Perché? Perché doveva sempre finire così?
Neanche la notizia che presto sarebbe
diventato padre era bastata a far perdere a quello stupido cane i suoi istinti
animaleschi?
Forse era anche colpa sua. Forse non faceva
abbastanza per soddisfarlo, come Siesta si divertiva spesso a puntualizzare
sarcastica; per questo lui cercava soluzione nelle scappatelle.
Anche così, però, non poteva perdonarlo.
«Saito…stupido…».
Stava ancora piangendo, quando udì un
movimento alle sue spalle.
Pensava fosse lui, e la cosa quasi le faceva
piacere, perché significava che voleva scusarsi, e invece voltandosi incontrò
lo sguardo dell’ultima persona che avrebbe voluto vedere in quel momento.
«Tu!»
«Vi prego, miss Vallière.» disse la contessa
«Lasciate che vi spieghi ogni cosa».
Poco dopo, nel boschetto sopraggiunse anche
Saito, alla ricerca della sua Louise.
Come poteva essere stato così stupido?, si domandava
cercandola e chiamando il suo nome.
«Louise! Louise!».
Amava quella ragazza più della sua stessa
vita, e aveva giurato a sé stesso che mai avrebbe anche solo pensato di
tradirla, soprattutto dopo la notizia che presto sarebbe diventato padre. Il
fatto che si fosse rifiutato di cedere alle avances della contessa non lo
giustificava: avrebbe dovuto dire di no subito, per evitare sul nascere quella
situazione.
Voleva trovarla, parlarle, e cercare di
chiarire la situazione, anche se sapeva che probabilmente molto difficilmente
sarebbe stato perdonato.
«Louise!».
D’improvviso il ragazzo sentì un rumore, quasi
un presagio di minaccia, e si voltò con la mano già stretta attorno al suo
spadino.
«Louise…» disse
sgranando gli occhi.
Era proprio lei, in piedi davanti a lui, con
il vestito leggermente strappato, forse a causa dei rami bassi, ma bella come
sempre. Teneva lo sguardo basso e tremava ancora.
«Louise, ascolta… io
posso… posso spiegarti…
quelle erano solo le apparenze…»
«Saito…» mormorò, e
subito dopo gli corse incontro, abbracciandolo forte e piangendo di gioia
«Saito!»
«Louise!?»
«La contessa mi ha raccontato tutto. Saito, mi
dispiace. Mi dispiace di non averti creduto».
Colpito, Saito sorrise, stringendola a sé.
«Sono io che devo chiederti scusa, Louise. Avrei
dovuto essere più risoluto.»
«Non pensiamoci più, Saito. Ora è tutto
sistemato».
Infine,
anche Kaoru era arrivato a sua volta nel boschetto, ansioso come non mai di
trovare Saito e Louise.
Temeva per la loro vita.
Ora era sicuro di aver capito come fossero
andate le cose, e chiunque avesse messo su quella specie di commedia drammatica
non aveva di sicuro buone intenzioni.
Se il nemico aveva dei piani per i due
ragazzi, quello era sicuro il posto migliore per metterli in pratica; discreto
e fuori mano.
«Louise! Saito! Rispondete!».
Ad un certo punto, Kaoru credette
di scorgere qualcosa tra l’erba che ricopriva il terreno, ed alzata la torcia
vide con terrore una cosa che per un attimo minacciò di fermargli il cuore.
Louise era lì, a terra, probabilmente nuda,
con il vestito della contessa a coprirla malamente.
«Louise!» gridò correndole incontro.
Per fortuna era solo svenuta, e dopo poco si
riprese. Aveva una strana ferita ad un dito, quasi sicuramente opera di una
lama, e sembrava parecchio intontita, come se l’avessero drogata.
«Ka… Kaoru…»
«Louise, che è successo?»
«Non… non lo so. Mi ricordo
che ero qui con la contessa… stavamo parlando, e poi…».
A quel punto, la ragazza spalancò gli occhi.
«Saito! Dov’è Saito!?»
«Non ne ho idea. Ma dobbiamo trovarlo subito. Temo
che sia in pericolo».
Nel frattempo, poco lontano da lì, Saito e
Louise erano ancora teneramente abbracciati, e dopo qualche altro attimo Louise
baciò il suo sposo con tutta la passione della quale era capace, e dal canto
suo Saito non si tirò indietro.
«Sono stata davvero una stupida a dubitare. Non
succederà più.»
«Ne sono sicuro.» replicò Saito «Anche perché,
tra noi non è successo niente».
Louise, colta alla sprovvista, spalancò gli
occhi, ma un secondo dopo, prima che potesse reagire, si ritrovò la punta dello
spadino appoggiata alla schiena.
«Chi sei tu realmente?»
«Saito… che stai
dicendo? Guardami. Io sono io. Sono Louise.»
«Ti sbagli. Ho baciato tante volte Louise. E credimi
se ti dico che non c’era amore nel tuo bacio. La vera Louise, quando mi baciava,
mi trasmetteva emozioni così forti da poterle quasi toccare. Con questo tuo
bacio, invece, non ho sentito niente, così come non ho sentito niente nell’abbracciarti.»
«Saito…»
«Che cos’hai fatto a Louise?».
Di colpo, l’espressione della ragazza mutò,
facendosi di una maliziosità e di una perfidia quasi disarmanti.
«A quanto pare ti ho sottovalutato un’altra
volta».
Saito non ebbe neppure il tempo di reagire,
che in un attimo si ritrovò con una piccola ferita ad una mano provocata da un
pugnale comparso misteriosamente nelle mani della falsa Louise, la quale con un
salto si allontanò da lui.
Era una ferita da niente, eppure ciò
nonostante il ragazzo si ritrovò in ginocchio, con tutte le ossa come
paralizzate e i sensi bloccati.
«Sono sorpreso che tu riesca a stare in piedi.
Grazie alla bava di basilisco che ricopre la lama di questo pugnale, di solito
basterebbe un graffietto per crollare a terra svenuti.
È chiaro che sei una persona fuori dal comune
sotto molti aspetti.»
«Tu…maledetta… chi diavolo sei?».
La falsa Louise ghignò.
«Forse, aprendoti la gola, riuscirò ad
ucciderti. Vogliamo provare?».
Saito era impotente, ed esposto al colpo di
grazia, ma proprio quando la falsa Louise stava per infliggerglielo un’esplosione
terrificante la mancò di pochissimo, e la vera Louise comparve sulla scena
bacchetta alla mano e con indosso una versione strappata e riadattata dell’abito
della contessa.
«Tieni giù quelle tue manacce da lui, scherzo
della natura!» sentenziò ringhiando di rabbia.
«L… Louise!».
La falsa Louise a quel punto si ritrovò
circondata, anche perché come fece per scappare trovò Kaoru a sbarrarle la via
di fuga.
«E adesso, facci vedere chi sei».
Louise lanciò allora l’incantesimo Dispel sulla sua alter ego, disperdendo l’incantesimo che
aveva usato per assumere le sue sembianze. Il volto che apparve agli occhi dei
tre, lasciò Saito e Louise di sasso; non lo vedevano da molto tempo, ma lo
riconobbero subito.
«Fouquet!?» esclamò
Louise
«È parecchio che non ci vediamo, Zero Louise. Vedo
che anche tu hai fatto dei progressi.»
«Dopo quello che è accaduto quattro anni, ti
credevo ad Albion, o Dio solo sa dove.» disse Louise
«Che… che ci fai tu
qui?» disse Saito «Reconquista c’entra forse qualcosa
con quello che sta accadendo a Tristain?».
Fouquet chiuse
gli occhi e rise.
«Potrei anche dirvelo, ma non ne ho proprio
voglia.»
«Quand’è così, ti faremo parlare noi.» disse
Kaoru
«Non credo proprio».
Nessuno dei tre si era accorto del fatto che Fouquet avesse con sé la sua bacchetta magica, nascosta all’interno
del vestito che aveva rubato a Louise dopo averne preso le sembianze; senza che
la toccasse, la bacchetta generò una fitta nebbia di polvere che accecò
temporaneamente i ragazzi.
Quando Saito, Louise e Kaoru poterono vederci
di nuovo Fouquet era già scappata, lasciandosi dietro
quel vestito per lei troppo piccolo, il suo pugnale e una strana boccetta viola.
«Essenza del Camaleonte.» disse Louise
annusando il contenuto del flaconcino «Una goccia di questo preparato unita ad
una goccia di sangue di una persona, e se ne assumono le sembianze.»
«A questo punto» disse Kaoru «Direi che
sappiamo chi è stato il responsabile dell’attentato alla principessa.»
«Reconquista.» disse
Saito «E… e io che speravo che fosse ormai una storia
chiusa».
Poi, Louise andò da lui, mentre nel frattempo Saito
era riuscito a rimettersi in piedi; per fortuna, il pugnale aveva prodotto poco
più di un segno, e quindi il veleno non era riuscito a diffondersi, risultando
molto meno efficace del normale.
«Louise, io…»
«Non dire niente.» replicò lei «Se lo facessi,
campando le tue solite scuse, la voglia di perdonarti mi passerebbe subito».
Saito sorrise, e anche lei fece altrettanto.
Si amavano troppo per tradirsi, e adesso che
avevano capito tutto veniva quasi da farsi una risata per quanto erano stati
ingenui.
Insieme, fecero per tornare verso il palazzo,
ma essendo a piedi nudi, proprio mentre stavano transitando nel cortile cercando
di passare inosservati Louise fece per cadere.
«Attenta!» disse Saito, prendendola per il
vestito.
Purtroppo, quel vestito era stato adattato
alla meno peggio, e chiuso con un nodo di fortuna, un nodo che per lo strattone
si sciolse; Louise evitò di cadere, ma quando rialzò gli occhi vide che il suo
vestito ora era nella mano di Saito.
Kaoru arrossì e distolse subito gli occhi,
mentre Saito non riuscì a fare altrettanto; viste tutte le volte che avevano
fatto l’amore insieme ormai era abituato a vederla così, ma ogni volta era un’esperienza
unica, ed un fiotto di sangue impossibile da fermare gli esplose dal naso.
«L…Louise…».
Louise, al contrario, era rossa come un
peperoncino essiccato, e lo divenne ancora di più quando anche gli altri ospiti
si accorsero di quello spettacolo girando gli occhi nella sua direzione.
«Tu…tu…»
«A… aspetta Louise… non l’ho fatto apposta…»
«Cane perverso!» strillò alzando la bacchetta
«Pietà!».
Messasi
in salvo allontanandosi dalla villa, Fouquet prese da
dentro il suo mantello un gioiello a forma di colonna, lo strinse forte e
chiuse gli occhi.
Dopo pochi istanti, davanti a lei, comparve
quello che sembrava un piccolo portale dimensionale, al cui interno regnava l’oscurità;
tuttavia, si poteva intravedere in primo piano il mezzobusto di una persona, un
elfo quasi sicuramente, con lunghi capelli e le classiche orecchie a punta.
«Mi dispiace, ho fallito. Mi hanno scoperta
troppo presto.»
«Non ha importanza.» rispose calmo il suo
interlocutore, una voce forte e risoluta «Quello che conta è che Louise non sia
stata ferita. Sarebbe un grosso problema per noi e il nostro signore, se
morisse.»
«Comunque, i nostri sospetti erano reali. Hiraga Saito ha perso il potere di Gandalfr. Ora lo
possiede il generale del loro esercito, un certo Kaoru. Non l’ho affrontato, ma
temo sia un osso molto duro.»
«Interessante. Manderemo qualcuno a tenerlo d’occhio.»
«Io farò immediatamente ritorno a Laguiole.»
«No, aspetta. Per il momento il duca può
cavarsela da solo. Prima, c’è un’altra cosa che devi fare.»
«Abbiamo trovato un nuovo, possibile alleato. Ma
avrà bisogno anche lui di un aiuto adeguato».
Nota dell’Autore
Salve a tutti!^_^
Eccomi qua, con il
capitolo più lungo che abbia mai scritto, almeno per quanto riguarda questa fic.
Ammetto che all’inizio
avevo intenzione di dividerlo in due parti, poi però mi sono reso conto che
anche così ci sarebbe stata troppa disparità di lunghezza.
Spero che i miei
lettori non siano scappati di fronte a queste dodici pagine, ma vi prometto che
da ora in poi torneremo su livelli più accettabili.
Questo è tutto!^_^
Nel prossimo cap, in arrivo due vecchie conoscenze.
A presto!^_^
Carlos Olivera
PS. Questa notte ho
fatto un sogno, e prima di dimenticarmelo sento il bisogno di esternarlo. Per questo,
nei prossimi 4-5 giorni mi dedicherò ad una minific
su Yugioh! (yugioh è stato
tra i primi anime-manga in cui mi sia mai cimentato per la creazione di fanfic), il cui titolo sarà lo stesso di questa storia,
ovvero Fino alla Fine del Tempo. Sarà
una robetta da poco, due o tre capitoli al massimo, quindi non spaventatevi se
per una settimana non mi vedrete. Anzi, se passate di là dateci un’occhiata!^_^
Montmorency sedeva in solitudine sulle sponde
del Lago Biwa, ai margini del suo feudo, come in
attesa di qualcuno, osservando le due lune che ormai erano quasi allo zenit,
ovvero il momento in cui, ad esclusione delle eclissi, la distanza tra di loro
raggiungeva i suoi minimi.
In mano Robin, il suo famiglio, che restava
fermo a guardarla, gracidando di tanto in tanto.
Stormi di lucciole si agitavano poco sopra la
superficie dell’acqua, sulla quale si rifletteva la luce delle stelle.
La ragazza sembrava preoccupata, e guardava
ora il lago, ora il cielo ora Robin. D’improvviso si udì uno strano rumore,
come di qualcosa che scavava, e un paio di secondi dopo nel terreno si aprì una
piccola voragine dalla quale fece capolino il faccione simpatico e un po’ tonto
di Verdandi.
«Salve, mia adorata.» disse Guiche sbucando
alle spalle del mio famiglio
«È un’ora che ti aspetto.» esordì lei con
finto risentimento
«Mi dispiace. Il tunnel è parzialmente
crollato, e abbiamo dovuto farci strada tra i detriti».
Guiche uscì finalmente all’esterno, e Montomorency, passato il momento iniziale, gli corse
incontro abbracciandolo e baciandolo.
«Avevo paura che fosse successo qualcosa.»
«Non temere. Mio padre non sospetta di niente.
E il tuo invece.»
«Tranquillo. È tutto apposto. Ormai ho
imparato alla perfezione come andarmene dal palazzo senza essere notata».
Si sedettero, e per lungo tempo stettero ad
osservare le due lune stretti l’uno all’altra in un amorevole abbraccio.
Quante cose erano cambiate, in peggio
purtroppo, da quando avevano lasciato la scuola.
I feudi dei De Gramont e dei Montomorency erano molto vicini tra di loro, separati
soltanto dal feudo dei Touroc; tra le due famiglie
non era mai corso buon sangue, e infatti il fidanzamento dei due ragazzi,
deciso fin dalla nascita, doveva essere lo strumento tramite il quale mettere
fine a quasi un secolo di inutili e futili dispute.
Lo scoppiare della guerra civile, però, aveva
ridato improvviso vigore agli asti del passato, e ora solo la presenza di un
dominio intermedio tratteneva i due casati dallo scannarsi l’un l’altro; e
tutto questo, proprio quando Guiche e Montomorency,
messa da parte l’infantilità e la goliardia del periodo accademico, avevano
iniziato a nutrire un sincero ed affettuoso amore l’uno per l’altra, al punto
da avere già iniziato a fare progetti per la loro futura vita insieme.
Ovviamente, Guiche non aveva perso la sua
natura di playboy incallito, provandoci continuamente con tutte le cameriere e
domestiche del suo palazzo, ma Montmorency alla fine ci si era abituata, perché
aveva capito che in realtà lei era l’unica persona alla quale quel testone
volesse un bene sincero.
Nonostante tutta la sua forza, ed il suo
proverbiale spirito battagliero, ad un certo punto Montmorency, schiacciata
dall’ansia e dalla paura per la piega inquietante che stavano prendendo gli
eventi, pianse lacrime di sconforto e preoccupazione.
«Montmorency. Cosa succede?»
«Per quanto ancora dovremo andare avanti così?
Le nostre famiglie ormai si odiano, e un giorno o l’altro potrebbero finire per…».
I singhiozzi le impedirono i concludere la
frase, e la ragazza si lasciò andare al pianto stretta a Guiche, che dopo poco
tuttavia le disse di guardarlo negl’occhi.
Com’era diverso rispetto ai tempi in cui
frequentava l’accademia; sembrava diventato un vero uomo, con quel suo volto
sereno e composto, e quello sguardo volenteroso.
«Non hai nulla da temere, Montmorency. Mia zia
è dalla nostra parte, lo sai. Vedrai che presto riuscirà a mettere pace tra le
nostre famiglie.»
«Sì, lo so. Però…
però lo zio invece non fa sussurrare all’orecchio di mio padre.»
«Non dare peso a quell’arrivista incompetente.
Andrà tutto bene. Te lo prometto. Ti prometto che prima che questo anno
finisca, io ti porterò all’altare.»
«Guice…» disse lei
arrossendo
«Montomorency…».
Si baciarono, un bacio soave e carico di
amore, e anche le lune, liberandosi dalle nubi che le stavano ricoprendo,
parvero dare la loro benedizione.
I due ragazzi avrebbero voluto spingersi
oltre, come avevano già fatto in occasione di altri precedenti incontri, anche
prima che la situazione precipitasse a quel modo, ma ormai si era fatto molto
tardi, ed era giunto per entrambi, troppo presto come sempre, il momento di
rientrare.
«Abbi ancora un po’ di pazienza, Montmorency.
Tutto si sistemerà nel migliore dei modi, ne sono sicuro.»
«Guiche…» disse lei,
per poi riacquistare almeno in parte la speranza «D’accordo. Anche io farò del
mio meglio per smuovere mio padre. Visto che i nostri genitori sono troppo
ottusi per cercare la pace, sta a noi riuscire a farli ragionare.»
«Ben detto».
A quel punto Guiche e Montomorency
si separarono; Guiche si tuffò nel tunnel sotterraneo scavato da Verdandi, che come un lungo corridoio passava direttamente
sotto il feudo dei Touroc, realizzato in quasi una
settimana di duro lavoro da parte di quel povero Verdandi,
Montmorency invece, balzata a cavallo, in poco più di un ora fece ritorno al
palazzo della sua famiglia, situato non lontano dal confine meridionale del
feudo, riuscendo come al solito a rientrare senza allarmare le numerose guardie
che lo sorvegliavano.
La ragazza portò la sua adorata Rose nella
stalla, ma mentre la legava e la foraggiava avvertì distintamente la sensazione
di non essere sola.
«Koga.» disse
scocciata «Puoi anche venire fuori. Tanto lo so che ci sei».
Un istante dopo, un’ombra piombò dal soffitto,
palesandosi già inginocchiata ai piedi della sua padrona; era un ragazzo di
forse diciotto anni, più o meno la stessa età di Montmorency, vestito
completamente di nero, capelli corvini corti ed arruffati e carnagione
piuttosto pallida, ma di bell’aspetto. Annotati tutto attorno ai polsi aveva
una specie di fili, come crine di cavallo, che si protendevano fino a
raggiungere la base delle dita, alle quali erano assicurati per mezzo di
complicati e curiosi nodi.
Si trattava senza dubbio di uno shinobi, uno di quei guerrieri del lontano oriente che pur
non sapendo usare la magia possedevano abilità e capacità che sfidavano
qualsiasi raziocinio, e che potevano risultare molto pericolosi persino per il
più dotato degli stregoni.
Per loro, onore e fedeltà venivano sopra ogni
altra cosa.
«Quante volte ti ho detto che non devi
spiarmi?»
«Margarita-sama. Non
dovreste lasciare il palazzo in questo modo. Almeno, vi prego di avvisarmi.»
«Quello che faccio non ti deve riguardare. Tu
sei la mia guardia, non il mio babysitter.»
«Margarita-sama, io
comprendo i vostri sentimenti. Tuttavia, Guiche-sama
resta pur sempre un nemico.»
«Non parlare di cose che non sai. Io e Guiche
ci conosciamo da prima ancora che tu mettessi piede in questo Paese.»
«Vi chiedo perdono. Solo, ve ne prego. Non
fatemi più preoccupare in questo modo.
Io ho giurato di proteggervi e di esservi fedele
e di proteggervi, ma non posso farlo se voi fate di tutto per sfuggire alla mia
vista.»
«Credi che non sia perfettamente in grado di
proteggermi da sola?»
«No, ovviamente. Vi prego di non fraintendere.
Ma la vostra sicurezza e la vostra salvezza sono le uniche cose che contano per
me. Se vi succedesse qualcosa…»
«Scommetto che se ti dicessi anzitempo dei
miei incontri con Guiche, tu correresti a dirlo a mio padre.»
«Niente affatto, Margarita-sama.
Gilbert-sama potrà pure essere il mio padrone, ma è
stata Margarita-sama ad accogliermi in questa casa,
ed è a voi che và la mia più assoluta fedeltà.»
«Staremo a vedere».
Montomorency si avviò
verso l’uscita, ma fatti pochi passi parve avere un capogiro, tanto che dovette
appoggiarsi ad una trave per non perdere l’equilibrio.
«Margarita-sama!»
disse Koga vedendola massaggiarsi la fronte «Vi
sentite male?»
«Non è niente.» rispose freddamente lei
ridandosi un contegno e sforzandosi di mantenerlo «Sono solo stanca per la
lunga cavalcata. Vado a dormire».
Detto questo la ragazza scappò letteralmente
via, e scivolando silenziosa lungo i corridoi del palazzo corse a rifugiarsi al
sicuro nelle sue stanze, ma come ci fu dentro dovette appoggiarsi nuovamente
alla porta.
In realtà era già da un paio di giorni che
stava male, e solo prendendo dei calmanti era riuscita a far passare il dolore
quel tanto che bastava da potersi permettere di andare incontro a Guiche.
Sentiva nausea, mal di testa e le ossa peste, inoltre doveva avere la febbre.
«Che… che mi sta succedendo…».
Nel frattempo, molto lontano da lì, Guiche
aveva fatto ritorno nel suo feudo sbucando fuori dall’ingresso del tunnel,
situato in un piccolo villaggio di minatori suoi amici tutti d’accordo a non
dire nulla a suo padre.
Stava quasi per andarsene, quando due uomini
gli si fecero incontro nonostante l’ora tarda; sembravano sconvolti, tanto che
i loro volti, alla luce della lanterna, mettevano quasi paura.
«Guiche-sama! Guiche-sama!»
«Che succede?»
«Venite a vedere, presto! Abbiamo trovato
qualcosa di incredibile!»
«Non possiamo fare domattina? Sono stanco
morto.»
«Col dovuto rispetto, Guiche-sama,
ma sarebbe meglio che lo vedeste adesso».
Anche se di malavoglia, il ragazzo si lasciò
convincere, e armatosi a sua volta di una lanterna seguì i due minatori
all’interno delle gallerie.
«Stavamo facendo degli scavi all’altezza della
superficie.» spiegava uno dei due minatori mentre attraversavano
quell’intricato dedalo di cunicoli e passaggi stretti «Verso ovest, dove non ci
eravamo ancora spinti massicciamente. All’improvviso, una parte della parete è
crollata, e dietro di essa abbiamo trovato una specie di magazzino.»
«E allora? Cosa c’è di così strano?»
«Non era segnato sulle mappe, e l’unico
ingresso era stato murato. Ma è stato quello che ci abbiamo trovato dentro a lasciarci
sgomenti».
La camminata si fermò a metà di una galleria,
davanti ad una pila di materiale che i minatori avevano accatastato per
nascondere la fenditura nella parete, grande abbastanza da poterci passare, e
una volta che venne nuovamente svelata i tre l’attraversarono.
L’interno era davvero molto vasto, e si notava
la mano dell’uomo.
Probabilmente si trattava di un vecchio
ingresso collegato alla superficie, anche se adesso l’entrata era ormai
completamente ostruita dai detriti; facendo un rapido calcolo, Guiche calcolò
che dovevano trovarsi pressappoco uno o due miglia a sud del confine con Touroc, in una zona di foreste dove il ragazzo ricordava di
aver effettivamente notato una caverna con l’ingresso ostruito dalle pietre
durante qualcuna delle sue battute di caccia a cavallo.
Il tunnel che si dipanava dall’ingresso, poi,
era stato effettivamente murato, e anche le rotaie erano state distrutte, quasi
a voler cercare di nascondere quanto più possibile l’esistenza di quel luogo.
Guiche si avventurò un po’ all’interno, sempre
alla luce della lanterna, poi qualcosa, una specie di enorme massa di metallo,
gli si parò dinnanzi sbarrandogli la strada.
Alzati gli occhi, lo sgomento che vi comparve
all’interno era tale da non poterlo descrivere. Davanti a lui c’era una specie
di carrozza, lunga almeno otto metri, ma completamente ricoperta di metallo; al
posto delle ruote aveva dei cingoli, e sulla cima una specie di torretta
provvista di un grosso cannone.
«Mio Dio.» disse.
I due minatori esitarono ad avvicinarsi; non
avevano idea di cosa fosse, ma di certo non ispirava niente di buono.
«Ma… che cos’è?»
domandò uno di loro «Voi lo sapete, Guiche-sama?»
«Non ne ho idea. Ma forse so chi potrebbe
dircelo».
Saito
e Louise non conoscevano ancora il motivo per il quale Guiche li aveva
convocati, e quando la White Dragon approdò nel molo privato del palazzo
signorile dei De Gramont non sapevano ancora bene per quale motivo si
trovassero lì.
Come scesero dalla nave, il loro vecchio amico
venne immediatamente a salutarli; con loro c’era anche Kaoru, che era voluto
andare con loro per aiutarli in caso di bisogno, lasciando a Joanne
l’amministrazione della provincia per qualche giorno.
«Benvenuti, amici miei.» disse il biondino
andando loro incontro
«Guiche. Quanto tempo.» disse Saito
stringendogli la mano
«Troppo, amico mio. Ma stando a quello che ho
sentito, vi siete dati daffare.»
«Abbastanza.»
«Io non so con esattezza come sia la
situazione laggiù da voi, ma qui ad oriente le cose non vanno granché bene.
Felice di sapere che siete ancora tutti e due in buona salute.»
«Tuo padre non è in casa?» chiese Louise
«No, purtroppo. È andato in visita ad una
delle nostre fattorie.»
«Veniamo alle cose serie.» disse Saito «Si può
sapere perché ci hai convocati fin quaggiù con tutta questa urgenza?».
A quella domanda Guiche si fece di colpo molto
più serio, forse anche più del normale, guardandosi un momento attorno come a
voler essere sicuro che nessuno li stesse ascoltando.
«C’è una cosa che vorrei farti vedere, Saito.
Conoscendoti, credo che tu sia l’unico in grado di capirci qualcosa.»
«D’accordo.» rispose lui un po’ stranito.
I quattro allora si misero a cavallo e
lasciarono il castello, dirigendosi verso nord.
«Ma chi è lui?» chiese Guiche lungo la strada
all’indirizzo di Kaoru, che li seguiva restando qualche passo indietro
«Tranquillo, è un amico.» rispose Louise «Puoi
fidarti. È il comandante del nostro esercito.»
«Capisco. Certo però che la sua faccia non è
molto rassicurante.»
«Come la tua, del resto.» puntualizzò ironicamente
Saito
«Ma dimmi.» domandò Saito durante la strada
«Come vanno le cose tra te e Montmorency?»
«Abbastanza bene.» mentì Guiche per non
allarmare i suoi amici «Negli ultimi tempi facciamo un po’ fatica a vederci, ma
ci teniamo sempre in contatto con dei piccioni viaggiatori».
Arrivarono nelle miniere, e mentre
percorrevano le gallerie Guiche raccontò a sua volta ai tre ragazzi come fosse
venuto alla luce il passaggio segreto, quindi li condusse dinnanzi a quella
specie di carrozza di ferro, dinnanzi alla quale anche Saito e Louise rimasero
di sasso.
«Questo…» disse
Saito «Questo è un carro armato.»
«Ero sicuro che avresti saputo che cosa
fosse.»
«Per essere più precisi» intervenne Kaoru «È
un Panzer V Panther, uno dei fiori all’occhiello dell’esercito
tedesco nella Seconda Guerra Mondiale.»
«Quindi, in poche parole, è un’arma.» disse
Guiche
«Dannatamente pericolosa, anche.» disse Saito
«Tu non hai neanche idea di cosa può arrivare a fare un apparecchio del
genere.»
«Ora capisco perché si trova qui. Ho fatto
qualche ricerca mentre aspettavo il vostro arrivo. Questa parte della miniera è
stata chiusa una sessantina d’anni fa da mio nonno. Deve aver trovato questo
coso, questo carro armato, come lo chiamate voi, da qualche parte nella
foresta, e capendone la pericolosità deve aver deciso di nasconderlo qui e far
cadere il segreto perché nessuno lo scoprisse.
Sono andato in esplorazione, e tra gli alberi,
ben nascoste, ho trovato anche quattro tombe.»
«Sicuramente appartenevano agli occupanti del
carro.» disse Saito
«Quindi, questo coso appartiene al tuo mondo.»
disse Louise
«E qui deve restare. In questi tempi di
guerra, non voglio neanche pensare a cosa potrebbe fare un simile strumento di
morte su un campo di battaglia di questo mondo».
Guiche non riuscì a non rivolgere un pensiero
a Montmorency.
Sicuramente suo padre non sapeva dell’esistenza
di quel carro armato, perché altrimenti lo avrebbe già fatto disseppellire da
un pezzo, e doveva continuare ad essere così, perché conoscendolo se lo avesse
trovato non avrebbe esitato ad usarlo contro il suo odiato nemico.
«Saito, Louise.» disse molto seriamente «Vi
devo chiedere di non parlare mai a nessuno di questa storia.»
«Sta tranquillo.» lo tranquillizzò Saito
«Anche noi abbiamo interessa a fare sì che questo coso non riveda mai più la
luce.»
«Farò murare nuovamente la fenditura, e
ordinerò di non proseguire gli scavi in questa direzione. I minatori di questo
villaggio sono tutti miei amici, e sapranno mantenere il segreto».
Dopo poco i quattro ragazzi uscirono all’esterno,
ma trovarono ad attenderli un tempo non molto promettente; nuvoloni grigi si
erano addensati improvvisamente sopra le loro teste, e in lontananza già si
avvertiva il rimbombare dei tuoni.
«Accidenti.» mugugnò Louise «Si preannuncia un
gran brutto temporale.»
«Non possiamo volare in queste condizioni.»
disse Kaoru «Sarebbe troppo pericoloso.»
«Non c’è problema.» disse Guiche «Sarete miei
ospiti. Mio padre sa già del vostro arrivo. Gli avevo detto che era per una
rimpatriata tra vecchi amici.
Potete stare tranquilli, non si accorgerà di
nulla.»
«Se proprio insisti.» disse Saito «D’accordo. Tanto,
non mi pare che abbiamo molta scelta».
Montmorency,
dopo quella brutta esperienza, non si era più sentita male, il che la faceva
sentire molto più sollevata.
Peccato che la situazione generale del
castello non fosse altrettanto rosea.
Suo padre stava diventando sempre più
ingestibile, e ormai sembrava davvero che fosse solo una questione di tempo
prima che decidesse di muovere guerra ai De Gramont.
Quella mattina, di buon’ora, era arrivato al
castello MaximeTouroc, il
signore del feudo che sorgeva esattamente nel mezzo tra i domini dei Gramont e
dei Montmorency.
Maxime era un
parente alle lontana di Gilbet de Montmorency, il
patriarca e padre di Margarita, e aveva sposato in seconde nozze Ludwika, una cugina del maresciallo Gramont, il padre di
Guiche.
Per questo motivo, lui e il suo feudo avevano
sempre funto da spartiacque tra i due casati, ponendosi come punto di
convergenza tramite il quale concordare e pianificare una più efficace e
duratura riappacificazione, sancita dal matrimonio tra l’unico erede diretto
delle rispettive famiglie.
Ma la guerra civile aveva cambiato tutto, compreso
l’atteggiamento di Lord Maxime, che invece favorire
la riappacificazione sembrava cercare in tutti i modi il pretesto per scatenare
una guerra.
A sentire Guiche, sua moglie Ludwika stava facendo di tutto per fare in modo che ciò non
potesse accadere, ma essendo lei stessa un Gramont non c’era da stupirsi che
cercasse di evitare il massacro.
Montmorency, che aveva sempre trovato
amichevole e gentile suo zio, ora invece non lo poteva vedere, tale era l’ipocrisia
che stava dimostrando.
Il più importante ostacolo a separare i due
casati erano le divergenze politiche; infatti, mentre la famiglia Gramont era
da sempre fedele alla famiglia reale, una fedeltà che aveva seguitato a
preservare anche dopo la morte della regina, di riflesso i Montmorency erano
più ribelli e ostici all’autorità di Henrietta, che
avevano sempre palesemente sfidato.
Nonostante il cielo minacciasse pioggia,
Montmorency volle attardarsi un altro po’ in giardino a leggere uno dei suoi
libri, guardata a vista sia dalla sua dama di compagnia sia, nell’ombra, da Koga. Pur essendo seduta abbastanza lontano, era a distanza
d’orecchio per poter origliare i discorsi di suo padre e di suo zio, accomodati
sotto ad un elegante gazebo di pietra.
E quello che sentiva, non le piaceva per
niente.
«Allora, cugino.» disse suo padre «Che mi
consigli di fare?»
«La situazione è seria. Fino ad ora ti sei
saggiamente tenuto lontano dai conflitti, ma ormai è tutto il Paese ad essere
in guerra. A ovest, la famiglia Hiraga ha già
ampliato considerevolmente sia i propri domini sia il livello di considerazione
di molti potentati vicini; a sud, Lord Santin sta conquistando un feudo dopo l’altro.
È necessario per noi scendere in campo il
prima possibile, o presto ci troveremo in una condizione di netta inferiorità,
che ci costringerà ad una posizione di sudditanza nei confronti di qualcun
altro piuttosto che alla possibilità di essere noi stessi dei potenziali
aspiranti alla guida del Paese.»
«Io sono sempre stato contrario alla politica della
precedente famiglia reale. Ma vedere Tristain dilaniata dalla guerra civile… non so, è una cosa che mi spaventa.»
«Appunto. È necessario far finire questa
situazione il prima possibile. Ma non possiamo farlo se restiamo inerti.»
«Tu che cosa avresti in mente?»
«Ovviamente, la prima cosa da fare sarebbe
ampliare la nostra sfera di influenza e conquistare nuove terre. Spingersi al
nord potrebbe essere un rischio, visto che il feudo degli Asnegard
non dista molto da qui e che la loro forza è considerevole, ma il sud è molto
più abbordabile».
Sia Gilbert che sua figlia capirono subito
dove Maxime volesse arrivare, e se non fosse stato
per il proverbiale timore che Margarita nutriva nei confronti di suo padre si
sarebbe alzata dalla panchina urlando tutta la sua contrarietà.
«Vuoi dire attaccare i de Gramont?»
«Esattamente».
In altri tempi Gilbert avrebbe trovato questa
proposta irresistibile.
Tuttavia, qualcosa in lui sembrava essere
cambiato negli ultimi giorni. Forse era stato il tempo, o forse il timore che
dietro il malessere che sembrava affliggere sua figlia ci fosse il ritrovato
astio tra i due casati, fatto sta che muovere guerra al suo odiato nemico Berzac De Gramont non lo entusiasmava più come in passato.
«Non lo so.» disse cercando di trovare una
scusa «Le nostre forze e le sue si equivalgono. Il rischio di farsi a pezzi a
vicenda è piuttosto alto. E poi, stava quasi per diventare mio genero.»
«La forza non sarà un problema se uniremo le
nostre armate, o mi sbaglio? Il mio esercito è considerevole, e unendolo al suo
non ci saranno problemi a schiacciare i Gramont. Per quanto riguarda la
parentela, ci sono tanti partiti migliori di quel donnaiolo di Guiche per
Margarita.»
«E che mi dici di tua moglie? Non credo sia
così bendisposta a lasciarci fare.»
«Tu non preoccuparti. Lei fa tanto la voce
grossa, ma fino a prova contraria in casa comando io. Non mi si opporrà. E se
lo farà, farò in modo di metterla al suo posto».
Montmorency non ce la faceva più, ed era quasi
sul punto di andare lì a dire quello che pensava. Come fece per alzarsi, però,
quel malessere che l’aveva tormentata negli ultimi giorni tornò a farsi
sentire, ma in modo terribilmente più forte rispetto a prima.
In particolare, sentiva un tremendo dolore all’altezza
del ventre, tanto da dover stringere i denti per non urlare, e prima di
rendersene conto si ritrovò a terra svenuta.
«Margarita-sama!»
esclamò la sua dama di compagnia.
I due uomini, attratti dalle urla, si
accorsero di quello che stava succedendo.
«Margarita!» esclamò suo padre correndo da
lei.
Anche Koga,
appollaiato su di un albero vicino, era spaventato e nervoso, e sfidando la
regola che gli impediva di mostrarsi a chiunque a parte i suoi padroni uscì
allo scoperto per prestare aiuto alla ragazza.
Un paio di ore dopo, al risveglio, Montomorency si ritrovò distesa sul suo letto, attorniata
da volti amici.
C’erano i suoi genitori, la sua dama, e poi Koga e il vecchio dottor Sedgwick,
il medico personale del castello; era stato Koga a
portarla tra le braccia fino in camera da letto, anche se, passato il momento,
aveva dovuto subire una severa punizione per aver contravvenuto agli ordini,
punizione di cui portava ancora i segni, che cercava di nascondere per non
allarmare la sua padrona.
Maxime, nel
frattempo, se n’era andato, dicendo che sarebbe tornato in un momento più
favorevole per continuare la discussione lasciata in sospeso.
«Non avete più di che preoccuparvi,
signorina.» disse il dottore «Si è trattato solo di un principio di influenza. Un
po’ di riposo, qualche medicina, e starete bene.»
«Vi ringrazio.» disse lei più sollevata.
Poi, stranamente, il dottore chiese a tutti di
uscire.
«Per quale motivo?» domandò scontroso il
patriarca
«Devo fare degli altri esami alla signorina, per
accertarmi che non si sia fatta male cadendo in cortile. Dovrò chiederle di
spogliarsi, e con tutto il rispetto non credo vorrà farlo in presenza d’altri.»
«Io sono suo padre. Che problema c’è?»
«Caro.» gli disse la moglie, donna severa ma
molto più ragionevole, alla quale Montmorency assomigliava sia per aspetto che
per carattere.
Alla fine, pur mugugnando, Gilbert si arrese,
e al suo seguito tutti se ne andarono, lasciando soli Margarita e il dottore.
Montmorency si era accorta subito che c’era
qualcosa di strano, e ne ebbe la certezza vedendo l’espressione enigmatica,
quasi minacciosa, di quel dottore che l’aveva fatta nascere, aveva curato tutte
le sue malattie e che, speravano entrambi, un giorno avrebbe fatto nascere
anche suo figlio.
Il dottor Sedgwick
era una persona solare e molto gentile, e proprio per questo quel volto ceruleo
era una cosa che proprio non gli si addiceva.
«Che succede?» chiese Montmorency preoccupata
«Almeno in questo modo potremo parlare in
tranquillità, senza rischio che altri possano sentire».
Sbagliava; ma nessuno dei due se n’era
accorto.
«Per il momento vi ho dato dei calmanti e dei
lenitivi. Dovrebbero prevenire l’insorgere delle crisi e mascherare gli
effetti, almeno per un po’.»
«Non si tratta di un’influenza, vero?» capì la
ragazza.
Il dottore la guardò ancor più severamente.
«Signorina. Voi siete incinta».
Nota dell’Autore
Eccomi qua!^_^
Sì, sono proprio io! Come
l’araba fenice, sono risorto dalle mie stesse ceneri!
No, scherzo.
Come ho spiegato già
in altre occasioni, mi sono concesso una pausa di riflessione, sia per
rimettere apposto le idee per questa fiction sia per scriverne un’altra che mi
era venuta in mente a seguito di un sogno.
Devo dire che questo
periodo di stop mi è servito, perché sono riuscito a mettere insieme tante
altre idee.
Prometto che da ora in
poi non ci saranno altre interruzioni, nonostante gli esami che continueranno a
perseguitarmi almeno fino al 25 di questo mese, e spero di non aver perso tutti
i miei lettori e recensori.
In teoria questo
momento dedicato a Guiche e Montmorency sarebbe dovuto durare 2 capitolo, ma
rifatti i calcoli credo ne occuperà almeno 4. Spero non sia un problema.^_^
Montmorency
si sentì improvvisamente mancare il respiro.
Voleva credere di aver sentito male, ma la
parte più razionale di lei in verità aveva iniziato a nutrire questo dubbio già
da diverso tempo; purtroppo, però, ora c’era la conferma, e a differenza di
quanto si era sempre immaginata nei suoi sogni di adolescente la notizia, date
le circostanze, non la faceva saltare di gioia.
«Ma… ma è sicuro!?»
domandò pregando per una rispostache
sapeva non sarebbe venuta
«Sì, signorina. Non vi sono dubbi.
Il feto ha già iniziato a svilupparsi.»
«Ma non ho avvertito nessun calo dei miei
poteri in questo periodo.»
«Probabilmente si è trattato di un evento
fulmineo. Capita talvolta, che la trasmissione del potere avvenga in modo
repentino ed improvviso, nello spazio anche di soli due o tre giorni.
Ad occhio e croce, siete tra il primo ed il
secondo mese».
Montmorency si toccò il ventre, rendendosi
conto personalmente di come sentisse qualcosa al suo interno, una vita che
stava nascendo; a quel punto, voler credere che non fosse vero era inutile.
«E adesso cosa faccio?» disse con la voce
rotta dalla paura «Se mio padre lo scopre…»
«Per quello che mi riguarda, signorina.» disse
il medico «Io non ne so nulla. Potete stare tranquilla, non proferirò parola.
Purtroppo, non posso suggerirvi come agire.
Per ora non c’è di che preoccuparsi, ma entro un paio di mesi i segni
diverranno impossibili da nascondere. Voglia il cielo che per allora venga
trovata una soluzione».
A quel punto, il dottore se ne andò, lasciando
Montmorency da sola con i suoi dubbi.
Che cosa poteva fare?
Se suo padre lo avesse scoperto, impossibile
stabilire come l’avrebbe presa; forse non l’avrebbe uccisa, ma Guiche di certo
non sarebbe stato altrettanto al sicuro.
Si portò nuovamente la mano al ventre, poi al
petto, per cercare di calmare i battiti del suo cuore.
In altri tempi, si sarebbe accorta
immediatamente di un occhio estraneo che la sorvegliava da un minuscolo foro
sulla volta del soffitto, e che aveva carpito ogni parola di quell’incontro.
Koga trovava
spregevole il dover spiare la propria padrona, ma non poteva certo disobbedire
ad un ordine del patriarca, che più furbo di quanto ci si potesse aspettare ed
insospettito dall’atteggiamento del dottor Sedgewik
gli aveva ordinato di scoprire cosa stessero realmente covando quei due, con la
promessa che in questo modo il suo ultimo atto di disobbedienza sarebbe stato
dimenticato.
Il giovane shinobi
non aveva mai imparato cosa fossero la rabbia e la frustrazione, almeno fino a
quel momento.
Ora, nonostante tutta la forza interiore che
aveva sempre dimostrato, si sentiva dilaniato da sentimenti contrastanti; in
particolare, provava un odio viscerale per quel damerino biondo, che aveva
osato sporcare con la sua lascivia la sua adorata padrona, ed immaginava di
fargliela pagare nei modi più dolorosi possibili.
Il dubbio lo divorava.
Che cosa doveva fare?
Quale dei due padroni doveva anteporre
all’altro? Ma più di tutto, in quale modo avrebbe potuto mantenere intatto il
proprio onore già compromesso, garantire il benessere della signorina e
soddisfare quei desideri che non gli riusciva di combattere?
Il
maresciallo Gramont tornò verso l’ora di pranzo, dicendosi subito molto felice
e lusingato per la visita di Saito e Louise.
Per come la vedeva lui, era Louise la
legittima sovrana di Tristain, quindi era come se fosse venuto a fargli visita
l’erede al trono in persona, un onore che doveva essere ricambiato.
Alla fine il tanto temuto temporale non
arrivò, ma l’ospitalità offerta dal maresciallo era tale che non poteva essere
rifiutata, così i due ragazzi si offrirono di rimanere per la notte e furono
invitati a cena dal patriarca e dalla sua famiglia.
Vedendo i suoi genitori, entrambi tanto seri e
composti, Saito e Louise non si meravigliarono che Guiche, il loro unico
figlio, fosse venuto fuori così. Non erano vanesi e primedonne come lui, ma
sicuramente l’avevano viziato all’inverosimile, tenendo conto anche del fatto
che era l’unico figlio che fossero riusciti ad avere.
Mentre Saito e Louise cenavano in compagnia
dei padroni di casa, Kaoru sostava sul balcone della sala da pranzo, a distanza
di sguardo, scambiandosi di tanto in tanto dei cenni ora con l’uno ora con
l’altra.
«E come procedono le cose all’est?» domandò il
maresciallo
«Abbastanza bene.» rispose Louise
«Qui purtroppo la situazione non è delle
migliori. Lord Santin si sta espandendo velocemente, e ormai i suoi confini non
distano molto da qui.
Scendere in guerra contro il mio stesso Paese
è una cosa che mi atterrisce al solo pensiero, ma temo che se andrà avanti di
questo passo non potremo restare neutrali ancora a lungo.
Di certo, non ho intenzione di cedere il mio
feudo al conte di Mormerié. Se lo vuole, dovrà
venirselo a prendere.»
«Caro.» disse la moglie «Non potremmo evitare
di parlare di politica almeno per stasera?»
«Hai ragione, cara. Infondo, credo che i nostri
ospiti non siano certo venuti qui per questo.»
«Non si preoccupi.» rispose Saito «Non è un
problema».
In quella arrivò un servitore, che si accostò
al patriarca per potergli parlare.
«Lady Ludwika è
venuta a farvi visita, signore.»
«Ah, perfetto. Falla pure entrare.»
«Subito, signore.»
«Lady Ludwika è mia
cugina.» spiegò il maresciallo mentre attendevano l’arrivo dell’ospite «Ha
sposato in seconde nozze MaximeTouroc,
un parente di quell’idiota del Duca Montmorency. È una brava donna, molto
composta e risoluta.
Ed è anche grazie a lei se finora siamo
riusciti ad evitare una guerra».
Lady Ludwika si
presentò in sala da pranzo dopo qualche minuto, colpendo subito Saito e Louise,
ma anche Kaoru.
Pur avendo ormai raggiunto la soglia dei
cinquanta era una donna dall’indubbio fascino, dotata di una forza attrattiva
quasi ipnotica; i capelli, marroni, erano raccolti alla maniera dei nobili, e
il volto ingentilito sapientemente dal trucco.
Portava un abito blu, che si sposava con il
colore dei suoi occhi, provvisto di una gonna molto larga, di quelle che ormai
stavano iniziando a sparire, ma che alcune nobildonne più austere e
rispettabili seguitavano a sfoggiare come simbolo del proprio status.
Saito quasi arrossì nel vederla, e anche
Louise ne rimase colpita.
«Benvenuta, cugina.»
«Mi spiace di aver interrotto il tuo pranzo,
cugino. Ma ho bisogno di parlarti.»
«Certo, non c’è problema. Prego, accomodati.»
«Veramente, sarebbe meglio discuterne in
privato.»
«Non c’è problema. Le persone qui presenti
sono i legittimi eredi al trono di Tristain. Possono sentire e conoscere ogni
cosa, gli è dovuto.
Quanto a Guiche e Alexandra…
sono la mia famiglia, dopotutto.»
«Come preferisci».
Un servo portò uno scranno, e la nobildonna si
accomodò proprio accanto al cugino; le venne offerto anche del cibo, ma lei
rifiutò, sostenendo che non avesse fame.
«Allora, Ludwika.
Che cosa ti porta qui?»
«Maxime stamattina
presto si è recato al palazzo dei Montmorency.
Non so cosa abbia fatto, o di cosa abbiano
parlato, ma certo che ha detto ai domestici di non dirmi dove fosse andato. È
stata la mia damigella a riferirmelo.»
«Dannato vecchio stupido. Che diceva la testa
a mio zio quando ti ha convinta a sposarlo?».
Saito, Louise e Guiche si guardarono tra di
loro, preoccupati.
«E adesso lui dov’è?»
«Non è ancora rientrato. Ho detto ai domestici
di lasciargli detto che sono andata a fare visita ad una amica di un villaggio
vicino alla nostra villa, ma non so se ci crederà. Sarebbe prudente farmi
trovare lì al suo ritorno.»
«Ovviamente. Grazie di avermi avvisato.»
«Cerca di capire, cugino. Io non voglio una
guerra. Ma mio marito temo di sì, e anche Gilbert. Come minimo, mi sento in
obbligo di suggerirti di mettere il tuo esercito in allerta, e di ammassarlo ai
confini del tuo feudo. Almeno, se dovesse accadere qualcosa, saresti pronto a
reagire, e costituirebbe anche una ostentazione di autorità che potrebbe
fungere da deterrente».
Il maresciallo si portò una mano al mento
massaggiandosi il pizzetto; l’idea non era affatto male.
«Padre!» esclamò Guiche alzandosi dalla sedia
«Non starai pensando di combattere!»
«Siediti, Guiche.» gli ordinò sua madre
«Queste non sono cose delle quali puoi decidere tu.»
«Però…»
«Non si dovrebbe discutere di guerra con così
tanta leggerezza, se posso permettermi.» intervenne Saito «Se ammassaste
l’esercito alla frontiera, il Duca di Montmorency potrebbe pensare ad un
attacco imminente e decidere di colpire per primo.»
«Un atteggiamento che vi fa onore, Lord Hiraga.» rispose Ludwika con una
punta di acidità «Ma questa purtroppo non è Grasse, o de Ornielle. I casati dei
Montmorency e dei Gramont sono nemici da sempre, e la situazione non è mai
stata così tesa. La paura e la distanza sono gli unici deterrenti che fino ad
ora hanno evitato un conflitto, ed ostentare la propria forza è l’unico modo
per avere qualche sicurezza in più.»
«Ma se radunerete l’esercito al nord.» disse
Louise «Il sud resterà vulnerabile. Avete appena detto che lord Marcin e le sue armate non distano molto da qui. Potrebbe
decidere di attaccare».
Ludwika fece per
rispondere, ma il maresciallo la colse incredibilmente in controtempo.
«Può essere. Ma in questo momento, è quella
serpe infida di Gilbert a preoccuparmi di più. Farò come mi hai suggerito, Ludwika. Se quello stupido pensa che sarà così facile
prendersi il feudo dei Gramont, troverà di che sorprendersi.»
«Scelta saggia, cugino. Dopotutto, io sono pur
sempre una de Gramont, e prima che a mio marito sono devota alla mia famiglia».
Di nuovo, i tre ragazzi si guardarono
preoccupati.
La faccenda si stava facendo di momento in
momento sempre più ingarbugliata e pericolosa.
Un’oretta dopo, la contessa salì sulla propria
carrozza per fare ritorno al feudo dei Touroc. Il
maresciallo e tutta la sua famiglia, oltre a Saito e Louise, la accompagnarono
in cortile, restando ad osservare la carrozza mentre si allontanava.
Kaoru assisteva dall’alto della solita
terrazza, braccia conserte e sguardo preoccupato.
«A che pensi?» chiese Derf
«C’è qualcosa di strano. Ho percepito una
strana sensazione.»
«Credi che ci sia qualcosa dietro a tutto
questo?»
«Non lo so. Ma se fosse, è chiaro che è il
caso di scoprirlo».
Alla
fine, quasi come un automa senz’anima, giunse al cospetto del patriarca, che
intanto si era accomodato a tavola, al quale raccontò, con la voce tremante e
lo sguardo basso, tutto quello che aveva visto.
E sentito.
Il duca di Montmorency non voleva credere a
ciò che sentiva, ma come gli riuscì di capacitarsi il suo volto si accese di
rabbia come la sua stessa moglie non avrebbe mai creduto possibile.
Come un toro infuriato, e con la consorte che
lo pregava di calmarsi, attraversò i corridoi del palazzo e piombò in camera
della figlia quasi sfondando la porta.
«Razza di sgualdrina!» tuonò colpendola con il
primo di molti ceffoni «Ti sei fatta sverginare da quell’azzimato incapace di
Guiche!
Tra tutti, proprio da lui dovevi farti mettere
incinta?
Sei un disonore per tutta la famiglia!»
«Caro, adesso basta!» lo supplicò la moglie
dopo l’ennesimo schiaffo «Potresti fare del male al bambino se la colpisci
ancora!»
«E sai che me ne importa? Giuro sul nome e la
tomba di tutti i miei antenati che morirò piuttosto che farlo nascere!».
Alla fine di quel supplizio, quando il duca
finalmente si calmò, il viso di Montmorency era tutto rosso e pieno di lividi,
come pure le braccia che aveva usato per tentare di difendersi dalla furia
bestiale del padre.
Il duca fece un paio di respiri profondi.
«Adesso non ho tempo da dedicarti. Ma sappi
fin da ora che mai e poi mai ti lascerò tenere questo bambino. Te lo strapperò
dal ventre io stesso, se dovesse rivelarsi necessario.
E comunque, è solo rimandata. Più tardi tu ed
io faremo i conti sul serio. Per ora resterai chiusa qui dentro. Non uscirai
neanche per mangiare. Poi, vedremo».
Margarita era inginocchiata a terra,
raggomitolata su sé stessa, e come il padre le diede le spalle corse a
nascondere la testa tra i cuscini del letto piangendo a dirotto. Vedendola
così, privata di tutto il suo coraggio e determinazione, Koga
si sentì ancora peggio di quanto già non lo avesse fatto sentire il rendersi
conto di ciò che aveva fatto.
Per fortuna Gilbert era ancora troppo
sconvolto per quello che era successo per accanirsi anche contro di lui, che in
linea teorica poteva essere considerato in parte responsabile in quanto guardia
del corpo di tutta la famiglia Montmorency.
«Tienila sempre d’occhio. Non perderla mai di
vista.»
«S… sì, mio
signore».
A quel punto tutti se ne andarono.
Rimase solo Koga, al
quale il pianto ininterrotto di Montmorency sembrava un rumore assordante che
gli lacerava un animo già duramente provato, e combattuto tra sentimenti
opposti.
«Mia signora…» tentò
di dire
«Và via!» urlò lei disperata.
Koga restò un
momento basito, ma alla fine anche lui uscì. Rimasta sola, Margarita continuò a
piangere senza sosta per diverse ore, domandandosi come si fosse giunti a
quella situazione e cosa poteva accadere da quel momento in poi.
Poi, quando ormai il pianto le aveva tolto
quasi tutte le forze, alzati gli occhi rossi per le innumerevoli lacrime le
capitò dinnanzi agli occhi la gabbietta d’argento dove stava Sue, il piccione
viaggiatore che da mesi costituiva l’unico mezzo con il quale lei e Guiche
potessero riuscire a tenersi in contatto.
A quel punto, si disse, doveva fare una
scelta.
O la sua famiglia, o il suo amore, e la creatura
che portava in grembo.
Decise, una volta tanto, di imitare Louise;
suo padre e la sua famiglia potevano anche andare all’inferno, ma lei non
avrebbe rinunciato ai suoi sentimenti.
Ma non poteva certo scappare da sola.
Suo padre aveva costruito personalmente una
spessa barriera tutto attorno alla stanza, e dall’interno era quasi impossibile
riuscire a spezzarla; per non parlare del fatto che non era una guerriera, né
la sua magia poteva permetterle di sfuggire ai soldati di suo padre che
sicuramente le avrebbero dato la caccia se l’avessero sorpresa a scappare.
L’unica cosa da fare era rimettersi nelle mani
di Guiche.
Alzatasi dal letto prese un bigliettino, vi
scrisse l’essenziale e fece uscire Sue dalla gabbia, infilando il messaggio nel
piccolo contenitore assicurato alla zampa, quindi si avvicinò alla finestra,
oltre la quale era ben visibile la barriera magica.
Suo padre, ovviamente, le aveva tolto la
bacchetta, ma ne aveva una di riserva; non poteva certo rompere il muro, ma
poteva crearvi una piccola breccia, abbastanza da far uscire Sue.
Margarita spalancò i battenti, puntò la
bacchetta al centro e si concentrò al meglio che poteva. Fu uno sforzo
considerevole, ulteriormente accentuato dalla fatica e dalla spossatezza che il
suo stato le provocava, ma alla fine riuscì ad aprire un piccolo spiraglio.
«Vai, presto!» disse sciogliendo Sue, che
subito dispiegò le ali e spiccò il volo, in tempo per evitare che la barriera
si richiudesse «Guiche. Sono nelle tue mani, ora».
Sue volò senza sosta per tutto il giorno,
sorvolando il feudo dei Montmorency e quello dei Touroc
per poi giungere, verso sera, in vista del palazzo dei Gramont.
La prima a scorgerla fu Siesta, che aveva
seguito Saito, Louise e Kaoru e che fin dall’arrivo era rimasta a bordo della
White Dragon per ripulirla ed occuparsi delle cabine in previsione del viaggio
di ritorno.
Se ne accorse per caso, mentre rassettava il
ponte principale, e mentre era ancora con il naso all’insù le cadde l’occhio
anche su di una figura che, avvolta dal buio, lasciava il palazzo scavalcando
il muro di cinta. Non le riuscì di scorgerla bene, al punto che non poté
neanche dirsi sicura di averla realmente vista, però ebbe la netta impressione
che fosse stato proprio Kaoru.
Intanto Sue era andata ad appollaiarsi sulla
balaustra di una delle finestre di Guiche, che si trovava proprio in camera sua
assieme a Saito, ma che solo dopo qualche minuto si accorse di lei.
«Sue.» disse aprendole e facendola entrare
«Che cosa ci fai qui?»
«Chi è?» chiese Saito
«È la colomba di Montmorency. La usiamo per
comunicare tra di noi senza che i nostri genitori lo sappiano».
Guiche prese il foglietto e lo aprì, ma come
ne lesse il contenuto i suoi occhi si spalancarono, e si fece pallido come una
salma.
«Problemi?» domandò Saito preoccupato.
Il ragazzo impiegò qualche secondo a
riprendersi, sforzandosi subito di recuperare quanto più contegno possibile.
«No, niente di che. Si è ammalata, quindi non
potremo vederci per un po’. Tutto qui.»
«Capisco.» disse Saito con uno sguardo strano.
Proprio in quel momento un servitore bussò
alla porta annunciando che la cena era in tavola.
«Andiamo?»
«Vai pure. Vi raggiungo subito».
Saito, non senza qualche perplessità, se ne
andò, lasciando da solo Guiche, che buttatosi con le braccia sulla scrivania
strinse i denti per l’angoscia e la tensione.
Che cosa doveva fare?
Ci mise davvero poco a prendere la sua
decisione. Fosse quello che fosse, prima di tutto era necessario salvare
Montmorency. Tutto il resto era secondario, almeno per il momento; e poco importava
quello che sarebbe stato di lui, o come avrebbe reagito suo padre.
Qualche
ora dopo, quando ormai era calata la notte, Siesta ebbe nuovamente la
sensazione di scorgere un’ombra che velocissima attraversava il giardino, e di
nuovo non seppe stabilire se aveva visto giusto o se era stato solo uno scherzo
degli occhi.
La risposta sembrò arrivare dopo pochi
minuti,quando Louise si presentò a
bordo confusa e anche un po’ scocciata.
«Qualcosa non và, Miss Vallière?» domandò
«È inaudito! Mi giro un momento, e sia Saito
che Kaoru spariscono. Saito poi, mi ha fatto fare una figura con il maresciallo
e sua moglie non presentandosi a cena.»
«Saito e Kaoru sono spariti?»
«Così sembra. Le guardie dicono di aver visto
Kaoru allontanarsi prima di cena. Come se non bastasse, non sono riuscita a
trovare neanche Guiche.»
«Anche il signor Gramont!?»
«Questa storia non mi piace neanche un po’.
Spero solo che quel trio di stupidi non si cacci nei guai».
Guiche era infatti l’ombra che Siesta non era
sicura di aver visto sgattaiolare via di nascosto.
Le altre volte aveva sempre aspettato che
tutti andassero a dormire per lasciare il palazzo, così da poter prendere il
cavallo, ma quella era una questione della massima urgenza, e ogni secondo
lontano da Montmorency di colpo gli sembrava una eternità.
In groppa a Verdandi
il ragazzo raggiunse il solito villaggio, rimosse la copertura che nascondeva
l’ingresso del foro e ci si calò dentro, rimettendosi immediatamente a correre.
Anche correndo a perdifiato senza mai fermarsi, magari a cavallo di una delle
sue valkyrie artificiali o della stessa Verdandi, erano necessarie almeno due ore per arrivare al
Lago Biwa, e almeno un’altra per raggiungere il
palazzo.
Guiche corse, corse come un matto senza
concedersi un momento di riposo, pensando le cose più terribili e ripetendosi
che doveva fare il prima possibile proprio per impedirle, ma alla fine, dopo
svariati chilometri, dovette fermarsi per fare una pausa e riprendere fiato.
Fu una sosta molto lunga, più di quanto avesse
voluto, ma come fece per rimettersi in marcia ebbe la netta sensazione di avere
qualcuno alle proprie spalle.
«Chi c’è?» urlò voltandosi e mandando
all’attacco la valkyria-cavallo che aveva creato per
facilitarsi il resto del viaggio.
L’animale impennò, ma i suoi zoccoli metallici
e appuntiti andarono a scontrarsi con la spada di Saito; come lo riconobbe,
Guiche allontanò immediatamente il servitore.
«Non credevo fossi così veloce.» disse Saito
rinfoderando la spada «Ti sarai allenato scappando da Montmorency ogni volta
che lei ti sorprendeva a spiarla nel bagno.»
«Che ci fai tu qui?»
«Non sei mai stato bravo a mentire. L’ho
capito subito che era successo qualcosa. Immaginavo che usassi un qualche
passaggio segreto per raggiungere Montmorency nel suo feudo senza essere notato,
e visto che in quel villaggio di minatori ti sono tutti amici ho pensato che
doveva trovarsi lì.
Così ti ho preceduto e ho aspettato, e quando
sei sceso ti ho seguito.
Allora? Qual è la verità?».
Guiche a quel punto non poté fare altro che
confessare tutta la verità; Saito ascoltò scioccato e atterrito, ma non sembrò
né compatire né voler mortificare l’amico per quello che, in un certo senso,
lui stesso aveva provocato.
«Ecco, ora sai tutto.»
«Lo sai, vero, quello che rischi? Di sicuro la
sorveglianza sarà strettissima. E poi, hai calcolato quello che potrebbe
succedere quando scopriranno quello che vuoi fare?»
«Che mi importa. Devo aiutare Montmorency. Che
uomo e che padre sarei, altrimenti?».
Saito non rispose, limitandosi a guardare
Guiche in modo piuttosto severo.
«Ridi pure, se vuoi.» disse Guiche sorridendo
di rassegnazione «Ti capisco, dopotutto. Io ho creato questa situazione, e ora
pretendo di riuscire a risolverla.»
«Niente affatto, amico mio.» replicò Saito con
un sorriso «Capisco benissimo. Perché anche io so cosa si sarebbe pronti a fare
per la donna che si ama… e per il proprio figlio».
Guiche lo guardò perplesso.
«Quindi… anche tu…».
Saito rispose con un sorriso ed un
ammiccamento.
«Avanti. Andiamo adesso.»
«Niente affatto. Non posso coinvolgerti.»
«Guiche.» rispose allora severamente Saito «Se
non mi fai venire con te, andrò a raccontare tutto a tuo padre.»
«Che hai detto?» ringhiò il biondino rosso di
rabbia afferrando Saito per il bavero.
Saito però rimase impassibile, mentre Guiche
serrava i denti per la rabbia ed il senso di impotenza che lo tormentava da
quando quella storia aveva avuto inizio. Poi, dopo poco, Guiche si calmò,
lasciando andare l’amico.
«Fa come ti pare.» disse montando a cavallo,
ed invocandone uno anche per Saito «Ma non restarmi tra i piedi.»
«Tu piuttosto, cerca di non frignare come tuo
solito.» replicò ironico Saito balzando in sella.
Verso
le due del mattino, Guiche e Saito erano appostati dietro una siepe, con
davanti a loro l’alto muro di cinta del palazzo dei Montmorency.
La sorveglianza era strettissima, proprio come
aveva ipotizzato Saito; tensione tra le due famiglie a parte, sicuramente anche
la scoperta della gravidanza di Montmorency c’entrava qualcosa.
«Accidenti, quanti sono.» disse Guiche vedendo
che c’era un soldato ogni cinque metri di muro «Sembra che dovremo aprirci la
strada.»
«Aspetta, non essere impulsivo. Se danno
l’allarme, diventerà tutto più difficile».
Alla fine si decise di scavare un nuovo tunnel
con l’aiuto di Verdandi, per passare sotto al muro di
cinta e sbucare fuori dall’altra parte.
La gigantesca talpa si mise immediatamente al
lavoro, cercando di fare meno rumore possibile per non mettere in allarme le
guardie, e come il buco fu abbastanza profondo i due ragazzi ci entrarono
immediatamente, coprendo il foro con dell’erba per ridurre i rischi.
«Sei sicuro che funzionerà?» domandò Saito
mentre avanzavano nel buio
«Fidati. Sono stato altre volte nel palazzo
dei Montmorency, quando le nostre famiglie cercavano di fare pace, e mi ricordo
bene come è fatto.»
«Speriamo bene. Certo che però è difficile
orientarsi restando sottoterra».
Dopo poco Guiche, che in realtà non era del
tutto sicuro di dove stessero andando, ordinò a Verdandi
di fermarsi e di scavare l’uscita, che secondo i suoi calcoli li avrebbe fatti
sbucare fuori nel bel mezzo dell’arboreto dietro alla casa, dove a rigor di
logica non doveva esserci nessuno.
«E ora speriamo di non trovare sorprese.»
disse il biondino incrociando le dita.
Invece, per fortuna, la sua intuizione si rivelò
esatta, e i due ragazzi sbucarono fuori a pochi passi dall’ingresso posteriore
della villa.
«Questo posto è enorme.» disse Saito alzando
gli occhi «Dove sarà la stanza di Montmorency?»
«Dove vuoi che sia? Lassù.» replicò Guiche
indicando un’ala del terzo piano completamente avvolta in una barriera «L’unico
modo per infrangere quello scudo è agire sul punto focale.»
«E tu sai dove si trova?»
«A rigor di logica, dovrebbe essere la porta
della stanza. Così la barriera può essere aperta e chiusa in qualsiasi
momento.»
«Il che significa che dobbiamo entrare nella
villa.»
«Non c’è altra scelta. Io non sono un esperto
in questo genere di barriere. A meno di non agire sul punto focale, non c’è
modo che riesca a distruggerla.»
«Ma come facciamo? Di sicuro sarà pieno di
sorveglianza lì dentro».
Guiche ci pensò un momento, poi sorrise
malevolo.
«Forse ho trovato».
Dieci minuti dopo, una decina di valkyrie appositamente create presero a creare scompiglio
nel villaggio ai piedi della collina dove si trovava il palazzo, rovesciando
carri, demolendo granai e spaccando finestre.
Le guardie che presidiavano in palazzo se ne
accorsero subito; alcune di esse si diressero verso il villaggio per riportare
la calma, altre invece, pur restando ai propri posti, si fecero distrarre,
dando modo a Guiche e Saito di entrare e muoversi senza essere notati.
«Gran bella pensata!» osservò Saito mentre
salivano le scale «Sei più furbo di quanto mi aspettassi.»
«È un complimento?» domandò provocatoriamente
Guiche.
Raggiunto il terzo piano, però, i ragazzi si
imbatterono in una coppia di guardie che pattugliavano il corridoio, ma prima
che potessero dare l’allarme Saito piombò loro addosso e le stese entrambe con
un paio di precisi colpi di piatto.
«Perdere le rune di Gandalfr non ti ha
rammollito, a quanto pare.»
«È un complimento?» disse Saito facendogli il
verso.
Montmorency, che si era accorta di quello che
stava succedendo al villaggio, era ancora intenta a guardare preoccupata quello
che succedeva fuori, quando magicamente vide la barriera cadere sotto i suoi
occhi e sentì la serratura della porta scattare di colpo.
Per un attimo pensò che potesse essere suo
padre, ma appena vide palesarsi Guiche gli corse incontro piangendo di gioia e
buttandosi tra le sue braccia.
«Montmorency!»
«Guiche! Lo sapevo che alla fine saresti
venuto!»
«Potevi dubitarne?»
«E tu cosa ci fai qui?» domandò poi la ragazza
rivolta a Saito
«Sarebbe troppo lungo da spiegare. Ora andiamo
prima che ci scoprano».
Quello che Saito, Guiche e Montmorency,
unitasi a loro, non potevano immaginare, era che anche Koga
si sarebbe recato al villaggio per reprimere i disordini.
Grazie alla sua abilità e alla sua esperienza,
le valkyria di Guiche vennero eliminate in molto meno
di tempo di quanto si fosse previsto, e poiché conosceva la tecnica magica del
rampollo dei Gramont al giovane shinobi bastò fare
due più due per capire quello che stava succedendo.
«Maledizione!» ringhiò, e girati i tacchi
tornò di corsa verso il palazzo.
Nel frattempo i tre ragazzi erano ridiscesi in
cortile, ma proprio quando erano sul punto di calarsi nel foro Koga raggiunse la camera di Montmorency arrampicandosi
lungo il muro, trovando come si aspettava la barriera abbattuta e la stanza
vuota.
«Allarme!» urlò a piena voce.
Tutto il giardino prese immediatamente a
venire attraversato da urla, clangore di armi e pattuglie di ronda, e prima che
Saito e gli altri potessero calarsi nel buco e cancellare ogni traccia un
gruppetto di soldati si imbatté in loro.
«Voi andate!» disse Saito sguainando la spada
«A questi ci penso io!»
«Saito, sono troppi!» gli disse Guiche «Non ce
la farai mai! Ti aiuto anch’io!»
«Non dire idiozie! Abbiamo fatto tutto questo
per fare in modo che tu e Montmorency poteste riunirvi. Se venissi preso
sarebbe stata una fatica inutile.»
«Però…».
I soldati attaccarono, ma anche se Saito
riuscì a tramortirli tutti ne stavano arrivando altri.
«Andate, presto! E se io non dovessi
raggiungervi al lago entra un’ora, raggiungete subito Gramont».
Guiche si sentiva impotente; d’altra parte
però, Saito si stava sacrificando per loro, e loro non potevano vanificare il
suo sacrificio.
«Ti prego, non ucciderli!» disse Montmorency
rassegnandosi all’idea
«Stai tranquilla, non lo farò.» le rispose
Saito con un sorrido «Ora andate.»
«Mi raccomando, raggiungici il prima
possibile.» disse Guiche
«Sta tranquillo».
Guiche e Montmorency a quel punto se ne
andarono, lasciando Saito da solo ad affrontare le guardie del palazzo.
Per un po’ il ragazzo riuscì a difendersi bene,
mettendo a frutto la sua esperienza a lungo affinata nel corso degli
allenamenti con Kaoru, riuscendo nell’impresa di stendere quasi tutti gli
aggressori che gli si presentavano senza per questo doverli uccidere.
Si era quasi convinto di poterne uscire senza
problemi, quando all’improvviso un’ombra nera arrivò a sovrastarlo oscurando le
lune, e una strana selva di fili sottilissimi gli piombò addosso.
«Maledetto! Dov’è Margarita-sama?»
sbraitò Koga con occhi assatanati e pazzo di rabbia.
Saito riuscì ad evitare l’attacco spostandosi
all’indietro, ma quei fili, a dispetto della loro apparente innocenza, si
rivelarono così duri ed affilati da riuscire a sventrare il terreno. Come Koga tornò a terra Saito provò a contrattaccare, ma lo Shinobi lanciò nuovamente quei suoi fili che teneva
annodati attorno ai polsi, e che come mossi da vita propria prima fermarono la
spada di Saito e poi, avvinghiatala, gliela strapparono di mano, lasciandolo
disarmato.
Il giovane Hiraga
rimediò recuperando la spada di un soldato svenuto, ma ogni volta che provava a
muovere un attacco quei fili infernali si ponevano in difesa del loro padrone,
guizzando e volando in tutte le direzioni e colpendo come una selva di
micidiali fruste.
Koga riusciva
a controllare tutti quei fili, realizzati con la fibra ricavata da una speciale
canapa unica nel suo genere, grazie ai suoi anelli, e alla straordinaria
velocità con cui riusciva a muovere ed agitare le braccia, che gli permettevano
di muoverli come se fossero stati una parte del suo corpo.
Saito tentò in ogni modo di difendersi, ma
alla fine venne nuovamente disarmato, e prima che potesse pensare di fare
qualcosa si ritrovò completamente avvinghiato. Se ne era già accorto quando lo
avevano colpito in altre occasione, ma quei fili erano terribilmente taglienti,
laceravano i vestiti e penetravano nella carne come un coltello nel burro.
Il ragazzo serrava i denti per contenere le
grida, mentre Koga, con sguardo di chi è ormai fuori
di sé, stringeva sempre più forte; gli bastava muovere un dito, anche di poco,
e la stretta aumentava, improvvisa e dolorosissima.
«Parla, maledetto. Dov’è Margarita-sama?
O parola mia, ti faccio a brandelli».
Saito però non parlò, guardando anzi Koga con occhi di sfida. Questo fece ulteriormente
infuriare il giovane shinobi, che ringhiando di
rabbia all’improvviso strinse fin quasi al punto di rottura; Saito sentì i fili
penetrargli nel corpo quasi dappertutto, e a quel punto non riuscì a non urlare
con tutta la sua voce.
Probabilmente Koga
avrebbe protratto quella sofferenza inaudita per chissà quanto tempo, o
addirittura si sarebbe spinto oltre, se all’improvviso una voce perentoria non
lo avesse fermato.
«Basta così!» tuonò il duca comparendo nel
giardino con la vestaglia da notte indosso e il suo bastone-scettro in mano.
Koga esitò,
digrignando i denti, ma alla fine obbedì, ritirando i fili, e lasciando che
Saito rovinasse al suolo, coperto si sangue e tagli profondi ma fortunatamente
vivo.
«Portatelo nelle celle».
Nota dell’Autore
Eccomi qua!^_^
Di ritorno, come
sempre.
Mi sento più
soddisfatto. Un esame me lo sono lasciato alle spalle, e per i successivi non
dovrei avere particolari problemi, senza contare che li avrò solo ai primi di
luglio, quindi ho un po’ di tempo.
Nell’ultima nota ho
dimenticato di fare una precisazione.
Il personaggio di Koga è ispirato a Yashamaru, dell’anime
Basilisk, dal quale apprende anche la tecnica di
lotta. Questo personaggio mi era piaciuto fin dall’inizio, e mi era dispiaciuto
che fosse morto così presto, così ho voluto dargli un ultimo momento di gloria
nella mia storia.
Visto che mi trovo io
stesso in periodo di esami, posso capire perché Seldolce
non si sia fatta viva dall’ultimo aggiornamento. Avanti, che tra poco sarà
finita!
Al
sorgere del sole, Louise non era ancora andata a dormire.
Troppa era la preoccupazione per Saito e
Kaoru, spariti nel nulla senza lasciare tracce e di cui non aveva la minima
idea di dove fossero o cosa fosse loro capitato.
Di certo, continuava a ripetersi, avrebbe dato
loro una lezione di quelle che non si dimenticano, una volta che li avesse
avuti tra le mani. Così imparavano a farla preoccupare a quel modo.
Come se non bastasse, si era sparsa la voce
che anche Guiche fosse sparito, e ora il palazzo era nella più totale
confusione.
Capitava spesso che il giovane e scapestrato
erede se ne andasse in giro per i fatti suoi senza dire niente e mettendo tutti
sul chi vive, ma quella era una situazione particolare, dove tutto poteva
essere possibile.
Verso le otto un servo andò da Louise ad
informarla che la colazione era in tavola; la ragazza aveva gli occhi pesti,
sonno quanto bastava e un diavolo per capello, e quando scese in sala da pranzo
si avvide che anche i padroni di casa non stavano poi tanto meglio.
«Dove si sarà cacciato quel buono a niente?»
sbraitò il maresciallo mentre tutti e tre si sforzavano di mangiare
«Anche mio marito e il mio famiglio sono
spariti.» disse Louise «Qualcuno ha detto di averli visti allontanarsi ieri
sera, ma non ho idea di dove siano o perché se ne siano andati.
Vi prego umilmente di perdonarli.»
«Non fa niente, miss Vallière. Sono io anzi
che dovrei chiederle scusa. Sicuramente è tutta opera di quello scapestrato
combina guai di mio figlio. Li avrà trascinati a forza in qualcuna delle sue
avventure strampalate.
Comunque, ho mandato vari esploratori a
cercarli in giro per il feudo. Non temete, tra poco sono sicuro che saranno di
ritorno, e potremo smettere di preoccuparci».
Quasi a farlo apposta, qualche minuto dopo lo
stesso Guiche si palesò in sala da pranzo entrando dalla porta principale;
teneva gli occhi bassi, era pallido e sembrava quasi mortificato.
«Guiche!» disse sua madre «Si può sapere dove
sei stato? È tutta la notte che l’intero castello ti cerca!»
«Padre. Madre.» disse lui insolitamente serio
«C’è una cosa che devo farvi vedere».
Passò un secondo, e ad un cenno di Guiche
Montmorency comparve alla presenza dei padroni di casa, che saltarono sulla
sedia per la sorpresa e lo sgomento; anche lei teneva gli occhi bassi per la
paura e la vergogna, ed aveva un’espressione terribilmente affranta.
«Che cosa ci fa lei qui? Si può sapere che
diavolo ti passa per la testa, razza di figlio degenere!»
«Padre. Lascia che ti spieghi, per favore».
Guiche a quel punto non poté fare altro che
confessare tutto, aiutato di quando in quando dalla sua amata, che aggiungeva
spiegazioni cercando di limare le responsabilità di Guiche e assumendosi la sua
parte di colpe; dopotutto, come si scoprì, era stata sua l’idea del tunnel che
passava sotto Touroc.
I genitori ascoltarono attoniti, e quando il
racconto finì erano più sconvolti di quanto non fossero mai stati in tutta la
loro vita.
«Ma cosa ho fatto di male per avere un figlio
così stupido?»
«Hai così tante ragazze che ti girano
intorno.» disse la madre «Tra tutte, proprio con la figlia dei Montmorency
dovevi andare a letto?»
«Ti rendi conto del disastro che hai
combinato?» disse il padre, che poi si alzò in piedi indicando Montmorency «Tu
stasera te ne ritorni dritta a casa, con una lettera di scuse rivolta a tuo
padre.»
«Non può tornare a casa, padre! La sua
famiglia la ucciderebbe!»
«E vorresti tenerla qui? Ti rendi conto che è
una mina vagante? Appena Gilbert scoprirà dove si trova sua figlia mi scatenerà
contro un esercito, sempre ammesso che non l’abbia già fatto!»
«Saito!» irruppe di colpo Louise, che in tutto
quel tempo aveva cercato di assimilare lo shock per quello che Guiche aveva
raccontato a proposito del suo amato «Che ne è stato di Saito?»
«Lo abbiamo atteso per ore all’ingresso del
tunnel, ma non è mai arrivato. Poi, all’improvviso, mentre lo aspettavamo,
abbiamo visto una pattuglia di soldati avvicinarsi, e siamo stati costretti a
scappare.
Non so cosa ne sia stato di lui, ma è molto
probabile che l’abbiano catturato».
Louise non riuscì a non pensare al peggio, e
un brivido le attraversò tutto il corpo.
«Mi dispiace, Louise.» disse Montmorency
mortificata «È colpa mia.»
«No…» sussurrò
«Tranquilla, Louise.» la rassicurò tuttavia
Guiche «Saito è un nobile e un feudatario. Il duca è un uomo vecchio tipo, che
segue il codice della cavalleria. Non può uccidere un suo parigrado.»
«Questo non cambia la tua situazione.»
intervenne nuovamente il maresciallo «Non possiamo tenere questa ragazza qui
con noi!»
«Se Montmorency se ne và» disse Guiche con una
risolutezza mai vista prima «Allora me ne vado anch’io.»
«Tu non vai da nessuna parte!»
«Io la amo, padre. E non mi farete cambiare
idea. Se proprio non volete aiutarci, allora da adesso in poi andremo avanti da
soli. La vostra approvazione non ci serve, dopotutto.»
«Dannato ragazzino ingrato.» replicò il
patriarca a denti stretti «Quando avrò finito con te, rimpiangerai di esserti
fatto uomo proprio adesso.»
«Invece, secondo me sarebbe una pessima idea!»
disse una voce famigliare, che fece volgere tutti verso il portone sul lato
opposto
«Ludwika!?» esclamò
il maresciallo
«Prova a riflettere, cugino. Per anni abbiamo
cercato di creare una pace duratura tra i casati di Gramont e Montmorency
tramite questi due ragazzi. E cosa c’è di meglio di un erede per sancire questa
pace?»
«Quale pace!? Mi stai chiedendo di fare pace
con quella serpe?»
«Al punto in cui siamo, cugino, con Maxime dichiaratamente schierato contro di noi, solo la
pace impedirà ai Gramont di andare incontro alla rovina. E tu lo sai».
Il maresciallo digrignò i denti per la rabbia.
«Però, quando Gilbert scoprirà che sua figlia
è qui…»
«Gilbert lo sa benissimo che sua figlia è qui.
Ma non può provarlo.»
«Che importanza ha? Ci dichiarerà guerra
comunque.»
«È qui che ti sbagli, cugino. Non può farlo.
Come il tuo intelligentissimo, per quanto avventato figlio ha fatto notare,
quel vecchio orso di Gilbert venera il codice della cavalleria come il suo
secondo dio. E in base al codice, un nobile non può muovere guerra ad un altro
nobile senza che vi sia un valido motivo.
Pertanto, finché non potrà provare con
assoluta certezza che sua figlia si trova qui, non potrà mai usare questo come
pretesto per muovere guerra ai Gramont.
Per lo stesso motivo, inoltre, sarà costretto
a riconoscere la fine delle ostilità, qualora il bambino dovesse nascere. Il
Codice prescrive chiaramente che la nascita di un erede tra membri di famiglie
avverse è da ritenersi essa stessa come accordo di pace. Se il bambino nascerà,
la pace tra i nostri due casati sarà definitivamente sancita, e Gilbert non
potrà farci niente».
Il maresciallo prese a camminare avanti e
indietro per tutta la stanza, mentre Guiche e Montmorency lo guardavano
speranzosi.
«Ma Lord Hiraga
potrebbe parlare.»
«Saito non lo farebbe mai!» esclamò Louise
«Voi non lo conoscete.»
«Per Lord Hiraga
escogiteremo qualcosa. Proverò a convincere mio marito o Gilbert a lasciarlo
andare. Se non dovesse bastare, al giorno d’oggi non è difficile reclutare dei
buoni incursori.
Tutto quello che bisogna fare è tenere
Margarita e Guiche al sicuro per questi nove mesi. Poi, sarà tutto finito».
Alla fine tutti convennero che quella era la
soluzione migliore, facendo tirare un sospiro di sollievo ai due ragazzi, che
intravidero finalmente un barlume di speranza per la loro tormentata storia
insieme.
Ludwika dopo poco
se ne andò dicendo che avrebbe fatto ritorno a Touroc
per cercare di convincere Maxime a intercedere con
Gilbert per far uscire quanto prima Saito di prigione.
Ma Saito non era il solo nodo che serrava lo
stomaco di Louise mettendola in agitazione.
«Avete visto Kaoru?» chiese a Guiche quando
furono da soli «Sapete dove sia?»
«Non ne ho idea. Con noi non è venuto.»
«Ma dove può essere finito?».
Saito
si era risvegliato, tutto un dolore, in una delle celle nelle segrete della
villa dei Montmorency, seduto in terra e con i polsi incatenati al muro.
Per tutta la notte era stato lasciato nelle
mani di Koga, che nonostante la presenza del duca non
si era certo risparmiato nel condurre il suo interrogatorio.
Saito aveva preso tante di quelle botte da
bastargli per una vita intera, soprattutto a causa di quei fili infernali che Koga muoveva come delle fruste, procurandogli tagli e
lividi in tutto il corpo che bruciavano più del fuoco.
Ma nonostante ciò, continuò a non aprire
bocca, stringendo i denti per reprimere le grida. Sapeva che se avesse parlato
del coinvolgimento di Guiche nel “rapimento” di Montmorency sarebbe stata
subito guerra, e che se non lo avesse fatto Gilbert non avrebbe avuto alcun
pretesto, quindi doveva assolutamente resistere, o sarebbe stato tutto inutile.
Ma era dura. Koga ci
andava giù pesante, e a metà mattina Saito si sentiva come se intere parti del
suo corpo fossero sul punto di staccarsi, tante erano le ferite di cui era
riempito e il sangue che gli inzuppava i vestiti.
Il giovane shinobi
si era sforzato a tal punto da avere ormai il fiatone, e intanto il duca
osservava stando in disparte.
«Parla, maledetto!» gridò Koga
«Dillo che è stato Guiche de Gramont e rapire Margarita-sama!
Dillo!»
Saito lo guardò per l’ennesima volta con
quegl’occhi sprezzanti, e allora Koga fece per mandare
nuovamente i suoi fili all’attacco.
«Basta così!» disse invece il duca, e allora
il ragazzo si fermò «Lord Hiraga. Io vi ammiro per la
vostra perseveranza. Ma non ne ricavereste niente nel coprire quell’azzimato
incompetente. Direi pure che non merita la vostra fedeltà, visto che vi ha
lasciato qui a soffrire mentre lui scappava con mia figlia.
Io rivoglio solo Margarita. Ditemi dove si
trova, e vi giuro sul mio onore che vi lascerò andare, e che tutta questa
faccenda sarà dimenticata.»
«Perché possiate costringerla ad abortire?»
replicò il giovane tossendo «Il vostro odio reciproco è così forte da spingervi
a tanto?»
«Evidentemente voi non conoscete la storia dei
nostri due casati.» rispose pacato il duca «Cinque secoli fa, c’era la pace tra
i Gramont e i Montmorency. Servivamo entrambi fedelmente la famiglia reale,
assicurando il mantenimento della pace e la gloria di Tristain.
A quell’epoca, i confini della nazione non
erano molto distanti da qui, e vigeva uno stato di perenne tensione con Gallia
e Germania. I Gramont erano vassalli dei Montmorency, ed i miei antenati avevano
fiducia in loro.
Ma i Gramont, avidi di potere, complottarono
per portare a Tristain le truppe di Germania. Prima tradirono la fiducia dei
Montmorency lasciando che i loro eserciti venissero massacrati, poi discesero
sul nemico con quale si erano alleati attaccandolo alle spalle e contribuendo a
sterminarlo.
Mascherando la loro condotta meschina, loro
ottennero fama e gloria, e i Montmorency caddero in rovina. Occorsero più di
cento anni per risollevarci e riacquistare il prestigio perduto. Ma ormai il
nostro buon nome agli occhi della famiglia reale era definitivamente
compromesso.»
«E così.» rispose Saito con sguardo quasi di
rabbia «Guiche e Montmorency dovrebbero pagare per le colpe e le ambizioni di
uomini che a quest’ora saranno già divenuti polvere?»
«È evidente che voi non potete capire i
sentimenti e le ragioni di un vero nobile. I Gramont hanno tradito la nostra
fiducia e distrutto il nostro onore. Questi sono torti che non possono essere
dimenticati.»
«Lo sa.» disse Saito facendo riferimento
all’ultimo festival della cultura della sua scuola a cui aveva partecipato,
solo pochi giorni prima che avesse inizio la sua incredibile avventura «Una
volta mi è capitato di vedere una recita teatrale. Era un dramma.
Raccontava una storia molto simile a questa,
con due ragazzi che si amavano, ma le cui famiglie si odiavano apertamente e
facevano di tutto per distruggersi.
Lo sa come è andata a finire? Che entrambi i ragazzi
sono morti, e solo allora i solo genitori si sono accorti di quanto la loro
guerra gli fosse costata.
Vuole che accada la stessa cosa? Vuole che
Guiche e sua figlia siano costretti a morire per poter vivere serenamente il
loro amore?».
Il duca accusò il colpo, mostrandosi spiazzato
e facendo dubitare che potesse trovare una risposta a quell’argomentazione. Fu
salvato all’ultimo secondo dall’arrivo di una guardia, che gli annunciò
l’arrivo di Maxime, che desiderava parlargli con
estrema urgenza.
«Fallo accomodare in biblioteca.» disse, poi
si rivolse a Koga «Cerca di farlo parlare. Ma non
ucciderlo. È pur sempre un nobile, e il marito di miss Vallière.»
«Sì, mio signore».
Mentre il duca si allontanava poté sentire le
urla in lontananza di Saito, e gli venne quasi da considerarle una sorta di
ripicca per essere stato messo alle corde davanti ad un suo servitore; senza
pensarci troppo, tuttavia, raggiunse la grande biblioteca del pianterreno dove
lo attendeva Maxime, che nel frattempo si stava
concedendo il piacere di una tazza di tè.
«Gilbert.» disse alzandosi in piedi «Ho saputo
quello che è successo. Mi dispiace enormemente.»
«Ti ringrazio, Maxime.
È bello sapere che posso contare su di te.»
«Questa volta i Gramont hanno passato la
misura. Non solo hanno rapito l’unica erede del casato dei Montmorency, ma ne
hanno pure sporcato la verginità con il loro seme immondo.
Una simile condotta non può essere perdonata.
Devono assaggiare il ferro delle nostre spade.»
«Purtroppo, non ho prove che Margarita sia
tenuta presso di loro. Sono pronto a scommettere che Lord Hiraga
si farà uccidere piuttosto che parlare, e senza una confessione non posso
giustificare un intervento armato contro Gramont.»
«Se è una confessione che ti serve, non c’è
problema. Ho quella di mia moglie.»
«Che cosa!?» esclamò Gilbert sgomento
«Questa mattina Ludwika
è uscita prestissimo, dicendo che sarebbe andata a far visita ad un nostro
latifondo. L’ho fatta seguire, e ho scoperto che invece si è recata al palazzo
dei Gramont. Quando è tornata, l’ho costretta a confessare a furia di botte, e
lei ha ammesso di aver visto Margarita presso di loro.
Ecco fatto. Ora sai».
Il duca restò un momento basito.
Ora aveva tutto quello che gli serviva per
fare guerra; eppure, dopo aver inconsciamente cercato quel traguardo per chissà
quanto tempo, ora invece la paura e il dubbio lo facevano esitare.
Per un po’ camminò avanti e indietro per la
stanza, sempre seguito con gli occhi da Maxime.
«Potrebbero fare del male a mia figlia, se
attacchiamo. Potrebbero ucciderla.»
«Non lo faranno.» tagliò corto Maxime «Lei è un ostaggio, e nel Codice della Cavalleria
gli ostaggi, se sono nobili, non si uccidono mai. Se Gramont violasse il
codice, il voto di fedeltà alla famiglia reale del quale la sua famiglia và
così tanto fiera diventerebbe carta straccia, ed è una cosa che non può
permettersi».
Gilbert sembrava sul punto di convincersi, e
allora Maxime volle portare il colpo finale.
«Questa è la nostra grande occasione. I
Montmorency potrebbero finalmente arrivare a rivestire quel ruolo di primo
piano di cui godevano nella loro epoca d’oro, e che i Gramont ci hanno
strappato.
Le mie truppe si uniranno alle tue. Dai una
voce, e i Gramont torneranno a pascolare le vacche e a dormire con i maiali».
A quel punto, l’odio e la voglia di vendetta
prevalsero sul patriottismo e la ferra determinazione di mantenere la pace.
Il duca, con gli occhi che parevano
scintillare, si volse verso il cugino.
«Dì ai tuoi uomini di prepararsi. Domattina,
all’alba, attaccheremo.»
«Ottimo.» rispose Maxime
ghignando soddisfatto «Erano secoli che aspettavamo questo momento».
Su
ordine del maresciallo Gramont, Montmorency era stata posta sotto le cure di
una domestica di fiducia, e le era stata assegnata una stanza nella parte più
centrale del palazzo, guardata a vista da cinque guardie armate fino ai denti.
Tutto doveva scorrere liscio, almeno fino a
quando non si fosse trovata una soluzione più consona.
Si stava già pensando di trasferirla altrove,
in qualche altro feudo, dove non potesse essere trovata; era sufficiente che
trascorressero quei nove mesi, a una volta nato il bambino i Montmorency
sarebbero stati costretti, volenti o no, ad accettare la pace.
Non era la soluzione degli eventi che il
maresciallo e la sua famiglia si aspettavano, ma con i Touroc
alleati dei Montmorency una guerra era l’ultima cosa che si doveva cercare. Forse,
un domani, i Gramont avrebbero conquistato un potere ed una influenza tali da
permettere un cambio di direzione verso una condotta meno passiva, ma per il
momento quella era l’unica soluzione possibile.
Come a Montmorency fu data la stanza, Guiche
andò subito a trovarla.
Tutti e due erano ugualmente preoccupati e in
ansia. Temevano per quello che sarebbe potuto succedere, ma anche per come
sarebbe potuta andare a finire la loro storia d’amore.
Potevano essere comunque costretti a
separarsi, o a vivere in ogni caso un amore fittizio con due famiglie che si
odiavano a vicenda, e che sembravano avere perso ogni proposito di cercare una
riappacificazione sincera, e non dettata unicamente dai dogmi di quel codice
della cavalleria al quale erano tanto legati.
In una simile situazione, che futuro poteva
esserci per loro, ma soprattutto per il loro bambino?
«Non temere, Montmorency.» le disse Guiche
cercando di farle coraggio «Vedrai che tutto si aggiusterà. Lo hai visto, no? Mio
padre è dalla nostra parte.»
«Ma per quanto durerà? Lo sappiamo tutti e due
che un bambino non basterà a mettere fine a mezzo millennio di odio reciproco. E
comunque, che futuro potremo mai dargli? Sballottato per tutta la vita tra due
realtà in lotta tra di loro.»
«Abbi fiducia.» le disse Guiche stringendola «Ti
prometto che, comunque vada, io farò tutto quello che è in mio potere per fare
sì che tu e nostro figlio possiate avere tutta la felicità che meritate».
Montmorency dovette riconoscere
definitivamente che Guiche non era più quello di una volta, e si abbandono al
suo abbraccio; era diventato un uomo, un vero uomo, e voleva stare con lui per
sempre.
La magia di quel momento fu violentemente e
impietosamente guastata da un gran baccano che prese a provenire dall’esterno.
«Che succede?» chiese Montmorency.
Guiche andò ad affacciarsi alla finestra, che
dava proprio sul cortile principale, e vide la carrozza della contessa Ludwika entrare a tutta velocità attraversando l’arco che
immetteva nel giardino interno dove si trovava l’ingresso principale, temendo
subito il peggio.
«Aspetta qui.» disse a Montmorency, e subito
corse via.
Quando arrivò nel salone sua zia era già lì, seduta
ad una delle poltroncine attorniata di servi con in mano cotone e disinfettante,
e solo a vederla venivano i capelli bianchi; il suo viso così austero e gentile
era tutto un livido, l’occhio sinistro era mezzo chiuso e il labbro inferiore
spaccato.
C’era anche suo padre, che sembrava un morto
vivente tanto appariva sconvolto e attonito.
«Mi dispiace, cugino.» disse Ludwika pulendosi il sangue con un fazzoletto «Ho cercato
di resistere. Ma quel maledetto mi ha picchiato senza pietà.
Alla fine, non ce l’ho fatta più.»
«Giuro su quello che ho di più caro che
pagherà per quello che ti ha fatto.»
«Che è successo, padre?»
«Maxime ha scoperto
tutto. Ha scoperto che Margarita è qui, ed è andato immediatamente a dirlo a
suo padre. Di sicuro, in questo momento, il suo esercito si sta già preparando
ad attaccare».
Guiche sentì un brivido alla schiena.
Allora, era stato tutto inutile? Tutti i loro
sforzi, incluso il sacrificio di Saito, non erano serviti a niente?
«Ormai è tardi per restituirgli la figlia e
cercare un chiarimento. A questo punto, l’unica opzione restano le armi.»
«Non puoi farlo, cugino.» disse Ludwika «Maxime ha detto che
intende promettere la propria alleanza a Gilbert. Con la forza combinata dei Touroc e dei Montmorency a minacciarci, non c’è niente che
la sola armata dei Gramont possa fare per fermarli.»
«Che cosa me ne importa? Non intendo affondare
senza combattere. Te l’avevo detto, no? Che non si sarebbero presi la mia
provincia tanto facilmente.
E comunque, la situazione non è così
drammatica come potrebbe sembrare. Gilbert non è un soldato, è uno
scribacchino. Non ha nessuna esperienza di strategia e battaglie campali, e lo
stesso si può dire di quell’animale di tuo marito.
Io ho anni di battaglie sulle spalle.»
