Lui vorrebbe che tu fossi felice

di Luxie_Lisbon
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** *Prima parte* ***
Capitolo 2: *** Seconda parte ***



Capitolo 1
*** *Prima parte* ***


Ciao a tutti **
Durante la stesura de L’Incanto di un sogno di ceramica ho pensato ad Aoi e Uruha e al fatto che come coppia mi piace davvero tanto, e che era arrivato il momento di prendermi alcune ore per creare qualcosa di bello fra loro.
Posto questo piccola One Shot Aoiha che ho scritto in questi giorni, una OS nata dal nulla in un momento in cui la mia mente era rilassata e senza pensieri. È nata per puro caso, non ci ho pensato su troppo, mi sono seduta alla scrivania e l’ho buttata giù di getto. Alla fine della stesura mi sono sentita bene, è una storia triste ma dolce, non eccessivamente drammatica secondo me, anche se ci sono alcuni aspetti molto tristi :,) Devo ringraziare mio fratello e la sua ragazza :D Lei adora gli Evanescence ed un giorno in cui è venuta a trovarlo ha inserito Fallen nel suo stereo e ha fatto partire My Immortal. Proprio quella canzone, ascolta per puro caso mi ha ispirato per questa storia, perché nell’ascoltarla ho immaginato Aoi e Uruha e non potevo lasciar perdere 
Basta, queste note iniziali sono noiose, vi lascio alla storia :D
Ho dovuto dividerla in due parti altrimenti diventava troppo lunga ;(
Ditemi quello che ne pensate ** Metto sempre le canzoni ad inizio di ogni parte **
Buona lettura
 

Lui vorrebbe che tu fossi felice

http://www.youtube.com/watch?v=5anLPw0Efmo

Quando la tua vita viene sconvolta da una disgrazia, tutto quello che vorresti fare è fermare il tempo, tornare indietro ed impedire che avvenga. Vorresti essere in grado di cancellare quei momenti dalla tua mente e riuscire a ricordarli senza provare dolore. Un dolore che ti lacera, ti divora, un dolore che scalpita, desideroso di essere sentito.
Quel tipo di dolore che da mesi mi impedisce di pensare a qualsiasi cosa di diverso, anche a me stesso. Forse, in fondo, va bene così, me lo merito, tutto quello che sto passando in questo momento è dovuto. Il dolore deve rimanere, è giusto così, non è corretto nei suoi confronti.
Devo continuare a resistere, a soffrire, a lottare contro di lui. Un po’ mi spaventa il pensiero di andare avanti senza. Provo un recondito senso di terrore e oppressione al pensiero di lasciarlo andare, se lo facessi tutto quello che ho creduto sino ad ora svanirebbe.
Con il dolore se ne andrebbero i ricordi, senza dolore non resterebbe altro che il vuoto.
Lui non vorrebbe che io pensassi tutto questo, lui vorrebbe io che fossi felice, ma il problema con questo stato d’animo, l’essere felice, è sorto da tempo. Ho dimenticato da tempo cosa si prova ad essere felici.
Mi lascio cadere difronte alla sua lapide sorridendo lievemente e stringendo con rabbia la sciarpa che porto al collo. Mi sembra quasi di vederlo accanto a me, in piedi, mi guarda in silenzio con quel sorriso a labbra chiuse che soltanto lui è in grado di esternare.
Quasi tutti quelli che lo conoscevano dicevano che il suo sorriso era troppo enigmatico, nascondeva troppe cose, non si riusciva mai a capire quello che pensava, quello che gli passava per la testa. Soltanto a me quel suo sorriso enigmatico piaceva da impazzire.
Era il suo, soltanto il suo, nessuno sorride come sorrideva lui.
È un sorriso che ancora adesso anima i miei sogni, alcune volte mi sveglio in lacrime cercando di mantenere vivo nella mente quel ricordo, e non c’è cosa peggiore nel rendersi conto del fatto che si è trattato soltanto di un sogno, di un’immagine evanescente che al risveglio svanisce.
Suo padre gli ha strappato via quel sorriso dal volto dandogli uno schiaffo vero e proprio oltre a quello emotivo. Un duro colpo, un po’ come quello prodotto dalla porta sbattuta con forza contro di lui, lasciando al di fuori la sua anima.
Lui non vorrebbe che io ricordassi tutto ciò, ma…è colpa mia.

“Ciao” sussurro stringendo di nuovo la sciarpa.

“Vorrei che tu fossi qui” aggiungo poi abbassando lo sguardo.
Io sono qui.
Sembra dirmi esattamente questo, sembra essere accanto a me, sono in grado di disegnare ad occhi chiusi il suo volto, il suo corpo. Ma non è vero, lui non è davvero qui, io non posso vederlo.
Vorrei essere in grado di farlo davvero, vorrei riuscire a rivedere il suo volto ancora una volta, a sentire la sua voce, i ricordi non mi bastano più, quei ricordi che stanno svanendo un po’ alla volta.
Tutto questo è strano.
Perché fatico a rimembrare le cose belle riportando alla luce soltanto quelle brutte?
Nella mia mente sorgono soltanto immagini frastagliate catturate da episodi tristi, quelli dei momenti più felici non credo di essere in grado di ritrovarli.
Fa troppo male.
Ancora una volta, lui non vorrebbe questo. Ma è tutto più forte di me.
“Mi manchi da morire” dico ad occhi chiusi senza versare una singola lacrima. A lui un po’ piaceva guardarmi piangere, subito dopo mi stringeva forte a se e tutto passava. I suoi abbracci erano delicati e forti allo stesso tempo, adagiava con delicatezza la mia fronte sul suo petto, riuscivo a tornare a respirare in modo regolare respirando con lui. Il suo petto si alzava e si abbassava, la mia testa seguiva i suoi movimenti, e lentamente tornavo a vivere. Lui mi trasmetteva pace, amore, gioia, speranza.
È tutta colpa mia.

“Scusa” dico con voce ferma tornando a guardare la lapide e per la prima volta da quando tutto è cominciato ho paura, paura di covare un sentimento che mai avrei creduto di provare pensando a lui.
Quel sentimento è l’odio, un odio recondito che intacca le pareti del mio essere.
È colpa mia perché io non sono stato abbastanza forte, lui aveva deciso già tutto senza nemmeno consultarmi o chiedermi un aiuto. Era tipico del suo essere.
Difronte alle difficoltà si chiudeva in se stesso, desideroso di trovare in solitudine una soluzione. Tentai più volte di aiutarlo ma lui mi cacciò ogni maledetta volta, dicendo che io avevo già i miei problemi e che non potevo prendermi la responsabilità di occuparmi anche dei suoi.
Non era vero.
Io adoravo prendermi cura di lui, ma negli ultimi mesi ha scelto di chiudermi fuori da ogni cosa, per impedirmi di soffrire.
È colpa mia.

“Ti amo” sussurro tornando a chiudere gli occhi, lontano dal molto esterno, rinchiuso in una bolla di puro male. Sto così bene nel mi universo composto unicamente di dolore, di gelo, di panico. In questo mondo parallelo posso fare quello che voglio, non ci sono regole, nessuno mi giudica, posso scegliere se continuare a soffrire, se porre un freno, se cercare di rimediare.
Scelto di continuare a soffrire.
Perché il benessere mi spaventa, non so nemmeno che cosa sia, di cosa è composto.
Lanciai un ultimo sofferto sguardo alla lapide, per poi alzarmi e coprirmi il volto con la sciarpa nera, una delle sue.
Sentendomi un verme non guardai più quella lapide, dandogli le spalle e andando contro tutto quello in cui credo. Ma ormai non mi resta più niente, non mi importa più niente di me stesso, né di vivere, né di respirare e tantomeno di credere.
Di credere nella rinascita.
Le fenici sono animali che risorgono dalle loro ceneri. Io mi servo delle mie ceneri per seppellire il mio dannato corpo.
Alzo il bavero della giacca e avvolgo ancora di più la sciarpa attorno al collo.
Fa molto freddo a Tokyo in questo periodo, devo coprirmi bene.
 
