La vera historia dello gobbo de Nôtre Dame.

di Dmitrij Zajcev
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Lo arrivo dello Cainita. ***
Capitolo 2: *** Quasimodo Nosferatu ***
Capitolo 3: *** Esmeralda Ravnos ***
Capitolo 4: *** La Corte de li Miracoli ***
Capitolo 5: *** Lo rogo et la fine ***



Capitolo 1
*** Lo arrivo dello Cainita. ***


Anno MXDLXXXIV, Parigi, Regno di Francia.

 

Su un cavallo bianco, giunse infine il figlio di Sorin alla città di Parigi. Era l'annua Domini 1484.

 

Nuvole cariche di pioggia gravavano sulla città, dopo una settimana di pioggia incessante, ed accolsero l'incappucciato cavaliere. Lo suo cavallo evitava con disinvoltura le pozze d'acqua presenti sull'acciottolato, mentre lo cavaliere si dirigeva verso lo centro dell'urbe.

 

La sua attenzione fu di colpo attirata da un trentino di marionette, e dallo giullare che ne teneva spettacolo. Era visibile nello sguardo di quest'ultimo lo germe della follia. Al collo indossava un medaglione rappresentante lo stemma delli farnetichi: Lo stemma era diviso in quattro quadranti. Nel quadrante in alto a sinistra et in quello opposto era presenta una mezza luna. Nelli altri due quadranti erano stati raffigurati due nodi, diversi tra loro. Sopra lo scudo, una corona capovolta, sormontata a sua volta da una coccatrice recante in una zampa uno specchio dalla forma di Ankh, la croce egizia. Sul capo, l'animale portava un copricapo da giullare. 

 

«Salute a te, Malkavi. Non mi aspettavo certo di trovarvi qui li figli di Malkav.»

 

Fu con stupore che lo giullare osservò colui che lo aveva interpellato. Gli occhi del colore di zaffiri del Farnetico si spalancarono, mentre le pupille si allargavano fin quasi a far scomparire le iridi, per poi ridursi in una fessura, simile alle pupille feline.

 

«Lo… Lo tristo mietitore!»

 

Lo giullare uscì dalle quinte del teatrino, buttandosi alli pié dello cavaliere.

 

«Non mi prenda con sé, O madama Morte! Giacché ancor nel fior degli anni son io! Vi prego ordunque di aver pietà dello povero Clopin!!»

 

Lo cavaliere scese dallo destriero e con un sorriso lo fece alzare. 

 

«Ritorna in te, Clopin Malkavi. Non son giunto pel la tua anima, giacché invero non son io lo tristo mietitore.»

 

Lo giullare alzò lo sguardo mentre le pupille ritornavano normali.

 

«Chi sei, dunque, o cavaliere?»

 

«Dimitrij Markov. Sto cercando due persone… nostre due conoscenze comuni.»

 

«parli forse di un Lebbroso et di una Ciarlatana?»

 

«Son coloro che cercò. Hai indovinato perfettamente Malkavi.»

 

«Attento Diurno! La Sanctissima Inquisitione ha mandato qui lo giudice Claude Frollo. Di coloro che cerchi solo una persona so dove abita. Se tu cerchi lo Nosferatu, ausculta cum attenzione. Laddove le campane suonano abita colui che cerchi. Altro non so, et altro da dire non ho.»

 

«Dello Iudice inquisitorio timore non ho. Ti ringrazio dunque, et ti saluto.»

 

Risalito sullo destriero, si diresse verso la cattedrale de Nôtre Dame, che or ora suonava le sue campane.

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Capitolo 2
*** Quasimodo Nosferatu ***


Giunto alle porte della chiesa, lo cavaliere legò lo suo destriero a un pozzo lì vicino e bussò alle porte de la cattedrale.

 

«Padre, o Vescovo di Parigi! Mi siano aperte le porte, giacché è mio desiderio incontrare lo campanaro, uomo che conosco da assai molto tempo.»

 

Un prete dalla lunga et canuta barba aprì le porte.

