In The Realm Of The Basses

di purplebowties
(/viewuser.php?uid=47976)

Disclaimer: Questo testo proprietà del suo autore e degli aventi diritto. La stampa o il salvataggio del testo dà diritto ad un usufrutto personale a scopo di lettura ed esclude ogni forma di sfruttamento commerciale o altri usi improri.


Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Purple Reign ***
Capitolo 2: *** Entirely ***
Capitolo 3: *** Safety ***
Capitolo 4: *** All The Small Things ***
Capitolo 5: *** Triumph ***



Capitolo 1
*** Purple Reign ***


In The Realm Of The Basses è una raccolta di one-shot incentrate sulla vita Chuck e Blair da sposati, dal rating variante. Le storie non seguono alcun ordine cronologico, solo la mia altalenante ispirazione. Buona lettura! 

 

 

Purple Reign [1]

 

La prima cosa che Blair percepì, arrendendosi riluttante al fatto che il suo corpo avesse deciso di svegliarsi, fu l’impossibilità di movimento.

Provò lentamente a cambiare la posizione delle gambe per riprendere il controllo di tutti i muscoli ancora addormentati  e, quando si rese conto che non poteva, divenne anche consapevole del fatto che c’era qualcosa di greve a pesarle addosso. Qualcosa che, realizzò mentre tutti i suoi sensi tornavano progressivamente alla coscienza, aveva il profumo di un misto tra costosa colonia maschile e scotch e che le lasciava sulla pelle la dolce sensazione di essere stata toccata dalla seta, morbida e liscia.

Blair trovò finalmente la forza di aprire gli occhi. Nonostante la stanza fosse buia e la vista ancora offuscata, girando la testa sul cuscino, i suoi occhi misero immediatamente a fuoco Chuck, addormentato al suo fianco. Sorrise leggermente all’immagine di suo marito.

In qualche modo, durante la note, lui si era ritrovato ad usarla come cuscino; l’aveva intrappolata con un braccio e con le gambe, assicurandosi inconsciamente che non ci fosse alcuna distanza tra di loro. Anche se Blair sapeva da anni che Chuck era solito dormire in quel modo, il fatto che riuscisse ad essere possessivo e un po’ insicuro anche quando non era consapevole delle sue azioni non mancava mai di divertirla. 

Dovette combattere contro l’improvviso desiderio di dargli un bacio sulle labbra, chiudendo gli occhi per resistere alla tentazione. Non voleva ancora svegliarlo. Addormentato, lui appariva più tranquillo e rilassato di quanto non lo vedesse da giorni. Era stato un mese difficile per Chuck.


Ritornare nel mondo reale dopo la luna di miele che avevano passato in Europa aveva significato per lui essere costretto ad affrontare tutto quello che si erano lasciati alle spalle, troppo coinvolti dalla loro bolla di euforia per potersi concentrare su qualcosa che esulasse da loro e dal loro amore. Erano riusciti a tenere lontano le preoccupazioni, le responsabilità e, soprattutto, i ricordi di quanto era successo prima del loro matrimonio per sei splendide settimane, passate in un inebriante connubio di sesso e conversazioni trasognate circa il futuro che si apprestavano a costruire insieme.

Chuck le era apparso così felice, così finalmente libero e completo, che Blair non aveva mai trovato il coraggio o la volontà di spezzare quel suo momento di temporanea estraneazione dalla verità di quello che aveva passato. Blair aveva sentito il bisogno di proteggerlo da quel dolore finché sarebbe stato nelle sue possibilità farlo.

Ma, una volta tornati a New York, il loro nido di felicità si era scontrato contro una realtà fatta di persone che sussurravano e facevano domande, di paparazzi appostati davanti all’Empire per ore, impazienti di trovare “L’erede miliardario Chuck Bass” per chiedergli come suo padre fosse morto, se lui avesse qualcosa a che fare con l’incidente, persino se ne fosse contento.

Nonostante Chuck avesse pubblicamente gestito la pressione in un modo estremamente dignitoso e distinto, Blair lo aveva visto lottare con l’essere costretto a ricordare quella notte, con il venire a patti con quello che aveva significato per lui. Era stata una guerra silenziosa che lei lo aveva visto combattere con se stesso, in conflitto, Blair ne era stata sicura, tra il sentire di avere bisogno di lei ed il non volerla trascinare in quella voragine di buio.
 
“Non escludermi dai tuoi pensieri," hli aveva chiesto Blair a cena, dopo un paio di giorni di quella muta sofferenza. “Pensi che non sappia che stai soffrendo?  Puoi dirmelo, Chuck. Voglio esserne partecipe.”

“Non ti sto escludendo, Blair,” aveva sussurrato lui dopo un lungo sospiro. “E’ solo che...” aveva posato la forchetta che teneva in mano sul piatto ed aveva chiuso gli occhi, inspirando profondamente,“non dovresti essere obbligata a fare i conti con tutto questo. Io non dovrei sentirmi debole. Dovrei essere più forte. Dovrei renderti felice, ma non faccio che fallire.”

“Io sono felice,” Blair gli aveva regalato un sorriso luminoso. “Sono tua moglie e voglio te.”

Ascoltando quelle parole Chuck aveva aperto gli occhi nuovamente e lei aveva ricordato lo stesso sguardo fissarla durante la loro luna di miele, così pieno di serenità. Blair aveva coperto la mano di Chuck con la sua, sentendosi nostalgica ma non scoraggiata; quell’uomo era ancora lì, questo era solo un altro lato del suo essere, un altro pezzo dell’enigma complicato che era suo marito. “Voglio tutto di te. Qualsiasi cosa tu stia provando in questo momento, io posso sostenerlo.”

Chuck era rimasto in silenzio per del tempo, tenendo gli occhi su di lei. Blair aveva visto le sue labbra tremare leggermente, come se fosse stato spaventato all’idea di tradurre i suoi pensieri in parole, quindi gli aveva stretto la mano con più forza, assicurandosi che lui non percepisse solo il contatto fisico, ma anche quello emotivo.

“Non dovrebbe importarmi," aveva iniziato a respirare affannosamente. “E non mi importa. Non mi importa di lui, Blair, non più.”

Era vero solo per metà, Blair lo sapeva, ma gli aveva concesso la possibilità di crederci. Costringerlo ad affrontare quanto profonde e quanto dolorosa fossero le ferrite che suo padre gli aveva lasciato sull’anima (arrivati a quel punto Chuck non riusciva più neanche a pronunciare il nome di Bart) era una tortura attraverso la quale lei non lo avrebbe fatto passare.

“Non puoi chiedere a te stesso di stare bene, Chuck. Ha cercato di ucciderti.” Blair aveva articolato quelle parole in un sussurro tremolante, senza riuscire a non mostrare la sua rabbia ed il suo disgusto. Non aveva mai odiato nessuno in vita sua quanto aveva odiato Bart Bass. 

Chuck aveva respirato profondamente, scuotendo la testa. Lei gli aveva accarezzato il dorso della mano con le dita, incoraggiandolo silenziosamente con gli occhi a spiegarsi.

“Non è solo questo. Non mi ha mai amato ed ora so che non è mai stata colpa mia. Ma ho passato la vita pensando che dirigere la Bass Industries fosse il mio sogno. Sono cresciuto sapendo che dovevo essere pronto per questo momento e volevo essere preparato. Ed ora che finalmente lo sono, quel sogno sembra…” si era fermato, cercando la parola giusta,“rovinato,” aveva detto infine, con amarezza.

Blair aveva sentito la necessità di abbracciarlo ma, sapendo che c’era di più, aveva semplicemente continuato a tenergli la mano.

“Lo ha avvelenato. Non solo ha cercato di uccidere me per mantenere il comando, ha anche provato a distruggere tutto quello che amo. Lily, Nate…te."

Si era fermato di nuovo, incapace di continuare. Il terrore che provava al pensiero era talmente evidente che Blair aveva dovuto chiudere brevemente gli occhi per impedirsi di piangere. Ogni parola che Chuck aveva pronunciato era stata come una lama conficcata nel suo cuore. Il modo in cui parlava, tutto il dolore e la rabbia che percepiva nel suo tono, le aveva fatto provare del male fisico.


“Chuck, siamo tutti al sicuro," aveva detto lei immediatamente, nel tentativo di calmarlo. "Sono qui.” 

Si era alzata e poi seduta sulle ginocchia di lui. Chuck l’aveva presa tra le braccia, appoggiandole le mani sulla schiena. Vedendo gli occhi di lui velati di lacrime trattenute e percependo le sue dita tremare per la paura che si stava finalmente concedendo di provare, Blair aveva realizzato con chiarezza che avrebbe fatto di tutto per lui. Sarebbe stata il suo riparo, la sua famiglia e la sua casa; sarebbe stata tutto quello che lui non aveva e tutto quello che non poteva essere. Chuck era suo marito, il suo re, e tutto quello che aveva sentito di volere era renderlo felice al massimo delle sue possibilità.

Chuck aveva rapidamente chiuso gli occhi di nuovo, per ricacciare indietro le lacrime. Poi, riaprendoli, aveva guardato in basso. “Tutto quello che ha fatto, lo ha fatto perché non riusciva a rinunciare alla sua compagnia; era l’unica cosa di cui gli importasse. Ed io voglio comandarla, Blair, lo voglio così tanto che mi fa sentire corrotto. L’ho lasciato cadere e non lo rimpiango. Non mi sento colpevole. Cosa dice questo di me?”

“Dice solo che non c’è più posto per lui nel tuo cuore,” aveva risposto Blair, facendo scorrere le dita tra i suoi capelli. Lui aveva alzato lo sguardo su di lei a quel tocco e lei aveva fatto scivolare giù le mani fino a toccargli le guance, così da potergli sostenere la testa e costringerlo a guardarla negli occhi. “To sei nato per essere a capo della
Bass Industries, Chuck, è quello che sei. Sei un uomo incredibilmente pieno di talento e di ambizione che si è impegnato ogni giorno della sua vita per raggiungere questo obbiettivo. Ti sei preso cura della tua eredità con più rispetto e con più passione di quanto Bart abbia mai fatto.” Blair aveva sentito l’orgoglio che provava per lui bagnarle gli occhi ed aveva portato le mani sul petto di Chuck, solo per sentire il suo cuore battere velocemente. “Lui non aveva un’anima. Tutto quello che sapeva fare era distruggere tutti quelli che gli stavano intorno ed ha finito per distruggere se stesso. Ma non più portati via più nulla. Non puoi cambiare il passato, ma il futuro è nelle tue mani e so che guiderai la tua compagnia con forza e con potere, lo farai splendidamente.” 

Chuck aveva lasciato cadere la testa sulla spalla di lei, riprendendo fiato. Le era apparso così vulnerabile che Blair si era sentita fiera di come lui avesse imparato a lasciar cadere tutte le barrire con lei, a permettere a se stesso di fidarsi di lei senza alcuna remore.

“Sarai al mio fianco?” Chuck le aveva chiesto dopo un minute di silenzio, in un sussurro.  Aveva sollevato la testa per poter incontrare nuovamente lo sguardo di Blair, che aveva sorriso, intrappolandogli il mento tra le dita.

“Non potrei e non vorrei essere da nessuna altra parte,” gli aveva detto, con il tono più rassicurante che era riuscita a dare alla sua voce, anche se il dolore con cui lo aveva visto lottare l’aveva resa debole.

Chuck, improvvisamente, l’aveva baciata, un bacio profondo e voglioso che le aveva fatto subito capire cosa lui desiderasse dai lei. I suoi pensieri avevano trovato conferma pochi secondi dopo, quando, separandosi dalle sue labbra, lui le aveva detto: “Ho bisogno di te, Blair. Ho bisogno di te ora.”

Blair aveva ricambiato il suo bacio con altrettanta passione, per essere sicura che lui sapesse che lei aveva capito. Chuck l’aveva presa in braccio e trasportata verso la camera da letto.

Qualche giorno dopo, mentre restava al suo fianco stringendogli la mano durante la conferenza stampa in con cui Chuck era stato ufficialmente annunciato CEO della Bass Industries, Blair aveva ripensato a quel fare l’amore come ad uno dei regali più belli che il matrimonio le aveva donato fino a quel momento: la consapevolezza di quanto profondamente Chuck le appartenesse e di quanto avesse ancora bisogno di lei.



Blair aveva ancora gli occhi chiusi quando Chuck si svegliò.

Mentre lasciava che il suo sguardo intorpidito abbracciasse l’intera figura di Blair, Chuck notò come, nel sonno, avesse avvolto il corpo di lei con un braccio e con le gambe. Non ricordava di averlo fatto, ma non ne era sorpreso. Quando erano insieme non riusciva mai a trattenersi dal toccarla, non poteva farci nulla. Aveva bisogno di sentire la sua vicinanza, sia che si trattasse semplicemente di accarezzarle la spalla con il pollice quando erano seduti vicini in un luogo pubblico, sia durante il sesso, quando non mancava mai di raggiungere con le mani ogni punto della pelle di Blair.

Ghignò debolmente quando capì che lei era sveglia da modo in cui il petto le si alzava ed abbassava; il respiro non aveva quel ritmo calmo e regolare che a lui piaceva ascoltare quando la guardava dormire.

Blair aveva un piccolo sorriso inconsapevole dipinto sulle labbra e Chuck si chiese a che cosa stesse pensando. Era chiaro che, qualsiasi cosa le stesse passando per la testa, stava donando al suo viso una luminosità piena di soddisfazione. Avvertì un’irrefrenabile curiosità uccidere ogni traccia di sonnolenza nel suo corpo. Era così contento e così fiero di conoscerla alla perfezione che l’idea che ci potesse essere un angolo della mente di Blair precluso alla sua capacità di comprenderla non gli piaceva.

Chuck cominciò a far strusciare le gambe su quelle di Blair, per farle capire che era sveglio. Poi, notando come lei proseguisse a tenere gli occhi chiusi per torturarlo un po’ (era qualcosa che si divertiva sempre a fare, visto che era solita svegliarsi prima di lui), le poggiò la mano libera sul collo, facendo tamburellare leggermente le dita sulla pelle. Non dovette proseguire a lungo, a quel tocco le palpebre di Blair si sollevarono di scatto.

Chuck sorrise sornione, compiaciuto di se stesso. “Buongiorno," sussurrò.

“Buongiorno a te, Bass,” disse lei. Il sorriso delicato che aveva tra le labbra si fece più largo.

Chuck mosse la gamba che era ancora avvinghiata al corpo di Blair, così che lei potesse girarsi su un fianco per guardarlo in faccia, ma lasciò comunque un braccio pigramente appoggiato sulla sua vita. Poi, lentamente, mosse la testa sul cuscino, per avvicinarsi alle sue labbra. La baciò, chiudendo gli occhi per poter godere pienamente del tocco della sua bocca.

“A che cosa stavi pensando?” le chiese dopo, incapace di nascondere il suo desiderio di sapere. “Eri radiosa,” aggiunse con falsa nonchalance, cercando di suonare meno interessato.

Era irrazionalmente smanioso di scoprire quale fosse la ragione dietro a quell’espressione beata comparsa prima sul viso di sua moglie e sapeva che, se lei avesse capito quanto intrigato lui si sentisse, lo avrebbe fatto faticare non poco per ottenere la sua risposta. 

Blair, che nel mentre aveva appoggiato la mano sul petto di Chuck ed ora stava giocherellando con i bottoni del suo pigiama di seta, lo guardò divertita. “Una donna ha i suoi segreti," gli rispose con il suo miglior tono innocente, anche se Chuck poteva leggere nei suoi occhi quanto piacere le desse l’idea di lasciarlo sulle spine.

Rendendosi conto che avrebbe dovuto utilizzare alcune delle sue armi per ottenere quello che voleva, Chuck ghignò maliziosamente e si mosse rapido sotto le lenzuola, senza darle il tempo di fermarlo. In un secondo era sopra di lei, appagato dal modo in cui le gote di Blair si erano imporporate immediatamente.

“Non se è sposata con Chuck Bass,” le disse. Consapevole di quanto Blair amasse come lui mancasse di modestia (anche se si divertiva a fare finta di essere infastidita dalla sua malcelata arroganza), Chuck pronunciò le parole con fierezza. Poi, constatando che lei aveva chiuso gli occhi e si era felicemente arresa alle sue intenzioni,  abbassò la testa per poterla baciare.

Le sue labbra erano ad un solo centimetro dalla bocca di lei, quando il fragore di qualcosa di pesante che era caduto, proveniente dall’altra stanza, ruppe il loro momento. Immediatamente seguì il rumore di qualcuno che era inciampato ed infine riconobbero la voce di Nate, che aveva pronunciato un forte e non molto elegante: “Merda!”. 

Chuck sospirò, infastidito. Dal momento che non avevano ancora trovato una casa da comprare che corrispondesse a tutte le aspettative di Blair (ogni proposta che lui le aveva fatto era stata rifiutata da sua moglie, che stava ancora cercando di trovare qualcosa che calzasse a pennello con l’idea che aveva in mente), si erano stabiliti all’Empire. Nate si era provvisoriamente trasferito in una suite al piano immediatamente inferiore. Essendo una sistemazione temporanea, Nate non si era affatto preoccupato di portare tutte le sue cose nella nuove stanza di hotel, quindi era solito presentarsi per recuperare alcuni vestiti lasciati nella sua camera (in realtà Chuck sospettava che il suo migliore amico usasse spesso quella scusa per passare del tempo con lui, probabilmente preoccupato che il suo matrimonio avrebbe cambiato qualcosa nel loro rapporto).

Con sorpresa di Chuck, l’idea di vivere lì era stata di Blair.

Qualche giorno prima della fine della loro luna di miele, mentre camminavano mano nella mano per Via Montenapoleone, a Milano, lui le aveva chiesto in quale dei suoi hotel avrebbe preferito stare finché non avessero scelto un posto soddisfacente per cominciare a costruire il loro futuro come una famiglia. 

Blair era rimasta profondamente pensierosa per un po’ e Chuck si era ritrovato a fissare la sua espressione, pieno di meraviglia. Lo scorrere delle idee la faceva sembrare una donna matura; c’era qualcosa di materno e di tenero nel modo in cui rifletteva. Lui si era sentito sicuro, protetto dalla forza che le leggeva negli occhi e dalla certezza che lei non lo avrebbe lasciato. Lei era le sue radici, una solida roccia al suo fianco; era la donna che gli stava dando la concreta possibilità di costruire una famiglia. Un giorno, Blair sarebbe stata la madre dei suoi figli.
"
“L’Empire andrà benissimo, Chuck, Gli aveva risposto, dopo qualche altro secondo.

Chuck aveva smesso di camminare, guardandola attonito. Si era sentito incredibilmente esposto, immediatamente posseduto da un moto di debolezza. Per quanto Chuck amasse quell’hotel, l’Empire era stato spettatore dei momenti più dolorosi della loro relazione; c’erano così tanti ricordi amari costuditi tra quelle mura, in ogni angolo di quell’edificio. 

Aveva inspirato nervosamente. “Sei sicura?” le aveva domandato a voce bassa.
 
“Certo che lo sono," aveva detto lei, annuendo. Aveva poggiato una mano sul viso di Chuck e gli aveva sorriso amorevolmente. A quel tocco lui aveva sentito qualcosa riscaldargli il petto, incapace di distogliere gli occhi dal viso di Blair, così sereno e completamente calmo.
 
“L’Empire non è solo quello che eravamo, Chuck, è anche quello che siamo diventati. Siamo noi che rinasciamo dalle nostre ceneri, più forti e finalmente pronti per il nostro destino.” Blair gli aveva accarezzato la guancia con delicatezza. “Insieme,” aveva concluso, il sorriso tra le sue labbra fattosi più largo.  

 

Ripensandoci adesso, quello era probabilmente il ricordo della luna di miele che lui conservava più gelosamente.  

“Perchè ti sei fermato?” gli chiese Blair immediatamente, riportandolo al presente.

Chuck ridacchiò alla vista del broncio contrariato che le era apparso  sul viso. “Nathaniel portrebbe sentirci," la provocò, assolutamente consapevole del fatto che a quel punto a Blair non sarebbe importato della presenza di nessuno all’interno dell’attico.

“Non mi interessa," disse lei infatti, come lui aveva predetto.

Chuck ghignò quando lei gli afferrò il colletto del pigiama e gli spinse giù la testa per poterlo finalmente baciare.

 



Mezz’ora dopo stavano mangiando. Il maggiordomo[2] di Chuck aveva portato la colazione a letto, insieme ai giornali.

Anche se Dorota non era stata contenta di condividere la gestione della casa con qualcuno, a Blair quell’uomo piaceva. Era incredibilmente ben educato e servizievole; si chiamava Ivan, era russo e sembrava che il suo lavoro consistesse nell’assicurarsi che Chuck non dovesse fare assolutamente nulla per sé, se non portare fuori il cane. Anche se Blair ne era già consapevole, vivere la vita di tutti i giorni con Chuck le aveva dato la definitiva conferma di quanto lui fosse la persona più viziata e vanitosa che avesse mai incontrato, inclusa se stessa.

Blair addentò il suo croissant dopo averlo immerso nella mistura di latte e caffè di cui la tazza che teneva per mano era piena, osservando suo marito: era seduto con la schiena appoggiata alla testata del letto, sorseggiando un espresso. Sorrise, notando quanto Chuck apparisse concentrato nel soddisfare la sua rutine mattutina di leggere le pagine finanziarie. 

Dopo un po’, probabilmente percependo il suo sguardo (lui sapeva sempre dire con certezza quando lei lo stesse guardando e Blair lo malediceva per questa sua particolare abilità, perchè, ogni volta, finiva per ghignare con quella sua espressione piena di vanità pretenziosa che lei non riusciva a non adorare), Chuck si voltò e riportò gli occhi e l’attenzione su di lei.
 
 “Allora, hai finalmente intenzione di dirmi a cosa stavi pensando?” le chiese, poggiando i giornali sul comodino di fianco al letto.

Blair, che nel mentre aveva dimenticato il pretesto che prima li aveva portati a quel meraviglioso sesso mattutino, gli lanciò uno sguardo interrogativo. Poi, rendendosi conto che l’espressione di Chuck era mutata in quella che era solito assumere quando non riusciva ad ottenere quello che voleva (una piccolo ruga gli compariva sulla fronte ogni volta che era contrariato), Blair dovette trattenersi dal ridere.
  
Chuck sapeva essere una persona talmente ostinata e testarda che Blair sapeva che avrebbe continuato ad insistere finché lei non si fosse arresa e non gliel’avesse detto. Pensò per un momento che avrebbe potuto continuare a torturarlo un altro po’, ma era consapevole del fatto che quel gioco avrebbe significato preliminari per entrambi e nessuno dei due poteva fare tardi al lavoro. Sospirò, scuotendo il capo.

“Sei così fastidioso, Bass," lo schernì, poggiando la sua tazza vuota sul vassoio. Poi, avvicinandosi a lui, non poté non sorridere con divertita rassegnazione di fronte alla luce vittoriosa apparsa negli occhi scuri di Chuck.

Lui le mise un braccio intorno alle spalle.  “Avresti dovuto pensarci prima di sposarmi.”

“E chi dice che non mi piaccia questo lato di te?” gli rispose giocosa, prima di appoggiare la testa sul suo petto. “Comunque, stavo semplicemente pensando allo scorso mese…” disse, con un tono trasognato. “Alla conferenza stampa. Non hai idea di quanto fiera di te mi sia sentita in quel momento.”

Per quanto amasse giocare con il suo bisogno di controllare e di sapere tutto, Blair realizzò nel momento esatto in cui pronunciò quelle parole, neanche quel loro personalissimo modo di flirtare poteva reggere il confronto con la gioia che provava nel fargli sapere quanto profondamente lo rispettasse. 

