I leoni della corona ( I libro) di marig28_libra (/viewuser.php?uid=166195)
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Premessa ***
Capitolo 2: *** Personaggi ***
Capitolo 3: *** CAP 1 - quo vadis, victoria? ***
Capitolo 4: *** CAP 2 - Aspettando il mattino: sotto il canto della pioggia ***
Capitolo 5: *** CAP 2 - Aspettando il mattino: un proiettile nella mente ***
Capitolo 6: *** CAP 3 - la dimora dei pomi d'oro: antiche paci ***
Capitolo 7: *** CAP 3 - la dimora dei pomi d'oro : melodie da lontano ***
Capitolo 8: *** CAP 4- Patriarchi e focolari: il figlio dell'estate ***
Capitolo 9: *** CAP 4 - Patriarchi e focolari: l'apprendista in catene ***
Capitolo 10: *** CAP 4 - Patriarchi e focolari : la bambina con il fiocco blu ( I parte) ***
Capitolo 11: *** CAP 4 - Patriarchi e focolari : la bambina con il fiocco blu ( II parte) ***
Capitolo 1 *** Premessa ***
premessa
Premessa
Questa
storia è nata il maggio
scorso, inseguito alla conclusione de “ Nella
mia penombra” .
Si potrebbe definire vagamente un prequel ma in
realtà è un nucleo
indipendente nonostante io abbia ripreso alcuni elementi proprio dalla
precedente fan-fic.
Il mio intento, infatti, è quello
di delineare, nella
maniera più completa
possibile, i personaggi
“ secondari”
della serie di Ryoko Ikeda e già, attraverso
l’altra narrazione, avevo iniziato
a dare rilievo al
Generale François de
Jarjayes e alla moglie che ho chiamato Judith ( visto che il suo nome
non si sa
) . Ne “ I leoni della
corona”
saranno loro la coppia protagonista parallelamente a Oscar e ad
André… Il primo
posto sul podio spetterà inizialmente al Generale che verrà
indagato nei ricordi dell' infanzia
e della giovinezza, nel ruolo
di militare,
nelle vicende sentimentali e
nelle problematiche
“ vestigia” di
padre. A mano, a mano che si evolverà il racconto,
metterò in luce la figlia che
condividerà il palcoscenico con lui in modo
equilibrato fino a che , verso la
parte finale , i proiettori si concentreranno un po’ di
più sulle sue
esperienze.
A
supportare e a sviluppare tali
snodi non mancheranno personaggi originali, storici e naturalmente
quelli della
trama classica. Un ruolo di fondamentale importanza lo
ricoprirà, per esempio, Victor
Clement de Girodel ( che solo per
motivi di spazio nella presentazione non ho potuto inserire) in quanto anche il suo back ground
verrà svelato come
quello di François…
L’avvertimento
OOC l’ho inserito
per ragioni di
prudenza e sviluppo
narrativo, nonostante io non stravolgerò le linee dell'
anime e quelle del
manga . Altre spiegazioni
più specifiche verranno
date nelle note finali di ogni capitolo.
Spero
che possiate apprezzare di
volta, in volta questo lavoro che sto plasmando con cura al fine di
creare
qualcosa di valido e approfondito.
Poiché
ho due importantissime fan
fic nel fandom di Saint Seiya che sto mandando avanti da tempo ( e che
devo
concludere ) avverto immediatamente
che gli
aggiornamenti saranno bimestrali o trimestrali. ( salvo eventuali
ritardi imprevisti e prolungati impegni)
“ I leoni della corona”
dovrebbe contare su sette massimo nove capitoli totali.
Non
mi resta che augurarvi
Buona
lettura!
Marig28_libra
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Capitolo 2 *** Personaggi ***
Personaggi
***§***
Famiglia
Renier de Jarjayes :
François Augustin : ufficiale
della
Maison du Roi, ultimo erede della stirpe de Jarjayes.
Judith Louise Marguerite de la Seigne :
moglie
di François
Primogenita
anonima, Danielle,
Madelene, Orthénse,Josephine
+ ( le bambine decedute di François e Judith)
Oscar
Françoise : la
neonata sopravvissuta
di François e Judith.
Jean
Antoine + ( padre defunto di François)
Philippe
Michel + ( fratello maggiore defunto di
François )
Etienne
Joachim + ( fratello minore defunto di François )
Servitù :
Marie
Grandier : governante
Albert
: capo maggiordomo , ex servitore di Etienne
Berthold
: cameriere
Angele
+ ( moglie defunta di Berthold , madre
di Damian , balia di François e Etienne)
Celine
+ ( sorella minore di Damian, amica di François e Etienne)
Damian
: figlio di Berthold, servitore e amico di François
Lazar
: stalliere
Faustine
: moglie di Lazar, seconda cameriera di Judith
Ginette
: capocuoca
Famiglia de la Seigne:
Grégoire
Isaie : padre di Judith, precettore reale.
Bénédicte Anne Magdaléne: madre di
Judith.
Oriane :
sorella maggiore di Judith
Cosimo
di Nardo : marito di Oriane
Samuele
di Nardo : il bambino di Oriane e Cosimo.
Amici dei de Jarjayes :
Blaise
Enrique Rochebrune : ufficiale dell’esercito reale, migliore
amico di François
ed Etienne.
Elenoire
: moglie di Blaise
Padre
Jeremy Meunier : gesuita appartenente alla comunità
parrocchiale di Jossigny.
Renè
Deronne : medico dell’esercito, amico di François.
Famiglia
Grandier :
Lucien
+ ( marito defunto di Marie)
Marcel:
figlio di Lucien e Marie, padre di André.
Pauline:
moglie di Marcel e madre di André.
André
: l’erede di famiglia.
Famiglia Girodel:
Frédéric
Claude : alto ufficiale della Maison du Roi, appartenente anche al
Secret du
Roi
Ivonne
Henriette : moglie di Frédéric
Victor
Clement : primogenito di Frédéric e Ivonne
Christine
: balia di Victor
Reali di Francia :
Luigi
XV
Il
delfino Luigi Ferdinando ( padre di Luigi XVI )
Generali dell’esercito reale
|
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Capitolo 3 *** CAP 1 - quo vadis, victoria? ***
Quo vadis, victoria?
LIBRO PRIMO
1
Quo
vadis,
victoria?
“
Le nazioni si
divorano perché una non potrebbe
sussistere senza i cadaveri dell'’altra [ …]
e invoco contro agli invasori
vendetta;
ma la mia voce si perde tra il
fremito ancora vivo di tanti popoli trapassati “
( U.
Foscolo )
*** §***
Il
1740 vide l’Europa travolta da
un grave conflitto.
Alla
morte di Carlo VI , salì al
governo d’Austria la primogenita Maria Teresa, sposa di
Francesco Stefano di
Lorena.
Il diritto di successione della
nuova sovrana provocò numerosi dissensi tra le casate
regnanti europee…
La prammatica sanzione emanata dal
re degli Asburgo nel 1713, attribuiva
l’ascesa al trono anche agli eredi di sesso femminile. Nel
1716 Leopoldo
morì prematuramente e l’anno
successivo nacque Maria
Teresa che, per la prima volta dal X secolo,
lasciò capire che la dinastia si apprestava a perdere la
guida maschile…Con Maria Anna
e Maria Amalia
si concluse, infatti, la
figliolanza di
Carlo VI…
Nonostante il sovrano avesse
tentato di far accettare tale delibera alle cancellerie
d’Europa, dopo la sua
morte, i generi del fratello Giuseppe I pretesero la corona del Regno
Asburgico.
Carlo Alberto di Baviera e
Federico Augusto III vennero appoggiati dalla Prussia di Federico II,
da Don
Carlos di Napoli, dalla Spagna e dalla Francia, intenzionati a
ostacolare
l’espansione della
potenza austriaca in
Italia.
Maria Teresa si trovò isolata
dinanzi ad una coalizione di ferro con la sola alleanza di Carlo
Emanuele III
di Savoia.
Nel 1742 l’Inghilterra intervenne
al suo fianco essendo acerrima nemica dei francesi
nell’egemonia degli imperi
coloniali.
Per sette anni l’Occidente
conobbe il sanguinoso terremoto della “
Guerra di successione austriaca.”
*** §***
Giugno 1743
Dettingen, Baviera
François malediva se stesso.
Non era
il momento di riflettere…
Arretrare…subire il cuore.
Il
tempo dell'’anima doveva
cancellarsi.
L’orizzonte artigliava mefitico
di grigiore.
Le
ore del giorno e del
pomeriggio si congiungevano in una foschia amorfa e iettatrice.
Non
era il momento di riflettere…eppure…
il dolce inferno della mente si riversava negli occhi, nel nucleo della
spietatezza…
Ingiusto. Demenziale. Fatale.
Quella mattina di febbraio il cielo moriva
d’azzurrità malata.
La sera era lontanissima ma la luce si svuotava rapida e
immobile…
I venti non scorrevano, avevano paura di sollevarsi.
Qualche passero canticchiava senza troppa convinzione.
Alcuni corvi svolazzavano rasoterra come fiori carbonizzati.
Villa de Jarjayes
si affardellava di un augusto gelo che pareva inasprire
le colonne e le parataste
che
decoravano i
portali e le finestrate…
Quella spigolosità la rendeva un
afflitto tempio neoattico e lo
stemma araldico del leone, che troneggiava
sul portale d’ingresso, esibiva una crepa, una cicatrice
d’impaurito vespro.
Sul sentiero di ghiaia del cortile, quasi fosse un tappeto cerimoniale
in
attesa di sbiadire, camminavano i sacerdoti custodi del duomo.
François Augustin
Reynier.
Terzo figlio del conte
Jean Antoine Reynier de Jarjayes.
Luogo tenente della Chevaux-Legers
de la Guard.
Una brillante e precoce carriera
nel corpo de la Maison du roi.
Era
dannatamente complicato
ricordarlo?!
Perché
tornare a Parigi? Da lei?
L’attesa guardava. Ammutoliva. Si
bruciava.
Era nella brina salmastra delle fronde gelate, tra i pennacchi dei
pioppi, tra gli aghi cadenti dei pini…
Soffiava sotto il sole intirizzito di dorata bronchite…
Sussurrava dinanzi allo sportello aperto di quella carrozza, un vacuo
cofanetto di intarsi vegetali e ossidati.
Il cocchiere aveva
finito d’imbrigliare
i cavalli con pesante mitezza mentre nel giardino la
fontana
sopiva sopra il vetro smunto delle acque.
Judith Louise Marguerite Bouchet…
Secondogenita degli stimati
marchesi Bouchet de la Seigne.
Un’austera
ed elegante educazione
di convento e salotti.
Compostezza e leggiadria da dama
di compagnia…Vestiti sobri e sofisticatamente
melanconici…
Uno sguardo azzurro di fonte
invernale e meditabonda…
Una chioma di spirali
marroni pallide e intimidite…
Judith…
Diciannove anni, un dolce talento
per il pianoforte sacrificato.
Una forza affaticata incapace di
lacrimare ma di suonare acutissima.
Una nuova vita in grembo, un nuovo
cognome.
La
moglie.
Perché
doveva contaminare il
sudore della tensione?
François aveva appena afferrato l’ultima sacca da
viaggio non sapendo
se lasciarla cascare a terra o issarsela frettolosamente sulla
spalla…
La consorte era poco distante con un abito cobalto che riverberava
carbonifero tra le pieghe
titubanti. Uno
scialle di lana bianca le avvolgeva busto e spalle come fosse un cigno dalle ali esanimi e
impotenti.
L’aria, in cui s’impigliavano le
pagliuzze rarefatte del sole, odorava
del buio delle cattedrali, di quella vuotezza gravida di sbavature
d’incenso e occhiaie
di candele…Ci si trovava dinanzi ad un’abside
onirica, dove non si rimembravano
rosari per glorificare la salvezza o, almeno, la
sopravvivenza…
Il ragazzo ricordò , straniato e inquietato, che due ore addietro era a
letto con la sposa,
sotto la sofficità delle coperte che scaldano il silenzio del commiato…
Aveva fatto l’amore fingendo di non conoscere la patina
d’angoscia che
si disperde sulle nudità al termine
dell'’irrinunciabile dolcezza di congiungersi.
Si era destato per primo a malincuore ma con la
razionale nevrosi di
ricomporsi, tornare rigido
giacché non poteva prolungare l’ebbra meditazione
che infondono le
carezze.
Il capo leggero di Judith,, con i rivoli
confusionali dei suoi
capelli, era
insostenibile e portare sul
petto quell’umido torpore di gelsomino significava
tribolarsi. Quando poi le
ceree braccia e le gambe fresche di lei cullavano i palpiti, era meglio
finire tutto…
Rivestirsi…rivestirsi…Rivedere
la
luce disidratante del sole che induriva i terreni e gli spazi.
Una
divisa di stoffa, rame e
ghiaccio.
Occhi di un mare blu tagliente e
troppo salato.
Capelli ondosi d’un castano
intenso e pieno di fumo… Una bellezza di raffinata
crudità.
Era così lui…o per lo meno voleva
tentare di restare così…
Il matrimonio gli cagionava strani
effetti collaterali: abituato a chiudersi, a preservare la
genuinità dell'’
autoritarismo si concepiva teneramente esecrabile. Si sorprendeva fino
al punto
da chiedersi se l’uomo che baciava, abbracciava e si fletteva
fosse lo stesso
che decollava con la sciabola, chiodava con i proiettili e puniva ogni
diserzione…
Amava sconsacrandosi.
Amava senza sapere come farlo al
meglio e temendo di sopprimere l’intransigenza.
Con
Judith si erano incrociati in
una timidezza analizzatrice che aveva lasciato sbocciare inedite maree.
Si erano fidanzati conoscendo violente
leggerezze che la tristezza delle loro esistenze non aveva
concesso…poi… sposi
novelli, novizi d’una vita di speranze misteriose.
Tutto
era spuntato grazie e a causa di lei.
- Fa così freddo
che pare non ci sia il sole…- mormorò la
fanciulla- eppure il cielo è
limpidissimo, ancora più azzurro di quando vengono la
primavera e l’estate.
Lo sposo
aprì il portello
del calesse
appoggiando il bagaglio sul sedile.
Sorrise cercando di
non scendere
dalla gradinata dell'’alterigia.
-
Per fortuna non
m’imbatterò in uno di quei tremendi acquazzoni che
rendono le strade
impraticabili.
- Certo…però è
strano…non c’è neanche una nuvola e
tutto è troppo immenso e sfocato. E’ come
se non trovassi rami cui appendermi. Più il celeste
è intenso, più è vuoto.
François
squadrò la ragazza, indurendo i bei
lineamenti che sarebbero potuti apparire rassicuranti
e luminosi.
- Se vedessi i
cieli d’Europa – fece acremente- ti
assicuro
che vorresti gelare qui, nel cuore dell'’inverno, sotto
questo cielo che vedi
troppo “ vuoto”.
Judith
sospirò rabbrividendo
leggermente.
Nonostante apparisse desolata simile a una bambina insonne, non
osò
abbassare lo sguardo davanti i granitici occhi
dell'’esaminatore.
- Hai ragione…-
ammise – Non appartengo alla dimensione delle armi, non so
come si carica una
pistola o una carabina, sono incapace di descrivere veramente il suono
e
l’odore della polvere da sparo…Mi hai raccontato
ciò che vivi, provi, le radici
del dovere che persegui…Anche se sono distante dalla materia
che maneggi e che
ti ha forgiato…mi sento vicina a te.
François
credé che la
mano di un
angelo lo stesse spingendo in
uno sfavillante
fossato …
Studiò adagio, in soggezione, gli squisiti contorni della
giovane:
l’ovale un po’ lungo, fragile, morbido, le labbra
piccole tinteggiate d’un rosa
fruttato e trasparente…
Con quella pelle rannuvolata d’ inquietudine nessuna Vergine
bizantina o gotica
la eguagliava in
maestosità…
- Due sponde
possono essere differenti- proseguì ella sorridendo
- ma proteggono i
fianchi d’uno stesso fiume, sempre
l’una di fronte all’altra…
L’ufficiale,
vinto dall’ incantesimo di quella nostalgica dea, la prese
tra le braccia…
Lasciò smarrire una mano tra le filature infreddolite dei
boccoli così
sfuggenti e astratte da mutare in
arabeschi di vapore…
- Judith devi
pensare al nostro avvenire… è meglio che
rientri a casa. Quando tornerò, voglio vederti con il nuovo
de Jarjayes in
braccio. Credo sarà
estate e io adoro
quelle stoffe chiare e leggere che solo tu sai indossare.
Mentre si
scioglieva dall’abbraccio, la donna gli afferrò le
mani
illudendosi di cancellare le amare linee che impugnavano le armi.
- François…il
sentiero che porta alla villa è diventato terribilmente
lungo…ho paura di
percorrerlo…
- Judith…mi
costringi a
dannarti?
- Per colpa tua il
camino fingerà di scaldare e illuminare la
casa.
- Non smetterai di
farmi precipitare in tutti i sensi.
- Ti prego…siamo
solo all’inizio.
- Andremo avanti…te
lo prometto.
François
circondò di nuovo la
moglie dandole un bacio e un sospiro di cordoglio sulla guancia.
Ella, non osando guardarlo negli occhi, lo strinse con inatteso e
infantile ardore, celando il viso tra i lembi della sua giacca,
sfogando l’angoscia.
- Ti amo.
- Judith.
Venne scostata con
burbera dolcezza.
- Perdonami – fremé
imbarazzata.
Il marito le prese
lievemente le spalle.
- Non dire
sciocchezze…Sono io che devo imparare a guardarti come si
deve.
L’attrasse
a sé rinunciando finalmente a controllare la
mente…
Volle soltanto pregare contro labbra d’angelica e sconfinata
ansia…Trattenne
la bocca, irruvidita
d’amarezza,
su quelle superfici irrigate di pensosa
primavera.
- Ti amo.
Le
accarezzò il viso per disperdere un’ultima scia di
calore e salire
in carrozza.
Si sedette cercando di non crollare al suono della
tenerezza…Ormai un
pesante sportello di legno lo
separava
dall’amore.
Bisognava partire
e basta.
Il vetturino ricevette l’ordine di
avviarsi verso l’uscita della
tenuta.
Le ruote
scricchiolarono acquisendo piano, piano, un ossuto e
impolverato vigore…
Gli zoccoli dei cavalli presero a piagare la ghiaia…
François
sperò invano che i rumori delle manovre coprissero i
martellamenti dello
sguardo della sposa….
Capì di non offrirsi limpidamente, che
rischiava di perdere validità cadendo in
prescrizione.
Voleva incitare il cocchiere ad abbandonare il cortile con
più lena e
brutalità ma non ne aveva il coraggio.
Scorse Judith che salutava opalescente simile a una
ninfa spettrale.
Sollevò
anche lui la mano tentando di sorridere e lanciare un
abbaglio…purtroppo
fu difficile trasmettere quel messaggio.
La villa si allontanava…
Lei si allontanava giustiziandolo…
Le fronde degli
alberi lo scacciavano via.
Il tenente
desiderò raggiungere al più presto i campi
militari poiché la
dimora che rimpiccioliva luccicava di soavità malefica.
La sensazione di aver abbandonato la parte migliore e neonata di se
stesso era atroce.
Innervosito,
distolse l’attenzione dalla campagna per deporla nel vuoto
che aveva di fronte.
Impossibile
parlare, stringere
un cuore al proprio petto.
La solitudine deformante non esigeva nulla.
- E’
assurdo continuare così!
- Generale! Il
Duca di Noailles ha ordinato di mantenere la difensiva!
- Sono
trascorse sei ore! Sei ore! E l’artiglieria non ha
ancora polverizzato quei maledetti inglesi!
- Attaccare
sarebbe troppo rischioso! Il nostro compito è
quello d’impedire che Re Giorgio arretri!
La voce furibonda dell'’ufficiale
Louis di Grammont e le proteste dei generali Montagne e Lally
frantumarono il
raccoglimento…
François
inspirò l’odore
amarognolo dell'’erba che s’arricciava al lezzo
grigio della polvere da sparo…
Il
fiume Meno* ,
coperto da
un vello di foschia ferrosa, si strozzava tra il verde
corrotto delle
sponde…
Sul versante meridionale, le
milizie francesi erano asserragliate attorno
ad un collare di cannoni che ruggiva sfere nere…
La
palude circostante , disciolta
in un castano marcescente, non
ascoltava
le urla del contingente britannico che tentava di sopravvivere
all’assalto
nemico…
Le colline settentrionali della
vallata e le piccole dimore del villaggio di Dettingen guatavano
lontano dalle
eruzioni della battaglia, incupite qua
è
là da macchie tumide di boschetti scuri.
Era
quasi mezzogiorno ma il
sole restava avvolto da un pellame
rancido di nuvole
bianche, illividite da croste bigie…L’azzurro si
palesava attraverso qualche
strappo di libertà rosicchiato da
flebili venti…
- Le
vie di rifornimento sul versante di Francoforte sono
state tagliate – soggiunse de Felix
d’Olliéres -
ormai gli inglesi e gli alleati austriaci
sono pressoché spacciati! Se batteranno in ritirata verso
est, il maresciallo
Noailles infliggerà il colpo di grazia!
- È
uno spreco di tempo! – ribatté Grammont
– ci stiamo
logorando miseramente quando potremmo atterrare con un
solo assalto! Porremmo fine allo scontro!
- Non
mi pare una strategia illogica – riconobbe il
generale de Broglie – dovremmo cogliere
quest’occasione dal momento che gli
inglesi hanno perso compattezza nei loro corpi! La nostra fanteria
romperebbe
lo schieramento centrale mentre le ali di cavalleria
annienterebbero i fianchi! I cavalieri
britannici sono piuttosto
mediocri…
- In
effetti, sono inferiori rispetto a quelli austriaci
e hannoveriani – ragionò l’ufficiale
Rechelieu – le nostre milizie sono in
grado di accerchiare e abbattere anche se non bisogna sottovalutare le linee arretrate degli
alleati.
François osservava irritato le
dispute dei superiori…Odiava gli ingarbugliamenti strategici
e specialmente
biasimava la razza di quegli aristocratici , ignoranti in materia
tattica , che
si aggiudicavano i comandi delle milizie…Era tutta una
competizione burocratica
per appiopparsi un succulento posto tra i ranghi del prestigio. Pareva
una
comica e indecente corsa a degli appalti pubblici dato che la dea
Guerra era
stata deflorata da tempo…
Ventuno
anni, cento granate
subite e più di cento da scoprire.
Una giovinezza denutrita e
diffidata…
Il tenente de Jarjayes non
aveva mai vissuto l’ adolescenza o forse
si era talmente afflitto da rinunciare ad assaporarla…Il suo
cursus honorum
possedeva le sembianze d’una scala di pietra che andava
giù, verso una vecchiezza
senza rughe un
po’ ipigli os e
rancorosamente sognatrice…
Avrebbe desiderato godere di una
beota e beata ingenuità però sarebbe stato
improbabile…Trattenere il vomito alla
visione dei raccomandati, mordersi con altri arroganti concorrenti,
resuscitare
la sua stirpe dal declino…quelle erano le norme
dell'’esistenza che un po’
aveva patito dal padre e un po’ dal Fato…
Quelli
erano divenuti gli
stendardi di battaglia che ora desiderava difendere con l’
onore amareggiato.
- Chissà
se saranno i gentlemen di Re Giorgio a crollare
definitivamente o la Maison du Roi…
François
vide avvicinarsi il
capitano Blaise Enric Rochebrune.
Era
il suo migliore amico,
l’unico umano aristocratico di cui si fidava veramente
nell’esercito…Si
conoscevano da cinque anni e assieme avevano ottenuto, con meritevole
impegno, i comandi dei Mosquettiers
e della Chevaux-Legers
de la Guard, squadroni di cavalleria che appartenevano
alle truppe di
de La Broglie.
- Ritengo
che la soluzione di Grammont sia appropriata –
valutò con asciuttezza François –
bisogna demolire gli inglesi ora, piuttosto
che bombardare senza risolvere la questione! Li abbiamo alla nostra
mercé!
Il
collega piegò all’ingiù il
labbro in segno di disapprovazione.
Era in grado d’illuminarsi brioso
e flemmatico, quanto di solennizzarsi in una razionalità
pietrosa. Aveva
lineamenti affascinanti con il naso un po’ pronunciato, la
mandibola elegante e
il mento ornato da una corta lanugine di peli. La fronte era spaziosa e
proporzionata,
gli zigomi emergevano dolci e forti e la bocca si muoveva flessuosa ed
energica.
Due grandi occhi nocciola ardevano
autorevoli scaldandosi di linda perspicacia ma mai di
sbadata
incredulità. I capelli castano rossicci erano di un liscio
increspato e si
adagiavano sulle spalle con imprecisa finezza. Una manciata di
lentiggini, sparpagliata
sulla pelle, conferiva
una smaliziata
puerilità al
viso che in quel
momento rivelava
scettica
preoccupazione…
- Quello
che affermano i generali Grammont e de la Broglie
è vero…a una prima analisi – si
corrucciò Blaise – la fanteria e la cavalleria
sono abbastanza preparate ma non
eccelsamente…Le reclute arruolate in febbraio non hanno
mostrato abilità
proprio efficaci…
- Sì…è
vero – sbuffò frustrato de Jarjayes –
questo è il
risultato dei progetti dell'’ultima ora…quando la
disperazione di gonfiare i
numeri manda al diavolo la qualità…
-
Non stiamo giocando una partita a
scacchi…niente è
scontato e in meno di un’ora tutto può essere
sconvolto ... Credi che l’esercito
Prammatico abbia esaurito le risorse?
- Quei
dannati cani sono pericolosi…ma dobbiamo agire! Tribolarci
coi “se” e
coi “ ma” equivale a morire!
Finiamola con gli sproloqui!
François
diede una speronata al
cavallo galoppando dinanzi al suo squadrone.
- Soldati
di cavalleria! – esclamò – iniziate a
schierarvi sulle linee!
Le
milizie obbedirono formando un
rettangolo ordinato di timore e perplessità.
- Vedo
che il tenente de Jarjayes spasima di sacrificio –
sibilò sarcastico Montagne dopo aver guardato la scena.
- Almeno
non trema come un animaletto in gabbia! –
obiettò rabbioso e soddisfatto Grammont
.
- Già...quel
giovane è rapido e provvidente- disse de La Broglie
con finta ammirazione – per fortuna possiamo contare su
uomini come lui…
Blaise accostò
il proprio destriero a quello dell'’amico.
- Rompere
la barriera difensiva è un suicidio! –
replicò
– perderemmo un sacco di uomini! Rimanere compatti su questo
fronte, come esige
de Noailles, permette di governare prudentemente la situazione!
- Schieriamo
gli elementi più forti all’esterno delle
ali! Sarà difficile
disperdersi!
- Tra
gli inglesi regna il caos! Attaccarli
significherebbe ribaltare disastrosamente i ruoli! Non dobbiamo
ostacolare l’artiglieria!
- Blaise!
Vuoi ammollarti con
Montagne, Lally e d’Olliéres?
- E’
questione di evitare una macellazione di massa!
- Annientare
o essere annientati!
- Trasformeremo
un successo in fallimento!
Spazientito,
il
tenente de Jarjayes, ignorò il capitano:
- Generale
de la Broglie! – avvertì duramente – la
Cavalleria Leggera è pronta all’attacco.
L’alto
ufficiale interrò il
disprezzo per quel ragazzo, quell’impudente che lo anticipava
incisivamente
nell’azione e che lo guardava a sua volta con disprezzo.
- Bene,
tenente de Jarjayes. Mantenete le truppe sul lato
esterno! Moschettieri…. Ordinatevi in manipoli. Disponetevi
sul fianco destro
della fanteria!
Blaise,
inghiottendo la pietra
del dissenso, dispose con zelo repentino i propri uomini.
Alla fine, restò in attesa,
massaggiandosi le tempie…
Cercò di placare la propria rattristata
collera sospirando pesantemente.
Guardò di sbieco François che
ricambiò il cipiglio.
- Che
aspettate generale Rechelieu?! – esclamò de
Grammont – ordinate l’ala sinistra!
Il
comandante eseguì le
disposizioni sebbene fosse angosciato dalla prospettiva di finire
infilzato da
una sciabola inglese o austriaca.
- Montagne!
Lally! D’Olliéres! Smettete di sputare
lamentele e dislocate i corpi di fanteria!
I
tre nobili, con le spalle al
muro, rispettarono le direttive.
I
battaglioni furono
collocati al centro affinché
travolgessero i fanti nemici
mentre gli
squadroni delle cavallerie, che
cingevano i lati , avrebbero
dovuto irrompere sulle fiancate e attuare una manovra avvolgente.
Grammont
si mise alla testa dell'’esercito.
Una
distante orchestra di garriti
contagiò il cielo…
François
, inspiegabilmente, riuscì
a udirla tra frastuoni
di stivali in corsa e zoccoli che
rombavano.
Sollevò il volto…
Uno
stormo di rondini , anomalo e
agitato, scivolava
verso sud, verso la
Francia…
Nessuna festosità estiva
esplodeva da quelle piume indomite ma solo luccichii luttuosi.
Un immateriale fiotto di sangue
schizzò dal cuore per gelarsi in una stalattite acuminata.
Il tenente si paralizzò in un infarto
collassante…
Judith allucinò l’ animo per svanire
in un rapido e violento buio d’interrogativi.
- Maison du
Roi ! Gendarmerie française!
– urlò il generale- in nome di nostra
maestà Luigi XV , abbattiamo i nemici di Francia!
Le
truppe si riversarono in un
sisma di polvere contro l’esercito prammatico.
- Cessate
il fuoco! Cessate il fuoco!
Sulla
riva meridionale del Meno,
il colonello dell'’artiglieria
d’assalto, Frederic Claude de Girodel, guardò
basito la scena.
Solitamente marmoreo
tuonò pieno d’ira impallidita:
- Perché
diamine l’esercito di Grammont sta attaccando?!
Chiamò
un sottoufficiale:
- Caporale!
Avvisate immediatamente il duca di Noailles!
Occorre cambiare tattica! Il piano è andato
a monte!
Joyssigni, Parigi
- Madame!
Coraggio! Respirate! Respirate a fondo…
Marie Grandier , la fidata
governante di casa de Jarjayes, tentava di mantenere il sangue freddo.
Minuta e dai contorni
tondeggianti, possedeva membra salde e svelte pronte a gestire
incombenze e
allarmi.
Judith annaspava terrea e sudata
talmente sopraffatta da quell’artiglio asmatico da non aver
la forza di urlare.
Il letto bolliva durissimo,
venato dai dossi delle lenzuola che parevano serpi di pietra.
Le serve , agitate, correvano da
una parte all’altra della stanza per supportare il medico e
l’allevatrice
chiamati d’urgenza.
Avanti l’ora di
pranzo, la
giovane era stata assalita da fitte al ventre culminate in una febbre
delirante.
Durante i primi mesi di gravidanza
non aveva dato segni di debolezza mentre in seguito si erano fatte
più
frequenti nausee ed emicranie…Marie e le altre cameriere
l’avevano assistita con
attenzione , preoccupandosi di sottoporla a
visite giornaliere e non
crearle
ulteriori ansie siccome François era in guerra.
Quel
giorno villa de Jarjayes era
invasa dal panico più disintegrante.
Le doglie non parevano normali…
- Dottore!
– chiese sbiancata Marie – è possibile
che un
bimbo possa già nascere al settimo mese?
- Può
accadere signora ma ho il sospetto che non si
tratti d’un parto vero e proprio.
L’uomo
contrasse la fronte esaltando
le rughe che lo
intorpidivano di
disincanto cimiteriale.
Aveva cinquant’anni ma ne
mostrava settanta con i capelli bianchi e sciupati, le mani bronzee che
toccavano stenti e il naso che s’incurvava sempre
più aquilino.
- Dio
mio! – s’allarmò la governante - Non ditemi che…
- Presto!
– interruppe con malgarbo la levatrice –
aiutatemi a tirarla su!
Judith
parve frangersi, afferrata
dalle braccia di quella virago unta di abbrutito pragmatismo.
- Accidenti!
Fate piano! – s’irritò Marie
– non vedete com’è ridotta?
Con
efficace dolcezza cinse le
spalle della
padrona adagiandola
semiseduta.
Il medico somministrò un decotto
liquido , che venne inghiottito a fatica, e
raggiunse i piedi del capezzale…
Judith lacrimò con i capelli che soffocavano
le spalle e la fronte e i brividi che ustionavano gli arti.
-
Dottore! – insistette Marie – mi
spiegate che sta succedendo?!
La
ragazza esalò un lamento
rauco, sanguinante…
-
Dottore! Che sta succedendo?!
-
Dobbiamo salvare il salvabile-
sbraitò l’uomo- o
vi sarà un doppio
funerale!
L’assistente
premette sul ventre
della partoriente che macinò un grido squagliato…
Un
fragore lacerante, dalle tinte
massacrate e indefinibili…
Una piccola valanga vischiosa, di
leggerezza sassosa e sfibrata.
Silenzio…
Ogni rumore venne fracassato.
Il
dottore , minato di stanchezza
glaciale, afferrò una creaturina violacea…
Una bambina rachitica già
esiliata nella ninna nanna della morte.
Dettingen ore 14:00
- Maledizione!
Concentrati François!
eJean Antoine torreggiava,
con collera artica, sull’erba paralizzata del
giardino di casa.
Il sole del mezzogiorno s’ insinuava nei solchi della fronte
e degli
zigomi seccandogli la pelle in un pallore d’alabastro
spettrale.
La pesante parrucca di riccioli grigi lo rendeva una surreale
divinità
orientale o uno di quei geni malefici che divoravano i viandanti
carovanieri.
IIl piccolo
François preferiva non guardarlo mentre tentava per
l’ennesima volta di afferrare con maggiore durezza il
cavalletto della pistola.
Le mani erano orribilmente sudate e sembravano rimpicciolirsi sempre di
più all’eco della vergogna…
Le ciocche castane dei capelli riuscivano a vibrare senza il vento e ad
appiccicarsi con agitata gravezza sulla fronte…
I lineamenti tondeggianti delle guance e
il naso
setoso s’inumidivano alla
scansione dei brividi che tormentavano il sangue…
- Allora?! Ti
decidi?! È da mesi che ti eserciti e non riesci ancora a
centrare un bersaglio!
Lo sguardo blu del
ragazzino si restrinse per inghiottire la sfocatura
del terrore.
Le braccia erano goffamente rigide e dolentemente instabili.
Il bersaglio, coi
suoi cerchi concentrici, rideva muto in una
lontananza imprendibile…
Il bambino strinse
un occhio cercando di rinsaldare la mira…
Posò il dito sul grilletto caldo e scivoloso…
Premette con cautela cercando di nascondere al padre il tremolio degli
avambracci…
Sparò.
Un tuono
sfrecciante, brevissimo, stridulo.
Il proiettile si era conficcato nel sesto cerchio del
bersaglio.
Il centro era rimasto illibato e nero.
Bastava
un minuto.
Un niente.
Una tempia si fracassava, una
fronte si apriva, un ventre o un petto si stracciavano come carta
inscrivibile.
La vita era un piatto d’argilla
scagliato in aria per essere frantumato dalla ferale
fugacità di
un proiettile…
Impensabile
una metafisica della
carità.
La
cavalleria dei dragoni
austriaci era una mandria di centauri che non sapeva da che parte
crollare.
François
aveva imparato che
detenere un’arma equivaleva diventare Dio in attimi di
polvere soffocante.
Un potere blasfemo ma
perfettamente legittimo.
I cuori non avevano la sostanza
durissima dell’oro poiché erano coaguli di carne
che squagliavano i collanti
delle vene e del sangue.
Così
bisognava pensare… evitare
di precipitare…
Tale
era l’evoluzione.
Tale il castigo.
- Caricate
sui fianchi! Non lasciateli fuggire!
Il
giovane comandava con
ghiacciata ferocia, manovrando il cavallo quasi fosse un essere dalla
nobiltà
infera…
Lasciava strepitare la carabina dopo
aver preso la mira con turpe accuratezza e arpionava con la baionetta
chiunque
tentasse di annientarlo.
Il
suo sguardo non si perdeva in
quello degli avversari.
Pestava e volava via…
Artigliava e buttava via.
Inutile
redigere il resoconto di
ogni spirito umano… i corpi dei militari si svuotavano in
lampi di secondi che
valevano zero.
Fingere
che nessun battito
contasse.
Dimenticare il proprio ego...
L’empatia che costringe ad abbassarsi, ascoltare
attentamente.
Il
giovane toccava terra
solo per smontare temporaneamente da
cavallo e farsi strada con fulmini di sciabolate.
Il
primo assalto dello squadrone
di Rechelieu era stato respinto dagli inglesi e la cavalleria leggera e
i
moschettieri stavano annientando gli alleati asburgici.
Da
un’ora logoravano
le ali nemiche avendo
l’inquietante impressione di decapitare idre…Erano
vincitori che
restavano impantanati
a pochi metri dal traguardo…
Blaise
tentava di non disperdere
e disciogliere le milizie tra le nubi imbrunite della
polvere…
Con viso granitico , che celava
una tormentosa mestizia, aggrediva e difendeva assordandosi alle
esplosioni dei
fucili.
Non
approvava l’avventata
strategia di quegli assalti ma doveva continuare a navigare sulle onde
del maremoto.
Supportava l’amico che lo faceva
snervare…Il fratello che non poteva abbandonare tra i
fragori delle lame e dell'’imprudenza.
La
moschetteria degli austriaci si
dispose in una transenna di denti di archibugi .
- Restate
compatti! – gridò Blaise – preparatevi a
rispondere al fuoco!
Una
raffica di pallottole detonò
dai fucili avversari intrecciandosi caoticamente alla carica dei
francesi.
Un
nugolo biancastro , quasi
fosse un talco di ossa sbriciolate, coprì i boati delle
granate e i feriti che
piombavano al suolo…
I
cavalli annegavano o fuggivano
nella coltre della tempesta come irreali tritoni marini…
- Fuoco!
Fuoco! Non fate avanzare gli austriaci!
Il
capitano dei moschettieri venne
colpito alla spalla e al ginocchio sinistro.
- Blaise!
François
scorse l’amico che franò
dalla sella scomparendo nella bruma degli spari.
***§***
Il Meno era ormai mutato in un
Acheronte di cenere fanghigliosa…
Coaguli di fumo, che sembravano
cotone tumefatto, si
fondevano con acque
pastose e cementizie …
Dalle sponde rotolavano corpi
moribondi che grottescamente si disumanizzavano in fantocci di paglia
bruciata
e insanguinata…
I due ponti di barche, costruiti
dai francesi, galleggiavano con catarrosi sibili, assumendo le viscide
sembianze di bisce imputridite…
Con disperato sangue freddo,
il Duca di Noailles
aveva attraversato il fiume per riparare i danni
dell'’assalto di Grammont: era
riuscito a impadronirsi dell'’artiglieria nemica demolendo
parte delle milizie
hannoveriane * ma gli austriaci stavano già distruggendo il
fianco sinistro
della fanteria….
La bolgia dei dispersi in
fuga,
travolgeva le truppe avversarie finendo incendiata dall’ala
asburgica…
Il
Generale era un chirurgo che
provava a ricucire gli arti di un corpo che finiva continuamente
sbrindellato….
Forse fu un pantano di sagome
urlanti la battaglia tra San Michele e
Lucifero, anche se lì nessun soldato possedeva ali di demone o di
angelo…
C’erano divise rosse, verdi, blu
o grigie…un mucchio di stracci variopinti che mitigavano o
ridicolizzavano la friabilità
degli aneli.
Frattanto
il colonello
Girodel supportava
, con polare stoicismo,
le retrovie .
Guidava con brutale e fine impeto
i propri uomini, abbandonando chi inciampava e intimando di non errare
a chi
sopravviveva…
I suoi capelli
neri, legati in una treccia, parevano
la coda di un grifone e gli occhi verde azzurro, incuneati in un viso
acuminato, sbriciolavano ogni opposizione… I soldati
desideravano odiarlo in
una selvatica libertà ma avevano terrore di farlo…
Quell’uomo possedeva
l’inquietante facoltà di zittire qualsiasi
complotto poiché bastava l’acqua arsenica
dello sguardo a spegnere i fuochi.
Conduceva
le truppe verso la gola
dell'’inferno tenendole serrate, affinché
costituissero una muraglia che non
doveva far disperdere i nemici…
Si spinse per diversi metri
atterrando gli schieramenti prammatici fino a ché la
batteria hannoveriana fece
esplodere le bocche dei cannoni.
Moltitudini
di soldati furono
sbalzati dal riverbero della polvere che scosse il sottosuolo.
Una
pioggia di schegge bruciate investì
Frederic che sbatté per terra…
Una calura acida e ustionante gli
mangiò metà del viso…
Ruscelli rossi gli insudiciarono
lo zigomo e la mandibola grondando luccicanti…
Rimase
rintronato per diversi
secondi genuflesso nel fango secco…sentii la pelle
staccarsi, esporgli
direttamente i muscoli crudi alla scabrosità asfissiante
della cenere…
Masticò il gusto rugginoso della
saliva insanguinata che s’impiastricciava
all’acidità rigonfia del fegato…
La gola si rattrappiva in
un’infiammazione gelata che strizzava a morte i polmoni e le
lacrime che
potevano sgusciare dalle interiora e dagli occhi.
Sopprimendo
le urla di dolore,
rafforzando le arterie
pulsanti nella testa, l’uomo riprese il fucile in mano con
inumana risolutezza…
Crivellò
di colpi un gruppo di
austriaci che lo stava per catturare …
Sconvolse le milizie con quella
fanatica maestosità di annientare anche a costo di perdere
pezzi…
Le
schegge di legno e ferro
rodevano la carne ma il sangue colava ignorato, alienato.
*** §***
François non trovava più la
chiave per evadere dall’odore nauseante della
nebbia…
Non trovava più lo scettro del comando,
dell’ordine…
Con
un braccio sorreggeva Blaise
, che ciondolava svenuto in groppa al cavallo e con una mano sventolava
lo
stendardo consumato del proprio reggimento.
- Imbecilli!
Tornate a schierarvi sulle linee! Non
scappate!
Galoppava
rabbiosamente
minacciando i superstiti, i
frammenti di
un arazzo quasi impossibile da risanare…
Radunò
un malcerto gregge di
reclute cercando di non comprendere che la situazione ormai precipitava
e che
alcuni generali battevano in ritirata, compreso de la Broglie che aveva
lasciato alla deriva un cospicuo numero di milizie.
A occludere con penosa tenacia le
voragini dell'’esercito stavano Grammont, che faticava a
respingere la fanteria
di Re Giorgio, e gli agonizzanti contingenti di Montagne.
- Accerchiamo
il terzo reggimento inglese! Facciamoli
arretrare!
Il tenente attaccò con una coda
lacerata di militi ma una mitragliata di granatieri britannici lo
fermò
violentemente.
Alcune
pallottole gli scalfirono
il braccio, una gli danneggiò una costola e
un’altra gli squarciò il fianco
sinistro.
Rovinò
al suolo trascinandosi
l’amico e finendo schiacciato dal proprio corsiero rimasto
martoriato.
L’incoscienza prese ad affannarlo
velocemente e l’animo diventò un’ampolla
che si colmò d’inchiostro colloso …
Non
era la prima volta che veniva
disarcionato, che decollava per schiantarsi…
Tutto
era iniziato con un impatto
al suolo.
Con il terrore di correre.
Quel dorso nero
terremotò con
crudeltà cieca, tuonante…
La criniera s’increspò come un flutto di tempesta
notturna…
La sella divenne un setaccio di viscosa argilla che si sarebbe presto
sfaldato…
- François! –
gridava Jean Antoine – non mollare le briglie! Non mollarle!
Il bambino, inebetito dal panico,
non sentiva
più nulla.
Il cuore gli sbatacchiava tra la gola e lo stomaco, il cervello pareva
spappolarsi in una motriglia gelata…
Il verde della campagna si deformava in pennellate isteriche che
balzavano contro il cielo azzurro…
Le corde delle redini marchiavano a sangue le dita.
I muscoli del
cavallo s’incrinavano e si gonfiavano in un bollore
incontrollato e folle.
Le lunghe zampe picchiavano furiosamente il terreno struggendo erba e
sassi.
- François!
Reggiti!
Il piccolo, con le
braccia e le gambe esasperate, volò giù
dall’
arcione.
Il frantumante boato contro il
suolo gli detonò nei midolli delle ossa e la mente
annegò in un pozzo stretto e tirannico.
Un
dolore acutissimo lo ustionò
fino ai capillari delle dita dei piedi.
I muscoli gli si contrassero
istintivamente in
uno scatto iroso.
- Diamine
ragazzo! – esclamò una rude voce maschile
–
resisti che ho quasi finito!
François
aprì gli occhi alla
stregua di membrane sudaticce…era a torso nudo madido di
sudore terricolo…
Una stretta bendatura gli
stritolava l’arto sinistro e un’altra mezza
fasciatura gli intrappolava il
costato…
Ammorbato
dall’infiacchimento, riuscì a
sentire sotto il corpo la scabrosità d’una
branda…
Lentamente mise poi a fuoco la
sagoma massiccia e tarchiata di un uomo che maneggiava lesto e
corrucciato
arnesi chirurgici…
Si
accorse che in una bacinella
di rame giacevano quattro proiettili e un paio di pinze
insanguinate…una
matassa di garze invece straripava da una cassetta di cuoio posata su
uno
sgabello di legno…
- Dove…d-dove
mi trovo? – ruminò.
- Nel
Regno dei vivi… In questo splendido lazzaretto
allestito con amore.
- Siete…il
medico di campo?
- Potrei
mai essere San Pietro con le chiavi del
Paradiso? Certo faccio vedere le stelle ma non esageriamo…
Il
dottore infilò l’ago di sutura
nel fianco del giovane che ruggì.
- Il
mio nome è René Deronne e devo ammettere che
possiedi una bella scorza…Di che lega sei fatto? Hai
ricevuto ben quattro
pallottole: una ti si è incastrata magistralmente tra una
costola e l’altra
causandoti fratture neanche esposte…due ti si sono piantate
nel braccio
sinistro e sei scampato a infezioni letali e questa non ti ha
spappolato per
poco la milza…le mie congratulazioni.
François
bolliva in tutto e per
tutto: il filo che stava ricucendo le carni pareva tritarlo e la verve
sarcastica
e grezza del dottore gli urtò i nervi.
- Si
sa qualcosa del capitano Rochebrune? – chiese a
denti stretti.
- Rochebrune?
E chi sarebbe?
- L’ufficiale
che comandava i moschettieri!
René
tagliò lo spago di sutura
e prese una
soluzione disinfettante.
- Rochebrune…Rochebrune…-
ragionò con serafica
strafottenza – aaah! Il lentigginoso coi
capelli rossi di nome Blaise Enric?
- Sì…
- Ho capito. È il
fortunello che è finito schiacciato assieme a te da quello
stallone scuro…Sono
riuscito ad arrestargli una bella setticemia che avrebbe indotto l’amputazione di
metà gamba… Zoppicherà per
un anno intero ma almeno reciterà più di mille
rosari di ringraziamento.
Il
giovane tenente sentì la
scottatura dell'’ antisettico diventare più
dolce…
I lineamenti villici del dottore
si trasfigurarono in quelli di un arcangelo irsuto e deliziosamente
urticante
- Anche
il tuo compare ha chiesto di te – rivelò
grezzamente – Ti chiami François,
giusto?
- François
Augustin Renyier , conte di Jarjayes!
- Va
bene, va bene…non mozzicarmi nobile cavaliere. Spero
che tu non abbia scordato per strada qualche altro dorato epiteto per
rammentare
la mia meschinità di mortale…
-
Avete una bella faccia
tosta! Come osate…
Il militare gemette interrotto
dal chirurgo che lo costrinse a
sollevarsi.
- Ascolta
ragazzetto, sarai pure conte ma
tutti qui stanno facendo i conti
con il fango e le ferite…la vostra battaglia è
durata solo
quattro ore…quattro ore di gloriosa discesa in una latrina
senza scampo.
Gli
fasciò con vigoria tutto
l’addome mentre lui si zittì vergognato e
angosciato.
Le garze non
servirono a coprire la nausea che
si dipanava dalle viscere gorgoglianti e smarrite…
Cadde
il silenzio.
L’uomo
fissò il paziente che si
lasciava avvolgere accondiscendente ma belligerante…
Quel giovane d’alta statura aveva
una snellezza robusta: spalle ampie, pelle che subiva colpi laceranti,
muscoli
che pompavano burrasche allo sfinimento…eppure, con quelle
saldezze, sembrò
indifeso…un galata che temeva di risollevare
il proprio scudo…
- Quanti
anni hai? – gli chiese con tenue scabrezza.
- Ventuno.
- Sposato?
- Sì.
- Figli?
- Aspetto
il primogenito.
François
sospirò cipiglioso.
René sorrise ammorbidendo i
tratti ispidi.
- Ti
stai affilando come un uomo con dedizione e
imprudenza…Provi a fare invecchiare gli occhi ma sei un
bambino che vorrebbe
scendere dall’albero sul quale si è
arrampicato…L’ancora del tuo vascello è
stata appena levata. Hai vissuto nel baccano di un porto che ti ha
schiaffeggiato per buttarti all’orizzonte.
Il giovane si rimise sdraiato per
trovare vanamente conforto nella forza di gravità.
Aveva la sensazione di essere
tornato a otto anni, quella lontana epoca così vicina e
lontana in cui cadde per la prima volta da cavallo…
Fu il primo trauma: per parecchi
mesi non riuscì più a guardare e ad andare in
groppa a un quadrupede senza piangere
e morire di brividi.
Tutto
era partito dal padre...
L’oracolo del destino.
Il fabbricatore di scelte.
Il castigatore dei sogni di fuga.
***§***
- Blaise!
Non ti saresti dovuto muovere dalla branda!
Il
capitano sorrise all’amico con
lo sfatto desiderio di ritrovare la consueta e scherzosa
ilarità…
Claudicava sorretto da una
stampella di legno con una fasciatura attorno alla spalla lesa. Le
efelidi
vibravano di una vivacità rattristata e i capelli rossi
erano sparpagliati
stremati sulle spalle…
- Potevo
mai lasciarti in pace, François? – disse cercando
di far luccicare la voce – volevo accertarmi se avevi la
forza di divorare lo sventurato infermiere
di turno!
De
Jarjayes abbozzò un sorriso
mettendosi cautamente a sedere sul
letto:
- Più
che gli infermieri è il dottor Deronne che mi sta
uccidendo…devo stare semiparalizzato una settimana per le
ferite alle
costole…non sia mai provassi a saltellare! Vorrei spaccare
tutto, ti giuro…odio
starmene qui a ingurgitare antidolorifici e brodaglie schifose.
- Coraggio!
Aspetta un po’ e pian
pianino tornerai a deambulare
normalmente! Pensa a me che continuerò a zoppicare come un
nonnetto per un
anno!
- Sei
un nonnetto bello arzillo! Mi ronzi attorno nonostante
tu sia rottamato dalla testa ai piedi!
- Oh!
Scusa se mi preoccupo di visitare la belva più
infernale del regno di Francia!
I
due compagni risero ma le
ferite presero a
pulsare dolorosamente.
Furono costretti a interrompersi
subito.
- Chissà
quando abbandoneremo la Germania – sospirò
afflitto Blaise – c’è da uscire pazzi in
questo accampamento…Non si capisce mai
che ore siano, e quali siano precisamente le cifre dei dispersi e delle
forniture perduti…Noailles e Grammont pare si debbano
massacrare da un momento
all’altro ma restano
congelati cercando
di supportare gli avanzi delle nostre milizie…
François
fissò la tenda bigia dell'’ospedale
provvisorio…
Chiuse qualche secondo gli occhi
per domandare:
- Quanti
uomini abbiamo perso?
- Non
so…Avevo sentito attorno ai tremila ma i numeri
possono aumentare…Durante la ritirata parecchi sono finiti
uccisi
dall’artiglieria hannoveriana mentre alcuni sono annegati nel
Meno perché i
ponti di barche sono stati distrutti…è stata una
ritirata catastrofica…Le riserve
intatte del nostro contingente non ci hanno raggiunto tempestivamente e
per
giunta i prussiani sono fuggiti senza degnarsi di fermare
l’avanzata dell'’esercito
prammatico.
- Splendido.
È bastata una giornata per polverizzare i
tre quarti delle nostre risorse.
- Quando
gioco valuto attentamente le carte prima di
buttarle.
Blaise
espirò con melanconica
delusione ma l’amico intuì che dentro covava
rabbia…una rabbia più che lecita e
che in parte s’indirizzava verso di lui.
- Tra gli inglesi
regna il caos! Attaccarli significherebbe ribaltare disastrosamente i
ruoli!
Non dobbiamo ostacolare l’artiglieria!
- Blaise! Vuoi ammollarti
con Montagne, Lally e d’Olliéres?
- E’ questione di
evitare una macellazione di massa!
- Annientare o
essere annientati!
- Trasformeremo un
successo in fallimento!
François
udiva quelle parole
suonare orribilmente trasparenti e profetiche…
Si rammaricava, devastato, della
propria sordità ma l’ orgoglio
soppresse in parte gli elogi che doveva al compagno…
- Non
è facile prevedere con chiarezza i movimenti di una
tempesta – riuscì a pronunciare – i
contorni delle nubi sono spesso sfocati…
- Hai
ragione…ma credo che non bisogna temere d’usare il
cervello. C’è un motivo per cui è
collegato ai nervi ottici, non trovi?
L’amico
si stizzì ma era cosciente
di trovarsi dalla parte del torto…Reagire aggressivamente si
rivelava una
soluzione sciocca e inconcludente.
- Blaise…mi
dispiace tanto.
Il
giovane si accinse a far
ritorno al proprio giaciglio dando le spalle in modo traballante.
- Cercare
di raccogliere l’acqua versata non serve a niente
– rispose – bisogna evitare di disimparare a
camminare…
Si
voltò poi indietro, adagio , sorridendo
colmo d’ affettuosa amarezza:
- Ringrazia
il cielo e il nostro bisbetico Deronne se
riusciremo di nuovo a stare in piedi per prenderci
a sciabolate.
François
ricambiò il sorriso con
un cruccio disteso e debitore.
***§***
La
luna grondava lattiginoso
squallore sulle tende dell'’accampamento.
Simili a un unguento gommoso, i
suoi riflessi gocciolavano sul terreno acetosi impastandosi alla
tenebra
bituminosa.
Il sudore resinoso del silenzio si
appiccicava al fetore del sangue sotto le bendature.
I rumori dei bisturi, delle
pinze, delle lame d’amputazione rantolavano nello spettro
delle ore pomeridiane
inumidendo le brande viscose dei soldati feriti.
Con
la fasciatura attorno ai
fianchi, la camicia ingiallita e la giacca della divisa illividita,
François abbandonò
il proprio giaciglio.
Cigolante, si diresse verso
l’estremità settentrionale del campo cercando con
esausta asprezza qualche
pietruzza di stella, qualche mollica di cristallo brillante.
Le membra s’irruvidivano di formicolii,
s’impregnavano d’echi smangiucchianti: le ossa
mutavano in bastoni di carta
fradicia; i muscoli avevano le fibre impietrite.
L’anima
si sfilacciava nelle vene
trascinandosi grumosa e ingrigita.
La
coltre notturna pareva non
dispensare trilli rasserenanti di grilli, né tragitti per
arrivare a
un’anticamera infera… Tutto s’incartava
in un’inezia meditabonda e drogata.
Che cosa sarebbe accaduto
all’alba e nelle ore successive, Dio solo lo sapeva e , in
quel momento, era impossibile
concepire un’unghia di preghiera.
Perché
sprecare pensieri che
sarebbero arsi alla luce della finitezza?
Al limite della tendopoli vi
erano schiume di boschi, greggi di montoni che brucavano senza logica e
pastori.
A tratti s’intravedevano colline
d’erba calcarea, onde di un oceano di mummificata burrasca.
Niente
esplodeva e niente si
placava.
Tale era l’eredità della
sconfitta: un testamento di ore svalutate che non vaticinava vie
d’uscita.
Il
giovane non sapeva dove perdersi,
infuriarsi…
Gli sembrava una sanguinosa
beffa, un’ingiusta umiliazione alla sua lealtà,
allo spirito che si consumava.
Immaginarsi alla stregua di un eroe omerico o di un paladino carolingio
era
puerile e ridicolo ma non poteva sostenere la sensazione di vedersi
sprecato.
La gloriosa fama della cavalleria
francese stava
affogando in limacciose
lagune…
Il tenente levò lo sguardo al cielo,
dove la luna galleggiava spaurita sopra una tenaglia di nuvole scure.
Judith.
Judith sopra l’anello dell'’abisso.
Il
respiro circolò nel cuore come
una nube lacrimante di solfato.
Gli occhi di lei inondarono,
dolci e angoscianti, il vacuo gelo dell'’ira.
Il giovane venne tramortito
violentemente da quel tesoro che aveva visto annegare prima
dell'’assalto degli
inglesi.
Era stata una sensazione di
rovina, un presagio che distruggeva inizi felici.
La
sposa doveva essere al settimo
mese di gravidanza e mancava poco alla nascita del
piccolo…il primogenito, un
ignoto ed entusiastico inizio che avrebbe donato un altro ruolo: quello
di
padre.
Il
marito non riusciva a provare
felicità, a godersi quell’attesa: sentiva che era
accaduto qualcosa, che a
Dettingen come a Parigi la falce del fallimento aveva colpito, razziato.
Judith
stava davvero bene? La sua
sottigliezza reggeva il ventre crescente? Com’era diventata
la sua pelle? Più
rosea? Più pallida? Più screpolata?
Che diceva al piccino nel letto
nuziale per metà vuoto? Gli parlava di lui?
L’ufficiale
si pentiva di
straziarsi, amare quella completezza che offriva ansie.
Era
sufficiente il macigno della
guerra perduta…Forse sarebbe stato meglio…niente
anime che attendevano e
ricambiavano calore…Nessuna piantagione di fiori nel
cuore…
Troppa
era la delicatezza,
spaventosa la cura.
No.
Che oscena assurdità.
Come
poteva pensare di non avere
quella fanciulla? Esistere senza lei? Costruirsi privo dei suoi colori?
La
luna nel cielo era una perla
estirpata da una conchiglia, dalla protezione e lui si sentiva il
peggiore dei malfattori
anche se il dolore rappresentava la gioia di concepirsi vero, dominato
da una
disperazione vitale.
In quelle ore di mortifero
mutismo, dialogò con la lontananza, con il riflesso della
moglie intrappolato
nel feretro della notte.
- L’aria
è terribilmente inutile, vero?
Il
ragazzo si voltò a destra e
distinse una sagoma assisa su un mozzo tronco d’albero. Stava
con la schiena
eretta e fumava , solennemente sprezzante, una lunga pipa…
- Colonello
de Girodel !
L’uomo
si alzò con placidezza
cinica e scorbutica, lasciandosi irrorare dal crudo argento dei raggi
lunari…Alto, snello e vigoroso era dotato della
regalità boschiva del cervo,
l’animale araldico di famiglia. Nonostante fosse debilitato
da una feroce
spossatezza, egli non voleva lasciar cadere la sua corona di rami
insidiosi.
Il volto appariva
in un’affilatezza da esattore
fiscale e in una sabbiosa santità d’ eremita. I
capelli bruni, sebbene
compromessi di pulviscolo e secchezza, erano accuratamente raccolti in
una coda
bassa. Gli occhi allungati verde acqua filtravano ematomi notturni ma
non perdevano
brillantezza algente. Il naso possedeva una
minacciosità diritta e
asettica, le labbra sottili erano di una perentorietà
geometrica e il mento si
disegnava aguzzo e fine.
A stropicciare quei tratti da
sfinge, un’ustione
sulla guancia sinistra
e striature di graffi che deturpavano la liscezza sassosa della pelle.
- Era
una prospettiva intollerabile affossarvi come un
cadavere – intuì apatico Girodel –
così volete trovare conforto nella frescura
della notte.
- Non
so se questa frescura sia veramente confortante…
- Avete
ragione. C’è tanfo di lentezza…troppa
lentezza…Le
ore sono diventate futili e voi siete un uomo d’azione. Un
autentico leone.
Frederic
sorrise con acida
cupezza…
François strinse i denti per disfare
il disagio che lo screditava: non capiva se provasse un imbarazzante
rispetto o
una collerica avversione verso quel nobile dall’eleganza
ostile ed enigmatica.
- La
campagna è squisitamente immensa –
seguitò con
gelida ironia il colonello – tuttavia è muta e
claustrofobica. Finge di
mostrare lunghi sentieri ma non è altro che un prolungamento
di questa
prigione, un bel cortile infame. Chissà che sofferenza per
voi abituato a
correre su pianure infiammate o a discendere ripidi
colli…Immagino sia
bello essere liberi
di scordare i
calcoli concepiti con cura.
Il
cervo affilava il diadema di
corna per trafiggere in profondità.
Il leone ringhiava intenzionato
a schermarsi con depressa fierezza.
-
Ho commesso un grave errore di
valutazione –
rifletté dolente il ragazzo – credevo di
dover agire, supportare Grammont perché restare fermi
sarebbe potuto costare
caro. Sembrava che ormai gli inglesi fossero in trappola e non si
poteva
perdere altro tempo. Era necessario concludere la battaglia…
- E
mandare all’altro mondo buona parte delle nostre
milizie.
- La
cavalleria francese ha provocato numerose perdite
nei corpi austriaci e hannoveriani!
- Certo,
tenente…peccato che i soldati si siano
gioiosamente dispersi per finire dritti in mattatoio.
- Ho
mantenuto lo stendardo fino alla fine! Ho riunito
l’ultimo brandello delle mie truppe! Non ho risparmiato
nessuna goccia del mio
sangue! Nessuna!
- La
vostra temerarietà è ammirevolmente esilarante.
Vorrei conferirvi una medaglia di platino per l’ardore che
trasmettete ma
quando il coraggio assume le fattezze della stupidità tutto
si complica.
Il
fumo della pipa di Frederic
era un serpente che gonfiava di veleno le stelle traballanti del buio.
François represse le lacrime di
rabbia che gli incendiavano la vista.
- Mai
ho desiderato deludere la Corona – scandì
stritolato – il mio obiettivo era di vincere i
nemici e non ho fatto altro che mettere in atto le
migliori strategie.
Non…non avevo previsto…un ribaltamento delle
sorti. Io penso a dare il tutto
per tutto e, poiché non è possibile determinare
con totale certezza le mosse
future, è necessario rubare il tempo
all’avversario prima di lasciarlo
riprendere…
- È triste che vi siate rivelato
un pessimo
veggente come Grammont. Non vi eravate accorto che le truppe arretrate
degli
Asburgo sarebbero potute intervenire e rafforzare le fondamenta
indebolite
della cavalleria?! Vi si squagliava d’impazienza la mente se
la lasciavate
lavorare con più
calma?!
- Colonello
de’ Girodel! Sarò pure colpevole di stoltezza
ma non mi sono azzardato a fuggire e ad abbandonare i superstiti come
ha fatto
de la Broglie!
- Il
senso dell'’onore è encomiabile ma inutile,
valoroso
de’ Jarjayes… ho solo visto il vostro stendardo
bruciarsi al suolo.
Il
giovane strinse i pugni con la
voglia indiavolata di percuotere il rivale, calpestarlo, fargli
comprendere che
il Fato era sprovvisto di un codice etico…Purtroppo quel
maledetto cervo aveva
ragione e la sua odiosa regalità pareva
insormontabile…Aveva trentuno anni ma
già ne esibiva il doppio visto che era fermentato in un
distillato d’ aridità e
razionalismo smantellatori.
- Domani
pomeriggio vi presenterete al duca di Noailles-
annunciò freddamente – è fondamentale
riparare le crepe della maison du roi.
- Che
intendete dire?
- Sarete
retrocesso a grado di sergente.
François si sentì spaccare il
cranio e l’anima da un martello incandescente.
Un orripilante assideramento
l’oppresse e lo sguardo
si sospinse nel
silenzio che sviscerava i respiri degli alberi.
- Sono
mortificato, de’ Jarjayes – disse con arrogante
compassione Girodel – credetemi, non tutto il male viene per
nuocere. Sono
convinto che imparerete a destreggiare il vostro eroismo con maggiore
consapevolezza. Il nome della vostra stirpe sta prendendo la rotta
dell'’ovest…desiderate
tramontare
nell’onta dell'’oblio?
L’uomo espirò tracce di fumo tartareo
e tornò all’accampamento.
La sua ombra lo accompagnò
ieratica e incendiaria come un nibbio del Sahara.
François
scaraventò per terra la
blusa dell'’uniforme e la calpestò con violenza.
L’ira lacrimò dagli occhi
graffiando il viso e i singulti.
*** § ***
- François
Augustin Reynier de Jarjayes… Per aver
trasgredito gli ordini del vostro
comandante supremo, vi requisisco i gradi di tenente.
Il
Duca Adrien Maurice de Noailles
tolse le medaglie al giovane che taceva deferente e frantumato.
La sua voce montagnosa aveva
rimbombato nella tenda raggelata e regia. Le rughe gli incidevano fronte e zigomi con
ruvidezza vellutata, con
quell’imponenza melanconica da Marco Aurelio che riflette
sull’imprevedibilità delle
emozioni.
- Sarete
sergente
nel contingente delle Guardie di Parigi.
Il
ragazzo annuì con la gola
prosciugata di risposte.
La sua criniera era bagnata di
colpevolezza e il sangue si terrorizzava ai ticchettii smagnetizzati dalla bussola del petto.
Gli occhi versavano cocci di
zaffiro opachi e molli e il viso , dai lineamenti decisi e adulti,
cedeva ad
una tenerezza adolescenziale, ad una freschezza sbiancata ed infantile.
Ogni cosa si denudava in
un’imbarazzante piccolezza, nell’essenza
più luminosa di una giovinezza emarginata.
Il generale analizzava quel
nobile con asprezza nebulosamente paterna…Il suo sguardo
castano era caldo come
legno secolare e percuoteva con liquidità
densa.
- Sono
profondamente amareggiato, conte de’ Jarjayes… ho
avuto modo di seguire i progressi della vostra carriera rimanendo
estasiato.
Avete mostrato abilità notevoli e soprattutto un senso del
dovere ferreo e
ardente. È difficile incontrare un uomo sinceramente
convinto di combattere per
lo Stato…Impugnate la spada senza tremare, maneggiate il
fucile con destrezza…Il
comando della Cavalleria Leggera
non vi è stato affidato con incosciente benevolenza.
Contavamo su di voi. Credevo
di aver scelto con cura ogni ufficiale del mio esercito.
François
si percepiva la più
demente delle reclute…Ogni schizzo di discorso che tentava
di visualizzare sembrava
scandalosamente inadeguato…
Il Duca apparteneva alla razza di
quegli antichi strateghi che
permetteva
alla dignità bellica di sopravvivere. Trovarsi di fronte a
lui , in una
vulnerabilità da ragazzetto brigante, era
patetico e
l’odio verso le incontrollate
sudate dell'’animo aumentava.
- G-generale
de Noailles…- disse
il giovane– porre le mie scuse è
stupidamente vano. La debolezza logora i mattoni di ogni muro e io sono
stato
incapace d’intendere…La cosa che mi fa
più rabbia…è che nel cercare la
vittoria
mi sono trasformato in un perdente e ora…non riesco
più a prendere la mira.
Noailles
restò muto, in una
rigidità invernale.
Il ragazzo decise di aggiustare
maldestramente quell’uscita incerta:
- Perdonatemi,
Duca. Ho la pessima abitudine di parlare a
sproposito…senza provare a starmene fermo.
- Siete
precipitato in un grosso burrone de Jarjayes…piuttosto
che paralizzarvi in ciechi miserere, trovate le funi per tornare in
superfice.
L’uomo
abbozzò un sorriso pregno
di rigore ma di vaga
fiducia.
- Avete
una mente e delle mani. Afferrate la vostra spada
e pulitela dalla polvere… Le lame devono riflettere la luce
del sole.
*** § ***
Wiensbaden, 10 luglio 1743
Cara
Judith,
come state tu e il
bambino? Com’è
l’aria a Parigi?
Spero davvero che il
calore dell'’estate possa farti solo bene accompagnandoti il
giorno e la notte…Lo
so che potrei dire sciocchezze
e che
magari vorresti provare a schiaffeggiarmi…E’
impossibile che l’angoscia finisca
di tormentare.
Non ho mai smesso di cercarti
in questi mesi e in questi ultimi dannatissimi giorni…Sapevo
bene che non
potevi comparire magicamente agli angoli delle strade ma ci speravo
troppo.
E lo voglio tuttora.
Sono
distrutto.
Non tollero più il
tempo che scorre irrecuperabile, i miei pensieri, questa noia orrenda
che
immobilizza ogni cosa.
Le
operazioni di
Dettingen si sono concluse in un vomitevole disastro.
Abbiamo perso quasi
quattromila uomini e i prussiani ci hanno voltato le spalle.
È meglio che per
adesso non ti descriva nulla…il mio stomaco è
abbastanza intossicato…
Io
e Blaise Enric
siamo sopravvissuti per
miracolo…chissà… forse il Signore
desiderava non creare
sovraffollamento nel Regno dei Cieli.
Il medico dell’esercito
è un tipo veramente in gamba e ha salvato la pelle a
parecchi soldati …Non so
quante amputazioni abbia fatto o quante maledizioni di morte abbia
ricevuto ma
almeno mi sto riprendendo…
Certo ha il vizio di
sparare sentenze e trattarmi come un marmocchio rimbecillito
però non
importa…E’ bello arrabbiarsi con lui.
Non
stare a
preoccuparti… appena mi riprenderò
raggiungerò Parigi.
Non posso dirti con
certezza quando tornerò e mi auguro di saperlo al
più presto.
Ho terrore a guardare la
luna, Judith.
È bellissima, pare
profumata ma a volte la trovo pericolosamente dolce.
È così bianca che
potrebbe congelarsi e non parlare più…
Assomiglia tanto a
te.
Mi fa restare
sveglio…Perché non riesco a sdraiarmi affianco
all’ombra del vuoto.
Attendo tue notizie…
Sono stanco del
silenzio…del nulla.
È orribile
immaginarti e scoprire che sei ancora troppo lontana, che non posso
afferrarti…
Ti
bacio
François
Il
giovane lesse per l’ennesima
volta la lettera che aveva steso l’ora addietro.
Sulla banchina del piccolo porto
di Wiensbaden attendeva
l’imbarcazione
che avrebbe attraversato il Reno per giungere alla città di
Kartsruhe al
confine con la Francia.
Il
blu argentato delle onde
esalava un aroma di severa e inquieta calma che s’adagiava
sui ciuffi screziati
degli alberi arrampicati alle
sponde…
Le parole incise sulla carta innervosivano
di tenera impazienza…
La
mente fantasticava sulle
reazioni di Judith, tremava per trovare una cornice appropriata in cui
collocarla…V’erano la gioia di vederla col bambino
in braccio, l’incubo di
saperla ammalata, la nera prospettiva di non raggiungerla
più…
Tutta quella matassa di pensieri
causava un mal di mare odioso, sfocato e
irrisolvibile….Volare a Parigi alla
velocità della luce era assurdo e l’unica
sanguinante soluzione si rivelava
l’attesa…
L’attesa che taceva e non
mostrava lo scrigno dei minuti futuri…
L’attesa che costringeva a
fissare il cielo e la terra su un’altalena che oscillava
ancorata al presente.
All’instabilità cristallizzata.
- State
leggendo una lettera romantica, de’ Jarjayes?
François
avrebbe voluto trovare
l’ingresso dell'’inferno per spedirci dentro
Girodel.
Quel dannato profanava puntualmente
i momenti d’intimo smarrimento…Lanciava occhiate
di compassionevole sarcasmo e
attendeva flemmatico la reazione
dell'’interlocutore…
Un cappello scuro gli ombreggiava
metà viso permettendo agli affilati occhi chiari di
lumeggiare con prepotenza.
- Una
cocotte di provincia vi ha dedicato i suoi ricordi
emozionanti? – incalzò – o forse siete
voi che vi dilettate a comporre poemi
sentimentali?
- Ho
scritto a mia moglie.
Il
colonello inarcò le
sopracciglia simulando stupore infantile:
- Siete
dunque…sposato.
- Da
un anno. Aspetto un figlio.
- Amate
la vostra donna?
- Certo…sono
molto in pensiero per lei.
L’uomo
sospirò con una gravezza
che François non capì se fosse
contaminata di canzonatura o
sincera
severità:
- La
lontananza rischia di far diventare le cose irreali,
farle sparire…
Inquietato,
il ragazzo restò
zitto.
Senza conoscere la ragione di
quell’apertura, si sentì obbligato a raccontare
una piccola parte di sé…
- In
effetti mi è capitato di sognare che ero stato fuori
Parigi per un periodo di tempo così interminabile che al mio
ritorno ogni cosa
si era dileguata...soprattutto la mia casa e Judith.