 

«Il signore sia con voi, figliolo. Entra ordunque. Avviserò lo campanaro de la tua visita.»

 

«Non è necessario, Padre Jean-Pierre. Già lo vidi giungere alla piazza. Vi prego di lasciarci soli, padre. Et tu, fraterno amico, lascia che io veda lo tuo viso.»

 

A parlare, con una voce strascicata, era stato uno monaco alto al massimo uno metro et quaranta. Mentre lo prete si allontanava, e lo Markov si avvicinava ad un altare, abbassandosi lo cappuccio, lo monaco si avvicinò a lui, strascicando.

 

«Est dallo venti et ottesimo anno di codesto secolo che non ti vedevo, Amicus.»

 

«mancata mi è la tua presenza, o Quasimodo.»

 

«Cosa ti porta qui, nell'Urbe di Parigi?»

 

«Un epistula mandatami da Esmeralda Ravnos. Dove è lei?»

 

«Sei dunque giunto fin qui dalle lontane steppe de lo impero Russo solo pel la Gitana?»

 

«Non certo per salutarla, amico mio. Leggi qui, dunque.»

 

Il vampiro russo porse una lettera al monaco. Dal saio apparve una mano deforme, avente lo medio et lo anulare fusi in uno dito solo, che prese la lettera. Con l'altra mano, lo monaco si abbassò lo cappuccio et si tolse la maschera de ferro che copriva li lineamenti.

Li capelli rossi come lo rame erano radi sullo lato destro et folti sullo lato sinistro. L'occhio sinistro sembrava uno faro, perennemente aperto, mentre lo occhio destro era costretto a rimanere socchiuso a guisa di crepa.

Dopo aver letto la lettera, lo nosferatu la ridiede al Markov e ricoprì lo proprio viso.

 

«Fra sette giorni inizierà lo Carnevale. Sarà allora che la troveremo.»

 

«Quasimodo, non ho ove riposare, et lo viaggio fu lungo ed assai estenuante.»

 

«Seguimi, Markov. Ti porterò alla mia cella. La potrai far riposare le tue membra.»

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Capitolo 3
*** Esmeralda Ravnos ***


Passarono sette dì. Sette dì in cui lo Nosferatu et lo Markov discutevano da amici, rimembrando li dies in cui si conobbero.
Fu l'ottavo die, un dì nuvoloso come la matina che aveva accompagnato Dmitrij all'urbe, quando li due cainiti si diressero alla piazza pel raggiunger Esmeralda. Colei che cercavan fu trovata in un tendone, mentre ella si acconciava li lunghi capelli neri. Davanti allo specchio, ella era, e attraverso esso, ella vide lo monaco et lo russo. Quand'ella si girò, lo cainita albino poté vederne ben le fattezze: pelle mora come quella delli saraceni con occhi color delli smeraldi. Labbra turgide, su cui posavan li canini, con grazia suprema. Lo seno era avvolto in una camicia de seta sopraffina, leggera et trasparente. Stesso tessuto ne componeva la gonna, de color viola et con stelle dorate cucite su di essa.

«Dima! Quasimodo! Magna est la mia letitia nel vedervi, amici miei. Prego, sedetevi pure e narratemi... qual buon vento vi porta?»

«Ahimé, amica mia, non vento ma tempesta mi porta qui. Ciò che tu scrissi in esta epistula si è avverrato. Ciò che lo Farnetico Clopin disse, otto dies fà, mi fu confermato dallo nostro comune amicus.»

«Maledetto sia lo die in cui venne alla luce quell'Inquisitore! Et dannato sia lui et la sua stirpe pel l'eternità intera!»

«Amica mia, trattieni la tua ira, giacché essa causa solo damnatio et follia. Un modo pel salvar la nostra comunità troveremo. Et con l'aiuto di Deus Omnipotens, maggior sarà la nostra fortuna.»

«Ah, Quasimodo. Pur da Cainita, rimani fedele alla Sanctissima, apostolica et cattolica chiesa?»

