Quella notte sotto la neve

di Benio Hanamura
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Capitolo 1 ***
Capitolo 2: *** Capitolo 2 ***
Capitolo 3: *** Capitolo 3 ***
Capitolo 4: *** Capitolo 4 ***
Capitolo 5: *** Capitolo 5 ***
Capitolo 6: *** Capitolo 6 ***
Capitolo 7: *** Capitolo 7 ***
Capitolo 8: *** Capitolo 8 ***
Capitolo 9: *** Capitolo 9 ***
Capitolo 10: *** Capitolo 10 ***
Capitolo 11: *** Capitolo 11 ***
Capitolo 12: *** Capitolo 12 ***
Capitolo 13: *** Capitolo 13 ***
Capitolo 14: *** Capitolo 14 ***
Capitolo 15: *** Capitolo 15 ***
Capitolo 16: *** Capitolo 16 ***
Capitolo 17: *** Capitolo 17 ***
Capitolo 18: *** Capitolo 18 ***
Capitolo 19: *** Capitolo 19 ***
Capitolo 20: *** Capitolo 20 ***
Capitolo 21: *** Capitolo 21 ***
Capitolo 22: *** Capitolo 22 ***
Capitolo 23: *** Capitolo 23 ***
Capitolo 24: *** Capitolo 24 ***
Capitolo 25: *** Capitolo 25 ***
Capitolo 26: *** Capitolo 26 ***
Capitolo 27: *** Capitolo 27 ***
Capitolo 28: *** Capitolo 28 ***
Capitolo 29: *** Capitolo 29 ***
Capitolo 30: *** Capitolo 30 ***
Capitolo 31: *** Capitolo 31 ***
Capitolo 32: *** Capitolo 32 ***
Capitolo 33: *** Capitolo 33 ***
Capitolo 34: *** Capitolo 34 ***
Capitolo 35: *** Capitolo 35 ***



Capitolo 1
*** Capitolo 1 ***


Il mio nome è Kichiji Hananoya… o meglio, questo è il mio nome dall’età di 15 anni. Fino ad allora ero Tsukiko, la sesta figlia della famiglia Yamada. Ma non l’ultima, perché eravamo in tutto otto fratelli: chissà perché sono proprio le famiglie povere come la nostra ad essere le più numerose, con l’ovvia conseguenza che è ancora più difficile tirare avanti, soprattutto quando ci sono in maggioranza femmine, come nel nostro caso…
  Nostro padre era un contadino e per il suo duro lavoro nei campi poté contare per inizialmente sull’aiuto del suo primogenito, Keita; questo fino a quando un terribile giorno mio fratello ebbe un brutto incidente, che non lo uccise, ma lo rese per sempre invalido. Il che, cosa terribile a dirsi, è anche peggio, dato che un invalido in casa costituisce soprattutto una bocca in più da sfamare, dato che non può contribuire al già magro bilancio!  Avevo appena 4 anni quando accadde, perciò ho soltanto dei vaghi ricordi in proposito. Prima l’atmosfera in casa era relativamente tranquilla, conducevamo una vita modesta ma dignitosa, ma poi tutto cambiò, anche perché, si sa,  le disgrazie non arrivano mai da sole! Volevo molto bene a Keita, ma trovandosi impossibilitato a camminare a soli 20 anni soffriva molto, anche per la consapevolezza di essere diventato un peso per i genitori alla sua età; comunque tentava di rendersi utile in casa come poteva, aiutando nostra madre a badare a noi fratelli più piccoli, dato che ancora prima della disgrazia la nostra sorella maggiore, Hanako, aveva avuto la fortuna di essere notata da un giovane commerciante proveniente da Kyoto temporaneamente nel nostro villaggio per affari, che si era innamorato di lei e l’aveva sposata, portandola via con sé per sempre. Ma era davvero dura per lui, soprattutto perché le mie sorelle Aiko e Miyuki, di  8 e di 6 anni, erano alquanto vivaci. Un’altra mia sorella, Yuriko, era più giudiziosa ma aveva appena 11 anni, ed io, anche se sono sempre stata molto tranquilla e non ho mai creato grossi problemi in casa, ovviamente ero troppo piccola per poter essere di qualsiasi aiuto. Come se non bastasse, mia madre aveva da poco dato alla luce i miei 2 fratelli minori, i gemelli Toshiro e Sanzo, e quell’ultima gravidanza, seguita da un parto prematuro ed alquanto difficile, l’aveva molto indebolita rispetto a prima.
   Mio padre allora aveva meno di 50 anni ed  era ancora nel pieno delle forze, così pensava di riuscire a cavarsela da solo finché Toshiro e Sanzo, una volta cresciuti, avrebbero potuto sostenerlo, ma poco tempo dopo giunse un periodo di siccità e così per mantenere la sua famiglia si trovò costretto a cercare un’altra soluzione: se al momento i suoi figli maschi non avrebbero potuto aiutarlo nel lavoro e nemmeno i campi compensavano le sue fatiche, avrebbe dovuto pensare a come impiegare le sue figlie, magari in un modo già sfruttato da altri abitanti del villaggio ma che lui aveva fino ad allora rifiutato perché gli sembrava così odioso, venderle ad una casa di geishe…
  Nonostante fosse anche lei ancora una bambina, Yuriko imparò presto a darsi molto da fare per poter aiutare la mamma come poteva, così mio padre pensò che l’ideale sarebbe stato impiegare in quel modo Aiko e Miyuki.  Aiko, oltre ad essere molto graziosa, amava molto cantare e mostrava particolare insofferenza alle nostre privazioni, così fu facile per mio padre convincerla che sarebbe andata in un posto migliore, dove avrebbe cantato a suo piacere, non avrebbe più lavorato ed avrebbe mangiato riso bollito e tante buone cose ogni giorno; quanto a Miyuki, lei era molto abitudinaria e perciò non era altrettanto entusiasta, ma essendo molto legata a sua sorella, accettò di buon grado purché potesse partire con lei.
  Mio zio, che abitava non molto lontano da noi e che era stato il primo a proporre quella soluzione a mio padre, dato che lui stesso un paio di anni prima aveva fatto lo stesso con sua figlia Sakura ricavandone grandi benefici, si preoccupò di contattare la okasan della stessa okiya dove ora viveva Sakura per organizzare un incontro. La okasan non era il tipo da rifiutare un possibile buon affare, e così accettò presto di venire nel nostro povero villaggio per valutare se le mie sorelle fossero adatte a diventare geishe nella sua casa, dato che, contrariamente ad altre okasan, era convinta che osservare le possibili candidate nel loro ambiente di origine, dove si sentivano più a loro agio, costituisse un sistema migliore di valutazione, e perciò lo avrebbe adottato, almeno finché le forze glielo avessero consentito.
   Il giorno dell’arrivo della okasan in casa mia ci fu agitazione fin da prima dell’alba. Mio zio si era raccomandato insistentemente affinché le facessimo una buona impressione, lui aveva riferito che le due candidate che le aveva proposto provenivano da una famiglia povera, ma molto perbene, e che possedevano comunque un’ottima educazione, ed in particolare una delle due sembrava particolarmente predisposta alle arti, soprattutto per la sua bellissima voce.
   Vidi mia madre e Yuriko darsi molto da fare per pulire e mettere ordine, per creare un ambiente quanto più possibile accogliente, e per preparare, con i miseri ingredienti che riuscirono a procurarsi, qualche dolce da offrire alla nostra ospite al suo arrivo. Ovviamente quel giorno Aiko e Miyuki furono esonerate da qualsiasi mansione domestica, il loro unico compito sarebbe stato essere quanto più carine ed educate possibile, per impressionare positivamente la okasan. Ignorando la situazione ed avendo appena compiuto 5 anni, io ero molto eccitata nel vedere dopo tanto tempo preparare dei dolci a casa nostra, tanto che credevo che si stesse preparando una festa, e ci rimasi molto male quando mia madre, sempre dolcissima, mi sgridò alquanto in malo modo quando allungai una mano per assaggiare uno di quei dolcetti così invitanti, intimandomi di andare a fare compagnia a Keita e di restare con lui finché non mi avrebbero chiamata. Non l’avevo mai vista così nervosa, nemmeno nei momenti più tristi, e senza dire nulla scappai piangendo da Keita, che dovette faticare un po’ per consolarmi.
   La okasan arrivò di lì a poco, perfettamente puntuale per l’appuntamento concordato, accompagnata come previsto da mio zio. Mio padre volle che tutti noi, ovviamente eccetto Keita in quanto impossibilitato a muoversi, andassimo ad accoglierla. Era una donna alta e magra, di circa 35 anni, massimo 40. Il suo portamento e tutti i suoi movimenti erano eleganti, il viso era un ovale perfetto, lo sguardo profondo, le labbra perfettamente disegnate; in seguito seppi che da giovane era stata una delle geishe di maggior successo nella sua città, richiestissima e pagata come poche altre, per questo era stata adottata molto presto dalla sua okasan che l’aveva nominata sua erede e che poi, pur rimanendo a vivere nell’okiya, le aveva ceduto prematuramente il posto per motivi di salute. Aveva un che di severo, come si compete al suo ruolo, ma anche di estremamente gentile… Ai miei occhi di bambina quella signora così bella e distinta ed ancora abbastanza giovane sembrava proprio una principessa delle favole, come una delle splendide dame le cui vicende sono narrate nel Genji Monogatari…  
   Appena notò con quanta insistente curiosità io la fissassi e che lei se n’era accorta, mio padre mi riprese, anche se nel tono relativamente dolce che in genere si usa con i bambini: “Tsuki-chan, lo sai che non sta bene fissare le persone!”
Ma la okasan, che pareva divertita, gli disse che non importava, per una geisha venire fissata era fin troppo normale, anzi, fare questo effetto agli altri  voleva dire che lei non era ancora così vecchia e quindi non poteva che esserne felice. Mi sorrise dolcemente e si complimentò con lui, dicendogli che ero una bimba deliziosa, e che avevo bellissimi occhi molto espressivi. Al che lui cambiò atteggiamento, ricambiò solo forzatamente il sorriso e ringraziò, ma aggiunse subito, senza che gli fosse stato chiesto, che io non ero una delle candidate. Dato che erano arrivati al punto la okasan non insistette oltre, e lo invitò a presentargli le due bambine; quindi entrammo in casa e mia madre le offrì i dolci e del tè.
   Finiti tutti i convenevoli di rito la okasan si ritirò con mia madre, Aiko e Miyuki in una stanza a parte, dove rimasero per almeno un paio d’ore. Quando ne uscirono mia madre teneva le mie sorelle per mano, ma aveva il viso tirato. La okasan annunciò che si erano accordate e che sarebbe tornata a riprendere le bambine il giorno seguente. Quella notte si sarebbe adattata alloggiando nell’unica pensioncina del villaggio, ma presumo che una donna del genere, per quanto gentile e garbata, non avrebbe sopportato un ambiente così misero se non il minimo indispensabile. Anche la mattina successiva non si fece attendere, e si presentò al sorgere del sole, esattamente come aveva detto.
   Aiko pareva felice quando ci salutò, probabilmente era anche convinta che avremmo potuto raggiungerla presto anche noi, non so cosa le disse mio padre di preciso quando qualche sera prima l’aveva presa in disparte per parlarle della sua nuova destinazione, e cosa le disse la okasan, per cui lei pareva avesse provato subito un’istintiva simpatia. La sua allegria mi fece provare un piccolo senso di invidia, di gelosia, insomma, mi fece sentire come un qualsiasi fratellino più piccolo che vede un fratellino più grande andare in un bel posto e vorrebbe seguirlo, così chiesi a mia madre perché io non potevo andare insieme alle mie sorelle nella casa di quella signora bella e gentile come una principessa. Ovviamente allora non potevo capire come mai, alle mie innocenti parole, gli occhi di mia madre si bagnarono di lacrime e lei mi strinse disperatamente a sé; mio padre non piangeva, ma era palesemente triste come non l’avevo mai visto, anche se tentava di non darlo a vedere mentre accarezzava i capelli di Yuriko. Quando incontrò il mio sguardo tentò di darsi un tono, annunciando che sarebbe andato a controllare se i gemelli intanto si erano svegliati ed invitando Yuriko a portare la colazione a Keita…
 

Note:
 Okiya: residenza in cui  vengono addestrate e ospitate le aspiranti geishe, mentre studiano presso il Kaburenjō (la sede del teatro e della scuola) del loro hanamachi  (distretto).

Okasan: proprietaria e direttrice dell’okiya. Di solito si tratta di una geisha che ha lasciato la professione o poiché si è sposata o per l’avanzare dell’età.

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Capitolo 2
*** Capitolo 2 ***


   Le mie sorelle erano partite nel periodo della fioritura dei ciliegi. Dopo che furono andate via c’era molto più silenzio in casa nostra. Non si sentiva più il dolce canto di Aiko, ed anche Miyuki, con cui io andavo particolarmente d’accordo probabilmente per via dell’età, ci mancava molto, soprattutto per quel pizzico di allegria che sapeva sempre portare a tutti noi, nonostante le nostre grandi difficoltà.
   Mio zio aveva promesso di chiedere notizie di loro quando si sarebbe recato in città: mia cugina Sakura era ormai da tempo una maiko e cercava di aiutare Aiko e Miyuki ad ambientarsi, per quanto le era possibile. Un anno dopo la loro partenza, quando si recò all’okiya in occasione del debutto di Sakura come geisha, lo zio ebbe in consegna una lettera da parte della okasan, che ci informava personalmente delle condizioni delle mie sorelle. In realtà era una lettera molto breve, dov’era scritto che entrambe godevano di buona salute e che avevano iniziato a frequentare la scuola,  ma questo bastò a rasserenare almeno un po’ i miei genitori, soprattutto mio padre che per molto tempo non si era più dato pace per ciò che era stato costretto a fare.
   Per qualche anno, a parte l’infinita tristezza per quel distacco, la vita trascorse un po’ più serenamente. Dopo quella tremenda siccità che fino a quel punto ci aveva messi in ginocchio, le cose andarono meglio per i contadini, e mia madre ebbe modo di riprendersi un po’ fisicamente, anche grazie all’infaticabile Yuriko, che oltre ad essere ormai preziosa in casa aveva trovato modo di guadagnare qualcosa con piccoli lavori di sartoria, ed ogni tanto sbrigava qualche commissione anche per i compaesani più benestanti, che non essendo nemmeno loro particolarmente ricchi, la ricompensavano a volte con qualche moneta ma più spesso con viveri, per noi altrettanto se non più preziosi. Quanto a me, anch’io, man mano che crescevo, mi impegnavo sempre di più per dare il mio contributo in famiglia, potendo sgravare almeno un po’ mia sorella dal suo enorme carico di lavoro.
   Grazie a questa mia sempre attiva collaborazione, mio padre iniziò a considerare il fatto che Yuriko, ormai sedicenne, era in età da marito; lei diceva sempre che non intendeva sposarsi ed abbandonarci come aveva fatto Hanako, che dopo aver lasciato il villaggio per sposarsi non aveva più dato notizie di sé… avrebbe trovato qualcuno che si sarebbe occupato anche della nostra famiglia o nessun altro, ma escludeva questa eventualità che considerava troppo poco realistica. Innanzitutto in un povero villaggio come il nostro nessuno avrebbe accettato una moglie con una numerosa famiglia così piena di problemi, ma forse era anche difficile che qualcuno la prendesse seriamente in considerazione, dato che pur avendo un carattere servizievole e gentile, come si richiede ad una buona moglie giapponese, fisicamente non era particolarmente carina. Effettivamente il lavoro, eccessivo fin da quando era bambina, aveva ormai segnato il suo corpo, rendendolo più robusto del normale per la sua età, e soprattutto aveva segnato il suo viso, che aveva sempre più un’espressione stanca e provata. Aveva solo 16 anni, l’età in cui Hanako, al suo massimo splendore, aveva stregato il signor Sato ed era partita con lui pochi mesi dopo averlo conosciuto per sposarlo, ma ne dimostrava diversi di più.  Yuriko era del tutto consapevole di non essere attraente quanto la nostra sorella maggiore, forse però considerandosi ancora peggiore di quanto non fosse in realtà, ma con noi cercava di non mostrare la sua sofferenza; tuttavia qualche volta, la sera, la  trovavo intenta a guardarsi a lungo con aria triste allo specchio, evidentemente certa che nessuno di noi se ne accorgesse.
   Mi dispiaceva tanto per lei, anche se non potevo sospettare che a quell’epoca mia sorella soffrisse soprattutto per un amore non corrisposto. Da un anno aveva trovato impiego a mezza giornata presso l’emporio del villaggio, e si era innamorata del figlio del proprietario, ma di recente lui si era ufficialmente fidanzato. Il che implicava, fra le altre cose, anche la prossima cessazione del suo impiego, dato che era stato stabilito che la promessa sposa avrebbe collaborato stabilmente col marito al negozio, perciò non ci sarebbe stato più bisogno di personale esterno. Come non avrei potuto mai davvero comprendere quanto grande fossero il dolore e l’angoscia che Yuriko tentava disperatamente di nasconderci per non darci ulteriori preoccupazioni, tanto meno avrei potuto sospettare che proprio quella situazione avrebbe cambiato per sempre la mia vita!
    Accadde un giorno d’inverno, in cui mia sorella non tornò all’ora prevista. La mamma aveva preparato la cena, io avevo terminato alcune faccende in casa ed avevo apparecchiato la tavola.
   “Stai diventando davvero brava, Tsuki-chan, sono certo che quando sarai grande troverai un buon marito” aveva commentato allegramente mio padre. Quel giorno era rimasto a casa, reduce da una malattia fortunatamente non grave, un banale raffreddore che gli aveva portato nei giorni precedenti un po’ di febbre, ma era già praticamente guarito; inoltre era particolarmente felice perché era giunta una lettera di Aiko, che gli dava buone notizie su di lei e su Miyuki, e che ormai per lei era prossimo il debutto come maiko. L’atmosfera era allegra, e la mamma si era data un po’ più da fare in cucina anche per festeggiare l’evento.
   In realtà non era la prima volta che Yuriko tardava, magari per qualche ora di straordinario, ma quella sera, appena mi resi conto del suo ritardo, io iniziai a provare un profondo senso di inquietudine, come un terribile presentimento: appena l’inverno precedente la nipote di un nostro vicino, che non era rientrata a casa dopo il lavoro ed era stata cercata invano per tutta una notte, era poi stata trovata annegata  nel lago  due giorni dopo e si scoprì che si era suicidata perché respinta dall’uomo di cui era innamorata…
   Tuttavia non me la sentivo di mettere al corrente di questi miei timori i miei genitori, per una volta un po’ più sereni dopo tanto tempo, ed incapace di parlare non potevo evitare di camminare nervosamente avanti ed indietro, guardando spesso fuori dalla finestra. Loro non ci badarono, presi com’erano a parlare della lettera di Aiko, ma Keita lo notò.
   “Tsuki-chan, non è la prima volta Yuriko fa tardi” tentò di rincuorarmi “In questo periodo poi c’è molto lavoro al negozio!”
   “Lo so, Keita, però voglio andarle incontro!”
   “No, Tsuki-chan, fra poco farà buio e poi… e se dovesse nevicare ancora? Sì, temo che nevicherà, e magari Yuriko si sarà fermata a casa di qualche amica… che so, da Akemi oppure da Mamiya…”
   Povero Keita, se solo avesse potuto sarebbe andato lui a cercare nostra sorella, ma nelle sue condizioni non poteva fare altro che questo, parlare… Era sempre tanto dolce e gentile con me e si sforzava di sopportare la sua sofferenza, ma era ovvio quanto la sua invalidità gli pesasse come non mai in certe situazioni: non poteva fare a meno di pensare che se lui non avesse avuto quel maledetto incidente avrebbe potuto continuare a lavorare nei campi con nostro padre, o anche trovarsi qualche lavoro altrettanto o più redditizio, a costo di dover lasciare il paese; le nostre sorelline non ci avrebbero lasciati in quel modo, e nemmeno Yuriko si sarebbe dovuta affaticare tanto, magari avrebbe trovato più facilmente marito, e magari ora saremmo ancora tutti insieme! Ci sarebbe voluto ancora un bel po’ prima che i gemelli avrebbero potuto contribuire al bilancio familiare e quando anche loro come me sarebbero diventati più attivi ed indipendenti lui si sarebbe sentito ancora più inutile e frustrato…
   Silenziosamente uscii dalla stanza, e per un attimo guardai di nuovo mio fratello, che tentava di non farmi capire come anche in quel momento si stava assurdamente colpevolizzando per la nostra situazione mettendo il naso in un vecchio libro, e  feci una grossa sciocchezza, la peggiore possibile: decisi di andare io a cercare Yuriko come non poteva fare lui! Ormai stavo diventando grande, dovevo assumermi anch’io delle responsabilità importanti, rendermi davvero utile alla mia famiglia che nonostante tutto mi aveva garantito un’infanzia relativamente felice e serena e ricolmata di tanto affetto e protezione!
   “Keita, mamma, papà, vado prendere Yuriko e torno, non preoccupatevi, farò presto” pensai mentre furtiva sgattaiolavo fuori casa, incoscientemente troppo sicura delle mie capacità e scettica per le preoccupazioni espresse da Keita, che mi erano parse eccessive.
   Volli salvare mia sorella, come un’eroina, ma la mia idea si rivelò un grosso errore, che rischiò di essere fatale per me, perché mio fratello aveva proprio ragione, ed anche se io non lo notai, o forse non volli notarlo, il tempo stava cambiando velocemente… 

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Capitolo 3
*** Capitolo 3 ***


  Le mie terribili paure sembrarono materializzarsi quando il signor Tanaka mi disse che Yuriko era andata via da un bel po’, anche perché gli era sembrato che non si sentisse troppo bene, e perciò l’aveva congedata prima del solito, e si dimostrò sorpreso che non l’avessi neanche incontrata per strada. Sbiancai e corsi fuori velocissima, notando solo di sfuggita che nel negozio ormai vuoto c’era anche Yuichi, il figlio del signor  Tanaka, che stava al bancone e chiacchierava allegramente con una bellissima ragazza, che avevo incrociato qualche volta senza averla mai conosciuta di persona: ma evidentemente si trattava di Hotaru, la sua splendida fidanzata di cui tanto si parlava ultimamente e che proveniva dal villaggio vicino.
  Da qui in poi i ricordi di quel giorno si fanno sempre più confusi. Uscita dall’emporio avrei dovuto correre subito a casa, avvisare mio padre che avrebbe sicuramente saputo come risolvere il problema, ma di nuovo la testardaggine ebbe la meglio sul buonsenso e così andai verso il bosco. Noncurante del freddo crescente correvo verso il lago chiamando invano Yuriko, con impressa nella mente l’immagine della povera Chiyo, riportata in superficie l’anno scorso senza vita, il bel viso reso orribilmente irriconoscibile dalle lunghe ore trascorse in fondo al lago, che si sovrapponeva a come immaginavo potesse diventare anche mia sorella… E mentre magari Yuriko avrebbe potuto essersi già gettata nel lago per causa sua, Yuichi era lì, avvolto dal caldo tepore che emanava il caminetto nell’emporio, intento a ridere e scherzare con un’altra, magari stavano parlando dei loro progetti matrimoniali; non aveva battuto ciglio vedendomi arrivare trafelata a chiedere di Yuriko, che non era arrivata a casa dopo ore che era andata via, ovviamente, dato che per lui Yuriko a stento esisteva, come temporanea dipendente della sua famiglia… Mia sorella si struggeva tanto in silenzio da tempo ormai, troppo, per lui che non lo meritava affatto!  Non sono nemmeno certa che amasse sul serio Hotaru, mentre invece so che lei, proveniente da una famiglia benestante, era un ottimo partito ed il loro matrimonio sarebbe stata davvero vantaggioso per la famiglia Tanaka.
   Ma c’era un’altra cosa, a 9 anni ero forse troppo ingenua per poter considerare anche questa eventualità ma avrei dovuto: fino ai giorni scorsi non faceva poi così freddo e probabilmente il lago non era ancora ghiacciato consentendo a Yuriko di gettarsi per morire annegata come Chiyo, ma se invece lo fosse stato? Io mi ero ostinata a cercarla al lago, ma in realtà qualsiasi albero avrebbe potuto andarle bene per consentirle di impiccarsi!
   Mi ero ormai addentrata nel bosco quando mi resi finalmente conto che la neve, che da quando ero uscita dall’emporio aveva iniziato a cadere piano, si era fatta più intensa; inoltre iniziava a soffiare un po’ di vento ed il freddo iniziava a farsi sentire, anche perché, pensando di mancare da casa per pochissimo, non mi ero coperta abbastanza. Iniziai a sentirmi stanca, ma tenni duro, ormai sarebbe stato assurdo fermarsi a riposare, ancora più pericoloso, se solo mi fossi addormentata per me sarebbe davvero finita ed i miei genitori avrebbero perso due figlie invece di una, quanto ero stata stupida! Ma ormai era tardi per recriminare, dovevo arrivare al lago prima che la neve potesse coprire tutte le eventuali tracce, trovare mia sorella e riportarla a casa! Dovevo sbrigarmi, eppure mi muovevo sempre più lentamente e faticosamente, non riuscivo più a gridare come prima e la mia voce era sempre più soffocata dal vento. Avanzavo inesorabilmente stringendomi addosso il più possibile l’hanten, un po’ troppo leggera per la situazione, anche se perdevo sempre più la consapevolezza di dove stavo andando…
   Non so per quanto tempo vagai in quel modo: ogni tanto avevo l’impressione di essere già passata per un certo punto, di avere già visto questo o quell’albero, quella deviazione del sentiero che ormai era praticamente invisibile, e vedevo anche impronte, non riuscendo nemmeno più a capire se fossero mie o di qualcun altro o magari di qualche animale; come se non bastasse, iniziavo a sentirmi i piedi intorpiditi nei tabi, come pure un po’ le mani, nonostante avessi i guanti: se fossi sopravvissuta avrei fatto la fine del signor Yamamoto, l’anziano capofamiglia dei nostri vicini, rimasto menomato proprio perché reduce da un parziale congelamento dei piedi, per il quale aveva perso le dita? Lo avevo visto seduto scalzo in giardino un giorno di inizio estate quando avevo 7 anni, e quei piedi mutilati mi avevano fatto davvero impressione, tanta che ero corsa a piangere dalla mamma e le avevo chiesto come mai si fosse ridotto in quel modo. La mamma, che ben sapeva quanto mi piacesse andarmene sempre in giro con qualsiasi clima, trattenendomi spesso fuori a giocare  anche più di quanto mi permettessero, mi aveva detto che era stato un folletto dispettoso della neve, che gli aveva rubato le dita un giorno in cui aveva voluto a tutti i costi uscire per andare a caccia col cattivo tempo e si era ritrovato bloccato sulla montagna nel corso di una bufera: “Per questo devi sempre dare retta alla mamma ed al papà, Tsuki-chan, e se ti diciamo che devi restare a casa tu devi restare a casa. Non solo per aiutarci, ma perché se per esempio tu facessi come lui ed un folletto ti rubasse le dita nessuno vorrebbe più sposarti!” Alla mia reazione terrorizzata la mamma si era pentita subito di ciò che mi aveva detto quasi per scherzo, e tentò subito di dirmi che in realtà quei folletti della neve dispettosi non esistevano; tuttavia io non ne volli sapere anche di mettere il naso fuori casa anche solo se iniziava a nevicare, e da allora, anche se avevo un po’ capito che lei voleva solo mettermi in guardia da certi rischi che si corrono per il troppo freddo, avevo cercato di essere più giudiziosa ed obbediente, ma ora… che ne era stato delle mie buone intenzioni? Era stata la preoccupazione per mia sorella a spingermi ad essere incosciente, d’accordo, ma che fine aveva fatto il buon senso? Chi mi avrebbe mai sposata se mi fossi ridotta anch’io in quelle condizioni?  Ma soprattutto, altro che aiutare più attivamente la mia famiglia, li avrei gravati di un ulteriore peso, e già avevano Keita come invalido in casa!!! Come se non bastasse la bufera ci si misero anche le lacrime ad appannarmi la vista, ma non potevo fare a meno di piangere disperatamente, per la paura e per il rimorso: i miei genitori mi avevano sempre amata immensamente, anche i miei fratelli avevano fatto tanto per me, ed io li ripagavo in quel modo? Che avevano fatto per meritare una figlia, una sorella stupida come me? Che avevo fatto di buono finora per loro che non fosse qualcosa di insignificante, essendo io ancora così piccola? No, forse piuttosto che rimanere invalida a vita sarebbe stato molto meglio per loro se fossi morta! Sì, sarebbero stati tristi, avrebbero pianto per un po’, ma poi si sarebbero ritrovati con una bocca in meno da sfamare ed un peso in meno, e soprattutto quando i gemelli sarebbero stati abbastanza grandi per lavorare le cose per loro sarebbero andate molto meglio!!! Mi venne da sorridere a questo pensiero, che le cose si stavano mettendo proprio così: le forze mi si stavano esaurendo, feci ancora pochi passi e crollai, esausta, nelle tenebre…
   Un attimo dopo ero di nuovo con le mie sorelle. C’erano Yuriko, Aiko, Miyuki… stavamo tutte insieme nello splendido prato di fiori in cima alla collina non molto lontana da casa nostra, a correre e giocare tutte insieme, in una splendida giornata di primavera… Il sole era caldo, il cielo limpido, soffiava una leggera piacevole brezza, e si sentivano gli uccellini cantare dai rami degli alberi… Mia madre ci guardava giocare seduta accanto a mio padre sotto ad un albero, dove era pronta una colazione al sacco; era ancora in attesa dei gemelli, aveva il pancione, ma non molto pronunciato,  e Keita era nel prato con noi, agile e veloce, intento a rincorrere una farfalla per accontentare Aiko… Dunque non era la realtà, era un ricordo, il ricordo di uno degli ultimi momenti spensierati della nostra famiglia, poco prima dell’incidente di mio fratello… Un tempo passato a cui non avremmo potuto più tornare, se non in un ricordo, appunto, o in un sogno, uno splendido, meraviglioso sogno! O forse semplicemente ero già morta ed avevo raggiunto il Nirvana? Doveva essere così, perché quel calore che mi accarezzava le guance non accennava a sparire. Ma di chi era quella voce che ora mi chiamava tanto sollecitamente? Era una voce maschile, ma non era quella di mio padre; del resto non era la voce di un uomo di mezza età, ma di un ragazzo, anche se non era nemmeno quella di Keita. Mi pareva di averla già sentita, anche se non l’avevo identificata, ma non mi importava in quel momento, era piacevole e basta…
   “Tsukiko! Tsukiko, svegliati, ti prego, non devi dormire… Tsukiko!!!”
   Mi sentii scuotere, aprii gli occhi ed il prato fiorito sparì… Il cielo era di nuovo cupo, anche se la neve pareva essere diminuita, però continuavo a non avere freddo. Ma non perché avessi perso la sensibilità o cose del genere, ero avvolta da un abbraccio. Alzai la testa e lo vidi… Inizialmente non riuscivo a distinguerlo bene, ed ebbi anche il dubbio che non si trattasse di un essere umano, ma di una divinità giunta miracolosamente in mio soccorso, ma poi incrociai il suo sguardo, quei suoi splendidi occhi neri che tradivano la sua grande preoccupazione per me, e lo riconobbi: era Koji! Negli ultimi anni lo vedevo di rado perché frequentava la scuola superiore in città e spesso, per non essere costretto ad andare continuamente avanti ed indietro si tratteneva presso degli zii che vi abitavano, soprattutto negli ultimi tempi; evidentemente era tornato qui in paese in previsione di un periodo di vacanza, e la casa dei suoi genitori era abbastanza vicina alla nostra. Non gli avevo mai parlato, se non per un breve saluto o poco di più, ma sapevo bene che nonostante appartenesse ad una delle famiglie più benestanti del villaggio non era affatto superbo, anzi, era sempre gentile e generoso con tutti, non facendo differenza per lui se chi gli stesse di fronte fosse ricco o povero, un commerciante o un contadino… Koji non si sarebbe mai perso in sciocche chiacchiere come Yoichi, era il suo esatto opposto, era serio, sensibile e senza grilli per la testa com’era lui; una volta sentii dire ai suoi genitori che era il migliore studente del suo corso… forse era un’esagerazione, ma non mi sarei stupita del contrario!
  “Koji-san, cosa…”
  “Stai tranquilla, Tsukiko, ora ci sono io con te, ti porterò sicuramente a casa, non devi avere più paura di nulla…”   
  Mi resi conto che ci trovavamo in un piccolo rifugio disabitato, che stava lì nel bosco da tanto proprio perché in seguito all’incidente del signor Yamamoto (che avrebbe ovviamente potuto costargli molto di più) gli abitanti avevano deciso di costruire quello ed altri piccoli rifugi simili proprio per certe evenienze, nel bosco e sulla montagna. Koji mi parlava con dolcezza, ed io stavo quasi per riassopirmi, ma quando lui fece per sollevarmi i piedi, per massaggiarli, come ora so che si fa in questi casi per riattivare la circolazione ed evitare le peggiori conseguenze del congelamento, di colpo mi tornarono in mente i piedi del nostro anziano vicino e mi sentii nuovamente terrorizzata al pensiero che le dita magari potessero essersi staccate di colpo, e che potessero cadere a terra non appena Koji mi avesse sfilato i tabi. Sussultai, ed istintivamente gli opposi resistenza, non avevo il coraggio di verificare personalmente, ma non volevo nemmeno che lui mi vedesse ridotta in quel modo! 
   Koji non poteva indovinare fino a che punto potessero essere cupi i miei pensieri, ma comunque mi sorrise rassicurante: “Non preoccuparti… Farò piano, non ti farà male, ma devo massaggiarti, è importante per curarti, fidati di me!”
   Mi rassegnai e lasciai che lui mi sfilasse i tabi e si prendesse cura di me, e quando finalmente ebbi quasi del tutto ripreso la sensibilità ebbi la certezza che tutto era ancora al suo posto. Era notte fonda ormai, ed inoltre le emozioni quel giorno erano state troppe, così quando Koji, massaggiandomi  anche le mani, mi annunciò che ormai aveva quasi smesso del tutto di nevicare e potevamo tornare a casa fu la goccia che fece traboccare il vaso: non potetti evitare di scoppiare nuovamente a piangere a dirotto, stavolta in un pianto liberatorio. Koji asciugò le mie lacrime e mi disse che dovevamo sbrigarci, per non rischiare che la situazione peggiorasse nuovamente. Mi prese sulle spalle e ci dirigemmo verso casa, ma prima ancora che arrivassimo io ero già caduta in un profondo e sereno sonno ristoratore.


Note:
Hanten: tipo di giacca corta giapponese
Tabi: calzini tradizionali giapponesi che arrivano all'altezza della caviglia e che separano l'alluce dalle altre dita del piede


 

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Capitolo 4
*** Capitolo 4 ***


“Tsuki-chan, rispondimi, ti prego, Tsuki-chan!”
    Stavo ancora sognando o era la realtà? Ormai non riuscivo più a capirlo… Dormivo profondamente quando Koji bussò alla porta, non sentii nulla di ciò che disse ai miei genitori, ormai rassegnati al peggio, e da allora diversi suoni e diverse immagini avevano affollato la mia mente: di nuovo la nostra famiglia riunita e felice nel prato, e poi Aiko e Miyuki che mi salutavano allegramente, entrambe vestite come quella bella signora che le aveva portate via, poi immaginai persino Hanako nel giorno in cui era partita per sempre dal nostro paese… immagini liete alternate ad immagini terrificanti: il signor Yamamoto con i suoi piedi mutilati, Koji che mi soccorreva, il suo sguardo inorridito nel constatare che ero ridotta anch’io in quello stato, i miei genitori in lacrime per la sorte mia e di Yuriko, Chiyo ripescata dal lago ghiacciato, ed il volto di Chiyo che si trasformava man mano in quello di Yuriko… Ora però che avevo risentito la sua voce il volto di Yuriko non accennava a sparire, anzi, diventava sempre più nitido davanti ai miei occhi: forse ero morta anch’io in mezzo alla neve e lei era venuta a prendermi perché raggiungessimo il Nirvana insieme? Doveva essere così, altrimenti perché il suo colorito era sempre più vivo?   
   Mi sforzai di parlare, mi uscì solo un filo di voce: “Yuriko…”
   “Sorellina, finalmente! Finalmente ti sei ripresa, Tsuki-chan!!!”
   L’abbraccio di Yuriko, impetuoso, quasi soffocante come al solito, mi riportò del tutto alla realtà: non era un sogno, non ero morta, ero viva, e lei era viva! 
    Yuriko corse subito di sotto a chiamare gli altri, ancora in ansia perché, mi spiegò, ero stata male per tre giorni in preda ad una febbre altissima. Ero certa che i miei mi avrebbero rimproverata severamente, ma ciò non accadde, nemmeno nei giorni successivi, quando iniziai a stare meglio. Eppure mi sentii ancora più colpevole guardando gli occhi gonfi ed arrossati di mia madre, ed il viso esausto di mio padre, che di certo non aveva quasi chiuso occhio per la preoccupazione che io gli avevo causato, e poi Keita, che nonostante cercasse di nasconderlo, tradiva in qualche modo la sua frustrazione per non aver potuto aiutare più attivamente. 
   Solo Yuriko una settimana dopo tornò sull’argomento, mentre Keita era in camera sua con i gemelli, i nostri genitori erano nei campi ed io, finalmente guarita, la stavo aiutando in cucina: “Tsuki-chan, devi promettermi che non sarai mai più così incosciente. Sei stata molto fortunata, se Koji non fosse tornato a casa non saresti qui, te ne rendi conto?” nemmeno lei voleva infierire, senza che io le avessi detto perché ero così preoccupata per lei quella sera aveva compreso le mie motivazioni, e perciò si sentiva responsabile, perché in fondo non erano nemmeno preoccupazioni così insensate “Promettiamolo entrambe” riprese “di non comportarci più come quella sera e di non dire nulla a mamma e papà!”
   Mi spiegò che non era vero ciò che aveva detto loro, ovvero che io non l’avevo trovata in negozio perché dopo il lavoro lei si era fermata per un po’ a casa di un’amica che abitava in paese e solo più tardi si era affrettata a tornare qui, quando aveva notato che il tempo stava peggiorando. In realtà Yuriko quella sera, in cui effettivamente si era fatto un po’ più tardi rispetto al suo solito orario di lavoro, non solo aveva visto  Hotaru, ma l’aveva addirittura sentita parlare con Yuichi, che in realtà si era da tempo accorto dei suoi sentimenti nei suoi confronti e, convinto che lei non lo sentisse perché avendo terminato il turno doveva essere andata via, ci rideva su insieme alla sua fidanzata per rassicurarla! Un conto era rendersi conto da sola di non essere all’altezza di una rivale così bella e di buona famiglia, un altro era sentirselo rinfacciare in quel modo: il colpo era stato così duro che la povera Yuriko aveva davvero pensato di farla finita! 
   Ma poi, man mano che si addentrava nel bosco, le era tornata in mente la sua famiglia, ed aveva iniziato a pensare come se la saremmo cavata noi altri dopo la sua morte: la mamma era guarita, ma era comunque più cagionevole dopo la nascita dei gemelli, ed io avevo solo 9 anni… 
   Così era tornata in sé ed era riuscita a rincasare, appena prima che la tormenta infuriasse, e trovando i miei in ansia anche per me! Ma nostro padre le aveva impedito nel modo più assoluto di andare a cercarmi: era già un miracolo che si fosse salvata lei, trovare anche me sarebbe stato quasi impossibile, si poteva solo sperare che mi fossi riparata da qualche parte o che accadesse un miracolo. Che infatti era accaduto, grazie a Koji. Già, Koji… lui mi aveva salvato la vita ed io non lo avevo nemmeno ringraziato per ciò che aveva fatto! 
   Profondamente ammirata per la grande forza d’animo che come al solito aveva dimostrato mia sorella, le promisi che mai avrei rivelato il suo doloroso segreto, e nemmeno avrei rinfacciato nulla a Yuichi: sicuramente lui non sapeva che Yuriko lo stava ascoltando, e comunque quei pochi mesi che lei ancora aveva a disposizione prima che Hotaru prendesse definitivamente il suo posto erano troppo preziosi per il nostro sostentamento e le avrebbero consentito di guardarsi intorno con più calma per cercare un altro lavoro.
   Glielo promisi e poi continuammo a lavorare, io con un altro importante proposito: non solo avrei fatto di tutto per farmi perdonare dalla mia famiglia per l’angoscia che avevo loro inutilmente provocato, ma mi sarei anche impegnata al massimo per rendermi utile in casa  e poi, appena avessi avuto l’età adatta, anche a lavorare fuori, seguendo il suo esempio. 
   Quando lo annunciai a cena ero molto seria, ma i miei risero, mio padre commentò che per ora dovevo solo pensare a crescere. “Ed a tenerti fuori dai guai!” puntualizzò mio fratello con l’approvazione di mia madre, ma era evidente che tutti avevano compreso la mia ferma determinazione e ne erano stati piacevolmente colpiti. 
   La mia coscienza trovò finalmente pace e quella notte potei dormire serenamente, tanto che l’indomani mi svegliai di buon’ ora come non mi capitava da tempo. Mi sentivo piena di energie, ma anche se i miei erano ancora addormentati non avevo alcuna voglia di poltrire nel letto, così decisi di fare una breve passeggiata prima di iniziare i miei piccoli lavoretti quotidiani. Faceva un po’ freddo, ma la giornata era splendida… Mi piaceva offrire qualche briciola di pane ai passerotti, e lo feci anche quella mattina, dopo di che vidi qualcuno che arrivava di corsa dal fondo della strada: Koji! In passato mi era capitato di vederlo mentre faceva la sua corsa all’alba, prima che partisse per la città, evidentemente non aveva mai perso questa sua vecchia abitudine. Quando capitava di solito ci limitavamo ad un gesto di saluto, ad un sorriso, ma quella era l’occasione giusta per poterlo finalmente ringraziare, così lo chiamai e gli andai incontro per fermarlo:
“Koji-san!”
“Piccola Tsukiko, finalmente stai bene, meno male!”
   Mi rivolse il suo splendido sorriso, ma io mi intimidii e ciò mi indusse ad abbassare lo sguardo. Esitai a riprendere a parlare: “Sì… grazie a voi. Devo ringraziarvi, Koji-san… non sarei qui se non…” 
   Koji rise: “Cos’è questo tono formale? Mi fai sentire vecchio, ho solo 17 anni e poi siamo compaesani ed amici, no? Sono Koji, solo Koji, così devi chiamarmi!” non si atteggiava nemmeno con una bambina povera come me, era davvero una persona molto semplice e schietta, che diceva ciò che pensava, e del resto era soprattutto questo a renderlo benvoluto da tutti. Sapeva bene come mettere gli altri a proprio agio ed infatti subito mi rilassai e risi con lui.
   “Grazie Koji, sarei stata persa senza di te!”
   Lui approvò con un ulteriore sorriso: “Per fortuna il destino ha voluto che il mio treno tardasse per via del mal tempo! Ero così seccato mentre aspettavo bloccato lì seduto, ma ora ringrazio il cielo che sia andata così… Sono venuto a trovarti a casa qualche giorno fa, ma tua sorella mi ha detto che stavi ancora male… Io le ho raccomandato di non rimproverarti troppo quando ti saresti ripresa, avevi già avuto una tale paura… ha mantenuto il suo impegno?” 
  Annuii, ancora ridendo: “Sì, dunque devo ringraziarti anche di questo!”
  Ero uscita con l’intenzione di stare fuori per pochi minuti, ma finii per intrattenermi con Koji per una buona mezz’ora. Non ci eravamo quasi mai parlati, ma ora sembravamo già come due vecchi amici. Non mi ero resa conto di quanto tempo fosse passato finché non mi sentii chiamare da mia madre dalla finestra. Mi scusai con lui per averlo trattenuto tanto, ma Koji mi disse che faceva sempre lo stesso percorso per tenersi in allenamento nella corsa ogni mattina quando era in paese e si sarebbe trattenuto ancora una settimana prima di partire, perciò se avessi voluto ancora incontrarlo per chiacchierare un po’ gli avrebbe fatto piacere. 
  Tornai a casa felice, mia madre quando entrai mi chiese cosa avessi e se avevo corso, vedendomi le guance esageratamente arrossate. Con quel freddo, e dopo essere stata tanto malata, per giunta! 
   Negai, e lei non mi chiese altro, incoraggiandomi invece ad andare a tavola per la colazione: per fortuna non poteva sentire quanto il cuore mi battesse molto più forte del solito…

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Capitolo 5
*** Capitolo 5 ***


    Nei giorni successivi feci in modo di uscire presto per incontrare Koji, ma quella settimana passò velocemente. Il giorno prima della sua partenza non si era fatto vedere, probabilmente era preso dai preparativi, ma io ero decisa a rivederlo ancora una volta per salutarlo e fortunatamente, senza che dovessi chiedere permessi a nessuno dovendo probabilmente dare anche imbarazzanti spiegazioni, mi si presentò l’occasione perfetta: mia madre ogni tanto accettava dei lavori di cucito per le signore più benestanti del paese, così, sapendo che c’erano consegne da fare mi offrii di andare al posto di Yuriko. Né mia madre né mia sorella si sorpresero, dati i buoni propositi che avevo dichiarato e che stavo mostrando di voler mantenere, così quel giorno fui esentata dai lavoretti di casa per svolgere quell’altro incarico, ed inutile dire che per prima cosa mi precipitai alla stazione.
    Arrivai appena in tempo, mi ero da poco seduta ad aspettarlo al binario del suo treno che Koji apparve. Fu molto sorpreso nel trovarmi lì, io gli spiegai delle consegne che dovevo fare nelle vicinanze per la mamma, e gli dissi non potevo non approfittarne per salutarlo ed augurargli buona fortuna, considerando anche che quell’anno avrebbe dovuto diplomarsi. Non c’era molto tempo, perciò Koji mi ringraziò sorridendo e salì subito sul treno, che infatti ripartì qualche minuto dopo.
    Salutato Koji ero tornata a sedermi, ma appena il treno si avviò lo inseguii fino alla fine della banchina della stazione e poi rimasi lì ferma a guardarlo finché non scomparve anche il fumo e mi resi conto che le lacrime non mi consentivano di vedere più nulla, nemmeno i binari e gli alberi coperti di neve: “Ci rivedremo presto” sussurrai fra me, ma senza crederci del tutto. A parte il dispiacere per il distacco da colui che ormai consideravo un caro amico, sentivo una terribile sensazione che mi soffocava e che non sapevo spiegarmi. Temevo forse che gli potesse accadere qualcosa di brutto prima del nostro nuovo incontro? Koji mi aveva detto che dopo il diploma sarebbe andato all’accademia militare, perché il suo più grande desiderio era quello di combattere al servizio del nostro paese, e combattere voleva dire andare in guerra e rischiare di morire, ma prima che una cosa del genere potesse accadere sarebbero passati diversi anni… Allora di che mi preoccupavo? Koji era sano e robusto, era assai improbabile che potesse morire di malattia, e quando sarebbe tornato al villaggio dopo il diploma avrebbe avuto vacanze ben più lunghe prima di ripartire! Non riuscivo proprio a capire, comunque il nodo che avevo alla gola finalmente si sciolse ed io scoppiai a piangere, finché il pacco mi cadde improvvisamente di mano e questo mi riportò alla realtà ed ai miei doveri. Mi asciugai le lacrime e ripreso il pacco uscii in fretta dalla stazione.
 
