Invincibili

di Mconcy
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Tris (#1) ***
Capitolo 2: *** Aleen (#2) ***
Capitolo 3: *** Ethan (#3) ***



Capitolo 1
*** Tris (#1) ***


Invincibili - Extra di "Fragili"




#1

Tris





(109 giorni dopo)


Ricordo che tanto tempo fa mia madre mi disse che non si può sopravvivere da soli e che, anche se potessimo, non lo vorremmo.
A volte dovremmo ascoltare di più le nostre madri, dar loro retta finché possiamo, perché capiterà spesso che avranno ragione.


Come in questo preciso momento.
In questo preciso momento realizzo che mia madre aveva ragione. Ancora una volta.

È una cosa così brutta la solitudine. Non parlo dello stare da soli, ma dell'essere soli. In mezzo alla gente, fuori dal mondo.

Non so se è questo che mia madre intendeva, ma ho deciso che "solitudine" è l'unica parola che esprima più adeguatamente possibile la mia situazione.
Avvolta in un involucro buio e freddo, in compagnia solamente del silenzio.

È così che ci si sente mentre si muore?
O sono già morta?

Non lo so. Non percepisco nulla, né il mio corpo, né l'ambiente che mi circonda. Sento solo un'enorme e buia solitudine aleggiare intorno a me, pesarmi addosso come un macigno.

Sto per morire, mi dico. Sto guadagnando il mio perdono.
Non è questo che volevo? Non era questo ciò che bisognava fare?
Devo ripetermelo per crederci. Voglio che tutto questo sia servito a qualcosa. Voglio che tutto questo sia valso il mio perdono.

Perdonatemi.

Sembra che questa cosa funzioni. Mentre continuo a farlo, a convincermi, sento la pressione allentarsi. È come se il buio si diradasse, diventasse più... leggero.

Avevo ragione.
Sono sola e tutto sta per finire.
Perdonatemi. Ancora.






"Svegliati..."

Caldo.
Luce.
Bruciore.
Ossigeno.
Dolore.

"Calmati! Stai giù!"

Cosa sta succedendo? Cosa diamine succede?!

"Mi senti? Va tutto bene..."

Sono viva. Ecco il mio primo pensiero.
Non riesco ad aprire gli occhi, bruciano troppo.
Poi comincio a sentire il dolore. Ovunque.

Il respiro è veloce, la testa annebbiata. Sento un peso sulle spalle che mi impedisce di sollevarmi.

Cosa. Diamine. Succede?!

Dovrei essere morta.
Eppure i miei polmoni non dovrebbero funzionare in questo modo, i miei occhi non dovrebbero lottare per aprirsi, la mia gola non dovrebbe somigliare a carta vetrata mentre cerco di deglutire.
E non dovrei sentire voci che mi intimano di stare calma.

"Respira. Così. Non ti agitare."

D'istinto tento ancora una volta di aprire gli occhi. La luce assomiglia più a lame di fuoco. Brucia maledettamente, e fa male.

"Mhm..."
Non mi rendo conto di essere stata io a parlare, fino a quando una fitta lancinante non mi scuote la gola.

Devono avermi immerso nell'acido per farmi sentire così male. O comunque in un qualcosa di altamente corrosivo. La sensazione è quella.
Persino i rumori mi arrivano troppo forti, troppi tutti insieme.
Non passa molto, che cado nuovamente nel buio.



***


Il secondo risveglio è decisamente meno brusco e doloroso.
Percepisco la graduale uscita dal mio stato di incoscienza, e ne apprezzo la lentezza.
Per un istante mi sembra di essere tornata a casa, nella mia stanza, in un giorno qualunque della mia precedente esistenza. Mi svegliavo lentamente, lasciando ai miei occhi il tempo di abituarsi al sole che filtrava dalla finestra.

Mi devo subito ricredere.
L'odore acre che sento non è affatto quello di casa mia, e i rumori che percepisco non hanno niente a che fare con quelli che produceva il vento accarezzando le foglie degli alberi del mio quartiere.

Devo svegliarmi.
Sbatto gli occhi velocemente, e finalmente riesco a tenerli aperti abbastanza a lungo da vedere qualcosa di ciò che mi circonda.
Il soffitto incrostato, una sagoma china su di me, una porta di metallo.
Richiudo gli occhi e mi porto una mano davanti al viso.
Fa ancora molto male.

"Come ti senti?" chiede ancora la voce.
Io non rispondo, ma provo a tirarmi su.
Sento scricchiolare ogni singolo osso del mio corpo mentre mi appoggio con la schiena alla parete accanto a me. Stringo la mascella per sopportare il dolore.
Respiro a fatica e in modo irregolare. Quando espiro mi esce uno strano rumore, come un rantolo o un lamento soffocato.

"Prendi questo, bevi." mi consiglia la voce di prima. Non distinguo bene le parole, più che altro perché sono troppo concentrata sul dolore che mi offusca la mente.

Cerco di ignorare il mio corpo e mi concentro sull'azione di aprire gli occhi.
Sbatto velocemente le palpebre e aggrotto la fronte, ma alla fine, dopo non so quanti minuti, riesco ad abituarmi alla luce.

Il respiro si calma, anche se tremo ancora.
Mi trovo in una stanza abbastanza grande, con le pareti grigie incrostate di sporco e i pavimenti di legno consunto. Sul soffitto c'è una serie di lampade che diffondono una forte luce giallognola, mentre alla mia destra vedo una porta di ferro. Niente finestre. Devo essere seduta su qualcosa di morbido, forse un materasso.
Alzo lo sguardo e finalmente individuo la fonte della voce che ho sentito prima.

La prima cosa che noto sono dei capelli. Sporchi sicuramente, ma di un biondo brillante.
La luce proiettata dalle lampade illumina metà viso della persona di fronte a me. È un ragazzo.