Lo tono della ragazza, nell'ultima frase, era ironico et irato, poiché molti Cainiti eran caduti sotto la mano de la Chiesa de Roma.

«Discutere sulla via che ognuno di noi ha intrapreso non ci è d'aiuto alcuno. Lo nostro compito, vi rimembro, est scacciar o eliminar lo Iudice Claude Frollo, affinché nessuno di noi muoia sullo rogo.»

Fu in quel medesimo istante che trombe vennero suonate, tamburi furon percossi et voci cantavano ad alta voce lo inno delli Domini Canes, l' "Ave o Regina".
Incuriositi, i tre Caianiti usciron dallo tendone, vedendo soldati con le franche et papali insegne, preti de lo ordine de Santo Domenico et in mezzo a loro, in sella a uno nero cavallo come lo abisso, lo iudice Inquisitore Frollo.
Naso d'aquila divideva occhi dalle glaciali iridi. La pelle dello viso era coperta da una ragnatela de rughe, e tale erala sua magrezza, che di lui era visibil lo teschio. Monache vesti del color dei Dominicanes ne coprivan lo corpo, mentre in mano, egli tenea una pergamena.

«In nomine dello santo Papa Sisto IV, io, Claude Frollo, condanno la gitana Esmeralda Ravnos a morte tramite lo rogo, con l'accusa de stregoneria et patto con lo demonio.»

«Damnatio! Altro tempo non ci è dato! Esmeralda, Quasimodo! Necessitiamo de un loco ove nascondersi. Est stupido et suicida nascondersi ne la cattedrale et attender là lo Iudice.»

«Uno loco ove andar, io conosco: da Clopin Trouillefeou de li Malkavi. Alla corte de li miracoli andar dobbiamo, amici miei.»

«Ordunque, Quasimodo: bando alli indugi et allo rifugio de li Malkavi guida li nostri passi.»

Ciò detto, sfruttando la folla, un cavalier, uno monaco et una gitana si allontanaron da la piazza, volgendo il loro inanimato cor et li loro passi verso lo rifugio de li Malkavi et de li mendicanti: La corte de li Miracoli.

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Capitolo 4
*** La Corte de li Miracoli ***


Un cupo mantello de nebbia avvolse l'urbe quella notte, permettendo a tre sagome de moversi indisturbate in silenzio et segretezza.
Ognun de loro era conscio del fatto che venir sorpresi dalle reali guardie avrebbe rappresentato per loro la morte. Non solo per Esmeralda, la gitana che stavan accompagnando li altri due caianiti, ma anco per loro. Passarono quasi due ore, prima che la compania raggiungesse le porte delle catacombe de Parigi.

«lo buio qui est tanto spesso da esser palpabile. Come possiam fare, o Quasimodo, pel raggiunger li Farnetici?»

Disse lo Caianita de le russe Steppe, davanti a una galleria obscura.

«preoccuparti non devi, amicus meum. Lo meo sguardo est più acuto de lo vostro. Conosco bene queste vie, invero, e tale è la mia conoscenza da permettermi di portarvi meco fino alli Farnetici.»

Ciò detto, lo deforme monaco tastò cum magna maestria le pareti de la galleria finché egli non trovò ciò che cercava. Premette dunque un mattone, leggermente in fuori, rispetto a li altri mattoni, e attivò uno meccanismo.
Fiaccole apparvero sulle pareti, ad illuminar lo cammino de li tre esseri immortali.

«Entriamo, dunque. Clopin ci attende.»

Quando raggiunsero le istanze de lo iullare Malkavi, rimaser stupiti et inorriditi da lo spettacolo che si mostrava a li loro occhi: lugubri statue de morti e de tristi mietitori in marmo, che invero, sotto uno sguardo più attento, si rivelavan per ciò che eran: statue costituite di miriadi di denti umani et non.

«Ordunque, davanti a me non ho niente meno che lo Lebbroso monaco, la Ciarlatana Gitana et lo allievo de li Brujah. Cosa porta le vostre presenze ne la mia umil corte?»