«Ma sarà sufficiente questo, per sopperire all’inferiorità
numerica?»
«Non lo so. Ma come ho detto, di certo non ho
alcuna intenzione di restare inerte».
In quella, una spia inviata a Touroc fece ritorno al palazzo ferita e morente, tanto che
dovette essere accompagnata a spalla alla presenza del maresciallo. Quel poveretto
era ormai più da una parte che dall’altra, e si vedeva che non sarebbe
sopravvissuto ancora a lungo.
«Mio signore!» disse il soldato che lo
trasportava «È rientrato uno dei nostri esploratori inviati a Montmorency!»
«Ehi!» ringhiò il maresciallo afferrando la
spia per la collottola «Che ti sei messo in testa? Non ti azzarderai mica a
morire ora, vero? Vuoi forse coprirti di disonore? Porta a termine il tuo
compito!».
Quello raccolse le poche forse che gli
restavano per parlare. Vedendolo, Guiche si sentì quasi mancare; doveva avere
la sua età o poco più, eppure stava già per morire.
«Montmorency…
Montmorency ha attraversato i suoi confini. Stanno venendo qui. Sono… sono tantissimi. Tredicimila uomini…almeno…»
«Dove si trovano adesso?»
«A… a nord di Touroc. Saranno qui… entro domani
sera…».
Il soldato tossì sangue, e dovette fermarsi.
«Lunga vita… a Gramont…» disse prima di morire, un’ultima dimostrazione di
fedeltà.
Tutti, compresa Louise, anch’ella presente,
non riuscirono a non piangere per il gesto eroico ed il sacrificio di quel
giovane senza nome.
Tutti, tranne il maresciallo; nella sua
carriera ne aveva visti tanti morire, così, anche più giovani, e ormai ci aveva
fatto l’abitudine. L’unica cosa che poteva fare, se davvero voleva onorare il
sacrificio di quel ragazzo, era fare di tutto per fare in modo che non fosse
vano.
Ad un suo ordine, i suoi capitani e secondi lo
raggiunsero nel salone per una rapida riunione tattica.
«Le loro forze sono in rapporto di due a uno
rispetto a noi.» disse uno «E potrebbero diventare di cinque a uno, se l’esercito
dei Touroc dovesse scendere in battaglia a sua volta.
Questo palazzo non è progettato per resistere ad un assedio così imponente, e
non c’è il tempo per spostarsi nella fortezza sulle montagne.»
«L’unica soluzione.» disse un altro indicando
un punto della mappa che avevano davanti «È attraversare a nostra volta il
confine e dare battaglia qui, in questa pianura.»
«Ma è un campo aperto.» disse un terzo «Lì la
differenza di numeri diventerebbe ingestibile.»
«L’esercito dei Montmorency è formato
soprattutto da arcieri e fanteria a piedi. Il nostro invece vanta un’ottima
cavalleria. Ma sarebbe inefficace su terreni scoscesi o difficilmente
praticabili, come boschi e scarpate. Una battaglia campale è l’unico modo per
poterla sfruttare al meglio.»
«Di certo.» disse il maresciallo con il volto mantato da un’ombra scura «Al termine di questa battaglia
sapremo se è vero che l’astuzia vince sul numero.
Faremo così. Ordinate alle truppe di
prepararsi. Partiremo stanotte stessa».
Facendo
finta che non fosse successo niente, Guiche tornò in camera di Montmorency,
cercando in ogni modo di non far trapelare emozioni.
«Che succede?» chiese lei «Ho sentito degli
strani rumori».
Non poteva saperlo, ma quei rumori erano
prodotti dai carri che stavano trasportando fuori dai magazzini le macchine da
guerra destinate ad essere usate in battaglia.
«Tranquilla, tesoro. Non è niente di che».
Poi, inaspettatamente, si avvicinò a lei,
offrendole uno dei due calici di vino in argento cesellato che aveva portato
con sé.
«Che significa?» domandò guardando ora il
calice ora Guiche
«È probabile che comunque vada non potremo
sposarci per un po’. Saito una volta mi ha raccontato che nel suo mondo è
usanza per gli innamorati bere insieme per sancire la propria unione.
Non saranno nozze vere e proprie, ma per ora è
meglio di niente».
Montmorency, passato lo stupore, guardò
Guiche, sorridendo; anche lui le sorrise, e un attimo dopo le loro labbra si
stavano sfiorando.
Si baciarono a lungo, un bacio pieno d’amore,
poi, scambiatisi un nuovo sguardo, bevvero insieme dai calici.
Quello che Montmorency non poteva sapere era
che Guiche, prima di tornare da lei, era passato dal capo-cuoco della villa, un
tipo strambo che pur non essendo un mago si dilettava nella preparazione di
pozioni ed estratti. In particolare, sapeva preparare un efficientissimo sonnifero,
che una volta preparato era stato infilato in uno dei due calici.
Gli effetti si manifestarono subito.
Montmorency prima sentì tutto il corpo irrigidirsi all’improvviso, poi una
stanchezza impossibile da combattere; in altri tempi, da esperta quale era, si
sarebbe accora subito del trucco, e proprio per questo Guiche l’aveva voluta
distrarre richiamando alla memoria il trucco che Saito gli aveva raccontato di
aver usato con Louise nei tempi che furono.
Il calice le cadde di mano e lei scivolò
inerte sulle coperte del letto; non si era ancora addormentata, ma non riusciva
a muoversi, e intanto la stanchezza stava avendo il sopravvento.
«Guiche…» mormorò
prima di chiudere gli occhi «Io…ti…strozzo…con…le…mie…mani…».
Lui aspettò che si fosse addormentata, e con
un gesto gentile le tolse i capelli dal viso per poi adagiarla dolcemente con
la testa sul cuscino.
«Perdonami, Montmorency. Ma più al sicuro ti
so, meglio mi sentirò.» e detto questo se ne andò chiudendo la porta a chiave.
A quel punto, approfittando della distrazione
e della confusione che regnavano nella villa e nei giardini, il ragazzo
sgattaiolò fuori per l’ennesima volta, dirigendosi verso l’ingresso del tunnel.
E per l’ennesima volta, nel momento di
entrarci, avvertì una presenza alle proprie spalle; stavolta però si volse
senza timore o ansia, perché sapeva bene di chi si trattava.
«Stai andando a liberare Saito?» chiese Louise
«È colpa mia se è finito in questa storia. Non
posso lasciarlo lì a patire torture dopo quello che ha fatto per me e
Montmorency.»
«In questo caso, portami con te.»
«Lo sai che può essere pericoloso, vero?»
«Saito è mio marito. E poi, questa volta temo
rischierebbe di essere un po’ più difficile. Un aiuto ti servirà».
Guiche non obiettò, e svelato l’ingresso del
tunnel ci si calò dentro seguito da Louise.
Il
castello dei Touroc si trovava quasi al centro del
feudo in questione, arroccato su di un’alta collina.
A differenza di molti palazzi nobiliari dell’epoca,
arricchiti con un gusto spiccatamente contemporaneo, fatto di ampie vetrate,
decorazioni floreali e ville signorili, il castello dei Touroc
era una fortezza vecchio tipo, un castello possente e minaccioso che come un
falco da sopra il suo nido dominava l’intera zona, rendendo impossibile per
chiunque avvicinarsi senza essere notati e rappresentando un boccone molto duro
da digerire per qualsiasi esercito nemico.
Non stupiva che in tanti secoli quella
fortezza avesse rappresentato una sorta di spauracchio per i casati dei Gramont
e dei Montmorency, troppo spaventati dall’idea di doverlo occupare o difendere dal
potente di turno per potersi fare la guerra in santa pace, impresa tutt’altro
che facile.
Un’ampia costruzione signorile rappresentava
il cuore della struttura ed il luogo di residenza del feudatario, ed era
circondata da due possenti cinte murarie provviste di torri, camminamenti,
posti di guardia e casermette.
Durante la notte, poi, quel maniero assumeva
un aspetto ancor più tetro, con quei fuochi e quelle torce che brillavano e
ardevano in ogni dove, come gli echi evanescenti di centinaia di fantasmi.
Con il buio, però, diventava anche più facile
accedervi, sempre che l’aspirante intruso non avesse paura di morire e fosse in
grado di scalare da solo le sue mura orizzontali.
Un soldato che stava percorrendo il
camminamento tra le torri della cinta esterna di sud e sud-ovest si ritrovò da
un istante all’altro con una mano sulla bocca, e prima di capirci qualcosa un
colpo preciso al collo lo lasciò a terra privo di sensi.
Kaoru, dopo aver raggiunto il castello, era
rimasto nascosto per un giorno intero, mimetizzato tra il fogliame e l’erba
alta della collina come un esploratore, nell’attesa che venisse il momento
giusto per procedere.
La sorveglianza era sempre stata troppo
stretta per poter sperare in un’azione a basso rischio, così aveva voluto
aspettare, ma il continuo andirivieni di carrozze e piccoli contingenti che si
era susseguito per tutto quel giorno lo avevano spinto ad agire.
Per riuscire a scalare la parete del castello
aveva costruito una rudimentale fune ricavata con alcune ramaglie reperite qui
e là, dimostrando un’abilità notevole che lo aveva spinto una volta di più a
domandarsi dove mai si fosse procurato quell’esperienza che ora gli veniva
quasi istintiva.
Accertatosi che il soldato era svenuto, Kaoru
recuperò la corda, ne legò un capo ad una merlatura e usò il gancio sulla cima,
ricavato anch’esso artigianalmente affilando e seghettando una grossa pietra
con la katana, per farla roteare, lanciandola con precisione sul tetto di una
torre del muro interno.
A quel punto, non dovette fare altro che
attraversare a testa in giù il cortile perimetrale, e una volta arrivato
ripetere l’operazione per arrivare fino sul tetto del palazzotto centrale.
Una volta, qui, recuperò per la terza volta la
corda, così che nessuno potesse vederla, quindi camminò lentamente ed in
silenzio fin sul bordo del tetto, proprio sopra alla grande terrazza delle
stanze private dei padroni.
Due soldati montavano la guardia.
Kaoru piombò sul più vicino di loro buttandolo
a terra e facendolo svenire con la sola forza dell’urto, e prima che il secondo
potesse reagire o dare l’allarme fulminò anche questo lanciandogli la corda colpendolo
in piena fronte con il gancio di pietra.
A quel punto, il ragazzo entrò.
Dentro non era eccessivamente sfarzoso; a
parte il letto a baldacchino, stranamente sfatto, un tavolo circolare con
poltroncine e un po’ di mobilio non c’era niente altro.
«Compare.» disse Derf
«Di preciso, che cosa ci facciamo qui?»
«Ancora non lo so.» rispose Kaoru «Te lo dirò
quando ne sarò sicuro».
Il ragazzo allora prese a frugare un po’ in
giro alla ricerca di risposte.
L’atteggiamento di Ludwika,
come pure la sua stessa persona, non lo avevano convinto del tutto, e per qualche
strano motivo aveva la sensazione che quella donna sapesse molto di più di
quello che voleva far intendere.
Kaoru aprì i cassetti, controllò sotto al
letto, rovistò negli armadi, ma non trovò niente di insolito.
Tuttavia, ben presto si accorse di un’altra
cosa, una che all’inizio non aveva notato.
In quella stanza c’erano degli strani odori. Da
una parte, un olezzo come di bruciato, e dall’altro uno ferruginoso,
stranamente famigliare, ma che il ragazzo non riusciva ad identificare.
D’improvviso, Kaoru ebbe come la sensazione di
non essere solo, e prima ancora che potesse immagazzinarla appieno gli parve di
sentire un urlo terrificante, accompagnato da rumori come di colluttazione.
Il tempo di rendersene conto, però, e tutto
era sparito, e nella stanza era tornato a regnare un silenzio assoluto.
«Compare. È tutto a posto?»
«Sì.» taglio corto lui «Almeno credo».
In cerca di una soluzione, si avvicinò al
grosso camino dirimpetto al letto, tanto grande ci si sarebbe potuto cuocere un
maiale intero.
C’era un sacco di cenere, cosa strana per la
stanza da letto di una coppia nobiliare, eppure non sembravano esservi residui
di legna o carbonella.
Kaoru si inginocchiò, prese un po’ di quella
cenere e se la passò tra le mani, avvicinandola anche al viso per poterla
osservare meglio.
A quel punto, tutto gli fu chiaro; ecco
spiegata la ragione di quell’odore di ferro, che finalmente era riuscito a
riconoscere.
«Fa venire i brividi.» commentò Derf
«Ma chi c’è dietro tutto questo?».
In quella, il ragazzo udì il rumore del
chiavistello del portone che veniva girato, e fulmineo corse a nascondersi
dietro ad un tendaggio rosso, gettando comunque un occhio all’esterno per
vedere che succedeva. Dopo qualche attimo, nella stanza entrò la contessa Ludwika, con il volto tutto tumefatto, ma stranamente
sorridente.
La donna si chiuse la porta alle spalle, e un
attimo dopo una luce la avvolse, facendo scomparire i suoi lineamenti, ai quali
fecero seguito quelli di qualcun altro, qualcuno che ora anche Kaoru conosceva
bene.
«Fouquet.» sussurrò
tra sé e sé «Ancora lei».
Fouquet si guardò
un momento attorno, quasi sospettasse la presenza di qualcuno, poi con un gesto
si sfilò di dosso l’ingombrante vestito blu, coprendo immediatamente la propria
nudità con un telo bianco.
A quel punto, dopo essersi guardata ancora
attorno, rimosse una pietra del muro, rivelando uno scomparto segreto nel quale
erano contenute una pietra luminosa e due boccette piene di uno strano liquido
luminescente. La donna prese il cristallo, si avvicinò allo specchio accanto al
letto e ve lo appoggiò sopra, e subito lo specchio si mutò in un portale
dimensionale oltre il quale Kaoru riuscì a scorgere una figura misteriosa,
troppo lontana però per poterla distinguere bene.
«È tutto pronto?» chiese la figura con una
profonda voce maschile
«Alla perfezione. È stato persino più facile
del previsto. Pensavo che sarebbe stato difficile convincere i Gramont e i
Montmorency a dichiararsi guerra a vicenda, ma quei due inetti ragazzini mi
hanno facilitato il lavoro.
I loro eserciti si scontreranno in una
battaglia campale domani mattina, nella pianura di Cavaret.
Ho fatto credere al duca di Montmorency che potrà contare sulle truppe di Touroc, ma al momento decisivo farò ritirare i miei
soldati. A quel punto, finiranno per massacrarsi l’uno con l’altro, ed i loro
feudi resteranno indifesi.»
«Sei sicura che non ci saranno problemi?»
«Assolutamente no. Però, ho incontrato Louise
Vallière ed il suo famiglio. Erano a Gramont, ospiti di quello stupido di
Guiche.»
«Pensi che abbiano scoperto la tua identità?»
«Ne dubito. In ogni caso, non saranno un
problema. Zero Louise da sola non è in grado di fare nulla, quanto al suo
famiglio è rinchiuso in una segreta di Montmorency.»
«Ricordati che a Louise Vallière non deve
accadere nulla.»
«State tranquillo, me ne ricorderò».
Quell’ultima frase lasciò Kaoru, che ancora
origliava, interdetto.
Perché il nemico non voleva che venisse fatto
del male a Louise?
Dopo poco la misteriosa figura scomparve
insieme al portale, e Fouquet, rimasta sola, andò a
recuperare una di quelle due bottigliette, aprendola e bevendone un po’ del
contenuto. Per un attimo la donna si raggomitolò su sé stessa mugugnando dal
dolore, come se avesse appena bevuto del disinfettante, ma poi i suoi tratti
parvero cambiare, fino a che al posto di Fouquet non
comparve la figura del duca Maxime.
Questi andò a guardarsi allo specchio,
ghignando soddisfatto, quindi si tolse il telo che lo copriva, indossò degli
abiti recuperati da dentro un armadio ed uscì chiudendosi nuovamente la porta a
chiave.
Rimasto solo, Kaoru uscì allo scoperto.
«Adesso è tutto chiaro.» disse Derf «Progettano di fare in modo che i Gramont e i
Montmorency si distruggano a vicenda, così da lasciare i loro feudi senza una
guida.»
«A questo punto.» disse Kaoru «È evidente che Reconquista non puntava solo a disgregare Tristain.
Sta cercando di conquistarlo.»
«E Dio ci salvi se ci riescono».
Ora però, la domanda era una sola. Cosa fare?
Dire la verità o cercare di spiegarla ai due
sovrani probabilmente non sarebbe servito a nulla, visto come le cose
sembravano essersi messe.
L’unica cosa da fare era smascherare Fouquet, perché solo in questo modo si sarebbe potuto
dimostrare che era stata lei il grande burattinaio che aveva manovrato
segretamente i fili dell’odio per spingere i Gramont e i Montmorency alla
distruzione.
Ma come poteva fare?
Kaoru non era un mago, e a meno di non
mostrare a tutti la vera faccia che si nascondeva dietro le fattezze di Maxime nessuno gli avrebbe creduto.
La soluzione, a quel punto, sembrò una sola;
molti probabilmente sarebbero morti comunque, ma almeno si sarebbe evitata una
strage.
Nota dell’Autore
Eccomi qua!^_^
A tempo di record,
sono tornato con un nuovo capitolo.
Il fatto è che sono
tremendamente impaziente di scrivere i capitoli che verranno al termine di
questa vicenda, e quindi cerco di fare il prima possibile, anche perché il
tempo vola e la storia sta procedendo a rilento.
Che dire? Questa vicenda
si avvia ormai alla conclusione, ed il fatto che nel prossimo capitolo
descriverò finalmente la mia prima, vera battaglia di questa fanfic mi elettrizza.
Guiche
e Louise raggiunsero nuovamente il palazzo dei Montmorency nel cuore della
notte.
In giro non c’era molta sorveglianza, e
riuscirono ad introdursi all’interno senza grossi problemi dopo aver tramortito
un paio di guardie.
Probabilmente il grosso dell’esercito era già
partito verso Gramont, e alla villa erano rimaste solo le guardie necessarie a
garantirne la protezione.
«È tutto troppo tranquillo.» osservò Louise
mentre attraversavano il cortile
«Che ti aspettavi? Il duca avrà messo insieme
tutte le forze di cui era capace.»
«Vuole essere sicuro di vincere.»
«Intanto troviamo Saito. A quegli idioti dei
nostri genitori penseremo poi. Ho già un’idea anche per quello».
Tutto stava andando veramente molto liscio. I
due ragazzi, grazie ai ricordi di Guiche, raggiunsero facilmente la zona dove
si trovava l’ingresso alle segrete; il palazzo aveva una sola cella, quindi
trovare Saito non sarebbe stato molto difficile.
Il problema si presentò quando Guiche e
Louise, ormai quasi sul punto di entrare nella stretta e angusta porticina che
stava al termine di una scala che scendeva verso il basso in un angolo nascosto
del giardino, vennero improvvisamente sovrastati da un’ombra oscura e
minacciosa.
«Guiche!» urlò Koga
scagliando i suoi fili affilatissimi.
Guiche diede uno spintone a Louise per poi
buttarsi a sua volta, così entrambi ne uscirono indenni.
Visto che ormai si era ottenuta la prova
necessaria a provocare la guerra, non era più necessario che Koga continuasse ad interrogare Saito, così gli era stato
ordinato di smetterla e di unirsi all’esercito per la battaglia.
Il giovane però, che immaginava che Guiche
avrebbe tentato di liberare il suo amico, segretamente lo aveva aspettato, e
adesso era più determinato che mai ad ucciderlo.
«Ti ucciderò, Gramont bastardo!».
Guiche, consapevole di non poter reggere uno
scontro diretto, invocò immediatamente un plotone di valchirie per assisterlo.
«Louise! Tu va da Saito!»
«Ma tu che cosa farai?»
«Non ti preoccupare, me la caverò. Sbrigati».
Anche se con molta incertezza, Louise, notando
la determinazione negli occhi di Guiche, si decise a fare come diceva, e
lasciatolo solo scese nelle segrete.
Guiche e Koga si
osservarono da lontano per interminabili secondi, poi, ad un cenno di Guiche,
due delle dieci valchirie che aveva invocato si mossero all’attacco; nonostante
la loro rapidità, Koga riuscì ad evitarle saltando, e
subito dopo una selva di fili ne colpirono una, smembrandola e afferrandone
l’elmo, che venne scagliato contro l’altra, buttandola a terra, e prima che
potesse rialzarsi il giovane shinobi le piombò
addosso, distruggendola con un colpo della spada corta che portava dietro la
schiena.
Le altre valchirie tentarono un attacco
combinato, ma a Koga servirono solo pochi secondi per
riuscire a distruggerle tutte, lasciando Guiche da solo e indifeso; il biondino
cercò di invocare un nuovo stuolo di guerrieri, ma Koga
lo batté sul tempo e gli si avventò contro, usando i lacci come una frusta e
scagliandolo con forza addosso al muro.
Guiche accusò violentemente il colpo,
uscendone molto malmesso, tanto che faticò a rialzarsi. Alla fine, però, ci
riuscì, ma piuttosto che cercare di creare nuove valchirie, visto e considerato
anche che Koga non gliene avrebbe dato il tempo,
invocò invece una spada ed uno scudo da usare per sé.
Per troppo tempo si era tenuto lontano dai
guai.
Una volta tanto, considerato anche quello che
c’era in gioco, era giusto che si prendesse le sue responsabilità, combattendo
in prima persona.
Purtroppo, pur essendo Guiche un bravo
spadaccino, Koga restava pur sempre uno shinobi maledettamente abile, abbastanza da riuscire senza
difficoltà a schivare i continui, e un po’ maldestri, assalti di Guiche; per
qualche minuto si limitò a restare sulla difensiva, ma poi, d’improvviso, con
un rapido scatto fece schizzare in avanti una decina di fili, con il chiaro
intento di trafiggere Guiche.
Il biondino immediatamente mise lo scudo
davanti a sé per proteggersi, ma i lacci, pur venendo fermati, riuscirono in
parte a trapassare lo scudo, conficcandosi per almeno mezzo centimetro nel suo
avambraccio. Come se non bastasse, l’impatto fu così violento che Guiche venne
nuovamente scaraventato contro il muro, solo che stavolta, complici il dolore e
le ferite al braccio, non sembrava proprio in grado di potersi rimettere in
piedi.
«Rialzati, bastardo! Non ho ancora finito con
te!».
Dopo
ore nelle mani di Koga, il volto di Saito era ridotto
ad una maschera di sangue e gonfiore.
Non una parola era uscita dalla sua bocca, ma
il fatto che il suo aguzzino fosse stato improvvisamente richiamato non
lasciava presagire nulla di buono; sicuramente, si era detto, erano riusciti
comunque a scoprire dove fosse Montmorency, e si stavano già preparando per la
guerra.
Si sentiva impotente; voleva fare qualcosa, ma
chiuso lì dentro, ridotto in quello stato e con le mani incatenate, non poteva
fare assolutamente nulla.
D’un tratto, mentre passava dal sonno alla
veglia continuamente a causa del dolore, gli parve di sentire rumore di passi
da corsa che si avvicinavano sempre di più.
Per un attimo temette che il supplizio fosse
sul punto di ricominciare, ma poi sentì la guardia dare il chi va là e subito
dopo mugugnare dal dolore cadendo svenuta; quando poi il chiavistello girò e la
porta si aprì, il ragazzo vide entrare l’ultima persona che si aspettava di
vedere.
«Louise!?»
«Saito!» disse lei correndogli incontro ed
abbracciandolo stretto, troppo stretto
«Ahi!»
«Saito, che ti hanno fatto? Guarda come sei
ridotto.»
«Non… non morirò di
certo.» rispose lui stringendo i denti mentre veniva liberato «Come dico sempre… questo è niente, rispetto al venire frustato da
te».
Louise lo guardò, poi piangendo gli si buttò
al petto.
«Stupido! Quante volte ti ho detto che non
devi farmi preoccupare?»
«Mi dispiace, Louise. Ma non volevo
coinvolgerti».
Lei allora alzò gli occhi, fissandolo quasi
risentita.
«Pensi forse che non possa esserti d’aiuto,
solo perché aspetto un bambino? Che per questo tu debba proteggermi perché così
sono inutile.»
«No, non voglio dire questo…»
«Ascoltami bene. Fino a quando non sarò
talmente rotonda da non potermi neanche alzare dal letto, io rimarrò la solita
Louise. Quindi, non farti più venire in mente strane idee, mi sono spiegata.»
«C… certo.» replicò
lui, inizialmente inebetito, per poi però sorridere facendosi serio «Scusami.
Non lo farò più.»
«Ora, andiamo. Guiche avrà bisogno di noi».
Quando tornarono in cortile, Guiche era ormai
ridotto ad uno stato pietoso.
Koga aveva
continuato ad infierire ancora e ancora senza un momento di tregua, cercando
volutamente di evitare colpi mortali e limitandosi, per così dire, ad arrecare
al suo avversario quanto più dolore possibile.
Era la rabbia a guidarlo.
Non se ne rendeva conto, ma era così. Per
troppo tempo aveva soffocato i suoi sentimenti per la sua padrona, in nome di
una barriera che li divideva e che lui stesso, in quanto silenzioso sicario,
sapeva di non poter superare. A questo si aggiungeva lo sconforto, dato dalla
consapevolezza che avrebbe trascorso il resto della sua esistenza solo come
un’ombra, un guardiano invisibile costretto ad osservare l’oggetto del suo
amore da lontano.
«Guiche!» gridò Saito vedendo il suo amico
ormai stremato.
Senza esitazione, si lanciò contro Koga brandendo la spada che aveva tolto alla guardia della
cella, e anche Louise si gettò nello scontro.
Ma neanche la loro forza combinata risultò in
grado di impensierire lo shinobi, che schivò prima
gli affondi di Saito e poi l’Explosion di Louise, per
poi rispondere con una tremenda frustata che in un solo colpo gettò entrambi a
terra.
Per fortuna si trattò di una cosa da poco,
forse volutamente, tanto che entrambi riuscirono a rialzarsi senza troppa
fatica.
«Non… non interferite.»
disse Guiche rimettendosi in piedi «Lui è solo mio.»
«Guiche…» disse
Saito.
Il biondino caricò per l’ennesima volta,
urlando per darsi coraggio, ma anche Koga era
chiaramente fuori di sé per la collera. I suoi lacci questa volta
disintegrarono definitivamente lo scudo di Guiche, oltre a produrre ulteriori
crepe anche nella spada, e si avvicinarono attorno al suo braccio per poi
andare a conficcarcisi con forza.
A quel punto Guiche fu sollevato in aria di
peso, agitato come una bambola di pezza per interminabili secondi, con i lacci
che ad ogni movimento si agitavano e si dibattevano lacerandogli la pelle
ancora di più, ed infine scagliato nuovamente contro una parete. Il ragazzo era
stremato, pieno di ferite, e non sembrava più capace di rimettersi in piedi.
«Guiche!».
Senza pensarci su Kaoru e Siesta si frapposero
tra Koga e il loro amico, pur consapevoli di non
avere molte speranze contro di lui.
«Toglietevi di mezzo. Voi non m’interessate.»
«Non lo faremo.» rispose Louise
«Perché? Perché lo fate? Perché rischiate le
vostre vite per quell’escremento?»
«Anche se te lo spiegassimo, non so se
capiresti.» disse lapidario Saito «Si chiama amicizia.»
«Amicizia!?».
Era vero.
Per lui esisteva solo la fedeltà dettata dal
rapporto servo-padrone. Anche con Margarita era la stessa cosa; l’amicizia era
un concetto che gli era estraneo.
Saito e Louise erano sicuri di doversi
misurare in una nuova battaglia persa con Koga,
quando incredibilmente udirono un gemito alle proprie spalle.
«Vi… vi ho detto di
non interferire».
Guiche era in ginocchio, puntellato sulla
spada, il braccio sinistro sanguinante, e il volto a terra.
Stringendo i denti si rialzò, e barcollando si
portò tra i suoi amici e Koga, che lo fissò
interdetto; era ormai ridotto ad un morto vivente, eppure continuava a
rialzarsi.
Dove la prendeva tutta quella perseveranza, e
quella forza?
«Hai ragione a chiamarmi escremento. In effetti… questo è quello che probabilmente sono stato per
molto tempo. E i miei amici qui presenti possono testimoniarlo.
Ero tronfio. Arrogante. Donnaiolo. Spocchioso.
Ero un vero nobile. Proprio uno di quei nobili
ai quali da piccolo mi ripetevo di non voler un giorno assomigliare.
Poi… poi un
giorno ho conosciuto un ragazzo.» e Guiche guardò un momento Saito «Uno
scialbo, sciatto, sporco e rompiscatole plebeo che mi mise in ridicolo davanti
a tutti.
Arrogante com’ero, ho persino cercato di
giustificarmi, ma lui mi ha dato una lezione di quelle che si ricordano per
tutta la vita.
Mi ha fatto capire quanto fossi stato
stupido».
A quel punto, Guiche assunse nuovamente una
posa di sfida, stringendo la spada con entrambe le mani.
«Quando ho conosciuto Montmorency da adulto,
quando ho iniziato a flirtare con lei, la consideravo un passatempo come un
altro. Ma dopo quel giorno, qualcosa dentro di me è cambiato.
Ricordando le emozioni che aveva suscitato in
me da bambino, mi sono ripromesso di proteggerla, e di combattere per lei in
ogni circostanza.» poi, guardò Koga con occhi di
sfida «Per che cosa combatti tu, invece?».
Koga sgranò
gli occhi, spiazzato e confuso da tanta determinazione, che mai avrebbe
attribuito ad un tipo come Guiche.
In quella, la spada di Guiche prese a
circondarsi di una luce evanescente, e di colpo la lama, scheggiata e prossima
a spezzarsi, cominciò invece a diventare ancora più dura e tagliente, fino a
farsi di vivo diamante.
«Mi sono sempre chiesto come Saito avesse
fatto a vincere quella volta. Non poteva stato solo per le rune di Gandalfr, mi
dicevo.
Poi, ho capito. La vera forza di Saito non
viene dal suo potere… ma dalla volontà di non
perdere! Ecco perché io non perderò! Non contro di te!».
La spada era ormai rinata, ed emanò una luce
così forte da accecare tutti per un istante. Guiche sembrava completamente
guarito, e nei suoi occhi splendeva un ardore che lo faceva somigliare
incredibilmente a Saito.
Impugnata forte la spada, corse contro Koga, che pur basito digrignò i denti e cercò di
rispondere.
«Dannato bastardo!» urlò lanciando tutti i
suoi fili «Che scherzi sono questi?».
Ma Guiche non si fermò, né diede segno di
voler cedere. Mulinando la spada, diventata durissima, riuscì a deviare o a
distruggere tutti i fili, avvicinandosi a Koga molto
più velocemente di quanto lo stesso shinobi avesse
immaginato.
Messo alle strette, Koga
cercò di sfoderare la spada, ma prima che potesse farlo Guiche gli piantò il
pomo della spada dritto nello stomaco; il giovane shinobi
si piegò in avanti, e un fiotto di saliva gli uscì dalla bocca spalancata.
«Da…nnato…» mugugnò prima di svenire.
«Mi dispiace che sia finita così.» disse
Guiche guardandolo «Spero che in futuro, le cose tra noi migliorino. Sento che
potremmo ricavare molto di più dall’essere amici, piuttosto che avversari».
Poiperò, sopraffatto dalla fatica e dallo sforzo portato dall’incantesimo
di alchimia utilizzato per mutare l’acciaio in diamante usando il suo stesso
sangue come canale per la trasmutazione, Guiche stramazzò a terra, venendo
subito raggiunto dai suoi amici.
«Sei stato grande, Guiche.» disse Saito
«Certo che… potevo
anche evitare di ridurmi così…».
In quella, il sole iniziò a fare capolino
attraverso l’orizzonte.
«Ora non c’è tempo per questo.» disse Louise
guardando il cielo che iniziava a rischiararsi «Dobbiamo sbrigarci. I due
eserciti saranno ormai vicini allo scontro.»
«Hai ragione.» disse Guiche «Dobbiamo fare
qualcosa, prima che quelle due teste di legno dei nostri genitori combinino
qualcosa di irreparabile».
Detto questo i tre amici tornarono in tutta
fretta al tunnel, ma quando fecero per iniziare a percorrerlo Guiche, al
contrario, ordinò a Verdandi, che li aveva aspettati
per tutto il tempo, di scavare un altro foro, verso un’altra direzione.
«Ho un piano.» si limitò a dire quando Saito e
Louise gli chiesero spiegazioni.
La
Piana di Cavaret era una vasta prateria erbosa che si
trovava quasi al centro di Touroc, intervallata da
basse colline rocciose e da leggeri pendii.
Due secoli prima vi si era svolta un’altra
grande battaglia nell’ottica dell’Offensiva di Dicembre, atto finale
dell’ultima guerra con Germania.
Al sorgere del sole, i tredicimila soldati di
Montmorency sopraggiunsero dalla parte settentrionale della pianura, trovandosi
tuttavia la strada sbarrata dai settemila soldati del feudo di Gramont, guidati
dal maresciallo in persona.
Il duca era sicuro che il suo odiato nemico
avrebbe cercato di arrestare la sua avanzata, ma si aspettava che accadesse più
avanti, quando fossero già penetrati nella provincia di Gramont; tuttavia,
Gilbert era tranquillo, perché sapeva di avere le spalle coperte.
Passò circa una mezz’ora, durante la quale
nessuna delle due parti volle attaccare per timore di eventuali colpi di mano
della fazione nemica, e questo diede alle truppe di Touroc
il tempo di presentarsi a loro volta sul campo di battaglia, con lo stesso Maxime a guidarle.
La situazione era ora di ventiquattromila
soldati per lo schieramento di Montmorency-Touroc. I
due eserciti principali erano opposti l’uno all’altro, rispettivamente a nord e
a sud della pianura; i Touroc stavano alla sinistra
dei loro alleati, in cima alla collina più alta, dove si trovava una piccola
postazione di sorveglianza che avevano eletto a loro campo base.
Maxime, scortato
da due guardie del corpo, raggiunse a cavallo lo schieramento del duca, che lo
accolse rinchiuso nella sua armatura d’argento, rimasta inutilizzata per così
tanti anni da essergli diventata stretta.
«Benvenuto, amico mio.» disse accogliendo Maxime
«Giornata buona per una battaglia, sei d’accordo?»
commentò Maxime osservando il cielo limpido, appena
velato da qualche nuvola di passaggio
«Sono d’accordo».
Poi, venne il momento di passare a cose serie.
«Cerchiamo di fare in fretta.» disse Gilbert «Al
momento opportuno, scendete dalla collina e travolgeteli. Li intrappoleremo tra
le tue truppe e le mie.»
«Come vuoi. Sarà tutto pronto».
Il maresciallo, dal canto suo, sapeva che in
quella situazione non poteva permettersi di fare errori.
D’accordo che i suoi uomini avevano l’esperienza,
la tecnica ed erano quasi tutti veterani, ma aveva imparato nel corso di molte
battaglie che spesso il numero, a lungo andare, finiva per vincere sulla forza,
quindi la prudenza era d’obbligo.
Il problema principale erano gli arcieri, che
potevano limare e pregiudicare seriamente le cariche della sua cavalleria. Occorreva
portarli allo scoperto, e per questo aveva preparato un piano.
All’improvviso, il silenzio spaventoso
venutosi a creare, mentre le due armate si fronteggiavano l’un l’altro, venne
squarciato dal suono dei corni da guerra.
La prima linea dello schieramento dei Gramont
avanzò improvvisamente e violentemente, con il chiaro obiettivo di cercare lo
scontro fisico.
Gli arcieri dei Montmorency risposero con due
raffiche di frecce, che fermarono gli assalitori già a metà strada,
costringendoli a ripiegare; erano tutti pesantemente corazzati, ed armati di
grossi scudi ovoidali, quindi le perdite in quella prima carica furono molto
contenute.
Quello fu tuttavia interpretato dal duca come
il segnale che lo scontro era iniziato, e perciò ordinò a sua volta di
avanzare.
Entrambe le linee del suo schieramento presero
ad avanzare, lentamente e al passo di marcia, rinchiusi dietro ad un muro di
scudi e protetti dalle raffiche degli arcieri che stavano alle loro spalle. Avanzavano
a tappe, guadagnando quattro o cinque metri per volta, pronti a chiudersi a
riccio se iniziavano a piovere frecce o giavellotti, e perennemente coperti
dalle proprie retrovie.
Vi erano circa quaranta metri a separare i due
schieramenti, e dopo cinque minuti le linee dei Montmorency ne avevano percorso
più di metà.
A quel punto, il maresciallo fece la sua
mossa.
Segretamente, aveva spostato parte della sua
cavalleria alla sinistra dello schieramento, nascosta dietro ad un crinale, che
al suono del corno passò alla carica puntando dritta sugli arcieri, ormai quasi
indifesi.
Le linee d’attacco se ne accorsero, ma i
Gramont avevano segretamente trattato con un paio di capitani avversari, per la
precisione quelli che comandarono la terza linea, i quali, fingendo di non aver
sentito l’ordine di tornare indietro ad affrontare la cavalleria nemica,
continuarono invece ad avanzare.
«Maledetti!» imprecò Gilbert, seduto ad uno
sgabello al centro del suo campo, rivolto alla sua terza linea «Tornate
indietro, per dio!».
Lui e il suo entourage erano abbastanza al
sicuro, ma se avesse indirizzato la sua guardia a difendere gli arcieri nulla
avrebbe impedito ad una parte della cavalleria di compiere una lunga deviazione
curvilinea e piombare alle spalle o ai lati su di un campo lasciato indifeso.
In suo aiuto giunse Maxime,
che da tempo aveva fatto ritorno al proprio accampamento.
Anche lui, infatti, aveva corrotto alcuni
membri poco fedeli della cavalleria nemica, i quali si erano deliberatamente
offerti di fare parte di quell’attacco a sorpresa, e che sul più bello, quando gli
arcieri nemici, attoniti e indifesi, erano ormai ad un tiro di lancia,
frenarono la loro carica, tornando sui propri passi e lasciando i loro compagni
da soli.
La carica ebbe comunque luogo, ma in forma
molto minore di quanto il maresciallo avesse previsto, abbastanza da permettere
a Gilbert di inviare una parte della sua guardia a respingere gli assalitori
lasciando comunque il campo ben difeso.
Gli arcieri, pur perdendo un battaglione su
tre, si rischierarono sulla parte destra dello
schieramento, lontano dalla battaglia tra la cavalleria e le guardie del duca,
riprendendo a sputare frecce per coprire l’avanzata dei loro.
«Che siano maledetti!» ringhiò il maresciallo
osservando parte della squadra d’imboscata che se ne andava tranquillamente
scomparendo dietro ad un crinale.
A quel punto, non restava altro che la
battaglia frontale, e nonostante la minaccia delle truppe di Touroc a pesare ancora su di lui il maresciallo ordinò
comunque la carica di cavalleria, mettendovisi
personalmente al comando e lanciando tutti i suoi uomini contro lo schieramento
nemico.
Si ebbe a quel punto una manovra a tenaglia,
con la fanteria di Gramont ad eseguire un attacco frontale, e la cavalleria
distribuita tra il fianco destro e le spalle dello schieramento nemico; il
fianco sinistro era libero, poiché era quello che dava verso il crinale dove si
trovavano i Touroc, ed attaccarlo poteva voler dire
trovarsi in trappola, schiacciati tra due fuochi.
Le truppe del duca, anche a causa dell’ostruzionismo
dei soliti corrotti, alcuni dei quali cambiarono addirittura fronte colpendo i
propri ex-compagni, non fecero in tempo a rischierarsi
per sfuggire alla manovra a tenaglia, quanto ai loro arcieri dovettero smettere
di scagliare dardi per non rischiare di colpire anche i propri uomini.
La battaglia si fece subito terribilmente
cruenta, e almeno dapprincipio l’esperienza de Gramont sembrò poter prevalere
sul numero dei Montmorency.
Il problema restavano ancora i Touroc. Per timore di un loro attacco il maresciallo,
impegnato in prima persona nello scontro menando fendenti a destra e a
sinistra, aveva tenuto una parte dei suoi in riserva, ordinando loro di
prepararsi a rispondere ad un eventuale attacco laterale, ben sapendo tuttavia
che anche questo non sarebbe servito a molto se tale attacco si fosse
effettivamente verificato.
Durante la notte, il maresciallo aveva mandato
una lettera a Maxime, informandolo che se avesse
accettato di ritirarsi dal combattimento gli avrebbe concesso due terzi del
denaro contenuto nelle casse del suo feudo, metà delle tasse raccolte nei due
anni successivi e una parte di Gramont.
Meglio scendere a patti con quella serpe che
perdere ogni cosa, si era detto sforzandosi di scrivere la lettera.
Ora, si trattava di capire se Maxime era o meno disposto ad anteporre il proprio borsello
al proprio cognome, una decisione che avrebbe determinato il corso della
battaglia.
Nota dell’Autore
Eccomi qua!^_^
Lo so, avevo detto che
avrei concluso in questo capitolo l’avventura di Guiche e Montmorency.
Il fatto è che, mentre
scrivevo, mi sono reso conto che solo a questo punto eravamo già arrivati a
sette pagine, che poi è la lunghezza media dei miei capitoli, e visto che ne
mancano almeno altrettante ho deciso che era meglio fermarsi qui e riservarsi
un ultimo capitolo per la conclusione.
Comunque, non ci sarà
da aspettare tanto.
Come detto sono già
molto avanti, e forse già domani potrei inserire l’epilogo
Louise
e Saito non capivano cosa Guiche avesse in mente, e visto che orientarsi
sottoterra era impossibile non avevano neanche idea di dove il loro amico li
stesse portando.
Un sospetto, per la verità, Saito ce l’aveva,
ma non voleva neanche prenderlo in considerazione. Purtroppo, il suo timore si
tramutò in realtà quando Verdandi abbatté l’ultima
porzione di terra dinnanzi a sé, aprendo un foro direttamente nel vecchio
ingresso della miniera dove i tre ragazzi erano stati solo pochi giorni prima.
«Non se ne parla neanche!» disse Saito quando
vide Guiche avvicinarsi al carro armato
«È l’unico modo per convincere quelle teste di
legno a smetterla con questa guerra insulsa, e lo sai anche tu.» replicò Guiche
con veemenza
«Mi pare di avertelo già spiegato. Questo è un
dispensatore di morte. Chissà quante migliaia di anime ha sulla coscienza.»
«Non intendo usarlo per uccidere. Sarà
sufficiente una bella dimostrazione. Anche qualora il piano del vostro amico
dovesse fallire, la vista di cosa è capace di fare questo aggeggio sarà
sufficiente per spingere quei due sconsiderati a considerare una
riappacificazione».
Saito si passò una mano sul viso, a metà tra
il rassegnato e l’esasperato.
«Ti prego, Saito. È l’unico modo per mettere
fine a questa guerra insulsa.»
«Guiche. Anche volendo, non potrei pilotarlo.»
«Saito ha ragione.» disse Louise «Ora il
potere di Gandalfr non c’è più. Non sarebbe mai in grado di farlo funzionare.»
«Ma è pur sempre una macchina del tuo mondo.
In qualche modo, dovresti riuscire a capirci qualcosa.
Ti prego».
Saito si mostrò ancora scettico, camminando
avanti e indietro come un’anima in pena, e allora Guiche perse la pazienza.
«E và bene.» disse arrampicandosi sulla
torretta e prendendo ad armeggiare sul portello per cercare di aprirlo «Se non
mi volete aiutare, allora farò da solo.
Non può essere così complicato.»
«Aspetta, aspetta!» gridò Saito vedendo il suo
amico che cercava di far saltare i cardini, non capendo come fare per
sbloccarlo «Hai vinto tu!»
«Saito, ma…» disse
Louise
«Tanto ci proverebbe comunque. Molto meglio
cercare di aiutarlo.» poi si rivolse severamente a Guiche «Ma devi giurarmi che
non lo useremo contro nessuno. Solo per spaventare.»
«Te lo giuro. Sul mio onore.»
«D’accordo, vediamo di capirci qualcosa».
La prima cosa che Saito fece fu verificare che
ci fosse ancora del gasolio nel serbatoio; non ce n’era molto, ma riposte in
delle sacche esterne c’erano un paio di taniche ancora mezze piene che Saito
usò per riempirlo nuovamente. Non sapeva quanta autonomia avesse quel bestione,
quindi era meglio riempirlo fino all’orlo.
A quel punto, tutti e tre i ragazzi entrarono
nel veicolo, chiudendosi dentro mentre Verdandi
cercava di aprire un varco nelle rocce per poter uscire.
All’interno c’era spazio per cinque persone,
tra pilota, operatore radio, fuciliere, comandante e caricatore.
Sotto la cloche, in uno scomparto, Saito trovò
un grosso manuale di istruzioni; sfortunatamente, come si aspettava, era
interamente in tedesco, e lui di tedesco non ci capiva un’acca.
«Accidenti a me e a quando ho rifiutato i
corsi integrativi di lingue europee!» imprecò il ragazzo sfogliando le pagine
nel tentativo di capirci qualcosa.
Per fortuna, oltre ai testi, c’erano anche
delle figure e delle illustrazioni, ma arrabattarsi tra tutte quelle
annotazioni, sottotesti e glosse scritte a mano dai precedenti proprietari era
peggio che sostenere un esame senza aver studiato.
«Allora?» chiese Louise, seduta al posto del
copilota «Sai farlo funzionare oppure no?»
«Dunque, vediamo.» disse Saito spingendo i
pulsanti e tirando le cordicelle a caso «Questo forse è il motore, questa l’accensione…».
Effettivamente, come il ragazzo spinse uno
stantuffo, si sentì un fracasso improvviso, e subito dopo il motore prese a
girare, lanciando il suo classico rumore gracchiante; anche dopo più di
cinquant’anni, cantava ancora come un tenore.
«Ecco, fin qui ci siamo.» disse Saito leggendo
e riprendendo a toccare e spingere ovunque «Ora vediamo, qui si controllano i
cingoli, qui la velocità, questo è il motore secondario, e qui c’è…».
Saito tirò una levetta, e subito dopo il boato
assordante di uno sparo riempì la caverna; il rinculo fu talmente forte da far
sobbalzare all’indietro l’intero veicolo, ed il proiettile, che oltretutto
montava una testata esplosiva, andò a disintegrare letteralmente la copertura
di rocce, terrorizzando il povero Verdandi che per
poco non finì investito dalla pioggia di pietre, e inondando la caverna di
luce.
«Beh…» disse Guiche
sconvolto e attonito, proprio come Saito e Louise «Almeno adesso sappiamo che
funziona ancora.»
«Ma chi ti ha detto di inserire il proiettile,
razza di citrullo?» sbraitò Saito
«Ehi, non prendertela con me. Anch’io cercavo
di capire come funzionasse.»
«D’accordo.» disse Saito afferrando la cloche
«Ora cerchiamo di farlo muovere».
La cloche in realtà era più sensibile del
previsto, tanto che bastò sfiorarla perché il carro cominciasse a ruotare su sé
stesso. A Saito occorsero un paio di tentativi, ma alla fine riuscì ad
ottenerne un rudimentale controllo.
«Accidenti.» mugugnò «Con Gandalfr era tutta
un’altra cosa.»
«Ora andiamo.» disse Guiche «A quest’ora
staranno già combattendo. Se non ci sbrighiamo, potrebbe essere troppo tardi».
Quello che Guiche non poteva sapere era che,
al castello, contrariamente alle sue aspettative, Montmorency si era già
risvegliata.
La dose di sonnifero che le aveva dato avrebbe
dovuto tenerla a nanna per almeno un giorno intero, ma forse per la naturale immunità
agli effetti delle pozioni magiche che la ragazza aveva iniziato a possedere a
causa del suo maneggiarle di continuo l’effetto durò a malapena una decina di
ore.
Montmorency, dapprincipio intontita, si
ricordò quasi subito di quello che era successo, e come sentì due guardie nel cortile
sotto la sua finestra discutere di quello che stava succedendo a Touroc si avventò sul portone nel tentativo di aprirlo,
trovandolo però chiuso a chiave.
«Tu, brutto disgraziato!».
Per nulla rassegnata, anche se con un po’ di
timore per quello che poteva succedere alla sua creatura, Montmorency aprì la
finestra e si gettò sul ramo di un albero vicino, riuscendo ad afferrarlo per
poi lasciarsi cadere a terra. A questo punto, afferrato il primo cavallo che le
capitò davanti, corse via in direzione del campo di battaglia, saltando tutti i
posti di blocco e le trincee costruite dai soldati e scomparendo nella foresta.
Siesta, che stava lavorando ancora una volta
sul ponte della White Dragon, la vide, e ormai determinata ad impedire che
Saito, Louise e Kaoru combattessero da sole andò a rivolgersi a Kiriya.
«Forse sarebbe il caso che andassimo anche
noi.» disse
«Ma non possiamo interferire in uno scontro in
questo modo. Rischiamo di farci coinvolgere.»
«Saito e gli altri stanno già combattendo. Non
possiamo restarne fuori solo noi».
Kiriya
temporeggiò, non sapendo cosa fare, poi però si rivolse al comandante della
nave.
«Mollate gli ormeggi».
Intanto,
sul campo di battaglia, la situazione appariva confusa e caotica.
Gli uomini di Montmorency, dopo aver ceduto
inizialmente terreno, erano riusciti a recuperare le posizioni e a rompere in
parte l’accerchiamento, ma la strategia toccata e fuga della cavalleria dei
Gramont, con cariche continue a intermittenza, li stava mettendo comunque in
difficoltà.
Era una situazione non più sostenibile per le
truppe del duca, che infatti ad un certo punto, dopo aver costretto alla fuga i
cavalieri che avevano tentato l’attacco a sorpresa, ordinò di lanciare un
bengala, che come una freccia di fuoco volò alta sul campo spegnendosi nel
cielo.
Quello era il segnale convenuto per le truppe
di Maxime, il quale, messo mano allo scettro, calò
giù dalla collina alla testa di tutti i suoi uomini, che si abbatterono sulle
truppe di Gramont come uno tsunami su di una costa indifesa.
L’attacco dei Touroc
diede immediatamente i suoi frutti, rappresentando un colpo violentissimo per i
Gramont, che presero subito a cedere terreno, dopo che in un primo momento
erano sembrati in grado di poter addirittura vincere.
«Maxime!» sbraitò il
maresciallo togliendosi il sangue dalla faccia «Che tu sia maledetto!».
Le truppe dei Touroc
erano composte principalmente da fanteria e stregoni, questi ultimi
particolarmente insidiosi con i loro attacchi combinati di vento e di fuoco. Lo
stesso Maxime faceva sfoggio di grandi abilità di
mago, riuscendo a respingere i nemici prima ancora che riuscissero ad
avvicinarsi a lui.
Lo stesso Gilbert si mostrò stupito, poiché
non ricordava che il cugino fosse dotato di simili potenzialità. Certo, nessuno
in quel campo di battaglia poteva immaginare che quello che stava dinnanzi a
loro fosse in realtà solo un feticcio, una scorza esteriore.
Il piano di Fouquet
era molto semplice; nel momento in cui le truppe del duca, forti della loro
presunta superiorità, avessero iniziato ad abbassare la guardia, lei avrebbe
immediatamente ordinato la ritirata, lasciando i due eserciti ad un livello di
forza sostanzialmente alla pari.
Entrambi i comandanti a quel punto avrebbero
potuto scegliere solo tra il continuare e distruggersi a vicenda o rinunciare a
fare ritorno ognuno al proprio feudo; in ogni caso, i due eserciti ne sarebbero
usciti distrutti, e con il supporto dei soldati di TourocReconquista li avrebbe occupati entrambi,
accorpandoli ai suoi già considerevoli domini.
Ben presto, gli eventi precipitarono. I
Gramont, soverchiati, erano ad un passo dalla fuga, e solo la dura disciplina
al quale il loro comandante li aveva abituati impediva loro di voltarsi e
fuggire. Dal canto loro, i Montmorency combattevano in modo molto più blando,
certi di avere le spalle coperte, e Gilbert stesso, dopo essere rimasto in
piedi per buona parte dello scontro, si concesse il piacere di sedere in
tranquillità sul proprio sgabello.
Poi, accadde qualcosa, nel campo dei Touroc, dove era rimasto a presidio un piccolo e ristretto
gruppo di soldati.
Qualcuno si palesò dinnanzi a loro, spingendo
coloro che stavano sulla sua strada a cedere il passo e a chinare al testa;
qualche istante dopo, un nuovo rombare di corno proveniente dalla collina
riecheggiò nella pianura, così forte e cadenzato che per un interminabile
istante la battaglia si arrestò completamente, facendo volgere tutti in quella
direzione.
«Il segnale della ritirata!?» disse attonito Maxime
Passò un attimo, e non appena il suono si
acquietò, e la battaglia fece per riprendere, le truppe dei Touroc
si girarono, tornando sui propri passi come se avessero avuto i fantasmi alle
calcagna.
«No, fermi!» urlò il loro comandante,
ritrovatosi improvvisamente solo «Non ancora! Non adesso!».
I soldati non sapevano cosa fare, se obbedire
al loro signore o ad un ordine che, teoricamente, poteva venire solo per sua
bocca.
Poi, accadde qualcos’altro, qualcosa che
lasciò tutti quanti sbigottiti, per non dire sconcertati.
Sulla cima del crinale, in sella ad un cavallo
marrone lucente, si palesò il dica MaximeTouroc in persona, racchiuso nelle proprie vesti più
pregiate, con la spada alla cintura e lo sudo con lo stemma del suo casato
assicurato alle cinghie.
Il problema era che Maxime
si trovava anche nel mezzo della battaglia, attorniato dai pochi che al suo
ordine erano tornati indietro, e che ora osservavano la scena sbigottiti, come
pure tutti gli altri presenti.
«Non è possibile!?» esclamò il Maxime in battaglia.
Come se un comando divino avesse ordinato
improvvisamente di fermarsi, lo scontro cessò di colpo, e tutti, compresi i due
comandanti, si immobilizzarono ad osservare quell’evento fuori dal comune,
senza sapere cosa pensare.
Il nuovo Maxime
spinse lentamente la propria cavalcatura giù per la collina, fermandosi
dinnanzi al primo Maxime, che osservava la scena più
sconvolto degli altri; a quel punto smontò da cavallo, e con passo lento ma
deciso si portò viso a viso con il suo alter ego.
«Non ti aspettavi di rivedermi vivo, vero?»
disse il secondo Maxime
«Co… cosa!?»
«Ascoltate tutti!» disse poi rivolto ai
soldati e ai comandanti di tutti gli schieramenti «Voi tutti siete stati
ingannati dalle macchinazioni e dalle trame ordite da questo impostore!» poi
tornò a guardare il primo Maxime «Prima hai ucciso me
e mia moglie, poi ti sei sostituito a noi per fomentare una guerra fra i
Gramont e i Montmorency.
Infine, quando i due feudi fossero stati ormai
allo stremo, li avresti occupati entrambi con il minimo sforzo.
Ma non potevi certo immaginare che da tempo ormai,
io e Ludwika avessimo preso a farci sostituire da dei
sosia.»
«S… sosia!?»
«Quelli che hai ucciso, e bruciato fino alla
cenere nel camino della nostra camera da letto, erano degli attori ingaggiati
per prendere il nostro posto. Di questi tempi, è sempre una buona idea avere
qualcuno che si esponga al tuo posto».
Il primo Maxime si
guardò attorno, e si accorse che quasi tutti ora guardavano lui.
A forza di spintoni, il maresciallo e Gilbert
si portarono davanti a tutti; il primo aveva l’armatura sporca di sangue, il
secondo invece era ancora lindo come uno specchio, ma entrambi erano ugualmente
contrariati.
«Che significa questa storia?» chiese Gilbert
«Non date retta a questo millantatore!»
rispose il primo Maxime «Cerca solo di seminare il
sospetto! Sicuramente è al soldo dei Gramont!»
«No, sei tu che sei al soldo di qualcuno.»
replicò acido e diretto il secondo Maxime «Qualcuno a
cui progetti di consegnare tutte e tre queste province non appena le avrai
assoggettate.»
«È falso! Sono io l’unico MaximeTouroc!»
«Se sei davvero MaximeTouroc, allora non dovresti avere problemi a
dimostrarlo.»
«Di che cosa stai parlando?».
Il secondo Maxime
prese dalla tasca un’ampolla contenente un liquido denso e violaceo; la aprì,
avvicinandola al primo Maxime perché potesse vederne
ed annusarne il contenuto, e questi, fattolo, sgranò gli occhi per lo
sconcerto.
«La riconosci? Questa pozione serve ad
annullare l’effetto dell’Essenza del Camaleonte. Se tu sei davvero chi sostieni
di essere, e se quella che vediamo non è solo una scorza esteriore, allora non
dovresti avere problemi a bere questo liquido».
Sia Gilbert che il maresciallo si girarono
verso il primo Maxime, il quale guardava quella
piccola ampolla, ora protesa verso di lui, come fosse stata la scure del boia.
«Avanti.» disse il maresciallo
«Che aspetti?» disse Gilbert quasi con tono di
ordine.
Il primo Maxime
digrignò i denti; sembrava terrorizzato, mentre il suo alter ego seguitava a
tenere quella boccetta protesa verso di lui.
Alla fine, decise di passare al contrattacco.
«Perché non la bevi tu, invece?».
Il secondo Maxime lo
guardò enigmatico.
«Invece di spacciare me per un impostore, perché
non dimostri prima tu di non esserlo? Dimostra che sei il vero duca di Touroc!».
Tutti allora guardarono il secondo Maxime, che a sua volta si guardò un momento attorno, come
indeciso sul da farsi, salvo poi ostentare lo sguardo più risoluto e sicuro
possibile.
«D’accordo. Lo farò. Ma se non dovesse
succedere niente, allora diverrà evidente in ogni caso che sei tu l’impostore».
Il primo Maxime
sgranò gli occhi, a metà tra il sorpreso e lo sconcertato.
Fouquet cominciava
a temere di essere stata davvero ingannata.
Da una parte era convinta che anche quello di
fronte a lei fosse un falso, qualcuno che aveva scoperto il suo piano e che ora
cercava di screditarla per salvarsi, dall’altra però non riusciva a non pensare
che forse quella storia del sosia era vera, e che aveva davvero ucciso la
persona sbagliata.
Il secondo Maxime
rivolse l’ampolla verso di sé e rimosse il tappo, poi, lentamente, la avvicinò
a sé, stringendola un poco più forte nella mano dopo averla sfregata sulla
manica dell’altro braccio; infine, dopo un attimo di esitazione, se la portò
alla bocca, bevendone un sorso, mentre tutto attorno calava un silenzio
raggelante.
Subito si piegò in avanti, disgustato dal
sapore immondo di quella roba, ma anche così non accadde nulla, e quando
risollevò il volto i suoi lineamenti erano rimasti gli stessi.
Il primo Maxime
assistette alla scena attonito, e più passavano gli attimi più la sua
espressione si faceva sconvolta e terrorizzata.
«Soddisfatto?».
Di nuovo, tutti spostarono la loro attenzione
dal secondo al primo Maxime, ma stavolta gli sguardi
erano molto più minacciosi.
Persino Gilbert e il maresciallo, superato all’apparenza
ogni astio l’uno per l’altro, ora fissavano il loro sedicente alleato l’uno
affianco all’altro, con le mani strette con forza attorno all’impugnatura delle
rispettive spade.
Il primo Maxime,
rivelatosi essere un falso, ormai aveva perso l’apporto anche delle sue stesse
truppe, e si guardava attorno digrignando i denti, apparentemente pazzo di
rabbia.
«Non crediate che finisca così!» ringhiò
furente.
Con un agitare di scettro provocò un enorme
tornado tutto attorno a sé che scaraventò via tutti i presenti, e
contemporaneamente un violento terremoto si generò improvvisamente sulla
pianura sventrandone il terreno.
Quando il vento si placò, e la polvere si
posò, Fouquet aveva riassunto le sue antiche
sembianze, e svettava sicura di sé sulle spalle del gigantesco golem di pietra
che aveva evocato.
«Maledetta!» ringhiò il maresciallo, che l’aveva
conosciuta già quella volta nell’offensiva di Tarbes
«Di nuovo tu!»
«Poco importa se mi avete scoperta! Mi sbarazzerò
di voi in ogni caso!»
«Non contarci!» disse Gilbert «Soldati! Abbattete
questo mucchio di terra!».
Si scatenò subito una pioggia di frecce,
giavellotti e incantesimi contro il golem, che però non ne fu nemmeno scalfito.
«Pensate di farmi qualcosa, stupidi
moscerini?».
Il golem rispose con un pugno spaventoso, che
spazzò via più di una ventina di uomini in un colpo solo, seminando il panico
tra le truppe, che presero a fuggire in ogni direzione.
«E adesso, mi occuperò di voi tre!».
Al secondo attacco, la creatura diresse il
proprio pugno verso i tre sovrani, apparentemente indifesi, ma veloce come una
folgore Maxime si portò davanti a tutti, ed infilata
una mano nel mantello ne prese fuori una stupenda katana che mise davanti a sé,
riuscendo incredibilmente a fermare il pugno del golem; l’urto tra la lama ed
il pugno produsse un fragore assordante ed una fortissima luce, la stessa che
si accese di colpo sulla sua mano sinistra, e che prese come a disintegrare il
suo corpo.
Il mostro dopo poco dovette arrendersi e
ripiegare, e quando tornò la quiete Maxime non c’era
più.
«Ma tu…» disse il
maresciallo riconoscendo il nuovo venuto.
«Ci è mancato poco.» disse Derf
«Meno male che ti sei deciso a chiedere il mio aiuto».
Vedendo Kaoru, anche Fouquet
sentì un diavolo per capello.
«Ma allora… tu non
sei il duca di Touroc?!»
«Il duca è morto.» rispose Kaoru «Lo hai
ucciso tu, insieme a sua moglie Ludwika. Io ho solo
usato l’Essenza di Camaleonte che avevi preparato con il suo sangue.»
«Maledetto. Mi hai ingannata!»
«Il tuo gioco è alla fine, Fouquet.
Ormai sei stata scoperta.»
«Non fare tanto il gradasso! Ti schiaccerò
come l’insetto che sei!».
Il golem a quel punto fece per colpire di
nuovo.
«Andatevene!» ordinò Kaoru ai due sovrani
prima di scagliarsi contro il nemico a spada tratta.
Purtroppo, pur con tutta la sua abilità ed il
potere di Gandalfr, Kaoru si trovò molto presto in seria difficoltà.
Negli anni Fouquet
aveva migliorato di molto la sua abilità nell’invocazione dei golem, che ormai
erano quasi perfetti dal punto di vista della resistenza e delle capacità
difensive; a questo si aggiungevano poi le indubbie capacità magiche della
donna, che unite al prezioso aiuto del suo animaletto domestico in poco tempo
misero Kaoru in una bruttissima posizione.
Il ragazzo, dopo aver tentato di attaccare,
venne alfine costretto ad una difesa disperata, subendo tuttavia un gran numero
di attacchi, ai quali bene o male riusciva a sopravvivere grazie sia ai poteri
di Gandalfr sia alla sua proverbiale resistenza alle ferite e al dolore.
Dopo soli cinque minuti, Kaoru era già in
ginocchio, costretto ad appoggiarsi alla sua spada per non rovinare del tutto a
terra.
«Allora, gradasso?» disse Fouquet
ridendo di soddisfazione «Dove è finita tutta la tua tracotanza?».
Punto sul vivo per l’essersi trovato di fronte
ad un avversario che non riusciva a fronteggiare, Kaoru tentò un contrattacco,
ma come cercò di arrampicarsi lungo il braccio del golem venne steso da un
tremendo ceffone, che stavolta sembrò togliergli tutte le ultime forze.
«Non sembri valere neanche la metà degli altri
Gandalfr. Forse il Profeta ti ha sopravvalutato dopotutto.»
«Il… il Profeta?»
mugugnò Kaoru lottando col dolore, quasi quel nome gli risultasse famigliare
«In ogni caso, non importa. Questo è il tuo
funerale. Addio!».
Il golem alzò il piede, pronto a vibrare il
colpo decisivo, e Kaoru pensò che per lui fosse davvero alla fine.
Se non che, all’improvviso, si udì un boato
assordante, e subito dopo una specie di violentissima esplosione squarciò il
petto del golem, provocandovi una vistosa crepa e facendolo sobbalzare all’indietro.
«Ma che…» esclamò Fouquet cercando di non cadere.
Tutti girarono gli occhi verso il punto da
dove era giunto il boato.
A est della pianura, esattamente di fronte al
mostro, era comparsa una cosa incredibile e spaventosa; sembrava un incrocio
tra un grosso aratro per campi ed una carrozza, con cingoli al posto delle
ruote, il corpo ricoperto di metallo ed un grosso cannone ancora fumante
leggermente in obliquo rispetto al livello del terreno.
«Che… che ci fa
qui?».
Dopo quel primo colpo il carro armato si
avvicinò, seppure in modo un po’ incerto e traballante, come una carrozza
trainata da cavalli reticenti, fermandosi proprio accanto a Kaoru; lo sportello
a quel punto si aprì, e ne sbucarono fuori Guiche e Louise, mentre dallo
spioncino frontale che fungeva da parabrezza si distinguevano i lineamenti di
Saito.
«Guiche!?» esclamò suo padre
«Tutto bene, Kaoru?» chiese Saito
«Come avete fatto a farlo muovere?»
«È una lunga storia.»
«A quanto pare, abbiamo fatto in tempo.» disse
Louise guardando Fouquet, ora più infuriata che mai
«Non imparerai mai, vero?»
«Anche voi!? Non la smetterete mai di essere
una seccatura, vero?».
Il suo golem, ripresosi, lanciò un ruggito
assordante, battendosi i pugni sul petto come un gorilla.
Prima che potesse attaccare di nuovo, però,
una nuova serie di colpi lo investì provenendo dall’alto, e tutti, alzati gli
occhi, videro stupiti la White Dragon solcare il cielo.
«Ehilà, gente!» disse Siesta affacciandosi dal
parapetto
«A quanto pare, abbiamo fatto in tempo.» disse
Kiriya, che aveva direzionato e comandato la bordata.
Quello era il momento giusto.
«Tutti ai posti di combattimento!» disse
Guiche rigettandosi dentro assieme a Louise.
Mentre Louise recuperava da una cassa situata
sul pavimento del mezzo un pesane proiettile anticarro, inserendolo nel cannone
con l’aiuto di Saito, Guiche, sempre seduto al posto di comando, direzionava il
cannone con il mirino periscopico, indicando la mira.
«Alzate di più! Più a destra! No, troppo! Più a
sinistra! Ecco, un po’ più giù!»
«Ma insomma, deciditi!» disse Saito
armeggiando con i sistemi di puntamento.
Finalmente, il mostro comparve al centro del
mirino.
«Fuoco!» disse Guiche, e Louise abbassò la
leva.
Il nuovo sparò andò a centrare direttamente la
crepa prodotta dal primo colpo, che ingrandendosi ulteriormente minò ancora di
più la solidità del golem, il quale, dopo poco, finì irrimediabilmente in
pezzi.
«Non è possibile!» urlò infuriata Fouquet precipitando assieme alle rocce del suo golem e
finendone, apparentemente, schiacciata.
«Vai così, bada bum!» esclamò Saito.
I soldati non riuscirono a credere ai propri
occhi, osservando la forza spaventosa di quella sconosciuta e straordinaria
macchina da guerra.
Il maresciallo e Gilbert avevano già sentito
parlare degli strani marchingegni che di quando in quando saltavano fuori dalle
segrete di qualche nazione o potenza straniera, ma questa superava di gran
lunga qualsiasi cosa anche solo immaginabile, e il solo pensiero di un’arma
simile rivolta contro di loro bastò a fargli venire il latte alle ginocchia.
Il carro, dopo poco, smise di gracchiare, ed i
tre ragazzi uscirono nuovamente allo scoperto, accolti come eroi e salvatori
dai soldati di tutti gli schieramenti che corsero loro incontro dimentichi di
aver combattuto ferocemente gli uni contro gli altri solo fino a pochi minuti
prima.
Kaoru fortunatamente se la cavò con poco,
tanto che riuscì a rimettersi in piedi con le sue sole forze, in tempo per
ricevere un abbraccio sollevato di Siesta, sotto gli occhi un po’ maliziosi di
Louise.
Anche la conta dei morti, alla luce dei fatti,
fu abbastanza premurosa; in definitiva c’erano più feriti che vittime, che non
superavano il centinaio, quanto ai feriti l’intervento tempestivo dei guaritori
riuscì a salvarli quasi tutti.
«Meno male che il tuo piano ha funzionato.»
disse Saito rivolto a Kaoru «Se Fouquet non fosse
stata smascherata, non si sarebbe fatto in tempo ad evitare una strage.»
«Ma come hai fatto ad evitare di venire
smascherato dalla pozione che annulla l’Essenza del Camaleonte?».
Kaoru rispose a quella domanda con uno strano
sorriso beffardo, per poi mostrare, oltre al contenitore originale, già finito
in pezzi durante lo scontro, una seconda ampolla, custodita in una tasca
segreta all’interno dell’ampia manica della veste che aveva recuperato nell’armadio
di Maxime; la diede a Louise, che la stappò e vi
intinse il dito, portandosene poi una goccia alla bocca.
«Succo di rape.» disse sorridendo.
Era stato solo un abile gioco di prestigio; un
attimo di bere l’essenza, che si era fatto preparare appositamente dallo
stregone del castello spacciandosi per Maxime, aveva
rapidamente e sinuosamente sostituito l’ampolla originale con un’altra, nascosta
nella tasca segreta della manica, e contenente dell’innocuo succo di rape, dal
colore e dalla consistenza simili all’essenza.
«Dove hai imparato a fare i giochi di
prestigio?» domandò Saito
«Spendi qualche ora a fare da babysitter a
Kiluka, e lo saprai. Ne sa una più del diavolo».
Saito e Louise risero, e dopo poco sul campo
di battaglia giunse anche Montmorency, spaventatissima e con il cuore in gola
per quello che temeva di trovare.
«Guiche!» disse vedendolo
«Montmorency!».
Si corsero incontro, abbracciandosi con tale
forza da buttarsi a terra l’uno con l’altro
«Montmorency, che cosa ci fai qui?»
«E me lo chiedi?» rispose lei dandogli un
finto ceffone «Razza di stupido! Ero preoccupata da morire! Temevo che ti avrei
perso!»
«Questo non è possibile, Montmorency.» disse
Guiche carezzandole una guancia «Perché te l’avevo promesso. Te l’avevo
promesso che sarei tornato da te.»
«Guiche…» sussurrò
Montmorency sull’orlo delle lacrime.
Si baciarono, ma dopo poco entrambi si
accorsero che i loro genitori li sovrastavano, fissandoli pieni di severità;
immediatamente si rialzarono, ma all’iniziale, abituale timore, fecero seguito
degli sguardo altrettanto motivati e determinati, e invece che separarsi si
strinsero ancora più forte l’uno all’altra.
«Noi ormai abbiamo preso la nostra decisione.»
disse Guiche
«Non importa quello che potete pensare, noi
non cambieremo idea. Staremo insieme, avremo questo bambino e lo cresceremo.»
«Potete benedire la nostra unione o lavarvene
le mani. Non ci interessa. Ma comunque vada, non riuscirete a separarci. Se non
vorrete la nostra unione, ce ne andremo in questo momento».
I due uomini si guardarono, poi guardarono il
carro armato, che svettava a pochi passi con il suo minaccioso cannone.
«E suppongo che se cercassimo di fare
qualcosa.» disse il maresciallo «Ci scateneresti contro quel mostro, vero?»
«Se cercherete di fermarci, sì.» disse Guiche,
che in realtà non ne aveva alcuna intenzione «Ma preferiremmo che fosse la
vostra coscienza a decidere».
Saito e gli altri avrebbero voluto restarne
fuori, ma Louise non ce la fece a restare impassibile e fece qualche passo
avanti.
«Louise…» tentò di
dire Saito
«Voi eravate pronti a fare pace, prima che
iniziasse tutto questo.» disse la ragazza «Il vostro orgoglio di nobili è così
importante da spingervi a sacrificare i vostri figli?»
«Louise…» disse
Montmorency
«Il bambino che Montmorency porta in grembo è
anche vostro nipote. Se non per i vostri figli, almeno per lui cercate di
mettere da parte le vostre rivalità. Se continuaste nonostante tutto a
combattere, anche dopo aver scoperto quello che stava dietro a questo seminare
zizzania tra di voi, allora Reconquista avrebbe
comunque vinto.
Volete forse darla vinta a chi cerca di
smembrare e conquistare con l’inganno questo Paese al quale tanto tenete?».
Di nuovo, i due capifamiglia si guardarono tra
di loro; poi Gilbert, che teneva ancora la lancia in mano, chiuse gli occhi e
guardò in basso.
«Ventitre anni fa, quando era appena nato, persi
la mia prima figlia per colpa della scarlattina.» disse, e dopo qualche attimo
lasciò cadere l’arma a terra e riaprì gli occhi, guardando i due ragazzi «Che
sia dannato se ne perderò un’altra».
Guiche e Montmorency restarono basiti, e
quando anche il maresciallo sorrise si abbracciarono nuovamente, sicuri ormai
che, almeno loro, avevano vinto.
Quanto ai due genitori, prima si guardarono,
poi si strinsero la mano, da veri soldati.
«Non significa che mi piaci.» disse Gilbert
«È naturale.» replicò il maresciallo.
Anche Louise e Saito sorrisero.
«Per fortuna, è finita bene.» disse Louise.
Tutto era perfetto.
Troppo perfetto, perché non succedesse
qualcosa.
Mentre alcuni soldati scavavano tra i resti
del golem alla ricerca di Fouquet, per accertare che
fosse effettivamente morta, questa, ferita ma ancora in piena forma, sbucò
fuori all’improvviso, e veloce come il fulmine si avventò su Montmorency,
gettando via Guiche con un calcio.
«Fouquet!» gridò
Saito
«Fermatela!» urlò il duca.
Subito tutti fecero per avventarsi sulla
nemica, ma questa prese fuori il suo solito coltello, puntandolo alla gola
della ragazza.
«Non muovetevi!» ordinò, e tutti furono
costretti ad obbedirle
«Fouquet, ormai è
finita!» disse Louise
«Sapete che cosa può fare questo pugnale
avvelenato. Un graffietto si limita a tramortire, ma basta un taglio di un solo
centimetro perché sia morta prima ancora di cadere a terra.»
«Continuare è del tutto inutile!» disse Saito
«Sono già morte troppe persone in questa pianura!»
«Sei solo un illuso, ragazzino. Pensi davvero
di poter fermare tutte queste guerre. Ogni giorno si consumano nuove battaglie
in tutto questo maledetto Paese. Ogni giorno centinaia di persone muoiono.»
«Non importa. Anche impedirne una sola,
servirà a salvare delle vite. E più ne fermeremo o ne impediremo, più vite
salveremo. È così che si fanno finire le guerre.»
«Il tuo ingenuo idealismo sarà la tua
condanna.
Per cominciare, prima di darvi alle
celebrazioni, avreste dovuto assicurarvi che io fossi davvero morta.
E adesso sarà Montmorency a pagarne le
conseguenze!».
Fouquet,
improvvisa, mosse il coltello, la cui punta arrivò a sfiorare il collo bianco
di Montmorency, che per la paura non riusciva neppure a gridare, ma solo a
pensare con tutte le sue forze a Guiche, che tuttavia era a sua volta
impotente.
Tutto accadde in un attimo.
Passò uno, forse due istanti, e nel silenzio
più assoluto riecheggiò un suono metallico, dolcissimo e soave come un canto
della natura, mentre una lama curvilinea scivolava gentile nell’aria con la
delicatezza e la leggiadria di una piuma.
Quando il tempo sembrò riprendere a scorrere,
Kaoru era in ginocchio, con la katana stretta tra le mani, dinnanzi a Fouquet, la quale vide passare dinnanzi ai propri occhi sbarrati
e sgomenti la mano che stringeva il coltello, e che fluttuando nell’aria finì a
rotolare sull’erba tingendola di rosso.
Il silenzio, di colpo, fu squarciato dall’urlo
disumano della donna, che commettendo l’errore di allentare la presa su
Montmorency venne da questa allontanata con una spinta.
Montmorency tornò tra le braccia di Guiche,
mentre Fouquet prese a stringersi con forza il polso
destro, al termine del quale vi era ora solo un orrendo moncone perfettamente
levigato, che gettava sangue senza sosta. Non voleva crederci, e cercava di
chiudere il pugno, o di muovere le dita, ma non ci riusciva, perché le dita non
le aveva più.
Fouquet aveva il
terrore e lo sgomento negl’occhi, e dopo aver urlato con tutta la sua voce
cadde infine in ginocchio sopraffatta dal dolore. Nonostante vederla, e
sentirla mugolare, spezzasse il cuore, nessuno aveva voglia di aiutarla, non
dopo tutto quello che aveva fatto.
Sarebbe sicuramente morta dissanguata, se l’ultima
persona che in teoria poteva volere il suo bene in quel momento non si fosse
adoperata per salvarla.
«Montmorency, cosa…»
disse Guiche vedendo la sua amata inginocchiarsi davanti a Fouquet
«C’è un mago del fuoco?» chiese la ragazza.
Un soldato dei Touroc
si fece avanti; una volta cauterizzata la ferita, fu sufficiente un buon
incantesimo curativo, che suturò le vene e fermò l’emorragia.
Ciò nonostante per via dello shock e del
sangue perso, Fouquet perse comunque conoscenza, venendo
immediatamente raccolta da un paio di soldati che la gettarono a bordo di un
carro per condurla in prigione, dove al momento giusto avrebbe dovuto
rispondere di parecchi crimini, primo fra tutti l’omicidio di Maxime e Ludwika.
E con quello, fu finita per davvero, seppur
non del tutto nel modo in cui Saito e Louise avrebbero sperato.
Se non altro, una volta che Fouquet si fosse ripresa, interrogandola avrebbero potuto
scoprire qualcosa di più sui piani di Reconquista,
oltre che su questo misterioso Profeta del quale aveva parlato a Kaoru, il
quale ricevette tutti i più sentiti ringraziamenti di Gilbert per aver salvato
sua figlia.
Ora, però, era solo il momento della serenità,
e della ritrovata pace.
Era il momento di Guiche e Montmorency.
Neanche
una settimana dopo essere tornati a Grasse, Saito, Louise e Kaoru erano stati
invitati all’imminente matrimonio tra Guiche e Montmorency, che si sarebbe
tenuto entro due giorni nella basilica di Gareville, la
città più grande d’oriente, e subito si erano dovuti rimettere in viaggio.
La cerimonia fu davvero sontuosa, e
accomodatisi in prima fila all’interno della basilica i tre ragazzi poterono rendersi
conto di quante personalità illustri fossero pervenute, tra le quali anche
alcuni governatori di altre province.
A quanto sembrava, la notizia dell’avvenuta
riappacificazione di due tra i più potenti casati orientali aveva suscitato un
senso di positività tra gli altri feudatari, spingendoli a considerare l’idea,
proposta dagli stessi signori di Gramont e Montmorency, di creare una grande
confederazione che si occupasse di garantire la stabilità e la pace nell’est
fino a quando la situazione generale di Tristain non si fosse nuovamente
acquietata.
Purtroppo, l’arrivo a Gareville,
dove erano stati accolti dai genitori degli sposi in persona, era stato per
Saito e gli altri funestato da una brutta notizia.
Superato il momento e lo shock iniziali,
infatti, dopo solo qualche giorno di detenzione Fouquet
era riuscita a liberarsi e a scappare dopo aver ingannato ed ucciso la guardia
che sorvegliava la sua cella. Senza dubbio una brutta novella, che spegneva le
speranza dei ragazzi di capire qualcosa di più su quello che stava succedendo,
ma che nulla doveva né riusciva a togliere alla felicità di quel momento.
Guiche vestiva un abito completamente bianco,
fatto su misura, e sormontato da una mantella rosso porpora, aveva i capelli
ben pettinati e lo spadino di famiglia alla cintura.
Saito, che gli faceva da testimone, si
avvicinò a lui, mettendogli una mano sulla spalla quando lo vide strofinarsi le
mani per l’emozione per tranquillizzarlo; impossibile per lord Hiraga non ripensare a quando si era trovato lui in quella
situazione, un momento bellissimo che ricordava sempre con enorme piacere, e
che ogni volta lo faceva arrossire.
Poi, al suono di uno stuolo di trombe, le
porte della cattedrale si spalancarono, e Montmorency si palesò in tutta la sua
bellezza, tenuta per mano dal padre, che sorrideva quanto lei.
Era stupenda; indossava lo stesso abito usato
da sua madre più di vent’anni prima, decorato con eleganti merletti ed
impreziosito da molte pietre preziose; al posto del velo aveva una coroncina, e
in mano teneva un bouquet di rose bianche.
Vedendola, Guiche arrossì, pensando a quanti e
quali anni di felicità lo attendevano assieme e lei nel castello di Touroc, che già dal giorno dopo sarebbe diventato il loro
eremo personale.
Montmorency percorse, lentamente e a capo
chino, tutta la navata, poi il duca, non senza qualche riserva, la lasciò
andare, perché potesse avvicinarsi a Guiche, il quale, presala a sua volta, la
condusse fino all’altare, dove il sacerdote li attendeva.
Dopo il sì, lo scambio degli anelli ed il
bacio, i due ragazzi, ora novelli sposi, uscirono dalla basilica, dove gli
invitati li accolsero, oltre che con acclamazioni ed auguri, anche con una
pioggia di riso; una usanza del suo mondo, a detta di Saito, che portava bene e
favoriva la buona vita della coppia.
Tra gli invitati c’era anche una giovane e
bella ragazza, la figlia di un nobile della città.
Questa, nell’atto di lanciare il riso,
inciampò sul terreno reso scivoloso dai chicchi, minacciando di cadere.
Guiche, che si trovava lì a due passi, immediatamente
la afferrò.
«State bene, signorina?» le domandò con quella
sua solita, inguaribile aria suadente.
«S… sì.» rispose
arrossendo l’interessata
«Ne sono felice. Il mio cuore avrebbe pianto
se una così candida pelle fosse stata funestata da volgari ferite, e questo
viso così dolce sporcato dalle impurità della fredda terra.
Voi siete un fiore che non deve essere
sporcato. Perché se voi vi sporcaste, il mondo intero ne soffrirebbe.»
«Guiche-sama…»
«Tutto suo padre.» disse fieramente il
maresciallo, salvo beccarsi un’occhiataccia dalla moglie.
D’improvviso, Guiche udì un lugubre rumore
alle proprie spalle; sembrava un colpo di frusta.
«Non è possibile.» ringhiò Montmorency
brandeggiando il frustino che Louise le aveva regalato come personale dono di
nozze, e sovrastando il proprio neo-marito con un volto che avrebbe spaventato
perfino un drago «Persino il giorno del nostro matrimonio.»
«M… Montmorency!»
disse lui lacrimando di paura «Aspetta, ti prego…»
«Razza di… razza di… razza di donnaiolo senza speranze!».
Il povero Guiche imparò a proprie spese cosa
si provava ad essere frustati dalla propria padrona, mentre Saito, Kaoru e
Louise assistevano impotenti.
«Credo di sapere che cosa sta provando.» disse
Saito
«Decisamente.» disse Kaoru
«Senza dubbio.» disse Derf
«Volete essere picchiati, per caso?» mormorò
Louise alzando la bacchetta.
Alla scena, che fece ridere tutti, assisteva
anche un altro invitato, uno assai meno gradito.
Dall’alto della torre campanaria, Fouquet Saito, Louise e gli altri che ridevano e si
divertivano nella piazza sottostante digrignando i denti, e con gli occhi, nascosti
dietro alle solite lenti da vista, che scintillavano di rabbia.
La mano sinistra era chiusa in un pugno
strettissimo, mentre il polso destro era ora avvolto in un cappuccio di cuoio
chiuso con delle cinghie all’altezza del gomito.
«Non finisce qui. Vi do la mia parola che mi
vendicherò.» disse prima di dileguarsi.
Nota dell’Autore
Eccomi qua!^_^
Come promesso, con
questo capitolo si chiude il cerchio sulle avventure di Guiche e Montmorency.
Ma per Saito, Louise e
Kaoru, le difficoltà sono appena all’inizio.
Nuove e più difficili
battaglie li attendono nel breve termine, anche se potranno contare su di un “aiuto
speciale” (non sto più nella pelle, sul serio).
Come immaginavo, forse
dovevo aspettare a concludere il penultimo capitolo. In questo modo il
precedente è stato di 7 pagine, mentre questo di 12.
Come al solito credevo
di cavarmela con meno, ma alla fine sono risultato il solito prolisso.
Scuse sincere.
Ora datemi qualche
giorno per finire queste stramaledette tesine, e poi finalmente l’estate
inizierà anche per me, con l’inevitabile foga creativa.
Ecco la seconda mappa di Tristain, a 2 mesi dall'inizio degli avvenimenti.
Come avevo preannunciato compare un nuovo feudo, quello dei LeClerc. Il Vallo Orientale che appare al suo limitare è una enorme fortezza di frontiera costruita secoli addietro per difendere l'unico valico di un certo rilievo dalle incursioni di Germania. A breve ne conoscerete gli occupanti
Le province segnate la linee rosse appartengono a nobili e dignitari che hanno dichiarato il loro appoggio o alleanza a Saito e Louise, ma che comunque conservano ancora il dominio sui propri territori.
A presto!^_^
Carlos Olivera
Passarono
alcune settimane, e nulla di nuovo venne a turbare la serenità che sembrava
essere finalmente ritornata a De Ornielle e a Grasse.
Saito e Louise stavano finalmente iniziando a
fare progetti per la nascita del loro figlio; perché, ormai, era sicuro che
Louise fosse incinta ormai da quasi un mese.
Anche i suoi poteri stavano ritornando
gradualmente, e non sarebbe passato molto tempo prima che fosse ridiventata in
grado di esprimere al meglio la forza della sua magia.
La minaccia più grande continuava ad essere
costituita da Laguiole.
Nei giorni immediatamente seguenti al ritorno
dal matrimonio di Guiche e Montmorency, Valat aveva
lanciato un paio di offensive verso nord, che tuttavia erano state tutte
respinte dalla forza congiunta di Joanne, Kilyan e
Kaoru, quest’ultimo il quale stava dimostrando ad ogni battaglia le doti e
l’esperienza proprie di un brillante stratega.
Questo rendeva necessario essere sempre pronti
ad ogni evenienza. Pertanto, Joanne aveva ordinato tanto alle sue moschettiere
quanto a tutti i soldati dell’esercito in generale di seguire corsi di
addestramento a ciclo continuo, così da accrescere la loro esperienza e la loro
preparazione in vista di nuove battaglie.
Stranamente, nonostante l’apparente tranquillità,
sembrava essersi alzato una sorta di muro tra i padroni e gli attendenti, che
negli ultimi giorni quasi non si rivolgevano la parola.
Kaoru, Joanne e Kilyan
erano sempre impegnati con esercitazioni, seminari strategici e pattugliamenti
a confine, Saito e Louise invece erano continuamente sballottati da un incontro
politico all’altro per cercare di mantenere ben saldi i rapporti instauratisi
con i governatori vicini.
Intanto si era ormai fatto autunno inoltrato;
le giornate si stavano accorciando, aumentava il freddo, nonostante si fosse in
riva al mare, e gli alberi cominciavano a spogliarsi delle loro foglie
ingiallite.
Un pomeriggio, Kiluka stava passeggiando per i
giardini del castello.
Ormai a quei luoghi ci aveva fatto
l’abitudine, e ogni volta che poteva scansava il controllo di Seena per
concedersi qualche minuto di tranquillità, anche perché l’autunno le era sempre
piaciuto, con quei colori così caldi e quelle atmosfere surreali.
Ad un tratto, girovagando senza meta per il
giardino, la ragazzina intravide Kaoru, immobile ai piedi di una grande
quercia, le gambe divaricate e piantate a terra, la schiena leggermente
inarcata, la mano sinistra stretta all’impugnatura della spada e gli occhi
chiusi.
Sembrava una statua, tanto appariva immobile,
e Kiluka si immobilizzò a sua volta, rimanendo ad osservarlo dietro ad un
cespuglio di basse siepi.
I secondi trascorsero, senza che Kaoru non
desse segno di essere vivo, quasi la sua anima si trovasse altrove, mentre
Kiluka continuava ad osservarlo.
Tre foglie si staccarono quasi
contemporaneamente dall’albero, prendendo a galleggiare nell’aria;
d’improvviso, Kaoru spalancò gli occhi, e con un unico gesto sinuoso fece
scivolare la spada fuori dal suo fodero, eseguendo un unico, fulmineo fendente.
Non un movimento inutile, non un muscolo mosso
più di quelli necessari; e le tre foglie, passategli in quell’istante davanti
agli occhi, finirono recise a metà, scivolando inerti fino a posarsi a terra.
Kiluka restò senza parole, e quando Kaoru
rinfoderò la spada finalmente si accorse di lei. A quel punto la ragazzina si
avvicinò, sorridendo e senza apparente timore; molti altri avrebbero trovato
spaventosa quella dimostrazione di abilità, ma per lei sembrava quasi una cosa
naturale.
«Sei molto bravo.» disse con quel misto di
sincerità ed innocenza infantile «Neanche Seena riuscirebbe a fare una cosa
simile».
Lui la guardò, ma non rispose, tornando ad
assumere una posa normale.
«Senti, posso domandarti una cosa?»
Di nuovo, Kaoru non rispose, ma Kiluka, dopo
qualche esitazione, decise di chiedere ugualmente.
«Tu… hai ucciso
molti nemici?».
Questa volta, finalmente, Kaoru si decise.
«Perché lo vuoi sapere?».
Stavolta fu Kiluka a non rispondere, ed anzi
abbassò gli occhi come mortificata. Kaoru guardò la lama della sua katana, che
risplendeva come un gioiello.
«In effetti, ogni volta che uccidi qualcuno, è
un po’ come se una parte di quella persona entrasse in te.»
«Cosa?»
«Non so se e quanti uomini io abbia ucciso
prima del periodo che riesco a ricordare. Ma di sicuro, quelli che ho ucciso da
allora è come se fossero diventati parte di questa spada. Ogni volta che la
estraggo, mi sembra di sentirli».
Poi, Kaoru guardò Kiluka.
«Ti do un consiglio. Non uccidere se non devi.
E se proprio ci sarai costretta, sii pronta ad affrontarne le conseguenze.
D’altra parte però, questa è pur sempre una
guerra. E fino a quando non ci saranno più persone come Saito e Louise, questa»
e indicò la spada «Avrà sempre del lavoro da fare, e persone come me ragione di
esistere.»
«Secondo me.» rispose Kiluka dopo un momento
di esitazione «Ti stai giudicando troppo duramente.
Tu sei buono.»
«Tu dici?» replicò Kaoru con uno strano
sorriso
«O almeno, questo è quello che penso. Ho visto
le persone malvagie. E tu non lo sei. I tuoi occhi somigliano tantissimo a
quelli di Seena. E Seena non è certamente una persona cattiva.»
«Non fa una grinza.» disse Derf.
Kaoru non replicò, ma rinfoderò la spada, e
assieme a Kiluka si avviò per fare ritorno al castello.
Erano arrivati in cortile, quando si avvidero
che un’aeronave era da poco giunta a palazzo, ed era ora all’ancora in un
angolo della darsena; a giudicare dai vessilli e dalla bandiera che sventolava
sul pennone, non era difficile capire a chi appartenesse.
«Lord Marcin?».
Prima ancora che Kaoru potesse pensare di
andare a scoprire cosa stesse succedendo, Kilyan lo
raggiunse tutto trafelato.
«Generale! Lord Marcin
è qui! Vuole proporre di sferrare un attacco alle isole Ty-Kern!»
«Che cosa!?» esclamò Kaoru, che assieme a Kilyan e Kiluka raggiunse di corsa la sala delle udienze.
Quando arrivarono, Lucas, Saito e Louise erano
già raccolti attorno al grande tavolo centrale, sul quale erano buttate un po’
alla rinfusa mappe della costa nord-occidentale di Tristain, della quale Grasse
costituiva il promontorio più esterno e pronunciato, e dove si affacciava, più
a sud e vicino al confine con Gallia, anche il feudo dei Marcin.
Saito sembrava una maschera di cera, tanto i
suoi occhi apparivano sbarrati, e anche Louise era chiaramente turbata.
«Ah, Kaoru.» disse Saito «Stavo giusto per
farti chiamare.»
«So già tutto. Lord Marcin.»
«Generale.»
«Che cos’è questa storia di attaccare Ty-Kern?».
Le isole Ty-Kern
erano un piccolo arcipelago ad una quarantina di miglia dalle coste di
Tristain; per molto tempo era stata una nazione a sé stante, ma un paio di
secoli prima Albion aveva occupato le isole, che una
volta liberate nel corso dell’ultima guerra erano diventate una provincia di
Tristain a tutti gli effetti.
Il feudo era gestito dal casato dei Floubert, discendenti dell’antica famiglia reale. Fino a
quel momento si erano tenuti fuori dal conflitto sul continente, ma da qualche
tempo a quella parte, come Saito era già stato informato, si erano
improvvisamente scatenati, schierando la loro immensa flotta di navi ed
aeronavi e conquistando in modo pressoché schiacciante i feudi costieri che
stavano rispettivamente a nord e a sud dei domini dei Marcin.
«Ty-Kern è diventata
una minaccia per tutti noi.» disse Lucas per giustificare la sua proposta
«Chiunque abbia un dominio che si affaccia sul mare potrebbe diventare il suo
bersaglio. Hanno già creato una testa di ponte nel sud del Paese, e se
riusciranno a conquistarne un’altra potranno seriamente iniziare una vera
campagna di conquista in tutta Tristain.
Devono essere fermati.»
«Proviamo ad inviare un ambasciatore.» disse
Louise «Cerchiamo di negoziare.»
«Ci ho già provato. E la risposta di Lord Floubert è stata, testuali parole, che “questa è l’epoca in
cui i forti devono prendere ciò che i deboli non meritano di possedere”. Direi
che le sue intenzioni sono più che ovvie».
Saito guardò in basso, stringendo i pugni.
«Non posso farlo. Ho promesso che non avrei
mosso guerra a nessuno se non attaccato.»
«Se dovessero attaccare, temo sarebbe troppo
tardi.» rispose franco Lucas «La flotta di Floubert è
immensa. Hanno fornito a Tristain quasi tutte le aeronavi che hanno preso parte
alla spedizione ad Albion.
Se un simile dispiegamento di navi dovesse
mettersi in moto tutto in una volta, arrestarlo sarebbe pura fantasia.»
«Però…»
«Io posso schierare una nutrita forza aerea.
Ma mi occorre la flotta di Grasse per poter contare su di una buona copertura
navale.
Credimi, amico mio. Ho riflettuto molto prima
di venire qui a farti questa proposta, perché sapevo che per te non sarebbe
stato facile accettare l’idea di dover dichiarare guerra a qualcuno.»
«Noi stiamo solo cercando di mantenere la pace
a Tristain.» disse Louise «Noi non abbiamo ancora smesso di sperare che la
principessa sia sopravissuta, e vogliamo che se e quando tornerà possa di nuovo
poter sedere sul trono.»
«Vi comprendo. È la stessa cosa che voglio
anch’io. Ma se non fermiamo Floubert, quando la
principessa tornerà troverà qualcun altro ad occupare il palazzo reale. E se
vogliamo fermare Floubert, dobbiamo farlo prima che
sue flotte inizino seriamente a dilagare in tutta la nazione».
Nuovamente, Saito si guardò attorno confuso e
preoccupato, guardando ora le carte sparpagliate sul tavolo ora chi gli stava
intorno.
«Io… io non lo so…»
«D’altra parte» disse Kaoru guardandolo quasi
con severità «Pensare di poter concludere una guerra senza combattere o
uccidere non è fantasia, ma pura utopia.»
«Kaoru…» disse Louise sgranando gli occhi
«Questa è una guerra. Cercare di farla finire
al più presto è ammirevole, ma d’altra parte ci sono momenti in cui bisogna
tirare fuori gli artigli e attaccare, perché altrimenti l’unica alternativa è
venire distrutti.
E questo, temo sia uno di quei momenti.»
«Parole sante.» disse Lucas «Kaoru ha ragione.
Questo non è il momento delle indecisioni.
Vorrei poterti dire che sarà solo per questa
volta, ma la verità è che nessuno può saperlo. Se vogliamo preservare Tristain
fino al ritorno di Henrietta, dovremo essere pronti
anche a fare cose di questo tipo».
Saito e Louise, ma anche Joanne e Kiluka,
abbassarono gli sguardi, affranti e sconfortati. Solo Kaoru sembrava freddo
come al solito, forse per via di quell’affinità con il campo di battaglia che
aveva fin da prima di incontrarli, e che per ora non riusciva a ricordare.
«E sia.» disse alla fine Saito, dopo essersi
consultato con lo sguardo con Louise «Ma devi promettermi che terremo i civili
fuori da questo conflitto, e che ci ritireremo subito se non proveranno a
resistere, o se avremo la prova di essere superiori.»
«Hai la mia parola. Lo giuro sulla mia vita, e
sull’amore che provo per Cattleya.»