- Vi
siete complicato l’esistenza cercando di dare un
senso a voi stesso… Operazione sciocca a mio parere visto
che la sensatezza non
farebbe vivere l’anima.
Il
sergente contrasse le mascelle
obiettando:
- Colonello…siete
il primo illuso convinto di avere le
mappe mentali degli uomini. Una scuola che insegni la cartografia dello
spirito
non è stata inventata da alcun filosofo.
- Fate
ridere de Jarjayes. La vostra antitesi appoggia la
mia teoria ed è proprio perché non esiste una
cartografia perfetta dello
spirito che affermo che la sensatezza non farebbe vivere
l’uomo. Non so se sia
una fortuna o una piaga ma non ho pretese da
sapiente…anzi…credo che più si
cerchino significati profondi, più si perde cognizione della
realtà…C’è
l’incoerenza alla base di ogni elemento e bisogna accettarla
senza farla
trasparire eccessivamente. L’amore peggiora le cose e non ha
censure per
evitare scomodi spaesamenti.
François
lanciò un adolescenziale
e vendicativo sorrisetto a Frederic.
- Dunque
è per questo che siete ancora celibe? Avete
timore di diventare più insensato di prima?
L’uomo
non si scompose e ribatté
con solenne boria:
- Il
matrimonio è semplicemente un contratto volto a
perpetuare il sangue di famiglia. Un dovere da compiere che non implica
un
turbine cerebrale. La maggior parte degli individui non sono martiri
sentimentali come voi e la vostra consorte e inoltre, spiacente
deludervi, sono
fidanzato da diversi mesi. Non appena tornerò in Francia mi
sposerò.
- Se
ritenete quest’atto così…elementare e
giusto perché
avete quell’espressione eroica e sofferente?
- Ivonne
Marianne Henriette è deliziosa, istruita ed
elegante…insomma ha sedici anni, tutte le grazie di questo
mondo e una famiglia
che naviga nell’oro. L’ideale per rafforzare le
fondamenta dei Girodel. Mi
auguro che quella fanciulla non spicchi voli
pindarici…Sapete, è
intelligente ma rischia di lasciarsi
instupidire dalla curiosità che hanno gli illusi che sperano
di risolvere le
contraddizioni del mondo... Poveretta. È talmente tenera da
rattristarmi molto…sarà
difficile gestire una mocciosa.
***§***
Joyssigni, Parigi
10 agosto
1743
Caro François,
quando torni? Non sopporto
più quest’estate…non fa
veramente caldo…il sole è come
inesistente…Non c’è niente che mi
piaccia, che
mi riposi…
Non riesco a sentire odori e non ho più bisogno di mangiare.
Cammino per
ricordare di avere le gambe, giusto per far rimanere un po’
intatta la vista
quando cerco tra gli alberi il vento.
Perdonami.
Perdonami.
A
casa non vedrai bambini.
Il mio ventre ha partorito una
creatura morta. Una
piccola troppo scura, troppo infreddolita…
Ti prego, perdonami…
Non sono riuscita ad abbracciare il nostro
avvenire.
Sono
solo qui che ti aspetto tra un incubo e
l’altro con intervalli di nauseante insonnia.
È
orribile.
Torna…
Ti
amo tanto.
Mi dispiace scriverti
ciò ma
è l’unica cosa che sono in grado di pensare
per evitare di uscire pazza.
Voglio
abbracciarti al più presto.
Fai
finire quest’estate.
Questo cielo odioso che non crolla.
Io sono qui sperando che tu diventi nuovamente
reale, che dormirai affianco a me facendomi sentire viva.
Non
capisco se sono sveglia o sotto terra.
Judith
- Santo
Cielo, François! Che ti prende?
Blaise,
ansioso, fermò
a mezz’aria il boccale di birra.
L’amico aveva lasciato cadere
lentamente la lettera sul tavolo.
Era sbiancato intontito,
incredulo…Un acquazzone, forse di fiamme o di ghiaccio,
seminava nel sangue e
nelle ossa aculei avvelenati.
- Cosa
ti ha scritto Judith?
François
seguitò nel suo mutismo,
imprigionato in una sfera di piombo che si rigava di rosso, di nero. Si
mise
una mano tra i capelli sciolti come per reggersi il cranio che
diventava un funereo
incensiere di terracotta.
Gli occhi blu erano imbalsamati
in un luccicore comatoso, salassato di brezza.
- François…
Sempre
più preoccupato, Blaise
lo scosse lievemente, come per
scrollargli di dosso una neve dannosamente sonnifera.
- François…che
è successo?
- Scusami.
Il
giovane afferrò la lettera
stropicciandola e si diresse verso l’ingresso
dell'’osteria.
Il compagno lo raggiunse.
- La
tua Judith…- gli mormorò – come sta?
Lui
fissò la sera calante, che
impreziosiva e invecchiava la quotidianità formicolante del
paese…
Si sentì tragicamente estraneo a quella
calma…
Si sentì rabbiosamente invidioso,
tradito dal venticello che prese a rinfrescare i sassi delle vie.
Sbatté
un pugno contro lo stipite
della porta del locale.
- È
stato tutto inutile, Blaise – sibilò rauco
– la culla
affianco al letto di Judith resterà vuota…Devo
tornare immediatamente a Parigi.
*** § ***
Parigi , 20 Agosto 1743
Il
sole del tardo pomeriggio
ansimava timido e afflitto dietro le tende della finestra…
Una luce farinosa ingombrava di
riarsa quiete le pareti della stanza da letto che pareva
l’androne di un museo
mortifero, colmo di oggetti d’opaca raffinatezza…
Un orologio di castagno mostrava
un pendolo d’ottone che oscillava indefesso nel suo
rettangolare ventre di
vetro…
Un armadio mogano imperava contro
una parete simile a un luttuoso portale del limbo che si sarebbe
spalcato su
una valle di sconfinato grigio…
Qualche cornice d’argento
rinchiudeva lo spettro di un silvestre paesaggio crepuscolare o il
ritratto di un
antenato onirico…
Judith
era sdraiata sul letto
simile a una regina appassita che stava declinando assieme al suo regno
perduto.
Coperta da una leggera veste di
un rosa cupo, polveroso, dava l’idea di una bambola di
porcellana guasta ma
custodita con cura
all’interno d’una
soffitta.
I folti capelli castani non
valorizzavano più la sua grazia ma accentuavano una malsana
magrezza che
assottigliava il bel collo e svuotava di colore ed energia le
membra…
Il volto era una maschera di
serico e plumbeo decadimento: aveva sofficità infantile e
pallidezza
d’anzianità…
Le clavicole sporgevano uguali a
radici fragili ed esangui, le spalle si erano disseccate facendo
emergere la
spigolosità degli omeri e le braccia avevano sembianze di
rami assiderati che
potevano spezzarsi da un istante all’altro…
Il
cuore pulsava catrame annacquato
rinchiuso nelle costole che si atrofizzavano in una mollezza
febbricitante…
La mente tentava di fare affluire
il sangue superstite nei suoi meandri sterminati…
Gli occhi materializzavano sul
lato freddo del capezzale la sagoma di François,
l’unica fantasia ancora
possibile, realizzabile, l’unico calore che si riversava in
un addome
depredato, ululante, sterilizzato…
- Madame!
Madame!
Marie
spalancò con commosso
turbamento le porte della camera.
- Madame!
E’ arrivato vostro marito!
La
giovane donna si sollevò sui
gomiti con traballante e gioioso scombussolamento.
- Cielo…ditemi
che non è un sogno…dite…
- Insomma
Marie! – esclamò un’arcigna voce
maschile – lasciatemi
andare e dateci un taglio!
Con
ansiosa rozzezza François
tentò d’entrare nella stanza ma la governante lo
abbracciò piangente dimentica
delle convenzioni sociali.
- Signor
de’ Jarjayes! – balbettò –
è stato terribile!
Eravamo angosciati! Abbiamo temuto il peggio! Madame era disperata!
Sbuffando
il giovane la calmò con
brusche carezze sulle spalle: aveva l’ età di suo
figlio e non c’era da
stupirsi se talvolta gli istinti materni di lei prendevano il
sopravvento...
- Marie…sono
tornato…su….
- C-chiedo…chiedo
perdono! Vado via! Vi lascio!
La
donna uscì con febbrile
imbarazzo chiudendosi la porta alle spalle.
- François…
Judith
stava faticosamente assisa
con le lenzuola tirate su, per non palesare la macilenza che
l’affliggeva…
Il
marito si era già accorto,
devastato, di quell’ombra che la usurava…
Le si avvicinò dolcemente mettendosi
a sedere sul letto…
Sorrise indolenzito accarezzandole
il viso, con i capelli spettinati e la divisa abbottonata in una triste
e
ferita austerità.
- Scusami…-
sussurrò egli – avrei voluto raggiungerti
prima…
Lei
tremolò in silenzio con le
labbra che stentavano a distendersi.
- Farò
smettere tutto, vedrai…
La
vide lacrimare incapace,
impaurita di pronunciare un discorso.
- Judith…quest’incubo
finirà…non possiamo perdere.
Strinse
a sé la fanciulla, attento
a non frantumarla, a
non disciogliere la
sua pelle che rabbrividiva e singhiozzava…
Massaggiò la tastiera delle ossa
del busto macabramente irrigidite, rimpicciolite…
Voleva vincere quel
deperimento…Scaldarlo…Annullarlo…
- François
– incespicò la ragazza – non volevo che
mi…mi
vedessi…così…ti sembro morta?
Si
scostò da lui afferrandogli le
spalle con disperato fervore.
- Sembro
morta? – esclamò stordita – sembro
morta?
Dimmelo.
Lo
sposo la baciò assorbendo ogni
anelo di
dissanguamento.
- Sei
una luna, Judith…la mia splendida luna.
Lei
gli precipitò di nuovo tra le
braccia per penetrare nel suo cuore, rifugiarsi nella linfa di
quell’anima che l’avvolgeva
anch’essa piena di scorticature.
- Andremo
avanti – mormorò François –
te l’avevo promesso…non
so come…ma ce la faremo. Non siamo diventati
ciechi…non abbiamo mai smesso di
toccarci.
I due restarono allacciati
in respiri
sbrindellati…
Stavano
tentando di spegnere l’incendio che assediava sentieri in
costruzione…
Si
gettarono l’uno nella cenere dell'’altra per
trovare assieme acque
resuscitanti…
Erano
spettri che attendevano fattezze di carne…carne che sarebbe
cicatrizzata sotto le candele che bruciavano il buio.
Note esplicative :
Meno*: affluente del Reno
milizie hannoveriane* :
Hannover è una città della Germania
sul fiume
Leine, capitale della Bassa Sassonia. Occupata in epoca carolingia dai
Sassoni,
passò alla casa di Brunswick e da questa al ramo di
Brunswick-Luneburg, da cui
deriva la casa di Hannover. I suoi discendenti sarebbero divenuti in
seguito re
della Gran
Bretagna
. Il primo di essi, Giorgio I,
ascese al trono britannico nel 1714.
Tre re della Gran Bretagna o del Regno Unito sono stati
allo stesso tempo Principi
elettori di Hannover.
Note storiche ( e considerazioni
personali):
questo
dannatissimo capitolo mi ha portato via un mese e mezzo con la bella
aggiunta
di due settimane di documentazione preliminare su: l’
Esercito Francese (
durante e dopo Luigi XIV) la
Guerra di
Successione Austriaca e la battaglia di Dettingen
ç_________ç
La
faccenda della prammatica sanzione non è stata tragicissima
ma lo scontro in
Germania è stato devastante! Mi occorreva sapere in quale
battaglia avrebbe
potuto partecipare François e così , leggendo gli
sviluppi della guerra
austriaca, ho
trovato questa disfatta
dell'’esercito francese in Baviera.
Per
sapere i generali e le fasi degli attacchi e contrattacchi sono stati
utilissimi due siti di wargame, basati su libri di storia
militare…Le fasi di
cui ho parlato sono accadute davvero ( le misure prese da Noailles,
l’errore di
Grammont, l’ora dell'’assalto della cavalleria , la
“ ripresa” dell'esercito
prammatico, il bilancio delle perdite )
Naturalmente
ho filtrato il tutto in chiave poetica e dal punto di vista del
protagonista…ho
cercato di essere abbastanza verosimile ma non ho pretese da saggista
storica!
Alcune cose le ho dovute immaginare e intuire e la disposizione delle
truppe in
manipoli mi deriva dall’aver studiato storia militare romana
XD le tattiche
adoperate nell’antichità continuavano ad essere
studiate e adoperate anche nel
XVIII secolo.
Per
ricapitolare i personaggi storici sono stati : il Duca di Noailles che
era zio
di Grammont, poi i quattro generali de La Broglie, Rechelieu, Montagne
e Lally
( sui loro effettivi comandi vi sono dati incerti ma io li ho voluti
inserire
comunque)
Il
personaggio di François:
L’
Ikeda si è ispirata molto liberamente
all’aristocratico realista François Augustin
Reynier de’ Jarjayes e io ho
seguito la sua linea…gli unici elementi storicamente rimasti
intatti di questo
personaggio sono l’onomastica,
la lealtà
nei confronti della corona, il nome Jean Antoine del padre e il cognome della moglie Bouchet de la
Seigne.
Per
concludere e non
tediarvi maggiormente,
uno degli elementi
che ho ripreso da Nella
mia penombra è
la sequela di lutti
che colpiscono François e Judith…o meglio le morti delle sorelline che
Oscar non conoscerà
mai. Ho parlato solo dell'’ orribile esperienza dell' aborto
perché è il
principio, l’elemento più importante che
darà avvio alle altre perdite. Nel
secondo capitolo mi
ricollegherò a
questi eventi ma non mi dilungherò perché
comparirà la cara Oscar ( e poi André
^^ ) Sarò
pure cattiva, ma io ho sempre
creduto che lei fosse figlia unica visto che ste sorelle non si vedono
mai
nell’anime, come se non esistessero XD tra l’altro
è meglio che sia sola! Mi fa
più comodo!! XD e , scherzi a parte, si capisce
più efficacemente lo
snervamento di François che non potrà far
rischiare la vita all’amata moglie
troppe volte…le gravidanze sono serie e le perdite delle
bimbe sono dure da
assimilare…
Non
so quanto vi sia stato simpatico il futuro Generale ma mi auguro che un
pochino
lo apprezziate ^^ “ va
bene…nella storia
originale non credo abbia suscitato particolare simpatia…dal modo con
cui si comporta con la figlia
-_______- è da pigliare un po’ a
sberle…però ho desiderato rivalutarlo e
costruirci un bell’impianto d’indagine psicologica!
Alla fine sono giunta a
volergli un gran bene nonostante sia un personaggio pieno di
difetti…
A
dicembre!!
Grazie
per aver avuto la pazienza di leggere!! ^^
|
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Capitolo 4 *** CAP 2 - Aspettando il mattino: sotto il canto della pioggia ***
CAP 2 - Aspettando il mattino: sotto il canto della
pioggia
Prima della
lettura….
vi chiedo
innanzitutto scusa per
questo ritardo biblico ( di cui vi spiegherò le cause a fine
lettura ) XD
rivelandovi immediatamente che il capitolo 2 è lunghissimo (
supera la cento
pagine ) e l’ho articolato in 4 parti che , nonostante siano
connesse da una
metafora e un tema comuni, mostreranno diversi e importanti episodi del
passato
dei nostri due protagonisti e naturalmente la situazione politica della
Francia
prima della Guerra dei Sette Anni.
Ho cercato di essere
verosimile ma non ho assolutamente
pretese da storica perché questo è un romanzo ed
è dunque un’opera di fantasia.
Vi
lascio alle
vicissitudini dei personaggi che ho ripreso dodici anni dopo il 1743
anno della
drammatica battaglia di Dettingen in
Baviera durante la guerra di Successione Austriaca…
“
mi ridomando, vorrei sapere,
se
un giorno
sarò meno stanco, se le
illusioni
siano le
antiche speranze della salvezza;
o se nel mio
corpo vile io soffra naturalmente
la sorte di ogni
altro, non volgare
letteratura ma
vita che si piega al suo vertice,
senza né più
virtù né giovinezza.
Potremo avere
domani una vita più semplice?
Ha un fine il
nostro subire il presente? “
(
G. Giudici)
***
Ouverture***
Settembre1752
Versailles,
Parigi
Chiudere
gli occhi non sarebbe servito a nulla.
Conosceva
alla perfezione il ruolo di letale rilievo che ricopriva fin da bambino.
In qualunque stagione,
da un soffitto altissimo, pendeva
una spada legata a un fragile crine di
cavallo.
Si
specchiava vanitosamente carnefice sulla superficie della sua corona,
pronta a
tagliarlo in due.
Nonostante
quel mattino il sole dispensasse calda freschezza e allettasse con
l’opportunità di
passeggiare per i
giardini della reggia in compagnia delle amate figlie, era semplice
scardinare schemi
d’ illusorie spensieratezze.
- Se
gli esseri viventi vogliono la sopravvivenza in questo mondo
imprevedibile, è
necessario che adeguino
il proprio corpo
in funzione dei mutamenti che incombono tra la terra e il cielo.
- Continuo
ad avere l’impressione, caro Ministro, che si tratti di
procurare tumori a un
organismo efficiente.
- Maestà,
valutate attentamente a chi elargite lealtà.
Potrebbe essere dannoso nutrire ottimistica fiducia verso
la Prussia che
maschera pusillanimità e
ignavia
con prudenza e pace.
Tra
le pareti bollate di gigli dorati del suo gabinetto, Luigi XV si
pentiva ancora
una volta di aver ricevuto l’ambasciatore Wenzel Anton von
Kaunitz*.
- Non
sarebbe dannoso porgere la mano all’aquila degli Asburgo
disposta a strapparci
l’intero braccio?
- La
mia regina, Maria Teresa, non sta chiedendo
dissanguamento ma sincero appoggio verso un progetto volto a
ripristinare
quest’equilibrio in procinto di logoramento.
Il
re fissava dall’alto e di sbieco il messo elegante dal viso
mitemente ovale e
dal naso prominente… Quei suoi occhietti chiari , che
sormontavano lievi e
rigonfie borse, trasmettevano l’espressione flemmatica dei
segugi che solo
all’apparenza sbadigliano mentre già hanno fiutato
da un pezzo la preda da ghermire.
- Conte
Von Kaunitz. Non è mio dovere accondiscendere i capricci di
una dinastia che ha
contribuito a decretare la rovina della Francia!
La
lunga parrucca di riccioli argentei rendeva
al nobile un’aurea fastidiosamente
inoppugnabile.
- Il
trattato di Aquisgrana sta già
per
essere obliato, vostra Altezza . Dopo le guerre Polacche non
è bastato il
riconoscimento della Prammatica Sanzione a garantire la saldezza del
nostro
Stato. La Slesia appartiene all’Austria da più
duecento anni, rappresenta uno
dei nostri più importanti sostentamenti economici e la
Prussia ha abusato
illecitamente di una facoltà che non le spetta.
- Spiacente
Ministro. Le vostre dispute testamentarie
non m’interessano.
Il
sovrano passeggiava con nervosa calma davanti alla sua massiccia
scrivania
ramata. Era robusto, proporzionato, possedeva lineamenti rotondi e
severi
infiammati da occhi
scurissimi che si
armonizzavano col colore gelido della
parrucca militare…tuttavia si rendeva conto di trovarsi in
una posizione di
vana asimmetria perché ,
malgrado si
ergesse in piedi, il principe austriaco
sedeva su una poltrona rococò fingendo
rispettosa umiltà e pilotando il gioco.
Da
quasi due anni perorava le proprie cause attraverso un eloquio paziente
,
dall’accento tedesco mendacemente buffo che si mostrava in
realtà durissimo.
- Oh…-
sospirò lui recitando ingenuità – Vi
faccio presente che re Federico sta
osservando interessanti patteggiamenti tra la Russia e
l’Inghilterra.
- Non
mi stupisco che Hohenzollern tenga d’occhio
l’Hannover che è la terra d’origine
di Giorgio I…E’ normale che quei maledetti
britannici cerchino il supporto dei
russi che a loro volta temono i prussiani…
- Riflettete,
Maestà. Re Federico, dotato di encomiabile istinto paterno
verso la sua terra,
guarderebbe serenamente una cintura anglo-russa che rischierebbe di
soffocarlo?
Von
Kaunitz protese il busto, socchiudendo lo sguardo e inarcando le
sopracciglia
gravide di docile canzonatura:
- Trovate
auspicabile l’eventualità di un accordo con re
Giorgio?
Nonostante
fosse ancora distante dalla vecchiaia, Luigi avvertiva il peso dei
quarantadue
anni. Non si era dimenticato della pericolosa malattia che
l’aveva debilitato
durante la guerra di successione austriaca. Partito
da Versailles , nel 1744, si era messo alla
testa delle sue truppe che stavano combattendo contro
l’Austria, l’Inghilterra
e l’Hannover…Mentre visitava le Fiandre venne
colpito da una bronchite che gli
fece rischiare la vita e , dopo
la
guarigione, tornato a Parigi, il popolo e l’esercito gli
esibirono una così
immensa venerazione da soprannominarlo
“ benamato”
….un epiteto mai da tradire
e rinnegare.
- Le
vostre sono formulazioni ipotetiche – affermò egli- e non possiedono alcun
fondamento accertato.
L’austriaco
si alzò con calma per licenziarsi ma artigliò,
cortese e poderoso, lo sguardo
dell' interlocutore.
- Maestà…
io sono prudente. Vedo lontano. Le ipotesi partono da fatti percepibili
e non
potete negare che le flotte inglesi considerino le vostre trame
commerciali
nelle Americhe alquanto scomode.
Il
re tacque sentendosi le viscere ardere al pensiero degli stendardi
anglosassoni
che svolazzavano su alberi maestri di torvi velieri.
- L’Austria
– proseguì il Conte-
non ha mai osato e
non oserebbe cancellare dalle mappe le vostre rotte mercantili che vi
danno
nutrimento, luce e salvezza…Con permesso, sire,
mi congedo.
Il
sovrano guardò Von Kaunitz
inchinarsi
deferente sfumando uno sfregiante sorriso sulle labbra.
La
regina Maria Teresa, donna pericolosamente intelligente, si era avvalsa
di un
diplomatico altrettanto pericolosamente intelligente…
Una
spietata aritmetica che non lasciava spazio a nessuna vecchia e solida
convinzione.
*** §***
La
Guerra di successione austriaca, che aveva scosso l’Europa
nella prima metà del
XVIII sec, si concluse con il trattato di Aquisgrana nel 1748
sottoscritto tra le
potenze protagoniste
degli scontri.
Gli
accordi avevano premiato , tuttavia, soltanto il Regno Sardo e la
Prussia.
Quest’ultima infatti vide Federico
II di
Hohenzollern confermare il possesso della Slesia a danno
dell’Austria.
L’Imperatrice
Maria Teresa , profondamente insoddisfatta, non accettò il
sacrificio di una
regione che dal 1526 apparteneva agli Asburgo e costituiva una parte
dei
proventi economici grazie alle risorse minerarie e carbonifere. Il
semplice
riconoscimento della Prammatica sanzione, dopo le Guerre Polacche* (
1738) non
aveva compensato adeguatamente
quella perdita territoriale.
Il
quadro delle alleanze delineatosi durante le trattative di Aquisgrana
stava per
essere ribaltato a causa degli esclusivi interessi territoriali dei
sovrani : Francia
e Prussia da un lato ; Austria, Inghilterra e Russia
dall’altro , vacillarono
pericolosamente.
Federico
II , sentendosi minacciato dagli accordi tra l’ Inghilterra
che controllava
l’Hannover ( terra natia di Re Giorgio) e
la Russia desiderò evitare possibili attriti
iniziando trattative diplomatiche.
Maria
Teresa, invece, prese a tessere una serie di ardue negoziazioni con
Luigi XV in
perenne lotta contro il Regno Britannico.
I
successi commerciali della Francia nel Mediterraneo, in India, nelle
Antille e
nell’America Spagnola avevano procurato grave allarme.
Nonostante la borghesia
inglese fosse più forte, i francesi potevano contare
sull’alleanza di molte tribù
indiane dell'’America Settentrionale e
dei minori costi degli schiavi in Africa .
Entrambi
i Regni erano accecati dalla sete di conquista per
l’incontaminata Valle dell'Ohio
e il territorio dell'Acadia . Quest’ultimo, finita della
guerra di successione
Austriaca , venne ceduto dalla Francia
alla
Gran Bretagna che v’insediò nuovi coloni e insediamenti.
I
francesi costruirono forti lungo il confine incitando gli indiani a
compiere scorrerie
a sfavore delle comunità antagoniste.
Nel
1754 cominciarono le Guerre
Franco-indiane che
ebbero come
maggiore palcoscenico l'Ohio. Qui il colonnello George Washington fu
incaricato
dal governatore della Virginia di porre testa ai distaccamenti francesi
che
avevano eretto una temibile base difensiva in Pennsylvania…
Fort
Duquense era la pervicace brama d’ egemonia su fiumi ,
foreste e terre ormai contaminati
da un ‘ irrimediabile insonnia che
non concedeva più virginea floridezza.
***§***
2
Attendendo il mattino:
sotto il canto della
pioggia.
Giugno
1754
Fort Duquense,
Pennsylvania
Le
estati sbalzavano così nella Pennsylvania: il caldo
intorbidiva il cielo
limpido per poi catramarlo di nubi temporalesche. Il sole
s’ingrossava
nell’azzurro salmastro e poi si tumefaceva tacitando nella
cenere.
La
base di Fort Duquense era tatuata lì, nel verde pietroso
della bassa
vegetazione palustre. Una roccaforte a forma di stella quadrata a sei
punte…Un
tempio esoterico situato alla confluenza di due serpi che arruffavano
le squame
azzurrognole ai tremiti del vento.
Gli
affluenti Monongahela e Allegheny , vedendo da sinistra e destra,
carezzavano il
fortilizio formando il grande fiume Ohio, divenuto ormai vena
trasportatrice di
globuli-merci e notizie infiammate. .
- Quel
colonnello da quattro soldi sta firmando la sua condanna.
- Succede
quando si vogliono promuovere i dilettanti d’avventura.
Dindwiddie si è dato la
zappa sui piedi.
- Il
governatore della Virginia non sarà stato efficacemente cauto, capitano
Pécaudy , ma Washington e
suoi luridi selvaggi sono responsabili del massacro di mio fratello e
di nostri
quindici uomini mandati per una missione diplomatica.
Tutti
stimavano quei condottieri dalla
scorza
di ruvide frane pronte a incamerare qualsiasi acquazzone.
All’interno
del Quartiere dei Comandanti , i veterani Claude-Pierre
Pécaudy*, signor di
Contrecoeur , e Louis Coulon de Villiers* avevano convocato un
consiglio di
guerra assieme due ufficiali francesi .
Si
trovavano attorno ad un tavolo di legno su cui era stata stesa una
mappa della
Valle dell'Ohio che veniva valutata
tra
buie attestazioni .
- Sono
davvero raccapricciato, comandante de Villiers. –
continuò gravemente Pécaudy -
Io e le mie truppe
siamo riusciti a sgomberare
questa roccaforte dagli inglesi
dell'’ufficiale Ward senza spreco di risorse.
Non appena sono stato messo al corrente che Washington
potesse essere
nei paraggi dei nostri territori, ho inviato il maggiore Joseph de
Jumoville per
intercettarlo e ingiungerlo di ritirarsi ma a quanto pare le buone
maniere hanno
fallito…Dai racconti di uno dei nostri
canadesi sopravvissuti e specialmente da un indiano disertore
è risultato che
sono stati gli inglesi ad aver sparato per primi anche
se…inseguito ad un’altra
indagine…
- Sì,
capitano! - impallidì de Vielliers di una rabbia che
riusciva a far sanguinare
dentro senza lanciarla fuori - i
virginiani si sono uniti al saccheggio assieme a quei cani irochesi!
Contrecoeur
cercò di alleggerire tristemente i tratti quadrati del volto
anche se sapeva
che il trauma subito dal collega era un baratro dal fondale
lontanissimo.
- Vi
assicuro che la morte di vostro fratello ha atterrato
tutti…la sua doveva
essere solo una delegazione pacifica.
Louis
Coulon poggiò i palmi delle mani sul tavolo,
pressando le clavicole quasi avesse un freddo
febbricitante.
Piegò
il capo alla stregua di un toro ferito che si stava preparando a
diluviare tornado
.
- Ogni
missione è pericolosa, capitano. Me ne rendo conto. Nessuno
di noi ha profeti o
è profeta. e…Joseph…Joseph sapeva che
bisogna sempre tenere gli occhi aperti.
Siamo militari e ora dobbiamo pensare
a Fort
Necessity e annientare
questi dannati americani.
Avanzò
uno dei due generali francesi, un uomo di trentaquattro anni , di
statura
elevata, dai lineamenti belli e vigorosi che celava sotto
l’acidula solennità una
tristezza tuonante. Per sua fortuna nessuno riusciva a immergere le mani in quegli appuntiti occhi
blu dove le onde di
una burrasca cuocevano snervate da tempo. Lo sguardo , che brillava
d’umidità
fuligginosa, incuteva
rispetto verso i
subordinati mentre la parrucca scura militare inspessiva
un’intimidatoria inviolabilità
che non lasciava fibre di nuda carne.
François
Augustin Renyer de Jarjayes aveva percorso una dura strada per
risollevarsi e
tornare ai vertici della carriera. Indossava l’uniforme degli
alti ufficiali :
giacca blu con il colletto e gli orli delle maniche rossi, un panciotto
dorato,
una pesante cintura grigia, pantaloni chiari e lunghe ghette di cuoio
nero.
- La
situazione ci è favorevole – confermò
adusto - Washington ha eretto un
fortilizio nel mezzo di una pianura alluvionale piuttosto scomoda per
sferrare
attacchi efficaci. Crede di poter condurre il suo contingente
verso….. e combattere
frontalmente ma si è messo in trappola da solo.
A
completare il quadro della situazione , intervenne l’altro
colonnello.
Aveva
una corporatura alta ed energica, occhi marroni nei quali
scoppiettava un fuoco di afflitta allegria, lentiggini cosparse come
tanti semi
di grano arso sulle guance e una capigliatura rosso cupo assonnata
sulle
spalle. Sapeva essere gioviale e flessibile nei momenti di
serenità ma
serissimo nelle strategie.
- Alcuni
miei uomini- riportò Blaise Enrique Rochebrune - hanno
riferito che sta
Washington finendo addirittura di ergere le ultime palizzate e di
scavare
altre trincee. Il terreno
è instabile per i corpi di
fanteria e rischieremmo di passare in una situazione svantaggiosa,
nonostante
gli americani siano mediocremente preparati. Stanno tentando di creare
una
difesa destabilizzante.
- A
essere destabilizzato è Washington –
obiettò François - La nostra artiglieria
è
molto potente e possiamo colpirlo da lontano.
- Esattamente
– riprese il comandante de Vielliers indicando la cartina -
Fort Necessity è
circondata da boschi e le nostre truppe si divideranno in quattro
gruppi e si
nasconderanno tra gli alberi – Prese quattro segnacoli
quadrati e li dispose in
differenti posizioni - Di questi tempi si possono scatenare temporali
estivi, e
noi saremo eventualmente al
riparo
evitando di bagnare la polvere da sparo. La mia divisione
attaccherà
frontalmente da sud, la vostra de Jarjayes si disporrà a
ovest , Rochebrune, voi
starete a est e gli
alleati uroni a
nord.
- Una disposizione
a tenaglia - esaminò
Blaise - La semplicità
è la migliore soluzione per ridurre il più
possibile il numero di feriti e
vittime. Abbiamo in tutto cinquecento francesi e cento wyandot.
Dobbiamo
spiegare a questi ultimi la nostra strategia sui campi
d’addestramento. È gente
pratica e abile….preferisce provare nell’
immediato le prove.
- Non resta
che stabilire un sistema coordinante di segnali tra le milizie francesi
e
canadesi –
puntualizzò François – Ci
occorrerà almeno una settimana di preparazione.
- Bene.
– concluse Pécaudy – Allora potrete partirete da qui questo
ventotto giugno per
raggiungere Great Meadows.
De
Vielliers si pietrificò per un breve istante, vibrato da un
altro terremoto che
restò sottopelle a succhiare corrosivamente i nervi.
- Sì,
capitano – disse schiacciando i tremiti delle mandibole -
Anche se non troverò
mai veramente pace, preferisco realizzare questo straccio di punizione e riposare come ghiaccio.
-
Non
temete – lo rassicurò il comandante canadese
posandogli una mano sulla spalla -
Abbiamo valenti
soldati e soprattutto
due eccellenti ufficiali di Parigi. Il duca
Adrien Maurice di Noailles * non ha mandato due
incompetenti. So che
avete faticato molto, signori ma è con
l’adattamento alle intemperie che si
fortificano le ossa.
François
e Blaise promisero decisi:
- Non
vi deluderemo.
Pécaudy fece portare nel piccolo
ufficio cinque
boccali di birra fresca, luci di cagliatura dorata nel bel mezzo dei
riflessi
umidicci del pomeriggio plumbeo.
- Allo
spirito di Joseph che verrà vendicato e alla corona di
Francia!
Gli
uomini sollevarono i pesanti
calici
verso la lanterna del soffitto che vaporizzava palpiti di rosso lavico.
***§***
Il
sole era erotto dalle nubi bagnato e tremulo, effondendo un alone
giallognolo
che rendeva mucosi i pochi sprazzi azzurri che si sbottonavano.
Fuori
il fortilizio, poco distanti dall’affluente Monongahela,
François e Blaise si
stavano concedendo un attimo di calma grigiastra per redigere il
ragguaglio
degli eventi.
- Scommetto
che con l’assassinio di Joseph Coulon abbiano voluto impedire
eventuali
trattative diplomatiche tra Luigi XV e Giorgio II .
- Non
è da escludere, François. Molti commerci vogliono
sfruttare a meglio le animosità.
Basta che pensi a queste ingarbugliate alleanze con gli indigeni.
Avranno
vissuto e vivono con la natura ma non sono così differenti
da noi per la sete
territoriale.
Gli
scontri contro i canadesi e i francesi si
rivelavano inevitabili e molte volte accadevano
episodi di violente imboscate. Diverse tribù di
irochesi si erano
alleate coi britannici per tentare di rivendicare possedimenti e
distruggere
antichi nemici.
- Ho
visto molti uomini feriti orribilmente e uccisi Blaise e ti assicuro che quella
carneficina è
stato
uno degli spettacoli più abominevoli in assoluto.
- E
dire che il comandante ha voluto vedere con i propri occhi il cadavere
del
fratello.
- Era…talmente
dilaniato che ho stentato a riconoscerlo. Non sono riuscito a dormire
per un
sacco di giorni. È passato quasi un mese ma sembra ieri.
- Il
comandante sta sempre sveglio. È preda
dell'’insonnia e i medici tentano di
somministrarli della valeriana. Ormai la rabbia , la tristezza e la
disperazione lo nutrono più del cibo.
Tra
una giornata ronzante di zanzare assolate e un’uggiosa e
appiccicaticcia ,
François credeva di inspirare un miasma dolciastro di sangue
sgarbugliato nella
polvere.
Quando
lui e un contingente di canadesi erano andati ad appurare la
testimonianza del
canadese fuggiasco, avevano avuto dinanzi gli occhi, sotto le penombre
di
quella selva maledetta, la prova del massacro.
I
quindici morti vennero trovati penosamente
nudi e scotennati tali
e quali a bambole
di pezza scaraventate alla rinfusa da un bambino adirato. La
decomposizione
stava già iniziando a compiere la sua viscida opera di
logoramento e gli insetti
formavano una corteccia brulicante. Uno degli sventurati era stato
decapitato e
la sua testa impalata ad un bastone appuntito mentre
Joseph Coulon giaceva prono col cranio
spaccato te la materia cerebrale, ormai
irriconoscibilmente marcita, si
snodava
sul terriccio, un festone zuppo
di fango
ed erbaccia.
- Generale.
L’ufficiale
venne ripescato dalla cisterna delle memorie.
Si
voltò alle proprie spalle e socchiuse gli occhi un
po’ confuso riconoscendo un
volto famigliare...
Troppo
famigliare...
La
stessa carnagione, lo stesso colore dei capelli e degli occhi...
Lo
stesso sorriso d’incendio...
Di
nuovo lui?
- Etienne!
Il
giovane arcuò le sopracciglia sorpreso:
- Cosa
signore?
Il
generale si scrollò il cappello come si stesse togliendo
della pungente brina
dalla testa.
Mise
a fuoco il soldato che l’aveva interpellato snebbiando le
lenti opacizzate
della mente.
Era
un abenachi, un pellerossa appartenente a una di quelle
tribù che vivevano
sulle coste del Canada.
Aveva trent’anni, un corpo
di statura
slanciata e nerbi aitanti : né troppo acerbo e ancora
estraneo al decadimento.
Possedeva un volto affusolato, appesantito da un naso tendenzialmente
aquilino; le labbra
erano morbide e
mostravano denti di un
bruciante biancore.
Gli occhi nerissimi
splendevano d’intelligenza e affabilità e il derma
duro ed elegante si
accordava assieme alla chioma corvina in parte legata da due trecce
laterali e
in parte lasciata indomita.
- Nootau
– disse François riprendendo il tono arenario
– hai , dunque, portato le tue truppe
sui campi di addestramento?
- Sì,
Generale. Miei guerrieri aspettano di conoscere nuovo piano
d’assalto.
-
Bene.
Io e il maggiore Rochebrune, vi raggiungeremo tra qualche minuto. Il
vostro
aiuto sarà molto importante per completare al meglio la
nostra operazione
contro gli americani.
- Voi
non temete. Miei uomini sanno usare polvere di fuoco.
Il
guerriero fece un cenno rispettoso e si accomiatò
dirigendosi verso i campi
d’addestramento.
Le
trattative di coalizione con il suo clan erano riuscite grazie a lui
che fin
dalla pubertà, a contatto con i colonizzatori
d’oltre oceano, aveva imparato un po’
di francese sviluppando un
notevole senso diplomatico. François, lasciando stupiti i
soldati, gli era
diventato quasi amichevole sempre preservando il proprio status di
europeo giacché l’etnocentrismo è un virus
genetico che appartiene ad ogni
civiltà soprattutto a quelle “ evolute”.
- Speriamo
che gli uroni*
continuino a comportarsi
ragionevolmente – borbottò schiarendosi la gola
– non possiamo sapere con
certezza di quali intrugli sia fatto il cervello dei selvaggi.
Blaise
lo fissò in silenzio e
poi notò che
assunse un’espressione smarrita e ventosa.
Capendo
perfettamente quell’aria annegata e svolazzante fece:
- Nootau
somiglia molto a Etienne.
L’amico
sospirò disperdendo una pallida ombra
di assenso.
Non
era stato facile contrattare con i nativi che portavano piume tra le
chiome
lunghe, mefistofelici amuleti, strani abbigliamenti di pelle conciata,
credenze
di spiriti enigmatici...Rappresentavano veramente un’altra
dimensione che
conosceva una natura di caccia, rituali e sopravvivenza di rude
solennità.
François, come gli altri militari, aveva pensato che quegli
uomini , dai visi
terrosi e dai linguaggi cavernosi , fossero esseri regressi e lontani
dalla
vera realtà...Eppure mai si sarebbe aspettato di trovare
dall’altra parte del
pianeta una persona che potesse reincarnare
una parte di famiglia.
- Sì,
purtroppo. Anche io come de Vielliers vorrei diventare un ghiaccio in
mezzo
agli incubi.
Si
allontanò bruscamente dalla sponda ripiombando nel mutismo
scrosciante d’acqua
plumbea e rami secchi .
Si
tastò lo sterno quasi fosse un gesto di poco conto per
aggiustarsi il gilet.
In
realtà sotto le stoffe nascondeva una medaglietta di fine
oro prezioso che
rappresentava la Santa Vergine Maria.
Apparteneva
alla moglie fin da bambina ma lei gliela aveva regalata prima della
partenza
per l’America…
Gliel’aveva
regalata nonostante lui avesse litigato e lasciato nella sua villa
valanghe
irrisolte che ostruivano parecchi passaggi di luce.
“
Judith…so che non sono
stato il migliore dei mariti in questi ultimi anni…avrei
dovuto baciarti molti
minuti prima di salutarti a Le Heavre. Non sono riuscito a farlo ma ti
prego…aiutami….continua
ad aiutarmi. Ti ho
sempre promesso che ,
qualunque cosa possa capitare, continueremo insieme.
C’è la morte dappertutto
che separa e l’unica
madonna che conosco sei tu… L’unico
sogno che mi resta per davvero. “
***§***
Cimitero
di Saint Paul de Champs, Parigi
Un’altra
piccola croce di
fiori bianchi.
La quinta
testimonianza di
una voce smorzata nell’appestata tenebra polmonare.
Pareva
l’ultimo pezzo
prezioso di un’opaca collezione esangue di farfalle mai
cresciute.
Era
la settima volta in
quel mese che Judith, accompagnata da François, visitava la
tomba di Josephine ,
stroncata a cinque anni da una violenta bronchite.
Dopo il funerale,
avvenuto
alla fine dello scorso febbraio, la donna si recava al cimitero in una
compulsiva e tacita incredulità
per
capire se stesse viaggiando in uno
sconfinato incubo oppure no.
Cercava
di credere che
fosse un errore assurdo, che era impossibile che anche la sua ultima
bambina si
trovasse lontano da lei e dal marito in un mondo deforme e
inaccessibile…
Non poteva dormire
sottoterra, tra segnacoli di marmo rugginoso e ossa sconquassate
dall’oblio, se
il suo posto era nella cameretta accanto a
quella dei genitori….
Una
febbre si poteva curare
e quella cavità digeriva lenta e inesorabile solo una cassa vuota.
Prima che avesse
potuto
vedere i necrofori deporre il corpicino della figlia nella bara, era
svenuta
tra le braccia raggelate di François.
Josephine portava
ancora la
camicetta da notte ricamata e la cuffia coi merletti che lasciava
zampillare teneramente
i suoi riccioli castani.
Quella che era stata
riposta nel feretro ligneo doveva essere una bambola di porcellana
biancastra
che le somigliava tanto.
- Cos’è
Judith? Ancora non ti svegli? – la
interpellò con arida ruvidezza il marito.
La donna lo guardò in
silenzio sentendosi forare il petto dal vento freddo dei suoi occhi
blu…
Voleva trovare un
conforto
sanguinante ma almeno caldo nell’uomo che amava e con il
quale stavano
condividendo il desiderio disperato di allargare la famiglia.
Da molto tempo lui
era desertificato
da un dolore che mangiava le
lacrime prima che potessero scorticare il viso. Ormai
s’isolava in una notte
cavernosa piena di coltri nevose.
- L-la
nostra Josephine – balbettò la
moglie – ci aspetta a casa, vero? In questi giorni si
sarà nascosta sotto il
suo letto, per non farci vedere che ha la febbre…non vuole
dare preoccupazioni
ma noi la guariremo…
Il
Conte socchiuse le
palpebre quasi volesse filtrale e depurare quell’ aria
primaverile che cercava
di artigliargli il
pianto assopito negli
occhi.
- Josephine
– rispose roco - è sotto quella
croce.
- Dio…non
può commettere ancora una cosa
simile…
L’uomo
deglutì avvertendo
le pareti della gola che si sfregavano infiammandosi.
- Judith.
Nostra figlia è solo un corpo
vuoto in una cassa vuota. Una vuotezza dentro
l’altra…un nulla che è finito in
una buca che produce altro nulla.
- E'
così allora?! Consideri ciò che abbiamo
messo al mondo una vuotezza?
Lo sposo le si
accostò al
viso per chiuderle col proprio afflato ogni
poro di pelle che osasse respirare malsana
speranza.
- Dare
nomi e battesimi basta per ritenere
vite, anime che durano un battito di ciglia?Femmine malate che muoiono
subito!
L’unico miserabile progresso è stata
Josephine…Gran bella consolazione!
Judith,
all’improvviso si
paralizzò smorta e allucinata .
Lesse avidamente
sulle
lapidi i nomi delle
sue bambine per
cercare di sentire in bocca un minimo sapore di delicatezza…
Danielle…Madelene…Orthénse…Josephine…
Una dolcezza che
lasciava
spazio a una cruenta insipidità…un retrogusto
orribile d’irrealtà
come se quelle piccine non fossero
esistite.
François
era stato
atrocemente sincero…
L’essenza
di quei nomi
aveva avuto una luce talmente breve da essersi rivelarsi illogica.
La prima, morta per
aborto
spontaneo, non aveva nome…Le due gemelle Danielle e Madelene
erano decedute al
quarto mese di vita per una complicazione cardiaca mentre
Orthènse , affetta da
spina bifida, spirò
a due anni.
Una successione di
tragici quadri che
luccicavano d’ironia assassina.
Judith
sentì i nervi
frantumarsi e piombò
in ginocchio
sull’erba, gonfiando la pesante
gonna scura del vestito che appassì le pieghe simile ad un
fiore moribondo. .
Pianse squarciata
fin nelle
vene coprendosi il viso con le mani, solleticate da ciocche isteriche
di
capelli che si scompigliavano dalla crocchia.
- Ognuna
di quelle creature malate mi è
cresciuta nel ventre!- esclamò arrochita di singulti - È
insensato sentire le loro anime parte di me? Ho sbagliato?! Ho sbagliato a far crescere
ciò che abbiamo
fatto insieme?!
François
, straziato da
quei gemiti, sollevò
la moglie alla maniera di una condannata che stava per essere
condotta in una cella buia
e appestata.
- Judith!
-
la scosse - forza! Andiamocene!
La donna lo respinse
con adirato
panico svincolandosi
dalla soffocante
stretta.
Tornò
chinata vicino alle
figlie.
Il conte la
ghermì per un
braccio e la rialzò sbattendole a momenti il
viso contro il suo.
- È
inutile ! - sibilò - Hai capito? Basta.
La
trascinò via ma lei si
scostò ancora una volta bruscamente. Chiudendosi nella sua
mantellina di lana.
- Riesco
a camminare anche da sola.
I due uscirono dal
cimitero, uno accanto all’altra senza sfiorarsi,
guardarsi….
Le
loro ombre, separate da
uno strinante raggio di sole., erano sagome di nomadi che incedevano su
vie
diverse annaffiate da una pioggia
che defluiva
tra respiri fatiscenti e parole mai consumate .
- Non
trovi che queste violette siano splendide
?
Judith
tornò al presente illuminata gentilmente dalla voce di
Oriane.
Sentì
di nuovo l’asprigno e soffice odore dei boccioli sulle tombe
e la
presenza accalorante della sorella maggiore…
Il
sole del tardo pomeriggio avvampava di riflessi miele le foglie degli
alberi
che diventavano trasparenti , mostrando le vetrose venature sottopelle.
-
Sì…
hai avuto una bella
idea, Oriane. Il
bianco dei gigli e dei crisantemi è lucente ma è
troppo infreddolito…le tonalità
delle violette sono pietre preziose e donano un po’ di linfa
colorata.
- Questi
fiori sono bellissimi eppure nascondono la loro purezza tra
l’erba alta,
crescono silenziosamente senza pretese, senza farsi notare e poi ,
quando vengono
raccolti, colmano il cuore di un profumo serale e
gioioso…Tali sono le speranze
nei momenti più oscuri. Sbocciano lentamente e magari uno
non se ne accorge.
Judith
si chinò ad accarezzare delicatamente un fiore indaco che
abbassò la corolla
come un uccellino timido.
- Ricordo
che a Josephine piaceva tanto quando raccontavo che davanti la casa
delle
Madonna, dopo l’annunciazione di Gabriele, erano spuntate
tante belle violette.
Oriane
le posò affettuosamente la mano sulla spalla.
- Tutte
le tue bambine desidereranno che tu faccia sbocciare le
viole… hai ancora tanti
anni da vivere anche se so che questa lunghezza che ti si protrae verso
un
orizzonte invisibile crea paura.
- È
così…Dopo ciò che è
successo , alcune volte credo di non riuscire ad alzarmi
dalla cenere…è sempre come se avessi addosso
detriti inamovibili. E
François…François è in
America nel momento in cui ho bisogno di parlargli…di
riunirmi a lui…tornare all’origine del nostro
legame.
La
contessa tacque un breve attimo e , scrollando la testa con amara
ironia, riprese:
- Ma alla
fin fine il nostro matrimonio pare un microcosmo smarrito, una bolla
trasparente
che galleggia pallidissima fra gli enormi trambusti del
mondo…François ha dovuto
risollevare le nostre finanze proponendosi per una missione militare
d’oltreoceano…E infatti è stato
convocato il novembre dell’anno scorso dallo
stato maggiore per il Canada. Non ha esitato a partire…dalle
lettere che mi
manda non mi ha ancora riferito con precisione quando
tornerà in Francia…forse
addirittura il prossimo anno. Non sai che dolore, Oriane. Peggio della
battaglia in Baviera.
La
sorella sospirò ma sorrise ardente e seriosa.
Era
una donna avvenente di trentacinque anni, dai lisci capelli color
caffè che
emanavano un odore liquido e dissetante. Portava due trecce laterali
che
salivano sul capo per legare una parte della chioma che lasciava liberi
dei
ciuffi alla moda greca. I tratti del viso erano vellutati ma
più quadrati
rispetto a quelli affusolati di Judith…le sopracciglia scure
erano spesse e gli
occhi brillanti possedevano striature grigio cupo e argento mentre la
bocca
pulsava decisa e vermiglia sulla carnagione rosea e chiara.
- Come
mi racconti sempre, Judith, tuo marito è un militare ed
è ancorato a un
assillante senso del dovere ma sa che non può vivere privato
di un rifugio
sicuro…un rifugio che non è soltanto
un’accomodante quotidianità. Tu sei sua
moglie e non puoi essere calma monotonia. Voi due mandate avanti
assieme la
casa ma concepite diversamente il dolore …più che
altro modi di agire che vi
hanno portato a prendere le distanze l’uno
dall’altra. François ti sarà potuto
apparire incomprensibile e arido…Con la testa accaldata, mi
avrebbe fatto
infuriare e quando leggevo le tue lettere ci restavo
male…tuttavia credo di
aver capito che lui erige una diga poiché porta
l’acqua di un fiume immenso che
se non riesce a controllare rischia di devastare tutto…Tuo
marito non vuole
travolgerti con le sue sofferenze.
- Stando
in silenzio, Oriane , lo ha fatto comunque. È dannatamente
orgoglioso e testardo,
ha paura che aprendosi cada in un baratro. Non mi vuole mostrare le
lacrime!
Non capisce che sono disposta ad accogliere qualunque suo
tormento! Ci siamo
conosciuti, abbiamo avuto la fortuna di sposarci
liberamente…Lui all’inizio si
era messo in gioco criticando se stesso e ora…negli ultimi
anni…ha fatto passi
indietro mentre io mi ponevo avanti.
Oriane
inarcò con inquisitrice ironia le sopracciglia, storcendo di
lato la bocca in
un’arricciatura teneramente superba.
- Ne
sei sicura?
- Ho
dato e sto dando tutta l’anima a François.
- Non
ne dubito, sorella, ma…anche tu cammini
all’indietro come tuo marito…Hai paura
di tirare fuori veramente le armi. Non puoi vivere di triste
diplomazia…Un
dialogo è fatto anche di scontri, persuadere
l’avversario per portarlo sulle
tue stesse teorie.
Judith
aggrottò la fronte tentando di arrestare le sentenze
dell’avversaria:
- Ma
non posso cambiare l’indole di François!
L’ho sempre saputo che ha un carattere
particolare…
L’altra
donna le picchiettò una
guancia, allo
stesso modo di quando era ragazzina e la scrollava con dispettosa
amabilità dai
piagnistei e dalle paure del buio.
- È
proprio perché non puoi cambiare questo
carattere che devi affrontarlo per difendere te stessa e anche
lui…Arrabbiati
più spesso. Non dico di atteggiarti
da
scatenata nevrastenica ma al momento giusto bisogna che tu sfoderi le
armi
giuste. Tuo marito non ti sarà solo complice ma anche
antagonista. I vostri
cuori sono uniti ma hanno ritmi sanguigni differenti…
La
contessa sbilanciò un sorriso confuso di lacrime.
-
Da
ragazzi…quando…stavamo da soli, tranquilli in una
bella notte…a me sembrava
che i nostri cuori battessero come fossero meravigliosamente scossi da
uno
stesso sangue…però non riusciamo più
ad avere figli da due anni.
La
sorella l’abbracciò accarezzandole protettiva le
spalle ed ella si sentì ridicolmente
e felicemente bambina come nei momenti in cui giocavano a mamma e
figlia.
- Alcune
volte l’amore Judith è un cantiere perennemente in
costruzione…si alzano
palazzi e se ne abbattono altri che non vanno bene…non
c’è un
piano architettonico definito dal
principio alla fine…L’unica tua certezza
è procurarti di volta in volta i
materiali adatti per plasmare solide fondamenta…Torna a
restaurare quello che
hai edificato con
François. Un bel
palazzo può rovinarsi, ma può tornare al suo
antico e autentico splendore.
Inutile.
Quell’amica non
si smentiva. Da adulta
aveva razionalizzato in parte il carattere irruento e passionale, ma la
sostanza era rimasta immutata. Si rivelava in famiglia quella
dall’animo
schietto e intrepido talvolta anche imprudente. La sorella minore
rimembrava
quanto fossero state
distanti da piccole
in materia d’abitudini. Erano cresciute nella stessa casa,
erano state mandate
a studiare nello stesso convento e nondimeno avevano maturato
attitudini
opposte. Una più dedita allo studio, alla musica e al
riserbo, l’altra sveglia ,
estroversa e proiettata verso una mondanità in cui aveva
difeso i propri pregi
e assecondato i corteggiamenti dei giovani.
Judith
sapeva , comunque, che Oriane era sempre stata in realtà
lontano dai cuori
frivoli e spregiudicati di certe cortigiane che
ne avevano descritto
meschinamente cattive e false immagini.
Non
sapevano quanto lei
possedesse mani
profonde per accogliere burrascosi atterraggi.
- Oh-
si accorse – stanno arrivando, finalmente.
Da
un viale di lapidi irrorate di sole si avvicinò un uomo
magro e alto con un
bimbo di tre anni che gli teneva la mano.
Il
primo portava un fascio di fiori colorati, il secondo teneva un tumido germoglio bianco.
Cosimo
Ludovico di Nardo era sposato da quasi diciotto anni con Oriane.
Aveva
quarantatre anni, un corpo longilineo dal collo lungo e le spalle
spigolose e
una camminata ponderata e rassicurante da anziano. Era
vestito di un semplice completo grigio
Originario
di Napoli, gestiva una ditta commerciale navale che aveva numerosi
affari in
Francia. Non proveniva da una stirpe nobile ma la sua famiglia aveva
accumulato
faticosamente così tanti successi,da essere stata elevata a
grado di baroni dai
Borboni del Regno di Sicilia.
Il
piccolo Samuele era
l’adorato figlio che
tuttavia non possedeva alcun legame biologico coi genitori…
- Chiedo
venia , mie signore, se abbiamo tardato…-
s’inchinò l’imprenditore parlando con
fine e delicato accento partenopeo.
Judith
fissò profondamente contenta quella coppia.
Sapeva
che durante l’adolescenza Oriane ebbe due relazioni
tempestose finite male che
le causarono sofferenza da parte dei nobili. Fu ritenuto scandaloso che
una
delle figlie dei conti de La Seigne
avesse consumato la propria illibatezza prima del
matrimonio
aggiudicandosi la nomea di fanciulla dai facili costumi. Ovviamente
furono
tutte notizie diffamatorie ma la compromisero in modo serio.
L’unico
che non osò giudicarla accettandola così
com’era fu Cosimo che avanzò la
sincera proposta di condurla all’altare. Oriane non si
mostrò entusiasmata da
quell’uomo che all’inizio le pareva troppo
tranquillo e noioso…tuttavia fu
costretta piano piano a cambiare idea…
Si
trovò vincolata a lui da un sentimento lento e calmo,
discordante dagli
infuocati amori passati ma più profondo e incredibile che
l’aveva portata a
stabilirsi in Italia.
Quel
commerciante brillava d’intelligenza e intuito negli affari
ma non possedeva maligna
furbizia. Era una persona onesta, dai placidi occhi neri cesellati da
fini
rughe, dalla voce
calorosa e paterna che
non tremava e s’inacidiva d’ira. Sembrava quasi il
canto di un pastore che
camminava sicuro su ripidi
declivi.
- Su
Samuele – lo incitò dolcemente - impara che
non dobbiamo far attendere le dame.
Oriane
prese il piccolo in braccio , aggiustandogli premurosamente il gilet e
la
camicetta scomposti. Aveva un visetto diffidente e affascinato
dall’universo
immobile e gorgogliante delle lapidi.
- Vieni piccolo…spero
che tu abbia fatto il bravo.
Non
era propriamente un bel bambino visto che possedeva una fronte
pronunciata che stonava
con le guance paffute e il mento basso,
ma i grandi occhi castano verde vispi e tremuli come
quelli di un
gattino curioso e i folti capelli rosso irlandese lo rendevano grazioso
e buffo.
I
genitori stravedevano per lui.
Per
molti anni non erano riusciti ad avere figli e così avevano
adottato un neonato
che era stato abbandonato dinanzi al sagrato di una chiesa.
- Abbiamo
trovato margherite arancioni, Madame Judith – disse il
cognato porgendole il
fresco mazzo che espanse un aroma agrodolce- Spero
che possano aggiungere un po’
d’allegrezza a queste belle corone. Si sa che questi
fiorellini spuntano
dappertutto e non conoscono momenti precisi per riempire prati.
- Sì,
Cosimo…hai ragione – soggiunse sorridendo Oriane -
Non ci avevo pensato… adesso
il bouquet è completo e pare sorrida di più.
- Vi
ringrazio….è una nuvola carica che non perde di
leggerezza.
La
donna , nel suo periodo buio, si sentiva scaldata dalla presenza di
quei
parenti che erano venuti dall’Italia e
le avevano sollevato il morale nel lungo periodo di
assenza del marito.
- Dato
che l’ora del tramonto si avvicina – propose Cosimo
- potremmo avviarci verso
la chiesa di San Paolo per recitare i Vespri.
- L’aria
è ancora dolce, Judith…il freddo della sera non
è ancora calato.
- Certo,
andiamo.
- Zia…zia…
Il
nipotino allungò la vivace mano verso Judith che gli rispose
dolcemente:
- Che
c’è , tesoro?
- Per
te.
La
contessa prese tra le dita il candido camma.
- Oh…che
bella rosa bianca!
Il
cognato si accostò alla moglie accarezzando i capelli
fiammati del figlio.
- Il
piccolo Samuele ci teneva a regalarvela…è
difficile
trovare un simile bocciolo a
luglio…chissà…avrà
desiderato tardare per donarvi
qualche sorpresa.
Judith,
s’indirizzò assieme a
Oriane, al cognato
e al nipotino, verso la vecchia basilica…
Tra
mausolei cubici, statue crespate di angeli e lapidi che fluidificavano
le loro
ombre, il pensiero le andò a Etienne.
Etienne
che riposava illecitamente sotto i cipressi di spine tumultuose.
Lo
aveva promesso a François.
Avrebbe
pregato anche per lui che faticava a trovare il paradiso tra nebbie
incenerite.
Contemplò
la rosa sospirando sulla corolla mezza dischiusa di tenera e freddolosa
incertezza.
***§***
Luglio,
Fort
Necessity, Great Meadows
La
pioggia cantava filigrane di vetri spaccati.
L’orchestra
levava e calava i fumi delle sue note.
Gli
alberi , che imperterriti assorbivano tra le frasche
la sublime tossicità del pulviscolo, erano martiri fumatori
istupiditi d’oppio.
La
pioggia cantava scalpiccii d’insetti cristallini che
schiantavano il loro volo
sull’erba melmosa…
Grandi
fiumi di sporco e triste terrore si espandevano nella verde
vallata…
I
musicisti da dietro i tronchi, coi volti semicoperti da fazzoletti
simili a
banditi o fabbri febbricitanti, suonavano i loro flauti e oboi neri
seguendo il
direttore...
Il
direttore che modulava armonie rintronanti o singhiozzi di cacofonia
pachidermica.
Tutti
lo seguivano, chi elettrizzato, chi ricolmo di impaurita adrenalina.
François
arrampicato su un masso e riparato da un albero scandiva a voce alta
ordini
scostandosi e ricoprendosi la bocca con una bandana bigia. Teneva il
cavallo
dello schioppo posato sul petto, una mano incollata al grilletto e una
che
sorreggeva la canna. Si inginocchiava sul sasso e si rialzava in una
ginnastica
inquieta e potente che metteva a dura prova i tendini e i muscoli delle
gambe.
Conducendo
da una posizione innalzata l’attacco di centosessantasei
soldati, tentava di
avere una visuale decente
della muraglia
di legno di Fort Necessity ma la fuliggine gelida che emetteva lo
schianto dell’acquazzone
e la polvere da
sparo costituivano un
nefando connubio.
Le
fronde del bosco riparavano i fucilieri così che le pietre
focaie degli archibugi
potessero far esplodere efficacemente le cariche. Tutta la coltre
appannava le piante
che si annerivano trasformandosi
in una zolfara che propagava
moscerini di carbone che parevano pinzare lo sguardo e infiltrarsi
nella gola e
nei bronchi.
Di
certo le gocce d’acqua attutivano l’effetto
soffocante degli spari, ma il
contingente franco-canadese aveva iniziato ad attaccare il fortilizio
di
Washington dopo le undici di mattina.
Pioveva
dalle tre di
pomeriggio ma da quasi
quattro ore alternate d’offensive, pause e offensive, soldati
e ufficiali
inalavano nei polmoni salnitro e monossido di carbonio.
Il
generale de Jarjayes era abituato ad adoperare moschetto
e carabina ma lo aveva sempre fatto
nella cavalleria leggera e nel corpo delle guardie urbane di Parigi. Da
quando
si era proposto volontario per andare in America , lo avevano preposto
proprio
a uno degli squadroni di artiglieria.
Nonostante
l’abile e burbero spirito di adattamento, trovarsi nel bel
mezzo di una fucina
vomita fumo era diverso che combattere a cavallo o piedi. Cavalieri o
fanti la
polvere bisognava sempre affrontarla ma stanziarsi dietro cannoni o
fucili non
consentiva di galoppare o correre seminando
nugoli riarsi.
“ Maledizione! “ inveiva
dentro di sé l’ufficiale
francese “ quegli americani stanno
affogando come topi in una fogna e ancora vogliono resistere ?!
“
Le
trincee di Fort Necessity si erano trasformate in ruscelli oleosi e
parte dei
miliziani britannici e virginiani tentavano di uscire da quei gorghi
fetidi,
mentre altri , scheggiati dal diluvio, rispondevano disperatamente al
fuoco dei
nemici.
La
vallata era talmente deturpata dal fango che l’erba pareva
essersi diradata a
isolette di ciuffi verdi che sporgevano simili a bubboni ispidi e
viscidi.
George
Washington , circondato completamente dalle truppe francesi, non aveva
via di
scampo: le munizioni dei suoi uomini stavano per esaurire, la polvere
da sparo
rimasta era inutilizzabile e per altro si rifiutava di armonizzarsi con
il
capitano inglese James Mackay. Quest’ultimo era stato mandato
tre giorni fa da
Fort Cumberland per dargli manforte ma la convivenza , più
che saldare validi
aiuti, aveva fatto scaturire dissidi e incomprensioni
cosicché l’esercito si
trovava diviso in due deboli compagini.
“ Patetici….” rifletteva
François “ cosa credono
di combinare?
Sono talmente scoordinati che non so se ridere o
piangere…”
-
Generale de Jarjayes!
L’uomo
si voltò dietro
accorgendosi che era
arrivato un messaggero di Vielliers : capì che era giunto il
momento cruciale
della battaglia.
- Il
capitano inizia l’ultima fase d’attacco?
– chiese.
- Sì,
signore. Preparate l’artiglieria da campo.
François
ordinò:
- Fuori
batteria ! Avanguardie retrocedere!
Gli
artificieri rimasti nascosti obbedirono celermente trascinando avanti
due
massicci cannoni neri trasportati su carri a ruote. Immediatamente caricarono le palle dentro
la lunga bocca da
trenta calibri e innescarono la polvere da sparo nella camera della
mina. Infiammarono
le teste degli accenditoi.
- Mirate
a ore dodici…Uno!Due! Tre! Fuoco!
I
mortai ruggirono sfere cocenti che demolirono, come fossero rachitiche
falangi
di scheletro, le
palizzate di Fort
Necessity.
Le
squadre di Vielliers e Blaise attaccarono una dopo l’altra
facendo eruttare
l’artiglieria pesante che devastò in tante
parabole di boati il
fradicio accampamento dei nemici.
Gli
americani non contemplavano più
l’opportunità di rivolgersi alla divina
Provvidenza.
Infinite
porte d’inferno avevano aperto squarci tra il temporale e lagune divoratrici.
***§***
Oramai
il sole s’era dileguato invisibile tra le svuotate nubi
temporalesche tale a
quale ad uno sfrattato che vergognoso raccoglie i suoi stracci
scomparendo in
una nebbia protettiva.
Le
bocche dei cannoni francesi spente e fumose erano diventate musi di
placidi
formichieri che avevano distolto lo sguardo dagli insetti prede.
L’avvento
della sera non quietò il giovane Washington che aveva perso
irrimediabilmente
il controllo dei
superstiti che , spompati
dall’esaurimento, si
erano saturati i
fegati col rum finendone ogni scorta.
Dagli
ossami di Fort Necessity , alcune misere tende si drizzavano simili a
cappelli
marci dalle quali provenivano bestemmie, imprecazioni , ordini stremati
e
screzi.
Le
milizie franco canadesi avevano catturato centonovantadue soldati che
giacevano
seduti l’uno affianco all’altro legati per i polsi
sorvegliati da wyandot.
Avrebbero trascorso un’infausta notte fuori
l’accampamento provvisorio di
Vielliers , sozzi da
capo a piedi col
fango che si sarebbe rappreso tra i capelli e
sulle divise. L’umidità calda avrebbe
presto fatto sentire il brulicare
stordente di germi e setticemie febbrili .
- Le
truppe virginiane e britanniche sono state ormai annientate –
ricapitolò
Vielliers ai suoi ufficiali – centonovantadue prigionieri e
trentuno morti. Su
un totale iniziale
di duecentonovantatre
uomini, a Washington e Mackay ne restano settanta e per giunta feriti. Noi abbiamo avuto soltanto tre deceduti
e diciannove
infortunati. Perdite davvero minime. Il nostro battaglione è
quasi intatto.
- Signore
– intervenne François – non converrebbe
domattina arrestare il resto degli americani e giustiziare Washington
al
cospetto del nostro tribunale militare?
Louis
Coulon de Vielliers lo guardò annuendo con aria grinzosa e
al contempo negando
combattuto e razionale:
- Generale
de Jarjayes . Sono terribilmente tentato di condannare a morte
Washington, ora
che non ha vie di fuga….tuttavia dobbiamo tener conto
d’importantissime e
delicati equilibri tra la nostra Francia e
l’Inghilterra. Vi rammento che siamo in
tempo di pace.
- Pace?
Non
confondiamo la formalità con la verità dei fatti!
Tra noi e i britannici non
c’è mai stata una pacifica condivisione dei
territori e inoltre il grave
crimine di cui è responsabile Washington è al di
là di questioni meramente
nazionali! Qualunque militare di qualunque stato deve essere condannato
a morte
per aver massacrato un contingente diplomatico!
- Generale!
– esclamò inasprito di
tristezza di
Vielliers – credete sia facile per me accettare una simile
situazione? I lutti
privati appartengono al nostro piccolo mondo ! Gli stati sono
più grandi e noi
serviamo la Francia. Abbiamo agito nella legittimità di
difendere e accrescere
la nostra potenza economica e bellica ma se uccidessimo Washington e il
resto
dell'’esercito decreteremmo una guerra contro
l’Inghilterra e le potenze a essa
alleate! Mineremmo equilibri già abbastanza precari. Ci
siamo spinti
rischiosamente lontano con questa battaglia.
Blaise
soggiunse rammaricato e grave:
- François,
il comandante ha ragione. È meglio che restituiamo i
prigionieri e concediamo a
Washington la possibilità di resa. Lui e suoi sono stremati
ed è impossibile
per loro sostenere un altro assalto. Inoltre le
nostre munizioni sono scarse e le nostre
provviste iniziano piano piano a diminuire. Se arrivassero altri
rinforzi dai
virginiani saremmo noi a soccombere disastrosamente. Concludiamo la
faccenda
qui. Gli americani hanno subito ingenti perdite e il controllo del
fiume Ohio è
in mano della Francia.
- Quindi…-
si crucciò il generale guardando la lanterna infreddolita
della tenda- non ci
resta che passare alle trattative…Bene. In che modo potremmo
sperare di
contrattare se noi non capiamo l’inglese e gli inglesi non
capiscono il
francese?
- Alcuni
prigionieri hanno informato che tra gli americani
c’è un olandese che se la
cava con entrambe le lingue – rivelò
l’amico – lo faremo giungere qui tra
qualche ora .
De
Vielliers si avvicinò a un rudimentale scrittoio di legno,
prese alcuni fogli di
carta ingiallita e una penna che intrise in una boccetta
d’inchiostro e iniziò
a scrivere.
- In
questo documento – spiegò il veterano –
verrà concessa agli inglesi la condizione
di ritirarsi con le loro armi, bandiere e proprietà personali e la garanzia di
vedere rimpatriati
i compagni imprigionati. In cambio non dovranno per un anno
più mettere piede
nell’Ohio o altrimenti saranno distrutti. Naturalmente a
Washington verrà
attribuita la responsabilità dell’assassinio di
mio fratello Joseph e degli
altri defunti . Non posso fare altro.
François
si rassegnò constatando che il ragionamento dei colleghi non
faceva una piega.
Osservò con acre rispetto e mestizia de Vielliers col cranio
bianco cosparso di
rughe incerate che parevano bruciarsi di gelo al barlume delle lucerne.
- Perdonatemi,
signore – s’inchinò mortificato
– prima mi sono lasciato andare in modo poco
conveniente. Non dovrei comportarmi così. Ho superato
l’età dei bollori
adolescenziali.
Il
comandante canadese fece un sorriso smunto ma pieno di gratitudine.
- Non
è necessario che vi scusiate, generale …purtroppo
la vendetta è una fasulla
soddisfazione che genera una voragine
d’infinti crimini. Mi basta già
quel pezzo di famiglia che non esiste e non mi parla più.
Sentirò freddo in
ogni stagione.
***§***
Dopo
la mezzanotte del quattro luglio, George Washington fu
costretto a firmare il patto di resa
redatto da Louis Coulon de Vielliers.
Da
un cielo nero, grosso di farinosi nembi, che s’appiccicavano
sopra le stelle
spegnendone ogni fiammella, riprese a piovigginare.
L’olandese
di nome Van Braam , portò il documento di capitolazione al
suo comandante che
lo firmò vacillante in una veglia assonnata e tesa, quella
strana stanchezza
che fa appesantire gli occhi ma non concede alcuna rassicurante
posizione di
addormentamento.
Mentre
gli americani si accingevano miserevolmente a far fagotto dei loro
tendaggi
sotto il cielo bluastro di un’aurora sudicia di torba ,
François passeggiava
lungo il perimetro dell'accampamento franco-canadese.
Non
vedeva l’ora di andarsene da quella specie di palude
corrugata della
Pennsylvania e potersi finalmente lavare nel quartiere militare di Fort
Duquense. Un bel bagno bollente lo avrebbe aiutato a prevenire
cervicali,
precoci indolenzimenti d’ossa e letali malori causati
dall’umidità perforante
che s’attaccava in una canicola artica, simile al ghiaccio
che si strofina sulla
pelle scottata.
Si
sentiva puzzare dappertutto. Il cappello nero era pregno dell'agre
odore
metallico della pioggia, la giacca della divisa si appesantiva di
raffreddato
stantio , i pantaloni e gli stivali mostravano maculature sbavate di
fango.
Voleva
davvero andarsene.
Da Great Meadows.
Dall’America.
Far
ritorno in Francia da Judith….da lei…Voleva
soltanto lei e nessun epico e
dorato riconoscimento. Aveva lasciato in sospeso troppe cose. Si era
chiuso, lasciato
costellare da una dolorosissima abulia…un rintronamento
furente che gli aveva avvizzito
calore e interesse. Le morti delle cinque bimbe erano state
intollerabili e soprattutto
il giorno in cui si spense Josephine fu lancinante.
Quel
tardo pomeriggio, periodo in cui si trovava ancora al
comandando delle Guardie Urbane di Parigi,
aveva organizzato prontamente un’operazione di soccorso per
contrastare un
incendio esploso in uno dei quartieri più poveri della
città.