"Bevi." ripete porgendomi qualcosa.
Metto a fuoco l'oggetto che il ragazzo tiene in una mano: un bicchiere di metallo con del liquido dentro. Sembra acqua ma non ne sono sicura al cento per cento.

Alzo il braccio per prendere il bicchiere, ma devo fare molto lentamente perchè mi gira molto forte la testa. Ad ogni minimo movimento delle fitte allucinanti torturano le mie tempie.
Alla fine riesco ad afferrare il bicchiere d'acqua, facendone uscire un po' a causa dei tremori, e lo porto con estrema attenzione alle labbra secche facendo scivolare il liquido tiepido giù per la gola. Brucia da morire.
Cerco di non farci caso e ingurgito più acqua possibile.

Vuoto il bicchiere e mi sistemo meglio contro il muro. Mi sento molto confusa e stanca. Vorrei lasciarmi cadere di nuovo sul materasso e chiudere gli occhi, ma devo capire cosa sta succedendo.

Alzo lo sguardo sulla persona che mi sta davanti, studiandola con diffidenza.
Il ragazzo deve avere sui 25 anni, o poco meno. I capelli biondi sono un po' lunghi, gli arrivano sotto le orecchie. Sono spettinati e sporchi.
Il viso del ragazzo sembra gentile, dalle linee morbide. Mi guarda con comprensione, aspettando saggiamente che io faccia una qualche mossa.

Mi schiarisco la voce e provo a dire qualcosa.
"C-chi sei?"

Gli occhi di un verde chiarissimo del ragazzo mi scrutano attenti.
"Io sono Ethan." dice semplicemente. La sua voce è limpida e calma. Non so perché, ma mi infonde sicurezza. "Tu come ti chiami?"

"Tris." rispondo automaticamente.
Lui annuisce e si siede meglio incrociando le gambe.
"Come ti senti, Tris?"

Faccio il punto della situazione. Mi sono svegliata in un luogo sconosciuto con un ragazzo sconosciuto, ho dolore ovunque e sembra che la testa abbia deciso di esplodere a mia insaputa. E non ho assolutamente idea di cosa sia successo.
"Non molto bene, a dire il vero."

Lui annuisce di nuovo e mi guarda, rimanendo in silenzio. Credo mi voglia dare il tempo di realizzare quello che sta succedendo, ma io sinceramente non trovo nessuna spiegazione logica.
Decido di fare domande.
"Mi sai dire dove siamo?"

"No, non di preciso. Da qualche parte in Periferia, suppongo." dice alzando le spalle.
"Okay, ma... cos'è questo posto? Perché sono qui?" incalzo io.

Ethan sospira e si passa una mano nei capelli.
"In questo momento ti trovi in una cella. E il perché non te lo so dire."

Rimango di sasso.
Una cella? Sono in una sorta di prigione?
Mi guardo intorno con più attenzione. Le pareti sono sporche, così come il pavimento. La porta di metallo che ho notato poco fa è piuttosto grande e dall'aspetto direi molto robusta.
Noto un'altra brandina nella stanza oltre a quella su cui sono seduta io, e anche quella è parecchio malandata.

"Tris, ricordi niente di quello che è successo prima che ti prendessero?"
Non mi sfugge il termine. "Prendessero". Significa che c'è qualcuno dietro a questa follia, qualcuno che mi ha trascinato dentro a questa cella opprimente.
Mi sforzo di ricordare qualcosa, qualsiasi cosa.
Ricordo il Dipartimento. Caleb. Il piano per sabotare David e le sue assurde idee. Il laboratorio e la pistola. Lo sparo. Mia madre.
E poi?
Nulla. Il vuoto totale.

"Io... credo..."

Ethan mi osserva, serio. Non dice niente, nemmeno quando chiudo gli occhi per ripescare dalla memoria le ultime ore che mi ricordo di aver vissuto.
Ho preso il posto di Caleb, ho cancellato la memoria del Dipartimento.

Ho abbandonato Tobias.

Apro gli occhi di scatto, mentre il cuore comincia a martellarmi nel petto.
Tobias.
Il suo piano avrà funzionato?
Avrà saputo di quello che mi è successo -qualsiasi cosa mi sia successa?
Mi starà cercando?

Ethan deve rendersi conto della mia espressione di panico.
"Ti senti bene?"

"Ethan, da quanto tempo mi trovo qui?" chiedo con una nota d'ansia nella voce.
Il ragazzo mi scruta perplesso, poi si avvicina al muro alla mia sinistra e legge qualcosa scritto sulla parete. Noto una specie di griglia irregolare, piena di numeri e puntini. C'è anche qualche scritta all'interno delle caselle, ma non riesco a leggerle da qui.
Realizzo che dev'essere una sorta di calendario.

"Tre mesi e mezzo, più o meno. Potrebbe essere anche di più..."

Tre mesi e mezzo.
Tre dannati mesi.
Mi staranno ancora cercando?

"Com'è possibile? Ho dormito per tutto questo tempo?"
Ethan torna di fronte a me.
"Non esattamente. Ti hanno portato in questa stanza solo oggi..."
Fa una pausa, così aspetto in silenzio che continui a spiegare. Sembra confuso, e dall'espressione capisco che sta pensando a cosa dire. O forse a come dirlo.

"Io ti ho vista, tre mesi fa. Mentre mi portavano nella sala delle torture. Sono sicuro che fossi tu." dice scrutandomi. "Eri in una stanza separata, collegata ad alcuni tubi e a dei monitor." Mi guarda con tristezza. "Credo che tu fossi in coma, Tris."

Rimango con la bocca aperta e lo sguardo fisso nel vuoto.
"Cos-" Mi schiarisco la gola. "Cosa intendi con "sala delle torture"?"

