The music of life

di Momoko21
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Kenwick ***
Capitolo 2: *** L'ostilità di Kate ***
Capitolo 3: *** Il "Dark Side" ***



Capitolo 1
*** Kenwick ***


Kenwick 
 
Ellen stava giocherellando nervosamente con il ciondolo a forma di quadrifoglio legato al collo da una catenina d’argento mentre sedeva sul sedile posteriore della monovolume del sig. Benjamin Thompson.
Si era spesso domandata il motivo che avesse spinto suo padre all’acquisto di un’automobile così spaziosa, dal momento che gli unici ad usarla erano proprio loro due, con sporadiche visite della compagna di Ben, la signorina Ruckett.
Ellen, da ormai diversi giorni si interrogava sui reali sentimenti nutriti nei confronti di suo padre, ripensando a quanto accaduto solo poche settimane prima.
Il signor Thompson aveva dato a sua figlia l’annuncio del suo imminente trasferimento in Italia, spiegando di come lì non vi fossero  scuole che potessero offrire un corso in lingua inglese, di come non volesse assolutamente che la sua altissima media scolastica venisse in alcun modo intaccata dalla necessità di imparare una nuova lingua e di come fortunatamente alcuni lontani parenti si fossero offerti di ospitare Ellen nella loro casa di Kenwick fino al conseguimento del diploma al termine dell’anno accademico.

-Papà, ma Kenwick si trova a centinaia di chilometri di distanza!- aveva replicato la ragazza, ricevendo come unica risposta la frase -proprio così- che decretava la fine della discussione tra i due.
Ellen avvertiva un senso d’occlusione alla bocca dello stomaco. Come al solito suo padre non accettava alcuna forma di dialogo e lei era convinta che i membri della famiglia Hughes, i cugini di suo padre, fossero stati obbligati ad “offrirsi volontari” da parte di Ben. Avrebbe di certo creato sconquasso in quella famiglia.
Si domandava inoltre come mai, la sua unica figura genitoriale, non avesse deciso di renderla tempestivamente partecipe della vicenda.
“Insomma, una notizia del genere non può certo essere giunta con un così misero preavviso!” pensò Ellen e ricordò la faccia da pesce lesso che Robert aveva fatto appena lei gli aveva chiesto se avesse intenzione di portare Cara, la signorina Ruckett, con sé in Italia. Si rese conto di aver centrato il bersaglio, notando quell’espressione imbambolata sul volto di suo padre.
“Quel provolone... preferisce alla mia la compagnia di quella...quella...Quella! insomma, se non voleva ragazzine doveva lasciarla a casa, visto che ha solo una decina d’anni in più rispetto a me. Poteva essere benissimo mia sorella maggiore!”.

Seppur riluttante, Ellen aveva capito già da diverso tempo il motivo dell’odio incondizionato che provava verso quella donna. Credeva che volesse sostituire sua madre.
-Mia madre? Ma se si potrebbe dire che io non l’abbia nemmeno mai conosciuta, considerando che è morta pochi mesi dopo la mia nascita!- ogni volta ripeteva a sé stessa quella frase per cercare di scacciare il tarlo che si era insinuato nella sua mente.
A distogliere l’attenzione di Ellen dai propri pensieri fu l’arrivo a destinazione: la ragazza ricordava ancora l’abitazione di Kayman Place, nonostante vi fosse stata in visita solo alcune volte quando  aveva ancora dieci anni.

L’auto rallentò  fino a fermarsi completamente dinnanzi al vialetto d’accesso del civico 26.
-Ellen, io scarico i tuoi bagagli dal cofano dell’auto, tu va’ a suonare il campanello. Dovrebbe esserci qualcuno in casa, visto che li avevo avvertiti del tuo arrivo-.
La ragazza annuì e cominciò a mordicchiare il labbro inferiore, come era solita fare quando si sentiva a disagio. La mano le tremava leggermente e sentiva le guance imporporarsi mentre cercava di pigiare il bottone d’ottone che serviva ad annunciare il suo arrivo.
Un vigoroso trillo si liberò subito dal congegno e si udirono dei passi pesanti ed affrettati dirigersi verso l’ingresso. La signora Hughes,  una donna bassina dai capelli ricci e folti, aprì la porta e sembrò entusiasta di quel che vide.
-Ellen, bambina mia, da quanto tempo non ti vedo! Fatti stringere!- e soffocò la ragazzina in un abbraccio estremamente caloroso di cui Ellen assaporò ogni istante.
-Salve, signora Hughes- disse timidamente, assumendo nuovamente il colorito rossiccio di poco prima.
-Insomma, cosa sono tutte queste cerimonie?!- esclamò nuovamente, senza perdere entusiasmo  -trascorreremo il prossimo anno insieme, quindi bando ai formalismi: chiamami Eleanor!-.
-D’accordo- sussurrò lentamente Ellen.
-Ben, Ben!- la signora Hughes si sbracciò per farsi vedere da Benjamin il quale, Ellen ne era (purtroppo) sicura, fingeva di provare a sua volta grande eccitazione per quest’incontro-.
-Eleanor, tesoro, è un secolo che non ci incontriamo!- disse baciando la donna su entrambe le guance -E tuo marito? Dov’è?-.
-E’ in ufficio, purtroppo è stato convocato per una riunione proprio all’ultimo minuto e così è dovuto necessariamente andarci! Accomodati, dovrebbe tornare tra poco!-.
-Mi spiace, ma domani devo prendere l’aereo ed è già tardi. Devo tornare a casa per... finire di preparare i bagagli, devo passare a prendere Cara e..... bè, altre cose! E’ un vero peccato, non vedo mio cugino da tanto...- .
Ellen, che nel frattempo aveva ripreso a giocherellare con la catenina, osservava questa scena in silenzio. Le sembrava impossibile come quell’uomo stesse approfittando della gentilezza della signora Hughes, sforzandosi solo minimamente di essere cordiale.
-D’accordo, allora gli porgerò i tuoi saluti- I sospetti di Ellen erano confermati: Eleanor era effettivamente dispiaciuta del comportamento di suo padre, così la ragazza provò un moto di rabbia nei confronti di quell’uomo così scontroso e distaccato che proprio in quell’istante si avvicinò a lei.
-Allora, Ellen, fa’ la brava. D’accordo? Mangia, studia e comportati bene-.
“Mi raccomando, non accettare caramelle dagli estranei e non picchiare gli altri bambini” ripetè nella sua mente. Sembravano le raccomandazioni fatte ad una bambina il primo giorno d’asilo.
La ragazza si mordicchiò il labbro inferiore e rispose con un debole -si- , così suo padre le accarezzò leggermente la guancia.
-Mi raccomando, Eleanor, trattala bene!- scherzò l’uomo.
-Ovviamente, Ben, cosa credi?- Eleanor ammiccò ed il signor Thompson entrò nell’abitacolo dell’auto. Dopo averla  messo in moto levò il braccio dal finestrino in segno di saluto e sgommò lungo la strada di Kayman Place.