Durante
un’evacuazione da un’abitazione, riuscì
assieme ai suoi uomini a salvare un’anziana
e una donna. Quest’ultima urlò che i suoi due
figli erano rimasti intrappolati
da alcune travi di legno.
Senza
pensarci due volte François si lasciò trangugiare
dalle fiamme ed estrasse da
assi, spine dorsali imputridite e acuminate, i bambini
della giovane madre. Tenendoli ben stretti
tra le braccia uscì assieme a loro , col respiro granulato
di carbone e la
divisa e la pelle bruciacchiate.
Tutti
lo acclamarono con ardente ammirazione ritenendolo un eroe ma quando
tornò a
casa e la moglie, tremante e asmatica,
riferì che Josephine non si muoveva
più, si scordò di ogni encomio e
successo.
Da
quel momento la situazione sprofondò sempre più
giù fino a che non si deteriorò
anche l’intimità coniugale. Se prima fare
l’amore rappresentava un
preziosissimo ritaglio di complicità, di riappacificazione e
conforto intensi
divenne un terribile atto meccanico.
Judith
era troppo triste e angosciata e lui si deformò talmente
polare e tetro da non
riuscire più ad accarezzare e baciare. Il piacere fisico gli
parve soltanto una
scintilla immensa, ustionante e inutile. La sposa provava sofferenza a
concedersi e questo
fu umiliante e
frustrante.
François
venne travolto da sensi di colpa che restarono a macerare come aceto
nel cuore
e si lasciò investire da una macabra frigidezza che
contagiò anche l’amata
Judith. Quella malattia lo aggrovigliava più disintegrante
di qualunque
sifilide: il disgusto verso se stesso.
Si
sarebbe dislocato in quell’istante per ritrovarsi a casa e
recuperare il tempo
perduto, calpestato, fuso in silenzi d’uragani.
L’unica
consolazione e l’unico contatto d’amore con Judith
erano le lettere ,
quei bellissimi fogli stesi con la sua calligrafia ricercata, danzante
di
tenera mestizia. Potevano essere custodite le frasi più dure
e massicce ma l’odore
di leggera menta argillosa della carta, l’inchiostro nero che
effigiava ricami
di aspri rimproveri, aneli di rabbia incarnavano una voce e una pelle
uniche,
insostituibili…Le parti di luce che albergavano da anni
nello spirito. Ogni
volta che riceveva una lettera dalla sposa , il Conte avvertiva una
fiamma
oceanica irradiare gli acquedotti intirizziti
del cuore.
Il
mese scorso le aveva inviato la risposta, un manoscritto lungo, una
delle più
piovigginose che avesse mai stilato…
Attendeva
con trasudata trepidazione cosa gli avrebbe ribattuto,
rivelato…
Tanti
sogni e incubi aveva plasmato con fango, sale e oro
liquefatto…
Fintanto
che si arrovellava,
sentendosi un
pesce strappato dal mare che si dimena ansando sul crudo legno di una
barca, si
avvicinò ad un gruppo di pellerossa che parlottavano tra
loro.
Alcuni
avevano i fucili posati sul terreno, alcuni si abbeveravano a borracce
di
pelle, altri pulivano le armi o controllavano le munizioni .
Nootau
, tra di loro, stava cambiando le cariche alla carabina.
Era
un gesto che non aveva nulla di strano ma François
restò col cuore schiacciato
come se qualcuno glielo avesse strizzato per fargli colare tutto il
sangue.
L’indiano
era mancino.
Come
Etienne.
Aveva
una pistola in mano.
Come
Etienne il giorno della sua morte.
- Washington,
sta per lasciare Great Meadows.
Blaise,
che lo aveva raggiunto con discrezione,
lo trasse in salvo da
un breve ma
brutale bagno in una vasca di pece.
- Allora
consegnerà il documento redatto a De Vielliers? –
domandò secco.
- Sì…eccolo
che sta per arrivare.
Il
giovane ufficiale virginiano, seguito da un taciturno e rancoroso
MacKay,
raggiunse . con passo estenuato, incrostato di fango e le insegne
sfatte, i limiti
dell'’accampamento nemico.
Louis
Coulon lo accolse tale e quale ad una statua di pietra templare che
poteva
ritrarre un inviolabile guardiano.
Il
generale si avvicinò assieme
all’amico,
incuriosito cupamente dall’aspetto del comandante avversario.
Poteva
essere un ragazzo di ventidue anni… la stessa età
di quando lui perdette parte
delle proprie milizie in Baviera.
Viso
imperfetto dalle quadrature sassose e stanche quasi fossero impastate
di gesso
secco e opaco, naso grosso da avvilito uccello marino che dalle narici
lasciava
cadere una lunga e fragile scanalatura che distanziava la bocca
già di sottile
vecchiezza...tuttavia era illuminato dalla medesima vergogna guerriera
che vestì
il Conte l’estate del 1743.
La
battaglia di Dettingen fu una sua forzata medaglia di consolazione per
aver
accompagnato la
Francia nel fallimento.
L’esercito di Giorgio II uscì vincitore e, sebbene
avesse stracciato il proprio
anelo e il proprio corpo, tornò con la divisa lacera, la
baionetta scarica e la
sciabola irrimediabilmente insozzata di sangue e sterile arena.
Gli
saettarono nella mente frecce di ricordi ad una velocità
paradossale e lenta….il
ritratto che gli fece Deronne, il medico grezzo e acuto
dell'’esercito capace
di fare una diagnosi certa senza bisogno di una visita:
“ Ti stai
affilando come un
uomo con dedizione e imprudenza…Provi a fare invecchiare gli
occhi ma sei un
bambino che vorrebbe scendere dall’albero sul quale si
è arrampicato…L’ancora
del tuo vascello è stata appena levata. Hai vissuto nel
baccano di un porto che
ti ha schiaffeggiato per buttarti all’orizzonte”
Le accuse
sarcastiche e corrosive di
Frederic Claude de Girodel.
“ Il
senso dell'onore è encomiabile ma inutile,
valoroso de’ Jarjayes… ho solo visto il vostro
stendardo bruciarsi al suolo.”
Il verdetto finale del Duca de Noailles :
“Per aver trasgredito gli ordini del
vostro comandante supremo, vi requisisco i gradi di tenente.”
In quel momento,
impantanato in una
vallata limacciosa
della Pennsylvania,
guardò un riflesso di se stesso remoto che parlava un
inglese sferzante e
ferroso contro un melodico e irruvidito francese che tentava di
contrastarlo.
Coulon
rispettò le condizioni del patto e
liberò i soldati anglo americani presi prigionieri.
François
avrebbe volentieri piantato un proiettile nel petto di Washington. Si
convinse
che costui lo avesse offeso mostrandosi in qualità di un
sosia perdente che
dimorava invitto nella coscienza.
Quando
costui diede le spalle, si domandò se l’olandese
avesse parafrasato
precisamente il documento di resa…
I
suoi sospetti non gli vennero mai confermati ma in effetti ebbe
veramente
ragione a dubitare.
Washington
non comprese mai di essere stato accusato di assassinio e de Vielliers
non
seppe mai che il virginiano
aveva
firmato la capitolazione ascoltando la traduzione stentata e malmessa
del
militare olandese.
I
termini di piombo che lo incriminavano assunsero il pallore tisico
di un’emaciata foschia:
“
responsable de
l’assassiner du
comandant
Joseph Coulon de Jumonville «
Dopo
le otto di mattina, Fort Duquense venne data alle fiamme che depurarono
inesorabili ciascun carcame che osasse ancora sopravvivere di futile
malinconia.
***§***
ottobre
Versailles, Parigi
Nonostante
l’autunno stesse iniziando a depredare dolcemente gli alberi
da foglie di smorto
smeraldo e inibito oro, persisteva un
aroma d’acidità afosa…
Un’ombra
di sterpaglie che sgretolava lentamente ticchettando scalpiccii
brucianti.
Tutti
erano ormai convinti che tra padre e figlio vi fosse un ponte in rovina
sorretto dai loro occhi ancora più spalmati d’olio
combustibile.
In
quell’assolato pomeriggio di residue brine estive, i militari
guardavano
sorpresi Luigi XV presiedere l’Alto Consiglio di Stato
assieme al Delfino Luigi
Ferdinando.
Nel
salone , di lusso austero e spigoloso , sedevano tutti attorno ad un
rettangolare tavolo in massiccio stile rococò, imperioso
residuo archeologico
di Re Sole, una deposizione di
mortifera
vitalità.
I
due reali si fronteggiavano l’uno assiso sul versante di
levante l’altro sul
versante di ponente. A
separali una
pianura levigata di gelo castagno cosparsa di missive che parevano
cedere il
posto rispettosamente ad una grossa e renosa mappa dell'America del
Nord.
- La
valle dell'Ohio è finalmente sotto il controllo della
Francia – pronunciò il
sovrano come un valoroso atleta che avesse terminato una maratona- Dopo estenuanti scontri
abbiamo pieno potere
sui commerci con Fort Pontchartrain du Detroit * e La Baie des Puants*
: con gli
scambi tra il Québec e le città della Louisiana
guadagneremo notevole vantaggio
sulla Gran Bretagna. Si è registrato un ingente aumento
delle entrate e la
Virginia ha assistito a una critica contrazione dei suoi
proventi…tuttavia la
notizia della sconfitta di Washington a Fort Necessity sta infiammando
il
torpore del Duca di New Castle. A quanto pare si sta mobilitando per
organizzare un contrattacco. Confermate
dunque tali notizie, Generale
de
Girodel?
Il
conte sedeva alla
destra del re, simile
a un Cristo di glaciale minacciosità.
A
quarantaquattro anni i capelli neri, che gli arrivavano sulle spalle ,
erano
filamentosi di grigio: di
rado portava
la parrucca proprio perché ci teneva a palesare la sua
santità profana e
tronfia.
Il fisico di arcigna
snellezza somigliava ai
cipressi che verdeggiano cupi e sprezzanti e gli occhi seghettavano con
un tono
acquamarina chiaro e laminato.
Il
volto tagliente , in parte butterato da cicatrici d’ustione,
carburava mitezza
inquietante e il sorriso espandeva un pulviscolo di fraudolenta
modestia.
- Sì,
vostra
Altezza – rispose con tono greve simile a uno strato di neve
- Ora che Thomas
Pelham-Holles è diventato Primo
Ministro, sta rivedendo i suoi assetti diplomatici. La situazione per
le loro
colonie può declinare ancora più e
perciò si sta programmando una forte
spedizione contro i nostri territori. È confermato che i
rinforzi britannici
partiranno l’anno prossimo. Non si conosce con assoluta
certezza chi sarà il
generale al comando. La stragrande maggioranza caldeggia la nomina di
Edward
Braddock. È un veterano temibile e potrebbe creare notevoli
problemi.
Nonostante la nostra vittoria è necessario chiamare in
patria i francesi che
hanno combattuto in Pennsylvania e spedire nuove milizie. Dobbiamo
disporre di
efficaci forze in campo. Questo è l’inizio di una
guerra contro re Giorgio.
Il
re congiunse le mani davanti al viso meditabondo. Cercava di apparire
autorevole
e ponderato ma chi lo conosceva molto bene riusciva a cogliere in quel
gesto
un’insicurezza imbarazzata che veniva respinta dentro dagli
avambracci chiusi.
Alcune volte si aveva l’impressione di vedere un corridore
che prima partiva
veloce e deciso e dopo rallentava guardandosi dietro per la paura di
aver perso
o di perdere qualcosa.
- In
teoria – considerò schiarendosi la gola - non siamo in tempo di
conflitto e non possiamo
definire grandi battaglie piccole lotte per estendere
l’egemonia degli empori. È
difficile, nondimeno, stabilire quanto possa convenire uno scontro
definitivo
per affermare pienamente la nostra supremazia in America
Settentrionale. I
nostri fondi si reggono su pilastri non ancora solidi al cento per
cento…però…se riuscissimo a
conquistare tutte le colonie inglesi , la Francia
arriverebbe a possedere i tre quarti delle rotte marittime e
ciò decreterebbe
un’autentica apoteosi: la trasformazione nel più
grande impero mondiale che sia
mai esistito.
Frederic
si compiaceva degli sguardi di Luigi XV che lo interrogavano con
trepida
mansuetudine. Da dopo la Battaglia di Dettingen era
riuscito a farsi abilmente strada tra i pochi
fidati consiglieri reali. Apparteneva all’associazione
silenziosa del Secret du Roi. Il
parlamento aveva
ricevuto una così grave restrizione di poteri che non vi
erano più primi
ministri da sette anni. Tanti funzionari covavano odio verso la corona
e il
monarca, avvelenato dalla paura e dalla diffidenza, era giunto per
avvalersi di
una sotterranea rete di spie-dirigenti .
- È
quello che penso anche io, Sire – accondiscese Girodel - Quanto tempo
potrà reggere questa ridicola
tregua che esiste solo su carta? Tra l’altro, sottolineo i resoconti
dell'ambasciatore Von
Kaunitz. Sarà pure un rapace degli
Asburgo, ma la nostra rete di spionaggio gli dà ragione.
C’è un motivo per cui
i viennesi hanno soprannominato Federico di Hohenzollern “ il brigante di
Postdam”. I suoi rapporti
diplomatici con re Giorgio diventano
sempre più sospetti e se non sferriamo un attacco drastico all’Inghilterra
ci troveremmo stritolati in
una morsa letale . Se un gigante viene ferito alle gambe non
riuscirà mai più a
correre. Gli austriaci potrebbero sta volta rivelarsi utili…
Si
alzò il Delfino di Francia, un giovane di ventisei anni un
po’ corpulento ma
terribilmente solido e dotato di un’ammirevole e religiosa
eleganza. Lineamenti
regolari, di morbidezza autorevole e per nulla flaccida e pigra.
Colpivano i
suoi occhi neri, d’intelligenza amara, viva e indagatrice.
Non abusava di falsi
sorrisi e baldanzose cortesie. Non camminava mai curvo e aveva il volto
perennemente in alto non come emblema di boriosità ma con
acutezza di falco
guardiano.
Non
amava Girodel e non amava i segreti del padre che tentava di forzare
con una
pertinace spranga di ferro.
- Vorrei
poter condividere il vostro entusiasmo Generale de Girodel - lo appellò
con burbero contegno - poiché
all’inizio anche io ero tentato di muovere guerra ai britanni
ma ho avuto modo di
riflettere più accortamente
su alcune questioni
per nulla
trascurabili: la nostra vacillante economia. Le guerre espansionistiche
di re
Sole misero a nudo l’inefficienza
del
suo sistema fiscale in cui i funzionari appaltatori prelevavano in modo
eterogeneo e disorganizzato, frenando attività e arricchendo
solo le loro
casse. Piaga che è caduta su Filippo D’Orleans che
ha tentato di far rinsaldare
la situazione con l’emissione di carta moneta, una soluzione
illusoriamente
risanatrice…Si è vista poi l’inflazione
e la svalutazione stessa della moneta!
Si è visto poi come annaspavano le banche!
Gli
altri generali borbottarono
tra loro
lamentando la rigida diligenza del principe. Speravano che i contrasti
in
famiglia andassero avanti affinché costui non potesse rimirare il trono neppure
col binocolo.
Era
indubbiamente comodo che Luigi XV dispensasse loro fiducia visto che
era di
continuo irresoluto ed era indubbiamente doloroso che il figlio un
giorno
sarebbe potuto divenire re.
- Siamo
riusciti a raggiungere il pareggio di bilancio sedici anni fa , grazie
ai piani
diligenti del Cardinale de Fleury…- silenziò
tutti il Re - L’economia è già in
ripresa! E direi che ci occorra una svolta, figlio mio!
- L’ottimismo
non vi deve ottenebrare la ragione, padre! Se
siete devoto alla buon’anima del Cardinale
de Fleury che vi ha guidato e insegnato ,
preservate la sicurezza del nostro Stato!
L’economia si è avviata ma ha
ancora un respiro irregolare e cagionevole! Se ci buttassimo nel
vortice di una
guerra firmeremmo la nostra condanna a morte!
Luigi
Ferdinando, da fervente cattolico che non confessava i sensi di colpa a
chi non
fosse sacerdote, ribatteva
evitando di
sollevare un altro problema pungente: la migrazione degli ugonotti
dalla Francia
avvenuta due anni orsono inseguito a cruente repressioni che duravano
dal
sedicesimo secolo. Tale ondata di volontari esuli aveva sottratto al
regno una
cospicua parte di
commercianti ,
artigiani e operai determinando un forte indebolimento nello sviluppo
delle
attività.
- Principe
– cercò di conciliarsi Frederic più per
convenienza che per franchezza- La
vostra lodevole ponderatezza, è
comprensibile ma come si vuol dire se la migliore difesa è
l’attacco è doveroso
soppesare i rischi e analizzare i nostri punti di debolezza e forza.
È vero che
dobbiamo ancora ristabilirci però non possiamo ristagnare e
regredire. Un
‘espansione bellica ben organizzata porterebbe sotto i nostri
piedi le nazioni
rivali. L’esercito è ben controllato.
Il
giovane e si risidette e serrò le mandibole cercando di
contenersi: ovvio, per il conte Girodel
era normale evidenziare sempre che anche lui possedeva lo scettro del
comando.
Aveva
aderito con successo a molte operazioni di guerriglia nelle colonie
americane,
assoggettando indigeni in maniera più o meno valida.
Deteneva parecchi affari
di cui, quasi al novanta per cento, non si riusciva a capire quanti
fossero
leciti e no. Tra l’altro la
Compagnia
delle Indie Occidentali contava sui suoi finanziamenti tenendolo in
grande
considerazione e fornendogli lealmente supporto.
Il
principe giurava a se stesso che , una volta salito al trono, avrebbe
approfondito ancora meglio le indagini sul suo conto.
- So
a chi affidare determinati incarichi,
figlio mio…- redarguì il Re - bisogna
circondarsi di pochi ma buoni
servitori.
- La
vostre misure precauzionali hanno lasciato perplessi me e le mie
sorelle,
padre…Certo, è degno d’interesse il
come esercitiate appassionata filantropia a
commedianti teatrali che siedono su troni e vi rintronano il senno con
irresistibili profumi!
Ecco
che cominciava il duello tanto atteso.
Girodel
fissava tacitamente allietato il confronto tra padre e figlio: si
sapeva che il
primo, finalmente libero dall’ombra moralista di Fleury, aveva abbandonato da tempo
la fedeltà
coniugale cercando deliziose amanti e iniziando a guadagnarsi,
lentamente in
politica, la nomea di fannullone .
Il reggente
, al contrario, era ritenuto un lodevole esempio di morigeratezza e
razionalità, un nobile legato sinceramente alla consorte e
ai suoi piccoli
figli. Era stato reduce da un primo lutto matrimoniale da adolescente
che
l’aveva ferito in modo profondo e successivamente si era
dovuto risposare con
la principessa Maria Josephina con la quale aveva instaurato un vero
affetto.
- Caro
figlio, potresti essere anche un giudice mandato dal Creatore in
persona, ma
sono io padrone della mia volontà! E io discerno
l’intelligenza nefanda da
quella brillante!
- Con
quale mossa strabiliante voi e la vostra musa ci porterete sul lastrico?
- Ti
rammento, Luigi Ferdinando, che sul trono ci sono ancora io.
Quando
si osava alludere in modo velenoso all’amata Madame Pompadour
, il sovrano s’incolleriva.
Sapeva bene che il delfino e le figlie la detestavano cercando di
trovare crepe
che potessero far crollare il raffinato edificio delle sue
qualità. Trovavano
inconcepibile che avesse ricevuto il titolo di amante ufficiale.
Luigi
Ferdinando temeva aggressivamente la sua influenza e desiderava
esiliarla da
Versailles non appena avesse ottenuto i pieni poteri governativi.
Il
Duca di Noailles che fin a quel momento era rimasto in un mutismo riservato, ritenne opportuno
dileguare la
coltre elettrica di burrasca:
- Maestà.
Io sostengo le preoccupazioni del Principe così come
comprendo la ferrea
determinazione del Generale Girodel. Espanderci potrebbe accrescere la
nostra
potenza ma al contempo un regno con ampissimi confini aumenterebbe
pericolosamente
la vulnerabilità. Bisogna prendere insegnamento dalla
storia. I grandi imperi
non hanno retto il peso di regioni spropositatamente allargate. Le
membra che
si allungano perdono compattezza muscolare. Anche Ottaviano Augusto
raccomandò
ai propri eredi di custodire gli antichi e ampi limes di Roma e di non
lanciarsi in dissennate conquiste. Il mio suggerimento è,
come ha detto
Girodel, mobilitare altre truppe in Canada ma restare sulla difensiva e
non emettere
alcun ultimatum contro l’Inghilterra.
I
generali esposero alcune obiezioni ma non osarono dilungarsi
più di tanto
perché quell’uomo, anche se ormai a cinquantanove
anni stava per concludere il
servizio militare, trasmetteva una regalità cesarea e
autentica che scorreva
nei canali di fresca antichità delle sue rughe, nei suoi
lineamenti fieri ed
eroici tali e quali a quelli di un grifone dal volto spesso
d’aquila, dal torso
leonino e dalle invisibili ali rocciose.
Il
re non poteva dargli torto perché lo stimava allo stesso
modo di Girodel e in
fondo, con autentico amore e vergognosa colpevolezza, non voleva
distanziarsi
ancora di più dal figlio per il quale aveva sperato
nell’infanzia e
nell’adolescenza e lo riteneva, in un clima anche
deteriorato, una parte della
sua anima generata dal proprio anelo vitale.
Fissò
il principe che distese un po’ più dolcemente lo
sguardo anche se manteneva
negli occhi un telo di offesa severità.
Tornò
a volgersi verso il Duca:
- Capisco…condivido
il vostro pensiero però temo che restare sulla difensiva
significherebbe
offrire vantaggio a re Giorgio.
- No, Altezza. Si
tratta di tenere al sicuro le ricche regioni che già
sfruttiamo e
incentivare di più il loro sviluppo…Piuttosto che
una guerra infinita ,
bisognerebbe proporre una volta per tutte una spartizione equa delle
colonie di
America.
Sta
volta Frederic era preso in contropiede: non voleva rinunciare
orgogliosamente
alla sua facoltà di obiettare ma neppure desiderava
contrastare uno dei
pochissimi uomini che temeva e rispettava con franchezza.
Certo Noailles,
avrebbe potuto benissimo lasciare il maggiore Rochebrune a dirigere
i corpi di polizia delle frontiere e
soprattutto imprigionare De Jarjayes nella caserma delle
Guardie Urbane
di Parigi a contatto coi microbi della
plebaglia.
- Ahimè,
Duca di Noailles i patti di questo genere non giovano
tanto…- tentò di imporsi
con gentile
prepotenza- pensate a cosa è
accaduto durante le trattative di Aquisgrana. Il Regno di Savoia e la
Prussia
hanno divorato la maggior parte delle pietanze del banchetto lasciando
le briciole
all’Austria e a tutte le altre nazioni.
Il
valoroso veterano, colmo d’integerrima e pietrosa
serenità , rimandò:
- Avete
ragione Generale de’Girodel ma occorre pensare al meglio e
fare decisamente di
meglio. Siamo ancora in tempo per prevenire irreparabili disastri. Non
sono
state stipulate ancora nuove e decisive trattative e il Primo Ministro
di
Inghilterra non credo sia entusiasta di allestire un dispendioso
diluvio
bellico. Penso che neppure la Prussia desideri un
conflitto…essa vuole
garantirsi protezione e non ha esternato dannose ostilità
verso di noi.
Il
delfino, anche lui convinto patrocinatore di Noailles,
indirizzò al re un’occhiata
bruciante d’implorazione:
-
Padre.
Lasciamo che l’Austria risolva da sé i suoi screzi
con gli Hohenzollern! Prendiamoci
cura e arricchiamo le colonie che già possediamo. Se
originiamo un’altra guerra
ci incancreniremo causando l’amputazione di buona parte dei
nostri arti.
Il
monarca fissò un antico mappamondo che troneggiava nel
letargo di una
ringhiante mitezza da orso bruno….
Così
serico e perfetto, così fintamente piccolo che ci si
scordava che tenerlo in
mano rappresentava sorreggere l’ opprimente ossigeno di mari
e monti.
- D’accordo
– si decise più fermo - Non
avanzeremo
alcuna dichiarazione di guerra…per adesso. Siccome tutto
è in divenire ed è
incerto, valuteremmo in che modo avanzare volta per volta. Duca di
Noailles
e Conte Girodel ,
da domani inizierete i
preparativi per reclutare le milizie d’America.
Frederic
si dovette accontentare amaramente di quel mezzo trionfo…De
Noailles era un
monolite difficile da gettare a terra. Il fatto che François
fosse ritornato nella
Maison du Roi , non
l’aveva digerito
bene.
L’
odio comunque non lo portava ad anelare la sua morte…non gli
augurava di finire
massacrato dai pellerossa o
annegare in una palude della Louisiana.
Conveniva
più che altro nutrire
accuratamente il
proprio ego, vedendo il rivale arrampicarsi
ai vertici della carriera similare
a una scimmia zoppa che tenta di raggiungere i cocchi di un'altissima
palma. Se
coi compensi ricevuti per la sua missione di volontario, avesse
risanato la
precarietà dei latifondi di famiglia sarebbe rimasto un
erede senza eredi.
I
Girodel avevano un figlio di cinque anni, i de Jarjayes bambine finite
all’altro mondo.
François
non era un uomo povero, ma un pover’uomo.
Un
Sisifo condannato a portare sulla montagna un macigno che, raggiunta la
vetta, gli sarebbe
sempre scivolato lungo un pendio
di strozzanti rovi.
***§***
novembre
Nouvelle
Orleans, Louisiana
Quella
sentenza gli rimbombava nella testa come una nenia funebre di metallico
incenso.
“ Mai
chiedere perdono in guerra. Il Signore lo sa che hai
una sciabola e una baionetta. Non puoi perdere tempo a estrarre
proiettili da
cadaveri nemici. I romani sono tornati a raccogliere in lacrime il sale
sparso
su Cartagine distrutta? “
François credeva di udire le
spettrali raccomandazioni
del padre Jean Antoine quasi fosse sorvegliato
dall’alone di un nero angelo custode.
Sta
volta non c’era nulla di cui umiliarsi e infatti stava con la
schiena
eretta introiettato
verso l’azzurro del
levante cosparso di nebbiolina dormiente.
Bisognava
recitare inni di gloria, eppure non riusciva temendo di stonare in modo
misero
e tragico.
Lui…
Lui che finalmente tornava trionfante e che aveva contribuito a
fortificare la
grandezza del Regno di Francia.
Conosceva
bene la legge dell'infido splendore.
L’aurora
somigliava al crepuscolo, il crepuscolo all’aurora.
Niente
di più certo. Inevitabile. Confuso.
Nascita
e appassimento costituivano un armonioso codice binario o forse erano
riflessi
di uno stesso numero primo cui la mente stremata attribuiva multipli
inesistenti di possibilità.
Il
Mississippi dominava plumbeo e meditabondo le lande della Louisiana,
infiltrandosi
con ieratica arroganza tra vecchie montagne, tra opache rive di boschi
pianeggianti, tra melmose isolette
che
sporgevano come dorsi di caimani o incuriosite teste di anfibi.
Le
nuvole , che lievitano all’orizzonte della foce, prendevano
le sembianze
di scogli ruvidi e
cremosi e rivelavano
che il mare terminava versandosi
in un
limbo senza giorno e notte.
François
, compiuta la missione a Fort Necessity, si
accingeva a raggiungere Nouvelle Orleans in
attesa di altre direttive .
Affacciato
alla prua del battello Lys Blanc ,
non condivideva l’esausta serenità dei
soldati…Non riusciva a scambiare qualche
effimera cordialità col timoniere, non sorrideva ai
borbottii irritati degli
sconfitti a carte, non si confrontava o congratulava coi propri
sottoufficiali.
Quel
fiume , sul quale navigavano, gli pareva una sciarpa infeltrita che si
scuciva
all’estremità annegando in una distesa di vernice
blu e informe.
Neppure
il neonato mattino servì a dorare la cenere dei
pensieri…
Tutto
si bruciava dopo il silenzio acquatico dell'aurora e anche la pallida
ombra
della Luna veniva incenerita da fiamme inesorabili.
Il
sole si accingeva a levare gli ormeggi e a viaggiare nella volta
celeste con
una corazza di recrudescenza splendente.
Da
tempo il generale diffidava di quella malevola castità che
carezzava e scuoiava
città, campagne e progetti.
Era
una colata di fasullo oro zecchino, utile a impreziosire la permanenza
del buio
che non scompariva dagli angoli delle strade, dagli ombelichi
screpolati dei tronchi,
da sotto i nidi delle rondini che migravano altrove.
“ Ma
niente è più dolce che occupare i sublimi templi
sereni, saldamente muniti dalla dottrina dei saggi, donde si possa
abbassare lo
sguardo sugli altri e vederli errare qua e là e cercare,
aggirandosi senza
criterio, la via della vita. “
François
adorava Lucrezio* e da adolescente lo leggeva all’insaputa
del padre che da cattolico
praticante e aristocratico catoniano, deprecava le teorie
sull’assenza di Dio e
sul rifiuto dell’obbligo civile e militare.
Il
De rerum natura, riprendendo i precetti del filosofo
greco Epicuro,
mostrava la casualità del moto degli atomi che dà
origine ai corpi,
l’aggregazione e la disgregazione a cui sono soggetti gli
esseri viventi, la
confutazione della religione tradizionale, l’esaltazione
della vita appartata
lontana dai tumulti politici…
Cose
inconcepibili per un bravo cristiano e un
nobile servitore della corona…
Guardando
verso l’alto, il Generale invidiava i gabbiani che
sorvolavano i rombi
delle cannonate terrestri…
Quegli
uccelli s’interessavano a Maria Teresa che aveva rivendicato
la Slesia perduta
a causa dei prussiani?
Sostenevano
la Francia ? Decidevano di arruolarsi in un esercito e servire uno
Stato?!
L’unica
constatazione, ironica e vendicativa, era pensare che anche gli uccelli
più
bianchi atterravano al suolo per cibarsi di pesci morti e spazzatura.
“
Làthe biòsas” , diceva
Epicuro “ vivi in disparte”…Fosse
stato semplice!
Non
sia mai Jean
Antoine udisse che la fede
opprimeva gli uomini “ dalle sue regioni
celesti” , che “ la natura
non è preparata dal dovere divino”
,
che la saggezza consiste nel rinnegare la ragion di stato e nello starsene bellamente in
disparte nella
contemplazione!
I
moti dell’universo erano troppo logici e perfetti per non
essere stati creati
da Dio, gli uomini si erano evoluti e si erano organizzati in
società dandosi
leggi e obblighi da rispettare e così ,
come il Sacro monoteismo aveva distrutto gli dei pagani,
la Monarchia
aveva oppresso con un unico scettro le brame dei feudatari.
François
ricordava che il padre conciliasse i pensieri dei repubblicani Catone il Censore e Cicerone con la
devozione verso il re. Non
esistevano contraddizioni e l’ “Exemplum”
dell’Antica Roma ben fungeva da
pilastro per una più che rispettabile carriera pubblica. La
filosofia non
doveva possedere fini estetici ma pratici e le teorie pericolosamente
razionali
o edonistiche erano proibite e corrompenti.
Il
generale si domandava, tuttavia, come fosse possibile credere in Dio e
avere
una visione imperialisticamente pragmatica del creato...
Si
domandava in che modo si poteva andare in chiesa , incapaci di
comprendere l’anima:
il cuore si deformava simile ad uno specchio d’acqua
infilzato da un dito ed
egli ancora non fermava gli archi vibratori delle scosse.
Erano le undici di
sera
nella dimora de Jarjayes ma la routine pareva inghiottita da
un’atemporalità di
claudicante bufera.
Da più di
sei ore i medici
chiamati da Jean Antoine non uscivano dalla camera di
Philippe…
Qualche candelabro
rischiarava , come l’aureola di un piccolo santo avvizzito,
il grande blu
dell'’oscurità. Alcuni servi , reggendo candele,
facevano avanti e indietro
seguendo gli ordini irrequieti del conte. Lasciavano magri serpentelli
di luce
che svanivano subito in liquescente polvere.
Il
piccolo François, col
cuore palpitante di angoscia, aveva smesso di giocare quella mattina,
da quando
nel giardino della villa suo padre era giunto sconvolto portando in
braccio il
figlio maggiore svenuto e terreo.
I servi avevano
riferito
che, durante la battuta di caccia, il ragazzo era caduto rovinosamente
da
cavallo sbattendo la schiena e la testa.
Vennero
chiamati fatti
chiamare due chirurgi e un farmacista perché la situazione
si rivelava più
grave del previsto.
Il
bambino era stato
confinato nella sua stanza assieme alla balia e
adesso, esasperato da quella tensione che bolliva
devastazioni
sottocoperta, volle
uscire.
Poiché la
nutrice si era
addormentata, ne approfittò per sgattaiolare fuori e
immergersi nell’oscurità
dei piani superiori della villa.
A
cinque anni tutto pareva
gigantesco.
I riccioli erano una
fontana incontrollabile che gli inondava la fronte e le guance di tondo
e
freddoloso zucchero, la morbida camiciola da notte stava larga e i
piedi, piccini
e paffuti, faticavano a calpestare per intero le grandi mattonelle di
marmo.
Il corridoio che
conduceva
alla camera del fratello grande si elevava con gelide volte a botte che
sembravano spettrali colli di giraffa che si congiungevano in un
lontanissimo
buio.
Molte
finestre erano
coperte dalle tende e soltanto una lasciava intravedere uno spiffero
d’alito
lunare.
Nonostante fosse
impaurito
dal buio e dalle geometriche armature medioevali che sembrava dovessero
scattare da un istante all’altro, François
affrettò il passo per avvicinarsi
alla porta di Philippe.
Mentre
ormai era molto
vicino, l’uscio
si aprì facendo
fuoriuscire una rovente luce arancione.
Immediatamente si
nascose
dietro la tenda broccata di una finestra.
Riuscì
a distinguere la
voce del fratello che si dimenava lacera:
- Perché…non
mi sento le gambe? V- voglio
rialzarmi…
- Philippe
– raccomandò il conte stritolato
– non ti agitare.
- P-padre…che
sta s-succen-do…?
Jean Antoine, senza
aggiungere risposta, uscì dalla camera seguito dal
più anziano dei medici.
- Dottore,
com’è la situazione di mio
figlio? È un
trauma momentaneo? Quanti
giorni deve impiegare per riabilitarsi?
Ci
fu un silenzio
vergognoso e tristemente agghiacciante.
Dopo un
po’ il chirurgo, sforzandosi di apparire più
misurato possibile,
rivelò:
- Signore,
vostro figlio è stato fortunato
a non aver subito un’emorragia interna al cranio e una febbre
infettiva…tuttavia…le
tre fratture riportate
alla colonna
vertebrale sono gravissime.
- Che…che
intendete dire? Dovrà stare a
letto lunghissimo tempo?
Il
medico desiderò svanire
come aria ma alla fine dovette completare l’orrenda diagnosi:
-
Io e miei colleghi
siamo mortificati, nonostante
abbiamo tentato di raddrizzare le giunture cartilaginee dei dischi
vertebrali,
i nervi che collegano e controllano le gambe
sono irrimediabilmente danneggiati.
- No…non
capisco – rispose con tono
smorzato e moribondo l’uomo.
- Il
sistema nervoso parte dal cervello e
si propaga lungo le braccia, la spina dorsale e le
gambe…è un meccanismo
delicatissimo. Se si lede una di queste componenti non esiste
guarigione.
- Non
ditemi che Philippe…
- Purtroppo
, signore, il ragazzo non
camminerà più.
Da
dietro la tenda,
François affacciò attonito il capo.
Sentì il
cuore del padre
comprimersi brutalmente nelle penombre cavernose.
Mentre ancora gli
sfuggiva
di mano la consistenza di quella verità, il bambino
posò gli occhi su una
sciabola dall’elsa dorata appesa alla parete di
fronte…
Da lontano luccicava
simile
a una reliquia fatua
e lo teneva d’occhio
svelando la lama
affilata pronta a
fischiare spietata.
Aspettando torrenti
di
piogge.
Aspettando il
mattino.
Il
Generale esibiva un regolare e avvenente connubio tra
l’eleganza della madre,
che echeggiava negli ondosi occhi blu,
e
le severe ombreggiature dei lineamenti del conte. Alto, maestoso e
severo
trasmetteva ammirazione, soggezione e gelida diffidenza.
Tuttavia,
troppe volte, si sentiva il viso granitico tenero e frangibile analogo
a quello
di un bimbetto. Quando si radeva gli capitava di tagliarsi una guancia
che si
striava di rosso impallidita da una goffaggine
adolescenziale…
Rabbrividiva
se pensava di essersi addossato il destino del primogenito
Philippe…
Cosa
sarebbe successo se non fosse avvenuto quel tragico incidente a
cavallo? Da
figlio cadetto avrebbe perseguito un’altra carriera? Quella
di ministro? Quella
di cardinale? Una vita più comoda
lubrificata dal privilegio di dedicarsi agli studi ?
Meglio
non elaborare ipotesi irreali…
Il
Cielo aveva desiderato in tal modo il corso degli eventi e lui era
stato
costretto ad appropriarsi , fin dall’infanzia, del dovere di
un altro…Un dovere
trasformatosi, dopo lungo tempo, in linfa vitale.
Aveva
raggiunto la vetta dei gradi inseguito a una lunga scalata: per quasi
sei anni
era stato sergente, maggiore e capitano nelle Guardie Urbane di Parigi
e, grazie
all’abilità e alla fermezza, si era guadagnato una
rinnovata ammissione nella Maison du Roi
grazie al Duca di Noailles,
proseguendo l’avanzata e attuando missioni difensive sulle
frontiere della
Francia e persino nelle colonie d’Oltreoceano.
Infiniti
mesi di arrampicata scansando gelide valanghe che crollavano alla
più piccola
aurea di lamento e in
che maniera Jean Antoine aveva reagito? Con sguardi di solenne e
magnanima
sufficienza quasi si rassegnasse a non redigere il testamento a un
erede
semidio.
François,
tristemente astioso, comprendeva in parte quella diffidenza
genitoriale: anche
dall’Aldilà avvertiva
l’ombra di un’
arcata sopraccigliare raggelare ogni raggio di calore...
- Nessuna
pioggia spegnerà Sole di oggi.
- Etienne!
Il
giovane, che l’aveva raggiunto a prua,
scherzò perplesso:
- Signore!
Piace tanto chiamarmi con quel nome! Il mio è
così brutto?
Il
generale guizzò leggermente il capo e rispose:
- Perdonami...
E’ da un pò di giorni che non riesco a
dormire...L’insonnia fa strani scherzi,
Nootau.
L’abenachi
appoggiò le mani sul corrimano di prua ispirando l’aria fresca e
nebbiosa del mattino.
- Insonnia
non del tutto cattiva – ammise con riflessiva
semplicità – fa sentire bene le
parole senza suoni...quelle che non nascono mai da bocca ma che restano
acqua
scura che si unisce a sangue e che non si possono prendere.
Infastidito
dalle pieghe che si sarebbero potute evolvere, il Conte
tagliò seccamente:
- Lascia
luccicare queste perle di saggezza nella tua testa e dì ai
tuoi uomini che tra
mezz’ora approdiamo a Nouvelle Orleans.
- Sì,
Generale.
L’uomo
si rammaricò di licenziare il migliore dei suoi sottoposti
alleati.
A
mano a mano che l’imbarcazione si avvicinava al litorale di
Nouvelle Orleans ,
prese a organizzare zelantemente le operazioni d’attracco
aiutato dai
comandanti di marina.
Cercò
di non sentire la voce dorata del pellerossa che tanto rassomigliava al
tono
agreste e cesellato di Etienne…
Sebbene
le considerevoli differenze caratteriali tra i due, entrambi
risplendevano di
un’energica positività...
Quella
positività ingenua e sfrontata che egli si spossava di
trovare oltre le nuvole.
Nell’attimo
in cui il naviglio stava preparando la passerella che si sarebbe
adagiata sulla
banchina del porto, chiamò:
- Nootau.
L’indiano
gli si affiancò reverenziale e interrogativo.
- Dopo
che avremo attraccato -
proseguì il
superiore – immagino che tu e tuoi uomini ritornerete dalle
vostre famiglie.
- Certo,
Generale…ho moglie e tre bambini che domandano se io stato
divorato da spiriti maligni!
François
abbozzò un sorriso abbattuto.
La
visione del volto di Judith lo destabilizzava…
Il
millesettecento quarantatré era stato il principio dei suoi
annegamenti
famigliari…il principio di una maledizione scaturita proprio
quando si era
appena sposato imparando a distendere speranze.
- Capisco-
rispose accantonando a fatica le proprie angosce – prima che
ci separiamo,
vorrei ringraziarti nel migliore dei modi...
- Per
me è stato onore servirvi...Vostra tempesta è
nobile, Generale...anche se forse
sembra che viaggia perdendo molti fulmini.
Il militare
fissò il mare fustellato di resina arancione e azzurra e
tornò a guardare il
guerriero con sincera ed estenuata limpidezza.
- Sai,
Nootau...Etienne...era mio fratello. Il migliore che abbia
mai avuto.
Note
storiche:
- Guerra
di successione Polacca ( 1733-1735) :
conflitto che scaturì in
Polonia inseguito alla morte del Re Federico Augusto II :
l’Austria e la Russia
sostennero il figlio Federico Augusto III mentre la Francia , la Spagna
e il
Ducato di Savoia Stanislao Leszczynski, suocero di Luigi XV.
- Uroni
:
popolazioni indigene del Nord America, più propriamente
“
wyandot ” (
di cui fa parte anche la
tribù degli abenachi ). Il termine “
urone” ( detto huron in
francese ) , all’inizio usato dagli esploratori in
modo dispregiativo, significava “
burbero” e “ arrogante” ,
oppure hure
“ testa di
cinghiale” , per indicare la particolare capigliatura degli
indigeni che
ricordava la peluria.
Voltaire, per
esempio, nel libro
“ l’ingenuo” , adopera il termine
“ urone” per denotare semplicemente la
provenienza esotica del suo protagonista che è appunto un
pellerossa.
- Lucrezio
: o Tito Lucrezio Caro ( Pompei o Ercolano 94 a.C –
Roma
50 a.C ) poeta e
filosofo romano seguace
dell'epicureismo che influenzerà molto
l’esistenzialismo moderno con temi
riguardanti l’angoscia e
il pessimismo.
( personaggi
realmente
esistiti)
- Venzel
Anton Von Kaunitz ( 1711- 1794) : influente
diplomatico e politico austriaco
laureato in legge, sostenne il dispotismo illuminato e molte riforme
nazionali
dapprima sotto la regina Maria Teresa ( che gli concesse ampio potere)
e
successivamente durante il governo di Giuseppe II, Leopoldo II e
Francesco II.
Divenne il primo vero fondatore del Consiglio di Stato Austriaco e , in
veste
di cancelliere fu responsabile, in politica estera, delle trattative
con la
Francia durante la Guerra dei Sette Anni. Venne inviato infatti a
Parigi nel
1750, dove rimase per due anni al fine di convincere Luigi XV a
sostenere la
causa degli Asburgo contro la Prussia. All’inizio non fu
facile persuadere il
sovrano ma
l’ambasciatore riuscì a
piegarlo , avvalendosi di Madame Pompaduor che lo indurrà a
stipulare
l’alleanza con l’Austria [ questo si
vedrà più avanti nella storia]
- Claude
Pierre- Pécaudy de Contrecoeur e Louis
Coulon de Vielliers : entrambi
ufficiali canadesi,
ebbero un ruolo
molto importante nella difesa e nella gestione delle colonie francesi
in
America. Il primo espulse le truppe inglesi del comandante Ward da Fort
Prince
George che fu abbattuto e ricostruito con il nome di Fort Duquense ( in
onore
del Marchese Duquense, allora governatore della Nuova Francia ) . Il
secondo,
fratello maggiore di Joseph Coulon de Jumoville , sconfisse Washington
a Fort
Necessity e redasse il documento di resa.
[
per
il Duca di Noailles , potete
rivedere le
note del CAP 1 ]
I
problematici resoconti sull’imboscata di Jumoville prima
della Battaglia di
Fort Necessity:
nonostante assuma
una
prospettiva da narratore onnisciente, ho riportato il punto di vista
solo dei
franco-canadesi ( per non allontanarmi
dal palcoscenico del protagonista ) ...
Mi pare opportuno e
corretto
, quindi, esporre le versioni che sono state date di
quest’imboscata in
un’ottica più ampia possibile.
Esistono parecchi
dibattiti
al riguardo , perché le fonti studiate concordano su molti
fatti e discordano
su altri. Tutte però sostengono che lo scontro
durò quindici minuti e Jumoville
fu ucciso e una buona parte dei suoi uomini freddata o fatta
prigioniera. Ho
consultato sia wikipedia che un altro sito di battaglie coloniali
poiché i miei
libri di storia non si dilungavano dettagliatamente prima della guerra
dei
sette anni e sulle guerre franco-indiane.
Le versioni che
Washington
scrisse coincidono tutte tranne che per dei particolari. In un suo
diario
affermò riguardo alle sue truppe, che “ "eravamo
appostati molto vicini a loro... quando ci scoprirono;
dopodiché ordinai alla
mia compagnia di aprire il fuoco... La compagnia... ricevette tutto il
fuoco
dei francesi, durante gran parte dello scontro, che durò
solo un quarto d'ora,
prima che il nemico fosse sconfitto. Uccidemmo Mr. de Jumonville, il
comandante... ed altri nove; ne ferimmo uno, e facemmo ventuno
prigionieri".
Durante il dialogo
della
seconda scena Contrecouer riporta i rendiconti fatti da un Canadese
scampato e
un irochese disertore appartenente al contingente di Washington.
Entrambi
sostennero che furono gli inglesi a far fuoco sui francesi e
specialmente
l’indiano disse che il suo popolo cercò
d’impedire agli inglesi di massacrare i
francesi.Nella mia fan-fic ho
desiderato tuttavia mostrare maggiormente
lo scetticismo di Contrecouer e attribuire
l’assassinio del contingente
diplomatico sia agli inglesi che agli irochesi. Infatti è
stato de Jarjayes a
verificare sul campo la modalità d’uccisione di
Jumoville e dei coloni.
Una terza fonte,
ritenuta da
diversi storici come la più corretta e precisa, proviene da
John Shaw, un
soldato appartenente al contingente di
Washington che non prese parte diretta allo scontro ma raccolse
accuratamente
le testimonianze dei propri compagni mettendo in luce la terribile
azione di un
capo irochese di nome Tenachrisson, conosciuto dagli inglesi come
“ Half king”
poiché aveva radunato diverse tribù sotto il suo
comando.
La cosiddetta
imboscata
accadde di notte, e i virginiani colsero di sorpresa i francesi che
dormivano e
uno di loro perciò: "sparò
un colpo dopodiché il colonnello Washington diede l'ordine
di sparare. Molti d
loro furono uccisi, il resto fuggì, ma i nostri indiani li
avevano
accerchiati... tornarono dagli inglesi deponendo le armi... Qualche
tempo dopo
[,] gli indiani giunsero[,] il Mezzo Re prese il suo Tomahawk e
spaccò la testa
del capitano francese, dopo avergli chiesto se fosse inglese ed aver
ricevuto
risposta negativa. Ne prese quindi il cervello e se ne lavò
le mani prima di
togliergli lo scalpo".
Anche un altro
disertore
anglo indiano confermò il resoconto sostanzialmente corretto
di Shaw: “nonostante la scarica di
moschetti che
[Washington] fece su di lui, egli [Washington] intendeva leggere
[l'invito] e
si era ritirato tra i suoi uomini, a cui in precedenza era stato
ordinato di
sparare ai francesi[. T]ale [Tanacharison], un selvaggio, giunse [dal
ferito
Jumonville] e disse, Tu non sei ancora morto, padre mio, e
colpì ripetutamente
con l'ascia uccidendolo" . Tale versione è stata
documentata dallo
storico Fred Anderson che interpreta il massacro da parte degli indiani
come un
sacrificio rituale e riporta i dati dei morti francesi a 13 o 14.
Riportati questi
dati, il giovane
Washington ha avuto gravi
responsabilità e difatti nessuno contesta il fatto di
attribuirgli la morte di
Jumoville.
Tuttavia,
leggendo anche il
sito sulle battaglie del farwest ( che conferma anch’esso le
fonti di
wikipedia) , ho riscontrato e condiviso un’interpretazione
“ umana” di
Washington e dei suoi errori. Lo scontro
con Jumoville è avvenuto, come ho riportato prima , di notte
ma a quanto pare vi
è stata una certa
confusione iniziale : “dopo una notte di pioggia
fitta, Washington, confuso e
mezzo perso tra i boschi con una quarantina di miliziani, aveva seguito
Tanaghrisson, l’Half King, fino al luogo dove era accampata
la pattuglia
francese, ora chiamato Jumonville Glen, ed era quasi inciampato addosso
ai
soldati francesi ancora intontiti dal sonno che si preparavano a far
colazione
ai piedi di un roccione. Non è chiaro se un Francese avesse
dato l’allarme o un
Virginiano avesse sparato subito per il panico, comunque i Virginiani
lanciarono due salve di fucilate, mentre i Francesi ricambiavano
qualche colpo
sparso e si ritiravano tra gli alberi, dove però i Mingo di
Tanaghrisson
bloccavano loro la ritirata.
Un
ufficiale francese
chiese il cessate il fuoco, dichiarando che l’alfiere
Jumonville e altri 14
francesi erano feriti, uno era morto e cercando di far capire, tramite
un
interprete, che i Francesi venivano in pace a portare un messaggio
scritto per
gli Inglesi in cui si ingiungeva loro di ritirarsi dai possedimenti di
re Luigi
XV di Francia. Washington disse che avrebbe letto la lettera tramite il
suo
interprete e si apprestò a farlo. Intanto Tanaghrisson si
avvicinò a Jumonville
ferito, si accertò che non fosse inglese e […] poi alzò
l’accetta, lo colpì alla testa finché
non si spaccò[…]. Mentre Washington restava
paralizzato dallo shock, i Mingo si
precipitarono a massacrare i Francesi feriti, finché
Washington riuscì a
riprendersi e a far formare dai Virginiani un cordone protettivo
attorno ai 21
superstiti. Solo uno dei feriti fu salvato, mentre gli indiani
scotennavano i
13 cadaveri, li denudavano, ne decapitavano uno, impalandone la testa
su un
bastone, e se ne andavano con il bottino.”
Washington, scosso e debole a causa
della poca
esperienza, volle proteggere la sua vacillante reputazione redigendo
nel suo
diario che aveva ucciso i francesi di Jumoville in quanto
spie…naturalmente
senza mai confessare che si trattava di un contingente diplomatico. Perdonate questo
papiello XD
ma anche a costo di essere noiosa è necessario ribadire che
la storia è fatta
di interpretazioni e non è sempre facile capire al cento per
cento quale possa
essere la più corretta…
Note
personali:
ecco
l’angolo degli sfoghi! XD finalmente posso dirvi
perché ci ho impiegato
tantissimo per aggiornare ( università e disegni a parte )
…
dunque, ho
avuto dei problemi di salute che mi hanno rallentato e tra l'altro ho
dovuto finire un altro capitolo macigno in Saint Seiya ( i cavalieri
dello zodiaco)
e sono tornata su Lady Oscar. Bene. Ero partita abbastanza tranquilla
perché
credevo e M’ILLUDEVO di avere il capitolo 2 completo ad un
60% dove doveva
all’inizio esserci la nascita di Oscar…mi sono
resa conto che la situazione era
più tragica del previsto perché, avendo in mente
di parlare approfonditamente
di François e Judith ( sì, ho lasciato il nome di
Judith aggiungendo “
Marguerite” come nome secondario ) , non potevo trascurare
una cospicua
quantità di vicissitudini sul loro passato. Oltre
però il fattore psicologico e
intimo c’era anche l’antefatto della Guerra dei
Sette Anni , o meglio la
battaglia di Fort Necessity su cui mi sono dilungata abbastanza.
Passiamo
ai personaggi. Ho desiderato fare questo grande salto temporale di
dodici anni
dal primo capitolo poiché credo che una narrazione lineare
sarebbe stata
eccessiva e pesante invece
una un po’ più
frammentata da flashback avrebbe trasmesso più
mistero e concesso
gradualità conoscitiva
alla figura di François. Ho lasciato capire il drammatico
periodo di crisi con
la moglie e ho anche introdotto il nome di un importantissimo
personaggio :
Etienne, il fratello minore del protagonista.
Non
posso anticiparvi null’altro su costui perché il
prossimo aggiornamento gli
sarà dedicato quasi interamente
;) e
sarà una figura importante per tutta la
storia specialmente per quanto riguarderà Oscar e
André .
Ovviamente
ho anche mostrato la sorella maggiore di Judith, Oriane, il cognato
Cosimo e il
nipotino Samuele ( futuro cugino di Oscar) …Saranno
personaggi “ secondari” ma
continueranno ad apparire , soprattutto Samuele.
È
stata un’occasione per mettere in luce il carattere sensibile
e buono della
contessa , fragile e forte e comunque non esente da incomprensioni
verso il
marito che come afferma Oriane, reagisce in modo diverso nel
dolore…Nel
flashback del cimitero i due sposi sono uniti nel lutto ma tristemente
separati
da lacrime che escono e lacrime celate…
Altro
aspetto importante in questo capitolo è stato il rapporto
tra Luigi XV e il
delfino Luigi Ferdinando ( attinto dalla realtà storica ma
reinterpretato ) che
oltre a far emergere la situazione d’incertezza politica
della Francia ( la
crisi economica, la persecuzione degli ugonotti, l’assenza di
un parlamento
autorevole) cerca d’offrire un ritratto umano di due reali,
padre e figlio,
distanziati dai loro contrasti e le differenze caratteriali e uniti in
fondo da
un affetto sofferto.
Per
ricostruire il carattere di Luigi XV ho consultato la mia enciclopedia,
il mio
manuale di storia, wikipedia e un altro libro che concordavano tutti
sul
delinearlo come uno dei Borbone più colti, un re legato
molto alle figlie ma
dotato di una personalità insicura che l’aveva
condotto a essere aggressivo
verso i parlamentari e soggetto e influenzato dal Secret
du Roi e dalle sue donne specialmente Madame Pompadour.
Ho
riportato di nuovo il simpatico e amabile Frederic-Claude de Girodel
che ha già
avuto Victor di cui parlerò nell’ultima parte del
Cap 2 ( assieme ad un piccolo
André X3 )….lui è il personaggio
molesto che deve per forza guastare
le feste…è accresciuto in furbizia e
spregiudicatezza e non manca di delineare in termini compassionevoli e
spregiativi François…
Chiudendo
tutto , vi do appuntamento bisettimanale con i prossimi aggiornamenti!
^^
Un
ringraziamento colossale e affettuoso a chi mi segue e un
ringraziamento
speciale a Lady Dreamer!! :*
p.s
: purtroppo Oscar nascerà nel cap 3 XD dovrete penare un
po’….
|
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Capitolo 5 *** CAP 2 - Aspettando il mattino: un proiettile nella mente ***
CAP 2 - aspettando il mattino: un proiettile nella mente
Attendendo il mattino:
un proiettile nella mente.
Note pre-lettura: la seconda
parte di “ Aspettando il
mattino”,
riprende direttamente da dove abbiamo lasciato François ,
ovvero, da dopo la
missione bellica a Great Meadows…
Il nostro
protagonista è giunto a Nouvelle Orleans e , frattanto che
attende l’amico
Blaise , si è raccolto in una dolorosa rimembranza
….
“
L'infanzia ho
sotterrato
Nel fondo delle notti
E ora, spada invisibile,
Mi separa da tutto.
Di me rammento che esultavo amandoti,
Ed eccomi perduto
In infinito delle notti.
Disperazione che incessante aumenta
La vita non mi è più,
Arrestata in fondo alla gola,
Che una roccia di gridi.”
(
G. Ungaretti )
C’erano i
bagagli pronti
nell’atrio, i bauli damascati che contenevano i vestiti, le
scatole quadrate che
coi coperchi facevano accucciare le
piume sibilanti dei cappelli.
C’erano le custodie lignee
dei moschetti, di alcuni fucili…
C’erano
promesse di
vacanze…
Allontanamento su litorali
pacifici…
Catarsi dal buio che chiude
gli scuri della ragione.
-
Sono
felice che Etienne venga assieme a
noi…- disse sottovoce Judith – ha
sempre
amato il mare di Arras. Il rumore piatto della Senna gli reca
più dolore che
serenità…
-
Mi
auguro che possa tentare di
distaccarsi da tutta
quest’intossicazione…”
Distrarsi” è un eufemismo,
ahimè…l’unica cosa che ho potuto fare
è stata supplicarlo di allontanarsi da
Parigi.
François,
sospirando, prese
posto affianco a lei sul sofà ricamato
del salotto. Erano giunti in carrozza da
Etienne quella
mattina tiepida d’agosto per portarlo a distrarsi in
Normandia...Nella villa
i servi facevano avanti e indietro dal
piano terra alle camere superiori percorrendo con lesta e discreta
disinvoltura
i gradini e i tappeti lasciando bisbigliare le suole delle scarpe e i
lembi dei
vestiti.
A giocherellare con la sua
bambola di pezza ignara ma un po’ preoccupata della
situazione, la piccola
Josephine di quattro anni. Parlottava sottilissima per il timore di
essere
sgridata: sapeva che l’amato zio era tanto triste, come
diceva la mamma, e
bisognava tornare a farlo sorridere.
-
Se
non sbaglio – continuò la madre – il
medico gli aveva raccomandato un viaggio tranquillo per sgomberare in
modo sano
l’animo.
Il Conte si
massaggiò la fronte aggrottata dalla
speranza e da un’ angoscia ammonitrice …Quando
aveva esposto al fratello la
proposta di quel soggiorno presso la tenuta ad Arras , lui gli aveva
sorriso in
modo accondiscendente e tetro…c’era stata dolcezza spaventosa nella
sua espressione
simile ad un whisky che invade delizioso e caldo il palato e scende poi
nelle
viscere gonfiando di bruciore letale il fegato…
-
Judith
– mormorò l’uomo -
sai bene che il male che ha Etienne è
impossibile curarlo coi medicinali…Gli organi riconoscono
come capo supremo la
sola mente e le sono fedeli spietatamente.
Le
luci dell’alba appena
sbocciata imburravano i marmi dei pavimenti e i mogani dei mobili
attraverso
una sfoglia di riflessi rosa
sabbioso.
Le finestre, denudate dalle tende di raso, palesavano i tigli crespati
del
cortile da cui cinguettavano di frizzante desolazione i passeri.
I pendoli , attraverso i
dardi barocchi delle lancette, segnavano le sette scandendo una
tranquilla
remata di secondi.
La bambina seduta su un
piccolo sgabello , si tenne in grembo il giocattolo e guardò
timidamente il
padre con i riccioli castani che le coprivano le spallucce quasi a
proteggerla
dalla fredda aria tesa che pizzicava il naso e il petto.
-
François…-
tentò di rassicurarlo Judith –
tuo fratello ha superato mille prove e il suo carattere è
pieno d’energia….Ora
è distrutto per ciò che ha
perduto…Dobbiamo rendergli materiale la fiducia che non vede
più…Non sarà facile per niente ma
alla fine scommetto che lui stesso avrà voglia di uscire dai
suoi sotterranei.
Il freddo raggela le ossa e non le fa muovere.
?
-
È’
quello che mi spaventa…se lui non volesse
muoversi per sempre?
-
Ha
accettato di unirsi a noi! Ha preparato
tutti i bagagli!
François
saettò la sposa
tramite uno sguardo di rabbioso timore:
-
Ti
sei resa conto che da quando siamo
arrivati qui non
è sceso a salutarci?! –
sibilò pallido – ci ha accolto Albert dicendo che
lui si stava preparando…Non
avrebbe fatto così, credimi!
-
Etienne
è molto stanco e non è in
sé…-
ribatté piano e decisa la moglie – non puoi
pretendere atteggiamenti normali!
Il
Conte si alzò espandendo
una folata di ansia gelata mentre la sua figlioletta si fece ancora
più piccola
sul seggiolino:
-
Se
ci avesse preso in giro?! – sussurrò sporgendosi
verso la sua interlocutrice – la capacità di
raccontare bugie non gli è svanita
neanche con il buio nel cervello!
Camminò
avanti a indietro
di fronte il divano per risedersi:
-
Etienne
qualche settimana fa aveva ricominciato
a bere pesantemente – rivelò coi denti stretti
tenendo le mani incrociate sulla
bocca e i gomiti posati sulle ginocchia –era venuto a
riferirmelo in lacrime
Albert mentre tornavo da Versailles sulla strada di casa.
Judith
domandò visibilmente
angustiata:
-
Non
dirmi…che maltrattava anche i servi…
Il marito chiuse gli occhi
facendo un cenno affermativo del capo.
-
Sono
stato costretto a rompergli davanti
agli occhi le bottiglie di vino…
La
donna lo osservava piena
di tristezza stravolta.
-
Gli
ho anche alzato le mani…se no non
ragionava più.
-
François!
Il
generale sollevò il
torace, rispondendo con sgarbata mestizia:
-
Che
dovevo fare, Judith?! Dimmi che
dovevo fare?!
Josephine
, nonostante
fosse spaventata, si avvicinò alla madre con pudore
impallidito che le afferrò
la mano e obiettò
piovigginosa al conte:
-
Potevi
dirmi innanzitutto questi altri
problemi….sei quasi sempre seppellito nella tua stessa casa,
scordandoti che
sono tua moglie…un’anima che vive con te e che
vuole parlare e capire.
Lui
sbuffò sbattendo
il dorso sullo schienale del divano.
-
Non
cominciare con queste stupidaggini.
Ci sono ben altre complicazioni adesso che dar corda alle tue paranoie.
-
Tranquillo,
François…diventerò invisibile
visto che sei un generale in grado di affrontare da solo qualunque
ostacolo.
Il
Conte stava per mandare alla
malora la sposa, quando giunse Albert,
l’anziano capo della servitù di Etienne, un uomo
di media statura magro,
teneramente rigido, con un cesto di capelli canuti e stanchi:
-
Miei
Signori – proferì rispettoso con
espressione scartocciata
– chiedo venia
di questa attesa. Il padrone sta prendendo gli ultimi pacchi e tra
pochissimi
minuti uscirà dalla sua stanza.
Un
frantumo.
Immenso. Veloce. Crudamente
tramontante.
Il
suono di uno sparo.
Una lacrima tritata in un rasoio
urlante.
“ Amabilissimo
mio Signore Gesù Cristo, che della fraterna
carità, di cui presentaste in Voi stesso il più
perfetto modello, avete fatto
il primo dovere ed il primo distintivo di tutti i Vostri discepoli,
liberate
dalle pene che soffrono, e chiamate al possesso della Vostra Gloria i
nostri
fratelli e le nostre sorelle “
L’anziano
maggiordomo restò
attonito e la contessa, scombussolata di paura, a prese immediatamente
in
braccio Josephine sull’orlo delle lacrime.
François fissò loro
pochi secondi
e subito corse verso le scale dei piani superiori.
A
ogni gradino il sangue ,
che si strigliava nelle caverne del cuore,
diventava calce pesantissima.
Talmente grandi erano
quelle martellate di montagna crepata che le esclamazioni dei servi
parevano
un’eco che sbiadiva simile a un tessuto usurato.
Il
Conte percorse il
corridoio che conduceva alla stanza del
fratello.
Non appena spalancò la
porta, quasi sgretolando la maniglia
dorata, si arrestò.
Tutto si annebbiò di
paralisi tranne che una figura.
Il
baldacchino assunse le
sembianze di un mausoleo che piangeva sete lattiginate.
I deboli riflessi del primo
mattino si screpolarono dalle invetriate della finestra.
A
terra, sui marmi di fiori
acuminati, giaceva un giovane uomo.
Aveva
a malapena
trent’anni.
L’ abbaglio della sua
bellezza si spargeva in artigliate rosse sulle mattonelle. Un completo
beige copriva
la snellezza indebolita ma sempre elevata delle membra lunghe e fini.
François,
ignorando le proprie
gambe intontite di cenere, si avvicinò a quel corpo.
S’inginocchiò cigolando i
menischi.
Lasciò sospesa la sua mano
ingrossata di secchezza.
“
Voi, che Vi degnaste di diventare il
nostro fratello maggiore prendendo la nostra stessa carne, ed
elevandoci alla
dignità di figli del Vostro Eterno Padre, non permettete che
siano a lungo da
Voi divisi questi minori fratelli, che con gemiti inenarrabili Vi
domandano
pietà.”
No.
Non era Etienne.
Quegli
splendidi e lunghi
capelli corvini non potevano diventare delle bisce lerciate di sangue.
Quel proiettile di piombo
che sfracellava la tempia era solo un frutto di bosco schiacciato che
irrorava
la gota di rivoli grumosi.
Quella
posa supina era
brutalmente dispettosa e ingenua. La mano mancina che reggeva la
pistola, il
viso tenero e folle riverso di lato, l’armonioso collo che
spiccava dallo jabot
bianco…che fosse uno scherzo repellente?
-
Etienne…-
spirò esanime François
– alzati…forza….alzati.
Gli
occhi neri, inceneriti
e liquefatti, guardavano la tappezzeria del muro di fronte.
Luccicavano uguali a pietre
affogate in un lago.
La bocca socchiusa e
setosamente livida ingoiava ogni sussurro nei tunnel spenti dei polmoni.
Dai denti bianchi non
sgattaiolava la minima sillaba.
-
Etienne…smettila.
Svegliati.
François
girò il
capo del giovane ma
la maschera afflitta e spudoratamente
serena che lo guardava non si scioglieva dalla freddezza che scoloriva la pelle
scura.
-
Etienne…non
mi sto divertendo.
“
Giunti poi che saranno al possesso del
Paradiso, esaudite le preghiere che porgeranno per la nostra salute al
trono
della Vostra misericordia; affinché possiamo godere
perpetuamente della loro
compagnia nella gloria, dopo avere emulata la loro rassegnazione e
tutte le
loro virtù in questa misera vita.”
Le
lacrime non sgorgavano.
Erano bolle di ossigeno che
uscivano dalla bocca e si maciullavano verso la superficie di un mare
nero.
Mentre i camerieri e Judith
esclamavano strabuzzati di panico, il Conte cercò di
convincersi che il
cadavere che stava toccando non era Etienne.
Era
un cadavere…
Non Etienne.
Lui
stava scappando chissà
dove…stendendo un incubo che sanguinava sotto i riverberi
dilaniati del
mattino.
“
L’eterno
riposo,
dona loro, o Signore,
e splenda ad essi la Luce perpetua.
Riposino in pace.
Amen.”
Dopo
mezz’ora di mutismo psichico, François era
riuscito a
recitare dall’inizio alla fine un requiem destinato ai
fratelli defunti.
Quello scetticismo pauroso di ricordare preghiere lo accompagnava
da ere eppure ne provava vergogna. Diceva di
essere dotato di pessima
memoria mentre la verità era che
odiava raccogliersi in Chiesa.
Tanto per dannarsi l’anima e tentare di redimersi
da una condotta
che Jean-Antoine avrebbe giudicato biasimevole, il Conte a volte si
recava in
una qualsiasi parrocchia nei pressi del posto in cui si trovava.
In
quel tardo pomeriggio era entrato in una scarna e piccola
cappella di legno costruita provvisoriamente fuori la zona portuale di
Nouvelle
Orleans. Dalla struttura fatiscente di un palazzo distrettuale del
diciassettesimo secolo , si era consacrata , per i cattolici coloniali
francesi, una basilica adibita di altarino, crocifisso e alcune panche
di pino.
Sedutosi davanti la striminzita zona absidale,
l’uomo aveva
incrociato le mani e fissato la fuligginosa scala di luce che penetrava
dal
rosone centrale.
La calma che impregnava il tempietto, si differenziava per uno
squallore claustrofobico rispetto all’oscura
maestosità delle cattedrali e
basiliche europee.
Certo François avvertiva inquietudine in ogni santuario che
visitava ma quel giorno lo doveva proprio fare.
Infrangere
le regole cristiane anche in una casa di Dio.
Dopo
le esequie alle sue bimbe mai cresciute, ai parenti morti di
malattia rivolgeva la più grande, amorevole e scabrosa
orazione a Etienne.
Un
suicida.
Non
un’anima del purgatorio ma dell’inferno.
Erano
già passati tre anni da quell’incredibile
avvenimento e
sembrava ieri.
Erano solo passati tre anni ma le scanalature delle lacrime si
rivelavano così ramificate da vantare un’essenza
secolare.
Il
tempo dilatava e restringeva le pupille senza mai confessare la
durata effettiva delle tenebre.
I riflessi del mezzodì scintillavano sporadicamente
balsamici al
di là del ponente mentre le stelle polari, incastrate al
cielo, rendevano
longevo il lenzuolo monacale della notte.
-
Siamo
a novembre eppure si sente ancora l’afa che si attacca alla
pelle…che orrenda umidità.
Il
Generale si voltò alla propria destra.
Un altro ufficiale francese era entrato nella chiesetta con un
sussurrio di passi adombrato e discreto.
-
Blaise
- sorrise
rincuorandosi François – sei tornato anche tu
dalla Valle dell'Ohio?
-
Giusto
qualche ora fa…-
rispose l’altro sedendosi accanto –
avevo bisogno di uscire dal
pandemonio dei carretti armati e degli abbaiamenti militari.
-
Non
hai paura di questa pace?
L’amico
lo guardò silenziosamente interrogativo.
-
Sai…è
bella ma penso che posso rintronarmi di sonno e non uscirne
più fuori…
Blaise
rispose tristemente scherzoso:
-
Etienne
ti verrebbe a risvegliare a suon di tromboni assieme ad un
branco di scimmie.
François
rise fragilmente:
-
Era
quello che minacciava di farmi ogni volta che veniva a
buttarmi giù dal letto la domenica mattina.
Il
maggiore guardò il crocifisso che ormai riceveva flagellate
trasversali di luce carminio.
-
Recitiamo
un altro requiem, François? Anche io detesto pregare da
solo. L’assenza è invisibile ma alza sempre grida
di carne e ossa.
***§***
Quando François e
Blaise uscirono dalla cappella, la ruota solare
era appena caduta nel fossato di ponente, spargendo
nel cielo le nubi serpeggianti delle sue
orme.
Parevano tanti ammassi rappresi di polvere che nessuna scopa
poteva spazzare via.
L’arancio fatiscente del giorno schizzava fioche
brillantature
sull’oceano, s’annodava ai timoni, ai cordami, saliva sulle vele ammainate.
Le navi galleggiavano ieraticamente intontite con la mestizia di
balene incapaci di
riprendere il largo. Gli
alberi maestri erano miriadi di arpioni che infilzavano i loro dorsi
penitenti e
fissandoli da lontano davano l’idea di un
fittissimo cimitero di croci spettrali e oscillanti.
Il porto di Nouvelle Orleans boccheggiava assieme alle sue caserme
e agli scricchiolii rugginosi dei magazzini : luccicava arcano come
toccato
dalla mano di re Mida.
I marinai e i soldati davano gli ultimi guizzi di grida e
incitamento sbarcando cassette di mercanzie e armi.
Quando sarebbe sopraggiunto il blu della sera, tutta la
città
avrebbe acceso lanterne
di febbre alabastrina
nelle umili dimore, nelle locande e nei postriboli.
-
Oggi
sarebbe stato il suo compleanno…- constatò
dolorosamente
Blaise.
-
Sì
– rispose François con cupa asciuttezza
– ma tre anni fa lui preferì
non festeggiare. Quale utilità
avrebbe
rappresentato , in dei conti, se i traguardi erano diventati senza
senso?
Adoperava
moltitudini di perifrasi, quasi tentasse ancora di
credere che fosse rimasto vittima di un crudele scherzo
poiché , nonostante
avesse visto parecchi uomini perire, la morte di quel fratello
raffigurava un’anormalità
inaccettabile. L’amico capiva che quando si ricordava Etienne
la parola “ suicidio”
veniva censurata
oscena e irreale : fu uno shock che s’impresse
sanguinosamente ceramico per
lunghissimo
tempo…
Quel
tardo
pomeriggio estivo pareva ingrigitosi precocemente annunciando piogge
autunnali
con carri molli e lividi di nugoli.
La maculatura
biancastra, bigia e carbone del cielo assomigliava
all’epidermide di un
cadavere annegato e
in alcuni sprazzi
s’intravedevano venule cobalto smorto…arterie
vuote di sangue.
Blaise
aveva
intimato il cocchiere di attraversare velocemente Pont Neuf e
raggiungere la
sponda orientale della Senna oltre gli alveari periferici di Parigi
dalle
finestre lacrimanti cenci e lenzuola ruvide.
Era stato messo
a corrente di quella tragedia tramite uno dei servi mandato da
François
pensando di udire la manifestazione di un incantesimo oscuro che mai si
sarebbe
potuto avverare.