Ethan si muove a disagio, mordendosi le labbra.
"Credo che lo scoprirai presto."

Un rumore improvviso mi fa sussultare. La porta di metallo alla mia destra si spalanca di colpo, lasciando entrare tre figure armate e incappucciate, dai vestiti scuri.

D'istinto provo ad alzarmi in piedi, ma un dolore lancinante e un puntuale capogiro mi fanno gemere, costringendomi ad abbandonarmi alla parete.
Fatico a tenere gli occhi aperti.

"Allontanati!" grida una voce maschile. Il tono è autoritario e non lascia spazio a repliche. Sento Ethan allontanarsi ubbidendo all'uomo. Dopo qualche secondo una mano mi afferra bruscamente il braccio trascinandomi in piedi.

Credo di gridare.
Il dolore è troppo forte, persistente e destabilizzante. Vedo tante luci colorate brillare dietro la mia palpebra chiusa, per poi spegnersi e accendersi di nuovo.
La testa pulsa, gira, non si ferma più.
Mi sento come una barca minuscola nel bel mezzo di una tempesta, ma sopra un mare fatto di acido.

Percepisco ancora la mano sul mio braccio che strattona e tira, incurante dell'urlo di dolore del mio corpo. Perché sono sicura che il mio corpo stia gridando.
Ad un tratto le mani diventano due, tre o forse più.

Mi sento sollevare da terra.
Poi metallo duro.

Vengo buttata su qualcosa che sembra fatto di acciaio, forse un tavolo.
Al momento dell'impatto i miei polmoni si svuotano di tutta l'aria che contenevano, lasciandomi senza respiro dalla sofferenza.
Non sento più le gambe.

Apro gli occhi a fatica, trovando una luce intensa puntata dritta su di me. Non metto a fuoco nulla, vedo solo colori sfocati e tremanti.
Pensare a qualcosa di sensato, ora, è semplicemente impossibile.

Una puntura fastidiosa mi solletica il collo.
Le voci intorno a me rimbombano, diventando echi lontani di una realtà che si spegne poco a poco.

Allora capisco che non sono stata perdonata. Tutto questo è la mia punizione.
Questo non è perdono.
Penso alla morte, e a quanto vorrei che fosse meno dolorosa.

Poi, finalmente, mi spengo.





NOTE FINALI:

Salve! Eccomi di nuovo a stressarvi con il primo extra di Fragili!
Come al solito il capitolo non mi ha soddisfatto al cento per cento... La prima metà mi piaceva come era venuta fuori, ma poi ho avuto come la sensazione di aver rovinato il tutto nella seconda parte -.-
Spero comunque di non avervi deluso. Ho provato ad entrare nella testa di Tris e a cambiare lo stile di scrittura per evidenziare il distacco da Fragili e quindi dal pov Tobias. Missione riuscita? Nah...
Comunque sia... il prossimo extra si intitolerà: #2) Aleen
Chi è Aleen?
Beh, alla prossima per scoprirlo!
Un saluto.

Mconcy


Ps: Ho modificato l'html di tutti i capitoli di Fragili perché mi è stato gentilmente fatto notare che avevano un carattere davvero minuscolo... Ora sono tutti impostati correttamente e secondo una grafica più carina :)


Date un'occhiata alle altre storie sulla mia pagina:
-"And There She Was", one-shot a sé stante su Divergent
-"Fino a dieci", one-shot introspettiva sull'amicizia fatta di dialoghi al telefono

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Capitolo 2
*** Aleen (#2) ***


Invincibili - Extra di "Fragili"




#2

Aleen





(413 giorni dopo)


"Ethan?"
"Tris."
"Cosa ti hanno fatto?
Vorrei essere forte per aiutarlo, come lui ha sempre fatto con me.
Vorrei essere forte per riuscire ad alzare la testa e reagire.
E invece me ne sto qui, sdraiata accanto a lui sulle brande consunte che abbiamo unito, a guardare il soffitto e a stringergli la mano.

Lui non risponde alla mia domanda. Non lo biasimo, è talmente stupida.
Cosa ti hanno fatto, Ethan, se non quello che questa gente fa anche a me? 
Mi immagino cosa sia successo, dal momento in cui l'hanno portato via al momento in cui è tornato nella nostra cella. Immagino il corridoio poco illuminato, sporco e maleodorante. Immagino i volti coperti delle persone dagli abiti scuri seguirlo fin dentro la Sala delle Torture, quell'enorme stanza piena di macchinari, buia per via della completa assenza di finestre. 
Riesco persino a sentire l'odore pungente di medicinale, i suoni meccanici delle apparecchiature addossate ai muri, il freddo tavolo d'acciaio al centro della stanza.
E poi sento la paura. Il dolore. Le grida.

Chiudo gli occhi di scatto. Perché la mia non è solo immaginazione. È quello che vivo ogni giorno in questo posto.
E le condizioni in cui ora versa Ethan sono sempre state le mie.

Sento le sue mani tremanti, il suo respiro pesante e il suo corpo freddo. Io gli sto vicino e basta perché non so cos'altro fare...
Di solito, al suo posto, ci sono io.

"Ethan?"
"Hmm..."

Non so cosa dire. Non è mai stata così brutta per lui. 
La maggior parte delle volte tornava stanco, ma nulla di più. Lui sopportava meglio di me.
Eppure non capisco cosa ci sia di diverso questa volta. È rientrato da un po' ormai, ma Ethan continua a tremare e a mugugnare cose incomprensibili. Fissa il soffitto con sguardo assente e mi stringe la mano ad ondate, come se volesse trovare un appiglio per non affondare.

"Ethan, raccontami qualcosa." gli chiedo senza un motivo preciso. 
Non ha senso, ma non so come reagire. Questa cosa sfugge al mio controllo.