«D’accordo. Mobiliterò la flotta di Grasse.»
«Molto bene. il grosso della mia aviazione è
già radunata al largo della costa, nascosta in una zona morta. Potremo partire
già domani».
Quella
notte, Saito non riuscì a chiudere occhio.
Durante il resto della giornata era stato
tutta una frenesia per ultimare i preparativi in vista della partenza della
flotta d’attacco, già schierata e pronta a salpare dai moli di Grasse, prevista
per il tramonto successivo. In questo modo avrebbero navigato durante la notte,
al sicuro dalle spie e dai ricognitori nemici che pattugliavano i dintorni
delle isole a bordo di deltaplani, e sarebbero comparsi dinnanzi alle coste di Ty-Kenr al sorgere del sole, in tempo per iniziare il
bombardamento.
Saito non riusciva ad accettarlo.
Una parte di lui era d’accordo con quello che
aveva detto Lucas, ma l’altra continuava a dire che non era possibile
professarsi conservatori della pace se poi si muoveva guerra ad un vicino che,
per quanto minaccioso e pericoloso, non aveva ancora fatto niente di più e di
meno di quasi tutti gli altri feudatari di Tristain.
Alla fine, non trovando principio di
addormentarsi, e temendo di svegliare anche Louise, che invece era riuscita in
qualche modo a prendere sonno, il ragazzo si alzò, si mise addosso qualcosa e
volle fare quattro passi e cercare di distrarsi.
Come ogni notte, guardie e soldati
presidiavano il castello, e chi incontrava lo salutava con il dovuto rispetto.
Giunto in cortile, si accorse che c’era qualcun
altro oltre a lui, seduto su di una panchina e rivolto di spalle. Fece per
avvicinarsi, ma calpestò inavvertitamente alcune foglie secche, facendo rumore
e facendo volgere l’interessata.
«Kiluka.»
«Saito-san.»
«Che cosa ci fai qui?»
«Non riuscivo a dormire.»
«Neanch’io. A quanto pare siamo in due».
Anche lui si sedette, e i due stettero per un
po’ l’uno affianco all’altra senza dire nulla, guardando le due lune in parte
oscurate dalle nuvole; era una serata molto fredda, e anche se indossava una
vestaglia Kiluka sentiva comunque freddo.
«Quindi… è guerra,
vero?»
«Purtroppo sì.» rispose Saito «Anche io non
avrei mai pensato che si sarebbe arrivati a tanto. Cercheremo di arrecare meno
danno possibile».
Il ragazzo raccolse da terra una foglia
arrossita, rigirandosela tra le mani.
«Purtroppo, Kaoru e Lucas hanno ragione.
Avremmo dovuto mettere in conto fin da subito che si sarebbe potuti arrivare a
qualcosa del genere.
Finora né io né Louise ce ne eravamo
completamente resi conto, ma questa è pur sempre una guerra. E in guerra, come
ha detto Kaoru, bisogna essere pronti ad uccidere.»
«Io le odio.» disse Kiluka con un filo di voce
«Cosa!?»
«Le armi. La guerra. La sofferenza. Odio tutte
queste cose. Sia mio padre che mio nonno mi hanno fatto promettere che non avrei
mai ucciso nessuno».
Poi, la ragazzina sorrise quasi rassegnata.
«Eppure» disse, e come sollevò le mani vi
comparve deposta sopra una spada simile a quella che aveva visto usare a Kaoru
quella mattina «Il mio potere consiste proprio nel creare strumenti di morte.
Crearne senza sosta, senza fine. Quegli stessi strumenti che non vorrei mai
vedere usare.
Che razza di famiglio potrei diventare, con un
potere così spaventoso?».
Saito restò un momento basito, poi però,
sorridendo, poggiò una mano sulla testa di Kiluka.
«Non esistono poteri buoni o cattivi. È il
modo in cui si sceglie di usarli che determina questa differenza. Questo è
quello che mi disse una volta il professor Colbert.»
«Saito-sama…»
«Anch’io, quando possedevo ancora il potere di
Gandalfr, mi sono chiesto alcune volte che cosa avrei mai potuto farne, vista
la mia indole pacifica e la mia naturale avversione alla violenza. È stato
grazie al professore che ho capito che potevo far uso del mio potere per gli
scopi giusti, e senza snaturare o annullare il mio pensiero.
Sarà così anche per te.»
«Voi… dite
davvero!?»
«Puoi creare armi, e allora? Se troverai
qualcuno che sa fare un uso saggio e virtuoso delle armi che costruisci, avrai
trovato il modo di rendere costruttivo il tuo potere».
Di fronte ad una prospettiva così
apparentemente conciliante, Kiluka sentì rinascere se non altro la speranza.
Ormai aveva accettato e riconosciuto il fatto
che Louise non fosse destinata ad essere la sua padrona, ma si augurava che il
suo padrone, chiunque fosse stato, l’avrebbe pensata come Saito.
Uno spiffero freddo le fece battere i denti, e
si raggomitolò su sé stessa stringendo i denti.
«È meglio rientrare. Un altro po’ e ci
buscheremo un malanno tutti e due».
Quello che nessuno dei due poteva sapere era
che, qualche minuto prima, un’ombra nera si era introdotta nel castello, e
fattasi strada tra i cortili schivando o tramortendo le guardie che incontrava
era giunta fin nel giardino.
Saito e Kilula
stavano quasi per rientrare dalla porta che dal giardino conduceva nel salone,
quando il ragazzo avvertì distintamente una presenza minacciosa alle proprie
spalle, che lo sovrastava minacciando di schiacciarlo.
«Attenta!» urlò, e spinta via Kiluka si gettò
a terra a sua volta, giusto in tempo per evitare un tremendo affondo di punta
che, mancatolo, perforò il terreno come un coltello con il burro.
«Maschera di Ferro!» esclamò Saito
riconoscendo l’aggressore.
Il misterioso sicario, ritratta la spada dal
terreno, si avventò immediatamente contro Saito, prendendo a lanciare un
affondo dietro l’altro nel tentativo di trafiggerlo; il ragazzo era ovviamente
disarmato, e tutto quello che poteva fare era schivare, ma senza il potere di
Gandalfr e senza una spada era difficile riuscire a tenere a bada un assalto
talmente veloce e furioso.
«Aspetta, ti prego!» disse Kiluka, che invece
considerava quel sinistro individuo, se non un amico, almeno un benefattore «Saito-san non è cattivo! Lascialo in pace!».
Ma le sue parole restarono del tutto
inascoltate.
Saito riuscì ad evitare di finire infilzato,
ma dopo dieci secondi e più di schivate la sua velocità ed i suoi riflessi si
affievolirono, ricevendo infine un colpo di striscio ad un fianco, non letale
né particolarmente grave, ma molto doloroso.
Nel mentre Kiluka aveva fatto per andare a
chiamare le guardie, ma quando si era accorta che Saito era in difficoltà aveva
deciso, pur con esitazione, di tornare sui propri passi; guardandosi attorno
alla ricerca di una soluzione, vide infine la spada che aveva creato poco
prima, abbandonata accanto alla panchina dove si erano seduti.
Correndo, riuscì a raggiungerla, giusto in
tempo per evitare che Saito ricevesse il colpo di grazia.
«Prendete!» urlò lanciandola.
Il ragazzo la recuperò al volo, sguainandola un
attimo prima di venire trafitto nuovamente e riuscendo così a salvarsi la vita.
Colto alla sprovvista, Maschera di Ferro indietreggiò, dando a Saito il tempo
di mettersi in guardia.
Dopo solo pochi secondi lo scontro riprese, e
ben presto Saito si rese conto che, anche con la spada in mano, Maschera di
Ferro rischiava di essere un avversario al di là della sua portata.
Per fortuna, quando stava per venire messo
nuovamente sotto, il ragazzo ricevette l’improvviso e provvidenziale aiuto di
Kaoru, che all’ultimo momento comparve dal nulla frapponendosi tra Maschera di
Ferro e Saito quando questi, messo un piede in fallo, era caduto, scoprendosi.
«Kaoru!»
«Lui lascialo a me. Noi due abbiamo un conto
in sospeso».
Anche Maschera di Ferro sembrava pensarla
così, tanto che lasciò perdere Saito e si concentrò sul nuovo venuto.
«Si può sapere che cosa vuoi da noi?» domandò
Kaoru mentre camminavano lentamente in cerchio tenendosi viso a viso «Ti stai
lasciando dietro cadaveri di feudatari per tutta la nazione. Hai forse deciso
di far sprofondare questo Paese nell’anarchia?».
Maschera di Ferro non rispose e si lanciò all’attacco.
Nelle ultime settimane Kaoru si era allenato
molto duramente, proprio in previsione di un nuovo scontro con quella che stava
ormai diventando quasi la sua nemesi, e così il divario tra loro due si era
fatto molto meno marcato rispetto al passato.
Addirittura, ad un certo punto Kaoru sembrò
quasi riuscire a prevalere, costringendo Maschera di Ferro ad una difesa
passiva e quasi disperata, tanto velocemente e fulmineamente si muoveva il suo
avversario, una differenza che si fece ancor più marcata quando Kaoru decise di
servirsi anche del potere di Gandalfr; ciò andava contro i suoi principi, ma se
poteva servire a trovare quelle risposte che sentiva che Maschera di Ferro
potesse portargli sulle sue origini e sulla sua identità allora era un
sacrificio accettabile.
Saito e Kiluka assistevano senza interferire,
Kiluka perché troppo spaventata e Saito perché, dentro di sé, sapeva che non
poteva fare niente per aiutare o contrastare due guerrieri di tale bravura;
oltretutto, aveva una sensazione che di dejà vu, quasi quello scontro gli
riportasse alla memoria qualcosa che non gli riusciva di identificare.
Alla fine, incredibilmente, Kaoru fu ad un
passo dalla vittoria; schivato l’ennesimo affondo, il ragazzo girò su sé stesso,
si aprì un varco e partì di taglio menando un fendente che Maschera di Ferro
riuscì ad evitare per un pelo, ma che comunque lo ferì all’avambraccio sinistro
lacerando il camiciotto e la carne sottostante.
La cosa strana fu che, almeno in quel momento,
non uscì sangue dalla ferita, ma non era quella la cosa importante per ora.
Approfittando dell’occasione, prima ancora di
concludere l’assalto Kaoru sgambettò l’avversario, gli afferrò la faccia
mascherata e lo sbatté violentemente a terra lasciandolo impotente.
Poi, successe qualcosa.
Kaoru fece per strappare via la maschera, così
da poter finalmente scorgere quel volto che, adesso se lo ricordava, aveva già visto
quella volta tra le rovine di Dungletale, ma i cui
lineamenti non riusciva ancora a ricordare con chiarezza, quando qualcosa lo
paralizzò.
Fu questione di un attimo.
Le pupille gli si dilatarono, la bocca si
piegò in un’espressione di stupore, ed una specie d lampo gli si accese nella
mente e davanti agli occhi, mostrandogli immagini confuse e incomprensibili;
tutto quello che vedeva era fuoco, un mare di fuoco, che sembrava bruciargli la
carne come se vi fosse stato davvero immerso, e che bruciava ogni cosa.
«Che cos’è?» disse ancora sconvolto «Ma chi
diavolo sei tu?».
Un secondo di esitazione, che però fu
sufficiente.
Kaoru venne improvvisamente riportato alla
realtà da un altro tipo di dolore, un dolore dapprima leggero e quasi
impercettibile, che però divenne autentico e devastante nel momento in cui vide
la spada di Maschera di Ferro conficcata nel proprio addome, la lama e i
vestiti tinti di rosso e le gocce di sangue che come un orologio ticchettavano
a terra una alla volta.
Tutti i muscoli gli si paralizzarono, la spada
gli cadde di mano, e come Maschera di Ferro ritrasse la lama il ragazzo ne
prese il posto a terra, circondato di sangue, mentre lui al contrario si
rimetteva in piedi.
Saito e Kiluka assistettero impotenti; Kiluka
si copri la bocca con le mani e quasi pianse, Saito spalancò la bocca
incredulo.
«Kaoru!».
Quasi accertatosi che il nemico non costituiva
più una minaccia, Maschera di Ferro tornò tuttavia a rivolgere le sue attenzioni
proprio su Saito, il quale, in larga parte ancora sconvolto per ciò che aveva
visto, non riuscì quasi ad opporre resistenza, ritrovandosi in poco più di
dieci secondi con le spalle appoggiate al muro del palazzo.
Maschera di Ferro avrebbe probabilmente
infierito anche su di lui, se all’improvviso una freccia comparsa dal nulla non
lo avesse costretto ad indietreggiare.
Se c’era un’abilità naturale nella quale
Kiluka si era sempre mostrata ferrata, questa era senza dubbio il tiro con l’arco.
Grazie al suo potere, e vinta la timidezza, aveva
quindi creato un bell’esemplare di arco intarsiato con tanto di faretra piena
di frecce, una delle quali era stata immediatamente scoccata contro il nemico,
e poco importava se Maschera di Ferro le aveva di fatto salvato la vita; in
quel momento stava attentando alle persone che come lui l’avevano aiutata, e
pertanto andava fermato.
«Ora basta, smettila!».
L’espediente si rivelò provvidenziale.
Mentre tutto ciò accadeva, infatti, Louise,
svegliatasi, si era accorta dell’assenza di Saito, e come si era imbattuta nel
cercarlo in una delle guardie che erano state stese da Maschera di Ferro aveva
immediatamente dato l’allarme.
I soldati arrivarono improvvisamente nel
cortile, cogliendo sul fallo Maschera di Ferro, che lasciato perdere tutto girò
i tacchi e corse via, arrampicandosi come un ragno sui bastioni per poi
tuffarsi direttamente in mare.
Joanne, alla guida dei soldati, salì a sua
volta sulle mura per vedere se era ancora possibile cercare di prenderlo, ma
nel buio della notte era difficile persino riuscire a scorgere la superficie
del mare.
«Sarà morto?» domandò uno
«Nessuno sopravvivrebbe ad un volo del
genere.» disse un altro
«Non contateci troppo.» replicò Joanne «Quello
non è tipo da morire così facilmente».
Poi, Joanne sentì Saito invocare il nome di
Kaoru, e solo allora si accorse di quello che era successo.
Kaoru era ancora lì, riverso sull’erba a
pancia in giù, con una mano a tenersi l’addome e l’altra protesa in avanti,
svenuto e coperto di sangue. Il sangue gli colava anche dalla bocca, che
tossendo in modo involontario ne sputava dell’altro con terrificante frequenza.
«Kaoru!» gridò Saito inginocchiandosi accanto
a lui e cercando di soccorrerlo.
Anche Louise e Kiluka si avvicinarono.
«Presto, un medico! Un medico!» gridò Louise
«Sì, subito!» disse Joanne.
Anche Siesta, svegliata ed attratta dal
frastuono, uscì in giardino, e quando vide cosa era successo per un attimo che
sembrò un secolo il cuore quasi le si fermò.
Saito continuò per interminabili minuti a
scuotere Kaoru nel tentativo di svegliarlo, ma il ragazzo non dava alcun segno
di vita, e dopo poco sembrò aver avesse smesso anche di respirare.
«Kaoru!».
Nota dell’Autore
Eccomi qua!
Come al solito,
risorgo dalla tomba per aggiornare!^_^
Gli esami stanno
finalmente finendo.
Ancora 3 (che poi in
realtà sarebbero 1, visto che due sono solo tesine) e finalmente avrà inizio
anche la mia estate.
Sono sommerso di cose
da fare.
Un dramma teatrale per
un concorso, una sceneggiatura che spero si trasformerà in un corto
universitario, e poi ovviamente questa fic, che per
settembre vorrei davvero aver se non altro portato alle battute finali.
Che altro dire?
Ovviamente,
aspettatevi aggiornamenti più frequenti da ora in avanti.
Kaoru
si ritrovò a galleggiare in uno strano oceano, tetro e scuro come la notte, ma
dove qui e là risplendevano confusamente come dei piccoli globi di luce, e
all’interno di ognuno di questi globi gli pareva di scorgere delle immagini,
dei brevi corti di un film più grande.
Erano forse i ricordi della sua vita?
Quella vita della quale ora non riusciva ad
avere memoria?
Cercò di afferrarne alcuni, per poterli
vedere, ma erano evanescenti e intangibili proprio come bolle d’aria in un mare
sconfinato.
Poi, sentì una voce che lo chiamava.
«Chi sei?» domandò con il pensiero, visto che
quella voce sembrava risuonargli direttamente nella testa
«Devi proteggerla, figlio mio. Continua a
proteggere Louise. Non è ancora il tuo momento».
Era una voce femminile molto dolce, ma allo
stesso tempo determinata, che risvegliava in Kaoru qualcosa di famigliare.
«Ti prego. Il nostro futuro dipende da
questo!».
Poi, tutto divenne nero, e Kaoru si sentì come
risucchiare all’indietro, dentro quel corpo che ora giaceva in un letto
nell’infermeria del castello.
«Kaoru!» disse Siesta vedendo che si
svegliava.
Aveva le lacrime agli occhi, e a giudicare
dalle ombre nere non aveva dormito per tutta la notte. Fece per abbracciarlo,
ma come strinse un po’ Kaoru mugolò per il dolore.
«Scusa.» disse lasciandolo, poi si rivolse ad
un’infermiera «Presto, avvisa Saito e Louise! Digli che Kaoru si è svegliato!».
Saito e Louise arrivarono quasi subito, e solo
allora a Kaoru venne in mente di guardare in che condizioni fosse ridotto. Il
segno lasciatogli dalla lama di Maschera di Ferro era nascosto da una grossa
benda, ma dal dolore che sentiva poteva capire che non era stata una cosa da
poco.
«Quanto tempo è passato?»
«Giusto poche ore.» rispose Louise «Hai davvero
una resistenza d’acciaio. Altri sarebbero rimasti svenuti giorni interi.»
«E Maschera di Ferro?»
«È scappato. Mi dispiace.»
«Per fortuna l’affondo non ha trafitto lo
stomaco.» disse Saito «A dispetto di come poteva sembrare, te la sei cavata con
poco. Il medico ha pulito la ferita e applicato dei punti».
Kaoru cercò di alzarsi, ma il dolore provocato
dalla ferita era qualcosa di insopportabile, e dovette mettersi nuovamente
disteso.
«Non strafare.» gli disse Louise «Se ti muovi
troppo, rischi di strapparti i punti.»
«Ma dobbiamo salpare. La flotta d’invasione…»
«Non preoccuparti. Verrà Kilyan
con me. Mi sta già aspettando a bordo dell’ammiraglia. Tu ora pensa a
riprenderti.»
«Però…»
«Finiscila di protestare.» disse Louise
alzando la voce «Sei già fortunato ad essere sopravvissuto. Ora restatene a
letto, o dovrai preoccuparti più delle mie punizioni che della tua ferita».
Detto questo Louise se ne andò, seguita da
Saito.
«Accidenti, che sfuriata.» commentò Derf
«Sicuramente la signorina Louise è in pensiero
per Saito.» disse Siesta «Avrebbe voluto andare con lui, ma lui alla fine l’ha
convinta a rinunciare».
Kaoru stette in silenzio un altro po’, poi
batté con rabbia il pugno sul letto.
«Kaoru…» disse Siesta
«Dannazione! E dire che stavolta credevo di
esserci riuscito. E invece, ancora una volta, quel maledetto mi è scappato.»
«Meno male che sei ancora vivo. Sarebbe potuta
andarti molto peggio».
Kaoru alzò allora il braccio verso l’alto,
guardandosi la mano.
«Nell’istante in cui l’ho toccato…
per un attimo, ho avuto come l’impressione di poter vedere dentro la sua mente.
Vedere tutti i suoi pensieri.»
«E che cosa hai visto?»
«Fuoco. Un oceano di fuoco senza fine.»
«Fuoco…».
Ad un certo punto, preda di un’emozione che
non riusciva a controllare, Siesta abbracciò nuovamente Kaoru, un abbraccio
dolce e gentile, mentre alcune lacrime comparivano nei suoi occhi chiusi.
«Non farmi mai più prendere uno spavento come
quello di stanotte, hai capito?»
«Siesta…» disse il
ragazzo confuso ed incredulo.
Al
molo, intanto, tutto era pronto per la partenza.
Dodici navi da guerra, dalle corvette rapidi e
veloci ai galeoni di lineacon trenta
cannoni per lato, erano in procinto di salpare alla volta di Floubert.
In cielo, in mare aperto, si intravedeva la
flotta di aeronavi di Lucas, già schierata e pronta alla partenza.
Louise venne a salutare Saito dinnanzi
all’ammiraglia, il SeabornLegend,
e anche per cercare per l’ultima volta di convincerlo a portarla con sé.
Lui però, come era prevedibile, diede la
stessa risposta del giorno prima, e sorridendo le carezzò la testa.
«Non volermene male, Louise. Ma potrebbe
essere molto pericolo. Quindi, è meglio se resti qui.
Non temere, ci sarà Kilyan
ad assistermi.»
«Allora, sarà meglio se fai attenzione.»
mormorò lei a sguardo basso «Perché altrimenti, ti picchierò.»
«D’accordo.» rispose Saito sorridendo.
A quel punto, a malincuore, dovettero
separarsi, e mentre la nave ed il resto della flotta spiegavano le vele tra i
saluti e le esclamazioni della folla radunatasi al
porto, Saito, affacciato dal ponte di poppa, continuava a guardare Louise,
salutandola a piene braccia e continuandole a promettere che presto si
sarebbero rivisti. C’era anche sua sorella Cattleya,
che come lei salutava e pregava per il ritorno del proprio marito.
Anche Kaoru, dalla finestra della sua stanza,
poté vedere le navi prendere il largo, e tanto lui come Siesta, nonostante
tutta l’imponenza delle due flotte di Grasse e Marcin,
non riuscivano a togliersi dalla testa uno strano presentimento, come un senso
di pericolo incombente.
Ben presto, la flotta fu in mare aperto,
diretta verso Floubert, e quando la terraferma era
ormai lontano Lucas, a bordo di una piccola scialuppa alata, scese dalla sua
nave ammiraglia fino sulla SeabornLegend, per incontrarsi con Saito e definire gli ultimi
dettagli.
«Le isole sono protette da un buon sistema di
fortificazioni marine.» disse Lucas guardando una mappa dell’arcipelago «Hanno
anche dei punti di osservazione mimetizzati sotto la superficie per avvistare
eventuali nemici.»
«Non c’è modo di localizzarli?»
«Purtroppo no. È per questo che aspetteremo la
notte per dare inizio all’avvicinamento vero e proprio. Comunque sia, non diamo
per scontato che non sapranno del nostro arrivo.
Il problema principale sono i cannoni. Ce ne
sono lungo tutto il perimetro di Gerion, l’isola
principale, dove si trova la capitale, nelle isole circostanti e anche negli
atolli che ci stanno intorno. Se ci avvicineremo troppo, finiremo nel fuoco
incrociato, e allora quel posto si trasformerà in un inferno.»
«Che cosa suggerisci?»
«La mia flotta aprirà la strada. Bombarderemo
simultaneamente tutti i fortini perimetrali e le postazioni più piccole.
Nel frattempo, tu e la sua flotta dovrete
procedere a vele spiegate attraverso lo sbarramento. Portatevi a distanza di
tiro dalle fortificazioni di Gerion, e prendete a
sputargli addosso tutto quello che avete. I loro cannoni da difesa costiera
hanno un calibro superiore ai nostri, ma non sono particolarmente precisi. Se
riuscirete a buttarne giù anche solo cinque o sei, sarà fatta.»
«Sembra anche troppo facile.»
«Del
resto, Ty-Kern non è stata fortificata per resistere
ad un attacco combinato da mare e da aria di questa portata.
Tra la tua flotta e la mia, si parla di almeno
trentacinque-quaranta navi.»
«Speriamo vada tutto per il meglio. Ma
ricordati il nostro patto.»
«Tranquillo, me lo ricordo. Niente attacchi su
civili o nemici arresi. Se alzeranno bandiera bianca o chiederanno un cessate
il fuoco per negoziare, li accontenteremo.
Anche io voglio limitare al massimo le
perdite».
A quel punto, e dopo un pasto frugale, mentre
il sole cominciava ormai a calare sotto l’orizzonte, Lucas fece ritorno alla
propria ammiraglia, la Exellion.
Dopo poco, scese la notte, e da quel momento
la flotta si fece silenziosa ed invisibile come un esercito di navi-fantasma.
L’ultimo
patriarca della famiglia Floubert, Solomon, avrebbe disgustato i suoi stessi antenati.
Ricco, opulento, viziato, cresciuto nella
bambagia e dominato dai suoi vizi, era il prototipo del regnante dal pugno di
ferro.
Nelle sue isole, la gente a fatica tirava al
domani, mentre lui viveva in un palazzo degno della regina che dall’alto di una
collina dominava tutta Gerion e le isole vicine.
La città di Gerion,
capitale del ducato e dell’isola omonima, era tutta raccolta e disposta lungo
la principale insenatura dell’isola, che protendendosi verso l’esterno fungeva
da foce al fiume Loto, principale corso d’acqua di Floubert.
Era davvero una bella cittadina, che trasudava
secoli di storia e tradizione marinara, ma che negli anni, soprattutto per la
minaccia costituita da Albion, era stata rinchiusa
all’interno di un imponente sistema difensivo di mura marine e torri
perimetrali che ne preservava i porti e le darsene, e che svettava come un
gigante addormentato sull’intero arcipelago.
Durante l’ultima guerra tra Tristain ed Albion, data la vicinanza dell’isola volante ed il timore
che vi potessero essere delle spie, era entrata in vigore la legge marziale,
che tuttavia non era mai stata revocata; soldati armati giravano per le strade,
autorizzati ad esercitare giustizia sommaria al primo accenno di problemi.
Tutti vivevano nel terrore di lord Floubert e dei suoi eccessi.
Di quando in quando, appena cominciava a
stufarsi delle solite cameriere, servitrici ed accompagnatrici, spediva i suoi
dignitari in giro per le isole a cercare nuove sostitute, e quelle che venivano
scelte potevano decidere se obbedire o vedere sterminate le proprie famiglie.
La cosa che gli piaceva più di tutto era farsi
pettinare.
In testa aveva una specie di nido di merli
alto due spanne, e tutte le sere le sue servitrici avevano l’ingrato compito di
metterlo a posto, riempiendolo di pomate e intrugli maleodoranti inventati dai
suoi parrucchieri che gli impedivano di deformarsi durante la notte.
Quella sera, come al solito, era intento a far
compiere alle sue donne questo insano rituale, quando una donna dai lunghi
capelli verdi, occhialuta e senza una mano si presentò al suo cospetto.
«Oh, madame Fouquet.
Benvenuta.»
«Mi sembrate anche troppo tranquillo, lord Floubert, per uno che sta per subire un attacco?»
«Un attacco?» replicò lui con la più assoluta
noncuranza «E da parte di chi?»
«Di un’alleanza composta dai sovrani di Grasse
e Marcin, proprio come vi avevamo predetto.»
«Non sarà un problema. Grazie alle nuove armi
che Reconquista mi ha così gentilmente fornito, non
sarà un problema schiacciare quella massa di insetti.
E quando avrò fatto a pezzi le loro flotte, e
di riflesso completato la mia, rimpiangeranno il giorno in cui non mi si sono
buttati ai piedi implorando la mia benevolenza.»
«Fareste meglio a non essere così sicuro de
vostri mezzi, lord.
Prima di tutto, commettete un grave errore nel
sottovalutare Saito e Lucas. Potrebbero sorprendervi.»
«Ne dubito».
Constatando la totale noncuranza e superficialità
di quell’uomo, dopo poco Fouquet girò i tacchi
seccata e se ne andò ringhiando tutte le ingiurie che conosceva.
Il fallito assassinio di Saito e il fiasco
nella faida tra i Gramont e i Montmorency avevano seriamente ridimensionato la
sua posizione all’interno dell’organizzazione, incrinatasi già all’epoca
dell’incidente del Bastone della Distruzione, e ora più che mai il suo destino
era appeso ad un filo.
Se qualcosa fosse andato storto un’altra volta
poteva essere davvero la fine, e di rimettersi nelle mani di quel panzone
presuntuoso non ne aveva nessuna voglia.
Purtroppo, però, gli ordini andavano
rispettati.
Ma dopotutto, si trattava solo di pazientare.
L’attacco, bene o male, sarebbe stato
respinto, e in poco più di una settimana l’asso nella manica di Floubert messo a disposizione del duca da Reconquista e in ultima fase di allestimento sarebbe stato
pronto a stroncare le resistenze di Grasse e Marcin,
di sicuro i principali ostacoli al controllo della zona occidentale del Paese e
di tutte le sue coste.
Così, non la stupì più di tanto la notizia che
una guardia venne a recapitarle poco dopo mezzanotte.
«Due flotte, una navale e una aerea, si stanno
avvicinando alle nostre coste. Hanno già attaccato alcune postazioni
periferiche, e ora stanno avanzando rapidamente verso Gerion.»
«Approntate le difese costiere. Avranno una
bella sorpresa.»
«Sissignore».
Tutto
stava procedendo come previsto.
Lucas e le sue aeronavi si erano avventati
sulle postazioni più periferiche, neutralizzandole una ad una, e nel frattempo
la flotta di Saito aveva potuto procedere indisturbata, mentre tutto attorno a
loro la notte si accendeva con i vari fortini e torri di guardia trasformati in
tanti falò.
Saito era molto turbato, e sperava che almeno
per ora fosse morta quanta meno gente possibile.
Kilyan era al
suo fianco, lo sguardo rivolto all’orizzonte dal ponte di comando.
Ormai le luci di Gerion
erano ben visibili, e tra non molto sarebbero arrivati a distanza di sparo.
«Preparate i cannoni! Pronti a fare fuoco al mio
ordine!».
I marinai e i soldati di marina corsero ognuno
al proprio posto, e in pochi secondi tutte le navi erano pronte a sparare.
«Siamo pronti, signore.» disse Kilyan «Ancora poche centinaia di metri, e saremo a
portata».
Sui bastioni, intanto, i soldati di Floubert, passata l’iniziale agitazione, si erano
immediatamente organizzati; eppure, per quanto incredibile potesse essere, non
si vedeva traccia alcuna di armamenti né batterie di difesa costiera, come ci
si sarebbe aspettato.
Lucas, che osservava la situazione dall’alto,
se ne era accorto, ed osservava preoccupato le mura marine con il cannocchiale.
«Questa storia non mi piace per niente».
Poi, accadde qualcosa.
Come mossi da corrente elettrica, sui bastioni
si aprirono come dei grossi portelli, dai quali presero ad uscire quelli che
sembravano quasi dei cannoni da nave; non erano molto grandi, anzi erano
decisamente minuti, e collegati a torrette capaci di girare rapidamente su sé
stesse.
All’interno di queste torrette vi era in
realtà una sorta di cabina di fuoco, all’interno della quale trovavano posto
tre uomini; uno maneggiava il cannone, servendosi di una coppia di manopole che
regolavano altezza e direzione, un altro direzionava i colpi usando un
innovativo mirino di grande precisione, un terzo azionava materialmente l’arma,
che oltretutto sembrava possedere una sorta di caricatore sotto la culatta per
sparare più colpi in rapida successione.
«E quelli cosa diavolo sono?» disse Saito
guardando a sua volta col cannocchiale.
Quando vide Fouquet
palesarsi sulle mura, salutata rispettosamente dai soldati, poi, la sua
inquietudine si tramutò in paura.
Fu un attimo.
Ad un cenno della donna, uno dei cannoni sparò
tre colpi in rapida successione, come neanche l’arma più veloce sarebbe stata
capace di fare, e un secondo dopo la nave che stava proprio accanto alla SeabornLegend saltò in aria
sventrata dall’esplosione della sua santabarbara.
Saito assistette alla scena attonito e
impotente.
«Ma cosa…».
Lui e Alexander non fecero neanche a comandare
un cambio di ordini, che tutti i cannoni sulle mura marine spararono quasi
all’unisono, polverizzando o danneggiando seriamente almeno una decina tra navi
ed aeronavi.
Anche la loro rapidità nei movimenti era
spaventosa; le torrette potevano ruotare su sé stesse o ricalibrare l’altezza
nello spazio di pochi secondi, tenendo le navi nemiche sempre sotto un fuoco
costante.
La trappola di Fouquet
aveva funzionato.
Le correnti marine ed i forti venti che
imperversavano tutto attorno alle isole, uniti alla sorpresa per un attacco
talmente devastante ed improvviso, gettarono entrambe le flotte nel panico più
totale, rendendole incapaci di muoversi agilmente o coordinare i movimenti intralciandosi
a vicenda.
«Virare a sinistra!» continuava a ripetere Kylian «A sinistra! Rispondere al fuoco!».
In aria le cose non stavano andando meglio.
Anzi, erano proprio le aeronavi il bersaglio
preferito delle batterie costiere, e una dopo l’altra stavano cadendo come
mosche, precipitando in fiamme sulla flotta sottostante e aggiungendo caos al
caos.
«Comandante, non resisteremo ancora a lungo!»
disse il primo ufficiale di Lucas
«Non possiamo ritirarci così! Non dopo averci
provato con tutte le nostre forze!».
Sia la flotta di Lucas che quella di Saito
tentarono un’ultima avanzata, giusto per potersi portare a tiro dei propri
cannoni e cercare di rispondere, sfruttando il fatto che dopo cinque o sei
colpi i cannoni dovevano essere ricaricati, un’operazione che garantiva secondi
preziosi.
Ma era perfettamente inutile.
A stroncare le poche speranze di riscossa
rimaste ci pensò una seconda batteria di cannoni, meno potenti ma pur sempre
terribilmente precisi e pericolosi, sbucati all’improvviso da feritoie nelle mura,
che come le navi si avvicinarono ripresero a sputare bordate su di loro mentre
in cima gli altri soldati ricaricavano in tutta calma.
L’attacco si trasformò in una carneficina.
I vascelli di mare e di terra cadevano uno
dopo l’altro, e dopo meno di dieci minuti le due flotte erano già più che
dimezzate.
«Maledizione!» ringhiò Lucas vedendo le sue
navi cadere in successione «Dove si sono procurati armi così devastanti?»
«Comandante!» si sentì urlare all’improvviso
«Attenzione!».
In quella, Saito era tutto preso a cercare di
salvare quello che restava della sua flotta, quando una luce a dir poco
accecante illuminò la notte a giorno, accompagnata da un boato che spaccava i
timpani; il ragazzo alzò gli occhi, osservando attonito e paralizzato l’Excellion che precipitava in mare divorato dalle fiamme.
«Lucas!» urlò sporgendosi dal parapetto.
Kilyan dovette
trattenerlo, perché sembrava proprio che volesse buttarsi in mare per nuotare
incontro al relitto.
«Mio signore, è troppo tardi! Non possiamo
fare niente!».
Saito si sentiva male come non ricordava di
essere mai stato, oltre che inerme ed impotente.
Ma Kilyan,
purtroppo, aveva ragione.
L’Exellion, o quello
che ne restava, era ormai ridotta ad una massa contorta di legno infuocato,
vele strappate e corpi senza vita.
Nessuno sembrava essere sopravvissuto; probabilmente
quel colpo aveva centrato in pieno la santabarbara nella stiva, e ciò spiegava
anche come mai da un momento all’altro la nave si fosse trasformata in un
gigantesco fuoco d’artificio dopo aver subito un solo attacco.
Una dopo l’altra, anche le altre aeronavi
precipitarono, e a quel punto le poche rimaste si diedero rapidamente alla fuga
per tentare di salvarsi.
«Signore!» disse Kilyan
rivolto a Saito, che continuava a guardare l’Excellion
che bruciava «Se restiamo qui finiamo tutti arrostiti!».
A quel punto, non c’era proprio più niente da
fare.
L’unica cosa che si poteva fare era salvare
quante più vite possibili da quell’impresa insensata che mai avrebbe dovuto
essere stata tentata.
«Tutta la barra a sinistra!» gridò
«Andiamocene da qui!».
Fortunatamente le navi, avvisate dalle bandiere,
obbedirono, e quasi all’unisono, e senza rompere la formazione, la flotta fece
dietrofront dirigendosi verso il mare aperto, sotto gli occhi e le urla di
vittoria dei soldati di Floubert, che non avevano
neppure avuto bisogno di sfoderare le armi ed avevano concluso quella breve
battaglia a zero perdite.
Al sorgere del sole, Solomon
salì personalmente sulle mura accompagnato da Fouquet,
ghignando soddisfatto nel vedere quanto restava della forza di invasione
scagliata contro di lui, e che non era riuscita ad arrivare neanche ad un
miglio dalle sue coste.
«Davvero magnifico.»
«E questo è solo l’inizio.» disse Fouquet
«Si pentiranno di avermi sfidato. Ora sapranno
cosa significa avere paura.»
«Mio signore.» disse un soldato «Abbiamo
ripescato dei sopravvissuti. Cosa ne facciamo di loro?»
«Uccideteli. E dateli in pasto agli squali.»
«Signore!?» disse il giovane sgomento
«Mi hai sentito, no?» gridò allora il sovrano
«I nemici non si risparmiano, si uccidono! Sarà di lezione per tutti!»
«S… sì, signore».
Rimasti soli, Solomon
e Fouquet rivolsero i loro sguardi verso l’isola di Roanoke, la seconda più grande dopo Gerion,
da dove si innalzavano strani ed inquietanti fumaioli, quasi come se l’isola
fosse stata un’unica, gigantesca fornace.
«I preparativi sono quasi ultimati.» disse Solomon «Molto presto, il mio potere si estenderà su tutta
Tristain».
Kaoru
era ancora nell’infermeria, convalescente per lo scontro con Maschera di Ferro.
Per ingannare il tempo leggeva, e quando
poteva, o meglio, quando Siesta non lo guardava, cercava di riabituarsi a
camminare, anche se per riuscirci era costretto ad usare il bastone.
Il medico gli aveva detto che la sua
deambulazione non sarebbe stata compromessa, ma che a causa della recisione dei
muscoli sarebbero dovuti passare alcuni giorni prima che fosse stato nuovamente
in grado di camminare sul serio.
Ogni tanto volgeva l’occhio verso la finestra,
verso il mare, sperando che tutto stesse andando bene, e che non succedesse
qualche imprevisto.
Poi, quando qualcuno portò la notizia che la
flotta stava rientrando, non ci voleva credere.
Come era possibile, dopo soli due giorni dalla
partenza?
La spedizione sarebbe dovuta durare almeno una
settimana.
Senza preoccuparsi del fatto che Siesta fosse
lì con lui, gettò via le coperte ed afferrò il bastone per cercare di
rimettersi in piedi.
«Aspetta, Kaoru! Non puoi ancora muoverti!»
«Ho un brutto presentimento.» replicò lui
stringendo i denti «Devo andare».
La flotta rientrò direttamente nel bacino di
carenaggio sotto al palazzo, il che non lasciava ben sperare.
Ma quando Kaoru, accompagnato da Siesta e Louise,
vi discese, quello che vide andava al di là dell’immaginabile.
Solo sette navi avevano fatto rientro, e di
queste sei erano in condizioni tra l’incredibile ed il pietoso, e a malapena si
mantenevano a galla.
Della flotta di Lucas, poi, nessuna traccia.
«Saito!» gridò Louise vedendolo scendere a
capo chino dalla passerella e correndo ad abbracciarlo.
Il suo sguardo cupo, però, era una ulteriore
ombra che andava addensandosi su di una impresa che definire fallimentare era
un eufemismo.
Mestamente, e trattenendo a stento le lacrime,
Saito raccontò quello che era successo.
Cattleya era lì, e
sentendo le parole del genero la colse un mancamento, tanto che dovette essere
sorretta da Siesta per non svenire; quando poi realizzò a pieno quello che era
accaduto, si lasciò andare ad un pianto senza fine, consolata timidamente dalla
sorella.
Zoppicando, Kaoru si avvicinò a Saito,
guardandolo tra il severamente ed il mestamente.
«Non avremmo mai dovuto farlo.» disse il
giovane Hiraga
«Non potevi prevedere quello che sarebbe
successo.»
«E ora Lucas è morto».
E invece, non era così.
D’improvviso, quando tutti stavano ancora
cercando di capacitarsi di quello che era accaduto, un soldato portò la notizia
che anche la flotta di Marcin stava rientrando, e che
su una delle navi sventolava una versione grezza ed artigianale del gonfalone
nobiliare.
Saito e gli altri non volevano crederci, e
correndo più velocemente che potevano risalirono la lunga rampa di scale che
dal bacino arrivava fino nei cortili del castello.
Quando uscirono di nuovo alla luce, le quattro
navi sopravvissute alla battaglia stavano ormeggiando nella darsena dietro al
palazzo.
I ragazzi corsero verso quella con il
gonfalone, e tutti furono più che stupiti nel vedere Lucas palesarsi ai piedi
della passerella, un po’ bruciacchiato e bendato ma incredibilmente vivo.
«Sono a casa.» disse sorridendo.
Cattleya era pazza
di gioia, e gli corse incontro con il cuore che scoppiava di felicità
«Caro! Sei vivo!»
«Sono felice di rivederti, tesoro.»
«Credevo… credevo
che fossi morto!»
«Come è possibile?» domandò Saito «Ho visto l’Exellion esplodere.»
«È stata una questione di secondi. Un attimo
prima che la nave saltasse in aria, l’onda d’urto mi ha buttato in mare. Ero semisvenuto
e ferito, ma sono riuscito ad aggrapparmi ad un detrito. La corrente mi ha trasportato
sull’isola di Roanoke, e lì sono stato trovato da una
squadra di salvataggio che cercava superstiti.»
«Questo è un miracolo.» disse Siesta «Un vero
miracolo.»
«Sono felice che tu ce l’abbia fatta».
Lucas e Kaoru si guardarono per caso, e per un
istante Kaoru avvertì come una sensazione, una specie di formicolio, portandosi
istintivamente una mano sulla ferita.
«Che ti prende?» chiese Siesta
«Niente.» dissimulò lui «Niente».
Purtroppo, alla iniziale gioia fece seguito
nello sguardo di Lucas una nuvola minacciosa, come un presagio di sventura.
Saito e gli altri lo notarono.
«Che succede?» chiese Kaoru
«Quando ero a Roanoke,
ho visto delle cose.
L’isola è una specie di enorme cantiere.»
«Un cantiere?» ripeté Joanne
«Stanno costruendo navi. Aeronavi che non
avevo mai visto. Qualcosa di neanche lontanamente paragonabile a quello che
conosciamo.»
«Se sono stati capaci di creare quei cannoni, mi
domando fin dove possano arrivare i mezzi di cui dispongono.»
«Mi sembra chiaro che c’è Reconquista
dietro a tutta questa faccenda.» disse Kaoru «Altrimenti non si spiegherebbe
una cosa del genere.»
«Già, e questo è niente.»
«Che vuoi dire?» chiese Cattleya
«Quelle navi sembravano ormai quasi pronte. Temo
non ci vorrà molto perché possano prendere il largo».
Nota dell’Autore
Salve a tutti!^_^
Finalmente ce l’ho
fatta! Finalmente gli esami, almeno per ora, sono finiti, e quindi potrò
dedicarmi a pieno titolo alla fanfic e a tutti gli
altri progetti lasciati in sospeso.
Non posso promettere
un cap ogni due giorni, ma cercherò sicuramente di
tenere una media di aggiornamento il più alta possibile, anche perché ora si
sta entrando nel vivo della storia, e presto inizieranno ad arrivare le prime
risposte
Nel prossimo cap, vi anticipo subito, in arrivo una bella sorpresina,
che farà piacere agli appassionati di storia.
Tra
le cose che Saito aveva portato dal suo mondo, piccolo souvenir usati
soprattutto per stuzzicare l’immaginazione e la sete di conoscenza del
professor Colbert, c’era anche la sua fotocamera digitale, un modello piuttosto
vecchio ma dalle discrete prestazioni.
La fotocamera fu affidata ad alcune spie di Marcin, che con molta circospezione e discrezione
approdarono sull’isola di Roanoke, fotografando
quello che vi stava accadendo, e le navi che il nemico stava ormai finendo di
assemblare.
Come detto da Lucas, non rassomigliavano
neanche lontanamente a normali aeronavi umane.
Ricordavano piuttosto quelle degli elfi,
leggermente più piccole ma armate in ogni ordine di posto, dalla forma
leggermente bombata e spinte da potenti propulsori che, probabilmente,
funzionavano grazie alla magia.
La maggior parte delle spie restarono
sull’isola per continuare a dare notizie, mentre un’altra fece ritorno a Grasse
con la fotocamera per mostrare a Saito e Lucas quello che avevano visto coi
loro occhi.
Nel vedere quei vascelli giganteschi, i
ragazzi si sentirono prendere dallo sconforto.
Cosa mai poteva essere fatto per fermare dei
mostri del genere?
Sull’uso che Solomon
intendesse farne, non vi erano sicuramente molti dubbi. Sicuramente, come prima
cosa, avrebbe schiacciato chi gli si era opposto, per poi puntare diritto su Tristania e prendersi il trono, consegnando praticamente a Reconquista il controllo sul Paese.
Un’ombra di sconforto si addensò su tutti i
partecipanti alla riunione per visionare le foto scattate dalle spie.
Saito sembrava un morto vivente, e Louise e
Lucas con lui.
Kaoru guardava in basso, Joanne stringeva i
pugni e digrignava i denti, Siesta non sembrava volerci credere.
«È un’impresa senza speranza.» disse Lucas
«Abbiamo osato più di quello che potevamo.
Mi dispiace, Saito. Louise. È colpa mia se vi
ho trascinati in questa situazione.»
«Non hai niente di cui scusarti, Lucas.»
rispose Louise «Anzi, probabilmente se non avessimo sferrato questo attacco,
non avremmo mai saputo che cosa stavano macchiando a Floubert».
Questo purtroppo non modificava la gravità
della situazione.
«Navi del genere vanno ben oltre ciò che è
possibile contrastare.» osservò mestamente Kaoru «Men
che meno con una flotta disastrata come la nostra.»
«Quante navi si sono salvate della tua?»
chiese Saito a Lucas
«Sette. Ma sono quasi tutte gravemente
danneggiate. Ne ho altre ormeggiate in porto, ma sono modelli vecchi e poco
affidabili.»
«Anche la nostra flotta non è messa meglio.»
disse Louise «Quella marina è praticamente decimata, quella aerea, fatta
eccezione per il White Dragon e poche altre, è composta da navi piuttosto
datate.»
«In altre parole, siamo indifesi.» disse
ringhiando Joanne
«Possiamo fare affidamento sulle potenti
fortificazioni di Grasse.» disse Saito «Ma non sono certo che riuscirebbero a
resistere ad un assalto prolungato o molto violento».
Sembrava davvero che non ci fosse alcuna
soluzione.
L’unica cosa che potesse dare una speranza ai
ragazzi sarebbe stata possedere anche loro navi potenti come quelle, ma anche
avendo i mezzi per costruirle non ci sarebbe stato comunque il tempo di farlo.
La sconfitta pareva davvero inevitabile.
A quel punto, a Siesta venne in mente una cosa
di cui aveva sentito parlare da sua cugina Jessica; era solo una vecchia
leggenda popolare, ma data la situazione non si aveva niente da perdere.
«La Fortezza d’Acciaio.» disse allora.
Tutti si voltarono a guardarlo.
«Starai scherzando, spero.» disse Lucas «Non è
questo il tempo di rivangare vecchie favole da marinai.»
«Di che stai parlando?» chiese Saito
«La Fortezza d’Acciaio è solo un mito.» disse
Joanne
«Ma si può sapere cos’è questa Fortezza
d’Acciaio!?»
«È una vecchia leggenda di mare.» rispose
Louise «Si racconta che, quasi un secolo fa, una gigantesca roccaforte fatta
interamente di metallo sia discesa del cielo e sia comparsa nel mare davanti
alle coste di Tristain terrorizzando tutti coloro che vivevano nei paraggi.
Pare che avesse la forma e l’aspetto di una
nave, ma che fosse talmente danneggiata da non poter neanche stare a galla.
Secondo il mito, quanto restava della nave fu
raccolto dagli abitanti di un villaggio costiero e nascosto in una grotta
sottomarina perché nessuno potesse trovarla.»
«Come dicevo, solo una favola.» tagliò corto
Lucas «Chi crederebbe ad una storia del genere?»
«Al punto a cui siamo.» disse invece Kaoru
«Ogni espediente è buono. Dopotutto, nelle leggende c’è sempre un fondo di
verità. Forse non sarà una fortezza d’acciaio, ma potrebbe comunque essere
qualcosa di utile.»
«Andiamo, starete scherzando spero. Non mi
sembra questo il momento di fantasticare.»
«E perché no?» replicò Saito «A questo punto,
sperare è l’unica cosa che ci resta. Io dico di provarci.»
«Anche se, nell’impossibile ipotesi che la
leggenda fosse vera, voi riusciste a ritrovare questa Fortezza d’Acciaio,
credete davvero che basterà per fermare la flotta di Floubert?»
«Chi può dirlo?» replicò Kaoru «Tutto è
possibile, infondo. E comunque, provare non costa nulla.»
«Io sono d’accordo con lui.» disse Louise
«Siesta, sai per caso quale sia il villaggio menzionato nella storia?»
«No, purtroppo. Ma sono stati zio Scarron e Jessica a raccontarmi questa storia. Forse loro
lo sanno.»
«Quand’è così.» disse Saito «Forse è giunto il
momento di fare una nuova visita alla Locanda delle Fate Incantatrici».
Erano
passati quasi due mesi da quando Saito e Louise avevano messo piede a Tristania, e quasi un anno dalla loro ultima visita alla
locanda gestita dal signor Scarron e da sua figlia
Jessica.
Da quando era scoppiata la guerra civile,
tutta la famiglia di Siesta si era spostata nella capitale, l’unico posto che
sembrasse davvero sicuro in quei momenti così difficili, sistemandosi nella
soffitta della locanda e dando una mano dove possibile nel mandare avanti il
locale.
Saito e Louise, opportunamente mascherati e
vestiti da popolani per non farsi riconoscere, arrivarono alla locanda sul fare
della sera insieme a Siesta.
Avevano scelto non a caso il momento di
maggiore affluenza, così da dare ancor meno nell’occhio.
A dispetto del momento difficile c’era davvero
tanta gente, e le cameriere avevano il loro bel daffare, tanto che, come al
solito, Saito e Louise finirono poco dopo il loro arrivo a fare lo sguattero e
la cameriera per dare una mano.
Era una tradizione consolidata, così come era
una tradizione consolidata che Scarron, vedendoli
entrare, gli si buttasse addosso sommergendoli di baci e imbarazzanti carezze.
Solo dopo qualche ora, i due ragazzi
riuscirono ad accomodarsi ad un tavolo assieme al proprietario e a sua figlia.
«La Fortezza d’Acciaio?» disse Jessica
ascoltando la richiesta della cugina
«Tu sai dove si trova, vero?» chiese
speranzosa Siesta
«Siesta, quella è solo una favola.» disse Scarron «Una storiella per i bambini.»
«Eppure, potrebbe essere la nostra ultima
speranza.» disse Saito «Allora, sapete dove potrebbe trovarsi?»
«Beh.» rispose Jessica «Secondo i racconti, la
Fortezza sarebbe rinchiusa in una grotta a due passi dal villaggio di Otisa».
Saito e Louise avevano già sentito nominare
quel villaggio.
Si trovava proprio all’interno dei loro
domini, non lontano da Grasse, nei pressi delle alte scogliere di gesso a nord
della capitale. Ci erano anche stati una volta in visita, poco dopo aver preso
il potere.
Gente strana gli abitanti di Otisa; molto espansivi ed amichevoli, erano conosciuti
soprattutto per il fatto che parlassero un Tristeniano
un po’ stentato, quasi sporcato da una lingua straniera che non erano ancora
riusciti del tutto a dimenticare.
A Louise quasi cascarono le braccia,
soprattutto pensando a quello che aveva dovuto sopportare per tutta la sera.
«Abbiamo fatto tutta questa strada per
scoprire che la Fortezza si troverebbe a due passi da casa nostra!?»
«Effettivamente.» proseguì Jessica «Ho sentito
dire che gli abitanti di Otisa si vantano di essere i
discendenti di coloro che abitavano la Fortezza d’Acciaio.
Ma nessuno ci ha mai creduto, ovviamente.»
«Se davvero la Fortezza si trova lì, allora
dobbiamo scoprire se è la verità.» disse Saito «Grazie delle informazioni».
Saito,
Louise e Siesta fecero istantaneamente ritorno al palazzo, quindi, accompagnati
anche da Kaoru, Siesta e Joanne, salirono su due carrozze che li portarono
entro un giorno al villaggio di Otisa, lontano non
più di una quarantina di chilometri da Grasse.
Kaoru per la verità avrebbe dovuto restare
ancora per un po’ a riposo, ma ormai sentiva di essere in via di guarigione
definitiva; doveva ancora appoggiarsi al bastone, ma per il resto riusciva a camminare
da solo. Quanto a Joanne non era mai stata a Otisa,
ma come scese dalla carrozza capì subito il motivo per il quale Saito e Louise,
nel descriverne gli abitanti, avevano parlato di gente stramba.
Gli Otisani erano
solari, estroversi, amanti del bello e con una passione spiccata per le cose
frivole, ma dalle quali riuscivano a trarre diletto e spunti per trascorrere in
serenità il tempo libero.
Cose come la musica, la poesia, la pittura, o
semplicemente la conversazione; dicevano sempre che nella loro città, costruita
e realizzata a loro immagine e somiglianza, non ci si annoiava mai. Amavano
radunarsi nella piazza per cantare e ballare nelle notti estive, sedersi in
riva alla scogliera ad osservare il mare, o riunirsi nelle loro taverne e
locali all’aperto per dialogare, fare battute e raccontarsi barzellette.
Vivevano di pesca, ma si dedicavano anche alla
raccolta delle perle e all’agricoltura.
Più di tutto, però, gli Otisani
erano famosi in tutto il nord di Tristain per il loro essere degli inguaribili,
spregiudicati donnaioli, che si vantavano a pieni polmoni di aver portato via
donne e giovinette a duchi, baroni, marchesi e via dicendo con la sola arma del
loro fascino inarrivabile.
Neanche il tempo di ambientarsi al villaggio,
che subito Siesta, Louise e Joanne vennero letteralmente sommerse dai giovani
di Otisa, che profondendosi in complimenti e moine
cercavano di convincerle a bere qualcosa insieme, fare una passeggiata o anche
solo scambiare due parole.
Siesta e Louise si sentivano molto a disagio,
ma confidavano nella presenza di Kaoru e Saito per far capire che le attenzioni
maschili non importavano loro neanche lontanamente.
Quanto a Joanne, lei una relazione con un uomo
non sapeva neanche cosa fosse, e rifilava due di picche a ripetizione; non
stupiva che le malevoci che accusavano la precedente
leader delle moschettiere di omosessualità avessero sempre dipinto Joanne come
la sua più “cara” amica.
L’unica persona un po’ più sana di mente
sembrava essere il sindaco, che informato della visita del governatore e della
sua giovane moglie venne ad accoglierli nella piazza del paese, conducendoli a
casa sua perché potessero parlare in tranquillità.
«State cercando la Fortezza d’Acciaio!?»
esclamò il primo cittadino sentendo il loro racconto
«Molti dicono che è una leggenda.» disse
Louise «Ma altri invece sostengono che è reale, e che si troverebbe da qualche
parte vicino a questo villaggio.»
«Certo che è reale. Quelli la fuori possono
dire quello che vogliono, ma noi abitanti Otisa
sappiamo bene che la Fortezza d’Acciaio esiste, ed è proprio sotto i nostri
piedi.»
«Sotto i nostri piedi!?» ripeté Saito
«C’è una grotta sottomarina da qualche parte,
vicino alle scogliere di gesso. E secondo le cronache redatte dai nostri
antenati, è in questa grotta che è custodita la Fortezza d’Acciaio.»
«Quindi, possiamo vederla!?» disse Joanne.
A quella domanda, il sindaco si fece scuro in
volto.
«Questo è impossibile, miei signori.»
«Per quale motivo?» chiese Kaoru
«La storia della Fortezza d’Acciaio è avvolta
da un tabù che dura da quasi cento anni. Nessuno, neppure noi, ha il permesso
di vederla. E poi, anche se volessimo, non lo potremmo fare.»
«Che intendete dire?» chiese Siesta
«L’ingresso della grotta è stato ostruito con
la magia molto tempo fa. Neanche noi sappiamo con esattezza dove si trovi.
L’unico modo per raggiungere la grotta è tramite un’antica galleria che parte
da una pineta non lontano dal villaggio.»
«Allora, cosa ci vuole a raggiungerla da lì?»
disse Louise
«I nostri antenati dovevano avere una paura
tremenda della Fortezza d’Acciaio, e di quello che poteva fare. Per questo
hanno scavato precipizi, costruito trappole e trabocchetti, e trasformato
quella galleria in una tomba per chiunque vi si avventuri.
Sugli stessi abitanti di Otisa,
che pure sono discendenti degli antichi occupanti della fortezza, vige il
divieto assoluto di provare a raggiungere la caverna, o di avventurarsi nella
galleria. E di quegli esploratori o cacciatori di tesori che ci hanno provato,
nessuno è mai riemerso da lì dentro.»
«Purtroppo, non abbiamo altra scelta.» disse
Saito «Signor sindaco, potrebbe mostrarci l’ingresso della caverna?».
Il
sindaco, seppur con evidente preoccupazione, condusse la comitiva all’ingresso
della grotta che, stando ai racconti, consentiva di arrivare al luogo dove
riposava la Fortezza d’Acciaio, questa specie di nave-castello capace di
contrastare e distruggere qualsiasi cosa sul suo cammino.
L’ingresso, come accennato dal Primo
Cittadino, si trovava in una pineta, alle pendici di una collina rocciosa;
sembrava l’entrata di una miniera, un tunnel che già dopo il limitare
scompariva nel ventre della terra perdendosi nel buio, ed era chiuso da una
pesante cancellata in ferro battuto a prova d’incantesimo.
«Vi prego di scusarmi.» disse il primo
cittadino mentre cercava di girare la pesante chiave nel lucchetto arrugginito
«Ma è passato parecchio tempo dall’ultima volta che abbiamo aperto».
Alla fine la serratura saltò, e la cancellata
poté essere aperta.
«Mi dispiace, ma io non intendo andare oltre
questo punto.» disse il sindaco vedendo che i ragazzi si preparavano a scendere
«E mi sento in dovere di suggerirvi di fare altrettanto.
Ne ho visti parecchi scendere laggiù e mai più
riemergere.»
«Anche se fosse.» rispose Saito «Ormai è una
questione di vita o di morte».
Detto questo, e illuminati dalle luci magiche
prodotte da Lousie e Joanne, Saito e gli altri
iniziarono la discesa.
L’interno era davvero molto buio, tanto che
non ci si vedeva niente, ma toccando le pareti era evidente la mano dell’uomo,
che aveva intagliato e levigato la pietra per renderla più sicura e meno
scivolosa; doveva essere stata una fatica da ercole, tenendo conto di quanto
quella galleria pareva lunga.
Joanne e Louise stavano davanti a tutti, e
tutti avevano i sensi al massimo per fiutare e schivare le trappole di cui il
sindaco aveva parlato.
Purtroppo, neanche i sensi più acuti potevano
scoprire una trappola ben mimetizzata.
A Louise bastò mettere un piede in fallo, che
subito il terreno cedette sotto i suoi piedi come fosse stato di marzapane; per
fortuna Joanne fu abbastanza rapida da afferrarla, evitandole di finire
infilzata da una ventina di baionette metalliche conficcate sul fondo.
«Louise!» esclamò Saito
«Louise-sama. Vi
tengo!»
«Meno male che hai i riflessi pronti, Joanne».
Joanne riuscì a sollevare Louise, riportandola
con i piedi per terra, ma la ragazza era ancora comprensibilmente spaventata e
ci mise un po’ a riprendersi.
Dopo poco la marcia riprese, ma molto più
guardinga ed attenta rispetto a poco prima, anche perché non si sarebbe stati
sempre così fortunati.
La trappola nella quale Louise per poco non
era caduta aveva dato a tutti la certezza che non solo la Fortezza esisteva, ma
anche che i suoi stessi, antichi occupanti avevano voluto fare di tutto per
evitare che qualcun altro potesse trovarla.
Lungo la strada i ragazzi si imbatterono in
altre trappole, tutte già scattate, e delle cui vittime erano rimaste soltanto
le ossa. Dovevano essere stati a decine a cercare di raggiungere la Fortezza,
tra avventurieri, cacciatori di tesori o semplici esploratori, ma il meccanismo
di difesa eretto dai costruttori non ne aveva per nessuno.
All’improvviso, proprio quando tutto sembrava
essersi acquietato, ed i ragazzi si erano un po’ tranquillizzati, Kaoru piantò
i piedi a terra, alzando il suo bastone per bloccare anche tutti gli altri.
«Che succede?» chiese Siesta
«Qui c’è qualcosa che non mi convince. C’è una
strana vibrazione».
Kaoru raccolse da terra una grossa pietra,
lasciandola rotolare davanti a sé per vedere quello che succedeva.
Il sasso scivolò lentamente ed in silenzio per
un paio di metri, e di colpo dalla parete di destra, tramite dei forellini
facilmente scambiabili per ombre e rientranze, partì una raffica spaventosa di
proiettili sparati da armi automatiche.
Tutti si buttarono a terra, assordati dal
fracasso, ma per fortuna tutto finì con un nulla di fatto.
«Ma si può sapere che è stato?» chiese Louise
rintontita.
Joanne, cercando di scoprirlo, spaccò la
pietra nella direzione da cui erano venuti i colpi, mettendo a nudo una specie
di complesso marchingegno di legno sul quale erano appoggiate cinque strane
armi da fuoco, i cui grilletti erano collegati a fili sottilissimi che
attraverso una serie di passaggi arrivavano fin sul pavimento del tunnel, e che
appena toccati avevano subito fatto scattare la trappola.
«Che cosa sono?» domandò Siesta.
Saito ne prese uno e lo guardò, passandolo poi
a Kaoru che lo controllò a sua volta.
«Seconda Guerra Mondiale?» chiese Saito
«Direi di sì.»
«A quanto pare, forse la Fortezza d’Acciaio
non è poi così sovrannaturale come qualcuno la dipingeva.»
«Hai ragione. Credo che la spiegazione sia
molto più semplice.»
«Del resto, la cosa non dovrebbe più
sorprendermi così tanto.»
«Quindi.» ipotizzò Louise «Anche la Fortezza
d’Acciaio potrebbe essere qualcosa proveniente dal tuo mondo?»
«È probabile. A questo punto, comincio ad
immaginare di che cosa potrebbe trattarsi».
Grazie all’acume di tutti fu possibile evitare
tutte le altre trappole, e dopo quasi due ore di discesa si aveva la sensazione
che la meta non fosse così lontana.
Purtroppo, era in arrivo una brutta sorpresa.
Al termine del tunnel i ragazzi non trovarono,
come si aspettavano, l’ingresso alla caverna dove si trovava la Fortezza, ma
bensì un robusto portone di ferro e acciaio a due ante solitamente sprangato.
Accanto ad esso, affisse all’interno di un incavo appositamente realizzato,
quattro strisce metalliche verticali che formavano una specie di xilofono.
«E adesso che cosa facciamo?» chiese Siesta
«Probabilmente» disse Saito «Oltre questa
porta c’è la caverna. Proviamo ad aprirla».
Mettendosi tutti insieme, Saito e gli altri
provarono ad aprire, ma la porta era così dura e spessa che non riuscirono a
spostarla neanche di un centimetro.
«Quand’è così!» disse Louise mettendo mano alla
bacchetta «La farò saltare!»
«Louise-Sama,
aspetti!» esclamò Joanne «Non credo sia una buona idea.»
«Temo abbia ragione.» disse Derf «Vi siete guardati attorno?».
Effettivamente, qualcosa era cambiato
nell’ultimo tratto di galleria. Le pareti sembravano essersi fatte più porose e
fragili, e colava acqua da tutte le parti.
«Scommetto che sopra di noi c’è il mare.»
disse Derf «Se provochi anche solo una piccola
esplosione, finiamo tutti affogati.»
«Dannazione.» mugugnò Louise «Mi sembrava che
fosse troppo facile».
Kaoru guardò il rudimentale xilofono,
passandosi una mano sul mento.
«Sono convinto che questo sia il meccanismo
per aprirla.»
«Che cosa suggerisci di fare?» domandò Siesta
«Probabilmente è necessario suonarle nel
giusto ordine, o suonare un motivo specifico».
Saito invece, osservando meglio la porta, notò
che sui battenti qualcuno aveva inciso, usando probabilmente un coltello o una
pietra, tre V in sequenza, e subito sotto la frase Io Sono Disonorato.
«Pensi che sia un indizio?» chiese a Kaoru
«Forse. Può darsi che chi ha costruito questo
marchingegno volesse fare in modo che solo chi conosceva la storia della
Fortezza o dei suoi occupanti potesse capire come entrare».
I ragazzi si presero del tempo per trovare una
soluzione, ma per quanto si scervellassero non avevano idea di che cosa
dovessero o potessero fare; nessuno di loro si fidava a tentare una
combinazione a caso, perché visto quello da cui erano appena passati era
impossibile stabilire cosa sarebbe potuto succedere se avessero sbagliato.
Ma la sfortuna, così come la fortuna, troppo
spesso era ceca, e proprio in quel momento un sassolino, staccatosi dal
soffitto, rimbalzando da una parte all’altra arrivò proprio a colpire uno dei
tasti dello xilofono.
Tutti ammutolirono nel sentire quel suono
metallico, restando come cristallizzati.
Passarono appena un paio di secondi, e tutto
il tunnel prese a tremare paurosamente, ma era solo l’inizio; un enorme
saracinesca comparve dal nulla bloccando la strada verso la superficie, e
subito dopo sul soffitto si aprirono dei grossi fori, dai quali presero ad
uscire centinaia di litri d’acqua di mare che saliva sempre di più.
«Dannazione!» gridò Joanne «Dobbiamo fare
qualcosa, o annegheremo!».
Usare la magia era fuori questione. Se le
pareti cedevano del tutto, anche i pochi minuti che restavano sarebbero svaniti
del tutto, schiacciati da una massa d’acqua impossibile da contrastare. Se solo
ci fosse stata Tabitha, con il suo potere del vento
avrebbero subito potuto aprire un varco per la superficie, ma né Joanne né tantomeno
Louise si intendevano di magia del vento.
L’unica speranza era trovare la soluzione.
Nuotando, e lottando col dolore derivatogli
dal sale sulla ferita, Kaoru arrivò nuovamente fino allo xilofono, sforzandosi
di trovare una soluzione guardando ora i tasti ora il messaggio criptico inciso
sulla porta.
Doveva trovare una soluzione, e doveva
trovarla subito.
D’un tratto, gli venne un’idea.
Forse si stava sbagliando, o forse no, ma dopo
aver considerato le circostanze fu quasi certo di avere indovinato. Ecco
spiegato il senso del messaggio.
Subito sguainò la katana, e usando la punta
metallica eseguì una breve melodia in cinque suoni sforzandosi di ricordarsi
l’ultima volta che l’aveva sentita, e pregando di non sbagliarsi.
E come d’incanto, proprio quando l’acqua stava
ormai per riempire quella prigione mortale, ecco che gli sfiatatori
si chiusero, e la porta di metallo lentamente si aprì, facendo defluire l’acqua
che un poco alla volta scomparve, permettendo ai ragazzi di tornare
all’asciutto, per così dire.
«Non so come, ma ce la siamo cavata.» disse
Joanne tirando fiato
«Credevo di morire.» disse Siesta strizzandosi
l’abito da cameriera
«Ma come hai fatto?» chiese Louise
«Vi ricordate le mitragliatrici che abbiamo
visto prima? Erano dei modelli italiani, dei Beretta MAB38 usati nella Seconda
Guerra Mondiale.
Così, ho pensato che le tre V incise sul
portone fossero in realtà una W e una V, il che poteva essere l’acronimo di
Viva Verdi, uno slogan usato dai patrioti italiani durante il Risorgimento.»
«E quella frase? Io sono disonorato?» chiese
Saito
«Viene dall’Aida. Così, ho provato a imitare
le prime cinque strofe della Marcia Trionfale, che poi è il brano più famoso
dell’opera, usando lo xilofono. E a quanto pare, ci ho visto giusto.»
«Sei incredibile.»
«Davvero.» disse Siesta.
Solo a quel punto tutti pensarono di guardare
dove fossero finiti.
A quanto pare erano capitati davvero in quella
che aveva tutta l’aria di essere una enorme caverna, tanto grande che avrebbe
potuto contenere al suo interno un castello intero.
Un’intera parete, probabilmente quella che
dava verso la scogliera, era coperta di crepe e fenditure, dalle quali entrava
quel poco di luce che serviva a rischiarare l’ambiente.
Tutto attorno alle altre pareti correva una
sottile striscia di terraferma, ma per il resto il suolo era interamente
ricoperto dall’acqua, che doveva anche essere piuttosto profonda.
Ed era ciò che si trovava nell’acqua che
lasciò attoniti e sbigottiti i cinque ragazzi.
Dinnanzi a loro stava quello che, anche senza
fantasia, poteva essere riconosciuto come il relitto di una enorme, gigantesca
nave da guerra, un miscuglio di legno e metallo spezzato in due tronconi; la
prua era parzialmente adagiata su di un fianco, la poppa invece era piantata a
testa in giù come un tappo di sughero, e su tutto svettavano i resti di quella
che doveva essere una specie di enorme torre.
E poi c’erano cannoni, tantissimi cannoni,
simili alla Grande Lancia, ma alcuni molto più grossi, oltre a tante altre armi
quante nessuna nave avrebbe mai potuto portarne. I cannoni più grossi, nove in
tutto, erano raggruppati a gruppi di tre e montati su di una specie di
torrette, probabilmente rotanti, ora saltate via dai loro alloggiamenti e
abbandonate sulla roccia.
La ruggine, a quanto sembrava, non era
riuscita ad averla vinta su tutto quel metallo, quasi come se gli antichi
occupanti di quella specie di mostro marino fossero riusciti a fare un
incantesimo per impedire che il loro tesoro, per quanto distrutto, non venisse
almeno usurato dal tempo, nella speranza magari che qualcuno fosse un giorno in
grado di ricomporlo.
«Non… non credo ai
miei occhi.» disse Joanne
«La Fortezza d’Acciaio.» disse Louise
«È incredibile.» disse Siesta
«È… una corazzata.»
disse Saito.
L’attenzione di tutti venne poi attratta,
oltre che dalla nave, anche da una miriade di croci, una specie di rudimentale
cimitero eretto a ricordo di chi non fosse sopravvissuto a ciò che avesse
ridotto in quello stato quel gigante all’apparenza indistruttibile.
Quasi tutte erano prive di segno, ma alcune di
esse recavano dei nomi strani, romalieggianti; più
lontana dalle altre, e a svettare su tutte, stava una croce un po’ più grande,
sopra la quale si trovava un vecchio e ormai decisamente rovinato cappello da
ufficiale.
Anche lì era inciso un nome, che Louise lesse
ad alta voce.
«Ammiraglio Carlo Bergamini.»
«Non l’ho mai sentito nominare.» disse Joanne
Kaoru a quel punto ebbe un dubbio, e
accompagnato da Saito si avvicinò un po’ di più alla nave, girando tutto
attorno alla prua per avvicinarsi al fianco piegato e poter scoprire il nome di
quel veliero dimenticato.
Smaltate d’oro, e solo parzialmente oscurate
dal tempo e dalla polvere, stavano quattro sole lettere, che ripulite alla meno
peggio poterono finalmente tornare a brillare.
ROMA
Nota dell’Autore
Eccomi qua!^_^
Allora, piaciuta la
sorpresa?
Avevo sognato fin dall’inizio
di scrivere questo momento. Personalmente sono un grande appassionato di storia
militare, e l’idea di far comparire l’orgoglio ed il vanto della Regia Marina
mi eccitava al solo pensiero.
Guarda caso, neanche a
farlo apposta, proprio in questi giorni il Roma, dopo quasi settant’anni dal
suo affondamento il 9 settembre del 1943, è stato parzialmente ritrovato al
largo della Sardegna, ma ho deciso nonostante tutto di preservare la mia idea
originale, anche in ricordo di una delle più belle navi della storia (qui a
Venezia c’è il modello in scala, al museo della marina).
Ho il terribile
presentimento che otakuboy abbia lasciato EFP, poiché
di lui è sparito tutto tranne il nickname. Se così fosse, pazienza! Questa
storia continuerà comunque, fino alla fine. Ormai mi ci sono affezionato
troppo.
«Roma!?»
lesse Louise a sua volta, quando tutti furono raccolti attorno a prua
«Ricorda senza dubbio il termine Romalia.» disse Joanne «Ma mi sembra chiaro che non
proviene da lì.»
«Infatti.» rispose Saito «Questa è l’ultima.
L’ultima che ancora mancava.»
«L’ultima che mancava!?»
«Durante la Seconda Guerra Mondiale» spiegò
Kaoru «Le tre potenze dell’Asse avevano ognuna la propria nave di
rappresentanza, che racchiudeva in sé non solo il potere tecnologico, ma anche
soprattutto lo spirito dei rispettivi popoli. L’impero giapponese aveva la Yamato, il Terzo Reich la Bismark,
e il Regno d’Italia… il Regno d’Italia aveva il Roma.
Tutte e tre vennero affondate nel corso della
guerra, ma di queste solo due, la Yamato e la Bismark, sono state in seguito ritrovate. Ma non il Roma.»
«Perché era finita qui.» disse Saito «In
questo mondo».
Tutti guardarono di nuovo la nave.
«Allora.» disse Siesta «La leggenda era vera.
La Fortezza esiste.»
«Già.» replicò sconfortato Kaoru «Peccato che,
così ridotta, non sia di nessuna utilità.»
«Che vuoi dire?»
«Guardatela.» rispose Joanne «Che sia o meno
una nave leggendaria, non vi è dubbio che ormai sia distrutta. Così conciata,
non c’è niente che sia in grado di fare.»
«Vuol dire che è stato tutto inutile?» domandò
Saito, un’ipotesi che non voleva neppure prendere in considerazione.
Dopo tutta la fatica fatta per arrivare fin
lì, faceva comprensibilmente rabbia trovarsi di fronte a quello che, a conti
fatti, non era altro che un relitto, un pallido ricordo di ciò che era stato in
passato e che mai più sarebbe potuto risorgere.
O forse no.
«Aspettate!» disse Louise «Forse un modo c’è!»
«Dici sul serio!?» esclamò Saito sentendo
riaffiorare la speranza
«Forse, non ne sono sicura. Dobbiamo parlare
subito con il professor Colbert».
La
risalita risultò indubbiamente molto più facile, e il giorno dopo il professore
era a sua volta al cospetto della nave dimenticata, rimanendone ovviamente a
propria volta sconvolto.
Sognava da sempre di conoscere quante più cose
possibili del mondo di Saito, ma questa andava quasi al di là dell’accettabile.
Come era possibile che una civiltà, per quanto
evoluta, riuscisse a raggiungere traguardi simili?
Quante vite era in grado di togliere con un
solo colpo un simile strumento di morte? Era chiaro ormai perché gli stessi
membri superstiti del suo equipaggio ne avessero avuto così tanta paura.
Probabilmente temevano che, date le infinite
possibilità della magia propria di quel nuovo mondo nel quale erano giunti, la
loro Fortezza, anche così ridotta, potesse un giorno tornare a dispensare morte
e devastazione in tutto il mondo, e così avevano voluto deliberatamente
cancellarne il ricordo, scegliendo essi stessi di dimenticare perché la verità
sulla vera natura della Fortezza non venisse mai più alla luce.
Ma ormai, come Saito andava ripetendo, era una
questione di vita o di morte, e la Fortezza, o meglio il Roma, era l’unica cosa
che potesse dare una speranza.
«Ma… magnifico.»
disse il professore trovandosi dinnanzi al relitto «Davvero magnifico.»
«D’accordo, lo ammetto.» disse Lucas, anch’egli
presente «Forse non era proprio una leggenda.»
«Professore.» disse Louise «Se non sbaglio
lei, una volta, ha parlato di un incantesimo in grado di riaggiustare le cose
rotte o danneggiate, a patto che siano presenti tutti i pezzi necessari ad
rimetterle insieme.»
«Parli del Constructio?»
«Sarebbe possibile usarlo per ricostruire
questa nave?».
Il professore dovette prendersi qualche
momento per rifletterci.
«Può darsi. Sì, penso che si potrebbe fare.»
«Perfetto!» esclamò Saito
«Aspetta, Saito-kun.
Non è così semplice?»
«Per quale motivo?»
«L’incantesimo del Constructio
può essere utilizzato solo conoscendo interamente la natura e la forma
dell’oggetto che si vuole riparare, altrimenti sarebbe impossibile rimetterlo
insieme».
Quell’affermazione arrivò come un fulmine a
ciel sereno.
«Che sta dicendo!?»
«Sto dicendo che io non ho la minima idea di
come sia fatta questa nave. E se non so come è fatta, non posso aggiustarla».
Ancora una volta, purtroppo, la determinazione
e la volontà sembravano destinate ad andare a scontrarsi contro la spietata
ineluttabilità.
Kaoru guardò verso la nave, in cerca di una
risposta o di un barlume di speranza, quando un sospetto gli attraversò la
mente.
Forse c’era una speranza; anzi, quasi
sicuramente. Il problema era scoprire se, come la nave, avesse resistito
altrettanto bene al passare del tempo.
Senza porre indugio si avvicinò agli uomini di
Otisa, giunti lì per osservare coi loro occhi il
tesoro dei loro antenati, chiedendo se avessero una corda. Uno di loro gliene
porse una che aveva portato per ogni evenienza, e lui subito vi assicurò il
proprio bastone, usandolo come un rampino che con un lancio preciso riuscì ad
avvolgere attorno ad una sporgenza.
«Che stai facendo?» domandò Saito vedendolo
che si accingeva a salire
«Questa era una nave da guerra. È probabile
che tenessero dei progetti o degli schemi di costruzione, in caso di
riparazioni in mare. Forse ci sono ancora.»
«Lo credi possibile?»
«C’è un solo modo per saperlo, non credi?».
Il modo in questione era ovviamente esplorare
la nave, sperando di trovare il materiale in questione.
La torre centrale di comando, in qualche modo,
era riuscita a restare attaccata al ponte principale, ma a giudicare dai
tiranti tesi allo spasimo e dalle numerose crepe, era chiaro che si trattava di
un equilibrio precario, tenuto conto anche della tremenda inclinazione che
avrebbe potuto farla accasciare del tutto in qualsiasi momento.
Girando attorno alla torre, non senza qualche
difficoltà, dal momento che Kaoru continuava ad avere bisogno del bastone per
riuscire a camminare, i due ragazzi trovarono una porta che, a forza di spinte,
riuscirono ad aprire.
«Ci proviamo?» chiese Kaoru
«Direi che non abbiamo molta scelta.» rispose
Saito, che fece dunque un cenno agli operai perché gli passassero delle torce
«Che cosa pensate di fare voi due!?» sbraitò
preoccupata Louise
«I progetti potrebbero essere qui dentro!»
rispose Saito accendendo le fiamme «Voi aspettateci qui!» e detto questo
scomparve oltre la porta assieme a Kaoru, mentre il cuore di Louise iniziava a
battere a mille.
L’interno della torre era tutta una
devastazione.
Il metallo era piegato, contorto, come bruciato,
e scricchiolava ad ogni passo. Sembrava che qualcosa fosse bruciato al suo
interno, perché parti delle pareti erano come parzialmente liquefatte, ma non
si vedevano segni di incendi o altro; pareva piuttosto che lì dentro ci fosse
stata una qualche esplosione di calore, così forte da far sciogliere l’acciaio
e annerire il legno.
«Secondo i libri di storia.» spiegò Kaoru «Il
Roma venne colpito da una bomba che fece esplodere il deposito munizioni. Ci fu
una tremenda esplosione, e la temperatura aumentò violentemente, raggiungendo
un livello tale da bruciare e liquefare ogni cosa, incluso il metallo.»
«Speriamo solo che non siano bruciati anche i
progetti, o avremo fatto tutto questo lavoro per niente».
Riuscire ad orientarsi era ovviamente molto
difficile.
A parte il fatto che tutte le indicazioni ed i
cartelli erano in italiano, c’erano punti crollati, porte e scale ostruite,
zone allagate o completamente irraggiungibili e, cosa più raccapricciante di
tutte, parecchi resti umani.
Probabilmente, i superstiti al naufragio
arrivati in quel mondo assieme alla nave avevano seppellito tutti i compagni
che erano riusciti a trovare, ma avendo paura di avventurarsi nel relitto
temendo che gli potesse crollare addosso avevano preferito non esplorarlo
troppo a fondo.
Saito e Kaoru riuscirono a trovare una rampa
di scale poco ostruita, e cominciarono a salirla non senza difficoltà, visto
che un momento si sentivano schiacciati verso il muro e il momento dopo a
penzolare sull’abisso.
In una simile situazione Kaoru non poteva fare
ricorso al bastone, che ad un certo punto gli era persino caduto, e ogni passo
gli sembrava un’agonia, perché più poggiava il peso sulla gamba sinistra più la
ferita gli faceva male.
Per questo cercava di concentrare la maggior
parte del suo peso sulla gamba destra, ma questo significava un minore
equilibrio, che alla fine minacciò quasi di ucciderlo.
Mentre percorrevano l’ultimo tratto di rampa
appoggiati al corrimano questo improvvisamente cedette, e Kaoru, che non fece
in tempo a trovare un appiglio, minacciò di precipitare; per fortuna, all’ultimo
secondo, venne afferrato al volo da Saito.
«Tranquillo! Ti ho preso!»
«Te ne devo una».
Fortunatamente, quello fu l’unico incidente di
percorso degno di nota.
La rampa che i due ragazzi avevano imboccato
infatti, per una coincidenza una volta tanto fortuita, era quella che dalla
base della torre arrivava fino alla plancia di comando.
La porta d’ingresso era piegata dal calore ed
incastrata, ma Kaoru riuscì a farla saltare rompendo i cardini con due precisi
colpi di spada, così i due poterono entrare.
Se la torre in generale era ridotta male, la
plancia era messa anche peggio.
Avendo preso in pieno la vampata di calore che
si era sprigionata a seguito dell’esplosione, il ponte di comando era ridotto
in uno stato pietoso; i vetri erano esplosi letteralmente, le pareti si erano
annerite, e quasi ogni componente in legno era bruciata o carbonizzata.
Saito e Kaoru si guardarono attorno atterriti.
«Se i progetti erano qui, è davvero la fine.»
disse Saito
«Proviamo a cercare. Forse troviamo qualcosa».
Come prima cosa Saito si affacciò alle vetrate
agitando la torcia, che fu vista dall’esterno e tranquillizzò tutti.
«Per fortuna ce l’hanno fatta.» disse Colbert
«A quanto pare è andato tutto bene.»
«Aspettiamo a gioire.» disse Joanne smorzando
gli animi «Se non trovano quello che stiamo cercando, saremo comunque nei guai».
A quel punto, venne il momento di cercare.
Quasi tutto quello che si trovava allo
scoperto era bruciato, ma il ponte disponeva di un gran numero di scomparti,
cassetti e vani che, una volta aperti, rivelarono di essere stati in grado di
proteggere ciò che contenevano, quindi con un po’ di fortuna anche i progetti
si erano salvati.
Dentro quella specie di macchina del tempo
Saito e Kaoru ritrovarono vecchi documenti, fotografie, carteggi e persino
delle lettere.
Kaoru in particolare trovò copia di un vecchio
messaggio cifrato, datato 8 settembre 1943, e proveniente dal comando generale
della marina italiana, che annunciava l’armistizio con gli alleati e l’ordine
di consegnarsi alla flotta inglese.
Purtroppo, di eventuali progetti o schermi di
costruzione non sembrava esservi traccia. O non si trovavano lì, oppure erano
bruciati.
Kaoru ricordò che il Roma era stato colpito
due volte prima di affondare, e che il primo colpo aveva semplicemente
danneggiato la nave senza pregiudicarne la navigazione; forse dopo il primo
attacco i progetti erano stati tirati fuori per pianificare una riparazione, e
al secondo colpo il calore li aveva inceneriti.
Ma la speranza era l’ultima a morire, e una
volta tanto volle tener fede al suo nome.
«Kaoru!» esclamò d’improvviso Saito aprendo
uno scomparto e trovandovi dentro un mare di enormi carte arrotolate «Credo di
averli trovati!»
«Dici sul serio!?».
Recuperatone alcuni, li appoggiarono a terra e
li srotolarono.
«Questi sono i motori!» disse Kaoru «È lo
schema dei motori! E questo dell’impianto elettrico!».
Saito non ce la fece più, e andò ad
affacciarsi nuovamente alle vetrate tenendo un rotolo stretto nella mano ed
esibendolo come un trofeo.
«Li abbiamo trovati! I progetti sono qui!» e
tutti esultarono
«Evvai!» disse
Louise «Ci sono riusciti».
Anche Colbert non riuscì a fare a meno di
nascondere il suo entusiasmo; già lo aveva lasciato di sasso vedere la nave
ridotta in quello stato, e il solo pensiero di come potesse apparire una volta
ricostruita lo eccitava da morire, tanto che non vedeva l’ora di mettersi al
lavoro.
Servirono
due viaggi per riportare indietro tutti i progetti dal ponte di comando, e una
notte intera al professor Colbert per riuscire a decifrarli, chiuso in uno
studio nella casa del sindaco.
Il fatto che fossero tutti scritti in
italiano, in definitiva, non arrecò tutti questi problemi. L’italiano dopotutto
derivava dal latino, che a sua volta presentava diverse assonanze con l’antico romaliano, una lingua che tutti i professori di arti
magiche ben conoscevano in quanto molto usata nella stregoneria.
All’alba, il professore uscì nel corridoio,
dove Saito e gli altri erano rimasti ad aspettare sue notizie fino ad
addormentarsi.
«Ho finito.» disse soddisfatto «Ho decifrato
tutti i documenti.»
«Vuol dire che può riparare la nave!?» esclamò
Saito
«Sicuramente. Forza, torniamo alla caverna».
Nel frattempo, scoperto dove si trovava la
caverna, ed il punto preciso dove poter scavare, gli abitanti di Otisa avevano praticato un grosso foro che dalla
superficie, proprio a due passi dalle scogliere e a circa un chilometro dal
villaggio, permetteva di scendere dritti nella caverna risparmiandosi la lunga
strada attraverso il tunnel, e vi avevano calato una scala a corda.
Era un momento solenne, e tutti gli abitanti
avevano voluto essere presenti. Avevano sempre saputo che la Fortezza d’Acciaio
era reale, e ora che la vedevano coi loro occhi volevano vederla anche tornare
alla vita, così come era all’epoca dei loro antenati; i ragazzi ovviamente non
avevano rivelato loro quale fosse la reale origine della nave, ma anche così
gli otisani erano al culmine della felicità,
sentendosi in qualche modo speciali, per non dire quasi leggendari.
Il professor Colbert scese nella caverna
assieme a Saito e agli altri portando con sé il necessario per disegnare, sia
sulla roccia sotto i suoi piedi che su una fiancata della nave, un grande e
complesso circolo magico, inoltre richiese la collaborazione sia di Joanne che
di Louise.
Il circolo richiamava lontanamente l’aspetto
del loro mondo, con il pianeta al centro e le due luna una accanto all’altra, a
fare da satelliti; il professore si posizionò al centro, quindi chiese alle due
ragazze di prendere posto sulle due lune.
«Date le dimensioni della nave, il mio potere
non sarebbe sufficiente per ricostruirla.» disse battendo a terra il suo
bastone «Quindi avrò bisogno anche del vostro.»
«Cosa dobbiamo fare?» chiese Joanne
«Concentratevi sulla punta del mio bastone. Convogliate
lì il vostro potere magico. Al resto penserò io».
Nella caverna calò il silenzio, e tutti
assistevano senza battere ciglio.
Louise, Joanne e Colbert chiusero gli occhi, e
come il professore batté nuovamente a terra il suo bastone i due simboli,
quello sotto di loro e quello sulla nave, si illuminarono violentemente, e
tutta la caverna tremò leggermente; Joanne e Louise si concentrarono, e ben
presto poterono sentire la loro energia risucchiata ed assorbita dall’incantesimo,
per poi venire usata magistralmente da Colbert.
Di colpo, tutti i vari pezzi della nave
presero a vibrare e a contorcersi, illuminati da quel bagliore azzurrognolo,
quindi si sollevarono in aria, lentamente e silenziosamente, modellandosi e
amalgamandosi come pezzi di creta uniti a formare un unico vaso.
Ed ecco che, come per incanto, il metallo si
riplasmò, il legno si riaggiustò, e tutti i meccanismi e gli ingranaggi, anche
quelli maggiormente danneggiati e apparentemente irrecuperabili, tornarono al
proprio posto con rapidità sempre maggiore, quasi che ad ogni passaggio
eseguito il professore diventasse più sicuro di sé, e più certo della buona
riuscita del suo incantesimo.
Come se una macchina del tempo ne stesse
riavvolgendo la storia, la vecchia nave sembrò ritornare sempre più alla vita,
fino a quando, ormai prossima al completamento, il guscio di luce che la
avvolgeva deflagrò violentemente, costringendo tutti a coprirsi gli occhi per
non restare accecati.
Kaoru e Saito furono i primi che ebbero il
coraggio di riaprirli, ma per un attimo pensarono che ciò che avevano davanti
fosse solo un’allucinazione, uno scherzo della vista dettato dall’improvviso
bagliore.
Il Roma, un relitto fino a poco prima, ora era
lì, davanti a loro, perfettamente ricostruita.
La linea allungata e sinuosa, la maestosa
torre corazzata, i due possenti fumaioli, le sue armi annichilenti e
spaventose, la livrea mimetica verde pino che di notte ne nascondeva la
presenza.
Non sembrava neanche più la stessa nave di
prima.
Tutto era tornato come quel giorno lontano.
«È… è incredibile.»
disse Saito
«Ci siamo riusciti.» disse Louise, che poi non
riuscì a trattenere la gioia «Ce l’abbiamo fatta!».
A quel punto, esplose la festa, e mentre gli otisani si davano come al solito alla musica e alla danza, Saito
e gli altri salirono in plancia.
«Non credo ai miei occhi.» disse Saito
guardandosi attorno per poi andare ad affacciarsi ai vetri «È davvero tutto
tornato come prima.»
«Professor Colbert.» disse Siesta «Lei è stato
fantastico.»
«No, Siesta. Fantastico è chi è riuscito a
realizzare qualcosa di simile.»
«Comunque, una nave da guerra senza armi non
ha molto valore.» disse il sindaco di Otisa, anch’egli
presente
«Per quello non c’è problema.» rispose Saito
«Si possono creare, così sono state create anche le armi di scorta per lo Zero
che pilotavo due anni fa. Stesso dicasi per il carburante, giusto?»
«Giusto.» rispose il professore
«Aspettate, frenate gli entusiasmi.» disse
Lucas, cupo e preoccupato nonostante tutto «Credo che qui si stia dimenticando
una cosa importante.»
«E sarebbe?» chiese Joanne quasi provocatoria
«Questa è una nave, giusto? Non è stata
progettata per volare. Come sarà possibile usarla per contrastare una flotta di
aeronavi?».
Una considerazione diretta e dolorosa come una
freccia.
Nella foga del momento, se ne erano tutti
dimenticati.
Il Roma era indubbiamente una nave di classe
superiore, una corazzata alla quale probabilmente anche le potenti navi di Floubert potevano fare un baffo; ma non poteva volare, e di
certi i suoi proiettili non potevano arrivare dalla superficie del mare fin nel
cielo.
Quindi, di fatto, era quasi inutile.
«Non è detto che non si possa rimediare.»
rispose invece Saito, più determinato e risoluto che mai «Se siamo riusciti a
ripararla, possiamo trasformarla in una nave volante.» poi si rivolse a Louise
«Come fanno le vostre aeronavi a volare?»
«Sfruttando il potere di una pietra
fluttuante. Un cristallo magico caricato del potere del vento.»
«Sarebbe possibile installarne una anche su
questa nave?».
Colbert ci pensò un momento.
«Effettivamente, credo sarebbe fattibile. Basterebbe
fare qualche modifica, per fare in modo che il timone e gli altri sistemi di
guida possano funzionare sia in acqua che fuori, e qualcosa per poter regolare
l’altezza e l’elevazione anche operando da questo ponte di comando.»
«Allora si può fare.» disse Kaoru
«Però, c’è un problema.» disse il professore
quasi a voler smorzare l’entusiasmo «Questa nave persa decine di migliaia di
tonnellate. Anche mettendovi dentro la pietra fluttuante più grande che si
riesca a trovare, dubito che sarebbe capace di tenerla in volo per più di una o
due ore.»
«Anche così và bene.» rispose secco Saito
«Sempre meglio di niente.»
«E per manovrarla?» chiese ancora Lucas «Non
assomiglia neanche lontanamente alle nostre aeronavi, e nessuno di noi qui ha
idea di come funzioni.»
«A quello ci posso pensare io.» rispose Kaoru
mostrando il simbolo di Gandalfr
«Ben detto compare.»
«Tu da solo a manovrare tutta questa nave?»
domandò Lucas quasi provocatorio
«Niente affatto. Io sarei solo l’insegnante.»
«L’insegnante!?»
«Se ci pensi è piuttosto semplice. Io uso il
potere di Gandalfr per apprendere come funzioni questa nave, quindi istruisco i
membri del suo equipaggio.»
«Sarà un lavoro mastodontico.»
«Allora, meglio mettersi al lavoro subito.»
disse Saito
«E i marinai dove ce li procuriamo? Ne abbiamo
a malapena per le nostre flotte.»
«Se posso permettermi, signori» intervenne il
sindaco «I miei concittadini sarebbero ben felici, me incluso, sarebbero felici
di prestarsi per questo incarico.»
«Ne siete sicuro, signor sindaco?» chiese
Joanne
«Questa è la nave dei nostri antenati. Nelle nostre
vene scorre il sangue di coloro che la abitarono e la fecero combattere nei
tempi antichi. Sono sicuro che una volta imparato, farla muovere ci verrà quasi
naturale.»
«Potrebbe essere pericoloso.» disse Saito
«Davvero ve la sentite?»
«I nostri antenati erano pronti ad andarci a
fondo, da quello che ho capito. Che discendenti saremmo se non contribuissimo a
renderla nuovamente grande?».
Saito allora sorrise, stringendo la mano al
sindaco.
«Grazie, signor sindaco.»
«Grazie a voi, lord Hiraga.
Dopotutto, state facendo tutto questo per proteggerci, e proteggere questo
Paese. Aiutarvi è il minimo che possiamo fare.»
«Quand’è così, mettiamoci subito al lavoro. C’è
ancora tanto da fare, e il tempo scarseggia».
Saito
aveva anche troppa ragione.
A Roanoke, e sotto l’occhio
sempre attento ed occultato delle spie di Marcin, i
lavori per la costruzione delle nuove navi procedevano a ritmi sostenuti.
Ne erano state completate già nove, mentre una
decima, molto più grande, spaventosa e imponente delle altre, era ancora in
fase di ultimazione.
Teoricamente, le nove navi già costruite
sarebbero già state più che sufficienti a conquistare senza difficoltà il
controllo di tutta la costa di Tristain, ma Solomon
voleva a tutti i costi che alle battaglie prendesse parte anche quella
destinata a diventare la sua ammiraglia, dalla quale osservare e godere la
caduta di Grasse e Marcin, e in seguito dell’intera
nazione.
Anni di vassallaggio e inchini forzati gli
rodevano il fegato come neanche il suo lardo riusciva a fare, e voleva che il
suo fosse un trionfo totale, con tutta la nazione che bruciava e implorava
pietà e lui a guardare dall’alto, ebbro di grandezza e soddisfazione.
I lavori, però, stavano procedendo leggermente
più lentamente del previsto, così quella sera il duca era voluto andare di
persona a constatare come andassero le cose.
L’isola sembrava un cantiere a cielo aperto.
Dall’alto della collina, che come un cratere
circondava il centro di quel lembo di terra, si poteva vedere tutto, dai centri
di assemblaggio alle darsene; tutto veniva fatto all’aperto, senza riguardo né timore
per eventuali spie, forse nella convinzione che il mare fosse già una difesa
più che sufficiente.
Sul limitare della collina c’era una specie di
palchetto sospeso nel vuoto, sul quale andò a posizionarsi il duca con il suo
seguito; qui venne raggiunto dal direttore del cantiere.
«Perché la nave non è ancora finita?» domandò
vedendo quel bestione ancora per metà immerso sottoterra, dove continuavano i
lavori
«Mi… mi dispiace,
mio signore.» balbettò quello tutto tremante «Il sistema di spinta si è
rivelato difettoso, e abbiamo dovuto ricostruirlo. È solo questione di qualche
altro giorno, davvero. Solo quattro, forse cinque giorni, e la nave sarà pronta
a salpare».
Solomon lo guardò
come un padrone guarda il suo schiavo, poi, senza dire una parola, sfoderò lo
schioppo che aveva con sé e gli piantò una palla nello stomaco che lo uccise
all’istante.