***
“Ciao Kou” mi saluta Shin alzando gli occhi dal bicchiere che sta pulendo da almeno un’ora. So quello che sta cercando di fare.
Quando vuole far credere ai clienti di avere tanto lavoro si fa trovare impegnato a pulire almeno venti volte gli stessi bicchieri. In realtà in quel locale non ci viene più nessuno da una delle mie ultime scenate ad un cliente, avvenuta almeno sette o otto mesi fa.
È successo tutto per puro caso, un suo compagno di università mi ha provocato, urlandomi contro che era tutta colpa mia. È la verità, so che la causa di tutto è mia, ma soltanto io posso pensarlo, non voglio che nessuno me lo faccia notare.
“Ciao” lo saluto alzando la mano e sparendo dentro al magazzino, sfilandomi la sciarpa, il capotto e indossando il grembiule.
Quando torno al bancone, Shin mi sorride, indicando con l’indice uno dei tavoli in fondo al locale. Entrando non mi ero accorto del fatto che un tavolo fosse occupato da due ragazze. Annuisco prendendo il blocchetto per appunti e dirigendomi al tavolo. È proprio allora che le riconosco.
Interrompo il mio cammino per riflettere sul fatto che una delle due era una sua compagna di classe. Non so se anche lui mi abbia riconosciuto ma evito di pensarci troppo. Mi fermo davanti al tavolo stringendo con forza il blocchetto.

“Che cosa vi porto?” chiedo alle due. Quando la ragazza che ho riconosciuto alza lo sguardo nella mia direzione la vedo impallidire. A giudicare dal suo sguardo preoccupato e carico d’odio deduco che anche lei mi abbia riconosciuto.

“Due birre grazie” dice l’amica sorridendo, non accorgendosi dello sguardo omicida dell’altra. Annuisco segnando a penna l’ordinazione e quando faccio per tornare al bancone la ragazza dice “Tu sei Kouyou?”
Senza voltarmi dico di si, un si quasi inudibile e gelido.

“Ma certo” dice lei “allora non sono uscita di senno, mi sembrava di conoscerti”

“Ne sei sicura?” dico, non riferendomi di certo al fatto dell’avermi riconosciuto, poi sposto in modo impercettibile il volto alla mia destra. Lei riesce soltanto a vedere i miei occhi e mi conosco abbastanza bene da sapere che le conviene.

“Come scusa?” chiede lei, offesa.

“Sei proprio sicura di non essere pazza?” dico con un sorriso ironico facendola infuriare ancora di più, poi dice “tu sei quel pezzo di merda per cui Yuu ha mandato tutto a puttane. Dovresti provare vergogna, non continuare a lavorare qui come se nulla fosse. Mi fai schifo”.
Sono le urla dell’amica a far accorrere Shin verso di me. Il mio capo con un gesto secco libera il collo della ragazza dalla presa delle mie mani.
Mi sono scagliato contro di lei, che sarà mai.

“Sei impazzito per caso?” grida Shin bloccando le mie braccia con le sue, stringendo il mio corpo contro la sua schiena. Digrigno i denti furioso, imprecando e pronunciando una seria di offese pesanti contro la ragazza, la quale si alza dalla sedia stringendo la mano dell’amica e allontanandosi dal tavolo. Io e Shin osserviamo la loro dipartita, lui imprecando sottovoce, io in assoluto silenzio.

“Molto bene, vedo che non sei cambiato affatto. Hai fatto scappare ancora due clienti” mi grida il ragazzo in preda all’ira, lasciandomi andare soltanto per portare una mano ai capelli già arruffati. Non pronuncio nemmeno una sillaba limitandomi a scotere la testa e allontanandomi da lui. Sotto il suo sguardo furioso mi lascio cadere su una delle sedie di plastica. Intreccio le dita delle mani, e trascorro l’ultima ora di lavoro che mi resta fissandole, completamente immobile, mentre quello stupido muscolo cardiaco posto nel mio petto implode.
 
***
http://www.youtube.com/watch?v=SjkJ6GZh-pY
Fu sua sorella maggiore a dichiarare aperta la caccia al colpevole il giorno in cui tutto si spense, compreso il nostro amore. Mi sbagliavo a considerare eterno quello che c’era fra noi, non riuscivo a vedere le cose da un altro punto di vista.
Il punto di vista della morte.
Nella mia innocenza credevo che tutto sarebbe durato per sempre, invero era un’illusione. Chiudevo gli occhi davanti alla realtà perché con lui stavo bene, eravamo nel nostro piccolo mondo, quel mondo dove niente e nessuno poteva contaminarci, insieme, soltanto io e lui andava tutto bene.
Lasciai il locale con passo malfermo, Shin mi ha sgridato un’altra volta, non ricordo nemmeno a quanto siamo, ho perso il conto. Ha minacciato ancora una volta di licenziarmi.
Che lo faccia pure, non mi importa più di niente ormai, non ora che l’idea di andarmene mi sfiora la mente da giorni.
Mi dirigo alla stazione del treno a testa bassa, portando poi gli auricolari alle orecchie. Premo play sull’iPod, riproduzione causale e la canzone che ho ascoltato per puro caso la prima volta che ci siamo conosciuti mi esplode nel petto, togliendomi il fiato. Quel giorno ho acceso la radio in camera mia, le emozioni e le immagini ancora impigliate nelle ciglia e la canzone che ho udito sedendomi alla scrivania mi ha fatto quasi piangere.
Era perfetta.
Non me la sono sentita di cancellarla, ed ora devo fare i conti con i fantasmi del mio passato. Oggi purtroppo sono costretto a rivivere emozioni e sentimenti del tempo che credevo di aver rimosso. In realtà sono sempre lì, nel mio petto, non vogliono uscire, non potranno farlo finché non darò loro il permesso.
Ricordo come se fosse ieri la prima volta che lo vidi. Accadde tanto tempo fa, non ho mai dimenticato il suo volto, i ricordi sono così vividi in me da far sembrare la sua apparizione recente.
Avevo 16 anni, lui 18. Yuu era al suo ultimo anno di scuola, presto o tardi avrebbe intrapreso l’Università, questo me lo confidò dopo un paio di mesi.
Quella mattina mi rifugiai in cortile dopo aver litigato con mia sorella maggiore a causa di uno stupido e futile motivo, quello per mia fortuna è stato cancellato dalla mia mente, anche se la sua presenza fu nettamente fondamentale. Grazie a quello stupido e futile motivo conobbi Yuu.
Yuu uscì con passo deciso dalla scuola, una sigaretta tra le labbra carnose. Quando mi vide seduto su una delle sedie di plastica in fondo al cortile venne verso di me. Evidentemente notò la mia inquietudine perché mi porse una delle sue sigarette riposte in un pacchetto verde. Una sigaretta che presi senza neppure ringraziarlo, compreso il suo accendino nero. Yuu mi lesse nel pensiero, comprese che c’era qualcosa che non andava.
All’epoca ero troppo emotivo, molto più di adesso, e bastava una semplice parola, una frase per farmi uscire di senno.

“Tutto bene?” chiese facendo scattare l’accendino e portando la fiamma alla fine della sigaretta. La brace si illuminò poi Yuu aspirò, gettando fuori il fumo. Sorrisi, triste.

“Ho litigato con mia sorella” ammisi. Non conoscevo quel ragazzo, ma il suo sguardo sincero e puro mi convinse del fatto che potevo tranquillamente raccontargli tutto quello che mi passava per la testa, lui mi avrebbe ascoltato sempre, indipendentemente da tutto.

“Capisco” disse lui soltanto, e mi fu chiaro fin da subito che diceva il vero. Lui comprendeva.
Parlammo per tutti i 15 minuti restanti di ricreazione, a dire il vero fui soltanto io a farlo, Yuu mi ascoltò in silenzio, aspirando il fumo dalla sigaretta e gettandolo fuori poco dopo. Mi sorrise per tutto il tempo, mandandomi in iperventilazione, e per la prima volta in vita mia sentii che potevo aprire il mio cuore ad uno sconosciuto senza provare vergogna.
A sentirlo può apparire come qualcosa di folle, non conoscevo niente di lui, neppure il nome, ma a noi non serviva, non serviva nulla, soltanto la presenza dell’altro. Eravamo destinati, e nonostante io non abbia mai creduto a quelle cose, al destino, seppi con precisione che lui era nato, stava vivendo la sua vita ed era arrivato al momento in cui l’unica persona che poteva leggergli e catturargli il cuore gli era apparsa davanti. Lo so perché per me fu lo stesso, immediatamente.
Quando suonò la campanella lui si alzò ringraziandomi e accarezzandomi i capelli con un gesto talmente privo di senso, forse per lui, ma carico di significato per me. Non so perché lo fece, ma se non l’avesse fatto io non mi sarei mai innamorato di lui.
Restai immobile per tutto il tempo, anche quando lui se ne fu andato, ascoltando il suono del mio cuore, cercando di far rivivere quel gesto nella mia mente all’infinito.
I giorni passarono e trascorremmo quasi tutte le ricreazioni in compagnia. Scoprii tante cose di lui, sulla sua famiglia, i suoi hobby, le sue passioni, i suoi sogni, ma anche le sue insicurezze e timori. Gli raccontai a mia volta tutto quello che mi passò per la testa senza tralasciare nulla. Yuu ascoltò, non smise un momento di sorridermi. Guardarlo provocava in me delle emozioni che nessuno era in grado di comprendere, emozioni che mi scaldavano il cuore, e ricordai di aver desiderato con tutto me stesso di avvertire la presenza delle sue labbra sulle mie.
Il mio desiderio venne esaudito.
Yuu mi baciò sotto casa sua, al ritorno da scuola, un mese preciso dal nostro incontro. Spalancai gli occhi colto di sorpresa, poi mi lasciai andare rispondendo al bacio e portando le dita tra i suoi capelli corvini. Erano così morbidi, tremai quando scostò il volto per riprendere fiato, tornare a baciarmi e lasciar scivolare una ciocca di capelli sul mio polso. All’epoca portava i capelli lunghi, sorridi mordendomi il labbro nel pensare che assomigliava da morire a Takumi di Nana. Quando glielo dissi lui rise, dandomi un colpetto sul naso, dicendomi che io era la sua Hachi.
Quello fu il mio primo bacio, non avevo alcuna esperienza con quelle cose, non credevo possibile che qualcuno potesse provare interesse per me. Ero un ragazzo come tutti, amante del calcio e della musica jrock, non avevo nulla di speciale.
Yuu non la pensò così.