-Allora,  entriamo in casa? Così ti mostrerò la tua nuova stanza- la domanda era certamente retorica, così Ellen prese entrambi i borsoni in mano, varcando l’uscio.
“Accidenti, pesano una tonnellata ciascuno! Ma dovevo proprio portar via tutte queste cose? Insomma, a cosa potranno mai servirmi le camicette, i jeans, le gonne e tutti quei capi di biancheria intima che ho preso con me?” scherzò nella sua mente e per un istante le tornarono in mente quel giorno in cui aveva sorpreso Cara che girava per casa indossando dei  mutandoni grandi quanto Giove.
-Tesoro, sembrano molto pesanti, vuoi una mano?- domandò preoccupata la donna ed Ellen apprezzò la sua disponibilità, per un istante fu sul punto di accettare, ma rifiutò l’offerta di Eleanor per gentilezza.
-Ma no, non si preoccupi- scrollò le spalle.
-Insomma, smettila di darmi del lei! Mi fai sentire un’anziana!- Ellen, al sentire questa frase, non potè trattenere una risata, compiacendo Eleanor.

 -Allora- continuò la donna –La tua stanza è al piano di sopra, seguimi!- e si diresse verso una scala in mogano coperta dalla moquette rossa. Una volta arrivata in cima girò a destra, aprendo la porta della seconda stanza.
-Ta-daan!- disse cercando di enfatizzare l’imprevedibilità della cosa.
-Ma...- cominciò Ellen mordicchiando il labbro inferiore subito dopo.
-Cosa, tesoro? Dimmi tutto!- era leggermente apprensiva.
-Questa non è la camera di Julie e Kate?- domandò la ragazza, riferendosi a due dei tre figli dei coniugi Hughes.
-Julie, da anni non vive più qui è a Welshpool da quando ha finito il liceo. Ci torna di tanto in tanto per Kate, che adora, ma con il bambino, lo studio ed il lavoro non ha molto tempo.. Tu dividerai la camera con Kate. Ormai sta crescendo anche lei, è diventata una ragazzina. Ha già quattordici anni, riesci a crederci?-.
Bambino? Ellen ne aveva sentito parlare da suo padre, ma senza mai interessarsi più di tanto all’argomento. Sapeva che pochi anni fa, la maggiore dei fratelli, Julie, aveva avuto un figlio dal suo fidanzato storico, con il quale era insieme da quando entrambi avevano sedici anni, ma le sembrava indelicato domandare di loro, così cambiò argomento.
-E invece qual è la camera di Jake?- si riferiva al fratello di mezzo, quello con cui Ellen aveva stretto amicizia in passato il cui rapporto di confidenza non si era mai interrotto grazie ai numerosi messaggini, telefonate e video chat scambiate durante questi anni. Probabilmente il fatto di avere la medesima età agevolava l’affiatamento dei due.
-Ecco, questa!- disse la signora, dirigendosi dall’altro lato della rampa di scale –Vorrei tanto poter aprire la porta per mostrartela, ma rischieremmo di trovarci dentro qualche cadavere o restare incollate dalle sue cose appiccicose. Sembra che qualcuno abbia messo una bomba a mano in quella stanza, per tutto il disordine che c’è in giro. Quel ragazzo è incredibile!- Ellen accennò un sorriso.

 La porta di casa sbattè.
-Ecco, Carl sarà tornato dal lavoro!- disse Eleanor, venendo smentita non appena udì la voce maschile che si propagava per le scale.
-Sono a casa, Ma’!- urlò Jake con un tono di voce che Ellen non ricordava.
-Vieni qui, caro, guarda chi c’è qui!- rispose la madre.
-Non ci credo!- disse correndo per le scale –Ellen! Finalmente ti sei decisa ad arrivare!- l’entusiasmo tramortì la ragazza che arrossì nuovamente.
-Ciao, Jake! Mi sei mancato un sacco!- lo abbracciò vigorosamente per alcuni secondi, prima di interrompersi improvvisamente. Quella reazione non era volontaria, certamente il ragazzo sarebbe stato seccato da quel gesto, pur non dandolo a vedere.
-Anche tu, mi sei mancata!- rispose Jake abbracciandola a sua volta, nuovamente. Ellen si sentì incredibilmente sollevata, anche se riprese a mordicchiarsi il labbro.

La porta sbattè nuovamente.
-Tesoro, sono a casa!- la voce che aveva appena sentito Ellen era più matura e bassa, rispetto alla precedente di Jake. Certamente apparteneva  al signor Hughes.
-Ciao caro! Scendiamo subito!- rispose Eleanor che improvvisamente accelerò il giro turistico, mostrando i bagni e la camera da letto matrimoniale ad Ellen per poi condurla al piano inferiore dove suo marito stava togliendo le scarpe. La figura esile di Ellen attirò l’attenzione dell’uomo che subito si avvicinò alla ragazza.
-Ciao, Ellen!- sorrise. Nonostante i suoi cinquant’anni, Carl era certamente un bell’uomo. Almeno così pensava la ragazza.
-Salve, signor Hughes!- sorrise timidamente a sua volta.
-Quanta formalità! Chiamami Carl, d’accordo?- la ragazza annuì a quella richiesta.
-Caro, Ben ti manda i suoi più cari saluti!- si intromise Eleanor.
-Oh, non si è fermato?- non riuscì a nascondere la sua delusione –Sono sette anni che non vedo mio cugino!- il suo tono era serio, ma non appena notò lo sguardo di Ellen posato su di sé decise di tramutare il suo tono in scherzoso e cominciò a ridere in maniera esagerata, almeno secondo Ellen.
“Ha perfettamente ragione. Insomma, non si vedono da secoli, da quando avevo dieci anni e lui decide di scaricare il pacco (me) senza nemmeno salutare Carl? Che cafone!” la ragazza si riferiva ovviamente a suo padre.

-Allora- la signora Hughes spezzò il ghiaccio iniziale –cosa vi va di mangiare per cena?- .
-Sai cosa vorrei, mammina cara?- Jake assunse il suo tono da finto adulatore.
-Cosa?- domandò dubbiosa la donna.
-Cotolette! Con patatine fritte!- .
-Mmm... si potrebbe fare, per festeggiare l’arrivo di Ellen. Cara, a te piacciono?-.
-Si, mi piacciono moltissimo, grazie- Ellen era stata costretta a rispondere.
-Hai per caso qualche allergia? O c’è qualcosa che proprio non ti piace?- Ellen si chiese se le mamme si comportassero così, normalmente. Cara non si era mai prodigata tanto.
-Per fortuna no, mangio tutto- la sua voce era poco più alta di un sussurro.
-D’accordo, io vado in cucina allora e...Ellen?- disse Eleanor.
-Si?-.
-Fa’ come se fossi a casa tua, davvero!-.
-Grazie mille!- Ellen era davvero convinta di quel che diceva –Ora vado a sistemare i bagagli- probabilmente era solo una scusa per restare sola.
-D’accordo, tesoro.  E, Jake? Dalle una mano!- la voce ammonitoria era di Carl e Jake acconsentì.

