My soul

di Ryuketsu no Kurea
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** My mind ***
Capitolo 2: *** My journay ***
Capitolo 3: *** My fateful encounter ***
Capitolo 4: *** My demon ***
Capitolo 5: *** My dreams ***
Capitolo 6: *** My eyes ***
Capitolo 7: *** My future ***
Capitolo 8: *** My goodbye ***
Capitolo 9: *** My past ***
Capitolo 10: *** My Truth ***
Capitolo 11: *** My Old/New Life ***



Capitolo 1
*** My mind ***


My mind
 
Un'altra mattina, un altro giorno, un'altra maschera. Mi alzai dal letto, dopo che mia madre era venuta a svegliarmi. Le 6:40, la solita ora di tutte le mattine, come al solito, vado in bagno, mi vesto e scendo a fare colazione. Esco e prendo l'autobus delle 7:15, il solito autobus di tutte le mattine, la solita routine. Vorrei scappare, correre lontano senza dovermi tirare dietro tutte le catene che m'imprigionano. Ma, in fondo mi piace, la tranquillità e il senso di protezione che mi da. Sentimenti contrastanti è questo che sono, sempre che io sia sempre capace di provarne.
 
Le cuffie mi sparano a tutto volume le canzoni degli evanescence nelle orecchie, un paio di fermate e sarò a scuola, a fare la brava studentessa sedicenne, l'ennesima maschera. Mi scappa un sospiro, mentre guardo fuori dal finestrino. La voglia di cambiare è quasi un malessere, che mi si agita dentro, dopotutto non manca così tanto, tra due giorni parto per Berlino, anche se sarà solo per una settimana e dovrò comunque andare a scuola, sarà comunque un cambiamento. Com'è possibile che mi senta così indifferente? Le relazioni non mi toccano, com'è che nessuno riesce ad arrivare a capire che quelle che faccio vedere sono solo maschere, perché la gente vede solo ciò che vuole vedere?
Scendo dal bus e mi avvio verso il palcoscenico, pensando a quando potrò scendervi.
 
Le ore non passano, i minuti sembrano anni e io mi ritrovo spettatrice come tutti gli altri giorni, mi sento come se la parte di me, che sta interpretando la sua parte, non mi appartenga, è come se vedessi il mondo da lontano. Libertà, una parola che mi riecheggia dentro, un sogno, destinato a rimanere tale.
 
Dopo essere tornata da danza, mi butto sul letto, sperando che il sonno mi porti pace e metta a tacere il tumulto dei pensieri nella mia mente, ma pure i sogni mi perseguitano.

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Capitolo 2
*** My journay ***


My Journay
 
Finalmente è arrivato il giorno della partenza, la levataccia mi da la scusa di non dover sorridere mentre saluto i miei compagni di scuola, sul volto di Eleonora, la mia compagna di classe, vedo la mia stessa faccia addormentata, ma la sua è reale, a differenza della mia.
 
L'aeroporto di Peretola è piccolo, e il nostro gruppo riempie praticamente metà dell'entrata. Sono le sette, ma c'è già molto via vai, l'emozione per la partenza riesce a mettermi di buonumore. Finalmente arriva Jessica, l'unica persona con cui posso essere un minimo più naturale, per fortuna siamo in camera insieme e potremo fare nottata a guardarci film su vampiri. L'attesa per il check-in è lunga, dopotutto in ogni gruppo ci sono i ritardatari. Mentre aspettiamo d'imbarcarci, ci mettiamo in gruppo a scherzare e a prendere in giro i professori. Nonostante l'ambiente sia rilassato e amichevole, non posso fare a meno di sentire una lieve sensazione di disagio.
 
L'areo dove ci portano è un piccolo trabiccolo un po' scassato. Eleonora è eccitatissima, non appena l'aereo si posiziona in linea sulla pista, -Pronta Ele?- le chiedo ridendo, lei mi guarda con un sorriso che va da un orecchio a l'altro e annuisce.
Il pilota è molto bravo, il decollo è graduale e la pressione non si sente poi così tanto, forse quest'aereo non è un trabiccolo scassato. Il viaggio verso Monaco è molto breve, non facciamo in tempo a decollare che dobbiamo già scendere. Sono accanto a un ragazzo che non conosco, quindi posso tranquillamente mettermi le cuffie e rilassarmi sul sedile.
 
L'atterraggio, altrettanto dolce, arriva troppo presto, ma la cosa più bella è l'aereoporto di Monaco. Dire che è un centro commerciale non rende l'idea, è qualcosa di seriamente immenso. Con l'attesa passa l'emozione per il viaggio, passare quattro ore in aeroporto non è il massimo del comfort. Mi sento come se nulla riuscisse più a toccarmi, è la prima volta che vado a Berlino o Monaco e non riesco a godermele, come se non riuscissi più ad apprezzare la bellezza delle cose.
 
Finalmente ripartiamo e arriviamo all'aeroporto di Berlino, non riusciamo a vedere granché della città, poiché contiamo praticamente subito in metro. L' ostello si trova praticamente in centro, siamo a cinque minuti di metro da Alexanderplatzt e a non più di un quarto d'ora da Ku'damm, che è praticamente il paradiso dello shopping.
 
In camera siamo in quattro, io, Eleonora, Jessica e Margherita. Ci sono due letti e uno a castello, non appena entro mi approprio del letto superiore e mi ci stendo. Che aspettative ho da questa settimana, perché sono venuta a Berlino? Credo di non saperlo più.

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Capitolo 3
*** My fateful encounter ***


My fateful encounter
 
La prima sera passo tranquilla, almeno per me. Mi lasciai scivolare tutto addosso senza soffermarmi su ciò che accadeva. Era come se fossi in attesa di qualcosa, quel qualcosa che si aspetta da tutta la vita. Accidenti, mi sembro una bambina che crede ancora nella magia, e aspetta la sua lettera per Hogwarts. Io alla mia ci ho rinunciato, ma non posso fare a meno di farmi i peggio film mentali su situazioni assurde, nelle quali il più delle volte finisco per prendere a cazzotti la gente. Sarà rabbia repressa.
 
Senza nemmeno accorgermene ci ritroviamo alla scuola per stranieri, dove faremo un corso di potenziamento del tedesco. In giro non c'è neanche un bel giovane, questo mette fine anche a quelle poche speranze sulla breve tresca con un bel biondo e tedesco. È questo quello che penso quando, nella pausa, usciamo per andare da Starbucks, era ciò che pensavo, prima di vederlo.
 
La gente gli passa accanto tranquilla, come se fosse un anonimo giovane, anche tra le mie compagne non ci sono cenni d'interesse. Possibile che sia solo io a vedere quanto scioccante sia il suo aspetto? Ha stivali di pelle nera, e si vede il manico, di almeno un pugnale, fare capolino dallo stivale. Porta pantaloni di cuoio scuro, e sopra una specie di casacca a maniche lunghe, anche quest'ultima dello stesso cuoio.
 
I capelli sono scuri e corti sparati in tutte le direzioni, che gli danno un'aria da punk. Ma la cosa più scioccante non è il modo in cui è vestito, sono i suoi occhi. È normale avere gli occhi castano dorato, ma quelli sono proprio gialli. Non quel giallo limone, più un giallo caldo, ma comunque scioccante.
 
All'inizio continua per la sua strada, poi si accorge di me, si accorge che io lo guardo veramente. E i miei occhi incontrano quelli gialli di lui. Il colore sembra finto, ma più lì guardo più sono veri e minacciosi.
 
Entriamo da Starbucks, e il contatto tra noi finisce. Senza nemmeno rendermene conte mi è aumentato il respiro. Mi costringo a calmarmi e riflettere. Possibile che l'abbia davvero visto solo io? Ordino il mio primo caffè da Starbucks e mi siedo al tavolino difronte alla finestra e lo vedo. Lui è dall'altra parte della strada e mi fissa, uno strano senso di minaccia prende possesso del mio corpo scorrendomi come fuoco nelle vene. Mi sento così viva. Guardandolo meglio, mi accorgo della cicatrice che dal labbro inferiore arriva al mento, tracciando una diagonale.
 
Per un tempo che mi pare infinito ci fissiamo, poi lui china la testa in cenno di saluto e va via.
Io resto lì troppo scioccata per pensare alcunché, chi è? Cosa vuole? Perché salutarmi in quel modo? E soprattutto, perché l'ho visto solo io?
L'adrenalina continua a bruciare il mio corpo, mi rendo conto che questo è ciò che ho sempre voluto.