Lui continua a non dare segni di partecipazione. Ad un certo punto si gira di lato e smette di tremare.
Così lo lascio stare e cerco di piangere in silenzio. 
Ma come al solito non ci riesco.

______________________________________________________________________

 

"Non ti ho mai detto una cosa..."

Apro gli occhi stancamente. Ethan è appoggiato con la schiena al muro di fianco a me e mi sta guardando serio. La sua mano è ancora tra le mie, ora più calda.
Mi tiro su di malavoglia, sistemandomi meglio sul materasso.

Oggi non sono venuti a prendermi, ma stranamente mi sento esausta.

"Stavi pensando?" mi chiede il mio compagno di cella con voce strascicata. Non si è ancora ripreso del tutto dall'ultima "seduta". 
"Scusa?"
"Ti ho chiesto se stavi pensando."
"No, questo l'ho capito. Ma perché me lo chiedi?" 
Ethan si stringe nelle spalle.
"Tu pensi sempre. Non volevo disturbarti "
Gli lancio un'occhiata vuota e non rispondo.

Non saprei definire il rapporto che c'è tra me ed Ethan. È tanto tempo che siamo rinchiusi qui dentro e non abbiamo mai parlato troppo.
O meglio, lui non ha mai parlato troppo.

I primi tempi rimaneva in un angolo della stanza ad ascoltarmi serio. Io gli parlavo di me, di Tobias, dei miei genitori, di mio fratello. Tutto ciò che potevo ricordare lo buttavo fuori, in modo un po' confuso e strano. Ma dovevo farlo per sentirmi viva, e lui ascoltava.

Dopo i primi mesi ci sono stati leggeri cambiamenti. Ethan si avvicinava di più, sorrideva ai racconti divertenti delle mie esperienze passate, annuiva durante i miei deliri. Niente di ciò che raccontavo doveva avere un senso per lui, anche perché quello che mi iniettavano ogni giorno mi rendeva instabile e stanca.

Non ricordo il momento preciso in cui decisi di fidarmi di lui. Semplicemente l'ho fatto.
Lo so che dovendo condividere una cella così piccola ed un'esperienza così orribile è quasi automatico dover fidarsi l'uno dell'altro.
Ma ora, guardandolo, ho come la convinzione che l'avrei scelto comunque come amico fuori da qui.

"Allora?" chiede ancora lui inclinando un po' la testa.
"Allora cosa?"
"Eri persa nei tuoi pensieri?"

Lascio la sua mano e mi appoggio al muro di fianco a lui stringendo le gambe al petto. Una fitta alla gamba mi coglie all'improvviso, facendomi gemere. Ho uno strano livido violaceo sul ginocchio, probabilmente a causa dell'ultima "seduta".

"Forse." rispondo con un sospiro. Ethan sa benissimo che in realtà la mia risposta è sì.
Annuisce con un sorriso.
"Pensavi a lui?"
"Forse."

Il suo respiro frammentato mi solletica l'orecchio. Fisso la porta di acciaio per un po', poi chiudo gli occhi.
Cerco di riportare alla memoria il suo viso, i suoi capelli, i suoi occhi. Lo immagino qui davanti a me, sorridermi timidamente e porgermi una mano.
Poco fa pensavo all'ultima volta che ci siamo visti, al Dipartimento, e me lo immaginavo esattamente così.
Sorridente e pronto a portarmi via con lui.

Forse se fossi andata in città insieme a lui...

"Un giorno lo dovrò conoscere, questo Tobias. Credo di conoscerlo meglio di te a questo punto."
Ethan accenna una risata, ma smette subito a causa della tosse convulsa che lo prende subito dopo. È davvero a pezzi.

"Non credo che lo conoscerai mai."
"E perché?"
"Guardati intorno."

Il mio tono è diventato improvvisamente duro. Deve smetterla di illudersi.
Deve smetterla di illudermi.

È sempre così, Ethan. Ottimista, positivo.
È convinto che un giorno usciremo da qui, mentre io ho perso le speranze alla seconda o alla terza "seduta".
Anche se mi tenessero la porta aperta, non credo riuscirei ad alzarmi in piedi e ad uscire di qui. Le torture a cui ci sottopongono prosciugano energie e lucidità mentale.

Guardo Ethan e mi rendo conto di essere stata troppo dura. Anche lui sta passando i miei stessi problemi, ed io non sono nessuno per farlo stare peggio di così.
"Scusa," dico. "Sono solo un po' stanca."

Lui annuisce e torna a sorridermi debolmente.
"Volevi dirmi qualcosa prima?" chiedo, ricordando il motivo per cui mi aveva chiamata.
"Forse."

Ethan fa una smorfia di dolore e si appoggia meglio al muro. Noto una ferita ancora fresca sul suo collo.
"Non ti ho mai detto," inizia. "come sono finito qui."
Le sue parole attirano immediatamente la mia attenzione.
"Beh, a dire la verità" replico io "non mi hai mai detto niente di te."

La sua bocca si piega in un sorriso.
"Hai ragione. Sei sempre tu quella che parla..."
Non ho la forza di fingermi arrabbiata o offesa per la sua stupida battuta, così mi limito a fissarlo.
Ethan prende un grosso respiro. Fissa il muro.

"Se sono qui molto probabilmente la colpa è mia." La sua voce diventa subito dura e distante. Cerco di concentrarmi sul suo viso con tutte le mie forze. Non posso lasciare che il mio cervello si offuschi come al solito.

"Vengo da una famiglia di Candidi." comincia. "Mio padre e mia madre erano dei pezzi grossi lì dentro. Lavoravano in tribunale, a stretto contatto con i capifazione."
Ethan si schiarisce la voce.
"Non andavo molto d'accordo con loro."