Eleanor ci informò che la cena sarebbe stata pronta entro un’ora e consigliò ad Ellen di darsi una rinfrescata. –Sarai certamente provata per colpa del caldo-.
I due ragazzi salirono le scale in silenzio. Ellen avrebbe voluto prendere la parola ma non ne aveva coraggio, motivo per cui ringraziò tra sé e sé Jake che decise di parlare.
-Allora, ti è dispiaciuto molto lasciare la tua città?- era realmente incuriosito.
-No, decisamente no- rispose Ellen secca.
-Non avevi molti amici lì? O che ne so, un ragazzo?-.
-Grazie al cielo no!- Jake fu sorpreso della veemenza che Ellen utilizzò nel pronunciare quella frase e si domandò se per caso avesse toccato un tasto dolente. Ellen rendendosi conto della propria durezza cercò poi di sdrammatizzare.
-Cioè.. i cambiamenti sono generalmente positivi, no?- Jake annuì,  evidentemente poco convinto.
-Ti do una mano a sistemare i bagagli, che ne dici?-.

Ellen fu sollevata che il ragazzo non fosse in collera con lei ed accettò il favore offertole.
-Puoi cominciare dicendomi dove posso sistemare i miei vestiti- suggerì lei
-Allora- Jake aprì alcuni cassetti e l’anta destra dell’armadio –Kate utilizza il letto vicino alla porta, quindi ti tocca quello accanto alla finestra..-
“Fortunatamente” pensò Ellen che preferiva nettamente la vicinanza ad un infisso o un balcone.
-Perfetto! Allora cominciamo con questi- aprì una valigia rossa, chiusa precedentemente con grande sforzo sedendosi sopra di essa. Ebbe quasi paura di dover contenere un’esplosione.
-Wow! Certo che hai veramente tanta roba! Non sono sicuro che questo minuscolo armadio riuscirà a contenere tutto!- rispose Jake.
Ellen scrollò le spalle.
-Bè, al massimo lascerò ciò che non entra in valigia, no?- aprì l’anta destra dell’armadio e tirò fuori una gruccia alla quale appese la camicetta di seta bianca. Era la prima cosa a cui aveva pensato perché detestava le grinze che vi si formavano sopra che, purtroppo, la rendevano immettibile. Con un’occhiata constatò che era riuscita a salvarla appena in tempo.
-Dimmi cosa posso fare!- Jake mise una mano sulla fronte, fingendo il saluto militare.
-Lì c’è un’altro borsone, ti dispiace portarlo qui ed aprirlo?- il ragazzo fece come richiesto e, seppur con estrema difficoltà, cominciò a piegare una tshirt. Ellen scoppiò a ridere notando la polpetta di stoffa che il ragazzo aveva creato.
-Ora capisco cosa voleva dire tua madre, sostenendo che la tua stanza è un casino! Se pieghi così i vestiti....- lasciò la frase in sospeso ma lo congedò dall’incarico, convincendolo a farle semplicemente compagnia.
Alla ragazza sembrò di essere tornata all’età di dieci anni, alla naturalezza tra loro e alla complicità che spesso aveva cercato nei conoscenti della sua città. Per un istante credette che il tempo trascorso a mettere a posto i bagagli fosse volato. Affermò d'essere incredibilmente soddisfatta di essere riuscita a mettere nei cassetti tutti i suoi abiti ma, chiedendo scusa per la sua maleducazione, sostenne di aver estrema necessità di fare una doccia prima di cena.
-Scusa? Per cosa? Andiamo, Ellen, sii tranquilla e naturale! Se vuoi fare una doccia dimmi semplicemente “Vado a fare una doccia” ed io non farò domande!- Ellen rise ed annuì, dirigendosi in bagno.

L’acqua scivolava addosso mescolata al sapone, lavava via l’oppressione di cui era vittima nella sua vecchia città; finalmente l’occlusione ed il senso di nausea dovuto all’enorme quantità di ricordi che si erano accavallati in tutti questi anni nella sua memoria stavano scomparendo definitivamente. Per la prima volta si sentiva realmente felice. Poteva essere un’altra persona, non più la secchiona di Mandurah che tutti deridevano.
Indossò l’accappatoio e sollevò il cappuccio sulla testa, strofinò i capelli e li districò, applicandovi uno speciale olio che “garantisce massima flessibilità ed elasticità, ricci perfetti e zero crespo”; benché raramente credesse a queste pubblicità, fu incredibilmente soddisfatta dal risultato ottenuto e benedì quel prodotto miracoloso che aveva impedito la formazione del solito cespuglio riccioluto.

Appena spento il phon, sentì un suono familiare provenire dall’esterno.
-Noo!- si precipitò in quella che ormai era diventata la sua camera da letto e vide Jake alle prese con uno stereo, all’interno del quale aveva certamente inserito uno dei cd che si trovavano del suo portadischi in cuoio verde.
-Che c’è?- Jake era sorpreso. La parte testuale della canzone non era ancora cominciata, ma Ellen aveva riconosciuto il suono della traccia musicale.
-Ti prego, non ascoltarlo- la ragazza era quasi supplichevole, e quando le prime note vocali vennero amplificate dalle casse audio, riuscì a stento a trattenere le lacrime.
-Wow!- Jake, ormai allibito, stentava a credere alle proprie orecchie. -Sei tu a cantare questa meraviglia?-.
Ellen annuì debolmente.
-E’....FANTASTICA!- il ragazzo scandì l’ultima parola lettera per lettera, ed Ellen provò una sensazione di sollievo, nel sentire questa parola.
-Ed anche il testo è tuo?- insistette il ragazzo. Ellen annuì nuovamente.
-E’ poesia. Sai, Ellen, io suono in un gruppo, ti piacerebbe... -.
-NO- la ragazza rifiutò duramente e Jake capì di non dover insistere ulteriormente, così annuì.
-Scusa, sono stato sciocco. Mi dispiace di aver ascoltato il brano, ma ero incuriosito dal portadischi. Scusami ancora- sembrava mortificato
-No, non preoccuparti. Sono io quella strana, grazie per i complimenti che mi hai fatto..- Ellen riprese a mordicchiare il labbro inferiore, smettendo solo avvertendo un sapore metallico in bocca, causato dal sangue.