   Dopo la partenza di Koji la vita riprese come al solito. I miei fratellini fra poco avrebbero compiuto 6 anni e fortunatamente crescevano forti e sani. Ovviamente erano ancora troppo piccoli perché mamma e papà li portassero con loro nei campi e Keita cercava di tenerli a bada come poteva mentre anche Yuriko era fuori, dato che aveva trovato facilmente un altro impiego, grazie anche al signor Tanaka, che soddisfatto di lei era sinceramente dispiaciuto di averla dovuta rimpiazzare con Hotaru (che nonostante le altre sue lodi si dimostrava assai poco avvezza al duro lavoro di bottega) e l’aveva raccomandata per un impiego di cameriera presso il piccolo ristorante del paese, gestito da certi suoi parenti. Il lavoro era duro, la occupava di più del precedente, senza che il salario fosse migliore, ma non era riuscito a trovarle nulla di meglio. Ed il rammarico che aveva espresso era sincero, non solo per la perdita di una valida collaboratrice, ma anche perché al di là del suo aspetto rispettava davvero mia sorella per la sua operosità ed onestà: probabilmente, se Yoichi avesse ricambiato il suo amore, sarebbe stato anche felice di averla come nuora, in quanto chi in famiglia era maggiormente attaccata al denaro era la moglie, che era anche colei che  realmente prendeva le decisioni in famiglia e che aveva organizzato il matrimonio del figlio e stava già iniziando ad organizzarsi per sistemare anche la figlia minore, Sukimi, benché lei avesse ancora 15 anni. Quando il signor Tanaka aveva congedato Yuriko aveva dovuto chiamarla in disparte per darle una piccola liquidazione, all’insaputa della moglie, che invece non l’avrebbe mai ritenuta necessaria.  Purtroppo Yoichi, sebbene non fosse ai livelli di sua madre, dal padre aveva preso ben poco, ed io speravo ardentemente che mia sorella lo dimenticasse al più presto, dopo che l’aveva pure salutata con una noncuranza incredibile dopo tanti mesi, tanto preso com’era da Hotaru.
   Fortunatamente le speranze parvero avverarsi presto, perché benché fosse maggiormente impegnata nel suo nuovo lavoro mia sorella sembrava più serena ed allegra da quando lavorava al ristorante. Il signor Kimura, che era abbastanza anziano, aveva come aiutante solo un figlio, Nobuyuki, dopo che aveva perso gli altri due, un maschio ed una femmina, lei di malattia nel corso di un’epidemia di influenza avvenuta circa un anno prima che io nascessi, lui morto in un incidente qualche anno dopo. Quanto alla moglie, era abbastanza più giovane del marito, ma in realtà dimostrava molti anni di più tanto da sembrare sua coetanea, dato che pareva invecchiata di colpo dopo la perdita di 2 dei suoi figli.
   A quanto pare Yuriko aveva l’età della loro Airi quando era morta, così i signori Kimura si erano affezionati molto a lei, affermando che gliela ricordavano, anche per il suo carattere, ed anche se non erano ricchi come i Tanaka e non potevano pagarla adeguatamente per il suo lavoro, in compenso la trattavano quasi come una figlia: la signora Kimura pareva aver riacquistato energie e vivacità, e spesso lei ed il marito le permettevano di portare a casa qualche pietanza per noi; quanto a Nobuyuki, a volte l’accompagnava a casa con la sua bicicletta quando l’orario di lavoro si protraeva un po’ di più.
   Insomma, finalmente le cose procedevano meglio anche per lei e nel frattempo anch’io ero sempre più brava a gestire la casa al suo posto. Per alcuni mesi fummo davvero felici, ancora di più quando lo zio venne da noi consegnandoci una lettera di Sakura, ormai geisha, che ci preannunciava il prossimo debutto di Aiko come maiko! Ovviamente all’epoca non sapevo cosa volessero dire parole come “geisha” e “maiko”, ma da come ne parlavano gli adulti era chiaro che si trattava di qualcosa di bello, che dava loro soddisfazione… Ancora di più perché stavolta c’era anche un’altra lettera, scritta da Aiko stessa, in cui mia sorella esprimeva tutto il suo entusiasmo e la sua felicità per una vita alla quale riteneva di essere particolarmente avvezza, nonostante fosse faticosa. Quanto a Miyuki, lei vi aveva aggiunto solo qualche riga dicendo che stava bene ed esprimendoci i suoi saluti: tipico da parte sua, che non era molto attratta da attività come la scrittura fin dai tempi in cui aveva frequentato per qualche anno la scuola del villaggio prima di partire.
   In occasione del debutto di Aiko mio zio invitò mio padre ad andare con lui a trovare mia sorella, la okasan lo aveva espressamente consentito, come aveva già fatto per il debutto di Sakura e di altre ragazze offrendo loro, come premio per il loro impegno, un breve saluto ad un loro congiunto dopo tanto tempo. Mio padre accettò con un entusiasmo che noi condividemmo impegnandoci, nei giorni che ci separavano dall’evento, nella preparazione di lettere o di piccoli pensierini fatti a mano che lui potesse consegnare alle nostre sorelle.  
  Stette via qualche giorno, e quando tornò fu molto bello ascoltarlo mentre ci leggeva le lettere che avevano scritto Aiko e Miyuki (anche quella di quest’ultima insolitamente lunga!) e ci raccontava delle ultime novità riguardanti la loro nuova vita, ci disse che la okasan era davvero orgogliosa della sua nuova maiko, tanto che aveva confidato a mio padre che aveva una mezza idea di poterla adottare come erede al momento opportuno, se lei avesse continuato a darle le stesse soddisfazioni che le aveva dato finora. Mio padre ci portò anche dei regalini che le mie sorelle avevano preso per noi: dei guanti per la mamma, un coltello per intagliare il legno per Keita, dei graziosi fermacapelli per Yuriko, giocattoli per Toshiro e Sanzo  ed una bambola per me, mentre lui aveva ricevuto una sciarpa molto calda. Inoltre aveva portato con sé dei dolci tipici della città, con cui festeggiammo fino a tarda sera, anche con lo zio, a cui papà si sentì profondamente grato per averlo, tutto sommato, consigliato per il meglio anche per la felicità delle sue figlie.
   Mi sentii felice e spensierata come non mi accadeva da tanto tempo, quella notte fu per me popolata da sogni bellissimi e dimenticai completamente i cattivi pensieri che tanto mi avevano angosciata ultimamente.
   Tanto mi pareva che tutto sembrasse essersi improvvisamente sistemato al meglio per la mia famiglia che non potevo nemmeno lontanamente immaginare che  quella era stata per me l’ultima circostanza completamente felice in cui mi trovavo nella casa della mia infanzia accanto ai miei cari e che ben presto un’inaspettata nuova tragica fatalità avrebbe sconvolto la mia vita allontanandomi da quel nostro piccolo mondo per sempre…

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Capitolo 6
*** Capitolo 6 ***


  Il debutto di Aiko come maiko era avvenuto all’inizio della primavera.  Nostro padre ci spiegò che ormai lei non si chiamava più Aiko, ma aveva acquisito un nuovo nome, Kikuko. Gli chiesi come mai, lui cercò di spiegarmelo, mi disse che era l’usanza tipica del lavoro che lei avrebbe dovuto fare, ed infatti anche Sakura non era più chiamata così ma era diventata Kiyoko: probabilmente lo facevano per confermare ancora di più il fatto che iniziassero una nuova vita in una città nuova. Annuii, ma non ero certa di avere del tutto afferrato: che cosa assurda, allora perché Koji dopo la sua partenza era rimasto sempre Koji, anche se praticamente viveva in un’altra città e tornava ogni tanto al villaggio solo in visita? Una cosa assurda e ridicola, anzi no, triste: Aiko era il nome che le avevano dato mamma e papà, perché doveva buttarlo via, soltanto perché alla bella signora non piaceva? Era un po’ come se la nostra Aiko fosse improvvisamente sparita, e dalle sue ceneri fosse nata questa nuova ragazza, molto più bella ed elegante della graziosa bambina che aveva lasciato questo paese 5 anni fa (così ci aveva detto papà), ma che però noi non conoscevamo affatto. Allora anche Miyuki prima o poi sarebbe sparita per diventare qualcun altro? Fino a quel punto quella bella signora aveva portato via le mie sorelline dalla nostra casa? Questa era l’unica cosa che mi rattristava, papà disse che non piaceva nemmeno a lui, ma in fondo ciò che contava era che le mie sorelline erano felici, non avevano più problemi di denaro, potevano mangiare riso bollito tutti i giorni senza dover sopportare il freddo dell’inverno nel nostro piccolo villaggio; e comunque si chiamassero i sentimenti che ci legavano sarebbero rimasti immutati in eterno… Ancora una volta mio padre mi aveva dimostrato la sua saggezza, ed io mi rasserenai; pensai che per me le mie sorelle sarebbero rimaste per sempre Aiko e Miyuki, e dato che ormai sapevo scrivere abbastanza bene (anche se non frequentavo regolarmente la scuola mio fratello, che ci era andato in periodi migliori per la nostra famiglia, mi insegnava qualcosa a casa), avrei scritto loro una lettera da affidare allo zio la prossima volta che avrebbe avuto affari da sbrigare in città e come al solito ne avrebbe approfittato per passare per l’okiya.
   Ma non ebbi mai occasione di affidare nessuna mia lettera allo zio, perché la volta successiva in cui lui venne a casa nostra non fu per proporci di affidargli lettere o altro da dare alle mie sorelle quando sarebbe andato in città. Accadde un pomeriggio, in cui dopo aver sbrigato i lavori quotidiani noi tutti ci stavamo rilassando un po’ godendoci una lieve brezza d’estate seduti sulla engawa, mentre Toshiro e Sanzo giocavano allegramente in giardino. Quando vide arrivare mio zio, mio padre lo invitò ad accomodarsi, anche perché la mamma stava preparando il tè, ma lui appariva parecchio imbarazzato e titubante, come se non sapesse cosa dire.  Cedendo alle insistenze, si sedette accanto a lui e gli disse che aveva portato una lettera, che gli aveva appena consegnato il figlio maggiore, che lavorava al nostro piccolo ufficio postale. Era per nostro padre, da parte della okasan. Lo zio non riuscì a dire altro, ma era evidente che non si trattava dei soliti aggiornamenti e complimenti. Estrasse la lettera dalla tasca e con la mano che gli tremava la porse a mio padre. Mio padre la aprì in fretta, il suo viso sbiancò di colpo ed emise un grido che spaventò mia madre, che era appena uscita dalla soglia e fece cadere il vassoio con il tè. Corse da mio padre e fu costretta a strappargli la lettera di mano, per poterla leggere a sua volta e rendersi conto anche lei dell’accaduto:

“Con infinito dolore sono costretta ad informarvi dell’improvvisa prematura scomparsa di vostra figlia. Kikuko era una fanciulla piena di qualità, sia artistiche che morali, già aveva dato tante soddisfazioni e vanto al nostro okiya e sicuramente ancora tante ne aveva ancora in serbo per il futuro; inoltre già sapete,
dato che ve lo dissi nel corso del nostro ultimo colloquio, quanto io le fossi affezionata. E’ stata per noi un’enorme perdita, non soltanto di tipo economico, e vi porgo le mie più sentite condoglianze”

   Quando ebbe letto anche lei quelle poche righe mia madre si gettò a terra e scoppiò in lacrime, mentre mio padre era rimasto come impietrito, con lo sguardo perso nel vuoto… E finalmente anche a me ed ai miei fratelli, che li guardavamo spaventati, lo zio comunicò la notizia: Aiko era morta!
   Dopo quel terribile momento fu ancora una volta Yuriko a prendere le redini della situazione e, apprestandosi a soccorrere la mamma, mi disse di andare a richiamare i gemelli e di riportarli in casa. Lo zio invece si occupò di Keita, e lo sostenne fino a farlo sedere al nostro tavolo in casa. Disse che quella sera sarebbe rimasto con noi per aiutarci, fra l’altro la okasan aveva scritto anche a lui, invitandolo ad accompagnare nostro padre all’okiya per recuperare le ceneri di nostra sorella…
   Il resto della giornata, inutile dirlo, fu come un incubo che non riuscivo in alcun modo a considerare reale, e ciascuno di noi svolse ciò che gli competeva quasi meccanicamente, in una sorta di apatia, a parte la mamma, che era riuscita a rientrare in casa con le sue gambe, ma poi, appena lo sguardo le cadde su una fotografia delle mie sorelle, riprese a piangere disperatamente; così mia sorella l’aveva accompagnata a letto, e lei era rimasta in camera a sfogare tutto il suo dolore.  Keita badava ai gemelli, ancora troppo piccoli per comprendere a pieno la situazione, Yuriko e lo zio aiutavano papà a preparare il suo bagaglio ed a me fu affidato l’incarico di preparare qualcosa da mangiare che lui potesse portare in viaggio. Dato che avrebbe accompagnato papà all’okiya lo zio tornò brevemente a casa sua per preparare un piccolo bagaglio per sé con il minimo indispensabile per il viaggio. Povero zio, era evidente che aveva persino difficoltà a guardare in faccia tutti noi, probabilmente si sentiva responsabile di ciò che era accaduto, dato che in fondo l’idea di vendere le mie sorelle all’okiya era stata sua… Ma mio padre non era certo il tipo da colpevolizzarlo. Sapeva bene che lo zio, suo fratello minore, aveva sempre provato per lui affetto e stima: non si era mai sentito superiore a lui per le sue particolari capacità di commerciante ed il suo fiuto per gli affari (ma in compenso mio padre era più bravo come agricoltore!) che gli avrebbero consentito chissà quale carriera se non fosse stato anche lui un povero contadino ed avesse potuto completare gli studi in città, e gli aveva proposto quella soluzione solo perché ne aveva sperimentato il buon esito lui stesso, sperando che anche la nostra famiglia avrebbe potuto migliorare la propria situazione economica e che anche le mie sorelle avrebbero avuto una vita migliore. E poi mio padre non aveva mai negato, né con noi né con sé stesso, che anche lui aveva pensato da solo a quella drastica soluzione qualche volta, anche se poi c’era voluta la spinta del fratello perché si decidesse.
   Mio padre e mio zio stettero via per tre giorni, ed ogni giorno io andavo alla stazione per controllare il treno che proveniva dalla città che mi aveva portato via per sempre un’altra sorella. Non riuscivo a restarmene buona buona a casa in attesa che riapparisse sulla soglia, sentivo il bisogno di andargli incontro. Gli avevo chiesto di poter accompagnarlo in città, ma lui ovviamente aveva rifiutato, non solo perché non era un viaggio adatto ad una bambina, ma anche, mi spiegò, perché sarei stata molto più utile a casa: “Cerca di capire, Tsuki-chan… mi hai già aiutato tanto preparandomi quelle buone cose da portare con me, ora tua madre ed i tuoi fratelli hanno più bisogno di te di quanto ne abbia io!”
   Io avevo annuito, lui mi aveva abbracciata forte e dopo avermi dato un bacio sulla fronte era partito, ma in realtà non capivo e non approvavo. Mi pareva di aver fatto troppo poco per lui, mi sentivo trattata da bambina, volevo fare di più… Innanzitutto andare a prenderlo alla stazione, ma anche questo, come preparare qualche panino, era qualcosa di semplice, che qualunque bambina anche più piccola di me avrebbe potuto fare. No, non era abbastanza, volevo fare qualche altra cosa di più importante per aiutare la mia famiglia, ma cosa? Avevo fatto tutto il possibile, riuscendoci, per seguire l’esempio di Yuriko (che avevo poi sentito piangere silenziosamente soltanto la notte nel suo letto) e non piangere troppo davanti ai miei fratelli, c’era già la mamma a complicare la situazione in questo senso, ma ora, dopo tre giorni sentivo che stavo per crollare, per il dolore e per quell’altrettanto insopportabile senso di inutilità. 
   Improvvisamente mi resi conto di essermi seduta sulla stessa panchina su cui mi ero seduta quando ero andata a salutare Koji, e mi tornò in mente il suo bel viso, il suo sorriso sincero e rassicurante. Chissà, se Koji fosse stato in paese, magari avrei potuto cercarlo e lui oltre che confortarmi avrebbe potuto darmi qualche buon consiglio, dopotutto mi aveva già salvata una volta da morte certa…
   Ma Koji non c’era, a quanto pare sarebbe tornato fra circa un mese per le vacanze, perciò almeno per ora avrei dovuto arrangiarmi da sola. Prima che le lacrime potessero bagnare le mie guance chiusi gli occhi, e cercando di respirare piano ed a pieni polmoni, mi concentrai completamente sul sorriso di Koji, che avrei rivisto presto, e riuscii ancora una volta a riacquistare il controllo di me stessa.  Giusto in tempo, perché poco dopo la mia attenzione fu distratta dal rumore del treno che arrivava, stavolta riportandomi a casa il mio papà. Fu il primo a scendere, ed io corsi subito ad abbracciarlo, promettendogli, nel mio cuore, che avrebbe potuto contare su di me, anche se non sapevo ancora come. In quel momento non avrei mai immaginato che si sarebbe arrivati ad una soluzione molto presto, prima che Koji o chiunque altro potesse darmi qualunque consiglio. Perché in fondo era una soluzione semplice, anche troppo semplice e troppo ovvia, tanto che avrei anche potuto pensarci subito, senza dover prima ascoltare il loro racconto e soprattutto un loro discorso fatto quando credevano di essere rimasti soli dopo che tutti noi eravamo andati a letto: la povera Aiko era effettivamente molto portata per la carriera di geisha, per le già da me citate sue qualità di bellezza e di splendido canto, ma era anche di costituzione abbastanza delicata, e proprio questo ne aveva causato la morte, per un’improvvisa febbre causata forse da una qualche strana infezione contratta ad una delle prime feste a cui era stata invitata ad esibirsi; Miyuki, più sana e robusta, pur restandole vicina nel corso della sua lenta agonia, non si era ammalata altrettanto gravemente, ma purtroppo la morte della sorella le aveva causato un notevole shock nonché una forte apatia, e lei aveva, al momento, smesso di dedicarsi allo studio, a cui si era finora applicata più per seguire la sorella che per un proprio reale interesse per quella carriera. Purtroppo per quanto la okasan fosse stata generosa e comprensiva, la regola era che nel corso del suo apprendistato un’aspirante geisha dovesse seguire una serie di corsi, e che si dovesse spendere molto perché si alimentasse in modo nutriente e non le mancassero abiti ed accessori, il che avrebbe costituito un debito che la ragazza avrebbe poi ripagato man mano con i suoi guadagni, dopo aver iniziato la sua carriera. Ovviamente neanche Aiko aveva fatto eccezione, anzi, la okasan, avendo visto un particolare potenziale in lei, aveva investito su di lei anche più che su altre ragazze, ma purtroppo Aiko aveva iniziato fin troppo da poco a ripagarla ed ancora come maiko, senza contare che invece Miyuki avrebbe continuato a spendere sempre di più chissà ancora per quanto, essendo assai meno dotata in qualsiasi forma d’arte, e chissà se l’avrebbe mai ripagata completamente, dato che al momento i suoi risultati erano alquanto mediocri; quindi soprattutto dopo che a Miyuki era venuto meno l’incentivo che le dava Aiko la okasan stessa iniziava a dubitare della validità di quell’altro suo investimento.
    Il papà e lo zio parevano seriamente preoccupati anche per questo aspetto, sia per come potesse reagire Miyuki, che era sempre stata particolarmente attaccata ad Aiko e le era stata accanto fino all’ultimo, sia per cosa effettivamente ne sarebbe stato di lei, dato che erano noti casi in cui, ragazze originariamente accettate in un’okiya per diventare geishe erano poi per vari motivi cadute in disgrazia e non avevano mai raggiunto quello scopo, e venivano invece relegate al ruolo di sguattere nello stesso luogo oppure, il che era pure peggio, venivano vendute alle case di piacere perché diventassero prostitute! Avendo notato un atteggiamento strano in entrambi, oltre che per il fatto che lo zio pareva intenzionato a trattenersi da noi molto più del solito, quella sera avevo finto di andarmene a letto come i miei fratelli, ma poi, sicura che non mi vedessero, ero sgattaiolata fuori dalla mia stanza ed ero tornata da basso e mi ero appostata dietro ai fusuma per origliare ed avevo sentito la loro conversazione in proposito. Ovviamente a quell’età non ero ancora in grado di comprendere completamente i rischi che avrebbe potuto correre Miyuki, ma avevo ben compreso che sarebbe stato molto difficile per lei, praticamente costretta a ripagare con le sue scarse capacità un debito praticamente doppio, ovvero il suo e quello che Aiko suo malgrado non avrebbe mai più potuto pagare… Mi sentii stringere ancora di più il cuore, io credevo addirittura che dopo la disgrazia mio padre l’avrebbe riportata indietro con sé, ed invece noi tutti rischiavamo di perdere per sempre anche lei! Mi sforzai ulteriormente per non piangere, volevo sapere cosa sarebbe potuto succedere, ma non dovevo farmi scoprire, o mi avrebbero rimandata a letto… Dopo qualche minuto di silenzio sentii lo zio cercare timidamente di sollecitare mio padre: “Oniisan, non hai riflettuto almeno un po’ sulla proposta della okasan?” Gli era costato molto pronunciare quella frase, a quanto pare a lungo soffocata, e comunque subito se ne pentì, perché mio padre reagì aggredendolo con un tono che mai gli avevo sentito rivolgergli, che io ricordassi: “Hai anche il coraggio di insistere? Quella non è una proposta, è un ricatto! E quella donna è un mostro!!! E pensare che pareva tanto per bene… Già per darti ascolto ho perso una figlia, non so che ne sarà dell’altra, ed ora vorresti portarmi via anche… Non parlarmene più, altrimenti…”
Sconcertata non avevo retto ed avevo bucato la carta del fusuma con un dito per poter vedere, mio padre era scattato in piedi e teneva lo zio per i lembi del colletto del kimono, pronto a picchiarlo, lui che assolutamente non era mai stato una persona violenta; lo zio però si era fatto coraggio e reggendo il suo sguardo minaccioso, aveva ripreso a parlare: “Oniisan, lo so, è terribile, ma ti prego, ragiona… Non mi darò mai pace per Aiko, lo sai bene che se ti ho dato quel consiglio l’ho fatto perché lo ritenevo l’unica cosa giusta da fare! Hai visto la mia Sakura, no? Non solo in casa abbiamo una bocca in meno da sfamare, ma lei ora sta bene, non soffre più la fame, è felice… come potevo prevedere una simile disgrazia? Ed ora non posso non dirtelo: questo è l’unico modo di evitare che anche Miyuki rischi di finire male, non come la sorella, ma chissà come… E lo sai, lei non lo sopporterebbe! Così invece sarebbe al sicuro, sicuramente non la venderebbe, perché non scontenterebbe mai colei che in cuor suo ha sempre ritenuto la sua miglior pupilla… colei che avrebbe portato subito via con sé, anche senza le sue sorelle… La okasan mi ha chiesto spesso di lei in seguito… Dice sempre che anche se Aiko era molto virtuosa quello che ha visto in lei non l’ha visto in molte altre… e che anche se iniziasse in ritardo rispetto ad altre, sveglia com’è potrebbe diventare una delle migliori geishe di Yanagibashi!”
  Quell’impulso improvviso di violenza si placò e mio padre, come svuotato di tutte le sue energie, lasciò il colletto dello zio lasciandosi cadere seduto sui tatami, e prese a singhiozzare, con la testa nascosta fra le mani: “Tsukiko… la mia piccola Tsuki-chan, come posso darglierla? Anche lei no, no!!! Secondo te dovrei sacrificare un’altra figlia? No, non potrò mai farlo!”
 Sussultai, ed istintivamente corsi via spaventata. Stavano parlando di me, decidevano qualcosa per me! Salii le scale di corsa, mi chiusi nella mia stanza e mi nascosi nell’armadio a muro, premendomi con forza le orecchie con le mani, come se avessi avuto paura che venissero a chiamarmi per portarmi improvvisamente via dalla mia casa, per darmi alla okasan. La okasan, quella donna che quando l’avevo vista anni prima mi era parsa tanto bella, gentile ed elegante come una principessa e che ora mi appariva come un oni, un essere malvagio che pareva voler decimare la nostra famiglia! Rimasi lì a tremare per un tempo indefinito, probabilmente mi era parso un’eternità, ma erano solo minuti… Un tempo nel quale mi balenò in mente il ricordo del giorno della partenza di Aiko e Miyuki, di come allora la okasan mi aveva guardata, la sua mal celata delusione alla notizia che io non ero una candidata… Effettivamente lei avrebbe tanto voluto portare anche me all’okiya, ma possibile che fosse tanto malvagia, lei che aveva dei modi tanto gentili? Rabbrividivo al solo pensiero di dover lasciare la mia famiglia ed il mio paese per sempre, ma non volevo forse trovare un sistema valido per aiutarli in questi tempi così difficili? Non mi ero proposta e riproposta di sostenerli realmente, dato che ormai non ero più una bambina piccola? Sì, lo zio aveva ragione, e così anch’io avrei fatto finalmente la mia parte! Per non rischiare di cambiare idea mi precipitai nuovamente di basso, dovevo sbrigarmi,  prima che lo zio andasse via… Ma anche se fosse stato troppo tardi glielo avrei detto l’indomani, non avrei cambiato idea, la mia decisione era presa. 

 
 
Note:
Kikuko= “piccolo crisantemo”; non a caso ho scelto questo nome per la sorella di Kikiji, per più motivi: innanzitutto perché in un film ho appreso la frequente scelta di nomi di fiori in questi casi, poi perché Kikiji andrà nello stesso okiya della sorella, ed in un articolo ho letto che spesso in uno stesso okiya si usano nomi con la stessa radice (non obbligatoriamente), perciò ho pensato che Kikiji sia abbastanza simile per assonanza a Kikuko; infine, data la piega che hanno preso gli eventi in questo capitolo, per il significato del nome, riferito al crisantemo, che non so da loro, ma da noi in Italia si associa ai morti…

Era come se la nostra Aiko fosse sparita… e dalle sue ceneri… :Ebbene sì, in questo passaggio mi sono un po’ rifatta a quella considerazione del film “Memorie di una geisha”, mi è piaciuta e l’ho adottata…

Engawa= corridoio esterno coperto da tetto spiovente, una sorta di veranda che modula la relazione tra lo spazio interno ed esterno: in estate diventa una parte del giardino, in inverno può essere chiuso fino a costituire un'estensione dello spazio interno: in pratica è quello su cui si siedono a parlare Ranmaru ed Ushigoro quando quest’ultimo, nella puntata Il party, va dall’amico ad esprimergli le sue preoccupazioni per Benio.

Fusuma= i famosi pannelli scorrevoli delle case tradizionali giapponesi

Oniisan= fratello maggiore

Oni= demone

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Capitolo 7
*** Capitolo 7 ***


I giorni successivi furono frenetici. Sì, era un periodo particolarmente drammatico per la nostra famiglia, che prima aveva perso una figlia, Hanako, che per sua iniziativa era andata via col marito e da allora aveva tagliato i ponti con noi e con il villaggio, ed ora un’altra, Aiko, che non era più nemmeno su questa terra e che quindi non avrei mai potuto più rivedere nemmeno per caso, ma non potemmo concederci il lusso di abbandonarci al dolore: mia madre un paio di giorni dopo il ritorno di papà si era finalmente alzata dal letto, ma trascorreva buona parte del suo tempo stringendo a sé l’urna con le ceneri di mia sorella, mormorando parole appena percettibili, forse cercava invano di parlare con lei o forse semplicemente pregava; Keita continuava a badare ai gemelli, ma essendo ormai anche loro arrivati a quell’età in cui i bambini sono più vivaci la sua infermità iniziava a costituire per lui un grosso ostacolo; Yuriko ebbe la possibilità di stare un po’ di tempo a casa perché i Kimura furono particolarmente comprensivi per via dei loro trascorsi familiari e le concessero qualche giorno libero; quanto a me, mio padre aveva affidato allo zio una lettera per la okasan in cui le scriveva che accettava la sua proposta e che avrebbe potuto avermi nel suo okiya per fare di me una geisha. 
   Era stato davvero difficile per mio padre scrivere quella lettera: ancora non riusciva a perdonarsi per Aiko, non potendo non pensare che molto probabilmente se fosse rimasta in famiglia sarebbe ancora viva, e felice, eppure ora avrebbe dovuto mandare via anche me! Ciò nonostante, quando quella terribile sera io avevo deciso che lo zio aveva ragione e li avevo raggiunti per comunicare loro che ero disposta a raggiungere Miyuki all’okiya per sostituire Aiko, lui aveva tentato disperatamente di farmi desistere, dicendomi che non sapevo nemmeno di cosa parlavo e che ero troppo giovane per capire e prendere una simile decisione. Ma io non avevo voluto sentire ragioni e lo zio mi aveva prontamente sostenuta, assicurando a mio padre che avrebbe raccomandato alla sua famiglia di aiutare di più la nostra, anche perché loro avevano molti meno problemi di noi, grazie alla carriera ormai ben avviata della geisha Kiyoko, così mio padre aveva ceduto. Con la mamma fu incredibilmente più facile, perché purtroppo pareva ormai diventata quasi apatica, come se dopo la morte di Aiko avesse deciso di chiudere il suo cuore a nuove emozioni, alle quali probabilmente non avrebbe più retto.
   Così, ad appena un mese di distanza dalla lettera che ci informava della morte di mia sorella, era giunta la vigilia della mia partenza per l’okiya. Era stato lo zio a suggerire di organizzare tutto al più presto, perché secondo lui aspettare di più non avrebbe poi cambiato molto le cose, sarebbe stato solo più penoso per me e per i miei. In paese c’erano altre persone che avrebbero potuto continuare a sostenere un po’ la mia famiglia, mentre io avrei potuto essere di grande conforto a Miyuki, rimasta da sola in città; senza contare un’altra cosa, brutta a dirsi ma da considerare sempre per persone povere come noi, che con la mia partenza ci sarebbe stata una bocca in meno da sfamare in casa e che prima avrei iniziato il mio apprendistato prima avrei iniziato a ripagare la okasan della sua fiducia e del denaro che avrebbe investito su di me. Sicuramente lo zio aveva spiegato tutte queste cose a mio padre, ma non era stato necessario con me, che pur non sapendo a cosa sarei andata incontro, ormai ero decisa solo ad aiutare la mia famiglia, ad ogni costo; così, quando mi fu annunciato il giorno in cui si pensava di organizzare la mia partenza, diedi subito la mia approvazione, promettendo che mi sarei impegnata con tutte le mie forze per diventare una brava geisha rendendo la mia famiglia orgogliosa.  
   Dopo che Yuriko mi ebbe aiutata a preparare il bagaglio con le mie poche cose da portare con me, quella sera cenammo prima del solito, in previsione del fatto che avrei dovuto riposare per bene, dato che l’indomani sarei partita molto presto. Quante volte, passando davanti alla stazione, avevo pensato che avrei voluto provare a salire su un treno, quel mezzo di trasporto così moderno di cui avevo sentito parlare dallo zio! Ero curiosa di vedere posti nuovi, che avrei potuto raggiungere molto più velocemente che sul nostro misero carretto; avevo pensato di chiedere allo zio di andare con lui a trovare Sakura, così avrei potuto anche fare una sorpresa alle mie sorelle, e soprattutto mi era venuta voglia di salire sul treno dopo aver salutato Koji alla stazione, avrei potuto andare a trovare lui, se solo non fossi stata troppo giovane per viaggiare da sola… Chi l’avrebbe mai detto, fino ad appena un mese prima, che invece il mio primo viaggio mi avrebbe portata via per sempre dal mio villaggio, lontana chissà quante miglia da coloro a cui volevo bene?
  Tuttavia quella sera assecondai i miei, e come loro riuscii  a stare più o meno allegramente a tavola con loro come al solito, per quell’ultima volta. Certo, sempre fatta eccezione per la mamma che pareva peggiorare, continuando a mormorare appena percettibilmente rivolta all’altarino di Aiko nonostante avesse tutti noi attorno… E per il fatto che Yuriko non volle saperne di permettermi di aiutarla a riordinare come al solito, perché non avrei dovuto stancarmi troppo, dovevo riposare bene quella notte, e mi mandò a letto presto. Tuttavia per ovvi motivi non riuscivo proprio ad addormentarmi, tanto che sentii mia sorella ritirarsi in camera dopo aver finito le faccende e prepararsi per la notte il più silenziosamente possibile. Io non volevo piangere per non rovinare  all’ultimo momento quella giornata che mi ero sforzata di rendere quanto più serena possibile perché potesse essere un buon ricordo dei miei ultimi momenti con la mia famiglia, così finsi di dormire. Lei capì che ero sveglia, ma aveva anche intuito le mie intenzioni, così non chiedendomi nulla e si infilò nel futon con me e mi strinse delicatamente fra le sue braccia, e proprio quando qualche volta mi aveva sentita piangere per un incubo, prese ad accarezzarmi dolcemente i capelli, finché non mi addormentai.
   L’indomani, quando le prime luci dell’alba illuminarono la stanza ed aprii gli occhi, lei era seduta accanto a me, che aspettava pazientemente il mio risveglio, era certa che non sarebbe stato necessario sollecitarmi. Mi sentivo incredibilmente rinfrancata, pronta ad affrontare il duro viaggio. Uscii velocemente dal futon e l’abbracciai più forte che potevo: “Ti voglio tanto bene, oneechan!”
  Lei ricambiò l’abbraccio: “Anch’io, Tsuki-chan, e ricorda, tu per me sarai sempre la mia piccola Tsuki-chan!”
  Ricacciò prontamente dentro le lacrime e riuscendo persino a sorridere mi incoraggiò a scendere, aveva preparato una splendida colazione, la mia preferita, e doveva anche darmi un bento per il viaggio.
  Dopo colazione giunse il momento… Lo zio chiamò da fuori, annunciandoci che era venuto a prendere me e mio padre, che ci avrebbe seguiti solo fino alla stazione: non se la sentiva proprio di lasciare a casa la mamma nel suo stato, e certo che prima o poi si sarebbe ripresa, mi promise sarebbe venuto a trovarmi in seguito, come lo zio faceva con mia cugina. Mi alzai senza esitazione e mi feci vedere, dicendogli che ero pronta, mentre mio padre, quasi sconcertato dalla mia forza d’animo, prese il mio bagaglio. Quindi salutai con un sorriso ed abbracciai tutti i miei fratelli, promettendo loro che prima o poi ci saremmo rivisti: ora non saprei dire se all’epoca ne ero davvero convinta, ma anche Keita, pur essendo adulto e conoscendo la realtà, finse di credermi e mi incoraggiò scherzosamente a tornare a fargli visita, perché altrimenti non avrebbe mai potuto credere che una peste come me avrebbe potuto diventare proprio una geisha.
  Purtroppo nemmeno quando abbracciai, per ultima, la mamma, lei mutò espressione, e rimase del tutto passiva. Anche se mi si strinse il cuore a vederla così, tenni ancora duro: mi staccai da lei, mi affiancai a mio padre ed a mio zio ed uscii con loro dal nostro portoncino, decisa a non voltarmi più indietro.
  Tuttavia, quando avemmo lasciato il viottolo che portava alla nostra casa per imboccare la strada principale che conduceva alla stazione, mi sentii chiamare disperatamente: era la mamma, ci aveva inseguiti! Aveva finalmente realizzato la situazione, ed era tornata finalmente del tutto in sé. Sudata per la corsa, con un po’ di affanno e con abbondanti lacrime che dal giorno dopo la tragica notizia della morte di Aiko non le avevano più bagnato le guance, tese le braccia verso di me, ed io corsi subito da lei. Mi strinse forte, come se fosse stata intenzionata a non lasciarmi più andare, ed entrambe scoppiammo finalmente a piangere.
  “Shizuka, ti prego, sai che…” la sollecitò tristemente mio padre, posandole dolcemente una mano su una spalla.
Lei subito annuì, mi sciolse dall’abbraccio, e mi porse un piccolo involto, fatto con un piccolo straccio, invitandomi ad aprirlo: c’era un omamori, evidentemente preparato e ricamato con le sue mani.
  “Ne ho preparato uno per ogni mia figlia alla sua nascita, per poterglierlo dare il giorno in cui avrebbe lasciato la nostra casa per sposarsi e trasferirsi per sempre presso il marito… Mai avrei potuto immaginare che mi sarei separata in ben diversa circostanza da Aiko, da Miyuki ed anche da te, da tutte e tre per lo stesso motivo! In ogni caso non importa, anche se neanche per te potrà essere un dono per il tuo matrimonio ti proteggerà sempre e ti farà pensare a me, ogni tanto, come io ti penserò sempre… Promettimi che lo porterai sempre con te…” 
   Promisi, lei mi strinse forte e poi mi lasciò, incoraggiandomi lei stessa ad andare, dopo di che con mio padre e mio zio ripresi la mia strada, senza più voltarmi indietro, fino alla stazione.
   Una volta giunti lì venne il momento di salutare anche mio padre. Inizialmente avrebbe voluto aspettare la partenza del treno, ma lo zio ci aveva preannunciato che probabilmente ci sarebbe stato da aspettare ancora un po’ e comunque mi ero resa conto che era molto ansioso di tornare dalla mamma, dopo averla vista reagire in quel modo alla mia partenza, ed in fondo ero certa che prima o poi sarebbe venuto a trovarmi in città.
“Questo non è un addio, Tsuki-chan, ti prometto che la prossima volta che lo zio verrà all’okiya io verrò con lui e ci rivedremo!”
Annuii, mi fidavo ciecamente di mio padre, che aveva sempre mantenuto le sue promesse, e gli promisi a mia volta che mi sarei impegnata con tutte le mie forze, avrei sempre obbedito alla okasan ed avrei aiutato come potevo Miyuki… Quindi mi sciolsi dal suo abbraccio ed entrai nella stazione con lo zio, voltandomi solo per un attimo per sorridergli e salutarlo con la mano un’ultima volta. Mi sentivo nuovamente fiduciosa e determinata, anche grazie all’omamori della mamma, che avrebbe fatto sì che sentissi sempre vicini a me lei e tutta la mia famiglia: Aiko non ce l’aveva fatta, l’infausto destino aveva stroncato la sua giovane vita in modo così crudele ed improvviso, ma io sarei stata più forte di lei, perché i miei genitori ed i miei fratelli avevano già sofferto abbastanza in pochi anni… Avrei superato le difficoltà che sicuramente poneva l’addestramento da geisha, avrei reso onore all’okiya e sostegno ai miei cari, ormai ero abbastanza grande per farlo.
   Pensavo a tutte queste cose per stimolare tutto il mio coraggio, camminando avanti ed indietro lungo il binario in attesa dello zio che era andato a fare i biglietti, quando mi sentii toccare lievemente una spalla. Mi voltai e sussultai: non era lo zio, era Koji!!!  
  


Note: 
Futon: tipico letto giapponese

Oneechan: sorellona, appellativo affettuoso per la sorella maggiore

Bento: una sorta di vassoio contenitore con coperchio di varie forme e materiali contenente un pasto, in singola porzione, impacchettato in casa o comprato fuori, comune nella cucina giapponese

Omamori: tipici amuleti giapponesi, dedicati sia a particolari divinità Shinto che ad icone buddhiste; la parola giapponese “mori” significa protezione, mentre il suffisso onorifico o- dà un significato di movente dall’esterno, dunque il significato complessivo è “tua protezione”. In base ai diversi colori hanno diversi scopi, si vedono spessissimo in manga ed anime.

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Capitolo 8
*** Capitolo 8 ***


    Koji pareva davvero felice di rivedermi, ed avrebbe persino sospettato che fossi venuta ad accoglierlo alla stazione perché avevo saputo del suo arrivo, se solo non avesse deciso di giungere all’improvviso, per fare una sorpresa alla sua famiglia. Ed il suo sorriso immediatamente si smorzò quando gli comunicai semplicemente che ero lì perché stavo partendo per Tokyo, dove sarei diventata geisha nello stesso okiya a cui erano state destinate le mie sorelle, sostituito da uno sguardo sconvolto… Probabilmente, essendo più anziano di me, Koji aveva una visione ben più chiara della sorte a cui stavo andando incontro, ma cosa avrebbe potuto dire ad una bambina? A toglierlo dall’evidente imbarazzo giunse lo zio con i biglietti, che lo ringraziò per ciò che aveva fatto per me, non avendo avuto modo di incontrarlo personalmente dopo che mi aveva salvata durante la bufera di neve. Koji chiese spiegazioni allo zio su ciò che gli avevo appena detto, ed io notai lo sguardo triste, ma anche di eloquente rimprovero, che per un attimo gli rivolse quando lui glielo confermò.
   “Tsukiko, è ora di andare, il treno partirà fra poco…” mi sollecitò lo zio, che aveva distolto lo sguardo da lui. Mi prese per mano, ed anch’io abbassai tristemente gli occhi, nel salutarlo.
   Ma Koji mi fermò: “Solo un momento, Tsuki-chan” sorrideva di nuovo, dolcemente.
   Lo zio con un cenno diede il suo consenso e lasciatami la mano salì sul treno per occupare i posti.
   Koji frugò rapidamente nella sua valigia e ne tirò fuori una sciarpa: “Avevo portato dei regalini dalla città per la mia famiglia, ed ho comprato questa per te… Lo so che è un po’ fuori stagione adesso e non voglio certo incoraggiarti di nuovo a simili imprese, ma dati i precedenti ho pensato che potrebbe esserti utile!”  
   Solo per pochi attimi mi sentii di nuovo immensamente felice: non potevo crederci, non potevo assolutamente crederci, Koji mi aveva fatto un regalo, aveva pensato a me mentre era lontano, proprio a me! Ringraziandolo sentitamente, e confermandogli che mi sarebbe stata molto utile anche in città, presi la sciarpa e la strinsi al viso, era così morbida e calda, proprio come quella che papà aveva ricevuto da Aiko in occasione della sua visita all’okiya in occasione del suo debutto come maiko! Ovviamente non avevo mai avuto qualcosa di nuovo, portavo gli indumenti smessi e spesso rattoppati delle mie sorelle maggiori, perciò quel piccolo dono era per me come un tesoro, ma in realtà non lo era soltanto per quel motivo: non avendo frequentato regolarmente la scuola ed essendo stata spesso impegnata per aiutare i miei nei vari lavori non avevo mai avuto dei veri amici, ma per la prima volta avevo a che fare con qualcuno che si stava comportando come tale: sì, Koji era di fatto il mio primo vero amico. O forse no, era come un nuovo fratello, o forse… beh, all’epoca ero troppo piccola per comprenderlo con precisione, stava di fatto che era una persona importante, a cui avrei voluto sempre bene e che mi dimostrava affetto.
   In ogni caso non ebbi tempo per gioire più di tanto né tanto meno di riflettere, perché lo zio mi sollecitò presto dal finestrino, il treno stava per partire, dovevo sbrigarmi!
   “Buona fortuna, piccola Tsuki-chan! Il nostro non è un addio, perché noi saremo sempre amici, anche se saremo lontani, e comunque non è detto che non potremo rivederci… Anzi, prima o poi ci rivedremo, anche perché sono certo che diventerai una bellissima e bravissima geisha e verrò sicuramente ad ammirarti, la mia è una promessa!”
   Lo ringraziai di nuovo annuendo, intrecciammo i mignoli e ci salutammo, ed alla fine, appena prima del fischio di partenza, raggiunsi lo zio, che si era messo a fissarmi con impazienza dal treno.
   Non riuscii a spiccicare parola per tutto il viaggio, e nemmeno volevo impegnarmi a farlo, sapevo che lo zio sarebbe stata l’unica persona che avrei visto abbastanza spesso per via dei suoi frequenti viaggi e della sua amicizia con la okasan, e poi neppure ci tenevo, perché dentro di me sapevo che anche se la decisione di diventare geisha era stata mia il suo ruolo era stato determinante nel sconvolgermi la vita. Vero, quando Aiko e Miyuki erano partite la mia famiglia si trovava in particolare difficoltà ed in tanti in casi simili al nostro si adottava quella stessa soluzione per le figlie femmine, ma chissà se in assenza della sua intromissione non avremmo trovato altri modi per andare avanti, forse Aiko sarebbe stata ancora viva, e neanche Miyuki ed io non avremmo dovuto allontanarci dal villaggio!
    Insomma, da un lato anche allora, spiando il suo atteggiamento, mi rendevo conto che lo zio era davvero dispiaciuto per noi ed agiva per tentare di aiutarci, dall’altro mi sentivo infastidita da lui, che mi metteva pure fretta, e lo consideravo un ostacolo, anche se involontario, alla nostra serenità. Così avevo deciso di  ignorarlo il più possibile e di mettermi a guardare fisso fuori dal finestrino; lo zio attribuì quel mio atteggiamento al desiderio di imprimermi il più possibile nella memoria il mio amato villaggio, e non volle disturbarmi. Ma in realtà la mia attenzione era presa da altro, dalle lacrime che tentavano prepotentemente di uscire e da quell’ulteriore peso che mi angosciava dopo quell’incontro troppo fugace: Koji aveva fatto tutto il possibile per farmi coraggio, con allegria, e mi aveva promesso che ci saremmo rivisti, ma io non mi ero rasserenata nemmeno un po’, non riuscivo nemmeno ad immaginare come sarebbe stata la mia vita in città, accanto a quella signora che a prima vista mi era sembrata così elegante e gentile ma che in fondo non conoscevo, e non riuscivo a non ripensare a quello sguardo che Koji aveva lanciato allo zio… cosa voleva dire? Non poteva essere l’infantile risentimento di un bambino verso un adulto che gli porta via il compagno di giochi, ed allora fra noi due le cose non potevano certo stare come poi si sono evolute… Era seriamente preoccupato per me, forse perché temeva che potessi fare la fine di Aiko, o forse semplicemente perché diventare geisha non doveva essere una bella cosa, non si trattava semplicemente di cantare e ballare e mangiare riso bollito tutti i giorni come invece ci scrivevano le mie sorelle! E così oltre al dolore per aver lasciato i miei cari cresceva in me l’angoscia per il mio futuro in quel luogo misterioso chiamato okiya di cui nessuno mi aveva raccontato molti dettagli…
     Non toccai nemmeno il bento che mi aveva preparato Yuriko, ma poco male, pensai che lo avrei mangiato al mio arrivo insieme a Miyuki, chissà come l’avrei trovata dopo tanto tempo e dopo che aveva dovuto affrontare da sola quell’immenso dolore, lontana da tutti noi…
 
    Il bel tempo di quella mattina fece sì che il viaggio procedesse senza ritardi, ed arrivammo all’ora stabilita. Meglio così, pensai, prima saremmo arrivati all’okiya prima avrei trovato una risposta a tutte le mie domande ed avrei potuto rassegnarmi e guardare avanti. Quando fummo scesi dal treno lo zio mi prese per mano, l’okiya non era lontano dalla stazione ed avremmo potuto andarci a piedi, anche perché così, mi spiegò, avrei potuto già iniziare ad orientarmi, a conoscere il posto, dato che in città è molto più facile smarrirsi. Gli chiesi a cosa mi sarebbe servito, dato che avrei dovuto restare sempre nell’okiya, così gli avevo sentito dire una volta a proposito di Sakura… E lui sorridendo mi spiegò che non sarebbe stato proprio così,  l’okiya non era una prigione, una volta diventata geisha sarei uscita spesso, ed anche prima, perché sarei andata a scuola. Questo destò finalmente la mia curiosità, al villaggio c’era una piccolissima scuola, che io però non avevo potuto frequentare regolarmente, e perciò avevo imparato a leggere e scrivere da Yuriko…
   “La scuola per geisha è molto diversa dalla scuola del villaggio, ma ti piacerà”
   Ma alle mie ulteriori richieste di dettagli si limitò a dirmi che me ne sarei resa conto molto presto, dato che eravamo arrivati all’okiya, dove la okasan mi avrebbe spiegato tutto. Mi ribadì la raccomandazione di comportarmi bene e di obbedirle sempre, rassicurandomi sul fatto che mi sarei presto abituata alla mia nuova vita, quindi bussò alla porta.
   Dopo pochi minuti una voce ci accolse dall’interno e ci fu aperto, una voce concitata ma allegra. Ci apparve davanti una ragazza molto bella. Indossava un kimono di seta, proprio come era quello della okasan quel lontano giorno in cui aveva portato con sé le mie sorelle, ben diverso dai kimono di cotone che si usavano al nostro villaggio. Il viso era un ovale perfetto, e capelli raccolti in una complicata acconciatura, con fiori e spilloni, pareva una bambola. Si inchinò graziosamente, come per voler rispettare un indispensabile rituale imposto dall’etichetta, e quando si risollevò ci sorrideva, gli occhi luminosi si spostarono dal padre a me. Non la conoscevo, dato che erano passati così tanti anni da aveva lasciato il villaggio, ma lei conosceva me, era Sakura, ora Kiyoko, trasformata così tanto che nessuno avrebbe mai potuto credere che un tempo fosse stata membro di una famiglia di poveri contadini come noi.
   “Tsuki-chan, sono così felice di incontrarti! Tu non puoi ricordarti di me, ma sono tua cugina… Che tu sia la benvenuta, anche se in queste circostanze…” si rattristò pensando ad Aiko e mi abbracciò, dopo di che riacquistò il sorriso “Vieni, la okasan ti aspetta!”
   Presi la mano che mi tendeva, che era morbida, liscia, ben curata, e ripensai alle mani di Yuriko e della mamma, sempre screpolate e piene di calli. Congedammo lo zio e ci avviammo al piano di sopra, verso la stanza della okasan. Quando ebbe chiuso la porta scorrevole dietro di lui per un attimo mi pentii di essere stata così fredda e distaccata durante il viaggio, durante il quale in fondo era rimasto l’unico legame con la mia famiglia al villaggio. E pensai che non mi sarebbe poi dispiaciuto rivederlo ogni tanto.
   Sakura bussò alla stanza della okasan e precedendomi mi sorrise ancora e mi invitò ad entrare, dicendomi di non avere paura. Mi feci coraggio e le obbedii.   

 
 
Note:
Intrecciare i mignoli in Giappone (Yubikiri genman)= la promessa si stringe incrociando i mignoli, ed il testo da recitare, che in genere viene canticchiato, dice:
“Yubikiri genman,
uso tsuitara
harisenbon nomasu”
E poi si sciolgono le dita pronunciando: Yubikitta!
Significa: “La promessa del mignolino: se dirai una bugia ti farò inghiottire mille aghi!” e si conclude con “dito tagliato!”
 
Qui ci sono notizie più dettagliate ed addirittura il video animato, molto carino:
http://tradurreilgiappone.wordpress.com/2013/02/19/modi-di-dire-e-abitudini-giapponesi-yubikiri-genman/


Geisha: attenzione, non è un errore di battitura! Infatti il plurale dei termini giapponesi resta uguale al singolare nella traduzione italiana (v. samurai= il samurai / i samurai)

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Capitolo 9
*** Capitolo 9 ***


   Quando Sakura mi annunciò la okasan si alzò dalla sua scrivania e mi venne incontro. Era ancora bella come una dama del Genji Monogatari, e si muoveva con la stessa grazia che ricordavo, soltanto aveva qualche ruga in più agli angoli della bocca, forse per l’età, o forse soltanto perché non era truccata. 
   Mi inchinai a lei come lo zio mi aveva raccomandato di fare, e lei mi accolse subito con un sorriso, che le accentuava maggiormente quelle rughe: “Benvenuta, piccola Tsukiko, sono molto felice che tu sia qui, sei diventata ancora più graziosa! Tuo zio ti avrà detto che da tanto avrei voluto prenderti con me, anche se certamente non in queste circostanze…” si rabbuiò “Mi ero molto affezionata a tua sorella, e non solo perché prometteva di diventare una magnifica geisha…  Volevo davvero bene a Kikuko…”
  “AIKO!!!” gridai d’impulso; al che Sakura, che era rimasta dietro di me perché la okasan potesse parlarmi come desiderava, mi strattonò per la manica del kimono per calmarmi: “Tsukiko!” mi richiamò, con un tono più sconcertato dalla mia reazione che di vero rimprovero.
  “MIA  SORELLA  SI  CHIAMAVA  AIKO, NON  KIKUKO!” insistetti, e con le lacrime per troppo tempo soffocate che ora mi scorrevano lungo le guance cercavo di liberarmi da Sakura che mi bloccava per il braccio, mentre la okasan restava in silenzio, come per studiarmi. 
  “Tsukiko, per favore, calmati, non contrariare subito la okasan, o si farà di te una cattiva impressione…” mi supplicò Sakura, che fin troppo bene aveva compreso la mia reazione, ma non poteva dirlo apertamente per via del suo ruolo. Al che finalmente intervenne la okasan: “Ora basta, Tsukiko, comprendo i tuoi sentimenti, ma la situazione è questa!” Il suo tono era dolce, ma anche fermo, deciso, quanto bastò per farmi calmare di colpo. 
La  okasan fece cenno a Sakura di lasciarmi il braccio, ci sedemmo tutte e tre e quindi lei mi offrì un fazzoletto: “Asciugati gli occhi, piccola Tsukiko… tuo zio mi ha accennato qualcosa, ma vorresti dirmi anche tu perché hai deciso di venire in questo okiya?”
   “Io… io ho deciso di venire qui per aiutare la mia famiglia…” riuscii a dire dopo qualche esitazione.
   “Molto bene, questo ti fa molto onore! Tuo zio mi ha detto che ti sei offerta spontaneamente, al contrario di molte altre ragazze che vengono costrette a diventare geishe… D’altra parte la maggior parte delle geishe inizia il suo apprendistato in età molto giovane, in alcuni casi anche a 5-6 anni, quando sono davvero troppo piccole per poter comprendere e decidere da sé… Tu invece hai già 10 anni, sei effettivamente un po’ in ritardo per iniziare l’apprendistato…”
   Sussultai, forse col mio comportamento le avevo fatto cambiare idea? Forse mi avrebbe rimandata a casa, e questo da un lato mi avrebbe resa felice, avrei rivisto il mio villaggio, la mia famiglia e Koji, ma dall’altro sarebbe significato il mio misero fallimento, avrei dimostrato davvero di non essere buona a nulla, ed i miei, anche se certamente non mi avrebbero rimproverata di nulla, come avrebbero potuto far fronte alla loro situazione? 
   Ma a quanto pare non erano quelle le intenzioni della okasan, che dopo una pausa riprese: “Però è anche vero che nel mio okiya difficilmente accolgo apprendiste troppo giovani, preferisco che le bambine non si sentano sottoposte a chissà quale violenza, perché a mio avviso in questo modo sopporteranno più di buon grado l’addestramento, che è davvero impegnativo… Molte mie colleghe disapprovano questo mio modo di agire, perché pensano che quanto più le apprendiste sono giovani più è possibile plasmarle a loro piacimento. Mah, punti di vista: a me pare che dai loro okiya nascano tante bambole tutte uguali, mentre le geishe del mio okiya oltre ad essere magnifiche artiste hanno una personalità, uno spirito particolare nel loro lavoro, e questo ai clienti piace…”
   Si fermò di nuovo, si rese conto che la guardavo perplessa: “Scusami, mi sto addentrando in discorsi troppo complicati, sei più anziana delle altre apprendiste appena arrivate, ma sei pur sempre una bambina, col tempo capirai!” rise, ma non era per prendermi in giro, ed io la ascoltavo attenta, tutto sommato quella donna mi piaceva. Sì, mi aveva praticamente comprata, come aveva fatto con le mie sorelle e con tante altre bambine, come se fossero oggetti, ma era evidente che non era cattiva.
   “Stammi a sentire, Tsukiko… Come ti dicevo, ero molto affezionata a tua sorella, ma il cambio del nome è un passaggio inevitabile per diventare geisha, questo come altre cose che scoprirai… E’ la tradizione, e così tua sorella è diventata Kikuko, proprio come tua cugina Sakura ormai è diventata Kiyoko, ed è così che tutti dovranno chiamarla... Anche tu quando arriverà il momento avrai un nuovo nome e col tempo ti ci abituerai…”
   “Ho capito…” annuii a testa bassa “Mi dispiace tanto…” 
   “Non fa niente, è normale che tu sia ancora turbata per ciò che è successo, e poi l’importante è che ora tu abbia capito!  Ora da brava, vai con Kiyoko… Ti accompagnerà da Miyuki…”
   Miyuki… Quanto avevo pensato alla sorella che avrei ritrovato, da quando avevo deciso di andare all’okiya… L’idea mi rendeva felice ovviamente, ma al tempo stesso mi spaventava: ero stata subito avvisata, quella che avrei trovato non sarebbe stata la ragazzina vivace ed allegra che conoscevo, che sapeva sempre strappare un sorriso a tutti: aveva solo 12 anni, 2 più di me, ed aveva già vissuto un’esperienza così terribile... Si era categoricamente rifiutata di allontanarsi da Aiko quando si era ammalata, tanto da essere contagiata dalla sua stessa malattia, anche se fortunatamente grazie alla sua costituzione, che era più forte di quella di nostra sorella, era riuscita a guarire in fretta. Aveva continuato ad aiutarla, anche se soltanto come avrebbe potuto fare una bambina della sua età, finché una mattina al risveglio l’aveva sentita rigida e gelata nel futon che non aveva smesso di condividere con lei, ed all’okiya avevano dovuto faticare molto per convincerla a staccarsene, mentre continuava a stringersi a lei ed a dire che la povera Aiko stava così soltanto perché sentiva troppo freddo e le serviva di essere riscaldata un po’. Anzi, alla fine erano stati costretti a sollevarla di peso per poter prendere la sua salma e prepararla per il funerale!
   Uscita dalla stanza della okasan seguii ancora Sakura (anzi, Kiyoko, avrei dovuto impararlo quanto prima!), ma la paura mi rallentava, tanto che lei dovette fermarsi più volte prima di arrivare, temevo più di rivedere mia sorella come mai l’avevo conosciuta molto più di quanto abbia temuto di incontrare la donna che avrebbe cambiato per sempre la mia vita. Kiyoko mi spiegò che Miyuki non si trovava più nella stanza che per anni aveva diviso con Aiko (Kikuko!): la okasan aveva pensato che spostarla altrove l’avrebbe aiutata a non rievocare troppo quei terribili momenti ed a superare più facilmente il dolore, ma finora la cosa non l’aveva aiutata più di tanto… anche per questo la okasan riponeva molte speranze in me. 
   “Miyuki non aveva il talento eccezionale di Kikuko, è vero… Tua sorella aveva appena debuttato e già aveva fatto parlare tanto di sé, i nostri clienti ne erano rimasti subito incantati, per come cantava, come danzava… Miyuki dimostrava qualità diverse, invece: nel canto e nella danza era meno brillante, apprendeva con maggiore difficoltà ed è stato subito evidente che non avrebbe mai raggiunto i suoi livelli, ma era molto vivace ed allegra, soprattutto aveva la capacità di inventare storie divertenti, e come dice sempre la okasan anche queste doti sono importanti nella nostra professione, per intrattenere i clienti, che spesso cercano da noi proprio un po’ di svago, un sistema per risollevarsi dopo una giornata difficile, dimenticare per qualche ora i problemi di lavoro, le preoccupazioni, i doveri… Una volta mi disse che anche se inizialmente aveva preso anche lei perché lo aveva preventivamente promesso a mio padre e soprattutto perché sarebbe stata di compagnia e di conforto per Kikuko poi non si era affatto pentita della sua decisione, anzi, ne era stata contenta; ora invece la povera Miyuki è come spenta… Io ho provato ad aiutarla, a starle vicino, ma non è servito a niente…” ovviamente non mi avrebbe mai spiegato nei dettagli ciò che mia sorella rischiava e che però io avevo sentito dire dallo zio a mio padre, ciò che mi aveva tanto turbata da togliermi ogni residua esitazione nel prendere la mia decisione.
   Mia cugina bussò alla porta della stanza dove avremmo trovato Miyuki ed entrò, senza che avessimo sentito nessuna risposta; io, facendomi coraggio, la seguii.    