«Questo è l’ultimo ritardo che permetto.»
disse, quindi fece un cenno alle sue guardie, che raccolsero il corpo e lo
gettarono giù dalla scarpata.
Qualche minuto dopo, li raggiunse anche Fouquet.
«Buon modo per tagliare il personale.» osservò
sarcastica la donna
«Ormai siamo in dirittura d’arrivo. Di lui non
avevo più bisogno.»
«A quanto pare ci sono problemi in arrivo. Sembra
che Saito e Louise abbiano messo le mani su una qualche supernave, o roba del
genere.
Intendono usarla contro di noi.»
«Ne è sicura?»
«Per ora stanno ancora cercando di farla
ripartire, ma conoscendoli credo che non si faranno trovare impreparati.»
«Se solo non ci fosse stato questo ritardo.»
mugugnò il Floubert, che però subito si calmò,
ridendo soddisfatto «Ma poco importa. Tanto ormai è quasi tutto pronto».
I suoi occhi si alzarono dunque verso l’alto,
verso il cielo, dove il resto della flotta già torreggiava in tutta la sua
imponenza, pronta a marciare sul continente.
«Quattro giorni ancora, e quei vermi
rimpiangeranno di avermi sfidato».
Nota dell’Autore
Salve a tutti!^_^
Come avevo promesso,
sto andando il più speditamente possibile, spinto a scrivere senza sosta sull’onda
della tanto agognata estate, che mi ha procurato un sacco di tempo libero.
Questo è il classico
capitolo di transizione.
Nel prossimo, ci
lasceremo alle spalle le vicende legate a Floubert
con una battaglia da antologia (probabilmente sarà un capitolo piuttosto lungo,
ma cercherò di contenermi), per poi passare ad altre vicende.
A questo punto direi
che siamo già piuttosto avanti con la trama, e che dopo questo arco narrativo,
e quello che seguirà, avremo tranquillamente oltrepassato la metà (ma come si
dice sempre, la metà migliore deve ancora cominciare).
I
giorni che seguirono furono concitati e carichi insieme di attesa e di
tensione.
Ognuno faceva il suo lavoro, consapevole che
ogni secondo era prezioso.
Mentre il professor Colbert, assistito da
tutti i maghi e i professori che era riuscito a mettere insieme, sintetizzava
senza sosta gasolio per i motori e proiettili per cannoni e mitragliatrici,
Kaoru, forte del potere di Gandalfr, istruiva gli abitanti di Otisa e vari soldati selezionati per far parte
dell’equipaggio all’uso dei complicati, e per certi versi incredibili,
meccanismi della nave.
Un’altra sorpresa era arrivata
dall’esplorazione dei ponti più bassi, dove, tra lo stupore generale, furono
trovati addirittura un aereo da battaglia e una coppia di idrovolanti, uno dei
quali fu posizionato sulla catapulta di lancio a poppa, pronto per venire usato
in caso di necessità.
Anche i lavori per modificare la struttura e
la conformazione del vascello e permettergli di volare procedevano senza sosta.
Dal museo nazionale di Tristania
fu fatto portare in gran segreto il più grosso monolito di pietra fluttuante
mai estratto e lavorato nella storia di Halkengina,
un gigantesco blocco di quasi cinque quintali.
Una volta trasportato fin sul bordo della
grotta, tramite un argano venne calato dall’alto attraverso uno dei fumaioli
nel ventre della nave, e una volta qui deposto in una camera di alimentazione
appositamente realizzata.
Furono modificate anche le eliche, i sistemi
di guida, aggiungendovi un altimetro e vari strumenti per l’ascensione e la
discesa, e qualche altro accorgimento lungo la chiglia per renderla più
aerodinamica, anche se a grandi linee l’aspetto esteriore rimase lo stesso.
Secondo le informazioni riportate indietro
dalle spie, la flotta di supernavi di Floubert era
ormai completamente pronta, ma sarebbero stati necessari almeno un altro paio
di giorni perché potessero davvero decollare alla volta del continente.
Questo, bene o male, aveva tranquillizzato
tutti, dando l’impressione di avere a disposizione ancora un po’ di tempo per
preparare tutto.
E invece, la mattina del quarto giorno, una
terribile notizia giunse a distruggere tutte le speranze.
Saito, Louise e Kaoru erano in piedi accanto
alla nave, intenti ad osservarla finalmente ultimata, e pronta, almeno nelle
intenzioni del professore, a solcare i cieli come una qualsiasi aeronave.
«Siamo sicuri che volerà?» chiese Saito
«Il blocco di pietra fluttuante che abbiamo
installato nella stiva ha forza e potere sufficienti a sollevare oltre
cinquantamila tonnellate.
Tuttavia, come tutti sanno, maggiore è lo
sforzo subito da una pietra più velocemente il suo potere si esaurisce.
In base ai mie calcoli, la nave potrà restare
in volo per non più di due ore, poi sarà necessario almeno un giorno perché la
pietra si ricarichi.»
«Non è molto, ma ci dovremo accontentare.»
disse Kaoru
«Comunque sarà meglio fare una prova di
navigazione. Domattina presto pensavo di portarla in mare».
All’improvviso, Lucas arrivò nella grotta
tutto trafelato e in preda all’agitazione.
«Saito! Louise! Le spie dicono che la flotta
di Floubert salperà domattina!»
«Che cosa!?» esclamò Kaoru «Ma è troppo
presto! Non doveva partire dopodomani?»
«Pare abbiano accelerato i tempi. L’ultima
nave è stata completata giusto ieri sera. Il tempo di un rapido controllo, e la
flotta si metterà in movimento.»
«Questo non và per niente bene.» ringhiò
Saito.
I
ragazzi tornarono in tutta fretta ad Otisa, dove fu
indetta una riunione di emergenza nell’ufficio del sindaco.
C’erano anche Joanne, arrivata in tutta fretta
da Grasse in sella ad Hotarubi, e Kiriya,
che in quel momento si trovava al largo al comando di quanto restava dell’aeroflotta dei Marcin.
«Servono almeno altre ventiquattro ore per
completare i lavori a bordo della nave ed avviare i motori.» disse mestamente
il professore «Non faremmo mai in tempo a renderla operativa prima che la
flotta di Floubert raggiunga la costa.»
«E visto che può mantenersi in volo solo per
un tempo molto limitato.» disse Lucas «Combattere sulla terraferma è da
escludere a priori.»
«Senza contare che, se riuscissero a
raggiungere la costa» disse Joanne «Provocherebbero distruzione e morte a non
finire prima di riuscire a fare qualcosa.»
«Che cosa possiamo fare?» chiese Louise «Non
sarebbe possibile far salpare la nave subito?»
«Impossibile.» tagliò corto Colbert «Non
abbiamo ancora finito di collegare tutte le strumentazioni necessarie per farla
volare».
Nella stanza si levò un vento di sconforto e
rassegnazione.
Allora, era davvero impossibile fermare
quell’ennesima minaccia?
Forse, pensò Kaoru, un modo c’era. Anche se, a
conti fatti, era quasi un suicidio.
«L’unica cosa da fare.» disse a braccia
conserte «È cercare di guadagnare tempo.»
«E come, se è lecito chiedere?» chiese il
sindaco
«Nell’unico modo possibile. Combattendo».
Lì per lì nessuno capì il senso di quella
frase, ma quando ciò accadde tutti rimasero di sasso.
«Ti riferisci alle aeronavi convenzionali?»
disse Saito
«Tra le forze di Grasse e quelle di Marcin, possiamo contare su circa trentacinque vascelli.
Dispiegandoli tutti lungo la rotta tra le isole e la terraferma, dovrebbero
essere sufficienti a tenere occupata la flotta nemica, almeno fino a quando la
nave non sarà pronta a salpare.»
«Ci stai chiedendo di fare da cuscinetto!?»
disse Kiriya, non senza un po’ di timore
«È l’unica soluzione che mi venga in mente.»
«Non se ne parla neanche!» urlò Lucas battendo
violentemente il pugno sul tavolo, con un tono e uno sguardo che nessuno gli aveva
mai visto «Avete visto tutti quelle aeronavi spaventose! Dio solo sa cosa sono
capaci di fare! Non manderò i miei uomini alla morte in una battaglia persa in
partenza!»
«Io lo farò.» disse improvvisamente Kilyan, guadagnandosi un’occhiata perplessa da parte di
tutti i presenti «Quello che potrebbe accadere non ha importanza. È in gioco il
futuro non solo dei nostri feudi, ma di tutta la nazione.
Abbiamo il dovere di fare tutto il possibile
per difendere Tristain.
E sono sicuro che anche i miei uomini la
pensano allo stesso modo.»
«Kilyan…» disse
Siesta
«È una follia!» urlò Lucas «Una follia bella e
buona! Non sappiamo neanche se la nave potrà volare! Cosa succederebbe se alla
fine non riuscisse a raggiungervi? Ne otterreste solo di venire massacrati!»
«Se la flotta di Floubert
raggiunge la terraferma, saremo tutti morti comunque. Dopo quello che è
accaduto, Solomon di sicuro non si sentirà
soddisfatto fino a quando non avrà raso al suolo la fortezza di Grasse.
Pertanto, per come la vedo io, molto meglio morire
combattendo a bordo di una nave che rinchiuso in una fortezza aspettando la
fine.»
«Sono d’accordo.» disse Joanne «Del resto, non
ha senso essere pessimisti e rinunciatari fin da subito. Le navi di Grasse sono
numerose e robuste, anche se un po’ vecchie. Per un po’ potranno sicuramente
reggere.»
«Questa è pura follia.» disse Lucas «Vi farete
massacrare per niente.»
«Da quando in qua sei così pessimista?»
domandò provocatoriamente Kaoru
«Vorrei tanto che fosse solo pessimismo.
Questa purtroppo è la realtà dei fatti.»
«Se non vuoi batterti, non ti costringeremo.»
disse Louise visibilmente delusa e sconfortata da un simile atteggiamento da
parte del cognato «Noi però abbiamo già deciso».
Lucas si guardò attorno, rendendosi conto di
essere l’unico in quella stanza a pensarla alla sua maniera; persino sua
moglie, presente a sua volta, lo guardava come se non lo riconoscesse, piena di
amarezza e delusione.
«Mi perdonerete se cerco di proteggere le mie
terre. Piuttosto che impegnare le poche forze che mi restano in una battaglia
persa in partenza, preferisco di gran lunga difendere Marcin
fino all’ultimo.
Vi auguro buona fortuna.
Cattleya,
andiamo.»
«Ma, Lucas…» tentò
di dire lei
«Niente storie!» ordinò invece lui rosso di
rabbia.
Forse era la sensazione di impotenza, forse il
fatto di essere scampato alla morte per un vero miracolo, fatto sta che Lucas
de Marcin si comportò come nessuno avrebbe mai
pensato possibile, e al termine di quel burrascoso incontro se ne andò
portandosi dietro le poche navi che gli erano rimaste.
«Non importa.» tagliò corto Saito srotolando
una carta nautica della costa settentrionale «Ce la caveremo anche senza di
lui.
Allora, dobbiamo formare una linea difensiva
che possa reggere fino a quando la nave non sarà pronta a salpare.
Joanne, Kilyan. Voi
disporrete tutte le navi della nostra flotta in questo punto, venti miglia al
largo delle coste di Tristain. Cercate di resistere il più a lungo possibile.»
«E se dopo un’ora dall’inizio della battaglia
non ci vedete arrivare.» disse Kaoru «Allora mollate tutto e tornate indietro.
A quel punto, restare per farsi massacrare sarebbe inutile.»
«Sissignore!» risposero in coro i due ragazzi
«E adesso.» disse Colbert «Sarà meglio
rimettersi subito al lavoro».
La
mattina dopo, al sorgere del sole, una inquietante parate di gigantesche navi
da guerra veleggiava sopra il Mare Magnus diretta verso nord-est, verso le
coste verdeggianti di Grasse.
A memoria d’uomo, non si era mai visto un tale
assembramento di navi così tecnologicamente avanzate.
Dodici vascelli da guerra, ognuno dei quali
grande almeno il doppio di un normale galeone umano, armati con almeno quaranta
cannoni ognuno, fino anche ad ottanta per quelli più grossi.
Al centro, ben protetta dal resto della
formazione, la Stiges, la nave ammiraglia, con il suo
vasto ponte scoperto, al centro del quale Solomon
aveva fatto piazzare uno sfavillante trono d’oro e pietre preziose, lo stesso
che avrebbe fatto piazzare nella sala delle udienze nel momento in cui fosse
entrato a bordo di quella nave direttamente nel cortile del palazzo reale di Tristania.
Al suo fianco, Fouquet,
ugualmente fiera e sicura di sé.
«Una vista fantastica.» commentò il
governatore guardandosi attorno «Devo riconoscere che avevo sottovalutato Reconquista.
Mi domando come sia stato possibile per voi
raggiungere un simile livello tecnologico.»
«Lei pensi a svolgere la sua parte
dell’incarico, Solomon, senza preoccuparsi di
indagare il non necessario.»
«Come vuole. Non che mi importi, del resto.
Ciò che conta, per me, è solo la vittoria.»
«Navi nemiche dritte di prora!» urlò d’un
tratto la vedetta sul pennone.
E infatti, dapprima quasi invisibile, e via via sempre più nitida, comparve all’orizzonte una grande
flotta di oltre trenta unità, tutte con la bandiera di Grasse a sventolare in
cima all’albero maestro, piantate nel mezzo del cielo come un’ultima, disperata
barriera difensiva.
A bordo della White Dragon, Kilyan e Joanne osservavano, fermi ma chiaramente
increduli, quella massa di giganteschi vascelli che puntava dritta su di loro,
e così anche il resto dell’equipaggio, tutti allibiti ma determinati in ogni
caso a fare il loro dovere, anche se solo per l’ultima volta.
«Non arretreremo di un centimetro.» disse
Joanne a denti stretti «Resteremo qui fino alla fine.»
«È tutto pronto.» disse Kilyan
«Non passeranno tanto facilmente.»
«D’accordo. Cominciamo.» quindi Joanne si
rivolse all’intera flotta «A tutte le navi! Prepararsi alla battaglia! Disporsi
in formazione allargata!».
L’ordine fu trasmesso alle navi con l’ausilio
delle bandiere, e subito queste si sparpagliarono, formando una difesa
allargata su tre diverse linee da dieci navi ognuna.
Piuttosto che concentrare tutte le forze in
un’unica linea, Joanne e Kilyan avevano preferito un
sistema di fortificazioni in sequenza, di modo tale che se la prima linea
cadeva un’altra era pronta a prenderne il posto.
Era l’unico modo per cercare di guadagnare più
tempo possibile.
Le navi della prima linea, assunta la
formazione, mostrarono il fianco, scoprendo i propri cannoni, che confrontati
con quelli del nemico parevano quasi delle armi giocattolo, tale era la
differenza per numero e dimensioni.
«Stolti.» disse Solomon
sorridendo malefico «Se foste scappati, avreste guadagnato qualche giorno di
vita in più.
D’accordo, allora. Morite tutti.
A tutte le navi! Fuoco a volontà!».
Anche la flotta di Floubert
a quel punto assunse una formazione da battaglia, con la differenza che le sue
navi non ebbero bisogno di esporre il fianco, visto il gran numero di cannoni
che potevano sfruttare anche solo mantenendo la prua rivolta al nemico.
Le prime bordate furono di Grasse, ma come
previsto i colpi praticamente rimbalzarono contro lo scafo delle navi nemiche,
riuscendo a malapena ad incrinarle.
«È tutto qui?» disse Solomon,
ben protetto dallo sbarramento dei suoi.
Il sovrano di Floubert
era talmente sicuro di sé che lasciò che Grasse sparasse altre due bordate,
senza che come immaginava ciò avesse il benché minimo effetto sulle sue
supernavi.
«Adesso, tocca a me».
Il frastuono dei cannoni nemici fece tremare
il fasciame e vibrare la superficie del mare sottostante, e senza neanche il
tempo di capire chi o che cosa le avesse colpite tre delle dieci navi della
prima linea esplosero o affondarono, sventrate fin nel profondo, mentre altre
due furono seriamente danneggiate.
«In nome del cielo.» disse sconvolto Kilyan
«Non perdiamo la calma!» replicò Joanne, che
cercava nonostante tutto di mantenere l’autocontrollo «Aumentare la potenza di
fuoco e mirare basso! Saranno pure corazzate, ma la chiglia è da sempre il
punto debole di qualsiasi nave».
Invece, anche la chiglia delle aeronavi
nemiche era rinforzata, per la precisione poteva vantare una doppia rivestitura
metallica, oltre ad una superficie estremamente liscia che faceva scivolare i
proiettili rendendo loro difficile riuscire a sfondare.
Dopo quattro bordate, lanciate con una
rapidità quasi sconvolgente, la prima linea di Grasse era già stata decimata.
«Saito, Louise, Kaoru.» disse sottovoce Joanne
mentre la seconda linea si disponeva in formazione «Fate presto».
Ora
era davvero tutto pronto.
Il Roma, ribattezzato Valliere,
nome scelto da Saito in onore della sua Louise, dopo settant’anni di torpore
era pronto a solcare nuovamente il mare.
Sul ponte, nella stiva, sui vari livelli, i
soldati che Kaoru aveva personalmente addestrato, e che provenivano per buona
parte da Otisa e dai villaggi vicini, si
arrabattavano per farla tornare a ruggire, cercando di attingere a quelle
conoscenze e a quel coraggio che scorrevano nel loro sangue in quanto
discendenti del grande equipaggio che per primo aveva fatto muovere quel
gigante di legno e acciaio.
Ancora una volta, Saito volle evitare che
Louise si esponesse a rischi inutili, pertanto la affidò alle cure e alla
sorveglianza del professor Colbert perché la tenesse al sicuro, e
contrariamente al solito, forse consapevole che ulteriori pressioni e
preoccupazioni erano l’ultima cosa di cui il suo sposo e il suo famiglio
avessero bisogno in quel momento, la piccola Louise accettò di restare in
disparte.
«Mi raccomando, fate attenzione.» disse
stringendo la mano a Saito
«Io ho fatto del mio meglio.» disse il
professor Colbert quasi a volersi discolpare anzitempo «Purtroppo, non aver
avuto la possibilità di svolgere delle prove non mi permette di essere sicuro
al 100% che tutto andrà per il verso giusto.»
«Non si preoccupi.» rispose Saito «Ci fidiamo
del suo lavoro. Vedrà che andrà tutto bene.»
«Voglio sperarlo.» mormorò Kaoru tra sé e sé
«O alla battaglia non ci arriveremo neppure».
In quella, Siesta gli si avvicinò, un po’
imbarazzata ma comunque ferma nella sua convinzione; con sé aveva una bambola
di pezza, un giocattolo d’infanzia che aveva trovato per caso qualche tempo
prima rovistando in un vecchio baule.
«Questo era il mio portafortuna.» disse
porgendola a Kaoru «Portalo con te».
Lui la guardò un momento, poi, abbozzando un
sorriso, accettò il regalo, prendendolo in mano e stringendolo forte.
«Ti ringrazio. Mi servirà sicuramente.»
rispose, guadagnandosi un’espressione di gioia.
A quel punto, i due ragazzi lasciarono i loro
amici, ed arrampicandosi su di una scala a corde raggiunsero il ponte, per poi
portarsi entrambi in cabina di comando.
Anche qui, come nel resto della nave, i
preparativi fervevano senza sosta, ed era quasi tutto pronto.
«Kaoru.» disse Saito
«Sì?»
«Tu sai meglio di chiunque altro come far
muovere questa nave. Di conseguenza, credo che il comando debba spettare a te.
Portaci all’orizzonte.»
«Ne sei sicuro?»
«Sicurissimo. Non ho ragione, Derf?»
«Assolutamente. E poi, visto che il comandante
deve andare a fondo con la sua nave, almeno in questo modo non ci giocheremo il
governatore.»
«Grazie tante.» risposero in coro Kaoru e
Saito, per poi scambiarsi un cenno d’intesa
«D’accordo.» disse Kaoru, che fatto un passo
avanti batté un po’ più forte il piede a terra, guadagnandosi gli sguardi
l’attenzione ed il saluto degli altri ufficiali di comando
«Prepararsi a salpare! Tutti ai vostri posti!»
«Sissignore!».
Il proprio, personale contributo a
quell’avventura, Louise lo diede scagliando la sua Exlplosion
contro il muro di sassi e rocce che bloccava l’ingresso alla caverna, inondando
l’antro di luce e liberando la strada ai suoi compagni aprendo loro la via
verso il mare.
«Motori a piena potenza!»
«Motori a piena potenza!»
«Macchine a tutta forza!»
«Macchine a tutta forza!».
Si udì un boato, una specie di lunghissimo
tuono, e dal ventre della nave giunse un rumore simile ad un fischio
ininterrotto; subito dopo, le eliche presero a girare.
Le due ancore furono sollevate, le turbine
furono spinte al massimo, e sotto la spinta dei 130000 cavalli la Valliere si mise in moto, emergendo dall’interno della
scogliera sotto gli occhi sbigottiti e speranzosi delle donne, dei vecchi e dei
bambini di Otisa, venuti a salutare i loro soldati
che partivano per la guerra.
Dopo più di mezzo secolo di immobilità e
desolazione, il motore della nave cantava ancora come un usignolo, ed il
fasciame che la ricopriva vibrava e risplendeva come il primo giorno.
«Rotta sud sud-ovest! Quindici gradi a
babordo!»
«Quindici gradi, ricevuto!» disse il
timoniere.
Saito e Kaoru si spinsero al largo per due o
tre miglia, poi fu il momento della verità. Solo volando potevano sperare di
arrivare in tempo per salvare i loro compagni da una sicura disfatta.
Tramite l’interfono, Kaoru e gli altri addetti
al ponte di comando chiesero conferme ai vari settori per avere certezza che
tutto fosse pronto.
«Ora sapremo se questa nave è valsa la fatica
fatta per rimetterla in sesto.» disse Saito speranzoso
«Emanazioni magiche nella norma!»
«Strumenti di controllo e di manovra passati
in modalità aerea!»
«Pressione delle turbine sotto i livelli di
guardia!»
«Sistemi propulsivi pronti!»
«Energia della pietra fluttuante pronta per la
sublimazione!»
«Condotte di alimentazione aperte!».
I due ragazzi si guardarono un momento, poi,
Kaoru diede l’ordine.
«Valliere!
Decollo!».
La sensazione, non nuova per Saito, fu quella
di stare decollando a bordo di un grande aereo di linea, mentre per tutti gli
altri, e un po’ forse anche per Kaoru, fu qualcosa di mai provato prima.
La pietra fluttuante nella stiva si illuminò,
spandendo la sua energia per tutta la nave, e come per incanto la Valliere, sospinta dai suoi motori, si sollevò sempre di
più dal pelo dell’acqua, fino a riemergere completamente, mettendo in mostra la
sua chiglia mastodontica e puntando dritta verso l’alto.
Alle sue spalle, le potenti turboeliche
sospingevano non più acqua, ma un misto di aria ed energia che come una
propulsione a spinta permettevano di governare la nave come se non meglio che
sulla superficie del mare, il tutto grazie al semplice utilizzo del timone.
La Valliere si portò
fino a trecento metri, un’altezza da sempre considerata ottimale per una
battaglia tra aeronavi, poiché andando più in alto c’era il rischio di
imbattersi in violente correnti ascensionali, mentre più in basso aumentavano i
rischi di impatto con il suolo per improvvisi cambiamenti di vento.
Entrambe cose che, a conti fatti, non
spaventavano minimamente quel gigante dei cieli, che al posto del vento usava l’energia,
e che vantava uno scudo tanto resistente che solo precipitando verticale si
sarebbe danneggiato sul serio.
Nessuno era mai riuscito a far volare una cosa
del genere; e loro ce l’avevano fatta al primo tentativo.
«Non credo ai miei occhi.» disse Saito
affacciandosi da un vetro «Il professor Colbert è stato davvero eccezionale.»
«Rapporto, signori.» ordinò Kaoru
«Tutte le strumentazioni sono operative e
funzionanti.
Alimentazione stabile. Sistemi in perfetto
ordine. Altitudine e beccheggio stabili. Vento a poppa, due nodi.»
«Procedere verso rotta prestabilita. Sud sudovest.
Massima velocità.»
«Sud sudovest! Massima velocità!»
«Resistete, amici.» disse Saito «Stiamo
arrivando».
Intanto,
nei cieli sopra il piccolo arcipelago delle Sermillon,
un agglomerato disabitato di scogli e isolotti, la battaglia tra Floubert e Grasse stava assumendo sempre più i contorni di
un massacro.
Caduta anche la seconda linea, le poche navi
rimase della flotta di Joanne e Kilyan si erano poste
come ultimo baluardo contro le navi di Solomon, che
tuttavia, sicuro della sua superiorità, piuttosto che affondarle immediatamente
aveva preferito godersi lo spettacolo di una loro lenta ed inesorabile fine scagliandogli
contro decine e decine di cavalieri dei draghi, altro gentile dono di Reconquista al suo esercito.
I draghi volavano attorno alle navi nemiche
come uno stormo di gigantesche mosche, sputando palle di fuoco a destra e a
sinistra e provocando incendi a non finire, oltre a morti e feriti che ormai
non si contavano più.
Ormai era solo questione di minuti.
Appena Solomon
avesse deciso che era sufficiente, con un paio di bordate avrebbe chiuso la
questione; e il peggio era che poteva farlo quando e come voleva, perché non
c’era né fretta né rischio di essere colti alla sprovvista.
Anche il White Dragon si batteva con tutte le
sue forze, sparando senza sosta contro i draghi che arrivavano da ogni
direzione, ma finora erano riusciti ad abbatterne solo un paio, e intanto mezza
nave stava già andando a fuoco.
Ciliegina sulla torta, alcuni draghi, quelli
più grandi, trasportavano stretti tra le zampe una specie di trasporti di
legno, con all’interno una decina di soldati ciascuno, che al momento giusto
venivano fatti cadere sui punti delle navi di Grasse, aprendosi al momento
dell’impatto e permettendosi agli assalitori di dilagare impegnando gli
stremati marinai di Grasse in un disperato corpo a corpo.
Un paio di queste casse erano state sganciate
anche a bordo dell’ammiraglia, ma avevano trovato la ferma opposizione di
Joanne e Kilyan, che si battevano come leoni messi
all’angolo.
«Giù dalla mia nave, bastardi!» continuava a
gridare Kilyan pazzo di rabbia scaraventando di sotto
i nemici che gli capitavano a tiro o passandoli da parte a parte.
Joanne, notoriamente fiduciosa e determinata,
era consapevole che, se non succedeva subito qualcosa, per loro non ci sarebbe
stato alcun futuro.
«Per noi è la fine.» disse vedendo precipitare
l’ennesima nave tra il fumo e le fiamme.
D’un tratto, un marinaio che sull’alto di un
pennone era appena riuscito ad avere miracolosamente la meglio su di un nemico,
alzato lo sguardo vide qualcosa di assolutamente incredibile; sembrava una
specie di nave, ma non assomigliava a nulla che avesse mai visto: era fatta
tutta di metallo, e sopra la chiglia, invece delle vele, aveva una specie di
torre.
«Nave a dritta di babordo!» urlò.
Joanne e Kilyan
sgranarono gli occhi, correndo a vedere nella direzione indicata.
«È lei!» esclamò la donna «È la Valliere!».
L’arrivo della nave fu salutato con un boato
di esultanza da parte degli assediati, che ritrovarono così la voglia di
combattere respingendo con forza i vari abbordaggi.
Sul ponte della Valliere,
Saito e Kaoru assistevano alla difesa stremata dei loro compagni, per fortuna
in parte ancora vivi.
«A quanto pare siamo arrivati in tempo.» disse
Saito
«Non facciamoci prendere dall’entusiasmo.»
tagliò corto Kaoru «La battaglia è appena cominciata».
Anche i floubertiani
restarono senza parole nel veder comparire d’improvviso quella specie di
gigante di metallo, così grande e così imponente da rivaleggiare con le navi
degli elfi, che pure non avevano mai avuto rivali in quanto a dimensioni e
dislocamento.
«E quello che diavolo è?» disse sgomento Solomon.
Anche Fouquet era
preoccupata, e conoscendo i suoi avversari era certa che, qualsiasi cosa fosse
quella nave, di sicuro affondarla non sarebbe stata una cosa da poco.
La Valliere perforò
la sua stessa linea come il burro, piazzandosi tra i due schieramenti e
iniziando a mostrare il fianco, segno evidente della sua intenzione di sparare.
«Non mi faccio sparare! Concentrate gli
attacchi su quella nave! Abbattiamola e facciamola finita!».
Obbedendo all’ordine, tutte le navi nemiche
lasciarono perdere il resto della flotta per concentrarsi sulla nuova arrivata,
puntandovi contro tutti i propri cannoni; data la grande distanza,
probabilmente una sola bordata non sarebbe stata comunque in grado di
danneggiarla in modo significativo, ma in ogni caso si trattava pur sempre di
cento e più cannoni, per di più estremamente potenti.
«I cannoni nemici sono puntati su di noi!»
esclamò uno degli ufficiali «Prepariamo la manovra evasiva!»
«Niente affatto!» ordinò invece Kaoru
«Restiamo immobili! Se ci spostiamo ora, le loro bordate distruggeranno le
altre navi.»
«Ma signore…»
«Questo è un ordine!».
Pur terrorizzati dall’idea di prendere in
pieno una simile bordata, i sottufficiali obbedirono all’ordine, dando ordine
di fermare le macchine e avvisando l’equipaggio di prepararsi all’impatto.
Il boato prodotto dalle navi di Floubert pochi istanti dopo si udì per decine di miglia, e
produsse un fumo tale da saturare completamente il campo di battaglia
annebbiando la vista. La Vallier fu investita da una
vera e propria pioggia di proiettili, talmente violenta da farla tremare fin
nei profondo mandando alcuni gambe all’aria.
Anche Solomon, Floubert e gli altri ufficiali lì presenti si coprirono gli
occhi un momento per il fumo, sicuri che quando li avrebbero riaperti quella
nave gigantesca non ci sarebbe stata più, e lo stesso fecero ugualmente Joanne
e Kilyan, terrorizzati invece dal pensiero che ciò
potesse realmente accadere.
Invece, quando la il fumo prese a diradarsi,
la Valliere era ancora lì, intatta e immacolata; non
un colpo era riuscito a scalfirla, producendo al massimo qualche lieve
ammaccatura.
«No!» esclamò Solomon
«Non è possibile!»
Sul ponte di comando, gli stessi ufficiali
erano senza parole.
«Nessun danno segnalato!» esclamò uno di loro
chiedendo informazioni all’interfono «Lo scafo ha retto!»
«Molto bene.» disse Kaoru «Adesso tocca a noi!
Ordine alle torrette! Puntare su 210!»
«210, ricevuto!».
All’unisono, tutte e tre le torrette trinate
principali della Valliere si mossero a puntare una
delle navi nemiche, che nonostante fosse la più vicina restava comunque ad una
considerevole distanza, molto superiore a quella ricopribile da un normale
cannone umano.
«Signore, non ci avviciniamo un po’ di più?»
chiese un ufficiale
«Non ce ne sarà bisogno».
Il comandante della nave presa di mira,
accortosi di essere al centro del mirino, non parve preoccuparsi più di tanto,
sentendo di essere a distanza di sicurezza.
«Ma a che diavolo stanno giocando?» si domandò
guardando con il suo cannocchiale.
Di colpo, un bagliore accecante gli portò via
la vista, mentre un fumo mille volte più denso del precedente compariva
all’improvviso davanti ai cannoni nemici, preceduto da un rombo talmente forte
da sembrare un lamento infernale.
La nave in questione fu come sventrata, e
sotto gli occhi sgomenti di nemici alleati esplose come un gigantesco pallone,
lasciando dietro di sé solo rottami fumanti che precipitarono inerti sul mare.
Tra gli assalitori calò un silenzio
raggelante, rotto dopo qualche istante da nuove, assordanti urla di gioia
dell’esercito di Grasse, ammaliato da una tale dimostrazione di forza.
«Bersaglio annientato!» disse l’ufficiale col
binocolo, e a quel punto anche sul ponte esplose la festa
«Non perdiamoci in bagordi.» sentenziò Saito
«La battaglia è solo all’inizio!».
In realtà Saito sperava che questa
dimostrazione di forza fosse sufficiente per convincere l’esercito di Floubert a fare dietrofront e rinunciare alla battaglia, ma
Solomon, pur sconvolto per ciò che aveva visto, era
troppo testardo ed orgoglioso per ammettere la propria sconfitta.
«Continuate ad attaccare! Non sognatevi
nemmeno di arretrare!» urlò quando vide le navi della sua flotta accennare un
ripiegamento
«Ma…signore…» si sforzò di protestare il suo secondo «Quella
nave è invincibile!»
«Niente è invincibile in questo mondo! E poi
sono da soli! Noi siamo molti di più! Colpi teli con tutto quello che abbiamo!
Voglio vederli precipitare tra le fiamme!».
Stavolta, onde evitare rischi inutili, Kaoru
diede ordine di avviare una manovra evasiva per schivare le successive bordate,
anche perché ormai il resto della flotta alleata si era già portata a distanza
di sicurezza e non necessitava più di venire protetta.
«Maledetti idioti.» ringhiò il ragazzo, deluso
quanto Saito «Non capiscono che è tutto inutile? D’accordo, se è così che la mettono… ricaricare le torrette!»
«Riarmo in atto, signore!»
«Draghi nemici in arrivo!» gridò uno
«Tutte le unità alla contraerea! Teneteli
lontani!».
A bordo della nave riecheggiò una sirena, e
immediatamente tutti i soldati preposti alle armi contraeree si affrettarono a
raggiungere le mitragliatrici e le torrette laterali, prendendo a sputare
raffiche di fuoco e proiettili contro i draghi nemici abbattendoli come tanti
insetti.
Alcuni draghi riuscirono a sputare qualche
palla di fuoco, facilmente respinta dalla corazzatura esterna, altri prima di
essere abbattuti fecero in tempo a sganciare i propri cassoni pieni di truppe,
ma i soldati al loro interno trovarono ad attenderli una brutta sorpresa.
Nelle stive della nave, oltre ai tre aerei,
alle munizioni e a varie altre cose, Saito e Kaoru avevano ritrovato anche un
deposito munizioni ed armamenti ancora intatto, con abbastanza mitragliatrici,
fucili e pistole da armare mezzo equipaggio.
I soldati di Floubert
fecero appena in tempo a mettere piede sul ponte della nave, che vennero subito
crivellati dai proiettili delle armi brandite dai marinai della Vallere, di gran lunga più potenti e pericolose dei
rudimentali moschetti che circolavano ad Halkengina.
Intanto le altre navi della flotta,
galvanizzate da una ritrovata superiorità, avevano deciso di riunirsi alla
battaglia, dando il loro contributo, per quanto esiguo, alla sconfitta del
nemico; c’era la sensazione che se fossero riusciti a respingere l’attacco dei
draghi, la flotta di Floubert si sarebbe ritirata
anche a costo di disobbedire agli ordini di Solomon.
Anche il White Dragon partecipava allo
scontro, ma forse per caso, forse proprio per volontà degli aggressori,
l’attacco nemico sull’ammiraglia era particolarmente pressante, al punto che si
faticava a respingerlo.
All’improvviso, l’imprevedibile.
Un drago abbattuto e morente, subito prima di
esalare l’ultimo respiro, fece in tempo a lanciare un’ultima palla di fuoco,
che disgraziatamente andò a centrare proprio il timone della White Dragon
distruggendolo completamente.
«Signore, il timone è in avaria!» gridò il
timoniere tentando inutilmente di manovrare «Non governiamo più!».
La nave era inesorabilmente in balia delle
correnti, e disgraziatamente le correnti la stavano sospingendo proprio in
bocca al nemico, mentre l’assalto furioso dei cavalieri dei draghi non
accennava a diminuire.
Dal ponte della Valliere,
Saito si accorse che l’ammiraglia stava uscendo dalla formazione.
«Che stanno facendo laggiù?».
Kaoru, preoccupato, prese il binocolo per
guardare meglio, accorgendosi con grande terrore del timone distrutto, e della
bandiera di avaria issata sul pennone di poppa.
«Dannazione!» gridò, e senza dire altro corse
fuori dalla plancia «Saito, prendi tu il comando!»
«Aspetta, dove vai?».
Correndo il più velocemente possibile il
ragazzo raggiunse la catapulta di lancio, infilandosi a bordo dell’idrovolante
e ordinando agli addetti di aiutarlo a decollare.
«Presto, fate girare la piattaforma!».
Mentre alcuni marinai armeggiavano alla
piattaforma per farla ruotare, un altro girava incessantemente l’elica per
cercare di mettere in moto il veicolo, che forse a causa dell’età e del
lunghissimo periodo di stop non voleva saperne di mettersi in moto.
Al quinto tentativo, finalmente, il motore
prese a cantare, e ad un cenno del ragazzo i marinai prima girarono la
catapulta e poi spararono lanciando l’aereo nell’aria.
Nonostante gli anni sulle spalle il velivolo
si lasciava pilotare abbastanza bene, e grazie al potere di Gandalfr Kaoru
riusciva a maneggiarlo con una certa abilità.
«Posso sapere cos’hai in mente?» chiese Derf
«Tu che cosa dici?» replicò Kaoru puntando
dritto verso il White Dragon.
L’idrovolante aveva due mitragliatrici, di cui
una al posto di guida che sparava tra le pale dell’elica, caricate con
proiettili ad alta penetrazione, adatti a trapassare la corazzatura dei mezzi blindati… o la pelle spessa di un drago.
Come prima cosa Kaoru fece in modo di farsi
notare, disturbando i cavalieri nemici con azioni di interferenza, quindi, una
volta attirata la loro attenzione, cercava di portarli lontano, sorprendendoli
dall’alto con una manovra di avvitamento per poi abbatterli con alcuni colpi
ben piazzati alle ali e alla testa.
«Certo che tu non ci vai leggero.» commentò Derf vedendo come il giovane colpisse senza porsi alcun
tipo di freno.
Quella era una cosa che lui andava ripetendo
spesso.
Lui non era come Saito e Louise; se c’era da
uccidere, e se uccidere era l’unica soluzione, allora era più che pronto e
disposto a farlo.
Grazie all’agilità e alla manovrabilità
dell’idrovolante Kaoru riuscì ad abbattere un certo numero di draghi, ma il
vero problema restavano le correnti, che sospingevano il White Dragon sempre
più vicino alle navi nemiche.
La Valliere, una
volta che Saito si era reso conto di cosa stava accadendo, aveva immediatamente
acceso i motori per raggiungere la nave in avaria offrendole aiuto, ma era a
quasi due miglia di distanza, e a motori fermi ne sarebbe servito di tempo per
raggiungere la spinta propulsiva necessaria.
«Maledizione, non finiscono mai.» mugugnò
Kaoru continuando a vedersi venire contro nugoli di draghi inferociti.
E alla fine, purtroppo, anche la sua fortuna
si esaurì, quando un drago riuscì a colpire l’ala sinistra mandando l’aereo in
fiamme e rendendolo ingovernabile.
Immediatamente il velivolo andò in stallo,
nonostante i danni non fossero così grave da farlo precipitare di botto,
iniziando subito a cadere come un meteorite verso il mare.
«E dai, riparti, stramaledetto!» continuava ad
imprecare Kaoru tentando di rimetterlo in modo.
Joanne, Kilyan e
Saito assistettero impotenti, pregando in cuor loro che non fosse vero, e che
il loro amico sarebbe riuscito, come al solito, a cavarsela in qualche modo.
Joanne in particolare chiamò a se Hotarubi, che quando doveva starle accanto aveva imparato
ad assumere, oltre ad un aspetto umano, anche quello di una normale volpe
bianca, e balzatale in groppa come ebbe preso la sua vera forma assieme a lei
si lanciò verso il basso, sperando di arrivare in tempo per aiutare Kaoru.
Nell’abitacolo, il ragazzo continuava senza
sosta a spingere l’accensione di emergenza per far ripartire il motore; non si
preoccupava dell’angolazione, o di cercare di raddrizzarlo: a quella velocità,
se avesse anche solo sfiorato la superficie del mare sarebbe finito
disintegrato in meno di un secondo.
Quando ormai era sceso al punto si riuscire a
distinguere le pinne dei pesci, finalmente, il motore d’improvviso si rimise in
moto, l’elica ricominciò a girare vorticosamente e lui riuscì a risalire un
attimo prima di finire spiaccicato in acqua.
«Ci è andata davvero di lusso, stavolta.»
disse Derf mentre risalivano
«In ogni caso» disse Kaoru guardando l’ala
disastrata, ed accorgendosi di quanta fatica facesse a tenerlo «Non credo
durerà ancora a lungo.»
«E allora che vuoi fare? Ritirarti?».
Il ragazzo guardò verso l’alto: proprio sotto
di lui, circondata dalle altre sue navi, c’era l’ammiraglia di Floubert, ben riconoscibile dal gigantesco stemma delle
isole impresso sulla fusoliera.
«No. Ho un’idea migliore. Facciamo finire
questa dannata battaglia.»
«Lo sai, vero, che stavolta potresti crepare
sul serio?» replicò Derf intuendo cosa il suo compare
volesse fare
«Può darsi. Staremo a vedere».
In quella, Joanne gli si affiancò.
«Kaoru! Per fortuna sei ancora tutto intero!»
«Tempismo perfetto! Stai pronta a
raccogliermi!»
«Raccoglierti!? Ma cosa…»
ma il ragazzo se n’era già andato.
Avvicinare l’ammiraglia, come qualsiasi altra
nave di quel tipo, con un aereo così piccolo e fragile dall’alto o dal fianco
era un suicidio, ma dalla chiglia doveva essere ancora possibile.
Spingendo il motore fino a farlo scricchiolare
e fumare, Kaoru viaggiò a tutta velocità verso l’alto, scivolando tra fumo,
fuoco e proiettili fino a raggiungere e sovrastare l’ammiraglia.
«E quello che cos’è?» ringhiò Solomon vedendo quella specie di uccello gigantesco
comparire dal nulla.
Poi, però, il governatore, Fouquet
e tutti gli altri videro proprio quell’uccello volargli dritto contro, come se
avesse deciso di schiantarsi sul ponte principale.
«Che diavolo vuole fare? Abbattetelo!».
I cannoncini e le altre armi da fuoco presenti
sul ponte panoramico, oltre ai maghi lì presenti, cercarono di abbattere la
minaccia scaricandole addosso tutto quello che avevano, ma pur riuscendo a
colpirlo di striscio mentre si muoveva a destra e a sinistra non furono in
grado di impedirne l’inarrestabile discesa.
Intanto nell’abitacolo, Kaoru stava finendo di
bloccare la cloche usando i lacci delle proprie scarpe, e quando fu sicura sia
di aver fatto sia di avere il ponte ancora al centro del mirino, senza timore
abbandonò l’aereo e si gettò nel vuoto, sicuro che qualcuno lo avrebbe
recuperato.
I generali di Solomon
videro quella specie di mostro continuare a puntare dritto su di loro; ormai
era vicinissimo, quindi, incuranti degli ordini e della rabbia del loro
superiore, se la diedero a gambe accalcandosi attorno alla porta che conduceva
sottocoperta.
«Dove andate vigliacchi?» gridò Solomon pazzo di rabbia.
Anche Fouquet, però,
non aveva alcuna intenzione di restare lì un secondo di più, ma a differenza
degli altri preferì essere assolutamente sicura di uscirne viva e si gettò di
sotto, usando una serie di rudimentali materassi di vento in sequenza per
riuscire ad atterrare in mare sostanzialmente incolume, aggrappandosi subito ad
un rottame galleggiante.
Ormai, per Solomon
era la fine.
«Maledetti!» ringhiò vedendo l’uccello gigante
ormai sul punto di travolgerlo «Maledetti tristeniani!».
Un secondo dopo, l’aereo centrò in pieno il
ponte della nave; fosse era colpa della costruzione affrettata, forse quelle
navi erano meno solide di quanto ci si potesse aspettare, fatto sta che il
velivolo riuscì a sfondare le assi del ponte penetrò nel cuore del vascello
come il pungiglione di una zanzara, esplodendo al suo interno e sventrando
letteralmente la nave dal suo interno.
L’ammiraglia fu come dilaniata da dentro,
spaccandosi, incrinandosi e riempiendosi di squarci per poi precipitare avvolta
dalle fiamme tra le esclamazioni di gioia dei soldati di Grasse.
Quanto a Kaoru, in qualche modo se l’era
cavata; si era gettato dall’aereo prima che Joanne lo avesse raggiunto, ma Hotarubi era riuscita lo stesso a recuperarlo afferrandolo
al volo con una delle sue code.
«Avevi ragione, Derf.»
disse tirando un sospiro di sollievo «Questa volta ci siamo andati davvero
vicini.»
«Già. Ma ti prego, non farlo più».
Con l’ammiraglia affondata, il loro comandante
morto, e con quella gigantesca nave d’acciaio come avversario, il resto della
flotta di Floubert non ebbe altra scelta che
arrendersi, e una bandiera bianca fu presto issata sui pennoni delle navi restanti,
dando il via a nuove, assordanti grida di gioia e di esultanza.
Anche Saito non riusciva a crederci.
In qualche modo, chissà come, avevano vinto. Ancora
una volta, la fortuna e la speranza erano state dalla loro parte.
Quando poi Hotarubi
riportò Kaoru a bordo della Valliere, il ragazzo fu
salutato come un eroe; per merito suo era stata evitata una lunga ed inutile
battaglia, che avrebbe significato sicuramente la perdita di molte altre vite.
Anche Saito venne a salutarlo e a
ringraziarlo.
«Non c’è che dire.» disse stringendogli la mano
«Hai sette vite come i gatti.»
«Così sembrerebbe».
Poco dopo la flotta vincitrice, ulteriormente
arricchita dalle navi nemiche catturate, fece nuovamente vela verso la costa di
Tristain, osservata dalla superficie del mare da Floubert,
più contrariata e infuriata che mai.
«Aspettate e vedrete, maledetti.» disse a
denti stretti «Prima o poi la vostra fortuna finirà».
Nota dell’Autore
Salve a tutti!^_^
L’altra volta mi sono
dimenticato di mettere la nota, ma rimedio ora con questa.
Anzitutto sì, sono
tornato. Come ho già scritto ai miei recensori, mi sono voluto prendere una
certa pausa riflessiva, sia per radunare ed affinare le idee per questa fiction
sia per dedicarmi ad un’altra, facente parte di un progetto più grande e questo
destinata ad avere un po’ di precedenza.
Noterete che questi
nuovi capitolo sono decisamente più brevi di quelli a cui vi avevo abituati.
Questa è la prima
novità; ho deciso che bisogna essere più concisi. Più pagine significano più
tempo per doverle leggere, cosa che alla lunga rischia di scoraggiare i
lettori.
Le altre novità sono a
livello di trama, ma verranno spiegate e raccontate più avanti.
A
nord-est di Tristain c’era una costruzione, una fortezza, eretta nell’unico e
più vasto valico dell’immensa catena montuosa che correva lungo il confine tra
con Germania.
Si chiamava Château de Le Clerc,
dal nome della locale famiglia di feudatari, ma tutti nella regione lo
chiamavano semplicemente Il Vallo. Perché questo era; una enorme barricata che
correva da sponda a sponda, come una specie di gigantesca diga, eretta a
presidio della principale via di comunicazione tra le due nazioni, il cui scopo
originario era quello di proteggere e sorvegliare gli scambi commerciali, ma
che, ormai, era diventata l’unica barriera in grado di assicurare la difesa di
Tristain, o di quanto restava di essa.
I rapporti tra Germania e Tristain non erano
mai stati particolarmente idilliaci, anche se negli ultimi anni la situazione
era un po’ migliorata, ma ora che il Paese era devastato dalla guerra civile, e
che anche la casa reale teutonica stava faticando a mantenere il controllo
sulle numerose province che costituivano il suo vasto territorio, era forte il
timore che Germania potesse tentare di approfittare della situazione per
cercare di assoggettare una nazione spaccata e vulnerabile.
Proprio per questo motivo, la famiglia Le Clerc era stata l’unica che, come in un tacito accordo tra
tutti gli altri potenti di Tristain, era stata lasciata al di fuori del
conflitto, perché potesse continuare a svolgere indisturbata il proprio dovere
di protettrice della sovranità nazionale.
A Germania, però, la situazione di caos a
Tristain era ormai cosa nota, così come in tutta Halkengina,
e più volte il Vallo era stato oggetto di assalti da parti di gruppi di spie o
incursori inviati da chissà quale kaiser tedesco per scoprire meglio cosa stava
accadendo oltre il confine.
Ma non era facile avere ragione delle guardie
di confine che abitavano la fortezza, uomini duri e aspri, temprati dal freddo
e dall’acciaio, proprio come il loro comandante, il capitano di brigata granduchessa
Angela LeClerc.
I suoi genitori non avrebbero potuto scegliere
per lei un nome più sbagliato; è vero che, fisicamente, poteva apparire come
una giovane di rara bellezza, con quei lunghi capelli biondo paglierino, quei
profondi occhi viola nascosti da un paio di occhiali, quella pelle candida e
quel viso austero ma grazioso, ma in realtà quella era una tigre travestita da
gatto.
Due sole cose contavano per lei; la salvezza
dello stato e quella dei suoi uomini. Tutto il resto era secondario; ma perché
considerasse i suoi uomini veramente suoi, questi dovevano andare al di là dei
comuni soldati di confine: dovevano essere dei combattenti nati, rudi e
temprati dalle fatiche, mai soggetti a lamentela alcuna e fermamente motivati
nel proprio dovere.
Gli uomini a guardia della fortezza che il
fratello Pierre, legittimo capo della famiglia dopo la morte dei genitori, le
aveva affidato, li aveva scelti tutti lei, personalmente, e questi ormai la
consideravano più importante e degna di rispetto persino della loro madre.
E con un simile drappello di inflessibili ed
efficientissime guardie di confine, chi o che cosa avrebbe mai potuto valicare
l’inviolabile limite del Vallo?
Nel fitto dell’inverno, con tempeste di neve a
spazzare impietosamente le montagne, il Vallo appariva in lontananza come una
enorme ed inquietante costruzione nera, un muro oltre il quale era impossibile
andare.
Sul tetto, e sulle numerose terrazze che si
intervallavano ad altezze regolari, soldati amati e ben coperti da pesanti
cappotti montavano la guardia archibugi alla mano, pronti a sparare al minimo
segnale di pericolo.
Ma nelle notti come quella, era facile per
delle spie e degli assaltatori ben addestrati riuscire a violare quella
barriera altrimenti inespugnabile.
Erano passate da poco le dieci di sera, l’ora
del cambio della guardia, quando uno dei soldati che pattugliavano la terrazza
del livello tre ebbe l’impressione di scorgere qualcosa con la coda
dell’occhio, mentre camminava lungo la terrazza che dava oltre il confine, verso
le sterminate foreste di Germania.
Incuriosito, ma non troppo convinto di aver
visto bene, si affacciò un momento, salvo tornare subito sui suoi passi una
volta sicuro che non vi fosse niente di sospetto; se solo fosse stato un po’
più attento, e avesse rivolto lo sguardo anche in alto oltre che in basso, si
sarebbe sicuramente accorto di tre figure avvolte in lunghi mantelli scuri e i
volti nascosti dai cappucci che, come ragni sulla tela, restavano attaccati
alle mura ghiacciate e scivolose del castello, perfettamente immobili.
Attesero che la guardia tornasse sui suoi
passi, quindi uno dei tre fece un cenno ai suoi compagni, coi quali riprese a
salire.
Una volta giunti in cima, si issarono non
visti sulla balconata, e silenziosi come spettri si infilarono all’interno
dell’edificio; avrebbero potuto tentare semplicemente di scendere dal lato
opposto, affacciato sul territorio di Tristain, ma temendo forse il vento
contro, che avrebbe reso problematica la discesa, preferirono invece tentare la
sorte dentro, alla ricerca di un punto di uscita più abbordabile.
Purtroppo, la scelta si rivelò infelice.
Erano riusciti a scendere già di tre livelli,
e stavano dirigendosi verso l’uscita, quando per puro caso un soldato si
ritrovò senza volerlo faccia a faccia con loro uscendo dal gabinetto.
Lo stesero senza difficoltà, ma dal suo
archibugio partì accidentalmente un colpo che fu sentito praticamente in tutto
il castello, funzionando meglio di un allarme.
Guardie e soldati arrivarono da ogni dove, ma
benché circondate le tre spie, stranamente, invece che combattere preferirono
fuggire, scappando in varie direzioni e separandosi.
Una di loro, la più agile delle tre,
camminando letteralmente sul soffitto, da far venire invidia ad un maestro di parkour, arrivò fino nel refettorio del secondo piano, ma
una volta che vi fu arrivata le guardie ce la rinchiusero dentro sbarrando
tutte le uscite, e lei a quel punto non ebbe altra scelta che arrendersi.
Un’altra, una vera furia scatenata, prese a
correre per i corridoi agitando un bastone a destra e a manca, forte di
un’abilità nel bojutsu quasi fuori dal comune, ma
anche per lei giunse il momento di gettare la spugna quando, soverchiata e
assalita da ogni parte, venne praticamente sommersa da una massa di guardie che
dopo averla immobilizzata la legarono ben bene rendendola innocua.
La cosa incredibile fu che, togliendo loro il
cappuccio, le guardie si ritrovarono davanti a due giovani ragazze,
probabilmente appena ventenni; la prima aveva capelli color vino abbastanza
corti, due occhi vispi come la sua agilità, e un atteggiamento un po’
infantile, la seconda invece era una specie di tigre in gabbia, occhi gialli
sprezzanti a una lunga e fluente chioma blu, raccolta sopra la nuca in una
setosa coda di cavallo che scendeva fino alle ginocchia.
Mentre veniva dato l’allarme, e in tutto il
castello scattava la caccia agli intrusi, nella sua stanza il comandante LeClerc, da integerrima e sempre presente ufficiale quale
era, pur venendo tirata giù dal letto si sistemò in fretta, rinchiudendosi
nella sua divisa da ufficiale, recuperò la spada, quindi uscì all’esterno, dove
l’attendeva il suo fedelissimo servitore, un vecchio maggiordomo sulla
settantina di nome Victor, capelli laccati neri raccolti in un codino
all’inglese, piccoli occhiali da vista e un viso scavato dalle rughe.
«Mi scusi per l’inconveniente, signorina.» le
disse rispettosamente accodandosi a lei
«Che è successo?»
«Tre intrusi giunti da Germania. Due li
abbiamo già catturati, il terzo è ancora latitante.»
«Non deve uscire per nessun motivo da questo castello.
Trovatelo.»
«Sarà fatto».
L’ultimo fuggitivo infatti stava rivelandosi
più coriaceo degli altri due; in particolare, a differenza delle sue compagne,
quest’ultimo aveva dimostrato di essere uno stregone, cosa che lo rendeva
difficilmente affrontabile dai comuni soldati, per quanto numerosi potessero
essere.
Aprendosi la strada a forza di palle di fuoco
e bombe di aria rovente, per fortuna o per precisa volontà senza provocare
vittime o contusi particolarmente gravi, la terza spia arrivò fino all’androne
principale del castello, con solo il portone ed il largo fossato a dividerla
dalle verdeggianti campagne di Tristain.
Era quasi sul punto di averla vinta, quando
d’improvviso un’ombra minacciosa la sovrastò saltando giù dalla grande
balconata che dominava la sala; rotolando, si spostò appena in tempo per
evitare un affondo di spada che altrimenti non le avrebbe lasciato scampo.
Angela poteva non essere uno stregone di
talento, e infatti non aveva mai frequentato una scuola di magia per sua
esplicita volontà, ma in tutta Tristain, per non dire in tutta Halkengina, non erano molti quelli che potevano dire di
aver vinto un duello al fioretto contro di lei.
Forse capendo di avere di fronte un avversario
di un altro livello rispetto a quelli incontrati finora, la spia si mise
sull’attenti preparandosi al combattimento, mentre di contro Angela fece segno
ai suoi soldati, che avrebbero voluto aiutarla, di stare indietro.
«Statene fuori. Non è cosa per voi».
La spia sfoderò la sua bacchetta magica, e per
interminabili secondi i due avversari stettero a fissarsi mentre attorno a loro
calava il silenzio.
Poi, l’assalto.
Angela colpì per prima, cercando subito
l’affondo risolutivo, ma l’avversario si rivelò più agile del previsto e per lungo
tempo riuscì a schivare bene tutti i colpi, senza tuttavia cercare in qualche
modo di rispondere a tono, quasi avesse paura di fare del male al capitano.
Questo però fu solo per i primi secondi,
perché dopo anche la spia, forse rendendosi conto che Angela aveva tutte le
intenzioni di vincere, decise di fare sul serio, scagliando colpi di fuoco a
ripetizione ogni volta che poteva; ma anche il capitano era agile, come ci si
aspetterebbe da una maestra del fioretto, e anche quando non riusciva a schivare
i globi incandescenti le bastava infilzarli o comunque colpirli con la sua
spada, che in realtà era la sua personale bacchetta magica: non possedeva
l’abilità di scagliare incantesimi, ma era fatta di un materiale speciale che
di contro annullava quelli che le venivano scagliati contro, e che, oltretutto,
se usata per ferire uno stregone, anche solo di striscio, poteva indebolirlo in
modo non indifferente.
«Quindi.» disse la spia in una aggraziata e
suadente voce femminile «È vero quello che si diceva, che lei era una
campionessa di scherma.»
«Ero!?» replicò Angela «Lo sono ancora
adesso!».
La spia si ritrovò ben presto in condizione di
acceso svantaggio, perché al di fuori delle sue indubbie capacità nella magia
del fuoco erano pochi gli assi che poteva calare per opporsi ad una maestra di
spada come il capitano.
A quel punto, fu il momento di chiudere la
partita.
Per ogni incantesimo che aveva disperso o
parato, lo stocco del capitano LeClerc ne aveva
assorbito una parte del potere, e questo gli aveva permesso di incamerare
abbastanza energia da scagliare l’unico sortilegio che Angela conosceva.
La lama lunga e sottile prese a brillare di
una luce biancastra, ed il capitano prese a lanciare un affondo dietro l’altro,
ad una velocità quasi inconcepibile per un essere umano.
MIRAGE SLASH!
Ad ogni
colpo si generavano piccole frecce luminose, che come tante punte di freccia
volarono in direzione della spia colpendola in più punti. Nessuna punta ferì il
bersaglio, visto che Angela voleva prenderla viva, limitandosi a lacerare il
mantello in più punti facendolo a brandelli. E ad ogni lembo che cadeva, agli
occhi del capitano e dei suoi uomini andarono delineandosi i lineamenti di una
bellezza quasi etnica, pelle scura d’ebano, occhi vispi color tramonto, labbra piccole
e maliziose e, in ultimo, una lunga e fluente chioma rosso brillante, un vero
spettacolo per gli occhi.
Messa a nudo, e comprendendo di essere in
svantaggio, la spia piegò le labbra in un enigmatico sorriso, quindi alzò le
braccia in segno di resa.
«D’accordo, mi arrendo».
Nonostante ciò, il capitano non era
tranquillo; a ben guardare, quella ragazza era indubbiamente una strega di
grande talento, e sconfiggerla era stato fin troppo facile. Come se farsi
catturare fosse stato proprio il suo obiettivo.
«Che cosa vuoi?» le domandò perentoria
«Vedere una persona, col vostro permesso.»
rispose lei facendo l’occhiolino.
Il
White Dragon calò l’ancora ed approdò sull’eliporto sul tetto della fortezza.
La vista era bella da togliere il respiro. Ora
che la tempesta era passata, e l’aria si era ripulita, le montagne tutto
attorno svettavano in tutta la loro imponenza e magnificenza.
Saito e Louise si erano rinchiusi in pesanti
cappotti foderati di pelo per combattere il freddo pungente, e come scesero
dalla nave trovarono la duchessa Angela ed il suo attendente Victor ad
attendere il loro arrivo.
«Lord Hiraga. Miss Valliere. Piacere di conoscervi.»
«Piacere nostro, capitano.» disse Saito
stringendole la mano
«Beh… benvenuti a LeClerc. Questo è il confine del mondo.»
«Avevo sentito parlare tante volte di questo
castello.» disse Louise meravigliata guardandosi intorno «Ma vederlo così da
vicino lo fa sembrare ancora più incredibile.»
«Mi dispiace avervi fatto accorrere qui con
così poco preavviso. Immagino che anche per voi le cose non vadano troppo
bene.»
«Non c’è problema.» rispose Saito «Abbiamo
lasciato tutto in mano al generale del nostro esercito. Con lui non c’è niente
da temere.»
«Il fatto è che il prigioniero ha chiesto
insistentemente di poter parlare con voi. Afferma di avere notizie molto
importanti da Germania, ma di avere ordine preciso di comunicarle solo a voi.»
«D’accordo. Allora vediamolo».
Angela condusse allora Saito e Louise nelle
celle sotterranee dove aveva fatto accomodare le sue tre inattese ospiti, una
per ogni cella tanto per essere sicuri.
Quando arrivarono, la prigioniera era distesa
sulla branda impegnata in uno scomodo riposino, ma sia a Saito che a Louise
bastò vedere il provocante profilo del corpo e la lunga chioma rossa per capire
di chi dovesse trattarsi.
«I tuoi ospiti sono arrivati.» disse Angela
battendo sulle sbarre.
Un secondo dopo, Saito era stretto nella morsa
letale di due braccia d’acciaio, con la fronte appoggiata alle sbarre e la
faccia affondata tra due enormi seni.
«Darling! Quanto tempo è passato!»
«Ki…Kirche!?» disse lui cercando di liberarsi
«Lascialo andare subito, maniaca di una
strega!» sbraitò inviperita Louise «Lui è mio marito.»
«Eddaichibi-Louise, non essere così egoista. Non ci vediamo da
due anni, lasciami godere almeno un po’.»
«Ho detto lascialo!».
L’Explosion che
seguì fu la prova che Louise aveva ormai del tutto recuperato i propri poteri,
e dal canto suo Saito non avrebbe potuto esserne più infelice.
«Mi… mi mancava
questa sensazione.» balbettò Kirche, che era stata
sparata fino all’altro capo della cella.
Poi, fu il momento di farsi seri, e la prima a
farlo fu, incredibilmente, la stessa Kirche.
«Ho bisogno di parlarvi. È molto urgente.»
«Che è successo?» domandò Louise, calmatasi
anche lei
«Riguarda l’ambasciatore Orland.»
«L’ambasciatore?» disse Saito «Lo conosco. È
anche imparentato alla lontana con Louise. È una bravissima persona.»
«È stato lui a mandarmi. Ha bisogno del vostro
aiuto.»
«Il nostro aiuto!?».
Di fronte a quella rivelazione Kirche fu fatta uscire, e così anche le sue due amiche, la
rossa Morea e la turchese Silvye,
quindi tutti si spostarono in un salottino appartato dove avrebbero potuto
conversare senza essere uditi da orecchie indiscrete.
C’era anche Angela, invitata speciale in quanto
signora del castello e guardiana dei confini nazionali.
Prima ancora che iniziasse il discorso, però,
Saito notò su di sé una strana atmosfera.
«Ma che cosa gli ho fatto?» si domandò un po’
spaventato vedendo le due amiche di Kirche che lo
fissavano in modo assai minaccioso, ma a tratti quasi tragicomico.
«Perdonale.» minimizzò Kirche
«Non farci caso. Sono le guardie del corpo della mia famiglia.»
«Come è possibile che Kirche-sama
si sia innamorata di questo sgorbietto?» domandò Silvye
«Imperdonabile.» disse di rimando Morea
«Allora, Kirche.»
tagliò corto invece Louise «Cosa intendevi prima parlando dell’ambasciatore?».
A quel punto allora anche la conturbante
germanica si rifece seria.
«Ho saputo quello che sta accadendo
attualmente a Tristain, e mi dispiace.» iniziò a spiegare «Ma anche a Germania
in questo momento le cose non vanno troppo bene.
I conflitti interni del vostro Paese hanno
iniziato a diffondersi anche nel mio. Da qualche tempo la capitale non è più
sicura, e già da qualche mese l’ambasciatore Orland
si è trasferito a vivere nella sua seconda residenza germanica a Wastulf, una trentina di miglia a est del confine con
Tristain. Il Land di Wastulf
confina con quello di Gloichenau, retto da lord Eichart, e tra i due non è mai corso buon sangue.
Recentemente, però, le cose sono anche
peggiorate.»
«Che cosa vuoi dire?» domandò Saito
«Voi conoscete l’ambasciatore meglio di me.
Sapete quanto sia inflessibile e dedito all’onestà. Diverso tempo fa ha
scoperto che Eichart ha approfittato dell’instabilità
politica per accumulare illegalmente ingenti ricchezze contrabbandando armi con
Tristain e rubando sulle tasse del suo Land.»
«Ha scoperto che il lord è corrotto!?»
«Prima che avesse inizio tutto questo lord Eichart era stato pubblicamente accusato di vari atti
criminali, e stava per essere processato. Ma poi al nord alcuni feudi hanno
dato il via ad una ribellione e il kaiser è dovuto partire per sedarla.
L’ambasciatore non si è sentito al sicuro,
così ha cercato di rientrare a Tristain fino a che le acque non si fossero
calmate, ma appena arrivato a Wastulf il land è stato occupato dalle truppe di Eichart,
e ora Orland è bloccato nella sua residenza in
città.»
«Intelligente questo Eichart.»
commentò Angela «Approfitta della situazione per sbarazzarsi del suo
accusatore.»
«In queste ultime settimane Eichart è riuscito a rivolgere la situazione a proprio
vantaggio, accusando Orland dei crimini da lui stesso
commessi, e quello che è peggio è che la popolazione ha iniziato a credergli.
Il signore di Wastulf è già scappato, e anche se per
ora i soldati dell’ambasciatore continuano a difendere il suo palazzo non
passerà molto prima che Eichart riesca a convincere
la folla ad assaltarlo.»
«Ma noi che cosa dovremmo fare?» chiese Louise
«Tu sei una maestra del vuoto, Louise. Abbiamo
visto tutti di che cosa sei capace. Non potresti aprire un portale per portare
in salvo l’ambasciatore? Questo è l’unico modo che abbiamo per essere sicuri di
poterlo salvare».
I due sposi abbassarono il capo, affranti e
mortificati. Kirche si preoccupò non poco.
«Che succede.»
«Ecco…veramente…».
Louise non ebbe altra scelta che spiegare
tutto; il fatto di essere incinta, la perdita dei poteri, e un ritorno al pieno
potenziale che come tutti sapevano non si sarebbe verificato tanto presto.
Kirche restò di
sasso.
«Non ci posso credere!» esclamò a racconto
finito «Proprio in questo schifo di momento!»
«Ho recuperato buona parte dei miei poteri.»
disse mortificata Louise «Ma solo dopo il parto torneranno al cento per cento,
e mi serve tutta la mia magia per poter aprire un portale.»
«Maledizione.» mugugnò Morea
«Dopo tutta la fatica fatta per arrivare fin qui.»
«Moera non ha torto,
Kiche-sama.» disse Silvye
«E ora che cosa facciamo?»
«Non ne ho idea.» rispose lei visibilmente
provata.
La risposta a quella domanda, invece, Saito la
conosceva già.
«Quanto ci si impiegherebbe da qui a
raggiungere Wastulf?» domandò con convinzione.
Kirke lo guardò
perplessa.
«Circa tre giorni, andando a passo spedito.»
«Che cos’hai in mente, Saito?» chiese Louise,
che in realtà conosceva già la risposta.
Saito guardò tutti molto severamente, e per
ultima Kirche, che restò allibita.
«L’ambasciatore è un mio amico, e anche non lo
fosse non esiste che io lo abbandoni laggiù condannandolo a morte.» quindi disse
risoluto «Andiamo a prenderlo. Lo porteremo fuori».
Tutti restarono di sasso. Fu Angela a spegnere
per prima gli entusiasmi.
«Col dovuto rispetto, lord Hiraga,
ma è un suicidio. Ci sono trenta miglia da qui a Wustalf,
trenta miglia di foreste sterminate e piene di pericoli. Per non parlare del
fatto che lord Eichart non starà certo a guardare, e
che farà quanto è in suo potere per impedire all’ambasciatore Orland di lasciare vivo Germania.»
«Forse. Ma non sarà mai così folle da
scagliarsi contro il Vallo. Questa muraglia impressionerebbe chiunque, e lui da
solo non ha i mezzi per espugnarla. Se riusciamo a portare qui l’ambasciatore
lo abbiamo salvato.»
«Ma Saito.» disse Kirche
«Sono oltre sessanta miglia di viaggio. E Wustalf in
questo momento non è in condizioni migliori di Tristain. Ci sono più tagliagole
che contadini.»
«E voi vorreste lasciare l’ambasciatore Orland in balia dei suoi nemici?» domandò severamente il
ragazzo.
Tutti abbassarono gli occhi timorosi e
indecisi.
«Se non per l’amicizia.» disse Saito
rivolgendosi in particolare a Louise e Angela «Almeno per quanto l’ambasciatore
ha fatto per assicurare la pace e l’alleanza tra Tristain e Germania, abbiamo
il dovere di fare qualcosa per tentare di salvarlo.»
«Saito ha ragione.» disse Louise riacquistando
sicurezza «E poi l’ambasciatore è un mio parente. Ho il dovere di aiutarlo».
Di fronte alla determinazione dei due ragazzi,
anche Kirche e le sue due amiche riacquistarono
rapidamente la propria.
«Ben detto. Non sia mai che la dia vinta a
quel porco corrotto di Eichart. E poi, non posso
certo far mancare il mio aiuto al mio darling quando
ne ha più bisogno.»
«Vi rendete conto di quanto possa essere
pericoloso?» chiese Angela, che di tutti era sicuramente la più materialista
«Voi da soli, in un territorio sterminato e ostile, contro un intero esercito.»
«Ne abbiamo passate di peggiori.» disse Saito
sforzandosi di mostrarsi sicuro «E comunque, saremo in quattro.»
«In cinque, vorrai dire.» esclamò Louise
scattando in piedi «Questa volta vengo anch’io con te.»
«Ma, Louise…
potrebbe essere pericoloso.»
«Sono stufa di essere messa in disparte.» le
disse la ragazza con la sincerità e la dedizione negl’occhi «Vederti andar via
senza sapere che tornerai. Voglio essere al tuo fianco. Soprattutto ora che
posso di nuovo essere d’aiuto.»
«Louise…».
La ragazza si toccò un momento il ventre.
«Non temere. Non ho dimenticato il peso che
porto. Ma questo non mi impedisce di poter dare il mio contributo. Sono la
stessa Louise di sempre».
Saito restò un attimo basito, poi sorridendo
le sfiorò una guancia.
«Saito…»
«D’accordo, Louise. Ho fiducia in te. Se dici
che puoi farcela, allora ti credo. Dopotutto, non sei più una bambina».
Anche lei a quel punto sorrise.
«Grazie».
Angela si passò una mano sulla fronte,
sospirando preoccupata.
«Siete pazzi. Lo sapete, vero?».
Già
qualche ora dopo, il gruppo era pronto a partire.
Angela aveva messo a disposizione dei cinque i
migliori cavalli delle sue scuderie, e ora si apprestava a fare aprire il
pesante, immenso portone che guardava nella direzione di Germania. Solo per
aprire tutti e dodici i chiavistelli che lo ancoravano ai bastioni occorrevano
quaranta minuti e la forza congiunta di quattro uomini, mentre per spalancarlo,
da pesante che era, ne servivano almeno il doppio.
«Vi avviso, non ho alcuna intenzione di
mettere a rischio la sicurezza del Paese per questa vostra impresa.» disse
severamente il capitano LeClerc mentre i ragazzi
montavano in sella «Tra quattro giorni farò riaprire il portone, e lo terrò
aperto per altri tre, poi, che siate tornati a meno, lo farò nuovamente
sprangare. È superfluo dire che gli uomini hanno comunque l’ordine di sparare a
vista su qualunque intruso. Quando arriverete ad un miglio dal vallo fate il
segnale convenuto, così capiremo che siete voi. Tutto chiaro?»
«Chiarissimo, capitano.» disse Saito
«Beh. Per quello che può valere…
buona fortuna.»
«Grazie.» rispose Kirche
«Ne servirà tanta».
Poi, quando finalmente il portone si aprì, i
cinque ragazzi partirono al galoppo, scomparendo rapidamente lungo il sentiero
che scendeva dalla montagna.
Nota
dell’Autore
Salve a
tutti!^_^
Dite la
verità, non credevate che questa storia sarebbe mai continuata.
Il fatto è
che, come spesso accade, mi sono fatto distrarre da altro, e così l’ho messa un
po’ da parte, ma la volontà di proseguirla in realtà non si è mai affievolita,
e vedere tutte le vostre recensioni mi ha dato lo stimolo definitivo.
Allora,
che ve ne pare? Per Louise e gli altri inizia una nuova avventura. Riusciranno
a portare in salvo l’ambasciatore?
L’ambasciatore
Orland poteva contare su di un piccolo gruppo di
guardie personali a lui molto fedeli, ed era solo grazie a loro e alla guardia
che montavano senza sosta se il suo palazzo nel cuore di Wastulf
non era ancora stato assaltato dalla folla inferocita.
Rigirando le accuse e le prove a proprio
piacimento, Eichart aveva convinto la popolazione che
le ruberie degli ultimi mesi fossero da ricondurre ad uomini dell’ambasciatore,
e quando la gente aveva la pancia vuota era molto facile convincerla a perdere
la testa.
Da un istante all’altro il palazzo era stato
completamente circondato, e solo il cordone di sicurezza con le armi puntate
per tutti quei giorni aveva trattenuto la popolazione dal dare l’assalto all’edificio.
La guardia cittadina, contro le previsioni di Eichart,
salvo qualche elemento isolato aveva deciso di rimanere neutrale, senza
arrecare danno all’ambasciatore ma anche senza sparare sui propri concittadini,
e questo aveva dato origine ad un interminabile periodo di stasi.
Le urla impazzite dei rivoltosi non cessavano
un momento, raggiungendo l’ambasciatore chiuso nel suo studio. Con lui Kiergesan, il suo fedele braccio destro, un bambino orfano
che aveva tolto dalle strade anni prima e che per sdebitarsi era diventato la
sua spada fedele.
Ormai era chiaro che la situazione non poteva
durare ancora a lungo. Quello era il settimo giorno di assedio, e anche se Eichart, che come al solito si lasciava scorgere senza
timore in sella al suo cavallo ai margini della piazza che stava dirimpetto al
palazzo, aveva sempre sperato forse in una resa dell’ambasciatore, era evidente
che la sua pazienza andava esaurendosi.
Il suo secondo, Cicero, sembrava però molto
sicuro del fatto che quella dovesse essere la volta buona.
«Avremo la sua testa prima del tramonto.»
disse vedendo la folla ormai in procinto di assaltare il palazzo «Non
angustiatevi.»
«Ogni giorno in più che quel maledetto vive è
un pugno nello stomaco per me.» mugugnò Eichart «Che
sia dannato se gli permetterò di vedere una nuova alba».
Nel
frattempo, procedendo a marce forzate attraverso le intricate foreste di
Germania, Saito e il resto del gruppo avevano raggiunto le mura di Wastulf.
«La città è più blindata del caveau di una
banca.» commentò Saitò osservando le porte con un
cannocchiale, e facendo sfoggio come ogni volta del suo gergo terrestre
«Entrare dagli ingressi principali è fuori discussione.»
«C’è l’ingresso via fiume.» ipotizzò Silvye prendendo da cavallo il suo cinturone di cuoio pieno
di affilati coltelli da lancio «La grata è robusta, ma conosco dei fori da cui
si può passare.»
«È fuori discussione.» tagliò corto Saito
«Perché?» rimbeccò la ragazza passandosi la
mano sui lunghi capelli blu «Hai paura di bagnarti?»
«Saito ha ragione.» intervenne Louise «Non
dobbiamo solo entrare in città, ma anche portare fuori l’ambasciatore. Orland è avanti con gli anni e di salute cagionevole, e di
sicuro non può permettersi il lusso di immergersi in un’acqua ghiacciata per
chissà quanti minuti.»
«Per ora, signorina Louise, la priorità è
entrare in città se non sbaglio. A uscire ci penseremo dopo.»
«E comunque» puntualizzò Kirche
«Se stanno facendo sorvegliare le porte, non c’è ragione di credere che non lo
stiano facendo anche con la grata. Ci scoprirebbero prima ancora di averla
attraversata.»
«Kirche-sama…»
«Ecco…» disse Morea «Se non sbaglio da queste parti dovrebbe esserci
l’uscita di un condotto fognario.»
«Dici sul serio!?» chiese Louise
«Non ne sono del tutto sicura, ma credo che
dovrebbe condurci dritti dentro la villa dell’ambasciatore.»
Fu
una ricerca molto breve. L’uscita del condotto di scolo era giusto a poche
centinaia di metri di distanza, lungo le sponde del fiume che tagliava in due
la città, e per arrivarci i ragazzi non ebbero neppure bisogno di scendere in
acqua, grazie ad una provvidenziale quanto inattesa bassa marea che aveva
portato all’asciutto una vecchia passerella di servizio.
Kirche si disfò
della grata sciogliendola con il fuoco ed accese una torcia, quindi il gruppo
si avventurò all’interno della galleria.
Il puzzo era tremendo, non si vedeva ad un
palmo dal naso e ratti grossi come procioni camminavano senza sosta sul terreno
fangoso coperto di melma, ma date le circostanze quello era il minimo per
riuscire nel proprio intento.
«Ma che schifezza!» sbottò Silvye
sollevando lo stivale grondante fanghiglia
«Abbassa la voce, potrebbero sentirci.» la
rimproverò Kirche facendo notare il rumore di passi
che si avvertiva sopra le loro teste
«Solo Morea poteva
conoscere e frequentare un postaccio simile. Lei è una spia e una ricognitrice. Io sono un cecchino. Sono fatta per gli spazi
aperti, non per questa fogna puzzolente.»
«Ci siamo quasi.» disse Morea
ignorando totalmente l’amica.
Alla fine raggiunsero la loro destinazione,
arrampicandosi su per una scaletta in ferro in cima alla quale vi era una
grossa grata per lo scolo dell’acqua piovana.
«Se ho calcolato bene la distanza percorsa.»
disse ancora Morea «Dovremmo sbucare fuori proprio nel
cortile retrostante il palazzo.»
«Prega il cielo di non sbagliare.» disse Kirche «Non sarebbe un grande affare ritrovarci nel mezzo
di quella folla inferocita. Speriamo solo che non ci taglino la gola appena
usciamo».
In realtà le poche guardie dell’ambasciatore
erano talmente impegnate a presidiare il portone d’ingresso che i ragazzi,
ritrovandosi effettivamente all’interno del giardino del palazzo
dell’ambasciatore, non vi trovarono nessuno; anche le due torrette arroccate
sull’alto muro di cinta, più una decorazione che dei punti d’osservazione veri
e propri, erano sguarniti, così Saito e gli altri poterono tranquillamente
uscire fuori dalla fognatura in tutta sicurezza.
«Alla fine è stato più facile del previsto.»
disse Louise mentre Saito la aiutava a risalire
«In questo posto la sicurezza lascia molto a
desiderare.» commentò Silvye «L’ambasciatore sarebbe
già morto da un pezzo se qualcuno avesse scoperto l’esistenza di questo
passaggio.»
«E adesso, prima che ci ammazzino.» disse Kirche «Sarà meglio fargli capire chi siamo e perché siamo
qui».
Lentamente, e tenendo le mani alzate, i
ragazzi si mostrarono alle prime guardie che incontrarono, rivelando la loro
identità e venendo quindi ammessi per ordine di Kiergesan
alla presenza dell’ambasciatore.
«Signor ambasciatore.» disse Louise andandogli
incontro e stringendogli la mano
«Miss Valliere.»
replicò lui attonito «Che cosa ci fate voi qui?»
«Ecco…» disse
imbarazzata Kirche «A quanto pare c’è stato un
piccolo imprevisto».
Con poche parole Kirche
e Saito spiegarono la situazione, cercando però subito dopo di far capire che
in ogni caso c’era ancora una via di salvezza per uscire da quell’impiccio.
«C’è un vecchio canale di scolo che dai
giardini del palazzo conduce fin oltre le mura della città.» spiegò Saito «Noi
siamo arrivati da lì. Ce ne andiamo ora, e con un po’ di fortuna saremo di
nuovo a Tristain prima che Eichart si accorga di
nulla.»
«Cosa ne dice, signor ambasciatore?» chiese Kirche
«Dico che non c’è altra scelta, o sbaglio?»
replicò Orland dopo un momento di esitazione «Ma se
quel maledetto si illude che possa finire qui si sbaglia. Appena la situazione
si sarà calmata tornerò e gli farò scontare tutte le sue colpe, inclusa
questa.»
«Sì, ma dovrà essere vivo per riuscirci.»
puntualizzò Louise «Quindi è meglio andare via di qui subito, prima che quella
massa incontrollabile faccia a pezzi questo posto.»
«D’accordo. Allora andiamo».
Purtroppo,
proprio in quel momento, Eichart decise che la sua
pazienza si era ormai esaurita, e che non aveva più alcuna intenzione di
aspettare passivamente che le cose facessero il loro corso.
«Ne ho abbastanza!» sbottò «Voglio che quel
maledetto non veda un’altra alba! Procedete!»
«Sì, signore.» disse Cicero.
L’attendente, non visto, fece dei cenni verso
il palazzo, che furono immediatamente colti da una delle sentinelle affacciate
ad una delle finestre.
Senza esitazioni la guardia imbracciò il suo
archibugio puntandolo in direzione della folla, sollevò il cane e infilò la
miccia.
Passò un istante, ed il rimbombo di uno sparo
tacitò l’intera piazza, e un attimo dopo uno dei capi della protesta, quello
che per tutto il tempo non aveva smesso un momento di sbraitare in cima alla
statua equestre antistante il palazzo, precipitò morto al suolo colpito in
pieno petto.
«Era uno sparo!» esclamò Louise
«Chi ha sparato?» urlò infuriato Orland «Avevo detto di non aprire il fuoco!».
Fu la miccia che scatenò la rivolta. I
manifestanti infervorati caricarono impazziti, e quasi subito le guardie che
presidiavano l’esterno dovettero ripiegare, riuscendo a chiudersi nel palazzo
giusto un attimo prima che il cancello venisse sfondato.
A quel punto, più per paura che per altro,
quasi tutti i soldati aprirono il fuoco contro i manifestanti, riuscendo
tuttavia solo ad infervorarli ancora di più.
«Se la prendono la metteranno a gocciolare a
testa in giù come un maiale sventrato.» disse Kirche
senza tanti giri di parole buttando uno sguardo fuori «Suggerisco di andarcene
di qui ora».
Purtroppo erano in arrivo brutte notizie.
Il cortile ed il giardino caddero in pochi
secondi, e malgrado le porte sprangate e le inferriate alle finestre era solo
una questione di minuti prima che quella folla inferocita riuscisse a fare
irruzione nel palazzo.
«C’è gente in giardino!» disse Morea tornando da un rapido giro di controllo «Non possiamo
usare la grata!»
«Non abbiamo scelta.» disse Silvye «Dovremo farci strada combattendo. È la nostra sola
speranza di fuga.»
«Aspettate!» esclamò Saito «Non possiamo
farlo! Questa gente è stata ingannata! Sono vittime tanto quanto noi!»
«Saito ha ragione.» obiettò Louise «Non
possiamo ucciderli.»
«Preferiresti essere violentata, decapitata e
lasciata a marcire nella piazza centrale appesa ad una corda?» la rimproverò
duramente Kirche.
Purtroppo non era solo quello il problema,
come Saito fece notare.
Anche nel caso in cui si fosse riusciti a
fuggire attraverso la galleria, infatti, la strada da percorrere era tanta, e
con il vecchio ambasciatore da dover scortare era quasi impossibile riuscire a
correre abbastanza in fretta da seminare gli inseguitori, che certamente non ci
avrebbero messo molto a trovare il passaggio ora che il palazzo era in mano
loro.
«Lasciatemi qui.» disse a quel punto Orland «Sarei un solo un peso. Vi ringrazio per esservi
presi tutti questi rischi per aiutare questo povero vecchio, ma ora è giusto
che vi salviate.»
«Non se ne parla, noi non la abbandoniamo.»
disse Louise «Troveremo una soluzione.»
«Sarà bene trovarla in fretta.» commentò Kirche osservando dalla finestra la folla che, procuratasi
un ariete di fortuna, stava ora tentando di sfondare il portone principale.
Una possibile soluzione venne da Kiergesan, che al degenerare della situazione era subito
andato alla ricerca di una nuova via di fuga.
«Il deposito sotterraneo e le stalle sono
ancora liberi.» disse rientrando nell’ufficio «Possiamo scappare con la
carrozza.»
«Non è fattibile.» sentenziò impietosa Kirche «Tutte le porte e i varchi della città sono
presidiati. Sparerebbero a vista, e comunque non credo riusciremmo comunque ad
arrivare alle mura ancora vivi».
Sembrava davvero una situazione senza via
d’uscita, resa ancor più insopportabile dalla tensione che andava crescendo.
Saito si sforzò di mantenere calma e sangue
freddo, e alla fine, come un fulmine a ciel sereno, ebbe quella che poteva
essere la pensata vincente.
«Forse ci sono! Possiamo andarcene da qui!»
«Che cosa!?» disse Louise «Come?»
«Tutto quello che dobbiamo fare è riuscire a
distrarre questa folla inferocita il tempo necessario per infilarci nel
passaggio sotterraneo.»
«Fin qui ci eravamo arrivati.» disse Silvye «Ma come pensi di fare?»
«Dandogli un’esca da mordere.» ammiccò il
ragazzo guardando lei e la sua compagna.
La
folla aveva preso il giardino, e con la forza devastante di un ariete
improvvisato era quasi sul punto di sfondare il pesante portone di quercia che
chiudeva l’entrata principale, quando da un istante all’altro accadde qualcosa.
Dal nulla, come per incanto, una parte del
suolo antistante le mura scivolò all’interno, rivelando una passerella segrete
al termine della quale vi era l’ingresso ai sotterranei del palazzo.
Una carrozza vi si lanciò immediatamente
fuori, guidata da una coppia di cocchieri, dirigendosi a tutta velocità verso
la Porta di San Felice, il più vicino varco per lasciare la città.
«Guardate là!» indicò Cicero riconoscendo lo
stemma dell’ambasciatore «È lui!»
«Sta cercando di fuggire!» urlò Eichart «Fermatelo! Non deve scappare! Voglio la sua testa
su una picca!».
La folla, lasciato perdere il palazzo, si
concentrò istintivamente e senza bisogno di ordinarglielo sulla carrozza, che
quasi subito si trovò nell’impossibilità quasi totale di avanzare per l’enorme
ressa e i detriti scagliati sul suo cammino nel tentativo di arrestarla.
In qualche modo i cocchieri riuscirono a
condurla fino al Ponte di Grumman, il più imponente
punto d’attraversata che correva lungo il fiume, ma proprio quando la folla
sembrava ormai alle spalle si avvidero che gli abitanti avevano frettolosamente
sbarrato la strada sulla sponda opposta erigendo una barricata.
Fuggire o evitarla era impossibile, così i due
senza pensarci due volte abbandonarono il mezzo gettandosi nel fiume. La
carrozza, privata della sua guida, sbandò ribaltandosi, e venne immediatamente
accerchiata dalla calca ansiosa di prendere la testa dell’ambasciatore.
Qualcuno divelse la portiera, ma come fu
possibile guardare all’interno le grida infervorate fecero posto ad un
incredulo silenzio.
Eichart arrivò
solo pochi minuti dopo, sbracciando come un dannato per farsi strada nella
ressa, e quando si avvide che all’interno non vi era nessuno la sua reazione,
invece che di incredulità, fu di rabbia sconfinata.
«Trovatelo!» ordinò furibondo.
«Sembra
che abbia funzionato.» commentò Morea riemergendo dal
fiume assieme alla compagna
«Così pare. Allora quello sgorbio di Hiraga ogni tanto ne pensa una giusta.»
«Forse dopotutto abbiamo sbagliato nel
giudicarlo.»
«Avanti, torniamo indietro. Ho fretta di
togliermi questi abiti infradiciati».
Nuotando a piene bracciate le due ragazze
raggiunsero la riva, nascondendosi in un vicino canneto nell’attesa che le
acque si calmassero.
Tornata la calma, e constatando l’apparente
sparizione dei sostenitori di Eichart, cercarono di
dileguarsi, ma non potevano immaginare che qualcuno le avesse notate.
Gli uomini di Eichart
saltarono loro addosso allertate da alcuni pescatori, circondandole prima che
potessero dileguarsi nei vicoli della città.
«Tanto meglio.» disse Silvye
portandosi schiena a schiena con Morea «Avevo giusto
voglia di sfogarmi un po’».
Entrambe partirono alla carica, armate
rispettivamente dei propri coltelli da lancio e del bastone da combattimento,
in realtà una lancia la cui punta emergeva a piacimento al semplice scattare di
un fermo, e almeno inizialmente sembrò che potessero avere ragione di quei
soldati mediocri senza alcuna difficoltà.
Tuttavia, l’arrivo di Cicero sul cambio di
battaglia mutò drasticamente le cose. Morea se lo
vide cavalcare contro all’ultimo momento, e quando cercò di colpirlo questi,
afferrata la sommità del bastone, la sollevò in aria di peso per poi
schiantarla violentemente al suolo, dando prova di una forza straordinaria e
lasciando la poveretta a terra svenuta.
«Morea!».
Cicero scese da cavallo, e Silvye,
disfattasi di due soldati, gli scagliò contro ben cinque pugnali tutti insieme,
che tuttavia l’uomo parò senza problemi sfoderando la sua strana arma, una
specie di grosso scudo rotondo da cui sporgevano quattro grosse lame ricurve. Seguì
un breve corpo a corpo, ma alla fine la forza di Cicero ebbe la meglio sull’agilità
di Silvye, che incassato un tremendo pugnò allo
stomaco fece appena in tempo a mugugnare un gemito soffocato prima di svenire.
Nota
dell’Autore
Eccomi
qua!^_^
Sono
risorto!
Credevate
che fossi morto?
Effettivamente
ho abbandonato questa storia per un bel po’ di tempo. Non a causa di una crisi
di idee, intendiamoci, ma avendo una quantità esorbitante di progetti a cui
dover stare dietro ho finito per sacrificare qualcosa, e questo qualcosa, vuoi
per caso vuoi in parte per scelta volontaria, è stata la FF di ZNT.
Ma poi
sono arrivate nuove recensioni, nuovi inviti a proseguire,così ho deciso di farlo. E quindi eccomi qui.
Premetto
fin da ora che la storia subirà una decisa accelerazione rispetto a quanto
inizialmente ipotizzato. Evento marginali o di semplice intermezzo faranno
spazio ad un ritmo più serrato, sì da rendere la vicenda più scorrevole e
arrivare presto al dunque.
Non per
fretta, per carità, ma perché con 240 pagine già scritte la cosa sta andando
decisamente troppo per le lunghe
Approfittando della
distrazione e del disordine causati dalla carrozza, Saito e il resto del gruppo
avevano atteso che il giardino fosse sgombro per gettarsi nuovamente nel
condotto e lasciare indisturbati la città.
Una
volta al sicuro, in base gli accordi, si erano immediatamente rimessi in marcia
per fare ritorno a Tristain, prevedendo di rincontrarsi con Morea
e Silvye presso una fattoria a una decina di miglia
dal vallo.
Kirche
sembrava incredibilmente tranquilla, perfino troppo, considerando che aveva
lasciato indietro le sue fedeli guardie senza sapere se la missione fosse
andata bene e fossero ancora vive.
«Non
dovete darvi pensiero.» disse ad un certo punto la ragazza vedendo Saito e
Louise che seguitavano a guardarsi indietro «Stanno sicuramente bene.»
«Come
fai ad esserne sicura?» chiese Saito.
A quella
domanda Kirche prese da dentro la camicia una coppia
di gioielli scintillanti a forma di sfera, uno rosso e l’altro azzurro.
«Vedete
questi? Sono simili alle Eclair D’Amour.
Fino a quando sono interi e splendenti, significa che Morea
e Silvye sono ancora vive.»
«Interessante.»
disse Louise, che cavalcava assieme a lei, prendendone una e guardandola con
attenzione
«C’è
stato un periodo, molto tempo fa, che Germania era proprio come Tristain oggi.
Un groviglio di potentati e nazioni in continua lotta tra loro.
A quel
tempo mercenari, spie e tagliagole la facevano da padroni, e i nobili, per assicurarsi
la loro lealtà, legavano le loro vite a questi gioielli magici. Sarebbe bastato
romperli, che la persona la cui vita risiedeva lì dentro sarebbe morta
all’istante. In questo modo chi giurava aveva un motivo per non voler tradire
il suo signore».
Uno
strumento barbaro, pensò Saito, ma sicuramente efficace.
«Ora non
è più tempo di guerre.» disse mesto l’ambasciatore, che negli anni ne aveva
prevenute e fatte cessare parecchie «Tristain deve tornare ad essere al più
presto una terra pacifica, come lo è stata fino ad ora. E io voglio fare la mia
parte.»
«E la
farà, signor ambasciatore.» rispose Saito, che però poi borbottò tra sé «Se
torneremo vivi».
Morea e Silvye erano
effettivamente vive, ma al risveglio si erano ritrovate rinchiuse in una
sudicia cantina di una taverna vicino a dove erano state prese, in compagnia di
Cicero e di una decina delle sue guardie.
C’era
anche Eichart, infuriato come non mai, che di fronte
alla tenacia delle due ragazze nel resistere ai tentativi di farle confessare
andò ancora di più fuori di testa.
Furono
ventiquattro ore terribili, e per quanto Silvye e Morea fossero state addestrate a resistere alla tortura
riuscire a trovare la forza per non crollare fu una vera sfida.
Verso la
sera del secondo giorno, però, ancora non si erano piegate, benché sui loro
corpi fossero evidenti gli spaventosi segni lasciate dalle percosse, dalle
frustate e persino dai ferri arroventati.
«Allora
è vero quello che si dice sulle spie del nord.» disse Cicero mostrando quasi
ammirazione per le due ragazze «Che crollano pur di non parlare.»
«Questo
è niente.» mugugnò Silvye cercando di nascondere il
dolore che le dilaniava il corpo «Fai pure quello che vuoi. Noi non ci
piegheremo.»
«Mia
sorella ha ragione.» disse Morea «Siamo state
addestrate per anni a resistere a queste cose! Non ci caverete nulla!».
Eichart ormai
aveva esaurito la pazienza, e accecato dalla rabbia afferrò una lancia
sbattendo il manico in faccia a Silvye, che accusò
pesantemente il colpo e per un momento sembrò perfino morta.
«Sorella!»
gridò Morea in preda al terrore.
Il gesto
incuriosì Cicero, cosicché quando Silvye, ferita ma
per fortuna ancora viva, riprese i sensi dopo qualche attimo, il capitano aveva
le idee chiare su cosa dovesse fare per venirne a capo.
«Adesso
stammi a sentire.» disse a Morea «O tu ci dici che
cosa ne è stato dell’ambasciatore, e dove possiamo trovarlo, o sarà tua sorella
a pagarne le conseguenze.»
«Non
dirgli niente, Morea!» gridò Silvye,
che fu tuttavia messa subito a tacere da una guardia.
La
ragazza tentennò, dando chiari segnali di esitazione, ma all’ultimo il suo
addestramento e la lealtà alla sua padrone la trattennero.
«Come
preferisci.» disse Cicero facendo un segno ai suoi soldati «È tutta vostra».
Morea si
spaventò a morte. Per un attimo volle pensare che quell’uomo stesse bleffando,
ma quando vide quegli uomini sudici e sovreccitati immobilizzare e tenere ferma
Silvye mentre uno di loro si slacciava la cintura non
riuscì più a trattenersi.
«Và
bene, basta!»
«Non
farlo Morea!»
«Non
posso permettere che ti facciano questo, Silvye.»
«Molto
bene. Allora forza, parla. Dov’è l’ambasciatore?».
La
ragazza confessò tutto, nel timore che mentendo o mettendoli su una falsa pista
le conseguenze potessero essere anche peggiori, anche se, con l’ultimo scampolo
di raziocinio rimastole, riuscì a non rivelare, sostenendo di non conoscerlo,
quale tragitto il gruppo intendesse percorrere, né l’esistenza del luogo
concordato per l’incontro.
Pochi
attimi dopo, Eichart e Cicero uscirono dalla cantina
correndo verso le scuderie.
«Dobbiamo
assolutamente riprenderli!» disse il governatore salendo a cavallo con al
fianco il suo fidato braccio destro.
Prima di
lasciare la città con un manipolo di guardie al seguito Eichart
fece chiamare il capo del locale plotone di cavalieri dei draghi.
«Fai
alzare in volo tutte le tue sentinelle. Che battano a tappeto ogni maledetto
centimetro da qui al confine. Dobbiamo trovarli prima che rientrino a
Tristain.» e detto questo lui e gli altri si lanciarono oltre i cancelli come
avessero avuto il diavolo alle calcagna.