“Stai bene?” mi chiese carezzandomi i capelli. Annuii senza fiato e lui sorrise felice, tornando a baciarmi. Lo amavo, lui aveva preso possesso del mio cuore.
Quando lui era accanto a me, quando lui mi guardava in quel modo mi sentivo diverso, più reale, autentico, più altruista, onesto, riuscivo ad esternare il meglio di me.
Avevo timore di quello che sarebbe successo ai miei genitori una volta essere venuti a conoscenza del fatto che provavo dei sentimenti d’amore per un ragazzo.
Yuu mi promise che avrebbe fatto di tutto per aiutarmi, ed io feci lo stesso con lui.
Quando ricordai il giorno in cui lui mi confidò del desiderio del padre, quel desiderio, il mio cuore prese a martellarmi nel petto, in modo doloroso. Commisi uno sbaglio, ancora una volta, uno sbaglio che provocò la morte di tutto quello in cui ho sempre creduto, la morte di quel sentimento che c’era fra noi, di tutto quello che avevamo costruito.
Mi morsi il labbro, scuotendo la testa, la vista annebbiata a causa del marasma di ricordi sfocati che mi scorrevano davanti agli occhi, poi mi tolsi le cuffie dalle orecchie, interrompendo quel flusso di parole e musica che da mesi mi recava soltanto un profondo disagio e fastidio.
Tutte le cose belle non avevano alcun senso per me, non ero degno di viverle.
Sistemai la sciarpa, poi spensi l’ipod e lo rimisi nella tasca dei pantaloni. Non avevo più il cellulare con me, pochi giorni dopo l’avevo lasciato sulla strada davanti a casa mia, immettendomi subito dopo nella corsia con l’auto e facendo retromarcia. Schiacciai quell’aggeggio con la ruota, distruggendo il suo interno e anche tutte le foto di noi due che conteneva. Raccolsi la sim e la gettai nella pattumiera, una delle tante pattumiere poste accanto alla scuola. Mi servii di quella posta perfettamente difronte al cortile, precisamente alla sedia di plastica dove mi ero seduto anni fa.
Un fischio mi fa alzare gli occhi dalla strada.
Il mio treno è arrivato, devo sbrigarmi, non posso concedermi il lusso di perderlo.  
***
http://www.youtube.com/watch?v=CkZ0mOq4p_g

Adagiai sul pavimento il mio corpo, prima le gambe e poi la schiena, le palpebre abbassate, a nascondere quello che non volevo vedere.
Il nulla.
Portai una mano al volto, facendo aderire il palmo alla fronte.
Sono uno sciocco.
Come ho potuto sperare di non provare più quei sentimenti dopo la visita al cimiero dell’altro giorno. Non ho mai chiesto niente a me stesso, ho sempre cercato di volermi bene in ogni caso. Ma mentirei a me stesso se dicessi che non sto soffrendo o che sto cercando di non farlo.
La verità è che il dolore è l’unica cosa che mi ricorda che lui c’era davvero.
Me ne disteso sul pavimento di quella che avrebbe dovuto essere casa nostra, ma ora è soltanto un guscio vuoto, vuoto e senz’anima.
Dopo aver lasciato la stazione sono corso qui, senza pensarci troppo a dire il vero, desiderando di porre fine a quel flusso di ricordi, cercando di aggrapparmi a qualcosa di più recente, soccombere e poi ripartire con la mia dannata routine. Perché in momenti come questi ho soltanto bisogno di questo. Dopo, forse, fa meno male.
Quella casa e tutto quello che racchiudeva, il suo presente, non si trasformò mai in un futuro. Fui in grado di ottenerla dal vecchio proprietario dopo mesi e mesi di ricerche, ma al momento della consegna delle chiavi lui non respirava già più.
Non fui in grado di mandare tutto a rotoli, non dopo tutto quello che avevo trascorso per averla, mi limitai a prendere le chiavi dalle mani del vecchio proprietario e farle scivolare sul fondo di un cassetto, una volta a casa.
Solo.
Uso quelle chiavi quando scelgo di punirmi, quando ho bisogno di lui nonostante la sua assenza.
Resto immobile su quel pavimento immaginando la vita che avremmo dovuto vivere, tremando al contatto con quelle speranze che ho perso per sempre. Lui non avrebbe voluto che mi lasciassi andare in questo modo, ma è tutto più forte di me.
Con la sua morte si è spento qualcosa anche in me, non soltanto la mia voglia di vivere ma anche la speranza ed il mio desiderio di felicità.
Lui vorrebbe che io fossi felice.
Si sbaglia.
Io non posso essere felice senza di lui, non posso essere felice sapendo che la sua morte è stata provocata da un mio errore.
Iniziai a piangere in modo convulsivo, non riuscii a farne a meno e mi odiai profondamente per questo. Non dovrei piangere, non me lo merito.
Senza essere in grado di impedirlo sbatto con forza la testa sul pavimento sino a perdere quasi i sensi. Non resta più nulla in grado di tenermi ancorato alla vita, forse potrei raggiungerlo.
Mi sembra quasi di vederlo, qui, accanto a me, mi ammonisce con cattiveria dicendo che sono pazzo, che devo continuare a lottare.
Yuu, amore, con la tua morte ha portato via ogni cosa.
Il mio sorriso, la mia voglia di rinascere, le mie speranze. Non te ne faccio una colpa, tu fra i due sei sempre stato il più forte, sono io quello che ha sempre fatto affidamento sulla tua forza, credendoti invincibile quando in realtà eri il più debole tra i due.
Tu mi hai sempre detto che ti saresti preso cura di me, che avresti pensato a tutto tu, senza darmi modo di ribattere o aggiungere qualcosa, mi andava bene così. Era più semplice amarti, a te piaceva ricevere la mia gratitudine.
Con un bacio, una carezza, un accostare il mio petto al tuo. Il profumo delle tue lenzuola mi inebriava, le tue dita sul mio corpo, i tuoi denti che mordevano il mio collo. Ero felice, tu eri felice, non c’era nulla che ci disturbava.
Nella nostra coppia funzionava tutto perché doveva funzionare esattamente come l’avevi deciso tu.
Questo si, questo no.
Non mi sono mai opposto, mi fidavo di te. Mi fidavo di te anche quando mi hai detto prima di morire, che mi amavi.
Io ti odio per avermi lasciato qui. Odio anche me stesso perché la tua partenza è stata causata dal un mio madornale errore, ma quando me ne resi conto era già troppo tardi.
Mi alzai da terra sistemandomi i capelli, il cappotto e così la sciarpa.
Dovevo tornare a casa, mia nonna ha bisogno di me.
***

***note***
Che ne pensate? **
Per le canzoni… Lullaby dei Nickelback è dedicata ad Uruha perché proprio lui ha consigliato l’ascolto dell’ultimo cd del gruppo in una vecchia intervista. Cercavo qualcosa di adatto per lui e ripensando a quello che aveva detto sono andata a ricercare il disco e ho ascoltato Lullaby per tutto il tempo **
La cover di Adam è stupenda, adoro quel ragazzo ** Vi piace?
Ok :D Posterò la seconda parte a breve, è pronta ** devo soltanto correggerla ;)
Alla prossima **
Luxie 

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Capitolo 2
*** Seconda parte ***


Lui vorrebbe che tu fossi felice
2
 
“Dove sei stato?” mi chiese la nonna quando entrai nella sua camera da letto con un vassoio pieno zeppo di cibo tra le mani. Le sorrisi, appoggiando poi il vassoio sul suo letto, e lei si mise più comoda, portando la schiena dolorante alla testiera del letto.