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Capitolo 4
*** My demon ***


My demon
 
La pausa finisce, e ritorniamo tutti in classe, la giornata continua tranquilla come se non fosse successo niente. Mentre giriamo per Berlino, non posso fare a meno di cercarlo, senza successo. Comincio a mettere domande casuali su ragazzi biondi qua e là, alle mie amiche, ma ottengo sempre le solite risposte, "Certo che qui a Berlino non c'è verso trovare un figliolo biondo" oppure "Uffa, tutti quelli belli sono fidanzati, per di più con delle cesse".
Mentre torniamo in ostello, per cambiarci e andare a cena, non posso fare a meno di sentirmi sconsolata. Che mi sia immaginata tutto? Forse ho cominciato a sognare ad occhi aperti.
 
Seguiamo i professori in metro e in poco tempo ci dividiamo per i vari ristoranti di Alexanderplatzt. Comincio a pensare che la metro sia la cosa più bella del mondo. Io e altre due entriamo in un piccolo ristorante caratteristico. Il pavimento di cotto, la luce soffusa e i mobili in legno scuro, creano un'atmosfera accogliente. Il cameriere che ci serve è molto gentile, mi consiglia pure un piatto classico berlinese: il Currywurst, un enorme wurstel con sopra una salsina a metà tra curry e ketchup, accompagnato da una valanga di peperoni, insomma, tanto per mangiare leggero. Dopo poco arriva con le ordinazioni, ed è così gentile da versarvi pure l'acqua. All'unanimità decidiamo di lasciargli la mancia. Mangiamo tranquille chiacchierando del più e meno. Alla fine su un piattino arriva il conto, insieme a tre caramelle all'arancia.
 
Finito di mangiare, ci avviamo alla fermata, per tornare in ostello. A sentire le mie compagne di stanza stasera vogliono fare after, io non so come fanno a dormire così poco e a sopravvivere con quella specie di caffè, che è talmente annacquato da sembrare tè.
 
Improvvisamente non vedo più nessuno, né professori, né compagni di scuola. Non ci sono più nemmeno i passanti, la metro è completamente vuota. Prendo il telefono per chiamare qualcuno, ma sottoterra non c'è campo. Cerco di ritornare sui miei passi, per trovare la linea giusta della metro, per tornare a Stadt-mitte.
 
Mi sento come se fossi seguita da un'ombra, è strano, non sono il tipo facile da spaventare, per me è normale prendere un autobus o un treno da sola. Ma il soffitto basso della stazione mi da un senso di claustrofobia, mi sento come se le pareti di una gabbia mi si stringessero addosso. E quell'ombra continua a seguirmi, sento il suo fiato freddo sul collo, che mi scende lungo la schiena, dandomi i brividi. Comincio a correre nella stazione deserta, i negozi bui hanno già tirato giù il bandone.
 
Le lampadine cominciano a tremolare. Sento solo il mio respiro affannoso nella corsa, e il cuore è come un martello nelle orecchie. Dove mi trovo? Ho completamente perso l'orientamento, i corridoi e le scale sono tutte uguali, mi sembra di essere in un labirinto. Come ho fatto a perdere di vista gli altri? Perché sono finita qui? "Perché ti ho chiamata io" sento una voce maschile suadente, non so nemmeno se l'ho sentita veramente, o se era solo nella mia mente. Sbatto le palpebre, e due occhi rossi mi appaiono davanti, così vicini da vederne le sfumature di rame nel centro. Soffoco un urlo in gola, mentre cominciò a correre ancora più forte.
 
L'ombra che mi segue è diventata solida e adorna di quegli occhi rossi. Mi ritrovo davanti a un vicolo cieco, è la fine, sono in gabbia. Il cuore batte all'impazzata e la paura mi ghiaccia il sangue nelle vene. Sento di nuovo quella voce nella mia testa, che, chissà come, riesce a superare l'assordante battito del mio cuore, pur senza gridare. È come se facesse parte di me, è come se parlasse direttamente alla mia anima.
"Sei mia, non vedo l'ora di conoscerti, Clarissa"
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Grazie a tutti quelli che mi hanno seguito e un grazie, in particolare, a Angel Story, che ha aggiunto la mia storia tra le seguite. Aspetto i vostri commenti, a presto :)
Ryu.

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Capitolo 5
*** My dreams ***


My dreams
 
Mi tiro su di scatto, l'urlo mi rimane incastrato nella gola secca. Mi fa malissimo respirare. Mi guardo intorno, c'è luce, la luce del sole, non sono più sottoterra, man mano che riconosco la mia camera d'ostello mi calmo e il respiro torna regolare. Stavo sognando, era solo un sogno, tutta colpa del cibo pesante.
 
Le mie compagne dormono tutte, deve essere presto. Scendo dal letto e guardo l'ora sul telefono, le 6:00, si è decisamente troppo presto. Ma sono ancora troppo agitata, non penso che riuscirei a dormire. Prendo al volo l'occasione del bagno libero e con calma mi faccio una doccia, sperando di riuscire a rilassarmi. L'acqua mi scivola addosso lavando via il brutto sogno. Quando esco sono già le sette, comincio a svegliare le altre e ad asciugarmi i capelli.
 
Quella mattina, dalla finestra della scuola, rivedo il ragazzo con gli occhi dorati, che mi guarda. E, nuovamente, sono l'unica a vederlo. Lui se né sta lì, senza nemmeno più guardarmi, come se stesse facendo la guardia. Ok, comincio ad avere paura, mi sento spiata, ogni volta che entro in una stanza o giro un angolo, non posso fare a meno di guardarmi le spalle. Se prima desideravo con tutta me stessa cambiare aria, ora voglio solo tornarmene a casa.
La scuola finisce a un quarto a mezzogiorno, il ritrovo è per le tre nella hall dell'ostello, ho un po' di tempo, nel quale spero, di poter recuperare le ore di sonno perse tra after e levatacce.
Mi butto sul letto vestita e poco a poco mi addormento.
 
Questa volta sono in classe, ma è notte ed è tutto buio. So già quello che sta per succedere, riesco a percepire quella presenza, ma ho paura lo stesso. -Vieni fuori, so che ci sei!- cerco di non far tremare la voce, dopotutto anch'io ho un orgoglio da difendere, non sono più una bambina che ha paura dell'uomo nero.
Dall'altra parte della stanza escono dall'ombra quegli occhi rossi, riesco distintamente a vedere la sua figura. Indossa un giubbotto nero lungo fino al ginocchio e a contrasto una camicia bianca, che risplende nel buio, è alto, molto alto, mi supererà almeno di una testa e mezza. Nonostante sembri un gigante, la sua figura è elegante e slanciata. Anche se la camicia bianca risplende della luce della luna, il suo volto, a parte gli occhi, rimane nell'ombra. Riesco solo a vedere la sagoma dei capelli, lunghi fino alle spalle.
-Che vuoi?- questa volta non riesco a non far tremare la voce, la sua presenza mi mette troppo in soggezione.
 
Fa un ghigno soddisfatto, o almeno penso che lo faccia, -Te l'ho già detto Clarissa, voglio conoscerti- La sua voce suadente, come la ricordavo, è come se mi scavasse dentro, cerco di resistere e penso con tutta me stessa di cacciarlo fuori di me. -Beh io non sono interessata, quindi puoi pure andartene- dissi a testa alta, improvvisamente più sicura di me, anche se sembro una bambina di cinque anni con la mia debole voce. Lui inclina la testa di lato, mi guarda come se fossi un cagnolino acrobata che si sta esibendo per lui, e ha fatto qualcosa,che l'ha stupito e divertito.
 
Mi da hai nervi essere guardata in quel modo, mi viene voglia di tirargli dietro qualcosa. Dopotutto è solo un sogno, quindi potrei pure farlo. Afferro lo schienale della sedia pronta a lanciargliela contro. Improvvisamente me lo trovo accanto, con una mano sola, prende la sedia e la scaglia contro la parete opposta, mandandola in mille pezzi. Gli occhi mi si sbarrano e comincio a respirare più velocemente.
 
Nonostante il suo volto sia a poca distanza dal mio, rimane comunque nell'ombra, ma in qualche modo so che quel ghigno divertito è ancora sul suo volto. -Molto male Clarissa, non è così che si fa conoscenza- dice sarcastico. Decisa a non farmi sottomettere dalla paura gli rispondo provocatoria, o almeno tentando di esserlo -Parli di fare conoscenza, ma per quel che mi riguarda non conosco nemmeno il tuo nome, e non mi interessa saperlo- naturalmente il risultato è stato solo quello di fargli fare una risatina sommessa. Maledizione, perché ho così tanta paura?
-Perdonami, non mi sono presentato, il mio nome è Gregor Ivashokov- disse chinando lievemente il capo -È un onore conoscerti Clarissa- il modo in cui pronuncia il mio nome, sussurrato e sibilato, come se fossi una sua proprietà, come se fosse geloso di chiunque altro possa pronunciarlo, questa è la goccia che fa traboccare il vaso.
 