Giunse
trafelato alla villa di Etienne, accompagnato dalla moglie Elenoire e
si
precipitò immediatamente nell’atrio.
Dentro
splendevano candelabri di luce ingobbita e farfugliante…il
mobilio, i tappeti e
i quadri palesavano le spigolature e le traforazioni delle cesellature
inumidite di
penombra.
Le
cameriere parlavano
sottovoce sconvolte
e Judith tentava di
rassicurare la rintronata Josephine quasi costituissero un gruppo
monacale di
spettri.
François
si
alzò lentamente dal divano del salotto e gli andò
incontro.
Era a tal punto
distrutto che le lacrime bruciavano di rosso le cornee senza fluire
liberamente.
Non portava la
parrucca e mostrava la vera capigliatura castana, scombinata e
infeltrita.
Sembrava un marinaio salvato da una tempesta in cui aveva perduto un
tesoro
immenso.
-
Abbiamo
finito di allestire
la camera ardente qualche ora fa – mormorò rauco-
E’ di sopra dove lui dormiva.
Blaise
sperò che
fosse tutto un macabro palcoscenico che presto si sarebbe smantellato
ma
l’amico non aveva l’abitudine di compiere
buffonate.
-
François…-
biascicò strozzato
– non capisco…Etienne è
davvero…
-
Non
c’è niente da capire.
Il
Conte aveva
interrotto serrando le labbra per
tentare di soffocare un violento singulto.
All’altro
non
gli restò che scottarsi veramente e così si
avviò al piano superiore, seguito
da Elenoire che sebbene non l’avesse obbligata a vedere una
salma si era
rifiutata di lasciarlo.
Percorso
il
buio corridoio, videro
un tetro fascio
di lumi arancioni sbattere contro la parete opposta in un atto di
preghiera
disperata. ..Sembrava emergere una
sorta
di anti inferno colante di muto incenso.
Entrarono
lentamente nella stanza…Grandi paraventi verde petrolio , ai
lati delle mura,
coprivano tutto l’arredamento mondano...
Solo il
baldacchino troneggiava lucido, grondante pastelle di drappi scuri.
Una lunga bara
aperta era distesa
sul letto di ieratica
seta bordò.
Due ali di
lanterne la riscaldavano illusoriamente per sciogliere la solitudine fredda e
soffocante.
Blaise
ed
Elenoire si misero più vicino percorsi dai brividi.
Etienne
giaceva
supino, con le mani eleganti e spente incrociate sul torace.
I necrofori
l’avevano vestito di un fine e macabro completo nero che gli esaltava
l’appassimento agonizzante
della bellezza.
Gli orli
ricamati della camicia e dello jabot bianchi possedevano la consistenza
di una
spuma affranta che contrastava orridamente soave con le stoffe
tenebrose.
Gli
inconfondibili capelli corvini erano stati pettinati in modo tenero e
terribile
in un ordine fluente che si sparpagliava sul petto e sui
cuscini…Una raggiera
di lingue d’inchiostro.
Sul viso, un
tempo raggiante e abbronzato, si stava cospargendo un alone cinereo
mentre
sotto le ciglia nere delle occhiaie carbonifere prosciugavano i
lineamenti
smagrendoli a poco a poco.
I dettagli più
agghiaccianti erano le labbra, che avevano assunto una scurezza
tumorale e
rugosa, e la
cruenta ferita alla tempia
sinistra, simile ad un cratere screpolato di viscida lava.
Blaise prese per
mano la moglie cercando di trasmettersi calore
dinanzi a quell’involucro gelato.
Le ginocchia si
stavano sgretolando assieme ai bronchi e al cuore.
-
Non ci ha mai concesso il
tempo di dargli uno straccio di calma…- affermò
François - una piccola ma
consistente gioia che tutto sarebbe tornato come prima.
-
È
vero…neppure io riesco a capire che Etienne…-
inspirò a disagio
– che… Etienne tace sottoterra…lui che
non voleva mai stare zitto e doveva
bombardarti in faccia tutto
quello che
pensava ed esigeva.
Un
vociare crepitante, similare
al canto gareggiante di un coro di passeri, raggiunse gli
amici.
Erano due bambini , probabilmente figli di un qualche artigiano,
che stavano correndo verso casa.
Mentre ridevano e scherzavano , indirizzarono brillante
curiosità
verso il Generale e il Maggiore, attratti dalle loro divise. Si
ammutolirono
intimiditi per alcuni secondi.
Scambiandosi tra loro qualche
parola d’ammirazione sussurrata, salutarono in modo goffo e
vivace e si
accinsero a raggiungere i genitori.
Blaise aveva sorriso gentilmente, invece François era
riuscito a
malapena a flettere le labbra all’insù…
Pensò alle sue bambine morte, al figlio maschio che lui e la
moglie non concepivano ancora…
Pensò che , malgrado fosse in grado di correre e affannarsi,
non
poteva farlo più alla maniera di un bimbo.
Gli sembrava assurdo aver vissuto un’infanzia e dei
giochi…Il
padre lo costringeva ad impegnarsi nello studio e nella
scherma ma in tutti
i momenti liberi lui volava via…Libero, almeno alcune ore ,
di fantasticare in
compagnia del suo adorato antagonista.
La
canaglia
aveva già attraversato la baia e lui non doveva permettere
che giungesse nella
città fortificata…Nel
palazzo del re.
Era il capitano
supremo dell’esercito reale, un cavaliere potente dalla spada
infallibile e
dallo scudo più resistente di una roccia.
François,
il
Leone di fuoco , stava dando la caccia al bucaniere più
temuto di tutti i mari:
Etienne, la nera lince dei Saraceni.
I
pioppi e i
faggi di Villa de Jarjayes si scrollavano al lieve vento solare
pitturandosi di
una danza da pini , carrubi e tamerici….quando vi erano
duelli e inseguimenti
l’aria agreste e impagliata di polline si appuntiva di resina
salmastra come la
scorza spalancata di un riccio marino.
Mentre le grosse
magnolie si truccavano e cercavano di apparire magre eguali a oleandri
, l’ampia
fontana del giardino recitava scrosci di onde oceaniche.
I passeri e i
cardellini imbiancavano di iodio i loro canti per trasformarsi in
gabbiani e la
ghiaia delle stradine s’ammorbidiva in
sabbia e lasciava luccicare ostriche e conchiglie di molluschi
sloggiati.
-
Dove
sei diavolo d’un pirata?
Esclamò
il prode
François rimpolpando le sottili corde vocali di arenaria
tenorile.
-
Pensi
che ti farò entrare nel
castello?
Il
lestofante
si era nascosto bene…
Non si trovava
né dietro ai grumosi cespugli che circondavano il piazzale
della fontana, né
dietro ai tronchi degli alberi che decoravano il viale
d’ingresso…
Possibile che
fosse già riuscito a raggiungere gli appartamenti dei servi?
No…l’aveva visto
correre nella direzione opposta, dove si allungava la serpentina delle
tettoie
delle stalle.
Sì…
là
giacevano molti cumoli di biada…l’ideale per
coprirsi senza destare sospetti!
Il
bambino si
aggiustò sulla testa la calotta di rame, un pentolino da
latte e piccole zuppe
che possedeva il potere di trasformarsi in elmo da guerra.
Si tirò su i vecchi guantoni
invernali di suo
padre che gli gonfiavano i
magri avambracci imitando una poderosa
muscolatura. Si legò saldamente
il nobile
mantello bordò, la coperta di lana che la balia si ostinava
invano di
riordinare sul suo letto, e
impugnò
minacciosamente la durlindana
fatta di
rami di faggio.
Avanzò verso
l’entrata delle scuderie ma mentre stava per aprire la porta
di legno fu
sorpreso da un urlo:
-
Insetti-
pipistrello!
Il
manigoldo
era balzato fuori da un cumulo di foglie secche che lanciò
addosso all’
inseguitore allegramente indiavolato.
-
Andate!
Andate! Insetti
pipistrelli! Ora ti papperanno tutta l’armatura!
-
Etienne
! Ehi, Etienne!
-
Ah!ah!ah!
-
Tu non
avevi questo attacco!
François
,
crucciato in volto; interruppe la regia della scena: il suo collega
aveva
infranto ancora una volta il copione!
-
Insomma!
Dove hai cacciato
fuori gli “ insetti-pipistrello” ?
L’altro
bambino
sghignazzò e fece la linguaccia…con la strana
zazzera liscia e corvina, gli
occhi scurissimi stirati in modo gattopardesco e
il nasetto impudente pareva un folletto
asiatico:
-
Embè?
- scribacchiò
una smorfia sulle guance lunari – li
ho rubati al mercato della magia!
Il
fratello
maggiore soffiò spazientito: non era la prima volta che la
sua fantasia
avventurosa ma logica e razionale
cozzavano contro quelli furbeschi , strambi e sregolati del
più piccolo…
-
Etienne!
Le magie non te le
vendono sulle bancarelle! Non sono prosciutti o broccoli!
-
E tu
come lo sai ? Io
vado dove i maghi
fanno le feste!
-
Feste?!
-
Certo!
Quelli si ubriacano e
io mi piglio le loro pozioni!
-
Uffa!
Abbiamo deciso
dall’inizio i nostri poteri! Non puoi inventartene altri
ancora!
-
Quando
dormi o mangi, io
continuo a rubare cose che tu non sai!
La
bricconaggine del moro
non si sconfessava
.e tra l’altro già padroneggiava
un
armamento di tutto rispetto: l’enorme cappello scuro da
passeggio, sottratto
illecitamente al padre, lo rendeva un velenoso funghetto di bosco, la
mantellina marrone, lo
scialle di lana
che ogni volta la santa balia gli
prestava , era
il vello di
un’anatra magica che lo faceva balzare da un albero
all’altro. Il cucchiaio di
legno, che mescolava il minestrone di verdure, era lo
scettro-scimitarra mentre
i cucchiaini da dessert , che custodiva
con smargiassa solennità nella cintura bordò, erano i suoi pugnali
avvelenanti...
François
capì
che a mali estremi occorrevano estremi rimedi.
-
Va
bene! – ruggì afferrando
un pugno di fieno da un piccolo cumulo- Vermi-ago!
-
Non
vale! – lamentò Etienne
con faccia tosta.
-
Anche
io ho dei maghi alleati
che mi regalano pozioni!
-
Tanto
con quelle non mi fai
niente!
Il
leone
nero in miniatura
sguainò il suo
mestolo-artiglio e si avventò contro il Leone di fuoco
iniziando un concerto di
percussioni e legnetti.
Erano scontri
micidiali in cui la
daga cavalleresca
combatteva contro il ferro malefico del corsaro e infidi pugnali-
cucchiaini si
abbattevano contro il clipeo-coperchio
dell' eroe difensore.
-
Non
puoi essere invincibile!
– detonò da Orlando furioso François.
-
Vola ,
Pacho!
Una
strana
creatura venne
scagliata sul paladino:
avrebbe dovuto immaginarlo!
Era Pacho! Il
fido pappagallo del pirata addestrato con odiosa maestria.
Un disgraziato
pupazzo di stoffa verde oliva, dagli occhietti di bottone e dal becco
di cuoio,
con ali di ruvida
flanella e una coda di
filamenti di vecchio raso…il padroncino lo faceva decollare
con imprudente
ardore ma lo
riprendeva amorevolmente da
terra e lo proteggeva nella sua mano sinistra.
-
Pacho
ti ha mischiato i
pidocchi! Ah!ah!ah!
-
E
perché non ce li hai pure
tu?
-
Lui
vuole bene a me, no a te!
Sganciando
una pernacchia
scodinzolò satiresco verso la
scalinata d’entrata del portico di casa.
- Pagherai
per i tuoi
stupidi trucchetti! – sbraitò il giustiziere
rincorrendolo.
-
Io
posso volare con il mio
mantello! – cantilenava dispettoso il pirata distaccando
fulmineo il nemico e
raggiungendo la cima della gradinata – ora
conquisterò il castello, babbeo!
-
Non la
farai franca! - François
aumentò la velocità sicché l’ orgoglio gli
aveva dato le ali
di Ermes ai piedi.
I due
combattenti proruppero nell’atrio d’ingresso
grandinando l’austerità bianca delle
sei colonne doriche con esclamazioni rimbalzanti.
-
Prova
a scansare le polpette
fumose!
Etienne
tirò
fuori da un sacchetto appeso alla cintura gomitoli
di lana che sparò contro l’avversario
ma costui sapeva con quale sortilegio schermarsi:
-
Coda
di volpe!
François
agitava impetuosamente uno spelacchiato piumino anti polvere che teneva
nascosto nella
fusciacca di pelle per
gli usi d’emergenza…ma Etienne aveva in
serbo un contrattacco infame:
- Fantasmi-bomba!
I
fantasmi
bomba, tovaglioli di stoffa o
centrini di antichi
mobili, volavano
con schizzata
leggiadria pronti a tormentare l’avversario ma non potevano
distruggere i
proiettili-carta della fionda del provetto David:
-
Ah!
Gemme fiammeggianti!
Il
duello
dislocò la sua tempesta di grida, getti di grovigli e
cellulosa, al piano
superiore dove Etienne , arrampicandosi su uno sgabello,
afferrò da un mobile
una ciprea a forma di corno attorcigliato.
-
Conchiglia
della luna –
enunciò al modo di un prete che elevasse il calice di
Cristo- ora ti
addormenteraiiiii…..
François
sbatté
il piede sul pavimento esasperato:
-
Etienne!
Di nuovo ?! Niente
incantesimi dell’ultimo momento!
-
Me
l’ha regalata mia moglie!
-
Sei
sposato?!
-
Sì!
Con una sirena!
-
Non
è vero , scemo!
-
Mica
ti posso dire tutto
della mia vita!
Un
cigolio
acquoso e segaligno da mulino fantasma interruppe i giochi.
-
Basta!
– sentenziò una verrucosa
voce maschile – scendi dallo sgabello, Etienne! E tu
François piantala di
scalciare come un bufalo!
I
bambini si
voltarono verso l’ala sinistra del corridoio e videro che, da
uno studiolo
bordò, era uscito un servo che portava su uno strano
marchingegno un uomo di
nervosità gutturale e altezzosa.
Philippe , il
primogenito rimasto paralizzato tre anni fa, stava sulla
sua speciale sedia di legno*. Era
un macchinario semplice ma sofisticato costato parecchio, formato da
quattro
ruote avvitate ad un ripiano, sul quale era fissata saldamente una
seggiola. Da quella
prospettiva, vestito con completi
sobri ma regali, il giovane poteva
comportarsi da
sovrano e muoversi preparato a
falciare le gambe altrui.
-
Direi
che avete devastato a sufficienza
la casa, piccole scimmie! Ora levatevi quel ciarpame di dosso,
ripulitevi e
andate in biblioteca!
-
Ma…-
balbettò François imbarazzato e
implorante – possiamo giocare almeno altri dieci minuti per
favore?
-
Sei
sordo?! Ho detto di ripulirvi e
andare in biblioteca! Tra un’ora arriva il precettore!
Il
domestico, un uomo di
media statura brizzolato e robusto,
si
schiarì discretamente la gola: aveva il viso bucolico e
mansueto di un San
Giuseppe con piccole rughe lucenti
d’immensa
e sacrale pazienza.
-
Emh…signor
Philippe – propose
garbatamente – non credo che vi possano essere ritardi
rischiosi se i vostri
fratelli finiscano di giocare. Il maestro tarda sempre di una
mezz’oretta visto
che abita lontano…
-
Berthold
! Se continuano così faranno
crollare i piani superiori!
-
Basta
che raccomandiamo loro di tornare a
giocare in cortile e…
-
Taci!
-
Chiedo
perdono, signore.
Il
povero Berthold aveva
fatto il callo ai
chiari di luna del
padrone.
Costui non era mai stato bello
ma la malata
sedentarietà l’aveva fatto
appesantire di spigolosità. La sofferenza non
l’aveva condotto a empatica bontà
o a dolce tristezza…gli aveva peggiorato il carattere
già non troppo facile e
per giunta l’aspetto fisico. Il viso diciassettenne mostrava
più di venticinque
anni e i capelli, di
un castano olivastro
e smorto, si
raggrumavano in greggi di gracili
ricci sul cranio. Sulla nuca ne pendevano di più ma
conferivano una spumosa e
pecoresca decadenza.
-
Ma
noi…- raccolse ancora un po’ di
coraggio François – dobbiamo finire la storia.
Philippe
si sporse dalla
sedia assumendo la possanza di un centauro.
Gli occhi marroni, un po’ infossati,
bruciavano anche nella penombra e apparivano
bocche di mortaio perennemente infiammate. I segmenti quadrati degli
zigomi e
delle mascelle racchiudevano una pelle d’opaca
pulizia sulla quale sporgeva il
faraglione del naso e una rachitica bocca capace
di allargarsi come quella di un varano
tirannico.
-
Niente
piagnistei e filate via!
Inutile.
Il faraone fingeva di non
capire che i fratelli
avevano sette e
cinque anni e non erano adulti nani.
-
Presto,
cavaliere – incitò
improvvisamente Etienne prendendo il complice per un polso –
Stordiamo lo
stregone della carriola malvagia! È lui il vero nemico!
-
Che
diamine…? – biascicò Philippe.
-
Fantasmi
bomba!
Il
filibustiere scagliò in
faccia al dittatore l’ultimo tovagliolo che gli era rimasto.
-
Etienne!
Dannato germe!
-
Meteora
lucente! – esclamò François
scaraventando una cartaccia con la fionda.
-
Bella
mossa amico – si congratulò Etienne
con vissuta aria spaccona – ora Pacho
c’indicherà un’osteria!
Adorava
scopiazzare il
lessico cisposo e
allegro degli
stallieri che sentiva parlare la domenica.
-
Osteria?
– domandò perplesso l'armigero.
-
Io
ho fame e tu?
-
Beh…un
po’…
-
Andiamo
a mangiare polli grassi!
Mentre
i ragazzini
scappavano nelle cucine , Philippe abbaiava
dal suo scranno ambulante:
-
Tornate
qui bestiacce da circo! E tu non
startene impalato, Berthold!
L’uomo
soffocò incresciose
risate con una cerniera di deferenza: sapeva di sembrare il domatore che doveva
incatenare un molosso
sbrodolante di ira disonorata.
-
Mio
fratello era tremendo, Blaise – rimembrava il Generale con una mortificata gioia
sulle labbra –
pretendeva di giocare sempre anche da grande , cosa che a un estraneo
poteva
apparire sciocca e infantile ma che per lui era fondamentale per
focalizzare
qualunque ostacolo e renderlo leggero uguale ad una
nuvola che si sarebbe dissolta presto nel
cielo. Nessuna rete riusciva a impigliarlo. Trovava il modo di rompere i lacci.
-
Come
faceva impazzire vostro padre! –
ridacchiò il colonnello -
povero Conte!
In quante circostanze si sarà dovuto trattenere
dall’usare tutta l’artiglieria
della sua collezione?
Sta
volta François tolse dal blu degli occhi il piombo della
tetraggine.
-
lui
pregava ogni notte Gesù e San Michele Arcangelo di liberare
i propri
figlioli dal male – rise lievemente - Etienne
era insuperabile in fatto di poteri demoniaci ma anche io e Philippe
gli
procuravamo affanno esistenziale.
-
Restavo
sconvolto ogni volta che venivo a trovarti nella villa
di….. – scherzò Blaise – era
colma di
tele della passione di Cristo e di San Michele che
infilzava il diavolo!
Mi sentivo il più terrorizzato dei peccatori a entrare nel
vostro santuario!
-
Guarda,
mio padre era talmente devoto all’arcangelo guerriero che
, oltre a visitare tutti gli anni Mont Saint-Michel , andò
pure a Monte
Sant’Angelo* nel Regno di Napoli!
Jean
Antoine era sempre stato disperatamente insoddisfatto
dei propri figli.
Quei
leoni avrebbero dovuto incarnare la nobiltà guerresca, la
compostezza morale,
la severità inoppugnabile…
E
invece in che maniera Iddio l’aveva castigato?
Togliendogli
la moglie, un’autentica matrona dal polso fermo, e
lasciandolo ad addomesticare
un cerbero con tre differenti teste che ringhiavano
attaccate ad unico grande corpo che era la
stirpe…una stirpe vacillante.
Philippe-Michel,
François-Augustin ed Etienne - Joachim non avevano mai
rappresentato la perfezione
e quindi l’equilibrio della
santissima trinità…
E
dire che i loro nomi erano stati scelti con sacrale cura! Due
importanti
sovrani Capetingi vennero chiamati “ Filippo” ed
eressero le fondamenta di una
Francia unificata! “ Michele”
era
l’arcangelo vincitore di Satana! “
Francesco “ d’Assisi era il patrono di tutti i
Santi, “ Agostino”
fu uno dei fondatori della filosofia
cristiana! Etienne , o meglio Stefano, fu il primo martire ad aver
professato
il Vangelo, mentre
“ Gioacchino” era il
padre della Vergine Maria!
Il
padre, baloccando con sorriso rugoso e pallido, diceva che se fosse
stato Urano
avrebbe affidato al tetro
primogenito l’Oltretomba,
al nevrastenico secondogenito i fulmini dei cieli e al voluttuoso
terzogenito i
sette impetuosi mari…Purtroppo erano più
frequenti le situazioni in cui
quell’anziano leone cantava, da eccelso drammaturgo, i
difetti della prole.
Quando conversava con gli amici diceva di avere un figlio ammorbato, un figlio angosciante
e un figlio eretico. Un
tridente
demoniaco che non gli dava pace.
Il
pupillo era stato un tempo Philippe che,
grazie a doti precoci, aveva promesso una
carriera militare di successo. Colto, intelligente, abile con la spada
e le
armi da fuoco si era mostrato retto e ubbidiente. Dopo i quindici anni,
però,
costretto alla sedia a rotelle a causa dell'incidente a cavallo, si
rattristò e
soprattutto s’incattivì maturando
un’insana invidia verso gli altri fratelli.
François
a dire il vero era il terzo perché Jean Antoine e la moglie
avevano avuto un
secondo figlio morto in tenera età e
il
testimone dell’ eredità bellica era passato
perciò a lui. A Etienne, di due
anni più piccolo, sarebbe spettato un futuro clericale
oppure da precettore
della famiglia reale. Una vita , insomma, o consacrata ad una
rispettabilissima
oppure ad un percorso dedito a forgiare
i rampolli dei Borbone spiritualità ( con qualche garanzia
di doratura dato che
Seneca sosteneva che la ricchezza è cosa buona e lecita se
fondata sulla virtù
) .
-
Di
sicuro Etienne era formidabile a livello di cultura –
rammentò Blaise – ma non
lo fu tanto
nell’accettazione dei voti
di castità ed obbedienza!
Il
Generale si mise a ridere:
-
Ne
avemmo la dimostrazione scientifica quando mio padre lo
mandò a studiare al
liceo Louis-le-Grande, presso i Gesuiti!
-
Si
deve sempre partire da una ricerca empirica caro François!
-
Sì…la
speranza è pur sempre l’ultima a morire. Peccato
che , dopotutto, una
linea irregolare non può chiudersi e
formare un cerchio perfetto…
-
Così
come il lupo perde il pelo ma non il vizio! Le damigelle, le dame e
anche le
vecchie damigiane subivano la
malia
fatale di Etienne!
-
È
finito nella lista nera di parecchi fidanzati
e mariti, oltre che ovviamente, nella lista degli
scrittori eretici dei
gesuiti!
-
Una
volta compose in musica In taberna quando
sumus*!
-
Ne
ebbe la brillante idea durante un venerdì di Pasqua. Ma
questa non fu la
performance peggiore che condusse all’esasperazione il
collegio gesuita.
Etienne
era sempre stato reputato l’incarnazione della sregolatezza,
un serpente
meraviglioso che scivolato dall’albero dell'eden , si era
liberato dalle squame
per assumere sembianze umane.
Pareva
vendere a chiunque diversi tipi di mele, che fossero tentazioni di
seduzione,
ebbrezza, sfida o collera. Le bucce lisce dei suoi frutti cangiavano
cromatura
a seconda di chi le comperava ma dal sorriso non si scioglieva un
biancore di
dolcezza impudica.
-
Io
sono infelice! Io sono infelice!
I
passeri volavano dagli
alberi, in una cacofonia terrorizzata
di
cinguettii e foglie
strappate.
I cavalli nitrivano nelle
stalle sbattendo gli zoccoli e sollevando polvere perplessa.
Da più di un quarto d’ora
villa de Jarjayes, vibrava tale a quale al vulcano dell'Etna che
eruttava le urla
del titano prigioniero Tifone.
I servi sapevano che quelle
soffiate di bufera sgorgavano dal luogo più austero,
più foderato d’insegne
guerresche della
dimora.
La sala dei processi e del
trono.
-
Padre
Eterno! San Michele! Ditemi che ho
fatto di così empio per meritarmi una progenie blasfema!
Jean
Antoine , nel suo
grande studio privato, agitava le braccia davanti il camino tentando di chiedere
l’amnistia ad una statua
bronzea dell'Arcangelo Michele e a un crocifisso di fattura medioevale che lacrimava assieme a lui.
Seduti
davanti il pachidermico
scrittoio di quercia, i due accusati.
Il diciottenne François stava
pressato sul sedile, con la schiena irrigidita di rabbia e le mani
arpionate ai
braccioli che minacciavano di sgretolare ogni cosa.
Portava la divisa azzurro
chiaro dei capitani, slacciata in malo modo sul petto
dall’impaziente
malumore , e lo jabot che
s’ingarbugliava
fuori i bottoni .
Etienne,
di sedici anni, aveva
le belle ciglia semicalate in un’espressione
di sorniona strafottenza , la fronte arcuata
al’insù dispettosamente allegra e
il corpo spostato in avanti con le gambe distese e i gomiti posati in
modo
sciatto sui corrimani. La pesante tunica da gesuita veniva portata in
modo
inconveniente e irriverente…contrastava in modo buffonesco
con una psiche ben
poco incline a rispettare dogmi o bigottismi vari. Era
un demone dal viso apollineo in bilico tra i fumi degli inferi e le
musiche
dorate del paradiso.
Lo ritenevano tutti
il più
fascinoso e ineguagliabile dei fratelli de Jarjayes: possedeva la grazia sinuosa dei danzatori
cretesi, la regalità profumata di un signore asiatico, la
spietatezza di un
pirata saraceno. I capelli nerissimi e lunghi riflettevano l’umidità
delle stelle blu disciolte. Il viso efebico era identico a
quello della
madre , ma la scurezza esotica derivava dal nonno paterno che si
raccontava
avesse sposato un’aristocratica spagnola di origini arabe.
-
Neanche
a farlo apposta! – sbraitava il
Conte – due cannonate una di seguito all’altra!
Ieri pomeriggio la denuncia del
Cardinale Fournier e del Generale Lemaire e
poi, dulcis in fundo, l’ atto di espulsione
dal liceo Louis-le-Grand! Ditemi, orsù, vi siete messi
d’accordo per sancire la
mia morte?!
-
Padre!
Vi prego, lasciate che spieghi
veramente…
-
Taci
François! La tua ponderazione
mirabolante sta mettendo a rischio una carriera di successo! Ad un
passo dalla
posizione di capitano mandi
all’aria
tutto?!
-
Sono
quegli imbroglioni ad aver mandato
all’aria tutto! Dopo essermi dissanguato in addestramenti e
concorsi tra
Parigi, Napoli e Berlino, arriva il nipotastro del
cardinale… uno smidollato
incompetente di prima categoria a soffiarmi il posto solo
perché figlio di quel
crapulone…
-
C’era
bisogno di sferrargli un
pugno e slogargli la mascella?!
-
E’
un furbo della peggior specie! Lui ha
osato pavoneggiarsi della sua messa in ruolo senza fare niente! Si
è pure preso
il gioco di me!
A
godersi sprezzantemente
la scena stava Philippe. Era l’amministratore della casa, si
occupava della
gestione dei latifondi e aveva assunto il ruolo di gelido maestro per i
fratelli minori . Aveva
l’aspetto rude e aspro del padre, reso sgradevole
dall’acidità del rancore che
gli scartavetrava la pelle e gli arti, irrigidendoli di precoce
vecchiezza. A
trent’anni era già calvo e infatti portava sempre
una parrucca di riccioli
schiumosi che gli copriva il collo incassato. Soffriva spesso di carie ai denti, ragione
che gli legittimava
la facoltà di sputare veleno.
-
Oltre
ai muscoli credevo avessi un
cervello – appurò ironico- ma a quanto pare
a posto delle meningi, c’è segatura che prende
fuoco alla minima sciocchezza. Un
de Jarjayes non può permettersi spettacoli
d’osteria.
François
si voltò irato
verso il provocatore. In quel momento l’avrebbe voluto
spingere via, ma
avvertiva sempre una crudele compassione verso il corpo paralitico di
quel
fratello che , sebbene cercasse occasioni per sminuire e umiliare,
riusciva a
costringere ad un affetto da subordinato .
Sapeva che era un
sentimento dettato
pateticamente da
un’infermità che se non fosse esistita
l’avrebbe invogliato a picchiare.
-
E’
vergognoso che la Maison du Roi rimpinzi
le milizie con
damerini raccomandati!
– ribatté il giovane sbattendo
il pugno sul bracciolo del sedile – un militare non
può fare strategie con il
sedere poggiato su morbidi cuscini!
-
E’
tu François – continuò Philippe
– non
puoi fare strategie con il sangue che soffrigge la tua
capacità d’intendere e
di volere… A dire il vero, già non brilli
d’eccelsa prudenza, figurati se
dobbiamo farti finire all’Asylum de Bicetre*!
Il
ragazzo scattò in piedi:
-
Da
quale pulpito proviene la predica! –
vociò alzando il braccio in aria –
perché tu non fai il pazzo furioso se i
camerieri tardano di qualche secondo a portarti
la brodaglia quotidiana ,
non ti
piegano perfettamente le coperte e non riescono ad aggiustarti la
parrucca
sulla testa?!
Philippe,
mascherando
l’irritazione con un sorrisetto di cotone stiracchiato, rincarò:
-
Credevo
che l’isteria cogliesse le
femmine in preda ai mal di pancia mensili.
-
I
mal di pancia li fai venire trecento
sessantacinque volte l’anno!
Etienne
tirò per una manica
François calmandolo in
modo giocoso:
-
Via
fratellone! Non sprecare le tue
fiamme! Quelle ci servono per far saltare in aria le ville dei
cardinali e dei
generali! Porremmo fine all’edilizia abusiva!
-
Ora
basta! – tuonò il padre – sembrate
un branco di marmocchi incontinenti!
François
si rimise a sedere
mentre il fratello minore cercava di trattenere una risatina
impertinente.
-
Il
re è entusiasta dei tuoi progressi e
gli ho parlato bene di te – riprese gravemente il discorso
Jean Antoine - Se il
cardinale rivelerà questa faccenda ti troverai compromesso!
Ora dovrò
sbrogliare questo disastro e tu porgerai le tue scuse a eminenza e al
conte !
-
Io
chiedo perdono solo al Padre Eterno!
Il
Conte camminò
minacciosamente davanti la scrivania e puntò il dito contro
il figlio quasi lo
volesse polverizzare con una scarica di fulmini:
-
La
devi finire con prodezze da moccioso! La
realtà è stupidamente complicata,
François perché c’è gente
che ha il coltello
dalla parte del manico ed è pronta a pugnalare. Occorre far
viso a cattivo
gioco, mostrarsi disponibili a stipulare trattati di pace.
-
Questo
significa recitare
da allocchi, vero?
-
No,
significa garantirsi l’immunità dai
veleni!
-
Voi
padre, mi avete sempre detto che si
avanza con la fatica, non con agevolazioni di carta!
-
Questo
non ti autorizza a picchiare
chiunque ti insulti! Quanta gente dovremmo uccidere di botte, allora?!
-
Io
son stato preso in giro fino
all’ultimo minuto!
-
Ahimè
qui si vive di
scuse e …di bugie…vero, Etienne?
L’adolescente
guizzò
spiritosamente sorpreso:
-
Bugie?
Io lavoro per la salvezza della spiritualità…
-
Ma
certo…soprattutto per la nostra
salvezza.
Il
Conte con la fronte
aggricciata si
avvicinò allo scrittoio
oscillando il suo poderoso e appesantito torso. Mise la mano su un
libercolo
che recava un
titolo a caratteri gotici.
Lo sollevò, colmo di solenne e finta fierezza.
-
Mi
complimento per il tuo straordinario
trattato critico sulla Chiesa, un unicum della storia dei gesuiti :
“ Le serpi
di San Pietro “ …non ti stavi occupando di
redigere dei commenti sulla Divina
Commedia?
-
Esatto
padre. Ho compiuto uno studio
specifico di Alighieri.
-
Uno
studio su come sia salvifico per
l’umanità far bruciare all’inferno i
papi?! Rappresentare la Chiesa come una
meretrice che si concede all’Impero?!
Etienne
sorrise con
tenerezza felina:
-
Noto
con sommo gaudio che avete letto
attentamente le mie analisi!
-
Fai
poco,il buffone! Non me la sono
spassata ad
apprendere esegesi deliranti!
-
Quelle
sono le più grandiose invettive di
Dante! Io ho voluto mostrare la sofferenza del Padre Eterno e di tutti
i Santi dinanzi
alla corruzione! La decadenza di Firenze è
l’emblema universale della
distruzione degli antichi valori! Non c’è
più il sole dell'’impero e il sole
della santità cattolica!i papi e i chierici vogliono
mangiarsi tutto!
-
Non
ti sei limitato solo a denunciare la
corruzione! Hai composto alla fine della tua operetta una ballata in
cui
paragoni importanti monsignori ad animali di fattoria!
-
Appunto.
Non sguazzano nel fango, non
belano false prediche, non si accoppiano come fanno i montoni? Loro non
tradiscono le sagge condotte di Alessandro Borgia.
Philippe
agguantò da un
tavolinetto basso vicino a lui, un altro libricino, sfogliandolo come
stesse
toccando fogli lerci di melma.
-
Caro
padre – disse con un tono di
sarcastica rassegnazione – dovete smettere
d’avvelenarvi con tanto stupore…Cosa
ci potremmo attendere da uno che compone “
Lucifero , la luce delle tenebre” ?ci
rendiamo conto che ha redatto un elogio epico e demenziale ad una
creatura che
vive al di sotto degli escrementi terrestri?
-
Lucifero
era il più elevato dei serafini!-
rispose con una smorfia canzonatoria Etienne –
l’unico che ha avuto il coraggio
di usare il cervello e porsi domande su quanto conveniente possa essere
la fede
in uno spirito creatore troppo luminoso e privo di forma concreta!
-
Ma
ovvio! – esclamò furibondo Jean
Antoine - Dilettiamoci a erigere templi a Satana davanti alla croce di
Cristo!
Ti sembra normale tradurre il poema osceno di quel poetastro inglese?!
L’adolescente
s’infiammò di sincero e candido sdegno:
-
John
Milton è stato un genio! Ha osato
scavare nell’essenza delle Sacre Scritture come nessuno aveva
mai osato fare! “
Paradise lost” è il coraggio di essere liberi
anche nelle viscere spaventose
della terra!
Philippe
sospirò scuotendo
il capo con la perfida dolcezza che si rivolge a bimbi minorati:
-
Ho
la vaga impressione Etienne che il tuo
scrittorucolo abbia realizzato una magistrale accozzaglia di
cristianesimo,
ebraismo e islamismo per spiegare le sue idee confuse e tristemente
irrisolte.
Il
fratello minore si mise
a ridere dissacratorio:
-
Philippe
sei tu a essere irrisolto! Non
sai che la trasmissione dei valori e delle arti si tramanda in una
tradizione
che si rinnova sempre? Dio incita a porsi domande. Lucifero lo fece in
maniera
migliore rispetto agli altri servitori del paradiso…Il
Signore è
un re e non rinuncia a sottomettere quando
si accorge di aver creato un’arma a doppio taglio : la
coscienza.
-
Beh
in effetti…- sostenne François
massaggiandosi il mento- Dio ha concesso il libero arbitrio donando la
ragione
e poiché ha donato la ragione a tutte le creature
è all’origine di ogni virtù e male.
-
Finitela
con queste assurde disquisizioni! – interruppe il padre- Mi
avevi detto che
stavi analizzando Cassiodoro e Boezio!- si disperò
nuovamente rivolto a Etienne
- Incredibile…avevi fatto traduzioni prodigiose, hai curato
magnifici commenti
su Sant’Agostino, San Tommaso e Girolamo! Quei disgraziati
gesuiti ti hanno
perdonato le più stolte gozzoviglie pur di averti come
futuro istitutore del
loro ordine! Guarda solo come ti conci! Porti quei capelli selvaggi!
-
Per
me è già una sofferenza legarmeli in
una crocchia da nonnetta! E comunque Gesù aveva una bella
chioma lunga.
-
Certo
– soggiunse Philippe squadrandolo spregiativamente – con la
differenza che portava la tunica con
la dignità di un messia e non con l’allegria di
una sgualdrina.
Etienne
si alzò con inverosimile
calma e , guardandosi assorto la tunica, affermò:
-
Hai
proprio ragione…- sospirò grattandosi
il capo – la mia indole non si adegua a quest’abito
di splendente umiltà e
rigore…no,no…non lo merito assolutamente.
Si
tolse la tunica scura
mostrando uno sgargiante completo arancione dai baveri e dagli orli
della
giacca damascati di bordò.
-
E
questo orripilante
vestito da giullare?! –
strepitò il Conte diventando annichilito come i visi
ululanti dei battenti – da
dove è saltato fuori?
-
Ho
chiesto di cucirlo al nostro sarto di
fiducia!
-
Padre
– lo riprese Philippe –
è inutile che vi scombussoliate alla
metamorfosi di una cornacchia che diventa pappagallo.
François
gli indirizzò un
sorriso fulminante e tagliente:
-
Meglio
trasformarsi in un variopinto pappagallo,
che permanere un raggrinzito avvoltoio.
-
Andatevene
fuori! Sparite!- gridò Jean
Antoine mulinando le braccia in aria.
-
Non
vi preoccupate padre! – rassicurò
serioso Etienne dirigendosi verso l’uscio assieme al fratello- Togliamo
il disturbo. Per noi è “ meglio
regnare all’inferno che servire in paradiso”*!
I
due ragazzi riuscirono a
scappare fuori lo studio prima che il conte li potesse centrare con il
potente
decollo di “ Lucifero, la luce delle tenebre”.
Chiusa in tempo la porta, che
rimbombò all’urto
del volumetto, restarono in silenzio.
-
Accidenti
– lamentò abbacchiato Etienne –
non è stato un bel lancio editoriale…
François
inarcò un sopracciglio
con aria d’inflessibilità giudiziaria.
L’adolescente sgranò gli
occhi , quasi fosse uno sciagurato ladruncolo di strada che chiedesse
perdono.
Entrambi iniziarono ad
avvertire un fremito sulle labbra e poi una scarica
d’effervescenza che li fece
scoppiare a ridere.
-
Etienne…di’
la verità….Quell’abito non te
lo ha fatto il nostro sarto.
-
Beh,
è così in effetti…regalo
d’amicizia.
-
Amicizia
femminile?
-
Una
squisitissima dama ha desiderato
sdebitarsi con me per averla alleviata dolcemente dalla
noia mortifera.
-
Scusa,
ma come ci sei riuscito se
frequentavi il castello, monasteri e chiese?
-
Credimi,
fratellone a messa e ai
confessionali possono accadere incontri molto interessanti.
François
, sorridendo
briosamente severo, schioccò
una sberla
sul capo del suo incorreggibile cadetto .
-
Dopo
che fu espulso dai gesuiti – seguitò Blaise con la
porpora ilare delle
reminiscenze - andammo
a brindare in una
di quelle osterie anfibie della Senna e tu non venisti!
-
Potevo
mai tracannare luppolo? – obiettò
l’amico- Ero
talmente pieno di gastrite che
l’alcol mi avrebbe fatto esplodere e
finire direttamente…”
nell’aeree” , per dirla alla maniera poetica.
-
Etienne
anche da sbronzo sapeva a memoria Bernard de Ventadorn* ! Aveva la
letteratura
nel sangue e…scherzi a parte, una
delle
sue scene preferite della Commedia è
nel
Canto II del Purgatorio…
-
Già.
L’attimo in cui, nell’Antipurgatorio, Virgilio
ordina a Dante di chinarsi dinanzi
alla venuta dell’angelo nocchiero.
François
scrutò da lontano una piccola barca che un magro e giovane
pescatore guidava
col remo verso la baia di molle argento ossidato di Nouvelle
Orleans…nonostante
la corposità lagunare del mare, le lacrime cremisi e
violacee del tramonto
inoltrato disperdevano diamanti di foschia paradisiaca e
quell’esile sagoma di
vogatore si trasfigurava di trasparenza ultraterrena.
Etienne
le conosceva quelle terzine e le aveva recitate molte volte davanti
alla sua
famiglia . Il Generale si ricordava di quando egli pronunciava il
discorso
severo di Virgilio con trasporto genuino, spontaneo e serissimo:
«Fa,
fa che le ginocchia cali.
Ecco l'angel di Dio: piega le mani;
omai vedrai di sì fatti officiali.
Vedi
che sdegna li argomenti umani,
sì che remo non vuol, né altro velo
che l'ali sue, tra liti sì lontani.
Vedi
come l'ha dritte verso 'l cielo,
trattando l'aere con l'etterne penne,
che non si mutan come mortal pelo».
-
Alcune
volte si rattristava – mormorò malinconico Blaise
– si chiedeva come mai gli
angeli non avessero i capelli neri.
-
Avrebbe
dovuto sapere invece di avere ali bianchissime – rispose il
conte - perché
le ho sentite veramente attorno a me, a
circondarmi piene di luce.
Lui non era
soltanto stato l’angelo su un vascello…era sceso
sulla baia per aiutare
François a rialzarsi dalla sabbia gelida…come
quella volta , alcuni giorni
prima che morisse la quartogenita Orthense.
Avevano ventidue e
venticinque anni…il periodo della prima età
adulta dove si è giovani ma non più
adolescenti…Si è su quell’angosciosa ed
energica parabola che conduce alla
scogliera d’essere uomini.
Alcuni
alberi figuravano
fumi di esplosioni pietrificate in un ossigeno dal cronometro rotto.
Altri davano l’idea di
lunghi gamberi imbalsamati da bende bianche e risecchite, altri ancora
di
lobuli polmonari derubati dei bronchi.
Un sudario di neve annichiliva
il giardino affine a una colata di lava cagliata che pietrificava ogni
farfugliamento di erba e foglie secche.
La fontana del giardino ,
dall’acqua solidificata in
collari di
stalattiti, era il calice ominoso di Lucifero che veniva levato da sotto la cianotica
brillantezza del Cocito.
La
villa fiatava
debolissima, rocca norrena dalle colonne dissanguate che
non saggiavano più
linfa vitale, e dagli occhi di miope tetraggine con le lenti appannate delle
finestre.
Il
cielo rifletteva il
silente pellame delle nuvole sonnambule sui vetri, sulle tegole del
tetto, sui
marmi spenti…
-
Perché
è così stupida? Lo sa che non
c’è
più niente da fare!
François
era emerso fuori
dall’atrio riversandosi
sul pianerottolo
del portico d’ingresso.
Privo di mantello, vestiva
un semplice completo grigio scuro, pesante ma non sufficiente a
corazzarsi
dalle sferzate invernali .
Da giorni non voleva
portare la divisa militare…perché sapeva che i gradi di comandante non lo
elevavano al di
sopra della terra, della casa…della dea piangente del
focolare.
Espirò dalle labbra
illividite gomitoli d’ aria che
si
srotolarono e svanirono con violenta e repentina cagionevolezza.
L’impatto col gelo di
gennaio equivalse a una remata che gli scombussolò il sangue
caldo del
cervello, si aggrappò agli stinchi coperti da calze bianchi
e gli
fossilizzò le scarpe.
Le parole uscirono lente,
bruciate come
fossero una stola
di lino
estratta lentamente
da sotto un ferro
rovente.
-
Continua
a pregare il medico come fosse
Cristo in persona. Orthénse non imparerà mai
a camminare.
Un
veloce rumore di passi
gli fece voltare lo sguardo dietro: Etienne lo aveva raggiunto
inflessibile, di
una solidezza arborea e intensa. Gli occhi neri foravano
d’amarissimo splendore
il candore delle cornee ma non erano vacui buchi di stelle ,
bensì sfere da
cannone pronte a detonare in un cielo limpido.
I lunghi capelli mori e
sciolti mostravano graffiature blu notte quasi avvilendo con il loro
calore il
pallore mortuario dei barbigli nevosi.
-
François
– pronunciò - Rientra
in casa.
- Orthénse…
Non potrà vivere normalmente!
Il
fratello maggiore si
strinse nelle braccia senza capire bene se fosse il freddo a percuotere
il suo costato
alla stregua di un
arrugginito xilofono o fosse la disperazione che coi suoi artigli
siberiani si assicurava
alla pelle del petto stracciandogliela all’infinito.
-
È
nata rachitica…non riesce a dormire…non
vuole il
latte…non sa neanche strillare….
Guardò
il suolo del cortile
, terrificante e
lieve scapola piatta,
che faceva sporgere fratture di omeri,
ulne sfrangiati a loro volta in
miriadi di consunte falangi.
-
Così
non risolvi nulla – ribatté Etienne
con un tono d’acqua e cenere - Piantala
di
blaterale e rientra.
Il
conte scese le scale
del pronao accingendosi a percorrere il
viale d’ingresso.
Gli ondulati capelli
castani frusciavano di secco fieno
mentre gli occhi blu parevano indolenzirsi di una fluorescenza ardente,
iniettata dall’abbaglio candido della neve.
-
Credi
che sia la soluzione migliore
assiderarti?! – urlò arrochito
il
fratello nell’attimo in cui l’altro sbraitava:
-
Che
me ne faccio di una femmina nata con
la spina dorsale rotta?
-
Basta
François!
Il
comandante strattonò
l’amico uguale a una belva ferita che voleva annegare in un
lago artico.
-
Non
voglio vederla! Non m’importa niente!
Niente!
Etienne
lo assalì
afferrandolo violentemente per i colletti della giacca e mostrando i
denti che
fecero fuoriuscire fiato ardente e roccioso:
-
Ringrazia
il Cielo che Judith sia una santa
incapace d’impiccarti!
Il
conte chiuse gli occhi
ammutolito stringendo debolmente le dita.
Non aveva il coraggio di
sollevare lo sguardo verso la finestra della camera in cui stavano la
sposa e
la bambina sotto il controllo del medico.
Si vergognò cruentamente di
percepirsi lontanissimo dal proprio nido.
-
François…-
Etienne sospirò mettendogli le
mani sulle spalle- raggiungi
tua moglie
, forza. Voi siete i creatori di ogni cosa.
-
Certo…creatori
di bestiole malate o
paralitiche…
Il
ragazzo mormorò delicato
ma imponente somigliante a quei
palpiti
di scintillante nebbia in cui la voce di una montagna distante scorre
vicina e
vitale al di là del vento.
-
Io
non credo nei miracoli, ...perché sono
gocce ingiuste e magrissime che benedicono la fronte di pochissimi. Non
aspetto
alcun disegno dalla Provvidenza…e…so che
è sciocco dire che la vita
continua…però…qualunque cosa orribile
possa capitare…tu e lei vi amate. E
quella bimba…che entro poco si spegnerà
l’avete desiderata con tutto il vostro
essere.
François,
pensò
silenziosamente a pochi giorni fa…una mattina in cui aveva
preso in braccio la
minuscola figlia
per farla addormentare e dare il cambio
alla spossata Judith.
Era
paurosamente leggera,
con il torace grande quanto la mano di un uomo, la schiena storta alla
maniera
di una catenina di spilli e le gambette a penzoloni. Le uniche
morbidezze erano
i bei capelli castano chiaro e
il visetto cereo
dagli affaticati e pazienti
occhi azzurri che tinnivano microscopiche melodie coi rintocchi delle
ciglia
marroni.
-
Anche
se la piccola non capirà e non
potrà muoversi – proseguì tristemente
affettuoso Etienne -, rientra dentro e
affacciati alla sua culla…assieme a Judith. Lei vi
vedrà e non saprà mai cos’è
la paura del buio.
Il
militare , con gli occhi
oramai dilaniati da venature rosse, lasciò svenire le
lacrime che le palpebre
asfissiavano e
sfociò
nell’abbraccio marittimo
del
fratello.
Egli accolse
ogni suo singhiozzo
quasi fosse un figlio da proteggere
che dovesse imparare a non dire vane menzogne…che dovesse
capire, meglio di
chiunque altro, che il cuore era il
centro del sangue e
non di alieni e
umilianti detriti.
-
E’
meglio che torniamo in città , nei nostri
alloggi…- avvisò
Blaise udendo i primi schiamazzi fermentare dalle taverne - Tra poco
sarà buio
e le strade pulluleranno di farabutti e scarafaggi vari.
-
Già…questo
posto è una fogna a cielo aperto. Ci sarebbe da
vomitare continuamente.
I due
amici raggiunsero la caserma militare quando il sole , ormai
aspirato completamente dall’Atlantico, lasciava soltanto
protendere alcuni
sprizzi di ciglia violacee.
Etienne
non concedeva spazio ad alcuna logica spiegazione… lui che
aveva illuso tutti con la tiara intramontabile del suo sorriso finita a
pezzi.
Lui, bruno dalla testa ai piedi, che adorava i cavalli bianchi e
le sete brillanti…
Lui
che , come un principe d’Egitto, riposava in una sabbiosa
necropoli in un deserto arancione di giorno e blu nelle notti
agghiacciate.
François
, tuttavia, intravedeva, nella germogliazione di ogni ombra
serale, quella
chioma nerissima che si
appiattiva dietro gli angoli dei palazzi e dei carretti…
Quasi che l’insolente predone
giocasse nascondendo e sporgendo
il
capo.
Forse continuava
a prendere
in giro senza cessare di tenere d’occhio…
chissà da quale arcano veliero, chissà
da quale edera celeste…
Citazioni
o
riferimenti letterari :
-
La
preghiera che François rivolge al fratello è uno
dei più
diffusi salmi della religione cristiana rivolto ai fratelli e sorelle
defunti.
-
“
In taberna quando sumus”
* : uno dei componimenti goliardici de i Carmina
Burana , corpus di testi poetici scritti in latino del XI e
XII secolo.
-
“
preferisco regnare
all’inferno che servire in paradiso”* :
una delle battute più celebri di
Lucifero ( Satana) all’interno del II capitolo di “
Paradise lost” scritto da J.Milton.
Note
storiche:
Monte
Sant’Angelo*:
importantissimo sito di pellegrinaggio che si trova
nell’attuale Puglia
garganica: la leggenda narra che proprio qui, in una grotta, comparve per la prima
volta l’arcangelo
Michele. Il santuario
è gemellato con
quello francese di Mont Saint Michel ( Normandia).
Liceo
Louis-de-Grande*: fondato nel 1563
come Collège de
Clermont, era il collegio gesuitico
di Parigi, situato nel cuore del Quartiere
latino, tradizionalmente l'area
universitaria parigina, di fronte alla Sorbona
e di fianco al Collège
de France.
Asylum
de
Bicetre*
: situato nei
sobborghi meridionali di
Parigi, fu aperto come orfanotrofio nel 1656 ma successivamente venne
usato
come prigione, manicomio ed ospedale .
Note
personali:
ecco
la seconda parte di “ Aspettando il mattino” ^^ mi
dispiace
averla messa , come al solito , in ritardo ma visto che ho dovuto
rivedere
alcune cose ho rallentato…credetemi, non lo faccio certo per
scorrettezza ma
sono un po’ lenta con la revisione perché valuto
scena per scena cosa va bene e
cosa no..
quindi, dato che sono imprevedibile, non so quando posterò
la 3
parte del Cap 3…Non sono sicura di farcela a Gennaio anche
perché nel 2016 gli
esami per la laurea s’infittiscono -.-
senza sperare eccessivamente azzardo febbraio…(
incrocio le dita) perché
mi trovo anche nella bizzarra
situazione che ho concluso da un pezzo l’ultima parte di
questo Cap e non
ancora la 3…Va beh…tralasciamo….
Spero che questo capitolo possa essere stato di vostro gradimento!
^^ Etienne è un personaggio originale concepito durante le
genesi di questa fanfic.
Ecco che ve l’ho presentato! Ho introdotto “
l’argomento” citando Ungaretti
all’inizio , proprio perché quella poesia la
scrisse dolorosamente per il
fratello defunto.
Si
è aperta dunque un’altra importantissima parentesi
sul passato
di François: Etienne è un personaggio insolito e
stravagante nella famiglia De
Jarjayes e apparirà nella memoria e nel sogno altre volte
durante la storia.
Non ho ancora svelato la tragica causa che ha condotto il suo vulcanico
e forte
animo alla fatale depressione…è un elemento che
si racconterà più avanti e di
cui non spoilero nulla. Sappiate solo che anche Oscar verrà
a sapere dello zio
mai conosciuto …di quest’uomo leggero, che sembra
sregolato e che alla fine
possiede un’indole profonda e sensibile…una sorta
di artista” maledetto” ….
Mi
auguro che Lady Dreamer che conosce da ere la gestazione di
questo personaggio ne abbia apprezzato la messa in scena tanto attesa!
;)
Ringrazio
di cuore i pazienti lettori e lettrici che seguono…
Un
augurio di BUON ANNO NUOVO!!
|
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Capitolo 6 *** CAP 3 - la dimora dei pomi d'oro: antiche paci ***
CAP 3 - LA DIMORA DEI POMI D'ORO: ANTICHE PACI
Ciao tutti! ^^ ritorno nuovamente da nebbiose
e lontane lande dopo tanto tempo…Tra impegni vari e alcuni
problemi sono
riuscita a proseguire la storia che non mi ero certo scordata di
mandare
avanti…col fatto che ho altre due fan fiction belle corpose
cerco di fare il
possibile per non dimenticare nessuna!
Dunque ricapitolazione
sui contesti :
-
storico
Guerre franco-indiane, America del Nord. I
francesi riescono a sconfiggere Washington e a mantenere una cospicua
porzione
di dominio nella valle dell'’Ohio a discapito delle colonie
inglesi. La
tensione internazionale si fa alta e intanto le vecchie alleanze della
Guerra
di Successione austriaca sembrano cambiare gradualmente gli
equilibri…Gli
Asburgo si fanno avanti con il re Luigi XV chiedendo collaborazione
contro la
Prussia , Russia e Inghilterra ( cap 2 , PRIMA PARTE ) ancora non
avanza
nessuna dichiarazione di
guerra contro
Re Giorgio e la situazione resta sospesa in una fragile
stabilità…
- famigliare
Nella seconda parte del capitolo 2 abbiamo
avuto modo di conoscere de i De Jarjayes , oltre al già
apparso padre Jean
Antoine , gli altri due fratelli : il più grande Philippe
rancoroso,
acido e costretto da un drammatico incidente sulla sedie a
rotelle… Etienne
il più piccolo dalla testa calda, spericolata e brillante .
François gli era
molto legato e ha rimembrato,
con l’amico Blaise, il
suicidio e altri ricordi più leggeri di gioventù.
Concludendo, i
membri della famiglia d’origine del nostro
protagonista sono deceduti +
Per quanto concerne Judith, abbiamo
conosciuto l’affezionata sorella maggiore Oriane,
estroversa, positiva e
dal carattere fervente, il cognato ( e marito di quest’ultima
) Cosimo,
un barone napoletano con numerose attività commerciali e il
nipotino Samuele
( l’amato figlio della coppia adottato da un
convento)
Ultima parentesi riguarda la servitù dei due
protagonisti ( cioè i
membri comparsi
fino ad ora) : Marie , la nonna di
André, Berthold, il servo che
accudiva Philippe sempre rimasto al servizio della famiglia, e Albert
, maggiordomo di Etienne che
poi è stato trasferito nella dimora de i de Jarjayes.
Detto questo vi auguro buona
lettura! ^^
François,
dopo la missione in America di Fort Necessity , sta per approdare in
Francia…
3
La dimora dei pomi
d’oro:
antiche paci.
Te,
mela,
voglio
celebrare
riempiendomi
la bocca
col tuo nome,
mangiandoti.
Sei sempre
nuova come niente altro,
sempre
appena caduta
dal Paradiso:
piena
e pura
guancia arrossata
dell’aurora!
Quanto difficili
sono
paragonati
a te
i frutti della terra,
le uve cellulari,
i manghi
tenebrosi,
le prugne
ossute, i fichi
sottomarini:
tu sei pura manteca,
pane fragrante,
cacio vegetale.
(P.
Neruda) )
Valle
dell'Ohio
30
giugno 1754
Cara
Judith,
è
delirante vivere solo con un’immagine di te che alberga nella
testa e non posso
toccare…L’unica cosa che mi pare di odorare
è la carta su cui scrivi,
l’inchiostro della tua calligrafia…
Fa male
vedere le tue parole.
Fa male
perché a marzo di quest’anno ti ho lasciata senza
chiarirti nulla.
Abbiamo
attraversato brutti momenti ed io ho preferito raggelarmi. Il calore
brucia
troppo e non posso tollerare di essere rimasto l’unico erede
senza eredi.
Tre anni,
Judith.Tre anni e
ancora nulla.
Sono
terribile e ho osato trattarti in modi che tu mai avresti meritato.
Sì…le mie
scuse possono apparire retoriche, chissà quante volte
riciclate da mani di
innamorati collerici…Ma se non m’importasse nulla
…non sprecherei carte, non
dormirei a mala pena tre ore a notte riflettendo inutilmente su
ciò che ho
combinato. I miei doveri sono pesanti ma almeno con il loro peso mi
calpestano
bene la testa che vola molte volte male.
È la mia
indole…ma voglio raccogliere le cose sporche che si sono
accumulate in questi
anni e cacciarle via dalla più grande finestra che riesca a
immaginarmi. Con
cose sporche intendo tutti i momenti in cui abbiamo fatto finta di
vederci…e
magari abbiamo anche finto di far l’amore. In primis io sono
stato un pessimo
amante. Anzi non lo sono stato e questo mi fa davvero schifo.
Non
possiamo mettere a mondo un altro bambino se io non imparo di nuovo a
darti
tutto me stesso.
Non ho mai
smesso di pregare per le nostre figlie…continuo a provare
rabbia che ci siano
volate via di mano uguali a lucciole che , dopo la notte, cadono al
suolo già
vuote…Credimi. Vorrei aver avuto come preoccupazione,
durante tutti questi
mesi, quella di
provvedere alla loro
istruzione, prendere vestiti
ordinati e belli,
stabilire dove farle frequentare catechismo…Avrei voluto
vedere sui loro visi
un’altra te stessa piccola che sarebbe cresciuta…
Mi sono
dilungato ancora una volta su cose che, purtroppo, non ammettono
fantasie molte
costruttive…Perdonami…
Forse
il mio contingente dovrà
partire in pieno autunno, prima di
dicembre…Lo spero vivamente.
La
Louisiana non è un gran posto. C’è
l’aria salata del mare che s’attacca viscida
ad ogni abitazione e anche se siamo riusciti ad arginare senza fatica
le spinte
invasive degli Americani, non è finita qui.
Dell'’Inghilterra non mi fido e
tutte queste colonie non credo se ne staranno a lungo con i confini
fermi e
piatti. Da alcune indiscrezioni, stanno trapelando le intenzioni degli
Asburgo
di stringere alleanza col Regno di Francia. Avverto odori non tanto
piacevoli…Stai a vedere che le alleanze stabilite dopo
Aquisgrana andranno
all’inferno…Ma so da tempo che non
c’è da stupirsi se l’Europa non
è una scacchiera bella e quadrata
ma un calderone che può variare sempre la
temperatura di ebollizione per far eruttare sorprese nuove.
Quel che
mi preme adesso è tornare da te e dedicarci a noi e al
nostro avvenire.
Finché
non ti avrò avanti, non ti avrò
abbracciato e non avrò la certezza assoluta di sentirti
concreta non
potrò stare tranquillo…
Ti amo,
François
Arras,
Normandia
15
novembre
1754
Caro François,
Ho appreso con
molta gioia che le truppe francesi hanno trionfato in Pennsylvania
contro le
milizie americane…sono state svolte molte operazioni con
successo e più di una
volta, con orgoglio, hanno pronunciato il tuo nome.
Sentire il tuo
nome soffiarmi nelle orecchie e cadermi sugli occhi è una
sensazione
meravigliosa quanto inquietante e triste.
La mia
felicità è aumentata quando a corte è
stato comunicato che il tuo contingente
sarebbe partito agli inizi di questo mese.
Tu sei il
Generale De Jarjayes. So che le lettere impiegano moltissimo per
giungere a
destinazione…il grande oceano Atlantico ci separa e ,
nonostante il tempo abbia
la sua semplice matematica, scorre diversamente da continente a
continente… Non
basta soltanto la tua assenza ma la sregolatezza del sole che mentre da
me
sorge, da te sta già invecchiando...
Ho letto la
tua lettera e vorrei che le onde si scuotessero ancora di
più per far muovere
la tua nave…
Non possiamo
scordare le nostre bambine ma non desidero proseguire questo discorso
perché è
impossibile tracciare una copia , anche sfocata, del mantello della
morte…Che
sia malvagia o alleviatrice di tribolazione non voglio più
saperlo…
Tu hai
perfettamente ragione a dire che ora ci siamo noi.
Sì ci siamo noi
e dobbiamo affrettarci ad ammucchiare tutto ciò che abbiamo
accumulato e
togliere via c’ho che ci disturba.
Sei difficile,
François . Mi hai fatto star male e ho avuto modo di
riflettere lucidamente.
Nei momenti peggiori di solitudine emergono quei terrificanti fantasmi
mentali…quelle proiezioni che toccano i ritratti del passato
e fanno diventare
la luce degli antichi giorni obliqua allungando a dismisura le mani per
mutarle
in zampe e artigli. Non ti nascondo che parecchie volte mi sono chiesta
se ho fatto
bene a sposarti…se non sono stata ingenua e precipitosa a
diciotto anni…Ti
giuro, e ora me ne vergogno terribilmente, ho creduto che il blu dei
tuoi occhi
fosse in realtà una macchia ghiacciata di nuvole, gettata
lì sul tuo viso per
spazzarmi via nei tempi morti della quotidianità. E
…per un po’ di tempo ho
sospettato , nella nostra stanza da letto, che tu guardassi solo il mio
corpo…non
me, Judith…la tua sposa…ed è per
questo che mi rinchiudevo senza più voglia né
rabbia di oppormi
Ti faccio
questi discorsi, perché è solo con te che posso
capire e alla fine riesco a
notare che quel tuo freddo, quelle fortezze che sollevi non li chiudi
mai del
tutto.
Lasci sempre
degli spiragli e puntualmente fai crollare i mattoni. Io so che sei un
soldato
anche fuori dall’esercito. Puoi nasconderti ma so che mi
guarderai sempre.
Mi hai sempre
scritto e io voglio aprire un altro capitolo con te.
So che sarà
diverso e magari ci saranno altri problemi….ma vedremo
nascere un altro
bambino.
Sento che
andrà bene, François…perché
quando ci rivedremo ci toglieremo dagli occhi tutta
quella brina che ci ha fatto scordare che, benché siamo
diversi, troviamo
sempre il modo e la sostanza di combaciare.
Ti amo,
Judith
P.s
mia sorella Oriane
col marito e il piccolo
Samuele si sono trattenuti nella nostra villa per tre settimane .
Torneranno a
dicembre e trascorreremo il Natale
a Le
Heavre nella piccola tenuta di vacanza
dei miei genitori . Se le navi arriveranno a fine gennaio in Francia
potremmo passare
una settimana assieme in tutta tranquillità.
Le Heavre
28 gennaio 1755
Le Heavre era la solita bestia
acquattata, distesa con le
sue maculature di tetti grigi su un bacino d’acqua. Le
affusolate zampe
stiracchiate formavano i bracci del porto con l’unico ciuffo
ribelle della
pelliccia che pareva contemplarli:
la
torre della cattedrale barocca di Notre-Dame cercava di alzarsi sempre
per far
temere il proprio appuntito cappello vescovile.
Un grumo di fumo comparve ,a un certo punto, nel cielo
argento e azzurro del mattino.
Una schiera di cannoni neri , caricati
a salve , lanciarono
ruggiti di deferenziali saluti.
La fortezza militare della
città accolse tre dei velieri
francesi mandati in missione nelle colonie d’America.
Il primo a insinuarsi nel
grande golfo del porto fu il Saint-Michel
d’or , con il vessillo del
giglio della corona di Francia e lo stendardo di riconoscimento blu che
recava
ricamato l’arcangelo che calpestava il demonio. La
composizione delle vele
quadre issate sui tre alberi , dava l’idea di un pesce corazzato appeso
all’ingiù alla stregua
di un trofeo imponente e mitico, mentre l’acuminata prua
sfibbiava le acque blu
piombo simile al becco di un uccello palustre.
La grossa creatura,
spedita e sbuffante , si accostò alla banchina
del porto seguita dalle
altre due navi che parevano guardie del corpo che le proteggevano le
spalle.
Le passerelle furono issate da
braccia ruvide e
inumidite di mozzi e marinai
che gettavano e afferravano funi in tante frenetiche pennellate.
Presero a uscire ufficiali,
soldati, marinai in una marcia
di ordini, imprecazioni e passaggi di merci attraverso catene
ondeggianti e
gridanti.
- Qui c’è sempre
puzza
di termiti che corrono e intasano!
- Almeno siamo in
Francia e non più a Nouvelle Horléans…
- Beh, mica scanso il pantano
e le fontane di polvere…sono le schifezze a fortificare la
salute …
- …. anche una dose di
ben cotti manrovesci giusto, Damian?
L’uomo, che portava i
bagagli, sorrise ironico alla battuta
del padrone François mentre attraversavano la passatoia .
- Sono sempre
abbrustoliti alla perfezione, non temete. La qualità non
è andata perduta
neppure in America.
- Te li sei meritati
tutti, dato che la
tua zucca più che
abbrustolita si è carbonizzata a furia di rosolarsi nelle
idiozie.
- Ancora con
quest’argomento, signore?
I due scesero e attraversarono il
molo. Se un aristocratico
avesse udito quello scoppiettio
di frasi, si sarebbe sdegnato per la sfacciataggine del servo. Non
poteva conoscere
la particolare vicenda che lo legava ai de Jarjayes.
Damian , coetaneo del
generale, era un bell’uomo di elevata
e vigorosa corporatura. Possedeva
capelli castano cenere di un liscio crespo con alcune
ciocche che
guizzavano imbiondite per il sole marino e salato. La spazzola non
voleva
conoscere quell’ammasso di vegetazione indomita che gli
arrivava al collo.
L’unica cosa tosata con un po’ più cura
era la peluria che copriva il mento e
che accordava al viso , dagli zigomi sudati d’abbronzatura ,
un’aria da
vagabondo avventuriero. Gli occhi grandi e marroni non volevano mai
calare le
palpebre sempre pronti a scrutare e a commentare vivaci e disinibiti.
Era
il primogenito
di Angéle, l’amatissima balia della famiglia, che
aveva allattato François ed
Etienne. Egli aveva
vissuto coi giovani padroni
quasi da pari, da fratello. Jean
Antoine, certo , aveva sempre imposto i gradini dei ruoli
(benché stimasse la
propria servitù ) ma
questo non aveva
impedito l’istaurarsi di un’amicizia sincera e a
volte burrascosa.
François conosceva
quello spirito intelligente, inquieto e ,
a cicli lunari , imprudente.
- Capisco che l’Europa e
l’America siano lontane– ammise –
però, maledizione, contattare uno scrivano a
buon prezzo e farci sapere qualcosa di tanto in tanto non è
mandare missive a
Saturno! Due anni! Due anni!
- È stato difficile,
generale…So che ho sbagliato a causa…a
causa…di quello che mi è successo.
- Se beccavi qualcosa di
peggio potevi morire in una stamberga puzzolente! Non hai pensato a
quel
disgraziato di tuo padre Berthold? Non gli sei rimasto che tu.
Ringrazia il
cielo che sia una specie di santo…fossi al suo posto ti
ridurrei a ecce homo.
- Invece son io a
metterlo in croce…povero papà...Mi è
mancato tanto. Dovremo andare a trovare
assieme mamma , Celine ed Etienne.
- Già…Angéle…Celine.
Angéle aveva spirato molti
anni fa per cause naturali ma
Celine restava, come Etienne, una porzione di terreno messo a soqquadro
dal
dolore. Era l’adorata sorella minore di Damian. Si passavano
solo due anni di
differenza e avevano condiviso una grande amicizia coi fratelli de
Jarjayes…
- Dovevo andarmene,
signore…- sospirò il servo guardando i carretti
con le mercanzie che rullavano
tra le vie - grazie a voi mi sono potuto imbarcare altrove per diverso
tempo.
François non gli aveva
impedito di cercare , per un
periodo, esperienze d’oltreoceano.
Fu una decisione molto
drastica ma sarebbe stato tirannico non lasciarlo volare via: allo
stesso modo
della morte, l’agonia e la tristezza erano i crudeli e
democratici generali di
tutti.
- Ti ho prelevato da
quel postribolo il giorno prima della partenza del Saint-Michel
d’or – il conte
preferì arginare i pensieri luttuosi - Non so davvero se sia
stata una mano
divina a guidarmi verso le urla tue e di quella ragazzaccia.
Damian sbuffò e
schioccò pesantemente la lingua tra
l’imbarazzo e una certa rabbia da spaccone compiaciuto .
-
Diamine! e la
sgualdrina mi aveva garantito di essere sotto controllo
medico…insomma! Aveva
vent’anni, una pelle perfetta e…
- Come un bel salmone ti
sei buttato nella corrente e sarai fuori combattimento per un
bel po’.
- Meno sento parlare
inglese , meglio è…- l’uomo si
fermò un attimo -Ehi, avete notato? La Compagnia
britannica pare piuttosto tranquilla…temevo
chissà che risse e incidenti.
L’austero palazzo grigio e
bianco della Compagnia delle
Indie Occidentali sembrava starsene sicuro e a proprio agio proteggendo il via vai dei
membri , mostrando
le finestrate rettangolari simili ad uno schieramento disegnato di
scudi
romani. C’era la cupa vigilanza su derrate alimentari e su
uomini provenienti
dalle Antille , dai Caraibi o dall’Africa dalla pelle
d’ebano o di mogano che
attendevano il seguito di una sorte tempestosa.
- Deve stare con la
testa bassa, Damian…dobbiamo farlo tutti. La battaglia
nell’Ohio è stata
un’esplosione in una piccola polveriera che comunque si
è sentita qui e in
Inghilterra. Tra dodici giorni dovrò recarmi con Blaise a fare
rapporto al re a al consiglio di guerra. Lui
attraccherà a
giorni.
- Dobbiamo procuraci una
vettura e raggiungere la dimora de La Seigne…
- François!
François!
Quella voce…possibile fosse
proprio lei?
- Signore! Ma avete
sentito?
- Sembra…sembra lei?
L’ufficiale
allungò maggiormente lo sguardo sulla folla
pullulante di marinai, soldati, mercanti , e schiavi.
“
François” era
un
nome diffuso…non certo raro.
- François! Sono qui!
Sono qui!
Un braccio si levò dalla
fanfara gorgogliante di gente
smuovendo un fazzoletto candido.
Il generale avanzò
sentendosi il cuore sprofondare in un
pozzo di violenta e immensa gioia.
Aveva riconosciuto una
capigliatura di boccoli castani assai
cara e un vestito pesante color acqua marina.
La sua pietra preziosa era
lì.
Incredibile.
- Judith…- la voce gli
colò
per terra.
La stanchezza disgelò tutta
d’un colpo dalle membra e lui
corse verso la moglie mandando al diavolo il consueto contegno
militare, quella
camicia di forza che aveva rischiato di divenire un innaturale
esoscheletro.
Non era il Generale de Jarjayes in quel momento e neppure
un conte.
Era solo François.Un marito che tornava.
Buttò il bagaglio e la
baionetta per terra e strinse a sé
Judith che gli gettò le braccia attorno al collo.
Non si dissero nulla durante
quei secondi.
Tra i loro corpi le parole non
trovarono ancora spazio.
Tante erano le cose da chiarire lasciate in sospeso ma ora bisognava
solo
riprendere a bruciare.
Il ritorno fece mutare in ombre
alienate l’odore cruento
del pesce e dei battelli sfigurati.
***§***
La carrozza , con la quale Judith era
giunta al porto, lasciò
scorrere dai finestrini le abitazioni di legno coi tetti grigio
bluastri del
centro. Prese la ben più pacifica strada che portava alla
tenuta marittima
della famiglia de la Seigne. Presto le vie si fecero più
mormoranti di alberi e
sassolini.
- Che
strana sensazione essere tornato in
Francia…- sospirò disteso il Generale inclinando
la testa all’indietro – tutto
ciò che mi è famigliare, mi sbatte in faccia
nuovo…anzi rinnovato.