Note:
Genji monogatari: La storia di Genji, è un famosissimo romanzo giapponese scritto nel XI secolo dalla dama di corte Murasaki Shikibu, vissuta nell'epoca Heian. E' considerato un capolavoro e narra la vita del principe Genji, un figlio dell'imperatore del Giappone, anche noto come Principe Splendente (Hikaru Genji, Hikaru=luce), e soprattutto dei suoi amori; inoltre narra la vita di corte dell'epoca.
Altri dettagli su Wikipedia. 

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Capitolo 10
*** Capitolo 10 ***


   “Miyuki-chan, sono io… Guarda chi c’è!” disse Kiyoko, sforzandosi di avere un tono allegro, ma la sagoma della bambina seduta sul futon ancora sfatto vicino alla finestra non si mosse né ebbe alcuna reazione.  Nonostante l’ora accanto a lei c’era un vassoio con abbondanti residui della colazione.
  Allora Kiyoko le si avvicinò, scostò il vassoio e si sedette accanto a lei, mentre io le guardavo smarrita, non sapendo come comportarmi.
   “Miyuki-chan, per favore… è Tsukiko, tua sorella! Ti avevo detto che sarebbe venuta, ma magari tu pensavi che volessi prenderti in giro, non è vero?” insistette con dolcezza, ed accarezzandole i capelli scompigliati la indusse pian piano almeno a voltarsi ed a guardarmi. Ma anche dopo che si fu voltata dalla mia parte i suoi occhi continuavano a fissare il vuoto e lei pareva quasi una bambola, che semplicemente subiva passivamente facendosi manipolare da chicchessia: possibile che proprio lei fosse quella bambina sempre allegra  e vivace che ancora ricordavo dopo tanti anni? Trasformata in una bambola, appunto, una bambola di stracci abbandonata su un futon, che evidentemente non si pettinava i capelli da giorni, lei che quando stava ancora con noi al villaggio amava adornarli spesso con vistose ghirlande di fiori anche sparpagliando petali per la casa e suscitando le ire della mamma!
   Kiyoko a quel punto mi guardò con tristezza e rassegnazione, sperava davvero che vedermi avrebbe subito suscitato una reazione in lei... Ed invece no, niente, continuava a restare immobile a fissare il vuoto.
   “Miyuki-chan, sono io, Tsukiko, Miyuki-chan!!!” corsi verso il futon ad abbracciarla forte. Come potevo accettare una cosa del genere, vederla ridotta così, dopo aver sopportato per giorni e giorni vedere la mamma nello stesso stato? Continuai a chiamarla disperatamente, a scuoterla, era troppo per me! Ma proprio quando stavo per arrendermi e per mollare la stretta finalmente lei mi guardò.
  “Tsuki-chan?” Miyuki era tornata bruscamente in sé, scossa come se fosse stata colpita da un fulmine. Annuii, sollevata, e finalmente ci stringemmo forte, dopo tanti anni di lontananza. Più di me lei non la smetteva più di piangere, Kiyoko ne fu sollevata e ci lasciò da sole, evidentemente per riferire il buon esito dell’incontro alla okasan, per poi tornare più tardi con una domestica che risistemasse la camera che mai e poi mai mia sorella volle lasciare. La okasan aveva inizialmente pensato di lasciarci insieme ma altrove, sarebbe stato meglio per Miyuki, ma mia sorella non volle sentir ragioni e lei stabilì che in fondo era un capriccio di poco conto, che non avrebbe danneggiato nessuno. Ma probabilmente si era sbagliata: non so quanto fu questo ad influire negativamente su Miyuki, comunque in realtà quella che era sembrata una miracolosa e totale guarigione non si rivelò affatto tale. Mia sorella aveva ripreso a prendersi cura di sé, ma il minimo indispensabile, ed anche se in mia compagnia mangiava un po’ di più si era limitata a questo. Io, nonostante non avessi ancora completato il mio periodo da shikomi, avrei dovuto cominciare a frequentare la scuola, ed anche lei avrebbe dovuto riprendere, ma le cose non andarono affatto come pianificato. Nell’okiya era quasi diventata la mia ombra, quasi come se avesse temuto di perdere anche me dopo aver perso Aiko, e la mattina di quello che avrebbe dovuto essere il mio primo giorno di scuola ed anche il giorno del suo ritorno non appena varcammo la soglia le prese un attacco di panico, tornò velocemente dentro e non solo non si riuscì a convincerla ad uscire, ma trascinò dentro anche me. 
  A quel punto anche la okasan, per quanto generosa, si arrese: Miyuki aveva sempre vissuto nell’ombra di Aiko, chissà, forse aveva sbagliato lei a lasciare che restassero sempre vicine, mi confidò di temere, anni dopo. Questo infatti aveva fatto sì che lei si stesse adattando a quella nuova vita soltanto perché la viveva accanto a lei, a cui era sempre stata legatissima e che era anche rimasta l’ultimo legame con la sua vita al villaggio, con la nostra famiglia. Insomma, quel giorno la okasan concluse che Miyuki non avrebbe mai potuto essere una geisha. Davvero non avrebbe mai voluto arrivare a tanto, ma bisognava accettare la realtà. Ed accettare la realtà voleva dire anche accettare che mia sorella avrebbe dovuto saldare il suo debito in altro modo… Solo anni dopo riuscii a comprendere perché Kiyoko era impallidita a quelle parole: non necessariamente una giovane comprata da un’okiya prima o poi diventa una geisha, potrebbe anche non dimostrarne mai le capacità, i requisiti, per incapacità o per altro. Ed in quel caso il debito maturato con le spese fatte dalla okasan per nutrirla, vestirla ed istruirla viene appunto saldato in un altro modo, che poi possono essere due modi diversi, due alternative…
   Tempo prima, venni a sapere, Miyuki era stata notata dalla signora Shiori, la proprietaria di una casa di piacere non molto lontana dal nostro okiya che, con la schiettezza (tanto esplicita da rasentare la volgarità) che la caratterizzava, aveva osservato che mia sorella non sarebbe mai diventata così bella da poter avere successo come geisha, ma che d’altra parte era abbastanza graziosa per poter lavorare per lei. La okasan ovviamente aveva rifiutato la sua offerta di cederglierla, sia perché restìa a condannare a tale esistenza una fanciulla sia per l’impegno preso con mio padre e con mio zio; ed anche in questa circostanza non ci ripensò, nonostante la signora Shiori, venuta a sapere chissà come della terribile situazione di Miyuki, era tornata come un avvoltoio all’okiya ad insistere, dicendo che nella sua casa lei non avrebbe più avuto modo di abbandonarsi alla tristezza. Al che la okasan era rimasta ferma nel suo rifiuto, perciò non restava che l’altra soluzione: Miyuki sarebbe rimasta per sempre una domestica! Niente più kimono di seta per lei, niente ornamenti per capelli, cibi prelibati… Non l’avrebbe abbandonata al destino più atroce, ma non avrebbe nemmeno speso una fortuna per lei, non ne valeva la pena, e, mi spiegò Kiyoko, date le circostanze, la nostra okasan era stata fin troppo generosa.
   Al momento mi ero limitata ad obbedire a mia cugina frenando le mie istintive ed ovvie rimostranze, perché dopotutto io dovevo restare lì e rendere al massimo come geisha, dovevo obbedire sempre alla okasan, rispettare le sue decisioni e per nessun motivo avrei dovuto venire meno agli impegni presi…  Solo col tempo mi resi conto di quanto Kiyoko avesse ragione, quando ebbi modo di uscire più spesso dall’okiya e così sentii spesso parlare delle ragazze della signora Shiori, ciò a cui erano costrette, il modo in cui venivano trattate, seppi quale atroce destino la okasan aveva risparmiato a Miyuki!  La signora Shiori era una donna terribile, anche se era risaputo che lavorare in una casa di piacere era di per sé tutt’altro che piacevole, essere presa alle sue dipendenze era il peggio che potesse capitare: inizialmente cercava di adulare le sue ragazze con false moine, ma una volta concluso l’affare iniziava a trattarle proprio come merce, in maniera accettabile finché l’assecondavano passivamente in tutto, ma educate anche con le percosse, ovviamente non in viso, in caso di riluttanza… Le acquistava pagando bene chi gliele vendeva, tanto sapeva come spremerle al massimo. Ed anche se in altre case di piacere la proprietaria avrebbe potuto comportarsi più umanamente il problema restavano ovviamente i clienti, ciò a cui obbligavano le ragazze talvolta quando avevano più o meno l’età di Aiko e ciò che avrebbero dovuto sopportare ogni giorno per tanti anni finché non fossero ormai anziane e sfiorite!
  Comunque almeno una cosa era certa, non avrei perso un’altra sorella, sarebbe rimasta con me, anche se come sguattera dell’okiya, ed ora che era diventata così fragile io l’avrei protetta ad ogni costo. Lei aveva provato a fare la sua parte per sostenere la nostra famiglia, ora toccava a me. Ovviamente ora che era una semplice sguattera Miyuki non sarebbe rimasta in camera con me, non avrebbe avuto i miei stessi privilegi, ma già solo l’avermi ritrovata l’aveva aiutata a rialzarsi, e con il tempo sarebbe stata ancora meglio. E solo impegnandomi a diventare geisha avrei potuto continuare ad aiutare anche lei. Anche se in quel momento mi stavo semplicemente sforzando con tutta me stessa per non urlarle il mio disprezzo, avevo seguito il consiglio di Kiyoko ed avevo ringraziato la okasan per la sua decisione sulla sorte di Miyuki,  dopo di che le avevo anche ribadito la mia determinazione a non deludere le sue grandi aspettative nei miei confronti. Sarei andata a scuola, avrei studiato tantissimo ed imparato tutto ciò che sarebbe stato necessario per diventare una geisha perfetta, avrei dato soddisfazione a lei e ripagato la mia famiglia.
   La okasan aveva certamente intuito i miei veri sentimenti, ma comprendeva il mio stato d’animo e mi rispose che lo sapeva già, sarebbe andata proprio così, aveva sentito fin da subito grandi aspettative e fiducia nei miei confronti e conoscendomi aveva soltanto rafforzato le sue convinzioni: “Certo che sarai una geisha perfetta” mi disse a quattr’occhi, quando né Kiyoko né nessun’altra della casa potesse ascoltare le sue parole “Anzi, tu hai tutte le carte in regola per poter diventare un giorno la geisha migliore del nostro okiya”.  


Note:
Shikomi=
  nel primissimo periodo dell’apprendistato di una futura geisha le ragazzine erano shikomi, ovvero domestiche, affinché il duro lavoro ne forgiasse il carattere. Alla più piccola shikomi spettava anche il compito di attendere che tutte le geishe fossero tornate dai loro appuntamenti, dovendo talvolta restare sveglie fino alle due o alle tre di notte. Durante questo periodo di apprendistato, la shikomi poteva cominciare, se la oka-san lo riteneva opportuno, a frequentare le classi della scuola per geisha dell'hamamachi. Qui l'apprendista cominciava ad imparare le abilità di cui, diventata geisha, sarebbe dovuta essere maestra: suonare lo shamisen lo shakuhachi (un flauto di bambù), o le percussioni, cantare le canzoni tipiche, eseguire la danza tradizionale, l'adeguata maniera di servire il tè e le bevande alcoliche, come il sake, come creare composizioni floreali e la calligrafia, oltre che imparare nozioni di poesia e di letteratura ed intrattenere i clienti nei ryotei.

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Capitolo 11
*** Capitolo 11 ***


   Mantenni la mia parola, da quel giorno mi dedicai anima e corpo al mio apprendistato. Ogni mattina arrivavo puntuale a scuola, dove studiavo canto, danza, conversazione, imparavo la cerimonia del tè e tutto ciò che sarebbe servito per la mia attività di geisha. Studiavo con il massimo impegno, così  le mie insegnanti ebbero modo di constatare i miei rapidi e costanti progressi ed anche la okasan era orgogliosa.
   Superai abbastanza facilmente l’esame di danza, così fui finalmente esonerata dalle faccende domestiche e fui promossa al grado di miranai; fui così affidata ad una sorella maggiore, ovvero una geisha dell’okiya che avrebbe dovuto guidarmi nella vita di tutti i giorni, ed assistermi nelle mie prime esperienze lavorative fino al mio debutto ufficiale: io ovviamente avevo tanto sperato che fosse Kiyoko, ma lei era una geisha ancora troppo giovane ed inesperta, perciò non era ancora adatta a svolgere quel delicato compito. Fui invece affidata ad una geisha più anziana e quindi di notevole esperienza, Kikyo, che fra l’altro aveva già istruito Aiko.  Avendo superato i 30 anni Kikyo si poteva considerare alquanto “vecchia” per essere una geisha, ma era ancora assai piacente oltre che raffinata, ed era assai richiesta dai clienti.  Forse anche per via dell’età non era allegra quanto Kiyoko, al contrario era estremamente seria e pure severa: le altre apprendiste che si trovavano nell’okiya da più tempo di me e quindi la conoscevano, l’avevano ribattezzata “oni-san”, la signora demone, così potrete facilmente immaginare la mia paura quando la okasan mi fece chiamare nella sua stanza per annunciarmi chi sarebbe stata la mia sorella maggiore e vi trovai proprio lei! Ciò nonostante mi sforzai di contenere le mie emozioni e mi inchinai a lei per dimostrarle tutto il mio rispetto e scambiare con lei i convenevoli di rito, anche se il mio cuore batteva tanto forte che pareva stesse per saltarmi in gola.
  La okasan mi rassicurò, mi disse che sarei stata in ottime mani e che Kikyo era stata molto brava con mia sorella, dopo di che ci congedò e Kikyo mi chiese di seguirla nella sua stanza affinché potessimo parlare. Chiusi i fusuma dietro di me, lei si accomodò sui tatami ed io stavo per fare altrettanto, quando mi fermò.
  “Prima di sederti, Tsukiko, ripeti l’inchino che mi hai fatto prima in camera della okasan, per cortesia.”
   La guardai un po’ perplessa, ma mi sentii subito raggelare dal suo sguardo di chi non ammetteva repliche ed obbedii, aspettando poi che lei mi dicesse che potevo alzarmi.
  “Molto bene” mi rispose “Non farai mai più una cosa del genere, non in mia presenza e non in presenza dei nostri clienti, mi sono spiegata?”
  Si alzò, ed io chiusi istintivamente gli occhi, temendo che volesse picchiarmi, dato che una mia compagna di scuola proveniente da un altro okiya mi aveva raccontato che a volte le sorelle maggiori lo facevano alle loro apprendiste per educarle e mantenere meglio la disciplina. Invece lei mi sollevò un po’ il viso ed il busto, con fermezza ma non certo con violenza.
  “Ecco, così è sufficiente: tu diventerai una geisha, non una serva! Ed un’altra cosa, non devi abbassarti di scatto come se volessi gettarti a terra, ma devi piegarti piano, con grazia”
  Sollevata, istintivamente la guardai, mentre lei sorrise impercettibilmente, o almeno così mi sembrò, forse sbagliavo, perché dopo un attimo rividi quello sguardo severo.
 “Ascoltami attentamente, Tsukiko” riprese, invitandomi finalmente a sedermi “come prima cosa è importante che tu comprenda cosa significhi essere una geisha! E dovrai assolvere sì ai tuoi doveri, hai obblighi verso i clienti e verso l’okiya, ma mai e poi mai dovrai umiliarti davanti a nessuno! Non sei più una contadina e non sarai una prostituta, sarai adorata dagli uomini ed invidiata da molte donne, non dovrai certo suscitare la pena nel prossimo; ed anche se avrai timore, soggezione di qualcuno, non dovrai mai darlo a vedere, non dovrai perdere per questo la tua dignità! Sicuramente ciò che ti dico ti sembrerà quasi del tutto incomprensibile, ma col tempo capirai ed imparerai, se saprai essere diligente... Purtroppo, come ti ha già detto la okasan, tu sei arrivata tardi nel nostro okiya, molte ragazze iniziano il loro apprendistato come aspiranti geishe quando sono anche molto più giovani di te, ma io sono convinta che lavorando sodo e con costanza ce la farai: la okasan ha fiducia in te ed anche io, perciò non deludermi! Non sarò tenera con te, non ti risparmierò nulla, ma ti assicuro che i tuoi sforzi saranno ampiamente ripagati a tempo debito.”
“Io… non vi deluderò, onee-san!”
   Ripetei l’inchino esattamente come Kikyo-san mi aveva detto di fare, lei annuii soddisfatta e mi lasciò libera di tornare in camera mia, dove Miyuki, che aveva sbrigato le sue ormai abituali faccende domestiche, mi aspettava perché le raccontassi tutto. Mi sentii di rassicurarla: da come mi aveva trattata, dalla franchezza con cui mi aveva parlato, la famigerata “Oni-san” non sembrava affatto così cattiva come le altre ragazze mi avevano raccontato.
  Non essendo più una shikomi e non avevo più molte occasioni di trascorrere molto tempo con mia sorella, lavorando con lei, ed anche il tempo libero concessomi alla fine della giornata per conversare un po’ con lei diventava sempre di meno. Comunque per fortuna Miyuki si era adattata alla sua nuova vita da sguattera. Certo, era stata obbligata a spostarsi in un’altra stanza, ben più misera, nell’area riservata esclusivamente alla servitù, e doveva lavorare per parecchie ore, ma da quando aveva acquisito quella nuova mansione stava sempre meglio: le sue mani si erano sciupate e riempite di calli, ma il colorito era tornato sulle sue guance ed il suo umore era decisamente migliorato, grazie al fatto che le altre domestiche erano gentili con lei ed anche grazie al sostegno che io continuavo a darle, anche se per poco tempo, ogni giorno. Soprattutto nei primi tempi per lei era molto importante che io la rendessi partecipe di ciò che mi accadeva, e questo soltanto per mantenere un legame con me: non rimpiangeva affatto le compagne di scuola, perché lei si limitava a sopportare di buon grado quell’ambiente che sentiva assai poco congeniale solo perché Aiko era accanto a lei. E tanto meno rimpiangeva la sua vita all’okiya prima del mio arrivo, le lezioni e le arti da imparare, dato che aveva iniziato a studiare lo  shamisen e lo shakuhachi, ma senza eccessivo entusiasmo: lo faceva più per Aiko che, al contrario di lei entusiasta all’idea di diventare una geisha, la incoraggiava, dicendole che quando lei avrebbe cantato e danzato sarebbe stato bello esibirsi insieme! Infatti per Miyuki contava solo la nostra famiglia, ciò da sempre non era e non sarebbe mai cambiato, perciò avere accanto me le aveva subito dato nuova serenità. Tale da sopportare anche che potessimo stare insieme per meno tempo, non tanto a causa delle sue tante mansioni che avrebbe dovuto svolgere senza di me, quanto per le mie numerose lezioni ed esercitazioni a scuola, e soprattutto per via del tempo trascorso con Kikyo-san, che come previsto era un’insegnante severa, anche se competente e giusta. Fortunatamente Kikyo-san non mi picchiò mai, ma non mi risparmiava rimproveri e castighi se li riteneva necessari, come d’altra parte era ben lieta di lodarmi quando soddisfacevo a pieno le sue aspettative. Le mie giornate erano diventate parecchio faticose, e se a volte non riuscivo ad incontrare Miyuki perché finivo troppo tardi i miei compiti, a volte era perché subito dopo cena mi venivano meno le forze necessarie per cercarla e crollavo addormentata. Miyuki  però aveva compreso la situazione e mi incoraggiava come poteva.
  Ogni tanto lo zio veniva in città ed in quelle occasioni passava per l’okiya, così teneva me e mia sorella aggiornate su ciò che accadeva alla mia famiglia ed io ebbi occasione anche di affidargli delle mie lettere, avendo finalmente imparato a scrivere bene.
   Un giorno, quando ormai non mancava più tanto tempo al mio debutto come maiko, potei anche rivedere mio padre, anche se fu una visita breve. Finalmente, dopo tanto tempo dalla mia partenza, e venni a conoscenza di una bella notizia: Yuriko si era fidanzata con Nobuyuki, ed in primavera si sarebbero sposati. Anche se lo avevo conosciuto poco sapevo che Nobuyuki era un ragazzo buono ed onesto, come pure sapevo che i suoi genitori erano bravissime persone, lo avevano dimostrato ampiamente con il loro comportamento nei confronti di mia sorella dopo la morte di Aiko. Dunque mi sentii immensamente felice per Yuriko, che finalmente si era ripresa dalla sua terribile delusione d’amore e si preparava a godersi finalmente un po’ di serenità, ma sentii anche una fitta al cuore, che mi indusse a chiedergli notizie di qualcun altro: mio padre mi disse che Koji aveva iniziato a frequentare l’accademia militare un mese dopo la mia partenza e che poi era tornato brevemente al villaggio solo per pochi giorni l’anno dopo per una breve licenza, ma l’anno dopo non si era visto… Per fortuna non colse il mio turbamento, probabilmente avevo imparato bene da Kikyo-san a nascondere le emozioni: “Ricorda, Tsukiko, una geisha mentre è al lavoro non può lasciarsi andare alle sue vere emozioni, è come se indossasse sempre una maschera, una maschera di un’artista che mostrerà sempre al cliente soltanto ciò che egli vuole vedere… e ciò che vuole vedere, le sue necessità, sarai tu a doverlo intuire, di volta in volta… Mai, per nessun motivo, se un cliente ha bisogno di svago e tu sei nervosa, triste o arrabbiata col mondo intero, dovrai farglielo capire, e turbarlo con questi tuoi sentimenti negativi!”
Sì, avevo imparato bene, troppo bene, considerando che non ero in compagnia di un cliente, ma stavo parlando con mio padre… Almeno con lui avrei potuto sfogarmi, gridargli quanto mi mancassero lui, la nostra famiglia ed il villaggio, ma era giusto che non lo facessi per non accentuare ulteriormente la già immensa pena che la nostra separazione forzata gli costava, e perciò lasciai perdere: in fondo all’okiya avevo anche avuto esperienze positive e mi concentrai su quelle. Ma quando lui mi congedò per andare a cercare Miyuki, allora di nuovo avvertii un groppo alla gola, un senso di soffocamento che non riuscii più a sopprimere, e nonostante il freddo corsi fuori in giardino, così scalza com’ero, e sentii la neve, che in quell’ultimo scorcio d’inverno ancora ricopriva tutto con un sottile manto, gelarmi i piedi. Al che mi riapparve l’immagine di Koji… Koji che mi teneva fra le braccia e mi sorrideva dolcemente sollevato al mio risveglio in quell’indimenticabile notte ormai così lontana, la sua risata spontanea nelle poche volte che c’eravamo incontrati quando vivevamo ancora spensierati al villaggio, il nostro giuramento alla stazione… Quanto avrei voluto rivederlo, o almeno sapere cosa stava facendo, come se la cavava all’accademia, e se anche lui ogni tanto pensava a me o se invece aveva completamente dimenticato quella ragazzina che in poco tempo gli si era tanto affezionata e che ormai stava diventando una donna…
“Prima o poi ci rivedremo, anche perché sono certo che diventerai una bellissima e bravissima geisha e verrò sicuramente ad ammirarti!” quelle sue parole mi risuonavano spesso nella mente, tanto che a volte, quando bussavano alla porta dell’okiya, io nutrivo l’assurda speranza di ritrovarmelo improvvisamente davanti, bello come sempre (anzi no, sicuramente in tutto quel tempo era diventato ancora più bello di quanto lo ricordassi!), speranza che era diventata maggiore quando mi fu permesso di assistere agli ozashiki e Kikyo-san mi chiese di accompagnarla ad alcuni suoi appuntamenti.
  Strinsi al viso la sciarpa che Koji mi aveva regalato, com’ero ormai solita fare quando mi sentivo in quel modo, vi asciugai le mie silenziose lacrime, e come sempre il suo calore mi diede immediato sollievo.

 
  Note:
  Miranai= Una volta che la ragazza era diventata abbastanza competente nelle arti delle geisha, e aveva superato un esame finale di danza, poteva essere promossa al secondo grado dell'apprendistato: "minarai". Le minarai erano sollevate dai loro incarichi domestici, poiché questo stadio di apprendimento era fondato sull'esperienza diretta. Costoro per la prima volta, aiutate dalle sorelle più anziane, imparavano le complesse tradizioni che comprendono la scelta e il metodo di indossare il kimono e l'intrattenimento dei clienti. Le minarai, quindi, assistevano agli ozashiki (banchetti nei quali le geisha intrattevano gli ospiti) senza però partecipare attivamente; i loro kimono, infatti, ancor più elaborati di quelle delle maiko, parlavano per loro. Le minarai potevano essere invitate alle feste, ma spesso vi partecipavano come ospiti non invitate, anche se gradite, nelle occasioni nelle quali la loro "onee-san" (onee-san significa "sorella maggiore", ed è l'istruttrice delle minarai) era chiamata. Abilità come la conversazione e il giocare, non venivano insegnate a scuola, ma erano apprese dalle minarai in questo periodo, attraverso la pratica. Questo stadio durava, di solito, all'incirca un mese.
   
Shakuhachi= tipo di flauto giapponese
 
Ozashiki= banchetti nei quali le geishe intrattevano gli ospiti

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Capitolo 12
*** Capitolo 12 ***


   Passò ancora il tempo e giunse finalmente per me il momento di debuttare come maiko. Un po’ tardi rispetto alle mie compagne di corsi, ma era inevitabile, dato che ero stata reclutata alquanto tardi rispetto a loro, ed infatti la okasan non ne fece un problema, data la sua abitudine di non curarsi più di tanto dell’età delle sue apprendiste quanto della loro convinzione di diventare geishe e la piena accettazione di tutto ciò che tale professione avrebbe comportato.  Soprattutto grazie a Kikyo-san avevo imparato ben presto che essere geisha non significava soltanto mangiare riso bollito tutti i giorni ed indossare splendidi kimono ed accessori graziosi, ma comportava tanti sacrifici di cui nessun cliente avrebbe mai dovuto sospettare l’esistenza, come dormire con la testa sostenuta dai takamakura per non spettinarsi i capelli, continuare a studiare canto, danza, conversazione, poesia e calligrafia per ore ed ore ogni giorno, camminare con gli okobo, per non parlare del mizuage, quella cosa di cui fino a poco tempo fa non sapevo l’esistenza e che ormai sentivo nominare  sempre più spesso nei discorsi delle mie compagne ed anche da Kikyo-san…  Era proprio così importante quella cosa che avrebbe coinvolto un uomo che nemmeno conoscevo, tanto da essere un requisito essenziale per diventare una geisha? Le mancate risposte di Kikyo-san (perché ero troppo giovane, diceva, me ne avrebbe parlato al momento opportuno), gli sguardi imbarazzati di quelle ragazze che per un motivo che non avevano voluto spiegarmi da un giorno all’altro avevano sostituito l’acconciatura wareshinobu con la ofuku, entrambe le cose contribuivano ad incrementare i miei timori in proposito, proprio come gli sguardi cattivi che mi lanciavano apposta quelle ragazze, per fortuna poche, che non nascondevano un’istintiva antipatia nei miei confronti. Ma un’unica cosa l’avevo capita, che sì, era qualcosa di inevitabile ed avrei dovuto farmene una ragione: non potevo farci niente, anche quello sarebbe stato uno dei miei doveri, verso la okasan che aveva puntato tanto su di me e mi aveva dato fiducia, verso Kikyo-san, che mi insegnava tante cose dedicandomi tutto il tempo che le era possibile dedicarmi, e  verso la mia famiglia!
  Così decisi che finché Kikyo-san non mi avesse detto che il momento era arrivato avrei evitato di pensarci, e quando mio padre insieme allo zio venne a trovarmi in occasione del mio debutto sfoggiai per loro il più radioso dei miei sorrisi ed entrambi mi confessarono che quando mi avevano vista avevano stentato a riconoscere in quella elegante maiko la ragazzina timida e spaurita che avevano accompagnato all’okiya tempo prima.
  Dal suo racconto e da una lettera del mio caro Keita, che lasciava trasparire una maggiore serenità anche da parte sua, seppi che Yuriko era ormai una sposa felice della famiglia Kimura e che presto mi avrebbe resa zia, che la mamma stava molto meglio, tanto che aveva ripreso a lavorare come prima, e che Toshiro e Sanzo crescevano forti e sani ed avevano iniziato a seguire nostro padre nei campi, anche se per ora per piccoli lavoretti, in cui comunque dimostravano molta buona volontà. Mancavo alla mia famiglia quanto loro mancavano a me, ma erano anche felici ed orgogliosi per ciò che ero riuscita a diventare, e giammai avrei turbato le loro aspettative, tutto quanto sarebbe stato necessario per la mia carriera lo avrei fatto e bene.
 
  Finché il mio destino si compì: un giorno Kikyo-san entrò nella mia stanza e mi annunciò che l’affare era stato concluso, il mio mizuage era stato acquistato dal signor Hasegawa, un importante funzionario che era un cliente affezionato dell’okiya da tanti anni e che aveva avuto lo stesso ruolo per tante altre geishe ed all’epoca persino per lei; dopo di che finalmente mi diede una spiegazione di cosa ciò significasse, anche se in realtà la sua fu una spiegazione alquanto sommaria, perché, mi disse, non c’era bisogno che conoscessi più dello stretto indispensabile, dato che avrei dovuto lasciar fare tutto a lui e basta.
  Ancora ricordo quella terribile sera, quello sfarzoso banchetto, durante il quale un ostinato nodo alla gola mi impedì di mandar giù più di due o tre bocconi, e soprattutto quella cerimonia, che tanto faceva pensare ad un matrimonio… Per la okasan e per tutte le altre dell’okiya sembrava una vera e propria festa in mio onore e come tale mi avevano prospettato l’evento, ma l’unica a non gioirne ero proprio io: le geishe e le altre maiko che pensavano solo a divertirsi, le domestiche che avevo sorpreso a sussurrarsi ridacchiando frasi all’orecchio che sicuramente erano pettegolezzi che io non avrei dovuto sentire, quegli sguardi dei presenti su di me, sguardi che sembravano del tutto incuranti del terrore che solo a stento riuscivo a nascondere soffocando le lacrime e la disperazione...
   Compii meccanicamente tutti i gesti che mi era stato raccomandato di compiere e ripetei perfettamente tutte le frasi di rito, ma quanto avrei voluto urlare, ribellarmi, fuggire veloce verso il mio villaggio e non voltarmi più indietro, lasciandomi tutto alle spalle! Mai quanto quella sera avrei voluto prendere il primo treno oppure sarei stata anche disposta a correre lungo i binari per tutta la notte, pur di sottrarmi in qualsiasi modo a ciò che ritenevo così insensato!!! Ma ovviamente non potevo, Kikyo-san si era raccomandata bene su come dovessi comportarmi anche in privato, sull’atteggiamento che avrei dovuto tenere con il signor Hasegawa, spiegandomi anche ciò che sarebbe stato giusto dirgli e cosa no: era davvero fiera di me, dato che l’offerta era stata molto alta, più alta di quanto lei e la okasan si sarebbero mai aspettate e persino più alta delle offerte fatte per loro, ma ora stava a me non rovinare tutto, non contrariando in alcun modo il signor Hasegawa che era stato tanto generoso! Generoso? In che cosa era stato generoso? Comprandomi esattamente come si fa con un oggetto per trastullarsi a suo piacimento col mio corpo? A quanto pare era proprio così, a giudicare dagli sguardi soddisfatti che loro due si lanciavano, convinte che io non lo notassi… Ma niente di strano: non ero più una bambina ed ormai avevo capito da tempo che per loro altro non ero che un investimento come tanti, un investimento di cui ora era tempo di cogliere i frutti, esattamente come una somma di denaro data in prestito e che sarebbe stata loro finalmente restituita con i dovuti interessi maturati negli anni; ed avevo perciò anche capito che la gentilezza con cui ero stata accolta e trattata era in buona parte artificiosa, esattamente come la loro persistente perfezione che ormai nascondeva una bellezza sfiorita a causa del tempo.
   D’altra parte da sempre funzionava esattamente così fra geisha ed okiya, perciò nemmeno io avrei dovuto fare eccezione: loro avevano nutrito, istruito e vestito me per tanti anni, avevano salvato Miyuki dal destino ancora più crudele a cui sarebbe andata incontro se fosse stata accolta nella casa della signora Shiori ed avevano dato sollievo economico  alla mia famiglia; ora io avrei dovuto semplicemente ripagare quel nostro debito nell’unico modo che mi sarebbe stato possibile. Ed in fondo osservare Kiyoko era in parte confortante: nel complesso lei pareva abbastanza serena, perciò lo strazio non sarebbe stato certo continuo!
   “Domani sarà tutto finito” ripetei forte fra me quando alla fine mi lasciarono sola in quella stanza con quell’uomo, che avrebbe potuto essere mio nonno e che avevo visto solo pochissime volte, scambiandoci sì e no una decina di parole in tutto.
   “Devo resistere solo per qualche ora, solo per qualche ora!” come avrei voluto non sentire quelle mani addosso, quel corpo sudaticcio ed ormai flaccido per l’età a così stretto contatto col mio, il corpo di un uomo che  nelle altre occasioni era formalmente gentile anche con le maiko più inesperte e persino con le miranai, ma che ora stava semplicemente soddisfacendo i suoi più bassi istinti, non mostrando per me il minimo riguardo e nemmeno compassione! Un oggetto è insensibile al tatto, al dolore, non può provare repulsione: allora perché non potevo diventare insensibile anch’io? Schiacciata da quel peso così opprimente serrai gli occhi, strinsi i denti e fuggii via almeno col pensiero, che più velocemente che mai volò verso Koji-san.   
  “Solo per qualche ora, solo per qualche ora…” riecheggiò per tutto il tempo come una nenia nella mia testa.
 
    
 
 Note:
Takamakura – appositi sostegni che permettono alla testa di rimanere sollevata dal futon e di mantenere intatta la capigliatura delle maìko.
 
Okobo – anche detti pokkuri, sono un particolare tipo di geta indossati dalle maiko. Gli okobo sono realizzati con un solo blocco di legno scolpito e hanno un tacco molto alto, simile a una zeppa, scavato nella parte anteriore del piede. La parte in legno può essere lasciata al naturale o laccata di nero. In particolare, la laccatura nera viene usata d’estate, per evitare che il sudore macchi il legno.
 
Wareshinobu – E’ la prima acconciatura indossata da una maìko. Viene usata per il suo debutto e per i successivi 3 anni di apprendistato.

Ofuku – seconda acconciatura indossata dalle maìko. Un tempo la s’indossava dopo il mizuage o dopo aver ottenuto il suo danna, intorno ai 13-15 anni. Al giorno d’oggi, in seguito al cambiamento di alcune leggi, la s’indossa intorno ai 18 anni o dopo 3 anni di formazione dopo il debutto.

Mizuage ( 水揚げ ricevere o dare le acque): era una cerimonia che rappresentava una tappa fondamentale nella vita di una geisha fino al 1958: determinava il passaggio da ragazza a donna vera e propria ed era un requisito indispensabile per divenire una geisha a tutti gli effetti. Il mizuage era una tradizione che prevedeva l’acquisto della verginità di un'apprendista geisha (maiko nel quartiere di Gion, a Kyoto). Per questo si offrivano somme di denaro anche considerevoli, che trasformavano questo processo in una vera e propria asta.

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Capitolo 13
*** Capitolo 13 ***


   L’indomani mi risvegliai da sola nel futon. Hasegawa-san era andato via, il che mi diede un istantaneo sollievo, dato che inizialmente credetti di aver sognato, che fosse stato solo un incubo; tuttavia impiegai ben poco per rendermi conto che invece era tutto vero, quella terribile esperienza l’avevo vissuta sul serio.
   Guardandomi intorno nella mia stanza scorsi Miyuki, che stava sonnecchiando seduta presso la soglia e che si destò subito appena la chiamai: come era avvenuto qualche altra volta in cui ero stata poco bene da quando avevo iniziato la mia nuova vita lontana dal villaggio, si era preoccupata per me ed evidentemente dopo che Hasegawa-san aveva lasciato l’okiya per tornarsene a casa sua doveva aver chiesto alla okasan il permesso di venire a controllare come stavo e vegliare il mio sonno. Accertatasi che stessi bene mi aiutò a lavarmi e vestirmi per poi condurmi nella stanza di Kikyo-san, come le era stato ordinato.
   Trovai la mia onee-san particolarmente di buon umore, come difficilmente le capitava di mattina, ed accanto a lei c’era anche la okasan.  Appena Miyuki bussò per annunciarmi, Kikyo-san la invitò ad entrare con un tono dolce che mai le avevo sentito usare, mentre la okasan si alzò e venne incontro per abbracciarmi.
   “Sono davvero orgogliosa di te, ieri sera hai reso onore ai tuoi genitori ed al nostro okiya. Ma da oggi in poi l’okiya sarà la tua nuova famiglia, di nome oltre che di fatto!” mi annunciò la okasan, al che istintivamente guardai verso Kikyo-san: cosa intendeva dire la okasan col fatto che l’okiya sarebbe stato la mia nuova famiglia? La mia famiglia sarebbero stati  sempre i miei genitori, i miei fratelli, non avrei potuto certo rinnegarli per entrare in un’altra famiglia!
   Ed invece praticamente era proprio così, perché Kikyo mi annunciò ciò che qualunque apprendista si aspetta di sentirsi dire prima o poi, ovvero la scelta del mio nuovo nome: dunque avrei dovuto dimenticare, seppellire la piccola Tsukiko Yamada, per dare vita ad una persona completamente diversa, con una nuova identità.
   “D’ora in poi tu sarai Kichiji Hananoya: proprio così mia cara, è giunto il momento che tutta la città ti conosca!” proseguì Kikyo-san con una nota di commozione nella voce.
   Non riuscii a spiccicare una sola parola per risponderle, eccetto un timido ringraziamento.
   Dopo la okasan fu la stessa Kikyo-san a stringermi a sé, dicendomi che era sempre stata certa di poter contare su di me, che le dispiaceva molto di essere sempre stata molto severa nell’addestrarmi, ma che ne era valsa la pena, dato che non l’avevo delusa. Entrambe non nascondevano in alcun modo la loro emozione, ma io non me ne sentivo partecipe, ero troppo imbambolata per la sorpresa, ma non solo: sì, ero fiera di me stessa, di ciò che ero riuscita a realizzare, ma ero troppo angustiata per gioirne pienamente, angustiata dal pensiero di quella vivace bambina che fino a qualche anno prima correva spensierata nei prati nel suo villaggio, riscaldata anche nelle più gelide notti d’inverno dall’affetto dei suoi cari, ma che ormai non esisteva più…
   Dopo aver concordato con Kikyo-san e con la okasan i dettagli per i prossimi cerimoniali a cui avrei dovuto partecipare uscii dalla stanza con Miyuki, che avrebbe dovuto aiutarmi ad acconciare i capelli in maniera conforme al mio nuovo stato. Che appunto avrebbe comportato anche il fatto che lei non sarebbe più stata mia sorella, ma solo una semplice sguattera come tante, ma ovviamente non avrei mai potuto accettare quella disposizione: Miyuki era l’unica sorella che avrei potuto avere vicino nonostante tutto e sarebbe sempre rimasta tale, qualunque cosa fosse successa. Glielo ribadii appena fummo rimaste sole nella mia stanza, come pure ribadii che non avrei mai dimenticato chi ero a mio padre, quando venne a trovarmi con mio zio circa un mese dopo. Ma ovviamente sarebbe stato così solo in privato, con mia sorella nella mia stanza e nelle poche lettere che riuscivo a mandare a casa. Per tutti gli altri da quel momento in poi sarei stata per sempre Kichiji, ed anche Kiyoko aveva iniziato a tenere un atteggiamento un po’ più distaccato nei miei confronti, dato che ormai non ero più la cuginetta su cui vegliare ma ero cresciuta ed ero diventata a tutti gli effetti una sua collega di lavoro, anzi, una rivale. E poi da quando aveva un danna:, Kiyoko era un po’ più distaccata con tutti, perché spesso doveva tenersi disponibile per lui, trascurando la vita dell’okiya e gli altri clienti. Un’altra cosa che avrei capito col tempo, come diceva Kikyo-san, anche se stavolta era diverso, perché mia cugina sembrava felice di poter compiacere quell’uomo, che non solo ricco com’era la viziava particolarmente, ma le piaceva sul serio, al punto da indurla a parlarne spesso con noi altre e persino a sognare che lui riscattasse completamente il suo debito e la portasse via con sé. Cosa praticamente impossibile in realtà, perché un danna per quanto possa essere devoto alla sua geisha generalmente ha una sua vita, moglie e figli, ma come diceva lei, sognare è una delle poche cose che non costano niente. Perciò chissà… magari se Koji si fosse deciso a tornare da me mantenendo la sua promessa avrebbe anche potuto diventare lui il mio danna! Mi sentivo avvampare al solo pensiero, anche se era ovvio che non tutte le geishe avrebbero potuto godere della fortuna di Kiyoko, anzi, la maggior parte di loro si ritrovava a compiacere per anni uomini vecchi, o anche grassi o comunque assai poco avvenenti come il signor Hasegawa, e fra le geishe del quartiere si vociferava, cosa alquanto plausibile, che lei aveva ottenuto un danna ancora piuttosto giovane, alquanto avvenente e di suo gusto non per buona sorte, ma semplicemente per la profonda amicizia che c’era da tanto tempo fra la nostra okasan e mio zio, ed io sapevo bene che molto probabilmente non avevano torto. Inoltre Koji proveniva dal mio stesso villaggio ed anche se apparteneva alla famiglia che lì era la più benestante era ben lontano dal potersi permettere le esorbitanti spese necessarie per mantenere una geisha, anche perché era molto giovane e la sua carriera, che in futuro sarebbe stata certamente molto brillante, era allora soltanto agli inizi!
   Tuttavia non solo non ne volevo proprio sapere di abbandonare l’idea di rivedere Koji, ma questa idea diventava ogni giorno più forte: non solo quella notte con Hasegawa-san ero riuscita a sopportare la situazione soltanto perché mi ero aggrappata con tutte le mie forze al ricordo di lui e dei pochi momenti trascorsi insieme, ma anche in seguito, mentre lavoravo, chiacchierando con qualche cliente che me lo ricordasse, perché in uniforme o per qualche particolare fisico, mi ritrovavo sempre più spesso a pensare che avrebbe potuto essere lui, che prima o poi avrei potuto davvero incontrarlo in quel modo!
   Finché avvenne davvero, in un giorno qualsiasi del periodo della fioritura dei ciliegi, un giorno che non scorderò mai e che mi scaldò il cuore anche se faceva ancora molto freddo.
   Quella sera mi sentivo particolarmente malinconica, avevo appena letto una lettera di Yuriko, che dopo tanto tempo mi aveva scritto, parlandomi della sua vita finalmente felice, della nostra famiglia e della sua bambina, che più cresceva più somigliava alla nostra povera Aiko, della quale aveva ereditato il nome. Quanto avrei voluto vederla almeno per una volta! Me l’aveva consegnata Miyuki, alla quale la okasan aveva consentito di trascorrere un paio di giorni al villaggio: persino ad una sguattera anche se molto di rado viene concessa una breve vacanza, se chi le offre lavoro è particolarmente generoso, ed infatti lei si era già assentata in precedenza, quando, ricevuta la notizia della nascita della nostra nipotina aveva chiesto ed ottenuto di accompagnare nostro padre e lo zio al villaggio per vederla… Ma d’altra parte, mi avevano spiegato, di una sguattera si può anche fare a meno per un giorno o due se nell’okiya tutte le geishe non hanno obiezioni e c’è sufficiente personale per coprirne l’assenza, mentre ben diverso sarebbe se ad assentarsi fosse una geisha o una maiko, per la quale anche un’assenza di poche ore potrebbero a volte fare molta differenza, potendo far perdere la possibilità di cospicui guadagni! Dunque io non avrei mai potuto andare con Miyuki in occasione di quelle sue brevi visite al villaggio, soprattutto in quel momento in cui la mia carriera era all’apice, stavo per passare ufficialmente al grado di geisha ed ero così oberata di impegni da fare davvero fatica a volte ad onorarli tutti; chissà, forse se ci fossero stati periodi in cui avrei avuto meno impegni prima o poi avrebbero lasciato partire anche me, ma intanto non se ne parlava, avrei dovuto continuare a conoscere le ultime notizie solo attraverso le lettere e le parole degli altri, ed a vedere i volti dei miei cari solo attraverso i miei ricordi e la mia immaginazione!
   Appena ebbi terminato di leggere la lettera l’avevo affidata di nuovo a Miyuki perché la conservasse insieme alle altre lettere della mia famiglia. La mano mi tremava ed avevo poi fatto uno sforzo enorme per non piangere mentre lei mi vestiva e mi truccava per la serata, ma ovviamente, sempre fedele agli insegnamenti di Kikyo-san, mai e poi mai avrei dovuto lasciar trasparire i miei sentimenti con i clienti.
   Così come al solito mi feci coraggio, mi stampai in faccia un bel sorriso e, scusandomi per il mio lieve ritardo, entrai nella stanza, senza minimamente immaginare cosa mi aspettava... La festa era già entrata nel vivo e le geishe avevano già portato il sakè; c’erano molti ufficiali, dato che il motivo per cui erano lì era festeggiare il nuovo generale della loro caserma. Immediatamente mi misi a cercare con lo sguardo qualche cliente che avesse bisogno di qualcosa, che volesse del sakè, qualcosa di buono da mangiare o semplicemente compagnia, e fu così che il mio sguardo ne incrociò un altro: sì, era proprio quello sguardo che più di qualsiasi altro mi era rimasto nel cuore e che avevo continuato a cercare invano per anni!
   “Kichiji, tutto bene?” ero rimasta impietrita al centro della stanza, per pochi attimi che mi erano parsi secoli, e Kiyoko, che stava uscendo per portare via le bottiglie già vuote, lo aveva notato.
   La rassicurai: certo che stavo bene, non avrei potuto sentirmi meglio! Però alle sue insistenze l’assecondai, sarei uscita a prendere una boccata d’aria fresca, forse così gli altri clienti e le altre geishe non si sarebbero accorte  di nulla ed io avrei avuto il tempo di ricominciare a respirare regolarmente, ed ad impedire che il cuore mi saltasse fuori dal petto o che invece si fermasse del tutto. Le tolsi di mano il vassoio con le bottiglie vuote, uscii velocemente dalla stanza dicendo che avrei pensato io a portarne altre e mentalmente  ringraziai accoratamente il cielo per il fatto che il mio fondotinta fosse così spesso, così nessuno avrebbe potuto vedere come mi si erano arrossate le guance…


 
 
Note:
Danna: letteralmente danna significa padrone, ma in relazione con la geisha questo termine significa cliente-marito.
Il danna è colui che si occupa di tutto ciò di cui ha bisogno una geisha, paga le sue spese, acquista i suoi costosissimi kimono, la sommerge di regali e a volte, se è particolarmente generoso, le compra anche un'abitazione, o una o-chaya  (casa da tè); per questo motivo di solito i danna sono persone molto importanti e facoltose.