Saito e il suo gruppo
avevano messo in conto che il ritorno sarebbe stato molto più lungo e
complicato del viaggio di andata.
Tra il
timore di essere scoperti e l’età non più floridissima dell’ambasciatore furono
operate molte più deviazioni e soste del previsto, e a tratti sembrava quasi
che il confine, invece di avvicinarsi, si allontanasse sempre di più.
Ma
sapevano di non avere tempo. Sapevano di avere i giorni contati.
Come ci
aveva tenuto a dire lei stessa, il generale LeClerc
non avrebbe messo in pericolo la sicurezza di Tristain per mettere in salvo una
sola persona, e una volta che le porte fossero state nuovamente sbarrate
sarebbe stato impossibile per chiunque arrivare a trecento metri dal vallo
senza rimediare una palla in fronte.
Dopo tre
giorni di viaggio era stata percorsa poco più di metà strada, e se il generale,
come sembrava, era determinata a tenere fede alla propria parola, ai ragazzi
restavano poco meno di quarantotto ore per tornare indietro, pena restare
intrappolati tra i confini di Tristain e le truppe del governatore.
Il
continuo ed incomprensibile ritardo di MoreaeSilvye iniziò a preoccupare Kirche,
che tutte le sere, mentre il gruppo bivaccava attorno al fuoco, osservava per
lungo tempo i suoi due gioielli, quasi nel timore di vederli sgretolarsi
davanti ai suoi occhi in un funesto presagio.
«Rilassati.»
le disse Saito notando, anche quella sera, la sua preoccupazione «Vedrai che
torneranno. Sono tipe in gamba, dopotutto.»
«Forse
hai ragione.» rispose lei cercando di essere ottimista.
Poi,
durante una cena frugale, i ragazzi si ritrovarono attorno alla mappa della
zona per fare il punto sul viaggio di ritorno.
«Non
abbiamo scelta, dovremo accelerare i tempi.» disse Kirche
«Se andiamo avanti di questo passo non arriveremo mai a Tristain in tempo, e la
strada che stiamo seguendo è troppo lunga per sperare di arrivare al vallo in
due giorni.»
«E
allora che cosa suggerisci?» chiese Louise
«Di
passare da qui.» rispose la ragazza indicando una stretta valle attraversata da
un fiume, o un torrente «C’è un ponte che collega le due sponde di questa valle
passando sopra il fiume. Se passiamo di qua nell’immediato allungheremo un po’
la marcia, ma una volta dall’altra parte il resto del viaggio sarà molto più veloce.»
«Ma il
ponte sarà ancora praticabile?» domandò l’ambasciatore notando la posizione
estremamente isolata del valico
«È stato
costruito dai pastori del luogo per poter aggirare la valle, e viene usato solo
in certi periodi dell’anno. Comunque credo che ci si possa passare.»
«D’altra
parte, non mi pare che abbiamo molta scelta.» disse Saito «D’accordo. Ci
muoveremo alle prime luci del sole. Ora però pensiamo a dormire».
A quel
punto tutti si coricarono, cautelandosi di lasciare sul fuoco abbastanza legna
e carbonella da farlo durare fino al mattino, ma nel cuore della notte Saito fu
svegliato da uno strano rumore, come una serie di colpi di vento folate che si
susseguivano a intervalli regolari.
Uno
sbattere di ali. Un presentimento lo mise in allarme.
«Ehi,
svegliatevi.» disse scotendo leggermente i suoi compagni «Lo sentite anche
voi?».
Tutti
tesero le orecchie, e fu Louise la prima a riconoscere quell’insolito rumore.
«Draghi.»
disse sbarrando gli occhi.
A quello
sbattere d’ali isolato se ne aggiunse un altro quasi subito, e immediatamente i
quattro corsero a nascondersi sotto le fronde di un albero dopo aver gettato
terra sul fuoco per spegnerlo senza fumi.
Due
esploratori erano in caccia sopra le loro teste, ma ringraziando il cielo la
notte era assai nuvolosa, e così, pur essendo abbastanza vicini, nessuno di
loro aveva notato il fuoco, né il fumo che da esso si era sollevato fino a poco
prima.
I draghi
transitarono sopra al campo, non riuscendo a scorgerlo, volteggiando qualche
attimo per poi allontanarsi in direzione del confine.
«Via
libera.» disse Louise vedendoli andare via.
Tutti
uscirono allora allo scoperto, ma quell’imprevisto rischiava di essere una
seria minaccia per il loro viaggio già ricco di tribolazioni.
«Pattuglie
da ricognizione.» disse preoccupata Kirche «Sanno che
siamo da queste parti.»
«Non
abbiamo altra scelta, dobbiamo affrettare i tempi.»
«Saito
ha ragione, non c’è tempo per riposare. Forza, mettiamoci in marcia
approfittando del buio».
Nulla di ciò che accadeva a
meno di quaranta miglia dalle mura del Vallo passava inosservato ai suoi
guardiani.
Negli
anni, le sentinelle che presidiavano e proteggevano i confini di Tristain
avevano imparato a leggere ed interpretare ogni cosa, ogni più piccolo segnale.
Quello che agli occhi di un profano poteva sembrare un evento naturale e
casuale, assumeva ai loro occhi una specifica valenza, un significato che solo
loro sapevano attribuire.
Tutto
ciò era necessario, quando ne andava del benessere della propria patria, se di
benessere si poteva parlare in casi simili.
Due
sentinelle in servizio notturno notarono uno stormo di uccelli comparire
improvvisamente da nord-est, descrivendo nel cielo movimenti inconsulti in una
inestricabile e maestosa nuvola che si contorceva e si muoveva con incredibile
sinuosità nel cielo plumbeo.
Incerti
nell’interpretazione, chiamarono la duchessa, che vestitasi e salita assieme a
Victor in tutta fretta sul ballatoio osservò a sua volta le acrobazie dello
stormo, traendo le loro stesse conclusioni.
«Draghi
in volo.» disse pensierosa «Sono molti. E sono nella foresta.»
«Pensate
siano diretti qui?» chiese Victor
«Non
credo. Il loro movimento è irregolare. Stanno battendo al tappeto il territorio
da qui a Wustalf.»
«Come se
stessero cercando qualcosa.» azzardò l’attendente.
La
giovane donna si incupì, presagendo il peggio. Era rischioso rimuovere i
chiavistelli della porta prima del sorgere del sole, ma se le sue intuizioni
erano giuste bisognava essere pronti a tutto.
«Fai
aprire il cancello.» ordinò
«Sì, mia
signora».
Saito e gli altri deviarono
per il percorso stabilito, arrampicandosi attraverso una sfiancante pendice
montuosa che conduceva al ponte.
Era
quasi una gara di sopravvivenza. Non potevano usare i cavalli per il rischio di
affaticarli, e il doverli tirare serviva solo ad aumentare la fatica di quella
impervia salita.
Non
volendo essere un peso più di quanto già non lo fosse, piuttosto che fare da
carico ad uno dei tre cavalli l’ambasciatore insistette per camminare a sua
volta, e anche se questo allungò sensibilmente i tempi di marcia servì se non
altro a tenere i tre animali freschi e riposati in vista della cavalcata
finale.
Per
tutto il giorno successivo esploratori a cavallo e in sella ai draghi
transitarono nella zona, ma il gruppo teneva occhi ed orecchie ben tesi, pronto
a correre al riparo al minimo segnale di pericolo.
«Avanti,
fatevi forza.» disse Kirche alla metà del terzo
giorno di viaggio, aiutando Louise a superare una zona particolarmente ripida
«Il ponte ormai dovrebbe essere a meno di un miglio. Poi sarà tutta discesa e
terreni spianati fino al confine.»
«E io
che mi lamentavo delle escursioni scolastiche sul Fuji.» borbottò Saito
trovando a stento la forza per camminare «Forse non avrei dovuto trovare tutte
quelle scuse coi miei per saltarle.»
«Mi
dispiace, ragazzi.» disse l’ambasciatore Orland
riprendendo fiato «È colpa mia se è accaduto tutto questo. Forse dovreste
lasciarmi qui e scappare.»
«Non lo
dica neanche, ambasciatore.» disse Louise «La colpa è solo di quel disonesto di
Eichart. E Lei deve assolutamente vivere, per poterlo
incriminare».
Poi,
finalmente, in lontananza apparve il ponte, distante meno di cento metri e
arroccato sulla cima di una piccola collinetta, ma purtroppo, in quello stesso
momento, alle loro spalle comparve anche un’altra cosa.
In
realtà non erano passati inosservati.
Gli
esploratori li avevano individuati già quella prima sera, ma obbedendo agli
ordini di Cicero avevano continuato nelle loro ricognizioni anche dopo averli
localizzati e avere fatto rapporto. In questo modo, aveva pensato il capitano,
le prede non si sarebbero accorte di nulla, e avrebbero proseguito nel loro
viaggio convinte di essere al sicuro.
Il piano
di Cicero era di attendere che passassero il ponte, in modo da tendere loro
un’imboscata nella foresta e travolgerli approfittando del senso di sicurezza
dato dalla vicinanza alla meta, ma ormai Eichart
aveva perso la pazienza, e convinto dalla fatica che i quattro dovevano
sicuramente aver fatto nel salire quel ripido pendio aveva ordinato al suo capitano
di attaccare.
«Maledizione,
ci hanno trovati!» gridò Saito vedendo un manipolo di cavalieri risalire il
crinale a tutta velocità con Cicero alla testa.
Senza
esitazioni il ragazzo sguaino la spada, frapponendosi fra gli assalitori e i
nemici in arrivo.
«Saito,
che cosa fai?» gridò Louise
«Io li
tengo impegnati, voi andate al ponte.»
«D’accordo.»
disse Kirche «Lancerò un segnale quando lo avremo
passato.»
«Aspetta
Kirke! Non possiamo lasciare Saito!»
«Tranquilla
Louise, non ho intenzione di morire qui.» la rassicurò il marito «Vi
raggiungerò appena avrete attraversato il ponte sani e salvi.»
«Saito…»
«Andiamo,
Louise.» la ammonì Kirche «Saito sa quello che fa».
In
realtà anche Kirche era preoccupata per il destino
del giovane guerriero, ma confidando nella naturale abilità di Saito nel
cavarsi d’impaccio in ogni situazione decise di dargli fiducia, e alla fine
convinse anche Louise a fare altrettanto.
«Faremo
il prima possibile!» disse montando a cavallo con Louise e l’ambasciatore «Tu
tieni duro!».
Quasi
nello stesso momento in cui le ragazze e l’ambasciatore ripresero la loro corsa
i soldati arrivarono sul posto, trovando prontamente Saito a sbarrare loro la
strada.
«Non
farete un passo oltre questo punto!» esclamò il ragazzo mulinando la spada.
Convinti
di poter superare senza troppe difficoltà quel ragazzino presuntuoso i soldati
lo caricarono, ma Saito ne disarcionò due senza difficoltà e impegnò il terzo
in un violento confronto a colpi di spada.
Cicero
rimase spiazzato dalla sua abilità, e quando anche il tuo terzo uomo crollò
tramortito da un colpo di piatto in pieno ventre scese da cavallo per occuparsi
della faccenda di persona.
Forse
peccando di superbia stavolta fu Saito a fare la prima mossa, rendendosi
tuttavia immediatamente conto di quanto quel giovane non molto più grande di
lui ci sapesse fare con la sua strana arma, che maneggiava con sorprendente
agilità combinandola con precisi e micidiali attacchi di arti marziali.
«Non
mettermi al livello di quella soldataglia.» lo rimproverò Cicero dopo avergli
rifilato una gomitata sul naso «Io non sono così incapace».
Solo a
quel punto Saito capì che con un avversario del genere era impossibile usare i
guanti di velluto come aveva fatto con gli altri tre, ma sapendo che comunque
era solo una questione di tempo si decise a tentare per quanto possibile di non
portare colpi mortali.
Non c’era
niente da fare, lui non era come Kaoru.
Non aveva
la forza per uccidere a sangue freddo.
Intanto,
poco più su, le ragazze e l’ambasciatore erano riuscite a raggiungere il ponte
ed attraversarlo, malgrado le assi non più solidissime e l’altezza vertiginosa
che faceva venire il mal di testa, e appena al sicuro sull’altro versante Kirche usò la sua magia per lanciare un fuoco d’artificio.
Vedendolo,
Saito tirò un sospiro di sollievo, e approfittando di uno scontro di forza con
l’avversario lo allontanò con un calcio per poi salire al volo su un cavallo e
lanciarsi a sua volta verso l’alto.
«Non
state lì impalati, inseguiamolo!» strillò Cicero ai suoi uomini ancora
frastornati.
Saito
galoppò il più velocemente possibile, spronando quella povera bestia fin quasi
allo spasimo e attraversando il ponte alla velocità di una scheggia.
«Ce ne
avete messo di tempo.» ironizzò quando fu dall’altra parte
«Ne
parliamo dopo.» lo ammonì Kirche «Ora pensiamo ai
nostri amici».
Bastò una
scintilla, e quel miscuglio di corda e legno marcio prese fuoco come un
gigantesco braciere, bloccando il passo agli inseguitori, che poterono solo
osservare mestamente le loro prede allontanarsi dalla parte opposta del crinale,
oltretutto dopo aver rivolto loro un ironico saluto con la mano.
Eichart
arrivò pochi istanti dopo, e come era prevedibile la sua reazione fu di
incontenibile rabbia.
«Maledizione!»
ringhiò sbattendo i piedi a terra «Ve li siete fatti scappare, branco di
incapaci.»
«Non
disperate, governatore.» lo tranquillizzò Cicero «Se ho previsto con esattezza
ciò che è destinato a succedere, abbiamo ancora una carta da giocare».
La cantina dove Morea e Silvye erano state
rinchiuse aveva una sola, piccola feritoia quasi all’altezza del soffitto, ma
che all’esterno era praticamente a livello della strada, da cui entrava un poco
di sole solo verso mezzogiorno.
Per il
resto, quel luogo era immerso nel buio più totale.
Prima di
lasciare la città Eichart aveva dato ordine di non
uccidere le prigioniere, nel timore che avessero mentito e che le loro
informazioni fossero sbagliate, mentre Cicero, per chissà quale motivo, aveva
tassativamente vietato ai soldati e ai suoi uomini di alzare le mani su di
loro, pena la castrazione.
Era noto
che Cicero avesse idee quasi monastiche riguardo ai propri appetiti sessuali, e
cercasse di imporli anche a chi aveva sotto di lui, e solo i più colti erano
arrivati ad ipotizzare che tale gesto derivasse in realtà da una sorta di
ammirazione che aveva suscitato in lui la volontà d’acciaio delle due ragazze,
piegatesi solo davanti all’affetto che nutrivano l’una verso l’altra.
Il
capitano aveva ordinato perfino di tenerle in buona salute, con due pasti al
giorno e acqua a sufficienza, e fu così che nel primo pomeriggio il soldato di
guardia andò a recuperare due ciotole di zuppa da portare alle prigioniere.
Era
sulla via del ritorno quando, passando accanto alla grata, gli cadde l’occhio
all’interno, e ciò che vide lo impietrì.
Le due
ragazze erano lì, al centro della stanza, l’una accanto all’altra, appese per
il collo con degli stracci malamente annodati a formare un’unica corda, di cui
avevano condiviso le estremità.
«Oh,
merda!» imprecò gettando via i piatti.
Con un
compagno tornò velocemente in cantina, aprì il robusto portone di legno ed
entrò, trovando le prigioniere impiccate ai ganci per la carne, le mani dietro
la schiena e gli occhi già chiusi. Non respiravano.
«È la
fine! Il capitano ci farà a pezzi!»
«Forza,
facciamole sparire. Diremo che sono scappate.»
«Infatti
è quello che faremo».
Nessuno
dei due poteva immaginare che in realtà le due ragazze avessero le mani dietro
la schiena allo scopo di stringere la corda perché non tirasse troppo sul
collo, uno sforzo non indifferente ma che l’addestramento speciale aveva reso
possibile.
Prima
che i soldati avessero il tempo di capacitarsene Silvye
e Morea saltarono a terra e li tramortirono,
lasciandoli riversi sui sacchi di farina sotto ai quali vennero nascosti.
«Non
credevo che sarebbe stato così facile.» commentò Silvye
recuperando i loro pugnali «Avanti ora, usciamo di qui».
Morea parve
quasi esitare, come se qualcosa dentro di lei la trattenesse dal lasciare
quella prigione.
Aveva
paura.
Paura di
affrontare le sue responsabilità. In quei due giorni quasi non aveva aperto
bocca, e in un’occasione Silvye l’aveva sorpresa con
in mano un grosso chiodo arrugginito, riuscendo fortunatamente a strapparglielo
prima che avesse il tempo di commettere qualcosa di irreparabile.
«Ora non
c’è tempo per i rimorsi di coscienza.» la ammonì Silvye
intuendo il motivo dell’esitazione della sorella «Pensiamo prima di tutto ad
accertarci che Kirke-sama e gli altri stiano bene».
In parte
rinfrancata da quelle parole, e dalla speranza che portare a termine la
missione potesse costituire un metodo per redimersi, Morea
seguì la sorella fuori dalla stanza, inconscia del fatto che lo strano prurito
che dal giorno prima la tormentava dietro la schiena non fosse il lascito di un
insetto molesto.
Nota dell’Autore
Eccomi qua!^_^
Allora, che ne dite di questo “aggiornamento
lampo”?
Lo so, avevo detto che con questo capitolo
avremmo chiuso la vicenda relativa al viaggio a Germania, ma a conti fatti c’è
un limite alla rapidità con cui si possono narrare gli eventi, e dopo sette
pagine già scritte e almeno altre cinque che ne rimangono ho pensato fosse il
caso di chiuderla qui e rimandare la conclusione al prossimo capitolo.
Poi, finalmente, si tornerà a tematiche
più inerenti alla trama principale.
Grazie a tutti coloro che leggono e
recensiscono. Con il vostro contributo avete impedito a questa storia di
morire.
Lasciatisi alle spalle il
ponte crollato i ragazzi e l’ambasciatore proseguirono nel loro cammino veloci
come il vento.
Ora
sapevano di non avere molto tempo, e di avere qualcuno alle spalle.
Speravano
con tutto il cuore che Silvye e Morea
non si facessero attendere troppo, altrimenti, per come si stavano mettendo le
cose, il timore era che sarebbero stati costretti a raggiungere il vallo
anzitempo, condannando le loro compagne a cavarsela da sole in quella terra
maledetta.
La messa
in salvo dell’ambasciatore veniva prima di tutto, e anche se con il cuore a
pezzi Saito e Louise stavano comprendendo che c’erano delle cose, in quel
momento così duro, che venivano necessariamente prima dei propri sentimenti e
considerazioni personali.
Lasciate
le praterie, i ragazzi si erano infine inoltrati nella fitta foresta che
separava le pianure di Germania dal confine con Tristain. Una volta
attraversatala, sarebbero servite solo poche altre miglia di cammino prima di
arrivare al vallo.
«Ormai
non manca molto, resistete!» continuava a ripetere Kirche
cavalcando in testa al gruppo.
Per
fortuna gli inseguitori avevano sicuramente perso molto tempo per aggirare la
valle, e con un po’ di fortuna in quella foresta così fitta non sarebbe stato
difficile far perdere le proprie tracce.
Al fine
di rendere ancora più complicato ad Eichart e i suoi
continuare l’inseguimento, ad un certo punto raggiunta una biforcazione nel
sentiero Saito suggerì di mollare i cavalli, lasciandoli correre in una
direzione mentre lui e gli altri avrebbero proseguito lungo l’altra, quella
giusta, un’idea potenzialmente molto buona ma che avrebbe finito di sicuro per
rallentare sensibilmente il passo di marcia.
«Molto
meglio avere una garanzia in più che avere sul collo il fiato dei soldati ad
ogni passo.» obiettò il ragazzo quando Louise gli fece notare la contraddizione
del piano.
Alla
fine le ragazze scelsero di dargli retta e fecero come suggerito, lasciando i
cavalli liberi di correre lungo la strada più breve verso il Vallo per poi
incamminarsi a piedi lungo quella più lunga, che invece conduceva al luogo
dell’incontro.
Come
previsto, il passo rallentò sensibilmente, anche a causa dell’età avanzata
dell’ambasciatore, tanto che il gruppo dovette bivaccare una ulteriore notte
scegliendo come rifugio una grotta naturale ai margini della strada, dove
sarebbe stato possibile accendere un fuoco senza il rischio che questo venisse
notato.
Tuttavia,
la situazione non era comunque delle più favorevoli.
«Domani
è l’ultimo giorno utile.» disse Kirche durante la loro
povera cena
«Hai
ragione.» disse Saito «O raggiungiamo il vallo per il tramonto, o non lo faremo
più.»
«Speriamo
solo che le ragazze non tardino troppo.» mormorò preoccupata Louise.
Calò un
silenzio preoccupato, a cui Saito cercò di porre rimedio.
«Forza e
coraggio. Sono sicuro che le troveremo già lì ad aspettarci. Quelle due
esaltate non sono tipe da farsi spaventare, non ho ragione?»
«Ben
detto.» rispose Kirche cercando di sfoggiare tutto
l’ottimismo possibile «Per come le conosco io, non morirebbero neanche se
dovesse venire la fine del mondo. Non sarà certo una cosa del genere a metterle
in difficoltà.»
«Se solo
penso ad Eichart, mi sale la rabbia.» disse
l’ambasciatore «È colpa sua se siamo arrivati fino a questo punto. È colpa sua
se avete dovuto rischiare così tanto.
E che
dire di Cicero, poi. Mai mi sarei aspettato di vederlo al servizio di quel
mostro.»
«Parlate
del ragazzo sul ponte?» domando Saito «Lo conoscete?»
«Conoscevo
suo padre. Era il governatore di Oldgar, un feudo
minore asservito alla famiglia di Eichart. Il padre
di Cicero era stato costretto a mandare il figlio come ostaggio al palazzo di Eichart come atto di fedeltà, e quando lui è morto Eichart deve aver preso il ragazzo con sé per farne il
proprio braccio destro.»
«Anche
nel Paese da cui provengo facevano una cosa simile. Il nobile grande
costringeva quelli piccoli a inviare degli ostaggi al suo castello, così era
sicuro che non lo avrebbero tradito.»
«Solo il
cielo sa che menzogne deve avergli raccontato su suo padre per averlo spinto a
servirlo in quel modo.»
«È
orribile.» disse Louise «È una specie di lavaggio del cervello.»
«Purtroppo
è così che funziona a Germania.» disse mestamente Kiche
«Ora dormiamo un po’. Dobbiamo assolutamente arrivare alla fattoria prima che
faccia sera».
Dopo solo qualche ora di
sonno, ancora nel cuore della notte, il gruppo si rimise in movimento, cercando
per quanto possibile di velocizzare il passo approfittando del buio.
Restavano
ancora molte miglia di cammino per arrivare al punto d’incontro, e bisognava
arrivarci ad ogni costo prima della quinta ora pomeridiana, altrimenti non ci
sarebbe stato il tempo materiale per giungere al Vallo entro il tramonto.
Al
sorgere del sole, Saito e gli altri lasciarono la foresta approdando nella
vasta vallata di montagna che costituiva la tappa finale del loro viaggio di
ritorno.
In
lontananza, incuneata tra i picchi, si poteva già scorgere la fortezza, ma ci
pensò Kiergesan a smorzare gli entusiasmi di chi
legava a quella vista una fine imminente a quella pericolosa avventura.
«Non
esaltatevi troppo.» disse la rossa «Sembra vicina per via dell’imponenza, ma in
realtà serviranno almeno altre otto ore per arrivare laggiù.»
«E
allora muoviamoci.» disse Saito «Dopotutto è impossibile sapere se e quanto Eichart e i suoi abbiano colmato la distanza».
Le
ultime miglia furono senza dubbio le più difficili.
Le gambe
erano pesanti, affaticate dalla lunga marcia, respirare veniva difficile, e il
timore di essere seguiti spingeva i ragazzi a guardarsi continuamente alle
spalle, nel terrore di veder comparire da un momento all’altro un’orda di
cavalieri spade in pugno pronti a massacrarli.
Orland in
particolare ormai era allo stremo, e doveva essere sovente aiutato, se non
addirittura trasportato, da Kiergesan, a sua volta
esausto e prossimo al collasso.
Lottando
col dolore, l’intorpidimento alle e la fatica, finalmente i ragazzi giunsero,
addirittura con qualche ora di anticipo rispetto a quanto previsto, alla
vecchia fattoria abbandonata, null’altro che una vecchia casa diroccata, una
stalla pericolante e qualche recinto di legno divorato dalle termiti, e qui
ebbe inizio l’attesa.
Ormai il
vallo appariva vicino, vicinissimo, al punto che quasi se ne potevano scorgere
gli occupanti.
Sarebbero
bastati venti minuti di cavalcata, forse anche meno, e tutto sarebbe finalmente
finito.
Come
concordato, Saito fece un segnale con la torcia, il quale venne notato dai
soldati di guardia che avvertirono immediatamente la duchessa.
«Sembra
che ce l’abbiano fatta.» disse Victor
«Così
pare.»
«Gli andiamo
incontro? Potrebbero aver bisogno di aiuto.»
«Niente
affatto.» replicò la duchessa dopo un lungo, insolito momento di esitazione
«Potrebbe venire interpretato come un atto di invasione. Noi non ci muoveremo
da qui, e li aspetteremo. Dovranno arrivarci con le loro forze.»
«Come
volete».
Saito e gli altri
aspettarono, approfittando della pausa per recuperare le forze in vista della
volata finale verso la salvezza.
Ogni
secondo che passava sembrava una vita, e il suolo stesso di Germania cominciava
ormai ad essergli indigesto. Prima avessero rimesso piede a Tristain, e meglio
si sarebbero sentiti.
«Perché
non arrivano?» domandò Louise vedendo il sole abbassarsi sempre di più,
tingendo l’aria del rosso del tramonto
«A
questo punto, dobbiamo cominciare a pensare al peggio.» disse schiettamente Kiergesan
«Questo
è impossibile.» replicò con forza Kirche mostrando i
suoi due gioielli «Se così fosse questi non sarebbero ancora in mano mia.»
«In ogni
caso, potrebbero essere state catturate. O peggio, potrebbero anche aver deciso
di tradirci.»
«Che
cosa!?» ringhiò la rossa fumando di rabbia «Prova a ripeterlo!»
«Provate
a pensarci. Come avranno fatto a scovarci al ponte? Le loro pattuglie non ci
avevano avvistati, e solo chi conosce bene questa terra avrebbe potuto sapere
dell’esistenza di quel passaggio.
Come
delle spie professioniste, ad esempio».
Era la
goccia di troppo. Kirche quasi saltò addosso al
giovane per riempirlo di botte, ma per fortuna Saito fu svelto a trattenerla.
«Tu non
le conosci, maledetto! Loro non mi tradirebbero mai!»
«In ogni
caso, la priorità è portare al sicuro l’ambasciatore. Tutto il resto è
secondario. Aspetteremo ancora dieci minuti, e se per allora non saranno
arrivate torneremo indietro senza di loro».
Era una
soluzione orribile e disumana, ma anche, a conti fatti, l’unica possibile.
Se
fossero tutti morti, o se l’ambasciatore non fosse ritornato sano e salvo a
Tristain, tutto rischiava di essere stato inutile, incluso il probabile, e a
quel punto ipotizzabile, sacrificio delle due ragazze.
Invece,
all’improvviso, Saito e gli altri si sentirono chiamare, e rivolti gli sguardi
verso il bosco videro Silvye e Morea
correre nella loro direzione in sella a dei cavalli rubati alla prima stazione
di posta in cui si erano imbattute.
La gioia
dei ragazzi fu incontenibile, e quella di Kirche in
particolar modo, che corse incontro alle sue due servitrici abbracciandole
strette.
«Meno
male! Sapete quanto mi avete fatta preoccupare?»
«Ci
perdoni, Kirche-sama.» disse Silvye
«Siamo state trattenute».
Di
fronte alla sua padrona, per fortuna sana e salva, Morea
sentì riemergere tutta la vergogna ed il senso di disonore sopiti fino a quel
momento, tanto che malgrado la felicità dell’averla ritrovata non riuscì a
guardarla negli occhi.
«Che ti
succede, Morea?»
«Kirche-sama, io…».
La
ragazza si buttò in ginocchio, ai piedi della sua padrona.
«Vi
prego, perdonatemi! È tutta colpa mia!»
«Ma di
che cosa stai parlando?»
«Io… io vi ho tradito! Mi sono piegata, e ho rivelato quello
che sapevo del nostro piano di fuga. Ho cercato di nascondere quanto più potevo
per sviarli, ma ciò non toglie che abbia parlato».
Un’ombra
si addensò sul volto di Kirche. Sembrava rabbia.
«Morea non ha colpa, mia signora.» disse Silvye
«Sono io la sola responsabile. Lo ha fatto per salvare me. Se dovete punire
qualcuno, punite me che non sono riuscita a dissuaderla».
Passarono
lunghi, interminabili secondi, poi l’espressione contrita di Kirche si sciolse in un sorriso liberatorio.
«Sono
così felice di avervi nuovamente vicine.» disse abbracciandole «Che tutto il
resto non conta.
E
comunque, come potrei definirmi la
Strega della Passione se incolpassi di qualcosa chi ha preso
una decisione facendosi guidare da essa per salvare una vita?».
Le due
ragazze alzarono lo sguardo, incredule e meravigliate.
«Kirche-sama…»
«Avanti
ora, torniamo indietro.»
«Mai
stato più d’accordo.» commentò Saito «Dal mio punto di vista, questa gita oltre
confine è durata anche troppo».
Fecero
per rimontare a cavallo, ma per l’ennesima volta Morea
fu tormentata da quella sensazione di prurito che non voleva saperne di
lasciarla in pace.
«Dannazione,
non ne posso più.» mugugnò dandosi una grattata.
Sentì
qualcosa che staccava, e pensò dovesse trattarsi di una crosta, ma appena la
guardò si avvide che invece era una specie di grossa pulce, con due fauci
sproporzionate e chiazzate di sangue, e gli occhi che scintillavano di rosso.
Divenne
pallida come la morte.
«Un
insetto spia!» ebbe il tempo di esclamare, per poi evitare di un soffio un
colpo di moschetto arrivato da sinistra.
I
soldati di Eichart avevano proceduto a marce forzate,
riuscendo a fatica a stare dietro al loro comandante, e prima che i ragazzi
potessero raggiungere i cavalli calarono come una mandria impazzita sulla
fattoria armi alla mano.
Persino
il governatore, che di solito evitava di sporcarsi le mani, era in mezzo a
loro.
«È
un’imboscata!» urlò Kirche, che con una fiammata
riscaldò a dovere l’assalitore più vicino scagliandolo via.
Non
c’era l’intenzione di fare prigionieri, e ciò fu evidente nelmomento in cui Kiergesan,
in un combattimento uno contro due, venne trafitto all’altezza dello stomaco da
un affondo che solo grazie allo spesso camiciotto in cuoio che stava portando
non gli risultò fatale.
Orland lo
vide cadere a terra, e senza pensarci scivolò fuori dalla barriera che Morea e Silvyeavevano formato davanti a lui per correre in
suo aiuto.
«Signor
ambasciatore, no!» tentò di urlare Morea.
L’ambasciatore,
raccolta la spada di Kiergesan, richiamò a sé quel
poco di abilità schermistica che l’età gli aveva lasciato, ma tutto quello che
riuscì a fare fu mulinare senza senso l’arma a destra e a sinistra senza
impensierire minimamente i due soldati.
Dovette
intervenire Sylvie per salvarlo, che eliminò i nemici prima che potessero
uccidere anche l’ambasciatore scagliando una coppia di pugnali, mentre Morea invece corse a soccorrere Kiergesan
portandolo velocemente al sicuro dietro ad un carretto.
La
situazione però si fece ben presto disperata.
Saito
combatteva come un leone, cercando per quanto possibile di mantenere il
contatto visivo con Louise, che sapeva essere ancora chiusa dentro la nicchia
formata da una pila di fascine in cui l’aveva costretta a nascondersi, e fu
sorpreso quando, ad un certo punto, la vide intenta a recitare uno dei suoi
incantesimi.
Non
aveva idea di che cosa avesse in mente, e comunque non aveva il tempo per
pensarci, occupato com’era.
Infatti
Louise aveva in mente qualcosa, ma non aveva voluto dire niente per paura che
Saito provasse a fermarla, e concentratasi aveva iniziato a salmodiare pregando
di non venire interrotta sul più bello.
Nel
fragore della battaglia, nessuno si era accorto che d’improvviso la luce del
sole, già per buona parte coperta dalle nuvole, si era fatta di colpo un po’
più forte, così come nessuno aveva notato uno strano tremolio che aveva
iniziato ad interessare le strutture fatiscenti minacciando di farle
definitivamente crollare.
Solo all’ultimo
momento, quando la battaglia appariva ormai irrimediabilmente perduta, a
qualcuno venne da alzare gli occhi al cielo, e ciò che tutti videro era una
enorme sfera pulsante che gravitava proprio sopra le loro teste.
Saito capì
al volo.
«Chiudete
gli occhi!» gridò ai suoi, che ubbidirono al volo.
«Explosion!».
Louise non
aveva alcuna intenzione di uccidere, infatti il suo incantesimo si limitò a
produrre una enorme esplosione di luce e vento, che buttò a terra alcuni ed
accecò tutti gli altri, lasciandoli impotenti.
«Maledetti!»
strillò Eichart, che come quasi tutti i suoi non
aveva fatto a tempo a proteggersi gli occhi
«È il
momento, presto!» disse Saito.
Quando il
governatore e gli altri, esauritosi l’effetto dell’incantesimo, furono
nuovamente in grado di vedere, i fuggiaschi se l’erano già data a gambe, usando
oltretutto alcuni dei loro cavalli.
Approfittando del momento
favorevole Saito e i suoi compagni si erano immediatamente dileguati, ma
nonostante fossero riusciti a rubare alcuni dei cavalli degli uomini del
ministro l’ultima tappa di quel viaggio fu comunque molto lenta.
Kiergesan era
conciato molto male, e andando troppo veloce c’era il rischio di fargli perdere
troppo sangue. Kirche aveva cauterizzato la ferita
come meglio poteva, ma il danno agli organi interni c’era ancora ed era
piuttosto serio, e a meno di non metterlo al più presto nelle mani di un mago
dell’acqua o di un cerusico non sarebbe sopravvissuto a lungo.
Il vallo
era sempre più vicino, distinguibile a malapena tra le basse fronde degli
alberi.
«Ci
siamo quasi!» continuava a ripetere Kirche «Passata
questa foresta restano solo poche centinaia di metri!».
Purtroppo,
con la salvezza ormai ad un passo, il gruppo sentì nuovamente giungere alle
proprie spalle il baccano prodotto dall’approssimarsi degli inseguitori, che al
contrario di loro non esitavano a lanciare i loro cavalli al massimo della
velocità, nonostante il terreno accidentato che minacciava di azzoppare gli
animali.
«Più
veloci! Più veloci! Ormai sono nostri!».
Non dovettero
trascorrere che pochi minuti perché il ragazzi, voltandosi, potessero scorgere Eichart e gli altri, giunti ormai ad un tiro di schioppo.
«Forza,
non fermiamoci adesso!» disse Louise «Ormai ci siamo».
Mancavano
solo poche decine di metri per essere ormai all’esterno, e per quanto folle
nella sua determinazione Eichart non avrebbe mai
rischiato di suicidarsi esponendosi in campo aperto al tiro dei cecchini
appostati sui bastioni della fortezza.
O almeno,
questo era ciò che Saito si augurava, così come si augurava che non sparassero
anche a loro, visto che non avevano avuto il tempo di fare il segnale
convenuto, ma purtroppo ormai quella era la loro unica speranza di salvezza.
Sfortunatamente,
ormai Eichart e gli altri erano arrivati a distanza
di tiro, approfittando anche di un crudele avvallamento che aveva costretto i
fuggiaschi a scendere da cavallo e a proseguire a piedi, appesantiti dal
fardello di Kiergesan e del ministro portati a spalla
da Saito e da Kirche.
Quello era
davvero l’ultimo ostacolo, e se non ne avessero approfittato subito era molto
probabile che li avrebbero persi per sempre.
«Forza,
sparagli!» ordinò il governatore all’unico uomo armato di moschetto.
Quello obbedì,
mettendo il ministro al centro del suo mirino, attese qualche secondo per
essere sicuro di non sbagliare, quindi fece forza sul grilletto.
Il fragore
di uno sparo riempì il silenzio della foresta, rimbombando come un tuono, e Kirche, volgendosi alle proprie spalle, poté vedere uno dei
soldati di Eichart rovinare a terra dal suo cavallo
centrato in mezzo alla fronte.
Il governatore
e i suoi restarono ammutoliti.
«Ma che…».
Cicero sembrava
il più colpito di tutti, e volse lo sguardo nella direzione da cui era partito
il colpo.
Oltre le
foreste, oltre il verde pascolo, lassù, sui bastioni della fortezza, il
capitano LeClerc teneva in mano il proprio moschetto,
ancora fumante e rivolto verso il basso; al suo fianco il fedele Victor, con
tra le mani un secondo schioppo pronto all’occorrenza, che però come al solito
non si era rivelato necessario.
Anni passati
a cacciare nelle sterminate e inospitali montagne orientali avevano trasformato
gli occhi del capitano in quelli di un falco, ai quali nulla passava
inosservato, e incapaci di inquadrare un bersaglio anche a diverse centinaia di
metri di distanza, senza lasciargli via di scampo.
In parte
inconsapevoli di quanto era appena successo, Saito e gli altri, superato l’ultimo
ostacolo, uscirono dalla foresta, e le loro espressioni si caricarono di gioia
nel momento in cui videro finalmente comparire davanti a loro il Vallo, con i
suoi immensi portoni spalancati quasi a volerli risucchiare al suo interno.
Quanto ad
Eichart, lui ed i suoi uomini si portarono a loro
volta al limitare della foresta, ma quando vi giunsero ormai i fuggitivi
avevano percorso metà della radura, ed erano ormai praticamente in salvo.
Eppure,
nonostante tutto, il governatore non voleva saperne di arrendersi.
«Che
aspettate? Inseguiteli!» ringhiò.
Stavolta,
però, i suoi uomini non avevano alcuna intenzione di obbedirgli, perché a
differenza di lui sapevano bene che mettere il naso oltre la linea degli alberi
equivaleva a suicidarsi.
«Non mi
avete sentito? Muovetevi! Se non vi muovete vi trucido con le mie mani!».
Ma neanche le minacce servirono, e allora il
governatore andò su tutte le furie.
«Massa
di inutili, schifosi, putrescenti conigli! Ve la farò pagare!» quindi si
rivolse in direzione della fortezza «Non sperate di cavarvela così! State a
vedere! In una settimana al massimo porterò tutte le truppe di Germania su
questa pianura, e sbriciolerò una volta per sempre il vostro dannatissimo muro!
Mi hai sentito, Orland? Non mi sfuggirai! Dovessi seguirti
fino all’inferno, avrò la tua testa!»
«È tutto
inutile.» disse calmo Cicero vedendo i fuggitivi scomparire all’interno del
vallo, le cui porte vennero poi immediatamente sprangate
«Cicero!?»
lo guardò sconcertato Eichart
«Ormai è
finita, governatore. Per tutti. E soprattutto per lei. Ha voluto giocare con la
fortuna più di quanto fosse prudente fare in nome della sua avidità, e alla
fine è stato punito. Che l’ambasciatore testimoni o meno, quello che è successo
in città sarà più che sufficiente a segnare il suo destino quando il kaiser ne
sarà informato.» quindi guardò Eichart con occhi
sprezzanti e cupi, che mettevano paura «Al suo posto io mi suiciderei qui,
piuttosto che subire l’umiliazione della pubblica gogna che tocca ai nobili
accusati di malversazione».
Il governatore
capì.
Era evidente.
Non c’erano
prove che potessero incolparlo di nulla, nulla che non fosse stato distrutto. Nulla
a parte chi lo aveva aiutato nelle sue malefatte, e che avrebbe testimoniato in
cambio della salvezza.
«Tu…» ringhiò afferrandolo per il bavero «Schifoso
traditore! Come osi? Tu sei mio! Io ti possiedo! Sei il mio schiavo! Il mio…».
Non ebbe
il tempo di finire.
Un pugnale
si conficcò nel suo costato.
«Tutto
quello che era tuo, ora diventerà mio.» gli disse Cicero «Consideralo un
risarcimento per quello che hai fatto a me e alla mia famiglia.
E ora,
vattene a bruciare all’inferno.»
Eichart ebbe
a malapena il tempo di rendersi conto di ciò che era successo, osservando
sgomento i suoi uomini che restavano a guardare senza intervenire, e come
Cicero ritirò la lama cadde da cavallo sprofondando morente nel fango.
«Per mio
padre».
Rinfoderato
il pugnale, Cicero guardò un’ultima volta in direzione del palazzo,
indirizzando un cenno di saluto verso il capitano LeClerc,
quindi, girato il cavallo, scomparve assieme ai suoi uomini nel fitto degli
alberi.
Kiergesan per fortuna fu preso per tempo, e messo
nelle mani esperte dei medici della fortezza recuperò quasi completamente nel
giro di una nottata.
Al sorgere
del sole, e considerando esauriti i propri obblighi, Saito e Louise decisero
che era giunto il momento di fare rientro a Grasse.
«Grazie
per tutto quello che avete fatto.» disse l’ambasciatore prima che Saito e
Louise salissero a bordo del White Dragon «Vi prometto che non lo
dimenticherò.»
«È stato
un piacere, signor ambasciatore.» disse Saito «Adesso cosa farà?»
«Ho già
avviato dei contatti con altri ministri fedeli al kaiser. Ho molte faccende
lasciate in sospeso a Germania, e intendo tornarvi quanto prima.»
«Non
sarà pericoloso?»
«È
quello che gli ho detto anch’io.» commentò Kiergesan raggiungendo
il campo di volo appoggiato ad una stampella «Ma ormai dovreste saperlo che l’ambasciatore
ha una gran testa di legno».
Kirche,
comparsa dal nulla, saltò addosso a Saito.
«Mi
raccomando, Darling. Vieni a trovarmi presto. Ci sono così tante cose che
voglio farti vedere a Germania. Cose interessanti.»
«K…Kirche… ti prego».
Purtroppo
stavolta Saito dovette fare i conti non solo con Louise, ma anche con Silvye e Morea, che gli si palesarono
davanti sprizzando scintille per la rabbia.
«Maniaco!»
«Pervertito!»
«Stupido
cane!».
Angela
assisteva in disparte, appoggiata sulla balaustra ai margini del campo, e
quando Victor la vide sorridere gliene chiese il motivo.
«Ce ne
fossero di più di feudatari come lui. Allora forse questo Paese non starebbe
andando in rovina».
Nota dell’Autore
Salve a tutti!^_^
Io mi vergogno di me stesso.
Questo capitolo in realtà era pronto da un
sacco di tempo. Mancava solo la parte finale, con la fuga dalla fattoria e il
ritorno al Vallo, ma per una cosa o per l’altra non l’ho mai completato.
Me ne vergogno profondamente, perché in
fin dei conti questa è una storia che mi ha dato e mi da ancora oggi enorme
soddisfazione, e tenerla così in sospeso è quasi un crimine.
Se non altro, con questo si chiudono le
vicende legate alla spedizione in Germania, e direi che a questo punto abbiamo
superato la metà della storia.
Da ora in poi ci saranno molte battaglie e
tanta azione, che andrà in crescendo fino alla battaglia finale, che vi
preannuncio molto spettacolare.
Grazie a chi, nonostante tutto, mi segue e
mi recensisce, seldolce,
haruna-chan
e il nuovo arrivato, yumi.
Mamma mia, recensioni in spagnolo non ne avevo mai ricevute. È la prova che in
fin dei conti è una buona fanfic, quindi devo
assolutamente continuarla.
Dopo la prima battaglia
contro Laguiole, Fort Segoile
era stato riparato e pesantemente fortificato, e Kaoru
vi aveva preso pianta stabile assicurandone la difesa.
Quello a
nord era l’unico confine che guardasse verso un territorio nemico, e visto che
la via verso De Ornielle era bloccata dal corso del
fiume Serk, di cui avevano provveduto a distruggere
le dighe, quello era l’unico punto da cui le forze del duca potevano attaccare.
E come
previsto, passata qualche settimana, gli attacchi erano ripresi a ritmo
incessante.
Se solo
lo avessero voluto, le forze di Laguiole avrebbero
potuto spianare il forte come e quando volevano, forti della superiorità
numerica e dei propri equipaggiamenti d’avanguardia, ma ad un solo, devastante
attacco avevano inspiegabilmente preferito una serie continua di piccoli
assalti, con poche migliaia di uomini per volta, facili da respingere ma che,
con l’andare del tempo, si erano fatti sempre più numerosi.
Per gli
occupanti del forte non vi era neanche il tempo di riparare i danni causati
dall’ultimo assalto che subito ne arrivava un altro, e all’interno si era
sempre sul chi vive, con la tensione alle stelle che richiedeva continui cambi
di guarnigione per evitare che a qualcuno saltassero i nervi.
Non si
aveva mai un attimo di riposo, dormire era quasi una conquista, e la tromba
dell’allarme squillava di continuo.
Persino Kaoru ormai iniziava a sentire il peso della fatica e delle
molte ore di sonno perse, e se anche lui che era il generale iniziava ormai a
perdere colpi allora voleva dire che quella era diventata una situazione
davvero insostenibile.
Dopo
l’ennesimo assalto, e con il morale dei suoi uomini ormai ridotto ai minimi
storici, il generale non ebbe altra scelta che fare ritorno a Grasse per fare
rapporto e comunicare le sue conclusioni.
Tirava
un’aria tremendamente cupa nella sala delle udienze, mentre Kaoru
faceva il punto della situazione con Laguiole, e tra
tutti la più preoccupata sembrava Kiluka, presente a
sua volta all’incontro.
«Potrebbero
schiacciarci se lo volessero. Invece, hanno deciso di logorarci poco per
volta.» disse mestamente il generale «Da venti giorni a questa parte, dodici
attacchi consecutivi, la cui forza è andata aumentando da un assalto all’altro.
Abbiamo centoundici morti, quasi duecento feriti, e i danni al forte richiedono
sempre più tempo per essere riparati.
Scommetto
la testa che anche ora mentre parliamo è in corso un attacco.»
«Quanto
credi che potrà reggere il forte?» chiese Saito come
se non volesse sapere la risposta
«Se gli
attacchi continueranno ad aumentare di numero e di intensità, temo che nel giro
di un mese Fort Segoile finirà per capitolare. Sempre
che la guarnigione non si ribelli prima».
I due
coniugi, sconsolati, chinarono la testa.
«E se
questo dovesse succedere?» domandò Louise
«Fort Segoile è situato in una posizione chiave che garantisce
protezione a tutti i nostri domini. Anche i nostri alleati del sud sono
relativamente protetti dalla sua presenza, dal momento che da esso transitano
tutte le strade dirette verso le zone meridionali. Se fossimo costretti ad
abbandonare Fort Segoile, la nostra linea difensiva
si sposterebbe irrimediabilmente verso Fort Oshna. Da
lì potremmo ancora difendere Grasse, ma di contro tutto il resto, a cominciare
da De Ornielle, andrebbe perduto».
Kiluka di
colpo corse via, nascondendo il viso dietro le maniche del vestito per evitare
che potessero scorgere le sue lacrime.
«Signorina!»
disse Seena correndole dietro.
Anche
Louise la inseguì, lasciando da soli Saito e Kaoru.
«Temo
che si senta responsabile.» disse Saito
«Lei è
solo il pretesto, questa è la verità. Nelle ultime settimane Valat ha conquistato quasi tutta la costa settentrionale, e
qualche giorno fa le sue armate del nord hanno iniziato a muoversi anche verso
l’interno.
Se non
ha ancora marciato sulla capitale, è solo perché prima vuole sistemare i conti
con noi. A quel punto, niente gli impedirebbe di entrare a Tristania
e reclamare il potere.»
«Per
quale motivo credi che esiti ad attaccarci con tutte le sue forze?»
«L’eco
della nostra vittoria su Floubert si è già sparso in
lungo e in largo per tutto il Paese. Probabilmente teme il potere della Valliere, e vuole prima spingerci a scoprire le nostre
carte.»
«Immagino
sia così. Comunque è un vero peccato che la Valliere
richieda così tanti giorni per poter essere ricaricata.»
«E
comunque, data la sua scarsa autonomia in volo, non è in grado di compiere
lunghe spedizioni nell’entroterra, il che di fatto la renderebbe inutile in
teatri di guerra troppo lontani dal mare.
Se
dovessero cercare di assediare la città potremmo indubbiamente servircene, ma
non esiste che possa offrire una protezione continua e sicura anche intorno a
Fort Segoile, o in questo caso l’avrei già fatta
muovere».
Saito chinò
il capo come soprapensiero.
C’era
un’idea che, intimamente, meditava da diverso tempo, ma che fino ad allora non
aveva mai voluto prendere seriamente in considerazione. Ora, però, era chiaro
che non si poteva più tergiversare.
«Tu…»
balbettò «Credi sarebbe possibile attaccare Boulogne?».
Kiluka nel frattempo era corsa in giardini, fattisi
una interminabile distesa bianca con tutta la neve che era caduta negli ultimi
giorni a testimoniare, anche lì, l’arrivo dell’inverno.
Louise e
Seena la trovarono raggomitolata sotto il suo gazebo
preferito, il volto nascosto tra le ginocchia e i singhiozzi faticosamente
repressi.
«Signorina…»
disse Seena
«È tutta
colpa mia. Se non fossi qui, nulla di tutto questo starebbe accadendo.»
«Non
dire così, Kiluka. Tu non hai nessuna colpa.» disse
Louise
«Tutti
quei soldati. Tutte quelle persone innocenti. Sono tutti morti per proteggermi.
Forse dovrei consegnarmi a mio zio, così almeno tanta gente innocente
smetterebbe di morire.»
«Credi
davvero che sia solo per te?» disse ancora Louise quasi con rimprovero «Non
fare la bambina viziata, non sei così importante».
Sia Seena che Kiluka la guardarono
perplesse e sgomente.
«Louise-sama…»
«Onee-sama…» disse Kiluka
trattenendo a stento le lacrime
«Il
conte Valat è un maledetto ambizioso affamato di
conquista. Tutto quello che vuole è il potere, per ottenerlo deve schiacciare
chiunque lo minacci, e tu, ragazza mia, sei solo uno dei tanti avversari di cui
deve sbarazzarsi per potersi prendere il Paese.»
«Però…»
«È vero,
forse lo fa anche per cercare di avere te, ma di certo non è questo l’unico
motivo che lo spinge ad attaccarci. E se davvero lo credi, allora non sei
diversa da tutte le aristocratiche viziate che ho conosciuto.»
«Luise-sama… così però…» tentò di protestare Seena
«Tu sei
una duchessa. Un giorno le terre che tuo zio ha usurpato apparterranno a te.
Sarai un feudatario. E in quanto tale, avrai a che fare quotidianamente con
situazioni di questo tipo.
Dovrai
prendere decisioni, decisioni spesso difficili, e dovrai portarne il peso.
Prendi
esempio da Saito. Lui fa quello che ritiene giusto,
assumendosene la responsabilità. Credi che non soffra per ogni soldato che
muore? Che non desidererebbe scambiare la sua vita per uno solo di loro?
Purtroppo
è questa la realtà del mondo in cui viviamo. Io e lui abbiamo dovuto farcene
una ragione, ed è giunto il tempo che lo faccia anche tu. Altrimenti i tuoi
servitori, e i cittadini che dipenderanno da te, avranno tutto da perdere ad
averti come feudataria».
Louise
sembrava diventata un’altra persona, tanto il suo volto si era fatto serio,
contrito, quasi minaccioso.
Non
mostrò alcuna esitazione, neanche di fronte agli occhi umidi di Kiluka, e concluso ciò che aveva da dire se ne andò
lasciando la bambina da sola a piangere tutte le sue lacrime, inutilmente
consolata da Seena.
«È
incredibile.» mormorò tra sé sfiorandosi il ventre «Sono proprio come mio
padre».
Passarono dei giorni, e
stranamente, contro le previsioni di Kaoru, non
accadde nulla.
Gli
attacchi a Fort Segoile proseguirono, ma in misura
minore rispetto a quanto il generale aveva preventivato, e tanto la frequenza
quanto il numero di forze in campo subirono una graduale diminuzione, fino a
trasformarsi in rapide e quasi improvvisate sortite che si esaurivano dopo
appena qualche schermaglia.
Sembrava
quasi che la potenza militare di Laguiole fosse in
calando, o forse il duca sperava davvero di provocare una rivolta all’interno
della fortezza optando per una strategia a corrente alternata, che alternasse
momenti di continui attacchi ad altri di inspiegabile ed interminabile quiete.
In ogni
caso Kaoru era stato trattenuto nella capitale, dove
aveva potuto concentrarsi con Joanne sulla formazione delle nuove reclute,
mentre di contro Kilyan era stato inviato a Fort Segoile con la nuova guarnigione.
Dopo
quella specie di crudele rimprovero tra Louise e Kiluka
era calato il gelo.
Le due
non si guardavano né si parlavano, e cercavano per quanto possibile di evitare
persino di incontrarsi.
Louise
era consapevole di avere esagerato, ma temeva che liberando Kiluka
dal dolore che sicuramente provava per le cose che le aveva detto scusandosi
con lei avrebbe solo ottenuto di farla soffrire ancora di più quando la realtà
fosse venuta a bussare alla sua porta.
Purtroppo,
la realtà dei fatti era che Tristain non era più
quella di un tempo, e fino a che le cose non si fossero sistemate, sempre
ammesso che potesse accadere, era necessario che Kiluka
fosse pronta ad affrontare ciò che l’aspettava.
Ma era
destino che la quiete non durasse, e quando Saito e
gli altri si accorsero di essere abboccati al tranello teso dal duca ormai era
troppo tardi.
Una
mattina, un messaggero arrivò al palazzo come se avesse avuto la morte alle
calcagna, tanto che il suo cavallo stramazzò a terra morente subito dopo averlo
fatto scendere.
«Fatemi
passare!» urlò alle guardie al portone che tentarono di sbarrargli la strada
«Vengo da Serk City! Devo parlare subito con lord Hiraga e il generale Kaoru!».
Il
messaggero venne subito condotto alla presenza dei sovrani e del loro generale,
ai quali si rivolse con il poco fiato che la paura sembrava avergli lasciato in
corpo, e ciò che disse fece piombare il gelo sulla sala delle udienze.
«Serk City è sotto attacco!»
«Che
cosa!?» sbraitò Kaoru
«È così,
miei signori! L’esercito di Laguiole ha cinto
d’assedio la città tre giorni fa! Ci hanno completamente tagliati fuori! Il
tenente-colonnello Vannings ha assoluto bisogno di
rinforzi, ma lo sbarramento nemico è tale che di dieci esploratori inviati
contemporaneamente per cielo, per mare e per terra solo io sono riuscito ad
attraversarlo.
Se non
verranno inviate nuove truppe al più presto, la città capitolerà in meno di una
settimana.»
«Maledetto
bastardo.» imprecò Saito «Allora era questo il suo
piano.
Ci ha
tenuti sulle spine con Fort Segoile, e intanto
preparava il vero attacco da tutt’altra parte.»
«E
adesso cosa facciamo?» chiese Louise
«Mi pare
ovvio.» rispose Kaoru «Serk
City si affaccia sul mare. Porterò laggiù la Valliere
e spianerò il loro esercito una volta per tutte.»
«Ma
riuscirai ad arrivare in tempo?» domandò Saito
«Anche
se la nave non si è ancora ripresa, può navigare senza problemi, anche se a
regime leggermente ridotto. Do subito ordine di prepararsi per la partenza.
Lavorando tutta la notte, potremo salpare già domattina».
Tra la
confusione e lo sgomento portato dalla notizia, erano tutti troppo sconvolti e
con la testa altrove per accorgersi dei portoni del salone lasciati
imprudentemente socchiusi, e del fatto che qualcuno, appostato dietro, avesse
udito ogni cosa.
Kaoru fu di parola. Raggiunta in tutta fretta Otisa, dove la Valliere era
ormeggiata, aveva immediatamente messo al lavoro tutti, dagli ufficiali di
plancia all’ultimo dei lavaponti, e al sorgere della
successiva alba la nave era già affacciata dall’interno della caverna, pronta a
salpare.
«È tutto
pronto.» disse il generale ai due ragazzi mentre i rinforzi convocati dalla
capitale al comando di Joanne percorrevano la scaletta costruita a ridosso
della scogliera per imbarcarsi «Se tutto và per il meglio, per domani notte
potremmo già essere a Serk City.»
«Mi
raccomando Kaoru, fa attenzione.»
«Non
preoccuparti, Louise-chan.» disse Derf
«Lo terrò d’occhio io».
Saito gli
strinse la mano, scambiandosi con lui uno sguardo di incoraggiamento, quindi Kaoru si avviò a sua volta giù per la scaletta, e pochi
minuti dopo la Valliere mollò gli ormeggi facendo
rotta verso est, verso la città assediata.
Saito e
Louise restarono sulla scogliera, ad osservare la nave che si allontanava,
quindi, scambiatisi uno sguardo di speranza, tornarono sui propri passi.
Stavano
quasi per risalire in carrozza quando Seena, che
avevano lasciato a guardia del castello, sopraggiunse a cavallo con
l’espressione e gli occhi di chi ha il cuore in gola per la paura.
«Seena, che ci fai qui?» domandò Louise «Dovresti essere a
Grasse.»
«Miei
signori, Kiluka è qui con voi?».
I due
coniugi si guardarono attoniti.
«No.»
disse Saito
«Questa
mattina sono andata a cercarla nella sua camera sua, ma non l’ho trovata.»
«Forse è
andata in città.» ipotizzò Louise con la voce di chi vuole darsi false speranze
«Non sarebbe la prima volta.»
«Ho
provato a domandare, ma nessuno l’ha vista. Inoltre è scomparso un cavallo
dalle scuderie.» poi, il tremendo sospetto «Temo sia andata a Laguiole per consegnarsi al duca».
Non
servì molto perché il sospetto, agli occhi di tutti, si tramutasse in certezza,
e fra tutti la persona che più si sentì mancare nel realizzare ciò che stava
accadendo fu proprio Louise.
Avrebbe
dovuto immaginare che la cosa sarebbe potuta degenerare in quel modo. Eppure
aveva visto gli occhi di Kiluka, la sua frustrazione,
e quel senso di impotenza che lei stessa più volte aveva provato prima di
scoprire la magia del vuoto.
Doveva
capirlo.
Adesso,
era suo il compito di rimediare.
Non
poteva permettere che quella ragazzina così onesta e gentile pagasse il prezzo
dell’orrore e dell’oscurità che stavano divorando Tristain.
Non lei, che un domani poteva diventare una luce capace di riportare la
speranza.
Nel
mentre Saito aveva già sbrigliato uno dei cavalli
della carrozza per correre appresso alla duchessa, nella speranza di
raggiungerla prima che arrivare a Boulogne, ma grande
fu il suo stupore quando vide Louise fare altrettanto.
«Louise…»
«Non
cercare di fermarmi, Saito. Se è successo è anche
colpa mia. Non dovevo essere così crudele e disumana.
Se fossi
stata un po’ più comprensiva, forse Kiluka non se ne
sarebbe andata».
Saito si
avvide che la mano di Louise tremava. La toccò con la propria, guadagnandosi
un’occhiata sorpresa.
«Saito…»
«La
riporteremo indietro, Louise. Insieme».
Louise
sorrise.
«Grazie,
Saito.»
«E ora
forza, sbrighiamoci. Visto il tempo che è passato, è molto probabile che per
riprenderla dovremo andare fin dentro Boulogne.
E chissà
che in questo modo questa faccenda non si sistemi una volta per tutte».
Valat era talmente sicuro che Kiluka avrebbe abboccato all’amo che, su suggerimento della
sua fidata consigliera, aveva posizionato sentinelle ed esploratori lungo ogni
strada, sentiero e roccia che da Grasse portava a Boulogne.
Poco
dopo il tramonto, Kiluka fu catturata, o per meglio
dire si consegnò ai suoi nemici, appena messo piede a Laguiole
e condotta alla presenza di suo zio, nella stessa stanza all’ultimo piano del
castello che era stata di suo nonno, e dove l’aveva visto per l’ultima volta
ormai quasi due mesi prima.
«Guarda,
guarda.» disse Valat accomodandosi alla scrivania
dirimpetto all’ingresso «Alla fine, la mia adorata nipotina è tornata dal suo
amato zio. Finalmente.»
«Quel
posto non ti appartiene.» ringhiò Kiluka, che se non
avesse avuto le mani legate dietro la schiena gli sarebbe saltata addosso «È
solo il nonno che ha il diritto di sedersi lì.»
«Non
più, visto che è morto. Ma consolati. Ha pregato per te fino a che ha avuto un
alito di vita.»
«Sei un
mostro. Mi fai schifo.»
«Accidenti.»
commentò Fouquet, in piedi accanto al duca «Che
lingua tagliente ha la piccola.
Hai almeno
idea della situazione in cui ti trovi?»
«Il
vecchio si è scelto da solo quella fine. Se avesse mostrato un po’ più di
ragionevolezza, dando a me quello che era mio di diritto, forse ora sarebbe
ancora vivo.»
«Non sei
degno del titolo di governatore, né tanto meno di re. Che razza di regno
potrebbe mai creare uno come te? Sarebbe solo un regno di malvagità e terrore.»
«Non
giudicarmi, ragazzina. Sto solo facendo quello che è necessario. Forse non te
ne sei accorta, ma c’è una guerra là fuori. E personalmente, non ho alcuna
voglia di trovarmi dalla parte sbagliata della barricata.»
«Non mi
interessa quali siano le tue ragioni.
Io sono
qui. Mi sono consegnata a te. Uccidimi se proprio devi, ma lascia stare Kaoru-kun e Louise-sama. Promettimi
che non farai loro alcun male e ti consegnerò la mia testa.
Promettimelo!»
«Non
farò loro del male!?» disse attonito il duca.
Sia lui
che Fouquet scoppiarono in una fragorosa risata, che
lasciò Kiluka di sasso.
«Sei
davvero una bambina ingenua. Pensavi sul serio che fosse solo per causa tua che
ho fatto la guerra a quei due!?
Tu eri
il pretesto! Noi volevamo Grasse e la Maga del Vuoto molto più di quanto io
volessi te. Il fatto di esserti rifugiata proprio lì ci ha solo facilitato le
cose.
E tu
credevi sul serio che consegnarti a me avrebbe fatto finire tutto!? Non ho
parole!».
Solo a
quel punto, Kiluka realizzò. Realizzò quanto tutto
fosse stato inutile.
E allora,
in lei montò la rabbia.
«Maledetto!».
Materializzato
un pugnale nelle proprie mani tagliò fulminea le corde, e con la stessa arma
fece per scagliarsi sullo zio, ma la guardia di palazzo che l’aveva portata lì,
un giovane di nome Tiberius, fu più svelto e la
trattenne forzatamente per la collottola, costringendola in ginocchio dopo
averla disarmata.
«Ne ha
di energie la piccola.» commentò Fouquet «È un
peccato che debba morire. D’altra parte, meno famigli del vuoto ci sono in giro
e meglio sarà.»
«Ritieniti
fortunata.» disse Valat alzandosi in piedi «Se non
altro, morirai per mano della stessa persona che ha ucciso il tuo adorato
nonno.» quindi si rivolse alla guardia «Portami il suo cuore e infilza la sua
testa su una lancia. Gli abitanti di Boulogne avranno
una bella sorpresa al risveglio domani mattina.»
«Sarà
fatto, mio signore.»
«Puoi
uccidermi, ma non vincerai.» ringhiò Kiluka mentre
veniva portata via
«Al
contrario, tesoro. Tu sarai il mio lasciapassare per la vittoria finale. Scommetto
tutto quello che possiedo che in questo preciso momento i tuoi preziosissimi
amici stanno correndo qui veloci come il vento per tentare di salvarti».
Kiluka sgranò
gli occhi.
Non ci
aveva minimamente pensato, persa com’era nei suoi pensieri.
Aveva
commesso quella specie di suicidio per evitare alle persone che l’avevano
aiutata ulteriori sofferenze, ma se quel mostro aveva ragione le stava invece
per consegnare alla morte.
«Non
puoi farlo!» urlò mentre veniva portata via «Sei un mostro! Un animale! Che tu
possa bruciare all’inferno!».
Nel momento
in cui il soldato lasciò la stanza ne entrò un altro, con la seconda buona
notizia che il duca sperava di ricevere.
«Le
nostre spie a Grasse ci informano che la Fortezza d’Acciaio ha levato l’ancora
diretta verso Serk City.»
«Molto
bene.» sogghignò Valat «Anche meglio di quanto
sperassi».
Kiluka venne portata nelle stalle attigue al
palazzo, nuovamente legata e fatta inginocchiare sulla paglia umida, poco
distante dal porcile dove i maiali, insaziabili come sempre, si affollavano
grugnanti attorno alla mangiatoia.
Cercava
di non piangere, di mostrarsi risoluta almeno nel momento della fine, ma la
consapevolezza di aver condannato a morte i suoi amici era tale da non poter
essere sopportata.
La
guardia che aveva accompagnato Tiberius dopo che
questi ebbe lasciato la sala delle udienze, senza esitazione o freno alcuno
sguainò la spada per compiere il suo dovere.
«Lascia
stare.» disse il giovane «È compito mio. Tu vai a recuperare una lancia. Il signore
vuole che la testa venga esposta subito nella piazza centrale».
Bofonchiando
contrariato il soldato se ne andò, dirigendosi verso l’armeria per svolgere il
proprio ingrato compito e lasciando Tiberius da solo
con la ragazzina.
Per tutto
quel tempo Kiluka restò immobile, ma quando sentì alle
proprie spalle il rumore sinistro di una spada che scivolava fuori dal suo
fodero un brivido le attraversò la schiena.
Chiuse gli
occhi più forte che poteva, cercando nuovamente di trattenere le lacrime.
«Mi
dispiace, duchessina.» disse Tiberius «Non avrei mai
voluto che la cosa degenerasse fino a questo punto.»
«Avete
tradito la fiducia di mio padre e di mio nonno!» sbraitò Kiluka
«Avete tradito il vostro giuramento!» quindi, sprezzante, mormorò «Se devi
farlo, allora sbrigati. Non farmi attendere oltre».
Tiberius temporeggiò,
come esitante, poi allargò le braccia, inarcò il busto ed alzò le braccia sopra
di sé, stringendo forte entrambe le mani attorno all’impugnatura.
Di nuovo,
Kiluka chiuse gli occhi e serrò i denti, assaporando
il suo ultimo respiro.
La lama
piombò fulminea, implacabile.
Un solo
colpo. E tutto finì.
Nota dell’Autore
Rieccomi!^_^
Mi ci è voluto un po’, ma se non altro
stavolta non vi ho fatto aspettare un’eternità.
Allora, che ve ne pare?
Niente male come colpo di scena. E vedrete
che non è ancora finita.
Nel prossimo capitolo, che chiuderà le vicende
legate alla successione al comando di Laguiole, ne
vedrete delle belle, e succederanno molte altre cose che stravolgeranno gli
equilibri della storia in modo determinante.
Poi, dal capitolo successivo, finalmente
inizieranno ad arrivare le prime risposte, accompagnate però da nuovi momenti
drammatici.
Ormai ci stiamo avviando a grandi passi
verso il clou della vicenda. Tra breve tutti i pezzi saranno al loro posto, e
la guerra civile a Tristain conoscerà il suo momento
più drammatico.
A breve, inoltre, spero di poter
pubblicare una nuova Opening immaginaria, visto che ormai la prima, per
contenuti e tematiche, può già dirsi superata.
Meno di un’ora dopo che
Kiluka era stata portata via, Tiberius fece ritorno
nella stanza all’ultimo piano, dove il duca stava consumando la sua lauta cena,
mettendo sul tavolo un panno insanguinato.
«La
duchessa Kiluka».
Valat posò il
calice, e aperto il panno prese in mano il cuore che vi era dentro, ancora
caldo e gocciolante di sangue.
Sorrise.
«Farò
felice il mio amico.» disse, e gettatolo ai propri piedi attese che il suo molosso
ne facesse un solo boccone «Prepara gli uomini. È probabile che presto avremo
altri ospiti. E quando accadrà, elimina anche l’ultimo traditore.» quindi
riprese a cenare.
Kaoru avrebbe voluto
spingere la Valliere al massimo delle sue
possibilità, ma i motori, anche se potenziati grazie alle modifiche apportate
da Colbert, subivano uno sforzo enorme ogni volta che la nave si alzava in
volo, e anche se ciò non le impediva di navigare era comunque necessario non
sovraccaricarli troppo.
Così,
degli oltre trenta nodi che poteva raggiungere, il generale era stato costretto
a ordinare di procedere ad una velocità di poco superiore alla metà, altrimenti
c’era davvero il rischio che i motori finissero per scoppiare.
Ma
quella missione sembrava essere accompagnata da quella che poteva definirsi una
cattiva stella.
Solo tre
ore dopo la partenza la Valliere aveva urtato una
secca, un maledetto scoglio nascosto sbucato da chissà dove, giocandosi una
delle pale dell’elica di dritta, e ciò aveva ulteriormente limitato la sua
velocità.
Il
giorno successivo, era stato percorso appena metà del tragitto.
Kaoru
aveva preferito non navigare sottocosta, per non correre il rischio di venire
avvistati da qualche spia o esploratore, e ad una rotta in linea retta ne aveva
preferita una a cuneo, così quella mattina il generale, salendo sulla torre di
guardia, vide attorno a sé null’altro che l’oceano, con le bianche spiagge di
Grasse ridotte ad una tenue linea oltre l’orizzonte.
Era
nervoso. Preoccupato.
«A che
pensi?» domandò Derf leggendo il suo stato d’animo
«C’è
qualcosa che non mi torna.»
«Parli
dell’attacco a Serk City?»
«La
vittoria su Floubert ha fatto il giro di Tristain e
non solo. Da allora nessuno ha più tentato di attaccare noi o i nostri alleati,
a parte Laguiole. Hanno tutti una paura maledetta di
quella che chiamano la Fortezza d’Acciaio, senza contare che nonostante le
ridotte dimensioni disponiamo di un esercito numeroso.
Quindi
perché attaccare Serk City? Non è una città
particolarmente fortificata, ma espugnare Fort Segoile
sarebbe stato sicuramente più facile.»
«Forse
il duca crede che i suoi troll sapranno reggere il confronto con la Valliere.» ipotizzò Joanne comparendo sul ponte
«Già. I
troll. Mi domando perché finora non ce li abbia mai scagliati contro. Secondo
Kiluka Valat ne ha al suo servizio almeno due, e uno
solo sarebbe stato più che sufficiente per prendere Fort Segoile
senza difficoltà.»
«Questa
faccenda ha assunto dei toni decisamente strani.» sentenziò Derf
«Sento una gran puzza di trappola.»
«Allora
siamo in due.» disse Joanne
«No, in
tre.» disse Kaoru «Sarà meglio fare la massima attenzione. Ad ogni modo,
comunque vada, dobbiamo difendere Serk City ad ogni
costo».
Saito e Louise seguirono le
tracce di Kiluka oltre i confini di Grasse, e proprio come Saito aveva previsto
queste li condussero dritti dritti fin sotto le mura
di Boulogne.
Regnava
una strana calma, e anche le postazioni di guardia erano stranamente poco guarnite.
O il
duca era talmente sicuro di sé da non aspettarsi azioni ai suoi danni, o forse
più semplicemente la grande maggioranza del suo esercito era impegnata
nell’assedio di Serk City.
«Peccato
essere solo noi tre.» commentò Saito appostato assieme alle ragazze dietro una
siepe a ridosso delle mura «Con simili difese non sarebbe stato difficile
prendere la città.»
«Non è
il momento di pensare a certe cose.» lo ammonì Louise molto nervosa «Ora
dobbiamo pensare solo a ritrovare Kiluka.» quindi si rivolse a Seena «C’è un
modo per entrare senza essere visti?»
«C’è un
canale di scolo che parte dal fossato e passa sotto le mura. Seguitemi.»
«Canali
di scolo, sempre loro.» mugugnò Saito alzandosi in piedi e seguendo le ragazze
«Mai una volta che si riesca ad entrare di nascosto in una città senza
ricoprirsi di melma».
Fortunatamente
il varco non era mai stato localizzato dalle truppe, e anche lo stesso duca non
ne era a conoscenza, così i tre riuscirono a penetrare in città senza essere
notati, pur con gli stivali e le scarpe insozzati all’inverosimile.
Regnava
una calma assoluta, quasi irreale. Le finestre delle case erano tutte
sprangate, con sole poche luci appese fuori delle porte a rischiarare le strade
deserte.
In
lontananza, arroccato sul suo colle, il palazzo, anch’esso stranamente poco
illuminato.
«Kiluka
deve essere di sicuro lì dentro.» disse Louise
«Entrare
non sarà facile.» disse Seena «Ci sono due ingressi, e probabilmente saranno
entrambi sorvegliati. Quello che passa dal giardino è più lungo, ma l’ingresso
principale sarà di certo molto più presidiato.»
«Sarà
molto più facile se ci divideremo.»
«Non se
ne parla, Louise.» la ammonì Saito «Non ti lascerò andare in giro da sola.»
«Solo
perché sono incinta non vuol dire che non possa cavarmela.» replicò lei «Creerò
un diversivo al cancello secondario per attirare la loro attenzione, così voi
potrete passare indisturbati da quello principale.»
«È un
piano pericoloso, miss Valliere.» disse Seena «Forse
sarebbe meglio che mi occupassi io di organizzare il diversivo
«È fuori
discussione. Tu devi guidare Saito attraverso il palazzo. Sei l’unica a
conoscerlo.»
«Mia
signora, è troppo pericoloso. La guardia del castello è composta da soldati
molto capaci, e voi sareste da sola.»
«Taci!
Quello che conta è solo salvare Kiluka! Tutto il resto non hai importanza!».
Uno
schiaffo si abbatté sulla guancia di Louise, riportandola alla realtà.
«Saito…» disse attonita
«Se ti
fai ammazzare non avremo risolto niente. L’hai detto tu, siamo qui per salvare
Kiluka, ma se vogliamo riuscirci dobbiamo essere lucidi. E questo non comprende
l’attaccare a testa bassa lanciandoci in azioni suicide, non sei d’accordo?».
Louise
capì che Saito aveva ragione, e cercò per quanto possibile di recuperare il
sangue freddo e di calmarsi.
«Scusatemi.
È solo che mi sento così in colpa. Se non mi fossi comportata a quel modo…»
«Lo hai
fatto per il suo bene.» la rincuorò Saito
«So cosa
vuol dire sentirsi inadeguati. Credere che tutto di sia contro senza poter fare
niente per opporti.
Per
questo avrei dovuto cercare di capirla, invece che rimproverarla e ferirla come
ho fatto.»
«Credevi
che fosse la cosa giusta da fare. Quando sarà tutto finito potrete chiarirvi.
Quindi, sbrighiamoci. Io distrarrò le guardie al cancello sul retro. Appena
avranno abboccato all’amo, trovate Kiluka e portiamola via da qui. Ci
ritroviamo qui davanti alla grata per la fuga.»
«D’accordo.»
dissero in coro le due ragazze, e a quel punto i tre si separarono.
Saito, ricevute le
indicazioni per arrivare al giardino posteriore senza dare nell’occhio, si avviò
lungo le stradine strette e tortuose di Boulogne.
«Accidenti.»
mugugnò appiattendosi contro ogni angolo e sbirciando oltre alla ricerca di
eventuali minacce «È stata proprio una gran bella idea».
Arrivato
nella piazzetta circolare che stava proprio ai piedi delle mura del palazzo, e
dalla quale si dipanava la stradina che saliva fino all’ingresso secondario,
Saito fece per attraversarla in tutta fretta, quando un palo infilato in cima
ad un piccolo ballatoio attirò la sua attenzione.
Venature
rosse rigavano il legno, ed il silenzio tutto attorno era rotto da un
incessante rumore di gocce che lentamente cadevano verso terra. Saito si
bloccò, e qualcosa dentro di lui cercò di dissuaderlo dal guardare cosa vi
fosse conficcato sulla punta della lancia acuminata legata sulla sommità
dell’asta, soprattutto dopo aver letto la scritta sul cartello lasciato a
pendere da una cordicella.
La Fin De
Les Traîtres
La Fine dei Traditori
Non
ascoltò quella voce, e nell’istante in cui i suoi occhi raggiunsero la cima
qualcosa nel suo cuore si ruppe, paralizzandolo; gli occhi si fecero bianchi,
il respiro mozzato, la bocca piegata in un gemito impossibile da far uscire.
Era
impossibile. Non poteva essere successo.
Non a
lei. Non ad una ragazzina.
Uno come
lui non riusciva neppure a concepire una tale mostruosità.
Le gambe
cedettero, fattesi deboli da non riuscire a reggerlo.
Allora
era stato tutto inutile.
Ma
questo era l’ultimo problema. Cosa avrebbe detto a Louise? Come avrebbe fatto a
spiegarle una cosa del genere?
Ma anche
lui si sentiva un miserabile. Quella bambina era venuta da lui a chiedere
salvezza, e ora era morta. E quello che era peggio, era morta nel tentativo di
aiutare loro.
Il suo
urlo disumano squarciò il silenzio della notte, facendo tremare tutti quelli
rinchiusi nelle loro case, molti dei quali non osarono affacciarsi
dall’interno, e mentre ancora le lacrime inondavano il suo viso, piegato in un
pianto disperato, Saito sentì montare dentro di sé un odio sconfinato.
Sentì la
sua anima colorarsi di nero, divorata da una rabbia mai provata prima, e prima
di rendersene conto stava correndo come un demonio verso la porta del castello
con la spada in mano. Le guardie, poche, che presidiavano il varco se lo videro
venire contro come un angelo dell’inferno, e primache potessero accorgersene era già in mezzo a
loro.
Colpì
senza remora, e senza alcuna pietà, uccidendo per la prima volta in vita sua
senza provare alcun rimorso.
Erano
animali. Animali che non meritavano alcuna misericordia.
«Morite!»
urlò colpendo in ogni direzioni «Morite e basta!».
Louise e Seena restarono
nei pressi dello stradone alberato che conduceva all’ingresso principale, e non
dovettero aspettare molto perché dal retro del palazzo giungessero grida
d’allarme ed il suono di una campana.
«Saito
ce l’ha fatta.» disse Louise
«Forza,
andiamo.» disse Seena «Lord Hiraga sarà anche forte,
ma se combatte come al solito non resisterà a lungo contro la guarnigione del
palazzo».
Le due
ragazze a quel punto si avviarono lungo la strada, e raggiunto rapidamente
l’ingresso Seena non dovette fare altro che mettere a nanna le poche guardie
rimaste, tutte troppo inesperte per poterle reggere il confronto. Una tentò una
resistenza più accanita, ma il colpo di grazia ci pensò Louise ad infliggerglielo
con un blando incantesimo che sparò il poveretto contro il portone,
facendoglielo sventrare.
«Ecco
fatto.» disse Louise «Niente di che».
Seena,
però, non era tranquilla.
Anche
dando per buono il fatto che la maggior parte dei soldati fosse impegnata al
fronte, la città sembrava fin troppo sguarnita, e anche la guarnigione del
castello sembrava stranamente esigua, anche più di quello che si sarebbe
aspettata.
Improvvisamente,
realizzò.
«Miss Valliere, correte!» esclamò
«Cosa!?»
disse lei cadendo dalle nuvole.
Ma non
fecero in tempo.
Come le
due ragazze misero piede nel viale che univa il portone d’ingresso col cancello
principale, una ventina e più di soldati nascosti tutto attorno sbucarono alle
loro spalle e corsero loro contro con le spade sguainate.
Li
guidava Tiberius, la giovane e promettente guardia
con cui Seena si era addestrata innumerevoli volte, e che con la sua fuga
doveva aver preso il suo posto a capo della scorta personale del duca.
«Maledizione,
lo sapevo!» esclamò Seena «Miss Valliere, voi
proseguite! A loro ci penso io!»
«Sono
troppi! Non ce la farai mai da sola!»
«Non
temete, in qualche modo me la caverò! Voi proseguite e raggiungete il chiostro!
Da lì potrete scendere nei sotterranei! Quasi sicuramente la duchessa è
rinchiusa li!».
Louise
non era convinta, ma vedendo Seena affrontare ed abbattere facilmente i primi
due assalitori si convinse, e seppur con qualche esitazione la lasciò sola
correndo via prima di poter essere fermata.
Pur se
in netta inferiorità numerica Seena affrontò gli avversari a spada tratta, il
che sarebbe stato quasi impossibile visto il rapporto di forze; stranamente
però solo i soldati e le guardie cittadine caricarono a testa bassa, mentre di
contro i membri della guardia ducale agli ordini di Tiberius,
riconoscibili dai tricorni neri e dai lunghi abiti blu marino, inizialmente si
tennero in disparte, limitandosi a qualche assalto sporadico per far
deconcentrare la ragazza rendendo il lavoro più facile ai compagni.
Sicuramente
c’era di mezzo la questione dell’orgoglio, che impediva a guerrieri degni di
tale nome di assalire tutti insieme un singolo avversario per schiacciarlo con
la forza del numero, ma d’altra parte se di onore si trattava agli occhi di
Seena lo avevano già perso nel momento in cui, dopo la caduta di Lord Charnizay, si erano piegati al conte per avere salva la
vita.
Uno dopo
l’altro la soldataglia venne quasi annientata, e quando non ne rimasero che
pochi elementi, pronti a dare il colpo di grazia ad una nemica ormai sfinita e
in ginocchio, gli uomini della scorta ducale si decisero finalmente ad
intervenire, circondando Seena e trattenendo di fatto i soldati superstiti dal
massacrarla.
Tiberius si
fece avanti, tenendo la sciabola ricurva puntata su di lei.
Eccolo,
infine.
L’ultimo
traditore menzionato dal duca. Morta lei sarebbe morto l’ultimo significativo scampolo
di fedeltà al deposto signore di Laguiole e alla sua
erede legittima, e a quel punto non sarebbe più rimasto nessuno a Boulogne o in nessun’altra zona della provincia in grado di
ostacolare l’autorità di Valat.
«È stato
stupido da parte tua tornare qui, Seena. Ma d’altra parte, in qualche modo
eravamo sicuri che sarebbe accaduto.»
«Traditori.»
ringhiò furente la ragazza «Avete tradito il vostro giuramento.»
«Per
come la vedo io Seena.» rispose calmo Tiberius «Il
traditore è un altro.» quindi le poggiò la spada sul collo «Credo sia giunto il
momento di farla finita, non sei d’accordo?».
Lei lo
guardò, e per un attimo non le parve di riconoscere più il ragazzo mite e
gentile che aveva sempre conosciuto.
Al chiaro della luna, dopo
una notte e due giorni di viaggio ininterrotto, la Valliere
era finalmente giunta in vista delle verdeggianti foci del Serk,
e con esse delle mura della città assediata.
Serk City era
ben visibile, anche se ancora piuttosto lontana, illuminata dai fuochi tanto
delle lanterne accese dalla guarnigione quanto degli incendi accesi dalle
incessanti cannonate e barili pieni di pece scagliati coi trabocchi dalle
truppe di Laguiole.
Kaoru fu
sollevato nel vedere che la città non aveva ancora capitolato, ma lo fu molto
meno quando si avvide che la cinta muraria più esterna ormai aveva ceduto, costringendo
gli assedianti a ripiegare verso quella secondaria che cingeva i palazzi
amministrativi in cima alla scogliera che sovrastava la grande cascata dalla
quale il Serk si gettava nel mare.
L’arrivo
della Valliere, un faro luminoso nella sconfinata
oscurità dell’oceano, venne notato tanto dal tenente Aulas,
nello stesso tempo sindaco e comandante di Serk City,
quanto dagli occupanti del quartier generale delle truppe di Laguiole agli ordini di Monroy,
posizionato nel cuore del boschetto antistante il cancello orientale della
città; paradossalmente però, quello dei due che sembrò più soddisfatto nel
veder comparire la fortezza d’acciaio fu Monroy, che
a differenza della maggior parte dei suoi uomini non si prese neanche il
disturbo di alzarsi dal suo sgabello, e che rivolto il proprio cannocchiale verso
il largo sorrise malignamente nell’avvistare la prua della Fortezza d’Acciaio
che faceva capolino da dietro il crinale alle spalle della città.
«È arrivata
finalmente.» disse maligno «È tutto pronto?»
«Sì,
generale.» rispose uno dei suoi
«Molto
bene. Ora vedremo se quella nave è così invincibile come dicono».
Nel mentre,
a bordo della nave, Kaoru aveva già dato ordine di prepararsi sia per l’attracco
che per il bombardamento navale, che nei suoi piani sarebbe dovuto risultare
più che sufficiente per convincere il nemico a darsela a gambe, e mentre Joanne
supervisionava l’imbarco dei suoi uomini sulle scialuppe i marinai addetti agli
armamenti della Valliere si affrettarono a raggiungere
ognuno la propria posizione.
La nave
affiancava la costa a tribordo, quindi le torrette vennero puntate tutte verso
destra di circa quarantacinque gradi, proprio in direzione dell’esercito
nemico. Il cuore della città molto probabilmente sarebbe andato perduto, ma
almeno Serk City si sarebbe salvata.
«Tutto l’equipaggio
in posizione, comandante.» disse il primo ufficiale Quintus,
figlio maggiore del sindaco di Otisa, ricevendo
conferme da ogni parte della nave tramite interfono «Torrette puntate e pronte
al fuoco al suo comando».
Kaoru, al
suo posto in plancia di comando, però non era tranquillo, e bastava guardare il
suo sguardo pensieroso per capirlo.
«Qualcosa
non và, signore?».
Il generale
non rispose, dirigendosi senza un fiato sulla torre di osservazione seguito dal
suo secondo per poi volgere uno dei potenti binocoli in direzione della città
assediata.
La cinta
esterna era ormai perduta, e senza neanche aguzzare troppo la vista era
possibile scorgere uno di quei maledetti troll seduto in terra poco lontano
dalla cinta, coperto da capo a piedi da ogni sorta di ferita e per questo
circondato da maghi dell’acqua che lo stavano curando perché potesse quanto
prima tornare a combattere.
L’esploratore
aveva parlato chiaramente di almeno due troll schierati tra le fila dell’esercito
che assediava Serk City, ma guardando ovunque nel suo
campo visivo Kaoru continuò a vederne solo uno.
«Che
fine ha fatto l’altro?» si domandò come tra sé.
In quella
squillò l’interfono, e rispose Quintus.
«Signore.
Alcuni marinai a prua chiedono di lei. Dicono di aver visto qualcosa di
insolito».
Kaoru lo
guardò come allarmato, quindi, senza neanche prendersi la briga di usare le
scale, scese sul ponte saltando giù dalla torre e rapidamente raggiunse i due
marinai che lo avevano mandato a chiamare, affacciati entrambi dal parapetto
intenti a scrutare la superficie scura del mare.
«Che
succede?»
«Comandante!?»
disse uno sorpreso di vederlo comparire così in fretta «Ecco, non ne siamo
sicuri. Ma ci è parso di vedere qualcosa sotto la superficie.»
«Siate
più chiari. Di che cosa si tratta?»
«Veramente… non lo sappiamo. Forse era solo un riflesso.»
«O forse
una balena.» ipotizzò l’altro poco convinto
«Così
vicino alla costa?» replicò quasi beffardo Kaoru, che voltatosi fece un cenno
alle vedette «Fari in acqua!».
Tutte le
luci di avvistamento furono accese e puntate verso il mare, alla ricerca di
qualsiasi minima traccia di pericolo. Sembrava tutto calmo, forse anche troppo
calmo.
Non si
vedevano quasi onde, tanto mancava il vento, e da ciò forse si spiegava anche
il fatto che nessun dragone fosse ancora venuto a cercare di fermarli dalla
riva.
Kaoru per
un attimo si convinse di essersi sbagliato, e che i suoi timori erano
infondati, ma poi, con la coda dell’occhio, intravide un’increspatura, una
sorta di sfiato, ma quella che da un istante all’altro lui e gli altri videro
materializzarsi come dal nulla sbucando da sotto la nave non era certo l’ombra
di una balena.
«Attenti!»
urlò.
Lui e i
soldati fecero appena in tempo a buttarsi a terra; subito dopo, la superficie
dell’oceano parve come esplodere, e un essere gigantesco balzò fuori dall’acqua
atterrando direttamente sul ponte ligneo della Valliere,
che per poco non cedette sotto il peso della sua enorme mole.
Tutta la
nave vibrò e sbandò tremendamente, inclinandosi di lato, e l’urto fu così
violento che molte delle sue parti elettriche o meccaniche andarono in tilt o
si ruppero, anche se fortunatamente il generatore di emergenza le permise di
non sprofondare nelle tenebre.
Quintus,
rientrato in plancia di comando, fu scaraventato a terra assieme a tutti i suoi
uomini, e quando, faticosamente, riuscì ad alzarsi in piedi, ciò che vide lo
sconvolse.
In piedi
sul ponte, accanto alla torretta numero uno ormai scardinata dalla sua virola per il tremendo contraccolpo, il secondo troll
torreggiava in tutta la sua imponenza, coperto sul petto, sui polsi e sulla
testa da una pesante armatura, ed armato con una gigantesca clava che da sola
doveva pesare diversi quintali.
Sgranò gli
occhi, e anche Kaoru, ancora mezzo intontito dal terremoto che scatenandosi
sotto i suoi piedi che lo aveva scaraventato al suolo, fece altrettanto.
«Oh, mio
dio.» dissero in coro senza saperlo.
Nota dell’Autore
Eccomi qua!^_^
Lo so avevo detto che avrei concluso le
vicende di Laguiole nel giro due capitoli, ma il
fatto è che restavano troppe cose da dire, quindi c’erano solo due scelte: o
fare un capitolo da dieci pagine e più, oppure farne due di dimensioni ridotte,
e alla fine come al solito ho optato per la seconda soluzione.
Perdonatemi!^_^
Lo so, sono inqualificabile.
Comunque con il prossimo (che, ve lo
preannuncio, sarà pieno di sorprese) finirà di sicuro, anche perché quello che
viene dopo è uno dei momenti che sono più ansioso di scrivere.
Il troll cercò di
stabilizzarsi, ma era evidente che il mare non faceva per lui, perché ad ogni
passo sembrava sempre sul punto di cadere.
Oltretutto,
proprio a causa sua, la Valliere barcollava
paurosamente e senza sosta da una parte e dall’altra, per non parlare del fatto
che col suo dolce peso quel bestione aveva danneggiato quasi tutte le
strumentazioni elettriche della nave.
Tutto
era andato in tilt, a cominciare dai comandi remoti per il brandeggio delle torrette,
che ora erano immobilizzare in direzione della costa, ma impossibilitate a
sparare per via dello sbilanciamento del peso che avrebbe sicuramente fatto
ribaltare lo scafo per il rinculo. La torretta uno poi era completamente fuori
asse, e come minimo sarebbe servito dare fondo in una darsena per poterla
riparare.
Molti
marinai, presi dal panico, cominciarono a scappare in ogni direzione, alcuni
addirittura si buttarono in mare temendo che la Valliere
potesse affondare da un momento all’altro; altri invece, quelli dal sangue più
freddo, fucili d’assalto alla mano si portarono il più vicino possibile al
mostro prendendo a bersagliarlo, se non altro per correre in aiuto del
comandante e gli altri marinai che si trovavano ancora ai suoi piedi.
Purtroppo,
c’era una ragione se Monroy aveva scafandrato
la sua macchina da guerra biologica con quella enorme corazza, e per quanto
potenti le armi avveniristiche dall’equipaggio della Valliere
non ebbero il minimo effetto.
Al troll
fu sufficiente pestare a terra uno dei suoi piedi ciclopici per provocare un
rullio tale da buttare a terra quelli che stavano sparando contro di lui, e
sollevata la clava ne spiaccicò senza pietà un gruppetto provocando oltretutto
una enorme spaccatura nello scafo, fortunatamente senza sventrarlo, ma facendo
di nuovo ondeggiare paurosamente la nave.
«Così
finirà per farci capovolgere!» disse il timoniere cercando di stare in piedi
«Non è
questo che mi spaventa!» disse Quintus «Là sotto c’è
uno dei depositi munizioni! Un colpo di troppo e saltiamo tutti in aria!».
Le
torrette laterali e quelle per la contraerea non erano in grado di puntare il
bersaglio per via dell’angolazione. Quintus provò ad
azionare i meccanismi di puntamento delle torrette, ma come era facile da
prevedersi queste non si mossero, quindi sollevò l’interfono chiamando la sala
macchine.
«Mi
servono i sistemi di beccheggio e di sparo operativi, e mi servono ora!»
«È tutto
inutile, signore!» si giustificò il meccanico dall’altro capo della linea «È
tutto fuori uso! Stiamo provando a riparare i sistemi danneggiati, ma ci vorrà
del tempo!».
Kaoru
nel frattempo si era ripreso, e trovatosi di fronte quella montagna senza
esitazione aveva estratto la spada, anche e soprattutto per proteggere gli
uomini che erano con lui.
«Allontanatevi,
io lo distraggo!» gridò lanciandosi contro il mostro.
Il piano
sembrò funzionare, perché lasciati perdere gli altri marinai il troll si
concentrò quasi subito su di lui, quasi fosse stato addestrato a prendere
proprio il generale come bersaglio prestabilito.
E non si
trattava affatto di un’impressione.
Valat e il
generale non avevano sferrato tutti quegli assalti a Fort Segoile
solo per guadagnare tempo o distrarre il nemico, né speso tutti quei soldi in
spie ed informatori solo per tenersi aggiornati sui mutamenti politici nel
resto del Paese.
In fin
dei conti, Saito e Louise erano quanto di più lontano da dei signori della
guerra si potesse immaginare, e se la guerra civile non li aveva ancora
spazzati via il merito era per gran parte dell’acume tattico del loro generale
e famiglio, nonché della presenza altamente simbolica del comandante delle
moschettiere di sua maestà al loro fianco. Tolti di mezzo loro, con o senza la
fortezza d’acciaio Grasse e De Ornielle sarebbero state un boccone molto meno
duro da digerire.
Il troll
alzò la clava menando un nuovo colpo, ma Kaoru evitò spostandosi all’ultimo
istante, quindi con un salto arrivò in cima alla torretta uno, e da qui con un
nuovo balzo direttamente sul braccio del mostro, che percorse interamente fino
alla spalla; concluse il suo assalto piantando la spada con tutta la sua forza
nell’unico punto della corazza vulnerabile, tra la scapola ed il collo, un
colpo che il troll tuttavia parve quasi non sentire tanto era enorme.
Nonostante
ciò prese a dimenarsi, nel tentativo di disarcionarlo, e ciò diede tempo ai
soldati di Joanne di posizionarsi per tentare di soccorrere il generale.
«Mirate
alla celata dell’elmo!» ordinò alle sue moschettiere.
Anche
gli stregoni, pochi per la verità, imbarcati sulla Valliere
fecero la loro parte, prendendo a bersagliare il golem con tutto l’arsenale che
avevano, ma quella creatura era troppo corazzata, e comunque troppo insensibile
al dolore, per accusare un qualche tipo di cedimento tale da renderla meno pericolosa.
Con un
pauroso sventolio di clava scaraventò in mare i maghi che erano stati così
avventati da avvicinarsi troppo, e con un altro tentò di colpire le
moschettiere, che fortunatamente riuscirono a scansarsi in tempo.
Sfortunatamente il colpo centrò in pieno una piccola riserva di proiettili per
i cannoncini da contraerea accatastati alla base della torretta due, che
immediatamente esplosero; non fu una deflagrazione troppo violenta, ma il ponte
prese fuoco, generando un muro di fiamme che separò il troll, e di conseguenza
anche Kaoru, dal resto dell’equipaggio.
«Kaoru!»
urlò Joanne tentando inutilmente di farsi largo tra le fiamme.
Come se
non fosse abbastanza, in quel momento il vento riprese a soffiare, e ciò
permise all’esercito di Laguiole di far nuovamente
decollare i propri draghi, che presero a scagliarsi in egual misura contro la Valliere e gli assediati di Serk
City. La contraerea della nave si rivelò più che sufficiente a tenere lontani i
nemici, seppur con qualche difficoltà, ma rappresentò per la guarnigione a
difesa della città un ulteriore, durissimo colpo per la propria già stremata
resistenza.
«Ma che
stanno facendo?» ringhiò il sindaco generale rivolto verso il mare «Ci serve
aiuto!».
Lui non
poteva sapere che la Valliere era in una situazione
non molto migliore della loro, ma se lui si sentiva morire dentro ad ogni
respiro Monroy, al contrario, sorrideva di
soddisfazione.
«Che vi
avevo detto?» disse guardando col cannocchiale «Solo una nave come le altre. E
ora chiudiamo questa storia».
Così,
quando il sindaco-generale vide il secondo golem approssimarsi al cancello
sotto assedio per spianarlo una volta per sempre, cominciò a temere che ormai
non ci fosse davvero più speranza.