Chuck sorrise timidamente e abbassò lo sguardo. Era una delle tante contraddizioni che Blair amava di lui. Poteva essere la persona più arrogante e presuntuosa che conoscesse nove volte su dieci, ma c’era sempre quella particolare circostanza in cui diventava insicuro e fragile, come se fosse ancora il sedicenne che cercava di convincersi di non essere un fallimento ed una delusione. Anche se Blair sapeva quanto Chuck avesse lavorato per raggiungere finalmente un’autostima vera, concreta e consapevole, qualcosa di molto diverso da quella superbia ostentata che aveva sempre mostrato al mondo, a volte lui era ancora costretto a lottare per riuscire a vedersi come qualcuno di cui potesse essere realmente fiero. Era una delle cicatrici che lei non poteva cancellargli dall’anima ma che amava profondamente, come parti dell’uomo con cui aveva scelto di passare la vita.

“A volte quando vado al lavoro mi sento ancora come se quel posto non mi appartenesse,” le confessò parlando a voce bassa, con un’espressione pensosa in viso.
 
Blair incarnò le sopracciglia. “C’è qualcosa che non va?” gli chiese. 
 
Chuck era stato bene dopo quel momento di debolezza che aveva affrontato di ritorno dalla luna di miele. Ogni tanto lei lo vedeva impensierito e silenzioso, ma il più delle volte sentiva che lui era felice. In ogni caso, Blair aveva notato come lui non avesse ancora mostrato l’entusiasmo che lei si era aspettata che lui provasse una volta preso il completo controllo della Bass Industries. Non lo aveva interrogato sull’argomento comunque, aveva preferito aspettare che le cose seguissero il loro corso naturale, sapendo che Chuck avrebbe avuto bisogno di tempo per elaborare tutto e concedersi finalmente di sentirsi soddisfatto per quello che aveva raggiunto. Era qualcosa che doveva e, Blair lo sapeva, voleva fare da solo.

Chuck scosse la testa, alzando nuovamente lo sguardo. Le concesse un sorriso debole. “Non c’è nulla che non vada, Blair."

Delicatamente alzò il braccio dalle spalle di Blair, poi si alzò e prese la sua vestaglia che era piegata su di una sedia vicino al letto. Blair rimase ferma dov’era, senza perderlo di vista.

In silenzio si infilò la veste da camera, prima di avvicinarsi e piegarsi per dare a Blair un bacio sulla fronte. “Non devi preoccuparti di questo, sto bene,” le disse. “E’ solo una sensazione.”

Blair osservò Chuck camminare verso il bagno, chiedendosi cosa potesse fare per fare in modo che lui non si sentisse più così.

Pensò a lui nel suo ufficio, circondato dai mobile austeri con cui Bart aveva riempito quella stanza, rendendosi conto di quanto  soffocante ed minaccioso dovesse essere per Chuck.  Doveva sistemare quella situazione, non avrebbe permesso che qualcosa lo facesse sentire fuori posto.

Poi, all’improvviso, sorrise con soddisfazione, mentre l’energia di una grande idea si diffuse nella sua mente. Quando lui chiuse la porta, Blair prese il telefono dal comodino ed inviò un messaggio, sentendosi incredibilmente fiera di sé.

 



Lo stesso giorno, durante il pomeriggio, Blair se ne stava seduta dietro la scrivania nel suo ufficio, le labbra curvate in un sorriso soddisfatto, mentre guardava Jack Bass entrare.

La sua segretaria, che stava tenendo la porta aperta così che lui potesse passare, lanciò all’uomo  uno sguardo timido.

“Mr. Bass è qui per lei, Mrs. Waldorf. Le serve altro?” chiese.  

Jack si girò per guardare la ragazza, che ora era arrossita vistosamente. Blair roteò gli occhi, riuscendo ad immaginare che tipo di apprezzamenti lui avesse rivolto a Danielle prima di varcare la soglia. Scosse il capo. “No, Danielle. Puoi andare.”
 
Jack ghignò e si sedette su una delle sedie di fronte alla scrivania di Blair, mentre la segretaria usciva. “I miei complimenti sul tuo gusto in fatto di assistenti. Ha un bel culo,” osservò, girandosi verso la porta chiusa.

Blair ignorò il commento, accavallando le gambe. “Non sei curioso di sapere perché ti ho chiesto di venire qui?”

Jack, che aveva riportato gli occhi su di lei, si appoggiò allo schienale della sedia, mettendosi più comodo. “Presumo che tu abbia bisogno di qualcosa,” cominciò, il ghigno tra le labbra ancora vistoso. “Presumo anche che mio nipote non debba saperlo, o non mi avresti chiesto di incontrati senza di lui.” Allargò le mani in un gesto plateale, come per spiegare quanto tutto gli sembrasse ovvio.

Blair annuì. “Presumi correttamente.” 
 
Jack ridacchiò, chiaramente divertito da quella circostanza. “Se hai intenzione di tradire Chuck devo informarti che non sono disponibile," disse, prima di sospirare in modo teatrale. “Vorrei rimanere vivo.”

Blair sbuffò infastidita, riservandogli un’occhiata severa. “Non ho tempo per scherzare, Jack,” lo avvisò, chiarendo una volta per tutte che non era dell’umore giusto per il suo sarcasmo.
 
Jack si tirò in avanti sulla sedia, poggiando le mani sulla scrivania. Cominciò a far tamburellare le dita sul legno. “Sentiamo, per che cosa la regina di New York potrebbe mai avere bisogno dell’aiuto dello Zio Jack?” chiese divertito.
 
“Ho bisogno che Chuck stia fuori città per tre giorni. Sono sicura che puoi fare in modo che succeda," rispose Blair, intrecciando le dita delle mani. Sorrise di fronte alla sorpresa che vide comparire sul volto di Jack.

Lui si accigliò, confuso. “Non sono il suo capo, Blair; non posso fargli fare nulla," le ricordò, guardandola con occhi interrogativi. "In realtà funziona al contrario.” 

C’era stato un tempo – e neanche troppo lontano – in cui Jack non avrebbe mai accettato di lavorare sotto le direttive di Chuck, un tempo in cui avrebbe lottato per avere tutto quello che era di Chuck, con tutto il suo cinismo ed  i suoi modi manipolatori, ma ora le cose erano diverse. Blair sapeva che Chuck aveva capito come tutto quello che Jack aveva fatto in passato era stato fatto per gelosia. Era stato il frutto di una delle molte cose terribili che Bart Bass aveva fatto in vita sua: creare un ambiente dove le persone potevano diventare velenose e crudeli, dove era lecito per uno zio odiare il proprio nipote. Ma, in fine, Chuck e Jack erano riusciti a ricostruire un buon rapporto, basato su un tipo di rispetto particolare e non convenzionale che provavano l’uno per l’altro a quel punto, dopo aver realizzato di non essere nemici, ma di avere un nemico in comune.

Nonostante Blair non fosse la più accesa sostenitrice di Jack, era stata ugualmente molto fiera di Chuck quando lui aveva dato a suo zio una posizione importante nella Bass Industries e gli aveva concesso di tornare a New York. Per lui Jack era parte della famiglia, l’unica persona rimasta con cui condivideva un legame di sangue, e Blair non poteva e non voleva discutere la decisione di Chuck di averlo nella sua vita. 
 
“Ne sono consapevole. So anche che Chuck ha organizzato per te un viaggio a Londra la prossima settimana, ho ascoltato accidentalmente una delle sue telefonate giorni fa. Potresti chiedergli di accompagnarti. Sono certa che riuscirai a trovare un modo per farli pensare che la sua presenza sia indispensabile,” terminò di spiegare, soddisfatta di se stessa. Era un piano perfetto.

Jack apparve serio per la prima volta da quando avevano intrapreso quella conversazione. Incrociò le braccia con aria pensosa. “Chuck non è così facile da ingannare come era una volta, Blair.”

Blair rise, trovando l’ennesima conferma di come la relazione tra i due fosse drasticamente cambiata. Era chiaro come a Jack non piacesse l’idea di poter potenzialmente intaccare la fiducia di Chuck. “Non lo stai ingannando, stai solo aiutando sua moglie a fargli una sorpresa," dichiarò entusiasta.

Jack la fissò per qualche secondo, poi sospirò rassegnato. “Cosa hai in mente?” 

Blair, che non vedeva l’ora di rivelare a qualcuno la grande idea che aveva tenuto per sé fino a quel momento, gli passò una cartella piena di appunti.
“Diciamo che voglio fare qualcosa al suo ufficio," disse, trattenendo a mala pena l’eccitazione.  “Non voglio che sia circondato dai ricordi di Bart, voglio che si senta potente e in pieno controllo quando è lì,” proseguì, parlando più con se stessa che con Jack.

Aveva passato l’intera mattinata con i migliori architetti ed arredatori di interni che era riuscita a trovare, cercando di creare l’ambiente perfetto per Chuck. Le avevano promesso che avrebbero potuto terminare il tutto in tre giorni, nonostante ciò avrebbe significato dover continuare a lavorare anche di notte. Non era una cosa comune ma, Blair lo aveva capito, essere una Bass apriva molte più porte. Nessuno aveva il coraggio di dirle di no e lei non poteva fare altro che beneficiare di quel privilegio. 

“Ed io cosa ci guadagno?” chiese Jack.

Blair, che non aspettava altro che quella domanda, ghignò. “Meno spazio, in realtà,” disse, mostrandogli il progetto. Quando lui notò che il suo ufficio era stato rimpicciolito per rendere quello di Chuck più grande le lanciò uno sguardo irritato.

Jack era sul punto di dire qualcosa, ma Blair lo fermò alzando una mano. “Potrei sapere dove Georgina si sta nascondendo," affermò, godendosi ogni secondo dell’espressione attonita di Jack.

Dopo poco lui serrò le labbra in un ghigno infastidito “Sai di…?”

“Di come Georgie sia sparita dopo che avete fatto sesso e che la stai pedinando senza successo da quel momento?” lo anticipò, illuminandosi di divertimento ed autostima. “E, prima che tu me lo chieda, sì, Chuck me l’ha detto. Mi dice tutto,” concluse, provando il familiare piacere che sentiva ogni volta che usciva vittoriosa da un confronto. “Quindi provi qualcosa per la bambola assassina?” lo provocò. “Non riesco a pensare ad una coppia più azzeccata.”

Alla fine del suo discorso Jack grugnì infastidito. “Io non provo nulla," 
rispose orgogliosamente. "Voglio solo entrare nelle sue mutandine un’altra volta.

Blair sorrise, pensando a come quella frase le suonasse conosciuta. “Come dici tu, Jack. Quindi, abbiamo un accordo?” Lo fissò, consapevole di aver vinto. 

Jack annuì. “Vedo che sei ancora una maestra nel manipolare. Posso capire perchè mio nipote è così innamorato di te; voi due vi siete trovati," commentò, alzandosi in piedi per andarsene.


Il giorno dopo Blair finse di non sapere nulla quando Chuck le annunciò che sarebbe dovuto partire per lavoro, facendo del suo meglio per apparire inconsapevole e un po’ delusa all’idea di non vederlo per qualche giorno. Non le piaceva mentirgli, era conscia di quanto valore lui desse alla fiducia e quanto sensibile fosse circa quel punto, ma questa volta ne sarebbe valsa la pena.

Chuck avrebbe amato la sua sorpresa; Blair ne era assolutamente convinta.
 



Scendendo dal jet, tre giorni dopo, Chuck inspirò e sorrise, felice di essere nuovamente a New York..
 
Il viaggio era stato onestamente superfluo. Avevano chiuso l’accordo per l’acquisizione di un nuovo edificio ( Chuck aveva in programma di aprire cinque nuovi luxury hotel in Europa prima della fine dell’anno e Londra era stata la sua prima scelta), qualcosa che Jack avrebbe potuto fare tranquillamente da solo, dal momento che tutti i dettagli erano già stati messi a punto prima che il viaggio venisse organizzato. Per spiegarsi il motivo per cui suo zio avesse richiesto la sua presenza, Chuck era giunto alla conclusione che Jack aveva volute mostrargli concretamente che era degno di fiducia, in uno dei suoi modi sottointesi e poco chiari. Comunque, in fine, anche se avrebbe preferito evitare quei giorni fuori città, Chuck aveva finito per apprezzare quel tempo passato insieme. Avevano parlato di affari e bevuto scotch eccellente; Chuck aveva inoltre trovato incredibilmente divertente sentire Jack lamentarsi di Georgina. Per finire, aveva avuto il tempo per fare shopping di ascot[3] (Jack lo aveva seguito solo per prendersi gioco della sua vanità e della sua “Ossessione per il viola”). Tutti quei preziosi accessori erano stati piegati e sistemati in un’apposita valigia, che in quel momento stava venendo trasportata dagli assistenti di volo fino alla sua limousine, insieme ai suoi altri quatto bagagli.

Chuck attese che Jack scendesse le scale che collegavano l’entrata del jet con l’asfalto e, quando sentì suo zio toccargli una spalla, si girò per salutare. “Ci vediamo domani.”

Jack annuì, stringendogli la mano. “Passa una bella serata, nipote,” gli disse con un ghigno facendogli l’occhiolino, prima di dirigersi verso la sua town-car[4].   

Chuck fece lo stesso, raggiungendo Arthur che lo stava aspettando di fronte alla limousine.

“Buona sera, Mr. Bass," lo ricevette l’autista, togliendosi educatamente il cappello. Aprì la portiera e la mantenne aperta, così che Chuck potesse entrare dentro. 

Il profumo di Blair lo colpì ancor prima che i suoi occhi avessero avuto il tempo di posarsi su di lei. Lo stava aspettando, seduta a gambe incrociate sotto il tessuto del suo vestito da sera viola, con un sorriso largo dipinto sulle labbra.
 
“Bentornato a casa, Chuck,” lo accolse, mentre lui prendeva posto a fianco a lei sui sedili di pelle nera. 

Chuck la osservò con stupore. Non si era spettato di trovarla lì, lei avrebbe dovuto aspettarlo a casa, come avevano programmato quando l’aveva chiamata dall’aereo qualche ora prima.  

“Che piacevole ed inaspettato benvenuto,” Chuck scivolò sul sedile per avvicinarsi abbastanza da poterla baciare. Incontrando le sue labbra e la sua lingua,  realizzò quando gli fosse mancato il corpo di Blair durante quei tre giorni: nonostante avessero parlato al telefono tutte le sere, nulla era paragonabile alla possibilità di toccarla.

Stava cominciando ad insinuare lentamente le mani sotto il suo vestito quando lei lo fermò. 

“Rallenta, Bass,” gli disse, interrompendo il lungo bacio. “Non ti lascerò rovinare la mia sorpresa.”
 
Chuck, confuso, si accigliò, chiedendosi di che cosa lei stesse parlando. Tutto quello che voleva in quel momento era fare l’amore con sua moglie. “Credevo che fosse questa la sorpresa,” rispose, occhieggiando il vestito di Blair. “Sai che non dovresti indossare il viola se vuoi che riesca a tenere le mani a posto.” Poggiò le labbra sul collo di lei, lasciato nudo dalla scollatura, e cominciò a percorrerne la linea con baci fugaci. Quando ebbe raggiunto l’orecchio di Blair sussurrò: “Ti sei vestita per uccidere e mi manchi.”

Blair deglutì con fatica. Anche se sembrava davvero determinata, Chuck ghignò divertito quando la vide tentare di resistere alla tentazione. 
 
“Oh, ucciderti è sicuramente tra i miei piani, ma temo che dovrai aspettare,"  affermò decisa. Raggiunse il farfallino di Chuck con le dita e sciolse il nodo, prima di sfilarglielo. “Il tempo viene per chi sa aspettare, Chuck,” dichiarò Blair. Poi cominciò a far scorrere il tessuto setoso del papillon tra le mani, sorridendo leggermente.

“Che cosa hai in mente, Blair?” le chiese Chuck, curioso. Si sentiva equamente intrigato e frustrato dai modi misteriosi che Blair stava usando.
“Vedrai.”
 
Il sorriso malizioso di Blair fu l’ultima immagine che i suoi occhi furono in grado di catturare, prima che lei gli legasse il farfallino intorno alla testa, costringendolo alla cecità. 

 



Nonostante Chuck fosse sempre stato un sostenitore dei giochi erotici, essere costretto a camminare senza poter vedere dove stava andando non era esattamente il suo ideale di preliminari. Si lamentò, stringendo la mano di Blair più forte che poteva, comunque sicuro che lei non lo avrebbe lasciato cadere. “Dove stiamo andando, Blair?” le chiese per l’ennesima volta.

Avrebbe potuto semplicemente liberarsi della sua benda improvvisata, ma era sicuro che quella momentanea tortura lo avrebbe condotto a qualcosa di incredibilmente piacevole. Chuck pensò per un attimo a quanto sarebbe stato eccitante fare sesso con Blair privato della vista e l’idea lo convinse a muovere qualche altro passo.
 
“Siamo quasi arrivati," lo rassicurò lei, mentre si fermavano. Chuck sentì il suono delle porte di un ascensore che si aprivano e poì la spinta di Blair che lo trascinava dentro. La salita fu moderatamente lunga. Dovevano trovarsi in un edificio molto alto, forse un grattacielo, presunse Chuck. Non era l’Empire, ne era sicuro, ma il posto gli sembrava comunque familiare.

Quando l’ascensore suonò di nuovo e Blair lo guidò fuori dalle porte automatiche, Chuck percepì un odore di vernice fresca raggiungergli le narici.

Stava per alzare la mano libera e finalmente rimuovere il tessuto dagli occhi, ma Blair gli afferrò il polso con forza per fermarlo.

“Solo un secondo, Chuck,” gli promise.

La sentì trafficare con delle chiavi per aprire una porta. Quando la varcarono e si fermarono dopo un paio di passi, Chuck sentì l’odore farsi più robusto. Respirò profondamente, impaziente di sapere che cosa Blair avesse in mente.
 
Poi percepì le mani di lei tremare sul suo viso e seppe che era emozionata. Al pensiero del viso di Blair che si illuminava per la commozione  Chuck non poté fare altro che sorridere, mentre le dita di lei lavoravano per liberarlo dalla benda.

Dopo aver riconquistato la facoltà di vedere, Chuck dovette pensarci un attimo prima di capire dove fosse. Poi, mentre si girava su se stesso, gli occhi corsero tutt’intorno alla stanza e allora capì: era il suo ufficio, solo che non aveva lo stesso aspetto che aveva quando lo aveva lasciato, tre giorni prima.

Prima di tutto era considerevolmente più spazioso. Non era più solo un grande ufficio, ora c’era anche una zona salotto, un tavolo da biliardo e un bar sistemato in uno degli angoli. I pannelli di legno alle pareti erano stati sostituiti con un’elaborata carta da parati in tessuto viola e la stanza appariva ai suoi occhi meno soffocante ed imperiosa. Tutto, dalle poltrone di pelle nera ai tappetti sul parquet scuro, sembrava essere stato scelto da lui.
 
Notò, mentre lo sguardo si focalizzava sui dettagli, che poteva trovare le sue iniziali ovunque: erano sulle palline del biliardo, sui cuscini poggiati sul divano, persino incise sul marmo del camino; tutti i suoi dipinti preferiti erano stati portati lì dall’Empire, insieme ad alcune foto che erano state poggiate su un tavolino basso sistemato di fronte al sofà. C’erano immagini di lui e Blair dal matrimonio e dalla luna di miele, una con Nate in cui sembravano entrambi incredibilmente giovani ed una con Lily.
 
Poi i suoi occhi si posarono sulla scrivania, che era stata posizionata di fronte al muro dalla parte opposta della stanza, nel mezzo, tra le due grandi finestre. Era in legno scuro, ma il piano era di marmo nero. Chuck pensò che fosse il pezzo migliore dell’ambiente, ma dovette cambiare idea quando notò la sedia che vi stava dietro. Era a forma di trono: il legno era stato laccato con lucida vernice nera ed era stato intagliato con tanta precisione e cura che sembrava essere una scultura, mentre la seduta era rivestita di velluto viola [5]. Era magnifica.

Chuck riportò gli occhi su Blair, troppo meravigliato per parlare. Dopo qualche secondo aprì la bocca per dire qualcosa, ma lei lo anticipò. “Ti piace?” gli chiese, con un velo di insicurezza nella voce.

Capendo che era preoccupata che lui non avesse apprezzato la sua sorpresa, Chuck le prese le mani e le baciò. “Stai scherzando? E’ incantevole, Blair,” le rispose, sentendo la gioia e l’emozione inumidirgli gli occhi. “E’ perfetto. E’ grande, è lussuoso, regale; è viola, è…” articolò sconnesso, incapace di contenere l’entusiasmo ad ogni parola.

 “Sei tu,” Blair terminò la frase per lui. “E’ anche un po’ megalomane, non è vero?” aggiunse, ridendo leggermente mentre indicava le iniziali di Chuck sui cuscini.
 
“Come sapevi che ne avevo bisogno?” le domandò Chuck, ancora sbalordito e stordito dalla sorpresa e dalla soddisfazione che sentiva nel petto. “Nemmeno io sapevo quanto ne avessi.”

Blair lo guardò negli occhi e sollevò una mano per accarezzargli la guancia. “Mi hai detto che non sentivi a tuo agio qui e volevo che amassi questo posto. Volevo che potessi sentirti sicuro e forte e sapevo che non sarebbe stato possibile se eri circondato dai ricordi di lui," disse, senza aver bisogno di spiegare a chi si riferiva. “E’ il tuo regno ora.”

Chuck si guardò intorno nuovamente, un mezzo sorriso tra le labbra. “Lo avrebbe odiato, c’è troppo viola," mormorò, ridendo piano.[6]  Per un attimo l’immagine del volto di Bart gli fu davanti agli occhi, freddo e crudele come lo ricordava. Scosse il capo e sospirò. “Ho pensato di trasformare questo posto così tante volte,” aggiunse, abbassando lo sguardo.

“Ma non lo hai fatto.”

 “No, infatti. Avevo paura che avrebbe significato qualcosa se lo avessi fatto, che se dovevo liberarmi di tutto ciò che me lo ricordava, allora avrebbe voluto dire che mi importava ancora.” Chuck ammise finalmente, sia a se stesso che a Blair.
 
Lei gli gettò le braccia al collo e appoggiò la testa sulla spalla di lui, lasciando che lui le cingesse i fianchi con le mani. Lo abbracciò silenziosamente.
 
“Grazie,” sussurrò Chuck dopo un minuto di quella quiete, senza riuscire a trovare parole migliori per esprimere quando si sentisse grato. Anche se non poteva vederla, Chuck seppe che un sorriso era comparso tra le labbra di Blair.

“Dicevo davvero l’altro giorno, Chuck. Mi sento così fiera di te. Vorrei solo che tu potessi sempre sentirti fiero di te stesso.” 

All’improvviso Chuck sentì il bisogno di baciarla. Strinse la presa delle mani sui fianchi di lei e la spinse ancora più vicino. Lei alzò la testa per poterlo guardare nuovamente negli occhi. Le loro labbra si incontrarono per un lungo momento, pieno di passione. Chuck continuò a baciarla finché non furono entrambi senza fiato, con il cuore che batteva veloce per l’emozione ed il desiderio.
 
“Che ne dici di battezzare il tuo nuovo trono?” gli propose Blair, senza più riuscire contenere l’eccitazione.

Chuck, ancora scosso, le riservò uno sguardo adorante. “Ti amo," le sussurrò all’orecchio, prima di sollevarla, prendendola in braccio.

Mentre la teneva tra be braccia, Chuck si sentì potente. Non era solo l’ambiente che lei aveva creato per lui a farlo sentire così, era Blair stessa, con l’amore che provava per lui. Aveva un regno e, ancora meglio, aveva una regina. Non avrebbe potuto chiedere di più. 