“Ero al lavoro” mentii guardandola negli occhi. Lei mi conosce molto bene, probabilmente sa che le sto mentendo ma è troppo stanca per farmi delle domande. Si limita ad annuire.

“L’infermiere questa mattina mi ha detto che avevo la pressione bassa. Sto malissimo Kouyou” disse mettendomi in allerta, e mi preoccupai immediatamente della sua salute. La aiutai a mangiare, controllandole ancora una volta la pressione e aiutandola poi a stendersi. Sembrava essere tutto a posto, era soltanto troppo stanca.

“Grazie tesoro, sei un angelo. Adesso però voglio che tu ti riposa, prenditi del tempo per te. Riposati” disse la nonna sorridendomi e chiudendo gli occhi.
Vorrei dirle che si sbaglia, che non sono un angelo come crede lei, ma non voglio ferirla, così mi limito a prendere il vassoio vuoto, stringerlo tra le mani ed uscire dalla camera.
Chiusi piano la porta e dopo aver sistemato un po’ la cucina e il salotto mi concessi una doccia gelida. Dopo essermi asciugato i capelli in bagno, sprofondai sul divano difronte alla tv spenta con una sigaretta tra le labbra, l’accendino stretto nel pugno.
Mia nonna ha un tumore, non dovrei fumare, me lo diceva sempre anche Lui. Ricordo ancora come se fosse successo soltanto ieri il giorno in cui gli dissi di non farmi la predica, perché era stato proprio lui a condurmi nel mondo del tabacco e dei filtri di sigarette.
Io fumo per raggiungerlo, adesso più di prima.
Il mio desiderio si è intensificato, sono abbastanza pronto per ripercorrere il nostro passato?
Non lo so, non sono più sicuro di niente, ma non posso impedire ai miei occhi stanchi di chiudersi. La cenere della sigaretta mi brucia le dita, e poco dopo sto sognando.
 
 
***
“Kou, ti devo parlare”
Yuu era profondamente preoccupato della reazione che avrebbe avuto il suo ragazzo nel venire a sapere che avrebbe intrapreso un corso universitario. Invero, quel corso l’avrebbe seguito per volere dei suoi genitori, persone buone, calme, sempre attente alle esigenze del prossimo, che volevano soltanto il meglio per il figlio.
Yuu però, non era d’accordo con loro né tantomeno felice di intraprendere di nuovo gli studi. La facoltà che avevano scelto i suoi genitori per lui era interessante sotto certi punti di vista, doveva ammetterlo a se stesso, anche senza rimorso. Ma di una cosa era certo.
L’avrebbe intrapresa con scarsa voglia e passione. Non ne sarebbe uscito fuori niente di buono ed onesto.
Suo padre non aveva nemmeno preso in considerazione il desiderio del figlio di diventare un mangaka, si era informato nello studio legale dove lavorava e aveva scoperto che il figlio poteva tranquillamente entrare in un corso per diventare avvocato.
Esattamente come lui, non poteva chiedere di meglio.
Yuu aveva accolto la notizia con estrema calma, fin troppa a dire il vero, soltanto che era a conoscenza del fatto che sarebbe stato inutile anche solo proporre una cosa diversa. Il suo destino era segnato, il futuro già programmato.
Restava soltanto una cosa da fare prima di imboccare quella strada già segnata.
Dirlo a Kouyou.
Lui ed il suo ragazzo non abitavano insieme, avrebbero tanto voluto farlo, ma per ragioni che Yuu non si sentiva ancora di esternare con lui non avevano ancora cercato una casa dove abitare.
Dopo essere venuto a conoscenza del fatto che i suoi genitori avevano scelto il futuro per lui, Yuu era corso a casa della nonna di Kouyou dove il ragazzo abitava, desideroso di confidarsi con lui.
Adesso doveva sorbirsi lo sguardo allarmato del suo ragazzo senza batter ciglio. Fra i due lui doveva essere il più forte.

“Mio padre mi ha iscritto ad un corso per diventare avvocato” disse tutto d’un fiato a Kouyou, il quale sbatté le palpebre più volte, incapace di reagire e di comprendere appieno quello che aveva appena udito.

“Non capisco. Non volevi diventare un mangaka? Non volevi andartene via con me?” chiese con il cuore in gola.
Non voleva apparire come un egoista agli occhi di Yuu, soltanto che cercava di capire come mai gli stesse dicendo una cosa tanto orribile.
Yuu prese un bel respiro e continuò.

“Mio padre e mia madre vogliono che intraprenda gli studi per diventare avvocato, esattamente come mio padre. Lo sai anche tu come ragionano, e se non faccio quello che mi dicono non mi parleranno più per un bel po’”

“Beh, puoi sopportare una cosa del genere. Io non parlo con i miei praticamente da due anni” disse Kouyou. Stava dicendo la verità, la sua famiglia composta dai suoi genitori e dalle due sorelle si era trasferita in America. In un primo tempo agli occhi di entrambi i genitori di Kouyou il trasferimento in un altro stato era stato causato da dei problemi di lavoro, e in un secondo momento una questione di sopravvivenza.
La madre di Kouyou si era ammalata ed il marito aveva preferito restare con lei, per usufruire della straordinaria attenzione e professionalità dei medici americani.
La nonna di Kouyou non aveva potuto lasciare il Giappone a causa del tumore ai polmoni, Kouyou aveva scelto di restare con lei, per prendersi cura di lei in modo costante.
Non riusciva neppure a pensare di lasciare Tokyo e così Yuu, era completamente fuori discussione. Aveva litigato con i genitori e tutto si era spento fra loro. Inizialmente li sentiva soltanto per le feste, adesso nei giorni di natale e in quello del suo compleanno il telefono restava muto.
A Kouyou non importava di non avere i genitori al suo fianco, gli bastava Yuu, non aveva bisogno di altro.
Si amavano, e avevano sempre voluto vivere insieme, nonostante la presenza dei genitori di Yuu. Ma adesso il ragazzo che diceva di amarlo gli aveva rivelato che avrebbe ancora una volta fatto quello che i suoi genitori volevano, e ovviamente la coppia non avrebbe potuto più fare quello che avevano sempre sognato. Costruirsi un futuro insieme.
Kouyou aveva già acquistato una casa, ovviamente senza dirlo a Yuu con il desiderio di sorprenderlo. Alla luce degli eventi comprese che il suo piano non sarebbe andato a buon fine.
Era assurdo e tutto dannatamente infantile.
Yuu era molto legato alla sua famiglia, non gli avrebbe mai lasciati senza dire una parola. Ora stava facendo esattamente la cosa che Kouyou temeva di più al mondo.
Stava seguendo ancora una volta le regole dettate dal padre, senza opporsi o almeno provare a farlo.

“Lo so e mi dispiace per questo. Vorrei che le cose potessero andare diversamente amore, ma ti prego, cerca di capire” disse Yuu, una punta di disperazione nel cuore.

“Cosa c’è da capire? Alla fine fai sempre tutto quello che ti dicono di fare i tuoi, non pensi mai a te stesso, a me, a noi” urlò Kouyou in preda all’ira. Si pentì immediatamente di quelle parole, subito dopo averle gridate, ma ormai era troppo tardi.

“Come puoi dire questo?” disse Yuu in un sussurro. Lui credeva davvero che Kouyou avrebbe capito, ma a quanto sembrava, il suo ragazzo non aveva compreso appieno la gravità della situazione. Non era poi così difficile, il corso sarebbe durato tre anni, e poi si sarebbero potuti trasferire.
Yuu sapeva anche che Kouyou non era una persona molto paziente, e cercò di comprenderlo ancora una volta, di comprendere il dolore del suo ragazzo nonostante quello che stava provando lui, e che Kouyou non era in grado di comprendere a sua volta.

“E’ quello che penso. Perché non puoi fare quello che vuoi tu almeno per una volta?” disse Kouyou.

“Perché non posso farlo”

Yuu si lasciò andare ad un lungo respiro per poi adagiare le mani sulle spalle di Kouyou guardandolo negli occhi. Fece per dire qualcosa quando la voce della nonna di Kouyou si intromise fra di loro.