La moglie gli si accostò
sorridendo:
- Anche a me non pareva
vero che la tua nave fosse
all’orizzonte…L’ho intravista dalla
terrazza della
villa e ho fatto preparare la carrozza.
- Non speravamo in
questa sorpresa…io e Damian stavamo provvedendo per
una vettura.
- Avremmo perso tempo a pizzicare
un onesto cocchiere, Madame – ridacchiò il servo
seduto sul sedile destro
davanti a loro
- Ma Judith…–
domandò il
generale con un sopracciglio inarcato e
a denti stretti – hai scelto Serge come
cocchiere?
- Suo fratello non stava
bene e lui è stato così gentile da mettersi a
disposizione…
Serge era uno dei servi della famiglia
de la Seigne. Una
brava persona lunga, magra col mento piccolo e arretrato e un naso a
punta sgranchito
in avanti. La sua aria placida era affidabile ma alcune volte finiva
tra le
nubi dell’imbranataggine. Ciò rendeva poco
tranquillo il conte.
- Beh, vedo in forma il
nostro Serge – diluì Damian - siete stata
provvidenziale in ogni senso, signora.
- E’ da tantissimo che
manchi da casa. Sono molto felice di rivederti…Appena
arriveremo dovremo
mandare una lettera a Joyssigni , così Albert
potrà riferire a tuo padre che
sei sano e salvo.
- Salvo sì,
sano…eh!eh!
- È accaduto qualcosa di
grave?
François grugnì
crucciato:
- Il nostro giovine ha
avuto qualche problemuccio di salute che sta
sistemando…
- Non vi preoccupate
Madame – evase arrossendo Damian –
piuttosto…papà sta bene?
- Berthold si è sforzato
un po’ troppo in questo periodo. Prima di andare ad Arras
abbiamo chiamato un
medico e ha riscontrato un
principio di
artrosi.
- È sempre stato
così…lavora tanto quando c’è
un pensiero grosso che lo assilla. Beh…ora il grosso
pensiero è in Francia e
festeggeremo i
suoi settant’anni assieme!
- Assolutamente –
sorrise Judith – sai,Marie si domanda quando ti sistemerai e
farai il
brav’uomo?
- Quella donna nutre
un’eccessiva fiducia – scoccò ironico
François - ne
passeranno di diluvi universali prima che
Damian prepari paglia e rametti per il suo nido.
- Signore – si
drizzò
fieramente il servo – le mie ossa sono pietra e i miei
muscoli brace! Troverò
la soluzione a tutto…A proposito Madame, cosa dice Marie?
- Sì – aggiunse il
conte
– non
aspettava il nipotino?
La contessa si riempì di gioia mista a lucentezza
e rattristata
consapevolezza.
- E’ felicissima –
rispose con le ciglia leggermente incrinate – il suo
André è nato ad agosto. A
quanto pare è bellissimo,
pieno di
salute e affamato.
- Buon segno! – rise
allegro Damian – inizierà da subito a fare scorte
di energia! Da grande avrà un
fisico di ferro.
François accorgendosi del
sottile rivo ombroso della moglie
le strinse con calore la mano. Se fossero stati
soli l’avrebbe presa tra le braccia e ricoperta
di baci :
- Abbiamo tutto il tempo
– mormorò - …non abbatterti…
Mentre Judith ricambiò uno
sguardo d’acquatica dolcezza, le
ruote della carrozza barrirono acidule. I passeggeri traballarono a
destra e
sinistra come fossero sonagli scossi da un musicante balordo.
L’ufficiale
tirò fuori la testa dal finestrino e sbraitò
contro lo svampito conducente:
- Serge! Per le corna di
Satana! Volevi scassare la carrozza?!
- P-perdonatemi,
Generale de’Jarjayes! Non ho visto quella buca…
Questo pezzo di strada è un po’
accidentato…
- Accidentato sarai tu!
Non sapresti vedere neanche
la voragine
creata da un elefante!
Tutti si misero a ridere sotto i baffi
pensando che
mancasse quel collerico tocco di classe per coronare un tanto atteso
ritorno
alla normalità.
Le colline, nel frattempo,
presero a mostrare i grembi
ricolmi di meli dalle arterie maestose e ingarbugliate. Nonostante
fosse
inverno, si avvertiva un senso di tranquillizzante densità
in quei rami come se
formassero una forte falange contro le rigidità del freddo.
Oltrepassato un leggero
declivio, sbucò la dimora
paglierina dei nobili della Seigne ,dal tetto spiovente e grigio che
veniva vegliata
da pini marittimi accucciati poco distanti da essa.
In pieno stile Normandia, era
un semplice solido a due
camini in mattoni compatti e rassicuranti. Da fuori sembrava
più una dimora di
borghesi rustici che di conti. Le finestre mostravano i volti dalle
imposte
bianche mentre al centro s’incuneava, sotto un arco a tutto
sesto, un portone
di legno massiccio. Un vialetto di mattoni candidi e rosa, cinto da
voluminose
siepi ben tagliate, accoglieva gli ospiti. Il cortile centrale si
spianava
ampio, quadrato e chiaro mentre sul versante sinistro una bella
scuderia
proteggeva robusti cavalli frisoni e vari tipi di carrozze. Uno
splendido
giardinetto , smeraldino d’estate e verde cupo
d’inverno , ornava il retro
della villetta con un gazebo di pietra argentea che sormontava un
tavolo ovale
e sedie scolpite in marmo. Parecchie
piante di rosmarino zampillavano voluminose dal prato e diverse lavande
lilla e
glicine restituivano un pacifico e grandioso spettacolo, fatto da
miriadi di
pennacchi danzanti. Oltre un recinto si stendevano altri alberi di
melo,
coltivazioni di famiglia da parecchie generazioni che regalavano pomi
rossi o
arancio.
Quando François
scese dalla carrozza assieme alla moglie e
a i servi, provò la particolare e piacevole
sensazione di straniamento: più
volte era andato a trovare i suoceri assieme al padre e a Etienne ed
era
capitato anche di essersi recato lì per
far respirare aria buona a Josephine.
Sapeva di aver vissuto
concretamente momenti allegri,
malinconici e mansueti eppure riteneva di scontrarsi con un sogno, che
seppur
vivido, restava sogno.
Perfino nel momento in cui il
maggiordomo della casa
ricevette aprendo il portone ,coglieva una visione non completamente
vera.
Cercò di prendere
confidenza con l’ampio atrio rettangolare
dalle pareti percorse da una sottile e azzurra striscia
arabesca. Lasciò ,quasi intorpidito, il
bagaglio a Damian e per poco non lo fecero sussultare i passi gentili
del
padrone di casa e la lunga gonna vellutata della severa consorte.
- Caro François –
gli
disse l’uomo - siamo
lietissimi di
accogliervi tra
queste mura dopo tanto
tempo.
- L’onore è mio
,signori
– sorrise lui cordialmente – dopo il baccano del
mare e i terribili movimenti
delle navi, per me è come essere entrato in un tempio.
Il Conte Grégoire
Isaïe de la Seigne era un sessantenne di
media statura, tutto giusto nelle proporzioni , tutto calmo e lindo nei
gesti:
un’armonia di sincerità, discrezione e innata
benevolenza. Aveva
il volto un po’ quadrato ma
morbido e ben conformato. Gli occhi azzurri ,
del cielo dell'aurora, erano
sormontati
da meditabonde ciglia castane e i capelli mossi e brizzolati si
riordinavano
dietro le tempie e le orecchie per non cadere scomposti sopra le
guance. Indossava
un semplice completo invernale grigio chiaro con un panciotto blu scuro
che gli
correggeva il ventre leggermente in rilievo.
Non alta ma di grande presenza
era la moglie di
cinquantacinque anni: la contessa Bénédicte
Magdaléne. Sebbene alcune rughe le
pieghettassero la pelle , possedeva ancora una strabiliante e algente
bellezza.
Ogni bagliore sapeva di brinata cristallizzata e l’abito
color malva , decorato
solo sul corpetto e sull’orlo delle maniche lunghe, s’accostava
deferente al chiaro
epidermide. I folti e delicati capelli
biondissimi s’accumulavano in una crocchia sul capo tenuta
ferma da una cintura
di piccoli fermagli di madreperla. Il viso era affusolato tale e quale
alla
torre inflessibile del collo ; il naso e la bocca sembravano
lavorati in pregiati frammenti di
marmo e gli occhi grigio chiarissimo risaltavano in mezzo alle ciglia
bionde,
incutendo bruciore gelato a
chi osasse
contraddire. Le sue materne origini svedesi e l’aurea
invernale le avevano
fatto guadagnare l’appellativo di “
Normanna”.
- Speriamo che possiate
riposare in tutta tranquillità – si rivolse al
genero – la vostra camera è
quella dalla porta blu che guarda a est , verso il porto
della città .
- E’ la vecchia ubicazione
, François – rise Judith – sai quanto io
ci tenga…
- Sì,
è vero – ammise il marito afferrando
quel
gesto di complicità - ricordo
che fin da
ragazza hai avuto una grande affezione per i rifugi con le pareti
floreali…
La contessa della Seigne si
schiarì la
voce , con un lieve increspo, per
redarguire battute sconvenientemente
intime.
- Saremo a disposizione per
qualsiasi evenienza – si sforzò di essere tenue e
garbata - pranzeremo
verso l’una così, François, avrete
tutto il tempo a disposizione per sistemarvi .
- Esatto – aggiunse il
suocero con disinvolto calore – mettetevi comodo e dite
subito se desiderate
qualcosa.
- Vi ringrazio di cuore
– rispose rispettosamente il generale – in effetti
ho proprio bisogno di
ridarmi una sistemata da capo a piedi …
- Allora facciamo
preparare la vasca per il bagno – proferì Judith
– vedrai che ti sentirai come
rinato…
- Cosimo e tua sorella
Oriane sono assenti?
- Si trovano ancora giù
in città per sbrigare alcuni servizi. Torneranno a
mezzogiorno o forse prima.
- Bene ! Sarà meglio che
mi tolga questa divisa che non è più fatta di
stoffa ma di alghe e sale!
***§***
L’acqua calda e la fumogena
leggerezza del pulito avevano
fatto dissolvere la grassezza del sudore e le scaglie della stanchezza.
Finalmente libero di non indossare la divisa militare senza che
qualcheduno lo
potesse multare, François si sistemava davanti lo specchio
della stanza da
letto. Con un paio di pantaloni nuovi addosso e una vestaglia da camera
,
attendeva che Damian portasse la camicia, il gilet e la giacca freschi
di
pulizia. Dopo il bagno gli aveva velocemente spuntato i capelli
divenuti raggrinzati
e lunghi quasi fino alle spalle. Il pettine riusciva ,
meno intimidito, a
disciplinare le ciocche ondulate che
presentavano alcune striature di primizia argentatura.
All’inizio sciattamente quieto poi sempre più
incuriosito e
ansioso, il generale si acconciò sempre più
lentamente fino a che non contò uno
per uno i capelli grigi o bianchi che incappavano tra i dentelli del
pettine.
Abituato a portare la parrucca si era scordato della piantagione che
evolveva
sul suo capo.
Non era uomo vanesio ma si rattristò
alle graffiature della vecchiezza. Quei filamenti
erano le firme che la pazienza cupa, il dolore e la rabbia avevano
deposto poco
per volta e che s’immergevano nella sua castana e matura
giovinezza per poi
emergere e rammentargli che proseguivano la
loro semina.
Per sollevarsi spostò lo sguardo sulla parete di fronte
, un po’
più in alto dov’era appeso un ritratto
ovale di Judith
adolescente… Il pittore
l’aveva tratteggiata con magistrale delicatezza in un abito
estivo arancio chiaro
che le lasciava scoperti gli avambracci, le spalle e il collo. Sul viso
, senza
trucco, regnava imperitura la morbidezza ingenua della pelle; le belle
labbra sorridevano
tranquille e gli occhi erano
gocce mattutine
spruzzate da un pennello
inumidito in un mare calmo. I boccoli erano legati solo in parte da un
nastro
bordò all’estremità del capo. Il resto
della chioma era una profusione di libertà
angelica e rinascimentale. Seduzione irresistibile.
François dovette ringraziare il cielo e la propria tenacia
sincera
e disobbediente: sarebbe finito ammogliato con una duchessa se non si
fosse opposto
al padre Jean Antoine. Le unioni combinate erano all’ordine
del giorno tra
aristocratici ma lui non le aveva mai sofferte: la vita militare non
gli aveva
impedito di maturare il senso dell'autodeterminazione nella sfera
più intima
del proprio essere.
In
seguito ad animose discussioni,il genitore s’era dovuto
ricredere alla conoscenza diretta di Judith.
L’uomo rammentava un episodio che aveva svelato un’
inedita
angoscia, un’angoscia che spiegava l’intelaiatura
di un capo famiglia che
programmava e programmava cercando di far quadrare qualsiasi tassella
nell’ottica delle sicure disillusioni.
Padre e figlio passeggiavano nel cortile
della loro villa… Un primo pomeriggio morsicato qua e
là da rigurgiti di nubi
grigie che si ritraevano a tratti lasciando sgocciolare un sole
primaverile e
tremolante come il tuorlo di un uovo...
- Voglio sposare
Judith – dichiarò privo d’esitazione il
giovane - …lo voglio con tutto me
stesso. E’ una delle poche certezze della mia vita. Grazie a
lei…ho avuto il
coraggio di scoperchiare tante cose e paure orribilmente
ridicole.
Jean
Antoine emise un ruvido sbuffo dalle
narici…Era la manifestazione di un raffreddore intorpidito.
- Son rari questi
tipi di matrimoni, figlio mio…- rispose respirando
l’umidità asprigna delle
cortecce dei pini - non
so se essere immensamente
felice.
- La mia relazione
non è un contratto di vendita ! Parlerò da
ragazzino, ma non concepisco
un’esistenza di negoziazioni ,
tranquille bugie e…
François si
fermò nel vedere l’uomo abbuiare
tra le rughe e i ricci bianchi. Si vergognò contrito
pensando di aver offeso
l’unione dei
genitori…l’onestà di quella lontana
madre non vissuta visto che
l’aveva lasciato all’età di tre anni. Di
lei restavano numerosi ritratti,
forti,autorevoli di una bellezza sobria e granitica…una
Cornelia romana dagli
occhi blu e i capelli castani che forse odoravano di fiori secchi. Jean
Antoine
la elogiava quasi fosse un’icona sacra, una diva
incontestabile delle antiche
gens tiberine…però quel codice deferenziale,
seppur sincero, definiva
un sinonimo
di vero amore ?
- Non ho nulla da
ridire sulla tua fidanzata – riprese l’anziano in
tono calmo - Sono
vecchio ma non rimbambito a tal punto da
non cogliere l’energia che ti trasmette e
dona. Ha devozione, franchezza e profondità. Un
tesoro preziosissimo e
piuttosto pesante.
- Una felicità grande
può essere pesante?- interpellò il ragazzo
lievemente urtato - La
fortuna è un dramma?
- La grandezza non
è opera leggera. Il mondo ha la consistenza di una piuma? Tu
e la tua futura
sposa sorreggete reciprocamente i
vostri
universi.
- Dunque, padre , dove
scorgereste l’inquietudine?
Il
sole fece cadere un braccio bruciando di oro
bianco la fontana del cortile: l’acqua
stagnante nella vasca prese di nuovo linfa vitale. Anche il verde
dell’erba e degli
alberi venne schiaffeggiato da quel raggio scivolato via furioso dalle
nuvole
grigie.
- Mi domando,
François – sospirò Jean Antoine - in
che maniera gestirai gli incoraggiamenti,
le dichiarazioni della passione, ogni verbo d’amore che ti
correrà via dalle
labbra.
- In che senso?
- Nel senso che ci
sono parole che non tornano più indietro. Le potrai ripetere
ma tutte le volte, lentamente, avranno un
sapore diverso. Si
sprecano spesso e poi si dimenticano
in
un lungo rapporto in procinto di ghiacciarsi…
Il
figlio restò basito. Non aveva
mai sentito il genitore esprimersi attraverso termini tristi, accorati
che
emettevano il fruscio di vecchie carte riprese da un cassetto chiuso a
lungo…Si
rese conto di aver ininterrottamente percepito quell’uomo
come il pater
familias incontestabile e contestabile, carceriere e protettore senza
mai
riflettere sul fatto che era stato giovane e magari sventurato e
intrappolato...
Alla fine l’anziano
interrogò con
gli occhi neri che sembrava dicessero “
ma che guaio ti procuri? ”:
- Sarai in grado di
non lasciare deteriorare un cibo che ti dovrà alimentare per
infiniti anni? La
libertà fa correre su distese fiorite ma anche su deserti
pieni di massi aguzzi…
Se hai scelto di non aver catene, potresti calpestare sentieri luminosi
così
come potresti barcollare su un
precipizio.
Damian bussò alla porta
facendo rimpicciolire i ricordi nella
memoria.
Il conte ricevette i vestiti ordinati.
- Sono felice che voi e
Madame vi siate riuniti – esordì il servo mentre
aiutava il generale a
sistemare la giacca sulle spalle.
- Sì…stento a
crederci…Finché
non l’ho presa tra le braccia temevo si trattasse di un
miraggio.
François si
abbottonò tornando dinanzi lo specchio. Stette
per qualche secondo immobile contemplando il riflesso della camera
azzurro
chiaro decorata da floreali linee blu…. Trovò
mirabolante non odorare le tende
di un accampamento costellato di zanzare plumbee.
- Non posso più pensare
alla distanza…- confessò accennando un sorriso -
continuo tuttavia a
essere smarrito…devo
ancora riprendermi…
Damian ,
tranquillo
e impertinente, si
avvicinò al talamo matrimoniale.
Aggiustò un po’ i lembi delle coperte ricamate
da vecchia balia
premurosa e pettegola.
- Beh…- appurò
massaggiandosi il mento - Il
letto è
stato preparato con grande cura.
François trasalì
di vergogna e stizza.
- Damian!
- Dovete rimettere in
moto quello che avete lasciato dormire. Se no, tanti saluti disgelo!
- La baionetta funziona
bene anche senza proiettili.
Il suono leggero e ritmato di passi
indubbiamente
femminili, persuasero l’uomo a risparmiare staffilate al
servo.
- Suvvia, vi do
suggerimenti da uomo a uomo…- mormorò costui
sorridendo e battendogli una mano
sulla spalla - se volete ritrovare la vostra dimensione pensate alla
felicità
di Madame…non avete visto il modo in cui vi guarda?
- Spolverati via.
Si udirono tre bussi alla porta:
- François
– chiamò
Judith
– è permesso?
Damian aprì
l’uscio e , con elegante sornioneria,
riferì:
- Madame: vostro marito
è pronto. Risplende amabilmente da cima a fondo somigliante
ad un angelo del
paradiso.
- Ti farò risplendere
appeso al tetto di questa magione – minacciò il
generale – se non righi
dritto alla tua postazione!
Judith sorrise costernata mentre il
servo obbediva
divertito.
- Mai che quell’asino
smetta di spiattellare asinerie – brontolò il
padrone cambiando poi tono
rivolgendosi alla moglie – scusami…spero
di non aver tardato troppo.
- No – rassicurò
lei –
la tavola è già apparecchiata ma Oriane e Cosimo
devono ancora arrivare...ti va
se aspettiamo in terrazza?
I due attraversarono il corridoio ,
arrivando sulla
balconata che guardava il giardino d’ingresso della casa
… Le Heavre pareva un
grumo di scatole spazzate nell’angolo più remoto
dell’orizzonte.
La donna si
avvicinò
affettuosamente al marito dandogli un bacio sulla guancia e stringendo
il suo
braccio.
- Incredibile che tu sia
accanto a me. La tua espressione e il tuo corpo si sono ridotti su
fogli di
lettera per troppo tempo. Ho potuto sgridarti soltanto attraverso
l’inchiostro.
Per fortuna adesso è diverso.
Lui sorrise
afferrandole la mano
in modo implorante:
- Desideri già somministrarmi
fucilate? Ti prego, sono saturo di proiettili…hai tutto il tempo per
randellarmi più tardi.
- Hai proprio ragione,
caro. Ne abbiamo di conversazioni da fare. Sarà impossibile
annoiarsi.
- È
così…bisogna
recuperare in ogni senso.
- Inevitabile. Tante
cose ci cadono per strada mentre andiamo di corsa.
L’uomo circondò
le spalle della moglie voltata dalla parte
opposta .Percorse con gli occhi la linea della guancia su cui sfumava
la luce
perlacea dell’azzurro. I riccioli castani ingombravano le
spalle offuscando il
collo ed evocando la visione terribile degli incubi regnanti nelle
notti
irrespirabili. La donna diventava muta immobilizzandosi. Al terzo
disperato
richiamo si girava mostrando un ovale piatto, liscio uguale a un uovo
di
ceramica sprovvisto di occhi, naso, bocca… Uno spettro
svuotato, bianco
d’irriconoscibile morte.
La morte di parole, ricordi
materiali…il rifiuto atroce del contatto profondo.
Immediatamente il conte pronunciò
dipanando la coltre del
silenzio:
- Ho la pessima
abitudine di correre troppo e leggo
ad
alta voce sentenze credendo che gli altri non possano avere
facoltà di
rispondere…molte volte l’ho fatto con
te…Credo che ci siano germi che restano
perennemente nel
cuore. Ne sono talmente
tanti che non basta una vita per toglierli tutti. Alcuni si estirpano e
altri
si generano o rigenerano…Judith, non ne ho idea di quanto io
possa migliorare o
peggiorare…In America , quando mi trovavo a cenare da
solo…la vuotezza che mi
stava di fronte era aliena… Non diceva nulla. Si limitava ad
esistere nella sua
assurdità senza forma. Certo la spada, la divisa e lo
stendardo della mia
famiglia appartengono
al re… ma tutto
quello che ho dentro, il sangue, la rabbia, la tristezza, la mente
piena di
cianfrusaglie appartengono alla mia anima che siede qui, attaccata a
te.
Ecco…anche nella stupidità più nera mi
rendo conto che sono tuo. Posso urlare
quanto mi pare ma la legge dell'anima resterà questa.
Judith poggiò la testa tra
la spalla e il colletto della
giacca dello sposo.
- Invece , François , io
ho la pessima abitudine di scappare dalle battaglie…Temo di
non sapere
impugnare le armi e perciò le lascio cadere credendo che sia
inutile. Anche le
corazze mi spaventano perché le trovo opprimenti e
impediscono di camminare.
Posso provare a dare fuoco per prima e ci riesco ma dopo, per tanto tempo , mi gelo.
Io non ho avuto
abbastanza forza per cavarti sempre fuori dai fossati in cui ti
infilavi. Sai quanto
odio dormire da sola…ho avuto il terrore, per molte notti,
di trovarmi in un
mausoleo funebre …col pensiero poi della culla delle nostre
bambine che sta
chiusa in soffitta…
François scrollò
la sposa stringendola a sé contro la
stoffa calda.
- Ci sarà una nuova
culla, Judith. Me l’hai scritto nell’ultima
lettera, ricordi? Sarà così perché
ti vedo diversa. Guarda, il tuo volto è ancora
più bello…I tuoi occhi sono
forti e si muovono come acqua corrente..Sento che mi saprai sfidare a
duello
meglio di prima, qualunque cosa possa accadere…Sei la mia
luna. La mia
splendida luna.
Lei gli accarezzò il viso
rimirando le iridi blu aggrappate
tra le ciglia nere e le forti palpebre.
- La nostra camera è
quella che guarda a est, voltata verso il mare. Io l’ho
sempre adorata perché,
quando eri via, almeno
potevo immaginare
il tuo sguardo. Sia di notte che di giorno, il colore delle onde cambia
ma
rimane lì, a vegliarmi da lontano…
Vennero interrotti da un palpito di
zoccoli e polvere
arrotolata: una carrozza con due cavalli marroni si avvicinò
giungendo davanti
le scuderie.
Scesero un uomo alto, magro e
distinto con una donna
vestita di lilla e un bambino dai capelli rossissimi.
Judith e François
chiamarono Cosimo , Oriane e il piccolo Samuele che
salutarono con
caloroso entusiasmo.
***§***
Nella sala da pranzo , dalle pareti
bianche che intonavano
un’eco agreste e greca, sfavillava una magnifica tavolata.
Era un topazio
istoriato dalle lamelle d’argento dei piatti
d’ostriche, imporporato dalla
calda freschezza rubino del vitello rosolato e puntinato dai vassoi dei
formaggi agrodolci.
I conti della Seigne non erano sperperatori di opulenze, ma
si premuravano che la gastronomia di casa offrisse prodotti di alta
qualità.
Dai frutti di mare pescati dal gustoso furore dell'oceano agli animali
allevati
nel pregiato clima salmastro dei pascoli costieri: c’era da
perdersi in quel
tempio sugoso di profumi forti, dolci e gioiosi. Grégoire ci
teneva a far
pervenire da Neufchatel-en-Brain, l’omonimo cacio
d’antica tradizione normanna.
Il particolare gusto farinoso si sposava con l’innaffiatura
amarognola e fine
del sidro.
- Prego , signori! –
invitò il padrone sollevando la brocca di ceramica- È
d’obbligo per il palato e la gola questo
nettare di famiglia.
- Ormai le nostre
cantine a Napoli rischiano di esser popolate più da
bottiglie di sidro che
vino! Ci manca
soltanto una coltivazione
di meli sul nostro terrazzo per ottenere i giardini pensili di
Babilonia!
- Oh ,Cosimo! –
accusò Oriane
- Dovremmo tornare qui
durante la bella stagione! Da noi in Italia non esistono questi tesori
di
coltivazioni…tu cerchi di rifilarmi , ogni domenica,quel
dannato amaro alla
rucola dal sapore di medicinale per tosse!
- Suvvia , cara…sai che
sono un amante delle tradizioni d’Ischia ma non per questo
disdegno i sapori
della Normandia, anzi…
Il marito , ricevendo la brocca dal
suocero , la pose alla
sua signora mentre Samuele seduto
in
mezzo odorava il transito dell’aroma dolce e pungente.
- Questo sidro è
un’antica
lavorazione che rende il gusto più fermo e dolce –
accennò Grégoire.
- Non vedevo l’ora di
tornare a berlo – dichiarò François
sorridendo - Se non
sbaglio penso di averlo assaggiato la prima volta proprio da voi quando
ero
ragazzo.
- Sì –
confermò la sposa
seduta affianco - quella
primavera in
cui venisti con tuo padre e tuo fratello.
- Già…la fioritura
dei
meli…uno spettacolo favoloso. Facevamo passeggiate
lunghissime.
- I fiori degli alberi
sono molto belli. Sembrano rosa acceso quando sono chiusi , quasi
provino
vergogna , e poi aprono la corolla che è bianchissima.
- Da piccole costruivamo
delle coroncine – ricordò Oriane che stava di
fronte alla sorella dalla parte
opposta del tavolo - Te
ne feci una
molto bella, Judith…sarebbe stata perfetta abbinata agli
orecchini che hai ora.
- Li ho da parecchio
tempo. Me li regalasti tu, François, all’inizio
del nostro fidanzamento.
Il generale annuì
rimembrando, per un breve istante, un
pomeriggio in cui l’aveva portata ad ammirare le coltivazioni
costiere: lei
sedeva sul dorso di un cavallo che lui conduceva per le briglie
facendosi
strada tra le piante. Una
bellissima
giornata specialmente durante l’attimo in cui la fanciulla ,
nello scendere in
modo scorretto dalla sella, capitombolò tra le sue braccia
che prontamente
s’erano preparate ad afferrarla.
- Helene! –
rimproverò
la contessa Bénédicte, imperiosa a capo del
tavolo –Rischiavi di rovesciare il
dolce!
- Perdonatemi, signora!
La cameriera arrossì
costernata : era una ventiseienne
minuta e pallida, dai capelli neri legati in
una treccia e
dalla bocca piccola
travolta bruscamente dall’incandescenza delle guance.
- Madame –
giustificò Damian
che stava aiutando a portare i piatti –lo sconsiderato sono
io che ho
involontariamente intralciato la ragazza. Sono grande e ingombrante.
-
D’accordo, ho compreso
– concluse scabra la padrona –
l’importante è che stiate attenti. Per cortesia
giacché è stato servito il tortino di mele portate anche il calvados.
Mentre si allontanavano verso le
cucine , l’imponente uomo strizzò
l’occhio alla ragazza che sorrise con
pudore mettendosi la mano sulla bocca.
- Ti sei ricordata bene,
cara – aggiunse Grégoire -
non può mancare
questo assaggio prima del dessert. è come una goccia di
fiamma dolce in gola.
- No, papà – rise
Judith
– credo proprio che rinuncio. Non sono abituata a finire
neppure un intero
bicchiere di vino!
- Io ne prendo solo una
goccia – disse Bénédicte che assaggiava
sempre il sidro con estrema
moderazione– per tener fede alla nostra tradizione.
- Non preoccuparti papà
– gioì Oriane – io non persisto mai al
Calvados. Mi auguro che non ti
comporterai da taccagno se domando una bottiglietta da portarmi a casa.
- Puoi stare tranquilla,
figliola – sorrise il padre – io sono sempre
orgoglioso di saperti ottima
degustatrice dei nostri prodotti.
- E la nostre collezione
di bevande normanne si allarga sempre di più –
scherzò Cosimo – sentiremo odore
di mele anche prima di entrare in casa.
- Se tu importi casse di
liquore rucoloso , io lo faccio col sidro e il calvados.
- Povero rucolino!
Sempre con lui, ce l’hai!
Damian portò la bottiglia
dell'acquavite con i bicchierini
di cristallo intanto che Helene serviva,
da un vassoio , ciotole di caramello
ricavato dallo zucchero
di mela.
Samuele puntò ,
bramoso, quelle delizie morbide arancio
brillante cominciando
a fare vivaci
cenni prima alla madre e
poi al padre.
- Tranquillo –
rimbrottò
Oriane - nessuno
ruba la tua parte! Non
fare la scimmia…c’è prima la torta.
- Ma – bofonchiò il
bimbo – a me piace prima il caramello….
- Suele – mormorò
il
padre mescolando francese a incrinature partenopee – una cosa
per volta e in
piccole parti! Visto che l’altro giorno hai avuto mal di
pancia?
Imbronciato il figlioletto
tracciò col dito ghirigori
immaginari sulla tovaglia.
- Posso avere un altro
po’ di succo di mela?
- Certo, piccolo –
s’accinse il nonno a prendere un’altra piccola
caraffa di ceramica.
- No, papà – lo
fermò
Oriane – così si abitua troppo alle cose
zuccherate. Va bene assaggiare tutto
ma non troppo.
- Ma – oppose dispiaciuto
l’uomo – mi sembra che abbia soltanto bevuto un
bicchiere.
- Effettivamente sarebbe
meglio che il bambino non toccasse neppure il caramello –
ammonì la nonna – la
torta è bella buona Samuele, vedrai che già con
quella sarai pieno.
Il nipote , intimidito, posò supplicante
lo sguardo sulle tazze che
tenevano in pugno l’invitante e soleggiata sostanza
d’ambra.
- Samuele può mangiare
un pochino di torta e un pochino di caramello –
puntualizzò la madre.
- Una fetta di torta è
sostanziosa – predicò la contessa – se
il piccino prende sia l’uno che l’altro
potrebbe sentirsi di nuovo poco bene come diceva tuo marito.
La figlia minore cominciò a
percepire aria di tensione: la
madre e la sorella facevano molte volte attrito tra loro. Numerose
erano state
le discussioni specialmente durante l’adolescenza quando
Oriane aveva fatto
divampare a meglio il proprio spirito ribelle…
- Madre, controlliamo
che Samuele possa abituarsi a mangiare con noi a tavola senza strafare.
Ha
avuto la sua porzione di primo e secondo e ora può
assaggiare il dolce.
- E dopo tanti assaggi
di tal genere che è stato costretto a letto.
- L’altra volta –
ribatté l’altra sull’orlo
dell’irritazione – ha combinato pasticci con accostamenti di cibo che
gli hanno colpito lo
stomaco!
- I nonni si preoccupano
per i nipotini – sospese la diatriba Judith –
può succedere che non
si sappia quali
alimenti diano fastidio ai più piccoli.
Nonostante fosse una quisquilia,
Bénédicte doveva trovare
il minimo pretesto per criticare la figlia più grande. Dopo
le tempeste
rischiose della giovinezza, la donna si portava appresso
l’ombra di una
diffidenza accusatrice:
un po’ per
orgoglio ma soprattutto perché temeva chissà
quali errori potessero nuocere
alla famiglia.
- Per fortuna che
Samuele mostra appetito - fece
calmo Grégoire
– è giusto che il suo palato si adegui piano
piano
a ogni cosa.
- Sta volta si è
regolato bene – osservò Cosimo –
può prendere la sua parte di dolce
tranquillamente…e poi è l’occasione del
ritorno dello zio François.
- Io più di una volta mi
sono sentito male da bambino – ammise lui –
perché avevo l’abitudine di andare
a mangiare di nascosto i biscotti al miele. Infatti mai mi sono
scordato quei
bei momenti di traballamenti intestinali.
Dopo una risata corale ( anche se
più che ridere Bénédicte
accennò un sorriso) si mescé il calvados nei
bicchieri che vibrarono ondeggiamenti
cristallini.
Dalla cucina provennero, ad un tratto , una cacofonia
grossa e
argillosa e improperi della cuoca e dei camerieri: Serge aveva fatto
cadere due
barattoli di confettura di mele dando prova della sua leggiadra
destrezza.
Note
personali:
il secondo capitolo l’ho
concluso con la parte Un
proiettile nella mente . All’inizio tutta
questa scena doveva essere
l’ultima parte del capitolo secondo ma poi ho deciso che
ormai sanciva un’altra
fase degli eventi.Ed eccoci ad aver fatto conoscenza
della casa di Le Heavre,
dei genitori di Judith….c’è un ambiente
di serenità e tranquillità a differenza
di quello che si avvertiva con Jean Antoine…ho desiderato
introdurre i
caratteri differenti di Grègoire e di Bénedicte ,
una coppia veramente
particolare, due poli opposti...Sono riapparsi Oriane, Cosimo e il
piccolo
Samuele…mi auguro di aver descritto in modo decente le
dinamiche famigliari…Naturalmente i nostri
François e Judith si sono ritrovati
con la voglia di andare avanti e con rinnovata forza nonostante i
tristi eventi
passati..
È apparso un altro
servo Damian, connesso anche col passato
del protagonista, insomma un altro elemento che ci
racconterà più avanti di più
sui de Jarjayes !
L’ultima parte del
III cap ( la più lunga) , vi posso
garantire con certezza che sarà postata tra
lunedì 8 maggio o martedì 9….
Ci sono novità per il
quarto capitolo! Praticamente le
prime due parti le avevo già completate da un pezzo
….quindi ci saranno
ulteriori aggiornamenti il 16 maggio, il 31 maggio
…l’ultimo sarà probabilmente
a metà giugno perché lo devo revisionare da cima
a fondo e apportare modifiche…
Col capitolo 4 si conclude il
LIBRO PRIMO. I leoni della
corone NON sarà una saga ma un romanzo unico suddiviso in
più libri che
rappresentano le fasi della vita dei personaggi. Ho deciso quindi che
il libro
secondo sarà dedicato all’infanzia di Oscar e
André, il terzo all’adolescenza,
il quarto all’età adulta + epilogo^^
Vi ringrazio umilmente per la
pazienza!!
Un salutone!
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Capitolo 7 *** CAP 3 - la dimora dei pomi d'oro : melodie da lontano ***
CAP 3 - La dimora dei pomi d'oro: melodie da lontano
3
La dimora dei pomi
d’oro:
melodie da lontano
“
Perché la donna non è cielo, è
terra
carne di terra che non vuole
guerra:
è questa terra, che io fui seminato,
vita ho vissuto che dentro ho piantato,
qui cerco il caldo che il cuore ci sente,
la lunga notte che divento niente.
Femmina penso, se penso l'umano
la mia compagna, ti prendo per mano. “
( E. Sanguineti)
Il sole delle cinque già si
avviava verso ovest con andatura
sicura. D’inverno pareva avesse
fretta
di ritirarsi come un sovrano vanaglorioso, che concesso udienze ad
alcuni
sudditi, chiudeva le porte del proprio palazzo lasciando molte
preghiere
inascoltate. Nell’azzurro, ancora chiaro,
s’intravedevano le prime dorature
arancioni che formavano il bagliore del tesoro
regale sepolto dietro il solco intangibile
del mare.
François guardava,
da dietro le vetrate del salone della villa, le colline
dei meli che
fissavano quello spettacolo inermi e rassegnate con le foglie in parte
secche e
in parte verde scuro.
Anche lui , nonostante la contentezza, sentiva una parte di
se accoccolata tra quei rami…Il tramonto annunciava che la
sera avrebbe invaso
tutto : quello strano giorno, che
l’aveva visto prima sulla nave e poi proiettato in famiglia, iniziava a incanutire.
- Provate già nostalgia
del mare? – chiese con lieve scherzosità Cosimo
portando una tazza di tè.
- Mi basta guardarlo da
lontano – rispose sorridendo François –
sono saturo delle navigazioni. È sempre
una gioia camminare sulla terraferma.
- Chi vi da torto? Quando
viaggio in veliero un
occhio dorme e
l’altro veglia.
- Le tempeste accadono
dappertutto ma , sbattuti tra le onde, si
ha l’impressione di finire ingoiati nell’infinito,
senza alto né basso. Non esiste un suolo.
- Il suolo c’è a
dire il
vero – considerò aggrottando la fronte
l’altro – è un lunghissimo deserto nella
calma…non differisce dal Sahara e dalla steppa.
- Beh sì l’immobilità
fa male in ogni luogo. Privati
dei soffi di vento ci si scorda davvero di
respirare…eppure…
Il Generale
rifletté : le visioni paurose
restavano in una lontana stasi però
riusciva a toccarle come fossero vicine.
- L’oceano
m’inquieta di
più – continuò- Forse è la
potenza di Nettuno…negli attimi in cui le onde si alzano,
hanno forme più mostruose delle tempeste di sabbia o delle
valanghe che si
staccano. E’ proprio il fatto che si elevano con sagome
distinte e
pesantissime.
Cosimo
sorseggiò il tè e fece leggermente ondeggiare il
liquido residuo in fondo alla tazza:
nella
colorazione ocra s’intravedeva qualche minuscolo e stordito
brandello di foglia
aromatica.
- Prima il mare è
limpido e piano , poi si smuove, si imbizzarrisce e si
sporca… È il voltafaccia
della natura. Anche noi uomini ne facciamo parte. Io mi rapporto con i
commercianti, François, voi con la corte e
l’esercito.
- L’Europa è tutto
un
mare inaffidabile. Ora non si comprende cosa l’Impero
Asburgico voglia fare, né
se l’Inghilterra continuerà questi tafferugli
Sfornita di una dichiarazione di
guerra…In Francia sto sempre meglio anche se ci sono
ugualmente trappole.
- Nutrite ostilità verso
il mare…- disse serafico Cosimo– ma vi garantisco
che amarlo è un bel modo per
sopportare le furberie del mondo. Sprovvisti di rotte commerciali ci
s’instupidisce. Non bisogna sopravvivere dentro circuiti
locali, ognuno chiuso
in un’autoproduzione piccola. L’economia
è un sistema universale di concorrenza
e patteggiamenti. Tutti gli stati appartengono a questa scacchiera e
voi capite
che tutti sono uguali nelle brame. Vi abituerete a non farvi trovare
impreparato da amare sorprese.
François
arcuò il sopracciglio:
- La rassegnazione gioca
un ruolo dominante…non voglio cederle il passo anche se
rischio di ammalare il
sangue…
- Così porterete
perennemente ferite aperte. Siete leale, un autentico cavaliere ma la
rabbia vi
darà avvelenamento piuttosto che reale giustizia.
- Mio padre era più
negoziatore
di me e so bene che
l’epoca dei veri
cavalieri è finita.
- Credo che vi aiuterà
pensare alla rassegnazione identica ad una creatura
attiva…Se evitate di
prendere a cuore i normali disordini diplomatici , preserverete ancora
più
attentamente la vostra famiglia. Mi dedico a navi e traffici per
proteggere a
meglio la tana. Lo faccio per Oriane, per Samuele…Mio figlio
dovrà imparare a
sgomitare parecchio e a identificare la stupida malignità
delle persone. Servirà
a non versare troppe lacrime.
- Già…la famiglia.
“
Che insegnerò a
mio figlio?” pensò François “ a comportarsi come un
Orlando o farsi i fatti
propri? Servire la corona come leone o come volpe?”
Osservò il nipotino Samuele
intento a mostrare ai nonni il
suo cavalluccio di legno a ruote. Muoveva briosamente la testolina di
capelli
rossi, resa buffa dall’ampia fronte e dalle guance sporgenti.
Si chinava poi a
terra sgualcendo il gilettino blu e farfugliando con parole e gesti il
funzionamento del giocattolo quasi fosse uno strumento magico.
- Eh, Suele – sorrise
Cosimo – sta facendo vedere com’è bravo
a domare il suo cavallo…è così che
capirà:
trascinare la pazienza e la volontà in ogni dove.
- Parole sante – rise il
generale- per dar
credito al discorso di
prima, bisogna saper vendere le proprie qualità a
qualsivoglia interlocutore.
- È una legge che ci
accompagna fin da piccoli – sospirò il barone
– Samuele non può ancora captare
ma se un attimo pensiamo alla nostra infanzia, avete il ricordo di
quelle ansie
di approvazione? Insomma catturare la benevolenza e l’affetto
di tutti ?
Il
Conte tacque per qualche secondo: gli riaffiorò un
rapido ricordo dell'età di sei anni, quando diceva alla
balia Angéle e al buon
Berthold che era andato a cavallo la prima volta. Si figurò,
con letizia,
i loro visi pieni di qualche dolce ruga che lo
incoraggiavano
entusiasti.
Un altro ricordo ,
abbacchiante e imbarazzante, lo
vide che esibiva al padre Jean Antoine un
cavalluccio costruito con rametti secchi. Riusciva ancora a sentire la
risposta
grugnente :” piuttosto che fare
ciarpamerie ripassa le prime due declinazioni di latino che non sai
neppure
cincischiare!”
- Sì…- ammise
piegando
la bocca– dicono che i bambini non abbiano pensieri, invece
se dovessi tornare
indietro, non sceglierei per nulla l’età degli
scolaretti. D’accordo che , se
vediamo dalla nostra ottica quei giochi e capricci, ci
sembrano sciocchezzuole…però percepivo il
problema di piacere e non piacere, portare la pesantezza di un
cannocchiale che
ingigantiva.
- Verissimo… - fu
d'accordo il cognato – era una missione strappare la
benedizione di chi ci
circondava. Certo, adesso
Samuele è bello
tranquillo. Il caro Grégoire è una garanzia in
fatto di serenità e sicurezza.
Sembra che quegli occhi e quel sorriso siano
stati costruiti apposta per quietare i piccoli.
- Non vi è dubbio che ha
dato prova d’essere grande precettore a palazzo –
appurò François - Il Re da
sempre nutre profonda stima verso di lui. Il Delfino Luigi Ferdinando
continua
a scrivergli e, in occasione delle ricorrenze sante, gli manda doni.
Stava per aggiungere che anche Etienne fu un
precettore
eccezionale e che più volte si era confrontato su metodi
educativi con
Grégoire. Preferì, tuttavia, evitare rinnovata
sofferenza.
Quel pensiero sembrò distanziarsi allo stesso modo della
cameriera che prese con garbo la tazza vuota di Cosimo e se ne
andò silenziosa:
- Ahinoi , nostra suocera
– disse poi sottovoce il cognato con quell’umorismo
leggero ma mai perfido – è
una dama veramente di roccia. Possiede una muraglia che protegge da
attacchi o
suscettibilità. Noto che con Samuele è molto
più vellutata…
Seduta sul canapè
color crema del salotto, ricamato con
foglie e frutti, Benedicte sorrideva al nipote. Sembrava che il pallore
regale
del viso avesse assunto una tonalità più rosea e
che la schiena, dalle vertebre
di vetro, si fosse rilassata in morbidezza cartilaginea. Il marito, accomodato nella poltrona
vicino, si
accordava con il salotto illuminato dalle luci del tardo pomeriggio.
Era un
elemento naturale appartenente a quell’eco sistema dalla
delicata carta da
parati vegetale e dai mobili di legno chiaro…
- Mio padre era un uomo
molto rude –evidenziò François
– quando si sedeva davanti al camino c’era aria
di spade e pietre. Da piccolo temevo che il fuoco lo mutasse in drago!
Cosimo
rise e appoggiò:
- Anche mio padre era un
tipo severo. Ho in mente quell’eleganza notarile e scura che
mai ammetteva
controbattute. Non usava urlare ma già bastava lo sguardo a
zittire ogni lagna.
Rimasi stupito quando conobbi la prima volta
Grégoire…ha una calma
completamente diversa a cui ero abituato da bambino… penso
porti un innato
senso femminile. Non certo che sia un effeminato! No!
- Ho inteso
perfettamente…ha il talento di capire le proprie figlie.
Judith mi aveva
raccontato che , da ragazzina , preferiva confessare i propri errori a
lui che
alla madre e quando , in collegio, aspettava di tornare a casa voleva
vedere
scendere dalla carrozza sempre e solamente lui.
- Sì, Oriane mi ha
descritto cose meravigliose. Da ragazza , quando le erano successi guai, è grazie
a Grégoire che si è
riappacificata con la madre…Sapete, il modo in cui la
Contessa affronta
determinati problemi.
- Non me lo ricordate,
Cosimo…Judith non ha l’indole di esternare rabbia
ma in privato l’ho vista
davvero esasperata .
I due uomini si chiesero, con reiterata perplessità, quale
equazione chimica potesse tenere congiunta una simile coppia. Persino
le loro
mogli non avevano saputo trovare risposta o forse non volevano
preoccuparsi di
conoscerla. I
suoceri formavano un duo osmotico. Le differenti
soluzioni di base arrivavano ad un certo punto a congiungersi, scambiarsi molecole,
rinnovare i propri
liquidi e poi tornare allo stato di prima. Se per un periodo gli affari
di
famiglia erano appalto del marito mentre quelli domestici della moglie,
giungevano a invertire quelle mansioni in un'altra fase . La stessa
cosa
avevano fatto per l’educazione delle figlie. Il padre tante
volte aveva
rivestito il ruolo di madre mentre la madre tante volte quello di
padre. Grégoire
era stato capace di credere che Judith e Oriane gli fossero cresciute
nel
ventre. Benedicte , tenendo fede all’appellativo di
“ Normanna”, reggeva il
bastone del comando disciplinare.
- Suele, attento! –
richiamò
Cosimo.
François
avvertì il giocattolo
urtare contro la sua scarpa e
ribalzare di lato.
Sorridendo,
si chinò , raccolse l’imprudente
destriero e lo porse al bambino che si
precipitò con
il viso rosso tale e quale
al bulbo dei capelli.
- Beh ? – incalzò
il
padre – cosa devi dire adesso?
- Scusate , zio François
– balbettò il piccolo – non
l’ho fatto apposta.
- Va bene giocare…ma non
dare fastidio alle persone.
- Non è successo nulla ,
Cosimo – intervenne tranquillo il Generale – si sa
che non è facile addestrare
i cavalli…Vero, Samuele?
Il nipotino annuì
silenzioso fissandolo con soggezione e
ammirazione : era abituato ad alzare spropositatamente il mento per
vedere la
lunga statura del padre ma lo zio lo impressionava per la maggiore
robustezza
fisica. Benché fosse dimagrito per le battaglie e i viaggi,
l’ossatura robusta
restava. Il viso, ora intenerito di serenità, era forte e
gli occhi blu, dalle
ondeggiate brillanti, si notavano a distanza.
- Come si chiama il tuo
cavallo? – domandò.
Il
piccolo si sentì felicemente incoraggiato, specie da un
parente che gli era sembrato serissimo e duro alla prima impressione.
- Si chiama Pigna -
spiegò con professionalità
– perché è
nato da un pino.
Cosimo scosse la testa
divertito e precisò sottovoce al
cognato:
- Avevo detto che è
fatto di legno di pino ma Samuele ha
interpretato a fatti suoi.
-
Lui
è nato da un pino!
– contrastò il figlio
che aveva sentito quei bisbigli insidiosi – e per questo
è forte!
- Hai ragione, tesoro,
hai ragione.
- Allora deve essere un
cavallo magico – accondiscese François - sa volare?
- Sì –
rivelò fieramente
il bambino – ho insegnato tante magie!
Lo zio
frugò in tasca facendo bisbigliare un leggero tintinnio:
- Ecco, piccolo. Queste sono per te.
Tirò
fuori tre biglie colorate: una dipinta di blu decorata
di magenta, una di legno tatuata con motivi geometrici verdi e una che
pareva
uscita da un quarzo con particolari cromature argento e nere. Le aveva
comperate in America in una piccola bottega d’artigianato.
- Guarda che belle,
Samuele –ammirò Cosimo – luccicano
proprio tanto!
Il
bimbo ringraziò e le afferrò piano dalla
mano dello zio. Esaminò le tre sferette senza perdere alcuna
variazione di
sfumatura.
- Ma – esclamò
stupito –
fanno un colore se le metto al sole e un altro se le metto
all’ombra!
- Già – soggiunse
lo zio
– cambiano a seconda del movimento della luce.
- Allora sono magiche!
- Certo, tu potrai
aumentare il loro potere!
- Faranno più
potente anche Pigna?
- Esatto. Hanno
moltissima energia!
Samuele riguardò
orgoglioso le palline quasi avesse trovato
un’altra chiave per dominare le sfere della natura.
François ricordò i giochi
bizzarri che s’inventava Etienne da piccolo che mai
rispettavano il raziocinio
delle regole.
- Eccoci finalmente –
comparve nel frattempo Judith seguita da Oriane - oltre
ai miei soliti spartiti, ho trovato
persino vecchie composizioni!
- Diciamo sorella che
sono io ad aver frugato nei meandri dei tuoi armadi di fanciulla.
- Va bene Oriane,
riconosciamo i meriti delle tue antiche abitudini di ficcanasa.
Grégoire interruppe
lo scherzoso battibecco:
- Su , fanciulle mie, risparmiate
la vostra carica per la musica.
Judith si avvicinò al
pianoforte del salone mentre la sorella al
violino adagiato su un tavolo di quercia poco distante . Tra lo
stropiccio dei
pentagrammi si consultarono a bassa voce
per scegliere le arie da eseguire . François prese posto su
una poltrona vicino
al suocero mentre Samuele e il padre si sedettero sul divano poco
distanti
dalla contessa Bénédicte.
- Con quale brano
cominciate? – domandò alle figlie .
- Stavamo pensando –
meditò
Judith – di aprire con Vivaldi…
- Potremmo però suonare l’Aria sulla quarta corda–
propose
Oriane – è quello che hai adattato per violino e
pianoforte.
- Sì, è
vero…credo
comunque sia meglio iniziare con Vivaldi e poi con Bach. Cominciare con
una
bella ondata di primavera.
- Hai ragione –
assentì
la sorella cercando lo spartito giusto - daremo
un po’ di movimento anche se è
tramonto.
- Approvo pienamente! Ottima
scelta – commentò Grégoire –
oh, perdonatemi François! L’ospite
d’onore siete
voi! Avete qualche preferenza?
- Giusto – inarcò
le
sopracciglia Judith
voltandosi verso il
marito– desideri ascoltare qualche
composizione concertistica particolare? Ne ho a disposizione tante.
- La scaletta è perfetta
– le rispose lui sorridendo pacato - Se
mi verrà in mente qualcosa per il dopo lo dirò
volentieri. Sono una garanzia di
qualità Bach e Vivaldi.
- Non tanti nostri
contemporanei apprezzano quest’ultimo – si
rammaricò Grégoire – continuano ad
affermare che sia stato un eccelso violinista ma un compositore
mediocre.
- In effetti – espresse
Bénédicte – prediligo indubbiamente
Bach. Vivaldi, differenti volte, mi ha dato
l’impressione di un’esecuzione che perpetuava gli
stessi motivi.
- Non sono
d’accordo, cara.
Io ho notato una grande
leggerezza e vitalità dinamica. Non dimentichiamo che Bach
debba molto a tutto
questo repertorio.
- Su molte opere di
Vivaldi – intervenne Cosimo – ero
all’inizio scettico, invece dopo aver assistito
a diversi concerti di camera e sinfonici mi sono ricreduto!
- Ognuno avrà lo spazio
che merita – rise Oriane – seguiamo il suggerimento
di Judith.
Sollevò il violino
posandolo tra la spalla e il collo intanto
che la sorella aggiustava lo spartito adagiando le dita sulla tastiera
del
pianoforte.
L’arco salì immediato e tonante, come se i fiori
avessero
anticipato la nascita dei germogli . Il pianoforte scandì i
voli e le
zampettate degli uccelli che si scontravano dolcemente sulle superfici
acquatiche
o sulle foglie. Le vibrazioni divennero ventose, corsero forti simili a
tanti
pesci che nuotavano in fiumi rapidi e bruschi e poi tornarono, spensierate e allegre, per quietarsi e lasciare
spazio all’altra
stagione.
François si sentì sprofondare in una pace
stupefatta:
conosceva quel celebre brano, ma sentirlo dopo tanto tempo lo rendeva
commosso dentro,
felice delle eufonie che lo riabbracciavano alla maniera di un bambino
che
faceva capolino all’entrata di casa. I fracassi delle armi da
fuoco e i cupi
suoni tribali dei pellerossa gli avevano reso estranea la sua Europa,
tutti i
suoni famigliari , centenari.
Ad accomodare il giaciglio ancora di più
sovvenne l’aria di Bach.
La musica principiò
dolcemente spontanea , priva di lentezza ed eccessiva
velocità…le corde
dell'arco fecero sbocciare le note da un’acqua tremula e
serena, mentre l’
arrangiamento del pianoforte accompagnava l’andamento con
passi grevi e
delicati scandendo un sottofondo cristallino.
Conclusa in un tenue bagliore la sinfonia, si concesse
spazio esclusivo a Judith con l’indomita Toccata
e fuga in re minore. Non ebbe bisogno dello spartito
poiché conosceva a
memoria la giovanile composizione di Bach.
Drizzò tranquilla la schiena e sdraiò le dita
sulla
tastiera del piano con la naturalezza di quando ci si appresta ad
aggiustare le
pieghe di un lenzuolo. Non vi doveva essere alcuna increspatura
nell’inizio.
Ci fu silenzio e
poi
la scintilla.
François ascoltò ogni movenza delle braccia di
sua moglie. Era
sempre stata un’anima apparentemente placida ma nei balzi e
nelle giravolte
rischiose delle note affiorava una corritrice incredibilmente
scapigliata e
poco incline alle norme didattiche. Nel terreno della musica venivano a
galla
curiose differenze con Oriane: quest’ultima, estroversa,
schietta e riluttante
ai comandi , diventava, col
violino , mansueta
quasi inconsciamente rientrasse in un recinto di autodisciplina ; la
sorella
minore, al
clavicembalo o all’organo
della cappella del collegio, aveva
fatto
intimorire le badesse. L’intelletto serafico ardeva
all’odore fosco e brillante
dei pedali , delle canne di metallo o del complesso intreccio di
corde…
Il generale notava il modo in cui si slanciava da
un tasto all’altro , pinzando con ruvide
carezze le note più alte e percuotendo elegante quelle
più gravi. Era uno
sfarfallio di libellule. La velocità veniva tradotta da
quelle mani delicate che
sapevano rendersi d’acciaio domando dorsi di cavalli selvaggi
o toccando quelli
più docili. Uno scavo di falangi sicuro e da falco pose fine
all’esecuzione del
pezzo.
Seguì uno scroscio di applausi e complimenti: Samuele
batteva allegramente le mani per tentare
di fare più rumore del padre,
Bénédicte, intransigente alle variazioni degli
arrangiamenti, sembrava tranquilla e soddisfatta.
- Magnifico, Judith
–apprezzò
François – devi darci un’altra
dimostrazione! Cos’hai tra le composizioni
originali ?
La donna sorrise composta
all’infuori, ma profondamente
felice nel cuore. La musica era riuscita ad attrarre la nave del marito
nella baia
ormai congiunta a lei.
- Dunque…- passò
in
rassegna gli spartiti - a parte qualche lavoro incompleto a cui sto
lavorando,
ci sono produzioni di anni fa…questa è rimasta
senza titolo, questa è Passi di
pioggia , questa è Sonata
in sol maggiore ….
Oriane raccolse alcuni fogli
che erano caduti. Li sfogliò e
all’improvviso una favilla rese grigio cristallino i suoi
occhi :
- Oh, sorella! Guarda !
Te nei sei proprio dimenticata!
Judith prese in mano quel
vecchio pentagramma: aggrottò la
fronte, e
fece guizzare in alto le
sopracciglia…un moto d’imbarazzo e riso.
- Cielo! E’ materiale
primitivo!
- Di che si tratta? –
domandò il generale.
- L’attraversata
di Febo…la
realizzai da adolescente…rabbrividisco se penso a
quell’ accozzaglia di note
che osai fare!
- E’ il brano che
suonasti…al nostro primo ballo…
- Giusto! –
sollecitò
Oriane picchiettando l’avambraccio della sorella- A maggior
ragione, lo devi
eseguire per tutto l’uditorio.
- Obbedirò solo
perché è un desiderio di mio marito.
Cosimo
si strofinò il mento con sorriso d’acqua
frizzante :
- Fu , allora, un brano galeotto!
- In un certo senso sì,
caro – gli spiegò la sposa - però
bisogna precisare che i veri galeotti sono
state persone in carne e ossa.
- Che cos’è galeotto? –
interrogò Samuele stupito da
quel suono tondeggiante che
gli
ricordava un appetitoso dolcetto di panna e caramello.
- Non te lo posso
spiegare ora, amore – rivelò la madre accostandosi
– te lo dirò quando sarai
più grandicello…
- La memoria non
t’inganna Oriane – sospirò intanto
Judith attraverso una piccola smorfia di sopportazione
- Quella sera a villa Blanchard. Mi ci hai letteralmente trainata!
- Se non fosse stato per
me non avresti : primo, avuto il coraggio di esibirti in pubblico con
la tua
composizione…
- Senza alcun preavviso,
mi sono ritrovata uno
spettacolo fuori programma…
- Lasciami concludere!
Secondo punto ( il più importante ) hai fatto la conoscenza
di un giovane
ufficiale che ora è Generale.
Dagli
appartamenti
privati ove alloggiavano i conti de La Seigne, a Versailles, proveniva
un
intenso sfrigolio
di voci e suole di scarpette.
Nella stanza delle due fanciulle sbalzavano tra le mura piagnucolii e
rimbrotti
tra una spazzola che cadeva e il mugolio di cassapanche che venivano
aperte.
- Accidenti
a te, Oriane!- sgridò Judith - Sta
sera non mi andava di partecipare a questo
evento!
- Un baule
pieno di ferramenta sarebbe più leggero da
trascinare.
- Mi
conosci! Detesto
questo genere di ricevimenti!E poi perché ti
sei messa d’accordo per
farmi esibire nell’orchestra dei Blanchard….
Una
delle serve
allacciò il corpetto della ragazza , togliendo
quasi il respiro al torso sottile. Un’altra cameriera
più anziana appurava
che la biancheria intima fosse ordinata e discreta sotto il panier,
l’impalcatura in stecche di balena che doveva sorreggere il
drappeggio della
gonna. Oriane, che
indossava un vaporoso vestito celeste di taffetà ,
si
muoveva per la stanza con la leggiadria di un cerbiatto , valutando gli
accessori per
l’abito della sorella. Sul
letto era disposto un raffinato andrienne rosa opaco decorato da una minuta tessitura di
ricami floreali blu.
- Cara
– bofonchiò scegliendo i fermagli per capelli
più
adatti - basta
già l’allodola impagliata
nello studio di papà a stare zitta e immobile!
- Odio i
cambiamenti di programma! Non sapevo nulla di quello
che ti svolazzava nel cervello!
- Se non ci
fossi io staresti a marinare nella tua teglia
d’aglio e aceto come un’acciuga anemica.
- Oriane. Io
non sono te. Un giaguaro che si getta a
capofitto nella jungla e ruggisce e mostra gli artigli.
Le
due cameriere presero
a vestirla sbalzandola da
una parte
all’altra alla stregua di una piccola ape immischiata tra i
panneggi di una
tenda.
- Sai
emettere le nenie che facevi da piccola –
cantilenò la
sorella maggiore - quando
non riuscivi
ad arrampicarti su un alberello di melograni! Neanche avessi dovuto
scalare una
sequoia!
- È
che…è che…insomma mi sento non molto
diversa da quei
candelabri di bronzo sulle pareti!
Judith
si guardò
al lungo specchio della camera dal cornicione di ottone che imitava
edere di
vite…Aveva il viso imbronciato, rughette che marchiavano il
centro della fronte
e i lunghi capelli castani ancora scomposti alla maniera di una bambina
che
aveva giocato in un fienile. Il contrasto tra l’eleganza
dell’andrienne e l’ aria
scontrosa e offesa era buffo.
Oriane si accostò:
possedeva ben altra presenza…Nonostante emanasse pepe
effervescente era proprio
donna nel suo abito e nell’accurato tupè con
lunghi riccioli laterali e persino
un’audace frangetta.
- Judith.
Sei una delle dame di compagnia della regina. Hai
sedici anni e ormai la soglia di questo ingresso l’hai
varcata. Devi
analizzarlo in ogni suo antro e…aguzzare la vista!
- Cielo! Ti
sembra appendere gli occhi a ogni nobile che
cammina nella nostra circoscrizione ?
- Sorellina,
da quando hai compiuto quattordici anni, avrai
danzato con esemplari maschili della fauna nobiliare cinque o sei
volte.
L’adolescente
si voltò,
gesticolando col braccio e indicando
con mano seccata il proprio volto:
- Non mi
asfissiare! Sulla mia fronte non è inciso il
responso della sibilla delfica! Se
non
mi sposo entro l’anno prossimo non sarò destinata
ad una grama vita da zitella!
Le
pazienti
cameriere la fecero accomodare alla toilette per pettinarla e preparare
l’
acconciatura mentre Oriane assunse un ghigno grottesco e spettrale come
quelli
che mimava da bambina e che la madre trovava sconvenienti per damigelle
compite.
- Ih!ih!ih!
ricordi la vecchia Clotilde? - gracchiò ruvida - Quella nonnetta tartarugosa e dall’incarnato
di fiele?
- Per
favore! Ora ti metti a raccontare…
- Rimembra,
sorella, la vicenda di quella donna inumata nella
sua casa salata dall’oceano e dalle velenose amarezze.
Ah…con il corredo, un
tempo candido e soffice, ora gelido , indurito e lasciato alle
mandibole delle
vili tarme…
- Basta,
Oriane!
- Il timore
ti avviluppa le membra e la mente, eh?
- Se pensi
che possa sotterrare me medesima,
sbagli enormemente.
La
sorella
maggiore ridacchiò facendo tornare il viso alla squisita
grazia smaliziata.
- Lo devi
dimostrare, tesoro mio – predicò - È impossibile
registrare e valutare fenomeni
atmosferici se non si manifestano.
- Quale
turbolenza potrò mai creare?
- Ascolta,
la questione non è stipulare nozze fra tre o sei
mesi uno o sette anni…Dovresti conoscere più
gente per selezionare amici o
amiche e magari valutare i giovani che ti interessano. Il tuo
pianoforte è un
ottimo mezzo per metterti in luce!
- Non
so…è che davvero vorrei evitare messe in scena
compassionevoli e imbarazzanti…insomma fare la particina
della fanciulletta che
si aggira pallida e triste…oppure una smunta musicista
ammattita dallo studio…ecco
mi auguro di non tradire una tale impressione!
Mentre
le serve le
legavano all’estremità una matassa di boccoli, la
giovane, sta volta più
protettiva, le
immerse un fermaglio a
forma di rosa bianca che parve illuminare la carnagione intimidita.
- Judith!
Non dirlo manco per scherzo! Non appartieni al
circolo delle ragazzotte disperate in cerca di
cavaliere! Sei soltanto…molto riservata e
composta e vai bene in questo
modo. Esistono gli uomini che ammirano le ragazze discrete ed eleganti,
non
temere…Evita, tuttavia, di stritolarti troppo nella
taciturnità! Sorridi
finemente ma non abbozzare sorrisi…appariresti identica ad
un bastone d’ottone
per tende. Uno perde il gusto di corteggiarti e approfondire la tua
conoscenza.
Ovviamente è sbagliato l’opposto. Ridere
chiocciando , inarcando troppo la
schiena per far emergere certi rilievi collinari.
Ecco…quello proprio no.
Chiacchiera sì, ma non ammorbare le orecchie con poemi
omerici sulle tue fissazioni
e dettagli …Non svelarti eccessivamente.
- La tua
morale oraziana rifulge anche in queste occasioni…il
problema è che tu sei capace di nuotare in questo lago senza
sbattere
goffamente i piedi. A me non pare naturale.
Judith avvertì le parole
adolescenziali confluire, in
un’inconsapevole simbiosi, nel racconto del marito.
- Quella sera ero più
che indisposto! –affermava enfatico - Mi
vedevo rosolare nell’intimità della rabbia!
Nessuno poteva
parlare di divertimenti e bisbocce
varie, figuriamoci dei balli!
- Beh, François –
rispose il cognato - personalmente
gradisco le piccole feste con buona musica e buona compagnia . Le danze
non mi
dispiacciono però niente mascherate!
- Confesso che non ho
mai partecipato a un ballo di carnevale organizzato dal nostro re
– sospirò Grégoire
grattandosi una guancia - poiché
per me l’imbarazzo
è molto. Mi preoccupavo sempre di architettare una
scappatoia per declinare gli
inviti.
- Ah…le mascherate
– emise
un soffio di disappunto Bénédicte - Scempiaggini di colori e
recite inconcepibili.
La sovrana di Russia, a quanto pare, si diletta nel promuovere serate
scandalose in cui gentiluomini si vestono da donne e le dame da
cavalieri. Bah!
- Contessa –
dichiarò
con coraggiosa soggezione il napoletano - non
so se sia più vergognoso per un uomo
costumato, agghindarsi da donna o da pennuto ibrido ( misto di
gallinaccio e
cinciallegra ) a causa di una scommessa perduta.
- Non mi era accaduto
qualcosa di simile, Cosimo – lo consolò
François - in compenso temevo di trovarmi
chiuso in una gabbia di uccellastri chiassosi!
Se
avesse
spalancato le fauci , il
salone da ballo
sarebbe stato abbrustolito dal suo refolo lavico.
François emetteva
nubi vesuviane dal naso, dalle orecchie, dagli occhi.
Odiava i lampadari
di cristallo.
Odiava i pavimenti
laccati di melliflue venature vegetali.
Odiava i riccioli
barocchi dei capitelli delle colonne.
Odiava i soffitti popolati
da divinità che lo deridevano.
Sarebbe stato
bello quella sera, fumigare in santa pace tra le rassicuranti mura di
casa… Cena alle otto,
lettura di un buon libro fino alle dieci e mezza e poi a letto, per
scordare i
succhi gastrici che bruciavano i malumori
della giornata.
Sventuratamente,
all’ora del vespro , Blaise ed Etienne erano piombati a Villa
de Jarjayes con
sorriso vampiresco riferendo che villa dei conti di Blanchard si
sarebbe svolta
una serata di gala .
Il sergente, già
comodamente in tenuta casalinga, aveva declinato l’invito
pronto a congedare i
molestatori a suon di pedate sul deretano. Sapeva che quel
duo di demoni lo doveva costringere al supplizio di una
festicciola
broccata e giuliva.
Dopo un duro
combattimento, il leone era uscito sconfitto e
inamidato da capo a piedi grazie alla premura della
servitù.
Ora
si trovava proprio
a palazzo di quei nobili vestito con l’alta uniforme di raso
pesante dalla giacca blu e col
giusta corpo e pantaloni bianchi. Le spalline d’oro gli
rendevano le spalle
ancora più cubiche e le mandibole contratte si armonizzavano
cuboidi e stirate.
I capelli mossi , pettinati alla bell’è meglio,
lasciavano intirizziti alcuni
pelicchi che trasportavano all’esterno
l’elettricità nervosa.
- Mio buon
François, scommetto che la tua
aurea ilare farebbe
invidia persino a Caronte.
Blaise , sorridendo,
si era affiancato all’amico facendo
un’ironica ramanzina. Anche lui
indossava la divisa di gala ma la portava con garbata disinvoltura.
Lasciava
luccicare le medaglie quasi fossero fiori dorati sbocciati in modo
spontaneo
sul suo fusto. I bei capelli rosso scuro erano ordinatamente acconciati
sulle
spalle, morbidi e spumosi di lavatura.
- Chiedo
scusa, principino sfavillante – replicò
bisbetico l’altro
sergente – se ricordo
bene, non avevo dato il consenso al mio rapimento! Potevo farne a meno
sta sera
di spettacoli zoologici!
- Arcuare la boccuccia
all’insù, non costa erculea fatica…ti
aggiri per il salone tale e quale ad uno
spettro! Tra poco la gente farà gesti di scongiuro.
- Che dovrei
combinare, Blaise?! Iniziare a lanciare boccioli
in aria saltellando e cantando?!
- Non dico
che tu debba volteggiare come un drogato bacchico,
ma almeno alleggerire l’espressione…
- Cosa
diamine dovrei alleggerire?!
- Sai, penso
che neanche un fulminante diabete t’
addolcirebbe l’acidume nelle vene.
S’intromise
tra i
due un adolescente dai capelli corvini e lunghi che sprizzava verve da
tutti i
pori, vestito da uno stravagante completo verde che disperdeva aroma di
frutti
esotici.
- Su,
fratellone! Blaise ha ragione! Hai un grugno più rugoso
dei gargoyle di Notre Dame!
François
afferrò
Etienne per il gassoso jabot candido.
- Noi non
dovevamo essere qui, caro pappagallo smeraldino!
- Oh…per
l’artrosi di Matusalemme! – sbuffò il
fratello
spintonandolo- cominci
a fare il
pentolone schiuma-querele?!
- Tu sei
fresco fresco di espulsione dal Collegio dei
Gesuiti, mentre io sospeso dal servizio militare per tre mesi!
È solo per
questo muso maculato che siamo finiti
qui!
Blaise
incrociò le
braccia sul petto: una delle poche cose che non tollerava sin da
piccolo erano
gli appellativi ironici alle sue lentiggini che lui stesso non
sopportava.
- Ehi!
– ribatté - Dovresti ringraziare che io abbia
prelibate conoscenze tra le beltà dei fiori cortigiani!
- E sai che
fiori impollinati…
- Non sono
un lenone! Semplicemente ho detto che conosco
alcune dame di compagnia della regina!
Etienne
tornò alla
riscossa assumendo una smorfia di fanciullesca buffonaggine:
- François,
ma hai diciotto o settant’anni? Ammorberesti
persino gli evangelisti, Gesù Cristo e gli arcangeli!
- Siamo de
De Jarjayes! I leoni della corona da generazioni!
- Appunto!
Siamo leoni dotati d’audacia!
Il
sergente si
mise una mano in fronte sollevando al cielo uno sguardo da martire.
- Siamo
leoni che devono avere l’audacia di non finire nel
fango davanti al re! Lui sa cos’abbiamo combinato!
- Non
dobbiamo temere le lingue biforcute dei serpenti e
delle vipere che strisciano qui! Proprio perché ce ne
infischiamo dei pensieri
degli altri! Osare, conquistare, regnare!
- Io
ti…
Blaise
trattenne
il balzo da belva di François con
l’abilità di un domatore da circo. Gli
circondò le spalle scrollandolo come un tamburello.
- Coraggio
amico , ci sono damigelle ansiose di conoscerti!
Approfittane…l’alta uniforme non giova soltanto
nell’esercito…fai brillare bene
le stellette.
- No,
grazie…non sono foraggio per giumente!
- Ecco….-
lo stuzzicò Etienne dandogli una gomitata nelle
costole - sei il solito erotofobico…
- Io rimango
coi piedi per terra a differenza di certi
farfalloni a domicilio!
- Risparmia
le scintille per le colombelle che attendono di
essere messe sulla graticola!
- Quale
intruglio mefistofelico vi frulla in testa?!
Blaise
tondeggiò
gli occhi identico ad un bimbo che chiedesse spiegazioni su un qualcosa
di
scandaloso.
- François…non
sarai per l’amore….socratico?
- Macché
amore socratico e socratico!
- Beh,
Socrate affermava “ io so di non sapere”…
- Sodomita?!
Giammai!
Etienne
diede una pacca
sulla schiena poderosa del povero sergente.
- Allora
apposto! Ho
detto di avere un marcantonio di fratello dagli splendenti occhi blu e
dallo
spirito ardente!
- Non
c’era bisogno di decantarmi…
- Ci
penserai tu, François, a dare conferma delle nostre
lodi!
- No! Resto
qua!