 



Note:

[1]
Il titolo è ispirato alla canzone Purple Rain di Prince. La pronuncia in inglese di rain (pioggia) e reign (regno) è simile. 
[2] Ad un certo punto della serie, Chuck ha smesso di avere un maggiordomo. O almeno hanno smesso di mostrarlo. Sicccome trovo che sia inaccettabile, nella mia mente ne ha ancora uno. 
[3] L'ascot è un tipo di cravatta, di origine inglese. Chuck la indossa spesso. Ecco un esempio
[4]
La town-car è una vettura di lusso, una versione "corta" della limousine. 
[5] L'ispirazione per la sediatrono di Chuck viene da qui.
[6]
Bart odiava il viola. Nell'episodio 2X15 Chuck, parlando di cosa avrebbe detto di lui il padre "morto": "You're a disappointment of a son. I'd die of embarrassment if I wasn't already. Why do you wear so much purple?". Ancora, nell'episodio 3X15, parlando con Elizabeth di Bart: "I only wear purple because my father
loathed  it." ("Sei una delusione come figlio. Morirei di vergogna se non fossi già morto. Perchè ti vesti sempre di viola?" e "Indosso il viola solo perchè mio padre non lo sopportava.")
[7] La one-shot è stata scritta prima in inglese (da me). Questa è solo una traduzione. Mi scuso se l'italiano può risultare un pò macchinoso. Qui la versione originale. 

Ritorna all'indice


Capitolo 2
*** Entirely ***


Autore: CryWilliams
Titolo: Entirely
Rating: Giallo
Timing: FutureFic
Personaggi: Chuck Bass, Blair Waldorf
Nominati o minori: Henry Bass
Paring: ChuckBlair
Introduzione: Trattenne il fiato, ripensando al quando aveva visto quell’oggetto per la prima volta ed aveva riscoperto Blair nel suo fascino unico, in tutte le sue sfumature scure.
Prompt: “You can see right through me; can’t you, Chuck? Into my core.”

 

Entirely: 

 

Quando Blair varcò la porta d’ingresso, lasciandoi l’aria ghiacciata di una serata di inizio Dicembre alle spalle, la casa era insolitamente silenziosa. Il repentino cambio di temperatura la fece tremare; Blair spazzò via i fiocchi di neve che erano caduti sul suo cappotto, prima di sistemarlì sull’appendiabiti ed attraversare l’ingresso. Si concesse dunque un sospiro frustrato.  Non c’era nessuno. 

Chuck era a Vienna da una settimana, a supervisionare gli ultimi lavori in corso nel suo nuovo hotel, e non sarebbe tornato prima dell’indomani. Nonostante fossero entrambi abituati a non vedersi per dei giorni a causa dei loro impegni lavorativi, a Blair non piaceva non averlo a casa. Henry diventava irritabile e lei non poteva fare a meno di sentirsi malinconica; sentire la sua mancanza la rendeva più stizzosa di quanto non fosse generalmente.

Normalmente Chuck avrebbe incaricato qualcuno che si occupasse di controllare che tutto procedesse correttamente, ma si era dedicato a questo progetto con più riguardo e più entusiasmo del solito. Durante gli ultimi cinque anni aveva lavorato per espandere le sue proprietà all’estero, aprendo una catena di hotel di lusso in Europa ed in Asia, ed il Palast Henrys era stato ideato per essere il “capolavoro” finale.  

 "Significa Il Palazzo Di Henry in Tedesco,” le aveva detto Chuck mostrandole il piano dei lavori, mesi prima, radioso di gioia e passione. “Sarà maestoso. Un giorno Henry saprà che tutto questo e stato fatto per lui,” aveva aggiunto e Blair si era sentita così interamente fiera e fortunata che aveva dovuto azzittirlo con un bacio, prima che lui fosse riuscito a commuoverla.

L’inaugurazione era prevista per la settimana di Natale e loro avrebbero passato le vacanze invernali lì. A Chuck ci era voluto un po’ per convincerla ad infrangere la sua tradizione di passare il Natale a New York (adorava organizzare la cena della Vigilia quasi quanto amava farlo per il Ringraziamento) ma, alla fine, Blair aveva ceduto, quando lui le aveva assicurato che avrebbe invitato tutta la famiglia - "Nostro figlio non si accontenterebbe mai di passare il Natale solo con noi due. Gli piacciono le tradizioni, proprio come sua madre,” aveva scherzato Chuck.

Sia Henry che il cane, dall’altro canto, erano da Nate per un pigiama party. Era una sorta di abitudine che Henry aveva preso durante gli ultimi mesi, una volta che aveva compiuto tre anni e si era finalmente liberato della paura di dormire lontano da casa (ma solo se Monkey era con lui perché, fin da quando Henry era nato, Monkey aveva dormito prima nella nursery e poi direttamente sul letto del bambino). Nate era entusiasta di passare del tempo con suo nipote ed Henry lo adorava, quindi Blair aveva accettato allegramente, fingendo di non sapere che Nate avrebbe lasciato che il bambino stesse sveglio fino a tardi a giocare con i videogiochi e che mangiasse gelato per cena (“Non posso dirti cosa abbiamo fatto, mamma. Zio Nate ha detto che è il nostro segreto.” Henry aveva riposto così alle sue domande,  dopo la prima volta che aveva passato la notte a casa di suo zio, costringendo Blair a roteare gli occhi e scuotere la testa).

Quindi, sapendo che sarebbe stata sola, Blair aveva invitato Serena per una serata tra donne. Era riuscita a non cedere all’isteria durante quell’estenuante giornata di lavoro all’atelier solo al pensiero che avrebbe avuto un po’ di tempo da passare con la sua migliore amica, mangiando macaroons e bevendo vino rosso tra un gossip e l’altro; ma Serena le aveva dato buca un’ora prima, blaterando su come Humphrey stesse attraversando qualche sorta di blocco dello scrittore e su come lei non potesse lasciarlo solo (“Sarà mio marito tra qualche mese, B! Devo esserci per lui”).

Blair le aveva attaccato il telefono in faccia, senza dare a Serena il tempo per scusarsi. Aveva dunque mandato un messaggio a Dorota, chiedendole di assicurarsi che la cena fosse stata pronta per quando lei sarebbe tornata, di congedare il resto dei domestici e di andare a casa a sua volta da Vanya ed i bambini. Era così piccata che sentiva il bisogno di passare del tempo completamente da sola

Blair lasciò cadere nervosamente le chiavi sul tavolino ad centro della stanza e controllò le lettere che Dorota aveva lasciato lì per lei. Erano tutti inviti a feste a cui lei e Chuck avrebbero dovuto partecipare durante quel mese. Un sorriso soddisfatto le increspò le labbra, quando il pensiero di dover fare una selezione le venne in mente, facendole temporaneamente dimenticare di quanto fosse arrabbiata con Serena.

Da quando si erano sposati, lei e Chuck calibravano le loro apparizioni pubbliche con estrema cura. Infatti, sebbene entrambi amassero avere una vita sociale ricca ed animata, si consideravano allo stesso tempo degli ospiti molto esclusivi; non tutti erano abbastanza meritevoli della presenza di Chuck e Blair Bass ai loro eventi.

Sentendosi più calma, Blair sospirò nuovamente e si fece strada verso le scale. Una volta raggiunto il primo piano notò immediatamente una luce bassa che illuminava sala da pranzo, le cui porte erano state lasciate aperte. Aggrottò le sopracciglia confusa, attraversando il salotto e fermandosi sulla soglia dell’altra stanza, dalla quale poteva vedere che quattro candelabri erano stati sistemati sul mobile di fianco all’entrata. Erano l’unica fonte di illuminazione nell’ambiente.

Blair entrò lentamente. Aveva appena cominciato a guardarsi intorno quando percepì la presa di due mani stringerle i fianchi. Trattenne il fiato, la gola chiusa per l’improvviso spavento, prima di riconoscere quel tocco deciso e familiare. Sorrise quando sentì il viso di lui affondare tra i suoi capelli e le labbra posarsi sull’incavo tra la sua spalla ed il collo.

“Mi hai quasi fatto venire un infarto, Chuck," sussurrò con il cuore che batteva ancora forte per lo stupore. “Saresti dovuto tornare domani.”

“Il diavolo mente, Blair,” le soffiò lui nell’orecchio, lasciando scivolare le mani fino alla vita.

Rapido, la fecee girare per poterla vedere in faccia. Una volta che gli occhi si posarono su Chuck, Blair sorrise nuovamente. Si prese un momento per studiarlo, soffermandosi sul ghigno soddisfatto che gli tagliava il viso e sugli occhi scuri, obliqui, che la fissavano con quella malcelata punta di lussuria e con il loro fascino. La prima volta che lo rivedeva dopo essere stata costretta a rinunciare alla sua presenza per dei giorni era sempre un’esperienza eccitante: lui non mancava mai di sembrarle più attraente del solito, come se la separazione avesse assottigliato la sua capacità di resistergli.  

“Dove eri nascosto?” gli chiese Blair, accarezzando il velluto rosso della giacca di Chuck. “Non ti ho visto quando sono entrata.”

“Nell’angolo,” rispose lui, indicando la sua sinistra con la testa. “Essendo mia moglie credevo che fossi una maestra a notare le cose nell’ombra," scherzò, stringendola di più per eliminare ogni distanza tra i loro corpi.

Solitamente Blair avrebbe trovato almeno dieci risposte appropriate a quell’affermazione – che era incredibilmente vera e profonda anche nella sua ironia, perchè Chuck era sempre una persona incredibilmente acuta – ma tutto quello che riusciva a fare in quell momento era fissare la forma delle sue labbra, la loro curva elegante ed altezzosa. Baciò suo marito di puro impeto, afferrandogli i capelli con una mano. Nel momento in cui le loro lingue si incontrarono lei fu scossa da un brivido; tutta la frustrazione che aveva accumulato durante la giornata sparì all’assaggio della sua bocca.

“Vedo che ti sono mancato,” le disse Chuck, quando lei si separò dalle sue labbra per riprendere fiato.

Blair piegò la testa di lato e raggiunse il collo di lui, sorridendo di piacere quando percepì Chuck strizzarle la vita con più forza, tutti i muscoli improvvisamente tesi. “Lascia che ti mostri quanto,” mormorò, seguendo la linea del suo collo con una serie di baci rapidi.

Se solo avesse potuto vederlo, si sarebbe resa conto che lui stava facendo di tutto per non cedere. Ma, dal momento che aveva gli occhi chiusi, Blair si sorprese quando Chuck mollò la presa attorno al suo corpo e fece un passo indietro, allontanandosi. Inizialmente lo guardò confusa; poi, notando che lui aveva cominciato a ghignare maliziosamente di fronte alla sua espressione delusa, gli lanciò uno sguardo offeso.

“Mi stai per caso respingendo, Bass?” gli chiese, la voce immediatamente più acuta. Osservandolo ridacchiare con soddisfazione di fronte a lei, Blair percepì la rabbia montarle nel petto. Come si permetteva? Era stato via per una settimana ed ora si stava divertendo a torturarla. Incrociò le braccia, increspando le sopracciglia con evidente fastidio.

“Non potrei mai,” le rispose lui, con il suo tono drammatico. Si avvicinò di nuovo, prendendole la mano e portandola fino alla bocca per baciarla.

Blair deglutì con fatica, sentendo che la rabbia si era sciolta rapidamente ed aveva lasciato il posto ad un’insostenibile voglia di averlo. Era un gioco, realizzò, quando lui le lasciò andare la mano e fece qualche passo verso il tavolo al centro della stanza; ed ora sapeva che non sarebbe stata capace di non arrendersi al modo in cui lui a stava facendo attendere, perché c’era sempre qualcosa di affasciante nei molti modi in cui era ancora capace di sorprenderla.

“Resisterti è sempre un’agonia e non mi sognerei mai di riuscirci dopo aver passato giorni senza averti," aggiunse Chuck.

Blair non riusciva più a distinguere il suo viso, perché la luce delle candele non era abbastanza forte da illuminarlo a sufficienza ora che lui si era
allontanato, ma poteva ancora sentire la sua voce bassa e calda. Tremò, trattenendo il respiro.  

“Ma c’è qualcosa che voglio che tu abbia prima,” disse infine lui, ritornando nel suo campo visivo. Aveva in mano una scatola di pelle nera ed un luccichio indefinibile negli occhi.

Chuck la prese per mano e la condusse vicino alle candele, dove la luce era più viva.

Blair rimase in piedi di fronte a lui, in attesa. “Spero che lì dentro ci sia qualcosa che giustifichi la tortura a cui mi stai condannando, Chuck,” si lamentò, ma lui non mancò di notare come la curiosità le avesse fatto vibrare la voce con esaltazione.   

Chuck fissò Blair, concentrandosi intensamente sui suoi occhi. Brillavano di così tante sfumature; non c’era solo il desiderio nel modo in cui le iridi color cioccolato restavano puntate su di lui; c’era anche un glorioso mescolarsi di vitalità, energia ed amore. Anche se era immobile, nulla in lei lo faceva pensare alla passività, non il modo in cui si mordeva il labbro e respirava pesantemente, le spalle che tremavano ogni volta che il petto le si alzava ed abbassava. Era una figura magnifica, piena di un mistero che lui sapeva di non avere ancora compreso fino infondo, qualcosa che aveva a che fare con il potere che lei aveva di farlo sentire contraddittoriamente debole e pieno di forza solo stando in piedi di fronte a lui.

Questa immagine di Blair, la sua complessità seduttiva, il modo in cui sembrava sempre risplendere di una sensualità ombrosa, era stata una delle molte cose che gli erano passate per la testa quando aveva visto il pezzo di gioielleria che teneva ancora nascosto nella scatola. Nonostante farle dei regali quando era in viaggio fosse un’abitudine di cui non riusciva – e non voleva – liberarsi (scegliere dei doni per Blair non era solo un modo per dimostrarle la sua devozione, ma anche una maniera per sentirsi come se lei fosse sempre con cui e per rendersi conto ogni volta di quanto profondamente la conoscesse), questa volta era stato diverso. Ricordandola, Chuck aveva sentito l’irrefrenabile desiderio di possederlo.

“Posso assicurarti che varrà ogni minuto di questa dolorosa attesa,” le promise.

Aprì il contenitore così che lei potesse finalmente vedere cosa c’era dentro.

 Appena lo sguardo di Blair cadde su gioiello, il respiro le si fermò in gola. La collana adagiata sulla seta borgogna che rivestiva l’interno della scatola era una delle cose più incredibili che avesse mai visto. Nonostante la catena fosse composta da una fila di brillanti lucenti, il pendente era un diamante nero di forma ovale, che sembrava brillare di una luce propria, più scura. 

Chuck sorrise quando la vide fissare la collana, consapevole di come gli occhi di sua moglie fossero stati immediatamente catturati da quella bellezza.

Ora il diamante nero rifletteva sia lei iridi di Blair che le fiamme fioche delle candele; un’unione di ombre e luci che lo stordì. Trattenne il fiato, ripensando al quando aveva visto quell’oggetto per la prima volta ed aveva riscoperto Blair nel suo fascino unico, in tutte le sue sfumature scure. Gliel’aveva ricordata in un modo così violento e vivido che tutto ciò a cui era riuscito a pensare da quel momento era stato poterlo vedere indossato da lei. 

“E’ bellissima," disse Blair in un sussurro, senza smettere di studiare la pietra. Poi, dopo qualche secondo di silenzio, riportò lo sguardo su di lui.

Incontrando nuovamente i suoi occhi, Chuck le accarezzò delicatamente un fianco con la mano che non stava reggendo la scatola e lei si girò di spalle, obbedendo al suo tocco, così che lui potesse prendere la collana e sistemarla intorno alla gola, allacciandola. Nell’attimo in cui percepì il diamante toccarle la pelle, adagiato con grazia sul suo petto, Blair sentì un brivido arrampicarsi sulla schiena. Lo raggiunse con le dita, sfiorandolo delicatamente.  
Come aveva fatto prima quando l’aveva sorpresa afferrandole i fianchi da dietro, Chuck premette il corpo contro la schiena di Blair, un braccio a cingerle la vita possessivamente e la mano libera che copriva quella di lei, proprio sopra alla pietra nera. Le accarezzò il dorso della mano con un dito, prima di farla voltare, così da poterla finalmente vedere con la collana indosso.

Quando ci fu riuscito, Chuck si sentì senza respiro. Il diamante, a contrasto con la pelle diafana che la scollatura del vestito che indossava lasciava visibile, donava a Blair l’esatta lucentezza che lui si era aspettato, qualcosa che gli ricordava della prima volta che l’aveva vista davvero, la notte in cui lei gli era esplosa tra le braccia, passionale e libera come lui non si era mai aspettato che potesse essere. Conservava ancora nella mente ogni ricordo del modo in cui lei gli si era donata per la prima volta, sapendo che non gli aveva affidato soltanto il suo corpo, ma che gli aveva mostrato soprattutto quella parte di se che aveva lottato per cancellare, per far finta che non esistesse. Blair lo aveva eletto come la persona dalla quale non si sarebbe nascosta, come l’unico che poteva vedere e capire ogni sfumatura della sua anima. Lo aveva scelto. Nessuno lo aveva mai fatto prima di lei.

“Appena l’ho vista ho capito che ti apparteneva,” le spiegò Chuck, cercando di tradurre in parole i suoi sentimenti. “Ed anche a me, perché tutto quello che sei è qualcosa a cui appartengo.”

“Perché un diamante nero, Chuck?” gli chiese Blair immediatamente, la voce un po’ spezzata dal trasporto emozionato che lui le leggeva negli occhi.

Chuck sorrise. “Perchè hai lasciao che io ti vedessi. Sono stato l’uomo a cui hai scelto di mostrarti nella tua interezza," le confessò, toccandole il mento ed intrappolandolo tra le dita. Lo alzò, così che i loro nasi potevano quasi sfiorarsi e le bocche restavano separate da meno di un centimetro. “Mi hai dato tutto di te, anche quell’oscurità di cui pensavi di doverti vergognare. Voglio che tu non la nasconda mai, Blair, perché ti rende unica. Ti rende mia.”

Una lacrima commossa rot
olò giù sulla guancia di Blair, mentre un sorriso felice le squarciava il viso. Chuck asciugò quella goccia con il pollice.

“Interamente tua," disse lei.

Chuck sentì la schiena di Blair curvarsi sotto il suo braccio e le gambe piegarsi sotto il suo peso quando si spinse in avanti per baciarla.  

Quella notte la possedette sul tavolo da pranzo, perché non riuscirono ad arrivare fino in camera da letto. Si liberarono dei vestiti in una questione di secondi, prima di cedere alla passione e godere del piacere a cui avevano dovuto rinunciare tutta la settimana. 

La collana rimase intorno al collo di Blair per tutto il tempo, solo per ricordargli in quanti modi lei gli appartenesse.  Era l’unico a poter vedere tutte le sfaccettature del diamante nero che Blair era: raro, prezioso e complicato. Chuck si sentiva ancora orgoglioso, sorpreso e grato per quel privilegio come la prima volta che l’aveva avuta.

 



La sala da ballo del Palast Henrys era gremita di persone. L’inaugurazione qualche giorno prima era stata un successo ed ora l’hotel ospitava un party per la Vigilia di Natale. Blair, insieme a Serena, che aveva finalmente accettato di lavorare come PR per la sua catena di alberghi (a Chuck c’erano voluti mesi per convincerla, perché a sua sorella non era mai piaciuto che qualcuno la aiutasse a capire cosa volesse fare della sua vita), aveva organizzato l’evento e fatto in modo che fosse assolutamente indimenticabile. Anche se non era a New York, circondato dalla sola compagnia della famiglia in casa sua, Chuck non avrebbe potuto essere più contento.Tutti i suoi cari erano lì. Dal punto in cui si trovava ora, in un angolo della stanza, poteva vederli tutti.

Jack stava ballando con Georgina al centro della sala, una mano pacificamente poggiata sul sedere di lei, anche se la musica era un walzer e quella mossa non era affatto appropriata. Lei ne sembrava particolarmente contenta, notò Chuck con un ghigno divertito. Nate stava parlando con Serena, la quale stava chiaramente solo facendo finta di ascoltare (continuava a controllare il telefono, probabilmente aspettando che Humphrey la chiamasse – e la facesse sentire in colpa per non essere a New York con lui, nonostante anche lui avesse ricevuto un invito e scelto di sua volontà di non venire, pensò Chuck con amarezza). Lily stava facendo girare Henry al  ritmo sostenuto della melodia. Suo figlio sembrava così gioioso nel completo che aveva fatto appositamente cucire per lui dal suo sarto (una copia esatta di quello che indossava Chuck, perchè Henry amava “assomigliare a papa”). C’era un albero di Natale ad aspettarlo nella loro suite al piano di sopra, circondato da così tanti regali che aveva perso il conto di quanti fossero stati comprati da lui e Blair e quanti fossero stati fatti recapitare dagli altri; e Chuck non vedeva l’ora di godersi l’espressione di Henry la mattina dopo, quando avrebbe visto tutti quei pacchetti colorati.

Sentì un calore nel petto quando infine i suoi occhi trovarono Blair. Lei stava ridendo a qualcosa che suo padre le aveva detto nell’orecchio. Anche se la stanza era piena di gente che parlava e la musica era sufficientemente alta, Chuck pensò di poter sentire il suono della sua risata, argentino e brillante. Aveva un vestito color oro e la collana con il diamante nero le cadeva perfettamente sulla scollatura.
 
Chuck sorrise ed abbassò lo sguardo. Fece scorrere la mano fino alla tasca interna della sua giacca viola scuro, fino a raggiungere la lettera che ci aveva messo dentro. Blair gliel’aveva data quella mattina insieme al suo regalo di Natale; un paio di gemelli di platino con due diamanti neri incastonati.

Ti do il regalo ora solo perché voglio che indossi qualsiasi cosa ci sia qui entro sta sera, Bass," gli aveva detto Blair, passandogli una scatola tutta ricoperta di carta da pacchi viola. “E voglio anche che tu legga questa, ma solta nto quando sarai da solo ed io non potrò vederti,” aveva aggiunto, mostrandogli la lettera.


Era il momento perfetto, pensò Chuck, riportando gli occhi su Blair che era stata avvicinata da Eleanor ed ora era impegnata in una conversazione con lei.Aprì la busta ed estrasse il foglio, prima di iniziare a leggere.

Caro Chuck,

Sto scrivendo questa lettera mentre voliamo verso Vienna. So che sei segretamente preoccupato per questa apertura e di passare il Natale lontani da casa, ma andrà tutto bene. Non ti ho mai visto fallire nel tuo lavoro ed il Natale sarà perfetto in ogni caso; come mi hai detto, finché siamo insieme e la nostra famiglia è con noi, non importa davvero dove siamo.

Non puoi vedermi scrivere perché stai cercando di fare addormentare Henry. Non sentirti un fallimento se non ci riesci, non è colpa tua; tu stai facendo del tuo meglio, ma sfortunatamente non sei Monkey e sai che non riesce a dormire senza il suo cane. Sei un bravo padre, Chuck. Per quanto semplice possa suonare – e probabilmente, Chuck, è giusto che sia semplice – , la cosa migliore che fai per lui è fare in modo che sappia sempre quanto lo ami. E’ ancora troppo piccolo per capire che grande uomo sei, ma un giorno ci riuscirà; conserverà tutti i ricordi che stai costruendo insieme a lui e saprà che tutto quello che fai è in funzione della sua felicità.


Sono andata a comprare il tuo regalo di Natale questa mattina, mentre pensavi che fossi occupata ad ordinare a Dorota cosa mettere in valigia (non ne ho bisogno, lo sa già). Non ci è voluto molto. Nel momento in cui l’ho visto, ho capito che era il dono perfetto per te. E Comprandolo, ho compreso fino in fondo cosa intendevi quando mi hai dato quella collana un paio di settimane fa (di nuovo, grazie, se potessi la indosserei ogni giorno).  