-La cena è prooooooooooontaaaa!- la voce di Eleanor si propagò lungo tutta la scalinata ed Ellen prese un appunto mentale che consisteva nel ringraziarla per aver interrotto quel fastidioso silenzio tra i due ragazzi.
La tavola era riccamente imbandita, la ragazza non aveva mai visto così tante cibarie in un sol momento, se non in occasione di una festa, e fu incredibilmente sorpresa.
-Allora, vogliamo cominciare?- Carl era impaziente, sembrava avere l’acquolina in bocca.
Mancava un quarto d’ora alle 21 ed Ellen si domandò il motivo dell’assenza di Kate, la figlia minore. Il cibo era quasi interamente esaurito quando delle chiavi aprirono la porta di casa.

-Mammaa, dove siete?- .
-Siamo in sala da pranzo, Kate! Va’ a lavare le mani e raggiungici-.
Ellen percepì uno scroscio d’acqua di breve durata e subito dopo la ragazzina fece capolino in sala.
-Ma...avete già cominciato?- era stupita.
-Certo, tesoro... sai, Ellen era stanca e...- non fece in tempo a finire la frase che Kate parlò nuovamente.
-Insomma, mamma! Aspettare ancora pochi minuti, non vi cambia niente! Insomma, quando c’eravamo solo io e Jake qui mi avete SEMPRE aspettata!-.
Ellen percepì una pugnalata al petto.
-Insomma, Kate, non fare la capricciosa. Abbiamo solo cominciato un po’ prima, non è la fine del mondo!-.
-Si, invece! Quando Ellen non era ancora arrivata...-  la donna sollevò gli occhi al cielo.
-Kate, và a sederti!- la voce ammonitoria era di suo padre, che le intimò (seppur mentalmente) di smettere quella filippica.
-Non ho fame. Grazie-.
Tutti rimasero sconvolti da quella reazione e la signora Hughes si sentì in dovere di consolarmi.
-Lasciala stare, tesoro, non darle ascolto-.
Ellen annuì ma dovette ammettere con sé stessa di aver perso l’appetito, nonostante il cibo fosse straordinariamente delizioso.


*Spazio dell'autrice*
Ciaooo! Ciao a tutti, amichetti che state leggendo questa storia! alcuni mi conoscono, per gli altri mi presento, sono Momoko21  e questa, dopo "Il gioco del destino", ancora in corso,  è la seconda storia che sto scrivendo. Mi farebbe davvero davvero tanto piacere se lasciaste un piccolo commento qui sotto, una recensioncina per farmi sapere che ci siete. Spero che lo facciate, dandomi così la grinta giusta per scrivere ancora! A presto, 
MoMo!

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Capitolo 2
*** L'ostilità di Kate ***


Ellen continuava a volteggiare tra le coperte, muovendosi caoticamente da un lato all’altro del letto ed  assaporando la cedevolezza di quel materasso. Quando poco prima si era svegliata, aveva provato difficoltà nel ricordare prontamente dove si trovasse: per questo motivo si dimostrò incredibilmente sorpresa di vedere gli occhi di un ragazzo (che poi aveva scoperto essere il cantante dei Maroon 5) intenti ad esaminarla dalla attraverso la plastica del poster decorato, affisso sulla parete di fronte al proprio letto.
Il lenzuolo del letto di Kate era ancora intatto. Probabilmente nessuno vi aveva dormito durante la notte precedente, e la cosa non  colpì particolarmente Ellen, la quale aveva più volte rimuginato sulla scenata che quella ragazzina aveva fatto solo poche ore prima.

Guardò l’orologio a forma di pinguino poggiato sul comodino di fianco al proprio letto e vide la lancetta più corta ferma sulle 10.
Ellen rifletté: a Mandurah era sempre stata mattiniera, ma questa notte aveva riposato davvero poco. La ragazza, decise di scendere al piano inferiore, prendendo confidenza con i ritmi della famiglia.
Prese dall’armadio alcuni abiti per poi dirigersi verso la stanza alla fine del corridoio. Kate, la ragazzina, era nei dintorni ed Ellen era certa che l’avesse fissata per alcuni istanti, prima di ridacchiare ed inviare un messaggino con il suo cellulare, probabilmente a qualche stupida amichetta. Bussò alla nivea porta e, non ricevendo alcuna risposta, entrò richiudendola a chiave dietro di sé.

 “Che disastro”. Ellen si guardò allo specchio e quel che vide la terrorizzò: un’informe matassa di ricci. Avevano  completamente perso l’elasticità della sera precedente ed il volto della ragazza sembrava essere, se possibile, ancor più scuro di prima. Cercò di ridurre le occhiaie dovute allo scarso riposo degli ultimi giorni attraverso l’uso di alcuni cosmetici, non riuscendo tuttavia ad eliminare completamente l’alone scuro che le cerchiava il viso.
Non appena ebbe finito le proprie abluzioni, si disse pronta per scendere al piano inferiore ed affrontare la “famiglia”, così raggiunse nuovamente l’infisso in legno bianco, cercando di ruotare la chiave in direzione opposta. Non si mosse di un singolo millimetro.

Provò ancora ed una terza volta ma, non ottenendo alcun risultato, cominciò a boccheggiare.
“Cavolocavolocavolo, come esco?”  detestava assolutamente essere costretta  in spazi chiusi o poco areati, anche se non era certa che si potesse parlare di quella come di vera e propria claustrofobia.
Per un momento pensò di calarsi dalla finestra, ma l’idea fu immediatamente scartata a causa della  zanzariera che ostruiva il passaggio. Pensandoci, cosa avrebbe potuto fare, anche in una diversa eventualità? Non poteva certo buttarsi al piano di sotto sperando di atterrare sul morbido di un cespuglio!
Provò ancora per diversi minuti ad voltare la chiave nella toppa e, non riuscendoci,  cominciò a battere la mano sul legno, sperando che qualcuno potesse sentire. Dopo svariati minuti ancora nessuna risposta, così cominciò a chiamare a voce più alta, finchè il roco richiamo di Jake, probabilmente assonnato, non domandò chi stesse occupando il bagno.
-Jake, sono io, Ellen! Non riesco più ad uscire!-
-Da quanto sei lì dentro?- era leggermente incredulo.
-Ehm... quasi  mezzora, credo- Ellen non ne era sicura. Jake attese qualche secondo prima di continuare, con voce estremamente irritata
-Perché non l’hai fatta uscire?- la ragazza intese che la domanda non era rivolta a lei, e quando udì una risatina infantile,  capì a chi il biondo si riferisse.
“Quella ragazzina viziata!”. Ellen poteva percepire le proprie vene a fior di pelle a causa della rabbia e del nervosismo che provava nei confronti di Kate.
-Ellen, sotto la porta c’è un po’ di spazio, fai passare la chiave da lì così riesco a sbloccare la serratura-.
Lei armeggiò per un po’, per poi tirar fuori la chiave di ottone dalla toppa della serratura ed infilarla al di sotto dell’entrata. In pochi istanti fu libera, Jake aveva sbloccato la serrature ed Ellen sarebbe potuta uscire, frenando la sensazione di panico che il luogo angusto aveva creato.