“Kouyou, vieni tesoro, per favore” chiese l’anziana donna dalla stanza accanto. Kouyou restò in silenzio per un attimo restituendo lo sguardo del suo ragazzo. Yuu sorrise teneramente credendo di trovare approvazione ma Kouyou disse

“Adesso tornatene a casa da tuo padre e tua madre. Lasciami solo”
Yuu lasciò cadere le braccia lungo i fianchi e Kouyou si allontanò da lui senza degnarlo di uno sguardo. Il ragazzo fissò per tutto il tempo la schiena dell’altro finché non scomparve, e in quei brevi istanti comprese esattamente quello che doveva fare.
Doveva parlare con suo padre di Kouyou, dirgli che lo amava, che aveva intenzione di stare con lui, di abitare insieme a lui. Di dirgli che non avrebbe intrapreso gli studi decisi da lui e dalla moglie e che per una volta avrebbe fatto quello che voleva.
Se ne sarebbe andato con Kouyou e il padre se ne sarebbe fatto una ragione. Purtroppo l’idea di diventare avvocato all’inizio gli era anche piaciuta, ci stava pensando, ma alla luce degli eventi e della reazione di Kouyou aveva compreso che quella decisone avrebbe incrinato il loro rapporto, e lui non poteva lasciare che ciò accadesse.
Sorrise a bocca chiusa per poi uscire dalla porta d’ingresso della casa della nonna di Kouyou e si diresse a passo spedito a quella dei suoi genitori.
Una piccola speranza nel cuore lo fece tremare e originò in lui il desiderio di provare, per una volta, affetto nei suoi confronti.
Non era mai stato molto bravo nel volersi bene.
 
***
Kouyou non riusciva ancora a credere a quello che era appena successo. Era riuscito ad allontanare da se l’unica persona che fosse in grado di comprenderlo al meglio. Si sentiva uno stupido, un bambino infantile, anche un po’ egoista, ma pensava tutto quello che gli aveva detto.
Era stanco di fingere di star bene, avrebbe voluto usare con Yuu parole diverse, meno dolorose, ma tutto si era dimostrato più forte di lui.
Nascose il volto tra le mani prima di entrare nella camera da letto della nonna, prendendo un lungo respiro e concedendosi un momento per riprendersi. Lei non doveva vederlo in quello stato. Kouyou abbassò la maniglia della porta e sorrise alla nonna.
Agli occhi della signora Takashima, il nipote era un angelo sceso dal cielo, con lui al suo fianco si sentiva al sicuro, niente la spaventava o turbava la sua tranquillità, e riusciva ancora a sorridere nonostante il dolore. Aveva promesso al ragazzo che sarebbe rimasta ancora un po’, ma era così stanca di combattere.
Decise di mettere da parte per un attimo i suoi pensieri e si concentrò sul sorriso del nipote.

“Grazie tesoro. Eri con il tuo ragazzo vero? Mi dispiace tanto di avervi interrotto” disse avvertendo le lacrime pungerle gli occhi. Lei adorava il ragazzo di suo nipote, l’aveva sempre considerata una persona speciale, ed era contenta del fatto che fosse felice con lui.
Aveva accettato immediatamente il fatto che il Kouyou fosse omosessuale, la notizia non le aveva creato alcun disturbo. Nonostante i suoi sentimenti positivi, non se la sentiva di parlarne con il figlio in America. Sapeva perfettamente che spettava a Kouyou il compito di parlare ai suoi genitori della sua relazione.

“Non preoccuparti nonna. Stai bene?” chiese il ragazzo sedendosi sulla sedia accanto al letto della nonna, carezzandole piano la mano.
Si sentiva in colpa per quello che aveva detto a Yuu, ma la nonna veniva prima di ogni cosa.

 
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Yuu parcheggiò l’auto davanti alla casa dei genitori, la casa in cui aveva vissuto per tanto tempo. Quando l’aveva lasciata due anni fa, e nel suo cuore era sorta una sensazione strana che non aveva mai provato prima. Si era sentito perso, un senso di smarrimento lo aveva avvolto lentamente, ma comprese che l’allontanamento dalla famiglia era inevitabile per la sua crescita personale.
Si lasciò andare ad un lungo respiro e si avvicinò al cancello e poco dopo suonò il campanello. Sua madre andò ad aprire e quando lo vide urlò in preda alla gioia scoppiando in lacrime. Durò soltanto un attimo perché la donna non si era mai lasciata troppo andare alle emozioni.

“Ciao tesoro” disse lei aprendo lentamente il cancello e stringendo poi il figlio tra le braccia. Yuu sorrise, lasciando che la mamma gli scompigliasse i capelli neri.

“Come mai sei qui? Non che non ti voglia eh” disse poi sorridendo, lasciando scivolare le mani lungo i fianchi stringendo poi quelle del figlio. Yuu deglutì, prese di nuovo un altro respiro, e guardò la madre negli occhi.

“C’è una cosa che vi devo dire assolutamente” disse a voce alta, sicuro di sé e di quello che stava dicendo. La donna lo guardò senza comprendere, annuì comunque e lo accompagnò dentro.

“Tuo padre è al lavoro, ma tra un’ora dovrebbe tornare così potrai parlare con tutti e due. Intanto, hai fame, vuoi qualcosa da mangiare?”
Yuu sorrise, ripensando al fatto che la mamma non era cambiata affatto. Ogni volta che lo vedeva dopo non averlo visto per mesi gli chiedeva sempre se aveva fame o se aveva mangiato qualcosa. La sua magrezza le aveva sempre creato problemi.
Il ragazzo sorrise stringendo le mani della madre tra le sue e annuì. Poi attese il ritorno del padre, masticando il dolce che la mamma gli aveva portato. Aveva la testa altrove, il cibo era l’ultimo dei suoi pensieri, ma non aveva voglia di litigare con la mamma così restò in silenzio.
Era concentrato a contare una ad una le piccole rose di zucchero adagiate sulla torta quando la porta della cucina si aprì e il padre fece il suo ingresso. L’uomo stava parlando al cellulare, evidentemente con un collega dello studio legale, e quando notò il figlio seduto sul divano interruppe la conversazione per guardarlo con la bocca spalancata.
La moglie era indaffarata in cucina ed il signor Shiroyama non riusciva a credere ai suoi occhi. Il suo amato figlio era tornato a casa. Nel visualizzare il suo sguardo comprese che il figlio doveva parlare con lui di una cosa seria, e dopo aver salutato il collega, l’uomo riagganciò riponendo il cellulare in tasca.
Yuu sorrise al padre, incrociando le braccia davanti al petto per poi alzarsi dal divano e adagiare una mano sulla spalla dell’uomo.

“Yuu, che cosa ci fai qui? Non che mi dispiaccia vederti, si intende” disse l’uomo sorridendo al figlio. A Yuu quel sorriso pesò, nel riflettere sul fatto che molto probabilmente dopo quello che avrebbe rivelato, il padre non sarebbe stato più in grado di guardare il ragazzo allo stesso modo.

“Avevo bisogno di parlare con te e la mamma di una cosa” disse il ragazzo con serietà, una serietà che non sfuggì all’uomo, il quale annuì attendo l’ingresso della moglie in salotto.
Trascorsero alcuni minuti, poi Yuu assistette all’arrivo della madre. La donna vide suo marito e sorrise, adagiando sul tavolo un vassoio pieno zeppo di biscotti.

“Li ho preparati per Yuu” disse lanciando uno sguardo d’amore al figlio, il quale si sentì corrodere dal senso di colpa.
Come poteva fare una cosa di cui non si sentiva sicuro nemmeno lui, come poteva deludere e ferire così i suoi genitori?
Ma era stanco di fare sempre quello che le altre persone si aspettavano da lui, voleva agire per il bene sia suo che di Kouyou.

“Grazie mamma” sorrise in modo cordiale, dando le spalle alla porta per prendere poi un lungo respiro.

“Avanti figliolo, di che cosa volevi parlarci?” chiese il padre intrecciando le braccia davanti al petto. Il ragazzo sorrise ancora una volta, poi senza pensarci due volte disse

“Io non voglio intraprendere gli studi per diventare avvocato. Voglio trasferirmi in una nuova casa con il mio fidanzato e diventare mangaka. So perfettamente che non è quello che voi avreste voluto per me, ma voglio decidere io per il mio futuro, almeno per una volta”
Quando terminò di parlare, una sensazione di benessere e conforto lo invase, e si sentì molto più leggero.
Si era tolto un peso.
Distolse lo sguardo dal muro per indirizzarlo sui suoi genitori e non appena lo fece deglutì, a disagio. La madre aveva gli occhi spalancati e la bocca aperta, il padre era immobile ma stava tratteneva il respiro, Yuu ne era consapevole.
Per non crollare cercò di pensare al fatto che la reazione dei genitori potesse essersi scatenata a causa della notizia del rifiuto di intraprendere gli studi legali.
Era una bugia, lo sapeva, la verità era un’altra, ma non riusciva a pensarci adesso.

“Che cosa hai detto?” sussurrò il padre, incredulo.