Sono una persona così fortunata, Chuck, e non solo perché tu hai amato tutto ciò che avevo da offrire, anche quello che pensavo fosse impossibile da amare, ma perché hai accettato quello che non riuscivo ad accettare di me stessa ed hai lottato duramente per fare in modo che finalmente lo facessi anche io. Adesso so, e lo so ormai da tanto tempo, che non mi avresti mai permesso di nascondere la mia parte di oscurità, perché mi ami come un intero.


Lo so, perché nemmeno io te lo lascerei fare. Ti amo troppo per non volere tutto di te, Chuck. Appartengo ad ogni parte di te in un modo così profondo ed incondizionato che avevo paura della forza del mio sentimento. Ora non mi spaventa più. So chi sono e so chi sei tu.

Tu, esattamente come ho fatto io con te, mi hai concesso di vederti. Anche se ne eri terrorizzato, hai trovato il coraggio di mostrarmi la parte più luminosa di te and io ho trovato la forza di accettare e di volere quella più buia. Le ho amate e le amo ancora entrambe. Le amo allo stesso modo. Non potrei mai rinunciare ad una per avere l’altra e non vorrei mai che tu lo facessi. Non te lo permetterei, perchè perdere una parte di te sarebbe come perdere una parte di quello che sono.

La nostra oscurità è un pezzo di quello che siamo stati, che siamo e che saremo. Ed è soprattuto una parte del nostro amore. E’ come un diamante nero; potrà anche brillare di una luce più scura, più profonda, ma brilla. E continuerà a farlo.


Buon Natale, Chuck. Ti amo. Amo ogni parte di te.

Interamente tua,
tua moglie


Blair.”

Una volta che ebbe finito Chuck alzò lo sguardo e realizzò che Blair era in piedi difronte a lui. Non sapeva da quanto tempo lo stesse guardando, perché aveva impiegato diversi minuti per leggere, dal momento in cui aveva dovuto fermarsi un paio di volte per asciugarsi gli occhi. Lei aveva sempre avuto il potere di farlo piangere – di gioia o di dolore.

“Sono riuscita a far comparire delle lacrime negli occhi del grande Chuck Bass?” Blair lo prese in giro, mettendogli le mani sulle spalle per fargli capire che voleva ballare.

Chuck ripiegò la lettera e la rimise nella tasca interna, dove sarebbe stata al sicuro. Nonostante avesse ancora gli occhi umidi, ghignò furbesco, cingendole la vita con un braccio. “Sta zitta e balla con me, Mrs. Bass," le disse, senza rispondere alla sua domanda.

Blair scosse la testa, ma lasciò che lui la guidasse al centro della stanza, dove la fece girare velocemente finchè lei non dovette aggrapparsi alla sua giacca per evitare di cadere, la testa che vorticava. Chuck sorrise, prima di baciarla.

Blair era sua. Interamente.

 

"Io sono una selva e una notte di alberi scuri, ma chi non ha paura delle mie tenebre troverà anche pendii di rose sotto i miei cipressi."
Friedrich Wilhelm Nietzsche, Così parlò Zarathustra

 


Note:

[1] La fanfiction è un contributo alla celebrazione del Limoversary.
[2] I diamanti neri sono rarissimi ed estremamente preziosi. Nella realtà Chuck probablimente non troverebbe un diamante di quelle proporzioni. Ma suvvia, chissenefrega.
[3] La fanfiction è stata scritta prima in inglese (da me). Questa è una traduzione. Qui l'originale. 

Ritorna all'indice


Capitolo 3
*** Safety ***


“E’ incredibile che tu sia nascosto lì dentro già da dieci minuti, Chuck.” Blair alzò gli occhi al cielo e proseguì ad applicare il rossetto color rubino sulle labbra, fissando il suo riflesso nello specchio della toletta.

Chuck non rispose; Blair sentì, per la terza volta da quando era entrato nella sua cabina armadio, il rumore di un cassetto che veniva chiuso, un altro aperto ed, infine, suo marito sospirare pesantemente – quel verso insoddisfatto che faceva ogni volta che era impaziente ed, in questo caso, il segno che la ricerca della “cravatta giusta per questo completo” non stava procedendo bene.

Si lasciò sfuggire una risatina, figurandosi l’espressione certamente infastidita che Chuck doveva aver assunto. “Ci stai mettendo una vita, Bass,” disse in un tono sarcastico, alzando la voce per essere sicura che lui riuscisse a sentirla chiaramente. “Impieghi meno tempo a chiudere un affare che a scegliere una cravatta.”

L’unica risposta che ottenne fu un altro sospiro, questa volta più lungo, immediatamente seguito da un borbottio indistinto. Sapendo che Chuck si stava probabilmente lamentando del fatto che lei gli stesse mettendo fretta (la sollecitazione a sbrigarsi nel prepararsi era certamente irritante per qualcuno così vanitoso), Blair scosse la testa rassegnata e lanciò un ultimo sguardo critico al suo riflesso, facendo schioccare le labbra prima di posare il rossetto e riporlo insieme agli altri.

Si voltò ed un sorriso le illuminò il viso, mentre faceva correre gli occhi tutt’intorno alla stanza. La camera da letto patronale era decisamente il punto della casa che preferiva. Era meravigliosa; nonostante fosse elegantemente arredata e regale nel suo stile, le donava comunque un piacevole senso di calore. Era esattamente quella la sensazione che voleva che Chuck sperimentasse, era arrivata a capire durante il tempo passato a cercare il posto ideale dove vivere e cominciare a costruire il loro futuro, quella sicurezza data dalla consapevolezza che c’era finalmente un luogo che potesse davvero chiamare casa.

Avevano trovato e comprato la townhouse dopo sei mesi di accurata ricerca e Chuck, consapevole di quanto lei fosse entusiasta all’idea di creare l’ambiente perfetto per loro, le aveva dato carta bianca sui lavori di ristrutturazione, affermando di essere più che felice di lasciare che lei lo sorprendesse.

E Blair ci era riuscita. Aveva impiegato così tanta energia e dedizione nel rendere ogni angolo della residenza accogliente ed intimo - qualcosa di molto diverso dalle suite d’albergo dove lui aveva sempre vissuto - , ed il sorriso largo, genuino, apparso sul volto di Chuck quando infine aveva visto la casa ultimata  per la prima volta, tre settimane prima, le aveva dato la conferma che tutti i suoi sforzi erano stati ripagati: era lei la sua casa. Avrebbe conservato per sempre il ricordo della pura felicità che gli aveva letto negli occhi, comprendendone la rarità e sapendo di esserne l’origine.

Il sorriso di Blair si fece più ampio quando vide Chuck uscire dalla sua cabina armadio portando con sé due cravatte, una per mano. Lo guardò fermarsi al centro della stanza, di fronte al letto, con un’espressione indecisa, intensamente concentrato nel considerare entrambe le opzioni. Dopo un po’ gli angoli delle labbra di Chuck si curvarono in un sorrisetto autocompiaciuto, rivelando che i suoi dubbi erano scomparsi per lasciare posto ad una scelta definitiva. Posò delicatamente la cravatta più scura sul piumino, attento a non spiegazzare il tessuto, e poi lasciò l’altra sulla panchina ai piedi del letto, dove sapeva che Ivan l’avrebbe trovata e rimessa al suo posto.   

“Ed eccolo, in fine,  il Grande Chuck Bass che prende questa decisione incredibilmente difficile,” Blair lo prese in giro, prima di volarsi di nuovo verso lo specchio per indossare gli orecchini.

Dal riflesso lo vide puntare lo sguardo su di lei e arcuare le sopracciglia in una posa lievemente offesa, cosa che la fece sogghignare, non sorpresa ma comunque divertita dall’innegabile suscettibilità di suo marito.

“La perfezione richiede tempo e cura,” dichiarò lui in modo drammatico mentre le si avvicinava lentamente, appuntando sui polsini della camicia color crema i gemelli che aveva selezionato. “Non sapevo che ti infastidisse avere un marito che si presenta così bene.”  

Quando la raggiunse Chuck si abbassò per darle un bacio sul fianco del collo, appena sotto l’orecchio. Blair chiuse gli occhi; obbedendo al suo movimento, piegò la testa dall’altro lato, percependo le labbra di lui premute contro la sua pelle inarcarsi in un ghigno soddisfatto.  Il modo in cui lui inalò un respiro lungo e profondo, sicuramente felice di bearsi dell’aroma del suo profumo, la fece ridere leggermente.

“Certamente non mi da fastidio,” disse Blair dopo qualche secondo, interrompendo con riluttanza quel contatto per spingere indietro la sedia ed alzarsi.

Chuck si spostò per la lasciarla passare. Il suo sguardo silenzioso restò fisso su Blair mentre lei gli veniva incontro, in attesa – chiaramente si aspettava un complimento a quel punto. Quando lei gli fu abbastanza vicino, colse l’occasione per farle passare un braccio intorno alla vita, mentre gli occhi risalivano attenti lungo la sua figura.

“Sono molto felice di avere un marito tanto vanitoso quanto affascinante,” lo lusingò Blair.

In un ovvio segno di soddisfazione, il ghigno sul volto di Chuck si fece più tagliente ed obliquo e lei non poté fare a meno di sorridere delle luce compiaciuta apparsa immediatamente nel suo sguardo.

Blair cominciò a far scorrere lentamente le mani sul petto di lui. “Quello che mi infastidisce è arrivare tardi al nostro brunch con Lily,” gli disse, allacciando con cura i primi bottoni della sua camicia, che lui aveva lasciato aperti in attesa di indossare la cravatta. “E’ maleducazione.”

Mentre le dita si spostavano verso il colletto ed iniziavano a lisciarne il tessuto, Blair alzò lo sguardo su di lui e gli lanciò un’occhiata risoluta, alla quale Chuck rispose alzando gli occhi al cielo e sbuffando, la stessa cosa che aveva 
ripetutamente fatto  durante le ultime due ore, da quando lo aveva svegliato – e non senza difficoltà.

Era Domenica e Blair sapeva che per Chuck la Domenica mattina ideale era da passare a letto, possibilmente con lei, a fare assolutamente nulla se non concedersi alla pigrizia (e spesso al sesso, ovviamente) ed era esattamente così che avevano trascorso quasi ogni Domenica mattina degli otto mesi passati dal loro matrimonio. Occasionalmente, però, Chuck si lasciava convincere da Lily ad accettare l’invito ad un brunch. Dal momento che sarebbe partita per una vacanza con William due giorni dopo, la donna aveva insistito perché partecipassero, il che spiegava perché fossero già in piedi e vestiti alle dieci del mattino – e la sfacciata lentezza di Chuck era una prova lampante di quanto quella circostanza non lo entusiasmasse.

Chuck sciolse la presa intorno alla vita di Blair; la lasciò andare e, nolente, si fece strada verso il letto king size.

“A Lily non importerà di un po’ di ritardo,” asserì con tono indolente, abbassandosi per prendere la cravatta che aveva adagiato sul materasso. Si avvicinò allo specchio a figura intera dall’altro lato della stanza e vi si sistemò davanti. “Devo parlare di qualcosa che la renderà sicuramente abbastanza felice da farle dimenticare qualsiasi presunto atto di scortesia.”

Quell’affermazione fece aggrottare le sopracciglia di Blair con interrogativo interesse. “Qualcosa che riguarda la Bass Industries?” gli chiese e la curiosità conferì alle sue parole un suono lievemente acuto. Di qualunque cosa si trattasse, pensò, doveva avere a che fare con gli affari, perché non aveva idea di cosa lui stesse parlando – il che era quantomeno strano. Non riusciva a farsi venire in mente altro di cui Chuck avrebbe potuto discutere con la sua matrigna prima che con lei.

“Non esattamente,” disse lui, con la voce che si abbassava mentre si concentrava sul suo riflesso, facendo scorrere la cravatta slacciata sotto il colletto della camicia finché entrambi i capi del tessuto non ebbero raggiunto precisamente l’altezza che desiderava. “Ho semplicemente preso una decisione con cui so che concorderà.”

Sedendosi sul letto, Blair si accigliò. “Una decisione?” 

“Sì,” replicò lui distrattamente, assorbito dalla sua figura nello specchio mentre le dita esperte si muovevano agili sulla seta. Completamente inconsapevole delle tracce di impazienza improvvisamente apparse sul viso di sua moglie, Chuck proseguì ad allacciare un perfetto nodo Windsor, prendendosi tutto il tempo necessario per farlo con estrema cura e non affrettandosi a darle una risposta meno vaga.

Si girò a guardarla solo quando la sentì schiarirsi la gola in modo alquanto infastidito.

“E da quando prendi delle decisioni senza coinvolgermi?”

La nota irritata nella voce di Blair gli suggerì che sarebbe stato saggio non cedere all’impulso di ridere di fronte alla sua espressione innegabilmente piccata ed a quel suo incontenibile bisogno di sapere sempre tutto. Finì di sistemarsi la cravatta, stringendola con un ultimo rapido movimento, e poi si diresse di nuovo verso il letto.

“Volevo essere sicuro di non avere più dubbi prima di parlartene,” le disse, sedendosi affianco a lei. Blair gli riservò uno sguardo diffidente quando lui le poggiò una mano sul ginocchio e, con l'indice, cominciò a seguire una linea immaginaria lungo la coscia . “Ed ora che lo so, stavo semplicemente aspettando il momento giusto per dirtelo,” le baciò la spalla, che era coperta solo parzialmente dal vestito senza maniche che indossava. “Avevo pensato di farlo sta sera, a cena,” alzò lo sguardo, incontrando i suoi occhi ancora pieni di sospetto. Con un sorriso le sistemò un boccolo ribelle dietro l’orecchio. “Ma suppongo che non mi lascerai tenerti sulle spine così tanto, o sbaglio?”

Chuck era molto fiero di qualunque cosa dovesse dirle, realizzò Blair, osservando le sue sopracciglia curvarsi con soddisfazione. Non solo la voluta lentezza che lui aveva usato nel pronunciare le parole, attento ad accompagnarle con delle pause teatrali, ma anche la sua espressione inequivocabilmente gongolante, fecero crescere la sua curiosità e prosciugarono anche l’ultima goccia di pazienza che le era rimasta.

“Ovviamente no,” alzò gli occhi al cielo. “Dimmelo, Chuck,” ordinò. “Adesso.”

Sotto a quello sguardo inquisitore, il ghigno divertito che aveva immediatamente increspato le labbra di Chuck all’approccio imperativo di sua moglie – la voce di lei aveva assunto quelle note dispotiche ed autoritarie che non mancavano mai di affascinarlo – si addolcì e si trasformò in un piccolo sorriso. Fece un respiro profondo e le prese la mano. “Ho riflettuto molto sulla nostra sicurezza da quando ci siamo trasferiti,” disse, cominciando a carezzarle il dorso della mano con il pollice. “E sono giunto alla conclusione che abbiamo bisogno di un adeguato servizio di sicurezza.”

Blair, confusa, corrugò la fronte. “Ma la casa ha già il miglior sistema di sicurezza che siamo riusciti a trovare.”

Lui scosse la testa. “Lo so, Blair; non sto parlando della casa,” fece una pausa e portò lo sguardo su di lei. “Parlo di sicurezza personale.”

Lei spalancò gli occhi. “Intendi dire che vuoi assumere delle guardie del corpo?”

“Esattamente.” Chuck annuì e la sua faccia si fece seria. “Per me ed anche per te,” aggiunse subito dopo. Abbassò gli occhi per un momento, usando la mano libera per raggiungere il braccio di Blair e cominciare ad accarezzarlo, muovendo le dita in piccolo cerchi. Quando alzò nuovamente lo sguardo, la sua espressione lo sorprese. Gli occhi di Blair erano stretti in un cipiglio perplesso e Chuck si sentì completamente inconsapevole delle ragioni che lo motivavano, dal momento che si era aspettato da lei una reazione entusiasta. Sua moglie, invece, lo fissava in silenzio. 

Chuck sospirò. “Stando all’Empire avevamo la sicurezza dell’hotel e, per quanto non fosse minimamente sufficiente
, almeno era qualcosa. Ora che non viviamo più lì siamo del tutto senza protezione,” proseguì, sperando che spiegare le sue motivazioni avrebbe cambiato il modo in cui lei lo stava ancora guardando con un’espressione sicuramente non elettrizzata. “Non è sicuro, Blair.”

Lei chiuse brevemente gli occhi, stringendo le labbra. “Quindi, fammi capire,” si allontanò da lui, liberando la mano dalla sua presa. “Tu hai stabilito che io debba avere delle guardie del corpo e non hai pensato che avrei dovuto essere perlomeno coinvolta nella decisione?” si alzò e, sistemandosi di fronte a lui, incrociò le braccia sotto al seno. Lo guardò male, chiaramente indignata. “Non pensi che la mia opinione circa l’argomento valga tanto quanto la tua?”

Pienamente stupito dalla sua domanda e dall’accusa che essa implicava (che lui non considerasse il suo giudizio equamente valido), Chuck sbattette gli occhi. “Ma certo,” ribatté, incapace di nascondere un pizzico di offesa nel tono. “Ma non si tratta di opinioni, Blair. E’ qualcosa che va fatto, che ti piaccia o meno.”  

Esitò. L’espressione arrabbiata con cui lei lo stava ancora fissando era completamente incomprensibile per Chuck ed il fatto che non riuscisse a dare un significato al modo in cui lei si stava comportando lo faceva sentire nervoso. Non era abituato a non capirla. Inspirò pesantemente e scostò gli occhi da lei per fissarli sul pavimento. “Onestamente, dopo tutto quello che abbiamo passato, credevo che saresti stata contenta di questa scelta.”

Pensando alla loro ancora troppo recente – e anche non così recente – storia, aveva sinceramente  supposto che non solo lei avrebbe approvato la sua decisione, ma che si sarebbe anche sentita sollevata, considerando quanto si preoccupava ogni qual volta che lui era fuori città per lavoro.
 
Non più tardi di due giorni prima, tornando da Los Angeles, il jet era atterrato con un paio d’ore di ritardo e lei era arrivata al punto di chiamarlo più di dieci volte, ogni telefonata riempita con più ansia rispetto alla precedente;  quando Chuck era infine arrivato a casa da una Blair troppo agitata, si era scoperto incapace di calmarla propriamente, realizzando che le parole rassicuranti che gli uscivano dalla bocca erano, di fatti, solo parole.

Non poteva davvero prometterle che non era in pericolo, semplicemente perché non poteva esserne sicuro. Lei aveva tutto il diritto di avere paura, le sue preoccupazioni non erano irrazionali, avevano un fondamento; lui stesso non si sentiva mai sicuro ed in più il pensiero che qualcosa sarebbe potuto accadere a Blair a causa sua non mancava mai di perseguitarlo e farlo sentire impotente oltre che in colpa. 

Anche se stava considerando l’idea già da un po’, la paura negli occhi di lei lo aveva finalmente convinto che assumere delle guardie del corpo era semplicemente la cosa più logica da fare.

“Beh, non lo sono!” sbottò Blair, riscuotendolo dai suoi pensieri. Gli lanciò un’occhiata ostile prima di girarsi, mostrandogli la schiena. “Non lascerò che tu mi imponga nulla, Charles,” pronunciò il suo nome per intero con voce più alta ed acuta. “E sicuramente non mi farò seguire dai tuoi gorilla.”

“Blair, sei irragionevole.” Anche se non poteva guardarla in faccia, sapeva che la sua affermazione l’aveva fatta infuriare ancora di più, perché vide distintamente le sue spalle iniziare ad alzarsi ed abbassarsi più veloci, seguendo l’accelerare del respiro. “Devi capire che nella mia posizione è irresponsabile non adottare queste misure. Essendo mia moglie, sei esposta tanto quanto me.”

Lei si voltò di scatto e lo gelò con lo sguardo. “La tua posizione? Ma ti senti quando parli?” si lasciò sfuggire una risata sarcastica. “Il tuo ego non conosce davvero limiti.”

Ancora seduto sul letto, Chuck si irrigidì e inspirò, cercando di non perdere la pazienza di fronte a quelle parole deliberatamente offensive. “Sì, Blair, la mia posizione,” soffiò, la voce che si faceva più tagliente mentre sentiva la collera salire. “E se non ti stessi comportando come una bambina capiresti che cosa intendo e che questo non ha nulla a che fare con il mio ego,” chiuse gli occhi per un secondo e poi li aprì di nuovo, per rivolgerle uno sguardo fermo. “E’ deciso; non cambierò idea.” 

“E nemmeno io!” Blair gridò, facendo qualche passo verso di lui. “Puoi fare quello che vuoi, assumi un esercito privato per te stesso se pensi che sia necessario, ma non ti azzardare a pensare di potermi controllare.”

Quella frase lo colpì come un pugno e Chuck serrò la mano  in un  moto di rabbia. “Controllarti?” le chiese quasi in un sussurro e, nonostante avesse provato a mantenere un tono freddo, la parola venne fuori piena di risentimento. Si alzò e la raggiunse. “Pensi che sia questa la ragione per cui lo sto facendo?”

Blair non rispose subito; Chuck vide le sue labbra tremare sotto il suo sguardo, come se stesse facendo fatica a sostenerlo. Deglutì, ma tenne gli occhi fissi su di lui.

“Assolutamente,” rispose testardamente dopo qualche secondo. “Non mi sorprende, d’altronde è tua abitudine far seguire le persone,” arcuò le sopracciglia, assumendo una posa provocatoria. “Ed avere dossier su di loro.“

“Ma non sua mia moglie.” Il pensiero che Blair potesse davvero credere che lui la stava mettendo sullo stesso piano di tutte le persone che non rispettava e di cui non si fidava lo ferì profondamente. Fece un passo indietro, sentendo il bisogno fisico di creare della distanza tra di loro. “Dovresti sapere che non ti mancherei mai di rispetto in questo modo e anche solo il fatto che quest’idea ti sia venuta in mente è francamente offensivo.”

“Davvero non lo faresti?” replicò lei ostinata. “Stai già prendendo delle decisioni che riguardano la mia vita, dopo tutto.”

Chuck le lanciò un’ultima occhiata oltraggiata e poi abbassò gli occhi, scuotendo la testa leggermente. Rifiutandosi di guardarla, camminò verso il clothes valet 1, dove la giacca del completo era ancora appesa; la afferrò e la indossò. Il rumore dei tacchi di Blair lo avvisò che lei gli si era avvicinata ed ora gli stava dietro.  Inspirò profondamente per calmarsi e riacquistare la compostezza prima di girarsi a guardarla.

“Non è vero,” affermò freddamente. “Sto solo cercando di essere una persona responsabile, ma se questa è veramente l’opinione che hai su di me, allora non ho intenzione di stare qui a litigare con te, Blair.” Si abbottonò il completo ed alzò lo sguardo su di lei. “Ne discuteremo ancora quando deciderai di non essere così immatura.”

Notando le lacrime rabbiose che avevano riempito gli occhi di Blair, Chuck guardò verso il basso; nonostante fosse infuriato, per quanto offeso e ferito si sentisse per il modo in cui lei lo aveva mal giudicato, non riusciva comunque a vederla piangere. Si voltò e si fece strada verso la porta. 

Blair lo seguì. “Dove credi di andare?” gridò, prendendolo per un braccio e tirando, per costringerlo a girarsi di nuovo verso di lei.  

“In ufficio,” rispose lui, sempre senza guardarla negli occhi. La voce gli si era fatta più bassa e in qualche modo rigida, distaccata. “Non verrò al brunch, puoi andare da sola. Per favore,” si passò una mano tra i capelli, tenendo gli occhi fissi a terra, “chiedi scusa a Lily per la mia assenza e dille che la chiamerò domani. Ci vediamo dopo.”

Chuck ruotò su se stesso ed attraversò la porta, sentendo lo sguardo fisso di Blair addosso mentre lasciava la stanza.