-Grazie mille, Jake...- la sua voce era poco più alta di un sussurro –mi sento davvero sciocca per essermi chiusa lì dentro-.
-Non devi. Ellen, davvero, non potevi sapere che la chiave era difettosa, qui al piano di sopra. Avrei dovuto dirtelo io-.
-Oppure- riprese la ragazza ironica –avrebbe dovuto dirmelo qualcun’altra che mi ha vista entrare in bagno-
-Kate?- domandò Jake, ricevendo in risposta un segno di assenso –Quella ragazzina è una vera piaga, davvero-.
-Ma cosa le ho fatto?- chiese Ellen, con voce quasi cantilenante
-E chi sa cosa frulla in quella sua testolina? Lasciala perdere, davvero. Non ne vale la pena-
Ellen mordicchiò il proprio labbro inferiore e sollevò gli occhi al cielo. Sarebbe stato un anno incredibilmente lungo.

L’unica cosa che potesse rallegrarla era il fatto che, a quanto pare, gli Hughes mangiavano per colazione i suoi stessi cereali con gocce di cioccolato fondente e mais, i suoi preferiti.
-Li hai divorati!- esclamò compiaciuta Eleanor –mi dispiace davvero per ciò che ha combinato quella peste, non so proprio cosa le prenda in questo momento-.
-Evidentemente non le sono molto simpatica- replicò lei ovvia. –Ma non è assolutamente colpa tua, davvero-
Ellen credette d’aver notato un cenno di sorriso all’angolo delle labbra della signora, ma non fu sufficientemente convinta da poterlo giurare.
-Ragazzi, io tra poco devo andare a lavorare...- cominciò poi lei.
-Che lavoro fa?- Ellen non riuscì a trattenere la propria curiosità ed arrossì violentemente non appena se ne fu resa conto.
-Sono caporedattrice del giornale locale, il “Kenwick in real time”- la donna parve fiera di poter finalmente pronunciare quella frase
-Oh, quindi dev’essere un incarico di grande prestigio!- Ellen non cercava di essere gentile, almeno in quell’occasione. Lei era veramente affascinata da quella donna che risultava detentrice di ciascuna delle caratteristiche che lei ammirava: gentilezza, affabilità ed ambizione.
-Certo che lo è!- intervenne Jake visibilmente fiero.
-Dicevo, ragazzi, cosa volete che vi prepari al mio ritorno per cena?- Ellen mangiucchiò il labbro inferiore timidamente, non le piaceva imporre il proprio pensiero, così Jake, cogliendo quel suo imbarazzo, decise di tranquillizzarla ancora una volta e propose di mangiare della pasta.
-Ah, Ma’, questa sera non potremmo cenare un po’ prima? Io ed Ellen avremmo un appuntamento-
Ellen si sentì morire, le gote certamente raggiunsero in un solo istante la tonalità di rosso scarlatto e Jake, comprendendo al volo l’equivoco della ragazza, si affrettò ad aggiungere
-Ellen, non abbiamo un appuntamento romantico noi due, tranquilla! Insomma, sei mia cugina! Devo vedere alcuni amici stasera e mi piacerebbe che venissi anche tu, che ne dici?-
Ellen percepiva il proprio peso diminuito di almeno una tonnellata, quella del mattone che le aveva colpito la testa a causa del precedente malinteso, e fu realmente felice poter accettare, a Mandurah non aveva mai occasione di uscire per divertirsi!

Non appena la signora Hughes ebbe richiuso la porta dietro di sé, Jake si diresse in soggiorno, seguito da Ellen. Il biondo occupò il divano dinnanzi al televisore sdraiandosi su di esso mentre Ellen, allentando leggermente la tensione, decise di occupare quello angolare.
-Allora, cosa ti va di vedere?- domandò il ragazzo galante.
-Ehm, quello che vuoi, per me è lo stesso- Ellen arrossì.
-Guarda che qui non siamo così formali come nella tua vecchia città, puoi dire liberamente quel che pensi, anche riguardo quel che ti piace mangiare- il ragazzo cercava probabilmente di essere incoraggiante
Ellen abbassò leggermente lo sguardo, cominciando a fissare il complesso motivo decorativo del parquet che ricopriva l’intera stanza.
-E...- Jake continuò il proprio monologo –Sappi che questa sera perderai quell’alone di mistero, serietà e tristezza che ti circonda. I miei amici sono un vero spasso!- Ellen deglutì.
-Alone di mistero, serietà e tristezza?- si mordicchiò il labbro inferiore.
-Dai, non credo che a casa tua fossi così silenziosa e solitaria- Jake le diede un colpo amichevole e la ragazza annuì per compiacerlo, benchè dovette ammettere a sé stessa che non aveva mai dialogato tanto come nelle ultime ore dal suo arrivo qui.

-Quindi- il biondo tornò al nocciolo della quesione –Cosa vuoi vedere in tv?-.
Con risolutezza, Ellen domandò quali fossero le possibilità. Scorrendo l’elenco dei canali, interruppe il cugino non appena il segno di spunta blu ebbe indicato "Harry Potter e l’Ordine della Fenice". Il ragazzo ne fu decisamente stupito.
-Bè, cos’è  quell’espressione da pesce rosso?- scherzò lei.
-Non credevo ti potesse piacere uno dei miei film preferiti, pensavo che avremmo visto un noiosissimo film storico-filosofico di cui non mi sarebbe importato nulla-.
-Se vuoi posso sempre cambiare idea, ho visto pochi canali prima un interessantissimo documentario sulla cacca di Vombato, forse...- il ragazzo la interruppe.
-Adoro "Harry Potter"- .
-Allora potremo andare d’accordo- Ellen sorrise –Oh, bene, siamo ancora all’inizio e... oh, Jake, smettila!-
Il ragazzo parve perplesso.
-Di fare che, scusa?-
-Di farmi il solletico alle gambe!- Ellen rideva per il formicolio.
-Io non ti sto facendo proprio un bel niente!- la ragazza si alzò a sedere.

Un urlo si levò improvvisamente dal soggiorno, così anche Kate piombò giù dalle scale.
-Insomma, cos’è successo?- la ragazzina notò Ellen rannicchiata all’angolo del divano, per poi guardare l’altro capo.
-Oh, Rufus!- esclamò la biondina, prendendo in mano una palla di pelo.
-C....c...cos’è quell’affare?- domandò Ellen terrorizzata.
-Oh, insomma, è solo Rufus! Non mi dire che hai paura di un povero cricetino!- rispose la ragazzina con tono di sufficienza e superiorità.
Ellen, con voce ancora isterica, rispose
-Cricetino? Ma se è delle dimensioni di un piccolo Rottweiler!- Jake, fin ora silenzioso, esplose in una risata ben poco elegante.
Ellen provò un leggero sollievo. Chissà, forse sarebbe riuscita a diventare più aperta e spigliata, durante la sua permanenza ad Kenwick.