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Capitolo 14
*** Capitolo 14 ***


  Almeno in apparenza ero riuscita a riacquistare la calma e così tornai nella stanza, portando altre bottiglie di sakè. Non appena le ebbi depositate laddove si potessero prendere all’occorrenza mi guardai di nuovo incontro e la fortuna si dimostrò finalmente dalla mia parte, infatti nessuna delle mie colleghe si trovava in quel momento accanto a lui! E Koji, incontrato nuovamente il mio sguardo mi sorrise e mi fece cenno, come se volesse chiedermi di servirlo in qualche modo, ma col chiaro intento di volermi solo parlare.  Emozionatissima andai da lui senza perdere altro tempo, prima che qualcun’altra potesse precedermi: non era un sogno, era tutto vero: finalmente, dopo tanti anni, lui era lì, di fronte a me! 
   “Sei diventata bellissima, Tsukiko… E ti trovo davvero bene, ne sono felice!”
   “Grazie, anche tu stai benissimo! Ed hai mantenuto la tua promessa…” 
   “Sì, anche se ti ho fatto aspettare un bel po’, scusami!” rise, un po’ imbarazzato “Sai, la vita all’accademia è stata dura, come sarà stata dura per te qui all’okiya, immagino... Ho dovuto impegnarmi molto, anche perché è  tutto più difficile per chi è di umili origini come me! Fra studio ed addestramento ne avevo dalla mattina alla sera ed erano molto severi anche per la corrispondenza e per le licenze, infatti ho rivisto il villaggio solo di recente dopo tanto tempo… Ma alla fine anch’io ce l’ho fatta e sono entrato nell’esercito, così potrò servire il nostro paese, come ho sempre desiderato!” 
   Per tante volte avevo tentato di immaginare come sarebbe stato incontrare di nuovo Koji dopo così tanto tempo, e sempre in modo diverso. Forse anche come di fatto è avvenuto, forse no, ma ormai non importava più. Avevo anche tentato di stabilire cosa dirgli, cosa chiedergli, se farmi raccontare tutto ciò che aveva fatto in quei lunghi anni di lontananza oppure no, perché forse sarebbe stato troppo sfacciato, dato che molto probabilmente ero solo io ad illudermi che la semplice gentilezza nei confronti di colei che doveva considerare ancora una bambina fosse qualcosa di più significativo per lui. Ma ora che il mio grande desiderio di rivederlo si era finalmente avverato avevo dimenticato tutte le idee che mi ero proposta e così mi limitavo ad ascoltarlo quasi in silenzio, come incantata. E lo contemplavo, cercando disperatamente, perché mi avevano spiegato che non stava bene perché mi avrebbe fatto passare per una poco di buono, di non perdermi troppo nella profondità del suo sguardo, concentrandomi invece sul suo sorriso che tanto mi aveva colpita fin da quella notte sotto la neve ormai tanto lontana: era sempre lo stesso, e mi sembrava quasi più bello su quel viso un po’ più magro di quanto ricordassi, forse per la dura vita militare a cui ormai Koji era costretto. Constatai anche quanto le sue spalle, sulle quali quella notte mi aveva trasportata fino a casa e che immediatamente mi avevano trasmesso un gran senso di sicurezza, fossero diventate ancora più larghe e mi chiesi come sarebbe stato essere stretta almeno una volta dalle sue forti braccia… 
  “Lui è il mio migliore amico, Shinobu Ijuin” 
   Quel suo brusco cambiamento di argomento mi fece tempestivamente tornare alla realtà, proprio quando, troppo persa nelle mie sempre più inspiegabili fantasticherie, iniziavo a perdere il filo del suo racconto fino ad allora incentrato sulla sua vita all’accademia e la difficoltà della carriera militare. Subito mi voltai verso il ragazzo che gli sedeva accanto e che prima non avevo assolutamente notato, gli rivolsi un inchino e lo salutai, e lui ricambiò con gentilezza. Generalmente quando i militari, nostri più affezionati clienti, vengono a trovarci in gruppo non è possibile instaurare una tranquilla conversazione con uno solo di loro: sfiancati dai lunghi turni di guardia e dalle loro esercitazioni quotidiane quando arrivano all’okiya  vogliono innanzitutto scaricare tutta la loro tensione e la loro stanchezza, bevendo, scherzando in gruppo e cantando chiassosamente anche durante le nostre esibizioni; in ogni caso nessuno di loro, come nessun cliente del resto, avrebbe mai dovuto in qualunque modo essere trascurato, messo da parte come io avevo appena fatto: se mi avesse visto Kikyo-san, o persino la più permissiva okasan, sarei stata rimproverata per aver trasgredito una delle regole fondamentali di comportamento di una brava geisha, anche perché sarebbe stato lo stesso cliente messo da parte a reclamare, ed i militari erano anche particolarmente inclini a pretendere da chiunque il massimo rispetto! Ma Shinobu non era così, era diverso, e si vedeva che non lo era soltanto per la sua età, di qualche anno più giovane di quella di Koji, ma proprio perché era garbato e paziente di natura. Se n’era rimasto in silenzio, a sorseggiare piano la sua tazza di thè, aspettando semplicemente che fosse Koji a ricordarsi di lui, e non si era mostrato minimamente offeso con me, una geisha che aveva commesso un errore tanto eclatante e grave anche da parte di una semplice maiko. 
  “Sono stata molto scortese, vi prego di perdonarmi, Shinobu-san! E’ che Koji proviene dal mio stesso villaggio, non lo vedevo da tanto tempo e così…” 
  “Chiamami Shinobu” mi rispose lui “Koji mi ha parlato molto di te, del coraggio con cui hai deciso di sacrificarti per aiutare la tua famiglia. Ed anche lui è una persona straordinaria, non so come avrei fatto senza il suo aiuto: come puoi capire fin troppo bene non sono giapponese purosangue, e questo non depone a mio favore né con i nostri superiori né con i compagni, ma fin dal giorno in cui sono arrivato in accademia lui mi ha sempre difeso, e grazie a ciò non ho mai avuto grossi problemi con nessuno!”
  Effettivamente il fatto che non l’avessi notato era ancora più incredibile per via dell’ aspetto di Shinobu, che non sembrava certo un giapponese: aveva lineamenti diversi, più delicati, una carnagione più chiara, tendenzialmente rosea. E soprattutto aveva quei capelli biondi, che spiccavano maggiormente in quanto lui non portava la tipica pettinatura militare, ma a dispetto dei regolamenti li teneva un po’ più lunghi, così che arrivavano quasi a sfiorargli le spalle.
  “Una volta ho provato a tagliarli come volevano i superiori durante una vacanza, ma mi sono visto talmente orrendo allo specchio che decisi subito di non uscire più dalla mia stanza finché non fossero ricresciuti, e perciò sono arrivato a ritardare il mio rientro in accademia fingendomi malato, non volevo assolutamente che qualcuno mi vedesse conciato in quel modo, nemmeno i miei nonni: così fingevo anche con loro, e permettevo solo alla mia fedele governante Kisaragi di entrare, anche perché dovevo pur mangiare e così lei accettò di portarmi in gran segreto i pasti mattina e sera!” mi raccontò in un’altra occasione lui stesso, ridendo di cuore della sciocca ed infantile vanità che aveva dimostrato. 
  In un primo momento la presenza di quel “terzo incomodo” mi aveva disturbata, soprattutto perché comunque avessi immaginato il nostro sospirato incontro avevo sempre dato per scontato che Koji si sarebbe presentato da solo, magari dicendo che mi aveva cercata tanto e che era lì esclusivamente per vedere me (pretendendo troppo, lo sapevo bene!); ma fin da quando si rivolse a me con tanta gentilezza e semplicità Shinobu mi ispirò una grande simpatia e fui felicissima di poter diventare sua amica. D’altra parte dovevo mettermelo in testa una volta per tutte, era solo amicizia ciò che Koji provava per me e che mi aveva dimostrato fin troppo ricordandosi sempre di me  e venendomi a trovare proprio come mi aveva promesso! Certo, almeno per lui doveva essere così, lo si capiva anche dal modo in cui trascorremmo il resto di quella serata, piacevolmente ed in allegria ma senza che nulla potesse suscitarmi aspettative migliori per noi due nel futuro, ma non era lo stesso per me: ne ero sempre più consapevole, quando sempre più spesso, da quando l’avevo finalmente rivisto, mi ritrovavo a sognare Koji o a pensare a lui anche in pieno giorno, talvolta anche mentre Kikyo-san mi parlava, suscitando il suo disappunto!
  Stavo inevitabilmente cambiando, nell’atteggiamento e nel carattere, ed era sempre più difficile nasconderlo dimostrandomi imperturbabile da brava geisha, infatti mentre Miyuki aveva notato in me qualcosa di strano ma non riusciva bene a comprendere cosa potesse essere, fu Kiyoko a mettermi un giorno alle strette:
  “Sei cambiata, Kichiji, e se non starai più attenta anche Kikyo-san e la okasan lo noteranno! Mio padre mi ha raccomandato di badare un po’ a te e di proteggerti, ma la verità è che anche la okasan è sempre buona e gentile solo finché spera di poter guadagnare qualcosa grazie a te: se in qualche modo tu dovessi deluderla troppo dubito che potrei riuscire ad intercedere per te, nonostante la lunga amicizia che la lega a mio padre… Sì, perché non sono così ingenua come sembra, mi sono accorta che quella sera è successo qualcosa, era evidente, per come ti sei riservata totalmente al sottotenente Yamamoto ed a Shinobu Ijuin! Se ricordo bene Koji-san fa parte della famiglia Yamamoto del nostro villaggio…”
    Sussultai nel constatare che era davvero più sveglia di quanto immaginassi, dato che aveva capito tutto. Oppure erano la sua età e la sua sempre maggiore esperienza a contribuire a quella sua perspicacia, o più semplicemente il fatto che anche lei era una donna innamorata… Anche se lei era molto fortunata, perché si trattava di un amore ricambiato, che pur se non ufficializzato in un matrimonio aveva anche ottenuto l’approvazione, anzi l’incoraggiamento, della okasan: cosa avrebbero pensato lei e Kikyo-san del mio amore per Koji? Arrossendo violentemente mi voltai per sfuggire il suo sguardo che mi aveva appena penetrato l’anima e ripensai ad una delle ultime lezioni impartitemi da Kikyo-san, poco prima che diventassi una geisha a tutti gli effetti, una lezione così semplice ed essenziale da non poter essere equivocata: una geisha non è libera di scegliere chi amare, nemmeno nel caso in cui questo amore fosse contraccambiato. Il mio lungo ed imbarazzato silenzio valse più di mille risposte affermative.
  “Ti prego, stai attenta a ciò che fai, Tsuki-chan” mi disse dolcemente mia cugina, prendendomi le mani fra le sue e richiamandomi col mio vero nome, come qualche volta ancora faceva solo quando era certa che fossimo del tutto sole “Anche se qui dobbiamo spesso soffocare i nostri veri sentimenti e sottostare a regole a volte troppo rigide in fondo veniamo trattate bene, abbiamo la garanzia di una vita più che dignitosa ed in più abbiamo la consolante consapevolezza di aver aiutato le nostre famiglie lontane, perciò non rischiare di compromettere tutto… E’ vero, nella carriera siamo rivali, ma tu sarai sempre sangue del mio sangue. Ti voglio bene, e non voglio che tu soffra in futuro più di quanto tu abbia già sofferto finora!” 
  Ne fui certa, in quell’ambiente tanto falso, tanto artificioso quanto attraente e suggestivo, Sakura era sincera, mi aveva parlato col cuore. Commossa annuii e mi lasciai accogliere dall’abbraccio che mi offriva.

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Capitolo 15
*** Capitolo 15 ***


    Lo giuro, mi impegnai con tutte le mie forze a seguire i saggi consigli di mia cugina, ma era una cosa molto più facile a dirsi che a farsi: se in tutti quegli anni non ero riuscita, mio malgrado, a dimenticare Koji, come avrei potuto ora, che il mio sogno (che ritenevo impossibile!) di rivederlo si era invece realizzato? Così ancora più spesso la mattina mi risvegliavo dopo aver sognato di lui, ed i miei sogni erano sempre meno infantili… Invidiavo tanto Sakura, che era felice insieme al suo danna, di cui era evidentemente innamorata, e che nonostante avesse una sua famiglia pareva ricambiare la sua devozione; ed ancora di più invidiavo Yuriko, soprattutto quando tempo dopo una sua lettera mi annunciò che era in attesa di un altro bambino. Dopo così tanto tempo ripensai con rancore a mia sorella Hanako, che praticamente non conoscevo, dato che ero troppo piccola quando era andata via di casa: se solo si fosse dimostrata più devota verso i nostri genitori, se solo non si fosse del tutto dimenticata della sua famiglia abbandonandola al suo destino non appena la sua incredibile fortuna le aveva sorriso mettendola sul cammino del signor Sato! Chissà, se non fossi stata soffocata dal lavoro fin da bambina avrei frequentato regolarmente la piccola scuola del villaggio ed avrei anche potuto conoscere meglio Koji, stabilire fin dall’inizio un più forte legame con lui, ma soprattutto né le mie sorelle né io avremmo dovuto lasciare la nostra casa. Sì, magari Koji sarebbe partito ugualmente per l’accademia militare, ma prima o poi sarebbe tornato da me ed avremmo potuto essere felici anche noi, come Nobuyuki e Yuriko… Da bambina non potevo capire quanto grave fosse stato il suo abbandono, e mi faceva soffrire ed arrabbiare sentire la gente del villaggio parlare male di Hanako, definirla una cattiva ragazza, una pessima figlia: a mio parere parlavano soltanto per invidia, l’invidia verso una contadina come loro che aveva trovato il suo principe che l’aveva resa una principessa proprio come in una bellissima favola; quanto avevano ragione invece!!!
   Ovviamente tormentarmi per questo non sarebbe servito più a niente. Avrei tanto voluto incontrare Hanako, chiederle perché si era comportata in quel modo tanto egoista, ma sapevo anche che non sarebbe mai accaduto, soprattutto ora che avevo anche cambiato la mia identità: avremmo anche potuto trovarci l’una di fronte all’altra in qualsiasi momento, che so, in un tempio, in un teatro, per strada, magari era già accaduto, ma non lo avremmo mai saputo. Comunque per tentare di reprimere tutti quei pensieri che sempre più mi opprimevano mi impegnavo il più possibile nel mio lavoro, e per un po’ mi riuscì benissimo, tanto da guadagnarmi molti elogi da parte di Kikyo-san e dalla okasan, nonché un’agenda particolarmente piena di impegni. La okasan mi disse che si aspettava che io sarei diventata una delle geishe più popolari di Tokyo, se non la più popolare, ed io le risposi che mi sarei impegnata con tutta me stessa per riuscirci. Tuttavia tutti i miei buoni propositi precipitarono drasticamente ed irreparabilmente come un castello di carte quando, un mese dopo il nostro ritrovamento, vidi Koji presentarsi di nuovo all’okiya, questa volta non in occasione di una festa ma per incontrare soltanto me, ed era venuto senza il suo amico.
   “Sono molto felice di rivederti, Koji, ma richiedere un appuntamento privato con una geisha è molto costoso, e tu solo per incontrare me…” troncai la frase per l’imbarazzo: forse la mia osservazione era molto indelicata, anzi, lo era senz’altro: parlare di denaro con un cliente, praticamente chiedergli se poteva davvero permettersi la mia compagnia! Ma l’emozione di averlo rivisto così presto mi aveva impedito di ragionare, e comunque era stato anche lui, al villaggio, a dirmi che con lui avrei potuto parlare di tutto, infatti non prese male il mio commento, piuttosto mi ringraziò per la mia premura.
“Oggi è stato giorno di paga, e da tanto tempo volevo incontrarti, da solo! Volevo assolutamente scusarmi per averti fatto aspettare tanti anni, ma non ho potuto venire da te prima, per via dei miei impegni all’accademia; ed anche agli inizi della carriera, i superiori sono molto severi! ”
“Non devi scusarti con me, Koji, anzi, io non ci speravo sul serio: so che tu non avresti mai detto che saresti venuto a trovarmi tanto per dirlo, ma con tutti i tuoi impegni come avresti potuto preoccuparti anche di me? Ti sono molto grata invece: ero soltanto una bambina, ma tu hai mantenuto la promessa!”
“Tsukiko… Sì, per tutti gli altri ormai sei Kichiji, ma per me resterai sempre Tsukiko… Sul serio, io non ti ho mai considerata “soltanto una bambina”, devi credermi! E non ho mai dimenticato la nostra promessa! Nel poco tempo in cui ci siamo frequentati al villaggio ho provato un’istintiva simpatia per te, e quando hai deciso di sostituire la povera Aiko qui all’okiya ho ammirato profondamente il tuo coraggio, il tuo spirito di sacrificio! Tanto che devo confessarti una cosa: quella sera, quando sono venuto qui con Shinobu, speravo proprio di incontrarti, perché avevo chiesto tue notizie a tuo zio, quando ho avuto modo di incontrarlo qui in città, e lui mi ha detto del tuo debutto e di quanto ti fossi fatta valere, impegnandoti nella tua professione con tutta te stessa!”
   Non potevo crederci: dunque era proprio così, Koji quella sera era venuto apposta per me! O almeno era venuto lì anche per me, non solo per svagarsi con il suo amico, nel nostro okiya come avrebbe potuto fare in qualsiasi altro posto… Mentre lo ascoltavo come rapita, sforzandomi di convincermi che si trattava della realtà e non del mio ennesimo sogno, i buoni consigli di Sakura, le raccomandazioni di Kikyo e le aspirazioni della okasan, tutto si allontanava da me, nulla esisteva più se non Koji, che era lì, davanti a me, dicendomi ciò che mi ero sempre vergognata anche solo di sognare e che era ora più reale che mai.
   “Anche se venendo all’okiya speravo di incontrarti quando ti ho vista sono rimasto comunque colpito, Tsukiko, perché sei diventata molto più bella di quanto mi aspettassi… E mi sono reso conto che mai nessun’altra ragazza mi aveva fatto questo effetto finora!”
   Anche se avevo sognato tante volte una cosa del genere pur non credendoci veramente altrettante volte avevo anche immaginato come avrei risposto a Koji: gli avrei detto che lo amavo, anzi, che l’avevo sempre amato; gli avrei detto che non avevo mai smesso di sperare di ritrovarlo un giorno e che le sue parole mi avevano resa immensamente felice, e poi gli avrei detto tante altre cose… Ma una cosa è il sogno una la realtà, ed ancora una volta l’imbarazzo ebbe il sopravvento, bloccandomi totalmente.
   Fino a poco tempo fa nel nostro okiya c’era una ragazza con la quale stavo stringendo amicizia, Kotone. Una ragazza un po’ più anziana di me, molto graziosa ma altrettanto ingenua e timida, così timida che fin dall’inizio la okasan aveva preferito indirizzarla allo studio di uno strumento musicale piuttosto che della danza. La okasan ci aveva visto giusto, Kotone aveva subito sviluppato grandi capacità e le sue prestazioni erano molto richieste alle feste. Le si prospettava una brillante carriera fino a poco dopo il suo debutto, quando era stata avvicinata da un cliente, Ito-san, che aveva dimostrato grande interesse nei suoi confronti. Ito-san  era un commerciante, ed era anche un uomo molto affascinante, che era riuscito a fare molti soldi nonostante fosse molto giovane rispetto ad altri uomini che lavoravano nel suo campo, dove era invidiato e stimato. Tuttavia Ito-san aveva anche una brutta fama, quella di inguaribile donnaiolo, ma Kotone non ci aveva badato: lui l’aveva incantata con false lusinghe,  l’aveva fatta innamorare di sé promettendole che presto avrebbe concluso un grosso affare e l’avrebbe riscattata, l’amava ed avrebbe lasciato sua moglie per sposarla! Con la conseguenza, tutt’altro che inaspettata, che dopo non molto tempo che lui era divenuto il suo danna lei era rimasta incinta. Ma la felicità con cui lei gli aveva annunciato la notizia si era trasformata immediatamente in disperazione di fronte al drastico cambiamento di atteggiamento di lui, che dopo una reazione tutt’altro che positiva le aveva seccamente offerto una considerevole somma di denaro per sbarazzarsi del bambino, dimostrandole una volta per tutte che si era soltanto divertito in quei pochi mesi: sua moglie era effettivamente una donna insopportabile, come lui diceva, non l’aveva mai amata, ma al contrario era fin troppo legato alle nobili origini della sua famiglia, anche perché lui era ricchissimo, ma era di origini assai meno illustri. Kotone non avrebbe mai accettato una cosa del genere, ma lui fu molto chiaro: non avrebbe mai riconosciuto quel figlio, e se lei non se ne fosse liberata quanto prima avrebbe fatto scoppiare uno scandalo, accusandola di averlo avuto con chissà chi, un altro cliente o chiunque altro, ed rivendicandosi anche sull’okiya, in quanto una sua geisha non aveva dimostrato la dedizione che in quanto danna gli sarebbe stata dovuta. Con il risultato che Kotone una notte era fuggita dall’okiya, per essere ritrovata morta in un vicolo di un quartiere malfamato qualche giorno dopo, in un lago di sangue, per via di un aborto spontaneo.
   Purtroppo il finale della storia di Kotone non era un caso straordinario, era risaputo che una geisha non poteva fare di testa sua, pena sofferenze ben più grandi di un amore non corrisposto, dato che la geisha è di proprietà dell’okiya, dell’okiya e poi di colui che diventa il suo danna; e storie ancora peggiori hanno sempre circolato a proposito delle prostitute: storie di abbandoni, tradimenti, violenze, suicidi o altri tipi di morti tragiche… Ho avuto la storia della mia amica davanti agli occhi nell’ultima fase del mio apprendistato da maiko, ma molte altre erano state raccontate da Kikyo-san e dalle altre geishe, che si preoccupavano così di scoraggiare da certi intenti le giovani, ben consapevoli che era la verità, e non storie inventate come quella del folletto dispettoso della neve che aveva rubato le dita al signor Yamamoto. Così, come le mie giovani compagne, anch’io avevo sempre cercato di essere prudente e di dare  retta alle più anziane.
   Mentre Koji continuava a parlarmi, rivolgendomi quella che per quanto assurdo era in tutto e per tutto una dichiarazione d’amore, la storia di Kotone mi era tornata all’improvviso in mente,  per il timore che anche la mia storia, come la sua e le altre che avevo solo ascoltato, potesse avere un triste finale. Ma quell’ombra cupa che per un attimo aveva offuscato la mia immensa felicità svanì altrettanto rapidamente appena sentii la sua mano calda che mi sfiorava il viso per asciugarmi una lacrima. E svanirono anche tutti i miei dubbi e le mie paure: Koji era troppo diverso da Ito-san e da tutti quegli uomini che consideravano le geishe soltanto come bambole da ammirare e con cui divertirsi secondo i propri capricci per poi gettarle via come scarpe vecchie. Se diceva di non considerarmi soltanto una bambina era la verità, e tanto meno avrebbe mai detto di amarmi se non fosse stato così: Koji, il mio salvatore che mi aveva riportata a casa quella notte sotto la neve, il mio amico e confidente del villaggio, il mio sogno romantico di tanti anni che ora diventava una meravigliosa realtà. Quando, tenendo gli occhi chiusi, sentii le sue labbra sulle mie ne ebbi la totale certezza. Koji non aveva mai smesso di pensare a me, così come io non avevo mai smesso di pensare a lui, ed ora eravamo di nuovo insieme. Non avevo più motivo di dubitarne, la mia lunga attesa era stata finalmente premiata, l’attesa di un amore che era diverso da quelli di tutte quelle sfortunate ragazze, e che perciò avrebbe avuto un epilogo diverso.
     


Note:
Kotone: dal 琴 giapponese (koto) "arpa, liuto" e 音 (NE) "suono". Ho scelto questo nome apposta!!!^^’’

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Capitolo 16
*** Capitolo 16 ***


   A questo punto la mia storia avrebbe potuto avere il sospirato lieto fine: ero ormai del tutto realizzata, non solo nella carriera, ma anche nell’amore, così come una ragazza nella mia situazione, una figlia di poveri contadini venduta come geisha, mai avrebbe potuto nemmeno sognare. Ma, appunto, nessuna ragazza: perché mai io avrei dovuto fare eccezione? Avevo appena preso le distanze da tutto e da tutti, stretta fra le braccia di Koji come avevo sempre sognato, quando l’insistente richiamo di Miyuki dal corridoio mi riportò alla realtà: Kikyo-san l’aveva mandata ad avvisarmi che era necessaria la mia presenza ad una festa quella sera stessa. Generalmente una cosa del genere non accadeva, gli impegni di una geisha erano programmati con ampio anticipo, così da organizzare al meglio le nostre giornate lavorative, ma in quel caso avrei dovuto sostituire Kiyoko che si era improvvisamente sentita male: niente di serio, pareva, ma comunque si trattava di un malanno che le aveva reso impossibile onorare il suo impegno. Perciò, come mi spiegò Miyuki, la okasan aveva pensato a me. Ovviamente sostituire una geisha ormai esperta come Kiyoko era sempre un onore per una geisha agli inizi come me, e nemmeno in una circostanza così straordinaria avrei potuto rifiutarmi; così non mi rimase che scusarmi con Koji e congedarmi da lui prima del previsto, per avere il tempo necessario per prepararmi per uscire. Miyuki gli aveva riportato anche parte del denaro che aveva pagato per la mia compagnia e lui con un certo imbarazzo e non senza esitazioni lo prese.
  “Non avrei accettato” mi sussurrò senza che mia sorella potesse sentirlo, dato che si era già avviata verso la mia stanza “se non pensassi che potrà essermi utile per anticipare il più possibile il nostro prossimo incontro”
  Quella frase insolitamente audace stonava molto con l’espressione un po’ buffa del viso di Koji, arrossato quasi quanto il mio, il che mi rese più facile non dispiacermi troppo per quel nuovo brusco distacco, che stavolta sarebbe stato breve. Annuii e sorrisi, evitando di guardarlo ancora negli occhi, quindi mi affrettai a raggiungere Miyuki, che altrimenti avrebbe anche potuto sospettare qualcosa.
   Fu piuttosto dura, quella sera, dedicarmi seriamente a svolgere al meglio il mio lavoro ed intrattenere gli ospiti. Kikyo-san dovette sollecitarmi tre volte dopo che un cliente aveva espressamente richiesto una mia piccola esibizione di danza, e salii sul piccolo palcoscenico della sala piuttosto malvolentieri: non era certo la serata adatta per poter essere al centro dell’attenzione, e  se da un lato la mia esibizione sulle note di un canto d’amore fu resa più sentita dal fatto che certe sensazioni le stavo ora vivendo davvero, dall’altro il mio stato emotivo, che ancora risentiva troppo dell’esperienza del mio primo vero bacio, influì negativamente sulla tecnica, così che il ventaglio stava quasi per cadermi a terra e riuscii ad afferrarlo a stento, con un brusco e sgraziato movimento del polso, che in parte rimase nascosto grazie all’ampia manica del kimono. Ero riuscita a scongiurare l’errore più eclatante, in modo che sfuggisse al pubblico, ma certo non sfuggì all’occhio vigile ed esperto della mia onee-san, che mi diffidò dall’accettare di effettuare anche un’esibizione canora, richiesta da quello stesso cliente, con il pretesto di dare un po’ di spazio anche a Kohaku, una nuova maiko che era alla festa con noi e che era ad una delle sue primissime apparizioni in pubblico.
   Per tutto il resto della serata e durante il viaggio di ritorno in rishò verso l’okiya  Kikyo-san fu gentile e sorridente con me, ma inutile precisare che una volta rientrate mi ordinò di raggiungerla nella sua stanza subito dopo essermi cambiata e lì mi fece una bella lavata di capo. Io mi scusai e tentai di minimizzare, ricordandole garbatamente che lei stessa una volta in passato mi aveva detto che non era molto dolce la perfezione in un’esibizione di danza, ma non ottenni altro che farla impuntare ancora di più ed a farle ribattere che l’aveva detto davvero, ma un conto era una lieve imperfezione per simulare una certa timidezza ed un altro un errore tanto grossolano da non essere consentito nemmeno ad una maiko novellina: era stata una fortuna per me che gli ospiti di quella festa fossero così poco competenti da accorgersi dell’accaduto e che non se ne fosse accorta nemmeno Kohaku, in quel momento troppo occupata a servire da bere, altrimenti prima che l’incidente fosse stato dimenticato in molti avrebbero riso di me per parecchio tempo. Sapevo bene che Kikyo-san aveva ragione, perciò mi scusai sentitamente, inchinandomi a lei sul tatami fin quasi a toccare terra con la fronte, ma quella sera proprio non riuscii a sentirmi realmente amareggiata, perciò, accertatami che lei mi avesse perdonata chiesi subito congedo ed uscii dalla stanza, promettendole che non sarebbe accaduto più e soprattutto nascondendole il più possibile il mio viso, su cui rimaneva ostinatamente un’espressione ancora troppo felice per quelle circostanze. Quindi, non perdendo altro tempo, mi affrettai verso la mia stanza, perfettamente consapevole che quella notte sarebbe stata una vera impresa prendere sonno.
  
   I giorni che seguirono furono particolarmente felici per me. La primavera ormai nel pieno del suo splendore era niente rispetto alla primavera che aveva invaso il mio cuore: anche se riuscivo ad incontrare alquanto di rado Koji (e quasi mai da solo!) avevo confidato il mio dolce segreto a  Miyuki  e chissà come l’avevo convinta ad aiutarmi, chiedendole di tanto in tanto di fare un certo percorso quando andava a fare la spesa in modo da incrociare “per caso” Koji o Shinobu per poter consegnare un mio biglietto oppure per ricevere una risposta dal mio amato o un suo messaggio, in cui mi riferiva quando avrebbe potuto venire all’okiya, o quando lui ed i suoi compagni sarebbero stati presenti ad una determinata festa, in modo tale che potessi fare in modo di potermi fare assegnare gli stessi impegni… Mia sorella si era molto spaventata, non per il suo ruolo, che non presupponeva particolari rischi, ma per me: era ingenua, questo è vero, ma era fin troppo plausibile che al di là degli avvertimenti di Kiyoko e delle raccomandazioni generali delle geishe anziane mi stavo avviando verso una strada pericolosa, perché se mi avessero scoperta avrei avuto grossi guai. Tuttavia pur conoscendo i rischi ero molto giovane e, come vale per tutti i giovani, i rischi più che spaventarmi mi eccitavano: così tenni fede al mio impegno con Kikyo-san, ma non desistetti.
   Del resto lo stesso Koji, più adulto di me, si preoccupava di essere quanto più possibile discreto, prudente e soprattutto rispettoso, di me e della mia posizione. Il mio cruccio maggiore era che prima o poi anch’io sarei stata scelta da un danna, come Kiyoko, ed a quel punto sarebbe stata la fine del nostro amore ancora acerbo, perché come mia cugina avrei dovuto massima devozione e fedeltà solo al mio danna, limitando al minimo il rapporto con gli altri clienti, pena un grave disonore con tutto ciò che ne sarebbe potuto conseguire, per me e per la mia famiglia, che ovviamente non avevo mai dimenticato. Su questo punto comunque Koji presto mi rassicurò: gli si prospettava finalmente una promozione, il che gli avrebbe portato notevole prestigio per un giovane di umili origini come lui, arrivato dov’era non per diritto di famiglia ma unicamente per merito, ma soprattutto un significativo aumento di stipendio, grazie al quale, era certo, avrebbe potuto fare in modo che quella mia massima devozione e fedeltà fossero destinate solo a lui ed a nessun altro, ovviamente se era ciò che anch’io desideravo. Certamente lo era: saremmo stati felici, lui sarebbe diventato il mio danna, e col tempo avrebbe potuto anche riscattarmi e sposarmi, ma anche prima di ciò avremmo potuto avere dei figli e crescerli insieme.
   Ancora una volta Koji era riuscito facilmente a rasserenarmi, e finalmente ero in grado di scrivere lettere molto allegre alla mia famiglia, come non mi era mai capitato in tanti anni. Non potevo certo scrivere di essere felice ed innamorata, ma nessuno avrebbe avuto qualcosa da sospettare se avesse letto che ero serena e realizzata nella professione, e che ormai guardavo con fiducia verso il futuro.
   Ma, come dicevo prima, perché mai proprio io avrei dovuto fare eccezione alla triste sorte a cui è destinata ogni giovane geisha che sogna il vero amore? Ed infatti non fu così, come ebbi ben presto modo di constatare.
   La primavera stava volgendo rapidamente al termine e presto avrebbe lasciato il posto all’estate. Ne ero entusiasta, perché in quell’ormai inaspettato stato di piena grazia in cui mi trovavo qualsiasi stagione si prospettava per me come l’arrivo di nuove piacevoli esperienze e sorprese. In quel momento meno che mai avrei potuto immaginare che proprio quella promettente estate del 1914 avrebbe segnato per me l’inizio di un lunghissimo e gelido inverno, ben più lungo e gelido di quelli a cui ero abituata al villaggio, che avrebbe messo a dura prova persino la mia sopravvivenza.

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Capitolo 17
*** Capitolo 17 ***


  Le prime avvisaglie giunsero a luglio. Koji cercava di non farmelo pesare, ma io mi ero resa conto che in quelle ultime settimane le cose stavano cambiando. Non i suoi sentimenti  verso di me, che erano sempre intensi e sinceri, ne avevo ogni giorno di più la certezza, ma una cosa era sicura: qualcosa di brutto era nell’aria, qualcosa che lo impensieriva molto. Lo si capiva dal suo comportamento e da quello dei suoi compagni quando venivano al nostro okiya ed erano meno scherzosi, meno allegri del solito; lo si capiva da strani discorsi di altri clienti o invitati a varie feste in vari locali, che però io, per la mia giovane età non riuscivo bene a comprendere; lo si capiva anche dal fatto che di feste se ne organizzavano sempre di meno.
   Anche i nostri clienti più affezionati si facevano vedere più di rado, come se fossero presi da altro, e questo inizialmente mi rese felice, dato che una sera avevo sentito per caso Hasegawa-san (sì, proprio quell’Hasegawa-san!) dire alla okasan che stava iniziando a valutare il desiderio di diventare il mio danna, ma poi nessuno me ne fece parola, il che voleva dire che lui stesso non era più tornato sull’argomento, forse perché aveva cambiato idea. 
  Ma non solo non mi dicevano nulla su Hasegawa-san, non mi dicevano nulla di nulla, sebbene anche le geishe anziane parevano sapere, solo che non volevano turbare inutilmente noi giovani. Finché non lo scoprii da sola, una notte di inizio agosto in cui non riuscivo a dormire per il troppo caldo. Diretta verso il giardino allo scopo di rinfrescarmi un po’ e conciliarmi il sonno, dal corridoio sentii delle voci provenire dalla stanza socchiusa della okasan, che stava discorrendo con le geishe anziane: era scoppiata la Prima guerra mondiale e c’era il rischio che anche il Giappone ne venisse coinvolto!
   Ora capivo tante cose, finalmente, ciò che mi era parso strano per tanti giorni trovava la sua spiegazione: Hasegawa-san aveva dei figli che in caso di intervento militare del Giappone  sarebbero stati chiamati a compiere il proprio dovere verso la Patria; Keiko, una geisha compagna di apprendistato di Kiyoko aveva spesso gli occhi lucidi perché in pena per il suo danna, un capitano della marina, e così tante altre persone erano in pena, oltre che per ciò che sarebbe potuto accadere loro, innanzitutto per i loro cari che sarebbero stati più direttamente coinvolti… Così anche Koji correva lo stesso rischio, ancora di più per via della sua prossima promozione!
  Mi sentii raggelare il sangue, e stava già albeggiando quando riuscii a trovare sollievo nel sonno. Koji, il mio adorato Koji… ci eravamo ritrovati da così poco, più o meno un anno, e da ancora meno ci eravamo finalmente chiariti riguardo i nostri sentimenti, ma forse avremmo dovuto separarci di nuovo! Forse per mesi, forse per anni, forse… no, non riuscivo nemmeno a considerare quell’ultima plausibile ipotesi, ma una cosa era certa: intanto dovevo rivederlo al più presto, dovevo parlargli, se c’era davvero questo rischio lui doveva dirmelo! Sarei corsa io stessa a raggiungerlo in caserma, accettando il rischio di farmi scoprire e di scatenare uno scandalo, se Miyuki non si fosse offerta di portare a Koji il mio messaggio. Ed intanto quella mattina ero riuscita ad evitare le esercitazioni quotidiane, lamentando un terribile mal di testa causato da una notte insonne (il che in parte era vero!), così mia sorella mi portò in camera la sua tempestiva risposta in cui avevo tanto sperato: Koji non avrebbe mai sopportato di lasciarmi a lungo nel tormento senza venire in mio soccorso per darmi conforto, ed infatti sarebbe venuto a trovarmi all’okiya quella sera stessa.
  Quelle poche ore sembrarono eterne, anche perché temevo sempre che qualche altro cliente venisse a chiedere di me, anche se si lavorava di meno capitava ogni tanto la visita di qualcuno, giunto da noi per un improvviso bisogno di distrarsi, staccare un po’. Per fortuna non si presentò nessuno ed io potei occupare il pomeriggio a prepararmi per il mio amore, e lo feci con maggiore cura del solito, come se temessi che sarebbe stata l’ultima volta. Ed appena fui pronta finalmente arrivò lui, come sempre annunciato da Miyuki che poi ci lasciò immediatamente soli.
   Mi gettai subito fra le sue braccia e mi strinsi forte a lui, come se fosse stato il mio unico possibile appiglio per non precipitare in un profondo baratro, e lui ricambiò il mio abbraccio, lasciandomi sfogare finché non ebbi esaurito le lacrime. Dunque era vero, se non negava voleva dire che era tutto vero, la possibilità che andasse in guerra esisteva!
“Non è sicuro che dovrò partire per il fronte” mi disse appena mi fui un po’ calmata  “Il nostro governo ha ricevuto una richiesta ufficiale di aiuto da parte del governo britannico nel debellamento dei depredatori tedeschi dalla Cina, ma per ora ha deciso di mandare un ultimatum alla Germania… Magari all’idea che anche la nostra nazione si possa unire alla Triplice Intesa già in guerra contro di loro deciderà di lasciar perdere!”
Era evidente quanto non credesse davvero a questa eventualità, infatti non convinse nemmeno me e non ci provò ulteriormente. E non mi diede nemmeno maggiori informazioni su quella brutta questione che comunque io non avrei potuto mai comprendere.
“Sono un soldato, Tsukiko, ed era logico che avrei dovuto combattere prima o poi: ho votato la mia vita al servizio della Patria, con l’impegno che in una situazione come questa non sarei mai venuto meno. E’ questa la mia carriera, come la tua è rallegrare le persone con la tua arte e la tua grazia, allo scopo di collaborare al sostentamento della tua famiglia e non deluderla mai. Insomma, nemmeno io posso deludere la mia famiglia, come il mio paese…”
“Però a quanto pare puoi tranquillamente far soffrire me, che sarò tua moglie!”sbottai all’improvviso, evitando a stento di urlare troppo forte.        
Ma me ne vergognai subito, appena incrociai il suo sguardo, i suoi bellissimi occhi divenuti un po’ lucidi. Si stava sforzando molto per soffocare il suo grande dolore ed io mi resi conto di averlo attaccato ingiustamente, come una bambina, così come dopo tanto tempo ero riuscita di non farmi più considerare da lui.
 “Perdonami” gli sussurrai.
“Lo sai che per me tu conti più di tutto” disse lui, annuendo ed accarezzandomi il viso “Non sai come vorrei non dovermi più separare da te, ma stavolta temo che non potrò mantenere la mia promessa: non solo per il mio dovere, la mia lealtà verso la patria, ma ancora di più per il rispetto verso di te! Invece una parte di me vorrebbe farlo: potremmo fuggire insieme, lontano da tutto e da tutti, spesso certe fughe falliscono sul nascere, ma potremmo riuscirci, sparire nel nulla, trasferirci dove nessuno ci conosce e sposarci, per vivere insieme per sempre!”
Solo per un attimo una tenue luce di speranza scaldò il mio cuore: “Koji, forse…”
“No… Come credi che sarebbe la nostra vita? Saremmo sposati, questo è vero, e molto probabilmente avremmo anche i figli che desideriamo, ma al di là di questo? Io sarei un disertore, dovrei nascondermi per sempre come un criminale, un traditore! Non sarei più l’uomo di cui ti sei innamorata, avrei per sempre il rimorso di aver abbandonato i miei compagni e la mia patria nel momento più difficile, inizierei ad odiare me stesso e forse potrei prendermela con te, per essere la causa di tutto… Così come tu inizieresti a considerare diversamente me, che ti avrei condannata ad una vita da fuggiasca, oltre ad averti indotta a tradire la tua famiglia, a dimenticarla come ha fatto tua sorella Hanako, tanto disprezzata al villaggio! Riflettici, Tsuki-chan, se dovessimo davvero sacrificare i nostri ideali il nostro amore finirebbe per snaturarsi e deteriorarsi sempre più, e nessuno di noi due potrebbe sopportarlo!”
Annuii, ormai anch’io ero abbastanza adulta da capire che Koji aveva perfettamente ragione: non solo era forte, gentile e bello, era anche estremamente leale verso la patria, la famiglia, non avrebbe mai tradito i propri ideali, ed in fondo lo amavo tanto anche per questo.
  Anzi, in quel momento lo amai ancora di più. Ed anche lui provò la stessa cosa, infatti quando lo implorai, a fil di voce, di non andarsene, di restare ancora un po’ con me perché non doveva partire l’indomani, lui mi accontentò subito, nonostante sapessimo entrambi quanto rischiosa fosse la situazione: eravamo nella mia stanza all’okiya, anche se era ormai notte chiunque avrebbe potuto accorgersi di ciò che stava accadendo, magari anche solo passando in corridoio, vedendo la luce spenta!
   Eppure quella notte accadde, ciò che da quando l’avevo rivisto dopo tanti anni avevo segretamente desiderato, pur se con immenso imbarazzo. Niente a che vedere con quella terribile notte con Hasegawa-san, i suoi apprezzamenti volgari, il suo corpo flaccido e sgraziato che mi schiacciava come un macigno abbandonandosi pesantemente su di me, senza alcun riguardo, spinto solo da quella malata frenesia fisica di violare una ragazzina innocente:  grazie a Koji quei ricordi atroci, che ogni tanto mi erano tornati prepotentemente in sogno per parecchie notti dopo alla cerimonia del mio mizuage, si fecero sempre più lontani e vaghi. Lui si comportava esattamente come mi sarei aspettata, era dolce, delicato, tenero; nemmeno per un attimo ebbi paura, fra  le sue braccia mi sentivo sicura e protetta, esattamente come quella fatidica e gelida notte di tanti anni fa, e mi tornavano in mente i nostri pochi ma spensierati incontri al villaggio, lungo il sentiero vicino la mia casa, quando ridevamo e scherzavamo insieme, non potendo a quell’epoca minimamente immaginare a cosa saremmo andati incontro. Non era solo una mia fantasia come quando sopportavo stoicamente che il mio corpo venisse violato ed umiliato da Hasegawa-san, ma una meravigliosa realtà: era Koji a baciarmi, accarezzarmi, stringermi forte. Era Koji che sentivo con tutta me stessa e che era finalmente parte di me. E come per miracolo niente ci distolse, nessuno ci disturbò: in quei brevi ma intensi momenti eravamo solo noi due, niente e nessun altro esisteva: le altre geishe e l’okiya con le sue regole, l’esercito imperiale giapponese, che tanto tempo gli sottraeva impedendogli di stare con me quanto avrebbe dovuto, ma soprattutto quell’orribile guerra che di lì a poco me lo avrebbe strappato per chissà quanto tempo.

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Capitolo 18
*** Capitolo 18 ***


    La mattina dopo fui risvegliata da un senso di freddo; infatti allungai un braccio e Koji non c’era, il che mi indusse a sollevarmi di scatto. Vedendo che il sole era già alto mi allarmai e mi affrettai a rivestirmi, terrorizzata all’idea che qualcuno potesse averlo sorpreso insieme a me in piena notte: prima di chiunque altro dovevo assolutamente trovare Miyuki, che forse avrebbe potuto sapere qualcosa e che avrebbe potuto prepararmi a ciò che avrei dovuto affrontare.
    Ma prima che potessi uscire fu lei a raggiungermi in camera, e prima di richiudersi i fusuma alle spalle controllò il corridoio, per accertarsi che non stesse arrivando nessuno.
   “Koji è andato via all’alba” mi disse subito “Non preoccuparti, nessuno l’ha visto, l’ho accompagnato io stessa fino all’uscita. A quell’ora le altre dormivano ancora profondamente!”
    Mi rassicurò sul fatto che l’avrei sicuramente rivisto a breve, ed io fui molto grata a mia sorella, pur provando un enorme imbarazzo per averle dato tanti fastidi: poverina, aveva deluso le aspettative che avevano riposto in lei e non era diventata geisha ed anche se dopo la fase più dura era poi riuscita ad uscire dall’okiya forse non si era mai ripresa del tutto dopo la morte della povera Aiko;  tuttavia da quando l’avevo raggiunta Miyuki mi era sempre stata molto vicina, sempre pronta per sostenermi e confortarmi in caso di necessità. Non era mai stata particolarmente dotata ed intelligente, ma aveva sempre vegliato su di me in maniera molto discreta, preoccupandosi di non dimostrarsi mai troppo invadente. Ed aiutandomi addirittura con Koji, nell’ultimo periodo, aveva dimostrato di essere disposta per amor mio a correre anche dei rischi, perché se qualcuno all’okiya avesse scoperto quanto lei avesse contribuito al perpetrarsi di quella che era a tutti gli effetti una condotta indegna avrebbe avuto senz’altro dei problemi, e magari la okasan avrebbe anche potuto riconsiderare quell’affare con la signora Shiori che aveva rifiutato anni prima.
    Koji fece il possibile per tener fede a ciò che mi aveva lasciato detto, ma in realtà non ebbe modo di tornare all’okiya prima di una decina di giorni dopo, perché, mi spiegò, in quella situazione incerta era stato comunque deciso di intensificare il più possibile le esercitazioni, con la più frequente organizzazione di simulazioni di battaglia. Nonostante le mie accorate richieste di spiegazioni lui continuava ad impegnarsi per non farmi pesare troppo la sua ansia ostinandosi a minimizzare la situazione, dicendo che quella decisione era stata presa per prudenza, anche perché qualche esercitazione in più non avrebbe fatto certo male ai soldati come lui  e sarebbe stato ancora più istruttivo per i compagni più giovani, quelli appena diplomati come Shinobu, che per la loro ancora troppo scarsa esperienza non sarebbero comunque stati mai utilizzati in questa occasione. Ma, mi spiegava, il fatto che si stava temporeggiando invece di rispondere subito alla chiamata del governo britannico era la dimostrazione che non c’era un significativo interesse per la questione, e che perciò c’erano buone speranze che non si sarebbe arrivati a nulla.
   Quanto pregai perché succedesse proprio questo! Ma la situazione non fece che peggiorare, anche se Koji cercava di nascondermi la reale situazione mi bastava affacciarmi in strada per sentire i discorsi sempre più cupi della gente. Fu così che mi arrivò all’orecchio la notizia che il governo giapponese aveva appena mandato un ultimatum alla Germania. Quando, tre giorni dopo l’ultimatum, rividi Koji, lui non solo non provò nemmeno a sminuire la cosa, ma sorvolò abilmente sull’argomento, ostinandosi invece sui nostri lontani ricordi al villaggio, chiedendomi notizie sulla mia famiglia e raccontandomi persino della sua, come mai aveva fatto. Assecondai quel suo quasi assurdo tentativo di evasione, perché nonostante si sforzasse di apparire sereno era evidente quanto la tensione fosse evidente in lui, dalla costante tensione dei tratti del viso, dalla rigidità dei movimenti, e l’angoscia traspariva ormai fin troppo nettamente dai suoi occhi. Io ero terrorizzata all’idea di cosa sarebbe potuto accadergli, ma non dovevo pensare solo a me stessa, ma soprattutto a cosa lui stesse provando. Anch’io dovevo aiutarlo in tutti i modi, impegnarmi a farlo rilassare almeno per quelle poche ore, non solo com’era il primo dovere di una geisha ma soprattutto com’era il mio dovere verso colui che tanto amavo. E sempre per lui dovevo cercare di dimostrarmi forte, perché non era giusto che si preoccupasse anche per me. Così feci, per tutta quella serata e per i giorni successivi, racchiudendomi, la sera, in sempre più accorate preghiere. Per qualche giorno funzionò pure, iniziai a pensare di essere stata davvero troppo pessimista, magari questa Germania avrebbe anche potuto avere paura del nostro possibile intervento, non era detto che si sarebbe davvero arrivati allo scontro! Così un bel giorno Koji sarebbe tornato da me, finalmente di nuovo con un bel sorriso rilassato, per darmi due buone notizie: che la guerra era stata scongiurata e che finalmente la sua promozione era divenuta effettiva e che avremmo potuto amarci alla luce del sole, con lui come mio aspirante danna. Beh, forse per quello correvo troppo, ma col tempo, sicuramente…
Invece anche la più piccola delle mie speranze era destinata ad infrangersi, e prima di quanto temessi: il 23 agosto la dichiarazione di guerra del Giappone alla Germania fu una realtà! Lo seppi quel pomeriggio, al rientro all’okiya di Keiko, che era stata al teatro con il suo danna, ed in quell’occasione lui le aveva dato la notizia: non avrebbe avuto occasione di incontrarla per un bel po’, perché l’esercito avrebbe iniziato, dall’indomani, ad inviare le sue truppe al fronte! Proprio come feci quella notte di tanti anni fa per cercare mia sorella nel bosco anche stavolta decisi di scappare fuori, dimentica di ogni buon senso, per cercare Koji, per chiedergli se anche lui sarebbe partito: non potevo importunare sempre Miyuki, e poi non avrei sopportato l’attesa del suo ritorno. Ma com’era prevedibile nelle strade c’era una gran confusione, fra gente che leggeva i giornali di lì a poco distribuiti commentando la notizia ed i tanti pianti di donne, mogli o madri di soldati. Come avrei potuto piangere, gridare anch’io come loro, per trovare in quello sfogo un minimo sollievo, ma non potevo! Mi sentii improvvisamente smarrita, volevo raggiungere la caserma ma non sapevo più che direzione prendere, e dopo aver svoltato appena un paio di vicoli vidi tutto girare attorno a me e poi tutto si fece buio.
   Per fortuna non finii a terra, perché qualcuno mi aveva sorretta in tempo. Appena riebbi la visibilità di ciò che avevo intorno guardai in faccia il mio soccorritore per ringraziarlo e trasalii: era Shinobu!
   Il giovane amico di Koji si accertò che mi fossi ripresa, quindi, cedendo alla mia accorata richiesta di sapere la verità, mi spiegò che effettivamente era scoppiata la guerra, e che per prima sarebbe stata impiegata la marina, alla quale appunto il danna di Keiko apparteneva. Ma che purtroppo con tutte le probabilità anche la fanteria sarebbe intervenuta. Purtroppo anche lui doveva affrettarsi a raggiungere la caserma per l’ennesima riunione di quegli ultimi giorni, perciò appena mi ebbe riaccompagnata davanti all’ingresso dell’okiya mi congedò, assicurandomi che se davvero la fanteria fosse stata chiamata al fronte Koji non sarebbe mai partito senza salutarmi. Raccolsi le forze appena sufficienti per rientrare nell’okiya mantenendo un adeguato contegno e ritirarmi nella mia stanza, lamentandomi con le altre di una terribile emicrania. E passando provai per un attimo invidia per Keiko, che era libera di piangere per il suo amato senza ritegno, confortata da Kiyoko e dalla okasan.
   Io invece non potevo, come molte altre mie colleghe dovevo mostrarmi poco coinvolta, profondamente dispiaciuta per alcuni nostri clienti ma niente di più. Dovevo tenere sempre a mente gli insegnamenti di Kikyo-san, che mi aveva ribadito più volte come una brava geisha dovesse adattarsi all’umore del suo cliente, cercare di intuire le sue necessità ed assecondarle il più possibile, e che mai e poi mai avrebbe dovuto dimostrare disagio fuori luogo, meno che mai mostrare uno stato d’animo negativo che potesse causargli ulteriore scontento invece di dargli ciò che richiedeva, qualche ora di serenità e svago. Keiko poteva fare un’eccezione perché soffriva e si preoccupata al suo danna, al quale più che a chiunque altro doveva devozione, ma il mio danna non era un militare. O meglio, io non avevo un danna, e  se non avesse potuto essere Koji speravo vivamente di non averne mai uno, nemmeno in futuro.
  Passò qualche altro giorno, in cui non ci furono altre novità e nemmeno rividi il mio amato, ma io tenevo duro ed aspettavo. Lo aspettai fino a quella sera. Quell’ultima, tristissima sera. C’era stata una piccola festa all’okiya, qualcosa di così contenuto da dover essere definita solo una piccola riunione di famiglia, solo con pochissimi clienti affezionati. C’era Sakamoto-san, un brav’uomo di oltre 80 anni, che non aveva più voluto risposarsi dopo la morte per malattia di sua moglie trent' anni prima, viveva da solo dopo i matrimoni delle sue due figlie e veniva ogni tanto a trovarci solo per avere un po’ di compagnia ed assistere ai canti ed alle danze, disapprovando certi atteggiamenti lascivi di altri e considerando noi geishe giovani più delle nipoti premurose che oggetti di piacere; poi c’era Fujita-san, un musicista che ogni tanto si dilettava anche a comporre haiku che amava sottoporci, dato che anche lui in famiglia non era abbastanza apprezzato e compreso. Infine c’era Hasegawa-san, che per tutta la serata feci di tutto per tenere quanto più lontano possibile: il timore che lui potesse tornare sull’argomento e proporsi come mio danna non mi aveva mai abbandonata del tutto. In un altro momento quel mio atteggiamento schivo non sarebbe servito a niente, non solo mi avrebbe notata lo stesso, lo avrei addirittura stimolato di più, ma eravamo in quel momento. Un momento delicato, difficile, angoscioso per tutti, anche per lui. Infatti non lo si riconosceva più: di solito la sua risata, sguaiata e forte, sovrastava tutto e tutti, come pure i suoi commenti, talvolta discutibili e persino rasenti la volgarità quando era ubriaco. Come ho già detto non era mai sgarbato, nemmeno con le maiko alle prime armi, solo che era alquanto rozzo, grossolano nei modi, faceva parte del suo modo di essere. Tuttavia quella sera era fin troppo serio e teso, e soprattutto, cosa più assurda per lui, taciturno, rispondeva addirittura a monosillabi! Il che poteva voler dire solo una cosa, il problema erano i suoi due figli, un capitano ed un maggiore dell’esercito. Ed infatti era così, loro due si stavano preparando, sarebbero partiti il giorno seguente, per Lungkow, una località situata lungo la costa nord della penisola dello Shantung, per partecipare al conflitto contro i tedeschi. Al di là di altri suoi discutibili comportamenti, Hasegawa-san amava molto i suoi figli, ed era ora così abbattuto che furono gli altri due a sostenerlo, che paradossalmente in quella situazione drammatica se la passavano meglio di lui.
Appena sentii Hasegawa-san riferire questa cosa a Kikyo-san non potetti più resistere, così sgattaiolai furtivamente fuori, approfittando del fatto che nessuno nella sala prestava particolare attenzione a me, dato che tutti troppo presi da altri pensieri.  