Cerco di scappare via verso la porta, ma lui mi anticipa, è fulmineo, come la prima volta, mi appare davanti e mi sbarra la strada, sorpresa cado a terra.
Il palmo della mano si graffia su una delle schegge della sedia in frantumi.
-Perché hai così tanta voglia di andartene Clarissa?- ancora il mio nome che esce dalle sue labbra, non ce la faccio più. I polmoni mi si riempiono d'aria, e un urlo comincia a nascere nella mia gola.
-Per questa volta ti accontento, ma sta pur certa che ci rivedremo presto, Clarissa- con queste sue parole nelle orecchie, mi sveglio. Reprimo l'urlo in gola e cerco di calmarmi. Appoggio una mano per tirarmi su, ma sento una fitta al palmo. Nello stesso punto dove mi ero graffiata c'è un taglio, dal quale esce una piccola goccia di sangue.
 
Ok è ufficiale, ho paura di addormentarmi, vorrei non dover dormire più. Mi porto le mani alla bocca per soffocare i singhiozzi, mentre calde lacrime, mi scavano solchi nelle guance.
 
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Eccoci alla fine di un nuovo capitolo, finalmente scopriamo il nome del misterioso uomo dagli occhi rossi ;) vi risparmio la parte sui miliardi di tentativi prima di arrivare al nome giusto.
Spero che questo capitolo vi sia piaciuto. A presto.
Ryu

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Capitolo 6
*** My eyes ***


My eyes
 
Vuoto tutte le mie lacrime, fino a quando non ho più nulla dentro. Ritornare un po' al mio stato apatico mi rasserena. Mi sciacquo la faccia con l'acqua fredda per levare i segni del pianto. Per quanto possa essere liberatorio, io odio piangere con tutta me stessa. Mi fa sentire debole, e se c'è una cosa che non sopporto, è la debolezza. Mi concentro sull'odio che provo, penso a chi è il responsabile, e lo riverso completamente su di lui, Gregor. Conoscere il suo nome rende tutto più reale, forse anche troppo, sento una specie legame tra noi due e la cosa non mi piace per niente.
 
Alla fin fine lo scenario e il contenuto del sogno dipendono solo da fattori psicologici, no? Quindi non mi lascerò più prendere impreparata, la prossima volta gli lancerò addosso tutto l'odio che provo e sarà così tanto, che renderò il suo "metro e sono pieno l'arroganza" una sottiletta.
 
Sfogata definitivamente e armata di coraggio, esco dalla mia camera e mi avvio verso la hall.
Oggi visiteremo la cupola Reichstag, il parlamento tedesco, da un certo punto di vista non vedo l'ora che sia stanotte, perché ho paura, che tutto il coraggio svanisca, dall'altra spero che il tempo scorra il più lentamente possibile.
 
La cupola è stupenda, tramite una struttura a spirale, è possibile salire fino in cima e c'è una vista stupenda, dall'alto tutto sembra tranquillo. Il sole sta tramontando e una lieve foschia avvolge Berlino, rendendo sfocati i contorni dei palazzi.
Fino a che tutta la cupola di vetro esplode.
 
Sento le urla delle persone intorno a me. Migliaia di schegge volano ovunque, cerco di ripararmi la faccia, ma sento una striscia di fuoco attraversarmi il volto spaccandomi a metà il sopracciglio, il dolore accecante arriva al cervello, inondandomi come una valanga. Lo sento spazzare via tutto, è come se mi stesse resettando il cervello. E quando ormai la mia mente non è altro che uno specchio limpido, mi sento persa e alla deriva. Sento le urla, percepisco tutte le persone, le schegge di vetro che vorticano nell'aria. Tutto è così confusionario, da essere insopportabile, vorrei che tutto fosse calmo come lo sono io. Non appena finisco di pensare ciò, i vetri si fermano a mezz'aria, come se il tempo stesso, si fosse fermato.
 
Della cupola non resta altro che lo scheletro in metallo, ed è guardando il mio riflesso nel metallo, che vedo, sul lato sinistro del mio volto, una lunga cicatrice partire dallo zigomo e arrivare al sopracciglio, ma la cosa più scioccante è l'incredibile contrasto del rosso del sangue, col giallo dei miei occhi.
 
I vetri scendono lentamente verso il suolo, le persone, che si erano tutte bloccate stupite, cominciano ad urlare, anche se non capisco perché, io sono così tranquilla, sto così bene, perché loro devono urlare? Poi all'improvviso capisco il motivo. Non so cosa sono, sembrano degli enormi lupi che camminano su due zampe con una forma vagamente umanoide, l'unica cosa che so è che si stanno avvicinando, e in fretta.
 
Tutta la calma scivola via da me, il dolore diventa insopportabile, tanto da farmi accasciare per terra e il terrore s'impossessa del mio corpo. Uno di quegli esseri mi raggiunge con un balzo, non riesco muovermi. Il cuore mi batte a tremila, cerco di strisciare, ma quella specie di lupo mi sovrasta, sento il suo ringhio sopra di me e il fetore del suo alito sulla mia faccia.
Mi viene quasi da ridere, io che mi credevo tanto forte, che ero convinta di suonarle a Gregor, io che faccio questa fine. L'essere alza una zampa pronto a colpire, mi sento impotente, è la sensazione peggiore che abbia mai provato in tutta la mia vita. Mi preparo a morire, o almeno credo, dopotutto si può essere pronti a morire?
 
Dico addio a tutto, quando, improvvisamente, un lampo giallo mi compare davanti agli occhi. Sento il tonfo del cadavere del lupo cadermi accanto, ma la cosa più importante è che davanti a me, c'è il ragazzo biondo dagli occhi, ormai, del mio stesso colore.
Con tutto quello che era successo, mi ero quasi dimenticata di lui, che ingrata. -Ce la fai ad alzarti?- mi chiede tendendomi una mano. Io l'afferro ringraziandolo. Una volta in piedi, mi rendo conto dell'inferno che mi circonda. I lupi si avventano su tutte le persone senza distinzioni, l'unica cosa che li anima, sembra il desiderio di affondare i denti nella carne.
Rimango immobile, pietrificata da tutto quell'orrore. Mi sento strattonare e spostare di peso, a quel punto lo scenario cambia e l'unica cosa che vedo è diventata la schiena del ragazzo. Noto solo ora che nella sua mano destra c'è una spada intrisa di un liquido nero, che riconosco dopo, come il sangue di quelle creature.
 
Se il biondino tenta di comunicare con me non lo so, io è come se mi trovarsi in un'altra dimensione, è come se tutto mi giungesse ovattato, il giovane prende il pugnale dallo stivale e me lo mette in mano. Stringo l'elsa fino a far diventare le nocche bianche, mi aggrappo a quel pugnale come se fosse un'ancora.
Il giovane biondo si muove con una naturalezza innata, schiva senza fatica un colpo dopo l'altro, è come se sapesse dove colpirà il nemico, ancor prima che quest'ultimo colpisca.
Da dietro la sua schiena vedo un lupo sovrastare Jessica, la ucciderà, come ha fatto con tutte le altre persone, i cui cadaveri giacciono per terra. Corro verso di lei, anche se so che non arriverò mai in tempo, ma non posso lasciarla morire, faccio leva sulla disperazione e cerco di spingere le gambe al massimo, ma sono lenta, troppo lenta. Improvvisamente sento la rabbia invadere la mia mente, la concentro con tutta me stessa sulla creatura che minaccia Jessica, il lupo viene sbalzato via, ma una lama ferma la sua corsa, passandolo da parte a parte.
 