“Ho detto che non vogli studiare per diventare avvocato ma…”

“No, questa cazzata l’ho capita. Intendo l’altra. Vuoi trasferirti in una nuova casa con chi?”

Yuu deglutì.

“Con il mio fidanzato”.
Sua madre si portò le mani agli occhi nascondendo il volto alla visuale del marito.

“Stai scherzando vero? Mi stai prendendo in giro” disse l’uomo sorridendo, il più pacato possibile.

“No, la verità è questa. Io sono innamorato di un uomo, e lui è innamorato di me. Ci conosciamo dalle elementari”

“Come puoi dire questo?” disse sua madre, la voce ridotta ad un sibilo.

“Come scusa, non capisco” disse Yuu, guardandola con il terrore nello sguardo. Provò un profondo senso di disagio e fastidio, ebbe paura di sentire le parole della madre, voleva soltanto essere compreso dai suoi genitori, ma evidentemente era tutto inutile.
Loro non avrebbero capito mai quello che lui sentiva davvero.
Avrebbero sempre cercato di dirgli quello che doveva fare con la forza, sostenendo che loro avevano ragione e che Yuu doveva fare quello che loro avevano deciso per lui. Anche se a lui non stava bene, anche se a lui non piaceva, anche se lui avrebbe voluto fare dell’altro.
Non si doveva ribellare al loro volere, era sciocco farlo.
In realtà Yuu chiedeva soltanto di essere lasciato stare, di poter sbagliare e camminare con le sue gambe, di potere decidere lui della sua vita. Avrebbe sempre e comunque ascoltato i suoi genitori, chiedeva soltanto un po’ di spazio e comprensione.
In quel momento, quando il pensiero gli attraversò la mente, si sentì sporco, disturbato e desiderò di scomparire.
Stava facendo soffrire i suoi genitori, ancora una volta, quando aveva soltanto cercato di far capire loro che lui voleva cercare di essere sempre felice con le scelte che voleva intraprendere da se.

 “Come puoi dire una cosa del genere.. tu che stai con un ragazzo”

“E’ la verità mamma. Te lo sto dicendo, sto cercando almeno di farlo. Io sono..” cercò di spiegarsi, ma il padre alzò la mano in un gesto che trasmetteva tranquillità nonostante tutto.
Il ragazzo percepì quel gesto come qualcosa di negativo, disarmante, allucinante.
Quel gesto voleva dire soltanto una cosa.
Che al padre non importava più niente.

“Molto bene” disse l’uomo inclinando la testa di lato, intrecciando le dita della mani e lasciandole ricadere davanti al corpo.

“Chi sono io per importi una cosa che non vuoi fare. Non vuoi intraprendere degli studi che ti assicurano un posto di lavoro sicuro? Studi che ti permetteranno di entrare nel mondo del lavoro immediatamente, riuscendo quindi a non sacrificare nulla per riuscire ad arrivare a fine mese? D’accordo. Come vuoi. Sei grande, e puoi decidere tu della tua vita, dato che i miei consigli ti sembrano troppo, diciamo, pesanti”

“No papà, io non volevo dire questo, volevo soltanto…”

“Non mi importa. Puoi decidere quello che vuoi della tua vita. Stai con un ragazzo? Molto bene. Hai in mano tu il tuo futuro, hai fatto le tue scelte, io mi faccio da parte”.
Quando l’uomo terminò, sorrise, e Yuu sbatté più volte le palpebre, incapace di proferire parola. La madre si avvicinò al marito a testa bassa, il quale avvolse le spalle della moglie con il braccio.
Quella visione ferì Yuu a morte, poiché l’allontanamento e l’indifferenza dei genitori, era peggiore di qualsiasi sfuriata.
Suo padre era famoso per il suo autocontrollo, per il suo essere sempre calmo, riflessivo, non aveva mai perso le staffe. A lui bastavano poche e semplici parole per distruggerti, parole pronunciate con calma e voce ferma, un sorriso sardonico sul volto.
Yuu aveva sempre ammirato quel lato del carattere del padre, e non avrebbe mai pensato di ricevere personalmente una cosa simile da parte sua.
Dovette ricredersi, poi deglutì, tornando in uno stato di malessere che in realtà non l’aveva mai abbandonato.

“Puoi andare caro. Tua madre ed io dobbiamo parlare di lavoro e sicuramente i nostri discorsi ti annoieranno. Puoi trascorrere la tua serata disegnando o parlando con il tuo ragazzo del vostro futuro. Io non sono nessuno per impedirtelo e non vorrei mai toglierti tempo prezioso. Vai” e detto questo il signor Shiroyama diede le spalle a Yuu, aiutando poi la moglie a muoversi.
Yuu fissò la coppia in assoluto silenzio, poi fu costretto a prendere le sue cose e ad andarsene.
Lasciando il salotto, poi il corridoio ed infine l’ingresso iniziò a tremare da capo a piedi, senza essere in grado di impedirlo. Si portò le mani al volto, imprigionando un grido disperato, poi in preda alla rabbia si scompigliò i capelli neri, quasi con il desiderio di strappargli uno ad uno.
Poco a poco si riprese, si lasciò andare ad un lungo e sofferto sospiro, e sorrise.
Nelle lacrime.
Il sorriso più freddo e falso che abbia mai esternato.
Respirava si, ma nell’esatto momento in cui il padre aveva pronunciato quella parola qualcosa in lui era morto.
Vai.
Avrebbe fatto quello che voleva lui, ancora una volta, indipendentemente dal suo volere.
Lui non era forte, e aveva avuto sempre bisogno dell’approvazione dei suoi genitori. Anche questa volta. E ce l’aveva.
Non poteva tornare indietro, e chiedere loro un consiglio su come morire.
Doveva pensarci da solo.
Almeno questa volta aveva il libero arbitrio.
 
***
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Kouyou fissava da ore il telefono, cercando di non uscire di senno, agguantare la cornetta e comporre il numero di Yuu. Non sentiva il suo ragazzo da giorni, aveva cercato in ogni modo di contattarlo, mandando sms, chiamandolo, ma lui non aveva mai risposto.
Sentiva che c’era qualcosa che non andava, anche se stava cercando in tutti i modi di pensare con positività ad ogni possibile situazione. Era preoccupato perché non aveva idea di quello che stava pensando Yuu di lui, del modo in cui stava pensando alla loro relazione.
Kouyou si era comportato da egoista mandando tutto a rotoli, riflettendo soltanto su quello che faceva stare bene lui e non a quello che premeva a Yuu.
Non riusciva a riflettere in modo lucido, e fu costretto ad appoggiare la tazza di caffè bollente sul tavolo prima di farla cadere sul pavimento.
Si sentiva male, una lacerante ansia gli faceva lanciare continue occhiate all’orologio, seguendo con lo sguardo quell’incessante correre delle lancette. Rifletté ancora una volta su quello che gli aveva detto giorni fa.
Perché non puoi fare quello che vuoi tu almeno per una volta?
Perché non posso farlo
Aveva ragione lui, non poteva fare quello che voleva senza ricevere un ammonimento dei genitori, soprattutto dal padre. Era costretto a stare alle loro regole, accettando tutto quello che gli veniva proposto, senza ribattere, senza essere in grado di proporre delle alternative.
Kouyou lo sapeva perfettamente, era a conoscenza della situazione in cui Yuu viveva.
Allora perché si era comportato in quel modo orribile?
Perché non era stato in grado di mettere da parte se stesso per una volta?
Socchiuse gli occhi e si concentrò sul colore scuro del caffè, quando il telefono di casa prese a squillare. Erano le 21:00, i suoi parenti non chiamavano mai a quell’ora per sapere delle condizioni di salute della nonna, non aveva idea di chi potesse essere.
“Caro, vai tu?” chiese la nonna di Kouyou dalla cucina.

“Si nonna, vado io” rispose il ragazzo conducendo il corpo all’ingresso e sollevando la cornetta del telefono. Il cuore era spento, era in grado di muoversi per miracolo.

“Parlo con la signora Takashima?”

Kouyou riconobbe immediatamente la voce dall’altra parte del telefono. Era una delle sorelle di Yuu. Aveva parlato con lei molte volte durante il periodo della scuola, quando lui e il fratello si trovavano a casa di Yuu per fare i compiti.
Yuu era molto legato alla sorella, e quando lei si era trasferita con il marito, il ragazzo aveva sofferto molto. Kouyou si prese cura di lui, dicendogli che anche se la sorella era lontana da casa, sarebbe sempre rimasta al suo fianco, in ogni momento.
Kouyou ricordava soltanto una cosa in particolare, in quel preciso momento.
La voce della ragazza era sempre allegra ed esuberante, raramente attraversava momenti di tristezza. Alle orecchi di Kouyou la voce della sorella di Yuu, ora, appariva spenta, fredda, sofferente.
Perché mai stava chiamando lì, a casa della nonna di Kouyou?
Soltanto Yuu era a conoscenza di quel numero di telefono.