  


Note:
Lungkow:
   La 18ª Divisione fanteria fu la prima grande unità giapponese ad iniziare le operazioni terrestri. Questa unità era forte di ben 23.000 soldati e 142 pezzi di artiglieria. Sbarcarono il 2 settembre a Lungkow, ed il 18 alla baia di Laoshan, che era a 18 miglia dalla città. Il governo inglese (così come quelli delle altre potenze europee) era consapevole delle mire espansionistiche giapponesi, e quindi decise di inviare un contingente simbolico di 1.500 uomini.

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Capitolo 19
*** Capitolo 19 ***


   I figli di Hasegawa-san appartenevano alla 18ª Divisione fanteria, la stessa di Koji! Non si trattava più della paura di cosa avrebbe riservato il destino, ormai era una terribile certezza! Tale era la forza della mia disperazione che il mio corpo non si sentì venir meno, e le lacrime non offuscarono la mia vista mentre percorrevo le strade del quartiere in una corsa quasi folle. All’okiya avrebbero sicuramente notato la mia assenza, ed in quella situazione non avrei nemmeno dovuto limitarmi a temere la collera di Kikyo-san: ero completamente sola ed indifesa, acconciata con la massima cura e quindi ancora più attraente agli occhi di chiunque avessi potuto incontrare, da qualche brigante intenzionato a derubarmi a qualche ubriaco con un diverso tipo di cattive intenzioni! Ma fortunatamente nulla mi fermò, anche se la gente sarà rimasta sconcertata nel vedere una geisha in atteggiamento così insolitamente scomposto, poco decoroso.
   Quando mi ritrovai davanti alla caserma ero senza fiato, avevo perso i geta ed alcune forcine, perciò anche i miei capelli dovevano essere un disastro. Non aveva importanza, certo, però quel punto però mi resi conto di un problema che non avevo considerato prima: come avrei potuto farmi aprire il cancello? E soprattutto: a quale titolo avrei potuto ottenere il permesso di incontrare Koji? Solo allora riuscii a realizzare completamente la situazione e temetti che sarei stata costretta a tornare indietro senza vederlo, senza nemmeno potergli dire addio; ma ancora una volta la sorte ebbe pietà di me: mentre lanciavo un ultimo disperato sguardo alla pesante cancellata, nell’assurda speranza di scorgerlo, incrociai un altro sguardo amico: di guardia quella notte c’era Shinobu! Il quale immediatamente ma con circospezione raggiunse il cancello e mi rimproverò per la mia incoscienza, ma subito dopo mi diede istruzioni per poter entrare da una piccola entrata secondaria: “Se non ti facessi entrare per fartelo incontrare il mio senpai elogerebbe la mia efficienza ed il mio senso della disciplina e del dovere, ma il mio migliore amico non mi perdonerebbe per tutta la vita!” commentò, e con un sorriso mi lasciò, rassicurandomi che Koji sarebbe arrivato subito.
   Shinobu tenne fede al suo impegno, ed arrischiandosi a lasciare temporaneamente la sua postazione di guardia andò ad avvisare Koji, così dopo meno di mezz’ora lui fu finalmente lì con me. Non mi rimproverò di nulla, subito ci stringemmo in un lungo, forte abbraccio, per un po’ entrambi incapaci di parlare, anche perché ogni spiegazione era ormai superflua. Invece insistette per medicarmi una ferita ad un piede, che poi mi fasciò con un fazzoletto. Ero andata lì pronta ad ascoltare lo sfogo di un uomo angosciato all’idea di dover andare per la prima volta nella sua vita in un vero campo di battaglia, invece persino in  quel momento così drammatico il mio amato dimostrava di preoccuparsi solo per me. E poi volle riaccompagnarmi, portandomi sulle spalle. Se qualcuno avesse notato la sua assenza Shinobu lo avrebbe coperto, in qualche modo l’avrebbe giustificato, ma anche se non avesse potuto che importanza avrebbe potuto avere in quel momento? Anche lui voleva tardare il momento del nostro commiato il più possibile, perché anche se nessuno di noi avrebbe mai osato dirlo non si sapeva quando e se ci saremmo mai rivisti e quello avrebbe potuto essere il nostro ultimo addio.
   Incurante del fatto che qualcuno avrebbe potuto notarci e farsi domande, Koji non aveva voluto chiamare un rishò e così procedeva lentamente verso l’okiya, molto più lentamente rispetto alle possibilità che il suo corpo vigoroso gli avrebbe permesso. Ma stavolta io non mi assopii, anche se tenevo gli occhi chiusi per rievocare il passato, e sicuramente anche lui stava pensando alle stesse cose, perché paradossalmente questa notte che ci avrebbe separati tutto era anche troppo simile a quella notte di tanti anni fa che ci aveva fatti incontrare, in cui lui mi aveva accudita e riportata al sicuro esattamente nello stesso modo. Strano ma vero, nessuno parve prestare particolare attenzione a noi, nessuno ci disturbò, ed io potei rievocare senza spiacevoli interferenze esterne quei momenti e tutti gli altri trascorsi con lui, finché, anche troppo presto, riconobbi in lontananza i ciliegi ed i ginko del giardino dell’okiya. Quando però lui fece per farmi scendere mi aggrappai ancora più forte: davvero non poteva ripensarci e portarmi lontano, per sfuggire al nostro triste destino?
  “Devi rientrare, Tsukiko…” la sua voce era poco più di un sussurro, il suo corpo tremava, e quando finalmente scesi e lo guardai di nuovo in viso per la prima volta vidi le lacrime nei suoi occhi.
  Mi sfilai il mio pettine preferito dai capelli e glielo infilai in una tasca, quindi lo baciai, disperatamente, appassionatamente come mai, per pudore, avevo fatto di mia iniziativa; lui  rispose e mi strinse a sé ancora una volta. Ah, come sarei stata felice se quel lungo bacio avesse potuto soffocarmi, strapparmi via l’ultimo soffio di vita!
   Purtroppo però anche quel momento finì, e quando Koji mi liberò da quell’abbraccio, dopo avermi ribadito ancora il suo immenso, incondizionato amore anche a parole (come se ce ne fosse stato bisogno!), non potetti fare altro che rientrare più silenziosamente che potevo e, come mi aveva espressamente chiesto,  senza voltarmi più verso di lui.
   Una volta entrata trovai un’inattesa tranquillità, tutto era avvolto nell’oscurità e nel silenzio, la festa era finita ed evidentemente tutte erano andate a letto. Sussultai nel sentire all’improvviso una mano sfiorarmi la spalla, temetti fosse Kikyo-san, che anche stavolta mi aveva aspettata al varco, ed io non avrei potuto sopportare di stare a sentire i suoi rimproveri, anche se giusti. Fortunatamente era Miyuki, era stata lei che anche stavolta mi aveva aspettata, non potendo ritirarsi serenamente in camera sua senza avere mie notizie. Ed anche stavolta mi aveva coperta, scusandosi con tutti da parte mia perché io ero stata costretta a ritirarmi in fretta in camera per via di un improvviso malore dovuto alla stanchezza, dato che ultimamente avevo dormito male, ma che mi sarebbe bastato riposare tranquillamente fino all’indomani per tornare perfettamente in forma. Le avevano creduto senza problemi: poverina, ormai era diventata molto brava ad inventare menzogne per me! Ora però non avrebbe più dovuto rifarlo per chissà quanto tempo, forse mai più, ed egoisticamente nei suoi confronti mi si strinse il cuore a quel pensiero, anche se ovviamente non glielo dissi. E lei non mi chiese nulla di ciò che avevo fatto fuori dall’okiya, disposta come sempre ad ascoltarmi qualora avessi voluto essere io a confidarle qualcosa.
   Ma io volli tenermi anche quegli ultimi preziosi momenti con Koji solo per me, e le chiesi soltanto di restare nella mia stanza quella notte, perché sapevo che non avrei mai potuto prendere sonno da sola. Invece abbracciata a Miyuki dopo un po’ potei addormentarmi, e rivivere nel sogno non solo i miei ricordi con il mio amore, ma anche i tempi più lontani e spensierati, quando mi addormentavo con Yuriko oppure accanto a lei, nei tempi più spensierati, precedenti alla sua partenza dall’okiya, entrambe sfiancate solo per aver giocato tutto il giorno.
  L’indomani non ebbi problemi, anzi, Kikyo-san e la okasan furono molto premurose con me, e mi proposero di riposare per tutta la giornata. Io però le ringraziai e rifiutai, assicurando che mi ero ripresa; quindi mi impegnai ancora più di prima, decisa a tenermi più occupata possibile per non pensare, convinta che così facendo il giorno in cui avrei rivisto Koji sarebbe arrivato senza che me ne rendessi conto.
   Il 2 settembre la 18ª Divisione fanteria,  forte di ben 23.000 soldati e 142 pezzi di artiglieria, sbarcò a Lungkow.

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Capitolo 20
*** Capitolo 20 ***


  Il giorno dopo, come da miei propositi, mi diedi da fare sin dal primo mattino: innanzitutto, sebbene ovviamente non ce ne fosse la necessità, tirai fuori i miei kimono ed i miei accessori, e con l’assurdo pretesto che ultimamente avevo lasciato un po’ di disordine nell’armadio e nei cassetti mi misi a risistemare tutto; quindi annunciai che avrei voluto collaborare alla preparazione delle maiko per le prossime danze di primavera: mancava ancora tantissimo tempo, ma giustificai la mia idea col fatto che sicuramente per allora la guerra sarebbe finita e perciò la rappresentazione avrebbe dovuto essere ancora più bella del solito. E poi in quel periodo Keiko, che di solito era la principale organizzatrice, si consumava troppo per l’angoscia per via della partecipazione alla guerra del suo amato, perciò un sostegno le avrebbe fatto piacere: mai avrebbe potuto immaginare Keiko, che mi ringraziò caldamente per la mia offerta di aiuto, quanto bene potessi comprendere i suoi sentimenti!
   La okasan diede di buon grado la sua approvazione, così scongiurai il rischio che quel periodo meno fitto di impegni con i clienti potesse lasciarmi troppo tempo per restare sola con me stessa. Mi piaceva avere a che fare con le apprendiste, soprattutto le più giovani, anche se io non riuscivo mai ad essere troppo severa con loro. Prima o poi anche a me avrebbero potuto affidare l’educazione di una di loro, ma allora come mi sarei comportata? Possibile che sarei stata dura come Kikyo-san? Nel frattempo le bambine ricambiavano la mia simpatia ed io ero loro grata per l’allegria che la loro spensieratezza ancora mi trasmetteva. Nessuna di quelle che erano arrivate dopo di me a quanto pare condividevano un’esperienza come quella mia e di Miyuki: erano giunte all’okiya con la promessa di poter vivere per sempre in un posto caldo ed accogliente dove avrebbero potuto mangiare a sazietà ed avere tanti bei vestiti, ed ora erano felici, entusiaste di ciò che stavano imparando, ed ovviamente non potevano comprendere il dramma che c’era fuori, per via del coinvolgimento del Giappone nella guerra.
   Dopo qualche settimana giunse all’okiya Shinobu, insieme ad alcuni sottotenenti suoi coetanei in occasione della festa di compleanno di un loro superiore ormai troppo anziano per militare in prima linea, che mi riferì che Koji era giunto con i suoi commilitoni il 18 settembre alla baia di Laoshan. Mi espresse il suo profondo rammarico, se fosse stato un po’ meno giovane ed inesperto avrebbe potuto partire anche lui, potendo forse essere d’aiuto al suo amico così come Koji lo era stato per lui nei difficili anni dell’accademia. Ma io gli feci notare quanto dolore ed angoscia avrebbe causato ai suoi nonni, ai quali doveva così tanto. Ormai anche noi due eravamo diventati molto amici, e perciò mi aveva raccontato molte cose di sé, del tragico amore dei suoi genitori costretti a separarsi, dell’abbandono di suo padre poi scomparso all’estero, della sua infanzia, riscaldata dall’amore dei nonni ma comunque triste, ed anche del fatto che aveva una fidanzata, che gli era stata promessa fin dalla sua nascita e che ancora non conosceva. Quella sera anche lui era meno chiacchierone del solito, soprattutto perché era in pena per Koji, che era stato il suo primo vero amico, che non era gentile con lui soltanto per forma o per convenienza, come spesso avveniva fra rampolli di buona famiglia, ma era sempre stato con lui onesto e sincero; e poi taceva anche perché sia  lui che gli altri giovani con lui erano sinceramente rattristati dal fatto di non poter compiere il proprio dovere verso la patria. Ovviamente  come mio dovere io mostravo piena comprensione per ciò che dicevano i nostri ospiti, ma in realtà non riuscivo proprio a condividere certi sentimenti: è bella la lealtà verso il proprio paese, ma addirittura desiderare di combattere, andare al fronte, uccidere e forse farsi uccidere??? Eppure era così: se Shinobu pareva condividere in parte questo mio punto di vista, anche se nemmeno lui avrebbe mai potuto dirlo espressamente soprattutto per via della presenza dei suoi compagni, c’era qualcuno che pareva addirittura frustrato all’idea di doversene restare a casa. Effettivamente questa guerra era vista come un’occasione per il Giappone per poter ampliare la sua influenza politica in Cina, come avevo sentito dire qualche nostro cliente più illustre, che lavorava più a stretto contatto con l’imperatore, ma a quale prezzo? Per fortuna però nemmeno i nostri ospiti di quella sera volevano parlare troppo dell’argomento, che perciò cadde presto proprio grazie al festeggiato, che, da vecchio cliente ed amico della okasan chiese ed ottenne una sua esibizione canora, dopo aver raccontato a noi che eravamo troppo giovani per poterlo sapere, che anche se ormai lei si esibiva di rado, la sua voce era particolarmente apprezzata ai tempi della sua gioventù.
   Nelle settimane successive non ebbi altre notizie di Koji. Tornò qualche militare ferito, ormai non più capace di rendersi utile sul posto, ma trapelava soltanto che si stava ancora combattendo, niente di più. Nemmeno Shinobu si faceva vedere spesso: sapevo però che sempre più spesso era costretto a pernottare in caserma per via degli impegni sempre maggiori e che comunque non era escluso che se le cose si fossero messe male e ci fossero state troppe perdite altri soldati avrebbero potuto essere mandati al fronte per reintegrare le truppe, in casi estremi anche i più giovani ed inesperti.
   Io continuavo ad impegnarmi nelle mie attività quotidiane con tutta me stessa ed a pregare, ed intanto si entrò nel pieno dell’autunno. Alla fine di ottobre si seppe della decisione delle nostre truppe di assaltare Quingdao, il che, trattandosi di una città di mare, avrebbe coinvolto sia la marina che la fanteria: Keiko, più in pena che mai per il suo danna, iniziava davvero a rassegnarsi al peggio, e la sua apatia, anche se mi rattristava in parte mi aiutava, in quanto aumentava il mio carico di lavoro, il che avrebbe contribuito a non far trapelare troppo il mio tormento segreto. La mia unica consulente restava mia sorella, anche se a volte il comportamento di Kiyoko, che era più premurosa del solito nei miei confronti, lasciava intendere che lei sospettasse qualcosa, ma che taceva per non mettermi in imbarazzo.  Anche Koji era lì, a partecipare a quell’attacco su due fronti, magari in una trincea, sotto i bombardamenti, col rischio di morire da un momento all’altro? Chissà cosa stava provando, lui che era sempre stato così sensibile, che quando eravamo al villaggio aveva sempre trattato con tanto rispetto una bambinetta com’ero io allora e non avrebbe fatto male nemmeno ad una mosca! Una volta, anni prima di quando lui mi aveva salvata, lo avevo notato quando aveva difeso un cagnolino, crudelmente maltrattato da un gruppo di ragazzi, per poi tornare a casa vittorioso dopo aver salvato la bestiola ma pesto, dato che due di loro erano più grossi di lui. Koji era fatto così, ed allora mai avrei potuto anche lontanamente immaginare che un giorno sarebbe andato in battaglia, ad uccidere degli uomini, nemmeno per amore della sua patria: cosa stava provando ora? E chissà se ogni tanto pensava a me così come io non potevo smettere di sognarlo tutte le notti, in trepida attesa del suo ritorno… Perché anche se di giorno riuscivo a togliermelo dalla mente a volte per ore lui tornava da me la notte, nelle mie preghiere, nei miei ricordi e nelle mie speranze. Sognavo il giorno in cui si sarebbe ripresentato all’okiya, mostrandomi la medaglia che aveva guadagnato sul campo, diventando un eroe; sognavo il suo colloquio con la okasan alla quale si proponeva come mio danna; sognavo che mi riscattava, tornavamo insieme al villaggio e mi portava a conoscere meglio la sua famiglia che mi accoglieva con la sua stessa dolcezza; sognavo molto altro, anche solo di poter stare ancora fra le sue braccia. Dopo quell’unica volta in camera mia il mio amato non aveva più superato certi limiti con me, per prudenza e per rispetto per la mia posizione: non si era pentito, certo, ma aveva ammesso che eravamo stati incoscienti e subito io non avevo potuto non dargli ragione, ma in compenso al terribile ricordo di Hasegawa-san si era sostituito il suo, dopo la sua partenza più intenso e vivo che mai. Ma oltre a quei sogni che mi rasserenavano c’erano poi sogni di ben altro genere, sogni sulla guerra, le battaglie, le stragi… Ogni volta, al mio risveglio, piacevole o brutto che fosse, sentivo un nodo alla gola, al pensiero che avrei voluto almeno leggere una sua lettera, anche solo per sapere se stava bene, se era vivo!
   Finché una notte fu peggiore delle altre. Mi ero ritirata in camera più stanca che mai, dopo una giornata intensa, in cui oltre alle esercitazioni delle maiko avevo presenziato ad una festicciola. Una serata particolarmente pesante, dato che erano intervenuti solo politici, tutti esaltati dalle prospettive che il successo che stavano avendo i nostri primi interventi militari avrebbe offerto al Giappone ma soprattutto a loro. Non pensavano minimamente al prezzo di sangue che comunque era stato pagato: considerando solo l’affondamento della torpediniera S-90 erano periti più di 200 uomini ed anche il danna di Keiko risultava disperso, e poi sicuramente c’erano le perdite nel fronte di terra…
   “Un prezzo minimo, non è possibile che una guerra non comporti qualche perdita anche dalla parte dei vincitori, ma soprattutto per questi ultimi è un prezzo ben accettabile, perché è compensato dalla gloria, anche per le famiglie dei caduti” aveva commentato uno di loro, quando timidamente gli avevo posto la questione “Ma tu sei solo una ragazzina, non puoi capire queste cose” aveva aggiunto con un tono falsamente bonario, ma la sua risatina sotto i baffi tradiva quanto si sentisse superiore, per via della sua posizione sociale e del fatto che io fossi una donna.
   Ovviamente avevo annuito umilmente in senso di assenso, ma ero particolarmente nauseata, e la fine della festicciola era stata più che mai un sollievo. Fu una di quelle volte in cui mi era stato particolarmente utile il consiglio di Kikyo-san e delle altre geishe anziane, che mi invitavano a vedere quel genere di clienti sgraditi semplicemente come fasci di banconote, e niente di più.
Appena Miyuki mi ebbe aiutata a sciogliere l’obi la congedai e mi abbandonai sul futon ancora semivestita, senza nemmeno infilarmi dentro, e crollai dalla stanchezza. Come sempre rividi Koji, bello e radioso com’era quell’alba al villaggio, quando mi ero ripresa dalla mia malattia dopo il suo salvataggio, ed io lo avevo visto correre lungo il sentiero vicino casa mia e l’avevo fermato per ringraziarlo. Mi tendeva la mano, io la presi, e lui mi condusse al piccolo tempio, dove tutto era pronto per il nostro matrimonio. C’erano le nostre famiglie, c’era persino Aiko, anche se la vedevo ancora come il giorno in cui era partita per sempre dalla nostra casa, una splendida bambina di 9 anni. Ma non mi sembrò strano, ero troppo presa dalla mia felicità di vedere il mio desiderio di sempre che si stava realizzando: tutto era perfetto, il triste passato era alle spalle… Il celebrante ci invitò a pronunciare i voti nuziali ed iniziò Koji, mentre io, dopo aver chiuso gli occhi, raccoglievo le forze perché anche la mia voce uscisse chiara, senza bloccarsi a causa della troppa emozione, ed aspettavo solo di ricevere anch’io la fatidica domanda. Ce la facevo, solo quelle poche parole e poi lui sarebbe stato finalmente mio marito, per sempre! Invece fu la voce di Koji a bloccarsi di colpo, a strozzarsi… Subito riaprii gli occhi, anche per via delle urla che sentii alle mie spalle, dai posti degli invitati, ed allora fu l’orrore: Koji stava in piedi a stento, si teneva il petto, dove una ferita da arma da fuoco si allargava a vista d’occhio; la divisa, prima nuova e pulita, era a brandelli, impiastricciata di terriccio frammisto a sangue. Quando tentò di risollevare il viso verso di me e di sussurrare il mio nome un vistoso rivolo di sangue gli scese da un angolo della bocca e subito dopo mi crollò fra le braccia, mentre il tempio, e tutto là intorno man mano si trasformava in un enorme campo di battaglia, con morti ovunque: ero sola lì in mezzo, impossibilitata a correre a causa del peso del corpo ormai senza vita di Koji; tentavo di urlare, ma la voce non mi usciva…


 Note: 
 Torpediniera S-90: Il 17 agosto 1914, la torpediniera S-90 salpò da Tsingtao e, con un singolo siluro, riuscì ad affondare l'incrociatore giapponese Takachiho, dal dislocamento di 3.000 tonnellate. Nell'affondamento perirono 271 uomini di equipaggio. Tuttavia, l'S-90 non fu in grado di superare il blocco navale, e venne autoaffondato dall'equipaggio in acque cinesi, a causa dell'esaurimento del carburante.
 
Obi:  è una fusciacca o cintura tipica giapponese indossata principalmente con i kimono  sia da uomini che da donne.
Questa cintura nacque nel periodo Kamakura (1185-1333) grazie all'abbandono da parte della donna degli hakama (pantaloni larghi indossati sotto il kimono) e dunque all'allungamento del kosode (kimono a maniche corte) che rimanendo aperto nella parte anteriore aveva bisogno di una cintura che lo tenesse fermo. L'obi si evolse durante il periodo Edo, in quanto la nuova corrente artistica d'abbigliamento imponeva su alcuni modelli di kimono delle maniche molte lunghe e larghe che cambiavano le proporzioni all'abito; in questo modo l'Obi crebbe sempre di più fino ad impedire i movimenti alle donne che con il passare del tempo lo fecero scivolare nella parte posteriore dell'abito, dove si standardizzò nel XX secolo.

 

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Capitolo 21
*** Capitolo 21 ***


   Mi risvegliai di soprassalto, appena un attimo prima che una raffica di colpi giunta da chissà dove colpisse anche me, ormai rannicchiata a terra, il kimono nuziale zuppo del sangue di Koji, al quale continuavo a stringermi disperatamente nonostante lo sentissi sempre più freddo e rigido fra le mie braccia. Dovevo aver gridato, infatti appena aprii gli occhi vidi  Miyuki china su di me con un’espressione preoccupata, dunque doveva avermi sentita dal corridoio  e perciò era accorsa al mio capezzale. Ero in un bagno di sudore, e dato che ormai eravamo in pieno autunno ed iniziava a far freddo, a maggior ragione raggelai. Mia sorella mi rassicurò sul fatto che fosse stato solo un incubo, mi aiutò a cambiarmi e rimase con me, ma non riuscii più a riaddormentarmi e rimasi inquieta per tutto il resto della giornata successiva, per trovare un po’ di sollievo soltanto la sera, quando Shinobu ebbe nuovamente l’occasione di venire all’okiya con un paio di amici. Come mi spiegò, si trattava di due suoi compagni di scuola, e perciò per la prima volta  anche lui era senza uniforme. Sembrava ancora più giovane vestito con abiti civili, comunque  doveva averli scelti perché anche lui voleva distrarsi completamente almeno per qualche ora, ed infatti non toccò quasi per niente l’argomento, e soprattutto grazie a quel tipo bizzarro che dichiarava un promettente scrittore riuscii a divertirmi, ed a farmi dimenticare i cupi pensieri della notte precedente.
   Il mattino successivo però il mio umore peggiorò nuovamente, e tornò pure quel soffocante senso d’inquietudine, che non mi abbandonò mai completamente per giorni; a peggiorare le cose, anche nelle notti successive dormii male: sicuramente avevo ancora incubi, anche se al risveglio non riuscivo a ricordarli bene come quello delle mie “nozze di sangue”, anzi, non li ricordavo affatto. Ma anche se li avessi ricordati la situazione non avrebbe potuto essere peggiore: quel primo lungo incubo mi aveva comunque lasciato dentro qualcosa di indelebile, spazzando via dal mio cuore tutte le aspettative, le dolci speranze che avevo coltivato da quando avevo rivisto Koji e lasciandomi solo tutto ciò che avrebbe potuto ferirmi, lentamente ma sempre più profondamente ed ossessivamente. Possibile che non ci fosse alcun modo per fare previsioni anche vaghe su quanto ancora sarebbe durata la guerra, per conoscere gli esiti delle battaglie, per sapere chi era salvo e chi invece era stato ferito oppure... (invano tentavo disperatamente di respingere anche il solo pensiero!)? Ed il fatto che non potessi sfogarmi apertamente come Keiko diventava per me sempre più insopportabile, anche se Miyuki e Kiyoko facevano di tutto per darmi anche solo un minimo di conforto.
   Mai invidiai Keiko quanto quel giorno di fine novembre, quando, in una serata alquanto fredda in cui mai ci saremmo aspettate di dover ricevere visite, ne giunse una delle più impreviste: il capitano Miura! Era smagrito, dall’aria stanca, un lungo sfregio gli solcava l’intera guancia destra e si sosteneva ad un bastone, ma lei, dimentica di ogni formalità corse fra le lacrime ad abbracciarlo. Evidentemente era stato congedato perché in quelle condizioni non poteva più continuare a combattere, ma ciò che più contava era che era vivo, e le era di nuovo accanto!!!  
    Il capitano Miura ci raccontò di come il nostro esercito si fosse fin dal primo momento fatto onore in battaglia, di come lui fosse stato gravemente ferito ed inizialmente dato per disperso. Forse per via della sua ferita non avrebbe mai più potuto combattere in prima linea ma erano riusciti miracolosamente a salvargli la gamba, inoltre era tornato da eroe distinguendosi per il suo coraggio e ciò gli aveva fatto guadagnare una medaglia al valore. Eppure, anche se era un eroe ed aveva rivisto Keiko, qualcosa in lui era cambiato: e non erano  solo le ferite fisiche che gli avrebbero segnato per sempre il corpo, non solo quelle gli avevano strappato qualcosa; mi resi conto che ciò che aveva dovuto vedere con i suoi occhi chiunque avesse anche solo letto dei libri sulla guerra non avrebbe mai potuto comprenderlo!
   Dopo che sua moglie lo aveva lasciato per sempre con un bambino morendo di parto, Keiko era l’unica persona al mondo che gli era rimasta e che lo amava e lo comprendeva, mentre non era mai riuscito ad instaurare un rapporto molto stretto col figlio, colpevole forse di avere gli stessi occhi della donna che lui con la sua nascita gli aveva involontariamente portato via. Così, appena il bambino aveva raggiunto l’età minima adatta, il capitano, che anche per via del suo lavoro stava troppo poco in casa per occuparsi di lui, aveva provveduto ad iscriverlo ad un collegio e lo vedeva assai di rado, e perciò, essendo ormai la sua esistenza in casa assai solitaria, era più che comprensibile che appena giunto in città Keiko fosse stata il suo primo pensiero. Ma non solo per rivederla: intendeva riscattarla per sposarla!!! L’annuncio sconvolse tutte noi a cominciare dalla okasan. O almeno tutte tranne la diretta interessata, che anche se non aveva ancora sentito da lui nemmeno un’ipotesi del genere, nel profondo del cuore ci aveva sempre sperato ed alla tanto sospirata proposta formale era raggiante. L’offerta di riscatto del capitano era di tutto rispetto, perciò la okasan non ebbe nulla da obbiettare. Il capitano la ringraziò, e poi commentò che aveva sprecato troppo tempo (otto anni!) da solo, dopo che la sua sfortunata Oyuki lo aveva lasciato, ma che l’orrore a cui aveva assistito, aver visto tanti del suo equipaggio morire in mare anche sotto i suoi occhi e tanti altri sopravvissuti ma brutalmente martoriati e feriti, aveva cambiato totalmente il suo modo di concepire la vita, le sue priorità: a causa della sua gamba avrebbe dovuto abbandonare il suo posto, ma era riuscito a ritrovare una donna che ormai amava profondamente ed era deciso a recuperare anche il rapporto con il figlio, per quanto possibile. Avevo sempre rispettato quell’uomo, ma lo rispettai ancora di più per come aveva deciso di seguire il suo cuore decidendo di sposare una geisha senza considerare l’opinione della gente, e finalmente riuscii anche a condividere la gioia di Keiko ed a pensare ancora una volta che quella sua gioia un giorno avrebbe potuto essere la mia.
   Ma anche quel mio ritrovato ottimismo durò davvero poco. Nonostante fossimo rimasti tutti alzati per festeggiare fino a tardi, il capitano tornò all’okiya per portare per sempre Keiko a casa con sé già l’indomani di buonora , e quando la salutammo io mi sentivo fresca e riposata come non ero da giorni, dopo un sonno non lungo ma senza incubi. Purtroppo però quello stesso giorno scoprii che la mia rinata speranza della sera prima non si sarebbe mai avverata. Quando, presolo un attimo in disparte, avevo trovato il coraggio di chiedere al capitano se aveva notizie dei soldati della 18ª Divisione fanteria (inventandomi che avevo scoperto per caso che ne faceva parte un mio conoscente originario del mio paese, il che era in buona parte vero, ed anche sfruttando il fatto che non era il tipo d’uomo da fare troppe domande che non lo riguardavano) lui mi aveva detto che dopo aver rischiato la morte era rimasto per tutto il tempo in ospedale finché non lo avevano rimandato in città, e lì non aveva potuto ricevere notizie precise.  Ma per un ulteriore, beffardo scherzo del destino, senza che il capitano avesse contribuito in alcun modo all’annuncio della notizia, proprio in quel giorno in cui iniziava una nuova felice vita per Keiko la mia sprofondò in un baratro oscuro.
    Quella mattina, fredda ma limpida, Miyuki e le altre sguattere stavano completando le pulizie nella stanza della nostra compagna, che prima o poi sarebbe stata occupata da un’altra geisha, quando Kiyoko mi manifestò il desiderio di fare una passeggiata nel parco e mangiare delle daigaku imo, presso un venditore ambulante che tornava lì ogni anno. Lei ne era golosa, e diceva che a quel chiosco erano proprio identiche a quelle che mangiavamo al nostro villaggio. Io condividevo la sua opinione ed anche a me le daigaku imo piacevano molto fin da quando ero piccola, così dato che per la mattinata non avevamo particolari impegni approvai con entusiasmo la sua proposta.
   Prima di incontrarci all’okiya io non avevo mai avuto modo di conoscere bene mia cugina, anzi, non in realtà non l’avevo mai conosciuta, essendo lei stata venduta all’okiya prima che nascessi; però quella situazione, che entrambe avevamo vissuto da piccole pur se in tempi diversi, ci avvicinava molto attraverso i nostri comuni ricordi, e finalmente decisi di parlarle più apertamente: Miyuki era sempre molto affettuosa, a lei avevo raccontato qualsiasi cosa, ma l’avevo capito da tempo, lei non era mai stata in grado di consigliarmi seriamente e tanto meno di comprendermi a fondo. Finora mi era andata bene anche così, mi bastava avere Koji accanto per sentirmi in grado di fare e sopportare qualsiasi cosa, ma con lui lontano era diverso… Forse non mi avrebbe nemmeno rimproverata per la mia incoscienza, dato che aveva già in parte compreso la situazione e dopo quella prima volta non era più tornata esplicitamente sull’argomento, ma sicuramente Kiyoko avrebbe saputo, oltre che consolarmi, darmi qualche saggio consiglio su come comportarmi quando Koji sarebbe tornato e come avrei potuto gestire al meglio la nostra storia nella mia condizione di geisha che rischiava di essere scelta da un altro uomo. Respirai a fondo, come facevo sempre quando volevo raccogliere un po’ di coraggio, ma le avevo appena accennato del mio bisogno di confidarmi con lei su una questione personale molto delicata che si udì un notevole trambusto: uno strillone era arrivato all’ingresso del parco, dove stava annunciando  il trionfo delle nostre truppe nell'assedio di Quingdao, ma stava anche distribuendo copie degli elenchi dei caduti. Senza perdere tempo lasciai Kiyoko seduta sulla panchina con il sacchetto in cui erano rimaste ancora alcune daigaku imo e corsi verso di lui, riuscendo a barcamenarmi fra la folla che lo aveva circondato ed assicurandomi una copia, dopo di che tornai di nuovo a sedermi per leggerlo, ed allora sentii che per la prima volta in vita mia le daikagu imo mi avevano lasciato un retrogusto innaturalmente amaro, anche peggio del fiele.
   Per quanto riguarda ciò che accadde subito dopo, ho un vuoto di memoria: ricordo che mi sedetti di nuovo sulla panchina accanto a Kiyoko e lessi quella lista, poi il buio totale… Quando i miei occhi rividero la luce ero di nuovo all’okiya, stesa sul mio futon, ed attorno a me c’erano Kiyoko, Miyuki ed anche la okasan. Mia cugina mi raccontò che ero svenuta al parco, e così aveva dovuto chiamare aiuto per riportarmi indietro; la okasan mi disse che stava giusto per far chiamare il dottore, ma io le dissi che non ce n’era bisogno, mi ero ripresa. Per qualche minuto non ricordai nemmeno cosa mi avesse provocato quello shock, solo dopo che la okasan fu uscita mi guardai intorno ed intravedendo il foglio spiegazzato che sporgeva dalla tasca del mio hanten realizzai. Guardai disperatamente Kiyoko, come per chiedere muta conferma, e lei annuì, desolata: “Era di lui che volevi finalmente parlarmi, vero?” mi disse “Avevo capito già tutto, mia povera Tsuki-chan!” e mi abbracciò, invitandomi a sfogarmi. Già piangeva per me, ma, per quanto assurdo potesse sembrare, proprio in quell’occasione a me non uscì nemmeno una lacrima. Ed invece, con la mente del tutto offuscata e gli occhi talmente asciutti che quasi li sentivo bruciare, mi ritrovai a fissare il vuoto dietro di lei. Dietro di lei ma non solo, perché ormai per me tutto il mondo, senza Koji, era completamente vuoto.

 
 
Note:
Daikagu Imo: patate dolci.
Daigaku in giapponese significa Università e Imo significa patata. Che c’entrano le patate dolci giapponesi con il mondo universitario? Andiamo per gradi, cercando di schivare abilmente i facili giochi di parole che, questa volta nella nostra lingua, potrebbero portare a qualche goliardico fraintendimento (già il titolo è stato più che selezionato tra i vari “patate universitarie” “la patata all’università” e via dicendo!).
Anticamente, nel Giappone feudale e in particolare durante l’era dell’unificazione del Paese ad opera della dinastia dei Tokugawa (dal XVII secolo fino agli ultimi scorci del XIX, prima della cosiddetta Era Meiji, l’era moderna e di apertura all’Occidente), venivano denominati Ronin i Samurai rimasti senza un padrone, un capo o un feudo da servire a causa dei rinnovamenti sociali, della caduta o trasformazione di dinastie guerriere o eserciti o “semplicemente” perché per scelta decidevano di abbandonare tutto intraprendendo un Musha Shugyo (viaggio di studio del guerriero) per poi dimostrare la sua abilità e venire assoldato al servizio di qualche potente signore o famiglia
La parola Ronin indicava perciò il Samurai vagabondo o che per sopravvivere poteva essere assoldato sulla base di un compenso economico o, più tristemente a volte, per il semplice vitto e alloggio e il ritorno al proprio rango. In realtà, in quei quasi quattro secoli di storia del Giappone, l’utilità del Samurai come guerriero andava via via scemando…non era raro infatti che a parte lavori da guardia del corpo o istituzionali, i Samurai fossero anche meno motivati e allenati dei loro predecessori.
In questo periodo un Samurai poteva benissimo essere anche un addetto alla contabilità o un funzionario imbranato nelle arti marziali. In questa era di poche certezze per questa classe sociale ormai allo sbando, il termine Ronin, che significa letteralmente “uomo-onda”, qualcuno che vaga cercando di raggiungere disperatamente un’affermazione sociale, era certamente adatto.
Una situazione così radicata nell’immaginario collettivo nipponico, da sempre molto attento alle classi sociali e al posto e al ruolo di ogni individuo nella società stessa, che anche nell’epoca moderna il termine Ronin ha trovato inesorabilmente una categoria sociale che ben ne rispecchia le caratteristiche: quella degli universitari o meglio degli aspiranti tali!
Già perché in Giappone, dove fin dall’accesso alle scuole materne e per tutta la carriera scolastica è necessario sostenere dei test, dei veri e propri esami per valutare l’attitudine dello studente e il suo livello in funzione degli standard della scuola prescelta, accedere all’Università sembra essere una delle imprese più difficili!
Chiaramente se la difficoltà d’accesso ad una scuola è direttamente proporzionale al suo livello e alla sua reputazione, ne consegue che esistano scuole di altissimo livello ma anche di livello…”normale” dove è più facile entrare. Ancor più ovviamente, la scuola di provenienza influirà moltissimo sul passaggio successivo. E’ difficile quindi non pensare al sistema scolastico giapponese come ad un sistema dove fin da piccoli si segna in qualche modo il proprio futuro.
L’accesso all’Università dei sogni o molto spesso a quella più alla propria portata, è costellato di una serie di tentativi, di esami, di rinunce e periodi di lavori part-time nei quali conciliare il lavoro con lo studio sembra quasi impossibile. Senza la possibilità di tornare indietro, senza la possibilità di trovare un lavoro appagante full-time e con uno scopo da realizzare, gli aspiranti universitari sono davvero dei Ronin a tutti gli effetti! La figura dello studente è infatti così stigmatizzata da aver ispirato tutta una serie di luoghi comuni e storie ed è alla base di moltissimi racconti, telefilm, cartoni animati eccetera!
Paradossalmente poi, si dice che una volta entrati all’Università le cose non siano poi così difficili e che tutto scorra più o meno liscio fino ai primi colloqui con le aziende che già nell’ultimo anno iniziano a cercare e a valutare le nuove leve.
Ma le patate che c’entrano, direte a questo punto, tra Samurai, esami e studenti?
Ecco, sembra che a Tokyo, soprattutto in passato, uno dei cibi più alla portata degli studenti squattrinati fossero proprio le Daigaku Imo, le patate dolci cucinate nel modo che vi illustreremo, e che forse la ricetta sia nata proprio ad opera degli studenti stessi...
Chissà, forse qualche studente arrivato da fuori Tokyo, dalla campagna…o forse qualche venditore di questi dolci di patate che si trovava nei pressi di qualche prestigiosa Università come la Tokyo Daigaku, detta “familiarmente” Todai, o di quella di Waseda…difficile saperlo…rimane il fatto però che questo semplice e delizioso modo di cucinare le patate dolci, del tipo Satsuma Imo, è oggi conosciuto da tutti come Daigaku Imo, le patate dell’Università!
E quindi ecco la ricetta di questo dolce, specificando (per l’angolo degli ingredienti!) che il tipo di patata utilizzata, appunto la dolce Satsuma Imo che vedrete nelle foto, rossa e leggermente “a punta” verso le estremità, è reperibile anche qui in Italia, magari non dal fruttivendolo sotto casa, forse cercando un po’ oltre che nei soliti market orientali anche nei grandi mercati. Queste che abbiamo trovato sono leggermente diverse da quelle che si trovano in Giappone…un po’ più sull’arancione all’interno che bianco-gialle…ma vanno benissimo comunque!
 
Link (con la ricetta): http://www.corriereasia.com/ricette/cucina-giapponese/daigaku-imo-patate-dolci


 
 
L'assedio di Tsingtao fu l'attacco condotto contro il porto di Tsingtao (traslitterato oggi ufficialmente dai cinesi col sistema piyin come Quingdao, in tedesco il nome della città è Tsingtau), che era sotto controllo germanico, da parte delle forze armate degli imperi britannico e giapponese nelle prime fasi della prima guerra mondiale. La battaglia, che ebbe luogo tra il 31 ottobre ed il 7 novembre del 1914, si concluse con la vittoria alleata. Si trattò della prima operazione anglo-giapponese e del primo scontro tra le forze tedesche e giapponesi durante la prima guerra mondiale. Per altri dettagli, v. Wikipedia

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Capitolo 22
*** Capitolo 22 ***


 
      Più tardi Kiyoko disse che doveva lasciarmi, aveva degli impegni per il resto della mattinata e poi si era offerta di presenziare alle prove di danza delle apprendiste, dato che Keiko era andata via, il che l’avrebbe impegnata per il pomeriggio: qualsiasi cosa accada lo spettacolo deve andare avanti, ha sempre detto la okasan. Una geisha non deve lasciare che si notino i propri sentimenti e le proprie angosce, deve preoccuparsi di soddisfare i clienti sempre e comunque, ha sempre detto Kikyo-san.  A chi non è parte del nostro mondo questo potrà sembrare assurdo, crudele, eppure per noi è così, è la normalità: Kiyoko, la okasan, Kikyo-san non sono mostri insensibili, semplicemente sono geisha.
   Col permesso della okasan per il resto della mattinata Miyuki rimase con me. Non scesi a pranzo, lei mi portò qualcosa in camera, ma non riuscii a buttare giù nulla; quindi, quando lei fu richiamata in cucina per aiutare le altre domestiche a lavare i piatti, mi rimisi a letto, dove restai distesa per qualche ora in una sorta di dormiveglia. Anche la mamma si era sentita così quando quel terribile giorno si era ritirata in camera sua dopo la notizia della morte di Aiko? Lei almeno per tutta quella giornata si era sfogata per bene, versando calde lacrime, non reprimendo anche urla di dolore, e del resto anch’io in quella stessa occasione avevo pianto tanto; perché ora non ci riuscivo? Allora io mi disperavo pensando che non avrei più rivisto la mia sorellina, ero triste, ma come i miei altri familiari mi preoccupavo anche di cosa avremmo fatto noi altri per andare avanti, arrivando a propormi di venire qui all’okiya al suo posto per contribuire al sostentamento della famiglia e per salvare Miyuki dal triste destino che l’avrebbe attesa. Invece in quest’altra situazione non pensavo più a niente.
   All’improvviso mi resi conto che era giunta l’ora delle prove quotidiane delle apprendiste. Allora mi alzai, ed anche se barcollavo quasi come un’ubriaca scivolai, lentamente e silenziosamente, giù per le scale e poi lungo il corridoio, fino alla stanza dove avrei trovato Kiyoko. Chissà, magari quella situazione allegra mi avrebbe in qualche modo giovato… Raggiunta la stanza, feci scorrere appena i fusuma e vidi mia cugina, mentre correggeva una delle bambine. Era Kyu. Una ragazzina molto graziosa, ma che era anche una vera peste. La okasan l’aveva affidata proprio a Kiyoko perché la pazienza di mia cugina era proverbiale, e temeva che nessun’altra delle anziane l’avrebbe sopportata. In effetti non si capiva come suo padre avesse anche solo potuto vagamente pensare che quell’uragano avrebbe potuto mai diventare geisha, insofferente com’era di regola e disciplina; eppure anche con lei l’intuito della okasan, che non era certo il tipo da farsi scoraggiare da certe sfide, non aveva sbagliato, infatti mia cugina pareva l’unica a cui la piccola dava un briciolo di considerazione. Ancora una volta Kiyoko le dimostrava come avrebbe dovuto interpretare adeguatamente lo spirito del ciliegio, ancora una volta lei se ne usciva con pose assurde, perché quella danza era per lei troppo noiosa, come aveva dichiarato una volta senza mezzi termini, facendo impallidire Kikyo-san, che quella volta era presente e si era resa perfettamente conto di come la bambina a volte agiva in un certo modo proprio per stuzzicare lei, la geisha-oni. Più volte io ero stata di aiuto a mia cugina, ed ancora di più avrei dovuto esserlo ora che era venuto a mancare il supporto di Keiko nelle prove di danza, invece proprio nel momento del bisogno mi sentivo completamente svuotata. Non ebbi alcuna iniziativa. Fra l’altro in un altro momento quella scena mi sarebbe sembrata spassosa (anche se mai come le volte in cui Kyu faceva uscire fuori dai gangheri Kikyo-san: tanto per fare un esempio la storia di lei che le aveva fatto trovare una ranocchia nel futon facendola urlare parecchio a squarciagola, rimase famosa per anni nel nostro ambiente!), invece mi fu del tutto indifferente. Al contrario provai ulteriore tristezza e pensai che Kiyoko avrebbe dovuto capire che non valeva la pena sforzarsi tanto per raggiungere uno scopo, soprattutto di fronte a persistenti difficoltà, quindi senza farmi sentire richiusi i fusuma e tornai di sopra, con mio sollievo senza fare altri incontri nemmeno nel corridoio.
   Quando a fine lezione Kiyoko mi raggiunse nuovamente e mi invitò a scendere almeno per la cena io la seguii meccanicamente, ed altrettanto meccanicamente assecondai l’accorata insistenza della okasan e mangiai almeno un po’. Non sospettando affatto quale fosse la vera causa del mio stato, lei insistette sulla possibilità di farmi visitare dal suo medico di fiducia, temendo che potessi ammalarmi seriamente come Aiko, ma io declinai garbatamente la sua richiesta, attribuendo tutto solo alla stanchezza ed all’ansia che mi procurava la guerra, che teoricamente prima o poi avrebbe potuto anche estendersi alla nostra città. Evidentemente la mia recitazione fu convincente, perché lei rise e mi rassicurò, da come stavano andando le cose questo rischio pareva un’eventualità alquanto inverosimile, potevo stare tranquilla! Mi invitò comunque a prendermi qualche giorno di riposo, perché in quella situazione molto difficilmente avremmo avuto un altro ozashiki  molto presto, e per quelle poche serate poco affollate che ci capitava ancora di organizzare avrebbero anche potuto fare a meno della mia collaborazione per un paio di volte. In fondo non era una persona cattiva, i suoi atteggiamenti gentili nei confronti miei e delle altre ragazze non erano del tutto falsi ed era sinceramente preoccupata per me, o forse semplicemente si era resa in qualche modo conto che stavo molto più male di quanto volessi lasciare intendere, ma di certo lei confidava in una mia veloce ripresa, consapevole del fatto che io non ero cagionevole come la sfortunata Kikuko. Ma se avesse immaginato il vero motivo per cui stavo tanto male anche lei avrebbe compreso che avrei finito solo col peggiorare drammaticamente, come in effetti accadde.
   Non ero un’ammalata desiderosa di guarire, semmai avrei quasi preferito che l’incubo di quella notte fosse stato la realtà, era stato meno crudele in fondo: avevo ritrovato Koji ed eravamo insieme al nostro amato villaggio, avevamo intorno le nostre famiglie e potevamo amarci alla luce del sole, senza temere gli sguardi di disappunto della gente e le malelingue, ed eravamo arrivati addirittura davanti all’altare; persino il finale non era poi così terribile: lui era morto fra le mie braccia, ma di lì a poco anch’io avrei avuto la stessa sorte, e così sarei stata riunita a lui per sempre!
   Nella realtà invece avevamo dovuto ricorrere a mille sotterfugi anche solo per poterci parlare, creare disagi e far correre rischi anche ai pochi che volevano sostenerci ed aiutarci… Quella notte, infilatami completamente sotto le coperte del mio futon, in modo di coprirmi anche la testa, non riuscii a chiudere occhio. Miyuki non c’era lì con me, era stata incaricata dalla okasan di rimanere accanto ad una sua compagna che pareva aver preso un fastidioso raffreddore, ed io non avevo detto o fatto nulla per trattenerla: così ero sola ed anche se ancora i miei occhi erano irrimediabilmente asciutti la mia mente era più che mai viva, intenta a tentare di rievocare i momenti in cui, per quell’unica volta mi ero trovata in quello stesso futon avvolta dal suo abbraccio. E pensai ad Oyuki, la moglie del capitano Miura… Quella notte anch’io avrei potuto rimanere incinta; magari ciò mi avrebbe causato problemi, ma avrei potuto comunque portare a termine la gravidanza, mettere al mondo il figlio che entrambi desideravamo (o magari la figlia, su questo non eravamo mai stati d’accordo, perché Koji diceva sempre che per prima avrebbe preferito una bambina!) e morire nel farlo: Koji sarebbe stato triste, certo, ma gli avrei lasciato il frutto del nostro amore, e ciò avrebbe ben compensato il mio sacrificio, perché non ritenevo poi Oyuki così sfortunata, dato che in fondo era morta dando alla luce il figlio dell’uomo che amava…
   Invece allora nessuno di noi due aveva preso in considerazione quell’eventualità, ma ciò nonostante non c’erano state conseguenze e mentre da un lato ciò era stato un sollievo perché non avrei avuto guai all’okiya dall’altro ora mi riempiva di amarezza, perché dovendo sopravvivere al mio amato mi sarebbe rimasto sempre suo figlio a darmi quella forza che ora nessuno avrebbe mai potuto darmi. Non avrei avuto un bambino, il mio ventre era vuoto, vuoto come il mondo ormai senza Koji, vuoto come dev’essere il cuore di una geisha votata esclusivamente alla soddisfazione del cliente, vuoto come era diventata la mia esistenza.
   Non rimpiangevo nemmeno la compagnia di Miyuki o di Kiyoko e nemmeno quella dei miei cari rimasti al villaggio. Li amavo ancora, certo, ma sapevo che non avrebbero potuto in alcun modo essermi di vero conforto, attenuare anche solo in parte il mio dolore, liberarmi da quel nodo che sempre più stretto mi toglieva il respiro… Volevo restare sola, pensando che forse, rimanendo zitta e buona al buio per un tempo sufficiente anch’io avrei potuto sparire, annullandomi nell’oscurità e ponendo fine una volta per tutte al mio insopportabile tormento.
   Ma ovviamente non sparii affatto. E non solo non sparii, l’oscurità si attenuò sempre più ed iniziò ad albeggiare. Non avevo ancora sentito Miyuki risalire in camera sua (d’altra parte se fosse risalita non vi sarebbe rientrata prima di venire a controllare come stavo!), evidentemente si era addormentata in camera della sua amica, ma sicuramente appena sveglia mi avrebbe raggiunta. Non volevo che ciò accadesse: non volevo essere raggiunta, non volevo essere consolata, volevo solo che tutto finisse. Così decisi di non farmi trovare in camera e scesi velocemente, badando di non far rumore per non rischiare di svegliare qualcuno. E proprio mentre percorrevo la scala in silenzio pensai all’unico modo in cui avrei potuto riuscire ad ottenere ciò che volevo, ritrovare colui che amavo: anch’io avrei dovuto abbandonare questo mondo!!!
   Mi avevano raccontato che era tradizione del nostro paese che le mogli dei militari nel trasferirsi nella casa dei propri mariti portassero con sé fra le altre cose un kimono bianco da lutto ed un pugnale, entrambi da usare nel caso i mariti fossero caduti in battaglia e loro fossero rimaste vedove: in tal caso infatti la donna aveva il dovere, per dimostrare la sua devozione e la sua fedeltà, di indossare il kimono da lutto per poi rivolgere il pugnale contro se stessa. Ricordo che quando sentii questa storia da un cliente, nel corso di un ozashiki quando ero ancora una maiko, fui inorridita: in effetti era normale che una vedova restasse sempre devota alla memoria del defunto marito, ma addirittura questo? Non bastava che una donna dopo il matrimonio fosse condannata a rimanere praticamente relegata in casa, con l’unica funzione di lavorarci dalla mattina alla sera e di partorire e crescere figli, senza poter decidere nulla della propria vita se non in funzione del marito? Avevo sempre pensato che quando mi fossi innamorata di qualcuno non avrei potuto più innamorarmi di nessun altro se mai avessi perso il mio uomo, ma certamente non avrei pensato mai alla morte; e poi come avrei potuto avere il coraggio di provocarmela da sola? Senza contare che la mia famiglia avrebbe sofferto ancora di più!
  Allora non potevo ancora capire ciò che invece mi era improvvisamente divenuto chiaro e logico, rendendo la mia carriera, le amiche, persino la mia famiglia del tutto indifferenti. Non mi sentii più confusa, mi mossi con sicurezza, sapendo dove andare, cosa procurarmi e dove cercare; quindi mi diressi verso il magazzino, che di recente era più spazioso perché era stato recentemente risistemato, dopo che la okasan aveva fatto portar via diversi oggetti che vi si trovavano da anni inutilizzati. Inoltre era stato ripulito da cima a fondo, perciò nessuno mi avrebbe disturbata. Per un attimo pensai che avrei dovuto pianificare meglio il tutto, magari lasciare una lettera di addio alla mia famiglia per spiegare loro che non avevo avuto scelta, chissà se i miei mi avrebbero capita, se mi avrebbero perdonata perché alla fine anch’io avrei provocato loro dolore… E fui tentata di tornare indietro nella mia camera per prepararla, in fondo avrei potuto rimandare almeno di un giorno…
   Subito però mi resi conto che non potevo più resistere anche solo un’altra ora lontana dal mio Koji, e soprattutto pensai che in tanto tempo qualcuno avrebbe potuto intuire le mie intenzioni e fermarmi: pazienza, Kiyoko sapeva, lei avrebbe dato loro spiegazioni, non si sarebbe tirata indietro, almeno per amor mio!
   Sì, mi stavo comportando da egoista, ne ero perfettamente consapevole, ma non potevo farci più niente. Stringendo il pugnale in una manica del kimono entrai nel magazzino e richiusi la porta, quindi mi sfilai l’haori: per quanto assurdo anche in una situazione del genere l’esperienza che ormai avevo accumulato come geisha mi aveva indotto a compiere quel gesto apparentemente del tutto illogico e fuori luogo perché in quel modo almeno non avrei rovinato anche quel capo così costoso. Quindi, muovendomi quasi come se stessi compiendo un cerimoniale ben definito, mi portai verso il centro dello stanzone, mi sedetti e poggiai il pugnale sui tatami per racchiudermi per qualche minuto in preghiera, chiedendo almeno in quel modo perdono per i miei peccati.
   Infine, ripresi il pugnale e lo tesi con una certa esitazione verso il mio polso sinistro. Non sarei mai riuscita a conficcarmelo nel cuore né tanto meno a sgozzarmi, così avevo scelto un altro sistema, di sicuro meno traumatico, meno sanguinoso. Ma ugualmente la mano mi tremava, avevo paura. Dovevo fare in fretta, o avrei perso completamente il coraggio, e poi tenui raggi di sole iniziavano ad entrare dalla finestra…
   Calai: un improvviso dolore sordo, poi un brivido, poi l’odore del sangue che iniziò a gocciolare sempre di più. Il pugnale mi era caduto, ma raccogliendo le mie forze residue lo ripresi con la mano ferita, e lo rivolsi all’altro polso, stavolta con maggiore velocità e sicurezza. E poi di nuovo il buio più totale. 