Il cadavere della bestia cade a terra, percorro con lo sguardo la lama della spada fino al suo proprietario, e i miei occhi si rispecchiano in quelli cremisi del mio peggior incubo, finalmente riesco a vedere il suo volto. I lineamenti marcati, ma con un ché di sfuggente, che gli dà un aria inafferrabile, irresistibile e quella carnagione così chiara, quasi marmorea, che crea un incredibile contrasto con i capelli mogano. Accidenti a lui, perché è anche così bello, non bastava già la sua presenza a mettere in soggezione? Almeno si può dire che qualcosa addosso gli ho scagliato. Intorno a lui c'è un'altra decina di spadaccini dagli occhi cremisi, che subito cominciano a combattere.
Sento un ringhio alle mie spalle, non faccio in tempo a girarmi, che mi sento presa per i fianchi e la mia faccia finisce contro un petto coperto da una camicia bianca. Il suo profumo mi arriva alle narici, non so di preciso cosa sia, ma è così fresco e allo stesso tempo antico, come una vecchia foresta. Mi sposta come se fossi una piuma, possibile che tutti mi trattino come una bambola? Un improvviso senso di vuoto allo stomaco mi fa capire che che ha spiccato un salto, spaventata agisco di riflesso, gli getto le braccia intorno al collo e chiudo gli occhi. Li ho ancora chiusi quando sento le sue labbra vicine al mio orecchio -Ben ritrovata Clarissa- rendendomi conto della mia posizione cerco di staccarmi da lui, ma le sue braccia sembrano una morsa d'acciaio, la mia testa arriva a malapena al suo mento. Sono praticamente attaccata al suo petto e riesco, così, a sentire la sua risatina sommessa,
Mi stacca da se quanto basta per guardarmi negli occhi, una macchia rossa rimane impressa nella sua camicia, dove si è poggiata la mia testa, improvvisamente mi ricordo di essere ferita, il dolore è diventato talmente tanto, che non ho più sensibilità nella parte sinistra del volto.
-Ma come, non sei felice di vder..- s'interrompe non appena vede il taglio, una serie di emozioni passano peri suoi occhi, dallo stupore, alla rabbia, alla preoccupazione.
Allenta la presa sui mie fianchi e riesco a divincolarmi -No, non sono contenta di vederti, il lupo in faccia non è stato chiaro?- non so come faccio a dirgli certe cose, è che mi sento talmente stanca che non riesco più nemmeno a sentirmi in soggezione, sotto di noi, intanto, il numero dei lupi è, ormai, esiguo. Gli spadaccini, insieme al giovane biondo, stanno facendo piazza pulita. Non so cosa fare, non so combattere e per di più ho preso il pugnale.
In mezzo a quel caos ci sono ancora delle mie compagne, decisa ad aiutarle mi avvio reso la base della spirale, ma una mano sul braccio mi ferma -Dove credi di andare? Laggiù è pericoloso, non ti ho portato quassù per niente, se scendi rischi solo di farti ammazzare. Tu resti qui- disse con tono autoritario. -Laggiù ci sono le mie amiche e devo aiutarle!- gli rispondo, cercando di divincolarmi, ma la sua presa è troppo forte.
La sua mano si stringe ancora di più intorno al mio polso, mi fa male e mi sembra di sentire quasi qualcosa spezzarsi. Alzo lo sguardo verso i suoi occhi, l'avessi mai fatto, sono furenti, così tanto, che mi blocco sul posto. Mi tira brusco e mi sbatte contro la parete del corrimano, la botta mi fa sbattere i denti e reprimo a stento un gemito. Ho gli occhi ancora fissi nei suoi, il mio corpo comincia a tremare, lui è troppo forte, non riesco a oppormi, per lui sono come una bambola di pezza.
-Tu resti qui- bastano queste tre parole, per farmi passare qualsiasi voglia di muovermi. Immobilizzata dal terrore, scivolo giù lungo il corrimano, senza staccare i miei occhi pieni di paura dai suoi. Lui mi guarda dall'alto con sguardo severo. Si morde le labbra fino a farne uscire il sangue, poi si china alla mia altezza, spaventata cerco di allontanarmi più che posso da lui, ma ho la spalle al muro. Mi mette una mano dietro la nuca e mi costringe a girarmi verso di lui e posa le sue labbra sulla ferita. Sento un calore dolce propagarsi per tutto il lato sinistro, finché il taglio non si richiude. Lui si alza e va via senza neanche controllare che io resti dove sono, come se non ne avesse bisogno. Che, alla fin fine, è vero.
 
Lo odio, odio il suo modo di fare, odio la paura che mi genera a stargli accanto, odio il fatto di non riuscire a oppormi a lui. Rimango lì, contro il corrimano, tremante. E piena di terrore mi raggomitolo su me stessa.

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Capitolo 7
*** My future ***


My future
 
"How can you see into my
eyes like open doors"
[Evanescence, Bring me to life]
 
No so quanto tempo è passato, potrebbe essere una vita, come cinque minuti. In tutto questo tempo la mia mente si tranquillizza e comincio ad analizzare ciò che è successo, perché i miei occhi sono gialli? Come ho fatto a fermare quelle schegge di vetro? Sono stata davvero io? Come fa un sogno ad essere reale? Man mano, che decine di domande si formano nella mia testa, torna l'inquietudine. Comincio a sperare che tutto questo sia solo un sogno, che non sia vero. Porto le mani al volto, la sensazione delle labbra di Gregor è ancora sulla mia pelle, è così reale, che tutte le speranze di star sognando svaniscono come fumo. Ormai al posto del taglio c'è solo una stretta cicatrice.
 
A un certo punto percepisco la presenza di qualcun'altro al mio fianco, mi stringo ancora più su me stessa, pensando che sia Gregor, accidenti non so nemmeno perché ho cominciato a chiamarlo per nome, non fa altro che renderlo ancora più reale. Ma non è Ivashokov la presenza accanto a me.
-State bene mia Signora?- alzo lentamente la testa, la voce appartiene al giovane biondo che mi ha salvato la vita, del quale non conosco nemmeno il nome. Annuisco e lui mi porte una mano, per aiutarmi ad alzarmi. Una volta in piedi, do un'occhiata allo spettacolo disotto, dei lupi non c'è traccia, non rimangono altro che cadaveri, tutte le persone sono state portate via da quest'inferno. Sono contenta, ma non posso fare a meno di essere preoccupata.
-I vostri compagni sono tutti al sicuro, un po' spaventati, ma illesi- rimango un po' scioccata, lo ha detto come se stesse rispondendo ai miei pensieri.
-È così, se vi da fastidio smetto subito, perdonatemi- sono ancora più scioccata, come fa a leggermi nella mente? Tutte le domande riaffiorano nella mia mente.
-Mi dispiace interrompervi, ma questo non è il momento delle domande, ora dobbiamo andare- mi lascio guidare verso il centro di quel che rimane della cupola, il suo tocco è così gentile da rassicurarmi, non so ancora il suo nome, ma mi fido già. Una volta scesa al primo piano del Reichstag vedo i professori e tutti i miei compagni, incrocio i miei occhi nei loro, vedo solo espressioni di orrore. Non so perché mi guardano così, poi ricordo, i miei occhi, quello che ho fatto, non sono cosette da tutti i giorni.
 
Una sensazione strana alla nuca mi fa voltare e mi trovo faccia a faccia, con un paio di occhi rossi. Cerco di saltare indietro, ma una mano sul braccio mi trattiene, l'altra mano si avvicina al mio volto e mi inclina la testa verso destra.
-Vedo con piacere che la ferita è guarita, non mi ringrazi?- la sua voce mi gela il corpo. Cerco inutilmente di dimenarmi, è impossibile e lo so già, ma se sto un' altro secondo tra le sue braccia rischio d'impazzire.
-Lasciala andare Ivashokov- le metamorfosi improvvisa del tono di voce del giovane biondo è come una secchiata d'acqua fredda, che mi riporta subito alla realtà, la sua voce è diventata dura e secca. Un'espressione di fastidio si dipinge sul volto di Gregor, che seccato si allontana da me, pur continuando a tenermi per un braccio. Non pensavo che certe emozioni esistessero anche sul suo volto. La scena mi diverte, ma evito di ridere per non avere un braccio rotto.
-Non penso che tu abbia il diritto d'intrometterti, guardia- il suo tono è così seccato, mi mordo l'interno della guancia per non ridere. -Lei mi appartiene, ringraziami di non ucciderti seduta stante per il tuo tono insolente- dice, mentre mi riattira a se, sento il suo odore nelle narici. Normalmente, essendo così vicina al suo petto, mi sentirei le farfalle nello stomaco, ma sono talmente infuriata, che cerco di allontanarmi tirandogli una gomitata nello stomaco, con l'unico risultato di farmi male io.
-Non avete, ancora, alcun diretto su di lei Lord Ivashokov, non è ancora vostra moglie e la sua sicurezza è affidata a me- Lord? Ecco perché il tono del giovane è cambiato, probabilmente il suo grado è molto inferiore rispetto a quello di Gregor. Ma la cosa che mi sciocca di più, tanto che smetto dimenarmi, è la parola moglie. Che significa? Non ho mai visto questa gente, non la conosco nemmeno, perché mai dovrei sposare Gregor? Lo odio, non è nemmeno umano, come posso sposarlo. Il mio volto si riempie di sgomento.
 