***

Ellen studiò attentamente il contenuto dell’anta del suo armadio. Non si stupiva di essere considerata così insignificante, a Mandurah. Ognuno dei suoi vestiti era assolutamente anonimo, insignificante, senza un briciolo di stile e personalità. Seppur riluttante, decise di indossare per la serata un paio di pantaloni bianchi ed un vecchio e sformato  pullover color lampone, il suo preferito.
Emise un profondo respiro decidendo di avventurarsi nuovamente alla volta del bagno: Jake le aveva insegnato come evitare di restare bloccata, non avrebbe certamente avuto alcun problema.
Quando fu finalmente soddisfatta del proprio aspetto, uscì da quella stanza raggiungendo il piano inferiore.

-Giusto in tempo, cara- Eleanor le sorrise –La cena è pronta. Ma come stai bene, tesoro!- Ellen le sorrise.
-CARL, JAKE, KATE! LA CENA E’ IN TAVOLA!- la ragazza si avvicinò alle scale insieme alla donna di casa che stava  urlando il nome degli altri membri della famiglia affinché questi  si sbrigassero a radunarsi vicino al tavolo.
Tornate entrambe in cucina, Ellen vide lo sguardo circospetto di Kate che si stava divincolando tra le sedie, per poi raggiungere la propria. La cena fu squisita ed Ellen lo ammise senza alcuna remora, facendo così arrossire Eleanor.
-Sai, nessuno di loro- ed indicò i membri della famiglia Hughes –mi fa mai complimenti. Sembra che non siano mai contenti di nulla!- la ragazzina bionda levò gli occhi al cielo, mentre Carl cercò di salvarsi in corner.
-Amore, ma tu sai di essere una cuoca provetta, perché dovremmo ricordartelo?-  la signora era esasperata.
-Sai, Carl? Alle donne piace sentirsi gratificate! Ma che parlo a fare, con voi. Ora carico la lavastoviglie-
Ellen non voleva approfittare eccessivamente della gentilezza di Eleanor, così decise di aiutarla nelle faccende domestiche.
Mentre si dirigeva in cucina, tenendo sottobraccio una pila di piatti resi rossi dal sugo, Jake la interruppe.

-Ehm, Ellen?-.
-Si?-.
-Hai, ehm.... una grossa chiazza gialla sul sedere-. Jake arrossì per aver dovuto fare quell'affermazione.
Ellen guardò il retro dei propri pantaloni, un tempo nivei, e dovette constatare che il ragazzo diceva il vero. Poi fissò la propria sedia e notò una grande macchia di senape sulla superficie in plastica.
-Ma che...!- la ragazza soffocò una parolaccia, arrossendo furiosamente. Desiderava sprofondare sotto terra, precipitando in un tombino senza mai più uscire.
-Dai, tesoro, non è niente!- Eleanor cercò di sdrammatizzare –Basta che cambi i pantaloni, per stasera!- Ellen annuì desolata.

Improvvisamente, una risata (ovviamente una fastidiosissima risata infantile) si espanse per tutta la sala da pranzo.
-Kate, vuoi dirci qualcosa?-La voce possente del signor Hughes lasciò trapelare la sua rabbia nei confronti di quella ragazzina.
-Io? No, no, certo che no!- il tono di voce di Kate, improvvisamete acuto come il sono di un fischietto, la tradì.
Carl si alzò in piedi, raggiungendo Kate.
-KATHERINE, TI HA DATO DI VOLTA IL CERVELLO? IERI SERA HAI OFFESO ED INSULTATO ELLEN, POI L’HAI CHIUSA IN BAGNO ED ORA LE METTI LA SENAPE SULLA SEDIA? SEI FORSE IMPAZZITA?-
Ellen fu spaventata dalla veemente reazione dell’uomo.
-Io...papà, scusami...- la ragazzina sembrava intristita
-No, Kate. Non sono io a doverti scusare. Va’ in camera tua e non uscirci prima di domattina, così forse penserai un po’ a ciò che hai fatto e al modo vergognoso in cui ti sei comportata. Sappi, comunque, che se la situazione non dovesse migliorare celermente, le tue libere uscite saranno interrotte per due mesi-
La biondina annuì, con un velo di lacrime negli occhi, e si alzò in piedi, avviandosi per le scale. Quando Kate passò vicino a lui, Carl le diede uno  sculaccione che benché debole la fece tirar su con il naso.

Tutti i presenti erano ammutoliti da quella inaspettata reazione, evidentemente il signor Hughes non era mai stato così impulsivo, riflettè la ragazza.
Ellen, nonostante tutto, non riuscì ad essere soddisfatta per quella situazione. In precedenza credeva che avrebbe gioito o avrebbe schernito quella bambina non appena l'avesse vista  soffrire, migliorando il proprio stato d’animo e diminuendo la quantità di bile presente nel proprio corpo dovuta all'ostilità  ingiustificata che la biondina aveva provato nei suoi confronti nelle ultime ventiquattrore.
Tuttavia, vedere Kate  che, così mogia,  a stento frenava delle lacrime, la intristì notevolmente.

Scosse la testa per cercare di allontanare quel pensiero e, dopo aver indossato dei jeans puliti, si avviò verso la porta al seguito di Jake.

“Bene, Ellen, fa’ del tuo meglio” si ripetè varcando l’uscio.



*Spazio dell'autrice*
Ciao amichetti ^O^ Ma quanto mi avete resa felice? *saltella qua e là per la stanza*
Sono davvero felicissima che la mia storia sia piaciuta tanto da ottenere ben cinque recensioni e più di 70 visualizzazioni solo per il primo capitolo!! Mi devo anche scusare per non aver aggiornato prima: avevo promesso ad alcuni di voi che avrei inserito il nuovo capitolo tra mercoledì e giovedì, ma la febbre mi ha impedito di mettermi al pc. >_>
Allora, fanciulli e fanciulle, cosa ve ne pare di questo capitolo? Spero davvero di non avervi delusa (e di non deludervi mai!) e che mi lascerete un piccolo commento! Eeeddaaai *voce pregante*
Grazie a tutti anche solo per l'averla letta! :D
MoMo
p.s. Odiate anche voi quella bambinetta? :P

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Capitolo 3
*** Il "Dark Side" ***


Il “Dark Side” era, secondo Ellen, un locale davvero singolare. Le pareti completamente dipinte di nero, i particolari grigi e le ragnatele con finti aracnidi gommosi spuntavano dal bancone.
Non appena la ragazza ebbe varcato l’uscio del pub, la sua attenzione venne rapita dai tavolini: avevano la forma di piccole bare, color legno.