 
  
Note: 
Geisha: non è un errore, il plurale italiano dei termini giapponesi è identico al singolare, l’ho appena scoperto! Perciò se in precedenza avete trovato “geishe” era lì l’errore!!!^^’’

Haori (羽織): un soprabito che giunge fino all'anca o alla coscia, che aggiunge ulteriore formalità. Introdotto già tra il XV e il XVI secolo, fu riservato agli uomini fino alla fine del periodo Meiji (1868-1912), quando col cambio delle mode è entrato nell'uso anche per le donne. I modelli da donna tendono ad essere più lunghi.
Originariamente, gli Haori furono creati per essere indossati esclusivamente dagli uomini sopra il Kimono.
Furono le geishe, verso la fine del periodo Meiji(1862-1912), a estenderne l'uso anche alle donne per proteggere i loro preziosi Kimono dalla polvere e dall'umidità.
La moda prese definitivamente piede con l'avvento del periodo Taisho (1912-1926).
 
Tatami (): è una tradizionale pavimentazione giapponese composta da pannelli rettangolari affiancati fatti conpaglia di riso intrecciata e pressata. Può anche avere diversi spessori che mediamente raggiungono i 6 cm. Le dimensioni non sono fisse variando da zona a zona. Orientativamente il tatami è lo spazio occupato da una persona sdraiata. Le misure più frequenti sono 90 cm × 180 cm oppure 85 cm × 180 cm. Vi sono anche i mezzi tatami di 90 × 90 oppure 85 × 85.

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Capitolo 23
*** Capitolo 23 ***


   Ecco, stavo finalmente per ritrovare Koji, e niente e nessuno avrebbe potuto più separarci! Mentre il sangue sempre più copiosamente macchiava il mio kimono ed i tatami del magazzino, io continuavo a chiedere mentalmente perdono a tutti, ai miei fratelli, ai miei genitori, a Kiyoko, alle altre amiche ed a tutti coloro che in qualche modo avevano provato affetto per me: avrei provocato loro dolore, ne ero consapevole, però non sarebbe stato necessario, anzi, avrebbero dovuto gioire sapendomi finalmente felice!
    Però che strano… credevo che in una situazione del genere avrei provato sempre più freddo, invece dopo i brividi iniziali sentivo sempre più caldo, ed addirittura sentivo già l’odore della sua uniforme, che mi avvolgeva e mi dava sicurezza: dunque Koji era già venuto a prendermi? Doveva essere così, perché oltre a quell’odore così familiare sentivo anche la sua voce che mi chiamava…
   Aprii gli occhi e con immensa gioia in un primo momento mi parve di scorgerlo, ma dopo qualche istante mi resi conto che il viso chino su di me non era il suo: era Shinobu!!!
   “Kichiji, per fortuna sono arrivato in tempo!”
   Qualcosa mi strinse i polsi, forse anche troppo forte, evidentemente aveva improvvisato delle bende e così mi aveva impedito di raggiungere il mio scopo. Troppo debole per parlare, gemetti per la disperazione.
   “Sei stata la donna del mio più caro amico, non lascerò che tu muoia!”
   Mi prese in braccio, avrei voluto divincolarmi e togliermi quelle maledette bende, ma non potevo. Non sentivo più il sangue che mi bagnava, l’emorragia si era arrestata del tutto; in compenso finalmente mi erano tornate le lacrime e non sentii più quel tremendo bruciore agli occhi.
   Persi nuovamente conoscenza e mi risvegliai nella mia stanza. Al mio capezzale c’era ancora Shinobu, ed oltre a lui Kiyoko.
  “Tsuki-chan, come hai potuto fare una sciocchezza simile?” mia cugina si sforzava di mostrarsi tranquilla, ma aveva gli occhi rossi: doveva aver pianto, si era spaventata sul serio.
  Io però non dissi nulla, e continuai a fissare Shinobu, in un triste e muto rimprovero.
  “E’ solo grazie a lui che non è accaduto il peggio” mi spiegò Kiyoko “Il sottotenente Ijuin era venuto qui a trovarti, perché appena ha saputo ciò che è accaduto al tenente Yamaguchi  si era subito preoccupato per te ed aveva pensato di venire a controllare come stavi… Mai idea è stata più azzeccata e tempestiva, è stato quasi un miracolo!”
   Il tenente Yamaguchi… Tenente... Quanto aveva desiderato Koji quella sua prima promozione, ma quando era riuscito finalmente ad ottenerla non aveva avuto nemmeno il tempo di rallegrarsene!
   Mia cugina si aspettava che ringraziassi Shinobu per il suo gesto, ma io me ne guardai bene: altro che ringraziarlo, provai solo un rancore sordo in quel momento, ah, quanto lo odiai!!!
  “Scusatemi, mi sento molto stanca” dissi in tono neutro, la voce ridotta a poco più che un sussurro. Voltai le spalle a Shinobu e mi sollevai la coperta fino al viso. 
  Kiyoko non mi forzò ulteriormente, e congedò Shinobu proferendosi ancora in mille ringraziamenti anche in mia vece. Lo sentii dirle, sulla soglia della mia stanza, che sarebbe tornato a trovarmi non appena mi fossi sentita meglio, ma per me avrebbe potuto benissimo farne a meno.
  Dopo di che dormii per parecchie ore, mi risvegliai solo l’indomani. Quella notte Kiyoko dormì con me, spostando provvisoriamente il suo futon nella mia stanza: avevano deciso di lasciare Miyuki ad assistere la sua collega ancora malata per tenerla lontana da me ancora un po’, perché avevano deciso di non farle sapere del mio insano gesto, dato che era già stata così emotivamente provata dalla morte di Aiko che non si poteva immaginare come l’avrebbe presa. Non era particolarmente intelligente, ma le vistose fasciature che avevo ai polsi non avrebbero potuto ingannare nemmeno lei.
  Comunque non mi avrebbero nemmeno mai lasciata sola, dopo ciò che avevo fatto, un atto disperato che avrei potuto molto facilmente ripetere: lei non era lì solo per confortarmi, ma soprattutto per sorvegliarmi, per ordine della okasan. Quanto a Kikyo-san, inutile dire che era furibonda: non era il tipo dal trattenersi dal dire ciò che pensava, nemmeno nelle peggiori circostanze, ed infatti quando mi raggiunse in tarda mattinata mi fece una delle peggiori lavate di capo che io avessi mai avuto in vita mia, e  non solo per via delle ovvie ripercussioni sulla mia attività, che avrebbe dovuto forzatamente interrompersi per chissà quanto tempo.
   Non importava, la mia oni-san poteva dirmi ciò che voleva, rimproverarmi, anche insultarmi, e questo valeva per tutti: anche se non mi era stato permesso di morire avevo totalmente perso la voglia di vivere, e tutto attorno a me, in quel mondo senza Koji, continuava a restarmi indifferente. Anche Kikyo-san se ne dovette rendere conto, visto che io non mostravo  alcun segno di reazione di alcun tipo alla sua predica, e così dopo un po’ dovette lasciarmi stare; quanto a Kiyoko, tentò invano di convincermi a mangiare qualcosa, ma neanche lei riuscì a scuotermi. Preoccupatissima e non sapendo più come prendermi, Kiyoko pensò di scrivere allo zio, che così avrebbe potuto avvisare mio padre, forse incontrarlo avrebbe potuto essere la soluzione! Ma sapeva bene che anche se la okasan avesse approvato la sua idea, ci sarebbero voluti giorni perché la notizia arrivasse a mio padre e perché lui potesse eventualmente venire qui ad incontrarmi. E poi io, quando lei me lo aveva prospettato, non avevo battuto ciglio. Intanto qualcosa doveva pur tentare, perché sicuramente se la okasan anni prima aveva salvato Miyuki per amor mio (ed innanzitutto perché compiacendo me avrebbe semplicemente garantito di più il suo investimento!), ora non era più sicuro che se la signora Shiori avesse mostrato interesse per una ragazza che era stata in precedenza una vera geisha lei le avrebbe opposto un nuovo rifiuto: chi avrebbe potuto risarcirla di tutte le spese fatte per me in tanti anni? La mia vendita ad una casa di piacere non sarebbe stata sufficiente, ma sarebbe stata molto meglio di niente!
  Kiyoko non aveva previsto che la soluzione dei miei problemi sarebbe stata molto più veloce: non aveva avuto ancora avuto modo di conoscere bene Shinobu. Quello stesso pomeriggio lui si presentò all’okiya, e sebbene non avesse un appuntamento pregò la okasan di permettergli di incontrarmi. E lei, data la riconoscenza che gli doveva per avermi trovata e salvata e comprese le sue intenzioni, glielo concesse senza nemmeno pretendere alcun pagamento.
   Non appena lo vidi sulla porta, accompagnato da Kiyoko, gli gridai di andarsene, ma ancora non sapevo quanto carattere potesse avere quel ragazzo. Non avevo avuto modo di rendermene conto prima di allora.
   “Mi dispiace, ma non me ne andrò” mi disse sorridendo, nonostante il mio sguardo ostile “Puoi gridare, insultarmi, anche tirarmi qualche cosa addosso, tutto ciò che credi possa esserti utile per sfogarti, ma sappi che non sono affatto pentito di averti impedito di morire, ed in ogni caso non ti abbandonerò” e sedendosi sul tatami rivolse uno sguardo d’intesa a mia cugina, che ci lasciò soli.
    Per un bel po’ rimanemmo così, in silenzio: io, che non avevo voluto saperne di uscire dal futon, gli voltai di nuovo le spalle e mi ostinai a guardare fuori dalla finestra. Lui invece rimaneva nella sua posizione, e quando ogni tanto mi voltavo furtivamente per studiare le sue reazioni lo vedevo che continuava ad attendere pazientemente vegliandomi con dolcezza. Così dovetti arrendermi, mi misi a sedere e gli parlai, sempre seccata ma senza aggressività:
   “Come hai fatto a trovarmi?” 
   “Non lo immagini? I geta, li avevi lasciati all’esterno del magazzino!” un sorriso, una bonaria presa in giro.
   “Già, ti ho fatto una domanda stupida…” non avevo pensato solo all’haori, ma anche a non entrare con le scarpe, eppure era solo un magazzino! Stupida usanza, stupida buona educazione che mi era stata inculcata all’okiya, eppure al villaggio mai mi sarei preoccupata di una sottigliezza simile, con tutto quello che avevamo a cui pensare!
    Con tutto quello che avevamo a cui pensare? Che vuol dire, che una volta divenuta geisha non avrei dovuto avere più preoccupazioni? Assolutamente no, direbbe chiunque, perché per chi non vi appartiene il mondo fluttuante è qualcosa di meraviglioso, perfetto come un luogo incantato… Come può una splendida geisha, ammirata e richiesta da tutti, una geisha che ha a disposizione tutti gli abiti e gli accessori che vuole ed ha anche tante doti artistiche, essere infelice e magari desiderare persino la morte? Una geisha ha tutto ciò che si può desiderare dalla vita, non può avere alcun motivo per essere infelice! Tutto falso, come la gentilezza formale della okasan quando anni fa venne nella nostra casa per comprare delle bambine innocenti come oggetti! Falso come la sua persistente giovinezza! Falso come i sentimenti espressi da una geisha in presenza dei clienti, che non potrebbero mai immaginare cosa realmente lei senta nell’animo!!!
   “Ero venuto all’okiya perché ero preoccupato per te” riprese Shinobu “Dopo la diffusione della notizia della nostra vittoria con la lista dei caduti ero sicuro che anche tu avessi saputo di Koji, e così volevo esserti in qualche modo di aiuto, di conforto, per quanto poco ti sarebbe potuto servire. Tua cugina mi ha accompagnato qui nella tua stanza e si è spaventata quando ha visto che non c’eri: mi ha raccontato come avevi saputo e come avevi reagito e così ti abbiamo cercata… Stavamo per lasciare l’okiya per cercarti anche fuori, anche se non avevamo la minima idea di dove indirizzarci, quando ho visto un paio di geta fuori da un magazzino dove non viene mai nessuno, sono entrato pensando che tu ti fossi rifugiata là semplicemente per trovare un po’ di solitudine, ed invece la situazione era molto più grave di quanto potessi immaginare…”
   “E così non hai potuto fare a meno di intervenire, di fare l’eroe…” commentai.
   Stupidi anche il senso del dovere, il codice d’onore del soldato e del samurai!
   “Non si è trattato proprio di questo…”
  “Beh, hai rispettato il tuo codice d’onore, la donna del tuo più caro amico è ancora viva, perciò puoi essere soddisfatto e fiero di te stesso, sottotenente Ijuin!” continuai, accentuando ancora di più la sfumatura ironica del mio tono.
  “Sempre se respirare, camminare e parlare bastano per poter parlare di vita!” puntualizzai. E di nuovo sentii spuntare le lacrime, che presero a bagnarmi le mani strette a pugno, nel vano tentativo di reprimerne il tremore indotto dalla rabbia.
   Vattene, vattene, lasciami in pace! Non ti rendi conto di quanto ce l’abbia con te? Hai impedito che mi ricongiungessi per sempre a Koji, e per giunta me lo ricordi troppo con quell’uniforme! La sua stessa uniforme, per questo sentivo il suo odore… Con la tua intromissione hai distrutto anche la mia ultima speranza di salvezza!!!
  Senza rendermene conto mi ritrovai finalmente a piangere a dirotto, stringendomi le ginocchia. Shinobu si avvicinò pian piano a me, mi circondò le spalle con le braccia, inizialmente con fare esitante, forse aspettandosi una mia reazione violenta, che però stranamente non vi fu. Quindi mi strinse forte a sé, per lasciarmi sfogare liberamente. Quel ragazzo, apparentemente molto più esile del mio Koji, era più forte di quanto pensassi, ed anche il suo petto ampio mi trasmetteva lo stesso calore e lo stesso senso di protezione che mi dava il mio amato.
   “Kichiji, ormai sono tanti mesi che ci conosciamo… Tu per me non sei soltanto la donna del mio migliore amico! Da quando Koji mi ha raccontato del tuo passato ho provato un grande rispetto per te, ammirazione per la devozione e lo spirito di sacrificio che fin da piccola hai dimostrato verso la tua famiglia offrendoti addirittura di andare a vivere in un okiya pur di poter essere loro di aiuto!” appena si rese conto che mi ero stancata di piangere Shinobu, tenendomi ancora fra le braccia, aveva ripreso a parlarmi con dolcezza “A quell’età io non facevo altro che a giocare, i miei nonni sono molto ricchi, la mia governante mi viziava e non ho idea di cosa sia la miseria, la visione incerta del domani, la fame… Poi col tempo ho iniziato a considerare anche te un’amica, non sono pochi coloro che non guardano con un certo senso di superiorità i miei capelli biondi, segno eclatante delle mie origini! Sei una brava ragazza, ti voglio bene, ed ho sempre sperato che tu e Koji poteste stare insieme alla luce del sole prima o poi, felici per sempre…  Anche se poi non è andata così, perché il destino non l’ha voluto…”
  Nel risentire il suo nome ebbi un nuovo sussulto. Ma non ripresi a piangere e non lo interruppi. Risollevai il viso e mi scostai piano da lui per rimettermi seduta per poterlo anche guardare in faccia, e  lui continuò, dopo aver preso le mie mani nelle sue:
  “Posso immaginare quanto dolore tu abbia provato, perciò posso capire che la vita senza di lui possa sembrarti insopportabile, ma come avrei potuto lasciarti andare fino in fondo, me lo dici? Non si tratta certo di una questione di senso del dovere: avrei forse dovuto abbandonare una mia cara amica in un lago di sangue? Te lo giuro, non ti sto dicendo che posso comprenderti tanto per dire, ti comprendo sul serio! E’ vero, non ho avuto problemi economici nella mia infanzia e per questo sono stato molto fortunato rispetto a voi due, ma anch’io ho perso una persona molto importante e per questo ho sofferto tantissimo!!! Ero solo un bambino allora, non avrei certo pensato a certe soluzioni estreme, ma fu orribile per me, ed ancora oggi se ripenso a mio padre provo dolore: anche se non rivolse un pugnale contro di sé praticamente smise di vivere quando fu separato per sempre da mia madre; poi decise di andarsene da casa per sempre e morì da solo all’estero… Avrebbe potuto restarmi vicino, avremmo potuto farci forza a vicenda per la nostra comune perdita, invece pensò solo a se stesso, e decise ad allontanarsi anche da me, colpevole di ricordargli troppo la donna che amava, e persino dai suoi genitori!”
   Shinobu continuò a parlarmi ancora a lungo in quel modo, col cuore in mano, di quella storia che in passato mi aveva solo accennato. Mi disse che non odiava suo padre: quando era bambino sua nonna gli aveva raccontato che era andato lontano perché doveva lavorare, ed una volta cresciuto, conosciuta la verità su di lui dalla stessa nonna, aveva ben compreso che Soichiro Ijuin non fosse un egoista, ma solo un uomo che era morto lontano da tutto e da tutti perché non era riuscito a reggere psicologicamente e fisicamente il troppo dolore; tuttavia riteneva anche che se invece avesse cercato il sostegno dei suoi cari avrebbe fatto del bene soprattutto a se stesso, senza contare poi la sofferenza che inconsapevolmente col suo gesto aveva provocato in coloro che aveva abbandonato, che si sarebbero sempre tormentati per non essere stati in grado di aiutarlo! Anche Shinobu si era sentito esattamente così, aveva pensato che a suo padre non era bastato l’affetto di suo figlio, e più volte si era ritrovato a fissare con disappunto il suo viso allo specchio, un viso di bell’aspetto che però tanto aveva acuito il suo dolore per via della troppa somiglianza a quello della donna che aveva amato più di qualsiasi altra cosa al mondo.
   “Pensa a tuo padre, che sente sulla propria coscienza già un grosso peso per aver mandato Aiko nel luogo dove la sua vita è stata così precocemente stroncata… Pensa a tua madre, che piangerebbe la morte di un’altra figlia… Pensa a Miyuki, che è stata già così duramente provata dalla vita e che si perderebbe definitivamente senza di te… agli altri tuoi fratelli, che anche se lontani continuano ad amarti ed a pregare per te… a Kiyoko, alle amiche che hai trovato anche qui perché sei una persona meravigliosa… Ma soprattutto pensa a Koji, che mi ha parlato tanto di te che quando ti ho conosciuta all’okiya è parso anche a me di conoscerti da sempre: ti amava così tanto e sognava sul serio di poter avere un futuro felice con te un giorno, non tanto per se stesso ma per te! Voleva solo la tua felicità, diceva sempre che avrebbe fatto in modo che tu non potessi soffrire mai più:  pensa a quanto si dispererebbe se ti vedesse in questo momento e se sapesse di aver addirittura rischiato di diventare l’involontaria causa della tua prematura morte!
  E poi pensa anche a me, che ti sono sinceramente affezionato e che condivido con te il dolore di questa perdita: aiutando te aiuterò anche me stesso, che soffro molto anche all’idea che dopo tutto ciò che Koji ha fatto per me io non ho potuto far nulla di significativo per ricambiare, nemmeno combattere al suo fianco!”
  “Tu non hai nessuna colpa verso Koji!” riuscii finalmente a dire, prendendogli una mano non appena colsi il tremito della sua voce a quell’ultima frase “E nemmeno verso di me, perdonami per le cattiverie che ti ho detto!”
  I suoi occhi si illuminarono nuovamente, mi sorrise con riconoscenza, ed io ricambiai: finalmente me n’ero resa conto: non era la morte la soluzione, ma la vita! Il mondo sarebbe continuato ad esistere anche senza Koji, ed io dovevo trovare la forza di andare avanti, per le persone che mi volevano bene, fra cui c’era anche lui, che sarebbe diventato il mio migliore amico…  Ma soprattutto dovevo farlo per me stessa.
   Si era ormai fatto buio quando Shinobu mi lasciò, non senza che io gli chiedessi di tornare di nuovo a trovarmi, non appena gli impegni glielo avessero di nuovo consentito.
   Quando più tardi Kiyoko tornò da me per controllare ancora come stavo e per invitarmi a scendere per la cena io declinai di nuovo il suo invito. Ma subito dopo mi giustificai dicendo che mi sentivo ancora troppo debole per alzarmi; e le chiesi, sorridendo timidamente e scusandomi per i problemi che avevo causato a lei ed alle altre negli ultimi giorni, se era possibile avere una porzione di brodo caldo in camera, per poter riacquistare quanto prima le forze e tornare così insieme a loro.
 



Note: 
Geta: sandali tradizionali giapponesi a metà tra gli zoccoli e le infradito. Sono un tipo di calzatura con una suola di legno rialzata da due tasselli, tenuta sul piede con una stringa che divide l'alluce dalle altre dita del piede. Vengono indossate con gli abiti tradizionali giapponesi, come gli yukata e meno frequentemente con i kimono, ma durante l'estate (in Giappone) vengono portate anche con abiti occidentali. Grazie alla suola fortemente rialzata, con la neve o la pioggia, vengono preferite ad altri sandali tradizionali come gli zori. Generalmente, i geta, vengono portati sia senza calzini che con appositi calzini chiamati tabi 

N.B. Le frasi in corsivo indicano i pensieri di Kichiji durante il colloquio con Shinobu.

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Capitolo 24
*** Capitolo 24 ***


   Fortunatamente Shinobu era arrivato abbastanza presto a salvarmi ed io non avevo perso moltissimo sangue, però ci vollero ancora diversi giorni prima di riuscire a tornare alle mie solite attività.
   Dopo aver saputo la verità sulle motivazioni del mio gesto le anziane furono più comprensive di quanto mi aspettassi. Ovviamente loro non me lo dissero mai, ma ormai lo so bene, ogni geisha nasconde certi segreti nel proprio cuore: anche se il nostro lavoro ci impone di essere sempre gentili e compiacere i nostri clienti, anche se quella pratica terribile a cui siamo sottoposte quando siamo ancora troppo giovani ci impone di unirci a uomini verso cui non proviamo alcun sentimento ed a volte ci suscitano persino ribrezzo, anche se spesso dobbiamo votare la nostra esistenza ad un danna che possa sostenere le nostre enormi spese, troppo spesso siamo in realtà costrette a soffocare le suppliche incessanti del nostro cuore, la sua spinta ad andare in ben altre direzioni, verso altre scelte... e mentre siamo in compagnia di un uomo fingiamo che si tratti solo di un fascio di banconote, oppure, più spesso, fingiamo che sia qualcun altro, colui che in realtà è il principale padrone dei nostri pensieri, dei nostri sentimenti…
   Purtroppo i successi in guerra portarono in quei giorni una serie di ozashiki ai quali avrei dovuto partecipare, ma Kikyo-san mi giustificò con i clienti che chiedevano di me, inventandosi una mia fantomatica malattia, che alla fine non si era rivelata poi così grave, ma che mi avrebbe richiesto un certo periodo di riposo. Miyuki aveva ripreso a prendersi cura di me ed io sentivo sempre più il desiderio di tornare ad aiutare le mie colleghe, ma la mia onee-san continuava a negarmi il permesso per via delle ferite sui miei polsi: sicuramente più avanti avrei potuto nasconderli con il trucco, ma finché fossero state ancora troppo fresche, da rallentarne la guarigione o addirittura da rischiare un peggioramento delle future cicatrici per via di un’eventuale infezione non avrei dovuto farmi vedere da nessuno dei clienti.
   Ovviamente nessuno tranne Shinobu, che veniva a trovarmi spesso, ogni volta che poteva. Un giorno sentii Kikyo-san in corridoio che prima di lasciarlo entrare in camera mia gli raccomandava di mantenere un atteggiamento rispettoso verso la mia posizione di geisha e gli faceva notare che il fatto che mi frequentasse così assiduamente e non in corso di impegni ufficiali con i clienti avrebbe potuto dare adito a sgradevoli chiacchiere sul mio conto. Allora io preoccupata gli chiesi quali fossero le sue intenzioni in merito, se intendeva assecondarla e cessare le sue visite; lui però mi rassicurò: non si sarebbe rimangiato ciò che mi aveva detto quando mi aveva salvata, che mi sarebbe stato vicino per aiutare me ed anche se stesso. Nemmeno eventuali chiacchiere lo avrebbero dissuaso, perché non stavamo facendo niente di male, e mi avrebbe difesa dalle insinuazioni degli altri clienti, se fosse stato necessario.
  Al contrario di Kikyo-san, la okasan fu sempre dalla nostra parte, vedendo l’effetto positivo che Shinobu aveva sul mio umore e credendo alla sincerità delle sue buone intenzioni.  
  Ma dopo quell’episodio nemmeno la mia onee-san tornò sull’argomento, perché le mie cicatrici ormai si vedevano appena e presto avrei potuto tornare agli ozashiki e soprattutto perché il problema su cosa avrebbe potuto pensare il mio aspirante danna se avesse saputo la verità non si pose più, perché di lì ad un paio di giorni infatti ricevemmo la notizia dell’improvvisa morte di Hasegawa-san: non aveva retto alla notizia della tragica fine di entrambi i suoi figli in battaglia ed era stato stroncato da un infarto. Quando, la mattina dopo la cerimonia del mio mizuage, mi ero ritrovata da sola a piangere nella mia stanza per la frustrazione e per il disgusto per il fatto di sentire ancora il suo odore addosso nonostante il bagno profumato che mi aveva preparato Miyuki, avevo desiderato fortemente di non rivederlo mai più, anzi, ero arrivata a pensare che se mai fosse sparito dalla faccia della terra avrei provato tale sollievo da provare gioia; invece, con mia enorme sorpresa, quando mi riferirono della sua morte provai una certa tristezza. Sì, Hasegawa-san era un uomo disgustoso, anche perché io non ero certo stata la prima ad usufruire di quel suo trattamento, e mi aveva fatta rabbrividire ancora di più l’idea di averlo come danna, il che avrebbe significato averlo sempre intorno, dedicargli la maggior parte del mio tempo e ripetere spesso quell’orribile esperienza, ma in qualche modo aveva avuto un ruolo importante nella mia vita, era di casa all’okiya e senza di lui gli ozashiki sarebbero stati diversi. E soprattutto, potevo comprendere troppo bene quanto dolore doveva aver provato. Un dolore che non avrei augurato nemmeno al mio peggior nemico, un dolore tale che il suo corpo, ormai già malandato per via dell’età e del sovrappeso, non era riuscito a sopportare. Quella notte, nel corso della mia quotidiana preghiera per il mio povero Koji, non potetti non rivolgere un pensiero anche per lui.
   Il tempo guarì le mie ferite, quelle del fisico ma anche quelle della mia anima. La vita all’okiya continuò come prima della tragedia, fra esercitazioni, lezioni alle apprendiste, ozashiki, impegni vari. Dopo Hasegawa-san non vi furono altri aspiranti danna; chissà, forse per via della guerra tutti avevano ben altro a cui pensare, e si limitavano alla compagnia delle geishe per poche ore, da condividere con gli amici più cari. Quando veniva a trovarmi Shinobu fra le altre cose mi raccontava anche di Koji, della loro amicizia e delle loro esperienze all’accademia, e mi resi conto che man mano il ricordo di lui mi pareva sempre meno doloroso e sempre più dolce. Ed ogni tanto io lo incoraggiavo a parlarmi anche di se stesso, della storia d’amore di sua nonna e delle sue giornate. 
   Una mattina, pochi giorni dopo la conclusione delle Miyako Odori, Miyuki mi disse che la lezione per quel giorno poteva aspettare: la okasan mi convocava nella sua stanza. Un po’ in apprensione per questa urgenza, mi affrettai a seguirla, temendo di aver contrariato in qualche modo lei o Kikyo-san, magari il mio periodo di inattività aveva pesato troppo sull’okiya e dopo ero rimasta troppo al di sotto dei miei soliti livelli, o chissà che altro avrebbero potuto rimproverarmi del genere… Invece con mio enorme sollievo e sorpresa, entrambe mi accolsero con un grande sorriso, e la bambina che si trovava sul tatami fra loro mi fece un profondo inchino: era Shitaji, una bambina giunta da noi qualche mese prima, in un giorno nevoso di dicembre. Come tutte le nuove arrivate, era stata inizialmente destinata solo ai lavori domestici e perciò non avevo avuto modo di parlare prima con lei, se non in un’occasione, esattamente la sua prima notte all’okiya, quando l’avevo sentita piangere in corridoio. Non avrebbe dovuto trovarsi lì, ma nella stanza a lei destinata con le altre bambine nella sua condizione e se l’avesse vista qualcuna delle anziane sarebbe stata sicuramente rimproverata per essersi avvicinata senza permesso alle nostre stanze, così l’avevo immediatamente raggiunta per riaccompagnarla personalmente senza che ci sentissero, ed avevo avuto modo di consolarla un po’. In quell’occasione avevo avuto modo di chiederle di raccontarmi la sua storia, anche se in realtà le nostre storie si somigliano un po’ tutte, con famiglie povere che non riuscivano più ad andare avanti e perciò erano indotte a vendere le bambine più carine agli okiya per tirare almeno per un po’ un sospiro di sollievo ed avere anche qualche bocca in meno da sfamare: Shitaji proveniva da un villaggio del distretto del nord-est, dove il gelo dell’inverno spesso era tale da compromettere i raccolti, rendendo particolarmente dura la vita dei contadini; anche lei proveniva da una famiglia numerosa, così suo padre, dopo due pessime annate, non aveva avuto altra scelta che vendere lei, l’unica femmina dell’età adatta, affinché fosse portata nel nostro okiya. A differenza che nel caso delle mie sorelle, la okasan aveva da un po’ di tempo smesso di andare personalmente nei villaggi per trovare nuove apprendiste ed aveva iniziato a seguire l’esempio delle altre okasan ed a servirsi come loro di un intermediario, in quanto iniziava a sentire il peso dell’età; colui che aveva scelto era una persona che aveva dimostrato un certo “occhio per gli affari” (per usare la fredda terminologia spesso usata nel nostro ambiente) ma purtroppo andava anche abbastanza per le spicce, infatti  Shitaji mi aveva confidato che lui non le aveva nemmeno dato il tempo di salutare per bene suo padre per l’ultima volta, perché l’aveva letteralmente strappata dalle sue braccia.   
    “Ti ho convocata qui, Kichiji, innanzitutto perché non mi sono ancora complimentata per bene con te per il tuo determinante contributo alla riuscita degli spettacoli!”esordì la okasan “Hai davvero soddisfatto le mie aspettative, sei diventata la geisha che ero certa saresti diventata, anche superando brillantemente un periodo anche troppo difficile per te… Sono molto orgogliosa, ed ho consegnato a tuo zio una lettera da consegnare alla tua famiglia perché ho voluto rendere partecipi anche loro!”
    Emozionata, subito feci per inchinarmi per ringraziare, ma lei mi fece cenno di lasciarla continuare.
   “Ma soprattutto, mia cara, ti ho convocata per un’altra cosa, ancora più importante: ormai è giunto il tempo che anche tu, come le tue colleghe più anziane, ti assuma la responsabilità dell’educazione di una giovane apprendista!”
    “Okasan?!?”
    Kikyo-san non si fece sfuggire la mia espressione sgomenta a quella proposta: l’addestramento di una giovane era davvero una grossa responsabilità, ed io ero ancora troppo giovane ed inesperta, come avrei potuto esserne all’altezza?
   “Ormai dovresti conoscere la okasan… Anche se io o altre avessimo disapprovato la sua decisione non si sarebbe certo lasciata influenzare, ma il problema non si pone nemmeno, perché io sono perfettamente d’accordo con lei: sei stata un’ottima allieva, hai appreso splendidamente le varie arti che deve conoscere ogni brava geisha, e sicuramente sarai altrettanto valida come insegnante nonostante la tua giovane età… Ancora una volta l’intuito della okasan si è rivelato esatto, sono fiera di te!”
  Una volta tanto la mia rigida onee-san dimenticò le formalità e venne ad abbracciarmi. Raramente l’avevo vista così, era felice quasi quanto me, anche se si ricompose quasi subito, invitandomi a non dare subito un cattivo esempio alla mia protetta.

 
 
 
Note:
Miyako Odori:
danze di primavera, fissate dal 1° al 30 aprile.  
Questo spettacolo ebbe origine negli ultimi anni dell’ ‘800 per promuovere l’arte, la cultura, l’industria di Kyoto caduta in declino dopo il trasferimento della capitale a Tokyo nel 1869.
Jiroemon Sugiura, proprietario della casa Mantei (oggi ancora esistente col nome di “Ichiriki”) popolarissima ed esclusiva casa dove si esibivano (e si esibiscono) in forma privata  maiko e geiko, ricevette l’incarico di ospitare nella sua casa una esibizione pubblica di danze eseguite dalle più famose geisha dell’epoca. Collaborò all’evento Yachiyo Inoue III maestro e capo della scuola di danza Kyomai ideando una coreografia precisa e fortemente stilizzata. A questa, nel 1872, venne aggiunto un coro e un’ orchestra. La performance fu eseguita questa volta, nella casa Matsunoya, e costituisce il prototipo dell’odierna Miyako Odori rimasta immutata da allora.
Ancora oggi come a fine ‘800 si occupano dell’evento i discendenti della famiglia Inoue. Le danze,  dall’edizione del 1873 si svolgono presso il teatro Kaburenjo. Qui hanno luogo 4 performance al giorno della durata di 60 minuti. E’ possibile prenotare posti più economici dove si siede sui tatami oppure posti più costosi, riservati e che prevedono una piccola cerimonia del tè prima dello spettacolo.

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Capitolo 25
*** Capitolo 25 ***


  Ovviamente non riuscii a seguire l’esempio della mia onee-san. Lei non mi aveva mai picchiata, ma era rigida con me; al contrario io non ero mai dura con Shitaji. Kiyoko mi aveva detto che anche senza raggiungere i livelli della geisha-oni occorreva comunque avere un minimo di pugno di ferro con le apprendiste, lo aveva imparato lei a sue spese con Kyu.
   Ma io fui fortunata, perché stabilii presto un’ottima intesa con la mia apprendista. Un giorno la okasan mi confessò che in realtà ci aveva sentite quando la sua prima notte all’okiya io l’avevo riaccompagnata in camera sua. Aveva però deciso di non rimproverarla, ma al contrario era rimasta ad ascoltarci e le era piaciuto il modo in cui le avevo parlato riuscendo a consolarla, ed era stato proprio questo ad indurla a decidere di affidarmi Shitaji, nonostante fossi ancora relativamente molto giovane (quando le fui affidata Kikyo-san aveva superato i trent’anni!), sfidando ancora una volta le antiche tradizioni.
   “Mi hai ricordato me stessa, quando ero più giovane” mi aveva detto tristemente la okasan “Cerca di non cambiare, non diventare anche tu una donna cinica, Kichiji… Non avrei dovuto affidare l’incarico di procurarmi nuove apprendiste al signor Nitta, avrei dovuto almeno preoccuparmi di cercare una persona che avesse un po’ più di tatto con delle bambine, che già sono spaventate per ciò a cui potrebbero andare incontro, per giunta!”
   Il signor Nitta, colui che aveva portato Shitaji all’okiya, svolgeva incarichi simili anche per conto di altre okasan, ed a quanto pare quel suo comportamento insensibile era abituale. Mi riproposi di cercare qualcun altro da proporle, per il futuro. E, pensai, nel caso assurdo in cui mi fossi ritrovata a gestire personalmente il nostro o qualsiasi okiya, non avrei mai assunto persone come lui.
   E’ vero che in quell’occasione ero chissà come riuscita a trovare proprio le parole giuste per Shitaji, ma più che ad una mia particolare capacità persuasiva lo splendido rapporto che si è instaurato fra noi è da attribuire soprattutto al fatto che la mia apprendista fosse molto dolce e sensibile: al contrario di altre ragazzine che in questi anni ho visto arrivare al nostro okiya  non ha mai accusato il padre per ciò che aveva fatto, si era resa perfettamente conto che non si era trattato di un gesto crudele, ma solo di un gesto disperato, compiuto nella sincera speranza di offrire anche a lei una vita almeno più dignitosa, in cui non avrebbe più sofferto il freddo ed avrebbe mangiato riso ripulito tutti i giorni.
   “Al villaggio non ci capitava mai se non di rado, nei giorni di festa!” mi aveva raccontato Shitaji, la cui esistenza passata era stata anche più misera della mia. Suo padre era rimasto vedovo dopo che la madre era morta dando alla luce una coppia di gemelli, un maschio ed una femmina, ed oltre a lei aveva altri tre figli più grandi, di cui una figlia di 16 anni, costretta a fare da madre ai fratelli più piccoli fin da quando ne aveva meno di 13, e due maschi, di cui uno di 15 e l’altro di 12, quest’ultimo ancora troppo giovane per costituire un valido aiuto nei campi. Loro oltre naturalmente ad altri 2 bambini, morti a pochi mesi di vita per via della malnutrizione.
   Finché era rimasta con la sua famiglia, Shitaji era ancora troppo piccola per dare concretamente una mano in casa, ma non appena aveva raggiunto l’età giusta il suo aspetto grazioso non era sfuggito all’occhio esperto del signor Nitta, che non aveva faticato molto a convincere quell’uomo, ancora più disperato per via delle ultime due pessime annate del raccolto, ad accettare quell’affare tanto fruttuoso quanto terribile. Sapevo che Shitaji aveva bisogno di parlare della sua famiglia, anche perché lei aveva dovuto lasciare tutti, non aveva avuto la mia fortuna di avere accanto una cugina e persino una sorella, perciò durante le pause spesso ero io stessa ad incoraggiarla a raccontarmi di loro, così come io le parlavo della mamma, del papà e dei miei fratelli. Inutile dire che appena si rese conto della situazione anche Kikyo-san mi espresse perplessità sui miei metodi ispiratimi a suo avviso dalla mia età un po’ troppo giovane per sapere esattamente come dovesse comportarsi una buona onee-san, che avrebbe dovuto essere buona non tanto nel senso di buona amica e complice quanto nel senso di buona guida per la futura attività, buona insegnante e maestra di vita. Ma ovviamente ormai non dovevo dare più conto a lei, nemmeno per come educavo la mia apprendista, così potei limitarmi a ringraziarla garbatamente per il consiglio senza necessariamente doverlo seguire, ed infatti continuai a mantenere con Shitaji un rapporto schietto e sincero, di reciproco rispetto.
    A parte che con me Shitaji era rimasta una bambina un po’ timida, così le proposi di specializzarsi per diventare una jikata, piuttosto che una tachikata. Lei ne fu entusiasta, promettendomi che avrebbe studiato sodo per poter essere al più presto in grado di potersi esibire insieme a me. Ne fui felice, mi affezionavo a lei sempre di più, quasi come alla sorella minore che non ero riuscita ad avere quando, dopo aver saputo che la mamma era in attesa di Toshiro e Sanzo e non conoscendo le reali priorità di una famiglia di contadini (ovvero di braccia forti che dessero una mano nei campi!), le avevo chiesto ingenuamente di regalarmi un’altra sorellina. Ma soprattutto, pensai una volta, se Koji ed io fossimo riusciti a diventare genitori come avevamo sognato, se fosse nata una femmina l’avrei voluta esattamente come lei.
   Insomma, le cose erano decisamente migliorate per me. Un bel giorno del marzo successivo ebbi poi una meravigliosa sorpresa in occasione di una delle tante visite di mio zio a Kiyoko, che si era presentato all’okiya con un giovane che non ricordavo di non avere mai visto… Un bellissimo ragazzo, alto e slanciato, che però mostrava di essere abituato al lavoro duro dei campi: mai, se non me lo avesse detto esplicitamente, avrei potuto riconoscere in lui il mio fratellino Toshiro, che ormai si era fatto quasi un uomo!   
   Toshiro mi spiegò che lo zio gli aveva proposto di vendere alcuni nostri prodotti in città, approfittando anche dell’occasione per incontrare le sue sorelle lontane. Ovviamente Sanzo era rimasto al villaggio per restare ad aiutare nostro padre nei campi, ma prima o poi sarebbe venuto lui al suo posto! Ovviamente gli chiesi di raccontarmi cosa avevano fatto negli ultimi tempi, in cui soprattutto per via della guerra anche i collegamenti postali erano stati un po’ meno agevoli. Mi raccontò che il papà e la mamma stavano abbastanza bene nonostante il trascorrere degli anni, Yuriko e Nobuyuki avevano ormai tre bambini: oltre ad Aiko avevano avuto un maschio, Toru, e solo pochi mesi prima un’altra bimba che avevano chiamato Airi (il che aveva reso particolarmente felice la signora Kimura, che nonostante il passare del tempo non aveva mai realmente smesso di rimpiangere la sua bimba perduta). Keita ovviamente era quasi sempre in casa, ma spesso era impegnato a fare lo zio, perché Aiko e Toru adoravano venire a casa nostra. Mentre lui e Sanzo erano spesso impegnati nel lavoro dei campi, anche se, mi confessò, lui era anche un po’ tentato dalle attività commerciali dello zio, pur non condividendo il suo coinvolgimento nelle vendite delle bambine agli okiya, pratica verso la quale iniziava a tirare aria di protesta, essendo considerata sempre più una pratica aberrante e crudele.
   Fui commossa dalla sua visita e dalla sua apprensione nei miei confronti, da come mi parlava dei vari problemi, in tono così maturo, mi resi davvero conto di quanto fossero cresciute quelle piccole pesti che io ricordavo esclusivamente nell’atto di correre qua e là e di combinare disastri! A Miyuki fu concesso qualche giorno di vacanza per tornare al nostro villaggio, così quella sera ripartì con lui, mentre io dopo averli salutati fui occupatissima a leggere le lettere di mio padre, di Yuriko e di Keita che mi aveva portato.
   Quella sera mi sentivo particolarmente serena: ero soddisfatta dei miei risultati come geisha, avevo un’apprendista che aveva piena fiducia in me, la mia famiglia stava bene e poi l’indomani avrei rivisto Shinobu, in occasione di un ozashiki. Dopo aver finito di leggere le mie lettere non avevo ancora sonno. Fino a poco tempo fa avrei approfittato di ciò per iniziare subito a scrivere loro delle risposte, da affidare allo zio alla prima occasione, ma trovai altro a cui dare la precedenza, infatti decisi di dare un’occhiata ai miei kimono ed ai miei accessori, per scegliere cosa fosse più adatto indossare per l’ozashiki. Volevo essere bellissima, ma non per i clienti, no: mentre passavo attentamente in rassegna tutti i miei kimono, selezionandoli in base ai colori ed alle fantasie mi ritrovai a pensare solo a Shinobu, a cosa sarebbe stato meglio indossare per piacere di più a lui… Anche se di lì a poco sarebbero iniziati nuovamente le Miyako Odori, ed allora sì che avrei dovuto risplendere per tutti, mi ritrovai a considerare quell’occasione assai più banale molto più importante. Non riuscivo a spiegarmelo, ma sempre di più l’immagine di Koji e quella del suo giovane amico presero a sovrapporsi nella mia testa. Fisicamente erano così diversi, il mio amato così tipicamente giapponese, mentre lui con quei capelli biondi, gli occhi nocciola e le gote morbide che tradivano anche allo sguardo più sfuggente le sue vere origini… Ma per il resto li trovavo sempre più simili: entrambi militari, entrambi onesti, altruisti, gentili e così pieni di riguardi per me! Nel preciso istante in cui quel terribile giorno d’inverno avevo scorto il suo nome nella lista dei caduti nella battaglia di Quing-dao avevo perso ogni desiderio di vivere perché avevo realizzato che non avrei mai più rivisto Koji e giammai qualcun altro avrebbe potuto prendere il suo posto, nemmeno a distanza di cinquanta e più anni, fino alla mia morte; per questo ciò che mi stava accadendo, e dopo così poco tempo, mi parve ancora più difficile da comprendere. Inizialmente comunque non mi posi troppe domande: dopo aver finalmente trovato un kimono che mi soddisfaceva lo misi da parte e passai in rassegna gli accessori per i capelli,  e questo mi occupò per un’altra mezz’ora buona.
   Quando finalmente mi addormentai, in sogno rivissi il momento in cui mi aveva presa fra le braccia, dopo avermi strappata alla morte. E l’indomani nonostante le poche ore di sonno mi risvegliai del tutto rinfrancata e di buonumore, ancora di più che negli ultimi tempi.




 
Note:
Jikata:
una geisha che si specializza in canto e suonare strumenti musicali. Il nome significa "persona terra" si riferisce alla loro posizione seduta.
Tachikata: è l’artista principale, conosce la danza ed un altro strumento musicale oltre allo shamisen, come il flauto o il tamburello.
Le geishe jikata tachikata e geisha sono i due tipi fondamentali di mondo geisha. Sono uguali in tutto, tranne che nelle artidurante il potenziamento di ozashiki e banchetti. Ed è in tali strutture, ci sarà sempre maiko o ballare geisha e cantare o suonare altri strumenti.
Mentre tachikata stanno ballando al tradizionale mai danza giapponese, il jikata più impegnati a cantare o suonare vari strumenti tradizionali come lo shamisen.