Il biondo mi prende per l'altro braccio e, dolcemente, mi tira verso di se. Tuttavia Ivashokov non sembra prendere bene la cosa è mi strattona verso di se.
Maledetto, mi tratta come una cosa, nemmeno una persona. È così possessivo e disgustoso da darmi ai nervi, non lo sposerò mai, mi rifiuto!
-BASTA!- urlo, fuori di me dalla rabbia. Sorpresi, entrambi mi lasciano andare.
Mi giro verso Gregor, è una pazzia, lo so, ma non posso trattenermi. Con tutta la forza che ho gli tiro uno schiaffo sulla guancia destra.
 
Lo schiocco fa calare il silenzio, se prima c'era anche solo una persona che parlava, ora la quiete è assoluta. Gli occhi furenti degli uomini di Ivashokov si possano su di me, ma non gli do peso, io guardo solo lui. Ora mi farà a pezzi, lo so, ma sono pronta a passare di tutto, per lo spettacolo che ho davanti.
 
La testa di Gregor è girata da un lato, l'impronta delle mie dita, gli decora la faccia. Ma la cosa più bella è la sua espressione, lo shock più totale, chissà se è la prima volta che viene schiaffeggiato. Questa volta è il mio turno di sogghignare.
Il suo sguardo si posa lentamente su di me e sento ogni singola goccia del mio sangue ghiacciare. I suoi occhi incontrano i miei e tutto diventa buio.

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Capitolo 8
*** My goodbye ***


My goodbye
 
Catch me as I fall
Say you're here and
it's all over now
["Whisper" Evanescence]
 
Quando mi sveglio sono distesa su uno dei divanetti dell'ostello. Non so come faccio a saperlo, ma sono certa che i miei occhi non sono più gialli. Mi alzo su lentamente, il sole è ormai definitivamente sparito e il cielo è nero come la pece, deve essere notte fonda.
Del ragazzo biondo non c'è traccia, accanto a me c'è solo uno dei miei professori.
-Stai bene?-
Il suo sguardo non è più così tanto impaurito, più che altro mi guarda come se fossi un extraterrestre, sinceramente comincio a chiedermi se non sia vero.
-Si, grazie-
Gli rispondo, mentre mi stiracchio. Sento il parquet scricchiolare alle mie spalle. Mi alzo, più fulminea di quanto credevo d'essere. Percepisco i sensi affinarsi e uno strano calore agli occhi. Tutto diventa più nitido, come se la mia miopia, per quanto tenue, fosse scomparsa.
-Sai dovresti imparare a controllarti, non dovresti lasciar indorare i tuoi occhi al minimo rumore-
Quella voce, così irritante, che ormai mi è diventata familiare, la riconoscerei ovunque. La solita camicia bianca, il solito fisico da urlo, ma gli occhi, quelli non sono i soliti occhi, non sono più di quel rosso acceso, sono marroni con una sfumatura cremisi che gli dà un tocco di unicità, non sono più inumani, se la prima volta l'avessi visto così l'avrei scambiato per una persona qualunque e molto affascinante. Il suo ghigno onnipresente mi ricorda il soggetto dei miei pensieri e mi ricredo completamente sulla sua normalità. Cerco di rilassarmi un po', ma perdo ogni contegno quando vedo la persona vicina a lui.
-Mamma!-
La figura piccola e esile di mia madre sparisce quasi vicino a Gregor, ma è lei, è la mia mamma. L'unica che non mi guarda come se fossi un fenomeno da baraccone.
Corro verso di lei e cerco di assorbire quanto più calore dal suo abbraccio, quel dolce rifugio che mi fa dimenticare tutto, affondo la testa nella spalla di mia madre sentendo l'odore dell'ammorbidente dei suoi vestiti. Un'altro paio di braccia forti ci abbracciano entrambe.
-Babbo-
Sorrido ormai con gli occhi pieni di lacrime.
Dopo tutto ciò che è successo mi sento finalmente a casa, protetta. Tutte le domande che mi affollano la mente passano in secondo piano, ora c'è solo la tranquillità e la familiarità dell'abbraccio dei miei genitori.
Un colpo di tosse mi fa alzare la testa e ci sciogliamo dall'abbraccio, certo che il soggetto in questione è proprio uno scocciatore nato, proprio una prima donna che non può fare a meno di stare al centro dell'attenzione. La mano di mio padre è rimasta sulla mia spalla con fare protettivo.
-Ivashokov-
Sento la sua calda voce pronunciare quel nome, allora lo conosce!? Com'è possibile, allora sanno anche di quel discorso sul matrimonio. Matrimonio! Tutti i dubbi e le ansie riemergono, mi sento tradita perché nessuno mi ha mai detto nulla? Di chi posso fidarmi ormai? La mano di mio padre sulla spalla è diventata un peso più che un conforto e tutte le sensazioni di familiarità provate prima svaniscono nel nulla, passeggere scese da un treno di sola andata, che corre su una rotaia infinita.
La scena non è passata inosservata, tutti i clienti dell'ostello ci guardano perplessi, non capendo la nostra lingua.
-Sarebbe meglio ritornare il prima possibile in Italia, così potremo parlare con calma-
Dice Gregor, notando tutte le persone che ci stanno osservando, per niente infastidito dalla loro attenzione, come un angelo che permette a dei poveri mortali di osservarlo, un angelo si bellissimo e maledetto dalle proprie ali spezzate, che gli conferiscono un'altrettanta dannata bellezza.
-Si, concordo. Dopotutto è un discorso lungo, Sergei dov'è?-
Risponde mio padre, io mi sento come un idiota: tutti parlano e io non capisco nulla. Appena mio padre ha fatto quel nome il giovane biondo esce dall'ascensore con i miei bagagli già fatti.
-Eccomi-
I suoi occhi dorati percorrono tutta la stanza sorvolando intenzionalmente la figura di Gregor. Almeno un alleato ce l'ho.
-A te va bene partire, tesoro?-
A quanto pare mia madre è l'unica a cui interessi il mio parere. Annuisco e basta senza proferire parola non fidandomi della mia voce.
"Guarda guarda come siamo remissivi"
La voce suadente e ironica nella mia testa era una sensazione che speravo di non dover più provare, anche se quella lieve punta di stizza mi rende orgogliosa di me stessa, soprattutto con la lieve traccia del marchio della mia mano ancora presente sul suo volto.
Mi giro verso di lui e mi picchietto con un dito sulla guancia facendo il sorriso più dolce e falso di cui sono capace, vedo il suo volto oscurarsi risentito è i suoi occhi oscuri e turbolenti fissi nei miei. Un brivido di paura mi scende lungo la schiena e lui compiaciuto si avvia verso la porta dell'ostello.
 
Fuori ad attenderci c'è una limousine nera lucida con i vetri oscurati. Sergei consegna i miei bagagli all'autista, mentre Gregor, con fare molto cavalleresco, mi apre la portiera e mi aiuta a salire. La sua mano stringe la mia, è calda, ma la pelle dura e piena di calli mi fa capire che è più abituata a stringere l'elsa di una spada piuttosto che la mano di una dama.
L'interno della limousine è pazzesco, è spaziosa e lussuosa, ma il rivestimento dei sedili è di una sfumatura di rosso e così morbido che da un incredibile senso di accoglienza.
Gregor sale dopo di me e dalla portiera sull'altro lato entrano i miei genitori e Sergei, mi ritrovo schiacciata tra due poli: da una parte Gregor e dall'altra Sergei, mentre i miei genitori sono seduti davanti. Mi sento osservata da entrambi, ma non so se stanno cercando di uccidersi a vicenda a occhiatacce o se stanno guardando me.
Mi sento come la terra di nessuno tra due fronti e la voglia di sbattere le loro teste una contro l'altra cresce a dismisura.
Do un'occhiata verso destra, due occhi gialli mi guardano di rimando, hanno un ché di birichino e di complicità, come quella tra due compagni di scherzi. Distolgo lo sguardo e lo giro verso sinistra, mi ritrovo a fissare il suo petto, errore, un errore madornale, lo scollo profondo della camicia lascia intravedere uno stralcio della candida pelle dove il sole non ha ancora lasciato il proprio segno. La differenza è veramente poca, quanto la distanza tra lui e me, deve essersi avvicinato mentre ero voltata. Risalgo con lo sguardo fino al suo volto, due occhi bramosi incontrano i miei è come se mi scavasse dentro, mettendo a nudo la mia anima leggendola come un libro aperto. Vedo la brama nei suoi occhi e vi riconosco la mia, è come se quegli occhi scavando dentro me portassero alla luce sentimenti e sensazioni passate, sepolte sotto una coltre di polvere ma mai dimenticate, come l'eco del fragore di una valanga nella gola di una montagna.
 