“Si, sono io, Kouyou” disse il ragazzo con prudenza.

“Oh ciao Kouyou, proprio te cercavo. Sono la sorella di Yuu”

“Ciao. Dimmi pure”

“Ecco Kou… sono a casa di mio fratello. Ho trovato il numero della casa di tua nonna nella sua agenda”

“Si” rispose Kouyou, attento.

“Ok. La proprietaria del condominio mi ha telefonato dicendomi che mio fratello non usciva di casa dalla mattina. Era preoccupata perché è abituata a vederlo uscire di buon ora tutte le mattine. Non vedendolo si è allarmata, ha preso il doppio delle chiavi di casa ed è andata a controllare. Kou, ti prego. Vorrei che tu venissi qui”
Kouyou spalancò gli occhi in preda alla confusione.

“Perché? Che è successo?” chiese alla ragazza, appoggiando il corpo al tavolo.

“Non posso dirtelo al telefono, ti prego, vieni qui e basta” e dopo aver pronunciato quella ultime parole la ragazza riagganciò lasciando Kouyou in preda al panico.
Il ragazzo fissò il muro con apatia per poi riporre la cornetta al suo posto, per poi voltarsi, indossare il cappotto e dirigersi verso la camera della nonna.
L’anziana donna aveva smesso di cucinare a causa della stanchezza, e Kouyou la trovò seduta sul letto con un libro di cucina tra le mani.
Quando vide il nipote con il cappotto gli chiese dove stesse andando, ma lui mentì, dicendole che doveva uscire per una commissione.
Non voleva farla preoccupare.
Dopo averle adagiato un bacio sulla guancia uscì di casa a testa bassa, iniziando a piangere senza versare alcuna lacrima.
 
Kouyou suonò al campanello di casa di Yuu. Venne ad aprirlo la proprietaria del condominio e quando lo vide, nascose il volto tra le mani, facendogli cenno di entrare. Kouyou deglutì e si lasciò andare ad un lungo sospiro seguendo la donna lungo le scale.

“E’ lì” disse poi la donna indicando la porta d’ingresso della casa di Yuu. Kouyou la ringraziò con un filo di voce per poi dirigersi nella direzione indicatogli. La porta d’ingresso era socchiusa, dall’interno dell’abitazione provenivano delle voci familiari al ragazzo, ed entrando notò immediatamente tre paia di scarpe adagiate sul pavimento.
Alzò lo sguardo e incontrò quello della sorella di Yuu. La ragazza sorrise, il volto inespressivo, poi adagiò una mano sulla spalla di Kouyou.

“Ciao Kou” disse soltanto, limitandosi a sorridere, un sorriso molto simile a quello del fratello.

“Che succede?” chiese Kouyou in preda alla confusione.

“E’ arrivato?”
Il suono di una seconda voce maschile fece rizzare i capelli sulla nuca a Kouyou, e nel dirigere lo sguardo a destra vide il fratello di Yuu.

“Si” rispose per lui la ragazza, diventando seria improvvisamente, poi indicò al fratello la cucina.

“Prendi un bicchiere d’acqua e uno anche per la mamma per favore” disse lei.

“Lui non dovrebbe nemmeno essere qui” disse il ragazzo parlando come se Kouyou non fosse presente nella stanza.

“Ti prego, non cominciare, non è il momento” disse lei senza lasciare la spalla di Kouyou.

“Yuu è in camera Kou. Ti sta aspettando, in un certo senso” disse poi la ragazza a Kouyou. Lui la guardò senza comprendere una singola frase ma fece quello che gli aveva detto. Lasciò il salotto sotto lo sguardo infuocato del fratello di Yuu e si diresse alla camera da letto.
Ricordò la prima volta che ci era entrato.
Yuu gli aveva chiesto espressamente di andare a trovarlo con la scusa di studiare matematica insieme, ma il ragazzo lo aveva fatto soltanto per stare con Kouyou, finalmente soli, senza problemi e pensieri, dedicandosi completamente alla loro storia.
Aveva fatto scivolare in modo delicato il corpo di Kouyou tra le lenzuola, stringendolo forte a se e adagiando le labbra tra i suoi capelli castani, sussurrando almeno mille ti amo, tremando.
Kouyou aveva compreso che cosa voleva dire toccare il cielo con un dito.
Non esagerò nel pensare che la vera felicità esisteva.
Lui l’aveva finalmente trovata.
Entrò in camera da letto di Yuu, e quando vide sua madre seduta sul pavimento, la schiena adagiata al muro, il dolce ricordo di quel contatto svanì e rimase soltanto il senso di colpa.
La donna era sola, e quando alzò lo sguardo incontrò quello di Kouyou. Lo vide e scoppiò in lacrime, portandosi il volto tra le mani. Sembrava che volesse scomparire, dissolversi tra quelle mani tremanti.
Kouyou la guardò a lungo, poi indirizzò lo sguardo sul letto e fu allora che lo vide.
Yuu era disteso tra le lenzuola, i capelli corvini sparsi sul cuscino, una mano bianca adagiata sul letto. Una mano che stringeva ancora una confezione di barbiturici.
Vuota.
Il corpo di Kouyou venne scosso da violenti tremori, e quando crollò sul pavimento facendo scontrare con forza le ginocchia con esso, iniziò a piangere in modo convulsivo.
Yuu aveva fatto una cosa orribile, adesso se ne rendeva conto, e quel silenzio era stato provocato soltanto dalla…morte.
Yuu aveva scelto la morte.
Kouyou urlò, stringendo poi tra le mani quella di Yuu. La trovò gelida, senza vita. Fu tutto inutile portare le orecchie al petto, non trovò il battito del cuore.
Quel cuore che batteva ogni volta che Yuu sfiorava Kou, ogni volta che Kou sorrideva, ogni volta che Kou lo abbracciava.
Aveva smesso di battere.
Quello che restava di lui era soltanto un guscio vuoto, l’anima se n’era andata.
Kouyou prese a scrollare quel corpo in preda all’ira, quando delle mani gelide si adagiarono sulla sua schiena sollevandolo.
Era il fratello di Yuu.

“Adesso che l’hai visto te ne puoi anche andare, brutto bastardo. Lui l’ho fatto a causa tua, lo so. Vattene” urlò l’uomo.
Spinse il ragazzo che stava urlando verso la porta, poi in corridoio.
Kouyou notò immediatamente le lacrime sul volto della sorella di Yuu. La ragazza era distesa sul pavimento della cucina, fissava con apatia il soffitto. Kouyou non poteva saperlo, ma da lì a pochi mesi la ragazza avrebbe seguito il fratello sostituendo il pavimento con delle rotaie, il soffitto con un cielo plumbeo, attendo l’arrivo di un treno che l’avrebbe riportata dal fratello. Avrebbe lasciato una famiglia incustodita.

“Tieni. Ancora una volta ha pensato a te. Sempre e soltanto a te” gridò il fratello di Yuu lasciando cadere ai piedi di Kouyou una lettera. Poi sbattè con forza la porta d’ingresso davanti al volto di Kouyou, proteggendo Yuu dal male esterno.
Prima di crollare sul pavimento in lacrime, Kouyou notò che sul retro della busta c’era scritto il suo nome, riprodotto dalla grafia nitida ed elegante di Yuu.
Kuoyou strinse la lettera al petto e mordendosi il labbro inferiore, quasi volesse strapparselo di dosso si lasciò scivolare ancora di più a terra, raccogliendo le gambe tra le braccia, in posizione fetale.
Il dolore fu devastante.
 
 
Mi risvegliai soffocando un grido e senza essere in grado di comprendere quello che stavo facendo mi rizzai in piedi, correndo poi alla scrivania.
Rovesciai il contenuto di tutti i cassetti sul pavimento, alla ricerca della lettera, e quando la trovai la sollevai da terra stringendomela al petto.
L’avevo quasi dimenticata mentendo a me stesso, ma quel maledetto sogno mi aveva fatto rivivere ogni singola emozione e riflettere ancora una volta sul mio logorante senso di colpa.
Non l’avevo mai aperta, non me la sono mai sentita, avevo scelto di lasciare il ricordo da parte per non soffrire, per smettere di pensare al motivo del suo gesto. Tutto in me gridava che era giunto il momento di aprirla, ma il luogo in cui mi trovavo non era adatto.
Esattamente come tanti mesi fa andai in corridoio, indossai il cappotto e dopo aver lanciato uno sguardo alla cornetta del telefono, entrai nella camera della nonna. La trovai immersa in un sonno profondo e decisi di non disturbarla, limitandomi ad accarezzarle i capelli grigi lentamente, sperando di non svegliarla.
Poi uscii di casa.
 