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Capitolo 26
*** Capitolo 26 ***


   Il tempo passava, ed io avevo ripreso in mano le redini della mia vita. L’addestramento di Shitaji procedeva bene e Shinobu era ormai un affezionato cliente, anche se più che per “spassarsela con le geishe”, come dicevano i suoi compagni, veniva all’okiya per venire a trovare me. Qualche volta ci capitava anche di incontrarci all’esterno, tranquillamente alla luce del giorno, perché, proprio come Koji, Shinobu non era assolutamente il tipo da preoccuparsi delle apparenze o di ciò che avrebbero potuto pensare di lui: aveva solo deciso di fare una passeggiata o di entrare in una sala da tè per chiacchierare con una vecchia amica, che male avrebbe potuto mai esserci in questo? Questa fu l’osservazione che fece quando un giorno gli espressi il mio timore che quei nostri incontri potessero danneggiare la sua reputazione, un’osservazione con la quale avrebbe voluto rassicurarmi ed invece ebbe un po’ l’effetto opposto. Ma cos’altro avrei dovuto aspettarmi? Eppure cosa significavo io per lui me l’aveva detto chiaramente fin dall’inizio, ed ancora più esplicitamente quel giorno in cui mi ero ripresa fra le sue braccia con le bende che mi stringevano i polsi, quelle bende che lui aveva disperatamente improvvisato per salvarmi la vita, e che io avevo segretamente conservato come una reliquia, macchiate così com’erano del mio sangue, nello stesso cassetto in cui custodivo la sciarpa ed altri ricordi di Koji, l’omamori della mamma e le lettere della mia famiglia.
   Avevo sempre saputo la verità, eppure impulsivamente avevo fatto una cosa così assurda: nonostante la vita in risposta alle mie aspirazioni mi avesse già sbattuto in faccia l’amara realtà avevo nuovamente osato pensare chissà cosa! Senza contare che avevo dimenticato un altro aspetto della realtà che non avevo mai seriamente considerato, e col quale avrei dovuto fare prima o poi i conti. E quel giorno arrivò prima che potessi immaginare, una sera durante un ozashiki in cui i giovani che circondavano Shinobu parevano particolarmente allegri e vivaci, ed il chiasso che facevano attorno a lui si sentiva fin dal piano di sopra, quando ero ancora in camera mia per gli ultimi ritocchi prima di scendere.
  “Devi sapere, Kichiji, che oggi è un giorno molto importante, ed è proprio per questo che siamo qui a festeggiare!” esordì Ogawa, il più rumoroso del gruppo che sembrava già un po’ alticcio, non appena mi fui avvicinata al loro gruppo per capirci di più.
  Al che guardai con aria perplessa Shinobu, che cercava di trattenerlo, invitandolo anche ad un maggiore contegno, ovviamente invano.
  “Finalmente è arrivato anche il suo turno, è stato preso all’amo, il nostro Ijuin si è ufficialmente fidanzato!!!” sbottò infine Ogawa, ridendo sguaiatamente e  dandogli forti pacche sulle spalle.
  “Cos’è questa faccia, Ijuin, capisco che hai perso la tua libertà e troppe fanciulle dell’aristocrazia piangeranno, ma non sarà peggio di un funerale, quindi beviamoci sopra dopo un altro brindisi… Kanpai!!!” disse Ito, un altro suo compagno fino ad allora rimasto zitto.
   “KANPAI!!!” gli fecero eco tutti gli altri, a cominciare da Ogawa, che si era avvinghiato al festeggiato in un abbraccio che sembrava di più una stretta di arti marziali.
  Nonostante la stretta soffocante Shinobu manteneva come da suo solito un atteggiamento composto e si limitò a sorridere garbatamente ai compagni intenti a festeggiarlo. Allo stesso modo sorrisi anch’io, ma fu una di quelle volte in cui per riuscirci dovetti sforzarmi, e subito dopo annunciai che sarebbe stato il caso di assentarmi per un attimo per andare a prendere qualche altra bottiglia di sakè. Ero diventata una geisha esperta, e sapevo bene come districarmi in certe situazioni, infatti nemmeno Kiyoko, Kikyo-san  e le altre lì presenti sospettarono di nulla. Fra l’altro è anche vero che avevo smesso di farmi troppe illusioni di poter avere prima o poi una vita diversa, ed anche se negli ultimi tempi mi erano nate alcune fantasie su Shinobu Ijuin queste non erano minimamente paragonabili a quelle su Koji. Ormai nemmeno l’idea di avere prima o poi un qualsiasi danna non mi sembrava più così abominevole come un tempo, ma semplicemente avevo iniziato a considerare il danna come una componente come tante della vita di qualsiasi geisha, alla quale era precluso il vero amore, e la vita era stata fin troppo generosa con me donandomi quegli splendidi mesi insieme a Koji. Shinobu era gentile, generoso, leale, non si dava arie come avrebbe potuto un giovane aristocratico come lui, aveva il senso dell’umorismo, nonostante avesse anche lui sofferto fin da bambino: amavo il suo carattere, ma essendo ormai divenuta più matura mi rendevo conto che non avrei potuto sperare niente di più che magari potesse diventare lui il mio danna un giorno, date le sue nobili origini. Un danna, non certo un marito, perché un giovane del suo rango, per quanto incurante del giudizio altrui e delle apparenze, non avrebbe mai potuto abbassarsi a sposare una geisha, e più anziana di lui per giunta! Sua moglie sarebbe stata un’altra, una fanciulla del suo ceto sociale, ed una come me avrebbe al massimo potuto condividere un uomo di quell’ambiente, non certo frequentarlo ufficialmente e tanto meno averlo tutto per sé!
    Mi felicitai con tutto il cuore con Shinobu, gli dissi quanto quella fanciulla fosse  fortunata e gli chiesi di raccontarmi, la prossima volta che ci saremmo visti, com’era andato il loro primo incontro, previsto per l’indomani. Non gli feci quell’ultima richiesta per farmi sadicamente del male, in quel momento pensai davvero che se la mia condizione di geisha mi privava del diritto di avere sogni troppo ambiziosamente romantici mi sarei contentata di vedere felici le persone a me care, ed ero certa che un ragazzo come Shinobu, mio amico tanto quanto del mio Koji, avrebbe potuto sposare soltanto una fanciulla bella, intelligente, sensibile e gentile. Insomma, una donna a lui affine, che sarebbe stata un’ottima moglie e lo avrebbe reso felice, esattamente come avrei fatto io al suo posto, perché ad uno come lui era impossibile non volere bene.
   Shinobu promise, e la nuova occasione si ripresentò più o meno un mese dopo. Fu lui a contattarmi, chiedendomi di incontrarci. Purtroppo però la sua fidanzata, una certa Benio Hanamura, non era affatto come l’avevo immaginata. Come al solito Shinobu pareva prendere la situazione con molto umorismo, ma ciò che mi raccontò non mi fece ridere affatto, anzi! Quella ragazzina non solo l’aveva schiaffeggiato quando si erano casualmente incontrati prima che lui arrivasse a casa sua, ma poi lo aveva persino sfidato a duello battendosi con lui in presenza del padre! E come se non fosse bastato, non aveva preso affatto bene la decisione del padre e perciò non si era fatta alcuno scrupolo a fuggire con un altro ragazzo!!! Lui stesso li aveva ritrovati ed aveva ricondotto la sua fidanzata dal padre, ma ciò che era accaduto non lo aveva fatto desistere dalla decisione di sposarla e lei ormai si era trasferita a casa sua, come apprendista sposa della famiglia Ijuin, e continuava a combinarne una nuova ogni giorno, col dichiarato intento di farsi scacciare.
   Non riuscivo proprio a comprendere Shinobu, che non solo non si era minimamente offeso per l’atteggiamento continuamente ostile della signorina Hanamura verso di lui e verso il suo ambiente, ma addirittura pareva sempre più entusiasta di lei da come, anche nel corso dei nostri successivi incontri, mi raccontava tutto ciò che lei combinava ogni giorno: conoscevo fin troppo bene la sua generosità, ma quel suo atteggiamento pareva rasentare il masochismo, anche se sapevo che si comportava così per compiacere la nonna. Finché iniziai a notare una luce particolare nei suoi occhi ogni volta che pronunciava il suo nome, inequivocabile segno che quel suo entusiasmo inizialmente legato alla comicità di certi atteggiamenti di quella strana ragazza, meritevole di aver rotto la monotonia della sua vita da rampollo di una nobile famiglia ancora troppo legata alle vecchie tradizioni, si stava trasformando in qualcosa di ben diverso, ovvero una simpatia sincera, se non addirittura amore!!! Anche se una geisha come me non avrebbe mai dovuto osare nemmeno sognare di poter avere una vita felice accanto ad un uomo come lui decisi che avrei dovuto fare qualcosa: qualunque cosa fosse accaduta in futuro Shinobu sarebbe rimasto almeno il mio migliore amico e perciò dovevo fare di tutto per aiutarlo, per impedirgli di rovinarsi la vita, restando intrappolato in un matrimonio che lo avrebbe condannato inevitabilmente all’infelicità.
    Solo quando ebbi modo di incontrare Benio Hanamura di persona capii di essermi sbagliata. Poverina, si era trovata in una brutta situazione proprio a causa mia, perché mi ero lasciata sfuggire che avrei voluto conoscere la fidanzata del sottotenente Ijuin davanti a certi conoscenti, alcuni giovani sbandati che frequentano il quartiere dell’okiya, e loro avevano inteso che io avessi cattive intenzioni nei suoi confronti ed avevano attaccato briga con lei! Ho avuto così modo di vederla in azione, e fin dal primo momento in cui la vidi qualcosa in lei mi colpì. Forse il suo coraggio, la familiarità che aveva nei confronti di quello strano portantino che la chiamava “capo” e l’atteggiamento che ebbe con me, che dimostrava che non era affatto altezzosa come mi sarei aspettata da una ragazza di buona famiglia… Desistetti dal mio intento iniziale e dopo aver mandato via i miei amici chiarendo l’equivoco scambiai con lei poche parole, ma mi bastarono per comprendere finalmente che una ragazza come lei era esattamente la donna ideale per Shinobu. Non solo, anche se lei non lo ammetteva era evidente ciò che provava per lui. Le feci i miei migliori auguri di essere felice con il suo fidanzato ed ero sincera, anche se non posso negare che mentre da un lato mi ero finalmente messa il cuore in pace dall’altro mi sentivo profondamente triste, come svuotata. Ma avrei superato anche questa, perché grazie al cielo mi avrebbero aiutata molto gli impegni del mio lavoro. Avrei dimenticato quella storia, ed avrei pian piano cominciato a considerare Shinobu semplicemente come un cliente un po’ speciale, una sorta di fratello minore, come sarebbe stato giusto.

 
  
Note:

Kanpai: la parola giaponese kanpai 乾杯 si utilizza quando si brinda. Noi italiani invece siamo abituati a dire "cin cin", ma è meglio non usare quest'espressione se facciamo un brindisi con un giapponese, perché in giappone con la parola cincin s'intende l'organo genitale maschile (non il termine medico, ma è un modo di dire) !!
kanpai scritto con l'alfabeto kanji è composto da due ideogrami: kan =seccare e pai = bicchiere.

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Capitolo 27
*** Capitolo 27 ***


   Ebbi presto ulteriore conferma dell’intensità dei sentimenti di Benio per Shinobu, quando la incontrai di nuovo non molti giorni dopo: era andata via dal castello, non sapevo se a causa di una lite con lui o per via della sua famiglia, ed aveva le lacrime agli occhi quando mi disse che finalmente era il mio turno, avrei potuto avere il sottotenente Ijuin.    Fortunatamente la situazione si risolse in fretta, Benio tornò al castello ed a quanto pare anche i conti Ijuin l’accettarono, dunque le cose volgevano al meglio: avrei presto dimenticato le mie sofferenze ed avrei continuato la mia esistenza priva di troppe gioie ma tranquilla, come sempre. 
   Invece mi sbagliavo di grosso: non solo non avrei dimenticato affatto, ma mai avrei immaginato fino a che punto quella ragazza avrebbe sconvolto come un uragano anche la mia vita!!! Beh, inutile negare che oltre ad averne riconosciuto le doti che nemmeno lei  riusciva a vedere in se stessa avevo provato una certa simpatia per lei, ma un tipetto del genere attirava purtroppo anche grossi guai, di ogni genere. Ebbi modo di constatarlo una sera, quando rividi all’okiya, dopo un certo periodo di assenza un cliente che non mi era mai piaciuto, il tenente colonnello Innen: il classico tipo che racchiude in sé tutti i difetti che si potrebbero trovare in un militare. Altezzoso come pochi, Innen si è fin dalle prime volte fatto notare per la mala creanza con cui impartisce sempre ordini a tutti, guardandoli dall’alto in basso, come da un piedistallo: insomma, una persona odiosa. Spesso finisce con l’ubriacarsi facendo confusione e talvolta dando fastidio agli altri clienti con abominevoli apprezzamenti, ma la okasan ci ha imposto di sopportarlo solo perché tende sempre a spendere parecchio denaro, il che costituirebbe un motivo per perdonare qualunque cliente, specie se è una persona con una certa influenza un po’ ovunque come lui.
   Innen ha sempre odiato Shinobu, ma non tanto per il suo senso dell’umorismo e per le sue idee, che potrebbero indispettire un superiore: quell’odio era nato fin dal primo momento in cui lo vide, soltanto per una mera questione razziale, per via dei suoi capelli biondi e del colorito della sua pelle, che tradivano le sue origini occidentali. Sì, suo padre era giapponese, il rampollo di una nobile famiglia di cortigiani, ma sua madre era una tedesca, una gaijin, e ciò lo induceva a considerare anche Shinobu un gaijin, e come tale assolutamente indegno di appartenere alla gloriosa armata imperiale giapponese!!! Ed il fatto che quei capelli restassero sempre lunghi costituiva  un’ulteriore colpa, un’aggravante, anzi, una vera e propria provocazione. Ciò nonostante non avevo insistito più di tanto con lui invitandolo a sottostare alle regole militari  ed a tagliarsi i capelli, sia perché concordavo con lui sul fatto che sarebbe stato un danno estetico troppo marcato sia (anzi soprattutto!) perché ero certa che sparito un pretesto di infierire ne avrebbe trovato un altro.
   Quel pretesto, appunto, fu Benio. Quella sera i militari che erano con Innen parlavano della decisione appena confermata da parte del Giappone e degli Stati Uniti di inviare delle forze militari in Siberia per sostenere il capo dell’Armata Bianca dopo il collasso dell’Impero Rosso nella Rivoluzione d’Ottobre. Anche grazie alla disinibizione datagli dal sakè Innen non poté non dire che quella avrebbe potuto essere l’occasione perfetta per togliersi di torno “quell’odioso ed arrogante mezzosangue” se solo lui non avesse da tempo guadagnato la stima di tanti suoi superiori e persino del loro generale, Okochi… Ma quei problemi avrebbero potuto anche essere aggirati con gli agganci giusti, e lui ci stava seriamente pensando, dopo aver incontrato “quel terribile vecchio” e “quell’arrogante ed insopportabile ragazzina“!
   Rabbrividii. Ripensai immediatamente a quando era partito Koji, prima le voci sempre più insistenti sull’intervento del Giappone in guerra, poi la decisione di mandarlo in prima linea, le lunghe notti insonni racchiusa in preghiera, l’assenza totale di notizie, fino a quella tragica scoperta... Avrei dunque perso anche Shinobu? Certo, al momento lui godeva della stima degli altri superiori e della protezione di Okochi, ma anche Innen era un uomo potente ed influente e se solo ci si fosse messo d’impegno per approfittare della situazione per liberarsi di chi gli dava fastidio ci sarebbe riuscito! Soprattutto perché Shinobu continuava a non preoccuparsi più di tanto di quell’odio smisurato di un singolo individuo, dato che ormai grazie a Koji era diventato tanto forte da non badarci, e da non lasciarsi intimidire da sciocchi pregiudizi razzisti.
   Quella non era stata la prima volta che avevo sentito i nostri clienti militari parlare dell’intervento giapponese in Siberia e nonostante gli avessi già scritto una volta Shinobu non si era più rifatto vivo all’okiya, il che mi diede da pensare. Ma quando una sera  Innen venne appositamente per chiedermi di lui, se frequentava spesso l’okiya e se io ero al corrente del suo fidanzamento con la figlia del maggiore Hanamura capii di non dover esitare:  decisi a scrivergli ancora per chiedergli un incontro, dovevo metterlo al corrente di ciò che quell’orribile individuo aveva detto e dei miei timori sempre più concreti. 
   Stavolta  appena ricevuta la mia lettera Shinobu mi telefonò e mi diede appuntamento per l’indomani, così riuscii finalmente a parlargli con calma: non gli dissi esplicitamente cosa aveva detto il suo superiore sull’intervento giapponese in Siberia, ma gli chiesi se c’erano stati particolari problemi con Innen nell’ultimo periodo.
   Shinobu negò immediatamente che ci fosse stato qualche problema serio fra lui ed il suo superiore e mi invitò a non preoccuparmi, ma io mi accorsi che in realtà anche lui era preoccupato per qualcosa. Anche se non avrei mai osato chiedergli per cosa, me lo avrebbe detto lui se lo avesse ritenuto necessario. Lo avevo deciso e lo avrei fatto: lui aveva una fidanzata in tutto e per tutto degna di lui, che proprio per il fatto di essere una persona così originale sarebbe stata un’ottima moglie, senza contare il suo animo gentile, perciò nel caso ci sarebbe stata lei a dargli sostegno, a stargli vicina più di chiunque altro. Io ero solo una geisha, al massimo una sua cara amica, e comunque avrei avuto sempre Koji, vivo più che mai nel mio cuore: anche se non c’eravamo mai formalmente sposati fin da quell’unica notte insieme nella mia stanza o forse anche da prima lo consideravo in tutto e per tutto mio marito, ed anche se non ero riuscita a seguirlo nella morte sarei andata avanti con la mia vita rimanendogli sempre fedele. Avevo effettivamente avuto qualche illusione a proposito di Shinobu, ma più che mai dopo quel nostro colloquio, in cui lui era stato gentile ma anche restìo ad aprirsi con me, mi resi conto che i miei sentimenti verso di lui somigliavano più a quelli verso un fratellino che all’amore per un uomo. Gli avevo detto con trasporto che se gli fosse successo qualcosa di brutto ne avrei sofferto ed era la verità, mi sentivo male alla sola idea che Innen avrebbe potuto davvero mettere in atto le sue minacce mandandolo in un luogo così lontano e pericoloso, ma non fu come quando seppi della prossima partenza di Koji.    
    Al suo tocco gentile della mia spalla sentii che la sua mano era presa da un lieve tremito, ma come al suo solito Shinobu mi salutò con un sorriso. Avrei voluto confortarlo, abbracciarlo forte proprio come avevo abbracciato i miei fratellini che avevo rivisto dopo tanto tempo facendogli sentire tutto il mio affetto, ma sapevo che lui non era il tipo da lasciarsi andare tanto facilmente con una semplice amica, così lo lasciai andare senza aggiungere altro e quella notte mi attardai a lungo a pregare per lui.
   La sera successiva venne all’okiya apposta per intrattenersi con me la signorina Hanamura, ed io provai un immediato sollievo: chiedendomi esplicitamente che rapporto ci fosse fra me e Shinobu tradiva tutta la sua apprensione, l’innocente gelosia di una giovane fanciulla inesperta in amore verso una donna come me che è ritenuta da fidanzate e mogli un pericoloso modello di grazia ed eleganza,  nonché, ovviamente, una donna che sa bene come trattare con gli uomini. Senza alcuna cattiveria, quella ragazza voleva semplicemente conoscere tutta la verità, e così mi aprii con lei, raccontandole del mio povero Koji e di cosa Shinobu avesse fatto per me, rendendomelo così caro, come un amico, nulla di più.
    Benio-san ne fu felice, ed in realtà quella serata insieme fece bene ad entrambe, imparai a conoscerla meglio e mi convinsi più che mai della mia ottima opinione di lei; sentii di poter contare anche sulla sua amicizia, ma soprattutto Shinobu avrebbe potuto contare sul suo amore. Perciò mi dispiacque davvero quando la okasan si rifiutò categoricamente di non far pagare il conto della serata a lei ed ai suoi bizzarri ma simpatici amici, un portantino grande e grosso con un tatuaggio su un braccio ed una giovane cameriera forse un po’ troppo alta per una ragazza della sua età che li aveva raggiunti insieme a due cani che poi avevano messo in fuga Innen (dettaglio, questo, l’aver mandato via almeno per una sera quel cliente tanto prezioso per lei quanto odioso per me, che aveva indotto la okasan a rendere ancora più salato il conto), casualmente anche lui presente, in un’altra stanza dell’okiya.
    Pur non spiccicando più una parola la cameriera ed il portantino parvero alquanto contrariati da ciò, ma Benio-san, complice anche il sakè, continuava a sorridere come se avesse ricevuto il dono più grande della sua vita e mi congedò con grande allegria. Provai per lei un’immensa tenerezza, mi parve di rivedere me non troppo tempo prima, quando pensavo al mio Koji ed aspettavo di poterlo incontrare, anche se talvolta si era trattato solo di pochi minuti, di sfuggita, durante un ozashiki. Il mio sguardo era certamente come il suo quando parlavo con lui, ma anche solo quando pensavo a lui, uno sguardo dolce, rivolto con fiducia al futuro, un futuro di felicità e di amore.
   Con tutta sincerità le avevo rinnovato i miei auguri, volevo davvero che quella coppia potesse avere ciò che a me ed a Koji era stato negato, invece non passarono molti giorni che i miei timori divennero una triste realtà.

  
  


Note:  
Gaijin (外人 gaijin ?) è una parola giapponese che significa letteralmente "persona esterna (al Giappone)", cioè colui che non è nativo, non è del luogo.
Con questo termine vengono indicati dai giapponesi gli stranieri: gaijin ha una connotazione un po' più dura e talvolta velatamente razzista, rispetto al termine più neutro ed ufficiale gaikokujin (外国人 gaikokujin?) che vuol dire appunto "persona di una terra esterna (al Giappone)", cioè straniera.
 
Intervento giapponese in Russia del 1918: Nel 1918, il Giappone continuò a estendere la propria influenza e i propri privilegi in Cina grazie al supporto finanziario fornito dai mutui Nishihara. Dopo il collasso dell'Impero Russo nella Rivoluzione di Ottobre, nel 1918 il Giappone e gli Stati Uniti spedirono forze in Siberia per sostenere il capo dell'Armata Bianca, ammiraglio Aleksandr Kolcac contro l'Armata russa bolscevica. Nell'intervento in Siberia, l'esercito imperiale giapponese previde inizialmente l'invio di oltre 70.000 uomini per occupare la regione fino al limite estremo occidentale del lago Baikal. Il piano fu ridimensionato considerevolmente a causa dell'opposizione degli Stati Uniti.
Verso la fine della guerra sempre più spesso il Giappone eseguì forniture di materiale bellico per i suoi alleati europei. Il boom economico di guerra contribuì a specializzare l'industria del paese, ad aumentare le esportazioni e a trasformare il Giappone, per la prima volta, da nazione debitrice in creditrice. Le esportazioni dal 1913 al 1918 quadruplicarono. Il massiccio afflusso di capitale e la conseguente espansione industriale condussero però a una rapida inflazione. Ciò provocò lo scoppio nell'agosto 1918 della Rivolta del Riso nelle città di tutto il paese.
Armata Bianca (in russo: Белая Армия) è il nome che fu dato all'esercito controrivoluzionario russo che combatté contro l'Armata Russa bolscevica, nella Guerra Civile Russa  dal1918 al 1920. Il nucleo di ufficiali di questo esercito, la Guardia Bianca, era costituito da nazionalisti e monarchici. L'Armata Bianca era appoggiata da rappresentanti di molti altri movimenti politici: democratici, socialisti riformisti e rivoluzionari e altri che si opposero alla Rivoluzione di Ottobre, restando leali alla Repubblica Russa. Il grosso della truppa era costituito sia da oppositori attivi dei Bolscevichi, come i cosacchi, che da contadini senza partito, che furono semplicemente arruolati al suo interno. Aiuti arrivarono anche dalle potenze dell'Intesa, soprattutto Gran Bretagna, Francia e regno d'Italia che inviarono anche corpi di spedizione.
N.B. Molte informazioni sono state prese da Wikipedia.

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Capitolo 28
*** Capitolo 28 ***


   Benio-san aveva tentato l’impossibile per impedirlo, si era addirittura avventurata in un solitario assalto alla sede dell’armata imperiale per protestare contro quel provvedimento tanto ingiusto quanto inatteso. Il generale Okochi, che come aveva avuto modo di riferirmi Shinobu era  un uomo giusto e comprensivo, l’aveva ricevuta per ascoltare ciò che  lei aveva da dirgli ed aveva ben compreso le sue ragioni, ma poi le aveva spiegato che anche se era certo che tutto era stato frutto di una macchinazione di Innen indotta esclusivamente da una sua personale antipatia lui non poteva farci più nulla perché l’ordine di trasferimento del sottotenente Ijuin era stato ormai ufficializzato: non solo quell’orribile individuo aveva ben pianificato la sua assurda vendetta, ma aveva anche fatto in modo di muoversi tanto rapidamente da mettersi al sicuro contro chiunque avesse potuto ostacolarlo.
   Così anche la povera Benio-san avrebbe sperimentato la mia stessa sofferenza, con l’aggravante che stava accadendo tutto così in fretta che la situazione fra lei e Shinobu non era nemmeno definita come quella fra me e Koji!    In seguito, quando la incontrai casualmente poco tempo dopo, ebbe modo di confidarmi che non si perdonava per il fatto di non essere riuscita a rivelargli apertamente i suoi sentimenti in quel triste giorno della sua partenza, anche se al contrario Shinobu le aveva aperto completamente il suo cuore; in ogni caso lo avrebbe aspettato con fiducia, impegnandosi al massimo per diventare una buona moglie per lui, pronta a gridargli tutto il suo amore appena sarebbe tornato a casa sano e salvo, magari vincitore, per restare con lei per sempre.
  Inizialmente giungevano buone nuove da Shinobu. Per un po’ pareva persino che la guerra non lo riguardasse davvero, ed una volta mi scrisse che si trovava in un luogo tranquillo, dove al massimo si tenevano esercitazioni più impegnative del solito, tanto per tenersi pronti per ogni evenienza. Ma poi seppi che era stato inserito in un gruppo che sarebbe stato spedito in Siberia, e quindi non ebbi più alcuna sua notizia, se non indirettamente, attraverso alcuni accenni da parte dei clienti sul gruppo che gli era stato affidato.  Avrei voluto incontrare Benio-san, poterla confortare, farle comprendere che la sentivo vicina, ma non ne ebbi occasione, essendo lei molto presa dai suoi impegni sempre maggiori ed io da un periodo ricco di appuntamenti. Finché riuscii a prendermi un giorno di libertà e decisi di avventurarmi nei pressi del castello Ijuin, nella speranza che lei ci fosse e potessi scorgerla in giardino per parlarle. Ed invece di lei trovai Ushigoro, l’uomo che quella volta l’aveva accompagnata in rishò all’okiya. Pareva molto diverso da allora: camminava un po’ curvo, come sfiancato sebbene fossimo all’inizio della giornata, ed aveva gli occhi umidi, con uno sguardo quasi assente, tanto che dovetti chiamarlo più volte prima che si accorgesse di me.
   A chiunque a volte capita  di svegliarsi al mattino e di non volerne sapere di alzarsi, ed in tali situazioni si prova l’intenso desiderio di richiudere gli occhi e di riaddormentarsi fino all’indomani, come per annullare totalmente una giornata che si preannuncia in qualche modo insopportabile: quel giorno mi era proprio capitato questo, ma io l’avevo attribuito all’eccessiva stanchezza causata dagli ultimi ozashiki e dall’intensificarsi delle lezioni di Shitaji, perciò mi ero imposta di alzarmi e di approfittare di un po’ di tempo libero per prendere una boccata d’aria, sicura che mi avrebbe del tutto rinfrancata. Ushigoro mi salutò velocemente, poi si scusò e proseguì per la sua strada, senza accelerare la sua andatura e senza avermi dato alcuna spiegazione. Ma non trovai il coraggio di insistere, anche perché quell’orribile presentimento che avevo avuto fin dal mio risveglio diventava sempre più ossessivo e mi limitai a seguirlo a distanza: mi mancò il respiro appena realizzai che era tutto vero, era andato a prendere accordi per un funerale per la famiglia Ijuin, e non riguardava il conte o la contessa!
   Era accaduto di nuovo, un dramma affatto inusuale per le donne giapponesi in un’epoca come la nostra: mogli, figlie, sorelle, madri, fidanzate: quante avevano già versato abbondanti lacrime per i loro congiunti a loro brutalmente strappati della guerra e quante altre ancora ve ne sarebbero potute essere in futuro nella stessa situazione! Pensai agli anziani nonni di Shinobu, chissà se alla loro età avrebbero potuto reggere al dolore di sopravvivere al loro adorato nipote, unica loro ragione di vita; pensai ai tanti amici che certamente un ragazzo dall’animo nobile come lui aveva; ma soprattutto pensai a Benio, resa tanto simile a me da quella disgrazia…
  Ovviamente quella notte non potei chiudere occhio, mi giravo e rigiravo nel futon, prima piangendo e poi tormentata dall’indecisione sul da farsi: avevo saputo che i funerali erano stati fissati per l’indomani, conoscevo il luogo e l’ora ed i miei impegni della giornata non mi impedivano di poter essere presente come avrei voluto, ma d’altra parte sapevo che vi sarebbero intervenuti tutti gli aristocratici parenti della famiglia Ijuin, che sicuramente non avrebbero potuto accettare di avere fra di loro, anche se per il breve tempo di un ultimo saluto, una geisha come me.
   La mattina anche le mie compagne avevano saputo, e Kiyoko fu tanto gentile da dirmi, senza che le facessi alcun cenno alla cosa, che avrei potuto assentarmi dall’okiya per qualche ora nel pomeriggio se avessi voluto, perché in serata non era previsto altro che qualche probabile cliente dell’ultimo minuto, non vi erano prenotazioni per feste o altro tipo di incontri importanti, perciò sarebbe bastato rientrare prima che facesse sera per non creare alcun problema. Anche la okasan, presente alla nostra conversazione, aveva concordato con lei, così dopo una lunga indecisione decisi di approfittare della situazione ed uscii poco dopo pranzo, ringraziandole per la loro gentilezza.
   Non ero ancora certa che sarei riuscita ad entrare, ma nel caso mi sarei trattenuta  all’esterno della sede della cerimonia, ritirandomi in una solitaria e riservata preghiera. Presi un rishò, ma mi feci lasciare ad un po’ di distanza dalla sede del funerale, non volevo arrivare insieme ai parenti di Shinobu, non mi sembrava opportuno. Avrei aspettato il tempo necessario che si sedessero tutti, concentrandosi solo sul rito funebre; io sarei arrivata silenziosamente alla fine, magari anche restando in disparte in fondo alla sala, mi sarebbe bastato. Mentre camminavo all’esterno della lunga cancellata che costeggiava il giardino del castello degli Ijuin mi resi conto che più avanzavo più rallentavo il passo, le mie gambe si facevano sempre più pesanti. Cosa mi ero messa in testa? Non solo non mi avrebbero accettata, mi avrebbero fatto sbattere fuori: loro erano tutti di nobile ed illustre lignaggio, mentre io, sebbene animata esclusivamente dalla nostra profonda amicizia, ero solo una povera figlia di contadini, ma soprattutto agli occhi della società una persona dalla moralità alquanto dubbia, soprattutto perché chi è estraneo all’ambiente tende persino a confondere noi geishe con le prostitute!!!
    Arrivata davanti al portone mi bloccai, ormai presa dal panico. No, non potevo entrare, ci sarebbe stato uno scandalo,  altro che rendere omaggio a colui a cui volevo tanto bene e che aveva fatto tanto per me! Ma appena mi voltai per rifugiarmi a pregare in un angolo nascosto del giardino per qualche minuto prima di tornarmene all’okiya una voce mi richiamò: Ushigoro. Era felice di vedermi, si scusò per essere stato così evasivo quando c’eravamo incontrati per strada, mi ringraziò per la mia presenza e si offrì di accompagnarmi dentro. Con lui c’era anche Ranko, quella graziosa cameriera alta che avevo conosciuto quella stessa sera all’okiya, ed anche lei pareva d’accordo.
   La loro gentilezza mi commosse e mi dette un po’ di coraggio, perciò li seguii. Ma ovviamente non tutti i presenti erano come loro, anzi, loro erano l’unica eccezione. I nonni Ijuin rimanevano al loro posto, troppo presi dal loro strazio per prendere qualsiasi iniziativa, mentre il crescente brusio di malcontento che avevo involontariamente causato distolse per un attimo anche il celebrante che aveva appena iniziato la cerimonia, ed un uomo che si trovava poco lontano dall’ingresso e che inizialmente non aveva fatto caso a chi era entrato si affrettò a raggiungermi per scacciarmi senza il minimo garbo e senza troppi complimenti. Inutile l’intervento delle uniche persone amichevoli nei miei confronti ed ancora più inutili le mie suppliche, che lo incattivirono ancora di più. Capii che mi avrebbe sbattuta fuori anche sollevandomi di peso se fosse stato necessario.
   Ma poi intervenne Benio-san. Com’era diversa quella ragazza un po’ pallida e con gli occhi gonfi di lacrime da quell’uragano di haikarasan che avevo conosciuto all’okiya, era un’altra persona!!! Ovviamente ora era una donna disperata dalla perdita dell’uomo che solo troppo tardi si era resa conto di amare, ma a parte quello indossava un kimono bianco ed aveva tagliato i suoi lunghi capelli. Una visione tanto sconvolgente per gli altezzosi nobili lì presenti quanto commovente per me, che più di tutti riuscivo anche a comprendere le motivazioni di quel suo abbigliamento. Non prestò la minima attenzione a loro: prendendomi le mani fra le sue mi ringraziò per la mia presenza e mi accompagnò al mio posto, dove avrei potuto pregare e bruciare dell’incenso per Shinobu. Le sue parole mi convinsero una volta per tutte che glielo dovevo, anzi, era il minimo che potessi fare per lui per ricambiare le sue continue attenzioni degli ultimi tempi. Perciò mi sentii finalmente serena, compii i gesti di rito concentrandomi solo sulle mie preghiere, ed anch’io ignorai totalmente i malevoli commenti che immancabilmente erano partiti, col chiaro intento di arrivare fino a me, contro quell’intollerabile  scandalo che Benio-san ed io avevamo causato in una cerimonia ufficiale della famiglia Ijuin.

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Capitolo 29
*** Capitolo 29 ***


   Benio-san era davvero una ragazza meravigliosa, la compagna ideale per Shinobu: il suo amore per lui era ancora più forte di quanto credessi, lo aveva già dimostrato quelle poche volte in cui c’eravamo incontrate, ma lo dimostrò ancora di più dopo la sua scomparsa. Non con quel suo gesto plateale, criticato da tutti i parenti, di presentarsi al funerale con il kimono bianco ed i capelli corti, ma perché aveva subito confermato quel suo messaggio di eterna fedeltà con i fatti. I conti Ijuin le avevano immediatamente comunicato che non essendo stata celebrata ancora nessuna cerimonia lei avrebbe potuto considerarsi libera di tornarsene a casa sua e di cominciare una nuova vita, magari con un altro uomo, come avrebbe desiderato qualsiasi altra ragazza della sua età nella sua situazione, ma lei aveva immediatamente rifiutato la loro offerta ed aveva invece annunciato che intendeva rimanere loro accanto, per prendersi cura di loro e del castello: lo aveva promesso a Shinobu ed avrebbe tenuto fede a quella sua promessa, ma era anche spinta da un sincero affetto, che l’aveva portata a legarsi a loro proprio come una vera nipote.
   Fino ad allora nessuno (tanto meno io, che ero amica di Shinobu ma non lo incontravo così spesso e non ero nemmeno così in confidenza con lui!) avrebbe mai sospettato la verità, ma i conti Ijuin avevano ormai da tempo problemi finanziari. Per non far mancare nulla al loro adorato nipote orfano di entrambi i genitori e per non farlo mai sentire inferiore ai suoi coetanei dell’alta società non avevano mai badato a spese, avevano lasciato che completasse i suoi studi all’accademia militare senza rinunciare ai divertimenti che la loro classe sociale offriva, tenendolo sempre all’oscuro delle difficoltà che ad un certo punto erano sorte all’orizzonte. Avevano contratto qualche debito, ma finché il nipote era stato accanto a loro, con la sua paga da sottotenente e con il supporto morale che riusciva a dare, avevano retto bene la situazione, salvando almeno le apparenze. Poi però lui era venuto meno ed anche se in questa tragedia c’era stata la consolazione che almeno il nipote si era fatto onore come caduto in guerra, da quel momento i suoi anziani nonni si erano lasciati andare, non rinunciando minimamente ai lauti pranzi a cui erano abituati ed abbandonandosi ogni tanto anche a spese folli per le loro finanze, forse per la forza dell’abitudine, o forse più per cercare disperatamente di non pensare troppo.
   Benio-san però aveva preso in mano la situazione: in seguito Ushigoro ebbe modo di raccontarmi che aveva tentato di tutto per sostenerli come poteva, cercando disperatamente un lavoro dappertutto, tentando persino quello, troppo assurdo per una ragazza, di portantino. Per questo una sera giunse da me all’okiya annunciando di aver preso una decisione ancora più drastica, quella di diventare una geisha!!! Certo, anche se già una volta avevo tentato di spiegarle cosa significasse le mie poche parole non avevano potuto farle capire perfettamente la situazione, tuttavia era evidente che nella sua ingenuità lei voleva seriamente compiere il suo dovere di vedova di Shinobu e nipote acquisita di quegli anziani bisognosi a cui era tanto legata, così la okasan volle venirle incontro. La sua storia l’aveva commossa, ma soprattutto stavolta si era dimostrata ancora più ingenua di lei, credendo che una ragazza di buona famiglia pur non sapendo cantare e nemmeno danzare con grazia avrebbe dovuto sicuramente conoscere almeno l’arte di servire il thè, la conversazione ed altro di competenza di noi geishe, e che perciò avrebbe potuto davvero essere in qualche modo utile.
   Non potevo contestare le decisioni della okasan e comunque sarei stata ben lieta di poterle essere di aiuto, così mi apprestai ad istruire Benio-san per l’ozashiki che si sarebbe tenuto da noi quella sera stessa.
   “Io sono Benichiyo: ricordatevi di presentarvi così ai clienti, noi geishe non usiamo mai il nostro vero nome… Ed a chiunque ve lo chieda rispondete che siete la mia sorellina più piccola; ovviamente dovrò darvi del tu per non destare sospetti” c’era poco tempo e con molta ansia cercavo di darle almeno le istruzioni essenziali.
   Al contrario lei sembrava davvero felice mentre si pavoneggiava con uno dei miei primi kimono da geisha che io non usavo più in quanto mi era diventato corto e che a lei andava a pennello: “Non avevo mai indossato un kimono nero!”
   I suoi occhi brillavano proprio come quelli di una bambina che si appresta a partecipare alla festa per il suo compleanno, era incredibile come riuscisse a trovare aspetti entusiasmanti anche in una situazione drammatica come quella, e la sua gioia apparentemente così spensierata riuscì a strappare un sorriso anche a me.
   Poco dopo Miyuki venne ad annunciarci che da basso la okasan chiedeva di noi: i nostri clienti erano arrivati.
   All’inizio tutto pareva filare liscio: Benio-san era ben lontana dall’essere la tipica signorina di buona famiglia, ma la sua allegria era riuscita a contagiare anche i nostri clienti; i primi problemi giunsero quando il capitano Maeda la chiamò perché gli servisse dell’altro sakè.  Il capitano Maeda di solito non si comportava male, ma quando beveva un po’ di più tendeva a perdere il controllo ed a stuzzicare le geishe, soprattutto le più giovani. Avevo spiegato a Benio-san ciò che le geishe più anziane avevano una volta detto a me, ovvero che i clienti più sgradevoli andavano considerati semplicemente come fasci di banconote, e lei si impegnò molto per riuscirci, ma  invano: la sua incontenibile vivacità tornò presto alla luce ed all’okiya ci fu ben presto il finimondo, con il risultato che l’ozashiki si concluse molto prima del previsto, con Maeda che se ne andò via imprecando e giurando di non tornare più nel nostro okiya ed altri clienti scontenti perché coinvolti loro malgrado nella rissa che era scaturita dall’incresciosa situazione. E così ovviamente si concluse anche l’esperienza di Benio-san da geisha, dato che la okasan si era accorta che colei che aveva creduto essere la sua ennesima scoperta si era comportata in quel modo non solo perché molestata da un cliente che si era preso troppe libertà con lei e perché dopo la scomparsa di Shinobu aveva sviluppato una tremenda intolleranza verso i militari, ma anche perché chissà come aveva avuto modo di bere sakè e di ubriacarsi…
   La povera Benio-san era sinceramente mortificata, si mise a piangere a dirotto e supplicò la okasan e Kikyo-san affinché le venisse data un’altra possibilità,  non si sarebbe più ripetuto un fatto così increscioso; ma stavolta nemmeno la nostra generosissima  okasan volle sentire ragioni e conoscendo ormai anch’io molto bene quella signorina non me la sentii di intercedere troppo in suo favore. In fondo era meglio così, al di là delle sue maniere poco fini era impensabile che si abituasse tanto facilmente alla dura vita di una geisha ed alla disciplina a cui avrebbe dovuto sottostare; e poi, come le feci notare, sicuramente Shinobu non sarebbe stato affatto felice di vederla costretta ad adattarsi ad una vita così poco dignitosa e per giunta per prendersi cura dei suoi nonni. Anzi, era soprattutto quello il problema: un ragazzo altruista come il mio caro sottotenente avrebbe certamente preferito vedere la donna che tanto aveva amato andare avanti senza di lui: avrebbe persino sopportato, magari rivolgendole il suo solito sorriso mentre la guardava dall’altro mondo, l’idea che lei lo avesse sostituito con un altro uomo, purché egli le avesse dato quella felicità che non aveva potuto darle lui. Ero stata una pazza ad assecondare tanto facilmente la okasan, condividendone anche se per poco l’idea che Benio-san avrebbe potuto diventare una nuova compagna con cui sarei anche andata molto d’accordo, anzi, ero stata una vera egoista!
   Fortunatamente per una volta il destino aveva risolto le cose positivamente, estirpando il problema sul nascere. E grazie a questo io avevo avuto modo di riflettere e di aiutarla nella maniera migliore, potendo davvero ricambiare almeno in parte, attraverso lei, l’indispensabile sostegno che Shinobu mi aveva offerto proprio nel momento in cui avevo toccato il fondo. Come avevo potuto non pensarci subito? Appena un paio di settimane prima avevo incontrato dopo tanto tempo Aoe-san, il caporedattore della Jodansha, una piccola casa editrice a cui con il permesso della okasan avevo concesso un’intervista per un articolo sulla vita di noi geishe e con il quale avevo facilmente simpatizzato. Un bravissimo ragazzo nonostante l’apparenza un po’ rigida, che pur appartenendo ad una famiglia molto altolocata non aveva esitato ad andarsene da casa per inseguire la sua unica aspirazione, diventare un giornalista, ed era poi riuscito a fondare una casa editrice tutta sua procurandosi anche dei fidati collaboratori.  In occasione di quel nostro ultimo incontro Aoe-san mi aveva chiesto se potevo presentargli qualcuno, perché aveva bisogno di un nuovo collaboratore al giornale, ed una ragazza vivace e volenterosa come Benio-san avrebbe potuto essere perfetta per quel lavoro! Certo, io sapevo bene che il mio amico giornalista aveva qualche problema con le donne, ma questa rivelazione non la preoccupò affatto, anzi, la fece sentire ancora più determinata a mettercela tutta per farsi accettare. La stessa determinazione che aveva mostrato con la okasan la sera prima, ma stavolta anch’io provai un’ottima sensazione in proposito. Ero felice perché ero certa di aver fatto finalmente la cosa giusta, per lei ma forse anche per Aoe-san, la cui intolleranza verso le donne, che pareva in certe occasioni rasentare una vera e propria allergia creandogli non pochi problemi, avrebbe forse potuto finalmente guarire.

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Capitolo 30
*** Capitolo 30 ***


   Come avevo previsto Benio-san riuscì ad ottenere il lavoro alla Jodansha: nemmeno un misogino come Aoe-san poté opporsi a lungo alla sua determinazione, e ben presto mi telefonò per ringraziarmi, perché quella ragazza che gli avevo mandato si stava dimostrando davvero un’ottima giornalista.     Ebbi modo di constatare che anche Benio-san era finalmente felice, o almeno un pochino più serena: se come me aveva perduto tragicamente il suo amore almeno le restava la grande consolazione di potersi prendere cura dei suoi nonni, e per giunta con un lavoro che le dava grandi soddisfazioni.
   Ma proprio quando credevo che tutto quanto fosse mai stato correlato al sottotenente Ijuin fosse ormai sepolto, o almeno definitivamente recluso nei nostri cuori come un triste ma dolce imperituro ricordo, il passato tornò prepotentemente a sconvolgere le nostre vite. All’improvviso e da tanto lontano, a bordo di un dirigibile.
   Quella mattina, uscendo per una breve passeggiata, avevo incrociato un Aoe-san insolitamente di fretta ma anche insolitamente entusiasta, che dopo avermi salutata si era scusato per non essersi potuto intrattenere e mi aveva solo invitata a comprare il prossimo numero della sua rivista, perché stava per fare un grosso colpo giornalistico. Ovviamente l’avevo accontentato e l’indomani mi ero procurata tempestivamente la rivista, che annunciava l’avvenuto arrivo di una coppia di nobili russi che, come tanti nella loro condizione, erano stati costretti dalla Rivoluzione di Ottobre ad abbandonare per sempre la loro gelida patria. Una ventata di grande novità in un periodo in cui (fortunatamente e sfortunatamente) non vi era granché a cui dedicare particolare attenzione, ma niente di più. Certo, quel Sasha Michailov aveva un’aria terribilmente familiare, ma non poteva che essere un’enorme, crudele coincidenza.
   Avrei dovuto ormai aver imparato invece che troppe coincidenze non sono possibili: un giovane biondo come lui, più o meno della sua stessa età, proveniente dalla stessa terra da cui lui non aveva più fatto ritorno… Ma chissà, ormai le troppe delusioni e sofferenze attraverso cui ero passata mi avevano fatta rassegnare. Il dolore per la perdita di Koji e Shinobu si era certamente attenuato e riuscivo nuovamente a sorridere soprattutto grazie alle soddisfazioni che mi davano Shitaji (ormai da un bel po’ miranai e non più così lontana dal suo debutto come maiko) e la mia vita all’okiya nonché grazie alle notizie che ogni tanto avevo dalla mia famiglia, ma non mi aspettavo più che la vita potesse evolversi troppo positivamente. Mi limitavo ad andare avanti ogni giorno godendo tranquillamente di quel poco di bello che mi veniva offerto e ringraziando il cielo ogni volta che non c’era nulla di nuovo di negativo, e non diedi molto peso alla cosa: dopotutto se erano possibili grosse somiglianze fra noi orientali avrebbero dovuto essere lo stesso anche fra russi o altra gente provenienti da altre parti del mondo.
   Scoprii il mio errore mesi dopo quell’evento, quando Aoe-san venne nuovamente a trovarmi all’okiya. Era diverso dal solito, anzi, in realtà non l’avevo mai visto in quello stato, e la causa di tutto era Benio-san. Mi disse che era molto deluso da lei, era convinto che fosse diversa da tante altre donne, per sempre fedele al suo amore, ed invece era anche lei fredda e superficiale! Faticai a calmarlo, ma alla fine riuscii a convincerlo a spiegarmi tutto dall’inizio, e ciò che mi raccontò riuscì a sconvolgere anche me, come non mi accadeva più da anni. Innanzitutto la cosa più importante, cioè che ciò che credevo fosse solo una crudele coincidenza non lo era affatto, il duca russo Sasha Michailov era davvero il mio amico Shinobu: a quanto pare anche Benio-san era al corrente di tutto, ma nonostante questo aveva rinunciato a lui per lasciarlo alla donna che era arrivata in Giappone con lui, la duchessa Larissa, che continuava a spacciarlo per suo marito! Lei aveva deciso così, tranquillamente, e nonostante tutto continuava a vivere tranquillamente come sempre, impegnandosi nel suo lavoro da giornalista e ridendo e scherzando di tanto in tanto con colleghi ed amici. Era proprio la stessa inconsolabile ragazza alla quale in passato lui aveva faticato a risvegliare un minimo interesse per la vita di tutti i giorni al ritorno da un viaggio di vana speranza in Manciuria, che invece era servito unicamente ad avere ulteriore dura ed inequivocabile conferma della tragica scomparsa di colui che a suo dire era e sarebbe stato sempre il suo unico amore? Sì, erano passati ormai tre anni da quando Benio-san aveva perso Shinobu, ma il vero amore non dovrebbe essere eterno e sopravvivere anche alla morte?
    Inutile dire che fui invasa da una tempesta di sentimenti anche contrastanti a causa di quella notizia: innanzitutto sapere che il mio amico Shinobu era vivo mi riempiva il cuore di gioia, anche se non potevo non essere turbata dal fatto che non si fosse rivelato, né a me né a Benio, anche se non avevo mai dubitato dell’intensità dei suoi sentimenti per lei. Come non avevo mai dubitato dei sentimenti di Benio-san nei suoi confronti, dato che sentivo di comprenderla più di chiunque altro per via della sua situazione per vari aspetti simili alla mia, avendo anche lei perso chi amava a causa della guerra. Sì, lei era di buona famiglia ed io soltanto un’umile geisha, ma certi sentimenti non conoscono distinzioni di classe sociale! Come pure, se veri, vanno al di là della morte, perciò come Koji sarebbe rimasto sempre nel mio cuore Shinobu sarebbe rimasto nel suo. Ma a differenza di Koji Shinobu non era davvero morto, ma aveva semplicemente deciso di trascorrere il resto della vita con un’altra donna, perciò la situazione di Benio-san era radicalmente cambiata, avrebbe potuto lottare per riprenderselo se solo avesse voluto, ed in effetti sarebbe stato il comportamento più prevedibile da parte di un tipo battagliero come lei. Perché non l’aveva fatto? Le perplessità di Aoe-san erano comprensibili, dato che in quel periodo di collaborazione professionale con lei aveva avuto ormai modo di conoscerla anche meglio di me!
   Non preoccupandosi di poter sembrare indelicato perché non sapeva nulla di Koji, Aoe-san mi chiese come mi sarei comportata io al posto di Benio-san, se è proprio vero che tutte le donne che dichiarano un amore vero, eterno ed incondizionato ad un uomo possano in realtà rivelarsi tanto volubili, nessuna esclusa. E fu proprio questa sua domanda un po’ provocatoria a facilitarmi la risposta: proprio perché il suo amore nei suoi confronti era vero, eterno ed incondizionato, per questo lei aveva lasciato Shinobu libero, sarebbe stato discutibile il contrario!!! Perché se Shinobu sentiva di dovere così tanto a quella donna nonostante in qualche modo lei lo avesse anche ingannato approfittando delle sue condizioni, evidentemente doveva avere dei validi motivi, e Benio-san, che provava nei suoi confronti grande fiducia e stima, aveva addirittura approvato il suo comportamento: forse la sua opinione sarebbe stata persino sminuita se Shinobu avesse tanto facilmente negato il suo sostegno ed il suo conforto ad una sua benefattrice nel momento in cui aveva più bisogno di lui; lei sapeva che se Shinobu aveva deciso di agire in quel modo non l’aveva fatto per frivolezza, per infedeltà nei suoi confronti, ma solo in nome di un ideale più elevato, il suo senso dell’onore e per la riconoscenza verso colei a cui doveva la vita! E questa sua consapevolezza da un lato le dava una serena rassegnazione, con la quale stava cercando di andare avanti con la sua vita lontana da lui, e dall’altro doveva addirittura aver accresciuto il suo amore, poiché aveva avuto un’ulteriore conferma che fosse stato ben riposto, nei confronti di un uomo di enorme valore morale.
    In realtà io conoscevo il principale motivo per cui Aoe-san era rimasto così turbato da questa decisione di Benio-san, ovvero la sua situazione familiare, che mi era stata resa nota inconsapevolmente, nel corso di una sua sbornia triste all’okiya: lui non era il vero figlio di colui che aveva sempre chiamato padre, dato che la madre a sedici anni era stata costretta a sposarsi con un uomo ricco scelto dai suoi pur essendo incinta di un altro. Una storia più comune di quanto non si pensasse (simile anche alla storia della nascita di Shinobu!), ma ad Aoe-san non era andata proprio giù di vedere sua madre che si era tanto affezionata all’uomo che aveva sposato, perché gli era sembrata la prova inconfutabile del fatto che l’amore per il suo padre naturale non fosse poi così forte, ma solo un capriccio passeggero di gioventù, e ciò gli aveva fatto nascere un tale risentimento da nascondere con i capelli il suo viso col trascorrere degli anni sempre più somigliante al suo.  Ovviamente non potevo essere certa dell’autenticità dei sentimenti della signora Aoe, tanto meno avrei potuto mai indagare in proposito, magari chiedendo ulteriori spiegazioni ad Aoe-san, che probabilmente non si ricordava nemmeno di avermene parlato; mi limitai perciò a sorridergli come sempre ed a rassicurarlo sul fatto che quello non dovesse essere un motivo di delusione, semplicemente lui non conosceva le donne e non poteva perciò comprendere che i loro sentimenti non erano affatto superficiali come lui pensava, e se esteriormente potevano sembrare allegre e sorridenti, come lo ero io in quel momento, questo non necessariamente rispecchiava il loro vero stato d’animo!
   Quando lo congedai non ero affatto certa che lui si fosse del tutto rassicurato sul suo giudizio nei confronti di Benio-san, ma non me ne curai più di tanto. Sapevo quanto fosse testardo, ed avrei potuto anche sprecare una notte intera a dargli ulteriori spiegazioni sulla sensibilità femminile, inutilmente. Quanto gli aveva detto sarebbe bastato, col tempo avrebbe di certo compreso la verità da solo. Ne ero certa, anche perché, osservai fra me, il risentimento di Aoe-san verso la madre doveva essere stato così forte perché si era sentito tradito proprio dall’unica donna davvero importante della sua vita, quindi il fatto che dimostrasse quegli stessi sentimenti nei confronti di un’altra donna, lui che diceva di non tenere le donne in alcuna considerazione, doveva avere un significato ben preciso!
   Quella sera mi ritirai nella mia stanza alquanto di buonumore, pensando che avrei presto avuto finalmente il tempo per andare a trovare un’amica che ormai non vedevo più da un bel po’.