La limousine parte, il motore è così silenzioso che non mi sono nemmeno accorta che la vettura fosse accesa.
-Faremo tutto il viaggio in macchina?-
Chiede mia madre a Gregor, dopo avergli lanciato un'occhiata che avrebbe congelato un vulcano in eruzione.
-Si, per quanto viaggiare in limousine dia nell'occhio, è sempre meno tracciabile di comprare biglietti aerei-
Le rispose lui dopo aver allontanato il suo volto dal mio. Il pensiero del viaggio in limousine mi turba profondamente, insieme al fatto che è ormai certo che passerò la notte insonne, almeno queste sono le aspettative.
Non so dove guardare, dare una sbirciata fuori dai finestrini è impensabile circondata come sono, così come lo è guardare i miei genitori. Tempo poco mi ritrovo a guardare un punto indefinito della moquette per terra.
Il viaggio prosegue nel silenzio più assoluto. I due al mio fianco guardano fuori, ognuno dal proprio lato. Il dolce movimento della limousine mi culla e i miei occhi cominciano a chiudersi. Trovare un punto dove poggiare la testa sembra impossibile, soprattutto con le due spalle che mi trovo ai lati. Decisa a non essere trattata come la corda del tiro alla fune da quei due soggetti, ugualmente irritanti al momento, reclino la testa all'indietro, sperando di riuscire a riposare senza muovermi troppo.
L'ultimo pensiero che faccio prima di addormentarmi è chiedermi fa che parte tegno solitamente la testa quando dormo, se verso destra o verso sinistra.
Mentre scivolo nel sonno, sento la testa inclinarsi da un lato.

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Capitolo 9
*** My past ***


My past
 
"Bound at every limb by my shackles of fear
Sealed with lies through so many tears
Lost from within, persuing the end
I fight for the chance to be lied to again"
[Lies, Evanescence]


Fuoco. Sangue. Urla. Morte.
Questo il panorama intorno a me, immagini sfocate si succedono una dietro l'altra nella mia mente. Un albero con un impiccato. Una bestia con le zanne grondanti di sangue. Una donna con la gola sgozzata, che continua a cantare, incurante del sangue che fuoriesce dalla ferita. La canzone che mi rimbomba nelle orecchie ripetitiva come fosse un carillon.
Poi tutto ricomincia da capo, accompagnato da quella canzone così dolce e familiare che stona con le scene aumentando l'inquietudine che trasmettono. La sensazione di essere incatenata, una presa brusca e ferrea mi impedisce di muovermi, impotente mentre intorno a me tutto muore.
Un dito che mi picchietta sulla guancia mi fa riemergere da quell'inferno, i cui stralci mi rimangono attaccati impedendomi di aprire gli occhi. Mi agito cercando di liberarmi, inconsciamente scaccio via quel dito con la mano, mentre mi giro da una parte il mio naso va a sbattere contro qualcosa. Di nuovo quel dito sulla mia guancia, ma questa volta per raccogliere una lacrima che non mi ero accorta di aver versato.
Finalmente riesco ad aprire gli occhi e sono due iridi calde e cremisi a rispecchiarsi nelle mie.
Mi ci vuole un attimo di troppo ad analizzare la situazione e quella mano, che mi aveva dolcemente svegliata, si appoggia per intero sulla mia guancia, con il pollice che sfiora la cicatrice della battaglia alla cupola. La mano è tiepida contro la mia pelle, così gentile e nostalgica, che mi spinge a chiedermi se appartenga veramente a lui.
Siamo sempre nella limousine, ma è ferma e siamo soli. Lui è sempre seduto al solito posto, ma io sono sdraiata sul sedile, con la testa poggiata nell'incavo del suo gomito e il suo braccio a cingermi le spalle una stretta gentile che mi fa dimenticare la brutalità di quella del sogno.
Nel momento in cui mi rendo conto dove sono mi alzo di scatto, col solo risultato di strozzarmi con la sua mano ancora china su di me, nella sua stretta tanto dolce quanto ferrea.
-Finalmente ci siamo svegliate-
Tutta la dolcezza è sparita dal suo volto, per lasciare il posto al suo solito ghigno. Sono bloccata, non riesco ad alzarmi.
-Lasciami-
Continuo a dimenarmi, ma non riesco a smuoverlo nemmeno di un millimetro.
-Lasciami!-
Tutte le orribili sensazioni del sogno tornano, così intense da soffocarmi, il suo ghigno diventa ancora più divertito mentre mi guarda dimenarmi inutilmente.
-LASCIAMI!-
Finalmente riesco ad alzarmi, quando lui lascia improvvisamente la presa. Nella paura non mi sono nemmeno accorta di aver urlato. Mi giro e vedo il suo sguardo interrogativo su di me.
-Smettila di entrare nei miei sogni!-
Gli dico non appena riesco a trovare il fiato.
-Prego?-
Irritante, la sua voce è così dannatamente irritante.
-Smettila di fare il finto tonto, l'ultimo sogno era orribile, tu sei orribile!-
Mentre parlo cominciò a tremare, non riesco a impedirlo, sono ancora troppo condizionata.
-Non so di cosa parli, l'ultima volta che sono entrato nella tua mente eravamo a Berlino. Qualunque sogno tu abbia fatto ora era solo tuo-
Le sue parole dure sono come una sferzata di consapevolezza. Mio? Si può sapere da dove è venuto fuori dell'inferno? Tremo, non ho più il controllo sul mio corpo è la paura ad averlo.
Vedendo la paura nei miei occhi il suo tono si addolcisce un poco, nulla di eccezionale ovviamente, rimane comunque il solito rompiscatole pieno di sé.
-Forza, siamo arrivati. È ora di scendere-
Mi dice mentre esce lui per primo dalla limousine.
Mentre apre lo sportello dell'auto vedo uno stralcio del paesaggio fuori, siamo nel garage di casa mia, in Italia. Lui è ancora lì ad aspettarmi per aiutarmi a scendere, scaccio via quella dannata mano, prigione e amorevole carceriera contemporaneamente. La limousine è stata parcheggiata in retromarcia facendo in modo che la parte passeggeri fosse completamente all'ombra, mentre l'altra fa capolino fuori dal garage.
Lo supero e mi dirigo automaticamente verso la porta interna, che permette l'accesso alla casa; per una volta è bello essere in vantaggio rispetto a lui, dopotutto questo è il mio territorio.
Appena entro in casa mi accoglie subito lo spettacolo familiare di mia madre che corre su e giù in cucina per preparare la colazione, la tavola è apparecchiata per cinque, Babbo e Sergei sono già seduti con davanti una ciotola piena di latte e cereali. Appena mi vede mi saluta.
-'giorno-
La voce ovattata per la bocca piena mi strappa un sorriso vero e proprio.
- Buongiorno Seresa-
Il suo sguardo si fissa attontito su di me.
-Non va bene se ti chiamo così?-
So che il diminutivo del nome russo Sergei è Seresa, mi dispiace di averlo messo in imbarazzo ad essere stata così diretta. È che lui mi ispira tranquillità quindi mi è sembrato naturale chiamarlo in quel modo.
-No, no, va benissimo-
Mi dice dopo aver inghiottito in modo decisamente comico. Il sorriso che mi rivolge è così luminoso da far invidia al sole che bagna dolcemente i suoi capelli, quasi a riconoscerli come parte di sé.
"Non credo che a me vada bene, com'è che a me non mi chiami col diminutivo?" la sua voce sardonica nella mia testa mi coglie alla sprovvista e non riesco a fermarmi dall'insultarlo mentalmente e avere il desiderio di avere qualcosa di appuntito, solo per levarmi lo sfizio di tirarglielo in faccia, ricordandomi che sono in cucina e che ci sono molti utensili pronti ad offrirsi per la nobile causa mi viene da ridere. Posso fare a meno di girarmi, so benissimo che è esattamente dietro di me, sento il suo fiato sul collo come una preda col predatore.
-Avanti forza a fare colazione-
Il tono spiccio di mia madre mi salva dalla sgradevole situazione. Ci sediamo entrambi, mamma mi mette davanti una fumante tazza di cioccolata calda mischiata allo stretto caffè italiano, mentre a lui chiede:
-Gregor. Un po' di the?-
La scena è normale, non diversa da quella di tutte le mattine, eppure è così assurda che non so se mettermi a ridere o infilarmi sotto le coperte per non riuscirne mai più, come a nascondermi da un incubo.
-Si grazie, lo prendo volentieri-
Risponde con voce tranquilla e pacata, a quanto pare sono io l'unica a cui fa l'immenso dono del suo essere insopportabile. Non so se sentirmi onorata o versargli addosso il thè bollente.
La tavola è decisamente troppo silenziosa, la sua sola presenza sembra aver ucciso pure la luce del sole, momentaneamente offuscata da una nuvola passeggera, che a quanto pare nonostante il vento non ne vuole sapere di passare.
Lo vedo con la coda dell'occhio, è lì seduto accanto a me a sorseggiare il suo thè da le spalle alla finestra, che, mi accorgo solo ora, ha la sottile tenda tirata. Non spreco tempo a pensare che si sia tirata da sola, so che è stato lui. Ricordare che l'essere seduto accanto a me non è umano e che molto probabilmente nemmeno io lo sono, fa perdere tutte le attrattive alla tazza ancora piena per metà di cioccolata.
Ora basta voglio delle risposte.
-Cosa sono?-
Mi rendo conto a malapena di aver posto la domanda ad alta voce. Tutti smettono di mangiare il silenzio si fa ancora più greve