“Onestamente, Blair,” disse Serena gesticolando, il roteare delle lunghe mani che accompagnava il confuso sguardo accigliato che aveva dipinto in viso,“non riesco a capire perché tu sia così arrabbiata." Prese un macaroon al pistacchio dal vassoio su cui i pasticcini erano serviti e lo addentò con gusto. “Voglio dire, capisco che non sopporti il fatto che lui non abbia chiesto la tua opinione ma, per quanto non mi piccia ammetterlo, credo che abbia ragione.”  

Blair alzò gli occhi al cielo. “Non ha ragione,” dichiarò cocciutamente, lanciando un’occhiata ostinata alla sua migliore amica. “E’ solo paranoico, c’è differenza.”

Erano accoccolate sul divano, nel salotto dell’attico di Blair (Serena si era recentemente trasferita di nuovo lì, stanca di vivere con sua madre – e con suo padre, dal momento che lui e Lily erano tornati a convivere – ma ancora non pronta ad accasarsi con Dan), dove erano andate dopo aver lasciato l’appartamento dei Van Der Woodsen.

Il brunch era stato assolutamente frustrante per Blair, che aveva passato l’intero tempo cercando di mantenere una facciata impeccabile, facendo del suo meglio per non mostrare alcun segno della rabbia della quale non era riuscita a liberarsi.

Quando era arrivata e Lily l’aveva interrogata circa l’assenza di Chuck, lamentandosi perché non aveva avuto modo di vederlo prima di partire per il suo viaggio con William, Blair aveva fatto davvero fatica ad accompagnare le parole con un sorriso luminoso.

“Gli dispiace moltissimo,” le aveva detto, sforzandosi nel mantenere la voce calma ed armoniosa. “E successo qualcosa di urgente ed è dovuto andare in ufficio, ma ha chiesto di dirti che ti chiamerà domani. Sono sicura che ti inviterà a pranzo e avrete tutto il tempo di stare un po’ insieme prima che tu parta.”

Dal momento che conosceva sua suocera da quando era bambina e sapeva quanto fosse acuta, Blair aveva capito che la donna non si era affatto bevuta quella scusa e lo sguardo scettico che le aveva riservato lo aveva reso ben chiaro. Tuttavia, educatamente, Lily aveva semplicemente sorriso e fatto un commento circa come “Charles” non dovesse “stressarsi così tanto”.

Il tono pieno di cura con cui la donna aveva pronunciato quelle parole aveva reso Blair ancora più nervosa; Chuck non l’aveva ancora chiamata per scusarsi per il modo in cui l’aveva lasciata nel mezzo di una discussione – dopo averla chiamata infantile ed immatura – ed ascoltare qualcuno parlare di lui in un modo così amorevole l’aveva fatta pensare di nuovo a quanto lo odiasse per essere tale stronzo passivo-aggressivo.

In ogni caso, capendo che Lily le stava dando una via d’uscita, Blair aveva mantenuto sul volto un sorriso ampio. “Non dovrebbe, è vero,” aveva convenuto, usando la sua voce più dolce. “In verità sto considerando di proporgli un weekend rilassante da qualche parte. Dov’è che andate tu e William? Ho dimenticato.”

Dopo sessanta interminabili minuti, che Lily aveva passato a parlare nel dettaglio della vacanza che aveva organizzato, Serena, che aveva occhieggiato Blair sospettosamente per tutto il tempo, sicuramente notando il suo atteggiamento rigido e fasullo, le si era avvicinata e le aveva suggerito di andare via.

“Possiamo fermarci a prendere dei macaroons da Ladurée e poi andare da me,” le aveva offerto. “Ci divertiremo e così potrai anche dirmi perché tu e Chuck state litigando.”

Blair aveva deciso di essere troppo infuriata per negare e, per nulla vogliosa di tornare a casa, aveva accettato l’invito.


Sfortunatamente, dopo aver speso due ore a lamentarsi di suo marito con una Serena molto perplessa, Blair si era arresa al fatto che la sua migliore amica semplicemente non afferrasse la serietà della situazione, dal momento che si rifiutava di vedere quanto torto avesse Chuck ed, invece, quante ragioni per essere adirata aveva lei.

“Io non penso che sia paranoico,” la contradette infatti Serena. “E nemmeno tu,” puntò il dito indice verso Blair, che aveva curvato le sopracciglia in un’espressione incredula. “Sei sempre così ansiosa quando è via,” spiegò Serena, gesticolando per dare più credibilità alla sua opinione. “Quando è stato che sei completamente andata fuori di testa solo perché il suo volo era in ritardo?” chiese. “La settimana scorsa?”

Blair sbattette gli occhi e la sua bocca, per la sorpresa, prese la forma di un piccolo cerchio. “E’ stato due giorni fa,” chiuse gli occhi e scosse leggermente il capo. “E non centra nulla, S!” alzò una mano e la mosse in un gesto rapido, come se stesse cercando di scacciare via le parole di Serena, così da poterle ignorare. “E anche se avesse ipoteticamente ragione circa l’aver bisogno di guardie del corpo,” pronunciando la parola ‘ragione’ la sua voce assunse una vena canzonatoria, “non aveva comunque alcun diritto di impormi le stesse misure.”

“Se lui ne ha bisogno, per quanto limitante possa essere, allora ne hai bisogno anche tu,” la bionda commentò, mentre Blair si affrettava ad afferrare un macaroon, facendo del suo meglio per far finta di non ascoltare. “E’ logico, B.”

Blair alzò lo sguardo dal vassoio d’argento e la guardò male. “Serena,” articolò le lettere in modo tagliente, con fare chiaramente rimproverante. “Ha detto ‘Che ti piaccia o meno ’, come se io non avessi voce in capitolo.”  Ricordando le sue parole, percepì l’irritazione imporporale nuovamente le gote e sfogò l’ira addentando aggressivamente il pasticcino verde che teneva in mano. “E’ inaccettabile.”

“E io sono d’accordo con te,” Serena si affrettò a dire, attenta a non aggravare l’umore già pericoloso della sua migliore amica. “Il suo approccio è stato sbagliato e doveva sicuramente coinvolgerti nella decisione, ma non cambia il fatto che ha ragione.”

Blair borbottò facendo un verso irrisorio ed alzò gli occhi al cielo, mentre procedeva a prendere un altro macaroon.

Serena sospirò. “Ascolta, sono anni che mia madre lo prega di assumere dei bodyguard, ma si è sempre rifiutato.”  A quella rivelazione gli occhi di Blair si concentrarono immediatamente sulla sua migliore amica; la fissò con un’espressione confusa e curiosa allo stesso tempo, silenziosamente chiedendole di proseguire. “Sai,” Serena abbassò lo sguardo e si morse il labbro inferiore, qualcosa che Blair sapeva che faceva ogni volta che voleva dire qualcosa ma non sapeva come. “Si è davvero spaventata dopo Praga.”

Blair trattenne il respiro; non appena Serena alzò di nuovo gli occhi su di lei, guardandola con preoccupazione, Blair li abbassò, sentendo un brivido lungo la schiena. La sua migliore amica aveva appena tirato fuori una delle molte cose a cui Blair si era sforzata di non pensare dal momento in cui Chuck le aveva comunicato le sue intenzioni, perché pensarci l’avrebbe obbligata ad ammettere che lui avesse veramente ragione.   

Scosse la testa vigorosamente per cacciare via quei pensieri dalla mente e sospirò a sua volta. “Può anche avere ragione, Serena, ma rimane uno stronzo,” proseguì, riportando gli occhi sulla bionda. “Mi ha mollata lì! Mi ha chiamato infantile ed immatura e poi se ne è andato, come se non gli importasse,” si sfogò ed un’ondata di sdegno rese la sua voce tremolante ed acuta. “Non mostra nemmeno la rabbia, diventa apatico e rigido e si rifiuta di parlarmi!”

Era forse la cosa che odiava di più di lui, decise di nuovo in quel momento: il modo in cui diveniva freddo e distante quando litigavano. Mentre l’ira tendeva a farla urlare e muovere freneticamente, la reazione tipica di Chuck consisteva nel costruire muri invisibili e smettere di parlare, il che di solito finiva per farla infuriare ancora di più.

Lo conosceva abbastanza bene da capire che in realtà gli importava e che era generalmente arrabbiato quanto lei, ma la sua apparente indifferenza – e la sua capacità di mantenere un tale distacco e controllo – era frustrante e, per Blair, provocatoria.

Serena si corrucciò. “Non mi sembra da lui,” ribatté, piegando la testa di lato e fissando Blair con un’espressione incerta. “Può essere permaloso e scontroso, ma non se ne andrebbe nel mezzo di una discussione senza un motivo.”

Blair arricciò le labbra. “Oh, fidati,” affermò, scostando lo sguardo. “E’ esattamente da lui.” Prese un cuscino e se lo sistemò sulle gambe, cominciando a tamburellare le dita sul tessuto.

“Blair,” Serena cercò di riacquistare la sua attenzione, osservandola scettica. “C’è qualcosa che non mi hai detto?”
 
Blair non rispose; cominciò a guardarsi intorno, concentrando gli occhi su qualsiasi cosa che non fosse la sua migliore amica. Sentì Serena sbuffare e, nonostante si stesse rifiutando di incontrare il suo sguardo, che era ancora fastidiosamente fissato su di lei, sapeva che la bionda aveva assunto la posa infastidita che usava ogni qual volta che cominciava ad innervosirsi per l’atteggiamento di Blair.

“Blair,” Serena la chiamò di nuovo. “Avanti, dimmelo.”

Blair soffiò irosamente. “E va bene!” sbottò esasperata. “Potrei averlo accusato di cercare di controllarmi,” mormorò. “E prendere decisioni circa la mia vita.”

“Blair!” Serena esclamò, spalancando gli occhi. La fissò  con plateale sorpresa ed un briciolo di accusa nello sguardo.

“Cosa?” ribatté
 Blair. “Ero arrabbiata, Serena,” si giustificò poi, abbassando gli occhi. “Non stavo ragionando.” Inspirò profondamente e poi si fece silenziosa, continuando a torturare il cuscino che aveva ancora tra le braccia.

“So che probabilmente non mi ascolterai,” disse Serena dopo un po’, con calma. Blair alzò subito lo sguardo, lanciandole un’occhiata dubbiosa. “Ma dovresti chiedergli scusa.”

“Non farò nulla del genere!” Blair rispose immediatamente, mentre un cipiglio offeso compariva sul suo viso. “E’ lui a doversi scusare.”

Incrociò le braccia ostinatamente. L’idea di mettere da parte l’orgoglio e chiedere scusa per prima andava contro tutto quello che si era promessa che non avrebbe fatto quando lo aveva visto uscire dalla porta e lasciarla lì, in piedi nel mezzo della loro camera da letto; si era detta che non lo avrebbe perdonato così facilmente per i suoi modi così fastidiosamente irrispettosi e prepotenti.

Ma lei era stata irrispettosa a sua volta. Ripensando alle accuse che gli aveva rivolto, ora che Chuck non era lì e che era passata qualche ora da quando gliele aveva sputate in faccia, in quello che era stato un ovvio – e, purtroppo, capiva ora, ben riuscito – tentativo di ferirlo quanto lui l’aveva offesa, suonavano assolutamente ridicole.

Si era pentita di averle pronunciate immediatamente, nel momento in cui le parole le erano uscite dalla bocca, ma era stata così sopraffatta dalla rabbia che non era stata in grado di fermarsi dal colpirlo dove sapeva che lui era vulnerabile. Anche se Chuck poteva essere una persona decisamente intimidatoria e non si faceva scrupoli ad usare ogni mezzo per assicurarsi di avere tutto – e tutti – sotto controllo, i rapporti con le persone che amava erano strettamente basati sulla fiducia; era un uomo eccezionalmente leale e rispettoso con quel ristretto gruppo di persone e Blair sapeva che il suo affermare che lui l’aveva trattata come trattava il resto del mondo doveva averlo insultato profondamente.

Serena scosse la testa. “A me sembra che entrambi abbiate detto e fatto cose sbagliate.”

L’espressione arrabbiata di Blair si addolcì in un broncio triste. Lo odiava; lo odiava perché era un’idiota arrogante, estremamente permaloso e testardo – così abituato a comandare ed essere dominante che a volte dimenticava di non usare quei modi con lei – ma, ancora di più, lo odiava perché non riusciva a tollerare il pensiero di averlo fatto soffrire per qualcosa che aveva detto sconsideratamente, con il solo proposito di farlo sentire in difetto. Il senso di colpa che le pesava sul petto era molto più forte della sua solita inflessibile avversione ad ammettere di avere torto.

“Non mi piace quando dici cose sagge, S,” disse con un sospiro. “Fa strano; è contro l’ordine natural delle cose.”


 


Quando Blair attraversò la porta d’ingresso della townhouse era già tardo pomeriggio. Aveva impiegato ore per  raggiungere finalmente casa, un tempo che aveva speso rimuginando sulla loro discussione e facendo tutto quello a cui era riuscita a pensare per posticipare il momento in cui sarebbe dovuta tornare, consapevole che lui la stava sicuramente aspettando ed in qualche modo preoccupata di affrontarlo, di guardarlo negli occhi ed incontrare un lampo di risentimento nel suo sguardo scuro.  

Trattenne il respiro quando la fragranza di Chuck raggiunse le sue narici, dandole la conferma che lui era effettivamente lì. Era abituato ad indossare così tanta colonia che lasciava sempre una scia di profumo dietro di se; ogni volta che arrivava prima di lei, Blair capiva sempre che era a casa dal modo in cui l’ingresso odorava di Fahrenheit 2, una prova inconfutabile del suo passaggio.

Percepì una breve sensazione di sollievo scaldarle il petto al pensiero che lui le era vicino, in casa loro, e un piccolo sorriso inconsapevole le piegò gli angoli della bocca. Sentì l’improvviso bisogno di vederlo, di parlargli e di fare in modo che capisse che lei non intendeva nulla di quanto gli aveva detto durante la litigata ed il corpo la guidò naturalmente verso le scale. Salì e si fermò sull’ultimo gradino, che la separava dal salotto.

Blair lo trovò lì, seduto sul divano con la schiena rivolta verso le scale, e, nonostante non potesse vederla, capì che era comunque diventato consapevole della sua presenza quando lo sentì sospirare profondamente e notò la sua mano che si muoveva appena sul bracciolo del sofà dove l’aveva appoggiata, in una reazione fisica al suo arrivo, come se avesse voluto alzarsi ad accoglierla, ma si fosse imposto di non farlo.

Chuck non si voltò per lasciare che gli occhi incontrassero la sua figura e Blair esitò, arricciando nervosamente le dita intorno al corrimano. In qualche modo, anche se poteva solo a vedere le spalle e la nuca di lui, riusciva comunque a riconoscere la sua postura rigida e a distinguere il suono quasi inaudibile dei suoi polpastrelli che tamburellavano sul bicchiere di cristallo che aveva sicuramente in mano.

“Sei tornata,” Blair si rese conto che aveva chiuso gli occhi solo quando le palpebre le si sollevarono di scatto, in risposta alla sua voce bassa e profonda. “Ti stavo aspettando,” si fermò ed il silenzio la obbligò a fare l’ultimo gradino e dirigersi verso di lui “Non mi hai chiamato.”

Qualcosa nel suo tono era sorprendentemente diverso da come lei aveva immaginato che sarebbe stato a quel punto. Non suonava rabbioso o mostrava freddezza. Era invece piatto; c’era una nota malinconica nel suono delle sue parole e nel modo in cui le aveva pronunciate lentamente, come se stesse facendo fatica a parlare. Blair fece il giro del divano e si sistemò di fronte a lui, fissandolo, mentre gli occhi si focalizzavano sui dettagli della sua espressione, sul cruccio profondamente pensoso che gli scuriva il volto e sul modo in cui le sue labbra mancavano del loro innato, inconsapevole mezzo sorriso furbo in cui erano solitamente curvate.

Lo sguardo di Chuck restò fermo sul liquido ambrato che riempiva il bicchiere strizzato nella sua mano per un secondo in più, prima di portarlo alle labbra e fare un piccolo sorso; quel gesto in qualche modo automatico gli consentì di mantenere il suo intento di non guardarla.

Blair sospirò. “Sapevo che ti avrei trovato a casa,” disse. “E sapevo che non avresti risposto.”

Era una risposta conciliante, che lei aveva pronunciato con voce volutamente mite e colpevole, ma sapeva che lui aveva comunque definitivamente percepito nel suo tono le trace della frustrazione che provava all’idea di scusarsi.

Notò che le labbra di Chuck si arricciarono leggermente, come se stesse cercando di trattenere un sorrisetto appena accennato, probabilmente sorto dall’incontrollabile – anche attraverso la sua chiara amarezza – soddisfazione che doveva aver provato dopo quella frase, consapevole di quale rara circostanza fosse il vederla tradire il suo orgoglio. 

“Hai ragione,” infine alzò lo sguardo su di lei e Blair sorrise flebilmente, incapace di trattenersi dal sentire un pizzico di soddisfazione data dalla consapevolezza che lo conosceva così bene da essere in grado di predire sempre il suo comportamento. “Non avrei risposto.”

Comunque, mentre gli occhi di Chuck si fissavano su di lei con maggiore insistenza, non poté fare altro che abbassare lo sguardo.

“Chuck —”

“Le cose che hai detto  su di me, sul cercare di controllarti,” la interruppe immediatamente, obbligandola ad rialzare gli occhi su di lui. Portò la mano libera sulla mascella serrata e la strofinò nervosamente. “Le pensi veramente?” le chiese. “Ti faccio davvero sentire così, Blair?”

Anche se aveva iniziato a parlare con un’inflessione deliberatamente brusca, ad un certo punto tra le domande quella spigolosità era scemata in un tono basso ed instabile, che aveva lasciato intuire un fondo di paura quando aveva pronunciato il suo nome.  

Blair percepì le lacrime pungerle negli occhi e chiuse le palpebre brevemente per ricacciarle indietro; il pensiero di averlo ferito le strinse di nuovo il cuore. “No,” disse immediatamente, sedendosi di fianco a lui. “No, non mi fai sentire così.” Scivolò lentamente sui cuscini del divano per avvicinarsi e gli prese il polso, intrappolandolo con le dita ed accarezzandolo lievemente con l’indice. “Mi fai sentire rispettata e libera, tutti i giorni.”

Blair sentì il braccio di Chuck irrigidirsi sotto il suo tocco. “Ma sembravi sicura di quello di cui mi hai accusato.” Inspirò profondamente e mosse la mano, liberandola dalla sua presa con la scusa di bere un altro po’ di scotch. Inghiottendo il liquore, abbassò lo sguardo.

Il modo in cui si era messo subito sulla difensiva, rifiutando il contatto fisico e negando le sue parole, le fece capire che era spaventato. Blair sapeva che le cose che aveva detto lo avevano fatto dubitare della sua capacità di renderla felice, di essere un buon marito, ed era anche consapevole di quanto quel pensiero lo intimorisse. Era tipico di Chuck; dal momento in cui la paura era un sentimento inaccettabile per lui, la reprimeva e diventava invece scontroso.

“Davvero non lo penso,” gli assicurò e  raggiunse di nuovo la sua mano delicatamente. “So che non cercheresti mai di controllarmi. Non sei quel tipo di uomo, non con me.”

Nonostante avesse tenuto gli occhi fissi a terra, le sue parole lo convinsero a smettere di lottare contro il suo tocco e lasciò che lei prendesse il bicchiere che stava ancora reggendo. Blair lo afferrò e lo posò sul tavolino basso di fronte al divano prima di riportare nuovamente la mano sulla sua ed intrecciare le loro dita .

“Ho perso la pazienza, Chuck,” cercò di spiegarsi. “Sai che non sopporto quando le cose mi colgono di sorpresa. Non avevi mai menzionato di voler assumere delle guardie del corpo e mi sono sentita esclusa.”  

Lui restò immobile per qualche secondo e poi si mosse sul sofà, girandosi verso di lei ed eliminando quel poco di distanza che aveva messo tra di loro. “Non era mia intenzione escluderti,” disse, alzando nuovamente lo sguardo su di lei. La voce suonava leggermente più calma e Blair si sentì sollevata nell’incontrare il suo sguardo e di trovare una luce più morbida nel suo buio. “L’unico motivo per cui non te ne ho parlato prima è che volevo sinceramente sorprenderti. So quando ti preoccupi, sempre, e ho pensato che questo ti avrebbe fatto sentire meglio.”

“Lo so,” Blair annuì ed un piccolo sorriso prese forma sulle sue labbra. “Ma è qualcosa di cui
 avremmo dovuto discutere insieme. E’ una decisione che ha effetto su entrambe le nostre vite.”

Chuck sospirò. “E’ vero, ma non penso che si possa discutere, Blair,” disse con calma ma non con meno fermezza di quando le aveva detto la stessa cosa quella mattina. Alzò la mano libera dal bracciolo e la portò sulla spalla di Blair; la strinse con forza, in un gesto protettivo. “Ho paura che non sia una scelta, ma una necessità,” la guardò direttamente negli occhi. “Riesci a capire perché?”

Qualcosa nel suo tono, una nota tremante dietro l’inflessibilità che aveva accompagnato le sue parole, le disse che stava facendo fatica ad affrontare quell’argomento. Blair, comunque, non aveva bisogno che lui spiegasse a cosa si riferiva; capiva perfettamente.

Nel profondo, per essere onesta con se stessa, Blair sapeva che lui era stato razionale e ragionevole per tutto il tempo, ma era stata così arrabbiata con lui per averla esclusa da una decisione che li riguardava entrambi che si era sforzata di tenere lontano dalla mente tutti i ricordi delle occasioni in cui aveva rischiato di perderlo per sempre durante gli anni, sia come conseguenza della mancanza di amore per se stesso con cui lui aveva combattuto per tanto tempo, sia a causa di tutte le persone che avevano cercato di fargli del male – e di farne a lei, usando il loro rapporto ed il loro amore come mezzo per minacciarlo.

I più recenti – che erano anche probabilmente i più spaventosi e dolorosi – la terrorizzavano ancora e sapeva che concordare sul fatto che avevano effettivamente bisogno di un sistema di sicurezza personale avrebbe implicato ammettere che qualcosa di così pericoloso sarebbe potuto succedere di nuovo e che lei non aveva nessun potere su quell’eventualità. Per quanto fosse irrazionale, Blair sentiva che fare in modo che Chuck fosse al sicuro era una sua responsabilità ed accettare che non era abbastanza, che non poteva proteggerlo da tutto, dai rischi che occupare una tale posizione di potere implicava, non era un’idea tollerabile per lei.

“Sì, ci riesco,” gli rispose debolmente. “E’ solo che odio quanto impotente mi fa sentire.” Ammetterlo ad alta voce alleggerì il peso che aveva sul petto, mentre si concedeva di essere onesta con lui circa quale fosse il suo vero problema con la sua decisione. 

Chuck, in risposta, annuì lievemente. “Mi sento allo stesso modo,” le confessò, abbassando lo sguardo per un attimo prima di riportarlo su di lei. “Ci siamo fatti prendere dalla rabbia prima e non sono riuscito a spiegarmi, quindi lascia che ti chiarisca cosa intendo.”

Inspirò e Blair lo vide faticare per trovare le parole, qualcosa che non mancava mai di farla sorridere teneramente, dal momento che sapeva come lui preferiva non dover dire nulla ed affidarsi invece alla sua sempre profonda conoscenza dei suoi pensieri e delle sue emozioni.

“Non riesco più a sopportare il pensiero che qualcosa potrebbe succederti perché mi comporto in modo irresponsabile non considerando i rischi e non garantendoci la sicurezza al massimo delle mie possibilità. Sono tuo marito, devo proteggerti.” Inalò un altro respiro profondo. “E devo proteggere me stesso,” aggiunse, abbassando il tono di voce come se fosse in qualche modo meno sicuro delle sue parole. “Sono stato sconsiderato per così tanto tempo, Blair, perché semplicemente non mi interessava affatto della mia vita,” la sua voce si spezzò in una risata amara e lui fece una pausa, scuotendo la testa.