Blaise
lo prese
energicamente:
- Suvvia,
abbatti il tuo fortilizio e mostra la cittadella
del cuore! Non ti ha insegnato nulla l’amor cortese? Siamo
cavalier anche noi!
- Andate
cortesemente alla malora!
François
era
allergico alle feste e malauguratamente non vi era scampo a
quell’incubo
avicolo. Il cervello gli esibiva
, tramite una lente iperbolica, le specie
volatili che affollavano il salone
da ballo. Nugoli olezzanti di gallinelle razzolavano attorno al gallo
di turno
dal petto rigonfio e colorato. Vi erano poi gallinacce burrose che
speravano
ancora di attrarre poiché non accettavano di finire nel
brodo. Non mancavano
albatros incapaci di reggere ali di
sbruffonerie troppo grandi per goffe zampe. Tacchini di superbia
intellettualoide discutevano animatamente mentre piccioni dallo sguardo
di
tonda ottusità ascoltavano senza capire davvero.Dovunque
lo
sventurato posasse lo sguardo avvertiva il cicaleccio di becchi che gli
perforava le tempie.
- Finalmente
Sergente de Jarjayes…siamo molto liete di aver
l’onore della vostra presenza.
Bene: le
colombelle. Avrebbe messo in padella quei fagiani di Etienne e Blaise a
fine serata. Ora era obbligatoria una
recinzione contro i lisciamenti muliebri.
Il sergente
constatò che fossero fanciulle molto belle che trasmettevano
un’inevitabile
fascinazione.
Una, vestita di
blu cobalto, aveva
una capigliatura
corvina legata da grosse trecce e che sfavillava preziosa sulla carnagione chiara.
Era la maga Circe.
Un’altra, che ostentava un abito arancio,
possedeva un’impalcatura di riccioli ramati e un
rossetto
esasperatamente cremisi. Pareva una bambola troppo pitturata. La terza,
dallo
sguardo languido e umido, portava una grossa e attorcigliata cascata di
crini
biondo scuro che imitavano i drappeggi del vestito color crema.
Probabilmente credeva
di appartenere alla cerchia delle ninfe
di Bacco.
-
Sarebbe
stato un sincero dispiacere non
potervi conoscere di persona – riprese la Circe - Rochebrune ed Etienne ci
hanno raccontato del
vostro animo illuminato di incandescente giustizia.
- Non
provate alcun timore a difendere schiettamente i vostri
diritti e soprassedere a ridicole etichette –
pigolò la bambola rococò.
- Beh…-
rispose il giovane -io sono stato semplicemente colto
da un atto di sconveniente collera. Eh,stanchezza
mentale…non mi sarei dovuto
abbandonare ad un simile comportamento.
- Sarete
stato poco ortodosso – musicò dolciastra la ninfa
- ma non
è necessario sconfortarsi
colpevolmente. Avete dato voce a un legittimo dissenso.
Vi siete impegnando faticando corpo e spirito
perché siete determinato e onesto.
- Vi siete presentato
fiero !
– spumeggiò la cortigiana
ricciuta.
- Questo
è grazie a loro - stiracchiò un sorrisetto il
sequestrato indicando i sequestratori – mi hanno invitato e…vivacemente
esortato a venire….
- È
così che bisogna agire…- approvò Circe
- è raro trovare
un uomo della vostra tempra.
- Chi
sarà la prima dama a danzare con voi?- chiese la ninfa.
- Ecco
signore, io…devo lasciare questo privilegio ai miei
due amici…
- Come?- si
mortificò la bambolina-
Ci volete arrecare tale
dispiacere?
- La
riservatezza è
virtù ammirevole…-
supplicò la mora -ma non è delittuoso partecipare
a
istanti di giocosità.
- Sono
costernato, ma i capogiri mi stanno assillando per
mancanza d’ossigeno… vado a prendere una boccata
d’aria.
Marciando
impacciato e
guerresco, come avesse un
bombardino nell’esofago, François si diresse verso
la finestrata ad arco che volgeva
su un’immensa balconata di pietra. Prima di uscire dalla
vetrata s’inciampò sul
piccolo gradino del terrazzo.
- E’
un tantino spigoloso il nostro sergente – fece
sprezzante la ninfa.
- La
rigidezza marziale lo rattrappisce fino alla punta dei
capelli! – ridacchiò la Circe.
- Ci ha
guardate neanche fossimo mostri spaventevoli – si
mise a braccia conserte la damigella tinteggiata.
- No, care
amiche – scherzò la bruna - il
nostro giovane ufficiale è probo di mente e
di…carne! Poveretto!
- Quindi
– finse di riflettere la naiade
- non saprà descrivere il profumo di una
bella chioma o di una pelle levigata.
Tutti
risero ma
Etienne e Blaise, che avevano poi sinceramente a cuore
François , cercarono di
valorizzarlo :
- Pazientate,
fanciulle – pregò Etienne –
François
esterna la scorza
di un orso, spande il
ringhio di un lupo e
ha la pazienza di
un leone in gabbia. Dietro questa composizione chimerica di bestie da
selva , è
veramente tenero e gentile. Bisogna prenderlo per il verso giusto.
- Sì,
non è per nulla facile – continuò
l’amico – io che lo
conosco da alcuni e anni e tu che sei suo fratello, fatichiamo a
sollecitare il
meglio di lui. Abbiamo, fortunatamente, visto
questa parte brillante. E’ nascosta però
esiste. Certo alberga in una testa di piombo….
Per alcuni attimi
François
venne ricondotto al presente dalle voci di Oriane e Judith che stavano
trovando
la maniera di iniziare il nuovo brano:
- Coraggio, Oriane !
L’accompagnamento del violino mi è indispensabile
per riprendere confidenza con l’adagio…
- Ma non potrei
rivelarmi più un’interferenza rischiando di
appesantire l’apertura?
- Assolutamente no. Anzi
il tuo arpeggio si connette con l’ingresso del
pianoforte…ti sto dicendo
che seguiremo la
seconda versione de L’attraversata
di Febo !
- Penso sia
indubitabile la soluzione di Judith – insistette
Grégoire – le composizione dei
duetti le sono sempre riuscite armoniche anche se parecchie sono per
clavicembalo o piano solisti.
- Ricordo addirittura –
riesumò François - un duetto con l’arpa
e un altro con il mandolino…il primo lo
eseguì assieme a Etienne e il secondo a Damian.
- D’accordo- si decise
Oriane riprendendo in mano il violino – allora
avrò l’onore di rispolverare per
prima la vecchia storia di questa sonata!
Sorridendo
cominciò un delicato arpeggio che diventò
sempre più argentino e cadenzato…
- Fratello!
–sollecitò
Etienne uscendo dalle finestrate – animo!
Rientra!
- No
– pronunciò burbero l’altro –
mi godo questa postazione
senza cicalii e profumi che attentano lo stomaco.
- Favoloso.
Preferisci fare monologhi davanti ad una platea
di pipistrelli, gufi e barbagianni… Perché non ti
ha accolto una congrega di
becchini?
- E tu
perché non fai il saltimbanco circondato da babbuini?
Etienne
lo ghermì
per un braccio costringendolo a una piroetta destabilizzante.
- Toglimi di
dosso le tue zampe da scimmia! – vociò il
guerriero.
- Piantala,
cervello di muflone! Tra poco si esibisce il
primo pianista! Tu ami i concerti!
- Sì,
ma non all’interno delle aie!
L’ adolescente
ormai l’aveva ricondotto nel salone pungolandolo in avanti. Blaise e le tre
Esperidi cercavano di trovare una buona posizione per vedere meglio
l’orchestra.
- Oh ,
finalmente! – ridacchiò piano
l’ufficiale – il nostro
borbottone ramingo è tornato in società!
- L’ho
dovuto rimorchiare di peso! – sottolineò Etienne
– se
no si sarebbe mimetizzato con la boscaglia notturna.
- Giuro
…- ringhiò François – giuro
che dopo il concerto giro
i tacchi e filo a casa!
- E smettila
di fiatare,trombone! – rimbrottò Blaise
– lascia
che gli archi e il pianoforte accordino la loro musica...
Il sergente si
aggiustò nervosamente il colletto della giacca,
scrollò via dalle maniche un’invisibile polvere
batterica e si scostò in
malo modo dalla fronte un ciuffo impertinente. Alcuni signori di mezza
età scambiarono, a bassa voce , qualche
commento altezzoso e sarcastico che
lui captò con gli orecchi propensi prudentemente sempre al
male. Lanciò
un’occhiataccia a quei paperi sputasentenze con
l’intenzione di rendere pan per
focaccia però fu prontamente dissuaso dalla musica.
Le note lo trasportarono
con tranquilla e gaia gentilezza verso l’orchestra.
Judith
s’inserì dolcemente tra le insenature del violino,
assumendo
connotati sempre più freschi…Le dita si muovevano
a tal punto svelte ed eteree
che non sembrava toccassero i tasti…
Il generale la rivide,
sovrappose l’immagine
dell’adolescente che da nebbiosa mutò in
splendente materia…
Notò, a mano a
mano che la sinfonia ascendeva, lo squillante e delicato rumore di
passi del
piano forte che s’innalzava impetuoso al di sopra degli
archi. Sembrava imitare
i balzi pieni di spuma di un delfino che rompeva in alto e in basso le
onde…o
un carro…Sì…un galoppo, un ritmo di
zoccoli celesti che trainava la biga di un
dio. Poteva afferrare la luce solare perché ogni nota acuta,
ogni nota grave componeva
i differenti raggi della chioma di Apollo. Così
incontenibili eppure
leggerissimi…
Dalla prospettiva
in cui si trovava, non riusciva a intravedere bene
l’artista…Scorgeva solo una
matassa di capelli mossi. Avanzò tra gli spettatori e ne
contemplò finalmente
l’aspetto: una fanciulla.
Sorprendente…
Dall’elegante
energia delle mani poteva essere scambiata per un giovane uomo. Il
sergente
restò intinto in una piacevole confusione.
Considerò che fosse piuttosto magra:
il gioco delle luci tracciava lievi ombreggiature sotto le clavicole
mentre gli
avambracci , dai polsi piccoli, contrastavano con le
rotondità dei merletti
delle maniche. Il vestito andrienne, fine e ricamato, lasciava cadere
dalle
spalle sottili un tenue manto e il corpetto restituiva al busto un
diametro così
affusolato che il piccolo seno pareva quasi inesistente.
François si chiese se
quella ragazza digiunasse giornalmente o
fosse un angioletto pronto a frantumarsi da un momento
all’altro. In che
modo riusciva quel collo pallido e longilineo a sorreggere
l’acconciatura
dei boccoli? Doveva
ammettere che
comunque il fermaglio bianco a forma di rosa la rendeva proprio
graziosa…un po’
evanescente ma carina. Il viso era un disegno luminoso: composto ma
trascinato
dall’amplesso del ritmo. Il naso e la bocca facevano
volteggiare sulla pelle i
chicchi di luce dei lampadari dando l’idea di lacrime
incostanti e mute.
Al termine del
pezzo, tutti applaudirono colpiti. La fanciulla si alzò
incoraggiata dai
padroni di casa e s’inchinò un po’
intimidita. La sua figura apparve ancora più
sottile e bambinesca nonostante non fosse esattamente di piccola
statura.L’ufficiale
aveva applaudito
serio in volto ed enormemente
convinto. Era in grado ancora di vedere le note sfarfallare
nell’aria simili a
fiori di pesco.
- Accidenti
! – riconobbe Etienne – allora è vero,
Blaise,
quello che si dice su di lei. Pensavo si
trattasse di un musicista bravo sì, ma sopravvalutato.
Insomma una bravura
comune e invece…
- Secondo
ciò che ho sentito
– seguitò l’altro
– non sarebbe dovuta venire alla festa. È stata
una
sorpresa questa esibizione conoscendo il suo carattere.
- Sì
– rispose la Circe con arietta di sufficienza – a
Versailles l’avremmo vista pochissime volte passeggiare nei
giardini o giocare
le domeniche. Esiste il sospetto che sia una sorta di
fantasma…
- Sì
– sostenne la bambola laccata – magari possiede
l’abilità di murarsi viva. Ma in quale maniera
crede di poter vivere a corte
quell’uccelletto che compare e scompare?
Incuriosito ,
François chiese:
- Chi
è la fanciulla? Conosciamo la sua famiglia, Etienne?
-
È una delle figlie dei
Conti de la Seigne. Si chiama Judith
Emile Marguerite. Appartiene alle damigelle di compagnia della nostra
regina.
Non ho mai avuto modo di parlarle direttamente visto che è
parecchio riservata
e taciturna. In compenso mi è capitato di incontrare il
padre, il precettore
reale Grégoire Isaie. Una persona garbata, brillante e
nobile come se ne
trovano poche.
- La figlia
maggiore, Oriane – continuò Blaise –
è lì. È
quella giovane coi capelli scuri vestita
di celeste. Oltre che un autentico splendore , è amabilissima ,sagace e ci
sta davvero stare
con le persone. La piccola Judith non sembra trovarsi a proprio agio.
Eppure , grazie
al talento e all’ eleganza, sorgerebbe ancora più
squisita. Certo, è
notevolmente…snella.
- Snella?
–ironizzò la Ninfa – è
talmente mingherlina che un
alito di vento invernale se la trascinerebbe via!
- È
una fanciulla affascinante – controbatté Etienne
– è proporzionata,
possiede un bellissimo viso e sa suonare divinamente! La regina si
circonda di
persone che valgono! Ha composto un brano che ha i toni
dell’improvvisazione e
al contempo un calcolo spontaneo ma senza arzigogoli
didattici.
- Concordo
– rinforzò Blaise – non aveva proprio
nulla da
invidiare agli altri musicisti più grandi di lei. Ha tenuto
testa a tutti. E’
emersa genuinamente.
François
ascoltava
ammutolito e nello stesso tempo non perdeva di vista Judith che stava
parlando
con la sorella…La scrutava ,la testa di vuota
levità, tranquillo e interessato. Il
cuore non gli palpitava violentemente ma restava a monitorare
scrupolosamente i
suoi movimenti …Da un lato avvertiva una strana soggezione
che lo costringeva a
rintanarsi nella propria conchiglia spigolosa, dall’altra un
fuocherello gli
bisbigliava di trovare un po’ d’audacia e farsi
avanti.
Chiedere di
danzare…Un gesto semplice ma troppo galante per un ritroso
per nulla avvezzo a
quei rituali. Per non parlare di lei che sembrava stesse escogitando un
modo
per volare via oltre le finestrate del salone.
Un’accoppiata comica
un ragazzo e una ragazza con
lo stelo
rivolto al suolo identici a graminacee
sbattute
dalle correnti.
- Fratello
– sghignazzò Etienne – stai imparando a
tendere
gli occhi come una canna da pesca?
- Effettivamente
– rise volpone Blaise – è da un
po’ che stai
stralunato a fissare madamigella Judith…
- Vi
piacciono le fatine rarefatte, sergente ? – chiese la
Ninfa scatenando i risolini delle altre amiche.
- Io…io…stavo
of…- s’impappinò infastidito il giovane
– uff!
volevo soltanto sapere con quale repertorio si esibirà
l’orchestra….
- Certo,
certo – lo burlò il fratello minore –
sei curioso di
vedere quant’è bella la pianista da vicino.
- Io non
sono un calabrone ronzante!
- D’accordo,
vecchio mio – lo stuzzicò l’altro
ufficiale –
resta appeso alla noia uguale ad una caciotta ammuffita.
Punto
dall’arpione
dell'irritazione e dell’orgoglio, François
abbandonò il gruppo intenzionato a
chiedere un ballo a damigella de la Seigne. Si scontrò in
malo modo con dei
gentiluomini senza chiedere scusa : in quel momento tutti erano
pericolosi rivali che potevano mandare a monte la missione. Nel momento in cui
oltrepassò il gruppo dei musicisti ,,la ragione lo
irrigidì peggio di prima.
Sentendosi ridicolo,
s’inibì e camminò cautamente fingendo
disinteresse e mostrandosi il doppio più
ridicolo. Judith,
infatti,
lo stava esaminando profondamente
imbarazzata.
- Oriane
– chiamò piano – stai vedendo quel
comandante?
- Sì…-
sorrise spiritosa– è il sergente
François Augustin de
Jarjayes.
- Ricordo,
cielo! La famiglia de Jarjayes! E’ il militare sospeso
dall’esercito?
- Esatto!
– rise alla fine l’altra ragazza coprendosi
la bocca – è quello che ha steso
con un pugno sul muso il nipote del cardinale Fournier! È un temibile atleta,
sai?
- Che
faccio? Sembra che abbia intenzione di invitarmi a
ballare...si sta spostando nella mia direzione.
- Beh…considera
il lato positivo: è alquanto bello, alto,
imponente …mica un esemplare scalcagnato come quelli con cui
ballasti gli
scorsi anni.
- Emh…sì…non
gli manca nulla ma…m’inquieta un tantino.
È strano.
- Ti do
ragione: agilità e morbidezza da bufalo delle
praterie. Felino da salotto: zero . Però, secondo me, non
è realmente un mostro
mangia faccia. Ha soltanto i piedi di latta e la schiena calcarea.
Forse se
ammirasse più da vicino le tue lunghe ciglia si
scioglierebbe fin dentro i
tendini.
- Oriane!
– esclamò sottovoce l’altra ricolma di
panico - Non
t’accorgi del suo viso? Sa di cenere e
granate! Se gli pesto uno stivale mi folgora mostrando
i denti!
- Esagerata!
Si tratta di concedergli un minuetto. Un ballo!
Nessuno ti sta ordinando di sposarlo!
François
intuì da
lontano che Judith si era resa conto della sua presenza, del suo
deambulare
inquieto e maldestro. In quei terribili minuti si fecero largo le
paranoie più
disparate: sembrava patetico? Un soggetto tanto impacciato da dar
l’idea di uno
tardo mentalmente? Oppure era stato scambiato per uno dai malsani
appetiti che
attendeva il momento propizio di toccare un’esponente del
gentil sesso?
Il disgraziato
moriva di vergogna e gli sovvennero le disavventure dei primi amori di
ragazzino: si era infatuato timidamente di donzelle fini ma dagli animi
poco
garbati. A tredici anni venne respinto da una duchessina col nasetto
spocchioso
troppo sensibile agli odori del prossimo; a sedici anni era stato preso
perfidamente in giro da una baronessa che prima lo aveva illuso e poi
trattato
alla stregua di un ebete.
D’accordo, non si
definiva innamorato, ma sentiva che si
sarebbe avvilito se Judith lo avesse preso moralmente a schiaffi
tenendo fermo
il dolcissimo volto…Quasi nessuno
sapeva di quella sensibilità aggressivamente taciuta,
diffidente un po’ verso
tutti e verso le donne...Quel timore che
qualcuno potesse giudicare male o beffare la sua andatura...Nel petto
brulicavano miriadi di fiamme insopportabili che gli alitavano
pesantemente lo
sguardo della gente…
Tuttavia il troppo
era troppo , giunto sul trampolino doveva tuffarsi una volta per tutte!
Al
diavolo il pubblico!
Riprese
la camminata, veemente e selvatico… riprese
avvicinandosi a
Judith. Lei lo vide
fermarsi davanti, sollevando il mento con contegno severo. Pareva
dovesse
presentare le armi ad un capitano di pattuglia piuttosto che rivolgersi
ad una
donzella. Nonostante il brusco approccio cercò comunque di
ammorbidirsi
arretrando leggermente il
passo e
inchinandosi. Porgendo
, lento e
delicato, la mano destra chiese :
- Madamigella
de la Seigne, concedete a me, sergente de
Jarjayes, l’onore di questo ballo?
Ottimo. Dritto al
punto senza formule di cortesia. Gran prova di galantuomo.
François pensò che
, dopo il rifiuto di Judith , avrebbe chiamato una carrozza per tornare
a casa
lontano dal pericolo di ulteriori figure barbine.
- Sì,
sergente – rispose inaspettatamente la fanciulla
trasmettendo rossore
e gentilezza – avrò
il piacere di essere la vostra dama per il prossimo minuetto.
Il giovane,
avvampato in tutto il viso , si eresse rigidamente e
balbettò un tenero
ringraziamento facendo scivolare sulla fronte i soliti ciuffi indomiti.
Lei sorrise ,
prima guardandolo negli occhi trepidamente e poi abbassando lo sguardo,
cercando di aggiustare inesistenti pieghe fuori
posto nei drappi
della gonna. Si domandava agitata se avesse fatto bene a concedere quel
ballo
oppure se si fosse cacciata in una situazione terribilmente scomoda.
Lanciò una
rapida occhiata di aiuto a Oriane che invece
strizzò sorniona l’occhio.
L’orchestra si
concesse una breve pausa per suonare il
passo del minuetto.
Il dado era stato
tratto.
François si
mise
alla destra di lei prendendole la mano. Avvertiva strana
felicità e al contempo
angoscia: le sottili dita della sua danzatrice erano leggere e precarie
uguali
alle zampe di una farfalla aggrappata alla corolla di un fiore.
Trasmettevano
morbidezza e il freddo della tensione.
Dal canto suo
Judith percepiva disagio ma si mostrava incuriosita
dalla mano grande e un po’ ruvida
del cavaliere. Ripensò fosse bizzarro
che con quella avesse tirato
un pugno e con quella la guidava verso il centro del salotto con
impacciata
dolcezza temendo di recarle male.
I padroni
di casa
guardarono interessati la novella coppia di ballerini ,scambiandosi
parole di
ammirazione : finalmente i giovani più schivi della festa
avevano deciso di
prendere parte alle danze. Non scarseggiavano i nobili che canzonavano
quella
coppia di asociali dicendo che “ Dio li fa, poi li
accoppia” oppure
giudicandoli bambinetti dilettanti.
Etienne e Blaise
ridevano sottovoce: François era buffissimo
impettito come un Lancillotto
d’altri tempi ma soprattutto si congratularono tra
loro per aver
strappato dalla tana il lupo della tundra.
Le coppie di
danzatori si disposero in due ordinate file parallele e intanto
flauti e clarinetti presero ad aleggiare una
sinfonia volitiva e vivace assieme ai violini.
François e Judith
si misero l’uno di fronte all’altra guardandosi
preoccupati: non era un vellutato e semplice
minuetto classico bensì un minuetto rondò
italiano.
Il rischio di gaffe era
assicurato specialmente in un ritmo abbastanza dinamico.
Il ragazzo,
evitando di pensare alle disastrose lezioni di ballo
preadolescenziali ,cominciò:
s’inchinò in maniera neanche maldestra,
sufficientemente elegante.
Judith , rincuorata dal gesto, s’inchinò
rispondendo delicata ma attenta a non sembrare legnosa.
I due si afferrarono
per mano avvicinandosi e allontanandosi seguendo le battiture della
musica.
Ruotarono un po’ distogliendo gli occhi e un po’
guardandosi cercando di tenere
ben viva la concentrazione.
Da prassi,
la fanciulla s’interruppe flettendo leggermente il busto
mentre il sergente le
girò intorno : le ammirò velocemente la chioma e
il mantello che donava un’ aurea da lucente
vestale.
Quando toccò a lei
volteggiare attorno a lui , si concesse il tempo di studiare la sua
postura e
la sua schiena: Oriane aveva ragione. Era indubbiamente un giovane
plasmato
proprio bene munito di gambe slanciate e forti e spalle vigorose.
I due si presero
nuovamente per mano passeggiando fianco a fianco e dopo si voltarono
avanzando
nel senso opposto. Dovettero al fine disporsi ancora una volta
l’una di fronte
all’altro ma leggermente in diagonale
facendo una mossa piuttosto giocosa: la ragazza si dovette flettere
all’indietro mentre lui di fianco piegando lievemente il
ginocchio.
Le loro
espressioni assunsero un’aria così infantile e
comica che scattò il bagliore di un piccolo riso.
Naturale. Furtivo.
Ripeterono
le
stesse movenze di prima più disinvolti e semplici .
Nonostante i caratteri
introversi , non riuscirono sta volta a fissare altrove.
Trionfò un interesse
mai provato prima: François si sentì accolto
dall’ amabilità del viso di Judith
e Judith si accorse che il viso di François non stava
trasmettendo neppure
lontanamente lampi scorbutici. Quelle iridi blu riverberavano di una
tonalità
robusta ricalcata dalle folte sopracciglia
eppure osservavano
deferenti senza
osare sovrapporsi prepotentemente.
Al termine del
ballo , il giovane si scusò aggiustandosi le ciocche
impertinenti con tenue
imbarazzo:
- Perdonatemi
, madamigella de La Seigne…ahimè ho cercato di
danzare decentemente.
- Oh, non vi
preoccupate – sorrise lei - avete eseguito i
passi con molta finezza. Siete stato proprio abile.
- Io…sono
lieto che la pensiate così. Mi auguro di non avervi
messa a disagio.
- Ecco…no.
Lei calò il
volto
mettendosi apposto i merletti delle maniche: meglio cercare di
affondare il
rossoretra la selva dei
ricami. Lui ,
temendo
sempre di non essere all’altezza della “
politesse” , sfoderò l’arma
dell'autocritica:
- Non
rappresento il fior fiore della cavalleria…nonostante
appartenga ad essa. Me ne rendo conto.
- A essere
sinceri…- riprese coraggio Judith - mi ha lasciato
perplessa il fatto che mi abbiate chiesto di
ballare.
Sorridendo
, un
po’ punzecchiato dalla vergogna , il giovane si
toccò un attimo il colletto
della giacca e ammise:
- Non
frequento spesso la corte…e sono alquanto profano in
materia di salotti. Sì, effettivamente, è
eccezionale che un rozzo prenda
l’iniziativa di uscire dalla propria catalessi.
- Beh se
è per questo , neppure io ballo tanto.
- Io vi ho
trovata agile e assai raffinata.
- Grazie. Ma
non gradisco stare per molto tempo al centro
della scena…dopo che ho concluso un’esibizione
devo tornare al sicuro nel mio
nido…mi sento al pari di quegli uccellini che rientrano nel
loro tronco
d’albero.
Il
sergente lanciò
un’occhiata colma di accorata e sincera lode:
- È
improbabile madamigella che voi possiate nascondervi per
bene se offrite musica bellissima.
La
ragazza si
zittì sorpresa da una piacevole letizia. Chiese posando le
dita sulle labbra
quasi avesse paura di rivolgersi sfrontata:
- Vi…vi
è piaciuto il mio brano?
- Tanto.
Avrei terribili sensi di colpa se non vi avessi
domandato di danzare…Sono stato immobile e rintronato
durante l’esecuzione del
vostro pezzo.
- Mi
riempite di gioia,
sergente. È una composizione personale a cui
stavo lavorando da
parecchio tempo.
- Adoperate
i virtuosismi barocchi ma non eccessivamente…-
commentò serio il ragazzo - nel vostro stile
c’è anche la ponderazione dei
nostri melodrammi francesi. Siete una compositrice irregolare.
Judith
si
accorgeva che il viso di François prendeva una fisionomia
più tersa e dolce . Parlava
e effigiava sorrisi: gli
s’intravedeva una
bella dentatura genuina che invitava sicuri confronti e confidenze.
Stranamente
lei non si
mostrò reticente a
raccontarsi:
- Quando
frequentavo il convento, le badesse rimproveravano che
mi avvalessi di contrappunti insoliti e a momenti disarmonici, quando
invece
sono stata introdotta a corte, le persone lamentavano
un’eccessiva rigidezza.
Così ho deciso di conciliare , in questi ultimi due anni,
una linea classicista
e una barocca. Trascorro più ore nel mio appartamento a
studiare musica che a
stare con le altre dame. La regina, tuttavia, s’interessa
molto di me e incentiva
la mia attività.
- Beh, sul
modo equilibrato di gestire le note mi ricordate
André Campra . Ho assistito alla rappresentazione di alcune
tragedie al teatro
dell'Opera.
- Oh!
Infatti! È uno dei miei punti di riferimento! È
stato
maestro di cappella a Notre Dame più di trent’anni
fa ! Le sue musiche sacre mi
hanno dato modo di riflettere su alcuni miei esperimenti un po’ troppo
pomposi. Però le
composizioni di
Charpentier restano
insuperabili per le sue dissonanze e cromatismi che modulano silenzi
per rimanere
comunque rigorosi. E
dire che è stato
ingiustamente criticato per quest’efficaci sperimentazioni.
- Stando in
tema di contrappunti gotici, immagino che abbiate
ben presente Johann Sebastian Bach e Georg Friedrich Handel.
- Sarebbe un
oltraggio non conoscerli! Il difetto di noi
francesi è che abbiamo timore di accogliere influenze
esterne che ci sarebbero
utili per far evolvere il nostro stile e dotarlo di maggiore
flessibilità. Non
amo i barocchismi estremi ma la classicità può
essere sempre interpretare in
chiave innovativa. Noto con piacere che ve ne intendete di
musica…persino
autori stranieri. Suonate qualche strumento?
François
rise un
po’ costernato. Sperava di non deludere quella fanciulla che
gli stava piacendo
sempre più.
- Purtroppo
no…Ho avuto un’educazione più che altro
militare
anche se la mia famiglia non disdegna per nulla l’opera sacra
e profana. Mio
padre e mio fratello maggiore Philippe sono più legati alle
liturgie mentre il
più piccolo Etienne è più
intraprendente e compone ogni tipo di brano. Sa
suonare benissimo l’arpa ma se la cava anche con il
clavicembalo. Io…mi reputo
un ascoltatore interessato. Se non fossi stato costretto alla carriera
dell’esercito
mi sarei gettato su un percorso letterario e musicale…
Quando stavo a Berlino e
a Napoli per dei corsi di formazione , approfittavo delle sere libere
per
andare ad ascoltare concerti , drammi o commedie.
- Avete
avuto modo di vedere il San Carlo? È stato inaugurato
tre anni fa…
-
Ho avuto questa fortuna, madamigella e
non sapete con quale
fatica sono riuscito a entrare…ammetto che ero diffidente
verso la musica
italiana e in parte mi sono dovuto ricredere…certo alcune
cose mi lasciano
ancora perplesso specialmente riguardo a talune scelte di
cantanti…uomini in
ruoli femminili!
- Emh…i
giovani che fanno concorrenza alle soprano?
- Naturalmente
madamigella!- criticò fervente l’ufficiale - Scusate
la cruda schiettezza! Non riesco a capacitarmi che un
castrato possa
essere paragonato allo stesso livello
di
una donna . Saranno abilissimi, ma ho la fastidiosa sensazione di
ascoltare il
canto di un cappone!
Si
misero a ridere
di gusto in tutta vivacità e continuarono a chiacchierare a
lungo. Si
concedevano qualche ballo e poi tornavano a parlare, raccontare, ridere
o
lamentarsi di situazioni scomode per entrambi. Si stava ormai
instaurando
quell’empatia serena degli amici che si conoscono da
tempo…i due ragazzi, che
all’inizio scalciavano dall’impazienza di
andarsene dalla festa , conversarono fino alle tre di
notte…Giunta l’ora si
salutarono promettendo d’incontrarsi qualche mattina a
Versailles o le
domeniche a messa o in qualche altra occasione. Nel cuore albergava la
leggerezza frizzante di chi abbia ricevuto acqua rinvigorente.
***§***
Oriane
aggiustò premurosamente le coperte al piccolo Samuele che
era crollato dal
sonno dopo aver giocato nel salone fino quasi alle undici. Di solito
andava a
dormire verso le nove e mezzo massimo dieci in punto ma in quella
serata gli
avevano concesso maggiore spazio di scorrazzate.
Tra gli interstizi delle ombreggiature calde
e dorate delle candele, si scandiva il ritmo di una ninna nanna
silenziosa.
Quella cameretta , dalle pareti arancioni costellate di disegni di
bacche, comunicava
direttamente con la stanza
matrimoniale dei genitori. Un tempo era stata uno studiolo connesso ad
una
piccola biblioteca che aveva cambiato la sua originaria funzione in
seguito ad
un’esigenza logistica di ampliare e trasferire gli scaffali
dei libri .
- Mi
stava quasi per cadere – sussurrò scherzosa Oriane
–
è sempre un’impresa svestirlo e mettergli il
camiciotto da notte!
La sorella sorrise
mentre ripiegava i vestiti del bambino per posarli su una seggiola di
legno.
- Ha
corso avanti e indietro – disse piano – con tutta
l’energia che ha
bruciato per poco non
si addormentava in piedi…
- Come
il suo cavalluccio Pigna.
La madre levò il giocattolo dal tappeto ai piedi del letto ,
dov’era stato depositato
senza ceppi, per posarlo su una piccola scrivania di fronte.
Tornò dal
figlioletto per dispensargli un’altra dose di carezze
delicate e dargli un
bacetto sulle guance ravviando i capelli rossi.
Judith
s’incantò in quei brevi minuti avvertendo una
sorta di tenerezza ammirata che
sfumò nel dolore più recondito: dapprima
pensò al grande amore di Oriane e
Cosimo verso il bambino, che nonostante non avesse alcun legame
biologico con
loro, era diventato sangue delle carni e
dell'anima…successivamente vide sé
stessa e François orbi
di un figlio…vide
sé stessa, nella villa de Jarjayes, aprire l’ex
cameretta delle sue bimbe
completamente bianca ,disadorna e
vuota. Era un sepolcro derubato da ogni
gioiello. Era la conca che lei aveva
fatto spogliare da ogni ricordo di teneri e morti sospiri.
- Judith
…- la scosse Oriane intuendo il turbamento nei
suoi occhi azzurri – stai bene? Sei un po’
pallida…
- No,
tranquilla …è una tua impressione,
cara…Pensavo che
il piccino abbia la fortuna di avere genitori come te e Cosimo.
Mentre uscivano
felpate dalla cameretta per entrare nella stanza matrimoniale , la
sorella
maggiore sorrise …
Aveva
un’espressione seria piena di una soddisfazione che sgorgava
dal cuore. Una
convinzione di avanzare sicura.
- Io
– prese a raccontare a voce bassa – non mi
aspettavo
tutto questo Judith. Insomma, ricordi? Da ragazza ero presa e
trascinata dalle
fiamme del mio amante Franz…d’accordo, i bambini
mi sono sempre piaciuti però
all’epoca esisteva quell’amore che non dava tregua
ai pensieri. Era vita per
me, vita che sentivo sferzare…vita che poi mi ha reso in
parte cieca. Sia
chiaro, ho vissuto senza rimorsi : ho amato e non ho commesso alcun
delitto ma ero
stata sprovveduta su alcune cose. Franz si rivelò inabile a
sorreggere ,
comprendere e accompagnare veramente.
Non ero stata ricambiata fin nel midollo puro.
- Ricordo
…- soggiunse Judith - che
Cosimo , già prima del termine di quel
rapporto , s’interessò a te …Era da
tempo un nostro amico di famiglia. Mai
stato indiscreto, invadente…temeva di causare disagio per
una qualsiasi
piccolezza. Qualche volta domandava o a papà o a me come
stavi, ti sentivi…
- Cosimo
mi era simpatico però non avvertivo la benché
minima attrazione nei suoi confronti. C’erano volte che,
senza una ragione
precisa, non lo potevo vedere. Specialmente il periodo in cui
m’infuriavo ad ogni
minima sciocchezza. Lo captavo ( poveretto) alla maniera di una
presenza
molesta, spilungona , l’antitesi della fascinazione.
- Lui
ti ha adorato invece sotto ogni sfaccettatura…anche
quando avevi un diavolo per capello!
-
Già…solo
qualche tempo dopo mi sono resa conto che
esiste un altro sentimento, una maturazione inaspettata ,incredibile.
Sai bene
che me ne sarei scappata di casa piuttosto che accettare un matrimonio
combinato e rendere felice nostra madre…eppure
…fu assurdo. Cosimo, con tutte
le malelingue che mi davano della sgualdrina, se ne
infischiò e mi disse che
non gli importava, che anche lui aveva vissuto un lungo rapporto con
un’altra
donna conclusosi male.
- Si
è rivisto in te Oriane, privo d’ipocrisia e pieno di grande spirito. Lui
desiderava
scrivere un altro capitolo…il più importante
della sua esistenza.
- Vero…alla
fine , quando avanzò la proposta, non
mi tirai indietro. Risposi “sì” ricolma
di
confusione, dubbi…non sapevo più che forma
possedessero i miei sentimenti…
Grazie al Cielo ebbi la prova più che tangibile di una
benedizione. Certo, fu molto
diverso dalla passione per Franz ma non meno intenso, no.
Ecco…io…durante la
prima notte di nozze…non me la sentii di concedermi. Lo
confessai mortificata.
Mai avvertito un’insicurezza del genere. Cosimo mi
tranquillizzò esprimendo che
potevamo condividere lo stesso letto e
che mai avrebbe osato fare qualcosa contro la mia
volontà. Per quasi due
settimane non accadde nulla ma io mi ero iniziata ad abituare al sibilo
del suo
respiro, al modo in cui si girava nel letto senza ansia o movimenti
bruschi,
l’odore pulito delle sue camice e dei capelli. Mi accorsi che
ogni cosa dettava
tranquillità, una tranquillità che non era noia
ma equilibrio
sorprendente. Notai che il suo
volto è bello a suo modo, metà giovane
metà maturo. Tutta la sua altezza è
bella , pure quegli arti lunghi che all’inizio trovavo
ridicoli. Fare l’amore
con lui mi venne spontaneo perché sapevo che c’era
una dolcezza mai conosciuta
prima.
- Senza
Cosimo non ci sarebbe stato Samuele, la vostra
famiglia…il vostro tutto.
- Cosimo
è autentico. È il marito che non riuscivo a
immaginare. Mi ha dato sempre l’onestà ,
l’ottimismo nei momenti in cui i bimbi
non arrivavano, la devozione pura. Ha costruito il nostro nido. Mi ha
ricostruita da capo . Non esito a diventare una furia e una
sconsiderata se qualcuno
gli manca di rispetto o lo insulta. Possa schiacciarmi un albero se
divento
folle da causargli male.
La sorella
minore annuì ridendo ma tornò ad assumere
quell’espressione di mitezza
fittizia, l’inquietudine che la sera tornava a palesarsi a
fior di pelle,
nonostante la soavità del volto.
- Ne
abbiamo parlato…- incitò l’altra
stringendola per le
braccia - non farti trascinare dalla disperazione, dalla tristezza
orribile che
rende infecondo ogni terreno. Pensa al qui , all’ora per il
domani. Pensa a stare
con François…torna a vedere la
felicità senza inquadramenti razionali. Siate tu
e lui . Basta. Una nuova creatura
non
può comporsi senza una connessione veritiera .
Le due donne si congedarono abbracciandosi. Judith lasciò la
stanza
sorridendo a Oriane nel fascio tiepido di luce che sbucava dalla porta
semi
aperta. Prendendo la candela , lasciata su un mobile del corridoio ,
s’incamminò silenziosa verso la camera sua e del
marito. L’alone della
fiammella, carezza docile , fece ripiombare nel sonno blu nero quadri e suppellettili.
***§***
Avvolto
in
un pesante mantello di lana, François odorava
l’aria della prima notte. Dopo
essersi intrattenuto con il suocero e il cognato, si era concesso una
sana
sferzata di aurea invernale. Nel giardino della villa, distante dal
gazebo in
marmo, guardava il cielo completamente scuro. Le stelle parevano
cancellate da
una polvere grigio nera, compatta e stranamente leggera. Il freddo
toccava ogni
cosa ma non possedeva quell’umidità appuntita che
s’infiltrava tra le ossa
della faccia. C’era un
clima di stallo…
L’uomo in parte si dispiacque di non vedere gli astri
notturni e la luna,
dall’altra parte provò bizzarro sollievo: guardare
magneticamente il cielo
stellato , fin da bambino, gli creava una meraviglia angosciosa e
terrificante.
Tutta quell’immensità brillante lo faceva sentire
smarrito in una trappola
infinita dove non esistevano un centro , né mappe. Le
costellazioni erano
disegni illusori. Se si annullava il circuito della fantasia
diventavano tanti
punti inspiegabili, una gelida folla immobile e grandiosa.
- Tempo
di neve – giudicò Grégoire raggiungendo
il genero
- Già nel pomeriggio erano comparse strane nubi.
- Dite
che verrà a nevicare e non a piovere?
- Sicuro.
Il terreno è particolarmente freddo ma negli
strati intermedi dell’aria la temperatura è più calda.
Percepite la secchezza?
François
espirò incuriosito guardando il rivolo pallido del
suo fiato che si
dissolveva nel vuoto.
- E’
vero…io che son stato in Louisiana ho imparato a
conoscere bene l’umidità…Non
c’è quella fastidiosa sensazione
di bagnato pregnante…
- Esatto.
Per nevicare è necessaria una situazione di
stabilità , una sorta di armonia chimico fisica.
Il generale
sorrise non potendo dargli torto. Quell’uomo , protetto da un
rassicurante
soprabito spesso, era l’immagine stessa
dell’armonia. Fosse stato facile e
spontaneo diventare lui! Un maestro come lui, un padre come
lui…
- Curiosi
i fiocchi di neve. A occhio sprovvisto sono
perfettamente identici l’uno con l’altro ma se li
osservate cadono per terra
con ritmi differenti …derivano da una medesima composizione
ma si evolvono
mostrando peculiarità.
- Un
po’ come si sa dove si nasce e non si sa né dove
nè
come si muore .
Grégoire
rise piano accompagnato da una greve consapevolezza:
- Basta
che pensate a Oriane e Judith nate da me e
Bénédicte…sono cresciute in uno stesso
ambiente ma hanno mostrato modi
diseguali di addentrarsi nella vita…
François
spostò lo sguardo verso la finestra della sua
camera intravedendo la
sagoma
della moglie chiudere le tende lasciando un sipario schiarito
debolmente dalle
candele. Sapeva che in quel momento non esisteva
tensione nondimeno
fu un gesto che istintivamente lo
impensierì.
- Anche
all’interno di una stessa casa – aggiunse
aggrottando la fronte – anche all’interno di una stessa circostanza si
matura in modi
diversi che alcune volte spiazzano, causano tempeste e poi
silenzi…Oppure tutto
è già in potere nella mente e nello spirito e si
palesa bruscamente a fasi…
L’uomo più
anziano intuì l’allusione che riassumeva attimi
dolorosi di vita condivisa.
Fissò anche lui verso la finestra della figlia.
Restò tranquillo alla visione
delle piccole luci che filtravano dai tendaggi. Tornò a
esaminare il cielo e
poi si rivolse al generale:
- Sono
felice che voi abbiate fatto ritorno. Judith si è
di nuovo illuminata…Vi confesso che, purtroppo, mia moglie
ha il triste vizio
di far gravare sulle nostre figlie ansie e aspettative. È
preoccupata per la
faccenda di un secondo nipotino…ma io le ho suggerito
caldamente di non
intromettersi nell’attesa…se gli eventi devono
evolvere lo fanno nella legge
dell’armonia…
I primi
lontani e intrepidi cristalli di neve presero a caracollare senza
fremiti né fretta…
- Vedete?
– indicò il suocero - Ecco che iniziano a
sorgere lentamente, uno per volta perché le nubi si sono
aggregate
spontaneamente…
L’ufficiale
sorrise volgendo l’attenzione alla seconda porta
d’ingresso della villa , la
luminosa sagoma dei vetri che stava inchinata sul prato.
- Avete
ragione, Grégoire… Vi auguro una serena notte.
- Buona
notte, generale. Abbiate veramente tutto il tempo
per riprendervi.
Prima di rientrare ,
François si fermò un breve attimo per
salutare il padrone di casa.
Si inoltrò poi nelle sale dormienti marchiate dalle
bolle luminescenti emanate dai candelabri. Prese uno di questi per
salire le
scale che conducevano al piano superiore. Attraversò il
lungo corridoio per
raggiungere la stanza. Una volta dietro la porta blu bussò
piano, sentì “
l’avanti “ di Judith ed entrò. La
trovò in camicia da notte seduta alla
toeletta. Davanti allo specchio era intenta
a sistemarsi i lunghi capelli disciolti dalla crocchia.
Lui sorrise
togliendosi il mantello infreddolito e posandolo su una sedia. Fece lo
stesso
con la marsina mettendola sul letto.
- Scusami
- disse avvicinandosi– stavo parlando con tuo
padre...ti ho fatto aspettare molto?
Lei ricambiò il
sorriso vedendo , tramite il riflesso dello
specchio, il marito che le posava le mani sulle spalle.
- Non è trascorso tanto
tempo – rispose - mi
sono comodamente messa
in camicia e liberata dai fermagli…
- Eri così la prima
notte di nozze – rammentò François
– la prima volta che ammiravo i tuoi capelli
sciolti e che ti conoscevo coperta da una semplice veste…non
immagini, da
ragazzo, quanto
avrei dato per poterti
anche solo accarezzare.
Si chinò per
posarle le labbra sulla guancia e sul collo.
- Judith …non hai idea in
America , quale incantesimo avrei cercato, pur di vederti dormire nel
mio letto
per una notte intera….
La donna si voltò
per baciarlo forte:
- François, è
stato
terribile – confidò prendendogli il viso tra le
mani – nonostante quello che
abbiamo passato, ho finto di abituarmi alla solitudine della
casa…sai, nella
tranquillità mi sarei voluta mostrare
più fredda per
provare a tutti che
potevo diventare pietra e infischiarmene di tutte le piogge. In
realtà non era
forza, bensì apatia…quel silenzio disumano che
avvertivo nella tua assenza…
Si alzò di colpo
allontanandosi dal marito:
- E’ il
mutismo che sento qui – sussurrò
sfiorandosi il ventre –
sì…chissà se resterà in
questo modo nelle ombre…Avevi
scritto nell’ultima lettera che sono passati tre anni senza
il concepimento di
un figlio…sembra un’orribile immensità.
La moglie tremò ,
come fosse scossa da invisibili bisce glaciali,
e gli occhi avvamparono di umidezza.
Il
generale capì che voleva espandere la sua apprensione
restata stretta a lungo
nel soggiorno coi genitori.
- Devi mandare avanti la
tua stirpe, François…sei…sei rimasto
soltanto tu…S-se io…non riuscissi più
a
darti nulla…mi ripudieresti?
L’uomo venne
travolto da un’ira improvvisa dettata
dall’orgoglio. Non l’orgoglio militare
bensì il ben più sofferente e sacrale
orgoglio d’amore:
- Cosa diamine dici?!
- Che te ne faresti di
una moglie come me?
-
Osi pensare
queste idiozie?
La
donna si sedette sul lato del letto tentando di
prosciugare le lacrime. Il marito , a quella visione,
si addolcì immediatamente avvertendo lo
sdegno svaporare tra le protettive mura della camera. Si mise davanti a
lei
posando un ginocchio sul tappeto e accarezzandole le gambe.
Un lungo silenzio gli fece
riaffiorare un ricordo buio, un
ricordo che la mente aveva sotterrato presa dall’istinto di
una collera nera.
- Judith – rivelò –
ricordi…quando litigai per l’ultima volta
con mio fratello Philippe ? dopo che noi perdemmo Othénse?
Lei assentì
debolmente scrutandolo negli occhi che
risplendevano di un blu scuro
rasserenato dalle candele.
- Ecco – seguitò
lui
- sai che non sono
mai così andato
d’accordo con lui e ti aspettavi che saremmo giunti ad un
punto di non ritorno.
Troncai
definitivamente i rapporti
perché vi fu una goccia che fece traboccare il
vaso…non te l’ho mai detto ma
quel giorno persi il senno perché Philippe …ebbe
il coraggio di insultarti. Mai
gli ho perdonato quel gesto. Neanche quando vidi la sua sepoltura. Non
voglio
riportare quei termini ignobili…
Quella
stanza, ricolma
di scabra ampiezza color ocra, conteneva la virulenza di Philippe che
toccava
ormai apici di agrezza esasperata e rabbiosa. I poveri camerieri
conservavano
una pazienza sovrumana sapendo che era una delle loro incarichi
arginare il
dispotismo del malato padrone. Sebbene François non provasse
piacere a vedere
quel volto rattrappito di sudore e spigolature nere, si trovava davanti
al suo
capezzale tentando di placare una delle solite sfuriate:
- Philippe!
Calmati! Sei appena guarito da una febbre
orrenda! Vuoi peggiorare ancore le cose?
Si
accostò al
comodino dove era
posato il portavivande
con teiera e tazze
.
- Lasciami ,
razza di imbecille! – sputò l’altro - Perché non torni
a casa a pensare alla tua
rammollita spina dorsale? Porta questa tazza di te a quella femmina
inutile e
incapace che chiami moglie.
Il
ragazzo sentì
un violentissimo tremito di bile che gli salì in gola
facendolo impallidire
fino agli occhi. Restò un breve momento con le braccia
tremanti finché
poi, in un raptus
dissennato, scaraventò
per terra il vassoio e le tazze formando una distesa di schegge
appuntite e
agonizzanti. Gettò sul fratello tutto il sangue delle ferite
aperte e indifese.
- Sai per
quale motivo non cammini , Philippe? – esclamò con
voce uccisa dalle lacrime – Sei una carogna. Le carogne hanno
le gambe mangiate
da vermi e scarafaggi! Impiccati e
vai
all’inferno!
Le carezze della moglie sul viso
diradarono i nugoli pece
del passato.
- François…-
mormorò lei
- ti prego…dimentica quello che ho detto…
Lui sorrise alzandosi da terra
e togliendosi il gilet.
Si avvicinò a lei stringendola tra le braccia ,
trovandosi tra
l’invitante arrendevolezza dei nastri
della veste e i lacci ondulati della sua chioma.
- Ora basta, Judith… mi
sei mancata troppo…
La donna gli mise le mani sul
petto scostandolo leggermente
e ampliando l’apertura della camicia. Le dita saggiarono il
solco delle
clavicole e quello dello sterno.
- Ricordi – rise - quando
, la prima volta che facemmo l’amore, mi
vergognavo da morire? Ti chiesi se dovevo…togliermi la
camicia da notte?
- Ti ho detto prima
niente idiozie. Specialmente in un momento come questo! Non dirmi che
temi il
freddo !
- Mica sono affetta da
reumatismi!
- Smettiamola di
chiacchierare, allora …
L’uomo s’inoltrò , con le mani, a
toccarle le gambe nude nascoste
dalla sottana fino a che non le sfilò la camicia da notte
allo stesso modo di
un bambino che volesse giocare un dispetto. Ammirò quel
corpo da sempre
sottile, ora ammorbidito dalle gravidanze passate ma comunque
magicamente
liscio sul piccolo petto disteso . L’addome recava sulla
superficie ,vicino
agli inguini, piccole striature
pallide, dolci
alfabeti di
smagliature in miniatura. In fin dei conti chi
non portava segni d’onore o battaglie?
Anche lui, una volta denudato, si accorse che la moglie gli
sfiorò le forti impronte
sbiancate e zigrinate delle cicatrici sul costato e il fianco
sinistro…memoriali fossili della battaglia di Dettinghen che
mai se ne
sarebbero andati ma sempre avrebbero ricevuto la visite della mano e
delle
labbra di lei.
Nel momento in cui egli le affondò il respiro nella bocca,
iniziando con fervore ad addentrarsi nel suo corpo, sentì
incredulo e felice le
sporgenze di quei delicati fianchi che lambivano i suoi, le gambe che
si
aggrappavano imprigionandolo in quella dolcezza piena di fiamme .
Mentre le
afferrava la calura del seno, che non osava liberarsi dal palmo della
mano, la
neve si librava fuori dalla villa lontanissima.
Il mare poteva ingoiare ghiaccio all’infinito…
Nel profumo delle pelli vulnerabili ad ogni carezza, il
conte capì di avere ritrovato sangue ed essenza...
Era realmente tornato a casa.
Note
personali:
ciao
a tutti! ^^ perdonate se pubblico con due giorni di
ritardo ma ho fatto un esame dell’università e
ieri sono stata via…mi ero
illusa di potercela fare entro l’otto o il nove e mi
sbagliavo XD l’importante
è comunque aver terminato il capitolo 3!
Spero che vi sia piaciuto e che vi siate divertite/i a conoscere
il primo incontro dei nostri due protagonisti. Non vedevo
l’ora di raccontare
questa parte e mettere a confronto i François e Judith
adulti con i François e
Judith ragazzi…un momento di altre problematiche e
leggerezza . Diciamo pure che
non vedevo l’ora di mettere la prima scena di ballo in
assoluto di questa
storia.
Ecco brevi note storico musicali ( sugli autori
più
sconosciuti): ahimè io non sono intenditrice di musica e
quindi ho dovuto
perdere tempo un po’ a documentarmi. Come avete notato siamo
in un periodo un
po’ particolare che risente fortemente delle influenze
barocche…
André Campra ( 1660-1744) : fu sacerdote e maestro
di cappella, autore
di musica sacra e teatrale. Compose circa 43 opéra-ballet.
La raffinatezza
melodica delle sue composizioni univano le caratteristiche della musica
italiana con quella francese.
Marc Antoine
Charpentier
( 1636- 1704) anche lui
scrisse oratori, musica sacra e opere . Fu uno dei massimi esponenti
della
musica sacra. Celebre è il Te deum
Teatro
San Carlo ( Napoli) :
fondato nel 1737 per
volontà di Carlo di
Borbone e costruito da Giovanni Antonio Medrano , è il
più antico teatro
dell’opera europeo.
Fatte
queste piccole precisazioni , per descrivere il minuetto
rondò sono andata a
fare una ricerca su you tube dei video delle società di
danza…i minuetti
classici erano molto belli ma troppo graziosi per uno come François XD
perciò ho optato per una bella
esibizione del minuetto italiano sabaudo che era elegante ma non
eccessivamente
“ frou frou” XD
È stato uno
dei capitoli più faticosi fino ad ora se si esclude il primo
con la
ricostruzione delle battaglie in Baviera…
Mi auguro
di aver reso bene questa concatenazione di scene con la parte finale un
po’ più
triste ma che si conclude lo stesso lietamente…
Al prossimo
aggiornamento ( il 16 maggio) ;)
Un saluto
affettuoso!
p.s una
peculiare dedica a ladydreamer che attendeva con ansia la scena del
ballo! XD
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Capitolo 8 *** CAP 4- Patriarchi e focolari: il figlio dell'estate ***
CAP 4 - patriarchi e focolari: il figlio dell'estate
4
patriarchi e focolari :
il figlio
dell’estate
“ Ce la
caveremo, vero, papà?
Sì. Ce la
caveremo.
E non
succederà niente di male.
Esatto.
Perché
noi portiamo il fuoco.
Sì.
Perché noi portiamo il fuoco. “
( C. McCarthy )
Luglio
Jossigny,Parigi
1755
Toccava le nuvole e atterrava tra le sue
forti mani.
Spiccava di nuovo il volo e l’erba e i
sassolini lo
salutavano divenendo
macchioline di pittura. Tornava vicino
al sorriso adamantino di lui e ai suoi occhi castani che si
scioglievano in
olio dorato alla luce di ponente. Tendeva le manine per impadronirsi
dei suoi
attorcigliati capelli scuri ma ecco che veniva sollevato ancora una
volta…
E rideva a quello sballottamento che
deformava il mondo al suono di un’immaginaria e allegra
fisarmonica: le dimore
del villaggio, dai cappelli etruschi di legno e paglia , parevano
flettere le
facce agresti.
- André!
– esclamava giocoso il padre- sei proprio un
bell’aquilotto!
Afferrò il figlio con le braccia snelle
e
vigorose e gli stampò un bacio sulla guancia.
- Marcel!
– rimproverò scherzosa Marie - la sottoscritta
vuole vedere com’è diventato
bravo il piccino!
- Eh no,
mamma! Lo hai già consumato troppo!
- Niente
è mai troppo per quel tesoro!
Marcel s’inginocchiò riponendo
delicatamente
il bimbo per terra.
- Su – lo
incoraggiò dandogli un’affettuosa pacca sul
didietro – vai dalla nonna se no si
mette a piangere!
Il piccolo cominciò a muovere un
passettino
per volta fino a che non s’impettì sicuro
velocizzando l’andatura e dirigendosi
dalla donna che lo aspettava a braccia aperte. Non appena la raggiunse,
aggrappandosi buffamente alla veste, venne sollevato e coperto di baci
e
carezze.
Dalla
soglia di una casetta quadrata ,
forata da finestre argillose, una donna assisteva alla scena.
La
mamma Pauline sorrideva tale e quale a un
folgorante geranio, con una corolla folta di capelli ramati che non
osava
piegare un gambo minuto ed esile.
Erano
trascorsi undici mesi dalla nascita
del piccolino e lei e il marito avevano assistito ai suoi progressi
assieme a
Marie che forniva sempre aiuto. Durante la gravidanza , la suocera
aveva chiesto
dei permessi a Madame Judith che si era mostrata comprensiva e generosa.
Pauline,
nonostante il trascorso passato,
mai avrebbe sperato in quella fortuna e ringraziava ogni notte la
Madonna e
Sant’Anna.
- Gli
occhi di André hanno strani colori – disse Marcel
avvicinandosi a lei –il verde
delle foglioline
fresche , quello
scuro dei boschi o quello più leggero dei
laghi...
- E’
vero…non restano gli stessi. Seguono i movimenti della luce
che c’è in cielo.
Le cose meravigliose fanno
vedere sempre sfumature diverse.
- Lo
penso ogni volta
che ti guardo.
Il marito cinse le piccole spalle della
moglie.
- Il
nostro bimbo è fortunato – soggiunse –
ha il tuo bellissimo viso.
Pauline gli circondò la vita col braccio
posando le testa sul suo petto.
- La
chioma selvatica è tua…pure la
forza…Diventerà un uomo splendido!
Marcel si mise a ridere:
- Davvero
mi consideri bellissimo? Con queste occhiaie che pare mi abbiano preso
a pugni
e le gambe che sono pertiche?
- Per
favore! Dovevo stare attenta alle altre ragazze che ti sorvegliavano di
continuo...
- Ma se
mi chiamavano il “ nazareno”
?
- Beh…quando
trasportavi le travi di legno da un villaggio all’altro e
portavi quella
barbona sembravi davvero Gesù sulla via Crucis!
- I peli
sul viso non mi donano tanto…
- Quando
venisti a fare i lavori a casa dei miei genitori , la prima volta, il tuo viso era liscio,
liscio…
- Ovvio. Non
potevo cogliere un bocciolo porgendo un muso da capra!
Pauline gioì e guardò il
loro omarino che si
lasciava travolgere dalle coccole della nonna.
- Non ci
posso credere ancora che abbiamo avuto André…da
ragazzina pensavo
che nessuno mi avrebbe sposata…
- Basta
pensare al passato! Quanta gente soffoca con stupide ansie?
La baciò allegramente sulle labbra.
La donna sapeva bene che il miracolo era
avvenuto dopo tentativi falliti, angoscianti sospetti di
sterilità e due aborti
spontanei. La rassegnazione stava salivando ragnatele quando
nell’aprile
dell’anno precedente aveva scoperto di essere incinta di
quasi quattro mesi.
Era molto magra e non poteva affidarsi al menarca irregolare e debole
ma quella
volta sentiva un seme che sarebbe germogliato. Da adolescente le
parenti donne
la spaventavano sul fatto che fosse finissima e che a quindici anni non
avesse
emesso alcuna emorragia. Pareva un avvenire rachitico e bollato da
recinti ma
un falegname ventenne l’aveva osservata senza farsi scoprire.
Venne
chiamato dalla sua famiglia per
realizzare lavori di riparazione alla stalla e ai carretti di
trasporto. Si
stava pensando da giorni di chiamare il figlio del rinomato e defunto
artigiano
Lucien Grandiér: Marcel, sebbene rimasto orfano
quattordicenne, già all’età di sette anni era stato
introdotto al mestiere
esibendo abilità ed efficienza. In seguito aveva completato
la formazione
praticando nella bottega di un capomastro così che a
diciannove anni svolgeva
qualunque tipo di manutenzione.
- Chi
l’avrebbe detto? -
rifletté Pauline –
mica mi aspettavo che quel carpentiere sarebbe diventato mio
marito…In fin dei
conti ero convinta fossi un semplice lavoratore che, una volta finite
le
mansioni, ci avresti detto “arrivederci” e fine!
Marcel le strizzò un occhio candidamente
complice:
- Modestamente
sono stato silenzioso e non hai notato che ti studiavo da
tempo…
- Detta
così è da bandito poco raccomandabile!
- Come fa
un “ nazareno” a essere bandito? Che colpa ho se in
quelle cerimonie di Pasqua
la tua voce si ficcava nelle orecchie per non uscire più
dalla zucca? In
mezzo a quelle oche che starnazzavano c’era
un bel cardellino dalla testina
rossa…Quando riuscii a farmi avanti tra la folla ti vidi la
prima volta…Da
allora , durante i momenti in cui abbandonavo
la bottega, speravo di rivederti
soltanto per qualche minuto…poi, il Cielo ha voluto che tuo
padre mi chiamasse
alla tua fattoria.
Lei scompigliò il bulbo riccioluto dello
sposo.
- Sei
stato la mia salvezza! E
lo trovo
divertente e assurdo…
- Devi
ammettere che la tempestività è una delle mie
virtù!
Pauline lasciò che le fronde smeraldine
delle sue iridi accarezzassero quelle miele di Marcel.
La
memoria si allontanò simile alle ultime
nubi del giorno che rincorrevano puerilmente la luce
declinante…
Il sole
estivo lasciava schiantare le ombre degli alberi e dei casolari su erbe
annaspanti e sassi aguzzi.
L’azzurro
pareva dovesse grondare gocce roventi sulla terra ma restava stuccato
in alto tremolando
fumoso.
Pauline tornava dal
torrente con una pesante
cesta di vimini colma di panni lavati.
La
stradina che portava al villaggio non era particolarmente ripida ma col
calore
s’ingigantiva tale e quale al dorso scarnificato di un sauro
mitologico.
La
fatica era immensa e i muscoli magri degli arti
s’indolenzivano di sudore e
crampi preminenti. Le ossa degli omeri crocchiavano quasi fossero steli di grano che
dovessero staccarsi dalle
clavicole e dalle scapole.
Il
corpetto di cuoio pesava quanto un giogo di legno e la veste verdognola
si
attaccava alla pelle umettata allo stesso modo di un tessuto fangoso di
foglie.
La
ragazza aveva le tempie che si strizzavano e si ammollavano, spugne
tormentate
da una mano feroce…Alcune ciocche di capelli ramati le si
appiccicavano alle
guance e alla fronte sciogliendosi da una crocchia pericolante.
Il
casolare di legno si avvicinava lento e indifferente e le sue scarpe di
pelle
segavano i tendini stigmatizzandoli
di
striature rosse.
Appoggiò
sfiancata la cesta e osservò la cima del colle schermandosi
gli occhi verdi con
i palmi delle mani…
Scorse
una piccola sagoma china che la stava guardando dalla
sommità…
Per
alcuni minuti non capii cosa fosse ma era certa che non si trattasse di
un
uomo.
Si
mosse.
Camminava
a quattro zampe.
Ella
mise a fuoco più attentamente.
Il
sudore che le inzuppava le membra si ghiacciò in tanti
rigagnoli pietrosi.
Il
sangue nel cuore diventò dolorante quasi avesse aperto una
finestra che lasciava
entrare una raffica invernale .
Un cane
randagio grigio e nero si stava approssimando verso di lei…Al
villaggio si diceva che già avesse aggredito delle persone
rischiando di
dilaniarle.
La
fanciulla indietreggiò barcollando vedendo che la bestia
sveltiva i passi
restando in un silenzio violento.
Cominciò
a correre spaventata seguita da affanni sbavanti che sembrava la
dovessero
stracciare…
Dalla
saliva inaridita emerse qualche grido strozzato.
Mise un piede in fallo e capitombolò rovinosamente con la
capigliatura che le cascò
sulle spalle e davanti agli occhi in tanti torrenti sudati.
Attutì
il colpo escoriandosi i palmi delle mani che si granellarono di
terriccio ed
erba marcia.
Il cane
le stava per balzare addosso ma venne colpito fulmineamente da un sasso
che lo
centrò sul muso.
Era
stato lanciato talmente forte che gli aveva spaccato alcuni denti e
dissestato
l’osso della mascella.
I
mugolati di dolore rabbioso zampillavano schiumosi assieme al sangue
denso…
- Vattene
via!
L’uomo
che aveva scagliato tempestivamente il ciottolo, scese veloce dal
pendio con il
rischio di spezzarsi il collo.
Era
armato di una mazza di legno e i suoi capelli ricci e lunghi
splendevano di
carbone cocente.
- Sparisci!
Via!
Il
cane
ebbe ancora il coraggio di abbaiare scalcagnato sotto le ventate del
bastone
del giovane ma alla fine dovette battere in ritirata con la coda tra le
gambe.
- Per
la miseria! – esclamò il soccorritore
ansimando – qualcuno dovrebbe prenderlo a schioppettate nel
sedere pulcioso!
Pauline
era ancora tremante per terra. Aveva soltanto fatto il tempo ad
appiattarsi sul
fianco destro.
- Pauline!
Pauline! Come stai?
L’uomo
si chinò premurosamente sulla ragazza afferrandola per il braccio e
aiutandola a rialzarsi.
Aveva il
vestito sporco di polvere, le membra livide e il viso solcato da
pallide
lacrime.
- Su…su…-
mormorò lui scostandole dolcemente i
capelli dalle guance – è tutto finito…
L’adolescente
guardò bene
il salvatore in
volto.
Possedeva
due insolite occhiaie che parevano ditate di fuliggine sulla corteccia
imbrunita.
Gli
occhi castani , alla luce del sole,
divenivano fragranti analoghi alla corteccia del pane
sfornato.
Il
sorriso si allargava uguale ad una rustica collana d’avorio.
- M-Marcel!
– balbettò lei – grazie…
Si
allontanò costernata da lui asciugandosi le lacrime
imbarazzata.
Desiderò
andare a recuperare il canestro degli indumenti per mostrare di essersi
già
ripresa ma vacillò a
causa delle
nervature stordite.
- Dove
vuoi andare, conciata in questo modo?
Marcel
la sorresse arrestandole l’andatura incerta.
- Devo…tornare
a casa…- ribatté debolmente lei.
Il
ragazzo si incurvò e la sollevò:
- Prima
bisogna risistemarti…guarda i gomiti e
le mani! E hai pure
le scarpe rotte!
Andiamo al ruscello va’.
Pauline
si strinse a Marcel che discendeva il declivio a falcate intrepide,
facendo
stridere e rotolare i massi.
Nonostante
le braghe marroni arrivassero fino alle ginocchia, gli stinchi
esponevano la
loro saldezza impolverata e i piedi, corazzati da pesanti calzature di
pelle,
piegavano qualunque erbaccia e spezzavano ogni ramoscello secco.
Quando
giunsero al torrente, lui la posò su un tronco
d’albero mozzo e s’immerse nelle
acque argentate strappandosi due lunghi lembi della camicia e
bagnandoli.
Tornò
da
Pauline , inginocchiandosi davanti e mettendole i
piedi sbiancati e feriti sulle gambe.
Le prese
le caviglie smunte con una soavità refrigerante inverosimile
per mani di
sughero da falegname.Ripulì
i
graffi dei tendini fasciando le striature rossastre
accuratamente…
- Per
fortuna ti stavo cercando…avevo chiesto
di te alle tue sorelle e sono
arrivato…appena in tempo per cacciare quel cane bastardo...
- Emh…sì….ero
venuta qui per lavare i panni e sulla
strada del ritorno avevo visto da lontano la bestiaccia! Ho una paura
tremenda
dei cani! Una volta da bambina uno mi aveva rincorso per mozzicarmi!
Il
giovane agitò una mano, piena di sincero e brioso
rimprovero, indicandole
le membra mingherline:
- Sembri
ancora una bambina!E porti tre
chili di biancheria! Potevi
cascare in modo brutto!
La
ragazza tormentò una ciocca dei capelli sforzandosi invano
di apparire disinvolta:
- La
mamma non sta tanto bene e allora le do
una mano…
- Se
ti ritrovi a svolgere compiti pesanti,
devi chiamarmi!
Lei
scosse la testa celando
il volto
disperso attraverso i crini ramati:
- No,
Marcel…non posso disturbarti!
Lui le
scoprì di nuovo il volto dandole un cricco sul nasetto:
- Smettila!
Se mi crolli,che farò?
- Beh…sì…sono
talmente secca che sembro un
rastrello! Potrei nascondermi dietro qualunque mazza, scomparirei!
- Credi
di essere così invisibile? Io ti ho
notata eccome…
- Certo!
Scambiandomi per un alberello
rachitico…
- No,
stupida, scambiandoti per un bellissimo
fiore…Hai un corpo fine fine e una grandissima corona di
capelli….
Marcel
tacque alcuni minuti…
Lasciò
che il rivo serpeggiasse trilli imbottendo il silenzio di pesci che
guizzavano.
Coccolò
il dorso dei piedi della fanciulla e iniziò:
- Ascolta
, Pauline…ero venuto a cercarti per
parlare di una cosa importantissima…E’ un peso che
ho dentro e che mi dà
felicità e crampi alla
pancia….Vedi…è da mesi che penso e
ripenso…Ci siamo
visti tante volte e ogni ora che parlavo con te già mi
sentivo triste…perché
sapevo che tutto sarebbe finito e tu saresti tornata alla tua
casa…e io sarei
restato con l’ombra della tua voce che si perdeva
nell’aria senza
che si riuscisse più a toccarla.
La
ragazza ascoltava muta col cuore che le artigliava i polmoni grondando
di
pioggia bollente e freddissima.
Era
ipnotizzata dalle carezze del falegname che baciavano pudiche la pelle
ma che
si sotterravano al di sotto d’essa.
- Non
te ne rendi conto, Pauline ma io so
vedere anche a occhi chiusi, il verde del tuo sguardo, la tua pelle, i
tuoi
capelli…Adoro i tuoi pensieri quelli che mi hai detto
ridendo e
piangendo…quelli che vuoi sempre nascondere.
Lui le adagiò regalmente i piedi sul suolo ciottoloso
e afferrandole le
mani:
- Dovrei
parlare con tuo padre ma non
m’importa… Conti prima tu…tu solo.
Ci
fu
altro silenzio in cui saltellarono i cinguettii degli uccelli, le ali degli insetti e
l’acqua del fiume che
sbatteva flemmatica contro i massi sporgenti.
Marcel
strofinò la sua guancia sulla mano destra di Pauline:
- Ti
amo e vorrei sposarti.
La
ragazza si ritrasse turbata:
-
Marcel…io…io…
Il
ragazzo oscurò di dispiacere lo sguardo allontanando
leggermente il busto da
lei.
- Ti
ho spaventata?
Ella
si
stropicciò il viso quasi stesse scongiurando da
un’assordante emicrania.
Tornò a
fissare l’innamorato e
mormorò parole
che pareva dovessero confessare chissà quale delitto:
-
Assolutamente…sono
felicissima ma
io…ecco….quando avevi detto che sembro una
bambina…beh…lo sono veramente.
Lui innalzò le sopracciglia spesse
assumendo
una buffa espressione di sbigottimento:
- Cioè?
Vorresti dire che…tu non hai…?
- Sì.
Ruzzolarono
secondi afoni interrotti soltanto dal fruscio degli alberi che
scartocciavano nidi.
Alla
fine il falegname proruppe in una
risata purificante stringendo a sé la ragazza:
- Pauline…Io
ti considero donna
e comunque non avrò paura di aspettare…
Lei
gli
prese il viso tra le mani:
- Marcel…tu
non hai vergogna di me? Insomma che
ti potrei regalare? Anche io ti amo tanto…ma ho paura di non
renderti felice…mi
sento piccola …
Ricevette
un bacio uguale al
latte che prima brucia
il palato e poi discende morbido.
- Posso
essere tuo marito semplicemente dormendo
accanto a te. Il tuo respiro non ha prezzo…
Lui
appoggiò la testa sulle gambe di lei scevro di pessimismi.
Alcuni gemiti ostinati interruppero ciascun
pensiero aleggiante.
- Pauline
– chiamò teneramente apprensiva Marie –
il piccoletto ha fame!
André
piagnucolava volgendo
il visetto
verso la mamma.
-Tranquillo, amore – sorrise la giovane
venendo in contro– sono qui , sono qui.
Prese
il bambino tra le braccia e lo quietò
mentre balbettava versetti con la testolina posata sulla sua spalla.
Entrati
in casa, gli accarezzò i boccoli sussurrando
parole ninnanti e poi,
accomodandosi su una panca di legno, lo sistemò dolcemente
sul grembo e si
scoprì un seno.
André
scominciò a succhiare , felice di
essere rinchiuso nel calore di vigna della sua prima
amata.
Mostrava
un soddisfacente appetito verso
differenti tipi di pappe ma adorava ancora il petto materno. Tuonava
gemiti
punitivi se non riceveva il trattamento che legittimamente gli spettava.
- Guarda,
guarda che fame! – commentò Marcel sedendosi
accanto alla sposa – e dire che
credevano che tu non potessi mai mettere a mondo un essere
così goloso!
- Temo
che mi finisca il latte da un momento all’altro!
Intanto che Pauline rideva col marito,
Marie, iniziò ad accendere qualche candela guardandoli
amorevole e orgogliosa.