«Per noi
è finita».
Il
giovane generale nel mentre era ancora attaccato con la forza della
disperazione alla spalla del mostro, ma come non dovette più curarsi delle
moschettiere e dei marinai il troll tornò a concentrarsi su di lui.
Dopo
essersi dimenato furiosamente per alcuni secondi, fino a girare su sé stesso
arrivando a dare le spalle al resto della nave, riuscì ad afferrarlo, e da un
istante all’altro Kaoru si ritrovò prigioniero di una mano ciclopica che prese
a stritolarlo.
Kaoru
gridò con tutta la sua voce, cercando in ogni modo di liberarsi quanto bastava
per usare la spada che aveva ancora in mano, ma più si dimenava più il troll
stringeva forte.
«Comandante!»
gridava impotente Quintus dalla plancia prendendo a
calci i sistemi di puntamento ancora inservibili «Maledizione! Maledetto
rottame! Accenditi!»
Sentiva
come se il suo corpo dovesse scoppiare dall’interno da un momento all’altro,
tanta era la pressione che quel mostro stava esercitando, ma forse per via del
tremendo dolore che stava provando quasi non si accorse dello strano calore accesosi
d’un tratto dentro il suo petto, così come attribuì l’insopportabile fischio
nelle orecchie ed il fastidio alla testa come naturali conseguenze dell’essere
stritolato vivo. Se avesse potuto accorgersene, sarebbe rimasto colpito nel
vedere i suoi occhi accendersi di uno strano bagliore rosso, che poco sembrava
avere a che fare con ciò che stava passando.
Fatto
sta che, d’improvviso, un qualcosa di misterioso attraversò come una folata di
vento tutta la nave.
Una
strana scarica elettrica si diffuse senza origine né spiegazione in ogni
meandro della Valliere, facendo scottare e
scintillare tutte le prese, i sistemi di alimentazione e le varie
apparecchiature, accompagnata da un inspiegabile tremolio.
Quintus e gli
altri occupanti della sala di comando videro la luce andare via nuovamente,
anche se solo per pochi istante, e quando questa tornò assistettero increduli
al riaccendersi, come per incanto, anche di tutte le apparecchiature.
«Ma cosa…» disse incredulo il primo ufficiale vedendo con i
suoi occhi il timone, la radio, il goniometro di mira e tutto il resto tornare
alla vita.
Prese
l’interfono per chiedere spiegazioni, ma la risposta fu ancor più strabiliante.
«Non ho
idea di che cosa stia succedendo, signore!» disse il capo-meccanico «Tutti i
sistemi si sono riparati e ripristinati da sé!».
Ma ora
non c’era tempo per domandarsi la ragione di quella specie di miracolo.
Accertatosi
che tutti stessero bene Quintus si avventò sul
sistema di puntamento, ed accertatosi che la torretta due fosse armata prese a
girarla il più velocemente possibile a direzione zero, proprio dirimpetto alla
prua.
«Comandante.»
mugugnò mentre la torre girava «Spero che lei non sia più lì».
Kaoru,
moribondo ma ancora lucido, si avvide di quello che stava succedendo, e capì
che doveva levarsi da lì il prima possibile, perché obbedendo all’addestramento
che aveva loro impartito sapeva che i marinai, e gli ufficiali in particolare,
avrebbero anteposto l’incolumità della nave e della missione e quella della sua
persona.
Fortunatamente,
anche il troll, avvertì che stava accadendo qualcosa alle sue spalle, e la sua
esitazione permise al giovane di liberarsi finalmente quanto bastava per
piantare la spada nella mano del mostro. Quello, istintivamente, lo lasciò, e
lui senza esitazione si tuffò direttamente in mare, giusto un secondo prima che
il troll, giratosi a guardare dietro di sé, si ritrovasse faccia a faccia col
cannone centrale della seconda torretta.
Il
mostro sgranò gli occhi.
«Sorridi,
stronzo.» disse Quintus premendo il grilletto.
Seguì un
tremendo boato, e la testa del troll fu letteralmente spazzata via dal resto
del corpo, assieme a buona parte delle spalle, e quanto stava del corpo, spinto
all’indietro, precipitò direttamente in acqua tra le grida di gioia
dell’equipaggio.
Nello
stesso momento venne spento con gli idranti l’incendio che era scoppiato sul
ponte, e Joanne corse immediatamente ad accertarsi delle condizioni di Kaoru;
era tutto un dolore per la tremenda stritolata che aveva subito ma stava bene,
e con una corda venne tirato fuori dall’acqua.
«I
sistemi sono tornati operativi?» domandò scrollandosi i vestiti fradici
«Così
sembra.» rispose la donna «Anche se non sappiamo come sia stato possibile».
«E
allora muoviamoci. Abbiamo perso anche troppo tempo».
Nello
stesso momento, in città, il troll superstite aveva preso a bersagliare con la
sua gigantesca arma il cancello principale, e quando la spessa grata metallica,
pur resistente, cedette, il mostro si palesò nel cortile della fortezza,
incitato e spronato dai soldati che gli stavano intorno.
Il
sindaco-generale e i suoi uomini si erano raggruppati, pronti per l’ultima
quanto inutile resistenza, e i soldati di Laguiole
pensarono bene di lasciare che fosse il loro gigantesco compagno d’armi a dare
loro il colpo di grazia.
«In copertura!»
ordinò il generale, e tutti i suoi uomini levarono immediatamente gli scudi
erigendo un muro di lance.
La
creatura fece qualche passo avanti, lanciando un ruggito assordante, quindi
alzò la clava per colpire. In quell’istante la prima selva di tre cannonate lo
centrò in pieno, spaccando e piegando la sua corazza senza tuttavia riuscire a
ferirlo, ma la seconda non gli lasciò scampo e crollò a terra per i traumi
interni riportati dai colpi.
Alla
scena assistettero entrambi gli schieramenti, ma se gli assediati risposero
alla caduta del troll con urla di giubilo i soldati di Laguiole
rimasero paralizzati per il terrore, che divenne se possibile anche maggiore
nel momento in cui, guardando con attenzione verso l’orizzonte, i più vicini
alla scogliera videro la Fortezza d’Acciaio di nuovo in movimento, e con i suoi
enormi cannoni puntati dritti su di loro.
I suoi
uomini erano spaventati, ma Monroy era furioso.
«Ma che diavolo…» ringhiò cambiando totalmente espressione «Come
hanno fatto a salvarsi!?»
La Valliere era riuscita a sparare con terrificante
precisione, merito dei suoi avanzati sistemi di puntamento, ma non era ancora
finita.
«Ricaricare!»
ordinò Kaoru nuovamente al suo posto in plancia «Proiettili esplosivi alla
prossima raffica!»
«Sì,
comandante!» rispose Quintus.
Alla
seconda bordata, esplosioni spaventose aprirono vuoti di centinaia di uomini
nelle fila di Laguiole, e bastò la sola vista delle
truppe di rinforzo che toccavano terra per la controffensiva perché i soldati
nemici, persino nello stesso accampamento, mollassero tutto scappando via in
preda al panico.
«Dove
andate, branco di conigli!» tuonò Monroy vedendo i
suoi fuggire in rotta.
Prima di
rendersene conto era rimasto solo, ma non ebbe il tempo di scappare; alzati gli
occhi, infatti, vide una specie di enorme cometa scintillante di rosso fuoco
precipitare nella sua direzione come la folgore dal cielo.
«Maledetti… maledetti all’inferno!» urlò prima di scomparire
in un mare di fuoco.
Alla
fine, contro ogni previsione, Serk City aveva retto.
«Ce
l’abbiamo fatta, signore!» disse euforico Quintus
guardando verso la costa col binocolo «Il nemico è in rotta!» quindi ordinò lui
stesso di cessare il bombardamento.
Kaoru,
però, sembrava avere la testa altrove. Non riusciva a non pensare a quella
strana energia che gli era parso di percepire dentro di sé un attimo prima che
quella cannonata intervenisse a cavalo d’impaccio, domandandosi cosa potesse
essere stato.
E per un
attimo, ebbe quasi paura.
Nota dell’autore
Salve a tutti!^_^
Lo so, questa non è la conclusione che
avevo auspicato, ma vi chiedo di non considerare questo come un vero capitolo(potete vedere infatti che è ben al di sotto
dei miei standard abituali di lunghezza). Consideratela piuttosto una Prima
Parte, come ho scritto anche nel titolo, in modo da lasciare la seconda
interamente alla narrazione degli eventi relativi a Saito e Louise.
La seconda e ultima parte seguirà a breve,
e con essa le vere note dell’autore
Il duca era calmo e
tranquillo, e aspettava l’arrivo del suo avversario comodamente seduto alla sua
poltrona, con la spada di famiglia appoggiata sulla scrivania.
Non lo
preoccupava affatto quello che stava per accadere, così come non lo preoccupò
sentire da un momento all’altro urla, strepiti e grida strazianti proprio fuori
della stanza.
D’improvviso,
qualcuno fu divelto da una guardia del castello che, moribonda, vi era stata
violentemente scagliata contro, e Lord Hiraga fece la
sua comparsa, il volto, gli abiti e la spada coperti di sangue e gli occhi
iniettati di odio.
Il duca
sorrise.
«Dovresti
imparare a bussare».
Saito,
però, non aveva alcuna voglia di scherzare, e lo si capiva dal suo sguardo.
«Perché?»
ringhiò il ragazzo «Perché l’hai fatto?»
«Ho
agito nel modo in cui ritenevo più giusto.»
«E non
provi neppure un briciolo di rimorso?»
«Perché
dovrei? Come ho detto, ho fatto quella che ritenevo la scelta giusta, e
pertanto non sento alcun peso per le azioni che ho compito.»
«Era tua
nipote! Era tuo padre!»
«Sei
proprio uno stupido!» replicò il duca con un malefico sorriso «Al punto in cui
siamo arrivati, pensi davvero che i legami famigliari abbiano ancora un qualche
valore che non sia zero? Che tu non pugnaleresti alle spalle la tua stessa
famiglia, se in palio ci fosse la più grande occasione della tua esistenza?»
«Non lo
farei mai.» fu la risposta lapidaria di Saito «Perché, a differenza di te, io
so perfettamente quali sono le cose importanti, e non ho alcuna intenzione di
barattarle con una corona».
Valat chiuse
gli occhi, passandosi come rassegnato una mano sulla fronte.
«E voi
dovreste essere il futuro di questo mondo? Ancora mi domando come sia
possibile.» quindi, alzatosi, sfilò elegantemente la spada dal fodero,
roteandola nell’aria «È ora di chiudere questa storia, non sei d’accordo?».
Saito
replicò con uno sguardo di sfida, e prima di un battere di ciglia i due
contendenti corsero l’uno contro l’altro, facendo cozzare violentemente le
proprie armi producendo uno stridio assordante e una tempesta di scintille.
«Non hai
idea dei problemi che tu e quella mocciosa del vuoto che tu chiami moglie mi
avete causato. Adesso pareggerò i conti.»
«Provaci!».
Grazie a
Kaoru e Joanne Saito aveva alzato ancora di più la sua abilità con la spada, ma
Valat era forse uno dei migliori schermidori del
regno, e aveva partecipato anche a diversi tornei in tutta Halkengina
mettendosi sempre in mostra con la sua abilità.
Ciò
nonostante Saito riuscì a resistere, almeno inizialmente. La rabbia che lo
stava divorando da dentro era tale da non fargli sentire né dolore, né fatica,
ma se non altro gli aveva lasciato un briciolo di raziocinio, quanto bastava
per impostare una qualche strategia invece di spingerlo ad attaccare a testa
bassa incurante di tutto il resto.
Il
ragazzo subì parecchie ferite, ma nonostante tutto continuò a battersi come un
leone, alternando momenti di difesa ad oltranza ad altri di attacco continuo,
forsennato.
Purtroppo,
il problema fondamentale di quel tipo di strategia, se così la si poteva
chiamare, venne alla luce. Per quanto ragionato, almeno in parte, l’assalto di
Saito era furioso, molto violento, e non teneva minimamente conto del risparmio
di energie, cosicché con largo anticipo rispetto al suo avversario il giovane Hiraga cominciò a sentire il peso della fatica.
Questo
lo portò a scoprirsi, a diventare sempre più prevedibile, e alla fine segnò la
sua condanna. All’ennesimo assalto forsennato Valat,
ghignando, rispose con un rapido scarto, e appena Saito menò un fendente
destinato comunque ad andare a vuoto ne menò uno a sua volta, dal basso verso
l’alto. La spada di Saito, colpita con tremenda forza, gli volò via dalle mani,
e il ragazzo si ritrovò scoperto.
L’affondo
che seguì era diretto al cuore, ma per chissà quale miracolo Saito riuscì a
spostarsi all’ultimo istante verso destra, di modo che la punta della spada di Valat, invece del cuore, si limitò a trafiggergli una
spalla, ma ciò non rese meno evidente chi fosse a quel punto il vincitore dello
scontro.
Saito
trattenne a stendo le grida di dolore, barcollando all’indietro appena il duca
ritirò la spada per poi cadere esanime in ginocchio.
«È tutta
qui la forza del tuo odio? Della tua rabbia?» commentò sarcastico Valat «È stato anche più facile del previsto».
Il
ragazzo lo guardò, furente, tenendosi nel contempo la ferita grondante sangue.
«Sei
solo un patetico moccioso che non ha la minima idea di quello in cui è
coinvolto. Proprio come quella ragazzina ingenua. Tutti e due a credere di
avere sul serio i mezzi per impedire che questo Paese, se non l’intero
continente, vadano incontro al loro inevitabile destino.»
«Ma di
che diavolo stai parlando?» ringhiò Saito trattenendo a stento i gemiti di
dolore.
Valat
spalancò gli occhi.
«Davvero
credi che tutto questo sia successo per caso?» esclamò ridendo «L’assassinio
della regina, la guerra civile, persino ruolo tuo e di quella cagna di tua
moglie! È tutto preordinato! Ogni cosa che sta accadendo da sei mesi a questa
parte è stata prestabilita molto prima che te e io venissimo al mondo!»
«Allora,
avevo ragione.» mugugnò ancora Saito «È stata…Reconquista a scatenare questa guerra civile.»
«Reconquista, sì… o forse qualcuno
ancora più grande e potente di loro. Io ho scelto solo di stare dalla parte
giusta.
Non puoi
certo farmene una colpa».
Ferito
ma non domato Saito, che nel mentre aveva recuperato la spada, vi si punto,
cercando faticosamente di rialzarsi, ma al duca, avvicinatosi, bastò calciarla
perché il ragazzo rantolasse nuovamente moribondo sul pavimento.
«A
quanto pare, hai fallito anche tu. Come tutti i tuoi predecessori, del resto».
A quel
punto Valat alzò la spada, pronto a finire il suo
avversario.
«Salutami
mio padre».
Poi, in
un istante, tutto cambiò.
Un dardo
scoccato da una mano misteriosa comparve da oltre le porte della stanza, ancora
divelte, trafiggendo il duca nello stesso punto in cui lui aveva colpito Saito,
e nello stesso istante un’altra mano, forse della stessa persona, gettò sul
giovane Hiraga un incantesimo curativo che sanò in
parte la sua ferita.
Il duca
rimase di sasso, per poi essere violentemente riportato alla realtà dal dolore
lancinante alla spalla, ma quando vide una figura a lui molto famigliare
comparirgli davanti con l’arco puntato nella sua direzione, l’andatura fiera e
lo sguardo impavido, pensò di avere le visioni.
«Non può
essere!».
Anche
Saito rimase di sasso.
«Ki… Kiluka!?»
«Sono
tornata, zio.» disse lei «E questa volta la facciamo finita».
Da un
momento all’altro, Saito si sentì rinascere, e non per via dell’incantesimo che
lo aveva curato.
«Kiluka.
Tu sei viva.»
«Già.»
rispose lei sorridendogli spavalda «E non solo io».
Ed
infatti, dopo qualche attimo, un altro individuo si palesò nella stanza, la
persona che aveva curato Saito con la sua magia, fiero nell’orgoglio e nella
ferma volontà di sistemare le cose una volta per sempre, e se all’arrivo di
Kiluka Valat non era riuscito a crederci alla
comparsa di questo secondo ospite inatteso pensò di essere già sprofondato nel
mondo dei morti.
«Tu!?»
«Cosa ti
turba, figliolo?» disse Lord Charnizay stringendo forte il suo bastone magico
«Hai la faccia di chi ha appena visto un fantasma».
Louise stava incontrando
più difficoltà del previsto nell’affrontare Fouquet e il suo golem.
In altri
tempi le sarebbe bastato un Explosion neanche troppo
potente per averne ragione, ma recitare l’incantesimo richiedeva tempo che la
sua avversaria, ben sapendolo, non le concedeva, mentre le Explosion
standard lanciabili a raffica non erano abbastanza efficaci.
«Che
succede, Zero-Louise!» disse Fouquet, al sicuro sulla
spalla del suo mostro «Non mi dire che sei già stanca!».
Purtroppo,
era proprio così.
Anche se
la sua magia era tornata quasi ai livelli di un tempo, Louise aveva visto
calare di molto il suo margine di resistenza, oltre il quale iniziava a sentire
seriamente il peso della fatica.
Sicuramente
era colpa della gravidanza, e semmai fosse uscita viva da quella situazione era
probabile che tale margine si sarebbe abbassato sempre di più, il che di fatto
avrebbe mantenuto le sue capacità effettive praticamente allo stesso livello.
Per l’ennesima
volta Louise cercò di lanciare un Explosion basilare
mettendoci tutta l’energia possibile, ma l’incantesimo andò letteralmente ad
infrangersi contro il corpo di pietra del mostro senza procurargli la più
piccola crepa.
A quell’assalto
disperato il golem rispose con una manata poderosa, che colpendo Louise l’avrebbe
sicuramente uccisa. Fortunatamente la ragazza riuscì a spostarsi, ma lo
spostamento d’aria fu più che sufficiente a scagliarla con forza contro una
colonna, lasciandola dolorante sul selciato.
«Sei
proprio tornata ad essere quella di una volta, una Zero!» rise Fouquet, per poi
farsi terribilmente malevola «A questo punto, non mi importa più degli ordini. Ne
ho dovute sopportare troppe a causa tua. E in fin dei conti, se sei davvero
così debole, vuole dire che in fin dei conti non ci servi».
A quel
punto il golem alzò il piede per infliggere il colpo di grazia a Louise, ma prima
che potesse anche solo pensare di abbassarlo il frastuono di una cannonata
riempì tutto il giardino, e il gigante di pietra, colpito in pieno, barcollò
vistosamente all’indietro, riuscendo a fatica a mantenersi in piedi.
«Ma che…» disse incredula Fouquet.
Un
attimo dopo, Seena e Tiberius comparvero da dietro il
colonnato, accorrendo in difesa di Louise e frapponendosi tra lei ed il nemico.
Tiberius aveva con sé un cannoncino, di quelli che
potevano essere trasportati e usati a mano, e a giudicare dal rivolo di fumo
che usciva dalla canna doveva essere stato lui a sparare.
«Scusate
per il ritardo, mia signora!»
«Seena!»
esclamò Louise incredula
«State
bene, miss Valliere?» domandò il giovane porgendole
la mano.
Lei lo
guardo incredula, perché lo aveva visto con i suoi occhi tentare di uccidere
Seena, ma poi, di fronte alla sincerità e gentilezza di quello sguardo, non
riuscì a fare altro che fidarsi.
«Seena! Hanno
ucciso Kiluka!»
«No,
state tranquilla miss Valliere. Kiluka sta benissimo,
e anche lord Charnizay.»
«Cosa!?»
«Ora non
c’è tempo, le spiegherò tutto dopo».
Anche se
in tre contro uno, Fouquet era ancora più che certa di essere in vantaggio, e
riavutasi dallo stupore si scagliò nuovamente con rabbia contro i suoi
avversari.
Tiberius aveva
bisogno di tempo per ricaricare il cannone, così Seena si offrì di fare da
esca, sfruttando la sua abilità di schermitrice e la lama magica del suo stocco
per infliggere piccole ferite al golem, che grazie a questo iniziò ad agire
sempre più di testa sua ignorando gli ordini della sua padrona.
«Che
stai facendo, stupido ammasso di sassi?» sbraitò la maga vedendo che il mostro
iniziava a non ascoltarla «Colpisci Zero-Louise!».
Ma Louise,
nel frattempo, ne aveva approfittato per iniziare a preparare un nuovo Explosion; il problema era la poca energia che, tra una
cosa e l’altra, sarebbe stata comunque capace di infondervi, ma se l’idea che
le era venuta in mente avesse funzionato forse le sarebbe stato ancora
possibile riuscire a prevalere.
«Hagaru…Beofu…Iru…».
In quel
momento, Tiberius sparò un secondo colpo, dritto al
petto del mostro, che pur non riuscendo ad abbatterlo gli provocò una grossa
crepa. Era il bersaglio perfetto.
Raccolte
tutte le sue forze, e gridando per darsi forza, Louise scagliò la sua bacchetta
magica, già illuminata dall’incantesimo che aspettava solo di essere scagliato,
che roteando nell’aria andò a conficcarsi dritta nell’incavo prodotto dalla
cannonata di Tiberius.
«No!»
esclamò Fouquet accorgendosi troppo tardi del pericolo.
EXPLOSION!
Amplificato dallo spazio
ristretto e dalla pressione, l’Explosion, per quanto
non al suo massimo livello, fu abbastanza potente da sventrare letteralmente il
golem, facendolo esplodere dall’interno per poi crollare rovinosamente su sé stesso
in mille pezzi.
Assieme al
suo golem, Fouquet vide collassare anche le sue ultime speranze.
«No!»
disse, coperta di polvere e sassi, cercando di rialzarsi «Non può essere
successo di nuovo…».
Ma in
ogni caso, non si sarebbe lasciata prendere. Non da Zero-Louise.
Seena
cercò di saltarle addosso per bloccarla ma la donna fu più veloce di lei, e
generate delle gabbie di roccia sufficientemente robuste a tenere imprigionati
i tre ragazzi per il tempo necessario si diede subito alla fuga, scavalcando con
la magia il muro di cinta per poi dileguarsi tra i vicoli del villaggio.
«Mando
qualcuno ad inseguirla.» disse Tiberius appena lui e
le ragazze si furono liberati
«D’accordo.»
disse Seena «Noi invece dobbiamo sbrigarci a raggiungere la stanza del duca.
Seena e Lord Charnizay sono sicuramente andati là».
Valat non voleva credere di avere davanti le
persone di cui, solo poco tempo prima, gli erano state mostrate le teste.
«Non… non è possibile…» ringhiò
stringendo la spada con una mano e la freccia conficcata nella spalla con l’altra
«Voi… siete morti. Io vi ho visto.»
«Tu hai
visto quello che volevi che ti fosse mostrato.» lo ammonì il padre.
In realtà,
quelle che lui come tutti gli abitanti del villaggio avevano visto erano teste
di maiale, che la mano sapiente ed astuta di un alchimista aveva provveduto a camuffare.
Tutto merito
di Tiberius, e della Guardia Ducale della quale lo
stesso Valat lo aveva messo a capo.
Nessuno di
loro aveva mai tradito, non nel cuore almeno.
Tiberius ed i
suoi, tuttavia, sapevano bene che opporsi da soli a tutti i soldati e le
guardie che Valat aveva portato dalla sua parte
sarebbe stato un suicidio, e piuttosto che sprecare le loro vite in una
battaglia persa in partenza avevano preferito prendere tempo, riuscendo a
convincere anche lord Charnizay a fare altrettanto.
Del resto,
come avrebbe potuto sapere Valat dell’esistenza di un
intero edificio che, silenzioso, esisteva proprio sotto i suoi piedi,
silenziosa reliquia del castello che sorgeva in quello stesso punto secoli
prima e che, con il passare del tempo, era stato progressivamente interrato per
fare posto al nuovo edificio, scomparendo alla vista e alla memoria dei posteri?
Tiberius
aveva scoperto il passaggio segreto per il sottosuolo, del quale neppure il suo
signore era a conoscenza, quando era ancora piccolo, e non ne aveva mai fatto
parola con nessuno, considerandolo una sorta di personale tesoro nascosto in
cui esiliarsi all’occorrenza per restare un po’ da solo senza essere trovato.
Così,
nel momento del bisogno, quel guscio vuoto senza più vita si era tramutato in
uno scrigno, nel quale tenere nascosti i germogli della sola e unica dinastia
regnante di Laguiole nell’attesa del momento propizio per tornare alla luce.
«Sbagliavi
a pensare di poter ottenere tutto con il denaro.» disse lord Charnizay «L’onore
e la lealtà di un uomo, di un vero uomo, non si possono semplicemente
comprare».
Kiluka,
dapprima arrabbiata, d’un tratto parve quasi impietosirsi, e distese la corda
dell’arco.
«Perché,
zio? Perché l’hai fatto?
Avevi tutto?
Una famiglia. Dei legami. Non ti bastava?».
Ringhiando
e serrando i denti per non urlare dal dolore Valat si
sfilò la freccia dalla spalla, gettandola a terra con stizza.
«Piccolo
mostro.
Proprio
tu mi fai questa domanda? Tu, la futura erede.
Tu più
di chiunque altro dovresti sapere cosa voglia dire sentirsi perennemente
giudicati e disprezzati.
Il potere
sarebbe dovuto essere mio! Per tutta la vita mi sono spaccato la schiena per
dimostrare di esserne degno! Ho fatto tutto quello che mi veniva detto! Sono stato
un principe serio e rispettabile! Come tuo vice ho portato ordine, legge e
giustizia nel nostro feudo! Ma agli occhi della mia famiglia ero un eterno
secondo!
Mio fratello
veniva sempre prima, fin dal giorno in cui ha messo piede in questo mondo! E quando
persino ciò che era mio diritto mi è stato portato via per darlo a lui, ho
capito che l’unica scelta che mi restava era prendermi quello che mi spettava
con la forza!
Se tu,
padre, non avessi continuato a preferirmi il tuo secondogenito, nulla di tutto
questo sarebbe mai successo! Io ero il primogenito! Io ero il tuo erede! Io!».
Lord
Charnizay guardò il figlio quasi con amore, provando nel contempo una grande
vergogna.
«Hai
ragione. Forse non sono stato il miglior padre di questo mondo. Forse avrei
dovuto cercare di starti più vicino.» poi, però, si rinvigorì nuovamente «Ma se
c’è una cosa che ho cercato in ogni modo di insegnarti, è che potere, studio e
caparbietà non bastano a formare un vero capo.
Quello che
conta davvero è lo spirito. La forza di volontà che viene dal dedicarsi
interamente al proprio popolo, senza esigere niente in cambio. Anche a costo di
sacrificare ogni altra cosa, dalla propria posizione alla propria stessa vita.
E questo,
figlio mio, è l’unico insegnamento che non sono mai riuscito a farti
assimilare».
Valat spalancò
la bocca, incredulo, poi, sopraffatto dalla fatica, cadde in ginocchio,
lasciandosi sfuggire una risatina beffarda.
«Non è
troppo tardi, Valat. Possiamo ricominciare. Può essere
tutto come prima. Ho già perso un figlio, e non voglio perderne un altro».
Seguirono
lunghissimi, interminabili attimi di silenzio, mentre dalla finestra,
spalancatasi per l’incantesimo del vento usato da Lord Charnizay per curare
Saito, giungevano freddi spifferi di aria notturna, messaggeri di un’alba ormai
imminente.
«È
troppo tardi».
Accadde tutto
in un istante.
In quella,
Louise e Seena comparvero dalla parte opposta del corridoio che collegava la
stanza al resto del castello.
«Saito!»
gridò Louise correndogli incontro.
La sua
voce, improvvisa, riscosse il lord e Kiluka, distraendoli, e nel medesimo
attimo il duca si scagliò come un dio della morte contro la duchessa,
desideroso di portare con sé all’altro mondo almeno la persona che più di
qualunque altra reputava responsabile per tutte le disgrazie capitategli.
Kiluka fece
appena in tempo ad accorgersi della minaccia; nessuno fu abbastanza svelto da
poterla aiutare, e per un istante che sembrò una vita lord Charnizay
materializzò il pensiero di veder morire davanti ai suoi occhi quanto restava
della sua discendenza.
Se non
che, d’improvviso, una figura si mise in mezzo, e Valat,
da un momento all’altro, si ritrovò immobile, piegato sopra una spada che, dopo
averlo trafitto da parte a parte, spuntava ora quasi per intero da dietro la
sua schiena.
Alzati
faticosamente gli occhi, e con la bocca piegata in una esclamazione di dolore,
si avvide che davanti a lui, al posto di Kiluka, vi era Saito, con entrambe le
mani ben strette attorno all’impugnatura della spada.
Solo a
quel punto sentì dolore, ma non così tanto come si sarebbe immaginato.
Al contrario,
sembrava quasi piacevole.
Finalmente,
quella sua esistenza miserabile era giunta alla fine.
Ben
presto la risolutezza di Saito venne sopraffatta dallo sgomento, e quando il
duca, faticosamente, si rialzò in piedi, lasciò che la spada gli scivolasse via
dalle mani, per correre quasi subito tra le braccia di Louise.
Lord Charnizay
non riuscì a trattenere le lacrime, nel vedere l’unico figlio rimastogli, il
suo primogenitori, ricoperto di sangue e ormai prossimo alla morte.
«Figlio mio…»
«Questo… questo non cambia niente.» disse Valat barcollando all’indietro, verso la finestra «Non… non potete fermarlo.»
«Di chi
stai parlando?» domandò Saito «Chi c’è dietro di te? Chi ti ha convinto a
commettere un’azione tanto vile come tradire la propria famiglia».
Valat non
rispose, ed intanto era ormai giunto sul bordo della finestra.
«Ormai… nessuno può. Non è mai…mai… mai stato possibile. Lui vincerà…e… questo Paese… tutto
questo mondo… sprofonderà all’inferno.» e a quel
punto, aperte le braccia, si lasciò cadere all’indietro, esalando l’ultimo
respiro un attimo prima di precipitare nel vuoto.
La
guerra per la successione alla guida di Laguiole era dunque finita.
Fouquet, seppur con qualche
difficoltà, riuscì a lasciare la città riparando nella foresta.
Era
finita.
Sapeva che
quella che le avevano concesso era la sua ultima possibilità, e sapeva che non
ci sarebbe stato perdono.
Non solo
aveva fallito, ma aveva anche contravvenuto agli ordini.
Non sapeva
se piangere per la consapevolezza di quello che sarebbe potuto accadere o
fumare di rabbia per essere stata nuovamente messa in ridicola da quella
incapace di Zero-Louise.
Però,
forse, non tutto era perduto.
In fin
dei conti, il fallimento non era in tutto opera sua.
La colpa
era di Valat. Se fosse stato un po’ più attento a chi
si stava mettendo in casa, invece di dare fiducia ad un giovane idealista
pronto a tradirlo alla prima occasione, non si sarebbe arrivati a quella
situazione.
Lei in
fin dei conti era solo una pedina, e se il duca era stato così incapace da
fallire nel compito che gli era stato affidato sarebbe stato lui il primo a
doverne rispondere. Inoltre, era stata lei ad elaborare il piano che aveva
portato alla cattura di Kiluka e che, secondo le sue previsioni, avrebbe
consentito anche di mettere le mani su Louise, e ciò provava che, nonostante
tutto, le sue abilità non erano per nulla in discussione.
Si convinse
che c’era ancora speranza, e subito cominciò a pregustare la vendetta che, in
un modo o nell’altro, avrebbe ottenuto.
«Non
potete vincere sempre.» ringhiò in direzione del sole che nasceva «Verrà il mio
momento, parola d’onore.»
«Non
credo proprio.» sibilò una voce profonda e cupa alle sue spalle.
Fu un
attimo, e Fouquet sentì qualcosa di duro e affilato trafiggerla alle spalle, ma
solo quando vide la punta di un pugnale emergere dal centro del suo petto capì
cosa era davvero accaduto.
Cercò di
gridare, ma l’urlo le rimase strozzato in gola, e tutto quello che poté fare fu
volgere all’indietro i propri occhi sbarrati in direzione del suo carnefice.
Tutto quello
che riuscì a distinguere furono dei lunghi capelli bianchi, un viso ceruleo di
sconvolgente bellezza, esaltato da penetranti occhi scuri, e un paio di
orecchie appuntite, da elfo.
Non l’aveva
mai visto di persona, ma ciò nonostante capì subito di chi doveva trattarsi.
«Lo… Lord Eruvere…» tossì sputando
un fiotto di sangue
«Avevi
dei compiti facili da svolgere, Fouquet, e non sei stata capace di portarli a
termine. Le tue prestazioni sono a dir poco vergognose. Per questo, il nostro
maestro ha deciso di fare a meno dei tuoi servigi».
Così,
alla fine, quella era stata davvero la sua ultima chance.
Ora era
davvero finita.
«No… vi prego…» cercò di dire
«Porta i
miei saluti a Wardes.» sentenziò l’elfo, e come
ritrasse il pugnale Fouquet rantolò al suolo, morta, intingendo l’erba di
rosso.
Rimasto solo,
Eruvere, come Fouquet lo aveva chiamato, ripulì
malamente il pugnale sul lungo mantello che, eccezion fatta per la testa, lo
avvolgeva interamente, quindi, agitato un dito nel vuoto, aprì una specie di
piccolo portale, al centro del quale era visibile una figura misteriosa avvolta
dal buio.
«Dimmi, Eruvere.» disse una voce roca e stentata
«Ho
eseguito il vostro ordine finale, maestro. Purtroppo, mi dispiace doverle dire
che Valat ha fallito. Laguiole è persa, e con lei l’intero
nord.»
«Non
importa.» replicò la figura «In ogni caso, abbiamo ancora molte carte da
giocare. Sapevo dall’inizio che quel buono a nulla avrebbe potuto fare un buco
nell’acqua, e mi sono premunito.»
«Quali
sono i vostri ordini, maestro?»
«A
questo punto, non possiamo più limitarci a muovere i fili dall’ombra. Dovremo agire
di persona. Ma innanzitutto, dobbiamo essere certi che la Maga del Vuoto sia
davvero pronta».
Eruvere inarcò
gli occhi.
«Ho capito,
maestro. Mi metto subito all’opera.»
«Molto
bene. Aspetto tue notizie».
Al sorgere del sole,
Laguiole era tornata in mano ai suoi legittimi proprietari.
Di ritorno
dalla fallimentare impresa a Serk City, i soldati che
fino al giorno prima avevano servito Valat si
ritrovarono la strada bloccata da coloro che, nel cuore, erano rimasti fedeli
al duca, e praticamente tutto loro, ricevuta la possibilità tra il cambiare
schieramento o l’esecuzione sommaria in nome di un capo ormai morto scelsero la
prima soluzione.
Kiluka si
era finalmente ripresa ciò che era sua di diritto, ma questo era l’ultimo dei
suoi pensieri.
Aveva ritrovato
il suo adorato nonno, e questo era il tesoro più grande.
Non era
più sola. E di conseguenza, non aveva più alcun motivo per ritornare a Grasse,
ora che il suo dominio era tornato ad essere davvero suo.
Saito e
Louise si presero un paio di giorni per aiutare lord Charnizay e i suoi seguaci
e rimettere a posto lo scompiglio causato dal duca, e a pacificare i rapporti
tra Laguiole e tutti quei feudi che erano stati assimilati o comunque attaccati
dalle armate di Valat, ma poi venne per loro il
momento di rientrare a Grasse.
Non erano
tranquilli.
Ora avevano
la prova che c’era qualcuno, qualcuno di molto potente, dietro quanto stava
accadendo a Tristain. Qualcuno che si era servito di Valat
per assoggettare l’intera nazione e che, Saito era pronto a scommetterci, stava
servendo nello stesso momento anche di molti altri signori della guerra.
Se era
davvero così, allora mettere fine a quella assurda follia non era più solo
necessario, ma anche indispensabile.
Tristain
non poteva restare ancora a lungo senza una guida, o il rischio era di vedere
un domani qualcuno di Reconquista seduto sul trono.
A malincuore,
per Kiluka era venuto il momento di salutare le persone che tanto avevano fatto
per lei, e in quel momento l’aver ritrovato suo nonno sembrò perdere nel suo
cuore molto del suo significato, se in cambio doveva separarsi da loro.
«Non
potrò mai ringraziarvi abbastanza per quello che avete fatto per mia nipote.»
disse il lord, venuto a salutare i due giovani ai cancelli della città assieme
Kiluka e a Seena «Sono i nobili retti e virtuosi come voi la vera speranza per
questo Paese.»
«È stato
un piacere aiutarvi, eccellenza.» disse Saito «Ma d’altra parte, ci dispiace
per suo figlio. In fin dei conti, lui era solo una pedina.»
«Valat si è scelto da sé la sua strada. E ne ha pagato le
conseguenze. Come padre posso piangere la sua morte, ma allo stesso tempo non
posso far altro che constatare come il suo destino se lo sia costruito con le
sue mani.
Pregherò
per lui».
Kiluka cercava
di non piangere, ma era difficile, così nascondeva il volto tra le maniche del
vestito per non darlo a vedere.
«Non
piangere, Kiluka.» le sorrise Louise
«Io non
sto piangendo.» bofonchiò lei distogliendo lo sguardo
«Non
saremo separati per sempre.» la rassicurò Saito «Potrai venire a trovarci
quando vorrai.»
«Davvero?»
«Davvero.»
disse Louise, e nello stesso tempo le carezzò amorevolmente la testa, come una
brava sorella maggiore.
A quel
punto, a malincuore, venne davvero il momento di separarsi, e Kiluka, incapace
di trattenere le lacrime, poté solo stare a guardare la carrozza dei suoi
migliori amici allontanarsi lungo la strada.
Ma era destino che le vite
dei due giovani sposi e di Kiluka fossero ormai inscindibili.
Solo pochi
giorni dopo, in una fredda mattina d’inverno, mentre Saito e Louise facevano
colazione, un piccolo ciclone entrò in sala da pranzo senza che nessuno
riuscisse in alcun modo ad arrestarlo.
«Louise-sama!» gridò Kiluka buttandosi tra le braccia della
sua sorellona acquisita
«Kiluka!?»
esclamò Louise incredula, tentando inutilmente di scrollarsela di dosso «Che ci
fai tu qui?»
«Il
nonno ha detto che ho ancora molto da imparare su come si guida saggiamente una
provincia, così mi ha mandata qui per fare ancora un po’ di esperienza. E poi,
ha detto anche che sarebbe stato un segno di distensione e di fratellanza tra
le nostre famiglie, non è bellissimo!?».
Ma Kiluka
non sembrava la sola felice di essere tornata.
«A
quanto pare.» disse Seena palesandosi a sua volta nel salone con uno strano ed
amichevole sorriso «Sembra che sarò alla vostre dipendenze ancora per un po’,
lord Hiraga».
Saito,
dapprima perplesso, ben presto sorrise a sua volta.
«Beh. Allora,
di nuovo, benvenuti a Grasse».
In disparte,
nascosto dietro una tenda, Kaoru assisteva all’intera scena, ma a differenza
degli altri lui non aveva alcuna voglia di sorridere, e abbassato lo sguardo
strinse ancora di più la mano sinistra attorno alla destra, quasi avesse voluto
staccarsela; oppure, nascondere qualcosa.
Qualcosa
che non si spiegava.
Nota dell’Autore
Eccomi qua!^_^
E così, anche la vicenda di Kiluka e di Valat è giunta alla sua conclusione.
Ormai siamo ampiamente entrati nel clou
della vicenda, e da qui in avanti cominceranno ad arrivare le prime risposte
(anche se centellinate)
Grazie come sempre a chi legge, recensisce
o anche solo scruta distrattamente questa storia.
Siete mitici!^_^
Infine, una piccola grande annotazione.
Finalmente, dopo averne rimandato all’infinito
la creazione, ho finalmente realizzato la seconda fan opening per questa fan
fiction, usando tra l’altro come base una delle mie opening preferite (UnripeHero, seconda opening del
mitico Blassreiter, che consiglio caldamente).
Ad
Halkengina non esisteva qualcosa di simile al natale, ma Saito teneva troppo
all’atmosfera natalizia per rinunciarvi, e grazie al fatto che il calendario
terrestre era uguale a quello di Tristain in quanto a numero di giorni aveva
localizzato la data che corrispondeva al natale della Terra.
Louise
dapprincipio non aveva capito il perché di un tale comportamento, ma già dopo
qualche anno l’atmosfera del natale aveva iniziato a contagiare anche lei, e
con lei tutti i loro sudditi di De Ornielle.
Ora
bisognava insegnare il natale anche alla gente di Grasse, e per l’occasione
Saito aveva voluto fare le cose in grande. Da un giorno all’altro, gli abitanti
della città avevanovisto le strade
riempirsi di luci, festoni e ghirlande, e nella piazza centrale era stato
preparato un enorme albero addobbato con centinaia di candele e stelle filanti.
Anche nella piazza del castello ne era stato allestito uno, ancora più grande e
maestoso, con la differenza che quello era stato donato ai signori dagli stessi
cittadini; un segno di ringraziamento per quanto Saito e Louise stavano facendo
per risparmiare alla propria gente gli orrori della guerra.
Il
quindicesimo giorno dell’undicesimo mese, che corrispondeva alla vigilia di
natale, fervevano i preparativi.
Il
giorno dopo, il palazzo avrebbe ospitato un ricco ricevimento, presenti tutti i
principali alleati e le autorità del feudo, e un altro simile si sarebbe svolto
in piazza, aperto a chiunque volesse recarvisi.
A
vederla così, festante e colorata, Grasse non sembrava neanche più una città
situata in un Paese dove si combatteva senza sosta da quasi cinque mesi, ed era
soprattutto per questo che Saito e Louise avevano voluto così strenuamente
quelle celebrazioni.
Con
quello che stava succedendo a Tristain, la gente aveva bisogno anzitutto di
speranza. Dovevano credere che poteva esserci, che c’era un domani, e dovevano
poter dimenticare, almeno per un po’, il tempo infelice in cui stavano vivendo.
Tutti
bene o male si erano lasciati contagiare dall’atmosfera venutasi a creare,
perfino Kaoru.
Negli
ultimi tempi il generale stava facendo spesso avanti e indietro da Otisa per sovrintendere ad alcuni miglioramenti che,
assieme al professor Colbert, stava apportando alla Valliere,
anche alla luce dei danni riportati nel corso della battaglia a Serk City.
Anche
quella mattina, di buon’ora, Kaoru montò a cavallo per raggiungere la darsena
assieme ad un gruppo tra soldati di scorta e ingegneri navali; per l’occasione
avevano caricato anche un carretto con alcune attrezzature, nonché vettovaglie
e qualche bottiglia di vino, un piccolo segno di riconoscenza da parte dei
signori per gli abitanti di Otisa che tanto avevano
fatto e stavano ancora facendo per loro.
«Vai via
anche oggi?» gli disse Louise raggiungendolo al cancello
«Il
professor Colbert sta lavorando a delle migliorie, e vuole mostrarmele.»
«Però,
domani è natale.» obiettò Saito
«Lo so.
Saremo di ritorno al massimo per questa sera tardi».
Prima di
andarsene, poi, Kaoru infilò una mano nel tascone
interno del mantello, prendendone fuori una vecchia ricetrasmittente a batterie
che consegnò a Saito.
«E
questa?»
«L’abbiamo
trovata in un armadietto nella zona cabine. Funziona ancora. Se servisse
qualunque cosa, puoi usare quella per contattarmi. La frequenza è già impostata
per la radio della Valliere».
Poco
distante, Siesta assisteva nascosta dietro una colonna del porticato, il cuore
che batteva all’impazzata ed il respiro che, addensandosi, produceva più vapore
di un bagno termale.
In mano
stringeva una scatolina blu avvolta in un nastro giallo, ma per quanto ci
provasse non riusciva a trovare il coraggio per porgerla alla persona cui era
destinata.
Aveva
già fatto i regali a tutti, ma a farlo a lui non ce la faceva in nessun modo, e
non importava quanto continuasse a ripetersi che era questione di un istante, e
che poi tutto sarebbe finito.
Ogni
volta che ci pensava arrossiva, così come arrossiva ogni volta che lui gli
veniva in mente.
Solo
un’altra persona l’aveva fatta sentire così.
Provò a
calmare i battiti del suo cuore, chiuse gli occhi e si sforzò qualche respiro
profondo, ma quando, finalmente, si decise ad agire, come mosse un passo
davanti a sé vide Kaoru spronare il cavallo e varcare la soglia del castello.
Avrebbe
potuto chiamarlo, raggiungerlo. Non era lontano, e gridando si sarebbe
sicuramente fatta sentire.
Invece
non fece nulla, a parte guardare, con quel pacchettino poggiato sul petto, il
generale che si allontanava.
Rientrati nel castello,
Saito e Louise ripresero ad occuparsi dei preparativi per il pranzo di natale.
La
gravidanza di Louise nel mentre procedeva senza problemi, e già, sotto il
profilo del vestito, cominciava ad intravedersi un accenno di pancia.
Saito
era ansioso come non mai di conoscere suo figlio, e quando Louise gli aveva
spiegato come la gestazione di uno stregone durasse mediamente uno o due mesi
di più rispetto a quella di un essere umano si era sentito crollare un po’ il
mondo sotto i piedi, ma poi si era detto che infondo si trattava solo di
aspettare qualche settimana in più, nulla di drammatico.
Nel
castello era tutto quasi pronto.
Come nelle
strade pendevano dalle pareti rami di pino, sfere dorate, ghirlande e ogni
altra sorta di decorazione, e a tutti i soldati e le guardie, ad eccezione di
quelli strettamente indispensabili, erano stati concessi due giorni di
permesso.
Qualcuno,
a cominciare dalla stessa Louise, aveva inizialmente manifestato la propria
perplessità di fronte all’eventualità di organizzare una festa con un nemico
che, malgrado la disfatta del duca Valat, poteva
dirsi ancora alle porte, nascosto chissà dove, ma Saito aveva replicato a
queste critiche citando un evento accaduto decenni prima nel suo mondo, quando
due eserciti in guerra avevano deciso spontaneamente di stabilire una tregua
nel rispetto del giorno di natale.
L’unica
che non sembrava godersi, nonostante tutto, i festeggiamenti era Seena, e il
motivo fu presto rivelato.
«Miei
signori, avete visto Kiluka per caso?» domandò incontrandoli nel salone «È
sparita da questa mattina.»
«Quella
ragazzina ha un talento naturale per creare problemi.» bofonchiò Louise
«Non ti
preoccupare, Seena.» la rassicurò Saito «L’unico varco di uscita dal castello è
sorvegliato, e anche se volesse non potrebbe in alcun modo andarsene. Vorrà
solo giocare a farti stare in pena nascosta da qualche parte.
In fin
dei conti è ancora una bambina».
Convinta
ma non troppo, Seena si calmò, lasciando i due sposi nuovamente soli.
«Sarà
una festa davvero bellissima.» disse Saito vedendo come tutti bene o male si
fossero lasciati contagiare dall’atmosfera gioiosa, a cominciare dai servitori
«Hai
ragione, Saito. Dopotutto, queste persone si meritano un po’ di felicità e
spensieratezza».
Louise
si toccò il ventre, avvertendo distintamente la vita che vi stava germogliando
dentro.
«Spero
con tutto il cuore che nostro figlio possa crescere in un mondo dove ci sia
tutta questa felicità e gioia, invece che in uno simile a quello che abbiamo
vissuto negli ultimi mesi.»
«E sarà
così.» rispose con forza Saito «Te lo prometto. Il nostro bambino dovrà
conoscere solo il bello di questo mondo. Per lui non dovranno esistere né odio
né guerre».
Di
fronte ad una tale veemenza la ragazza non poté che sentirsi felice. Anche lei
voleva la stessa identica cosa in fin dei conti.
«A
proposito.» disse sorridendo «E per il nome come la mettiamo?».
Su
questo, Saito non aveva dubbi.
«C’è
stato un grande eroe nella nostra famiglia. Ricordo che mio nonno mi parlava
spesso di lui. Era un funzionario di polizia durante il Periodo Meiji. Si dice fosse un campione di virtù e di magnanimità,
pronto a concedere a chiunque una seconda occasione».
Saito
guardò fuori da una finestra, quasi a voler scorgere in lontananza le bianche
mura di De Ornielle.
«Questa
storia mi è tornata per caso alla mente il giorno in cui tutto questo ha avuto
inizio. Il giorno in cui ci hanno informato di quello che era accaduto alla
regina Henrietta. Suppongo fosse un segno del
destino. Così mi sono detto, “voglio chiamare mio figlio con il nome di quel
mio grande antenato”. Se davvero era la persona nobile e generosa che mio nonno
descriveva, sarà di sicuro di buon auspicio.»
«E come
si chiamava?»
«Purtroppo,
non lo so. Non me lo ricordo. Mio nonno è morto che avevo tre anni, e da allora
non ho più potuto sentire la storia. Quanto ai miei genitori, se la sono
dimenticata tempo fa, presi com’erano dalla frenetica vita quotidiana del
giapponese medio.
Ma sono
sicuro che se mi sforzerò riuscirò a ricordarmene. Per questo continuo a
pensarci da allora».
Louise
sorrise, tornando a guardarsi e accarezzarsi il ventre.
«Non
starai correndo troppo? Dopotutto, potrebbe essere anche una bambina. Una
bambina bella, testarda e forte come sua madre.
E
allora, le darò il nome della mia bisnonna. Lucille. Lucille de la Valliere de Hiraga de Ornielle. Suona bene, non trovi?»
«Sarà
quello che sarà.» rispose Saito carezzandole i capelli «L’importante è che sia
sano e forte, e soprattutto che possa vivere la più felice delle vite.»
«Hai
ragione».
Erano
quelli i momenti in cui sembrava fosse davvero possibile dimenticare tutto,
anche se solo per un attimo, e ritrovare quell’utopia di felicità ed amore che
aveva spinto i due ragazzi a scegliersi l’un l’altra come compagni per la vita.
Stavano
per baciarsi, persi in quel sogno dentro un sogno, quando un rintoccare
inopportuno di campane distrusse l’incanto riportandoli alla realtà.
Ma non
erano campane qualunque. Erano un segnale di sventura. Un’ombra che si
addensava minacciosa sopra il palazzo, senza alcuna pietà per la sacralità e
l’importanza di quel giorno.
«L’allarme
prioritario!?» disse Louise
«Deve
esserci un intruso nel castello!».
Presto
si diffuse la notizia che stava accadendo qualcosa nel cortile principale, ed i
due ragazzi senza indugio vi si recarono nonostante i timidi tentativi da parte
delle guardie di fermarli, trovandovi all’arrivo una piccola folla di soldati
raccolti in cerchio e con le armi puntate tutte in una direzione.
«Miei
signori, state lontani.» disse Joanne «Può essere pericoloso.»
«Che sta
succedendo?» domandò Saito ignorando totalmente l’avvertimento.
Fattisi
strada attraverso le lance e le spade, riuscirono infine a scorgere la sorgente
di tutto quel trambusto, restandone comprensibilmente sorpresi: dal nulla, e
senza un apparente perché, si era materializzato a poco meno di due metri da
terra una sorta di piccolo ammasso fuligginoso, come una condensa di nebbia
fitta e bianchissima, che pulsava come un cuore sprizzando di tanto in tanto
innocenti scintille e scariche.
Louise
non era nuova a quel genere di fenomeno, ed infatti lo riconobbe subito.
«Sembra
magia del Vuoto.»
«Prudenza,
mia signora.» disse Joanne facendo da scudo alla regina.
Dopo
qualche attimo quello strano ammasso aumentò improvvisamente di grandezza, e la
tensione crebbe; quindi, parve modellarsi da sé, fino a formare una specie di
porta, in modo molto simile a quanto accadeva per l’incantesimo di apertura dei
portali di Louise.
Capendo
che poteva trattarsi davvero di un qualche varco dimensionale, destinato forse
a permettere l’accesso a chissà quale nemico, tutti i soldati si fecero ancora
più guardinghi, e gli animi si scaldarono a livelli molto preoccupanti.
Calò il
silenzio, rotto solo dai respiri affannosi di qualcuno di quelli con meno
sangue freddo; poi, oltre la coltre bianca, cominciò ad intravedersi una
figura, intangibile, ma agli occhi di Saito e Louise stranamente famigliare.
Dapprima
videro un volto fine, gentile, contornato di quelli che sembravano lunghi
capelli fluenti. Poi lunghe gambe femminee. Poi, un seno enorme, quasi inumano,
che fece dissanguare Saito e ringhiare di rabbia Louise.
Ce n’era
solo una.
Solo una
persona in tutta Halkengina poteva disporre di un simile balcone.
Quando,
infine, Tifa si palesò davanti a tutti, la tensione calò di colpo. Persino i
soldati non riuscirono a restare indifferenti alle forme generose della giovane
elfa, che alcuni di loro, quei pochi che avevano
fatto parte dell’esercito di De Ornielle, avevano già conosciuto.
«Vi
chiedo scusa.» disse tenendo gli occhi bassi, con quella sua solita aria
imbarazzata e smarrita «Non sono ancora molto brava a padroneggiare questo tipo
di incantesimo».
Passò un
istante, e Saito, stupito nel non sentirsi arrivare un calcio in mezzo alle
gambe, corse incontro all’amica.
«Tiffania!» esclamò prendendole le mani.
Accertato
che non vi era pericolo, Joanne fece disperdere i suoi uomini, che non senza
qualche perplessità tornarono ognuno al proprio posto.
«È
passato molto tempo, Saito-san. Sono felice di
rivederti.»
«Lo
siamo anche noi. Vero, Louise?»
«Certo,
come no.» rispose la ragazza serrando i denti per nascondere le sue vere
emozioni.
Subito
dopo essersi diplomata all’accademia di magia, Tiffania
era voluta tornare a Neftes assieme a Bidashal e Luctiana,
approfittando del fatto che grazie alla vittoria ottenutacontro il Drago Ancestrale la fazione
favorevole agli esseri umani aveva acquistato prestigio ai danni di Eshmael e della sua cerchia di fanatici.
Da
allora aveva fatto alcune visite sporadiche ai novelli sposi, raccontando ogni
volta di come la lenta presa di coscienza da parte degli elfi li stesse
portando ad accettarla come una di loro, ma dall’inizio della guerra non si era
più fatta vedere.
Però,
che avesse imparato ad usare la magia dei portali, questa era davvero una grande
sorpresa.
«Da
quando sei capace di aprire le porte?» domandò Louise notando quel varco così
grezzo rispetto ai suoi, ma comunque funzionale
«Mi sono
esercitata molto in questi mesi per imparare a controllare la Magia del Vuoto.
Anche se non sono ancora brava come te, purtroppo.»
«Sei
sempre troppo modesta, Tifa.» le disse Saito «È ovvio che hai fatto dei
progressi.»
«Non
esagerare con i complimenti. Ne ha di strada da fare.»
«Senti,
senti. Sbaglio o qualcuno è geloso?».
Mai
punta di scarpa negli stinchi fu più dolce per Saito; significava che Louise,
nonostante tutto, era sempre la stessa, anche quando si arrabbiava.
Anche se
faceva comunque un male cane.
«Dimenticavo.»
disse ancora Tifa «Voglio presentarvi qualcuno».
La
ragazza fece un cenno, e dal varco ancora aperto comparve una nuova figura.
Era un
elfo, proprio come lei, e somigliava un po’ a Bidashal:
capelli bianchi e lunghi, occhi blu scintillanti, portamento fiero ed il corpo
nascosto da un largo mantello nero.
Metteva
un po’ di inquietudine, ma non sembrava una cattiva persona; al contrario, quel
suo sguardo fiero e sicuro di sé incuteva rispetto e ammirazione.
«Saito.
Louise. Lui è Eruvere.»
«Piacere
di conoscervi.» disse gentilmente l’elfo «Anche se, a dire la verità, la mia
padrona parla così tanto di voi, che mi sembra quasi di avervi sempre
conosciuti.»
«La tua
padrona!?»
«Ecco, è
questa la cosa curiosa.» disse Tifa quasi imbarazzata «Perché vedete, lui…ecco… lui è il mio nuovo
famiglio».
Entrambi
i ragazzi saltarono sul posto.
«Il tuo
famiglio!?» esclamò Saito.
A
riprova di ciò, Eruvere si abbassò leggermente l’alto
collo del mantello, rivelando una sequenza di rune impressa sul suo collo
all’altezza della gola.
«Non c’è
dubbio, sono proprio Rune del Vuoto.» disse Louise «Ma Tiffania,
il tuo famiglio non era Saito?»
«Il
contratto si è spezzato quando il potere di Lifdrasil
si è esaurito.» spiegò Tifa «Ma il preside diceva sempre che era comunque
possibile per me evocare un nuovo famiglio, proprio come era accaduto tra te e Saito-san. Così, un giorno, ho provato un’altra volta
l’incantesimo del SummonServant.
Dapprincipio
non è accaduto nulla, come la prima volta, ma solo qualche giorno dopo Eruvere è venuto da me dicendo che le rune erano comparse
sul suo corpo nello stesso istante in cui io recitavo l’incantesimo.
Così,
abbiamo suggellato il patto, e da quel giorno è diventato ufficialmente il mio
famiglio.»
«Capisco.»
disse Saito, che poi si rivolse a te «Beh, allora buon per te. Tifa sarà
davvero un’ottima guida per te. Solo, fai attenzione, perché alle volte sa
essere terribilmente sbadata.»
«Ne sono
consapevole.» sorrise l’elfo.
Tiffania ebbe
un momento di esitazione, sfregando le mani come timorosa, ed abbassò lo
sguardo. Eruvere, forse credendo di non essere visto,
le fece un cenno, che lei contraccambiò con uno sguardo quasi intimorito.
Quindi,
l’elfa infilò una mano nella sacca che portava a
tracolla, prendendone fuori due scatoline di legno chiuse alla meno peggio con
una cordicella di seta rossa.
«Ecco…Saito-san mi diceva che in
questa periodo dell’anno, nel suo mondo, si è solito scambiarsi dei regali.
Così, ho pensato che…».
Saito e
Louise spalancarono gli occhi.
«Tifa,
non dovevi!» disse Saito felice come non mai.
Louise
non lo era quanto lui, ma non poteva non apprezzare il bel gesto, ed accettò
con gioia il proprio regalo, aprendolo subito assieme al suo consorte in barba
alla tradizione.
Entrambe
le scatole contenevano un pendente, non prezioso ma bello a vedersi, a forma di
mezzaluna e coperto di iscrizioni elfiche.
«Sono
pendenti di buona sorte.» spiegò Eruvere «Un segno di
amicizia e di gratitudine da parte del popolo elfico per quanto avete fatto per
noi.»
«È
davvero un dono troppo generoso.» disse Louise «Non meritiamo tanto.»
«Però…» disse Tifa, ancora con quell’aria timorosa «Se
volete, potete anche non accettarli… in fin dei
conti, non è niente di speciale…»
«Stai
scherzando!?» disse Saito «È un dono bellissimo».
Tifa
sorrise, ma sembrava un sorriso un po’ stentato, quasi fasullo, anche se
nell’euforia del momento né Saito né Louise parvero notarlo.
«Però
ora basta parlare qui. Accomodatevi dentro. Abbiamo tante cose di cui parlare».
Nota dell’Autore
Eccomi qua!^_^
Sono tornato, e più presto del previsto,
con un nuovo capitolo!
Oggi inizia l’Arco di Neftes, in assoluto quello che
aspettavo di scrivere da più tempo.
Sarà un arco piuttosto lungo, forse non il
più lungo di tutta la storia, ma di sicuro quello, almeno fino a qui, con il
maggior numero di rivelazioni.
Sì, avete capito bene.
Finalmente la matassa inizierà a
dipanarsi, e i primi interrogativi troveranno una loro risposta.
Aspettate fiduciosi, e vedrete che un po’
per volta tutti i misteri verranno sbrogliati, ma preparatevi anche ad una
pirotecnica sequenza di battaglie.
Malgrado fosse la vigilia
di natale, la darsena era in piena attività.
Il tempo
non eccelso e i venti invernali alzavano il mare, ma grazie alla rete da pesca
che proteggeva l’ingresso all’interno della grotta lo specchio d’acqua in cui
riposava la Valliere era calmo come la superficie di
uno stagno.
Nella
stiva, i lavori di ammodernamento erano ormai completati.
La
battaglia per la difesa di Serk City aveva dimostrato
la potenza quasi incontrastabile della Valliere, ma
allo stesso tempo ne aveva anche messo in luce gli inevitabili difetti, quali
la scarsa velocità e autonomia di volo, nonché la facilità di avvistamento
anche a notevole distanza.
Per
questo era intervenuto il professor Colbert, che aveva messo a disposizione
dell’equipaggio altre due pietre magiche provenienti dai laboratori della
scuola di magia, e dopo un lungo processo di arrangiamento dei macchinari
entrambe erano state montate con successo.
Per
dimensioni non erano neanche paragonabili alla pietra di levitazione con cui
condividevano la stanza, ma ciò nonostante il loro potere era indiscutibile.
Ora
però, bisognava testarlo. Bisognava ancora collegare i sistemi di controllo
alla plancia di comando, ma era inutile farlo se non si aveva la prova che le
pietre potevano avere effetto su un vascello di quelle dimensioni.
Espletati
gli ultimi controlli, il professore, Kaoru e molti dei marinai scesero a terra,
lasciando a bordo solo il personale necessario.
«È tutto
pronto?» chiese Kaoru
«Suppongo
di sì. Speriamo solo che le pietre siano sufficientemente potenti».
Kaoru a
quel punto fece un cenno, che venne intercettato da Quintus
in plancia.
«Avviare
i motori!» ordinò il comandante.
La nave
prese a gracchiare, e nello spazio di pochi minuti i suoi motori erano pronti a
condurla in mare; ma non era per questo che erano stati accesi.
«Sala
delle pietre.» disse ancora Quintus parlando
all’interfono «Dare inizio all’esperimento numero uno.»
«Sì,
comandante.» rispose il marinaio dall’altra parte.
Questi,
poggiata la cornetta, si avvicinò al presosi un momento per invocare la buona
novella, abbassò la leva che faceva da interruttore.
Una
specie di folgore si sprigionò dalla pietra, minacciando di mandare in frantumi
la pietra in cui era rinchiusa, e propagandosi ai cavi che vi erano attaccati
attraversò tutti i corridoi della nave, giungendo fino alla sala macchine.
Appena
l’energia prese a fluire nei motori, questi rimbombarono come tuoni, producendo
un suono ancora più forte.
Tutti
gli indicatori andarono fuori scala, il che doveva essere a rigor di logica una
cosa molto negativa, ma non accadde nulla, né vi fu segno alcuno di
sovraccarico.
«Incredibile.»
disse il capo-macchinista, che subito dopo prese l’interfono «Plancia, qui sala
macchine. Caldaie attive e funzionanti. Tutti i valori sono oltre il massimo,
ma le apparecchiature reggono senza problemi».
Lo
sventolare delle mani di Quintus provocò le urla di
gioia di tutti i presenti sia a bordo che ammassati sulla riva, ma era solo
l’inizio.
«Meno
male, è andata. Non che avessi qualche dubbio, bene inteso.»
«È
presto per rilassarsi, professore. Siamo solo a metà del lavoro.»
«Sì, ma
è comunque un buon risultato. La pietra triangolare permetterà alla nave di
migliorare notevolmente le sue prestazioni sia in termini di velocità che di
manovrabilità durante la navigazione in mare.»
«Sono
d’accordo, ma la visibilità resta comunque un problema.»
«È a
questo che serve l’altra pietra, la Pietra Specchio.»
«Allora,
direi che è il caso di provarla, non crede?».
A quel
punto venne il momento di azionare l’altra teca, quella che conteneva la pietra
di colore bianco sfavillante, e anche questa, una volta liberata dei suoi
sigilli, prese a sfavillare, ma invece che in dei tubi la sua energia, una
volta fuoriuscita, si propagò a macchia d’olio come una specie di onda,
attraversando le pareti, i ponti e la chiglia.
Fu un
attimo, e la nave e tutti coloro che vi erano sopra scomparvero nel nulla, come
non fossero mai esistiti, proprio sotto gli occhi di Kaoru, che sorrise
soddisfatto assieme a Colbert.
Agli
occhi di Tiberius e dei suoi uomini non era cambiato
nulla, ma lo stupore di quelli che osservavano dalla riva fu più che
sufficiente per fargli capire che aveva funzionato.
«Direi
che è una prova da dieci e lode.» commentò soddisfatto Colbert mentre la nave
ricompariva «Non sei d’accordo, amico mio.»
«Anche
meglio delle aspettative.»
«Questa
barriera invisibile non può passare inosservata agli occhi di un mago con
elevata esperienza, ma a meno di non riuscire ad infrangerla è impossibile
riuscire a scorgere quello che vi è all’interno.»
«Non ha
importanza. Quello che conta, è arrivare abbastanza vicini senza essere notati.
Poi ci penseranno i cannoni a fare il resto.»
«Ho
anche migliorato la resa effettiva della pietra di levitazione. Ora la nave
potrà spostarsi in volo più a lungo e più velocemente, mentre i tempi di
ricarica rimarranno gli stessi.
L’unico
difetto è che le tre pietre non possono agire in sintonia. L’utilizzo di una
disattiva automaticamente l’altra. Il rischio è che la nave finisca per non
sopportare l’eccessiva quantità di energia e collassi.»
«Capisco.
Immagino non si possa avere tutto.
Poco
male, ci accontenteremo».
Colbert
per un attimo ebbe come l’impressione di scorgere un’ombra che furtiva si
infilava dentro la nave, ma convintosi quasi subito che l’unico occhio rimastogli
gli avesse giocato un brutto scherzo preferì concentrarsi nuovamente su Kaoru,
che da un momento all’altro gli aveva dato le spalle e seguitava a tenersi la
mano destra come dolorante.
«Tutto
bene?»
«Sì.»
tagliò corto lui fingendo che fosse passato «Non è niente.»
«Non si
direbbe. Dai, fammi vedere».
Kaoru
tergiversò, quasi spaventato, ma poi si rassegnò mostrando la mano.
Sul
palmo, forte e robusto, erano comparsi due segni, come una specie di tatuaggi,
che dal polso prendevano tutta la mano diramandosi lungo tutta la lunghezza
dell’indice e del mignolo fino alle unghie.
Non
sembrava trattarsi di tagli o cicatrici, perché al tatto apparivano morbidi e
levigati, quasi si fossero trovati sotto la pelle che non in superficie.
«Che
cos’è?» domandò sorpreso
«Non ne
ho idea. È comparso poco dopo la battaglia a Serk
City.»
«Ti fa
male?»
«Brucia
un po’ di tanto in tanto,ma nel
complesso è sopportabile.»
«Se
possibile, vorrei farti qualche esame. Tanto per accertarsi che non sia niente
di serio».
In quella,
a Kaoru cadde l’occhio oltre il limite della caverna.
«Credo
che per il momento abbiamo un problema un po’ più urgente».
Il
professore guardò a sua volta.
Nuvole
nere, cariche di tempesta, si erano addensate sopra l’oceano, e ora procedevano
verso la costa a considerevole velocità.
«A
quanto pare, sta per arrivare un gran brutto temporale. È probabile che vi sarà
anche una tempesta di neve.» quindi si girò nuovamente verso Kaoru «Anche se
Grasse è relativamente vicina, non credo sia consigliabile ritornarci stasera.
La strada diventerà pericolosa per il ghiaccio, e potremmo perderci.»
«Capisco.»
disse Kaoru «E dire che gli avevo promesso che saremmo tornati entro la fine
del giorno. Beh, poco male. Per fortuna ad Otisa i
posti per dormire non mancano».
Siesta si era finalmente
decisa a fare quello per il quale aveva tanto lavorato in tutte quelle
settimane.
Aveva
sgobbato come una bestia da soma e accumulato montagne di straordinari per
comprare quel regalo, e tenerselo in tasca, oltre che inutile, sarebbe stato
anche stupido.
Tuttavia,
avendo capito di non avere la forza per farlo di persona, aveva concluso che
l’unica soluzione fosse lasciarlo nella camera della persona cui era destinato.
Probabilmente
in questo modo non ne avrebbe mia conosciuto il mittente, ma non le importava.
Le bastava sapere che l’avesse ricevuto.
Quatta quatta, e accertatasi di non avere nessuno intorno, la
ragazza si infilò furtiva nella stanza senza essere vista, ma come si richiuse
la porta alle proprie spalle si avvide, con suo grande stupore, che vi era un
altro pacchetto appoggiato sul comodino accanto al letto.
Non era
ben fatto come il suo, ma c’era. Era lì.
Rimase
di stucco.
Chi
poteva esserne il mittente? Impossibile saperlo, perché non c’erano biglietti
né annotazioni.
Siesta
sapeva che la lista era lunghissima; aveva visto più volte le altre camerieri e
servitrici fargli gli occhi dolci, e la stessa Seena le aveva confidato di
trovarlo carino.
Era
stata proprio l’esternazione della rossa a spingerla ad agire con fermezza, ma
ora tutte le sue certezze stavano venendo meno.
Qualcuno
l’aveva battuta sul tempo.
No. Non
poteva accettarlo.
Non
poteva ricevere un regalo che non fosse da parte sua.
Sentì
montare in sé la rabbia, e per una volta, dopo tanto tempo, decise che era giunto
il momento di fare la cattiva.
Aveva
perso con Saito, non voleva perdere anche con lui.
Fulminea,
quasi avesse paura che un occhio invisibile potesse smascherarla, sostituì il
regalo misterioso con il suo, e quando lo ebbe tra le mani non riuscì a resistere
alla tentazione di aprirlo.
Sperava
di trovarci un biglietto, se non altro per scoprire l’identità della misteriosa
concorrente, invece non vi trovò niente, a parte un pendente a mezzaluna
coperto di segni indecifrabili.
«Che
cos’è?» si domandò.
Poco
importava.
Ora non
poteva più tornare indietro.
Non
poteva commettere un’azione così abbietta e spietata come farlo sparire, ma era
necessario rifare il pacco, visto che nell’aprirlo lo aveva praticamente
squartato.
Così,
fece sparire la scatola ormai in pezzi nella tasca del grembiule, mentre
apertasi leggermente il vestito fece sparire il pendente nell’incavo sul petto,
in assoluto il posto migliore per nascondere qualcosa.
Glielo
avrebbe fatto trovare in qualche modo il mattino dopo, una volta accertatasi
che avesse ricevuto il suo regalo per primo.
«Mi
spiace, chiunque tu sia.» disse maliziosa «Ma c’ero prima io».
Nel
mentre, Tifa ed Eruvere si stavano preparando per
fare ritorno a Neftes, non senza qualche dispiacere
da parte di Saito e Louise.
«Siete
sicuri di volere andare via così presto?» domandò Saito «Domani è natale, e ci
avrebbe fatto piacere se foste rimasti per il pranzo di festa.»
«Ci
piacerebbe molto Saito-san, davvero.» disse Eruvere «Purtroppo abbiamo degli impegni a Neftes. Bidashal ha bisogno di
noi per tenere buono il consiglio. Dico bene, mia signora?»
«Sì,
certo.» rispose Tifa dopo un lungo silenzio «Ma torneremo di sicuro quanto
prima. Sono certa che ci rivedremo molto presto.»
«Lo
spero.»
«E mi
raccomando.» disse ancora Eruvere «Fino a domani
mattina dovete tenere quei pendenti sempre con voi. La tradizione dice che non
facendolo ci si attira un sacco di sventure.»
«Lo
faremo di sicuro. Mi dispiace solo che non abbiate potuto consegnare il regalo
anche a Kaoru.»
«Non c’è
problema. La mia signora lo ha già lasciato in camera sua. Lo troverà di sicuro
al suo ritorno».
Louise
si offrì di aprire un portale per Neftes, visto che
ormai i suoi poteri si erano molto rafforzati, ma Tifa insistette per farlo lei
stessa, aprendo una di quelle sue porte grezze.
«Quando
sarà il momento, sarà il caso di fare un po’ di pratica.» disse Louise
«Ma
sentila, la professoressa.» replicò sardonico Saito guadagnandosi la seconda
pedata in poche ore.
Tifa si
avvicinò a Louise, ma stentò a guardarla negli occhi.
«Senti,
Louise. Volevo dirti che… semmai una volta ti abbia
fatto qualcosa di male…ecco…
spero che tu possa perdonarmi, in qualche modo.
Non era
mia intenzione.»
«Ma che
stai dicendo, Tifa?» rispose stupita Louise «Quando mai mi avresti fatto
qualcosa di male?»
«Già… hai ragione.» disse Tifa sforzandosi di sorridere.
Poco
dopo, sia lei che il suo famiglio scomparvero nella porta, che subito si
richiuse.
La serata trascorse senza
particolari intoppi.
Saito e
Louise si tennero leggeri, perché sapevano che il giorno dopo avrebbero
mangiato come capitava una volta sola in tutto l’anno, e per lo stesso motivo
decisero di coricarsi presto.
Kiluka
non era ancora saltata fuori, ma dalla città era giunta la notizia che un
locandiere l’aveva incontrata e su sua richiesta le aveva offerto di passare la
notte lì da loro, il che se non altro avrebbe permesso anche a Seena di dormire
sonni tranquilli.
L’unica
pecca era stato l’arrivo di una improvvisa tormenta, che aveva preso a
scaricare su tutta la costa settentrionale di Tristain valanghe di neve, quindi
non c’era da meravigliarsi se Kaoru e il professor Colbert non erano riusciti a
tornare.
Saito
buttò un altro ceppo nel camino della grande stanza da letto, mentre Louise
osservava un po’ in pensiero oltre la finestra la tormenta che imperversava
senza pietà ricoprendo Grasse di una coltre bianca ancora più spessa.
«Speriamo
che finisca presto.»
«Non
temere.» rispose Saito confidando nel suo barometro elettronico «Le previsioni
dicono che domani sarà bel tempo. Vedrai, sarà un natale soleggiato e
piacevole.»
«Lo
spero. Altrimenti, con questo tempo non verrà nessuno».
Le
rassicurazioni di Saito però tranquillizzarono presto Louise; d’altronde il suo
apparecchio per prevedere il tempo non aveva fallito quasi mai.
«Cambiando
discorso.» disse ancora togliendosi la vestaglia e correndo a nascondersi sotto
le coperte «Oggi Tifa non ti è parsa strana?»
«È
sempre stata con la testa un po’ tra le nuvole.» tagliò corto Saito mentre la
raggiungeva «Anche se effettivamente, oggi lo era anche più del solito.
Ma del
resto è comprensibile. Anche se gli elfi non sono più i fanatici di un tempo, è
chiaro che per lei è dura riuscire a farci accettare.»
«E del
suo famiglio che ne pensi?»
«Eruvere? Mi sembra una brava persona. Forte, risoluto e
fedele. Sarà sicuramente un ottimo protettore per la nostra Tifa».
Si
guardarono, stringendosi le mani sotto le coperte. Il discorso iniziato quella
mattina, pur se interrotto sul più bello, era ancora ben presente nelle loro
menti, e se non fosse stato per la gravidanza di Louise quella serata, tra la
tormenta che fischiava all’esterno ed il calore del fuoco, avrebbe potuto
finire in un solo modo.
Così,
dovettero accontentarsi di recuperare quel bacio lasciato in sospeso, lungo e
appassionato.
«Ti amo
da morire.» le mormorò Saito
«Lo so.
Anche io.» rispose Louise.
Poi,
rapidamente, il sonno prese il sopravvento, e nel castello piombò il silenzio,
rotto solo dall’imperversare della tormenta e dai passi, comunque discreti,
delle guardie in servizio per la notte.
Saito
dormì beatamente, ma fece uno strano sogno.
Sognò un
uomo, austero e nobile, che con indosso un’armatura ed un lungo mantello blu lo
fissava dall’alto di una collina, gli occhi fissi su di lui, i lunghi capelli
neri agitati dal vento e la folta barba scura che celava solo in parte
un’espressione come di ammonimento.
Provò a
chiamarlo, a chiedergli chi fosse, ma quello inizialmente non rispose, e
quando, dopo lunghi istanti, mosse le labbra come a volergli rispondere, lo
vide venire trafitto alle spalle da una lama bianchissima, più scintillante
della neve appena caduta.
Avrebbe
voluto aiutarlo, ma una forza misteriosa lo teneva immobile, così non poté fare
altro che osservare l’uomo rotolare senza vita giù dalla collina, fermandosi ai
suoi piedi con gli occhi sbarrati e la bocca socchiusa, come in un’espressione
di meraviglia.
Saito
alzò gli occhi, cercando di capire chi fosse l’assassino, ma tutto quello che
vide fu una figura bianchissima che svettava su ogni cosa, tenendo alta nel
cielo la spada insanguinata e riempiendo l’aria con un agghiacciante urlo di
vittoria.
Ne aveva
abbastanza.
Presa
coscienza che si trattava di un sogno, Saito richiamò a sé tutta la sua
volontà, riuscendo infine ad abbandonare quel tetro paesaggio spettrale per fare
ritorno nella tranquillità del suo letto, accanto alla sua Louise.
Quando
aprì gli occhi Louise era lì, accanto a lui.
Anche
lei era sveglia, girata su di un fianco, e lo guardava.
Una luce
rosata avvolgeva entrambi, la stessa che ricopriva i simboli arcani incisi sui
pendenti elfici che tutti e due portavano al collo.
Gli
occhi di Louise dicevano tante cose, parole che dalla sua bocca non potevano
uscire, ma che avevano tutte un comune denominatore: paura. E Saito non tardò a
capirne il motivo. Provò a parlare, ma la voce non gli usciva; provò a
muoversi, ma il suo corpo, ad eccezione degli occhi, rifiutò di obbedirgli.
Era come
se entrambi si fossero tramutati in statue, fantocci senz’anima incapaci di
qualsivoglia azione o movenza umane.
E
allora, anche Saito si spaventò, non tanto per sé quanto per Louise, che lo
guardava come ad implorare aiuto, pur consapevole di come lui fosse impotente
tanto quanto lei.
“Che sta
succedendo?” si domandò il ragazzo col pensiero.
Poi, una
luce si materializzò anche sotto di loro, tra il materasso e i loro corpi, una
luce famigliare che prese ad ingrandirsi sempre di più, fino a raggiungere
dimensioni pari a quelle del letto.
Saito e
Louise si videro scomparire l’uno con l’altro, affondando in quella specie di
superficie luminosa stranamente famigliare come nell’acqua di un lago, ed il
bagliore fu tale che dovettero entrambi chiudere gli occhi.
Li
tennero chiusi a lungo, per tutto il tempo in cui percepirono quella luce, poi,
d’improvviso, invece che di affondare ebbero l’impressione di cadere di botto,
e dopo un istante entrambi rovinarono sopra quello che sembrava un duro
pavimento di pietra, molto diverso alla morbida moquette della loro stanza.
Saito fu
il primo che trovò la forza di aprire nuovamente gli occhi, e la prima cosa che
vide volgendoli davanti a sé fu il volto di Tiffa,
immobile ai suoi piedi con la bacchetta ancora luccicante tra le mani.
Sembrava
trattenere a stento le lacrime.
Non era
sola.
Con lei
c’era Eruvere, che lo fissava a sua volta con un’espressione
molto diversa da quella che gli aveva visto solo poche ore prima, fredda e
asettica.
Ma c’era
anche qualcun altro, qualcuno che nessuno dei due ebbe piacere di vedere,
poiché la sua presenza era sinonimo di problemi. E la cosa più strana, fu
vederlo proprio accanto a Tiffa.
«Chi non
muore si rivede.» disse lord Eshamel osservando
malevolo i due ragazzi «Ero oltremodo di regolare tutti i vecchi conti con voi
due.» quindi mise una mano sulla testa di Tiffa «Alla
fine questa mezz’elfa si è rivelata utile,
dopotutto».
Saito e
Louise la guardarono, e anche se non potevano muovere la bocca il loro sguardo
era più che eloquente, tanto che Tiffa non fu in
grado di sostenerlo.
«Mi
dispiace.» singhiozzò con gli occhi gonfi di lacrime «Mi dispiace».
Nota dell’Autore
Eccomi qua!^_^
Nuovo capitolo a tempo di record!
In realtà c’è un motivo se questo
aggiornamento è arrivato tanto in fretta. La prima parte di questo nuovo
capitolo infatti era inizialmente compresa nel precedente, ma poi, volendo interrompere
il successivo in questo punto, ho deciso di spostarla perché non risultasse un
capitolo lunghissimo seguito da uno di sole 3 pagine.
Che dire, la storia ha preso una svolta
decisamente inattesa.
Povera Tiffa, perché
avrà fatto una cosa del genere? Ora la situazione per i due sposini si complica
non poco.
Per il nuovo aggiornamento dovrete
attendere qualcosina in più, ma vi prometto che
arriverà quanto prima.
Alcune guardie elfiche
sollevarono i ragazzi di peso, e solo a quel punto, quando entrambi furono
saldamente nelle mani dei loro carcerieri, l’incantesimo che paralizzava i loro
corpi cessò, ma a quel punto era troppo tardi per tentare una qualsiasi reazione.
«Che
significa tutto questo?» strillò Saito tentando inutilmente di liberarsi
«Non
occorre che tu lo sappia.» replicò freddo Eruvere.
In quel
momento, Eshamel si avvide della presenza, nel punto
in cui Saito e Louise erano caduti, di una strana scatola nera con una specie
di lunga protuberanza e piena di strani pomelli apparentemente girevoli, ed
incuriosito lo raccolse.
Per lui
era solo un gingillo dall’aria incomprensibile, ma Saito la identificò subito
come la loro migliore speranza per salvarsi da quella situazione.
In quel
momento, Saito benedì la sua sbadataggine. Senza volerlo aveva lasciato la
trasmittente appoggiata sul materasso nell’atto di mettersi a letto, e così per
puro caso anch’essa era finita risucchiata all’interno del portale, ma
servirsene non sarebbe stato comunque facile.
Pensare
di riuscire ad accenderla e parlarci all’interno era improponibile in quella
situazione, senza contare che vista l’ora probabilmente non ci sarebbe stato
nessuno dall’altra parte a ricevere la richiesta di aiuto, ma era comunque
l’unica possibilità. E il caso volle che, senza volerlo, Eshamel
ci mettesse del suo per facilitargli le cose.
Nel
tentativo di capire cosa fosse, infatti, l’elfo girò senza volerlo il pomello
di accensione, producendo un assordante effetto nebbia che spaventò buona parte
dei presenti.
Anche le
guardie che trattenevano i due ragazzi si spaventarono, allentando
imprudentemente la presa, e Saito, pur con le mani già legate dietro la
schiena, ne approfittò.
«Maledetto!»
gridò divincolandosi.
Con la
scusa di voler aggredire Eshamel gli si gettò contro,
dandogli una spallata, e come la trasmittente gli cadde di mano subito vi si
gettò sopra, azionando senza essere visto la comunicazione ed innestando il
blocco di sicurezza.
Le
guardie, riavutesi, lo bloccarono di nuovo in pochi secondi, infliggendogli
anche una robusta dose di bastonate.
«Dannato
umano!» sbraitò Eshamel prendendolo a ceffoni «Come
hai osato?»
«Basta,
smettetela!» gridò piangendo Tiffa «Così lo
ucciderete!»
«Basta
così.» intervenne Eruvere.
Solo al
suo ordine i soldati si fermarono, mentre Eruvere non
rinunciò a tirargli un ultimo ceffone.
Saito
era ridotto malissimo, tutta un’ecchimosi, e se i soldati non lo avessero
sorretto di peso probabilmente sarebbe stramazzato svenuto al suolo.
Eppure,
pur così conciato, il suo apparire sprezzante non era venuto meno.
«Sarebbe
questa la civiltà superiore di cui voi elfi andate tanto fieri?» sibilò
beffardo all’indirizzo di Eshamel.
L’elfo
serrò i denti, ancor più arrabbiato, ma come fece per scaricare sul ragazzo una
nuova tempesta di botte Eruvere lo guardò in modo
molto severo, quasi minaccioso, e lui, pur fuori di sé per la collera,
incredibilmente desistette.
«Portateli
via».
I
soldati a quel punto trascinarono via i due ragazzi, e inutili furono i
tentativi da parte di Louise di capire il perché di tutto quello o di
pretendere spiegazioni da parte di Tiffa, che di
contro non riuscì neppure a trovare la forza per guardarla negl’occhi.
Nel
momento in cui Saito e Louise venivano portati fuori dalla stanza, dalla
medesima porta fece il suo ingresso Maddarf, scuro in
volto come suo solito ma, se possibile, ancora più teso e funereo di quanto non
fosse già di suo.
«Abbiamo
un problema.» si limitò a dire.
Eruvere ed Eshamel erano
stati informati della pericolosità del nuovo famiglio di Louise, e temevano che
pur imprigionato dall’incantesimo costrittivo apposto sui pendenti sarebbe
stato un osso duro da contrastare, quindi per lui avevano progettato qualcosa
di speciale.
La stanza
dove era previsto il suo arrivo era stata riempita all’inverosimile delle
migliori guardie in servizio presso la capitale, che al momento giusto gli si
sarebbero avventate addosso tutte insieme.
Invece,
al loro arrivo nella stanza, Tiffa e i due elfi
trovarono le guardie avvinghiate non sul generale Kaoru, ma su quella che aveva
tutta l’aria di essere una comune servetta, in camicia da notte e spaventata
come non mai.
«Siesta-san!?» disse Tiffa
«Tiffa!?».
Eshamel
digrignò i denti.
«Si può
sapere che sta succedendo?» ringhiò contrariato «Sarebbe questo il terribile
famiglio della maga del fuoco che sconfigge interi eserciti!?».
Calmo
come sempre, Eruvere si avvicinò a Siesta,
strappandole la parte superiore della camicia da notte, e prendendone fuori il
pendente magico destinato alla loro terza preda.
Esahamel si
fece rosso come il diavolo, e voltatosi di scatto colpì Siesta con un terribile
schiaffo, tanto forte da scaraventarla contro il muro.
«Che
accidenti hai combinato, stupida mezz’elfa!? Le tue
istruzioni erano chiare!»
«Ve lo
giuro!» si giustificò lei piangendo «Io ho fatto come mi avete detto. Ho
lasciato il medaglione in camera del famiglio di Louise, ne sono assolutamente
sicura».
Eshamel era
troppo fuori di sé per credere ad una sola parola di una creatura della quale
non si era mai veramente fidato, e ancora una volta fu Eruvere
a fermarlo.
«È
inutile recriminare. È evidente che non tutto è andato come pensavamo. In ogni
caso, gli imprevisti talvolta capitano».
Ciò
nonostante, Eshamel ne aveva già abbastanza di avere
a che fare con Tiffa.
«In ogni
caso, ora abbiamo ciò che ci serviva.» disse mettendo mano alla spada «Quindi,
questa bestia non ci serve più».
Tiffa si
ritrasse spaventata, ben sapendo di cosa quel pazzo era capace. Aveva imparato a
temerlo in tutte le settimane in cui era stata costretta a stare al suo gioco,
e anche se la morte era forse l’unica punizione abbastanza severa da farle
espirare le sue colpe la prospettiva di morire la terrorizzava, come era giusto
che fosse.
«Lascia
stare. Conosci gli ordini. Limitati a fare come ti è stato detto».
Di
nuovo, l’autoproclamato capo della nazione elfica serrò i denti per la collera,
ma alla fine non ebbe altra scelta che piegarsi. Sapeva bene a chi doveva la
posizione che finalmente era tornato ad occupare, e non era saggio mordere la
mano che lo nutriva; non ancora, almeno.
«Quando
sarà il momento.» disse tuttavia a Tiffa «Sarà un
vero piacere per me ucciderti.» quindi fece un cenno alle guardie, che
trascinarono via sia Siesta che Tiffa lasciando da
soli i due capi.
Nel
rapido avvicendarsi negli eventi, e anche a causa della sfuriata per aver visto
fallire una parte del piano, Eshamel non si era
ancora accorto del fatto che Saito, prima di venire allontanato a forza da lui,
aveva fatto in tempo ad infilargli la trasmittente nella tasca interna del
mantello.
Saito temeva ci sarebbe
voluto parecchio tempo, forse più di quello a disposizione della batteria,
prima che qualcuno arrivasse ad ascoltare ciò che le voci che arrivavano
attraverso la trasmittente.
Quello
che né lui né Louise sapevano, però, era che i portali di Tiffa
non erano obsoleti solo per via del lungo tempo che ci voleva nell’aprirli.
Al loro
interno, per qualche motivo, il tempo scorreva molto più velocemente, cosicché
la sensazione di spendere non più di pochi secondi per attraversarli
corrispondeva in realtà a diverse ore effettive.
Così, se
agli occhi di Saito e Louise era ancora notte fonda, tenendo conto anche del
fatto che dal momento in cui erano stati catturati non erano riusciti a vedere
neanche una volta oltre una finestra, in realtà in molte parti di Halkengina
era già sorto il sole.
Kaoru si
era svegliato molto presto, perché come Colbert non voleva venire meno alla
promessa fatta a Saito e Louise di essere presente al pranzo di natale, così
prima ancora che finisse di fare giorno lui e tutti gli altri avevano iniziato
a prepararsi per fare ritorno a Grasse.
«Non è
un po’ presto per partire?» domandò Quintus, anche lui
invitato alla festa, mentre Kaoru finiva di sellare il suo cavallo
«Voglio
essere a Grasse prima di mezzogiorno.» tagliò corto il ragazzo «Gliel’ho
promesso.»
«E poi
non c’è da preoccuparsi.» intervenne Colbert alzando gli occhi al cielo azzurro
«Ormai la tempesta è passata, e oggi si annuncia una splendida giornata.»
«Speriamo
sia davvero così.» sospirò Kaoru «Dopotutto si sono impegnati tanto per
organizzare questa festa».
Speranza
inutile, perché proprio nel momento in cui Kaoru e il professore stavano per
mettersi in marcia con gli altri soldati giunsero dalla direzione opposta Kilyan e Seena, pallidi come la morte tanto apparivano
spaventati.
«Generale!»
disse Kilyan scendendo da cavallo prima ancora che
questi si fosse fermato «Lord Hiraga e Lady Valliere sono scomparsi!»
«Che
cosa!?»
«È così,
generale. Lord Hiraga aveva chiesto di essere
svegliato prima del tempo per fare una sorpresa a miss Valliere,
ma quando i servitori sono entrati nella stanza da letto l’hanno trovata vuota.
Li abbiamo cercati dappertutto, ma senza esito.»
«Anche
Siesta e Lady Kiluka non si trovano.» incalzò Seena
«Che
cosa può essere successo?» domandò preoccupato Colbert
«Non ne
ho idea, ma non mi piace.» rispose Kaoru.
Proprio
in quel momento, un marinaio della Valliere arrivò
dalla scaletta che conduceva alla darsena.
«Mi
scusi, comandante.» disse rivolgendosi a Quintus «C’è
un problema alla radio, potrebbe venire per favore?»
«Arrivo
subito.» rispose Quintus, che in realtà aveva
tutt’altro in mente.
Anche
Kaoru e gli altri lo seguirono, nella speranza se non altro che proprio tramite
la radio fosse possibile per loro mettersi in contatto con Saito e Louise,
visto che erano gli unici a potersene servire.
Quando
arrivarono nel casotto di ricezione, il radiofonista era ancora al suo posto.
«Che
succede?»
«Comandante.»
disse cedendogli il posto «La radio ha iniziato a trasmettere alcuni minuti fa.
Sento qualcosa, ma non capisco cosa dicono, e la linea è perennemente
occupata».
Quintus prese
le cuffie, alzando al massimo il volume perché tutti potessero sentire. Il
segnale era un po’ disturbato, ma erano chiaramente riconoscibili due voci,
mentre di contro ciò che stavano dicendo sembrava non avere alcun senso.
«Non
sembra una lingua di Halkengina.» commentò Seena con una punta di preoccupazione.
Colbert
si fece avanti.
«È un
dialetto elfico.» capì, ed alzò il suo bastone magico «Aspettate».
Fu
sufficiente un incantesimo gettato sulla radio, e immediatamente
quell’incomprensibile accozzaglia di parole divenne chiara.
Ma erano
parole che nessuno avrebbe voluto sentire.
«E adesso Eruvere, cosa dovremmo fare? Per colpa di quell’elfa incapace, una parte del piano è andata a monte.»
«Non credo sia il caso di
vederla in modo tanto negativo.»
«Non credi sia il caso!? Dei
tre quel maledetto famiglio era sicuramente l’osso più duro, e ci è scappato!»
«Può darsi, ma questo non
cambia nulla. Non può sapere dove siano in questo momento i suoi padroni, né
immagina la reale situazione.»
«E se arrivasse a scoprire
come sono andate realmente le cose? Che quei due mocciosi e la servetta sono
qui a Neftes?»
«Non ha alcuna importanza. E
comunque, ne passerà di tempo prima che possa eventualmente scoprirlo.
Per ora … stabilito …
maestro … scoprire … incantesimo …».
In
quella la comunicazione saltò, e la radio rimase muta.
Dovevano
essersi esaurite le batterie della trasmittente.
Nella
stanza era piombato il silenzio più assoluto, e tutti si guardarono gli uni con
gli altri in cerca di un inesistente filo di speranza; la speranza di aver
sentito male, che fosse tutto un brutto sogno.
Il
gracchiare della porta, aperta da un marinaio venuto alla ricerca del generale
per avvisarlo che la scorta per il viaggio di ritorno chiedeva istruzioni,
convinse tutti che quello, purtroppo, non era un incubo, riportandoli alla dura
realtà.
«Signore…».
Gli
occhi di Kaoru si accesero come quelli di una tigre.
«Macchine
a tutta forza! Partiamo subito!».
I
marinai furono letteralmente tirati giù dal letto, e meno di un’ora dopo la Valliere veleggiava a tutta velocità diretta verso Neftes.
Era una
missione quasi senza speranza, e tutti lo sapevano; per questo l’atmosfera,
anche dopo la partenza, era tanto cupa.
Kaoru,
in plancia di comando, seguitò per ore a scrutare la carta nautica del nord di
Halkengina in cerca di una soluzione, qualsiasi cosa che potesse in qualche
modo accorciare il viaggio.
Kilyan
sembrava anche più pessimista di lui, schiacciato dal peso della vergogna per
aver permesso, proprio lui, il capo delle guardie di palazzo, che i suoi
padroni venissero rapiti sotto i suoi occhi, e non smetteva un attimo di
camminare avanti e indietro per la plancia contando i metri che lo separavano
dal luogo in cui erano tenuti.
«È tutto
inutile.» continuava a ripetere «Non faremo mai in tempo.»
«Smettila,
Kilyan.» lo ammonì Seena «Non sei di nessun aiuto.»
«Purtroppo,
temo che abbia ragione.» sentenziò pessimista Kaoru senza alzare gli occhi
dalla mappa «Ci portiamo dietro quarantaquattromila tonnellate d’acciaio. Anche
spingendo la nave al massimo delle sue possibilità e sfruttando tutta
l’autonomia di volo a nostra disposizione ci vorrebbero almeno cinque giorni
per raggiungere Neftes sfruttando le rotte marine
attualmente conosciute, e dubito che Saito e Louise abbiano tutto questo tempo
a loro disposizione».
Quintus
seguitava a guardare il mare, come perso nei propri pensieri.
«Un modo
forse c’è.» disse avvicinandosi al tavolo, e con mano sicura indicò un punto al
centro della mappa, una sorta di grosso ammasso colorato di scuro che stava
proprio lungo la linea retta che collegava Tristain a Neftes
«Possiamo passare da qui».
Tutti
guardarono, e benché Kaoru non ne capisse il senso intuì dai volti dei suoi
compagni che la cosa non doveva essere così facile come appariva.
«Ma quello… è la Fossa delle Tempeste.» disse Colbert
«La
maggior parte delle rotte che collegano Tristain e Germania a Neftes si muovono lungo la costa.» spiegò Quintus «Ma il nord di Halkengina altro non è che un
gigantesco golfo, del quale Tristain e Neftes
costituiscono le due estremità. Passando per il centro dello specchio d’acqua
anziché lungo le coste, accorceremmo il viaggio di almeno due, forse
addirittura tre giorni.»
«Sento
che c’è un ma in arrivo.» commentò Derf
«Il ma è
che la Fossa delle Tempeste è il braccio di mare più insidioso del mondo.»
rispose Colbert «Da secoli e secoli vi infuria una tempesta che non si
esaurisce mai, che solleva onde alte come montagne, innalza venti capaci di
capovolgere anche il più solido dei galeoni, e genera piogge tali da affondare
da sole le navi con il loro carico d’acqua.»
«La
leggenda dice che l’artefice di tutto sia uno spirito del mare.» disse Kilyan
«Uno
spirito al servizio degli elfi.» aggiunse Seena «Secondo le leggende si tratterebbe
di un guardiano che gli stessi elfi avrebbero messo a protezione della via più
breve tra i loro territori e quelli degli umani. Per impedirci di avere
contatti troppo diretti.»
«Sono
solo storielle da marinai.» tagliò corto Quintus, che
in questi casi era l’incarnazione del pragmatismo «Anche se la tempesta è un
dato di fatto. Nessun comandante ha mai osato avventurarsi al suo interno.»
quindi inarcò le sopracciglia in un moto di orgoglio «Ma nessuno di loro aveva
una nave come la Valliere».