Gli occhi di Blair si abbassarono inconsapevolmente; li adagio sul basso ventre di Chuck, lì dove sapeva che c’era una cicatrice, e le spalle le tremarono incontrollabilmente, sentendo gli occhi inumidirsi nuovamente di lacrime.

Percependo la sua paura, Chuck le strinse la mano con più forza;  spostò l’altra dalla spalla di Blair e la portò sotto il mento di lei, sollevandolo delicatamente per farle alzare gli occhi su di lui. “Ma non sono più quella persona,” dichiarò in modo definitivo, parlando di nuovo con confidenza e determinazione. Con il pollice le carezzo la guancia. “Sto costruendo una vita con te, voglio avere una famiglia con te, non posso proprio permettermi di essere incosciente.”

Sotto il suo sguardo fisso, che era rimasto immobile su di lei per tutto il tempo, Blair si sentì, se possibile, esposta e tranquilla allo stesso tempo. La possibilità di perderlo, resa chiara dai frammenti di passato che quella giornata aveva riportato in superficie, la faceva sentire fragile, così come il tocco delle sue mani le dava un forte senso di stabilità e protezione. 

Prese qualche secondo di silenzio per guardarlo, studiando la sua espressione tanto seria quanto sicura; una fiammata di orgoglio fece spuntare un sorriso spontaneo sul suo volto e lui sorrise di rimando, uno di quei sorrisi tipici di Chuck che lei amava, piccolo e quasi impercettibile.

“Hai ragione,” gli prese la mano che era ancora poggiata sotto il suo mento ed insinuò le dita tra le sue. “Mi dispiace di essere stata così difficile.”

Chuck le lasciò andare l’altra mano e le cinse le spalle con un braccio, spingendola verso di sè così che lei potesse accoccolarsi al suo fianco e posare la testa sul suo petto.

“Non fa nulla,” Blair alzò lo sguardo su di lui in tempo per vedere un sorrisetto soddisfatto fare la sua comparsa sulle labbra di Chuck. “Anche io non sono stato troppo gentile,” le disse comunque, accarezzandole gentilmente la spalla con le dita che si muovevano su e giù sulla pelle. “Avrei dovuto provare a darti una spiegazione migliore invece di essere così imperativo.” “

Blair si accigliò subito. “Mi hai anche chiamata infantile,” gli ricordò, accusa ed ilarità che si mischiavano nella sua voce. “Ed immatura.”  

Chuck rise piano, ricevendo uno schiaffetto giocoso sul petto come risposta.  

“Non ridere, Bass,” gli intimò Blair, nel suo tono dispotico. “Puoi anche aver avuto ragione, ma verrai comunque punito per quello.”

Lui le lanciò un’occhiata impudica e lasciva. “Non vedo l’ora di venire torturato.”

Le proteste di Blair – “Sei un tale pervertito, Chuck!” – vennero messe a tacere da un bacio profondo, con cui lui mise definitivamente fine alla loro discussione.

Il giorno dopo, come prima cosa, condussero insieme dei colloqui per selezionare dei bodyguard e, una volta che si fu abituata al sistema, Blair scoprì che non la infastidiva poi molto. “Aggiunge una certa aura di importanza alla mia immagine, non è vero?” disse orgogliosamente a Serena durante un brunch un mese dopo, prima di volarsi verso suo marito, seduto vicino a lei, per rivolgerli un sorriso ampio.

Lui era al sicuro, pensò. Lo erano entrambi.

 


Note:
[1] E’ un oggetto d’arredamento, un appendiabiti apposito per i completi da uomo.
[2] Colonia maschile di Dior. Nell’epsiodio 6X06 (mi pare) viene detto che è questo il profumo che Chuck usa.
[3] La fanfiction è stata scritta prima in inglese (da me) e poi tradotta. Qui l’originale.

Ritorna all'indice


Capitolo 4
*** All The Small Things ***


 Sin da quando era appena un’adolescente, Blair aveva sempre passato, qualora possibile, il Sabato mattina con Serena. Avevano un rituale preciso, che non era cambiato affatto nel corso degli anni: si incontravano sempre presto per fare colazione insieme e poi si godevano qualche ora di shopping. Onorare le tradizioni era essenziale per Blair e avere rispettato per l’ennesima volta questa in particolare l’aveva lasciata soddisfatta e rilassata. Quando si fece strada nell’ingresso della sua townhouse, intorno alle undici e trenta, era d’umore eccellente.

“Dorota!” Blair, una nota gioiosa nella voce, chiamò la sua governate, lasciando la porta aperta dietro di sé per consentire al suo autista, che stava scaricando le buste ed i pacchi dal portabagagli per portarli dentro, di seguirla. “Sono a casa!”

Qualche secondo dopo Dorota arrivò di corsa dall’anticamera della cucina e la raggiunse. “Miss Blair, ha passato una buona mattina?” la accolse, aiutandola a sfilarsi il cappotto Burberry di cashmere. “Come sta Miss Serena?”

“Una mattinata perfetta, Dorota, grazie.” Con un largo sorriso, Blair si tolse la sciarpa ed i guanti e li consegnò alla domestica, insieme alla borsa. “Serena sta bene. Humphrey le ha finalmente proposto di convivere; è fuori di sé dalla gioia.” Il pensiero le costrinse ad alzare gli occhi al cielo ed alzò le spalle per liberarsene. Sorrise nuovamente. “Chuck è ancora a letto, vero?” chiese con noncuranza, nonostante fosse piuttosto sicura della risposta.

Sapeva che suo marito era sveglio, perché le aveva spedito una quantità di messaggi durante le ultime due ore, lamentandosi di essersi svegliato in un letto vuoto, ma aveva il sospetto che lui si fosse rifiutato di alzarsi, aspettando che lei si facesse perdonare come aveva detto – il biglietto che Blair aveva lasciato sul suo cuscino vuoto, prima di uscire, recitava infatti quella promessa.

“No,” Dorota, mentre appendeva il cappotto all’attaccapanni a muro, confermò le supposizioni di Blair. “Il maggiordomo Ivan gli ha portato la colazione ed i giornali, ma Mr. Chuck ancora in camera.” 
             
“Benissimo,” Blair commentò allegramente. Dorota rispose alla sua esclamazione con un’espressione austera e Blair, che era ben consapevole della rigida teoria della donna secondo la quale era inammissibile rimanere a letto passate le otto del mattino, sospirò. “Oh, Dorota, lascialo in pace.” Come se volesse nascondere la tenerezza che le addolciva il viso, Blair girò leggermente la testa di lato ed abbassò lo sguardo, sistemando un boccolo ribelle dietro l’orecchio. “Sarà via per le prossime due settimane. Ha il diritto di godere di un po’ di pace e di riposo.”  

Quell’idea la intristì inevitabilmente. Chuck sarebbe partito il giorno dopo per un viaggio d’affari a Tokyo e Blair non poteva esserne meno contenta. Determinata a non lasciare che quell’irrazionale senso di malinconia rovinasse la sua splendida mattina, Blair ignorò l’occhiata severa e silenziosa che Dorota le lanciò. Si voltò, avvicinandosi alla porta per sbirciare fuori e controllare se l’autista avesse finito di scaricare il risultato del suo shopping.

Sorrise soddisfatta all’uomo che saliva i pochi scalini che lo dividevano dall’entrata. “Per piacere, lasciale su quel tavolo, Jacque,” Blair gli indicò dove posare le buste una volta che fu entrato, sapendo che era abituato a portare i pacchi direttamente di sopra e che Chuck non avrebbe gradito l’intrusione. Lo congedò subito dopo, informandolo che non avrebbe avuto bisogno dei suoi servigi fino a Lunedì mattina e che la sua assistente gli avrebbe mandato un email con la lista dei suoi appuntamenti.  
  
Non appena l’uomo uscì, Blair raggiunse la consolle di legno scuro ed esaminò i pacchetti. I suoi occhi trovarono immediatamente quello arancione che stava cercando. Attenta a non stropicciarlo, lo sollevò con cura ed, osservandolo, un piccolo sorriso istintivo le nacque sulle labbra. Aveva impiegato quasi un’ora da Hermès  per scegliere la cravatta perfetta per Chuck e non vedeva l’ora di dargliela.

Dietro di lei, Dorota si lasciò sfuggire un sospiro e, nonostante Blair non la stesse guardando, seppe che era stato accompagnato da un’alzata degli occhi al cielo. “E’ per Mr. Chuck quello?”
 
La domanda, Blair notò, era venata da diversi sentimenti – disapprovazione ed una certa nota di rassegnazione più del resto – ma la sorpresa non era di certo uno di questi. “Certo,” Blair rispose piena di orgoglio, girandosi per guardare la governante in faccia. “Dovevo prendergli un presente,” spiegò poi con un tono più dolce ed affettuoso; abbassò gli occhi, incapace di impedire agli angoli della bocca di piegarsi all’insù in un sorriso nuovo, più largo. “L’ho lasciato da solo tutta la mattina.”    

“Che tragedia,” Dorota la sbeffeggiò, scuotendo la testa. “Lei tratta Mr. Chuck come bambino,” disse, puntando il dito verso Blair. “Rimpiangerà di avere viziato suo marito quando fase della luna di miele finita.”

Le labbra di Blair si schiusero leggermente, ed un’espressione oltraggiata prese il posto di quella calorosa ed amorevole che aveva tenuto fino a quel momento. La domestica non era la prima persona a dirle che stava viziando Chuck oltremodo; Serena l’aveva accusata della stessa cosa un paio d’ore prima, incredula di fronte alla decisione di Blair di comprargli un regalo e piuttosto esasperata dalla spiegazione che le era stata data – “Voglio che sappia che non è stato fuori dai miei pensieri nemmeno un secondo, S.”

Blair, più per distrazione che per educazione, aveva ignorato le lamentele della sua migliore amica, ma ora quelle insinuazioni così inequivocabilmente false stavano cominciando ad infastidirla. Non viziava affatto suo marito, si convinse di nuovo, incrociando le braccia contro il petto; voleva semplicemente dimostragli il suo amore e la sua stima.

“Basta con queste assurdità,” sbottò dunque, scuotendo la mano in un gesto seccato. “Non che siano affari tuoi, ma il nostro anniversario è tra tre settimane; la nostra luna di miele è finita mesi fa, e ad oggi non c’è una sola cosa che rimpiango,” dichiarò aspramente, con fare provocatorio. “E mio marito non è per nulla viziato!”

Detto ciò, Blair si girò ed attraversò l’ingresso verso le scale, lasciando Dorota a guardarla mentre saliva al secondo e poi al terzo piano, dove si trovava la camera da letto patronale. La governante scosse la testa e sospirò rassegnata. La sua Miss Blair aveva sempre avuto un talento naturale nel negare anche le verità più palesi.  

 


“Sei ancora a letto, vedo.”

Chuck sentì la voce divertita di sua moglie che entrava nella stanza e, felice di sapere che era finalmente tornata a casa, sorrise soddisfatto dietro il giornale che stava leggendo. Nonostante fosse più che impaziente di vederla, non lo abbassò. L’avrebbe fatta lavorare un po’ per ottenere la sua piena attenzione, decise in quel momento, determinato a farle sapere quanto sgradevole svegliarsi e non trovarla al suo fianco fosse stato. Era ben consapevole del rituale del Sabato mattina di Blair e Serena e, onestamente, sapeva di essere infantile, ma si era abituato al modo di Blair di svegliarlo gentilmente ogni giorno ed ora, ogni volta che lei mancava di farlo, non poteva fare a meno di sentirsi deluso.

Seduto sul letto con la schiena appoggiata alla testiera, Chuck scosse le spalle e continuò a leggere. “Eri già sparita quando mi sono svegliato,” rispose, enfatizzando la parola ‘sparita’ a scapito del tono casuale e distaccato che aveva deciso di dare alla voce. “Il tuo biglietto diceva ‘Mi farò perdonare, aspettami ’,” aggiunse con un sospiro, “ed è esattamente quello che sto facendo; aspetto.”  

Ancora preso a fare finta di essere completamente assorto nell’articolo al quale aveva in realtà smesso di prestare attenzione nel momento in cui lei era entrata, Chuck accolse ogni rintocco dei tacchi di Blair sul pavimento di legno con crescente desiderio. In un paio di secondi il rumore di si fermò e lui non ebbe bisogno di alzare lo sguardo per sapere che lei era in piedi di fianco a lui.

 “Beh, sono qui ora,” disse lei, la voce soffice ed in qualche modo indulgente, “la tua attesa è finita.”

Chuck sentì i boccoli di Blair sfiorargli l’incavo del collo e fargli il solletico quando lei si abbassò per dargli un bacio sulla guancia. Prima che potesse fermarla, lei aveva afferrato il giornale e lo aveva sottratto alla sua presa non troppo salda. La guardò, affascinato dalla sua determinazione, mentre lo piegava accuratamente e lo poggiava sul comodino, prima di sedersi a fianco a lui con n largo sorriso sul volto.

Costretto ad incontrare il suo sguardo sempre accattivante, Chuck dovette stringere le labbra per impedirsi di abbozzare un sorriso a sua vota. Sospirò. “Stavo cercando di leggere quell’ar —”

Fu zittito dalle labbra di Blair, improvvisamente permute contro le sue. Incapace di ribellarsi, Chuck assecondò quel contatto ed approfondì il bacio, che divenne presto passionale, cingendola istintivamente in un abbraccio e tirandola a sé finché lei si trovò seduta sopra di lui.

Quando si separarono, Blair gli posò una mano sul viso, facendo scorrere le dita lungo la guancia. “Oh! Un sorrisetto,” disse teneramente, l’indice fermo sull’angolo delle sue labbra oblique. “Sono felice di vedere che hai finalmente smesso di tenermi il broncio.”

Chuck si accigliò leggermente. A dispetto del piccolo sorriso inconsapevole che Blair aveva prontamente scorto sul suo volto, non aveva ancora rinunciato al tentativo di mantenere un’aria insoddisfatta. “Io non tengo il broncio,” protestò, un vago accenno di offesa nel tono ora più serio.

Blair lo guardò per un secondo. “Invece sì,” lo contradette, sogghignando ed alzando gli occhi al cielo. Si liberò dalla sua presa e si girò per togliersi le scarpe. “E spesso, aggiungerei. Sei la persona più scontrosa che io conosca,” gli lanciò un sguardo eloquente da sopra la spalla, “e la più permalosa.”

“Non è vero,” Chuck, le sopracciglia aggrottate, assunse un’espressione offesa. “Semplicemente, detesto svegliarmi e trovare un letto vuoto.”
           
Sospirando, lei scosse la testa. “Sì, Chuck, lo so,” commentò divertita. “Lo hai già ampiamente chiarito nei nove messaggi che mi hai inviato mentre ero fuori.”  
 
Blair non suonava affatto infastidita, Chuck notò; sua moglie sembrava invece essere particolarmente divertita dalla situazione, come se sapere che la sua assenza lo aveva effettivamente turbato la compiacesse in qualche modo. Un ghigno molto soddisfatto le curvava le labbra e Chuck, intrigato e curioso, la seguì attentamente con gli occhi quando lei si alzò e si mosse verso la panchina ai piedi del letto.

Fu allora che la sua attenzione fu catturata dall’oggetto che era stato appoggiato lì. Riconobbe immediatamente il familiare arancione accesso della busta e, realizzando che lei gli aveva preso un regalo, un chiaro sorriso – quello che aveva combattuto per reprimere fino a quel momento – finalmente apparse sul suo volto.

Non poteva onestamente dire di essere sorpreso, comunque; era di sicuro contento, ma decisamente non stupido. Blair aveva preso l’abitudine di viziarlo in svariati modi da quando era diventata sua moglie, e portargli un presente ogni volta che andava a fare compere era solo uno di questi.

“Ti ho preso una cosa,” Blair mormorò, una luce soddisfatta a farle brillare gli occhi. “Giusto per ricordarti che, a prescindere da dove sia, tu sei sempre il mio primo pensiero,” proseguì, dirigendosi nuovamente verso il letto e portando il regalo con sé. Quando glielo consegnò era raggiante.

Chuck, appagato non solo dal gesto ma anche dalle parole piene d’affetto, prese in mano il pacchetto. “Hermès,” proferì, aprendo attentamente l’involucro ed estraendo una scatola egualmente arancione. Facendo scorrere un dito lungo il nastro nero e sottile che la sigillava, alzò gli occhi su Blair e ghignò. “Sai davvero come compiacere un uomo.”

Blair gli scoccò uno sguardo malizioso. “No, non un uomo qualsiasi,” lo corresse. Chuck non le tolse mai gli occhi di dosso mentre lei gli si sedeva a fianco. “So come compiacere te.”

Tirò il fiocco per disfarlo ed aprì la scatola. Dentro, poggiata su una velina color crema, c’era una cravatta di seta viola.  

Chuck sorrise alla vista del pezzo che Blair aveva selezionato per lui. Sollevò la cravatta, studiandone la fantasia regolare ed elegante con evidente soddisfazione; sua moglie aveva un gusto squisito, pensò, il quale, inequivocabilmente, coincideva con il suo. “Questo è certo,” le disse, spostando lo sguardo nuovamente su di lei. “E’ molto bella.”  
Blair abbassò gli occhi timidamente per un attimo. “Mi ha fatto pensare a te.”

Osservando la sua espressione radiosa, Chuck sorrise. Delicatamente, sistemò nuovamente la cravatta nella scatola e la mise da parte. Non era mai stato bravo con le parole e non sapeva esattamente come spiegarle che la sua gratitudine andava oltre il regalo che gli aveva comprato; quindi, quando le sussurrò “Grazie” nell’orecchio, poggiandole un braccio sulle spalle ed avvicinandola ancora di più a sé, si assicurò di stringerla forte nell’abbraccio, sperando che lei avrebbe capito che si sentiva grato per ogni gesto premuroso e per ogni attenzione che lei gli dedicava.    


“Non voglio che tu parta domani,” circa un’ora dopo, Blair ruppe il loro pacifico silenzio, le parole appena mormorate. Avevano passato quel che rimaneva della mattina facendo l’amore ed erano ora accoccolati sotto al piumone; lei era sdraiata in parte sopra di lui, intrappolata nelle sue braccia.

Chuck la guardò attraverso le palpebre socchiuse. L’espressione malinconica di Blair – gli occhi chiusi ed un piccolo broncio infantile sulle labbra – fece crescere la sua empatia. Era stato piuttosto entusiasta di questo viaggio di lavoro e della chiusura di un affare particolarmente problematico, ma la prospettiva di passare due settimane lontano da casa gli sembrò, nel momento in cui colse quel pizzico di tristezza sul viso di sua moglie, meno allettante che mai. “Preferirei di gran lunga restare,” sospirò, le mani che accarezzavano lentamente la schiena di Blair e cercavano un boccolo da catturare ed arrotolare tra alle dita.

Blair fece una risatina. “Bugiardo,” aprì gli occhi per lanciargli un’occhiata divertita. “Non è una risposta credibile, Bass. Sappiamo entrambi che vuoi partite.” Un sorrisetto prese il posto del broncio che gli aveva mostrato fino a quel momento e Chuck sorrise a sua volta, sempre incantato dalla sua abilità nel capirlo. “So che è importante,” proseguì, disegnando cerchi immaginari sul petto nudo di Chuck con la punta dell’indice. “E’ solo che mi mancherai. Due settimane sono lunghe ed il tempo sembra scorrere in modo diverso quando siamo lontani; non passa mai.”

Chuck, comprendendo e riconoscendo la cupa sensazione di lentezza ed incompletezza a cui lei aveva fatto riferimento, la strinse con più forza. “Passerà,” le assicurò, piegando la testa per darle un bacio sulla tempia.

Blair, inalando un respiro profondo, annuì. Chuck guardò i suoi occhi chiudersi e la sentì rilassarsi nelle sue braccia. Si sentì sollevato, capendo che, nonostante la vaga tristezza che li aveva colti, lei sembrava essere comunque serena e soddisfatta. Era lei la persona da cui sarebbe tornato a casa – qualcuno che lo amava veramente e che sentiva la sua mancanza – ed il pensiero lo lasciò pienamente consapevole della sua fortuna.

Face in modo che non uscissero dalla loro camera da letto fino al mattino seguente, desideroso di godere pienamente di ogni momento che avevano da passare insieme prima di essere obbligati ad un periodo di separazione così lungo.

 


Dieci giorni erano passati dall’ultima volta che Blair aveva visto suo marito di persona e, a questo punto, si sentiva piuttosto infelice. Nulla di quella situazione era nuovo per lei, non l’immensa distanza che li divideva o il tempo particolarmente limitato che avevano per parlare; era un aspetto delle loro vite che aveva accettato ragionevolmente e di buon grado come il prezzo da pagare per il successo – ed un enorme successo era, di fatti, ciò a cui entrambi aspiravano, oltre che un componente essenziale per la loro felicità.

Essere abituata a questo tipo di circostanza, comunque, non la rendeva meno spiacevole.

Chuck le mancava terribilmente. Non le mancava semplicemente la sua presenza; le mancavano le loro abitudini e, per quanto ridicolo avrebbe potuto suonare alle orecchie degli altri, le mancavano tutte quelle piccole cose che di solito faceva per dimostragli devozione.

Svegliarlo delicatamente la mattina, chiamarlo all’ora di pranzo per chiedergli della sua giornata, aspettarlo nell’ingresso la sera, quando  tornava a casa prima di lui, con un bicchiere del suo scotch in mano, coprirlo con una coperta in più di notte, quando, nel sonno, si lamentava di avere freddo; Blair punteggiava le loro giornate con queste e molte altre cure amorevoli – piccoli gesti che le davano un sereno senso di appartenenza – e non poter seguire questa routine era frustrante per lei. Era stata alquanto nervosa da quando Chuck era partito.

Le manca viziare Mr. Chuck,” Dorota, sempre intelligente e pronta, aveva dato questo significato all’umore impossibile della sua datrice di lavoro qualche giorno prima. Blair, che si rifitava categoricamente di considerare la situazione in questi termini, aveva liquidato il commento con un’occhiata severa. 

Fece lo stesso in quel momento, quando la sua governante, probabilmente nel tentativo di capire se era ancora di cattivo umore, la guardò con sospetto mentre le serviva la colazione.

“Ho esplicitamente chiesto delle more, Dorota, non lamponi,” si lamentò Blair, fissando il parfait di yogurt e frutta di fronte  lei. Allungò la mano verso la teiera di porcellana sul vassoio d’argento e, facendo una smorfia, la ritrasse immediatamente. “E questo tè è bollente,” sospirò nervosamente, serrando le labbra. “Vuoi che mi ustioni il palato?”

“Miss Blair, ha chiesto entrambi, ed il tè è caldo come sempre.” Dorota alzò gli occhi al cielo. “E’ nervosa perchè Mr. Chuck è in ritardo.” 

“Non essere ridicola,” la sbeffeggiò Blair, sistemando il tovagliolo di tessuto color beige sulle gambe – un espediente perfetto per evitare lo sguardo della donna. “Non sono una bambina petulante, so di non dover essere rigida quando si tratta dei suoi orari. Non è in vacanza.”

Dorota, rassegnata, sospirò, e Blair fu lieta di scoprire che le sue parole erano venute fuori abbastanza fredde e dure da mettere un punto a quella conversazione.  

Ciò nonostante, mentre la governante usciva dalla stanza, lo sguardo di Blair si spostò inevitabilmente sul portatile che aveva sistemato sul tavolo da colazione, aspettando che Chuck fosse su Skype così che potessero videochiamare. Le aveva spedito un messaggio di buon giorno un paio di ore fa, dicendo che sarebbe stato online per le sette, ma erano quasi le sette e mezza e non era ancora arrivato.