 
Note: 
Un uomo di enorme valore morale: teniamo presente, in questa riflessione di Kichiji, che la mentalità dei personaggi è ovviamente quella giapponese dell’epoca, per cui il “giri”, ovvero il senso dell’onore e della riconoscenza del samurai giapponese nei confronti di chi gli ha salvato la vita è ritenuto più importante di tutto, anche dell’amore verso la propria fidanzata. Questo è il motivo per cui a noi lettori occidentali scelte come questa di Shinobu di restare con Larissa lasciando Benio o quella di Terence di lasciare Candy per Susanna, risulteranno sempre incomprensibili e riprovevoli, ma a quanto pare agli occhi dei giapponesi non è affatto così, anzi!!!
 
Shitaji è la giovane apprendista di Kichiji, che appare nell’anime nell’episodio Un gentiluomo.

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Capitolo 31
*** Capitolo 31 ***


    Il primo giorno che ebbi di vacanza andai a trovare Benio-san. Non avevo tentato in alcun modo di contattare Shinobu, perché ero più che mai decisa a rispettare la sua decisione, ed ero certa dello stato d’animo in cui doveva trovarsi quella povera ragazza, che dopo averlo aspettato con pazienza e fedeltà per ben tre anni era stata abbandonata da lui per un’altra donna, indipendentemente dal motivo più o meno nobile che avrebbe potuto averlo spinto.
   Lei mi accolse sorridente, sinceramente felice di rivedere un’amica, ma senza alcun bisogno che me lo dicesse apertamente era ben chiaro che il suo sorriso un po’ esagerato era anche un disperato tentativo di nascondere la sua profonda tristezza. Non le chiesi nulla, mi bastò guardarla per un attimo negli occhi per averne una conferma certa, ed infatti annuì malinconicamente quando le diedi la piantina che le avevo comprato, la sassifraga o erba epatica, che nel linguaggio dei fiori rappresenta l’amore nascosto nel cuore.
   Non mi trattenni a lungo, ma dopo non molto tempo ebbi occasione di rivederla, proprio in occasione dell’anniversario della morte di Koji, un giorno in cui anche se non ufficialmente tutte le mie compagne dell’okiya hanno sempre fatto in modo di lasciarmi il più possibile per conto mio e di esonerarmi da ogni impegno. Sono così grata a loro per questo! Soprattutto per come mi sono state vicine quando, nel mio periodo di “convalescenza” dopo il mio tentato suicidio, avevo ottenuto in via del tutto eccezionale il permesso di assentarmi per qualche giorno dall’okiya per tornare con Miyuki al mio villaggio per accelerare ulteriormente la mia guarigione: in quei pochi giorni avevo avuto modo di rivedere finalmente la mia famiglia dopo tanti anni, è vero, ma quel viaggio aveva anche riacutizzato il mio dolore, dato che avevo deciso di fare visita ai genitori di Koji, che però mi avevano scacciata malamente, senza nemmeno consentirmi di entrare in casa per pochi minuti. Avrei dovuto aspettarmelo, sapevo che una geisha è ammirata, talvolta assurdamente invidiata per i vestiti e gli accessori costosi, ma anche disprezzata dalla gente, ed infatti mi ero proposta inizialmente di seguire il consiglio di Kiyoko e di limitarmi a soggiornare per tutto il tempo in casa mia, senza farmi riconoscere dagli altri miei compaesani; poi però non avevo resistito. Per fortuna aver ritrovato i miei adorati genitori che ormai avevano vari capelli grigi, i miei fratellini ormai cresciuti e la famiglia ormai arricchita da nipoti, tutti loro incuranti delle chiacchiere della gente e felici di riavermi anche se per poco in quella casa, aveva del tutto consolidato la mia forte determinazione a reagire al dolore ed a riprendere in mano la mia vita, altrimenti avrei potuto decidere davvero di seguire l’esempio della povera Chiyo! 
Come al solito in occasione di quel nuovo anniversario della sua morte avevo comprato i fiori e l’incenso che Koji preferiva e stavo preparando il tè che gli piaceva di più. Una sorta di solitaria e tranquilla celebrazione del nostro amore, che nonostante il tempo ormai passato è sempre rimasto vivo nel mio cuore. Ne fui ancora più sicura, i miei sentimenti erano gli stessi che provava Benio-san, nonostante le circostanze assai diverse: Aoe-san si era sbagliato di grosso. Perciò con grande naturalezza le raccontai di quell’unica terribile esperienza davanti all’ingresso di casa Yamaguchi, della quale non avevo mai parlato nemmeno con Kiyoko al mio ritorno all’okiya, e la sua istintiva comprensione fu per me come un balsamo particolarmente efficace per lenire la mia tristezza.
   Fra l’altro in quello stesso periodo ebbi modo di capire come Benio-san era diventata la ragazza meravigliosa che avevo conosciuto: nel corso di quella prima breve visita a casa sua avevo avuto modo di vedere il luogo dove era cresciuta, circondata da un clima di calore ed affetto nonostante la sua famiglia non fosse numerosa come la mia.  La governante, che lei chiamava un po’ irrispettosamente “tata senza mento”, è una donna un po’ bisbetica ma visibilmente affezionata alla sua giovane signora; e poi c’era suo padre, che ho potuto conoscere meglio in un’ulteriore occasione, quando ci siamo incontrati per caso in un locale. Apparentemente è un uomo severo, come ci si aspetterebbe da qualsiasi militare, ma ama profondamente la sua unica figlia che ha cresciuto da solo, dopo la prematura scomparsa della moglie alla quale è sempre rimasto fedele, rifiutando anche la sola idea di sposare un’altra donna che potesse prendere il suo posto. Anche quando la sgrida come una bambina il suo sguardo tradisce il suo grande legame con lei, e per lei è lo stesso: per un attimo sono anche stata indotta a sospettare che litigassero in quel modo chiassoso solo per divertimento! E di un’altra cosa sono stata subito certa: anche se la sua posizione di maggiore dell’esercito imperiale gli impone di mantenere un certo contegno almeno in pubblico il suo carattere non  deve essere poi tanto diverso da quello di lei.
    In ogni caso, anche se non ne comprendevo il principale motivo, l’incontro con quell’uomo mi colpì più di quanto potessi immaginare, perché mi ritrovai a pensarci anche altre volte in seguito. In un primo momento ho creduto che probabilmente vederlo insieme a sua figlia avesse riportato prepotentemente alla mia memoria i miei ricordi accanto a mio padre, al quale mai avevo serbato rancore per non essere riuscito a gestire meglio la nostra difficile situazione familiare in modo da evitare la vendita di ben tre figlie, ma poi capii che c’era dell’altro: certamente ha contato la sua sofferenza tanto simile alla mia, la sua determinazione a rimanere fedele al suo primo amore, che non è poi così comune da parte di un uomo, ma anche la sua espressione che ogni tanto tradiva la sua malinconia, come ormai apparire allegro gli costasse fatica: lo seppi solo in seguito da Benio-san, in qualche modo gliela ricordavo! Anche se non sapeva nemmeno lei spiegarmene il motivo, non le somigliavo poi così tanto fisicamente e lei era troppo piccola alla sua morte perché potesse ricordarne il carattere.
   Ovviamente non ne feci mai parola con il maggiore Hanamura, nemmeno quando ebbi modo di incontrarlo per caso per strada qualche altra volta, in cui egli non mancava di porgermi i suoi saluti in quanto buona amica di sua figlia, per la quale si preoccupava in quanto era ancora sola e non sapeva come avrebbe potuto cavarsela quando lui sarebbe diventato troppo vecchio e debole.
  Le ansie del maggiore Hanamura però cessarono poco dopo, lo seppi da Ushigoro: Benio-san si fidanzò improvvisamente con Aoe-san e le loro nozze furono fissate per il 1° settembre. Un fidanzamento molto breve, pensai subito, giusto il tempo di organizzare una cerimonia, ed il fatto che fosse stata Benio-san a fare la proposta invece di riceverla convalidava ciò che pensavo: voleva affrettare le cose per timore di cambiare idea, non poteva essersi innamorata di un altro dopo così poco tempo! Ovviamente mi dispiacque molto per Aoe-san, che grazie a lei pareva aver finalmente vinto la sua ormai storica avversione per le donne, ma confidavo nel fatto che prima o poi quei due avrebbero potuto essere davvero felici, uniti se non da un amore appassionato almeno da un profondo e sincero affetto reciproco: e non è forse così che iniziano molti matrimoni, da due persone unite da un semplice affetto, da una simpatia se non addirittura fra due perfetti estranei unicamente per volere dei rispettivi genitori?
   Avevo sperato fino all’ultimo che fra Benio-san e Shinobu le cose potessero sistemarsi, ma ormai avevo imparato anche a mie spese che non sempre una storia d’amore ha un lieto fine come quello dei romanzi, anzi, nella realtà questo costituisce l’eccezione che conferma la regola! Ma se Shinobu aveva deciso di rifarsi una vita con un’altra anche Benio-san aveva tutti i diritti di cominciare una nuova vita con un altro uomo, che forse avrebbe potuto renderla felice, col tempo, anche più di come l’avrebbe resa felice Shinobu. Più felice con un altro che con Shinobu, il suo grande amore? Mi stavo solo illudendo, come avrebbe potuto con un uomo per il quale provava soltanto simpatia e gratitudine? Ma volevo ostinatamente continuare ad illudermi, anche per il mio amico Aoe-san, che meritava anche lui un po’ di felicità, e non era nemmeno detto che le cose dovessero andar loro male.
   Tuttavia l’alba del 1° settembre non vide il sole in tutto il suo splendore: il cielo era pieno di nubi, si temeva che scoppiasse un temporale da un momento all’altro. Appena uscita dal futon avvertii un fugace brivido e sentii subito qualcosa nell’aria che la rendeva pesante, e che non mi piacque affatto. 

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Capitolo 32
*** Capitolo 32 ***


   Era molto strano un cielo improvvisamente così cupo, e nulla lo aveva lasciato prevedere nei giorni precedenti così pieni di sole. Ma non avevo tempo per rimurginare su questo: mi aspettava una giornata molto impegnativa, fra le lezioni da impartire a Shitaji ed ad altre apprendiste più giovani e l’ozashiki previsto per quella sera; così subito dopo colazione mi premurai di far recapitare i miei più sentiti auguri agli sposi e mi avviai verso la scuola.
   La mattinata trascorse velocemente senza particolari problemi: ero molto soddisfatta delle mie piccole allieve, con le quali avevo stabilito un ottimo rapporto, ed occuparmi di loro per quanto faticoso era sempre un toccasana per me.
   Dopo averle congedate mi ritirai al piano di sopra a riposare prima di iniziare gli impegni del pomeriggio. Guardando l’orologio mi resi conto che ormai la cerimonia doveva essere iniziata. Inevitabilmente il mio pensiero tornò a Koji-san, come ormai era per me inevitabile ogni volta che venivo a conoscenza di una giovane coppia che si apprestava ad iniziare una vita insieme, come non abbiamo mai potuto fare noi due. Mi sentivo un po’ stanca, e consapevole di avere ancora un po’ di tempo prima del pranzo mi assopii nella tranquillità della mia stanza: fu così che lo rividi. Inizialmente Koji mi sorrise come sempre, ma poi aprì le braccia, mostrando una vistosa ferita sanguinante al petto, e mi guardò con immensa tristezza: “Tsukiko, cosa fai qui? Non devi raggiungermi così presto, vattene!!!” mi disse. Quindi si portò una mano al petto come per arrestare (anche se invano!) l’emorragia, mi voltò le spalle e prese lentamente ad allontanarsi, lasciando dietro di sé vistose tracce di sangue.
   “NO, KOJI, NON ANDARTENE, NON VOGLIO CHE MI LASCI DI NUOVO SOLA!” lo implorai io, e prima che potessi corrergli dietro per raggiungerlo mi svegliai di soprassalto, rendendomi conto di aver urlato davvero quelle parole.
   Mi rialzai a stento, perché tutto attorno a me tremava, ed anche solo stare in piedi era difficile. Da sotto sentii le urla delle altre abitanti dell’okiya e le sentii che scappavano all’esterno, così mi affrettai a raggiungerle. Fu allora che realizzai quella che si rivelò essere una delle peggiori catastrofi naturali che avessero colpito il mio paese, quella che passò alla storia come “il grande terremoto del Kanto”.  Arrivai sulla soglia, ma un altro impulso irrefrenabile mi spinse dentro: non avevo portato con me la tavoletta mortuaria di Koji, dovevo assolutamente recuperarla!
   Invano la okasan, che mi aveva visto solo per un attimo apparire sulla soglia, mi gridò di fermarmi: non la sentii, come non sentivo più i pianti delle mie compagne e nemmeno le urla di terrore e di disperazione crescente provenire dall’esterno. Un incendio stava divampando dalla cucina, da cui le domestiche erano fuggite abbandonando all’improvviso la preparazione del pranzo, ma incoscientemente non me ne curai  e cercai  la via per tornare in camera mia. Recuperai immediatamente la tavoletta e così mi sentii sicura di essere riuscita senza problemi  nel mio intento; invece appena ebbi imboccato di nuovo le scale un’immensa ventata di fumo mi soffocò e mi fece venir meno. Ciò nonostante barcollando raggiunsi il piano terra, ma poi tutto girò attorno a me e non capii più nulla.
   Quanto rimasi incosciente? Qualche secondo, qualche minuto? Avrebbe potuto essere anche per ore, non potevo certo saperlo, ma una cosa fu subito certa: in quel momento provai un assurdo senso di sicurezza, che divenne più intenso quando sentii attorno a me un calore che non proveniva dal fuoco ed un contatto che mai avrei potuto confondere, quello con la stoffa di un’uniforme. Credo ormai di essere capace anche di averne individuato un odore caratteristico, inconfondibile fra mille! Nella confusione di quegli istanti lunghi quanto ore e con la vista annebbiata dal fumo che si diffondeva sempre più non distinguevo il viso del mio misterioso salvatore, colui che mi aveva sostenuta nella mia caduta e con sicurezza mi guidava verso l’uscita, ma per il mio cuore non poteva essere che lui: il mio Koji, che in quel mio insolito assopimento di quella mattina mi era apparso soltanto per mettermi in guardia dal mortale pericolo che stavo correndo e che con la forza del suo amore aveva addirittura superato le barriere del sogno pur di salvarmi! Come tanti anni prima aveva fatto nella tormenta di neve adesso, stavolta fra le fiamme…
   “Koji-san…” mormorai, chiamandolo nuovamente in maniera formale proprio come allora, quando ero ancora una bimba ingenua che mai avrebbe osato sperare tanto, che quel meraviglioso giovane non solo mi avrebbe considerata come un’amica ma avrebbe finito con l’amarmi più di chiunque altro, al punto da poter sognare una vita insieme. Per un attimo mi era parso di essere tornata a quella gelida notte al nostro villaggio.
   “Fatevi forza, signorina Kichiji, ci siamo quasi!”
   Quella voce mi riportò del tutto alla realtà. Ovviamente non si trattava di Koji, che per quanto il suo amore per me potesse essere stato forte ed intenso non avrebbe mai potuto proteggermi fino a quel punto, in una maniera simile a quella che avevo letto in un romantico quanto fantasioso romanzo; e nemmeno Shinobu, del quale non sarei certo stata il primo pensiero in quella situazione, anche se quel giorno fosse stato di riposo o se avesse potuto per qualche motivo venir meno ai suoi doveri militari!
   “Maggiore Hanamura, siete voi, ma come… Sì, ce la faccio!” gli risposi, ritrovando di colpo le forze.
   Mai avrei pensato che potesse trattarsi di lui, quell’uomo che pur essendo sempre stato gentile nei miei confronti, non era più nel fiore degli anni e quindi non era più portato per certe imprese; eppure ciò nonostante in qualche modo era giunto all’okiya per salvarmi, dimostrando non solo quel coraggio che deve contraddistinguere ogni buon militare, ma anche una notevole forza nel reggere un pannello in fiamme che rischiava per crollarci addosso. Ed infatti appena lo lasciò andare il pannello crollò, e poco dopo, miracolosamente appena fummo usciti, crollò l’okiya.
   Riuscendo finalmente a respirare avevo le lacrime agli occhi, e non solo per il fumo, infatti mi sciolsi in un pianto liberatorio fra le braccia del mio salvatore, mentre la okasan, Kikyoko, Miyuki e tutte le altre si fecero attorno a noi. Grazie al cielo eravamo tutte salve, anche se non potemmo fare altro che guardare il nostro okiya ridursi ad un mucchio di macerie. Quanti ricordi vi erano racchiusi, praticamente quelli di metà della mia vita! Lì era del tutto terminata la mia infanzia, ero diventata una donna, avevo condiviso tutto con tante altre giovani nella mia stessa situazione confortandoci a vicenda nei momenti difficili ed avevo scoperto il vero amore! Sicuramente quei sentimenti che mi invasero il cuore erano condivisi dalle mie compagne, ancora di più dalla okasan, che vi era stata apprendista lei stessa prima di arrivare all’apice della carriera e prima di formare tutte noi ed altre prima di noi, alcune di loro andate lontano perché riscattate, altre trasferite per vari motivi altrove, altre ancora strappate prematuramente alla vita come la mia cara Aiko… Prima di allora non avevo mai visto quell’espressione di sconforto negli occhi della mia okasan, che si era sempre mostrata forte e decisa anche nei momenti più tristi, ed aveva sempre trovato una buona parola per tutte noi, dolce quasi come una vera madre.
   “Ricominceremo tutto daccapo, okasan, non dobbiamo scoraggiarci, potrete contare sempre su di noi!” la consolò Kiyoko abbracciandola, e lei annuì commossa.
   Era lo spirito giusto, rafforzato del resto dal fatto che tante, troppe persone in città ed anche in altri luoghi della regione condividevano la nostra sorte. Anzi, noi eravamo state fortunate, eravamo tutte salve. Quanti invece avevano perso i loro cari, per non parlare delle intere famiglie sterminate! Inutile dire che quando affacciandomi in strada assistetti a tutte quelle scene di terrore e disperazione mi venne in mente la mia famiglia: chissà se anche loro erano salvi, ma come avrei potuto in quella situazione raggiungerli?
   Ripensai a quando solo poche ore prima, com’era mia abitudine al mio risveglio, mi ero affacciata alla finestra di quella che da diversi anni era diventata la mia camera, ed avevo notato un enorme sciame di libellule rosse, grande come non ne avevo mai visti nemmeno al villaggio. E mi ricordai all’improvviso anche di un altro episodio, avvenuto tanti anni prima: si riferiva al signor Yamamoto, il nostro vicino… Sì, proprio quell’anziano capofamiglia che quando avevo sette anni mi aveva impressionata tanto a causa dei suoi piedi mutilati mentre se ne stava seduto nel suo giardino. Quella volta i miei occhi di bimba erano stati colpiti dalla sua orribile menomazione fisica; dopo di che, per paura di poterlo vedere di nuovo a piedi nudi, avevo sempre cercato di evitare di stare in giardino quando lui era nel suo e se per caso lo vedevo apparire scappavo via, per nascondermi in casa. Fra l’altro non avevo avuto spesso a che fare con lui nemmeno prima: non mi aveva mai trattata male quando mi aveva vista, anzi, mi aveva sempre salutata gentilmente, eppure mi aveva sempre fatto soggezione per via della severità che dimostrava con i suoi figli nonostante fossero ormai adulti ed a loro volta padri di famiglia. Dopo quel famoso episodio, la mia tendenza ad evitarlo era aumentata anche perché avevo sentito i miei genitori dire che con l’età stava andando anche un po’ fuori di testa. Ma un giorno della primavera successiva ero così intenta a giocare in giardino con Yuriko che non mi accorsi che anche lui era uscito di casa. Finché un serpente non ci strisciò velocemente accanto. Yuriko aveva paura folle dei serpenti, così vedendolo aveva urlato. Al che sentii improvvisamente vicina la voce del signor Yamada, che si era accostato alla recinzione di confine fra le nostre due case e parlò con tono solenne, come se stesse predicando: “Se avvengono grandi migrazioni di libellule rosse, pesci, serpenti, formiche o tartarughe di mare, allora è  la fine! Non può essere che il presagio di una calamità naturale.
Gli animali percepiscono queste cose e stanno cominciando a scappare! Anche gli umani lo percepiscono. Solo… non possono scappare! Questo è il lato tragico degli esseri umani.
Prima di tutto la gente si vergogna di fuggire per paura di una catastrofe naturale che potrebbe non verificarsi. Inoltre gli animali non hanno il problema della casa. Quasi nessuno ha la possibilità di traslocare, pur avendo il sentore di un terremoto…”  
   Si era avvicinato a noi, ma il suo sguardo era vacuo, non si capiva se si stesse rivolgendo a noi o a chiunque altro egli credeva di avere davanti. Mi ero stretta forte a Yuriko, nascondendo il viso fra le sue braccia, e lei ritrovata subito la lucidità mi aveva tranquillizzata e mi aveva riportata in casa, senza badargli; intanto lui, noncurante di noi, si infervorava ancora nella sua solenne predica rivolta ad una platea invisibile.
   Ovviamente i miei al mio racconto avevano riso divertiti, avevano subito sdrammatizzato la cosa e mi avevano convinta che si era trattato soltanto del delirio di un anziano signore un po’ matto; così io non ci avevo più ripensato, il signor Yamamoto era tornato ad essere per me semplicemente il vecchietto della casa accanto con i piedi che facevano impressione.
   Invece a distanza di anni, dopo aver visto la mia città così devastata poche ore dopo aver visto quella che avevo riconosciuto come una migrazione di libellule rosse, mi chiesi se quel giorno quel vecchio pazzo non avesse invece detto una cosa giusta (anche se sproporzionata all’episodio), magari non in seguito ad un’esperienza vissuta personalmente ma per qualcosa tramandatagli dal padre o dal padre di suo padre… Ma anche se fosse stato così? Avremmo forse potuto fare qualcosa per evitarlo, per sfuggire al nostro triste destino o almeno renderlo meno crudele? Avremmo potuto salvare l’okiya? Invidiai quegli animali, che avevano potuto almeno tentare di allontanarsi per tempo, ma noi non avremmo potuto farci nulla, se non salvare noi stessi, stare a guardare e subito dopo rialzarci, per ricominciare tutto daccapo, innanzitutto ricostruire le nostre case distrutte. In ogni caso non era certo il momento di abbandonarsi alla disperazione, bisognava reagire, e subito.
   Quando ringraziai di nuovo il maggiore Hanamura  mi accertai del suo stato e fu per me un altro enorme sollievo il fatto che non fosse ferito gravemente.

 
 

Note:
Il primo settembre del dodicesimo anno del periodo Taisho, alle 11 e 58 minuti del mattino, scoppiò il grande terremoto del Kanto, una delle peggiori catastrofi naturali nella storia del Giappone, che risultò essere di 7,9 gradi circa della scala Richter. Morirono 141.637 persone ed oltre 39.000 risultarono disperse (notizie tratte dall’ultimo volumetto della serie regolare di Haikarasan ga tooru).
Una toccante pagina di Paul Claudel (poeta e ambasciatore della Francia in Giappone durante gli anni Venti del Novecento), frutto di un’esperienza in prima persona, in occasione del terremoto del 1 settembre 1923 che sconvolse Tokyo e Yokohama:
I mercanti di crespi e di broccati, la via dei mercanti di ninnoli, Nakadori, con i suoi ammassi di tesori, Nihonbashi, Shimbashi, il quartiere dei ristoranti e delle case eleganti da tè, Kanda, il quartiere delle Scuole, l’Università imperiale, Asakusa, il campo dei divertimenti popolari con il suo Yoshiwara e il suo tempio di Kwannon, poi, dall’altra parte della Sumida, Riyogoku, la grande arena dei lottatori, e quegli immensi quartieri senza fine dove viveva a fior d’acqua nella risaia appena riempita, nell’aria greve delle esalazioni chimiche, tutto un popolo miserabile e rassegnato, la capanna del paria, il negozio dell’incisore di sigilli, la roulotte del pulitore di pipe, e accanto i grandi teatri, il museo Okura stivato di lacche d’oro e stoffe reali, i ristoranti bellissimi che in fondo al loro tokonoma espongono ogni giorni una pittura differente di Koorin e di Sesshuu, tutto questo è stato spazzato dalle fiamme. E’ il vecchio Giappone che sparisce in un sol colpo per far posto all’avvenire in un olocausto paragonabile alla distruzione di Alarico. Dei tram, in mezzo alle strade, non resta che un ammasso di ferraglie e un groviglio di pali e di fili. Ha spirato un grande alito di fuoco. Anche l’acqua degli stagni si è messa a bollire [...]. Ma è a Honjoo, nel quartiere più miserabile della metropoli industriale, che si è trovata preparata la trappola più grande, una vasta piazza vuota in un’antica costruzione per equipaggiamento militare dove trentamila disgraziati avevano cercato riparo. Il fuoco li ha circondati da tutte le parti, sono morti. L’acqua nera e stagnante intorno a loro è coperta da uno strato di grasso umano. Sopra, in un piccolo commissariato di polizia in un edificio in cemento armato, si vedono cinque  cadaveri ripiegati su se stessi. Sono gli agenti che si sono lasciati bruciare sul posto piuttosto che abbandonare il proprio ufficio.
(Paul Claudel, L’uccello nero del Sol Levante, trad. a cura di M. A. Di Paco Triglia, ed. Il Cerchio, pp. 38-39)
Vari manga oltre ad Haikarasan ga toru citano questa tremenda catastrofe, ed alcuni esempi sono qui:
http://www.rai.it/dl/tg3/articoli/ContentItem-ad67d3d7-1c19-4fc3-a749-18930f3989c2.html
 
Ciò che dice il signor Yamamoto è una citazione di uno dei manga di cui parla l’articolo qui linkato, ovvero Violence Jack, di Go Nagai. Non l’ho letto, ma quel passaggio mi è piaciuto ed ho deciso di inserirlo.
Il dettaglio della fuga degli animali poche ore prima del terremoto è messa in evidenza anche in una scena di Haikarasan ga toru: mentre Benio sta cercando di spiegare a Ranmaru le motivazioni della sua decisione di sposare Tosei e di convincerlo (invano!) che lo fa per amore, i due sono sconvolti dall’improvvisa comparsa di un insolito gruppo di serpenti in fuga. 

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Capitolo 33
*** Capitolo 33 ***


   Inutile dire che quello spaventoso evento sconvolse totalmente la mia vita, ma mai, nemmeno quando quel lontano giorno di primavera al mio villaggio, avrei potuto anche solo minimamente immaginare fino a che punto, e tanto meno in che senso!
   Quella catastrofe strappò la vita a più di centomila persone, senza considerare le decine di migliaia di dispersi. Era orribile l’idea di non poter ricevere in alcun modo notizie dal villaggio, ma non c’era niente da fare in quel senso: le distanze erano moltiplicate dalla difficoltà che erano sorte negli spostamenti, e molto probabilmente non avremmo potuto più contare nemmeno sullo zio, perché anche se era stato estratto vivo dalle macerie della casa dove si trovava era rimasto gravemente ferito e non si sapeva nemmeno se avrebbe potuto tornare a camminare come prima. In quell’occasione erano stati organizzati una specie di ospedali da campo laddove era stato possibile, e Kiyoko aveva potuto raggiungere facilmente il padre per poterlo assistere ogni giorno. Da un lato la invidiai per questo: magari se il villaggio esisteva ancora c’era qualcuno nella mia casa che avrebbe avuto bisogno di quello stesso aiuto da me, ed io non avevo nessun modo di raggiungerlo!!!
   Ovviamente nessuno in città poteva permettersi il lusso di abbandonarsi alla disperazione per la perdita della propria casa o dei propri cari: un atteggiamento del genere non sarebbe stato certo adeguato, per nessuno che fosse degno di essere giapponese, e comunque dovevamo far fronte alla necessità di sopravvivere nel miglior modo possibile ed alla confusione generale che era conseguita al terremoto;  come se non bastasse, nei giorni successivi i giornali pubblicarono le storie più assurde, testimoniando la totale distruzione di Tokyo, il parlamento Giapponese completamente spazzato via, l'intera regione del Kanto affondata in mare, la distruzione dell’isola di Izu dovuta ad un’eruzione vulcanica e diverse altre.
   Il Ministro dell’Interno istituì la legge marziale dando alla sicurezza ed all’ordine la massima priorità. Ogni giorno si lottava per sopravvivere, per procurarci generi di prima necessità, per contribuire in base alle nostre possibilità alla ricostruzione di quanto era stato distrutto.  
   E poi dovemmo vedercela con la notizia più atroce che furono capaci di inventarsi i giornali, ovvero che i coreani stavano avvelenando i pozzi: ovviamente ciò seminò ulteriore panico fra tutti (alcuni anziani morirono di sete semplicemente perché si rifiutarono ostinatamente di bere acqua che avrebbe potuto essere avvelenata!) e scatenò persino una vera e propria caccia al coreano, con episodi di efferata violenza con lo scopo di allontanare le persone potenzialmente pericolose, se non addirittura di sterminarle. Persino alcuni giapponesi, erroneamente considerati coreani per simile pronuncia e dialetto, condivisero la stessa sorte… Fra di loro anche un vecchio cliente del nostro okiya, che solo per miracolo riuscì a scampare ad un vero e proprio linciaggio!
   Fu un periodo orribile dunque, ma ciò nonostante non è stato il peggiore della mia vita, perché, dice qualcuno, anche nelle disgrazie si può trovare qualche motivo di gioia, ed infatti io ne ho trovati diversi.
   Innanzitutto perché nessuna di noi che vivevamo all’okiya fu fra le vittime, e poi  ho saputo che Shinobu si è sposato. E non con la donna che l’aveva salvato, la duchessa Michailov. Purtroppo lei è stata fra le vittime… Una cosa terribile, essere fuggita dal suo paese a causa della rivoluzione per trovare la morte qui, poco tempo dopo, durante il terremoto! Ma considerando le circostanze, di cui mi ha messa poi al corrente Shinobu, nemmeno tanto terribile: la duchessa è morta per salvargli la vita, finendo al suo posto schiacciata da un pesante antico lampadario del salone del castello degli Ijuin, ma prima che la vita abbandonasse per sempre il suo corpo già così consumato dalla tubercolosi lei aveva sorriso, come mai le aveva visto fare nel periodo in cui avevano vissuto insieme, perché sapeva che all’altro mondo avrebbe trovato ad attenderla il suo defunto marito, il suo unico vero amore, e non se ne sarebbe mai più separata. Ciò che avrebbe potuto succedere anche a me, se Koji in qualche modo non fosse tornato per spingermi a mettermi in salvo prima che fosse troppo tardi…
   Così Shinobu, ormai consapevole di non aver lasciato insoluto il suo debito di riconoscenza da cui lei stessa l’aveva liberato, era riuscito a raggiungere Benio-san, la cui cerimonia di nozze era stata bruscamente interrotta dal terremoto e dopo essere riusciti a scampare miracolosamente alla morte avevano infine trovato la solidarietà di Aoe-san, che aveva dato la più grande prova d’amore nei confronti di Benio-san lasciandola libera di seguire il suo cuore! Non ho trovato affatto strano che dopo averne passate tante quei due abbiano aspettato soltanto pochi giorni per sposarsi, rinunciando ad ogni sfarzo per la loro sospirata cerimonia, che anche in circostanze diverse avrebbe risentito dei grossi debiti che gravavano sulla famiglia Ijuin!
   Avevo compreso da tempo, nonostante i nostri pochi incontri troppo brevi, quanto fosse nobile l’animo di Aoe-san ed avevo imparato presto a stimarlo molto. Kiyoko scherzosamente mi incoraggiò a consolarlo, perché quella ragazza era stata una pazza a lasciare andare un uomo di tale valore, che non era soltanto bello ed affascinante, e che non meritava certo di restare solo; io sapevo bene che non avrebbe potuto esserci altro che amicizia fra noi: sapevo che probabilmente Aoe-san non sarebbe più riuscito ad amare nessun’altra donna, già aveva faticato a lasciarsi andare con una, ed infatti se ne andò per un lungo periodo all’estero, con il pretesto di un viaggio di lavoro, organizzato in realtà solo per dimenticare e perciò prolungato ben più del necessario; ma soprattutto: non era Aoe-san colui che mi era stato riservato dal destino!

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Capitolo 34
*** Capitolo 34 ***


    Sono passati diversi anni da quel 1° settembre, un giorno che non potrò mai dimenticare, come certamente sarà per i tanti altri giapponesi sopravvissuti alla catastrofe. Le grida di orrore, le fiamme, le macerie, la fame, le violenze che si verificarono per le strade nei giorni successivi, e quanto altro io abbia visto o sentito o vissuto in quei terribili momenti a volte tornano prepotentemente alla mia memoria, esattamente come i dolci ricordi legati a Koji ed al mio villaggio: niente potrà cambiare questo dato di fatto, e del resto io stessa non vorrei cambiarlo. Perché è stato tutto spaventoso, è vero, tanto che talvolta quelle immagini mi svegliano ancora di soprassalto la notte turbando la serenità del mio riposo, ma è anche vero che con esse torna alla mia mente anche altro, che subito compensa ampiamente quelle sensazioni sgradevoli.
    E’ da molto tempo che non vivo più all’okiya. Nel periodo appena successivo al terremoto la okasan ha realizzato di sentirsi ormai troppo anziana per le responsabilità che competevano al suo ruolo, così ha designato la sua erede ed ha iniziato ad istruirla personalmente affinché potesse succederle quanto prima, anche se in realtà Kikyo-san era già da tempo così competente da non averle richiesto grossi sforzi in tal senso.
   Mentre Shitaji (che è diventata una bellissima ragazza) pare ormai destinata ad una lunga e brillante carriera dopo aver riscosso molti consensi  fin dal suo debutto come maiko, Kiyoko è stata infine riscattata dal suo danna, che quel giorno non aveva perso i suoi averi, ma era rimasto vedovo e l’ha quindi sposata appena terminato il periodo di lutto. Lo zio si è ripreso, ma un po’ per l’infortunio ed un po’ a causa degli acciacchi dell’età ha deciso di abbandonare la sua attività, nella quale lo ha poi sostituito mio fratello Toshiro, che ha dimostrato ben presto grandi capacità, anche se ovviamente è ancora giovane ed inesperto. Gli piace viaggiare, e sveglio com’è impara tutto in fretta.
   Grazie al cielo tutta la mia famiglia è sopravvissuta alla catastrofe. Nel villaggio la scossa si è sentita molto meno, ed i danni sono stati molto meno gravi che in città. Nella casa della mia infanzia ora vivono ancora i miei genitori con Keita; e con loro c’è Sanzo, che potrà aiutarli insieme alla moglie, una ragazza giudiziosa e piena di buona volontà che ha sposato di recente. La famiglia Kimura si è arricchita lo scorso anno di una coppia di gemelli: Yuriko  è occupatissima come e più di sempre, presa dalla cura della casa e dei figli, ma è felice, e le sue pene amorose di quando era ragazza non sono ormai che un vago ricordo. In una delle sue lettere più recenti mi ha scritto che Yuichi Tanaka se la passa alquanto male: Hotaru, frivola com’è sempre stata, ha scialacquato rapidamente i loro risparmi riducendo la famiglia in miseria. Ma non è mai stata particolarmente avvezza al lavoro duro; perciò, avendone avuto di recente l’occasione, è fuggita con un ricco commerciante che si era trovato a passare per il villaggio e che lei era riuscita a sedurre, lasciando l’unico bambino che avevano avuto al marito, che così era stato costretto a rassegnarsi a svolgere anche i lavori più umili per crescerlo adeguatamente, oltre che per badare agli anziani genitori. Mia sorella mi ha scritto che le dispiace molto per lui ed io ci credo, perché lei non è mai stata capace di odiare; mi ha anche scritto che non vi è più traccia del ragazzo indifferente ed egoista di un tempo, quella dura esperienza di vita lo ha cambiato radicalmente, spingendolo a diventare quanto prima un padre responsabile.
    Non vivendo più all’okiya ho finalmente la possibilità di andare dove voglio, incontrare chi voglio quando preferisco: sono andata a cercare la mia famiglia e mi sono trattenuta per diversi giorni al villaggio, appena ne ho avuto la possibilità: quanto è stato diverso quel viaggio, seppure più accidentato, da quell’orribile ma più comodo viaggio in treno nel giorno in cui tentai invano di poter rendere l’ultimo saluto al mio adorato Koji, per poi essere scacciata malamente dai suoi genitori! Procedetti molto più lentamente, ma ogni ora, ogni minuto, man mano che la distanza verso i miei cari si accorciava sentivo di poter respirare meglio.
  In seguito sono stata altre volte a trovarli, l’ultima in occasione del matrimonio di Sanzo. Ed ovviamente ben più spesso ho incontrato Kiyoko, le mie amiche rimaste all’okiya (risorto dalle sue ceneri), Kikyo-san  ed ovviamente la mia okasan che è rimasta lì pur non svolgendo più il suo ruolo ed ha scelto Miyuki come sua cameriera personale.
 Sono facilmente tornata ad un abbigliamento più sobrio, elegante ma da donna più “perbene”, e per quanto la vita da geisha avesse anche dei lati positivi ho provato un grande sollievo per non essere più costretta a quei ritmi spesso troppo sostenuti, fra lezioni del mattino, esercitazioni ed organizzazione dei vari spettacoli, per non parlare, soprattutto, degli ozashiki con clienti non sempre gradevoli. Non mi capita più di svegliarmi a mezzogiorno, ma non mi pesa affatto alzarmi sempre presto, perché per me era abituale al villaggio e poi adesso sono io a volerlo perché sono io ad organizzare la mia vita.
   Non sono più costretta a stare per ore davanti allo specchio per farmi vestire e pettinare e per sistemare il trucco come d’obbligo per ogni geisha, che non può permettersi di mostrarsi  in pubblico se non è certa di apparire perfetta sotto ogni aspetto. In realtà lo faccio ancora qualche volta, ma soltanto se sono io a volermi mostrare perfetta, anzi, semplicemente per piacere all’unico di cui ormai mi importi di piacere: perché, a volte mi pare troppo bello ed incredibile per essere vero, ora ho nuovamente qualcuno accanto, qualcuno per il quale ritengo valga la pena apparire al meglio, non perché mi dia in cambio denaro ma soltanto per la gioia di poterlo renderlo felice. A volte canto o eseguo qualche passo di danza per lui, non perché mi chiede di farlo, ma perché so di fargli piacere, soprattutto dopo aver capito quali sono i brani che preferisce.
   Per tanto tempo sono stata convinta che lo strazio provato quell’orribile giorno nel parco dopo aver letto quel volantino e poi la delusione alla notizia del fidanzamento ufficiale di Shinobu mi avessero privata del tutto della possibilità di provare nuovamente certi sentimenti, ma qualcosa iniziò a riaccendersi in me quel 1° settembre, quando riaprii gli occhi fra le sue braccia, e nonostante mi trovassi in una situazione così difficile, rischiando di morire fra le fiamme o schiacciata sotto le macerie, mi sentii completamente al sicuro, esattamente come mi ero sentita da bambina quella lontanissima notte sotto la neve, che non si è mai ridotta ad un ricordo remoto, ma è rimasta e rimarrà sempre viva nella mia memoria e nel mio cuore, come se tutto fosse accaduto pochi giorni fa.
   Ma altrettanto vivo, fino a quando sarò vecchia e morirò, rimarrà in me questo nuovo, dolcissimo ricordo, quello dell’uomo gentile e coraggioso che non ha esitato a sfidare il fuoco per salvarmi la vita, una vita che sempre più ho desiderato dedicare a lui, e non per semplice riconoscenza, non per un banale affetto verso colui che da quel giorno mi è stato accanto, sostenendomi nelle difficoltà di quel periodo come non ha potuto fare mio padre finché non ho potuto rivederlo miracolosamente vivo e vegeto con il resto della mia famiglia al villaggio…
   O meglio: naturalmente all’inizio è stata la profonda gratitudine a spingermi verso di lui, ad indurmi ad assisterlo con la devozione di una figlia, dato che per proteggermi con quel pesante pannello di legno si era procurato un brutto strappo alla schiena. Ma poi pian piano ho imparato a conoscerlo sempre meglio, mi sono resa conto sempre più di quanto, al di là della nostra comune sofferenza, avessimo in comune nonostante la nostra differenza di età: così il mio affetto per lui è diventato sempre più profondo, tanto che ho provato un’immensa gioia quando un giorno, mentre passeggiavamo insieme lungo il fiume godendoci la fioritura degli alberi di pesco, il maggiore Hanamura mi confessò (forse un po’ troppo timidamente per la sua età, tanto da sembrare anche un po’ buffo) di provare per me ciò che prima aveva provato soltanto per la sua povera moglie, ed in quel momento mi resi conto di contraccambiarlo!
 

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Capitolo 35
*** Capitolo 35 ***


   In seguito le cose fra me ed il maggiore Hanamura andarono avanti in maniera molto più naturale di quanto avrei potuto immaginare: ovviamente lui fu sempre molto rispettoso nei miei confronti, tenendo in considerazione anche la mia posizione di geisha. Anche dopo che io gli confessai com’erano maturati i miei sentimenti nei suoi confronti, aspettò che fossi io a dirgli che ero pronta a lasciare l’okiya, prima di trattare sulla cifra necessaria per riscattarmi con Kikyo-san, la quale mi sorprese: mentre la okasan espresse subito perplessità e mi chiese se per caso intendevo lasciare tutto e sposarmi soltanto per riconoscenza verso colui che mi aveva salvata, un uomo che avrebbe potuto essere mio padre, lei si limitò a sorridermi con quella dolcezza che quasi mai mi aveva dimostrato apertamente e mi disse che era certa che sarei stata felice, perché anche solo guardandomi negli occhi aveva capito che miracolosamente dopo tanto tempo l’amore era tornato a scaldarmi il cuore e che in questi casi l’età era solo un dettaglio insignificante.
   “Afferra la felicità con tutte le tue forze, piccola Tsukiko, e stavolta non permettere a nulla ed a nessuno di strappartela!”
   Poche parole ma dense di significato, soprattutto nell’ultima parte, perché ero ben consapevole che derivavano anche da come certamente l’opinione pubblica avrebbe visto il matrimonio di un rispettabile maggiore dell’armata imperiale con una donna come me. Ma né a me né al mio futuro marito questo interessava.
   Inutile soffermarmi troppo, invece, sull’immediata gioia che l’annuncio delle nostre nozze suscitò in Shinobu e Benio: quest’ultima, come al solito fin troppo spontanea ed irruenta, prima si congratulò e mi abbracciò così forte da farmi quasi male e poi mi disse che, anche se forse lei non sarebbe mai riuscita a chiamarmi mamma, sperava che le avrei regalato al più presto un fratellino, facendomi infuocare le guance di un colorito che doveva essere ancora più vivo di quando mi ero ritrovata intrappolata nell’incendio e che non era più coperto da sufficiente trucco per passare inosservato.
    Ascoltando le parole di Kikyo-san anche la okasan si era convinta del fatto che la mia oni-san avesse ragione e fu felice per me, anche se loro due non avrebbero mai potuto smettere di pensare al maggiore Hanamura non come l’uomo che era riuscito a privarle dell’ennesimo buon affare per l’okiya, ma come chi aveva portato loro via colei che si era dimostrata come una figlia devota, alla quale entrambe si erano affezionate come se davvero lo fossi stata. Erano sincere, lo sapevo, ed il giorno in cui feci le mie valige e mi congedai da loro per trasferirmi in casa Hanamura le mie abbondanti lacrime finalmente non furono di strazio, ma di felicità e di incontenibile commozione: per la gioia di essere riuscita finalmente ad amare di nuovo, per le soddisfazioni e l’aiuto che in questi anni ero riuscita a dare ai miei genitori, per aver trovato, fra tante sofferenze, delle persone che non avrei mai potuto dimenticare e delle quali avrei sentito la mancanza. E poi quel giorno piansi perché sapevo che in quel momento, varcando la soglia dell’okiya pur con la consapevolezza che avrei potuto rivedere tutte le mie amiche in parecchie occasioni, la geisha Kichiji sarebbe scomparsa per sempre, lasciando nuovamente e definitivamente il posto a Tsukiko, che avrebbe fatto di tutto per ritrovare una spensieratezza simile a quella di un’epoca per lei già tanto lontana nonostante la sua giovane età.
 
   Hiroshi… A volte ancora mi sbaglio, lo chiamo ancora maggiore Hanamura. Allora lui finge di arrabbiarsi e mi rimprovera di farlo sentire vecchio, ma poi ride, e dice che se mi viene più facile e spontaneo va bene anche così, perché anche a lui a volte piace chiamarmi Kichiji, perché è stata Kichiji a far breccia nel suo cuore, facendolo tornare a volare dopo essere stato prigioniero nell’oscurità della rassegnazione per così tanti anni dopo la morte della sua Yoshie, soffocato da una sofferenza che posso condividere e capire fin troppo bene. Ed è stata Kichiji che il maggiore Hanamura ha raggiunto fra le fiamme e che ha stretto quel giorno fra le braccia, con la segreta speranza di non doverla più lasciare.
   Sì, dopo aver provato per così troppe volte dolore ho quasi paura a dirlo, una sorta di timore scaramantico, ma sono finalmente felice. Forse in certi giorni sono persino più impegnata di quando ero una geisha, ma in compiti diversi, i compiti che si addicono ad una moglie di un uomo rispettabile, che se fortunata come me è ben lieta di portarli a termine. La fedele Duenna inizia a sentirsi un po’ anziana, ma grazie a lei ho recuperato in fretta ciò che avevo imparato dei lavori di casa prima di doverli abbandonare per dedicarmi ad altre attività ed ho anche imparato molto di più. Insieme a lei bado alla casa, amministro le spese quotidiane, mi impegno a rendermi sempre ben accetta per il vicinato, e ricevo le visite, con maggior piacere di quelle di Benio e Shinobu, ormai genitori felici, proprio come me ed Hiroshi. Il mio piccolo Koji (è stato suo padre a scegliere il suo nome!) è un bimbo molto vivace, corre sempre dappertutto, mi ricorda in questo i miei fratellini Toshiro e Sanzo nei pochi anni felici trascorsi al villaggio. Ma è anche dolcissimo e, nonostante a quasi quattro anni sia un po’ preoccupato che a causa di ciò che sta per accadere gli possa essere sottratto parte dell’affetto della mamma e del papà, ogni giorno da qualche mese mi chiede quando arriverà la sua sorellina, perché lui la vuole tanto conoscere. Io lo rassicuro, gli dico che arriverà presto e che anche lei vuole tanto conoscere il suo fratello maggiore. Verso il tramonto mi siedo sulla engawa, nell’orario al quale so che Hiroshi sta per rientrare, perché voglio che mi trovi lì ad accoglierlo con un sorriso, lasciando per un po’ Duenna da sola in cucina per finire gli ultimi preparativi per la cena. Disobbedendo puntualmente alla sua tata, che ogni sera cerca invano di accompagnarlo a letto, Koji viene a sedersi vicino a me: vorrebbe restare anche lui per dare il bentornato al padre, ma pochi minuti dopo crolla addormentato con la testolina sulle mie ginocchia. Continuo ad accarezzarlo piano ancora per un po’, poi mi sfioro la pancia, che diventa ogni giorno più pronunciata e mi fa capire che presto dovrò fare a meno dell’obi, perché potrebbe fare del male alla mia creatura…
    Non mi pesa restare lì anche più del previsto, finché non arriva Hiroshi, che viene subito ad abbracciarmi, sempre attento a non stringermi troppo, e poi rientriamo in casa insieme. Anche lui condivide le mie previsioni, è certo che sarà una bambina. E quando pronuncio il suo nome, quel nome che ho subito scelto per lei perché era l’unico che avrebbe potuto venirmi in mente, non sempre riesce a nascondere completamente la sua commozione.
 
Fine

 
 
Note:
Hiroshi e Yoshie: sono i nomi che ho scelto per i genitori di Benio (dato che nel manga i loro nomi non sono specificati); immagino che avrete capito che Yoshie è anche il nome che Kichiji ha deciso di dare alla sua bambina, anche per ricambiare l’identico gesto d’amore che il marito le ha offerto chiamando Koji il loro primogenito. 



Ringraziamenti e disclaimer:
Si conclude così, dopo più di un anno dall’inizio della pubblicazione su EFP, la storia della geisha Kichiji.
Inizialmente avevo pensato semplicemente di rifarmi solo al racconto che lei fa a Benio del suo triste passato ed approfondirlo, fermandomi quindi a quando Shinobu la salva dal tentato suicidio; ma poi, su incoraggiamento di Alby MC, fedele utente del mio forum che ha avuto la costanza e la pazienza di seguire questa storia per tanto tempo, sopportando i miei inevitabili blocchi d’ispirazione e postandomi le sue impressioni dopo ogni capitolo e di tanto in tanto correggendo qualche svista (una davvero enorme, tanto che se non me l’avesse fatta notare subito lui avrei poi dovuto riscrivere la storia daccapo!!!), ho deciso di continuarla, riprendendo la storia originale della Yamato dal punto di vista di Kichiji e donando anche a lei un finale pienamente felice, una sorta di capitolo extra fuori serie, come quelli dedicati dall’autrice ai quattro comprimari. Lo ringrazio tanto per il suo preziosissimo aiuto!
Oltre a lui ringrazio:
- Tetide che ha recensito ogni capitolo qui su EFP;
- Sognatriceaocchi aperti, che ha recensito positivamente il primo capitolo ma che spero voglia leggere anche gli altri prima o poi;
- honoka98 e Frakimi che hanno messo la mia storia fra le seguite, spero per leggerla una volta conclusa e  poi scrivermi le loro impressioni;
- chiunque abbia voluto leggere senza commentare, anche se sinceramente mi piacerebbe che esprimesse un parere.

 
N.B. Alcuni personaggi di questa storia non sono miei, ma di Waki Yamato, autrice del manga Haikarasan ga toru; altri sono invece totalmente frutto della mia fantasia.
Ho preso ispirazione, in alcuni passaggi, al mio romanzo preferito, Memorie di una geisha di Arthur Golden, in omaggio a cui ho chiamato Chiyo  la ragazza che si era suicidata al villaggio di Kichiji; il personaggio di Kikyo-san, la terribile (ma nemmeno tanto!) geisha-oni, è ispirato alla “vecchia antipaticona” di Storia proibita di una geisha di Mineko Iwaseki, romanzo scritto dalla vera geisha che ha ispirato Golden nella sua da lei contestata versione dei fatti.
Ci sono inoltre richiami al manga Violence Jack di Go Nagai ed a L’uccello nero del Sol Levante di Paul Claudel, a proposito del grande terremoto del Kanto.
Molte notizie sul Giappone, sui significati dei termini giapponesi e sulla storia dell’intervento militare giapponese in quegli anni sono tratte da Wikipedia (per maggiori dettagli sulle singole fonti vi rimando alle note in fondo ai relativi capitoli).

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