Comincio a sentire freddo. Non so se è per il suo tono di voce, così diverso da quello a cui sono abituata, o per la cella perennemente ghiacciata. Mi stringo comunque nella coperta piena di strappi che abbiamo per le brande.

"In realtà non c'era un vero motivo. Voglio dire, non che fossero cattivi con me, o anaffettivi. No, era solo che... erano troppo... diversi da me."
Ci ritroviamo entrambi a corrugare la fronte.
"Per loro era tutto bianco o nero, niente mezze misure."

Lo guardo perplessa.
"Ethan, tutti i Candidi sono così... o almeno dovrebbero esserlo. È la loro filosofia."
"Lo so, lo so," dice velocemente. "Ma loro erano gente importante, Tris. Gente che ispirava le altre persone, dei modelli di vita. I Candidi perfetti."
Annuisco senza convinzione. Non vedo il problema in questo. Anche i miei genitori erano considerati dei perfetti Abneganti. Erano punti di riferimento per tutti gli altri. E quindi?

"Erano... troppo. Io non ero così." continua Ethan. "La loro condotta impeccabile mi faceva infuriare. Venivo costantemente ripreso perché non potevo macchiare la buona reputazione della famiglia. Ma io non arrivavo mai al loro livello."
Mi guarda per la prima volta da quando ha iniziato a raccontare e mi rendo conto di capirlo pienamente. Non è forse questo il motivo per cui lasciai gli Abneganti? Non mi sentivo anche io fuori posto, troppo poco come loro?

"Quindi hai cambiato fazione?" chiedo piano.
"Diciamo che sono stato obbligato a cambiarla, ma lo avrei fatto comunque."
Mi mordo le labbra, desiderosa di sapere il resto. Ethan sospira.

"Mi hai detto che sei stata sottoposta al siero della verità un paio di volte, giusto?"
"Sì."
"Bene, noi Candidi eravamo sottoposti a quel siero ogni settimana. Ci costringevano a sputare fuori ogni nostro segreto, ogni nostro più intimo pensiero, per toglierci la voglia di mentire."
Annuisco. Ricordo che una volta Christina mi aveva detto la stessa cosa.
Christina.
No, non posso permettermi di pensare a lei ora.

"Il punto è che io ne ero totalmente immune."
Cala uno strano silenzio tra di noi. Entrambi pensiamo alla stessa parola.
"Eri... un Divergente?" chiedo con gli occhi sgranati. Ricevo un'alzata di spalle in risposta.
"Ero cosciente e nel pieno delle mie facoltà durante ogni singola seduta." spiega ghignando. "Non saprei spiegarti la sensazione che provavo. Sentivo uno strano formicolio quando il siero entrava in circolo, e subito dopo una leggera pesantezza. Ma dal punto di vista mentale ero assolutamente lucido. È una sensazione strana..."

"Fidati," lo interrompo improvvisamente. "La conosco benissimo."

Ethan mi squadra con quei suoi occhi chiarissimi, per niente sorpreso.
"Anche tu..?"
"Sì. Sono una Divergente." O forse dovrei dire: sono una geneticamente pura, proprio come te. Ovviamente non lo faccio, sarebbe un discorso troppo lungo da affrontare. Magari un giorno. 
"Quelle volte che venni sottoposta al siero della verità riuscii a mentire, o comunque a controllare quello che dicevo."

Ethan annuisce con ammirazione, poi si perde con lo sguardo nel vuoto, pensando a chissà che cosa.
"Scusa, ti ho interrotto. Quindi sei stato costretto a lasciare i Candidi per questo?" dico cercando di riportarlo sulla terra. Lui si gira di scatto e, dopo aver aggrottato per un secondo la fronte, torna serio e continua a parlare.

"Beh, più o meno... In realtà nessuno sapeva del mio piccolo segreto a parte una persona. E nessuno sospettava niente perché nonostante potessi mentire, io ho sempre detto la verità."
Ethan non mi da modo di chiedere chi sia quella persona che era a conoscenza del suo segreto, perché subito mi lancia un'altra frase curiosa.
"Beh, almeno fino a quel giorno."

"Quale giorno?" chiedo immediatamente.
"Il giorno prima della Scelta." mi risponde con un sospiro. "Dovetti affrontare l'ennesima seduta di Siero della Verità, ma quella volta decisi di fare di testa mia. E feci un disastro."
Comincia a massaggiarsi distrattamente il collo e a lanciarmi occhiate furtive.
"Ero arrabbiato con i miei. La foto della nostra famiglia era stata pubblicata sul giornale di quella mattina insieme ad un lungo articolo che elogiava l'incorruttibile condotta dei miei genitori. Ed era tutto vero, Tris. Tutto ciò che quello stupido articolo diceva su di loro era dannatamente vero."
Ethan scoppia in una risata amara.
"Quanto li odiavo... i miei genitori e la loro perfezione. Qualcosa che portava gli altri a dire che non sarei mai stato alla loro altezza." dice scuotendo la testa. "Ma in fondo avevo solo sedici anni, e sentirsi diversi a quell'età ci porta ad ingigantire le cose."

Si sentono dei rumori provenire dal corridoio, ma cessano immediatamente. Per fortuna forniscono una valida distrazione e riportano Ethan sul discorso di partenza.
"Comunque sia, quel giorno mi sottoposi al siero e, per vendetta, cominciai a dire un sacco di menzogne su di loro. Dissi cose che non stavano né in cielo né in terra, per esempio che mio padre era un corrotto, che mia madre picchiava me e mia sorella per farci tacere sui segreti della nostra famiglia... cose di questo genere."
"Wow."
"Già, accusare di disonestà un Candido non è esattamente una cosa leggera."
"E come ne sei uscito?"
Ethan sorride tristemente.
"Beh, ufficialmente ero sotto siero, quindi nessuno dubitò della mia sincerità. Ma ovviamente rovinai la mia famiglia. I miei genitori vennero licenziati e dovettero trovarsi altri lavori meno prestigiosi. La comunità cominciò ad evitarli, ma di più non so, perché la mattina dopo cambiai fazione e mi rifugiai dai Pacifici. Ero sicuro che mio padre non sarebbe mai arrivato a cercarmi tra di loro per farmela pagare."