Il suo ritardo stava cominciando ad agitarla; non vedeva l’ora di guardarlo in faccia, di parlargli ed di assicurarsi che stesse bene. Cercando di essere paziente, Blair rivolse l’attenzione sulla sua colazione e cominciò a mangiare senza particolare entusiasmo. Non poté fare a meno di alzare lo sguardo verso il computer ogni volta che portò il cucchiaino alla bocca, impaziente di veder apparire l’avviso di chiamata.

La sua coppa di yogurt era quasi vuota quando successe. Si affrettò a rispondere e, un attimo dopo, si ritrovò a sorridere a Chuck, che la guardava attraverso lo schermo.

“Sei in ritardo,” mise da parte la coppa di cristallo e poi fece scorrere le dita sullo schermo piatto del portatile, leggermente, come a voler toccargli la guancia; consapevole che non poteva, sospirò. “Ero preoccupata.”

“Mi dispiace,” si giustificò Chuck. Il sorrisetto obliquo sulle sue labbra si affievolì un po’. “L’ultimo meeting è durato più del previsto.”

Blair realizzò che doveva essere appena tornato in hotel; era seduto su divano in quello che riconobbe come il salotto della sua suite arredata in stile minimalista, ancora vestito in un completo grigio antracite. “Avevo immaginato,” notando l’espressione stanca di suo marito, annuì simpateticamente. “Come è stata la tua giornata?”
           
Era già sera inoltrata a Tokyo. Dietro alle larghe finestre della stanza in cui lui era, Blair poteva vedere che il cielo era completamente scuro. Sapere che la giornata di Chuck stava per concludersi quando la sua doveva ancora cominciare le dava una strana sensazione. Blair odiava quell’enorme differenza di tempo tra di loro; le ricordava costantemente quanto lui fossero lontani e concedeva loro solo brevi momenti per stare insieme.  

“Stressante,” rispose Chuck, sfilandosi la giacca, “ma produttiva. Come stai?” appoggiandosi allo schienale del divano per stare più comodo, ghignò nuovamente. “Quanto ti manco oggi?”

Blair  aggrottò le sopracciglia. “Sto benissimo,” disse in un tono forzatamente indifferente, accompagnando le parole con una noncurante alzata di spalle. “Cosa ti fa pensare che mi manchi, esattamente?”

Chuck rise sotto i baffi. “La tua espressione,” spiegò, le labbra ancora oblique, mentre allentava il nodo perfetto della cravatta e procedeva a sbottonare il colletto della camicia.

Osservando quella sequenza di gesti, Blair finì per pensare che avrebbe volute prendersene cura lei, farlo per lui, come faceva ogni volta che Chuck tornava a casa tardi. Non poté fare a meno che corrucciarsi – e tradire il suo tentativo di essere divertente e sarcastica nel nascondere la sua evidente nostalgia.

Quello sguardo triste non passò inosservato agli occhi di Chuck. “Ti manco davvero molto,” dichiarò, enfatizzando quella affermazione con un sospiro piuttosto drammatico.

Blair sbuffò di fronte alla sua aria compiaciuta. Sentendo che stava arrossendo, comunque, abbassò gli occhi.

Quando sollevò nuovamente lo sguardo, il ghigno soddisfatto di Chuck si era trasformato in un sorriso più genuino. “Mi manchi anche tu,” disse e Blair non ebbe dubbi nel credere che fosse sincero.

Chuck sarebbe sembrato semplicemente stanco a chiunque non lo conoscesse bene quanto lei, ma Blair sapeva leggere
 in modo sorprendentemente chiaro quello che la sua espressione sempre indefinita e criptica lasciava trasparire; rivelava una nostalgia malinconica che le fece curvare le labbra in un sorriso triste e tenero allo stesso tempo.
“Solo altri quattro giorni, Chuck,” gli ricordò a voce bassa.

Chuck rispose con un debole cenno del capo e poi le chiese dei sui piani per la giornata. Mentre gli parlava, Blair osservò il volto di suo marito addolcirsi e diventare più rilassato; si era sistemato un cuscino dietro alla testa e la sua espressione era diventata serena, come se la familiarità di quel momento – ascoltarla mentre parlava dei suoi impegni – fosse riuscita a farlo sentire più vicino a casa.

 
“Vorrei poter restare di più,” sospirò fiaccamente Chuck  dieci minuti dopo, con palese riluttanza, passandosi una mano tra i capelli, “ma sfortunatamente ho ancora del lavoro da fare.”

Blair lo scrutò per un attimo ed una ruga preoccupata le apparve sulla fronte. Scosse le testa leggermente. “Ti direi di non stare sveglio fino a tardi se fossi così ingenua da pensare che ci sia anche solo una possibilità che mi ascolterai.”  

Chuck, che di sicuro aveva percepito la vena di apprensione nel tono dispotico della moglie, rise piano. “Non essere nervosa, Blair,” le disse, il famigerato sorrisetto diabolico tornato a piegargli le labbra. “Starò benissimo.”

Notando quanto la sua malcelata preoccupazione lo divertisse – avrebbe potuto scommettere che lo compiaceva – Blair si accigliò. “Charles,” si sporse in avanti, più vicino allo schermo, per dargli un’occhiata grave, il cui risultato fu quello di a far diventare il ghigno di Chuck più evidente e compaciuto. “Sono seria. Riposati,” sospirò, ascoltando la sua stessa voce diventare inevitabilmente più dolce. “So che non stai dormendo abbastanza.”

Chuck la fissò per un lungo momento prima di fare spallucce. Non avrebbe mai ammesso che aveva ragione – era troppo orgoglioso per farlo, Blair pensò – ma riuscì comunque a riconoscere una tacita ammissione nel suo sguardo immobile. “Ti prometto che starò bene,” le ripeté, questa volta calmo e rassicurante.  

Fu abbastanza perché Blair si concedesse di rilassarsi e di mostrargli un sorriso amorevole. Quando chiusero la videochiamata, Blair era sollevata (“Passa una buona giornata,” Chuck le disse, e lei, ancora infastidita dal fuso orario, gli rispose dandogli la buona notte – “Cerca di dormire, per favore.”). Era stata una chiamata breve ma rassicurante.

Finì la colazione e si diresse alla Waldorf Designs sentendosi leggermente meno nervosa, entusiasta all’idea di rivederlo su Skype quella sera – durante la pausa pranzo di Chuck. Solo altri quattro giorni, si disse mentre si preparava per iniziare a lavorare, sperando che sarebbero passati in fretta.

 


Chuck sospirò sollevato quando la limousine cominciò a rallentare e poi si fermò di fronte alla townhouse. Era piuttosto stanco a causa del viaggio ed impaziente di rivedere sua moglie. Aspettando che Arthur gli aprisse la portiere, si prese un momento per osservare il palazzo elegante da dietro i finestrini oscurati. Sorrise. Le luci erano tutte accese a ricordargli che c’era qualcuno ad attenderlo all’interno ed una calda sensazione di gioia gli riempì immediatamente il petto.

Venti minuti fa, quando era atterrato, aveva chiamato Blair per farle sapere che stava tornando a casa e si aspettava che lei lo stesse attendendo nell’ingresso, pronta ad accoglierlo con un drink ed un largo sorriso sulle labbra. Qualche secondo dopo, con quell’immagine piacevole in mente, uscì dal veicolo e si fece strada velocemente verso l’entrata, lasciando l’autista e la sua guardia del corpo ad occuparsi dei bagagli

Le sue aspettative non furono tradite; non appena aprì la porta, i suoi occhi trovarono immediatamente Blair, in piedi nel centro della stanza. Chuck fece appena in tempo a cogliere uno scorcio della sua figura – indossava qualcosa di rosso ed aveva effettivamente in mano un bicchiere di quello che sembrava essere scotch – e della sua espressione lieta prima che si precipitasse verso di lui e che lui facesse istintivamente lo stesso, eliminando la distanza  tra di loro con qualche passo affrettato ed impaziente.

In un attimo le sue braccia furono cinte intoro a lei. Si rese conto, nel momento in cui la strinse, di quanto gli fosse mancata; la desiderava nel senso più possessivo e bisognoso della parola. Chiuse gli occhi e, affondando il viso nell’incavo del suo collo, inalò il su profumo; era finalmente a casa.

“Ben tornato,” disse Blair, facendo scorrere la mano libera sulle spalle di lui, ancora coperte dal cappotto, fino alla nuca. Cominciò ad accarezzargli i capelli con le dita.

“Mi sei mancata,” mormorò Chuck contro la spalla di Blair, la voce roca ed avida.

Prima che lei potesse rispondergli, Chuck sollevò il capo per catturarle le labbra in un bacio bramoso. Fu un bacio lungo e fervente; Chuck si perse nel piacere di averla nuovamente vicino – le mani che le stringevano i fianchi e le dita di lei aggrappate ai suoi capelli – e, per un paio di minuti, la realtà intorno a loro si fece indistinta.

Ne tornò consapevole solo quando si separarono. I suoi occhi si concentrarono sul volto di Blair; sembrava essere rincuorata e sinceramente contenta.

Appoggiando una mano sul suo volto, lei gli sorrise. “Sono così contenta che tu sia a casa,” gli disse, offrendogli prontamente il drink che aveva preparato per lui. “Sembri così stanco.”

Chuck prese il bicchiere con un sorriso riconoscente. “Allora mi merito un trattamento speciale, non credi?”

Blair gli rispose roteando gli occhi. Guardò oltre la spalla di Chuck mentre lui prosciugava lo scotch in un solo sorso e notò che, nonostante i bagagli fossero stati portati di sopra mentre loro erano troppo impegnati a salutarsi per prestarvi attenzione, l’autista di suo marito era ancora in piedi di fianco alla porta d’ingresso chiusa, aspettando immobile di essere congedato.

Gli sorrise. “Puoi andare, Arthur,” gli disse. Chuck le lanciò un’occhiata interrogativa, che lei ignorò. “E non preoccuparti di venire domani mattina; Mr. Bass si prenderà una giornata libera.”  

“Ah sì?” Chuck chiese, la fronte leggermente aggrottata mentre dava il cappotto al suo maggiordomo, che era appena entrato nella stanza. Aveva già deciso di concedersi un giorno d vacanza, ma il fatto che sua moglie avesse predetto le sue intenzioni era alquanto divertente – anche se non inaspettato.

Blair riportò gli occhi su di lui. “Assolutamente,” gli rispose con decisione, prendendogli il bicchiere ora vuoto dalle mani. “Non scherzavo, Chuck.” Gli accarezzo il braccio gentilmente. “Sei sfinito.”

Era vero. Pensando che negarlo non avesse senso, Chuck sospirò ed annuì in direzione del suo autista, confermando silenziosamente le parole della moglie e dandogli il permesso di andare. Quando furono nuovamente soli cinse pigramente la vita di Blair con un braccio. “Vado a rinfrescarmi, se non ti dispiace,” le disse, prima di darle un bacio veloce sulla guancia.

“Ma certo,” un sorriso luminoso si allargò sul volto di Blair, mentre faceva scorrere una mano sul petto di lui, fino a raggiungere il colletto della camicia. “C’è un bagno caldo che ti aspetta di sopra, comunque,” con cura, gli allentò il nodo della cravatta che portava sotto al cardigan ed alzò gli occhi per rivolgergli uno sguardo affettuoso. “Prenditi tutto il tempo che ti serve.”

Questa era, Chuck scoprì con grande soddisfazione, solo una delle cure speciali di cui Blair aveva deciso che lui avesse bisogno. Quando uscì dal suo bagno, mezz’ora dopo, lei aveva già preparato una vestaglia calda di velluto ed un pigiama, risparmiandogli lo sforzo di doverlo fare da sé.

Una 
cena breve ed intima fu servita poco dopo. Mentre parlavano e mangiavano, Chuck non smise mai di cercare un contatto fisico; passò il tempo a tenerle la mano sul tavolo e stringerla. Gli era mancata così tanto che, ora che erano insieme, non poteva fare a meno di assecondare quella sensazione di completezza ed appagamento che provava nel toccarla.

Dopo cena passarono un po’ di tempo nel salotto, bevendo un drink. Non molto dopo, comunque, Blair insistette che andassero di sopra in camera da letto, sostenendo con decisione che lui avesse bisogno di dormire. Chuck non aveva alcuna voglia di alzarsi dal divano su cui era seduto a coccolare un Monkey particolarmente felice di vederlo, ma non vedeva l’ora di stendersi, quindi non obiettò. Diede un’ultima carezza al cane e poi seguì stancamente la moglie su per le scale fino al terzo piano. Furono a letto per le dieci.

Più tardi, accoccolata nell’abbraccio di Chuck, Blair sospirò. Lui era diventato molto tranquillo e silenzioso durante gli ultimi dieci minuti, rispondendole a fatica, ma lei sapeva che era ancora sveglio. La stringeva ancora fermamente – era quasi aggrappato a lei, in realtà, come se provasse il bisogno di tenerla ancora più vicino del solito per dimenticare le due settimane di notti passate in un letto vuoto – e le dita stavano ancora giocherellano distrattamente con i suoi capelli.

Si rigirò nelle sue braccia per guardarlo. “Non dormi,” affermò, posando una mano sulla curva tra il collo e la spalla di Chuck  ed accarezzandolo dolcemente.

“Non ci riesco,” rispose lui, piegando la testa di lato e strofinando la guancia contro il dorso della mano di lei. “E’ più o meno mezzogiorno per me, Blair.”

Blair annuì. “Capisco,” rispose con calma. Cominciò a sfiorargli il petto con fare rilassante, toccando appena la seta del pigiama nel tracciare linee immaginarie con le dita. “Sai, Dorota dice che ti vizio,” disse dopo un intero minuto di silenzio, sovrappensiero. “Pensi che sia vero?”

Chuck si lasciò sfuggire una risatina. “Secondo te?” le chiese poi. Il divertimento che la domanda aveva portato con sé era chiaro nonostante la voce assonnata e debole; la risposta era chiaramente un sì.   

“Non è divertente, Bass,” protestò Blair quando lui rise nuovamente. Improvvisamente lei smise di accarezzargli il petto e gli diede uno schiaffetto giocoso. “Sono una Waldorf. Siamo donne potenti, noi; non viziamo nessuno.”

“Ma non avete alcuna remore quando si tratta di essere viziate, vero?” le fece notare Chuck e, anche senza guardarlo, Blair fu in grado di dedurre dal tono soddisfatto del marito che c’era un ghigno sulle sue labbra.
           
Consapevole che c’era un fondo di verità innegabile nella sua battuta, Blair non replicò. Chuck adorava viziarla e lo faceva secondo le sue manie di grandezza; aveva passato il loro primo anno di matrimonio ricoprendola di regali – tutti esclusivi e splendidi. Non le negava mai nulla. Blair non riusciva a ricordare una singola volta in cui lui le avesse detto di no; infatti, il più delle volte, lei non aveva neanche bisogno di chiedere.

Blair rimase in silenzio per un po'. Percependo che era pensierosa, Chuck la strinse nel suo abbraccio. “Blair, sono stato viziato per tutta la vita,” le confessò. “Sono sempre stato circondato da persone che facevano cose per me perché dovevano. Quello che fai tu è diverso. Non è solo viziare; tu ti prendi cura di me e lo fai per amore.” Fece una pausa, inalando un respiro profondo. Le prese la mano che era ancora poggiata sul suo petto e la portò verso le labbra, baciandone il dorso. “Mi sento amato,” disse. Le sue parole suonarono oneste e piene di affetto. “Sei stata la prima persona a farmi sentire così.”  

La gratitudine nella sua voce commosse Blair. Sentì le lacrime pizzicarle gli occhi e serrò le palpebre per reprimerle. Aveva avvertito una nota bisognosa nel suo tono, un vago accenno che confermò, ancora una volta, quello che constatava ogni giorno; tutte le piccole attenzioni che lei gli dedicava erano, in qualche modo, indispensabili. Per Chuck significavano più di quanto lui fosse in grado di spiegare; erano potenti rimandi del suo amore, capaci di placare i moti di insicurezza che spesso lo coglievano.  

Blair sapeva di essere essenziale per lui ed il pensiero la faceva sentire speciale ed importante. “E questo non cambierà mai,” gli assicurò. Si avvicinò e gli diede un bacio leggero sulle labbra. “Farò sempre del mio meglio per farti sentire amato.”

Chuck le accarezzò il volto, il pollice che disegnava piccoli cerchi sulla pelle liscia. Anche al buio, ora che lei era così vicina, riusciva ad intravedere la sua espressione, amorevole e sincera. Sapeva che gli stava dicendo la verità; le credeva e si fidava di lei come non si era mai fidato di nessuno.

“Ti amo,” rispose semplicemente, sapendo che quelle due semplici parole avrebbero sempre sostenuto il significato profondo di tutto quello che provava per lei.

Si addormentò tendendola stretta a sé, il naso affondato nei sui capelli per respirare il suo odore. Era più felice di quanto avesse mai pensato di poter essere. 


 

Note:

[1] E' super fluffy, lo so. Ma amo l'idea che Blair sia questo tipo di moglie, attenta e materna. Secondo il mio punto di vista, lo è decisamente. Dico spesso che, se è vero che Chuck è bisognoso - e Chuck lo è, e quanto! - , è altrettanto vero che Blair ha bisogno di sentire che le persone che ama hanno bisogno di lei. Anche in questo caso, l'uno nutre le necessità dell'altro. Questa, in generale, è l'idea che sta dietro alla one-shot. 

[2] Nel caso qualcuno fosse curioso, a fine Novembre tra New York e Tokyo ci sono 14 ore di differenza!

[3] La fanfiction è stata scritta prima in inglese (da me). Qui l'originale. 

           

Ritorna all'indice


Capitolo 5
*** Triumph ***


Chuck Bass non era noto per essere un uomo paziente. Era abituato ad ottenere quello che voleva un attimo dopo averlo domandato – o, per meglio dire, si aspettava che le persone prevedessero le sue richieste e si affrettassero a soddisfarle ancora prima che lui si dovesse scomodare a parlare.

La peculiare combinazione tra l’essere abituato a comandare e l’essere oltremodo viziato aveva infatti fatto si che, fin da bambino, sviluppasse una profonda ed intensa avversione nei confronti dell’attesa – il che era, a suo parere, uno dei molti fattori che contribuivano al suo successo.

Di conseguenza, Chuck considerava il ritardo estremamente offensivo. Sebbene le sue rigide buone maniere si ammorbidissero fino ad una certa flessibilità quando si trattava di concedere a se stesso il piacere di essere aspettato (era convinto che essere leggermente in ritardo conferisse un’ulteriore aria di importanza alla sua già inavvicinabile persona), non tollerava un simile comportamento da parte degli altri.

Questo imperativo, tuttavia, non riguardava sua moglie. Blair era, come in quasi ogni aspetto della sua vita, un’eccezione. Era sempre stata capace di tirare fuori il suo lato più tenace; era stata lei ad insegnargli il potere della perseveranza ed era l’unica persona che non lo disturbava attendere. Non importava quanto a lungo, lui sapeva che l’avrebbe sempre aspettata – e lo avrebbe fatto con sorprendente pazienza.

Di solito, almeno. In quel momento, in realtà, Chuck stava riconsiderando questa convinzione. Blair stava impegnando troppo tempo per prepararsi e lui cominciava a sentirsi nervoso. Dovevano presenziare al gala per il trentesimo anniversario della Bass Industries e non potevano permettersi di essere elegantemente in ritardo. In verità Chuck voleva essere lì in anticipo per poter rivedere il suo discorso un’ultima volta ed assicurarsi che tutto fosse stato sistemato seguendo le sue istruzioni.

Chuck controllò l’ora sul suo Rolex ancora una volta e sospirò teso. C’era ancora molto tempo, si disse, sistemando il suo farfallino, nonostante fosse già perfettamente annodato e centrato.  Decise di versarsi da bere; gustare un po’ del migliore scotch lo avrebbe aiutato a rilassarsi, pensò.  

Celebrare la Bass Industries lo lasciava sempre in preda a sentimenti contrastanti: se da una parte amava l’idea di essere elogiato per i suoi successi, dall’altra non riusciva mai ad impedirsi di chiedersi se quello che stava facendo fosse abbastanza e, soprattutto, se lo stesse facendo abbastanza bene. I fatti – la concretezza dei suoi risultati e la razionalità con cui li riconosceva  – a volte non erano abbastanza per fargli superare l’insicurezza che si portava dietro da sempre.

“Sei arrabbiato, papa?”

Chuck era a metà strada verso il mobile bar quando sentì la voce di suo figlio di quattro anni, curiosa a dispetto della sua 
dolcezza  infantile, chiamarlo. Si fermò e si voltò per vedere Henry fissarlo da dietro lo schienale del divano sul quale era accoccolato, gli occhi vispi stretti a studiare la sua espressione.

Gli angoli della bocca di Chuck si sollevarono in un sorriso. Suo figlio gli assomigliava incredibilmente in svariati modi, ma quella percettività immediata e la naturale empatia erano talenti che aveva ereditato da Blair. “No, non sono arrabbiato,” spiegò, cambiando direzione ed attraversando il salotto per raggiungere il divano. Il drink che aveva deciso di concedersi fu dimenticato mentre si avvicinava ad uno scettico Henry. “Sono solo preoccupato che faremo tardi. Tua mamma ha molte qualità deliziose, ma la puntualità non è di certo il suo forte.”

Henry lo scrutò per un secondo. “Tardi per la festa  a cui non sono invitato?” il suo sguardo si spostò rapidamente sul libro illustrato del Re Leone aperto sulle sue gambe. Aspettando una risposta, cominciò a sfogliare le pagine con un broncio insoddisfatto ad arricciargli le labbra. Alzò appena gli occhi quando suo padre gli si sedette affianco.

Chuck, sbottonando la giacca nera del suo smoking, sospirò. Henry aveva passato tutta la giornata protestando contro la decisione dei suoi genitori di lasciarlo a casa con la sua tata e Chuck si sentiva colpevole al punto che, solo qualche ora prima, aveva quasi ceduto ed acconsentito a lasciare che si unisse a loro – e sarebbe di certo successo, se solo Blair non fosse intervenuta a mettere fine ai capricci di loro figlio. “Henry, sai che non è così,” gli disse, facendo il meglio che poteva per non suonare tanto dispiaciuto quanto si sentiva. “E’ una festa per adulti. Io e tua madre saremo impegnati a parlare con tante persone; ti annoieresti.”

Henry chiuse il libro. “Non è vero per niente,” affermò, alzando gli occhi su suo padre. “Lo zio Nate ci sarà,” obiettò aggrottando la fronte, testardo nell’esprimere di nuovo le sue ragioni. “E nonna Liliy e zia Serena e zio Jack—"

“Henry Charles Nathaniel Bass," sia Henry che Chuck girarono la testa e sollevarono lo sguardo verso le scale, da dove Blair aveva parlato. “Non ti stai lamentando, vero?”

Sentire sua madre chiamarlo con il suo nome intero era stato abbastanza per convincere 
immediatamente Henry a smettere di lagnarsi, e Chuck si ritrovò a ridacchiare al pensiero che lui non aveva nessuna possibilità di essere così autoritario. Due minuti in più ed Henry sarebbe riuscito a convincerlo – di nuovo – che aveva ragione.

"Io no," Henry dichiarò, voltandosi. “Ma papà sì. Ha detto che farete tardi perchè non sai essere puntuale.”  

Quando suo figlio gli lanciò uno sguardo, Chuck riconobbe nella sua espressione la silenziosa richiesta di confermare la sua versione. Chuck ghignò e, per risposta, gli fece l’occhiolino. “E’ vero,” disse quindi, seguendo sua moglie con gli occhi mentre si avvicinava a loro. “Henry stava solo facendo una lista di tutte le persone che non dovremmo lasciare ad aspettare.”