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Capitolo 10
*** My Truth ***


My soul My truth

"I cannot stop this sickness taking over
It takes control and drags me into nowhere
I need your help, I can't fight this forever
I know you're watching
I can feel you out there"
[Starset, "my demons"]

-Cosa sono?-

Com'è possibile che esistano esseri così, com'è possibile che io esista? Mi sento come una bestia incatenata, ma sono davvero io? Chi è la vera me? Colei che sono stata finora o questa bestia che urla di rabbia. Non respiro mi sento affogare, o è quella bestia che mi sta divorando? Sono persa dentro me stessa, fuori c'è troppo trambusto, voci? O sono urla un riflesso argentato mi passa davanti agli occhi, era un colcoltello? Perché la sedia è a mezz'aria?
Due occhi rossi entrano improvvisamente nel mio campo visivo.

"Ora basta"

Bastano quelle due parole e la bestia torna a rintanarsi nella sua tana nelle profondità della mia anima. Improvvisamente ridivento cosciente dell'ambiente intorno a me, le sedie, i cassetti, le posate sono sparse per mezza cucina.

- Oh-

non riesco a dire altro, cosa ho fatto?

- Calmati e stabilizza il battito cardiaco, è l'unico modo per tenere tutto sotto controllo -

Sento la mano di Gregor che mi accarezza la testa e man mano una strana calma entra nel mio corpo. Tutti intorno a me hanno sguardi preoccupati, ma non per il casino che ho fatto, ma per me. Sento le lacrime pungermi gli occhi, ma non voglio scoppiare a piangere.
Appena riprendo il controllo su me stessa scosto dalla mia testa la mano di Gregor e mi rimetto a sedere alzando una sedia da terra.

-Forse è meglio parlarne tra un po' -

Comincia a dire mia madre.

-No, voglio delle risposte, sto bene davvero-

Sento uno sbuffo dietro di me, ma decido di non dargli peso. Anche se un po' grata gli sono, ma solo poco! Sia ben chiaro!

- Non vi preoccupate ci penserò io se dovesse perdere il controllo-

Dice Gregor mentre anche lui tira su una sedia e si siede.
Tutti stanno zitti, non so chi guardare per avere risposte, faccio il giro tra i presenti e alla fine il mio sguardo ricade su lui.

-Ormai avrai capito di non essere umana, noi tre-

dice indicando me, se stesso e Sergei

-Discendiamo da una stirpe di esseri soprannaturali di cui non si ricorda più il nome, semplicemente li chiamiamo Originali. Si sono ormai estinti, ma i loro discendenti vivono ancora sulla terra divisi in tre casate principali: Akuma, Succubus e Mutanti. I primi due hanno poteri per lo più psichici, gli ultimi, come dice il nome, si sono caratterizzati nel cambiare la loro forma, principalmente in lupi. Anni fa vi erano anche altri clan specializzati in altre forme, ma dopo un periodo di guerre interne prevalse un unico clan, che spazzò via tutti gli altri.
Nel corso dei secoli quando capitava di venire a contatto con gli umani ci diedero vari soprannomi -

disse sghignazzando

- Come streghe, vampiri e lupi mannari. Solitamente viviamo nascondendoci agli umani in luoghi abbastanza isolati, ma c'è chi riesce a vivere nascondendosi tra di loro-

dice quasi con una punta di disprezzo.

-Ovviamente c'è una scala gerarchica, al cui comando c'è un consiglio formato dalle maggiori famiglie delle tre casate. Io sono un Succubus e appartengo a una di quelle famiglie. Tu sei una Akuma come Sergei e appartieni a una delle famiglie nobili del tuo casato, gli Shafirov. Tu sei Clarissa Anastasia Shafirova -

Cosa significa tutto questo? Allora questa non è la mia famiglia? Com'è che sono cresciuta qui e non con i miei veri genitori e dove sono loro ora?
Sto per aprire bocca e riversare tutti i miei dubbi su Gregor, ma lui mi anticipa.

- Quattro anni fa una congiura cercò di levare di mezzo la tua famiglia e per poco non vi è riuscita, tu sei l'unica sopravvissuta. Prima di morire tua madre mi fece promettere di prendermi cura di te, di portarti lontano e far credere che tu fossi morta. Fino a che raggiunti i diciott'anni tu non fossi stata pronta per stare al mio fianco ed ereditare il potere della tua famiglia-

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Capitolo 11
*** My Old/New Life ***


my old new life

"It's time to forget about the past
To wash away what happened last
Hide behind an empty face
that has too much to say
Cause this is just a game

It's a beautiful lie
It's a perfect denial
Such a beautiful lie to believe in
So beautiful, beautiful
That makes me lie"

[30 second to Mars, beautiful lie]

-Ora basta!!-

Sento mia madre gridare. Il mio cervello non riesce ad elaborare tutte le informazioni, cosa dovrei provare? Tristezza, sconforto, rabbia? E per chi poi, per persone che non ricordo e che non so come ho fatto a dimenticare?
Anche se il "prendermi cura di te" di Gregor era abbastanza esplicito. Quindi che poteri ha lui? E io?

- Vuoi forse farla impazzire?! Il blocco non si è ancora rotto e tu le ha già raccontato tutto senza un minimo di delicatezza! -

Mia madre continua la sua arringa contro Gregor che la guarda impassibile. No giusto lei non è mia madre, è solo la donna che si è presa cura di me per quattro anni.
Quindi tutti i ricordi che risalgono a prima di quei quattro anni sono finti?
È stata tutta solo una grande bugia?

Mi alzo non né posso più di starli a sentire.

-Dove vai?-

Mi chiede mio padre preoccupato, no giusto non è mio padre, basta non so più se farmi venire una crisi di nervi o se mettermi a ridere.

-A lavarmi la faccia e cambiarmi, dove vuoi che vada?-

Mentre mi avvio al piano di sopra, sento lo sguardo di Sergei sulla nuca.
Non che al momento la cosa valga più di tanto, ma è una sensazione particolarmente fastidiosa.

Non me ne importa più di nulla. In un attimo tutto è stato spazzato via, legami, esperienze, futuro...
Non esiste più niente esiste solo un presente incerto, comincio a chiedermi cosa mi spinga ancora a viverlo.

Sentire l'acqua fredda sulla faccia mi fa riprendere un po', si ho decisamente voglia di una doccia . È la prima volta che mi vedo allo specchio dopo l'attacco alla cupola. Pelle bianca, cadaverica al contrasto con i capelli neri, occhi azzurri e quella cicatrice lungo la parte sinistra della mia faccia, che sembra vecchia di anni. "Chissà, magari è così". Una voce rimbomba nella mia testa, ma non è quella di Gregor, anzi potrei quasi dire che è la mia. Comincia a farmi malissimo la testa, mi sento tirare via dalla realtà, verso l'inconscio. Man mano che affogo nel buio le immagini dell'incubo di stamani riaffiorano più nitide che mai.
Sento qualcuno bussare alla porta, che scatole, ma la gente sa cos'è la privacy?

-Avanti-
Dico scocciata, guarda caso colui che apre la porta è il soggetto più indesiderabile di tutti.

-Devo venire in bagno-
Dice Gregor

-Perché tu vai al bagno?- lo scherno nella mia voce mi rende orgogliosa di me.

-Il fatto che non sia umano non significa che non abbia le stesse funzioni vitali-
Afferma con quel mezzo ghigno sulla faccia.

Alzo gli occhi al cielo, ma un mezzo sorriso si forma anche sul mio viso.