Annuii sconvolta. Non avrei mai pensato ad una storia del genere dietro al rassicurante viso di Ethan.

"E non si venne mai a sapere che avevi mentito durante la seduta? Quella persona che conosceva il tuo segreto non lo rivelò nemmeno quando te ne andasti?"
Alla mia domanda gli occhi di Ethan diventano duri e lontani. I suoi muscoli si tendono e il suo respiro si fa nervoso.
"No, non mi tradì." Mi guarda dritto negli occhi. "Quella persona era mia sorella."

Ethan ha una sorella. Questa notizia è ancora più sconvolgente della precedente. Lui non mi ha mai fatto intendere che c'è ancora qualcuno a cui tiene fuori di qui.

"Tua... sorella?"
"Sì, era più piccola di me di quattro anni." dice velocemente. Non ci vuole molto a capire che vuole evitare l'argomento. Eppure questa sua reazione mi fa pensare che c'è qualcosa di estremamente importante legato a sua sorella. Forse il suo segreto non è rimasto tale così a lungo.

"Vuoi... vuoi parlarmi di lei?"
Ethan mi guarda col terrore negli occhi. Una dozzina di emozioni gli attraversano il viso mettendomi in estremo imbarazzo. Non voglio metterlo in difficoltà, non deve farsi problemi a dirmi che non vuole parlarne. Sto per dirgli proprio questo quando si decide a rispondermi.

"Sono stato pessimo nei suoi confronti... Quando ho sputato veleno sui miei non ho pensato che ci sarebbero state ripercussioni anche su di lei. E poi l'ho abbandonata."
"Non dovevi rimanere per lei." dico convinta. Ethan mi fissa.
"Sì, ma non dovevo andarmene per loro."
Quasi non riconosco più la sua voce. Ha ancora gli occhi di ghiaccio quando si sdraia di fianco a me con un gemito di dolore.

"Ci scrivevamo ogni tanto. A volte mi offrivo volontario per andare in città con i camion e la incontravo in posti sicuri. Avevo paura che scoprissero anche il suo segreto, così mi assicuravo che non facesse il mio stesso errore."
Quindi anche sua sorella...
"Era una Divergente, sì." spiega Ethan leggendo la domanda nei miei occhi. "E anche lei, nonostante ne avesse la possibilità, non mentiva mai durante i test. Il giorno della Scelta decise di rimanere con i miei genitori nonostante la diffidenza della gente. Non voleva far loro del male ancora una volta."
"Una scelta molto altruista." commento con un sorriso.
"Già," conviene lui. "Ma in realtà la sua vera aspirazione erano gli Eruditi. Era molto intelligente e curiosa. Guardava il mondo con occhi diversi dai miei."

Solo ora mi rendo conto di uno strano particolare. Un brivido mi attraversa la schiena seguendo la spina dorsale fino al collo.

"Ethan. Perché ne parli al passato?"
So già quale sarà la sua risposta, me lo sento. È stato stupido anche solo chiederlo.
Ethan, dammi torto.

"Perché lei è morta un anno fa." 
La sua voce è un sussurro, così flebile che devo sdraiarmi accanto a lui per capire le sue parole successive. Gli prendo la mano, come fa sempre lui quando la notte affronto i miei incubi.

"È morta durante l'attacco degli Intrepidi ribelli al quartier generale dei Candidi."
"Cosa?" biascico incredula. 
Ethan fissa il soffitto, non sapendo forse che io ero lì in quell'esatto momento, nello stesso edificio.

"Quando ho saputo che gli Abneganti erano stati attaccati dagli Intrepidi sono corso in città disubbidendo agli ordini dei Pacifici. L'ho incontrata di nascosto e le ho detto che doveva venire con me perché in città sarebbe stato troppo pericoloso per lei."
Sospira tremando.
"Ma lei non mi ha ascoltato. Voleva rimanere con i nostri genitori allo Spietato Generale, perché sosteneva di essere al sicuro grazie agli Intrepidi rimasti "fedeli".”

Una puntura di fallimento mi stringe lo stomaco, ricordandomi che io ero una di quelle che doveva proteggerla. Dovevo proteggere tutti quanti.

"Mi ha convinto a tornare dai Pacifici, e così alla fine ho fatto." Il suo tono si fa disperato. "Lei era nell'edificio, quel giorno. Ad uno dei primi piani. Quando hanno diffuso il gas lei è rimasta sveglia ovviamente, ma non sapeva che fare. Un soldato traditore l'ha scoperta mentre tentava di salire le scale per raggiungere i miei genitori ai piani superiori e l'ha..."
Ethan non riesce a continuare. Dei singhiozzi gli scuotono il torace e in pochi secondi il suo viso è coperto dalle lacrime.
Non so cosa fare ora. Così stringo più forte la sua mano e rimango in silenzio. 
"L'ha uccisa. Un solo colpo." farfuglia. "Se l'avessi convinta... se solo l'avessi costretta..."

Stritolo la sua mano mentre nella mia mente si mischiano immagini e ricordi che non avrei voluto tirare fuori.
L'ha uccisa. Un solo colpo.
Mia madre. Will. 
Un solo colpo.

La sorella di Ethan è morta nello stesso edificio in cui mi trovavo io al momento dell'attacco. Eravamo a pochi metri forse, e chissà se non ci eravamo già intraviste a mensa o nei corridoi.
Avrei potuto salvare anche lei?