-Guarda Ellen, sono lì!- Jake indicò uno dei sarcofaghi attorno al quale erano seduti alcuni ragazzi che si stavano sbracciando in corrispondenza del biondo per evidenziare la propria posizione.
-Ragazzi!- Jake salutò alcuni di loro con un’affettuosa pacca sulla spalla, scambiando con altri simpatici saluti verbali e riservando alle uniche due ragazze presenti un bacio sulla guancia.
-Ragazzi, questa è mia cugina Ellen- disse indicando la ragazza.
-Ellen, questi sono....- Jake aveva detto, a raffica, almeno dieci nomi, ma dopo pochi secondi lei non riusciva già a ricordare chi fosse John e chi invece si chiamasse Mark. Aveva memorizzato solo il nome delle ragazze, Amy e Sam, caratterizzate entrambe da occhi molto chiari e capelli lisci come spaghetti, benché una fosse bionda e l’altra mora.

I ragazzi cominciarono tutti a parlare tra di loro ed Ellen si diede un’occhiata intorno: la ragazza mora, Sam, era impegnata in una conversazione piuttosto movimentata con quello che la riccia credeva essere il suo ragazzo, dal momento che talvolta interrompevano la conversazione per scambiarsi dei baci sulle labbra. Ellen girò velocemente lo sguardo, non volendo sembrare una guardona, anche se si domandò come mai i due non si preoccupassero della presenza degli amici per scambiarsi effusioni.
Due posti più in là era seduta l’altra ragazza, Amy, intenta ad inviare messaggi con il suo cellulare (Ellen era certa che si trattasse di un telefono costosissimo, differente dal proprio che ormai aveva più di cinque anni). Ellen notò che al polso portava moltissimi bracciali, certamente più di una dozzina, che faceva tintinnare non appena spostava il braccio. Di tanto in tanto, accarezzava la folta chioma del ragazzo dalla pelle scura seduto vicino a lei.

La riccia si sentì incredibilmente sollevata quando questi decise di rompere il fastidioso silenzio di Ellen che, non sapendo chi fosse Artur o cosa insegnasse la prof.ssa Franklin, era rimasta in disparte sino ad allora.
-Allora Ellen, perché non mi racconti qualcosa di te?-
La ragazza arrossì leggermente prima di cominciare a parlare
-Non c’è molto da dire, sono Ellen, sto per cominciare l’ultimo anno di scuola qui in città perché mio padre ha ricevuto un trasferimento all’estero-
-Frena un momento, ma la scuola non è cominciata da una settimana, più o meno?-  il ragazzo era comunque un po’ dubbioso.
-Ehm si, ma non ho avuto modo di arrivare prima qui a Kenwick, quindi comincerò lunedì, dopodomani.. tu vai ancora a scuola?- Ellen cercava di rendere la conversazione più lunga, non le sarebbe piaciuto affrontare un altro interminabile quarto d’ora in cui tutti parlavano di cose e persone che lei non conosceva.
-No, ho finito da un anno ed ora vado al college- il ragazzo sorrise, mentre Ellen mordicchiò leggermente il labbro inferiore
-Mi dispiace chiedertelo, ma puoi ripetermi il tuo nome? Sai, con la presentazione frettolosa di Jake non ricordo....- riprese a rosicchiare con più forza di prima, non appena ebbe pronunciato questa (per lei imbarazzantissima) frase.
 -Ehi, ma non ti fa’ male?- rispose lui indicando la bocca della ragazza, facendola arrossire –Comunque mi chiamo Devon, nessun problema se non lo ricordavi, lo capisco- Ellen si sentì sollevata ed il ragazzo si alzò dalla propria sedia. Prima che lei potesse parlare, lui le disse
-Vado a prendere da bere, ti posso portare qualcosa?-
-Un’aranciata, grazie- Ellen sorrise, tirando fuori il portafogli dalla borsa nera, ma il ragazzo si allontanò prima che lei potesse porgergli alcune monete.

Al suo ritorno, il ragazzo portò con se una bevanda, probabilmente alcolica, di colore rosso ed in un bicchiere molto meno coreografico una semplice aranciata con ghiaccio.
-Grazie davvero, quanto ti devo?-  Devon scrollò le spalle.
-Offre la casa. Sai, sembri una forte, morivo dalla voglia di conoscerti da questa mattina, alle prove della band, quando Jake mi ha detto che avevi una bellissima voce, oltre che una grande personalità.
Ellen assunse il colorito di un peperone maturo.
-Sai, Jake mi vuole bene, quindi esagera- disse fermamente convinta delle proprie parole.
-Bè, non posso confermare né smentire le qualità della tua voce, ma sono certo della veridicità della seconda-.

La ragazza bionda  fulminò  con lo sguardo Ellen e, probabilmente, anche il suo interlocutore che stava mostrando uno smagliante sorriso in direzione della riccia.
-Ellen, allora, ti sei già ambientata?- a prendere la parola era stata quella ragazza.
Tutti si voltarono verso di lei, così la ragazza cominciò a balbettare
-Bè....n..non proprio. Ehm....cioè, sono qui da...ehm....pochissimo, da un solo giorno, quindi direi di no...-.
-E come mai sei venuta a stare qui?-
-Sapete, mio padre ha avuto un’offerta di lavoro, ed è dovuto trasferirsi in Italia...-
-E non ti ha voluta portare con sé- concluse la biondina.
Ellen strinse i pugni, sicuramente la ragazza non voleva essere scortese, si disse.
-Non voleva che compromettessi il mio ultimo anno di scuola andando lì, visto che ovviamente non so parlare italiano-
-E lui non è rimasto qui in Australia - i presenti spostavano la testa da destra a sinistra, non appena una delle due proferiva parola
-Non ha potuto-
-Ma avrebbe voluto?- 
-Certo- concluse Ellen con grande fermezza.
“Probabilmente ci avrei potuto credere anche io” si disse tra sé  e sé.
-Comunque- continuò con tono insopportabile –Io so parlare benissimo l’italiano, quando avevo quindici anni i miei genitori mi hanno mandata in vacanza a Roma, da sola-  Amy sottolineò incredibilmente le ultime due parole ed Ellen fu incredibilmente tentata dal chiederle se i suoi genitori le avessero fatto fare una vacanza del genere per togliersela dai piedi per un po’, ma decise di tacere per quieto vivere.

-Ellen- intervenne Jake –vuoi qualcosa da bere?- evidentemente voleva smorzare la tensione creatasi al tavolo con la conversazione precedente, ma lei declinò con gentilezza l’offerta del cugino
-Devon mi ha appena portato un’aranciata- spiegò lei sorridendo.
-Strano- la biondina riprese il dialogo, incenerendo il ragazzo con lo sguardo –Devon non offre mai niente a nessuno-
Lui scrollò le spalle
-Di sicuro non andrò in bancarotta per una Fanta. Ellen è in gamba- questa volta fu lui a sorridere ed Amy corrucciò le labbra, evitando probabilmente di dire qualche cattiveria.
Jake levò gli occhi al cielo e mimò con le labbra un “lasciala perdere”, così Ellen decise di fare come il ragazzo diceva.