-Beh io devo fare la doccia, quindi trovati un altro bagno -
Gli dico cercando di buttarlo fuori e chiudere la porta. Cosa ovviamente inutile, poiché sarebbe più facile spostare una montagna che lui.

-Se vuoi ti faccio compagnia, sono un tipo gentile io sai? -
Mentre parla sul suo volto nasce un vero e proprio sorriso, che man mano si trasforma in risata,contagiando anche me. Non so come questo essere (perché uomo non lo posso definire) sia capace nel giro di dieci minuti di stravolgere la mia vita prima ed essere quasi simpatico dopo.

-No grazie Grichâ ne faccio volentieri a meno- dico ridendo.

Improvvisamente la sua risata muore e sul suo viso compare un mix tra affetto e rassegnazione.

-Te lo sei ricordato alla fine, il soprannome con cui mi chiamavi da piccola-

Detto questo esce dal bagno lasciandomi lì con l'ennesimo punto interrogativo. La rabbia e la frustrazione uccidono quel poco di felicità e leggerezza che provavo.
Basta mi faccio la doccia, che si trovi un bar vicino e che se ne vada lì in bagno.
La sensazione dell'acqua tiepida sulla pelle è bellissima, non resisto mi lavo anche i capelli, anche se ci vorrà un'ora per asciugarli.

Accidenti a me, ho lasciato i vestiti in camera. Una volta messo l'accappatoio sbircio fuori dalla porta per essere certa che non ci sia nessuno. Esco e chiudo la porta, ma appena mi giro vado a sbattere con il naso contro qualcosa, che si rivela essere il petto di Sergei.

-Oh-
Balbettiamo entrambi abbastanza imbarazzati.
-Se ti serve il bagno è lì-
Gli dico indicando la porta.

-Uhm, oh si grazie... Cioè no io non cercavo il bagno, ero venuto a chiamare te, dovresti venire giù a parlare-
Mentre parla le guance gli si tingono di porpora e gli occhi guardano ovunque tranne il punto dove sono io.

-Ok, mi cambio e scendo-
Lui fa un cenno di assenso e quasi di corsa scende le scale.
Tutto questo imbarazzo mi sembra così strano, non che mi ricordi molto di diverso, sia mai che quell'essere presuntuoso mi metta al corrente di qualcosa. Ma a Sergei ci ho sempre pensato come a un compagno di giochi, uno di quelli con cui fai a cazzotti da piccolo mentre litighi per un giocattolo, o almeno così penso di ricordarlo.

Entro in camera e comincio a vestirmi (dopo aver chiuso la porta a chiave, basta scontri indesiderati).
Dovrei ancora asciugarmi i capelli, ma devo andare al piano di sotto, un moto di ribellione prende il possesso dei miei pensieri e decido di farmi attendere. Dopotutto visto quanto è lunatico Gregor, tanto da farmi seriamente pensare che anche lui abbia il ciclo, ho tutta l'intenzione di ripagarlo con la stessa moneta.

Con calma mi vesto e comincio a sondare man mano tutte le nere ciocche di capelli lunghe fino alla vita.
Comincio ad asciugarle, ma non sono soddisfatta così decido di accendere anche la piastra. Dopo quella che penso sia stata un'ora e mezza decido finalmente di scendere giù.

Lo spettacolo che ho davanti è meno caotico di quanti pensassi, mamma stira, babbo e Seresa stanno guardando la moto GP e Gregor è al telefono vicino alla portafinestra. La mia entrata non desta punto scalpore, amareggiata mi avvio verso la dispensa e prendo un succo all'ace. Come al solito la cannuccia invece di rompere la plastica protettiva si piega, imprecando cerco di bucarla prendendo la cannuccia di punta, senza successo ovviamente. Due mani compaiono alle mie spalle e prendono cannuccia e succo. Sento la mia schiena a un nonnulla dal suo petto e il suo respiro sulla nuca. Nel giro di un secondo, facendolo apparire facile come respirare, infila la cannuccia nel succo e me lo porge.

-Uhm... grazie-

-Figurati-

Se ne va com'è arrivato senza commenti o occhiate strane, giuro sto rinunciando a capirlo.
Mi siedo al tavolo in cucina sorseggiando il mio succo e aspettando che qualcuno si decida a parlare.

- Tesoro potresti andare a comprare un litro di latte al supermercato? -
Mi chiede mia madre.
Rimango un attimo scioccata, mi aspettavo che qualcuno parlasse, ma non mi aspettavo qualcosa di così banale.

- Ok, ma dopo finiamo di parlare, va bene?-

- A dire la verità è meglio aspettare, dopotutto domani c'è scuola-

- Scuola? Ma se oggi è Sabato! -
Esclamo turbata, va bene non essere umana, ma la concezione del tempo mi sembra di averla.

- No tesoro, oggi è domenica, hai dormito per un paio di giorni e in più ce la siamo presa comoda per il viaggio di ritorno, appena usciti da Berlino ci siamo fermati in un motel.-

Oh. Mio. Dio. Questo vuol dire che sono stata per due giorni in braccio a Gregor! Bene quel poco di dignità che mi era rimasta è andata a farsi una girata.

-Ah, ok allora io vado a prendere il latte-

Vado nel sottoscala a prendere le scarpe, mi infilo un po' di soldi nella tasca dei jeans mi metto il giubbotto di pelle ed esco. Proprio quando sono sulla porta sento la sua voce.

- Aspetta ti accompagno -
Ora che ci faccio caso si è cambiato, ha indossato dei vestiti più da comuni mortali, un paio di jeans scuri una maglia grigia e una felpa nera, inutile dire che addosso a lui sembrano comunque vestiti di marca.

- Ma no non importa, il supermercato è qui davanti-
Cerco di fuggire inutilmente, mi viene dietro e blocca la porta mentre cerco di chiuderla.

- Non puoi uscire da sola -
Dice lui perentorio.
Che scatole! Ci manca solo che debba avere anche la guardia del corpo ogni volta che esco.
Si avvia verso il cancello, il sole da una sfumatura rarmata ai suoi capelli.

- Com'è che non bruci al sole? -
Gli dico con una punta di stizza nella voce.

Mi guarda con quel suo sorrisetto da faccia da schiaffi.
- Sono un Succubus non un vampiro, che c'è sei delusa? -

- Si, decisamente-

Ci avviamo verso il supermercato in silenzio. Sto seriamente pensando di cominciare a correre urlando stupratore pur di levarmelo di dosso, ma probabilmente riuscirebbe ad acchiapparmi prima che io apra bocca.
Con un sospiro mi avvio al banco del latte.

-Ora che ci penso dovrei anche comprarmi i biglietti per l'autobus-
Dico pensando ad alta voce

- Non ne hai bisogno, ti accompagnerò io a scuola d'ora in avanti-
Mi dice Gregor togliendomi il latte di mano e prendendo una confezione sullo scaffale più in alto e con la scadenza più vecchia.
Spilungone. Penso concentrandomi verso di lui.

-Grazie- mi risponde a voce ghignando.

-Non c'è di ché, comunque cos'è questa storia che mi accompagni te a scuola? - gli dico arrabbiata.

- Te l'ho detto, non puoi uscire da sola, siamo riusciti a fermare i lupi, ma torneranno sicuramente. Per questo è bene che sappiano che sei con me, più odore mio ti rimane addosso meglio è, e se proprio devi uscire voglio che tu sia in un posto dove ci siano abbastanza odori da coprire il tuo. -

Fantastico, tradotto sono in libertà vigilata, altro che guardia del corpo mi è capitato un vero e proprio aguzzino.

- E perché non può accompagnarmi Seresa? -
Lampo di genio! Mi sento fiera di me stessa a girare così il dito nella piaga.
Tuttavia Gregor rimane indifferente.

-Perché lui è come te e il suo odore non è abbastanza forte da coprire il tuo - dice come niente fosse.
Ormai siamo alla cassa e non posso ribattere come vorrei, maledetto! Avrei un paio di idee su come coprire il suo odore...

Pago e ce ne andiamo, sulla via del ritorno restiamo in silenzio come all'andata. Entrati in casa mollo il latte sul bancone, prendo gallette di mais e formaggio e me ne vado in camera. Non ho intenzione di rimanere con questa gente un secondo di più.

Una volta sbattuta la porta mi metto a studiare, visto che domani a quanto pare è obbligatorio andare a scuola (gli inconvenienti di crescere in una famiglia di secchioni).
Mentre studio cerco di allontanare dalla mia mente tutti i pensieri scomodi, anche se l'immagine del mio carceriere è fin troppo nitida nella mia testa.


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