Per
troppo tempo quei chiarori erano stati soltanto
cera colante e secca mentre sui pavimenti cricchiava polvere
magra.
Ora
era diverso…Il tanto agognato nipotino
veniva vezzeggiato dai genitori e portava un completino color sabbia
che aveva
cucito apposta per lui.
Seduta
su una sedia di fronte non si
stancava mai di contemplarlo attaccato al busto della mamma o sulle
gambe del
papà. Non esitava a pulirlo, cambiarlo e dargli da mangiare
quando ce n’era
bisogno.
- Lucien
sarebbe stato felicissimo di voi…- confessò
dolcemente triste – ho pregato
anche lui mentre aspettavate André…
- Mi è
dispiaciuto molto non aver conosciuto il signor
Grandiér….- confessò Pauline
–
Marcel mi ha raccontato un sacco di cose su di lui…
Il marito sorrise silenziosamente e in quel
momento la limpidezza dei denti si opacizzò tale a quale a
vetro di bottiglia
infranto da una polverosa luce .
- Ecco… –
mormorò rivolto alla moglie e alla madre – prima
di sapere con certezza che
sarebbe venuto André…avevo sognato
papà.
Marie inarcò le sopracciglia sorpresa e
inquietata, la nuora ascoltava incuriosita
il racconto:
- Ricordo
che stavo camminando proprio sulla stradina che porta a casa
– proseguì il
falegname – quando vedo papà venirmi incontro con
delle piccole assi di
legno…L’avevo riconosciuto subito…Era
alto quanto me, aveva i capelli
spettinati e la barba perennemente scarmigliata…Se io ero il
nazareno, lui era
San Giuseppe! Mancava solo l’aureola!
Rise brevemente come fanno le foglie trasportate dal vento e poi
riprese:
- Io gli
domandai cosa ci facesse lì e lui mi sgridò
dicendo che dovevo sbrigarmi a
costruire una culla…In quel momento, da emerito idiota, non
capii per quale
famiglia la dovessi fare e quindi ricevetti uno sberlone e la risposta:
“ Tua
moglie è
incinta dello Spirito Santo?! “
Marie
ridacchiò commossa:
- Tipico
di tuo padre! Lo rimbrottavo che si comportava da grezzone ma sapevo
che era
anche troppo bravo… Quando si arrabbiava faceva paura ai
cani più feroci ma poi
si preoccupava un mondo se vedeva che ritornavo dal mercato leggermente
in
ritardo…Era capace di mettere a soqquadro l’intero
villaggio…
Improvvisamente
André staccò la bocca dal seno della mamma e si
lamentò…Era agli inizi e non
aveva ancora imparato l’autocontrollo degli stimoli
fisiologici.
Il pannetto di cotone che gli avvolgeva i
lombi si inumidì spargendo nell’aria un odore
acidulo, pungente e secco.
- Ah,
amore – si alzò Pauline sollevandolo e scherzando
imbronciata – è questo che
fai alla mamma?Animaletto!
L'accusato si mise le dita in bocca impacciato e
storse i piedini quasi si fosse reso conto di aver commesso una
terribile gaffe
davanti al pubblico di ammiratori.
- Su, su
– incitò Marie - vado a prendere il cambio per il
nostro principino! Chi vuole
sentire sua altezza reale?
Il pargoletto fu disteso su un fasciatoio di
legno coperto da soffici stoffe,
spogliato e accuratamente
ripulito dalla mamma e della nonna intanto che il papà
andava a mettere via i
pannetti imbrattati di urina fumante.
Alla
fine asciutto e vestito da un’altra
casacca, si allacciò beatamente al collo della mamma.
- André è
tutto suo padre! – fece vivace la nonna - Avevo il petto
sempre dolorante e
abiti che bisognava sciacquare di continuo!
- Quella
era la prova del mio amore verso te! – ribatté
Marcel – apprezzavo il
nutrimento che mi davi, quello che offriva la casa!
Furono interrotti da tre picchi alla porta .
Tocchi gentili, chiari e fidati.
- Chi
sarà a quest’ora? – borbottò
la donna più anziana - Sono quasi le otto…
Il volto del figlio venne folgorato da un
promemoria che aveva fino a quel momento accantonato temporaneamente.
- Cielo! Dovevo
dare il crocifisso restaurato a…
I bussi insistettero e fuori una voce
maschile si presentò:
- Marcel…Pauline…
Sono padre Jeremy!
L’uomo corse a spalancare l’
uscio
scusandosi:
- Perdonatemi!
Mi ero scordato che sareste venuto prima di cena a ritirare il lavoro!
- Non ti
preoccupare , ragazzo – sorrise – anzi scusami tu
se sono stato costretto
l’altra volta a concordare questo orario , forse non
propriamente comodo …cara
Pauline, signora Marie …
Il prete, che portava con sé una sacca
di
cuoio, si tolse il
vecchio cappello in
segno di saluto mentre le donne contraccambiarono il sorriso
accogliendolo
calorosamente.
Jeremy
Meunier aveva cinquantadue anni ed
era di media statura, magro con un viso
ovale su cui spiccava un
curioso naso morbido
tendenzialmente aquilino. Se lo si guardava di fronte si notava un
promontorio
lieve mentre di profilo si slanciava una struttura abbastanza
imponente. I
baffetti sulla bocca piccola e i grandi occhi color basalto rendevano
quella forma
buffa e dolce senza alcunché di autoritario. I capelli
castani , rigati di
grigio e bianco, si
diradavano sulle
tempie cadendo in riccioli un po’ più folti a
metà collo. Si accontentavano di
una semplice pettinata giusto per non restare in disordine eccessivo.
La
lunga veste nera, legata in vita da una
cintura scura, indicava l’appartenenza all’Ordine
dei Gesuiti e l’adesione
totale ad uno stile di vita umile
e frugale.
- Ho
portato qualcosa per voi – disse aprendo la sua borsa ,
antica compagna di
viaggi - ecco due
vasi di miele di noce provenienti
dall’orto della parrocchia…So che
vi piace molto e che il vostro cucciolo apprezza.
- Vi ringraziamo
di cuore, padre- rispose Marie - Sì , André adora
la pappe dolci.
Prese i due recipienti riponendoli al
fresco, dentro una piccola credenza che conteneva orzo , grano e
semola. Marcel,
nel frattempo, si diresse nel versante retro della casa dove
c’era un piccolo
magazzino con attrezzi
e manufatti.
- Tra
l’altro è un ottimo rimedio medicinale –
esaltò il parroco- cura
e previene in modo naturale raffreddori e
malanni –accarezzò la testa del bambino dandogli
un buffetto sulla guancia - Vedo
che sei bello cresciuto piccolo!
- Sta
prendendo a mangiare tutto di gusto! – rise la madre
– da quando voi lo avete
battezzato è diventato una bestiola! Sa pure camminare
- Presto
comincerà a correre e saltare!Come passa il tempo…
Da più di un anno Jeremy risiedeva
ufficialmente
nella circoscrizione ecclesiastica di Jossigny; tuttavia,
conosceva da
parecchio tempo i Grandiér e il loro villaggio
giacché operava assieme ai suoi
confratelli nella diocesi di Parigi e dintorni : si occupava dell'
istruzione
di bambini e ragazzi più poveri, del recupero dei soggetti
emarginati e delle
cure mediche per i bisognosi.
- A
proposito, padre – sospirò raggiante Marie - non
siete felice per i de
Jarjayes?
- Oh, ! È
meraviglioso! Me lo sentivo nel cuore che sarebbe avvenuta
un’altra benedizione!
- Madame
è incinta di quattro mesi…
- Mi era
dispiaciuto moltissimo per i Signori– si unì
Pauline - Ci riferisti ,
Marie, che il Conte , quando stava nelle
Guardie Urbane , salvò tre bambini da
quell’orribile incendio di Parigi e
nello stesso periodo Madame Judith mandò il
suo medico per farci curare…Io tendevo ad ammalarmi spesso e
anche Marcel prese
una terribile febbre. Per sdebitarci
lui restaurò
e costruì alcuni
mobili e tu, facesti molti scialli e
tovaglie…
- E
pensare che Madame non pretendeva nulla….- sorrise la nonna-
E’ raro trovare
persone di questo genere soprattutto tra gli aristocratici.
- Sono
contentissimo per il Generale e la Contessa –
proferì sincero il padre - li
conosco da quando erano ragazzi e li ho visti gioire ma, purtroppo,
patire
molto. Che Nostro Signore possa finalmente concedere la tanto attesa
felicità
per una nuova e luminosa vita.
Quando Jeremy risiedeva ancora nel piccolo
cenobio vicino al cimitero di Saint-Paul des Champs, dove vi era la
cappella di
Saint Philippe , aveva celebrato lui stesso i funerali delle figlie dei
de
Jarjayes ma soprattutto la sepoltura in terra consacrata del suicida
Etienne.
Questo atto, fortunatamente messo a tacere dall’abate della
chiesa, gli sarebbe
potuto costare l’espulsione dall’Ordine dei Gesuiti
. Su di lui, tra
l’altro, gravavano
sguardi nemici delle
autorità clericali più alte, visto che non aveva
esitato più volte a denunciare
negligenze e malcostumi.
Si
era preferito, dunque, risolvere
la
faccenda attuando un trasferimento nella pieve di Jossigny, in cui
officiava
l’ottantenne padre Zaccaria , vecchio maestro che presto gli
avrebbe lasciato
la guida pastorale della comunità religiosa.
- Padre –
tornò Marcel con una scatola in mano - Eccovi il crocifisso.
Sono stato
attentissimo a sostituire le parti deperite rispettando la vecchia
decorazione
in ottone.
Scoperchiò il contenitore , tolse un
pannetto e mostrò una croce posta su un cumulo di paglietta:
era una semplice ma
pregevole manifattura
prebarocca. I legni erano stati perfettamente riparati e lucidati e
sopra di
essi si distendeva uno splendido Gesù Cristo dalla
muscolatura magra, sofferta
e solenne. Jeremy aveva sempre constatato che somigliasse un
po’ a quello di
Giotto conservato a Santa Maria Novella e un po’ a quello
della pietà
michelangiolesca.
- È un
lavoro superbo ! – rimirò colmo di commossa
contentezza prendendo tra le mani -
- questa
croce ha più di un secolo , Marcel… non
è solo un piccolo tesoro di famiglia ma è la
forza con cui mi ha sempre guidato
il Signore. Sebbene piena di crepature, fori e parti annerite
,è stata la fede
che mi ha sollevato da terra. E’ così , fratelli :
il diamante della speranza
si trova sotto
terra incastrato tra rocce
scure e taglienti.
- Avete
ragione - assentì
l’altro uomo - si
prosegue sempre tra lo scoramento e la
speranza…non conosciamo mai cosa la vita ci darà,
se bene o sofferenze…l’unico
modo è trasmettere tutto il nostro amore ai cari ,
perché l’anima è un po’
l’energia che noi lasciamo e offriamo…
- André
l’avrà tutta – affermò
Pauline baciando il piccolo – qualunque cosa possa
accadere lui sarà forte. Dentro gli scorre il nostro
sangue...
Il prete
sorrise accingendosi ad andare
verso la porta
conservando accuratamente
la scatola del crocifisso nella borsa .
- Parole
sante, amici – ribadì – dovremo pregare
affinché ai conti de Jarjayes giunga
una creatura bella e sana…
- Assolutamente
– aggiunse Marie – non vediamo l’ora di
poter sentire la vocina del neonato.
- Voglio
ricamare un bel lenzuolo per Madame – pensò ilare
Pauline – sono indecisa sul
disegno da fare…
Il bambinetto scalpitò
volgendo il faccino in un punto sotto
una delle finestrelle di casa. Il padre lo prese in braccio e
facendogli il
solletico sui fianchi gli chiese:
- Cosa
c’è ? Cosa hai visto?
Il piccolo mugugnò qualcosa tornando a
fissare il punto di prima . Tutti i presenti posarono
l’attenzione su un cespuglietto di
lucide foglie verde cupo decorate da carnose frastagliature. Tra i
rametti di
spine notarono un qualcosa di inconsueto, improbabile: un bocciolo di
rosa
candido svegliatosi in ritardo tra i frutti dell'estate.
- Non ci
era mai accaduta una cosa simile – fece meravigliata Pauline
– le nostre rose,
come tutte le altre rose , appassiscono verso fine
maggio…Sono molto delicate.
Marie si chinò col busto avvertendo un
eccezionale profumo tenero , misto di pesca e menta.
- E’ stranissimo
– strepitò – che un piccolo
germoglio trasmette questo forte odore…
- Il
nostro André è davvero acuto – si
rallegrò Marcel – nessuno di noi aveva visto
quel fiorellino.
Padre Jeremy espanse un grande sorriso:
- Beh, è
un segno! Direi che sul lenzuolo per Madame de Jarjayes
potrà sbocciare un ricamo di rose
bianche…l’amore
più puro e grande che nasce nel silenzio.
Note
personali:
ciao
a tutti! ^^ come promesso ecco la prima parte del capitolo Quarto!
André è ancora piccino,
quindi l’escursus
era basato sui suoi genitori Marcel e Pauline …mi auguro che
abbiate gradito
questo cambiamento di luoghi e personaggi anche per mostrare
più situazioni e
fare confronti. È tornata la nostra Marie che nella mia
storia ho figurato già
dall’inizio profondamente attaccata al nipotino e
naturalmente al figlio e alla
nuora. ( nella storia originale non si capisce se sia stata accanto ad
André
fin dalla più tenera
età…però notando il suo affetto , i
suoi rimbrotti e
preoccupazioni XD )
Altra new entry è Padre Jeremy, un
personaggio che avevo architettato già durante la genesi dei
Leoni della corona
ma non sapevo con precisione in quale capitolo del Libro Primo
collocarlo. Sarà
fondamentale per la famiglia de Jarjayes, per Oscar e Andrè
e anche negli
scenari prerivoluzionari visto il suo impegno sociale
umanitario…
( piccola nota storica: del cimitero di
Saint Paul des Champs ne avevo parlato nel Cap 2 – un
proiettile nella mente. È
una struttura , assieme alla chiesa di San Philippe, che è
esistita ma ora non
c’è più. Il cenobio di cui ho parlato
è stato frutto della mia fantasia per
esigenze narrative così come l’esistenza della
parrocchia a Joyssigny )
Ultima cosa: spero che sia colta la
simbologia finale ;)
Non mi resta che darvi appuntamento al 31
maggio…
Entreremo
nella dimora di…Victor Clement de
Girodel!
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Capitolo 9 *** CAP 4 - Patriarchi e focolari: l'apprendista in catene ***
CAP 4 - Patriarchi e focolari: l'apprendista in catena
4
patriarchi e focolari :
l’apprendista
in catene
"... il
mondo si divideva
per me in tre parti, e nella prima io, lo schiavo, vivevo sottoposto a
leggi
concepite solo per me alle quali, senza saperne il motivo, non riuscivo
del
tutto ad adeguarmi, poi c'era un secondo mondo infinitamente lontano
dal mio in
cui vivevi tu, occupato a dirigerlo, a impartire gli ordini e ad
arrabbiarti se
non venivano eseguiti, e infine un terzo, dove il resto
dell'umanità viveva
felice e libera da ordini e da obbedienze"
( F. Kafka )
Novembre
1755
Saint-Cloud
, Parigi
Oltre
la
Senna esfoliata ed oltre i turgidi giardini del castello Saint-Cloud,
si
scorgeva una villa di titanico candore. La
cupola spuntava dalle fronde dei tigli come
fosse il cranio bianco di un abate che leggeva di nascosto
chissà che cupi
manoscritti...
Chiunque
andasse a cavallo o passasse con la carrozza verso ovest , lontano da
Ile-de-la
Citè, vedeva
imperare , oltre un cancello
gotico di fiori , un’ insolita
struttura classica. Un polposo
viale di querce mostrava,
inquietante
binocolo, la facciata templare greca.
Colonne
ioniche troneggiavano da una massiccia scalinata sorreggendo la loggia
di un
pronao che ombreggiava il portone d’accesso.
“ La
fortezza di Deifobe”, chiamata così da tutti i
nobili, veniva vegliata
all’entrata da una terrificante
statua
della sibilla cumana che scrutava minacciosamente qualunque ospite
chiedesse
responsi. La donna anziana, d’angosciante bellezza e avvolta
in un pesante peplo,
si diceva fosse stata scolpita nelle
Fiandre da Jean de Boulogne e portata a Parigi dai proprietari del
palazzo…Quella
nobile famiglia era talmente potente che ordinò di
riprogettare l’intera
dimora, nel sedicesimo secolo,
all’architetto Jacopo Barozzi ,
uno
degli artisti stimati da re Francesco I
che lavorò ai cantieri di Fointanebleau. I
raffinati locali interni,
vantavano alcuni affreschi di Rosso Fiorentino
e Francesco Primaticcio che rappresentarono episodi
dell'Iliade,
dell'Eneide e degli Argonautica.
Coloro che godevano dei
capolavori realizzati
dai più abili manieristi italiani
erano da secoli rispettati e temuti dai reali di Francia.
Una
sola
stirpe celava preziose
armature
medioevali, arazzi persiani, tele inedite di Rubens…
Una sola
stirpe glorificava uno
spietato
capostipite feudatario che fece tremare persino Carlo Magno.
Erano
i
Girodel.
Lo stemma
di un maestoso cervo,affisso al testone del pronao,
recava inciso il loro nome, la loro progenie
sorvegliata dall’animale sacro alla vergine Diana.
Quando il
sole tramontava cospargeva sangue sui marmi quasi desiderasse ungere di
languida devozione quel Santuario, d’ingessata
sobrietà esterna e di bronzeo
barocchismo interno.
Il vento
che defluiva, tra le foglie degli alberi, rendeva la sera nascente
già paurosa
di affrontare le ore del suo viaggio.
Le vetrate
della sala da pranzo riflettevano quella liquidità bluastra
invernale che forse
avrebbe spruzzato le prime nevicate.
Sarebbe
stato bello illuminare il grigio verde del giardino con il biancore dei
fiocchi
di neve.Le ombre si
potevano zuccherare e gli uccellini decoravano il ghiaccio imprimendo
punti
croce di
zampette…
- Victor
Clement! -
esclamò il
conte Frédéric Claude,
generale dell’Artiglieria Reale –
t’incanti davanti
la finestra? La cena è già a tavola!
Il
bimbo
sussultò lievemente , distogliendosi dalla visione scura del
cortile.
Era dotato
di una squisita e triste bellezza e lì, davanti
l’enorme vetrata del balcone,
pareva un preoccupato astronomo che non riusciva a studiare i
pianeti…
La
natura gli aveva donato un corpo
proporzionato, tenero e sottile plasmando un visetto
d’insolita e allungata
paffutezza…Dal capo si riversavano onde spumeggianti di un
castano
delicatissimo uguale all’arenaria levigata dai ruscelli.
- Su, tesoro vieni – mitigò dolce la
contessa Ivonne – la minestra si sta raffreddando.
Si
diresse
veloce verso la tavola imbandita dove i genitori
l’attendevano…
Il padre,
inguainato in una giacca di velluto nera, imperava dal suo sedile di
legno con
le spalle ampie che avvisavano pari a ali d’avvoltoio. Lo
jabot bianco
traforato era un bouquet di
neve
congelata che annaspava tra l’inchiostro dei baveri.
A
contrastare simile a un raggio fruttato , forse nascente o forse
morente, la
madre avvolta in un abito arancio rosato ricamato agli orli da un
damascato
mogano.
I lunghi
capelli ricci castano dorato erano
legati in una voluminosa crocchia da finissimi fermagli
d’argento che
formavano un piccolo bruco di diamanti. Alcune ciocche fumose lasciate
libere
incorniciavano quel viso di
Musa che
pareva veramente impolverato di gesso opaco.
-
Scusatemi
…- disse il bimbo che si mostrava maldestro in quel
completino bordò troppo
serioso per la sua età.
-
Non ti
preoccupare – tranquillizzò la bella donna
prendendolo in braccio e aiutandolo
a sedersi sulla grande sedia accanto a sé.
-
Arrivi al
piatto?
Il
piccolo
sporgeva dalla tovaglia solo con la testolina e guardava abbacchiato il
piatto
che gettava fumo sul nasetto.
-
Christine
– chiamò la giovane donna alzandosi –
potreste portare per favore un altro
cuscino?
La
governante di casa aiutò
la padrona a
sistemare il piccolo sulla morbida pila di sostegno: era una
cinquantenne accalorante,
dal viso di sobrietà quadrata e
dai capelli scuri
raccolti in uno
chignon.
-State
comodo, signorino?
-Grazie,
nounou
Christine – rispose timido lui temendo di spazientire il
padre – ce la faccio,
adesso.
La
signora
sorrise affettuosamente.
Pensava che
fosse proprio un bravo bambino.
Si sedeva
composto, non metteva in disordine nulla, si esprimeva sempre
educatamente e
giocava in silenzio…
Troppo in
silenzio.
Quella caratteristica
la preoccupava un po’ ma era da attribuirsi alla sua indole
introversa e… al Conte.
-
Suvvia,
Ivonne – sospirò l’uomo con sarcastico
affaticamento – è giusta la vostra premura
ma credo che alcune volte dimentichiate che Victor ormai ha
già superato l’età
in cui le gambe sono incapaci
di
camminare diritte.
La
donna
guardò il marito che sedeva a capo tavola: aveva rinunciato
da tempo a tremare
di fragile rabbia
perché qualunque
saetta non bruciava il viso di quell’uomo che portava
fieramente sulla gota
destra una raffica di cicatrici d’arma da fuoco.
-
Frédéric
– rispose autorevole e calma – ho semplicemente
notato che questa sedia è
inadeguata per un bimbo. È troppo grande e ogni volta
abbiamo bisogno di
cuscini…
-
Quante
sciocchezze…nostro figlio è in grado di adeguarsi
a tutto. Non è manchevole di
alcuna capacità e non possiamo rischiare che la mollezza lo
appanni.
-
Avete
ragione- ribatté cupa la contessa- anche giocare un
po’ , giusto qualche
minuto, è deleterio per la mente di Victor che
già inizia a studiare latino.
-
Dovreste
essere felice…prima impara ad affinarsi meglio è.
Gli consento di partire
avvantaggiato.
La
sposa
prese posto a tavola, alla destra del marito, insabbiando
l’irritazione. Se
fosse stata adolescente già sarebbe stata
sull’orlo di tagliarsi il viso di
lacrime.
Aveva
provato quei brucianti torrenti il giorno prima del matrimonio e nel
corso
degli anni era stata costretta a stringarli per il decoro
sociale…per una finta
serenità.
Quell’ufficiale,
dai lunghi capelli neri sfregiati d’elettrico grigio,
possedeva la superbia di
un direttore d’orchestra che suonava brani tetri.
-
Sono
lieta che lui apprenda adesso ciò che gli altri ragazzini
fanno dopo…però credo
si potesse perfettamente aspettare e avanzare per gradi…ha
solo sei anni.
Il
figlioletto fissava impensierito la madre che stava alla sua sinistra
ed evitava
di posare lo sguardo sul padre che serbava una flemma
intimidatoria…
La donna lo
poteva prendere in braccio di nascosto e non sia mai il Conte nero
udisse “
papà”, un
termine da plebeo sporco e
ignorante!
Era proprio
un bambino confuso.
Continuò a
mangiare la minestra, anche se quel verde passato di verdure, mutava in
un’
insidiosa fossa lagunare.
-
Non sto
applicando nessun precetto maligno e neppure anomalo –
ribatté l’uomo arrochito
– la mente di un bambino adesso è più
ricettiva e fresca. Vedrai che Victor, da
grande, raggiungerà
vette d’eccellenza e
sarà più avanti degli altri. Dico bene?
-
Sì, padre
– rispose il bimbo fingendo un contegno che mascherava
scettico imbarazzo.
-
Cosa ti
raccomando sempre?
- La
mente deve essere lucente come una lama e un vincitore non deve mai
rompersi la
schiena contro il suolo.
-
Bravo –
approvò il padrone – inoltre non solo possederai
un’anima colta: diventerai un
vero uomo di spada. Te la stai cavando
discretamente…però alcune volte sembra
che tu abbia paura di colpire l’avversario…e cadi
all’indietro.
-
Beh è
che…devo migliorare a tenere molto ferma l’elsa
e…a capire i punti deboli
dell'altro spadaccino.
-
Ricordati
Victor che riflettere eccessivamente, durante un duello, può
costare caro.
Il
subordinato guardò impaurito il piatto con la carne
d’agnello che stava
affianco la scodella del brodo… Era sanguinosamente
abbrustolita e la salsa di
cipolle pareva un unguento funebre sul cadavere di un guerriero debole.
-Però
–
obiettò in
un piccolo guizzo di
ribellione- se non ho tempo di osservare come
sconfiggo il nemico?
-
Figlio
mio – rise il conte traboccante d’inquisitoria
sufficienza – il difficile è
trovare un punto d’incontro tra il cervello e le braccia.
È d’obbligo
velocizzare i ragionamenti e farli scivolare sulla punta della lama.
Ivonne
coccolò il piccolo confortandolo:
-
Victor…hai presente ora che stai imparando a suonare la
chitarra? All’inizio ti
sembrava difficile pensare e pizzicare le corde contemporaneamente,
perché
prima calcolavi per troppi minuti le note e dopo
sbagliavi…adesso stai
migliorando e hai l’impressione di non pensare tanto quando
suoni... non
fai più
gli errori di
prima.
Frédéric
sbuffò tenuemente tagliando la carne nel piatto.
-
Interessanti
le vostre soavi similitudini – appurò canzonatorio
e regale - paragonare
l’insegnamento della
spada all’apprendimento della
musica…entrambe elevati arti, certo…peccato che
nell’esercito non si suonino
ariette di melodrammi ma si scandiscano marce e ordine.
-
Se non erro,
caro, la musica ha, fin dall’antichità, fatto
parte dell’educazione dei
nobili…Apollo era sia un temibile arciere che il
più sublime dei musici.
- Vi rammento che non
abitiamo, purtroppo,
nell’Arcadia o a Delfi…vostro padre non aveva
bisogno di prendersi tanto
disturbo per regalare una chitarretta così pregiata...
La
contessa
bevve un bicchiere d’acqua per spegnere le fiamme che le
graffiavano la gola e
il fegato…Victor, intanto, allontanò il piatto
della minestra e avvicinò quello
delle costole d’agnello che erano sudate tali e quali alle
sue.
La
governante
Christine arrivò silenziosamente a togliere alcuni vassoi
aiutata dalle altre
domestiche che portarono via le zuppiere di ceramica.
Osservò,
discreta,
i suoi signori sentendo l’aurea di grigia tensione
attanagliarle il petto…
Confrontò
afflitta gli sguardi di Frédéric e Victor:
possedevano le stesse iridi ma
mentre quelle del primo esponevano un celeste striato di proiettili
gelidi,
quelle del secondo parevano intrise della brillantezza dei mari
tropicali.
-
A
proposito…il conte Sanchez sta bene?- chiese il militare con
gelido garbo -
Siete andata a fargli visita spesso ultimamente.
-
Lui, per
fortuna, gode di perfetta salute – replicò la
moglie riprendendo la calma e
guardando il contorno di fresche verdure che abbracciava la carne - Era da tanto poi che non vedevo mio
fratello che ora abita
Lione.
-
Sì…ricordo…mi avevate tra
l’altro accennato ai danni che hanno colpito la
vostra tenuta…
-
La casa
deve essere ristrutturata da cima a fondo e il sistema di irrigazione
dei campi
contigui aveva presentato alcuni problemi…adesso abbiamo
assunto
naturalmente personale
di competenza
tecnica. Agrimensori, geometri, architetti. C’è
stato un continuo viavai.
-
Le
manutenzioni sono
un bell’impiccio…d’altronde
se si vuole vivere su fondamenta solide...
-
I lavori
procedono zelantemente.
Frédéric
prese una brocca di
vetro blu e
versò il vino nel calice di cesellato
cristallo…
Lo decantò
elegantemente aggrottando le sopracciglia…
Il bambino
lo teneva sottocchio quasi osservasse una miccia che stesse per
giungere a un
barile di polvere da sparo.
-
Immagino
che l’ architetto Gerard Touluse
sia
abile e degno di fiducia.
La
donna
impallidì alle parole del marito e mandò
pesantemente giù l’insalata.
-
Sì…assolutamente…-
reagì rinnovando
il contegno - lo
conosciamo da molto tempo.
Il
conte
bevve in burrascoso silenzio e dopo interrogò con finta
ingenuità:
-
Da prima
del nostro matrimonio?
-
È un
amico di famiglia e i miei genitori
hanno ininterrottamente nutrito per lui una profonda
stima.
Victor
aveva visto più di una volta quel brillante architetto
quando andava con la
madre a trovare il nonno…Era un uomo molto semplice, dalla
fisicità morbida ma
non appesantita, possedeva due grandi occhi grigi perennemente assolati
che
assomigliavano a pietre ferme e lucenti. La voce
suonava sincera , bella e gli parlava in
modo gentile e allegro.
-
Peccato
che non abbia qualche cappella o atrio da lasciargli
restaurare…- interruppe Frederic
accartocciando i pensieri del figlio - sarei proprio curioso di vederlo
all’opera… Diversi miei colleghi ne parlano
bene…una bella carriera non c’è che
dire. Chi l’avrebbe mai detto? Il figlio di due commercianti
di
provincia…architetto insigne…
-
Il
talento sboccia in qualunque dimensione,
Frédéric…non privilegia né
la terra,
né il cielo. Non mi sembra che Michelangelo e Leonardo
fossero figli di duchi o
conti.
-
Certo…certo…mi
auguro che questo Gerard abbia anche talento nella finezza e nel garbo
che
serba al… prossimo.
Il
bambino
seguitava a tacere sapendo che la mamma, prima di andare a letto, si
affacciava
alla finestra quasi attendesse d’essere salvata da
qualcuno…e molte delle
lettere che scriveva cominciavano con “ Caro Gerard
“ :
-
Sono uomo
molto paziente, Ivonne…Evitate di allontanarvi da
Saint-Claude nei prossimi
giorni …Sapete…Victor si distrae spesso se non ci
siete.
La
giovane,
accarezzando protettiva i capelli del figlio,
s’imporporò d’indignazione
:
-
Credete
che io voglia abbandonare questa casa?!
-
Mi limito
a dare suggerimenti, cara. Alcune volte i battiti del cuore sono
talmente forti
che sembra picchino il cervello e demoliscano i timpani.
Ridacchiò
piano, simile al fuoco che, strepitando,
divora un
covone di grano.
-
A
proposito… - riprese indurendo di nuovo le sottili labbra -
avete provato un
qualche leggero malessere in questi giorni…in questo mese?
La
contessa
sospirò agitata cercando di temporeggiare tamponandosi la
bocca col tovagliolo
di stoffa.
-
Io…non ho
avvertito… Né emicranie, né nausee,
né strano appetito verso un certo cibo.
Il
marito
poggiò il dorso allo schienale della sedia da sovrano
giustiziere:
-
Vi siete
sottoposta ad una visita medica?
-Il
dottore
ha detto che…è tutto nella norma.
-
Quindi…?
-
Ancora
nulla.
Il
militare
espirò pesantemente prendendosi la fronte con la mano:
-
Perché
deve essere un’impresa?
-Sono
cose
che possono accadere, Frédéric…ci
vuole tempo.
-Ivonne.
Vi
rammento che in questi sette mesi non mi avete portato alcuna lieta
notizia, né
sembra che desideriate coinvolgervi seriamente.
-È
l’ansia
che vi procura queste impressioni.
-È
una fantomatica
impressione che voi scappiate?
Victor
rabbrividì saggiando il contrasto tra il tono calmo che
adoperava il padre e
l’espressione di celeste violento con cui sferzava la sposa.
-Io
non ho
l’abitudine di fuggire – affermò ella
con inclinazione tentennante - È
che non amo distruggermi in battaglie
continue.
Frédéric
detonò un sorriso tagliente, più terrificante
dell’ espressioni adirate e
offese. La parte destra del volto, piena di cicatrici, pareva aumentare
di
rugosità e quelle piccole fosse si restringevano pari a
crepe di un terreno
arido.
-
La vostra
bellezza è accresciuta, siete più disinvolta,
avete un’ammirevole compostezza
che v’invidiano tutte…- musicò velenoso
prendendo la mano della moglie- eppure
io vedo in quegli occhi la fanciulla che ho portato
all’altare.
-
Io non
sono di ferro ed è normale che possa stare qualche volta
poco bene.
Il
generale
sbatté il tovagliolo sul tavolo e scandì pregno
di artico incendio:
-Qualche
volta? È una coincidenza che diciate d’avere mal
di testa o
d’essere indisposta
quando dovreste rispettare i vostri doveri?
-
Io li
rispetto fin troppo.
L’uomo,
ghignando acidamente, finì di bere il vino dalla coppa.
-
Evitate i
vittimismi da santa. Sapete che non vi si addicono.
Ivonne
, tentando di non balbettare e far tremare le dita,
controbatté col petto gonfio:
-
Il ruolo
di Conte regnante vi sta a pennello.
Lui
, lanciando
un’occhiata tirannica alla moglie, ordinò apatico
al figlio:
-
Victor.
Sono le otto. È ora che ti prepari per andare a letto.
-
Ma…padre…-
obiettò l'altro delicatamente - io vado a dormire alle nove
e mezza.
-
Christine. – venne troncato secco- Accompagnate
nostro figlio nella sua camera.
-
Frédéric
– sibilò la madre -
Non c’è alcuna
fretta!
-
Ivonne.
Domani si deve alzare presto. Lo attende il precettore e ha lezioni di
scherma.
La
giovane
stritolò il tovagliolo nella mano:
-Noi
dovremo andare al Parco di Saint-Claude!
Il
governatore socchiuse gli occhi recitando dispiacere:
-Mi
dispiace, cara. Sono stato intempestivo nell’avvisare il
cambio di programma. La
prossima volta sarò più diligente.
La
contessa, mentre si chinava verso il bimbo per il bacio della
buonanotte, gli
sussurrò all’orecchio.
-Tranquillo
tesoro…usciremo nel pomeriggio.
Victor
, a
malincuore, dovette abbracciare la mamma in fretta…
Sapeva che
il padre non pativa tanto le effusioni…
-Su,
signorino venite.
La
balia
Christine lo aiutò a scendere dal sedile e , prendendolo per
la manina, lo
guidò per la scalinata di marmo che
portava alle camere superiori.
Era proprio
un bambino triste…
Doveva
aspettare il mattino senza aver paura del buio…
I suoi
occhi si muovevano precari uguali all’acqua trasportata in un
secchio che perde
gocce e non irriga liberamente la terra.
***§***
L’orologio
a pendolo rimbombava mezzanotte
e stelle
gocciolanti…
Ancora
mezzanotte.
Solo stelle
che perdevano acqua.
La camera
rintronava di silenzio e tappezzerie di fiori finti.
Ancora
silenzio e tappezzerie.
Solo fiori
disegnati e piatti.
Le
tende
della finestra erano leggermente scostate per far infiltrate un remo
pallido di
luna che nuotava paralizzato sulle piastrelle.
Croci
scivolose e asettiche, ombre delle vetrate strisciavano a terra
allungandosi
impercettibili.
Victor
guardava la vuotezza decorata della sua stanza, impaurito di perdere la
rotta tra le onde
delle lenzuola del
letto.
Il
baldacchino di raso rosso pareva una rete pronta a catturarlo in un
qualsiasi
attimo di distrazione procurandogli una fine da coniglio.
Si chiamava
Victor , vincitore...Il
luccicore dei fasci littori che si levano al termine delle battaglie,
l’aroma
dell’alloro che cinge il capo degli eroi…
L’aquila d’oro che sovrastava il nome
di Roma…Tutte
quelle onorificenze, che aspettavano di materializzarsi su una bella
divisa,
pesavano sulla sua azzurrina veste da notte.
Eroe?
Aquila?
Era
uno
schermidore dilettante che più che dilettarsi si angosciava
e più che un
maestoso rapace delle montagne appariva un passerotto che non spiccava
il volo.
A
stemperare magro e ironico Victor ,
Clement il nome del nonno
materno...però... un Vincitore
poteva essere
davvero clemente verso gli
altri?
Il piccino
respirava felicemente i minuti solo se aspettava la mamma, solo se
giocava
davanti a lei mostrando orgoglioso l’esercito dei soldatini
che preparava
apposta per difenderla…
Riusciva a
distinguere le sfumature dei verdi
fogliami solo quando passeggiava sotto i tigli e tra le
ombre c’erano
squame di luce che danzavano sui capelli e sul petto di Ivonne.
All’improvviso
un gentile battito risuonò sul duro legno della porta.
Un lieve
fruscio di veste blu, morbido e leggero volteggiava sul pavimento fuori
l’oscura tana.
Lui si mise
a sedere sul materasso credendo che il sangue freddo nelle vene fosse
divenuto
tè caldo e dolce.
Conosceva
benissimo quei passi.
Erano
quelli della sua fata in cuffietta che l’aveva sempre cullato
nei momenti in
cui la Contessa era malata o era dal fratello, fuori Parigi.
Un’altra
sequela di bussi.
-
Avanti.
Una
donna,
non molto alta, avanzò piano con un candelabro in mano.
-
Signorino
Victor…state bene? – gli domandò
preoccupata – prima ho sentito che eravate
uscito dalla vostra stanza e poi siete tornato qui…
-
Nounou
Christine…- lamentò mogio- non ho sonno.
La
nutrice
sorrise tale e quale a una brezza primaverile:
-
Vi porto
una tazza di latte?
-
Va bene.
Alcuni
minuti dopo, la signora giunse con un piccolo vassoio
d’argento e una coppa di
ceramica smeraldina, la preferita di Victor. Poggiò le
candele su un mobile di
cedro e si accomodò sull’orlo del letto vicino a
lui.
-
Nounou…
la mamma può
venire da me?
Christine
assunse una piega disagiata e abbattuta…
Non poteva
riferire che il conte Frédéric aveva costretto la
consorte a riceverlo nella
stanza matrimoniale .
-
Mi
dispiace…- mormorò pulendo con un fazzoletto la
bocca del bimbo marchiata di
latte- Madame è …con vostro padre.
-
Oh…lei mi
legge le fiabe e si mette pure a dormire qui qualche volta…
Non
capiva
perfettamente certi meccanismi adulti ma sapeva benissimo che il
generale gli
rubava la principessa.
Tacque
qualche minuto cercando di arrabbiarsi ma si accorse di provar soltanto
timore: rimembrava
una volta in cui si
era messo a piangere forte perché Ivonne non poteva
coricarsi con lui e il
padre gli aveva tirato uno schiaffo dando inizio ad un terribile
litigio
coniugale.
-
Purtroppo
signorino non so leggere…- confessò dispiaciuta
la balia.
Il
bambino
sollevò le coperte e le si addossò in grembo.
-
Però…-
obiettò con tenero cruccio - tu sai qualche
storia…te le raccontavano anche a
te da bimba?
-
Oh..certo!- rise lei accarezzandolo-
conosco quelle del mio vecchio villaggio.
-
Nounou -
le borbottò con la testa poggiata sul suo petto che
profumava di dolce pasta-
Non dire niente a mio padre. Lui dice che io sarò un uomo e
non devo stare
tanto attaccato a maman.
-
Signorino….- rivelò prendendogli scherzosamente
il faccino tra le mani- mio
padre diceva che un bambino amato dalla propria mamma sarà
senza dubbio un uomo
valoroso. Perché saprà proteggere e adorare le
fanciulle come un cavaliere.
Anche senza spade.
Victor
sorrise…Luminosità di pioggia che cadeva inondata
dal sole.
-
Non vedo
l’ora di saper suonare la chitarra!
-
E’ un
bellissimo strumento.
-
Già…ti
prometto che farò canzoni
con tante favole
tue e della mamma…
Note storico-artistiche:
Jean de Boulogne
o il Giambologna ( 1529-1608) è stato
uno
scultore fiammingo che ha operato a lungo a Firenze. Grande esponente
del
Manierismo, alcune tra le opere famose : Il ratto delle sabine ( Loggia
della
Signoria , Firenze) , Statua Equestre di Cosimo I – Piazza
della Signoria ,
Fontana del Nettuno- Piazza del Nettuno, Bologna.
Jacopo Barozzi , detto il Vignola (
1507 – 1573) : fu uno dei più importanti
architetti della corrente manierista ,
autore del trattato Regola delli Cinque
Ordini d’Architettura . Alcuni tra i suoi progetti
più noti: Palazzo
Farnese , Villa Giulia, Chiesa del Gesù ( Roma)
Note
personali:
ciao
a tutti!
scusate il lieve ritardo! ^^”
ecco
finalmente una panoramica introspettiva sulla famiglia Girodel e in
particolare
sul piccolo Victor…
costoro
segnano un taglio netto con i de Jarjayes e i Grandier…a
parte la ricchezza
smisurata e incredibile ( la loro dimora è sostanzialmente
una pinacoteca e
galleria d’arte ) ci sono gravi problemi all’
interno. Frédéric , che già ha avuto
modo di spiccare con la ““
simpatia”” , è un po’
l’imperatore incontrastabile
che non è differente da come si comporta
nell’esercito…Ivonne e Victor sono
uniti nel loro ruolo di succubi ma soprattutto nel ruolo di madre e
figlio.
Sarà proprio l’affezione del bambino alle figure
femminili ( indifferente non
è la posizione di Christine – nounou è
il
diminutivo affettuoso francese di nourrice
, nutrice) a farlo maturare nella maniera più
nobile che conosceremo…( e a
portare futuri contrasti col padre-padrone)
più avanti
verranno alla luce altri episodi di questa famiglia( specialmente sulla
drammatica condizione di Ivonne)…
Spero che
abbiate apprezzato quest’altra digressione ( non
particolarmente serena XD )
L’ultima
parte del 4 capitolo vedrà ….la nascita di
Oscar!!!
Non
so
dirvi la data precisa…ma entro la fine di giugno mi auguro
di aggiornare ( è un
po’ un periodo di intasamento esami ^^”)
Un
saluto
grande!
( un
ringraziamento affettuoso per la pazienza con cui mi seguite :-* )
|
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Capitolo 10 *** CAP 4 - Patriarchi e focolari : la bambina con il fiocco blu ( I parte) ***
CAP 4 - PATRIARCHI E FOCOLARI : LA BAMBINA DAL FIOCCO BLU
4
Patriarchi
e focolari:
La
bambina con il fiocco blu
( I parte)
“
Di tante parvenze
che s’ammirano al mondo, io ben so a quali
posso la mia bambina assomigliare.
Certo alla schiuma, alla marina schiuma
che sull’onde biancheggia, a quella scia
ch’esce azzurra dai tetti e il vento sperde;
anche alle nubi, insensibili nubi
che si fanno e disfanno in chiaro cielo;
e ad altre cose leggere e vaganti. “
( U.
Saba)
25
Dicembre 1755
Era un Natale strano, denso di
mormorante umidità e decorazioni
affievolite.
Il pomeriggio fuggiva negli alveoli della sera scudisciato
da un temporale di
cenere.
Le capriate del cielo, rotte da chissà quale
divinità, grandinavano
pezzi di vetro in gemiti secchi.
Villa de Jarjayes gravitava tra
le fiammelle lacustri
dei candelabri.
Nella sala da pranzo non si gustavano vapori di cibi
rosolati o bolliti, non si udivano i dolci e bombati rumori dei tappi che balzavano dalle
bottiglie …
Ogni cosa si era desertificata in un emporio di mobili,
tappeti e quadri lasciato incustodito dall’ansia dei
proprietari…
- Albert – chiese piano
Berthold – il
generale è ancora al piano
di sopra?
Il maggiordomo settantaquattrenne fece
un cenno assorto e
negativo col capo. Era appena entrato in cucina dopo aver rianimato
l’ugola
infreddolita del camino nel salone. I folti capelli bianchi si
scaldarono sotto
la luce del piccolo lampadario del soffitto assieme alle rughe
signorili e
campestri: sempre
composto , si avvicinò
al tavolo velato da una semplice tovaglia bianca su cui giacevano
ciotole di
brodo, tozzi di pane spolpati e bicchieri d’acqua mezzi
vuoti.
Lui e gli altri servi avevano deciso ,
dettati dal rispetto
e dalla tenebra superstiziosa, di non aprire le bottiglie di vino fino
a che non
fossero giunte notizie felici dalla camera di Judith.
- Da quando Madame ha
iniziato ad avere le doglie prima dell’ora di pranzo
– ricordò Albert - non si
è voluto allontanare da dietro la porta di quella camera...
- Avrebbe fatto meglio a
mangiare qualche boccone prima di sera – sospirò
Damian seduto di fronte al
padre - ora i nervi gli salteranno fuori dal cranio! Non riesco a
capire se sopra
abbiamo un mastino o un uomo...
Davanti alla ciminiera , intenta a rimestare nella
pentola di rame le
bolliture dello spezzatino , stava la quarantenne Ginette, la capo
cuoca dal
fisico di chioccia laboriosa. Girò verso gli interlocutori
il volto tenero che
contrastava con gli occhi scuri e lampeggianti
pronti a scattare per sospetti e irregolarità.
- Nel pomeriggio –
raccontò tonante - ho tentato di portargli una scodella di
minestra calda e sostanziosa
e per poco non mi ha mangiata viva! E dire che ho messo tante di quelle
patate,
cipolle e ortaggi scelti!
- Ginette, non
ti scoraggiare! – sorrise Damian
voltandosi e dandole un colpetto affettuoso sul braccio - Sai
com’è il re della foresta... in una
situazione come questa...
- Lo so!lo so! –
ribattè
con gli occhi al cielo agguerita di preoccupazione - Sento
la paura fin nei capelli! Ma non si può
lottare a stomaco vuoto!
- Hai proprio ragione –
annuì Berthold - però
la tensione ti può
togliere l’appetito...
La donna venne colpita da subconscie
manie di persecuzione.
L’ infanzia l’aveva
vista subire
asprissimi e assillanti rimproveri dalla nonna e dalla madre che
sostenevano
che non sapesse eseguire perfettamente i suoi compiti.
- Ah! – sibilò
stringendo gli occhi - È
un modo
simpatico per dire che la mia minestra era una pappetta disgustosa?!
- No! – si premurò
di
precisare Albert tentando di prevenire una reazione esagerata - Assolutamente è
che....il nervosismo non fa
apprezzare delizie e piatti preparati con amore e grandissima cura.
Ginette si ritrasse in preda ad un
ripensamento infantile,
quasi avesse commesso un danno causato da una grave mancanza di senno.
- Forse avete
ragione....- piagnucolò abbattuta - l’odore delle
cipolle era troppo forte....non
avrei dovuto strafare! Ecco perchè il Conte si era
arrabbiato! Sto peggiorando!
Lazar, il responsabile delle stalle
seduto accanto a Damian
, si mise a ridere. Era un uomo di mezza età, inguainato da
una capigliatura
sale e pepe e sorretto da membra lunghe, nodose come le cortecce degli
alberi
marittimi.
Sembrava che la bellezza fosse stata
avara sul viso
olivastro, lungo, coperto dalla fuliggine di una peluria invincibile al
rasoio.
Il naso spuntato, quasi elaborato da un fabbro medievale, captava
qualunque
tipo di odori rendendolo esperto di linguaggi animali che parlava
attraverso la
dentatura biancastra gialla.
- Ginette! –
esclamò col
tono di fieno e segatura - Sappi che la tua squisitezza ha rallegrato
le nostra
budella! Quel ben di dio ha scaldato le carrucole dei miei muscoli!
- E la caverna del tuo
palato delizioso – ridacchiò Damian - per non
aggungere altro!
- Fai poco il principino
sputacchioso! Che i miei cavalli hanno meno pulci dei tuoi capelli!
- Chiedo venia prode
Lazar lazzarone!
Berthold rimproverò il
figlio :
- Per favore.
Mantieniti. Ti pare il momento di scimmiottare i marmocchi?
I gomiti sul tavolo e i capelli
chiari sul cranio gli avevano incrementato l’aurea di stoico
greco.
- Papà! La situazione
è
quella che è. Cerchiamo di tenere il morale energico e no
spiacciccato sotto le
scarpe! La casa sembra un cimitero!
- Dobbiamo avere
pazienza e contegno. Rispettiamo il conte e madame. Non possiamo
organizzare
numeri da circo in un giorno come questo.
- Suvvia Berthold....-
s’inseri flessibile e diplomatico Albert - è dura
ma non c’è bisogno di perdere
la positività e la concordia...stiamo uniti e magari finiamo
il magnifico
spezzatino della nostra Ginette.
Lazar si alzò dalla
seggiola sporgendo il tronco del collo
verso la porta della cucina:
- Ehi, gente! Sento i
passi di mia moglie che sta scendendo!- prese a gridare senza porsi
problemi
d’intonazioni eleganti - Faustine! Faustine!
Ohilàààà! Faustiiiiine!
Giunse in fretta , a passetti svelti e
febbrili, una
donnina dalla carnagione infreddolita ma dal nasetto energico e dagli
occhi
verde marrone di
sensibiltà premurosa e
ordinata. Aveva soltanto un ciuffetto fuori posto dalla crocchia
castano
nocciola.
- Che abbai così?!
–
sgridò a denti stretti - Razza di cafone! Non stai
scaricando scorfani e cozze
a Marsiglia!
- E piantala di
spaccarmi la testa con bacchettate da balietta! Che sta succedendo al
piano di
sopra?
- Sembra che manchi poco
– riferì impaziente e impensierita - il medico,
sua moglie e sua figlia sono
bravissimi. Tengono tutto sotto controllo.
- Eh !eh! c’erano dubbi?
– incoraggiò rumorosamente il marito - Avete visto
quell’uomo! È uno che
mastica pane, aglio e birra! Altrochè
robette spocchiose!
- Deronne ha la
pellaccia di un elefante da combattimento e un cuore grande –
aggiunse Damian
battendo allegramente la mano sul tavolo - è una benedizione
che il generale lo
abbia rincontrato!
- Ringraziamo il
cielo... – disse Berthold con un timido sorriso - oggi
è natale....che nostro
Signore dia a questa casa una bellissima creatura.
- Amici – invitò
Albert
calorosamente - Preghiamo assieme.
Così le nostre voci saranno
più forti.
- Che paura abbiamo? –
incalzò Lazar azzannando un pezzo di pane e masticando
rozzamente - Gesù
Cristo è con noi!
- Sì...- gli diede poi
ragione la moglie - il
Salvatore ci ha
dato un segno!
***§***
François fissava angosciato
la porta della camera dove la consorte
stava partorendo.
Passeggiava avanti e dietro desiderando spellare il
pavimento o frantumare i vetri delle finestre canute
di condensa.
S’inquietava sempre di più e terrorizzava sempre
di più…
La sventurata cameriera di turno, che
usciva di tanto in
tanto , tentava di
calmarlo assicurando
che Judith era
ormai prossima a far
nascere il neonato.
- Giuda assassino! –
imprecava il padrone - E’ da due ore che dite le stesse cose
e non vedo ancora
né mia moglie né il bambino!
- Signore…il travaglio
è
stato un po’ lungo, bisogna evitare che Madame corra
rischi…
- Sarà meglio che questo
stillicidio finisca al più presto!
L’uomo andava vicino alla
finestra, sbatteva un pugno
contro le imposte e mugugnava preghiere tra i denti:
- Padre Eterno…Vergine
Maria…non sono il più fervido dei praticanti ma
vi prego…proteggete Judith e…il
piccolo…Sì…il
piccolo…sarà un maschio, vero? Perché
sta volta andrà
diversamente…sì…lo sento...la vostra
misericordia è immensa…
Aveva ricevuto un’educazione
cattolica ma veleggiava nel
limbo dell'agnosticismo…Credeva, ripudiava, rivalutava,
confutava e
ricredeva…Era un’altalena di speranza e
scetticismo…un pendolo metafisico che
ciondolava tra cieca fede e sgretolante amarezza.
- Non so che volto
abbiate ma almeno vedo il cielo sopra di me …Dio,
Gesù Cristo, immacolata
Maria…non abbandonate mia moglie e donatemi un
maschio…un bel bimbo sano e
forte…e fate in modo che quel bovaro di Deronne abbia le
mani guidate da voi!
L’ansia rabbiosa gli faceva
schiumare scongiuri e insulti
ma nel cuore sapeva che era veramente sleale
dubitare di quel professionista.
In fin dei conti doveva ringraziare il
Padre Eterno o il
Fato per averglielo, dopo tanto tempo , rimesso accidentalmente
sul sentiero.
Il sole di
agosto
, quasi avesse il sangue semi svenuto nelle vene, si accasciava sulle
vie e
sulle case antiche di Parigi. I ciottoli parevano schiudersi come uova
di
anguilla e le case di respiro medievale minacciavano di diventare
liquefatte. I
nobili cercavano refrigerio nei parchi o nei boschi sotto le braccia
rigonfie
degli alberi mentre fornai, artigiani , editori e sarti avvertivano la
pelle
mescolata alla pesantezza dei tessuti bagnati e logori.
Una carrozza
nobiliare, trainata da robusti e coraggiosi cavalli, spaccava,sotto i
raggi di
mezzogiorno, il viale che sporgeva sulla Senna drogata
d’azzurro e verde rame.
Aveva una linea austera
decorata con qualche filamento d’edera d’ottone
imbrunita di vecchi luccicchii.
Il cocchiere, un
uomo dai capelli grigio neri sbatacchiati ,
si schermava con un cappello leggero a tesa
larga. Finalmento libero dal protocollo di corte , si era slacciato la
marsina
beige , la camicia di lino e il nastro di raso mogano che ne teneva
congiunti i
colletti.
Lazar , stava
riaccompagnando a casa François reduce da una riunione
militare
sull’organizzazione delle linee di difesa dello Stato
giacché ormai gli
equilibri delle alleanze mutavano in fretta.
Anche lui , aperti
i finestrini del veicolo, si era allentato i bottoni della divisa e
sventolava
il cappello tentando di produrre un soffio di vento che potesse
raggelargli i
capelli spettinati che si addossavano sulla fronte, le guance e il
collo.
Damian, seduto
dirimpetto , si scuoteva le fronde umide della capigliatura castano
chiara e
tentava di trovare sollievo slacciandosi giubba e panciotto.
A mano a mano che
si procedeva una voce femminile ,
rustica
e cristallina , diveniva sempre più alta e irritata.
-
Teh ! – sbraitava - Che
dicevo?! Tu: “ ma non vedi che
questo legno è roccia!”
- Letamai di
strade! – imprecava l’uomo con un vocione da
fornace - Proprio lì si
doveva piazzare quella pietra
aguzza?!
François
,
incuriosito, si
sporse dal finestrino:
al lato opposto della strada stava un carretto ammutinato con la ruota
spaccata. Era circondato da tre persone. Una coppia corpulenta sulla
sessantina
che agitava le braccia alla stregua di marinai e una giovane robusta
che
tentava di mantenere la calma.
- Certo!
– canzonava la signora - Le
pietre si divertono a saltellare e fare
dispetti! Mai ascoltare me e chiamare un falegname prima del disastro!
- E chi lo
trovava il tempo?
- Intanto
potevi accorgertene prima che il cerchio si
lamentava!
La
poderosa
schiena, le gambe taurine e forti, il volto di mattone,
le setole dei capelli in disordine...
Il generale ,
affacciandosi dallo sportello della carrozza,
ordinò a Lazar di fermarsi ed
esclamò:
- Ma...voi
siete il medico Deronne!
Il trio
ammutolì
inarcando le sopracciglia all’unisono in comica armonia.
- Cosa?-
rumoreggiò energicamente René senza curarsi
dell’etichetta - tu...François?
Il Conte ,
sorridendo e scuotendo il capo , uscì dalla carrozza
investito dai raggi del
sole che rimbalzarono sulla divisa blu mare.
La signora e la
ragazza restarono piacevolmente meravigliate dalla sua figura alta,
distinta e
dal viso guerriero
simile ai santi
cavalieri delle chiese: possibile che il loro omaccione conoscesse un
nobile
del genere?
- Spero di
non essere così invecchiato da sembrare
irriconoscibile!- scherzò l’ufficiale -
- È
da quasi quattro anni che non ci si vede! – rise
fragorosamente l’altro - La
tua faccia
di stagno è sempre quella!
François
, seguito
da Damian , osservò il piccolo calesse che poggiava sul
mozzo della ruota
demolita.
- Coraggio....avete
un bel danno... lasciate che aiuti voi
e...
Deronne
presentò
le donne:
- Queste
sono mia moglie Susanne e mia figlia Colette.
- Piacere di
conoscervi, signore – fece un rapido e
rispettoso inchino
il conte - Dov’eravate
diretti?
- Siamo
levatrici – spiegò la signora - Assieme
a mio marito dobbiamo effettuare una
visita d’urgenza ad una giovane che abita oltre Pont Neuf.
- Io e Lazar
vi accompagniamo immediatamente, intanto Damian
si accuperà del vostro carro e dei vostri cavalli.
- Sì,
signori – assicurò
l’attendente– conosco un fabbro
nelle vicinanze a cui mi rivolgo da anni. Lui e i suoi garzoni vi
ripareranno
tutto.
Colette
indugiò con lo sguardo, pudica
ma interessata , sull’avvenente
servitore che intanto prese per le briglie i due cavalli . Come il
conte,
possedeva una statura importante ma mentre il primo era più
solenne e metteva
più soggezione, lui emanava semplicità agreste e
vivace.
- Vi
ringraziamo di cuore – si riprese lei tornando compita -
Che Dio vi benedica! Non possiamo abbandonare quella ragazza e i suoi
genitori...
- Vostro
marito mi ha salvato la vita – rivelò
François
accorato - e ha
sostenuto con grande
valore molti altri uomini.
- Dicci che
potremmo fare per te François! – incitò
Deronne
mettendogli le manone da carpentiere sulle spalle.
L’uomo
riflesse
e indugiò
quasi costernato ma
alla fine raccontò:
- Ecco...mia
moglie Judith è incinta di cinque mesi e il
medico che la visitava putroppo è in viaggio
all’estero...sto cercando un
professionista o dei professionisti
degni di fiducia che la seguano e ci possano garantire la
salvezza del
nostro nuovo bambino...
- Susanne e
Colette sono di ferro ma possiedono mani d’angelo
mentre io ho il corpaccione da muratore ma
braccia di velluto quando afferro i pupetti frignanti.
Vagiti squillanti interruppero il
flusso dei pensieri.
Le voci entusiaste della servitù dissolsero la tetraggine
dell'attesa.
Un orologio di cedro e ottone segnava le otto e mezzo.
François
si precipitò davanti alla porta della stanza,
pensando di progettare in futuro un pellegrinaggio a Santiago di
Compostela.
Dopo una mezz’ora di
pianti e parole calmieranti, Marie
venne
fuori raggiante con un fagottino in braccio.
- Signore! Il parto è
andato bene! Madame deve riposare ma il dottor Deronne dice che si
riprenderà
tra qualche ora.
Il generale sorrise gioioso lasciando defluire la tensione
accumulata.
Dopo Santiago , pensò, si
sarebbe recato anche a Roma.. .
- Sono felice, Marie!
Stavo morendo d’ansia! Non osavo
immaginare cosa sarebbe potuto accadere a Judith! Che
tortura…Non ho dormito
tranquillamente…Grazie al Cielo è andato tutto
per il meglio! E… questo
splendido piccino?
Una testolina di biondissime ciocche
d’etere sporgeva dalle
braccia della governante. Un visino ancora madido d’alba,
rosseggiato di gemiti
ma dolce di tepore…Gli occhi erano chiusi e solo le braccia
paffute tentavano
di appropriarsi delle immagini del mondo.
Era un piccolo Iperione, un dio del
Sole…Sarebbe diventato
uno sfavillante armigero con quella criniera di rara beltà e
quell’ effervescenza
di vento.
- E’ proprio un degno de
Jarjayes! – esclamò elettrizzato
François afferrando la
creatura.
Marie sorrideva colma di
ansioso imbarazzo.
- Emh…signore…
- Somiglia ad un
arcangelo! No! Ad un cherubino! A un serafino! Un serafino!
L’uomo teneva tra le braccia
la creaturina che protestava
per quella verve commossa
- Signore…non vi siete
accorto…
- Vedrete, Marie! Splenderà
di nuovo la gloria della nostra famiglia!
Il generale ormai lievitava
nell’atmosfera, giurando al
Creatore di compiere un viaggio a piedi fino a Gerusalemme per deporre
ogni
tipo di offerte.
La governante aveva paura di smorzare
quell’agognato
momento d’ilarità…
- Signore, devo dirvi
che…
- Non siete d’accordo con
me? Non è un
bellissimo principe?
- Una…bellissima principessa.
Di colpo François
ammutolì.
Sgranò gli occhi facendo
diventare il loro blu cocente.
- Una p-principessa? –
sorrise adirato e incredulo – avanti, non prendetevi gioco di
me…è stata una
giornata estenuante…
- Ho detto la verità,
signore. Voi e Madame avete una
bambina…Guardate…è sanissima e
meravigliosa…neppure
troppo piccola! Il medico è rimasto piacevolmente stupito!
Il conte aveva le mandibole contratte
e un tremolio negli
arti.
Con lentezza scoprì il
corpicino della neonata per
verificare la tragicità delle rivelazioni…
- Una femmina…-
ruggì –
ancora una femmina!
- Ma signore! – si
sdegnò la serva – dovreste essere fiero! Questa
piccina non ha nulla, è
perfetta e Madame è finalmente felice!
- È la sesta!
Incredibile!
L’ufficiale avvertiva i
ditini dell'infante battere
sull’orlo del gilet , sul bordo della giacca...Era come se
cercasse un appiglio
sicuro, caldo, solido...Gli sfiorò , quasi cinguettando, la
cravatta di seta
già stupendosi di quel contatto stropicciato e liscio...
- Suvvia! Dove la vedete
questa fine? – rinfacciò Marie –
è un reato che una fanciulla perpetui il
sangue di famiglia?
François restò
in silenzio annullandosi nella furia dell'acquazzone.
Le gocce che sbattevano contro le
finestre intaccavano i
riflessi dei suoi lineamenti inaspriti
di confusione.
Contemplò di nuovo il
faccino della figlia rigonfio di
delicatezza arrossata...quella floricultura di capelli finissimi era
incantevole
e desiderosa di essere coperta da carezze e cuffiette.
Da quanto tempo poi non sorreggeva la
leggerezza vibrante
di un neonato? Da quanto lui e Judith erano rimasti atrocemente a
digiuno di
quelle sensazioni?
Sì...desiderava un
maschietto però una splendida
femminuccia poteva segnare un inizio luminoso, simile ai riflessi
carezzevoli
dell’aurora. Sarebbe stata un’erede della madre,
avrebbe appreso la grazia
della musica e la sottile regalità. Bisognava attendere un
altro pò di tempo e
si sarebbe pensato subito ad un altro prodigio...un secondogenito che
avrebbe
portato la spada e protetto la corona e la famiglia.
- Come sta Judith ? – si
addolcì il conte guardando la governante – riposa?
Marie si riaccese di contentezza
vedendolo tornato alla pacata
tenerezza di marito e padre.
- Sì – rispose
– è
necessario aspettare, il tempo che Madame si senta tranquilla e...si
sia ben
sistemata.
- Capisco...- annuì
l’altro dispiaciuto – attenderò
,allora...è che non mi sento completamente
tranquillo finchè non ho la certezza di riabbracciarla...
Diede delicatamente la bimba a Marie
che lo rassicurò:
- Anche Madame desidera
riavervi accanto. E’ stato un travaglio difficoltoso
però è finito nel migliore
dei modi.
- Assolutamente....dovremmo
decidere il nome per la bambina...Judith avrà sicuramente in
mente qualcosa di
delizioso.
Trepidante ma sollevato dalla gioia
dei piani futuri,
François si precipitò al piano di sotto senza
più premurarsi della
compostezza delle etichette.
Pensò fosse un natale
scarmigliato, agitato ma felicissimo.
Saltò quasi per le scale mostrando la grinta di un
adolescente che si era
imbarcato sul vascello di un’avventura tanto agognata.
Giunse in cucina, sconvolgendo la
servitù per lo strepitare
dei passi, insolito per la sua consueta serietà.
- Carissimi! –
scandì
vivacemente ergendosi in tutta altezza - la
nostra casa ha una nuova piccola contessa!
Albert e Berthold si infervorarono di
contentezza battendo
le mani tra uno spruzzo di risa. Ginette e Faustine si commossero
immaginandosi
la fanciullina che avrebbe riempito la casa col rumore della sua
giocosa
curiosità.
Damian sorridendo , attraverso lo
sguardo lucido di
lacrime, abbracciò François.
- Siamo felicissimi
signore! questo dono ve lo meritavate da tempo...
- Sì –
assentì l’altro
sentendo la dolce strozzatura in gola della commozione – io
non ci posso ancora
credere...dopo questo capitolo, ce ne sarà un altro.
- Che bello! Scommetto
che la bimbetta è uno straordinario bocciolo! Dopo questo
miracolo viene voglia
di farne un altro!
- Ora però –
gridò Lazar
che aveva già ghermito sfacciato una bottiglia di Borgogna
– è doveroso
festeggiare l’avvento della damigella!
- Ehi! – vociò
Damian –
giù le zampacce da quell’elisir, muso di mulo!
I due si spintonarono alla stregua di
calciatori fiorentini
fino a che François sgridò:
- Insomma! Riusciamo a
brindare in modo gioioso e civile? O devo prendervi a calci come buoi
da
traino?
Tra le risate, il vino nei calici
brillò al di sotto delle
lampade coi suoi sussulti di danza scarlatta.
*** § ***
- Ecco, la pulcina è al
caldo – disse compiaciuto Deronne – guarda, Susanne
! chi è più beata di lei?
La levatrice sorrideva mentre Judith ricopriva di
baci la figlioletta
dispensandole carezze
e sorrisi.
Non poteva credere d’averla
tra le braccia, attaccata al petto…
Quei solleticanti capelli di vapore,
il naso minuscolo come
un pistillo di fiore, le gote di pesche
accalorate…L’avevano accuratamente
coperta con una camiciola di cotone decorata da ricami di uccellini.
Marie guardava la giovane uguale ad un’immagine
santa…Aveva i capelli ondulati
raccolti in una selvatica e virginale treccia, gli occhi azzurri
sfavillanti di
spossatezza lietissima, la camicia da notte che pareva una marea
traforata di
neve…C’era pure il bel lenzuolo di Pauline, su cui
danzava un arabesco di rose,
a conferire leggerezza alle coperte invernali.
- Allora dottore –
domandò la contessa avvolta dall’incredulità
felice di chi ha passato brutti momenti – la mia piccola
è in perfetta salute?
-
Madame
– rispose l’uomo rassicurante e professionale
– l’epidermide non mostra la
benchè minima macchia , la spina dorsale e gli arti sono ben
formati, il palato
è sano e il respiro e il battito del cuore sono
regolarissimi.
- Avete stabilito chi
sarà la balia? – si premurò Susanne
– se sarà possibile visiteremo anche lei
per verificarne lo stato di salute.
Judith reagì in modo
strano: sorrise tenera eppure nebulosamente
scurita.
Avvertì germogliare in se
una sorta di gelosia esclusiva.
Il sangue che scorreva nella neonata doveva sentirlo soltanto
lei...ogni
palpitazione, ogni bisogno doveva captarli soltanto la sua mente.
- No – enunciò
austera –
non ci sarà alcuna nutrice.
Deronne, la moglie e la figlia si
ammutolirono allibiti.
Marie e le cameriere, che stavano finendo di mettere a posto la camera,
arrestarono i movimenti.
- Dottore – chiese
conferma la contessa risoluta – voi , Susanne e Colette avete
riscontrato
qualcosa di anomalo al mio seno?
La ragazza affermò discreta
e precisa:
-
No,
madame...Nonostante il parto sia stato difficile , non
c’è nessuna
infiammazione al petto. È perfettamente normale.
- Bene – sospirò
Judith
baciando la sua bambina sulla guancia – allatterò
io stessa.
Il medico si mise le mani sui fianchi
voluminosi ,
approvando ammirato quella decisione fuori dalle regole. Susanne e la
figlia parlottarono
tra loro perplesse ma in fin dei conti contente. Le serve pensarono
fosse
incredibile che una nobil donna si flettesse
all’umanità primitiva di un gesto
concesso solo agli umili.
- Madame – domandò
piano
Marie – veramente desiderate allattare la fanciulla?
Judith aggrottò la fronte
quasi offesa che si mettesse in
dubbio la sua istintuale convinzione di madre:
- Posso mai provare avversione
nel nutrire mia figlia? E’ cresciuta nel mio ventre e
l’ho cibata per nove
mesi! Continuo semplicemente il processo della natura. Non
c’è nulla di
scandaloso o osceno a differenza di quello che vogliono credere le
altre
aristocratiche.... Forse dimenticano che Gesù sia stato
allattato dalla Santa
Vergine e no da una balia....
Tutti restarono profondamente colpiti
da quell’inedita
aggressività, quell’aggressività dolce
di leonessa che riafferma le leggi
ancestrali del creato.
- Avrei voluto farlo già
da tempo – continuò mesta la donna – la
sventura o l’indisposizione fisica me lo
hanno negato...tra le cose che rimpiango , pensando alle mie bimbe, è non avere
potuto dare loro la linfa del mio
petto, ecco... Adesso voglio offrire tutta l’ energia a
questa nuova vita.
Marie , commossa e accorata,
chiarì:
- Madame, dovete
perdonare l’inopportuna domanda di prima...non oserei mai
mettere in
discussione la vostra forza. Ci ha
proprio
sorpreso questa decisione. Siamo con voi. Vi capisco con tutto il
cuore.
La contessa sorrise costernata per la
reazione verso la
governante, che aveva resistito all’urto
di quell’onda ferma nella sua figura
tondeggiante e devota. I capelli grigi e ricci celati dalla cuffia e la
sua
veste ordinata di zelo non si erano mai allontanate dal letto del parto.
- Marie, io vi chiedo
scusa...Non avrei dovuto rispondere in quel modo...so che comprendete
ogni mia
decisione e se intuite qualcosa di sbagliato me lo rendete noto. Siete
un pò il nostromo
di questa casa vascello.
- Signora, voi mi avete
fatto sentire parte di questa famiglia...e la piccolina sarà
la mia seconda
nipote.
- Ha la chioma favolosa
di mia madre…- rimirò Madame - sapete , a me e a mia sorella Oriane ci
sarebbe tanto
piaciuto giocarci ,
pettinarla e
acconciarla ma lei...è stata sempre una sorta di colonnello
fulminatore!
- Lo farete con
la vostra cucciola! – rise la signora –
credo ci
sarà…l’imbarazzo della scelta
poi nello scegliere i vestiti.
- Potrà indossare
qualunque cosa! Ogni colore su di lei farà una luce diversa
e sempre magnifica!
Anche se si coprisse con una nuvola scura sarebbe in grado di brillare
come un
raggio di sole…
- Un angelo rende d’oro
anche un abitaccio di lana!
- E’ vero…e
dovrà
conoscere anche la musica…Le insegnerò a suonare
il pianoforte.
Juditte si portò alle
labbra le manine della figlia.
Marie era enormemente
intenerita…Pensava all’ amato
nipotino André, con la matassa di capelli bruni e
disordinati, con il
visetto sgargiante dagli occhi verde
fogliame …Il tanto desiderato miracolo di Marcel e Pauline.
- François che ha detto
della piccina? – trepidò Juditte – era
così in ansia! Voleva un maschietto
ma…non credo abbia resistito a una simile
meraviglia…
Giocherellò con le ciocche
della neonata, anche se, negli
occhi, spuntò una scintilla
d’apprensione…
Marie la tranquillizzò
orgogliosa:
- Vostro marito…è
rimasto folgorato . L’ha presa tra le braccia contentissimo.
Era la verità, certo aveva
celato il neo dell’iniziale
scontentezza ma una magia è una magia.
- Avrei desiderato
vedere la sua espressione! – s’illuminò
la giovane – e che nome ha scelto per
la nostra bimba?
- Preferisce sceglierlo
con voi .
- Bene – rise
l’altra che
poi divenne seria rivolgendosi a Deronne – dottore...mio
marito non ha ancora
saputo...delle complicazioni del parto?
Marie restò zitta sentendo
l’ansia picchiettarle lo sterno.
Il medico sospirò piano ma sempre ben piantato nella sicurezza:
- Lui sa bene che avete
avuto un travaglio difficile poichè la durata è
stata eccessiva per una donna
che è alla sesto genita...però tutto è
andato per il meglio. Non dobbiamo
tenergli nascosto che bisogna innanzitutto preservare la vostra salute
e la
vostra vita.
- Lo so ... – pensò
lei
aggrottando la fronte che sembrò mutarsi in fragile
porcellana – però non
vorrei che...
In quell’istante
bussò alla porta François in un tempismo
tragicomico.
Mentre Marie andò ad
accoglierlo , Deronne mormorò alla
contessa:
- Madame, lasciate a
fare a me , non temete.