L'erede di Sorin si stupì, davanti alle parole de Clopin Troillefeau. Che dunque egli sapesse di quando lo Diurno visse tra le mura de Hannibal Barca de lo clan Brujah? A interromper lo cupo silenzio fu Esmeralda che fece un passo avanti e si chinò cum gratia.

«Nulla di buono, o Clopin. Lo Iudice Claude Frollo mi ha condannato a morte per rogo. Cosa non fare non so. Lo piano de Quasimodo Nosferatu est di attender lo divino aiuto. Quello de lo cavalier Diurno est di eliminarlo, o scappare. Ma voi, o Clopin, mi siete stato da genitore, quando il mio principe fu ucciso ad Avignon. Cosa dovrei fare, dunque?»

«Ahimé, amica mia… aiuto da darti non ho, né posso. Ma lo mio amico, uno monaco come te, o Quasimodo, vi aiuterà. Fatti dunque avanti, frater Giuseppe Garibaldi.»

Et il dito di Clopin puntò una statua de un prete, che fu poi osservata cum attenzione dalli tre Cainiti. Passaron cinque minuti, prima che Markov si girasse, sbuffando.

«Ah, Clopin… passerei ore a osservar lo spettacolo che la tua mente è in grado di allestir ne lo mondo. Ma ora non abbiamo tempo per le messinscene et per le farneticationi. Devi aiutarci!»

Clopin scosse il capo, facendo tintinnare li campanelli de lo suo copricapo, come se si fosse appena svegliato.

«Oh, scusate. Ma ora andate. Domani vi aiuterò, allo scoccar de la prima ora.»

Sconsolati, i tre si congedaron da Malkavi et andaron via da la corte.Ripercorser allora la via fino alla piazza de la cattedrale. Ma là, il reo destino tirò la rete, poiché le guardie papali li fermaron. Lesto, lo gobbo monaco spinse Esmeralda tra le braccia di Markov, mettendosi davanti alle guardie.

«Scappa, Dmitrij Markov! Scappa e porta teco Esmeralda. Che lei non sia catturata! Portala in salvo!»

Il Diurno strinse lo polso a Esmeralda, mentre lo monaco affrontava le guardie, venendo accerchiato da esse. Nelle vie de la città, però, Dmitrij perse la presa su lo polso di Esmeralda e lei gli stette dietro, venendo successivamente catturata da altre guardie.

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Capitolo 5
*** Lo rogo et la fine ***


Il giorno dopo fu accolto da rumori di martello e non de campane suonate, mentre in lontananza si avvicinavan li rombi di tuono de un temporale.
Quattro eran li soldati che alzavan li pali pe lo rogo. Due pali, per due condamnati. Altri quattro accompagnavan lo monaco et la gitana, li quali tenevan lo capo chino.
Non molto tempo passò, prima che le genti de l'urbe accorsero a riempir la piazza. Tra li astanti era presente lo stesso Markov.
In colpa si sentiva, invero, e tale era il suo rimorso che ben volentieri avrebbe preso lo posto de li due cainiti sullo patibolo. Li suoi occhi dalle dorati iridi eran lucidi per il pianto, et un nero cappuccio ne copriva i lineamenti. Invano egli cercò di raggiunger le prime file, ma muri umani trovò a ostacolarne lo suo passo… sempre. Et costantemente.

Ma la sua gentilezza et la sua gratia venner meno, quando vide le fiaccole. Se prima chiedeva permesso, ora egli spintonava e calpestava pur di arrivar in prima fila.
Due guardie lo bloccaron, mentre lo Iudice Inquisitorio si ergeva davanti a li due condamnati, parlando cum alta et sonante voce.

«In nomine Patris et Filii et Spiritus Sancti… che Deus abbia pietas de le vostre anime depravate, o esseri demoniaci.»