Kaoru ci
pensò a lungo, fissando soprapensiero la macchia scura.
«La Valliere può davvero farcela?» domandò con un filo di voce
«Beh…» disse Colbert «Con le modifiche apportate, e tenendo
conto della sua resistenza, immagino sarebbe teoricamente possibile, anche se indubbiamente
rischioso.»
«Mi
basta questo.» quindi ordinò al timoniere «Timone a dritta, trenta gradi. Rotta
nord-nordest.»
«Nord-nordest,
ricevuto».
Prima
ancora che la nave potesse completare la sua manovra, Kaoru lasciò la plancia
di comando, lasciando i suoi compagni chiaramente perplessi.
Quintus, il
professor Colbert e Kilyan si lasciarono tuttavia
distrarre quasi subito dalle operazioni di manovra e dalle ovvie difficoltà che
li attendevano, così fu Seena l’unica a seguirlo, andandogli dietro fin nei
meandri della nave.
Dopo
averlo perso brevemente di vista, lo ritrovò nella cambusa, intento a guardarsi
attorno come alla ricerca di qualcosa.
Era
preoccupata. E non solo per la missione.
«Sei
sicuro che ce la faremo?»
«Non
abbiamo altra scelta, mi pare.» rispose Kaoru senza distogliere gli occhi dal
suo lavoro.
In
realtà i suoi pensieri erano altri.
I due
elfi che avevano sentito confabulare alla radio avevano parlato di aver
catturato due mocciosi e una servetta. La servetta era quasi sicuramente Siesta,
e i due mocciosi Saito e Louise, quindi significava che Kiluka probabilmente
non era sparita per colpa loro.
Da una
parte questo la rassicurava, ma dall’altra la inquietava, perché, a rifletterci
a posteriori, ammesso e non concesso che Kiluka non fosse stata rapita a sua
volta, voleva dire che la sua padrona era da qualche altra parte chissà dove.
«Che
stai facendo?» si decise a domandare
«Do la
caccia a un topolino.» rispose Kaoru quasi beffardo
«Un
topo!? Credevo che la nave fosse disinfestata.»
«Già. Ma
questo topolino è molto bravo a nascondersi».
Detto
questo, Kaoru si avvicinò ad una cassa che, teoricamente, doveva essere vuota,
e senza indugio la scoperchiò, rivelandone l’occupante abusivo.
«Malgrado
sia bello grosso».
Colta in
flagrante, la clandestina replicò con una linguaccia, a metà tra l’imbarazzo e
la burla.
«Mi hai
beccata».
Riconoscendo
la voce, Seena si fiondò a sua volta sulla cassa.
«Kiluka!?».
Con
tutto quello che era successo Kaoru non aveva più avuto occasione di ripensare
a quell’ombra che credeva di aver visto il giorno prima intrufolarsi nella
nave, ma alla prima occasione aveva fatto due più due e aveva capito di chi
doveva trattarsi.
Come
fosse stata un gattino, la afferrò per collottola tirandola fuori dal suo
nascondiglio.
«Si può
sapere che accidenti ci fai qui, piccola peste senza speranze?» sbraitò Kiluka
dimenticando per un attimo la differenza di grado
«Mi
avevano parlato così tanto di questa nave. Non stavo più nella pelle, e volevo
vederla, così mi sono nascosta nel carretto che è partito ieri da Grasse e mi
sono intrufolata a bordo. Mi dispiace».
Seena si
passò una mano sulla fronte.
«Signorina,
lo sapete che siamo salpati?» disse Derf
«Salpati!?
E per andare dove?»
«Più tardi
ti spiegheremo tutto.» replicò Kaoru «Tanto è chiaro che non abbiamo né tempo
né modo di riportarti indietro e scaricarti a terra.» quindi, tirò un lungo
sospiro di sollievo «Speriamo solo che il professor Colbert e Quintus abbiano sopravvalutato le capacità di questa nave.
O tra l’equipaggiamento che possono vantare gli elfi e il dover attraversare la
Fossa delle Tempeste, temo che questa missione potrebbe assumere i connotati di
un suicidio».
Saito aveva preso tante di
quelle botte da perdere conoscenza, ed al risveglio la prima cosa che vide fu
una coppia di volti a lui famigliari.
Ed erano
volti amici, cosa difficile da immaginare data la circostanza.
«Alla
buon’ora.» disse una squillante voce femminile «Avevi intenzione di dormire
ancora a lungo?»
«L…Luctiana?» disse il ragazzo
riuscendo finalmente a mettere a fuoco «Bidashal?»
«Ti fa
ancora male?» domandò l’elfo volendosi accertare di aver curato bene le sue
ferite
«No… non mi sembra».
Faticosamente,
Saito si mise a sedere, accorgendosi solo dopo qualche momento di trovarsi
sopra uno scomodo pagliericcio all’interno di un’angusta cella di pochi metri
quadri, probabilmente la stessa in cui era stato rinchiuso tempo prima assieme
a Tiffa.
Oltre a Luctiana e Bidashal, con loro
c’erano anche Ari, seduto in disparte in un angolino con un’espressione
contrariata, e Siesta, che accortasi del risveglio del suo padrone si affrettò
a sincerarsi delle sue condizioni.
«Dov’è
Louise!?».
Non
fecero in tempo a rispondergli, che una voce giunse da dietro una delle pareti.
«Saito!»
«Louise!».
Louise
era stata rinchiusa, da sola, nella cella accanto, che invece di un
pagliericcio poteva vantare una brandina non certo di lusso, ma comunque
piuttosto comoda.
C’erano
anche uno specchio, uno sgabello e un tavolo, e sul tavolo capeggiava un
vassoio il cui contenuto, una cena piuttosto sostanziosa per un prigioniero,
non era ancora stato toccato.
«Saito!
Stai bene?»
«Non
preoccuparti, sto bene. Bidashal mi ha curato con la
sua magia.»
«Meno
male.» disse lei tirando un sospiro di sollievo «Ma che ti è saltato in mente
di agire in quel modo? Avrebbero potuto ucciderti.»
«Ho
dovuto farlo. Era l’unico modo per tentare di avvertire Kaoru e gli altri di
quello che ci era successo. Spero solo che qualcuno si sia accorto che ora la
radio trasmette.»
«Credi
che verranno a salvarci?» domandò Siesta
«Come ho
detto, lo spero».
A quel
punto Saito, decisamente contrariato, si rivolse ai suoi compagni di prigionia
per avere delle doverose spiegazioni.
«Ora
però, gradirei che ci spiegaste che diavolo sta succedendo? Che ci fa Eshamel qui nella capitale!? Non lo avevate esiliato?»
«È
così.» rispose cupo Bidashal «Poco dopo la sconfitta
del drago, il sentimento progressista e pacifista degli elfi moderati ha
conquistato ampi consensi, e gli integralisti capeggiati da Eshamel
si sono ritrovati in netta minoranza.»
«Non lo
abbiamo esiliato noi.» spiegò Luctiana «Se n’è andato
da solo. Per essere più precisi, ha dato vita ad un vero e proprio tentativo di
colpo di stato, per riprendere il potere e poter nuovamente imporre la sua
politica fondamentalista in seno al consiglio. Lui e i suoi uomini si erano
ritirati in una fortezza di confine nel cuore del deserto, e non credevamo che
potessero essere una minaccia.»
«Fino
all’arrivo di quel maledetto famiglio.» borbottò Ari
«Come!?»
disse Siesta
«Eruvere è sbucato dal nulla alcuni mesi fa.» rispose Luctiana «Diceva di essere il famiglio di Tiffa, e in principio gli abbiamo tutti creduto. Invece, si
è rivelato tutto un trucco.
In
realtà, lui era alleato di Eshamel. Prima ha
indebolito il nostro esercito con sabotaggi e seminando zizzania tra i nostri
comandanti, quindi ha permesso ai ribelli di organizzare un contrattacco
fornendo loro armi ed equipaggiamenti.»
«Le
nostre forze poste a difesa della capitale sono state spazzate via» e molte
guarnigioni, vedendo il potere di Eshamel crescere
nuovamente, hanno disertato passando dalla sua parte. In poco tempo ci siamo
ritrovati nuovamente in minoranza, e prima che potessimo fare qualcosa la
capitale era nuovamente nelle sue mani.»
«Non ci
avete ancora spiegato che cosa vogliono da noi!» disse Louise, che nonostante
il muro di mezzo era riuscita a sentire
«Questo
non lo sappiamo. Non sappiamo neppure come abbia fatto Eshamel
a mettere le mani su equipaggiamenti che superano persino quelli in dotazione
al nostro popolo.»
«Probabilmente
c’è di mezzo Reconquista.» disse Saito «Sono stati
loro ad organizzare la congiura contro la regina Henrietta
e a provocare la guerra civile».
Luctiana e Bidashal si guardarono tra di loro, preoccupati.
«Questo
è grave.» disse Bidashal «Se è vero, vuol dire che Reconquista sta puntando a far divampare la guerra in tutta
Halkengina.»
«Tu sei
stato un loro alleato. Non hai idea di quali siano i loro scopi?»
«Purtroppo,
non ho mai goduto della loro fiducia al punto di venire messo al corrente di
tutti i loro piani. L’unica cosa che so, è che obbediscono ad una persona che
sta al vertice della piramide.
Lo
chiamano il Maestro.»
«Il
Maestro.» ripeté Louise come soprapensiero.
Siesta,
però, era triste e preoccupata soprattutto per un’altra cosa.
«Ancora
non posso credere che Tiffa ci abbia fatto questo.»
«Non
incolpate Tiffa.» disse Luctiana
«Non ha avuto altra scelta che assecondarli.»
«Che
vuoi dire?» chiese Saito
«Quando
la capitale è caduta, io, Ari e il Maestro Bidashal
siamo rimasti in retroguardia per permettere ad alcuni di noi di scappare e
riorganizzarsi più a nord.
Con noi
c’era anche Tiffa.
Avevamo
già deciso di morire qui combattendo fino all’ultimo, ma invece siamo stati
catturati, e a quel punto Tiffa è stata costretta a
scegliere: la nostra salvezza in cambio della sua collaborazione.»
«Abbiamo
cercato di dissuaderla.» disse Ari «Ma sapete com’è fatta. E così li ha
aiutati. Ha imparato ad aprire i portali al solo scopo di organizzare questa
trappola e riuscire a catturarvi.
Ma come
ha già detto il maestro, non abbiamo la minima idea del perché l’abbia fatto».
Seguì un
lungo, interminabile di sconforto, nel caso di Saito e Louise misto a vergogna.
Benché
sicuri della bontà d’animo di Tiffa, tutti e due bene
o male si erano convinti del fatto che li avesse comunque traditi, ma ora che
ne scoprivano i motivi quasi si vergognavano di aver dubitato di lei.
D’un
tratto, Louise sentì un rumore alle proprie spalle, e girato lo sguardo vide Maddarf entrare nella cella seguito da un paio di guardie.
«Prendetela.»
ordinò puntando il dito verso di lei.
Nota dell’Autore
Eccomi qua^_^
Alla fine ci è voluto meno del previsto.
Grazie ad una fortunata combinazione di
eventi il mio tempo libero è aumentato in questi ultimi giorni, così ho avuto
modo di completare sia il capitolo del mio romanzo che questo.
Oltretutto, essendo un capitolo che ero
molto ansioso di scrivere, realizzarlo è stato piacevole e per nulla faticoso.
Ecco, ora le cose si fanno davvero
complicate per Saito e Louise.
Riusciranno Kaoru e gli alti ad arrivare
in tempo per salvarli?
Ma soprattutto, che cosa vuole da loro Reconquista, al punto da organizzare un piano così
complicato per poterli rapire?
Queste e altre domande avranno risposta
già nel prossimo capitolo.
Nell’eventualità (spero non sia così), di
non riuscire ad aggiornare ancora prima del 25 dicembre, vi faccio
anticipatamente i migliori auguri per un felice natale.
Grazie a tutti quelli che recensiscono,
leggono e taggano la storia, siete fantastici!^_^
Nonostante i tentativi di
Louise di ribellarsi, i soldati la afferrarono, e legatele le mani dietro la
schiena presero a trascinarla a forza fuori dalla cella.
«Fate piano.»
li ammonì Maddarf «Ricordate, non dobbiamo essere violenti.»
«Saito!»
continuava a chiamare Louise «Saito!».
Ma
Saito, dall’altra, non poté far altro che ascoltare impotente le urla della sua
amata che provenivano dalla parte opposta del muro, prendendo a pugni la parete
fino a farsi sanguinare la mano.
«Louise!
Lasciatela, bastardi!».
Spazientito
dalle grida della ragazza Maddarf la tirò a sé.
«Stai
calma. Non vogliamo farti niente di male. Ma d’altro canto, se non stai un po’
zitta, mi costringerai a diventare cattivo».
Louise
si sforzò di obbedire, tanto la terrorizzarono gli occhi di ghiaccio ed il tono
minaccioso dell’elfo, e senza fare ulteriori resistenze si lasciò portare via,
con le urla di Saito ad accompagnarla lungo tutto il tragitto lungo il
corridoio; quando passarono davanti alla loro cella Saito tentò di allungare un
braccio attraverso la feritoia della porta, ma una delle guardie replicò
colpendola violentemente con il suo guanto metallico, in modo talmente violento
da rischiare, per fortuna senza riuscirci, di spezzargli le ossa.
«Maledetti!»
gridò il ragazzo serrando i denti per non gridare «Quando esco di qui vi
ammazzo, parola mia!
Lasciate
andare Louise!»
Poco
oltre il portone che sbarrava l’ingresso alla zona delle prigioni vi era un
ampio montacarichi circolare, lo stesso che aveva condotto i ragazzi dallo
studio di Eshamel fino alle loro celle, e servendosene i tre elfi portarono
Louise fin nei sotterranei della struttura in cui erano prigionieri, che altro
non era se non la gigantesca torre che sovrastava la capitale di Neftes.
Qui, in
una grande sala circolare che somigliava ad un sanatorio, l’attendevano Eshamel
ed Eruvere, ma anche Tiffa, rannicchiata in un angolo quasi fosse stata anche
lei una prigioniera.
All’arrivo
di Louise, Tiffa si avvide, nel momento in cui si guardarono, che non c’era
odio o risentimento nei suoi occhi, ma ciò nonostante non riuscì a non
distogliere lo sguardo per la vergogna, tanto la disgustava ciò che aveva
fatto.
Louise
fu fatta distendere su di un tavolo reclinabile al centro della stanza e le fu
strappata la camicetta che indossava, lasciandole addosso solo il reggiseno; le
due guardie quindi la immobilizzarono con delle cinghie, ed infine sollevarono
il tavolo, mettendolo in posizione verticale, quindi, ad un cenno di Eruvere,
se ne andarono.
Per
tutto il tempo Louise non mosse un muscolo, seguitando però a guardare i due
elfi con occhi di sfida; tuttavia, a ben osservarli, la paura al loro interno
era evidente.
«Che
cosa volete da me?» domandò cercando di ostentare sicurezza «Perché ci state
facendo questo?».
Eruvere
le si avvicinò, scrutandola a lungo, e alla fine fu lei la prima a dover
distogliere lo sguardo.
«Tu
forse non te ne rendi conto, giovane Louise, ma in te hai qualcosa di molto
speciale.» le disse «Qualcosa che và ben oltre l’effimero potere della Magia
del Vuoto. Ed è questo qualcosa che noi cerchiamo».
Senza
aggiungere altro, l’elfo fece qualche passo indietro, e fatte emergere le mani
dal suo voluminoso mantello unì gli indici e i pollici a formare una sorta di
cornice, che posizionò di fronte al proprio occhio come una sorta di mirino.
Louise
dapprincipio non capì che cosa quell’individuo così minaccioso ed il suo amico
Eshamel, che se ne restava in disparte con espressione contrita, avessero in
mente, ma dopo qualche istante la ragazza prese a sentire una fastidiosa
sensazione al ventre.
Cercò di
ignorarla serrando i denti, ma questa crebbe di intensità, fino a tramutarsi in
vero e proprio dolore, e a quel non le fu più possibile trattenere le urla. Era
come se qualcuno, o qualcosa, le stesse letteralmente aprendo la pancia, nel
tentativo di scorgere ciò che vi era all’interno, e le guardie l’avevano legata
così bene che le era impossibile perfino cercare di dimenarsi.
Per
nulla deciso a fermarsi Eruvere continuò a fissarla attraverso quella specie di
mirino, fino a che, come se tra loro due vi fosse stato uno schermo invisibile,
agli occhi dell’elfo non apparve quello che vi era al di sotto della pelle, dei
muscoli e degli organi. Dapprincipio non vide niente, a parte ombre sfocate,
poi alle sue orecchie, sorde alle grida strazianti di Louise, giunse come un
battito, i sussulti di un minuscolo cuore, e subito dopo le immagini presero a
diventare più nitide, e più ciò avveniva più aumentava il dolore per Louise.
Tiffa si
coprì le orecchie e chiuse gli occhi, e persino Eshamel non riuscì a restare
indifferente, assistendo alla scena sempre più stupito, e a tratti persino
sconvolto.
Poi,
finalmente, le immagini si concentrarono lì dove Eruvere voleva, e dinnanzi al
suo occhio comparve, ben rinchiuso all’interno della propria sacca protettiva,
un piccolo feto appena distinguibile, ma più che sufficiente a far piegare le
labbra dell’elfo in una esclamazione di stupore, seguita subito dopo da un
sorriso soddisfatto.
Come
allontanò le dita l’una dall’altra il dolore, finalmente, cessò, ma Louise era
così provata che perse i sensi prima ancora di accorgersene, lasciando la testa
a pendere in avanti contornata dai capelli sudati.
Anche
Eruvere sembrava affaticato, ed ansimò per parecchi secondi prima di recuperare
l’autocontrollo; quella prova doveva essere stata sfiancante anche per lui.
«Non c’è
dubbio.» disse come tre sé «Il Maestro aveva ragione».
Eshamel,
riavutosi, richiamò dentro Maddarf e le due guardie, ordinando a queste ultime
di slegare Louise.
«Riportatela
nella sua cella. E fate la massima attenzione. Non deve accaderle nulla, per
nessun motivo».
I due
soldati dovettero sorreggere la ragazza per portarla via, visto che il tormento
era stato tale da lasciarla priva di sensi.
«E
adesso che ne facciamo di tutti gli altri?» chiese Eshamel
«Non
sono più di alcuna utilità. Bidashal e gli altri sono capi della resistenza, e
il famiglio del vuoto ha ormai esaurito il proprio compito. Ce ne sbarazzeremo».
Nel
sentire quelle parole Tiffa, che per tutto il tempo non era stata capace
neppure di alzare gli occhi, ebbe un sussulto, e come una furia si avventò su
Eruvere, ma nella sua natura mite non riuscì comunque ad aggredirlo,
limitandosi a fissarlo con sguardo a metà tra la sorpresa e la supplica.
«Questo
non era negli accordi! Avevi promesso che non avreste fatto loro del male!»
«Avevo
promesso che non avrei fatto nulla alla maga del vuoto. Tutto qui. Sei tu che
hai equivocato.»
«Mi hai
mentito!».
A quel
punto neppure Tiffa riuscì a trattenere la rabbia, ma come fece istintivamente
per caricare uno schiaffo Eshamel, sbucato alle sue spalle, le afferrò il
polso, sollevandola prima violentemente da terra e quindi scaraventandola
contro il muro.
«Fossi
in te mi preoccuperei più della tua incolumità che di quella dei tuoi amici
umani.» disse assatanato «È evidente che ormai anche tu ormai sei diventata
inutile».
Fece per
mettere mano alla spada, mentre Tiffa istintivamente si coprì il volto per
proteggersi, ma per l’ennesima volta Eruvere intervenne per fermare il proprio
compagno.
«Aspetta.
Lei può ancora tornare utile.»
«Ah sì?
E per cosa?» disse Eshamel quasi sprezzante
«Potrebbe
andare storto qualcosa. Meglio non lasciare nulla al caso. Conviene tenere una
maga del vuoto di riserva per eventuali contrattempi.»
«Una
maga senza famiglio non ha granché utilità.»
«A
questo si può provvedere. Per ora teniamola in vita».
Come al
solito Eshamel non mancò di rendere palese la propria disapprovazione, ma non
poteva certo disobbedire agli ordini di colui che lo aveva aiutato a riottenere
il potere; così, anche se di malavoglia, ordinò a Maddarf di occuparsi di
Tiffa, che sollevata di peso venne trascinata via per essere a sua volta chiusa
nelle prigioni.
Congedato
anche Eshamel, Eruvere si mise in contatto con il suo signore tramite il solito
sistema, materializzando un varco nel vuoto.
«Mio
signore. Ora è sicuro. La Maga del Vuoto è incinta, e il piccolo è sano».
Il
Maestro sospirò, ed Eruvere parve leggere un che di malinconico in quel suo
sguardo avvolto dalle tenebre.
«Quanto
ho atteso che arrivasse questo momento.»
«Quali
sono i vostri ordini mio signore?»
«Di
quanti mesi è il piccolo?»
«A
occhio e croce direi tre mesi.»
«Troppo
pochi. Deve arrivare almeno alla sedicesima settimana. Assicuratevi che non
accada nulla alla maga del vuoto prima di quel momento. Deve restare protetta e
al sicuro.»
«Sarà
fatto, mio signore. Comunque, con il vostro permesso, ho preferito tenere in
vita l’elfa che ci ha aiutato per ogni evenienza.»
«Hai
fatto bene. Questa cosa è troppo importante per non prendere le dovute
precauzioni.»
«E per i
suoi compagni come mi devo comportare?»
«Sbarazzatene
quanto prima. Ci hanno già creato abbastanza problemi.»
«Come
desiderate».
Erano pochissimi gli esseri
umani che erano stati nella capitale di Neftes, e quanto a Saito non aveva
certo avuto occasione di visitarla approfonditamente quell’unica volta che vi
era stato.
La
fortuna però volle che tra i marinai in servizio sulla Valliere vi fosse un
vecchio lupo di mare che aveva lavorato per anni lungo la rotta che collegava
le terre degli uomini e quelle degli elfi, un po’ rimbambito ma tutto sommato
ancora saldo nella memoria.
Grazie
alle sue indicazioni fu possibile realizzare una mappa accurata della città e
della baia in cui sorgeva, e sia Kaoru che Quintus spesero tutto il giorno a
studiarla in cerca di una soluzione d’attacco ideale, mentre la nave si
avvicinava a grandi passi verso la Fossa delle Tempeste.
«Ehi,
tu.» disse Kaoru chiamando a sé il vecchio marinaio attorno al tavolo dove era
appoggiata la mappa «Parlami ancora di questa città.»
«Il
grosso della pianta è costruito come una sorta di isola galleggiante.» spiegò
l’anziano «Al centro dell’isola vi è un’altissima torre, dove si trovano la
sala del consiglio e gli alloggi del gran cancelliere, ma anche le prigioni
cittadine. Scommetto la mia vecchia dentiera scalcinata che se i signori sono
davvero prigionieri degli elfi sono tenuti proprio lì.
A prima
vista può sembrare indifesa, ma è più corazzata del sedere di un granchio.»
«Difese
costiere?» domandò Quintus
«Che si
sprecano. Mi è capitato di vedere delle batterie di cannoni situate lungo tutto
il perimetro prospiciente il mare aperto qui, qui e qui. Inoltre ci sono due
torri d’avvistamento che sorvegliano l’accesso alla baia, una per ogni
promontorio.»
«Flotte
all’ancora?» chiese Kaoru
«Il
grosso delle navi da crociera è concentrato principalmente in questo punto,
fuori dal centro abitato. L’ultima volta che sono stato nella capitale ho
notato che stavano costruendo un bacino di carenaggio per le aeronavi qui, appena
dopo il ponte che collega l’isola alla terraferma, ma è probabile che non sia
ancora completo.
La
maggior parte della flotta si trova nell’entroterra, a circa mezz’ora di
cammino dalla città.»
«Che mi
dici di questi canali?» chiese ancora Kaoru indicando i vari specchi d’acqua
che tagliavano le varie parti della città?»
«Gli
elfi li usano per spostarsi velocemente da un luogo all’altro, ma non sono
molto profondi. Dubito che questa nave possa passarci agilmente.»
«Temo
che non sarà come a TyKern
e Serk City.» disse cupo Quintus «Gli elfi hanno una
tecnologia molto più avanzata di quella umana, e anche se questa nave è di
classe superiore alla lunga il loro alto numero ci schiaccerebbe.»
«Questo
è il problema minore.» mugugnò Kaoru «La vera difficoltà sarà avvicinarsi
abbastanza da poter salvare Saito e gli altri.»
«Se le
torri di guardia ci avvistano prima del tempo sarà la fine. Dovremmo poterle
perforare agilmente, ma a tutto rischio dei padroni. Appena si accorgeranno di
noi potrebbero tentare di spostarli, se non addirittura di ucciderli».
Kaoru ci
pensò qualche istante.
«Certo è
che non sarà una passeggiata. Possiamo usare la Pietra Specchio per avvicinarci
quanto basta per usare i cannoni. Una volta arrivati a distanza di tiro
prenderemo a scaricare su di loro tutto quello che abbiamo.
Mentre
dalla nave terremo occupate le forze difensive, una piccola squadra d’assalto
prenderà terra il più vicino possibile alla torre passando per i canali. Con lo
scompiglio creato dall’attacco non dovrebbe essere difficile raggiungere le
prigioni senza incontrare troppa resistenza. A quel punto, recuperati Saito,
Louise e Siesta, la squadra tornerà a bordo e ce ne andremo come siamo venuti.»
«Il
tutto in trenta minuti.» disse Quintus a metà tra il sarcasmo e la
rassegnazione «Se il grosso della loro flotta ci raggiunge saremo fatti a pezzi».
Intanto,
sulla torre di avvistamento, Kiluka scrutava l’orizzonte, l’aria annoiata e gli
occhi stanchi, questo fino a che, dritto di prora, non iniziarono a comparire
delle strane e molto inquietanti nuvole nere, cariche di pioggia, e che di
quando in quando si accendevano delle luci di fortissimi tuoni, il cui eco, per
quanto lontane fossero, arrivava fino alle orecchie della bambina.
«Guardate
laggiù!» esclamò.
I
marinai che sostavano sul ponte la sentirono, e ben presto gli occhi
dell’intero equipaggio furono rivolte a quelle nubi temporalesche verso le
quali si stavano avvicinando a gran velocità. Vedendole, furono in molti ad
avere paura; per duemila anni nessuno si era mai neppure avvicinato a quel
devastante uragano che non conosceva mai fine, e ora invece loro sarebbero
dovuti passarci in mezzo, un’impresa epica che, se superata, avrebbe fornito a
ciascuno di loro di che narrare ai propri discendenti per dieci generazioni.
Persino
Kaoru non riuscì a non impressionarsi di fronte ad un tale spettacolo della
natura.
«Caro
professore.» disse rivolto a Colbert, sgomento quanto lui «Spero per il nostro
bene che Lei non sopravvaluti questa nave».
Louise era stata talmente
provata dal supplizio infertole che perse i sensi per parecchie ore,
ritrovandosi, al risveglio, nuovamente nella sua cella.
Ma non
era sola.
Accanto
al suo letto, a prendersi cura di lei, vi era la stessa persona che aveva
condotto lei e i suoi compagni in tutta quella situazione.
«Tiffa!?».
Per lo
stupore balzò a sedere, ma il gesto fu talmente repentino da scatenarle una
molto dolorosa fitta al ventre.
«Non
agitarti troppo. Gli strascichi dell’incantesimo non sono ancora svaniti del
tutto».
Sentendo
la voce della sua amata Saito, che per tutto il tempo non aveva fatto altro che
camminare avanti e indietro per la cella come un’anima in pena, sentì il cuore
scoppiargli per la gioia.
«Louise!
Stai bene?»
«Abbastanza.»
replicò lei serrando i denti.
Seppur
con qualche fatica, la ragazza riuscì a mettersi seduta, senza per questo
avvertire dolore.
«Louise,
che cosa ti hanno fatto?» domandò Saito
«Non ne
ho idea. Ma di qualsiasi cosa si sia trattato, mi ha fatto molto male».
Poi,
Louise vide Tiffa abbassare gli occhi; dapprincipio pensò che fosse solo per il
rimorso dovuto all’averli trascinati in quella situazione, ma notando la sua
esitazione capì che l’amica doveva sapere qualcosa.
«Perché
l’hanno fatto, Tiffa? Che cosa vogliono da noi?».
Lei
esitò, mordendosi le labbra per cercare di non piangere, ma alla fine le
lacrime scesero comunque, impossibili da trattenere.
«Tiffa…»
«È per
il tuo… per il vostro bambino, Louise.» singhiozzò l’elfa con la poca voce che riuscì a trovare.
Louise e
Saito restarono impietriti, ed anche Bidashal, Ari e Luctiana ebbero un
sussulto.
«Il mio
bambino?» balbettò Louise passandosi istintivamente la mano sul ventre «Che
vuoi dire?»
«Non so
che cosa vogliano o perché, Louise. Ma di qualunque cosa si tratti, è legata al
tuo bambino. È molto importante per loro, e vogliono assolutamente che viva.
Per
questo ti hanno portata qui. Volevano essere certi che tu fossi incinta, e
tenerti al sicuro perché non gli accada nulla».
A quel
punto, di nuovo Tiffa distolse gli occhi, incapace di sostenere lo sguardo di
Louise.
«Mi
dispiace. È tutta colpa mia. Non volevo. Ma non mi hanno lasciato scelta.
Avrebbero ucciso il professore…»
«E
invece hai ottenuto di farci uccidere tutti.» replicò Ari dall’altro capo del
muro «Complimenti davvero.»
«Smettila.»
lo rimproverò Luctiana «Non sei di nessun aiuto. E poi non è detto che ci
uccideranno».
Neanche a
farlo apposta, proprio in quel momento dal corridoio giunse un minaccioso
rumore di passi, molti passi, e dopo pochi attimi la porta della cella di Saito
si spalancò, e diverse guardie entrarono nella stanza al seguito di Eshamel e
Maddarf.
Saito e
gli altri sapevano bene di cosa dovesse trattarsi; si capiva dai loro sguardi.
«Finalmente,
è giunto il momento che mi tolga questo sasso dalla scarpa.» disse Eshamel
felice come una pasqua «Ma visto che non posso uccidere la mezz’elfa, mi consolerò uccidendo voi».
Ari si
alzò, come a voler tentare una inutile resistenza, ed istintivamente strinse a sé
Luctiana, spaventata ma non meno risoluta; anche Saito strinse Siesta, che
sembrava la più terrorizzata di tutti. Bidashal, invece, si alzò da terra,
fulminando Eshamel con uno sguardo truce.
«Quanto
sei caduto in basso, Eshamel?» lo rimproverò «Sei diventato il servo di
Reconquista. Dov’è finito il tuo prezioso onore di elfo?
Quanto ti
hanno dato per convincerti a farne stracci?».
Eshamel,
offeso, digrignò i denti, e caricato il pugno lo abbatté con tutta la sua forza
sul professore, che duramente provato cadde in ginocchio tenendosi lo stomaco.
«Vediamo
se ti avanzerà ancora fiato per parlare appeso ad una corda.»
«Sei
solo un vigliacco, Eshamel.» ringhiò Luctiana «È facile colpire chi non può
difendersi. Non solo, hai venduto la tua patria e il tuo onore a quegli esseri
umani che tanto detesti. Ti ricordo che in quanto membro del consiglio hai
fatto un giuramento.»
«L’ho
vomitato! Mi era diventato indigesto!» quindi fece un cenno alle guardie
«Portateli nella piazza delle esecuzioni!»
«No,
fermi!» tentò inutilmente di urlare Louise.
I soldati
avanzarono, le corde già pronte, ma in quell’istante, dall’esterno, giunse il
lontano e dolcissimo rintocco di una campana che paralizzò tutti, a cominciare
dagli elfi.
Era un
uomo bellissimo, melodioso, e nel sentirlo l’intera città alzò gli occhi in direzione
del promontorio che sorgeva appena fuori del centro abitato, in cima al quale
vi era arroccata una costruzione non molto grande, come una specie di tempio,
con al centro una piccola torre campanaria.
Qualcuno
chiuse gli occhi, e molti elfi, a cominciare dai più devoti, si inginocchiarono
lì dove si trovavano, persino in strada, e di colpo a Neftes calò il silenzio.
Da parte
sua, Eshamel rimase di sasso, per poi digrignare per l’ennesima volta i denti
per la rabbia.
Era il
colpo.
Di quasi
quattrocento giorni all’anno che aveva a disposizione, proprio in quello la
campana che annunciava l’inizio del periodo più sacro per il popolo elfico aveva
deciso di mettersi a suonare.
D’altronde,
non che potesse farci qualcosa.
La Campana
della Vita suonava per conto proprio, mossa da una magia che trascendeva le
decisioni degli esseri viventi. Al suo rintoccare, iniziava per gli elfi un
periodo di preghiera e meditazione volto a celebrare il Vento Divino, lo stesso
che si diceva la facesse suonare, e che secondo le credenze del popolo del deserto
aveva permesso la nascita della vita nel mondo.
Fino a
quando avesse suonato significava che il vento, nel suo incedere senza fine,
era tornato a fare visita a quelle terre, e pertanto qualsivoglia atto di
malvagità e di aggressione al prossimo, incluse le esecuzioni, era
tassativamente proibito, pena la pubblica gogna e l’esilio.
«Lo
senti, Eshamel?» borbottò Bidashal trovando a fatica il fiato per parlare
«Riconosci questo suono?
Questa è
la Campana della Vita. E lo sai cosa significa».
Apparentemente
sordo a queste parole Eshamel mise mano alla spada, ma un attimo prima che
potesse sguainarla si accorse che le sue stesse guardie, fino anche lo stesso
Maddarf, lo stavano fissando con occhi meravigliati, ma anche velatamene
minacciosi.
«Fallo
pure.» lo provocò Ari «Uccidici. Di sicuro il popolo e il tuo esercito ti
perdoneranno di aver violato una delle più sacre festività degli elfi spargendo
sangue sul Vento Divino».
Era proprio
destino che gli dèi volessero negargli il piacere della vendetta il più a lungo
possibile.
D’altra
parte, però, quei due maledetti avevano ragione.
Poteva controllare
il Paese con la paura, ma di fronte ad un atto blasfemo di tale gravità il
popolo si sarebbe sicuramente rivoltato, per non parlare del fatto che persino
il suo stesso esercito non sarebbe rimasto indifferente ad un sacrilegio
compiuto nei confronti della festa più sacra per un soldato.
«E và
bene.» ringhiò cercando di calmarsi «La vita vi si è allungata di qualche
giorno. Ma quella campana non suonerà per sempre.
Un secondo
dopo il suo ultimo rintocco penzolerete tutti da una forca, vi ci dovessi
appendere io stesso».
Così,
alla fine, i soldati si ritirarono, e quasi tutti non vollero crederci al
pensiero che in qualche modo erano riusciti, ancora una volta, a salvarsi.
«Questo
è un miracolo.» sospirò Luctiana
«Sì.»
disse cupo Bidashal «Ma solo finché quella campana continuerà a suonare».
Saito e
Siesta, preoccupati, guardarono fuori dalla finestrella sbarrata. Ora era
davvero tutto nelle mani di Kaoru e degl’altri.
Nota dell’Autore
Eccomi qua!^_^
Spero che abbiate passato tutti un buon
natale, e che le vostre vacanze stiano procedendo nel migliore dei modi.
Io per par mio mi sto rilassando tra le
montagne del Liechtenstein, ma complici le bufere di questi giorni molte delle
ore che nelle mie fantasie avrei dovuto spendere sulle piste le ho trascorse
invece al computer, e così sono riuscito a sfornare questo aggiornamento.
Ora però, comunque vada, dovrete essere un
po’ pazienti. Tralasciando la questione tesi, ho lasciato anche troppo da parte
la storia a cui sto lavorando, ed è il caso che mi decida a riprenderla in
mano.
Comunque state tranquilli, perché le
vicende relativa a questa ennesima avventura di Saito e Louise saranno comunque
portate avanti quanto prima.
Subito dopo aver varcato la
soglia della Fossa, la Valliere si ritrovò invischiata nella più violenta e
spaventosa tempesta che si fosse potuta immaginare.
Onde
alte decine di metri sferzavano la nave da ogni lato, tirava un vento di
burrasca che avrebbe squarciato anche le vele più solide, cadeva pioggia mista
a grandine, e i fulmini illuminavano senza sosta il cielo reso nero dalle
nuvole.
Persino
una nave solida come la Valliere si trovò in difficoltà, ma seppur con qualche
intoppo sembrava comunque in grado di reggere la spinta della tempesta,
seguitando imperterrita verso la sua destinazione.
Il
rollio era tale che persino i marinai più navigati non riuscivano a non avere
paura, né a trattenere i conati di vomito, e sulla plancia in cima al torrione
questo rollio era se possibile ancora più forte.
«Addetto
al radar, la nostra posizione?» domandò Kaoru tenendosi ben saldo sulla propria
poltrona
«Tre
miglia dal centro della tempesta, signore!»
«Ci sono
problemi di tenuta?»
«Per ora
nessuno, signore!» disse Quintus con la cornetta dell’interfono in mare «La
nave regge!»
«Più ci
avviciniamo al centro più le condizioni peggiorano.» disse preoccupato Colbert
«Non ho mai visto una tempesta simile».
Dal
canto suo, Kiluka iniziava a temere di aver fatto il passo più lungo della
gamba.
Quel
posto sembrava l’inferno, e l’avere Seena vicino riusciva solo in parte a
mitigare la paura. Sballottata da una parte all’altra, si sentiva come una
bambola di pezza in mano ad una bambina scatenata, e per quanto pregasse la
situazione non voleva saperne di migliorare.
«Non
temete, signorina.» continuava a rassicurarla la sua fedele guardia del corpo
«Questa nave è solida. Vedrete che ce la faremo.»
«Ne sono
sicura.» rispose lei fingendo di crederci veramente.
Tutti
erano costretti a prove estreme di equilibrismo, e anche a costo di rallentare
i lavori Kaoru aveva ordinato di non uscire sui ponti per non rischiare che
qualcuno precipitasse fuoribordo.
Nonostante
tutto la situazione sembrava abbastanza sotto controllo, e dopo parecchie ore
in balia degli elementi la tempesta sembrò persino iniziare a calmarsi, forse
perché la nave si stava avvicinando all’occhio del ciclone, dove le leggenda
raccontavano si celasse il dio che ne era l’artefice.
La
pioggia prese a scendere con un po’ meno forza, i tuoni smisero di rimbombare,
e le onde parvero acquietarsi, dando finalmente un po’ di respiro alla Valliere
e al suo equipaggio dopo ore di assoluta passione.
«Ora
sembra che vada un po’ meglio.» disse Kilyan sentendo placarsi il beccheggio,
oltre ai movimenti del suo stomaco.
Quintus,
recuperato il binocolo, scrutò l’orizzonte per cercare di capire se avessero
ormai raggiunto il centro della tempesta, guardando in ogni direzione alla
ricerca di una stella, un bagliore, o una qualsiasi cosa potesse certificare un
migliorare delle condizioni meteorologiche.
Ma ciò
che vide fu ben altro.
Dapprima
sembrò solo una increspatura, quasi una sporcatura
sulle lenti, tanto che non seppe cosa pensare.
«Ma cosa…»
«Che
succede?» chiese Kaoru
«Non ne
ho idea.» replicò il suo secondo passandogli il binocolo
Sulle
prime anche Kaoru non riuscì a capire se si trattasse di un illusione ottica o
di una cosa reale, ma poi la vide crescere di dimensioni, e allora capì che ciò
che stava guardando non era una comune onda.
«Reggetevi,
si mette male.» mormorò
«Signore?»
domandò Quintus.
Le mani
di Kaoru tremavano mentre passava nuovamente il binocolo al suo secondo perché
potesse vedere anche lui quello che li aspettava.
«Oh, mio
dio!» esclamò Quintus impallidendo
«Tutta
la barra a dritta, subito!» ordinò Kaoru.
Il
timoniere girò il più velocemente possibile, e contemporaneamente i motori
vennero invertiti per accelerare la virata. La Valliere ruotò in modo
improvviso e abbastanza repentino, ma restava pur sempre una corazzata da
cinquantamila tonnellate, così quando quel muro d’acqua di venti metri le
piombò addosso non era riuscita a compiere nemmeno metà del tragitto, e lo
tsunami la investì da destra lungo tutta la fiancata.
«Reggetevi!»
strillò Quintus un attimo prima dell’impatto.
Se il
colpo fosse stato preso completamente di lato la nave si sarebbe sicuramente
ribaltata, ma quel poco di angolazione fu sufficiente a risparmiarle una tale
sorte; ciò nonostante, l’equipaggio sperimentò una vera e propria esperienza da
terremoto, scaraventato da una parte all’altra come sulla schiena di un toro da
rodeo.
Sulla
plancia, tutti riuscirono bene o male ad afferrare qualcosa; Kiluka si era
stretta ad una maniglia, una presa abbastanza sicura, se non fosse stato per
una vite allentata e mai rimessa a posto.
Nel
momento di massima inclinazione, quando i piedi non volevano davvero saperne di
stare attaccati al pavimento, la maniglia cedette, e Kiluka, urlando dal
terrore, si ritrovò prima scaraventata contro una porta, poi, quando questa
cedette, direttamente sul ballatoio esterno, scavalcandone senza volerlo il
parapetto.
«Aiuto!»
«Kiluka!»
urlò Seena.
Kaoru,
che era il più vicino, non ci pensò due volte e corse ad afferrarla, anche se
per riuscire a prenderla prima che precipitasse dovette buttarsi di sotto a sua
volta, afferrando al volo la bambina con una mano e tenendosi
contemporaneamente al parapetto con l’altra.
«Tranquilla,
ti ho presa!».
Per
interminabili secondi stettero così, penzolanti nel vuoto; Kaoru guardava
Kiluka per spronarla a non arrendersi, e nei suoi occhi vedeva la paura.
Purtroppo, il metallo era fradicio per la molta pioggia, e dopo soli pochi
attimi il giovane fu sul punto di perdere la presa.
«Comandante!»
urlò Quintus riuscendo finalmente a raggiungerli.
Sia lui
che Seena che Kilyan si avventarono sul braccio di Kaoru cercando di
afferrarlo, ma anche le loro mani si inzupparono quasi subito facendosi
scivolose come la cera.
Kaoru si
tenne aggrappato con la forza della disperazione, ma ogni secondo perdeva dei
millimetri, e alla fine, nonostante tutti gli sforzi dei suoi compagni, la
presa cedette, e sia lui che Kiluka precipitarono nel vuoto.
«Comandante!».
Con la
forza della disperazione Kaoru riuscì a stringere a sé Kiluka, e rinchiusala
all’interno della propria stretta rivolse la schiena verso l’alto; in questo
modo, quando riuscirono fortunosamente a precipitare su di una terrazzetta alla base del torrione, fu in grado di farle da
materasso evitando che si facesse male, ma in cambio ottenne di sentire l’urto
con il doppio della forza, seppure attutito dal centimetro e oltre di acqua e
dal parquet fradicio oltre ogni immaginazione.
Ci
voleva ben altro per uno come lui, ma ciò nonostante, quando arrivarono in loro
soccorso, Quintus e tutti gli altri trovarono entrambi privi di sensi.
Il
professor Colbert fece un rapido controllo, constatando subito che
fortunatamente Kaoru stava bene; quanto a Kiluka, era solo un po’ frastornata,
anche se per tutto il tempo sembrava essersi mantenuta cosciente.
«Niente
di serio.» disse il professore parlando di Kaoru «Solo un bel trauma dovuto
alla caduta.»
«Portatelo
in infermeria!» ordinò Quintus a due marinai, che subito recuperarono il giovane
trasportandolo verso la poppa.
Kiluka,
fradicia e ancora visibilmente scossa, fu avvolta amorevolmente in una coperta
da Seena e portata a sua volta nella loro cabina per potersi riprendere; a
conti fatti se l’era cavata solo con una ferita alla mano, il che era quasi un
miracolo pensando a quello che aveva passato.
«Non
temere. Ora sei al sicuro».
La
bambina non rispose, forse ancora traumatizzata per l’esperienza subita, e
seguitava a fissare il vuoto in modo quasi catatonico. Non vedendola reagire Seena
iniziò a preoccuparsi, ma Colbert aveva rassicurato che la piccole stava bene,
e quindi non c’era motivo per preoccuparsi.
«Ora
riposa. Vado a vedere se hanno bisogno di me, ma tornerò appena possibile.» e
detto questo se ne andò, non senza qualche indecisione, lasciando sola la sua
protetta.
Il primo posto che Seena
visitò fu l’infermeria, dove nel frattempo a Kaoru erano già state
somministrate le cure del caso.
La
ferita alla testa che aveva riportato cadendo era stata medicata e bendata, e
il guaritore aveva in ogni caso escluso lesioni interne, ma per qualche strano
motivo Kaoru non riusciva a riprendersi, seguitando a rimanere privo di
conoscenza.
«Come
sta?»
«Non
saprei dirti.» rispose Colbert «Non ha lesioni né danni cerebrali, e neppure è
in coma, ma nonostante ciò continua a non riprendersi.»
«Anche
le funzioni vitali sono stabili.» disse l’infermiera tastandogli il polso «Mai
visto niente di simile.»
«Una
cosa è certa, non è svenuto.» disse Derf «Altrimenti lo sarei anch’io. È come
se la sua mente si fosse spenta.»
«Era mai
accaduto niente del genere?» domandò Kilyan
«Sto
tipo mi ha abituato ad ogni sorta di sorpresa, ma questa è la prima volta che
accade una cosa così».
Regnava
una comprensibile preoccupazione, poi d’improvviso la nave ebbe un ennesimo,
inaspettato scossone, accompagnato da uno strano rumore gracchiante,
insopportabile come le unghie sulla lavagna.
Non
sembrava opera di un’onda.
«E
adesso che altro c’è?» sbuffò Seena.
Tutti
tornarono in plancia, trovando gli altri ufficiali intenti a cercare di capire
cosa fosse successo.
«Abbiamo
colpito qualcosa.» spiegò il timoniere
«Fermare
le macchine e calare l’ancora.» ordinò Quintus applicando il protocollo del
caso
«Potrebbe
essere uno scoglio.» ipotizzò Kilyan
«Siamo
in mezzo al mare.» disse Colbert «Dove li trovi degli scogli qui?»
«Queste
acque non sono mai state esplorate.» rispose Quintus «Potremmo essere in una
zona di bassa.»
«Impossibile.»
disse ancora il timoniere «L’ultimo sondaggio dava oltre duecento metri di
profondità.
Forse
sono resti di qualche relitto».
Sembrava
fosse stato solo un evento sporadico, ma poco dopo vi fu un nuovo scossone, e
questa volta il rumore fu così forte che tutti sulla Valliere poterono
sentirlo.
«Ma che diavolo…».
Nessuno
poteva vederla, con il temporale ed il mare grosso, ma già da diversi minuti
un’ombra nera si era materializzata sotto la nave, scivolando silenziosa a
destra e a sinistra urtandola di quando in quando, e producendo così tanto il
rumore quanto le scosse.
E quando
questa sinistra figura decise infine di materializzarsi, sulla plancia i più si
fecero bianchi per lo spavento.
L’acqua
esplose di colpo, proprio davanti al muso della Valliere, e dagli abissi fece
la sua comparsa un essere mostruoso, che nessuno aveva mai visto, e che incuteva
terrore solo a guardarlo.
Il corpo
era di un colore blu-grigiastro, come quello di uno
squalo; la testa sembrava il corpo di una enorme piovra, con quattro occhi
scintillanti di giallo e intere file di tentacoli a circondare una bocca da
pescecane armata di tre file concentriche di denti triangolari; di tentacoli
era fatto anche il braccio destro, avvolti e attorcigliati tra di loro e con le
estremità che, dividendosi, andavano a formare una specie di mano; il braccio
sinistro, invece, era un unico, grosso tentacolo carnoso, terminante in una
serie di spuntoni come una mazza ferrata; dietro la schiena,poi, aveva due ali membranose da pipistrello,
anche se non era possibile che fossero in grado di sollevarlo: probabilmente le
usava per nuotare.
Dalla cintola
in su, che era il punto da cui emergeva, doveva essere alto più di duecento
metri, e visto che, da come si atteggiava, i piedi doveva tenerli ben piantati
nel fondale, significava che tra una cosa e l’altra la sua altezza complessiva
superava abbondantemente i cinquecento metri.
Tutti
rimasero impietriti, letteralmente paralizzati per il terrore.
Quella
cosa era più grande di qualunque essere vivente si fosse mai visto.
«È lui.»
disse un vecchio marinaio affacciato da un boccaporto «È il Dio delle Tempeste!
Ci trascinerà negli abissi!».
In
qualche modo gli ufficiali di guardia riuscirono ad evitare che scoppiasse il
panico, ma anche loro erano terrorizzati; ma in ogni caso era niente rispetto a
quello che stavano provando gli occupanti della plancia, che avevano quella
creatura dritta davanti agli occhi.
Il
mostro ringhiò e soffiò, come un animale messo alle strette intento a
minacciare un potenziale aggressore, ma le sue intenzioni tutto sembravano
fuorché pacifiche.
La
situazione era a dir poco drammatica; la Valliere poteva essere la nave più
avveniristica di Halkengina, ma di fronte a quell’essere era come una formica
contro un elefante.
Provare
a rispondere ad un eventuale attacco sembrava pura utopia; i proiettili dei
cannoni, per quanto potenti, sicuramente non erano in grado di fare granché,
mentre a quel mostro sarebbe bastato un colpo delle sue braccia tentacolari per
fare a pezzi la nave come una barchetta di carta.
Le
torrette di prua erano già puntate in direzione della creatura, così come tutte
le altre armi abbastanza flessibili da poter essere ruotate in quella
direzione, ma nessuno osava dare l’ordine di aprire fuoco, forse nella
consapevolezza che sarebbe stato del tutto inutile.
Tutti i
marinai della Valliere erano stati dovutamente addestrati negli ultimi mesi, ma
contro una simile bestia i gesti istintivi dettati dalla paura erano più che
comprensibili.
Uno
degli addetti ai cannoni antiaerei, fattosi una statua di sale per il terrore, senza
quasi volerlo spinse il dito sul grilletto, e di colpo un boato riempì l’aria
assieme alla vampata di fuoco dello sparo. A quel punto, come in un letale
effetto domino, spararono anche tutti gli altri, senza che né Quintus né nessun
altro fossero in grado di fare qualcosa.
I
proiettili colpirono a raffica il mostro, che si protesse la testa mettendovi
davanti il braccio destro; alcuni tentacoli gli volarono via, ma nel complesso
rimase quasi illeso, e come era prevedibile quella bordata ebbe l’unico effetto
di farlo infuriare.
Il suo
ruggito fu talmente forte da far scricchiolare l’acciaio e disintegrare alcune
vetrate, ed alzato l’altro braccio lo abbatté con tutta la forza possibile
appena di poco a destra rispetto alla nave, un urto tremendo che sollevò un
gigantesco tsunami. Un’azione dimostrativa forse, o forse un caso fortuito, ma
che dava l’idea di quello che attendeva ora la Valliere ed il suo equipaggio,
perché al prossimo colpo, che prese a caricare subito dopo il primo, non
sarebbe sicuramente andato a vuoto.
«Per noi
è finita.» mormorò Colbert guardando in alto.
Poi,
improvvisamente, il mostro si fermò; così, senza una ragione precisa, lasciando
scivolare blandamente il lungo tentacolo sulla superficie del mare sollevando
una nuova, anche se meno potente, onda anomala.
Tutti
restarono basiti, domandandosi il perché di una tale azione, poi Kilyan notò
una figura che, incurante del rollio, del vento e della pioggia, avanzava a
piccoli passi sul ponte con i piedi come incollati al fasciame, tanto riusciva
a tenersi in equilibrio.
Servirono
solo pochi attimi per poterla riconoscere.
«Kiluka!»
urlò teorizzata Seena, che istintivamente fece per correrle incontro,
trattenuta a forza da Kilyan
«Aspetta!
È pericoloso!»
«Lasciami,
devo salvarla! Kiluka!»
«Ma che
sta facendo?» chiese Colbert spaventato a sua volta, ma conservando un briciolo
di raziocinio.
La
bambina, con gli occhi apparentemente ancora spenti, e proprio per questo
ancora più inquietanti, seguitò a camminare lungo il ponte verso prua,
fermandosi quasi alla sommità del ponte; non sembrava neanche un essere umano,
tale era l’apparente freddezza con cui seguitava a tenere il suo sguardo vitreo
in direzione del mostro, che a sua volta la guardò, abbassandosi fino a che non
furono quasi viso a viso, separati l’uno dall’altra solo da pochi metri.
Era come
se i due si stessero parlando, un dialogo silenzioso che nessun altro poteva
sentire.
I
secondi scorsero interminabili, in un quadro talmente irreale che persino
Seena, passato il momento di isteria, non riuscì a fare altro che restare
immobile a guardare quella che considerava ormai come la sua sorellina immobile
di fronte a quella creatura.
Il
mostro, lo spirito, o qualunque cosa fosse, sbuffò, come incapace di
distogliere lo sguardo da Kiluka, e neanche ruggendole in faccia con tale forza
da assordare l’intera nave riuscì a farla indietreggiare; poi, apparentemente
calmatosi, tra lo stupore generale prese a scivolare verso il basso, e rivolta
un’ultima occhiata alla bambina scomparve silenzioso tra i flutti.
Lo
stupore si materializzò negli occhi di chiunque avesse assistito alla scena, ma
nel momento in cui Kiluka, come un pupazzo lasciato cadere dal burattinaio,
cadde esanime sul pavimento bagnato come morta, tornò a dominare la ragione.
«Kiluka!»
esclamò Seena correndo fuori, stavolta seguita da tutti i suoi compagni.
Al loro
arrivo sul ponte Kiluka era ancora svenuta, ma dopo poco che Seena l’ebbe presa
tra le braccia la bambina riaprì timidamente gli occhi, di nuovo accesi e pieni
di vita, anche se confusi.
Incredibile
a dirsi, confusione a parte sembrava stare assolutamente bene; persino il segno
sulla mano che Seena le aveva visto poco prima pareva essere sparito.
«Kiluka…»
«Seena… cosa è successo?» domandò vedendo la sua espressione
attonita.
Era la
domanda alla quale tutti avrebbero voluto rispondere.
Era un
fatto risaputo che alle volte i famigli perdevano il controllo dei loro stessi
poteri, ma ciò a cui Colbert e gli altri avevano assistito aveva quasi del
prodigioso, e lo divenne ancora di più quando, tutto attorno a loro, la
tempesta, già acquietatasi parecchio dalla scomparsa del mostro, si dissolse
completamente, calmando il mare, tacciando il vento e dissipando le nubi, oltre
le quali si materializzò, tra lo stupore dell’intero equipaggio, il
piacevolissimo spettacolo della volta stellata.
Neanche
a farlo apposta, qualche istante dopo anche Kaoru, ancora nell’infermeria,
riprese i sensi.
«Compare.»
gli disse Derf «Bentornato tra noi.»
«Comandante,
state bene?» gli chiese l’infermiera
«Così
così.» rispose lui passandosi una mano dietro la nuca «Accidenti, che mal di
testa. Che mi sono perso?».
Per due giorni e due notti,
la Campana della Vita seguitò a suonare, salutata come una benedizione tanto
dagli elfi quanto da Saito, Siesta e i loro compagni di sventura, che ad ogni
rintocco sentivano la loro vita allungarsi un altro po’.
La loro
sopravvivenza dipendeva da quella campana, e soprattutto dalla speranza che
qualcuno venisse in loro aiuto prima che smettesse di suonare, ma per ogni
giorno che passava il filo della speranza si faceva sempre più sottile.
Bidashal
aveva raccontato che, stando alle cronache, c’erano stati periodi in cui la
campana era andata avanti a suonare per quasi due mesi, contro la media
abituate di una o due settimane al massimo, ma si trattava di eventi rari.
Le
giornate trascorrevano lente, con quel dolcissimo rintocco ad allietarle. Per far
spendere le ore i ragazzi parlavano tra di loro, con Saito che cercava, per
quanto possibile, di tenere alto il morale, decantando continuamente le mille
risorse di Kaoru e degli altri e della loro capacità innata di sbucare fuori
ogni volta al momento giusto, ma più i giorni passavano più lui stesso si lasciava
prendere dal pessimismo.
Il caldo
non era terribile come l’ultima volta che Saito e Tiffa erano stati
prigionieri, ma sopportarlo era comunque molto difficile, e rendeva il tutto
ancor più angosciante. Tuttavia, mentre Saito e gli altri suoi compagni di
cella venivano tenuti in vita a malapena con razioni di cibo ed acqua risibili,
di contro Louise e Tiffa erano trattate come regine, e ora che il motivo del
loro rapimento era venuto alla luce la cosa non doveva sorprendere più di
tanto.
Louise aveva
cercato di fare la dura rifiutandosi di mangiare, ma alla fine il timore che
accadesse qualcosa al bambino l’aveva spinta a più miti consigli, proprio come
i suoi carcerieri si aspettavano.
Una mattina,
i ragazzi erano seduti sul pavimento come al solito, cercando di sfruttarne la
temperatura fresca per combattere le ore più calde della giornata.
Il suono
della campana era l’unica cosa che rompeva il silenzio spettrale di entrambe le
celle, fino a che, a seguito dell’ennesimo rintocco, tutto tacque, e l’aria si
fece priva di suoni.
Tutti si
impietrirono. Speravano di sentire nuovamente quella flebile melodia, ma i
secondi si aggiunsero ai secondi, e nulla si sentì.
«La campana…» balbettò Ari con gli occhi sbarrati
«… si è
fermata.» sentenziò Luctiana.
Ed
Eshamel fu più solerte nel mantenere la sua parola.
Neanche due
minuti dopo che la campana aveva smesso di suonare, Maddarf si palesò nella cella
con un manipolo di guardie.
«È ora.»
disse schioccando le dita.
La
resistenza dei cinque fu coriacea ma assolutamente inutile, e in pochi attimi
vennero tutti sopraffatti e legati. Dall’altro capo del muro, Tiffa e Louise
potevano sentire ogni cosa, ma tutto quello che gli era dato fare era ascoltare
impotenti.
«Saito! Saito!»
continuava ad urlare Louise in preda alle lacrime.
Fuori
dalla cella li attendeva Eruvere, che vedendoli uscire in fila indiana con le
mani dietro la schiena sentì quasi un moto di dispiacere. Fatta salva la
cameriera, tutti gli altri si erano dimostrati avversari valorosi e degni di
stima, e anche se non osava dubitare della volontà del suo Maestro un po’ gli
dispiaceva doverli uccidere.
«Peccato.
Poteva andare diversamente».
Sentendoli
passare accanto alla sua porta Louise vi si avventò cercando vanamente di
aprirla.
«Louise!»
gridò Saito tentando di raggiungerla.
In sé sapeva
che ormai era tutto finito, ma voleva toccarla ancora; un’ultima volta. Un piacere
che gli fu negato con uno strattone di corta e due bastonate.
«Se
siete uomini d’onore, affrontate questo momento con dignità.» lo rimproverò
Maddarf.
Louise,
pur nella disperazione, non aveva perso la speranza, e si giocò l’unica carta
che aveva.
«Aspettate!»
ordinò con tono perentorio.
Nel momento
in cui Eruvere guardò all’interno la vide immobile, al centro della cella, i
denti serrati, lo sguardo sprezzante e, soprattutto, un coltello puntato sul
ventre.
«Lasciate
andare subito Saito e gli altri, o giuro sul fondatore Brimir
che mi ucciderò qui e subito!»
«Louise,
non farlo!» le urlò Saito restando inascoltato.
«Se io
mi uccido, insieme a me perderete anche il mio bambino! E sono sicura che non è
questo che volete!».
Tiffa la
guardò attonita, così come Eruvere, e per interminabili secondi non si sentì
volare una mosca; poi, però, l’elfo piegò le labbra in un ironico sorriso,
guadagnandosi un’occhiata perplessa.
«Stai
bluffando.»
«Invece
sono serissima!» replicò lei cercando di sembrare davvero tale «Lasciateli
andare o mi uccido.»
«Non lo
farai.»
«Invece
lo farò!»
«Se in
palio ci fosse solo la tua vita, potrei anche pensare che tu stia dicendo sul
serio. Ma qui non ci sei solo tu. C’è anche il tuo bambino.
Puoi
toglierti la vita con le tue stesse mani, ma non avrai mai il coraggio di fare
la stessa cosa con il frutto del tuo amore per il tuo cavaliere».
Louise sgranò
gli occhi, ed il coltello le scivolò di mano tintinnando sul pavimento.
«Ironico,
non trovi? Quel bambino è la causa di tutto, e sai perfettamente quanto sia
importante per noi. Sai che i nostri piani dipendono da lui. Probabilmente sai
anche quale destino aspetta sia te che lui. Eppure, nonostante tutto, non puoi
farci niente».
Detto questo,
senza aggiungere altro, Eruvere e gli altri elfi se ne andarono con i
prigionieri, e tutto ciò che Louise fu in grado di fare, passato lo sgomento,
fu cadere in ginocchio piangendo tutte le lacrime che aveva.
Alla base della torre tutto
era pronto per l’esecuzione.
Negli ultimi
giorni era stato allestito un apposito palco dove erano state preparate cinque
forche pronte all’uso.
Eshamel
si era fatto costruire un seggio dalla parte opposta del piazzale, rialzato rispetto
al suolo, e fin dall’istante in cui la campana aveva smesso di suonare vi si
era immediatamente seduto.
Oltretutto,
aveva già dato ordine all’intera città di presentarsi al luogo dell’esecuzione
subito dopo la fine delle celebrazioni, così in pochi attimi la piazza si era
riempita all’inverosimile di gente, uomini, donne e bambini venuti ad assistere
alla morte di quelli che fino a poco prima erano stati le loro guide supreme.
Saito e
gli altri furono portati all’esterno, ed in un silenzio generale, rotto solo da
un confuso brusio, furono fatti salire sulle passerelle magiche invisibili, e
quindi legati ognuno alla propria corda, che venne stretta saldamente attorno
al collo.
Ringraziando
al cielo, la guardia che aveva legato Saito non era stata particolarmente
accorta nel fare il nodo, così il ragazzo era riuscito, non senza stringere i
denti per il dolore, a sciogliere il nodo, e ora aspettava solo l’occasione
giusta per scattare. Se proprio era destinato a morire, almeno sarebbe morto
combattendo fino alla fine.
Quello che
era peggio, era che Eshamel aveva volutamente scelto quel luogo perché, oltre
ad essere sufficientemente grande, stava anche proprio sotto lo spioncino della
cella di Tifa e Louise, così che potessero assistere in diretta alla morte dei
loro amici.
Non c’era
pericolo che lo shock fosse tale da costare la vita al bambino; grazie all’incantesimo
che Eruvere vi aveva gettato sopra nell’atto di accertarne l’esistenza, neanche
recidendo il cordone ombelicale il feto sarebbe potuto morire, poiché ormai la
sua esistenza e sostentamento dipendevano unicamente dal potere magico della
madre senza venire intaccati in alcun modo dal suo stato d’animo o dalle
condizioni fisiche.
«Saito!
Siesta!».
Tutti
cercavano di ostentare fierezza e risolutezza, ma escluso Bidashal tutti gli
altri in realtà avevano una tremenda paura; Siesta in particolare non riusciva
a non piangere, pensando a tutti i suoi amici e ai genitori che non avrebbe
rivisto mai più.
«Non
piangere.» la ammonì Luctiana «Non dare soddisfazioni a quel bastardo.»
«Non… non ci riesco».
Eshamel
pregustava di assaporare la loro paura, ma visto che nessuno di loro, fatta
salva la cameriera di cui non gli importava niente, sembrava intenzionato ad
implorare pietà, si accontentò di godere della vista dei loro cadaveri a
penzolare dalle forche.
Come
alzò una mano, nella piazza il silenzio si fece totale, ed il tamburo di morte
prese a scandire la marcia del condannato. Contemporaneamente, lo stregone
incaricato di far scomparire i piedistalli magici si portò davanti ai cinque prigionieri,
mentre un sacerdote passò accanto ad ognuno di loro per impartire l’ultima
benedizione.
Di colpo,
dopo i tre rintocchi di chiusura, la marcia cessò, e tutto per un istante
divenne silenzio.
Eshamel
sorrise malefico.
«Giù!»
«Saito!».
Nota dell’Autore
Eccomi qua!^_^
Passate delle buone vacanze?
Le mie lo sono state, per fortuna, e anche
se in questo periodo avrò molto daffare sono riuscito a pubblicare questo nuovo
capitolo.
Lo so, è un po’ lungo, ma volevo che la
storia si interrompesse proprio qui, giusto per farvi penare un pochettino.
E ora?
Cosa succederà?
Inutile dire che lo scoprirete subito.
Infatti il prossimo è uno dei capitoli che da più tempo aspettavo di scrivere,
quindi vi preannuncio che malgrado tutto non dovrete aspettare molto per
vederlo.
Spero di poter aggiornare ancora entro una
settimana.
Grazie a tutti quelli che leggono e
recensiscono.
Questa storia mi sta dando una
soddisfazione dietro l’altra, e scriverla è bellissimo.
Un boato assordante scosse
nel profondo l’intera città, e subito dopo una potente esplosione si abbatté
sulla parte bassa della torre, aprendo una voragine nel suo rivestimento e
provocando una pioggia di detriti.
«Ma che diavolo…» esclamò attonito Eshamel.
A
quell’esplosione ne seguirono altre, un vero e proprio cannoneggiamento che
interessò tutta la zona attigua alla torre provocando il panico generale, senza
che si avesse alcuna idea di chi stesse sparando.
Le
guardie che sorvegliavano le due torri di accesso alla rada restarono basite,
soprattutto nel constatare che i colpi non sembravano venire dal mare aperto,
ma direttamente dall’interno della baia; si vedevano vampate di fuoco e si
sentiva il rumore, ma di una nave neanche l’ombra.
Invece,
non dovettero passare che pochi secondi perché, come per incanto, preceduta da
una tempesta di fulmini, comparisse davanti ai loro occhi un gigantesco e
spaventoso mostro d’acciaio, armato dei cannoni più grossi che si fossero mai
visti e proprio al centro dello specchio d’acqua antistante la capitale.
Forte
dell’invisibilità, la nave era scivolata davanti ai loro occhi senza che
neppure se ne rendessero conto, mascherando con la magia la propria scia per celare
qualsiasi traccia della sua presenza.
«È la
Valliere!» esclamò Louise,che dall’alto
poteva vederla bene «Kaoru ce l’ha fatta!».
A bordo,
l’attività era già frenetica, in una ordinata confusione nella quale ognuno
conosceva il proprio posto e faceva ciò a cui era destinato.
Dalla
plancia, Kaoru gestiva la situazione, ed i suoi ordini, per bocca di Quintus,
arrivavano in ogni parte della nave a tutta velocità tramite l’interfono o i
portaordini.
«Torrette
trinate, concentrare il fuoco in direzione del molo!»
«Sissignore!»
rispose il puntatore.
Bastò
una sola bordata, e l’intera flotta navale di Neftes si tramutò in un unico,
immenso oceano di fuoco.
Il boato
fu tale da far tremare ogni cosa fino alla piazzetta, dove a quel punto la
semplice paura si tramutò in panico incontrollato.
Subito
Saito ne approfittò.
Liberatosi,
stese con un pugno la guardia più vicina, e recuperata la sua spada la usò per
liberare tutti i suoi compagni.
«Forza,
è la nostra occasione!».
Bidashal
ed Ari non avevano ancora potuto riottenere i loro poteri magici, bloccati
dalle droghe che erano stati costretti ad ingerire assieme al cibo, ma come
schermidori ci sapevano fare, e lo stesso Luctiana, così i tre elfi, armatisi a
loro volta, riuscirono a respingere tutte le guardie che avevano attorno.
«Uccideteli!»
ordinò adirato Eshamel scagliandogli contro tutti i soldati presenti.
I
quattro, dispostisi a difesa di Siesta, si difesero egregiamente, al punto da
mettere in difficoltà i loro assalitori, che in pochi minuti si videro
decimati.
Eshamel,
comprendendo l’aria che si stava mettendo, fece per darsi alla fuga, ma Saito
non era determinato a permetterglielo.
«Dove credi
di andare, codardo!».
Apertosi
la strada a forza di fendenti, al punto da perdere la spada per averla roteata
con troppo vigore, il giovane arrivò appresso all’elfo, e salito con un balzo
sul palchetto assestò al nemico un tremendo diretto al volto che lo scaraventò
a terra con la potenza di uno schioppo.
Nell’atto
di cadere, Eshamel perse, senza neppure essere consapevole di averla mai avuta,
la trasmittente che Saito gli aveva messo nel mantello, e che il ragazzo
prontamente recuperò; era scarica, ma poteva ancora servire.
«Stammi… stammi lontano, sudicio umano!».
Saito
era davvero tentato di far pagare a quell’essere immondo tutto quello che aveva
dovuto passare in quei giorni interminabili, ma dovette desistere nel momento
in cui Maddarf gli scagliò contro una selva di spade costringendolo ad
indietreggiare.
«Saito,
da questa parte!» gli urlò Bidashal «Abbiamo aperto un varco!».
Anche se
di malavoglia Saito dovette resistere, e recuperata una nuova spada si aggregò
ai suoi compagni aprendosi la strada tra soldati e cittadini in fuga fino
all’ingresso della torre.
«Presto!»
urlò Luctiana afferrando uno dei pesanti battenti di pietra.
Fortunatamente
i cinque riuscirono a chiudere la porta in tempo, sprangandola subito con tutto
quello che riuscirono a trovare per sbarrare il passo agli inseguitori; non era
certamente l’unico ingresso che le guardie di Eshamel potevano usare, ma almeno
questo li avrebbe tenuti indietro per un po’.
«Riesci
a farla funzionare?» chiese Saito passando la trasmittente a Bidashal
«Ci
provo».
L’elfo
era ancora provato nella sua magia, ma per fortuna instillare un po’ di energia
nelle batterie si rivelò un procedimento non particolarmente difficile.
«Prova
ora.» disse rilanciandola al proprietario.
Saito la
prese e la azionò, e nel sentirla gracchiare volle quasi gridare di gioia.
«Kaoru,
mi ricevi?».
Il
segnale arrivò, seppure un po’ sporcato, alla radio della Valliere, ed il
radiofonista immediatamente la ritrasmise sull’interfono mettendo il giovane in
comunicazione diretta con la plancia.
«Saito!»
esclamò il comandante strappando la cornetta a Quintus
«Che
gioia sentire la tua voce. Meno male che avete fatto in tempo.»
«Dove vi
trovate?»
«All’interno
della torre principale. Louise e Tiffa sono ancora prigioniere, stiamo andando
a salvarle.»
«D’accordo.
Quando le avrete trovate, restate lì ad aspettare. Manderemo una squadra armata
per recuperarvi. Tieni aperto il canale e aspetta nuove istruzioni.»
«Ricevuto,
vi aspettiamo».
Chiusa
la conversazione, Saito e gli altri si avviarono nuovamente verso le prigioni,
incontrando una resistenza numerosa ma piuttosto scarna, visto che le guardie
più abili e pericolose erano ancora bloccate all’esterno.
All’esterno
c’erano anche Eshamel e Maddarf, che portati in salvo da un manipolo di soldati
al comando di Eruvere stavano correndo veloci come il fulmine verso la
periferia a bordo di un calesse.
«Maledetti!
Maledetti umani!» continuava a strillare l’elfo «Ma aspettate e vedrete! Non
avete idea della sorpresa che abbiamo in serbo per voi! Quella baia sarà la
vostra tomba!».
Intanto,
la Valliere continuava imperterrita il suo bombardamento, senza che quasi si
riuscisse a contrastarla.
Due
bordate dei cannoni antiaerei di babordo polverizzarono le torri perimetrali,
mentre di contro quelli di tribordo non smettevano un attimo di far piovere
proiettili sulle batterie costiere facendone scempio.
«Segnala
alle torrette. Tenete il fuoco lontano dalla torre. Saito e gli altri si
trovano lì. Potremmo colpirli.»
«Sissignore.»
«Ordine
alle truppe d’assalto. Prepararsi a sbarcare».
Le lance
erano già state calate in acqua, e gli uomini al comando di Seena e Kylian erano pronti a scendere dalle scalette, quando,
rivolto lo sguardo verso la città, Quintus notò un inspiegabile e minaccioso
movimento appena oltre il ponte, in prossimità della zona dove doveva esserci
il bacino di carenaggio in costruzione.
Quello
che vide lo impietrì.
«Signore,
laggiù!» esclamò.
Kaoru
guardò con il binocolo, ed a sua volta si sentì mancare il respiro vedendo
quattro corazzate sollevarsi lentamente da sotto la superficie della sabbia
sbucando dalla enorme fossa coperta fino a pochi attimi prima da una barriera
magica che generava una ingannevole illusione ottica.
«Oh,
merda.» riuscì a dire.
Era
chiaro.
Il
bacino in realtà era già operativo, ma veniva da chiedersi come avevano fatto a
completarlo in tempi così rapidi.
Sicuramente
c’entravano ancora una volta Reconquista e le sue risorse illimitate.
La
situazione di colpo parve capovolgersi.
«Allarme
prioritario! Ordine alle torrette, puntare immediatamente su uno, tre zero!
Fuoco a volontà!».
Le
torrette si riposizionarono il più velocemente possibile, e dopo appena un
minuti partì la prima bordata diretta contro la nave più vicina; si pensava che
sarebbe stato abbastanza per affondarla, come accaduto nel caso delle navi di Ty-Kern, ma l’aeronave, pur venendo trapassata, incassò il
colpo restando a galla.
«Non ci credo…» disse Quintus basito
«Le
hanno potenziate.» disse Kaoru.
Le
aeronavi elfiche si sollevarono fino ad un centinaio di metri, e prima di poter
fare qualcosa la Valliere si ritrovò con una dozzina tra cannoncini e torrette
binate e trinate puntati contro da una schiera di vascelli che le davano il
fianco l’uno accanto all’altro.
Kaoru e
Quintus sgranarono gli occhi.
«Prepararsi
all’urto!».
Il boato
che seguì fu così potente da frantumare vetri in tutta la città, producendo
bagliori accecanti che fecero sembrare quello di Neftes un sole al tramonto.
Fortunatamente
la maggior parte dei colpi andarono a vuoto, ma la Valliere venne comunque
investita in più punti da una selva di proiettili; alcuni rimbalzarono, ma
altri perforarono lo scafo, e due in particolare si abbatterono su altrettante
torrette antiaeree facendone saltare una per aria.
Tra
l’esplosione e i vari altri colpi, la Valliere tremò così paurosamente che
quasi tutti finirono gambe all’aria, anche in plancia di comando.
«Abbiamo
perso la caldaia numero due!» disse uno dei marinai agli interfoni «C’è una
falla non grave a dritta di prua, sotto la linea di galleggiamento! Stiamo
chiudendo le paratie stagne!»
«Torrette
antiaeree di tribordo uno e quattro danneggiate!» disse un altro «La due è
completamente distrutta!»
«Perdite?»
«Tre
morti e quindici feriti, signore! Numero provvisorio!»
Ci
voleva quasi un minuto per resettare il meccanismo di sparo, e in tutto quel
tempo le navi elfiche ebbero modo di allargare ancora di più la loro formazione
cercando di circondare la Valliere, che prese a zigzagare come meglio poteva in
quello specchio d’acqua basso e stretto.
A questo
punto, calare le scialuppe e inviare la squadra era fuori questione; avrebbero
fatto la fine dei piccioni.
Alla
ricerca spasmodica di una soluzione Kaoru notò la vasta piattaforma di
atterraggio quasi in cima alla torre principale, più in alto di quanto si
aspettasse dalla descrizione che ne aveva sentito, e iniziò a maturare un piano
a dir poco avventato.
«Quintus.»
«Signore?»
«I
sistemi di alimentazione delle pietre funzionano ancora?».
Quintus
chiese conferma, ricevendo una risposta affermativa.
«Cos’ha
in mente, comandante?»
«Mi è
appena venuta un’idea folle».
Nel
mentre Saito e gli altri si erano aperti la strada lungo i corridoi della torre
fino a fare ritorno nella zona prigioni, e qui, sbarazzatisi delle ultime
guardie, si erano appropriati delle chiavi delle celle.
A Louise
quasi scoppiò il cuore per la gioia nel vedere Saito vivo e vegeto, e senza pensarci
due volte gli si buttò al collo gettandolo a terra.
«Saito!»
«Stai
bene Louise?» le disse carezzandole i capelli
«Avevo
così tanta paura! Credevo sul serio che ti avrebbero ucciso!»
«Và
tutto bene, Louise. Presto sarà tutto finito».
In
quella, la trasmittente riprese a gracchiare.
«Saito,
ci sei?»
«Kaoru.
Abbiamo recuperato Louise e Tiffa.»
«Meglio
così. Purtroppo c’è stato un contrattempo. Non sperate nell’arrivo della
cavalleria. In questo momento siamo impegnati con una flotta di aeronavi
elfiche, e mandare una squadra sarebbe un suicidio.»
«E
allora cosa si fa?» domandò Luctiana, che come gli altri poteva sentire a sua
volta
«Siete
in grado di arrivare alla piattaforma in cima alla torre?»
«Credo
di sì.» rispose Bidashal
«Tra
pochi minuti faremo decollare la Valliere e passeremo sopra la città. Se
riuscirete a trovarvi sulla piattaforma nel momento in cui la sorvoleremo,
potremmo essere in grado di issarvi a bordo.»
«Si può
fare davvero?» chiese Louise
«Non lo
so, ma è l’unica alternativa che abbiamo. Voi cercate di arrivare laggiù il
prima possibile, ma non fatevi vedere fino all’ultimo momento. Se scoprono
quello che vogliamo fare ci taglieranno la strada e sarà la fine.
Caleremo
una scialuppa per tirarvi su. Non c’è bisogno che vi dica che abbiamo a
disposizione un solo tentativo.»
«Ricevuto,
ci dirigiamo alla piattaforma.» disse Saito «Avete sentito? Sbrighiamoci. Se ci
dice bene, ancora poco e saremo fuori da tutto questo».
Kaoru diede subito ordine
di iniziare le manovre per mettere la prua della Valliere dritta in punta alla
città, il che significava farle compiere un largo giro ad anello lungo tutta la
baia, il tutto mentre le navi elfiche non smettevano un attimo di bombardarla,
e anche se fortunatamente nessuna selva di colpi si rivelò tanto micidiale
quanto la prima i danni continuavano ad aumentare.
Infine,
per non farsi mancare niente, gli elfi fecero decollare tutti i draghi che
avevano a disposizione, che tenuti faticosamente a bada dalla contraerea
presero senza pietà a sputare fuoco contro la nave innescando piccoli incendi e
ulteriori esplosioni.
Era una
situazione ai limiti del dramma.
Tralasciando
il fatto che spostare i sistemi di alimentazione da una pietra magica all’altra
richiedeva comunque il suo tempo la maggior parte delle linee principali,
nonché i sistemi di controllo in remoto, erano stati danneggiati, il che stava
obbligando i tecnici, oltre a dover dirottare l’energia tramite canali
alternativi, a dover fare tutto a mano.
Kaoru
sentiva montare sempre più dentro di sé quella sgradevole sensazione di potenza
che tanto gli risultava insopportabile, e che si traduceva in una rabbia che ad
ogni secondo diveniva sempre più violenta, spingendolo a maturare nelle sua
mente propositi e pensieri sempre più foschi.
«Quanto
manca per avere energia alla pietra di levitazione?» domandò con un filo di
voce quando l’ennesima fiammata di drago incenerì due marinai sul ponte
principale davanti ai suoi occhi
«Sei o
sette minuti, signore!»
«Fra
sette minuti saremo già carne arrostita, si muovano!».
Ma il
tempo passava, e dalla sala macchine non giungevano notizie.
«Tutta
la barra! Massima velocità! Prua in direzione nord nord-est!»
«Ma
signore, la pietra non è ancora caricata!» cercò di dire Quintus capendo dove
conduceva quella rotta
«Non importa!»
replicò Kaoru con occhi scintillanti iniettati di furia «Se proprio dobbiamo
andarcene ne porteremo con noi il più possibile!
Obbedisci!».
Quintus
non voleva credere che il comandante stesse davvero meditando una tattica
suicida, ma da soldato quale era non aveva altra scelta che obbedire agli
ordini del suo comandante, così come il resto dell’equipaggio.
Così,
come una tigre messa alle strette che sferra l’assalto finale, la Valliere,
concluso la propria virata, inserì il turbo puntando dritta contro la capitale,
quasi avesse intenzione di speronarla.
Eshamel,
Eruvere e Maddarf erano a bordo di una delle aeronavi elfiche, quella
maggiormente e prudentemente discostata dal resto della squadriglia, e
dapprincipio non riuscirono a capire il senso di quella manovra; immaginarono
che la Valliere volesse tentare di decollare, ma i secondi passavano e la nave
nemica non voleva saperne di alzarsi.
«Se
continua così finirà per schiantarsi sulla città!» esclamò Maddarf terrorizzato
«Altro
esempio lampante della bestialità umana.» commentò calmo Eshamel
«Dobbiamo
fermarla!»
«Niente
affatto. Lasciateli fare.»
«Ma,
lord Eshamel…»
«Se ci
saranno tante vittime, ogni singolo elfo di Neftes, inclusa la resistenza,
verrà da me a supplicarmi di proteggerli dagli umani. Chissà, potrebbero
persino arrivare a chiedermi di dichiarargli guerra.
Quegli stolti
saranno il mio lasciapassare per il dominio completo di questo continente».
Anche Maddarf,
come Quintus, non riuscì a credere che il suo superiore fosse davvero
determinato a fare ciò che aveva in mente, ma anche lui alla fine antepose i
suoi doveri alla coscienza e ordinò alle altre navi della flotta di non
picchiare troppo forte, lasciando la nave libera di proseguire nella sua corsa
senza far capire l’intenzionalità della cosa.
Sulla plancia,
gli ufficiali e i marinai della Valliere videro la costa farsi vicina, sempre
più vicina, e la chiglia della nave iniziare a sobbalzare e grattare sui dossi
del fondale fattosi ormai bassissimo, senza che il loro comandante, i cui occhi
sembravano quasi scintillare di rosso, mostrasse la benché minima intenzione di
tornare sui suoi passi.
Dal canto
loro, i tecnici addetti al funzionamento delle pietre erano ancora in alto
mare, presi ad arrabattarsi tra cavi e comandi, ma sarebbero serviti minimo
altri due minuti per poter rendere operativa la pietra di levitazione.
A quel
punto, e avendo saputo cosa li aspettava se non avessero fatto a tempo, il capo
macchinista ebbe un’idea a dir poco suicida. Visto che la pietra propulsiva
funzionava ancora, ed era l’unica il cui apparato di alimentazione non fosse
stato danneggiato, non ebbe altra scelta che afferrare saldamente il cavo
collegato al dispositivo di attivazione, staccarlo manualmente con l’energia
ancora inserita e reinserirlo nell’apparecchio che controllava la pietra di
levitazione.
Fu solo
per un vero miracolo se ne uscì vivo, perché nel momento in cui staccò il cavo
l’energia magica mista a corrente elettrica al suo interno lo usò come una
messa a terra minacciando di folgorarlo, ma grazie al cielo riuscì a
ricollegare lo spinotto prima di rimetterci la vita, e finalmente la pietra di
levitazione iniziò a risplendere.
«Avvisa
la plancia, svelto!» ordinò al suo secondo prima di svenire.
Quello obbedì,
e sentendo la sua voce Quintus sentì un colpo al cuore.
«Abbiamo
l’energia, comandante!».
Solo in
quell’istante, come svegliandosi da un brutto sogno, Kaoru parve ritrovare la
ragione.
«Motori
a piena potenza! Decolliamo, subito!».
Fulminea,
la Valliere si sollevò dalla superficie, puntando verso l’alto con una
inclinazione che le aeronavi classiche potevano solo sognarsi, a oltre
quarantacinque gradi. Se fosse andato tutto bene, sarebbero passati pochi metri
sopra la torre.
«Maledizione!»
ringhiò Eshamel vedendo sfumare i suoi propositi «Lasciate perdere! Buttateli
giù!».
Le navi
elfiche però, proprio per le loro dimensioni, erano anche incredibilmente
impacciate, ed impiegarono diversi secondi a girarsi; e visto che le torrette
non erano in grado di tenere il bersaglio a tiro, la Valliere poté allontanarsi
e prendere quota quasi indisturbata, passando in mezzo a loro senza venire
colpita.
Nello stesso
istante, Saito e gli altri arrivarono sulla piattaforma in cima alla torre,
venendo immediatamente notati dalla plancia.
«Li
vedo!» disse Quintus
«Calare
la scialuppa, presto!» ordinò Kaoru.
I marinai
nel mentre avevano già assicurato la lancia più lunga a disposizione alla gru
utilizzata per il recupero degli aerei, e all’ordine dei superiori immediatamente
presero a farla scendere verso il basso, proteggendola il più possibile con la
contraerea.
«Arriva!»
indicò Saito «State pronti!».
Il frastuono
che la nave produsse passando sopra le loro teste fu assordante, e nel momento
in cui videro la lancia scivolar loro accanto immediatamente ci saltarono
dentro; tutti tranne Siesta, che si ritrovò la gonna della camicia da notte con
cui era stata catturata sotto i piedi, incespicando e perdendo il momento,
oltre a procurarsi una piccola storta.
«Siesta!».
Sembrava
tutto perduto, ma Saito senza stare a pensarci scese nuovamente, e presa la
ragazza tra le braccia cominciò a correre a perdifiato mentre la lancia si
allontanava.
«Saito,
fa presto!» continuava ad urlare Louise protendendosi verso di lui il più
possibile.
La sporgenza
intanto si avvicinava, e alla fine Saito dovette saltare, compiendo un lungo
quanto avventato balzo nel vuoto che, per sua fortuna, si concluse a bordo
della scialuppa.
I cavalieri
draconiani, accortisi di quanto accaduto, tentarono di abbatterli, ma la
contraerea riuscì a tenerli lontani abbastanza da permettere ai marinai di
issare i fuggiaschi a bordo mettendoli finalmente al sicuro.
Quindi,
con l’eccezione di Siesta, che fu portata in infermeria per un rapido
controllo, Saito e gli altri si precipitarono in plancia.
«Ragazzi!»
«Louise-san! Saito-san!» disse
Siesta «Che sollievo, siete sani e salvi.»
«Motori
avanti tutta, togliamoci da qui!» si affrettò ad ordinare Kaoru.
Di nuovo
la Valliere venne spinta al massimo delle sue possibilità, ma ormai nel
frattempo le aeronavi nemiche si erano girate e avevano iniziato l’inseguimento,
scaricando sulla nave dei fuggitivi tutto quello che avevano.
La nave,
per quanto potente, non era invincibile, ma bene o male la sua spessa
corazzatura riuscì a respingere la maggior parte dei colpi; questo almeno fino
a che un proiettile non centrò in pieno la carlinga, trapassandola e portandosi
via buona parte dei sistemi di alimentazione di riserva delle pietre magiche.
Gli effetti
furono immediati, e la Valliere iniziò subito a rallentare e a perdere quota.
«Che sta
succedendo?» tuonò Kaoru
«I cavi
sono danneggiati signore, l’energia arriva ad intermittenza!».
Come se
la situazione non fosse già abbastanza grave, la torretta poppiera, la sola che
potesse rispondere al fuoco degli inseguitori, finì inevitabilmente per
esaurire le munizioni, lasciando campo libero agli elfi e ai loro cannoni.
La nave
di Eshamel era in prima fila, e il comandante in particolare si stava godendo
con piacere quel momento; sapeva di non poterli abbattere perché né Louise né Tiffa
dovevano assolutamente morire, ma voleva far durare la cosa il più possibile, e
una volta tanto Eruvere lo lasciava fare.
«Peggio
per loro. Ora faranno la fine del topo».
Per
quanto fuggisse, la Valliere non riusciva in alcun modo a seminare i suoi
inseguitori, e invece che cercare di raggiungere il mare vi si stava allontanando
sempre di più.
«Niente
da fare, non ci mollano.» disse Kilyan guardandosi indietro.
Nella plancia
regnava lo scetticismo, e anche se nessuno aveva il coraggio di dirlo ad alta
voce molti pensavano che forse arrendersi era l’unica speranza che avevano per
cercare di uscirne vivi, ma era un’eventualità che nessuno voleva prendere in
considerazione.
Louise un’idea
ce l’aveva, ma era terribilmente azzardata, soprattutto per lei e per il suo
bambino.
Ma d’altra
parte, che altre soluzioni avevano?
Meglio quella
sorte che fare da incubatrice vivente per quei miserabili.
«Professor
Colbert.» disse con un filo di voce «Può prestarmi il suo bastone?».
Tutti si
guardarono tra di loro un po’ perplessi, ma alla fine Colbert volle fidarsi e
le lasciò il bastone; Louise lo prese con entrambe le mani, concentrandovi
tutta l’energia a sua disposizione, e di colpo, un chilometro circa di fronte
alla nave, prese a materializzarsi un portale dimensionale.
«Louise,
che stai facendo?» esclamò Saito.
Più che
un’idea era un vero azzardo, e gli effetti non tardarono a farsi sentire. Aprire
una porta per viaggiare da una zona all’altra di Halkengina era sicuramente
meno faticoso che aprirne una per la Terra, ma se doveva essere abbastanza
grande per farci passare una nave intera allora era un bel problema.
Quasi subito
la ragazza sentì il solito dolore al ventre, spasimi di un feto che cercava
istintivamente di trattenere con le unghie e con i denti l’energia del quale
egli stesso si nutriva, e ogni parola dell’incantesimo era un agonia.
«Louise,
smettila! Così ti farai male!»
«È l’unica
speranza che abbiamo…» mugolò lei a denti stretti
«Ma è
impossibile riuscire ad aprire un varco così grosso! Non nelle tue condizioni
almeno.»
«Ce la posso… ce la posso fare. Devo solo concentrarmi.»
«Louise!»
«Lasciala
fare, Saito-kun.»
«Colbert-sensei…».
Ormai Louise
aveva preso la sua decisione, ed era inutile cercare di farle cambiare idea. Tanto
più che, tenendo conto di quello che la attendeva in caso di cattura,
arrendersi era un’eventualità che lei per prima non voleva prendere in
considerazione.
Così,
alla fine Saito si rassegnò, ma senza rinunciare a stringerle la mano.
«Sono
qui, Louise. Ti sono vicino. Ti siamo tutti vicino. Fai del tuo meglio».
Rinfrancata
dalla vicinanza dei suoi compagni la ragazza cercò di dimenticare il dolore, e
faticosamente continuò a recitare il suo incantesimo; ad ogni parola il varco
si ingrandiva, senza che tuttavia se ne potesse scorgere la porta di uscita, e
a quel punto anche Tiffa volle metterci del suo, cercando per quanto possibile
di dare al sortilegio più stabilità possibile per evitare che collassasse
richiudendosi.
Anche gli
elfi si accorsero di quanto stava accadendo, ma non compresero appieno la vera
natura del fenomeno fino a quando il portale, terminato l’incantesimo, non
raggiunse dimensioni mastodontiche, grandi abbastanza perché la Valliere
potesse attraversarlo.
«Ce
avete fatta, miss Valliere!» esclamò Seena.
Tuttavia,
si trattava di una porta troppo grande e troppo instabile per restare aperta a
lungo, ed infatti prese subito a richiudersi.
«Motori
avanti tutta! Entriamo lì dentro!»
«Sì,
comandante!».
La nave
accelerò fino alla velocità massima che le sue condizioni le consentivano, sempre
bersagliata dalle aeronavi elfiche che, avendone capito i piani, intendevano
fermarla a tutti i costi.
«Sparate,
sparate!» continuava a strillare Eshamel «Non devono fuggire!».
Era una
corsa contro il tempo, con il varco che si chiudeva sempre più davanti e i
cannoni degli elfi alle spalle, ma per chissà quale miracolo la Valliere, alla
fine, l’ebbe vinta, riuscendo a penetrare all’interno del portale un attimo
prima che questo scomparisse, lasciando gli inseguitori con un palmo di naso.
Esame era
talmente infuriato che sbriciolò il calice di vino che aveva tenuto in mano per
tutto il tempo.
«Maledizione!»
sbraitò lanciandone via i resti «Ci hanno beffati!»
«Non è
ancora detta l’ultima parola.» rispose calmo Eruvere «Il varco non era molto
solido, e in quelle condizioni non andranno comunque lontani.
Sono sicuro
che se iniziamo subito a cercarli li troveremo presto».
Nota dell’Autore
Eccomi qua!^_^
L’avevo detto che stavolta ci avrei messo
poco.
E così, alla fine l’ho scritto. Questo era
uno dei momenti che aspettavo con più trepidazione, ed il fatto che abbia
aggiornato in tempi molto rapidi è la conferma al fatto che non vedevo l’ora di
scriverlo.
Mi ci voleva proprio una bella battaglia,
di quelle con i controfiocchi, ma questo è stato solo l’antipasto. Quelle che
verranno da ora in avanti saranno anche meglio.
Con il prossimo capitolo, che potrebbe essere
piuttosto lungo, le vicende relative a questo ennesimo viaggio saranno finite,
e la situazione da qui in avanti inizierà a precipitare velocemente. Tornerà in
scena la compianta Maschera di Ferro, il cui mistero sarà finalmente svelato, e
assieme a lui il caro vecchio Santin, che pericoloso come non mai si prepara a
marciare su Tristania.
Più che uno dei soliti
portali, quello aperto da Louise in quella particolare circostanza, complici le
sue condizioni di salute precarie e l’averlo creato assieme a Tiffa, assunse
caratteristiche anomale, e piuttosto che limitarsi a trasferire la Valliere e
tutto il suo equipaggio in un altro luogo la sparò letteralmente fuori dopo
averla risucchiata al proprio interno e averla lasciata, per un periodo di
tempo indefinibile, prigioniera di una sorta di limbo dimensionale.
Dal
punto di vista di Saito e degli altri non erano trascorsi che pochi istanti,
giusto il tempo di rendersi conto di aver attraversato il varco, ma per quanto
ne sapevano potevano essere trascorse anche diverse ore, e ripresa coscienza
del fatto di essere riusciti in qualche modo a sopravvivere i ragazzi si
avvidero di stare navigando sopra una sterminata distesa di sabbia.
E quello
che era peggio, era chiaro come il sole che splendeva sopra le loro teste che
la nave non in quelle condizioni non avrebbe volato ancora a lungo, infatti
stava già iniziando a perdere quota.
«Ma che
diavolo sta succedendo!?» sbraitò Quintus «Che ci facciamo nel bel mezzo del
deserto!?»
«Non è
possibile!» disse Louise «Io ho aperto il varco perché si riaprisse in mezzo al
mare!»
«Probabilmente
il varco non è stato creato con la giusta cura.» ipotizzò Colbert
«Ne
parliamo dopo, ora cerchiamo di arrivare a terra vivi!» tagliò corto Kaoru
«Iniziare manovre per atterraggio di emergenza!»
«Sì
comandante!»
«Diminuire
la velocità! Portiamoci al rodaggio minimo!».
La
Valliere effettivamente iniziò quasi subito a perdere di spinta, ma nonostante
ciò questo non le impedì di continuare imperterrita nella sua discesa verso il
basso.
«Così
non va, non riusciamo a rallentare!» ringhiò Quintus
«Se
tocchiamo terra a questa velocità ci disintegreremo.» disse Kaoru «Alleggerire
il carico! Gettate fuori bordo tutto quello che non ci serve! Convogliare tutta
l’energia che ci resta nella pietra di levitazione, anche quella propulsiva! Se
riesce anche solo a farci planare dovremmo farcela!».
Era
un’operazione rischiosissima, far passare tutta quella magia in un sistema di
alimentazione già di per sé non adatto a sopportare un simile carico, e che
tenuto conto anche dei danni riportati rischiava di collassare polverizzando
l’intera nave assieme a tutto il suo equipaggio.
Invece,
per chissà quale miracolo, il sistema resse, e la pietra, ancora attiva, prese
a risplendere ancora più forte, riuscendo da sola a sopportare le quarantamila
e passa tonnellate della Valliere. La nave, a quel punto, seguitò per inerzia a
procedere in avanti, ma la sua velocità di discesa calò sensibilmente.
Il
problema però restava il suolo sottostante, costellato di dune e formazioni
rocciose che, se colpite anche solo blandamente, rischiavano di fare a pezzi la
nave.
«Laggiù!»
indicò ad un certo punto Seena.
Tutti
volsero lo sguardo in quella direzione; ad un paio di miglia a sinistra della
nave, come un immenso lago asciutto, vi era una enorme dolina pianeggiante,
ideale per un atterraggio di emergenza.
«Se
riusciamo a scendere lì, la sabbia morbida attutirà l’urto!» esclamò Kaoru
«Ma come
facciamo a virare?» chiese Quintus «Abbiamo tolto ogni energia anche ai sistemi
di guida! Non possiamo virare!»
«Vuol
dire che ricorreremo a sistemi poco ortodossi».