Non sono così forte anche per questo. Vorrei esserlo, ma semplicemente non posso.
Perché so benissimo cosa prova Ethan. 
Quei "se solo" che continuiamo a ripeterci ogni ora, ogni minuto, sapendo che comunque non cambieranno il presente. Forse ne abbiamo bisogno ogni tanto. 
Dare la colpa a noi stessi ci convince che la volta dopo non commetteremo più gli stessi errori. 
Spero sia vero.

Ethan non lascia la mia mano e lo stesso faccio io.
La cella che ci rinchiude fa sentire di nuovo la sua oppressiva morsa su di noi. Mentre Ethan raccontava quasi non facevo caso all'ambiente intorno a me.
Ora però ho voglia di uscire di qui. 
Ne ho bisogno.

Troppo dolore rinchiuso in queste minuscole quattro mura.

Ethan si calma dopo qualche minuto, ma rimane al mio fianco. Il suo respiro si calma e delle lacrime rimangono solo le scie umide sul viso. 
Ho fatto del mio meglio per essere forte per entrambi almeno una volta, ma non credo di esserci riuscita.
"Usciremo da qui, Ethan. Troverò un modo." gli prometto stupidamente. 
Le probabilità di scappare da qui sono bassissime, e lui lo sa. Ma a questo punto non importa più. Abbiamo bisogno di sperare.

Forse le mie parole funzionano, perché ad un certo punto, non ricordo bene dopo quanto, Ethan si gira verso di me e sussurra un nome. 
"Aleen."
"Cosa?"
Chiude gli occhi e mi stringe la mano un'ultima volta.

"Mia sorella," dice. "Mia sorella si chiamava Aleen."








NOTE FINALI:

Scusatemi O_O
Questo capitolo è arrivato con troppo ritardo. E detesto com'è venuto. Doveva essere un capitolo importante, ma l'ho rovinato, quindi perdonatemi -.-"
Spero di riuscire a pubblicare al più presto il terzo extra, anche se purtroppo ho un sacco da fare in questo periodo e tante cose per la testa...
Aspettatevi qualche one-shot delirante XD
Un saluto e alla prossima...

Mconcy

PS: Qualcuno saprebbe spiegarmi come funzionano le beta reader (si dice così)? Sono come revisori di testi? Grazie in anticipo XD

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Capitolo 3
*** Ethan (#3) ***


Invincibili - Extra di "Fragili"

#3

Ethan





L'allucinazione sta finendo. 

Me ne accorgo subito ormai. I contorni delle cose cominciano a sfocare e le persone che amo e che ritrovo sempre nelle mie allucinazioni si allontanano da me, mugolando parole incomprensibili.
 
Sento il bruciore nelle vene diminuire e la testa diventare più pesante.
È così che finisce. È così che esco dall'inferno.
E ogni volta che torno alla realtà mi domando cosa sia peggio.
 
Questa volta, però, c'è qualcosa che non va. Dovrei essere sollevata almeno un po', ma non è così.
Mi sento in bilico tra due mondi. Non riesco a lasciarne uno per entrare nell'altro.
Un senso di cupa ansia mi opprime, confondendo ancora di più il confine tra incubo e realtà. 
 
"Scollegatela!" urla qualcuno, dandomi la conferma che non tutto sta andando secondo i piani. La sua voce rimbomba nelle mie orecchie, mischiandosi ai sempre più lontani gemiti di Caleb, che fino a poco fa giaceva sanguinante ai miei piedi.
"Portatela in cella! Ora!" continua autoritaria la voce.
"Ma non dovremmo.."
"No. Rimarrà qui, non abbiamo bisogno di lei. Fate come vi ho detto."
Le proteste si spengono all'istante.
 
Nonostante la gran quantità di sostanze allucinogene che ho in corpo, sento distintamente due braccia che mi afferrano le gambe e due che mi prendono per il busto.
Il freddo del tavolo di metallo smette di tormentarmi, anche se ora l'ultimo dei miei confusi pensieri è il dolore che provo in ogni parte del corpo.
 
Sento che sto riemergendo. I sensi si acutizzano di colpo e comincio ad agitarmi. Non so cosa sta succedendo, che cosa vogliono farmi.
Perché interrompere la seduta così bruscamente?
Perché le proteste?
 
Rimarrà qui.
 
Questo significa che qualcuno se ne sta andando.
Mi stanno scaricando qui?
Non servo più.
 
Senza accorgermene, e sempre ad occhi chiusi, comincio ad urlare e a dimenarmi.
Qualsiasi cosa stia accadendo ho paura. Sono confusa, la testa è pesante e a malapena mi rendo conto dei suoni intorno a me. Sono totalmente indifesa.
 
Un suono metallico mi avverte che siamo arrivati a destinazione.
Con uno sforzo enorme apro gli occhi, giusto in tempo per vedere il soffitto della mia cella mentre il mio "fattorino" mi abbandona senza troppe cerimonie sulla branda.
"Tris!"
È la voce di Ethan, la riconosco.
 
La porta si richiude con un colpo mentre un viso familiare entra nel mio campo visivo. Tante luci intermittenti danzano davanti ai miei occhi, incorniciando i capelli biondi di Ethan. Caleb ha ripreso con i suoi lamenti.
Respiro velocemente.
"Ethan, cosa succede?"
"Non lo so! Cosa ti hanno fatto?"
"Dimmi cosa sta succedendo, ti prego." chiedo ancora.
Mi sembra di guardare il mondo attraverso un caleidoscopio. I muri si afflosciano su se stessi e poi si rialzano, mischiandosi con la porta e con il pavimento.
Sono io il centro di gravità. Devo portare il peso delle mie catene.
 
E all'improvviso succede.
Tobias.
 