***
https://www.youtube.com/watch?v=Dyo4tNwNIvQ

Il cimitero era esattamente come l’avevo lasciato pochi giorni fa.
Vuoto.
Superai il cancello e mi misi a correre diretto alla lapide, il cuore in gola. Sua sorella riposava poco distante da lui.
Quando raggiunsi la sua dimora crollai davanti a lui in lacrime.

“Amore mio” urlai aggrappandomi ai fili d’erba e strappandoli uno ad uno.

“Perdonami” dissi tremando. Yuu sembrò vedermi davvero, era accanto a me lo comprendevo, e quando udii il suono della sua voce, una voce che non avevo mai dimenticato, sorrisi.
Mi implorò di aprire la lettera davanti a lui, quel sorriso inespressivo dipinto sulle labbra, quelle labbra che mi mancano da impazzire.
Feci quello che mi aveva detto, adagiando la schiena alla lapide e lasciandomi andare ad un pianto disperato. Con le mani che mi tremavano estrassi la lettera dalla tasca del cappotto, poi sfiorai con le dita il mio nome scritto con la sua penna blu preferita.
Nell’aprire la busta provai un forte senso di colpa ancora una volta e Yuu mi ammonì, ridendo.
Iniziai a leggere, trattenendo il fiato per tutto il tempo, non mi concessi neppure di sbattere le palpebre, non dovevo, non potevo perdermi alcuna parola.
 
Caro Kouyou,
quando ci siamo conosciuti ho promesso a me stesso che non ti avrei mai fatto soffrire, per nessun motivo al mondo. Ero sicuro di quello che provavo, sicuro di quello che provavi tu per me, sentivo che fra noi c’era qualcosa che funzionava, qualcosa che mi rendeva felice, che mi faceva stare bene.
Avrei voluto far durare quei momenti in eterno, per poterli poi rivivere tutte le volte che volevo, perché ormai il solo ricordo non mi basta più.
È esattamente così che ti voglio ricordare, felice.
Mi dispiace di averti ferito, mi dispiace di non aver pensato a te nel momento in cui le regole dettate dai miei genitori hanno preso di nuovo possesso di me.
Ma voglio che tu sappia che non l’ho fatto per farti soffrire, a me quel corso per diventare avvocato interessava davvero, volevo soltanto che tu mi lasciassi finire di parlare.
Mi sarebbe piaciuto seriamente intraprenderlo, tu ci saresti sempre stato, sempre e comunque. Avrei pensato sempre e soltanto a te, e quel corso mi sarebbe servito per costruire qualcosa di più sicuro e solido per entrambi.
Per stare bene lontano da qui.
Con questo non voglio assolutamente darti la colpa di quello che ho fatto,la colpa non è né mia, ne tua, né dei miei genitori. La colpa è soltanto della vita.
So per certo che queste sono soltanto tante e semplice parole, sempre le stesse, ma io riesco ad esprimere quello che sento davvero soltanto scrivendoti, non sono mai stato bravo a parlarti a voce, ad esternare quello che sentivo a voce alta.
Avevo paura Kouyou, paura da morire di commettere degli errori, non mi sono mai sentito a posto con me stesso, non sono mai riuscito a volermi bene.
Soltanto tu riuscivi a farmi stare bene, a farmi sentire amato e desiderato e ti sono grato per chiesto, senza di te sarei perso.
Ma io sono troppo debole adesso, non ce la faccio più, e non è giusto che continui a respirare se mi dà noia farlo.
Mi dispiace di far soffrire i miei fratelli, mia madre, mio padre, ma non ce la faccio davvero più.
Per una volta, una volta soltanto, voglio pensare a me stesso, anche se è il gesto più egoistico che ci sia.
Spero soltanto che riuscirete a perdonarmi.
C’ho provato amore, c’ho provato davvero a fare quello che volevo fare da tempo, agire con la mia testa, ma non ci riesco, sono troppo debole, ed è meglio così, credimi.
Io ti amo, e nelle mie condizioni non sarei riuscito a darti un futuro, sarebbe stato tutto incerto. Tu meriti di meglio, meriti di essere felice con un’altra persona, voglio soltanto che tu ti ricorda che ti ho amato, ti amo e ti amerò sempre.
Non piangere per me, sii felice, ti prego, voglio che tu lo faccia, che tu continui a lottare per me, per te, quello che abbiamo avuto, perché credimi, è stato meraviglioso.
Grazie per tutto quello che hai fatto per me, grazie per tutto l’amore che mi hai dato, te ne sarò sempre grato, e veglierò su di te ovunque io sarò.
Non ho scelto un bel modo di morire, lo so per certo, ti chiedo venia, ma non sono riuscito a trovare un modo migliore e meno scioccante.
Sembrerà come se stessi dormendo.
Ricordami esattamente come il giorno in cui ci siamo conosciuti, voglio questo da te, non voglio che tu ti ricordi il momento in cui mi troverai privo di vita, ti prego.
È difficile lo so, ma provaci.
Non so chi ti darà questa lettera, probabilmente nel leggerla proverai odio nei miei confronti, non te ne faccio una colpa, è giusto così, mi odio anche io.
Sei tutta la mia vita amore, non dimenticarlo mai.
Ti amo
Sii felice
Te ne prego
Tuo Yuu
 
Faceva freddo ma era un freddo sopportabile, un freddo avvolgente che mi non mi fece tremare, mi avvolse. Adagiai la lettera tra le gambe, sfiorandola con le dita per poi accarezzare nuovamente il mio nome scritto con la sua grafia.
Le lacrime avevano smesso di uscire dai miei occhi, quello che restava era soltanto l’amore.
Il freddo arrivò un po’ alla volta al petto, ma non era un gelo prodotto dall’inverno, ma dalle mani di Yuu. Riuscivo a sentirlo, a vedere il suo volto a pochi centimetri dal mio. Mi sorrise carezzandomi i capelli, portando una ciocca dietro al mio orecchio.
Non dimenticarlo mai, io ti amo

“Non lo farò, non posso farlo”

Non smettere mai di cercarmi, ma nemmeno di lottare per la tua vita

“Mai amore”

Combatti per me. Per te. Per noi

“Te lo giuro”
Io voglio che tu sia felice
L’anima di Yuu entrò in me, l’accolsi a braccia aperte, chiudendo gli occhi e ascoltando la sua voce. Faceva ancora tanto freddo, ma questa volta fui in grado di pensare che potevo farcela, che nonostante tutto, il modo aveva ancora bisogno di me.
Che lui non era morto a causa mia.
Che la nostra storia non era morta con lui.
Attendeva soltanto il mio arrivo per essere vissuta di nuovo. Ma io avrei raggiunto Yuu con calma, lui non mi avrebbe lasciato mai, eravamo fatti l’uno per l’altro. Anche se lui aveva smesso di far battere il suo cuore, il cuore fatto di carne.
Dovevo soltanto fare un’ultima cosa per lui.
Essere felice.
Gliel’avevo promesso.
Fu una promessa sincera, e quando Yuu avvertì il mio desiderio di ascoltarlo, un desiderio puro ed autentico, sorrise.
Quel suo bellissimo sorriso, invidiato da tutti gli angeli che facevano vibrare le ali attorno a lui. Il sorriso più dolce e felice che si sia mai visto prima di allora.
Un sorriso che permise al mio cuore di battere ancora e far tornare il sangue nel mio corpo vuoto e freddo ormai da troppo tempo.
Sorrisi a mia volta, e no provai ne paura, ne vergogna, nessun senso di colpa nel farlo.
 
***note***
Eccoci qui alla fine anche di questa storia :,) E’ più corta della altre che ho pubblicato ma è stato un bellissimo viaggio scrivere anche lei, nonostante abbia soltanto due parti.
Spero vi sia piaciuta J
A mio parare è molto triste, ma anche dolce, almeno lo spero **
Per la canzoni ho usato gli Evanescence e la sinfonia “La Valse D'Amelie”… stupenda **
Scrivere la parte di Yuu con i suoi genitori non è stato facile, ci ho messo davvero molto di mio, ho lasciato che fosse il mio cuore a parlare J
Spero, davvero, che vi piaccia **
Corro a rispondere alle recensioni ragazze **
Tra poco pubblicherò la FF nuova ;)
Spero in altre Aoiha in futuro, mi piace tanto scrivere di loro **
Alla prossima
Luxie :*
 

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