Era
risaputo che un qualunque peso risultava meno difficoltoso da spostare se
sospeso nell’aria.
C’erano
cinque draghi imbarcati in quel momento a bordo della Valliere, che furono
subito fatti decollare; guidati dai loro cavalieri, afferrarono saldamente la
prua della nave con le zampe posteriori, per poi prendere a tirare con tutta la
loro forza.
A loro
si unì anche il professor Colbert, che invocò le raffiche di vento più forti
che gli riuscì di creare, e alla fine, incredibilmente, la Valliere prese
lentamente a virare, riuscendo infine a mutare la propria direzione proprio
verso la dolina.
Come
presero a sorvolare l’immensa distesa, abbassandosi sempre di più, quale
ulteriore misura precauzionale Kaoru ordinò di inondare la sabbia con tutta
l’acqua imbarcata sulla nave tramite le pompe antincendio per renderla ancora
più soffice e attutirsi la caduta; rischiavano di restare senza riserve in un
luogo in cui l’acqua valeva come l’oro, ma per il momento l’importante era
restare vivi.
A quel
punto, tutto era nelle mani del destino.
«Reggetevi!»
urlò Kaoru quando ormai mancavano pochi metri al suolo.
Tutti
sulla plancia fecero appena in tempo a buttarsi a terra, aggrappandosi a
qualunque cosa avesse anche solo un aspetto solido, che la prua della nave
toccò il suolo sprofondando violentemente nella sabbia assieme al resto della
chiglia.
L’urto,
pur alleggerito, fu davvero tremendo, abbastanza da far tremare e scricchiolare
tutta la Valliere. I ragazzi furono sbalzati in ogni direzione, e qualcuno
perse anche la presa sul proprio appiglio, fortunatamente senza conseguenze.
Per
interminabili secondi, così lunghi da sembrare ore, la Valliere seguitò a
strisciare sulla sabbia, fortunatamente senza prendere fuoco, o peggio ancora
frantumarsi, lasciandosi alle spalle un solco profondissimo e vere e proprie
eruzioni di polvere; poi finalmente, giunta quasi al centro della dolina, si
fermò, ed era a tal punto sprofondata nella sabbia che rimase quasi immobile,
inclinandosi solo leggermente verso sinistra.
Dopo
molti attimo, la prima che ebbe il coraggio di aprire gli occhi fu Kiluka, la
quale si meravigliò del fatto stesso di poterlo fare.
«Siamo… siamo vivi!?».
A quel
punto, tra l’equipaggio esplose la gioia.
Passato il comprensibile
momento dei festeggiamenti, venne quello di fare la conta dei danni.
I
marinai si misero subito all’opera. Come prima cosa bisognava riparare i
sistemi di alimentazione per permettere alla nave di alzarsi nuovamente in
volo, e grazie al cielo i ricambi non mancavano;oltretutto, come una rapida osservazione dei
dintorni da parte di Bidashal e degli altri elfi aveva dimostrato, si trovavano
in una zona di deserto ad una sessantina di miglia dalla capitale, e quindi
relativamente vicini al mare.
Louise
tra tutti era la più provata; evocare quel portale le era costato un’enorme
fatica, ma tutto sommato stava abbastanza bene.
«Come
stai?» continuava tuttavia a chiederle Saito
«Tranquillo.
Ora è tutto a posto.» rispondeva ogni volta lei, mentre la debolezza scompariva
poco a poco.
Kaoru e
Quintus nel mentre erano ai piedi della nave, intenti ad ispezionarne i danni
esterni.
«Alla
fine di tutto, non è così grave come si potrebbe pensare.» disse il comandante
«Sarà sufficiente qualche riparazione di fortuna e potrà reggere il mare senza
problemi.»
«Sarà
meglio fare in fretta.» disse Kaoru «Sicuramente quegli elfi ci staranno ancora
cercando».
Improvvisamente,
senza un apparente motivo, Quintus si mise dritto sull’attenti, portandosi la
mano alla fronte.
«Signore!»
disse solennemente «Mi scuso anzitempo per quello che sto per fare!»
«Come!?».
Un
diretto da knock out si abbatté come una cannonata
sullo zigomo del ragazzo, che colto alla sprovvista non riuscì in alcun modo a
schivarlo o incassarlo e precipitò a sedere sulla sabbia dopo averlo preso in
pieno.
Tutti
coloro che avevano visto rimasero di stucco, e lo furono ancora di più quando
si avvidero dell’espressione furente comparsa da un istante all’altro
negl’occhi di Quintus.
«Si può
sapere che ti è saltato in mente?» tuonò sovrastandolo
«Quintus,
che succede?» disse Saito avvicinandosi di corsa con tutti gli altri
«Ti
rendi conto che avresti potuto ucciderci tutti, assieme a molti altri
innocenti? Si può sapere per quale motivo ti sei comportato così, prima?»
«Kaoru,
ma di che sta parlando?» chiese Louise.
Nessuno
dei due rispose, e anzi Kaoru chinò il capo, lo sguardo perso in una
espressione confusa che nessuno gli aveva mai visto.
«Noi
tutti abbiamo grande rispetto per voi, comandante.» disse ancora Quintus
placando il tono della voce, quasi mortificato «Senza il vostro aiuto non
saremmo mai stati in grado di cavarci dalle molte situazioni difficili che ci
sono toccate in sorte. E proprio per questo risulta difficile a noi tutti, e a
me in particolar modo, riuscire a capire il perché di un tale comportamento».
Di
nuovo, Kaoru esitò prima di rispondere.
«Io non
so che cosa mi sia preso.» disse guardandosi le mani «Ogni tanto mi sento come
se ci fosse un’altra persona dentro di me, un essere sanguinario e violento,
che a malapena riesco a controllare.»
«E
sarebbe questo altro te stesso a farti agire in questo modo?» domandò Colbert,
che aveva capito a sua volta
«Ci
convivo dal primo giorno della mia vita di cui abbia memoria. Di solito riesco
a contenerlo, ma alle volte viene fuori, e a quel punto neppure io mi rendo
conto di quello che faccio».
Seguì un
nuovo silenzio, poi Saito si fece avanti, porgendo la mano all’amico.
«Te l’ho
già detto, se non sbaglio. Non sei da solo a combattere questo altro te stesso,
o qualunque cosa sia.
Hai un
sacco di compagni pronti ad aiutarti, quindi non esitare mai a chiedere il
nostro sostegno.»
«Saito…».
Kaoru
restò un attimo basito, poi, ritrovato il coraggio, accettò l’aiuto di Saito a
rialzarsi.
Il
lavoro riprese, alacremente e con ritrovata fiducia. Tutti sapevano che Eshamel
e i suoi seguaci non si sarebbero arresi, ed era necessario andarsene quanto
prima per evitare guai.
Gli
elfi, però, sembravano inquieti, e Bidashal in particolare. Da che avevano
toccato terra se ne era rimasto da solo, in disparte sulla cima di una duna,
con gli occhi fissi sull’orizzonte e l’espressione preoccupata.
Luctiana
lo raggiunse; anche lei sembrava avere qualcosa per la testa.
«È
decisamente un segno del destino.» disse Bidashal sospirando
«Vorresti
dirglielo?».
I due
elfi si guardarono, quindi tornarono da Saito, impegnato assieme agli altri
marinai a spalare la sabbia per liberare la Valliere e permetterle di
decollare.
«C’è una
cosa che vorremmo mostrarvi.» disse Bidashal «A te e a Louise.»
«Di che
si tratta?»
«Lo
vedrai quando saremo arrivati.» tagliò corto Luctiana «Fidati, è importante.»
«Non è
molto lontano da qui. Camminando di buona lena, in poche ore potremmo
arrivarci.»
«Come
volete, ma non sarà facile muoversi in questo deserto. L’acqua è razionata, e i
nostri draghi sono ancora esausti. L’unico che non lo era lo ha preso Ari per
andare in perlustrazione.»
«Questo
non sarà un problema.» disse Kaoru sopraggiungendo assieme al professor
Colbert.
A bordo della nave, oltre
alle armi e agli aerei, vi era anche un autoblindo abbastanza grande da portare
otto persone, ed equipaggiato in modo da poter viaggiare tranquillamente anche
nelle infide sabbie del deserto.
Così,
Saito e Louise si misero in viaggio, accompagnati dai due elfi e da Kaoru,
l’unico che sapesse come si guidava quell’affare; c’erano anche il professor
Colbert, Tifa, e Kiluka, invitati su esplicita richiesta di Bidashal.
Anche
Seena si sarebbe voluta unire al gruppo, se non altro per seguire la sua
signorina, ma i posti erano quelli che erano.
«Tranquilla.»
aveva detto Louise «La terremo d’occhio».
Viaggiarono
per una trentina di minuti, seguendo le indicazioni di Bidashal, seduto al
posto del passeggero, fino a che il lontananza non cominciò a comparire una
costruzione, ma solo quando vi furono ai piedi i ragazzi poterono percepirne le
reali dimensioni.
Doveva
trattarsi di un tempio, o forse di un palazzo, ma in ogni caso era immenso,
anche se erano evidenti i segni di un lungo e inevitabile declino.
Tramite
un lungo viale lastricato si accedeva ad un edificio formato da un basamento
rettangolare raggiungibile tramite un’altissima scalinata e sormontato da tre
alte piramidi, con quella centrale a svettare sopra le altre, e un po’ ovunque
dalla sabbia spuntavano guglie, minareti e un numero incalcolabile di statue;
contornava il tutto un ampio colonnato formato da una selva di obelischi, molti
dei quali ormai erano parzialmente crollati, che come sbarre di una gabbia
cingevano l’edificio formando un cerchio perfetto.
Il tempo
aveva fatto il suo dovere, e così il deserto, poiché era evidente anche ad
occhio nudo che una parte più o meno grande della struttura doveva essere stata
sepolta, per non parlare dell’aspetto diroccato e decadente, anche se tutto
sommato le mura sembravano alla vista abbastanza solide e ben conservate.
«Questo
posto è immenso.» disse incredulo Saito, rimasto come tutti gli altri a bocca
aperta
«È uno
dei luoghi più sacri del popolo elfico.» disse Luctiana «Lo chiamiamo SanekMaktur.»
«La
Culla del Sapere.» tradusse Colbert.
Bidashal
evocò nelle mani una sfera di luce, palesando la su volontà di varcare il
portone mezzo sfondato dell’edificio in cima alle scale.
«Il
motivo dell’odio tra le nostre razze, e la ragione del terrore degli elfi per i
maghi del vuoto, sono entrambe racchiuse in questo luogo.» disse aprendo il
gruppo «Seguitemi».
Tutti a
quel punto si accodarono, ma Kaoru rimase indietro, guardandosi attorno con
aria spaesata.
Aveva
una strana sensazione.
Avvertiva
un qualcosa di insolito in quel luogo, quasi di famigliare, e nella sua mente
era un susseguirsi di suoni, rumori, e pensieri evanescenti.
«Kaoru,
cos’hai?» domandò Seena vedendo la sua espressione spaesata
«Niente.»
dissimulò lui tornando in sé
«Sei
sicuro?» disse Louise «Sei pallido.»
«È solo
colpa del sole. Non ci sono abituato. Voi andate pure avanti, io vi raggiungo
subito».
Saito e
gli altri non erano del tutto convinti, ma alla fine vollero fidarsi del loro
amico; dopotutto aveva passato un gran brutto momento, ed era naturale che
volesse restare un po’ da solo. Così, lo lasciarono solo.
Ari sorvolava il cielo
ormai da un paio d’ore, nella speranza che quanto prima lo chiamassero con
quella strana scatolina nera per avvisarlo che tutto era pronto e che potevano
ripartire.
Gli
umani erano proprio degli incapaci. Era bastato un niente per sfinire i loro
draghi, e come se non bastasse non erano neanche paragonabili come capacità e
velocità a quelli usati dal suo popolo. Di sicuro gli addestratori di draghi
umani avevano ancora molto da imparare.
Oltretutto
il drago che stava cavalcando non sembrava averlo preso in simpatia, forse
percependo l’astio nei suoi confronti, e ignorava bellamente la maggior parte
dei comandi, oppure li eseguiva solo dopo ripetuti richiami.
«So che
non ti sono simpatico.» mugugnò infine l’elfo «Ma per fortuna la nostra
collaborazione non durerà ancora a lungo. Cerchiamo di andare d’accordo solo
per un po’, poi ognuno per la sua strada».
L’animale
sembrò capire, e infatti prese ad obbedire con più celerità, diventando
maggiormente controllabile.
D’improvviso,
in lontananza, i suoi occhi di elfo scorsero nitidamente qualcosa, e
fortunatamente riuscì ad infilarsi in una nuvola giusto in tempo per non venire
avvistato. Un attimo dopo, sotto i suoi occhi vide passare una grossa aeronave
elfica da combattimento, e nonostante la vista annebbiata poté scorgere
nitidamente Eshamel ed Eruvere in piedi sul ponte di comando, lo sguardo all’orizzonte
e l’espressione tronfia, di chi sa di essere prossimo alla vittoria.
Attaccarli
era un suicidio, e dovette attendere che si allontanassero per uscire dal suo
nascondiglio.
«Maledizione,
hanno fatto prima del previsto!» ringhiò.
Veloce come
più non poteva fece ritorno alla nave, passando per un percorso alternativo per
non rischiare di farsi localizzare, ma tornato indietro trovò con suo grande
sgomento la Valliere già assaltata e sopraffatta da un nutrito schieramento di
truppe ed aeronavi capeggiate da Maddarf.
Quintus
e i suoi uomini erano stati colti di sorpresa, e prima che potessero abbozzare
una qualche difesa erano stati immediatamente circondati, quindi non avevano
avuto altra scelta che arrendersi.
Ora erano
tutti ammassati sul ponte, inginocchiati e legati, e anche se gli elfi non
avevano idea di come farla funzionare la Valliere era virtualmente persa.
Per fortuna
Ari fu abbastanza accorto e scaltro da non farsi vedere, ma questo non migliorava
la situazione.
«Dannati
schifosi.» mugugnò serrando i denti «Sono passati per strade alternative».
Subito dopo,
però, tenendo conto anche del fatto che non vedeva traccia del suo maestro e
dei suoi amici umani tra i prigionieri, lo colse un atroce sospetto: se la
Valliere era già stata presa, allora dov’era diretta quell’aeronave che aveva
schivato per poco?
Invece che migliorare, il
malessere provato da Kaoru fin dall’istante in cui aveva messo piede in quel
complesso monumentale si stava facendo sempre più insistente.
Era come
se qualcuno gli stesse sussurrando perennemente nell’orecchio, anche se tutto
quello che gli giungeva era solamente un brusio confuso ed insopportabile, da
fargli venire voglia di strapparsi i timpani.
«Che
cosa ti succede, compare?» gli chiese Derf, senza però ottenere alcuna
risposta.
Quella sensazione
lo tormentava.
In qualche
modo, era sicuro di esserci già stato in quei luoghi.
Ma quando?
E perché?
Non era
la prima volta che provava quella sensazione. Gli era capitato anche a Fort Segoile, a Tristania, e qualche
volta gli capitava perfino a Grasse, ma ora era quasi insopportabile. Forse era
per via dell’imponenza e della maestosità di quelle rovine, forse a causa del
potere di cui erano sicuramente permeate, fatto sta che non riusciva a
togliersi quel fastidio dalla testa.
Prese a
camminare senza meta, estremo tentativo di non pensarci, ma ogni volta che
alzava gli occhi dalla sabbia tutto ricominciava, diventando sempre più forte.
Ogni sasso,
ogni colonna, ogni geroglifico che copriva i muri sembrava chiamarlo, e
volergli raccontare qualcosa.
Continuò
a ripetersi di non doverci pensare, se non che, da un istante all’altro, quel
suono indistinto sembrò acquistare di colpo un po’ più di significato,
tramutandosi in un coro di voci sovrapposte ma in qualche modo nitidamente
percepibili.
Una luce
invisibile lo accecò per un attimo, e quando riaprì gli occhi non era più solo.
Attorno a
lui c’erano decine di persone, soldati di Tristain apparentemente, intenti a
posizionare in ogni dove strani barilotti in legno, sotterrandone alcuni e
lasciandone altri ai piedi dell’edificio principale.
Sembravano
un esercito di fantasmi, tanto apparivano lontani e indistinguibili.
O forse
il fantasma era proprio lui.
Difficile
a dirsi.
Quale
che fosse la verità quegli uomini non lo degnavano di uno sguardo, seguitando
nel proprio lavoro come non si fossero neppure accorti della sua presenza.
Una voce
lo scosse.
«Mi
raccomando, piazzatele dappertutto! Questo posto deve essere ridotto in
macerie!».
Voltatosi,
i suoi occhi furono catturati da un individuo in piedi sopra ad una montagnola
di sabbia che gli dava le spalle, rinchiuso all’interno di una scintillante
corazza argentata e con un lungo mantello a coprirgli le spalle, nero e fluente
come i suoi capelli.
Fece qualche
passo avanti, verso quella figura dalla quale si sentì stranamente attratto,
senza che però questa, come tutte le altre, si accorgesse di lui.
«Comandante,
abbiamo finito.» disse un soldato avvicinandosi a lui «Possiamo far saltare in
aria il tempio in qualunque momento.»
«Molto
bene. Fai ritirare tutti e da ordine alla Valliere di preparare tutto per una
rapida fuga. In fin dei conti, siamo in pieno territorio nemico».
Solo in
quel momento Kaoru si accorse di avere la Valliere a levitare sopra la propria
testa, intatta e scintillante come appena riparata, e senza alcun segno
apparente dello scontro da cui invece era appena uscita.
Nell’istante
in cui il giovane rivolse il proprio sguardo prima alla nave e poi nuovamente
dinnanzi a sé l’uomo in armatura si volse, e nell’istante in cui furono occhi
negli occhi Kaoru si sentì morire dentro.
«Ma cosa…» riuscì a balbettare con la bocca spalancata.
Poi,
come quando ci si risveglia da un brutto sogno, tutto scomparve, interrotto da
uno sgradevole suono di passi di corsa.
Pur sconvolto,
Kaoru si fece forte del proprio addestramento da soldato, anche se come ritornò
in sé, mettendo subito mano all’elsa della spada, si ritrovò immediatamente
circondato da un piccolo esercito di elfi, tutti con le spade e le lance sguainate
e puntate nella sua direzione.
Davanti
a lui, Eshamel ed Eruvere, che lo fissavano sornioni.
«E
questo sarebbe l’umano di cu avevate tutti paura?» pontificò Eshamel «A me
sembra uguale a tutti gli altri. Forse anche persino più sprovveduto.»
«Che ti
succede?» gli domandò Eruvere «Ti eri addormentato?».
Kaoru malgrado
tutto non sembrava determinato ad arrendersi, malgrado fosse da solo contro una
trentina di elfi.
«Compare,
sei sicuro di volerlo fare?» gli domandò Derf
«Il tuo
amico ha ragione.» disse Eshamel «Sarai anche forte, ma affrontare da solo
tutti i miei uomini è un suicidio. Se ti lasci semplicemente uccidere ti
risparmierai ulteriori sofferenze.»
«Mettimi
alla prova.»
«Come
vuoi».
Ad uno
schioccare di dita gli elfi partirono all’attacco, e con la stessa rapidità
Kaoru prese a farne scempio.
Ciò nonostante
era una sfida impari, ed il ragazzo incassò più di un colpo, fortunatamente non
letali, ma sufficienti ad indebolirlo.
Con la
forza della disperazione Kaoru riuscì ad eliminare più di una decina di
avversari, spaventando a tal punto i superstiti da spingerli a tenere le
distanze.
Passato il
momento di sicurezza persino Eshamel prese a spaventarsi, mentre di contro
Eruvere rimaneva calmo ed impassibile.
Improvvisamente,
Eruvere fece un passo avanti, puntando il dito contro Kaoru.
«Fermo!»
annunciò come un editto.
Kaoru era
molto provato, e tutto gli faceva male, ma in quell’istante si ritrovò come
paralizzato, incapace di muoversi. Il suo corpo, già rigido, sembrò farsi di
pietra, e per quanto si sforzasse non gli riusciva di far altro che tremare
vistosamente, senza però poter muovere neppure un dito.
«Compare!
Che ti succede?»
«Non… non riesco… a muovermi…»
Tutti,
tra gli elfi stessi, restarono basiti.
«E ora…»
sorrise Eruvere «Usa quella spada… su te stesso».
Di nuovo,
Kaoru sentì di non avere il controllo del suo corpo, il quale, piantatosi a
terra a gambe divaricate, afferrò saldamente la katana per la lama,
rivolgendola verso di sé all’altezza del cuore. Il ragazzo combatteva con tutte
le sue forze, ma non c’era niente da fare. Era come se qualcun altro lo stesse
muovendo attraverso dei fili, quasi fosse stato una marionette.
«Compare!».
Un solo
colpo, violentissimo. Kaoru quasi si trapassò da parte a parte, e come ritrasse
la lama la sabbia si tinse del sangue che prese a sgorgare a fiotti sia dalla
ferita che dalla bocca e dal naso, violentemente tossito all’esterno negli
spasimi della morte.
Il ragazzo
non riusciva a crederci, così come non riusciva a credere di essere giunto alla
fine. Avvinto, rantolò nel suo sangue, finalmente libero dalle catene ma
moribondo.
«Non
temere.» riuscì a sentire mentre la vista gli si offuscava e gli occhi si
chiudevano «Non sarai solo nella strada per l’oltretomba. Altri verranno presto
a farti compagnia».
Nota dell’Autore
Eccomi qua!^_^
È passato un po’ di tempo, ma finalmente
sono riuscito ad aggiornare.
Un capitolo interessante, che ne dite?
Il prossimo, ve lo garantisco, lo sarà
ancora di più!
Comunque state tranquilli, stavolta non vi
farò aspettare tanto. Dopotutto non sarei mai così fetente da far passare
troppo tempo dopo aver concluso il capitolo in un modo simile.
Le pareti interne del
tempio erano tutte un’unica, immensa distesa di geroglifici e bassorilievi.
Quel
posto era una vera macchina del tempo della storia elfica, ed era un peccato
non riuscire a capire cosa quelle scritte millenarie avessero da dire, tanto
antico e morto era l’alfabeto utilizzato.
Il
professor Colbert era il più meravigliato di tutti, e sembrava un bambino in un
negozio di giocattoli; avrebbe passato la vita a studiare quei simboli nella
speranza di decifrarli, e anche Saito e gli altri erano senza parole.
«Non restate
indietro.» li ammonì Bidashal vedendoli ammaliati dallo spettacolo che avevano
intorno «In questo posto perdersi è molto facile».
Gli elfi
condussero i ragazzi dapprima attraverso l’immenso atrio circolare prospiciente
l’ingresso, quindi lungo l’intricato reticolo di scale, corridoi e rampe che
scendevano verso il basso, a riprova del fatto che quel luogo era in realtà
molto più grande e imponente di quanto apparisse in superficie.
Ogni
singolo angolo, ogni muro, era decorato, e fu sorprendente notare come molti
dei bassorilievi che coprivano le pareti raffigurassero apparecchiature
apparentemente anacronistiche rispetto al periodo a cui quelle rovine dovevano
risalire, quali aeronavi, armi da fuoco e varie altre tecnologie proprie
dell’odierna Halkengina.
Ma la
sorpresa più grande doveva ancora venire.
Nel
punto più profondo di quella monumentale struttura sorgeva una stanza immensa,
una vera cattedrale sotterranea perfettamente circolare, fatto salvo una specie
di ampio altare rettangolare opposto all’ingresso posto su di una rampa
leggermente rialzata, sul quale capeggiava un imponente trono di pietra; il
soffitto, altissimo, era a volta, così alto che le torce non riuscivano ad
illuminarlo, mentre sul pavimento era tracciato quello che aveva tutta l’aria di
essere un pentacolo magico a cinque punte, simile a quelli usati dagli umani, con
altrettanti troni poco più piccoli del primo ad ogni sommità a formare quasi
una tavola rotonda.
E poi
geroglifici, ovunque e di ogni dimensione, così tanti da far impallidire
persino il più saggio degli studiosi.
«È
incredibile.» disse Kiluka
«La Sala
della Memoria.» disse Bidashal «In queste rovine è racchiusa tutta la nostra
storia.»
«Mai
visto niente di simile.» disse Colbert «Questi geroglifici sono antichissimi. E
questi disegni, poi… che cosa raffigurano?»
«Ho
trascorso tutta la vita a studiare questo luogo, e nonostante tutto sono
riuscito a ricostruire solo una parte infinitesimale delle innumerevoli
testimonianze trascritte su queste pareti.»
«Per
centinaia d’anni, questo postò è stato tabù per la nostra gente.» disse
Luctiana «E teoricamente lo è ancora oggi. Il professor Bidashal si è preso
molti rischi per poterlo esplorare.»
«Ma ne è
valsa la pena. Questi geroglifici raccontano la nostra storia più antica. Sono
lo scrigno che custodisce le origini della nostra civiltà. Anzi, di tutto
questo continente.» quindi Bidashal si incupì «Anche il lato più oscuro»
«Che
intendi dire?» domandò Saito.
L’elfo
iniziò così una lunga ed incredibile narrazione, illuminando di volta in volta
con il suo globo magico le porzioni di muro che come una pellicola si
dipanavano nel raccontare la più antica delle storie.
«Tutto
ebbe inizio all’incirca ottomila anni fa. Un’epoca lontana, in cui tutti i
popoli di Halkengina vivevano ancora da selvaggi, cacciando nei boschi e
dormendo nelle grotte.
Un
giorno, i saggi dèi che governano tutte le cose osservarono dall’alto questo
mondo, e videro che gli elfi, malgrado tutto, erano degni di ricevere la loro
conoscenza.
Così,
discesero dal cielo, portando sulla terra la loro città celeste, e nel luogo in
cui essi posarono i piedi sorse come d’incanto una valle rigogliosa,
traboccante di vita.
Fecero
dono della magia agli elfi, ed in cambio essi li adorarono, erigendo in loro
nome questo grande tempio per celebrare la loro magnificenza.
Nell’arco
di questi secoli questa giovane civiltà crebbe, perennemente illuminata dalla
luce degli dèi, fino ad abbracciare tutta la parte orientale di Halkengina.
Come
simbolo del loro amore per la razza degli elfi, i saggi dèi scelsero tra loro
cinque dei più illustri sapienti, perché diventassero le guide del nostro
popolo conducendolo alla grandezza, e facendo dono ad ognuno del controllo del
controllo di un elemento, cosicché nessuno sarebbe potuto esistere senza gli altri
al fine di preservare l’ordine del mondo.
In
principio questi cinque guardiani regnarono in armonia, nel rispetto dei
vincoli di lealtà e fratellanza. Ma poi, un brutto giorno, uno di loro iniziò
ad ambire ad ottenere maggior potere.
Ciò che
per volontà divina era stato creato per essere unito, venne diviso dai più
bassi desideri mortali. Mosso dall’avidità, costui insegnò la magia anche agli
uomini, primitivi e violenti, e ne fece il proprio esercito.
Forti
del loro nuovo potere, gli umani attaccarono queste terre, e ne nacque una
guerra apocalittica. I quattro guardiani rimasti fedeli al proprio credo
tentarono a lungo di riportare il loro compagno alla ragione e porre fine al
conflitto, ma più la guerra procedeva più loro stessi iniziarono a cadere preda
della sete di potere.
Il male
del mondo mortale aveva infine corrotto anche gli dèi, e quello che era
iniziato come un conflitto tra due razze, così, divenne un devastante scontro
fratricida senza veri schieramenti.
Gli
uomini combattevano gli uomini, gli elfi combattevano gli elfi, e tutta
Halkengina sprofondò in un bagno di sangue. Nel pieno di questo massacro, i
cinque guardiani finirono per uccidersi a vicenda, e con la loro morte la
guerra ebbe finalmente fine.
Ma di
quella civiltà, e della sua grandezza, ormai non rimaneva più niente.
Una cosa
però era certa. Umani ed elfi ormai non avrebbero più potuto vivere in armonia,
giacché gli elfi accusavano gli umani di aver contribuito a far sorgere la
apocalisse, mentre viceversa gli umani imputavano agli elfi di non aver voluto
dividere dal principio con loro le conoscenze degli dèi lasciandoli nella loro
barbarie preistorica.
Le due
razze furono così divise da un’atavica rivalità, unita solo dal terrore comune
per quel potere oscuro che era stato all’origine di tutto quel male, e
separatamente ricostruirono ognuno la propria civiltà, mentre quella che le
aveva precedute andò invece incontro all’oblio».
Negli
sguardi di tutti, da Saito al professor Colbert, Bidashal e Luctiana lessero
l’incredulità più assoluta; anche Tiffa era sconvolta, non avendo mai saputo
niente di tutta quella storia, tanto era stata dimenticata e sepolta per
secoli.
Gli
occhi di tutti in particolare erano rivolti al bassorilievo che mostrava la
discesa degli dèi sulla terra, in piedi sopra la loro città celeste che come un’astronave
planava dalle stelle tra l’adorazione degli elfi prostrati sotto di essa.
«È una
storia quasi inverosimile.» disse Louise
«In
effetti, nei resoconti storici della nostra razza.» spiegò Colbert ugualmente
atterrito «Non vi è alcuna menzione sull’uso o sulla conoscenza della
stregoneria che risalga a prima di seimila anni fa.»
«Quindi,
il dio che iniziò la guerra sarebbe stato colui che custodiva la magia del
Vuoto.» disse Saito
«È
così.» rispose Luctiana «Le iscrizioni parlano di un potere più grande di
qualunque altro mai visto prima, in grado di manipolare lo spazio e il tempo
equiparando da solo gli altri quattro elementi messi insieme.»
«Ora è
chiaro.» disse ancora il professor «Ecco spiegato l’odio degli elfi. Odiano gli
uomini per aver provocato il crollo della loro prima civiltà, e temono i maghi
del vuoto perché incarnano il potere di colui che ha reso possibile questo
crollo.»
«Seppur
con alcune imprecisioni e le inevitabili sporcature
proprie della tradizione orale.» spiegò Bidashal «Questa storia è nota a tutti
sottoforma di leggenda. Per molto tempo ho creduto che non si trattasse d’altro
che di questo, ma quando ho visto tutto questo le mie certezze sono crollate».
Una
raffica di fasci luminosi irruppe alle spalle dei ragazzi interrompendo la
discussione, e anche se nessuno rimase ferito quando i ragazzi si voltarono si
videro la via di fuga sbarrata da un nutrito schieramento di guardie elfiche,
al cui comando vi erano Eruvere ed Eshamel.
«La lezione
di storia è finita, amici miei.» disse malevolo Eruvere.
All’esterno era rimasta
solo una coppia di soldati al comando di Maddarf, che come la tradizione
comandava avevano dato sepoltura ai loro compagni morti nello scontro con Kaoru
e stavano ora sorvegliando l’entrata.
«Non
dovremmo seppellire anche lui?» domandò una delle guardie buttando un occhio al
corpo di Kaoru, riverso sulla pancia in un lago di sangue
«Un
umano?» replicò l’altro disgustato «E dopo quello che ha fatto ai nostri
compagni? Che se lo mangino gli sciacalli».
Maddarf
si avvicinò al giovane umano, certamente morto, cercando di scorgere qualcosa
in quel suo volto martoriato.
«Seppellitelo.»
«Come!?»
disse il secondo, basito
«Ha
combattuto con valore. Si merita una tomba decorosa.»
«Ma
signore, è un Umano!»
«E noi
siamo elfi. Migliori degli umani.
E ogni
guerriero merita il medesimo rispetto, se ha combattuto con valore.
Fate
come vi ho detto.
Io torno
all’ingresso».
Seppur
con evidente disappunto, soprattutto da parte del secondo, i due soldati si
misero al lavoro, e mentre uno scavava una fossa abbastanza profonda l’altro,
raccolta una pietra, prese ad intagliarla con la magia per darle le fattezze di
una lapide da apporvi sopra.
Entrambi
davano le spalle al corpo, ed entrambi, ad un certo punto, ebbero l’impressione
di sentire qualcosa alle proprie spalle, come un rumore di sabbia smossa.
Si
voltarono, e furono sorpresi nel vedersi l’un l’altro fare la stessa cosa, come
lo furono nel rendersi conto che nessuno dei due era responsabile di quello
strano rumore.
Il corpo
era ancora lì, immobile, e da sotto di esso fece capolino uno scorpione,
emergendo dalla sabbia con le sue chele e il pungiglione velenoso.
«Al
diavolo.» brontolò uno, ed entrambi tornarono al loro lavoro.
Quello
intento a scavare aveva ormai quasi completamente terminato il proprio lavoro;
non che si fosse impegnato troppo, visto che per come la vedeva quel cane
schifoso non meritava neppure di essere sepolto in una fossa comune.
Il suo
compagno lo sentì improvvisamente rantolare, e nel momento in cui si girò il
suo volto divenne una maschera di terrore.
Passò
qualche istante, e un urlo straziante ruppe il silenzio del deserto, mettendo Maddarf
sul chi vive.
«Che
succede?» esclamò svoltando l’angolo dove aveva lasciato i suoi uomini, la
spada già sguainata e pronta a colpire.
Niente e
nessuno, neppure le divinità infernali, sarebbero state capaci di terrorizzarlo
a tal punto.
Quello
che vide, o che non vide, lo lasciò impietrito per la paura, a tremare come una
foglia.
Non
riuscì a parlare, né a muoversi. Poteva solo guardare quella…
quella cosa che, accortasi di lui, emise un gemito, come una specie di roco
ruggito, per poi scattare fulminea.
Un nuovo
urlo, più tremendo del primo, riempì l’aria, e subito dopo fu di nuovo assoluto
silenzio.
«Come avete fatto a
trovarci?» ringhiò Bidashal mentre i soldati facevano cerchio attorno a loro
mettendoli in trappola
«Sei
sempre stato un tipo poco previdente, Bidashal.» rise Eshamel «L’onda d’urto
magica creata da quel portale magico si sarà sentita in mezzo continente. Ci è
bastato seguirla».
Era una
situazione disperata, ma non si sarebbe mai detto che Saito e gli altri
sarebbero caduti senza lottare.
Come
vide Saito e Luctiana mettere mano alle spade, Eshamel puntò immediatamente il
dito contro tutti loro.
«Fermi!»
ordinò, e come già accaduto a Kaoru i ragazzi si ritrovarono impotenti e capaci
di muoversi, totalmente alla mercé del loro nemico.
«Ma cosa…» mugugnò Luctiana «Che mi succede?».
Eruvere
sorrise, e tutti videro comparire sulla sua gola le rune del Vuoto.
«Io sono
Voxegnir. La Voce di Dio. Io parlo, voi obbedite. Una
mia parola può farvi sprofondare nella disperazione.»
«Eruvere… ti prego…» tentò di dire
Tiffa
«Non
temere per la tua vita, giovane mezz’elfa. A te non
sarà fatto nulla, e neanche alla Maga del Vuoto. Voi siete molto importanti per
noi».
Uno dopo
l’altro, Eruvere scrutò tutte le sue altre vittime, e quando i suoi occhi
incontrarono quelli di Kiluka il suo sguardo si fece sorpreso.
Si
avvicinò alla ragazzina, terrorizzandola con la sua figura minacciosa, e tutto
quello che Kiluka poté fare fu rimanere immobile mentre lui la sollevava di
peso tenendola per la gola.
«Lasciala,
maledetto!» urlò Saito tentando inutilmente di muoversi.
L’elfo
le scoprì la pancia, rivelando le rune che vi erano impresse.
«Sei
anche tu un Famiglio del Vuoto.
E sei
anche potente, da quello che vedo. Ma sembra che tu non abbia ancora trovato un
signore da servire.
Il mio
padrone è generoso, e molto potente. Sempre alla ricerca di valorosi compagni
che possano mostrarsi degni del suo potere. Sono sicuro che sarebbe felice di
accoglierti nelle sue fila».
Kiluka
tergiversò, sembrava indecisa. Certo, l’ipotesi di avere finalmente un mago del
vuoto da servire non doveva lasciarla indifferente.
«Kiluka,
non ascoltarlo!» tentò di dire Colbert, salvo poi venire messo subito a tacere
da un pomo di spada nello sterno
«Forza,
piccola.» disse ancora Eruvere «Fai la cosa giusta».
Ma
Kiluka non era certo una stupida, e la sua risposta fu uno sguardo che, da
smarrito, si fece di colpo sprezzante.
«Io non
servirò mai il tuo padrone. Non lo voglio un padrone malvagio come il tuo.» e
concluse con uno sputo ben indirizzato che centrò l’elfo dritto in un occhio.
Per
nulla contrariato, almeno in apparenza, Eruvere la mollò, lasciandola ricadere
a terra.
«Hai
fatto la tua scelta».
Fatti
due passi, tornò verso i suoi compagni, e quasi contemporaneamente Eshamel,
come un toro infuriato, caricò Saito, prendendo a tempestarlo di calci.
Schiumava
rabbia, e per tutta la durata del viaggio non aveva pensato ad altro che a far
pagare a quell’umano insolente di averlo quasi ucciso.
«Saito!»
urlò Louise
«Ti
piace? Ti piace, maledetto? Chi è che mangia la polvere adesso? Chi è a terra?
Eh? Rispondimi!»
Saito
era impotente, del tutto alla mercé di quel pazzo, che seguitò a colpirlo fino
a che non ne poté più, dovendosi fermare per mancanza d’aria.
Ma non
era ancora finita. Aveva qualcos’altro in mente.
«Voglio
che sia lei ad ucciderlo.» disse sadicamente indicando Louise «Ordinaglielo,
Eshamel!».
Louise e
Saito si scambiarono uno sguardo atterrito.
«Non
siamo qui per la tua vendetta personale, Eshamel.» tentò di spiegargli Eruvere
«Ho
seguito tutti i tuoi ordini senza mai discutere. Questa volta me lo devi.
Voglio che si sappia. Che si sappia cosa succede a chi osa provocarmi e
mettermi in ridicolo.»
«Non
serve che qualcuno ti metta in ridicolo, ci riesci benissimo da solo.» disse
velenosa Luctiana
«Non
avere fretta. Verrà anche il tuo momento».
Eshamel
era visibilmente impazzito, ed Eruvere pensò che forse per il momento era
meglio assecondarlo.
Quando
si vide puntare contro il dito dell’Elfo, Louise si sentì morire dentro.
«Obbediscimi».
Fu
sufficiente quell’unica parola, e Louise come una marionetta si mosse
meccanicamente verso Saito, ancora agonizzante sul pavimento per tutti i colpi
ricevuti da Eruvere.
«Ti… ti prego…» disse mentre
veniva costretta a raccogliere la spada del compagno «No…
ti prego…».
La
ragazza tentò di ribellarsi, arrivando perfino a cercare di rivolgere la spada
su di sé, ma ciò nonostante afferrò l’elsa con entrambe le mani, e divaricate
leggermente le gambe alzò la spada sopra di sé, la punta rivolta verso la gola
scoperta di Saito, che a sua volta la osservava senza potersi muovere.
Tutti
assistevano impotenti, e per volontà di Eruvere non era loro concesso neppure
di distogliere lo sguardo.
«Sa…Saito…»
«Louise…»
«Non voglio… non voglio…».
Eshamel
ghignò come un demone.
«Fallo!»
«Saito!».
Per
poter controllare le sue vittime, Eruvere era costretto a tenere lo sguardo
costantemente fisso su di loro. Per questo momento, quando d’improvviso una
katana lanciata con tutta la forza possibile lo trafisse ad una spalla, senza
in realtà affondare più di tanto, Saito e gli altri si ritrovarono
improvvisamente liberi.
L’elfo,
chiaramente attonito, si piegò in avanti, ma pur avendo fatto il suo dovere la
lama era penetrata così poco che scivolò fuori dalla ferita ricedendo a terra;
stavolta, voltatisi alle proprie spalle, furono lui ed Eshamel a rimanere di
sasso.
«Tu!?»
ringhiarono in coro.
Kaoru
era lì, accanto all’arco d’ingresso, traballante e provato, ma in piedi, i
vestiti ancora rossi di sangue e una mano poggiata sulla ferita, ancora aperta
ma visibilmente più piccola di quella che, per quanto ricordavano i due elfi,
Eruvere lo aveva costretto ad infliggersi.
«Come
fai ad essere ancora vivo?»
«A dire
il vero… non lo so nemmeno io…».
Ritrovatisi
liberi, i ragazzi colsero al volo l’occasione e si scagliarono contro le
guardie, dando vita ad una violenta battaglia.
Benché
ferito, Kaoru riuscì a recuperare la sua spada e a confrontarsi con Eruvere,
che prese a schivare i suoi fendenti senza accennare una qualche resistenza. Il
ragazzo evitava di guardarlo negli occhi nel timore di poter cadere nuovamente
sotto la sua influenza, e in un certo senso fu sorpreso nel constatare che il
suo avversario non sembrava intenzionato ad agire in tal senso.
«Che ti
succede?» gli domandò con aria di sfida «Non ricorri più a quel trucco».
Eruvere
non rispose, ma il suo sguardo diceva tutto; allora, Kaoru capì.
«Non
sarà forse che ti è consentito usarlo solo una volta?».
Capendo che
aria stava tirando, con le guardie messe sotto dall’abilità di Bidashal e
Luctiana ed Eruvere che per tenere in pugno tutte quelle vittime si era
stancato al punto di non riuscire a combattere contro un nemico ferito, Eshamel
fece per battere in ritirata, ma con grande stupore di tutti da un momento all’altro
il tempio cominciò a tremare, e dall’esterno giunsero violenti rombi di tuono.
Da là
sotto non potevano vederlo, ma la Valliere era di nuovo in volo, malconcia ma
nuovamente in mano ai suoi padroni, e stava cannoneggiando l’aeronave di
Eshamel rimasta al confine del complesso.
Non era
da sola; con lei c’erano cinque aeronavi elfiche, sulle quali sventolava una
bandiera nera con all’interno un grande triangolo rosso.
Data la
spaventosa inferiorità numerica, i soldati fedeli ad Eshamel si arresero quasi
subito, mentre quelli all’interno del tempio, capendo che aria tirava,
cercarono frettolosamente di darsi alla fuga, pur sapendo che così facendo
sarebbero caduti tra le braccia dei loro nemici; ma erano troppo preoccupati
del fatto che il tempio potesse crollare per stare a pensarci.
«Andiamocene
da qui, prima di fare la fine dei topi in trappola!» strillò il capo elfico
fuori di sé.
Eruvere
sembrava conoscere bene quelle rovine, tanto che, invece che dirigersi verso l’uscita,
accecati i ragazzi con un globo di luce corse insieme ad Eshamel verso un’altra
sala vicina a quella dove avevano combattuto, al centro della quale vi era un
pentacolo magico.
Saito e
gli altri provarono a rincorrerli, ma quando li raggiunsero l’elfo aveva già
attivato il pentacolo.
«Non
finisce qui, ve lo garantisco.» disse Eruvere mentre lui ed Eshamel sparivano
«Il nostro piano ormai è in atto! Non potete fermarlo!».
Colbert
fece un ultimo tentativo di bloccare l’incantesimo disturbandolo con la sua
magia, ma fu tutto inutile, e i due riuscirono infine a scappare.
«Maledizione,
se ne sono andati.» ringhiò Bidashal.
A quel
punto, sia Saito che Kaoru stramazzarono al suolo, il primo per i colpi di
Eshamel il secondo per la ferita che ancora lo tormentava.
«Kaoru nii-san, che ti è successo?» chiese Kiluka cercando di
aiutarlo
«Non ne
ho idea… quel maledetto mi ha costretto a trafiggermi.
Credevo di stare per morire, ma poi…»
«E Derflinger?» domandò Colbert.
Kaoru si
incupì, guardandosi la mano.
«Temo
sia morto».
Tutti si
voltarono.
«Come,
morto!?» esclamò Saito
«È così.
Non sento più la sua presenza. La mia è solo un’ipotesi, ma credo si sia
sacrificato per salvarmi. Altrimenti non mi spiego come abbia fatto a
sopravvivere».
L’aria
si riempì di tristezza. Saito e gli altri avevano visto Derf morire
apparentemente già una volta, salvo poi ritornare in modo quasi miracoloso;
stavolta, però, regnava il sospetto che non ci sarebbe stato spazio per
improvvise resurrezioni.
Derf, da
vera arma, aveva fatto quello che gli era dato di fare: proteggere il suo
padrone.
Uscendo all’esterno, Saito
e gli altri trovarono ad attenderli altre aeronavi e un nuovo, piccolo esercito
di elfi, i quali però invece che con le armi li accolsero con abbracci e
strette di mano.
«È la
Resistenza.» disse Luctiana riconoscendo la bandiera che svettava sui velieri,
un drappo nero con all’interno un grande triangolo rosso.
Nel riconoscerne
il comandante, poi, Bidashal abbozzò un sorriso.
«Ride.»
«È da
molto che non ci vediamo, professore. Felice di saperla sano e salvo.»
«Ringraziate
il cielo che stavano transitando da queste parti.» disse Ari sbucando da dietro
una colonna «O altrimenti non saremmo mai riusciti né a riprenderci la vostra
nave né a venire qui ad aiutarvi».
Saito,
benché dolorante, volle restare per ringraziare chi li aveva aiutati prima di
fare rientro a Tristain, mentre Kaoru dovette venire portato immediatamente in
infermeria per essere curato.
«Adesso
cosa farete?» domandò Louise
«Mi
sembra ovvio.» rispose Bidashal «Nonostante questa sconfitta, Eshamel controlla
ancora quasi tutto il nostro Paese. Ci uniremo alla Resistenza.»
«Inoltre,
quando si saprà della colossale bastonata che il nostro amico ha preso oggi.»
disse Luctiana «In tanti accorreranno per unirsi a noi. Libereremo il nostro Paese
molto presto, potete contarci!».
Saito
guardò Tiffa, scambiandosi con lei un gentile sorriso.
«Allora,
vuoi davvero restare qui?»
«Sono
stata una sciocca a fidarmi di Eruvere. È anche colpa mia se è successo tutto
questo. Voglio dare una mano.»
«Allora,
abbi cura di te. E se dovessi avere bisogno di qualcosa, non farti scrupolo.»
«Grazie,
Saito-san».
Nel mentre
il professor Colbert stava ispezionando parte delle rovine, raccogliendo
appunti e campioni da riesaminare una volta tornato all’accademia.
Era intento
ad imbustare l’ennesimo reperto, che d’improvviso vide uno dei ribelli elfici
svoltare un angolo pallido come se avesse visto la morte in faccia; quel
poveretto sembrava trattenere a stento i conati di vomito, uno sforzo che alla
fine risultò inefficace.
«Che è
successo?» domandò Colbert cercando di aiutarlo
«È… è orribile…» riuscì a
mormorare l’elfo.
Colbert
alzò lo sguardo e ripercorse i passi dell’elfo, e fatti pochi passi si trovò di
fronte ad una scena che riuscì a lasciare sgomento persino uno come lui,
abituato in gioventù ad ogni sorta di orrore.
Non lo
si poteva neanche chiamare massacro. Era riduttivo.
Era…
abominevole.
Che cosa
mai era successo in quel posto fattosi di colpo un piccolo angolo di inferno?
Ad
assistere a quel macabro spettacolo vi erano altri due elfi, uno dei quali
cercava di scuotere Maddarf, all’apparenza ferito solo lievemente, ma raggomitolato
a terra come un pupo con i pantaloni fradici e gli occhi sbarrati, come morti.
«In nome
del cielo, che è successo qui?»
«Sembra
quasi che siano stati mangiati.» disse uno dei due «Forse è stato un animale. Da
queste parti girano bestie pericolose.»
«Ma che
razza di animale sarebbe in grado di fare una cosa del genere?».
Entrambi
poi si avvicinarono a Maddarf, constatandone lo stato catatonico.
«Un
mostro.» continuava a ripetere «Un mostro nero.»
«È
completamente impazzito.»
«Maddarf
era un soldato, e un valente guerriero.» disse il solito elfo «Mi domando cosa
sia stato capace di ridurlo in questo stato».
Mentre uno
dei due elfi dava sepoltura a quei poveri sventurati, o a quello che ne
rimaneva, Colbert aiutò l’altro a sollevare Maddarf per poterlo portare via. Nel
tornare verso le navi incrociarono Siesta e Quintus, intenti a trasportare
Kaoru verso la Valliere. Maddarf, quasi per caso, sollevò leggermente lo sguardo,
incrociando quello di Kaoru.
Passò un
istante, e l’elfo prese ad urlare con tutta la sua voce, urla strazianti che
attirarono l’attenzione di tutti.
«No! No!
Vattene! Lasciami! Aiuto!».
Dimenandosi
come un dannato Maddarf si liberò dalla presa del professore e dell’elfo,
iniziando a correre delirante in tutte le direzioni senza smettere un momento
di urlare. La sua corsa si concluse contro una colonna, e quando Colbert cercò
di andarlo ad aiutare lo vide esalare l’ultimo respiro, la bocca impastata di
saliva e gli occhi letteralmente fuori dalle orbite.
Non
avrebbe mai creduto di assistere ad una morte per paura, né credeva fosse possibile
per un essere vivente morire di paura nel senso letterale del termine.
Ma cosa
poteva aver terrorizzato a tal punto un soldato abituato a convivere con la
morte?
Nota dell’Autore
Eccomi qua!^_^
Come promesso ho cercato di andare un po’
più spedito del solito, anche se la velocità non era quella che mi ero
immaginato.
Comunque, il capitolo è piuttosto lungo,
ma ormai la stavo tirando decisamente troppo per le lunghe con questa vicenda
relativa a Neftes e agli elfi e ho voluto concludere senza stare a girarci
troppo attorno.
Tanto più che da qui in avanti le cose
cambieranno velocemente; già a partire dai prossimi capitoli molti altri nodi
verranno al pettine, e tutto inizierà a volgere verso un colpo di scena
drammatico quanto inatteso.
Ormai siamo già a tre quarti della
vicenda, e confido che entro una ventina di capitoli vedremo la fine di questa
lunga avventura.
L’inverno insolitamente
rigido aveva frenato la maggior parte dei combattimenti, ma con l’arrivo delle
prime avvisaglie di primavera gli scontri irrimediabilmente ricominciarono in
tutto il Paese.
Ormai,
però, Tristain stava raggiungendo il suo limite: gli scontri a lungo andare
avevano prosciugato sia le casse dei feudi, impoverite per finanziare le spese
militari, sia le dispense ed i granai, svuotati dai rifornimenti alle truppe e
da una guerra che non faceva altro che devastare campi e villaggi, per non
parlare dei contadini coscritti o trucidati.
Ma se il nord del Paese era ancora abbastanza
frammentato, con molti potentati più o meno sullo stesso livello che non
riuscivano a prevalere l’uno sull’altro o semplicemente non prendevano parte
alle ostilità, nel sud la situazione stava assumendo i toni di un dramma.
Santin non si era fermato neppure durante i mesi
più freddi, e mordendo nelle province meridionali a grossi bocconi era arrivato
pericolosamente vicino ai domini di molti degli amici di Saito e Louise.
Marcin era sicuramente il
più esposto, e con la caduta della provincia di Laferre
era destino che lui dovesse essere il prossimo, senza contare che con la
conquista dei suoi domini Santin avrebbe finalmente ottenuto l’accesso al mare.
Ormai Saito e Louise si erano rassegnati all’idea
che, se avessero voluto difendere Tristain, non avrebbero potuto esimersi dallo
scendere personalmente in battaglia, perché qualsiasi prospettiva era migliore
di quella che vedeva Santin e i suoi alleati alla guida del Paese.
Per questo, non li sorprese ricevere un giorno
l’ennesima visita di Marcin, e già dal momento in cui
lo videro scendere dalla carrozza i due sposi si resero conto che doveva essere
accaduto qualcosa di molto serio.
«Santin sta ammassando le sue truppe al confine
delle mie terre.» disse quando furono nella sala delle udienze, da soli «E sono
state segnalate numerose spie sia nella capitale che in altre zone. Comincio a
temere che si siano infiltrate anche nel castello.»
«Non sei riuscito a stanarli?» chiese Saito
«Ho accolto un gran numero di profughi e rifugiati
delle province vicine fin da quando è iniziata la guerra. Potrebbe essere
chiunque, e non ho modo di poterli controllare tutti.»
«E allora che cosa suggerisci?» chiese Louise
«Non posso permettergli di entrare nelle mie terre.
Montmiraye
non è terra adatta alle battaglie. L’unica cosa fare è andargli incontro e
affrontarlo nel suo territorio.»
«Sarebbe
un suicidio.» rispose Saito «Santin ha almeno sei volte le tue forze. Non
potresti mai riuscire a batterlo.»
«Sì,
invece. Sei vuoi mi aiuterete.»
Saito e
Louise restarono di stucco, guardandosi un attimo tra di loro.
«Ascoltatemi.»
disse Lucas mostrando loro una mappa della regione «Le mie spie mi hanno
confermato che attualmente Santin si trova nel nord di Laferre
assieme ad una piccola parte del suo esercito. Il grosso dell’armata
occidentale si trova più a sud, impegnata a contrastare le ultime sacche di
resistenza.
Il che significa
che ora quella serpe malefica è momentaneamente indifesa e alla nostra portata.
Non
posso avere la certezza di batterlo con le mie sole forze, ma unendo il tuo
esercito e il mio dovremmo farcela.
A quel
punto, eliminato Santin, avremo buone possibilità di ottenere il controllo di
tutto il sud.»
Di
nuovo, i due ragazzi si fissarono tra di loro, e i loro sguardi non sembravano
troppo convinti.
«Senza
offesa, Lucas.» disse Saito «Ma l’ultima volta che abbiamo lanciato un attacco
insieme basandoci su di una tua previsione, ne siamo usciti per miracolo.
La prima
volta ci è andata bene, stavolta potremmo sul serio rimetterci la pelle.»
«So che
non è facile fidarsi di me, e sono consapevole di quanto io abbia fatto per non
meritare la vostra fiducia.
Ma quello
che vi sto domandando non riguarda solo me, voi o Santin, ma tutta Tristain.
Avete visto in che situazione si trova il Paese?
Nel nord
ognuno pensa per sé, e molti feudi sono alla fame, nel sud Santin e i suoi
tirapiedi stanno mettendo le campagne a ferro e fuoco portando carestia e
pestilenze in ogni dove.
Siamo in
guerra da quasi cinque mesi. Se non facciamo qualcosa quanto prima, questo
Paese collasserà. Inoltre, per ogni giorno che passa, cresce la possibilità che
qualche nazione straniera decida di invaderci.
Volete
davvero che succeda?»
Saito e
Louise chinarono la testa, ammettendo col pensiero che Lucas aveva ragione.
Grasse,
De Ornielle e un ristretto numero di territori forse continuavano a prosperare,
ma la realtà era che il resto del regno stava sprofondando nell’abisso sotto il
peso di una guerra civile che rischiava di concludersi di male in peggio.
Dentro
di loro erano sicuri che Santin, pur con tutta la potenza militare di cui
disponeva, non sarebbe mai riuscito ad ottenere una superiorità così
schiacciante in soli cinque mesi, non senza un considerevole aiuto
dall’esterno. In giro per Tristain si vociferava disponesse di mezzi ed
equipaggiamenti molto superiori agli standard, ed era difficile riuscire a
negare che dietro di lui dovesse esservi Reconquista.
Bisognava
fermarlo. In ogni modo. E con la morte di Valat, la
situazione aveva preso una piega tale che era teoricamente possibile per i due
ragazzi rivolgere le loro attenzioni sulle regioni del sud, anche perché era
scontato che in caso di sconfitta di Lucas loro sarebbero stati sicuramente i
prossimi.
Come se
non bastasse, i danni riportati dalla Valliere si erano rivelati più gravi del
previsto, e sarebbe servito un lungo lavoro di riparazione prima che la nave
potesse tornare in piena operatività.
«E quale
sarebbe il tuo piano?»
Lucas si
lasciò sfuggire uno strano sorriso.
«Prima
di parlarne, dov’è Kaoru? Di solito partecipa sempre a queste riunioni, se non
sbaglio.»
I due
ragazzi si guardarono nuovamente.
«Ecco… Kaoru ultimamente ha molti pensieri.» rispose Louise
«Se possibile, vorremmo lasciarlo riposare.»
«Mi
dispiace che accada in un momento simile. Purtroppo, temo che avremo bisogno
della sua abilità e delle sue capacità come stratega per quello che ci
aspetta.»
Dal giorno in cui erano
tornati da Neftes, Kaoru non era più riuscito a recuperare la serenità.
Da una
parte era felice di esserne uscito vivo, dall’altra non si spiegava come ciò
fosse stato possibile, visto che, per quanto la sua memoria potesse dirsi
affidabile in un momento simile, ricordava distintamente di essersi inflitto
una ferita gravissima, quasi certamente mortale, del quale però non restava
altro che una piccola cicatrice.
Forse
era stato grazie a Derf, che aveva pagato la salvezza del proprio padrone con
la vita, ma poi ci si erano messi anche degli angoscianti e spaventosi incubi,
in cui rivedeva come un cupo film del terrore alcune creature, forse i suoi
carnefici, attraverso gli occhi di un misterioso aggressore, che dopo averli
letteralmente spaventati a morte ne faceva scempio dilaniandoli orribilmente.
Il fatto
poi che fosse tornato in sé solamente un attimo prima di intervenire giusto in
tempo per salvare Saito e gli altri, poi, gettava nuove ombre su ciò che doveva
essere successo in quel tempio. Inoltre, lo strano segno sulla sua mano
sembrava essere cresciuto di misura, e di tanto in tanto, con la coda
dell’occhio, aveva come l’impressione di vederlo scintillare.
Negli
ultimi giorni aveva mancato quasi completamente le udienze e altri eventi
pubblici, inoltre aveva delegato a Jeanne e Kilyan i compiti di supervisione e
addestramento delle truppe.
Siesta
cercava di aiutarlo con piccole cose, seguendolo ora di nascosto ora alla luce
del sole, e poco importava che non gli avesse mai visto portare al collo il
ciondolo che gli aveva regalato. Quando, al ritorno da Neftes, lo aveva aperto,
l’aveva ringraziata, e solo questo era stato sufficiente a scaldarle il cuore.
Pensandoci,
le sembrava quasi incredibile: non riusciva a capire come o perché, ma più
passava il tempo più i suoi pensieri indugiavano su Kaoru, accendendo in lei un
calore che non aveva più sentito dai giorni più focosi della lotta con Miss
Valliere per aggiudicarsi il cuore di Saito.
Eppure,
qualcosa la frenava. Stavolta non sembravano esserci rivali a sbarrarle la
strada, ma nonostante ciò non era mai riuscita ad esprimere onestamente quello
che provava, né a lui né a nessun altro.
«Oggi
come ti senti?» gli domandò quella mattina dopo averlo trovato, solo, ad
esercitarsi in un piccolo chiostro nell’angolo più lontano del castello
«Abbastanza
bene.» rispose lui rinfoderando la katana «Certo, fa uno strano effetto non
avere più Derf a consigliarmi.»
Siesta
chinò il capo e, lottando con la timidezza, gli sfiorò la mano.
«Mi
dispiace. Era un buon amico.»
«Che si
è sacrificato per salvarmi.»
La ragazza
deglutì per ingoiare ancora una volta le sue paure, cercando di placare i
battiti del cuore.
«Senti… io volevo ringraziarti. Lo so che non conta molto,
viste tutte le volte che ci hai aiutati, ma voglio che tu sappia che io ti sono
veramente grata.
Per tutto.»
Si
guardarono negli occhi, ma quasi subito Kaoru distolse lo sguardo, appena sentì
qualcosa di strano montare dentro di lui; era come se una voce interiore gli
stesse dicendo di non andare oltre, una voce impossibile da ignorare.
Ma
d’altra parte, anche gli occhi così belli e gentili di Siesta, per non parlare
delle sue forme generose, erano pericolosi strumenti di tentazione, tali da
provocare nell’animo del ragazzo un violento conflitto.
Per
fortuna, la sorte venne in suo aiuto.
«Generale.»
disse Kilyan comparendo nel colonnato «Mi dispiace disturbarla, ma è richiesta
la nostra presenza nella sala delle udienze. Pare sia urgente.»
Stranamente
stavolta Siesta non fu dispiaciuta nel vederlo andare via; forse, in qualche
modo, il muro finalmente era stato incrinato. E per il momento era sufficiente.
«Secondo i miei
esploratori» disse Lucas quando furono tutti riuniti attorno al tavolo
«Attualmente le forze a protezione di Santin sono composte da circa seimila
fanti e mille tra cavalleggeri e cavalleria pesante. Ha anche a disposizione un
piccolo distaccamento di cavalieri del drago.»
«Mi
sembra una forza decisamente risibile.» commentò Kilyan «Non dovrebbe esserne
difficile averne ragione per il suo solo esercito.»
«Se
fosse così, mi sarei già mosso. Ma non posso lasciare sguarnite le mie
frontiere. Se Santin dovesse accorgersi delle mie manovre potrebbe attaccarmi
alle spalle con il resto delle sue truppe o conquistare la capitale mentre noi
siamo impegnati altrove.
Lo
stesso del resto può dirsi per voi.»
«In
buona sostanza» disse Kaoru «Proponete di usare una piccola parte ciascuno
delle nostre forze lasciando il resto a protezione dei rispettivi domini?»
«Ha
colto nel segno, Generale. Il trucco è saltare addosso al nemico prima che
questi abbia tempo di scoprire le nostre mosse e riorganizzarsi.» quindi indicò
un punto sulla mappa «Attualmente si trova qui, in questa bassa vallata, a poca
distanza da un villaggio di pastori.
Se lo
raggiungiamo prima che abbia il tempo di muovere, sarebbe il posto ideale per
dare battaglia.
Le tue
truppe lo affronteranno frontalmente, le mie si posizioneranno a loro insaputa
dietro questa bassa collina a sinistra del tuo schieramento, mentre i miei
grifoni terranno impegnati i draghi più a est per impedire loro di entrare in
combattimento. E quando la battaglia sarà incominciata, lo intrappoleremo con
un attacco a tenaglia che non gli lascerà scampo.»
Saito,
Kilyan, Jeanne e Kaoru si consultarono con gli occhi; nessuno dei tre pareva
convinto fino infondo.
«La
velocità sarà essenziale.» disse infine Jeanne «Appena avranno sentore di
quello che sta per accadere, Santin e la sua scorta chiederanno immediatamente
rinforzi. E se tali rinforzi dovessero arrivare prima della nostra vittoria,
allora saremmo noi a ritrovarci in trappola.»
«Suggerirei
di posizionare un ulteriore rinforzo qui.» disse Kylian
indicando la parte destra dello schieramento «Questa foresta domina tutta la
vallata, e si trova proprio a metà strada tra le nostre linee e quelle di
Santin.
L’esito
della battaglia in fin dei conti ha poca importanza. Al momento la priorità è
eliminare il conte di Mormerié. Nel mezzo dello
scontro, quando il grosso delle truppe sarà convogliato nel centro, le nostre
truppe nascoste qui potranno aggirare la battaglia e piombare sul campo nemico
alle spalle.
Avuta
prova della morte di Santin, non dovremo fare altro che disimpegnarci e
ripiegare entro i nostri confini.»
«È un
piano talmente folle che potrebbe perfino funzionare.» mormorò Saito «Kaoru,
vuoi occupartene tu?»
Il Generale
però pareva soprapensiero, e dapprincipio non rispose.
«Kaoru?»
«Sì, scusa… se è questo che desideri, lo farò.»
Saito
trasse un respiro.
«Sarà
una battaglia molto importante ed impegnativa. E visto che, da quello che ho
capito, anche tu Lucas vi parteciperai, io non posso essere da meno.»
«Saito!?»
disse Louise
«È mio
dovere, Louise. Se io che sono il signore di queste terre non dovessi prendere
parte alla battaglia, come posso chiedere ai miei soldati di fare altrettanto?
Condurrò io stesso le mie truppe.» quindi la guardò con un sorriso «Ma stai
tranquilla, non cercherò di fare l’eroe.»
«Vi
ringrazio infinitamente a nome del mio popolo.» disse Lucas profondendosi in un
rispettoso inchino «E vi prometto che questa sarà la mia ultima richiesta
d’aiuto nei vostri confronti.»
Kaoru avvertì uno strano brivido, ma non riuscì a
capirne la ragione, benché gli sembrasse una sensazione famigliare.
Con lo stato di perenne preallarme in cui il castello viveva da
qualche tempo a quella parte, le truppe furono pronte a muovere già la mattina
successiva, ed al sorgere del primo sole gli abitanti di Grasse poterono
assistere coi loro occhi alla spettacolare parata militare che partendo dal
castello e attraversando il lungo ponte sospeso si dirigeva a passo di marcia
verso sud attraverso la porta meridionale.
Erano stati convocati tutti.
Jeanne comandava le sue valenti moschettiere, Seena
la fanteria leggera, Kaoru la cavalleria, con Kylian
a fargli da secondo; per una volta il comando generale delle truppe passava a
Saito, che durante la battaglia avrebbe avuto in mano le sorti di tutti i suoi
uomini.
Al castello sarebbe rimasta solo Louise, che
insieme a Kiluka venne a dare l’ultimo saluto ai ragazzi prima della loro
partenza.
«Vi prego, siate prudenti.» disse Louise
visibilmente preoccupata
«Tranquilla, Louise. Torneremo presto. E per
allora, se il cielo lo vorrà, questo incubo sarà un po’ più vicino alla sua
fine.» e detto questo si separarono.
Le truppe di Grasse si unirono a quelle provenienti
da Montmiraye subito prima di penetrare nel
territorio di Laferre, e insieme le due armate si
addentrarono sempre di più nei territori occupati dal conte di Mormerié fino a raggiungere, all’alba del quarto giorno di
marcia, in vista della vallata dove stando alle spie Santin era ancora
accampato assieme ad una piccola parte del suo sterminato esercito.
La valle di Grandeir era
un importante crocevia la cui strada che correva sul fondo, a circa metà del
suo percorso, si divideva in due, collegando le regioni costiere a occidente
con le province orientali in una direzione e il con il confine con Gallia in
un’altra.
A poca distanza dal punto in cui la strada si
spezzava era stato costruito tempo addietro un piccolo villaggio omonimo, ed
era attorno ad esso che le truppe di Santin avevano costruito il loro
accampamento, forse nell’attesa di veder arrivare rinforzi da una delle due
direttrici per poi marciare ancora verso ovest, verso i domini della famiglia Marcin.
Il fondo, pianeggiante e coperto di prati, si
prestava a battaglie campali, mentre le alte pendici circostanti, brulle ed
erbose sulla destra e coperte da una fitta foresta a sinistra, erano ideali a
condurre imboscate e organizzare manovre di accerchiamento.
Poco prima di scendere nella valle, fu il momento di
separarsi.
«Conto su di voi.» disse Saito nel momento in cui
Kaoru e Kilyan si prepararono a lasciare lo schieramento con quasi tutta la
cavalleria. «Cerchiamo di fare in fretta.»
Poco dopo lasciarono lo schieramento anche le
truppe di Lucas, e fatte poche altre miglia le forze di Grasse discesero nella
vallata.
Evidentemente alcune spie o esploratori dovevano
averli avvistati lungo il tragitto, perché una volta giunti in vista del
villaggio Saito e i suoi uomini trovarono le truppe di Santin già schierate e
compatte poco davanti il centro abitato, disposte su due linee con un terzo,
piccolo schieramento a protezione del lato destro e sinistro dell’accampamento
nemico, costituito da un piccolo castrum ricavato da
una torretta d’osservazione per il controllo del vicino torrente e relativo
cortile.
Quando anche le forze dei Marcin
si palesarono sul fianco sinistro della valle, fu chiaro che anche in questo
modo la disparità di forze faceva pendere pesantemente la bilancia a favore
degli attaccanti; ciò nonostante Santin, seduto al centro della sua piccola
roccaforte su di un elegante sgabello di mogano, seguitava a conservare il suo
collaudato ed invidiabile autocontrollo, mentre al contrario tanto i suoi
generali quanto, soprattutto, i soldati del suo esercito sembravano maschere
mortuarie tale era il terrore dipinto nei loro occhi.
Appena era stata confermata la notizia dell’arrivo
dell’esercito nemico i generali di Mormerié, che già
non si erano spiegati questa specie di mossa suicida da parte del loro signore
di restare con la parte più piccola delle sue divisioni occidentali a così
breve distanza dalle linee nemiche, avevano scongiurato Santin di rifiutare la
battaglia e ripiegare più a est, ma questi in nessun modo aveva voluto
recedere, dicendosi anzi convinto che le cose sarebbero andate per il meglio
senza alcuna ombra di dubbio.
«Mio signore, vi scongiuro.» disse per l’ennesima
volta il generale Satibarre, il primo stratega di
Santin «Dobbiamo ripiegare finché possiamo.»
«Le truppe sono in formazione?» domandò invece il
conte come se non lo avesse sentito
«Sì, mio signore.» rispose il generale Baxus, il solo che riuscisse a non far trasparire alcuna
emozione, tale era la fiducia nel suo sovrano «Pronte ai vostri ordini.»
«Allora, procedete.»
«Ai suoi ordini.»
Al comando dei capitani, le truppe di Mormeriè serrarono i ranghi disponendosi in formazione
chiusa, ideale per le battaglie di tipo difensivo, con la prima e la seconda
linea che misero ulteriore distanza tra sé stesse e la terza, la quale rimase
invece a protezione del campo.
Così serrati, però, gli uomini di Santin erano
anche un bersaglio ghiotto per gli arcieri, e infatti Saito, compreso che il
nemico sembrava determinato ad accettare lo scontro, ordinò di agire in tal
senso.
Gli arcieri tirarono mentre le prime linee
scendevano sempre più nella vallata, e furono anche sparati alcuni colpi dei
pochi cannoncini antiuomo che le necessità di procedere spediti avevano
concesso di portare, ma nonostante le perdite subite i nemici seguitarono a
mantenersi in formazione chiusa.
Tuttavia, le truppe di Santin esitarono ad avanzare
fino all’ultimo, lasciando avvicinare quelle di Grasse abbastanza da poterle
bersagliare a loro volta con bordate d’artiglieria e tiri di archibugio,
quindi, protette a loro volta dagli arcieri, si mossero incontro al nemico.
Lo scontro tra le due forze si verificò poco
lontano dal baricentro, un po’ più a ridosso del campo di Santin, come Saito
aveva preventivato, e malgrado la differenza di numero i soldati di Mormerié si difesero strenuamente.
Al centro dello schieramento, Jeanne e le sue
moschettiere cercavano di rompere la formazione nemica, con il fianco sinistro
a spingere ulteriormente sotto il comando di Seena nel tentativo di isolare una
parte delle linee nemiche che, al momento opportuno, sarebbero state caricate e
distrutte da Lucas.
Dal fitto della foresta, in cima ad una bassa
montagnola con davanti a sé il meglio della cavalleria di Grasse, Kaoru e Kylian seguivano lo svolgersi della battaglia, che dopo un
breve momento di equilibrio sembrò virare sempre più in loro favore.
«Li stanno mettendo alle corde!» disse Kylian sovreccitato «Se và avanti così, forse non ci sarà
neppure bisogno del nostro intervento.
Non lo pensate anche voi?»
Ma Kaoru non sembrava dello stesso avviso.
Al contrario, era visibilmente teso e nervoso, e
rispose all’ottimismo del suo secondo con un silenzio preoccupato.
«Generale?»
Qualcosa, ne era sicuro, non stava andando per il
verso giusto.
Era tutto troppo facile.
Santin aveva conquistato un terzo di Tristain in
meno di sei mesi, e gli sembrava impossibile che potesse aver commesso una così
incredibile sequela di errori, fino al punto di mettersi in trappola con le sue
stesse mani.
Un sospetto terrificante si accese di colpo nella
mente di Kaoru. Era sempre stato lì, a sussurrargli nell’orecchio, per tutta la
durata del viaggio, tornando a far sentire la sua voce ad ogni occhiata, oggi
strano cenno, ogni sguardo rifuggito.
Ma non voleva crederci: non poteva crederci.
D’altra parte, però, se fosse stata la verità,
allora non c’era tempo da perdere.
Ma se invece si fosse sbagliato? Se i suoi fossero
stati solo pensieri privi di fondamento, dettati da paure che rischiavano di
spingerlo a gettare alle ortiche l’occasione più ghiotta che il destino aveva
voluto mettere loro davanti?
Dentro di lui voleva pensare che non fosse
possibile; che un uomo non potesse cadere così in basso. Non un tale uomo. Ma
c’erano anche tutti quei sospetti, e quegli indizi rivelatori.
Il destino dell’intera nazione rischiava di essere
tutto nelle sue mani.
Nelle loro mani.
«Kilyan» mormorò con un filo di voce «Saresti
disposto a rischiare la sorte di un’intera nazione sulla base di un sospetto?»
Il ragazzo lo guardo perplesso.
Nota dell’Autore
Eccomi qua!^_^
Pensavate fossi morto,
vero?
E invece no, sono qui,
vivo e vegeto!
Sono tornato!
Letteralmente!
Infatti, sono
rientrato ieri dalle vacanze, durante le quali ho avuto modo di riprendere
finalmente in mano questa storia.
Anche perché ormai,
visto e considerato che abbiamo abbondantemente passato la metà della
narrazione, non esiste che la lasci in sospeso.
Nel cuore dell’accampamento, circondato dai propri soldati, Lucas
sedeva in silenzio sul basso sgabello, gli occhi rivolti alla battaglia sotto i
suoi piedi e il volto impietrito, quasi glaciale.
Al suo fianco, Kiriya, che di contro aveva l’ansia
e lo sconforto dipinti sul viso, e guardava ora il suo signore ora, a propria
volta, la battaglia, ben consapevole che la sua adorata sorella Seena era da
qualche parte lì in mezzo.
«Mio signore…» mormorò
senza tuttavia ottenere risposta.
Un messaggero a cavallo arrivò tutto trafelato dai
piedi della collina aggirando la battaglia.
«Lord Marcin!» disse senza neanche scendere. «Lord
Hiraga mi manda a dirvi che il Generale Kaoru non potrà partecipare alla
battaglia.»
«Che cosa!?» esclamò il giovane nobile voltandosi
di scatto. «Per quale motivo?»
«Ci sono stati disordini a Grasse. Pare che alcuni
sostenitori del precedente signore abbiano approfittato dell’assenza di gran
parte dell’esercito per tentare un colpo di stato. Il Generale è stato
costretto a tornare in città con i suoi uomini per riportare l’ordine.»
Kiriya guardò con il cannocchiale in direzione del
bosco dall’altra parte della vallata, e per quanto si sforzasse di cercare tra
gli alberi non si vedeva traccia di cavalieri.
«È così, Mio Signore. Il Generale Kaoru ha lasciato
la sua posizione.»
Lucas distolse gli occhi, tornando a rimuginare con
sé stesso.
«Mandate un messaggero a fare rapporto. Chiedete
disposizioni.»
Nel frattempo, sul campo di battaglia, le cose
stavano andando per le lunghe.
Consapevoli di non avere altra alternativa se non
quella di vincere o morire, gli uomini di Santin stavano resistendo con le
unghie e con i denti, rintanati dietro la loro formazione chiusa con le spade e
le punte di lancia a emergere dalle piccole fessure negli scudi.
Saito assisteva da lontano, e benché non si
intendesse di battaglie campali come la maggior parte dei suoi generali era consapevole
che la situazione rischiava di virare verso un punto morto; molto probabilmente
la barriera avrebbe resistito abbastanza a lungo da sfinire i suoi soldati, e a
quel punto l’esito dello scontro avrebbe anche potuto risultare più incerto.
«Così non và, stiamo perdendo tempo» mugugnò Saito.
«Se non ci sbrighiamo ci salteranno addosso.
Ordinate a Kaoru di attaccare subito.»
Un soldato lanciò in aria un incantesimo luminoso
di colore arancio brillante, che in accordo con quanto stabilito prima della battaglia
avrebbe dovuto essere il segnale per la carica, ma a distanza di molti secondi
non si vide sbucare dalla foresta nemmeno un cavallo.
«Che sta succedendo? Perché non attaccano!?»
«Mio signore!» esclamò un esploratore giungendo
tutto trafelato. «Il Generale Kaoru ha abbandonato la sua posizione!»
«Che cosa!?» domandò Saito spalancando gli occhi
«Ma perché l’ha fatto?» disse Jeanne, sconvolta
quanto lui
Ma non c’era tempo per domandarselo; a quel punto,
restava un’unica alternativa.
«Presto, fate il segnale a Lucas!»
«Sì, mio signore!».
Questa volta fu di colore verde, e nel momento in
cui scintillò nel cielo Lucas, intercettatala, abbassò nuovamente lo sguardo,
lasciando intravedere una goccia di sudore che solcandogli le tempie discese
fino al mento, scivolando infine sull’erba ai suoi piedi.
Un secondo messaggero, giunto pochi istanti prima,
se n’era andato da poco, e da quel momento il giovane principe di Marcin non
aveva più sollevato il capo da terra.
«Mio Signore…» mormorò
Kiriya
«Prepararsi… ad attaccare…» disse stringendo forte le mani sulle ginocchia
Per i soldati che cercavano in ogni modo di avere ragione di una
difesa che appariva insormontabile, il risuonare improvviso dei corni di guerra
dei Marcin arrivò alle loro orecchie come un dolce canto di vittoria, e come Seena,
impegnata in prima linea, vide gli alleati dilagare giù per la collina lance in
pugno, si convinse dentro di sé che la battaglia fosse ormai finita.
I Marcin travolsero come un fiume in piena le
truppe di Grasse, che colte alla sprovvista videro il loro fianco sinistro
andare in pezzi come un guscio d’uovo.
«Ma cosa…» imprecò Seena
con gli occhi sbarrati prima che un soldato di Marcin le saltasse addosso
cercando incredibilmente di ucciderla.
Con la forza dei riflessi la ragazza riuscì a
difendersi e ad abbattere l’incauto aggressore, ma i suoi uomini, sbigottiti e
disorientati, iniziarono immediatamente ad andare nel panico, subendo
l’immediato contrattacco da parte dei Santin che cominciarono a spingere.
Come lei, anche Saito e gli altri rimasero
impietriti e senza parole, sconvolti da un tradimento che non credevano
possibile.
«Non può essere! Non può farci questo!» disse Saito
cadendo affranto sullo sgabello
Di contro, mentre nel campo degli Hiraga montavano
sconforto e sorpresa, nel centro del suo accampamento Santin mosse
improvvisamente le labbra in una espressione sicura, ben diversa da quella
ugualmente sconvolta dei suoi generali.
«In guerra vince chi tiene le proprie carte
nascoste fino all’ultimo.» quindi ordinò «Generale Organ?»
«Signore?»
«Scendete in battaglia con metà delle nostre
riserve. Che circondino il nemico sul fianco sinistro e lo annientino.»
«Ma, la loro cavalleria…»
«La cavalleria non è più un problema. Circondate il
nemico, ma lasciategli una via di fuga. Appena capiranno la situazione che si è
venuta a creare cercheranno di scappare, e allora il loro destino sarà
segnato.»
Saito non riusciva a spiegarselo, e mentre guardava
i suoi uomini iniziare a cadere come mosche cedendo sempre più terreno si domandava
come potesse essere possibile.
Quale motivo poteva aver avuto Lucas per tradirlo
in quel modo? Cosa gli aveva offerto Santin per riuscire a spingerlo ad una
cosa così apparentemente impossibile come tradire la sua famiglia, i suoi
ideali, fin’anche il suo stesso Paese?
«Lord Hiraga, dobbiamo ritirarci!» lo esortò Jeanne
appena si furono riavuti dallo sconcerto
«Perché? Perché, Lucas? Che cosa ti abbiamo fatto
per meritarlo?»
La sua mente tornò indietro, cercando di trovare
una risposta, una spiegazione, percorrendo a ritroso gli ultimi mesi della loro
vita, perché non era possibile che quel tradimento avesse avuto origine prima
dell’inizio della guerra.
L’istinto lo condusse alla fallita spedizione
contro Ty-Kern, a quell’inferno di fuoco e fiamme cui
Lucas era miracolosamente sopravvissuto, questo dopo che Saito lo aveva visto
con i suoi occhi precipitare assieme alla sua nave e inabissandosi in mare.
Forse, dopotutto, non si era trattato di un
miracolo.
Qualcuno aveva voluto salvargli la vita, esigendo
in cambio un giuramento di fedeltà, oltre alla promessa di favorire in
qualunque modo la marcia trionfale di Santin e dei suoi sostenitori.
Ecco spiegato l’atteggiamento rinunciatario assunto
da Lucas al suo apparente ritorno dal regno dei morti; il suo scetticismo in
merito al ritrovamento della Fortezza d’Acciaio, i numerosi pretesti per
rifiutarsi di correre in aiuto del fratello in armi con tutte le sue forze. Ora
tutto aveva un senso.
Eppure, in cuor suo, Saito sapeva che Lucas non
avrebbe accettato mai di barattare il suo onore con la vita.
Doveva esserci qualcos’altro. Qualcosa di più
profondo.
«Mio signore, dobbiamo ordinare la ritirata finché
possiamo!» lo riscosse Jeanne
«Ma, i soldati in battaglia…»
«Se restiamo qui moriremo tutti! Quei soldati combattono
per voi! Non potete permettere che il loro sacrificio risulti vano! Voi avete
il dovere di sopravvivere!»
Ma Saito non se la sentiva; non gli sembrava giusto
né giustificabile salvare la propria vita al prezzo di migliaia di altri
sacrifici.
Nel mentre, pur attaccati da due lati, gli Hiraga
superato lo sgomento iniziale avevano ripreso a combattere con fervore, pur in
evidente difficoltà, incitati da Seena e dagli altri ufficiali che malgrado
tutto seguitavano a stare in prima linea.
Di colpo, nel mare di facce, sangue e lame, la
giovane vide emergere un volto famigliare, che da un momento all’altro le
apparve innanzi accendendo un nuovo fuoco dentro di lei.
Mai avrebbe creduto possibile di trovarsi un giorno
a dover guardare suo fratello Kiriya dal lato opposto della barricata.
Stettero a guardarsi per attimi interminabili,
scrutando ognuno i pensieri dell’altro, lei con sconforto lui, quasi, con
vergogna.
«Perché l’avete fatto, Kiriya? Che cosa vi hanno
promesso per farvi tradire i vostri alleati?»
«Io sono un soldato, nee-san.
Obbedisco agli ordini. È questo il mio compito.»
L’arrivo di un nemico costrinse Seena a distrarsi,
e quando riuscì a risollevare gli occhi il fratello era sparito.
Lucas non aveva neanche il coraggio di guardare verso la vallata, e
anche i pochi uomini rimasti a protezione del campo si sentivano tremare le
gambe al pensiero di quello che il loro signore li aveva costretti a fare.
Nel gioco del potere tutto era concesso, come
diceva un famoso proverbio di Tristain, ma nessuno tra i più navigati ufficiali
e soldati di Marcin avrebbe mai ritenuto possibile un tradimento nei confronti
proprio di colui che Lucas aveva sempre considerato quasi un fratello.
«Ordinate di spingere con forza.» mormorò
«Cerchiamo di farla finire quanto prima. Al momento giusto, ordinate alla
cavalleria nascosta nelle retrovie di caricare, ma senza esagerare. Non voglio
troppi morti.»
«Sì, mio signore.» rispose un ufficiale alla
medesima maniera.
Un rombo improvviso interruppe sul nascere l’invio
del segnale; sembrava un tuono, benché in cielo non vi fossero nuvole, e invece
di affievolirsi quel suono così minaccioso sembrò farsi sempre più vicino.
Lucas fu il primo a riconoscerlo, ed un brivido
irrigidì immediatamente la schiena, lasciandogli a malapena la forza per
girarsi alle proprie spalle assieme ai suoi comandanti.
Kaoru e Kilyan sbucavano in quel momento dalla
macchia di vegetazione che ricopriva il crinale situato un po’ più in alto alla
destra dell’accampamento Marcin, e al comando della cavalleria Hiraga si
stavano già lanciando come indemoniati contro il nemico, sventrando la terra
sotto il peso dei loro zoccoli.
«Formazione di difesa!» urlò il primo dei
comandanti che riuscì a riacquistare la ragione.
Confusi, i soldati posti lungo il perimetro più
esterno fecero non fecero neppure in tempo a raggrupparsi in linea a dovere, e
la loro flebile resistenza venne facilmente travolta, anche se le poche forze
che riuscirono a mettere nello scontro diedero il tempo ai pochi soldati
rimasti di formare una seconda barriera a difesa del cuore del campo.
La scena non sfuggì agli occhi di chi stava al di
sotto, nella valle, e stavolta lo stupore attraversò in egual misura sia le
truppe di Grasse che quelle di Mormerié.
«Kaoru!» esclamò Saito, incapace di trattenere la
gioia.
I soldati a protezione del campo riuscirono a
reggere l’urto della cavalleria, ma era chiaramente solo una questione di
tempo.
«Lanciate il segnale alla cavalleria! Saranno
costretti a tornare indietro per proteggere il loro signore!»
Il razzo venne sparato, ma non accadde nulla.
Se Kaoru aveva previsto il tradimento di Lucas,
Kilyan invece aveva ipotizzato la presenza di un battaglione pronto a tagliare
la strada ai loro compagni non appena questi, colti dal precipitare degli
eventi, avessero cercato di fuggire, e nell’attraversare il campo di battaglia
da una parte all’altra nascosti nella foresta avevano cercato, stanato e
scacciato la forza in questione nel giro di pochi.
Ora era Lucas a rischiare seriamente per la propria
vita.
A quel punto, Kiriya non ebbe altra scelta, e
scambiatosi un altro sguardo con Seena, sorpresa quanto lui ma palesemente
sollevata, si rivolse ai suoi uomini.
«Ritirata! Ritirata! Proteggete il nostro signore!»
Obbedendo all’ordine i Marcin abbandonarono la
battaglia per fare ritorno al proprio campo, ma tra il disimpegno, la fatica e
la notevole pendenza, la loro risalita della collina risultò lenta e
difficoltosa, anche se compiuta con tutta la forza di cui disponevano.
Teoricamente sarebbe bastato mandare contro di loro
un piccolo distaccamento per sbaragliarli con facilità, ma ora contava solo
riuscire a persuadere i Santin, nuovamente in minoranza, a desistere, e per
accelerare le cose anche Jeanne scese in battaglia con parte della fanteria
rimanente.
Di fronte all’ennesimo ribaltamento di fronte, e
alla vista dei suoi uomini che di nuovo si sforzavano disperatamente di tenere
la posizione, Santin non parve scomporsi; al contrario, sembrava persino
felice.
«A quanto pare, abbiamo decisamente sottovalutato
la Grassefuchs, la Volpe di Grasse.» quindi si alzò
dal suo sgabello. «Date l’ordine di ripiegare. I reparti in battaglia coprano
la ritirata delle restanti truppe. Il resto delle truppe e i rinforzi in arrivo
da sud facciano ritorno oltre i confini di Malmoe.»
«Ma così facendo quei soldati saranno costretti ad
arrendersi, o peggio ancora finiranno trucidati.» tentò di obiettare un
generale «Perderemo anche questa regione.»
«Sono solo poche brigate, e questo pezzo di terra
possiamo pure lasciarlo ai Marcin. Un sacrificio insignificante.
Da questo momento giochiamo a carte scoperte.»
Abbandonati a sé stessi, i comandanti delle
divisioni impegnate in battaglia seguitarono a combattere fin quando fu loro
possibile, quindi, avuta conferma dell’avvenuto ritiro del resto dell’esercito,
ordinarono di gettare le armi.
Quanto alle truppe di Lucas, lottando con la
disperazione riuscirono a risalire la collina spingendo la cavalleria Hiraga a
ritirarsi, ma a quel punto ormai era troppo tardi: Santin era fuggito,
l’attacco di sorpresa alle retrovie palesemente fallito.
Era finita.
Quindi, fino a che gli fu ancora possibile, il
giovane capo dei Marcin ordinò a propria volta di ripiegare, non prima però che
lui e Kaoru si fossero scambiati un’ultima, fulminante occhiata l’uno con
l’altro mentre gli Hiraga facevano ritorno nelle proprie linee.
Sul fare di mezzogiorno, la vallata era nuovamente
deserta.
Il bilancio era grave, ma non disastroso, e a conti
fatti le perdite potevano considerarsi esigue se paragonate al rischio che si era
corso.
«Grazie, Kaoru.» disse Saito quando furono faccia a
faccia «Se non fosse stato per te… ma tu come avevi
capito che Lucas ci aveva traditi?»
«Per la verità fin dall’inizio mi era sembrato
tutto troppo facile, ma in realtà non ne ho avuto la certezza fino a che non ha
scoperto le sue carte.
Gli ho lanciato un’esca e lui ha abboccato. Doveva
credere che io e il resto della cavalleria ce ne fossimo andati. E dovevi
crederlo anche tu, perché fosse tutto più credibile.»
«Avete contravvenuto agli ordini.» disse Jeanne
quasi con rimprovero
«Lo sappiamo, e ci dispiace.» si giustificò Kilyan
«Ma era l’unico modo per essere certi delle intenzioni di Lord Lucas.
Voglio aggiungere però che nessuno di noi è stato
forzato ad agire in questo modo. Abbiamo accettato di fidarci spontaneamente
del Generale, e lui ha anche offerto a chi non voleva disobbedire la
possibilità di chiamarsi fuori.
Quindi, siamo tutti responsabili di eventuali
manchevolezze.»
Saito invece, sorridendo quasi di rassegnazione,
poggiò la mano sulla spalla di Kaoru.
«Se non fosse stato per la vostra intraprendenza,
ora probabilmente saremmo tutti morti.
Non pensiamoci più. E grazie».
Seena era l’unica che, malgrado tutto, non riusciva
a vedere positivo, restandosene in disparte seduta su di un ceppo, con in mano
il pendente d’argento a forma di ala che mai una volta si era tolta dal giorno
in cui lei e suo fratello avevano lasciato la loro casa.
Anche Kiriya ne aveva uno, uguale ed opposto, ed
era sicura che anche lui in quel momento lo stesse guardando, domandandosi come
lei come si fosse finiti a quella assurda situazione.
«Mi dispiace, Seena.» le disse Jeanne cercando di
confortarla «So quanto deve essere duro per te.»
«Non l’avrei mai creduto possibile. Mio fratello.
Kiriya. Mi rifiuto di credere che abbia fatto una cosa del genere.
Non ne sarebbe capace.»
«Purtroppo, decidere le sorti di questa guerra non
è nelle nostre mani. Possiamo solo cercare di farla finire al più presto.»
quindi Joanne guardò verso Saito e Kaoru, con il Generale impegnato ad
ascoltare le notizie di un messaggero giunto in quel momento al campo «Anche
se, in tutta onestà, sono sempre più convinta che persino coloro che ritengono
di avere i mezzi per muovere i fili di questo Paese siano in realtà null’altro
che pedine di un gioco molto più grande di tutti noi.»
Dopo qualche minuto Kaoru tornò indietro, funereo e
grigio come Saito non ricordava di averlo mai visto.
«Che è successo?»
«Credo sia meglio ritornare subito a Grasse.»
«Per quale motivo?»
«Notizie da oriente. Le armate di Santin hanno
iniziato a spingere verso nord lungo tutte le principali direttive, anche
quelle che fino ad ora non erano state battute.
Sta sottomettendo un feudo dietro l’altro.
Temo si stia preparando per dare l’assalto finale.»
Cattleya aveva visto il suo sposo che tanto
amava cambiare dal giorno alla notte.
Era come se l’essere scampato alla morte, invece
che dargli nuovo vigore, lo avesse incupito, tramutandolo in un fantasma di sé
stesso, svuotato della sua solita voglia di vivere e combattere e tormentato
dagli incubi.
Mai avrebbe pensato che una cosa del genere sarebbe
potuta accadere.
Quando aveva visto l’esercito fare ritorno a Montmiraye ridotto in quelle condizioni si era adoperata
come al solito per assistere i feriti, ma quando, in mezzo ai feriti, aveva
riconosciuto molti soldati dell’esercito di Santin, il mondo le era caduto
addosso.
In barba all’etichetta, che le proibiva di entrare
nella stanza di guerra, la giovane si era immediatamente precipitata dal marito
per avere spiegazioni.
«Dimmi che non l’hai fatto, Lucas.» le disse
sconvolta.
Lui, fatti uscire i suoi ufficiali, distolse lo
sguardo, ed il suo silenzio risultò più eloquente di qualunque risposta.
«Perché? Saito è tuo amico. E Louise…
lei è mia sorella. Non puoi averli traditi. Non puoi aver tradito me.»
Di nuovo, la risposta fu un cupo silenzio, rotto
solo dal crepitio dei guanti in cuoio che si serravano a pugno con violenza.
«Che ti è preso, Lucas? Io non ti riconosco più.»
«Tu non puoi capire, Cattleya.
Non possiamo vincere questa guerra. Lui… lui è troppo
potente.»
«Lui chi? Parli di Santin? È stato lui a
convincerti a tradire la tua famiglia? A tradire tua moglie?»
«Basta, zitta!» tuonò colpendo violentemente il
tavolo.
Cattleya quasi svenne per
lo spavento, e lo stesso Lucas parve stupito, per non dire disgustato, della
sua stessa azione.
«Lui… lui non è umano, Cattleya. Mi ha tirato fuori dal fuoco. E nel momento in
cui ho visto la sua potenza, ho capito che solo aiutandolo avrei impedito a
Tristain di scomparire a sua volta in un mare di fiamme e distruzione. Lui ha
promesso che se lo asseconderemo darà nuova pace e prosperità a questa nazione,
a tutto questo mondo.
Non ci saranno più guerre.»
«E tu gli hai creduto. Come può esistere in questo
mondo qualcuno di così potente e spaventoso da spingerti a rinnegare tutto ciò
in cui hai sempre creduto con il mero strumento delle parole?»
«Io… io non lo so. Ma ho
percepito distintamente quel potere. E credimi se ti dico che al confronto
l’inferno mi farebbe meno paura.»
All’improvviso le porte della stanza si aprirono, e
due soldati di Santin irruppero all’interno, circondando Cattleya
e ponendola sotto la minaccia delle loro lance.
«Chi siete? Lasciate subito mia moglie!» esclamò
iracondo sguainando la spada
«Fossi in te non lo farei!» comandò solennemente
una voce.
Marito e moglie volsero lo sguardo verso l’uscita,
vedendo giungere dal corridoio un tetro elfo vestito di scuro, la pelle di uno
strano colore olivastro, i capelli argentei ed inquietanti occhi bianchi.
«Lord Eruvere. Che significa tutto questo?»
«Lo sapevi fin dall’inizio. Ti era stato detto se non
sbaglio.»
«Mia moglie non ha nulla a che spartire con tutto questo.
È una questione tra me e voi!»
«Tranquillo, è solo una forma di tutela. Una garanzia.
Lo facciamo con tutti.» quindi l’elfo ammiccò malevolo
«Nel caso qualcuno avesse l’impulso di tornare sulle proprie decisioni e rimangiarsi
la sua promessa di fedeltà.»
«Io ho fatto la mia parte. Ho eseguito gli ordini.»
«E hai fallito. Ti sei fatto imbrogliare come un soldatino
alle prime armi, e per colpa tua non siamo stati in grado di sconfiggere quei guastafeste
una volta per sempre.
E poi, non si era mai parlato di un incarico solo. Il
tuo debito nei confronti del Mio Signore và ben al di là di una misera battaglia.
E l’ospitalità che offriremo alla tua giovane sposa
da qui in avanti sarà un modo per ricordartelo.»
Uno dei soldati afferrò Cattleya
per un polso, e a quel punto Lucas ci vide rosso.
«State lontani da lei! Non siete degni di toccarla!»
Il giovane era già pronto a scattare, ed Eruvere da
par suo aveva già materializzato le rune sulla gola, ma un grido solenne spezzò
sul nascere la tensione.
«Fermatevi!» disse la ragazza in lacrime «Verrò con
voi. Ma lasciate stare mio marito.»
Di fronte ad una richiesta così supplichevole ma risoluta
gli animi di acquietarono, ed anche Lucas, pur seguitando a ribollire dentro di
sé, riuscì con la forza della ragione a calmare i bollori di spirito.
Cattleya gli si avvicinò,
baciandolo amorevolmente sulla guancia, quindi si consegnò ai soldati, che messisi
davanti e dietro di lei la condussero fuori in direzione delle stalle.
«Non le sarà fatto alcun male.» disse beffardo Eruvere
«È solo una garanzia.
Del resto, non si può dire che il tradimento sia un
concetto a te estraneo, o mi sbaglio?» e detto questo se ne andò.
Appoggiato sul tavolo c’era uno schioppo dimenticato
da uno dei generali; in quel momento, Lucas sentiva una gran voglia di usarlo su
sé stesso.
Nota dell’Autore
Eccomi qua!
Vi avevo promesso che stavolta
non sarei sparito, ed eccomi qua a mantenere la promessa!
Ora le cose si stanno mettendo
davvero male
Da questo momento in poi
sarà un susseguirsi di colpi di scena, che condurranno piuttosto rapidamente al
climax di questi eventi, cui farà seguito un deciso cambio di passo che ci avvierà
verso la seconda parte della storia.