Ciò detto, egli prese una fiaccola et accese per primo le pire che avvolgevan li pié de li due Cainiti. Un urlo de rabbia, dolore et paura si innalzarono nel medesimo momento, mentre le cupe nubi copriron lo pallido sole et lampi iniziaron a cadere. Il Caianita albin si slanciò, atterrando le due guardie che lo bloccaron, rompendo loro l'osso de lo collo, mentre li due vampiri lanciavan al ciel - che lampi et tuoni portava - uno ululato de dolor, chiedendo che li nembi non lasciassero solo lampi et tuoni, ma anco piova.
Ma muta rimase la loro preghiera. E solo quando lo soffio immortale de la loro vita si dileguò, iniziaron a cader le prime gocce de pioggia.

«FUGGI, O IUDICE FROLLO! FUGGI POICHÉ AVRÒ LA TUA VITAE! FUGGI FINCHE PUOI!»

Forse fu pel lo sguardo. Forse, fu pel la minaccia. Fatto fu che lo Iudice inquisitorio scappò, fino a iunger a le porte de la cattedrale. Come uno vendicativo spirito, lo vampiro albino lo inseguiva, con li neri guanti lordi de lo sangue de le guardie. Fulmini dipartivano dalle sue pupille, et un ringhiò di rabbia nasceva da le sue labbra.
Frollo chiuse le porte, sicuro che lo cainita non potesse entrar ne la cattedrale. Ah, flebile fu la sua speranza, et la sua sicurezza, quando lo porton fu sfondato da lo Vampiro.

«Scappa quanto vuoi, iudice domini canem. Ma la mea furia non si fermerà, finché tu non morirai.»

Tale fu lo spavento de lo iudice, che tria volte cadde, et tre volte egli si alzò, finché egli non fu vicino alla scalinata che portava sul tetto. Laddove lo nosferatu, una volta, suonava le campane. Fu lì che giunse lo Inquisitore, cacciato et pungolato dallo Cainita, che giunse su lo tetto, introdotto da un lampo.

«Tanto in alto sei giunto, ma lo tuo destino est tra li vermi et tra li cadaveri.»

Con un urlò di rabbia, si scagliò contro lo iudice et una spallata colpì lo Inquisitore, sbalzandolo per l'aere ed egli oltrepassò li parapetti. Con un urlo, più demoniaco che uman, egli cadde fin allo terreno. fu lo schianto de lo cadavere, morto de paura, che accompagnò la morta de Claude Frollo.

«Più nulla trattiene lo mio corpo et lo mio core immoto in questo loco.»

E dopo aver pronunciato siffatte parole, egli scese e salì in sella a lo destriero, ancor legato a lo pozzo. Sotto la piova, egli si fermò davanti a le ceneri, abbassando il capo, mentre Clopin li si appressò.

«Addio, Clopin. In futuro, forse tornerò, ma fino ad allora, a Parigi non tornerò, almeno per trecento et passa anni.»

Sotto lo temporale che copriva le lagrime de lo russo vampiro, egli si allontanò, sparendo a lo orrizonte.
 
Parigi, 1830. Casa di uno scrittore.

«È tutto qui?»


«Si amico mio. Sono felice che tu abia voluto ascoltare questa storia.»

«Non c'è problema, Dmitrij Markov. Mi hai dato una bella idea per un romanzo. I nomi dei protagonisti non cambieranno, ma non saranno vampiri. Quasimodo… sai che il suo nome significa "fatto a metà"?»

«lo so bene. Renderesti i nomi di Esmeralda e Quasimodo eterni. Te ne sarei grato.»

«ti ringrazio. Ora però, lasciami scrivere. Te ne manderò una copia a Irkutsk, quando il manoscritto sarà messo alla stampa.»

«Arrivederci, allora… Victor Hugo.»

Con un sorriso, il vampiro uscì dalla casa dello scrittore, mentre egli iniziò a scrivere il libro, dopo aver pensato al titolo: "Nôtre-Dame de Paris".
 
"Son oggi trecento quarant'otto anni sei mesi e diciannove giorni che i parigini furon destati dal suono di tutte le campane a stormo, nella triplice cinta della Cité, dell'Université, della Villé…"

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