Conclusa la serata, i due imboccarono la via del ritorno, discutendo di quanto era appena accaduto.
-Sai, Ellen, hai fatto proprio bene- cominciò Jake ma la ragazza gli rivolse uno sguardo interrogativo
-A fare cosa?-
-Sai, a non dare confidenza ad Amy. Ti può rendere la vita un inferno. È il capitano della squadra delle Cheerleaders della nostra scuola ed è considerata una delle ragazze più popolari nonostante sia stata bocciata per ben due volte-
-Come? È stata bocciata? Hai visto quella spaccona..- disse a bassa voce, parlando quasi tra sé e sé ma Jake sorrise sentendo quel commento.
-Lasciala perdere, davvero-
Ellen sorrise ed annuì, mentre i due varcarono l’uscio di casa.

-Ti va una cioccolata calda?- domandò Jake –Sai, aiuta a conciliare il sonno- scherzò poi
-Magari! Anche se in realtà è un eccitante- la ragazza era incredibilmente entusiasta. Ellen amava incredibilmente il cioccolato, più di qualsiasi altro alimento.
-Jake, ma Amy è la ragazza di Davon?- la riccia non riusciva a trattenere la curiosità.
Lui la guardò sorpreso.
-No, certo che no. Lei vorrebbe, decisamente, ma lui l’ha sempre rifiutata. Sostiene che per ora il suo unico scopo di vita sia il surf-
-Ah, certo. Ma qui a Kenwick non c’è il mare- constatò la ragazza
-Si, ma spesso si allena al ...- la voce di Jake fu interrotta da un rumore proveniente dall’ingresso.

Qualcuno picchiò alla porta di casa, ed entrambi voltarono lo sguardo in corrispondenza dell’orologio, le cui lancette puntavano la mezzanotte
-Chi cavolo può essere, a quest’ora?- domandò il ragazzo, conscio del fatto che Ellen non ne avesse idea. Tutti in casa stavano dormendo.
-Dai, Jake, vado io a vedere-
-Lascia, ci penso io. Tu dà un’occhiata alla cioccolata, continua sempre a mescolare, altrimenti si brucerà sul fondo-
Qualcuno bussò nuovamente e Jake si diresse verso l’ingresso, mentre la minuta figura di Eleanor, avvolta in una vestaglia color verde pastello, fece capolino dalle scale.
-Stavo leggendo di sopra, si può sapere chi è a fare questo baccano?-
Ellen scosse la testa a destra e sinistra
-Non ne ho idea, Jake sta andando a vedere- proprio in quell’istante la porta sbattè. Jake tornò in cucina, seguito da una ragazza alta e dai capelli scuri, che reggeva in braccio un bambino addormentato. Il suo volto era familiare alla riccia ed  Eleanor,  per poco,  non capitombolò giù dalle scale.

-Amore, Julie!- Ellen riorganizzò le proprie idee. Quella ragazza era la figlia maggiore degli Hughes.
-Ssst- la ragazza portò un dito davanti alle proprie labbra, indicando poi il bambino profondamente addormentato, così la donna tacque improvvisamente.
-Tesoro mio, che bello vederti- disse Eleanor abbassando drasticamente il tono del proprio volume.
-Anche per me, mamma- il suo tono però era piatto, privo di qualsiasi entusiasmo.
-Amore ma perché siete arrivati a quest’ora? Hai cenato? Tu ed il piccolo avete cenato?-
-Si, mamma, abbiamo preso del pollo fritto in autostrada ed abbiamo cenato con quello-
-Oh bene. Aspetta, dammi qui il piccolo Charlie- Julie sollevò leggermente gli occhi al cielo
-Mamma sta dormendo. Ti prego, non svegliarlo, ha fatto i capricci fino a poco fa-
-Certo, certo- disse lei cominciando a cullarlo –Tesoro non puoi immaginare quanto mi renda felice la tua visita, ma non hai lezione all’università nei prossimi giorni?-
-Ehm, no, sai ho portato da studiare per l’esame di diritto comparato che sto preparando, volevo passare un po’ di tempo con la mia famiglia-
-Tesoro!- Eleanor non riuscì più a contenere la gioia e corse ad abbracciare la sua primogenita, tenendo ancora quel fagottino in braccio che emise alcuni versetti prima di riaddormentarsi. Julie la fulminò con lo sguardo ma la donna fece spallucce.

-Ehi, sorellina, non saluti gli ospiti?- Jake sorrise
-Ehi, ciao! Scusa ma non avevo notato la tua presenza- Julie ora aveva volto lo sguardo verso Ellen, rimasta fino ad allora in silenzio mentre girava il cioccolato nel pentolino-
-Ciao Julie, nessun problema. È un vero piacere vederti- Ellen era sincera: benché mancasse da quella casa da diversi anni, aveva un ottimo ricordo di quella ragazza, poco prima che la soffocasse in un abbraccio.
-Come sei cresciuta- disse alla riccia –L’ultima volta che ti ho vista eri alta la metà di ora. E probabilmente avevi anche metà dei capelli attuali- scherzò poi. Ellen sorrise, versando la cioccolata calda in quattro tazze. Benché la dose fosse prevista per due sole persone, era sufficiente a riempire metà di ciascuna.
-E la piccola, dorme?- probabilmente si riferiva a Kate. Eleanor annuì
-Ah-ah. Ha fatto il diavolo a quattro per tutto il giorno-
-Strano- commentò Julie –non è da lei-
-Infatti!- sua madre sembrava esasperata –comunque, parlerai con lei domattina. Tu come mai sei arrivata qui ora?-
-Possiamo parlarne domani? Ora sono molto stanca, vorrei solamente dormire-
Eleanor sembrava insoddisfatta, ma annuì.
-Ma per caso c’è stato qualche problema con Jackson?-
La ragazza annuì. Ellen pensò che, probabilmente, Jackson fosse il nome del suo fidanzato.
 
 



Ciao a tutti! Scusate per il ritardo nell'aggiornamento, ma purtroppo la scuola in questi giorni ha assorbito le mie forze vitali. Che ve ne pare se aggiornassi una volta alla settimana, di domenica sera? ^-^
Allora, cosa che ve ne pare di questo capitolo? Confesso di avuto un po' di difficoltà nello scriverlo, altro motivo che mi ha portata a tardare la pubblicazione. Lo so, sono una brutta persona ;-;
Jake è davvero adorabile, non pensate? Ne vorrei anche io uno tascabile, da tirar fuori quando mi sento un po' giù. Amy è assolutamente insopportabile e penso che il suo nome la rispecchi: deriva dal latino Aemulus e significa imitatore, anticamente utilizzato con l'accezione di rivale. Ecco un nuovo personaggio che invece fa la propria comparsa: Julie! Presto ne saprete più al riguardo.
Allora? Mi date un parere con una recensioncina? *-* 
Grazie a tutti voi che avete recensito gli scorsi capitoli e che commenterete anche il prossimo, sappiate che vi adoro tutti :D 
A domenica prossima, allora!
MoMo
 
 

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