Blair, che ora era in piedi di fronte a padre e figlio, alzò gli occhi al cielo. Non era difficile capire che non credesse alle loro parole, ma il suo sorriso era la prova che era comunque determinata a lasciar correre. Scosse la testa e sorrise. “Non faremo aspettare nessuno. A dire la verità, siamo abbondantemente in anticipo,” sedendosi a fianco a loro, Blair mise un braccio attorno alle spalle del marito e gli accarezzò il braccio gentilmente. “Tuo papà è solo un po’ agitato,” disse ad Henry, nonostante il suo sguardo rimase fermo su Chuck, attento e tenero allo stesso tempo. “Non dovrebbe esserlo, però, perché festeggiamo il suo successo sta sera ed è qualcosa che dovrebbe godersi.”

Un piccolo sorriso nacque sulle labbra di Chuck. Blair sapeva sempre cosa dire e quando dirlo. Le prese la mano e, intrecciando le dita con quelle di lei in un implicito gesto di gratitudine, la strinse leggermente.
 
"Davvero non posso venire con voi?” domandò Henry  timidamente, ad occhi bassi. La sua richiesta supplichevole scivolò in un piccolo sospiro e quando, un attimo dopo, sollevò lo sguardo su Chuck, fu abbastanza accorto da mostrargli l’espressione più desolata che riuscì a dare al volto.

Una vaga aria di tristezza scurì subito il viso di Chuck. Blair, sapendo che era il preludio ad una risposta indulgente, gli impedì di replicare con una severa occhiata di avvertimento. “Non provare ad ingannare tuo padre con quello sguardo triste, Hen,” intervenne. “Ne abbiamo già parlato; la festa finirà troppo tardi per te.”

Henry sbuffò. “E’ ingiusto!” La sua espressione implorante era sparita, sostituita da una posa offesa, che enfatizzò incrociando le braccia. “Io voglio sentire il discorso di papà!”

“Lo hai già sentito moltissime volte,” Blair disse fermamente, alzandosi. Chuck lo aveva scritto più di una settimana prima e, da allora, Henry aveva preteso che glielo ripetesse almeno due volte al giorno. “Come tutti noi,” aggiunse,  lanciando uno sguardo esasperato ma divertito ad un Chuck ora piuttosto infastidito. “Sono sicura che non è cambiato affatto. Andrò a controllare che la tua cena sia pronta e poi io e tuo padre andremo.”

Chuck attese che sua moglie sparisse dentro la sala da pranzo e poi si sporse in avanti verso Henry, poggiando una mano sulla piccola spalla già coperta dal pigiama “Farò in modo di farlo filmare, così possiamo riascoltarlo insieme domani,” promise al bambino imbronciato, stendendo il braccio per potergli accarezzare la guancia con il pollice. “Mi dispiace per sta sera. Ma la mamma ha ragione, Henry; non possiamo portarti con noi.”

Suo figlio annuì lentamente e l’aria rassegnata sul suo volto spezzò il cuore di Chuck più di un poco; odiava deluderlo. Lo abbracciò e, stringendolo a sé, gli scompigliò i capelli folti e leggermente mossi. “Puoi chiedere a Miriam una tazza di cioccolata calda dopo cena,” sussurrò all’orecchio di Henry, e si sentì sollevato quando suo figlio rise allegramente. “Non lo diremo alla mamma.”

Blair tornò nella stanza qualche secondo dopo e li trovò impegnati in una fitta conversazione. Sapendo che suo marito aveva sicuramente finito per promettere qualcosa ad Henry nel tentativo di alleviare il suo senso di colpa all’idea di lasciarlo a casa, lanciò loro uno sguardo sospettoso, che sarebbe stato accompagnato da una conseguente domanda se solo non avesse incontrato quello di Chuck. I suoi occhi le stavano silenziosamente chiedendo di far finta di non aver notato nulla, quindi Blair si limitò a lasciarsi andare ad un sospiro inusualmente permissivo. Non poteva rovinare quel momento.

Dieci minuti dopo Chuck e Blair avevano salutato loro figlio ed erano pronti ad uscire. Chuck, finalmente capace di osservare sua moglie senza distrazioni, fece correre lo sguardo lungo tutta la sua figura mentre si sistemava il cappotto, soffermandosi su ogni dettaglio della sua mise.

Conosceva 
molto bene l’abito che Blair indossava, per il semplice fatto che era stato lui ad acquistarlo per lei, come uno dei suoi regali di compleanno – Chuck era solito ricoprirla di doni durante il mese che precedeva il suo compleanno, che era la settimana prossima. Era un vestito da sera Oscar de la Renta dalla gonna ampia che toccava il pavimento, confezionato appositamente per l’occasione.

Blair era stupenda avvolta nella seta lilla ed il tulle viola scuro, e Chuck, meravigliato dalla sua naturale eleganza e sensualità discreta, fu preso di soprassalto da un improvviso moto di gelosia. Avrebbe avuto poco tempo da passare con lei quella sera ed il pensiero di condividerla con una stanza affollata di persone lo disturbava profondamente; non voleva che qualcuno la guardasse come la stava guardando lui in quel momento, incapace di distogliere gli occhi dalla sua bellezza.  

Eliminò la distanza tra di loro con un paio di passi affrettati e la cinse da dietro, le braccia avvinghiate attorno alla vita sottile. Quando Blair lo occhieggiò dubbiosa da sopra la spalla, Chuck ghignò. “Sei troppo bella,” affermò per dare un senso a quell’abbraccio inatteso e al modo in cui le stava ancora bloccando i fianchi. “Ti voglio tutta per me.”

Blair, scuotendo la testa leggermente, rise. Allungò un braccio e, poggiando la mano sul viso di Chuck, lo zittì con un breve bacio. “Sai che sono già tua,” gli disse, ed il ghigno di Chuck si fece più obliquo quando notò l’espressione giocosa sul volto di lei; la sua gelosia la divertiva. “Non c’è bisogno di esser così possessivio”

C’era, Chuck la contradette mentalmente. Blair avrebbe attirato l’attenzione di tutti e l’idea lo costrinse a stringere la presa su di lei, il che la fece ridere di nuovo compiaciuta. Nonostante ciò, consapevole che dovevano andare, non replicò. Prese il cappotto ancora piegato sul braccio di Blair e la aiutò ad indossarlo in un atto di cavalleria. Sarebbe stata una serata lunga, pensò, mentre uscivano dal palazzo sottobraccio e si dirigevano verso la limousine che li attendeva di fronte al portone.
 

“E’ cattiva educazione non prestare attenzione al tuo interlocutore, nipote.”

La voce ironica e sempre macchiata di noia di Jack raggiunse le orecchie di Chuck distante come un eco, sebbene suo zio fosse seduto proprio affianco a lui. Le parole, in ogni caso, non riuscirono a fargli distogliere lo sguardo dalla pista della sala da ballo del Palace Hotel, che fissava insistentemente da due minuti, gli occhi ridotti a fessure ed un’espressione accigliata.

Lì, stupenda nel suo abito suntuoso, Blair stava ballando Brian Richards, uno dei molti soci d’affari di Chuck. Sembrava divertirsi, Chuck notò con una punta di bruciante fastidio; aveva un’aria entusiasta mentre lasciava che l’uomo la guidasse al ritmo di un vivace valzer viennese.

Chuck disprezzava già Richards per un buon numero di ragioni – una certa intollerabile arroganza combinata con un’intelligenza non esattamente brillante più di tutto – ma, in quel momento, ciò che lo infastidiva di più era il fatto che stava facendo roteare sua moglie sulla sua pista da ballo alla sua festa. 

Non gli era stato possibile prevenire una tale inappropriata circostanza dal presentarsi. Aveva osservato l’uomo chiedere un ballo a Blair dall’altro lato della stanza, mentre tentava di tornare al loro tavolo dopo il suo discorso, facendosi strada tra le molte persone che volevano stringergli la mano e congratularsi. Quando ci era finalmente riuscito, Blair, ben educata com’era, aveva già accettato, lasciandolo lì seduto con la sola compagnia di suo zio.

"Potrei dedurre dalla tua distrazione che i miei complimenti non ti interessino,” Jack concluse, obbligando Chuck a considerarlo.

Era stato accusato di molte cose nella sua vita, giustamente e non, ma la scortesia era qualcosa di cui era stato raramente colpevole. “Sono contento che il discorso sia stato di tuo gradimento,” rispose dunque, facendo capire all’uomo più maturo che aveva ascoltato quello che aveva detto. Il suo sguardo, tuttavia, rimase fermo su Blair ed il suo compagno di ballo. “Prego, comunque. Sono consapevole DI quanto sia duro per il tuo ego esprimere gratitudine, quindi ti risparmierò la fatica di ringraziarmi per averti menzionato.”

Il tono della risposta, a discapito delle parole acute ed altezzose, non si rivelò tanto arrogante quanto avrebbe dovuto essere. Chuck aveva parlato lentamente e distrattamente, ed il suo insolito disinteresse nel  mostrare superiorità non passò inosservato.

Jack, infatti, lo percepì immediatamente. “Oh, ma fammi il favore,” sbuffò. “Sei troppo preoccupato dal fatto che tua moglie abbia trovato qualcuno con cui ballare per apprezzare il mio tentativo di dire qualcosa di gentile.”

Il commento sardonico riuscì a far sì che Chuck spostasse lo sguardo dal centro della stanza ovale ed e che si voltasse in tempo per vedere un ghigno derisorio apparire sul volto dello zio. “Chiunque Blair scelga per ballare non ti riguarda,” disse, tagliente e rigido come la sua espressione scura. “Si sta godendo la festa; dovresti probabilmente trovarti una donna da intrattenere e fare lo stesso.”

“Credimi,” Jack, visibilmente divertito, sogghignò. “Guardarti affogare nella tua cieca gelosia è molto più dilettevole.”

Chuck lo guardò male da sopra il suo drink – un calice di Champagne leggero, che avrebbe felicemente sostituito con un bicchiere di più forte e decisamente più piacevole scotch. L’unica cosa che lo fermò dal richiederne uno al cameriere fu la fine della canzone. Chuck la accolse con un sorriso obliquo. “Beh, dovrai trovare un altro modo per divertirti,” affermò, prima di prosciugare lo Champagne in un solo sorso.

Non diede a suo zio alcuna possibilità di replicare. Si alzò rapidamente e, sistemandosi la giacca, cominciò a camminare verso la pista da ballo dove si trovava sua moglie, impaziente, per usare un eufemismo, di unirsi a lei prima che qualcun altro potesse chiederle di danzare.

Avrebbe dovuto conversare con i suoi ospiti, lo sapeva, ma non riusciva a sopportare il pensiero di vedere la mano di un altro uomo toccarle la vita. La sola idea di assistere ad un’altra scena simile gli fece arricciare le labbra ed accelerare i passi. Voleva avvolgerla nelle sue braccia, intrappolarla nell’abbraccio più stretto, e baciarla profondamente davanti a tutti, per dimostrare loro che non potevano averla, perché era a lui che Blair apparteneva. Allo stesso tempo, un opposto ma egualmente potente bisogno lo stava guidando velocemente verso di lei; voleva portarla a casa, lontana dagli occhi di tutte quelle persone, e fare l’amore con lei.

Quando Chuck, leggermente
 senza fiato nonostante la postura sempre composta, la raggiunse, Blair stava sorridendo a qualcosa che Richards le aveva detto. Entrambi sembravano essere inconsapevoli della sua presenza. Serrò nervosamente la mascella e si schiarì la gola per annunciarsi.

Blair si girò subito. “Chuck,” gli rivolse un sorriso ampio e si sistemò al suo fianco, facendo scorrere un braccio sotto al suo. “Mr. Richards stava appunto parlando di te,” disse con brio.

Chuck la fissò per un secondo. Non riusciva a decifrare bene la sua espressione; c’era qualcosa di ambiguo e misterioso nel suo sorriso cortese e le sue gote erano leggermente imporporate. 

“E’ vero, Mr. Bass,” Chuck distolse riluttante lo sguardo accigliato da sua moglie e lo diresse verso l’uomo in piedi di fronte a lui. Se non fosse stato così concentrato sugli svariati modi in cui quella situazione lo stesse infastidendo, avrebbe di certo apprezzato il modo in cui il suo interlocutore aveva leggermente piegato il capo in un gesto inconsapevole di riverenza e disagio. “Bellissimo discorso,” stese il braccio, aspettando che Chuck gli stringesse la mano. “Non faccio a fatica a credere che sua moglie sia una tale inspirazione per lei,” proseguì, parlando di come Chuck avesse ringraziato la sua famiglia e specialmente Blair per il modo in cui lo sosteneva. “E’ una donna meravigliosa.”

“Grazie,” Chuck strinse la mano dell’uomo con fermezza – forse con troppa fermezza. “Lo è di sicuro,” disse, cingendo la vita di Blair con un braccio. “E, come avrà probabilmente notato, è anche un’eccellente ballerina.”

La strinse a se, il palmo della mano premuto contro il suo fianco, sperando che lei avesse capito il significato implicito delle sue parole; era con lui che lei avrebbe dovuto ballare e si aspettava assolutamente che lei gli chiedesse di accompagnarla attraverso la prossima canzone.

Ma Blair non lo fece. Invece, sorrise allegra all’uomo. “Non brava quanto te, Brian” cinguettò in un tono che, alle orecchie di Chuck, suonò fin troppo civettuolo. Odiava il fatto che lo avesse chiamato per nome. “Mi piacerebbe ballare di nuovo.”

Percependola liberarsi dalla sua presa, Chuck non poté fare a meno di incupirsi. Stupito dalla risposta imprevista e dallo strano comportamento della moglie, non fece nulla per trattenerla quando, con un passo, si allontanò da lui.  

"Con piacere, Mrs. Bass,” Richards replicò. “Se Mr. Bass non ha nulla in contrario, ovviamente,” aggiunse intimorito, osservando Chuck con aria insicura.

A quel punto, obbligato dall’etichetta e dal contesto, Chuck fu costretto a forzare un sorriso. “Affatto,” proferì, nonostante fosse sicuro che Blair avesse capito dal suo tono oltremodo freddo che in realtà aveva delle obiezioni – e molte. “Divertiti, allora,” le disse, abbassandosi per darle un bacio sulla guancia. “Mi troverai al tavolo.”

Blair annuì e gli sorrise, il che, se possibile, riuscì ad offenderlo ancora di più: o lei non aveva colto la delusione nei suoi occhi, oppure l’aveva notata ed aveva 
comunque deciso di ignorarla. Chuck abbandonò la pista da ballo sentendosi ferito e risentito da quella mancanza di rispetto.
 
 
Quando lasciarono il party, Chuck aveva passato abbastanza tempo a rimuginare su quanto era successo che l’affronto ed il dispiacere si erano uniti ed, insieme, si erano trasformati in rabbia passiva e glaciale.

Il viaggio verso casa fu trascorso quasi completamente in silenzio. Blair fece un paio di commenti sulla festa, ai quali Chuck rispose a monosillabi, fissando la strada fuori dal finestrino oscurato. Sentì il suo sguardo fisso su di lui, come se stesse cercando di studiarlo e dare un senso alla sua apparente calma distaccata, ma lui si rifiutò ostinatamente di voltarsi ed incontrare i suoi occhi.
 
L’istinto gli avrebbe detto di guardarla, ma il suo orgoglio, sempre forte e testardo, gli impediva di fare o dire qualsiasi cosa per mostrarle che era arrabbiato. Stava aspettando – e, nonostante il suo silenzio e la sua immobilità, non così pazientemente – che lei capisse che cosa lo avesse infastidito tanto senza darle alcun indizio.

Fu solo quando arrivarono a casa che, mentre apriva l’armadio dell’ingresso per prendere una gruccia e mettere via il cappotto, Chuck le parlò. “Vado a controllare Henry,” disse a voce bassa e monocorde, avvicinandosi alla scalinata. Consapevole che lei lo stesse ancora studiando, salì le scale rapidamente, lasciandola indietro a chiudere il portone a chiave e congedare la tata.

Henry era profondamente addormentato quando Chuck arrivò in camera sua, e la scena lo fece sorridere teneramente. Lo osservò dalla soglia per qualche secondo prima di entrare. Fece quello che faceva ogni volta che rincasava quando il bambino dormiva di già; avanzò silenziosamente verso il letto e si sedette sul bordo a fianco ad Henry, abbassandosi per dargli un bacio delicato sulla fronte.

Per un momento, mentre, attento a non svegliarlo, accarezzava i capelli di suo figlio, la rabbia e l’offesa sparirono; Chuck le aveva lasciate fuori dalla porta che aveva lasciato socchiusa, alla ricerca di un momento di pace ed intimità. Solo guardare Henry gli dava un immenso senso di tranquillità.

Chuck non voleva lasciare andare quella serenità. Affrontare Blair era, allo stesso tempo, una prospettiva allettante e frustrante; voleva una spiegazione, ma voleva anche evitare la sua reazione. Aveva l’impressione che, divenendo consapevole della causa del suo nervosismo, lei lo avrebbe accusato di essere irragionevole.  

Mettendo da parte l’orgoglio, sapeva che il sua irritazione era probabilmente esagerata e non completamente lucida. Blair era una donna cortese e sapeva come comportarsi ad un evento; ignorare gli ospiti e rifiutarsi di socializzare era sgarbato. Chuck non avrebbe mai messo in dubbio la sua fedeltà e devozione, non per davvero. Tuttavia, essendo una persona gelosa, odiava dover condividere la sua attenzione e, a volte, non poteva fare a meno di offendersi anche per delle cose insignificanti, come il vederla ballare con qualcuno che non fosse lui.  

Gli ci vollero diversi minuti per decidere di lasciare la stanza di Henry e farsi strada verso la camera patronale. Quando lo fece, la trovò seduta alla toeletta e si rese conto di aver passato a guardare suo figlio dormire più tempo di quanto avesse creduto; Blair si era già spogliata ed aveva indossato una vestaglia di seta color avorio, si era struccata ed aveva disfatto lo chignon in cui i suoi capelli erano stati costretti per tutta la sera. I boccoli cioccolato ora le ricadevano sciolti sulle spalle.  

Osservandola e ricordando come lo avesse ignorato senza sforzo qualche ora prima, Chuck sentì un’altra ondata di gelosia irrazionale. Dovette inalare un respiro profondo per impedirsi di avvicinarsi e prenderla tra le braccia, possessivamente, solo per dirle in un gesto impulsivo che lei era sua. Invece, riversò tutto il suo ardore inespresso nello sfilarsi il papillon e gettarlo sulla panchina ai piedi del letto.

Blair, le sorpacciglia inarcuate, gli rivolse uno sguardo dal riflesso dello specchio. “Pensavo che ti fossi addormentato lì,” disse, riferendosi al fatto che a volte succedeva. La sua voce era calma nonostante il modo sospettoso in cui lo stava ancora fissando. “Stavo per venire a chiamarti.”

Chuck scrollò le spalle. “Devo aver perso il senso del tempo,” commentò freddamente.

Quando Blair si alzò e fece un passo verso il punto in cui lui stava in piedi, Chuck, 
sbottonando la camicia, si voltò di scatto ed attraversò la stanza fino all’altro lato, prima di sparire nella sua cabina armadio. Non tornò nella camera da letto prima di mezzora, dopo aver fatto una doccia ed essersi messo un pigiama comodo.

Blair lo stava aspettando, seduta sul letto. Qualcosa nel modo in cui lo stava guardando, senza alcun segno di incertezza nella sua espressione, gli disse che aveva capito. I  suoi pensieri trovarono una conferma qualche secondo dopo, quando lei gli sorrise – un sorriso in qualche modo provocatorio. “E’ stata una bella festa, non pensi?” commentò. “Mi sono divertita molto.”

Chuck si irrigidì. “Ho notato,” soffiò ed il suo tono raggiunse la nota più bassa.

Le parole, che erano state pronunciate come un’accusa, non fecero svanire il sorrisetto divertito di Blair. Divenne invece malizioso, in un modo che lo fece crucciare. Lei lo stava deliberatamente prendendo in giro, perfettamente consapevole della sua gelosia e per nulla intenzionata a farlo sentire meglio. “E’ così difficile trovare un bravo ballerino,” sospirò, “suppongo di essere stata fortunata.”  

Inconsciamente, Chuck si era avvicinato al letto dal lato di Blair. Serrò le labbra, cercando di contenersi; le mani gli tremavano, bramose di toccarla, e non riusciva, per quanto si sforzasse, a scostare gli occhi da lei, la rabbia che, lentamente, scivolava nella lussuria. “Non sapevo che fossi così facile da compiacere,” disse, la voce era appena più alta di un sussurro.  

Blair si sollevò leggermente, facendo scorrere la schiena sui cuscini che aveva sistemato contro la testiera, e, istintivamente, Chuck si abbassò. I loro volti erano ora distanti solo qualche centimetro.

“Non sapevo che fosse così facile farti ingelosire,” replicò lei.

Fu allora che Chuck notò quello che la sua cieca gelosia lo aveva trattenuto dal vedere fino a quel momento: il viso di Blair era illuminato di trionfo. Era vibrante, chiaro nei suoi occhi avidi. Le dita di lei si strinsero improvvisamente al colletto del pigiama di lui, aggrappandosi e trascinandolo giù, e Chuck si ritrovò sopra di lei prima di aver avuto modo di capire cosa stesse facendo.

"Lo hai fatto apposta,” mormorò contro le labbra leggermente dischiuse di Blair, mentre le sue mani risalivano lentamente i fianchi di lei. La schiena si arcuò in risposta al tocco; Chuck percepì i muscoli tendersi sotto i suoi palmi che le accarezzavano la pelle nuda, sotto la vestaglia leggera. “Volevi questo.”

Per un attimo, Chuck pensò che non voleva darle questa soddisfazione; lei lo aveva trattato come un giocattolo e non lo aveva lasciato libero di godersi quella che sarebbe dovuta essere la sua serata.

Ma poi Blair chiuse gli occhi e, trattenendo il respiro, lo prese per i capelli. “Mostrami che sono tua,” sussurrò, un ansito quasi supplichevole che convinse Chuck che non c’era modo di resisterle. Non era mai stato bravo a negarle quello che desiderava.

Quindi fece come lei aveva chiesto, pensando che, a volte, arrendersi era tanto dolce quanto vincere. 

 

Note:

[1]
Scritta per l’ottavo Limoversary. E’ stata pubblicata a Novembre, ma fino ad ora non avevo trovato il tempo di tradurla. E’ stata inspirata dalla parola prompt “Triumph” (trionfo). Come sempre, sentitevi liberi di contattarmi se avete dei dubbi.
 
[2] Ho preso l’episodio 2X10, "Bonfire Of The Vanity", come riferimento. Nell’episodio Chuck menziona il fatto che è il ventesimo anniversario della Bass Industries – nell’episodio viene anche detto che il compleanno di Blair è una settimana dopo. La fanfiction è ambientata dieci anni dopo, quindi nel 2018, un anno dopo il flash-forward dell’ultimo episodio. So che ci sono speculazioni sull’età di Henry, ma io sono una di quelli che pensano che avesse 3 anni alla fine dell’episodio 6X10, ed è per questo che ne ha tre in questa fanfiction.  

[3] Altri dettagli: nel mio headcanon, Henry ha due secondi nomi, Charles e Nathaniel. In più, se siete curiosi, potete vedere il vestito di Blair qui. E’ dalla collezione di quest’anno, ma non ho potuto fare a meno di sceglierlo. Sappiamo tutti quanto Chuck ami il viola e sono cerca che amerebbe vedere sua moglie indossare qualcosa del genere – e farlo confezionare appositamente per lei, chiaramente, perché è Chuck Bass!

[4] La fanfiction è stata scritta prima in inglese (da me) e poi tradotta. Qui l’originale.

 

Ritorna all'indice


Questa storia è archiviata su: EFP

/viewstory.php?sid=2870761