Avevo perso le speranze con lui. Mi ero rassegnata al fatto che non l'avrei più rivisto. Anche se un giorno, per qualche strana e fortunatissima circostanza, ci saremmo ritrovati l'uno davanti all'altra, comunque non sarebbe stato lo stesso. 
Sono passati degli anni, dice Ethan, e noi siamo cambiati qui dentro. Anche lui lo avrà fatto.
Ho sempre sperato che fosse felice, che fosse andato avanti senza di me.
 
Eppure ora non c'è più Ethan davanti a me, ma Tobias. Il mio Tobias.
Colui che avevo lasciato andare.
Cosa sta facendo qui? Deve scappare, gli faranno del male.
Non voglio perderlo, deve stare bene. 
Lui deve stare bene.
 
"Tobias..." lo chiamo. Lui sembra preoccupato, ma non si allontana da me. "Devi andartene, Tobias. Qui non sei al sicuro."
Le parole mi escono impastate, ma sono convinta che lui mi abbia capito.
Lui mi capisce sempre.
 
"Tris, cosa stai dicendo?" mi domanda allarmato passandomi una mano sulla fronte.
Allungo le mani verso il suo viso e gli accarezzo le guance. I suoi occhi blu mi sono mancati così tanto.
"Devi andare se non vuoi che ti prendano. Io rimarrò qui. Penserò a Caleb." continuo a dire sempre più convinta. Mio fratello mi chiama da non so dove e mi ritrovo a sussurare il suo nome. La sua voce mi uccide.
"Stai delirando."
Cerco di ribattere, ma un forte rumore proveniente dal corridoio interrompe il nostro discorso. Tobias si allontana da me e corre alla porta.
 
Sorrido.
Ha capito che deve scappare.
 
I rumori si fanno più forti. Scarpe che sbattono a terra, voci che si urlano ordini, porte che si chiudono. Deve avere a che fare con la mia uscita precoce dalla Camera delle Torture.
Apro e chiudo gli occhi ripetutamente. Tobias è ancora lì sulla porta.
Torna da me.
 
"Tris, sta succedendo qualcosa di grosso..." mi dice con fare agitato.
"Lo so."
"Ho paura che finirà male, stavolta."
Mi scappa da ridere. 
Stavolta.
Come se tutto quello che è successo da quando ho saltato dal tetto di quel palazzo rientri nelle cose andate bene.
"Io ho paura e basta." gli confesso.
 
La porta della cella si apre di nuovo. Tre uomini incappucciati si fiondano su Tobias e lo prendono per le ascelle.
Sgrano gli occhi e tento di alzarmi.
"No..." sussurro. "No, no, no, no!"
Lo stanno prendendo, lo stanno portando via.
 
Cerco di afferrare la sua mano, ma fallisco miseramente, ritrovandomi carponi sul pavimento.
Improvvisamente chi vedo non è più Tobias, ma Ethan. Ethan che si dimena tra le braccia dei tre rapitori.
 
Da quel momento vedo tutto a rallentatore. 
Fisso i suoi occhi verdi, sgranati e pieni di rabbia. Seguo i movimenti delle sue labbra, non sentendo alcun suono. Sta urlando un nome. 
Tris.
 
Ma tre contro uno è troppo facile. Ethan è già alla porta e uno dei rapitori afferra la maniglia cominciando a richiudere la porta.
 
I nostri sguardi si trovano all'istante. Incatenati l'uno all'altra, capaci solo di fissarci.
Nei suoi occhi leggo terrore. Sorpresa. Consapevolezza.
 
Nei miei ci dev'essere il vuoto.
 
Poi non vedo altro che il metallo della porta e niente di quello che c'è dietro.
"No!" urlo con disperazione. "Ethan!"
 
La realtà mi cade addosso tutta insieme, e d'istinto mi getto sulla porta. 
 
L'hanno portato via, e so che non tornerà.
Io rimango qui, loro se ne vanno.
Non hanno bisogno di me.
 
Ethan invece era necessario. Ethan valeva di più.
Lui che era dovuto scappare in Periferia dopo la morte di sua sorella. Lui che era dovuto scappare sempre.
Ora non era riuscito a scappare. 
L'avevano preso, di nuovo, e l'avevano portato via da me.
 
Che importa se i muri oscillano e le luci fluttuano.?
Ora sono sola anche qui. 
 
E Caleb non geme più.
 





NOTE FINALI:

Sono una persona orribile, lo so.
È passato davvero troppo troppo tempo... vi chiedo scusa.
Inoltre il capitolo è corto e condito di tanto non-sense :|
Non so se si è capito, credo di no, ma la seduta di Tris viene prematuramente interrotta, quindi anche quando è ormai rientrata nella cella subisce gli effetti degli allucinogeni, sentendo la voce di Caleb e vedendo Tobias al posto di Ethan.
L'extra riguarda l'ultimo giorno di Tris in Periferia, quando viene trovata dallo squadrone del Comandante Pohe. Purtroppo è uscito proprio male... -.-"

Comunque ragazze, ultimamente ho avuto una marea, anzi, uno tsunami di impegni. Vi chiedo scusa ancora una volta.
Volevo dirvi che ho deciso di dedicarmi anche ad altri fandom e a storie originali. Sento di dover lasciare Divergent per un po' :) Aggiornerò comunque gli extra con altri due capitoli (o forse più), ma la precedenza la darò ad altre cose per cui ora mi sento più ispirata :|
Ora finisco di ammorbarvi. Se volete leggere altro su Tris e Tobias qualche settimana fa ho pubblicato una one-shot che non ha assolutamente niente a che fare con Fragili. Se volete darle un'occhiata siete i benvenuti ;)
Un saluto e alla prossima.

Mconcy

Ps: scusate ancora!!

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