L’uomo , sorridendo, si
diresse verso il giaciglio e si
sedette baciando e abbracciando la moglie . si chinò poi
verso la figlioletta.
- Che paura ho avuto –
sussurrò – sono felice di rivederti...
- Anche io –
fece la donna impensierita appoggiandosi tra
la sua spalla e il suo petto – hai visto
quant’è bella?
François
accarezzò la testolina della
neonata ricolma di boccoli rarefatti, mentre sgambettava flettendo e animando i
ricami della camiciola.
Le guance sporgenti si strofinavano
contro il seno caldo della madre assaporando quel nuovo antro
coccolante .
- Allora che nome
vorresti darle? – domandò il conte –
quello di tua madre?
- A dire il vero –
ammise Judith con un lieve imbarazzo come avesse commesso un dispetto
imperdonabile – pensavo...di non seguire questa tradizione.
- Beh , qual’è il
problema?
scommetto avrai ritenuto opportuno chiamarla diversamente.
- Non vorrei mia madre
si offendesse – confessò la contessa –
non è una questione di mancanza di
rispetto...
- Figuriamoci se tu,
Judith, sei una persona irrispettosa e screanzata –
scherzò l’uomo.
- Hai qualche
preferenza?
- Io ho pensato al nome
per un uomo...Oscar...ma sarà per il prossimo bambino!
Judith rise tesa e la bimba parve
accorgersi del battito
accellerato del cuore che faceva , a momenti, vibrare i merletti della
camicia
da notte.
Temporeggiò alcuni secondi
aggiustando il vestitino della
neonata.
- Immagino sarà qualcosa
di grazioso – riprese il marito – per una creatura
del genere.
- Sì...ero indecisa tra
Nathalie
e Noel visto che oggi che è natale...
- Vediamo...interpelliamo
il nostro medico. Deronne!
L’uomo si
avvicinò calmo senza lasciare trapelare panico.
- Dottore , visto che
voi e la vostra famiglia avete protetto Judith , ci dovete consigliare
il nome
più adatto.
- Oh, l' onore
spetta solo a Madame – conciliò il
medico.
- Avete reso possibile
questo parto difficilissimo Deronne! – si alzò il
generale avvicinandosi a lui
- Temevo il
peggio...
- Alla fine
loro sono uscite sane e
salve...però...è
necessario che ti spieghi alcuni
importanti dettagli... di salute.
François stese le labbra e
abbassò le sopracciglia avvertendo
una fastidiosa corrente d’aria artica.
- Riguarda mia moglie? –
s’informò , rabbuitato, a bassa voce –
dovrà stare a riposo immagino...mi pare
davvero stanca.
Renè , gli fece un cenno
del capo invitandolo a parlare
nella saletta attigua alla camera da letto dove vi erano bauli e un
grosso
piano di legno con l’occorente della toilette.
Una volta entrati,
illuminati dalle fiamme instabili dei candelabri , il
dottore cominciò
asciutto:
- François , hai notato
che madame Judith non se l’è passata bene la
settimana prima del parto.
- Sì. Non riusciva a
dormire e aveva frequenti attacchi di nausea. Ha avuto una gravidanza
piuttosto
tranquilla fino a che non è entrata nell’ultimo
mese...
- Esatto. Ieri si sono
scatenate fitte così atroci che si pensava dovesse partorire
e invece il
travaglio è iniziato alle dieci di mattina.
Il generale si irrigidì
inquietato ,
lasciando guizzare il nervosismo delle
pupille tra un lembo di luce e uno d’ombra.
- È veramente strano
–
riflettè quasi con tono sordo – forse Judith
è diventata più fragile fisicamente.
Da ragazza ebbe seri
problemi di salute
ma si riprese benissimo mostrando una tempra straordinaria...
- Mi sono stupito anche
io.
Il conte ascoltò zitto il
seguito delle parole del medico:
- Non targiverserò
oltre. Una settima gravidanza potrà essere fatale per tua
moglie.
- Come?!
Ci fu un silenzio tachicardico,
alimentato dagli ululii del
temporale che sbatteva e si rompeva contro i vetri della finestra.
- Hai sentito bene. Se
tua moglie resterà incinta ancora una volta...dubito che
sopravviverà.
- Quindi...non potremo
mettere al mondo un altro bambino.
François si sedette su un
baule affossando le testa tra le
mani e tacque per diversi minuti smarrendosi mentalmente sotto terra.
Renè Deronne, a braccia
conserte , cercò di ravvivarlo:
- François...lo so che
è
dura da digerire...ma pensa al fatto che Madame è fuori
pericolo è la tua bimba
non ha nulla.
- È facile parlare
–
biascicò acido e ruvido – quando non hai una
stirpe spacciata....
- Che diamine dici? – si
sdegnò il medico – ti rendi conto che tua moglie
rischiava grosso?
Il generale scattò
irosamente in piedi.
L’ incarnato
passò da un bianco lunare, a un rosso mogano,
a un grigio acciaio…Mancò poco che virasse verso
un demoniaco verde
fluorescente.
- Ovvio che sono morto
di paura per Judith! – sbraitò sgranando gli occhi
– ovvio che sono felice che
sia salva! Ma abbiamo una femmina! Una femmina! E ci resterà
solo lei!
Diede un calcio ad uno sgabello che
rovinò a terra
lasciando disperdere una pila di federe che si accasciarono spaurite.
Intanto Judith impallidì al
vociare crescente dei due
uomini che fuorisciva dalla serratura della porta.
Strinse la bambina che le si
addossò sul petto
lamentandosi. Susanne sospirò inarcando un sopracciglio e
cercando di
tranquillizzarla con l’ autorevole esperienza di signora
della casa:
- Madame, mio marito è
nato così. In casa abbaia per stupidaggini . Il conte
sarà stato preso dalla
rabbia perchè è in pensiero per voi e
Renè ha avuto la gentilezza di un
energumeno.
Judith espresse gratitudine nello
sguardo ma Marie, afferrò
quell’attenta agitazione che le faceva riaffiorare i timori
più grevi.
Infatti nello stanzino
François sfogava la rabbia
a denti stretti:
- Voi non capite ,
Deronne! I de Jarjayes sono servitori della corona da generazioni! Io
sono
rimasto l’unico erede con
un’unica
figlia !
- In che modo pensi di
proseguire questa tragedia da re greco?
- La mia famiglia sta
ormai morendo e la carriera militare è stata la nostra linfa
vitale, il dovere
che abbiamo verso il nostro regno e verso il Signore.
- Quanta polvere da
sparo ti avranno messo nel te o nella birra, durante le campagne
militari? Io
scommetto che ne hai una quantità dannosa nella scatola
cranica.
- Giusto! – esclamò
sarcastico il conte – cosa può capire un bifolco
che non distingue la lana
caprina dalla seta cinese e non sa la differenza tra un mulo pulcioso e
un
purosangue da combattimento!
Renè rispose prontamente
all’insulto con altrettanta
canzonatura:
- Perdonatemi ,
monsieur! Non è colpa mia se le mie ditacce non maneggiano
spadini e la mia
zucca plebea non ragiona come la vostra regal capoccia delirante!
- Saranno deliri veri
quando questa casata si estinguerà !
- Per la miseria,
François – brontolò il medico aprendo
le braccia – dove vedi questa apocalisse?
Anche io desideravo un maschietto, ma poi è nata Colette e
sono stato comunque
felice! Mi aiuta tantissimo e ,senza di lei, io e mia moglie non
sapremmo che
fare. È l’energia della casa!
Un fulmine deturpò di un
biancore crudo il cielo gonfio…
Un boato scarnificante fece vibrare le
vetrate.
Il generale si ammutolì a
lungo fissando la finestra che
mostrava le rigature intricate dell’acquazzone.
Il suo volto era
pietra atona e livida.
Renè si augurò
di averlo persuaso ma non ne fu
completamente convinto quando gli udì pronunciare calmo e
annerito:
- Sì...perchè una
fanciulla non può aiutare la propria famiglia ...
perchè dovrebbe essere
esclusa dai doveri di protezione?
Il conte uscì dal camerino
seguito dal medico che temeva di
assistere ad una soluzione assurda.
Judith fissò angustiata il
marito e domandò timidamente:
- Caro...va tutto bene?
L’uomo era avviluppato da
una flemma apatica poco
rassicurante:
- Va tutto bene
Judith...la nostra fanciulla riporterà in vita i de Jarjayes
e lo farà col nome
di Oscar François.
Le serve manifestarono agitazione
guardandosi tra loro ,
Marie si avvicinò preventivamente alla contessa
annichilita :
- Ma – balbettò-
Oscar è
un nome da uomo...perchè...
Il marito si accostò alla
porta della stanza brandendo la
maniglia alla stregua di un’elsa da spada.
- Le cose vanno così,
purtroppo.
- Non capisco! Che
significa?
Lui si voltò increspando la
fronte durissima di piombo:
- È semplice.
Imparerà
gli obblighi che ho dovuto rispettare. Si chiamerà Oscar
François come avevo
stabilito fin dall’inizio... È tutto. Non voglio
sentire obiezioni.
L’ufficiale
abbandonò tutti marziale…senza
voglia di ragionare, lasciarsi benedire dalla dorata bimba…
La sposa non seppe
se farsi bruciare dalle lacrime o dalla stanchezza sventrante.
***§***
Nel giorno
di Santo Stefano
si alternarono i mormorii smarriti dei servi e il silenzio cavernoso
del Conte.
Tutti si domandavano il perché di quello sbalzo
d’umore ma soprattutto perché
decidere così duramente di attribuire alla neonata un nome
maschile.
Il pranzo fu di una tetraggine insopportabile : un grigiore
inamidato e accecante si riversava dai finestroni della sala da pranzo.
Gli
abeti e i lecci del giardino avevano assunto un verdastro nero che
contrastava
col cielo preannunciante nevischio scompattato.
La medesima desolazione regnò sulla tavola ornata da una
pallida tovaglia di ricami dorati.
Ginette si prodigò a
preparare un arrosto succulento, unto da una luccicante
salsina di funghi
e contornato da patate ma
il conte restò
austero e freddo.
Il fatto che non avesse voluto mangiare in intimità con
Judith la diceva lunga sulla situazione.
Damian , che aiutò Albert a servire e sparecchiare , avvertì
sofferente quella pesantezza
che risuonava nel vino che colpiva il bicchiere e nei
vapori muti dei
cibi. Non osò dire una parola al generale, che con
l’abbigliamento blu scuro e
i capelli pettinati rigidamente, esprimeva la propria segregazione
intransigente.
Nel pomeriggio, il servitore si trovò in compagnia di Marie
a rassettare le camere degli ospiti. Fu felice di vedere il suo volto
morbido e
il rilievo buffo e piccolo del suo naso.
- Accidenti –
sospirò –
vedo nero pesto! Prima il generale sembrava così felice
della contessina!
Abbiamo brindato assieme e ora si è inumato nel ghiaccio e
nel carbone! Ma hai
visto che faccia da sasso muschioso?
La signora scosse il capo piegando i lenzuoli sul letto
foderato da una coperta
damascata:
- Ah , Damian…non so
davvero cosa fare! -
si crucciò – dopo
aver portato a Madame il brodo di carne cucinato da Ginette, ho chiesto
al
conte se desiderava pranzare al piano di sopra ma..nulla! Ha rifiutato !
- Guarda , è un peccato
che adesso il dottor Deronne non ci sia…
- Sta mattina aveva
provato a fare una lavata di capo al nostro generale di granito eppure
neanche
quella lo ha pizzicato! Trucido
e convinto
che quella cucciola possa fare il
militare! Assurdo!
- Adesso ho preferito
lasciar stare , Marie, se dico “ bu “ o
“ba” lui mi appende al muro tale e
quale ad una testa di cervo!
- Ma ricordi quando
Madame divenne magrissima dopo…la morta della prima bimba?
Il conte era stato
di una dolcezza e di una nobiltà incredibili! La vegliava in
continuazione
l’aiutava a mangiare…la trattava come una regina!
La serviva senza stancarsi…
- Detto tra noi – fece a
mezza voce Damian accostandosi all’orecchio della governante
– sono una coppia
inspiegabile…vorrei sapere quale sostanza li unisce e quale
li respinge…vai a
capire.
- Non potremmo mai
scoprirlo…mi auguro solo che il conte rinsavisca! Sappiamo
bene quanto lui la
ama…bisogna sperare in questo.
Damian sorrise assottigliando le
labbra pensieroso:
- Sì, Marie
…è mirabolante
che una donna della pasta di Madame stia con uno dalla corazza di
metallo…Abbiamo
l’esempio vivente di una sofferenza e di una
profondità rari. È l’amore che
rende tutto difficile e che mette al mondo creature come Oscar.
La donna annuì piano
prendendo gli indumenti puliti da portare alla contessa:
- Dovrà essere
l’amore
che ha verso di lei a riparare tutto – poi sospirò
inquieta – se i compromessi
potranno veramente essere riparazioni in faccende del genere!
Uscì dalla stanza e
andò a bussare alla camera di Judith.
- Entrate,
Marie.
Vide la madre seduta ad una comoda
poltrona che allattava
la figlia.
Fu un sollievo assistere al leggero
sorriso che teneva
serrata l’intimità del nutrimento.
- Madame…spero di non
avervi disturbato. Vi ho portato le vesti nuove.
- Non vi preoccupate.
Anzi grazie che siete venuta. Poggiate pure sul letto.
La governante ubbidì e si
rallegrò notando che Oscar
quieta, quieta, con i ricciolini che sbucavano dal braccio della
contessa, si crogiolava:
- La piccolina ha
mostrato un più che discreto appetito –
scherzò – non ha nulla di cui
lamentarsi!
- Sì – rise la
giovane –
appena l’ho messa vicino al seno pare che subito abbia
sentito profumo di
latte.
- Crescerà bene,
crescerà bene.
La neonata, tramite un balbettio
tumido, lasciò capire che
era sazia. Judith l’allontanò dal capezzolo e le
pulì la bocca con un morbido
tovagliolo. Si ricoprì il seno e la cullò un
attimo per tranquillizzarla.
- Marie – domandò
–
mentre mi cambio , potreste tenere Oscar?
- Ci mancherebbe,
Madame! Avete bisogno di aiuto? Vi sentite in
forze?
Judith, un po’ frastornata,
si alzò e poi sedette sul
letto.
- Mmm…- mormorò
– è
meglio se chiamate qualcuno…ho ancora i capogiri.
Immediatamente giunse Faustine che
supportò
delicatamente la Contessa a togliersi la camicia da notte bianca e a
mettere
un’altra veste azzurrina con le maniche lunghe e larghe. Poi
si congedò silente simile ad un sospiro di
corrente.
Marie intanto vezzeggiava la bimba che
si lagnò , conscia
di essere finita tra le braccia di una persona che non fosse la mamma.
Dopo un
po’ si rabbonì , lasciando disperdere lo
scetticismo tra un borbottio e un
altro.
Era splendido guardarla, aggiustarle i merletti
dell'’abitino e darle un bacio sulle gote floride.
A malincuore la governante dovette
ridarla alla custode
che, sedendosi contro i cuscini, se la rimise in grembo.
- Accipicchia, Madame –
ridacchiò Marie – vi assicuro che me la sarei
tenuta in braccio tutta la
giornata!
Judith riuscì a donare un
sorriso tenerissimo malgrado le
angustie che assediavano il cuore:
- Oscar vi dovrà
chiamare “nonna” – decise affettuosa
– e la sgriderò se non imparerà a farlo.
- Ne sarò
felicissima…lo
sapete che già dal primo momento che l’ho vista
è divenuta la mia seconda nipote.
- Mi dovrete far vedere
il vostro André ! Anche lui deve essere stupendo.
- Sta diventando sempre
più bello, sempre più bestiola ! ormai cresce e
salta quasi da una parte
all’altra della casa.
- Marie.
L’ufficiale era entrato
nella stanza, eretto in tutta la
sua altezza incupita e ferrosa.
La sobrietà pesante e la
blusa scura l’avvolgevano
inflessibile.
- Lasciateci soli.
Marie ubbidì pressata dal
senso di colpa.
La contessa guardò il
marito immensamente ingrigita…
Una mesta delusione la
infuocò nel vederlo che si sedeva
uguale a un giudice su una poltrona.
Dov’era l’uomo che
l’affiancava severo ma cosparso di
tenerezza? Era veramente a lui che si abbracciava quando sedevano sul
divano?
Quelle mani di lucente granito che l’accarezzavano ora erano asserragliate,
incrociate…
Il viso dalle mascelle quadrate e
armoniose, il naso
tracciato con lindo rigore, quegli occhi blu affilati di iodio salino e
profonda
ventosità…
Possibile che quell’
imperatore ibernato fosse il giovane devoto
che l’aveva fatta innamorare?
Erano
uno di fronte all’altra.
Alienati.
La neonata si agitò
lievemente.
- Ti senti bene? Sei stanca?
Le domande di François ,
più che premurose, risultarono da
interrogatorio di caserma.
La sposa arricciò la fronte
rispondendo secca:
- Prima ero un po’
stordita ma ora sono abbastanza ripresa.
- Mi fa molto piacere. Il
medico ha detto qualcos’altro?
- Dovrò evitare sforzi eccessivi questa
settimana. Andrà tutto
bene.
- Niente complicazioni,
quindi…
- Se tu lo vorrai, no.
L’ultima frase suonò
alterata.
Il generale rizzò
il busto mettendosi in posizione
d’ammonimento.
La bambina afferrava i nastrini della
camicia materna.
- Cosa hai intenzione di
fare? – provocò guardinga Judith.
Lo sposo mise
le mani al mento, squadrandola con fredda
aria di sfida.
- Rispettare la natura
dei doveri: mandare avanti la famiglia.
La donna impallidì ostile
accarezzando
protettiva la figlia.
- “
Rispettare la natura dei doveri…” –
enunciò sardonica - Temo di non trovarmi sulla tua
lunghezza d’onda.
- Judith. Conosci la
situazione dei de Jarjayes.
- Abbiamo una bambina
splendida e piena di salute. Voglio il
meglio per lei, ciò che le permetterà di crescere
serenamente.
- Crescerà…crescerà
nel
modo più giusto: toglierà dal baratro la nostra
stirpe.
- Ho detto che dovrà
vivere serenamente.
- Contano la rinascita e
la sopravvivenza. C’è la continuità.
La piccola emise qualche gemito.
La madre , cullandola, si rivolse
accusatrice:
- Qual è il tuo concetto
di continuità?
L’uomo incrinò le
sopracciglia
preparandosi a schizzare veleno:
- Uscire dalla rovina.
- Rovinando tua figlia?
- Servire il proprio
sangue e la corona non significa “ rovinare”.
- Stai farneticando,
François!
Il militare si alzò
furibondo:
- Vuoi vederci
estinguere, Judith?! Siamo dissanguati! Mio padre, a stento,
è riuscito
mantenere il nostro patrimonio, Philippe è stato costretto a
vendere alcuni
latifondi in Normandia prima di morire e neppure Etienne può
essere più di
aiuto ! L’ idiota che deve sollevare questa torre crepata
sono io!
La figlia scoppiò in
lacrime.
La giovane ,cercando di calmarla,
esclamò:
- Ringrazia il cielo che
hai avuto una creatura così! Non è lei la vera
continuità?! Non basta per
annullare il decadimento totale?
- Indossare un abito
ricamato e un ventaglio non
rappresenterà nulla! Non servirà a
nulla!
- Ti scongiuro! Non
vorrai…
- Imparerà a combattere.
Vivere facendo resuscitare la nostra gloria. Difenderà la
Corona dello Stato.
- Sono stupide
assurdità! Sarà una donna in tutto e per tutto!
La fanciullina continuava a piangere
spaventata.
Il padre si esasperava
trincerandosi in un cieco autoritarismo.
- Stiamo morendo! Lo
capisci?! Da secoli le armi sono la realizzazione dei nostri principi,
siamo
vissuti per perpetrare la potenza di Francia, far vivere le fondamenta
di un
meccanismo che ci permette di respirare!
- Cosa cambierà mai, François, se sarà una
ragazza e non un generale a
mandare avanti la famiglia? Occorre sbraitare ordini e usare spade per
saper
combattere nel mondo?! Non essere ridicolo…
- Il
suo nome è Oscar François. Pantaloni e
divisa non le causeranno malattie mortali.
- Stai calpestando la
tua bambina! Te ne rendi conto?!
François si
avvicinò alla sposa
dilatando gli occhi con sarcasmo:
- Non è colpa mia se sei
stata capace di partorire solo femmine! Dannate femmine!
- Le abbiamo fatte in
due le nostre dannate femmine!
Siamo
marito e moglie! Ho sempre pensato a noi! No allo Stato e alle
sciabole!
L’uomo raggiunse la parete
d’ingresso della camera e indicò una sciabola
appesa.
- Questa è la legge,
Judith! Questa sarà la sua legge! -
strepitò - Non m’importa a che
prezzo! Si deve sempre pagare qualcosa…
Abbandonò come un ciclone a
brandelli la moglie
e la figlia.
Marie si appiattì contro la
parete
del corridoio quando lo vide passare colmo di lampi e tuoni.
Trascorso qualche minuto,
tornò
dalla contessa.
- Madame ? – bussò
delicatamente alla porta.
- Entrate, Marie…
Judith aveva il volto colmo di
scie di pianto e Oscar allacciata al seno, rinchiusa nel suo abbraccio.
- Desiderate che vi
porti qualcosa, Madame?
- Soltanto un po’
d’acqua, grazie.
Marie si congedò preferendo
non
porre domande su François.
Intuì depressa che Judith
avrebbe
dormito sola quella notte e che l’unico sapore tenero era il
latte che la neonata avrebbe
bevuto in quei giorni di intemperie.
Note
personali : rieccomi
in tardo autunno ( siamo quasi prossimi al Natale
XD ) con il capitolo
che chiuderà questo
libro primo!
Torno a dispiacermi per non essere riuscita a farmi viva in estate ma ho scritto
questo lungo episodio
daccapo perché non mi aveva convinto la prima vecchia
stesura…preferisco
rimandare l’aggiornamento piuttosto che pubblicare uno
scritto che non trovo
credibile.
Ammetto che François poteva apparire OOC ( ho messo per
cautela questo avvertimento nella presentazione della storia) ma
l’ho fatto per
esigenza narrativa…come avrete potuto notare diventa davvero
intrattabile e
inflessibile XD XD
Ringrazio Lady Dreamer che mi ha dato
consigli
indispensabili per la rappresentazione della scena sulla nascita della
piccola
Oscar :* :*
Ci vedremo tra pochi giorni con la
seconda e ultima parte
del capitolo ! ^^
|
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Capitolo 11 *** CAP 4 - Patriarchi e focolari : la bambina con il fiocco blu ( II parte) ***
CAP 4 - PATRIARCHI E FOCOLARI: LA BAMBINO CON IL FIOCCO
BLU ( IIparte)
4
Patriarchi
e focolari:
La
bambina con il fiocco blu
(II parte)
Gennaio 1756
Fu una settimana di guerra
fredda in casa de’Jarjayes…
Judith preservava la propria
regalità di cerva
trasformandosi in tigre quando si trattava di Oscar: la proteggeva con
aggressiva dolcezza facendola dormire nella sua camera, talvolta nella
culla
talvolta persino vicino a lei nel letto…Quella gelosia
illudeva di non pensare
all’educazione futura che sarebbe stato opportuno
impartire…
François, intanto, si era esiliato
temporaneamente in un’altra
camera, lanciando ammonimenti e costringendo chiunque a
rassegnarsi che la figlia sarebbe stata “
figlio”.
La faccenda divenne ancora
più spinosa durante una mattina
di gennaio dopo capodanno.
Era giunto il momento di
inserire il nome della neonata nei
registri parrocchiali e battezzarla.
A occuparsi dell' eroica e
delicata missione venne chiamato
Jeremy Meunier.
Accolto con somma venerazione
dai servi che, gocciolavano
imbarazzo e costernazione dietro la cordialità , giunse
dinanzi ai padroni di
casa.
Erano un trittico di composta
tensione: i coniugi
mostravano l’incarnato bronzeo brunito delle incurvabili
icone bizantine mentre
la bimba, in braccio alla madre, non osava lamentarsi infagottata in un
abitino
bianco piumato di merletti.
Il parroco non sapeva
veramente se il clima fosse
drammatico o comico. Era come nelle tragedie greche in cui il messo
annunciava
la notizia in cui si sarebbe ribaltata la sorte degli eroi? O era
dinanzi ad
una platea desiderosa di ascoltare qualche storiella buffonesca?
Guardava interrogativo tutti i
camerieri che rispettosi ma
ansiogeni stavano ai lati del salone da pranzo: probabilmente lo
credevano il
Cristo incarnato in grado di dispensare miracoli.
- Il Signore vi benedica
– ruppe il ghiaccio sorridendo festoso – che questo
anno possa donarvi
serenità, gioia e…nuove energie.
- Potete dirlo ben forte
, padre Jeremy – stiracchiò François
lanciando un’occhiata arcigna alla moglie
– vi ringraziamo di cuore per essere venuto.
- Che il Signore possa
proteggervi in eterno – aggiunse gentile la donna schivando
il marito – siamo
felici che possiate vedere la nostra piccina.
Mostrò orgogliosa
Oscar che si guardava attorno sorpresa ,
con gli occhietti azzurri in cui si mescolavano ancora confusamente le
cromature dei genitori.
Jeremy si avvicinò
incantato e commosso carezzandole il
faccino accuratamente rinfrescato:
- Che capolavoro! È
biondissima! Non per essere sfacciato, Madame , ma vostra madre, se non
ricordo
male , possiede una chioma chiara chiara.
- Oh sì! –
esaltò
Judith - lei ha genitori
e antenati svedesi! Anche io
avevo i capelli biondi appena nata ma non così . Erano
più scuri.
- Devo ammettere…che mi
ricorda un vostro ritratto da piccolo , generale…vi somiglia
nell’espressione!
Il conte ebbe un indispettito
guizzo che gli fece sollevare
la mandibola : la galleria d’arte della villa era spesso
oggetto d’ammirazione
da parte del gesuita, amico di famiglia. In particolare costui adorava
i ritratti
(tutti i tipi di
ritratti ) e apprezzava
la sensibilità e l’umanità con cui
venivano resi gli infanti.
François provava
vergogna di uno splendido dipinto che lo
raffigurava a due anni intento a giocare su un sofà con un
animaletto di pezza.
Il pittore dei de Jarjayes aveva manifestato pazienza ciclopica a
eternare quel
baleno di innocenza nelle pupille sorprese.
- Beh sì –
considerò
contemplando la figlia – un po’ è
vero…ricorda me…ma c’è anche
molto di
Judith…Comunque, padre, entrate , accomodatevi!
Il parroco si sedette ad un
tavolo ellissoidale davanti
alla coppia. Aprì il registro di cuoio ramato che
sollevò un odore d’ocra
rugosa. Prese , lindo e positivo, la penna e il calamaio ,
accuratamente
preparati da Albert, e
domandò:
- Dunque, signori…che
nome avete stabilito per la fanciullina?
Judith, sistemandosi in grembo
la figlia , sospirò severa
scagliando un allusivo e rapido sguardo allo sposo.
- È stata una scelta
alquanto travagliata, padre.
- Immagino che non ci si
accontenti di poco per una futura e splendida contessa.
François,
posò un avambraccio sul tavolo protendendo il
petto in avanti foderato dalla giacca militare.
- Si potrebbe affermare
così…soprattutto quando è impossibile
trascurare progetti e doveri per il bene
dei de Jarjayes.
- Progetti che gravano
parecchio sull’animo – soggiunse la moglie ergendo
la testa.
- Mmmh…credo di
comprendere…disporre dell’avvenire crea
frequentemente apprensioni. Come chiameremo, la novella arrivata?
- Oscar François.
Il sacerdote rese ancora
più sferici gli occhi grandi e
scuri.
-
Eh?
Oscar?
- Sì.
Si grattò il naso
che pareva volesse fuggire ma non poteva poiché
voluminoso.
- Emh…proprio Oscar?
Il conte inclinò il
volto di lato socchiudendo assolutistico
gli occhi:
- Qualcosa vi urta ,
padre Jeremy?
- Per favore, conte, non
fraintendetemi…- si scusò il gesuita arrossito di
vergogna - è….solo che…è
curioso chiamare Oscar François
una
futura damigella…
- Ciò non mi pare sia
d’ostacolo al sacro rito del battesimo.
Judith, più dolce e
desiderosa di deporre la
rigidezza del marito , chiarì:
- Padre, credetemi,
questa…scelta è stata dettata da…una
situazione estrema e dura da intendere.
Il conte appoggiò
il gomito sul bracciolo della seggiola
quasi volesse dare uno strattone metaforico alla moglie che tentava di
superarlo in una gara tra maratoneti.
- Accanto alla culla del
mio erede ci sarà un fioretto.
Jeremy non si sarebbe mai
voluto trovare sul sentiero che
divideva due vulcani in attività. Sinceramente, poi, era mortificato dal
più profondo alla vista
di quella coppia che aveva unito e sposato. Perfino
i suoi baffetti sottili e umili
tremolavano disgraziati.
- Ah….- tentennò -
quindi….scrivo
Oscar?
Spazientito
François sbatacchiò le iridi :
- Certo, padre! –
digrignò
i denti - Quanti Ave
Maria devo
pronunciare per farvelo incidere su quel libro?!
- Chiedo venia! Non
desideravo essere
importuno…Allora…Oscar…
- …Françoise , padre –
circostanziò soave e
integerrima Judith.
- Oscar…
Françoise…
Il generale , ricevuto lo
sgambetto a tradimento , rizzò le
spalle e le sopracciglia :
- Françoise?!
Perché?!
Avevo detto François!
- Caro – perorò la
contessa - non
possiamo negare il fatto
che lei è e sarà contessa,
qualsiasi
sarà il suo percorso formativo.
- Che ti è saltato in
testa?
- Oscar François
sarebbe troppo drastico e
assurdo….e poi Oscar non sembra neppure cristiano!
La bimba mugolò
tossicchiando quasi interrogativa.
- A dire il vero ,
Madame – illustrò Jeremy - ci
fu un
santo germanico che portava quel nome…secondo la tradizione,
l’onomastico
dovrebbe cadere il tre febbraio…
- Ma…-
replicò risentita la donna - convenite
con me che un doppio nome maschile sarebbe inaccettabile! È
già difficile
abituarsi a Oscar !
- Eh, sì…anche un
nome
di santa andrebbe bene…magari come terzo nome! Anne, la
madre della Vergine! Elisabeth! Rachele oppure…
- Si chiamerà Oscar
Françoise! Basta – troncò importunato
il Generale - o
questo battesimo si celebrerà la domenica
delle Palme!
Si stropicciò le
palpebre tra pollice e indice per
impastare in maniera più sopportabile quel bruciante
compromesso.
Oscar emetteva versetti e
brontolii di perplessità mentre
la madre, soddisfatta di aver vinto quella piccola battaglia, le diede
un bacio
sulla guancia.
Jeremy cercò di
trovare un nesso tra disagio ed esuberanza
sdrammatizzante.
- Giusto!Giusto! – pronunciava
infondendosi ottimismo - Oscar Françoise…
sarà un perfetto equilibrio tra forza
virile e grazia di rosa!
***§***
Le irremovibili correnti di
gelo , cariche di nuvole e raggi solari inargentati, non
avevano fermato
Grégoire e Bénédicte.
Avvolti in vestiti di velluto
e mantelli pesanti giunsero a
villa de Jarjayes entusiasti di ammirare la nipotina ed assistere al
battesimo.
Judith era felice della loro
presenza, François un po’
meno. Certo, non si trattava di astio e antipatia ma temeva un
complicarsi
ulteriore della faccenda.
Una volta messi comodi , i
suoceri , naturalmente, furono
condotti nella camera in cui ninnava la culla protetta da una bella
stola di
veli ricamati.
Non osarono turbare il sonno
di Oscar , il cui profilo
minuto dalla bocca paffuta, si
stagliava
sul morbido cuscino. Restarono profondamente toccati dalla
serenità e dalla
salute che veniva espirata da quelle narici rosate e piccolissime.
Grégoire ebbe
parole tenere mentre Bénédicte , dopo
un’iniziale leggerezza,
tornò severa e persino
inasprita. Aveva ritenuto un’onta
che la
bambina si chiamasse “ Oscar “ e che avrebbe ,
probabilmente, seguito
un percorso differente dalle altre
fanciulle. Anche il marito esternò, con maggiore diplomazia
ma eguale
sbigottimento, i bizzarri propositi del genero. Quest’ultimo
, cercando di mantenere
l’autocontrollo, perseverò fermissimo come se
fosse la cosa più naturale del
mondo far entrare un ipotetico uomo
nelle guardie reali. “ Dentro Oscar
c’è
anche il mio sangue” appianava “ e i
bambini hanno l’animo aperto a tutto. Non conta tanto il
sesso quanto la mente
che deve recepire “ . Prontamente Judith opponeva
“ la mente è molto
delicata e può precipitare! “ Da qui si propagavano catene
e catene
discussioni a cui si unì Bénédicte e
che vennero arbitrate dal paziente
Grégoire.
La sera prima del battesimo, la contessa scrisse a Oriane
per sfogarsi della
frustrante situazione. Purtroppo la sorella abitava a Napoli e non si
sapeva
ancora quando , con la famiglia , sarebbe tornata in Francia.
Avvertiva l’
esigenza di una persona esterna, sebbene stretta parente, che non era
pregna
del pulviscolo turbolento di Villa de Jarjayes. Dialogare con il marito
significava
caricare preventivamente i cannoni mentre la madre stava arroccata sui
propri
principi di indignata moralità. Non sentiva il desiderio di
recar dispiacere al
padre che voleva godersi la nipotina in pace senza avvelenamenti.
Bisogna
aggrapparsi all’estenuante pazienza che richiedevano gli
scambi epistolari e
attendere la volitiva e informale calligrafia della mano
amica…
Restava la consolazione della
cerimonia.
Il giorno seguente il cielo e
l’aria trasudavano limpidezza
fine e pungente. Pini e pioppi
sfoggiavano un verde scuro, gonfio e imponente ; il suolo mostrava le
squame
ciottolose umide di lieve nevischio.
Quella domenica la chiesetta
romanica di Joyssigni accoglieva
imperterrita i fedeli con la
facciata a capanna in pietra franco-longobarda mentre il campanile
assisteva silenziosamente
uguale ad un fedele paggio.
C’erano alcuni
nobili che risiedevano fuori Parigi , poi
notai e contabili , diversi artigiani , mercanti e agricoltori. Tutti
parlavano
davanti il sagrato, una folla compatta da lontano e
fratturata da vicino. Si notavano chiaramente
le chiazze ocra, marroni e grigi dei più umili da un lato, i
completi seriosi e
neri dei borghesi da un altro lato e gli abiti blu, verdi e
bordò dei baroni e
dei conti vicini ai portoni secondari.
François e Judith
appartenevano alle prime schiere di
parrocchiani che portavano i bimbi da battezzare. Oscar era
scrupolosamente avvolta
in tessuti di candida lana, munita di una cuffietta pesante che le
proteggeva orecchie
e i riccio letti. Si univa ai borbottii , ai lamenti e alle lagnanze
degli
altri piccoli iniziati alla comunità cattolica.
Marie era stata concordemente
nominata madrina assieme alla
crucciata Bénédicte che non aveva approvato la
presenza della governante in
quel frangente. Grègoire, come al solito, tentava di
rabbonirla invitandola a
farsi scaldare dal sole e non dal freddo suolo di sassi.
Con piacere
partecipò all’evento Blaise assieme alla moglie Elenoire di
ventitré anni.
- Signori – sorrise
l’ufficiale – vi facciamo le nostre più
sincere e affettuose felicitazioni!
Finalmente possiamo festeggiare!
- Anche noi, Blaise,
siamo lietissimi di avervi qui tra noi– ricambiò
tersa Judith – ho saputo da
François che presto non sarete più soli.
- Volevamo dei bimbi ed
ecco giunta la tanto attesa conferma.
La giovane ricambiò
un’espressione gioiosa, benché fosse
d’indole riservata e restia a parlare con scioltezza . Era
d’aspetto semplice e
curato, con una carnagione fresca e luminosa su cui spiccavano labbra
indaco
rosseggiante. I lunghi capelli neri si arrotolavano in una rigonfia
crocchia
sul capo che lasciava cascare tornelli di boccoli sulla nuca . Portava
un
vestito blu scuro che le dava la giusta sicurezza per non sembrare
né troppo
sobria e né troppo fastosa.
- Sì – rispose con
voce
chiara e ponderata – se Dio vuole , il piccolo
vedrà la luce prima dell'estate.
Forse a maggio.
- Già stiamo discutendo
su che nome dare – scherzò il marito - che avi
glorificare e quali no. Tanto so
che uscirà vincitrice la futura mater
familia .
Elenoire gli strinse il
braccio affabile ma al contempo
vigile: era scrupolosa, perspicace e diffidente . Si sentiva
profondamente
soddisfatta della sua unione,
soprattutto, con
un uomo
intelligente, brillante e attraente. Quest’ultimo aspetto si
rivelava un’arma a
doppio taglio giacché provava una forte gelosia , conscia di
alcune avventure
galanti del consorte. Nonostante non si definisse civetta, ci teneva a mostrasi in
perfetto ordine e avvolta
in abiti di elevata sartoria. Controllava furtiva le altre dame per
tranquillizzarsi e dare valore alla propria grazia.
François ricordava,
sorridendo dentro se stesso, che
l’amico aveva frequentato donne di bellezza più
estrosa e frizzante. Tuttavia
Elenoire era indispensabile: non poteva mai essere una passione focosa
o una dea
donata da Eros. Doveva occupare il trono di moglie - madre, pulita e
affidabile
senza possedere ottusa passività. Blaise, pur di non
prendere decisioni
affrettate ( e prolungare la libertà
di scapolo
seducente) , aveva scelto diligentemente la fanciulla da portare
all’altare.
Desiderava pace, stabilità e bei figlioletti.
- Dunque– si rivolse
all’amico – alla fine avete
stabilito…Oscar Françoise. Confesso che sono
stupito se vedo la tua bimba. Un nome molto particolare per una
nuvoletta così
delicata…
Alla stregua di un giaguaro , che sospetta un invasore
nella propria
selva, il generale si mise quasi in guardia, ficcando gli occhi dentro
le
pupille del suo interlocutore. Quel “ molto
particolare” gli pizzicava tale e quale ad una
chela di granchio che
importunava la saldezza dei suoi piedi.
- Oscar Françoise
è un
nome perfetto – sentenziò minatorio –
starà bene ad un futuro ufficiale delle
Guardie Reali.
Elenoire non riuscì
a dissimulare preoccupato disorientamento
mentre Blaise inarcò le sopracciglia come per dire
“ sicuro di non aver una
febbre cerebrale?” ma
annuì :
- Sì…capisco,
capisco.
Ci sono state… motivazioni importanti. Lei sarà
l’erede della famiglia.
- Imparerà ogni regola e
le permetterò di essere forte quanto un uomo.
Judith, mettendo comoda la
neonata in braccio , si inserì
tentando di temperare l’imbarazzante piglio militaresco :
- La piccola avrà
un’istruzione come si deve, abbiamo una bella biblioteca e
imparerà a suonare
il piano e ad essere elegante e discreta.
I Rochebrune
sorrisero per evitare impicci con altre incresciose domande: il volto
di
François si accingeva a tingersi di bigio uguale alle pietre
della chiesa
mentre la contessa , con le labbra tirate , non sapeva quale scudo
prendere per
arginare altre sofferenti affermazioni sulla piccola Oscar.
La campana , per fortuna, chiamò la folla
col suo squillo d’ottone oscillante
e la messa potette iniziare.
Sulle prime panche di legno
sederono le famiglie coi bambini,qualcuna
aristocratica e qualcuna che palesava l’accresciuta potenza
di una stirpe di
avvocati o giuristi. I più umili formicolavano coi loro
rosari sia sul fondo
della navata sia nei posti centrali. Padre Jeremy , non digeriva quegli
scompartimenti classisti , essendo naturalmente cristiano fin nel
midollo. Sosteneva,
causando parecchie volte la stizza dei feudatari
di campagna, che anche il fornaio o il macellaio
avessero diritto a pregare nei primi posti dato che il Creatore era
presente
ovunque ma la disposizione dei fedeli non era facilmente controllabile.
Marie era seduta accanto a
conti de Jarjayes e aveva alle
spalle Marcel, Pauline e il nipotino. André , che ormai
iniziava a sentirsi
invincibile avendo imparato a camminare e a correre, non stava quieto.
Voleva
toccare le pietre a terra per cercare le formiche e prontamente la
mamma glielo
impediva. Voleva saltellare e il padre gli sibilava di placarsi.
Ciondolava in
maniera insistente contro le sue gambe, fino a che non fu sollevato e
incastrato sulla panca. Muoveva i suoi scarpini di cuoio ,
spiegazzò il
completino blu scuro da domenica, spinse avanti il labbro superiore in
una
smorfia imbronciata. Allora
strofinò
lamentoso il faccino contro il petto della mamma.
- Tesoro – lo riprese
lei – stai buono! Non vedi com’è brava
madamigella Oscar?
- Esatto – aggiunse il
padre – lei è più piccola e ha
già smesso di fare i capricci.
André , seccato e
incuriosito , vide Judith che si voltò un
attimo verso di lui sorridendo dolcemente. Scorse il cappellino di
Oscar , che
lasciava scappare i riccioli biondi, e
delle
piccole braccia che si muovevano pacate e rassicurate.
Quando venne il momento del
battesimo e i conti si
alzarono, sollevò il mento spostandosi a destra e sinistra.
Marcel lo prese in
braccio per mostrargli la cerimonia.
Il piccolo non poteva
coglierne il significato né la
formula della liturgia ma sembrò quasi impressionarsi nel
momento in cui padre
Jaremy scoprì la testolina candida bagnandola con
l’acqua.
Sotto il crocifisso che
raffigurava un Cristo eretto, di
antichità rigida ma luminescente, il catino di ottone non
osò ingoiare la
bimba.
Marie , emozionata, vide
Judith vicina a François che reggeva
solidamente la figlia. A lui era spettato sorreggerla in
quell’istante di
benedizione pura.
Esaminando il viso di Oscar ,
che pigolava pieno di gocce
trasparenti , si sentì fiero, preoccupato e triste: quel
rito era scivolato
sopra una piccola mente che non avrebbe serbato il ricordo del primo
ingresso
in una comunità. Al livello inconscio sarebbe perdurato
l’attaccamento materno
e il…padre?
Odorò la neonata
vicinissima e lontana: lui era un oggetto
esterno, completamento esterno che doveva per forza essere mutuato
dalla
moglie. Le diede la piccina in braccio e , con gesto insperabilmente
delicato, posò
la mano sulla sua schiena. Non era certo
la prima volta che il cuore gli rinfacciava la natura della sua
mancanza
genitale. Aveva avuto cinque bambine ma sta volta la coscienza si era mostrata terribilmente
più chiara. Esisteva
un’invidia impotente, senza
cattiveria…l’invidia di conoscere quei limiti
insanabili. Era più alto di Judith , possedeva una
muscolatura più forte ,
diversa ma non avrebbe mai potuto ottenere il prodigio di un utero che
nutriva
un feto. La compagna devolveva il cibo in modo naturale e lui lo poteva
cercare
fuori ; i segni del proprio sangue che scorreva in Oscar bisognava
estrapolarli
in un processo assai più difficoltoso: la piccola doveva
introiettarlo
profondamente facendolo uscire dalla categoria degli enti superficiali.
La contessa , nel frattempo,
indugiava sul consorte
intuendo fumosamente cosa potesse impensierirlo e chiedendosi se si
sarebbe confessato
faccia a faccia perché
quella tristezza
strana era stata
sottile , rapida ma
sfolgorante quanto un fulmine nel cielo scuro. Com’era
possibile che la
ragionevolezza potesse andare di pari passo con provvedimenti
integerrimi e
pesanti?
Queste domande continuarono a
barbugliare ,simili a
fogliame scomposto dal vento, fino a che la cerimonia non
terminò.
Le voci di
Grégoire, Bénédicte che parlavano coi
Rochebrune
, unite all’aria effervescente del sole invernale, contribuirono a sotterrare
ogni elucubrazione.
Una volta sul sagrato , Marie
raggiunse, ilare , la sua famiglia prendendosi in braccio il
nipotino :
- Sei proprio un
birbante! – lo rimbrottò – volevi fare
il diavoletto, eh?!
- Lui diventa nervoso
quando si avvicina l’ora di pranzo – rise il padre
– si trasformerà in lupo da
grande!
- André è un
bellissimo
bambino.
Judith si era avvicinata con
Oscar, destando costernazione
in Marcel e Pauline che fecero un inchino rispettoso.
Bénédicte scosse il capo
in segno di diniego per quell’atteggiamento espansivo
appropriato più per una
donzelletta campagnola che per un’aristocratica .
- Inaccettabile! –
sussurrò al marito – ti pare perdere tempo a
salutare quegli
artigiani di villaggio? Lei avanza così , senza
porsi scrupoli!
Spetta loro salutarla con le dovute e adeguate deferenze!
- Cara – ribatté
l’uomo
– sarebbe sconveniente se si stesse relazionando con dei
bruti , ma la signora
Marie è una governante brava e diligente. Ha commesso
qualche svogliatezza, a
tuo parere? Non mi pare.
- Ha eseguito i propri compiti
come si conviene alle più efficienti delle governanti.
- Esatto. Quindi , visto
che hai senno e senso del giudizio, concordi sul fatto che i membri
della sua
famiglia sembrano persone squisite e a modo. Poi il loro
bambino è vivace e
spigliato!
- Certo, certo…-
pronunciò
roca e altezzosa la domina – ma nostra nipote è un
vero splendore ed possiede il
sangue di famiglie illustri. Quel bambino può essere
grazioso quanto vuoi ma
percorrerà sentieri di sassi e terra battuta.
- Ciò non vuol dire che
l’intelligenza e il carattere gli mancheranno.
- Grégoire…sei
incorreggibilmente prodigo . Il tuo ascendente
si è fatto davvero sentire sulle nostre figlie.
- Non potevo lasciarti sola
a reggere la fatica del timone di casa.
Col suo piglio ironico e
pacifico , che si rifletteva nella figura morbida, l’uomo
mise a tacere la regale sposa dai capelli
biondissimi come duri gioielli.
Judith , incurante del
cipiglio materno , continuava a
discorrere:
- In questi giorni farò
portare a Marie una copertina per il piccolo.
Vi ringrazio per quello che avete realizzato per noi . Il
vostro
lenzuolo , Pauline
, è meraviglioso.
- Sono io a dovervi
ringraziare , Madame . Voi e vostro marito siete stati generosi. La
bambina è
una piccola regina.
Blaise , che in quel momento
si era affiancato a François ,
gli chiese piano :
- Sono i parenti della
signora Marie, giusto ?
- Sì. I Grandier,
persone oneste – l’uomo cercava di tenere un
atteggiamento patrizio ma si
notava l’ ammirazione che veniva a galla –ricordi
la scrivania che ho nel mio
studio? Quel mobile molto
antico che si
era davvero rovinato? L’ha restaurato da cima a fondo il
signor Marcel mentre
la moglie ha donato delle belle lenzuola ricamate a Judith .
- Ho presente, certo! non
mi avevi anche raccontato che Judith gli ha aiutati col cuore in mano.
Il generale assentì
gravemente :
- Vedi – ammise
sottovoce – anche per loro non è stato facile
concepire subito un figlio.
- Capisco – intuì
delicato l’amico per non rigirare il coltello in
un’antica piaga – però adesso
il Cielo ci sorride…e ora tutti saremo alle prese con dei
bei pupi.
François
reagì con un sorriso per esorcizzare quella
sotterranea stizza che masticava per i Grandier.
Il Signore aveva concesso un
maschietto fulgido a quei
villici che non dovevano preoccuparsi di stirpi e pesi regali mentre a
lui,
discendente di una schiatta che esisteva fin dai capetingi, era toccata
l’ennesima femmina!
Proprio vero che gli ultimi erano i
primi!
Dovette però
accantonare quel risentimento poiché la sua
parte cristiana ( non proprio totale come in padre Jeremy) esisteva e
gli
gettava secchiate d’acqua fredda nella mente.
Raggiunse la moglie e la
governante nella maniera più
garbata possibile, da autentico gentiluomo che però non
rinuncia al radicato
guizzo militaresco.
- Judith, Marie
– chiamò – dobbiamo
avviarci verso la nostra
carrozza. Signori Grandier è stato un piacere incontrarvi.
Congratulazioni
per…il vostro magnifico André.
Asciutto, senza fronzoli, ma
corretto. Sì…non aveva nulla
di cui rimproverarsi.
I suoi occhi , tuttavia, si
sciolsero dalla rigidezza per
rimirare quella coppia: gli fecero tenerezza ma non sprezzante
compassione. Marcel
indossava una giacca molto sobria e dei pantaloni di seconda mano
puliti e
ordinati. Si era dovuto arrangiare con degli stivali da campagna lavati
e messi
a lucido mentre Pauline era coperta da un abito verdino ,
anch’esso non proprio
nuovo, tenuto in perfetta compostezza ,
spazzolato e stirato per le feste . Entrambi avevano occhi
intelligenti
dalla fragilità sensibile di chi ha sofferto senza
corrompersi di ulcere. Erano
veramente belli per quel contrasto tra il capello scuro e ricciuto
dello sposo e
quello ramato della sposa magra quanto
Judith.
André , scapigliato
e agreste, richiamava alla mente quei
dipinti caravaggeschi di Giovanni Battista, nobile, indomito e sincero.
Quando li salutarono,
François sentì la necessità di avere
un dipinto della famiglia, un quadro vero senza idealizzazione.
Perché non c’era
bisogno di alcuna mistificazione per scorgere la grazia di quei
genitori e di
quel bimbo.
All’improvviso un
rumorio crescente di zoccoli martellò
nell’aria.
- Blaise – fece Elenoire
– quella carrozza che si sta dirigendo qui…lo
stemma…non sono i Girodel?
- Sì –
avvalorò il
marito aggrottando le sopracciglia – ma non credo che si
fermeranno qui. Loro
non appartengono a questa parrocchia.
- Se non ricordo male
hanno dei possedimenti qui vicino…
- È un miracolo che il
Generale Frédéric Claude non abbia avanzato
pretese per questi terreni! Forse
la mano di un angelo l’avrà fermato prima di
dissanguare qualcuno.
La carrozza
calpestò il sentiero della chiesa.
In quei secondi di ansiogeno
trotto, legati da una feroce
empatia , Frédéric scostò la tendina
del finestrino e François posò
istintivamente lo sguardo nella sua direzione.
Tre proiettili invisibili di
fastidio, disprezzo e gelo.
Poi tutto tornò normale.
Mentre si allontanavano ,
Girodel adagiò, con maggiore
morbidezza, il
dorso sullo schienale del
sedile . Aveva l’alterigia felina del governatore di una
provincia soggiogata.
- Ma che piacevole
sorpresa…- pronunciò con labbra incurvate
all’ingiù - a quanto pare i de
Jarjayes possono stringere tra le braccia il loro fanciullo. A
proposito,
Ivonne: si è saputo se è un rampollo o una
contessa?
Ivonne, foderata da un pesante
vestito verde scuro e da una
mantella beige , stava aggiustando la cappa marrone al piccolo Victor.
- Non so nulla – rispose
asciutta e quasi distratta - Madame de Jarjayes si è
ritirata da corte e non ha
lasciato certo trapelare notizie private.
Il marito sorrise calando le
palpebre compiaciuto di sarcasmo.
- Per lo meno , da bravo
cavaliere cristiano, il generale desidera evitare che un altro dei suoi
angioletti finisca dimenticato nel Limbo, lontano dal Padre Eterno.
- Frédéric! Tenete
per
voi i commenti da serpe.
Ivonne esternava irritazione per non mostrare
al suo bambino
quella devastante sottomissione che la ottenebrava da tempo. Non
sopportava
sinceramente l’indole sprezzante di quell’uomo ma
ne aveva fastidioso
timore. Quando lo
vide per la prima
volta in casa dei genitori era rimasta colpita dal suo aspetto
principesco e
dalla bellezza pietrosa e austera… ma qualcosa non
l’aveva convinta : il verde
acqua degli occhi non sfolgorava rasserenante ma acuminato simile ad un
quarzo
che si nutre solo di neve e gode della desolazione che gli sta al
cospetto.
Divenne presto odiosa la sua intelligenza che scaraventava sui gradini
più
bassi , il suo senso dell’osservazione che analizzava e
demoliva, il suo riso
ferocemente bianco e dritto.
I lunghi capelli neri
sembrava fossero più aguzzi irradiati dalla
luminescenza invernale così
come il viso che si riordinava in una tranquillità arrogante.
- Che bisogno c’è
di
indignarsi in questo modo? – scrollò fintamente
benevolo - È
più che lecito proteggere lo spirito dei
propri figli e ciò che stiamo facendo anche noi. Se
continuerai ad ascoltarmi,
Victor mio, sarai in grado di ottenere grandi cose e di non prestare
attenzione
a chi è destinato a restare indietro.
Victor…Victor!
Il bimbo distolse il faccino
dal finestrino che rilasciò
l’alone bianco del suo respiro; gli piaceva tanto guardare le
carrozze e i loro
destrieri , giganteschi in confronto ai suoi giocattoli. Era una delle
poche
cose che gli dava un sogno raggiante perché si vedeva
cavaliere molto più del
padre. Lui restava però il sommo sacerdote a cui bisognava
obbedire per cercare
di ottenere un anelo di affetto che non si capiva se esistesse oppure
no.
- Scusate , padre. G-
guardavo i cavalli.
Il bambino si era messo subito
composto coi piedi che
oscillavano imbarazzati per non riuscire a toccare terra.
Cercò un segno di
vaga transigenza davanti al padrone che aveva assunto
un’espressione calma…
Calma alla maniera di un paziente spillo che giace su un tavolo.
- Sciocco – punse con
precisa velenosità il despota - Non
riuscirai a correre su un cavallo se guardi sempre indietro.
***§***
Febbraio 1756
Stava rischiando parecchio ma
lo stemma del leone pulsava
pesantemente…
Stringeva
l’impugnatura dei suoi principi ma Judith gli
sfuggiva…
Judith…Judith lo
sparava silenziosamente, affossata nella
sua trincea di ferita dolcezza…
Ella si difendeva senza
bisogno d’attaccare crudamente.
Guardava in faccia il nemico e
non per distruggerlo…
Lo sferzava per intrappolarlo.
Prenderlo in giro.
Perché era stanca e
non voleva soffrire il freddo.
François la
osservava passeggiare, sotto la condensa dei
raggi invernali, con Oscar tra le braccia…Erano un duetto di
violini
tristemente libero, privo d’uno spartito guida…
Lui si sentiva esule, piccolo,
inadeguato.
In battaglia non esitava a
gettarsi all’assalto ma quegli
istanti lo disperavano in
un’inammissibile vergogna.
Uscire
dal tracollo,
ritrovare le miniere d’oro, dimenticare il risucchio
dell'onta…I de’ Jarjayes
non potevano e non dovevano annegare.
François le aveva
assorbite fin troppo bene quelle norme.
Fissava l’emblema
araldico di famiglia in un raccoglimento
fiero eppure…infingardo…astioso…
Una strana sensazione di
sconfitta lo pervadeva, una verità
che tentava di sfrattare ma che mai sarebbe riuscito ad annullare.
La consapevolezza
d’una prigionia senza uscita, che durava da
tempo, da sempre.
Ascoltare ordini.
Ascoltare il terrore.
Ascoltare lo spettro
d’un mondo che non aveva mai
desiderato assimilare…
Suo padre, Jean Antoine ,
aveva trionfato.
Un teorema paradossale. Una
condanna a morte che non
sarebbe morta.
Se non avesse subito quelle
strozzature al collo, non
sarebbe stato l’uomo attuale. La sua impalcatura di sassi e
argilla si
reggeva su pilastri
di ferro rugginoso
ma era la sua impalcatura…La sua totalità
contraddittoria e smembrata.
Disgraziatamente lo sapeva ma
aveva troppo timore a
rivedere i calcoli errati…
Judith, tuttavia, continuava a
minacciarlo…continuava a
chiamarlo…
François non
sarebbe riuscito a stracciare l’arazzo del
Leone de’Jarjayes e neanche a sopportare da solo la sua mente
perennemente
gonfia.
Quella sera, dopo cena,
raggiunse la stanza della moglie.
Si accostò dietro
la porta ma non bussò garbatamente.
Entrò nella stanza
con grezzo silenzio perché non poteva
ammettere che il cuore era un muscolo che si agitava
incontrollato…
La giovane si era assopita
lasciando un lume acceso…
Affianco al suo letto, la
culla della bimba…
Un aroma rosa, di pesche e
fiori, s’espandeva
dai cotoni pesanti delle coperte
e delle lenzuola…
L’uomo
camminò lentamente…
Un lieve gemito scosse la
calma. Un gemito che ne produsse
altri…
Oscar iniziava a stropicciare
le sue coperte.
Il
padre si affacciò
al lettino e lei s’interruppe.
I due si contemplarono
sorpresi l’uno dall’altra…
L’orologio della
stanza cadenzava le nove, in un chiacchiericcio
granicolo di minuti, quieti, soleggiati…era sera fuori ma
ogni ombra scivolava
via in una cascata che sbiancava di meraviglia.
François non capiva
se detestasse o amasse follemente
quella piccina…
Era calamitato dai suoi
capelli rugiadosi, striati di
riflessi ghiaccio…
Il visino rosseggiava
lievemente sulle guance e a illuminarlo
quegli occhi in cui si fondevano cielo e mare senza confini tra aria e
onde,
tra ossigeno e abisso…
Le ciglia lunghe erano
insolitamente nere, ventagli di
rondini leggere.
Le labbra minute
s’inclinavano e si sollevavano in
espressioni smarrite
di divertimento.
L’uomo
allungò le braccia con lentezza
ieratica quasi stesse officiando un
rituale latino…
Le mani lapidee afferrarono il
torace della bimba:
le tiepide ondulazioni dei
respiri accondiscesero la presa in uno sciabordio.
Una morbidezza devastante
parve insinuarsi sotto la pelle
…Nel sangue un richiamo soffuso, una forza tenue che
congiunse due continenti: uno
di giovinezza antica e scrostata, l’altro friabile e ornato
di virgulti ancora
chiusi.
L’odore del padre
s’intersecò con quello della figlia: un
amarognolo autunno di faggi e pini e un’aurea di rose bagnate di latte.
Oscar si addossò
maldestramente a François che restò
impietrito e indeciso.
Lei gli strofinò il
naso sulla spalla e gli spalmò la
manina sul volto.
Lui sbuffò cercando
di distanziarsi da buffetti che diventavano più
impudenti…
La bimba gli afferrava il
mento, gli scuoteva le guance e
cominciava a scombinargli i capelli
- Insomma! –
ringhiò
piano lui – vuoi stare ferma?
Oscar fece un cinguettio di
dispettoso affetto.
Il padre le mise una mano in
testa costringendola a stare
quieta sulla sua spalla.
- Che diamine…
La figlia salivò
sulla vestaglia da camera.
L’uomo l’allontanò
guardandola
in cagnesco: lo fissava candidamente prendendo a giocherellare coi
colletti smossi
della pesante camicia.
François si
lasciò trasognare…
Scostò piano la
mano della neonata e , con una severa e
imprevista premura, prese la copertina posata sul bordo della culla e
gliel’avvolse attorno ….Lei emise versetti ancora
scontornati ma con una gamma
incredibile di colori vivaci…
Agitava le braccia per issare
piloni di parole che
non poteva pronunciare. Balbettava
giocosa, impaziente desiderando essere presa di nuovo in braccio per
correre
dentro quegli occhi.
- Qual buon vento,
François?
Judith , sveglia, aveva gli
occhi aperti e il dorso posato
sui cuscini…La sua espressione era inflessibile come quella
d’una sacerdotessa
greca e beffeggiatrice come
quella di una gitana.
Il marito , malgrado provasse
irritazione, la trovò
splendida con quell’aureola di boccoli che fumeggiava sulle
spalle e la veste
da notte che celava, simile ad un peplo d’acqua, le sue
snellezze…
Se non fosse stato pressato
dalla superbia, o dalla smania
d’apparire superbo, si sarebbe precipitato ad abbracciarla.
- Volevo vedere se tu e
Oscar davate ancora segni di vita…- rispose lui con acida
ironia- è da ieri
sera che non vi vedo dal momento che ami dissolverti.
- Non abitiamo dall’altra
parte del mondo…se eri tanto preoccupato potevi benissimo
raggiungerci.
Mite e algente, Judith si
alzò lentamente dal giaciglio per
prendere la figlia in braccio.
- Non oserei mai, cara ,
invadere il tuo recinto di legno massiccio…Mi dispiacerebbe
se ci restassi
male.
- Anche a me, caro,
causerebbe dolore abbattere il tuo castello di pietra
…è la tua residenza
estiva per restare al fresco?
François fece un
ghigno d’abbattimento…Gli rodeva quella
puntura ma stranamente non fu in grado d’alimentare la
belligeranza…
La sposa cullava Oscar che
tartagliava appagamento sotto la
luce dorata del candelabro…
La calura della penombra , che
modellava la camera in lamine
nere e rilievi infiammati , trapassava la mente e il cuore…
- Judith…- sospirò
François – la villa mi appare, a volte, tanto
immensa che ho paura di non
trovare le stanze a cui tengo di più.
La donna lasciò
ondeggiare dolcemente gli occhi cerulei…
Indugiò, in
silenzio, sull’alta figura dello sposo, sfrangiabile
simili a nubi temporalesche…
Lui si scostò i
capelli castani dalla fronte che fin da
adolescente faticava a pettinare…veniva a chiedere
l’armistizio .
- Hai ragione – ammise
ella – gli spazi grandi sembrano sprecati se non sono colmati
dal sole.
Guardò il lato
vuoto del letto dove dormiva solitamente lo
sposo e si rivide lei, ragazza fidanzata,
che non soffriva più la
solitudine…Ricordava l’ardore con cui pensava a
François, sognando di averlo affianco, sentire il peso del
suo corpo che
piegava il materasso e che poi le avvolgeva le membra…
- Sai – continuò
lei – è
brutto non avere una muraglia contro cui urtare.
Lui sorrise imbronciato:
dormire nel deserto poteva confortare
visto che dimoravano silenzio e
libertà…tuttavia…senz’acqua
era impossibile
sopravvivere.
Judith si sedette sul letto
iniziando ad allattare Oscar.
- Su, vieni .
L’uomo, piamente
rispettoso, si accomodò vicino senza osare
invaderla.
Sarebbe tornato a dormire
assieme a lei sotto
un’unica coltre di stoffa e caldo.
Quella notte avrebbero
riposato su versanti opposti, privi
di abbracci o carezze ardenti , ma almeno si trovavano a navigare sullo
stesso
veliero…
La maternità di
vaniglia e pelle scaldata possedeva una
magia così terrena e pura che lui, l’influsso
maschile incurvabile, non raggiungeva…sarebbe
stato destinato ad altro per la figlia…il legame col suo
effluvio l’avrebbe
conosciuto in seguito poiché la figura paterna ( lo sapeva
benissimo) era una
realtà spigolosa e particolare: si
trattava di una colonna che sorregge o fa dolere la schiena, di cui ci si accorge della
sua concretezza
solo alcuni anni dopo aver abbandonato il grembo materno. Una
concretezza che
segnava in bene o in male una qualunque crescita.
Judith avrebbe, ugualmente,
conservato l’aurea di una
placenta protettiva
volta a fare sempre
da rifugio e consiglio.
In quel momento occorreva
schiarire, grazie alla delicatezza
della sera, il
complesso gioco di onde
cosmiche.
- Judith…- mormorò
greve
il marito - mi sono comportato e mi comporterò magari in
maniera esecrabile.
Non intendo giustificarmi invano. Mio padre, mio nonno e i miei
antenati si
sono trasmessi il testimone degli obblighi verso la corona.
È un antico
giuramento che mai abbiamo infranto. Io appartengo a questa catena
e…Oscar è la
nostra unica erede.
La donna avvertì
l’angoscioso e lieve peso della figlia
connessa al suo petto e la manina raggomitolata sullo scollo della
camicia. Non
poteva comprendere nulla di quel linguaggio e non poteva stabilire
consciamente
i suoi abiti…Gli uccellini mutano il piumaggio tramite la mano universale della
natura mentre i
piccoli umani cambiano le proprie penne per le norme genitoriali, che a
loro
volta affondano le radici nelle secolari tradizioni sociali integrate
biologicamente in
ogni paesaggio
terrestre.
- François . Temo che le
venga sottratta la normalità di una vita da fanciulla, la
possibilità di
formarsi , avere gioie, una
famiglia…
- Non le sto negando il futuro
ma dovrà imparare a costruirsi una strada, affrontando
sacrifici.
- Lo so…lo so…per
questo
è sbagliato viziare i figli. Rischiano di non apprezzare le
cose e di
mistificare la realtà . E’ giusto insegnarlo
ma…riuscirà mai
a conseguire un’educazione da soldato?
Lo sguardo dell’uomo
si aggrappò alle ante del mobile che
sonnecchiava accanto al baldacchino. Il suo pensiero finì
ingarbugliato nelle
spirali vegetali di edera e fiori campestri che arricchivano fittamente
il legno;
miriadi di disegni barbiturici e ammonitori che stimolavano lo
smarrimento e al
contempo rapide soluzioni.
- Ti chiedo di avere
fiducia in me – implorò sicuro il conte contraendo
la fronte e facendo
addentrare di più l’oscurità - Il latte
che tu stai dando a Oscar è impareggiabile e insostituibile.
Sono uomo…ma in
quanto padre devo offrirle un altro nutrimento. Più duro
sì, ma che la
fortificherà più delle altre donne. Si
muoverà libera. Avrà una grossa quanto
mai grave autonomia di spazi e posizione. Ci saranno
responsabilità che lei,
imparando l’onore, la fatica e l’autorevolezza
porrà dentro l’animo. Spero che
così…guarderà l’essenza
delle cose e non la superficie.
- Lei conoscerà
l’essenza del suo essere donna, François. Non puoi
arrestare il ciclo della
natura. Anche se la proteggeremo con vestiti maschili , arrivata ad una
certa
età, prenderà consapevolezza del proprio corpo.
Gli occhi azzurri di Judith
pareva avessero ricevuto la
colatura fiammeggiante delle candele . Vacillavano ma restavano
lì senza
l’intenzione di cadere.
Il generale posò i
gomiti sulle ginocchia e intrecciò le
dita delle mani. La moglie ne osservò impaziente il profilo
divenuto immobile…
metà inscurito dalla notte invernale , metà
illuminato dalla luce calda: da
grande Oscar avrebbe esibito un volto simile? Una parte che avrebbe
luccicato
sotto il sole e un’altra remota , relegata in ombre
intangibili?
- Hai ragione …-
sollevò
il viso François rischiarandolo quasi del tutto -
però un’educazione di spada
penetra lo stesso nella mente. Inizia da piccoli e non esce
più.
- Non vorrai che tua
figlia resti sola, senza un marito e dei figli? – si
inasprì la donna - Non
è una questione di norme civili o
etichette ereditarie! È il cuore che potrebbe
esigerlo…io e te non siamo fatti
di sabbia prosciugata che cade senza emettere rumori. Abbiamo messo in
gioco
ogni nostra goccia di sangue in questo matrimonio. Io ho voluto te, tu
hai
voluto me sebbene siamo diversi e ci troviamo scaraventati su posizioni
opposte. Oscar non potrà conoscere se stessa se non
amerà!
- Ci sarai sempre
Judith…Oscar dovrà imparare a suonare il
pianoforte, a prendere esempio dalla
tua leggiadria, dalla tua costanza. Lei avrà acqua e fuoco
camminando su questa
terra. non temere. Affronteremo di volta di volta ogni sua
perplessità e…ogni
problema nonostante , probabilmente, si profili un’odissea.
Il conte si
avvicinò un po’ di più , posando la
propria
mano su quella della moglie che sorreggeva la lattante.
- Almeno Oscar – propose
lei un pò più distesa - potrebbe
essere affiancata
da un aiutante…una guardia del corpo…
- Ti riferisci ad un
attendente?
- Sì…una persona
valente
, onesta e più che affidabile…
Il consorte per un attimo
tacque contemplando un disegno a
carboncino e china appeso alla parete di fronte. Era la riproduzione di
una
pittura vascolare greca che rappresentava un giovane cavaliere coperto
di
clamide seguito a piedi da un soldato con lancia e scudo.
- Riflettevo anche io a
riguardo…- rispose positivo - è una faccenda
difficile ma non impossibile.
Bisognerà valutare molto attentamente.
Un attendente sveglio e
capace, sì. Oscar era pur sempre
una fanciulla e comunque tanti comandanti avevano un altro soldato che
li seguiva
nel lavoro e negli oneri.
Doveva essere un uomo forte,
privo di malsani desideri e abitudini…magari
non eccessivamente bello. Meglio che la lealtà venga emanata
da un viso grezzo
piuttosto che da un Apollo scolpito da Fidia. Si potevano
già annusare premonizioni
complicate e scomodissime.
L’uomo
preferì non pensare d’essere un pericoloso
timoniere…preferì non pensare che Oscar sarebbe
diventata la stella di
una nebulosa confusionale.
Adesso la piccola respirava il
sonno dorato, con le ossa
ancora morbide, il cuore più leggero di un lenzuolo : non
distingueva ancora il
ritmo del giorno e della notte, né le maree incostanti delle
emozioni e delle
domande infinite.
C’erano solo la
pelle del respiro materno e lo sguardo del
padre che sussurrava tra un’ondata
di
schiuma salata e un graffio di vento.
***Fine
Libro Primo***
§
Note
Personali:
ciao a tutte/i, carissime/i!
Siamo giunte alla fine del
Libro Primo!
Capisco di essere stata un
po’ OOC , ma mi è sempre
piaciuto indagare su dinamiche mai viste di personaggi “
secondari”.
Desideravo che Judith restasse
dolce, calma e gentile ma
che , al contempo manifestasse una combattività materna ,
una combattività delle
sue posizioni che
uscisse da un ruolo
marginale. Nella storia originale avrei desiderato comparisse di
più perché
Oscar deve pure avere una figura femminile di riferimento!
Per quanto riguarda
François …eh!eh! che dire? È un
po’ il
mio figlioccio problematico! Ah!ah!ah! Da dopo la storia Nella
mia penombra , ho voluto calarmi in
quest’avventura e
conoscerlo meglio, a trecento sessanta gradi …e
mi ci sono affezionata profondamente!
Spero che voi
l’abbiate apprezzato in questa mia versione,
un po’ diversa e che magari può
spiazzare…perché è un personaggio
problematico.
Mi auguro di non aver creato un altro personaggio ma di aver aggiunto
pennellate all’integerrimo generale…non solo
generale, ma figlio, marito e
padre.
Spero anche che abbiate gradito tutti gli altri membri
della famiglia de
Jarjayes e della famiglia de la Seigne così come gli altri
amici : Blaise, il
dottor Deronne, padre Jeremy, i
Grandier ;) e i Girodel ( so quanto possa
essere delizioso Frédéric XD XD )
Naturalmente è
stato impegnativo ed estenuante tenere conto
del periodo e dei personaggi storici per creare eventi il
più completi possibile…
Ho deciso di mettere
“storia completa” per alleggerire il
carico di un’epopea lunga
^^”
Ci tengo a precisare che I leoni della Corona NON è una
SAGA, bensì un romanzo UNICO
composto da 4 libri. Il primo ci ha mostrato il background dei de
Jarjayes , il
secondo parlerà
dell'’infanzia di
Oscar e André, il terzo
dell’adolescenza
e l’inizio dell' età adulta e il Quarto
sarà l’ultima parte. Non modificherò
gli eventi della trama originale ma
intendo mostrare vicende quotidiane inedite e panoramiche storiche su
cui
evolveranno i personaggi^^
Prossimamente , quindi,
creerò proprio la serie dei Leoni
della Corona , così in futuro potrete leggere in modo
compatto i macro capitoli
di questa avventura che saga non è! Ho deciso di fare
più libri fin dall’inizio
e poi ho deciso di dividerli in modo da non risultare troppo pesante.
Vi ringrazio di cuore per
essere arrivate/i fino qui tra
guerre in Europa e in America, tra drammi e felicità
quotidiane dei nostri eroi…
Oscar e André sono
piccini ma avranno taaaaanto da
raccontarci assieme a Victor e tutti gli altri.
La giostra delle battaglie
della storia non si fermerà e le
piccole realtà famigliari possiedono ancora grandi segreti
da raccontare.
Un ringraziamento speciale a
Lady Dreamer mia consulente
speciale che mi segue in ogni universo narrativo!
Ci vedremo nel 2018 con il
Libro Secondo!
Un abbraccio!!
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